Love Generation di milly92 (/viewuser.php?uid=28249)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti ***
Capitolo 2: *** La Guerra Lampo ***
Capitolo 3: *** Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire ***
Capitolo 4: *** La regola Delle Dieci “P” ***
Capitolo 5: *** Mi Nuoce Gravemente Alla Salute ***
Capitolo 6: *** La Chiave Del Mio Cuore ***
Capitolo 7: *** Impossibile ***
Capitolo 8: *** La Notte Degli Imbrogli ***
Capitolo 9: *** Senza Parole ***
Capitolo 10: *** La Mia Vita E’ Un Carnevale ***
Capitolo 11: *** Tutto Iniziò e Finisce Qui ***
Capitolo 1 *** Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti ***
Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti
Love
Generation
Prologo
Quando ero più piccola non riuscivo ad
addormentarmi se mia madre non mi leggeva una storia, e la cosa divenne una
dipendenza quando raggiunsi gli otto anni e, poiché ero stufa di storie
infantili che parlavano di principesse, rospi e lupi, lei iniziò a leggermi
un’altra storia. La sua. Era divisa in due libri massicci, scritti da lei visto
che era una scrittrice, e parlava di tante cose belle: amore, amicizia, e anche
qualche momento di caos. E quando terminò di leggerli entrambi-ormai avevo
dieci anni- mi venne solo da dire: “Che bello. Vorrei che tutte queste cose
capitassero anche a me, un giorno”.
Mamma mi sorrise e mi rimboccò le coperte,
accarezzandomi i capelli. “Certo che ti capiteranno, Sabrina. E, credimi,
quando ti succederà, nei primi momenti quasi quasi non ne sarai così
entusiasta” mi spiegò con dolcezza e nostalgia.
“E perché?”.
“Perché sarai così innamorata, confusa e
gioiosa che ti mancherà la tua vita di prima, troppo monotona al confronto
senza casini e lotte, pur di ottenere ciò che vuoi. Anzi, chi vuoi” sussurrò.
E aveva maledettamente ragione, mi dissi,
circa dieci anni dopo. La mia vita era stata sconvolta da una persona che
inizialmente credevo mi fosse indifferente e, mano a mano, iniziai a pensare
che scriverci un libro, vista la sua assurdità e totale mancanza di monotonia
in certi momenti, sarebbe stata un’ottima idea. Peccato che non fossi nata per
fare la scrittrice, bensì il medico. Mi piaceva aiutare e curare la gente in
difficoltà…
Peccato che quella malattia di cuore che mi
beccai non poteva essere curata senza l’unico rimedio: stare con lui.
“Quando sono buona sono molto
buona,
ma quando sono cattiva sono
meglio”
Mae West
Capitolo 1
Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli
Sconosciuti
“Sabrina, penso proprio che lo shopping non
porti tutti i benefici che mi dici sempre” ridacchiò Titti. “In questo momento
niente auto glorificazione, compiacimento e soddisfazione, solo una gran voglia
di comprare un’ulteriore valigia… Ma pensandoci bene anche questo implicherebbe
ulteriore shopping, no?”.
“Taci, scema. Piantala di blaterare con la
tua filosofia spiccia… Anzi, aiutami…” ribattei, porgendole dei jeans e tre
camicette colorate. La mia valigia non voleva proprio saperne niente di
chiudersi, e mi ricordava lievemente una persona enorme ed obesa che ha
mangiato a dismisura e sta per vomitare, visto che alcune maglie erano così
inclinate che tendevano a cadere giù.
“E cosa dovrei fare? Un incantesimo di
riduzione?” domandò, indicando allusiva verso i vestiti che fuoriuscivano
minacciosi, facendo la finta tonta.
“No, mettere questa roba nel tuo secondo trolley
visto che è mezzo vuoto” risposi con una semplicità estrema, quasi come se lei
fosse tarda e non sapessi che aveva capito perfettamente e che cercava solo di
essere sarcastica.
Titti mi guardò, sospirando, e poi ubbidì,
rassegnata.
“Grazie, sei la migliore!” esultai, visto
che senza quella roba il trolley si chiuse.
“Lo so, approfittatrice”.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere.
L’ultimo giorno di vacanza a Riccione era
giunto, ed io mi accingevo a preparare le valigie con riluttanza, anche se
avevo rimandato per ore ed ore quel compito. Per questo era quasi mezzanotte,
la stanza d’hotel che avevamo affittato avvolgeva me e la mia migliore amica
Titti per le ultime ore, visto che l’indomani alle dieci e un quarto avremmo
dovuto prendere il treno che ci avrebbe ricondotte a Roma.
Erano state tre settimane indimenticabili,
perfette per smaltire un po’ dello stress che avevo accumulato quell’anno per
gli esami di medicina; avevamo conosciuto tante persone, dormito poco e niente
per aspettare l’alba e mangiarci un bel cornetto caldo a quell’ora, eravamo
andate a delle terme lì vicino, e ovviamente non erano mancate ore ed ore di
sano shopping. Proprio per quest’ultimo motivo, quindi, il secondo dei due
trolley era strapieno e non si chiudeva.
Io e Titti ci conoscevamo dalla prima media
e da allora eravamo inseparabili: ognuno vedeva nell’altra la sorella che non
aveva mai avuto, anzi, con il passare degli anni lei vedeva in me e nella mia
famiglia i parenti che non ha mai avuto visto che era rimasta orfana all’età di
tre anni.
Sua madre era una donna indocinese, e suo
padre un italo africano da quel che sapeva, motivo che spiegava la sua pelle un
po’ scura, olivastra, gli occhi con un bellissimo taglio orientale e i capelli
corvini. Come si fossero conosciuti per lei era un mistero, ma fatto sta che
dopo la loro morte avvenuta in un incidente automobilistico lei era stata
adottata prima da una zia, poi era andata in una sorta di casa famiglia visto
che ella era emigrata in Francia.
All’anagrafe risultava essere Clementine
Hayumi Narducci, ma per me e chi la conosceva era sempre e solo stata Titti, la
ragazza dal cuore d’oro che ora lavorava come estetista e parrucchiera per mantenersi
e che un domani avrebbe voluto studiare cinese alla facoltà di lingue, dopo
aver conservato i soldi necessari.
Quindi, dato che non aveva voluto che le
comprassi qualcosa io e si era imposta di spendere pochissimi soldi dei suoi
risparmi, aveva comprato giusto due o tre cose e non aveva problemi con la
valigia.
“Ma
ci pensi che la nostra prima vacanza insieme si è già conclusa dopo che la
agognavamo da quando avevamo sedici anni? Ci sono voluti quattro anni per
realizzare questo sogno e già è tutto finito” si lamentò poco dopo, mentre
eravamo fuori il terrazzino della stanza, al chiarore della luna.
“Beh, la nostra prima vacanza da sole
l’avremmo potuto vivere anche due anni fa, appena maggiorenni, se tu non fossi
così cocciuta” le ricordai.
“Sabri, perché non mi capisci?” chiese
esasperata, scuotendo il capo. “Lo so che tu non hai problemi economici e che
mi avresti potuto aiutare pagandomi il viaggio, ma non mi va, voglio sudarmele
le cose, non voglio approfittare della tua generosità”.
Nella nostra amicizia, l’unica pecca era
sempre stata la nostra differenza economica: sin da piccola avevo sempre
sfoggiato vestiti griffati, intimo incluso, dato che mia madre, Debora Di Bene
in Romani, è una famosa scrittrice e mio padre Andrea è un cantante, quindi non
avevo mai saputo cosa fossero le difficoltà economiche finchè non avevo
conosciuto Titti, che mi aveva aperto gli occhi e mi aveva fatto capire che il
mondo non è solo quello che vedevo con i miei occhi di bambina abbastanza
viziata e coccolata.
“Approfittare?”. Risi. “Sei pazza? Insomma,
sarebbe stato un semplice regalo, non avresti dovuto restituirmi nulla…”.
“Appunto. E poi, guarda il lato positivo,
anche se siamo riuscite ad andare in vacanza da sole dopo che ho avuto le ferie
alla veneranda età di vent’anni, ci siamo godute il viaggio il doppio visto che
l’agognavamo da secoli” rispose, sorridendomi e voltandosi verso di me.
Annuii, dicendomi che con lei discutere non
sarebbe servito a nulla. Le sorrisi a mia volta e l’abbracciai.
“Ti voglio bene, sorellina” dissi.
“Te ne voglio anch’io” rispose, e restammo
così a guardare le stelle fino alle tre, nella speranza di vederne qualcuna
cadente ma senza successo, ora in cui ci addormentammo come se avessimo
trascorso una giornata a lavorare i campi, e continuammo il nostro indisturbato
sonnellino l’indomani nel treno, ignorando le occhiate spudorate di due ragazzi
seduti ai nostri lati.
Li evitammo, finchè non venne il momento di
scendere, a pomeriggio inoltrato.
“Permesso, permesso” protestai mentre
stavamo scendendo dal treno tra la folla, mentre tenevo Titti per mano per non
perderla.
Uno dei due si girò. “Ti faccio passare solo
se mi dai il tuo numero, dolcezza” sussurrò, facendo l’occhiolino. Era molto
alto e rasato, con vari piercing e gli occhi scurissimi.
“Ma certo” stetti al gioco, sorridendo in
stile ochetta, così lui ci fece passare.
“E il numero?” chiese poi, cacciando fuori
il telefono mentre la gente lo guardava male visto che gli impediva il
passaggio.
“Oh, si, certo! 3…4…9…” iniziai.
Lui iniziò a segnare. “Si, poi?”.
“6…1… Scemo!” risposi trionfante, ridendo
come una matta insieme a Titti, schiacciando il cinque e lasciandolo lì
inebetito per la figuraccia.
“Sei stata mitica, sister!” si congratulò
Titti.
“Hai visto come c’è rimasto?” sghignazzai.
Ci avviammo all’uscita della stazione quando
vidi un gruppo di persone che conoscevo fin troppo bene venirci incontro.
“Oh! Zio Max, Bea, Manu, Angelo!” esclamai,
lasciando perdere il trolley e correndo ad abbracciarli. Erano dei cari amici
di famiglia a cui ero affezionatissima, soprattutto a Manuele, la loro figlia
maggiore che aveva otto anni in più a me e a suo padre Massimo. “Che ci fate
qui?”.
“Siamo venuti a salutarti, tra un’ora
partiamo per cinque giorni per Atene e volevamo salutarti” spiegò Manuela, con
i lunghi capelli scuri e un sorriso dipinto in faccia mentre mi riabbracciava.
“Hai fatto la brava?” chiese minaccioso suo
fratello Angelo, la piccola peste della famiglia.
“E tu?” chiesi spavalda. “Spii ancora le
telefonate di Manu?”.
Lui mi guardò con aria di sfida, facendomi
la linguaccia.
“E’ nel suo DNA” sospirò suo padre. “Fatti
abbracciare, nipotina” aggiunse. Nonostante avesse circa 59 anni mi sembrava
sempre giovane, allegro e solare. Lo adoravo, era il mio zietto preferito.
“Allora, come stai, futura collega?” mi
chiese sua moglie Beatrice, che accennava al fatto che andassi a medicina visto
che lei era una ginecologa.
“Bene, Riccione è proprio bella e ci siamo
divertite un casino!” risposi, entusiasmata al solo ricordo.
Restammo a parlare per un po’ finchè non ci
salutammo ed andai a casa di Titti per aiutarla a sistemare i suoi bagagli.
Così quella sera arrivai a casa alle otto e
venti, stanca, sudata e affamata. Posai il gigantesco trolley e il borsone che
mi ero portata dietro e bussai al cancello della villetta in cui abitavo, ma
dalle voci che udivo capii che i miei erano in giardino con i nostri amici di
famiglia.
“Chi è?” disse la voce di mio padre.
“I ladri” risposi sarcastica, e lo sentii
ridere. “Entra piccola!”.
Piccola, sigh. Per papà
sarei sempre rimasta una bambina bisognosa di coccole e affetto, è come se
fossi rimasta a dodici anni per lui, ma è inutile dire che è l’unico uomo sulla
faccia della terra che non mi abbia mai delusa. Sono sempre stata la sua cocca,
e fiera di esserlo.
Varcai la soglia del cancello, e vidi la
porta di casa spalancarsi. Mia madre, identica a me con i capelli castani e
mossi e gli occhi dello stesso colore pieni di entusiasmo, mi salutò con la
mano.
“Finalmente sei tornata!” urlò.
“Che peccato, sarei voluta rimanere lì”
finsi, prima di vedere il mio dolce fratellino sedicenne, Gabriele, comparire
dietro le sue spalle insieme a papà e sorridermi.
“Ciao!” esclamò, venendomi incontro ed
abbracciandomi. Come io sono la copia di mamma esteticamente, lui lo è di papà:
capelli lisci castani, occhi castano miele, proprio come me, e alto già un
metro e settantotto.
Ricambiai la stretta, poi si offrì di
portare su le mie valige e così mi dedicai a salutare i miei vecchi.
“Come sei abbronzata!” disse mamma.
“Vieni in giardino, ci sono zia Eva e zio
Giuseppe e Paris e Daniele” dichiarò papà, così li seguii, anche se il primo
istinto sarebbe stato quello di andare nella mia camera e farmi una bella
doccia e indossare qualcosa di più fresco dei miei jeans. Sorrisi nel vedere il
mio scooter già fuori al garage, messo probabilmente come segno di benvenuto
poco prima,quando li avevo chiamati per dirgli del mio arrivo, e i miei
pensieri già erano rivolti al giorno dopo, su cui ci sarei salita e avrei fatto
una bella scorrazzata per Roma.
“Sabri!” urlò mia cugina Vittoria, figlia di
zia Eva, la cugina di mamma, e Zio Giuseppe.
“Ciao Vitt, ciao gente” salutai sorridente, salutando
tutti.
Presi posto tra Vittoria e Belle, la
sedicenne figlia di Paris, la manager di mia madre e del suo migliore amico, e
mi versai un bicchiere di limonata dalla
bottiglia che c’era sul tavolino.
“Allora, nomi e cognomi” disse zio Giuseppe,
con il suo intramontabile sorriso solare, guardandomi intensamente.
“Cosa?” domandai senza capire, e Roberto, il
gemello di Vittoria, ghignò.
“Nomi e cognomi” ripetè lui.
“Ma di chi?”.
“Dei tipi che ti hanno corteggiato in
vacanza e che tu, da brava nipote quale sei, hai respinto” spiegò
maliziosamente, prima che tutti scoppiassero a ridere.
Solo papà non sembrava divertito più di
tanto, e mamma scosse il capo, rassegnata. Evidentemente lui pendeva dalle mie
labbra per la risposta.
“Zio, scusami me ne sono così tanti che non
li ricordo tutti” ribattei, e papà quasi sbiancò.
“Andrea, ma la smetti? Era una battuta e
anche se fosse, ti ricordo che lo scorso 25 marzo tua figlia ha compiuto
vent’anni” gli ricordò mamma, ma lui fece finta di nulla.
“Papà, lo sai che il mio fidanzato sarai
sempre e solo tu” gli dissi, e lui mi sorrise, sospirando. Nonostante l’età,
papà restava sempre un bell’uomo, affascinante e poi, vabbè, famoso, anche se
stava per incidere l’ultimo cd con il suo gruppo, i Gold Boyz, di cui anche zio
Giuseppe faceva parte. Sin da piccola io e mio fratello abbiamo sempre subito
un po’ il fatto di avere dei genitori famosi, il mondo esterno si aspettava
chissà che cosa da noi, magari che io seguissi le orme di mia madre o che
diventassi una cantante, ma avevo preferito studiare medicina visto che non
avevo nessun particolare talento artistico.
“Oddio, e stacchiamolo questo cordone
ombelicale/paternale!” esclamò zia Eva, e tutti ridemmo.
Vittoria, che dimostrava molto di più dei
suoi sedici anni, mi diede delle gran pacche sulle spalle e mia madre spinse
lievemente mio padre che sembrava imbronciato.
“Tesoro, noi andiamo a prenderci un gelato,
vuoi venire? Abbiamo qualche novità da dirti” mi domandò mia madre poco dopo,
mentre si accingeva a salire sopra per prepararsi.
“No, grazie, sono esausta, mi sa che andrò a
farmi una doccia lunga tre ore e poi andrò a dormire” risposi. “Me le direte
domani queste novità, ok?”.
“Va bene”.
Così lei e papà salirono, invece Gabriele
scese, nel suo migliore look estivo con bermuda bianchi, scarpe da ginnastica e
maglia azzurra a mezze maniche. “Belle, puoi venire un secondo? Devo parlarti”
domandò, e la ragazza, con il suo solito ondeggiare elegantemente invece di
camminare, scuotendo i lunghi capelli biondi, annuì, sorridendo e
avvicinandosi. Li vidi parlare, finchè lei non lo guardò scioccata e alterata
e… Puff!, lo schiaffeggiò sulla guancia destra, riempiendolo d’insulti.
“Belle!” la chiamò la madre.
“Stronzo spione cafone, non azzardarti mai
più, mi hai capito?” urlò lei ancora rivolta a mio fratello, infischiandosene
della madre, alzandosi sulle punte per sovrastarlo ma senza successo.
Gabriele la guardava incredulo, con la mano
posata sulla guancia schiaffeggiata, e la vide uscire dal giardino come una
furia mentre prendeva le chiavi del motorino e dire ai genitori che sarebbe
tornata più tardi a casa.
“Cosa le hai detto?” domandò sospettoso suo
padre Daniele, avvicinandosi.
“Che ho saputo con chi esce e che non mi
piace. E’ un teppista tatuato che spesso spaccia droga a Piazza Di Spagna!”
rispose lui, decidendo di fare la spia per vendicarsi, con il volto acceso di
nonsochè.
Daniele sbiancò all’istante, ma sua moglie
tentò di gestire meglio la situazione, mentre zia Eva e zio Giuseppe guardavano
sospettosi i loro gemelli, evidentemente chiedendosi se anche loro avessero a
che fare con simili coetanei. Peccato che uno di loro gliene avrebbe date di
preoccupazioni, solo qualche settimana più tardi.
Feci da spettatore a vari momenti caos, che
raggiunsero il culmine nel momento in cui Daniele decise di scovare sua figlia
e portarla a casa, finchè non se ne andarono tutti, lasciandomi finalmente un
po’ di meritata privacy, così salii in camera mia, aprii la valigia, presi un
telo da bagno bianco, la biancheria pulita e, visto che i miei pigiami erano
sporchi, presi una maglia extra large di papà per farla fungere da camicia da
notte e mi diressi nel mio piccolo paradiso personale, la dependance della
villa.
Quella parte della casa era diventata il mio
rifugio da quando andavo all’università, visto che ogni volta che avevo da
studiare per un esame me ne stavo lì dentro a studiare e spesso non uscivo per
giorni e per giorni, dopo aver riempito il frigo di cibo e portato qualche
indumento.
Per cui vi entrai e subito mi fiondai nella
doccia per chissà quanto tempo, rilassandomi sotto il getto d’acqua tiepida.
Una volta uscita mi frizionai i capelli
bagnati con l’asciugamano, li pettinai e circondai il mio corpo ancora
gocciolante con il telone. Poi indossai quella sorta di camicia da notte e
accesi il phon per asciugare i capelli, e andai avanti per un po’ prima di
ricordarmi di non aver preso la spuma, ingrediente ultra necessario per far
venire bene quell’intreccio di capelli mossi e crespi che mi ritrovo, regalo
del DNA di mia madre.
“Uffa” brontolai, posai il phon e uscì dal
bagno. Il solo pensiero di dover tornare nella villa e prendere la spuma nel
trolley mi seccava, anche perché di sicuro il tocco rinfrescante della doccia
sarebbe svanito e mi sarei ritrovata di nuovo tutta sudata.
Ero nel piccolo corridoio laterale
all’ingresso quando sentii delle chiavi nella toppa della porta. Esitai,
dicendomi che probabilmente era Gabriele che voleva isolarsi dopo il pasticcio
combinato con Belle, e stavo per entrare nell’ingresso quando, da dietro lo
stipite, sentii un “Finalmente!” detto da una voce maschile che non conoscevo.
Mi sentii tremare per la paura. Un ladro! Un
secondo… I ladri non hanno le chiavi!
Vidi un uomo di nemmeno trent’ anni entrare,
posare delle valige e poi accendere la luce.
Cosa fare? Stavo morendo di paura, chi era
quello sconosciuto?
“Mi scusi, ha preso casa mia per un hotel?
Chi le ha dato le chiavi?” domandai con molto più coraggio di quanto avessi,
uscendo dall’ombra e facendolo sobbalzare.
Lui mi guardò e istintivamente il suo
sguardo si posò sulle mie gambe scoperte. Arrossii, ricordando la maglia che
fungeva da camicia da notte e in che condizioni fossero i miei capelli e
istintivamente mi coprii di nuovo dietro lo stipite della porta.
E l’uomo, sapete cosa fece? Rise.
“Tu devi essere Sabrina Romani” dedusse.
Alzai lo sguardo, stranita, cercando di
vedere se lo conoscevo. Era molto alto e magro, con un viso dalla mascella un
po’ quadrata, i capelli castano scuro un po’ ribelli e lunghi e gli occhi color
miele che mi guardavano curiosi. Ma sembrava fosse appena tornato dal mare
visti i bermuda di jeans e la camicia bianca a mezze maniche.
“Come fai a…?” domandai incredula.
Lo sconosciuto rise. “I giornali parlano di
te da quando eri una neonata, non puoi pretendere di restare ignota a tutti
dopo vent’anni” mi ricordò.
Lo guardai torva, socchiudendo gli occhi.
Sapeva pure la mia età, perfetto, e agari sapeva anche quando e quale era stata
la mia prima parola – lì ammisi di non saperla nemmeno io- e quando avessi
preso all’ultimo esame- 29, quello si che lo ricordavo bene dopo un mese di
segregazione in casa. “Ma resta il fatto che per me sei un totale sconosciuto
che si è intrufolato nella mia dependance con delle chiavi di sicuro rubate”
ribattei furente.
“Sul serio non sai chi sono?” domandò
scettico.
“Si, scusa se non ho letto l’ultimo numero
di “Cosmopolita”. Perché dovrei spere chi sei? Magari un truffatore? Un ladro?”
sbottai, quando in realtà avevo una grossa paura nel trovarmi davanti uno
sconosciuto- sebbene carino e affascinante, dovevo ammetterlo- nella dependance
di casa mia.
“Sono semplicemente Cristian, colui che ha affittato questa dependance fino
a giugno prossimo e che prende ripetizioni di inglese da tua madre da una
settimana” rispose. “Possibile che non ne sai nulla?” chiese ancora.
Per un secondo inveii mentalmente contro mia
madre e la sua laura in inglese e spagnolo.
“No, non ne so nulla! Ma non mi fido, sai?
Mia madre mi avrebbe avvertito se un estraneo sarebbe piombato a casa nostra
alle nove e mezzo di sera…”.
“E’ colpa mia, sarei dovuto venire nel
pomeriggio di domani ma ce l’ho fatta a venire prima” spiegò.
E poi capii. Ecco la novità di cui mi parlava
mamma!
“Se vuoi ti faccio vedere il contratto
d’affitto e ti fidi” aggiunse.
“Si, fammelo vedere” imposi sfacciatamente.
Mi guardò sempre più incredulo- o forse era solo per il mio goffo rifugio
dietro la porta- prima di frugarsi nella tasche ed estrarre un foglio.
“Se vieni a prendertelo…” disse,
sventolandolo.
“Certo che no, non mi faccio vedere mezza
nuda da un estraneo maleducato che non informa della sua venuta” dissi acida.
“Immagino che invece questa regola non valga
per i capelli” ribattè, divertito, indicando la paglia scura che ormai mi
ritrovavo in testa al posto della chioma, su cui un’aquila avrebbe potuto
comodamente farci un bel nido.
Feci un’espressione rabbiosa e lui parve
abbassare la cresta, avvicinandosi e porgendomelo. Lo lessi e a malincuore vidi
la firma di mio padre.
Sbuffai. “Fidarsi è bene, non fidarsi è
dieci volte meglio” ribadii per riprendermi dalla figuraccia.
Lui sorrise sarcastico ed annuì. “Certo, ma
questa volta era superfluo”.
“Dipende dai punti di vista. E poi non capisco
come i miei ti abbiano potuto affittare la dependance, io ci studio per gli
esami, sai?” dissi.
“Ed io ci lavorerò” ribattè.
“Ci mancava solo il coinquilino antipatico
qui” sbuffai.
“Grazie per l’accoglienza, vieni quando vuoi
a trovarmi, mi raccomando, ci prendiamo
un caffè insieme”.
“Stai sicuro che mi porterò dietro una bella
dose di veleno” dissi tra i denti.
“Prego?” chiese con aria innocente.
“Hai capito perfettamente. Ora se vuoi
scusarmi me ne vado, ci vediamo a giugno per i saluti” dissi.
Levò un sopracciglio, ma continuava a
sembrare divertito. “Ok, ciao”.
“Ti giri?”.
“Come?”.
“Girati! Non voglio che tu mi veda
ulteriormente…”.
“Guarda che uscendo la gente ti vedrà dalla
strada, preferisci farti vedere da una marea di loro piuttosto che da un solo
sconosciuto?”.
“Certo. Ed ora ubbidisci” gli imposi
seccata.
“Dimmi quelle due paroline magiche e farò
ciò che dici” impose a sua volta.
“Tu sei pazzo” decretai, guardandolo come se
fosse un tipo da manicomio.
“Un pazzo che non si gira se non dici “Per
favore”…”.
Stava continuando a blaterare ma lo
interruppi, gridando come una forsennata.
“Cosa c’è?” chiese. Indicai alle sue spalle,
con un’espressione impaurita.
“Un ragno gigante! Oddio, io ho la fobia dei
ragni…” piagnucolai. “Ogni volta che en vedo uno non dormo per una settimana!
Aiutami! Scaccialo!” strillai, a tal punto di farlo divenire preoccupato.
Si girò per controllare ed io, con una
velocità mai usata prima, me ne sgaiattolai dalla porta. “Te l’ho fatta!”
gridai esultante, e quando mi voltai nella notte vidi che mi stava guardando,
affacciandosi dalla porta, tra il frustrato e l’ammirato.
Continua....
Un po’
di Anticipazioni…
La guardai incredula e scossi il capo. “No,
io non faccio amicizia con i guardoni…” dissi decisa, e a quelle parole mamma
mi guardò scossa.
°*°*°*°*°*°*
“Voleva obbligarti a fare qualcosa?”. Ormai
papà pendeva dalle mie labbra e
stringeva la pezza di pelle con cui stava lucidando l’auto.
°*°*°*°*°*°*
Ci fu un minuto di silenzio, poi Stella
parve rianimarsi. “Comunque, ti dispiace se porto l’invito di Ilaria a
Cristian?” aggiunse.
Spazio Autrice:
Ciao a tutti!
Beh, chi ha seguito “Confessions of a Teenage
Drama Queen” e “Confessions of a Future Bride” ha capito che questa fic è il
loro continuo, solo che tratta dei figli dei personaggi di queste due storie.
Ma chi non l’ha lette ed è arrivato fin qui, tranquilli, quelle cose poche che
ci sono da sapere le indicherò io quando sarà il momento, per ora può essere
seguita come una storia senza precedenti, anche perchè narrando Sbrina spiega
le cose sapute grazie alle precedenti storie come il mestiere dei genitori ecc…
Ci sono molto affezionata anche a questa
storia, e, come si dice, non c’è due senza tre. Poi la pianterò, promesso! xD
Cosa dirvi, se un po’ vi ha incuriositi
questo primo capitolo e volete continuare a vedere cosa combineranno Sabrina e
gli altri, ora che questo Cristian è piombato in casa loro, non vi resta che
farmelo sapere con una piccola recensioncina ina ina ina ^^…
Un bacione,
la vostra milly92.
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Capitolo 2 *** La Guerra Lampo ***
La Guerra Lampo
“Se odi una persona odi
qualcosa in lei che è parte di te.
Ciò che non è parte di noi
stessi non ci disturba”.
Hermann Hesse
Capitolo 2
La Guerra Lampo
“Sabri, svegliati!”.
Aprii lentamente l’occhio destro e vidi mia
madre che mi scrollava pesantemente, con impazienza.
“Mmh”
mugnai in risposta, girandomi sull’altro fianco.
“Sabri, c’è Ilaria giù! Ha portato l’invito
per la festa dei suoi 18 anni! Alzati!” mi informò. A stento aprii l’altro
occhio e vidi che era molto ma molto seccata, così mi tirai su a sedere.
“Ho detto alzati, non siediti! Sono le
undici e mezzo, stai dormendo da più di dodici ore” si spazientì. Mi voltai a
guardarla e scossi il capo. In realtà mi
ero addormentata verso l’una, e non sapevo nemmeno il perché. La presenza di
quello sconosciuto mi turbava, e non mi ero calmata finchè non erano tornati i
miei.
“No, grazie al vostro bel piano di tenermi
all’oscuro di tutto quel tipo della dependance mi ha vista mezza nuda e abbiamo
avuto anche un bel battibecco. Perché è vera la storia di quello che si è
affittata la dependance, vero?” chiesi conferma poi, all’improvviso, e la mia
voce da assonnata divenne terrorizzata.
Mamma mi guardò, ora più preoccupata. “L’hai
incontrato? Io credevo che fosse venuto mentre dormivi…”si scusò. “Te lo volevo
dire ieri ma non sei venuta con noi e andavo di fretta”.
Almeno le sue parole mi confermavano che
quel tipo era sul serio ciò che mi aveva detto di essere e non un ladro ben
organizzato con buone doti di attore.
“Si mamma, l’ho incontrato! Ero andata nelle
dependance per starmene tranquilla, mi sono fatta la doccia, ho lavato i
capelli e quando stavo per andare a prendere la spuma mi sono ritrovata questo
estraneo che apriva la porta! Stavo morendo di paura” ammisi e lei mi guardò
dispiaciuta. Forse per questo non continuò a dirmi di darmi una mossa e sospirò.
“Tesoro, sai che noi non abbiamo bisogno di
affittare la dependance, ma questo ragazzo viene a ripetizioni da me ed è così
caro e gentile che quando mi ha detto di aver bisogno di un posto in cui stare
io e tuo padre subito gli abbiamo proposto di venire da noi e lui ha accettato
volentieri, si trova molto bene anche con Gabriele nonostante sia molto più
grande di lui, ha 28 anni, e spero valga lo stesso per te” continuò.
La guardai incredula e scossi il capo. “No,
io non faccio amicizia con i guardoni…” dissi decisa, e a quelle parole mamma
mi guardò scossa.
“Che hai detto?”.
“Insomma, mamma, io ero vestita così” e così
dicendo indicai la maglia di papà che portavo ancora addosso, “E lui appena mi
ha vista subito si è soffermato a guardarmi le gambe e…”.
Mamma rise divertita. “Piantala, Sabri, sei
diventata egocentrica tutto ad un tratto?”
mi rimproverò. “Vedi che ti sei sbagliata, più che altro doveva essere
sorpreso di vederti, tutto qui” cercò di difenderlo e la guardai imbronciata.
“Bene, me ne vado via per qualche settimana
e subito mi rimpiazzi con il primo sconosciuto” sbottai, alzandomi come una
furia dal letto.
“Quello sconosciuto ha un nome, Cristian, e
nel caso non lo sapessi è orfano…”.
“Anche la mia migliore amica è orfana eppure
non le avete mai proposto di venire a stare nelle dependance!” ribattei,
iniziando ad innervosirmi.
Mamma mi guardò offesa e mi si avvicinò. “Lo
sai che Titti è orgogliosa e avrebbe rifiutato” mi ricordò.
Sbuffai spazientita e feci un gesto con la
mano, come per invitarla ad andare via. “Oggi non è giornata, mamma, vai giù da
Ilaria e dille che sto scendendo” dissi rapidamente.
Lei ubbidì senza rispondermi. Il fatto che
ci fosse questo Cristian nelle vicinanze, che per di più si era aggraziato i
miei genitori, mi dava un po’ ai nervi e nemmeno sapevo il perché. Poi mi dissi
che papà non avrebbe mai tradito la sua
piccolina per qualcun altro, e ne restai convinta finchè, affacciandomi dal
balcone della stanza, non li vidi insieme nell’atto di aggiustare un pezzo del
motore dell’auto dello sconosciuto con un’aria molto amichevole.
Sbuffai e scesi giù, dicendomi di dover
lavare al più presto i capelli visto che facevano pena anche legati in una
coda.
Una volta in soggiorno vidi Eliana, amica
storica dei miei insieme a suo marito Niko, con sua figlia minore Ilaria.
Ilaria si può dire un po’ la mia “protetta”: a contrario di sua sorella
maggiore Stella, è un po’ timida e insicura visto che ha sempre subito il
paragone con lei, che secondo tutti, giornali compresi, sia più bella e
sveglia.
Invece io credo che Ilaria sia la più bella
delle due, con i lisci capelli neri ereditati da suo padre, un viso ovale molto
signorile e gli occhi blu con un particolare taglio, un po’ orientale. Per
questo la spronavo sempre a credere in se stessa e a non dar peso a ciò che
diceva la gente, sua sorella compresa quando litigavano.
“Buongiorno” dissi, sedendomi di fronte la
ragazza dopo averla abbracciata.
“Finalmente sei scesa! Anche quando torni
dalla vacanze dobbiamo avere un appuntamento per vederti?” disse lei,
sorridendomi.
“Oui”
risposi, fingendo di darmi aria d’importanza e lei rise.
“Comunque questo è l’invito per la mia
festa, venerdì prossimo” disse. “E poi Stella mi ha detto, cioè, imposto, di invitare anche il
coinquilino della dependance perché secondo lei sembra brutto se lo escludo” .
Non riuscii a non dimostrare un’espressione
di disapprovazione quando mamma disse: “In effetti, si, sembra brutto se tutti
ce ne andiamo e lo lasciamo solo”.
“Ma non ha niente da fare ‘sto tipo? Un
lavoro?” sbottai.
Eliana mi guardò divertita. “Vedo che non lo
sopporti” osservò. “Lo sapevo”.
La guardai levando un sopracciglio. “L’hai
visto nella sfera di cristallo?” chiesi, sarcastica.
“No, semplicemente perché tu e Stella avete
sempre avuto gusti opposti in fatto di ragazzi e lei gli sbava dietro” rispose,
con aria di rassegnazione. “Non so più come fare, ha 27 anni e pensa solo a
perdere tempo con i ragazzi, io alla sua età…”.
“Eri sposata, lavoravi e avevi una bambina
di quattro anni, lo sappiamo” terminò Ilaria per lei, annoiata, mentre sua
madre la guardava male. “Solo che dobbiamo scappare, mamma, è quasi mezzogiorno
e la boutique chiude”.
“Deve comprare una borsetta abbinata al
vestito per la festa” spiegò la donna, ed io e mamma annuimmo, così si
congedarono, le salutammo e se ne andarono.
Poco dopo pranzammo, e nel primo pomeriggio,
mentre me ne stavo a leggere sulle scale che portavano al secondo piano, mamma
mi si avvicinò con l’invito di Ilaria in mano. “Ti andrebbe di portarlo a
Cristian?” chiese, esibendolo con finta aria zuccherosa.
Alzai lo sguardo dal libro e la guardai
male. “Mi dispiace ma sono una donna di parola e mantengo le mie promesse. Gli
ho detto che ci saremmo visti a Giugno per i saluti, quindi trova un altro
messaggero”.
“Tu ora ci vai altrimenti…”.
“Altrimenti che fai?”.
“Altrimenti mi rimangio la parola con la
signora Marta D’Argenzio e le dirò che Titti non è una brava ragazza per poter
lavorare da lei come domestica” disse decisa e parve soddisfatta quando sbarrai
gli occhi.
Titti cercava da mesi un secondo lavoro
visto che mantenere la casa e vivere era molto difficile con i soldi che
guadagnava nel salone di bellezza.
“Sei riuscita a trovarle un lavoro?” chiesi
incredula.
“Si, e la pagherà bene, 1500 € se lavora tre
giorni a settimana e 1800€ se lavora anche la domenica. Sai che è ricca
sfondata” m’informò, e mi guardò vittoriosa. “Allora? Dici che vale la pena
portare quest’invito a Cristian?”.
La guardai male e le strappai l’invito di
mano. “Lo faccio solo per la mia migliore amica” dichiarai, e mi avviai con
passo da funerale misto ad uno di marcia verso la dependance dello
sconosciuto-usurpatore.
Bussai alla porta e lui mi aprì poco dopo.
Quando mi vide fece un’espressione divertita, con i capelli un po’ scompigliati
e con indosso dei bermuda beige e una maglia bianca a mezze maniche. Solo in
quel momento mi resi conto di quanto fosse alto. “E’ già giugno?” chiese sarcastico.
“Piantala. Mi ha obbligato mia madre a
venire, tutto qui, non montarti la testa” lo ammonii. “Vuole che ti porti
questo a nome di Ilaria, figlia di amici di famiglia che ti invita alla sua
festa per i 18 anni venerdì prossimo” dissi telegraficamente.
“Grazie, che gentile” disse, prendendo
l’invito.
“Bene, ciao” dichiarai sbrigativa.
“Ci vediamo alla festa?” chiese divertito.
Mi voltai e lo guardai scettica. “La sala da
ballo sarà grande, farò il possibile per non incrociarti” dichiarai.
“Addirittura? Vedo che mi dai molta
importanza…” disse, ma non lo stavo ascoltando. Avevo appena visto che, steso
sul cancello di fronte la dependance, c’era uno dei miei teli da bagno, bianco
e azzurro con le mie iniziali ai lati.
“Quello è il mio telo” dissi.
“Ah, si, lo so, l’ho trovato in bagno e tuo
padre ha detto che potevo usarlo per asciugare per terra visto che devo ancora
organizzarmi bene” spiegò come se nulla fosse.
“Mio padre cosa?” domandai adirata.
“Me l’ha permesso lui!”.
Ora la mia pazienza aveva superato il
limite. Addirittura permettergli di usare la mia roba per fare le pulizie
domestiche? Girai le spalle e andai nel garage, dove papà stava lucidando la
sua nuova auto.
“Papà come hai osato? Far usare il mio telo
in quel modo a quel… Quel maniaco!”.
Ecco, idea: papà era così geloso della sua bambina che non avrebbe mai
tollerato il modo in cui Cristian mi aveva guardato la sera prima e mi aveva
imposto di dirgli “per favore”.
Al solo udire quella parola si voltò. “Cosa?
Come lo hai…?”.
“Si, è un maniaco papà. Se vedessi come mi
guardava ieri mentre ero in camicia da notte! Sembrava avesse i raggi X, ti
giuro, mi ha messo una soggezione pazzesca e poi mi voleva obbligare…”. Mi
sentivo decisa, quando volevo raggiungere uno scopo riuscivo ad incantare papà
anche con un minimo sguardo da piccola cuccioletta indifesa e carente d’affetto.
“Voleva obbligarti a fare qualcosa?”. Ormai
papà pendeva dalle mie labbra e
stringeva la pezza di pelle con cui stava lucidando l’auto.
“Si, a dirgli “per favore” quando gli ho
detto di girarsi visto che mi ero nascosta per non farmi vedere e me ne stavo per
andare…” dissi, fingendomi turbata al solo ricordo e tirando su con il naso,
proprio per fargli capire che ero così spaventata nel ricordare che stava per
scendermi la lacrimuccia.
E sapete quale fu l’effetto? Papà rise. Si,
rise, lasciandomi totalmente sconcertata e offesa. Tante energie sprecate per
nulla!
“Sabri, sei una bella ragazza un po’
indisponente quanto ti ci metti, tutto qui, sfido chiunque a non guardare le
tue gambe se le hai scoperte” disse con semplicità, e poi, con estrema
naturalezza, tornò a occuparsi della sua auto, guardando con decisione una
piccola parte di terra insinuatasi su uno dei finestrini, come se la salute
estetica della sua auto fosse più importante della sua bambina.
Ok, non ero più una bambina e non volevo essere trattata come tale, ma a
volte ciò aveva i suoi vantaggi.
