Aiutami

di melania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Campanello

AIUTAMI

°01°

 

 

 

 

 

 

 

 

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Campanello.

 

Suona.

 

Apro svogliatamente un occhio, lanciando uno sguardo alla sveglia vicino a me.

La fievole luce rossa m’infastidisce.

 

4.32 a.m.

 

Richiudo l’occhio. Ma chi cazzo è a quest’ora?

 

Campanello.

 

Se ne andrà…sarà solo un ubriaco. O un ragazzino in cerca di guai.

 

Campanello.

 

Mi giro lentamente, tirandomi il leggero lenzuolo fino al mento. Cerco di trovare una posizione più comoda.

Ignoro il suono martellante. Si ficca nelle orecchie. Entra con prepotenza nel mio padiglione auricolare. Giunge al mio timpano. Lo fa vibrare. S’insinua nel mio cervello.

 

Campanello. Campanello. Campanello. Campanello. Campanello.

 

Ma perché la mia porta???

 

Spalanco gli occhi. Ormai completamente sveglio.

 

Fuori piove. Giro la testa verso la finestra.

È tutto buio. Ma posso vedere le piccole gocce d’acqua fredda scivolare lascivamente sul vetro. Incessantemente. Tracciano sentieri solitari. Si congiungono.

 

Campanello.

 

Ma perché non se ne va???

 

Campanello. Campanello. Campanello. Campanello. Campanello!!!

 

 

Sento provenire dal piano di sotto un miagolio infastidito. Micky. Si è svegliato anche lui.

Povero gatto. Domani sarà intrattabile. Come me, quando dormo male.

 

A un tratto…il silenzio.

Mi alzo a sedere.

Che se ne sia andato?

Ora l’unico suono è l’impercettibile tamburellio dell’acqua contro la finestra.

Sta piovendo forte. Forse l’uragano che il meteo aveva preannunciato.

Guardo la sveglia.

 

4.40 a.m.

 

Quel pazzo era rimasto incollato al mio campanello per più di 8 minuti??? Che do’hao.

C’è gente strana fuori a quest’ora.

Faccio per ricoricarmi nel futon, quando sento un suono ovattato e forte provenire dal piano di sotto.

Contro la porta…

……………..ma cosa cazzo sta succedendo stanotte???

Micky incomincia a miagolare con forza.

Possibile che sia sempre la persona di prima?

Il rumore aumenta. Ma cosa vuole fare, sfondare la porta???

Sussulto quando sento il rombare di un tuono.

I colpi divengono più forti…sento Micky aumentare il suo miagolio snervante.

 

E va bene.

 

Ora sono davvero incazzato. Qualcuno non mi vuole fare dormire? Gli farò dimenticare questa idea fantastica.

 

Kaede Rukawa non perdona chi disturba il suo sonno!!!

 

Mi alzo in fretta dal futon, e a piedi nudi esco dalla mia stanza, scendendo di corsa le scale.

Il pavimento è freddo. Rabbrividisco.

 

Gli farò pagare anche questo. Un sorriso sinistro si dipinge sul mio viso.

 

Vedo Micky miagolare contro la porta.

Mi rendo conto di non sopportarlo in questo momento.

 

-          E sta zitto, stupido gatto! Ci manchi solo tu a fare casino stanotte!

 

Miagola ancora più forte. Ah…è così???

Gli do un calcio, spostandolo dalla mia traiettoria. Micky si arruffa tutto, soffiandomi contro.

Ma non ho il tempo di preoccuparmi di lui.

Devo uccidere qualcuno. Ora.

 

Apro la porta di scatto.

 

- Vaffanculo ma chi cazzo se…..i….- la frase mi muore in gola.

 

Sgrano gli occhi.

Potevo immaginare un ubriacone in cerca di guai.

Un gruppo di ragazzi deficienti.

Uno così fatto da non riconoscere nemmeno la propria casa.

Un ladro.

 

Qualsiasi cosa.

 

Ma non………………………..lui.

 

Rimango immobile a osservarlo. Non si muove. Quando ho aperto la porta, ha abbassato lo sguardo.

 

Rabbrividisco. L’aria è fredda. E umida. Sento l’acqua bagnarmi il petto. C’è vento.

Sto fermo come un deficiente.

 

Cazzo sta imperversando un temporale di merda ed io sto come un coglione a prendermi la pioggia senza fare nulla!

 

E sono anche le quattro di notte!!!

 

Scuoto leggermente la testa. Sento Micky miagolare infastidito dietro le mie spalle. L’ingresso si starà bagnando anch’esso. E Micky odia l’acqua. Oddio…in realtà Micky odia qualsiasi cosa.

 

Kaede cerca di riprenderti, maledizione!

 

- Do’...............hao? – la mia voce esce incerta e roca dalle mie labbra.

 

Lui sussulta. Alza lentamente la testa. È completamente bagnato. I capelli gli ricadono scompostamente sulla fronte. Osservo le gocce d’acqua fredda scivolare dalle sue ciocche rosse sul ciottolato vicino alla porta.

Si passa una mano sugli occhi, per scacciare – inutilmente – l’acqua.

Mi guarda finalmente negli occhi. Il suo sguardo è………………..spaesato. Sembra come domandarsi il perché sia qui davanti a me.

Mi sembra di stare ancora dormendo. È una situazione troppo irreale. O forse è il nostro comportamento che è irreale.

 

- Io… - riporto l’attenzione su di lui. È diventato rosso in viso. Si morde nervoso il labbro inferiore. Non riesce a finire la frase. Socchiude gli occhi. I capelli bagnati gli danno fastidio. S’infila le mani dentro i jeans inzuppati. Ha la pelle d’oca.

 

Mi riscuoto da questo immobilismo assurdo. Ci stiamo bagnando entrambi come due stupidi. Non so perché è venuto qui. Non so nemmeno come faceva a sapere dove abitavo. Stento a malapena a riconoscerlo nello stato in cui è. Però…

 

- Entra.

 

Mi scosto dall’ingresso. Non posso mica lasciarlo fuori in questo modo. Se è venuto ci sarà un buon motivo.

 

Anzi.

 

Ci deve essere, visto l’ora e il casino che ha fatto prima!

 

Osservo distrattamente la pozza d’acqua che sto creando sotto i miei piedi. Dopo dovrò asciugare.

Micky mi soffia contro. Lo so che vuoi che chiuda la porta. È inutile che scassi.

 

- Do’hao!

 

Incomincio a spazientirmi. Sakuragi non si è mosso di una virgola. Sembra pietrificato sulla soglia di casa.

 

Il mio livello di sopportazione sta per essere oltrepassato

 

Allora…ricapitoliamo:

 

1)      Fino a qualche minuto fa stavo dormendo beatamente nel mio futon caldo;

 

2)      Un non-ben-precisato-deficiente si attacca al campanello con così tanta foga - neanche lo stessero ammazzando davanti a casa mia – da interrompere il mio preziosissimo sonno;

 

3)      Il medesimo non-ben-precisato-deficiente non notando alcun segno di vita provenire da questa casa, pensa bene di sfondare la porta;

 

4)      Io decido di ammazzarlo con una morte lenta e dolorosa…e mi ritrovo davanti…………………….La scimmia rossa;

 

5)      Decido – per disperazione – di farlo entrare…e questo stupido do’hao…RIMANE FERMO FUORI!!!???

 

A male estremi. Estremi rimedi (e darei un premio al cretino che ha inventato una frase più stupida di questa!!!).

 

Lo afferro all’improvviso per il braccio, scaraventandolo dentro all’ingresso di casa.

E finalmente mi richiudo la porta di casa dietro le spalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


AIUTAMI

AIUTAMI

°02°

 

 

*Grazie a tutte le ragazze (Angel island, Elrohir, Lucylu, Shak4, Brinarap, Stateira, Kiba91) che hanno commentato il primo capitolo…GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEE…..spero di non deludervi! ^___-*

 

 

 

 

 

 

 

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-          Ma sei completamente impazzito??? Volevi staccarmi il braccio???

 

Mi giro verso il do’hao.

 

Ma quanto grida?

 

Non era assiderato e in uno stato catatonico-depressivo?

 

Rispondo con indifferenza al suo sguardo di fuoco. Dopo pochi secondi rivedo il rossore sulle sue guance. Abbassa repentinamente lo sguardo, fissandolo sul pavimento candido che sta bagnando.

Si massaggia il braccio con cui l’ho tirato dentro casa. Ha un’espressione corrucciata e infastidita.

Non mi sembrava di averlo tirato così forte…

Comunque mi sembra un dato trascurabile…data la situazione.

 

-          Allora? – lo osservo cercando una spiegazione a tutto ciò che sta avvenendo questa notte.

 

Voglio prima sapere che cosa ci fa qui.

E ignoro (devo dire molto stoicamente) i brividi di freddo che percorrono il mio corpo (e suppongo anche il suo) e il sonno.

 

-          “Allora”…………………..cosa? – mi osserva con un’espressione sorpresa…oserei dire ebete.

 

Come se non si trovasse (completamente bagnato) dentro la casa della “baka kitsune” (come dice lui), dopo essere venuto di sua spontanea volontà qui e dopo aver palesato la sua presenza per almeno dieci miglia (con quel maledetto campanello!). Alle quattro di notte.

 

Naturalmente non potrei mai sprecare tanto fiato per dirgli tutte queste parole.

Sono sempre stata una persona concisa. E diretta.

 

-          Che cosa ci fai qui? – incrocio le braccia contro il petto. Sono completamente bagnato…domani come minimo avrò una bronco-polmonite. Tutta per colpa sua.

 

Il do’hao riabbassa lo sguardo. Ecco di nuovo il rossore. Fantastico….ha di nuovo riattivato la funzione-verginella-impaurita.

 

Cosa ho fatto di male?

 

Passa qualche minuto. La situazione non cambia. Lo vedo impacciato e tremendamente imbarazzato.

Possibile che questo ragazzo che mi ritrovo davanti sia lo stesso Hanamichi Sakuragi che strepita baldanzoso in palestra ogni giorno???

 

 

 

Per la prima volta penso che forse tutto ciò che fa…il modo in cui si comporta…il modo in cui parla………………………….sia soltanto…………..una recita.

 

 

 

Un suo starnuto mi riscuote dai miei pensieri. Anche lui ha freddo. Ed è bagnato come me. Anzi. Più di me…sarà stato molto tempo sotto la pioggia.

 

Alza la testa. Mi guarda negli occhi. Con sguardo risoluto.

 

 

 

 

E comprendo che non mi dirà perché è venuto qui questa sera. Almeno per ora.

 

 

 

 

Sospiro impercettibilmente. E va bene.

 

-          Do’hao…- scuoto leggermente la testa.

 

-          Baka kitsune – e lo fisso mal celando un po’ di sorpresa. Perché il tono con cui l’ha detto era…tranquillo. Non c’era odio. Né ira. E il sorriso imbarazzato e gentile che mi sta rivolgendo ora (quasi mi stesse chiedendo grazie per aver compreso la sua reticenza a parlare) mi turba.

 

Non so come rapportarmi con questo “nuovo” Sakuragi.

 

Quindi…riportiamo il nostro rapporto ad un livello…più “normale”.

 

-          Do’hao…mi stai bagnando tutto il pavimento.

 

Ok Kaede. Una frase meno scontata e stupida non potevi trovarla. Grande.

Però Sakuragi abbozza un mezzo sorriso ironico. Ha capito.

 

-          Dovresti ringraziare il tensai…è acqua sacra questa - E osserva divertito le gocce d’acqua scivolare dalla sua maglietta e dai suoi jeans sul pavimento. Come un bambino.

 

Mi accorgo solo ora che non indossa un giubbotto. O un qualcosa di più pesante. Ma da dove veniva? Possibile che sia stato colto all’improvviso dal temporale?

E poi…………....a quest’ora? Non capisco…

 

-          Tz….- mi dirigo verso il piano di sopra. Devo farmi una doccia. E anche lui. Gli andranno i miei vestiti?

 

-          Dove vai? – mi osserva. Ha un qualcosa di strano. Ma mi sfugge cosa. Senza quell’espressione idiota che assume sempre in palestra…è diverso. Ma questo non è importante ora.

 

 

-          A lavarmi. Vieni- incomincio a salire le scale.

 

Ma quando non lo sento dietro di me mi blocco. Non sarà rimasto immobile giù nel soggiorno?

Sbuffando ridiscendo le scale.

 

Come volevasi dimostrare.

 

È rimasto dove lo avevo lasciato. Un altro starnuto. Continua a passarsi lentamente la mano sopra il braccio. Ormai più che una pozzanghera ha un lago sotto i suoi piedi. Mi aspetta un bel lavoro di pulitura.

 

Ma chi me l’ha fatto fare??

 

-          Do’hao…vuoi l’invito scritto per muoverti?

 

Alza il viso guardandomi. Poi abbozza un sorriso imbarazzato.

 

-          Non voglio sporcarti ulteriormente la casa- e con la mano indica le sue scarpe sporche di fango (che effettivamente hanno insudiciato l’ingresso) e l’acqua sotto di lui.

 

…………………………………………ok…………………………………..

 

Forse sto ancora dormendo. Sì. È tutto un sogno.

 

Deve essere un sogno.

 

Cioè…il ragazzo che ho di fronte non è Sakuragi. Non può essere lui. È troppo gentile. È troppo educato. È troppo…cazzo è troppo tutto!

 

Sto per avere un esaurimento nervoso. Ho freddo. Ho sonno. E sono in compagnia di un clone che si spaccia per Hanamichi Sakuragi.

 

-          Togliti le scarpe. Ti aspetto sopra…do’hao – mi giro sbuffando. Voglio solo ritornare a dormire.

 

-          Aspetta…- il suo tono è incerto. Cos’altro c’è???? -…….e i……tuoi?

 

 

Mi blocco sul gradino della scala.

I miei genitori?

Interessante che si sia posto la domanda solo ora. E non prima mentre svegliava l’intero vicinato e cercava di sfondare la porta!

 

Ma effettivamente…non sarebbe cambiato nulla.

 

I miei…non ci sono da tempo in questa casa. Da tanto. Se non avessi dei ricordi…penserei di essere cresciuto in solitudine da sempre.

 

-          Non ci sono – forse ho usato un tono troppo lapidario. Lo vedo rattristarsi…perché?

 

Scuoto la testa, ricominciando a salire le scale. Non voglio la compassione di nessuno. Di nessuno.

 

Entro dentro la mia stanza. Devo prendere un pigiama e anche dei boxer per quel do’hao. E devo anche tirare fuori dall’armadio il futon primaverile. Non ne ho un altro pesante. Si dovrà accontentare.

 

Ad un tratto mi rendo conto che è la prima volta che ospito qualcuno qui dentro. Anzi.

Che provvedo a qualcuno che non sia me stesso. Tranne Micky naturalmente. A proposito…dov’è finito?

 

Non ho il tempo di pensarlo, che sento un miagolio isterico provenire dal piano di sotto, unito all’urlo di Sakuragi.

 

Cos’altro avrà combinato quel do’hao???

 

Sento i suoi passi veloci e pesanti sopra le scale (con una grazia elefantina aggiungerei), per poi vedermelo sbucare in camera tutto affannato. Non ho il tempo di dire nulla che si richiude la porta dietro le spalle, appoggiandosi sopra.

 

 

 

È impazzito?

 

 

 

Dopo pochi secondi sento Micky graffiare la porta da fuori. E dal rumore, mi sembra abbastanza nervoso. Come minimo starà lasciando dei solchi di un centimetro.

Incomincia anche a miagolare, chiedendo (anzi, il mio gatto non chiede mai), ordinando che gli sia aperta la porta.

Mi sono sbagliato. Non è nervoso. È incazzato nero.

 

-          Do’hao cosa hai fatto al mio gatto?

 

Alza la testa di scatto alla mia accusa. Si arrossa tutto in viso, indicandomi la sua gamba destra, dove spicca un graffio lungo e sanguinante.

 

-          COSA HO FATTO AL TUO GATTO?? DOVRESTI CHIEDERMI COSA HA FATTO QUELLA BELVA A ME!

 

Ma perché grida? Che fastidio.

 

-          Non è una belva. È un gatto. È il mio gatto.

 

E spero che mi abbia capito. Nessuno maltratta il mio gatto.

 

Tranne me naturalmente.

 

Mi avvicino al do’hao, facendolo spostare (nonostante le sue proteste) dalla porta. Quando la apro mi ritrovo Micky, in un solo balzo, fra le braccia.

Incomincio ad accarezzarlo lentamente, cercando di farlo calmare. Ha il pelo così liscio e morbido. Di un nero lucente. Quando lo gratto sotto il mento, lo sento miagolare estasiato. Socchiude gli occhietti grigi…incominciando a fare le fusa.

 

-          Belva ruffiana – un suo sussurro. Infastidito.

 

Riporto l’attenzione sulla Scimmia rossa.

Si accorge del mio sguardo accusatore.

Arrossisce mentre incomincia a sbraitare una valanga di parole.

 

-          E’ inutile che mi guardi in quel modo baka kitsune! Non è colpa mia! Era buio per le scale, come facevo ad accorgermi di quel botolo nero e antipatic… - un miagolio infastidito lo interrompe... – vedi??? Mi odia!!! Gli ho solo calpestato la coda e mi ha aperto uno squarcio lungo la gamba con quegli artigli che si ritrova! – e m’indica di nuovo la gamba.

 

Se non fossi Kaede Rukawa…credo che sorriderei (davanti a lui). La scenetta è comica. Un bestione alto 2 metri che sbraita contro un gatto…sembra un bambino a cui gli hanno rotto il giocattolino nuovo.

 

-          E mi ha pure inseguito per le scale! - muove le braccia in modo plateale.

 

Ora riconosco il Sakuragi di sempre. Quel suo parlare istrionico, esagerato. Quel suo gesticolare scoordinato.

 

 

Ora lo riconosco.

 

 

 

 

 

 

 

E mi rendo conto che il tutto...è orrendamente……………………………falso.

 

 

 

 

 

 

 

E non me ne ero mai accorto.

 

Che stia cercando di alleviare la tensione che c’è fra noi? Di allontanare dai miei pensieri, il perché lui sia qui…ora….stanotte? Il perché abbia suonato alla mia porta?

 

E va bene Sakuragi.

 

-          Hai finito? – lo osservo con sguardo scettico, mentre continuo ad accarezzare Micky.

 

Per pochi minuti regna il silenzio nella camera. Gli unici suoni impercettibili sono il suo respirare affannoso, il suono cupo e grave delle fusa di Micky e il lieve tamburellio della pioggia contro la finestra.

 

Lancio uno sguardo veloce alla mia sveglia luminosa. Sono già le cinque di mattina.

 

Per fortuna domani è domenica.

 

Lascio andare Micky per terra, per poi prendere il pigiama e la biancheria che avevo appoggiato sul mio futon (prima di tutto quel baccano).

 

-          Tieni. Il bagno è la stanza in fondo al corridoio. Dentro troverai un telo con cui asciugarti. Sbrigati.

 

Osserva stranito i vestiti. Poi borbottando contro le “volpi malefiche e insensibili” e lanciando un ultimo sguardo di puro odio contro Micky, se ne va in bagno. Sento la porta chiudersi.

 

Sospiro.

 

È una situazione………………………………….strana.

 

Mi accosto alla finestra. Piove. Continua a piovere. Io amo la pioggia. Lava via tutto. Dolore. Colpe. Odori.

Dopo…rimane solo il nulla.

 

Micky si struscia contro le mie gambe. Lo riprendo in braccio, guardandolo negli occhi.

 

-          Però…è vero che sei un po’ ruffiano – sorrido.

 

Arruffa il pelo, soffiandomi contro. E permaloso. Proprio come me.

 

Si divincola dalla mia stretta, cadendo elegantemente per terra. Ridendo cerco di riafferrarlo, ma mi blocco.

 

Sakuragi è sulla soglia della camera. E la sua espressione è attonita. Sorpresa.

 

Il mio riso scompare. Odio che qualcuno mi veda così. Senza barriere.

 

-          Togliti quell’espressione dal viso do’hao – mi dirigo con passi veloci verso di lui.

 

Sussurra un incredulo “Sai ridere”.

 

Infastidito esco dalla camera.

 

Micky mi segue. Entro in bagno, incominciando a svestirmi. Finalmente mi tolgo gli abiti freddi…ma come ho fatto a rimanere per tutto questo tempo con questa roba bagnata addosso? Tutta colpa del do’hao!!!

 

Micky si acciambella vicino alla porta del bagno.

 

-          Cos’è…fai la guardia che lui non entri?

 

Sbuffo divertito. Emette un piccolo miagolio…

 

Potevo avere solo io un gatto del genere. Bah..

 

Dopo aver riempito la vasca con l’acqua calda mi ci immergo fino alla testa…chiudo gli occhi rilassandomi. (nota 1)

In poco tempo i brividi di freddo e i pensieri (per lo più rivolti verso Sakuragi) svaniscono. Scivolano sull’acqua…mischiandosi alla schiuma.

 

Che pace. Ripenso a quante volte mi sono addormentato in questa vasca. E ai vari raffreddori che avevo il giorno dopo.

 

Quando sento le palpebre farsi sempre più pesanti mi alzo. Voglio dormire nel mio futon. Non qui. Esco dalla vasca, riempiendo un secchio d’acqua tiepida.

 

Mi siedo sullo sgabello di legno e incomincio a lavarmi. Osservo la pelle arrossata. È troppo chiara. Mi guardo intorno e mi accorgo che Micky si è infilato sotto un cumulo di vestiti, posti in un angolo della stanza.

 

Devono essere di Sakuragi. Quel do’hao li ha lasciati qui.

 

Osservo Micky…………………………………………….ma cosa sta facendo?

 

Penso all’improvviso che voglia lasciare qualche “piacevole ricordino” sopra i vestiti della Scimmia. E’ vero che è colpa sua sono sveglio a quest’ora….e se mi sono preso tutto quel freddo. Però…

 

-          Micky…spostati da lì.

 

Ma non si sposta. Anzi.

Non mi degna di uno sguardo.

Lo vedo stringere fra le unghiette la maglietta nera di Sakuragi…e…………………leccare le maniche?

 

-          Baka neko cosa stai facendo???

 

Mi alzo di scatto dallo sgabello (rischiando anche di scivolare) avvicinandomi a quello stupido gatto.

 

Cerco di togliergli dalle zampine la maglietta, ma Micky si aggrappa con forza.

 

-          Smettila…così la strapperai!

 

Miagola infastidito cercando di mordermi la mano. È insopportabile quando ci si mette.

Gli lascio la maglietta. Sento i suoi miagolii soddisfatti (grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr….baka baka) prima di ridedicarsi alla leccatura.

 

È impazzito……….cosa avrà da leccar…….interrompo i miei pensieri.

 

 

Fisso sorpreso la mia mano sinistra. Quella che aveva stretto una delle due maniche della maglietta.

 

È sporca. D’acqua. Rossa.

 

 

Rossa?

 

 

-          Micky………………………………….cosa stai leccando? – un dubbio incomincia a insinuarsi in mente.

 

Vedo sotto la maglietta allargarsi una piccola pozza d’acqua (di cui la maglietta è pregna). Acqua rossa. Acqua mista a…

 

Micky si interrompe. Mi osserva per un lungo attimo. La sua coda nera si muove lentamente nell’aria. I suoi occhietti grigi possiedono una luce strana. Felina. Quasi….primordiale. Non adatta ad un gatto domestico.

Stai leccando del……………………………………sangue. Ecco perché.

 

 

Il Suo……………………..sangue.

 

 

 

 

 

Note

 

 

 

Nota 1: E’ una nota “postuma” (novembre 2009). Quando ho scritto questa scena ho fatto un errore davvero grossolano, non tenendo conto della tradizione giapponese dell’Ofuro (おふろ). A differenza della nostra abitudine confermata di immergerci nella vasca per lavarci, in Giappone è l’esatto contrario. Prima di immergersi nella vasca, ci si lava (normalmente sedendosi su uno sgabello) e in seguito si entra nella vasca. Nella scena invece che descrivo, avviene il contrario. Chiedo perdono.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


AIUTAMI

AIUTAMI

°03°

 

 

*Ciao a tutte. Scusatemi per tutto il tempo che è passato dall’ultimo aggiornamento. Complice la fine degli esami e la svogliatezza derivante, mi mancava l’ispirazione per scrivere…^__^;;; scusatemi! (_ _)*

 

*Questo è il terzo capitolo…forse il ritmo è più “lento” rispetto ai primi due, ma credo fosse necessario. Il prossimo capitolo sarà determinante in quanto si comprenderà il comportamento di Hanamichi... ma non voglio preannunciare nulla! ^__^*

 

*Grazie a tutte le ragazze che hanno commentato i capitoli precedenti (stateira, elrohir, Angel Island, Brinarap, kiba91, hina85 e sTeLLiNasTRoNZa)…GRAZIE!!!! Spero di non deludere le vostre aspettative… ç____ç *

 

 

*Alla prossima… ^___^ *

 

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

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Rimango immobile.

 

 

Sangue.

 

 

Osservo Micky continuare a leccare le maniche.

 

 

Sangue.

 

 

Immergo la mano sporca di quel liquido rossastro dentro l’acqua della vasca…osservo distrattamente la schiuma profumata colorarsi di rosa.

 

Tolgo il tappo della vasca…l’acqua in un piccolo turbine scompare dentro lo scarico.

 

Ho la mente vuota. Perché? Avverto una strana inquietudine.

 

Questa notte non credo che la scorderò facilmente.

 

-          Micky…dammi la maglietta.

 

Micky alza la testolina. Il mio tono pacato e forse intriso di qualcosa che non so ancora definire ha destato la sua curiosità. Mi osserva attentamente. Ha capito. Che sono stanco. Che non voglio più giocare con lui (oddio prima non stavo giocando…stupido neko!).

 

Si allontana dalla maglietta. Mi lancia un ultimo sguardo. Poi si acciambella vicino alla porta.

 

Mi chino afferrando la maglietta. Osservo gocciolare l’acqua “insanguinata” per terra. Ripenso a Sakuragi mentre si toccava il braccio con quell’espressione dolorante, prima, sull’ingresso.

 

 

Ha le braccia ferite.

 

 

Forse ha avuto una rissa. È un teppista, per lui sarà “normale amministrazione”. Eppure sul suo viso non c’erano ematomi né graffi. Ed è impossibile che in un combattimento una persona non se ne procuri.

 

E poi…che cosa ci faceva alle quattro di notte fuori di casa? Perché è venuto da me? Dov’è il suo Guntai se hanno avuto una rissa? È impossibile che l’abbiano abbandonato in mezzo alla strada. Non li conosco…ma dal modo in cui si rapportano con Sakuragi, credo che per loro sia davvero importante. Soprattutto quel ragazzo…come si chiama………….?........................ah sì…Mito? Mh………si mi sembra si chiami Mito.

 

Gli vuole bene. Si vede.

 

E poi…perché Sakuragi ha lasciato qui i vestiti? Possibile che se li sia dimenticati…?

 

Troppe domande. E pochissime risposte (wow…Kaede non potevi pensare una frase più intelligente…davvero…non le usano neanche nelle sceneggiature di serie Z).

 

Un miagolio di Micky mi riporta al presente. Mi accorgo di essere nudo come un verme qui in bagno. E con in mano una maglietta sporca, che mi sta insudiciando di sangue il pavimento. Ok….basta. Domani ci penserò.

 

Ora voglio solo dormire.

 

M’infilo l’accappatoio candido. Mugolo di piacere per la morbidezza del tessuto a contatto con la mia pelle.

 

Butto i vestiti del do’hao e i miei in una bacinella. Domani li laverò.

 

Mi blocco.

 

Li” laverò??

 

Sto impazzendo…perché cazzo dovrei lavare i vestiti di quel deficiente?? Se li laverà lui. Dopo avermi spiegato perché è intrisa di sangue solo la maglietta.

 

Anzi….no…che me ne frega del perché. Sono cazzi suoi.

 

 

Basta!

 

Non ne posso più di tutti questi pensieri!

 

Faccio spostare Micky dalla soglia della porta, per poi dirigermi verso la mia camera. Quando vi entro mi accorgo che la luce è spenta. Intravedo nel buio il corpo disteso di Sakuragi. Rimango immobile. Avverto il suo respiro calmo, profondo, ritmato.

 

Sta dormendo.

 

Doveva essere molto stanco.

 

Mi avvicino al mio futon. Cerco con le mani il pigiama e i boxer che vi avevo poggiato. Quando li trovo me li infilo, continuando a osservare il do’hao.

 

Mi sento a disagio. È la prima volta che dormo con un’altra persona dentro la mia camera. Sentire al suo interno un respiro che non è il mio…mmm…..sì…………..è strana come sensazione.

 

Prima di infilarmi sotto le lenzuola mi avvicino a Sakuragi. M’inginocchio vicino a lui. Non riesco bene a distinguere la sua espressione nel buio. Ma dal respiro, credo sia tranquillo.

Mi accorgo che non si è tirato addosso il lenzuolo.

 

Ma allora è proprio un do’hao! È stato chissà per quanto tempo sotto la pioggia (senza nemmeno qualcosa di pesante addosso!) e non si copre! Sarà già un miracolo se domani non avrà la febbre.

 

Faccio per prendere il lenzuolo e ricoprirlo, quando mi rendo conto di ciò che sto facendo.

 

Ma dove è finito il Kaede freddo e imperturbabile? Perché mi sto preoccupando per questo stupido. Non sono la sua infermiera personale…è già molto se l’ho ospitato in casa mia (interrompendo il mio sonno sacro!).

 

Sorrido nel buio. Non penso davvero tutto questo. Lo so bene………..però questa notte mi sta portando a compiere troppe azioni inusuali per i miei “standard” (neanche fossi una macchina…ma come mi esprimo??).

 

Con un sospiro grave lo copro con questo maledetto lenzuolo.

 

Faccio per allontanarmi quando lo sguardo mi cade sulle braccia del do’hao. Ripenso alle maniche insanguinate della maglietta. E a quel suo accarezzarsi il braccio. C’è qualcosa che mi sfugge. Lo so.

 

 

Ma………………………………………………………….cosa…….?

 

 

Avvicino la mia mano al suo braccio destro….ma prima che si possa posare sopra, la mano di Sakuragi stringe con forza la mia. Impedendomi il contatto.

 

Rimango per qualche attimo sorpreso.

 

Poi un suo sussurro interrompe il silenzio che regna nella stanza.

 

-          No. ……………………………………… - sospira – ……………………..non toccarmi.

 

Un fulmine illumina repentinamente la stanza. Ci guardiamo per quei pochi secondi negli occhi.

 

 

Profondamente.

 

 

La sua espressione è triste. Ma scorgo anche un lampo quasi di timore nei suoi occhi.

 

 

 

 

La camera si ripiomba nel buio. Dopo pochi secondi avvertiamo il tuono. Il suono è forte. Sento il vetro della finestra vibrare.

 

Micky miagola infastidito. Odia i temporali. Normalmente quando ce n’è uno lascia il suo cesto (dove vegeta dalla mattina alla sera – dormendo - quando non mangia e non rompe le palle a me) per acciambellarsi vicino al mio futon.

 

-          Pensavo dormissi - mi libero dalla sua stretta. Mi da fastidio essere toccato. Non lo permetto nemmeno a mio padre.

 

Vedo la sua sagoma girarsi. Mi da le spalle. Sospira.

 

-          Perché? - e spero che comprenda che la mia è una domanda che sottintende molto. Voglio capire che cosa sia successo. E cosa stia succedendo.

 

-          Non ne voglio parlare – il tono è neutro. Quasi stanco.

 

 

Mi alzo di scatto. Non ne posso più! Non vuole dirmi…nulla? Spiegarmi che cosa è successo…va bene

 

 

VA BENE!

 

 

 

 

È solo………………………………………………..un do’hao.

 

 

 

 

M’infilo innervosito dentro il mio futon. Lotto per pochi secondi con le lenzuola, non riesco ad avvolgerle decentemente intorno al corpo.

 

Micky mi si avvicina. Si china sulla mia guancia, dandole una piccola lappata con la linguetta. Emette un piccolo miagolio, per poi uscire dalla camera. Sospiro, tranquillizzandomi.

 

Buonanotte anche a te Micky.

 

 

 

Con la coda dell’occhio osservo il do’hao. Mi da le spalle. Non comprendo se stia dormendo. Ormai non ne sono più sicuro. Ma in fondo……………………………………cosa me ne importa?

 

Tempo pochi minuti e mi addormento. Il sottofondo del lieve tamburellio della pioggia contro la finestra e il respiro di Sakuragi cullano il mio sonno.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Apro gli occhi lentamente. La luce m’infastidisce le palpebre.

 

Fuori ha smesso di piovere.

 

La debole luce del sole autunnale rischiara la mia camera.

 

C’è ancora qualche nuvola nel cielo. Ma non sembra carica di pioggia.

 

C’è un po’ di vento…i rami dell’acero accanto alla mia finestra, sbattono lievemente contro il vetro. Le poche foglie rimaste attaccate sono di un rosso intenso. Sono bellissime.

 

 

 

Che ore saranno?

 

 

 

Giro lentamente la testa per vedere se Sakuragi si è svegliato. Sgrano gli occhi, alzandomi a sedere di scatto. Non c’è nessun futon accanto al mio. Do un’occhiata alla camera. No. Non c’è nessuno.

 

Ma dove cavolo è finito quel do’hao???

 

 

Mi alzo dal futon, uscendo dalla mia camera. Rabbrividisco. Fa un po’ freddo in casa. Dovrò alzare il riscaldamento.

 

Entro in bagno. È tutto in ordine. Non c’è acqua. Né sangue. Né la bacinella con dentro i miei vestiti e quelli di Sakuragi.

 

Mi appoggio allo stipite della porta. Che mi sia sognato tutto?

 

Ma no…Kaede sveglia!!!

 

Scendo le scale. Un’occhiata veloce all’ingresso e mi accorgo che anche lì è tutto pulito. Niente acqua. Né fango.

 

Ok…forse sono semplicemente impazzito???

 

Sento un miagolio provenire dalla cucina. Quando vi entro rimango per pochi secondi immobile sulla soglia. Micky sta sgranocchiando i suoi croccantini nella ciotola rossa…e di certo non sono stato io a darglieli!!! (ok che dormo sempre in piedi…ma non sono ancora diventato sonnambulo!).

 

E la tavola della cucina è apparecchiata. La risiera deve essere stracolma di riso…e dal vapore che ne fuoriesce non deve essere stato preparato da molte ore. La teiera è colma di the-verde. Il profumo intenso che si sprigiona, si espande per tutta la stanza. Ci sono anche vari sottaceti dentro delle tazzine colorate, da accompagnarsi con il riso.

 

Era da anni che quella tavola non era apparecchiata. Anni…in cui qualcuno non si preoccupava di farmi trovare del cibo al mio risveglio.

 

 

Anni…

 

 

Mi avvicino come un automa alla tavola. Sotto la tazzina del the c’è incastrato un foglio ripiegato. Lo apro lentamente, sedendomi su una delle sedie in legno.

 

Dal suo interno fuoriescono una foglia di acero e delle banconote. Cadono per terra. Le osservo sorpreso. Poi le afferro delicatamente…la foglia è un po’ umida. Le banconote anche.

 

 

Riporto l’attenzione sul foglio. E su ciò che vi è scritto. Sakuragi. È stato lui. A fare tutto.

 

 

 

Avverto uno strana sensazione in corpo.

 

 

 

Buon giorno Rukawa.

Se stai leggendo questo foglio, significa che ti sarai svegliato. Dormito bene? Io non riesco mai a dormire quando ci sono dei temporali…ma ho notato che tu non hai avuto problemi…come sempre d’altronde quando si tratta di dormire…”

 

 

 

Maledetto! Mi prende in giro??? Ci mancava pure che non dormissi dopo tutto quello che era successo!

 

 

 

Ho ripulito sia il bagno sia l’ingresso. Scusami per tutto lo sporco che ti avevo portato in casa…ho lavato anche i tuoi vestiti e il pigiama che mi avevi prestato. Se esci fuori, nel giardinetto interno, li troverai appesi ad asciugare. Ho usato il filo di nylon. Spero che non ricominci a piovere. Così quando ti sarai svegliato non saranno di nuovo bagnati. C’è un po’ di vento…dovrebbero asciugarsi in fretta. Almeno spero.”

 

 

 

L’immagine della sua maglietta sporca di sangue mi ritorna in mente.

 

Mi accosto alla finestra con il foglio in mano. Osservo i miei vestiti. È vero. Li ha stesi ad asciugare. Ma mancano i suoi vestiti. Quelli con cui è venuto ieri sera. Quelli sporchi di sangue. Ma in fondo…come poteva andarsene in strada…nudo? Eppure…dovevano essere ancora umidi…do’hao!

 

 

 

Esco fuori. Il vento freddo e pungente mi fa rabbrividire. L’aria profuma ancora di pioggia e terra bagnata.

 

Tocco i vestiti. Entrambi i pigiama sono ancora bagnati. Sakuragi non deve essersene andato da molto tempo.

Ripenso al suo gesto. Ha pulito tutto. Anche i miei vestiti. Ha ripagato fin troppo la mia ospitalità.

 

 

 

Continuo a leggere, rientrando in casa.

 

 

 

“Per la colazione…scusami ma…non sapevo se preferivi quella tradizionale o quella europea. Ho optato per la prima…penso che ti si addica maggiormente. Forse ho sbagliato. Non lo so...”

 

 

 

Sorrido internamente.

 

 

Non faccio mai colazione. Da quando mia madre è morta.

 

 

Quando ero piccolo era lei a prepararla…dopo…(tranne il periodo con la governante), nessuno se n’è più curato . Incluso me stesso.

 

Ma il do’hao ha compreso la mia natura. Nonostante ami gli Stati Uniti…preferirei mangiare la “nostra” tipologia di colazione. Mia madre me la preparava sempre.

 

Si sfilava la fede dal dito, per impastare le polpette di riso. La consegnava alle mie manine…e io, orgoglioso di tale pegno, la tenevo stretta e al sicuro, nei miei palmi. E la osservavo ridente. Per poi mangiarmi le polpette…le immergevo completamente (ed esageratamente) nella marmellata di fagioli rossi…mia madre mi sgridava sorridendo.

 

 

Riporto lo sguardo sul foglio…sospiro…quanti ricordi (che ormai credevo svaniti nel tempo e nella mia memoria) hai riportato alla luce Sakuragi.

 

 

 

“I croccantini li ho trovati vicino al cesto dove dorme quella belva il tuo gatto. Spero vadano bene…”

 

 

 

Osservo Micky. “La belva” ha apprezzato il gesto. Sentendosi osservato alza la testolina dalla ciotola di plastica. Miagola soddisfatto. Doveva aver fame.

 

 

 

“Infine…i soldi che hai trovato dentro questo foglio sono per ripagarti dell’ospitalità che mi hai offerto (nonostante io non ti abbia dato spiegazioni). Lo so che non sono molti. Ma non ne avevo altri con me. Se vorrai domani potrò consegnartene altri.”

 

 

 

Ma è proprio un do’hao!!! Secondo lui dovrei accettare dei soldi per la notte scorsa? Ma per chi mi ha preso. Domani se li riprenderà tutte queste banconote!!!

 

 

 

“Grazie Kaede Kitsune. Per tutto. Dimentica questa notte. Fai finta che non abbia mai bussato alla tua porta. Ti ho creato solo problemi. Scusami. È stato solo un mio errore.

 

 

 

A stento riconosco il do’hao. Cos’è tutta questa gentilezza…e umiltà…? Possibile che lui in realtà sia…………………………………………..così?

 

Ieri avevo pensato che il suo comportamento spavaldo di ogni giorno fosse soltanto una recita. Ora che sto leggendo queste righe…sono sempre più convinto di quella mia supposizione.

 

 

 

“Ci vediamo domani Kitsune. Buona colazione (sperando che sia di tuo gradimento).

 

Il Tensai.

 

P.S. = Scusa per le varie cancellature…non volevo sprecare un altro tuo foglio per ricopiare.

 

 

 

P.P.S.= Non è bellissima quella foglia Rukawa? Mentre stavo stendendo i tuoi vestiti ho notato l’albero di acero. Ne sono rimasto incantato. Era così imponente…e quelle foglie. Così rosse. Così…cariche di vita. Ne ho voluta cogliere una. Per te. Il fondo il tuo nome deriva da quella splendida foglia no?”.

 

 

 

Arrossisco leggermente. Non pensavo il do’hao possedesse una sensibilità tale da…

 

 

 

Osservo dalla finestra l’acero. Sì…è proprio bellissimo. Rigiro fra le dita la foglia di acero che lui ha colto “per me” (l’ho lette queste due parole Sakuragi, nonostante tu avessi cercato di nasconderle).

 

 

 

Grazie……..

 

 

 

Non pensavo fosse così gentile.

 

 

Avverto Micky strusciarsi fra le mie gambe. Mi chino, prendendolo in braccio. Ci osserviamo negli occhi.

 

-          Mi sa che ci siamo sbagliati tutti e due a giudicarlo eh? – sorrido, accarezzandolo sotto il mento.

 

Micky emette un piccolo miagolio di consenso. Si struscia contro la mia mano. Si espande nell’aria il suono delle sue fusa.

 

 

Certo…Sakuragi è stato molto gentile. Ma non devo scordare il motivo di tale gentilezza. Ripenso a ieri notte. Al sangue.

 

No. Non posso scordarlo.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

La colazione era molto buona. Non era nulla di speciale o particolarmente elaborato. Ma forse…il pensiero che qualcuno l’abbia preparata per me.

 

Solo per me.

 

L’ha resa speciale ai miei occhi. E al mio palato. Anzi. Non mangiavo così tanto…da molto tempo.

 

 

Pensare che l’ha preparata quel do’hao…sospiro.

 

 

Entro nel bagno. Mi chiedo come abbia fatto Sakuragi a trovare i vari detersivi per pulire il pavimento e i vestiti……mmm……….

 

 

Mi guardo allo specchio. Ho un po’ di occhiaie. Per le miei abitudini ho dormito poco. Mi sciacquo il viso…l’acqua è gelata. Meglio. Mi sveglierò prima…voglio andare a fare qualche tiro al campetto qui vicino. Oggi è domenica. E posso approfittarne. Non ho nessuna intenzione di perdere tempo a studiare. L’unica materia importante è inglese. Il resto può andare a cagare.

 

Incomincio ad asciugarmi il viso con il panno leggero quando mi accorgo che in un angolo del bagno c’è qualcosa incastrato vicino al mobiletto. Dalla forma allungata sembra il mio pettine…evidentemente Micky o Sakuragi nel pulire, lo avranno fatto cadere per terra. Mi avvicino.

 

 

No. Non è il mio pettine.

 

 

È un taglierino di plastica nero.

 

Inarco sorpreso il sopracciglio. Lo prendo in mano. Questo non è mio. Deve essere del do’hao. Effettivamente in quest’angolo c’erano ammonticchiati i suoi vestiti.

 

Deve essere scivolato dalla tasca dei jeans. Strano che nel pulire il pavimento non se ne sia accorto.

 

Un taglierino. Cosa se ne fa una persona di un taglierino? Estraggo la lama. È sporca di sangue.

 

 

Sangue.

 

 

Come un flash l’immagine della maglietta sporca di sangue penetra violentemente nella mia mente.

 

Prende forma un’idea. No…non devo pensare…Sakuragi non lo farebbe mai.

 

 

Kaede pensa. Il do’hao è un teppista. Il taglierino forse gli servirà per spaventare...

Per estorcere qualcosa.

 

Sì…ma è sporco di sangue.

 

Forse…ha “sottomesso” in un altro modo qualcuno…….

 

 

 

 

 

 

 

 

No. Lo conosco. Sakuragi non farebbe mai qualcosa del genere. È vero…è uno dal pugno facile. Ma non ferirebbe in quel modo un’altra persona. Ne sono sicuro.

 

 

 

 

Ma quanto Kaede…? In fondo quanto puoi dire di conoscere Sakuragi..?

 

 

 

Scuoto leggermente la testa. No…non devo farmi ingannare dalle apparenze.

 

Sì ma allora…quel sangue…

 

“Ha le braccia ferite”…sì….ho pensato questo ieri sera.

 

 

Braccia ferite.

 

 

Sangue.

 

 

Taglierino.

 

 

 

 

 

Sgrano gli occhi. E se lui si……………………………no no …………..è impossibile. È sempre così allegro…solare….non potrebbe mai farsi qualcosa del genere.

 

 

Ma…come ho pensato ieri…il suo comportamento, alla luce di ciò che è successo questa notte e stamattina, sembrerebbe tutta una farsa…una recita.

 

Quindi non è escluso che…………………………..no!

 

 

 

Basta.

 

 

 

Ripongo la lama dentro il taglierino. Domani glielo restituirò. E punto. Non sono affari miei.

 

Sì….certo………………………………………..Kaede te lo stai ripentendo da ieri notte.

 

Eppure stai sempre a pensare a lui.

 

La sua figura sotto la pioggia. Completamente bagnato. La sua espressione confusa…triste.

 

 

 

BASTAAAAAA!!!!

 

 

 

 

Voglio andare ad allenarmi. Annullare la mia mente. Domani ci penserò. Quando lo vedrò. Domani.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sakuragi sembra essere ritornato quello di sempre. Durante gli allenamenti sbraita e si pavoneggia. I suoi urli “Harukinaaaaaaaaa caraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa” echeggiano nella palestra insieme ai pugni che il capitano gli infligge in risposta.

 

Sbuffo infastidito dal suo comportamento. Perché fa così?

 

Perché recita in questo maledetto modo? Cazzo!

 

 

 

Quando ci siamo incontrati sulla soglia degli spogliatoi mi ha fissato per pochi secondi negli occhi. Poi ha abbassato lo sguardo arrossendo, dirigendosi in palestra. Non mi ha detto nulla.

 

Se sapessi…che tutto quello che è successo…è vero….penserei di essermi sognato tutto. Ma in fondo…è stato lui stesso a scrivermelo…………………………………..di dimenticare.

 

 

 

Vengo riportato al presente dalle risate di Mitsui e Ryota. Ci mancavano questi altri due deficienti ad interrompere inutilmente l’allenamento.

 

-          Hanamichi hai intenzione di coprirti in qualche altro modo?? Cos’è hai freddo!?

 

-          Il Tensai non ha freddo!!! Ha solo bisogno di disperdere calore!!! – ride sguaiatamente, con le mani sui fianchi.

 

-          Do’hao. – quante cavolate che dice…

 

-          Stupida kitsune!

 

Continua qualche borbottio contro di me e contro quei due stupidi che continuano a ridere.

 

 

Lo osservo.

 

 

Effettivamente non ha un abbigliamento leggero. Sopra la divisa indossa una felpa pesante. E si vede che ha caldo.

 

Perché allora……? Il mio sguardo cade sulle maniche della sua felpa.

 

Ha le braccia coperte.

 

Ha le braccia………………...coperte………….

 

 

Non è possibile. Ripenso al sangue. A quel maledetto taglierino. E incomincio a credere…che ciò che ho pensato ieri sera non si discosti molto dalla realtà.

 

Distolgo lo sguardo dal do’hao.

 

Ora devo pensare solo ad allenarmi.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Negli spogliatoi siamo rimasti solo noi due. Sakuragi non si è ancora fatto la doccia. Sembri aspettare che io me vada. Da almeno mezz’ora fa finta di cercare qualcosa dentro il suo borsone. Qualcosa che non esiste. Lo sappiamo entrambi.

 

 

Sospiro tristemente. Non voglio farlo….ma credo non ci sia nessun’altra scelta.

 

 

-          Do’hao.

 

 

Esco dal box-doccia. Mi avvicino a lui lentamente.

 

Lo vedo irrigidirsi. Le mani bloccarsi dentro il borsone.

 

-          Cosa c’è stupida kits….

 

Non gli do il tempo di finire la frase. In una mossa fulminea lo sbatto contro gli armadietti di petto, torcendogli le braccia dietro la schiena.

 

Urla. Dal dolore.

 

-          Perché urli…? Non ti sto stringendo forte le braccia – glielo sussurro vicino l’orecchio. Stringo maggiormente la stretta.

 

 

Mi dispiace Sakuragi. Ma non mi hai lasciato altra scelta.

 

 

Ansima violentemente. Non posso vedere il suo viso…ma credo che la sua espressione sia sofferente.

 

Urla quando stringo di più.

 

 

-          Lasciami stare…lasciami- è come un rantolo soffocato. Ansima. Cerca debolmente di liberarsi dalla mia presa. Ma il dolore alle braccia gli impedisce di pensare lucidamente. Lo blocca.

 

 

Allora avevo ragione.

 

 

Sento il vuoto insinuarsi dentro di me.

 

 

 

 

 

 

-          Perché…? Perché? – il mio tono è triste. Amareggiato.

 

Non pensavo di poter provare sentimenti del genere…verso un’altra persona.

 

 

-          Perché…cosa…kitsune….? – si spinge contro di me, cerca di allontanarmi dal suo corpo…le sua braccia dalla mia morsa.

 

 

 

 

 

 

 

-          Perché…………………………………………ti tagli?

 

 

 

 

 

 

 

È solo un sussurro.

 

Ma sembra echeggiare nella stanza come milioni di urla strazianti contemporaneamente.

 

 

Sento il suo respiro bloccarsi in gola. Il suo corpo sembra come accasciarsi contro il mio.

 

 

Chiudo gli occhi. E’ tutto vero. Come è possibile…?

 

 

-          No…io…………………..non………………………………….…mi taglio – sussurra lentamente. Vomita queste parole così false. Perché? Perché fa così?

 

 

Gli stringo quasi con cattiveria le braccia coperte dalla felpa. Si contorce...urla.

 

 

-          NO? NON TI TAGLI? E PERCHE’ TI CONTORCI? EH???? – non urlavo da una vita.

 

 

Gli lascio libero un braccio, alzandogli con forza la manica della felpa.

 

 

 

Sgrano gli occhi.

 

 

 

Impreparato…a ciò che sto vedendo.

 

 

 

Abbasso la guardia per quei pochi secondi di stupore e Sakuragi ne approfitta. Si libera con un colpo dalla mia stretta, dandomi una gomitata nello stomaco così forte, che mi piego in avanti, cercando di riportare aria ai miei polmoni e di ignorare il bruciore che invade il mio petto.

 

 

 

-          Sei contento ora…? – il suo è un sussurro carico di amarezza e dolore.

 

 

 

Chino il capo, respirando a fatica.

 

 

 

-          Come posso essere…..contento”……………….?

 

 

 

Sakuragi si riabbassa con una smorfia di dolore la manica della felpa. Sulle sue mani ci sono delle striature rosse. Sangue. Sta colando lungo le braccia. Fino ai suoi palmi.

 

Con la mia stretta ho riaperto le varie ferite.

 

-          Mi dispiace per la gomitata – mi osserva stancamente…nei suoi occhi vedo dolore. Devono fargli molto male le braccia …si gira verso il suo borsone. Lo chiude (sporcandolo di sangue).

 

 

 

Io rimango immobile. Inebetito. Non so cosa fare. Non immaginavo…che fosse arrivato a quel livello…di….

 

 

 

Si lava le mani. Il sangue si confonde con l’acqua. Lo vedo fissare incantato il contrasto fra quel rosso…e il bianco perfetto della ceramica.

 

 

 

Non ha il tempo di asciugarsele…il sangue le ricopre di nuovo. Sorride.

 

 

 

Cazzo…perché? Perché tutto questo?

 

 

 

Alza le spalle. Come se non appartenesse a lui quel sangue. Afferra il borsone con una smorfia di dolore e si dirige verso l’uscita dello spogliatoio.

 

 

Cazzo Kaede! Fa qualcosa! Se ne sta andando…capisci????? Se ne sta andando come se non fosse successo nulla! Come se tu non avessi visto….

 

 

 

-          Aspetta! – frase da film. Bravo Kaede. Davvero bravo……………………………..Idiota.

 

 

 

Sakuragi si blocca sulla soglia. Non si gira. Ti da le spalle. E ti sembra d vedere su quelle spalle tutto il dolore del mondo. Appollaiato lì…incurante della fatica di quel ragazzo per sopportarlo tutto.

 

-          Perché Sakuragi?

 

 

Altra frase da film. Ho usato anche il suo cognome. È la prima volta che lo interpello in questo modo.

 

 

Non si gira. Sento solo il suo respiro pesante uscire da quelle labbra martoriate. Penso alle sue braccia. Devono essere medicate.

 

 

-          Non sono affari tuoi… - lo stesso tono di ieri quando mi aveva detto che non ne voleva parlare. Ma io so…………………che non è quello che pensa realmente.

 

 

 

 

-          Non è vero

 

 

 

 

S’irrigidisce.

 

 

-          Non è un caso vero che tu sia venuto da me ieri sera…..

 

 

Stringe la mano destra in un pugno.

 

-          Non è un caso che tu abbia lasciato i tuoi vestiti………la tua maglietta intrisa di sangue nel mio bagno…..non è un caso che tu abbia dimenticato………………..quel taglierino in quella stanza…. – e mentre pronuncio queste parole comprendo tutto.

 

 

-          No….sta zitto……… - trema. Il pugno è spasmodico…il sangue incomincia a colare in piccole gocce purpuree sul pavimento.

 

 

-          Tu volevi………………………….che io trovassi quella maglietta………..e quel taglierino………..

 

 

-          Sta zitto!

 

 

Si gira di scatto. I suoi occhi sono pura fiamma. Ma io non indietreggio Sakuragi. Tu hai chiesto il mio aiuto. Forse inconsciamente. O forse no. Non importa ora.

