A Queen's Daughter

di Bardunfula
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un dono del Cielo ***
Capitolo 2: *** Alleanze e distanze ***
Capitolo 3: *** Un modo per crescere ***
Capitolo 4: *** Un ritorno inaspettato ***
Capitolo 5: *** Rings of fire ***
Capitolo 6: *** Acquaintances... ***
Capitolo 7: *** Liaisons Dangereuses ***
Capitolo 8: *** … That end really badly ***
Capitolo 9: *** Stand by me ***
Capitolo 10: *** A long journey into us ***
Capitolo 11: *** A gift to refuse ***
Capitolo 12: *** Missing ***
Capitolo 13: *** Back to my womb ***
Capitolo 14: *** The Queen's guide ***
Capitolo 15: *** A riot in the City ***
Capitolo 16: *** Something new, something old ***
Capitolo 17: *** Honor your father and your mother ***
Capitolo 18: *** Three cheers for the War ***
Capitolo 19: *** War and Peace ***
Capitolo 20: *** A plague of both your Houses ***
Capitolo 21: *** Lost and found ***
Capitolo 22: *** I Care ***
Capitolo 23: *** Timeo Danaos et dona ferentes ***
Capitolo 24: *** What love can do that dares love attempt ***
Capitolo 25: *** Like a riot in the heart ***
Capitolo 26: *** A new world (a.k.a. Different perspectives - Catherine's P.O.V.) ***
Capitolo 27: *** A new world (a.k.a. Different perspectives - Isabel's P.O.V.) ***
Capitolo 28: *** Losing my religion ***
Capitolo 29: *** Real Danger ***



Capitolo 1
*** Un dono del Cielo ***


A Queen's Daughter - Un dono del Cielo

Londra, Marzo 1514 – Un dono del Cielo

 

“Coraggio, my lady, spingete.” Esortò Magdalene, l’esperta e anziana levatrice.
Caterina, stesa sul letto, era madida di sudore, dolorante e ormai del tutto sfinita. Le sue dame le erano intorno ed alle spalle e cercavano, ormai da molte ore, di darle forza e coraggio, e di sostenerla.
Madre de Dios!!” Gridava quando le forze glielo consentivano, invocando la Vergine e spingendo per fare uscire da sé la sua creatura. Nonostante spingesse, assecondando le contrazioni, però, essa non usciva, e la Regina cominciava a perdere le forze ed a sentirsi del tutto esausta.
“Ecco, Maestà!! Vedo la testolina.” La incoraggiò Magdalene, vedendo finalmente spuntare un piccola chioma. Caterina spinse con tutte le sue forze, ed una contrazione, più dolorosa delle altre, le fece quasi perdere conoscenza. Vedendo la sua signora in difficoltà, la levatrice fece un cenno ad una delle dame, che si permise di dare dei piccoli colpi alle guance paonazze della Sovrana, per farla riprendere.
“Coraggio, Maestà.” Intimò decisa. “Questa creatura ha bisogno di tutte le vostre energie.. Un piccolo sforzo e potrete stringere fra le braccia il vostro tesoro.”
Obbediente come poche volte nella sua vita, almeno con una persona di condizione sociale inferiore, Caterina riprese immediatamente a spingere.
Il vagito, che quasi quindici minuti dopo inondò la stanza, venne accolto da tutte con una gioia enorme e dei grossi sospiri di sollievo. La Regina si abbandonò esausta sui cuscini, mentre lady Anne le asciugava la fronte con un telo pulito, e restò in attesa che Magdalene le portasse la sua creatura.
“E’ una bambina, Maestà..” Annunciò quest’ultima girandosi verso la Regina e reggendo fra le braccia un fagottino già in movimento.
Caterina chiuse gli occhi e scosse leggermente la testa. Proprio non riusciva a generare figli maschi. Poi il primo gridolino della figlia le inondò il cuore di gioia.
Subito venne chiamato il Re, che accorse al capezzale della moglie. Le baciò la fronte e, mentre tutte le dame e Magdalene uscivano discretamente, lasciandoli soli, guardò la bambina che proprio in quel momento aprì gli occhi, rivelando due gemme enormi e di colore grigio. Una mano della piccola si alzò andando a posarsi su quella di Caterina, e poi la figlia girò inconsapevolmente il viso verso di lei, fissandola adorante.
“Già fissa la sua mamma!” Esclamò Enrico, che certo non poteva sapere che la piccola non vedeva nulla ed era attratta unicamente dall’odore materno. “Bene, vorrà dire che Maria continuerà ad adorare me, e questa piccola peste si prenderà cura di voi.”
“Maestà, è del mio angelo che state parlando.” Ribattè Caterina, rimproverandolo per finta e lanciandogli un’occhiata. La Sovrana tornò con lo sguardo sulla bimba e, baciandole la testolina, mormorò.
“Che ne dite di Isabel Magdalene?” Chiese, mentre la piccola le stringeva la manina attorno al dito e la conquistava definitivamente.

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Capitolo 2
*** Alleanze e distanze ***


A Queen's Daughter - Alleanze e distanze

Valle d’Oro (Francia), Estate 1520 – Alleanze e distanze

 
“Non vedete che fate vergognare nostra madre?”
Isabel fissò con occhi di fuoco Maria, la sorella, maggiore di lei di tre anni, che per l’ennesima volta la rimproverava aspramente. La piccola corrugò come suo solito le sopracciglia e mise il broncio.
“La mamma non si vergogna di me.” Sostenne ferma, dopo un po’. Quella volta non aveva fatto davvero nulla da indurre la madre a vergognarsi di lei: aveva riso di gusto, come tutti i presenti alla scena, quando il Delfino di Francia, reo di essersi pulito la guancia dopo il bacio ricevuto da Maria, venne atterrato dalla sorella stessa. Isabel non era davvero riuscita a trattenere una risatina, ma tutto il seguito, sia quello francese che l’inglese, aveva riso della scena così palesemente comica. Maria era stata fintamente rimproverata dal padre e Caterina era rimasta per un attimo sconvolta dalla reazione della figlia, ma tutto si era trasformato in un divertente fuori programma. Ora, che la colpevole di quell’azione venisse a lamentarsi con chi aveva soltanto riso della sua impudenza, era davvero troppo.
Mamà, mamà!!” Chiamò Maria, approfittando del passaggio della madre proprio in quel momento.
Sentitasi chiamare, Caterina congedò le sue dame ed entrò nella stanza dove si trovavano le due bambine.
“Dimmi, cielo.” Disse dolcemente a Maria, accarezzandole la guancia e scendendo con la mano sotto il mento, come faceva sempre.
Isabel, in un angolo, si sentì ribollire di gelosia. Adorava quel gesto che la madre le regalava ogni volta che la vedeva, facendola sentire unica. Mentre Maria organizzava la risposta, Caterina, che nel frattempo si era andata a sedere su una sedia accanto ad un tavolo, guardò la secondogenita, che continuava a stare in disparte. Le sorrise e poi piegò il viso da un lato, quasi a chiederle come mai non fosse venuta a salutarla. Subito Isabel approfittò dell’occasione e le si avvicinò. Caterina allungò le braccia verso di lei, la sollevò e la fece sedere sulle sue ginocchia, baciandole la fronte, in silenzio. La bambina si sentì al settimo cielo. Maria aveva ricevuto il dono di quel gesto speciale, ma a lei era toccato un regalo ancora più grande.
“Isabel ha riso prima, quando il Delfino è caduto..” Esclamò la primogenita, evitando accuratamente di ricordare il motivo della ‘caduta’ del povero bambino. “Ha proprio riso di lui.” Aggiunse.
Isabel la guardò stupita. Che ingiustizia stava mai dicendo? Non aveva riso di lui, ovviamente, ma della scena in sé. Come almeno un centinaio di persone, peraltro.
“Maria, Francesco non è caduto, o mi sbaglio?” La corresse immediatamente Caterina, e la bambina ebbe l’umiltà di abbassare lo sguardo, rossa di vergogna. Isabel sorrise fra sé e sé. Quel rimprovero le ci voleva proprio. Maria era di un’arroganza senza fine quando voleva, per non parlare di quanto fosse prepotente. Poi però i severi occhi chiari della Regina si posarono sulla sua secondogenita. “Tua sorella dice il vero, Isabel?” Le chiese con voce tutt’altro che accondiscendente. La bambina aprì la bocca per spiegare, ma la madre proseguì, ignorando il suo tentativo. “Non sta affatto bene ridere di una persona, Isabel. Dovresti saperlo, ormai, e molto bene.” Sentenziò, prendendola delicatamente per le braccia e depositandola a terra. Quel gesto era inequivocabile, per quanto il tono della voce materna non fosse collerico, né il suo volume alto. Isabel arrossì di vergogna, anche per non aver potuto spiegare le sue ragioni.
Prima ancora che potesse riprovare a spiegarsi, Caterina si alzò e la guardò, di nuovo in modo severo.
“Dovresti riflettere sul tuo comportamento e sui tuoi errori, Isabel..” Le disse, poi si voltò e uscì dalla stanza. Non vide gli occhi della figlia riempirsi di lacrime e non vide nemmeno la faccia sgomenta di lei, mentre la seguiva con lo sguardo e la vedeva uscire.
“Hai visto? Anche la mamma ti ha sgridato!” Riprese Maria, punzecchiandola ancora più crudelmente e passando ad un tu denigratorio e traboccante superiorità.
“Sei cattiva!” Urlò Isabel, al colmo della disperazione per non essere stata ascoltata dalla madre e della collera per la prepotenza della sorella. “Sei una strega cattiva!” Ripeté con più forza.
Maria non ci pensò su due volte e le assestò un ceffone sulla bocca, facendola cadere a terra, più per la sorpresa che per la forza del colpo in sé. Una dama che era lì fuori, al sentire lo schiocco dello schiaffo e poi il tonfo, si affacciò e vide abbastanza per capire. Richiamata, Caterina rientrò di corsa nella stanza. La vista degli occhi di Isabel, pieni di doloroso stupore, le strinse il cuore. Prima di andare da lei, però, si voltò verso Maria.
“Che non ricapiti mai più che tu alzi le mani su tua sorella!” Le disse furente. La bambina la guardò, terrorizzata dal suo tono di voce, ed annuì in silenzio. Poi Caterina si diresse da Isabel. Si accosciò di fronte a lei e la prese immediatamente fra le braccia, stringendola a sé. La bambina scoppiò in un pianto disperato, solo in parte dovuto allo schiaffo ricevuto.
“Non ridevo di lui, mamà.. Non ridevo di Francesco.” Riuscì a dire fra i violenti singhiozzi. Caterina capì immediatamente e la strinse ancora più forte. La consapevolezza di essere stata ingiusta verso Isabel e di averle negato il modo di spiegarsi, la fece stare malissimo. Per cercare di calmarla, le accarezzò dolcemente la schiena e girò il viso per baciarle la tempia e i capelli, ma quell’improvvisa dolcezza ebbe la sola conseguenza di far piangere ancora più forte Isabel. A quel punto Caterina decise di dedicare del tempo alla sua secondogenita.
Era da un po’ di mesi che aveva notato delle frizioni fra le due sorelle e negli ultimi tempi Maria stava esagerando. Spesso la chiamava in causa, non tanto per aiutarle a spiegarsi, quanto perché rimproverasse la sorella più piccola, o per farle notare le sue mancanze. A differenza di Maria, che era più astuta e smaliziata in queste cose, sebbene avesse solo dieci anni ed un carattere meno vivace e solare della sorella, Isabel era più taciturna e tendeva a tenere tutto dentro, nonostante il carattere in apparenza scanzonato. Quella apparente contraddizione la rendeva perciò il bersaglio perfetto per i colpi, non sempre innocui, della sorella. Caterina sentiva un legame speciale con la piccola e detestava punirla e rimproverarla, tanto più se sotto l’ ‘input’ a comando di Maria. La Sovrana in quella particolare occasione vide chiaramente la sottile e meschina crudeltà del suo comportamento e si decise a porvi un freno.
Continuando a tenere fra le braccia Isabel, si alzò e, senza degnare di ulteriore occhiata la primogenita, uscì dalla stanza. 

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Capitolo 3
*** Un modo per crescere ***


A Queen's Daughter - Un modo per crescere

Settembre 1524 – Un modo per crescere

 
“Newcastle?! Ma dico, sei impazzito?”
Caterina non si era mai rivolta al marito in quel modo e lui divenne paonazzo, limitandosi a fissarla, come inebetito, per diversi istanti.
“Bada..” La avvertì sibilando, quando ritrovò la voce. Chiunque, riconoscendo il tono decisamente minaccioso e pronto all’azione, si sarebbe ritirato in buon ordine, ma non Caterina. Non quella volta.
“Newcastle upon Tyne, Enrico!!” Ripeté scandalizzata, come se lui dovesse vergognarsi all’istante di quella scelta. “Ha solo dieci anni!! Cosa pensi farà lì, tutta sola, a 300 miglia da qui, povera creatura?!” Disse, come se fosse quell’aspetto a turbarla profondamente.
“Ci serve lì.” Sentenziò il Sovrano. “Terrà buoni quei delinquenti degli scozzesi, te lo dico io. Quei selvaggi non oseranno attaccarci con nostra figlia lì.”
Caterina lo guardò stravolta. Come poteva mandare Isabel in quelle terre ai confini con la Scozia per un puro calcolo politico!? Senza contare il fatto che la distanza a dir poco proibitiva rendeva difficile le reciproche visite. La Sovrana si portò la mano al collo, e si massaggiò la pelle, come faceva quando era agitata, nervosa, in collera o semplicemente tutte e tre le cose.
Senza dire una sola parola al marito, uscì dalla stanza, mentre lui le diceva che Isabel sarebbe partita in meno di un mese, esattamente come la sorella. Caterina, purtroppo, lo sentì, ma avrebbe voluto non farlo perché quella ulteriore notizia la fece ancora più incollerire.

 

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Mentre le sue quattro dame ultimavano la preparazione dei suoi bagagli, Isabel si guardò tutt’intorno. Cercò di imprimersi bene in mente i particolari della sua stanza e la disposizione degli oggetti cari, in modo che una volta arrivata a Newcastle il pensiero di quell’immagine la confortasse, come sempre le avveniva quando andava in un posto nuovo che non conosceva. Ripensare a ciò che conosceva ed amava la calmava e le faceva affrontare meglio i primi giorni di ambientamento e di assestamento.
Un mese prima suo padre le aveva annunciato che per i successivi sei anni avrebbe abitato a Newcastle upon Tyne, dove avrebbe completato la sua educazione, servito l’Inghilterra ed aiutato il suo papà. Enrico si era lanciato poi in un discorso di cui Isabel non aveva afferrato bene il senso, né l’obiettivo finale, ma le parole che le erano rimaste impresse l’avevano resa orgogliosa della sua missione. Naturalmente non c’erano solo i ‘pro’di quella cosa; c’era un ‘contro’ grande quanto un castello, oltre il fatto di lasciare la propria stanza, sua sorella e suo padre. Isabel temeva il momento in cui avrebbe salutato la sua mamma. Lei era la persona più straordinaria del mondo e la ammirava enormemente. Certo, di tanto in tanto lei la sgridava e la guardava in modo così severo da farla rabbrividire, e ultimamente succedeva sempre più spesso, ma la bambina sapeva anche che la mamma le voleva enormemente bene. Lo sentiva quando la abbracciava, quando le parlava o la vezzeggiava in spagnolo, a voce bassa, come se quei nomignoli fossero solo per lei, o quando, seduta nella sua poltrona, la teneva sulle ginocchia e le raccontava della propria infanzia e della straordinaria Isabella di Castiglia, la nonna di cui lei portava il nome. Quelli erano i momenti in cui Isabel desiderava fermare il tempo in ogni modo possibile e godere all’infinito di quella speciale vicinanza, che percepiva destinata a finire, prima o poi.
“La Regina è ancora con vostra sorella..” Le sorrise lady Margareth, la preferita fra le sue dame. Isabel annuì pensierosa. Ormai era lì da tanto e la bambina cominciava a sentirsi un po’ impaziente. Poi un pensiero la fece sorridere e la rasserenò. Era certa che anche a lei la sua mamma avrebbe dedicato tanto tempo.

 

“Bambina mia, cerca di essere forte e coraggiosa..” Mormorò Caterina, accosciata di fronte alla figlia, con una mano sul suo visetto bianco e roseo e l’altra a tenere le due manine della bambina.
“Sì, mamà. Lo prometto.” Rispose ferma Isabel, fissandola con i suoi enormi occhi grigi. Caterina le sorrise orgogliosa e le fece la solita carezza, dalla guancia fino al mento.
Era la solita carezza, appunto, ma in quel momento Isabel fu sopraffatta da un’improvvisa nostalgia per l’arrivederci ormai imminente. Appena la mano della mamma si staccò dal suo viso, lei si avvicinò per un abbraccio stretto, con un sorriso fiducioso. Con sua enorme sorpresa, Caterina si tirò su in piedi e, dopo averle baciato la fronte, uscì dalla stanza.
La bambina rimase pietrificata dallo stupore e dal dolore. A Maria aveva dedicato un tempo infinito ed a lei solo due parole, una carezza ed un bacio. I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma stavolta fece appello a tutto il suo coraggio e non vi cedette. Le ricacciò giù, anche se le costò uno sforzo immane, e poi con rabbia si dedicò agli ultimi preparativi.

 

Mentre ritornava in camera sua, Caterina sentì il rivolo bollente delle lacrime bagnarle le guance.
Il saluto a Isabel le era costato enormemente. Più di quello dato a Maria. Dio sapeva quanto avrebbe desiderato tenere Isabel in grembo, come faceva sempre, stretta fra le sue braccia fino a rassicurare entrambe sulla bontà della decisione presa dal Sovrano. Si aspettava che la piccola si lasciasse andare al pianto, permettendole di essere quella più forte, ed invece la risposta decisa e gli occhi fermi di Isabel avevano distrutto tutto il suo programma. I suoi propositi di forza si erano infranti su quegli occhi asciutti e fieri, e lei si era sentita sopraffatta dall’orgoglio e dalla tenerezza per quella figlia così forte e coraggiosa, che sentiva sempre più vicina al suo cuore. Per non scoppiare in lacrime di fronte a lei, si era alzata in tutta fretta ed aveva lasciato la stanza della bambina.
Naturalmente non aveva nemmeno lontanamente sospettato l’immenso dolore e lo choc causato alla figlia con quel comportamento e le conseguenze che ciò avrebbe provocato successivamente.

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Capitolo 4
*** Un ritorno inaspettato ***


A Queen's Daughter - Un ritorno inaspettato

Londra, Dicembre 1528 – Un ritorno inaspettato

 
“Maestà, vostra figlia è qui..”
Caterina ed Enrico si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, troppo stupiti perfino per parlare. Entrambe avrebbero dovuto tornare per le vacanze natalizie non prima di due settimane, per cui la visita era a dir poco inaspettata.
I due reali genitori si diressero nella sala degli appartamenti di Enrico dove Isabel li aspettava. Appena entrarono, il Re le andò incontro e la strinse a sé, non permettendole quasi nemmeno che si inchinasse di fronte a lui.
“Tesoro mio..” Le disse stringendola. La fanciulla si mosse fra le sue braccia, come se la stretta fosse troppo forte e poi, dopo una lunga occhiata con la madre, guardò il padre ed accennò un sorriso. “Sei bagnata fradicia.. Saluta tua madre e poi a cambiarti.” Le disse, non facendo minimamente cenno all’ampio anticipo con cui si era presentata a corte.
Caterina nel frattempo aveva fissato la figlia con attenzione e una sensazione strana ed indecifrabile. Dopo il primo guizzo di gioia selvaggia alla notizia che il suo tesoro era di nuovo lì a Greenwich, nel vederla la gioia aveva pian piano lasciato lo spazio ad altri sentimenti. Isabel era decisamente più magra dall’ultima volta che l’aveva vista, quasi sei mesi prima, ed il viso sembrava essere segnato e sofferente. Inoltre aveva notato il leggero muoversi di lei fra le braccia del padre, e in quel segno vi aveva colto qualcosa di molto negativo. Quando Enrico la lasciò, si avvicinò e le sorrise.
“Bambina mia adorata..” Mormorò tendendole le braccia. Isabel si inchinò di fronte a lei, così profondamente che nel risalire quasi barcollò. Caterina la strinse immediatamente fra le braccia e con orrore si accorse che la figlia era quasi pelle ed ossa. Subito fece due passi indietro per guardarla, prendendole il viso fra le mani. “Ma tu scotti..” Disse angosciata, sentendo le guance bollenti. Subito la Sovrana le posò le labbra sulla fronte, per assicurarsi di aver ragione, mentre le mani scendevano delicate sul collo della figlia. Isabel stava bruciando letteralmente. “Angelo mio, ora penso io a te..” Le mormorò guardandola negli occhi, lucidi di febbre, e sorridendole.
“Subito in camera tua!” Ordinò Enrico e scambiò un’occhiata d’intesa con Caterina; poi si volse verso un servo ed ordinò che fosse preparata e scaldata in modo adeguato la stanza della Principessa.
“Non c’è tempo, Enrico. La porto nelle mie stanze..” Decise Caterina, e il marito annuì. Ci sarebbero volute almeno due ore per riscaldare in modo adeguato la stanza di Isabel, inutilizzata da anni. Mentre madre e figlia uscivano, Enrico osservò l’andatura della fanciulla. Era piuttosto strana, non sembrava molto ferma sui suoi passi e Caterina dovette sorreggerla. Il Sovrano si disse che doveva essere la fatica del viaggio, tuttavia non era sereno. In tutta quella storia c’era qualcosa che non andava, e lui decise di saperne di più.

 
“Grazie, lady Anna. Ora ci penso io..” Disse Caterina alla dama che aveva posato sul piccolo comodino accanto al letto la bacinella con l’acqua fresca e la pezzuola.
La Sovrana si voltò verso Isabel, che, non appena si era distesa, era crollata in un sonno profondo. Era evidente che la ragazzina fosse sfinita dalla fatica del lunghissimo viaggio. Ora, alla luce della candele, a Caterina risultarono ancora più evidenti i segni sul suo viso. Le guance erano meno piene rispetto a sei mesi prima, le occhiaie più profonde ed in generale lo stato di lei non sembrava buono. Mentre le passava la pezzuola bagnata sulla fronte, la Sovrana le spostò i capelli dalle spalle e dal collo, lasciandoli liberi in modo che potesse bagnarla e rinfrescarla anche lì. Un’ombra scura, tra la base del collo e la spalla destra, attirò la sua attenzione. Con un orribile presentimento, Caterina posò subito il panno nella bacinella e poi sollevò leggermente la figlia, che, stremata com’era, non fece nemmeno una piega. La macchia scura si rivelò un gran livido nero, di forma circolare, come fosse parte di una catena. Caterina si sentì lo stomaco strizzare e il vuoto sotto i piedi. Quello era il segno di un rosario, probabilmente di legno, di quelli usati per le penitenze. Isabel era stata sottoposta a punizioni corporali!! La sua bambina era stata picchiata duramente!! Chi aveva osato fare una cosa del genere? Come si era permesso di sostituirsi fino a quel punto a lei e ad Enrico, che non avevano mai nemmeno schiaffeggiato né Maria, né tantomeno Isabel?
La Regina sentì immediatamente salire dallo stomaco una rabbia cieca e per un attimo fu tentata di depositare Isabel sul letto e correre da Enrico. Poi si impose di calmarsi, ad ogni costo. Ci sarebbe stato tempo e modo di punire in maniera più che adeguata i colpevoli di quell’affronto, ora era la sua creatura ad aver bisogno di lei.
Delicatamente appoggiò di nuovo la schiena della figlia sul letto e poi riprese la pezzuola, la bagnò abbondantemente e quindi la passò sulla fronte di Isabel.
“Andremo fino in fondo a questa storia, amore mio, e ti giuro che chi ha osato sfiorarti e farti del male, si pentirà di essere nato..” Le promise, chinandosi su di lei e baciandola più volte accanto all’occhio destro.
Quando si tirò su, bagnò ancora il piccolo canovaccio e lo lasciò sulla fronte di Isabel. Con le dita della mano sinistra accarezzò delicatamente la guancia destra della figlia. Ora che il primo accesso, violentissimo, di rabbia era un po’ scemato, la Regina si chiese perché mai Isabel non le aveva fatto cenno di quanto stava subendo a Newcastle. Si rispose subito, dandosi della sciocca. Le sue lettere venivano aperte e controllate dal suo precettore, il dottor Bedingsfield. Ovvio che la sua bambina avesse imparato immediatamente a non scrivere tutto nelle missive che le mandava, ed essendo ancora giovane non conosceva nemmeno un linguaggio cifrato che potesse superare i controlli dell’insegnante. Caterina passò quindi a prendersela con se stessa: era lei la madre, toccava a lei vegliare su Isabel. Come diavolo aveva potuto non accorgersi del suo dimagrimento progressivo, dei segni sul viso, e soprattutto dei lividi sulla sua schiena. Quelle erano tracce che facevano molto male e ad un abbraccio..
Ecco perché quando il padre l’ha stretta fra le braccia si è divincolata!’ Improvvisamente arrivò la soluzione di quel mistero. Il suo arrivo inaspettato, o meglio il ritorno, non le sembrò allora così senza motivo. ‘Che cosa ti hanno fatto per indurti a scappare? Cosa hai dovuto subire, angelo mio?’ L’improvvisa consapevolezza della immensa solitudine e del sicuro senso di abbandono che Isabel doveva aver provato, la fece sentire un verme. In quasi cinque anni era andata a trovarla per sole otto volte, e Isabel era ritornata a corte unicamente per le feste di Natale. Caterina, che già aveva percepito tutta l’assurdità di quel soggiorno così lontano per una bambina tanto piccola e che non sarebbe verosimilmente mai salita sul trono, ora faceva i conti con i ricordi di quelle visite, dell’atteggiamento di Isabel nei loro confronti e soprattutto nei suoi confronti. Fin dai primi momenti della sua permanenza a Newcastle, la bambina non aveva più mostrato quella felicità enorme nel vederla, non le aveva regalato più i sorrisi splendidi e totali che erano la sua gioia più grande. Non si era più arrampicata sulle sue ginocchia, desiderosa di starle vicina, di farsi abbracciare e di abbracciarla a sua volta. Non l’aveva più cercata con la stessa dolce costanza che ben conosceva.
E lei, pur percependo la stranezza di quei comportamenti, non aveva mai pensato di incrementare il numero delle visite né di parlarle apertamente e con dolcezza, come aveva sempre fatto fino a che Isabel era rimasta con loro a Londra. Era stata ingiusta e crudele ed ora la punizione per il suo comportamento era di fronte a lei. Una punizione la cui parte più dura era toccata a sua figlia, forse per anni, certamente per dei mesi, senza che lei se ne rendesse conto o potesse farci nulla. Il senso di impotenza che provava era indicibilmente doloroso e faceva il paio col rinnovato senso di rabbia. Chi aveva colpito materialmente la sua creatura avrebbe davvero rimpianto di essere nato, ma lei come avrebbe potuto mai emendare le sue colpe?

 
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“Prigionieri in arrivo!” Tuonò la voce della guardia. I sei, fra uomini e donne, divisi in due barche, guardarono verso l’alto, terrorizzati.
La famigerata Torre li guardava, sovrastandoli e sopra il suo tetto volteggiavano numerosi corvi. Una delle donne svenne senza una parola e le altre sembrarono quasi andarle dietro. Le guardie risero senza ritegno né rispetto al vedere quella reazione, giudicandola del tutto degna di una femmina.
“Abbiate pietà! Ho agito per troppo zelo!” Implorò uno dei maestri di Isabel, quando la guardia a terra lo trascinò dalla barca al piccolo pontile sul Tamigi. Il soldato, un uomo corpulento e sovrappeso, lo squadrò dall’alto in basso con una faccia disgustata.
“Fosse stato per me, vi avrei squartato vivo, senza nemmeno farvi arrivare qui!” Gli soffiò in faccia, rompendo l’abituale riserbo che tenevano nei confronti dei prigionieri in arrivo. Spesso infatti alla Torre non arrivavano persone clamorosamente colpevoli, anzi. Coloro che giungevano erano a volte del tutto innocenti, altre parzialmente colpevoli. In quel caso però, le cose stavano come stavano. La notizia dei sei, fra precettore, insegnanti e dame che avevano picchiato, spesso in modo duro e del tutto ingiustificato, la Principessa, rea di non essere obbediente e calma come essi pensavano dovesse essere, era sulle bocche di tutti, a Londra, in Inghilterra e in giro per l’Europa.
La gente, stranamente, non se l’era presa con i sovrani, per aver mandato la piccola Isabel così lontano dalla corte ed averla lasciata nelle mani di pazzi delinquenti. In fondo era il dovere di ogni Sovrano garantire ai figli un’istruzione degna del suo rango, spesso in luoghi molto distanti dalla corte. Enrico e Caterina, pur mandando la figlia a 300 miglia di distanza da Londra, non erano diversi dai loro colleghi regnanti delle corti europee. Certo, quella  distanza era abbastanza inusitata, tenendo anche conto dell’età della bambina, ma non era assurda.
Ancor più stranamente, in un’epoca in cui le punizioni corporali per i bambini erano più o meno la normalità, quella storia aveva colpito molto la gente. Forse perché Isabel era una bambina, forse perché era una Principessa, forse perché era lontana da casa, o chissà per quale altro motivo il popolo si era fin da subito schierato contro i sei ed a favore della bambina e del suo carattere.

 
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Sprofondata nella lettura delle sue preghiere, Isabel non si era nemmeno resa conto che la madre era entrata nella stanza. Quella era la prima mattinata in cui si sentiva un po’ meglio e la febbre era scesa un po’, tanto da permetterle di alzarsi e sedersi in poltrona, pur coperta.
“Buongiorno, mi cielo.” Sussurrò Caterina sorridendole e chinandosi a sfiorarle la fronte con un bacio.
“Buongiorno, madre.” Rispose Isabel, formalmente. Se la Regina trovò strana o fredda la risposta della figlia, non lo diede a vedere, anzi. Desiderosa di recuperare il tempo perso e di riavvicinarsi a lei, la sollevò, prendendola fra le braccia. Stando attenta a non toglierle lo scialle pesante che aveva sulle gambe, si accomodò sulla poltrona e poi depositò con delicatezza Isabel sulle sue ginocchia.
“Come hai dormito, tesoro?” Le chiese accarezzandole una guancia. La bambina mosse tra le mani il libro, visibilmente impacciata da quella nuova vicinanza con la mamma.
“Bene, grazie, madre..” Rispose dopo un po’ Isabel, abbassando lo sguardo e riprendendo a giocherellare con il libro. Intuendo le difficoltà della figlia, Caterina con delicatezza, ma con fermezza, le prese il libro dalle mani e lo posò sul tavolino accanto.
Isabelita, sono tanto contenta di averti di nuovo qui, lo sai?” Disse la Sovrana sollevando il viso della figlia e guardandola con una tenerezza del tutto nuova. Aveva volutamente usato il nomignolo che era solita usare quando lei era piccola, nella speranza che potesse creare il terreno per un inizio di riavvicinamento, ma gli occhi della ragazzina non si accesero. Sembrava non sapere più quanto la mamma la adorasse e la considerasse la sua vita.
“Sì, madre..” Rispose meccanicamente Isabel; i suoi occhi dicevano quanto la sua bocca avesse agito da sola.
Caterina per un attimo si sentì spiazzata. Aveva pensato, forse con troppa leggerezza, che tutti quegli anni di lontananza non avessero lasciato alcun segno dentro il cuore della figlia, o ne avessero lasciati ben pochi. Ora, nel vedere la sua sostanziale indifferenza verso il proprio affetto, si sentiva smarrita e senza sapere bene cosa fare. Per un attimo pensò di rimettere Isabel a letto e di andarsene, ma poi, ragionando e riflettendo con attenzione, capì che non avrebbe certo risolto nulla e che anzi avrebbe solo confuso maggiormente la figlia, rafforzando in lei la convinzione che sua madre non volesse più avere a che fare con lei. Preso un bel respiro, si costrinse a sorridere di nuovo, e strinse un po’ di più le braccia intorno al corpo di Isabel.    
“Sì, Isabelita, la tua mamma è contentissima di vederti di nuovo, di averti vicina e di poterti seguire come faceva un tempo.” Riprese a dire, posando le labbra sulla fronte della figlia, che finalmente parve abbandonarsi a quelle parole e si addossò leggermente a lei. Il cuore di Caterina diede un tuffo, mancando un paio di colpi. Quanto le era mancata la sua creatura! Solo ora se ne rendeva conto pienamente. In silenzio, la Principessa posò una mano nell’incavo del braccio materno, stringendolo leggermente, poi con l’indice le fece il solletico. Era un segnale che Caterina conosceva molto bene: quando Isabel posava la mano in quel punto del braccio, voleva che la madre stringesse di più le braccia attorno a lei. La Sovrana obbedì a quel dolcissimo ‘comando’: avvicinò di più a sé la figlia e poi la cinse maggiormente con le braccia, cullandola leggermente.
Isabel chiuse gli occhi e si abbandonò a quella meravigliosa sensazione. Aveva ritrovato sua madre! La gioia che sentiva era enorme. Gli anni di lontananza erano come scomparsi, cancellati da quell’affetto reciproco che aveva scoperto essere ancora tenace e costante. Si sentiva di nuovo al sicuro. Quasi attirata da una sorta di calamita gigantesca, nascose il viso contro il collo materno, e Caterina le ricoprì di baci la tempia sinistra, continuando a stringerla e a cullarla dolcemente.
“Nessuno ti farà mai più del male e alzerà le mani su di te, tesoro mio. Nessuno.”
La voce di Caterina, che voleva infondere sicurezza ed esprimere il suo proposito di protezione nei confronti della figlia, spezzò invece quell’atmosfera finalmente rilassata. Isabel, dapprima si irrigidì fra le sue braccia, poi si staccò da lei. La Sovrana abbassò gli occhi sulla figlia, per tranquillizzarla, ma l’espressione di puro terrore che vide nei suoi occhi le gelò il cuore.

 

“Dottor Bedingsfield, Mastro Kent, Mastro Jones, siete stati tutti accusati di tradimento nei confronti di Sua Maestà per aver applicato con troppo rigore ed eccessiva crudeltà la disciplina su sua figlia, la Principessa di Galles Isabel Magdalene. Questa corte di suprema intendenza, dopo aver riesaminato tutte le prove a carico delle Vostre Grazie vi dichiara colpevoli delle accuse a vostro carico.”
La voce di Norfolk tuonò in una sala piena fino all’inverosimile. I tre uomini cominciarono a lamentarsi ed a invocare pietà, ma il duca proseguì senza tropo curarsi di loro.
“Siete condannati tutti e tre a morte. Sarete portati su un carro per la città di Londra fino a Tyburn, per essere impiccati fino a che non sarete mezzo morti, dopo di che verrete squartati vivi, le vostre viscere saranno estratte dai vostri corpi e bruciate davanti a voi, sarete evirati, decapitati e i vostri corpi divisi in quattro parti.”
Dopo la lettura della sentenza, Norfolk guardò il comandante delle guardie e con un rapido cenno del capo, lo esortò affinché i suoi uomini portassero via i tre condannati. Di lì a mezz’ora ci sarebbe stata la lettura della sentenza anche per le tre dame di Isabel e poi il giorno dopo l’esecuzione per i colpevoli.

 
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“E’ lei?” Chiese Anna al padre. Thomas Bolena guardò Isabel ed annuì.
“Sì. Oggi è il primo giorno che compare a corte, dal suo rientro a Londra.” Anna osservò la ragazzina e socchiuse gli occhi valutando quel quadretto familiare.
Isabel stava fra Enrico e Caterina, mentre Maria era alla sinistra del Sovrano. Anche la primogenita aveva raggiunto i genitori a Londra, in vista delle vacanze natalizie. I quattro, pensò Anna, sembravano un unico blocco, ed Enrico sorrideva o era assai affettuoso sia con Maria che con Isabel. L’elemento di ‘disturbo’, o comunque diverso, sembrava essere Caterina. Infatti, mentre la Regina cercava in ogni modo di stare vicina alla figlia minore, quest’ultima non sembrava particolarmente propensa a ricambiare le affettuosità materne, pur non rifiutandole in modo deciso e plateale.
Da quella donna scaltra ed attenta ai dettagli che era, Anna riconobbe una possibile breccia che avrebbe potuto farle comodo.
Mentre i due sovrani prendevano posto nella sala del trono, e le figlie si sedevano la maggiore alla destra di Enrico e la minore alla sinistra di Caterina, i consiglieri ed i nobili presenti si prepararono per fare i tradizionali auguri di Natale e consegnare i propri doni. Anna, pur da una posizione defilata continuava ad osservare Isabel. Era molto diversa da Maria, che aveva preso gli occhi blu da Enrico ed era abbastanza alta, per i suoi diciassette anni, esattamente come era stato alto il padre. Isabel invece aveva preso da Caterina sia l’enorme massa di capelli ramati che l’altezza e la corporatura minuta. Il viso, bianco e roseo come quello materno, era estremamente bello e il tutto era completato dagli enormi occhi grigi che scrutavano qualunque cosa si muovesse nella sala. Era evidente che la piccola di casa fosse la perla di Caterina, che la guardava spesso e si assicurava che stesse bene in ogni momento, pur senza essere ossessiva. Anna lo riconosceva pienamente, la Regina era una madre attenta e premurosa, e certamente con quello che aveva passato Isabel ne aveva ben donde. In quel mucchio di attenzioni tuttavia, la piccola di casa Bolena riconosceva una leggerissima pedanteria, tipica di chi si sente responsabile di qualcosa. Forse la Sovrana si sentiva in colpa per quanto era avvenuto alla figlia. Certo, non l’aveva mandata lei fino a Newcastle, però.. però forse, pensò Anna, la situazione era sfruttabile. Occorreva tenere gli occhi aperti e vigilare. Qualcosa sarebbe certamente saltato fuori, prima o poi.
“Signore. Signora..” Si inchino Norfolk, con un sorriso ai sovrani, che ricambiarono con un cenno del capo. “Principesse..” Si rivolse educatamente alle due fanciulle. Maria rispose cordialmente, Isabel fece un sorriso timidissimo, diventando ancora più rossa in viso e poi abbassò gli occhi. “Maestà, questo è per voi, con i miei più sinceri auguri di Buon Natale.” Disse, poi guardò a destra, fece un cenno al servo che lo accompagnava e gli fece aprire una scatola in cui era sistemato un calice in oro e gemme preziose. Enrico sorrise, in segno di ringraziamento. Norfolk si avvicinò leggermente e si sporse verso il Sovrano.
“Maestà le sei esecuzioni sono state tutte eseguite. Ieri quelle dei tre uomini, stamattina i roghi delle tre donne.” Disse a voce bassa, ma non troppo da non essere udito anche da Isabel e da Maria, che erano alle estremità. Enrico annuì, leggermente innervosito per la scelta del momento.
“Hanno detto qualcosa?” Chiese a voce più bassa, sperando che Norfolk capisse l’antifona.
“Solo che hanno agito in piena coscienza e nel totale interesse della Principessa.” Rispose, lanciando una veloce occhiata ad Isabel, e tenendo il volume esattamente allo stesso livello di prima. “Han detto che non avevano alcunché da rimproverarsi e che, potendo tornare indietro, avrebbero certamente riapplicato quel tipo di.. correzione..” Aggiunse. A quelle parole, Isabel, che ebbe sentito tutto, spalancò gli occhi e deglutì spaventata. La fronte le si imperlò di sudore e la sedia su cui sedeva le sembrò tanto calda e scomoda. Sapeva che non poteva andare via da lì e piuttosto che mettere in imbarazzo i genitori sarebbe morta, tuttavia non riuscì a nascondere quello che provava.
Mentre Enrico annuiva alle parole del suo consigliere, liquidandolo abbastanza in fretta e rimandando ogni chiarimento ad un altro giorno, Caterina si sporse leggermente verso la secondogenita e le accarezzò dolcemente il polso con una mano.
“Va tutto bene, angelo mio. Noi siamo qui per te.” Le sussurrò all’orecchio, per poi tornare eretta.
Quel gesto, anche se per Caterina era impossibile saperlo, spaventò Isabel e le riportò alla memoria ricordi terribili. La fanciulla ritirò il polso da sotto quello della madre, con un movimento fulmineo, ma del tutto visibile a coloro che erano davanti a loro. La Sovrana cercò di restare impassibile, ma il gesto le dispiacque e la mise di malumore, e non poco.


Finalmente sola in camera sua, Isabel cercò di scacciare gli ultimi istanti della giornata intensa e convulsa che aveva vissuto, per potersi finalmente addormentare.
Fino ad un certo momento, a dire la verità, stava molto bene e si sentiva quasi a suo agio, nonostante l’enorme quantità di gente a corte. I genitori, la sorella e lei erano stati seduti per non meno di quattro ore, a ricevere auguri e regali di Natale da nobili, consiglieri ed amici vari. Ancora un volta la fanciulla si era resa conto di quanto i genitori fossero amati e benvoluti. Il padre come suo solito era rimasto deliziato dai regali e dai complimenti alla sua persona, come un bambino; sua madre invece era rimasta abbastanza naturale di fronte alle centinaia di complimenti ricevuti. Si vedeva che le facevano piacere, come a ogni essere umano, ma aveva una discrezione ed una naturalezza nell’accettarli che invece mancava al padre. Isabel sorrise al pensiero: ora che cresceva si rendeva conto di quanto i suoi genitori non potessero essere più diversi e distanti caratterialmente. Erano davvero l’uno l’opposto dell’altra, però si completavano abbastanza bene. Sua madre mitigava gli eccessi di suo padre, caratteriali e di ogni altro tipo, e lui era il più vivace tra i due e traeva enorme beneficio dall’avere una sposa paziente e riflessiva, oltre che molto intelligente.
Anche nella leggera preferenza verso lei e Maria, i due genitori erano equamente ed armoniosamente divisi. Pur volendo bene ad entrambe le sue ‘piccole’, Isabel ne era certa, il padre sembrava propendere più per Maria, nonostante avesse un carattere più vicino al suo, che a quello della primogenita; sua madre invece, riflessiva e in apparenza tranquilla come Maria, era più vicina a lei. Questo da sempre era per Isabel una gioia assoluta. Voleva molto bene a suo padre naturalmente, ma sua madre era un punto fermo della sua vita, la persona cui in assoluto aveva confidato ogni cosa, ogni sentimento, ogni dispiacere ed ogni gioia. E sua madre aveva diviso con lei tanti ricordi della sua infanzia, anche quelli che Maria non conosceva. Questo la riempiva ogni volta di orgoglio e gioia, soprattutto se pensava al fatto che Maria era la maggiore e quella più vicina caratterialmente a sua madre, e quindi più adatta a condividere con lei ogni cosa le capitasse.
Quella sera però, la fanciulla aveva fatto anche due scoperte orribili. Entrambe l’avevano messa di malumore e non le permettevano di addormentarsi. Aveva saputo che il padre aveva un’amante, che si chiamava Anna Bolena, e che addirittura sembrava essere una cosa seria e non un ‘passatempo per il Re’, come avevano detto le dame che aveva sentito parlare. Quando esse l’avevano indicata, senza farsi accorgere aveva guardato nella sua direzione per capire quale fosse delle numerose donne a corte quella sera.
Aveva così visto una giovane donna, di poco più di vent’anni, bruna, non particolarmente attraente, naturalmente in confronto alla madre era tutt’altro che bella. Nel corso della serata si era accorta che Miss Bolena l’aveva osservata per bene, anzi scrutata sembrava il termine più opportuno. Non le aveva quasi mai tolto gli occhi di dosso. Era abituata al fatto di essere osservata e guardata dalle persone, fin da piccola, quindi la cosa in sé non la  preoccupava troppo, tuttavia.. tuttavia c’era qualcosa di eccessivo in quegli sguardi, di prolungato e di indagatore. E la cosa, sotto sotto, un po’ la disturbava.
La seconda scoperta era stata ancora più destabilizzante per lei. Da che aveva cominciato a star meglio, con sua madre le cose non erano andate sempre bene. Una settimana prima, quando finalmente la febbre aveva cominciato a scendere e lei si era potuta alzare dal letto, c’era stato il meraviglioso momento di riavvicinamento fra lei e la mamma. Era stato strano, ma bellissimo, tornare a sedere dopo anni sulle sue ginocchia, sentire le sue braccia intorno al proprio corpo, il lento ondeggiare che aveva l’unico scopo di farla stare bene e tranquillizzarla. Isabel si era rilassata a tal punto da chiudere gli occhi e addossarsi ancora di più a sua madre, e lei l’aveva stretta più forte a sé. Era stato un momento a dir poco meraviglioso, ma poi Caterina aveva pronunciato quelle parole e tutto era cambiato.
Non vogliamo farti del male..’ Ripetevano i sei che erano con lei a Newcastle ogni volta che cominciavano a punirla. ‘Noi siamo qui per te..’ Dicevano, toccandole il polso, prima di stringerglielo e dare inizio al supplizio. Sentire quelle parole angoscianti uscire dalla bocca materna era stato atroce, e l’aveva spaventata a morte. Era talmente stravolta dalla cosa che aveva fatto una cosa stupida, che tutti avevano visto. Aveva ritirato il braccio da sotto la mano della mamma: una cosa inaudita, di cui si era pentita pochi istanti dopo averla fatta, ma che davvero le era venuta naturale, come per difendersi e spezzare quella specie di incantesimo tremendo che si era creato nel ripensare ai suoi aguzzini.
Sua madre, ovviamente, pur non commentando il suo gesto, e pur non avendo alcuna reazione plateale, era rimasta molto male. Isabel l’aveva vista contrarre la mascella e spalancare le pupille. Una cosa impercettibile per chi non era accanto a loro, ma lei l’aveva vista e si era sentita uno schifo. Dopo quelle ore seduti e la cena, sua madre era venuta da lei a salutarla, ma il bacio che le aveva dato era stato un po’ freddo e quando Isabel aveva cercato di spiegarsi, poi non era riuscita a trovare le parole per non dirle chiaramente cosa era legato a quelle parole. Sua madre si era quindi stancata di aspettare una risposta e dopo un saluto brusco, era uscita dalla stanza, lasciandola confusa e con un senso di colpa grande quanto un palazzo. L’idea che potesse spazientirsi con lei, o non ascoltarla, o dedicarle distrattamente il suo tempo l’angosciava e le faceva credere che qualcosa fosse cambiato fra loro. Isabel si costrinse a trovare una soluzione per quel dannato inghippo. Non poteva naturalmente dirle che le sue parole ed il suo gesto le avevano riportato alla memoria il suo carcere ed il supplizio che era seguito. Questo avrebbe significato farla stare malissimo e lei si sarebbe tagliata un braccio piuttosto che dirle una cosa del genere. Doveva trovare una maledetta soluzione, ma più si lambiccava il cervello e si spremeva le meningi nel tentativo di trovare una risposta, meno ci riusciva. Sfinita e angustiata prese sonno molto tardi, e fu un sonno agitato, interrotto spesso da incubi che le riportavano ancora di più il passato alla mente.