Aveva, sigh. Che papà
avesse deciso di non essere più geloso e protettivo nel momento cruciale dei
miei vent’anni? Questa si che era sfiga!
Dire che ero arrabbiata nera era poco. Uscii
dal garage e vidi che l’idiota mi guardava soddisfatto- evidentemente aveva
sentito tutto- e me ne ritornai in casa, dove con mia somma gioia- si legge il
sarcasmo?- ci trovai Stella.
Decisamente alta, con i lunghi capelli
biondi piastrati, gli occhi blu come la sorella e un’aria da pantera che ottiene
tutto ciò che vuole, se ne stava seduta sullo sgabello della cucina con le
gambe accavallate mentre mia madre le serviva il caffè.
“Non la sopporto più, vuole che la smetta di
fare provini…” si stava lamentando.
“Sarebbe anche ora, Stella, sai che ti
voglio bene ma hai 27 anni ormai, e scelgono solo le ragazzine nei corpi di
ballo” le disse mamma.
Stella la guardò come se fosse pazza. “Zia,
guardami! Sono bella, ho il fisico, e poi sono figlia di due cantanti famosi…”.
“Ma dimentichi la cosa più importante” le
ricordò mamma.
“E sarebbe?”.
“La bravura”.
Sbuffò e si voltò verso di me. “Ciao” disse.
“Ciao” le risposi.
Ci fu un minuto di silenzio, poi Stella
parve rianimarsi. “Comunque, ti dispiace se porto l’invito di Ilaria a
Cristian?” aggiunse.
“In realtà ce l’ho appena portato io”
ammisi. “Vedi mamma? Mi avresti risparmiato un’incazzatura esagerata” sbottai.
“Che è successo?” chiese mamma.
“Lascia perdere” sbottai.
Stella parve soddisfatta. “Allora fingo di
non sapere nulla e glielo porto anche io” annunciò, e la vedemmo
volatilizzarsi.
Salii in camera e vidi che Gabriele se ne
stava sdraiato sul mio letto a guardare il soffitto con aria malinconica.
“Ehi, Gab” gli dissi. Lui alzò lo sguardo e
mi fece un cenno.
“Scusa ma nella mia camera ci sono troppe
cose che mi ricodano… Belle” disse con un soffio, e si girò dall’altra parte
con il capo tra le mani.
“Gab, puoi dirmi che ti succede? Ho capito
che ti dispiace averci litigato ma…”.
“Mi succede che sono pazzo di lei da sei
mesi e non ce la faccio più a tenermelo dentro!” sussurrò, ma in un modo tale
che per me sembrava avesse urlato, tanta era la concisione e l’esasperazione.
“E lei fa finta di non capire e ogni settimana la vedo che si sbaciucchia con
un teppista diverso! Cos’ho che non va?”.
Sentirlo così abbattuto mi fece male al
cuore. Lo osservai e mi dissi che stava diventando proprio un bell’ometto. I
tratti signorili, gli stessi di mio padre, gli occhi color miele e i capelli
che gli ricadevano un po’ sulla fronte lo rendevano davvero il principe azzurro
che ogni sedicenne aspetta, a mio giudizio.
Mi avvicinai e lo abbracciai, ancora un po’
scossa dalla notizia.
“Gab, forse lei ha capito ma non vuole
esporsi perché è come se tu fossi una sorta di fratello o cugino” provai.
“Lo penso anch’io ma non me ne frega, la amo
troppo, quando la vedo mi si attorciglia lo stomaco e ho una voglia matta di
picchiare quelli con cui esce… L’ho sempre trattata bene, con dolcezza e
affetto…” rivelò, stringendomi a sé.
In quel momento dimostrava molto più dei suoi
sedici anni, anche perché era otto centimetri più alto di me e il suo sguardo
traspirava una passione adulta.
“Fratellino, calma, tu prova ad essere
chiaro con lei. Sii diretto, e, perché no, prova anche a baciarla, vedi che se è attratta non
resisterà” lo consigliai.
“Dici che funzionerà?”.
“Si, quando noi ragazze siamo prese in
momenti simili il cervello se ne va al diavolo” gli spiegai, facendo
l’occhiolino.
Sembrava sollevato ed annuì. “Ci proverò
alla festa di Ila visto che ora mi evita come la peste”.
“Bravo!”.
Mi abbracciò di nuovo, poi tornò nella sua
stanza così ne approfittai per vestirmi e andare a trovare Titti per darle la
bella notizia circa il suo nuovo lavoro.
“Oddio, grazie! Ringrazia tua madre, è un
angelo! Cioè, è un miracolo!” esclamò quando le diedi la buona notizia.
Sorrisi al suo entusiasmo. “Quanto vorrei
essere entusiasta come te” dissi, e le spiegai dell’usurpatore quando mi guardò
senza capire.
“Mi sento a disagio, cioè, riflettendoci ho
fatto un po’ la cretina e quando mi vede mi prende in giro, si è creato questo
rapporto poco serio che mi dà ai nervi. Voglio solo non averci nulla a che
fare, non mi sembra di chiedere troppo” ammisi.
Titti mi sorrise e scosse il capo. “Sei
sempre la stessa. Beh, perché non ne approfitti e vi chiarite, decidendo di
salutarvi solo se non vi andate così a
genio?” propose.
“Non so, insomma, di certo non sarò io a
cercarlo…”.
“No, no! Se vi incrociate per sbaglio…”.
Detto fatto, la mia sfiga ormai mi
perseguitava. Quella sera, mamma ebbe la brillante idea di invitarlo a cena.
Prese posto di fronte a me, che me ne stavo
zitta e muta. Era come se mi sentissi in imbarazzo in sua presenza, e mi dicevo
che fosse per il fatto che era come se mi sentissi un po’ inferiore ora che i
miei avevano occhi solo per lui.
“Perché non andate un po’ a guardare la tv
mentre faccio la cucina?” propose mamma.
“Si, vai con lui, Gab, io aiuto mamma” me la
svignai.
“No, oggi è il turno di Gabriele aiutarmi”
disse innocentemente mamma.
Capita l’antifona, sbuffai e feci segno a
Cristian di seguirmi in soggiorno. Accesi la tv e mi finsi interessata finchè
non fu lui a parlare.
“Senti, so che non mi sopporti o qualcosa di
simile, ma volevo solo dirti di dire a Stella, nel caso si trovi a parlare con
te, che non sono interessato. Oggi è venuta anche lei a portarmi l’invito, si è
presa il mio numero e mi riempie di sms” spiegò cautamente, voltandosi verso di
me.
“Perché non glielo dici tu?” proposi,
cercando di essere educata. “E poi non è che non ti sopporto, è solo che odio iniziare
con il piede sbagliato con le persone”.
Cristian fece un piccolo sorriso. “Allora
che ne dici di iniziare da capo e fingere che ci siamo conosciuti ora? Prometto
che non ti prenderò in giro e che sarò civile, anche se ammetto che hai delle
belle gambe” aggiunse.
Lo guardai male e lui si parò una mano
davanti. “Scherzo, scherzo. Era per alleviare la tensione…”.
“Ok, ma non tollererò più queste cose”.
Ci guardammo e alla fine lui mi porse la
mano in segno di pace e resa e la strinsi.
“Quindi ora parlerai con Stella?” domandò.
“Hai voluto far pace solo per questo
scopo?”.
“No, no. Ok, ci parlerò io” stabilì alla
fine.
“Bene” approvai, e a malincuore gli sorrisi.
“Mamma, io esco” disse poco dopo Gabriele,
quando terminò di aiutare mamma.
“Dove vai? Sono quasi le dieci” gli ricordò lei.
“Ho un appuntamento con un amico” rispose
spiccio lui, ma il modo in cui lo vidi uscire, pensieroso, non mi convinse.
“Mamma, vedo dove va, torno subito” le dissi
a mia volta, chiedendomi se la sua uscita c’entrasse con Belle.
Mamma non ribattè, rassegnata, e alla fine,
dopo aver pedinato mio fratello, e averlo perso di vista, tentai a Piazza di
Spagna visto che aveva detto che il ragazzo con cui usciva Belle gironzolava
per di lì.
Stranamente c’era poca gente, posai il mio
scooter e iniziai a guardarmi intorno senza successo, finchè non vidi un gruppo
di ragazzi avvicinarsi.
“Ehi, bellezza, ti va un tiro?” mi domandò
uno di loro, indicandomi una sorta di sigaretta che sapevo che fosse tutto
tranne sigaretta.
“No, grazie” risposi, cercando di fingermi indifferente,
e vedendo che Gabriele non c’era mi affrettai a riavvicinarmi al mio motorino.
“Dove vai? Vieni qui, divertiti con noi…”
continuò lui, prendendomi per un braccio. Subito mi si avvicinarono altri tre
tipi.
“Mollami” gli intimai, cercando di restare
calma quando mi sentivo nel pallone.
“E altrimenti che fai?” mi provocò lui,
avvicinandosi sempre di più e prendendomi per la vita.
“Io…” bofonchiai, continuando a strattonarmi
ma cadendo nel panico più totale. “Aiut…!”.
“Stai zitta, ricciolina, e andrà tutto bene”
continuò un altro, passandomi una mano tra i capelli, di cui potevo sentire la
voce alle mie spalle.
“No, ti ho detto di lasciarmi!” urlai,
continuando ad agitarmi, sentendomi sempre più oppressa dai tocchi di quegli
sconosciuti.
“Tu ora fai quello che ti dico…” ribattè un
terzo, e sentii la sua mano toccare il mio seno da dietro.
“No, no!”. Ormai piangevo per la paura, ogni
mia minima mossa sembrava inutile e sembrava solo sfiorarli. Chi me l’aveva
fatto fare di andare lì a quell’ora da sola?
Altre mani scesero lungo i miei fianchi, e
stavo per muovere i piedi per assestare un calcio a chiunque dei tipi quando
sentii un deciso: “Lasciatela o chiamo la polizia!”.
Non ero mai stata più felice di sentire
quella voce, la sua voce, e
improvvisamente mi sentii libera da mani e puzza di fumo e alcool, cadendo per
terra.
Spalancai gli occhi davanti la visione che
avevo davanti: Cristian, spuntato da chissà dove, stava picchiando i tre tipi, con
una certa agilità, come se lo facesse un giorno si e uno no, finchè non
intervennero degli altri tipi a separarli e quei maniaci se ne fuggirono.
“Stai bene?” mi domandò quando si furono
allontanati, sedendosi accanto a me.
“Non lo so” risposi, continuando a piangere
silenziosamente. “Ho avuto paura…”.
“E’ normale. Su, alzati” disse, e porgendomi
la mano mi aiutò ad alzarmi. Stavo per barcollare, spaventata ancora dalla
sensazione di essere toccata da uno di quei tipi, e lui mi sorresse, prima di
abbracciarmi. Le sue braccia erano calde e stare così mi faceva sentire
protetta.
“Stai tranquilla, Sabrina, è tutto ok.
Appena ho visto che non tornavi sono venuto a cercarti, e questo è il primo
posto che mi è venuto in mente…” sussurrò, accarezzandomi i capelli.
“Grazie” bofonchiai, alzando lo sguardo.
“E di che, anzi, ammetto di essermi
spaventato anch’io” rispose, cercando di ironizzare la cosa.
“Ora so chi sono i veri maniaci, giuro che
non ti chiamerò più così” sussurrai, guardandolo in un modo che voleva essere
sincero e pieno di scuse. “Scusami per ieri, non volevo essere così…”.
“Permalosa?” suggerì. “Perdonata,
tranquilla”.
Ci sorridemmo, e mai come in quel momento
capii che gli dovevo molto e che la guerra era ufficialmente finita.
Continua…
Qualche Anticipazione:
“Titti,
è un complotto! Mamma vuole assolutamente farmi passare le giornate con quel
Cristian! E oggi devo andare a fare shopping con lui” mi lamentai subito, senza
nemmeno salutarla.
°*°*°*°*°*
“Anche
la modella ha fatto la sua parte, però” protestai, sebbene ironica, per questo
mi stupii quando disse: “Non ho mai detto il contrario”.
°*°*°*°*°*
“Metto il prossimo gettone. Mi sa che solo
così riuscirò ad avere un minimo resoconto degli accaduti, visto che vai a
scatti” spiegò sarcastica.
Milly’s Space:
Hola!
Eccovi il secondo chappy… Sabri prima fa
tutta la dispettosa con Cristian, poi scopre che in realtà deve smetterla di
trattarlo così e alla fine ha la dimostrazione che lui non è il maniaco che ha
lasciato intendere! xD
Comunque, grazie mille a coloro che hanno
messo la fic tra i preferiti:
alina 95
angeleyes
cupidina
4ever
lillay
Mary_loveloveManga
pirilla88
vero15star
e CriCri88 per averla messa tra le
storie seguite.
E, ovviamente, grazie mille a coloro
che hanno recensito lo scorso cap:
CriCri88: Ecco qui il seguito, spero
ti piaccia anche questo cap! Grazie mille, mi fa piacere sapere che secondo te
non sto cadendo nella banalità, ma credo proprio che staccare la spina per un
po’ mi farà bene! Che te en sembra di Deb e Andrea versione genitori? Un
bacione e ancora grazie per seguirmi anche qui! ^^
alina 95: Grazie carissima! Spero
che anche questo cap ti piacerà! Ho aggiornato il più presto possibile ^^ Un
bacio!
vero15star: Tesoro! Marcolino è tuo,
si si, anche perché per ora solo io e te sappiamo della sua esistenza e sai che
lo lascio tutto a te! Hai visto, ho modificato qualcosa e aggiunto qualche
scena… Grazie mille per aver letto questi cap in anticipo e avermi consigliato!
<3 Je t’adore, cherie!
lillay: Ma grazie, sei troppo
gentile, è bellissimo sapere che ci sono altre persone che hanno seguito le
storie precedenti a questa! Spero comunque che anche questo capitolo ti sia
piaciuto! Un bacio!
angeleyes: Meno male, ti è piaciuto
il primo cap! ^^ Riguardo le scene ironiche, beh, ce ne saranno altre (anche in
questo cap la scena di Sabri che cerca di convincere Andrea che Cristian è un
maniaco può essere giudicata un pò tale, non credi? xD), promesso, anche perché Sabri
se ci si mette è peggio di sua madre, solo che a volte è un pochino pochino più
rompiscatole, eheh! Un bacione!
Non so quando aggiornerò, anche perché
il 9 inizio già la scuola (quando poi la mia regione apre le scuole il 14… Non iscrivetevi
mai in un Convitto, ve lo sconsiglio per tutte queste cretinate in anticipo!).
A presto,
milly92.
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Capitolo 3 *** Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire ***
Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire
“Ad ogni sorpresa
siamo preparati.
Solo le cose quotidiane ci cascano addosso
come calamità naturali”
Stanislaw Jerzy Lec
Capitolo 3
Non C’è peggior Sordo
Di Chi Non Vuol Sentire
Il fatto che ormai Cristian fosse “uno di
famiglia”, per dirlo con le parole dei miei genitori, portò abbastanza
cambiamenti nella mia vita: me lo ritrovavo di fronte a colazione, pranzo e
cena, spesso si offriva di aiutarmi a lavare i piatti, e me lo ritrovavo sempre
tra i piedi; ormai stava poco e niente nella dependance, giusto per dormire e
lavorare (avevo scoperto che era un grafico pubblicitario) ma almeno si faceva
perdonare con i cornetti caldi a prima mattina o nolleggiando un dvd che mi
piaceva particolarmente.
La cosa che non sopportavo era
l’atteggiamento di mamma: cercava di coinvolgermi in ogni modo per legare
maggiormente con lui, anche se vedeva che non battibeccavamo più. Parlavamo
come due persone civili e basta, cosa pretendeva ancora?
“Debora, oggi credo che andrò in giro per
negozi, devo comprare qualcosa di adatto per la festa di Ilaria” annunciò
Cristian il mercoledì dopo pranzo, mentre io e lui lavavamo i piatti e mamma
sistemava la tavola.
Mamma lo guardò, annuendo, poi subito disse:
“Sabri, se non sbaglio anche tu devi comprare qualcosa da metterti addosso”.
La guardai male, prima di decidermi di
essere più garbata. “Mamma, ti ho detto una settimana fa che indosserò l’abito
color lavanda che ho comprato a Riccione” dissi cautamente. Di certo non se
l’era dimenticato, aveva solo 46 anni, diamine, era troppo presto anche solo
per fingere di essersi dimenticata una discussione così recente. Ma a quanto
pareva niente era troppo esagerato quando si parlava di farmi stare in
compagnia di Cristian!
“Tesoro, è troppo sportivo, lo sai che
Ilaria fa la festa al “Piccolo Regno”, il locale dove hai festeggiato tu i tuoi
diciotto anni e che bisogna essere eleganti” mi ricordò pazientemente. Oh,
ecco. Non se l’era dimenticato, aveva solo deciso per me che non era adatto. Da
quand’è che era diventata così rigida circa queste formalità? Da quando quel
grafico pubblicitario che fungeva da superman e gentleman che era in
circolazione quando ne avevi bisogno!
“Allora vuol dire che metterò quello nero
che comprai due mesi fa…” riprovai, sicura che questa volta non avrebbe trovato
obiezioni. Il nero è il colore elegante per eccellenza, ah! Colpita e
affondata, mammina!
“Nero? Ancora ti è morto nessuno per
fortuna!”. Ecco, ti pareva. E meno male che lei ha mezzo armadio nero perché
dice che l’affina. Stava diventando peggio di me nell’inventare scuse… E quasi
quasi sembravo io la madre e lei la figlia per i suoi capricci! “Dai, vai con Cristian e fate shopping
insieme, così vi consigliate l’un l’altro. Non ti sembra una bella idea,
Cristian?” gli domandò allegra e lui sorrise, voltandosi verso di me.
“Certo. Se ti fidi del mio giudizio… C’è un
negozio di alta moda che ha aperto sull’Appia Antica, l’ha pubblicizzato la mia
ditta, e ha davvero bella roba. Se ti va andiamo lì, è sia per uomini che per donne” propose, in
un modo che, devo ammetterlo, era davvero gentile, garbato e soprattutto persuasivo.
Guardai mamma, che mi sorrideva speranzosa.
Ormai avevo scelta? Se avessi rifiutato era sicuro che mi ci avrebbero
trascinato come un animale dello zoo cresciuto in cattività che viene
trasferito da un posto all’altro, ma almeno gli animali avevano la fortuna di
avere diritto all’anonimato, invece se fosse successo a me mi sarei messa ad
urlare come urlerebbe Stella se le tagliassero i capelli o si ritroverebbe un
minuscolo brufolo in faccia e avrei dato l’opportunità a molti paparazzi di
farsi molti soldi sulle mie disgrazie. Sbuffai, cercando di scacciare quelle
idee dalla mia testolina. “E va bene” acconsentii, spazientita.
“Allora ci vediamo verso le quattro, ok?”
propose subito lui, ed io annuii, rassegnata.
Una volta finito di lavare i piatti così,
dopo essermi accertata che Cristian fosse tornato nella dependance, chiamai
Titti.
“Pronto?”.
“Titti, è un complotto! Mamma vuole
assolutamente farmi passare le giornate con quel Cristian! E oggi devo andare a
fare shopping con lui” mi lamentai subito, senza nemmeno salutarla. Lei rise.
“Ciao, eh”.
“Oh, scusa, ciao” mi affrettai a dire,
buttandomi sul letto e fissando il
soffitto. “E’ che farci pure shopping insieme mi sembra esagerato, già non ho
tollerato quando l’altro ieri mamma gli ha permesso di portarmi la colazione a letto
mentre dormivo, figurati dover provare dei vestiti davanti a lui e sentirmi
esaminata come se mi stesse facendo una TAC!” spiegai, sconsolata.
“Ma non è che tua mamma vorrebbe che
succedesse qualcosa tra voi?” chiese subito lei, facendo due più due.
“Eh?”. Arrossii di botto e ringraziai il
cielo che non fosse una videochiamata. “Ma che, e poi lui è grande, ha otto
anni in più a me…”.
“E che c’entra, lei e tuo padre ne hanno
sei!” ragionò. “Si vede che vorrebbe che tu stessi con un uomo maturo, visto che
lei ci si è trovata benissimo. Ricordi tutte le scenate che faceva quando stavi
con Brando?”.
Sussultai al solo pensiero. Brando era un
mio compagno di liceo, era del mio anno ed era tre mesi più piccolo di me. Il
suo nome diceva già tutto: i suoi genitori erano dei megalomani che avevano
deciso di affibbiargli lo stesso nome del famoso Marlon, rendendolo ancora più
idiota. Aveva sempre avuto una sorta di fissa per me sin dal primo anno, e al
quarto riuscì a conquistarmi, anche se ammetto che era davvero strano, con la
sua fissa smoderata per i quadri in cui non ci si capiva niente. Quando mamma
aveva saputo che stavo con lui aveva fatto una faccia storta, e solo dopo che
lo mollai, quattro mesi dopo, tornò a pensare che avessi un cervello
funzionante.
“Vabbè, ma le faceva perché… Perché era
mezzo pazzo, e lo sai” buttai lì.
“Bah, resta il fatto che secondo me se tu ti
innamorassi di lui non direbbe niente, anzi, ne sarebbe felice” terminò.
“Tu sei pazza, conosci i miei gusti…”.
“Appunto, anche a te piacciono quelli un po’
più grandi col sorrisino svenevole e i capelli un po’ lunghi, e anche un po’
eroi, e dopo che ti ha salvato da quei maniaci ha tutti gli ingredienti
necessari” decretò, con un tono tale che mi faceva venire la rabbia.
“Titti, ora basta, sul serio, non
m’interessa…” dissi, decisa. Quell’idea era assolutamente idiota e pazza, ad
essere onesti.
“Va bene, come vuoi. Ma sappi che, come si
dice… “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!”, lo sai, no?”.
Guardai verso l’alto con aria rassegnata.
Titti era proprio partita per un altro pianeta, quello in cui io facevo la
velina con Stella, odiavo la matematica e in cui gli asini volavano in cielo
insieme a cavalli, mucche e pecore. “Lo so e non c’è problema visto che non è
il mio caso” ribattei, sempre più acida.
“Contenta tu! Solo che ora devo scappare,
oggi inizio a lavorare dalla signora D’Argenzio e voglio essere puntualissima”
mi informò.
“Ah, allora in bocca al lupo, anche se con
quelli che mi hai detto non te lo meriti…!”.
“Ah ah. Crepi comunque! Ciao”.
“Ciao”.
Staccai e ripensai alle parole assurde di
Titti. Mamma non era il tipo da fare queste cose, aveva sempre detto che lei
non avrebbe mai influito su di me nel caso mi piacesse qualcuno, ed io mi
fidavo di lei. Anche lei da giovane si era messa in gioco e ne aveva passate di
cotte e di crude con papà prima di sposarsi, come il fatto che papà andò in
coma durante un reality show a causa di due diaboliche persone che volevano
dividerli.
Ero ancora assorta in questi pensieri quando
vidi che erano le tre passate, così mi feci una rapida doccia, aggiustai i
capelli, mi truccai leggermente ed indossai una canotta rossa con dei jeans.
Visto che mancavano ancora dieci minuti alle
quattro, ne approfittai e scesi giù, nel soggiorno, dove mamma e papà se ne
stavano abbracciati come due adolescenti a guardare un telefilm.
“Mammina mia adorata, dobbiamo fare due
chiacchiere” annunciai, con le parole di Titti che mi rimbombavano ancora nelle
orecchie.
Papà scattò su, quasi come se avessi
chiamato in causa lui. “Ho detto mamma, non papà” gli ricordai.
“Capito, capito” sbuffò lui. “Credo che me
ne andrò a riposare” aggiunse, alzandosi con pigrizia e avviandosi verso il
secondi piano.
Mamma, dal canto suo, si voltò verso di me.
“Che c’è?” domandò.
Le feci segno di aspettare un secondo, alzai
gli occhi verso l’alto e dissi: “Papà, piantala di origliare!”.
Lo sentii sbuffare e sentii il rumore dei
suoi passi, conosocendolo non avrebbe mai ammesso di star origliando.
“Comunque” ripresi, “Voglio che tu la smetta, mamma. Già sono passata
dall’intolleranza all’accettazione nei confronti di Cristian, quindi voglio che
tu finisca di farmelo ritrovare tra i piedi ogni tre secondi”.
“Oh”. Lei mi guardò e sorrise. “Ma non lo
faccio apposta, Sabri! E’ solo che Titti lavora e tu stai sola, non hai
amicizie maschili, stai sempre per i fatti tuoi in sua assenza… Cristian
sarebbe un ottimo amico per te, credimi, i ragazzi sono molto più divertenti
delle ragazze, e spesso molto più sinceri! Pensa a me e Daniele, o a me e zio
Giuseppe… Non devi eliminare Titti, ma avere altre conoscenze non è mica
sbagliato!”.
“E meno male che non lo facevi apposta” decretai
stizzita, incrociando le braccia.
Continuò a sorridere, prima di ridacchiare.
“Non infierirò più, promesso”.
“Ecco quel che volevo sentirmi dire!”
esclamai.
Un minuto dopo Cristian suonò il clacson della
sua auto per farmi capire che mi stava aspettando, così presi il cellulare, il
portafogli e le chiavi di casa, salutai mamma e lo raggiunsi.
Mi stava aspettando davanti alla macchina,
con i capelli castani più ordinati del solito, dei jeans e una camicia azzurra
e gli occhiali da sole. Quando mi avvicinai mi aprii lo sportello dell’auto,
sorridendo, e quando entrai lo chiuse.
“Sai, ieri ho parlato con Stella” disse per
rompere il ghiaccio dopo qualche minuto di silenzio.
Il sentire quel nome mi infastidì un poco.
Possibile che fosse il nostro unico argomento di conversazione? Comunque,
mascherai il mio fastidio dissi solo un debole:“Si?”.
“Si, e mi ha mandato al diavolo e ha detto
che sono un maleducato perché l’ho illusa” spiegò, scuotendo il capo.
“E cosa hai fatto per illuderla?” domandai
curiosa. Conoscendo Stella poteva anche essere un microscopico sorriso. La tipa
tendeva ad alzare a diecimila la sua autostima quando vedeva che qualcuno,
anche un cane, la guardava per il semplice fatto di non portare i paraocchi e
averla incrociata per strada…
“Niente! Non ho risposto ai suoi sms… Ho
solo risposto ad una chiamata per educazione” disse incredulo.
“Ecco spiegato. Si illude facilmente,
purtroppo, anche perché è molto sicura di sè e crede di poter conquistare
chiunque, pensa che una volta mi disse che era certa che una ragazza fosse
pazza di lei” lo informai, non riuscendo a trattenere una risatina e una vena
di sarcasmo.
“Allora non mi ero sbagliato” decretò. “Mica
è colpa mia se non mi piacciono le bionde perfette con la sicurezza che sprizza
da tutti i pori”.
“Si, vale lo stesso per me. Per i biondi,
intendo” mi corressi, e lui annuì, ridacchiando visto che ero arrossita un po’.
“Non ti piacciono i biondi?”.
“Direi di no, cioè, non si può mai sapere ma
preferisco i mori e i bruni” dichiarai.
“Idem” disse, voltandosi un secondo verso di
me, e mi parve di vedere che stesse osservando la mia chioma bruna, ma mi dissi
di essermi sbagliata.
Una volta arrivati nel negozio, subito mi
trascinò nel reparto maschile. “Ci metterò pochissimo, giuro” si difese.
“Cosa intendi per pochissimo?” chiesi
scettica.
“Una mezz’oretta, e poi il negozio chiude
alle nove e mezzo” disse. “Dai,
aiutami”.
Sospirando, annuii. “Cosa vorresti vedere?”.
“Io direi dei jeans neri con una camicia e
una giacca”.
“Niente cravatta?”.
Mi guardò come se fossi pazza. “Era una
battuta? Nemmeno a lavoro la indosso” disse, quasi schifato.
“Oh, ok, mi scusi messere” sbottai, iniziando a guardare uno stand di camicie. “Cosa
ne dici di questa?” sghignazzai divertita, mostrandogli una camicia a righe
nere e bianche tutta plissettata.
“A me sta bene di tutto, certo, ma non
vorrei esagerare” disse, e mi spinse lievemente quando lo guardai scettica.
“Io direi questa, invece” soggiunse, sempre
con l’aria divertita e mostrandomi una camicia fuxia.
“Dai, sbrighiamoci che devo perderci almeno
due ore nel reparto donna” dissi.
Così alla fine, dopo ben quaranta minuti,
scelse dei jeans neri, una camicia blu e una giacca nera con un particolare
taglio.
“Perfetto, ora tocca a me!” esclamai
trionfante, e lo trascinai dall’altra parte del gigantesco negozio, dove
c’erano abiti per signora.
“Cosa ne dici di questo?” domandai,
mostrandogli un abito blu notte corto davanti e lungo dietro.
“No, ti invecchia”.
“E questo?” riproposi, esibendone uno bianco
e argento.
“Non devi mica sposarti!”.
Lo guardai imbronciata.
“Serve una mano?” chiese gentilmente una
commessa sulla trentina, con corti capelli neri e un rossetto rosso esagerato. Poi
mi guardò meglio e allargò gli occhi. “Oh, ma tu sei Sabrina Romani! La figlia di
Debora e Andrea…” disse, incredula.
“Si, sono io” risposi, un po’ seccata. Ci
mancava solo l’interrogatorio, ora.
“Ho visto la tua intervista su “Donna Glamour” qualche mese fa! Era
stupendo quel vestito che indossavi nelle foto… Un Valentino, vero?” chiese a
bruciapelo.
“Si”. Ricordare quell’intervista fu
spiacevole: quel giornale aveva deciso di fare un servizio sulle figlie degli
artisti più famosi degli ultimi dieci anni,
e per una settimana ero stata in giro tra boutique, parrucchieri e
compagnia bella per realizzare quel servizio ed esporre molti fatti privati su
me e la mia famiglia.
“Ma è vero che reciterai in un film sulla
principessa Sissi? Vedendoti dal vivo le potresti assomigliare” continuò.
La guardai stralunata. “No, non sono
un’attrice, non lo sarò mai e sono impegnata all’Università per diventare
medico” dissi, sempre più seccata.
La donna parve delusa.
“Comunque per ora non credo mi serva una
mano, grazie, ho portato apposta il mio consulente di moda” dissi gentilmente,
indicando Cristian che finse di esserlo dopo un po’ di shock.
La commessa annuì e si allontanò,
continuando a voltarsi ogni tanto.
“Consulente di moda, eh? Ora ti faccio
vedere, ti sorprenderò” disse risoluto quando la donna fu abbastanza lontana da
non poterci udire.
“Vediamo” dissi divertita, incrociando le
braccia, cercando di dimenticare il fastidio procuratomi da quella donna, e lo
vidi aggirarsi tra i vari stand con aria pensierosa e meditativa. Alla fine
fece un’espressione esultante, ci ragionò tre secondi e prese un vestito,
avvicinandosi e mostrandomelo.
“Ecco, che te ne sembra?” disse sicuro di
sé, e mio malgrado mi ritrovai a guardare l’abito stupita.
Era azzurro, con un taglio a cinesina nei
pressi del collo e con una scollatura a forma di goccia che andava dal collo
fino all’inizio del seno. Non era molto lungo, e sembrava scendesse a tubino,
con qualche ricamo fatto di perle verso l’estremità.
“Di la verità” disse ammiccante, notando la
mia espressione. Lo guardai, tra il divertito e lo sconfitto, e lo presi senza
dire nulla, correndo nel camerino. “Prego, eh!” aggiunse sarcastico,
godendosela un mondo.
Lo provai e ne restai estasiata: lo scollo a
goccia non era volgare, e l’abito scendeva fino a un po’ prima del ginocchio.
Inoltre anche sulla schiena presentava un piccolo scollo della stessa forma.
Uscii dal camerino e lui sgranò un po’ gli occhi prima di ricomporsi.
“Ecco, che avevo detto?” disse retorico, ma
avvicinandomi e prendendo la mia mano tra le sue, in modo da farmi fare un giro
su me stessa e poter vedere da tutte le angolature. “E’ bellissimo e adatto”.
“Anche la modella ha fatto la sua parte,
però” protestai, sebbene ironica, per questo mi stupii quando disse: “Non ho
mai detto il contrario”.
Mi girai per non far vedere che le mie
guance si erano colorate un po’ e finsi di scrutarmi meglio nello specchio. “Va
bene, consulente, lo prendo”
dichiarai.
“Farai un figurone, credimi” disse sincero,
ed annuii, ritornando nel camerino e rivestendomi.
“Solo che ora devo trovare borsa e scarpe
abbinate!” urlai dal camerino, e mi immaginai la sua faccia terrorizzata,
sghignazzando.
Tornammo a casa alle otto passate, giusto in
tempo per la cena. Fui sorpresa di trovare Vittoria, e scoprii che era venuta
nel pomeriggio per parlarmi e che mi aveva aspettato fino al ritorno.
“E’ che volevo un consiglio da parte tua, in
realtà” spiegò, una volta che fummo in terrazza, lontano da orecchi indiscreti
visto che erano tutti in giardino. Era il 30 agosto e si moriva per il caldo,
ancora il doppio rispetto a luglio.
“Dimmi” la incitai.
“Mi sono innamorata di uno più grande”
ammise, cercando di celare l’imbarazzo. “E tu eri l’unica con cui potessi
parlarne liberamente, Belle ultimamente è indisponente, Ilaria pensa alla
festa, e poi tu sei più grande…”.
“Non è che abbia tutta questa esperienza, in
realtà, nonostante abbia vent’anni, ma se mi dici come stanno le cose posso provare
ad aiutarti” ammisi, prendendole le mani tra le mie e sorridendo incoraggiante.
Lei mi guardò un po’ scettica. “Non dire
sciocchezze, sei favolosa, spiritosa, simpatica, bella… Chiunque cadrebbe ai
tuoi piedi mentre io…”.
“Vitt, smettila. Devi solo imparare a
cavartela bene e ad essere meno impacciata” la rimproverai. “Ora, dimmi, quando
intendi grande intendi…”.
“Ha ventun’anni e…”.
Si bloccò, arrossita. La guardai impaziente
ed annuì, decidendosi a parlare. “Si chiama Hazel, è polacco e lavora a casa
mia per i lavori di ristrutturazione. Se vedi com’è bello, gentile…”.
Avevo lo sguardo raddolcito e un’espressione
sognante.
“Non voglio avere pregiudizi ma credi che
sia adatto a te?” chiese delicatamente, guardandola negli occhi.
“Forse proprio perché è così sbagliato che
mi attira così tanto” ammise.
“Vittoria, tu sei giovane, bella e
soprattutto molto benestante, non voglio smontare le tue fantasie ma non credi
che possa sfruttare questi tuoi potenziali? Specialmente riguardo il lato
economico…” cercai di farla ragionare, ma mi zittii quando vidi l’espressione
scocciata che le si dipinse in faccia.
“Ti facevo diversa, credevo avessi guardato
oltre le apparenze…” disse offesa, portandosi le mani attorno al capo e ai
capelli ricci ribelli.
Scossi il capo. “No, non sono razzista se è
questo che intendi, ma nemmeno tanto ingenua. E poi, dimmi, lui come si
comporta con te?”.
“E’ una settimana che parliamo, lo guardo
mentre lavora quando i miei non ci sono o mamma sta giù con l’architetto, e mi
sembra molto gentile, spesso mi guarda…” dichiarò, ancora più rossa.
Sospirai, senza sapere cosa dirle. “Ti
consiglio di aspettare un po’, vedi come si comporta e poi ti regoli di
conseguenza, ma devi poterti fidare, Vittoria, sul serio, può essere una cosa
pericolosa, e puoi restare scottata” la ammonii. “Lo dico per il tuo bene,
credimi”.
Lei fece un debole sorriso e annuì. “Solo
che tua madre scrive sempre nei libri che il cuore ha le sue ragioni che la
ragione non conosce, ricordi? E’ una frase celebre che riporta sempre…”.
“Mia madre sa che c’è una bella differenza
tra realtà e libri, credimi” ribattei.
Ci mancava solo la cuginetta pasticciona a
causa delle frasi usate da mia madre e la frittata era fatta!
Il giorno dopo, io e Titti passeggiavamo per
Piazza di Spagna, finchè non decidemmo di sederci su uno dei tanti scalini. Quel
posto mi spaventava ancora, visto che era stato il luogo della mancata
aggressione di quei maniaci, per cui avevo deciso di tornarci per combattere la
mia paura.
“Quindi, come ti trovi con la signora?”
domandai a Titti mentre mangiavamo una coppa di gelato.
“Devo ammettere che è bravissima, e poi mi
ha fatto tanti complimenti, dice che voleva proprio una come me, disponibile,
gentile e di bella presenza…” spiegò, soddisfatta.
“Hai visto, il tuo fascino orientale ti
aiuta anche nel lavoro” ridacchiai, facendole l’occhiolino. Anche se Titti
raramente si agghindava con abiti particolari e trucco, era sempre bella e
affascinante nella sua semplicità, grazie al suo magnifico taglio d’occhi, il
sorriso brillante e la carnagione olivastra.
“Piantala! Magari mi aiutasse a trovarmi un
bel principe ricco sfondato che mi ospiti nel suo castello” disse sarcastica.
“Sei tu che fai la difficile, i ragazzi che
ti chiedono di uscire ce li hai…”.
“Ma non sono quelli giusti, cosa devo
farci?” chiese retorica, alzando gli occhi al cielo. “Tu piuttosto?”.
“Io piuttosto cosa?”.
“Com’è andato lo shopping con l’usurpatore?” chiese curiosa.
“Titti, piantala di chiamarlo così che mi
riabituo ad utilizzare quel nome. Comunque bene” risposi brevemente.
Mi lanciò un’occhiata incredula. “Bene?
Insomma, siete stati fuori quattro ore…”.
“E allora?”.
“E allora?! Cosa ti ha detto, cosa hai
comprato…” si spazientì.
“Ho comprato un abito azzurro” minimizzai.
Lei sbuffò, cercò il portafogli e ne
estrasse una moneta da cinquanta centesimi.
“Che fai?” chiesi senza capire.
“Metto il prossimo gettone. Mi sa che solo così
riuscirò ad avere un minimo resoconto degli accaduti, visto che vai a scatti”
spiegò sarcastica.
Sbuffai. “Cosa devo dirti?”.
“Non lo so, non sono io quella che è uscita
con…”.
“Io non ci sono uscita insieme!” protestai.
Titti mi guardò divertita. “Sei arrossita,
Romani, che ti succede?”.
Digrignai i denti e mi alzai, ma lei mi
trattenne per un braccio. “Che ti prende? Scherzavo! Da quand’è che sei così
nervosa?” chiese, questa volta seria.
Scrollai le spalle. “Non lo so, parlare di
lui mi rende così. E’ che mi sento un po’ in soggezione ad essere onesti quando
sto con lui, mi sento… Osservata, ecco. Ma non lo capisco, anche perché è
gentile ultimamente, cordiale, mi ha aiutato con quei maniaci, mi ha trovato
lui il vestito…”.
Le raccontai l’allusione della modella, a
quella sorta di complimento che mi aveva fatto con serietà, alla questione
delle brune, del fatto che forse mi aveva guardato la chioma in quel momento.
“Non voglio dire nulla, non voglio
influenzarti. Ma dovresti rilassarti e non sentirti così in soggezione, non mi
sembra un tipo intimidatorio” ammise, visto che l’aveva visto un paio di volte
quando era venuta a casa.
“Hai ragione” asserii, e mi appoggiai contro
la sua spalla, certa del fatto che quello sarebbe stato l’unico posto al mondo
che non mi avrebbe mai respinto e che ci sarebbe sempre stato per me.
Continua…
Qualche
Anticipazione:
“Capisco.
E’ solo che comunque per me sei piccola, quindi non riesco ad immaginarti
ancora più ragazzina” ammise.
*°*°*°*°*
“Perché hai portato con te quel cafone?”
chiese, accennando in direzione di Cristian che parlava con Niko, dopo essersi
presentato.
*°*°*°*°*
“Illuso?” chiesi senza capire.