 

Mi osserva per qualche altro secondo. Poi improvvisamente sbatte con forza la porta dietro di sé. Uscendo.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Cazzo

AIUTAMI

°04°

 

 

*Mi scuso se sono letteralmente scomparsa (anche se molto probabilmente nessuno se ne sarà accorto!)*

*Ho iniziato l’università e il tempo credo si ridurrà ulteriormente (anche perché non ho internet nella casa in cui vivo).*

*Spero di poter aggiornare almeno una volta al mese ^___^ *

*Questo capitolo non da le risposte a tutto ciò che era rimasto in sospeso nei precedenti capitoli…forse non è un capitolo propriamente… “interessante”. Ma credo che servisse per far comprendere meglio Kaede…e i suoi pensieri. Spero di non aver fatto un disastro. *

*Grazie a chiunque leggerà questa storia…grazie per i commenti che ho ricevuto fino ad ora. Grazie. *

*Note a fondo pagina*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Cazzo.

 

Sono fermo. Immobile nello spogliatoio silenzioso.

 

Osservo le goccioline rosse sulle piastrelle bianche.

 

Devo lavarle. O il Club potrebbe passare dei guai.

 

Uso il mio asciugamano. Il tessuto candido e morbido si impregna velocemente di sangue.

 

Sono come un automa. Penso ormai come un automa.

 

 

 

 

 

 

 

Sono stanco. Di tutto.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Quando esco dalla palestra respiro a pieni polmoni l’aria fresca. Il sole è già tramontato. E la sera sta scendendo lentamente su Kanagawa. Fa freddo. Rabbrividisco leggermente nel cappotto. Avrei dovuto portarmi dei guanti…le mani si geleranno per portare il borsone a tracolla. Me le strofino lentamente l’una contro l’altra.

 

Non serve a molto.

 

Sbuffo, rilasciando nell’aria una nuvoletta di vapore. Incomincio ad incamminarmi verso casa. La bici l’ho lasciata a casa. Si era bucata una gomma. Domani dovrò portarla a riparare. O potrei provare io a cambiare la camera d’aria…non so cosa è meglio sinceramente.

 

 

 

 

 

………………………………………………….Che pensieri inutili e banali rispetto tutto ciò che è avvenuto negli ultimi giorni…nelle ultime ore.

 

 

 

 

 

 

Mi guardo un po’ in giro…c’è ancora movimento per la strada. I vari impiegati stanno tornando a casa…qualcuno si ferma presso qualche fast-food per consumare la cena…forse potrei farlo anche io…non ho voglia di tornare a casa. Ho troppi pensieri per la testa.

 

 

 

 

Rimbomberebbero incessantemente fra quelle mura.

 

 

 

 

Insieme ad alcuni studenti (che evidentemente hanno finito i corsi serali) mi dirigo presso un okonomiyaki-ya (nota 1). Ce ne sono vari lungo il viale. Devo solo scegliere quale m’ispira di più.

 

Non amo mangiare fuori. Non sopporto stare in mezzo alla gente o nel loro fastidioso chiacchiericcio. Odio il rumore. Delle loro bocche che mordono masticano succhiano. Odio la musica che spesso funge da sottofondo. Musica spazzatura naturalmente. La gente quando mangia deve rilassarsi…non deve concentrarsi. E il j-pop è molto indicato per questo.

 

Però…

 

Stasera…mi servirà a non farmi concentrare su Sakuragi. Almeno per qualche ora.

 

M’incammino lungo una via non molto larga. Il selciato è illuminato a tratti da alcune insegne al neon dei vari okonomiyaki-ya. A tratti giunge dall’interno un lieve chiacchiericcio e alcune risate. Ormai sono in molti a preferire una cena veloce ed economica insieme ai colleghi che con la propria famiglia. Ormai non c’è quasi più tempo di coltivare i sentimenti.

 

 

 

 

 

 

 

Ma cosa sto pensando? Dovrei essere l’ultimo a parlare visto che non possiedo più una famiglia…………………………………………………Stai cadendo in un’autocommiserazione semipatetica Kaede.

 

 

Smettila!

 

 

 

 

 

Ormai parlo con me stesso. Devo essere impazzito.

 

 

 

 

 

 

 

Il mio sguardo cade su un piccolo locale di okonomiyaki-ya…la struttura è in legno...deve essere uno di quei vecchi locali che resistono a stento ormai nella modernità imperante. È poco appariscente. Anche le insegne sono in legno…dipinte con dei kanji rossi e un po’ tremolanti. In parte sbiaditi. I proprietari devono essere anziani. Decido di entrare. Dall’interno non sembra giungere molto rumore. Proprio quello che voglio in questo momento.

 

Supero le tendine corte e colorate.

 

 

 

Come pensavo. Dentro c’è solo una coppia di amici (dai vestiti credo che siano impiegati)…il locale non è molto grande ma sembra confortevole. È anche caldo. Mi siedo su una sedia di legno, vicino al bancone.

 

 

Accanto a me ci sono i due impiegati…sono un po’ alticci. Stanno bevendo del sake…dai loro discorsi comprendo che stanno festeggiando la promozione di uno dei due. Gli sguardi sono felici…ma vuoti.

 

Ci accontentiamo di così poco noi giapponesi. Una stupida promozione…cambierà qualcosa nella vita di quell’uomo?

 

 

 

Non si sveglierà più prestissimo per andare a rinchiudersi in un ufficio grigio e claustrofobico?

 

Non subirà più le umiliazioni derivanti dal suo status o dalla gerarchia?

 

Non tornerà più stanchissimo a casa?

 

Non andrà più a soddisfare le sue voglie con una puttana solo perché con la moglie non ha più dialogo?

 

 

 

Non credo. Goditi la tua promozione.

 

 

 

 

 

Idiota.

 

 

 

 

 

 

 

 

Per questo voglio andarmene negli Stati Uniti. Non voglio abitare in questa società di merda. Dove tutto è già deciso. Imposto. Sembriamo delle stupide marionette.

 

Omologazione. Non ne voglio far parte.

 

 

 

 

 

-          Cosa le posso servire?

 

Sono distolto dalla voce gentile del proprietario. È un uomo sulla settantina. Mi rivolge uno sguardo discreto…le rughe segnano il suo viso. La pelle è screpolata…soprattutto le mani. Il contatto continuo con il calore del teppan (nota 2) su cui cucina.

 

Mi guardo velocemente intorno, cercando fra i vari cartelli appesi la consumazione che mi aggrada. I kanji non sono perfetti…alcuni sospetto siano anche errati. Ma non è importante.

 

Mmmm….se prendo un okonomiyaki (nota 3) con sole verdure dovrei farcela con i soldi…

 

Comunico la mia consumazione al vecchietto. Incomincia a cucinare davanti a me sul teppan. In pochi secondi l’odore dell’uovo e del cavolo incomincia a solleticare le mie nari. Non sono una persona che ama il cibo. A volte penso che il mangiare sia solo un’appendice del vivere. Nel mio caso è l’unico modo per avere le giuste energie per giocare a basket. Forse quando ero piccolo mangiavo di più. Poi la fame mi è passata.

 

 

 

 

 

 

 

Sakuragi………..sarà tornato a casa sua?....................si sarà medicato quei tagli? La pelle segnata in quel modo orribile

 

 

 

 

 

 

Ma non voglio pensarci ora. A casa dedicherò un po’ di tempo a lui. Per comprendere cosa mi sta succedendo…perché qualcosa sta accadendo.

 

 

 

-          Ecco…

 

Il proprietario mi porge su un piatto di ceramica bianca l’okonomiyaki…l’odore è invitante. Mi consegna anche le bacchette in legno e un bicchierino in porcellana con dentro del sake. Lo guardo sorpreso. Sono minorenne…non potrebbe darmelo.

 

Lui mi fa l’occhiolino (e l’occhio sembra quasi scomparire fra le rughe) e prende l’ordinazione di un altro cliente.

 

Contento lui…incomincio a mangiare lentamente…si è proprio buono.

 

Mia madre amava gli okonomiyaki. Quando mio padre non era a casa (a causa del lavoro), andavamo in qualche locale per mangiarne almeno uno. Amava cospargerli di salsa di soia. Dovevano essere salatissimi in questo modo, ma lei sembrava amare mangiarli in quel modo.

Quando fu costretta a rimanere tutto il giorno a letto per la malattia…mi pregava di andare a comprargliene una porzione. Ma mi faceva promettere di non dirlo al medico che la teneva in cura. Né a mio padre. Ero piccolo…ma avevo compreso che non avrebbero approvato. Non poteva mangiare alimenti così elaborati e calorici. Ma volevo vederle il sorriso increspare le sue labbra.

 

 

Volevo farla felice.

 

 

Correvo in strada, stringendo fra le mani le banconote sgualcite…compravo gli okonomiyaki più saporiti.

E lei sorrideva fra le lacrime quando lo assaggiava. Eppure era freddo. Ma lei sembrava non pensarci.

 

 

E io sorridevo con lei.

 

 

 

 

 

 

 

Sono diventato troppo nostalgico. Da quando Sakuragi ha bussato alla mia porta…..sto pensando molto a mia madre. Era da molto che non lo facevo.

 

Non so perché.

 

 

Finisco di mangiare, bevendo in un solo sorso il sake. Lo sento scendere – bruciante e caldo – lungo il mio esofago.

 

Richiamo il proprietario, pagandogli la consumazione. Gli chiedo se gli siano avanzate delle teste di polpo…potrei portarle a Micky…ne sarebbe entusiasta.

 

Accenna con un sorriso gentile…lo vedo uscire dalla struttura in legno per poi ritornare con un sacchetto di carta. Dentro ci sono le teste. Ringrazio con un inchino e m’incammino verso casa.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Appena infilo le chiavi dentro la serratura avverto il miagolio di Micky da dietro la porta. Sorrido.

 

 

In questi momenti penso che è piacevole tornare a casa. E gustare la sensazione che qualcuno ha provato la nostra mancanza. Ironicamente potrei constatare che ad aspettarmi è solo un animale.

 

 

Un gatto.

 

 

Ma io voglio bene a Micky. E so…che anche lui, per quanto possa essere un animale, è affezionato a me.

 

 

 

 

 

 

-          Micky…ti ho portato qualcosa.

 

 

 

M’incammino al buio verso la cucina. Micky mi cammina accanto strusciandosi a momenti contro le mie gambe.

 

Poggio per terra il sacchetto di carta, aprendolo. Un odore pungente e quasi nauseante di pesce si sparge immediatamente per la cucina. Micky miagola visibilmente contento. Non ho il tempo di spostarmi che si è già avventato sulle teste di polpo.

 

Lo osservo per qualche minuto poggiandomi contro lo stipite della porta. Poi sfilandomi il cappotto, mi dirigo nel salone, accasciandomi con un tonfo sordo sul il divano.

 

 

 

È tutto buio.

 

 

 

 

 

 

Spesso non accendo la luce nelle stanze. Mi piace essere avvolto dall’oscurità. Non riuscire a distinguere gli oggetti che mi circondano. Sembra di essere avvolti dal vuoto. Mi permette di pensare. O di non pensare affatto. Dipende dai punti di vista.

 

Chiudo gli occhi.

 

 

Una chiazza rossa tinge la mia vista celata dalle palpebre.

Sono i capelli rossi di Sakuragi.

Bagnati per la doccia appena fatta. Gocciolanti.

E’ anche la divisa rossa che stava riponendo con troppa cura dentro il suo borsone.

Sono le sue braccia.

 

Rosse.

.

Il sangue mischiato ai peli delle sue braccia. Sono le sue ferite. I suoi tagli profondi…se usi un po’ di immaginazione Kaede puoi vedere anche il bianco delle ossa sotto quegli squarci.

Si...la vedi la linfa vitale scorrere fra quelle braccia.

La vedi percorrere i centimetri di quelle braccia abbronzate e cadere per terra in mille goccioline silenziose e sporche.

Il pavimento è rosso.

Le piastrelle bianche sono sporche.

 

Rosse.

Tu e Sakuragi ci avete camminato sopra.

Il sangue si è insinuato nelle crepe del pavimento.

Tu l’hai lavato quel sangue.

Ma continuerà ad esserci ancora in quello spogliatoio.

Ogni giorno che tu ci entrerai, ogni giorno che ti sarai allenato e vorrai farti una doccia o bere un sorso d’acqua fresca tu rivedrai quel sangue per terra. Ripenserai alla sua espressione ferita.

I suoi occhi furenti e accesi piantati nei tuoi.

 

 

 

 

Micky salta improvvisamente sul mio stomaco in un unico balzo. Apro di scatto gli occhi, lanciando un’imprecazione a questo stupido botolo.

Miagola innocentemente. Osservo i suoi occhi che rilucono nell’oscurità. Rivedo gli occhi di Sakuragi. Cosa mi sta succedendo?

 

 

 

Pensare a Sakuragi non è mia abitudine. L’ho sempre considerato uno stupido. Una persona senza obiettivisenza un “qualcosa” da perseguire nella vita.

 

 

Scoprire che si taglia non mi ha fatto cambiare idea completamente su di lui. Provo pietà nei suoi confronti. Insomma….non augurerei nemmeno al mio nemico un qualcosa del genere. Ma tagliarsi è da deboli. Cercare conforto nel dolore è da idioti. Ti senti meglio dopo? Non credo. Anzi. C’è anche lo stress di doversi medicare e di dover nascondere agli altri le proprie ferite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che pensieri cinici….e falsi. Non penso davvero questo di Sakuragi…in fondo anche io sono un debole.

 

 

Anche io ho pensato spesso al suicidio.

 

O a una via di fuga che mi permettesse di scappare da questo presente che per me è sempre stato un inferno.

 

 

Ci ho pensato.

 

 

 

 

Molto.

 

 

 

Ma dopo…quando ho compreso che il basket poteva essere una valvola di sfogo per il dolore, migliore di qualsiasi ferita…ho trovato la mia ragione di vita. E il mio sogno di andare negli Stati Uniti non rimarrà solo un sogno.

 

 

 

 

 

 

Ripenso al mio inconsueto comportamento in presenza di Sakuragi. Sono stato troppo gentile, troppo disponibile nei suoi confronti. Forse la parola giusta è “interessarsi”. Sì…mi sono interessato a lui. Al perché del suo strano agire, del perché sia venuto a casa mia…mi sono troppo interessato. E questo non è comportamento da Kaede Rukawa.

 

Perché l’ho aiutato? Anzi…perché mi sono interessato così tanto a lui?

 

 

 

 

 

Incomincio ad accarezzare Micky…lui si accoccola sulla mia pancia, fuseggiando. Adoro accarezzare il suo pelo. È così morbido.

 

 

 

 

Forse mi sono interessato a Sakuragi perché ho visto nella sua fragilità una parte di me stesso. Quella parte che tento costantemente di lasciare intrappolata nel profondo del mio corpo. Quella parte che vorrebbe urlare e strapparsi le carni con forza. Che vorrebbe eliminare il dolore. Il Vuoto. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesto se potessi provare ancora dei sentimenti o qualche forma di emozione al di fuori di un campo da basket. Forse il mio interessamento a Sakuragi può essere una risposta a questa domanda.

 

Ora devo solo capire…se davvero voglio aiutarlo. Lui lo vorrebbe. Lo so. Nonostante le sue urla di odio nei miei confronti. Non sarebbe venuto a casa mia.

 

Ripenso alla sua figura gocciolante sul pavimento di casa. Ed ecco un’altra domanda.

 

 

 

 

 

Perché io?

 

 

 

 

 

Perché ha scelto me per essere testimone del suo dolore? Cosa ha visto in me (forse inconsciamente) da farlo fidare?

 

 

 

Sento la testa scoppiarmi.

 

 

 

 

 

Basta!

 

 

 

 

Interrompo le mie carezze su Micky. Ho sonno. Stanotte ho pensato anche fin troppo a lui.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Cammino lentamente lungo il viale. Fa freddo. Il vento gelido s’insinua dentro il cappotto. Rabbrividisco leggermente. Il marciapiede è ricoperto di foglie. Cremisi. Castane. Giallastre. Rosse. Distrattamente le calpesto, osservando a momenti le loro nervature.

 

Il cielo è terso. Non c’è molto rumore per la strada. Le macchine che circolano sono poche. Anche le persone.

 

 

 

E’ domenica.

 

 

 

Qualche foglia secca volteggia pigramente nell’aria, trasportata dal vento autunnale.

 

Fra poche settimane queste strade saranno immerse nel caos. Si avvicina il periodo natalizio. E come ogni anno le case vomiteranno folla di persone pronte a spendere milioni di yen per comprare inutili regali. Ci sarà il rumore assordante delle loro inutili chiacchiere e del traffico. Le luci abbaglianti e colorate delle insegne natalizie.

 

Io odio il Natale. Troppi ricordi sono rievocati da questa inutile festività.

 

 

 

Troppi.

 

 

 

Entro dentro il parco. Amo questo posto. Normalmente ci vengo per fare jogging…o per allenarmi al campetto che vi è dentro. È uno dei pochi posti a Kanagawa dove si può ancora respirare aria “pura”. Ed essere immersi nel verde.

 

 

 

È deserto. Fa troppo freddo per le famigliole. Fa troppo freddo anche per i bambini.

 

 

 

Mi siedo lentamente su una panchina vicino al campetto di basket. È fredda. Chino la testa fino a farla poggiare contro la parte superiore dello schienale di metallo.

 

 

Il cielo è azzurro. Di quell’azzurro che solo un cielo invernale può essere. Un azzurro forte. Invadente con la sua chiarezza negli occhi di chi lo guarda. Quasi accecante.

 

 

Chiudo gli occhi. Penso alla settimana appena passata.

 

 

Con Sakuragi ci siamo ignorati. Sarebbe più esatto affermare che LUI mi ha ignorato. Sembrava avessi la peste da quanto non si avvicinava.

 

Ha giocato malissimo durante gli allenamenti pur di starmi lontano. Nonostante i rimproveri e i pugni di Akagi non ha cambiato atteggiamento. Io mi sono comportato di conseguenza. Non posso perdere la testa o la mia concentrazione per lui. Alcuni giorni sono arrivato anche a pensare di non fare nulla, di lasciare tutto come è.

 

Non sono affari miei…se si vuole rovinare la vita è liberissimo di farlo. Non mi ha più chiesto il mio aiuto esplicitamente. E questa può essere una buona via di uscita. Forse non aspetto altro. Non voglio distrazioni dal mio Obiettivo. Giocare nell’NBA. Tutto il resto è inutile.

 

 

 

 

 

 

Solo un pomeriggio il nostro sguardo si è incrociato. E non so perché ma in quel momento mi sono sentito una merda. Perché lo vedevo lì stanco. Uno sguardo mezzo spento conficcato nei suoi occhi. Delle maniche di una felpa scura a celare il suo corpo e i segreti che esso celava. Ed io che sapevo…io che SAPEVO. Non facevo nulla. Anzi. Lo assecondavo nella sua pazzia di ignorare tutto ciò che era successo

 

In fondo io non avevo debiti nei confronti di Sakuragi. Non ero un suo amico. A malapena mi potevo considerare un suo compagno di squadra.

 

Mi sono girato dall’altra parte, interrompendo il contatti visivo tra noi due. In quel momento mentre gli davo le spalle ho compreso che a fuggire non era solo lui. Ero anche io. Nel non voler affrontare Sakuragi c’era come anche il mio desiderio di non affrontare i miei fantasmi. Che potevo vedere in parte rispecchiarsi nei suoi occhi.

 

 

 

E ora…ora sono qui in questo parchetto deserto. E non ho fatto ancora nulla per cambiare la situazione. Nulla cazzo!

 

Riapro gli occhi quando avverto la risata di un bambino avvicinarsi da dietro la panchina.

 

Mi sfreccia accanto in pochi secondi ridendo.

 

-          Non mi prenderai Hana-kun! Sono più veloce io di te!!! – si ferma vicino alla rete del campetto, girandosi verso qualcuno che evidentemente è rimasto indietro.

 

Avrà 5-6 anni. Ha i capelli rossi. Se non fosse per le lentiggini che gli ricoprono tutto il viso…potrebbe sembrare una versione più piccola di Sakuragi.

 

 

Sbuffo. Quel ragazzo è diventato un’ossessione…ormai ogni persona o oggetto che vedo mi ricorda lui!

 

-          Vieni qui stupido marmocchio!!! – la persona a cui si riferiva il bambino mi sfreccia vicino, correndo.

 

 

 

 

Sgrano gli occhi.

Non è possibile.

 

 

 

 

Lo vedo afferrare il bambino che cerca di districarsi – inutilmente – dalla sua presa.

 

Incomincia a fargli il solletico. Il bambino incomincia a ridere, contorcersi, gridare…

 

Ha una espressione felice in volto. Indossa una cappotto pesante e una sciarpa azzurra che gli avvolge completamente il collo e in parte il mento. Sembra affogarci dentro.

Non si accorge subito della mia presenza. Ed io posso per questi pochi secondi approfittarne…lo osservo. In palestra non potevo farlo platealmente.

 

 

 

Sembra un poco dimagrito.

 

 

 

Ad un tratto continuando a “torturare” il bambino alza gli occhi.

 

 

 

 

E mi vede.

 

 

 

 

Seduto a questa panchina verde e fredda. Vedo la sua espressione rabbuiarsi. Continua a stringere il bambino ma lo vedo ora assente da ciò che sta facendo. Sembra combattuto. Non sa come comportarsi. Non può far finta di non avermi visto. Ma salutarmi andrebbe contro il suo comportamento tenuto nei miei confronti in questa settimana.

 

 

 

Mi alzo di scatto. Gli do le spalle e incomincio ad incamminarmi nella direzione opposta.

 

 

 

Lo so che fino a qualche attimo fa avevo pensato di cambiare, di fare qualcosa che potesse aiutarlo. Ma mi sono rotto del suo comportamento.

 

 

 

Forse sarebbe meglio dire……………………………………………deluso.

 

 

 

 

Che infantile che sei diventato. Come se in una situazione del genere si dovessero fare pensieri del genere.

 

 

Sei tu l’idiot..

 

-          Aspetta!

 

Interrompo i miei pensieri al SUO urlo. Mi blocco in mezzo al vialetto. Era rivolto a me? Possibile? Rimango immobile. Respiro lentamente l’aria fresca. Indeciso se girarmi o no.

 

 

Poi mi rendo conto di cosa sto facendo.

 

 

 

 

Kaede Rukawa che si blocca in mezzo alla strada solo per il volere di uno stupido ragazzino, indeciso sul da farsi???

 

 

 

 

 

Ma cosa sono diventato…

 

Affondo con fastidio le mani dentro le tasche calde del cappotto, ricominciando a camminare.

 

-         TI VUOI FERMARE BAKA KITSUNE?!

 

Mi giro di scatto. Allora parlava con me.

 

Lo vedo dietro di me, camminare nella mia direzione mano a mano con il bambinetto. Li osservo.

 

La sua espressione è indecifrabile. Cosa vuole da me?

 

-          Già non parli…incominci anche a non ascoltare Kitsune?

 

Assume un’espressione divertita e strafottente. Il bambino sogghigna abbassando gli occhi.

 

-          I do’hao non devono essere ascoltati. Si potrebbe essere contagiati dalla loro stupidità.

 

-          Se vuoi farmi perdere la calma non ce la farai! Nulla può scalfire il Tensai!!!

 

Ride platealmente. Suppongo si stia comportando in questo modo per la presenza del bambino.

 

-          Comunque….Akito questa è la famosa Kitsune si cui ti parlo spesso – si rivolge al bambino osservandomi…poi si china sulla sua spalla parlandogli all’orecchio…ma con un tono di voce abbastanza alto da fare sentire anche a me – …attenzione a non avvicinarti troppo. E’ infido e furbo proprio come una Volpe…

 

Il bambino ridacchia, osservandomi di sottecchi. Sbuffo…perché sto perdendo tempo con questi qui?

 

-          Piacere Signore Volpe – mi sorride, mostrandomi i dentini bianchi da latte. Mi porge la sua manina.

 

“Signore Volpe”??? Ma stiamo scherzando?????? Osservo il do’hao, che invece sembra divertito. Perché sta facendo tutto questo?

 

Punto lo sguardo negli occhi del bambino, afferrando la sua manina, stringendogliela. Meglio mettere i puntini sulle “i”.

 

-          Il mio nome non è “Volpe” è Kaede Ru..

 

-          MI SONO RICORDATO CHE DOVEVAMO ANDARE A VEDERE IL MARE VERO AKITO??? – Sakuragi mi interrompe all’improvviso, afferrando la manina del bambino.

 

 

 

 

Ma è impazzito?

 

 

 

 

 

Akito sembra scordarsi immediatamente della mia presenza, incominciando a saltellare e battendo le manine l’una contro l’altra. Ride felice.

 

-          E’ vero è vero è vero!!!! Andiamo andiamo andiamo andiamo!!!!

 

 

Quanto rumore che fa……………ci guardiamo negli occhi con Sakuaragi. Perché mi ha interrotto? La sua espressione è seria. Fa un cenno con la testa, facendomi intendere che poi mi spiegherà.

 

Ma “poi” quando?

 

-          Andiamo Hana-kun??? Eh eh eh? Andiamo??? – ci osserva, muovendo freneticamente la testa – viene anche il Signore Volpe vero??? Eh eh eh eh eh?

 

Conosco questo bambino da appena cinque minuti e già non lo sopporto più! Fa troppo rumore ed è troppo esagitato per i miei gusti….come questo stupido do’hao. Si comprenderanno bene i due. Ma io non ho nessuna intenzione di passare del tempo con loro. La domenica senza di loro è più che allettante….!

 

 

 

 

 

 

 

L’importante sarebbe convincere anche me stesso…

 

 

 

 

-          Sì non ti preoccupare Akito! Kaede viene con noi vero? – Sakuragi mi afferra per un braccio, stringendolo lievemente. Con lo sguardo m’intima di non contraddirlo. Come se io accettassi ordini da lui! Mi libero dalla sua stretta con fastidio.

 

Apro la bocca per rispondere ma sono interrotto fulmineamente da urlo di contentezza di Akito. Incomincia a saltellare sorridendo per poi infilare la sua manina dentro la mia. Sgrano gli occhi. L’osservo stupito e lui per risposta ride. Ma si vuol sapere perché sono così simpatico a questo moccioso???

 

Sakuragi sorride intenerito osservando Akito, poi afferrandomi per il braccio libero, incomincia a trascinarmi fuori dal parchetto.

 

Suppongo che io non abbia molta scelta.

 

 

Ma in fondo…è quello che voglio. Fino a qualche minuto fa rimuginavo sul mio dispiacere per non aver potuto aiutare Sakuragi. E ora di cosa mi lamento? Sbuffo. Mi odio. Odio la mia debolezza.

 

Akito mi stringe forte la mano. Sembra come avere paura che io lo lasci (che è effettivamente quello che vorrei fare…non mi piace il contatto fisico con le altre persone). A volte lo scopro ad osservarmi di sottecchi. Poi mi sorride arrossendo e guardando da un’altra parte. Che bambino strano.

 

Sakuragi durante il tragitto ride e scherza con Akito (di cui ha preso l’altra manina…ora è in mezzo a noi il mocciosetto) e continua nella sua parte del grande Tensai. Akito ride divertito. Sembra volergli molto bene. Forse è il fratello. Il carattere da do’hao ne sarebbe una prova.

 

Io rimango in silenzio (come sempre) continuando a chiedermi chi me l’ha fatto fare di restare con loro.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il mare è calmo.

Limpido.

Riflette questo cielo così azzurro…non potrebbe essere altrimenti.

 

 

 

Io amo il mare.

 

 

 

Mi dona calma. Serenità.

 

 

Venivo qui quando ero piccolo. Non facevo nulla di particolare. Mi sedevo lungo la spiaggia. O mi sdraiavo, senza preoccuparmi della sabbia che prepotente s’infilava dentro i miei capelli e i miei vestiti. Chiudevo gli occhi. E sognavo. Che cosa non me lo ricordo più.

 

 

 

 

 

 

Infastidito da questi pensieri malinconici, soffermo la mia attenzione su Akito. Non ha ancora lasciato la mia mano e quella di Sakuragi. Anzi. Non sembra intenzionato a lasciarcele. Sembra quasi…intimorito. Ma da cosa? Dal mare? Possibile…? Difficilmente un bambino si comporta in questo modo…normalmente schiamazzando corrono sulla spiaggia, lanciando sabbia da tutte le parti e gridando a squarcia gola.

 

Eppure Akito non si muove. Aggrotto le sopracciglia. Che abbia un brutto ricordo legato al mare?

 

Sakuragi a un tratto, senza lasciare la sua manina, s’inginocchia davanti a lui. All’altezza dei suoi occhi. E sorride.

 

-          Non è bellissimo come te lo avevo raccontato Aki-chan?

 

Per qualche secondo potrei definire l’espressione e il tono di voce del do’hao…quasi dolce. Ma un’immagine del genere stona ampiamente su di lui.

 

Akito sorride debolmente, arrossendo. Poi ci lascia le mani…e fa qualche passo incerto sulla sabbia.

 

-          Ma si affondaaaaaaa!!! E entra la sabbia nelle scarpeeeeee– si gira piagnucolando. Ha un’espressione quasi comica in viso.

 

Però…non capisco…….è come se Akito non avesse mai visto il mare. No ci fosse mai venuto. Ma è impossibile.

 

Sakuragi ride, sfilandosi le scarpe da ginnastica bianche e le calze. Poi si avvicina al bambino e fa lo stesso con lui.

 

Quando Akito poggia i piedi nudi sulla sabbia calda, sorride.

 

-          E’ bella come sensazione Aki-chan?

 

Sakuragi s’inginocchia di nuovo davanti a lui. E hanno un’espressione così felice in volto…tutti e due…che per un momento mi sento…fuori luogo. Come se stessi assistendo a un qualcosa che in realtà non mi sarebbe permesso di vedere.

 

Akito si volta verso di me.

 

-          Signor Volpe togliti anche tu le scarpe. La sabbia fa il solletico ai piedi!

 

E ride. Ride ride ride ride ride!!! Incomincia a correre sulla sabbia.

 

 

E mi fa uno strano effetto osservarlo. Sembra un piccolo girasole impazzito di luce. Con quei capelli rossi che risaltano così tanto sulla sabbia chiara e fina…la sua risata cristallina. Le sue guance rosse per l’emozione e la corsa.

 

Già….almeno con me stesso posso ammetterlo. Osservando questo bambino…mi sembra di rivedere Sakuragi.

 

Un Sakuragi che forse è esistito in passato. Ma che ora…mi giro osservandolo.

 

È rimasto in ginocchio e lo vedo guardare Akito con un’espressione contenta. Ma c’è anche tristezza…e malinconia nel suo sguardo.

 

-          Anch’io…

 

Si gira verso di me. La sua voce è lievemente roca. Calma. Pacata. Non mi osserva in viso. Ha lo sguardo puntato in basso. Sulla sabbia.

 

-          Anch’io…mi comportai nel medesimo modo quando venni la prima volta.

 

-          La “prima volta”? – allora….non mi ero sbagliato. È la prima volta che Akito vede il mare “dal vivo”. Ma come è possibile?

 

-          Sì. La prima volta…… - alza lo sguardo, osservando però un punto fisso dietro di me – Akito non era mai venuto.

 

-          Non eravate mai venuti con la vostra famiglia? – forse sono troppo curioso. Non è nella mia natura…ma forse non dovrei più stupirmene in presenza di Sakuragi.

 

-          Famiglia?

 

Sakuragi mi guarda stupito. Anzi…sorpreso. Non capisco…poi sorride leggermente, piegando lievemente verso l’alto il labbro inferiore. Mi guarda negli occhi senza abbassare lo sguardo.

 

-          Pensavo che qualcuno te lo avesse detto che io sono orfano.

 

Sgrano gli occhi…e per un singolo secondo (non so perché) il fiato si blocca sulle mie labbra fredde. Abbasso lo sguardo. Non dico nulla. Non sono il tipo che sa dire frasi di circostanza.

E fra il tumulto di sensazioni che provo ora, non so nemmeno se c’è quella della tristezza o della compassione per lui…

 

Sakuragi deve notare il mio turbamento perché continua a parlare con un tono indifferente, senza dare (apparentemente) importanza a ciò che sta dicendo…forse per distogliermi dal mio evidente imbarazzo.

 

-          Anche Akito è un orfano. Vive da quando è nato in una Comunità (nota 4)…qualche volta (quando ho tempo e non lavoro), lo vado a prendere e passo con lui una mattinata…o un pomeriggio. Dipende. L’importante è che lo riporti in Comunità verso ora di cena.

 

In Comunità…l’istituto non è molto lontano da casa mia. Quando ero più piccolo ci passavo con la bicicletta per andare alle scuole elementari…e vedevo qualche bambino della mia età giocare nel cortiletto interno. Dopo la morte di mia madre…e dopo l’apparente abbandono di mio padre nei miei confronti, avevo paura che dovessi vivere anche io lì.

 

 

Che stupido…

 

 

 

 

 

 

Alzo lo sguardo osservando Akito giocare con la sabbia. È davvero felice. Cosa proverà ogni giorno chiuso lì dentro?

 

-          Pensavo fosse tuo fratello- rivolgo lo sguardo verso Sakuragi. Lui sorride lievemente, portando lo sguardo sul bambino…

 

-          Avrei anch’io voluto che lo fosse. È un bambino molto dolce…e solare…un po’ mi ricorda come ero io quando ero piccolo…forse per questo motivo mi sono affezionato così tanto a lui – si siede sulla sabbia calda, poggiando i gomiti sulle ginocchia.

 

Lo imito, osservandolo. Sakuragi è un orfano…la mia fantasia non sarebbe mai arrivata così a tanto.

 

-          Anche tu…- tossisco lievemente…- anche tu vivi in Comunità?

 

Vedo il suo sguardo adombrarsi. Lo vedo accarezzarsi distrattamente il braccio destro, all’altezza dei tagli. Perché?

 

-          No…dall’anno scorso…vivo in un monolocale in periferia. Appartiene al Comune di Kanagawa…per i ragazzi della nostra età è previsto un inserimento graduale nella società………. – sorride amareggiato – se non hanno trovato una famiglia che li adotti….

 

Sospira lentamente. Ci giunge un gridolino estasiato di Akito…l’acqua fresca e salata del mare ha lambito i suoi piedini.

 

-          Quando sarò diventato maggiorenne…dovrò lasciare il monolocale. A nessuno gliene fregherà un cazzo che fine farò. Non sarò più un affare della Comunità. Gli assistenti sociali se ne laveranno le mani.

 

Lo osservo stringersi con forza il braccio ferito. Socchiude gli occhi.

 

 

 

Quanta rabbia malcelata nella sua voce. Quanto acredine del suo animo.

 

 

 

 

Perché mi sta confidando tutto questo ora…? Dopo una settima in cui mi ha ignorato platealmente? Perché mi ha invitato a passare la giornata con lui e il bambino?

 

Sembra pensarci anche lui…si alza di scatto, passandosi le mani tremanti sui jeans…cercando di togliere invisibili granelli di sabbia.

 

Alza la testa osservando Akito.

 

-          AKITOOOOOOOO….VEDIAMO SE SEI PIU’ BRAVO DEL TENSAI A COSTRUIRE UN CASTELLO DI SABBIA!

 

Prima di correre verso il bambino mi guarda intensamente negli occhi. Per qualche secondo ci siamo solo noi due…solo noi due.

 

Poi distoglie lo sguardo, arrossendo e correndo verso Akito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

Nota 1: Un okonomiyaki-ya (お好み焼き屋)è un locale dove si cucinano gli okonomiyaki (お好み焼き)che è un piatto tipico giapponese. Se siete interessati questo è un sito dove potete approfondire l’argomento: http://guide.supereva.com/cucina_etnica/interventi/2005/05/210382.shtml .

 

Nota 2: Il teppan ( 鉄板) è una piastra arroventata su cui si cucinano gli okonomiyaki.

 

Nota 3: Vedi la prima nota.

 

Nota 4: Allora...sinceramente non so se in Giappone esistono delle Comunità. Pertanto mi sono ispirata all’organizzazione odierna in Italia. Gli “Istituti” (definiti anche “Orfanotrofi” ) sono stati chiusi in Italia il 28 marzo 2001 (con la legge 149). In loro sostituzione sono state create delle “Comunità”, ovvero degli appartamenti o complessi nei quali vivono i bambini fino alla maggiore età. L’ambiente (in teoria) dovrebbe essere migliore di un orfanotrofio, anche perché l’obiettivo è quello di ricreare un ambiente familiare all’interno di queste case. I bambini dopo la maggiore età sono costretti a lasciare le “Comunità”, e il Comune (rappresentato dall’apparato degli assistenti sociali, educatori professionali, psicologi, ecc. ecc.) provvede a trovargli un lavoro ed un’eventuale sistemazione. In teoria i bambini non dovrebbero soggiornare molti anni in questi appartamenti, poiché si cerca costantemente di procurargli un’adozione (o mala che vada, un “affido temporaneo”). Spero di essermi spiegata bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Lo osservo giocare con Akito

AIUTAMI

°5°

 

 

*Ciauzzzzzzzzzzz.. dopo una lunga pausa eccomi con un nuovo capitolo di questa storia. La trama e i personaggi incominciano a delinearsi maggiormente…e spero che non mi sfuggano di mano! ^__-;; Grazie a tutte le ragazze che mi hanno lasciato un commento al precedente capitolo (Elrohir, Ruki, Yumi, Brinarap e Kiba91)…essendo anche voi “scrittrici” potete ben capire la forza che delle semplici parole possono dare a chi scrive…GRAZIE… (_ _) *

 

*Un baciotto enorme…*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Lo osservo giocare con Akito. Non li raggiungo subito. Non voglio.

 

Ripenso a ciò che mi ha detto…

 

 

E…cazzo………………non sapevo fosse un orfano…ora capisco di più questa situazione contorta.

 

Anche se…rimangono ancora molte ombre in tutto ciò che è successo. E soprattutto non mi è ancora chiaro il mio ruolo.

 

 

 

 

 

 

 

Mi giunge la risata cristallina di Sakuragi…è molto diversa dalla risata falsa che propone a me e alla squadra ogni giorno.

 

 

Questo ragazzo è troppo complicato per la mia mente. Troppo. E più vado avanti….più si presentono ai miei occhi altri squarci della sua vita…e incomincio a pensare che forse dovrei lasciare perdere. So che c’è ancora molto da scoprire…e non credo che sarà qualcosa di piacevole.

 

 

 

 

 

 

Ho già tanti problemi…

 

 

 

 

 

 

 

Kaede ammettilo. Non sai aiutare nemmeno te stesso…come pensi di aiutare un’altra persona? Non sai parlare, le tue relazioni sociali sono pari allo zero. Non riesci ad avere rapporti con altri ragazzi. Non sapresti nemmeno da dove cominciare……..e vorresti davvero aiutare Sakuragi? Un ragazzo che dovrebbe avere davvero un aiuto serio?

 

 

 

 

 

No…non puoi aiutarlo. Saresti capace anche di peggiorare la situazione.

 

 

 

 

 

 

E poi in fondo…a te cosa importa? Fra pochi mesi partirai (perché sei sicuro che partirai) e ti lascerai tutto alle spalle.

 

 

Il tuo passato.

 

I tuoi ricordi.

 

 

Il tuo dolore.

 

Il tuo presente.

 

 

 

 

Sakuragi rimarrà solo un piccolo puntino insignificante sul suolo giapponese che tu vedrai rimpicciolirsi e allontanarsi dal finestrino dell’aereo. E rimpicciolendosi, scomparirà anche dalla tua vista. Rimarrà con il tuo passato…e a te sembrerà che non sia mai esistito. Scomparirà dalla tua memoria.

 

 

 

 

 

No Kaede…………………………………….tu non puoi aiutare Sakuragi.

 

 

 

 

 

 

Sorrido amaramente, distendendomi sulla sabbia calda.

 

 

Chiudo gli occhi. La leggera brezza fresca e umida…lo sciabordio delle onde contro la battigia. La sensazione dei granelli finissimi fra le mie dita…i gabbiani candidi che volteggiano pigramente nel cielo azzurro….l’odore caratteristico del MARE.

 

Di nuovo la sensazione di essere tornato bambino…e dei miei interminabili pomeriggi passati qui sulla spiaggia. Solo a osservare il cielo. O le nuvole. Ed ero diventato un osservatore così attento, che avrei saputo dire con esattezza il colore che il cielo assumeva a ogni ora del giorno.

 

 

 

Ogni ora…

 

 

 

In ogni stagione.

 

 

 

 

 

Mia madre diceva che bastava osservare il colore dei miei occhi per saperlo.

 

 

 

 

 

 

Già…a un tratto mi rendo conto di cosa sono diventato.

 

 

 

Sono ricolmo di ricordi. Della mia vita…prima che morisse mia madre. Mi sono chiuso così tanto in me stesso che ho scordato tutto ciò che mi circondava. Ho dimenticato cosa significhi avere rapporti con altre persone…ho dimenticato come si usano le parole.

 

E ora che vorrei essere utile a un'altra persona…ora che sarebbe fondamentale avere un po’ di esperienza…io sono perfettamente inutile. Come ho fatto a diventare così? Come ho fatto a ridurmi in questo modo..?

 

 

Già…io non ti posso essere d’aiuto a Sakuragi.

 

 

 

 

 

 

Eppure…lui ha bussato alla mia porta.

 

 

 

Avrà visto qualcosa in me cazzo. O no? O forse era la porta “più vicina” quella notte, fra le persone che conosceva?................no….non riesco a crederlo...non posso crederlo.

 

 

 

-          Signor Volpeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!! Guardi che castello enorme abbiamo costruito!!!!

 

Apro gli occhi lentamente, destandomi a sedere. Akito si sbraccia nella mia direzione. Vicino a lui campeggia un castello di sabbia molto rifinito nei particolari…e molto alto. Sarà quasi il doppio di lui in altezza.

 

Per un attimo incrocio lo sguardo di Sakuragi, ma lui abbassa repentinamente la testa.

 

-          Signorrrrrrr Volpeeeeeeeeeeeeeeeeee vieni vieni vieni!!! Aiutaci anche tu a costruire i castello!!! Daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!

 

 

 

 

Ma quanto grida un esserino così piccolo! Sbuffando leggermente mi alzo lentamente, passandomi le mani sui jeans, eliminando la sabbia calda. E mi avvicino a loro.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il fast-food è affollato. Mi guardo intorno…colori sgargianti, risate sguaiate, odori forti e brucianti, musica ad alto volume, megaschermi accesi su ogni parete del locale.

 

 

 

 

Socchiudo gli occhi infastidito.

 

 

 

 

No. Non sopporto questi luoghi. E vedervi così tanta gente anche di domenica…mi rattrista. Se avessi ancora una famiglia, di certo non starei qui a ingozzarmi di schifezze. Eppure perché così tante persone sono qui?

 

 

 

 

-          Non ti piace vero?

 

 

 

 

 

Sono distolto dalla voce calma di Sakuragi di fronte a me. Mi guarda comprensivo. È la prima frase che mi rivolge, dopo il nostro dialogo sulla spiaggia.

 

Muovo la testa in senso di diniego. Sakuragi mi sorride, lanciando un’occhiata verso Akito, seduto accanto a lui.

 

-          Neanche a me…ma…Aki-chan una volta mi aveva detto che lui invidiava tanto i bambini che potevano mangiare a un Mc Donald’s…credo che avesse visto qualche stupida pubblicità in televisione. Non me la sono sentita di dirgli nulla. Per lui ogni cosa che appartiene all’esterno della Comunità….è come oro. Anche per me era così quando ci abitavo.

 

 

 

Già…suppongo sia normale.

 

 

 

Porto lo sguardo su Akito. Ha davanti a sé un menù plastificato. Colorato. E largo. Con foto grandi. Come piace ai bambini.

 

 

Le industrie le pensano proprio tutte.

 

 

Ha l’espressione corrucciata. Non sa bene cosa prendere evidentemente.

 

Sakuragi si china sulla sua spalla, indicandogli il menù per bambini. Un sacchetto colorato, con dentro incluso anche un giocattolino. Akito sorride, annuendo.

 

-          E tu cosa prendi Volpe Spelacchiata?

 

Ignorando il gentile epiteto con cui mi ha chiamato, osservo anch’io il mio menù. Hamburger enormi e colorati. Plastica colorata con dentro salse cancerogene e carne pompata di ormoni.

 

Avverto distintamente il mio fegato urlare dall’interno del mio corpo: “Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooomolto…disperato.

 

Devo dire che è molto convincente. Sì…

 

 

 

 

 

 

-          Un’insalata… - richiudo con decisione il menù, poggiandolo accanto a me.

 

 

 

 

 

 

 

Sakuragi mi fissa sorpreso, sgranando eccessivamente gli occhi.

 

-          UN’INSALATA??? CIOE’…IO TI PORTO NEL FAST-FOOD MIGLIORE DI TUTTO IL GIAPPONE E TU VORRESTI MANGIARE UNA MISERA INSALATINAAAAA???

 

Si sporge verso di me sul tavolo, gridando così tanto che alcuni signori ai tavoli vicini si girano infastiditi verso di noi.

 

Akito si mette a ridere. Lo tira per la maglietta cercando di farlo sedere. Ci guardiamo negli occhi con Sakuragi per qualche attimo. E capisco.

 

 

 

 

 

 

Gli vuoi proprio bene a questo bambino, eh?

 

 

 

 

 

 

Quando viene la cameriera a chiederci la consumazione ordiniamo tutti e tre un doppio cheesburgers.

 

 

E Akito sorride contento e complice, nell’osservarci mangiare il suo stesso hamburger.

 

E anche Sakuragi sorride osservandolo.

 

 

 

Sì…gli vuoi molto bene.

 

 

 

 

Affondo i denti dentro il mio panino-spazzatura, sentendo una strana sensazione in corpo.

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Perché prima…stamattina non mi hai fatto dire il mio cognome ad Aki-chan?

 

 

 

Con la coda dell’occhio osservo Sakuragi affondare le mani dentro il giaccone. Si siede più comodo sulla panchina verde, posando la testa sullo schienale.

 

Siamo tornati nel parchetto di questa mattina, per far trascorrere le ultime ore di “libertà” ad Akito qui…forse per questo mi sono ricordato di porgli questa domanda…

 

 

 

 

-          Il mio nome non è “Volpe” è Kaede Ru..

 

-          MI SONO RICORDATO CHE DOVEVAMO ANDARE A VEDERE IL MARE VERO AKITO???

 

 

 

 

Akito poco distante da noi si dondola divertito sull’altalena. Avanti e indietro…avanti indietro…avanti e indietro…i piedi che sembrano quasi toccare il cielo…avanti e indietro….

 

-          Non pensavo che te lo saresti ricordato…

 

-          Io non scordo mai nulla…

 

 

-          Già…io dovrei saperlo bene… - sbuffa, mezzo divertito…poi la sua espressione ritorna seria… - beh…in Comunità s’impara a chiamarsi sempre e unicamente per nome. Per questo.

 

 

Lo osservo perplesso…cosa c’entra?

 

 

-          Non capisco…

 

-          Ok…cosa pensi significhi essere orfani? – mi pianta i suoi occhi castani dentro i miei con violenza.

 

 

A disagio distolgo lo sguardo…che domanda stupida.

 

 

-          Non avere una famiglia.

 

-          Non solo. Significa che nessuno ti ha voluto. La maggior parte dei ragazzini che vivono lì sono neonati abbandonati…

 

 

-          Continuo a non capire – la mia espressione deve essere davvero perplessa perché Sakuragi mi sorride quasi comprensivo.

 

-          L’ho sempre detto che sei una baka kitsune.........- alza lo sguardo verso il cielo, sbuffando -………………………..appartenere ad una famiglia significa anche avere un cognome. E un bambino orfano non ha un cognome, perché non appartiene a nessuno……………………………….. Akito non ha un cognome.

 

 

 

 

È stata soltanto un’altra azione per difendere Akito…

 

 

 

 

 

-          Capisco…

 

Poi a un tratto penso che Sakuragi un cognome lo possiede. Lo osservo…che non sia stato sempre un orfano?

 

Forse sente il mio sguardo su di sé…si gira. Ci fissiamo negli occhi per qualche istante…mi sorride lievemente scuotendo la testa…

 

 

“Non è il momento Kaede…non è ancora il momento per rispondere a tutte le tue domande”…sembrano dirmi questo le sue labbra lievemente dischiuse.

 

Distoglie lo sguardo. Osserva il suo orologio al polso per qualche secondo, sospirando. Poi si alza, dirigendosi verso Akito.

 

 

-          Aki-chan sono le 5…- Sakuragi sembra rattristarsi nel dirlo. Ma sorride sereno, per non farlo preoccupare.

 

Akito smette di dondolarsi sull’altalena. Abbassa la testa, scendendo in un unico salto dal seggiolino di plastica.

 

Mi alzo anch’io dalla panchina, avvicinandomi ai due. Le mani gelate nelle tasche del giaccone…

 

Sakuragi rimette il capottino nero e la sciarpa rossa intorno al collo di Akito con dolcezza. Ma lui non smette di muoversi, cercando – inutilmente – di non farseli mettere.

 

-          Aki-chan sei tutto sudato. Ti prenderai un raffreddore se non ti copri almeno un poco. Fa freddo ora…se ti ammali chi li sente a quelli?

 

-          Uffyyy…….ma punge la sciarpa………….!!!!!!!

 

 

-          Non è vero…prima non ti pungeva, perché dovrebbe farlo adesso eh?

 

 

Akito s’imbroncia, smettendo ogni tipo di resistenza contro la vestizione. Sorrido lievemente.

 

 

 

 

Sembrano padre e figlio.

 

 

 

 

Non avrei MAI pensato che Sakuragi potesse avere così tanta pazienza con un bambino…lui che sembrava essere l’impaziente per eccellenza. Già…quanti lati nascosti possiede.

 

 

 

-          Su andiamo…

 

Sakuragi prende una manina di Akito e ben presto lungo la via di ritorno mi ritrovo anch’io a tenere l’altra manina del bambino. Mi sento un po’ ridicolo. Ma anche stranamente a mio agio.

 

Nessuno parla fin quando arriviamo alla Comunità. Akito ci tiene ancora il broncio (ma credo che in realtà sia molto dispiaciuto di dover lasciare Sakuragi), Sakuragi è triste anche lui e dispiaciuto…io invece…mi sento strano…non so…

 

Dopo un po’ il cancello rosso che delimita il condominio – Comunità appare alla nostra vista. Ci fermiamo vicino al cancelletto d’entrata.

 

-          Beh… fai il bravo eh? – Sakuragi s’inginocchia di fronte ad Akito, poggiando le mani sulle spalle del bambino.

 

Akito continua a tenere la testolina bassa. Non si vorrà mettere a piangere?

 

-          Dai Aki-chan…lo sai che ci rivediamo. Appena il Tensai sarà libero, ti onorerà della sua presenza va bene?

 

Gli strappa un sorriso. Alza la testa, con le lacrime agli occhi. Poi di slancio si butta contro il suo petto, incominciando a piangere.

 

Sakuragi perde l’equilibrio e si ritrovano entrambi seduti sul selciato.

 

-          Aki………………………………………..dai Aki-chan……………..smetti di piangere………..cosa devono pensare gli altri bambini quando rientrerai là dentro eh?

-          Non li voglio vedere!

 

 

 

Sakuragi sorride, incominciando ad accarezzagli la testolina rossa.

 

 

 

-          Perché? Sono tuoi amici………..devi pensare che tu sei stato fortunato oggi. Loro non sono usciti…

-          Ma le mamme e i papà li vengono a prendere! E a me no! Loro possono uscire tutti i giorni!

 

 

Vedo lo sguardo di Sakuragi annebbiarsi. Dolore? Tristezza? Disillusione? Non lo so…

 

 

 

Si china maggiormente verso Akito. Incomincia ad accarezzagli la testa…lentamente, cercando di farlo calmare.

 

-          Aki-chan…anche tu un giorno uscirai per sempre dalla Comunità…come me. Devi solo avere pazienza. E poi non ti trattano male vero?

 

Akito scuote la testa, rannicchiandosi contro il collo di Sakuragi.

 

-          Visto? Ci sono bambini che non sono così fortunati come te. Non hanno nessuno che si curi di loro…- e sorride.

 

 

 

 

E per un momento penso che fra quei bambini sfortunati ci sia anche lui. Cosa importa che ormai sia quasi un adulto?

 

 

 

 

 

 

 

Cosa importa se……………………siamo cresciuti?

 

 

 

 

 

 

 

-          E poi….quando una coppia di genitori ti vedrà…non potrà fare a meno di adottarti. Chi non potrebbe volerti bene? Eh?- gli scompiglia i capelli dolcemente. Finalmente Akito alza la testolina, guardandoci.

 

 

Sorride debolmente.

 

-          Sì.

 

 

Da un bacetto sulla guancia di Sakuragi, poi si avvicina anche a me e mi fissa.

 

 

 

 

Non vorrà dare un bacio anche a me?

 

 

 

 

Mi tira per la manica, facendomi cenno con la testa di inginocchiarmi. Pongo un po’ di resistenza, ma il colpo di tosse di Sakuragi mi fa capire che non posso decidere di mia iniziativa. E poi lo sguardo di Akito mi colpisce. Sembra davvero desideroso di darmelo questo bacio…

 

 

M’inginocchio e dopo qualche secondo sento le sue labbra umide sulla mia guancia.