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Capitolo 5
*** Rings of fire ***


A Queen's Daughter - Rings of fire

Londra, Gennaio 1529 – Rings of fire

 
“Hai capito bene?”
“Sì, madre. Come volete, madre.”
“Bene, puoi andare ora..” Ordinò Caterina. Isabel annuì e poi, dopo aver fatto la solita riverenza, si avviò verso l’uscita.
“Tutto bene, mia signora?” chiese Maria de Salinas, amica decennale di Caterina, fin dai tempi della sua infanzia. Il sospiro della Regina fu talmente forte che arrivò alle orecchie della fanciulla, che era ormai fuori dalla porta. “Quella peste vi sta facendo impazzire, vero?” Chiese di nuovo Maria.
Isabel, fuori dalla porta sentì il sangue gelarsi nelle vene ed il cuore fermarsi. Sapeva bene che avrebbe dovuto andare via immediatamente e non origliare, ed invece si fermò, troppo interessata per comportarsi da brava signorina.
“Sì, Maria. Ma se crede di farmi diventare pazza, aspetterà mille anni. Io non sono mia sorella.” Rispose alla fine la Sovrana. “Da quando è tornata dopo il suo soggiorno fuori Londra, è diventata ancor più insopportabile. Non fa che mettersi sulla mia strada, di continuo. Deve ringraziare che il suo legame con il Re mi impedisca di commettere qualche sciocchezza, perché altrimenti vi assicuro che ci penserebbe due volte prima di comportarsi come sta facendo, da quella svergognata che non è altra!! Ci provi solo un’altra volta a mancarmi di rispetto come ha fatto qualche giorno fa. Vi giuro che le darò una lezione di quelle che non dimenticherà mai!!” Aggiunse con piglio da vera leonessa.
Sgomenta e terrorizzata, Isabel si addossò alla parete. Sua madre la detestava e meditava di darle addirittura una lezione esemplare se ne avesse combinato un’altra delle sue. Sentendo dei passi e pensando che lady Willoughby o sua madre stessero uscendo dalla stanza, si affrettò ad andare via.
“Quella Bolena è davvero una sgualdrina. Non ha nemmeno la classe che ci vuole in queste circostanze, né la discrezione indispensabile per non finire sulla bocca di tutti. Quanto poi alla sua moralità, meglio non parlarne. Per tacere del fatto che da un po’ di giorni ronza intorno alla piccola Isabel, come farebbe solo e soltanto un avvoltoio.” Disse la nobildonna spagnola, rivelando il vero soggetto della loro conversazione.
“Maria, non dannate la vostra anima parlando di quella donnaccia.” Rispose Caterina. “E se solo si azzarda ad avvicinarsi ad Isabel, vi assicuro che quella cagna rimpiangerà d’aver visto la luce.. Deve solo provare a respirarle accanto..” Aggiunse furente, stringendo nelle mani la camicia di Enrico che stava terminando di rifinire.

 

 
“Principessa, vostra madre è qui..” annunciò lady Thorston, una delle dame di Isabel. La fanciulla annuì e deglutì, cercando di calmarsi. Per tutto il giorno era stata in camera sua, sia perché la giornata era molto fredda e non invogliava né alle passeggiate né ad altre attività, sia perché, dopo aver sentito i discorsi fra lei e lady Willoughby, aveva paura di entrare in rotta di collisione con sua madre. Pochi istanti dopo, Caterina entrò nella stanza della figlia. Fatti pochi passi si fermò ad ammirarla. Il vestito in velluto blu e broccato con fili di seta rosa antico le stava una meraviglia. Da che era ritornata a Greenwich poi, Isabel aveva ripreso qualche chilo e stava decisamente meglio. Caterina le andò di fronte e le sorrise, prendendole il volto fra le mani.
“Amore mio, sei bellissima..” Le disse guardandola teneramente e baciandole la fronte. Isabel si lasciò coccolare, troppo stupita per risponderle. Che fine aveva fatto il piglio battagliero della mattina? Possibile che avesse capito male e si fosse immaginata di aver sentito quelle frasi tremende?
“Grazie, madre..” Mormorò a voce bassa, arrossendo un po’. Caterina  la sentì divincolarsi e fece due passi indietro, fissandola in volto.
“Angelo mio, stai bene? Non hai la febbre vero?” Chiese, improvvisamente preoccupata, posando immediatamente le labbra sulla fronte della figlia e controllando la temperatura del collo con le mani. “No, grazie a Dio. Sembra che tu stia bene, mi preciosa.” Si rispose da sola, tornando a guardarla e sorriderle di cuore. “Te la senti di partecipare a questa festa? Oggi non ti ho vista tutto il giorno; sei sicura di avere voglia?” Le chiese. Isabel la guardò senza riuscire a nascondere la propria confusione. Quella mattina si era lasciata andare a delle dichiarazioni di fuoco, ed ora era tutt’una dolcezza.
“Oggi faceva freddo e non ho avuto molta voglia di passeggiare per il palazzo. Se non do fastidio mi piacerebbe esserci, madre..” Spiegò e poi mormorò titubante, cercando ancora di capir se quelle frasi se l’era sognate oppure no.
“Fastidio?” La guardò Caterina, quasi scandalizzata da quella affermazione. “Amore mio, ma a chi dovresti dare fastidio!? Tuo padre è letteralmente al settimo cielo da quando sei tornata, ed io.. io.. non ci sono parole per dire quanto sia contenta che tu sia qui, bambina mia. Tesoro mio..” Continuò Caterina, abbracciandola forte e affondando le labbra nei suoi capelli, stando attenta a non rovinarle l’incantevole pettinatura. Dimentica del fatto che non l’aveva vista per tutto il giorno, la Regina si scostò bruscamente e la guardò con attenzione. “Mi cielo, qualcuno ti ha forse detto qualcosa in proposito, o ti ha fatto capire che la tua presenza non è gradita?” Chiese prendendole il viso fra le mani.
“No. No, madre, davvero..” Rispose Isabel, cercando di convincerla e unendo la fermezza della sua voce ad un sorriso, benché leggero. Caterina a quelle parole si tranquillizzò e si chinò per darle un altro bacio sulla fronte.
“Allora se sei pronta, andiamo..” Le disse.

 
“E’ venuta anche stasera..”
“Sì, proprio non riesce a stare fuori dai piedi..”
“Maestà, temo dovrete esercitare la vostra pazienza più di quanto pensavate..”
“Temo anche io, cara Maria. Ho fatto di tutto per capire se ci fossero i margini per una sua assenza, ma a quanto pare la fanciulla non vuole proprio capire.. Se penso che ho dovuto pure abbassarmi a dirle che era bellissima e che così vestita e pettinata stava bene..”
“Immagino quanto vi sia costato..”
“Non avrò pace, fino a che non avrà capito che deve stare al suo posto. Vi assicuro che lo capirà, come è vero che sono la figlia di Isabella e Ferdinando.”
Dopo queste parole atroci, Isabel, nonostante una leggera stanchezza, accettò l’invito di sir Anthony Knivert di ballare una pavana. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di non stare lì a sentire quello che diceva di lei sua madre.
“Non mi sarei mai permesso di invitarvi per una gagliarda, dopo la febbre delle scorse settimane.” Le disse lui, mentre ballavano. Isabel lo guardò e gli sorrise.
“Siete davvero gentile, signore..” Mormorò arrossendo.
Dall’altra parte della sala, Enrico e Caterina li osservavano.
“Nostra figlia è splendida..” Riconobbe il Sovrano. “E devo ammettere che stare qui è per lei meglio che star lontana. Credo che la vostra presenza sia importante per lei, Caterina. Isabel ha sempre avuto un legame speciale con te. Si fida di te, ti cerca di continuo, ti guarda con occhi diversi.” Aggiunse, passando ad una maggiore familiarità. La Regina si voltò verso il marito con occhi pieni di gioia per quanto stava vedendo, ed anche lusingata dalle sue parole.
“Non so se sia la mia presenza, Enrico. Vederla così dopo..” Si interruppe stringendo con una mano il bracciolo della sedia, fino a che le nocche le divennero bianche. “.. quello che ha passato, povera creatura, è la mia gioia più grande. Ho speranza che Maria diventi un’ottima Regina e che possa avere una vita piena di molte soddisfazioni; per la piccola Isabel desidero tutta la serenità e la gioia possibile.. Mi sembra ancora un miracolo che sorrida..” Rifletté non riuscendo a staccare gli occhi dalla figlia, che nel frattempo dopo la pavana, aveva iniziato a ballare sempre con sir Anthony una gagliarda, a dispetto della stanchezza.
“Già. Mi sembra inverosimile che abbia dovuto subire delle punizioni corporali dai suoi stessi insegnanti e dalle sue dame..” Disse sconsolato Enrico. “Mai mi era capitato di sbagliare a questo modo verso delle persone.” Riconobbe. Caterina lo guardò stupita. Una ammissione di quel tipo era per lui un fatto straordinario. Sollecita, la Regina gli posò la mano sul polso.
“Amore mio, non ha senso angustiarsi e darsi la croce ora. A volte diamo fiducia a persone che non la meritano assolutamente.” Rispose, consolandolo ed ammonendolo al tempo stesso, lanciando un’occhiata di fuoco alla sgualdrinella dei Bolena, che ballava con suo fratello George, proprio dietro Isabel e Anthony. “L’importante è capire nel più breve tempo possibile, e porvi rimedio all’istante, estirpando e bruciando la mala pianta..”
In quel momento la gagliarda terminò e tutti i ballerini si rivolsero in direzione dei sovrani, per salutarli. Gli occhi di Isabel incrociarono lo sguardo materno e la sua espressione furente. A quel punto per la ragazza fu difficile credere che la madre non si stesse riferendo a lei. Assieme a tutti i ballerini fece la riverenza al Sovrano, e poi si voltò verso sua madre. Mentre però il piccolo gruppo eseguiva una seconda riverenza, profonda e rispettosa quanto la prima, Isabel accennò appena un cenno di saluto con il capo.
Era un gesto di una gravità e di una scorrettezza inaudite, soprattutto fatto senza alcuna apparente motivazione e nientemeno che verso la Regina. Enrico fulminò la figlia con lo sguardo, mentre Caterina, troppo sgomenta per fare qualsiasi cosa, aveva ancora gli occhi spalancati. La corte proruppe in un ‘Ooh’ generale, che per quanto sommesso, non fu certo inudito dall’oggetto di quella mancanza. Il Re, per stemperare la situazione si alzò e fece cenno ai musicisti di riprendere a suonare. In pochi istanti la musica riprese e l’incidente, almeno in apparenza fu, se non dimenticato, di certo lasciato alle spalle.
Mentre Anna sorrideva compiaciuta per quel gesto, e già metteva in moto il cervello per capire come avvicinare Isabel e farne un’alleata, Enrico si diresse a passo veloce verso la figlia, la prese per un braccio e, senza troppi complimenti, la trascinò via di lì, portandola in una sala appartata.
Caterina rimase ferma dove era. Non riusciva a capacitarsi di quant’era appena avvenuto. Le sembrava del tutto assurdo che Isabel avesse volontariamente fatto una cosa simile. All’improvviso pensò che stesse male. Immediatamente si alzò, seguita a ruota dalle sue dame, ed uscì dalla sala. Dopo alcuni giri trovò il marito e la figlia che, rossa in viso, stava proprio dicendo che non si era sentita bene. A Caterina poco mancò che saltasse il cuore dallo spavento. Senza curarsi di interrompere la filippica preoccupata del Sovrano, entrò nella piccola sala, andando verso la figlia.
“Tesoro, come ti senti?” Chiese, preoccupatissima.
Isabel, ancora in piena adrenalina per l’azione che aveva osato fare pochi minuti prima, non riuscì nemmeno a risponderle. Il viso e l’espressione della madre esprimevano una preoccupazione troppo genuina e spontanea perché fosse opera di un artificio, ne era consapevole. Ma allora perché quello sguardo tremendo poco prima? E perché lei sentiva quella enorme confusione?
Anche con la madre usò la medesima scusa usata con il padre.
“Perdonatemi, madre..” Mormorò. “Ho avuto un capogiro e ho temuto di svenire.. forse è bene che me ne vada nelle mie stanze..” Disse, sperando che la bevesse anche lei. Isabel temeva l’intelligenza e la prontezza della madre. In certe cose era molto più attenta di suo padre, come spesso accade alle donne che sono più veloci a cogliere un particolare che un uomo invece trascura senza troppa preoccupazione.
“Ora ti porto io nelle tue stanze..” Fu la sua unica risposta, e poi la strinse fra le sue braccia con amorosa premura.
Isabel si sentiva davvero strana. Sapeva di essere stata una bugiarda ed una vigliacca, ma per la prima volta non sentiva l’atroce rimorso che arrivava puntuale quando combinava qualcosa o quando mentiva. Stavolta prevaleva una gioia del tutto nuova. Una gioia che era la consapevolezza di averla fatta franca, di aver fatto bere a due adulti la medicina che aveva deciso e sostanzialmente di aver fatto un’azione spregevole senza pagare alcun fio.

 
“Come vi sentite, Principessa?”
La voce di lady Thorston la distolse dai suoi molteplici, silenziosi pensieri. Isabel staccò quindi gli occhi dal caminetto e li alzò sulla dama, che ormai sentiva quasi di poter considerare una amica.
“Meglio lady Joan, grazie..” Rispose, tornando a guardare il fuoco ed i suoi giochi di luce e calore.  Si sentiva in uno stato davvero strano. Un minuto prima credeva che la madre non la volesse lì e la detestasse, anche se faticava a spiegarsi il perché ed a motivare quella convinzione, eccetto che per le frasi che aveva sentito; un minuto dopo invece l’affetto di lei era una delle sue certezze più salde e non c’era nulla che potesse scardinarla o anche solo scalfirla. “Voi pensate che mia madre mi ami?” Chiese così, ex abrupto. La dama, che pure aveva quindici anni più della fanciulla, spalancò gli occhi. Il volume di voce di Isabel era stato poco più che un sussurro, ma nonostante fossero sole nella stanza, chiunque avrebbe potuto passare e sentire le parole della Principessa.
“Vostra Grazia, ma che dite?” Le chiese, sinceramente attonita, la donna. Quelle parole erano assolutamente fuori luogo, e molto pericolose se udite dalle persone sbagliate. “Voi siete la luce degli occhi della Regina.” Continuò, pensando ancora ad una burla, per quanto pericolosa. Isabel rimase in silenzio e sospirò. Il suo viso si fece sempre più cupo e triste, e lady Thorston capì che non era uno scherzo né una burla. Quella povera creatura era preda di una crisi vera e propria. Giovane come era, e con quello che aveva passato non era una cosa così scandalosa e senza ragione, ma certo era una situazione più che delicata. Una sola parola con la persona sbagliata, un servo infedele o un amico doppiogiochista e per la ragazzina sarebbero stati guai a caterve.
“Isabel guardatemi..” Disse, accosciandosi di fronte a lei e permettendosi di chiamarla per la prima volta per nome. Attese che la fanciulla la guardasse e poi con cautela e fermezza riprese a parlarle. “Io scommetto la mia vita che vostra madre si farebbe uccidere per voi. Io ero con lei la sera che ha scoperto i lividi sulla vostra schiena, anche se sono entrata successivamente. Credetemi, non fingeva un dolore che in realtà non provava. I giorni che siete rimasta a letto preda della febbre, non vi ha lasciato se non per mangiare, cambiarsi d’abito e salutare vostro padre. Le volte che si rivolge a voi, oppure che parla di voi, accompagna al vostro nome un vezzeggiativo e un tono nel parlare, che credetemi, mia dolce Principessa, non viene a chi non pensa queste cose di cuore..” Isabel ascoltò con attenzione le parole della sua dama. Di lei si fidava moltissimo e intuiva guardandola che fosse profondamente convinta di quanto le stava dicendo, e pur tuttavia non riusciva a credervi fino in fondo. Non perché lei non fosse sincera, ma perché non trovavano allora spiegazione le parole che aveva udito con le sue orecchie. In silenzio annuì e poi tornò a guardare il fuoco.
“Cosa vi turba, cara?” Le chiese di nuovo lady Joan, mentre Caterina, di ritorno dalla propria stanza, al sentire quelle parole si fermò nell’anticamera. “Isabel, io non vi dico di parlarne con me, ci mancherebbe. Io sono solo un’umile servitrice vostra e dei Sovrani. Ma se c’è qualcosa che vi turba fino a questo punto, parlatene in modo aperto con vostra madre. Dio sa che ha un cuore di madre tanto grande da potervi accogliere, e l’intelligenza di una grande Regina per potervi consigliare al meglio.” Le suggerì fedelmente.
Dall’altra parte del muro Caterina apprezzò enormemente le parole della dama e annuì, pensando che aveva affidato la sua creatura a mani fedeli e pure. Tuttavia restò stupita da quanto aveva detto lady Joan. La donna aveva parlato di turbamento da parte di Isabel.
“Non so, cara lady Thorston.” Rispose Isabel, sempre più confusa. “A parole forse mi vuole bene. Ma nei fatti.. nei fatti dimostra che non mi ama. Mia madre non mi ama..” Disse, ed ogni parola assumeva un peso enorme; alla sovrana non servì altro per entrare nel loro discorso. Riprendendo a camminare, con un’espressione furente in viso, entrò nella stanza della figlia che stava ancora parlando con lady Joan, e stava dicendo quanto la cosa la turbasse profondamente.
“Che cosa hai appena detto?” Sibilò, rivelando la sua presenza e guardando la figlia con occhi di fuoco. Al sentire la voce, Lady Thorston si girò e si inchinò alla Sovrana, levandosi in tutta fretta di mezzo. Le era bastata un’occhiata all’espressione di Caterina per capire che la questione rischiava di finire malamente e che ora Isabel avrebbe dovuto gestire una madre furente ed una Regina oltraggiata. E con il carattere che essa si ritrovava, duro ed estremamente inflessibile oltre che orgoglioso, non sarebbe stato semplice, in nessun caso. “Alzati in piedi, e parla, ragazza!! Vediamo se hai il coraggio di ripetere quanto hai detto!!” Esclamò Caterina, mentre lady Joan si affrettava ad uscire ed a chiudere la porta, congedando le guardie che erano lì e le dame che stavano avvicinandosi. Quello era decisamente un caso in cui era meglio ci fosse stato il minor numero di testimoni possibile.
“Madre, io non volevo prendere così l’argomento..” Tentò di giustificarsi Isabel, che al vedere gli occhi fiammeggianti della madre fu consapevole di aver, non solo di aver male affrontato la questione, ma assai verosimilmente d’aver totalmente frainteso le parole e le occhiate materne. Era impensabile che Caterina si sarebbe adirata a quel modo se le conclusioni di Isabel fossero state vere.
“Ah, no?! E allora cosa volevi dire?” Replicò sua madre. “Ti conviene aprire la bocca, Isabel, perché non sono disposta a tollerare oltre questa presa in giro e quest’oltraggio!! Come hai osato pensare che io non ti amassi?! SPIEGAMELO!!” Gridò alla fine, mostrando quanto la frase della figlia l’avesse offesa.
Per diversi secondi Isabel tacque, cercando di organizzare un discorso sensato. Si rese conto quanto fosse difficile e quanto quegli occhi offesi ed estremamente addolorati ora la facevano sentire mille volte colpevole, e stupida.
“Vi ho sentito ieri e un paio di altre volte parlare con lady Willoughby di una peste che vi sta mettendo a dura prova ed a cui voi darete una lezione esemplare. Siccome dieci giorni fa io ho provocato quell’incidente, la sera della consegna dei doni, ecco.. ecco, pensavo che vi steste riferendo a me..” Rispose Isabel, alzando per un attimo su Caterina gli occhi che aveva tenuto bassi. “E poi stasera di nuovo prima che danzassi di nuovo vi ho sentite e poi mentre ballavo con sir Knivert mi avete lanciato un’occhiata tremenda.. Io lo so che non dovevo origliare e che mi sono comportata in modo vergognoso, ma..”
“Esatto!” Rispose Caterina, per niente rabbonita da quanto detto da Isabel. Furente come era, la Sovrana non si era quasi nemmeno accorta che tutto era nato da un gigantesco qui pro quo, che avrebbe potuto sgonfiarsi in un attimo se solo avesse preso fiato e si fosse concentrata sulle parole della figlia, invece che sulla propria rabbia. Quelle che restavano sul tavolo erano le due azioni oltraggiose di Isabel: aver origliato, e non solo una prima volta, ed aver ritenuto di poter giungere a conclusioni tanto gravi senza sentire il bisogno di parlarne con lei. “Hai fatto una cosa vergognosa, per cui dovresti essere punita davvero! Non ti sei nemmeno presa la briga di chiedere a me come stavano le cose, invece che parlare con te stessa e con una serva!!” La aggredì ancora. “Ti sei comportata da bambina irrispettosa e immatura. E questo nonostante tu abbia quasi quindici anni!! Alla tua età io ero sposa!, ed in un Paese del tutto straniero per me!” La filippica di Caterina non si interruppe, ma anzi, come da sua tradizione continuò col paragone tra se stessa ed il suo interlocutore.
A quelle parole però, Isabel corrugò le sopracciglia. Non era giusto fare paragoni tra casi e situazioni tanto differenti. Anche lei si era ritrovata in una città diversa, in una situazione diversa, con persone mai conosciute, e in mano a figure che poi si erano rivelate per quel che erano, che le avevano fatto quasi di tutto. Sì, non era in un Paese straniero, con lingua, usi e costumi differenti, ma decisamente non se l’era passata bene negli ultimi quattro anni, lasciata sola in quel modo, e la madre lo sapeva.
“Temo di poter dire che l’educazione che ti abbiamo dato e ti abbiamo fatto dare non abbia ancora dato troppi buoni frutti!” Rincarò Caterina, talmente offuscata dalla rabbia da non rendersi conto di cosa aveva appena detto.
“Oh certo!! Proprio una bella educazione ho ricevuto a Newcastle!!” Proruppe finalmente Isabel, e sua madre si rese conto dell’uscita infelice che aveva appena fatto. Da sotto la camicia da notte della figlia poteva ancora intravvedere il livido che aveva scoperto non più di tre settimane prima; esattamente come allora sentì una fortissima rabbia per quanto la sua creatura aveva vissuto, dopo di che una enorme tenerezza per lei. Aprì la bocca per parlare e ricomporre quella situazione, ma ormai Isabel aveva preso il via, e buttò fuori tutto quello che aveva dentro, esattamente come aveva fatto lei pochi minuti prima. “Mi avete mandata a 300 miglia da qui per cosa?, in quattro anni vi ho visto sole otto volte. Mi sono sentita abbandonata ed ignorata da voi, dato che mio padre è venuto almeno il doppio delle volte. Quando ci siamo salutate mi avete detto ‘Sii forte figlia mia..’, un bacio, una carezza e ve ne siete andata! Mi mancavate talmente tanto che pensavo di dimenticare che faccia avevate, non ricordavo più il suono della vostra voce, ed ero talmente triste che poche persone mi avvicinavano.” Mentre sua figlia gridava tutto il suo dolore, la Regina si sentì mancare il respiro. In quegli anni si era più volte ripromessa di andare a trovarla più spesso, di vederla e stare con lei più di quanto facesse, ma poi ogni volta vi rinunciava. Quando lasciava Isabel per far rientro a Londra, stava così male da essere malinconica per giorni e giorni. E quando tornava da lei, la trovava così diversa, così cambiata, così perfetta sotto ogni punto di vista, che le promesse di maggiori visite fioccavano immediate nel suo cuore. Inconsapevolmente le aveva fatto molto male, e ci sarebbe voluto un bel po’ per riparare a quel danno, lo vedeva chiaramente. Si avvicinò alla figlia, allungando una mano per farle sentire il suo desiderio di riparare alle proprie colpe, quando Isabel affondò i colpi peggiori, quelli che cambiarono ancora una volta le carte in tavola. “Volevi una figlia dall’educazione perfetta?, ottimo, prendi Maria, ama Maria, rispecchiati in Maria. Tanto so benissimo che non mi ami e non mi vuoi qui! Maria è quella che raccoglierà tutta la vostra splendida eredità, io sono solo un accessorio stupido, brutto ed insignificante,
che non è nemmeno capace di fare una riverenza decente. E a quanto vedo e sento non fai nemmeno mistero di ciò che pensi, madre..” Sputò piena di rabbia, passando al tu e pronunciando l’ultimo termine con fortissimo ed evidente sarcasmo.
Il silenzio pesantissimo che seguì quelle parole venne rotto solo dal rumore secco dello schiaffo che Caterina le rifilò.
“Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere!!” Sibilò, con una voce che Isabel non le aveva mai sentito.
La fanciulla rimase immobile a fissare sua madre e nei suoi occhi, subito dopo l’enorme sorpresa per quel gesto, si fecero strada lo sgomento per essere stata colpita proprio da lei e il ricordo delle altre botte ricevute. Isabel chiuse e poi riaprì gli occhi e pochi istanti dopo un’unica lacrima scese lungo la gota, bagnando la guancia colpita.
Negli occhi materni non riusciva a leggere più nulla. Non c’era rabbia nei suoi confronti per quanto aveva detto, non c’era la dolorosa consapevolezza dell’azione compiuta, ed eventualmente il rimorso, non c’erano nemmeno più i segni di quella trance agonistica che entrambe avevano avuto fino a poco tempo prima, e che si era dissolta con il ceffone.
Un istante dopo, Isabel le voltò le spalle e si chiuse in una piccola stanza adiacente alla camera da letto. Caterina tremò quando la figlia sbatté la porta alle sue spalle e poi tornò del tutto in sé quando la sentì piangere disperata al di là della porta.

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Capitolo 6
*** Acquaintances... ***


A Queen's Daughter - Aquiatances

Londra, Marzo 1519 - Marzo/Aprile 1529 - Acquaintances... 


“Davvero?
Sì, Isabel. Avevo più o meno la tua età, ma la mia mamma mi portò con sé in guerra. Ed io la vidi respingere i Mori, in groppa ad un enorme destriero..”
“Non avevate paura?”
“No, bambina mia. Non temevo nulla. Avevo fiducia in mia madre e nel suo coraggio.” Mentì a metà la Regina, con un sorriso, accarezzando il visetto bianco e roseo di sua figlia.
“E chi vinse?” Chiese la bambina spalancando gli occhi, che si illuminarono nella speranza e nella certezza assieme di sentire il nome amato.
“Mia madre, Isabella di Castiglia.” Rispose fiera Caterina.
“Da grande voglio essere come lei.” Dichiarò Isabel con un sorriso. “E come voi!” Aggiunse, salendo a cavalcioni sulle ginocchia materne, per abbracciare la sua beniamina.


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“Bambina, tanti auguri!!” Enrico abbracciò la figlia, che ricambiò l’affettuosità paterna, e poi le baciò la fronte.
Isabel gli sorrise e lo abbracciò di nuovo. Per festeggiarla privatamente con Caterina aveva rimandato di qualche ora un consiglio importante e lei ne fu lusingata e riconoscente.
Mi cielo querido!, vieni qui.” Mormorò Caterina. Isabel la guardò timidamente e lasciò che fosse sua madre ad avvicinarsi.
Da quando avevano litigato ed Isabel aveva ricevuto il ceffone materno, la Principessa si era pian piano eclissata dalla sua vita, nella sfera privata. Pubblicamente invece, per non esporre Caterina a pettegolezzi e malelingue, aveva continuato ad essere affettuosa e sorridente con lei, almeno apparentemente.
La Regina, che dopo il suo gesto si era resa immediatamente conto di aver compiuto una sciocchezza enorme, aveva cercato, con discrezione e per un paio di giorni, di riavvicinarsi alla figlia, ma senza alcun successo. Ad Isabel era bastato guardarla in un modo talmente addolorato e ferito che Caterina non aveva insistito oltre, per non turbarla. Tuttavia la Regina le aveva anche detto che non si sarebbe arresa e che quel litigio non cancellava l’immenso amore che sentiva per lei. Le aveva detto anche che le frasi che aveva sentito erano solo il  frutto di un enorme equivoco e che a tempo debito si sarebbe spiegata con lei e ne avrebbero parlato. Isabel aveva annuito, e poi gli impegni reciproci, il solito tran tran di lezioni per Isabel, le mille cose da fare e le persone da vedere per Caterina, avevano attenuato la tensione fra loro e lenito il dolore ed il senso di frustrazione di entrambe per quel litigio. Il compleanno di Isabel era la prima occasione importante in cui si rivedevano.
Isabel non aveva detto nulla al padre, e Caterina era rimasta sorpresa da questa sua scelta. Aveva pensato che sarebbe corsa da lui a lamentarsi, ed invece con grandissimo senso di lealtà, sua figlia l’aveva in qualche modo protetta, anche da suo marito. Quando Caterina aveva chiesto il perché di quel gesto, Isabel aveva alzato le spalle e poi aveva mormorato, con un sorriso triste.
“Fargli sapere quanto è accaduto, non aiuterà né me, né voi, né il Re. E’ una cosa nostra, sapremo andare avanti..”
Nonostante gli insulti che Caterina le aveva servito sulla educazione avuta e sul contegno che aveva e che non era quello di una fanciulla che si avviava alla vita adulta, Isabel aveva dato prova invece di enorme buonsenso, di rispetto e, Caterina aveva paura a dirlo ma lo pensava, quasi di affetto nei suoi confronti.
Un secondo intervento della Principessa e la discrezione di lady Thorston avevano poi evitato che la notizia del litigio si spargesse a corte.
“Se mi volete bene, lady Joan, e se ne volete a mia madre, non fate parola con nessuno di quanto è accaduto.” L’aveva pregata la fanciulla, e la lady aveva chiuso la bocca senza pensarci due volte. Caterina lo seppe dalla stessa dama, quando andò da lei a chiedere come mai nessuno a corte parlava di quanto era avvenuto. Un pettegolezzo del genere era impensabile che la corte lo lasciasse passare sotto silenzio, soprattutto in un momento come quello, in cui c’era crisi fra i due sovrani.
Ora, mentre stringeva fra le braccia la figlia più amata, Caterina da una parte si sentiva in profondo debito con lei e dall’altra sentiva il cuore colmo di gratitudine per la sua creatura che, a parole le aveva chiesto tempo per poter guarire dalle ferite provocate, e nei fatti le stava dimostrando un affetto enorme.
“Figlia mia, voglio che tu veda il mio regalo!” Disse impaziente Enrico. Sembrava lui il festeggiato.
Isabel lo guardò e sorrise nel vedere il suo sorriso fanciullesco, poi si sciolse quanto più dolcemente poté dall’abbraccio materno. Caterina le posò un’ultima volta le labbra sulla tempia, e poi tutti e tre si diressero verso le scuderie.
“Vedi, figlia..” Cominciò Enrico. “Sir Knivert mi ha fatto notare che una principessa non può non sapere andare a cavallo. Tu hai iniziato da bambina, e continuato nel Tyneside, ma ultimamente non hai proseguito troppo.” Il riferimento a Newcastle irrigidì Isabel, abbastanza visibilmente. Enrico, troppo preso dal suo discorso nemmeno se ne accorse. Caterina invece che non perdeva d’occhio un istante le reazioni della figlia, si rese conto eccome. Subito, con delicatezza e discrezione, le posò una mano sulla schiena, accanto al fianco, accarezzandola ritmicamente per qualche decina di secondi.
In pochi istanti Isabel si calmò e mentre Enrico parlava ancora dei numerosissimi vantaggi delle cavalcate quotidiane, la fanciulla si girò verso la madre, fissandola occhi negli occhi ed esprimendole in quel modo il ringraziamento e la riconoscenza che non le disse con le labbra. Caterina le sorrise appena, facendole capire di aver compreso il suo messaggio e poi entrambe vennero interrotte da Enrico, sempre più impaziente.
“Oh mio Dio, moglie!!!” Disse alla consorte. “So che è la tua stella, ma insomma, sto per darle il mio regalo!! Non vuoi proprio che mi ascolti eh!!”
“Avete ragione, Maestà, perdonatemi.” Rispose obbediente Caterina, staccandosi dalla figlia. Per un attimo solo Isabel avrebbe tanto desiderato che la madre non solo lasciasse la mano, ma restasse lei stessa lì dove era.
Restituito al suo ruolo consueto di prim’attore, Enrico aprì cerimoniosamente una porta delle scuderie e fece un cenno imperioso con la mano. Pochi istanti dopo proprio sir Knivert apparve portando per le briglie uno splendido morello di Galaco Asturiano.
Isabel spalancò gli occhi ed aprì istintivamente la bocca in una O di meraviglia e di gioia assieme.
“Oh, Signore!” Esclamò Isabel commossa. “E’ meraviglioso!! E’ mio?” Chiese, incredula, al padre.
“Sì, piccola.” Rispose Enrico, entusiasta al pari della figlia. “E’ tua..”
A piccoli passi, la fanciulla si avvicinò al suo regalo. Non era la prima volta che avvicinava un cavallo, naturalmente, ma in quell’incontro c’era qualcosa di nuovo, di diverso. Non appena fu di fronte alla cavallina, Isabel alzò una mano avvicinandolo alle sue narici, facendole sentire il proprio odore e lasciando che fosse lei a decidere cosa fare. La cavalla avvicinò il muso alla mano della fanciulla, facendo capire che il primo approccio era stato positivo. Allora Isabel cominciò ad accarezzarla sul muso, elargendo le prime coccole. Sir Anthony tirò fuori una carota e la porse ad Isabel, incoraggiandola con un sorriso.
“Principessa, coraggio..” Le disse allegramente. Isabel annuì, prese la carota e poi la avvicinò al cavallo. In pochi istanti il cibo sparì, e subito il muso si riabbassò verso la mano di Isabel, quasi in segno di ringraziamento e di apprezzamento.
“Allora?, che ne dici del tuo Galaco?” Chiese Enrico entusiasta. “Vale il viaggio che ha fatto?”
Isabel si girò verso il padre, con uno sguardo interrogativo sul volto. Enrico le sorrideva ed attendeva con impazienza la sua risposta.
Qualche passo indietro, alle parole del marito Caterina alzò gli occhi al cielo. Per Enrico era davvero impossibile riuscire a mantenere un segreto. Isabel la vide, dietro la spalla del padre, e capì al volo.
“Sì, padre, vale senz’altro il viaggio che ha fatto!” Rispose Isabel andando ad abbracciarlo. Enrico la strinse gioioso fra le braccia, e la figlia, dopo avergli baciato la guancia, fissò con dolcezza la madre poco più in là.
E mentre il Sovrano reclamava ancora spazio per le sue mille raccomandazioni e i consigli, pazientemente assistito da sir Anthony, la Regina in silenzio fece a ritroso la strada verso il palazzo. Quello era un momento tutto per un padre e sua figlia, sebbene con la compagnia di sir Knivert, e pensò fosse meglio ritirarsi. Anche lei avrebbe dato di lì a poco il suo regalo ad Isabel ed allora si sarebbe goduta quasi a pieno la sua bambina.
Quando la Principessa si guardò intorno, prima di entrare nelle scuderie, non vide più sua madre. Di primo acchito il dispiacere fu tanto ed immediato, al pari della sorpresa, poi, mentre il Sovrano le mostrava con grandi cerimonie il box della sua cavallina, Isabel apprezzò la solita, dolce discrezione materna. Enrico le aveva fatto vedere il suo regalo, ma lei sapeva da che parte era arrivato il suggerimento per esso. E se conosceva la madre, doveva, come sempre, essersi attivata per far divenire le parole del padre realtà concreta, magari anche grazie all’aiuto fedele di sir Knivert. Nonostante questo, Caterina non aveva voluto per sé il palco, e lo aveva ceduto senza problemi al marito, lasciando che la figlia potesse ringraziarlo a dovere. Isabel si scoprì ancora una volta commossa da questo gesto tenero e rispettoso, e per qualche istante pensò che non vedeva l’ora di rivederla per poter ringraziare anche lei.

 

“Mia signora, vostra figlia..”
Caterina si girò e sorrise ad Isabel che entrava nel suo studio sorridente; subito la figlia fece una profonda e rispettosa riverenza.
Quando la fanciulla si tirò su, la Regina poté vedere il suo bellissimo viso ancora rosso per l’eccitazione di poco prima ed i suoi meravigliosi occhi grigi splendenti di gioia pura. Fu commossa quasi fino alle lacrime nel vederla così, dopo il terribile inverno ormai alla fine. Per un attimo fu tentata di stringerla fra le braccia, ma poi invece desistette. La situazione fra loro era ancora estremamente precaria e delicata e non voleva forzare in alcun modo la figlia a riavvicinarsi. Con sua enorme sorpresa, fu Isabel ad andarle incontro e a gettarsi fra le sue braccia, affondando il viso fra il collo ed i capelli.
Gracias, mi dulce y generosa Reina..” Mormorò in spagnolo Isabel.
Le braccia di Caterina si strinsero intorno alla figlia, con delicatezza, ma nello stesso tempo con una certa decisione. Erano anni che non la sentiva parlare in spagnolo, e nella voce di Isabel c’era tutta l’incertezza e la paura di sbagliare. Proprio quella nota incerta la intenerì ancora di più.
No hay de qué, mi cielo.” Le mormorò all’orecchio Caterina, baciandole i capelli. Isabel si scostò da lei e la guardò, sorridendole.
“Io penso di sì, invece..” Ribatté, cercando di essere convincente.
“Se non ne hai ancora abbastanza di regali, ora è il mio turno..” Annunciò la Regina.
Troppo sorpresa per parlare, Isabel annuì. Sua madre anche in privato aveva deciso di non prendersi alcun merito dell’arrivo della cavallina, ma la Principessa decise di riconoscerle quello che le spettava.
“Siete davvero generosa, sapete?” Le disse mentre la madre la prendeva per mano e la portava ad un tavolino dove c’era una scatola in velluto. “Dovrei essere una delle persone che meglio conosce questo vostro lato, eppure mi stupite sempre.” Caterina si voltò verso di lei e la guardò piegando leggermente il viso da un lato, senza capire. “Oh, avanti, mamà. Io non sono un’esperta di cavalli, ma il Galaco non è certo una razza inglese. Mio padre non sa mantenere un segreto nemmeno se gli si azzerasse la memoria, e difatti ha detto che la mia cavallina ha fatto un bel viaggio. Non sarò un genio ma una certa intelligenza la posseggo, ed ho fatto due più due. E, da ultimo ma non per ultimo, voi avete una tale  straordinaria generosità, che sono certa l’avete dimostrata anche in questa occasione. O mi sbaglio?” Ribatté decisa, ma sorridente, Isabel, chiudendo la questione con una domanda retorica. Caterina non le rispose. Si limitò a guardarla in silenzio, come se la sua mente fosse rimasta qualche passo più indietro. “Ho detto qualcosa di sbagliato, mia signora?” Chiese Isabel notando lo sguardo della madre e temendo una nuova incomprensione. Caterina scosse leggermente il capo ed avvicinò una mano alla guancia della figlia, poi la accarezzò, scendendo fino al mento. Era stato un gesto automatico quello della Regina, come se la sua mano sapesse cosa fare e come. Come se anni ed equivoci non fossero mai rispettivamente passati ed avvenuti. Mentre Isabel chiudeva gli occhi, per evitare che la madre vedesse le lacrime che avevano immediatamente riempito i suoi occhi per quel suo  gesto, Caterina le diede le spalle e prese la scatola che troneggiava ancora sul tavolo dello studio.
“Sono bellissimi!” Esclamò Isabel quando la aprì. I suoi occhi si alzarono a guardare quelli materni, che sorridenti si erano goduti la sua espressione di stupore e di gioia. La principessa sollevò una mano, avvicinandola alla coroncina di perle e rubini. Era davvero stupenda e faticava a credere che fosse per lei. Ad un certo punto un colpo secco sulle dita la fece ‘tornare alla realtà’. Caterina le aveva abbassato il coperchio della scatola sulla mano ed ora la guardava divertita.
Mamà, non vale!” Rise Isabel. “Prima mi fate un regalo e poi..” Protestò per finta, tirando via la mano e massaggiandosi le dita come se fossero davvero doloranti.
Caterina sorrise alla figlia e fece per sollevare di nuovo il coperchio della scatola. Isabel la guardò fintamente di traverso e poi, quando la madre aprì del tutto la scatola, accarezzò con lo sguardo il delicato girocollo in perle, ed il braccialetto, anche esso in perle.
“Sono bellissimi davvero!” Dichiarò estatica la fanciulla. “Sono gioielli per una Regina..”
“Mia madre me li diede poco prima di partire dalla Spagna..” Raccontò Caterina, posando la scatola sul tavolo e prendendo nelle sue le mani di Isabel. “.. e mi raccomandò di donarli a mia figlia, per un’occasione speciale..”
“Non so davvero come ringraziarvi..” Mormorò Isabel vinta dalla commozione e con gli occhi lucidi.
“Non devi, gioia mia.” Mormorò Caterina, prendendole il viso tra le mani, ed asciugando delicatamente con i pollici le lacrime che le avevano bagnato le palpebre inferiori.

 

“Principessa, auguri per i vostri sedici anni..”
Isabel si girò verso il gruppetto di tre persone e sorrise formalmente all’uomo che le aveva fatto gli auguri.
“Grazie, milord..” Rispose educatamente, ma senza aprire troppo la sua porta e senza far notare loro l’evidente errore anagrafico. Li aveva riconosciuti, ovviamente. Erano i tre Bolena: il capostipite Thomas, consigliere e amico di suo padre, e poi i due figli, George ed Anna. Proprio Anna si avvicinò a lei, porgendole una piccola scatola.
“Mi sono permessa di donarvi questo, Principessa.” Le disse. Isabel rigirò fra le mani la scatola e poi si costrinse a sorridere.
“Molto gentile da parte vostra, lady Anna.” Replicò. “E’ bello sapere che mia madre, la Regina Caterina, può contare su dame così fedeli a lei ed attente alla sua famiglia.” La servì, alzando un sopracciglio. Anna le sorrise e poi piegò da un lato il viso, chinando la testa.
Dall’altra parte della sala, Caterina aveva visto l’intera scena. Come si permettevano quelle sanguisughe di avvicinare Isabel? Fremente di rabbia, la Regina si costrinse a restare dove era. Maria de Salinas, che era accanto a lei, le comunicò la sua vicinanza con uno sguardo ed un sorriso. La Sovrana sorrise a sua volta e poi seguì con gli occhi la figlia ed il suo cammino, fino a che Isabel non uscì dalla sala. Per un attimo Caterina non seppe se andare dietro alla figlia, oppure no.
Se Isabel l’avesse vista, probabilmente avrebbe capito che aveva visto tutta la scena e che la stava controllando. Questo avrebbe voluto dire farla rimaner molto male. Avrebbe preso il gesto della madre come un segno di sfiducia nei suoi confronti, ed avrebbe pure avuto ragione. Quel giorno avevano ricostruito un po’ del loro legame, almeno questo era ciò che la Sovrana pensava, ed avevano fatto dei piccoli passi in avanti. Non avrebbe buttato via quel piccolo, importantissimo tesoro per nulla al mondo. Decisa allora, voltò le spalle all’uscita della sala, proprio nel momento in cui, dalle porte opposte, entrava Enrico e si dirigeva sorridente verso di lei.

 

“Maestà, lady Kate Jeffrey è qui..” Annunciò Maria de Salinas. La Sovrana alzò gli occhi dalla lettura che stava terminando, ed attese con un po’ di sorpresa la giovane dama.
“Maestà.” La salutò, riverendola, la fanciulla. Era visibilmente sulle spine, forse anche per la sua giovane età, e Caterina decise di metterla a suo agio con un sorriso.
“Lady Kate, ditemi..” La incoraggiò. Kate tirò fuori da dietro la schiena una scatolina e gliela porse. “Non capisco..” Disse Caterina guardando l’oggetto che la giovane aveva in mano. Aveva riconosciuto la scatola, ma non capiva come mai lo avesse lei e soprattutto perché glielo avesse portato.
“Questa me l’ha data vostra figlia, la Principessa.. ma non trovo corretto che la abbia io, mia signora..” Rispose Kate e in breve spiegò come l’aveva avuta.
“Ho capito, lady Kate. Vi ringrazio per la vostra lealtà.” Le sorrise Caterina, congedandola.

Quando fu sola, la Regina rigirò fra le mani la scatola. Chissà che diavolo conteneva, si disse. Non era certo difficile capire a cosa mirassero i tre, soprattutto quella sgualdrina da quattro soldi. La rabbia stava per accenderla ancora, quando Caterina si soffermò su una cosa. Isabel aveva fatto di tutto per disfarsi del regalo. L’ironia della sorte aveva voluto che arrivasse a lei, che era sua madre, e nello stesso tempo la persona che Isabel avrebbe dovuto ‘tradire’, cominciando con l’accettare quel regalo. Caterina non riusciva a non pensare che, nonostante i loro problemi, che certamente il suo compleanno non aveva nascosto tantomeno cancellato, sua figlia continuava ad esserle fedele, a stare dalla sua parte.

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Capitolo 7
*** Liaisons Dangereuses ***


A Queen's Daughter - Liaison Dangereuses...

Windsor Castle, Estate 1529 – Liaisons dangereuses.....

 

“Ottimo Vostra Altezza.” Nicholas Hilliard sorrise alla sua pupilla e poi le presentò un foglio.
“Sì!! Ci siete riuscito!!” Esclamò con estrema gioia la principessa leggendo ciò che vi era scritto sopra e le prime note del pezzo. “Siete un eroe!!”
L’anziano maestro di musica arrossì leggermente e poi scosse la testa. Da quando aveva cominciato le lezioni a Isabel, la Principessa si era mostrata interessata e motivata; sempre puntuale, non rifiutava mai consigli, suggerimenti e correzioni ed era infaticabile. Inoltre aveva un enorme talento per la musica. In realtà Mastro Hilliard la apprezzava anche come persona. Era disciplinata, attenta e volenterosa, doti indispensabili per un alunno; tuttavia sapeva anche prendere alcune cose con leggerezza e spensieratezza, il che era giusto per la sua età e per il suo spirito giovane.
“Vi rendete conto che dovete impararla in poco meno di due settimane, vero?” La provocò lui, chiamando in causa il suo orgoglio. “Senza contare in che occasione.”
“Non vi farò sfigurare, Mastro Hilliard, ve lo prometto!” Rispose lei, fissandolo, ed i suoi occhi fiammeggiarono.
“Bene, Euterpe, cominciamo dunque!” La incoraggiò . “Dovete imparare una montagna di roba e poi dobbiamo aggiungere gli altri..”

 

Mamà!!”
Caterina abbracciò Maria, baciandole la tempia e tenendola stretta a sé. Era da sei mesi che non la vedeva e in quel periodo le era mancata da morire.
“Tesoro. Come stai?” Chiese la Regina, prendendola per mano e facendo sedere entrambe su un piccolo divanetto a due posti.
“Bene, mamà, grazie.” Rispose la Principessa. “E voi? Quella sgualdrina e la sua famiglia vi danno ancora problemi?”
Caterina sospirò, e valse più di mille risposte.
“So che ha avvicinato Isabel.” Proseguì Maria. “La piccola ha usato il buon senso oppure sciocca come è si è fatta abbindolare pensando che sarebbe stato bello avere una nuova amica?” Caterina la guardò severa.
“Maria!” La apostrofò. “Perché pensi che tua sorella sia una sciocca?”
“Perché lo è, mamà.” Rispose la principessa, come se stesse rispondendo alla domanda di un bambino un po’ petulante. “Solo una sciocca scappa dal luogo della sua istruzione a meno di un anno dal ritorno a casa.” Sentenziò Maria, con la certezza granitica di chi, pur non conoscendo i fatti, si sente pronto ad esprimere la propria opinione.
“Maria, le cose a volte sono diverse da come appaiono, sai? Non giudicare tua sorella e le sue azioni senza prima conoscere i fatti. Rischi di dire sciocchezze e di perdere di vista molte cose che invece contano..” Ribatté dolcemente, ma con decisione Caterina. Maria alzò le spalle.
“Con Isabel non mi metto questi problemi e questi scrupoli, mamà..” Disse con un cinismo che la madre faticava a capire ed a vederle addosso.
“Fai male, hija.” Ribatté Caterina, alzandosi dalla poltrona e chiudendo la questione, anche perché cominciava a sentire un certo fastidio nel continuare a portarla avanti. “Tu non sai, Maria.”
“Io invece non vorrei che foste voi quella che non sa, madre..” La servì la figlia, lasciando intendere qualcosa di nascosto.

 

“Sì, lo so! Sono in ritardo, Vostra Grazia!”
Sir Anthony guardò la sua allieva arrivare trafelata alla lezione e rise di gusto. Si girò verso la cavalla di lei e le disse qualcosa. L’animale alzò il capo e nitrì sonoramente.
“Non ditemi che le state parlando male di me!” Si immusonì Isabel, mettendo su un improvviso e grazioso broncio.
“La vostra Estrellita vi adora. Non riuscirei a farle cambiare idea nemmeno se volessi!” Rispose divertito il nobiluomo. La Principessa lo guardò e subito ritrovò il sorriso.
“Oggi dovete insegnarmelo, sir Knivert!” Attaccò lei, come per ricordargli una promessa. Lui la guardò e fece una leggera smorfia. “Avete promesso!! Ora non vi vorrete rimangiare tutto!!” Rincarò.