“Sabrina, sono stanco, torniamo al silenzio
di prima” mi zittì, e accese lo stereo, come per accentuare la cosa.
Milly’s Space:
Ma ciao!
Eccovi il terzo chappy… Sabri e Cristian che
fanno shopping insieme, Vittoria innamorata di Hazel e Titti che inizia a
lavorare dalla signora D’Argenzio… Questo è solo l’inizio per lei, eheh!
Comunque, grazie alle 12 persone che hanno
messo la fic tra i preferiti (un commentino è sempre ben accetto… ^^) e le 4
che l’hanno messa tra i preferiti (stesso discorso vale per voi, grazie ^^) e
coloro che hanno recensito lo scorso cap:
CriCri88: Ecco qua il nuovo cap, ma mi sa
che per il 4° dovrai aspettare sabato, dopodomani ho la scuola, sigh! Deb è
dolcissima, si, e Andrea oltre che per le auto è fissato nel sapere tutto della
sua povera piccolina xD Certo che
Sabrina ha un bel caratterino, per questo a volte tutti si domandano se è sul
serio figlia di Deb! Un bacione… Per ora non starai in crisi d’astinenza, dai
(non sai quanto mi sento in colpa…!)!
vero15star: Ma grazie tesoro! Ora sto
scrivendo il settimo cap e il tuo Marcolino combinerà qualcosa… Ma stai
tranquilla,alla fine tornerà sempre da te, promesso! xD Un bacione, ti adoro
ragazza!
lillay: Grazie mille per i complimenti! Si,
Sabrina ha scoperto che non è un maniaco- alla fine lo sapeva già ma aveva
questa scusa per spiegare l’arcano motivo per cui le stava antipatico- e mano a
mano stanno stringendo amicizia, ma resta sempre il fatto che si sente strana
in sua presenza… Che sarà mai?! xD
angeleyes: Oh, ma certo che voglio rientrare
a scuola, apprendere tantissime cose e crescere grazie alle sagge parole degli
autori greci e latini… (si legge il sarcasmo?) xD Comunque, da come avrai visto
nelle anticipazioni, Stella ritiene Cristian un “cafone” per il modo in cui
l’ha trattata, anche perché alla fine non se l’è calcolata proprio, quindi,
beh, non intralcerà niente, ad intralciare qualcosa (ammesso che ci sia, eh, io
non ho ancora detto nulla U_U) sarà un segreto di Cristian che però lui nemmeno
sa di avere e che c’entra con Andrea… Grazie mille per gli auguri di buon e
rientro, ne ho proprio bisogno! E ovviamente ricambio ^^
Credo proprio che posterò sabato pomeriggio,
sperando di non avere già una valanga di compiti!
Un bacio,
la vostra milly92.
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Capitolo 4 *** La regola Delle Dieci “P” ***
La regola Delle Dieci “P”
“A partire da una
certa età, per amor proprio e per furberia, le cose che desideriamo di più sono
quelle a cui fingiamo di non tenere...”
Marcel Proust
Capitolo 4
La regola Delle Dieci
“P”
La festa di Ilaria sarebbe iniziata alle
nove al “Piccolo Regno”, un locale che avevo scoperto per caso mentre andavo a
casa di un’amica anni prima e che subito mi aveva affascinato per la sua
eleganza da quel che mostrava all’esterno, visto che sembrava una villa
raffinata, color bianco ed oro con un ampio cortile con fontana, panchine e
giardinetti. L’avevo scelto per festeggiare i miei diciotto anni, e il solo
ritornarci mi fece provare una certa nostalgia: a quei tempi ero una liceale
felice, spensierata e neo single dopo che avevo mollato quella cozza di Brando,
quindi tendevo a respirare la liberà come se fosse aria pura.
Erano passati due anni, e molte cose erano
cambiate, tranne la mia amicizia con Titti. Sospirai, e ripensai alle mie
amicizie del liceo, a quanto mi sentissi importante nell’andare sempre alle
feste e nell’essere conosciuta a scuola grazie alla mia famiglia. Ero davvero
molto infantile, allora. Ed ora? Andare all’università, capire che per tutti
non sei altro che un numero, che conta solo il tuo libretto d’esami con i voti,
avere giusto il tempo di stringere qualche amicizia con chi frequenta i tuoi
corsi, addormentarsi sui libri per gli
esami imminenti mi avevano davvero fatto capire quale fosse l’altra vita,
quella vera, quella che vivi quando non sei più un’adolescente.
Così quel venerdì mi sentivo davvero
nostalgica, e Cristian non perse occasione per farmelo essere ancora di più,
involontariamente, certo.
“Ho trovato questa in un cassetto della mia
camera da letto, pensavo la cercassi” disse, raggiungendomi in giardino mentre
lavavo il mio scooter, giusto per tenere la mente impegnata.
“Che cosa?” chiesi distrattamente, alzando
lo sguardo e prendendo la foto che mi stava porgendo. La presi e sospirai.
C’eravamo raffigurate io e Titti con altre due amiche che avevo conosciuto al
liceo Scientifico in cui andavo, Luisa e Carola, agghindate al meglio con
vestiti eleganti in occasione della festa di sedici anni di una compagna di
classe. Sorridevamo, ed io tenevo alzato il pollice ed indice con il resto
della mano chiusa, come ad indicare una sorta di “V”.
“Sei molto diversa, ora, sai? Quanti anni
avevi qui?” chiese curioso.
“Sedici. Ma è ovvio, si cresce, no?”
sospirai. “Eravamo alla festa di una nostra amica…” aggiunsi nostalgica.
Sorrise comprensivo. “Capisco. E’ solo che
comunque per me sei piccola, quindi non riesco ad immaginarti ancora più
ragazzina” ammise.
Levai un sopracciglio. Ero piccola per lui?!
“Nel senso che hai otto anni in meno e
considero fortunato e giovane chi va ancora all’Università…” spiegò.
“Non ho capito bene” ammisi, confusa.
Lui sorrise, passandosi una mano tra i
capelli, scompigliandolo ancora di più. “Nemmeno io, non farci caso” se la
svignò, fingendosi rasserenato e ghignante. “Ora vado, ho alcuni disegni da
fare per una pubblicità”.
“Ciao” lo salutai, e lui levò una mano,
prima di girarsi e ritornare nelle dependance.
Eppure, una volta terminato il mio lavoro,
quando andai sul terrazzo a prendere un po’ di sole nonostante fosse già il
primo settembre, non riuscivo a smettere di pensare alle sue parole.
Per me
sei piccola. Per me sei piccola.
E non si era nemmeno saputo spiegare! Bah.
Probabilmente era una di quelle persone che non rifletteva prima di parlare e
non aveva saputo come salvarsi da una figuraccia. Si, era così.
Ma ciò implicava qualche altra cosa: voleva
dire che, essendo la prima cosa che aveva pensato, lo pensava sul serio senza
rifletterci e qualcosa avrebbe pur dovuto significare!
Ma perché mi scervellavo tanto dietro le sue
follie, poi? Scossi il capo, come se stessi cacciando una mosca, e mi dissi di
pensare solo a godermi le ultime settimane di libertà prima dell’’inizio dei
corsi del secondo anno di università e soprattutto la festa della mia adorata
Ilaria, che avrei tirato su di mille tacche e che per una sera avrei tenuta
lontana dall’influsso negativo della sorella che esercitava su di lei.
La sera venne lentamente, e già alle sette
iniziai a prepararmi dopo aver fatto doccia e shampoo. Mi truccai, aggiustai i
capelli con due mollette piene di strass ai lati, lasciando la frangetta
laterale davanti, e infine indossai l’abito.
Stavo bene alla fin fine, dai, e volendo
potevo dimostrare anche qualche anno in più. Appena feci questo pensiero, mi
guardai allo specchio terrorizzata. Cos’era questa mia fissa per l’età, ora?!
Una signora deve essere fiera di
sembrare piccola. Cioè, giovane.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente,
cercando di scacciare di nuovo quegli strani pensieri. Ma in quel momento la
porta si aprì ed entrò Gabriele, che mi guardava stranito.
“Che fai?” chiese stralunato, vedendo che me
ne stavo appoggiata al mobile vicino allo specchio e avevo la testa in giù.
“Niente, niente” risposi velocemente. “Tu
piuttosto? Che vuoi?”.
“Sono nervoso, non ho fatto altro che
pensare alle parole che mi hai detto circa Belle”, qui sussurrò il suo nome,
“Ed ora che è arrivata la sera mi sento male. E se suo padre ci becca?”.
Sorrisi, dicendomi che il mio fratellino era
un ottimo rimedio contro i cattivi pensieri. “Quindi già presumi di riuscire a baciarla?” chiesi, poggiando una
mano sui fianchi.
Lui arrossì di botto. “No, è solo che…”.
“Tranquillo, stai calmo. Non avrai problemi
se ci tieni a lei, e fatti avanti solo se vedi qualche tentennamento. Lei è
dura, si, decisa, ma sotto sotto è più dolce di quel credi” dichiarai.
Annuì, come a dire “Se così non fosse non
sarei così pazzo di lei”. “Va bene, grazie. Spero per te che incontrerai
qualcuno carino stasera” ridacchiò.
“Ma grazie” ribattei, e lui fece
l’occhiolino prima di scendere giù.
Mi decisi a mia volta a scendere, dopo aver
preso la borsa e averci messo cellulare, lucidalabbra, matita e mascara dentro.
Scendere le scale che portavano giù fu dura a causa delle scarpe nuove, e mi
ritrovai papà davanti, che si aggiustava la cravatta.
“Wow, piccolina,
sei stupenda!” esclamò.
“Papà, ricordi che circa vent’anni fa tu e
tua moglie mi avete dato un nome? La pianti con questo piccolina? M’imbarazza”
ammisi.
“Allora scusami per oggi, dirti che per me
sei piccola deve averti imbarazzata”.
Ovviamente a rispondere non fu papà, bensì
Cristian, improvvisamente spuntato dalla cucina. Indossava i vestiti che
avevamo scelto insieme, aveva i capelli ben pettinati e mi sorrideva sornione.
“Non ti darò mai quest’onore, mi dispiace.
Papà è l’unica persona ad avere il pregio
di imbarazzarmi, ne devi fare di strada per riuscire in un’impresa simile”
ribattei alterata, sebbene sul serio le sue parole mi avessero imbarazzata.
Lui capì, perché finse di non aver notato
nulla e prese posto sul divano. Papà, dal canto suo, aveva rinunciato a seguire
il nostro battibecco ed era andato a controllare a che punto fosse mamma.
Arrivammo al “Piccolo Regno” alle nove e mezzo con l’auto di papà.
Cristian ci seguiva a ruota con la sua auto, e quando scendemmo dalla macchina
e lui stava ancora parcheggiando, la musica del suo stereo si diffondeva ancora
nel parco, in contrasto con quella della festa.
“Scusate” disse, come se nulla fosse, e
staccò la musica prima di raggiungerci.
Entrammo nel locale, in cui non c’era ancora
molta gente. Ilaria ci venne incontro raggiante, magnifica nel suo abito grigio
perla che metteva in risalto il suo bel fisico.
“Ila, auguri!” esclamai, abbracciandole e
baciandole una guancia. “Sei magnifica, stupenda” ammisi, il che era vero, anzi,
anche un po’ riduttivo.
“Grazie, Sabri” disse sorridendo.
Toccò agli altri darle gli auguri, così mi
guardai intorno e vidi che Niko, suo padre, mi sorrideva.
“Ehi Niko! Sei invecchiato, la tua seconda
figlia è già maggiorenne” esclamai, avvicinandomi.
“Ma smettila, io sono sempre giovane, bello
e affascinante” ribattè, fingendo di atteggiarsi. Poteva anche essere vero,
nonostante i suoi 49 anni era sempre un bell’uomo come papà, con gli occhi
azzurri che sembravano quelli di un ragazzino e il fisico ben mantenuto.
“Basta crederci” dissi. “So che sei geloso
dei miei vent’anni”.
“No, invidio i sedici di tuo fratello”.
Lo guardai per un secondo e poi ridemmo, poi
andai a salutare sua moglie Eliana, tentando di scansare Stella ma inutilmente.
Era avvolta in un abito fuxia molto appariscente e corto, che mostrava le sue
gambe slanciatissime ancora di più grazie al tacco 12, e mi si avvicinò
velocemente, come se avesse avvistato una preda.
“Perché hai portato con te quel cafone?”
chiese, accennando in direzione di Cristian che parlava con Niko, dopo essersi
presentato.
“Ti ricordo che sei tu quella che ha fatto
di tutto per averlo qui” dissi sarcastica. Nonostante tutto, sentire definire
Cristian “Cafone” mi dava ai nervi, non era assolutamente vero, anzi, era
decisamente molto meglio di lei e della sua infinita dose di sicurezza,
superficialità e maleducazione.
“Che c’entra, sai perché l’ho invitato, e
dal momento che abbiamo chiuso…”.
“Non mi sembra che abbiate mai inziato…”. La
guardai sorridendo, con un’espressione di pura soddisfazione che la fece
imbestialire.
Mi guardò male e se ne andò, sbattendosi in
un modo eccessivo e convinto, senza riuscire a mascherare la calma.
Nel corso della serata così, tentai di
divertirmi senza più incrociarla, e ci riuscii abbastanza bene, specialmente
dopo che presi posto ad un tavolo con Ilaria, Manuela, Antoine, figlio di
Rossella e Pierre, altri due amici di famiglia, con cui ero cresciuta e avevo
passato parte dell’infanzia, mio fratello e Belle.
“Scusate, posso sedermi con voi?”.
Cristian ci sorrideva, e Ilaria subito
annuì. Prese posto vicino a me, visto che lì c’era l’unico posto vuoto, e
subito si ambientò, presentandosi anche a quelli che non conosceva.
“Vi state divertendo?” ci chiese Massimo,
dopo che ebbero servito il secondo piatto.
“Si, zio” risposi. Avevo l’abitudine di
chiamarlo così anche perché era la stessa che aveva mia madre. Loro due si
erano conosciuti in un programma tv in cui lui, mio padre e il suo gruppo, Niko
e Rossella facevano da cantanti e lei da life coach, una sorta di manager dei
cantanti, e da lì non si erano mai separati, tranne gli anni in cui mia madre
finì il liceo. Poi venne a Roma per l’università, e al battesimo di Manuela
rincontrò mio padre e pochi giorni si fidanzarono. Rifidanzarono sarebbe il termine più adatto dato che erano stati
insieme già ai tempi del programma, ma vabbè, stiamo lì. “E tu?”.
“Da matti, dopo improvviseremo un concerto
per la nostra Ilaria” aggiunse, divertito.
Lei fece una faccia annoiata. “Basta che non
mi cantate “Rose rosse” o la canzone di auguri” precisò.
Eh si, “Rose rosse” era l’incubo di noi
pargole figlie di cantanti. Nonostante fosse una canzone vecchia, antiquata e
noiosa, ce la cantavano in ogni occasione, forse proprio perché sapevano che la
odiavamo.
“Come? Ma se è la prima che c’è nella
scaletta che abbiamo fatto!” disse ironico, prima di sorriderle e cingerle il
collo con le braccia.
Sorridemmo raddolciti, e alla fine ci
sorbimmo quel concerto improvvisato, che alla fine comprendemmo non essere
tanto improvvisato per le basi già preparate e il modo in cui era stato
organizzato.
Arrivai a fine serata con i piedi distrutti
e stanca. Quando venne l’ora di tornare a casa, però, restai seccata nel vedere
che alcuni compagni di classe di Ilaria non avevano un passaggio, così toccò un
po’ a tutti riaccompagnarle.
“Cristian, ti dispiace portarne un paio con
te?” chiese mia madre, un po’ seccata visto che tre ragazze già si erano
piazzate nella nostra auto. Dove ci saremmo messi io e Gabriele? Nel cofano?
“Certo, Debora. Salite su” disse, rivolto
alle due ragazze, che salirono in auto mezzo assonnate.
“Deb, ne posso portare solo uno” s’intromise
Paris.
“Vai, Gabriele” disse mia madre, mentre mio
fratello non sembrava entusiasta all’ idea.
Chissà che era successo con Belle! Mi riproposi che a casa gli avrei
dovuto fare il terzo grado. “Sabri, a questo punto vai con Cristian” disse in
tono definitivo, entrando in auto. “Ci vediamo a casa”.
Evidentemente la mia adorata mammina aveva
dimenticato il nostro discorsetto di pochi giorni prima circa il fatto che
doveva smetterla di farmi ritrovare sempre più spesso con quel ragazzo…
“Dai, entra” disse lui, aprendomi la porta
del passeggero come due giorni prima. Ubbidii, rassegnata, e restai zitta
finchè non portò le due ragazze a casa, con cui aveva intrattenuto una lunga
conservazione.
“Stai bene?” mi domandò, con un tono di voce
preoccupato.
“Si, perché?” chiesi sorpresa.
“Sei silenziosa. Scusami per quello che ti
ho detto prima della festa, sul serio, e mi rimangio le parole, non sei
piccola…” disse serio.
Non so perché, ma mi aprii in un sorriso
sincero nel sentire quelle parole. “No, figurati, negli anni ho imparato a
fregarmene di quello che dice la gente” dissi, forse un po’ troppo duramente.
Tre secondi dopo sentii una gran voglia di rimangiare quelle parole, senza
sapere nemmeno bene il perché.
E lo capii quando vidi la faccia che aveva
fatto Cristian, improvvisamente seria.
“Ah. Questo ammetto che è un colpo basso,
credevo che un po’ t’importasse di quel che dicevo”. Pensavo stesse scherzando,
invece era sempre serio, e guardava fisso davanti a sé.
Mi sentii in colpa, e abbassai lo sguardo.
Mannaggia a me! E meno male che io ero la prima sostenitrice della regola delle
dieci P, ovvero: “Prima Pensa, Poi Parla, Perché Parole Poco Pensate Portano
Pena”. Era verissimo, accidenti. “Oh,
scusami, intendevo dire…” tentai di difendermi debolmente, ma lui mi interruppe.
“Va bene Sabrina, tranquilla. Non c’è alcun
problema, vuol dire che mi ero illuso” dichiarò, prima di zittirsi, come se
avesse creduto di aver detto troppo. A quanto pare anche lui aveva disubbidito
alla regola delle dieci P.
“Illuso?” chiesi senza capire.
“Sabrina, sono stanco, torniamo al silenzio
di prima” mi zittì, e accese lo stereo, come per accentuare la cosa.
“Vedo che per sentire musica non sei stanco”
sbottai acida.
Mi guardò e scosse il capo. Poi,
improvvisamente bloccò l’auto, parcheggiandola vicino ad una cartoleria nella
periferia di Roma. “Bene, ok, parliamone. Non so come fare con te, sul serio,
sei un enigma. Dico una cosa e ti offendi, ne dico un’altra e mi rispondi a
tono, poi… Poi basta che dici una mezza parola e mi smonti come se avessi fatto
un discorso preciso in stile “colpito e affondato!”. Come devo fare?” chiese
retorico.
La luna gli illuminava gli occhi color
miele, e mi sembrava diverso dal Cristian che conoscevo, più sincero e meno
ironico.
“Che cosa? Io credevo che su di me ti
facessi solo due risate e basta…” ammisi.
“Eh? Assolutamente, dalla prima volta che ci
siamo visti mi hai messo sempre K.O., nessuno ci era riuscito prima, ma credevo
che alla fine questo servisse a instaurare un’amicizia, qualsiasi cosa… E
quando hai detto che non te ne frega quello che dico…”.
“Cosa avrei dovuto dire? Che me la sono
presa? Complimenti per riuscire sempre a farmi sentire in imbarazzo?”. Mi
tappai la bocca. L’avevo detto, dopo che poche ore prima gli avevo assicurato
che quella facoltà appartenesse solo a mio padre.
Lui sorrise, ma non con soddisfazione. Con
dolcezza. Appoggiò la mano contro il mio sediolino, vicino più che mai al mio
viso. Potevo vedere ogni singolo riflesso dei suoi occhi color miele, che
sembrava conoscessi da secoli ma che non avevo mai analizzato per bene. Erano
magnifici, e non solo quello. Anche l’espressione sincera e dolce che aveva
assunto gli donava molto.
“Sul serio?” chiese, improvvisamente
incredulo.
“Si, contento? Riesci ad imbarazzarmi con un
solo sguardo, quindi sei pregato di smetterla e aiutarmi a rendermi le cose più
semplici, mi fai sentire sempre in soggezione, come se dal tuo giudizio
dipendesse la mia vita…” rivelai, lasciando ogni cautela alle ortiche.
“Sabrina, non ci credo. Io non ti ho mai
giudicato, o almeno negativamente, sul serio” dichiarò. “Ti considero sveglia,
perspicace, e per me ogni giorno sei una sorpresa, credimi, non mi stuferò mai
di conoscerti, hai così tante sfaccettature… Vorrei conoscere quella
ufficiale”.
“Non esiste. Io sono così, Cristian! Un
giorno allegra, l’altro nostalgica, l’altro ancora dolce…”.
“Mi piacciono questi tipi di persone”
ammise. “Ma ora mi prometti che se continuerò a metterti ancora in imbarazzo
senza volerlo me lo dirai?”.
Feci un sorriso stiracchiato, sollevata dal
fatto che le mie parole non avessero tirato su chissà quale polverone. “Ci
proverò” sussurrai.
Lui sorrise e ci guardammo per qualche secondo,
finchè non allontanò la mano dal mio seggiolino e ritornò in una posizione
normale.
Rimise in moto, e una volta a casa, mi
invitò a bere qualcosa nella dependance. “Vai, tesoro, vai” disse mamma,
affacciandosi dal balcone della sua camera, ascoltando la sua proposta, così
fui costretta ad accettare. Appena misi piede in casa, mi tolsi le scarpe
vertiginose e feci un sospiro di sollievo quando i miei piedi furono a contatto
con il pavimento freddo.
“Scusa, ma non ce la facevo più” mi scusai,
prima di prendere posto sul divano del piccolo soggiorno.
“Hai tutta la mia comprensione” disse. “Coca
Cola o Bitter?” chiese poi.
“Coca cola, grazie” risposi, e lui mi
raggiunse poco dopo con due bicchieri e una bottiglia da un litro e mezzo di
quella bibita.
“Ti va di brindare alla nostra amicizia?”
domandò, stranamente speranzoso.
“Al nostro rapporto, và” lo corressi, e
ridemmo prima di fare cin cin e bere.
Restammo un po’ in silenzio, prima che si
decidesse a parlare. “Mi trovo bene qui, sai?” disse. “La tu famiglia è
fantastica, mi fa sentire bene, accettato…”.
Solo un quel momento mi ricordai che mamma
mi aveva detto che era orfano. “Mi fa piacere. Mamma mi ha detto che…”.
“Sono orfano, si. O almeno lo ero fino a
poco fa, qualche settimana fa è spuntata fuori mia madre che mi diede in
adozione subito dopo la mia nascita” mi informò, con un’espressione un po’
amareggiata.
“Oh” riuscii solo a dire. “Anche la mia
migliore amica è orfana, sai? Solo che i suoi morirono quando lei aveva tre
anni”.
“E’ brutto scoprire che tua madre ti ha dato
via, dopo ventotto anni” continuò. “Ed ora sto cercando di recuperare un
rapporto, la vado a trovare quando posso…”.
“Capisco…”.
Mi guardò a lungo, poi parve riscuotersi.
“Che patetico, ti sto dicendo la mia vita…”.
“Ma no, che patetico!” lo rimproverai.
Scrollò le spalle e mi sorrise. “Ecco
un’altra Sabrina. Quella dolce ed altruista…” sussurrò, e stava per alzare
lentamente la mano in mia direzione prima di riabbassarla di botto.
Piegai la testa di lato e sorrisi. “E’ che
quando sento queste cose mi toccano molto, posso capire cosa vuol dire in buona
parte visto che la mia migliore amica è orfana e tutto ciò che ha se l’è
sudato, mentre io ho sempre navigato nell’oro e ho una carta di credito da
quando avevo tredici anni”.
“Non devi fartene una colpa” sussurrò,
comprendendo ciò che volevo dire.
Scrollai le spalle. “Lo so, ma è inevitabile
quando vedi qualcuno fare i salti mortali per avere una cosa che tu puoi
ottenere con uno schiocco di dita”.
Annuì. “Hai ragione, ma non lamentarti mai,
hai una famiglia d’oro in cui tutti si amano ed è una cosa dal valore
inestimabile”.
“Lo so, lo so”.
Restammo a parlare per chissà quanto tempo,
finchè non mi ritrovai a riaprire gli occhi molto tempo dopo, stesa sul divano
per metà. La luce che filtrava dalla finestra illuminava la stanza un po’
fiocamente.
Sobbalzai, sentendomi spaesata, e vedendo la
dependance attorno a me mi aspettai quasi di vedere anche i libri di medicina,
finchè non mi voltai e, vedendo Cristian dormire sullo stesso divano, compresi.
Ci eravamo addormentati parlando.
Feci per alzarmi quando avvertii qualcosa di
caldo attorno la mia mano destra. Spostai lo sguardo e vidi la mano di Cristian
che teneva leggermente la mia.
La allontanai, come se mi fossi scottata,
sentendo un improvviso subbuglio nello stomaco e, senza capirci più nulla,
presi la borsa e le scarpe, le indossai e tornai a casa, chiudendo lentamente
la porta per non far rumore e svegliarlo.
Una volta nella mia stanza, constatai che
erano le cinque e mezzo. Mi cambiai, indossando una camicia da notte ma
stranamente, senza sapere perché, non riuscii più a riaddormentarmi.
Ciao! Sono ancora viva dopo tre giorni di
scuola, avete visto? Io stessa avevo i miei dubbi, sono stati dei giorni iper
stressanti nonostante sia solo inizio anno. Ho una nuova prof di scienze, la
più pazza dell’istituto, e il mio professore di latino e greco ha già iniziato
a interrogarci facendoci correggere delle versioni assegnate durante le vacanze
e facendo ogni sorta di domanda che gli
viene a mente, scavando nei meandri della grammatica studiata fino ad ora. Ho aggiornato
oggi grazie al fatto che domani proprio questo prof non sarà presente
nell’orario e devo solo studiare gli appunti di arte.
Per chi segue la mia fic “La rivincita di
Cenrentola”, vi informo che probabilmente posterò il nuovo ed ultimo cap prima
dell’epilogo tra domani e dopodomani, mi manca da scrivere l’ultima parte,
visto non tocco il cap da martedì, e volevo lasciarvi come regalo una piccola
anticipazione…
“Sei
un grande” esclamai, abbracciandolo, e quello stesso entusiasmo alla fine me lo
trascinai fino agli orali, anche grazie all’entusiasmo dovuto al fatto che
avevamo organizzato una vacanza ad Atene subito dopo il mio esame.
*fine informazione&depressione time* xD
Allora, cosa ne dite di questo cap? Il
prossimo capitolo presenterà qualche svilluppo…
Grazie mille a coloro che hanno letto la
fic, messa tra i preferiti e i seguiti e recensito:
CriCri88: Giusto, non ci avevo mai pensato,
dal nickname credo sei dell’88 e quindi credo proprio che per te quella tortura
chiamata liceo sia una cosa remota… Ma sappi che mi fa iper piacere avere
commenti positivi da una persona più grande di me e che di sicuro si intende di
scrittura molto più di me! ^^ Deb e Andrea sono fatti così, eheh, per ora li
vediamo sereni e presi dalle loro “manie” alias origliare, pulire auto e fare
un po’ da Cupido, ma dalla fine del 7° cap in poi le cose cambieranno, eheh! Un
bacio!
angeleyes: Anticipazione?? Beh, mi dispiace
ma devo tenere la bocca cucita, ti dico solo che c’entra con qualcosa che in
“Confessions of a future bride” è stato motivo di litigio tra Deb e Andrea e
che ha a che fare con qualcosa che ha fatto Andrea in passato e che, allo
stesso tempo, non sa di aver commesso… So che è un indizio molto generico (e
contorto! xD), ma vediamo se riesci a indovinare, ihih! In Sabri sta nascendo
qualcosa, ormai è palese, ma vedremo se e quando se ne renderà sul serio conto…
Grazie mille per i complimenti, un bacio!
vero15star: Nel prossimo cap c’è Marcolino,
yeeeee! Preparati tesoro…. Come se non lo avessi già letto xD Cosa dirti, tu
sei meravigliosa e ormai non so come farei senza di te, il tuo sostegno (morale
e psichico xD) e la tua amicizia. Ti voglio un bene dell’anima ragazza, e non
dimenticarlo mai!
chiaretta88: Grazie mille! Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto e che mi farai sapere cosa ne pensi ^^!
lillay: 5° anno? Quindi quest’anno hai la
maturità! Io ho appena iniziato il 4°...Ti auguro un felice anno scolastico e ti do un grosso in bocca al
lupo! Sabri ti sta simpatica? Che bello, ammetto che era mio intento farla
stare simpatica perché io personalmente la adoro e un po’ la invidio, perché a
volte ha quella sfacciataggine che vorrei avere a piccole dosi anch’io… E
Cristian… L’adori? Me too, of course! Come si può non adorarlo? Un bacione!
Credo che aggiornerà sabato prossimo… E da
quel momento inizierò anche a mettere le schede dei personaggi di questa storia
nel mio blog, cosa potrete vedere gli attori che ho scelto per rappresentarli e
sapere varie curiosità su di loro!
A sabato girls,
la vostra milly92.
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Capitolo 5 *** Mi Nuoce Gravemente Alla Salute ***
Mi Nuoce Gravemente Alla Salute
“Il linguaggio dell’amore è un linguaggio segreto
e la sua espressione più
alta è un abbraccio silenzioso”
Roberto Musil
Capitolo 5
Mi Nuoce Gravemente Alla
Salute
“Mi passi la paletta?” mi chiese esausta
Titti, mentre si dava da fare nell’enorme salone dei D’Argenzio. Eravamo
circondate da decine di quadri ultra costosi che facevano quasi invidia al
Louvre, soprammobili eleganti e, sotto di noi, il pavimento candido stava dando
molti problemi alla mia migliore amica.
Era passato un mese da quando era stata
assunta, ormai settembre giungeva al termine, ed ero andata a trovarla per
farle un po’ di compagnia visto che mamma era andata a trovare la signora Marta
per non so che.
“Si, ma se cambi stanza ti do una mano…” mi
offrii, passandole l’oggetto, visto che le due ci potevano vedere dalla vetrata
che conduceva al porticato in cui stavano prendendo un caffè.
“Ti ho detto di no, il lavoro è mio e non
devi preoccuparti” ribattè la mia migliore amica. “Comunque dobbiamo cambiare
sul serio stanza, ho finito qui” decretò, sospirando per il sollievo, e mi fece
segno di seguirla al piano superiore della villa.
Mi condusse in una stanza che scoprii essere
una camera da letto, e restai ammaliata dal poster che c’era sulla parete.
“Wow, ma chi è quello, un modello della
Dolce&Gabbana?” chiesi stralunata, visto che il ragazzo raffigurato era un
tipo biondo dagli occhi chiari e dei lineamenti davvero sexy. Poi mi diedi
dell’idiota per la battuta, anche perché mio aggiornavo spesso sui nuovi volti
maschili di quella marca e non l’avevo mai visto.
Titti fece uno strano sorriso e scosse il
capo, mentre sistemava il letto a centro della stanza. “No, è Marco, l’unico
figlio della signora” rispose, e dal modo in cui lo disse si vedeva che
nascondeva a stento un sorrisino.
“Che? Cioè, tu lavori nella casa in cui
abita il nuovo Brad Pitt e non me lo dici?” chiesi incredula ed indignata.
Titti mi fece cenno di abbassare la voce,
disperata. “Shh! Cosa dovevo dirti?”.
“Se lo conosci, se vi parlate…” iniziai con
aria di ovvietà.
“Si, lo conosco, cioè, in realtà lo incrocio
a volte quando me ne vado, lui non c’è quasi mai, e devo dire che è molto
gentile con me, non me l’aspettavo, dopotutto sono sempre la ragazza delle
pulizie” ammise, e vidi che cercava di contenere una specie di gioia, senza
molto successo.
“Ma piantala di fare Cenerentola!” la
rimproverai. “Vedi che gli interessi…”.
Titti rise e mi guardò come se fossi pazza.
“Vedi che ti butti troppo giù?” chiesi, un
po’ arrabbiata. La sua autostima non era mai stata alta, ma sbagliava a volte
nell’essere così dura con se stessa.
“Sono solo realista, Sabri. Come potrebbe essere
interessato a me quando ha a che fare con le maggiori figlie d’aristocratici di
Roma e non solo?” disse mesta. Continuò a pulire e spolverare, quasi con una
certa dedizione che sembrava sfociare nella rabbia, e decisi di non infierire
ulteriormente.
“E invece tu che mi dici di Cristian?”
domandò, forse per sviare il discorso.
“Niente, cosa dovrei dirti, lavora” risposi.
“Hai capito cosa intendo…” di spazientì,
sorridente.
“No, non ho capito, quindi spiegati!”.
“Uff, quando ammetterai che ti piace? Ormai
ho capito a cosa era dovuto il tuo imbarazzo, la tua soggezione… Ti conosco
troppo bene, perché è raro imbarazzarti, e poi dopo che mi hai detto che non
sei più riuscita a dormire dopo la festa…”. Mi guardava insistentemente, e
staccò lo sguardo da me solo per spolverare un mobile.
“Ma la pianti? Siamo solo diventati buoni
amici alla fine, e basta” sbuffai. Era vero, dopo la festa, non so perché,
avevamo un rapporto più diretto e confidenziale, ma finiva lì, non era come
diceva Titti. A me non piaceva Cristian, e basta. Me lo ripetevo tutte le volte
che ci sorridevamo o che mi ipnotizzavo a fissarlo dal mio balcone. Arrossii al
solo pensiero e cercai di ritornare al presente.
“E secondo te io ci credo?” chiese beffarda.
“Devi crederci” le imposi.
Stava per ribattere quando dalla porta entrò
la copia in carne ed ossa del ragazzo del poster. Mi immobilizzai e vidi Titti
alzare lo sguardo prima di sorridergli.
“Oh, ciao, Marco! Cinque minuti e ho finito”
disse cordiale, ma Marco, tutto elegante con un completo grigio e camicia
bianca, smise di allentarsi il nodo della cravatta, incredulo. “Lei è la mia
amica Sabrina” aggiunse.
“Ciao, piacere” dissi, porgendogli la mano,
che però lui non prese. Sembrava essersi pietrificato nell’atto di fissare
Titti. Così l’abbassai, senza capire.
“Titti, perché pulisci la mia stanza?”
chiese, con lo sguardo ora puntato sul grembiule candido che indossava la mia
amica.
Lei lo guardò incredula. “Scusa? Marco, sai
che tua madre mi paga per fare le pulizie, no?” chiese spontaneamente, ma lui
continuò a sembrare stralunato.
“No che non lo sapevo. Non me l’hai mai
detto, io credevo fossi una del club di beneficenza!” esclamò.
“Credevo che tua madre…”.
“Mia madre un tubo, perché non me l’hai
detto? Credevo che non ti avrei più rivolto la parola?!”. Marco era davvero
infuriato, e Titti sembrava sull’orlo delle lacrime.
“Ma ti ripeto, io credevo che sapessi, anche
se non mi hai mai vista fare le pulizie!” ribattè. “E poi qual è il problema?”
aggiunse.
Marco fece per parlare, ma si bloccò e gettò
la cravatta sul letto, prima di uscire dalla stanza e andarsene chissà dove.
Titti se ne stava immobile, con lo straccio
in mano. “Dove ho sbagliato?” chiese, asciugandosi una lacrima.
Mi avvicinai e l’abbracciai. “Tu niente, è
lui quello strano…”.
“Sabri, scendi, torniamo a casa!” mi chiamò
mia madre dal piano di sotto. Sbuffai, così fui costretta a sciogliere
l’abbraccio. “Ti chiamo io stasera, ok?”.
Lei annuì, e mi fece male al cuore lasciarla
lì da sola.
Una volta ritornata a casa, mentre mamma
preparava la cena, decisi di starmene seduta su uno degli sgabelli lì vicino, a
meditare sulla questione di Titti. Ma, puntuale come un orologio svizzero,
mamma mi costrinse ad abbandonare i miei pensieri per ascoltarla.
“Dopodomani siamo state invitate ad una
serata di beneficenza a casa della signora D’Argenzio” m’informò, mentre
tagliava delle patate.
“Non sapevo facessi beneficenza” ammisi.
“Nemmeno io, solo che ha insistito tanto… E
poi sarà una cosa carina, ci saranno dei balli, dei giochi, e il tutto sarà
devolto a coloro che sono stati colpiti dal terremoto due settimane fa”
aggiunse con serietà.
“Va bene, ma sai che non mi piace che
frequenti queste signore altolocate” dissi.
Lei sospirò. “Nemmeno a me, lo sai, anche se
siamo benestanti non sono mai stata una di quelle donne che prosciuga una carta
di credito per una borsa di Louis Vuitton e che va in giro in tailleur e
Ferrari, ma Marta l’ho conosciuta dieci anni fa in libreria, quando pubblicai
un libro, e da allora mi invita sempre da lei per un thè, che devo fare”
spiegò.
Annuii, e lei continuò a preparare la cena,
iniziando a cuocere le patate. “Almeno noi dobbiamo andarci, sai che papà e
Gabriele odiano queste cose” mi rammentò.
“E se le odiassi anch’io?” sbuffai.
“Cos’è che odi?”.
Mi voltai e vidi Cristian appena entrato
dalla porta del retro della villa, sorridente come sempre.
“Se dimenticassi la nostra guerra finita e
rispondessi te?” chiesi, e lui rise, prima di avvicinarsi e salutarmi con un
bacio sulla guancia. Ultimamente lo faceva spesso, con naturalezza, ed io non
glielo impedivo, senza nemmeno conoscere il perché.
“Ci rimarrei male. Mmm, che buon profumino
Debora” aggiunse.
Lei sorrise. “Sabri si riferiva ad una
serata di beneficenza per i terremotati a cui la nostra famiglia è stata
invitata dopodomani. Ti va di venire? Di sicuro Andrea e Gabriele non ci
verranno” disse, cercando di convincerlo.
Lui subito annuì. “Se è dopo le otto, certo,
vi farò da automobilista”.
“Si, è alle nove”.
“Ok, sai, prima sono a lavoro… Sarà una
bella serata” aggiunse.
“Ma certo” dissi sarcastica.
“Tutte le serate sono belle se c’è Mister C”
ribadì, indicando se stesso con i pollici puntanti verso di lui, come se fosse
Fonzie di Happy Days.
“Dove hai comprato tutta questa autostima?”
domandai allusiva.
“E tu questo sarcasmo?”.
Ci guardammo fissi negli occhi con aria di sfida
prima di scoppiare a ridere.
Mamma ci guardava in un modo strano, quasi
raddolcito, e solo dopo qualche manciata di secondi si ricordò di dover tornare
alla preparazione della cena.
“Allora a che ora andiamo, dopodomani?”
aggiunse Cristian poco dopo.
“Verso le nove” rispose mamma.
“Perfetto. Come pensi che dovrei vestirmi,
Debora?” aggiunse poi, pensieroso.
“Normale, tranquillo, anche perché da quel
che ho capito sarà una serata in cui è bene stare comodi, ci saranno giochi di
coppia e cose simili” lo informò.
“Speravo lo dicessi” ammise.
“Meno male, metterò i miei adorati jeans”
sospirai.
“La fai facile tu, ti sta sempre bene tutto”
osservò Cristian. “Era un complimento se non si è capito” aggiunse.
“Oh, si, grazie” balbettai, anche perché
vidi mamma sorridere di nascosto e uscire dalla stanza con un mezzo sorriso
stampato in faccia. “Sei gentile” aggiunsi.
“Sono sincero” mi corresse. “Sul serio”.
Annuii stupidamente. “Ti credo”.
“Buono a sapersi” disse sorridendo, e quando
abbassai lo sguardo vidi che la sua mano appoggiata sul tavolo era poco
distante dalla mia. Mi venne in mente la sera della festa di Ilaria, quando
stava per avvicinarla a me, e sorrisi senza sapere perché, prima di
accorgermene e smetterla subito di fare l’ebete.