 

 

 

Quando si stacca, ha il viso arrossato. Chissà perché lo imbarazzo in questo modo…

 

 

 

 

 

Si allontana da noi…si gira solo un’ultima volta sorridendoci un po’ triste per poi scomparire dietro il cancello.

 

 

 

 

 

 

 

Rimaniamo immobili. In silenzio. Poi sento un sospiro pensante di Sakuragi. Mi volto verso di lui. Ha lo sguardo abbassato…sembra fissare le sue scarpe.

 

Non so bene cosa fare…anzi…cosa dovrei fare? Parlare con lui? O tornarmene a casa facendo finta di non aver mai passato una giornata simile con lui e Akito?

 

Sakuragi continua a non parlare…il silenzio mi da fastidio e incomincio ad avvertire maggiormente il freddo.

 

 

 

 

 

-          Senti…hai fame? Te la faresti una cioccolata calda?

 

 

 

 

La sua voce interrompe all’improvviso i miei pensieri.

 

Lo osservo. Un po’ stupito. Mi ha davvero chiesto di passare altro tempo con lui?

 

Ci guardiamo negli occhi. Ma cosa vuole da me questo ragazzo? Che cosa vuole davvero?

 

-          No…devo andare a casa.

 

Il mio tono forse è eccessivamente freddo e annoiato. Stridente con ciò che provo realmente.

 

 

 

 

 

Ma perché devo sparare sempre cazzate?

 

 

 

 

 

 

-          Capisco…- Sakuragi sembra rabbuiarsi. S’infila le mani dentro le tasche del giaccone, osservandomi di sottecchi….- Beh allora…grazie di avermi retto il gioco oggi…kitsune. Ci vedremo domani agli allenamenti- si gira lentamente e facendomi un cenno con la mano, incomincia a incamminarsi nella direzione opposta alla mia.

 

 

 

 

Rimango immobile per qualche secondo…cosa dovrei fare?...........................maledizione……….mi odio….

 

 

 

 

 

 

-          Do’hao!

 

 

 

 

 

Si blocca in mezzo al marciapiede. Si gira un pochino, osservandomi con la coda dell’occhio. È l’ombra di un sorriso quella che vedo sulle sue labbra?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il bar non è molto affollato. Guardo fuori dalla vetrina….ormai è diventata notte nonostante siano le sei di sera. Riporto lo sguardo sul ragazzo di fronte a me. C’è un qualcosa di irreale nell’atmosfera che si è creata fra noi due. Non saprei come definirla.

 

-          Allora…con la panna o senza panna?

 

I suoi occhi castani si ficcano con prepotenza dentro i miei. Mi sento nudo. E questo mi da fastidio.

 

 

 

-          Senza.

 

 

 

Sorride, per poi chiamare una cameriera. La tipa ascolta le sue ordinazioni, fissandomi per tutto il tempo.

 

Sono così abituato a essere fissato dalle persone che il fastidio ha ceduto il passo alla noia. Gli sguardi altrui mi scivolano addosso come acqua fresca. Addosso mi rimangono solo gocce trasparenti.

 

 

 

-          Mi piacerebbe attirare lo sguardo della gente come fai tu. È tutta una vita che ci provo.

 

 

 

Sakuragi mi osserva sorridendo. Ma è un sorriso spento. Porta i gomiti sul tavolino in legno, poggiando il viso sui palmi aperti.

 

-          E’ per questo che ti sei tinto i capelli?

 

-          Mmmmm….probabile…..- si tira una ciocca rossa portandosela davanti agli occhi...

 

 

-          Sono neri?- forse sono troppo curioso…o forse in realtà vorrei parlare di argomenti più seri.

 

-          …..non me lo ricordo più. È da anni che me li tingo…e non lascio che appaia la ricrescita – libera la ciocca dalle sue dita.

 

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

Basta.

 

 

 

 

 

 

-          Perché volevi che fossi qui?

 

 

 

 

 

O mi risponde seriamente o giuro che me ne vado. Mi sta facendo impazzire con il suo comportamento.

 

Inclina leggermente la testa. Poi abbassa gli occhi, intrecciando le dita abbronzate.

 

-          Volevo…chiarire con te.

 

-          Mh.

 

Ci guardiamo di nuovo negli occhi. Questo continuo contatto visivo mi mette a disagio. Io ho sempre guardato le persone negli occhi. Kaede Rukawa non si abbassava davanti a nessuno. Ma lui…ha il poter di agitarmi. Forse perché il suo sguardo è identico al mio.

 

 

 

 

 

 

Un nocciola caldo e un cielo azzurro increspati da qualcosa di indefinibilmente…vuoto.

 

 

 

 

 

 

La cameriera interrompe i miei pensieri, posando le nostre ordinazioni sul tavolino. Sfiora la mia mano in una carezza fugace e impalpabile. Allontano di scatto la mano, non degnandola di uno sguardo. Stupida.

 

Si allontana con passo veloce, lanciandomi occhiatine maliziose.

 

-          Ahi..:!

 

Guardo Sakuragi posare quasi di scatto la sua tazza di porcellana bianca sul tavolo.

 

-          Quanto scotta…. – si soffia sulle dita arrossate.

 

-          Devi aspettare che si raffredda deficiente – è quasi comico.

 

 

-          Va al diavolo Kitsune! – e continua a borbottare…

 

 

Lo ignoro, incominciando a girare pigramente il liquido caldo con il cucchiaino…cerchi concentrici…il metallo affonda per pochi secondi nel cioccolato…riemerge…un leggero vapore appanna il cucchiaino…riaffonda…

 

 

 

 

-          Senti perché sei venuto proprio da me? – era la domanda più importante che volessi porgli. E non pensavo di chiederglielo ora…e in questo modo. Ma le mie labbra si sono dischiuse da sole. E le corde vocali hanno vita propria.

 

 

 

 

 

Lo vedo irrigidirsi sulla sedia. Il cucchiaino ricolmo di cioccolata cremosa e una punta di panna che si stava portando alle labbra si blocca a metà strada.

 

Ritorna a riaffondare dentro la tazza bianca.

 

 

 

 

 

Un sospiro.

 

 

 

 

 

-          Io…non lo so – alza le spalle con fare noncurante, anche se la sua voce ha vibrato impercettibilmente. Mi fissa negli occhi.

 

-          Non dire cazzate. Lo sai invece – affondo con decisione il cucchiaino dentro la cioccolata calda.

 

 

 

 

 

Mi sto innervosendo.

 

 

 

 

 

 

-          Ok ok…- alza le mani come in segno di resa, ridendo lievemente – diciamo che…- ritorna serio…e il suo sguardo si adombra di nuovo – quel giorno che sono venuto a casa tua…ero abbastanza…triste. Solo questo. Avevo bisogno di…non so bene di cosa avevo bisogno.

 

-          E gli altri? I tuoi amici? Eri uscito con loro?

 

 

-          Gli altri? – mi guarda interrogativo, portandosi la tazza fumante alle bocca. Arriccia per un attimo le labbra a contatto con la porcellana calda.

 

-          Non so bene il loro nome…quelli con cui stavi sempre…- smetto di girare la cioccolata, leccando il cucchiaino.

 

 

-          Ah…no no. È da un po’ che ho chiuso con l’Armata…………e Yohei – beve un piccolo sorso di liquido. Il suo tono è indifferente…ma c’è dolore. E delusione.

 

-          Da come vi comportavate pensavo foste molto amici – è quello che penso davvero. E sinceramente…non mi ero accorto di questo loro allontanamento.

 

 

-          Forse lo eravamo…ma io non sono stato mai sincero con nessuno di loro. Nemmeno con Yohei…ho sempre raccontato un sacco di cazzate – beve un altro sorso di cioccolata.

 

-          … - mi porto anch’io la tazza alle labbra. Avverto il liquido ambrato scendermi caldo lungo la gola. Era da molto che non bevevo una cioccolata -….perchè?

 

 

 

 

Posa la tazza sul tavolo, guardandomi profondamente negli occhi.

 

 

 

 

 

-          Hai presente quando senti…una sensazione di Vuoto divorarti da dentro? Un Vuoto che non ti fa pensare, che non ti fa respirare…nulla ti scuote, nulla ti fa emozionare veramente, nulla ti appare davvero importante………………….

 

e passano i giorni

e gli anni

 

e non resta altro che cercare di riempirlo questo maledetto Vuoto. Ma………..non c’è verso.

 

Qualsiasi cosa tu faccia non scompare…anzi aumenta con il passare del tempo. E vorresti solo gridare fino a logorarti la gola…solo gridare…- la sua voce si spegne in un sussurro…abbassa lo sguardo…-…per questo motivo non puoi avere dei contatti reali con l’esterno.

 

Tutto ti sembra inutile,

disprezzabile.

 

Vuoto.

E allora fingi.

 

Fingi di essere un duro, di essere uno “che se ne frega di tutto e tutti”, di essere uno forte. E fare del male agli altri ti serve per non pensare al male che alberga dentro di te e che ti ferisce ogni secondo della tua giornata.

Picchiare ed essere picchiato, provocare risse, essere il capo di un Armata…essere temuto e rispettato per la tua fama di yankee…di teppista, ti serve per pensare di contare qualcosa.

 

 

 

Di non essere solo un qualcosa di insignificante e strisciante sulla strada.

 

 

 

Ma gli altri alla fine se ne potrebbero accorgere della tua maschera. E allora è meglio crearne un’altra…quella dell’idiota. Chi potrebbe dubitare di un idiota…chi potrebbe soffermarsi su un idiota……sapresti dirmelo Kitsune? – sorride amaramente - ………….anche tu………..fin quando non ho messo da parte la mia maschera, non mi hai notato.

 

Perché ero solo un do’hao.

 

 

Nulla di importante…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io abbasso lo sguardo, colpito e sorpreso dal suo discorso. Sono stato un idiota. Non avevo capito nulla. Avevo solo percepito la superficie del suo animo. Solo la superficie. Mi passo una mano sugli occhi.

 

 

 

Ma lui continua imperterrito nella sua confessione, forse inconsapevole di ciò che sta scatenando con prepotenza dentro di me…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          E allora fingi…fingi con le persone che ti circondano. Fingi di essere sempre contento. Fingi di essere come tutti. Anzi…meglio di tutti.

 

 

Un Tensai.

 

 

E nessuno ti capisce davvero.

 

Perché non vuoi che nessuno ti capisca.

 

 

Vuoi essere solo lasciato in pace…o almeno, questo è quello che ti ripeti ogni giorno prima di addormentarti la notte. È lo sai che anche questa è una cazzata. Cazzo se lo sai - si riporta la tazza alla labbra, finendo la cioccolata ivi contenuta – …credo di essermi davvero affezionato all’Armata…

 

per questo motivo l’ho abbandonata.

 

 

Ho preferito farlo io, prima che lo facessero loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Chi ti dice che ti avrebbero lasciato?

 

-          Lo fanno tutti. Cosa dovrebbe cambiare ora? – e quello che mi colpisce è il suo tono. Semplice. Sciolto. Come se stese dicendo un qualcosa di scontato.

 

 

 

 

 

E mio Dio…così simile al mio

 

 

 

 

 

-          E…….perchè ora vuoi che io…ti capisca………?

 

 

 

Sorride.

 

 

 

 

-          Io…credo di aver visto qualcosa in te…di molto simile a me. Anche se…….tu sei molto più forte di me Rukawa. Molto più forte. E penso…che con te sia diverso. O almeno…posso mostrarti in parte il vero Hanamichi.

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi. Non riesco ancora a credere a tutto ciò che mi ha detto…mi è sembrato di leggere nel suo discorso fluido e sofferto brani della mia vita.

 

 

 

 

-          E’ per questo motivo…che ti tagli? – affondo nel suo nocciola.

 

 

Screziature dorate che si contorcono nel suo sguardo.

 

 

-          Sì. Per qualche attimo le grida scompaiono dentro il mio corpo, nella mia testa. C’è solo dolore. Reale. Materiale. Un dolore che finalmente puoi curare. Garze e disinfettante…e tutto scompare. Per qualche attimo provo piacere. Mi aiuta a sopravvivere. Vivo meglio così.

 

-          Ma le cicatrici…rimangono – ripenso alle sue braccia segnate. Mille taglia. Lividi. Arrossati. Sanguinanti. Cicatrizzati.

 

 

-          E devono rimanere. Mi ricordano ogni giorno che esisto davvero.

 

-          Eppure…. – finisco la mia cioccolata in un unico sorso, osservandolo -…tu sei venuto da me quella sera…e volevi aiuto.

 

 

 

Sakuragi distoglie lo sguardo, a disagio. Incomincia a tamburellare sul legno….

 

 

 

 

-          Te l’ho detto, quella notte ero particolarmente…triste. Punto.

 

-          Perché?

 

 

-          Cosa vuol dire “perché”? Sono fatti miei.

 

 

Sbuffo irritato.

 

 

 

-          E va bene...e allora anche oggi era particolarmente triste do’hao? Non sei stato tu a invitarmi a passare la domenica con te e il bambino?

 

 

Mi lancia uno sguardo risentito.

 

 

-          Ti prendi gioco di me Kitsune?

 

-          Cerco solo di capire che cosa vuoi realmente da me.

 

 

-          Mh?

 

-          Io penso che tu voglia aiuto da me. E lo sai anche tu.

 

 

-          Senti…vediamo di capirci subito. Io non ho bisogno di aiuto. Ok? – e sbuffa.

 

 

 

 

 

 

 

E allora perché i tuoi occhi mi gridano contro Sakuragi?

 

 

Eh?

 

Perché mi gridano di aiutarti a uscire dal tunnel in cui cammini da solo?

 

 

 

 

 

 

-          Va bene…

 

-          OK.

 

 

-          Fantastico.

 

-          Infatti.

 

-          Già.

 

-          Già.

 

-          Smettila Rukawa!!! – Sakuragi si slancia nella mia direzione, afferrandomi per il colletto del maglione azzurro– Vedi di finirla Sorbetto congelato! Mi stai dando sui nervi!

 

-          Non sono stato io a voler venire qui insieme a te…e mollami immediatamente il maglione….me lo stai sgualcendo – lo guardo negli occhi …e in un attimo mi rendo conto che siamo vicini. Quasi naso contro naso. Il suo respiro caldo contro la pelle lievemente umida delle mie labbra.

 

E sento…una strana sensazione in corpo. Non è la prima volta che succede…però...

Sakuragi arrossisce lievemente…per un secondo i suoi occhi si posano sulle mie labbra ma di scatto lascia la presa, risedendosi con un tonfo sulla sua sedia di legno.

 

 

 

-          Io… - tossisce lievemente – dovrei andare a lavorare – guarda fuori dalla vetrina.

 

 

 

E’ come se volesse sfuggire il mio sguardo…non capisco perché. E incomincio a pensare che mi sfuggano ancora troppi particolari …

 

 

 

 

 

-          Dove lavori?

 

-          In un piccolo bar vicino al Discount Masakori, a Yokohama… – i suoi occhi si socchiudono lievemente. Stanchezza sulle sue spalle.

 

-          Fino a che ora?

 

-          Mmmm…dipende dai clienti – abbassa lo sguardo, evitando sempre i miei occhi – generalmente verso le 2 di notte.

 

-          E questo lavoro te l’hanno trovato gli assistenti sociali?

 

-         Certo…pensi che qualcuno avrebbe potuto assumere un teppista nel proprio locale? – ride leggero…e strafottente. Falso.

 

 

 

E provo rabbia…perché è stato lui a crearsi questa fama…questa maschera.

 

 

 

 

 

E poi…non capisco che cosa vuole da me…prima m’ignora, poi mi cerca, poi s’innervosisce se cerco di scavare nel suo passato…poi di nuovo m’ignora.

 

Incomincio a pensare…che anche lui non sappia davvero cosa voglia.

 

-          Mh…va bene. Pago e ce ne andiamo – mi alzo e faccio per dirigermi verso la cassa, quando sento la sua mano afferrarmi per il braccio, bloccandomi.

 

-          Hai pena di me Rukawa? – il suo tono è grave…roco. La sua espressione è come delusa – pensi che non abbia i soldi per permettermi una cioccolata? Eh? – mi stringe con più forza il braccio.

 

 

Infastidito mi libero dalla sua presa.

 

 

-          Non farti idee idiote. Tu hai lasciato dei soldi a casa mia. Te li sto solo restituendo.

 

-          Quei soldi te li avevo dato per la tua ospitalità – mi osserva un po’ stupito. Non se l’aspettava un comportamento del genere da parte mia.

 

-          Ed io mi ero ripromesso di darteli indietro. Punto.

 

-          No…non voglio che mi offra nulla – s’imbroncia come un bambino piccolo.

 

-          Ho mai fatto qualcosa che tu volessi…do’hao? – sorrido lievemente.

 

E finalmente anche lui sorride. Un sorriso diverso. Un sorriso sincero. Scuotendo leggermente la testa.

 

Ed io posso finalmente allontanarmi da questo tavolo per andare a pagare. Il cuore in tumulto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Questa notte ho fatto un sogno

AIUTAMI

°6°

 

*Ciauzzzzzzzzzzz.. dopo una pausa millenaria (periodo feste natalizie-capodanno, periodo pre-esami, periodo esami, periodo post-esami, periodo inizio lezioni e proseguimento lezioni, periodo feste Pasquali, periodo del nulla) rieccomi qui. Scrivere questa storia non è facile, il tema è difficile e non voglio scadere in luoghi comuni…speriamo bene*

*Grazie a tutte le/i ragazze/i (seika, Yumi, HiNao, kiba91, Kate91, airis) che hanno commentato o che hanno solo letto l’ultimo capitolo….GRAZIE (_ _) !!!*

*Un baciotto enorme…e buona (si spera) letturaaaaaaa….*

*Note a fondo pagina*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa notte ho fatto un sogno.

 

Un sogno…strano.

 

C’ero io…………ma soprattutto.

 

C’era Lui. Con me.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Distendo lentamente le braccia lungo il futon candido. I polpastrelli accarezzano le lenzuola…un po’ ruvide. Sgualcite.

 

Mi sto rigirando da più di due ore ormai. Già…Kaede non riesce a dormire. Kaede insonne.

 

 

Sembra un ossimoro a pensarci. Come è possibile?

 

Mi rigiro di nuovo su un fianco. Affondo la testa nel cuscino. Chiudo gli occhi.

 

 

 

 

Una ciocca di capelli rossi…scivola sulla sua fronte. Morbida. Lucente.

 

 

 

 

Riapro gli occhi di scatto. Sospiro, alzandomi a sedere.

 

È inutile mentirsi sul perché non riesca a dormire. Ogni volta che chiudo le palpebre…c’è lui. Anzi…particolari della sua persona.

 

 

 

 

Una ciocca di capelli.

Un battito di ciglia.

 

La sua mano che scivola sulla tazza di porcellana.

 

Le labbra piegate in un sorriso verso Akito.

Un guizzo di un muscolo del suo braccio.

 

Un lembo di pelle abbronzata che s’intravede dal collo del maglione.

 

I suoi occhi.

 

 

Cazzo i suoi occhi. I suoi occhi…maledetti. Che mi scavano dentro. Che mi guardano dentro.

 

 

Ti odio….

 

 

 

 

 

No…non è vero.

 

 

 

 

Cosa mi sta succedendo…? Non mi capisco più.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Scendo con un balzo pigro dalla bicicletta. Chinandomi per assicurarla contro il palo della luce, mi copro con la mano uno sbadiglio.

 

Ho sonno.

 

Ma questa volta per davvero. Non è quell’insofferenza verso ciò che mi circonda che mi portava a chiudere gli occhi.

 

No. Per non vedere. Per isolarmi.

 

No.

 

 

 

 

È sonno. È chiudersi incontrollabile delle palpebre. È stanchezza negli arti. È fiacchezza.

 

 

Questa notte non ho dormito. E mi vergogno…per il motivo per cui non l’ho fatto.

 

 

 

 

 

 

Il motivo che sta adesso varcando i cancelli azzurri della scuola.

 

 

 

 

-          Beh…allora ci separiamo qui.

 

Lo osservo. Sposta il peso da una gamba all’altra.

Imbarazzato.

Come lo sono io.

 

-          Sì. Torno a casa.

 

-          Io…non penso che ci sia…bisogno di ringraziarti.

 

Arrossisce lievemente, incorniciando il viso con un sorriso un po’ spavaldo. Provocante.

 

-          Non sono un tipo che accetta ringraziamenti – lo guardo un po’ duramente, cercando di riportare il nostro rapporto ad un qualcosa di più…distante.

 

Vorrei essere un estraneo in questo momento.

Invece...non lo sono.

Cosa mi stai facendo maledetto idiota?

 

-          Beh…allora a domani… - mi lancia uno sguardo obliquo, per poi girarsi dall’altra parte, andandosene. Alza una mano in segno di saluto.

Io rimango immobile. Così tanti pensieri che s’intrecciano in un vortice impazzito nella mia mente.

 

Impazzisco.

 

 

O impazzirò.

 

 

 

 

Eccoli i tuoi occhi. Per un attimo…per un solo attimo incrociano i miei. Un lieve sorriso sulle labbra screpolate. Mi passi vicino. Non dici nulla. Ma in fondo perché dovresti dire qualcosa?

 

 

 

 

 

 

 

 

La divisa sgualcita. Il lieve frusciare della manica contro la tua coscia. La cartella poggiata in modo insolente contro la tua spalla, il braccio piegato. La pelle nuda della mano, che fuoriesce dal cappotto. Abbronzata…perché è sempre così scura quella pelle Sakuragi? Lo spostamento d’aria che provochi…m’investe il tuo profumo. I tuoi capelli. Scompigliati. Il tuo passo cadenzato…strafottente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E sei oltre. Oltre il portone. Dentro la scuola. Non ti rigiri. Ed io rimango immobile…chiedendomi se siano davvero passati solo 5 secondi.

 

 

 

Mi passo stancamente una mano sugli occhi.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Siamo da soli negli spogliatoi. Lo osservo distrattamente asciugarsi il corpo con l’asciugamano spugnoso. E a un tratto realizzo che era da mesi che non lo vedevo fare una doccia insieme a noi altri.

 

 

Per non farsi scoprire.

 

 

 

E ora lui sta condividendo il suo segreto con me. Si asciuga senza vergogna. Senza celare la sua debolezza, marchiata in quelle braccia abbronzate…in quella pelle calda.

 

Maltrattata.

Piegata al volere di una lama affilata e insensibile.

 

I tagli sono violacei. Qualcuno ha anche ripreso a sanguinare…vedo Sakuragi prendere un rotolo di garza dal borsone. Sedendosi con un tonfo sulla panchina di legno, incomincia ad avvolgersi la garza intorno alle braccia. I suoi gesti sono precisi. Come di una persona così abituata a compiere un’azione…da non aver più bisogno di porvi attenzione. A tratti delle smorfie di fastidio imbronciano il suo viso da bambino. Socchiude gli occhi, cercando di arginare le ferite.

 

 

 

 

-          Da quanto tempo ti tagli? – non volevo chiederglielo. Anche perché penso non mi risponderà. È recalcitrante a parlarmi del suo passato. In modo quasi paradossale, visto ormai il segreto che condividiamo.

 

 

 

Alza la testa guardandomi per pochi secondi. Indeciso. Poi dopo aver finito di avvolgersi le braccia con quella stoffa immacolata, mi risponde.

 

 

 

 

 

 

-          Un anno.

 

 

 

 

 

 

 

Un anno…non è molto tempo. Ma osservando le sue braccia…la quantità di tagli e di cicatrici che possiedono…avrai scommesso molto più tempo.

 

 

 

 

Si veste, attento a non sfiorare eccessivamente le braccia. Quanta premura…quanta cura per una parte del suo corpo che verrà di nuovo uccisa fra poche ore. Quante volte al giorno si taglierà?

 

 

 

 

 

-          La notte.

 

 

 

 

 

 

Il suo sussurro interrompe i miei pensieri. Lo osservo. Ha la testa china, i capelli gli scivolano lungo la fronte. Scomposti.

 

-          Cosa? – possibile che abbia intuito ciò che stavo pensando?

 

-         La notte. Mi taglio. Perché di notte la mente è sgombra. E il dolore soffoca.

 

 

 

 

 

Mi ritorna in mente la scorsa notte. Tormentata da dei sogni…dove era Lui il protagonista. Che cosa significa tutto questo?

 

 

 

 

-          Che fai ora? Vai a lavoro? – cambiare discorso…cambiare discorso…

 

-          No…oggi è chiuso. Il lunedì è giornata di riposo.

 

-          Capisco.

 

Vorrei chiedergli di venire da me. Vorrei che per poche ore…non pensassimo al Vuoto. Insieme.

 

 

 

 

 

 

Ma noi non siamo amici.

 

 

 

 

 

 

Ma in fondo…chi se ne frega.

 

 

 

 

 

 

-          Vieni da me.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ho davvero detto. Riderei di me stesso…ma non possiedo un senso dell’umorismo tale.

 

Sakuragi mi guarda sorpreso. Davvero non se l’aspettava? È lui che sta tessendo questa trama…possibile che non sia consapevole dell’immagine che si sta creando?

 

O forse...non ci sperava nemmeno.

 

 

 

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

E sorride.

 

-          Io sono il meglio…do’hao.

 

E mi giro, uscendo dagli spogliatoi.

E sento dietro di me un sussurro. O forse me lo sono immaginato.

 

 

 

 

“- Lo so…”

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il tragitto verso casa è silenzioso. Il sole è tramontato da varie ore…il cielo è nero. C’è troppa luce artificiale e le stelle non sono visibili. A pensarci…è ingiusto che delle luci fredde create dall’uomo precludano la vista di luci millenarie e calde…e naturali. Bellissime.

 

-          Non ci sono le stelle. Peccato…vero kitsune?

 

 

 

 

Ma come fa? Come è possibile che riesca a leggere nella mia mente? M’innervosisce.

 

Sussurro un imbronciato “Mh” velocizzando il passo. Sakuragi mi raggiunge, incamminandosi vicino a me.

 

Dopo pochi minuti siamo arrivati a casa. Quando infilo le chiavi dentro la serratura sento Micky dall’altra parte miagolare eccitato. L’udito dei gatti è superiore al nostro…Micky sa sempre dove mi trovo quando siamo in casa. Sempre.

 

 

Così sa dove venire a rompere per ottenere un po’ di cibo.

 

 

 

-          Oh...eccola la bestiaccia – avverto il ghigno divertito del do’hao dietro di me.

 

Micky fa capolino da dietro la porta aperta…lancia uno sguardo di sbieco verso Sakuragi. Poi, muovendo lentamente la coda nell’aria, mi salta in braccio, strofinando il musetto contro l’incavo del mio gomito, incominciando a fuseggiare.

 

Lo troverei molto affettuoso…se non sapessi che in realtà ha fame. Tze.

 

 

 

 

-          Gli animali sanno davvero come ottenere l’affetto degli uomini eh?

 

 

 

 

Sakuragi sorride leggermente, avvicinandosi. Fa per accarezzare anche lui il micio quando Micky gli soffia contro, mordendogli le dita della mano.

 

- Ahhhhh…maledetto gatto! – incomincia a soffiare sulla mano “offesa” borbottando qualcosa sul fatto che avrebbe dovuto farlo morire di fame quella volta che era venuto a casa.

 

 

 

-          Ma quanto sei idiota – entriamo in casa. La temperatura è piacevolmente calda…

 

-          Pure il resto! Che colpa ne ho io se quel tuo gatto mi odia!

 

-          Non è vero che ti odia…poggialo lì il tuo cappotto e il borsone…è il suo modo di giocare…se ti odiasse ti avrebbe morso più forte, facendoti uscire il sangue.

 

 

-          Wow…digli allora che non mi piace giocare con lui! – sbuffando si siede sul divano del salotto.

 

 

 

Mi rendo conto che è la prima volta che invito spontaneamente qualcuno in casa. E non so nemmeno cosa fare…come trascorrere il tempo con lui.

 

 

 

 

Sono un caso disperato…devo ammetterlo.

 

 

 

-          Do da mangiare a Micky. Non distruggermi il salone.

 

Vado in cucina, sentendo dietro di me degli sbuffi.

 

Dopo aver cibato la “belva”, ritorno in salone. Sakuragi ha accesso la tv…osserva divertito un film straniero. Rimango sulla soglia della stanza…osservandolo. Sembra un bambino. Entusiasta.

 

-          Non hai mai visto un televisore do’hao?

 

Sobbalzando sul divano (evidentemente era troppo concentrato sul film per accorgersi della mia presenza), si gira verso di me.

 

-          Ma quanto sei simpatico… - mi mostra la lingua.

 

Mi siedo accanto lui, seguendo distratto il film.

Dopo pochi minuti sento già il capo farsi pesante e il sonno avvinghiare i miei occhi.

 

 

 

 

 

 

-         Perché non ci sono i tuoi genitori?

 

 

 

 

 

 

Il suo tono grave e serio interrompe la mia lenta e inesorabile caduta verso il sonno.

 

-          Partiti – non ti dirò la verità. Non ancora. È così difficile fidarsi di un’altra persona Sakuragi.

 

-          Sono spesso fuori casa. Eh? – mi guarda con attenzione con la coda dell’occhio. Che cosa cerchi in me?

 

-          Già – e tronco la conversazione alzandomi di scatto dal divano.

 

 

 

Meglio cambiare argomento.

 

 

 

 

-          Hai fame?

 

-          Un po’ – e a sottolineare la sua frase imbarazzata, dal suo stomaco proviene uno strano gorgoglio.

 

Arrossendo leggermente, poggia le sue mani grande sulla pancia, come a volerla trattenere.

 

-          Senti io non so cucinare…ma se vuoi ci sono delle confezioni di pesce surgelato nel frigo.

 

-          Se vuoi posso cucinare io…

 

-          Sai cucinare do’hao? – ammetto che sono sorpreso. Non me lo vedo davanti ai fornelli…ma in fondo ci sono così tante cose che non pensavo di lui.

 

 

 

Mi guarda sorridendo enigmatico. Poi abbassa lievemente il capo, alzandosi. Si dirige in cucina, superandomi.

 

-          Dimmi cosa hai in casa e dove posso trovare padelle e pentole e vedrai che cenetta ti preparo! – si gira verso di me, allargando le braccia con fare espansivo.

 

 

 

 

 

Mmm…e io dovrei fidarmi di questo pazzo?

 

 

 

 

 

 

-          Do’hao tu mi distruggi la cucina – incrocio le braccia osservandolo scettico.

 

-          No no…fidati di me…

 

 

 

 

Non so se è il suo sguardo…o la sua espressione.

 

Ma sembra rilassato.

 

Oserei dire quasi felice al pensiero di dover cucinare.

 

 

 

 

 

-          Questo è il frigo no? – senza aspettare una mia risposta lo apre, ficcandoci la testa dentro.

 

Sbuffando mi avvicino…è da giorni che non faccio la spesa. Non ho idea di che cosa ci sia dentro. Non amo mangiare. E da quando mia madre è morta nessuno mi ha più cucinato nulla di decente.

 

 

Forse è per questo che non ho voluto imparare a cucinare.

 

 

-          Mmm…ti piace la satsurna-jiru (nota 1)? – Sakuragi si volta verso di me, tenendo in mano una confezione di petto di pollo (quando l’ho comprata?) e del miso.

 

-          Sì…penso di sì – è da anni che non la mangio.

 

-          Bene! – incomincia a tirare fuori dal frigo tutti i vari ingredienti – sai preparare il dashi (nota 2)?

 

-          No…utilizzo normalmente i dadi già pronti.

 

-          Sei proprio un caso disperato… - ridacchiando richiude l’anta del frigo, sorreggendo in mano il pollo e le verdure – hai le patate?

 

-          Sì… - le prendo dalla credenza, osservandole critiche….sono già usciti i germogli…era da mesi che non le mangiavo – vanno bene lo stesso? – gliele porgo.

 

-          sì…

 

Sakuragi si accosta al tavolo osservando il tutto.

 

-          Va bene…mi serve uno dei dadi che usi tu, per fare il dashi, un trita-tutto per triturare le carote e macinare il sansho (nota 3), delle scodelle, un tagliere, un coltello, piatti e…basta penso.

 

-          Mm…pensavo avessi imparato dove sono riposte le stoviglie visto che l’altra volta mi hai preparato la colazione.

 

-          Beh… - arrossisce… - oggi è diverso.

 

 

 

 

 

Perché non sei da solo in cucina Sakuragi?

O perché il cucinare per me, per noi, ora ha un significato diverso?

 

 

 

 

 

 

Ripensando a quella colazione così semplice ma allo stesso tempo così piacevole, comprendo che avrei già dovuto comprendere l’interesse di Sakuragi per la cucina. Un ragazzo di 17 anni…e per di più un teppista come lui, normalmente non è avvezzo a tali attività.

 

 

 

 

 

Senza aggiungere altro al suo evidente imbarazzo, tiro fuori dalle varie credenze ciò che gli serve.

In pochi secondi la tavola è un tripudio di colori e vasellami vari.

 

-          Che bei piatti. Sono di un’ottima fattura – lo vedo passare delicatamente le dita sopra la porcellana colorata.

 

-          Come? – il mio tono esprime la perplessità e il mio stupore. Ma da dove esce questo ragazzo?

 

-          Sono dei bei piatti. I tuoi genitori devono amare molto la cucina…non è vero?

 

 

 

 

 

Mia madre amava cucinare. Spendeva yen su yen per comprare le stoviglie e le pentole e tutti gli accessori più utili e ricercati. Ore e ore in cucina…

 

 

 

 

 

 

 

-          Sì. Molto.

 

 

 

 

 

 

 

Scende per un attimo il silenzio. Sakuragi avverte la mia tensione e la mia reticenza a parlare dei miei genitori. Ma in fondo anche lui non mi ha svelato molto riguardo il suo passato.

 

 

Sorride scuotendo la testa, allontanando pensieri a me preclusi.

 

 

 

 

 

 

 

-          Ok...aiutami a tagliare le carote e il sansho. Io nel frattempo preparo il brodo.

 

-          Mh. Questa sarà la prima e unica volta che eseguo delle tue direttive do’hao.

 

-          Invece vedi di abituarti…- e sorride rilassato mentre si pone davanti ai fornelli.

 

 

 

 

 

 

 

In pochi minuti la cucina torna ad essere quella di un tempo.

 

 

 

 

Odori conosciuti e invitanti si intrecciano al rumore ritmico del coltello che incide le verdure e la carne sul tagliere;

i colori delle cibarie all’interno della pentola si mescolano in nuvolette soffici di vapore sopra il coperchio;

il ribollire della minestra profuma la camera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Accendiamo la radio e senza parlare, senza aggiungere parole stupide e scontate, ci lasciamo trasportare dalle note di canzoni melodiche e dall’atmosfera calda e familiare che si è creata fra di noi.

 

Micky ci osserva.

 

 

 

 

 

E io per la prima volta, mi sento tranquillo con me stesso. E penso che in queste ore io sto davvero scacciando il Vuoto con lui al mio fianco.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Era davvero buono.

 

Depongo le bacchette sul tavolo, guardando con un sorriso accennato Sakuragi.

Lui sorride apertamente, osservandomi trionfante.

 

-          Cosa ti avevo detto? Il Tensai è un grande cuoco! – e si scimmiotta sarcastico, rendendo ridicolo il suo normale modo di parlare con gli altri.

 

-          Già…chi ti ha insegnato?

 

Vedo il suo viso rabbuiarsi. Per un attimo sembra che stia per dire qualcosa ma poi si blocca. Scuote la testa leggermente.

 

-          Mio padre.

 

Non accenna altro.

 

 

 

 

Suo padre…allora possedeva una famiglia. Forse è diventato orfano dopo la sua morte.

 

 

 

 

Vorrei chiedere altro, ma la sua espressione malinconica mi desiste dal farlo.

 

I ricordi e le ferite verranno da sé. Sia le mie…sia le sue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di comune accordo ci alziamo e incominciamo a riordinare la cucina. In pochi minuti. In silenzio.

 

Dopo ci dirigiamo in salone. Guardo di sfuggita l’orologio appeso alla parete…le 10 di sera.

 

-          Sakuragi non abiti lontano da qui?

 

-          Perché? – si gira verso di me, sedendosi con un tonfo sul divano.

 

-          È tardi. Non ci sono treni dopo le 10 e mezza…in inverno.

 

Sbuffa, per poi sorridere sarcastico.

 

-          Vuol dire che tornerò con i miei piedini… - e imita con le dita il gesto del camminare.

 

-          Do’hao. Hai la possibilità di tornartene a casa seduto su un sedile! – perché fa l’idiota?

 

-          Non m’importa. Ci sono abituato.

 

E per chiudere la discussione accende la tv.

 

-          Prego…fai come se fossi a casa tua…

 

-          Grazie – e sorride al mio evidente sarcasmo…

 

-          Insopportabile.

 

-          Cambia disco Kitsune.

 

Battibecchiamo per qualche altro minuto. Ma a poco a poco la stanchezza incomincia a farsi sentire e rimaniamo in silenzio, rilassandoci contro i cuscini.

 

 

 

Sento la testa divenire pesante.

 

Gli occhi socchiudersi, a fatica rimanere aperti.

 

Il corpo divenire molle, cedevole.

 

 

Scivolo nel sonno lentamente, cullato dal suono basso della televisione e dal respiro regolare di Sakuragi vicino a me…già addormentato.

 

 

 

 

Dovrei spegnere la televisione. Svegliare Sakuragi. Ma non ho voglia di alzarmi. In fondo non succede nulla se dormiamo poche ore…

 

È l’ultimo pensiero prima di sentire Micky accoccolarsi vicino ai miei piedi.

 

Sorrido…e mi addormento.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sento un peso all’improvviso sopra il mio stomaco. Apro di scatto gli occhi, raddrizzandomi sullo schienale del divano. La stanza è al buio. Dalla finestra filtra debolmente la luce giallastra di un lampione. In pochi secondi i miei occhi si abituano all’oscurità, fissandosi sulla pallottola di pelo che con molta “grazia” è saltata sul mio stomaco. Stupido gatto!

 

Micky mi osserva con sguardo innocente, fuseggiando…la sua bella coda nera si muove lenta nell’aria. I suoi occhi chiari diventano argentati nell’oscurità…la mia piccola belva.

 

Prendendolo per le zampine anteriori mi porto il suo musetto all’altezza del viso.

Sussurrando gli dico che è il gatto più stronzo che ci possa essere a Kanagawa. Miagola debolmente per poi graffiarmi di scatto il naso…con un balzo si libera dalla mia presa e camminando sinuosamente si allontana dal divano.

 

 

 

Odioso…ha ragione Sakuragi.

 

 

 

 

Mi giro verso di lui e mi accorgo con stupore che l’altra parte del divano è vuota. Ed io che pensavo dormisse. Che se ne sia andato? Porto una mano sopra la parte in cui era semidisteso…la pelle del divano è tiepida.

 

Mi alzo scansando Micky. Non ho bisogno di accendere la luce, conosco a memoria la posizione dei mobili. Mi dirigo in cucina e con la poca luce che filtra dalla finestra guardo l’orologio appeso alla parete…le 2 di notte.

 

Forse se n’è andato. In fondo è molto tardi. E domani si va a scuola. Ma dando un’occhiata alle varie camere mi accorgo che non ha lasciato un biglietto o una qualsiasi cosa che mi potesse indicare che se ne sia andato. E visto il comportamento precedente del do’hao mi sembrerebbe una mancanza da parte sua molto evidente.

 

Mi dirigo alla porta di ingresso e accendendo la luce del corridoio noto le sue scarpe e il suo cappotto.

 

Allora…è ancora qui. Deve essere di sopra.

 

Con una strana inquietudine incomincio a salire le scale che portano al piano superiore. Perché ho questa strana agitazione in corpo?…sento l’aria calda appiccicarsi al corpo. E la mia mano scorre velocemente sul corrimano.

 

 

 

Sto per dirigermi verso le camere da letto, ma mi blocco, osservando la luce del bagno filtrare da sotto la porta lungo il corridoio.

 

Sento l’agitazione aumentare. Dall’interno non sento provenire nessun rumore.

 

 

 

Perché mi sto agitando così tanto? Cosa c’è di male a chiudersi in bagno?

 

 

 

 

Eppure non mi calmo. Da quanto tempo Sakuragi è chiuso lì dentro? Non si starà…

 

Eppure la frase di questo pomeriggio…

 

 

 

“ - Di notte…

 

 

 

 

Mi avvicino lentamente alla porta. Sono indeciso…forse mi sto sbagliando. Forse sono solo paranoico….

 

 

 

 

Paranoico un cazzo Kaede. Sakuragi si taglia…non fare finta che tutto vada bene.

 

 

 

 

 

-         Sakuragi…

 

 

 

 

 

 

 

La mia voce calma e non troppo alta s’infrange contro il legno della porta. Da dentro sento provenire solo un mugolio.

 

-          Sakuragi va tutto bene? – ma che domanda del cazzo.

 

Sento una risata dall’altra parte. E mi sentirei rassicurato se fosse una risata…normale. Gaia.

 

 

Invece è intrisa di sarcasmo. E soffocata…come dal dolore.

 

 

 

 

Allora lo sta davvero facendo…

 

 

 

 

 

Sento l’ansia e l’agitazione amalgamarsi con l’irritazione. E la rabbia…una rabbia che serpeggia lungo il mio corpo che mi ottenebra la mente…unirsi a un sentimento che non posso non identificare con la disperazione.

 

 

 

 

 

Lui è a pochi metri…e si sta ferendo.

 

 

 

 

 

 

Perché? MALEDIZIONE PERCHE’?

 

 

 

 

 

-          APRI QUESTA CAZZO DI PORTA SAKURAGI! APRILA SUBITO!

 

 

 

 

 

 

E non riconosco la mia voce. Distorta nella mia gola, non abituata a gridare da anni. E anni. E lui in pochi giorni è riuscito a distorcermela in più momenti.

 

-          Vai via Kitsune. Fra un poco…esco.

 

Il suo tono è calmo. Eppure posso immaginare i suoi ansiti. Le sue braccia.

 

 

 

 

-          APRI LA PORTA DEFICIENTE! – e incomincio a tempestarla di pugni. E non mi rendo conto di cosa stia facendo. Sento solo rabbia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rabbia per una giornata che non meritava di concludersi in questo modo.

Rabbia per la sua debolezza.

Rabbia per me stesso che mi sono addormentato su quel divano e mi ero invece ripromesso di stargli accanto, di aiutarlo.

Rabbia per la mia ingenuità, per la mia stupidità che mi ha fatto pensare di aver risolto qualcosa in una giornata.

Rabbia…cieca.

Insensibile al legno duro.

E alle mie mani che picchiano con violenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          VUOI SPACCARE LA PORTA? EH? MA COSA CAZZO STAI FACENDO? SMETTILA! TI HO DETTO CHE STO USCENDO!

 

-         ORA! ESCI ORA!

 

 

 

 

E con uno scatto violento la porta si apre. E Sakuragi si staglia nitido sulla soglia. Il viso un po’ pallido. Senza la felpa. A petto nudo. Senza le garze alle braccia. Il sangue che scorre in piccole e lascive scie lungo le sue mani.

Rimango immobile. Bloccato. Il fiato in gola.

 

-          Sei contento ora? – e la sua voce dura e fredda si attorciglia nell’aria.

 

E mi giunge opaca. Come la prima volta che mi rivolse la stessa frase. La volta che lo scoprii.

 

 

 

Il mio sguardo non riesce a distogliersi dai tagli.

 

 

 

 

Lui si gira. Rientra nel bagno e incomincia a lavarsi le braccia nel lavandino. L’acqua si mischia al sangue in vortici caldi e rossi. L’odore metallico del sangue invade lentamente la stanza.

 

In silenzio. L’unico rumore è l’acqua che scorre sulle sue braccia e nella porcellana chiara del lavandino.

 

Ed io con le mani doloranti strette a pugni ripenso alla sua frase.

 

 

 

“Sei contento ora?”…

 

Sono contento ora? Sono contento ora??? SONO CONTENTO ORA???

 

 

 

 

 

Con uno scatto entro dentro il bagno afferrandogli la spalla nuda con violenza. Lo giro verso di me e con tutta la forza che mi rimane nel braccio gli mollo un pugno contro il viso.

 

 

 

E come a rallentatore vedo la carne della sua guancia cedere contro il mio pugno.

E i suoi occhi posarsi sopra il mio viso sorpresi.

E la sua testa girarsi per il contraccolpo.

 

 

 

E in pochi secondi sbatte contro lo specchio.

La superficie si rompe in migliaia di pezzetti lucenti.

 

Le lampadine sopra lo specchio si spaccano.

 

Ho il tempo di vedere il suo corpo accasciarsi contro le mattonelle della parete prima che cali il buio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si sentono solo i nostri respiri affannati. E mi sembra di essere in uno di quei sogni dove tutto è oscurità e tu, nonostante ti sforzi, non riesci a vedere nulla. E il sentimento di angoscia è dentro le tue vene.

 

 

 

 

 

E ti da alla testa.

 

 

 

 

 

 

Mi porto la mano al petto, cercando di non pensare al dolore che mi serpeggia lungo tutto il braccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-         Vaffanculo Kaede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E la sua voce squarcia l’oscurità e il silenzio.

 

E lo sento il suo sorriso rassegnato sulle sue labbra. Lo immagino. E il suo respiro affannoso incomincia a calmarsi…e diventa solo un respirare grave.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-         Vaffanculo tu…Hanamichi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sorrido nell’oscurità. Il suo nome. Per la prima volta il suo nome sulle mie labbra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro silenzio. Poi un suo sussurro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Scusami per averti deluso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E il mio sorriso si trasforma in una piega amara sul viso.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Rukawa Kaede…interrogato. Venga.

 

 

Il brusio accompagna il mio lento avvicinarmi alla cattedra.

Il professore mi osserva…uno sguardo scettico. Effettivamente non ho studiato nulla di Letteratura giapponese…e per di più stanotte ho dormito davvero poco.

 

 

 

 

-          Sakuragi. Alzati da lì…è meglio medicarci…soprattutto i tuoi tagli.

 

Sento uno spostamento…e poi il suo calore vicino a me. Siamo di fronte.

Ma l’oscurità non ci permette di osservarci davvero.

I nostri sguardi ciechi si rincorrono inutilmente.

E a un tratto sento un peso sulla mia spalla.

Rimango immobile.

La sua testa.

La sua fronte poggia contro la mia spalla.

E l’aria separa i nostri corpi.

Provo calore. Serpeggiare nelle ossa nelle vene nella pelle.

 

Che cosa mi fai Sakuragi? Perché mi fai provare sensazioni così violente?

La rabbia…e ora...

Questo.

 

-         Io non ce la faccio più.

 

 

 

 

-          Rukawa legga il passo che c’era per casa e me lo commenti. Dopo vedremo…

 

Il passo che c’era per casa? Sì certo…non ho nemmeno il libro. Sento tirarmi la manica e una mia compagna di classe mi porge sorridendo il libro di testo. In questi momenti mi ritengo fortunato per la mia bellezza…

 

Scorro gli occhi velocemente sul passo notando che la ragazza (di cui non ricordo il nome) mi ha anche segnato il punto da cui dovrei incominciare a leggere…oltre naturalmente al suo numero di cellulare a fondo pagina…

 

Sempre le stesse…

 

E’ un passo del “Genji Monogatari” di Murasaki Shikibu (nota 4). Cerco di riportare alla mente qualche nozione studiata in passato…ma la mente è sgombra da qualsiasi tipo di pensiero coerente. Ho solo sonno.

 

-          Se non le dispiace stiamo aspettando solo lei Rukawa…

 

Che stronzo….

 

Incomincio a leggere lentamente…

 

-          “Non mi lamento di un destino che condivido con i fiori, con gli insetti, con gli astri. In un universo dove tutto passa come un sogno, non ci perdoneremmo di durare sempre. Non mi addolora che le cose, gli esseri e i cuori siano perituri, dal momento che una parte della loro bellezza è fatta di questa sciagura. Ciò che mi affligge è che siano unici……Saranno in fiore altre donne, sorridenti come quelle che ho amato, ma il loro sorriso sarà diverso….”

 

 

 

 

Le sue parole risuonano nelle mia mente.

Sento il suo respiro grave sul collo, sul mio orecchio.

Mi stai chiedendo aiuto…ora…davvero.

 

-          Non ti abbandono.

 

E con un movimento impacciato, passo le braccia intorno al suo torace.

Esitando lo stringo verso di me. Contro di me.

Le mani si posano lentamente sulla sua schiena.

Timorose di provare calore sotto i loro palmi.

Pelle nuda. Tiepida. Setosa.

Sakuragi rimane immobile. Sento solo il suo respiro bloccarsi…forse per la sorpresa.

E in questo momento penso…

 

Kaede…lo stai abbracciando.

 

E mi sento così fuori luogo. Inesperto.

Da anni…non abbracciavo.

E ora ho il corpo di un altro ragazzo contro di me.

Di Sakuragi.

E a un tratto…sento le sua mani risalire lungo la mia schiena.

Brividi.

Si posano leggere sulle mie spalle…poi prendono sicurezza.

Si stringono contro il mio maglione.

Lui…si stringe contro di me.

 

 

 

 

-          “Altri cuori si spezzeranno sotto il peso di un amore insopportabile, ma le loro lacrime non saranno le nostre lacrime. Mani umide di desiderio continueranno a intrecciarsi sotto i mandorli in fiore, ma la stessa pioggia di petali non si sfoglia mai due volte sulla felicità umana”.

 

-          Bene fermati qui. Commenta.

 

Guardo il professore. E poi il libro. Ripenso alle parole di questa cortigiana del XII secolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“…ma la stessa pioggia di petali non si sfoglia mai due volte sulla felicità umana”

 

 

 

 

 

 

 

Sakuragi.

 

È sua l’immagine nella mia mente.

 

 

 

La felicità umana…e dei petali di mandorlo.

 

 

 

 

 

 

 

La mente confusa.

 

I ricordi della notte scorsa.

 

 

 

Il calore del suo corpo contro il mio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La felicità umana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Non sono preparato professore.

 

E senza dire altro lascio il libro sopra la cattedra. Mi dirigo verso la porta sentendomi gli occhi sconvolti dei miei compagni seguirmi. I loro sussurri.

 

Voglio uscire di qui.

 

La terrazza.

 

La porta si chiude lentamente dietro di me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-        Aiutami…Kaede aiutami.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

Nota 1: E’ una minestra con pollo, miso e verdure. Se volete leggere un esempio della ricetta potete vederlo presso questo sito: http://www.cookaround.com/cucina/japan/confro-1.php?ID=820

Nota 2: Il dashi è il brodo di pesce, che è una componente base nella cucina giapponese.

Nota 3: Il sansho è una pianta utilizzata per accompagnare le minestre e le zuppe.

Nota 4: Il “Genji monogatari” di Murasaki Shikibu è edito in Italia dalla casa editrice Einaudi…è uno dei libri appartenenti alla letteratura classica giapponese…un’opera magnifica. Ne consiglio la lettura a chiunque si voglia cimentare, nonostante la mole.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Mi richiudo la porta in metallo dietro di me

AIUTAMI

°7°

 

 

*Ciauzzzzzzzzzzz …dopo – di nuovo - una pausa millenaria (e meno male che mi avevate scritto di non metterci troppo a postare il capitolo…hem… ^^;;;) rieccomi qui!*

*Con questo capitolo penso di aver fatto un piccolo passo in avanti…non penso mancherà molto alla fine…(anche se con i miei tempii…non si sa mai…^^;;*

“Sempre un enorme “GRAZIE” a tutte le/i ragazze/i (Cla21, Brinarap, Cristie, releuse83, Yumi, hinao85, airis, Key_Saiyu e Seika) che hanno commentato o che hanno solo letto l’ultimo capitolo….GRAZIE (_ _) !!!*

*Un baciotto enorme…e buona (si spera) letturaaaaaaa….*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Mi richiudo la porta di metallo dietro di me. Il clangore leggero si perde nell’aria.

 

 

Il sole è tiepido. Fa freddo. Avrei dovuto prendere una giacca…un qualcosa con cui coprirmi. Ripenso a ciò che ho fatto in classe. Il professore potrebbe anche farmi sospendere. Ma in fondo m’importa davvero?

 

No…non m’importa.

 

Mi stringo nella giacca della divisa…poi mi accosto contro il muretto, lasciandomi scivolare lentamente verso terra. Il pavimento è tiepido. Anche il muro contro cui poggia la mia schiena.

Il sole colpisce direttamente il mio viso…chiudo gli occhi. Sento il lieve calore sulle palpebre.

 

 

Il cielo è azzurro. Quell’azzurro così intenso che vi può essere solo in inverno. Qualche nuvola soffice si perde all’orizzonte.

 

 

 

Rimango immobile…il suo urlo silenzioso, quell’ “Aiutami” in cui non avrei mai sperato.

Sakuragi.

 

-          Shhh…non c’è bisogno di dire altro. Non ti abbandono…te l’ho detto…

 

Lo sento stringersi con forza contro di me. Il suo calore

La sua pelle nuda contro i palmi delle mie mani.

Il suo respiro caldo contro il mio collo.

Il suo profumo…di uomo.

 

Con delicatezza mi stacco dal suo corpo, facendo scorrere le mani lungo le braccia.

Penso ai tagli…mi avranno sporcato il maglioncino.

Mi scosto dal suo calore, sfilandomi l’indumento.

Per una frazione di secondo le nostre pelli nude si sfiorano…lo sento trattenere il respiro.

E anch’io mi stupisco nell’aver sussultato.

Eppure ci siamo già toccati…picchiati in molte circostanze.

 

Sarà il silenzio scuro che ci circonda.