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“Scendono ora in campo, per il grande Torneo dell’Incoronazione, Sir James Norringhton, signore di Norwich e…” La voce dello ‘speaker’ si interrupe e l’uomo si guardò alla sua destra ed alla sua sinistra alla ricerca disperata di qualcuno che gli dicesse il nome del secondo cavaliere. “Scendono in campo Sir James Norringhton e … ehm.. il cavaliere senza nome..” Si risolse a dire alla fine. Sir Norringhton, un uomo ormai più verso i cinquanta che i quaranta alzò la visiera ed appena vide il proprio avversario rise di gusto, e in modo sguaiato. Il suo avversario, ben più magro di lui e apparentemente senza troppe speranze data l’esperienza del nobiluomo in tornei e giostre, indossava un’armatura lucentissima e cavalcava uno splendido Shire grigio a macchie bianche. La gualdrappa dell’animale era bianca e nera, così come lo stemma che nel tabellone identificava il cavaliere, e aveva sopra un enorme giogo rosso, ripreso anche nel tabellone, pur in forma fortemente stilizzata.
Al vedere stemma e gualdrappa, tutti gli occhi del pubblico, fra cui quelli non poco stupiti di Enrico, si posarono sulla Regina, che guardò stupefatta il cavaliere ed i suoi stemmi.
“Avete un ammiratore, a quanto pare, mia signora..” Le disse Enrico, scherzando ma non troppo. L’idea che Caterina, così devota e pia, all’improvviso potesse avere un devoto cavalier servente da una parte lo faceva sorridere, dall’altra decisamente no. Chi osava guardare la sua Regina? Chi era così impudente da usare in un torneo uno stemma con i colori del Regno di Castiglia ed il simbolo della madre di Caterina? Era evidente infatti che quel richiamo altro non volesse essere che un implicito omaggio alla Regina. E un omaggio così evidente a lei, era una chiarissima sfida a lui. Seduto sul suo scranno, Enrico contrasse nervosamente la mascella, mentre i due cavalieri, ai lati opposti della lizza, finivano di prepararsi. Il Sovrano alzò una mano, poi si alzò in piedi e salutò con troppa enfasi sir Norringhton. Il messaggio era chiarissimo. Il cavaliere senza nome non solo aveva destato l’attenzione dei presenti al torneo estivo e della Regina, ma anche quella del Re, e in quell’ultimo caso non era affatto un buon segno.
La Regina, più confusa che lusingata da quella novità e da quell’ammiratore, non reagì al gesto del Sovrano, salutando a sua volta lo sfidante di sir Norringhton, ma rimase seduta in trepida attesa. Se quest’ultimo avesse battuto il proprio avversario almeno si sarebbe capito chi egli fosse. Mentre era assorta in questi pensieri, la tromba diede il via alla sfida. John, il valletto, abbassò lo stendardo e i due cavalieri partirono l’uno contro l’altro. Primo a partire fu sir James, dopo aver spronato il cavallo ed aver lanciato un grido altissimo, come suo solito. Il suo avversario invece, più composto e silenzioso, soppesò la lancia, come se se la stesse aggiustando e poi partì anche lui.
Arrivati più o meno a metà percorso, il ‘Cavaliere del Giogo’, come già venne ribattezzato sulle tribune, compì un leggero scarto sulla propria destra, mandando miseramente a monte l’attacco avversario, poi, in modo straordinariamente veloce, contando anche sulla sorpresa di lui per il proprio colpo andato a vuoto, con un colpo secco gli diresse contro la propria lancia, colpendolo sullo scudo e facendolo finire senza pietà a terra, dopo avergli fatto perdere l’equilibrio sulla sella.
Il tonfo con cui l’ormai anziano nobiluomo cadde fu secco e deciso, nonostante un volo del tutto normale. Le sue grida di dolore risultarono perciò esagerate, anche tenuto conto della veneranda età, e ben presto risultarono quasi ridicole. Il vincitore, terminato il proprio percorso fino alla fine, si girò verso di lui e, smontato da cavallo, gli si fece incontro per prestargli cavallerescamente soccorso. Questo gesto venne applaudito dalla folla e suscitò l’entusiasmo generale. Sentimento che ben presto si trasformò in ululati di enorme disapprovazione e fischi assordanti quando sir James, evidentemente non molto portato alla sportività, rifilò un energico spintone al vincitore, rifiutando quindi la mano che gli veniva porta.  
Senza scomporsi il vincitore girò sui tacchi e si diresse deciso verso la tribuna degli spettatori. Tutti puntarono gli occhi sulla coppia reale. Enrico, dopo la sconfitta del suo ‘favorito’, non appariva più così contento e spavaldo e quando il cavaliere arrivò di fronte a lui e lo salutò in segno di rispetto, il gesto apparve ancor più beffardo e ironico di quanto quest’ultimo non avesse voluto. Il Sovrano non riuscì a fare buon viso a cattivo gioco e rispose con un’espressione torva e per niente serena. Poi il vincitore si spostò leggermente alla propria sinistra per omaggiare la Sovrana, e qui la cosa si fece strana. Il cavaliere si avvicinò alla tribuna, fino allo scranno di Caterina e si chinò di fronte a lei, in modo più plateale di quanto fece con Enrico. La Regina si avvicinò al cavaliere porgendogli la mano perché la baciasse, ma egli non tolse l’elmo, né sollevò la visiera. Prese la mano della Sovrana e vi posò la fronte, quasi le stesse chiedendo la benedizione.
A quel gesto Enrico, che credeva il cavaliere un emissario di Carlo V o uno dei tanti amici e sostenitori della sola Caterina, se ne andò furente. La Regina, che ben conosceva il marito e sapeva che la sua ira poteva essere molto pericolosa, si chinò sul cavaliere.
“Non è stato molto prudente per voi presentarvi. Chiunque voi siate, desistete e pensate a voi. Indignatio principis mors est.” Raccomandò con la sua consueta premura, sentendosi stranamente preoccupata per quello sconosciuto. Il cavaliere non rispose nulla, ma alzò gli occhi ed incontrò per qualche istante quelli blu della sovrana, poi lasciò con delicatezza la mano della Regina e camminando, leggermente chinato, all’indietro in segno di ulteriore rispetto, raggiunse fine del campo e poi andò via, mentre sulle tribune si scatenò un delirio di commenti, gomitate e occhiate interessate a quanto era appena avvenuto. Sentendosi oltremodo sotto esame, Caterina se ne andò abbastanza in fretta, seguita dalle sue dame e da Maria.

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Enrico e Caterina avevano preso posto assieme nella enorme sala del trono. Alla sinistra dell’uno sedeva Maria, alla destra dell’altra Isabel. Quella sera ci sarebbe stato il culmine della settimana di festeggiamenti per il ventennale dell’Incoronazione dei due sovrani. L’evento avrebbe compreso un masque celebrativo dell’amore dei due sovrani, due poemi in loro onore e varie danze e musiche per allietare la serata.
Certo, i due sovrani erano in crisi negli ultimi tempi per via della presenza della famiglia Bolena a corte. Padre e figlio erano consiglieri del Re, da lui ascoltati e tenuti in grande considerazione, soprattutto il padre. La figlia minore era al momento l’amante prediletta di Enrico. Quando il Sovrano la vedeva a corte, in compagnia o meno della Regina, non mancava di farle una battuta, di cercarla con lo sguardo o di essere gentile con lei. Caterina come suo solito aveva fatto buon viso a cattivo gioco e tollerava il meglio possibile, ma questi festeggiamenti non le davano la stessa gioia che i suoi sudditi pensavano avrebbe avuto. La Sovrana inoltre, mentre con Maria si era confidata ed aveva parlato un po’ della situazione, almeno per sommi capi e sempre cercando di non dipingere la situazione più nera di quanto non fosse in realtà, con Isabel non aveva fatto mai parola di quanto stava avvenendo, più per proteggerla che per altro. Ignorava che la figlia minore invece sapeva tutto, e ci era arrivata da diversi mesi. Vedeva solo il comportamento leale e onesto di lei che, nonostante i continui e reiterati tentativi di Anna di portarla dalla propria parte, teneva duro e rispediva puntualmente al mittente ogni regalo, messaggio o modo per fare di lei un’alleata. Proprio in quel momento Caterina si girò verso la Principessa che le sedeva accanto, mentre cominciava il poema dedicato a lei, ‘la Regina, figlia di Spagna, e splendor dell’Inghilterra’. Anche Isabel si girò a sua volta verso di lei, e le sorrise teneramente. Poi, con un gesto spontaneo e fuori programma, allungò una mano verso quelle che la madre teneva intrecciate in grembo, insinuando la propria fra quelle di lei. La Regina accolse la mano della figlia e la strinse. Alzando lo sguardo, Caterina vide Anna Bolena stringere gli occhi per guardare meglio cosa facesse Isabel e poi diventare ancora più rossa sulle guance. Era evidente che il gesto della figlia non era passato inosservato, e che agli occhi di quella sgualdrina assumesse un significato ben preciso.
Istintivamente, la Regina strinse ancora di più la mano di Isabel e ne accarezzò il dorso con il pollice. Una volta di più, mentre il poema descriveva ‘la dolcezza e la nobiltà d’animo della Regina, la salda torre nata in Castiglia e fiorita in Inghilterra’, Caterina si commosse al pensiero che in un modo o nell’altro la sua creatura più amata non solo le confermava la sua fedeltà ed il suo amore, ma con i suoi gesti spontanei rafforzava agli occhi della Corte la sua posizione e la sua importanza.

 
Dopo il masque celebrativo, cui parteciparono anche Isabel e Maria, oltre che sir Knivert e sir Brandon, in silenzio sei ballerini si disposero a coppie nella sala. Appena Caterina vide i loro abiti di seta colorata, alla spagnola, il suo cuore si riempì di gioia e di nostalgia. Il silenzio fu interrotto da un suono ritmico di sonagli. La Regina sentì gli occhi pizzicarle immediatamente: quella era una Folia, una delle musiche della sua infanzia e della sua primissima giovinezza; subito dopo una viella presentò il tema musicale ed i primi due ballerini si mossero a tempo, poi entrò un’arpa che coinvolse una seconda coppia, infine una viola da gamba soprano che trascinò con sé gli ultimi due danzatori rimasti. La danza, com’era sua caratteristica, si fece ora lenta e posata, ora più veloce e trascinante e tutti e tre gli strumenti principali salirono di volta in volta alla ribalta, presentando le loro variazioni sul tema, a seconda dell’ispirazione e della creatività degli esecutori. Erano soprattutto viella e viola da gamba a sfidarsi per una sorta di supremazia musicale, intervallata ogni tanto da un inserimento arpistico. Una specie di triangolo che per certi versi poteva essere applicato ai tre personaggi principali della Corte.
La Regina nel frattempo, con gli occhi chiusi, si gustava la bellezza del brano. Ad un certo punto sentì una mano posarsi sulla propria. Per un attimo pensò fosse Isabel, così aprì gli occhi e guardò subito alla propria destra. Lo scranno però risultò vuoto e lei un istante dopo si rese conto che la mano che aveva sentito era quella di Enrico, che le sorrideva, felice di vederla così contenta per quella sorpresa.
Le ultime note solitarie dell’arpa, con il tempo sempre scandito dai sonagli, volteggiarono nell’immensa sala e poi alla fine questi ultimi chiusero il pezzo. Gli applausi della corte e dei due sovrani scrosciarono immediati per i ballerini, che a differenza degli esecutori non erano nascosti. I danzatori, stanchi per la performance, si inchinarono ai sovrani e poi si aprirono a tenda sui cinque esecutori, che uscirono allo scoperto. Grande fu la sorpresa di tutti nel vedere Isabel reggere la viola da gamba. La piccola della corte sembrava in quella serata aver trovato un suo modo grazioso e conveniente per emergere e omaggiare gli augusti genitori.

 
“Perché non mi hai detto nulla?”
Isabel ripose la viola nella custodia e poi si alzò andando di fronte alla madre, ancora felice ed emozionata per la meravigliosa sorpresa.
“Dovreste guardarvi, mamà.” Mormorò la Principessa, sorridente. “Stasera siete un ritratto di pura gioia..”
Caterina corrugò leggermente le sopracciglia.
“Stasera?” Chiese. Isabel la fissò e poi le accarezzò il viso, il gesto che era solita fare da bambina.
Mamà, io vi vedo..” Rispose soltanto, facendole capire che sapeva tutto, anche se non le aveva mai detto nulla, né aveva mai chiesto.

L’abbraccio stretto che regalò a quella figlia così attenta e discreta, fu l’unica risposta che Caterina riuscì a dare, prima che la commozione avesse il sopravvento su di lei.

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Capitolo 8
*** … That end really badly ***


A Queen's Daughter - ....That end really badly

Windsor Castle, Settembre 1529 - … That end really badly

 

“Toglietegli l’elmo!! Prendete le briglie del cavallo presto!!” Enrico aveva gridato con tutta la sua forza. Caterina, già in piedi non appena aveva visto il cavallo del ‘Cavaliere del Giogo’ impennarsi e disarcionare il suo padrone, si era precipitata giù dalla piccola tribuna quando aveva sentito l’urlo terrorizzato del povero cavallerizzo. Quel grido le aveva lacerato il cuore e due secondi dopo la sua mente lo aveva riconosciuto. Non solo era femminile, ma era una voce che lei conosceva bene.
Spaventata a morte aveva visto cadere di schiena il suo beniamino, che poi aveva battuto con forza il capo. Da quel momento era rimasto sul terreno, un pupazzo senza vita; non aveva reagito nemmeno quando il cavallo, spaventato ed ancora adrenalinico per quanto accaduto, era tornato indietro, pestandolo più volte, con gli zoccoli e tutto il suo peso, sulla coscia all’altezza dell’inguine e sull’addome protetto dalla leggera armatura.
“No!! Nooo!!! NO!!!!!!!!” Gridò Enrico, non appena tolse l’elmo al cavaliere, e vide quale viso si celasse al suo interno.

 

“Non muovetela!!”
Il dottor Linacre fulminò con lo sguardo due serve che avevano avvicinato le mani su Isabel.
“La Principessa deve stare immobile, mi sono spiegato bene?” Ordinò. Le due fanciulle annuirono immediatamente e poi sparirono. In quel momento entrò Caterina. Era pallida in volto ed aveva un’espressione stravolta. Quando fu vicina al tavolo rigido su cui era stata distesa la sua creatura, non seppe cosa fare. Tentò di avvicinarsi ancora al tavolo, ma non vi riuscì; allungò una mano per toccare Isabel, ma la mano rimase a mezz’aria; guardò il medico di Enrico ed aprì la bocca come per chiedergli qualcosa, ma non profferì verbo. La sua gola era chiusa dal dolore e dallo sgomento. Il dottore, intuendo il suo stato, si avvicinò e cercò di rassicurarla. “Abbiate fede, mia Regina. La Principessa è nelle mani di Dio. Non ve ne sono di più sicure.” Quell’affermazione, che doveva rassicurare Caterina e convincerla ad affidare sua figlia, certa della risposta di Dio, suonò invece come un’atroce premonizione. Quello stesso Dio che era stato sempre un cardine essenziale della sua vita, ora poteva portarle via per sempre la creatura che più le stava a cuore e maggiormente amava. La Sovrana guardò il volto cinereo della figlia, le labbra esangui, i graffi provocati dalla caduta, nonostante l’elmo e si sentì ancora peggio.
Per non perdere la calma lì, di fronte al dottor Linacre, alle damigelle di Isabel che erano tornate per rendersi utili per qualunque evenienza, ed alle guardie che sorvegliavano il padiglione, Caterina, senza dir nulla, girò sui tacchi e se ne andò. La testa le pulsava talmente tanto ed aveva il cuore gonfio d’angoscia che mancò poco cominciasse ad urlare di rabbia e di disperazione, come non aveva mai fatto in vita sua.

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“CHE COSA!?!?!” Sir Knivert non aveva mai urlato ad Isabel in quei mesi, ma in quella specifica circostanza sentì di non poterne fare decisamente a meno.
“Per favore, sir Anthony..” Cercò di rabbonirlo la Principessa, cosciente di cosa aveva appena confessato e di tutti i guai, passati, presenti e futuri in cui avrebbero potuto incorrere entrambi se il Re o la Regina avrebbero scoperto che cosa lei aveva appena detto.
“Per favore cosa, Isabel!!! Siete forse impazzita?!?” Proseguì quello, fuori dalla grazia divina, ed attirando l’attenzione di una guardia poco distante da loro. “Sapete dove rischiamo di finire se per caso questa cosa dovesse giungere alle orecchie di vostro padre?”
Isabel ebbe il buon senso di tacere e di non controbattere. In realtà quando aveva iniziato, non aveva mai pensato alle conseguenze del suo gesto. Sapeva che i tornei non erano per tutti e che c’era chi non era così fortunato da finire un combattimento nelle stesse condizioni in cui lo aveva cominciato, tuttavia nel suo animo ingenuo e vagamente romantico sperava di far ingelosire il Re e magari farlo riavvicinare a sua madre. Anche se non ne parlava con nessuno, soffriva enormemente per le voci che sentiva su suo padre e quella sgualdrina da quattro soldi che non perdeva occasione per avvicinarla o adularla, ed avrebbe fatto qualunque cosa, davvero qualunque cosa, per fare in modo che i suoi genitori si riavvicinassero. Sapeva che il Re era enormemente geloso ed irascibile, e in fondo quello che gli ci voleva era la paura che qualcuno potesse guardare la sua Regina con gli stessi occhi con cui lui guardava le sue amanti. Era una cosa scandalosa ed inaudita, Isabel ora se ne rendeva conto pienamente; come si rendeva perfettamente conto di un’altra cosa: quel torneo per lei poteva essere un pericolo, non necessariamente per il fatto di essere scoperta da qualcuno. E lo stesso dolore, che lei stava agitando per colpire il padre, avrebbe potuto in quel caso colpire sua madre, gettandola in una disperazione che non meritava e che, soprattutto, Isabel non avrebbe mai voluto infliggerle.

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Dopo un viaggio senza meta all’interno del Palazzo, Caterina si ritrovò negli appartamenti di Isabel. In silenzio entrò nella camera da letto e si guardò intorno.
Le tende erano spalancate e la luce del giorno illuminava ogni cosa. Immediatamente la Sovrana riconobbe la dolce e leggera fragranza della figlia. Sapeva di miele e cannella, e lei la percepiva ogni volta che lei le si avvicinava. Spesso Isabel non aveva ancora parlato, né era stata annunciata, che Caterina sapeva già fosse nei paraggi. Solo per aver sentito nell’aria quel profumo, che ora la commosse profondamente.
Passo dopo passo si avvicinò al piccolo inginocchiatoio in legno davanti all’immagine della Vergine. Il Bambino sorrideva, seduto sulle ginocchia materne, e Caterina sentì il cuore dolerle più di quanto già non dolesse. Sembrava la esortasse ad affidarGli la figlia, ad avere fiducia nella Sua potenza salvifica, nella Sua Morte e Resurrezione.
Sul piccolo ripiano dell’inginocchiatoio era posato il libro della preghiera delle ore della principessa. Caterina lo prese e poi si sedette sulla poltrona poco distante. Sapeva che Isabel amava in modo particolare la Compieta e la recitava tutte le notti, a volte in sua compagnia. Amava quell’affidarsi a Dio senza riserve, nel momento più difficile di un essere umano, quello del sonno; quello in cui tutto era addormentato e il passo dalla vita alla morte era più facile e concreto.
Il Signore Vi conceda una notte serena ed un riposo tranquillo, mamà..” La salutava alla fine della preghiera la figlia, prendendo in prestito il commiato della Compieta, e guardandola con un affetto ed una dedizione che la commuovevano ogni volta.

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“Alla mia sinistra il Cavaliere del Giogo..” L’annunciatore si voltò allungando il braccio e i presenti in tribuna scoppiarono in un applauso caloroso e grida di giubilo.
In quei tre mesi il cavaliere si era conquistato la benevolenza di tutti, sia perché il suo status di ‘anonimo’ suscitava la curiosità e l’interesse generale, ma anche perché pur essendo capace e bravo, non mancava di aiutare gli avversari che batteva e disarcionava. E questo era un comportamento che trovava generalmente consenso, piuttosto che la boriosa e superba spocchia di chi vinceva e non si voltava indietro a soccorrere gli avversari. Inoltre egli era stato tanto scaltro e furbo da non partecipare ad ogni torneo e giostra. Non era quindi diventato un habitué e questo aveva accresciuto ulteriormente la curiosità intorno a lui. Da ultimo, ma non per ultimo, il suo secondo soprannome era il ‘Cavaliere della Regina’. Naturalmente nessuno pensava che fra i due ci fosse una tresca, ma quel modo di chiamarlo aveva preso piede almeno quanto il primo ed ormai era giunto fino alle orecchie del Re. Sulle prime Enrico non aveva detto nulla, ma a mano a mano che il tempo passava, la gelosia e la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto erano aumentate.  
Quando il cavaliere si presentò dinanzi a lei, come faceva di solito, la Regina gli sorrise e lo salutò con un cenno del capo. Lui invece si chinò rispettosamente e poi, sempre camminando all’indietro per non darle le spalle, tornò al cavallo. Caterina lo osservò bene e per un attimo fece un paragone più che azzardato, praticamente assurdo. Un paio di mattine prima aveva assistito, non vista, alla lezione di equitazione di Isabel. Era la prima volta da che la figlia aveva ripreso le sue lezioni, e la Sovrana lo aveva fatto sia per rendersi conto di come se la cavava, sia perché voleva vedere più in generale come stesse.
Aveva fatto diverse scoperte in quella occasione: prima fra tutte il fatto che il nome che Isabel aveva dato alla sua cavalla, Estrella de Alhambra, era un evidente omaggio a lei. Quel gesto l’aveva ovviamente commossa e deliziata enormemente e si era ripromessa di ringraziarla a dovere, anche se avrebbe dovuto poi confessare di averla vista esercitarsi. La seconda cosa era che sua figlia era davvero una brava cavallerizza, attenta e disciplinata, che non mancava di incitare a dovere il suo animale, pur rispettandolo e non sottoponendolo a sforzi eccessivi e controproducenti. Ancora, che Isabel era disciplinata e rigorosa anche come alunna. Beveva tutto quel che sir Knivert le diceva, e non lo contraddiceva né gli disobbediva mai. Quasi alla fine della lezione, il nobile le ordinò altri esercizi e lei, pur chiaramente distratta da altro, obbedì con disciplina. Ad un certo punto però, gli ‘attrezzi da lavoro’ cambiarono e si aggiunsero due armature leggere e due lance. Caterina rimase a dir poco interdetta: perché mai la figlia stava esercitandosi con cose che non avrebbe mai utilizzato ed in una situazione potenzialmente pericolosa?
I suoi pensieri vennero interrotti quando le trombe squillarono ed annunciarono l’avversario che quel giorno lo sconosciuto cavaliere avrebbe avuto. La folla impazzì di gioia e tutti gridarono, al solo sentire le trombe. Per la prima volta in quel torneo il ‘Cavaliere del Giogo’ smontò da cavallo e passeggiò nervosamente avanti ed indietro. Aveva capito immediatamente anche lui che stavolta non avrebbe avuto un avversario qualsiasi. Il cavallo del Re, con l’abituale gualdrappa azzurra a strisce bianche, comparve pochi istanti dopo ed Enrico subito si diresse di fronte alla Regina, chinando il capo.
“Mia signora..” gridò, sottolineando l’aggettivo possessivo, per poi girarsi verso l’avversario e fissarlo fino a che lui non ebbe abbassato il capo, in un inchino devoto e reverente. “Siete pronto?” Lo sfidò, sentendo salire la propria adrenalina e l’eccitazione del pubblico trasformarsi in un’onda che aumentava. “Allora, Cavaliere del Giogo, siete pronto? Fatemi sentire la vostra voce!!” Ripeté Enrico, ormai completamente in trance. Il Cavaliere lo fissò a lungo, restando immobile e poi in un secondo salì in sella. Il cavallo, sentendo la nervosa scarica adrenalinica del suo padrone, si mosse a scatti e poi fece per impennarsi. I due sfidanti raggiunsero i loro inservienti e mentre Enrico si faceva passare l’elmo, il suo avversario restò immobile, come se si stesse concentrando. Poi fu la volta delle lance, quindi i due si portarono all’inizio della lizza, ognuno dalla propria parte. “Vediamo se riuscirete a battermi!!” Gridò Enrico a voce altissima. Il suo cavallo diede uno scatto e poi partì al galoppo, facendo tremare il terreno. Pochissimi istanti dopo il cavaliere avversario fece lo stesso, non prima di aver soppesato la sua lancia, come faceva ogni volta.

 

Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato; pietà di me, ascolta la mia preghiera. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.
Quelle parole, che Caterina lesse mentalmente, erano sottolineate con un tratto sottile di penna. Caterina se ne chiese il motivo, ma poi pensò che dovevano avere un significato particolare per Isabel. Mentre ancora rileggeva la preghiera del Salmo, dalle pagine del libro scivolò un bigliettino che le cadde in grembo.
“Cosa ho fatto di male per meritare questo tipo di castigo? Dicono che è per il mio bene, ma chi può volere il mio bene e punirmi a questo modo? Che io sia liberata presto da tutto questo..”
La Sovrana riconobbe in un istante la grafia leggera e delicata della figlia. Mentre leggeva quanto Isabel aveva scritto, le mancò il respiro. Gli occhi le si offuscarono per le lacrime, ma riuscì a non cedervi.
A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa. Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito. Non nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa.
Il tratto di penna si fece in questa porzione di preghiera più deciso. Leggendo meglio, Caterina riuscì a scorgere delle parole tra una riga e l’altra del Salmo.
“Che mi richiamino presto, Signore, e se così non fosse rendi la mia schiena e il mio viso duri per i loro colpi ed i loro schiaffi, le mie orecchie sorde ai loro insulti e la mia mente impermeabile alle loro parole vane..”
“Mia signora, Sua Maestà vuole vedervi.” Annunciò a voce sommessa lady Willoughby. Siccome Caterina non rispose subito, la dama azzardò a ripetere quanto aveva appena detto. La Regina alzò gli occhi colmi di lacrime e di sgomento sulla sua amica, ed annuì appena. Maria de Salinas si avvicinò preoccupata. “Maestà, posso fare qualcosa? Vi prego, parlatemi, cara signora. Ditemi cosa posso fare per voi..” La esortò con dolce sollecitudine. Come se non avesse sentito, Caterina rimase ferma dove era, abbassando di nuovo gli occhi sul libro.
Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore.

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Al centro della lizza i due cavalieri posizionarono in modo appropriato le lance e si prepararono per lo scontro. Il Cavaliere del Giogo, deciso a non colpire il Sovrano ed a lasciargli la vittoria, come da tradizione, spostò la sua lancia verso l’esterno, in modo chiaro, ma non eccessivamente plateale. Enrico invece lasciò la propria come era e quando si trovò a pochi passi dal bersaglio, ossia lo scudo del Cavaliere, si abbassò leggermente sulla schiena del cavallo, quasi ad imprimere maggiore forza al colpo.
Il Sovrano non si rese conto che così facendo, anche la sua lancia si abbassò leggermente, quel tanto che bastò per farla sbattere contro il recinto di legno che fungeva da separazione delle due lizze. Subito Enrico tirò su la lancia, pensando di riuscire comunque a colpire lo scudo e disarcionare il suo avversario. Invece colpì il cavallo, infilzandolo con la lancia anche se di poco.
La folla urlò di paura e di terrore e Caterina, raggelata sul suo scranno, non ebbe la forza nemmeno di muoversi. Strinse solamente i braccioli della sua sedia, fino a che le nocche le divennero bianche e doloranti.
Immediatamente l’animale nitrì di dolore e si impennò furiosamente per cercare di sottrarsi al suo supplizio. Schegge assai grosse della lancia gli si conficcarono nella carne, facendolo sanguinare copiosamente e il povero cavallo non poté fare altro che nitrire e muoversi a scatti, più nervoso che mai. Tutta la poca esperienza del suo padrone venne a galla nel momento in cui egli provò a controllarlo. Non ci riuscì affatto e anzi passò all’animale una notevole dose di ulteriore nervosismo oltre che di paura. Alla fine il possente cavallo impennò un‘ultima volta, imbizzarrendosi sul serio e muovendosi a destra e sinistra come un pesce fuori dall’acqua. Il cavaliere, troppo inesperto per reggere quel tipo di sollecitazione, lasciò andare le redini una prima volta e poi, con un urlo terrorizzato, una seconda volta. Precipitò a terra, di schiena e batté il capo, prima sul paletto in legno del divisorio e poi, con un tremendo colpo sordo, sul terreno. Da quel momento si allungò a terra quasi fosse un fantoccio, spalancando le braccia come in croce.
Mentre il Sovrano gridava di togliergli l’elmo e di fermare il cavallo che, ancora agitato, lo stava calpestando, Caterina scese giù dalla tribuna e corse accanto al cavaliere, raggiunta subito dopo da Enrico. Entrambi notarono al polso sinistro dello sfortunato giovane il nastro con i colori della Sovrana. Enrico lo scambiò per un ulteriore segno di sfida da parte di lui, ed un’infedeltà manifesta da parte della moglie. Furente la guardò con un’occhiata di fuoco, poi rabbioso, sciolse il nastro dal polso del poveretto, con una forza tale da levargli anche il guanto.
La Regina invece, che aveva riconosciuto il possessore del nastro, si accosciò a terra, prendendo fra le sue l’altra mano, quella ancora guantata, e fissandolo con un tale e vitreo sgomento che chi era attorno a lei pensò che fosse morta in piedi.
Con una certa fretta, il Re cercò di aprire la serratura dell’elmo. Nel farlo i capelli lunghi e color rame del cavaliere vennero fuori e lui si sentì stringere lo stomaco. Terrorizzato guardò la moglie, e poi aprì del tutto la cerniera dell’elmo, togliendolo con delicatezza estrema.
In un istante apparve, pallido e graffiato, il volto di Isabel, e Enrico poco mancò che sentisse il cuore scoppiargli nel petto.

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“Si è mossa, Maestà!” Disse trionfante lady Thorston. “Vostra figlia si è mossa..”
Caterina, sempre con il libro in mano, agguantò due lembi del vestito e si mise a correre disperata verso il padiglione.
L’ultimo pensiero scritto da Isabel nel suo libro che aveva letto le ronzava di continuo in testa, ma lei cercò di non pensarci e di concentrarsi sulla figlia che apparentemente era tornata in sé.
La piccola folla davanti e dentro la struttura mobile era talmente assorta e concentrata sulla salute della Principessa che nessuno sentì Caterina arrivare. Solo quando una delle guardie annunciò con voce tonante la sua presenza, il muro umano si aprì in un istante, formando due ali che le permisero di passare.
Enrico era già lì, terreo in volto e con la bocca contratta in una smorfia. Tutta la sua ira e il suo orgoglio gli si erano rivoltati crudelmente contro ed ora fissava terrorizzato la figlia semi-incosciente.
Caterina lo raggiunse, ponendosi dal lato opposto del tavolaccio su cui avevano steso Isabel e lo guardò per un istante soltanto. Poi prese la mano fredda della figlia e la portò alla bocca.
“Coraggio, amore, torna da me..” Mormorò guardandola, mentre apriva gli occhi. Per alcuni istanti la principessa rimase con gli occhi fermi, come se stesse rimettendo a fuoco e stesse cercando di capire dove fosse e cosa fosse successo. Poi li spostò alla sua destra, sulla madre. Caterina le sorrise immediatamente, accarezzandole la fronte ed i capelli. Il sorriso che Isabel le regalò quando la vide fu la medicina migliore dopo uno spavento simile. La fanciulla le strinse appena la mano, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Erano lacrime di sollievo, di scampato pericolo, di gioia nel vedere un volto amato, ma nello stesso tempo c’era qualcosa che Caterina sulle prime non riuscì a decifrare. Gli occhi di Isabel esprimevano anche il rimorso per lo spavento procuratole e la paura che il suo gesto così avventato e sconsiderato potesse farla infuriare, rischiando di allontanarle senza rimedio.
Le parole che la sua creatura aveva scritto ancora una volta nel libro le tornarono in mente, e riempirono di lacrime anche i suoi occhi.

“Infamia e ignominia sono le uniche eredità di questo posto. Accetto che mi battano, che mi insultino, che mi sottopongano a digiuni estenuanti e senza senso, non che si attenti al mio onore. Perfino il gelo che mi infligge mia madre è meglio di quest’oltraggio. Perfino i suoi occhi freddi e severi sono meglio di quelli licenziosi di queste bestie.. Perfino il dolore senza fine che provo nel guardarla e nel sentirla distante da me è meglio di queste mani che vorrebbero da me ciò che non possono avere..”

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Capitolo 9
*** Stand by me ***


A Queen's Daughter - Stand by me

Windsor Castle, Settembre 1529 – Stand by me

Caterina osservò attentamente la ‘deposizione’ di Isabel sul letto, da parte di due guardie, e poi una volta che ebbero lasciato la stanza, si avvicinò al letto della figlia.
Erano passate tre ore da quando aveva ripreso conoscenza e si era un pochino ripresa, e pian piano aveva ripreso colore e un po’ di tono. Nessuna delle due aveva ancora parlato, né detto nulla dell’incidente e la Sovrana cominciava ora a sentire salire la tensione per le mille domande che le stavano salendo alle labbra. Come aveva fatto per tutti quei mesi ad esercitarsi e a vestirsi senza dare nell’occhio? Chi le aveva insegnato a reggere la lancia ed a gareggiare in quel modo? Sir Knivert che ruolo aveva in tutta quella faccenda? E poi la peggiore di tutte, quella che sentiva più forte, come diavolo aveva fatto lei a perdere di vista la figlia per quasi tre mesi ed a non accorgersi di cosa stesse combinando, e in quali guai stesse immischiandosi?
“So cosa mi aspetta..” Mormorò Isabel, sistemandosi meglio contro i cuscini e guardandola con l’aria spaventata e rassegnata assieme. Caterina, sorpresa per il fatto che avesse aperto la bocca per prima, non ebbe la prontezza per risponderle, e si limitò a guardarla, con le sopracciglia leggermente corrugate, in attesa che terminasse la frase. “Qual è la vostra punizione, madre?”
“La mia.. punizione?” Chiese la Sovrana, fissando la figlia e sedendosi sul letto. “Che stai dicendo, Isabel?”
“Non credo siate contenta della mia impresa..” Ribatté la giovanissima Principessa, abbassando lo sguardo per un attimo e giocherellando con le lenzuola. “Immagino vogliate punirmi.. e non credo vi limiterete ad una sgridata severa, stavolta..” Aggiunse, stringendo le lenzuola e tornando con gli occhi sulla madre. Caterina la fissò sgomenta. Temeva di aver capito, ma la sua mente rifiutava di crederci.
“Isabel io non ho mai pensato di..” Cominciò a dire.
“Voi no, ma altri sì. Persone che voi avete messo accanto a me, e che quindi devo dedurre agissero con il vostro permesso..” Rispose la fanciulla, guardandola.
“Tesoro mio, ti sbagli..” Rispose con forza Caterina, prendendole il viso tra le mani. “Né io né tuo padre abbiamo mai permesso ad alcuno di picchiarti, né..”
“Oh, eccoti qui!!” La voce squillante ed energica del Sovrano interruppe quel momento fra madre e figlia. Caterina cercò di non mostrare il suo disappunto, ma era evidente che tutto avrebbe desiderato tranne che un’interruzione. “Allora, come stai tesoro?” Chiese Enrico avvicinandosi al letto di Isabel, quasi senza accorgersi di Caterina. La fanciulla lo guardò ed annuì, spostando i suoi occhi dalla madre al padre.
“Bene, Maestà, grazie..” Rispose.
“Caterina, vogliate lasciarci un momento, per piacere.” Chiese retoricamente Enrico. Isabel guardò la madre e per un attimo nei suoi occhi apparve la speranza che lei non uscisse.
“Come volete, Maestà.” Rispose Caterina, alzandosi dal letto della figlia ed uscendo dalla stanza. Era talmente stravolta sia dal discorso di Isabel, che dalla richiesta del marito. Che cosa doveva dire che lei non dovesse sentire?

 

“Maestà sir Knivert vorrebbe vedervi..” Annunciò lady Willoughby. Caterina, che stava rigirando fra le mani il libro di Isabel, alzò gli occhi e annuì in silenzio. In realtà non aveva granché voglia di vederlo, dato che aveva capito che il suo coinvolgimento in tutta la faccenda non fosse stato esattamente marginale, ma cercò di fare buon viso a cattivo gioco e si preparò a riceverlo.
“Fatelo entrare..” Concesse e subito la sua dama si spostò per farlo passare.
Appena il nobiluomo entrò, si gettò letteralmente ai suoi piedi, quasi abbracciandole le ginocchia. Caterina strabuzzò gli occhi. Era una cosa a dir poco assurda ed inoltre l’aveva quasi toccata.
“Sir Knivert, alzatevi. Per favore, signore, alzatevi e non siate ridicolo.” Lo apostrofò lei con poca grazia. Lui alzò solo gli occhi e Caterina poté vedere che era realmente sconvolto e rosso in viso quasi avesse… sembrava avesse pianto. Rabbonita dal suo sguardo davvero ferito e colpevole, si chinò su di lui, gli prese le braccia e perchè si alzasse. “Coraggio, sir Anthony, tiratevi su.” Lo incoraggiò. Lui obbedì e poi la fissò.
“Maestà, non ci sono parole per esprimere tutto il mio rimorso per non aver controllato meglio la Principessa. So bene che la situazione avrebbe potuto essere peggiore di come è stata e che lei..” Si interruppe davvero sconvolto e scosso da un singhiozzo. “Maestà cara, non merito il vostro perdono, e come ho già detto anche al Re vostro marito, rimetto subito i miei titoli, i miei possedimenti, tutto quello che mi riguarda, inclusa la mia vita, nelle vostre mani. Fate di me secondo i vostri desideri..”

 
“Madre..” Sussultò Isabel quando Caterina le posò le dita sulla fronte. Appoggiata con la schiena sui cuscini, la Principessa sembrava dormicchiare. Sua madre le sorrise appena, poi si sedette sul letto, accanto a lei. “Io.. non so che dire.. se non che mi dispiace per quello che ho combinato..” Confessò guardandola dritta negli occhi ed esprimendo un sincero pentimento. Caterina sospirò. Per quanto fosse adirata con lei, non riuscì ad aggredirla.
Per poter parlare sola con Isabel aveva congedato le guardie e le dame di entrambe. In qualche modo il suo istinto le aveva fatto capire che la questione era seria e non si era trattato di una sciocca ragazzata, così, per non avere guai, aveva allontanato tutti ed aveva chiuso la porta della stanza della principessa.
“Mi spieghi da dove t’è saltata fuori questa idea assurda?” Le chiese con una voce più dura di quanto volesse. La tensione che aveva dentro non era evidentemente possibile controllarla. “Potevi farti molto male, e gettare tutti nell’angoscia, tuo padre e me per primi, oltre tua sorella; senza contare inoltre che ora sarà sir Knivert a pagare per la tua bella bravata.. Ti rendi conto che può finire alla Torre?” Rincarò la dose, adirandosi. Man mano che parlava alla figlia, sentiva la tensione e la rabbia salire. Non riusciva a credere che avesse fatto una cosa tanto stupida e imprudente, e Dio solo sapeva per quale motivo poi.
“Alla Torre? Davvero lo chiuderanno lì?” Chiese Isabel, come se solo in quel momento avesse realizzato la portata della sua sciocchezza. Caterina la guardò severamente.
“Non mi dirai che non ci avevi pensato!! Isabel, ma che diavolo hai in testa!” La aggredì alla fine. Stupita per quella reazione, la Principessa non rispose abbassando lo sguardo. “Sir Knivert sarà fortunato se potrà restare con la testa attaccata al corpo!! Aveva nelle sue mani la responsabilità e la cura della tua persona! Come credi reagirà tuo padre? E non parliamo delle tue responsabilità, signorina!! Hai ingannato il Re, sir Anhony, le dame che dovevano sorvegliarti e sapere cosa facessi in ogni momento, le guardie che dovevano proteggerti e gli stallieri addetti. Senza contare che hai ingannato anche me, Isabel. Tutti ci fidavamo di te, e tu hai tradito la nostra fiducia..” Quando sua madre iniziava a colpire con le sue prediche, andava sempre a segno, Isabel lo sapeva ormai; sceglieva con cura i suoi bersagli, mirava con attenzione e poi cominciava a sparare senza pietà fino a che dei bersagli non restava nulla. Perfino nel suo volume di voce normale, la principessa poteva sentire quanto fosse furente. Poche cose detestava, fra cui essere ingannata e aver a che fare con persone stupide e senza criterio, e lei con il proprio comportamento le aveva dato modo di adirarsi a quel modo. Il fatto che fosse sua figlia poi, rendeva tutto più difficile e penoso. “Ora voglio sapere per che motivo hai messo su un circo simile, rischiando l’osso del collo.” Le chiese alla fine, perentoria. “E bada, Isabel, se scopro che mi stai mentendo ancora, saranno guai grossi per te, signorina!”
Isabel deglutì a vuoto un paio di volte, cercando di calmarsi. La sfuriata materna non la aveva davvero messa in conto. Caterina si era infervorata a mano a mano che parlava ed ora la principessa poteva leggere nei suoi occhi tutta la sua rabbia. Tuttavia, a costo di passare dei guai ancora più seri, non aprì la bocca e si chiuse in un ostinato silenzio. Già furente per conto suo, la Regina ritenne oltremodo oltraggioso il silenzio filiale, e dopo alcuni momenti di attesa, decidendo che ne aveva abbastanza, la prese per le spalle e le diede un forte scossone.
“Allora?!, mi rispondi sì o no?” Chiese di nuovo, alzando la voce e scuotendola tanto da farle battere i denti.
“Volevo infliggergli la stessa pena che lui infligge a voi!!” Gridò Isabel. Madre e figlia rimasero per alcuni istanti a fissarsi. Caterina non si capacitava di cosa Isabel avesse fatto, e quest’ultima si chiedeva perché la madre non era arrivata subito a quella soluzione, costringendola a spiegarle tutto. “Il comportamento di quella sgualdrina è scandaloso, ed io mi vergognavo di lui. Non riuscivo, e non riesco, a tollerare quello spettacolo quotidiano.” Aggiunse Isabel, con il fiatone e con gli occhi che denunciavano tutto il suo dolore.
“Non spettava a te fare giustizia!” Sentenziò Caterina, durissima. Sembrò una condanna per il gesto della figlia. “Tu eri, e sei, l’ultima persona che può arrogarsi questo diritto. Non posso io, figurati se puoi tu, una bambina di quindici anni che non sa come va il mondo, che ha messo a repentaglio la propria vita e quella del proprio insegnante.”
Offesa da quelle parole che riteneva ingiuste, Isabel si morse il labbro inferiore per non piangere. Nossignore!, non le avrebbe dato questa soddisfazione. Chiuse gli occhi e girò leggermente il viso alla propria sinistra. Avrebbe voluto buttarsi fra le braccia materne e chiedere sinceramente scusa, ma la durezza del suo comportamento e la sua incapacità di capire quello che lei aveva fatto a fin di bene, gliene fece passare la voglia. Ora si rendeva conto di aver combinato una sciocchezza, ma anche in questo caso pensava che la madre avrebbe potuto almeno capire quanto aveva fatto, se non proprio appoggiarlo. E, cosa ancora più importante, pensava che il suo gesto le avrebbe fatto piacere. Ed invece nulla. La Regina non solo non aveva apprezzato, ma si era espressa in termini durissimi nei confronti suoi e di tutta la questione.
“Bene, immagino non ci sia molto altro da aggiungere..” Riuscì a mormorare, con voce a malapena udibile.
“Nulla, a parte le scuse che mi aspetto che tu porga al Re, appena sarai in grado di alzarti in piedi.” Sentenziò Caterina, con voce irata e per nulla rabbonita dall’evidente difficoltà di Isabel. “Unita alle scuse, ovviamente, mi aspetto che tu renda piena confessione di quanto hai combinato. E speriamo che il Re sia magnanimo come sempre e salvi la vita a sir Knivert..” Aggiunse facendola sentire ancora più responsabile. Isabel strinse le labbra, ma non rispose, né alzò lo sguardo sulla madre. “Mai nessuno mi ha delusa a questo modo, Isabel. Non ci sono davvero parole per spiegare quanto tu mi abbia davvero sconcertata con il tuo atteggiamento irresponsabile, immaturo, sciocco ed estremamente immorale. Mi chiedo da chi abbia preso, e ringrazio Dio che tu non sia la primogenita, o saremmo in guai grossi. Non ti aspettare di riavere la mia fiducia ed il mio affetto in tempi brevi, Isabel, se mai li riavrai del tutto. Ora sarà bene che tu rifletta in modo adeguato su ciò che hai combinato..”
Dopo quelle terribili parole, Caterina si alzò in piedi, fissando la figlia. Si aspettava che Isabel implorasse immediatamente almeno il suo perdono e si desse da fare per cercare di riconquistare la sua fiducia, ed invece, nulla. Silenzio più totale. Quella figlia ostinata, ed ora pericolosamente ribelle, continuava a tener il viso basso e a non guardarla, facendola adirare anche di più. In silenzio e senza frasi o gesti ulteriori, la Regina lasciò la stanza, e solo allora Isabel si lasciò andare ad un pianto irrefrenabile e disperato.

 

“Maestà, il Re..”
Quasi pronta per la notte, Caterina non si aspettava di certo quella visita, e a quell’ora per giunta... Annuì, tentando di sorridere e facendo capire a Maria de Salinas di farlo entrare.
“Mia adorata ed amatissima moglie.” Le sorrise Enrico, salutandola.
Caterina lo guardò stupefatta. Che diavolo gli prendeva?, si chiese. Suo marito, ormai lo sapevano anche i muri a corte, non aveva occhi che per la sua sgualdrinella. Lei si era quasi del tutto rassegnata, sebbene continuasse ogni tanto a sperare che prima o poi le cose sarebbero cambiate. Allo stato attuale delle cose, però, la situazione era decisamente definita, quindi la Regina si chiedeva che mai volesse da lei.
“Maestà.. E’ tanto tempo che voi non..” Provò a dire, facendogli capire la sua sorpresa e cercando di non offenderlo né di rifiutarlo.
“Lo so, Caterina.. Mi siete mancata..” Disse lui, azzardando quella frase, e fissandola sul collo libero e sul seno, ancora pieno e generoso.
A quelle parole, lei corrugò le sopracciglia. Ora decisamente non era sincero e la cosa la innervosiva.
“Bé, avete mascherato bene i vostri sentimenti, sire..” Gli rispose, sentendosi presa in giro e quasi oltraggiata. Le guance le si colorarono in fretta di rosso e sentì la rabbia salire su. In realtà si sentiva eccitata da quanto lui le aveva detto e dal modo in cui la guardava. Erano passati molti mesi da quando avevano passato la notte assieme l’ultima volta, e ora questa novità la straniva e la accendeva allo stesso tempo. Non tollerava di essere usata da lui, per chissà quale motivo, ma non poteva certo affermare di non amarlo o non volerlo più, anzi. “Avete mascherato bene quello che ora dite di provare..” Lo provocò di nuovo lei, mettendo in dubbio la sua parola. Enrico, che non si aspettava quella reazione, fece in un lampo i quattro passi che li separavano, e la prese fra le braccia.
“Siete ancora mia moglie.. ed io vi voglio, Caterina..” Affermò deciso, stringendola a sé. Lei lo guardò talmente stupefatta che lo costrinse a spiegarsi. “Non so che mi succede.. a dire il vero è da qualche settimana che ho questo desiderio.. ogni volta che vedevo quel maledetto Cavaliere del Giogo, impazzivo.. la sola idea che potesse volervi, guardarvi, o anche solo entrare nelle vostre grazie..” Disse lui continuando a tenerla fra le braccia e guardando ipnotizzato quegli occhi blu che lo fissavano sgomenti e perplessi. La leggera resistenza della moglie, anziché spegnere il suo desiderio, lo accendeva di più. Abituato come era ad averla sempre a disposizione, questo suo ritrarsi era una sfida nuova, che non aveva previsto e che lo eccitava enormemente.
“Il Cavaliere che si è rivelato essere nostra figlia, Enrico.” Obiettò lei, quasi troncando la questione. “Siete stato geloso di vostra figlia..”
“Forse, ma intanto è da settimane che sento certi commenti a corte..” Rispose lui deciso. “E quelli vi assicuro non sono nostra figlia..”
“Non penserete che io..” Si scandalizzò in un istante lei, pensando che lui credesse potesse essersi prestata a qualche gioco malizioso e per nulla onesto. “Non sono certo..” Aggiunse, ma lui non le diede il tempo di terminare la frase e le chiuse la bocca con un bacio, avido e passionale. La moglie non gli rispose subito, frastornata come era da quella novità che non sapeva decifrare.
Caterina desiderava enormemente abbandonarsi fra le sue braccia ed amarlo come era giusto, ma temeva che quello fosse solo un fuoco di paglia. L’enfasi di un momento, una cosa passeggera che lui poteva ben sopportare, lei invece no. Aveva necessità di ragionare, di riflettere e di usare il buon senso, come faceva sempre, così si divincolò con forza via via maggiore. Enrico la tenne invece ben salda a sé, e continuò a baciarla.
“Lasciati andare, amore mio.” Le disse ad un certo punto, che, acceso dal desiderio, aveva cominciato a sospingerla verso il letto tirandole su la camicia da notte. “Tu non hai idea di cosa ha scatenato nostra figlia..” Caterina lo guardò semi-scandalizzata.
“Cosa?!” Chiese sibilando. La sorpresa per quella novità stava pian piano lasciando lo spazio alla rabbia. Enrico però non sembrava darle troppa retta.
“Shhh, dopo, amore mio. Dopo ti spiegherò tutto..” Le disse, mormorando all’orecchio quella frase. Sentendo il suo alito caldo e dolce, Caterina rabbrividì e istintivamente si addossò di più a lui. Con le mani gli prese il viso e gli baciò le guance, gli occhi e poi il mento, sempre più voracemente. Alla fine le loro bocche si incontrarono e l’affetto, la complicità, l’intesa che in quei mesi erano comunque rimasti, pur sottotraccia, esplosero in una passionalità che non avevano mai avuto. Enrico la prese in braccio e continuando a baciarla avidamente la portò a letto. Dopo averla delicatamente posata sul materasso, vi salì anche lui e in un istante fu accanto a lei, che si era stesa in sua attesa. “Quanto mi siete mancata, Caterina..” Disse a voce bassa, guardando il suo corpo che, seppur pieno, ancora trovava bellissimo. Lei gli sorrise e aprì le braccia per accoglierlo. Un gesto che lui adorava e che, nonostante tutto, non riusciva ad accettare in nessun’altra donna che non fosse lei. In un attimo Enrico fu su di lei, la sua bocca ancora su quella di Caterina, e le mani che percorrevano delicate e decise assieme il corpo di sua moglie.