“Perché hai sorriso?” chiese.
“Così” minimizzai, scrollando le spalle.
“Eddai, perché?” insisté, iniziando a
giocare con i braccialetti che avevo sul polso.
“Ripensavo un po’ a tutti i nostri
battibecchi…” inventai.
Rise. “Ti mancano? A me onestamente no”.
“Davvero?”.
“Si, ero stufo marcio di essere sempre messo
K.O.” aggiunse.
“Io lo trovavo divertente, ma forse è meglio
così” ammisi, vedendo che continuava a giocare con i miei braccialetti.
“Così?” chiese, allontanando la mano da loro
e stringendo la mia.
“Beh, si”.
Ormai ero un peperone, era ufficiale, e la
cosa più brutta- almeno per quella piccola parte di me che negava “Non ti
piace, non ti piace!” e rivendicava la mia dignità- era che mi sentivo
improvvisamente felice ed euforica, con una calorosa sensazione, quella di
restare così per ore ed ore.
Ci guardammo negli occhi, e mi immobilizzai
quando la sua mano si staccò dalla mia e salì verso il mio viso. Me lo
accarezzò con delicatezza, mentre io piegavo la testa di lato, poi però
sentimmo i passi di mia madre che tornava e si allontanò, per la prima volta
anche lui imbarazzato.
“Belli quei braccialetti” buttò lì.
“Si? Ne vuoi uno?” chiesi stupidamente,
anche perchè alcuni erano di plastica colorata.
“Ok, dai” accettò.
“Scegli il colore…”.
“Mmm… Azzurro, dai” scelse infine, e mi
aiutò a liberarmene prima di indossarlo. “Grazie”.
“E di che” risposi.
“Giovanotto e donzella, potete spostarvi e
mettere la tovaglia a tavola?” domandò mia mamma.
“Oh, si, si” scattai su, ed evitai di
guardare Cristian negli occhi.
Quella sera, invece di vedere un dvd con
papà, dopo aver gentilmente reclinato l’invito e aver detto che mi faceva male
la testa, mi chiusi nella mia stanza con la luce spenta, sotterrai la testa
sopra il cuscino e decisi di affrontare ciò che rimandava da circa un mese.
No, così non andava bene. Ero ancora codarda
se mi comportavo così. Mi alzai, accesi la luce e mi guardai allo specchio.
Ero sempre io, diamine! Lo sguardo era un
po’ smarrito, certo, ma i capelli mossi fino a metà schiena erano gli stessi di
sempre, come gli occhi castani con lo stesso taglio di papà e il naso non
proprio perfetto.
Provai a pensare a Cristian e lì vidi la
differenza. Gli occhi sembravano quasi brillarmi, e sentii la pelle d’oca. A
completare il quadretto, ci pensarono le mie labbra che si incurvano in un
sorriso.
Merda. Oddio.
“No, non mi può interessare! Mi rifiuto di
accettarlo!” sibilai tra i denti. “Perché sono così idiota? Per i miei è come un
figlio, ha otto anni in più a me, lavora già…”.
Diedi le spalle allo specchio e chiusi gli
occhi. Mi piaceva. Dio se mi piaceva. Probabilmente dalla prima volta che
l’avevo visto. Era così diverso dagli altri, maledettamente affascinante,
gentile e premuroso quando ci si metteva…
Mi rigettai sul letto, e restai sconvolta
quando sentii una lacrima scendere dai miei occhi con prepotenza. Perché
diamine piangevo? Non lo sapevo nemmeno io.
Mi aveva sconvolto, e basta, in tutto e per
tutto. Sentivo il cuore battermi forte, all’impazzata, e poi sentii una morsa
allo stomaco.
Come diavolo avrei fatto a guardarlo in
faccia dopo che avevo ammesso a me stessa tutto quel bel pò?
Mille pensieri mi giravano in testa,
numerosi e vorticanti, finchè non mi addormentai.
“Sabri, Sabri!”.
Aprii gli occhi e vidi Gabriele scrollarmi.
“Che ore sono?” chiesi.
“Mezzanotte quasi. Senti, volevo parlare un
po’ con te…” ammise, sedendosi sul letto dopo essersi abilmente fatto spazio.
“Ma domani non hai scuola?” chiesi, ancora
assonnata.
“Si, ma c’è assemblea” sussurrò. “Devo dirti
varie cose…”.
“Cosa ha combinato Belle questa volta?”
chiesi retorica.
Ma lui scosse il capo. “No, non c’entra
Belle, ormai mi ignora completamente…”. Alla festa di Ilaria aveva provato a
parlarle e lei si era quasi fatta baciare, se solo il ragazzo con cui usciva
non l’avesse chiamata. Da quel momento si era ripresa e aveva detto a Gabriele
che doveva lasciarla in pace, anche se io gli avevo detto di non demordere
visto che conoscendola faceva così solo per orgoglio.
“E allora che c’è?”.
“Vittoria mi ha detto che devi chiamarla al
più presto o almeno mandarle un sms” spiegò. “E’ venuta a casa quando eri fuori
con la mamma”.
“Capisco” dissi. “E poi?”.
Qui sorrise. “Beh, e poi c’è una mia
supposizione. Vedi cosa devi fare con Cristian, si vede lontano un miglio che è
stracotto di te” rivelò.
Scattai su come una molla e lui parve
divertito. “Che? Eh? Cosa? Piantala” tentai di difendermi, senza riuscire a non
provare una piccola gioia.
“Sono serio, l’ho capito…”.
“Il fatto che sia una supposizione non
implica il fatto che sia vero” mi spazientii. Ma io cosa volevo? Che
ricambiasse, certo, ma… Che idiota, dovevo solo mettermi il cuore in pace, una
qualsiasi cosa avrebbe sconvolto l’equilibrio di famiglia e basta.
“Quanti paroloni, secondo me piace anche a
te” ribadì.
Sbuffai. “Smettila, sul serio. E va a
dormire…” aggiunsi.
Lui sbuffò a sua volta, si alzò dal letto e uscì.
“Tanto le bugie hanno le gambe corte, non ti conviene mentire se non le vuoi
ancora più orrende di quel che ti ritrovi!” ridacchiò.
“E allora prenditi quelle di Belle! Ops,
dimenticavo che non ti calcola più, anzi, non ti ha mai calcolato” ribadì, e
lui mi guardò male prima di uscire. Se l’era meritato, mi dissi.
Ma inutile dire che dopo le sue parole
dormii poco e niente, stando più tra il sogno e la veglia e vedendo il volto
sfocato di Cristian appena chiudevo gli occhi.
La mattina dopo mi ricordai di dover mandare
almeno un sms a Vittoria, così mi decisi a scriverglielo, nonostante sapessi che
fosse a scuola.
Ehi,
tutto bene? Gab mi ha detto che dovevo contattarti… Novità con Hazel?
Non mi stupii quando non mi rispose visto
che era a scuola, ma restai un po’ stupita quando mi ritrovai zia Eva fuori la
porta poco dopo.
“Cos’è questa storia?” chiese infuriata,
esibendo il cellulare di Vittoria.
Lo guardai senza capire. “Ho letto il tuo
sms, ha lasciato il cellulare a casa! Non far finta di nulla! Cos’è questa
storia di Hazel, quello che lavora da me?” chiese infuriata, entrando.
Cavoli. Che pasticcio avevo combinato! Ma
cosa potevo mai saperne io che aveva lasciato il cellulare a casa?
“Zia, questa è violazione della privacy…” le
feci notare, cercando di sviare l’argomento. Che idea stupida, mi dissi.
“Privacy? Qui stiamo parlando di mia figlia
e un extracomunitario più grande di lei…” s’infuriò ancora di più.
“Zia, zia, calma, siediti e ne parliamo” la
invitai, indicandole il divano. Lei ubbidì con rammarico e sbuffò. Meno male
che mamma era uscita con papà.
“Allora?” disse poi.
“Allora niente” dissi. Sapevo che Vittoria
mi avrebbe ucciso, ma non avevo altra scelta che essere sincera. “A Vittoria
piace questo Hazel ma non è successo assolutamente nulla e l’ho fatta ragionare
dicendole che sono diversi e che lui potrebbe sfruttare il suo essere benestante,
ok?” dichiarai, gesticolando per farla calmare.
Lei mi guardò sospettosa. “Sicura? perché se
quello ha solo sfiorato mia figlia con un dito, giuro che io…”.
“Non ce n’è alcun bisogno, tranquilla, sul
serio. Può anche darsi che…”.
“Perché le hai mandato l’sms tu, comunque?”.
Sospirai spazientita. “Te lo stavo per dire.
Ieri ha detto a Gabriele che dovevo contattarla e basta, va bene? Zia stai
tranquilla, non è successo nulla altrimenti mi avrebbe raggiunto anche in mezzo
al deserto pur di raccontarmi tutto” tentai di rassicurarla poi.
“Va bene” accettò infine. “E’ solo che, la
mia bambina! E’ peggio di me alla sua età, me li sceglievo sempre sbagliati…”.
“Ma alla fine hai trovato quello giusto” le
ricordai, e solo nel dire quelle parole mi venne in mente Cristian. Era lui
quello giusto?
Che scema, dovevo smetterla di fare quei
pensieri.
“Si, si” disse sorridendo. “Va bene, credo
che andrò, ho due visite da fare, è meglio muoversi. Scusami per la sfuriata,
ma, sai… Quando si tratta di figli…”.
“Posso capire” dissi sorridendo.
Lei annuì e mi salutò.
L’accompagnai alla porta, e stavo per andare
a fare colazione quando ribussarono.
Non ero psicologicamente pronta a rivedere
Cristian dopo quella mia nuova consapevolezza nei suoi confronti, per cui tentai
di controllarmi quando me lo trovai di fronte, bellissimo anche se indossava
una semplice tuta grigia e bianca.
“Ciao” dissi senza fiato.
“Ciao, Sabri” rispose. “Scusa l’ora, ma
stavo facendo colazione e ho finito la marmellata, così sono andato al bar… In
breve, ti va un cornetto?” propose.
No,
no, dì che sei a dieta!
Mandai al diavolo la mia coscienza e
sorrisi. “Si, grazie, che carino che sei” dissi. “Entra, facciamo colazione
insieme”.
“Speravo me lo dicessi” ammise, e in cuor
mio mi dicevo che non potevo desiderare un inizio di giornata migliore.
Prendemmo posto dietro al bancone della
cucina dopo che ebbi preso dei fazzoletti di carta e lo ringraziai quando mi
servì un cornetto enorme grondante di Nutella.
“Ti sei appena svegliata?” domandò interessato,
mentre cercavo di fare il possibile per non macchiarmi con la cioccolata.
“No, diciamo da un’oretta” risposi. “Ne ho
approfittato visto che sono sola in casa”.
“Fai bene tu che puoi… Io alle undici devo
correre a lavoro, ho un incontro con il capo” mi informò, brontolando e
addentando un nuovo pezzo di cornetto.
Finii di masticare e lo guardai sospettosa.
“Hai combinato qualcosa?” chiesi.
Cristian mi guardò male ed io risi.
Possibile che, nonostante tutto, riuscissi a sentirmi felice e disinvolta in sua
presenza? Ma ciò non cambiava il fatto che ogni suo minimo movimento, ora che
ero cosciente al 100% dei miei sentimenti, mi causasse una fitta allo stomaco.
“No, sono diligente a lavoro, io”
protestò. “Più che altro credo che voglia darmi l’incarico per una nuova
pubblicità su una linea di pupazzi…”.
Annuii, senza sapere cosa dire. Avrei voluto
dire “Solo al lavoro, però, sei diligente”, ma mi dissi che era una battuta
stupida e insensata. Il mio cervello cercava di partorire un pensiero
intelligente, spiritoso e interessante allo stesso tempo, ma è inutile dire
che, vista la situazione, nove mesi di gestazione non sarebbero bastati.
“Comunque, ieri sera ho noleggiato un dvd,
ti va di vederlo con me, stasera?”. Alzai di scatto lo sguardo, risvegliandomi
dai miei pensieri, sentendomi improvvisamente il viso di fuoco.
“Oh, credo di si, Titti lavora e mamma e
papà tornano tardi…” sussurrai.
“E quindi accetti l’ultima spiaggia” disse,
con una severità tale che mi fece paura.
“Che? No! Insomma, avrei accettato anche
se…”.
“Scherzavo” mi zittì, mettendomi un dito
sulle labbra, in un modo così lento e semplice, ma allo stesso tempo sensuale, che
mi fece rabbrividire.
Lo guardai torva per lo scherzo e lui rise.
“Ora vado a prepararmi, ti aspetto stasera nella dependance, ok? E non cenare,
me ne occupo io” mi ammonì.
“Va bene, a che ora vengo?” chiesi.
Lui, che stava già andando verso la porta,
si girò. “Ehi, è casa tua! E poi, prima vieni più mi piacere” dichiarò,
passandosi una mano tra i capelli e salutandomi.
Le gambe mi tremavano così tanto che dovetti
risedermi sullo sgabello, e cercai di respirare regolarmente, senza successo.
Non ti
illudere, idiota! L’ha detto per essere gentile, poteva mica darti un orario
preciso e cacciarti fuori se fossi arrivata cinque minuti prima!
Per tutta al giornata non feci altro che
maledire mamma, che mi aveva condotto in quella situazione con il suo farmelo
ritrovare sempre alle costole, e il mio povero cuoricino che mi induceva a
controllare ogni tre secondi se Cristian era tornato da lavoro.
Lo vidi rincasare alle cinque, con delle
buste del supermercato in mano, e in quell’istante, dopo essermi incantata
qualche minuto nel contemplarlo di nascosto dalla finestra, mi fiondai nella
doccia, aggiustai i capelli ed indossai dei semplici jeans con una camicia
rossa a maniche lunghe.
Cercai di aspettare un po’, ma non riuscii a
non fare più tardi delle sei e mezza per presentarmi da lui, e fui sollevata
nel vedere che aveva già preparato tutto e non gli ero d’intralcio.
“Finalmente!” esclamò quando mi venne ad
aprire.
“Addirittura? Credevo di essere molto in
anticipo…” dissi imbarazzata.
“Ma no, stavo solo finendo uno schizzo,
vieni”.
Mi condusse nel piccolo studio in cui spesso
studiavo per gli esami, mi fece sedere di fronte a lui e lo vidi disegnare per
qualche manciata di minuti.
“Alla fine ci avevo azzeccato, il mio capo
vuole affidarmi il lavoro per la pubblicità di quei pupazzi” mormorò, mentre
era impegnato a posare un foglio e prenderne un altro.
“Buon per te” risposi, sorridente. “Deve
essere bello lavorare, sentirsi soddisfatti…”.
Lui fece un piccolo cenno, e alzò lo sguardo
verso di me, scrutandomi, prima di tornare al suo foglio. “Si, anche se
ovviamente è faticoso a volte”.
“Beh, ovvio. Ma cosa stai facendo?” domandai
poi, quando lo vidi rialzare lo sguardo verso di me.
“Shhh” sussurrò, e restò a disegnare per una
decina di minuti, prima di alzare il foglio verso di me.
Restai sbalordita quando vidi la mia copia
su carta, disegnata da lui. Un ritratto. Un magnifico ritratto in cui esibivo
un’espressione tra il serio e il pensieroso. “Non ho parole… Sei bravissimo”
esclamai, sorridente e incredula.
Lui scrollò le spalle, tuttavia regalandomi
quel magnifico sorriso disinvolto che mi faceva perdere le staffe. “Se ti va te
lo porto tra qualche giorno, lo aggiusto e lo coloro…” propose.
“Ma certo” dissi in fretta.
“Ora vieni, andiamo a vedere il film” mi
invitò, alzandosi dalla sedia. Lo seguii in soggiorno e tremai quando vidi la
copertina del dvd che aveva preso in mano.
“Sei pazzo? “Blu profondo?” Fa paura!” lo
rimproverai.
Cristian rise e mi guardò. “Ma non dirmi che
sei una fifona…”.
“No, ma preferisco vedere film più allegri,
onestamente”.
“Dai, smettila e vediamoci questo film. Sii
coraggiosa”.
Sbuffai e presi posto sul divano, e lui,
dopo aver spento le luci, azionò il dvd e iniziammo a vederlo. Non volevo
passare per la fifona di turno, ma quel film era abbastanza inquietante a
volte, e il pensiero che Cristian fosse a pochi centimetri da me non mi aiutava
affatto. Cenammo con quello che la mia professoressa di inglese del liceo
avrebbe chiamato “junk food”, ovvero doppio cheeseburger, Pringles e patatine
fritte, alla faccia della dieta.
Ogni tanto, se mi scappava un piccolo
sobbalzo, Cristian si voltava verso di me e mi scrutava divertito, cosa che mi
faceva morire mano a mano e mi faceva pensare che non sarei arrivata a fine
film.
“Ora questa scena è un po’ cruenta, eh…” mi
ammonì dopo circa un’ora.
Mi voltai verso il suo volto illuminato dal
televisore e lo guardai con aria di rimprovero. “Vuoi dirmi che mi hai
trascinato qui a vederlo nonostante l’avessi già visto?” sbraitai.
“Si, mi piace rivedere i film…” disse,
godendosi un mondo la mia espressione. “Oh, ecco…”.
“Cosa…?” chiesi, terrorizzata. “Aah!” strillai,
quando vidi l’enorme bocca dello squalo aprirsi in direzione dello schermo, in
modo mostruoso che il mio urlo riecheggiò fiocamente per il resto della stanza.
“Ehi, calma, Sabri” sussurrò lui, e prese la
mia mano tra le sue, sorridendomi calorosamente. “E’ solo un film, ricordi…?”.
“S-Si…” sussurrai senza fiato, stringendo la
sua mano come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
Poi ci fu un rumore strano e, puff!, tutto
divenne buio, proprio come nel film tre secondi prima. Risobbalzai, e
inconsciamente mi strinsi forte a Cristian, attorcigliando le braccia attorno
al suo collo da quel che potevo capire.
“Sabri, deve essere saltata la corrente,
stai tranquilla” mi ricordò, ma lo sentii stringermi a sua volta nei pressi
della vita e accarezzarmi i capelli. “Sono stato un incosciente nel proporti
quel film…” si rimproverò poi.
“Di solito non sono così fifona” mormorai,
dato che era la prima cosa che mi era venuta in mente. Non riuscivo a staccarmi
da lui, stavo benissimo.
“Lo so, se ti va la prossima volta vediamo
qualche commedia sdolcinata, ok?” propose.
“Come vuoi…”.
Sentivo il suo respiro vicinissimo al mio
viso, le sue carezze sul mio capo, finchè all’improvviso non tornò la luce e
vidi che Cristian, a causa di quella posizione, stava sul serio vicinissimo alla
mia faccia che probabilmente era color porpora. Ma, insieme alla luce tornò
anche la corrente ovviamente, e la musica del dvd che si azionò di nuovo ci
fece sobbalzare. Subito ci staccammo da quella sorta di abbraccio goffo, senza
guardarci negli occhi, e ognuno prese a
guardare dalla porta opposta dell’altro.
“Finalmente è tornata la luce! Io vado un
attimo in bagno” dissi,sentendomi una gran bugiarda visto che avrei voluto che
restare per ore ore al bio abbracciata a lui, e appena mi richiusi la porta
alle spalle, mi sentii più paonazza che mai.
La vicinanza di Cristian nuoceva gravemente
alla mia salute, questo era poco ma sicuro. Anzi, forse era l’unica cosa di cui
ero certa insieme a ciò che provavo per lui.
Continua….
Qualche Anticipazione:
“Dì la verità, qualcuno mi ha sostituito
come uomo della tua vita”.
*°*°*°*°*°*
“Ehi, hai fatto scappare la mia partner?” mi
domandò Cristian, ridendo.
*°*°*°*°*°*
“Certo che la tua è una mania! Ti diverti a
collezionare le chiavi delle case altrui! Prima la mia dependance, poi questa
villa…” elencai, stupita.
“Preferirei avere la chiave del tuo silenzio
a volte. Ma anche quella del tuo cuore” aggiunse, abbassando lo sguardo verso
di me e guardandomi intensamente.
Hola!
Ed ecco giunto il momento della settimana
che preferisco insieme al sabato sera… Quello in cui aggiorno! Come state? Mi
siete mancate tantissimo in questa settimana!
Sono reduce dallo studio di filosofia,
chimica e latino, e scommetto che anche voi avete passato il pomeriggio tra i
libri, in un modo o nell’altro.
Coooomunque… Che ve ne sembra del capitolo?
Sabrina ha ammesso con se stessa di provare qualcosa (anzi, un bel po’ di
cose…) per Cristian, finalmente! E poi è successo il casino di Vittoria e le
prime difficoltà di Titti in casa D’Argenzio… Nel prossimo cap avremo tante
altre novità, eheh!
Ed ora, come ho fatto in un'altra fic, vi
mostro i “rappresentanti in carne ed ossa” di alcuni personaggi, che poi
metterò anche nel blog!
Sabrina: http://it.tinypic.com/view.php?pic=21kjdjm&s=4
http://www1.pictures.zimbio.com/gi/2009+Giffoni+Film+Festival+Day+2+98zEKIDT7ZJm.jpg
http://www.chronica.it/public/uploads/2008/05/giulia-gorietti-ok.jpg
Cristian: http://www.celebrity-exchange.com/celebs/photos37/ashton-kutcher.jpg
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/5e/Ashton_Kutcher_2008-09-08.jpg/250px-Ashton_Kutcher_2008-09-08.jpg
http: //www.staralicious.com/wp-content/uploads/2008/05/ashton.jpg
Ilaria: http://images1.fanpop.com/images/photos/2100000/Promo-Shoot-90210-2103617-769-1024.jpg
http://l.yimg.com/l/tv/us/img/site/02/28/0000050228_20080718143834.jpg
Ma, passiamo al sodo xD
Grazie a coloro che hanno letto, messo la
fic tra i preferiti e le seguite e che hanno recensito:
lillay: Si, il 92 del mio nick indica l’anno
di nascita, e sto al quarto anno. Quindi credo che tu abbia fatto la primina se
stai al quinto, giusto? Non sai quando
t’invidio, mi viene la depressione se penso che devo ancora fare altri due anni
di liceo! Comunque, in realtà la scena dell’auto è anche una delle mie
preferite perché rappresenta il primo vero dialogo serio che hanno Cristian e
Sabrina… E ora lei ha ammesso a se stessa di essersi innamorata di lui! E chi
credi che sia la madre di Cristian? Un bacione!
CriCri88: Quindi anche tu hai fatto il
classico? Anche io sto al classico, cioè, è il Classico Europeo che rompe
ancora di più perché esco tutti i giorni tranne il sabato alle quattro e un
quarto e studio alcune materie in più, ma tutto sommato mi ci trovo bene. Ma
resta il fatto che ti invidio lo stesso, io non vedo l’ora di andare
all’Università! =D Comunque, la coppia d’oro avrà dei problemini, si si, ma non
solo loro, diciamo che ci sarà scompiglio in tutta la famiglia… E la nostra
balda giovane ha capito cosa prova per Cristian, ora non ci resta che vedere
cosa succederà nel prossimo… Ancora grazie per i complimenti! Un bacione,
bella!
vero15star: Tesoro ti adoro! hai visto che è
entrato in scena Marcolino? Eheh… Stella ricorda molto Paris, certo, ma io
direi che per certi versi è ancora peggio di lei, anche perché alla fine Paris
si è calmata, invece Stella sembra decisa a restare una ragazzina viziata ed
egocentrica per sempre, ma vedremo… Forse le succederà qualcosa, chissà… Ti
voglio bene tesoro!
Angel Texas Ranger: Weeee, che bello vederti
qui carissima! Se non sbaglio ti avevo inviato un’e-mail per comunicarti la “Nascita”
di questa fic, non so se l’hai ricevuta. Comunque, a chi lo dici, io più che altro
l’avrei sgozzato a Cristian al posto di Sabri, è stata piuttosto gentile xD E i
guai… Le potevano mica mancare, visto chi è la madre? =D Un bacione!
A sabato prossimo,
la vostra milly92.
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Capitolo 6 *** La Chiave Del Mio Cuore ***
La Chiave Del Mio Cuore
“Amore non è amore che muta
quando scopre i mutamenti
od a separarsi in cima quando
altri si separano.
Oh no, è un faro irremovibile
che mira la tempesta e mai ne viene scosso...”
“Ragione e Sentimento”
Capitolo 6
La Chiave Del Mio Cuore
“Avevo fiducia in te, diamine!”.
L’urlo secco di Vittoria non mi piacque
affatto. Senza contare il fatto che decine di passanti di Piazza Venezia si erano
voltati verso di noi.
“Vittoria, calma, ti va un gelato?” proposi,
sorridendo con falsa grazia verso una signora che ci guardava scandalizzate per cercare di rimediare.
“Te lo ficcherei in testa un gelato! Mamma
ha licenziato Hazel!” continuò a sbraitare, guardandomi infuriata. “Per colpa
tua!” aggiunse, come se non si fosse capito, e per accentuare ancora di più la
cosa mi puntò l’indice contro.
“La colpa è tua che non ti sei portata il
cellulare dietro! Mi avresti potuto avvertire…” risposi stizzita.
“E che avevo, la sfera di cristallo per
sapere che mi avresti mandato l’sms quella mattina?”.
“E che credi, che ce l’avevo io per sapere
che non ce l'avevi dietro?”.
Ci guardammo, continuando a fronteggiarci,
finchè lei non sbuffò, incrociando le braccia. “Uffa. Non ne posso più di
questa sfiga” sbottò.
“Smettila di essere melodrammatica,
signorina” la rimproverai.
“La fai facile tu…”.
La guardai male. Non mi piaceva quando
faceva la Drama Queen, per dirla con
le parole di mamma. “Vittoria, cosa devo dirti? Ho sbagliato, lo so ma non ho
avuto scelta! Tu al mio posto cosa avresti fatto?” chiesi spavalda, incrociando
le braccia.
Lei esitò, poi non rispose. “Ora vado a
casa” disse, rabbuiata e ancora un po’ arrabbiata.
“Aspetta che ti accompagno con lo scooter…”
mi offrii, ma lei scosse il capo.
“No, ho voglia di camminare e starmene da
sola, a casa devo studiare tedesco quindi è meglio se sbollisco strada facendo”
mi zittì, lanciandomi un’occhiata con un po’ di rancore e dandomi le spalle,
senza salutare.
Mi sentii un’emerita idiota, anche perché
non mi aveva più detto il motivo per cui voleva che la contattassi. Salii sul
mio scooter e girai a vuoto per chissà quanto tempo, prima di decidermi a
tornare a casa.
Una volta in giardino, stavo per entrare in
casa quando vidi con la coda dell’occhio Cristian che stendeva alcuni suoi
vestiti dall’altra parte del prato, concentrato al massimo. Al solo vederlo il
mio stomaco si contrasse e sentii caldo.
Calmati,
calmati, respira e vedi che andrà tutto bene…
Ma poteva andarmi bene per quella sera,
sospirai, visto che l’indomani mi sarebbe toccato passare una serata con lui. E
dato che entrambi non conoscevamo nessuno degli invitati a parte mia mamma, era
ovvio che avremmo passato del tempo insieme. Il solo pensiero mi fece contrarre
dolorosamente qualcosa dentro di me, e mi dissi che anche se avevo capito di
essere interessata a lui da sole ventiquattr’ore, la cosa si faceva sempre più
pesante. Volevo sfogarmi, dirlo a qualcuno…
In un battibaleno, mi ritrovai in casa,
intenta nel cercare disperatamente uno dei cordless. Stavano sempre tra i
piedi, diamine, e quando me ne serviva uno ecco che si smaterializzavano come
sotto accordo.
“Al diavolo!” sbottai, e mi affrettai a
prendere il cellulare e a comporre il numero di Titti.
“Pronto?”.
“Ciao Titti, senti, ti dispiace se vengo da
te? Devo parlarti assolutamente…” rivelai.
Il suo tono si fece subito diverso,
disponibile. “Ma certo, solo che dovrei uscire un secondo per comprare qualcosa
per cena, sono stata a lavoro fino a poco fa” disse.
“Me la vedo io, ti vanno bene le focacce con
prosciutto e mozzarella e coca cola?” proposi in fretta.
“Va bene, perfetto” annuì. “Grazie”.
“E di che. Allora ci vediamo da te tra un
po’”.
Salii velocemente in camera, mi pettinai e
aggiustai il trucco, presi la borsa e scesi giù.
“Dove vai, piccola?” chiese mio padre,
seduto dietro al pianoforte.
“Vado un secondo da Titti, ceno da lei”
risposi. “Ci vediamo stasera, ok?”.
“Va bene, ma non fare troppo tardi…” mi ammonì.
“Certo”. Gli diedi un rapido bacio sulla
guancia e feci per uscire dalla porta del retro quando lui mi richiamò.
“Sabri?”.
Allargai gli occhi, sorpresa. “Papà, mi hai chiamato
per nome!” esclamai incredula, visto che succedeva circa tre volte l’anno,
compleanno e Natale esclusi.
Lui annuì, guardandomi in un modo così serio
che sembrava mi stesse leggendo dentro. “Rispondi ad una domanda”.
“Dimmi…”.
“Dì la verità, qualcuno mi ha sostituito
come uomo della tua vita” sussurrò, con una nota di certezza inconfondibile
nella voce.
Sembrava mesto, triste, con uno sguardo più
anziano che mai. Per una volta sembrava dimostrare sul serio i suoi 52 anni.
Mi bloccai e mi sentii la pelle d’oca al
suono di quella domanda, anzi, affermazione.
“Papà, io…” tentai flebilmente, ma a questo
punto lui sorrise in modo strano e sospirò.
“Non c’è bisogno che ti sforzi di
rispondere, ho capito tutto. Divertiti con Titti” mi salutò, e abbassò lo
sguardo verso la tastiera del pianoforte, iniziando a suonare una melodia lenta
e triste.
Dal canto mio gli diedi le spalle, corsi
verso lo scooter e iniziai a sentire una strana rabbia dentro di me.
Quel Cristian non mi poteva fare questi
scherzi, privarmi delle mie abitudini, stravolgermi la vita! Mi sembrava quasi
di aver tradito sul serio mio padre, ad essere onesti.
Non mi sentivo più libera, era come se fossi
schiava di un sentimento, schiava di lui. E la cosa, ragionandoci a freddo,
così, su due piedi, non mi dispiaceva affatto.
Sto
impazzendo…
Subito mi affrettai a prendere dei pezzi di
focaccia in rosticceria, e deviai verso casa di Titti.
“Entra. Mi dici cosa ti è successo? Ti vedo
sconvolta” mi accolse quando mi aprì la porta.
“E’ così” ammisi. Poggiai le focacce sulla
tavola e presi posto su una delle sedie che la circondavano.
“Mi stai facendo preoccupare, cosa…?”.
Mi squadrava con i suoi bellissimi occhi in
un modo apprensivo, e prima che potessi evitarlo mi venne da piangere come la
sera prima.
“Titti, io…”. Presi un grosso respiro. “Io
mi sono innamorata di Cristian”.
Titti spalancò gli occhi e corse ad
abbracciarmi in un modo caloroso.
“Ti prego, non dirmi “Te l’avevo detto”,
non lo sopporterei perché mai come ora
mi sento una totale imbecille” la supplicai, continuando a piangere e
bagnandole la felpa nera e viola che indossava.
“No, no, come potrei. Ma dovresti essere
contenta, perché...?”.
“Perché è un casino, più lo vedo e più lo
desidero ma mi rendo conto che è impossibile, lui è grande, abita nella mia
dependance, e di certo non darà peso ad una come me, che ritiene essere piccola!” singhiozzai, sentendo
l’esasperazione salire alle stelle.
“Ma non dire così… Secondo me hai molte
speranze” mi rassicurò Titti.
“Non capisci? In un certo senso non vorrei
avere alcuna speranza per non incasinarmi, stare con lui sarebbe così… Strano…
Ma maledettamente magnifico” aggiunsi. Ormai la mia pazzia era ufficiale! Mi
contraddicevo da sola come se non sapessi nemmeno io cosa volevo dire, e in un
certo senso era vero. Come spiegare il turbine di emozioni ce provavo quando lo
vedevo e quando pensavo a lui? Non c’erano aggettivi. Tutti erano troppo banali
o riduttivi.
“Sabri, devi solo chiarirti le idee, e sai
che io ci sono sempre, ma… Forse è meglio ragionarci a stomaco pieno, non
credi?” disse lei, sorridendomi in un modo incoraggiante e accennando le
focacce.
Mio malgrado restituii il sorriso e annuii,
dicendomi che solo Titti sapeva come trattarmi in simili momenti.
La sera dopo così mi accinsi a prepararmi
per la serata di beneficenza a cui avrebbe partecipato anche Titti sotto invito
della signora. La cosa mi rassicurava, perché in caso di complicazioni ci
sarebbe sempre stata la mia migliore amica a tirarmi su.
Indossai dei jeans, una maglia con lo scollo
a V blu, degli stivaletti con il tacco non molto alto e una collana che mi
aveva regalato papà qualche mese prima. Scesi di sotto quando vidi mamma
parlare animatamente al telefono con chissà chi, un po’ seccata.
“E va bene, Marta” la sentii cedere alla
fine, scocciata. “Ma ti prego di avvisarmi in futuro visto che deve venire anche
mia figlia e un amico di famiglia. Ok, ciao, a dopo”.
“Che succede?” chiesi subito, con lo
stomaco ancora un po’ sottosopra per il
modo in cui era stato definito Cristian. Amico
di famiglia, sigh.
“Mi verrà a prendere il figlio di Marta,
l’ha mandato a prendere anche altre tre signore. Voleva essere carina…” spiegò.
“Quindi mi sa che dovrai andare da sola con Cristian, ora glielo vado a dire”
aggiunse.
Uscì, e per fortuna non potè udire il mio
gemito. In macchina da sola con lui, bene.
Per cui dieci minuti dopo me lo ritrovai
davanti, raggiante, con indosso una camicia azzurra, dei pantaloni neri e una
giacca sportiva. “Vieni in garage, prediamo la macchina” mi invitò, e così
facendo due minuti dopo eravamo in giro per la città, con me che facevo da
guida.
“Nel caso ci annoiamo ce ne andiamo prima e
andiamo a farci un giro, che dici?” sussurrò quando parcheggiò fuori la
villetta, da cui si intravedevano alcune donne anziane.
“Oh, ok” sussurrai flebilmente, sentendomi
un’ idiota nata. Quella si che era una bella prospettiva.
Mentre camminavamo poggiò un braccio sulla
mia spalla, prima di ritirarlo all’improvviso, con soggezione. Mi voltai e
decisi di sorridergli, così lui fece lo stesso, passandosi una mano tra i
capelli come faceva sempre quando era un po’ imbarazzato, ormai l’avevo capito.
Fummo accolti con gentilezza, e subito mi
affrettai a raggiungere Titti, che ne stava seduta in un angolo mogia mogia.
“Tutto bene?” chiesi.
“Ciao, Titti” la salutò Cristian.
“Ciao. Niente, è… Marco” disse sottovoce.
“Appena è venuto mi ha chiesto di versargli da bere e poi mi ha presentato la
sua ragazza, una certa Verena”. Il suo tono era infastidito, e mi voltai per
vedere la famigerata coppia. “E’ fidanzato?” chiesi poi.
“Ovvio. Lei ovviamente è straricca e
strabella”. Titti sembrava davvero sconfortata e infastidita da tutta quella
storia. “Sul serio, non capisco perché sta facendo tutte queste sceneggiate
dopo che ha saputo che lavoro da lui”.
“Forse gli interessi e gli hai complicato le
cose visto che voleva mollare una bionda milionaria per te” disse Cristian,
indicando Verena, una tipa bionda con un abitino nero succinto e un make up di
cui solo il mascara di sicuro costava almeno più di 50 €.
Titti scosse il capo. “Lo ignorerò e basta,
fine della questione”.
Stavo per ribattere quando la signora Marta
si alzò dalla sua sedia di vimini, su cui stava parlando con alcune sue
coetanee, e si alzò, chiedendo di essere ascoltata. Così facemmo silenzio.
“Allora, innanzitutto volevo ringraziarvi
per avere contribuito ad aiutare gli sfollati a causa del terremoto. E poi
volevo dirvi che la serata sta per iniziare sul serio, tra qualche minuto inizieremo
i giochi della serata!” annunciò, sorridendo, e squadrandola bene mi domandai
se il suo viso non fosse stato corretto da qualche lifting.
Ci invitò ad alzarci ed ubbidimmo. “Speriamo
non sia nulla di imbarazzante” borbottò Cristian al mio orecchio, e quel
semplice gesto mi fece sentire la pelle d’oca lungo la schiena.
“In tal caso anticipiamo la nostra fuga?”
dissi, sorridendo con aria complice, segno del fatto che il mio buonsenso fosse
davvero andato a farsi friggere.
“Ci puoi giurare” annuì, mentre ci
ammassavamo tutti in un punto. Si parò dietro di me e sentii la sua mano
intrecciarsi alla mia. Dopo un attimo di esitazione la strinsi, e sentii il suo
respiro vicino al mio collo mentre la confusione si diradava e la signora Marta
iniziava a spiegare il meccanismo.
“Allora, dovete dividervi, da una parte le
donne e da una parte gli uomini. Ognuno estrarrà un numero da questo cesto” e
qui indicò due urne alle sue spalle, “E farà coppia con la persona dell’altro
sesso che avrà lo stesso numero. Una volta stabilite le coppie, visto che siamo
in coppie, metà si sfiderà in qualche gioco e metà in un’altra. E alla fine
vincerà la coppia che avrà vinto più sfide… Ah, dimenticavo di dire: a fine
serata ci dovrà essere un piccolo bacio tra i componenti di ogni coppia, che
però potranno scambiarsi alla fine e cedere il bacio a chi ritengono più
giusto” terminò con un sorriso.
Mi raggelai udendo quell’ultima
affermazione, e per fortuna non presi lo stesso numero di Cristian, che aveva
il sei. Presi il nove, e restai sorpresa nel vedere che il mio partner sarebbe
stato Marco. E Cristian capitò con Verena.
Bene,
bene, ne approfitterò per chiarire due cosette con questo modello
apparentemente senza cervello!
“Ma tu sei l’amica di Clementine?” mi chiese Marco avvicinandosi, quando vide che avevo
il suo stesso numero attaccato sul maglioncino.
“Si, sono Sabrina”.
“Piacere, Marco”.
“E comunque la mia amica si chiama Titti,
non Clementine. Credo che solo il prete che l’ha battezzata l’abbia chiamata
così da quando è nata” ribattei.
Lui mi guardò, levando un sopracciglio. “Mia
madre la chiama così”.
“Allora sono solo due persone su sei
miliardi di abitanti che ci sono al mondo, non fa differenza. O forse per te
non conta visto che è una serva?” chiesi.
Stava iniziando la prima gara, che
consisteva nel giocare al gioco della memoria con delle carte appese a un
tabellone che però contenevano dei nomi di varie materie, e chi riusciva ad
indovinare due carte con la stessa materia doveva rispondere ad una domanda
circa quella stessa disciplina. C’erano già dodici coppie, nessuno avrebbe
notato la nostra assenza.
“Che vuoi dire?” domandò, guardandomi come
se l’avessi offeso a morte.
“Dico che secondo me dovresti chiederle
scusa, non è colpa sua se ha bisogno di lavorare per mantenersi, è la persona
migliore del mondo! E’ orfana da quando era piccolissima e tutto quello che ha
ce l’ha perché se l’è sudato, non perché hanno dei genitori come me e te molto
benestanti!” dissi infervorata.
Marco mi guardò perplesso, prima di pararsi
una mano davanti. “Senti, moralista, io non ho fatto nulla, intesi?”.
Risi. Una risata vuota, di ghiaccio. “Ma si,
certo. L’hai solo obbligata a servirti un drink quando sai che è qui in veste
d’ospite e non di inserviente e da quando hai saputo quale lavoro svolge in
casa tua la tratti con indifferenza. E’ colpa sua se non eri al corrente di ciò
che faceva?” continuai. Quel tipo mi stizzava al massimo.