Sembra tutto rimbombare fra le mura.

I nostri respiri attutiti.

Il battito dei nostri cuori.

 

Non so dare un nome a tutto questo.

Non so ancora darlo.

 

 

 

 

 

 

 

“La felicità…”

 

 

 

 

 

Sospiro lentamente…

Ho pensato a questa parola mentre leggevo quel brano. La felicità

 

Non so dare un significato a questo termine. Sarà che da anni mi scivola accanto, beffarda.

Forse l’unico momento in cui mi posso definire felice è quando gioco a basket.

 

Se potessi far comprendere…al mondo…che cosa significhi per me giocareadrenalina pura.

 

Che scorre nelle mie braccia,

 

nelle mie gambe,

 

nella mia mente…

nel mio sangue.

 

 

 

 

È come vivere, respirare dopo anni immutabili di apnea. È voler gridare al mondo a squarciagola, lacerandoti le corde vocali…la gola.

 

 

 

 

Si questa è per me felicità. Tenere una palla arancione, ruvida sotto i miei palmi, pesante sotto le mie mani. Farla rimbalzare sulla terra e bearmi del suono che produce. Ritmico. Scardinato se voglio.

 

 

La palla va dove voglio io.

 

 

 

 

 

Io sono la palla. Io sono adrenalina mentre corro.

 

Io sono orgasmo. Quando scivola dentro la rete metallica. Quando il sudore scorre sulla mia pelle.

 

 

 

 

Questo è basket. Questa è felicità.

 

Forse…

 

 

 

 

 

 

 

Mentre…Sakuragi cosa è per me…?

 

Ieri gli ho medicato i tagli. Tremava sotto le mia mani…con della garza pulita gli ho fasciato le braccia. E dentro di me pensavo “Mai più…non permetterglielo mai più…”.

E Sakuragi mi osservava. Sentivo il suo respiro caldo vicino ai miei capelli.

Quando ho finito, ho rialzato lo sguardo, posandolo sul suo viso vicino al mio. I suoi occhi erano lucidi. Liquidi. È arrossito, sorridendo tristemente…e mi ha sussurrato candidamente che erano anni che nessuno lo curava.

 

 

Dopo è tornato a casa sua. Non è voluto rimanere, nonostante le mie proteste.

 

 

È tutto così strano…e ho ancora paura che si faccia di nuovo male volontariamente.

 

 

 

Sento provenire dal cortile gli schiamazzi di una classe…deve essere l’ora di educazione fisica.

È strano quando si osserva “da spettatore esterno” la scuola. È come essere sospesi in un’altra dimensione, dove il tempo e i rumori sono attutiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad un tratto sento la porta di metallo aprirsi.

 

Alzo lo sguardo e due occhi scuri incrociano i miei. Mito.

 

 

 

L’amico di Sakuragi.

 

 

 

Per pochi secondi rimane immobile sulla soglia, osservandomi. Il suo sguardo è indecifrabile. Sembra studiarmi. Poi si richiude la porta dietro di sé, avvicinandosi lentamente verso la ringhiera che da sul cortile. Le mani in tasca.

 

Il suo sguardo sembra disperdersi nel vuoto. Dopo come risvegliandosi da un qualche pensiero, estrae dalla tasca della divisa un pacchetto di sigarette. Lo picchietta contro i pantaloni della divisa, estraendone una. L’accende, inalando una boccata.

 

Il fumo lentamente fuoriesce dalle narici e dalla bocca semichiusa in leggere volute nell’aria.

 

 

 

Gira la testa, dando la schiena al vuoto, poggiando i gomiti contro la ringhiera. Osservandomi di nuovo. Con un sorriso sarcastico sulle sue labbra.

 

 

Che cosa cazzo vuole…non mi ha mai guardato in questo modo. E mi da fastidio. Molto.

 

 

 

Un’altra boccata.

 

Lenta.

È calma irreale.

Scivola su di noi, mi circonda.

 

 

 

 

 

 

Il nostro contatto visivo dura ancora per pochi secondi…a un tratto sentiamo il suono della campanella.

 

Le lezioni sono finite. Lo schiamazzo dal cortile sotto di noi aumenta. I ragazzi si disperdono, urlando, in confusi colori.

 

 

 

 

Devo andare in palestra ad allenarmi.

 

 

 

 

 

Mi alzo…mi dirigo verso la porta, sentendo sempre gli occhi di Mito addosso. Ma vaffanculo

 

 

Faccio per aprire la porta metallica quando ad un tratto si apre di scatto.

 

Sorpreso osservo stagliarsi sulla soglia gli altri amici di Sakuragi. Non so il loro nome.

 

Rimangono immobili sulla soglia, sorridendomi. Li vedo guardare oltre le mie spalle, verso Mito.

 

 

 

Suppongo che non sia un caso il trovarci qui, tutti insieme….

 

 

 

 

Cosa cazzo vogliono? Non ho tempo da perdere…

 

Faccio per passare tra di loro ma il biondo dandomi una spallata mi fa arretrare. Gli lancio un’occhiata di fuoco.

 

Sento una risata…mi giro di scatto irritato vedendo Mito sorridere sarcastico.

 

-          Quanta fretta…Rukawa.

 

 

La porta di metallo viene richiusa.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-         Cosa cazzo hai fatto al viso?

 

Sakuragi mi afferra per le spalle osservandomi preoccupato gli ematomi che ho sulla faccia.

Mi sorprende la sua reazione…così emotiva. In fondo sono stato io prenderle.

 

 

 

 

 

-          Sono inciampato.

 

 

 

 

 

 

Non è ironia. Giuro. Ma vedo l’espressione di Sakuragi incupirsi.

 

 

 

-          Chi ti ha preso a pugni stupido? Dovresti andare in infermeria.

 

 

 

Sembra pensare a qualcosa…mentre osserva i vari ematomi sul mio viso.

Effettivamente sento un po’ di dolore. Il sopracciglio si deve essere rotto. E l’occhio si sta gonfiando. E anche il petto…lo stomaco mi bruciano.

 

Non ci sono andati molto leggeri.

 

Fanculo.

 

Gli spogliatoi sono ancora vuoti. Ma fra un poco arriveranno anche gli altri. Spero che Akagi non commenti troppo.

 

-          Lascia stare. Passeranno.

 

E per chiudere la discussione esco dagli spogliatoi, deciso ad allenarmi. Sento gli occhi di Hanamichi sulla mia schiena. Non mi giro.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Rukawa…ti vuole Anzai-san nel suo ufficio.

 

Smetto di palleggiare, girandomi verso Akagi. Mi sta fissando con fastidio. Hai paura che ci possa essere qualche ripercussione verso la squadra Akagi?

 

-          Proprio oggi dovevi fare a botte deficiente? – incrocia le braccia.

 

Sbuffo leggermente, buttando la palla da un lato. Prima di uscire dalla palestra lancio uno sguardo obliquo verso Hanamichi. I suoi occhi possiedono una lieve sfumatura di preoccupazione.

 

Non ti preoccupare stupido.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Entro dentro l’ufficio del mister. È seduto dietro la sua scrivania, legge il giornale. Busso allo stipite della porta per notificare la mia presenza.

 

-          Ah…Rukawa! Entra entra…oh oh oh….ti aspettavo.

 

Mi richiudo la porta alle spalle, rimanendo in piedi, davanti a lui.

 

-          Allora…Rukawa. Mi è stato riferito…che stamattina hai creato un po’ di scompiglio nelle tua classe…

 

Merda! Me ne ero completamente scordato. Il prof di letteratura…deve aver parlato con il preside. Stupido! Idiota! Sondo lo sguardo severo di Anzai-san…

 

-          Hai avuto una nota disciplinare che si ripercuoterà sulla tua media scolastica…inoltre il Preside mi ha ordinato di prendere un provvedimento anche riguardo il Club.

 

Sospira…lentamente. Poi mi sorride, facendo rilucere gli occhialetti che porta.

 

-          Rukawa…sei un ottimo elemento…non rovinarti con le tue stesse mani…

 

Mi sento a disagio…distolgo lo sguardo, posandolo sulle mie scarpe di ginnastica.

 

-          Insomma…per punizione dovrai rimanere per questo mese intero oltre l’orario di “chiusura”. Sarai tu a pulire la palestra ogni giorno e a provvedere che tutto sia in ordine. E inizi da oggi.

 

Maledizione...

 

M’inchino profondamente.

 

-          Mi scusi per i disagi arrecati al Club Anzai-san.

 

-          Spero che la prossima volta ci penserai due volte prima di comportarti in quel modo…e ricorda Rukawa, non voglio che ci siano ancora risse…intesi?

 

E’ vero…gli ematomi sul viso saranno diventati bluastri...la mia pelle è troppo chiara…

 

-          Sì Anzai-san – e m’inchino ancora più profondamente.

 

Se qualcuno mi vedesse ora…non riconoscerebbe in questo ragazzo piegato l’algida figura di Rukawa.

 

-          Bravo ragazzo…- ride leggermente, facendomi alzare il busto e il viso con sorpresa - in realtà ti avevo fatto chiamare anche per un altro motivo.

 

Prende da un cassetto della scrivania una busta arancione, porgendomela. Perplesso la prendo in mano, saggiandola.

 

-          L’anno scorso mi avevi detto che saresti voluto andare negli Stati Uniti per giocare….ricordi?

 

 

 

Il cuore senza preavviso incomincia a battere più forte.

 

 

 

 

-          Sì… - la mia voce esce in un soffio caldo dalle mie labbra.

 

-          Ti avevo detto che non eri ancora pronto…ma ora è passato un anno…e penso che, se tu sei ancora interessato, potremmo riparlarne.

 

 

 

Sgrano gli occhi, fissandoli sulla busta che tengo fra le mani.

 

 

 

-          Lì ci sono tutti i fascicoli inerenti al viaggio…e al tuo soggiorno per un anno in un college nel centro di New York. Frequenterai il terzo anno di liceo negli Stati Uniti…e ti diplomerai lì. Giocherai a basket…e potrai farti notare. Se tutto va bene potrai continuare gli studi e la tua carriera sportiva in negli USA.

 

Rimango in silenzio, sorpresoattonito.

 

-          Il liceo Shohoku possiede vari gemellaggi con scuole americane…quella che frequenteresti è una di quelle. Non dovresti avere problemi di nessun genere. I ragazzi che ti hanno preceduto negli ultimi anni, hanno sempre espresso un giudizio positivo sull’esperienza. Naturalmente Rukawa, dovrai migliorare la tua media scolastica per accedere a questa borsa di studio e soprattutto imparare l’inglese come se fosse la tua lingua madre. Dovrai superare il TOEFL con un ottimo punteggio.

 

-          Io…non so davvero cosa dire… - ed è vero. Mille pensieri in testa che si scontrano, si accavallano, s’intorcigliano…in un ingorgo impazzito dentro la mia mente.

 

-          Non ti preoccupare…hai tempo un mese per decidere…verso metà gennaio, se non prima, dovrai darmi la tua risposta. E’ ovvio che ci sarà una graduatoria, non sei l’unico studente che parteciperebbe per la domanda…ma io potrei mettere una buona parola a tuo riguardo e inoltre l’Istituto ha da sempre riconosciuto i tuoi ottimi potenziali. Naturalmente ci vuole il consenso dei tuoi genitori, in quanto sei ancora minorenne...nella busta troverai tutte le risposte che ti servono.

 

 

 

 

Gli Stati Uniti…era il mio sogno, la mia ancora di salvezza per non sprofondare, per non impazzire.

 

 

Gli Stati Uniti…finalmente.

 

 

 

 

 

Finalmente?

 

 

 

 

 

Perché mi sento emozionato…ma…non felice?

 

 

 

 

 

-          Grazie Anzai-san…devo ancora capacitarmi di ciò che mi ha detto – e non sarebbe da Kaede Rukawa ammettere una propria debolezza davanti ad un’altra persona.

 

 

Ma sono davvero confuso.

 

 

 

L’allenatore scoppia a ridere, in quel suo modo bonario e simpatico.

 

-          Non ti preoccupare…pensaci bene. Fra non molti giorni sarà Natale, avrai tutto il tempo per pensarci e per confrontarti con tuo padre…alla squadra per ora non dirò nulla, se vorrai potrai informarli tu.

 

-          Grazie Anzai-san..

 

 

-          Bene…vai ad allenarti Rukawa.

 

-          Sì. Grazie Anzai-san.

 

 

 

 

Dopo essere uscito, rimango con le spalle contro la porta. Sento la consistenza cartacea della busta nella mia mano. Dentro una semplice pezzo di carta è racchiuso il mio sogno. Il mio sogno.

 

 

 

 

Eppure…per un attimo penso a Sakuragi. Potrei davvero andarmene…e lasciarlo qui, da solo? Dopo avergli promesso che non l’avrei abbandonato…che l’avrei aiutato.

 

 

 

 

M’incammino lentamente verso la palestra. Mille pensieri dentro di me. Anzai ha anche accennato a mio padre. Mio padre.

 

Una valanga di sensazioni negative erompono all’improvviso dentro la mente. Ricordi tristi. Cattivi.

 

 

 

No…non voglio pensarci ora.

 

 

 

 

-          Hey Kitsune! Te la meritavi finalmente anche tu una bella sgridata dal nonnetto! AHAHAHAHA – Sakuragi ride sguaiato attirando tutti gli sguardi su di me. La busta l’avevo preventivamente nascosta sotto la canottiera leggera della divisa…

 

-          Mh. Niente.

 

Vedo con la coda dell’occhio Akagi tirare un sospiro di sollievo…vado negli spogliatoi per riporre la busta dentro la sacca. Non voglio che gli altri la vedano e mi pongano domande a cui, per ora, non voglio rispondere.

 

-          Che cos’è quella busta?

 

Appunto!

 

 

 

 

Mi giro con sguardo assassino verso Sakuragi. Mi ha seguito…

 

-          Nulla – chiudo la zip del borsone velocemente.

-          Tu non me la racconti Rukawa…

 

Sorride, dandomi le spalle e ritornando in palestra.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il sudore, la sporcizia si mischiano con l’acqua. Scorrono lungo la mia pelle, in volute calde e profumate. Gli ematomi bruciano…anche i tagli. Lo shampoo alla vaniglia scivola sul mio viso, s’insinua lungo le mie fossette, sulle pieghe delle labbra.

 

 

 

 

-          Vuoi venire a casa mia?

 

Spalanco di colpo gli occhi. Cazzo brucia!!!

 

Sotto lo scrosciare dell’acqua avverto la risata di Sakuragi. Ci siamo solo noi due nello spogliatoi. Come negli ultimi giorni.

 

 

Gli lancio uno sguardo seccato, mentre mi tiro indietro le ciocche nere dagli occhi arrossati.

 

-          Non lo sai che ci sono i momenti adatti per parlare idiota?

 

-          Ah scusami…la prossima volta ti chiederò il lascia-passare per poterti rivolgere la parola.

 

Mi sorride divertito. Ci fissiamo negli occhi. Per la prima volta…in questo momento…sono consapevole della mia nudità. E della sua.

 

 

 

 

Quante docce abbiamo fatto insieme? Senza nemmeno accorgercene…prima che ci avvicinassimo. Prima che imparassimo a conoscerci.

 

 

 

 

 

Sembra che sia passata un’eternità. E invece…poche settimane.

 

 

 

 

 

Eppure. Vedo il suo sguardo posarsi sul mio viso. Lo sento scendere lungo il mio corpo. I suoi occhi…che mi fanno impazzire.

 

Che mi leggono dentro.

 

Che mi scavano dentro.

Che mi studiano.

 

Dio…i suoi occhi.

 

Che mi fanno vergognare della mia nudità ora.

 

 

 

 

 

Sakuragi assume un’espressione seria. Esce dal getto della sua doccia, accanto alla mia. Vedo la sua pelle inturgidirsi per l’aria fresca, non più sottoposta all’acqua calda. Si avvicina a me.

 

Vedo la sua mano alzarsi, accostarsi al mio viso. Per un attimo penso che voglia accarezzarmi. Ma rimane sospesa nell’aria, a pochi millimetri dalla mia pelle lattea. Posso avvertire il calore bagnato e umido sprigionarsi dalle sue dita. Scendono dal mio viso lungo il mio torace, i miei fianchi…in una carezza inesistente, impalpabile sui miei lividi. Poi si richiudono in un pugno stretto.

 

Il suo sguardo sembra quasi triste. Perso dietro pensieri che non posso condividere.

 

 

 

 

-          Chi ti ha picchiato?

 

 

 

 

 

I suoi occhi si riposano sui miei. Miele. Nocciola. Cioccolato. Oro.

 

-          Te l’ho detto prima…sono inciampato. Nelle scale. Dormo troppo…lo dici anche tu no?

 

 

Mi giro di spalle con finta aria da indifferente. Chiudo la manopola della doccia. Mi sottraggo ai suo occhi. Maledetti. Si può mentire ad uno sguardo simile?

 

 

Avverto il suo corpo dietro il mio. Mi vengono in mente quelle battute stupide e triviali dette fra ragazzi, ridendo sguaiatamente, di non dare mai le spalle ad altro uomo sotto una doccia. Pensieri stupidi fino alla fine. Non ti smentisci mai.

 

 

 

 

 

 

Ad un tratto sento le sue labbra posarsi vicino ai miei capelli. Al mio orecchio destro.

 

-          Solo io posso picchiarti Kaede. Nessun altro deve permettersi di farlo. Nessun altro… – mi sussurra.

 

 

 

 

 

E veloce come si era avvicinato si allontana, chiudendo anche lui la manopola dell’acqua, uscendo dai box doccia.

 

Posso solo intravedere per pochi secondi le sue guance arrossate per…l’imbarazzo.

 

Devono essere identiche alle mie…ora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pochi minuti più tardi siamo entrambi fuori dalla palestra. Lievemente imbarazzati per ciò che è successo sotto la doccia. Nonostante non sia successo nulla di particolare…o forse sì.

 

 

 

 

 

 

-          Prima…non mi hai risposto. Vuoi venire a casa mia?

 

 

 

 

 

Sakuragi non mi guarda in viso. Sembra osservare interessato il lampione accanto a noi. O forse il suo fascio giallastro che illumina il selciato umido della strada.

 

-          Vai a lavorare più tardi? – mi sta invitando nella sua casa. Nella sua casa. Casa.

 

-          Sì…oggi ho il turno di notte. Vado alle 22… - mi lancia uno sguardo di sfuggita.

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

 

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

-          Io sono il meglio…do’hao.

 

 

Come ieri.

E lui capisce. E la tensione sembra calare lievemente.

 

 

 

- Io sono il meglio. Io sono il Tensai.

 

 

 

 

E osservando il suo sorriso ironico…penso che non scorderò mai quelle labbra piegarsi in quel modo. Non lo scorderò mai. Perché lui sorride.

 

E sorride a me.

 

A me. Kaede Rukawa. Quel ragazzo introverso. Quello che non parla molto. Quello con lo sguardo duro…che fa impazzire le ragazzine. Quello che ha dimenticato cosa sia il calore umano. Sì…proprio quello lì.

 

Quello che ha riscoperto cosa siano i sorrisi.

 

Sì.

 

Kaede Rukawa che ora sta sorridendo a un altro ragazzo.

 

Un ragazzo dai capelli rosso fuoco…caldi come le sue guance arrossate ora.

 

E devono sembrare proprio stupidi quei due ragazzi. A sorridersi…con le guance arrossate entrambi. Con il vento freddo di fine novembre che raggela le ossa.

 

 

 

Già…devo sembrare proprio stupido.

 

 

 

 

 

Eppure perché mi sento così maledettamente felice?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il vagone della metropolitana è stracolmo di gente. A quest’ora gli impiegati escono dagli uffici. I ragazzi finiscono le attività dei club o dei doposcuola. E poi nell’aria…c’è l’aspettativa per le vacanze. Per il Natale. Più passano i giorni…più si avverte. Si appiccica fastidiosamente ai vestiti. All’umore.

 

-          Non pensavo abitassi così lontano dalla scuola.

 

 

 

Sakuragi mi sorride rassegnato.

 

 

 

-          Il Comune offre le case più periferiche a quelli come noi.

 

 

E penso che dietro il suo tono triste ci sia rabbia. E penso a ieri notte quando è dovuto tornarsene a casa sua a quell’ora…a piedi. E a tutte le notti che torna dal lavoro. La mattina sarà distrutto…eppure a scuola…sembra sempre lo stesso casinista. E riesce a partecipare anche alle attività del club.

 

 

 

 

 

 

Siamo vicini, spalla contro spalla. Contro due schienali scomodi. Avverto il profumo dei suoi capelli appena lavati. Della sua pelle.

 

Non voglio dare un nome…non voglio ancora dare un nome…a ciò che si agita contro di me.

 

Quando poso gli occhi su di lui.

 

Quando penso a lui.

 

Quando lo sogno.

 

 

 

 

Vorrei riabbracciarlo. Vorrei che non soffrisse più.

 

 

 

Per un attimo penso al mio sogno racchiuso dentro quella busta marrone, dentro il mio borsone.

Come posso lasciarlo…come posso lasciarlo qui in Giappone?

 

 

 

 

Mi passo stancamente le dita sugli occhi, strofinandoli.

 

-          Ti bruciano ancora?

 

La voce lievemente preoccupata di Sakuragi mi riporta alla realtà.

-          No…tranquillo.

-          Non mi stavo preoccupando per te baka! – s’infervora, facendo girare infastidito qualche pendolare verso la nostra direzione.

-          Io non avevo detto nulla.

 

E la mia espressione mezza soddisfatta provoca una bella gomitata nel fianco da parte sua.

 

Cazzo…ha beccato il livido. Che dolore….

 

Ma non mostro nulla sul mio viso…lo so che Sakuragi si è preoccupato per gli ematomi che ho sul corpo…ma non voglio che si preoccupi ulteriormente. E soprattutto non voglio che ci siano ripercussioni su Mito e gli altri. Non meritavo il pestaggio…ma posso capirli.

 

 

 

 

Vogliono bene a Sakuragi.

 

 

 

 

-          Quando arriviamo a casa ti metto qualcosa sui lividi e sui tagli. E non voglio sentire storie.

 

Faccio per protestare…ma poi penso di lasciar perdere.

 

 

 

 

 

 

Il biondo e il grosso mi afferrano dalle braccia, immobilizzandomi.

Non faccio nulla per liberarmi.

Mito mi osserva. Attento. Comprende che non ho paura di loro. Comprende che forse sono addirittura indifferente alla situazione.

Conosce la mia forza.

 

-          Forse ti starai chiedendo il perché…

 

-          Penso di immaginarlo.

 

Mito sorride…butta per terra il mozzicone di sigaretta, lo schiaccia contro la scarpa.

Si avvicina a me.

 

-          Hanamichi si è allontanato da noi…improvvisamente…e penso che tu centri qualcosa.

 

 

 

-         Perché non lo chiedi invece a lui?

 

 

Mito storce la bocca…la sua espressione è stanca. E dentro i suoi occhi neri come la pece, intravedo dolore.

 

 

Lui vuole bene a Sakuragi.

 

 

Chissà…forse lo considera come un fratello.

Soffre per quest’allontanamento.

Probabilmente non lo comprende.

 

Quando si vuole bene a un’altra persona si diventa ciechi.

 

Se Mito…osservasse meglio…forse capirebbe che qualcosa non va con Sakuragi.

O forse l’ha già compreso.

Ma non può accettare di essere allontanato.

E cerca…cercano un capro espiatorio.

 

E va bene…eccomi.

 

Non mi difenderò molto Mito.

Dovete approfittarne.

Approfittatene oggi.

Perché domani ve le ridarò tutte.

 

 

.

 

***

 

 

 

 

Dopo un quarto d’ora finalmente usciamo dalla metro.

Ci accoglie un profumo di pioggia. Vicino Kanagawa deve star piovendo…e il vento trasporta l’umidità…e l’odore della terra bagnata.

 

-          E’ meglio se ci muoviamo…non vorrei rifarmi un‘altra doccia!

 

E incomincia a correre. Lo seguo pensando a quel giorno in cui suonò alla mia porta tutto grondante di pioggia. Quando iniziò tutto. Non mi ha ancora spiegato cosa successe quel giorno…cosa lo portò da me.

 

 

 

Ci sono ancora troppe cose non dette.

 

 

 

 

La strada, le case, i negozi illuminati, ci passano velocemente davanti agli occhi, in scie luminose, in confusi colori.

 

 

Dopo pochi minuti, accompagnati dal preannunciarsi di un tuono e da una lieve pioggerellina, arriviamo a destinazione. Lievemente ansanti ci ripariamo sotto il portone della palazzina di Sakuragi. E’ una casa popolare, di pochi piani…con la tintura scrostata.

 

Entriamo, salendo due piani di scale. La targhetta “Hanamichi Sakuragi” mi accoglie nella sua casa.

 

-          Mi dispiace…non è bella e accogliente come la tua…però è pur sempre la casa del grande Tensai – si giustifica imbarazzato, lasciando il suo cappotto in uno storto appendiabiti.

 

-          Non ti preoccupar…- mi blocco sorpreso.

 

Dalla stanza vicino (forse la cucina) incominciano a uscire dei gatti…tre…quattro…cinque gatti!!!

 

Rivolgo lo sguardo sorpreso verso Sakuragi.

 

-          Io pensavo odiassi i gatti…

 

-          Io odio il TUO gatto…è ben diverso…anzi…è il TUO gatto che odia me.

 

Sorridendo dolcemente incomincia ad accarezzarne uno.

 

Ammetto che non me lo aspettavo.

 

I mici (che devono avere pressappoco l’età di Micky) si avvicinano a lui, strusciandosi contro le sue gambe, contro i palmi delle sue mani. Fuseggiano. Miagolano felici.

 

-          Sono randagi. Li ho raccolti un giorno da uno scatolone. Erano stati abbandonati vicino a questo palazzo…erano tutti e cinque rannicchiati per il freddo…facevano così tanta tenerezza. Dovevi vederli…anche un pezzo di ghiaccio come te si sarebbe sciolto…

 

E ride affettuoso. Mi avvicino anche io, inginocchiandomi per terra. Ne accarezzo uno dal pelo rossiccio…striato…gli occhi chiari mi studiano, prima di rannicchiarsi contro il palmo della mia mano.

 

-          Sai… - Sakuragi abbassa il tono della voce, quasi sussurrando, perdendo il sorriso – a volte…quando mi sembrava di impazzire fra queste mura…io mi lasciavo coccolare da loro. Lo so…ti sembrerò un pazzo ma…erano loro a curarsi di me…erano loro che mi accarezzavano. Grazie a loro…avevo l’illusione per pochi secondi di non essere solodi poter essere importante per qualcuno. Io devo molto a questi gatti. E quando non ce la facevo…quando non ce la faccio…mi chiudo nel bagno. Non voglio mi vedano…non voglio che vedano la mia debolezza…l’odore del sangue li fa agitare troppo.

 

 

 

 

-          Anch’io voglio bene a Micky…anch’io gli devo molto.

 

 

 

 

 

Per un attimo rimaniamo in silenzio, cullati solo dal suono della pioggia che sbatte violentemente contro i vetri delle finestre e dai miagolii dei mici.

 

Poi Sakuragi si riscuote dal torpore in cui eravamo caduti. Si alza in piedi energicamente.

 

-          Vieni…gli do da mangiare e poi preparo qualcosa anche per noi due.

 

Mi alzo con il micio rosso in braccio. Entriamo nella stanza da cui erano usciti i gatti. È una stanza non molto grande…addossato alla parete opposta alla porta vi è un letto e un mobile con sopra alcuni libri di scuola.

Un tavolino che penso servi da scrivania, con sopra un quaderno e vicino una tazza nera. Una sedia di plastica colorata di giallo.

Al centro della stanza vi è un piccolo muretto che divide la “stanza da letto” dalla “cucina”. Infatti dall’altro lato vi è un piccolo cucinino, con varie credenze appese al muro.

 

Un balcone costeggia un lato della stanza…in estate deve essere piacevole trascorrere un po’ di tempo lì fuori…anche se è stretto.

 

 

 

Mi rendo conto che questa è la sua casa. Una stanza. Ordinata, pulita, accogliente…ma pur sempre una stanza singola.

 

 

 

 

Ammetto di essere imbarazzato…se penso alla mia casa…alla ricchezza che trasuda da ogni muro, da ogni oggetto…mi vergogno.

 

 

 

 

-          Non hai mai visto un televisore do’hao?

 

 

 

 

In questa casa non c’è nemmeno una televisione…forse era dovuto a questo, quel suo sguardo attento e fanciullesco quando era a casa mia.

 

 

 

 

Forse Sakuragi intuisce i miei pensieri perché sento la sua mano posarsi sulla mia spalla.

 

-          Non essere imbarazzato Rukawa. Non ti ho portato qui per metterti a disagio. Volevo…volevo solo farti vedere dove abito. Mostrarti…una parte di me…anche se non molto grande… - e sorride della sua allusione…

 

 

Abbozzo anche io un sorriso.

 

 

 

 

 

 

Mi siedo sulla sedia gialla osservandolo dare i croccantini ai gatti. Il micio rosso invece non mostra intenzioni di abbandonare le mie braccia.

 

-          E lui? Non ha fame…?

 

 

Sakuragi s volta verso di me. Sorride…

 

 

-          Sembra abbia trovato qualcosa di più piacevole del mangiare.

 

-          Delle braccia?

 

 

-          No…dell’affetto

 

 

 

-          Gli animali sanno davvero come ottenere l’affetto degli uomini eh?

 

 

 

 

 

-          Vuoi anche tu essere stretto fra le mie braccia? – la mia battuta innocente (?) scatena un violento gioco di rossori sul suo viso.

 

-          Baka Kitsune! Non prendermi in giro! – e paonazzo si gira verso la credenza, prendendo una pentola.

 

 

 

 

 

 

E se ti dicessi che non stavo scherzando Hanamichi?

 

 

 

 

 

-          Come si chiama questo gatto coccolone?

 

-          Do’hao.

 

E sorrido. E so che anche lui lo sta facendo, anche se mi da le spalle.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sakuragi ha preparato un bel brodo caldo…mi fa sedere sulla sedia gialla, consegnandomi le bacchette in legno per il ramen fumante. Mi accorgo che non c’è un’altra sedia.

 

-          E tu?

 

-          Non ti preoccupare…mi siedo sul letto.

 

-          No…mi metto io sopra il letto.

 

-          Chi è l’ospite fra noi due? Tu! Quindi zitto e mangia!

 

-          No!

 

 

-         Sì!

 

-         No!!!

 

E mi alzo con la ciotola in mano, andando a sedermi accanto a lui.

Mi guarda stupito…poi scuote la testa.

 

-          Sei testardo maledizione…

 

Sorrido portandomi il ramen alla bocca. Ottimo…Sakuragi sa cucinare benissimo.

 

-          Vedi di non far cadere il brodo sulle lenzuola! – e con le labbra imbronciate incomincia a mangiare anche lui.

 

 

 

 

 

 

Io…penso che non mi scorderò mai di questa giornata Hanamichi.

 

 

 

 

 

 

Potranno passare gli anni…potrò crescere…forse potrò non essere più accanto a te…ma non mi scorderò di noi due seduti su questo letto, con le schiene doloranti per la posizione scomoda, le ciotole ustionanti fra le mani, il ramen delizioso fra le labbra. I gatti poco lontani…la pioggia contro i vetri. Il silenzio intimo e complice fra noi due.

 

 

Non ti scorderò mai. Anche se dovessi andare via dal Giappone. Mai.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Grazie per la cena…era davvero buona.

 

-          Ma no…di nulla – imbarazzato si passa la mano dietro la testa…poi recupera la sua aria strafottente – alla fine non ti ho medicato!

 

 

-          Non ce ne era bisogno…domani saranno già passati – e liquido la discussione con un’alzata di spalle…poi lo sguardo mi cade sull’orologio da polso - Sono le 8.00…non sei in ritardo per il lavoro?

 

-          No tranquillo…il tempo di cambiarmi e vado.

 

 

-          Ok…ancora grazie.

 

-          E meno male che dicevi che non eri un tipo da ringraziamenti…

 

Gli lancio uno sguardo finto seccato per poi girarmi e andarmene.

Sto per scendere il primo gradino quando Sakuragi mi chiama.

 

 

 

Mi volto e lo vedo sulla soglia. Ha abbassato il viso. E sembra imbarazzato.

Mi avvicino e lui a un tratto estrae dalla tasca un fazzoletto con dentro qualcosa.

 

 

 

 

-          Tieni.

 

Me lo porge con la mano lievemente tremolante.

 

I nostri occhi s’incatenano.

 

-          Che cosa è? – lo soppeso. Non è pesante.

-          Aprilo.

 

La mie mani scartano due strati di stoffa.

 

 

 

 

 

 

 

Un taglierino laccato di azzurro. Con una piccola volpe stilizzata sul manico.

 

 

 

 

 

 

 

 

Alzo sorpreso il viso guardandolo.

 

Mi sorride imbarazzato.

 

 

 

 

 

-          E’ il mio preferito.

 

 

 

 

 

 

 

E non ci sono altre parole da aggiungere. Ho capito.

 

 

 

 

 

 

 

Ho capito Hanamichi.

 

 

 

 

 

Copro i pochi passi che ci separano e ti abbraccio con forza. E Dio…capisco che volevo farlo da stamattina. Stringerti contro di me. Sentirti attorno le mie braccia, il tuo petto contro il mio. Il tuo profumo…il tuo viso che si nasconde caldo e imbarazzato contro il mio collo. Le tue braccia strette al mio torace.

 

 

 

 

 

 

Lo puoi sentire il mio cuore Hanamichi? Cazzo lo senti come batte? Senti come ha ripreso a funzionare da quando ti ho conosciuto?

 

 

 

 

 

 

 

-          Grazie Hanamichi…e lo sussurro contro il tuo orecchio. E ti stringo…

 

-          Te lo prometto…non mi taglierò…cercherò di non farlo più. Quello che ti ho dato…è come un pegno…per la mia promessa…

 

 

Non voglio che ti fai male…non voglio.

 

 

 

-          Quando sarai triste… - mi stacco leggermente per poterlo guardare negli occhi… - vieni da me. A casa mia. A Micky farà piacere vederti. – e sorridiamo.

 

Ci stacchiamo e lui annuisce.

 

Lo guardo per un ultimo momento.

 

-          Ci vediamo domani…allora. A scuola…

 

-          Sì…….ciao…

 

 

-          Ciao…

 

E mi giro, infilandomi il taglierino nella tasca della tuta. Ignorando Hanamichi sulla soglia…e quelle lacrime che scorrono sulle sue guance.

 

 

 

 

 

 

 

Ma c’è davvero bisogno di dare un nome…a quello che sta…accadendo fra noi due?

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il silenzio della mia casa mi accoglie

AIUTAMI

°8°

 

 

*Perdono per l’attesa che impongo ogni volta…*

*Scrivere questa storia non è facile, devo “lottare” con la mia pigrizia, con i miei periodi di mancanza di ispirazione, con il mio voler rendere la trama originale e credibile…e non è facile…perdonatemi…*

*Spero di non deludere nessuno con questo capitolo…*

*Grazie come sempre a tutte le ragazze (Airis, Yumi, Hinao85, Cla21, Kiromi, Kate91, Cristie, Kirara90, Isots e Key_Saiyu), che hanno avuto il tempo di leggere la mia storia e di commentarla. Spero che le vostre aspettative non vengano distrutte…grazie davvero*

*Note a fondo pagina*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Il silenzio della mia casa mi accoglie…Micky starà dormendo…strano che non mi abbia sentito.

Salgo di sopra entrando nella mia camera. Lo trovo accoccolato sopra il mio cuscino.

 

Quante volte lo avrò sgridato che non voglio trovare i suoi peli sopra il letto quando dormo…mi avvicino, alzandolo per la collottola.

 

Incomincia a miagolare infastidito.

 

-          Micky…!

 

Ci guardiamo negli occhi…uffa...lo accarezzo. Non riesco ad essere arrabbiato con lui per più di cinque minuti.

 

Ripenso alle parole di Sakuragi. Anch’io ti devo molto stupido gatto.

 

Apro la sacca da dove estraggo la busta che mi ha dato Anzai-san. Non la voglio ancora aprire…la poggio sopra il comodino.

 

 

 

Domani ci penserò…

 

 

 

 

Mi stendo sopra il letto sospirando…Micky si accoccola contro il mio fianco, fuseggiando.

 

Il buio della stanza mi avvolge. Prendo il taglierino dalla tasca…me lo rigiro fra le dita. Lo apro…la lama tagliente riluce nell’oscurità.

 

 

Un senso di oppressione mi avvolge…pensare…pensare che questa lama feriva la sua pelle, la sua carne.

 

 

 

 

Cosa ti ho portato a questa disperazione?

 

Cosa ti ha portato a questo baratro senza fine, a quest’autolesionismo crudele?

 

 

 

 

 

Richiudo la lama…al buio si può intravedere la forma stilizzata della volpe incisa sopra. Passo il pollice sopra…avverto sotto il polpastrello il taglio della plastica.

 

 

 

La avrà inciso lui questa volpe?

 

 

 

-          Baka Kitsuneeeeeeeeee!!!

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Stamattina fa freddo. Alzo il viso verso il cielo plumbeo…forse nevicherà…c’è elettricità nell’aria. Mi stringo maggiormente la sciarpa di lana intorno al collo. Come si può andare a scuola a quest’ora del giorno? Mi copro uno sbadiglio con la mano gelida.

La bici è accanto a me…con questo freddo morirei pedalando.

 

 

 

 

Sono passati vari giorni da quando Sakuragi mi ha donato il suo taglierino. L’ho posto dentro il cassetto del comodino vicino al futon. Insieme alla busta…non l’ho ancora aperta.

 

Ci devo ancora pensare…perché non sono più certo di quali siano le mie priorità ora. E contattare mio padre…non mi entusiasma.

 

 

 

E quel sentimento sottile di oppressione s’insinua di nuovo dentro le mie ossa.

 

 

 

 

Alzando lo sguardo mi rendo conto di essere già arrivato a scuola. Faccio per varcare il cancello quando sento afferrarmi per un braccio.

Mi giro irritato e incontro gli occhi scuri di Mito. Ci guardiamo per pochi secondi in viso…mi lascia la manica del cappotto. La sua espressione è seria…e quasi a disagio.

 

-          Ti devo parlare.

 

Sorrido lievemente in modo sarcastico.

 

-          Grazie…ma non voglio “parlare” con te. Con voi…a proposito dove hai lasciato il tuo gruppo?

 

Faccio per rigirarmi ed entrare nel cortile dalla scuola ma Mito mi riafferra per il braccio.

 

 

 

 

Ora mi ha davvero irritato.

 

 

 

 

Mi giro di scatto mollandogli un destro contro la mascella. Lo vedo indietreggiare sul selciato.

Si tocca il labbro…il sangue incomincia a macchiare la pelle. Si deve essere rotto.

 

Mi guarda serio…

 

-          Stronzo…ti devo parlare di Hanamichi. Se t’interessa vieni alla pausa pranzo sopra la terrazza.

 

E mi supera, massaggiandosi la mascella. Lo sguardo corrucciato.

 

Lo osservo entrare dentro il portone della scuola. Che cosa vorrà ora da me?

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Spalanco la porta della terrazza. Fa davvero freddo. Per l’ennesima volta mi chiedo chi me l’ha fatto fare di venire qui.

 

Dopo qualche secondo sento dei passa provenire dalle scale. Un canglore della porta in metallo e lui è qui.

 

-          Mh…sei venuto.

 

-          Me lo avevi chiesto.

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

Lo vedo sospirare…poi infilandosi le mani dentro le tasche dei pantaloni si accosta contro il muro.

 

-          Senti…io non sono uno stronzo…mi dispiace per quello che è successo la settimana scorsa.

È che…

 

A disagio estrae dalla tasca il pacchetto di sigarette. Ne accende una…alcune volute di fumo si disperdono nell’aria, insieme al vapore del nostro respiro.

 

 

 

 

 

-          Non c’è bisogno che mi spieghi nulla.

 

 

 

 

 

Alza lo sguardo fissandomi.

 

 

 

Non sei una cattiva persona Mito. Questo lo so. Lo si comprende dalla voce di Sakuragi quando parla di te.

 

Ma penso non ci sia altro da aggiungere. Se volevi scusarti l’hai fatto. Mi giro per andarmene ma la sua voce mi blocca.

 

-          Tu sai…che Hanamichi è orfano?

 

-          Sì.

 

-          Io…- butta la cicca per terra… - ho conosciuto Hanamichi in seconda media. Era…devastato.

 

-          Mh…?

 

 

 

 

Inarco il sopracciglio perplesso.

 

 

 

 

-          Era…sempre furioso. Sembrava avere una rabbia in corpo inesauribile. Tutti nella scuola avevano paura di lui…lo evitavano. E più la gente lo evitava…più Hanamichi faceva di tutto per attirare l’attenzione. Una volta picchiò anche un professore.

 

 

 

 

Sakuragi…

 

 

 

 

-          Io mi tenevo alla larga da lui. A quei tempi ero già diventato uno scapestrato insieme agli altri ragazzi del Guntai…ma di lui avevo paura. Sembrava non avere limiti…anzi…sembrava che non li cercasse nemmeno. Poi però…

 

Mito sorride nostalgico. Gli deve volere davvero bene…

 

 

 

 

 

 

-          …un giorno fui coinvolto in una rissa con dei sempai di un liceo. I ragazzi del Guntai non erano con me…mi stavano massacrando…e arrivò lui. Non disse nulla…incominciò a scazzottarsi con quei ragazzi. In pochi minuti erano tutti per terra doloranti. Sembrava una belva. Quando riprese il controllo di sé…mi osservò. E candidamente mi chiese se ero un suo compagno di classe.

 

Scoppia a ridere.

 

-          Ti rendi conto? Aveva rischiato di essere picchiato a morte…per una persona che nemmeno conosceva. Per lui…l’importante era solo sfogarsi. Quel giorno compresi che la sua non era rabbia…ma tristezza. E disperazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

È per questo motivo che non mi parli mai del tuo passato?

 

Ti vergogni di te stesso?

 

 

 

 

 

 

 

-          Incominciai a conoscerlo meglio. Hanamichi era una persona…era un amico di cui ti potevi fidare. Smise di provocare risse (nel limite del dovuto naturalmente)…e sembrava essersi calmato. In realtà…sotto quella corazza di violenza…era un bambino. Io…l’ho sempre considerato come un fratello…per questo motivo….quando mi ha detto che voleva rimanere solo, che non voleva avere più a che fare con me e il Guntai…io mi sono sentito tradito.

 

 

 

 

-          Dovresti dirlo a Sakuragi tutto questo.

 

 

 

 

 

 

Mito abbassa la testa…triste.

 

-          Non posso…quel giorno….abbiamo litigato pesantemente…e ci siamo dette parole…

 

Scuote la testa come per scacciare dei pensieri malevoli.

 

 

 

 

 

 

-          Capisco…che cosa vuoi da me?

 

 

 

 

 

Alza di scatto il capo guardandomi serio.

 

-          Io… - estrae dalla tasca della divisa un’altra sigaretta…la accende - …stagli vicino. Io penso che…ho paura che… - aspira un po’ di fumo…socchiude gli occhi - …che si possa fare del male.

 

 

 

 

 

Allora te ne sei accorto anche tu, Mito…

 

 

 

 

 

 

 

-          Dopo…la morte del padre…lui…

 

 

 

 

La morte del padre?

 

 

 

 

 

-          E’ cambiato…e… - sospira. Sembra davvero combattuto – …io non so molto del suo passato. Non ne parlava con piacere…so solo che il padre è morto di infarto. Ma non mi ha mai raccontato nulla di quel giorno. Avvertivo in lui…un senso di colpa. Di voler espiare in qualche modo il dolore.

 

 

 

 

 

 

-          Già…chi ti ha insegnato?

 

-         Mio padre.

 

 

 

 

 

Quel giorno…in cucina. Mi accennò a suo padre…alla sua passione per cucinare.

 

 

 

 

 

 

 

-         A volte si allontanano le persone per non farle soffrire al proprio fianco.

 

 

 

 

 

 

 

Mito alza lo sguardo. Mi osserva.

 

 

 

 

 

 

-          Lui non si è fidato di me. Capisco solo questo.

E poi…perché tu?

 

Perché proprio tu?

 

 

Me lo sono chiesto in questi giorni…roso dalla gelosia, lo ammetto – e ride lievemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

La gelosia.

La avverto sempre intorno a me. Dai ragazzi. Dalle ragazze.

 

 

Ma io non ho mai chiesto di essere al centro dell’attenzione. Anzi.

 

 

 

 

 

-          Io non so perchési è avvicinato a te. Certo ha sempre parlato di te…e tu hai un qualcosa di magnetico che attira la gente…ma Hanamichi non ti si è avvicinato per questo motivo.

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

Suona la campanella.

 

 

 

 

Mito abbassa la testa.

 

 

 

 

 

 

-          Va bene……….chiudiamola qui. Ho parlato anche troppo….a lui non farebbe piacere…non dirgli che ti ho cercato- sospira…- stagli vicino. Io…forse gli parlerò. Grazie per essere venuto.

 

 

 

Annuisco, faccio per allontanarmi ma vedo che Mito non mi segue.

 

 

 

-          Non hai lezione ora?

 

 

Mi da le spalle. Vedo che prende un’altra sigaretta dalla tasca…

 

-          Sì… - volta il capo, vedo solo il suo profilo. Gli occhi lucidi… -…ne fumo un’altra e poi scendo.

 

 

 

 

 

E penso che sia meglio lasciarlo solo.

 

 

Gli occhi bagnati persi nel cielo grigio.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Devi fermarti anche oggi?

 

 

 

Sakuragi compare dietro le mie spalle.

 

 

 

 

-          Sì….la punizione dura per un mese…

 

-          Ah…- mi si avvicina ulteriormente, inginocchiandosi.

 

-          Deficiente…avevo appena passato la pezza bagnata sul parquet – Hanamichi porta lo sguardo sulle sue scarpe di ginnastica, arrossendo – sì…proprio dove stai ora.

 

-          Scusa… - e china leggermente la testa…un’espressione buffa sul viso. Un bambino.

 

-          Lascia stare…cos’altro ci si può aspettare da un do’hao? – e sorridendo leggermente continuo a passare la pezza sulla restante porzione di parquet.

 

-          Hey! Non offendere sai! – ma a dispetto delle sue parole lo vedo ritornare sul bordo campo, vicino all’entrata, cercando di ricalpestare le orme calcate in precedenza.

 

-          Vuoi una mano?

 

-          No…ho quasi finito.

 

 

 

 

Sei gentile Hanamichi…e non riesco a far coincidere questo tuo carattere…con ciò che mi ha detto Mito poche ore fa.

 

 

 

 

 

 

Sapevo che eri un teppista…ma in fondo nemmeno io mi posso considerare un “bravo ragazzo”. Eppure…non immaginavo che la violenza fosse una costante della tua vita in passato.

 

 

 

 

 

Non so se parlargli di Mito. Però…

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Questo pomeriggio Mito mi ha cercato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo vedo sussultare. Il suo sguardo diviene serio. I suoi occhi, concentrazione.

 

 

 

-          Perché? – e il tuo tono è gelido.

 

-          Voleva parlarmi di te.

 

 

 

Chiude gli occhi.

 

Porta la testa contro la parete della palestra che gli da le spalle.

Sembra combattuto.

 

Forse infastidito.

 

O forse dentro di sé è felice che Mito nonostante tutto si preoccupi ancora per lui.

 

 

 

 

 

 

 

-          Ti ha detto di mio padre vero? – riporta lo sguardo su di me. Cerca nel mio viso la risposta. Sorride leggermente… - non sa mai tenere la bocca chiusa quello… - ma nonostante il suo tono scherzoso lo vedo teso.

 

 

 

 

Hai paura del mio giudizio Hanamichi?

 

 

 

 

 

 

 

Riprendo a strofinare il parquet.

 

 

 

 

 

-          Mi ha detto che è morto – mi alzo, dandogli le spalle…- e che tu dopo quel giorno…sei cambiato.

 

 

 

 

 

Sakuragi non parla…avverto un muro di silenzio dietro di me.

 

 

 

 

 

 

 

- E’ da allora…che ti tagli? – butto nel secchio pieno d’acqua la pezza, girandomi. Osservandolo.

 

 

 

 

Ha chiuso gli occhi. Di nuovo.

 

 

 

 

 

-          … - abbassa la testa…- ma quello è stato solo l’apice. Ho trovato solo un altro modo di sfogare il mio dolore. Prima era rivolto verso gli altri…dopo ho compreso che non potevo meritarmi nemmeno quello.

 

-          Mia madre è morta quando avevo sette anni.

 

 

 

 

 

 

Alza di scatto il viso, guardandomi. Sorpreso.

 

Forse sono sorpreso anche io.

Ma un giorno avrei dovuto dirlo a qualcuno.

 

 

E forse c’era un altro modo per esternarlo.

 

Forse oggi non era il giorno adatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma se si vuole che una persona si fidi di noi…bisogna farlo per primo noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

Ed io in questo momento mi sto fidando di te. Sto affidando un dolore lacerante che mi porto da anni dentro le ossa dentro le mani.

 

 

 

 

E so che potrai accoglierlo.

 

 

 

 

Perché comprendi, forse meglio di me, cosa comporta la perdita di una persona cara.

 

 

 

 

 

 

 

-          Erano sue tutte quelle pentole…- e sorride lievemente al ricordo di quella serata passata a casa mia a cucinare - …mi dispiace Kaede.

 

 

 

 

 

-          Sono passati molti anni ormai – e incomincio a raccogliere i palloni sparsi per la palestra…devo riporli dentro la cesta metallica e poi finalmente ho finito…ignoro gli occhi di Sakuragi puntati sulla mia schiena.

 

 

 

 

 

 

-          Ora capisco perché la tua casa trasuda solitudine…e malinconia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi blocco…tre palloni stretti al mio petto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Sono gli stessi sentimenti che si possono avvertire standoti accanto…e non capisco come nessuno se ne accorga Kaede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sospiro. Chiudo la cesta.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Nessuno evidentemente se ne preoccupa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa è cambiato definitivamente fra di noi.

 

In questo momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inclina la testa, sorride.

 

-          Se hai un po’ di pazienza…ti vorrei raccontare della mia stupida vita fino ad ora.

 

-          Potrei anche sprecare un po’ di tempo…per te.

 

 

 

 

 

Sorrisi. La fiducia che finalmente si libera incontrastata fra di noi…

 

 

 

 

 

Niente più segreti Hanamichi.

Niente più bugie.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Le strade dei negozi illuminano ad intermittenza i nostri visi. Camminiamo lentamente, le mani infreddolite infilate nei pesanti cappotti. Il borsone a tracolla.

 

Forse dovremmo fermarci da qualche parte per parlare con calma. Ma non ne abbiamo voglia.

 

Camminando le parole scompariranno lungo la strada.

 

 

 

 

 

 

E il peso del loro significato potrà essere smentito dalla leggerezza con cui aleggeranno nel cielo scuro.

 

 

 

 

 

 

 

Passiamo vicino a una grande magazzino. Dalle porte scorrevoli che si aprono e chiudono ininterrottamente sentiamo provenire una musichetta natalizia.

 

 

 

 

 

 

 

-          Sai…sai Kaedeio non so cosa è la morte.

 

Riporto lo sguardo su Sakuragi. Ha lo sguardo perso nel vuoto.

 

 

-          So solo che quando è morto mio padre…avrei voluto stringerlo fra le mie braccia. E chiedergli di non lasciarmi. Perché io ero ancora un ragazzo, un bambino…gli avrei voluto dire che avevo ancora bisogno di lui. Che avremmo dovuto avere ancora tanti momenti felici insieme…dovevamo festeggiare il mio diploma…la mia prima ragazza...e vederci crescere e invecchiare insieme. Dovevamo ancora conoscerci davvero. Questa è la verità.

 

S’interrompe sospirando…

 

Un bambino ci corre accanto…seguito subito dopo da una madre tutta scarmigliata.

 

 

 

 

 

-          Forse……….forse la morte è mancanza…e quando mi sono reso conto che non avrei più potuto parlare a mio padre, che non avrei più potuto ricevere una sua carezza o anche uno schiaffo…quando mi sono reso conto che tutto era finito…io volevo solo morire.

 

Scomparire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si blocca sul marciapiede. Vedo le sue mani serrarsi con forza dentro le tasche del cappotto. I suoi occhi sono diventati lucidi.

 

 

 

Non voglio che stia male.

Gli poso una mano sopra il braccio, cercando i suoi occhi.

 

 

 

Ci sono io accanto a te Hanamichi. Vorrei che potessi leggere questo nel mio sguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Kaede fa così male…così male…è un dolore che ti attanaglia il petto e soffoca…e ci sono dei momenti in cui mi sembra di poter davvero morire. Ma…

 

Chiude gli occhi. Le palpebre si serrano.

 

-          Ma…forse merito tutto questo dolore. Io…il giorno in cui è morto…non ero accanto a lui. È morto da solo…su un pavimento freddo. Impolverato. Da solo…- si porta le mani sugli occhi…- io non ero con lui Kaede. Non ero con lui…lui mi ha donato l’affetto di una famiglia…e io l’ho ripagato in questo modo. Non ero mai in casa. Gli rispondevo male. Eppure lui mi sorrideva sempre. E nei suoi occhi leggevo comprensione per la mia rabbia, per il mio dolore di vivere. E questo mi faceva ancora più arrabbiare.

 

E su di lui vomitavo tutto lo schifo che provavo verso me stesso.