 
Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam. Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me. Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: et peccatum meum contra me est semper. Tibi soli peccavi, et malum coram te feci: ut iustificeris in sermonibus tuis, et vincas cum iudicaris.
Nel buio quasi totale della sua stanza, Isabel, inginocchiata davanti all’immagine della Vergine, teneva gli occhi bassi e continuava a ripetere quelle frasi, incessantemente. Ciò che le aveva detto la madre continuava a ronzarle senza sosta in testa, mescolandosi con la sua preghiera. Man mano che essa si faceva più intensa, che le ginocchia dolevano dal tanto posarsi, che le ossa percosse e battute dalla giornata facevano sempre più male, e che il suo orgoglio veniva mortificato, sentiva tutta la stupidità della sua azione. Ora un uomo era alla Torre a causa del suo sciocco ritenere di essere d’aiuto in una situazione tanto complessa come quella dei suoi genitori. Invece di stare al suo posto, confortando sua madre e pregando come avrebbe dovuto fare, si era messa in testa di poter risvegliare il desiderio del Sovrano nei confronti di sua moglie. Che cosa aveva mai ottenuto? Nulla!! Il Re, provocato oltre ogni modo, aveva minacciato di uccidere il Cavaliere del Giogo; la Regina si era preoccupata per lei e si era adirata con lei come non aveva mai fatto; sir Knivert era alla Torre con l’accusa di tradimento e rischiava il collo; la corte forse rideva dei suoi genitori e trovava la sua mossa ridicola; e soprattutto non aveva allontanato di un solo passo suo padre dalla sgualdrina con cui dormiva quasi ogni notte per avvicinarlo a sua madre. Era stato tutto inutile. Chiudendo gli occhi si concentrò ancora di più e riprese la sua preghiera.
Asperges me, Domine, hyssopo, et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor. Auditui meo dabis gaudium et laetitiam, et exsultabunt ossa humiliata. Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele. Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis. Ne proiicias me a facie tua, et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.

“Come stai, amore mio?”
Caterina chiuse gli occhi mentre Enrico le accarezzava il viso con l’indice, seguendone il profilo perfetto. In attesa della sua risposta, lui si chinò a baciarle le labbra ancora piene e sensuali.
“Ti ho chiesto..”
“Avevo sentito..” Sorrise lei aprendo gli occhi e posandoli su quelli del marito. “Bene, direi.” Ammise. “Tu?”
“Idem..” Sorrise al ricordo di come si erano appena amati. “Ed è tutto merito di Isabel!” Aggiunse, stringendola a sé. Caterina lo guardò corrugando leggermente le sopracciglia, incuriosita. “La presenza del cavaliere, il modo in cui si rivolgeva a te, e tu a lui mi ha fatto pensare che sei ancora bellissima e desiderabile. Di più, Caterina: sei intelligente, misurata, una vera regina insomma. Il fatto che tu potessi guardare un altro, e che un altro potesse volerti con sé mi ha fatto capire cosa stavo perdendo, e mi ha reso geloso. Non è stata una cosa veloce e immediata. Mi ci è voluto del tempo per rendermene conto, e anche i pettegolezzi a corte hanno avuto il loro peso. Ma oggi, quando provocavo il cavaliere, non era solo trance agonistica, sai? Ero geloso.. tutti dicevano che meritavi di essere felice ed io mi sentivo male all’idea di non essere io quello che ti rendeva felice.” Caterina guardò Enrico come se lo vedesse per la prima volta. Era strano sentirlo così dimesso e critico verso se stesso. Gli accarezzò il viso per fargli capire che aveva compreso ciò che lui voleva dirle e che era felice di sentirglielo dire. “Isabel non volendo mi ha aiutato a capire. Ti ho data per scontata, ed è stato l’errore più terribile della mia vita, Caterina. Spero tanto che tu possa perdonarmi ed accettarmi per come sono.” Lo sguardo pieno di amore e di fedeltà che la moglie gli regalò fu la risposta che lui desiderava. “Sai, spero che la nostra Maria abbia preso un po’ del coraggio della sorella, perché se salirà al trono le servirà. Già, le servirà eccome..”
A quelle parole Caterina rimase in silenzio. Se solo pensava a come aveva trattato Isabel non più di sette ore prima. Gliene aveva dette di tutti i colori ed ora, grazie anche alla sua ‘bravata’, lei aveva ritrovato quello che più desiderava al mondo: suo marito.

 
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“Vostra Grazia, Sua Maestà..”
Isabel annuì e si alzò dalla poltrona in cui stava leggendo. Pochi istanti dopo sua madre entrò nella stanza. Lady Thorston chiuse la porta alle sue spalle, lasciandole sole.
“Vostra Maestà..” Si inchinò profondamente Isabel. Quando si tirò su per un attimo lanciò un’occhiata alla madre, poi abbassò di nuovo lo sguardo.
Caterina accennò un sorriso nel momento in cui sua figlia la guardò, poi, al vedere lo sguardo avvilito e l’atteggiamento di Isabel, lo perse. Ora quasi si pentiva per quelle frasi così dure e parzialmente ingiuste. Aveva sempre rimproverato a Enrico il suo modo eccessivo e sproporzionato di adirarsi e di rivolgere la collera non necessariamente verso coloro cui avrebbe dovuto essere diretta, e ora si scopriva lei stessa capace di una cosa del genere. Isabel aveva sbagliato, e non poco, ma la responsabilità non era sua, non solo almeno. Sir Knivert avrebbe dovuto tenerla maggiormente d’occhio. I paggi che di sicuro l’aiutavano a vestirsi, pure. Per non dire del fatto che era impensabile che in tre mesi né lei né Enrico si fossero mai resi conto di ciò che la figlia stava combinando.
“Più tardi parlerò con il Re..” Disse Isabel, certa che la madre avrebbe capito. Quest’ultima le si avvicinò e le pose le mani sulle braccia.
“Va bene, figlia mia.” Mormorò sorridendo. “Ora cerchiamo di dimenticare questa storia, vuoi?” Le chiese, continuando a mantenere il suo sorriso. Isabel annuì appena e quando Caterina si avvicinò per quel che sembrava un abbraccio, fece un passo indietro, andando al tavolo accanto a lei e prendendo un po’ di acqua. La Sovrana trovò strana quella mossa, poi si ricordò di una cosa che doveva rendere alla figlia. “Ecco.. l’ho preso ieri e.. bè, l’ho tenuto con me.. mi ha dato conforto.” Le disse porgendole il suo libro di preghiere. Isabel allungò la mano, lo prese con un leggero sorriso, quindi si voltò ed andò a posarlo sull’inginocchiatoio in fondo alla stanza.
“Oh mio Dio..” Mormorò Caterina quando vide il retro della vestaglia da camera di Isabel. “Che cosa hai fatto? Isabel, che cosa hai fatto!?” Chiese angosciata, raggiungendola e scostandole vestaglia e camicia dal collo, per controllarle la schiena. A quella mossa, Isabel gemette sommessamente e cercò di divincolarsi. “Perché ti sei fustigata? A questo modo poi!” Chiese Caterina prendendole il viso tra le mani. Isabel non rispose se non con gli occhi. La Sovrana scosse la testa, angosciata, e serrò la figlia in un abbraccio, stando attenta a non toccarla sulla schiena. Paradossalmente però, quella situazione le dava il destro per parlare con lei. Sciolto l’abbraccio con la figlia, Caterina si avvicinò alla poltrona poco distante, prendendo Isabel sulle ginocchia.

“Tesoro mio, so di essere stata molto dura con te ieri. Mi dispiace tantissimo e credimi, non avrei voluto, soprattutto alla luce di come ti sei punita. Isabel, non deve più succedere una cosa del genere.” Le disse guardandola dritta negli occhi e cercando di mantenere la voce ferma. La sola idea che la figlia si fosse flagellata dopo la lisciata che le aveva dato, la faceva impazzire di dolore. “Non deve mai più accadere che tu ti colpisca in questo modo, mi sono spiegata? Qualunque mezzo correttivo che prevedesse una punizione corporale sia stato usato con te in passato, non voglio nella maniera più assoluta che tu ne faccia uso ancora.” Isabel la guardò in silenzio senza dare alcuna risposta, né negativa, né positiva. Si sentiva oltremodo confusa. Meno di ventiquattrore prima era colpevole, e su tutta la linea, ed ora invece.. continuando a guardare sua madre, si inumidì le labbra. “Non sto scherzando Isabel. Ho visto con i miei occhi mia sorella punirsi a questo modo, quando non era mia madre a castigarla, e non voglio che le mie figlie debbano patire gli stessi tormenti. Tu sei la gioia della mia vita, Isabel, sei la mia speranza e la mia forza, e non posso permettere in alcun modo che ti flagelli a questo modo. Voglio che tu cresca consapevole delle tue forze e dei tuoi limiti; voglio che tu sappia quali sono le cose che puoi fare e quali quelle che non puoi o non devi fare; voglio che tu cresca forte e onesta, che ti sappia far rispettare ma senza diventare arrogante e meschina. Voglio insomma che tu continui, tesoro mio, a fare come stai facendo con calma e pazienza, dandoti il tempo di guarire dalle tue ferite.” Lo sguardo di Isabel si accese per un attimo, e poi la Principessa distolse gli occhi da quelli materni. Le mani di Caterina salirono sul viso della figlia, e lo girarono con delicatezza verso di lei. “Angelo mio, ho letto quanto hai scritto sul tuo libro. Mi si spezza il cuore al pensiero di averti pur involontariamente inflitto le cose che hai descritto. Per quello rimedieremo, te lo assicuro. Voglio sapere un’altra cosa.” Si preparò mentre Isabel, forse fiutando il pericolo, si agitò, deglutendo a vuoto un paio di volte. “Qual è l’oltraggio che ti è stato fatto laggiù, tesoro mio? Chi ti ha offesa in un modo tanto ignominioso? Ti prego Isabel, raccontami e permettimi di farti stare meglio..”

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Capitolo 10
*** A long journey into us ***


A Queen's Daughter - A long journey

Londra, Settembre/Ottobre 1529 – A long journey into us

 

Sonatemi un balletto col mio amor voglio danzar. Sonatemi un balletto col mio amor voglio danzar, ch'io prendo gran piacer nel ballo a dir il ver. Or via che state a far? Cominciate a sonar.

Caterina sorrise al marito che, dall’altra parte della stanza si accingeva a ballare. Dieci giorni dopo l’incidente a Isabel, era evidente a tutti che i due sovrani stessero vivendo una nuova e ritrovata armonia.
La parte di corte che in quei mesi era rimasta sempre fedele a Caterina ed aveva sperato in una riappacificazione dei due sovrani, ora esultava enormemente. Chi invece stava dalla parte di Anna Bolena, ed aveva spinto o tifato per una sua ascesa, era invece rimasto comprensibilmente interdetto dalla novità di quei giorni.
Anna, lungi dal sentirsi del tutto sconfitta, aveva continuato a frequentare la corte e non aveva cessato il servizio a Caterina. A chi la ‘seguiva’ continuava a dire che quella era una battuta d’arresto temporanea e che molto, molto presto sarebbe ‘risalita in sella’, non solo in senso figurato. Di più, aveva preso a dire di aver in serbo una sorpresa esplosiva, una carta da giocare tutta a suo vantaggio che avrebbe spostato ancora di più gli equilibri all’interno della corte. Ogni volta che però qualcuno le chiedeva spiegazioni, si chiudeva in un riserbo totale, e non diceva più nulla.
Anche Isabel, nonostante la situazione nuovamente particolare fra lei e sua madre, era pazza di gioia per il riavvicinamento dei genitori. Spesso rimaneva parecchio tempo a guardarli incantata mentre chiacchieravano, quando discutevano di una questione politica o religiosa, mentre si scambiavano degli sguardi da un capo all’altro della sala, come ora. Il Re ballava con la sua primogenita, ma appena poteva erano gli occhi chiari della moglie che cercava, e Caterina non perdeva di vista una sola sua mossa.

Già pronta è la mia Ninfa per voler meco ballar. Già pronta è la mia Ninfa per voler meco ballar, e per farmi favor la man mi stringe ancor. Or via che state a far? Cominciate a sonar. Or via che state a far? Cominciate a sonar.

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“Siete libero, sir Knivert.”
Il nobiluomo aveva annuito e poi sospirato di sollievo anche ora che ricordava quanto la guardia aveva detto. Subito era tornato a casa propria e solo lì, al sicuro, si era lasciato andare ad una gioia irrefrenabile, condita da un po’ di lacrime di scampato pericolo. Quella notte aveva dormito come mai nella sua vita ed il giorno dopo, quando si era recato a corte per sapere del suo futuro, aveva sentito gli sguardi delle persone su di sé. Aveva cercato di non prestarvi attenzione, ma era stato impossibile rendersi impermeabile ai commenti, alle occhiate a dir poco malevole di chi lo riteneva responsabile dell’incidente occorso alla Principessa.
Oltre questa più numerosa, ed agguerrita, fazione, sir Anthony aveva notato uno sparuto gruppetto di persone che invece lo avevano osservato compiaciuti, come se fossero stati soddisfatti di quanto era capitato. Ovviamente aveva cercato di non fissare quei volti e di non badarci più di tanto, anche perché non aveva nulla da spartire con costoro, tuttavia la loro presenza gli aveva dato i brividi e si chiese chi mai avrebbe potuto desiderare che Isabel si fosse fatta davvero male, o Dio non avesse voluto, che fosse morta.
Passo dopo passo, raggiunse la sala dove Enrico lo aspettava, assai verosimilmente con la Regina, e gli avrebbe comunicato il suo destino.
Come aveva immaginato fin da subito, il suo vecchio amico si era rifugiato in una stanza lontanissima dall’ingresso principale del Palazzo di Greenwich, costringendolo alle forche caudine di coloro che non avevano approvato il suo comportamento. Sir Anthony sorrise fra sé: più sarebbe stata lunga la sua umiliazione, maggiori sarebbero state le probabilità di cavarsela e di riavere quanto aveva.
“Vostre Maestà..” Li salutò quando entrò in una sala, piccola ma accogliente, dopo essere stato debitamente annunciato. Di fronte a lui, ovviamente, Enrico e Caterina, ma anche, e questo sir Anthony non lo aveva immaginato, Isabel.
Mi sta mettendo davvero alla prova..’ pensò Knivert con un sorriso, riferendosi al Sovrano.
“Anthony..” Lo salutò quasi gioioso Enrico, scendendo dallo scranno su cui era seduto ed andandogli incontro. Il Re quasi lo abbracciò, lasciandolo un po’ perplesso, e poi tornò a sedersi accanto alla moglie.
Caterina sembrava scrutarlo con attenzione, senza essere né troppo sorridente, né ostile in modo visibile. Dieci giorni prima lo aveva consolato e si era mossa a pietà di lui, ma erano stati momenti concitati e terribili tanto per lui, quanto, a maggior ragione, per lei. Chissà che cosa era rimasto in lei di quella pietà e di quel senso di vicinanza.
Isabel invece gli fece fin da subito un sorriso caloroso, testimoniando che per lei non era cambiato nulla e che la stima e l’affetto che aveva nei suoi confronti non si erano affatto spenti con l’incidente. Sfortunatamente però la Principessa non contava quanto i genitori, e il suo parere, per quanto minimamente importante, non era certo indispensabile per determinare in positivo il suo futuro. Anthony rispose al sorriso della fanciulla, che poi guardò fiduciosa suo padre, facendogli un sorrisetto ammiccante.
“Va bene, va bene. Dai pure tu la notizia a sir Knivert!” Concesse lui divertito.

 

“Dovremo saper gestire bene questo momento.” Disse a voce bassa sir Thomas. Il figlio e la figlia annuirono, ma mentre Anna sembrava rassegnata all’obbedienza e all’accettazione della scelta del Re, George era quello più scomposto.
“Io non capisco che cosa diavolo gli ha fatto cambiare idea, perdio!” Disse irato, e con voce alta a sufficienza perché chi era a due metri da loro tre sentisse abbastanza distintamente l’imprecazione e non impiegasse che pochi istanti per capire anche l’argomento della loro conversazione. Sir Bolena, spaventato dalle conseguenze di quella frase, prese il figlio per un braccio e lo strattonò leggermente.
“Sei impazzito per caso?!” Esplose a denti stretti, cercando comunque di controllarsi per dar nell’occhio il meno possibile e nello stesso momento, sospingendo il figlio in un angolo più appartato della sala. “E’ il Re, stupido ragazzino! Cosa vuoi che faccia?, che chieda a te un parere su chi fottersi ogni sera?! Ringrazia Dio che fin’ora si è portato a letto tua sorella e non un’altra!!, altrimenti tutti questi bei privilegi te li sogneresti!! Forse!” Lo aggredì, prendendogli la catena che indicava il suo status di Lord e sventolandogliela di fronte. George ebbe il buon gusto di stare zitto, e poi a bassissima voce mormorò qualche parola di scusa.
In quel momento passò Isabel, e Anna decise di salutarla. La situazione avrebbe dovuto consigliarle maggiore prudenza, ma decise di tentare. Mentre andava incontro ad Isabel, con il chiaro intento di salutarla, vide qualcosa che poteva tornare utile. Così, come se fosse stata distratta da qualcosa, si spostò leggermente, facendo finta di occuparsi di altro, ma continuando a tenere d’occhio la scena che le si parò davanti.
“Ma che fai?”
Senza tanti complimenti, Maria prese la sorella per un braccio e la spostò, impedendole di andare incontro ad Anna Bolena. Isabel, che mai aveva imparato a tollerare questo suo modo di fare, divincolò il braccio con una certa forza una prima, poi una seconda, quindi una terza volta, riuscendo a liberarlo solo al quarto tentativo.
“Si può sapere che diavolo vuoi da me?” Chiese, una volta che uscirono dalla sala e si appartarono in un angolo del corridoio adiacente sempre seguite, pur a debita distanza, da Anna, che non aveva intenzione di sentire per filo e per segno di cosa parlassero, quanto vedere come si sarebbe sviluppata ‘l’azione’.
“Non vorrai ancora dare spazio a quella sgualdrina, dico!!” Cominciò a catechizzarla Maria. “No, dico, non ti sembra che abbia fatto soffrire abbastanza nostra madre? Non vorrai essere tu a causarle altro dolore, spero!!”
Come quando era piccola, Isabel corrugò le sopracciglia all’affermazione dura e offensiva della sorella.
“Io non causo nulla a nessuno!” Protestò, proprio mentre Caterina, non vista, si spostava da una sala ad un’altra attraverso quel corridoio. Notando l’alterco fra le due, si avvicinò un po’ per sentire meglio.
“Ah, no?!” Ribatté sarcastica Maria, con un sorriso che era tutto un programma. “E non ti dice nulla la tua stupida bravata di dieci giorni fa? Non pensi di aver spaventato sia nostro padre che soprattutto nostra madre con questo vostro gesto inutile e assurdo? Sei così stupida da non capirlo?” Continuò Maria, senza rendersi minimamente conto che la sorella era sull’orlo delle lacrime. “Dovevi vedere la sua espressione mentre cadevi come una pera cotta da cavallo, sai? Non l’ho mai vista tanto terrorizzata, e per cosa poi? Una sciocca ragazzina che gioca a fare ciò che per natura non è, che si comporta in modo inaudito e scandaloso, e che fino ad ora ha dato solo grattacapi ai suoi genitori.” Disse, scuotendo la testa schifata. “Mi chiedo proprio se sia davvero figlia dei nostri genitori. Esternamente somigli a noi, ma dentro di te..” Sentenziò Maria, mentre Isabel ingollava gli insulti della sorella apparentemente senza battere ciglio. Quelle parole però furono la classica goccia, perché allora Caterina intervenne e guardò fin da subito la figlia maggiore con uno sguardo severo.
“Maria! Chi ti ha dato l’ordine di correggere ed ammonire tua sorella?” Le chiese, facendole capire che non apprezzava minimamente questo tipo di intervento da parte sua. La figlia, prendendola per una domanda vera e propria, si azzardò a rispondere.
“Madre, penso sia il mio compito come sorella maggiore di farle notare dove sbaglia!”
“Tua sorella ha già due genitori!” Replicò furente Caterina, senza nemmeno farla finire di parlare. “Ti avevo già avvertita Maria!!, e non una sola volta! Non azzardarti mai più ad esagerare in questo modo!” Continuò, vedendo che lei osava aprire la bocca per replicare. In un angolo, Isabel, assisteva alla scena, senza possibilità di andare via. Maria era ormai diventata una ragazza prepotente e troppo sicura di sé e del parere che avevano gli altri di lei, ma le dispiaceva vederla rimbrottata a quel modo dalla madre, anche perché Caterina la colpiva senza pietà anche di fronte a lei. Quando fece per andarsene, e lasciarle sole, la madre la fulminò con lo sguardo. “Dove vai tu?” La apostrofò, e Isabel si sentì trafitta dal suo sguardo indagatore. Poi, gli occhi di Caterina tornarono su Maria, in attesa, ora sì, di una risposta da parte sua.
“Vi chiedo scusa, madre..” Rispose la figlia, mentre Isabel guardava dappertutto fuorché la sorella. Era una tortura stare lì e sentire tutto. Possibile che sua madre non capisse?
“Non è a me che devi chiedere scusa, Maria.” Sentenziò Caterina, guardando Isabel, che aveva gli occhi puntati a terra e le guance paonazze. Maria guardò prima la madre, poi la sorella, quindi di nuovo la madre.
“Quanto a questo..” Disse, sfidando Caterina. “Potete stare certa che non chiederò mai scusa ad una ragazzina senza cervello e senza cuore. Voi cullatela e coccolatela come se avesse ancora sei anni, e fosse ancora la piccola di mamma, da tenere sulle ginocchia. Continuate a farle credere di poter fare tutto senza conseguenze.. vedrete che brusco risveglio avrete, madre! Io, se permettete, la tratto come mi pare opportuno!”
Caterina la guardò con gli occhi fuori dalle orbite, letteralmente furiosa sia per l’evidente disobbedienza della figlia ad un suo preciso ordine, sia per la predica che Maria le aveva servito su come sarebbe stato più opportuno comportarsi con Isabel.
Istintivamente la Regina alzò una mano e fece per schiaffeggiare la sua primogenita, ma poi si fermò, anche se nemmeno lei seppe il perché.
“Sparisci immediatamente dalla mia vista!” Sibilò, dominandosi a stento e continuando a tenere puntati gli occhi su Maria. La ragazza chinò appena il capo, poi fece una reverenza tenendo sulle labbra un sorriso che in quel momento aveva un che di sarcastico e poi, dopo un’ultima occhiata sdegnata alla sorella, andò via.
Nel vedere gli occhi della sorella, feriti e pieni di collera assieme, Isabel si sentì quasi morire. Ora era perfettamente consapevole che Maria la disprezzava, e la correzione ‘pubblica’ di Caterina non aveva certo risistemato le cose, né aveva contribuito a creare fra loro un pur minimo senso di solidarietà.
“Come stai tesoro?” Chiese Caterina, avvicinandosi alla figlia minore e sollevandole il viso. Isabel era ancora evidentemente turbata dalla discussione con la sorella.
“Meglio di come sta Maria, mamà..” Rispose sinceramente. La madre la guardò senza dirle nulla. Non capiva il suo atteggiamento di difesa verso la sorella che l’aveva insultata e, anzi, lo trovava quasi costruito, per non dire inverosimile e fasullo.
“Non è necessario che la difenda in questo modo, sai?” Disse. “Puoi anche dirmi come ti senti davvero, senza fare l’eroina a tutti i costi.”
“Mi credete una bugiarda?” Chiese Isabel, quasi rabbiosa. I suoi occhi grigi si posarono su quelli della madre e ne scrutarono i movimenti e, per così dire, le intenzioni. Il suo silenzio era tremendo da sopportare e da decifrare per bene. Corrugò le sopracciglia e scosse la testa addolorata. Non avrebbe mai pensato che la solidarietà che mostrava verso Maria, ed il suo desiderio di avvicinarsi a quella sorella tanto sconosciuta quanto così simile a lei in quel momento, le si sarebbero rivoltati contro. “Non me lo merito, madre. Non me lo merito davvero..” Riuscì a dirle, prima che la voce le si spezzasse. Poi, eseguita la solita reverenza, se ne andò, lasciandola sola.

 

“Principessa, Vostra madre..”
La figlia di Caterina annuì e, posato il libro sul tavolo accanto a sé, si alzò, preparandosi a riceverla. Non appena Caterina entrò, fece un inchino profondo e poi alzò il viso, cercando i suoi occhi e cercando di leggervi il suo stato d’animo.
“Io e te dobbiamo fare una bella chiacchierata signorina!” L’apostrofò, ancora visibilmente irata, sua madre. “Non mi piace come ti stai comportando e credo sia il caso che tu cambi in fretta registro! Tu non hai nemmeno idea di cosa ha spinto tua sorella a fare quello che ha fatto, né sai che cosa ha dovuto sopportare in questi anni, quindi ti consiglio di non azzardarti a tormentarla ancora, Maria.”
La Principessa guardò la madre scuotendo la testa e non capacitandosi delle sue parole.
“E non fare di no con la testa!!” Replicò Caterina immediatamente. “Non sto scherzando, Maria. Isabel ha passato anni tremendi, lontana da qui e… bè insomma, ha passato un periodo terribile da cui si sta riprendendo con fatica e con sorprendente forza d’animo; non ti permetterò di rovinare tutto perché ti senti una superdonna in dovere di correggerla ad ogni passo. Non sei sua madre, non sei la sua precettrice, non sei chi ha l’incarico di educarla, quindi ti consiglio di metterci realmente un punto.”
“Isabel non è la sola ad avere passato momenti tremendi!” Obiettò Maria. “Anche io a Ludlow non ho certo fatto vacanza. Ero piccola, sola, lontana da voi e con persone che conoscevo a malapena. E non mi pare di essermi mai lamentata..”
“Maria, non si possono mettere a confronto situazioni diverse. Isabel stava a 300 miglia da casa, era più piccola di te ed in una zona molto più difficile da controllare delle Marche Gallesi, e molto più lontana perché noi potessimo andare a trovarla più spesso. Questo lo sai anche tu, solo che ti fa comodo non ricordarlo. Non capisco quando sia nato dentro di te questo sciocco comportamento, ma ti consiglio di metterci presto un punto perché quando fai così sembri una bambina noiosa e petulante. E non ti abbiamo educato per essere questo.” Sentenziò Caterina, ormai al limite della sopportazione.
“E’ assurdo tutto questo, madre!!” Si permise di obiettare. “E’ davvero assurdo!! Vostra figlia stava per salutare la puttana che vi ha reso infelice!! E voi che fate?, coccolate lei e ve la prendete con me, sostenendo che sia io quella strana.. Madre, siete sicura di stare bene?”
Caterina la fissò scandalizzata. Chi le aveva mai permesso questo linguaggio e questa confidenza?
“Come ti permetti di parlarmi in questo modo?” La aggredì fuori di sé, alzando parecchio il volume della voce. “Bada, Maria... Ti consiglio di tacere o saranno guai seri per te! Non permetto a nessuno di parlarmi in questo modo!!”
“Tranne che a Isabel, ovviamente!!” Sbottò Maria. “Cos’è, vi sentite in colpa per non essere stata spesso da lei, che ora le permettete tutto questo?”
Caterina chiuse gli occhi e strinse le labbra. Il desiderio di schiaffeggiare Maria le salì fortissimo, diventando quasi un’urgenza. Poi però, per la seconda volta in quella giornata, lasciò correre. La rabbia enorme e fortissima che era stata sul punto di esplodere,  si spense e lasciò il posto ad un’amarezza senza fine. Non ebbe nemmeno la voglia di risponderle, rimettendola al posto che le spettava e facendole capire quali erano i suoi limiti. Si sentiva grandemente delusa dalla figlia, che pure aveva avuto un’educazione perfetta e doveva aver imparato a sapersi comportare senza giudicare. In silenzio uscì così dalla stanza, senza nemmeno guardarla più in faccia, e lasciando che cuocesse nel suo brodo.

 

 
“Non l’ha rimessa a posto..” Mormorò Isabel. “Non l’ha rimessa a posto come ha fatto con me quando ho osato dire che non sentivo il suo affetto..” Seduta sotto un albero, con le ginocchia strette a sé, la principessa rifletteva sul suo rapporto con la madre, dopo una lunga ed estenuante lezione di equitazione in cui si aveva messo tutta la sua delusione, fino ad arrivare quasi a sentirsi male dalla stanchezza.

 
“Sapete perché ho lasciato correre gli oltraggi di oggi?” Chiese Caterina con un sospiro. “Ne ho abbastanza del comportamento di Maria. Ha quasi vent’anni e si comporta come una bambina petulante. Non ha nemmeno idea di cosa la sorella abbia passato e si azzarda ad aprire la bocca. Invece, chi mi preoccupa è Isabel. Si è chiusa in un silenzio totale e non fa entrare nessuno. E’ sempre stata più taciturna, più silenziosa di Maria, ma ora.. Son sicura che a Newcastle abbia vissuto qualcos’altro, oltre le botte, e temo anche di sapere che cosa, ma non ne vuole parlare. Ed io non ho voluto insistere più del dovuto..”

 
“Vorrei tanto sedermi sul suo grembo, rifugiarmi tra le sue braccia e aprire il cuore.. vorrei tanto ripescare dal fondo dei miei ricordi e della mia anima, tutto il male che mi è stato fatto, ma ora non ce la farei. Nemmeno con lei, che è tutto per me..” Mormorò Isabel, posando la faccia sulle ginocchia. “Ora non riesco a dividere questo peso, nemmeno con lei; non riesco a tirarlo fuori, a sommarlo alle cose negative che mi fanno stare male e liberarmene. Io so che lei è con me, che i suoi occhi sono su di me e che lei vigila su quello che faccio, e mi sostiene. Eppure..”

 
“Conosco il suo silenzio, eppure ora mi fa male ed è insostenibile per me. Il suo ‘No mamà, non ora..’ è stato atroce da ingoiare. E quella maledetta Bolena che continua a girarle intorno e che la segue come un avvoltoio.. Quella puttana è scaltra, l’ha puntata fin dall’inizio e ho terrore che prima o poi riesca ad agganciarla, fragile come è in questo momento quella creatura..”
Maria del Salinas la guardò con partecipazione ed affetto. Raramente l’aveva vista perdere la bussola in questo modo. Comprendeva la sua preoccupazione ed il suo tormento, anche se Isabel, a suo modesto parere, avrebbe dovuto cominciare a camminare con le proprie gambe e fare se necessario pure dei sani errori. Era indispensabile che crescesse sul serio e sperimentasse tutto il bene ed il male delle amicizie e dei rapporti che intrecciava, delle persone che frequentava o che la avvicinavano, e tutto questo senza il costante e forse un po’ troppo presente occhio di Caterina. D’altra parte aveva quasi sedici anni, un’età in cui molte coetanee della sua stessa classe sociale erano già mogli in giro per l’Europa.
Ovviamente lady Willoughby sapeva qual era il proprio posto e non si sarebbe mai azzardata ad esprimere un parere non richiesto. Si limitò a guardare la Sovrana e lasciare a lei quella conclusione, sempre che la facesse.
“Forse vuole camminare con le sue gambe. E per questo motivo ha scelto di non parlare con me ora. Con me e con nessun altro. Che dite, lady Willoughby?, potrebbe essere così?”


“Sapete che vi dico, sir Knivert?” Disse all’improvviso Isabel, rialzando la testa. “Sento il bisogno di staccarmi un po’ da lei. Di fare da sola un po’ di strada. Fino ad ora lei è stata presente, ma adesso basta. L’esperienza di Newcastle mi ha insegnato che anche in una situazione davvero tremenda posso resistere e farcela. Voglio capire da sola, voglio cominciare a volare da sola.. E voglio fare affidamento su voi, su sir Hilliard, sul señor Vives che mi seguirà tra poco, oltre che su me stessa..”

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Capitolo 11
*** A gift to refuse ***


A Queen's Daughter- A gift to refuse

Londra, Natale 1529 – A gift to refuse

 

“Siete sicuro?” Obiettò Anna Bolena. “In questi mesi non abbiamo scambiato che dei saluti formalissimi. E’ sempre attaccata ai suoi tre insegnanti, dubito che proprio ora mollino la presa. E poi lei stessa mi sembra più ferma nelle sue posizioni, meno bambina.”
“Vero, padre.” Confermò George, che comunque solitamente non aveva opinioni o punti di vista particolarmente brillanti.
“Sentite, ha sedici anni e non sa nulla del mondo. Con la sorella non parla e non ha che i genitori in comune, il suo legame con la madre si è allentato di molto, quello con suo padre non è mai esistito. I suoi precettori sono tre uomini, e, a parte lady Thorston, non ha una sola amica qui dentro. Secondo voi quanto impiegherà la nostra Anna a rompere il suo muro difensivo? E’ pur sempre una femmina, anche se è figlia di Re ed è circondata da uomini. Un gioiello ed un’amica sono quello cui non riuscirà a dire di no. Credetemi!!”

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“Maria..”
“Isabel..”
Le due sorelle si salutarono freddamente e poi presero posto, accanto ai genitori. Maria, come sempre alla sinistra di Enrico, ed Isabel alla destra di Caterina. Entrambe erano state fuori per due mesi, con i loro precettori, ed avevano raffinato, in un soggiorno italiano e francese, le loro conoscenze con le ‘realtà locali’. Certo, era poca cosa rispetto ai soggiorni che avevano fatto, ma in verità Enrico aveva di nuovo giocato la carta matrimoniale per le figlie. Le aveva fatte girare un po’ per metterle in mostra, far respirare loro un’aria che non fosse quella dell’Inghilterra, e in sostanza aveva cominciato a distaccarle dalla realtà che fino ad allora avevano vissuto.
Fedeli alla loro completa diversità, le due principesse, anche in questo caso non avevano fatto eccezione. Maria, sebbene fosse più grande e più chiacchierona e solare, non conservò questo tratto del suo carattere anche all’estero e non ebbe modo di fare conoscenze ed amicizie. In sostanza, rimase sempre un po’ nell’ombra e non ebbe nemmeno modo di migliorare il proprio francese o imparare almeno un minimo di italiano.
Isabel invece, nonostante il suo carattere prudente e riservato, oltre che estremamente silenzioso, aveva avuto modo di attirare l’attenzione; in due Paesi più gai e abituati alla facile conversazione, il suo carattere schivo aveva colpito e le aveva valso mille attenzioni da parte di Sovrani, ambasciatori, inviati vari e nobili locali. Inoltre aveva maggiore facilità nell’apprendimento delle lingue e, oltre a migliorare sensibilmente il suo francese, in un mese di soggiorno italiano, riuscì a imparare qualche frase, almeno per iniziare una conversazione. Insomma, lei e la sorella ancora una volta dimostravano di essere il giorno e la notte. Questo acuì la loro distanza e sebbene avessero passato l’intero soggiorno assieme, pur a volte impegnate in cose diverse, non si erano quasi mai rivolte la parola, suscitando anche in questo caso la curiosità, quando non l’aperta ilarità, degli ‘stranieri’.
Mentre Enrico cominciava a mangiare, praticamente ignorando Maria, Caterina si girò verso la figlia minore e le sorrise. Le era mancata follemente e non vedeva l’ora che tornasse. In silenzio fece scivolare la mano sulla schiena di Isabel, all’altezza della vita, e le accarezzò il fianco.
“Come stai, amore mio?” Le chiese, vezzeggiandola in italiano. Isabel si girò verso di lei e la guardò con occhi radiosi. Le sorrise e poi accostò il gomito destro alla schiena, facendo in modo di toccare le dita della mamma.
“Bene, grazie, mia amatissima mamma.” Le rispose, usando anche lei l’idioma di Dante. “E voi?” Caterina le sorrise, ed annuì leggermente, facendole capire che stava bene.
“Dopo cena, e dopo la Messa, se non sei stanca potremmo scambiarci gli auguri..” Propose la Sovrana. Isabel spalancò gli occhi ed annuì, aprendo la bocca ad un sorriso che le illuminò il volto.
“Ho una cosa da darvi..” Le disse a voce bassissima. “Un regalo solo per voi..”
Caterina la guardò e le sorrise, pizzicandole dolcemente il fianco, per farle capire che non vedeva l’ora di godersi quel momento con lei.

 

“Principessa..” Nel primissimo pomeriggio, mentre Isabel leggeva in santa pace, nel suo angolo preferito dell’enorme biblioteca, angolo che era anche quello più appartato, Anna Bolena la approcciò, salutandola. La fanciulla alzò gli occhi e restò seduta, ricambiando il saluto con un leggerissimo cenno del capo.
“Mistress Bolena.” Detto questo, riabbassò lo sguardo sul libro, ignorandola. Anna restò dove era, ma per un attimo solo, vedendo la sicurezza della ragazza, fu in dubbio se portar avanti il suo ‘piano’. “Principessa, io desideravo aveste questo..” Cominciò per far sì che Isabel rialzasse lo sguardo, cosa che ottenne dopo alcuni istanti. Quando gli occhi grigi della Principessa tornarono su di lei, Anna le sorrise e le porse una piccola scatolina. Isabel non la prese, limitandosi a guardarla, come fosse in attesa di una spiegazione. Anna si rese conto che stavolta sarebbe stato forse più difficile convincerla e tirarla dalla propria parte. Cercando di assumere un tono gaio e tranquillo, la dama proseguì; come sempre faceva quando era in difficoltà o davanti a qualcosa di imprevisto, assumeva un tono quasi inoffensivo che serviva a demolire le difese del suo interlocutore. Sperando di riuscire anche in questo caso, proseguì a parlare. “E’ un ciondolo, che ho regalato per Natale alle mie amiche.” Isabel corrugò immediatamente le sopracciglia. Anna poté quasi immaginare di sentire la chiusura ermetica delle sue difese, così, fulminea, cambiò strada. “In realtà l’ho regalato a coloro che vorrei avere il privilegio di annoverare tra le mie amicizie. Ho intenzione di farne dono anche a vostra madre, per chiederle scusa delle recenti incomprensioni.”
Alla faccia delle incomprensioni, sgualdrina!! Ti portavi a letto mio padre ed hai reso mia madre infelice!! Devi ringraziare che non ti ammazzi con le mie mani!’ Pensò Isabel, sentendo la rabbia salirle dallo stomaco.
“Vorrei chiedere scusa anche a voi, con questo dono..” Proseguì Anna, con una faccia tosta incredibile, che però cominciò a fare presa su Isabel. Gli occhi neri dell’ex amante del padre non la lasciavano mai, e le sembravano così sinceri che forse.. “Vorrei chiedervi scusa e sperare, un giorno, di poter essere vostra amica. Per il momento, vi prego, vogliate prendere questo dono, in segno di scuse da parte mia.” Cauta, Isabel allungò la mano, incontrando a metà strada quella di Anna, che ora le sorrideva apertamente. “Vi chiedo il favore di indossarlo, una volta sola, alla Messa stanotte. Ed io saprò che ho il vostro perdono e che accettate le mie scuse più profonde..” Isabel prese la scatola e poi la posò sul libro che teneva, ancora aperto, in grembo.
“Ci penserò, mistress Bolena..” Rispose, cauta. Come se avesse ricevuto un sì convinto, Anna le sorrise e poi, dopo una profonda riverenza, lasciò la biblioteca.

 

 
Puer natus in Bethlehem, alleluia: unde gaudet Jerusalem, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico. Assumpsit carnem Filius, alleluia, Dei Patris altissimus, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico. Per Gabrielem nuntium, alleluia, Virgo concepit Filium, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico.
Dopo essersi comunicata, Isabel tornò al proprio posto, dietro quello di Caterina. Finito il ringraziamento personale, la fanciulla si risedette e, mentre il canto andava avanti, osservò la Chiesa decorata a festa. Il profumo dell’incenso si confondeva con quello dell’enorme albero di Natale che decorava un lato del presbiterio. I colori delle luci delle candele si univano a quelli delle enormi ghirlande di agrifoglio, dello stesso albero, dei festoni usati per decorare la Chiesa e dei vestiti colorati dei fedeli. Isabel si voltò alla sua sinistra e vide la sorella, tutta intenta a pregare, o forse a gustarsi il canto. Per qualche istante rimase indecisa sul da farsi, ma poi allungò una mano verso di lei, accarezzandole il polso. Maria si girò e la fissò, stupita da quel gesto. Quando vide sul viso della sorella minore un sorriso talmente aperto e accogliente, non riuscì, nonostante tutto, a respingerla. Le sorrise a sua volta, un po’ più cauta e poi le strinse leggermente il polso, ricambiando il suo gesto. Gli occhi di Isabel brillarono di gioia vera e Maria ne fu così colpita, e commossa, che non riuscì a trattenersi. Strinse più forte il polso della sorella e lo accarezzò dolcemente. Poi si spostò sulla panca più verso Isabel. Fu allora che quest’ultima le avvicinò la bocca all’orecchio, come per dirle qualcosa di poco importante.
“Perdonami..” Mormorò. “Anche se non te lo dico, ho bisogno di te per crescere, e ti voglio bene..”
Enormemente toccata da quelle parole, Maria si voltò verso la sorella. Essendo sedute nel transetto nord, e quindi esposte a tutti i fedeli, non la toccò, né fece gesti plateali, come era suo costume, ma il suo sguardo denunciava il suo stato d’animo. Quanto la sorella le aveva detto non l’aveva lasciata indifferente e per la prima volta in quasi sedici anni, la sentiva davvero parte della sua vita.
Ut redderet nos homines, alleluia, Deo et sibi similes, alleluia, alleluia.
In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico. In hoc natali gaudio, alleluia: benedicamus Domino, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico. Laudetur sancta Trinitas, alleluia, Deo dicamus gratias, alleluia, alleluia. In cordis jubilo, Christum natum adoremus cum novo cantico.

 

Dopo la Messa i Sovrani si fermarono assieme alle figlie in una piccola sala del trono, con i consiglieri e la parte di corte più vicina a loro, per un breve scambio di auguri. Nel tardo pomeriggio c’era stato lo scambio dei doni con tutta la nobiltà inglese e gli ambasciatori e gli inviati provenienti dall’Europa e, come ogni anno, il cerimoniale era stato lungo ed estenuante.
Mentre le sue dame sfilavano di fronte a lei, Caterina notò lo splendido gioiello di Anna Bolena. Era un girocollo in oro e pietre dure, non troppo grosso, con un pendaglio a forma di rombo. Era elegante e delicato al tempo stesso, così perfettamente stonato su una simile sgualdrina. La Sovrana la guardò gelidamente dall’alto in basso, quando si inchinò per porgerle gli auguri, e le rispose a malapena. Quel viso sfacciato, nonostante il Re non la considerasse più la sua ‘maîtresse-en-titre’, non aveva perso la sua spocchiosa superbia e quegli occhi neri continuavano a guardare tutto e tutti con sufficienza e alterigia assieme. Seguendo alla sua destra il cammino della sua rivale, Caterina temette di perdere i sensi. Anche Isabel, seduta accanto a lei, aveva lo stesso, medesimo gioiello. La Sovrana guardò inorridita la figlia. Che diavolo di gioco era quello?!
“Madre, che succede?” Chiese quest’ultima. Caterina strabuzzò gli occhi e fissò per pochi istanti Anna Bolena. Isabel seguì lo sguardo materno e non appena vide il gioiello della dama, capì subito. Era stata ingannata!!, ma lei era caduta come una sciocca nel tranello di una poco di buono. La Principessa avrebbe voluto che la terra si aprisse e la ingoiasse in un istante. Per quanto sperasse che quel momento finisse in fretta, non fu così. Prima di abbassare lo sguardo, riuscì a sentire su loro tre tutti gli occhi dei cortigiani presenti. Sua madre respirava così affannosamente che poteva sentirne il sibilo. In un ultimo tentativo di ridimensionare la cosa, Isabel alzò il viso su Caterina e aprì la bocca scusarsi, o almeno provare a farlo.
La Regina però fece ciò che non aveva mai fatto, nemmeno quando il marito amoreggiava spudoratamente in pubblico con la Bolena. Senza pensarci minimamente, essa si alzò dal trono e, mentre la corte non le levava gli occhi di dosso, prese letteralmente per un braccio Isabel, trascinandola via.
La povera principessa non ebbe nemmeno modo di opporre una minima resistenza, che venne portata quasi di peso, dopo un lunghissimo corridoio, in una saletta. Lì Caterina la lasciò andare, non prima di averla quasi spinta dentro.
“Cos’è questo? Avanti, parla!! COS’E’?!?!” Cominciò immediatamente ad aggredirla. Isabel non l’aveva mai vista in quello stato e, per la prima volta in vita sua, ebbe paura di lei. Camminando all’indietro, arrivò fino al muro, sul lato opposto rispetto alla porta d’ingresso. Sua madre non le diede tregua e la raggiunse in un attimo. “Non ho ancora sentito perché hai addosso questa roba!!! Da chi tu l’abbia avuta lo so benissimo. Ma voglio sapere perché!!!”
Troppo spaventata per rispondere, Isabel si limitò a fissare terrorizzata sua madre, che era ormai preda della collera più nera.
Mamà, io non pensavo..” Provò a dire Isabel. “Vi giuro, preferirei essere impiccata..”
“Dovrei impiccarti davvero!!” La interruppe Caterina, schiaffeggiandola forte, colma di sdegno e ormai totalmente fuori di sé. “Ho allevato una sgualdrina che mi ha venduto alla prima occasione buona!!”
Isabel la guardò con occhi sbarrati di terrore e di paura. In silenzio scosse la testa, mentre le lacrime, pian piano, sgorgavano dai suoi occhi e scivolavano giù lungo le guance, la mandibola, il collo. Sua madre allungò di nuovo la mano, e lei temette volesse ancora picchiarla. Invece afferrò la catena del gioiello e tirò una prima volta, forte. Non riuscendo a strapparla provò una seconda, poi una terza, infine una quarta, con energia sempre maggiore. La pelle di Isabel, scorticata dai tentativi precedenti, si lacerò di netto. Subito un fiotto di sangue zampillò dal fianco del suo collo, ma nemmeno la vista del sangue calmò Caterina, che sembrava preda di un demonio.
Solo quando Enrico arrivò nella sala e, prendendola per le spalle, la strappò da lì, si calmò e perse tutta la trance che l’aveva sorretta fino a quel momento.
“Prepara le tue cose e vattene via da Greenwich.” Sibilò, voltandosi a guardare più furente che mai sua figlia. “Fino a nuovo ordine sei bandita dalla corte e non hai una madre.. fatti consolare dalla puttana Bolena, ora!”