Esitò, prima di sbuffare. “E’ che la tua
amichetta mi ha dato l’impressione di una ragazza distinta, carina, ci siamo
parlati qualche volta e credevo che me l’avrebbe detta una cosa simile”.
“Ma qual è il problema? Non puoi parlare con
le persone se non sono ricche come te?”.
Restò un po’ zitto prima di sospirare. “E’
una cosa mia che non sono tenuto a dirti. Grazie per la strigliata, mi
comporterò al meglio con Titti, ok?” sbottò.
“Buon per te” gli risposi.
“Ora se ti dispiace vorrei andarmene da
questa serata insulsa” si congedò, e se ne andò, senza nemmeno avvertire la
madre. Almeno, non avendo più il partner, avrei avuto la scusa per non giocare.
Presi posto su una delle sedie, dopo che mia
mamma mi ebbe domandato cosa ci facessi da sola, mentre parlava con un gruppo
di signore, non partecipando ai giochi anch’ella, finchè non venne quella
Verena a disturbarmi, prima dell’inizio del secondo gioco.
“Scusami, tu che avevi lo stesso numero del
mio ragazzo Marco, mi sapresti dire dove…?”.
“Non lo so, è il tuo ragazzo, non il mio, e
non ho la facoltà di leggere nel pensiero purtroppo” ribattei, acida.
Il mio
ragazzo Marco, sentitela! Che marchi a fare il tuo territorio? Non ho certo
intenzione di rubartelo…
Lei mi guardò, offesa, e se ne andò,
lasciando la festa a sua volta.
“Ehi, hai fatto scappare la mia partner?” mi
domandò Cristian, ridendo.
“Scusami, se ci tenevi a lei te la faccio
ritornare”.
“Ma che, mi hai fatto un favore…” ribattè.
“Che dici, evadiamo visto che siamo senza nessuno?” propose, gioioso.
Annuii rapidamente, così salutammo mamma e
Titti per poi andarcene, con ancora i due numeri attaccati alle maglie.
“Aspetta”.
Eravamo nel retro del giardino quando si
sentì una musica dolce provenire dalla festa.
“Cosa devo aspettare?” chiesi.
Lui sorrise, passandosi una mano tra i
capelli. “Ti va di ballare un po’ con me?” propose, avvicinandosi e prendendomi
per la vita.
“Qui?” chiesi, cercando di non andare in
fibrillazione, indicando quel po’ di parte di prato che ci circondava.
“Si, qui” ribadì.
“Ok…” acconsentii, così alzai le braccia e
le attorcigliai dietro al suo collo. Sentirlo così vicino a me, le sue braccia
stringermi, il suo sorriso ipnotico, il respiro fresco, mi faceva letteralmente
andare in tilt, tanto che non mi preoccupai nemmeno di riconoscere il titolo
della canzone. Poi all’ improvviso mi voltai.
“Che c’è?” chiese lui, allarmato.
“No, niente, mi sentivo osservata, sarà
stata solo un’impressione” minimizzai, e continuai a godermi quel lento. Non mi
ero mai lasciata andare totalmente con lui, e solo in quel momento capii il
perché: stargli così vicino mi faceva sentire estraniata dal mondo, felice…
Provavo un qualcosa di unico che al confronto del semplice vivere mi sembrava
decisamente dieci e mille volte meglio.
Ma, come tutte le cose belle, la canzone terminò. “Andiamo, che
dici?” domandò.
“Si…”.
Salimmo in auto, e sentivo un’atmosfera
strana, diversa: sembravamo complici, più uniti rispetto al solito.
“Ti va se ti porto in un posto diverso?”
domandò, facendo un sorriso malandrino.
“Se sorridi così mi spaventi… Devo fidarmi?”
risposi, pur sempre sorridendo.
“Se
ti fidi di me, devi”.
“Mi fido di te…”.
Si girò e mi sorrise, come se gli avessi
detto chissà che cosa. “Allora perfetto”.
Mi continuai a domandare dove fossimo
diretti finchè non fermò l’auto e mi fece segno di seguirlo, davanti un
cancello.
“Ma questa è una villa! Privata” aggiunsi,
vedendo dei nomi scritti vicino il citofono.
“Lo so”. Cacciò un mazzo di chiavi e aprì il
cancello.
“Certo che la tua è una mania! Ti diverti a
collezionare le chiavi delle case altrui! Prima la mia dependance, poi questa
villa…” elencai, stupita.
“Preferirei avere la chiave del tuo silenzio
a volte. Ma anche quella del tuo cuore” aggiunse, abbassando lo sguardo verso
di me e guardandomi intensamente.
“Oh. S-Sul serio?”. Dire che balbettavo e mi
sentivo imbarazzata era ben poco.
Ma lui- e lo odiai per questo- si limitò ad
annuire e ad aprire il cancello, facendomi entrare. Mi aveva appena detto che
voleva la chiave del mio cuore e mi lasciava così, senza aggiungere altro, come
se mi avesse chiesto le previsioni dell’indomani!
“Questa è la villa di una coppia di amici
che sono in viaggio di nozze, e tre
volte a settimana vengo qui a curargli le piante, tutto qui. Tornano domenica”
spiegò. “Vieni” aggiunse, e mi fece segno di seguirlo fino ad una piccola scala
che si trovava su un albero.
“Ma cos’è…?” chiesi.
“Una casa sull’albero che hanno costruito
per i loro futuri bambini, no?” disse, invitandomi a salire.
“Figo, la volevo sempre una quando ero
piccola…” ammisi, così lo raggiunsi, finchè non ci trovammo seduti nella
piccola casetta, vedendo tutta la villa con tanto di giardino dall’alto.
“Ci salgo sempre qui, e volevo farlo anche
con te” rivelò, voltandosi verso di me e guardandomi con intensità.
Mi passai una mano tra i capelli, troppo
ubriaca di attenzioni ricevute tutte in una volta. “Come mai?” chiesi con finto
tono casuale.
“Semplicemente perché mi piace stare con te,
e sto cercando di fartelo capire in tutti i modi. Ci sto riuscendo?”.
Esitai, colta all’improvviso da quelle
meravigliose parole. “Dipende… A volte mi fai capire che ti spiace stare con me
come semplice amica, altre mi sembri più equivoco, come con la frase della
chiave del mio cuore… Cosa devo pensare, Cristian?”.
Il mio tono era ormai supplichevole, avevo
lasciato ogni cautela, m’importava solo di mettermi l’anima in pace nel caso di
una risposta negativa…
“Devi pensare che mi sorprendi sempre di
più, che adoro il tuo modo di fare e che l’ultimo mese è stato magnifico grazie
a te, Sabrina. Io… Non sono bravo in queste cose… Mi nascondo sempre dietro
qualche battuta, e poi sembro ritirarla, ma solo perché… Oh, al diavolo! La
vorrei sul serio la chiave del tuo cuore, credimi, averti solo per me, poter
sapere che se sorridi è grazie a me, ma… Dimmelo se ho rovinato tutto con
questa mia dichiarazione ” disse subito, improvvisamente impaurito.
M’immobilizzai, sentendo il respiro
mancarmi. “Oh, ecco, lo sapevo, scusami, so che…”. Mi guardava spaventato, con
gli occhi impauriti, finchè non mi aprii in un sorriso e gli accarezzai il
viso.
“Ma sei scemo? Non hai rovinato un bel
nulla, forse solo la situazione cardiaca del mio piccolo cuoricino, ma
figurati! Io speravo che mi dicessi queste parole” ammisi.
Cristian trattenne il fiato, prima di
sorridermi e avvicinarsi di più a me. “Non sai che sollievo” mormorò, e vidi
staccarsi il sei attaccato al petto, girarlo e attaccarlo sotto forma di nove,
facendo si che fosse identico al mio.
“Scusa, ma mi sento un po’ codardo e ho
bisogno di una scusa per… Insomma, quelli con lo stesso numero dovevano…
Ricordi?”. Era proprio imbarazzato, e solo in quel momento mi ricordai le
parole della signora Marta circa il bacio di fine serata tra quelli che avevano
lo stesso numero.
“Cristian! Non permetterti di usare una
simile scusa!” lo rimproverai, e ridemmo. Da quel che sapevo, anche mio padre
aveva usato una scusa del genere per cercare di baciare mia madre la prima
volta, dicendole che le avrebbe dato il caffè che desiderava solo se l’avesse
pagato con un bacio.
Mi appoggiai contro di lui, e lo sentii
accarezzarmi i capelli. Alzai lo sguardo e lo vidi guardarmi fisso con i suoi
magnifici occhi color miele.
“Sei ancora più bella al chiarore della
luna” sussurrò, chinandosi su di me.
“Lo sei anche tu. E…” presi la chiave del
motorino dalla tasca, sicura di averne una copia a casa, e gliela diedi. “Ecco
la chiave del mio cuore”.
Ci sorridemmo, finchè lui non si calò ancora
di più su di me e le sue labbra non
sfiorarono le mie. Erano calde, meglio di come immaginavo, e le sentii
schiudersi con dolcezza. Feci lo stesso, passandogli una mano tra i capelli e accarezzandoli
con voluttà, mentre lui mi cinse la vita con le mani, facendo aderire i nostri
corpi.
Quel bacio divenne magicamente passionale, e
ci staccammo solo qualche secondo, per sorriderci e riprendere un po’ di fiato,
mentre lui riponeva la chiave in tasca e riprese ad abbracciarmi, mentre io lo
ribaciavo, questa volta con più sicurezza, conscia del fatto che potevo essere
testimone del fatto che almeno una volta nella vita la fortuna e l’amore
avevano trovato la mia strada e avevano permesso che le incrociassi.
continua...
Qualche Anticipazione:
“Lo dicevo io, che qualcuno mi ha rubato il
posto. E sappiate che vi tengo d’occhio” disse, puntando l’indice e il medio
prima contro i suoi occhi e poi contro di noi.
*°*°*°*°*°*
“Gab, smettila, non è…”.
“Guarda che so tutto”.
*°*°*°*°*°*
Alla fine non ce la feci più, e il mio urlo
riecheggiò per tutta la stanza, per tutta la dependance, forse per tutta la
villa.
milly’s space:
salve ragazze! purtroppo non mi funziona la
tastiera del pc e ora sto scrivendo con quella su schermo… per cui scusate se
non rispondo alle vostre recensioni. vi ringrazio per i dolci commenti che mi
lasciate cap dopo cap e spero che questo vi sia piaciuto! dal prossimo però si
cambierà atmosfera, eheh!
spero che mostrandovi altre foto mi farò
perdonare ^^ :
Andrea da giovane: http://2.bp.blogspot.com/_FxaAe6kUPN8/SShXpiVh5XI/AAAAAAAAB2s/GZosrmCyPfs/s400/Antonio+Maggio+2.jpg
Titti: http://1.bp.blogspot.com/_A70LjEkUHNQ/SbauJabnkzI/AAAAAAAAA-E/c5BsZGrslwM/s320/jessica-szohr+image.jpg
http://lh3.ggpht.com/_ZZ-CqtHjAnk/SIyiDw9fz6I/AAAAAAABKUw/IqqFyaiFWx8/Jessica%2BSzohr%2Bgossip.jpg
Marco: http://snarkerati.com/movie-news/files/2009/06/cam-gigandet.jpg
http://images2.fanpop.com/images/photos/5500000/Cam-Gigandet-james-5516118-416-556.jpg
nel prossimo cap vi mostrerò deb e qualche
altro veterano!
a sabato,
la vostra milly92.
|
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Capitolo 7 *** Impossibile ***
Impossibile
“Quando morirò andrò in
paradiso
perché il mio inferno lo sto vivendo qui”.
Jim Morrison
Capitolo 7
Impossibile
L’indomani, dopo essere tornata a casa alle
due passate, stavo ancora dormendo quando fui svegliata dal mio cellulare che
suonava con insistenza. Lo cercai a tastoni sul comodino, e quando riuscì a
prenderlo me lo trovai in mano al rovescio. Sbuffai e risposi, girandolo.
“Pronto?” chiesi, con la voce ancora
impastata dal sonno.
“Sabri, Sabri! Non ci puoi credere, devo
raccontarti una cosa! Puoi venire da me, così possiamo parlare per bene?” esclamò
Titti, con uno squittio nella voce che
avevo sentito solo quando aveva vinto 200€ con un Gratta e Vinci.
Udendo quella frase mi ricordai degli
accaduti della sera prima- non che li avessi dimenticati, per carità, più che
altro stentavo ancora a crederci- e mi aprii in un sorriso beato e diabetico.
“Anche io devo dirti una cosa!” esclamai.
“Si? Allora muoviti, dai!” mi incitò.
“Ok, ma vengo tra un’oretta… Ho alcune cose
da fare” dissi, così staccai la chiamata e, invece di alzarmi, mi ributtai sul
letto. Chiusi gli occhi e rividi il viso di Cristian, ripensai a cos’era
successo la sera prima, ai magnifici momenti passati dopo il nostro primo
bacio… E dopo il secondo, il terzo e così via… Alla fine constatai che non
m’importava un accidenti del fatto che fosse una sorta di coinquilino, di ciò
che avrebbero potuto dire i miei. Ero solo stramaledettamente felice, diamine,
e sentivo che niente e nessuno mi avrebbe potuto togliere la mia gioia, in
nessun modo.
Guardai l’orologio, erano le otto e dieci.
Feci una rapida doccia, mi truccai un po’, indossai una vestina di jeans con
degli stivali neri, mi pettinai i capelli e scesi giù.
Trovai un biglietto appeso al frigo.
Sono
andata ad iscrivermi ad un concorso letterario con Paris e papà è a
un’intervista a Latina. Ci vediamo stasera. Ci sono le lasagne nel forno, devi
solo riscaldarle. Un bacio, mamma.
“Meglio così!” dissi, visto che Gabriele era
a scuola, così mi affrettai ad uscire di casa.
Camminai lungo il giardino finchè non mi
sentii afferrare per la vita, nei pressi del garage, mi voltai e vidi Cristian
sorridermi. “Buongiorno” sussurrò, trasmettendomi una felicità innata. Un
saluto non mi era mai parso così bello, dolce e solare.
“Buongiorno” risposi, cercando di mantenere
la calma e attorcigliando le mani attorno le sue braccia che mi stringevano.
“Stavo per venire da te, ho visto Gabriele e
i tuoi uscire…” sussurrò, facendomi girare verso di lui e portando una mano
calda nei pressi del mio viso.
“E hai pensato bene di farmi compagnia?”
domandai, con aria innocente quando in realtà mi sentivo febbricitante. Era sul serio tutto vero, sul serio ci teneva a me, era proprio
lui quello che mi teneva stretta contro di sé e che mi guardava come se fossi
una delle cose migliori del mondo.
Invece io? Chissà che espressione avevo! Il
pensiero di essere goffa o troppo sfacciata sembrò annebbiarmi il cervello per
una frazione di secondo.
“Come hai fatto ad indovinare?” chiese,
ridacchiando, per poi prendermi per le mani e trascinarmi nel garage.
“Intuito femminile” risposi, ma già mi
sentivo partita per un altro pianeta visto che lui continuava a guardarmi con
quell’aria così sexy e mi stava spingendo con dolcezza verso la parete. I suoi
occhi color miele parvero intrappolarmi in una sorta di rete magnetica e mi
domandai come avevo fatto a credere di
non sopportarlo per quasi un mese, quando poi, al contrario, ero certa che la
mia era stata solo una subdola maschera di ferro che non aveva portato a
termine il vano tentativo di celare i miei veri sentimenti.
“Me ne dovresti prestare un po’… Che dici,
così funziona?” disse, con aria da finto tonto, e si abbassò verso di me per
poi baciarmi.
Fui di nuovo travolta dalle sensazione della
sera prima, le sue labbra calde e morbide sembravano nate per adeguarsi all
mie, e per accertarmi che fosse di nuovo tutto vero e non frutto della mia
subdola e fervida immaginazione, mi appoggiai a lui accarezzandogli i capelli
con una mano, mentre l’altra sostava sul suo petto. Dal canto suo fece aderire
i nostri corpi, e continuava ad accarezzarmi il viso e a trattenerlo nelle sue
mani, come se fossi una bambola di porcellana molto fragile. Fragile però lo
ero sul serio, anche se forse stando insieme a lui avrei compreso che dovevo
smetterla di essere così insicura.
“Non lo so ma mi piace questo metodo…”
sussurrai senza fiato quando si staccò.
Levò un sopracciglio. “Sul serio? Sicura di
essere Sabrina Romani, quella che credeva che fossi un maniaco e che mi
disprezzava da morire?” chiese canzonatorio.
“Ah ah ah. Potrei tornare a pensarlo se fai
così” ribattei, incrociando le braccia.
“No, per l’amor del Cielo, no. Mi sento un
uomo diverso da quando so che sono ricambiato, non voglio tornare alla Guerra
Fredda”.
“Bene…”.
Ci guardammo con aria complice, e quasi
quasi mi ero dimenticata dell’appuntamento con Titti. Quando ero con lui
dimenticavo tutto e tutti, mi sembrava strano che solo qualche giorno prima
avessi ammesso con me stessa- e soprattutto al mio orgoglio- che quel ragazzo
non mi era assolutamente indifferente.
Ancora presa dal suo sguardo lo attirai a me
e lo baciai, sempre stretta a sottiletta contro il muro, finchè ad un certo
punto non sentii un piccolo fruscio, e poi dei passi che si bloccarono.
Terrorizzata, lo allontanai da me, senza
badare alla faccia confusa che aveva fatto a causa di quel gesto, ma era troppo tardi: papà ci guardava a bocca
aperta, le mani penzoloni, lo sguardo prima scioccato poi all’improvviso
turbato e severo.
“Quando il gatto non c’è il topo balla”
disse semplicemente, ma con una strana nota nella voce. Non di rabbia, ma quasi
come se si fosse offeso e avesse subito un torto.
“Papà…” sussurrai, tra l’imbarazzato e il
preoccupato, senza sapere cosa dire. Non mi aveva mai beccata in atteggiamenti
simili con un ragazzo in venti anni di vita, ed ora ecco che l’aveva fatto, e
per di più mentre mi sbaciucchiavo con il tipo a cui aveva affittato la
dependance, che considerava come uno di famiglia e con cui spesso passava del
tempo illimitato davanti al tv o per una partita a poker.
“Andrea, scusaci…” provò Cristian, sbiancato
e improvvisamente a due metri di distanza da me, imbarazzato fradicio.
“Scusarvi di che? Posso capire, queste cose
le ho fatte prima di voi ma… Cristian, potrei vederlo come un colpo basso.
Insomma, portare mia figlia qui, in un garage, quando io e mia moglie non ci
siamo… Devo pensare che vuoi solo divertirti e prenderti il gioco di lei?” lo
rimproverò, questa volta più austero, incrociando le braccia.
Un attimo... Come faceva a sapere che era
stato lui a condurmi nel garage?
Come se avessi formulato la domanda ad alta
voce, papà disse: “Vi ho visti dal cancello, prima. Ho dimenticato la mia pen
drive a casa con delle basi sopra”.
“Papà, ti prego, Cristian non aveva nessuna
intenzione cattiva, vero?” chiesi conferma poi, quasi minacciosa.
“Si. Sul serio, Andrea…”.
Papà ci guardò per un po’, poi scrollò le
spalle. “Lo dicevo io, che qualcuno mi ha rubato il posto. E sappiate che vi
tengo d’occhio” disse, puntando l’indice e il medio prima contro i suoi occhi e
poi contro di noi.
Se ne andò e mi sentii uno schifo, a
disagio. “Merda” imprecai.
“Ci parlerò io stasera, promesso. Ora devo
andare a casa di mia madre, mi ha invitato da lei, dice che deve parlarmi
urgentemente…” disse.
“Ok. Ma ti dispiace ridarmi un secondo la
chiave che ti ho dato ieri? Era del mio scooter e non ricordo dov’è la copia.
Devo andare da Titti”.
“Ti do un passaggio io, se vuoi”.
“No, grazie. Se papà è ancora lì e mi vede
salire in auto con te è la fine” sussurrai, così lui annuì e dopo aver frugato
un po’ nelle tasche mi restituì la chiave.
“Tanto la chiave del tuo cuore è sempre mia,
no?” domandò.
“Si…”.
“Vale lo stesso per me. Ci vediamo per l’ora
di pranzo”.
Sperando che papà non ripassasse, mi alzai
sulle punte e lo salutai con un bacio, annuendo, prima di salire sul mio
scooter e uscire dalla villa.
Mi sentivo davvero strana per l’episodio di papà,
ora lo avrei sempre avuto con il fiato sul collo, ma quando raggiunsi casa di
Titti misi da parte la preoccupazione e bussai alla sua porta.
“Sorellina!” mi accolse, stritolandomi in un
abbraccio. “Non puoi capire che è successo ieri…”.
“Anche tu!”.
Ci guardammo, poi lei disse: “No! Non mi
dire che… Cristian ha fatto qualcosa?”.
Annuii. “Si! Ha detto che lui è interessato
a me, che vorrebbe la chiave del mio cuore…
Ci siamo baciati… E papà ci ha appena beccato in garage!” aggiunsi.
Dicendo una notizia del genere avrei dovuto tremare di paura, invece sembravo
trionfante come una delle eroine di qualche film d’azione.
“Nooo! E invece… Indovina un po’?” chiese,
con gli occhi che le brillavano.
La guardai interrogativa.
“Cosa?”.
“Ieri, quando stavo tornando a casa mi sono
trovata Marco alle calcagna, ha detto che gli hai parlato, lo hai rimproverato
e mi ha spiegato che… Insomma, ci è
rimasto male perché è interessato a me e il fatto che non fossi ricca
gli complicava le cose, ma ora vuole uscire con me e… Mi ha detto che mollerà
Verena!” esultò.
“Nooo!”.
Avete presente quelle adolescenti
quattordicenni che i vedono nei peggiori telefilm che esultano come delle
ochette schiave dei loro ormoni in preda ad una forte ribellione? Ecco, quelle
eravamo io e Titti al momento, contente che per una volta la nostra vita
sentimentale non andasse a rotoli, che per fortuna qualcuno di decente
l’avevamo trovato. Ma non sapevo che il problema più che altro sarebbe stato
tenerselo, almeno per me. E di certo non per colpa mia.
Tornai a casa per pranzo, e restai stranita
quando vidi che la dependance era vuota. Probabilmente la madre lo aveva
trattenuto per pranzo, mi dissi, eppure pensavo mi avrebbe chiamata in una
simile eventualità.
Sabri,
piantala! Non sai nemmeno se state insieme e già fai l’appiccicosa?
Ebbi una sorta di brivido, mentre ci
riflettevo. Giusto, mi ero lasciata baciare e cose simili senza sapere cosa
eravamo, quale rapporto c’era tra noi. Poi sorrisi, dicendomi che avremmo
chiarito al più presto, e preparai la tavola e riscaldai le lasagne giusto in
tempo per l’arrivo di Gabriele.
“Quella stronza della professoressa di
latino mi ha messo cinque” brontolò, sedendosi a tavola di malumore, con i
capelli castani più scompigliati del solito.
“Oh, mi dispiace” borbottai, quando avevo
altro per la testa.
Gabriele mi guardò stralunato. “Cosa? Cioè,
non mi fai la tua solita ramanzina sul fatto che il latino è importante quasi
quanto la matematica, che in futuro mi servirà, che aiuta a riflettere e bla
bla bla?” chiese incredulo.
Sbuffai e lo guardai male. “No, credo che
sei maturo abbastanza per saper rimediare la prossima volta” decisi di dire,
visto che in sapevo che se avessi detto cose che implicavano l’essere grande e
maturo si sarebbe auto glorificato e montato a tal punto di non infastidirmi
più.
“Hai ragione. Ma ti vedo strana” aggiunse.
“Gab, smettila, non è…”.
“Guarda che so tutto”.
Mi voltai così di scatto verso di lui così
forte che per un secondo temetti di essermi procurata uno strappo bestiale al collo.
“Cosa sai?” chiesi, cercando di risultare tranquilla ma fallendo
clamorosamente.
Lui scrollò le spalle, frugò nella tasca,
prese il cellulare e, dopo aver premuto dei tasti, me lo porse.
“Leggi” mi invitò.
Ubbidii , e mano a mano che proseguivo nella
lettura sentivo varie sensazioni: imbarazzo, rabbia e chi più ne ha più ne
metta.
Stamattina
ho beccato tua sorella e Cristian che si baciavano nel garage. Quando torni da
scuola fa che non resti da sola con lui, seguila dappertutto e accertati che Cristian
non la voglia prendere solo in giro. Ovviamente renderò con la chitarra nuova.
Da:
Papà
Alzai lo sguardo, infuriata, e stavo quasi
per gettare il cellulare in aria quando lui mi bloccò. “Ha detto che mi compra
la chitarra, mica il cellulare nuovo!” mi ricordò, cercando di metterla sullo
scherzo.
“Non fare l’idiota! Non ci posso credere! Ho
venti anni, diamine, la deve smettere di farmi perseguitare…” sbottai
frustrata, alzandomi di scatto e iniziando a girare attorno al tavolo della
cucina per il nervosismo.
Gabriele prese a seguirmi e mi bloccò per il
polso. “Sabri, sai che non lo ubbidirei mai. Anzi, sono secoli che voglio che
ti trovi un ragazzo così diventi meno acida, e perché dovrei farti da spia
quando finalmente ti sei decisa a stare con Cristian? Mi piace, è un tipo ok”
ammise, sorridendomi incoraggiante.
Tirai un sospiro di sollievo, cercando di
non ricordarmi la parte “meno acida”,dicendomi che Gabriele restava sempre il
mio soldato di battaglia preferito e insormontabile alleato, e, presa da un
moto di affetto, lo abbracciai, anche se ormai dovevo alzarmi sulle punte per
riuscirci a causa dei suoi quasi dieci centimetri in più a me.
“Grazie. E poi, non so nemmeno se stiamo
insieme… E’ successo tutto così in fretta” ammisi. “Se vuoi la chitarra te la
compro io” aggiunsi.
Lui sorrise. “Ma che, fingerò di esserti
stato alle costole per tutta la giornata” disse, facendo l’occhiolino.
Risi, prima che lui aggiungesse: “Ma ora mi
spieghi tutto!”.
Pensavo che confidarmi con mio fratello
sarebbe stato imbarazzante, invece fu una cosa… Normale, naturale, anzi, era un
ottimo pubblico, non mi metteva affatto in soggezione.
Ormai aveva sedici anni suonati, era ovvio
che anche lui comprendesse questo genere di cose, così alle fine, dopo che ebbe
finito di dirmi le sue impressioni- che Cristian era stracotto di me, che non
mi avrebbe preso in giro e che mi avrebbe chiamato a breve- fece una pausa e
disse: “Anche io ho una novità su Belle”.
“Si?” chiesi curiosa, rapita dall’aura di
fiducia e comprensione reciproca che ci aveva avvolti.
“Si. Ieri, dopo scuola, mi ha fermato e…”.
Divenne tutto rosso, e vidi i suoi occhi brillare.
“E…?” lo incitai.
“Mi ha baciato così, all’improvviso, in un
modo che mi ha lasciato senza fiato. Lo
stesso modo con cui avrei voluto baciarla io ” sussurrò, rapito da quei
ricordi.
“E allora?”. Non capivo perché mi sembrava
un Leopardi particolarmente bello e senza gobba, con una malinconia evidente
negli occhi.
“E allora ha ammesso che gli piaccio ma mi
ha proposto di vederci di nascosto perché… Avevi ragione tu, lei mi vede come
un parente e non voleva fare una sorta di scandalo o cose simili, quindi mi
sono arrabbiato e le ho detto di lasciarmi in pace perché si vedeva che non ci
tiene sul serio a me se ragiona così. Io per lei farei di tutto” disse,
avvolgendosi il capo con le mani con fare frustrato.
“Oh, Gab, le parlerò io, stai tranquillo”
sussurrai, stringendolo a me.
Alzò lo sguardo e scosse il capo. “No! No,
non le devo dare importanza, io… Devo dimenticarla… E stasera esco con una del
secondo anno, sai?” aggiunse.
“Ma la smetti? Queste ripicche non servono a
nulla, tu cerchi di convincerti che lo fai perché questa ti interessa quando
invece lo fai solo per cercare di far ingelosire Belle” gli feci notare, e lui
annuì.
“Lo so, lo so…” mormorò. Non so per quanto
tempo restammo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, finchè lui non
accese la tv e iniziò a guardarla, ed io decisi di andare a controllare se
Cristian era tornato.
Inutile dire che non c’era.
Aspettai invano fino a quella sera, mentre
Titti mi bombardava di sms circa l’uscita con Marco, e alla fine decisi di
provare a chiamarlo.
Il cellulare squillava, ma lui staccò la
chiamata per tre volte prima di spegnerlo.
Ecco.
L’ennesimo sogno infranto. Si è reso conto che non sei il suo tipo, sei una
mocciosa con otto anni in meno con cui deve convivere fino a giugno e non gli
va di impegnarsi con te…
Mi venne da piangere numerose volte al
pensiero di quelle parole, e mi ritirai in camera mia fino alle otto, ora in
cui decisi di farmi forza ed entrare nelle dependance con le mie chiavi.
Non so perché, ma iniziai a frugare nei
cassetti e nelle stanze, convinta che avrei trovato una risposta a tutto il suo
comportamento anomalo, finchè non giunsi al suo portatile che giaceva su un
mobile nella sua stanza, stranamente acceso.
C’era una nuova e-mail, recitava il display,
così mi decisi a leggerla, infischiandomene del fatto che quella era una
vera e propria violazione della privacy
e che Cristian mi avrebbe potuto beccare se fosse entrato in quel momento.
Iniziai a leggere, e mano a mano che
continuavo nella lettura la mia mano raggiungeva sempre di più la mia bocca per
coprire le urla che minacciavano di uscire. Alla fine non ce la feci più, e il
mio urlo riecheggiò per tutta la stanza, per tutta la dependance, forse per
tutta la villa.
“Cosa è successo?”.
Papà, mamma e Gabriele mi stavano venendo
incontro mentre io camminavo, anzi, sbandavo e brancolavo nel buio del giardino
di casa con un foglio in mano.
Alzai lo sguardo, sentendomi sempre più
intontita, e guardai papà con odio. “Questo dovresti dirmelo tu! Sei un
bugiardo schifoso! Sei un lurido verme…” strillai, avvicinandomi verso di lui e
iniziando a colpirlo debolmente con calci e pugni, per quello che la mia parte
razionale ancora lucida mi permetteva di fare.
“Sabrina, ma sei pazza?” disse mamma,
allontanandomi da papà.
“No, è tuo marito che è pazzo! Sei un falso!
Come hai potuto! Ci hai fatto credere che amavi solo la mamma, e invece… Ora
capisco tutto!” continuai a strillare, brandendo il foglio come se fosse
un’arma particolarmente letale e allo stesso tempo causa di grandi sofferenze, mentre
papà mi guardava confuso e cercava di calmarmi.
“Tesoro, ma cosa dici…? Hai bevuto?”
domandò, avvicinandosi e mettendomi una mano in fronte come per vedere se fossi
febbricitante.
Non risposi, continuando a guardarlo in
cagnesco, mentre mamma mi toglieva il foglio da mano, decisa a scoprire
qualcosa in più, e iniziava a leggere ad alta voce.
“Lasciatela in pace, ora vediamo cos’è che
l’ha sconvolta, magari una articolo di giornale” propose, cercando di restare
calma. “Allora… Caro Cristian”.
A quelle parole l’attenzione salì a mille,
mentre io continuavo a guardare papà con odio. “Mi dispiace dirti che in questi giorni ti ho messo delle sorte di spie
alle calcagna per sapere delle cose in più su di te, cerca di comprendermi, ci
siamo incontrati dopo ventotto anni e ogni volta che ci vediamo mi sembra di
sapere sempre troppo poco sul tuo conto. E, stanotte, uno di loro mi ha
mostrato una foto in cui balli con la figlia dei Romani, Sabrina. Non va bene,
ed ora ti spiego il perché”.
Eco perché la sera prima, mentre ballavamo,
avevo avuto l’impressione di essere osservata. Ci stavano spiando.
Mano a mano che mamma leggeva il suo
cipiglio diventava sempre più curioso, proprio come succedeva a papà e
Gabriele. “Ti ho invitato a casa oggi, ma
non so se riuscirò a dirti la verità, per cui te la scrivo via e-mail per
essere sicura di avvertirti in tempo. Vedi, c’è un motivo per cui ti ho inviato
a casa Romani, un motivo per cui ti ho consigliato Debora come insegnante di
inglese. Sai che in venti anni di carcere mi sono ammalata e aspetto il
trapianto di fegato da mesi, per cui volevo il meglio per te. E con questo
intendo dire che speravo che la famiglia di Debora si sarebbe presa cura di te
se io dovessi morire, perché… Perché c’è un motivo per cui sono andata in
carcere, c’è un motivo per cui rivolevo a tutti i costi Andrea Romani tutto per
me. Lo rivolevo perché mi ero resa conto, dopo anni di distanza, di rivolerti
al mio fianco e volevo crescerti insieme a tuo padre. E credo proprio che tuo
padre sia lui, Cristian”. Le parole le morirono in gola e sbiancò,
guardando mio padre con un’aria da svenimento.
E lui invece fece un’espressione stupita.
“Ma è uno scherzo!” esclamò, indietreggiando.
“Non credo” biascicò mamma, mettendosi una
mano sul cuore. “Oddio”. Respirava a fatica ed io la feci appoggiare addosso a
me, mentre ormai non ero più la sola a guardare papà in cagnesco.
Gabriele prese la situazione sotto controllo
e riprese a leggere il foglio, cercando di restare lucido suo malgrado, e
proseguì a leggere con voce tremante. “Siamo
stati insieme per un po’ prima che lui si mettesse con Debora, ed io scoprii di
essere incinta dopo che ci lasciammo. Nessuno sa della mia gravidanza, infatti
in quel periodo non mi mostrai in pubblico proprio perché non volevo far
parlare i giornali su di me e soprattutto che Andrea lo venisse a sapere. Ero
giovane, e avevo deciso di darti alla luce per poi farti adottare visto che
sapevo di non saper essere una buona madre. Perciò, non devi affezionarti a Sabrina,
ricorda che è tua sorella sanguigna e non puoi permetterti di innamorarti di
lei. Poi spero ne parleremo meglio dal vivo, Cristian. Scusami. Non avercela
con Andrea, lui non sa nulla. Ma sappi che tutti i miei sbagli li ho commessi solo per il tuo bene.
Con affetto, mamma. L’e-mail proviene da irenemassa@mail.it”.
Ormai mamma sembrava priva di sensi, bianca
come un cencio, gli occhi prima socchiusi, poi dilatati, il solo udire quel
nome parve riempire il suo corpo di un veleno corrosivo, e si accasciò sul
prato che ci circondava. Il suo sguardo sembrava perso nel vuoto, e
probabilmente sapevo a cosa stava pensando: tutte le sofferenze e i momenti di
buio che aveva vissuto a causa di quella Irene Massa, ormai confermata come
madre del ragazzo di cui mi ero innamorata. Mio fratello. Il solo pensarlo mi
fece rabbrividire, era una cosa incestuosa!
“Ora capisci? E’ mio fratello! Ed io l’ho
baciato! E tu…” strillai ancora, senza riuscire a calmarmi e motivata ancora di
più allo stato di shock di mia madre. Gabriele cercò di bloccarmi, sempre più
intontito.
“Sabrina, smettila, lui non è mio figlio!”
esclamò papà, turbato e sudando freddo. “Non è possibile…”. Si avvicinò a mamma
e iniziò a scuoterla con decisione. “Debora, guardami! Sistemerò tutto, è un
malinteso, Cristian non è mio figlio! Sai con quanta gente è stata Irene dopo
di me, all’epoca?”.
“Che ne sai tu?” sbottò mamma, addolorata,
con una voce cinica al massimo. “Io… Non ho parole… Credevo che la tua famiglia
fossimo noi e invece….”. Abbassò lo sguardo e lo respinse mentre continuava a
cercare di stringerla a sé con una sorta di disperazione.
Mi voltai verso Gabriele e l’unica cosa che
gli riuscì di fare fu mettermi una mano sulla spalla, cercando di celare tutte
le emozioni che stava provando senza successo.
“Abbiamo un fratello, ti rendi conto? Il
passato di papà ci perseguita” sussurrò, come se fosse in trance.
“Mi rendo conto! Sono pazza, non c’è altra
soluzione, io… Come ho fatto ad innamorarmene? Non posso! Mi sento un mostro!”
biascicai, buttandomi a mia volta a terra.
Ecco perché Cristian aveva lo stesso colore
di occhi di papà, della stessa sfumatura color miele. Ecco perché avevamo otto
anni di differenza. Papà dopotutto era stato fidanzato con mamma per sei anni
ed si era lasciato con Irene da circa un anno e mezzo prima di mettersi con
lei. Ora tutto tornava, e io mi sentivo stupida per non averci pensato. Ma
quale mente contorta può arrivare a una simile soluzione?
“Andrea, io devo andare da Irene. Basta.
Credevo che il carcere le sarebbe bastato e invece… E’ anche colpa tua, anzi, soprattutto tua, se siamo in questa
situazione! Lasciami stare!” urlò mamma, spingendo con forza papà che cercava
di farla ragionare, ed io subito fui al suo seguito.
“Mi dici come facevo a saperlo io? E poi, ti
ripeto, non è mio figlio e basta!”
continuò a urlare papà mentre ci allontanavamo.
Eravamo quasi vicine al garage quando ci
bloccammo, prese dalla visione da coloro che ci stavano davanti.
L’avevo vista mille volte sui giornali, ma
dal vivo era ancora più terrificante. Nonostante i 48 anni e la malattia, Irene
Massa, accanto a suo figlio, sembrava una di quelle streghe dei film maledettamente
affascinanti, con i capelli biondi e un
po’ bianchi avvolti in una crocchia, un abito indaco lungo quasi fino ai piedi
e le mani sottili, magre e fin troppo lunghe. Ci guardava decisa, e il suo
sguardo parve risentito ma allo stesso tempo colpito quando, alle nostre
spalle, scorse papà e la sua fotocopia genetica alias Gabriele.
“A quanto pare il tuo passatempo preferito
resta comunque rovinarci l’esistenza” sbraitò freddamente mamma, mentre io
afferravo la sua mano e guardavo Cristian che esibiva un’espressione quasi
maledetta.
“No. I guai che vi ho creato esistono solo
perché cercavo di proteggere l’unica creatura che abbia mai amato sul serio
nonostante non ne conoscessi volto e aspetto. Credo che tu mi possa capire, no,
Miss Bontà?” rispose tranquillamente Irene, facendo segno con il capo verso
Cristian, che girò lo sguardo altrove, cercando di celare i suoi occhi rossi e
gonfi.
“L’hai amato così tanto che l’hai
abbandonato, che brava” ribattè papà, avanzando.
Era ufficiale, il mio mondo e la mia
famiglia erano decisamente sconvolti. E la mia certezza di aver trovato l’amore
scomparve dopo nemmeno ventiquattr’ore, certa che se le cose sarebbero
continuate così non mi sarebbe rimasta nemmeno una famiglia da amare.
Continua...
Milly’s Space:
Giuro che sono la prima ad essere sconvolta,
non odiatemi!
Oh, che maleducata, scusate. Non vi ho
nemmeno salutato. Ciao ragazze, come state? Tutto bene? Spero che questa iper
notizia non vi abbia sconvolto così tanto da rovinarvi la giornata (ma quanto
sono egocentrica?! -.-‘).
Era strano che in questa ultima parte di
questa piccola “saga” non cacciavo una delle mie “beautifulate” (ma che termine
è?! xD) non trovate?
E così, Irene torna a rompere. Scommetto che
non vi è proprio mancata! Ormai malata di fegato, ha deciso di essere sincera
con Cristian e la povera Sabrina è in totale crisi perché scopre di essersi innamorata
di un suo probabile fratello. Non vorrei essere nei suoi panni.
Ma dite che ho esagerato al riguardo?