 

 

 

 

 

Hanamichi…

 

 

 

 

 

 

 

-          E quel giorno…mentre lui moriva…io ero in giro a fare botte con dei ragazzi più grandi. Non ero con luinon ero con luisono solo un assassino…- e le sue parole si perdono in un sussurro disperato

 

 

 

 

 

 

 

Quanto dolorequanto dolore dentro di te.

 

 

 

 

 

 

 

Ma ora non sei più solo….se cadi…ci sono io ora a proteggerti. Ci sono io.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E finalmente……….finalmente comprendo.

 

Il sentimento che serbo dentro di me.

 

Che coltivo da settimane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora comprendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Hanamichi…- e il mio sussurro si perde fra i suoi capelli carminii, mentre le mie braccia si stringono intorno alla sua vita muscolosa…- smettila Hanamichismettila – e mentre glielo sussurro, passo delicatamente le dita fra i suoi capelli…

 

 

 

E avverto le sue lacrime…libere, scorrere sulle sue guance. Inumidiscono il mio collo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sento qualche passante sussurrare qualcosa, passandoci accanto. Ma non m’importa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo pochi minuti lo avverto scostarsi dalla mia spalla.

 

-          Scusami…non volevo scoppiare a piangerti addosso – si passa le dita sopra gli occhi umidi, non guardandomi…imbarazzato.

-          Non c’è nulla di male a mostrare le proprie debolezze…e detto da me penso valga molto come affermazione…no? – e riesco a strappargli un debole e pallido sorriso.

-          Mh…- si scosta da me… - sì…penso di sì.

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

E finalmente posso perdermi nel tuo sguardo dorato.

 

Senza remore.

 

 

Posso annegare.

 

E non mi spaventa più.

 

 

 

 

 

 

Vorrei accarezzarti il viso, cancellare le ultime tracce di lacrime dalla tua pelle. Ma non posso.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Entriamo in un locale….mangiamo qualcosa?

 

Annuisco.

 

E mentre ci dirigiamo verso un piccolo chiosco…incomincia a nevicare.

 

 

 

 

E riscopro il candore della neve nei tuoi occhi fanciulleschisorpresi.

 

E felici.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il locale è caldo…ci togliamo i pensanti cappotti…e il cambiamento di temperatura ci arrossa il viso e le mani…sento il sangue pulsare dentro le mie dita.

 

-          Cosa ordini?

 

-          Una zuppa di verdure. Non ho molti soldi con me… - e mentre lo dico, guardo sconsolato dentro il mio portafogli.

 

-          Penso anch’io…

 

 

Dopo aver ordinato cala il silenzio fra di noi. Avverto Hanamichi imbarazzato. Probabilmente per ciò che mi ha raccontato poco prima e per la sua reazione emotiva.

 

 

 

Lo osservo guardarsi le mani. Come ho fatto a essere così cieco fino ad ora?

 

 

Il mio interessamento verso di lui.

 

 

La mia preoccupazione.

 

Il mio pensare a lui…

 

 

 

Tutto questo ha un nome.

È racchiuso in un semplice nome.

 

 

 

 

 

 

Ma non voglio che si vergogni di se stesso o di ciò che mi ha raccontato. Voglio che si senta libero di dirmi tutto ciò che vuole…senza ripensamenti. O vergogna.

 

Ma non so come dirgli tutto questo.

 

 

 

 

 

Ad un tratto rompe il silenzio, fissandomi di sottecchi.

 

-          Scusami…pensavo di essere preparato a raccontarlo…ma evidentemente non ero ancora pronto abbastanza... – e sospira.

 

-          Non preoccuparti…sai…sei la prima persona a cui ho detto che mia madre è morta…e sono passati 11 anni…- sorrido mestamente…- ti comprendo…

 

 

 

Ci sorridiamo lentamente.

 

-          Tuo padre…era il tuo genitore naturale?

 

Sospira…forse non dovrei riportare la discussione su quest’argomento…ma penso faccia bene a entrambi parlarne. Esternare il nostro dolore.

 

 

 

Per troppo tempo…per troppi anni…da soli…abbiamo dovuto sopportare tutto.

 

 

 

 

 

Scuote la testa lentamente.

 

-          No…sono stato abbandonato quando ero appena un neonato… - il suo sguardo si perde per il locale…- le Assistenti Sociali hanno deciso di chiamarmi Hanamichi perché la via dove è ubicato l’Istituto in passato era ricolma di fiori (nota 1)

 

-          Un nome dal significato delicato per un maschietto…

 

-          Già…- sorride, accarezzandosi i capelli…- e sono cresciuto lì per molti anni. I problemi sono sorti verso l’età dei sette anni…mi rendevo conto che tutti i bambini con cui ero cresciuto…erano stati adottati…tutti tranne me.

 

Il suo sguardo si adombra.

 

-          Non so perché…evidentemente il mio viso non ispirava simpatia…o forse era il mio sguardo...

 

-          Mh? – non capisco…

 

-          Le assistenti sociali sussurravano che non ero un giapponese puro…i miei occhi erano sì nocciola…ma cangianti…sembravano dorati…la dimostrazione che uno dei miei due genitori doveva essere uno straniero. E forse era per questo che nessuno mi voleva.

 

-          È assurdo…

 

 

Eppure i suoi occhi…sono così………………….espressivi.

 

 

Mi hanno sempre portato, sin dall’inizio, ad uno stato di confusione persistente.

 

 

 

 

-          Già…naturalmente non me lo dicevano direttamente. Le sentivo sussurrare alle mie spalle. Ero un bambino molto pacato…anche se può sembrare strano…e compresi che così non avrei ottenuto nulla. E allora decisi che se nessuno mi poteva volere beneallora mi sarei fatto odiare…o avrei cercato di scatenare una qualche minima reazione nei miei confronti.

 

Dopo pochi mesi non mi sopportava più nessuno. Ero diventato vivace. Rumoroso.

 

Insopportabile.

 

 

 

 

Scoppia a ridere.

 

-          Penso di aver fatto perdere un po’ di anni a tutti coloro che gestivano la Comunità…ero sempre in punizione….- la sua risata si trasforma in una piega dolce… - poi…quando avevo 10 anni…un giorno…arrivò un uomo. E disse che voleva diventare mio padre.

 

Io non ci credevo.

 

Quando un bambino mi venne a dire che un signore stava firmando le carte nell’ufficio della Direttrice per potermi adottare (nota 2)…pensai che mi stesse prendendo crudelmente in giro. E lo picchiai.

 

 

 

 

 

 

Arrossisce, sfuggendo il mio sguardo.

 

-          Non riuscivo a credere…che qualcuno mi potesse volere con sé. Ormai ero totalmente disilluso…e rassegnato al fatto che sarei cresciuto dentro la Comunità. Sai…dopo una certa età è difficile che ti adottino...normalmente le coppie di genitori cercano bambini piccoli da poter crescere. Ma lui…non so perchémi cercò.

 

 

 

Mi sorride…e io sorrido con lui…

 

-          Pieno di ammaccature per la rissa appena fatta e incredulo, entrai nella macchina del signor Sakuragi. Nel breve tragitto che facemmo per arrivare a casa mi spiegò che viveva solo e che sua moglie era morta molti anni prima. Io ero silenzioso…mi disse che lo avevano colpito i miei occhi…e il mio nome…doveva essere un segno del destino (nota 3)me lo ripeteva sempre…

 

 

 

Il suo racconto è interrotto dall’arrivo della cena. Il cameriere posa sul tavolo due ciotole ricolme di zuppa. Prendiamo le bacchette di legno, separandole.

 

 

 

 

 

-          Penso…che quello sia stato il periodo più bello della mia vita…anche se…la mia rabbia non era cessata.

 

Anzi.

 

Più crescevo…più aumentava.

 

 

Non so perché…non so cosa volevo ottenere…ero solo uno stupido. Non riuscivo ad accettare completamente l’amore di quell’uomo. Ero scontento della mia vita, avrei voluto avere dei

genitori naturali, una famiglia vera. Non meritava un figlio come me…

 

 

 

 

 

 

Per un momento penso che Sakuragi si rimetta a piangere, gli occhi lucidi e le bacchette serrate in una morsa fra le dita. Ma con un profondo sospiro si calma…e ricomincia a mangiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Il signor Sakuragi ti voleva molto bene Hanamichi. Probabilmente lo avevano avvertito del tuo carattere…e del tuo passato. Ma lui ti ha accettato lo stesso come suo figlio, consapevole forse di cosa stava andando in contro. Lui ti voleva bene…e accettava tutto di te…quando affermi che lui ti sorrideva e nei suoi occhi leggevi la comprensione…penso non ci sia dimostrazione più forte dell’affetto che serbava nei tuoi confronti. Comprendeva la tua rabbia…

 

Sakuragi mi fissa, sorpreso per il mio discorso, insolitamente lungo per le mie abitudini. Poi china il viso, le guance arrossate…

 

 

 

 

 

 

 

 

-          E’ lui che ti ha insegnato a cucinare?

 

-          Sì…era un cuoco in un ristorante vicino casa…nei momenti di “tregua”…mi insegnava a cucinare...a provvedere a me stesso…forse, dentro di sé, sapeva già che non saremmo stati insieme per molto tempo…

 

 

 

Rigira le bacchette nella ciotola ormai ricolma solo di brodo.

 

 

 

 

-          Dopo la sua morte…ho incominciato a tagliarmi. Non mi bastava più picchiare gli altri. Avevo bisogno di un dolore vero…alternativo. Ero dovuto ritornare in Comunità…e quando lo psicologo si accorse di cosa stava succedendo…mi diede semplicemente degli anti-depressivi. Non fece nient’altro.

 

-          Era il suo lavoro…che stronzo… - depongo la ciotola sul tavolo, dopo aver bevuto il brodo.

 

 

Sakuragi alza le spalle.

 

 

 

-          Stavo diventando ingovernabile. Un giorno ero anche svenuto a mensa. Alla fine decisero d allontanarmi dalla Comunità, con la scusa che oramai ero capace di provvedere a me stesso. Mi trovarono un piccolo appartamento e un lavoro. E il resto lo conosci.

 

Hanamichi sospira.

 

 

 

 

 

 

 

-          Era da molto che volevo raccontare tutto a qualcuno…e…sono contento che sia successo con te, Kaede.

 

 

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

Vorrei dirgli molto…e ora che conosco il suo passato…sento il sentimento che provo verso di lui espandersi lungo tutto il mio corpo, in una dolce e calda sensazione.

 

 

 

Ma non so ancora esprimere a voce…tutto questo…

 

 

 

 

 

Rimango indeciso per pochi secondi…poi, lentamente, la mia mano scorre sul tavolo per poi posarsi delicatamente sulla sua. Avverto il suo sussulto sorpreso, i suoi occhi sgranati…il dorso della sua mano, caldo, sotto il mio palmo. Non stringo, non premo…voglio solo che comprenda la mia vicinanza…il mio esserci per lui.

 

 

Il mio ringraziamento per avermi donato il suo passato nelle sue parole emozionate.

 

 

 

 

 

 

 

 

Hanamichi mi sorride dolcemente…e sento la sua mano girarsi…i nostri palmi si sfiorano. E mi sento felice.

 

 

 

 

-          La prossima volta…mi dovrai raccontare il tuo di passato…Kaede.

 

Stringo la sua mano.

 

 

 

 

 

-          Non scapperò.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da te…non scapperò mai…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora che ho compreso di amarti.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Ci lasciamo all’entrata della metropolitana…deve andare a lavorare.

Ci guardiamo negli occhi. Mi sento strano…forse per la natura dei sentimenti che provo per lui.

 

 

 

-          Grazie per la chiacchierata Kaede. Mi sento davvero meglio ora.

 

-          Quando avrai bisogno di parlarmi…ti ascolterò. Sempre.

 

 

E so di essere arrossito mentre lo dicevo. Ma non importa…sono ampiamente ricompensato dal suo sorriso luminoso .

 

 

 

 

 

 

 

 

E non riesco a trattenermi. Dio…lascio cadere la bicicletta per terra per poi abbracciarlo forte. Contro di me. Ed è ormai una sensazione conosciuta il suo corpo contro il mio.

 

E la amo.

 

 

 

 

 

 

Lo amo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Kaede…………?- avverto il suo sussurro imbarazzato contro il mio collo. Ma nonostante le sue parole avverto le sue braccia ricambiare la mia stretta.

 

 

 

 

Ma che cazzo sto facendo? Devo essere impazzito.

 

 

 

 

Lo lascio andare di scatto…imbarazzato lo guardo…poi riprendo velocemente la bicicletta…ci monto sopra.

 

 

-          Allora…ciao…buon lavoro – farfuglio (ho mai farfugliato in vita mia?) velocemente.

 

 

Hanamichi mi guarda sorpreso…poi mi sorride solare e salutandomi con la mano si volta, scendendo le scale della Metro.

 

 

 

Lo guardo scendere fin quando scompare dietro l’angolo del corridoio sotterraneo. Poi dandomi dell’idiota incomincio a pedalare veloce, tornando a casa.

 

 

 

Che cosa mi è preso?

Solo perché sono gay non significa che anche lui lo sia. Anche se…

 

 

 

 

Pedalo…pedalo…veloce. Velocissimo. Acquisto velocità. Sfreccio per le vie semi-deserte della città. L’aria mi gela il viso. Le mani. Ma non m’importa.

 

 

 

 

I pensieri sono solo rivolti a Lui. A ciò che mi ha raccontato. Al calore delle sue lacrime. Del suo abbraccio.

 

 

 

 

 

 

 

L’amore…che cosa sarà mai? È davvero questo peso che avverto dentro di me?

 

 

Penso che potrei gridare per questo sentimento…e piangere. Sì…gridare e piangere.

 

 

Sono solo un ragazzo…e sono sommerso da tutto questo…potrei volare con la mia bicicletta…per queste vie deserte…sì, accelerare, e lasciarmi trasportare dall’aria fredda, aprire le braccia ed essere accolto dalla notte.

 

Fino ad ora non avevo vissuto…

 

 

 

 

 

 

Ti amo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E solo questo importa.

 

Kaede Rukawa ama.

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

Nota 1: Il nome “Hanamichi” è formato in giapponese da due kanji: “- hana” che significa “fiore” e ” - michi” che significa “via”.

 

Nota 2: Non so effettivamente se esista una figura professionale che gestisca una Comunità…parlando genericamente di Direttrice ammetto di essermi presa una “licenza poetica”. Inoltre non si può adottare un bambino dopo averlo visto una volta e senza aver avuto colloqui con Assistenti Sociali e aver avuto il beneplacito del Tribunale Dei Minori (almeno qui in Italia)…pertanto anche in questo caso ho voluto semplificare la trama.

 

Nota 3: Il cognome “Sakuragi” è composto da due kanji: “- sakura” che significa “ciliegio” e “ – gi” che significa “legno, albero”. Da qui il gioco di parole…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Lo abbraccio lentamente

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°9°

 

*Ed eccoci a un nuovo capitolo…*

 *Mi dispiace per il lasso di tempo – molto lungo - che intercorre fra un capitolo e l’altro…posso però preannunciare, a meno che non ci siano cambiamenti improvvisi, che questo è il terzultimo capitolo di questa storia. Il prossimo sarà l’ultimo capitolo a cui seguirà un epilogo…spero di farcela! ^^ La storia è già tutta nella mia testolina…devo solo convincere le mie ditine a scriverla…^^;;*

*Spero – come sempre – di non deludere nessuno con questo capitolo…consiglio di rileggere a grandi linee i capitoli precedenti…*

*Ringrazio Cla21, Kirara90, dea73, Cristie, Kei_Saiyu, Yumi, fri, hinao85, lucy6 e Shooting star che sono state così gentile da commentare il capitolo precedente e tutti coloro che l’hanno semplicemente letto! ^^ *

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

Le lenzuola si attorcigliano lentamente alle mie gambe. Ho freddo…ma non ho voglia di alzarmi e prendermi una coperta più pesante. Mi rannicchio…

 

Non riesco a dormire…è stata una giornata troppo…troppo carica di avvenimenti. Le parole di Hanamichi…e il nuovo sentimento che provo nei suoi confronti.

 

Io amo…

 

 

Come posso dormire?

 

 

 

 

Uno starnuto infreddolito mi risponde.

E il lieve tamburellare della pioggia contro i vetri mi fa sorridere. La “nostra storia” è iniziata in una notte come questa.

 

Cosa sarebbe successo se quel giorno non avessi avuto il coraggio di bussare alla mia porta? E se io non ti avessi aperto? Sarebbe cambiato qualcosa?

È buffo e al contempo inutile fare questi pensieri. Il passato appartiene a sé stesso…ma forse è connaturato alla natura dell’uomo il continuo interrogarsi sulle azioni passate…

 

Ma non è da me fare questi pensieri….Natura o no…io guardo verso il futuro…ho sempre dovuto guardare verso il futuro.

 

È stata la mia salvezza in tutti questi anni…il passato era solo catrame nero e viscido, che sporcava in nere colate i ricordi. Anche quelli più dolci che erano stati vissuti in questa casa.

 

 

 

-         Lascia stare il passato Kaede………….lei non tornerà. Fattene una ragione…cresci.

-         Non voglio.

-         Devi.

-         Perché?

-         Perché te lo dico io.

Che sensazione strana specchiarsi in occhi azzurri uguali ai propri.

E pensare che forse…sono l’unico legame reale…con tuo padre.

 

 

 

 

Mio padre…

 

 

Hanamichi con le sue parole dolci e tinte dal rimorso hanno ritratto un uomo così ricolmo di affetto. E di amore. Capace di amare.

 

Se penso a mio padre…………scuoto leggermente la testa. Non ha senso pensare a lui.

 

E l’offerta di Anzai-san…penso che rimarrà chiusa in quel cassetto. Non dovrò contattarlo nemmeno.

 

 

 

 

Sospiro nel buio. Mi rannicchio maggiormente sotto le lenzuola. Fa freddo cazzo.

 

Un altro starnuto.

 

Il lieve miagolio infastidito di Micky mi fa sorridere. Scusa stupido gatto se ti ho svegliato. Dopo pochi secondi lo sento accoccolarsi sotto il lenzuolo…e rannicchiarsi vicino al mio stomaco.

 

-         Miao…

 

-         Avevi freddo anche tu eh? Ammetti che volevi solo una scusa per alzarti e cercare calore…- i suoi occhietti argentati rilucono nel buio…poi con un miagolio soddisfatto si addormenta, fuseggiando delicatamente.

 

Chiudo anch’io gli occhi. Ulteriore starnuto.

 

 

 

***

 

 

 

Il suono del campanello mi trapana il cervello. Che mal di testa…

 

Mi alzo svogliatamente dal futon…ma che ore sono? Distrattamente osservo l’orario luminoso della sveglia…le 12.00???? Come cazzo è possibile?

 

Chiudo gli occhi sospirando… stamattina evidentemente la sveglia non ha suonato…ieri sera ero così scombussolato che non l’ho impostata. Maledizione! Un’assenza ingiustificata da scuola…ci mancava solo questa…

Faccio per alzarmi ma un giramento di testa mi fa barcollare lievemente…merda…ho dei brividi di freddo…ci manca solo che mi sia ammalato! A sottolineare le mie parole starnutisco.

Arghhh

 

Di nuovo il campanello. Fissando il soffitto rimango immobile. Sarà il postino? Anche se è un po’ tardi…mmm…non mi alzo per lui.

 

 

Silenzio…se ne deve essere andato.

 

 

Chiudo gli occhi cercando di calmare il mal di testa…dopo pochi secondi sento dei colpetti alla finestra…dei colpetti?

 

Apro di scatto gli occhi, alzandomi a sedere.

 

 

-         Sakuragi!!!

 

 

 

Ma come….? Quell’idiota si deve essere arrampicato sull’acero vicino alla finestra.

Lo vedo sorridermi a 32 denti, mentre fa “ciao ciao” con la mano.

 

Ma allora è proprio un do’hao! Se cadesse…il solo pensiero mi fa alzare frettolosamente.

 

Apro la finestra...l’aria gelida mi fa rabbrividire violentemente ma ha anche il beneficio di farmi riprendere dal torpore.

 

-         Ciao Rukawa! Visto che non aprivi…- e mi sorride complice.

 

-         Sei tutto scemo!? Lo sai quanti metri sono da qui fino a terra??? E se cadevi??? Meriteresti che ti lasciassi qui fuori a gelare!!! – vorrei non mostrare la mia agitazione…ma non penso di esserci riuscito.

 

-         Cos’è…ti preoccupi per me? – e il suo sorriso malizioso si avvicina al mio viso. Che fastidio!

 

-         Gela! – e richiudo con uno scatto la finestra.

 

 

Mi giro ignorando la sua voce che mi supplica di riaprire, che fa freddo, che stava solo scherzando.

 

 

-         Senti qualcosa Micky? – e guardo divertito il mio gatto.

 

-         Miao…

 

-         Bene…nemmeno io.

 

 

Quanto tempo potrei tenerlo fuori…mmm…altri 4 minu…un tonfo all’improvviso mi fa girare. Il sangue mi si gela nelle vene. Sento il respiro bloccarsi nei polmoni.

Non vedo più nessuno fuorie se Hanamichi fossedavverocaduto.

 

-         Hana!

 

 

 

Corro ad aprire la finestra…mi affaccio verso il basso. C’è solo la sua cartella…ma lui dove…?

 

 

 

-         Dovresti tenermi sulla coscienza per tutta la vita...lo sai?

 

 

 

 

 

Alzo di scatto la testa verso l’alto. Quell’idiota si è arrampicato su un ramo superiore.

 

 

-         Idiotami è venuto un infarto.

 

Scoppia in una risata divertita.

 

-         Almeno hai aperto la finestra… - e mi sorride… - e ora mi fai entrare?

 

-         Idiota al cubo… - e mentre continuo a borbottare sottovoce, il cuore che mi martella ancora in gola, gli tendo la mano. Lui l’afferra e con una stretta decisa s’issa sul cornicione della finestra. Mi scanso e lui con un salto entra nella camera.

 

-         Che uomo agile che sono… - sorride mentre soffia sulle sue mani congelate.

 

-         Lo sai che le “persone normali” entrano dalle porte….?

 

-         Se “qualcuno” le apre…

 

E ci guardiamo in cagnesco per pochi secondi…poi ci sorridiamo.

 

 

 

 

Ma come ho fatto a innamorarmi di un idiota simile?

 

 

 

 

-         Non stai bene Kaede…? Per questo motivo non sei venuto oggi a scuola? – sussurra avvicinandosi…

 

 

Posa una mano sulla mia guancia…è fredda contro la mia pelle febbricitante. Rabbrividisco.

 

 

 

-         Sei tutto rosso in viso…e sei caldo…devi avere la febbre baka!

 

 

La sua mano scivola lentamente e impercettibilmente sulla mia pelle. Vorrei che non mi lasciasse mai.

 

 

 

-         E’ colpa tua che ti diverti a fare Tarzan sugli alberi…e io devo stare a guardarti al freddo…

 

 

 

Mi fa una linguaccia lasciando cadere lungo un fianco la sua mano.

 

 

 

 

La mia guancia brucia.

 

 

 

 

-         Infilati nel futon…ti preparo qualcosa di caldo – mi sorride complice dirigendosi verso la porta e sfilandosi il cappotto.

 

-         Non c’è bisogno…un’aspirina e mi passerà tutto.

 

 

Si gira scuotendo la mano.

-         certo…ora coricati…- e con aria di sufficienza scende le scale, sparendo alla mia vista.

 

 

Dal piano di sotto sento provenire la sua voce…deve stare parlando con Micky…quel gatto ruffiano. Starà cercando di farsi dare del cibo.

 

 

 

Rimango per qualche secondo imbambolato in mezzo alla stanza. Un po’ intontito…maledetta febbre.

 

E maledetto do’hao…troppo premuroso.

 

 

 

Sento dei rumori di pentole. M’infilo una felpa – per non morire di freddo – e scendo le scale, fermandomi sulla soglia della cucina.

 

Lo osservo di schiena, mentre tagliuzza qualcosa sul tagliere. Fischietta leggermente…eppure…non so perché quest’aria spensierata non mi convince.

 

 

 

 

 

-         E’ successo qualcosa Hanamichi?

 

 

 

 

 

 

Lo vedo sussultare. Forse non si era accorto della mia presenza. O forse sono state le mie parole.

 

 

Si gira con l’espressione corrucciata. Punta il coltello verso la mia direzione…

-         Non ti avevo detto di metterti al caldo? Non ti fa bene stare fuori dalle coperte.

 

-         Rispondi alla mia domanda.

 

 

 

Sbuffa, rigirandosi verso il ripiano della cucina.

 

-         Ma no non è successo nulla. Deve per forza succedere qualcosa baka?

 

 

 

 

E lo sento tagliuzzare velocemente le verdure. Non mi convince.

 

Stringendomi nella felpa continuo a osservarlo.

Per qualche minuto nella cucina aleggia solo il rumore del coltello…poi a un tratto Hanamichi si blocca.

 

 

 

Lo sento sospirare. Poggia il coltello sul ripiano, inclinando la testa verso il basso.

 

 

 

-         Akito è stato adottato. Fra qualche giorno si trasferirà a Sapporo.

 

Sorpreso mi avvicino a lui.

 

-         Davvero? Quando lo hai saputo?

 

-         Ieri sera.  È venuto nel locale dove lavoro un ragazzo che viveva con me in Comunità. E mi ha detto che Akito è stato adottato da una coppia di Hokkaidō – il suo tono è grave. Non capisco cosa la turbi…non sembra felice…o forse è solo triste perché non vedrà Akito più come prima?

 

Poggio una mano sulla sua spalla. Lui rimane immobile, anche se lo sento lievemente tremare.

 

 

 

-         Kaede…non immagini che peso enorme è svanito. Avevo così tanta paura che Akito rimanesse in quella Comunità…gli anni passavano e nessuno lo adottava…e…in lui rivedevo me stesso…e avevo paurache facesse la mia fine.

 

-         Sono davvero contento per lui…lo potrai salutare prima che parta?

 

-         Hiroshi, quel ragazzo che ti ho nominato prima, mi ha detto di sì, domani probabilmente. Mi dispiace che non potrò vederlo più come prima…era il bambino a cui ero affezionato maggiormente. Ma va bene così…l’importante è che lui sia felice.

 

-         E come mai sei sgattaiolato fuori da scuola?

 

-         Volevo un po’ riflettere…

 

-          E perché sei venuto qui?

 

-         Volevo vederti.

 

 

 

 

Lo vedo arrossire. Come vorrei abbracciarti in questo momento…stringerti contro il mio petto. Accarezzarti la nuca con il mio fiato, la pelle sensibile del collo con le mie labbra…

Sarà la febbre…che mi fa sentire così…vivo?

 

 

 

-         E ora che mi hai visto? – perché mi diverto a stuzzicarlo…

 

 

 

Arrossisce ancora di più.

 

 

 

Possibile che Hanamichi in fondo possa ricambiare i miei sentimenti…?

 

 

 

In queste settimane ho imparato a conoscerlo…e vedevo la nostra situazione sotto un tipo di luce…ma ora che ho compreso di amarlo…forse devo incominciare a rivedere il tutto...a pensare che forse non sono l’unico…certi suoi atteggiamenti...

 

 

 

Mi giro…un po’ confuso.

 

 

 

-         Quando è pronto chiamami…grazie di cucinare per me.

 

 

 

E risalgo al piano di sopra, notando la figura di Micky accovacciata in un angolino della cucina, intenta a sgranocchiare i suoi croccantini. Alla fine ce l’ha fatta.

 

 

 

Un ultimo sguardo.

Il suo viso imbarazzato.

 

Sorridente.

 

 

 

 

***

 

 

 

-         Hey…è pronto!

 

Distolgo lo sguardo dalla rivista sportiva che stavo leggendo. Hanamichi indossa un grembiulino a fiori…oddio

 

 

-         Ma dove l’hai trovato quello?

 

 

 

 

Lui si mette una mano dietro la testa, accarezzandosi la nuca, imbarazzato.

 

-         L’ho trovato in un cassetto della credenza…

 

-         Ah…doveva essere…di mia madre…- era da anni che non aprivo più quei cassetti.

 

-         Ti da fastidio che l’ho preso?- sembra a disagio…

 

 

-         Kaede perché non mangi? Ti ho anche tagliato a pezzettini la carne…

 

-         Non ho fame.

 

-         Dai amore…se non mangi come fai a guarire…

 

           Mamma mi sorride. Io osservo la ciotola ricolma di brodo. Non ho voglia di mangiare.

Mi abbraccia.

Il suo profumo mi avvolge. Magnolia.

Il suo grembiule a fiori…mi fa pensare ai campi fioriti fuori città.

Alle margherite bianche sovrastate dal cielo candido.

 

 

 

 

-         No…tranquillo…- ora lo indossi tue sei anche tu una persona che amo.

 

E mi sorride.

 

 

 

***

 

 

 

Mangiamo lentamente. In silenzio…a tratti ci guardiamo negli occhi. Ma lo sguardo si riposa velocemente sulle ciotole ricolme di brodo fumante…

 

 

-         Come hai fatto a uscire dall’edificio scolastico? – meglio riempire il silenzio…

 

 

Hanamichi mi guarda complice portandosi il cucchiaio alle labbra. Nasconde un sorriso dietro il metallo…

-         Segreto.

 

-          Mh? – lo guardo scettico – che cosa significa “segreto”?

 

 

La mia aria indispettita lo fa ridere leggermente.

 

 

-         Ma guardala come è curiosa la volpetta - e mi osserva sornione.

 

-         Idiota.

 

-         E va bene va bene…dietro la mensa c’è il campo da calcetto…hai presente i cespugli che lo delimitano nel lato destro? Sono attaccati alla rete metallica che da sulla strada…non ci è voluto nulla ad aprirsi un varco.

 

-         Lo fai spesso?

 

-         Ma no…- riporta lo sguardo sulla ciotola – …lo facevamo…in passato con Yohei…così potevamo fumare senza essere disturbati.

 

-         Fumavi? – lo guardo sorpreso.

 

-         Beh…sì…ma ora ho smesso, giuro. Un’atleta deve seguire una vita senza eccessi né vizi no? – e mi sorride imbarazzato.

 

-         Ti manca?

 

-         Chi?

 

-         Mito.

 

Hanamichi rimane in silenzio. Non so perché gliel’ho chiesto.

 

 

Noin realtà lo so………Hanamichi in un modo o nell’altro mi parla spesso di Mito…fa parte del suo passato ed è stata una persona davvero importante per lui.

 

E…anche se devo ammettere che provo gelosia…sono contento che Hanamichi non sia stato da solo dopo la morte del padre.

 

 

-         Sì – e il suo tono è triste.

 

-         Perché non vi chiarite?

 

-         È difficile.

 

-         Perché?

 

-         Cosa significa “perché”? – corruga la fronte guardandomi contrito – è difficile…punto.

 

 

 

Mito abbassa la testa…triste.

-         Non posso…quel giorno….abbiamo litigato pesantemente…e ci siamo dette parole…

Scuote la testa come per scacciare dei pensieri malevoli.

 

 

 

E ora comprendocome ho fatto a non pensarci prima?

 

 

 

 

-         Il giorno in cui sei venuto a bussare a casa mia…quella notte…mentre pioveva…………è stato quel giorno che hai lasciato il Guntaivero?

 

 

 

Hanamichi mi osserva stupito, poi abbassando il capo sorride.

 

 

-         Sei proprio una volpe astuta

 

-         E tu continui a sottovalutarmi - nascondo il mio sorriso portandomi il cucchiaio contro le labbra.

 

 

-         E a te…

 

-         Mh?

 

-         Manca tua madre?

 

 

 

Il cucchiaio rimane sospeso in aria. Rimango un momento in silenzio. Un turbine di sensazioni si disperdono lungo il mio corpo.

Gli occhi di Hanamichi bruciano la mia pelle. So che mi sta osservando paziente di una mia risposta.

 

 

Sembra che sia arrivato anche per me il momento di parlare…

 

 

-         No…non propriamente.

 

 

Alzo lo sguardo specchiandomi nei suoi occhi sorpresi…non si aspettava una risposta simile.

 

-         Mia madre è morta che avevo 7 anni…sono passati troppi anni per provare ancora malinconia.

 

-         Ma…

 

-         Provo tristezza. Perchè…l’aspetto più assurdo della situazione…è che ho scordato il suo volto. Ricordo giornate passate in sua compagnia…sprazzi della sua voce…le sua carezze…particolari delle sue mani…o il suo profumo. Ma il suo viso…è sfuocato…sembra possedere una maschera incolore.

 

 

 

 

Hanamichi mi guarda in silenzio. Poi china il viso…

 

 

-         Questa è la mia più grande paura…non ricordare più il volto di mio padre…porto sempre con me una sua foto nel portafoglio…ma…a volte, osservando il suo viso…mi sembra di non riconoscere in quei tratti familiari il suo viso. Mi fa paura tutto questoe mi rende tremendamente triste.

 

-         Forse è normale…ho letto una volta che se una persona diventa cieca durante la sua vita…con il passare del tempo scorderà i colori e le forme che l’avevano circondata per anni. Non è assurdo anche questo?

 

 

 

 

-         Significa che stiamo diventando ciechi Kaede? – e mi sorride.

 

 

 

 

 

-         Noio penso di aver riacquistato la vistafinalmente

 

 

 

 

 

Per pochi secondi ci guardiamo intensamente…poi Hanamichi distoglie lo sguardo arrossendo leggermente.

Finisce il brodo che ormai si sarà raffreddato…continuo ad osservarlo in silenzio.

 

 

 

 

Con te ho riscoperto i colori…i profumivividi.

 

 

 

Vividi.

 

 

 

-         E…come…è morta?

 

 

Riporto lo sguardo sulla mia ciotola. Non ho più fame…

 

 

-         Non ricordo bene…so che era malata…ma anche dopo che è morta mio padre non ha mai voluto approfondire la questione. Crescendo compresi che doveva avere contratto un tumore.

 

-         E tuo padre…dovè…perché non vive con te?

 

 

 

-         Kaede…vieni qui…dobbiamo parlare.

 

-         Perché?

 

Osservo freddamente mio padre.

È una delle rare occasioni in cui siamo entrambi a casa.

Oggi non sono andato ad allenarmi al campetto vicino alla spiaggia.

Ora me ne pento.

 

-         Siediti sulla poltrona.

 

-         Mi siedo dove voglio… – e con aria di sufficienza mi distendo sul divano, pancia all’aria.

 

Sguardo puntato al soffitto. Tutto pur di non dover specchiarmi in quegli occhi.  

 

 

 

Poso il cucchiaio dentro la ciotola. Sento freddo…deve essermi risalita la febbre. O è il pensiero di mio padre che mi fa salire la temperatura corporea? Sorrido ironico…

 

 

-         Lui vive a Tōkyō…abbiamo convenuto fosse meglio così.

 

-         Perché?

 

 

-         Ho intenzione di sposare Midori. Per la posizione che occupo non posso permettermi che continuino a girare voci contenziose sul suo conto. E sul mio.

 

Immagino i titoli delle riviste scandalistiche: “PRESIDENTE DELLA NINNINCORP (45) SCOPA CON LA SUA SEGRETARIA (22)!!!”

 

Mmm…no forse il titolo avrebbe un taglio più professionale…

-         Mi stai ascoltando?

Riporto l’attenzione su mio padre. Il suo viso è più duro del solito.

 

-         Che cosa vuoi da me? Non sono cazzi miei se se un ninfomane.

Potrebbe essere mia sorella quella.

 

Mio padre ignora  il mio commento provocatorio.

 

-         Devo fare il trasferimento della residenza…andremo a vivere a Tōkyō. Non ha  senso vivere qui.

 

-         Non ci ha mai vissuto qui. Come fai a dire queste stronzate?

 

Giro il viso guardandolo. Ci osserviamo per qualche secondo in silenzio.

 

-         Bene…- si alza dalla poltrona lentamente – se non vuoi trasferti non ti costringo.

 

-         Sono commosso. Grazie. Davvero.

Il mio tono sarcastico è interrotto da uno schiaffo prepotente sulla guancia.

 

 

 

Incomincio a irritarmi. Non è colpa di Hanamichi…ma i ricordi legati a mio padre non sono davvero piacevoli da sopportare.

 

-         Perché punto. Non ne voglio parlare.

 

Hanamichi mi osserva in silenzio. Io mi alzo prendendo le stoviglie e ponendole nel lavello. Più tardi quando mi sentirò meglio le laverò.

 

 

 

-         Tuo padre aveva un’amante.

 

 

-         Non ti scordare chi comanda in questa casa Kaede.

Porto lo sguardo lucido sul suo viso. La guancia mi brucia maledettamente.

 

E il mio cuore urla. Grida.

 

- Lo so che comandi tu…papà. Anche mamma lo sapeva…è per questo che rimaneva zitta.

Nonostante tornassi sempre sbronzo…con il Suo profumo ancora sulla pelle. In quegli anni era anche minorenne quella lì, no? Lo sanno questo  i giornali?

 

Gli occhi fissi l’uno nell’altro.

 

 

-         Sei solo un ragazzino.

 

 

E si allontana da me. Veloce.

Come ha sempre fatto in tutti questi anni.

 

Lontano.

 

Lontano.

 

Lo vedo afferrare le chiavi della macchina.

Sembra in parte turbato.

Ne sono contento.

 

Rimango disteso sul divano. La guancia in fiamme.

La porta di casa che si richiude con forza.

 

 

Non mi giro…cerco di calmare il battito del mio cuore. Sono passati così tanti anni…eppure fa ancora così male.

 

-         A Tōkyō si è rifatto un’altra famiglia…vero?

 

 

Mi giro di scatto osservandolo sorpreso.

-         Come…?

 

 

Hanamichi si alza prendendo anche lui in mano le stoviglie.

 

 

 

-         Anche tu mi sottovaluti…Kaede.

 

 

 

Mi supera mettendo anche lui il tutto nel lavello.

 

Io rimango immobile perso nei ricordi di quel trasloco.

 

           Nella macchina ricolma degli oggetti di mio padre.

 

Dei suoi vestiti.

 

Della busta bianca con dentro i soldi del mese di novembre poggiata sul tavolo della cucina.

 

E tutte le altre buste che sono seguite a quella.

 

 

 

Una per ogni mese.

 

 

 

Con dentro un assegno di molti zeri. Zeri e zeri e zeri.

Che ogni ragazzo di Kanagawa avrebbe invidiato.

 

Ma che per me…erano…e sono la più grande delle mie prigioni. Dei miei vincoli tangibili con quello stronzo.

 

 

 

-         Mio padre ha sempre tradito mia madre. Non so perché si fossero sposati…forse lei era rimasta incinta di me…non l’ho mai scoperto. Né indagato. So solo che ho molti ricordi di lei in camera da letto che piange. Ero piccolo…ma comprendevo che qualcosa non andava bene.  Mio padre non era mai presente in casa. Mia madre mi ripeteva che era un uomo molto importante…che lavorava tanto…soprattutto per noi. Ma era triste mentre lo ripeteva. Giorno dopo giorno. Giorno dopo giorno.

Poi…si è ammalata. E mio padre per quegli ultimi mesi le è stata accanto. Forse per darle una parvenza d’amore…non lo so. Dopo che è morta...siamo rimasti solo noi due in questa casa.

 

 

 

Sento la presenza di Hanamichi dietro le mie spalle. Il suo sguardo sulla mia schiena…e anche se è difficile ricordare quei giorni…con lui vicino sento che tutto può essere meno doloroso. Deve essere questo che ha provato lui mentre mi raccontava del suo passato.

 

 

-         Io e mio padre eravamo dei perfetti estranei. Io mi ero rinchiuso totalmente in me stesso…e mio padre pagò una donna per stabilirsi in pianta stabile a casa: doveva occuparsi di me, portami a scuola, cucinarmi.

Quando incominciai le scuole medie gli chiesi di licenziarla. Non sopportavo più la sua presenza. La sua pietà malcelata con la dolcezza. Non volevo essere compatito.

 

Se mio padre non mi voleva benese mio padre non desiderava passare del tempo con me…significava che non ero degno di attenzione, che non ero degno di essere amato. Mi misi in testa che ero stata una delle cause di morte di mia madre.

È stato…un periodo davvero orribile.

 

Mio padre non era mai in casa. Tornava solo una volta alla settimana per lasciarmi dei soldi…i giorni che tornava io non mi facevo mai trovare in casa. Giocavo fino allo sfinimento in un campetto da basket qui vicino. Mangiavo nei chioschi…in realtà per anni ho mangiato fuori casa.

 

Poi quando frequentavo l’ultimo anno della Tomigaoka decise di trasferirsi definitivamente a Tōkyō con la sua amante…so che hanno avuto una bambina. Ma non l’ho mai vista.

 

 

-         Kaede…

 

 

 

 

Sento la mano di Hanamichi sfiorare i miei pugni chiusi stretti vicino al fianco…non mi ero nemmeno accorto di aver contratto le dita.

 

-         Hey…basta…fa nullabasta…- sento la sua voce bassa raggiungermi esitante…

 

 

Mi giro verso di lui. Ci guardiamo per pochi secondi…vedo tristezza nei suoi occhi. Non voglio questo…non voglio essere compatito

 

 

-         Hai gli occhi lucidi…- Hanamichi mi si avvicina.

 

-         È la febbre…vado a prendermi l’aspirina – devo uscire da questa camera. Allontanarmi da lui. Mi sento soffocare.

 

 

Faccio per girarmi ma Hanamichi mi afferra per un braccio.

-         Perché ti vergogni...? Io mi sono completamente aperto con te…e di certo il mio passato è stato molto più vergognoso e penoso da raccontare…perché devi per forza fare il ragazzo inflessibile? Non sei stato tu a dirmi che non saresti scappato? – la sua voce si perde in un sussurro…sgrano gli occhi impreparato a queste sue parole sincere…chino la testa colpevole…

 

 

 

-         Hanamichi…per me non è facile - e la mia voce triste so che lo colpisce.

 

 

 

 

Rimaniamo per secondi in silenzio. La stretta sul mio braccio diventa una carezza leggera.

-         Scusami se ho insistito…non volevoscusami.

 

 

 

Io rimango ancora in silenzio. Sento la sua mano lasciarmi il braccio.

 

 

 

 

-         Beh…allora…io vado…se no il Gorilla…mi ammazza…- farfuglia imbarazzato…impacciato.

 

Mi supera senza girarsi. Io rimango immobile nella camera. Ancora frastornato per i miei ricordi usciti prepotentemente dalla memoria…sento dall’altra camera Hanamichi infilarsi il cappotto e le scarpe.

 

 

La porta si apre…se ne sta andando. In questo modo.

 

 

 

Mi muovo di scatto raggiungendolo prima che si richiuda la porta alle spalle.

 

 

 

-         Hanamichi!

 

 

 

Si ferma ma mi da ancora le spalle.

 

-         Scusami. Non volevo offenderti.

 

-         No…scusami tu… - la sua voce è roca e bassa -…non dovevo insistere…sono stato…superficiale…eppure dovrei comprendere il tuo dolore…perdonami

 

 

Si gira e io mi sorprendo…

-         Ma…stai piangendo.

 

-         No…devi avermi passato la febbre.

 

E mi sorride.

 

 

 

***

 

 

 

La camera è in penombra…ormai devono essere passate le sette.

 

-         Miao…- Micky mi si accoccola contro il fianco. Incomincio pigramente ad accarezzargli la schiena, il pelo lucido.

 

La febbre deve essere scesa…mi rannicchio sotto le coperte, ricercando un po’ di calore. Chiudo gli occhi stancamente.

 

Che giornata irreale…la mia febbre…i miei ricordi raccontati ad Hanamichi…le sue lacrime, le sue scuse. Perché piangeva…?

 

Mi dispiace di essermi comportato in quel modo con lui…mi sono chiuso all’improvviso…ma…non ero preparato…alla valanga di sensazioni negative che mi hanno travolto mentre raccontavo. Era da anni che non ricordavo quel periodo della mia vita.

Sono molto più fragile di quanto pensassio forse in fondo lo so bene.

 

 

 

 

Il suono del campanello mi distoglie dalle miei riflessioni.

Sarà Hanamichi tornato dagli allenamenti?

Ma perché sarebbe dovuto tornare…

 

Mi alzo lo stesso…m’infilo la felpa e scendo di sotto. Apro la porta e rimango sorpreso nel vedere la sua familiare chioma rossa.

 

 

-         Ho capito che vuoi che mi arrampichi sempre…ma anche i Tensai dopo due ore di basket sono stanchi sai?

 

 

 

E mi sorride. E nel suo sguardo comprendo che è passato tutto. La tristezzala vergogna. Tutto.

 

 

E anch’io sorrido.

 

 

Ti amo Hanamichi.

 

 

 

***

 

 

 

Hanamichi prepara in fretta degli hamburger comprati per strada. Dice che ha fame e che il Gori li ha fatti lavorare più del solito. Tutta colpa mia che mancavo…

 

Io lo osservo rendere la mia cucina rumorosa…e viva. Non voglio che tutto questo finisca. Non voglio che il passato possa interferire con questo presente. Non voglio che ci siano altri momenti simili…come è avvenuto stamattina.

 

-         Come mai così silenzioso…? Anzi…che domanda stupida… - e ride come uno scemo…- è come chiedere a un tetraplegico perché non cammina…

 

-         O forse chiedere a un idiota di dire almeno una frase intelligente.

 

Si gira di scatto…impugnando la forchetta mi minaccia con sguardo truce.

-         Se non vuoi mangiare basta dirlo…sai Kitsune?

 

-         In realtà non ho molta fame…ma forse Micky apprezzerà.

 

E continuiamo punzecchiandoci per tutta la serata. Ritrovando per queste ore la semplicità e la complicità del nostro rapporto.

 

 

 

 

Dopo cena ci spostiamo in camera mia. Nonostante la febbre mi sia passata mi sento ancora un po’ debole. Mi distendo sul futon e lui si siede accanto a me. Accendiamo solo una abat-jour…la luce fioca  illumina delicatamente la camera...senza invadenza. Ci avvolge con calma.

 

 

-         Grazie per essere tornato stasera…e per aver di nuovo cucinato per me.

 

-         Ma no…- mi sorride imbarazzato. Le sue guance divengono color porpora.

 

 

Quanto vorrei baciarle.

 

 

 

 

-         Ma non senti caldo…io sto morendo…- effettivamente lo vedevo sudare leggermente da prima…

 

-         Ho alzato il riscaldamento…per la febbre…

 

-         Ah ecco…infatti… - e con un gesto fluido si sfila la felpa. Rimane con una maglietta a maniche corte, verde chiaro.

 

 

 Il mio sguardo è catalizzato immediatamente dalla sue braccia. Senza accorgermene nemmeno, poso una mano esitante sulle cicatrici. Era da un po’ che non le vedevo…e come allora mi provocano un sentimento di angoscia.

 

 

Hanamichi rimane in silenzio…ma io sono contento…perché non vedo cicatrici nuove

 

 

 

 

-         Hai mantenuto la tua promessa…- e sorrido felice mentre glielo dico.

 

-         Solo a grazie a te…solo grazie a teKaede

 

 

 

E ci guardiamo negli occhi. Ed io comprendo di non poter più mentire. Mi sollevo, sedendomi, le coperte che scivolano pigre sotto il mio petto.

 

Lo abbraccio lentamente. Avverto il suo profumo. Il suo cuore battere forte contro il mio petto. Il suo viso accaldato contro il mio collo nudo.

 

Non è la prima volta che lo abbraccio. Ma ora comprendo…che è tutto diverso.

 

 

 

 

E stringendolo più forte contro di me… capisco di essere pronto per dirglielo.

 

 

 

 

Chino il viso contro di lui. Le mie labbra vicino al suo orecchio.

 

 

 

 

 

-         Io………………………………………………………..mi sono innamorato di te.

 

 

 

 

 

 

E glielo sussurro. Perché è la prima volta che le mie labbra pronunciano queste parole. E non voglio che si disperdano nell’aria…le voglio fra di noi. Intime. Aleggiare fra i nostri visi.

 

 

 

Hanamichi sussulta. Lo sento trattenere il respiro…e il suo cuore incomincia a battere più forte.

 

 

 

 

Emozione.

 

Attesa.

 

 

Se potessi esprimere ciò che sta accadendo dentro il mio corpo. Dentro la mia mente. I secondi di silenzio si dilatano. Si modificano. Si distorcono. Ed io vorrei tremare.

 

 

 

 

Rispondimi. E se non fossi Kaede Rukawa…ti pregherei.

 

 

 

Avverto le braccia di Hanamichi scivolare lungo la mia schiena. Allacciarsi dietro il mio collo. Il suo corpo si stringe al mio.

 

 

 

 

-         Anche……anche io………sono innamorato di te.

 

 

 

 

 

E il suo sussurro timido riporta l’aria dentro i miei polmoni. Avverto il calore esplodere dentro il mio corpo.

 

Sensazioni che ho imparato a riconoscere in questo mese insieme a lui…ora…ORA…dilagano dentro di me.  Con velocità serpeggiano dentro le mie vene. Nel mio sangue.

 

Adrenalina. Felicità.

 

 

Lentamente ci guardiamo negli occhi. La stanza è immersa nella penombra dorata…

 

Poso una mano sulla sua guancia. Ancora incredulo. E titubante. Indeciso. Impreparato.

 

Strofina la sua pelle contro le mie dita. E mi sorride. Dolcemente.

 

 

 

E io comprendo che voglio baciarlo. Passo la mia mano dalla sua guancia al collo, in una morbida carezza. Le dita s’intrecciano fra i suoi capelli. Lo porto contro di me. Contro le mie labbra.

 

Ci guardiamo per un ultimo istante negli occhi. Poi li socchiudiamo.

 

 

 

E le mie labbra sono sulle tue. Calde. Morbide. Carnose. Avverto il tuo sorriso contro la mia bocca. E la tua lacrima calda sulla mia pelle.

 

Non piangere…non piangere…

 

 

Abbracciandolo stretto contro di me lo invito a socchiudere la bocca. È calda. Umida. Le nostre lingue si intrecciano titubanti. Ruvida.

Le nostre salive si mischiano…e penso che non ci sia nulla di più sconvolgente di un semplice bacio.

 

 

E insieme all’adrenalina. Alla felicità…incomincia a serpeggiare velocemente l’eccitazione…mozzandomi il respiro e rendendo torride zone sensibili del mio corpo.

 

Il nostro bacio diventa veloce, la timidezza mal celata dalla foga. Hanamichi si stringe contro di me, avverto le sue dita fra i capelli…li accarezzano, li intrecciano. Amo le sue mani.

 

 

Aggrappandomi alla sua schiena lo trascino disteso sul futon sopra di me. Continuiamo a baciarci, rallentando. Impariamo a conoscere le nostre bocche. E in questi secondi febbricitanti comprendo il perché l’uomo sia dotato di labbra e lingua…premo il suo corpo contro il mio.

 

 

 

 

È la prima volta nella mia vita che sento di perdere il controllo sul mio corpo.

 

 

 

Dopo pochi altri secondi separiamo le nostre labbra. Poso una mano sulla guancia di Hana…è caldissima. Lui sorride.

 

-         Wow…nemmeno nei miei sogni eri così…

 

-         Così come? – passo lentamente un dito sulle sue labbra calde…sono davvero mie? Cazzo mi gira la testa…

-         Hey…il ghiacciolo non si sente bene? – sorride dolcemente accarezzandomi i capelli –dubito che in questo modo la febbre ti possa passare.

-         Do’hao.

 

 

La sua risata felice rimbomba nelle mie orecchie. E nel mio cuore.

 

 

Come è disarmante questo sentimento.

 

 

-         Stai anche sorridendo Kaede…si vede che non stai bene…

-         Già… - e con il sorriso sulle labbra lo bacio di nuovo. 

 

Dopo rimaniamo a guardarci…un po’ increduli, un po’ sorpresi da questa piega che ha preso la nostra relazione e nella quale probabilmente non credeva nessuno dei due. Felici.

 

-         Stenditi vicino a me. Dormiamo così.

-         Non ci entriamo in due sotto questa coperta…e se permetti non voglio ammalarmi! È già tanto se ti ho…- e s’interrompe imbarazzato – e poi devo andare a lavorare… - il suo viso si rattrista…

-         Devi per forza andare? – il mio sguardo speranzoso lo fa sorridere lievemente.

-         Certo baka…come mangio se no…..e non imbronciarti, dai!

 

 

E mi sorride felice.

 

 

Quanto lo amo questo ragazzo?

Come ho fatto a innamorarmi in questo modo di un’altra persona?

 

 

 

Mi abbraccia nascondendo il viso contro la mia spalla. Gli circondo la vita e poggiandoci su un fianco, ci stringiamo nel nostro calore.

 

 

Rimaniamo in silenzio per minuti, cullandoci nei nostri reciproci respiri.

 

-         Sai Kaede…perché ti ho sempre chiamato “Kitsune”? – la sua voce sussurrata contro il mio orecchio mi fa rabbrividire piacevolmente…

-         Perché sono infido e furbo? – e sorrido baciandogli lievemente la pelle del collo.

-         No…non solo per quello…o almeno quello è solo una diretta conseguenza della causa reale… - mi stringe maggiormente…- nelle fiabe popolari le Volpi s’impossessano di corpi umani…e li rendono bellissimi, affascinanti. Fanno stregare…ammaliare…tutti coloro che vi entrano in contatto…li fanno innamorare fino alla pazzia.

-         E poi?