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Capitolo 12
*** Missing ***


A Queen's Daughter - Missing

Londra /Parigi Gennaio/Febbraio 1530 – Missing

 

“Volete passare da Isabel?”
Caterina fulminò con lo sguardo il marito e poi girò il viso, sdegnata.
“Caterina sono quasi quattro settimane che non le date udienza, e rispedite indietro i suoi messaggi. Fino a dove vorrete arrivare?” Chiese Enrico, cercando di mantenere la calma e la pazienza. “Non ha nemmeno sedici anni ed ha peccato di leggerezza.. Non posso davvero credere che la stiate cancellando dal vostro cuore.” Provò a farla ragionare.
In realtà, nonostante la situazione drammatica, gli veniva quasi da sorridere. In genere, era lui quello fumantino e veloce alla reazione scomposta e lei aveva il compito di ricomporre i cocci che lui rompeva. In questo caso, invece, era stata lei ad aver perso la sua proverbiale calma e a sragionare.
“Quella sgualdrinella deve capire dove ha sbagliato e recepire un po’ di disciplina..” Fu la sua unica risposta, la sola in quelle quattro settimane che continuava a ripetere in modo quasi ossessivo.
“Ancora un po’ di disciplina, e rimarrà senza pelle sulla schiena, Caterina.” Commentò Enrico, stupito da tanta durezza da parte sua, soprattutto nei confronti di Isabel. “Dio non voglia vi dobbiate pentire di ciò che fate. Crescere senza madre è innaturale, e Dio solo sa cosa ha già passato nostra figlia..”
Detto questo, la lasciò sola, a preparare le ultime cose per il viaggio in Francia, dove si sarebbe celebrato il fidanzamento di Maria con Francesco, il primogenito di Francesco I e Claudia.
Praticamente tutta la corte avrebbe partecipato, esclusi Thomas More, che avrebbe tenuto la reggenza in vece di Enrico, sir Knivert e sir Hilliard, che sarebbero rimasti a Londra assieme ad Isabel, e naturalmente la secondogenita di Enrico e Caterina, che ancora soffriva il totale ostracismo materno.
La Regina guardò uscire il marito e poi continuò a preparare l’occorrente per il viaggio. Da che aveva scoperto il tradimento di Isabel, l’aveva praticamente bandita dalla corte, aveva ignorato i suoi innumerevoli messaggi di scuse e richieste di ricevimento, dedicandosi in pratica a Maria ed a tutto ciò che la riguardava. Non aveva mai trattato Isabel in un modo tanto rigoroso e duro, ma il dolore e la rabbia che provava erano talmente accesi che solo ripensare alla notte di Natale le faceva venir voglia di gridare e fare a pezzi qualsiasi cosa.
“Mia signora, vostra figlia..” Azzardò a dire Maria de Salinas. Caterina dapprima sorrise, ma poi quando vide lo sguardo imbarazzato della dama, capì che Isabel aveva osato contravvenire ai suoi ordini. Il viso le si contrasse in una smorfia di pura rabbia.
“Cacciatela via!” Ordinò a voce sufficientemente alta perché ‘quella svergognata’ sentisse. “Ditele che la Regina non ha tempo né voglia di vederla e che se non vuole finire alla Torre farebbe bene a eseguire alla lettera i suoi ordini, invece che osare contraddirla.”
“Maestà..” Mormorò lady Willoughby, implorando con lo sguardo Caterina. Come poteva pensare di farle riferire una cosa del genere? Ad Isabel poi..
“Lady Willoughby, vi consiglio di eseguire i miei ordini, ed alla svelta..” Sibilò furente Caterina, con un tono di voce bassissimo, segno evidente che era davvero al limite della sopportazione. La dama, chiuse gli occhi e deglutì a vuoto. Poi dopo l’inchino consueto, si voltò per prendere l’uscita.
“Non vi preoccupate, mia buona lady..” Mormorò Isabel. “Obbedisco. Vi prego, vogliate dare questo messaggio alla Regina, e ditele che la affido ogni momento al Signore perché le conceda la sapienza del cuore e la mantenga fedele al Suo servizio, donandole tutta la salute possibile.”
La nobildonna spagnola sorrise alla giovanissima principessa, prese il messaggio cartaceo che Isabel le aveva consegnato e poi tornò indietro da Caterina.
L’espressione sul suo volto era, se possibile, ancor più stravolta e turbata. Quando l’amica le diede il biglietto, lo fece in un istante in mille pezzi, ma era impossibile non avesse sentito le parole della figlia.

 
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“Dieci anni fa mi avete atterrato.. Farete lo stesso anche oggi?” Sorrise Francesco, baciando timidamente le guance della sua fidanzata. Maria gli sorrise, arrossendo.
“No, Vostra Altezza..” Rispose, baciando a sua volta le guance fresche, e leggermente imporporate di lui.
Tutto il seguito esplose in un applauso entusiasta, e i due padri si levarono in piedi sollevando i loro calici colmi di vino francese. Seguiti dalle mogli e poi dai loro cortigiani, subito fecero un brindisi alla nuova coppia, mentre i due novelli fidanzati si studiavano con discreta curiosità.
Mentre guardava la primogenita, Caterina non riuscì a non estraniarsi ed a non pensare ad Isabel, sola a Londra. La durezza ed il rigore che stava infliggendo alla figlia cominciava a stancarla. Isabel aveva sbagliato, enormemente, e lei si sentiva talmente ferita che ancora non riusciva a pensare a quanto avvenuto in maniera serena e tranquilla. Lo smacco ricevuto era enorme, ma ora che il tempo cominciava a fare il suo dovere ed a marcare la distanza da quanto successo, Caterina cominciava a chiedersi se tutto quanto non avesse una spiegazione che fino ad quel momento lei non aveva preso in considerazione perché troppo adirata e troppo incollerita. La pervicacia con cui Isabel l’aveva cercata per tutto gennaio la disturbava molto, ma nello stesso tempo la straniva. Possibile che volesse solo scusarsi? Possibile che non ci fosse spiegazione per i suoi continui tentativi di incontrarla? Possibile che la fedeltà che la figlia le aveva mostrato fino a quel momento fosse una barzelletta, un imbroglio oppure si fosse dissolta con un gioiello in regalo? Possibile che non ci fosse nessun’altra spiegazione che l’improvvisa malafede di Isabel?
Mamà, oggi è il mio giorno!!” Protestò una voce, improvvisamente vicinissima. Maria stava reclamando la sua attenzione, e non completamente a torto. “Nemmeno oggi riuscite a mettere da parte mia sorella?!” Le disse, con poco tatto.
“Hai ragione, tesoro..” Rispose Caterina, abbracciandola e tenendola stretta. Cercando di concentrare la sua mente solo su Maria, affondò le labbra nei suoi capelli, ma il suo cuore, lontano come era, non riuscì a gioire pienamente.

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“Per ordine del Re sono indetti solenni festeggiamenti, della durata di dieci giorni, in tutta l’Inghilterra, a celebrazione del fidanzamento tra Maria, Principessa del Galles, ed il Delfino di Francia, Francesco. Tali festeggiamenti termineranno con una festa nella città di Londra, con musiche, balli cittadini e fuochi d’artificio, nell’ultimo dei dieci giorni.”
Thomas More, nominato reggente del Regno, sigillò il solenne bando e poi lo consegnò a Thomas Cromwell, il segretario.
“Fatela entrare..” Mormorò al suo usciere. Dopo pochi secondi Isabel, accompagnata da sir Knivert, entrò nella sala. Il filosofo la guardò con occhi severi, ma bonari. Quella giovane le piaceva, e non poco. Anche se aveva fatto una sciocchezza enorme, non la riteneva capace di malafede, soprattutto nei confronti della madre, per cui era risaputo aveva una vera e propria adorazione, ampiamente ricambiata peraltro. “Vostra Altezza..” La salutò lui, chinando il capo. Isabel sorrise un pochino e rispose educatamente al suo saluto.
“Sir More..”
“Principessa, è precisa volontà del Sovrano che anche voi festeggiate il fidanzamento di vostra sorella.. Egli desidera la vostra presenza a corte in questi giorni, e in particolar modo nell’ultimo giorno, quando i Sovrani torneranno e vi saranno festeggiamenti solenni in tutto il Paese.”
“Non credo di essere benvoluta a corte, sir More.” Rispose Isabel cercando di tenere calma e ferma la voce. “Mia madre non mi ha ancora perdonata, se mai lo farà. Fino a che non sarò ben accetta anche da lei, non intendo imporre la mia presenza. Non potrei mai farle un torto del genere. Non dubitate, festeggerò in modo appropriato il fidanzamento di mia sorella e del Delfino, ma vi prego, non mi costringete a disobbedire a mia madre.”
“Principessa, non presenziando, disobbedirete a vostro padre.” Obiettò con delicatezza sir Thomas, osservando il viso della giovane e ammirando la sua dignità in un momento così difficile. Odiava metterla alle strette in quel modo, e di sicuro Enrico non era stato un fior di delicatezza nell’imporre alla figlia una cosa del genere. In realtà il messaggio di Enrico non era per Isabel, ma per la moglie. Le stava imponendo di piegarsi al suo volere e di passar sopra una cosa obiettivamente scandalosa.
“Lo so, sir Thomas, ma non intendo disobbedire a mia madre. Sono certissima che anche mio padre, il Sovrano, capirà ed apprezzerà.” Rispose lei, guardandolo negli occhi. Sapeva che avrebbe recapitato il messaggio ad Enrico, e lui avrebbe capito al volo. Isabel voleva stare fuori dai problemi dei genitori, che si erano improvvisamente riacutizzati quasi subito dopo il litigio tra madre e figlia.
Sir More la guardò sorridendo ed annuì.
“Siete coraggiosa, mia giovane principessa..” Mormorò lui, non riuscendo a trattenersi. Lei scosse la testa decisa, tenendo lo sguardo alto.
“E’ giustizia, sir More. E mia madre merita da me almeno quella, visto che non ha potuto avere il mio buonsenso..”

 

 
“Lizzie, sapete cosa dovete fare, vero?” George Bolena sorrise, allungando una carezza lasciva alla dama. Quella lo guardò con occhi maliziosi, e poi annuì.
“Non potrà non fidarsi di me.” Rispose lei. “Abbiamo la stessa età, e una delle sue dame è improvvisamente caduta ammalata..”
“Non deve solo fidarsi di voi..” Rispose quello, con un cenno di intesa. “Dovete fare quello che abbiamo deciso..”
“Fidatevi di me.. ed ora, datemi quello che mi avete promesso..” Esclamò lei, aprendo i bottoni dei suoi calzoni.

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“Quando arriverà?”
“Domani o dopo sarà qui..” Rispose Thomas Bolena. “Il Re ha chiesto di nuovo di lei.” Aggiunse con un’evidente nota soddisfatta nella voce.
“Bene. Benissimo direi, Vostra Grazia. Sapete che questi sono attimi decisivi..” Commentò il suo interlocutore. “Dopo aver sistemato la figlia, è il turno della madre. E stavolta con lei vediamo di non fallire..”
“Sì, certo, Vostra Grazia..” Replicò Bolena, la voce un po’ spazientita. “Ormai sappiamo come fare e daremo il colpo di grazia.”
“Voglio sperarlo. In fondo con la figlia siamo stati fortunati..”
“In che senso?” Chiese Bolena. “Direi che non è stata solo fortuna..”
“Io dico di sì.” Replicò l’uomo. “Nessuna madre è disposta a non credere alla figlia, e soprattutto nessuna figlia accetta di non discolparsi e di non rivelar d’esser stata raggirata, non credete? Dobbiamo ringraziare la nostra buona stella, Vostra Grazia, che la Regina sia talmente ossessionata da vostra figlia che basta una cosa del genere per farla arrivare quasi a disconoscere addirittura sua figlia. Se Caterina dovesse scoprire che la Principessa è stata ingannata da lady Anna, e che il ciondolo era tutt’altro che un disinteressato regalo d’amicizia, si scatenerebbe l’inferno.. e tutti noi salteremmo in aria.”
Poco distante, Caterina si appoggiò ad una colonna e cercò di riprendere fiato, totalmente stordita da quelle parole. La sua mente non riuscì a formulare nessun altro pensiero coerente se non quelli per Isabel. Quando sentì che le gambe la sorreggevano, girò sui tacchi e fece a ritroso la strada che aveva fatto poco prima, in cerca di aria fresca. Voleva lasciare la Francia, doveva lasciare quel posto e quella situazione che ora per lei significava ben poco. Sapeva che la sua partenza per Enrico, e soprattutto per Maria, sarebbe stato uno choc, ma confidava nel fatto che tanto la figlia quanto il marito sarebbero stati presi dal disbrigo di altre formalità con Francesco e Claudia, e, in minima parte, anche con il Delfino.
Lei aveva solo un’unica urgenza: tornar in Inghilterra da Isabel, e sapere da lei come erano andate davvero le cose.

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Capitolo 13
*** Back to my womb ***


A Queen's Daughter - Back to my womb

Parigi/ Londra, Febbraio 1530 – Back to my womb

 

“Maestà, fra cinque ore arriveremo a Southend on the Sea..”
Il Comandante della nave, sir Edward Knight, andò personalmente a portare l’annuncio a Caterina. Lei annuì, senza dire nulla, ma curandosi di ringraziarlo con un sorriso, poi lo guardò uscire dalla sua cabina..
Erano anni che non viaggiava per mare, e per fortuna non aveva sofferto troppo il rollio ed il beccheggio della enorme nave. Guardò dietro di sé, per accertarsi che la sua sedia fosse ancora dove l’aveva lasciata e poi vi si accomodò. Cinque ore erano lunghissime, così cercò di tenersi occupata al meglio possibile. Dapprima ripassò mentalmente il discorso che avrebbe fatto a Isabel, poi processò le risposte della figlia, infine si congratulò con se stessa per la brillante risoluzione della crisi fra loro due. Ad un certo punto però, la sua mente le fece uno scherzo: e se Isabel non avesse più voluto saperne di accoglierla? Con un sorriso sicuro scosse la testa, decisa.
La mia bambina mi adora, almeno quanto io adoro lei..’ Si disse, mentalmente, ostentando la sua sicurezza.
E se così non fosse più?

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“Coraggio, Vostra Altezza, è solo un po’ di vino. Festeggiate vostra sorella anche voi!” Lizzie porse il calice colmo di vino ad Isabel e lei lo prese, tenendolo con estrema cautela, come se potesse scoppiarle in mano da un momento all’altro.
“Non bevo vino, solitamente.” Sembrò quasi giustificarsi. Gli occhi vivaci della dama la incoraggiarono. “Ma sì, solo un bicchiere!” Disse e ingollò tutto d’un fiato.

 

 
“Sir Brandon, che ci fate qui?”
Il duca di Suffolk si inchinò immediatamente e poi la guardò imbarazzato.
“Mia signora, non vi aspettavamo se non..”
“Vostra Grazia, che succede?” Gli fece fretta Caterina. Dall’interno di un’ala di Hampton Court, dove Isabel era stata confinata dopo il suo ostracismo, provenivano musica, rumori e voci ad alto volume. Un rumore di cristalli rotti la spaventò. “Mi dite che diavolo sta succedendo qui, sir Brandon!!” Il volume della sua voce si alzò notevolmente e le guardie lì attorno si misero immediatamente sull’attenti. Senza aspettare ulteriormente attraversò l’ingresso, oltrepassò il corridoio principale, dirigendosi verso la sala da cui proveniva tutto quel frastuono.
Quello che vide quando fu sulla soglia la gelò. A dieci metri da lei, Isabel, completamente ubriaca, stava sulle ginocchia di una guardia che aveva come minimo quindici anni più di lei. Non sembrava nemmeno rendersi conto di dove fosse e cosa stesse facendo, e con chi. Tutt’intorno la sala, calici rovesciati, piatti e cibo più o meno calpestato. Un forte odore di vino, mescolato al sudore ed al vomito le assalì le narici, facendola quasi stare male. Subito dopo arrivò sir Knivert, che rimase sgomento quanto lei. Una dama la vide e allora tutti si voltarono o si girarono, uno dopo l’altro, verso di lei, prendendo coscienza di essere in presenza niente meno che della Regina.
“Chi è il responsabile di questo schifo!” Ringhiò furente Caterina. Il tizio sul cui grembo era seduta Isabel si alzò, facendo finire la Principessa a terra.
Subito sir Anthony si precipitò verso di lei. In un istante la sollevò da terra e Isabel posò la testa inerme sulla sua spalla, poi l’uomo tornò indietro verso Caterina. La Sovrana sentì il cuore fermarsi nell’osservare le profonde occhiaie della sua creatura, ma non cedette alla commozione. Non era il momento. Ora doveva fare pulizia, in molti sensi, ed occorreva la sua fermezza, accompagnata dal più assoluto rigore.
“Portatela a Greenwich. Non voglio che stia qui un solo minuto di più..” Ordinò, e sir Knivert annuì. “Dite a lady Willoughby di andare con lei e con altre due dame. Ditele di lavarla, di cambiarla e di metterla a letto. Io mi occupo di questo schifo e poi vi raggiungo. Per piacere, mandatemi qui sir Brandon.”
Pochi istanti dopo, il duca di Suffolk fu accanto a Caterina.
“Voglio che tutti gli occupanti della casa siano portati alla Torre, immediatamente. Non mi importa quanto impiegherete e cosa ci vorrà. Sono stufa di persone che approfittano della buona fede di mia figlia per manovrarla come vogliono. L’accusa sarà di tradimento, per tutti. Dalla prossima settimana inizieranno i processi. Chi sarà colpevole finirà sulla forca. Nessuna grazia, nessuna accoglienza. Il tempo del perdono per questa gente è finito. Non mi bastano gli esecutori materiali, voglio che siano trovate le menti di questa bravata. Non mi importa quanto ci vorrà, né quanto in alto si dovrà colpire. I rami secchi o marci vanno individuati, segati e buttati nel fuoco, senza alcuna pietà o esclusione. Fino a che non avrò fatto piena luce su quanto avvenuto stanotte, non avrò pace, né l’avrà il Sovrano. Quindi non l’avrà nemmeno questo Paese.” Sentenziò la Regina, guardando dritto negli occhi il suo interlocutore. Sir Brandon annuì in silenzio, poi, dopo aver salutato la Sovrana, con una parte del seguito di guardie che aveva accompagnato Caterina, entrò nel palazzo e cominciò ad arrestare chiunque avesse partecipato alla festa, ubriaco o sobrio che fosse.
Solo quando vide nel cortile antistante il palazzo tutte le persone che erano uscite da esso, sotto la scorta delle guardie, la Regina si voltò, dirigendosi risoluta verso la carrozza che l’attendeva.

 

“Maestà, si è addormentata..”
Lady Willoughby corse incontro alla Regina, non appena le venne annunciato il suo arrivo. Da un’oretta circa, Isabel dormiva nel suo vecchio letto, stremata dal tanto vino ingurgitato e dal poco cibo ingerito.
“Come sta?” Chiese solamente Caterina, ma le bastò entrare in camera di Isabel e vederla per capire che doveva essere stata malissimo. Maria de Salinas non rispose alla domanda.
“Ha lo stomaco vuoto ora. Non so se sia il caso di svegliarla per farla mangiare e darle un po’ di forza. Mi sembra davvero sfinita, povera bambina.”
Caterina annuì.
“E’ meglio che dorma. Io resterò qui con lei, se dovesse svegliarsi ed avere fame, ci penso io, lady Willoughby..” Le rispose dolcemente. L’amica le sorrise ed annuì, approvando quella decisione. Stava per andarsene, quando ci ripensò. Era evidentemente imbarazzata e non sapeva come dire ciò che doveva dire. Caterina la guardò incoraggiandola. “Maestà, la schiena della Principessa…”
Caterina chiuse gli occhi, per trattenere le lacrime che a quel punto sarebbero uscite da sole e di colpo. In un istante aveva capito quanto Maria doveva dirle. La figlia si era nuovamente punita. Posando la mano sul polso della sua dama ed amica, la congedò lasciandola andare a riposare. Dopo aver chiuso la porta della stanza, si girò e si diresse verso il letto dove Isabel dormiva profondamente. Si sedette con cautela alla destra della figlia e lentamente le prese una mano, mentre con l’altra le accarezzò il viso.
“Amore mio, sono qui..” Le mormorò all’orecchio, chinandosi su di lei. “La tua mamma è qui, Isabel. E’ tutto finito, angelo mio, e tu sei al sicuro ora. E’ tutto finito, amore mio, tutto finito.”
Caterina si rese conto che in realtà non stava consolando soltanto sua figlia e che quelle parole accorate non erano tanto per lei che dormiva profondamente, quanto per se stessa.
Il terrore che l’aveva raggelata quando aveva sentito le urla e gli schiamazzi, e il furore incontenibile che la assalì quando entrò ad Hampton Court, solo ora la stavano lasciando, portandosi via tutta la tensione e i nervi che l’avevano sostenuta nel suo inizio di ‘pulizia’. Ora la stanchezza stava pian piano salendo, e lei si sentiva distrutta.

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La prima cosa di cui Isabel si rese conto, svegliandosi, era di essere in una stanza diversa da quella in cui aveva dormito nelle ultime settimane. La luce del giorno, ormai alto, le ferì gli occhi, poi un mal di testa lancinante le perforò il cranio, trapassandolo come una spada.
Che diavolo ho combinato per stare così?’ Si chiese, per un attimo spaventata. Poi immagini della sera precedente le tornarono alla mente, come tante luci abbaglianti ed effimere. Lei che scolava calici e calici di vino, incoraggiata da Lizzie, che invece non beveva quasi per nulla; la musica del liuto, del flauto dritto e delle cornette, che ad un certo punto divenne insopportabile; le voci dei partecipanti al festino, sempre più forti e sguaiate; la guardia che le aveva messo gli occhi addosso dall’inizio della serata e poi, vedendola sbronza, ne aveva ampiamente approfittato. Ad un certo punto, un’immagine completamente diversa da quelle che il suo cervello aveva collezionato. Un vestito nero, con inserti oro e viola. Dei gioielli che non erano quelli delle sue dame di Hampton Court. Due occhi, sgomenti e furenti nello stesso momento..
Isabel si girò alla sua sinistra e il suo cuore mancò qualche colpo. Sua madre, girata sul fianco destro verso di lei, le stava dormendo accanto. Per paura di svegliarla, la giovane Principessa fece massima attenzione a come si muoveva, e non la toccò.
Era una sensazione strana averla lì vicina, dopo le settimane di distanza. Era strano, e bellissimo. Troppo stupita per quella sorpresa, si voltò ancora verso di lei, come se temesse di aver soltanto sognato la sua presenza lì, e rimase a contemplarla per qualche istante, immaginando cosa mai stesse sognando, pensando a quale stato d’animo avesse. Il suo stomaco all’improvviso si rese conto di essere vuoto, e glielo fece capire con rumori appropriati. Sgattaiolando pian piano fuori dal letto, Isabel uscì dalla stanza ed andò a rifocillarsi, sperando di non aver sognato e che al suo rientro sua madre sarebbe stata ancora lì.

 

 
“Vostra Altezza, Sua Maestà, vostra madre..” Annunciò con un sorriso comprensivo lady Willoughby. Isabel, che non aveva finito la colazione, si alzò di scatto, col cibo ancora in bocca, rovesciando sul tavolo il piccolo bricco di latte e rischiando di tirare a terra la tovaglia e tutto quello che vi era sopra.
Insoportable, pendeja niña..” Si insultò, tirando su la tovaglia finita a terra e cercando di rimettere tutto in sesto.
“E’ di mia figlia che state parlando, Vostra Altezza..” Sorrise Caterina, entrando. Isabel la guardò, deglutendo e poi forzandosi a sorridere almeno un po’. Subito fece una riverenza, poi riprese a guardarla. “Come stai, tesoro?” Chiese dolcemente sua madre, avvicinandosi a lei.
“Be.. bene.” Rispose titubante Isabel, inumidendosi le labbra e non fidandosi di dire come si sentisse realmente. Al mal di testa si era aggiunto un enorme rivoltamento di stomaco e lei, che pure aveva fame, alla fine non aveva che piluccato un po’ di frutta.
“Come hai dormito?” Chiese di nuovo sua madre, avvicinando una mano al suo viso. Gli occhi di Isabel si spalancarono per un istante solo, ma su sufficiente perché Caterina lo notasse.
“Bene, Maestà..” Mormorò Isabel, abbassando lo sguardo. La mano che si avvicinava al suo viso per un attimo l’aveva spaventata, e la Principessa ne era rimasta turbata.
Caterina, pensando di poter rimediare alla situazione e che il problema fosse temporaneo e dovuto alla lunga lontananza, rimase di fronte alla figlia.
“Hai mangiato? Ti va di fare una passeggiata con me?” Le chiese in rapida successione. Isabel, che invece mal sopportava la sua presenza così attaccata a sé, sulle prime cercò di calmarsi, e troppo concentrata, non rispose; poi, non riuscendo più a trattenersi, fece due passi indietro. La mano di Caterina così, ‘cadde’ dal suo viso. La Regina la guardò turbata e vagamente dispiaciuta, e per Isabel fu troppo.
Con la scusa di riordinare il tavolo, anche se non era certamente suo compito, si girò, dandole le spalle, e prese a liberarlo da posate assortite, tazza, piatto, bricco e tutto quanto vi era posato sopra. Avrebbe fatto di tutto pur di porre un po’ di distanza fra loro due e dare a se stessa il tempo di riprendersi.
Caterina la guardò e sulle prime davvero non capì il suo atteggiamento. Le stava dando la possibilità di riprendere ad avere contatti con sé, e sua figlia rifiutava. Il suo dispiacere si accentuò, trasformandosi in leggera offesa. Fu così che Caterina fece a sua volta due passi indietro rispetto al tavolo, come per prendere le distanze da tutta quella situazione. Con enorme stupore, guardando le mani della figlia, si accorse che tremavano. I suoi occhi salirono al viso di Isabel e lo videro contratto in una smorfia. Era concentrata su ciò che stava facendo, ma era evidente che stesse malissimo e non stesse pensando per nulla a sparecchiare il tavolo. Fu il suo cuore a sopperire alla deficienza della sua mente acuta ed intelligente, dandole quella risposta che stava cercando con tanta ansia e fretta.
“Isabel, fermati..” Le mormorò, tornandole accanto e posando la mano sulla sua spalla. La figlia sussultò leggermente, la guardò per un istante, ma non si fermò. “Tesoro, fermati..” Riprese Caterina, prendendole prima la sinistra, in cui aveva il bricco, e poi la destra, che reggeva quattro piattini. Con le mani bloccate, Isabel lasciò andare prima i piatti, che scivolarono sul tavolo, e poi il bricco. “Guardami, amore mio.. ti prego, guardami.” Proseguì la Sovrana, prendendo delicatamente la mandibola della figlia nella sinistra e girando il suo viso, in modo che la guardasse. Isabel si girò e fissò gli occhi sulla madre. Per diversi istanti restarono in silenzio, a guardarsi occhi negli occhi, poi fu Caterina a parlare.
“Dillo, tesoro..” Mormorò, accarezzando la guancia di Isabel a mo’ di incoraggiamento, e preparandosi allo stesso tempo ad una terribile mazzata. Sulle prime Isabel scosse la testa, come per rifiutare di darle un dolore così grande, ma poi obbedì alla madre. Era giusto che facessero chiarezza e facessero il primo passo nella verità dei loro sentimenti. La giovane prese un respiro, come per darsi ulteriore coraggio.
“Ho avuto paura. Poco fa, quando vi siete avvicinata. Ho ripensato a un mese e mezzo fa ed ho avuto paura di voi..” Disse, cercando di mantenere la voce ferma.
“Perdonami Isabel.” Prendendo dolcemente Isabel per le spalle, Caterina la girò e la mise di fronte a sé. Voleva che quella frase la sentisse non solo dalla sua bocca, ma anche dai suoi occhi. “Ho sbagliato a schiaffeggiarti, e non avrei mai dovuto reagire a quel modo.”
“Non sapevate come erano andate le cose..” La interruppe la figlia, fissandola con occhi così comprensivi ed accoglienti, che Caterina dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare in lacrime davanti  a lei, e stringerla subito fra le sue braccia. “Perdonatemi se non mi sono spiegata subito. La Notte di Natale non ne ho avuto davvero il coraggio, e mi sentivo doppiamente stupida. Uno per aver ceduto all’inganno di quella sgualdrina, e due per aver ingannato voi..” Gli occhi di Isabel erano asciutti e fermi, ma la guardavano con un amore e una adorazione che Caterina non le aveva mai visto prima, e negli anni seguenti non avrebbe mai più rivisto. “Non ho giustificazioni per averle creduto. Lei è una bugiarda patentata, una sgualdrina, la donna che ha causato la vostra infelicità ed è la puttana che mi ha usata per farvi stare così male. Ma io sono stata peggio di lei, perché ho creduto che mi potesse offrire la sua amicizia e volesse davvero il mio perdono.. non sono niente in questo Paese ed ho potuto credere di valere così tanto. Nessuno è stato mai tanto stupido quanto me, mamà; ora me ne rendo pienamente conto e spero che col tempo mi perdonerete e tornerete ad aver fiducia in me. Anche solo un po’.”
Incapace di trattenersi ancora a lungo, Caterina abbracciò la figlia, stringendola a sé con una forza del tutto nuova.
“Angelo mio.. Bambina mia adorata..” Mormorò, cullando dolcemente la figlia ritrovata, mentre anche Isabel stringeva le braccia attorno a lei, rendendola folle di gioia.

 

Et voilà, mon ami.. un po’ di dame francesi tutte per voi..” Francesco guardò Enrico e gli sorrise. Da che Caterina era partita, lui aveva partecipato a banchetti e feste praticamente ogni sera, mollando progressivamente Maria al suo ‘destino’. Era fidanzata ora, no? Che facesse allora conoscenza con Francesco junior e si godesse questi giorni!!
Sei fanciulle, tutte abbigliate con pochissima roba addosso, gli si pararono dinnanzi e lui si sistemò meglio sullo scranno. Erano tutte a volto scoperto, tranne una. Una brunetta, dalla pelle candida e il corpo fantastico. Enrico si girò verso Francesco, e gli sorrise compiaciuto. Il ‘collega’ conosceva davvero bene i suoi gusti e preveniva tutti i suoi desideri, almeno in quel campo. Voltandosi di nuovo verso le fanciulle, puntò il dito su quella mascherata, come il Re di Francia aveva giustamente ritenuto. La donna, camminando lentamente e in modo molto sensuale, gli si avvicinò e poi si sedette sulle sue ginocchia.
“Parlate la mia lingua, madame?” Le chiese Enrico, sperando che lei parlasse inglese. Non aveva davvero voglia di impegnarsi in una conversazione in francese. Gli avrebbe tolto energie, e lui voleva impiegarle in ben altro.
Oui, Majestè.” Rispose lei, con un forte accento. Enrico aprì la bocca per un sorriso felice. Riconobbe la voce della dama e subito le tolse la maschera.
“Ciao, amore mio..” Le sussurrò quando ebbe scoperto i suoi fantastici occhi neri.

 

“La notte che sono scappata da Newcastle, sir Kent entrò nella mia camera..” Isabel aveva cominciato ad un tratto a parlare, mentre Caterina, prossima alla porta della stanza, stava per uscire.
Per l’intera giornata erano state assieme, parlando spesso ed a lungo, ma concedendosi anche momenti di riposo e di silenzio. Proprio in uno di essi, occupate Caterina nel ricamo ed Isabel nella lettura, la Principessa aprì la bocca. Era da quasi mezz’ora che ci provava, e non sapeva come iniziare quel terribile racconto. Anche se non parlavano, sentiva gli occhi della madre su di sé e per quel motivo non aveva il coraggio di cominciare a parlare. Era stata un angelo a non forzarla per tutti quei mesi, attendendo con serenità il momento in cui avrebbe parlato, se mai lo avesse fatto. E non aveva spinto nemmeno in quella giornata di confidenze, confessioni e vicinanza ritrovata da una parte, ma ancora da cementare dall’altra. L’aveva rispettata a tal punto da tacere ed attendere. Una prova di amore e di rispetto che commuoveva profondamente Isabel e che lei era ormai pronta a premiare. In realtà non si trattava solo di premiare un’attesa. La Principessa sentiva la necessità di parlare di quanto era avvenuto, aveva il disperato bisogno di tirare fuori tutto, ed ancora di più di farlo con sua madre. Era ai suoi piedi che voleva depositare un capitolo tremendo della sua esistenza ed era del suo conforto e delle sue braccia amorose che aveva bisogno.
Al sentire la voce della figlia, la Regina si fermò sulla porta, e la mano che stava per girare la maniglia, rimase a mezz’aria.
“Si sedette sul mio letto e mi guardò. Quando apri gli occhi lo trovai intento a fissarmi ed a sorridermi, con uno sguardo che mi provocò fastidio, anche se non ne conobbi il motivo. Allungò una mano e mi accarezzò un paio di volte i capelli. Ricordo di avergli chiesto notizie del Re, di Maria e poi di voi.. temevo vi fosse successo qualcosa..” Cominciò a raccontare Isabel, chiudendo il libro e giocherellandoci, mentre Caterina, immobile come una statua, era rimasta accanto alla porta. “Lui scosse la testa e mi sorrise. Dopo un po’ il sorriso si trasformò in un ghigno. ‘Non avere paura, non ti farò male..’ mi disse, mentre mi tappava la bocca e mi guardava con occhi famelici. Provai a divincolarmi, ma lui si pesò su di me, schiacciandomi contro il materasso. Quando poi sentii la sua mano andare sotto le lenzuola, infilarsi sotto la mia camicia da notte e cominciare a toccarmi, mi fermai, gelata. Ero terrorizzata. Non mi sembrava vera una cosa del genere.”
Non puoi stare qui ferma! Avanti Caterina, muoviti!’ Pensò la Regina, guardando con occhi colmi di orrore la sua bambina. In un attimo, avanzò lungo la stanza e poi si sedette di fronte a Isabel sulla poltrona lunga. Cercando di restare tranquilla, come aveva fatto un anno prima, le prese dalle mani il libro con cui stava giocherellando nervosa e poi tenne le sue mani nelle proprie, fissandola con infinito amore e attendendo che proseguisse.
Le gambe della figlia allora, salirono immediatamente sulla seduta e lei si protesse alzando le ginocchia di fronte a sé. Sciolse le proprie mani da quelle materne e si abbracciò le ginocchia.
“La sua mano mi fece male. Era fredda e spiacevole.. Sentii un dolore lancinante che mi saliva fino allo stomaco e sembrava non dover finire mai. E poi una nausea atroce. Ma nonostante questo, ero come gelata. Immobile, incapace di reagire e provare a liberarmi. Non ricordo cosa mi farfugliasse. Ricordo solo i suoi occhi. Erano braci ardenti, e mi seguivano dappertutto. E intanto la sua mano continuava a farmi sempre più male, a straziarmi ed a violarmi..”
Gli occhi di Caterina si riempirono di lacrime al sentire il racconto di Isabel, ma la Sovrana cercò di tenere botta e di non cedervi. Nello strenuo tentativo di ricacciarle indietro, posò le mani sulle braccia della figlia, poi prese ad accarezzarle dolcemente.
“Amore mio, ti verso un po’ di acqua?” Chiese, approfittando di una pausa nel racconto. Isabel scosse la testa e continuò, decisa.
“Non so cosa sia scattato dentro di me, ma ad un certo punto ho pensato che bastasse così e che dovevo uscire da quella situazione. Pian piano ho aperto la bocca ed ho morso quella bestia con tutte le mie forze. Lui si è infuriato, e, siccome non poteva gridare, perché la sua presenza in camera mia non fosse nota a tutti, ha preso a tirarmi la carne, ed a pizzicarmi sempre più forte, facendomi gemere di dolore. Allora anche io sono divenuta più cattiva. Ho affondato i miei denti nella sua carne, fino a che non ho sentito il sapore del sangue. Quando ne ho riconosciuto il sapore dolciastro, ho morso ancora più a fondo, e lui alla fine ha gridato, mollando la presa su di me. Non so come, sono riuscita a saltare fuori dal letto, uscire dalla stanza e nascondermi. Non ho nemmeno idea di quanto tempo sia rimasta lì, ma pian piano sono uscita dal nascondiglio, sono tornata in camera mia e confidando sul fatto che per quella sera mi avrebbe lasciato tranquilla, ho preparato alla bell’e meglio una specie di bagaglio. Poi sono scesa nelle scuderie, ho afferrato il primo cavallo che mi sono trovata fra le mani ed ho cominciato a cavalcare. Non vedevo l’ora di tornare da voi..”
Gli occhi di Caterina, ormai asciutti dopo il racconto orrorifico della figlia, continuarono a fissare la sua creatura, bella ed innocente. Aveva avuto un coraggio da leone a sfuggire così al suo aguzzino, ed era solo una bambina. Avrebbe voluto serrarla immediatamente fra le braccia e coprirle il volto ed il capo di baci, ma si trattenne, lasciando che fosse lei a gestire la situazione.
“Dopo qualche ora, sir Jack Blacking mi ha raggiunta e mi ha scortata fino a Londra, ed a Greenwich.”
Caterina annuì. Ricordava il Capitano Blacking, un quarantenne di Manchester, devoto ad Enrico ed all’Inghilterra, che comandava le guardie del castello di Newcastle. Pensava fosse una bravissima persona ed era contenta di non essersi sbagliata.
“Dove ti sei finalmente sentita al sicuro..” Mormorò Caterina, guardandola dolcemente e stringendo la mano attorno al polso di lei. Isabel scosse la testa, sorridendo.
“Quello è stato quando mi avete presa fra le braccia e mi avete portato in camera vostra..” Mormorò Isabel con un candore ed una naturalezza tali che Caterina faticò a mantenere la propria compostezza.
“Sei stata coraggiosa, bambina mia.” Mormorò Caterina piegando leggermente il viso da un lato e sorridendole. “Coraggiosa e forte..”
Isabel si inumidì le labbra e abbassò lo sguardo. Ora che la tensione del racconto era finita, si sentiva stanca e come svuotata. Per la prima volta in quei mesi pensò che quelle carezze innaturali e volgari sarebbero state forse un ricordo incancellabile della sua mente, e che ci sarebbe voluto il vero e profondo amore per trasformare il dolore e la vergogna, in ricordo insignificante, così senza importanza da scomparire prima o poi. Quella consapevolezza la investì di botto, divenendo dolorosa, quasi più dell’episodio in sé. Il potere che aveva ancora quell’uomo le faceva schifo, il fatto che lui ancora potesse condizionarla a quel modo, la faceva stare male.
“Mi sento uno schifo, mamà..” Confessò infine. “Non passerà mai più questo dolore..” Aggiunse, piegando lateralmente il busto ed avvicinandosi a Caterina, che la guardava sopraffatta dal dolore. Ascoltare il racconto era stato tremendo, e più volte aveva pensato di non farcela, ma ora vedere la sua creatura così demoralizzata ed abbattuta era ancor più indicibilmente doloroso. Per la prima volta in vita sua si sentiva incapace di rispondere ad una domanda, ed il fatto che succedesse proprio con Isabel era atroce. Sentendosi estremamente impotente, allargò le braccia, accogliendo la figlia, che vi si gettò senza aggiungere altro.
Caterina la sentì tremare furiosamente contro di sé, lottando, per non perdere il controllo e non piangere finalmente il suo immenso dolore.
“Non trattenerti, tesoro..” Mormorò in un orecchio Caterina, baciandole i capelli. “Non trattenerti ancora, ti fa male..” Isabel scosse la testa, e tremò ancora di più. Ma il primo singhiozzo, violento, partì lo stesso. E dopo il primo arrivò il secondo, poi il terzo, quindi il quarto ed il quinto, sempre più forti, sempre più ravvicinati. Ben presto tutto si trasformò in un pianto dirotto e disperato, ed Isabel si aggrappò con tutte le sue forze alla madre.
“Tenetemi stretta, mamà..” Chiese, con il fiatone. “Tenetemi stretta, vi prego..”
Caterina la strinse ancora più forte a sé.
“Ti tengo, amore mio..” Le rispose, accarezzandole la schiena e baciandole più volte la tempia, i capelli ed il viso inondato di lacrime. “Ti tengo stretta, bambina mia..”
Per molti minuti Isabel fu scossa da singhiozzi così forti, che Caterina non poté fare altro che abbracciarla forte, in attesa che si calmasse. Quando il tremito passò, madre e figlia rimasero a lungo avvinghiate l'una all'altra, in uno stato di muto conforto e reciproca consolazione. 

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Capitolo 14
*** The Queen's guide ***


A Queen's Daughter - The Queen's guide

Londra, Fine Febbraio 1530 – A Queen’s guide

 

“Cosa?” Caterina guardò esterrefatta Thomas More. “Non può tornare in Inghilterra?”
Il segretario annuì.
“Sì, cara Maestà. Il Re è prigioniero del tempo avverso e per ora non può lasciar la Francia. Sembra che una tempesta nella Manica sconsigli fortemente il passaggio delle navi, anche di quelle di grossa stazza. Diversi naufragi e molte morti son, ahimè, un ottimo deterrente in questo senso.”
Caterina annuì preoccupata. Chi avrebbe mai guidato il Paese?, e per quanto? Sir Thomas era un uomo di indubbio valore e di certo sarebbe stata la scelta migliore, ma per quanto tempo?
“Naturalmente il Paese è nelle vostre mani, mia Regina. Enrico non ha esitato a nominarvi reggente.” Inconsapevolmente fu proprio Thomas a rispondere alla domanda di lei. “Vi prego, considerateli già da questo momento interamente nelle vostre mani. Il mio servizio come reggente del Paese è finito.”
“Il vostro servizio sir Thomas continua ora. Io ho più bisogno che mai della vostra lealtà e della vostra intelligenza. So quanto il Re abbia di voi stima, ed è una stima che condivido pienamente. Non ho intenzione di privarmi di voi..” Gli disse, guardandolo negli occhi. Quelli neri di lui brillarono per un attimo, compiaciuti e soddisfatti. Era stato il precettore di Enrico e per mesi non si era mai esposto quando il Re amoreggiava con la ragazzetta dei Bolena. La Regina aveva addirittura creduto che anche sir More stesse dalla parte del Re, ed invece aveva scoperto, per vie traverse, che non era così. Thomas aborriva quello che Enrico faceva e se n’era sempre tenuto a distanza. Da quando poi il nome dei Bolena era stato accostato alle pericolose idee riformiste provenienti dagli Stati tedeschi, poi, la sua freddezza nei loro confronti era aumentata esponenzialmente.
“Grazie, mia signora. Mi concedete un favore che va al di là dei miei meriti.” Rispose, sincero. Ammirava da tempo Caterina, il suo rigore e la sua immensa dignità, e sapere di avere la sua stima era per lui importante, non solo per questioni politiche e di visibilità. Era la moralità e la sincerità della Sovrana che lo interessavano.
“Sir Thomas, desidero che si cominci a stringere il cerchio intorno a quelle eretiche bestialità provenienti dai territori di lingua germanica dell’Europa.” Cominciò Caterina, con un piglio deciso e fermo. “Wolsey, pace all’anima sua, è stato tenero con loro. Questo non deve più verificarsi. Intuisco che fra me e voi ci sia concordia sull’atteggiamento da tenere in questa specifica occasione, quindi mi aspetto il massimo rigore. La mala pianta dell’eresia non deve attecchire anche qui, non deve sconvolgere e confondere i nostri figli e noi stessi, e soprattutto non deve far apparire una cosa che non esiste.” Il filosofo annuì deliziato. “Abbiamo tutti gli strumenti per poterlo fare, e non esiterò ad usare tutti i mezzi, secolari e non, se dovesse rendersi necessario.”
Thomas More annuì silenzioso. Sperava anche lui di non dover arrivare alle punizioni estreme, ma non si poteva mai sapere in che modo il maligno aveva attaccato e fino a che punto era penetrato nelle comunità, per cui, tanto valeva prepararsi alla battaglia.
“Maestà per quanto riguarda Hampton Court… gli interrogatori di coloro che erano al servizio della Principessa cominceranno da oggi..” Annunciò lui, riferendosi al festino alcolico che qualcuno aveva iniziato alla residenza della Principessa Isabel e che aveva quasi portato al collasso la giovane. “Nella nostra perquisizione abbiamo trovato una notevole quantità di vino, ed anche assenzio e laudano, oltre che del veleno, Maestà. Per molti di coloro che lavoravano lì l’accusa sarà senz’altro alto tradimento.”
Caterina rimase in silenzio, ad assorbire quella enorme quantità di informazioni. Vino e droghe nella residenza di sua figlia!! E veleno poi!! Potevano voler dire un’unica cosa nella sua mente.
“Voglio assistere agli interrogatori, sir More.” Annunciò decisa, stupendo il segretario. “A tutti quanti! Voglio che spieghino a me che cosa se ne facevano di vino e droghe assortite, e per quale scopo hanno fatto ubriacare mia figlia. Per non parlare di dove l’ho trovata..” Ruggì, inferocita. Sir Thomas si affrettò ad annuire in fretta, non sognandosi nemmeno di contraddirla. Gli interrogatori sarebbero stati interessanti davvero, anche se la presenza di uno dei Sovrani era un fatto più unico che raro.