Comunque, grazie alle 22 persone che hanno
messo la storia tra i preferiti e le 12 che l’hanno messa tra le storie
seguite. E, ovviamente, a coloro che hanno recensito:
CriCri88: Si, la scelta di Cam per Marco mi
è stata suggerita dalla mitica vero15star e non poteva darmi un consiglio
migliore, eheh! Intanto ha detto a Titti che mollerà Verena per lei… E Cristian
che si incarta anche secondo me è adorabile, nonostante la sua età molto matura
riesce ad essere ragazzino anche in questo. Spero solo che non mi manderai
mille maledizioni per l’accaduto di questo cap! (*incorcia le dita*) Un
bacione!
lillay: Si, dolce Cristian, vero? Purtroppo
che ora c’è in mezzo questo fatto che probabilmente è il fratello di Sabrina… La
scusa del gioco la volevo mettere da secoli in una fic, e questa mi è sembrata
la più adatta! E riguardo Irene, avevi intuito qualcosa di giusto, brava! Un bacione!
piaciuque: E chi non morirebbe vedendo al
foto di uno come Cam?! Hai tutta la mia comprensione, eheh! Mi fa piacere che
le foto ti sembrano azzeccate, e spero che anche questo cap ti sia piaciuto! Un
bacio.
Angel Texas Ranger: Millynula? Mi piazeee,
sisi ^^ xD Coomuqnue… Anche a me “Blu profondo” è piaciuto quando l’ho visto,
due Natali fa, anche se alcune scene erano un po’ troppo per una fifona come me
e il finale mi ha lasciato un po’…. delusa, ecco. Ma è bello sapere che i
capitoli continuano a paicerti, sul serio *_* Un bacione!
Riguardo la foto di Deb, mi dispiace ma devo
ancora trovare un’attrice adatta per lei. E’ che ormai ci sono così affezionata
che la considero una persona esistente sul serio e quindi impossibile da
imitare. E’ una pazzia, lo so.
Purtroppo, l’ottavo capitolo e i seguenti
sono ancora da scrivere, sigh, quindi non so quando aggiornerò, ma sappiate che
prima o poi lo farò… Speriamo più prima che poi, certo xD
E dopo questa bellissima battuta, vi saluto donzelle!
milly92.
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Capitolo 8 *** La Notte Degli Imbrogli ***
La Notte Degli Imbrogli
“E' una bella
prigione , il mondo”.
Shakespeare , “Amleto”
Capitolo 8
La Notte Degli
Imbrogli
La luna illuminava il viso perlaceo di
Irene, rendendolo ancora più bianco e smorto, sempre più terribilmente
inquietante. Se avessi seguito il mio primo istinto, probabilmente si sarebbe
ripetuta la scena di poco prima- quella in cui cercavo di colpire stupidamente
mio padre- con l’unica differenza che il soggetto che avrebbe subito le mie
azioni sarebbe stata proprio la donna avanti a me, che al momento appariva così
fragile e priva di forze. Ma mi bastò vedere il modo in cui la guardò Cristian
per provare uno strano senso di paura nei suoi confronti, un modo strano, sia
di completa sottomissione che disapprovazione misto a voglia di essere in tutti
i posti del mondo tranne che lì.
Tuttavia, dato che cercavo in tutti i modi
di riuscire a respirare per bene e a cercare di non ricordare i momenti intimi
passati con Cristian ogni volta che lo guardavo, decisi di dire qualcosa,
qualsiasi cosa che potesse aiutarmi a sentirmi meglio. “C-Come fa a sapere che
Cristian è sul serio nostro fratello? Onestamente non mi va di rovinarmi la
vita a causa di una sua semplice supposizione” sussurrai, ma in contrasto a
tutto il silenzio che si era formato probabilmente tutti mi avrebbero sentito
anche se avessi solo pensato quella domanda.
Irene incrociò le braccia, e, cosa assurda,
rise. “Mi fai tenerezza Sabrina, sei tutta tua madre”.
“Allora è per questo che sta cercando di
scombussolare di nuovo la nostra vita? Per colpire me solo perché somiglio a
mia madre e non ce la fa più a combattere con una persona della sua stessa
stazza, scegliendo come compromesso di prendersela con chi è più piccolo di lei?
Perché diavolo questa storia assurda è uscita fuori solo dopo che ha visto che
Cristian usciva con me?” urlai, sentendo la rabbia montare di mille e più
tacche dentro di me. Per anni avevo sentito racconti crudeli su quella Irene,
ma al momento sentivo che i miei genitori erano stati molto garbati quando mi
parlavano di lei, non avevano reso in tutto e per tutto il concetto della sua
perfidia capace di emergere con un solo minimo battito di ciglia.
Di lei sapevo che era una ex fidanzata papà,
ex giornalista per una rivista di cronaca rosa, ballerina e con decine di ruoli
svolti nel mondo della tv, e che da quando aveva saputo dell’inizio della
storia tra i miei genitori aveva iniziato a rompere le scatole, citando spesso
papà come l’uomo più sexy del momento e cose simili nei suoi articoli, finchè,
quando papà poco prima di sposarsi con mamma accettò di partecipare ad un
reality, arrivò al punto di iscriversi nel cast a sua volta per stargli alle
calcagna, approfittando del fatto che avrebbero vissuto insieme ventiquattro
ore su ventiquattro. E fu proprio in quell’occasione che, con l’aiuto del ex
manager innamorato di mia madre, Alberto Morelli, drogò mio padre e tutta
Italia vide delle scene in cui lui tradiva la mamma con lei a causa di ciò.
Purtroppo le cose non andarono come previsto da Irene e pochi minuti dopo mio
padre reagì male alla sostanza e andò in coma. Solo Dio sa le pene che mia
madre passò dopo tutto quel caos, e alla fine riuscì ad incastrare sia Irene
che Alberto, e quest’ultimo morì quando mamma era incinta di Gabriele,
suicidandosi in carcere. Si, perché alla fine, anche se papà si era risvegliato
dopo circa un mese e mezzo, per loro due il carcere era una cosa ovvia da
scontare, anzi, per me erano stati graziati.
Per cui, memore di ciò più della nuova
notizia, il mio stomaco si attorcigliò per la rabbia.
“Ecco un’altra cosa che hai in comunque con
tua madre, mocciosa. Credi che il mondo ce l’abbia con te, che tutti non
abbiano niente da fare tranne tramare contro di te” continuò imperterrita
Irene.
“Non ti permettere di parlare così a mia
figlia!” strillò mamma, avanzando verso di lei e fronteggiandola.
“Appunto” aggiunse papà, avvicinandosi. “Sei
così ridicola ormai, Irene, non sai più cosa inventarti per…”.
“Io non sto inventando nulla. Cristian non è
frutto della mia immaginazione, sai?” disse sarcastica, indicando il figlio che
ormai seguiva il battibecco guardando in tutte le direzioni tranne verso di me.
“Se ricordi bene, una sera di quasi ventinove anni fa venni a casa tua, quella
casa che condividevi con gli altri tre, sotto tuo invito. Era Halloween e mi
avevi chiesto di presentarmi con un costume seducente, ricordi? E di certo non
disprezzasti il costume da scolaretta sexy che avevo indossato, peccato che ti
dimenticasti di comprare i pr…”.
Schiaff.
Tonf.
Io e mamma ci guardammo sconvolte mentre
Irene se ne stava a terra e Cristian cercava di aiutarla a rialzarsi. Papà
sembrava essere in una sorta di trance e Gabriele era quasi arrossito, anche se
teneva la bocca semi aperta.
“Sai da quanti anni avevo voglia di darti
uno schiaffo?” disse mamma con una voce stranamente tranquilla.
Io invece avevo spinto quell’arpia, non
potendone più di quelle parole quasi indemoniate, ragion per cui si ritrovava
per terra. Non credevo che sarebbe caduta, mi era sembrato di spingere un
rametto di un albero.
“Ma che razza di modi”.
Alzai lo sguardo e guardai Cristian
incredula. “Che cosa? Fammi capire, te la stavi godendo mentre tua madre
raccontava un episodio di secoli fa con un tono così…”.
“Taci” mi interruppe, amareggiato. Mi guardò
per la prima volta negli occhi, e vi lessi uno strano sguardo carico di parole
che, tuttavia, non riuscivo ad interpretare. Invece agli innamorati bastava
guardarsi un secondo per comprendersi, ecco il segno che non potevamo stare
insieme. “Io vado un attimo in bagno se permettete” aggiunse, ed entrò nella
dependance, mentre Irene a stento riusciva a stare in equilibrio dopo essersi
rialzata.
“Soddisfatte?” ci chiese in segno di sfida, con odio.
“Certo che no. Sei stata fortunata,
sgualdrina che non sei altro. Anche se tutta questa storia è vera tu non ami
tuo figlio, tu ami ciò che rappresenta! Non potevi dirlo ad Andrea subito? Non
potevi evitare tutta questa messa in scena? Non lo ami e basta, è solo uno dei
tuoi giochetti per complicarci la vita” constatò.
“Pensala come vuoi. Fatto sta che la realtà
non si può eludere. Lui non può stare con Sabrina…” dedusse, in un modo che mi
fece venire i nervi. Sembrava quasi che ci godesse e ciò mi irritava ancora di
più.
“Quindi, fammi capire, ti sei resa conto di
dover dire la verità a Cristian dopo soli ventotto anni solo perché hai visto
che stava instaurando un rapporto con Sabrina?” chiese papà, ridendole quasi in
faccia.
Se per tutta la discussione era rimasto
zitto, ora sembrava voler cacciare fuori tutto ciò che si era trattenuto dal
dire durante le spiegazioni. Sorrideva sarcastico, ed era avanzato pericolosamente,
trovandosi quasi faccia a faccia con Irene.
Ella parve abbassare la guardia per un
secondo, poi fece un piccolo cenno di dissenso. “Già da tempo dovevo dire
questa cosa a Cristian, ma la sua vicinanza con Sabrina mi ha convinto ancora
di più a darmi una mossa. Dopotutto sto aspettando un trapianto di fegato e…”.
“E niente, non ci impietosirai facendo la
parte della malata terminale” esclamai, incrociando le braccia e guardandola
con l’espressione più odiosa che avevo nel mio repertorio. Passare dal darle il
lei ad usare il tu era una cosa ovvia, per me. Il lei si da per rispetto, e al
momento quell’arpia ossigenata e malevola meritava meno rispetto di una zanzara
fastidiosa e particolarmente ronzante.
Irene sbuffò ed indietreggiò, facendo una
risata fredda e priva d’allegria. “Credo che la mia presenza qui sia inutile,
la verità ve l’ho detta. Vedete voi cosa volete fare….”.
“Ma quale verità?” chiese papà incredulo.
“Io non dirò che Cristian è mio figlio prima di aver avuto la prova che lo è
sul serio. Mi sembra troppo strano che questa storia spunti fuori dopo quasi
trent’anni, e conoscendoti c’è qualcosa dietro”.
Mamma annuì, e per la prima volta
dall’inizio di quella discussione gli si avvicinò e gli strinse un braccio,
facendo comprendere che condivideva le sue parole. “Infatti. Domani andate a
fare il test di paternità e vediamo” disse mamma.
“Come vuoi, ma per me dovresti fidarti.
Avete gli stessi occhi…” tentò Irene, come se volesse fingere di essersela
presa per la mancanza di fiducia.
“Non mi sembra di avere chissà quali
particolari occhi. Guarda, Gabriele è mio figlio ed è la mai fotocopia
genetica” ribattè papà, indicando mio fratello, quello con ero certa di essere
imparentata, che se ne stava un po’ isolato ad ascoltare la discussione.
“Buon per lui, almeno non ha preso da quella
vipera di tua moglie” dedusse lei, e si allontanò, camminando lentamente.
Quindi, matematicamente parlando, quella era
un’offesa sia verso mia madre che verso di me, che le assomigliavo molto.
“Calma, Sabri, domani ci occuperemo di
questa faccenda” sussurrò mamma, con gli occhi lucidi, trattenendomi per una
spalla quando feci per andarle incontro.
In pochi istanti Irene scomparve,
inghiottita dal buio.
“Io credo che dovremmo andare a casa e
cercare di dormirci su, poi…” sussurrò papà, pallido, ma io lo interruppi.
“Ma come fai? Io non ho mai avuto meno
voglia di dormire in vita mia… vado nella dependance” decisi, quando in realtà
avevo voglia di gettarmi tra le loro braccia e sentirmi dire che sarebbe andato
tutto bene, che non era niente vero, che avrei potuto continuare a frequentarmi
con Cristian.
Cristian. Cristian, il figlio della donna
che più odiavo al mondo. Sembrava una maledizione. Se poi ci aggiungevamo il
fatto che probabilmente era mio fratello… Il solo pensiero sembrò farmi
congelare.
Entrai nella dependance ed ero diretta verso
la mia stanza quando sentì un braccio afferrarmi e condurmi repentinamente nel
soggiorno.
Trattenni il respiro quando mi ritrovai lo
sguardo di Cristian fisso su di me. Le sue iridi color miele sembravano emanare
uno scintillio e il mio cuore erse un battito. Nel frattempo, il mio stomaco si
contraeva dolorosamente: non potevo più permettermi di provare quelle
sensazioni, dannazione, non dopo la rivelazione shock di poco fa.
“Cristian, l-lasciami” sussurrai, quando
circa il 75% del mio cervello voleva stringerlo
a me. Mi sembrava impossibile che solo la mattina prima ci eravamo
baciati in garage come due adolescenti spensierati e pazzi l’uno dell’altra.
Mi aveva afferrato per un polso e sembrava particolarmente
deciso. “Tu hai stampato la mie e-mail. Hai spiato il mio computer” disse.
Rabbrividii. “Si. L’ho fatto, ok? Non ti eri
fatto vivo, non sapevo dov’eri, io… Io non sapevo la verità, volevo solo sapere
se pensavi ad un’altra…”. Arrossii di botto e abbassai lo sguardo.
Cristian sospirò e dallo stringermi il polso
scese verso la mano. “E’ stato un gesto… Carino. Insomma, vuol dire che
qualcosa te n’è fregato ma… Scusami se ti ho staccato le chiamate ma non… Cazzo,
mi sto impappinando” sbuffò, e si allontanò da me, facendosi aria e sedendosi
sul divano.
“Cosa…?” domandai, ancora appiattita contro
il muro. “Insomma, parla! Dimmi qualcosa! Forse siamo fratelli e…”.
“Ancora l’hai capito? Mi sa proprio che io e
te al momento siamo solo vittime di un progetto di quella stronza di mia madre,
sempre se si può definire tale!” urlò lui, non potendone più, rosso in viso.
Feci un passo indietro, senza capire.
“Che cosa?” domandai.
Lui si avvicinò, e iniziò a parlare a raffica,
con una gestualità che sfociava nella più sensuale sensualità.
“Allora, io cresco in un orfanatrofio e
nessuno se ne frega di me. Faccio i salti mortali per riuscire a diplomarmi, e
il doppio per poter vincere una borsa di studio e laurearmi. In tutto questo ho
sempre vissuto da solo, ce l’ho fatta con le mie forze e poi, a ventotto anni,
dopo che sono riuscito a trovare un posto di lavoro decente, ecco che spunta la
mia madre naturale, un ex carcerata malata. Non credo proprio che si sia
ricongiunta a me come ultimo desiderio prima di morire, e nemmeno che mi abbia
mandato da voi per il mio bene. Secondo me vuole un aiuto economico per pagarsi
qualcosa come farmaci e specialisti, tutto qui” disse infine. Aveva parlato
molto velocemente, con un sarcasmo palese, ma nonostante tutto era riuscito a
imprimere ogni singola sillaba nel mio cervello, senza tralasciarne alcuna.
Lo guardai stupita. “Tu credi?” chiesi poi.
“Ne sono più che sicuro. Senti, io devo
togliermi questo dubbio…”.
“Domani farai il test di paternità con mio
padre” dissi subito.
Lui fece un piccolo cenno. “Ok, ma sappi che
se… Insomma, le parole di quella sono
vere, non mi vedrai per un bel po’” decretò, girandosi, per darmi le spalle con
la scusa di guardare fuori dalla finestra. “Non ce la farai a starti vicino
sapendo di essere tuo fratello, impazzirei” sussurrò.
Quelle parole avrebbero dovuto farmi rendere
conto della realtà, che era impossibile e inutile stargli ancora così vicina,
ma non ce la feci più e mi avvicinai a lui, stringendolo a me da dietro,
appoggiandomi contro le sue spalle larghe e così perfette. Lo sentii
irrigidirsi, ma non si mosse, non mi respinse.
“Se vuoi posso andarmene io, è la stessa
cosa. Mi faccio schifo da sola ma non ce la faccio a starti vicino se,
insomma…” iniziai, ma mi zittii perché Cristian si era girato e al momento mi
stava abbracciando, circondandomi e avvolgendomi completamente con le sue
braccia invitanti.
Sentivo il battito del suo cuore accelerare
in un modo assurdo, proprio come il mio, e non so per quanto tempo restammo
così.
Quando ci staccammo sentivo il fiato
mancarmi, e ciò era un po’ una contraddizione visto che stare tra le sue
braccia mi aveva donato una sensazione di pace che non speravo di poter provare
per i prossimi vent’anni.
Ma non so perché, dopo quell’azione, non
riuscimmo guardarci negli occhi.
“Credo che andrò a casa, mamma starà
malissimo” sussurrai, mentre mi voltavo.
“Fai bene, ciao” rispose lui, mentre
prendeva posto sul divano.
Il mio cervello rischiava di scoppiare tante
erano le sensazioni che stavo provando, a tal punto che per un istante mi parve
di essere vuota, libera da ogni fardello a causa di tutto quel miscuglio.
Quando entrai in casa trovai la mia famiglia
seduta attorno al tavolo della cucina davanti una tazza di camomilla fumante.
Se ne stavano tutti zitti, così presi un respiro e mi decisi a parlare.
“Cristian pensa che sia tutto uno
stratagemma di Irene per ottenere i soldi per curarsi dalla malattia o per
pagare i medici” buttai lì, sedendomi vicino a Gabriele e rifiutando una tazza
di camomilla.
“Ci abbiamo pensato pure noi” rispose papà.
“Sabrina” aggiunse poi, “Stavo giusto rivangando un po’ il passato per cercare
di scoprire se ci sono possibilità minime che Cristian sia mio figlio. Sai
quand’è nato?” domandò.
“Il 5 agosto 2010 (*)” risposi automaticamente. Me l’aveva detto qualche settimana
prima, non ricordo a proposito di cosa.
Papà fece una faccia un po’ sconvolta. Contò
sulle dita innumerevoli volte ma mamma lo precedette, afflitta. “Se quella storia
a luci rosse circa la sera di Halloween è vera, probabilmente Cristian può
essere tuo figlio visto che è nato proprio circa nove mesi dopo” disse,
accasciandosi contro lo schienale della sedia.
“Ma il giorno dopo ci siamo lasciati, chi mi
dice che…”.
“Domani sapremo la verità e basta. Io mi
pendo un bel sonnifero e vado a dormire, non ce la faccio” lo interruppe lei, e
la vidi allontanarsi, salendo le scale che conducevano al secondo piano con un
piccolo tremore. Stava singhiozzando.
Papà parve riprendersi da un piccolo shock e
corse verso di lei, così restai da sola in cucina con Gabriele. Non facevamo
altro che guardarci senza dire nulla, così, non potendone più, andai nella mia
stanza e fui sorpresa di trovarvi papà seduto sul mio letto, con il capo tra le
mani.
“Papà?” domandai, con voce incerta.
Lui alzò lo sguardo e fece un sorriso
triste. “Vieni qui” sussurrò, facendo segno su una parte del materasso accanto
a sé, così ubbidii e appena presi posto mi strinse a sé. “Sabri non sai quante
cose ti vorrei dire” mormorò, respirando con aria grave.
“Sono qui” dissi, sapendo che facendo la
sarcastica o cose simili avrei solo peggiorato la situazione.
“Riguardo stamattina, quando ti ho vista nel
garage con Cristian, scusami, so che non dovevo reagire così, so che sei grande
e che hai tutti i diritti di avere una tua vita privata, ma mettiti nei miei
panni, ti amo come tutti i padri amano le loro figlie e vedere che Cristian
riusciva a renderti felice più di me in un certo senso mi ingelosiva. E
riguardo Irene… Ognuno di noi ha commesso i propri sbagli. Tu pensi di aver
commesso uno sbaglio in vita tua? C’è qualcosa di cui ti sei pentita?” domandò,
non con interesse bensì con un modo deciso, quasi come se volesse condurmi a
fare un certo ragionamento.
Ci ragionai un po’ su, mentre mi allontanavo
dalla presa di papà. “Essermi messa con Brando anni fa, forse” mormorai.
“Ecco.
Quella è la stessa cosa che è
successa a me”. Lui respirò e mi guardò negli
occhi. “Ammetto di aver avuto un
discreto numero di ragazze nella mia vita, sai che per un po’
sono stato anche
con Rossella, ma dopo l’esperienza di Music’s Planet tutto
è cambiato. Lì ho
conosciuto tua madre, e per tre anni ho cercato solo di divertirmi per
non
pensare a lei, dato che tra noi non c’erano stati altro che
teneri baci.
Cercavo nuove emozioni, per dirmi che il mondo andava oltre ciò
che mi avrebbe
potuto offrire Debora, e nel frattempo vedevo un numero sempre
più vasto di
ragazze famose o giù di lì farmi la corte. Ed è
lì che è giunta Irene… Era la più
bella di tutte, certo, e ammetto che per un po’ siamo stati
insieme solo per
vantarci con i nostri conoscenti, io per dire di stare con una bella ragazza, apparentemente
perfetta, lei per dire che era riuscita ad abbordare il sex simbol di una boy
band sempre più famosa. Ma non ci conoscevamo, non avevamo nulla in comune, e
alla fine ci siamo lasciati. Dopo di lei c’è stata qualcun’altra, ma è inutile
dire che ho ricominciato tutto da capo quando ho rivisto tua madre dopo tre
anni. Sai, forse è ciò che è accaduto a te e a Cristian, nonostante lui sia
grande ha scelto te e…”.
“Papà, ma ti rendi conto che mi sono
innamorata del mio forse fratello?”
lo interruppi, esasperata.
Lui si zittì e sospirò. “Credimi, Sabri, voi
non siete fratelli. Irene non può essere rimasta incinta dopo che ci siamo
lasciati, ci teneva a me come suo rappresentante nel mondo della tv e non
avrebbe esitato a usare una gravidanza per incastrarmi” sussurrò, per
convincere più se stesso che me, forse.
Feci un piccolo cenno e lo riabbracciai. “Ma
se non è così? Io… Non ce la farei, impazzirei, anche se ormai sono sulla buona
strada…”.
“Shh, ora non ci devi pensare. Voglio solo
che tu mi comprenda, piccola, e che non ce l’abbia con me. Vederti così
paonazza nei miei confronti mi ha fatto davvero male, prima” mi spiegò quando
ci separammo nuovamente.
Abbassai lo sguardo, poco fiera di me per la
sfuriata di poco prima. “Scusami, ma mettiti nei miei panni…”.
“Lo so e ti capisco, tranquilla. Ora vado da
mamma, non voglio lasciarla sola, non vuole più prendere il sonnifero” dichiarò,
mi diede un bacio sulla tempia e uscì.
Dal canto mio, mi buttai sul letto con fare
esausto. La voglia di dormire ovviamente non c’era, ma nonostante tutto spensi
la luce e mi infilai sotto le coperte per la temperatura un po’ bassa
nonostante non fosse ancora iniziato ottobre, vestita di tutto punto.
Il mio cervello sembrava un treno, correva
da un pensiero all’altro in un modo troppo veloce senza che me ne rendessi
conto, e lasciai vagare gli orribili pensieri che mi attanagliavano finchè non
restai tra il sonno e la veglia, molte ore dopo.
Sentivo qualcosa di caldo al mio fianco che
mi stringeva per la vita, e, ancora mezza assonnata, mi parve di vedere
Gabriele. Mi voltai finchè lui non sussultò.
“Ti ho svegliata?”.
Sobbalzai udendo quella voce, e dopo essermi
stropicciata gli occhi vidi che quello non era Gabriele, bensì Cristian, con i
capelli scompigliati e un’espressione di scuse.
“Che ci fai qui?” chiesi con un tono acuto,
nonostante stessi quasi sussurrando.
“Scusami, è che verso l’una sono venuto qui
e ho parlato un po’ con Andrea che se ne stava ancora sveglio e mi ha
autorizzato a dormire da te visto che non volevo tornare nella dependance”
rispose, guardandomi grazie alle fioca luce che proveniva dalla finestra.
Sorrisi a quel pensiero. Che dolce che era
stato papà, gli aveva permesso di starmi vicino prima di sapere la verità che
forse ci avrebbe divisi per sempre.
“Ah. Comunque non stavo dormendo, credo, ero
in una sorta di veglia”.
Cademmo in un silenzio imbarazzato, e ci
guardammo con uno sguardo capace di trasmettere il significato di quel
silenzio. In confronto a quando, ore prima, stava al fianco di Irene e mi
sembrava di non comprendere le parole che voleva esprimere con il solo sguardo,
ora eravamo in perfetta sintonia.
“Quante cose vorrei dirti…” mormorò,
accarezzandomi il viso con lentezza.
“E allora dimmele” lo incitai, quando non
chiedevo altro che poter stringermi a lui e riassaggiare il dolce sapore delle
sue labbra. Pensare che circa ventiquattr’ore prima ce ne stavamo nella casetta
sull’albero, stretti l’uno all’altra, mi sembrava impossibile.
Ma lui scosse il capo, mordendosi il labbro
in un modo che mi fece venire la pelle d’oca. “Ora no. Te lo dirò domani, dopo…
Dopo il test”.
Quelle parole mi fecero aprire una voragine
nello stomaco, incolmabile, profonda, densa. La consapevolezza di non
innamorarmi più nella mia vita se non potevo stare con lui mi travolse come una
marea e fu così che mi ci gettai letteralmente addosso, stringendolo a me con
una forza che non credevo di poter possedere.
Lui, come quella sera, non si tirò indietro
e mi strinse a sua volta con un fare quasi disperato. Sentire il suo fiato
vicino al mio collo non mi aiutava affatto, stavo andando in tilt. Possibile
che una cosa ti attirava così tanto quando ti veniva negata?
“Sabri, è meglio se ci allontaniamo, sul
serio, altrimenti…” sussurrò, tuttavia ancora avvinghiato a me.
“Altrimenti…?” chiesi innocentemente, solo
per prolungare quell’abbraccio.
“Altrimenti…”. Aspettai una risposta, ma
invano, finchè non sussultai sentendo le sue labbra nei pressi del mio collo.
Restai immobile, mentre una parte di me mi
diceva di respingerlo, disgustata, e l’altra chiedeva di più.
Ma, forse proprio per opera del fato, fu un
rumore di cocci in frantumi che ci fece separare.
“Che cosa è stato?” chiesi, ma lo domandai
al nulla visto che Cristian era già scattato all’impiedi ed era uscito dalla
stanza.
Mezzo secondo dopo squillò il telefono di
casa, e no so come ebbi il tempo di vedere sull’orologio digitale che si trovava
sul mio comodino che erano le quattro e dieci del mattino.
Mi alzai di botto, impaurita, e mi diressi
nella stanza di Gabriele, da cui provenivano delle voci. Il pavimento era pieno
di frantumi del vaso preferito di mamma, bordeaux e bianco.
Trattenni il respiro vedendo che c’erano due
uomini vestiti in nero nella stanza, di fronte a Cristian, uno dei quali teneva
una siringa nei pressi del braccio di mio fratello, addormentato e beato.
L’altro invece teneva una pistola puntata contro Cristian e, subito, la puntò
poi contro di me.
“Oddio!” strillai, e cercai di fermare papà
e mamma con lo sguardo, mentre stavano entrando.
Troppo tardi. Mamma stava con il cordless in
mano e disse: “Stella e Vittoria sono scomparse! Non sono tornate a casa ieri
sera!”. Poi si bloccò, vedendo i due uomini.
Papà la imitò, mentre un’atmosfera gelata
riempiva la casa.
“Hazel, cosa fare?” chiese quello che ci
stava puntando con la pistola. Nell’udire quel nome ebbi un brivido di pura
paura.
L’altro si fermò nell’atto di usare la
siringa contro mio fratello, ancora profondamente addormentato- e la cosa mi
spaventava, come mai non si era svegliato con tutto quel trambusto?- e fece un
sorriso malefico.
“Tutto ok, calma” disse placidamente,
esibendo la sua siringa. Era di una bellezza malefica, biondo con occhi scuri
che sembravano indemoniati.
“Cosa volete fare?” chiese papà.
“Non importa a te, signore” rispose l’altro
uomo, ma Hazel lo zittì.
Si avvicinò e riprese a sorridere. “Voi fare
solo ciò che io dire a voi e basta” esclamò con una falsa mielosità che mi fece
raggelare il sangue, mentre mi maledivo per non aver scoperto cosa mi doveva
dire di così importante Vittoria e che non mi aveva detto.
Ci mancava solo questa, pensai esasperata,
mentre sentivo che quella notte non l’avrei dimenticata mai e poi mai. Sempre
se arrivavo viva all’indomani, pensai, quando l’altro uomo si avvicinò e mi
puntò dritto la pistola alla tempia ,tappandomi la bocca, impedendo al secondo urlo
gigantesco di quella serata di fuoriuscire dalle mie labbra.
Continua….
(*) Cristian è nato nel
2010 circa, se contiamo che la storia è iniziata nel 2008. Quindi,
tecnicamente, siamo circa nel 2038 se ora Debora ha 46 anni e nel 2008 ne aveva
16, si è messa con Andrea circa nel 2011, ma è solo una formalità, di certo
Sabrina&Co non sono ragazzi del futuro con robot e iper tecnologie….
Ciao girls!
Ovviamente so che l’ultimo capitolo vi ha
lasciato sconvolte, e questo probabilmente ancora di più. Siamo entrati nella
part “dark” della fic, e mi duole dover scrivere i cap aggiornamento dopo aggiornamento
visto che per la prima volta da quando pubblico le fic su Deb&Co non ho i
capitoli già scritti a causa della mancanza di tempo.
Comunque, ora scopriamo che non ho messo
Hazel in questa storia senza motivo xD Voi che idee vi siete fatte? Cristian e
Sabri sono si o no fratelli? Cosa c’è nella testa di Irene questa volta? E cosa
vuole Hazel? Lo scopriremo nel prossimo chappy ovviamente, ehehe!
Per chi non ha seguito le altre due fic e
vuole sapere qualcosa più su Irene, può andare nel mio account, nella fic “Confessions
of a future bride”, e vedere nei capitoli 11, 13,23, 24 e un po’ dal 26 in poi,
dove la sua figura è causa di tutti gli avvenimenti.
Poi, finalmente sono riuscita a trovare un’attrice
che secondo me riesce a rendere bene l’idea di Deb, ovviamente nella sua
versione ventenne…. Et voilà:
http://celebrity-pics.movieeye.com/celebrity_pictures/Mandy_Moore_694317.jpg
http://www.gossipboy.ca/wp-content/uploads/2009/09/mandy-moore-4.jpg
E
poi, ecco Gabriele:
http://img2.timeinc.net/people/i/2009/database/taylorlautner/taylor_lautner300.jpg
http://mokshatop.files.wordpress.com/2009/08/taylor-lautner-new-moon.jpg
Comunque, grazie di cuore alle 23 persone
che hanno messo al fic tra i preferiti e alle 15 che hanno messo la fic tra le
storie seguite, e a coloro che hanno recensito:
Shinalia: Grazie mille, mi fa piacere sapere
che tu abbia deciso di leggere questa storia e che ti sia piaciuta. Spero che
anche questo capitolo ti sia piaciuto! ^^
piaciuque: Ciao ^^ Eh si, diciamo che
nessuno saprebbe come comportarsi in una situazione del genere, e Cristian e
Sabrina hanno deciso di allontanarsi nel caso di una vera fratellanza. E’ bello
sapere che un cap così sconvolgente ti sia piaciuto! Grazie mille!
ElseW: Grazie mille per i complimenti, anche
se mi dispiace essere la causa di una tua momentanea pazzia xD Credimi, sono la
prima ad essere sconvolta di me stessa a delle mie idee criminali, dovete
scusarmi ma quando mi vengono queste idee non posso evitare di scriverle. Se
sono fratelli o no, beh, lo scopriremo nel prossimo cap! ^^ Ancora grazie
mille!
Angel Texas Ranger: Eh, diciamo che la prima
spiegazione me la devo dare io da sola per queste idee pazzoidi che mi ritrovo
a pensare. Mi sento profondamente in colpa per aver sconvolto tutti i lettori
con una simile trovata xD Mi fa piacere che ti sia piaciuto il modo in cui ho
descritto il tutto, però, grazie mille ^^ E la spiegazione totale ci sarà nel
prossimo cap, promesso. Un bacione!
_piccola_stella_senza_cielo_: Hai ragione, e
poi per i miei standard è una cosa assurda vedere che faccio mettere insieme i
due protagonisti dopo soli sei capitoli (tipo per fare mettere insieme Deb
e Andrea la prima volta ce ne ho messi
36) quindi era ovvio che ci fosse qualcosa sotto ^^ Per ora non sappiamo se
sono sul serio fratelli, avremo più risposte nel prossimo capitolo! Grazie
mille per la recensione^^
CriCri88: Ammetto che la tua reazione era
una di quelle che più mi incuriosiva, sai? So di essere stata diabolica, e ti ringrazio se ritieni che sia stata
geniale, mi fai arrossire ^^ In realtà già dall’inizio era nei miei scopi far
succedere questa cosa, altrimenti per i miei standard è qualcosa di assurdo far
succedere qualcosa tra i due protagonisti dopo solo sei cap, non credi? Spero
solo che mano a mano la sensazione di shock si allevierà, non voglio essere
causa di traumi xD Ti ringrazio ancora, cara, un bacione!
vero15star: Tesoro sapessi quanto mi manchi
<3 ! Spero sul serio che riusciremo a sentirci al più presto, anche se grazie
a facebook ogni tanto riusciamo a comunicare anche solo mediante un link ^^ Comunque,
Marcoplino ha fatto furore, eh si, e ti ringrazio per il suggerimento. Un
bacione enorme, ti voglio bene!
lillay: Grazie mille, è bello sapere che il
capitolo nonostante la sua tragicità xD ti sia piaciuto! Irene purtroppo quando
c’entra in qualcosa non porta mai a nulla di buono U_U Ma nel prossimo capitolo
vedremo qual è la verità, e cosa hanno in mente Hazel e l’amico…. Un bacione!
Come sempre non so quando aggiornerò visto
che il cap 9 è tutto da scrivere e già incombono le interrogazioni T_T
Un bacione a tutte, chicas!
La vostra milly92.
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Capitolo 9 *** Senza Parole ***
Senza Parole
“Io non voglio insegnarvi la vita
perché ognuno la impara da sé”
Marco Masini
Capitolo 9
Senza Parole
La sensazione di sentirmi sballottata a
destra e a sinistra diventava sempre più lucida e vivida, mano a mano che mi
sentivo sempre più cosciente. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che improvvisamente
sentivo un freddo micidiale avvolgermi le ossa, e davanti agli occhi- quando
riuscii a trovare la forza minima per riuscire ad aprirli un po’- sentivo un
qualcosa di strano che poi constatai essere i miei capelli che ricoprivano il
volto. Mano a mano la mia vista si abituò a scacciare il buio precedente, e
l’unica cosa che vidi fu una luce fioca. Ma mi sentivo le palpebre così pesanti
che l’istinto di richiuderli e tornare a dormire si faceva sempre più forte, e
le avevo già serrate nuovamente quando sentii un piccolo: “Pssst!”.
Sobbalzai, sentendo quasi quel suono
rimbombare nelle mie orecchie nonostante fosse stato appena sussurrato a causa
del mio essere intontita, e lentamente riaprii gli occhi. Quello che vidi
attorno a me mi fece ritornare mano a mano una lucida consapevolezza che avrei
preferito tenere lontana, onestamente, a causa della visione che mi si parava
davanti. Di fronte a me c’erano Stella e Vittoria tutte scarmigliate, con
indosso vestiti eleganti, con la bocca occupata da un bavaglio.
Al mio fianco sentivo qualcosa di caldo, e
quasi ebbi paura di girarmi e vedere chi fosse l’altro soggetto. Però
probabilmente già lo conoscevo senza aver bisogno di controllare; tuttavia
presi coraggio e nemmeno sussultai vedendo Gabriele appoggiato contro la mia
spalla, addormentato e con il viso quasi beato, come se stesse facendo il più
piacevole dei sogni.
Solo in quel momento notai che ero stata
imbavagliata a mia volta, e il mio sguardo divenne un misto tra paura, voglia
di sapere e incredulità.
Vittoria e Stella capirono, perché cercarono
di comunicare con lo sguardo la loro evidente preoccupazione. A ciò si aggiunse
il fatto che vidi i loro polsi legati con delle corde, e compresi che anche
quello stesso trattamento era stato riservato a me dal fatto che me li sentivo
indolenziti.
Continuavo a sentirmi sballottata, come se
stessi correndo su un cavallo, e compresi di trovarmi su un camion.
C’era una sottile parete che divideva il
retro del furgone con i posti guida, e mi accasciai contro la parete di questo,
cercando invano di slegarmi i polsi.
Vittoria scosse il capo, come a dire: “E’
inutile, ci abbiamo provato anche noi!” e in quello stesso istante il furgone
si bloccò.
Non ci capivo nulla. All’improvviso il
ricordo del momento in cui qualcuno mi puntava la pistola contro la tempia si
fece più vivido che mai, poi… Poi avevo un buio totale. Mamma aveva detto che
Stella e Vittoria non erano ritornate a casa, da quel che riuscivo a ricordare.
Ovviamente, facendo i conti, era stato Hazel a farlo insieme al suo complice,
ma cosa volevano da noi? Soldi? Era l’unica spiegazione che mi venisse in
mente.
“Psss”.
Alzai lo sguardo e vidi che Stella mi
guardava in un modo assolutamente concentrato. “Ai inta i ormire, apito? Ome se
on ti ossi ‘gliata” sussurrò, per quello che il bavaglio le permetteva di dire
mentre sentivamo dei passi scendere dal camion. Per accentuare il concetto
piegò la testa di lato e chiuse gli occhi; annuii e ubbidii, dicendomi che
darle ascolto era l’unica cosa che potevo fare non avendo nessuna idea mia dal
momento che non potevo stabile un piano non conoscendo cosa dover affrontare.
La sentii fare un verso di approvazione e
poi le porte del retro del camion si aprirono, rivelando una fioca luce da quel
che potei capire a causa delle palpebre chiuse.
Che ore erano? Erano le quattro passate
quando quegli sconosciuti erano piombati in casa mia. Improvvisamente sentii
una voglia matta di urlare al solo ricordo dei vari accaduti. E pensare che
prima di sentire quel rumore di cocci infranti io me ne stavo nel mio letto al
caldo, con Cristian che mi stringeva a sé…
Cristian…
Dov’era? Gli avevano fatto qualcosa?
E mamma e papà? Avevano chiamato la polizia?
Di certo non se ne stavano con le mani in mano, ovvio. Mi immaginai le loro
facce piene di preoccupazione… Quanti fardelli avrebbe ancora dovuto sopportare
la nostra famiglia?
Nel frattempo, i due uomini si avvicinarono,
e mi sentii sollevare da un paio di braccia forti e possenti. Avrei tanto
voluto poter dare un bel pugno a chi mi stava sorreggendo, ma contai fino a
dieci mentalmente cercando di calmarmi.
Pochi minuti dopo, mentre i passi degli
uomini riecheggiavano come se si trovassero in una sorta di chiesa, mi sentii
poggiare su qualcosa di soffice e poi udii il rumore di una porta che si
chiudeva.
“Sabri, apri gli occhi”.
Ubbidii subito, e non fui mai più contenta
di quella volta in vita mia di vedere Stella, finalmente slegata e priva di
lacci. Al suo fianco, Vittoria- con una faccia cadaverica, occhiaie bluastre e
gli occhi gonfi- mi si gettò addosso, stringendomi in un abbraccio dalla presa ferrea.