-         E poi li lasciano struggersi nel loro amore. Io…da più di un anno ti osservavo innamorandomi di te…e sapevo che…non avresti mai…mai…potuto…innamorarti di uno come me…per questo…ti gridavo contro…

-         Allora…alla fine la Volpe è rimasta intrappolata nel suo stesso incantesimo?

-         Doveva essere una delle Volpi più sceme in circolazione…

 

Lo sento sorride contro il mio collo.

Lo scosto dal mio corpo…ci guardiamo negli occhi.

 

-         Un giorno ho trovato un taglierino azzuro…mi ricordava il colore dei tuoi occhi…vi ho inciso una volpe stilizzata. Stupido eh? – e mi sorride imbarazzato… - e pensare che te l’ho anche dato…che scemo

 

 

Lo stringo contro di me. Ci baciamo di nuovo…e ancorae ancorae ancora

 

 

 

***

 

 

 

-         Domani ripasso…per vedere come stai…- si infila il cappotto velocemente…è in ritardo…

-         Domani torno a scuola…ce vediamo lì.

-         Ma se oggi hai avuto la febbre – e corruga la fronte...

-         Fa niente – e con un’alzata di spalle gli faccio capire che la questione si chiude qui.

-         Va bene va bene…che testardo… - apre la porta…

 

Rimaniamo a fissarci immobili per poco…in un battito di ciglia ci stiamo già abbracciando.

 

-         Non voglio andarmene…- è il suo sussurro e il suo sospiro rassegnato contro il mio orecchio.

-         Domani…vieni durante la pausa pranzo sulla terrazza…ti aspetterò lì… - e mentre glielo dico lo stringo maggiormente contro il mio petto.

-         Sempre se domani non avrai la febbre a 40… - e ridacchia…

-         Do’hao…

-         Baka kitsune…

 

E i nostri sussurri si perdono in un bacio.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


AIUTAMI

°10°

 

 

*Ammetto che mi vergogno a riscrivere qui sopra dopo quasi un anno.*

*Ringrazio per questo motivo tutte le persone che hanno seguito, letto e commentato questa storia (Cla21, demia87, Cristie, fri, dea73, eruannie87, lucy6, Key_Saiyu, hinao85, Shooting star, ladyhellsing e lua – cap.9), nonostante fossi letteralmente scomparsa dalla circolazione ^^* 

*In particolare un ringraziamento speciale a _ichigo_85 e Milly che hanno speso anche del tempo per contattarmi via e-mail…^_^*

*I motivi che hanno causato questo immenso ritardo sarebbero troppi da elencare…ma ammetto che uno dei principali è stata la difficoltà nello scrivere questo capitolo. In parte rappresenta un momento della mia vita passata e metterlo per iscritto non è stato facile.*

*Spero di non deludere nessuno e di confermare le vostre aspettative…in caso contrario scusatemi ^_^;;*

*BUONA LETTURA!*

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Questi giorni possiedono il profumo di Hanamichi.

E le sue carezze.

E le sue labbra morbide.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Hai freddo?

 

-          No… perché?

 

-          L’erba è umida… e tu ci sei completamente disteso sopra.

 

-          Tranquillo.

 

Avverto le carezze di Hanamichi fra i capelli. Le sue dita sono leggere, fredde. Apro gli occhi specchiandomi nel suo sguardo lievemente preoccupato. Ambra increspata.

-          Hey… non mi riammalo. Non sarai costretto di nuovo ad accudirmi.

 

E il mio sorrisetto malizioso lo fa arrossire, ricordandogli come mi ha accudito nei giorni scorsi.

-          Baka…- sorridendo si appoggia più comodamente all’albero di ciliegio dietro la sua schiena.

 

Richiudo gli occhi, rilassato. Solo le sue mani fa i miei capelli. Solo il lieve calore che sento attraversare la tela dei pantaloni, sotto la mia testa. La sua coscia lunga, muscolosa. Morbida.

Sento il respiro accelerare lievemente… ricordi di lui sotto la doccia, delle sue gambe lunghe accarezzate dall’acqua calda, lambite, vezzeggiate. Il suo… KAEDE SMETTILA!

Non capisco se i miei ormoni siano rimasti inutilizzati per anni e abbiano deciso di manifestare la loro presenza solo ora, o se siano nati e impazziti innamorandomi di Hanamichi. Stiamo insieme da una settimana e già i pensieri che possiedo su di lui incominciano a colorarsi di sfumature sessuali. Sarà perché sono un ragazzo? Probabilmente è così anche per lui… però… mi da fastidio non avere il controllo su me stesso. E soprattutto sul mio corpo.

-          Cos’è quell’espressione corrucciata? – le dita di Hana si posano delicate sulle mie sopracciglie leggermente inarcate, disegnandole con i polpastrelli.

 

Distendo la mia espressione pensierosa, che non mi ero nemmeno accorto di aver assunto, e apro gli occhi.

-          Pensavo al mio pene.

 

 

Segue un attimo di silenzio.

-          Al… tuo…?..........................…amo un ragazzo filosofo… - e il suo tono sarcastico, e la risatina che segue, si perdono nei miei occhi.

 

-          Non è colpa mia… se tu scateni reazioni… lì sotto.

L’espressione di Hanamichi passa dall’incredulo all’imbarazzato. Il suo viso si colora di un rosso tenue mentre i suoi occhi si fissano sull’erba fresca sotto di noi.

Mi sollevo a sedere e, divertito da questo suo imbarazzo – ignorando stoicamente il mio –, avvicino il mio viso al suo, fermandomi a pochi centimetri dalle sue calde labbra.

-          Kaede…- il suo tono è incerto… e lievementente affannato - siamo in un Parco Pubblico…

 

-          …di mattina presto e nel punto più nascosto… - continuo per lui.

Ci fissiamo negli occhi per pochi secondi. I nostri nasi si sfiorano e sentiamo entrambi il fiato caldo uscire dalle nostre labbra dischiuse. La sua espressione è combattuta… poi dalla sua bocca esce un lieve sospiro.

-          Vaffanculo…- lo sussurra sulle mie labbra prima di afferrarmi la testa e portarsela contro di sé. Le nostre labbra s’incontrano con forza, voraci, assettate di un qualcosa che non riusciamo ancora a racchiudere completamente in un nome.

Quando bacio Hanamichi, dalla mia mente scompare ogni tipo di pensiero. Mi concentro solo sulle sensazioni che la sua bocca mi dona… e sono davvero sensazioni piacevoli.

Quando ci separiamo, mi sorride accarezzandomi con il dorso della mano la guancia accaldata.

-          Infida volpe…mi freghi sempre…

E il mio sguardo soddisfatto lo fa ridere nell’aria fredda.

 

 

Amo la tua risata.

 

 

-          Quante assenze hai fatto fino ad ora?

 

Camminiamo lentamente fuori dal parchetto. Oggi abbiamo saltato la mattinata a scuola. Non so perché… ci siamo incontrati davanti ai cancelli grigi dell’Istituto e guardandoci negli occhi abbiamo entrambi compreso che non saremmo entrati. Siamo rimasti immobili mentre gli altri studenti un po’ sorpresi di vederci insieme ci passavano accanto, parlottando fra loro. A un mio cenno del capo ci siamo allontanati dalla scuola camminando vicino mentre sentivamo dietro di noi le campanelle suonare l’inizio delle lezioni.

Ci siamo rifugiati nel parchetto pubblico di Kanagawa… lontani da tutto. Solo noi due… solo noi due.

 

-          Mmm…3 incluso oggi – e mi volto a guardare la sua espressione corrucciata.

 

-          Che c’è?

 

-          Akagi ci ammazzerà… e tu eri ancora sotto punizione…

 

-          Da quando sei così diligente do’hao? – il mio tono malizioso lo fa arrossire…

 

-          Baka…io mi preoccupo solo per te…

 

E allungando il passo passa per primo dentro il varco della rete… io lo seguo sorridendo lievemente.

Devo dire che questo passaggio creato da lui e Mito è davvero comodo.

Ci ritroviamo dentro il campetto da calcio… sentiamo la campanella della pausa pranzo suonare e in pochi minuti vediamo il cortile riempirsi di studenti. In questo modo la nostra presenza passerà inosservata (se possono passare inosservati due energumeni di 1,80 cm… aggiunge la mia mente perplessa). Ma in fondo non ce ne importa nulla. Ormai i professori sanno con chi hanno a che fare.

 

Ci incamminiamo verso il cortile… quando siamo arrivati davanti all’entrata della scuola, ci fermiamo. Ci fissiamo negli occhi e lui mi sorride dolcemente. Ci baciamo con gli occhi. E poi lui entra dandomi la schiena.

Ora siamo di nuovo diventati la “Baka kitsune” e il “Do’hao“.

 

 

Fermarti… fermarti e baciarti con forza dentro il corridoio grigio. E non pensare a niente. Solo le tue labbra contro le mie. Solo le tue mani intorno al mio corpo. Vorrei fare questo ora. Vorrei solo questo.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Le feste sono iniziate.

 

Il mio cervello pensa solo questo. Mi appoggio con tutto il corpo contro la ringhiera. Oggi fa piuttosto freddo. Forse pioverà… il mio sguardo si allontana verso l’orizzonte. Qualche nuvola pigra, gonfia di pioggia, calma nel cielo azzurro. L’aria è umida. Sì…l’odore della pioggia proviene dal mare. Dalla sabbia bagnata. Il cortile, metri lì sotto, è semivuoto. Le lezioni sono finite da una mezz’oretta e chi non frequenta un club pomeridiano, può andarsene direttamente a casa. Iniziare a godersi le vacanze.

Nonostante la scuola sia decentrata rispetto alla città, si sentono lo stesso in lontananza le musichette natalizie provenire dal centro commerciale.

 

Sbuffo… ma dove è finito Hanamichi? Aveva detto che mi avrebbe raggiunto qui sopra. Mi stringo maggiormente nel giaccone. Non capisco perché continuiamo a incontrarci qui sopra. Fa troppo freddo maledizione.

 

Mi piacerebbe non dovermi nascondere.

 

A un tratto si apre la porta della terrazza. Eccolo. Ha i capelli arruffati, il fiato leggermente ansante.

 

-          Scusami, sono stato trattenuto dal prof.

 

Mi si avvicina velocemente, scusandosi con lo sguardo. Si appoggia anche lui alla ringhiera, vicino a me. Le spalle che si toccano. Recupera il respiro. Sono investito dal suo profumo.

 

-          Do’hao.

 

-          Hey! – e mi lancia uno sguardo obliquo. Poi mi sorride, baciandomi una guancia – stupida volpe – con la sua voce rauca e calda a pochi centimetri dal mio orecchio.

 

Gli passo una mano dietro la testa, impedendogli di allontanarsi dal mio viso. Lo porto con decisione contro la mia bocca, contro le mie labbra avide di lui, del suo calore, del suo sapore, della sua saliva. L’altro mano la porto intorno alla sua vita, stringendola contro di me. Hanamichi dopo un attimo di sorpresa risponde al bacio allacciandomi le braccia al collo. La sua lingua vellutata si scontra con la mia e come sempre, sento il cuore aumentare il battito e il calore invadermi il corpo. Lo spingo contro la ringhiera appoggiandomi contro il suo corpo senza schiacciarlo. Hanamichi aumenta la stretta inarcandosi contro di me. I nostri bacini vengono a contatto. Non riusciamo entrambi a trattenere un ansito di piacere.

 

Spalanchiamo gli occhi.

 

Sorpresa. Imbarazzo. È ciò che io leggo nel suo sguardo… e deve essere ciò che lui vede nel mio.

Ci stacchiamo lentamente...poi Hana ride leggermente, le guance arrossate.

 

-          Siamo proprio due imbranati.

 

Sorrido anch’io leggermente, abbracciandolo (non troppo stretto… sento che la situazione lì sotto non si è ancora ristabilita).

 

-          Hem… Kaede… senti…

 

Alzo il capo dalla sua spalla incuriosito dal suo tono imbarazzato.

 

-          Mh…

 

-          Lo so che non c’entra niente ora… ma… le feste natalizie… vorresti… passarle con me? E’ da… tanti anni… che non lo passo con nessuno…

 

Lo stringo forte…

 

-          Ma che domande mi fai…

E mi sorride. E lo bacio.

-          Stasera… posso venire da te?

Sorride felice annuendo… poi si adombra divenendo pensieroso.

-          Cosa c’è? – gli sfioro la guancia con il dorso della mano.

 

-          Devo lavorare fino a tardi stasera. Nel periodo natalizio ci sono imposti degli straordinari.

 

 

-          Mh… - peccato… avrei voluto passare l’intera serata con Hanamichi.

 

-          Se vuoi, ti do le chiavi di casa. Mi puoi aspettare lì… - e mi guarda sorridendo.

 

 

 

 

-          E se invece venissi nel locare dove lavori?

 

Hanamichi mi sorride raggiante.

-          Davvero?

 

-          Sì.

E mi abbraccia forte sussurrandomi grazie all’orecchio.

Ci vuole così poco a farti felice.

 

 

 

 

 

 

 

La sofferenza e il dolore sminuiscono tutto vero Hana?

E noi due lo sappiamo. Noi due lo abbiamo vissuto. E quando si sta così male… quando tutto ciò che ci circonda sembra senza valore… non importa più nulla. Potresti rimanere sotto la pioggia in piedi, senza provare freddo né alcun sentimento. Solo il Vuoto.

Ma ora che abbiamo riscoperto la felicità delle piccole cose… tutto…. tutto riacquista significato.

 

E diviene importante.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

La banchina della stazione è stracolma. Odio essere in mezzo alla folla. Piove e il tettuccio di plastica della banchina a stento ci copre tutti. Avverto le gocce d’acqua infilarsi dietro il collo… fa freddo. Maledettamente freddo. Mi stringo nel giaccone cercando un po’ di calore. Mi alzo il cappuccio sopra la testa, ignorando il chiacchiericcio intorno a me.

Incomincio a pentirmi della promessa fatta a Hanamichi. Starnutisco. Ci manca solo che mi riammalo di nuovo. Osservo nervosamente l’orologio della stazione.

20:02

Fra pochi minuti dovrebbe arrivare il treno. Hanamichi è già a lavoro; appena finiti gli allenamenti è scappato alla stazione. Altro starnuto. Chiudo gli occhi.

 

 

-          Rukawa…dopo gli allenamenti potresti seguirmi nel mio ufficio?

 

Osservo il nonnetto. Che cosa vorrà?

L’immagine della busta rinchiusa nel cassetto mi fa sussultare impercettibilmente.

In questo periodo sono stato così preso da Hana da essermi scordato dell’offerta di Anzai-san.

 

Sento gli occhi di Hanamichi osservarmi. Senza cedere troppo alla preoccupazione, annuisco leggermente.

Mi volto verso Hanamichi riprendendo a palleggiare come se niente fosse. So che vorrebbe chiedermi qualcosa, ma faccio finta di niente.

 

Dopo una mezz’oretta sono davanti alla porta di Anzai-san. Rimango immobile.

 

E se me ne andassi senza dire nulla? Oggi è l’ultimo giorno di lezione, lo rivedrei dopo le vacanze. E avrei almeno il tempo di pensare…

 

-          Rukawa… quando vuoi puoi entrare eh… - la sua voce attraversa, ovattata, la porta, insieme alla sua risata bonaria.

 

Sussulto sorpreso per essere stato scoperto… maledetto nonno…

Apro con decisione la porta ostentando una sicurezza che in questo momento non provo.

 

-          Mi dica Anzai-san.

-          Siediti Rukawa.

 

Con un cenno della mano m’indica la sedia metallica davanti alla sua piccola scrivania.

-          Allora allora…- s’aggiusta gli occhialetti sul grosso naso… - devo dire che mi hai sorpreso Rukawa… - e mi sorride bonario, osservandomi attentamente.

 

Inarco le sopracciglia…non capisco che cosa voglia dire.

Deve leggere la mia espressione confusa perché procede nel parlare.

 

-          Quando, settimane fa, ti ho consegnato la busta con l’offerta per gli Stati Uniti, pensavo che entro due giorni me l’avresti restituita con tutte i documenti necessari già pronti e firmati…e invece… - si alza lentamente, avvicinandosi alla finestra che da sul cortile interno della scuola…- e invece ancora nulla…- si dondola leggermente, lo sguardo perso al di fuori dell’edificio, illuminato dal sole morente.

 

Chino la testa cercando di rendere chiari i miei pensieri…alla fine sospiro, sconfitto.

 

-          Penso che forse questa non sia più la scelta migliore per me…in questo momento.

 

Non vedo la sua espressione perché mi da le spalle ma posso lo stesso avvertire il suo sospiro grave.

 

-          Rukawa…durante la vita di una persona, capita frequentemente che si debbano prendere delle decisioni importanti…per il proprio futuro. Possono andare a discapito dei propri affetti o della propria quotidianità…e possono anche cambiare la vita in modo definitivo…positivamente o negativamente. Ma…quando non si affrontano i problemi…quando la scelta è scappare…questa non potrà mai essere la scelta giusta.

 

Mi alzo di scatto dalla sedia, turbato.

 

-          Che cosa sta cercando di dirmi Anzai-san?

 

Si gira osservandomi con calma, un sorriso disteso sul suo viso bonario.

 

-          Ti ricordi l’anno scorso quando sei venuto da me? Mi chiedesti la possibilità di andare negli Stati Uniti. E c’era una foga, un ardore notevole nelle tue poche parole e nei tuoi occhi. Dovevi andartene via dal Giappone, dovevi lasciarti qualcosa alle spalle. Stavi scappando.

E io non potevo permettertelo.

 

Ripenso a quei giorni… la notizia della nascita della mia “sorellina” che capeggiava sui giornaletti scandalistici. E il telefono che non suonava, mio padre che non mi metteva al corrente di una notizia così importante.

La rabbia, la delusione. La voglia di andarmene e di mandare al diavolo tutto.

Un posto nuovo, dove poter ricominciare una vita che non avevo ancora appieno vissuto.

Una città dove non sarei stato notato per la mia bellezza o per il cognome che possedevo.

 

 

-          Penso che invece ora sia maturo per fare quest’esperienza… ma tu, come allora, scappi. Ma… - mi fissa intensamente negli occhi… - da cosa stai scappando questa volta Rukawa?

-Anzai-san… - evito la sua allusione con leggerezza – io rispetto le sue parole…e confido che siano vere ma…le ripeto…penso che non sia questa, ora, la mia scelta – m’inchino lievemente, sperando di poter chiudere questo discorso.

Sento l’aria soffocarmi.

Voglio solo uscire da quest’ufficio e andarmene a casa. Stasera devo andare da Hanamichi, non posso perdere tempo. Non voglio ascoltare altro.

Anza-sani rimane in silenzio. Poi si risiede dietro la scrivania.

-          Va bene Rukawa… ma pensaci ancora. So che farai la scelta giusta.

 

 

 

Mi stringo nel giaccone… gli occhi fissi sulle mie scarpe da ginnastica.

Non voglio lasciare Hanamichi… non ora che l’ho appena trovato. Non ora che incomincio ad assaporare il volere bene a una persona… e il dipendere la felicità da un suo sorriso.

Come potrei trasferirmi negli Stati Uniti fra qualche mese? E con Hana… come andrebbe a finire?

Non voglio……………………….. non voglio rimanere ancora da solo.

 

La solitudine.

 

Che sia questa la risposta alla sua domanda Anzai-san?

 

 

A un tratto la voce computerizzata proveniente dagli altoparlanti annuncia l’arrivo del treno. Mi risveglio dai ricordi di poche ore fa. Attorno a me la gente incomincia a spingere eccitata. Maledetti che cosa spingete a fare?

Odio queste situazioni.

Arriva il treno per Yokohama. Vengo sospinto dalle persone dietro di me con forza contro l’entrata. Arghhhhhhhhhhhhhhhhh.

Con uno scatto violento entro dentro il vagone, sedendomi in uno dei posti vuoti. Ho il respiro accelerato, cerco di calmare il mio nervosismo. In queste situazioni mi sento come un animale in gabbia, braccato, stretto da delle catene invisibili.

In pochi secondi il treno riparte. Appoggio la fronte contro il vetro freddo del finestrino. Le luci della notte sembrano confondersi nella pioggia che imperversa fuori. I palazzi, le strade… tutto. Una scia luminosa e indistinta… che si rispecchia nei rivoli d’acqua che scivolano lungo il vetro.

Quante volte Hanamichi avrà visto questo paesaggio? Quante volte con la morte nel suo sguardo? Se penso a tutte le volte che lo osservavo durante le partite e vedendolo stanco pensavo a dove fosse andato a divertirsi con i suoi amici la notte prima.

E invece c’era solo un lavoro lontano da casa e dei micetti ad aspettarlo nel suo piccolo appartamento.

Non so perché ma avverto una morsa allo stomaco. Quante volte ho maledetto mio padre… eppure non ho mai voluto disdegnare gli assegni che mi versava. Mi vergogno. Se penso a Hanamichi… mi vergogno di me stesso. Devo trovarmi un lavoro. Voglio diventare indipendente per quanto posso.

Lentamente la pioggia si trasforma in neve… i fiocchi hanno appena il tempo di posarsi sul vetro che diventano acqua. Affascinato osservo i turbini di neve scivolare nell’aria illuminata dai lampioni vicini ai binari. Accanto a me una signora di mezza età si lamenta della velocità del treno. Effettivamente ha rallentato l’andatura. Guardo il mio orologio: 20:35.

Avevo promesso a Hanamichi che sarei andato da lui al locale verso le 22. Il mio sguardo si riposa fuori dal finestrino. Non sembra che il tempo accenni a migliorare.

A un tratto la voce dell’altoparlante annuncia che il treno si fermerà per una ventina di minuti a causa della neve. Il tempo di dirlo e si sentono i freni incominciare ad attivarsi. Dopo pochi secondi il treno si ferma.

Maledizione!!! Non ce la farò mai ad essere da Hana per l’ora prestabilita. E non so nemmeno come avvisarlo. Sospiro chiudendo gli occhi e maledicendo questa giornata.

 

 

 

***

 

 

 

 

Ormai è mezzanotte. Corro per le strade semideserte di Yokohama. Fra le mani stringo la cartina che Hana mi ha disegnato questo pomeriggio per raggiungerlo al locale.

Sarà ancora lì? Che cosa avrà pensato non vedendomi arrivare? Maledetto treno!

Per fortuna hanno già lanciato il sale sul selciato deserto della strada… se no mi sarei già spaccato l’osso del collo a correre sul ghiaccio.

Supero l’ipermercato ormai deserto, segnato sulla cartina. C’è un qualcosa di immensamente squallido in un palazzo così imponente illuminato a giorno con milioni di lucine colorate.

Altri trecento metri e dovrei trovarmi davanti ad un’ farmacia… eccola. Mi guardo forsennatamente attorno… il locale dovrebbe essere da qualche parte qui attorno. È inutile che guardi sul foglio… sapere il numero civico non mi servirebbe a nulla. Non si trova mai un cazzo in questo modo.

Tutti i negozi sulla via possiedono le saracinesche chiuse… e a farmi compagnia c’è solo la luce giallastra dei lampioni. Rimango un momento immobile in mezzo alla strada. Il mio respiro si condensa in nuvolette candide davanti alle mie labbra. Che cosa devo fare?

Mi sistemo meglio il cappuccio del cappotto sulla testa, camminando lentamente. Hanamichi se ne sarà tornato a Kanagawa… mi dispiace tantissimo per come è andata questa sera. Mi sarebbe piaciuto osservare dove lavora. Posso raggiungerlo a casa sua…

Guardo l’orologio…00:15….il tempo di arrivare in stazione, prendere il primo treno per Kanagawa… arriverei a casa sua verso le 3. Fantastico………….. cazzo.

Spero solo che Hana non si sia preoccupato troppo… forse avrà pensato che alla fine mi sono riammalato… o che “baka kitsune” come sono mi sono addormentato da qualche parte.

 

Sorrido lievemente.

 

 

 

Quanto ti vorrei ora qui accanto a me.

 

 

 

 

 

Alzo gli occhi verso il cielo scuro… e a un tratto, impercettibilmente, ricominciano a cadere volteggiando dei piccoli fiocchi di neve. Li vedo posarsi delicatamente sulla strada per poi sciogliersi in acqua impercettibile sul selciato.

Sospiro pesantemente… faccio per girarmi e tornare alla stazione quando il mio sguardo è catturato da una saracinesca più in fondo… proviene una debole luce da lì sotto.

Che sia quello il locale dove lavora Hanamichi? Forse è rimasto ancora qualcuno… potrei almeno chiedere a che ora Hana se n’è andato. Per decidere se raggiungerlo o no.

Mi avvicino velocemente stringendomi nel giaccone…. fa davvero freddo cazzo.

Quando sono davanti alla saracinesca del negozio scopro che sì, è quello il locale.

I caratteri in hiragana di “Shinrin(“foresta- ” NdM) campeggiano su una tavola di legno, sopra l’ingresso. E da sotto proviene una debole luce… batto un pugno leggero sul metallo.

Il rumore che provoco si espande con prepotenza nel silenzio che mi circonda. A disagio mi guardo attorno… non vorrei che qualcuno pensasse che sia un ladro… o un delinquente… e chiamasse la polizia. Ma nessuna finestra dei palazzi vicini s‘illumina…

A un tratto la saracinesca si alza di scatto… beh se chi abita non si era svegliato prima… sorrido ironico… ma le mie labbra si dischiudono stupite.

 

Davanti a me c’è Hanamichi.

 

Il vetro della porta ci separa ma posso lo stesso vedere le sue labbra pronunciare, stupite, il mio nome.

E a un tratto sono dentro, fra le sue braccia.

Mi stringe a sé ed è caldo il suo corpo... e profumato il suo maglione. E dolce la sua voce mentre sussurra “Kaede” al mio orecchio.

-          Scusami per il ritardo. La neve. Pensavo fossi tornato a casa.

Hanamichi si slaccia dal mio collo sorridendomi fanciullesco.

-          Una volpe aveva promesso che sarebbe venuta a farmi visita…piuttosto…sarai morto di freddo lì fuori – e senza darmi il tempo di dire nulla mi prende le mani racchiudendole dentro le sue.

Mi sento racchiuso nel suo affetto… e le sue mani che riscaldano le mie sembrano racchiudere la mia anima.

Dopo pochi minuti la pelle recupera un lieve colore rosato… Hanamichi si stacca lentamente da me e mi fa cenno di sedersi su uno degli sgabelli vicino al bancone del piano bar. Distratto lievemente dalle sue chiacchiere di sottofondo (“Il Genio è tale anche quando deve sostituire una stufa”), mi osservo intorno. Il locale è in legno d’abete, l’odore nell’aria ne è pregno, e fa uno strano effetto pensando ai palazzi moderni e metallici lì fuori. I tavolini e le sedie sono anch’esse in legno massiccio e l’idea di solidità e fermezza che trasmettono si rispecchia nell’ambiente intimo e ricercato che mi circonda.

 

Mi piace.

 

 

Mi torna in mente una vacanza in montagna che facemmo tantissimi anni fa. Mamma dava già i primi sintomi di malessere ma sembrava che l’aria fresca e pulita delle montagne vicino a Kiyomizudani la facesse stare meglio. Sorrise molto durante quella breve vacanza. Ed io osservavo affascinato i campi verdi che circondavano la città… non avevo mai visto così tanta erba e fiori e farfalle in un unico posto. Kanagawa, in fondo, è sempre stata un’immensa distesa di cemento.

-          Hey! Ma mi stai ascoltando?

La voce fintamente irritata di Hanamichi mi riporta alla realtà. È passato dietro al bancone… solo ora mi accorgo che indossa ancora un lungo grembiule nero che gli avvolge il petto e i fianchi. A un tratto l’immagine di lui… davanti a me… vestito con solo quell’indumento…

Sento ardermi le guance… riporto lo sguardo su di lui, concentrandomi sul suo viso.

-          Il titolare ti ha lasciato le chiavi del locale?

Hanamichi sorride complice.

-          Sì…mi trovo bene con il nonnetto… nonostante lavori qui unicamente per intercessione degli assistenti sociali, mi ha sempre trattato bene…anche se è un vero schiavista! – ridacchia lievemente, - non mi ha giudicato solo dal mio aspetto…e poi, non per dire ma… sono un Tensai anche nel servire! – e il suo sguardo sbruffone si perde in una risata leggera…

Poi il suo sguardo ritorna serio e appoggiando le braccia sul bancone, incassa la testa all’interno, quasi stendendosi.

-          Spesso ho dormito qui. A volte finivo troppo tardi di lavorare e non avevo voglia di tornare a casa. Watanabe-san mi concedeva il permesso di dormire qui, bastava che ripulivo tutto il locale prima di addormentarmi. Nel piccolo ripostiglio qui dietro c’è il mio futon il tessuto ormai è pregno dell’odore del legno e del tabacco…- e ridacchia.

Il mio sguardo si adombra… provo ormai quasi un malessere fisico al pensiero della sua condizione fino a qualche mese fa. La mia mano si sposta sulla sua testa senza che me ne accorga… gli accarezzo dolcemente i capelli, intrecciando per pochi secondi le dita fra quella massa carminea.

Lui alza il capo e, sporgendosi, mi bacia a fior di labbra.

-          Vuoi dormire qui con me?

Annuisco lievemente prima di far ricombaciare le nostre bocche.

 

 

 

 

 

Dopo una mezz’oretta e una tazza di thé caldo, Hana abbassa totalmente la saracinesca, chiudendola con un fermo in metallo. Spegne anche le luci calde del locale… l’unica fonte di luce proviene da dei bicchieri colorati e sbrecciati con dentro dei mozziconi di candele, posti sui tavoli vicino al futon. Lo abbiamo steso in un angolo della stanza, vicino al condizionatore d’aria calda… almeno non moriremo di freddo questa notte.

Ci stendiamo vicini, coprendoci con delle coperte in lana che Watanabe-sama ha lasciato a Hanamichi.

 

L’unico suono che si sente è il vento freddo che si spinge lievemente contro la saracinesca del locale.

 

Hana si stringe contro di me, ponendo la testa sulla mia spalla, strusciando la guancia contro il mio collo. Sorrido, accarezzandogli i capelli.

 

-          Lo sai che non sei un gatto vero?

Sento le sue labbra incurvarsi divertite contro la mia pelle.

-          Cavolo… e pensare che mi stavo già preparando a fare le fusa

Rimaniamo in silenzio, solo i nostri respiri caldi nell’aria… poi avverto Hana sospirare.

-          Mi dispiace per questa sera… hai passato quattro ore in treno e sei anche rimasto bloccato a dormire in uno stupido locale…

 

-          E tu mi hai aspettato… e ora sei abbracciato a me… dormiremo insieme… non mi potrebbe importare altro in questo momento.

Gli bacio la fronte… gli occhi chiusi frementi e imbarazzati…. le guance arrossate… e le labbra piene e dolci.

 

 

 

 

 

Hey Hana… e se ci rinchiudessimo per sempre qui dentro?

Se lasciassimo il nostro futuro, le preoccupazioni, i tormenti e i dolori fuori di qui? Potrebbero sbattere quanto vogliono contro la saracinesca ma non ce la farebbero a entrare.

 

Cosa ne pensi?

 

 

***

 

 

 

Le vacanze natalizie passano velocemente… con Hanamichi cerchiamo di trascorrere il maggior tempo possibile insieme. Dormiamo insieme quasi ogni sera e svegliarsi la mattina sotto lo stesso piumone è una sensazione che è difficile da descrivere. Quando apro gli occhi e vedo il suo viso rilassato vicino al mio… mi sento completo. Ed è una sensazione totalizzante. Quasi euforica. Inizio la giornata con un suo sorriso… e un bacio umido e caldo.

 

 

Hanamichi sembra stare meglio. La notte a volte lo sento mormorare angosciato parole incomprensibili, ma basta un mio abbraccio per farlo calmare. Vorrei dissipare gli incubi che ancora lo tormentano… ma a poco a poco li rilegherò da qualche parte.

 

 

Voglio farcela.

 

 

A volte lo sento alzarsi durante la notte… faccio finta di dormire ma osservo febbrilmente le sue mosse… nonostante la sua promessa ho sempre paura che possa ricominciare a tagliarsi; che scopra che in fondo io non gli basto per eliminare il dolore.

Ma Hana non impugna mai nulla in mano… si avvicina alla finestra e si perde con lo sguardo nell’oscurità. Non penso veda qualcosa in realtà, né che cerchi nulla nella via deserta. Si sfiora il braccio segnato dalle mille cicatrici e rimane in piedi per vari minuti. Forse piange… non lo so. Io rimango immobile nel letto, cercando di frenare la mia voglia di alzarmi e stringerlo contro di me, confortarlo. So che lui non lo vorrebbe… sono dei momenti per sé, intimi… quando vorrà coinvolgermi, lo farà. Lo so. Ma è così frustrante…

Anche la quotidianità ci coinvolge piacevolmente… è divertente (anche se non lo ammetterò mai) litigare per cosa cucinare durante la giornata o per chi dovrà pulire… questa casa che è sempre stata fredda e silenziosa riacquista luce con Hanamichi. Mi ha anche costretto a comprare delle lucine al neon da attaccare fuori dalla porta… non me ne importa nulla del Natale e non capisco nemmeno perché dovrei festeggiare una festa in cui non credo… ma la sua espressione soddisfatta nel vedere le luci colorate accendersi e spegnersi mi ha ripagato dalla fatica del montarle e rimontarle (dopo averne rotte almeno una decina!). Visto che Hana si è trasferito qui per questi giorni ha portato con sé anche i suoi gattini.

All’inizio l’incontro con Micky non è stato dei più entusiastici… ma alla fine il mio gatto si è abituato all’intrusione...

-          Hey… a cosa stai pensando?

Hanamichi si sporge sullo schienale del divano sorridendomi.

-          Che sia io e sia Micky ci stiamo abituando ad avere dei do’hao girarci per casa…

Il suo viso diviene rosso…

-          Brutta volpacc…- non riesce a finire la frase che lo attiro contro le mie labbra, trascinandolo oltre lo schienale del divano, sopra di me.

Ci baciamo con foga e sento Hana rabbrividire contro il mio corpo quando una mia mano fredda scivola lentamente sotto il suo maglione azzurro. Accarezzo la sua pelle calda e liscia dei fianchi per poi salire lungo la sua schiena… che pelle mormida che hai Hana…

Lo sento strusciare lentamente il suo bacino contro il mio mentre la sua lingua continua a intrecciarsi umida con la mia… abbiamo entrambi il fiato corto… le sue mani mi sfiorano i capelli in carezze delicate, mentre avverto la sua eccitazione sfiorare la mia.

In questi giorni un altro aspetto che abbiamo… approfondito… è il contatto fisico. Sarà che siamo ragazzi, sarà che per quanto mi riguarda quando incomincio ad accarezzarlo le mie mani incominciano ad avere vita propria… ma lo desidero. Non ne abbiamo ancora parlato, ci imbarazza entrambi affrontare l’argomento… ma…

Le mie mani scendono repentine lungo la sua schiena e dopo una lieve esitazione si posano sul fondoschiena, accarezzando le natiche rotonde e sode avvolte dalla stoffa dei jeans chiari. Hanamichi si stacca con un gemito dalle mie labbra guardandomi con gli occhi socchiusi… posso leggervi la passione, il desiderio, misti a imbarazzo e timore… ciò che starà nei miei occhi. Ma in questo momento non m’importa… stringo le dita intorno alle sue rotondità spingendole contro il mio bacino teso e a entrambi sfugge un ansito allo scontrarsi delle nostre virilità eccitate.

-          Kaede… - il suo sussurro roco si infrange contro il mio orecchio prima che le sue labbra incomincino a mordicchiarlo lentamente…

Ok… sto per perdere il mio famoso autocontrollo…

Leccando la pelle lievemente sudata del collo sposto una mano dal suo fondoschiena alla coscia… lentamente la percorro per farla scivolare lungo il fianco… e lo stomaco… e il ventre… fino ad arrivare sopra il rigonfiamento dei jeans. Struscio il palmo lentamente contro la sua virilità e avverto Hana ansimare piano contro il mio orecchio. Chiudendo gli occhi e lasciandomi trasportare dal suo respiro spezzato, incomincio ad abbassare la cerniera… infilo la mano sotto i boxer e in un attimo avvolgo le dita intorno al suo membro caldo. Rimango immobile, imbarazzato.

Dio è la prima volta che faccio una cosa del genere in vita mia…

Il viso di Hanamichi è nascosto contro il mio collo e dal calore che emana, riesco a immaginare le sue guance in fiamme… sta trattenendo il fiato…

-          Kaede…già è la situazione più imbarazzante…della mia vita…per favore…

Il suo sussurro smorzato contro la spalla mi riscuote dall’immobilità… in fondo è identico a quando lo faccio a me… no?

Incomincio lentamente a saggiare la pelle, a farla scivolare contro il mio palmo e gli ansimi di Hanamichi m’incoraggiano a poco a poco ad aumentare il ritmo… sento il mio membro tirare contro i pantaloni della tuta. Toccare Hanamichi e sentire le sue reazioni mi stanno portando fuori di testa…

-          Hana…- e con la mia voce roca non so bene cosa gli sto chiedendo… sembra una supplica o un richiamo...

Con un sospiro affannoso contro il mio orecchio lo sento appoggiarsi sul fianco sinistro in modo tale da poter muovere il braccio destro… non vorrà… sento le sue mani impacciate accarezzarmi il petto per poi scendere velocemente sui pantaloni… dopo un attimo di esitazione sento le dita infilarsi sotto i miei slip e accarezzare il mio membro.

Quel poco di lucidità che mi era ancora rimasta scompare. In questo momento avverto solo la mia mano che continua ad accarezzare a ritmo sostenuto la sua eccitazione calda e umida, il suo respiro spezzato contro il mio collo e il mio piacere che velocemente serpeggia nell’inguine e nel cervello.

A tratti i nostri membri si accarezzano e sentire quel calore contro il mio m’incendia ulteriormente i sensi… sto per venire… stringo con forza il suo membro e Hana incomincia ad ansimare pesantemente…

-          Kaede………..Kaede…..- e con un ultimo ansito e un brivido veniamo assieme, bagnandoci le dita con il nostro seme.

 

Rimaniamo in silenzio per minuti, recuperando il respiro. Avverto il peso di Hana sopra di me e il suo membro “a riposo” contro il mio. Ci siamo accarezzati a vicenda… non riesco a crederci…

 

 

-          Penso che…non riuscirò più a guardarti in viso dopo questo – il mugolio di Hana si perde contro il mio collo.

 

-          Esagerato… - e con la mano “pulita” gli accarezzo dolcemente i capelli… - io invece… sono contento… di aver condiviso con te questa esperienza… - il mio sussurro gli fa sollevare di scatto la testa, gli occhi bassi e le guance in fiamme.

 

 

-          Hentai!

 

-          Hana… - gli accarezzo la guancia guardandolo seriamente, lui incontra i miei occhi e mi sento annegare nell’ambra autunnale… - non c’è un’altra persona che desideri di più al mondo di te, in questo momento…

 

Le sue guance s’imporporano e sorride, nascondendo il viso fra il mio collo e la spalla.

 

-          Anch’io ti desidero volpaccia…in realtà ti desidero da molto tempo…

 

-          E poi sarei io l’hentai

Rimaniamo distesi sul divano ancora per altri minuti…poi alla fine ci alziamo e con estremo imbarazzo ci aggiustiamo i pantaloni…

-          Forse dovremmo…fare una doccia…eh?

 

Guardo Hana…al pensiero di lui nudo contro di me…immerso nell’acqua…la schiuma bianca del bagnoschiuma sulla sua pelle…

 

 

-          Kaede… - il suo tono imbarazzato mi riscuote dai pensieri poco casti che avevano invaso la mia testa… - a cosa stai pensando?

I suoi occhi sono fissi sul mio inguine…è inutile dare un’occhiata…mi sono di nuovo eccitato. Che palle…

-          Niente niente…vado a…- le mie guance devono essere lievemente arrossate -…hum…vuoi un thè?

 

 

Hanamichi sorride per poi scoppiare a ridere…

 

Do’hao!

-          Sai…è strano vedere il glaciale Kaede Rukawa preda dei suoi istinti… - e riscoppia a ridere…

 

 

Adorabile scemo…

 

 

Con pochi passi lo raggiungo e lo stringo contro di me…

-          Se vuoi il “glaciale Rukawa” te li può mostrare uno per uno…–e la mia voce finta-sensuale contro il suo orecchio lo fa ridere contro le mie labbra…

 

 

 

Ti amo Hanamichi.

 

 

 

***

 

 

 

-          Kaede…Kaede…svegliati…

 

Apro lentamente gli occhi… la luce del giorno mi ferisce per pochi secondi la vista…. poi lo sguardo mi cade sulla mamma, seduta sul letto.

Mi guarda sorridendo.

Mi alzo di scatto a sedere guardandola a occhi sgranati.

 

-          Mamma! Perché sei uscita dal letto? Papà dice che…

 

-          Shhh… - mi porta un dito sulle labbra, interrompendomi… - non mi fa male muovermi un pochino…non preoccuparti… - e mi sorride dolcemente accarezzandomi una guancia – e poi… dovevo darti questo… oggi è un giorno speciale…

 

E dal pavimento dietro di lei solleva una scatola impacchettata con un fiocco rosso.

La osservo stranito per poi prenderla fra le mani.

 

-          Non è oggi il tuo compleanno campione? Dai, cosa aspetti, aprila!

 

Con un sorriso felice, scarto la carta colorata e il fiocco.

Dentro la scatola… c’è un pallone da basket!

Lo prendo fra le mani accarezzando la pelle ruvida arancione.

 

-          Che bella!

 

-          Mi sono accorta che ti diverte vedere le partite di basket alla televisione…e il tuo maestro di ginnastica ha detto a papà che secondo lui sei davvero bravo a giocare con la palla…

 

-          Grazie mamma!

 

La abbraccio di slancio, contento come non sono mai stato.

 

-          L’anno prossimo t’iscriviamo al club di basket… va bene? – e mi accarezza i capelli lentamente… - così quando starò meglio ti verrò a vedere…

 

-          Sì…

 

 

 

 

 

 

Kaede… Kaede svegliati …”

 

 

 

 

 

 

 

Apro gli occhi… la luce del mattino avvolge la camera con delicatezza… avverto il peso della testa di Hana sulla mia spalla, il suo respiro caldo contro il mio collo. Ripenso al sogno, o meglio, al ricordo dell’ultimo compleanno passato con mia madre. Sospiro lentamente…

Non ho più festeggiato il mio compleanno… mio padre non si è mai interessato alla questione ed io non ho mai insistito per celebrarlo. Odiavo quella data. La odio tuttora. Non ho detto nulla a Hana… non voglio nessun augurio. Nessun regalo.

 

Mi chino a baciare lievemente i suoi capelli, inspirandone l’odore di pesca (il suo shampoo). Mi basta solo lui ora. Nient’altro.

 

-          Hey… - si muove piano contro il mio corpo, intrecciando una gamba con la mia – sei già sveglio…a cosa dobbiamo questo evento…? – e il suo sorriso si perde contro la pelle del mio collo.

 

 

-          Buon compleanno Kaede…

 

 

 

 

-          A niente…russi troppo forte e mi sono svegliato…

 

Hanamichi si alza di scatto a sedere, rosso in viso.

 

-          Bugiardo! Io non russo! – e si sposta su di me, imprigionandomi contro il futon. Avvertire la pelle seminuda di Hana contro la mia mi distoglie dalla battuta che era nata sulle mie labbra. Vedo anche la sua espressione divenire distratta e il suo sguardo esageratamente furente trasformarsi in dolce passione… - l’avevo detto io che sei uno spirito di volpe maledetto… - e mi accarezza il viso con i polpastrelli delle dita… - come si può… - non finisce la frase, congiungendo le nostre labbra con calma.

 

Ci scambiamo un bacio umido e caldo, lento, ci rilassiamo nell’intrecciare le nostre lingue e i nostri sapori. Porto le mani dietro la sua nuca, gli accarezzo i capelli morbidi, lo attiro contro di me, avverto la sua eccitazione contro la mia e strofino il bacino sotto il suo. Indossiamo solo i boxer e possiamo entrambi avvertire la consistenza dei nostri membri… incominciamo a strusciarci l’uno contro l’altro, persi nel nostro bacio e nelle sensazioni che i nostri corpi ci donano.

Dopo pochi minuti veniamo entrambi… Hanamichi lascia la mia bocca per prendere fiato… è così bello con quell’espressione arruffata e le guance color porpora. Strofina il naso contro il mio collo, abbracciandomi.

-          Dovrebbe essere sempre così il mio risveglio… - e ridacchia.

 

-          Mh… sì…si può fare – e per sottolineare il concetto infilo una mano sotto i suoi boxer accarezzando le natiche sode e rotonde.

 

 

-          Ti piace così tanto il mio sedere? – la sua voce è divertita e imbarazzata allo stesso tempo.

 

-          Mh…sì…direi proprio di sì… - la pelle è morbida sotto le mie mani…

 

-          Modestamente…ho anche un sedere da tensai…

 

 

La giornata scorre piacevolmente… ieri sera abbiamo celebrato lo Shōgatsu presso il tempio del quartiere e siamo tornati a casa tardi… oggi eravamo troppo stanchi per fare qualcosa in particolare. Inoltre fuori ha ripreso a nevicare e la voglia di uscire, almeno per me, è pari allo zero.

Ora Hana è di là in cucina… parla con i suoi gatti e nel frattempo penso stia cucinando qualcosa per stasera. Sbadiglio, accoccolandomi meglio sotto il plaid rosso, disteso sul divano. Si sta così bene qui al calduccio… chiudi gli occhi.

 

Nonostante non abbia festeggiato… è il primo compleanno che passo felice. Ed è solo merito di Hanamichi. Se penso all’anno scorso… non mi ricordo nemmeno cosa abbia fatto per tutta la giornata. Avrò giocato in qualche campetto da basket, facendo finta che fosse un giorno come gli altri. Non voglio nemmeno pensarci…

 

 

 

Sto per addormentarmi quando un urlo proveniente dalla cucina mi fa sobbalzare.

-          Kaedeeeeeeeeeeeeee…- Hana esce dalla cucina trafelato e con in mano una busta di croccantini per gatto, vuota – Kaede! È finito il cibo per i mici!

 

-          Mh… - e io che pensavo fosse successo qualcosa di importante… faccio per rigirarmi dall’altra parte quando una mano di Hana si posa con decisione sulla mia spalla.

 

 

-          Hey! Vai a comprarlo se no moriranno di fame fino a domattina.

È impazzito…io non esco con quel freddo.

-          Scordatelo do’hao. Resisteranno. Gli diamo la nostra cena – e mi alzo il plaid sopra la testa, chiudendo il discorso.

 

-          No no… - afferra il plaid con forza, privandomi del suo calore – tu vai ora…dai il negozio è qui vicino! Io nel frattempo cucino e quando torni, è già pronta la cena.

 

 

-          No!

 

-          Dai!

 

-          No! – e lo guardo con il mio sguardo più truce.

Hana mi si avvicina con un’espressione da cucciolo abbandonato che farebbe sciogliere anche un iceberg….

-          E dai Kae-chan…

Kae-chan!?

Si siede sulle mie ginocchia abbracciandomi.

-          Ti prego… - con voce melliflua che mi fa rizzare i peli delle braccia.

 

-          Ok ok…ma ti prego smettila.

 

 

Mi alzo dal divano sbuffando seguito dalla risata di Hanamichi che incomincia a intonare la sua stupida canzoncina “Ore wa tensai desu”.

Sulla soglia della porta c’è Micky che mi aspetta.

Tutta colpa vostra stupidi gatti… la mia espressione deve essere indicativa perché Micky mi soffia contro mentre gli chiudo la porta in faccia.

Tiè!

 

Mezz’ora dopo sono di ritorno completamente congelato. Mi vendicherò…giuro…lo farò…

Quando apro la porta di casa mi avvolge il buio. Sbuffo irritato.

-          Do’hao! Sei riuscito anche a far saltare la luce?

Non mi risponde. Mi sfilo il cappotto e tentoni percorro il corridoio…spero di non pestare la coda di nessun gatto, ci mancano solo i graffi ora.

 

 

Dalla cucina sembra provenire una fioca luce…ma che cavolo…?

 

 

 

 

 

Arrivo sulla soglia e rimango impietrito.

 

 

 

 

 

 

 

Sul tavolo…

 

 

 

 

 

 

Sul tavolo c’è una torta con delle candeline.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avverto le braccia di Hana stringermi da dietro, portando la mia schiena contro il suo petto.

E il suo sussurro contro l’orecchio mi fa inumidire gli occhi.

 

-          Buon compleanno amore.

 

 

Non mi muovo… troppo sorpreso. Non riesco nemmeno a parlare… ecco perchè voleva che uscissi.

 

Hanamichi…

 

 

Mi giro di scatto e lo bacio con forza… lo faccio arretrare fino al muro, dove lo schiaccio con il mio peso. Divoro le sue labbra morbide, rincorro il suo respiro accelerato, assaporo la sua bocca.

Dentro questo bacio… c’è il mio amore. Tutto ciò che non riesco ancora a dirti, tutte le sensazioni che non riesco ancora a descrivere, a dar forma.

 

 

 

Ti amo.

 

 

 

-          Hey…devo farti spesso delle sorprese se questa è la tua reazione… - sorride contro il mio collo dopo che stacco le mie labbra dalle sue.

 

-          Mh…- e lo stringo per un attimo più forte contro il mio petto per poi lasciarlo andare. Mi giro verso la torta… immagini confuse e veloci attraversano la mia mente. Di me quando ero piccolo, delle torte colorate della mia infanzia, delle risate di mia madre e… degli ultimi compleanni passati da solo, con Micky.

 

 

-          Ti piace? Te l’ho fatta al cioccolato… - mi stringe la mano, intrecciando le dita con le mie.

 

-          Come… facevi a saperlo? – osservo affascinato il lento ondeggiare delle fiamme delle candeline nell’aria…

 

 

-          Kaede… solo tu potevi nascere il primo dell’anno… e poi… è normale sapere la data di nascita della persona di cui… si è innamorati… no?

Sorrido portando le nostre mani intrecciate contro le mie labbra…bacio le sue dita, riconoscente.

-          Grazie Hanamichi…

 

-          Ma no… - e lo vedo arrossire nella semioscurità…- ho immaginato che per te… non doveva essere un giorno felice e che per questo motivo non mi avevi detto niente… ma io… ci tenevo a festeggiarlo… per te.

Lo bacio ancora…

-          Assaggiamola…così vediamo che impiastro hai combinato! – e sorridendo sornione mi siedo una seggiola, vicino al tavolo.

-          Hey! Il Tensai non combina impiastri!

Lo tiro per un braccio facendolo sedere sulle mie ginocchia, cancellando con un altro bacio il suo broncio.

-          Vuoi mangiarla…così? – e arrossisce.

 

-          Sì… in stile koala…

 

 

-          E la luce? Appena spegni le candeline, sarà tutto buio.

 

-          E chi ha detto che dobbiamo davvero mangiarla adesso? – e sorridendo malizioso contro le sue labbra socchiuse infilo una mano sotto la felpa pesante, accarezzando la pelle morbida del fianco.

 

 

-          Kaede…ho speso due ore per preparartela…- e rabbrividisce al mio tocco.

 

-          Uff…. e va bene… - e con finta aria rassegnata riporto le mani sul tavolo.

 

 

-          Brava volpetta… - e mi accarezza la testa come se fossi un bambino dispettoso – dai… soffia ed esprimi un desiderio.

 

Osservo la torta, il lento ondeggiare delle fiammelle calde nell’aria. Io non credo nei desideri, nelle promesse, nel destino… la vita bisogna crearsela con le proprie mani… e anche così, non è detto che si otterrà ciò che si vuole.

 

 

 

Ma per una volta… voglio essere debole, affidarmi alla notte e all’abbraccio caldo di Hana.

 

 

 

 

 

 

“Voglio crescere insieme a te…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E dopo pochi secondi siamo immersi nel buio.

 

 

 

 

 

 

Sul futon, dopo, ci accarezziamo lentamente. Ci siamo spogliati con calma, baciandoci, accarezzando ogni centimetro di pelle calda che si liberava dai vestiti. Hanamichi ha una pelle morbida al tatto, anche se sotto i polpastrelli posso avvertire in alcuni punti le cicatrici delle sue passate”battaglie” e scontri. So che è a disagio quando le sfioro, soprattutto quelle delle sue braccia, ma voglio fargli capire che accetto tutto di lui. Il suo passato e le sue cicatrici.

Mi porto sopra di lui…è la prima volta che siamo entrambi nudi. Lo abbraccio forte e m’inebrio del calore, del suo profumo, delle sue forme contro la mia pelle. Hanamichi sospira contro la mia spalla, accarezzandomi la schiena, i capelli corvini, spingendomi maggiormente contro di lui. Alzo un po’ il viso guardandolo negli occhi. Ci baciamo con dolcezza, stringendoci sotto il piumone caldo.

-          Kaede…io…

Hana mi accarezza la guancia, guardandomi seriamente negli occhi, le guance arrossate.

-          Voglio fare l’amore con te…

-          Hanamichi…

Ci baciamo e lo sento strusciarsi contro di me. Il mio respiro accelera velocemente, finalmente conscio di cosa sta succedendo.

-          Hana…aspetta…io non niente per… - che imbarazzo maledizione.

 

-          Mh… - gira la testa da un lato, rossissimo in viso… - ho portato io…

 

 

-          Ah…

 

-          Sì…l’altro giorno…sono passato dalla farmacia…e…

 

 

-          Dove stanno?