 

“Maestà..”
Isabel aprì la bocca ad un largo sorriso al veder la madre, poi, dopo averla riverita in modo appropriato, le andò incontro. Caterina la strinse fra le braccia e le baciò la fronte.
“Ciao, bambina mia..” Le disse accarezzandole la guancia e scendendo con la mano sotto il mento. Isabel prese la mano della madre e poi gliela baciò, reverente. Quindi, la fece accomodare su una poltrona lunga.
“Ho fatto preparare un po’ di idromele.” Mormorò avvicinandosi ad un tavolo e versando in un calice un po’ della bevanda che sapeva la madre apprezzava. “Speravo veniste da me oggi..” Aggiunse porgendole il calice e allontanandosi di due passi, pronta a riempirlo di nuovo, se fosse stato necessario. Sopraffatta da quelle premure, Caterina la guardò con enorme tenerezza.
Per anni aveva desiderato quel tipo di vicinanza con Maria ed Isabel, quelle attenzioni e la totale fiducia in lei e nei suoi metodi, eppure ora che la sua piccolina gliene faceva dono, ne restava in qualche modo stupita, sebbene deliziata.
“Se avete appetito, ho della frutta..” Propose di nuovo la sua secondogenita. “Bè, non l’ho preparata io.. non sono così brava, ma se ne gradite..” Si schernì ridendo e prendendo il calice vuoto dalle mani materne. Caterina scosse la testa con un sorriso, senza dire nulla. Fu ancora Isabel a rompere il silenzio fra loro. “Se vi conosco e se conosco quello sguardo, non penso che sia solo una visita ‘di cortesia’..”
Caterina scosse la testa e poi allungò la mano. Subito Isabel le si avvicinò e la madre le prese la mano, con le sue, poi la fece sedere di fronte a sé.
“Tesoro, ho visto e parlato con sir More oggi. Mi ha riferito ciò che è stato trovato qui..” Le disse guardandola attentamente. Isabel annuì tranquilla, attendendo che proseguisse. “Oltre ad una quantità enorme di vino, sono stati trovati qui assenzio e laudano.. Tu hai idea di cosa ci facessero qui?” Il tono di Caterina non era certamente accusatorio, ma Isabel ebbe improvvisamente paura che la madre la ritenesse responsabile o comunque complice di quei delinquenti. Senza farla finire, parlò lei.
“Madre, vi assicuro di no..” Isabel la guardò dritta negli occhi, temendo che non le credesse. L’idea le era insopportabile, soprattutto dopo la settimana appena trascorsa, in cui avevano cementato il loro rapporto, passo a passo. “Mi credete, vero? Non ho davvero idea di cosa ci facessero qui quelle sostanze.”
“Isabel, calmati..” Le rispose Caterina, con un sorriso, e posandole la mano sulla guancia. “Tesoro, so che tu non c’entri nulla. E’ stato trovato del veleno in una delle stanze della servitù. E’ evidente che tu non hai nulla a che fare con questa storia, tesoro mio.”
Il viso della figlia si distese immediatamente, in un’espressione serena e tranquilla.
“Sono contenta mi crediate, Maestà..” Mormorò, prendendo una mano di Caterina e stringendola fra le sue. “Davvero contenta.”
Caterina la guardò e pensò di fermarsi un attimo. Lo stato d’animo di Isabel meritava la sua attenzione, poi avrebbe ripreso il discorso che aveva iniziato.
“Isabel perché non avrei dovuto crederti, figlia mia?” Le chiese. Prima ancora che Isabel rispondesse, riprese lei a parlare, con tono morbido e dolce, ma allo stesso tempo fermo e deciso. “Isabel, voglio dirti una cosa, e voglio che sia chiara una volta per tutte. Tu sei mia figlia, carne della mia carne e sangue del mio sangue. Sei la mia vita e la mia speranza, tesoro. Soprattutto, io ho piena fiducia in te. Non voglio e non tollero che ci siano equivoci su questo. Io mi fido di te, tesoro, e non penserei mai che tu possa tradire me, o tuo padre o chiunque altro. Questo voglio che sia chiaro, Isabel.”
La fanciulla annuì, in un sorriso davvero sereno. Quelle parole la convincevano che la sua vicinanza con la madre era autentica e non il frutto di un momento, sebbene intenso e del tutto particolare, come era stato quello di una settimana prima. Vedendo lo sguardo finalmente tranquillo della figlia, Caterina proseguì.
“Ora voglio che tu mi dica per filo e per segno cosa è successo nei giorni di festeggiamenti del fidanzamento di tua sorella. Voglio, Isabel, che mi dica se hai notato presenze nuove, movimenti strani, parole equivoche e tutto quanto non fosse la solita routine quotidiana. Tutti coloro che erano con te ad Hampton Court sono ora alla Torre, anche lady Thorston, e ci resteranno fino a che non sarà fatta piena luce su tutta la questione.”
Isabel annuì, grave. Il momento era davvero difficile e la madre non stava parlando tanto per.. Poteva intuire quali fossero le accuse a carico delle persone del suo seguito e il fatto che perfino lady Thorston fosse finita alla Torre era un segno evidente della gravità del caso. Almeno per lei, e per pochi altri, però, la Principessa poteva intercedere e si decise a farlo.
“Maestà, un momento.. lady Thorston non ha nulla da spartire con chi si è comportato in maniera disonesta.” Cominciò. “Lei mi ha raccomandato più volte di non esagerare con il vino e di festeggiare, sì, ma con moderazione.”
Caterina annuì.
“E come mai sei finita ubriaca, in grembo ad uno che aveva come minimo quindici anni più di te?” Chiese. A quella domanda, Isabel arrossì intensamente. Nemmeno ricordava cosa fosse successo dal secondo calice di vino in poi. L’idea di avere dato scandalo in quel modo le faceva desiderare solo di sparire, tanto più di fronte a sua madre.
“So di avere fatto una cosa stupida e vergognosa, Maestà.” Rispose Isabel, quando riuscì ad articolare qualche parola. “Ricordo di aver bevuto due calici di vino, senza mangiare nulla. Lizzie mi ripeteva di continuo di festeggiare, incoraggiandomi a celebrare il fidanzamento di Maria. Lady Thorston mi ha più volte ammonito, a parole e con lo sguardo, suggerendomi almeno di mangiar qualcosa. Ricordo che dopo il secondo calice mi sentivo stordita e strana. Era come se non mi riuscissi a controllare. Lady Thorston si è spostata per un attimo, chiamata da sir Johnson, e poi non l’ho vista più.”
Caterina annuì con una smorfia. Quell’animale era colui sul cui grembo Isabel era seduta. Cercando di controllarsi, la Sovrana si affrettò ad avere altri particolari dalla figlia. In quella settimana, mentre sir Brandon rivoltava Hampton Court come un calzino, non le aveva chiesto nulla per non turbarla e lasciar che si riprendesse dopo la tremenda sbronza. Ma ora era necessario che Isabel le dicesse tutto.
“Lasciamo la ramanzina a dopo, tesoro.” La sgridò bonariamente sua madre con un sorriso. “Ora parlami di questa Lizzie.. chi è?”
Isabel la guardò stupefatta. Lei era la Regina, come poteva non sapere che da qualche settimana a quella parte Lizzie Stattered aveva preso a lavorare ad Hampton Court? Come poteva ignorare che aveva esattamente quindici anni, come lei, e più che una dama di compagnia, aveva puntato a diventare la sua compagna di giochi e di marachelle? Come poteva la Regina ignorare che Lizzie era stata rimproverata più volte da lady Thorston e che questa si era lamentata direttamente con il Re, che aveva poi demandato la questione, Isabel ignorava ovviamente a che titolo, a sir Bolena?
La fanciulla raccontò così a sua madre di come la nuova giovane dama si fosse aggiunta, tre settimane prima, a quelle già al suo servizio, di come si era comportata durante quel tempo, delle lamentele di lady Thorston nei suoi riguardi; ma Isabel raccontò anche che diverse guardie che controllavano Hampton Court vennero cambiate. Ovviamente, non tutte d’un colpo, ma in modo graduale, con uno o due ingressi nuovi, nel giro, anche in questo caso di tre settimane. Anche l’aiuto cuoco venne cambiato, ma almeno in cucina e nei servizi più pesanti quello, fu l’unico cambiamento.
Caterina incamerò tutte quelle nuove informazioni senza battere ciglio, ma dentro di sé, la paura e l’angoscia crescevano ad ogni nuova rivelazione. Qualcuno aveva approfittato del fatto che Isabel fosse praticamente confinata fuori da Greenwich, e senza possibilità di accesso alla corte, prima per controllare e spiare, poi mettere in pericolo la sua vita. Una buona parte di responsabilità per quanto era accaduto, ricadeva su di lei, sul suo sciocco orgoglio ferito, sulla sua stupida superbia. Tutto per via di un equivoco che sul momento, adirata com’era, non aveva voluto chiarire con sua figlia e che si era trasformato poi, con il passare delle settimane, in un cancro terribile che avrebbe potuto avere conseguenze ben più serie.
Non accadrà mai più che non ragionerò e che permetterò alla collera di prevalere.’ Si ripeté con forza, mentre Isabel la guardava stranita e sorpresa dal suo prolungato silenzio.
Mamà, stai bene?” Mormorò Isabel, azzardandosi a quella confidenza. Caterina la guardò per qualche secondo in modo distratto, poi si ‘risvegliò’.
“Eh? Sì, certo.” Rispose, sorridendole ed accarezzandole il viso. “Certo, amore mio, sto bene.” Continuò ad accarezzarle il viso, lentamente, quasi le stesse chiedendo scusa.
Mentre continuava a guardare sua figlia con tenerezza e sollievo per lo scampato pericolo, pensava a quando avrebbe riportato a sir More e sir Brandon ciò che aveva saputo da lei. Erano notizie a dir poco importantissime, che gettavano una luce ben precisa anche sulla serata di festeggiamenti. Non si era trattato di un momento goliardico, scappato di mano ai responsabili, ma di ben altro.
“Per voi, mamà.” Mormorò Isabel reggendo un piatto ampio su cui era poggiato uno strano cibo. Presa dai propri pensieri, Caterina non si era nemmeno accorta che la figlia si era allontanata per pochi istanti, tornando col piatto in mano. “Si chiama torrone. L’ho assaggiato quando sono stata in Italia. E’ fatto con l’albume, lo zucchero ed il miele. Poi ci si possono mettere le mandorle o le nocciole, a seconda dei gusti. E’ delizioso. Assaggiate.” La incoraggiò Isabel, sorridente. Caterina ne prese un piccolo pezzo e poi lo portò alla bocca. Aveva una certa consistenza ed era davvero delizioso. Annuì deliziata, sia dal dolce che dal gesto di Isabel. Allungò una mano per prenderne un secondo pezzo, più grande del primo, ma la figlia improvvisamente tirò indietro il piatto, mandando a vuoto le sue dita, già pronte ad afferrare la delizia. Caterina alzò lo sguardo, stupito e leggermente offeso, sulla figlia e la trovò che rideva, di gusto.
“Questa l’avevo in serbo da mesi!” Disse Isabel. “Era dal mio compleanno che meditavo su come rendervi la pariglia. Direi che posso ritenermi soddisfatta!” Spiegò, mentre anche il volto di sua madre si distendeva in un sorriso, e le sue braccia si protendevano già verso di lei.

 
“Con quella spagnola alla guida del Paese, e il Re fuori gioco per almeno cinque settimane, rischiamo tutti i nostri privilegi.” La voce di George Bolena assunse un tono quasi isterico. Norfolk lo guardò a metà tra l’indifferente e l’ostile. Il nipote aveva ragione, certamente, ma era inutile mettersi a frignare in quel modo. Caterina era una Regina di polso e di indubbio valore. Era difficile, per non dire impossibile, abbindolarla o circuirla se non eri nelle sue grazie, quindi che senso aveva mettersi a piangere come un ragazzino od una donnicciola? Tanto valeva rassegnarsi di buona grazia e far buon viso a cattivo gioco, nella speranza che il vento prima o poi avrebbe preso a spirare in senso opposto.
“Nipote, non possiamo fare altrimenti direi.” Rispose magnanimo il duca. “Fare muro contro muro con la figlia di Isabella non è saggio né prudente. Mai, e meno che mai ora.”
“Lo vedremo!!” Rispose George Bolena, completamente esaltato. “Lo vedremo, perdio!”

 
“Perfetto, iniziamo da capo..”
Sir More guardò il volto insanguinato di Edward Johnson e si costrinse a riprendere, il supplizio nonostante la nausea che sentiva. Quel bastardo aveva cercato di mettere le mani addosso ad Isabel. Se avesse fatto con una delle sue figlie la metà di quanto aveva fatto con la Principessa, lo avrebbe ammazzato a mani nude. Al pensiero dello sguardo stravolto e furente di Caterina, delle cose che aveva saputo sulle condizioni di Isabel e di ciò che la Sovrana aveva aggiunto poche ore prima, quel po’ di pietà umana che gli era rimasta, andò via del tutto. Guardò il boia, che subito rimise sul fuoco le tenaglie e poi le avvicinò al suppliziato.
Come le vide, l’uomo spalancò di nuovo gli occhi e rabbrividì. Dalle altre celle adiacenti giungevano nette le grida di dolore degli altri interrogati, e quel sottofondo non aiutava certo a tenere la calma e la concentrazione, né nei carcerieri, tantomeno nei suppliziati.
“Chi c’è dietro la vostra improvvisa nomina a capo delle guardie del palazzo di Hampton Court, signor Johnson?” Ricominciò le domande sir More, dopo uno sguardo veloce con sir Brandon, che poi lasciò la cella. Il prigioniero non rispose nulla, come ormai dall’inizio della sua incarcerazione, e il Cancelliere scosse la testa. Possibile che resistesse così a lungo senza dire nulla? Possibile che coprisse fino a quel punto i suoi ‘datori di lavoro’? Quanto in alto dovevano essere costoro per spingerlo a non aprire la bocca, nonostante i tremendi supplizi cui veniva sottoposto?
In silenzio sir Thomas scambiò uno sguardo col boia, che riprese, metodico e brutale, a torturarlo. Pochi istanti dopo la porta della cella veniva riaperta e Caterina d’Inghilterra faceva il suo ingresso.

 

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“La popolazione chiede, anzi pretende, che i vizi e l’accumulo delle ricchezze da parte del Clero siano stroncati!!”
La riunione di consiglio stava per terminare, e Caterina poteva dirsi soddisfatta. Grazie all’aiuto di sir More, ma non solo, era decisamente andata bene e lei, a qualche giorno dai primi interrogatori, era stata in grado di cominciare a riferire le prime responsabilità su quanto era accaduto ad Hampton Court. Aveva appena cominciato a elencare il giro di vite nei confronti delle teorie riformiste provenienti dalla bestia maligna di Lutero, che una voce aveva osato interromperla. Rabbiosa, scrutò la sala, faccia per faccia, espressione per espressione, per capire chi mai avesse avuto l’ardire di parlare mentre parlava lei. Dalla terza fila si fece avanti George Bolena. Bè, non si fece proprio avanti. In realtà furono i membri davanti a lui ad aprirsi e a metterlo quasi faccia a faccia con Caterina.
La Sovrana lo perforò con i suoi occhi chiari e poi attese che venisse avanti. Siccome quello tardava, lo incoraggiò, a suo modo.
“Venite avanti, mastro Bolena.” Sorrise gelida. “Non avrete mica paura che vi mangi? In fondo sono solo una donna, no?” La sala, pur fiutando l’aria improvvisamente molto, molto pesante, si permise una risatina di scherno al giovane nobiluomo, e di approvazione per Sua Maestà. George Bolena diventò rosso in viso, sbugiardato e messo in ridicolo da quella affermazione, e poi avanzò sicuro. La collera, nemmeno troppo sottotraccia, della Regina consigliava prudenza e se necessario una veloce marcia indietro, ma lui non era tipo da cose romantiche e sciocche come delle scuse. Più deciso che mai abbassò di nuovo la visiera immaginaria che aveva in testa, e lancia in resta caricò ancora.
“I preti e il Clero del Cristianesimo sono uno scandalo per questo Paese. Truffano e rubano alla povera gente e nessuno fa nulla!! Nessuno protegge la brava gente d’Inghilterra!!”
A quelle parole Caterina scattò in piedi, furente. Gli occhi spalancati, il viso rosso per la rabbia controllata a stento, i pugni stretti, la Sovrana sembrava volesse incenerire il suo interlocutore. Un’affermazione del genere equivaleva a mettere sotto accusa la politica del Re. Parole gravissime, che in quel momento in Inghilterra avevano una sola definizione, chiunque, dal Re in giù, osasse pronunciarle: alto tradimento.
“Che cosa?” Disse soltanto la Regina, il tono scuro ed il volume della voce bassissimo.
Tutti i consiglieri si girarono verso Bolena, lanciandogli delle occhiate ora di disprezzo e di rimprovero, ora di comprensione per la terribile posizione che aveva assunto. Non ci voleva un’enorme esperienza e un grande acume per capire che era iniziata una guerra.

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Capitolo 15
*** A riot in the City ***


A Queen's Daughter - A riot in the City

Londra, Marzo 1530 – A riot in the City

 

“Rimango sempre il vostro umile e devoto servitore, Maestà.”
Comodamente seduta sul suo trono, Caterina guardò, impassibile e gelida, George Bolena, che, quasi prostrato di fronte a lei, chiedeva umilmente scusa. Ad una settimana dal suo exploit in consiglio, il giovane rampollo era tornato sui propri passi, recandosi, col capo coperto di cenere, a Canossa. Poco dietro di lui, con sguardo severo e determinato, il duca di Norfolk, suo zio, che tanto aveva fatto perché in quei sette giorni il ragazzotto sfrontato ed imprudente chiedesse scusa per le sciocchezze pronunciate.
Al duca Caterina aveva imposto un’anticamera di ben tre giorni, senza nemmeno riceverlo, poi ne aveva fatti scontare altri due prima di far sapere la sua decisione. In quel giovedì mattina, la figlia di Isabella di Spagna aveva graziosamente concesso loro udienza, in modo che George potesse chiedere perdono ed implorare a dovere. La Regina però non l’aveva fatto per cortesia, né per stima nei loro confronti, e non aveva certo concesso un’udienza privata. Voleva imporre al giovanotto l’umiliazione delle scuse pubbliche. Così, chiamato il Consiglio al completo, lasciò che George Bolena pagasse il fio, e bevesse per intero e fino in fondo l’amarissimo calice. Avere pubblico mentre si implorava non era cosa da poco, soprattutto se si era giovani ed arroganti, e Caterina godette non poco nel vedere il viso paonazzo del giovane, che tentava di controllare la rabbia.
Povero piccolo, pensavi davvero mi sarei spaventata con le tue urla?’ Pensò guardando le sue mani che si torcevano nervose. ‘Pensavi davvero mi sarei spaventata? Tu non hai nemmeno idea di cosa io, bambina, abbia visto. Cose che voi inglesi non immaginate. Cose che voi ragazzini ben pasciuti e cresciuti alla calda sicurezza di un castello non osate sognar nemmeno nei vostri peggiori incubi.
“Potete andare, mastro Bolena.” Lo schiaffeggiò, non dandogli nemmeno la tranquillità di sapere se fosse stato perdonato o meno. Dopo alcuni istanti, mentre il figlio maggiore di lord Rochford recepiva ed assorbiva il colpo, Caterina alzò lo sguardo sui presenti. I visi tesi ed attenti degli astanti le dicevano chiaramente quanto tutto ciò che era accaduto in quella sala non era solo una lezione, durissima, per George Bolena, ma anche per loro. Un’umiliazione del genere, se non peggio, era quanto sarebbe capitato a chi si fosse azzardato a comportarsi ancora in quel modo. Lo sapevano tutti i membri del Consiglio ormai, e Caterina, che era stata sempre considerata una Regina forte e di carattere, ora sarebbe stata anche temuta a dovere. Chi pensava di potere esprimere un parere diverso dal suo in modo irrispettoso, ci avrebbe pensato due volte.

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Invocabit me, et ego exaudiam eum. Eripiam eum, et glorificabo eum: longitudine dierum adimplebo eum. Qui habitat in adjutorio Altissimi, in protectione Dei caeli commorabitur. Invocabit me, et ego exaudiam eum. Eripiam eum, et glorificabo eum: longitudine dierum adimplebo eum.
Isabel osservò come sempre affascinata le mani esperte del Celebrante in quella che fin da piccola chiamava la ‘sparizione dell’altare’. L’incenso, uscendo dal turibolo, avvolgeva il blocco di marmo al centro del presbiterio, e poi si diffondeva in tutta la Chiesa, lasciando un profumo intenso e dolce. Da quanto era tornata a Londra, era la prima volta che si recava a Messa senza qualcuno della sua famiglia, e percepiva in qualche modo la strana ed eccitante novità della cosa. Sua madre quella mattina, ed anche la sera prima, si era raccomandata enormemente sull’importanza di quella prima uscita, e lei aveva sentito la solita scarica adrenalinica sia durante la ‘catechesi’ materna, che in quelle ore.
Mentre il coro eseguiva l’ultima parte del canto d’ingresso, cercò di concentrarsi e di respirare il clima quaresimale. Quella domenica avrebbero assistito alla Messa centinaia di persone indigenti, ed a lei spettava il compito di confortarle e fare loro la carità.
Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.
In manibus portabunt te, ne unquam offenda ad lapidem pedem tuum.

 
“I preti cattolici sono lo scandalo di questo Paese. Corrompono le anime dei fedeli a loro affidati e le truffano con mercimonio indegno di Dio e del Suo Santo Nome!!”
L’uomo magro, vestito, nonostante l’inverno rigido, solo con un saio, lacero e sporco, gridò a voce altissima il suo ‘J’accuse’ nei confronti di sacerdoti, monasteri, Vescovi, e del Papa, che affamavano 'la povera gente inglese'. Comizi come quelli avevano cominciato a diffondersi sempre più di frequente, nonostante la sempre più forte ed energica campagna di repressione cominciata da sir Thomas More e da Caterina, con il competente supporto del Vescovo Fisher, padrino di Cresima e confessore di Isabel.
Intorno all’uomo si era da subito formato un nutrito gruppo di persone che ascoltavano, ora in silenzio ora annuendo e rafforzando, le sue pericolosissime affermazioni. Il gruppo era pian piano cresciuto fino a comprendere diverse centinaia di persone, vestite in modo diverso, e quindi appartenenti a differenti classi sociali.
“La mala pianta della corruzione va estirpata, anche col fuoco e la battaglia!! Ricordate, fratelli, chi non partecipa alla lotta non è un buon cristiano e non è degno di Dio!!”
Il tono della sua filippica era pian piano salita di tono ed ora un pericoloso mormorio si sentiva di bocca in bocca. Era stato furbo, perché aveva scelto una zona della città non particolarmente controllata dalle guardie, che comunque essendo domenica erano già in numero ridotto.
“Ricordate, fratelli, chi non partecipa con noi non è un buon cristiano!!” Ripeté ancora una volta, ed il brusio aumentò pericolosamente.

 

L’omelia del Vescovo era appena finita, e tutta l’assemblea era immersa in un proficuo ed intenso silenzio, quando si sentì una sorta di boato. Il pesante portone in legno e ferro della Chiesa venne letteralmente preso d’assalto con qualcosa che somigliava ad un ariete. Isabel si scosse dalla sua preghiera, con un sussulto. Spaventata guardò lady Thorston e poi il Vescovo Fisher, sul presbiterio. In un attimo un centinaio di uomini armati di spade, mazze e Matchlock fece irruzione nella Chiesa. All’inizio, la sorpresa fu talmente grande che nessuno, nemmeno le guardie, li fermarono. Poi però quando i primi colpi di arma da fuoco esplosero, diretti ai sacerdoti e ad un nutrito gruppo di suore che era lì, allora le guardie, pur poche, reagirono.
Sotto i colpi di Matchlock degli intrusi caddero quasi tutti i concelebranti e una parte delle suore. Stranamente sia Isabel sia l’assemblea vennero risparmiate dai mercenari.
“Sono riformisti!!” Gridarono allora alcuni, confermando l’idea generale che serpeggiava da alcuni secondi. “Sono mercenari riformisti!!”
Fu allora che i nobili presenti nell’edificio ecclesiastico si unirono alle poche decine di guardie, sebbene non fossero armati se non con spade. Ad essi in breve tempo si unirono anche i cittadini comuni e perfino i poveri, che non avevano nient’altro che le mani.
Qui habitat in adjutorio Altissimi, in protectione Dei caeli commorabitur. Dicet Domino: susceptor meus es, et refugium meum, Deus meus: sperabo in eum. Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, et a verbo aspero. Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis ejus sperabis.

 

“Maestà!! Maestà!!”
Martin Beckingsale, una delle guardie del corpo di Isabel irruppe, stravolto dalla fatica e coperto di graffi e sangue, nella sala in cui Caterina, Thomas More e altri consiglieri di primissimo livello stavano discutendo da ore. Al vederlo Caterina sbiancò e balzò in piedi, senza però dire nulla.
“La Chiesa di Lambeth è sotto attacco Maestà!!” Riuscì a dire il poveretto, prima di crollare a terra. Thomas More si alzò per rendersi conto se fosse svenuto o morto, gli tastò il polso e poi il collo, infine guardò la Regina, scuotendo il capo.
“Preparo una squadra di cinquecento uomini, Maestà.” Disse subito sir Gerald Pole, il comandante delle guardie che avevano la responsabilità della protezione della famiglia Reale. Caterina lo guardò ed annuì.
“Vengo con voi, lord Pole.” Disse all’improvviso, shockando tutti quanti.
Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis a timore nocturno. A sagitta volante per diem, a negotio perambulante in tenebris, a ruina et daemonio meridiano.

 

“E’ morto, lasciamolo lì..”
Scosse la testa Isabel, passando ad un altro ferito. Margareth, una delle sue dame, coprì il poveretto con il suo mantello e poi passò oltre.
Sembrava incredibile, ma venti metri più in là qualche centinaio di uomini aveva iniziato una lotta senza quartiere a colpi di spada, mazze ferrate, bastoni e qualunque oggetto fosse utile per colpire il proprio avversario e farlo stramazzare al suolo. Le urla ed i tremendi colpi delle armi contro le ossa ed i corpi erano un rumore insopportabile.
Isabel e le sue dame erano riuscite a creare una specie di zona franca intorno al presbiterio, in cui avevano steso i morti, poi nella enorme sacrestia avevano provato a mettere i feriti, dividendoli in base alla loro gravità e cercando di curarli al meglio.
Pur rischiando, aveva raggiunto nella navata laterale sinistra, sir Reginald Griffith, un medico che suo padre conosceva, e lo aveva portato fin dentro la sacrestia per aiutarla in quel senso.
“Altezza, c’è anche questo..” mormorò Kate, indicando un ragazzo di non più di vent’anni, seduto poco fuori della sacrestia che teneva la mano sul braccio sinistro e piangeva come un bambino.
“Oddio, ma che aspettate!!” Esclamò Isabel prendendo un telo di lino, la bacinella di acqua e correndo verso di lui. “Come vi chiamate, signore?” Gli disse, quando gli si accosciò davanti, cercando di sorridergli e di farlo distrarre almeno un po’. Con un movimento unico gli strappò la manica della divisa, già lacerata e poi scoprì una ferita, profonda e lunga almeno quindici centimetri, in verticale. Un fiotto di sangue zampillò fuori, andando sul suo vestito.
“Scusate, Altezza..” riuscì a mormorare lui, sbiancando sempre di più. Isabel scosse la testa energicamente.
“Temo che vi farò male, ma devo pulire il vostro taglio. Volete questo da mettere in mezzo ai denti?” Gli chiese facendogli vedere una piccola pezzuola. Il giovane scosse la testa e le fece un cenno, come a dirle di procedere. Quando l’acqua entrò nella carne viva, gemette sommessamente. Isabel fu più delicata che poté, ma il taglio era davvero brutto. Non sapendo come altro fermare il sangue, sollevò la propria gonna, prese il taglierino che aveva con sé e tagliò la sottogonna in lino.
“Altezza!!” Esclamò scandalizzata lady Thorston. Isabel si girò, fulminandola con lo sguardo.
“A me non serve, mia cara signora.” Le disse soltanto, per poi andare di nuovo con lo sguardo sul ferito. Strinse e annodò la striscia di tessuto poco sopra lo squarcio ed attese. Come aveva previsto, il sangue si fermò. La Principessa prese un'altra striscia dalla sua sottogonna, la imbibì di acqua e poi la pose sulla ferita.
“Tenete forte, e se state male, fatemi chiamare, intesi?” Raccomandò con forza. Il giovane ferito annuì e poi le sorrise, provando a parlare. “Non dite nulla, mio buon signore. Vi prego, conservate le vostre forze.” Lo fermò lei, con dolcezza, posando una mano sul suo braccio sano.
Per oltre tre ore Isabel, le sue dame e il dottor Griffith non fecero altro che curare i feriti ed assistere i moribondi. Per fortuna, nella sacrestia non mancarono mai acqua e teli e quando serviva, Isabel alzava la sua gonna e non esitava a fare a pezzi le sottogonne. Le sue dame la guardarono sempre più scandalizzate e turbate, ma in realtà non le furono mai davvero  d’ostacolo. Nonostante la sua giovanissima età, sembrava si trovasse a suo agio in quella situazione e quando il medico dovette amputare degli arti ormai compromessi, non era mai svenuta né aveva dato di stomaco. Il Vescovo Fisher, ferito anche lui, anche se in modo non grave, si era comunque messo a disposizione, ed aveva fatto da tramite tra la servitù della Chiesa, che continuava a fornire acqua e teli, oltre che da confessore dei moribondi. Impegnato come era, il piccolo gruppo non si rese nemmeno conto che la battaglia dentro e fuori la Chiesa era ormai cessata, dopo quasi quattro ore, e che ora sulla strada non restavano che cadaveri, moribondi e feriti, più o meno mutilati.
Quando Caterina, passando per la Chiesa, ormai lugubremente silenziosa, entrò nella sacrestia si trovò davanti uno spettacolo ancora più terribile di quello che aveva lasciato alle sue spalle. Sangue dappertutto, feriti che gemevano e piangevano come bambini, poche persone che correvano, stremate ma comunque attive, da una parte all’altra per assicurare il necessario a chi lo chiedeva.
“Maestà..” Si chinò il Vescovo Fisher, il primo a rendersi conto dell’arrivo della Sovrana. Più di cento occhi si posarono allora su Caterina, salutandola con inchini o con gesti del capo. La Sovrana alzò la mano, con un sorriso, dispensando i suoi sudditi da quella cortesia. Era evidente che non era necessaria, non in quella situazione almeno. Il Vescovo le venne incontro e lei notò i suoi abiti sporchi di sangue e il suo capo ferito.
“Vostra Grazia, state bene?” Chiese preoccupata. Lui annuì con un gesto veloce del capo, come se le sue condizioni non fossero importanti.
“Hanno fatto una strage Maestà..” Riuscì a dire, con gli occhi lucidi. Caterina ne fu a dir poco sconvolta. Lo considerava una roccia e vederlo turbato a quel modo era davvero una novità. “Non hanno risparmiato nemmeno..” Disse, e quelle parole gelarono la Sovrana. Subito lei spostò lo sguardo intorno alla enorme sala a cercare Isabel. Non trovandola, guardò smarrita il prelato. Lui intuì al volo ed annuì. “Venite Maestà..”
Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis: tibi autem non appropinquabit.
Quoniam Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.

 

La guardia con un calcio netto sfondò la porta e poi assieme ad un collega entrò nella stanza.
“In nome dei Sovrani d’Inghilterra, nessuno si muova!!”
George Bolena, impegnato ad intrattenere una fanciulla, non ebbe nemmeno il tempo di muoversi. Il duca di Suffolk lo guardò e gli ghignò in faccia.
“George Bolena, per ordine di Sua Maestà, la Regina Caterina d’Inghilterra, siete accusato di cospirazione e di alto tradimento. Ho l’ordine di portarvi immediatamente alla Torre..”
Il rampollo dei Bolena guardò il gruppetto in modo tanto ebete che fu la compagna a scuoterlo, facendogli capire che forse era il caso di obbedire.
“Questa è persecuzione!!” Gridò con tutte le sue forze, ritrovando l’antica arroganza e cominciando a vestirsi. “Vedrete quando torneranno mio padre ed il Re!!” Minacciò. Il duca di Suffolk gli andò vicino e lo prese per un braccio.
“Vi consiglio caldamente di evitare questi commenti, Vostra Grazia. Non sia mai che qualche pettegolo li riporti a Sua Maestà e voi abbiate la testa tagliata prima ancora di poter chiedere perdono!!”
“Nessuno oserà farlo!” Ribatté lui, convinto. “Ho molti amici io!!”
“I vostri amici vi hanno tradito, amico mio..” Gli rispose serafico Brandon. “Il vostro amico Thomas Fish è alla Torre da un bel pezzo.. appena ha visto gli strumenti ha fatto il vostro nome.. certo non è un buon amico, non pensate, Vostra Grazia?” Lo canzonò.

 

In manibus portabunt te, ne unquam offendas ad lapidem pedem tuum. Super aspidem et basiliscum ambulabis et conculcabis leonem et draconem.
Era ormai sera quando Caterina, Isabel e le dame della Principessa lasciarono la Chiesa di Lambeth. Non se l’erano sentita di lasciare i feriti più gravi con poca assistenza, e così avevano finito per trattenersi lì. Il dolce dondolio della carrozza, il caldo tepore all’interno della vettura ed il silenzio avevano favorito la ripresa almeno mentale di Caterina, dopo le ore caotiche e piene di urla, ordini e rumori. Accanto a lei, sua figlia, anche lei silenziosa.
“E’ stata brava, sapete?” Mormorò lady Thorston guardandola dolcemente. Caterina, che aveva lo sguardo sulla città che le scorreva davanti, faticò qualche istante a capire di cosa la dama stesse parlando. “E’ stata brava e coraggiosa..” Poi guardò alla propria destra Isabel, e vide che dormiva, sfinita. La testa ondeggiava leggermente, seguendo il dondolio della carrozza. Caterina sorrise e si avvicinò a lei. Insinuò il braccio tra la stessa Isabel e lo schienale e, posando la mano sulla sua schiena, la avvicinò a sé, facendole posare la testa sulla spalla. Quasi senza curarsi della presenza di lady Thorston, posò le labbra sul capo di Isabel, chiudendo gli occhi.

“Venite Maestà..”
Aveva detto il Vescovo Fisher, e Caterina l’aveva seguito trepidante e impaurita, ché fra le vittime di quella strage potesse esserci anche la sua creatura. Invece, il prelato l’aveva portata in una stanza più piccola, con un enorme tavolo al centro. Poco distanti, diversi piccoli tavolini con bacinelle di acqua, strumenti chirurgici e pile intere di teli. Steso sul tavolo un uomo, a petto nudo, cui il dottor Griffith stava amputando un braccio. Isabel, accanto a lui, gli passava i vari strumenti che di volta in volta occorrevano. Due uomini, evidentemente due servi che lavoravano all’interno della comunità, tenevano fermo il poveretto, che gemeva e mordeva una pezzuola.
Lo sguardo di Caterina si fermò su sua figlia. I suoi occhi erano concentrati su quello che stava facendo e non vedevano nient’altro. Obbediente e servizievole passava al medico tutto quanto gli occorreva, a volte prima ancora che lui lo domandasse. Per non disturbare né il medico, né chi lavorava con lui e rischiare di compromettere l’intervento, sia Caterina che il Vescovo stettero in silenzio, ed attesero la fine di esso.
Quando sir Griffith si lavò ed asciugò le mani, ordinando che il pover’uomo venisse portato via, Caterina si fece avanti, mentre il Vescovo Fisher la annunciava a voce chiara, ma sommessa. Subito tutti si chinarono a riverirla, Isabel inclusa. Rialzandosi, la figlia le sorrise, contenta di vederla. Il sollievo della Sovrana nel vederla in salute, anche se visibilmente affaticata, fu tale che, per alcuni istanti sentì mancarle la terra sotto i piedi e fu lì lì per cedere all’impulso di correrle incontro e prenderla fra le braccia, ringraziando il Cielo che fosse viva. Ovviamente si trattenne e restò ferma dove era. Non avrebbe mai mostrato ai propri sudditi la sua preoccupazione, pur se per sua figlia. Dovevano vederla sempre in grado di controllarsi e controllare ogni emozione. E lei, degna figlia di Isabella di Spagna qual era, si controllò egregiamente, regalando ad Isabel solo un’occhiata ed un sorriso. Poi Caterina si diresse decisa verso il medico, chiedendo notizie, informandosi sui morti, sui feriti e tutto quanto era successo. Apparentemente parve dimenticarsi di Isabel, parve non guardare più la figlia, che veniva richiamata da una parte e dall’altra, correva a soccorrere chi aveva bisogno e si dava da fare come e più degli altri. Ed invece a Sovrana la tenne d’occhio, osservando tanto il suo comportamento, quanto quello altrui nei suoi confronti. Alla fine seppe quanto desiderava sapere, cioè che sua figlia non solo si era resa utile, ma aveva contribuito a suddividere in zone ordinate la sacrestia, in modo che si potessero smistare al meglio i feriti in base alla gravità delle loro condizioni; aveva tenuto botta, nonostante alcuni di essi fossero in condizioni davvero pessime o avessero orrende mutilazioni; aveva spesso spronato le sue dame a darsi da fare, non esitando ad usare, se necessario, i propri abiti per tamponare le ferite; infine era stata cortese e gentile con feriti e moribondi, servizievole ed obbediente con chi aveva maggiore esperienza di lei, ed aveva fatto sempre coraggio a quelle dame che di tanto in tanto si spaventavano e piangevano.
Caterina si era sentita inondare di orgoglio e di amore per Isabel e quando si erano dirette verso le carrozze, le si era avvicinata e le aveva proposto di tornare con lei. Isabel aveva spalancato gli occhi ed aperto la bocca al sorriso, felicissima.

Ora, mentre tornavano assieme a Greenwich, approfittando del fatto che lady Thorston aveva gli occhi chiusi, la strinse teneramente a sé, baciandole la fronte e tenendo nella sua una mano della figlia. Nonostante l’immane tragedia della Chiesa di Lambeth, e i molti pensieri che come Regina aveva da ore, il suo cuore di madre gioiva che la sua bambina fosse uscita incolume da quel massacro.
Mamà..” Mormorò Isabel, svegliatasi proprio in quel momento. Caterina ricambiò il suo sguardo ed azzardò un leggero sorriso. Con la mano le accarezzò il lato del viso, scostandole una ciocca di capelli. “Mamà, avete visto? E’ stato orribile quanto è successo.. tutte quelle persone che oggi non torneranno a casa..” Gli occhi della fanciulla erano lucidi e la sua voce un sussurro che minacciava di rompersi ad ogni parola, ma nonostante la forte ed evidente commozione riuscì a non cedere. Caterina annuì.
“Amore mio..” Mormorò, stringendola per reazione ancora di più a sé e premendo le labbra contro la fronte di Isabel. Caterina la sentì muoversi fra le sue braccia e si staccò da lei. “Dimmi, angelo mio..” La incoraggiò con un sorriso, pensando volesse sfogarsi o dirle qualcos’altro riguardo quanto era accaduto.

Mamà, io vorrei rendermi utile e studiare medicina..” Disse invece Isabel.

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Capitolo 16
*** Something new, something old ***


A Queen's Daughter - Something new, something old

Londra, Marzo 1530 – Something new, something old

 

“Cos’è questa storia, Isabel?”
Appena rientrata a palazzo, Caterina filò immediatamente nel proprio studio, portandosi dietro la figlia, sebbene stremata ed insonnolita. La Regina non dismise nemmeno gli abiti da viaggio, né li fece togliere alla sua secondogenita, tale era l’urgenza di parlare con lei.
“Come ti è saltato in mente di chiedere una cosa simile? Tu sei una principessa, non un rozzo barbiere o un cerusico che vanno in giro per le città ad affettare le persone, segare ossa e farsi pagare una miseria. Tu sei mia figlia!!, ed io non ti permetterò mai una cosa simile, è chiaro?!” Isabel guardò la madre, ne ascoltò la filippica, e non rispose nulla. “Tu sarai utile al tuo Paese quando comprenderai i buoni doveri di una donna, di una sposa e di una madre. Solo allora la tua vita avrà un senso!”
“Oh, certo!! Un senso dato dalle camicie cucite e dai figli sfornati, possibilmente senza crepare di parto!” Ribatté testarda Isabel. “Io odio cucire, e se solo penso alla mia vita con un uomo mi vengono i brividi, madre!”
Quelle parole zittirono Caterina. Il riferimento a Newcastle la fece rabbrividire, soprattutto quando guardò l’espressione di Isabel. Era ovvio che la scelta di un uomo con lei sarebbe dovuta avvenire con un’attenzione ancora maggiore che con Maria. Di lì a dieci giorni avrebbe compiuto sedici anni, ma ci sarebbe voluto ancora del tempo perché quella ferita si richiudesse del tutto. La Regina si avvicinò alla figlia, cercando di sorriderle e di essere più accondiscendente.
“Ascoltami, tesoro mio: niente avverrà in modo brusco e improvviso. Te lo prometto..” Le disse dolcemente, prendendola per le spalle. Isabel la guardò in modo neutro. Le credeva, ma sapeva bene quanto poteva imporsi suo padre, se solo avesse voluto. Ed in ogni caso, questo non cambiava ciò che voleva lei.
“Io voglio studiare, madre. Non mi importa di diventare il più grande medico della storia inglese, ma voglio studiare. Voglio alleviare la sofferenza delle persone, e fare qualcosa di un pochino più concreto e tangibile che salutare con la manina, sorridere come una povera sciocca e annuire a tutti i discorsi inutili e noiosi che si sentono in giro. Io voglio poter dire la mia: ho un cervello, sono un essere pensante e posso dare il mio contributo anche come donna. Mi rifiuto di credere che il buon Dio mi abbia fatto uno sgarbo a crearmi donna, lasciandomi quindi senza la possibilità di fare del mio meglio durante la mia vita.”
A quelle parole Caterina si lasciò cadere su una poltrona. In un attimo, tornò indietro di più di trent’anni, alle interminabili furiose discussioni tra sua madre Isabella e sua sorella Giovanna. Anche lei, proprio come Isabel, era testarda ed indipendente, e sua madre aveva usato ogni modo per correggerla e farle capire qual era il senso giusto della sua vita. Le due si erano allontanate irrimediabilmente, senza alcuna possibilità di riconciliazione; i loro litigi e le punizioni materne nei confronti della sorella erano alcuni dei ricordi più tremendi dell’infanzia di Caterina. L’idea che fra lei ed Isabel si creasse quella frattura le era insopportabile, ma nella pervicace ostinazione della figlia non vedeva nulla di buono. Non le avrebbe permesso di fare ciò che voleva, Isabel avrebbe dovuto farsene una ragione e avrebbe fatto meglio ad obbedire alla svelta, ma non avrebbe mai usato i mezzi correttivi estremi di sua madre.
“Rifletterò su cosa aggiungere alle tue lezioni ed alla tua educazione. Un po’ meno di attività rischiose e maggiormente adatte ad un uomo, e più lezioni e attività adatte ad una donna mi sembrano una soluzione. Imparerai a cucire, a saperti comportare, a conversare in diverse lingue. Togliti dalla testa di poter prendere in mano un ferro chirurgico o una lancia e comportarti come se fossi un uomo. Bada, Isabel, non sto affatto scherzando e ti consiglio di prendere quello che ti dico con estrema serietà, figlia mia.” Le disse con tono morbido, ma fermo.
“E’ davvero una crudeltà, madre!” Esplose Isabel. Caterina balzò in piedi, e subito avanzò verso di lei, con gli occhi fuori dalle orbite.
“Cosa? Come ti permetti di usare questo termine?! Ripeti un po’ se hai coraggio, Isabel!” Le disse, adirandosi a mano a mano che la raggiungeva. “Ripeti!!” La esortò.
“Madre, perdonatemi, non volevo dire che voi siete crudele, o che quello che fate per me lo sia..” Mormorò in un sussurro Isabel, temendo di averla fatta adirare sul serio e in modo irreparabile, mentre Caterina la guardava ancora con un’espressione non solo adirata, ma profondamente ferita. “Davvero, mamà, non volevo mancarvi di rispetto… Dio sa quanto io vi ami e che per voi farei di tutto, davvero..” Lo sguardo e il tono di Isabel furono così accorati e convincenti che in un attimo la collera di Caterina scemò dai suoi occhi. Tuttavia restava l’espressione ferita per quanto detto dalla figlia. “Vedete mamà, oggi è stato atroce. Non avevo mai assistito ad un massacro del genere, e quando ho capito che potevo fare qualcosa, ho solo pensato a rendermi utile. Non sapevo fare nulla, nulla che servisse davvero, quindi ho solo pensato ad obbedire, mettendomi a disposizione di chi ne sapeva più di me. A mano a mano che acquisivo familiarità e dimestichezza ho cominciato a sentirmi sicura del mio, e ad agire con più autonomia..” Caterina guardava sua figlia, e a mano a mano che Isabel le spiegava il terribile impatto di quelle ore sulla sua giovane vita, le sembrò più matura e cresciuta. Il dottor Griffith, il Vescovo Fisher e anche lady Thorston le avevano detto che la Principessa aveva davvero dato una mano, non solo limitandosi ad obbedire, ma anche proponendo soluzioni e modi di agire. Isabel forse non era ancora una gran donna, ma di sicuro ne aveva le potenzialità. Doveva essere soltanto stimolata nel modo più appropriato. La sua voce la riportò alla realtà. “Vedete, mamà, io ho voi davanti, tutti i giorni, o quasi. So quello che fate, come lo fate e cosa rappresentate in e per questo Paese. Il popolo vi adora, vi considera una grandissima Regina, e vi stima profondamente. Mio padre è un grande Re, ma se non ci foste voi, non sarebbe altrettanto grande, mia signora. Tutti vi stimano e vi tengono in grande considerazione, e questo non è nemmeno il vostro Paese. Io vi ho davanti tutti i giorni, vi vedo agire, proporre le cose, stimolare questo Paese ad essere migliore. Quando penso a come vorrei essere da grande, io non guardo mio padre, io guardo a voi, mamà. Siete voi il mio modello. E vorrei essere come voi. Permettetemelo, vi prego.”
Per un momento Caterina rimase sorpresa. Sapeva che Isabel le voleva molto bene e la stimava, lei stessa desiderava e sperava che le sue figlie imparassero da lei il difficile mestiere di moglie e madre in una società e in un periodo come quello, ma non avrebbe mai pensato di poter udire quelle parole, nette e chiare. Erano una dichiarazione d’amore filiale bellissima; semplice, ma efficace e netta.
In silenzio si avvicinò alla figlia e la abbracciò, stringendola forte a sé.
“Bambina mia adorata..” Mormorò guardandola, e prendendole il viso fra le mani. Gli occhi di Isabel la fissavano, pieni di gioia.
“Penso davvero quello che ho detto, mamà. Non era una manfrina per prendervi in giro o per adularvi..” Isabel sapeva che la madre si era resa conto che quanto aveva detto era la verità, e nonostante ciò desiderava ribadirlo. Caterina annuì con un sorriso.
“Lo so, figlia mia. I tuoi occhi erano sinceri e limpidi. Mi commuove sapere che tu pensi questo di me e della mia vita. Non ho pensato ad altro se non far bene ciò che mi spettava fare, come Regina, come moglie e come madre.” Isabel annuì, mentre Caterina la prendeva per mano ed entrambe si avvicinavano ad un divanetto.
“Vedete, madre, l’educazione che ho ricevuto e che ricevo è di prim’ordine e non me ne lamento, credetemi.” Caterina annuì con un sorriso orgoglioso. Sapeva dai suoi insegnanti che Isabel era stata e continuava ad essere un’alunna favolosa, sempre attenta e precisa, intelligente e pronta, non si risparmiava mai. “Ma vorrei qualcosa di più e di diverso con cui confrontarmi e misurarmi. La teoria la conosco, mamà. La conosco bene. Ora voglio altro. Voglio un esempio in carne ed ossa..”
La Sovrana la guardò, incuriosita. Corrugò le sopracciglia ed aprì la bocca per chiederle a chi si riferisse. Isabel la guardò in un modo che fu impossibile per lei non capire.
“E’ di me che parli?” Chiese, o piuttosto realizzò, Caterina. Isabel la guardò e scoppiò a ridere.
“E di chi, sennò, mamà?” Esclamò. “Non penserete che consideri altre se non voi..”

 
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Mamà!!” Esclamò Maria, quando arrivò due giorni dopo a Greenwich, assieme ad Enrico e tutto il seguito che era rimasto bloccato in Francia. Caterina la strinse fra le braccia, le accarezzò i capelli e la schiena.
“Come stai, tesoro?” le chiese scostandosi e guardandola. L’espressione di pura gioia di Maria fu la risposta migliore che potesse ottenere.
Accanto a Caterina, qualche passo dietro di lei, Isabel attendeva il proprio turno per salutare il ritorno della sorella. Non la vedeva da più di tre mesi, era timorosa ed impaziente assieme. Nelle ultime sette settimane si erano scritte, di tanto in tanto, e Isabel l’aveva incoraggiata e sostenuta, ricevendone in cambio sostegno ed affetto. Nonostante il litigio tra la sorella e Caterina, Maria aveva cercato di stare fuori dalla faccenda e pur ammonendo Isabel e consigliandole di stare lontana dai Bolena e molto attenta a loro, le aveva anche fatto capire che le era accanto e capiva che il terribile litigio con la madre era frutto di un equivoco, un inganno e la sua ingenuità, non della sua malizia.
Belle!!” Esclamò Maria, quando arrivò di fronte alla sorella. Isabel, sentendo il nome con cui la sorella la chiamava le poche volte che erano andate d’accordo e si erano ritrovate vicine, le sorrise e poi le fece una riverenza rispettosa.  
“Vostra Altezza.” Mormorò. Maria aprì le braccia, poi raggiunse la sorella, abbracciandola.
“Che bello vederti!” Disse la promessa sposa del Delfino. Quelle parole stupirono perfino Caterina che le lanciò un’occhiata e poi guardò Isabel, che era più esterrefatta di lei.
“Maria, io non..” Mormorò confusa. Maria si staccò da lei per guardarla e le sorrise, vincendo lo smarrimento della sorellina. “E’ bellissimo, anche per me..” Disse alla fine Isabel, con un sorriso convinto.
“Madre, voi ci scusate, vero?” Maria si voltò verso Caterina e domandò il suo permesso per congedarsi, assieme ad Isabel. La Regina annuì, con un sorriso.
“Certo tesoro.” Concesse avvicinandosi ed accarezzando il viso di Maria. “Ci vediamo più tardi..”