Mi aiutarono a slegarmi quando mi rizzai a
sedere per bene sul lettino su cui mi avevano stesa.
“Potete spiegarmi cosa diavolo è successo?”
chiesi a bassa voce, con una voce un po’ roca a causa dell’eccessivo silenzio.
“E dov’è Gabriele?” aggiunsi, sentendo il cuore mancare di qualche colpo quando
non lo vidi.
“Se lo sono portati, non lo so…” rispose
Stella, preoccupatissima.
“Oh, Sabri, scusami! Scusami! Non dovevo
invaghirmi di Hazel, avevi ragione, mi ha solo usato!” disse afflitta Vittoria,
con le lacrime agli occhi.
“Ma potete spiegarmi cosa diavolo è successo
stasera?” chiesi, cercando di rassicurarmi che Gab stesse bene e che a breve lo
avrebbero riportato da noi. Ci avevano slegate perché evidentemente non avevamo
via d’uscita, chiuse com’eravamo in una cella alle mura di pietra, quasi come
se appartenesse ad un vecchio castello.
Vittoria annuì prontamente. “Ricordi l’altra
volta, quando successe il casino dell’sms?”.
“Si”.
“Ecco, volevo dirti che Hazel mi aveva detto
che non gli sarebbe dispiaciuto andare a mangiare una pizza con me, qualche
volta. Poi come sai mamma lo ha licenziato, e… E ieri pomeriggio l’ho
incontrato all’uscita di scuola. Mi stava aspettando! Non sai come mi sono
sentita quando ho visto che mi stava venendo incontro. Mi ha chiesto di vederci
quella sera, così ovviamente ho accettato. Siamo usciti e…” qui si bloccò,
scacciando ulteriori lacrime.
“E…?” chiesi, decisa di saperne di più.
“Si è comportato bene, mi ha baciato, ma era
solo un pretesto per chiedermi di salire a casa sua. Come una stupida ho
accettato e… E quando sono salita ho trovato lei con l’altro, Polsk”.
Mi voltai verso di Stella, e lei annuì. “Ho
conosciuto Polsk qualche settimana fa in un locale, e ci eravamo messi
d’accordo per uscire. Era così carino, sembrava così bravo… Comunque, sono
rimasta stupita nel vedere Vittoria, ma ho capito le loro intenzioni quando ci
hanno bloccate e legate. Ci hanno fatto addormentare con dei sedativi credo,
proprio come hanno fatto con te e Gabriele. Quando ci siamo svegliate eravamo
nel furgone e poco dopo hanno portato su sia te che Gab. Non abbiamo capito
cosa vogliono, parlavano nella loro lingua…” disse, scrollando le spalle
sconsolata, e mai come in quel momento vidi una Stella ingenua, semplice, umana,
a dispetto di quella altezzosa e menefreghista di sempre.
Ci abbracciamo tutte e tre, finchè non
sentii un qualcosa vibrare vicino la mia gamba. “Cosa…?”.
Tastai, e fu con grande gioia che scoprii di
avere un cellulare in tasca. Ma non era il mio, notai con una nota di stupore,
era quello di Cristian! Come facevo ad averlo?
Ma una piccola bolla di speranza prese il
sopravvento quando vidi che mi era arrivato un sms. Era da parte del mio
numero.
Sabri,
dove sei? Sono riuscito a metterti il mio cellulare in tasca quando ti stavano
portando via. Hanno chiamato quei polacchi e hanno chiesto un riscatto di
250000 euro per liberarvi, quindi tra un po’ vi raggiungeremo, tranquille, e
pagheremo. Cristian.
Più in fretta della luce, sperando che non
venissero quei tipi e me lo sequestrassero, mi affrettai a rispondere.
Grazie
Cristian per il cellulare! Noi siamo in
una sorta di cella, ma non so dove, con noi ci sono anche Stella e Vittoria e
non so però dov’è Gab, se lo sono portati con loro. Per favore fate presto.
Spiegai brevemente la faccenda alle ragazze,
che dissero che Cristian era stato un genio, finchè non arrivò un altro sms.
Siete
nei pressi di Castel Sant’Angelo, ce l’hanno detto ora e stiamo venendo a
prendervi anche se c’è il problema dei soldi visto che speriamo che
accetteranno un assegno. Tenete duro, andrà tutto bene.
Feci un sospiro di sollievo. Non vedevo
l’ora di rivederlo, abbracciarlo, e potermene stare stretta a lui per ore. La
questione del test di paternità quasi sembrava scivolata via dalla mia mente,
onestamente, tanto era lo spavento che stavo provando.
Cristian,
non ho parole, grazie, sentirti anche solo via sms mi fa sentire meglio. Non
dimenticarti che ti voglio bene, mai.
Non potei evitare di scrivere quest’ultima
affermazione, solo che mi affrettai a riporre il cellulare nella tasca dopo
aver messo il silenzioso senza nemmeno la vibrazione quando udii dei passi
vicini. Mi stesi sul letto, e sobbalzai vedendo le facce rudi e malefiche dei
due complici mentre riportavano Gabriele nella stanza, finalmente sveglio e
cosciente.
“Tutto bene, ora venire vostri genitori,
pagare riscatto e voi libere” disse Hazel con la sua solita voce melensa e di
una falsa tranquillità tale che ti faceva venire i nervi.
“Riscatto?”. Feci finta di non sapere nulla,
ovviamente.
“Si, riscatto. Perché mai allora tu credi
che noi abbiamo rapito voi?” rispose quell’altro.
“E perché vi siete intrattenuti con mio
fratello?” chiesi.
“Mi hanno fatto parlare con mamma e papà”
sussurrò lui, con lo sguardo basso.
Feci un piccolo cenno, e da lì iniziò il
periodo dell’attesa. Stando alla ricostruzione dei fatti, quindi, Hazel e
complice ci avevano rapiti per ottenere dei soldi, quindi era ovvio che si fossero
intrufolati nelle vite di Stella e Vittoria per riuscire a raggirarle.
Ma perché tutto questo doveva succedere la
notte in cui c’era stato il casino della probabile fratellanza nostra con
Cristian in mezzo?! Quando si dice il destino…
Intanto, pensare al viso di Cristian, alla
sua premurosità, era l’unica cosa che mi facesse sentire bene e tranquilla, e
ormai che potesse essere mio fratello, beh, non me ne fregava, nel senso che se
avessi scoperto di essere sua sorella, me ne sarei andata in un’altra città pur
di non vederlo, perché ero cosciente al 100%
del fatto che vedendolo di continuo non lo avrei mai dimenticato.
Mezz’ora dopo, i due uomini ci trascinarono
fuori da quella sorta di prigione, con le pistole puntate contro di noi con
aria intimidatoria, e scoprimmo di essere state rinchiuse in una sorta di
vecchia villetta.
Inutile descrivere il tuffo al cuore che
provai quando vidi l’auto di papà da lontano. Sentii invadermi da un senso di
protezione mai visto, e strinsi forte la mano di Gabriele e quella di Vittoria.
Stella sospirò, e ci guardammo.
Probabilmente, qualcosa tra di noi era cambiato in quel minimo arco di tempo
quando venti anni non erano serviti a farci comprendere un po’ a causa delle
nostre diversità eccessive.
Mezzo minuto dopo, la macchina si avvicinò e
vidi mamma, papà e Cristian scendere, quando anche altre due macchine
parcheggiarono lì vicino, che noi non avevamo visto, anzi notato, a causa della
forte gioia. Da una uscirono zia Eva e zio Giuseppe, dall’altra Niko e Eliana.
Io e Cristian ci guardammo in un modo mai
visto prima, quasi con una sorta di felicità repressa e lui mi sorrise. In quel
momento mi sentii le gambe tremare, e avrei dato chissà che cosa per poterlo
stringere a me.
Subito Hazel e Polsk puntarono loro le
pistole contro, e vidi papà alzare le mani.
“Va bene l’assegno? Potete controllare”
disse, con voce alta e lenta, per far comprendere bene le sue intenzioni. Anche
lui aveva una faccia da funerale, bianca come la cera e lacerata dalla
preoccupazione.
“Ma certo, signore. Noi sapere che tu ricco
e onesto” disse Hazel, sorridendo in un modo beffardo. Vidi zio Giuseppe
guardarlo con odio, e potevo comprenderlo: probabilmente si stava anche
rimproverando per averlo fatto entrare in casa sua come operaio…
Polsk porse la mano in avanti per prendere
l’assegno. “Sai che se tu chiamato polizia noi…”.
“Noi sapere, si, ora però ridacci i nostri
figli” s’intromise mamma, impaziente e schernendolo contemporaneamente.
“Ogni suo desiderio è ordine” mormorò Hazel,
dopo che Polsk ebbe preso l’assegno e controllato che tutto fosse in regola. Ci
spintonò lievemente verso di loro e subito si allontanarono con il loro
furgoncino.
Ero decisamente allibita. Non che credessi
che sarebbe successo qualcosa come nei film, ma era tutto troppo semplice. Ci
avevano lasciato da sole, slegate, ci avevano liberate subito, senza
esitazioni… Ma ciò non voleva dire che mi dispiacesse, ovviamente.
Appena incontrai gli occhi della mia
famiglia questi pensieri mi abbandonarono e ci trovammo tutti stretti in un
abbraccio stritola costole ed infinito.
“Mamma, papà, Cristian!” urlai, mentre
questi si dividevano tra me e mio fratello.
“Oh, tesoro, non sai quanto mi sono messo
paura!” urlò papà, alzandomi letteralmente da terra.
“Ecco cosa vuol dire essere conosciuti da
tutti, se non fossimo stati famosi nessuno avrebbe saputo gli affari nostri…”
aggiunse mamma, piangendo a dirotto.
Lei e papà se ne stavano incollati a me e
Gabriele, finchè non decisero di vedere anche le condizioni di Vittoria e
Stella, che al momento se ne stavano tra urla di sollievo e di rimprovero.
Mi voltai e quando vidi che Cristian mi
stava osservando da lontano non ce la feci più e gli gettai le braccia al
collo. Non so perché, ma lui prima rispose all’abbraccio e poi mi fece segno di
seguirlo nell’auto dei miei. Tutti erano presi dal racconto di Vittoria e
Stella così nessuno ci badò.
Non ebbi nemmeno il tempo di chiudermi la
porta alle spalle che avvertii un improvviso senso di calore sulle mie labbra
fredde e una mano che mi sosteneva per la schiena. Mi sentii il fiato mancare:
da quand’era che avevo atteso quel momento nelle ultime ore? Non riuscii a non
stringerlo più forte, accarezzargli i capelli. Il mio istinto mi diceva di
continuare ad approfondire quel bacio, che al momento sembrava voler
abbandonare ogni cenno casto. Cristian mi stava baciando in un modo così
caloroso che sentii i brividi lungo la schiena e un caldo opprimente invadermi,
ma non so con quale forza lo allontanai da me.
“Non è giusto, è una cosa orribile, forse io
e te…” iniziai, decisa, visto che lui mi guardava quasi come se non
comprendesse il mio rifiuto.
“Cosa?! Insomma, le cose non cambiano, tu mi
hai baciato anche due giorni Fa quando non sapevi tutta questa storia, è la
stessa cosa di ora. E poi io sono sicuro che noi non abbiamo sangue in comune,
credimi, è…”.
“Cosa ne puoi sapere tu? E poi credi che per
me sia facile? Io non chiederei altro che…”.
“Che?” mi chiese con aria di sfida.
“Che ributtarmi addosso a te e farti capire
quanto ci tenga, ma non possiamo, è contro natura, è orribile…”.
Lo zittii, cercando di fargli capire quanto
lo desiderassi nonostante tutto appoggiandomi contro il suo petto, e lui
annuii, passandomi il braccio sulle spalle, finchè quel semplice appoggiarmi
non mi portò ad addormentarmi. Si stava così bene lì, al caldo…
Riaprii gli occhi molto tempo dopo,
trovandomi Stella e Vittoria nella stessa stanza, entrambe con indosso uno dei
miei pigiami. Erano sveglie.
Stella se ne stava seduta sul mio pouf
bordeaux e Vittoria guardava fuori dalla
finestra, con un’aria così pensierosa che probabilmente nemmeno un rumore di
cannoni l’avrebbe ridestata.
“Ehi” sussurrai, mettendomi a sedere. Mai
come in quel momento mi sentivo il peso dell’ultima nottata sulle spalle.
“Oh, ti sei svegliata. Siamo rimaste qui con
te…” spiegò Stella.
“Grazie. Ma, perché, dove sono gli altri?”
chiesi.
“In ospedale per il test, no?” mi rispose
con aria di ovvietà. In quel preciso istante mi sentii investire da un secchio
di aria gelata e mi voltai di scatto verso la mia radiosveglia. Erano le dieci
e un quarto del mattino.
“Che cosa? E non mi hanno svegliato?”
domandai incredula.
Stella si parò le mani davanti, alzandosi e
avvicinandosi, per poi sedersi sul bordo del letto.
“Il risultato si saprà tra qualche ora, quindi
abbiamo tutto il tempo di vestirci e raggiungerli”.
Feci un piccolo cenno, sentendo l’ansia
invaderci. Mancavano poche ore e poi avremmo saputo la verità che ci avrebbe
legati o divisi per sempre.
Non aggiunsi nulla, finchè Stella non
sorrise. “Insomma, ho saputo che alla fine tu e Cristian avete capito di
esservi innamorati”.
“Si, ma non potevamo sapere….”.
“Non ti sto giudicando. Sono l’ultima
persona al mondo che può giudicare male qualcuno, per carità”. Fece un sorriso
mesto, riferendosi a tutte le bravate che aveva commesso nei suoi primi
ventisette anni di vita. “Volevo solo dire che, insomma, è buffo. Ricordi
quando io gli sbavavo dietro e tu non lo sopportavi?” mormorò, con aria
nostalgica, accentuata ancora di più da una sorta di mezzo sorriso.
“Si, sembra passata una vita! Ne abbiamo
combinate di cose…”.
“Eppure alla fine hai trovato in lui il
ragazzo che aspettavi, no? La vita è sempre così strana…”.
“E crudele” aggiunsi. “Stella, non so come
farò se siamo sul serio fratelli…”.
Lei non disse nulla e mi strinse a sé,
accarezzandomi la schiena. Sapevo che non era brava con le parole, ma quei
gesti nella loro totalità ci stavano aiutando a costruire un rapporto mai avuto
in precedenza.
“Quando vuoi ci iniziamo a vestire”
sussurrò.
“Ora” dissi con decisione.
Vittoria si girò e mi guardò. Probabilmente
aveva sentito tutto e non aveva avuto la forza di intromettersi nel discorso,
presa dalla sua delusione.
Ci vestimmo silenziosamente dopo che ebbi
prestato loro qualcosa di mio, e alle undici meno dieci eravamo già in
ospedale.
Cristian e papà se ne stavano isolati,
raccolti nei loro pensieri, mentre mamma, zia Eva ed Eliana e Niko parlottavano
tra loro. Di fronte, seduta da sola su una delle sedie di plastica blu della
sala d’attesa c’era Irene. Sembrava preoccupata e si guardava nervosamente
intorno.
Gabriele se ne stava appoggiato al muro della
sala, immerso nei suoi pensieri, e proprio in quel momento sentii dei passi
affrettati verso di noi. Era Belle, con l’espressione più decisa che le avessi
mai vista dipinta in volto. I lunghi capelli biondi sembravano volare al vento
mentre correva, e in un lampo si gettò addosso a Gabriele, che sembrava
sorpreso.
“Ho saputo, mamma e papà stano venendo… Stai
bene?” chiese, accarezzandogli il volto. Non gli lasciò nemmeno il tempo di
rispondere che aggiunse: “Seguimi un secondo, devo parlarti”.
Lui ubbidì e li vidi allontanarsi.
Sorrisi,quando restai ulteriormente sbalordita nel vedere Titti raggiungermi,
in compagnia di nientepocodimeno che Marco.
“Sabri, tua madre mi ha detto! Oddio, come
stai?” urlò quasi, gettandomi le braccia al collo. “E’ orribile, un rapimento!
E questa storia di Cristian…”.
“Lo so” borbottai.
“Io sono qui, e ho preso qualche giorno di
permesso…” aggiunse con dolcezza.
Spalancai gli occhi, con disapprovazione.
“Cosa? Ma no, non puoi perdere dei giorni di lavoro per me, io sto bene…”.
“Non mentire”.
“E poi non è un problema, tranquilla, mia
madre ha compreso, e se non lo avesse fatto l’avrei convinta io” aggiunse
Marco, sorridendomi cordiale.
Lo guardai stupita. “Che cosa?”.
“Si. Devo ringraziarti, Sabrina, mi hai
aperto gli occhi, si vede che vuoi davvero bene a Titti” rispose. “Ovviamente,
so che può risultare sciocco visto che ci siamo visti un paio di volte ma… Se
ti serve un parere maschile ci sono anche io” disse imbarazzato.
Era assurdo, in quel momento sembrava
stessero succedendo tutti i miracoli del mondo e l’unica non graziata ero io.
“Grazie, Marco” dissi, cercando di dissimulare la mia incredulità.
Ci sorridemmo, poi ci sedemmo. Dieci minuti
dopo Gabriele ritornò al fianco di Belle, entrambi raggianti.
Cristian ogni tanto mi lanciava qualche
occhiata ansiosa, mamma cercava di sfogare il suo nervosismo parlando a tutto
spiano, papà se ne stava zitto con il capo tra le mani e Irene scriveva
furiosamente qualcosa su un block notes.
Era ormai l’una passata quando arrivarono i
risultati. In quello stesso istante vidi un’Irene più inquieta che mai lasciare
qualcosa sul suo sediolino ed uscire dalla stanza di corsa, come una furia, l’espressione
del viso celata dai capelli, mentre papà leggeva il risultato.
Non riuscivo a capacitarmi che mancavano pochi
secondi per tracciare il destino mio e di Cristian, eppure avvertivo un altro
senso di inquietudine attanagliarmi lo stomaco.
Vidi papà passare il foglio a Cristian. Si
guardarono, e Cristian restò immobile.
“Allora…?” chiese mamma.
“Io… Io…”.
“E’ mio padre” concluse per lui Cristian,
abbassando il capo e stringendo i pugni.
Inutile dire cosa provocarono in me quelle
parole. Era come se un maremoto si fosse impossessato del mio stomaco, anzi, un
vero e proprio Tsunami. Le orecchie mi divennero di fuoco, proprio come il
resto del corpo, quando in realtà dentro sentivo un gran gelo, e tutte le voci che mi circondavano divennero
improvvisamente confuse.
Era finita. Non avrei mai più conosciuto
l’amore in vita mia, ne ero certa.
Corsi via dalla stanza, fino a giungere in
una sorta di terrazzo dell’ospedale. Ero così scombussolata che ci impiegai
qualche secondo per comprendere che c’era qualcuno dall’altra parte della
ringhiera che si affacciava su tutta Roma. Un qualcuno con i capelli biondi e
il corpo esile.
Irene.
“Ma che fai? Non sei contenta? Avevi
ragione, lui è mio frat…”.
Urlai come una forsennata. Irene, dopo
essersi girata verso di me e avermi guardato con intensità e aver sussurrato un
deciso: “Scusa”, si era lasciata cadere
in avanti, come se si fosse tuffata in mare, e avevo sentito un forte tonfo.
Si era suicidata! Si era gettata da lì sopra
come se nulla fosse!
Mi affacciai e repressi un ulteriore urlo
nel vederla senza vita, stesa sulla via che stava di sotto, con gli occhi
sbarrati. Impossibile, si era tolta la vita da sola! Ma perché?
“Sabrina!”.
Mi voltai, vedendo Cristian che mi veniva
incontro con un foglio di carta in mano. Mi vide sconvolta, e ovviamente pensò
che fosse dovuto alla notizia finchè non gli feci cenno di guardare giù.
Trattenne il respiro e assunse un’espressione sconvolta.
Ritirò lo sguardo, con una sorta di pura
paura dipinta in volto.
“Mi
dispiace, non ho potuto fare nulla…”.
Lui parve essere senza fiato. “A-Allora l’ha
fatto s-sul serio…”. Alcune lacrime gli solcarono il volto e mi porse un foglio.
Quello stesso foglio su cui Irene aveva scritto prima di fuggire via.
Hola chicas!
Scusatemi per il mostruoso ritardo ma
purtroppo, come ho anche scritto nell’account, non ho avuto un attimo libero
fino ad oggi a causa della scuola e dell’influenza che mi ha attanagliato per
una settimana. Per fortuna ora sto bene e oggi ho fatto la prima interrogazione
di italiano, che mi è andata molto bene, fiuuu!
Poi… Sono consapevole che questo è stato un altro
capitolo shock. Il rapimento, il riscatto, la paternità di Andrea… E Irene che
si suicida. Secondo voi cosa avrà scritto su quel foglio?
Comunque, volevo anche aggiungere che mi è
venuta l’idea per un’altra storia di cui oggi ho scritto solo il prologo, e
vorrei lasciarvene un pezzettino per vedere cosa ve ne sembra, anche se
ovviamente la scriverò quando avrò tempo e dopo il piccolo periodo di pausa che
avevo deciso di prendermi:
Presa da
un’idea improvvisa, mi diedi della stupida per non averci pensato prima e
chiamai il mio migliore amico di sempre, Marco, che probabilmente era l’unica
persona al mondo che mi avesse mai presa sul serio nonostante la nostra
lontananza.
“Marco,
preparati. Da domani la tua migliore amica abiterà nella tua stessa città”
dissi convinta appena rispose alla chiamata.
“Che cosa?”.
La sua voce matura, ma tuttavia con un qualcosa di affascinante, era iper
sorpresa. “Sei impazzita?”.
Risi. “No, non
ce la faccio più a stare qui. Voglio venire da te, così potrò recuperare il
tempo perso con Luna e…”.
“E pensi che
lei sia disposta a chiarire? L’ho vista l’altro ieri, e mi sembra davvero
felice da quando vi siete separate” mi tenne presente, con aria seria. “Ormai
sembra nemmeno più badarmi quando la infastidisco…”.
Scossi il capo,
ricordando il rapporto di puro odio che c’era tra il mio migliore amico e mia
sorella gemella. Entrambi stracolmi di orgoglio fino alla punta dei piedi,
entrambi con una sorta di vena tormentata che li caratterizzava, entrambi
facilmente soggetti ad incomprensibili sbalzi d’umore. Era ovvio che si
odiassero, solo gli opposti si attraggono, come si dice.
“Non
m’importa. Ho deciso. Ti va di venirmi a prendere alla stazione, domani?”
chiesi poi.
“E me lo
chiedi pure?”.
Spero mi farete
sapere cosa ve ne sembra e se vi ha incuriosito! Ho già in mente molte idee…
Comunque, grazie
mille alle 19 persone che hanno messo questa storia tra le storie seguite e le
24 che l’hanno messa tra i preferiti, e ovviamente coloro che hanno recensito:
piaciuque: Chi è che
resta immune davanti ad una foto di Taylor Lautner? ^^ Comunque, per ora il
test di paternità dice che sono padre e figlio, quindi non possiamo dire nulla.
Ma ovviamente bisogna anche vedere cosa ha scritto Irene su quel foglio, eheh!
xsemprenoi: Mi
dispiace ma il test ha stabilito che sono fratelli purtroppo… Ho aggiornato con
un po’ di ritardo a causa delle varie cose che ho elencato sopra, ma spero sia
valsa la pena attendere! ^^
lillay: Hazel&co
volevano solo dei soldi per quel che sappiamo, anche se Sabrina ritiene una
cosa strana che subito si siano fidati dell’assegno… E da quel che sappiamo
purtroppo sono fratelli, sigh… Ti prego, non lapidarmi via monitor xD
CriCri88: Eheh in
effetti anche io ti devo molto perché supplicandomi mi hai convinto ad elaborare
un’altra delle mie diabolicità… xD Beh, ora sai cosa voleva Hazel, e spero che
anche tu non ti aggiungerai al club delle lapidatrici via web per ciò che ho
scritto circa il test di paternità *_* Idiozie a parte, grazie mille per i
complimenti e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto… ^^
Angel Texas Ranger:
Ci credi se la prima ad essere sconvolta sono io? Non avevo mai messo pistole e
scene d’azioni simili, se così si possono chiamare, nelle mie storie
precedenti… Ma spero tuttavia che questo stato di shock passi in fretta
altrimenti mi sento dieci volte più in colpa! xD
paragni: Eheh, sono
d’accordo con te, è difficile scegliere chi dei tre sia più figo ihih! La scena
in cui Cristian dice che Andrea l’ha lasciato dormire da Sabri l’ho messa proprio
per far capire che Andrea ha capito che deve smetterla di fare il gelosone, ha
subito un’evoluzione come padre in questa fic e volevo farlo notare. Ti
ringrazio per i compimenti ^^
Spero di aggiornare
presto, anche se non vi prometto nulla, ma vi dico che il prossimo cap sarà
l’ultimo prima dell’epilogo…
Nel frattempo,
eccovi altre due foto:
Vittoria:
http://media.panorama.it/media/foto/2009/02/03/49885816c61f3_normal.jpg
Stella:
http://l.yimg.com/l/tv/us/img/site/18/20/0000041820_20070801145008.jpg
Adiòs, os quiero!
la vostra milly92
|
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Capitolo 10 *** La Mia Vita E’ Un Carnevale ***
La Mia Vita E’ Un Carnevale
“No hay que llorar
Que la vida es un carnaval
Y las penas se van cantando”
“Non si deve
piangere
Perché la vita è un carnevale
E le angosce se ne vanno cantando”
Celia Cruz
Capitolo 10
La Mia Vita E’ Un
Carnevale
I postumi della
visione in cui Irene si suicidava si fecero sentire con una sorta di scoppio
ritardato. Improvvisamente, dopo essermi riaffacciata e ignorando Cristian -mio
fratello Cristian- che cercava di porgermi un foglio e aver rivisto il
corpo esanime di Irene mi sentii mancare. Troppi avvenimenti sconvolgenti
avvenuti in pochissimo tempo.
“Sabrina…”.
“Cazzo, Cristian,
taci! E’ appena morta tua madre ed io sono tua sorella, quindi penso di essere ufficialmente autorizzata a
trattarti come tale e a tornare a non tollerarti se…”.
“Sabrina, non ci
capisco più nulla! Muoviti, leggi cosa c’è scritto!” urlò lui, afferrandomi per
un braccio con una potenza innata e obbligandomi a leggere ciò che c’era
scritto sul foglio che mi porgeva.
Lo guardai male,
quasi come se tutta quella questione fosse colpa sua, come se lui avesse deciso
di chi essere figlio… Sua madre si era gettata da metri e metri di altezza e lui pensava ad un foglio? Sbuffai,
sentendomi tremare tutta e cercando di togliermi la visione di Irene morta dalla
mente, ma senza successo. Era morta una donna, diamine! Nessuno accorreva?
Nessuno da sotto l’aveva vista buttarsi?
Cristian
improvvisamente si appoggiò alla ringhiera, cercando a sua volta di non
guardare giù. Chiuse gli occhi e sospirò. “Sabri, leggi, c’è scritto il tuo
nome sopra, scritto da mia madre che si è appena suicidata. Vorrà pur dire
qualcosa, no?” cercò di farmi ragionare.
“Ma dobbiamo
chiamare qualcuno, dobbiamo dire cosa è successo…”.
Possibile che non
capiva? Di certo quella era una semplice e futile lettera di scuse, per
ampliare quelle che mi aveva sussurrato prima di morire.
Per questo, due
minuti dopo mezzo ospedale se ne stava a guardare imbambolato il corpo della
donna e il capo della clinica rimproverava l’addetto alle telecamere per
essersi distratto per la pausa pranzo e non aver visto la donna che si gettava
da lì sopra. Controllarono e videro che non ero assolutamente responsabile
della morte, e non so descrivere com’era l’atmosfera quando tornammo a casa a
causa dei numerosi paparazzi a caccia di notizie e della polizia.
“Non ci posso
credere” borbottò mamma per la decima volta, quando ci ritrovammo tutti riuniti
nel nostro soggiorno con Niko, Stella e gli altri.
Tutti guardavano
Cristian come se fosse un alieno, finchè lui non sbuffò e mi strappò il foglio
che tenevo in mano senza ancora averlo letto.
“Ma cosa..??”
chiesi, indispettita, anche se non riuscivo a guardarlo dritto negli occhi.
Come avrei potuto? Il nostro destino era stato segnato e non potevamo
continuare a stare vicini a lungo, dovevamo allontanarci, dividerci, sperando
che il famoso “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” funzionasse… Ma,
onestamente, avevo i miei dubbi a riguardo per quanto mi riguardava.
“Faccio quello che
avresti dovuto fare tu da un bel po’ e anche se questa lettera è indirizzata a
te, penso di avere i diritti necessari per leggerla visto che resto sempre suo
figlio”. Sembrava davvero scocciato, e di certo non riuscivo a dargli tolto.
Dal canto mio ero così confusa che non riuscivo a stabilire un pensiero fisso
nella mia mente, ero troppo agitata dato che la notizia della nostra
fratellanza era pazzesca e per di più non avevo mai visto morire nessuno,
quindi figuriamoci com’era stato per me vedere un suicidio.
Così Cristian iniziò
a leggere sotto lo sguardo apprensivo di tutti.
Restai sbalordita
quando lo vidi sorridere all’improvviso. Mi prendeva in giro? Come si faceva a
sfiorare un sorriso anche solo con il pensiero in una simile situazione?!
“Lo sapevo! Lo
sapevo!” urlò, voltandosi verso Gabriele. “Fammi vedere le braccia, muoviti!”
gli intimò.
Ero totalmente
convinta che stesse scherzando, o che al massimo fosse una conseguenza
dell’eccessivo shock. Gabriele, che se
ne stava da più di un’ora attaccato a Belle, lo guardò senza capire. “Ma che…?”.
“Muoviti, fa ciò che
ti dico!”. Lui ubbidì e fece una faccia sconvolta.
“Mi sono punto?!”
chiese al nulla, inarcando le sopracciglia,, quando vide il suo braccio destro.
Io non ci capivo più
nulla: Cristian avevo obbligato Gabriele ad alzarsi e a mostrare a tutti il suo
braccio in cui era visibile una parte su cui c’era un piccolo livido e il segno
di una minuscola puntura.
Tutti continuavamo a
non capire e Cristian sorrise. “Lei ha falsificato tutto. Tutto. Insomma, Sabri,
ti sei mai chiesta perché quei due polacchi hanno intrattenuto Gab?!”.
Esitai. “Per farlo
parlare con voi al telefono, no?” risposi.
“No”.
Cristian continuò a
sorridere, mentre papà lo guardava a sua volta senza capire.
“Cristian, per
l’amor del cielo, puoi…?”.
“Ora leggo” si
decise a dire, e la concentrazione di tutti i presenti divenne quasi palpabile,
accompagnata da un enorme silenzio. Cristian prese la lettera tra le mani e
iniziò a leggere dopo essersi schiarito la voce.
“Sabrina, tutto questo casino è iniziato via
e-mail e così deve finire, anche se questa è una semplice lettera. Sei troppo
giovane per comprendere il delirio interiore che sto vivendo, e comunque non ti
auguro di vivere mai un simile momento in tutta la tua esistenza. Dire che mi
sento in colpa è riduttivo mentre vi vedo tutti assorti nella vostra
preoccupazione, per il semplice fatto che questa è stata causata da me.
Scusami. Voglio vuotare il sacco una volta per tutte. Per prima cosa, stanotte
tu, tuo fratello e quelle due ragazze siete state rapite solo ed esclusivamente
sotto mio ordine, sono io che ho commissionato Hazel e Polsk. Ovviamente ti
starai chiedendo il perché… Beh, in primis, cosa di cui non sono mai andata
fiera, come tante altre cose del resto, per avere i soldi necessari per curarmi
e pagare il viaggio in Canada che avrei dovuto fare per curarmi a causa della
mia malattia al fegato, poi… Poi perché in questo modo avevo un’ulteriore scusa
per raggiungere il mio scopo principale”.
Cristian si bloccò e
alzò lo sguardo per riprendere un po’ di fiato.
“E’ stata lei a
farvi rapire?!”. Inutile dire che mamma era ancora più scioccata e si accasciò
contro la spalla di papà, che le accarezzò dolcemente i capelli, con un’aria
grave mai vista stampata in volto.
Cristian decise di
continuare. “E sai qual era lo scopo
principale? Falsificare il test, rapirvi con Gabriele e fargli prelevare del
sangue mentre era addormentato e voi ve ne stavate in un’altra cella in modo da
far sì che tecnicamente il test lo facesse Gabriele e non Cristian” .
Silenzio. Trattenni
il respiro dato che mi sentivo mancare l’ossigeno. Mi alzai in piedi, ma subito
ricaddi sul divano a causa delle gambe che tremavano come se mi trovassi in
bikini in una zona ghiacciata dell’Alaska.
Avete presente
quella sensazione magnifica che si prova quando sai che devi essere interrogato
al 99% su qualcosa che non sai e per una volta quell’unico 1% prevale sulla
probabilità e te la scampi? Quando vai in Inghilterra in pieno inverno e trovi
una giornata iper soleggiata? Quando vinci alla lotteria dopo aver buttato i
numeri a casaccio? Ecco, io mi sentivo mille volte così. Come se all’improvviso
dentro di me si fosse sciolto un ice-berg a causa dell’elevata temperatura a
cui lo sottoponeva una giornata estiva a Madrid che superava i 47° C. Come se
improvvisamente mi sembrasse strano che per una giornata intera mi fossi
sentita oppressa, triste e arrabbiata con il mondo. Era tutta una messa in
scena. Era una bugia, uno stratagemma, un’assurdità. Mi poggiai una mano sul cuore
e a stento sentii i commenti increduli di coloro che mi circondavano.
Cristian sorrideva
felice mentre mamma e papà si abbracciavano senza parole e Gabriele mi correva
incontro, non badando più al suo braccio.
Titti e Marco si
guardavano intorno senza capire, proprio come tutti gli altri. Eppure, quello
fu il momento più pazzo della mia vita, nel senso che la sensazione che provai,
per quanto strana, non la dimenticherò mai per la sua stravaganza e per la
gioia infinita con cui l’avevo accolta.
“Cosa potevamo
aspettarci da lei?” chiese retorico Cristian. “Ma se volete, la lettera contin…”.
Non terminò la frase
perché io mi ci era letteralmente gettata addosso, con una forza e uno slancio
tale che entrambi barcollammo, ridendo. Non m’importava di nulla, tranne che
potevo continuare a stare con l’amore della mia vita senza alcuna interruzione.
“E’ tutto finito?”
chiesi in un sussurro, infischiandomene delle occhiate dei presenti, che alla
fine decisero che tirava troppo vento dalla finestra di quella stanza e
andarono in cucina per bere qualcosa, anzi, pranzare, visto che mamma e papà,
presi dalla gioia, li avevano invitati a restare a pranzo.
Lui prese il mio
volto tra le sue mani e mi guardò fisso negli occhi. Quelle iridi color miele,
come mi era mancato specchiarmici dentro!
“Ci puoi giurare…
Ricominciamo da capo?” domandò con un tono di voce che al momento non potevo
non giudicare sensuale.
“Perché, abbiamo mai
iniziato?” chiesi, tra il serio e il divertito.
“Hai ragione…
Sabrina, vuoi concedermi l’onore di diventare la mia ragazza?” chiese, con quel
suo sorriso che amavo così tanto, proprio come ogni singola parte del suo
essere. “Va bene così?” chiese conferma poi, questa volta ridendo dato che
anche io mi ero lasciata trasportare da una risata di puro nervosismo.
Ero lì, con l’unico
ragazzo che mi avesse fatto sul serio innamorare in venti anni, che fino a
pochi minti prima ero stata indotta a credere che fosse mio fratello e lui mi
stava facendo una sorta di proposta che si sarebbe potuta leggere nei migliori
libri ottocenteschi. Certo che quando si dice che la vita è un Carnevale…!
“Si, può andare
bene…” risposi, ma lui già mi aveva attirato verso di sé e mi stava baciando
con la passione repressa in quei momenti. Cristian, Cristian, Cristian… Tutto
ciò che mi circondava rappresentava lui ormai, lui era tutto ciò che avevo e
non ci avrei mai rinunciato. Mi strinsi contro di lui con tutte le mie forze,
mentre lui poggiava una mano sulla mia schiena e l’altra tra i miei capelli,
schiudendo le labbra e baciandomi con un enfasi tale che mi sentivo bollente,
senza fiato, ma carica di una felicità che non credevo si potesse provare.
Ad interromperci ci
pensò il campanello della porta d’ingresso, che annunciò l’arrivo di una donna
di mezza età bassina, con i capelli grigi raccolti in una crocchia e l’aria
disperata. Tutti la guardavamo senza capire e lei, dopo aver sospirato, disse:
“Io devo dirvelo. La signora Massa mi ha interpellato per falsificare il test
che avete fatto stamattina, mi ha passato un altro campione di sangue… Ma ho
fatto analizzare anche quello del ragazzo e ho visto che non siete in nessun
grado di parentela…”.
Papà la guardò
comprensivo e le sorrise. “Lo sappiamo, signora, la ringrazio…”.
“… Tenete, mi ha
anche pagato, io non volevo, credetemi, è solo che avevo paura, è stata in
carcere, e ora che è morta…”. Mise un assegno su una mensola e mi guardò
afflitta e tremante.
“Signora, si calmi!”
esclamò mamma, tuttavia sorridendo e alzando un po’ la voce per farsi sentire.
La donna obbedì,
ancora frastornata.
“La crediamo e lo
sappiamo, stai tranquilla, è tutto ok, Irene ha scritto una lettera a mia
figlia prima di suicidarsi in cui le spiegava tutto… Ed è bello sapere che
anche lei ha la prova che non c’è alcun grado di parentela… Anche se non è
detto, visto che mi sa che è il mio futuro genero” continuò mamma, e qui rise di
cuore, insieme a papà.
Risi a mia volta e
intrecciai la mano di Cristian alla mia. “Hai ragione mamma” dissi con
sicurezza, e fui sollevata nel vedere che ci abbracciò con calore, sotto lo
sguardo incuriosito della signora che papà aveva invitato a sedere e a bere
qualcosa.
Alla fine, avevo
continuato a leggere la lettera di Irene e avevo scoperto tutta la verità. Lei
sapeva sin dall’inizio che il padre di Cristian non fosse mio padre, bensì un
regista che al momento viveva in Kansas, con cui era stata subito dopo la fine
della storia con papà. Aveva mentito perché voleva che Cristian avesse una
famiglia anche dopo la sua morte, visto che la malattia al fegato contratta in
carcere era sempre in stato più avanzato, e sapeva che con noi sarebbe stato
bene e avrebbe conosciuto il significato della parola “affetto”, che con lei
non aveva mai conosciuto, anche se questo era il progetto che aveva in mente
ancora prima dal carcere, dato che all’epoca voleva far ritornare papà con lei
e dirgli di questo loro presunto figlio per poterlo recuperare dopo sei anni e
crescerlo insieme. Quindi, in fin dei conti, questo suo mix di azioni non erano
altro che il frutto del suo volere prima di andare in carcere e che voleva
portare a termine prima che giungesse la sua ora. Le cose si erano complicate
quando aveva visto che io e Cristian ci stavamo avvicinando, ma oramai aveva
già ingaggiato Hazel e Polsk da un mese per farli intrufolare in quella che
originariamente doveva essere casa mia, solo che Hazel aveva confuso zia Eva con
mia madre data la loro secolare somiglianza e lei ne aveva approfittato per far
“allargare il raggio d’azione” e far sì che, coinvolgendo sua figlia e qualche
altra nostra amica stretta, sembrasse tutto un qualcosa di casuale come un
semplice rapimento di figli di persone famose.
La decisione di dire
la verità però alla fine aveva preso il
sopravvento e, avendo ricevuto un sms da parte dell’oncologa che diceva che
doveva darle una notizia triste,non ce l’aveva fatta più nel vederci tutti in
quelle condizioni e aveva deciso di scrivermi la verità per poi porre fine alla
sua vita, dato che sapeva che a breve sarebbe morta comunque.