 

-          Nello zainetto vicino alla scrivania.

Ci guardiamo negli occhi entrambi imbarazzati. Avevo pensato molto a quando avremmo approfondito in questo modo il rapporto… ma non pensavo sarebbe successo così… presto. E non oggi soprattutto!

Hanamichi deve notare la mia esitazione perché mi abbraccia con forza.

-          Non dobbiamo per forza…farlo oggi. Volevo solo farti sapere che…se tu vuoi…

 

-          Mh…no è che…

 

 

-         

Dai dillo Kaede…dillo…

 

 

 

-          …non sono preparato. Cioè… non so cosa…- ricordati questo giorno Hana…sarà la prima (e spero ultima volta), in cui Rukawa Kaede affermerà di non saper fare qualcosa…

 

-          Kaede… - mi bacia dolcemente…- non stai parlando con un esperto di sesso sai…?

 

 

-          Non vorrei farti male.

 

-          Se mi fai male, ti picchio. Contento?

 

 

E mi sorride sornione. Ridacchiamo lievemente… la tensione scivola in parte via, anche se proviamo ancora entrambi imbarazzo.

Scivolo da sotto il piumone rabbrividendo all’aria fresca della stanza. Completamente nudo mi avvicino tentoni nel buio alla mia scrivania… mi accuccio vicino ai cassetti e trovo lo zainetto. Apro la tasca davanti e prendo un sacchetto di plastica.

-          E’ questo?

 

-          .

Ritorno vicino al futon, rinfilandomi sotto il piumone. Hanamichi sussulta leggermente quando la mia pelle fresca sfiora la sua.

-          Hai la pelle gelida baka!

 

-          Do’hao… - e senza ascoltare i suoi borbottii estraggo dal sacchetto una confezione di preservativi e un… lubrificante?

Hanamichi vede la mia espressione imbarazzata e ridacchia leggermente.

-          Beh…per facilitare il tutto no? Visto che non sono una donna…

 

-          Baka…

Prendo una bustina con un preservativo e il lubrificante e li poggio vicino al futon. Poi mi stendo di nuovo vicino a Hana stringendolo.

-          Ne sei sicuro?

Hanamichi annuisce contro il mio collo.

Sorridendoci incominciamo a baciarci… riacquistiamo familiarità con i nostri corpi, le nostre pelli, i nostri calori. In pochi minuti la foga e la passione ci avvolgono. I baci diventano umidi e voraci sembrano voler inghiottire le nostre anime… le nostre mani percorrano sentieri infiniti sulle nostre forme, amo la tua pelle, il tuo profumo, il tuo essere uomo. Avido mi sposto sul tuo collo mordendolo, leccandolo, inebriandomi del suo calore, del sangue che avverto scorrere selvaggio sotto la pelle.

Bacio il tuo petto, i tuoi capezzoli, cerco di eliminare l’imbarazzo, il pensiero di cosa io stia facendo… ci sei solo tu. Solo il mio amore nei tuoi confronti.

Avverto il tuo pene turgido contro il mio petto e senza pensare, porto le mie labbra sulla sua punta umida. Ti sento tremare sotto di me, ansimi sorpreso, sussurri il mio nome… incomincio a leccarlo lievemente, avvertendo il sapore salato sulla mia lingua… lo inglobo fra le mie labbra, ingoiandolo, pompandolo nella mia bocca. Ti agiti sotto di me, avverto le tue mani accarezzare gentilmente i miei capelli, accompagnando il movimento della mia testa…

-          Kaede…ah…ah…Kaede…aspetta…ah…

Dischiudo le labbra umide dal tuo pene… alzo lo sguardo, perdendomi nei tuoi occhi imbarazzati…

-          Non… non voglio venire così…

Sorrido lievemente, abbracciandolo.

-          Va bene…

Prendo il flaconcino di lubrificante, aprendolo. Verso un po’ del gel fresco sulle mie dita… ci guardiamo di nuovo negli occhi… poi lentamente Hanamichi solleva leggermente le natiche dal futon candido ed io inserisco l’indice dentro di lui. Il dito entra con facilità... Hana socchiude leggermente gli occhi e a un suo cenno, incomincio a muoverlo, estraendolo e facendolo rientrare.

-          Fa male?

 

-          No… è strana come sensazione… ma è piacevole.

E con un sorriso, mi abbraccia, sussurrandomi di inserire un altro dito ancora.

Lentamente lo preparo, stringendomi al suo corpo, accarezzandogli i capelli, baciando i suoi lievi mugolii di piacere…

Con un ultimo sguardo imbarazzato, indosso il preservativo e ci passo sopra un po’ di lubrificante… siamo entrambi con il fiato corto, le guance arrossate dall’aspettativa e dall’inesperienza.

Non dimenticherò mai il tuo viso in questo momento.

Mi riporto sopra di te e ti abbraccio. Con la tua mano calda porti il mio pene contro la tua apertura… e con un movimento fluido del mio bacino sono dentro di te.

 

E mai mi sono sentito parte di un qualcosa più grande di me come adesso. Il piacere che cresce fra noi, i movimenti frenetici delle tue mani sulla mia schiena, l’imbarazzo nell’ansimare, il tuo corpo caldo che mi accoglie, il tuo bacino che sbatte ritmicamente e rincorre il mio… e l’orgasmo, appagante, luminoso dietro le nostre palpebre, devastante nei nostri corpi, liberatorio nei nostri cuori.

 

 

Via tutta la sofferenza, il dolore, l’inadeguatezza, il rammarico… per pochi secondi abbiamo cancellato, insieme, tutto questo Hanamichi.

 

 

E non sono mai stato così felice di averlo fatto.

 

 

 

 

Tremiamo leggermente, al piacere si sostituisce una dolce spossatezza. Esco dal tuo corpo e dopo essermi sfilato il preservativo, ti abbraccio di schiena, stringendoti contro il mio petto. Rimaniamo in silenzio per molto tempo… sono in pace… e felice. Bacio lievemente i tuoi capelli umidi.

-          Sai Kaede… non pensavo… che un giorno sarei stato di nuovo felice. Davvero.

Lo stringo maggiormente contro di me, respirando il suo odore, riscaldandomi con il suo calore.

 

 

-          Ah…ma io non ti ho dato il tuo regalo di compleanno… - Hana si agita cercando di divincolarsi dal mio abbraccio.

 

-          Cosa? C’è anche un regalo?.......pensavo fosse stato questo il tuo regalo… – sussurro maliziosamente contro il suo orecchio.

 

 

-          Baka…- e scivola fuori dal futon… lo sento frugare nel suo zaino per poi ritornare da me con pacchetto in mano… - tieni… spero ti piaccia…

E’ da molto tempo che non ricevo regali. Nonostante ciò, riscopro facilmente la leggera aspettativa che muove le mie mani nello scartare la carta colorata. In pochi secondi mi ritrovo in mano una scatola di un cellulare di ultima generazione.

Guardo interrogativamente Hanamichi che accanto a me trattiene il respiro. Sono sorpreso da questo suo pensiero… e penso anche a quanto avrà speso per potermelo fare.

Sto per ringraziarlo quando lui mi posa la mano contro le labbra, bloccandomi.

-          Prima che tu possa dire qualcosa sul prezzo, t’informo che non accetto critiche. Volevo farti questo regalo e te l’ho fatto, non importa quanto ho speso. So anche che… probabilmente potevi permettertene uno anche migliore e più costoso ma… so che non ami molto questo tipo di teconologia…volevo solo che avessimo uno strumento semplice per sentirti ogni volta che vogliamo… e lo so che ti da fastidio essere controllato e che hai i tuoi spazi ben definiti quindi non ti assillerò con chiamate continue… e ovviamente non significa che sei costretto a chiamarmi o a farti sentire… insomma… - le sue guance devono ardere…

Interrompo il suo sproloquio confuso e imbarazzato abbracciandolo.

-          Grazie Hanamichi…davvero…

 

-          Ti piace?

 

 

-          Sì…grazie… - e lo bacio di nuovo.

Mi porto sopra di lui e con calma e acquistata sicurezza facciamo di nuovo l’amore. Lo amo con lentezza, facendogli assaporare ogni sospiro e spinta del mio corpo dentro di lui.

Dopo recuperando il respiro e le forze mi ricordo di un particolare del suo discorso.

-          Prima hai parlato al plurale…ti sei comprato anche tu un cellulare?

 

-          Mh…sì…- strofina il capo contro la mia spalla… - così… - lo sento esitare per pochi secondi con la voce… - potremo sentirci sempre… anche se non saremo vicini…- la sua voce sembra assumere una tonalità malinconica… ma forse è solo una mia impressione.

Passo lentamente le dita fra i suoi capelli carmini ripensando alle sue parole… mi rassicura il pensiero di poter essere in contatto ogni volta che vogliamo. Ma… allo stesso tempo… c’è qualcosa che mi disturba.

Ma non riesco a capire cosa.

Il sonno incomincia a vincere contro i miei occhi e i miei pensieri… avverto Hanamichi baciarmi una spalla e sussurrarmi l’ultimo “buon compleanno” di questa notte.

 

 

 

***

 

 

 

Guardo fuori dalla finestra dalla cucina… la neve è scesa anche questa notte. Penso a Hana che in questo momento starà lavorando a Yokohama…oggi non penso riusciremo a vederci… domani ricominceranno le lezioni… ci vedremo direttamente allo Shohoku.

La mia attenzione è catturata dal ramo dell’acero adiacente alla casa, dove si posa un corvo nero… che brutti uccelli… come avvertendo il mio pensiero gira la testolina verso la mia direzione aprendo il becco ed emettendo quel verso odioso e gracchiante…

 

 

 

A un tratto in casa risuona rimbomba il suono del telefono. Mi giro sorpreso verso il salone, da cui proviene il rumore. Non sono molto abituato a sentire quel suono…nessuno mi chiama normalmente…

 

Con pochi passi mi dirigo in salone e alzo con esitazione il cordless dalla sua postazione.

-          Pronto? - avverto Micky acciambellarsi vicino alle mie gambe.

 

-          Kaede.

 

Rimango immobile, il respiro in gola. In questi pochi secondi avverto una lieve agitazione impossessarsi del mio corpo.

 

 

 

 

 

Mio padre non mi chiama mai.

 

 

 

 

 

-          Sì.

 

-          Andrò dritto alla questione… entrambi non amiamo i convenevoli. Mi ha contattato il tuo mister…di basket… - sembra emettere un verso di disgusto nel pronunciare questa parola… - il signor Anzai. Mi ha detto che per te è disponibile una borsa di studio per gli Stati Uniti e che tu l’hai rifiutata. Mi ha pregato di farti riflettere.

 

 

 

 

 

 

Non so cosa dire. Sono attraversato da mille emozioni contrastanti e violente.

Perché mio padre mi ha chiamato? Che cosa vuole? E come cazzo si è permesso il signor Anzai di contattarlo?

 

Perché s’immischiano nella mia vita e nelle mie decisioni? PERCHE’?

 

 

 

-          Convieni anche tu che sarebbe meglio per te trasferirti negli Stati Uniti. È… un’esperienza… - sembra riflettere sulle parole, ma so benissimo che questo discorso è stato già preparato… in realtà il suo è un monologo in cui io non avrò nessuna parte da recitare… -… formativa. Abbiamo una sede della Società a New York, non sarai abbandonato a te stesso.

“abbandonato a te stesso”…che ipocrisia detta dalla persona che mi ha letteralmente abbandonato in questa casa. Lo stomaco mi si contorce…

-          Non voglio andare… - riesco a emettere solo un rantolo mezzo soffocato. Mi fai schifo Kaede… ecco come ti riduci davanti a lui. Un piccolo cagnolino infermo e disgustoso.

 

-          Ho già inviato un fax presso il tuo Istituto - ignora totalmente le mie parole… - con tutte le carte firmate inviatemi dal Signor Anzai. Se hai bisogno di altri soldi, contattami.

 

 

-          Io… - cerco di recuperare il fiato scomparso dai miei polmoni… - non voglio andare!!!

 

 

 

Avverto il silenzio dall’altra parte della cornetta.

 

 

 

 

Poi la Sua voce mi raggiunge ancora più fredda di prima.

-          Pensavo fossi cresciuto in questi anni. Sei ancora un ragazzino immaturo… questa esperienza ti servirà anche ad acquisire delle priorità nella vita. In caso ti contatterò prima della tua partenza.

 

 

E senza rendermene pienamente conto avverto contro il mio orecchio il suono insistente della comunicazione interrotta.

 

 

Ancora scosso mi fiondo sulle scale raggiungendo il bagno in poche falcate. Vomito con violenza il mio pranzo.

Dopo mi accascio contro le piastrelle fredde del muro… chiudo gli occhi, un magone in bocca e sulla lingua il sapore della mia bile.

 

 

 

Non può andare così… non è giusto… non ora non ora…

 

 

Il viso di Hanamichi fa capolino nei miei pensieri. Non ti voglio lasciare. Non ti voglio lasciare.

 

 

Maledetti…

 

 

 

 

Quando penso al mio passato, i ricordi sono immersi nella solitudine. Non voglio ritornare in quello stato. Non voglio più dipendere solo su me stesso. Mi hai di nuovo insegnato a fidarmi di un’altra persona… voglio proteggerti e voglio coltivare con calma il sentimento che ci unisce. Non voglio lasciarti dietro di me.

 

 

Non voglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo entro nella palestra impossessato di una furia straziante. Non ho incontrato ancora Hanamichi e stanotte non ho dormito, tormentato da mille pensieri e da una rabbia crescente.

Senza bussare entro di colpo nell’ufficio di Anzai-san.

Lui, seduto dietro la sua scrivania, alza il capo incuriosito da tale veemenza. Dal suo sguardo comprendo che si aspettava una mia visita.

Sospira e osserva il moto sussultorio delle mie spalle e il mio respiro affrettato. Vorrei spaccare tutto ciò che mi circonda.

Sbuffa scuotendo la testa.

-          Rukawa…chiudi la porta e siediti.

Mi chiudo con forza la porta dietro le spalle senza guardarla nemmeno e rimango in piedi.

-          Non voglio sedermi.

 

-          Va bene…penso dal tuo stato che tuo padre ti abbia comunicato la… nostra decisione.

 

 

-          Come vi siete permessi? Come si è permesso… Lei? Io mi fidavo di Lei Anzai-san – e dentro le mie parole avverto anche il dolore della fiducia infranta e calpestata… comprendo che è anche questo che mi fa soffrire in questo momento. Ho sempre… confidato in Anzai… e invece lui…

 

-          Rukawa…calmati. Ora non riesci…a comprendere il nostro agire. Ma in futuro… ci ringrazierai. È un’opportunità importante per te. Sarebbe davvero un peccato ignorarla.

 

 

-          IO COMPRENDO SOLO CHE HA GIOCATO CON ME! CHE COSA LE HA PROMESSO MIO PADRE PER FARMI MANDARE VIA DAL PAESE? EH? QUANTO LE HA DATO PER CONVINCERLA? – la voce raschia la mia gola. Non grido mai e non sono abituato ad alzare la voce in questo modo.

 

E per la prima volta vedo calare sul viso di Anzai un’espressione che non avrei mai voluto vedere. L’aria bonacciona e gentile scompare dietro una piega amara della bocca e della fronte. Si sfila gli occhiali con lentezza, osservandomi adirato.

-          Ignorerò le tue parole Rukawa e non ti ricorderò la posizione che occupi né l’età che possiedi in questo momento.

 

Chino il viso cercando di calmarmi.

M’inchino a 90 gradi, le braccia rigide accanto al mio corpo.

 

-          Mi perdoni Anzai-san… non volevo offenderla… né mettere in dubbio la sua onestà. Ma…

 

-          Va bene va bene Rukawa alzati – sospira, sorridendomi rassegnato.

 

 

-          In realtà… - si rinfila gli occhiali… - avevo deciso di lasciar perdere. So quanto puoi essere ostinato e testardo… ma… l’altro giorno mi ha contattato Sakuragi pregandomi di informare tuo padre della faccenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

Co… cosa? Sbarro gli occhi, sconvolto. Sakuragi…? Hana…?

 

 

-          È venuto a cercarmi durante le vacanze cercando di convincermi a insistere con te… e in caso di ricorrere a tuo padre come carta finale.

 

 

Le parole di Anzai-san non fanno altro che gettare altra confusione nei miei pensieri. Hana… perché Hanamichi avrebbe dovuto farlo? E soprattutto… come faceva a sapere della borsa di studio e del mio rifiuto?

 

Anzai-san nota il mio sbigottimento.

 

-          Sakuragi è molto maturato in quest’anno scolastico… ha compreso la serietà della situazione.

Io non so più cosa dire. In questo momento ho il vuoto dentro la mia testa.

Con un inchino frettoloso, farfugliando qualcosa d‘imprecisato, esco velocemente dall’ufficio di Anzai-san.

 

 

 

 

 

 

Perché… perché questa pugnalata alle spalle?

 

 

 

 

Ripenso ai giorni scorsi, alle sue dolci parole, alla sorpresa per il mio compleanno… e a un tratto mi fermo in mezzo al corridoio.

 

 

-          …potremo sentirci sempre…anche se non saremo vicini…

 

 

 

 

Il cellulare ecco perché me l’ha regalato. Sapeva già tutto…

 

 

 

Con questi sentimenti confusi entro dentro gli spogliatoi. Non c’è ancora nessuno… poso il borsone sopra una delle passa panche in legno e mi siedo. La testa mi gira… la rabbia e la delusione combattono dentro di me. Cerco di capire il perché sia accaduto tutto questo… ma non riesco ad analizzare lucidamente la situazione.

 

 

A un tratto la porta si apre e senza alzare lo sguardo vengo investito dal Suo odore. Il mio cuore incomincia a battere furiosamente. Rimango immobile indeciso se alzarmi e spaccargli la faccia o aspettare che mi calmi.

-          Te l’hanno detto – e sospira mestamente.

 

Rimane anche lui immobile sulla soglia della porta. Con la coda dell’occhio posso solo vedere le sue scarpe da ginnastica nere e rosse. Non mi ero mai accorto che la suola fosse così consumata.

-          Kaede guardami… - e si avvicina, buttando da un lato il suo borsone nero… il tonfo contro il pavimento mi riscuote dall’immobilità.

 

 

Mi alzo di scatto, allontanandomi, senza ancora guardarlo in volto.

 

 

 

 

Non voglio ricadere nelle sue parole false… nei suoi occhi traditori. Ho la nausea… come hai fatto a ricaderci dentro Kaede? Ti eri promesso che non ti saresti mai più fidato dalle persone e guardati adesso. Tremi… bravo. Davvero bravo.

 

-          Kaede…- sento i suoi passi avvicinarsi.

 

-          Che cosa ti ha promesso mio padre? Una rendita a vita? Un nuovo lavoro? Una casa? Eh? - la mia voce esce sepolcrale dalle labbra, s’infrange e rimbomba nella mia accusa disgustosa lungo le pareti bianche degli spogliatoi.

 

 

 

Avverto il respiro di Hanamichi bloccarsi in gola.

 

 

 

-          Smettila – il suo tono è duro. Anche se non lo vedo, immagino il suo viso arrossato dall’irritazione e le sua mani strette a pugno.

 

-          Sono stato davvero un idiota. Devo farti davvero i miei complimenti… ci sono cascato in pieno nella rete. Da quanto tempo mi prendevi in giro? - e non ci credo in queste parole. Non voglio nemmeno crederci in una realtà simile. Non posso essere stato così cieco.

 

 

-          SMETTILA!!! – e afferrandomi per una spalla mi fa girare verso di sé. Ci guardiamo finalmente negli occhi.

 

Hanamichi è adirato, le sue guance sono arrossate e so che si sta trattenendo dal tirarmi un pugno.

 

 

 

Ma io non sono bravo come lui.

 

 

 

 

Il mio colpo lo prende alla sprovvista, indietreggia lievemente. In pochi secondi il sangue bagna le sue labbra. I suoi occhi mi guardano feriti, più del suo corpo.

 

Non guardarmi così Hana… sono io quello distrutto. Non farmi sentire in colpa per un qualcosa che non ho fatto. Non ho nemmeno voglia di litigare con te. Non voglio ascoltare le tue parole. Voglio solo chiudermi in casa, accarezzare Micky e cercare un modo per non andare in America. Devo trovare la lucidità per pensare… ora non ho nulla fra le mani. Solo pensieri sporchi e infamanti come quello che ti ho vomitato addosso. Non voglio che tu mi veda in questo stato. Hai calpestato il mio orgoglio… non voglio mostrartelo sotto le tue scarpe pesanti.

 

 

Basta.

 

 

Lo supero e prendo il mio borsone. Non voglio allenarmi oggi.

 

 

 

 

-          Non scappare maledizione!

 

 

Mi blocco sulla soglia della porta. Incomincio a tremare… calmati… calmati… vattene a casa, lascialo stare.

-          Scappare? – vorrei assumere un tono cinico ma non ci riesco. Le parole di Anzai-san mi risuonano in testa. Scappare… io non scappo. Da niente e nessuno. Lasciatemi stare.

 

 

-          Tu fai così. Sempre! C’è qualcosa che ti fa soffrire e lo metti da parte richiudendoti in te stesso. Hai fatto così non dicendomi nulla della borsa di studio… e ancora ora non mi dici nulla di sensato. Accetta la realtà Kaede.

 

-          E che cosa dovrei accettare di preciso Sakuragi?

Il suo cognome sulle mie labbra e il tono sarcastico con cui l’ho pronunciato lo fanno infervorare.

-          CHE SEI UN CODARDO! HAI PAURA D’ANDARTENE IN UN ALTRO PAESE, DI RICOMINCIARE TUTTO DA CAPO, DI RIMANERE DA SOLO E TI PARI IL CULO DICENDOTI CHE LO FAI PER ME! MA VAFFANCULO KAEDE!!! NON HO BISOGNO DI UNA PERSONA CHE MI UTILIZZA COME SPECCHIO PER NON AFFRONTARE LE SUE PAURE!

 

 

 

 

-          DETTO DA UNA PERSONA CHE FINO A QUALCHE MESE FA SI TAGLIAVA NON HANNO MOLTO VALORE QUESTE PAROLE NON CREDI???

 

 

 

 

 

Dio perché l’ho detto? La morte nei suoi occhi mi ripaga di questa cattiveria gratuita.

 

 

 

Respira velocemente per poi riavvicinarsi a me.

-          IO ALMENO HO CHIESTO AIUTO!!! E TU CHE COSA HAI FATTO INVECE??? EH?? HAI FATTO FINTA DI NIENTE PENSANDO CHE IO SIA DAVVERO UN IDIOTA! STAI SPRECANDO L’OCCASIONE DELLA TUA VITA PER LA PAURA DI RIMANERE DI NUOVO DA SOLO! E QUELLO CHE È PEGGIO è CHE PENSI DI FARLO PER ME! IO HO VISSUTO PER ANNI SENZA DI TE E CONTINUERO’ A FARLO PER CHE’ IO CI CREDO NELLA NOSTRA RELAZIONE!

 

NON ME NE FREGA UN CAZZO CHE TE NE ANDRAI NEGLI STATI UNITI! ESISTONO I CELLULARI CAZZO! E LE E-MAIL E LE COMPAGNIE LOW COST!!! SMETTILA DI FARE L’EROE TRAGICO!!! NON TE NE STAI ANDANDO IN UN’ISOLA SPERDUTA DEL PACIFICO!

 

E CHE TE NE FREGA DI TUO PADRE??? LUI TI VUOLE MANDARE LI’ PER NON VEDERTI MAI PIU’? SII SUPERIORE! SFRUTTA QUESTA POSSIBILITA’: STRAPPA QUEI GIORNI DAI SUOI SOLDI, CRESCI ALL’OMBRA DELLA SUA INDIFFERENZA, DIVENTA UOMO RIDENDO DELLA SUA DEBOLEZZA.

 

TU SEI FORTE KAEDE, CAZZO! RIPRENDITI, NON SEI QUESTO RAGAZZO FRAGILE E INCATTIVITO! DENTRO DI TE CI SONO COSI’ TANTI PENSIERI E IMMAGINI A CUI DEVI DARE FORMA, FALLO MALEDIZIONE! NON AVERE PAURA! TI STARO’ ACCANTO, TI SOSTERRO’ E QUANDO NON MI VORRAI PIU’ OGNUNO PRENDERA’ LA SUA STRADA. Ma… - la sua voce roca si smorza di colpo. Si passa una mano sugli occhi, le guance umide di lacrime si nascondono dietro le sue dite tremanti… - non dire mai più che ti ho preso in giro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sbatto le palpebre, confuso, stordito dalle sue parole. Dalla verità che trasudano, dal dolore vibrante della sua voce mentre le pronunciava.

 

Come ho fatto a insultare il sentimento che mi lega a lui… sono solo un codardo. Hai ragione Hanamichi.

In pochi passi lo raggiungo, lo abbraccio forte contro di me. Hanamichi mi stringe, i suoi occhi umidi bagnano la mia maglia, e le mie labbra continuano a pronunciare “perdonami” incessantemente, senza paura, in una litania veloce che sembra perdere il suo significato nel nostro abbraccio.

 

Mio padre ha ragione… sono solo un ragazzino. Pensavo di essere una persona matura… e di essere un appoggio per Hana. Invece… è stato sempre lui a tenermi fra le braccia, a cullarmi.

 

O forse… siamo stati entrambi. Le ferite non si rimarginano velocemente. Hanamichi continuerà a svegliarsi la notte in preda agli incubi e le sue cicatrici taglieranno ancora per molti anni la vista delle sue braccia. E io dovrò ogni giorno combattere con il Vuoto che ho dentro, e dovrò farlo da solo. E dovrò riuscirci, per amare completamente, come voglio, il ragazzo che mi sta abbracciando.

 

 

 

Voglio diventare un uomo Hanamichi. Voglio diventare la spalla dove nascondere il tuo viso, voglio essere un compagno di cui essere orgoglioso. Voglio diventare un campione del basket e ti voglio al mio fianco.

 

 

 

-          Il mio desiderio… quando ho soffiato sulle candeline… - lo stringo contro di me – era di crescere insieme a te… ora comprendo di aver avuto solo paura di ricadere nella morsa della solitudine. Scusami… ho sporcato ciò che ci lega. Io ti amo davvero Hanamichi… mi dispiace di averti fatto preoccupare.

 

-          Scusami tu… lo so che mi sono intromesso nella tua vita… ma non potevo permetterti di perdere quest’ occasione… scusami per quello che ti ho detto…

 

 

-          Promettimi che mi raggiungerai.

E ridacchia contro il mio collo.

-          Con i miei voti lo dubito.

 

-          Hana. Davvero…promettimelo – fallo. Anche se non è vero, anche se non lo farai mai… dimmelo lo stesso. Rassicurami. Non mi sono mai sentito così fragile.

 

 

-          Te lo prometto…- e il suo tono serio e i suoi occhi limpidi, mi cullano.

 

Ti bacio e il sapore del sangue e delle tue lacrime non mi è mai sembrato così dolce.

 

 

 

***

 

 

Sai Hana… non avrei mai pensato che Tōkyō, di notte, vista dall’alto, sembrasse una galassia di stelle. Miliardi di luci s’infrangono contro i miei occhi, e il finestrino dell’aereo riflette la loro forma.

Tanti mesi fa pensavo che quando sarei decollato la tua immagine sarebbe rimasta ancorata al suolo giapponese insieme ai miei ricordi dolorosi. Eppure… mi devo ricredere. I tuoi occhi, il tuo profumo, la tua voce, ossessionano la mia mente.

Sono partito da pochi minuti e vorrei già scendere da queste lamiere incastrate, prendere il primo treno per Kanagawa e raggiungerti a casa. I tuoi gatti mi accoglierebbero, prenderei in braccio Do’hao e ti bacerei sulla soglia della stanza, senza pensare a nient’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il magone che ho avvertito da quando sono salito qui sopra, si scioglie nei miei occhi. Reclino il capo sulla spalla, nascondendo gli occhi umidi sotto la frangia scura. Il finestrino è freddo contro la mia fronte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hey Hana… lo so che questa non è la fine ma è solo l’inizio di un qualcosa di più grande di noi… che entrambi non riusciamo ancora a comprendere. Stiamo crescendo e voglio che quando saremo di nuovo di fronte all’altro avremo superato i nostri fantasmi. E guardandoci negli occhi non ci specchieremo nelle nostre ombre. Saranno limpidi come noi due.

 

 

 

È la nostra promessa Hana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed io voglio mantenerla.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Epilogo ***


AIUTAMI

°11°

 

 

*E infine eccoci qui. Sembra impossibile eppure questa storia è giunta al termine. Ci sono voluti anni (letteralmente) per poterla terminare. Sono cresciuta insieme alla trama e ai personaggi, ho riversato parte di me stessa e delle mie esperienze in questa storia. Sono maturata insieme a Kaede e Hanamichi…e tutto questo si può intravedere nella mia scrittura, nei cambiamenti che inevitabilmente vi sono stati. *

*Ringrazio tutte le persone che in questi anni mi hanno seguita e commentata…e anche un pensiero a tutti coloro che ho “perso” durante il percorso, colpa della mia lentezza nel postare nuovi capitoli e della mia pigrizia. Vi ringrazio di cuore.*

*Vi lascio alla lettura, spero sia gradita.*

*Ringraziamenti più dettagliati, spiegazioni, note finali: tutto a fondo pagina.*

*P.S. Ho ri-postato tutti i capitoli precedenti, donandogli (per quanto possibile e senza intaccare il mio metodo di scrittura precedente), una formattazione delle pagine omogenea e correggendo i vari errori ortografici e di battitura che si sono succeduti nel tempo.*

* °NOTA IMPORTANTE°:

In questo capitolo, a differenza dei precedenti, cambierà il POW! Saranno la voce e i pensieri di Hanamichi a caratterizzare la conclusione di questa storia. Avevo deciso sin dall’inizio che Hana avrebbe portato a termine quest’avventura…ed eccolo qui. Spero di non dispiacervi con questo cambiamento.*

*Un bacio.*

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

 

“Se questo è il legame, come poterlo tagliare, come?

Come, se persino le mie ossa hanno sete delle tue ossa...”

Pablo Neruda - Sete di te m'incalza

 

 

Mi dondolo svogliatamente sull’altalena. In questo parchetto, a quest’ora della mattina, ci sono poche persone. Davanti a me, su una panchina verde incrostata, è seduto un anziano. Ha le mani posate in grembo, una giacca leggera aperta sul petto, gli occhi persi nel cielo. Ogni ruga del suo viso racconta una storia, uno stato d’animo, una risata che quell’uomo ha vissuto, assaporato, subito.

Come sarò, io, da vecchio? Le cicatrici sulle mie braccia diverranno sbiadite sulla pelle raggrinzita delle braccia? Saranno slavate, dimenticate?

Riuscirò un giorno a dimenticare il male che mi sono inflitto? O forse, come mi ha detto Katsuragi-sensei , porterò questo ricordo con me, fino alla fine?

Perché…cosa c’è di più orribile della delusione verso se stessi? Il giudizio degli altri puoi non ascoltarlo. Puoi decidere di circondarti di solitudine, immergerti nel dolore. Puoi decidere di non specchiarti negli occhi delle altre persone…di leggere nei loro occhi lo scherno, la compassione…la delusione.

Ma verso se stessi? Quale partita non è mai stata persa in partenza a tali condizioni?

Ovunque vai…sei circondato dai tuoi pensieri…e quelli non puoi cancellarli. Puoi sbattere la testa con forza contro un muro; puoi ubriacarti fino a perdere coscienza di chi sei e Cosa sei; puoi procurarti un dolore fisico tale da dimenticare per pochi, maledetti minuti, che cosa hai fatto e perché stai scappando dai tuoi stessi ricordi. Ma tutto dura troppo poco. Istanti brevi. Rarefatti. Scompaiono e riemerge la delusione. Il disgusto verso se stessi.

 

Il primo giorno che mi tagliai…fu per caso. Non riuscivo più a vedere, sopportare la mia immagine riflessa sullo specchio. Vivevo in Comunità…mi ricordo che quel giorno ero ritornato verso le due di notte…ero scappato, svincolato al coprifuoco…come accadeva da mesi ormai. Ero andato a ubriacarmi con Yohei e l’Armata in un pub seminascosto fra le vie periferiche di Kanagawa. Un postaccio, odorava di sigaretta e muffa e aria stantia. Ma servivano gli alcolici anche ai minorenni…condizione che lo rendeva il nostro preferito.

Mi ero arrampicato sull’albero vicino alla finestra della camera, singola ovviamente. Le Assistenti Sociali ripetevano incessantemente che ero un “cattivo soggetto”, che era meglio isolarmi. Io ne ero contento…nessuno mi rompeva, potevo fare ciò che volevo.

Come quella notte.

Barcollavo, ubriaco fradicio; a un tratto un piede era scivolato dal ramo sottostante e avevo penzolato per pochi secondi nel vuoto, afferrato con forza a un altro ramo. Con la lucidità derivata dall’adrenalina messasi in circolo per la paura, avevo pensato per un istante, a come sarebbe stato lasciarsi nel vuoto. E mentre scuotendo la testa, mi rimettevo in equilibrio e finalmente raggiungevo la mia camera, cercavo di immaginarmi come avrebbero trovato il mio corpo, il giorno dopo, ai piedi dell’albero.

Che ossa mi sarei sfracellato? Sarei morto subito?

E con questi pensieri in testa entro entrato nel bagno della camera. Avevo acceso la luce e mi ero guardato allo specchio. Ricordo che sgranai gli occhi…non so perché proprio quel giorno, ma lì, in quei secondi interminabili, vidi davanti a me una persona che non conoscevo. Che cosa ero diventato? Il mio aspetto era spaventoso e i lividi freschi sul viso (una scazzottata provocata ad arte all’interno del pub), mi conferivano un’aria grottesca. Delusione. Cocente, sfrenata, devastante. Crudele.

 

 

 

Davanti a me l’assassino di mio padre.

 

 

 

Davanti a me Hanamichi Sakuragi.

 

 

Forse gridai. Non ricordo…ma il pugno che scagliai contro lo specchio fu forte. Il dolore immediato. Liberatorio. Osservai affascinato i tagli che si allargavano lungo le mie dita…dei frammenti di vetro erano entrati nella carne delle mani.

Prima di vomitare sul pavimento sentii l’urlo di un altro ragazzo che era entrato di corsa in camera dopo aver sentito il rumore. Poi svenni.

 

 

 

 

 

Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa doloroso…ma con lucidità folle di aver trovato una risposta al Vuoto che m’inghiottiva.

Dopo la scuola passai da un konbini (nota 1)…e comprai un taglierino azzurro. Semplice, adatto per intagliare il legno, la carta colorata.

 

 

 

 

Le mie braccia.

 

 

 

 

Un Assistente Sociale un giorno mi scoprì…non ero ancora diventato esperto e preso dal piacere orgiastico, avevo esagerato con i tagli ed ero svenuto a mensa. Lei se ne accorse e mi mandò dallo psicologo della Comunità. Non ricordo nulla del breve colloquio che avemmo…solo il suo sguardo. Sembrava annoiato, dirmi “Perché mi fai questo? Perché mi devi dare un problema da risolvere?”.

 

Alla fine si decise di mandarmi in una casa comunale nella periferia di Kanagawa. Con la scusa che ero cresciuto, potevano tenermi lontano dai loro occhi. Anche se morivo…non gliene fregava nulla a nessuno. Ero un elemento perso per la società…se non ti vedo, tu non esisti.

 

 

 

 

 

 

Mi fermo, punto le scarpe da ginnastica contro il terreno. Ho un po’ freddo, indosso solo una maglietta a maniche corte…eppure poter mostrare le mie braccia, non vergognarmi delle cicatrici, ha il sapore della libertà.

Della guarigione.

 

Anche se domani, quando arriverò da te, sarò ben raffreddato.

Ridacchio leggermente, immaginando la tua espressione corrucciata. Il solo pensiero che domani potremo rivederci…e stare insieme.

Kaede il cuore mi batte più forte…che sciocco do’hao eh? Tu non sei sdolcinato né particolarmente romantico…eppure i tuoi abbracci e i tuoi occhi sono il miele più dolce.

 

 

 

 

 

 

Mi allontano lanciando un ultimo sguardo al vecchio. Cosa guarderà? Che cosa starà pensando? Sono stato sempre incuriosito dagli anziani…eppure la mia figura e il mio sguardo da teppista non mi hanno mai molto aiutato nell’interazione con loro. Faccio per girare il viso quando il vecchio posa lo sguardo su di me e mi sorride. Penso di arrossire come uno scemo, mimando una sottospecie di lieve inchino, mentre sveltendo il passo, varco il cancello metallico del parchetto. Beh a volte ci sono anche delle sorprese eh…

 

 

Quel parchetto per me è sempre stato…speciale. Non era lontano dalla Comunità e a volte, dopo che uscivo dalla scuola, andavo lì per giocare con gli altri bambini. Era bello e piacevole poter confondersi con gli altri…in quelle vasche di sabbia eravamo tutti uguali, non era importante avere dei genitori o meno. Eravamo noi la “mamma” o il “papà” di turno, o l’”esploratore” o l’”astronauta”.

 

 

 

In quel parchetto io potevo essere chiunque.

 

 

 

Raccontavo agli altri bambini che mia madre era la cuoca più brava del mondo e che mio padre era un importante uomini d’affari. E tutti mi credevano e m’invidiavano. Katsumi-san, l’assistente sociale alla quale ero assegnato, mi raccomandava sempre di non raccontare quelle bugie. Ma a me non importava. Ero testardo…e ingenuo. Un giorno un bambino mi prese in giro gridandomi che la sua mamma gli aveva detto che in realtà ero un orfano. Gli altri bambini mi guardavano sorpresi, curiosi. Piansi molto quel giorno. Ma poi passò tutto. I bambini dimenticano, io finsi di dimenticare. Continuavo a giocare…a volte da solo.

 

Dopo l’adozione non venni qua per anni. Con mio padre abitavamo in un’altra zona di Kanagawa. Era una palazzina dai mattoni gialli. Mi piaceva molto. L’appartamento non era molto grande, ma avevo una camera tutta mia. Quando litigavamo con mio padre, mi rifugiavo lì. La cucina profumava sempre di pietanze diverse perché lui lavorava come cuoco in un ristorante del Centro. A volte, nei momenti di “tregua” m’insegnava a cucinare. Io spesso sbuffavo, lo deridevo, gridavo che a me non fregava un cazzo della cucina…ma in realtà, ascoltavo attento tutto ciò che mi diceva. E durante la giornata, quando era al lavoro, mi esercitavo di nascosto in cucina. La notte, prima di uscire a fare baldoria, gli lasciavo sulla tavola apparecchiata l’ultima pietanza che mi aveva insegnato. Non era una regola scritta…ma sapevo che gli faceva piacere tornare a casa la sera, stanco, e trovare qualcosa pronto da mangiare…cucinato da me. Se il giorno dopo, a colazione, cercava di dirmi qualcosa a riguardo della mia gentilezza, m’incavolavo e affermavo che lo facevo solo per pietà nei suoi confronti e del suo stupido e miserabile lavoro. Lui sorrideva e alla fine me ne uscivo da casa sbattendo la porta.

Dopo mesi di quel teatrino, smise di accennare qualsiasi tipo di ringraziamento. Ma la mattina, accanto alla ciotola del riso, trovavo sempre un post-it con sopra un numero. Era il suo voto a ciò che avevo cucinato la sera prima. Io non mostravo nessun tipo di emozione mentre lo accartocciavo ma dentro di me esultavo, perché i voti erano sempre alti. Ero felice che lui fosse fiero di me e del suo insegnamento.

 

 

Gli volevo un bene dell’anima.

 

 

 

Dopo la sua morte…dovetti tornare in Comunità.

E quel parchetto rientrò a far parte della mia quotidianità. Andavo lì per fumare. E in seguito per tagliarmi, prima che mi trasferissi nella Casa Popolare.

 

E lì andai…anche quel giorno. Avevamo litigato pesantemente con Yohei. Avevo deciso di allontanarmi da lui e dal Guntai, dal loro affetto.

 

 

 

Non sopportavo l’idea di mentirgli.

 

 

Avevo incominciato a tagliarmi e i ricordi di mio padre mi distruggevano giorno dopo giorno. Un conto era mentire alla squadra o alle persone che non mi conoscevano bene…la parte del buffone ormai non richiedeva più particolare sforzo, s’ingranava da sola ed io ero spettatore quanto chi mi osservava e interagiva con me. Ma con i miei amici…non potevo più. E l’unica scelta era di allontanarmi da loro.

Ci offendemmo così tanto quel giorno…quando ci si vuole bene si conoscono tutti gli antri oscuri dell’altra persona.

 

 

Sai dove colpire, dove affondare.

 

 

 

Quel giorno ci uccidemmo.

 

 

 

A vicenda.

 

 

Non ricordo più esattamente le parole che volarono…ma il dolore fu così lacerante, che pensai che non ce l’avrei fatta a gettarmi tutto alle spalle. Mi rispecchiavo negli occhi di Yohei e sapevo che anche lui provava il medesimo dolore.

 

 

 

Come poter abbandonare un fratello?

 

 

Non ci picchiammo. Le nostre parole avevano già inferto ferite profonde. Yohei mi lanciò un’ultima occhiata velenosa e con sguardo risentito, mi diede le spalle, incamminandosi fuori dal parchetto. Io rimasi immobile: mi sembrava d’essere in un mondo ovattato, non avvertivo i suoni.

Incominciò a piovere…avevo letto distrattamente su un giornale che sarebbe arrivato un tifone nella serata. Eccolo. Mi bagnai completamente in pochi secondi. Indossavo solo una maglietta leggera e un paio di jeans. Il cappotto l’avevo lasciato nel bar, dove avevamo mangiato con il Guntai…e dove avevo deciso di chiudere quella relazione. Nell’agitazione mi ero anche dimenticato di prenderlo con me. Stavo morendo dal freddo. Yohei aveva raggiunto gli altri nel locale? Yohei…in quel momento mi resi conto di ciò che avevo fatto. Incominciai a piangere. Non riuscivo più a vedere nulla, non sapevo se per le lacrime o per l’acqua fredda che scorreva lungo il mio viso.

In uno stato di confusione latente uscii dal parchetto camminando in strada. In realtà non vedevo nulla di ciò che mi circondava. Era tutto così grigio. E slavato. E camminai. Camminai per ore. Poi, a un tratto, mi ritrovai davanti alla tua casa.

 

 

 

 

 

Non poteva essere una coincidenza.

 

 

 

 

 

Ormai era da più di un anno che ti osservavo. Di nascosto. Mi ero innamorato di te. Non ti conoscevo quasi…eppure avvertivo un legame fra noi due.

 

 

Che ore potevano essere? Non m’importava. Stavo malissimo. La tua porta in quel momento mi sembrava un’oasi di pace. Un abbraccio caldo. Non ragionai su ciò che stavo facendo. Mi attaccai con disperazione al citofono. Non m’importava se in concreto a scuola non facevamo altro che insultarci e che non mi avevi mai dato ad intendere di avere un qualche tipo di interesse o simpatia nei miei confronti.

 

 

Volevo vederti.

 

 

 

E poi mi apristi.

 

 

 

 

 

 

 

E il resto è storia.

 

 

 

 

-          Hanamichi Sakuragi!

Il mio nome risuona nella sala gremita di ragazzi, riecheggiando fra il brusio, il mio cervello.

Mi alzo lentamente lanciando uno sguardo d’intesa con Yohei, poi a passo cadenzato e leggermente strafottente mi avvicino al palchetto, davanti al professor Yoshida. La sua mano mi porge una coccarda rossa, me la appunta sulla divisa dello Shohoku, all’altezza del cuore, sorridendomi. E il suo sorriso, lo so, è sincero. Se sia in realtà contento perché finalmente lasci questa scuola insieme alla mia fama di teppista o se sia soddisfatto che un “soggetto” come me si sia diplomato con ottimi voti non posso affermarlo con sicurezza. Ma in fondo non m’interessa.

-          Congratulazioni Sakuragi. Renda orgoglioso l’Istituto Shohoku.

 

-          Grazie… - m’inchino lievemente, sorridendo.

 

 

 

E in questi pochi secondi penso a te.

 

 

 

 

Kaede, cosa starai facendo in questo momento? Dormirai?

 

 

Oggi dovresti essere qui accanto a me.

 

 

Dovremmo essere insieme a ritirare questi diplomi.

 

 

 

Ma tu non ci sei e mancano ancora svariati mesi alla tua cerimonia di diplomazione. Indosserai anche tu quelle casacche lunghe e scure? Immagino già l’espressione contrariata che assumerà il tuo viso. E il tuo adorabile broncio che incresperà le tue morbide labbra. E il cappellino in testa? Imperdibile.

 

 

Mi giro e ritornando a sedermi penso che fino all’anno scorso non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto. Nei giorni più dolorosi sapevo che avrei lasciato la scuola prima di diplomarmi…o che sarei morto prima. Lo sapevo. Volevo crederci. In fondo mi piaceva pensare di non avere nessuna speranza…

 

 

 

Ma poi…ci sei stato solo tu.

 

E la promessa che ci siamo scambiati ha strappato un significato alla mia esistenza.

Ha delineato con tinte forti un futuro a cui finalmente potevo agognare.

Una felicità alla quale finalmente potevo accedere anch’io.

Non ero più il ragazzo rinchiuso nel monolocale, immerso nel suo sangue.

 

 

 

 

Non ero più quel ragazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non sono più quel ragazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E devo ringraziare solo te Kaede. Solo te.

 

 

 

 

 

 

 

Mi siedo con un tonfo sulla sedia di plastica. Avverto la pacca di una mano sulla spalla. Mi giro leggermente e vedo il sorriso compiaciuto di Yohei.

-          Ce l’hai fatta Tensai.

-          Avevi dubbi?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

L’aria primaverile è fresca sul mio viso. Chiudo gli occhi lentamente, il tiepido sole che mi accarezza, il largo viale alberato che si staglia all’orizzonte. Fra pochi minuti i cancelli della scuola si chiuderanno…eppure qui sul terrazzo sembra di essere immersi in una realtà alternativa, che scorre immobile, piacevole. Con gli occhi chiusi posso immaginare di non essere qui, e l’aria satura del profumo dei ciliegi in fiore diviene sbiadita nel mio olfatto…non sono qui.

 

 

 

O almeno…non vorrei essere qui.

 

 

A un tratto il cellulare incomincia a vibrare nella mia tasca.

Con un sorriso premo il tasto verde portandomelo all’orecchio.

-          Pensavo che avrei dovuto aspettare l’intera giornata per ricevere una tua chiamata…

Avverto solo uno sbuffo dall’altro capo della chiamata.

-          Stavi ancora dormendo volpaccia? Che ore sono lì a New York?

 

-          Mh…le 7…

Immagino il suo viso mezzo addormentato…è il momento della giornata in cui Kaede è quasi intrattabile…eppure adoro il suo broncio, i suoi occhi assonnati…i suoi capelli scompigliati, la sua lentezza impacciata nel svegliarsi. Penso sia l’unica persona capace di essere affascinante in un frangente simile.

-          Beh…non mi dici nulla? – e incomincio a dondolare gongolante sulle gambe.

 

-          Mh…no, non mi sembra… - e anche se non lo posso vedere, riesco lo stesso a immaginare il suo sorrisetto ironico.

 

 

-          Baka kitsune!

 

-          Pff…do’hao. Ah sì…congratulazioni per il diploma.

 

 

-          Cos’è quel tono di sufficienza? Ti ricordo che fra i due, ora sono io quello con un attestato maggiore.

 

-          Solo per poco…e solamente perché in Giappone sono consegnati prima…se no l’avrei preso già da un pezzo anch’io…

E continuiamo a punzecchiarci.

 

 

 

Questo è il nostro rapporto. Siamo maturati in quest’anno lontani…eppure certi atteggiamenti non cambiano mai. Ci piace comportarci così, anche se ormai non ce ne sarebbe più bisogno.

Dopo il mio resoconto dettagliato della cerimonia, seguito da qualche suo sbuffo e mugolio, penso che sia il caso di chiudere la chiamata, avrà già speso un bel po’ e penso debba anche andare a scuola.

 

-          Che lezioni hai oggi? Non sei in ritardo?

 

-          No tranquillo, sono veloce lo sai.

 

 

-          Se lo dici tu...- e ripenso alle biciclette rotte e alle varie giustificazioni che ha dovuto fornire al dormitorio dove vive…

 

-          Do’hao…

 

 

-          Baka…fai attenzione…buona giornata.

 

-          Mh…anche a te.

 

 

-          Hana…

 

-          Mh?

 

 

-         

 

-         

 

 

-          Ti aspetto.

 

Sì aspettami. Arriverò.

 

 

 

 

Le valigie sono già pronte…in realtà non ho molto da portare con me. In fondo non possedevo nulla d’indispensabile oltre agli utensili di cucina di mio padre…ho deciso di dedicare ieri e oggi per salutare questa città, le strade, le poche persone che mi lascerò indietro. La squadra. Quest’anno non abbiamo fatto un campionato incredibile come quello dell’anno scorso, ma in fondo, senza Kaede e i sempai Akagi e Kogure era inevitabile. Ho salutato tutti, ho abbracciato Anzai-san ringraziandolo di tutto ciò che ha fatto per me e Kaede.

 

Ieri ho salutato Watanabe-san…l’ho ringraziato con calore per la concessione di avermi fatto lavorare nel suo locale e per la comprensione che mi ha sempre rivolto.

Aveva gli occhi lucidi mentre borbottava con voce arrochita di stare attento negli Stati Uniti, che non era come il Giappone…di non farmi mettere i piedi in testa da quegli “yankee”, e discorsi simili.

Ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale…ha combattuto nell’Esercito Giapponese, probabilmente ha ucciso soldati americani…non gli ho mai chiesto di quel periodo della sua vita, non m’interessava. Ma ora comprendo che dietro le sue parole ci devono essere antichi rancori…forse avrei potuto prestare più attenzione ai suoi ricordi nei mesi passati. Gli ho sorriso, dicendogli di non preoccuparsi. In fondo sono un Tensai…no?

Avrei voluto abbracciarlo, ma non era il caso. Gli ho promesso che gli avrei scritto e mentre mi chiudevo la porta del locale dietro le spalle, ho pensato che stava terminando definitivamente un periodo della mia vita.

 

Nell’aria è rimasto impalpabile per pochi secondi l’odore del legno di pino e del tabacco…poi si è dissolto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi avvicino alla spiaggia. L’odore della salsedine è forte, nella risacca ci sono montagnole di alghe…ieri il mare era mosso. Mi sfilo le scarpe e incomincio ad affondare i piedi nella sabbia. Mi ricordo di quel giorno che venimmo insieme qui con Akito….sembra siano passati anni.

Non c’eravamo ancora chiariti, ti confessai del mio essere orfano. Forse la prima volta che ci guardammo con occhi diversi…tutto grazie a quel bambino. Facemmo anche un castello di sabbia…proprio qui.

 

La sabbia scorre leggera fra le mie dita aperte…mi siedo. Cambio idea…mi distendo completamente. Chiudo gli occhi…dalla strada arrivano a intermittenza i rumori del traffico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ti ricordi la prima volta che sono venuto a trovarti?

Avevo ritirato la mia valigia e tentoni, in mezzo alla folla vociante e colorata, cercavo la tua figura.

Mi sono sentito poche volte perso in vita mia…quando trovai mio padre morto nel salotto di casa…quando mi tagliai la prima volta…e quel giorno.

Sì…in un Paese che non mi apparteneva, in un aeroporto immenso, in mezzo a centinaia di persone che non conoscevo e che parlavano lingue a me non familiari. Ho compreso che cosa significhi sentirsi solo in mezzo alla folla. Di nuovo.

 

 

 

 

Essere circondati dall’umanità eppure non farne parte.

 

 

 

 

E poi a un tratto una mano ha raggiunto la mia, stringendola. Una mano che mi ha accarezzato per mesi, che mi ha picchiato con violenza…la tua mano, le tue dita. E quando mi sono girato c’eri tu…bellissimo. Non ci vedevamo da sei mesi, un’eternità. E siamo rimasti immobili, i nostri occhi incatenati, le labbra serrate, imbarazzate. C’eravamo sentiti quasi ogni giorno in quel lungo periodo…eppure rivedersi…

 

Era come avere davanti a noi uno sconosciuto. Sapevamo che eravamo noi, i tuoi capelli d’ebano, i tuoi occhi azzurri e profondi, il tuo corpo sinuoso dalla pelle lattea.

Le persone ci urtavano, le vite degli altri ci accarezzavano mentre si allontanavano, a noi non importava. Stavamo ricreando un legame, un legame visivo, olfattivo…perso nei mesi. Cosa ci importava di tutto il resto?

 

 

E poi, forse all’unisono, ci siamo abbracciati con forza. E il tuo profumo, l’odore della tua pelle candida Kaede, mi ha invaso le narici, e penso di essermi emozionato come un bambino. Gli occhi lucidi, le braccia intorno al tuo corpo, strette strette, nemmeno fossi un naufrago in mezzo al mare.

 

 

 

E quel giorno compresi che non era importante essere in un Paese straniero e sentirsi smarriti, non comprendere la lingua, essere lontani dal Giappone o dalla propria casa.

 

Eri tu la mia “casa”, le tue braccia che mi stringevano la delimitavano, e le tue labbra morbide contro le mie la illuminavano. Ho pensato di essere davvero innamorato di te e mi sono quasi spaventato. E lo smarrimento era anche nei tuoi occhi, continuavamo a stringerci, consci di un sentimento che, nonostante la lontananza, non era diminuito né affievolito…anzi.