 

“Amore mio..”
Lo sguardo di Caterina era talmente felice di vederlo, e fiducioso, che lui sentì un leggero disgusto di sé.
“Caterina, dobbiamo parlare..” Disse Enrico, prendendola per le spalle e tenendola quasi a distanza. In realtà non sapeva nemmeno bene cosa dirle e se fosse il caso di dirle qualcosa. La passione per Anna era riesplosa all’improvviso, solo perché Francesco aveva chiesto di lei ed aveva chiesto a suo padre dove fosse la sua splendida figliola. Thomas Bolena aveva risposto da par suo e la conversazione si era fatta via via più audace. Enrico, che aveva udito praticamente ogni parola, si era sentito ribollire il sangue dapprima per la collera, poi per il desiderio bruciante di lei. E così l’aveva richiamata da Londra, proprio mentre il caso aveva voluto che Caterina si precipitasse in Inghilterra.
La Regina si divincolò immediatamente e corrugo le sopracciglia. Non ci voleva chissà cosa per capire di cosa voleva parlarle Enrico.
“Quella sgualdrina!” Sibilò, furibonda. “Non posso crederci!! Mi avete mentito!” Lo guardò con occhi talmente feriti ed oltraggiati che fu lui ad abbassare lo sguardo, una delle poche volte della sua vita. Il Re aprì la bocca per provare a spiegarsi, ma Caterina, dopo una veloce reverenza lo lasciò da solo, andando via.

 

 
“Siete libero, sir Bolena.” Thomas More guardò con immenso disprezzo il giovane, mentre la guardia gli liberava i polsi dai ceppi. Quello sorrise, mellifluo, come se fosse per lui naturale ed ovvio sgattaiolare così da quelle situazioni.
“Come vi dicevo, sir More, ho molti amici..” Lo prese in giro, sorridendo sarcasticamente. Il Cancelliere lo guardò gelidamente e poi fece cenno alla guardia di condurlo fuori. Era a dir poco inconcepibile.
Thomas Bolena aveva salvato il figlio intervenendo e facendo cadere le accuse a suo carico. Sir More non aveva capito ancora cosa diavolo si fosse inventato per ottenere quanto voleva, ma ad un certo punto Thomas Fish si era autoaccusato di quanto era avvenuto a Lambeth, perfino di essere la mente, e George Bolena era stato prosciolto, quindi rilasciato, nel giro di un paio di giorni.
“Commetterai un altro errore, bastardo..” Soffiò a voce bassa sir More, furente. “Sono certo che lo commetterai, e quel giorno io sarò qui, a presentarti un conto che nessuno pagherà per te..”

 

Nel giro di sei ore tutta la corte seppe del diverbio tra Caterina ed Enrico. Tutti, incluse Maria ed Isabel.
Le due sorelle, dopo una rapida discussione e decisione sul da farsi, si divisero i compiti. La maggiore sarebbe andata a consolare, o perlomeno a stare vicino a, Caterina. La minore sarebbe corsa dal padre a rivelare l’autrice della ‘bravata di Natale’ a suoi danni ed ai danni di Caterina.
Isabel era fermamente decisa, nonostante la sua giovane età, ad affrontare il padre, a dirgli quanto quella relazione costituisse un’offesa non solo per la Regina, ma anche per lui, perché, era chiaro, qualunque componente della famiglia Bolena non fosse degno né di onori, né di attenzione, né tantomeno di fiducia. Isabel non concepiva come il padre si fosse lasciato irretire da un bel paio di occhi. E non capiva come questo suo ‘vizio’ potesse influenzare così tanto la politica del Paese.
“Il Re è momentaneamente impegnato, Vostra Altezza..” Le disse l’usciere abbassando lo sguardo, imbarazzato. Isabel capì che doveva esserci qualcuno della ‘famiglia maledetta’ nel suo ‘studio’. Contrasse immediatamente la mascella, innervosita da quel contrattempo. L’usciere le lanciò un’occhiata colpevole e implorante assieme, e lei perse subito tutta la sua rabbia. Non se la sarebbe mai presa con lui, che in fondo faceva solo il proprio lavoro.
“Vi ringrazio, lord Buckley.. lo attenderò qui nei paraggi. Se non dovessi incrociarlo, mi potete fare la cortesia di..” Isabel non dovette nemmeno finire la frase che lui annuì, con un sorriso.
“Certo, Vostra Altezza, non dubitate. Verrò a cercarvi personalmente e dirò al Re che gli desiderate parlare..”
Isabel annuì, soddisfatta. Si fidava di lui e della sua parola. Dato che era inutile stare lì in attesa, si spostò nelle sale adiacenti. Dopo aver salutato la folla di persone, che come ogni giorno si era recata a corte, ed essere stata a sua volta salutata, si diresse verso le enormi vetrate da cui si scorgeva una parte del giardino. Nonostante l’aria fredda e la giornata gelida, Isabel si avviò verso una delle porte finestre, la aprì ed uscì fuori.
La neve aveva coperto gran parte delle stradine in mezzo al giardino, e l’erba era stata trasformata in un soffice tappeto bianco. Stretta nel suo pesante abito di velluto nero e oro, la Principessa cominciò a passeggiare qua e là senza una meta ben precisa. Il freddo e l’aria gelida la facevano rabbrividire, ma dopo un po’ la calmarono e lei ritrovò l’abituale compostezza. Quella mattina aveva per la prima volta sentito nei confronti di Anna Bolena una gelosia ed una rabbia forsennate, che l’avevano spaventata molto. Sapeva che da parte materna, una zia aveva mostrato segni di squilibrio abbastanza evidenti e lei, man a mano che cresceva, da una parte subiva il fascino di un comportamento estremo come quello, dall’altra lo temeva enormemente, se non altro per il tipo di reazione che ogni volta la Regina aveva, al solo sentirne parlare. Quando veniva fatto il nome di Giovanna, Caterina sospirava e scuoteva la testa, incapace di comprendere e di accettare un comportamento tanto violento ed inspiegabile.
Isabel odiava vedere sua madre stare male, non tollerava che quella sgualdrina avesse ripreso a scaldare il letto paterno, e detestava la sua intera famiglia. Erano consiglieri ambigui, calcolatori e per niente lungimiranti, così diversi da sir More che per quanto non fosse un santo e cercasse, come tutti, di tirare l’acqua al proprio mulino, per lo meno lo faceva per cose decisamente più nobili e di interesse comune.
Nella sua passeggiata, la giovane Principessa era arrivata alla parte opposta del palazzo, giungendo fino alle vetrate delle sale che sua madre usava per ricevere i suoi ospiti. L’immagine che all’improvviso si presentò davanti ai suoi occhi le spezzò letteralmente il cuore.
Fra le braccia di lady Willoughby, sua madre era, inginocchiata a terra, sull’orlo delle lacrime. Doveva essere davvero allo stremo delle forze e della sopportazione per arrivare a tanto, in una sala le cui vetrate davano sul giardino e con una persona di rango inferiore, per quanto di antica amicizia. Isabel provò pena ed affetto sconfinati per lei. In quel momento, non sembrava, e non era, la figlia di Isabella e Ferdinando, né la ‘solida torre d’Inghilterra’. In quel momento sua madre era soltanto una moglie più e più volte tradita, ingannata e oltraggiata dal marito, che doveva pure sorbirsi l’affronto di vedere ogni giorno la sgualdrina che solleticava il di lui appetito.
Isabel vide Maria de Salinas, stringere le braccia attorno al corpo di Caterina, squassato dai singhiozzi, e si sentì sempre peggio. Un’onda di terribile collera le partì dallo stomaco in su e si sentì letteralmente incendiare l’esofago, il sangue, il cervello. Con uno scatto diede le spalle alla vetrata e cominciò a percorrere a ritroso la strada appena fatta. Voleva solamente andare da Re e parlare con lui. Arrabbiata com’era, non organizzò nemmeno un discorso o qualcosa del genere. Il suo unico obiettivo era quello di parlare con suo padre.
 
“Vostra Altezza..”
La salutò una voce all’improvviso. Isabel resettò gli occhi, aprendoli su Anna, contro la quale era andata quasi a sbattere. La fissò, con occhi disgustati e traboccanti di collera. Con un grugnito furente strinse i pugni e poi, mentre lei la riveriva e ripeteva il saluto, fece per oltrepassarla, ignorandola completamente.
“Buona giornata, Vostra Altezza..” Ripetè Anna, pensando che Isabel l’avesse ignorata apposta ma volendole dare un’ultima opportunità di saluto. Anche questa volta invece, la Principessa la ignorò totalmente. Nemmeno si voltò a guardarla, e proseguì a passi lenti e pesanti.
“Vedete, lady Kent, in Spagna le buone maniere non sono mai state una priorità..” Buttò lì Anna, rivolgendosi ad una dama del suo seguito.
Quel riferimento, pur non diretto, a sua madre la fece inalberare. Paonazza in volto, si girò verso l’amante di suo padre e l’affrontò.
“Che cosa?” Sibilò, con un tono che minacciava pesantemente la sua collera. Anna le rise praticamente in faccia, coprendosi la bocca con una mano, poi si voltò alla sua destra.
“Che vi avevo detto, lady Kent? Si sa che gli spagnoli sono superbi e villani.. E chi, se non una madre, è responsabile del comportamento dei figli?, e delle figlie..”
“Non azzardatevi nemmeno a parlare di mia madre, puttana!!” Esplose Isabel, afferrando Anna per le spalle e scuotendola così forte da farle sbattere i denti. La figlia dei Bolena non rispose e non chiese ovviamente scusa, ma nei suoi occhi si poteva leggere lo stupore più totale per quella reazione. Isabel, la bimba della corte, la piccola perla del Re e l’amore della Regina, aveva finalmente mostrato il suo carattere. Le mani convulsamente strette attorno alle spalle dell’amante di suo padre, la Principessa fissava la sua antagonista con occhi di fuoco. “Chiedete scusa!! Avanti, chiedete scusa!!” Le ordinò alzando il volume della voce. Non tardò molto che Anna reagì. Durante tutta la sua vita, non aveva tollerato alcuna imposizione, mai, al di fuori di quelle paterne, e si era sempre difesa come una leonessa contro tutto e tutti; trovava a dir poco scandaloso quindi che una ragazzina, per quanto di rango superiore al suo, la aggredisse in quel modo, ordinandole cosa fare. Alzò una mano per spingere via Isabel ed al secondo tentativo ci riuscì.
“Non azzardatevi mai più a toccarmi!!” Gridò, minacciosa, avanzando verso Isabel. Nel frattempo, intorno a loro ormai si era formato un piccolo gruppo di persone.
I giardini, di solito assai frequentati dai cortigiani per passeggiate, incontri, ed altri affari, anche con quel gelo avevano accolto una ventina di persone.
Ora, la piccola folla assisteva muta a quello scontro senza precedenti, senza osare prendere le parti dell’una o dell’altra. In realtà, era un litigio del tutto anomalo: mai una figlia era andata così nettamente e pubblicamente contro l’amante del padre, più che altro perché solitamente ignorava la cosa. Isabel, invece, sapeva, ed aveva rotto ogni schema. Amava così tanto la madre che, sbagliando, si era in qualche modo sostituita a lei, aggredendo Anna. Inoltre la ragazza si sentiva ancora oltraggiata perché la giovane Bolena aveva tentato di ingannarla ai danni di Caterina, riuscendo nell’intento. Quell’affronto bruciava ancora sulla pelle della Principessa, era un conto non saldato che ora, pur a distanza di mesi, reclamava una qualche soddisfazione.
“Mi fate schifo!!” Replicò Isabel, mentre la folla si disponeva in modo tale che, dalle finestre della sala in cui si trovava Caterina, la vista di quanto accadeva fosse praticamente ottima. “Non avete né lo stile né l’eleganza della puttana di classe!! Siete solo una piccola, stupida arrampicatrice, che si vende per gli altrui scopi. Sono certa che se mio padre non fosse il Re, non vi importerebbe nulla di lui. Siete la vergogna di questo Paese, e dovreste essere impiccata ad un albero. Le vostre manovre non hanno nulla di pulito, puzzate di fogna in tutto ciò che fate e perfino i vostri regali sono lerci del fango che trascinate con voi. Non siete nemmeno capace di muovervi per voi stessa. Aspettate sempre gli ordini ed i comandi di qualcun altro, ma i vostri giorni di gloria stanno per finire, cagna che non siete altra. Io vi giuro che non avrò pace fino a che non vedrò la vostra testa su una picca o il vostro cadavere appeso a qualche fune. Non scorderò quello che avete fatto patire a me, a mia sorella ed a mia madre, ed alla fine, mistress Bolena, vi arriverà un conto così salato che comincerete a considerare la morte come un’opzione possibile e una benedizione. Non avrò pace fino a che non vi avrò restituita alla cloaca cui appartenete, fosse anche l’ultima cosa che farò, e ringraziate Dio che sono una donna, perché altrimenti vi ucciderei qui, a mani nude.”
Senza pensarci due volte, Anna reagì colpendo Isabel. La mano aperta piombò, dalla parte del dorso, sulla bocca della ragazza, colpendola con le nocche e spaccandole di netto il labbro inferiore. Il sangue zampillò subito e colò sulla bocca e poi sul mento della giovane.
Resasi conto di quanto aveva appena fatto, Anna sgranò gli occhi e sentì un sudore freddo colarle lungo la schiena. Chiusi gli occhi, già si vide entrare alla Torre. Era stata una azione stupida ed imperdonabile, che rischiava di levarle il favore del Re e di precipitare la sua famiglia in disgrazia, senza contare che poteva significare la forca. Quando li riaprì vide lo sguardo di Isabel, sgomento e furente assieme. Era solo una ragazzina che difendeva sua madre, per quanto in modo tutt’altro che appropriato al suo rango, ma Anna ne ebbe in qualche modo paura. In quello sguardo vide una determinazione ed un’ostinazione così strani per quell’età. Stava già pentendosi di quanto aveva combinato e la sua bocca si aprì per una richiesta di scuse, che Isabel la prevenne e riportò il discorso in parità. Strinse le labbra come se volesse fischiare, e poi, abbassato il capo, sputò ai suoi piedi, in un gesto di supremo disprezzo.
Dopo di che, senza degnarla di un ulteriore occhiata, se ne andò.

Quando Isabel tornò ad Hampton Court, dopo una cavalcata di quasi sei ore, era stremata, febbricitante e, se possibile, ancora più furente. Passando da un’entrata secondaria, filò subito nei suoi appartamenti, si cambiò e, senza cenare, si chiuse in camera sua. Non voleva vedere nessuno, anche se sapeva benissimo che la madre e sua sorella, oltre sir Knivert, la dovevano aver cercata in maniera forsennata.
Seduta a terra, davanti al camino, con la sola camicia da notte e la vestaglia, la giovane Principessa cercava di non darsi della stupida per quanto aveva commesso. Tutto era avvenuto talmente in fretta che non aveva avuto modo e tempo di fermarsi. Lo stato della madre l’aveva fatta partire senza ragionare, senza scegliere bene come, cosa e quanto colpire, ed ora quel che si ritrovata era un labbro spaccato ed una pessima figura di fronte ai cortigiani di suo padre. Stringendo le ginocchia a sé, Isabel vi posò il viso, ancora gelido dopo la lunghissima cavalcata.
Il labbro, blu per il freddo preso e gonfio per il colpo subito, era ormai del tutto insensibile e sembrava quasi non ci fosse più. L’indomani, lo sapeva bene, le avrebbe fatto un male cane e sarebbe stato difficile perfino parlare, di bere e mangiare poi non se ne parlava di certo.
“Vostra Altezza, siete qui. Dio sia lodato..” Mormorò lady Thorston. Isabel nemmeno alzò il viso, così la dama sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Sì, Dio sia lodato davvero.. mia madre ora sì che sarà orgogliosa di una figlia stupida. Non bastasse quello che già sta passando..’ Pensò sconsolata. Pochi istanti dopo la porta si aprì di nuovo e qualcuno entrò in totale silenzio. Isabel sentì solo la sua veste leggera, i passi veloci nella stanza, e percepì il suo buon profumo; poi la Regina le si sedette accanto sul gigantesco tappeto di provenienza araba, la circondò con le braccia, e stringendola, se la addossò.
Granuja, mi farai venire i capelli bianchi una volta o l’altra..” La ammonì dolcemente sua madre, tenendola ancora più stretta a sé, baciandole la sommità del capo e posando una mano sul suo viso. Isabel chiuse gli occhi e le sue ciglia solleticarono la mano materna. Poco dopo Caterina sentì un liquido bollente bagnarle la mano. Fraintendendo il motivo di quelle lacrime, e pensando fossero di pentimento per la fuga, strinse ancora di più a sé sua figlia. “Va tutto bene, bambina mia. Ora calmati, Isabelita. Calmati, amore mio, su.” Le mormorò più volte, tenendola stretta e cullandola leggermente.
Quando si fu calmata, Isabel si staccò da sua madre. Caterina istintivamente le asciugò con delicatezza le lacrime con i pollici, quindi le baciò le guance. Poi la Regina alzò il viso su di lei e vide la bocca gonfia, il labbro inferiore blu e tumefatto. Spalancando gli occhi, la prese per il mento e con delicata decisione le alzò per bene il viso, in modo da vedere bene cosa le era successo.
“Come te lo sei fatto?!” Chiese inorridita, e cercando di controllare il volume ed il tono della voce. La sua mente, che pure aveva già emesso un verdetto, cercò di non saltare a conclusioni affrettate. “Isabel, avanti, rispondimi..”
“Ho fatto una cosa imperdonabile, mamà..” Rispose cauta Isabel, vedendo comparire negli occhi materni la collera. E pian piano le confessò che cosa era avvenuto: il suo desiderio di parlare al Re, raccontargli anche l’episodio del ciondolo natalizio, che aveva portato madre e figlia ad allontanarsi quasi irrimediabilmente; le spiegò che la passeggiata aveva avuto il potere di calmarla, ma che poi vederla stare male fra le braccia di lady Willoughby aveva riacceso in lei la collera; collera che era esplosa nel colloquio con Anna. Isabel non tralasciò nulla, a costo di essere sgridata severamente e castigata da sua madre. Il loro recente riavvicinamento era stato per lei importante e non voleva svilirlo, o addirittura metterlo in crisi, occultandole qualcosa.
Per tutto il racconto, Caterina guardò la figlia cercando di non far trasparire ora la collera, ora l’immenso dolore che provava, ora l’incredibile amore per quella creatura talmente coraggiosa da sembrare irresponsabile.
La Sovrana ricordò che quando le voci di Isabel ed Anna erano diventate alte, dall’interno della sala lady Willoughby si era accorta del feroce alterco e l’aveva avvisata. Ella quindi aveva immediatamente provato ad uscire dalla porta finestra della sua camera, ma non era riuscita ad aprirla. Aveva dovuto quindi fare tutto il giro, con il risultato di perdere gli ultimi istanti di discussione, il tremendo manrovescio di Anna e la risposta altrettanto cattiva di Isabel. La Regina era riuscita ad arrivare in giardino allorquando Isabel era già sparita. Anna invece, pur se quasi del tutto assente, era ancora lì, come il ‘pubblico’, che discuteva animatamente della cosa, e che, appena la vide, si zittì all’istante. Caterina era quindi corsa di nuovo a palazzo per cercar di trovare Isabel e di parlare con lei. Solo a sera, capito che la figlia non sarebbe tornata, aveva fatto un tentativo ad Hampton Court e lì era rimasta fino a quel momento.
Il risultato di tutto quanto era avvenuto era che, ancora una volta, Isabel l’aveva difesa strenuamente e con coraggio, ponendosi in una posizione a dir poco scomoda, soprattutto agli occhi di Enrico. Per quanto non approvasse il suo comportamento, Caterina non poteva negare che sapere che Isabel prendeva così le sue parti la confortava enormemente. L’affetto di sua figlia era spontaneo e tangibile, ed era una delle poche cose bellissime della sua vita. La Regina le prese il viso tra le mani e poi avvicinò il proprio viso a quello di lei, posando la fronte sulla sua. Non c’erano parole adatte per dirle quanto la amasse e quanto si sentisse fortunata ad averla accanto.
“Angelo mio..” Riuscì a dirle soltanto, prima che la voce le si spezzasse. Temendo di crollare davanti a lei, Caterina non si fidò di dire altro. Ed allora fu Isabel a ‘parlare’. In silenzio le buttò le braccia al collo, e non pensò ad altro, se non a stringersi alla madre ed a coprirle il volto di baci e di carezze.

 

“Anna ma sei impazzita!?!?” Gridò furente lord Bolena. “Abbiamo appena attraversato una crisi e tu che fai? Picchi la Principessa?!”
“Avreste dovuto…” Provò a protestare lei. Suo padre scosse energico la testa, negandole il conforto che lei chiedeva.
“No, Anna. Per mille motivi no!!!” Replicò non meno adirato. “Non ha nemmeno sedici anni, cosa vuoi che ne sappia della vita e di come va il mondo?! Non dovevi perdere il controllo a quel modo. Ora non ci resta che sperare nella benevolenza del Re.”
Già depressa di suo, a quelle parole Anna si lasciò cadere su una poltrona e sospirò. Aveva commesso un errore, lo sapeva anche lei, ma quella ragazzina impossibile l’aveva ricoperta di insulti e di improperi pensando di cavarsela a buon mercato. Non riusciva a credere che un piccolo errore potesse vanificare mesi di strategie e mosse programmate al millimetro per ottenere il favore di Enrico.
“Ora tu mi dici per filo e per segno come è andata.” Le ordinò il padre, sedendosi di fronte a lei. “E vediamo di trovare una soluzione alle tue sciocchezze..”

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Capitolo 17
*** Honor your father and your mother ***


A Queen's Daughter - Honor your father and your mother

Londra, Marzo 1530 - Honor your father and your mother

 

“Tutti si inchinino al passaggio del Re!!”
In un angolo dell’enorme anticamera che dallo studio del Re portava alla sala del Trono e a molte altre sale, Isabel osservava il passaggio di suo padre. Come tutti i cortigiani, anche lei si inchinò per salutarlo, seguita a ruota da sua madre, che stava poco dietro di lei.
Quella notte la Principessa non aveva dormito praticamente per nulla, ed a lungo aveva fatto la spola tra il letto e lo spazio accanto al camino, che si era eletto a rifugio. Sua madre, che aveva dormito con lei, dalle tre della notte si era accorta dei suoi continui andirivieni e non aveva più dormito, standole accanto e consolandola come poteva. Solo dopo più di tre ore, Isabel era crollata, sfinita e vinta dal sonno e dalla tremenda giornata, e si era stesa, col viso rivolto verso il fuoco presso il camino, tutta raggomitolata su se stessa. Quando si era risvegliata, un paio di ore dopo, si era ritrovata nel proprio letto, coperta fino allo stomaco, come era sua abitudine. Il labbro, come aveva ampiamente previsto, si era gonfiato molto, assumendo un colore indefinito tra il blu ed il rosso scuro. Isabel aveva bevuto con enorme difficoltà e in posizioni del tutto strane, ma si era curata di mascherare a sua madre quella difficoltà, almeno per come aveva potuto. Anche per mangiare non era andata meglio, ma dopo la notte insonne non s’era svegliata con un appetito da leone, nonostante il digiuno durasse ormai quasi da un giorno intero.
“Proprio te, cercavo!!” La apostrofò suo padre, passando giusto in quel momento di fronte a lei. Isabel tremò istintivamente e si curò di fare una immediata e devota riverenza. Intorno a lei si fece praticamente il vuoto ed il silenzio più totale scese nella sala. “Mia signora!!” Esclamò Enrico nel vedere la moglie. Caterina infatti, essendo dietro Isabel, era rimasta parzialmente nascosta alla vista del marito, che si era accorto della sua presenza solo quando la figlia si era chinata per la reverenza. “Scusate, non vi avevo vista..” Quasi si giustificò. Caterina lo guardò gelidamente, senza rispondere nulla. Imbarazzato e un tantino confuso, Enrico cambiò nuovamente interlocutore e posò gli occhi ancora su Isabel, ancora china. “Devo parlarti, figlia..” Disse, o piuttosto ordinò, il Sovrano. Isabel alzò appena la testa ed annuì in silenzio.
“Vostra Maestà forse preferirebbe una sala più appartata.” Suggerì Caterina, intervenendo nella discussione. Enrico la guardò appena.
“No!” La contraddisse. “Qui andrà benissimo!” La moglie lo fulminò con lo sguardo. E poi accarezzò con gli occhi la schiena di Isabel, che si era fatta dritta e rigida, pronta.
I cortigiani, comprendendo il momento davvero strano e particolare, si divisero in due gruppi: da una parte chi scelse di allontanarsi in fretta dalla sala, sia per rispetto di una questione che a corte tutti sapevano essere privata, ma anche perché non aveva in simpatia Anna Bolena e si rifiutava di vedere rimbrottata e verosimilmente castigata severamente la Principessa la cui unica colpa era di aver difeso in modo strenuo ed esemplare sua madre, ed aver rivolto alla sgualdrina parole forti, ma che non meno di tre quarti dell’Inghilterra pensava ed avrebbe voluto gridare a viva forza; dall’altra chi, avendo simpatia per la parte Bolena della storia, desiderava una punizione esemplare per una ragazzina che aveva osato rivolgere parole oltraggiose ed irriferibili ad una donna più grande di lei, che era l’amante del Re e la cui famiglia era una delle più importanti ed in vista del Paese.
La Regina chiuse gli occhi, disgustata. Non poteva credere che Enrico avrebbe svergognato e rimbrottato severamente la figlia di fronte a tutti. Era davvero troppo. Isabel non aveva agito correttamente, ma era solo una bambina; era una figlia stanca della presenza fin troppo ingombrante ed oltraggiosa dell’amante del padre, che non solo offendeva sua madre, ma che aveva fatto di tutto per ingannarla, riuscendoci. Caterina sapeva che la maggior parte del popolo era con lei, e che dovendo scegliere chi avere sul trono, tra lei ed Anna Bolena, non ci sarebbe stata storia, ed avrebbe vinto in modo più che schiacciante. Ma non era solo la questione Anna a preoccupare ed angustiare la Regina.
La notte che Isabel aveva appena trascorsa era stata allucinante. Per diverse ore, Caterina l’aveva sentita muoversi nel letto, incapace di trovare requie. Più volte la figlia si era alzata ed era andata di fronte al camino, forse a calmarsi, forse a portare la stanchezza ad un tale livello che poi avrebbe potuto riposare tranquilla. La Sovrana l’aveva inizialmente lasciata in pace, libera di sfogarsi e di trovare calma come più desiderasse, ed era riuscita anche a dormire qualche ora. Ma poi alle tre di notte si era svegliata, aveva trovato  Isabel seduta a terra, accanto al camino con le ginocchia strette a sé, e non ce l’aveva più fatta a lasciarla da sola. In silenzio si era alzata e l’aveva raggiunta. Si era seduta anche lei a terra, con dolcezza aveva sciolto la fortissima stretta delle braccia e delle mani e poi l’aveva attirata a sé, cercando di confortarla e di rasserenarla. Ci erano volute più di tre ore perché Isabel si calmasse e si addormentasse, sfinita. Caterina l’aveva trovata a terra, ancora un volta accanto al camino. Così si era chinata su sua figlia, l’aveva sollevata da terra, prendendola fra le braccia, e poi l’aveva portata a letto. Per non disturbarla, era andata a riposare un po’ in una stanza attigua e poi l’aveva ritrovata per la colazione.
“Ci dicono che siete sfacciata e maleducata, e che aggredite verbalmente e fisicamente le persone che godono del nostro favore!” Enrico non impiegò che pochissimi secondi per aggredire sua figlia. L’uso del plurale maiestatis indicava quanto quella questione fosse importante e pressante per lui. Isabel annuì leggermente con il capo, non azzardandosi nemmeno ad obiettare. “Voglio dirvi due cose, lady Isabel. Vi proibisco nella maniera più categorica di riferirvi ancora a tali, o altre, persone in questo modo irrispettoso, volgare e men che meno veritiero. Se dovesse ancora succedere, vi assicuro, sarà mia cura bandirvi dalla corte e spedirvi nuovamente in uno qualunque dei luoghi a centinaia di miglia da qui, dove verrete corretta e raddrizzata a dovere, in modo da non dar più alcuno scandalo, e non essere oggetto di estremo imbarazzo per la corona.” Sentenziò Enrico, e tutti coloro che erano attorno a loro, Caterina compresa, rimasero gelati a sentire la crudele punizione paventata dal Sovrano per la figlia ribelle. “Mi aspetto che porgiate le vostre scuse più sentite a mistress Bolena, per il vostro inqualificabile linguaggio ed il modo oltraggioso con cui l’avete approcciata.” A quelle parole, Isabel si ribellò. I suoi occhi fiammeggiarono di orgoglio e lei li puntò sul Re.
“Non le chiederò mai scusa per averle detto quello che è.. una donna senza classe né stile, che oltraggia ed offende mia madre. Preferirei essere impiccata, piuttosto che riconoscerle una moralità che di fronte alla Sovrana non ha, e non avrà mai.” Ringhiò la Principessa, fissando il padre. Enrico la guardò con occhi di fuoco e si scagliò su di lei con il braccio alzato.
“COME OSATE!?!?” Urlò come un ossesso, arrivando a pochi millimetri dal viso della figlia. Isabel non abbassò lo sguardo e questo lo incendiò ancora di più. “NON OSATE GUARDARMI!! Io sono il vostro padrone, mi dovete OBBEDIENZA!!! Provatevi a non fare come vi ho comandato ed a non obbedirmi, e vi giuro che rimpiangerete il giorno in cui siete nata, Isabel. Vi spedirò di nuovo a Newcastle e farò in modo che non ne usciate fino a che non avrete chiesto scusa e non avrete imparato le buone maniere, è chiaro?! E’ CHIARO!?!?!?!”
“Sì, Vostra Maestà..” Riuscì a dire Isabel, abbassando gli occhi. Enrico la guardò ancora una volta con occhi pieni di collera e poi, senza salutarla né congedarla, lasciò a grandi passi la sala. Tutti, Isabel inclusa, si chinarono e una volta uscito il Sovrano, la sala si vuotò quasi immediatamente.
Isabel si tirò su con estrema fatica, rimanendo immobile come una statua. Caterina in un istante le fu di fronte, subito raggiunta da Maria de Salinas.
“Isabel, vieni con me, tesoro..” Cingendole la vita con un braccio, la prese quasi di peso e, seguendo le indicazioni di lady Willoughby, la portò in una piccola sala appartata, di cui la dama si affrettò a chiudere la porta.
Dopo averla fatta sedere su una poltrona lunga, la Sovrana si sedette a sua volta accanto a lei.
“Ascoltami, figlia mia, ti assicuro che non ti succederà nulla. Nessuno ti allontanerà da Londra, e men che meno ti porterà via da me. Ci sono io accanto a te, bambina. Ci sono io..” Ripeté più volte, continuando ad accarezzarle il volto e baciandolo con tenerezza.
Gli occhi di Isabel si accesero all’improvviso e guardarono quelli solleciti e preoccupati di sua madre.
“Davvero?” Chiese a fior di labbra. 
“Sì, amore mio. Starò con te ad Hampton Court e non ci sarà giorno che non ci vedremo, nei limiti del possibile e degli impegni. Continuerai a seguire le tue lezioni, lavoreremo e studieremo spesso assieme, e sarò io a prendermi cura io di te.” Le rispose con forza. Dio solo sapeva se la figlia avesse bisogno di affetto e di quella dolce ma ferma disciplina che consente di crescere con ordine e sapendo cosa sia prioritario e cosa no.
“Devo chiederle scusa, mamà..” Mormorò Isabel, angosciata e confusa. “Non posso farlo. Né per voi, né per me.” Caterina le prese una mano con la propria e la mandibola con l’altra. Dolcemente strinse entrambe e poi la guardò ferma.
“Ascoltami bene, figlia mia. Tu lo farai. Il Re ti ha comandato di farlo, Isabel, e tu lo farai.” Le ordinò. “Io so cosa c’è nel tuo cuore; so che quelle scuse sono il gesto obbediente delle tue labbra e della tua mente, ma non del tuo cuore. Dopo che ti sarai scusata, ti confesserai e chiederai perdono a Dio per la tua menzogna, anche se a fin di bene. In questo modo non Lo offenderai, mentendo. Quanto a me, non temere di offendermi, amore mio. La tua mamma sa che sei con lei e la tua Regina sa che le sei fedele con tutto il tuo cuore.” Isabel la fissò con gli occhi lucidi ed annuì, tirando su con il naso. Caterina se la strinse al cuore e, sentendo qua e là qualche singhiozzo, le accarezzò la schiena, facendole coraggio. “Su, tesoro mio, dobbiamo stare su. Ora ci rimettiamo a posto e poi fili a lezione, intesi?” Le comandò. Sentendo Isabel annuire energicamente, si tranquillizzò.

 

 

“Come sapete, la famiglia Bolena è tornata in auge a corte e nelle grazie del Re.”
Era la prima volta che sir More organizzava una specie di ‘riunione segreta’ per discutere delle alleanze in seno al Consiglio della Corona. Non si sentiva troppo a proprio agio nelle vesti di cospiratore, ma in quel caso aveva fatto volentieri un’eccezione. La famiglia in questione era ormai diventata assai potente, i suoi membri spacconi ed insolenti, talmente sicuri di se stessi da poter prendere e rigirare il Re come volevano. Enrico era una persona intelligente e pronta di spirito, ma aveva il difetto, per un Sovrano quasi imperdonabile, di credere in chiunque lo adulasse e gli facesse credere di poter ottenere quello che voleva o gli serviva semplicemente credendo in lui e dando fiducia. Come poi essa venisse ripagata, e le promesse mantenute, quello stava alla forza ed all’astuzia del  promettente. Thomas Bolena era pronto di cervello e scaltro, con una fitta rete di conoscenze e maneggi, ma stava diventando petulante ed arrogante, ed in molti cominciavano ad averlo se non in odio aperto, certamente in minore simpatia rispetto al passato. Aveva promosso e fatto ottenere privilegi a molti, che gli dovevano certo dei favori, ma aveva la odiosa abitudine di ricordarlo perennemente, e questo alla lunga stanca. Il figlio era poco meno di un buono a nulla, spaccone e dall’intelligenza nemmeno troppo pronta, che si vantava a spese del padre e della sorella; la quale se brillava in intelligenza, certo non brillava in discrezione e modestia. Anche con lei, il primo momento della sua relazione con Enrico era stata tutta una gara ad entrare nel suo seguito; ora, invece, molti cominciavano a tenersi a distanza. L’episodio di Natale, ed il successivo scontro frontale tra Caterina ed Isabel, aveva lasciato sgomenta la corte e perplesso il resto del Paese. Era impensabile che una figlia si ribellasse a quel modo a colei che l’aveva messa al mondo, tanto più se si trattava della piccola di casa, la cui adorazione nei confronti della madre era risaputa; molti cominciavano a vedere dietro quell’episodio, se non il coinvolgimento diretto di Anna, certamente una sua spinta in tal senso. L’episodio di Lambeth aveva chiamato direttamente in causa, pur se per pochissimo tempo, George Bolena, ed ora nel riavvicinamento tra Anna ed Enrico, molti vedevano la mano sapiente e astuta di Thomas. Insomma, una famiglia con le mani in pasta che da qualche anno sembrava intenta a cucire, scucire e ricucire alleanze e fatti salienti del Paese. Per quel motivo, sir Thomas More aveva indetto una ‘riunione’ tra gli oppositori, aperti e meno aperti, dei Bolena. Era sempre più evidente la necessità di una strategia comune per arginare il loro strapotere; poi si sarebbe pensato al loro isolamento e, in caso di un reale coinvolgimento in fatti gravissimi, anche alla loro defenestrazione.
“Signori miei, è sempre più evidente l’urgenza di un piano comune per fare luce sulla reale bontà delle loro azioni. Il Sovrano può avere le amanti che vuole; questo sta alla sua coscienza. Ma è gravissimo se le sue relazioni private si trasferiscono dalla camera da letto agli affari di Stato. Sappiamo bene chi da un po’ di tempo suggerisce al nostro Sovrano certe manovre. Credo che sia nostro dovere, per il bene del Re e dell’Inghilterra, stabilire se queste persone sono degne della fiducia del Re. Se lo sono, ottimo; se non lo sono, la mala pianta va individuata, isolata, strappata e bruciata, perché non sia di scandalo e confusione..”

 
“Ho vinto di nuovo!!” Gridò garrula Anna, con un sorriso prima alle altre due giocatrici, entrambe sue amiche, e poi, beffardo, a Caterina. La Regina la fissò gelida e poi abbassò le mani perché potesse ritirare le sue carte.
Mistress Bolena, non si può dire non siate fortunata..” Le disse lady Kent con un sorriso ed una rapida occhiata alla Regina.
“Sì, lady Kent.” Rispose lei, fissando gli occhi su Caterina. “Ma non devo necessariamente scegliere in cosa esserlo, non trovate, lady Kent?” Rincarò, spostando gli occhi di nuovo sulla dama. La povera donna, vide con la coda dell’occhio la Regina contrarre la mascella e spalancare per un solo istante gli occhi, furente.
“Ehm, non saprei..” Rispose ad Anna, abbassando lo sguardo, enormemente imbarazzata da quel colloquio che minacciava di trasformarsi in un supplizio.
“Sappiamo tutti che non sceglierete di certo, mistress Bolena..” Intervenne la Regina, con voce glaciale. “Fino a che non avrete conquistato quello cui da tempo mirate non cesserete di giocare, non è forse vero?”
“Non ci sarà ostacolo che mi fermerà dal mio scopo, Maestà..” Rispose, arrogante. Le sue due dame, si lanciarono un’occhiata scandalizzata ed imbarazzata. La conversazione si stava trasformando in una questione personale, e rischiava ad ogni istante di degenerare malamente. Cercando di mantenere la calma, Caterina si inumidì le labbra. Sotto il tavolo il suo piede batteva nervosamente sul pavimento, tuttavia, come suo solito, la Sovrana non diede la soddisfazione di essere vista nervosa o infastidita, nemmeno con una frase del genere, così vagamente riferita ad Isabel.
“Nemmeno se fosse una creatura innocente, mistress Bolena?” Domandò allora Caterina, provocandola apertamente, con un sorriso di scherno.
“Dev’essere molto meno innocente di quanto Vostra Maestà crede, se è capace di mettere le mani addosso ed oltraggiare una donna più anziana di lei di diversi anni, sebbene di rango inferiore.” Rispose Anna, e la Regina a questo punto la guardò in modo molto meno divertito. In pochi secondi Caterina perse il suo sorriso e fermò il piede, guardandola con occhi di fuoco. Fraintendendo il suo silenzio Anna proseguì. “Non devono averla educata bene se la ragazzina in questione pensa di poter fare il bello ed il cattivo tempo, no? Forse un po’ più di frustate sarebbero state sufficienti ad insegnarle un minimo di educazione. Fosse stata mia figlia per esempio questo dubito che sarebbe successo..”
La Regina non le lasciò nemmeno finire la frase, che batté il palmo della mano sul tavolo, facendo cadere le piccole pile di soldi.
“Questo è troppo!!” Sibilò furente, gli occhi praticamente fuori dalle orbite e paonazza in volto. Quello che Anna aveva appena detto era dir poco scandaloso. “Cosa osate..” Il respiro della Sovrana si fece pesante e rumoroso. Le due dame erano cineree in volto e non osavano nemmeno alzare la fronte su di lei. Solo Anna continuava a sfidarla, tenendo alta la testa. “Vogliate lasciarci sole, ladies..” Chiese la Regina. Entrambe si alzarono all’istante, come soldati in riga pronti per il presentat-arm. Quella di Caterina non era una richiesta, era un ordine ben preciso. Loro dovevano solo scattare in piedi e prendere la porta nel più breve tempo possibile.
“Non ho nulla da nascondere. Le mie dame possono restare.” Obiettò, magnanima, Anna, come se spettasse a lei l’ultima parola sulla questione. A Caterina bastò solo lanciare un’occhiata alle due, perché infilassero la porta in un secondo.
La Sovrana si alzò in piedi, costringendo Anna a fare altrettanto.
“Non vi azzardate mai più a parlare di mia figlia, la Principessa del Galles, in questi termini, mi avete capito bene, puta?” Sibilò andandole di fronte. La spocchia superba di Anna calò di un po’, ma Caterina era troppo presa dalla sua lisciata per rendersene conto. “Io non so cosa abbiate detto al Re per fargli credere che voi siate l’agnello sacrificale di tutta la questione, e mia figlia l’Erinni che vi ha sbranato, però vi giuro, come è vero che sono Caterina d’Inghilterra, la figlia dei Sovrani Cattolici di Spagna, che se solo osate azzardarvi a metter ancora le mani addosso alla mia creatura, se solo pensate di respirarle accanto, se solo oserete, voi e la vostra maledetta famiglia, tentare di farle del male o di allontanarla da me, io vi giuro che non mi darò pace fino a che non sarete sterminati, bruciati, squartati o impiccati, TUTTI!! Vi assicuro, mistress Bolena, che la mia parola conta e che quando faccio una promessa io la mantengo. Azzardatevi ancora a guardare Isabel e vi giuro che vi strapperò il cuore io stessa. Ed ora sparite dalla mia vista, sgualdrina che non siete altra! ANDATE!!”

 

“Sono costernato sire, ma bisogna senz’altro riaprire le indagini su Lambeth.” Disse sir More, al termine di un colloquio privato con il Re. Enrico fece una smorfia: era evidente non si aspettasse quel colpo di scena.
“Ne siete sicuro, sir Thomas?” Chiese vagamente indispettito.
“Sì, signore. Ne sono sicurissimo.” Rispose il Cancelliere, mascherando l’offesa per quella dimostrazione di scarsa fiducia. “E’ evidente che un predicatore folle non può procurarsi ed armare dei mercenari. C’è qualcuno dietro, ed anche se Thomas Fish si è autoaccusato di tutto, qualcosa non quadra. Non poteva essere un predicatore a conoscere bene i piani della Famiglia Reale..”
“Thomas, tutti in città sapevano che quella domenica nella Chiesa di Lambeth si sarebbe fatta la carità ai poveri. Che andate dicendo?” Chiese Enrico, spazientito. Sir More lo fissò: davvero non capiva?
“Nessuno, tranne pochi membri del Consiglio, sapevano ci sarebbe stato un membro della Famiglia Reale, sire.” Lo gelò. “Nessuno, tranne Sua Maestà, il Vescovo Fisher e me, era a conoscenza del fatto che ci sarebbe andata vostra figlia, e non la Regina. E’ stato un caso del tutto miracoloso se la Principessa Isabel non è rimasta uccisa in quell’attacco, signore. Davvero un caso molto fortunato..”

 
Al termine di quell’incontro con sir Thomas, Enrico sentiva le tempie pulsare. La testa gli doleva enormemente e si sentiva stanco ed oppresso. Ciò che gli aveva appena detto il suo Cancelliere l’aveva stordito. In Francia aveva saputo dell’attacco portato alla chiesa, e ne era rimasto sgomento. Quando poi gli avevano detto che Isabel aveva rischiato la vita si era sentito perso. La terra, per la prima volta in vita sua, gli era mancata da sotto i piedi e lui aveva vacillato. Sir Thomas Bolena lo aveva sorretto prontamente e lui, nel giro di pochi istanti, si era ripreso del tutto. Ora scopriva, o meglio prendeva atto, che qualcuno all’interno dei suoi consiglieri lo aveva verosimilmente tradito e che aveva armato dei mercenari per uccidere la sua gente e sua figlia. Dopo il litigio furibondo della mattinata, non aveva più rivisto Isabel e nemmeno si era chiesto come stesse, ma ora l’idea di perderla a quel modo lo spaventava tremendamente. Non avevano mai legato moltissimo, a differenza di quanto avesse fatto con Maria, che sentiva più vicina, tuttavia quando guardava negli occhi della figlia minore vi leggeva una malinconia che letteralmente gli mozzava il fiato. Di tanto in tanto si chiedeva se gli avvenimenti di Newcastle avessero a che fare con tutto ciò, ma poi si ricordava di Giovanna, la sorella pazza di Caterina. Giovanna, che era arrivata a minacciare con le forbici un’amante di suo marito, che aveva realmente fatto fuoco e fiamme quando i genitori, soprattutto sua madre, l’avevano costretta a stare in Spagna, poco prima della morte di Isabella, in modo che in caso di necessità lei, che ne sarebbe stata erede, fosse già lì. Giovanna, che stava ore e finanche giorni, chiusa in un mutismo impenetrabile e assoluto, che le faceva dimenticare di mangiare, di andare dai figli. Giovanna era lo scandalo della corona di Spagna… che Isabel avesse ereditato qualcosa da lei?
“Che cosa vi ha detto per farvi reagire così, con il sangue del vostro sangue?!”
La voce di Caterina lo investì in modo del tutto inaspettato. Massaggiandosi la tempia destra, infilò la prima sala libera, seguito a ruota dalla moglie.
“Non vi vergognate di permettere ad una sgualdrina di fare tutto questo a voi, a noi tutti ed all’Inghilterra? Quando dovremo subire prima che la vostra coscienza si risvegli e vi liberi?” Finalmente alzò gli occhi sulla moglie. Non l’aveva mai vista così: il volto stanco, come se avesse avuto un recente scontro, gli occhi fiammeggianti recavano invece segni di profonda delusione, la bocca era piegata in una smorfia di disprezzo e di disgusto. “Anna ha picchiato Isabel. Non vi tocca tutto questo?” Gli chiese guardandolo.
Enrico la fissò, poi abbassò gli occhi e per alcuni istanti restò in silenzio, come se fosse in attesa di un segnale, una qualunque prova che il suo cuore di padre batteva anche per Isabel. Con orrore e stupore assieme, si rese conto che no, non c’era spazio, almeno in quel momento, per un sentimento del genere. Isabel lo aveva deluso profondamente e quello non era cancellabile.
“Ha mancato di rispetto a lady Bolena, Caterina. E l’ha aggredita per prima, senza motivo. Che vi devo dire?, non mi tocca.. e mi chiedo perché tocchi così voi. Non mi direte che non avete mai visto metodi correttivi peggiori, e di certo non per le strade di Grenada, Toledo o Medina.”
“Non significa che li approvi!!” Esplose Caterina. “Ho visto come è finita Giovanna, e mi fanno orrore i castighi corporali. L’idea che Isabel sia stata punita a quel modo mi fa impazzire, ma non è solo questo.. Io ti proibisco di nominare ancora Newcastle o di usarla come minaccia per spaventarla. E’ chiaro Enrico?!” La voce della moglie assunse un tono strano ed i suoi occhi per un attimo fiammeggiarono. C’era qualcosa che non andava in tutto quanto stava avvenendo. Qualcosa che lui ignorava o che gli era stato tenuto segreto.
“Perché?! Voglio sapere perché..” Impose. Caterina si chiuse in un silenzio ostinato e non rispose. “Parla, perdio!! Caterina, non costringermi a…” la minacciò, afferrandola per le spalle e stringendola con forza.
“Mastro Kent ha tentato di stuprarla!!” Sibilò lei, alla fine.
Enrico sbiancò di colpo, lasciò le spalle di Caterina e portò le mani al capo; il suo viso divenne bianco come un lenzuolo, i suoi occhi si riempirono quasi subito di lacrime ed egli dovette appoggiarsi con la parte bassa della schiena ad un tavolo, che stava poco dietro. Quel bastardo era già morto e lui non poteva nemmeno farlo più a pezzi, come avrebbe meritato. Fissò smarrito la moglie. Non riusciva ad assorbire l’idea di qualcuno che violentasse la sua creatura, e guardando negli occhi di lei vi lesse lo stesso smarrimento, il medesimo dolore, la stessa identica rabbia cieca di fronte a pensieri ed azioni di quel tipo..
“Isabel ha comunque sbagliato ed oltraggiato lady Bolena, e deve scusarsi con lei. Non ci sono deroghe a questa cosa. Se non lo farà, la bandirò da corte, dopo di che sarà rispedita fuori da Londra ed affidata a dei tutori. Non potrà tenere alcun contatto con la famiglia, di alcun tipo Caterina, se prima non si scuserà per l’oltraggio arrecato..” La voce di Enrico si indurì improvvisamente. Per un attimo i suoi occhi si erano spinti fino alla comprensione per sua figlia, il disgusto di quanto le era accaduto e un vago tentativo di perdono per le sue azioni. Poi però, nell’incapacità di gestire quella notizia così tremenda e così pesante, era tornato a gelare il proprio cuore ed a rispondere con durezza alle bravate della figlia.
“Allora ascoltatemi bene, Maestà: io vi sono sempre stata fedele, obbediente e devota. Ma non vi permetterò mai più di allontanare Isabel da me. Lei, al pari di Maria e di voi, è tutta la mia vita. Non esiste nulla per me, al di là dei miei doveri di Regina, di moglie e madre, più importante del suo benessere e della sua serenità. Mi ci sono voluti mesi interi per riconquistare la sua fiducia, e non ho alcuna intenzione di perderla. So perfettamente che cosa quella creatura ha passato nell’inferno di Newcastle, lei si è fidata e mi ha raccontato tutto; non mi sognerei di permettere a nessuno di portarmela via, di allontanarla da me, di pregiudicare la sua ripresa con una mossa tanto stupida ed egoista. Non sono mai stata determinata a fare una cosa, Maestà, come in questa occasione. Mi fa specie che, invece di cominciare a chiedervi seriamente se alcuni dei vostri cosiddetti consiglieri siano degni della fiducia che voi riponete in loro, vi accanite in maniera tanto sproporzionata verso vostra figlia. Sapete che è stata la vostra sgualdrina a dare ad Isabel il ciondolo a Natale? Sapete che quella meretrice ha tentato ripetutamente di ingraziarsela e portarla dalla sua parte e che solo l’enorme lealtà e l’altrettanto immenso rigore morale di Isabel le hanno impedito di cedere? Sapevate che il preciso intento di quella puttana era di ingannarla e creare una frattura con me? Avete idea dei discorsi che ho sentito in Francia da parte di quell’arrivista del vostro benemerito consigliere? Sapete che dietro l’episodio di Lambeth c’è George Bolena?, o che almeno lo è stato fino a che Fish non s’è autoaccusato di tutto ed è finito sulla forca; sapete che George Bolena durante una riunione di Consiglio ha osato interrompermi e gridare contro di me?” Il fuoco di fila di Caterina, portato avanti a voce sorprendentemente calma, colpì e lasciò del tutto impreparato Enrico. No, non sapeva, era evidente dall’espressione che il re aveva stampata in faccia, quasi del tutto inebetita. Il Re rimase senza parole di fronte allo sguardo indagatore e severo della moglie. Quando Caterina lo guardava così si sentiva uno sciocco e costantemente sul filo di lana; era l’unica, assieme a Thomas More e pochissimi altri, che non lo adulava e che gli sbatteva in faccia la realtà perché pensava fermamente che una realtà scomoda fosse mille volte meglio di una bugia adulatoria. Incapace di organizzare una difesa qualunque delle sue posizioni, agitò la mano davanti al proprio viso, come se il discorso della moglie non fosse nulla di importante, nulla di serio, nulla che gli suggeriva un controllo dei propri consiglieri e delle persone di cui si circondava.
“Sei avvelenata contro lady Bolena. E la tua è solamente gelosia. Gelosia pura.” Le rispose, canzonandola. “Quelli di Isabel sono fatti. Fatti gravi, per giunta. Se non emenderà il suo errore, non ci sarà spazio per lei, né qui a corte, né nel mio cuore. Dato che hai la sua fiducia e sei in grado di esercitare una certa influenza su di lei..” Minacciò, con una vaga nota di invidia nella voce. “ti consiglio di riportarle la decisione di suo padre e di dirle di scusarsi alla svelta con lady Anna. Non tollererò mai più le sue bravate. Fateglielo sapere.”
E detto questo la guardò, come per farle capire che il colloquio era finito. Caterina lo guardò sgomenta per alcuni istanti, poi fece una profonda riverenza, e tornò davanti a lui.
“Dio non voglia che la cecità di oggi, ci porti sull’orlo dell’abisso domani, Maestà. Oggi siamo ancora in tempo a vederlo, ma domani…” Disse e se ne andò.
Enrico la guardò voltarsi ed uscire dalla sala. Una sensazione di amaro gli esplose nella bocca e nello stomaco, facendolo rabbrividire. Era sempre così quando discuteva con Caterina e lei riusciva, in un modo o nell’altro, ad avere se non l’ultima parola, un modo per farlo riflettere e star male. Era così diversa da Anna. La sua giovane amante era la gioia, la spensieratezza, la passione che a più di trent’anni l’aveva letteralmente travolto, quando non pensava di potersi innamorare di nuovo. Caterina lo richiamava al dovere, al rigore, alla fermezza. Ma lui non era fatto solo per quello. Lui amava divertirsi e godere di ciò che aveva.