Quella piccola parte
di sé che era buona aveva preso il sopravvento, alla fine della sua vita, e
tutte le sue cattive azioni commesse sul serio avevano come unico fine quello
di far del suo meglio per assicurarsi il bene di suo figlio.
I giorni passarono
lentamente, andammo al funerale di Irene, e tornai al’università per il nuovo
anno accademico alla facoltà di medicina.
“Cavoli, Sabri, sei diversa,
è successo qualcosa di bello durante l’estate?” fu il commento di una mia amica
del corso di anatomia, ed io mi ero limitata ad annuire. Ovviamente, lei comprese
il tutto quando, all’uscita, vide Cristian spettarmi davanti la sua auto ed io
che gli correvo incontro, raggiante.
“Tesoro, Cristian
viene a cena, stasera?” mi chiese mamma, una sera di fine ottobre.
Alzai lo sguardo
dagli appunti di anatomia che dovevo imparare ed annuii.
“Si, torna verso le
sette” risposi.
Lei annuì. Fece per
andarsene, poi sembrò cambiare idea e si rigirò nuovamente verso di sé.
“Sai, devo
confessarti una cosa” mormorò, sedendosi al mio fianco e approfittando della
momentanea solitudine che c’era in casa dato che papà e Gabriele erano a casa
di zio Giuseppe.
“Dimmi”.
“Io… Dall’inizio io
sul serio ho fatto di tutto per farti avvicinare a Cristian. Prima l’invito,
poi lo shopping insieme…” disse, guardandomi in attesa di una reazione.
Probabilmente, se mi
avesse rivelato questa cosa un mese prima, l’avrei aggredita con parole non
molto simpatiche e rispettose, ma in quel momento, vista l’evoluzione delle
cose, non riuscii a non sorridere e scuotere il capo. “Lo sapevo, ed anche
Titti ne era convinta” dissi infine, e la abbracciai forte. Da quando si era
risolta al questione della finta parentela tra noi e Cristian sembrava
ringiovanita di dieci anni, sembrava essere tornata a comportarsi come quando
avevo dieci anni e lei trascorreva tutti i pomeriggi con me e Gabriele,
infischiandosene del suo lavoro, e insieme cercavamo di insegnargli a leggere e
scrivere. Spesso la scoprivamo mentre canticchiava tra sé, allegra al massimo,
e poi ultimamente aveva iniziato a fare delle cenette romantiche a cui erano
ammessi solo lei e papà, quando io uscivo con Cristian e Gabriele con Belle,
anche se il “fidanzamento” di questi ultimi era ancora un qualcosa di segreto.
Mamma si lasciò
abbracciare, e quando ci separammo sorrideva ancora. “Sapevo che anche Titti la
pensava così. A proposito, lei e Marco…?”.
“Stanno insieme da
circa… Mmm, tre ore, mi ha mandato un sms poco fa. Era ora!” aggiunsi, contenta
per la mia migliore amica che finalmente era riuscita a trovare un ragazzo che
l’amasse sul serio. Quel giorno erano usciti insieme e, finalmente, si erano
decisi a diventare una vera coppia, anche perché Marco il giorno prima aveva
lasciato quell’odiosa Verena.
“Oh, come sono
felice!” mormorò mamma. “Quando succedono queste cose non riesco a non
ripensare ai vecchi tempi, quando io ero fidanzata con tuo padre e poi, mano a
mano, anche gli altri si misero insieme come Eva e Giuseppe, Daniele e Paris…
Ma mi sento anche un po’ avanti con gli anni, appartengo ad una generazione ormai
vecchia” ammise, scrollando le spalle.
“Mamma! Smettila di
piagnucolare e pensa a goderti la vita con tuo marito visto che i tuoi figli
sono grandi e non rompono più le scatole…” le ricordai, ammiccante, e lei si lasciò scappare un risolino.
Alla fine smisi di
studiare e l’aiutai a preparare un dolce.
Alle sette e dieci
sentii il rumore inconfondibile dell’auto di Cristian che varcava il cancello
della nostra villetta, così, raggiante, mi tolsi il grembiule e uscii di casa,
sotto lo sguardo divertito di mamma.
“Amore!” esclamai,
andando incontro a Cristian che era appena sceso dall’auto, entrando nel garage.
Indossava un vestito elegante dato che aveva appena avuto un incontro con il
suo capo, ma i capelli castani e un po’ lunghi che tanto adoravo erano come
sempre un po’ ribelli.
Si voltò in mia
direzione, chiudendo l’auto, e mi sorrise apertamente. “Ecco uno dei buoni motivi
per tornare a casa da lavoro” sussurrò, mentre già mi cingeva la vita con le
braccia e mi attirava a sé con dolcezza.
“Finalmente sei
tornato” dissi.
“Non è colpa mia se il
tuo ragazzo è il migliore dell’azienda e l’hanno trattenuto per affidargli il
compito di dirigere la nuova campagna pubblicitaria sui nuovi rossetti della Pupa”
ribattè, con aria sarcastica.
“Cosa?!”. Aspirava a
quel ruolo da un paio di settimane!
“Hai sentito bene”
ridacchiò, gioioso. “Ti rendi conto?” aggiunse.
“Certo che mi rendo
conto” dissi, visibilmente incredula ed emozionata, abbracciandolo.
“Ed è tutto grazie a
te” annunciò, sempre più entusiasta.
Lo guardai confusa,
levando un sopracciglio. Grazie a me? Io non avevo fatto assolutamente nulla!
Cristian comprese la mia confusione e così iniziò a rovistare nella sua borsa
da lavoro che aveva poggiato per terra. Dopo un po’, ne estrasse un disegno e
me lo mostrò.
“Oh!” esclamai,
pervasa da una serie di ricordi. Era il foglio su cui aveva fatto il mio
ritratto quel giorno in cui ero andata nella dependance con lui a vedere “Blu
profondo”, solo che al momento era colorato per bene ed erano state apportate
nuove modifiche.
Alzai lo sguardo
verso di lui e si decise a spiegare. “Il capo lo ha visto sulla mia scrivania,
se lo è fotocopiato e poi mi ha convocato. Ha detto che il mio modo di
disegnare un soggetto femminile gli piace, secondo lui ci metto passione e una
sorta di realismo… E tutto grazie alla mia musa ispiratrice” esclamò, e non mi
diede il tempo di replicare perché aveva unito le nostre labbra in un bacio che
di casto, onestamente, non aveva proprio nulla.
“Ehm, ehm, scusate
piccioncini…”.
Ci staccammo e
vedemmo che Stella ci stava guardando con un’aria falsamente schifata.
“Ehi, Stella! Ciao!”
esclamai, e corsi ad abbracciarla. Un mese prima avrei ritenuto impossibile un
mio simile atteggiamenti nei suoi confronti, eppure, dopo la questione del
rapimento, ci eravamo legate a tal punto che spesso passavamo dei pomeriggi
insieme ed uscivamo con Vittoria.
“Ciao. Ciao, Cristian!”
replicò, sorridente. “Sono passata a
dirti che mi hanno accettato ed ora lavoro come segretaria nella casa
discografica dove lavorano i nostri genitori! Sapessi mamma com’è contenta!”
annunciò.
Cavoli. Cos’era quella,
la serata delle buone notizie?
“Oh, congratulazioni
allora, Stella!” dissi, e Cristian si unì a me per gli auguri. Stella, quella
che voleva diventare a tutti i costi una velina o giù di lì, si era decisa a
provare con qualcosa di più serio e realizzabile… Non potevo non essere felice
per lei e per i nervi di Eliana!
Per questo la
invitai a cena, per festeggiare sia lei che il nuovo incarico di Cristian, e
aspettammo il ritorno di papà.
“Gabriele viene tra
un po’, ha detto che doveva fare una cosa…” disse papà quando prendemmo posto a
tavola ed essersi congratulato con papà. “Tesoro” aggiunse, voltandosi verso di
me, “Questo tipo alla mia destra sta facendo il bravo o ti ha fatto arrabbiare
ultimamente?” e così dicendo ammiccò ironico verso Cristian, che si finse
offeso.
“Ed io che pensavo
che chiedendogli il permesso di stare con sua figlia le mie pene sarebbero
finite, capo” brontolò Cristian, e tutti scoppiammo a ridere di cuore.
“Oh, oh, non ci
credo! Venite, guardate!” urlò mamma, che si era affacciata alla finestra.
“Cos…?” chiesi, e
sorrisi quando vidi per cosa stava strepitando: aveva appena visto Gabriele e
Belle baciarsi nell’ombra degli alberi che si trovavano nel nostro giardino.
Ecco cosa doveva fare prima di venire a cena, il furbetto!
“Nooo, non ci credo!”
ridacchiò Stella, coprendosi la bocca con le mani.
“Ha preso tutto da sua padre” mormorò papà,
sghignazzante.
Poi,
inevitabilmente, visto che sia lui che mamma si erano voltati verso di me, fui
costretta a confessare con un: “Si, lo sapevo che stavano insieme, contenti?
Era inevitabile… Noi siamo o non siamo la generazione dell’amore?”.
Sorrisero e me la
fecero passare liscia per aver tenuto la bocca chiusa, e nel frattempo, mi
dissi che l’ultima affermazione da me detta non poteva non essere una delle più
veritiere.
Ciao a tutte!
Mi scuso come sempre
per il ritardo, ma purtroppo il tempo non basta mai e poi mi sono lasciata
prendere da una nuova storia che alla fine mi sono decisa a pubblicare, anche
se intendevo farlo tra qualche settimana. Se vi và di darci un’occhiata ho
appena pubblicato il prologo… Dillo Alla
Luna
Mi
farebbe piacere conoscere la vostra opinione!
Comunque, avete visto? Alla fine Sabri e Cris non
sono per niente fratelli! Come avrei mai potuto far sì che una cosa simile
fosse vera?! xD
Spero che vi sia piaciuto quest’ultimo capitolo, il
prossimo sarà l’epilogo e poi dirò sul serio (e questa volta quando dico sul
serio intendo definitivamente) addio alle vicende della famiglia di Deb.
Grazie mille alle 23 persone che hanno messo la fic
tra le storie seguite e le 24 che l’hanno messa tra i preferiti, e ovviamente
coloro che hanno recensito:
CriCri88: Eheh, al momento direi che non c’è bisogno
che mi supplichi riguardo la nuova storia visto che l’ho già pubblicata xD xD
xD Parlando seriamente, spero che ora che sai la verità non attanagli più alla
tua salute… Non sono fratelli sul serio, come avrei mai potuto essere così
diabolica? Vabbè, lo so che ormai non mi libererò più di quest’aggettivo, ma ci
ho provato…. xD Spero che il capitolo ti sia piaciuto ^^ Un bacione, carissima!
piaciuque: No, per fortuna non sono fratello e
sorella dato che, come hai detto tu, ho fatto succedere qualche altra cosa che
avevo in mente già dal 1° cap ^^ Era tutto uno stratagemma per aumentare la suspense,
lo ammetto xD
lillay: Alla luce di ciò che è successo in questo
cap sono stata perdonata? :D Spero di si ^^ Comunque era già tutto stabilito da
parte mia, sapevo già cosa far succedere, volevo solo rendere il tutto più
intrigante =) Spero che il cap ti sia piaciuto! Grazie mille per i complimenti ^^
Pazzascatenata89: Ciao! Complimenti, ci hai
azzeccato, Irene ha raggirato il test facendo prelevare di nascosto del sangue
da Gabriele per poi corrompere l’infermiera ^^ Riguardo il consiglio sul verbo
ti ringrazio, è che spesso si conoscono alcune forme grammaticali come una
sorta di stereotipo quando poi invece quello corretto è un altro… Non me ne
sono mai accorta anche perché quando scrivo “ubbidire” word non me lo corregge
nemmeno xD Bah,comunque grazie mille! ^^
Al prossimo cap con l’epilogo, girls!
Spero mi farete
sapere cosa ve ne sembra della mai nuova fic, grazie in anticipo!
La vostra milly92.
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Capitolo 11 *** Tutto Iniziò e Finisce Qui ***
Tutto Iniziò e Finisce Quihvg
Dedicato a tutti voi
che avete seguito questa storia, e a chi ha seguito anche le due precedenti e
mi ha spronato con le proprie opinioni, i propri pensieri e ha reso si che
potessi arrivare a scrivere fino a questo punto.
Grazie di cuore.
Epilogo
Tutto Iniziò e Finisce
Qui
“Non vale, o
giochiamo ad armi pari oppure…”.
“Oppure che cosa
fai? Piangi?”.
“Idiota! Daniele,
vieni, stai in squadra con me visto che lui si fa aiutare da Giuseppe!”.
“Non puoi chiamare
Daniele! E poi tu sei più vecchio di me non hai bisogno di aiuto…”.
“Col cavolo, ti
ricordo che il tuo aiutante ha un anno in più a me!”.
“Sarà, ma qui il più
maturo sembro io…”.
“Insomma, devo
aiutarvi oppure no? Altrimenti di là c’è una bella fetta di panettone che mi
aspetta insieme ad una figlia da sorvegliare…”.
“Vuoi dire che non
ti fidi di mio figlio, Dan?”.
“Appunto perché è
tuo figlio, Andrea…”.
“Brutto…! Niko,
continuiamo dopo, ora ho un idiota più idiota di te a cui farla pagare!”.
Possibile che
fossero passati trent’anni da quando io ero una sedicenne che gironzolava per
quel loft tra una prova e l’altra? Possibile che il tempo fosse trascorso così
rapidamente, in un modo lento ed indolore, tanto che io mi sentivo ancora piena
di energie e di voglia di ridere dietro a quelli che, all’epoca, avrei definito
“i miei uomini”?
Certo che era
possibile, e la cosa si rese evidente quando udii delle voci miste ad alcuni
tramestii, che non erano altro che opera dei nostri figli più rispettivi
fidanzati e fidanzate.
Al mio fianco,
Rossella rise di cuore davanti alla scena che si stava svolgendo di fronte a
noi: Andrea, mio marito Andrea che ormai era arrivato alla veneranda età di
cinquantadue anni, se ne stava addosso al mio migliore amico storico Daniele,
intento nel fargli il solletico come se fossero due bambini dispettosi e pieni
di energie dopo aver fatto una bella merenda ristoratrice. Alle loro spalle,
Niko e Giuseppe sghignazzavano come dei matti e contribuivano al tutto
lanciandogli addosso i cuscini di quello che io, durante il mio soggiorno in
quel loft tanti anni prima, solevo chiamare il megadivano.
Era il trentuno
dicembre. L’idea di trascorrere il Natale in un modo diverso dai soliti viaggi
nel nord Italia per la neve o in qualche paese europeo non allettava più i miei
figli e così, erano stati loro a proporre a me e Andrea di andare a trovare i
loro parenti materni a Maddaloni per poi fermarci a festeggiare nel grande loft
di Napoli in cui io e loro padre c’eravamo conosciuti trent’anni prima.
Certo, il loft era
di nostra proprietà dopo che Andrea l’aveva comprato, ma non ci andavamo da
circa sei anni a causa dei vari impegni così ritornarci con tutti i nostri
amici conosciuti in quell’occasione, insieme alle dolci metà dei miei figli, ci
era parsa un’ottima idea e così,già dal ventitré dicembre ci eravamo stabiliti
lì, anche se, per quanto la casa fosse grande, si stava un po’ stretti visto il
fatto che ognuno aveva con sé mariti, mogli, figlie e rispettivi fidanzati. Il
fatto che ci aiutava un po’ era che in qualche caso, figli di amici e fidanzati
dei nostri figli corrispondevano e così…
“Non cambieranno
mai, eh?” chiesi ad alta voce, continuando ad osservare quella scena idilliaca.
“Io ci ho perso le
speranze, ma devo dire che sono contenta. Cioè, per voi è stato un periodo
difficile e mi è dispiaciuto non esservi vicini, così… Mi sento più serena nel
vedere che nonostante tutto è sempre tutto come prima” rispose Rossella. In
quel momento mi parve di vedere la diciannovenne che spesso avevo invidiato ed
odiato: i capelli corvini come sempre, anche se corti fino alle spalle, gli
occhi verde smeraldo e il viso pallido erano gli stessi di sempre e le
conferivano la solita bellezza nonostante i suoi quarantanove anni e qualche
ruga e chiletto in più.
Sorrisi debolmente e
le accarezzai il braccio. “Tranquilla, Ross, è tutto ok… Anche se da quando
Sabrina e Cristian stanno insieme Andrea non è più chissà quanto sereno e cerca
in tutti i modi di osservarli, spiarlo e vedere se tradisce la sua bambina”
sghignazzai, dicendomi che Andrea non sarebbe cambiato mai nei confronti di
nostra figlia Sabrina.
“Posso ribadire che
non ho intenzione di tradire nessuna bambina?”.
Ci voltammo e
ridemmo. Alle nostre spalle c’erano Cristian e Sabrina che ci guardavano con
un’aria un po’ di disappunto. Com’erano belli! Ogni volta che li vedevo insieme
il cuore mi si riempiva di gioia e non potevo non dichiararmi soddisfatta della
piega che avevano preso le cose. Chi avrebbe mai immaginato che sarei riuscita
ad allevare una figlia così meravigliosa e diligente nonostante i miei numerosi
impegni di lavoro?
“E poi la certezza
sta nel fatto che se così fosse, Cristian non sarebbe arrivato a festeggiare
con noi la vigilia di Natale” aggiunse lei, con la stessa dose di sarcasmo che
solevo usare io.
“Amore, come sei
drastica, a Natale siamo tutti più buoni…”.
“Lo sai che io sono
l’eccezione che conferma la regola!”.
Inutile dire che io
e Rossella guardavamo quella scenetta come se fosse l’ultimo film romantico
rimasto al mondo, con tanto di sguardo sognanti.
“Vabbè, noi ci
accomodiamo su uno dei divani per goderci meglio quella pseudo lotta di
wrestling” dichiarò Sabrina, con un tono che cercava di celare sia la sua
incredulità che il sarcasmo che nutriva ai momenti nei confronti del suo babbo.
“Giuro che prima o poi anche Cristian dovrà avere una sorta di scontro simile
con lui come pegno del mio amore” ridacchiò in mia direzione, facendomi
l’occhiolino, che ricambiai, visto che Cristian sembrava allarmato alla sola
idea.
In quel momento
suonarono al campanello, così mi alzai per andare ad aprire, anche con lo scopo
di non sorbirmi più i litigi tra Andrea e Daniele che ora si battibeccavano per
aggiudicarsi la vittoria.
Vittoria mi
precedette quando ero ancora nell’ingresso, dato che lei se ne stava in cucina
con Roberto, Ilaria, Antoine, Gabriele e Belle a giocare a carte.
Con un piccolo senso di gioia vidi entrare Stella insieme ad un ragazzo,
la cui prima visione mi stupì molto. Era molto alto, con i tratti del viso
molto marcati e degli occhi di un verde particolare. Indossava dei vestiti
abbastanza eleganti e subito sorrise in nostra direzione. Doveva essere Mario,
quel famoso ragazzo che Stella aveva conosciuto a lavoro un mese e mezzo prima
e con cui usciva da tre settimane.
“Vittoria, Debora,
se chiamate anche gli altri vi presento Mario, sono appena andato a prenderlo
in aeroporto…” disse Stella raggiante.
Fu una richiesta
inutile visto che, aspettandosi questa visita, sia i ragazzi dalla cucina che
il resto dei presenti si era riversato verso l’ingresso.
“Mario, ciao!”
esclamarono all’unisono Cristian e Sabrina, che lo conoscevano dato che spesso
erano usciti a quattro insieme a lui e
Stella.
Mi voltai e vidi
Niko ed Eliana sorridere in loro direzione. Poco distante, la loro
secondogenita Ilaria squadrava bene quello che sarebbe potuto essere suo
cognato.
“Oh, bene, ci siete
tutti…”.
“No, non ci siamo
tutti, mancano mia figlia e Gabriele…” obiettò Daniele, a cui evidentemente
quella sorta di lotta non aveva fatto dimenticare il motivo per cui se l’era
meritata.
Scambiai uno sguardo
disperato con Andrea che scrollò le spalle, come a dire “posso capirlo,
dopotutto sono il primo che è geloso di sua figlia nonostante abbia venti anni,
quindi figurati lui visto che Belle ne ha sedici…”.
“Siamo qui, calma”
disse la voce di Belle, proveniente dal fondo del corridoio. Alle sue spalle,
mio figlio Gabriele la seguiva in rigoroso silenzio, dato che sapeva che
obiettare e protestare con Daniele era inutile e lo faceva arrabbiare ancora di
più. “Eravamo nella mia stanza a vedere la tv”.
Stella seguiva al
scena con una certa ansia, e quando l’eco delle loro voci si spense, si decise
a dire: “Bene, allora… Volevo presentare a voi tutti Mario, il mio fidanzato.
Mamma, papà, state tranquilli, questa volta non sarà una cosa passeggera… Siamo
innamorati l’uno dell’altra”.
Le sue parole furono
accolte con un moto di incredulità, gli stessi Niko ed Eliana sembravano non
credere che quella fosse la loro Stella, quella che voleva diventare a tutti
costi famosa senza fregarsene di quisquilie come regole e il rispetto nei
confronti del prossimo. Dal giorno del rapimento era maturata, e
improvvisamente aveva acquisito tutta la maturità che ci si aspetta di
riscontrare in una donna di ventisette anni.
“Si, e poi
lasciatemi dire che avete una figlia meravigliosa” aggiunse Mario,
avvicinandosi e stringendo la mano sia a Eliana che a Niko.
Così Mario si
aggiunse alla nostra già numerosa compagnia e si sentì subito parte integrante
di quella sorta di famiglia che eravamo diventi con il tempo. Alla fine del
cenone della vigilia di Capodanno lo vedemmo chiedere timidamente un autografo
a Niko, e per fortuna quel momento idilliaco venne interrotto dall’arrivo di
Max e tutta la sua famiglia.
“Finalmente sei
venuto, nonnetto!” lo accolsi, abbracciandolo. Se a sedici anni lo chiamavo
zio, era ovvio che mano a mano fossi passata alla fase successiva…
“Nonnetto? Per
l’amor del cielo, diciamo che per ora mi basta suocero…” brontolò, mentre
salutava anche Gabriele e Antoine.
“Suocero?” chiesi
senza capire, inarcando un sopracciglio.
Mi voltai di scatto
verso sua figlia Manuela e lei, sorridente, alzò la mano sinistra, al cui
anulare vi era un anello di fidanzamento con una pietra ben visibile e
brillante. “Ale mi ha chiesto di sposarlo, ieri!” esclamò.
“Oh! Auguri,
tesoro!” esclamai, abbracciandola con calore. Lei e Alessandro stavano insieme
da circa cinque anni, e si distinguevano perché non erano una di quelle coppie
appiccicose e legate da un gran senso di gelosia.
Non riuscii a non
pensare che al suo battesimo avevo rincontrato Andrea, e già si stava per
sposare… Quella sera, nel mio cuore la malinconia era d’obbligo a quanto pareva.
Improvvisamente,
presa da chissà quale turbine di emozioni, indossai il giubbino ed uscii fuori
al balcone, lo stesso in cui, anni prima, avevo letto la lettera della mia
amica Cristina che mi invitava a non fare più scandali. Era un venerdì tredici, il giorno in cui Niko mi aveva
baciata per la prima volta. E su quello stesso balcone avevamo litigato poi, una
domenica mattina, in cui lui mi aveva accusato di essere una “sedicenne
psicolabile”… E poi, quel pomeriggio, mi ero sfogata con Andrea su uno dei
divani che si trovavano tutt’ora di fronte al balcone e mi aveva detto che lui
si era affezionato fin troppo a qualcuno, che non sapevo essere io…
Senza che potessi
evitarlo, il mio viso iniziò a bagnarsi di lacrime. Eravamo alla fine di un
altro anno, quello in cui avrei compiuto quarantasette anni e ventidue anni di
matrimonio con Andrea.
Come se lo avessi
chiamato, sentii quest’ultimo cingermi la vita e baciarmi una guancia.
Evidentemente sentì che il mio viso era bagnato, perché mi fece voltare verso
di lui e mi squadrò ansioso.
“Deb, è successo
qualcosa?” chiese preoccupato.
Sorrisi tra le
lacrime e scossi il capo, asciugandomi il viso con la manica del giubbino. “No,
no, è tutto fin troppo ok… Forse è questo il problema” mormorai.
Lui continuò a
guardarmi sospettoso.
“Ti giuro, non è
nulla, mi sono solo lasciata un po’ andare con i ricordi e… Sono passati tanti
anni, siamo cresciuti tutti insieme, siamo riusciti a sopravvivere a tanti
casini, abbiamo avuto dei figli che ora stanno percorrendo le nostre stesse
tappe…” elencai, cercando di fargli comprendere il mio stato d’animo.
“Non dirmi che inizi
a sentirti vecchia!” mi ammonì, ma quando vide che lo guardai come a dire “Sei
un insensibile!” mi strinse a sé e mi accarezzò i capelli.
“Scherzavo… So cosa
intendi, e se è per questo ci penso da più tempo di te” dichiarò.
“E’ ovvio, hai sei
anni in più a me…”.
“Ci penso da quando
Sabri andava in terza media, in realtà” precisò.
Alzai lo sguardo,
scostandomi da lui, e lo guardai negli occhi. “E non me…?”.
“Non volevo farti
preoccupare” mi interruppe. “Ma è bello sapere che mia moglie ha la mia stessa
anima malinconica. Deb, abbiamo passato più di metà della nostra vita insieme,
e devi continuare a sorridere senza lasciarti prendere dalla malinconia. E’ la
vita… E poi oggi, con Daniele e gli altri, mi sembra di averti dato la
dimostrazione che non si è mai troppo avanti con gli anni per fare certe cose”
aggiunse, strappandomi un sorriso. "E ricorda che ti amo sempre come se fosse il primo
giorno".
“Anch'io, e lo sai, ma diciamo che preferirei che me lo dimostrassi
in altri modi…” sussurrai, attirandolo verso di me mediante il colletto della
camicia e baciandolo, senza non riuscire a non provare un minimo di vergogna.
“E’ quello che
volevo sentirti dire, donna, ti aspetto stanotte nella suite imperiale del
nostro regno per festeggiare l’anno nuovo…” rispose, con un velo di ironia e
tono da macho, prima di ribaciarmi. Ecco, in quel momento ebbi che la certezza
che la Deb e l’Andrea ventenni erano ancora vivi e non si sarebbero mai
assopiti con il passare degli anni.
Quando mi separai
vidi Sabrina e Gabriele guardarci
sghignazzanti dall’altra parte dl vetro del salotto, e scrollai le spalle,
riabbracciando Andrea. “Non avete solo voi il diritto di sbaciucchiarvi!” disse
lui, ed io annuii. Qualche volta avremmo anche potuto fare un’uscita a sei con
loro, chi ce lo vietava?
I vari mobili che ci
circondavano erano cosparsi da cornici con dentro foto che rappresentavano la mia
famiglia, ed io avevo avuto l’accortezza di abbassarle tutte, , dato che non mi
andava assolutamente di avere la sensazione di essere osservata da loro in un
simile momento.
Era ormai giorno, e
i raggi del sole filtravano dalla finestra della stanza che, anni prima,
apparteneva a mia madre. Lì lei aveva passato notti insonni a pensare a mio
padre, si era rallegrata quando aveva scoperto di aver perso qualche chilo nel
bagno adiacente, si era chiarita con papà dopo aver passato una bellissima
serata con lui mentre io…
“Amore, sei
sveglia?”.
… Io ci avevo fatto
l’amore per la prima volta con il mio ragazzo.
La voce calda e
seducente di Cristian suonò come musica nelle mie orecchie, mentre cercavo di
allontanare questo pensiero dalla mia testa. Quello era l’unico suono che al
momento sarei stata in grado di ascoltare senza sentirmi disturbata a causa
dell’eccesso di sonno che mi aveva invasa.
“Mmm, si” mugolai in
risposta. Me ne stavo girata dall’altra parte, gli stavo dando le spalle, per
il semplice fatto che ero cosciente del fatto che, appena avrei incontrato i
suoi occhi, non sarei riuscita a non
arrossire per i ricordi vissuti la sera prima con lui.
La mia prima volta.
Fino a pochi mesi prima, questa parola mi terrorizzava un po’, ma solo perché
non avevo ancora nessuno con cui condividere quell’esperienza.
Poi era arrivato
Cristian e… E tutto era diventato naturale.
Mi sentii cingermi
la vita dalle sue braccia possenti ed invitanti, così mi decisi a girarmi dopo
aver contato fino a dieci. Ma quello che trovai dipinto sul suo volto mi
spiazzò: mi aspettavo un normale sorriso, un qualcosa di semplice, come tutte
le volte che avevo dormito con lui nella dependance, e invece… Invece era
serio, ma mi stava osservando con una tale intensità che probabilmente sarebbe
riuscito a leggermi l’anima senza alcuno sforzo.
Mi accarezzò il
volto, i capelli, e mi attirò a sé senza alcuno sforzo.
“Sabri, ti ho mai
detto che ti amo?” domandò, con una
naturalezza mista ad un senso di gioia che non fece altro che aumentare la mia
incredulità.
In quel momento mi
sentii mancare il fiato e sentii qualcosa sciogliersi nei pressi del mio
stomaco. “N-no…” biascicai, cercando di respirare normalmente, ma invano.
“Beh, ora l’ho
fatto” disse, e qui sorrise in un modo dieci volte più smagliante di quello che
ero abituata a vedere.
Probabilmente non
avevo mai vissuto quel miscuglio di emozioni che stavo provando tutte in una
volta. Mi sentivo stordita, un po’ assonnata, senza fiato, con un mix di
emozioni che mi attraversavano freneticamente il cervello proprio come se
fossero una serie di taxi che si affollavano per la strada di New York. Ma solo
una cosa era sicura: ero immensamente felice.
“Allora, se
permetti, tocca a me farlo…” riuscii a dire dopo qualche secondo, con la voce
un po’ flebile.
“Non voglio che tu
lo dica solo perché…”.
“Ti amo” lo
interruppi, con una sicurezza e un tono di voce deciso e chiaro che sembrava
aver sostituito quello incerto di poco prima.
Cristian restò un
secondo spiazzato, prima di attirarmi a sé e baciarmi in un modo tale che
riaccese i me i ricordi della sera prima non proprio casti e puri. Non riuscii
a non trattenere un risolino, e lui si separò, guardandomi senza capire.
“Scusami, sono una
frana, lo so…” biascicai.
“Perché dovresti
esserlo?”.
“E me lo chiedi
pure? Insomma, lo so che tu sei diecimila volte più pratico di me in queste
cose, mentre io il massimo che riesco a fare è ridere per il nervosismo mentre
mi baci la mattina dopo che io e te… Abbiamo… Vedi, non riesco a non dirlo
senza imbarazzarmi!” urlai con una vocina un po’ stridula degna della miglior
bambina fastidiosa e petulante del mondo. Che figuraccia! E so dopo queste mie
parole Cristian avrebbe capito che ero troppo giovane per lui, troppo
inesperta, troppo ancora bambina?
“E allora
imbarazzati che mi piaci ancora dieci volte di più” rispose tranquillamente
lui, prendendo il mio volto tra le mani e iniziando ad accarezzarmelo
dolcemente. Lo guardai stupita, ma non
mi diede il tempo di replicare perché avvicinò il suo volto al mio e iniziò a
sfiorarmi delicatamente il volto con la sua guancia. “Mi credi se ti dico che
questa notte è stata la più meravigliosa che abbia passato con una ragazza? Può
sembrare una frase scontata, ma non lo è, è la pura verità. E sai perché?
Perché so che tu sei la ragazza,
l’ultima che avrò e la prima che abbia mai amato. Ogni carezza, ogni bacio,
ogni tuo movimento stanotte mi hanno fatto ricordare perché ti amo così alla
follia… Ed è il minimo che posso provare dopo tutto quello che abbiamo
rischiato” sussurrò quando si scostò, guardandomi negli occhi.
Io non avevo parole.
Di nuovo mi sentivo lo stomaco in subbuglio, e l’unica cosa che riuscii a fare
fu stringerlo a me e poi ribaciarlo. Comprese, perché rispose e cercò di
rassicurarmi ancora.
Ma quel momento
idilliaco fu però interrotto dallo squillare insistente del mio cellulare.
“Pensa se è mamma…” borbottai, mentre mi guardavo intorno per trovarlo. “Ci ha
permesso di restare qui da soli il giorno dopo l’Epifania solo perché gli
abbiamo detto che volevi andare a Pompei visto che non ceri mai stato… E
invece…”.
“E invece tu sei
stata il vulcano che mi ha fatto comprendere come si sono sentiti i suoi
abitanti quel disastroso giorno del 79 a.C., ma fa niente” sghignazzò lui,
alzandosi e cingendomi la vita mentre mi
avvicinavo alla borsa visto che la suoneria proveniva da lì.
Mi girai e gli
scoccai un’occhiata che speravo sarebbe risultata un po’ seducente e un po’
sarcastica, anche se fui costretta a sostituirla con una degna della migliore
sbadata del mondo quando vidi da chi proveniva la chiamata.
“Ehi, Titti!”
esclamai, colta all’improvviso.
“Sabri! Ma dove
siete? Noi siamo appena arrivati alla stazione ma non vi troviamo…” mi fece
notare, e in quel momento mi sentii un’emerita scellerata. Come avevo potuto
dimenticare che Titti e Marco sarebbero venuti a trovarci gli ultimi due giorni
che restavamo a Napoli e che dovevamo andarli a prendere alla stazione?
“Oh, si, sai,
abbiamo avuto problemi con il taxi, non abbiamo nessun mezzo di trasporto visto
che siamo venuti in aereo e quindi… Non… Non potete venire voi se vi do
l’indirizzo?”.
Detto fatto. Subito,
appena terminata la telefonata, io e Cristian ci fiondammo in bagno per una
doccia rapidissima, indossammo qualcosa di decente e sistemammo la casa.
Era come se fossimo
scesi dalle nuvole, come se per dodici ore io e lui fossimo vissuti in un mondo
a parte da quello consueto, e ora ci toccava ritornare alla brusca realtà in
cui avevamo preso degli impegni e ci toccava rispettarli, anche se non
comportavano alcuna fatica o dispiacere.
“Eccovi! Pensavamo
di non trovarvi più!” esclamò Titti appena aprimmo alla porta. Alle sua spalle
Marco, sempre iper biondo, sempre con quell’aria da bad boy che spesso la mia
amica elogiava e diceva di adorare, ci sorrise e ci abbracciò dopo la sua
ragazza.
“Non sapete che
trauma il viaggio in treno! Siamo capitati vicino a due ragazze estremamente
cafone e chiassose…” si lamentò appena li invitai ad accomodarsi in cucina per
ebre qualcosa.
Io, Cristian e Titti
ci guardammo con un sopracciglio levato e subito ribattei: “La prossima volta
ti affitto una limousine, ok?”.
“Ehi, smettila di
sfottere!” si difese.
“Si, Sabri,
smettila, lo sai che il mio cucciolo è un po’ permalosetto” disse Titti con un
tono di accondiscendenza degna della migliore mamma assoggettata al proprio
bambino.
Scoppiai a ridere e
lei fece lo stesso, mentre Marco sbuffava scocciato.
“Comunque, devo
darti una mega notizia!” esclamò la mia migliore amica, decidendo di rompere
quel momento in cui il suo ragazzo no si stava divertendo affatto. Restava
comunque un signorotto di alta società che stavamo migliorando mano a mano
circa i modi un po’ troppo formali e altezzosi.
“Spara”.
“Ho scoperto di aver
vinto una borsa di studio con i voti del liceo e per questo lo Stato mi ha
assicurato una sorta di assegno mensile visto che sono orfana e che mia zia che
ora sta in Francia ha legalizzato per bene la situazione, e così all’inizio del
prossimo semestre inizierò le lezioni all’Università per studiare cinese!”
esclamò.
Marco la guardò
adorante e sorrise, stringendola a sé. Molte volte aveva cercato di persuaderla
ad accettare un aiuto economico da parte sua, ma lei ovviamente aveva rifiutato
categoricamente.
Dal canto mio, emisi
un urletto di gioia e la strappai dalle grinfie di Marco per avvolgerla in un
abbraccio stritola costole. “E’ magnifico! Così la mattina andremo
all’Università insieme! E realizzerai il tuo sogno di diventare interprete! Oh,
come sono felice!” urlai.
Lei ricambiò
l’abbraccio e sorrise, consapevole.
Eccoci, finalmente
soddisfatte di ciò che la vita ci aveva offerto dopo vari patimenti. Non
eravamo più le due ragazzine che se ne stavano sui gradini di Piazza di Spagna
a piagnucolare per la mancanza di qualcosa nelle nostre vite, no, eravamo
semplicemente felici per il nostro presente, che eravamo sicure si sarebbe
protratto nello stesso modo fino a diventare un meraviglioso futuro.
Fine
… E così eccoci
arrivati alla fine vera e propria di questa terza ed ultima parte. So che vi
sembrerà strano il fatto che la prima parte sia narrata dal punto di vista di
Deb, ma non ce l’avrei fatta a concludere questa storia senza aver narrato
qualcosa dal suo punto di vista che mi è mancato tantissimo in questi quattro
mesi. Spero vi sia piaciuto quel piccolo viaggio nei suoi pensieri ^^
La seconda parte,
poi, probabilmente è un po’ scontata ma sapete che io adoro i lieto fine e
Cristian e Sabrina se lo meritavano dopo tutto quello che hanno passato.
Ci tenevo a far
svolgere il tutto nel fatidico loft in cui Deb e Andrea si sono conosciuti, e
spero che vi abbia fatto piacere ritornare un po’ con il pensiero in quel posto
=)
Cosa dire, non mi
resta che ringraziare le 28 persone che hanno messo la storia tra le seguite,
le 24 che l’hanno messa tra i preferiti, coloro che l’hanno solo letta e coloro
che hanno recensito lo scorso cap:
Alina 95: Si, Andrea
non lo supera nessuno ;-) spero ti sia piaciuta la scena tra lui e Deb in
questo cap ^^ Ma Cristian come dici tu mano a mano può arrivare alla sua
altezza, dai ihih! Spero che l’epilogo ti sia altrettanto piaciuto… Un bacione
e grazie per avermi seguita anche qui! ^^
CriCri88: Deb
incinta? Ma sai che la mia mente diabolica proprio a questo non aveva pensato?
xD Poi ovviamente dopo la tua supposizione ci ho riflettuto un po’, solo che
alla fine ho optato di no visto che comunque ha quasi quarantasette anni e poi
già mi immaginavo la faccia sconvolta del piccolo Gab quando avrebbe scoperto
che non sarebbe stato più il piccolo della famiglia… xD Grazie mille per avermi
seguito anche qui, e ti ringrazio sempre per avermi spronata a scrivere questa
terza e ultima parte! Un bacione cara!
vero15star: Tesoro,
scherzi? Non devo assolutamente perdonarti perché non sono mai stata
“arrabbiata”, so quanto sia difficile gestire scuola, ispirazione e stress ^^ E
poi già sapere che questi cap hanno continuato a piacerti mi ha dato un gran
sollievo perché sai che per me la tua opinione è fondamentale. Cosa dirti,
grazie di cuore tesoro, ti voglio benissimo!
_piccola_stella_senza_cielo_:
Si, alla fine l’amour trionfa sempre, eheh! Grazie per essere passata
anche a vedere l’altra storia, spero ti
piacerà con il procedere dei cap ^^ Un bacione!
Angel Texas Ranger:
In effetti, Irene non può ascoltarti perché è morta come hai detto tu xD E
tutto è bene quel che finisce bene, eh si… Spero che anche l’epilogo ti sia
piaciuto con il ritorno per un po’ nei pensieri di Deb… Un bacione e grazie di
cuore per avermi seguito anche qui!
Cosa dire… Se vi va
di sopportarmi ancora vi invito di nuovo a leggere la mia fic Dillo Alla Luna che per ora ha solo il prologo e il primo cap,
l’aggiornerò tra due giorni circa.
Grazie a
tutti coloro che mi hanno seguita in questo percorso… Non dimenticherò le
vostre recensioni e i vostri commenti.
La vostra milly92.
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