 

 

 

Rinforzato, maturato.

 

La nostra promessa si era compiuta.

 

 

 

Perché…di paure ne avevamo molte. Non ce l’eravamo confessate e anche quando ti avevo accusato di aver paura di trasferiti negli Stati Uniti, nelle mie parole c’erano anche le mie paure.

Credevamo nella nostra relazione. Ma non potevamo ignorare la nostra giovane età, le migliaglia di chilometri che ci avrebbero separati, e le diverse esperienze che avremmo affrontato da soli.

 

 

Chi ci assicurava che il nostro sentimento non sarebbe mutato, scomparso…e in quei secondi interminabili, davanti l’uno all’altro, cercavamo dentro di noi la risposta a questa domanda.

 

Forse sorpresi da questo legame che ci univa, stretti. Per ora infrangibile.

 

 

 

 

 

 

Avevamo preso un autobus, un po’ storditi dalla presenza reciproca. Io immerso nel panorama che mi circondava, tu dalla mia immagine non familiare in posti che vedevi e vivevi tutti i giorni.

 

 

Nel dormitorio del college non c’era nessuno quando eravamo arrivati. Avevi spiegato brevemente al portiere la situazione e lui con sguardo infastidito ti aveva detto di toglierti dai piedi o qualcosa del genere. Non ho mai capito perché a fare questo lavoro sono sempre le persone più burbere e antipatiche di questo mondo. Ma tu dovevi essere abituato al suo comportamento, mi avevi afferrato per la giacca e trascinato dentro l’ascensore che portava ai piani superiori.

Poi ricordo solo le tue labbra esigenti contro le mie, la valigia dimenticata sul pavimento, le nostre lingue che si cercavano, affamate. I secondi interminabili che ci avrebbero portato al quinto piano e le tue mani calde sotto la mia maglietta verde. C’eravamo staccati quando si erano aperte le ante dell’ascensore…e quasi di corsa, sbandando come ubriachi, avevamo percorso il corridoio. Non riuscivo a guardarmi attorno, a vedere cosa mi circondava. Avevo il tuo sapore in bocca…la felicità sulla lingua. Nel corpo. Avevo bisogno di te. Solo in quel momento mi resi conto di quanto avessi bisogno di te. Come avevamo fatto a stare sei mesi lontani, distanti. Come cavolo avevamo fatto. Ora non riuscivo a capirlo, a capacitarmene. Avvertivo solo l’urgenza di entrare nella tua camera e perdermi fra le tue braccia. Dopo avremmo parlato, ci saremmo raccontati tutto ciò che volevamo. Ma in quel momento avevo solo bisogno di te sopra di me, delle tue carezze e del tuo amore.

Alla fine, dopo un’attesa che mi era sembrata interminabile, c’eravamo fermati davanti ad una porta, la Tua porta e con mano tremante avevi infilato la chiave metallica nella serratura.

 

 

 

 

Un “tlack” e finalmente entravamo nel nostro Mondo Privato.

 

 

 

 

 

Non mi ero nemmeno guardato attorno e tu eri già contro di me, la mia schiena pressata contro la porta di legno. Scricchiolava mentre ci divoravamo le labbra, le bocche. Eravamo cosi pressati l’uno contro l’altro che non riuscivamo a sfilarci le magliette, i vestiti. Poi eri sceso lungo il mio collo, mordendo leccando ed io non ero più riuscito a tenere gli occhi aperti.

Quando li avevo riaperti, spalancati, tu eri già in ginocchio davanti a me, a leccare il mio piacere perlaceo, i miei jeans e i boxer abbassati lungo le caviglie. Non riuscivo più a sorreggermi in piedi e tu mi avevi quasi preso in braccio e fatto distendere sul letto vicino. Poi avevi finito di spogliarti e mentre ammiravo estasiato e col fiato corto il tuo corpo perfetto, ti stavi infilando un preservativo rosso lungo il tuo pene congestionato. Trovai quel colore curioso ma ogni ulteriore pensiero scomparve nell’istante in cui scivolasti in me. Sussurrasti solo “Hanamichi” con voce roca, impastata dall’eccitazione e anche da un senso di completezza, contro il mio orecchio. Finalmente eravamo di nuovo insieme.

Facemmo l’amore in modo quasi violento, veloce, alla ricerca di un piacere totalizzante e immediato. Raggiungemmo l’orgasmo in un’esplosione di luce, tremando, stringendoci con forza l’uno contro l’altro. Ti lasciai dei graffi lungo i tuoi fianchi morbidi e candidi.

 

Dopo eravamo rimasti sotto il lenzuolo leggero, di fianco l’uno all’altro…la mia testa posava sulla tua spalla mentre mi accarezzavi lentamente il fianco con la mano libera. Era la luce calda del tramonto. Dalla finestra aperta entrava una leggera brezza estiva, insieme ai suoni ovattati della città. Ero a New York, non riuscivo ancora a crederci. Eravamo insieme.

 

Mi guardai finalmente intorno. La camera non era molto grande ma ti rispecchiava. Era ordinata, pulita. Su un lato c’era una libreria con i testi scolastici e qualche rivista sportiva. Sulla parete di fronte, vicino alla finestra e al letto, c’era la tua scrivania. Era sgombra, con una lampada arancione su un lato. T’immaginai il pomeriggio o la sera studiare lì sopra. Chino sui libri o mezzo addormentato, la testa appoggiata a una mano. E poi notai una foto, nell’angolo destro della scrivania. Era seminascosta da un vocabolario. Mi alzai sorpreso, facendo cigolare il letto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’ero io lì sopra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero addormentato, disteso a pancia in giù sul mio letto. La schiena scoperta. La luce era chiara, doveva essere mattina presto. Mi girai sorpreso verso di te, ma tu distogliesti lo sguardo, imbarazzato. “E questa?” ti dissi, ma tu non rispondesti.

 

 

Tu sei così. Non sei dolce eppure hai dei gesti che spiazzano. Come quel giorno. Chissà quando me l’avevi scattata. E il pensiero che te la fossi portata negli Stati Uniti e che la tenessi sulla tua scrivania…mi rese felice. Tornai su quel letto e ti abbraccia forte forte. Tu borbottasti solo un “do’hao”, ma sorridevi, le guance lievemente color porpora.

 

 

In seguito, mi hai confessato che quella foto ti piaceva così tanto perché mostrava la mia parte più vulnerabile. Ti facevo tenerezza. Non sapevo se prenderlo come un complimento.

 

 

 

 

Girammo New York in quella settimana; la mattina andavi a scuola ma il pomeriggio eri solo mio. Mano nella mano, insolito per noi due... ma mi dicesti che in quella città erano più tolleranti. Ed era bellissimo non nascondersi.

 

 

Una notte mi portasti anche in un bar gay. “Cat Bar” (nota 2). Scoppiai a ridere come un matto. Il tuo sguardo mi rimproverava ma so che in fondo eri divertito anche tu. Come avevi fatto a trovare un bar con un nome simile? Semplicemente adorabile. Quanto ci baciammo durante quella serata? Non potevamo bere alcolici ma ci sentivamo mezzi ubriachi lo stesso.

 

 

 

È stata una settimana bellissima. Semplicemente perfetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi rialzo lentamente dalla sabbia. Un ultimo sguardo al mare, al blu accecante che rispecchia il cielo…e ricomincio a incamminarmi lungo le vie di Kanagawa.

 

 

 

Prima di partire…devo portare a termine un altro passo. Mi fermo dinanzi ad un negozio. La vetrina rispecchia la mia immagine…sospiro. Devo farlo…

 

 

 

 

 

 

 

 

Entro e penso che ora sia davvero tutto finito . Il passato alle spalle…il passato alle spalle.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il bagaglio l’ho consegnato. Osservo il tabellone delle partenze…fra un’oretta parto. Il volo per Pechino (nota 3) è in orario. Sono agitato come un bambino. E non so se essere più felice o impaurito da questo passo che sto facendo.

 

A un tratto sento una manata sul collo. E quella mano pesante la riconoscerei fra mille.

-          Brutto mentecatto come ti sei permesso di alzarmi le mani! – e girandomi velocemente afferro Nozomi sollevandolo di qualche centimetro dal pavimento lucido dell’aeroporto.

 

-          Era una tentazione troppo forte! – ridacchia mentre mangiucchia un pezzo di merendina.

 

 

-          Hanamichi! A malapena ti riconoscevamo! Ma cosa hai fatto ai capelli? – mi giro e vedo avvicinarsi Yohei e gli altri.

 

-          Eh eh…- mi gratto un po’ imbarazzato la testa.

 

 

-          Ma Rukawa lo sa? Non è che non gli piacerai più e ti rimanderà indietro con il prossimo aereo?

E tutti ridono sguaiatamente mentre cerco di riportare un po’ di ordine gridando e inseguendoli. Dopo più di una sgridata da parte del personale dell’aeroporto, ci avviciniamo alla postazione per i controlli sul bagaglio a mano. Mi giro verso di loro…ci guardiamo un po’ tristemente. Abbraccio tutti con trasporto.

-          E per favore…fate attenzioni ai gatti…non deve mancargli nulla, intesi? Se no torno in Giappone e ve la faccio pagare!

 

-          Sì mamma-gatto, non ti preoccupare, saranno in ottime mani.

 

 

-          E soprattutto tu Yohei…quello era il gatto di Kaede. E’ un po’ stronzo ma in fondo è in gamba.

Ci sorridiamo, mentre gli altri continuano a prendere in giro il mio affetto verso quelle palle di pelo.

Mi mancheranno molto…ma non sapevo davvero come portarli con me. Mi sarebbe piaciuto fare una sorpresa a Kaede e riportargli Micky. Ma poi come avremmo fatto a tenerlo? Nei dormitori non è possibile avere degli animali…era questa la ragione che aveva portato Kaede a lasciarmi il suo amato-ruffiano gatto. Alla fine ho deciso di lasciare i miei gatti a questi tre idioti…con la promessa che li avrebbero curati fino a quando non avessero trovato qualcuno al quale regalarli (o, conoscendoli, venderli!), mentre a Yohei ho lasciato Micky. So che Kaede sarebbe stato d’accordo.

In fondo sono persone affidabili quando vogliono.

Anche se siamo stati divisi per vari mesi, quest’anno abbiamo recuperato il tempo perso. Sono stati gli unici veri amici che abbia mai avuto.

Quando abbraccio Yohei, mi sussurra che rimarremo per sempre legati, nonostante la lontananza. E che se combinerò qualche cazzata, lui sarà sempre pronto ad ascoltarmi.

Lo stringo più forte prima di separarci. Recupero lo zaino che avevo posato per terra.

-          Beh…devo andare se no quelli mi lasciano per terra.

 

-          Quanto dura il viaggio?

 

-          Diciotto ore.

 

-          Cazzo…non t’invidiamo proprio…

 

-          Ma lo danno almeno il cibo a bordo?

E tutti scoppiamo a ridere. Nozomi fa la faccia offesa, gridando che è una domanda più che legittima.

Con la promessa che manderò un sms a Yohei appena arriverò a Pechino, mi allontano da loro, facendo i vari controlli.

Dopo che ho superato le transenne, mi rigiro.

 

Eccoli lì…tutti e quattro. Mi salutano sorridendo come degli scemi. Gli occhi sono lucidi…ma penso che se glielo facessi notare si offenderebbero. Dei teppisti (veri o presunti) non piangono. Mai. Ma io mi sono lasciato il passato, tutto il passato, alle spalle…e posso permettermi le poche lacrime che scorrono sulle guance.

Un nuovo sorriso raggiante e dandogli la schiena, mi allontano, dirigendomi verso il gate.

 

 

 

 

Ho fatto una promessa a Kaede prima che partisse…e voglio mantenerla.

Ingoiando come un piatto prelibato sia il mio orgoglio sia la paura.

 

 

Con un grosso respiro, quasi in apnea, percorro il corridoio, scansando i vari studenti che mi lanciano occhiate perplesse.

Non pensavo che avrei rivisto più questa classe. Nonostante la rotazione trimestrale (nota 4), so che non l’ha cambiata. Certi “elementi” generalmente non sono spostati di classe in classe.

La porta scorrevole è socchiusa, benché sia la pausa pranzo. Sento il battito cardiaco aumentare. Sono stato poche volte così teso in vita mia. Non se entrare o meno…e se non ci fosse?

 

 

E se non volesse parlarmi?

 

 

 

A un tratto la porta si apre completamente e davanti a me compare una studentessa dai capelli corti. Arrossisce abbassando lo sguardo di colpo.

-          Sa…Sakuragi-kun…

 

-          Ciao… - sorrido leggermente cercando di eliminare mia onnipresente aria minacciosa, - c’è Yohei dentro?

 

 

-          Mito-kun? Mh.sì.

 

-          Me lo fai uscire?

 

 

-          Sì sì…- e arrossendo ancora di più, rientra in classe.

 

 

 

 

 

 

Passano vari minuti e sento l’ansia e l’aspettativa crescere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cazzo perché ci mette così tanto?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A un tratto la porta si riapre e compare lui.

 

 

Ci guardiamo negli occhi rimanendo in silenzio. Siamo entrambi imbarazzati e tesi…è da mesi che non ci parliamo…dopo quel giorno maledetto.

 

Cercando di non farmi tremare troppo la voce, gli chiedo di raggiungermi sopra in terrazza con gli altri. Un cenno con la mano a mo’ di saluto e gli volto le spalle, allontanandomi.

 

 

 

 

 

Il cuore in gola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’aria è pulita e fresca. E’ fine febbraio e già si possono intravedere i segni imminenti della primavera. Le giornate si allungano giorno dopo giorno e incominciano a sbocciare i primi boccioli sugli alberi.

 

 

 

Respiro lentamente…risboccerà anche un’amicizia?

 

 

 

 

 

 

Sento dietro di me la porta metallica aprirsi. Vari passi concitati e loro sono qui.

 

 

Prendo un grosso respiro girandomi.

 

 

 

 

Eccoci…così vicini eppure così lontani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guardo ognuno negli occhi. Yohei infila una mano nella tasca dei pantaloni, estraendo una sigaretta. Yūji gli passa l’accendino.

 

 

 

 

Ok…ce la posso fare. Penso a Kaede, alle sue parole.

 

 

 

 

Devo fidarmi di loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M’inchino violentemente, di colpo, le mani strette a pugno contro i miei fianchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-         PERDONATEMI!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando m’immaginavo questa scena, non pensavo certo di gridare…ma in fondo ora parte della tensione è passata. Rimango immobile, sento solo il silenzio dall’altra parte.

 

Mi risollevo in posizione eretta e fissando un punto imprecisato alle loro spalle, incomincio a sbottonarmi la giacca della divisa.

 

 

Mi fissano increduli e in parte perplessi.

 

 

 

Ho il fiato in gola, cerco di rimanere calmo. Getto la giacca per terra e incomincio a sbottonarmi la camicia.

 

 

Yohei alza una mano nella mia direzione, la sua espressione sempre più perplessa.

 

-          Hanamichi cosa stai facend…

 

Ma si blocca all’improvviso, gli occhi sgranati.

Degli ansiti sgomenti fuoriescono dalle loro labbra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con un ultimo fruscio la camicia scivola lungo i miei polsi, depositandosi sul pavimento tiepido della terrazza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ la prima volta che mostro le mie cicatrici a delle persone che non siano Kaede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’aria è fredda, rabbrividisco. Cerco di non distogliere lo sguardo dai loro occhi increduli, ma è difficile.

 

 

Mi vergogno e per qualche secondo penso di aver fatto una cazzata.

 

 

Forse non erano pronti a questa verità.

 

 

Forse non capiranno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faccio per chinarmi e riprendere la camicia quando Yohei mi si avvicina.

 

-          Perché non ce l’hai mai detto? Perché non ti sei fidato di noi?

 

Ci fronteggiamo, entrambi con il ricordo delle parole orribili che ci scagliammo, peggio di coltelli affilati.

 

-          Mi dispiace… - vorrei aggiungere altro, ma ho un groppo in gola.

 

 

 

 

 

Yohei mi sorride e avvicinandosi agli altri, quasi all’unisono, s’inchinano verso di me, gridando un perdono che non serve.

 

 

-          Scusaci…in fondo è stata colpa nostra…se fossimo stati dei veri amici, avremmo dovuto comprendere che c’era qualcosa che non andava. Invece abbiamo preferito voltarti le spalle e prendere per vero ciò che ci avevi detto. Mi dispiace tantissimo Hana…

 

 

 

 

 

 

 

Yohei mi abbraccia di colpo. Mi rilasso contro il suo corpo riconoscendo il suo odore di tabacco e brillantina da quattro soldi.

 

Vedo gli altri annuire.

 

-          Per fortuna… - Chūichirō sospira scuotendo la testa – Rukawa è stato più attento di noi.

 

Sorrido, arrossendo violentemente.

 

 

 

 

 

 

 

Gli altri mi guardano sorpresi.

 

-          Hana…c’è qualcosa che devi dirci?

 

 

E scoppiano a ridere. Arrossisco ancora di più ma alla fine incomincio a ridere anch’io.

 

E ridendo, sembra che tutto passi via. Questi mesi lontani, il dolore, l’abbandono. Yohei mi riabbraccia, dandomi delle pacche sulla schiena, complimentandosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla fine ci ritroviamo tutti e cinque seduti contro il muretto della scuola, mentre racconto tutto ciò che è successo in questi mesi.

 

La mia malattia, le mie bugie, l’aiuto di Kaede, la nostra relazione, la sua partenza verso gli Stati Uniti, la mia promessa di raggiungerlo dopo il diploma, le mie sedute di terapia con uno psicologo.

 

E mentre racconto, fra occhiate tristi e momenti d’ilarità avverto un calore invadermi.

 

Sono di nuovo con loro. E avendo Yohei accanto, mi rendo conto di quanto mi siano davvero mancati.

 

 

 

 

Alla fine del mio racconto, rimaniamo in silenzio. Ma non è un silenzio imbarazzato…è solo la manifestazione di una complicità ritrovata, di un’amicizia mai dimenticata.

 

 

 

 

Yohei sospira alzandosi, stiracchiandosi la schiena.

 

 

 

Incomincia a levarsi la giacca della divisa e gli altri lo imitano. Io rimango seduto, guardandoli perplesso.

Mito mi sorride, arrotolandosi la camicia intorno agli avambracci.

 

-          Anche noi dobbiamo dirti una cosa. Però, prima di picchiarci, sappi che mi sono già scusato con Rukawa e che lui mi ha tirato un bel gancio che non scorderò tanto facilmente.

 

 

 

Eh? Cosa c’entra Kaede?

 

 

 

 

 

 

 

Il mio sguardo smarrito deve essere chiaro perché avverto Nozomi ridacchiare.

 

 

-          Penso che tu ricordi del giorno in cui Rukawa entrò in palestra pieno di lividi…

 

 

 

 

“Chi ti ha picchiato?”

“Te l’ho detto prima…sono inciampato. Nelle scale. Dormo troppo…lo dici anche tu no?” (nota 5)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sgrano gli occhi. Mi alzo di scatto.

 

-         ERAVATE STATI VOI! BRUTTI DEFICIENTI MA IO VI AMMAZZO!!!

 

-          Ve l’avevo detto che si sarebbe incazzato…- Nozomi incomincia a indietreggiare comicamente verso la ringhiera della terrazza.

 

 

In pochi secondi è il caos.

 

 

Ci scazzottiamo senza pensieri, solo per il gusto di picchiarci, come ai vecchi tempi. Era da tanto che non provavo queste emozioni. E poi…in fondo devo fargliela pagare per aver solo pensato di poter intaccare la perfezione di Kaede.

 

 

Mi ricordo ancora di quel giorno. Ero rimasto sconvolto davanti a tutti quei lividi…

 

 

 

 

Dopo vari minuti e mille pugni, siamo distesi sul pavimento, il fiato corto e ansante.

 

-          Hanamichi mi hai spaccato il naso…cazzo…

 

Volto la testa verso Yūji sogghignando.

 

-          La prossima volta ci penserai due volte prima di picchiare una volpe indifesa.

 

E tutti scoppiamo a ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiudo gli occhi, il pavimento tiepido contro la mia schiena, l’aria fredda…

 

 

 

 

Sono felice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora…è finalmente tutto perfetto.

 

 

 

 

Pensando a questo giorno m’immaginavo una musica lenta e triste di sottofondo. Doveva sottolineare, il passaggio, la lontananza da ciò che conoscevo e l’immersione in un’acqua scura di cui non potevo intraprendere il fondo. Ma fra le note ci dovevano essere anche la speranza, l’adrenalina verso il Nuovo.

Ma ora nell’aria ci sono solo gli annunci delle hostess. E odore di caffè e pizza. E le grida di qualche bambino piccolo. La vita reale è così ordinaria e scontata rispetto alla fantasia.

 

Prima di salire sull’aereo do un’ultima occhiata alle mie spalle….vorrei poter pensare una frase d’effetto, qualcosa che sottolinei questa partenza. Ma la mente è solo rivolta al futuro e a te, Kaede.

 

Va bene così. Va anche bene così.

 

 

 

 

***

 

 

 

Sono davanti al nastro trasportatore. Guardo con apprensione fra le valigie che scorrono davanti ai miei occhi, ma non vedo la mia. Ho un sonno pazzesco e la schiena è completamente indolenzita. Dopo diciotto ore di viaggio posso dire di essere distrutto…se non sono arrivati neanche i bagagli penso che potrei avere un attacco omicida. Cazzo…questo nuova vita negli Stati Uniti sta iniziando davvero bene!

Dopo un’attesa interminabile finalmente le intravedo in mezzo a delle valigie rosa confetto. Ringrazio tutti gli dei possibili e immaginabili e spintonando – un po’ violentemente, lo ammetto – le persone vicino a me, le afferro con un’unica falcata. Sono solo due per fortuna.

Sbuffando m’incammino verso l’uscita. Nonostante sia stanchissimo, ho il cuore in gola. Stiamo per rivederci…affretto il passo e quando varco le porte scorrevoli, in mezzo alla folla ti cerco. Per la seconda e spero ultima volta nella mia vita.

 

 

 

 

 

 

Non voglio più essere lontano da te. Per molti anni a venire.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono investito dalle luci artificiali e dal vociare chiassoso delle persone…il mio povero mal di testa non ne guadagna molto. Socchiudendo gli occhi, cammino in mezzo a tutto questo casino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E poi ti vedo. Sei di spalle, ma potrei riconoscere la tua figura ovunque. Stai guardando gli orari degli arrivi internazionali su un monitor piatto. Mi avvicino sorridendo.

-         BAKA KITSUNE!

E nonostante il rumore che regna qui dentro, tu mi senti e ti volti.

 

 

 

 

Siamo di fronte ora e posso ben vedere l’espressione sorpresa che regna sul tuo viso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Di questo…non me ne avevi parlato…- avvicini una mano al mio viso e dopo aver accarezzato con il dorso delle dita la mia guancia, le passi fra i miei capelli…neri.

 

 

 

 

-          Mi piacerebbe attirare lo sguardo della gente come fai tu. È tutta una vita che ci provo…

-          E’ per questo che ti sei tinto i capelli?

-          Mmmmm….probabile…

-          Sono neri?

-          …..non me lo ricordo più…(nota 6)

 

 

 

 

-          Doveva essere una sorpresa – e ti sorrido complice -…non ne ho più bisogno. Ora il fascino del Tensai è al naturale…

Mi sorridi maliziosamente e per un attimo avverto il battito del mio cuore aumentare. Sei così bello Kaede.

-          Ora non potrò più chiamarti Scimmia Rossa …come farò….?

Sorridiamo e in un attimo sono tra le tue braccia. Mi sento sereno e felice, fiducioso verso il futuro. Sospiro, aumentando la stretta intorno alle tue spalle.

 

 

-          Okaeri Hana….(nota 7)

E non mi sono mai sentito così a casa come in questo momento.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

-          Sei sicuro che non ci siano problemi se rimango qui per un po’ di settimane?

Kaede richiude la stanza della camera alle sue spalle, scuotendo lievemente la testa.

-          Non farmi ripetere le stesse cose do’hao. Non ci sono problemi.

 

-          Ma secondo il regolamento di questo dormitorio…

 

 

-          Non ci sono problemi. Punto. Poggiale lì le valigie, ti ho creato un po’ di spazio nell’angolo.

 

-          Uffa…dicevo solo per precauzione! - posate le valigie mi stiracchio la schiena indolenzita… - non voglio crearti problemi. E soprattutto non voglio essere sbattuto fuori in strada all’improvviso.

 

 

-          Quanto sei idiota…

 

-          Grazie, sempre gentile… - mi affaccio al davanzale della finestra, perdendo lo sguardo sulla via trafficata che scorre fino all’orizzonte.

A un tratto sento le sue braccia cingermi la vita, la sua testa posarsi sulla mia spalla. Sono invaso dal suo profumo e dal tepore del suo petto.

 

 

-          È solo una situazione temporanea Hana.

E mi stringe contro di sé. Io socchiudo gli occhi, lasciandomi alla sua stretta. Chiudo gli occhi…ne abbiamo già parlato in questi mesi al telefono. Per qualche settimana vivrò qui nel dormitorio della sua scuola…nel frattempo, mentre Kaede frequenterà questi ultimi due mesetti prima del diploma, io mi cercherò un lavoretto…basta che guadagni qualcosa per potermi permettere una stanza da qualche parte. Kaede mi aveva accennato che un parente di un suo compagno di squadra potrebbe offrirmi un lavoro in un bar qui vicino. Non chiederei di meglio.

E poi…inizieremo l’università. Durante quest’anno, abbiamo entrambi studiato molto per entrare nella ***** University of New York. Oltre al superamento, con un punteggio ottimo, del TOEFL, dovevamo avere anche un livello d’istruzione molto elevato…tenendo conto che non siamo studenti di madre lingua inglese, è stato molto difficile…ma sembra che ce l’abbiamo fatta.

Per Kaede è stato più facile perché ormai è da quasi un anno che risiede qui negli Stati Uniti, ma io ho dovuto impegnarmi davvero seriamente nello studio per risollevare la media scolastica e studiare intensivamente l’inglese. Ma alla fine, forse a malincuore da parte del preside, sono riuscito ad ottenere una borsa di studio per trasferirmi qui. Ora dobbiamo solo aspettare solo delle lettere di conferma definitiva…spero solo che le cose incomincino a girare nel verso giusto.

Potremo vivere insieme nel dormitorio dell’università…non vedo l’ora di poter avere un po’ di spazio tutto nostro. E se lavorassimo entrambi, forse potremmo anche permetterci un piccolo appartamentino in affitto.

E poi poter giocare di nuovo insieme in squadra…sarebbe perfetto. Galvanizzante. La squadra di basket della ***** è rinomata da queste parti. Sarebbe un ottimo trampolino di lancio…

 

 

 

 

 

-          A cosa stai pensando…? – il sussurro vicino al mio orecchio, mi distoglie dai mille pensieri che invadono la mia testa. Troppe emozioni tutte insieme…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Sognavo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi da un bacio sulla guancia, strofinando il naso contro la mia pelle. Ridacchio leggermente, girandomi nel suo abbraccio.

-          Devo godermi questa tua fase dolce kitsune?

Lui non mi risponde, ma mi bacia con passione. Ci perdiamo nei nostri sapori poi con calma ci separiamo. Kaede mi abbraccia. Sento il suo affetto avvolgermi come una calda coperta trapuntata.

-          Sono solo…felice.

Sorrido contro il suo collo. Mi rilasso nel suo abbraccio, la testa leggera. Non riesco ancora a capacitarmi di essere qui, con lui.

-          Sarai stanco…vuoi dormire? - mi accarezza lentamente la schiena.

 

-          Mh…ammetto di aver bisogno di qualche ora di sonno…

 

 

-          Allora ti conviene dormire… più tardi non so se ne avrai il tempo… - il suo sussurro malizioso si perde sensuale sul mio collo.

 

-          Mh…mi sa che seguirò il tuo consiglio…

E lo bacio lentamente, assaggiando le sue labbra. Kaede mi passa una mano sul collo, mi accarezza i capelli, mi attira contro la sua bocca. E in pochi secondi ci baciamo con trasporto.

-          Ti conviene metterti a letto Hana...- sento le sue mani scendere sui jeans che indosso, accarezzare il sedere…siamo entrambi eccitati.

Basta poco, la tensione che c’è fra noi due sboccia sempre spontaneamente…con violenza. Dopo mesi, ancora di più.

 

Ci guardiamo negli occhi…ci desideriamo e in questo momento non m’interessa se ho solo tre ore di sonno alle spalle. Voglio sentire la sua pelle calda sulla mia…

Incominciamo a spogliarci lentamente, le magliette a maniche corte scivolano con un fruscio sul pavimento…gli bacio la pelle profumata fra la spalla e il collo mentre ci sbottoniamo i jeans a vicenda. Le sue dita scorrono sulla schiena, lungo i miei fianchi, li afferrano, facendo sfregare i nostri bacini. Abbiamo entrambi il respiro affrettato, ci baciamo come due affamati, le nostre mani scorrono sui nostri corpi, tracciamo delle forme che abbiamo sognato e agognato in questi mesi lontani…la pelle di Kaede è soda e calda e morbida e mi convinco, ancora di più, di essere totalmente stregato da questo corpo perfetto.

 

 

 

E ammaliato.

 

 

 

E innamorato.

 

 

 

 

 

Ci distendiamo nudi sul letto troppo piccolo per noi due. Sento le molle cigolare lievemente sotto il nostro peso, l’unico suono nell’aria calda e rarefatta dai nostri sospiri e ansimi. Ci accarezziamo a vicenda, mentre fra un respiro e un altro, continuiamo a baciarci, a rincorrere i nostri sospiri e i nostri sapori.

Mi distendo completamente sul letto trascinando sopra di me Kaede…inarco la schiena, spalancando le cosce, lo stringo contro di me. Amo sentire il suo corpo nudo sul mio. Kaede mi bacia il collo, avverto le sue mani accarezzarmi il petto, disegnare i miei muscoli, la schiena, le natiche. Fra le sue dita, sotto il suo sguardo innamorato, mi sento una persona perfetta.

 

-          Sei bellissimo…- soffia dentro il mio orecchio, mentre lo mordicchia delicatamente.

 

Arrossisco, mentre lo stringo contro di me.

Apre un cassetto di un mobiletto vicino al letto, da dove estrae una confezione di lubrificante e un preservativo.

-          Posso infilartelo io? – sorrido malizioso mentre s’inginocchia fra le mie gambe aperte.

Sorride porgendomi la bustina. Io la apro e incomincio a distenderlo sul suo pene, massaggiandolo lievemente. Kaede ansima socchiudendo gli occhi per qualche secondo, lasciandosi andare alle mie carezze, oscillando il bacino verso di esse, prima di fermare la mia mano.

 

 

-          Do’hao… - la sua voce è così roca da farmi rabbrividire di piacere. Sorrido innocentemente distendendomi di nuovo sulle lenzuola chiare, spalancando di più le gambe, mostrandomi completamente ai suoi occhi affamati e liquidi.

 

 

-          Ti stavo solo preparando meglio

 

 

 

Kaede sorride, facendo scivolare le mani sulle mie cosce, dietro le ginocchia, sollevandomi le gambe. Pone le mie caviglie sulle sue spalle. Mi bacia la pelle delicata dell’interno coscia, e dopo aver spalmato un po’ di lubrificante sul suo pene, mi penetra lentamente, attento a ogni mio ansito.

-          Non ne avevo bisogno…ahh…

Socchiudo gli occhi, ansimando lievemente per il fastidio e per il piacere che allo stesso tempo il suo corpo dentro di me, mi dona.

Kaede mi sorride dolcemente e chinandosi verso di me mi bacia sulle fronte…con questo movimento sembra penetrare ancora di più dentro di me, ansimo di piacere, le ginocchia quasi vicino alla mia testa.

-          Kaede…ah…Kaede…

E lui, come accogliendo la mia preghiera, incomincia a muoversi lentamente, assestando delle spinte profonde. Io afferro le lenzuola sotto di me, stringendole e stropicciandole. Chiudo gli occhi, la luce seppure non invadente, sembra accecare il mio sguardo. Avverto solo il pene di Kaede invadermi, aprirmi, spingere dentro il mio corpo e le scariche di piacere che dense e appaganti, mi annebbiano la mente.

A un tratto Kaede mi lascia le gambe, che libere, s’intrecciano dietro la sua schiena candida. Ci abbracciamo con forza mentre i nostri corpi danzano insieme. Passa una mano fra i miei capelli baciandomi mentre con l’altra mano incomincia ad accarezzare con foga la mia erezione. Il mio respiro si fa ancora più greve mentre le mie mani accarezzano incessantemente la sua schiena, le sue natiche, quasi a voler penetrare nella sua carne, spingendomi con forza contro il suo corpo.

Siamo entrambi quasi al limite, i nostri movimenti divengono veloci, scoordinati, rincorriamo un piacere che ci avvolge come fuoco. Nell’aria il cigolio del letto diviene prepotente, assordante.

E infine, con un mezzo grido soffocato fra le nostre labbra umide e gonfie, veniamo entrambi stringendoci spasmodicamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci riprendiamo lentamente, nell’aria ricomincio ad avvertire il rumore del traffico sottostante e il cinguettio degli uccellini, provenienti dalla finestra socchiusa. Quando facciamo l’amore, mi sembra di essere trasportato in una realtà alternativa dove esistiamo solo noi due.

Accarezzo la schiena leggermente sudata di Kaede, posandogli un bacio fra i capelli scompigliati. Avverto il suo sorriso contro il collo, mentre si solleva sulle braccia e mi bacia.

Esce lentamente dal mio corpo e dopo essersi sfilato il preservativo, mi abbraccia da dietro, ponendo il petto contro la mia schiena. Mi rilasso, avvertendo tutta la stanchezza del viaggio calarmi addosso, prepotente. Sbadiglio e Kaede sbuffa divertito.

-          Se vuoi ora puoi anche dormire…non disturberò il tuo sonno…

 

-          Ah grazie…prima mi salti addosso e poi mi dici che posso anche dormire…

Mi stringe possessivo ed io ridacchio, chiudendo gli occhi.

-          Colpa del fascino naturale del Tensai… - sussurra canzonatorio contro il mio orecchio.

Cerco di mollargli una gomitata ma Kaede si scosta, bloccandomi le braccia. Per qualche secondo cerchiamo di prevalere sull’altro, i muscoli delle braccia tesi…alla fine con un borbottio mollo ogni resistenza. Sono troppo stanco…

Anche se mi è di spalle, posso immaginare il suo sorrisetto soddisfatto.

-          Solo per stavolta baka…il tensai deve recuperare le forze…

 

-          Sì sì…

 

 

 

 

Sbuffo per poi farmi riavvolgere dalle sue braccia. Bastano pochi minuti e la carezza ipnotica della sua mano fra i capelli e mi addormento.

 

 

Coccolato dal suo tepore e dal suo profumo.

 

 

A volte è piacevole perdere.

 

***

 

 

 

 

Nonostante abiti qui da ormai più di un mese, ho ancora bisogno della cartina per spostarmi. Mentre osservo le strade verdi e alberate, i negozi colorati intimi o chiassosi, mentre lo sguardo si perde lungo i grattacieli e il cielo azzurro, mentre gli odori della città s’intrecciano al suono melodioso di un violino utilizzato da un’artista di strada all’angolo…penso solo che questa città non mi appartenga ancora.

Non sono ancora parte di queste persone, di questo mondo. Devo ancora imparare i nomi delle strade…e a volte mi sento perso. Ma so che fra mesi, ripensando a questi giorni, sorriderò intenerito. Penserò solo a un ragazzo giovane che voleva rincorrere un sogno…e spero che per quel tempo lo avrò raggiunto.

 

 

 

 

Non mi manca il Giappone…non mi ha mai offerto la felicità che io pretendevo. Tranne l’averti conosciuto Kaede.

 

 

 

 

Sorrido mentre ripulisco i tavoli di legno…lo straccio umido scorre lentamente sulla superficie scura. Un movimento rilassante. La musica jazz in sottofondo accompagna i miei movimenti. Non ascoltavo questo tipo di musica quando ero in Giappone…ma da quando lavoro qui, devo dire che incomincia ad affascinarmi. Mi rilassa…e a quest’ora della giornata, il locale è per lo più vuoto. Sono le tre di pomeriggio…e ho finito per oggi il turno di lavoro. Riordino le sedie e le panche, raddrizzando i tavoli. I posacenere all’angolo e il menù in cartone al centro…finito.

Sospiro soddisfatto. Do un’occhiata verso l’unica cliente che al momento è presente nel locale. È una signora di mezza età, vestita semplicemente, legge un libro dalla copertina consunta. Non so come si chiama, ma viene qui ogni giorno. Mi avvicino, chiedendole se vuole che le riempia la tazza con altro caffè. Ma lei scuote la testa, sorridendomi. Mi porge mezzo dollaro, una “piccola mancia”, come dice lei. M’inchino leggermente imbarazzato, ringraziandola e vado dietro il bancone del locale, chiamando dal retrobottega Karl, il figlio del proprietario. Se ne esce con la camicia della divisa sbottonata e un mezzo sandwich ficcato in bocca. Sorridendogli l’avviso che me ne sto andando. Lui annuisce prendendo il mio grembiule nero che gli porgo e, facendomi un cenno della mano, mi saluta, ritornando nel retrobottega.

Prendo la cartella mettendomela a tracolla ed esco, con un argentino scampanellio della porta alle mie spalle.

 

 

Sono invaso dall’aria tiepida di giugno…respiro a pieni polmoni, per poi accorgermi che all’angolo della strada c’è Kaede, la schiena appoggiata a un palo della luce, lo zaino della scuola ai suoi piedi, due lattine in mano. Sorridendogli, attraverso la strada.

-          Eh tu cosa ci fai qui? Non avevi gli allenamenti questo pomeriggio?

 

-          No, il mister si è ammalato.

Mi porge la lattina sorridendomi lievemente. Io la prendo dandogli un bacio veloce sulla guancia e poi ci incamminiamo verso Central Park.

-          Com’è andata a scuola? Preoccupato per gli esami Kitsune…? Fossi in te dovresti… - e ridacchio strafottente, sorseggiando la bibita fresca.

 

-          Mh…sono sempre il numero uno. Non scordarlo.

 

 

-          Ma sentitelo… - faccio per continuare il mio sproloquio quando Kaede mi porge davanti al viso due buste bianche. Mi zittisco di colpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Prima sono passato dalla segreteria…sono arrivate stamattina.

 

 

-          Oddio…sono quelle che penso? – incomincio a sudare lievemente, prendendole dalle sue mani. Noto subito lo stemma della ***** University of New York.

 

 

 

 

Socchiudo gli occhi…cazzo qui sopra c’è il nostro futuro. E se non siamo stati presi…o peggio…se è stato preso solo uno e non l’altro…cazzo cazzo cazzo…sicuramente non sono stato preso. Ok avevo superato il TOEFL con un ottimo punteggio, ma non significa nulla. Che cosa farò ora? È anche troppo tardi per potersi iscrivere a qualsiasi altra università. Sarò un peso per Kaede, svanirà il nostro sogno di giocare insieme in squadra…no no no! Maledizione…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaede mi afferra la mano, interrompendo il mio monologo mentale concitato e solitario.

-          Hey…perché prima che tu vada in iperventilazione, non apriamo le buste? Respira do’hao…

 

 

Io sorrido nervoso annuendo. Nel frattempo siamo arrivati, percorriamo pochi metri in mezzo agli alberi maestosi, per poi sederci su una panchina.

Intorno a noi c’è la calma più assoluta. A quest’ora della giornata non ci sono molte persone: qualche ragazza che fa jogging, qualcuno con il cane a passeggio…qualche anziano che legge il giornale vicino al prato. Central Park è così grande che anche i suoni prepotenti del traffico di New York arrivano attutiti alle nostre orecchie. E oltre a qualche schiamazzo delle papere proveniente dal lago vicino, è solo il cinguettio degli uccellini a far da padrone nell’aria pre-estiva.

 

 

 

 

 

Tutto suggerisce di rilassarsi…eppure sento il cuore martellare sangue a un ritmo forsennato.

Finisco ciò che rimane della bibita in una sola sorsata per poi riportare l’attenzione sulle due buste che ho in mano. Guardo Kaede, anche lui è agitato, anche se non lo vuole dare a vedere. Ci osserviamo ancora per qualche minuto in silenzio poi io sbuffo spazientito.

-          Ok…ognuno apre la sua, o uno le apre tutte e due insieme…?

 

-          Dammele.

 

 

-          Tutte e due?

 

-          Sì.

 

 

-          No aspetta…voglio aprirle io.

Faccio per aprire la prima, la sua, ma mi fermo.

-          Senti…comunque vada…io ti amo ok? Giuro che se non siamo stati presi entrambi in quella cazzo di università, spacco tutto, altro che teppista. Gli faccio vedere io a questi qui.

Kaede mi guarda alzando un sopracciglio, sorridendo ironico. Poi si alza, dandomi le spalle, lo vedo con la coda dell’occhio camminare indietro e avanti, sorseggiare la sua bibita, che ormai sarà calda, vista l’intensità con cui stringe la lattina.

 

 

Prendo un grosso respiro e apro la sua busta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggo velocemente le poche righe prestampate su un foglio candido. Esulto dentro me stesso.

E’ stato preso!

 

Cerco di calmare il battito del mio cuore. Prendo l’altra busta, il respiro veloce. La apro lentamente estraendo il foglio. Strizzo gli occhi prima di poter leggere il contenuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ti prego ti prego…ti prego.

In questi pochi secondi mi appello a tutto ciò che ho avuto di buono in questa vita…prego non sono bene chi, forse mio padre, forse me stesso.

Fa che sia stato preso…non distruggere anche questo mio sogno. Ti prego.

Apro finalmente gli occhi e il respiro mi si blocca in gola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avverto Kaede girarsi di scatto, al suono del mio singhiozzo.

-          Hana… - mi si avvicina, sedendosi di nuovo vicino a me. Mi abbraccia ed io mi faccio stringere contro il suo collo, le lacrime che scorrono calde lungo le guance… - fa nulla. Troveremo un’altra soluzione. Quest’anno possiamo anche lavorare e provare di nuovo l’anno prossimo a iscriverci al.

 

-          Siamo stati presi… - il mio sussurro spezzato interrompe le sue parole consolatorie.

 

 

-          Cosa?

 

-          Siamo stati presi…tutti e due.

Kaede mi stacca dalla sua spalla, prendendomi il viso fra le mani. Cerca una conferma nel mio sguardo liquido…poi mi sorride e mi bacia. La sua lingua invade con dolcezza la mia bocca, il sapore salato delle mie lacrime si mischia al sapore della bibita che entrambi abbiamo bevuto poco fa.

-          Mi spieghi allora perché cavolo stai piangendo? – mi asciuga con i polpastrelli le guance, gli occhi ed io scuoto la testa, sorridendo come uno scemo.

 

-          Sono così felice Kaede…

 

 

-          Stupido…stupido, stupido…- e mi abbraccia, gli occhi lucidi… - perché non credi di più in te stesso eh? Abbiamo lavorato, hai lavorato tanto per essere qui. Dovevamo entrare. Anzi era scontato.

Ridacchio contro il suo collo.

-          Giusto…la baka Kitsune è la numero uno del Giappone…ora vuole diventarlo anche negli Stati Uniti…non sarai un po’ troppo vanagloriosa volpetta?

 

-          Do’hao.

Rimaniamo abbracciati su questa panchina per un tempo indefinito.

Il sole è caldo, ci accarezza con dolce invadenza. Sono in pace con il mondo, sento di amare questo ragazzo con tutto me stesso. Penso che potrei morire felice anche ora.

 

 

 

 

 

 

 

Kaede alla fine interrompe l’abbraccio, si alza. Posso vedere nei suoi occhi la felicità…l’ho visto poche volte con quello sguardo. Si gira verso di me e mi porge la mano.

-          Che ne dici di one-to-one nel parchetto vicino al dormitorio?

Rido raggiante, intrecciando le dita con le sue.

-          Ti batterò volpaccia, preparati! Sono così pieno di energie che potrei giocare fino a sera!

-          Ma davvero? – e il suo sguardo ironico mi fa ridere ancora più forte.

Ci incamminiamo fuori dal parco, le dita intrecciate.

Oggi abbiamo superato uno dei primi muri…a poco a poco abbatteremo tutti gli altri.

Al pensiero di cosa ci aspetta…sento di nuovo le emozioni scorrere impazzite dentro il mio corpo.

 

 

 

 

Vorrei correre e gridare come un pazzo in mezzo alla strada, se solo questo potesse dimostrare la mia contentezza in questo momento.

 

 

 

 

Kaede mi osserva di sottecchi, lo so, e il suo mezzo sorriso soddisfatto sulle labbra è il più bel regalo che potessi ricevere. È fiero di me ed io sono così contento per lui, per noi.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

La nostra storia è iniziata in un giorno di pioggia. Da un “aiutami” sussurrato per terra, in mezzo a dei vetri rotti di uno specchio infranto. Se quel giorno avessi saputo che sarei arrivato fino a qui…no, non avrei mai potuto pensare un finale di questo genere.

Sai Kaede….io non so se riusciremo a portare avanti tutti i nostri sogni, in fondo i muri da abbattere sono molti e alti. Ma m’impegno a eliminare mattone per mattone ogni difficoltà…e voglio farlo insieme con te.

Siamo giovani è vero e anche inesperti. Ma abbiamo sulle spalle molto dolore e so che possediamo una maturità e anche una disillusione verso la vita, che non ci fregheranno sulla strada che stiamo intraprendendo.

Il nostro legame è forte.

E ci amiamo cazzo.

 

 

 

 

 

 

 

Che altro ci importa?

 

 

 

 

“Gli occhi hanno sete,

perchè esistono i tuoi occhi.
La bocca ha sete,

perchè esistono i tuoi baci.
L'anima è accesa di queste braccia che ti amano.
Il corpo, incendio vivo che brucerà il tuo corpo.
Di sete.

Sete infinita.

Sete che cerca la tua sete.
E in essa si distrugge

come l'acqua nel fuoco.”

Pablo Neruda - Sete di te m'incalza

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

Note

 

Nota 1: I konbini (コンビニ) sono una tipologia di supermercati economici molto diffusa in Giappone. Vendono un po’ di tutto (dal mangiare a prodotti per la casa e cancelleria, ecc.), e forniscono anche vari servizi al loro interno (pagamento delle bollette, invii di fax e simili). Per ulteriori chiarificazioni: http://arigato.blogosfere.it/2006/02/konbini-il-picc.html.

Nota 2: Giuro che esiste! ^^ Stavo cercando su Google® dei locali gay a New York per farli frequentare dai nostri protagonisti, quando mi sono imbattuta in questo bar. Ho pensato “E’ il Destino”.

Nota 3: Allora…ho utilizzato un volo ipotetico (consultando Expedia®), a condizione che partisse da Tōkyō (Aeroporto Narita) e che arrivasse a New York (Aeroporto JFK). Gli scali in teoria sono vari…quello che ho preso in considerazione fa scalo a Pechino.

Nota 4: L’anno scolastico in Giappone è suddiviso (per quante ne so), in tre semestri. Alla fine di ogni semestre c’è un esame che si deve sostenere e un conseguente rimescolamento delle classi (in base al punteggio ottenuto); pertanto può capitare di cambiare classe durante l’anno scolastico (a volte capita di vedere queste scenette in alcuni anime o nei manga).

Nota 5: Dal capitolo 7.

Nota 6: Dal capitolo 5.

Nota 7: Letteralmente Okaeri (お帰り) significa “Ben tornato - a casa”. Lo si utilizza rispondendo all’esclamazione Tadaima(su) (ただいま)()“Sono tornato – a casa”. In questa scena mi piaceva la sfumatura intima e familiare della frase detta da Kaede e non riuscivo a trovare un corrispettivo in italiano che mi convincesse…per questo motivo ho lasciato l’esclamazione in giapponese.

 

Ringraziamenti

Come ho scritto all’inizio di questo capitolo, ringrazio tutte le persone che hanno letto e seguito questa storia in questi anni e in particolare le persone che hanno commentato (con una pazienza che, io stessa ammetto, a volte non possiedo), rigorosamente in ordine cronologico:

-          Angels Island

-          Elrohir

-          Lucylu

-          Shak4

-          Brinarap

-          Stateira

-          Kiba91

-          Hinao85

-          Stellina stronza

-          Yumi

-          Ruki

-          Hinao

-          Kate91

-          Seika

-          Airis

-          Kei_Saiyu

-          Releuse83

-          Cristie

-          Cla21

-          Kiromi

-          Kirara90

-          Isots

-          Dea73

-          Fri

-          Lucy6

-          Shooting star

-          Demia87

-          Eruannie87

-          Ladyhellsing

-          Lua

-          _ichigo85_

-          MissChroma

-          AkiChan83

-          Shin_86

Grazie di cuore.

 

 

Chiarimenti

ORIGINE DELLA STORIA. Non so se a qualcuno interessi, ma mi piacerebbe ugualmente descrivere come sia nata questa fan fiction.

Quando incomincia a scriverla mi ero appena trasferita in un’altra città, molto lontana da quella in cui ero nata e cresciuta, per proseguire con gli studi universitari. Stavo inseguendo un progetto e un sogno (come tuttora continuo a fare). Il cambiamento era stato repentino e, sotto alcuni punti di vista, devastante. Avevo dovuto rinunciare alla mia quotidianità e agli affetti più cari per potermi trasferire e nei primi tempi, mi chiedevo con angoscia se ne fosse valsa la pena. Detto questo, è ben intuibile come la partenza di Kaede, la sua scelta, fosse inevitabile nella trama. A molte persone, forse, sarebbe piaciuto leggere una svolta diversa nella storia e che Kaede scegliesse Hanamichi e che rimanesse in Giappone. Ma, in parte per le mie stesse scelte personali, ho pensato che ciò non fosse conciliabile con la crescita emotiva che volevo passasse il suo personaggio. E poi, in fondo, sono stata anche buona no? Ho pensato che un happy ending spesso sia piacevole da leggere e che rincuori. In conclusione, penso che una persona debba fare delle scelte, inseguire i suoi sogni e soprattutto vivere sereno.

Ammetto di essermi anche in parte ispirata (ma solo per il tema dell’autolesionismo) al manga yaoi “Cut” di Tōko Kawaii (http://www.ilbazardimari.net/manga/c/cut.html) , di cui consiglio la lettura. ^_-

 

LA MALATTIA DI HANAMICHI. Dalla tristezza e dalla malinconia per la lontananza dalle persone a cui volevo bene, è nata la malattia di Hanamichi. Ci tengo a precisare, a scopo informativo ^_^;;, che nel mio caso non si è concretizzata nella violenza a cui ho fatto sottoporre Hana. Non ho mai conosciuto delle persone che si pratichino delle ferite volontariamente sul loro corpo…spero pertanto di non aver trattato questo tema con troppa superficialità. Ho cercato di immedesimarmi in questo tipo di dolore lacerante…spero che nessuno si sia sentito offeso da questo tema.

In quest’ultimo capitolo accenno al fatto che Hana abbia seguito una terapia con uno psicologo (l’immaginario Katsuragi-sensei). In Giappone, per quanto ho studiato, le teorie psicoanalitiche sono relativamente nuove…e, sinceramente, non saprei nemmeno affermare quanto sono sviluppate e diffuse (l’unico libro che ho letto dove si parlava di psicoanalisi è “Musica” di Yukio Mishima - http://www.liberonweb.com/asp/libro.asp?ISBN=880781272X- di cui consiglio, anche in questo caso, la lettura). In questo caso mi sono presa un’altra licenza da scrittrice (mmm….mi sa che me ne sono prese troppe in questa storia! ^_^;;;), pertanto non ho voluto troppo approfondire quest’aspetto. Le sedute con questo psicologo (servizio fornito dalla scuola - almeno in Italia – o un privato, decidete voi), sono solo servite a Hanamichi per affrontare ciò che era successo e a prendere coscienza di ciò che si era fatto. Per il resto, ho pensato spettasse a lui, dopo, cercare di “guarire”. Nello scorso capitolo, Kaede accenna al fatto che Hana si svegli la notte per poi sfiorarsi le braccia…non volevo dare una nota pessimista alla sua “guarigione”, ma penso che quando si siano passati dei momenti così dolorosi, non sia facile buttarsi tutto alle spalle.

I CAPELLI DI HANAMICHI. Ok ok…neanche io riesco a immaginarmi Hana senza i suoi meravigliosi capelli rossi…ma in fondo si cresce no? ^_^ (non linciatemi!). Ho pensato che il ritorno al colore naturale coincidesse con una nuova maturità, un passaggio inevitabile. E poi, non significa che Hana in un futuro non debba ritingerseli no? ^_^

I GATTI. Penso si sia capito che mi piacciono i gatti? ^_^;; Nella storia compaiono in quasi tutti i capitoli, sia con il personaggio di Micky (che poi poverino, viene abbandonato sul suolo giapponese!), sia con i gattini randagi di Hanamichi. Mi affascina l’immagine di due ragazzi grandi che hanno a che fare con degli esserini così piccoli! *_* Nella storia sono stato un mezzo attraverso il quale sconfiggere, in qualche modo, la solitudine di Hana e Kaede.

 

Conclusione

Bhe…come concludere? Grazie ancora e arrivederci alla prossima fan fiction! ^o^/ (in cantiere…forse si intitolerà “Pillole” ma è solo un titolo provvisorio).

Un bacione!

 

*Melania*

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