Era il Re, no? Avrebbe goduto fino a che avrebbe desiderato e si sarebbe saziato.

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Capitolo 18
*** Three cheers for the War ***


A Queen's Daughter - Three cheers for the war

Londra, Maggio 1530 – Three cheers for the war

 
“Sei emozionata?”
Maria alzò gli occhi sulla sorella e sorrise, arrossendo un po’.
“Sì, piccola, un po’..” Le rispose, accarezzandole il viso, come era solita fare ad entrambe Caterina.
“Sei innamorata di lui?” Chiese ancora la piccola di casa, osando approfittare di quella confidenza tra sorelle. “Scusa, non dovevo..” Si corresse subito, temendo un rimprovero. Maria, che, da quando era tornata dalla Francia, aveva deciso di sovrintendere in pratica alla preparazione di tutto quanto si sarebbe portato dietro, alzò gli occhi da una lista lunghissima e li posò sulla sorellina.
“Non lo amo.” Rispose, sincera, posando il foglio di pergamena su un tavolino e sedendosi su un divanetto. “Ma mi piace, e sono certa che imparerò ad amarlo e ad essergli fedele..”
Isabel soppesò le parole della sorella, in silenzio. L’esperienza di Maria era così diversa dalla propria.
“Sarai una Regina all’altezza, Maria..” Disse convinta Isabel. “E una moglie ed una madre meravigliose..”
Maria sorrise prendendo la mano della sorella e facendola sedere accanto a sé.
“Grazie, piccola..” Le rispose commossa. In quei mesi si erano avvicinate tanto, che ora l’idea di lasciarla, forse per sempre, la faceva stare malissimo. “Tu sei sulla buona strada.. e vedrai che sarai felice anche tu con tuo marito. Chiunque egli sia...”
Isabel non sentì l’ultima frase della sorella. Troppo assorta nei propri pensieri, non ascoltò quello che Maria le disse.
Ripensò all’ultimo mese e mezzo, alle conversazioni con sir Sten e si sentì letteralmente rabbrividire. Diversamente da lei, non conosceva il latino, non conosceva il francese, né l’inglese, e le era stato praticamente impossibile sapere qualcosa di lui o della sua vita senza la costante presenza di un interprete. Le loro conversazioni furono quindi sempre a tre; non era esattamente il massimo per poter almeno instaurare un abbozzo di conoscenza. Spessissimo tenere in piedi le conversazioni era toccato ad Isabel, che timida e silenziosa com’era, aveva trovato la cosa davvero difficile, oltre che poco carina e gentile da parte di lui, che le aveva lasciato l’incombenza e quasi l’obbligo di trovare argomenti di cui parlare.
Il risultato di tutto ciò era stato che, per le prime due o tre settimane dal suo compleanno, Isabel si era seriamente impegnata a conoscere il nobile svedese, gli aveva fatto visitare il parco dietro Hampton Court, aveva spesso cavalcato assieme a lui, avevano cercato di conversare, ma poi la povera fanciulla aveva gettato quasi del tutto la spugna. Sir Sten si era rivelato un uomo insulso e davvero vuoto, che non parlava altro che di caccia, donne, cibo e poco altro..

 
“Siete sicura che l’accordatura di quella viola sia corretta? Io la sento un po’ calante..”
Isabel aveva guardato l’autore di quella domanda quasi oltraggiosa ed aveva subito corrugato le sopracciglia. Come osava essere così scortese con lei? Dopo un’occhiata a Mastro Hilliard, che era rimasto sbigottito quanto lei, si alzò e si avvicinò al suo interlocutore.
“E voi cosa ne sapete, mio signore?” Aveva chiesto, andandogli di fronte. Non sapeva se trovava più offensiva la domanda o irriguardoso il fatto che nel farle quella domanda le avesse dato le spalle. “Non mi direte che siete un musico..” Lo aveva sfidato.
“Ebbene sì, mia signora..” Aveva risposto lui, girandosi e rivelandosi.
Isabel deglutì. Ancora lui!! Ancora il semisconosciuto
señor Fernandez. Evidentemente le era del tutto impossibile liberarsi di lui.
“Dovete essere parecchio bravo per permettervi di partecipare ad un masque in onore della figlia del Sovrano d’Inghilterra..” Lo servì lei, guardandolo dall’alto in basso. Mastro Hilliard le lanciò subito un’occhiata di muto rimprovero, che Isabel ignorò voltandosi ancora di più in direzione del musico. “O forse vi hanno preso perché serviva il cavaliere sfrontato in mezzo a tanti signori di levatura?” Continuò a colpirlo senza pietà.
“Oppure ciò che sembra, non è ciò che è, Vostra Altezza..” Rispose lui, sorridendole e inchinandosi davanti a lei. Isabel rimase profondamente turbata dalle sue parole, ma ancor di più dai suoi occhi, che non la lasciavano un istante.
“Sentiamo quello che sapete fare,
señor Fernandez..” Lo provocò, con un sorriso beffardo. Doveva averlo colpito nel segno perché lui corrugò per un istante brevissimo le sopracciglia. “Sì, conosco il vostro nome, signore. Nonostante non vi siate mai preso la briga di presentarvi.. né due settimane fa, né oggi..” Lo servì lei.
“Allora permettetemi di rimediare, Vostra Altezza..” Rispose subito lui. dato che si era seduto, si alzò subito in piedi e si avvicinò ad Isabel le prese la mano con delicatezza e se la portò alla bocca, posando appena le labbra sulle nocche di lei. La Principessa emise un leggerissimo respiro, e mentre lui alzava gli occhi su di lei, lei gli sorrise per la prima volta.
“Joàn Fernandez de Velasco, Vostra Altezza..” Si presentò, sorridendo a sua volta.

 
“Vostra Maestà, Sua Altezza la Principessa Isabel..” Annunciò lady Willoughby.
Intenta a scrivere una lettera a suo nipote Carlo, Caterina era seduta alla scrivania. Aveva cominciato a lavorare dalla mattina presto e praticamente non si era mai fermata. Dopo il pranzo l’aspettavano diversi impegni, poi avrebbe potuto dedicarsi ai preparativi del matrimonio di Maria. Di lì ad un mese circa sarebbe arrivato in Inghilterra l’ambasciatore francese che avrebbe proposto diverse date da parte dei Sovrani francesi. Caterina ed Enrico avrebbero deciso per quella a loro più conveniente e poi tutto sarebbe entrato nella fase finale, che sarebbe culminata infine con la partenza di Maria dall’Inghilterra alla volta della Francia.
La Sovrana non si aspettava la visita della figlia, e rimase colpita da questo suo gesto. Non era mai capitato che andasse a trovarla nel suo studio, tantomeno poi nel bel mezzo della giornata, quando avrebbe dovuto essere anche lei occupata con lezioni ed impegni vari.
Lo sguardo di Isabel, mentre si inchinava e le rendeva omaggio e saluto, era strano. A dire il vero, Isabel tutta era strana. A malapena aveva sorriso quando era entrata nella sala e lei aveva incrociato i suoi occhi, il suo sguardo solitamente diretto ed allegro, era sfuggente e malinconico, le mani abitualmente calme e tranquille, erano intrecciate e si torcevano l’un l’altra senza pietà. Nell’ultimo mese, la figlia aveva fatto un’inversione di 180°.
Non era mai stata una gran chiacchierona, ma nelle ultime tre settimane, non aveva mai infilato più di due parole per frase. Quando veniva coinvolta in conversazioni si limitava ad annuire silenziosa e sorrideva meccanicamente. La conversazione con sir Sten Sture languiva drammaticamente da tempo e per quanto Isabel avesse cercato di risollevarla, non ci era riuscita. Era evidente che quei due non avessero nulla da dirsi, né niente da dividere, ed era impensabile mandare Isabel fin in Scandinavia. A fare cosa poi? A star da sola fra gente che non conosceva? A consumarsi di malinconia e di tristezza? Ad occuparsi di quattro figli che non erano suoi e che non la conoscevano? Caterina sperava con tutte le sue forze in una soluzione di tipo diverso, ma Enrico, con cui più volte aveva parlato ed anche discusso della situazione, non sembrava sentire da quell’orecchio. Il risultato era lì, a cinque metri da lei. Una statua di sedici anni, talmente triste e depressa che perfino un cieco se ne sarebbe accorto.
Per non caricarla di ansia ulteriore e lasciarle il tempo di parlare, Caterina si limitò a far finta di occuparsi delle proprie cose, tenendola però costantemente d’occhio. Dopo circa cinque minuti di posa ferma di fronte a lei, Isabel si spostò alla sua sinistra, andando a guardare dall’immensa vetrata. In silenzio totale fissava la campagna e la parte del parco che si vedeva da lì, dando ogni tanto un colpo di tosse, come se volesse iniziare il discorso. Sembrava un’anima in pena e Caterina ne ebbe una compassione enorme.
“Sai, tesoro, quando eri più piccola e c’era qualcosa che non andava, o qualcosa che volevi dirmi, o di cui volevi farti perdonare, venivi da me e ti sedevi sulle mie ginocchia..” La incoraggiò Caterina con un sorriso.
“Direi che sono fin troppo cresciuta, per salirvi in grembo ogni volta che ho un problema, mamà..” Rispose Isabel girandosi per un attimo verso sua madre.
Ancora quel sorriso malinconico. Caterina dovette distogliere lo sguardo per non farsi sopraffare dalla tenerezza. Quando fu in grado di controllarsi tornò a guardare Isabel, che aveva già ripreso ad osservare il panorama fuori dalla vetrata.
“Dio sa che ti ci avrei voluto tenere infinite volte più di quante abbia potuto, tesoro mio..” Rispose Caterina, parlando per la prima volta di quanto tenesse al suo ruolo di madre, e anzi in qualche modo lamentando di non aver potuto dare a lei, ma anche a sua sorella, le attenzioni ed il tempo che esse avrebbero voluto e di cui avrebbero avuto bisogno. “Avrei davvero voluto poter essere presente ogni volta che stavi male, Isabel, o che avevi bisogno di me, ma questo è il mio ruolo, bambina mia.”
“Lo so, madre, vi giuro..” Rispose Isabel, girandosi di scatto e facendo qualche passo verso la mamma. “Non mi sogno nemmeno di rimproverarvi qualcosa. Voi siete stata, e siete, la madre migliore che una figlia possa desiderare!!”
Ferma a metà percorso, Isabel pronunciò quelle parole con una forza ed una decisione tali che Caterina non ebbe alcun dubbio sui suoi sentimenti in proposito. La fanciulla non voleva che nella mente della madre nascessero equivoci o che si sentisse addirittura messa in discussione. Incoraggiata da quelle parole, la Sovrana si lasciò andare ad un sorriso aperto ed incoraggiante, e si spostò con la sedia indietro, in un muto invito.
‘Bambina mia, ti conosco e so che c’è qualcosa che ti fa stare male e ti angustia. Parlane, dividilo con me, lascia che siano la mia saggezza ed il mio cuore di madre a guidarti.... dammi la possibilità e la gioia di essere la tua mamma, prima che la tua Regina.’ Pensò Caterina, considerando per un attimo l’idea di avvicinarsi lei per prima, invece che lasciare ad Isabel il tempo ed il modo di far da sola.
Isabel la guardò, le sorrise ancora, poi di scatto si voltò, andando per la terza volta davanti alla vetrata. A quel punto, Caterina cominciò a preoccuparsi davvero. Isabel non era mai stata così reticente e in difficoltà, nemmeno di ritorno da Newcastle. Cominciò a chiedersi allora se non ci fossero problemi seri. Il suo precettore, i suoi insegnanti e Monsignor Fisher non le avevano detto nulla, quindi non lo ritenne possibile. Una delle poche novità nella vita di sua figlia era la presenza di sir Sten. Si chiese quindi se tra loro non ci fosse ben più che le difficoltà che aveva visto nelle scorse settimane. La paura che lui, ben più grande di lei e con una diversa esperienza alle spalle, l’avesse in qualche modo infastidita, o si fosse addirittura comportato male, cominciò a girarle per tutte le camere del cervello, facendo pericolosamente innalzare il livello di irritazione verso di lui, già peraltro non del tutto assente.

 
“Vediamo cosa sapete fare señor.” Lo sfidò Isabel con un sorriso sarcastico. Il musico la guardò e le sorrise, costringendola ad abbassare lo sguardo. Poi andò alla sua custodia, ne trasse fuori un liuto a otto ordini di corde.
Isabel guardò lo strumento estasiata. Era davvero magnifico; doveva essere nuovo perché nell’aria si sentì immediatamente il profumo stupendo del legno, delle colle e delle resine usate per costruirlo.
Non sentì nemmeno quando lui cominciò a suonare, ma ad un certo punto si accorse che stava eseguendo il rondeau che avevano danzato due settimane prima. La sua bravura era evidente, al pari della sua delicatezza di tocco. Isabel chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalla musica e dai ricordi che essa suscitava.
“Questo è..” Mormorò quando egli terminò, alzando lo sguardo per vedere la reazione ed il giudizio di lei.
“Sì, Vostra Altezza.” Rispose lui, con un sorriso. “Desde dos semanas lo es en mi corazòn..” Aggiunse poi a voce più bassa, e divenendo serio.

 

Avanti… avanti, puoi farlo..’ Si disse Isabel. ‘Puoi fidarti di lei, sciocca ragazzina che non sei altra...’ Stringendo i pugni e contraendo la mascella, la Principessa si girò verso sua madre. Il volto contratto per la concentrazione, Isabel era una maschera di dura determinazione. Vedendola così, Caterina ne ebbe quasi timore e si preparò a sentire parole terribili.
“Amore, cosa c’è che ti turba a quest..” Mormorò facendo per alzarsi in piedi. Isabel alzò il braccio sinistro davanti a sé, di scatto. Caterina si rimise a sedere, lentamente, continuando a guardare preoccupata sua figlia.
A passi lenti e pesanti, Isabel arrivò ad un metro da sua madre. Ferma e ritta di fronte a lei, deglutì un paio di volte, prima di riuscire solo ad aprir bocca. Sapeva che quanto stava per dire l’avrebbe messa in guai enormi, ma non poteva fare altrimenti. Aveva bisogno di lei, della sua presenza amorevole e ferma, del suo consiglio, se necessario del suo rimprovero, per poter uscire da una situazione che ormai non la faceva più stare bene e le impediva di fare con tranquillità i suoi doveri ed i suoi compiti.
“So che merito il vostro rimprovero e la vostra riprovazione, per non parlare di quello che mi dirà mio padre, il Re, ma non ce la faccio più ad andare avanti così.. davvero, madre, non ne posso più..” Iniziò Isabel, e Caterina strinse istintivamente i braccioli della sedia, al pensiero che quell’incivile di svedese le avesse fatto del male. La figlia vide quel gesto e distolse lo sguardo, alzandolo sul suo viso, teso e in attesa del resto. “Vi giuro, madre, ho provato con tutte le mie forze ad impedirmi che accadesse, ma non ci sono riuscita. Credo di essere innamorata, madre.”
Il viso di Caterina sbiancò di colpo. Innamorata? Per certi versi questo era perfino peggio della prospettiva che sir Sten l’avesse infastidita o stancata. In questo caso infatti, il nobile svedese sarebbe stato allontanato dalla corte e dall’Inghilterra senza troppi complimenti, ed il loro fidanzamento rotto in un secondo; ma se Isabel si fosse innamorata, i problemi sarebbero stati ben maggiori e di più difficile risoluzione, e per un milione di motivi. La voce della figlia la riportò alla realtà. “.. innamorata del
señor Joàn Fernandez de Velasco, madre.”

 
“Bene, Vostra Altezza. Adesso passate quest’unguento sulla ferita.”
Isabel guardò il dottor Griffith, annuì, poi prese il vasetto e si preparò all’operazione. Prese un panno per passare l’unguento, ma poi l’istinto le disse che era meglio farlo con le mani. La ferita del paziente era però aperta e forse farlo a mani nude non era saggio. Indecisa sul da farsi, alzò il viso in cerca del suo tutore, ma non lo vide nei paraggi.
Come ogni settimana, aveva preso parte col dottor Griffith nel suo impegno in uno spedale per persone meno abbienti, dove egli curava poveri, mendicanti e persone senza fissa dimora. Caterina aveva pensato, dato il desiderio di Isabel di approfondire quello speciale lato caritatevole, di affidarla alle cure ed alla guida del medico in modo che potesse fare anche quel tipo di esperienza. Così, da metà marzo la giovane aveva aggiunto anche quell’impegno ai diversi che già aveva.
Dopo un primissimo tempo di studio e di circospetta conoscenza di luoghi e persone, Isabel si era ben inserita nell’ambiente, ed ora, pur senza essere un ‘capo’ riconosciuto, godeva della stima del dottore e di chi lavorava con lui, oltre che dei pazienti fissi. In poco più di un mese la voce della sua presenza nello spedale aveva fatto il giro di Londra e quando si era saputo che era anche gentile, competente e disponibile le persone che andavano e venivano nella struttura erano aumentate considerevolmente, costringendo spesso medico e collaboratori a trattenersi oltre l’orario solito.
“Forse è meglio che usiate le dita..” Disse una voce, mentre Isabel stava già infilando il lembo di panno nel vasetto. “Sempre che non abbiate timore di sporcarvele..”
Ma come vi permettet..” Al vedere il proprio interlocutore, Isabel sorrise e scosse la testa. “E chi poteva essere se non voi, señor Fernandez. La vostra cortesia è commovente, sapete?” Gli disse seria e abbassando il viso, senza più degnarlo di un’occhiata. Tuttavia, fece come lui le aveva detto e mise da parte il panno.
“La mia cortesia non vi tocca, Altezza, ma vedo che seguite i miei consigli..” Disse lui allegramente.
“Già, e non capisco perché, dato che mi risulta che voi siate solo un musico..” Lo servì lei, alzando di nuovo lo sguardo. La provocazione andò a segno perché i suoi occhi brillarono per un attimo di orgoglio represso. Sir Joàn si morse il labbro: sebbene fosse evidente che avrebbe voluto risponderle a tono, non lo fece. Isabel si permise un sorriso soddisfatto. Lo aveva finalmente zittito e rimesso a posto.
“Ciò che sembra, non è ciò che è, Altezza.” Ribadì lui, con un sorriso. Isabel scosse la testa e sorrise, a sua volta, poi tornò ad occuparsi della ferita di cui si stava occupando.
“Aiuto!!” Gridò improvvisamente una voce maschile. “Vi prego, aiutateci!!”

 

Sollevata dalle parole di Isabel, Caterina aprì la bocca ad un sorriso completo. La gioia che provava per la sua creatura era enorme, incredibile, ed oltretutto duplice. Mentre Isabel continuava a tenere gli occhi chiusi, troppo impaurita dalla reazione materna per riuscire a guardarla in faccia, le mani della Sovrana si allungarono, chiudendosi dolcemente intorno a quelle strette a pugno di sua figlia. Caterina si sollevò dalla sedia e tirò leggermente le braccia di Isabel, avvicinandola a sé.
“Amore mio..” Le mormorò dolcemente all’orecchio.
Con la mente ancora ai ricordi di un mese prima, Isabel si ritrovò stretta fra le braccia di sua madre. Le sue mani non facevano che accarezzarle dolcemente i capelli, la schiena, il viso. Invece che di rimproveri e divieti di fare e di rivedere, si era ritrovata sommersa di amore e di affetto.
“Ma madre..” Osò dire, confusa. “Io pensavo che la cosa non vi avrebbe fatto piacere..”
“Tesoro mio, non dico che questo faciliti le cose, ma non sono certamente adirata con te.” Le rispose Caterina, accarezzandole il lato del viso e scostando una ciocca di capelli. Isabel la guardò sempre più confusa.
“Madre stiamo parlando di sir Joàn, un uomo di cui ancora non ho so la reale professione, tantomeno la provenienza..” Obiettò scuotendo la testa.
“Amore mio, ti fidi della tua mamma?” Le chiese semplicemente Caterina. Isabel le sorrise rispondendole prontamente.
“Come di Dio, mamà..”
La Sovrana prese il viso della figlia tra le mani, le baciò la fronte e poi la strinse a sé.
“Mamà..” La chiamò Isabel. Caterina sciolse l’abbraccio e la guardò. “Io non so se sono innamorata di quest’uomo, oppure no. So che ho bisogno di voi, del vostro consiglio e della vostra guida. E’ da alcune settimane che non mi sento a mio agio con sir Sten, che non riesco a coinvolgerlo nelle chiacchierate, che sento che non abbiamo nulla in comune. Non disobbedirò al Re ed a voi, e se lo desiderate imparerò ad amarlo, cercherò con lui un terreno di contatto. Basta che voi mi insegniate a farlo. A dirla tutta, sir Sten è, un uomo di lignaggio, ma non penso riuscirà mai a farmi felice. Non parla che di donne, caccia e cibo. A volte penso che gli serva una balia per i suoi figli che una compagna di vita. Sir Joàn è invece un uomo di cui non so nulla e la cui estrazione e provenienza mi son ignote, eppure è nobile d’animo, è onesto e forte, e se fossi una donna comune l’avrei già sposato.”
Caterina guardò in silenzio sua figlia. Non era più una bambina, non era più una creatura che non sapeva ragionare, che aveva bisogno di consigli e di ammonimenti. Si stava incamminando per essere una donna forte, intelligente e pronta.
“Ditemi voi, madre, che cosa devo fare. Io non aspetto altro che i vostri consigli..” Disse ancora Isabel. Caterina la guardò con orgoglio sempre più grande. Le sorrise e le baciò le guance.
“Il mio tesoro si avvia ad essere una donna forte, intelligente e saggia..” Le disse.
A quel complimento gli occhi di Isabel brillarono e le sue guance si colorarono lievemente di rosso. Era al settimo cielo, perché proprio sua madre le aveva detto una cosa del genere. Presa da un improvviso quanto fortissimo slancio di affetto, le buttò le braccia al collo, sorprendendo la stessa Caterina. Erano anni che Isabel non le manifestava il suo affetto in un modo tanto spontaneo, come quando era piccola. La Sovrana non poté fare altro che arrendersi a quell’affetto, e stringere fra le braccia sua figlia.
“Ora, tesoro mio, voglio che mi racconti il resto.” Mormorò all’orecchio di Isabel. “Devo capire se è un uomo degno di te, amore mio, oppure no..”

 
“Aiutateci!!!”
Isabel, seguita a ruota da Joàn e da due servi si diresse verso l’uomo che aveva gridato aiuto. Tra le braccia aveva un bambino, di non più di sei, sette anni, con gli occhi chiusi ed un pallore mortale. Nella coscia destra, circa dieci centimetri sotto l’inguine, era conficcato un pezzo di ferro lungo e sottile, ed i pantaloni che aveva addosso il piccolo erano intrisi di sangue.
“Mettetelo lì, presto!!” Disse Joàn, riuscendo a stare calmo. Mentre Isabel lo guardava stupefatta, egli prese un coltello e con un taglio deciso e netto aprì la stoffa, liberando la coscia ferita. Poi mandò un servo a recuperare una buona quantità di teli puliti ed ordinò all’altro di prendere un po’ di acqua dal pentolone che era sul fuoco. Finché potevano non usavano l’acqua nemmeno per lavarsi le mani, anche se la riscaldavano, perché essa era tutt’altro che pulita, ma in questo caso dovevano fare un’eccezione.
“Altezza, pulite quella coscia con un panno e state attenta a non muovere il ferro, intesi?” Ordinò sir Fernandez.
Isabel obbedì all’istante, prese un panno pulito e fece come le era stato ordinato, riuscendo almeno a togliere il sangue non ancora rappreso. Mentre sir Joàn si puliva le mani e John rientrava nella sala con i panni puliti, Isabel preparò gli strumenti per l’estrazione e l’eventuale ricucitura della ferita.
“Come vi chiamate, signore?” Chiese Joàn, guardando il povero padre, sul punto di svenire anche lui.
“Joseph Connely, my lord.” Rispose quello in un sussurro, non riuscendo a staccare gli occhi dalla coscia del figlio.
“Volete che mi occupi di lui o che lo faccia uscire?” Chiese Isabel, a voce bassa ed in spagnolo, in modo da non turbare il povero genitore.
“No, Altezza. Voi mi servite qui..” Rispose lui, anch’egli in spagnolo. Isabel annuì e si mise dall’altra parte del tavolo, standogli di fronte.
“Al mio tre, toglierò il pezzo di ferro..” Spiegò sir Joàn, sia a Joseph che ad Isabel. “Tenete ferma la coscia del bambino e siate pronta a tamponare, chiaro?” Ordinò. Isabel lo guardò e poi, con un breve cenno del capo, annuì. “Mike, siate gentile, andate da sir Connely.. giusto in caso..” Mormorò Joàn, chiedendo ad uno dei servi di stare accanto al padre del piccolo, in caso di svenimento. “John, voi state accanto alla Principessa e passate a lei i teli ed a me gli strumenti.”
Tutti annuirono e poi l’intervento ebbe inizio. Dopo aver saggiato la tenuta del pezzo di ferro, Joàn provò ad estrarlo con un unico e veloce gesto dalla coscia del bambino. Fu così fortunato da riuscire nel suo intento. Lesta Isabel prese un telo e lo pose sul buco. La perdita di sangue fu fin da subito copiosa. Il telo si inzuppò di sangue in pochi secondi, tanto che la Principessa fu costretta ad usarne un altro. Dopo pochi istanti, stessa scena.
“Che si fa, sir Fernandez?” Chiese lei, con una nota stridula nella voce. Il cuore le pulsava, anzi no le martellava, nel petto in modo furioso. Chiuse gli occhi e deglutì, per cercare di calmarsi. Quando pensò di esservi riuscita si accorse che qualcosa di liquido le bagnava la mano. Abbassò gli occhi e vide il panno zuppo. In fretta lo cambiò, ma era chiaro che la situazione stava sfuggendo loro di mano. Il bambino era chiaramente condannato in quelle condizioni. Suo padre, pur distante si accorse di quanto stava accadendo e cominciò a piangere e gemere.
“Fallo uscire!!” Sibilò Isabel, girandosi verso Mike e invitandolo a portare fuori il povero Joseph, che sembrava sotto choc. “Si mette male.. si mette malissimo..” Mormorò al suo ‘capo’ guardandolo negli occhi. Joàn annuì, terreo in volto e poi alzò lo sguardo sul duo che si avviava verso l’uscita. Quando la porta si chiuse alle loro spalle, controllò il polso del bambino, nel collo.
“Sta morendo..” Mormorò scuotendo la testa. Isabel prese in fretta un panno nuovo, e poi controllò il polso a sua volta. Era la prima volta che le capitava con un bambino e voleva sentire il suo polso, in modo da trarne esperienza per le volte successive.
Mentre ancora teneva le dita contro il collo del piccolo, il cuore smise di battere. La cosa la colse completamente impreparata. Si sentì tremare e le lacrime le riempirono gli occhi, ma si costrinse a stringere i denti e continuare il lavoro che aveva scelto di conoscere.
“Togliete pure il panno, Altezza..” Mormorò Joàn. Isabel annuì, obbedendo. Un piccolo fiotto di sangue uscì dal buco ancora aperto e poi più nulla. “Prima di rendere il corpo al padre, è meglio pulirlo e mettergli degli abiti nuovi..” La fanciulla annuì di nuovo.
“Siete sicuro sir?” Obiettò John. “Non abbiamo scorte infinite di abiti, soprattutto infantili..”
“Avete ragione John, ma non glielo rendo in queste condizioni. Bastano una camiciola e un paio di pantaloni.” Rispose sir Fernandez. Il servo, finalmente convinto, annuì e sparì a cercare quanto serviva.
Nella sala rimasero solo Isabel e Joàn. La Principessa aveva preso ad accarezzare il volto e la fronte del piccolo, con aria compassionevole e partecipe. Joàn la guardò in un primo tempo con tenerezza, poi però interruppe quel momento.
“Vostra Altezza, dovreste uscire. Non è bene che stiate qui.” Le disse cercando di assumere il suo solito tono distaccato. Isabel alzò lo sguardo su di lui, perplessa e indispettita.
“E perché mai?” Chiese.
“Perché più avete compassione di lui, peggio sarà al momento del distacco.” Le rispose, asciutto. “E perché io devo cambiare questo bambino..”
“Non avete cuore signore..” Ribatté, disgustata, fermandosi solo alla prima frase. Lui la fissò, ferito ed offeso da quell’affermazione. Strinse le labbra fino a che non sparirono e poi le rispose, con calma.
“Ammesso e non concesso che possiate giudicarmi, signora, vi ordino lo stesso di uscire da qui..” Le ingiunse, con sguardo fermo. Era pronto alla battaglia nel caso lei non avesse obbedito, ed anche a trascinarla fuori, se necessario. In quei pochi minuti quell’ottusa ragazzina gli aveva dato più sui nervi che in tutte le precedenti occasioni messe assieme. Aveva notato che quando era convinta del suo diventava cocciuta ed arrogante, ma mentre sir Griffith tendeva a dargliele vinte, lui non si sarebbe prestato a questo giochino. 
“Avete ragione, signore.” Cambiò improvvisamente rotta Isabel. “Non avrei dovuto giudicarvi, e mi scuso sinceramente.” Quelle parole, quegli occhi dritti nei suoi e quella sincerità diretta, lo colpirono profondamente. “Ma vi chiedo lo stesso di restare qui. A meno che non vi sia di evidente impiccio, vi chiedo di permettermi di stare con voi..” Chiese. Joàn la guardò per alcuni istanti e poi annuì in silenzio.
“Sta bene. Ma un’altra iniziativa personale, e quella è la porta.” Minacciò. Isabel annuì in silenzio.
“Non accadrà mai più, signore. Avete la mia parola..” Promise lei.
“Sta bene, Altezza..” Rispose lui asciutto.
Quando terminarono di rivestire il bambino, fu la stessa Isabel ad andare a chiamare il padre, lo fece entrare nella stanza e poi, discretamente, dopo un ultimo sguardo al piccolo ormai pallido e rigido, lei uscì da lì.
Joàn la trovò in uno stanzino che usavano come ripostiglio per gli abiti e la biancheria da dare ai malati che curavano, il viso nascosto fra le mani.
“Altezza..” Mormorò, scostandole gentilmente le mani e sollevandole il viso.
“Scusate..” Sussurrò lei, asciugando gli occhi e avviandosi all’uscita.
“Credete, quel padre non dimenticherà di come vi siete presa cura di suo figlio..” La voce di Joàn era calda, rassicurante nel dolce accento spagnolo, che si poteva ben riconoscere nonostante l’inglese praticamente perfetto. Non era solo una dolce cadenza, come quella di sua madre, ma più marcato e deciso. “Oggi avete imparato una durissima lezione, Altezza. Vi assicuro che avete fatto bene a restare.”
Isabel tirò un po’ su col naso, annuendo. Joàn le andò di fronte e le sorrise, osando accarezzarle con un dito la parte bassa della guancia destra. Accorgendosi che il viso di lei era ancora umido di lacrime, dalla tasca tirò fuori un fazzoletto e glielo porse.
“Vi accompagno da vostra madre, Altezza..” Le disse, e quando lei gli rese il fazzoletto, le prese la mano e gliela baciò.

 

“Non avrei mai voluto che tu provassi una cosa del genere, tesoro mio..”
La voce bassa di Caterina ruppe un silenzio di diversi istanti. La Sovrana guardò le spalle della figlia affacciata all’enorme vetrata e provò la solita, immediata, infinita tenerezza per la sua creatura coraggiosa. Prima che Isabel si girasse, asciugò gli occhi, commossi da quel racconto straziante. Poteva non solo immaginare, ma anche ben comprendere il dolore immenso di quell’uomo. Lo aveva provato lei stessa, perdendo diversi figli e rischiando di perdere la stessa Isabel. Al solo ricordo di quella terrificante giornata si sentiva straziare l’anima.
“Io sì, mamà..” La voce squillante di Isabel interruppe i suoi pensieri ed i suoi dolorosi ricordi. Caterina aggrottò le sopracciglia e la guardò perplessa. “Non potrò mai sapere, né farmi carico delle incombenze di un Paese se non prendo coscienza di cosa c’è fuori da un palazzo reale.. la vita di una Nazione non è solo dentro il palazzo, madre.. voi lo sapete bene..”
“Deduco che proseguirai..” Il tono della Regina non era né polemico né aspro. Si limitava solo a constatare la volontà della figlia.
“Esatto, madre..” Annuì Isabel, voltandosi verso di lei e andandole di fronte. “Se scappo ora, solo per aver visto una cosa naturale in questo ed in tutti i Paesi, verrei meno alla mia promessa, e mi sentirei una codarda che ha solo giocato a fare l’adulta.” Caterina sospirò appena. Per un attimo aveva sperato che Isabel si tirasse indietro, ma poi non aveva potuto che essere d’accordo con il suo buon senso e la sua decisione. Stava davvero crescendo. La piccola di casa, a dispetto di tutto quello che le era accaduto, stava davvero maturando. “Vi deluderei, e non farei onore a voi e al vostro coraggio..” Concluse Isabel con un sorriso che andò dritto al cuore di Caterina.

 
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“Norfolk, che vi è preso?”
Thomas Bolena afferrò lo zio dei suoi figli per un braccio, scuotendolo e guardandolo con un’espressione rabbiosa che avrebbe spaventato un uomo ben più coraggioso.
“Che intendete dire, my lord?” chiese quello, con aria smarrita, come se non capisse.
“Mi prendete per scemo?” La voce di sir Thomas divenne un sibilo, una lama che fendette l’aria. “Mi avevate assicurato, e più volte, il vostro voto favorevole sulla chiusura dei venti monasteri nel Kent.. Che diavolo vi è preso?”
“Ho cambiato idea, my lord..” Rispose quello, serafico. “E’ ancora permesso, mi pare..”
Thomas lo guardò per qualche istante con occhi di fuoco, la mascella contratta, il viso pallido. Senza rispondergli, né salutarlo, se ne andò, lasciandolo in mezzo al corridoio.
Da qualche settimana la loro gang aveva cominciato ad incontrare difficoltà a far sentire la propria voce in consiglio. All’inizio erano state per lo più scaramucce, voti promessi e poi mancati ‘improvvisamente’, ma che non avevano mai fatto mancare la vittoria. Almeno fino a quel momento.
Quel giorno infatti, per un unico voto, una ‘mozione’ presentata proprio da sir Thomas sulla chiusura di venti monasteri nel Kent di cui era stata provato il comportamento non proprio onesto, non era passata. Sir Bolena era a dir poco furente, e sapere che un suo stretto collaboratore, nonché parente, aveva votato contro quella iniziativa, e quindi contro di lui, lo mandava letteralmente in bestia.

 

 
“Ti porterai anche questo?”
Isabel guardò l’abito di velluto blu e crema della sorella, con inserti di seta rosa antico sul corpetto. Era l’abito che preferiva fra i moltissimi che possedeva ed ogni volta che Maria lo indossava non poteva fare altro che ammirare la sua figura esaltata e slanciata dalla stoffa meravigliosa e dal magnifico taglio dell’abito.
“Mmm, sai che ti dico?” Obiettò Maria, guardando gli occhi sognanti di Isabel. “Lo lascio qui. In fondo ne ho tanti..”
Isabel continuò a guardare l’abito per un po’, poi alzò gli occhi sulla sorella.
“Ma scusa, chi lo indosserà se tu..” Si fermò, comprendendo il gesto della sorella. La bocca si aprì al sorriso, e si alzò andando di fronte a lei. “Ma io non lo riempirò mai bene come te..”
“Sì che lo farai, piccola..” Le rispose Maria tirandola a sé ed abbracciandola. “E se non dovessi farlo, ti lascerò per sicurezza qualcosa che ti aiuterà..” Le disse all’orecchio.
“Maria!!” Caterina, rientrata in quel momento nella stanza della figlia, aveva fatto a tempo ad udirne la frase scandalosa. Le due ragazze sciolsero il loro abbraccio e la guardarono. Isabel era arrossita visibilmente, mentre Maria sorrideva impertinente.
Mamà, non vorrete che Isabel sfiguri, no?” Osò dire, spingendosi un po’ in là. Caterina non le rispose, ma la sua espressione la diceva lunga su come la pensasse in merito.
“Tranquilla, Maria, non ti preoccupare..” Disse allegramente Isabel. “Vorrà dire che ogni sera pregherò il buon Dio di proteggere i miei cari, il mio Paese, di sconfiggere gli eretici, i nostri nemici e la merda di questo Paese, ed anche, quando ha tempo, di fare crescere un po’ il mio seno..”
“Isabel!!” Soffiò Caterina, al colmo dell’orrore. “Quelle parole…”
“Avete ragione, madre..” Constatò la principessa, mentre Maria cercava di non cadere lunga distesa per il troppo ridere. “La merda almeno è utile.. non si può certo dir lo stesso di alcune persone in questo Regno..” Ruggì a voce bassa.
Maria smise di ridere e la guardò teneramente. Per quanto fosse stata nauseata dalle scene che aveva visto tra suo padre e quella sgualdrina, andando via dall’Inghilterra, aveva, se non altro, il conforto della lontananza. Ciò che avrebbe continuato a sapere sarebbe stato doloroso, ma mai quanto viverlo e vederlo ogni giorno, o quasi. Isabel era più piccola e più fragile di lei, e le sarebbe toccato ancora per molto tempo vedere quelle sconcezze.
Immediatamente Caterina si avvicinò alla figlia, posò una mano sulla sua tempia destra e le labbra su quella sinistra. Isabel chiuse gli occhi e deglutì, tremando un poco. Perfino un cieco si sarebbe reso conto di quanto quella situazione era per lei difficile da digerire e da sopportare. Non aveva, ancora, la maturità e la calma della madre, né la scappatoia del matrimonio all’estero come la sorella. L’ilarità del momento si perse in un attimo e perfino Caterina rimpianse le battute salaci e scanzonate di poco prima. Tutto sarebbe stato meglio pur di non vedere gli occhi sofferenti di Isabel.

 
“Vostra Altezza, hanno portato questo per voi..” lady Thorston porse un biglietto ad Isabel e poi uscì. La fanciulla lo guardò, osservò il sigillo e poi sorrise.
“E allora?” Chiese Maria. “Facciamo conquiste , signorina?”
Isabel divenne tutta rossa e, nonostante morisse dalla voglia di aprire il biglietto, rimase buona buona, tentando di mostrare indifferenza.
“Dev’essere sicuramente un biglietto di sir Sten..” Disse, mostrando una sicurezza che non aveva.
“Oh, certo!” Esclamò Maria divertita. “Ed io sono la Regina di Francia..”
Isabel rise e poi Maria la lasciò aprire e leggere con calma il biglietto. La sorellina arrossì in maniera evidente, segno che non poteva davvero essere un messaggio di quello stupido baccalà che da due mesi avrebbe dovuto farsi conoscere ed amare da lei, ed invece non faceva altro che andar a caccia, mangiare smodatamente e bere fin quasi a farsi saltare gli abiti di dosso. Maria pensava che Isabel fosse sprecata per un tipo del genere, senza il minimo charme, né una conversazione decente.
Mentre ancora pensava al nobile svedese, Maria si accorse che nella lettura del biglietto sua sorella stava occupando fin troppo tempo. Andando alle spalle di lei, si accorse che il foglio di pergamena era scritto praticamente per intero, con una bella grafia chiara. Riuscì a leggere un paio di frasi sole, ma furono sufficienti per capire il tenore della missiva.
I vostri occhi sono impressi nella mia mente. Le vostre lacrime hanno commosso la mia anima. Spero di cuore che vi siate ripresa, e che presto avrò il conf..
“Maria!!” Protestò Isabel, togliendole il biglietto dagli occhi e impedendo la sua lettura.
“Ma bene, abbiamo un corteggiatore, Vostra Altezza!!” La canzonò la sorella ridendo e tornando al proprio lavoro. Isabel la raggiunse e le tappò la bocca con la mano, inorridita.
“Sei matta?! Io non ho un bel niente!!” Protestò, arrossendo di colpo e mostrando invece che la cosa la vedeva più che partecipe. “E poi, potrebbe sentirti qualcuno! Hai idea di cosa mi succederebbe se questa sciocchezza arrivasse alle orecchie che sappiamo?!”
“Piccola, hai appena detto che non hai nessun corteggiatore.. Quindi non penso proprio tu debba temere qualcosa.” Obiettò Maria. “Certo, questo a meno che..”
“A meno che cosa?” Chiese Caterina entrando nella stanza.
Isabel nascose immediatamente il biglietto e Maria la guardò con aria colpevole, sperando che riuscisse a cavarsela in quella situazione.

 
“Signori, my lords e collaboratori..” La voce del Re, solitamente tonante e forte, era ancora più gagliarda in quella giornata. I suoi occhi brillavano ed era evidente non stesse nella pelle. “Ho ricevuto notizia che due settimane fa alcune fattorie attorno a Berwick-upon-Tweed sono state assalite da un branco di scozzesi ubriachi e sudici.. Mio dovere è stato quello di chiedere a Giacomo V le formali scuse da parte sua e da parte del suo popolo, e un pronto risarcimento per le fattorie distrutte, gli animali morti e tutti i danni provocati, oltre la cattura e una punizione esemplare per i colpevoli.”
La sala ribollì di mormorii e di cenni di assenso a quelle parole.
Da diverso tempo gli scozzesi compivano delle scorribande in territorio inglese e Giacomo non era quasi mai in grado di compiere alcunché per fermarle. Perennemente in difficoltà con i nobili e  le varie casate, il povero Sovrano aveva ben poca autorità per imporsi loro.
“Il nostro ambasciatore allora, per mia volontà, ha ingiunto loro di darci un indennizzo in denaro da dare a chi ha perduto le terre, gli animali, gli edifici o tutto quanto. Ma il Re scozzese ha rifiutato anche in questo caso.. Perciò vi dico che dichiareremo guerra alla Scozia!!”
La sala esplose in grida di giubilo. Tutti si abbracciarono e si congratularono per l’eccitante novità. Da tempo l’Inghilterra non si trovava in una situazione euforica e pericolosa come quella.
In fondo alla sala sir Thomas More incontrò gli occhi di Enrico. Il suo sguardo esprimeva tutta la sua perplessità e il suo disgusto per quella mossa. L’intera vicenda era stata poco più di una scaramuccia, la colpevolezza degli stessi scozzesi non era nemmeno stata provata interamente, ed ora il Paese era realmente in guerra..
“Allora, Thomas?, che ne dite?” Chiese Enrico, con gli occhi che sprizzavano gioia da tutti i pori. Il Sovrano era raggiante, ma come spesso gli capitava, agiva prima di pensare.
“Dove prenderemo i soldi, Enrico?” Azzardò a chiedere sir More. “Il popolo è in difficoltà e ci sono ben altre questioni che preoccupano la vostra gente, Sire.”
“Dite un po’, sir Thomas..” Continuò Enrico, cambiando rapidamente espressione. “Non starete sperando che io mi rimangi la parola, o che perdiamo la guerra, solo per avere ragione..”

 
“Isabel, cos’è quello che hai in tasca?”
“Nella mia tasca, Maestà?” Chiese la Principessa cercando di mostrare un’espressione sufficientemente sorpresa. Maria fece una smorfia e si girò per sorridere tranquilla. Isabel aveva fatto un errore grossolano. Nella fretta di rispondere aveva chiamato la madre con il suo titolo, invece che in maniera informale, come faceva di solito quando era tranquilla.
“Esattamente, nella vostra tasca, Altezza..” Rispose Caterina, con uno sguardo severo, cui era difficile sottrarsi e che denunciava il fatto che avesse capito tutto. Senza contare poi che anche lei aveva chiamato la figlia con il suo titolo.
“Non so davvero di cosa stiate parlando, Maestà..” Rispose Isabel sostenendo lo sguardo della madre. Caterina spalancò gli occhi per un attimo ed aprì la bocca, pronta a servirle una lezione delle sue, quando la figlia sorrise, come giunta alla soluzione di un problema ostico e difficile. “Ah, ma voi intendete la mia tasca.. Certo, che stupida.. Ora vi faccio vedere..”
Maria si volse immediatamente, con uno sguardo esterrefatto verso Isabel, che sua madre per fortuna non vide. Sarebbe bastato a farle capire l’enorme guaio in cui si era appena cacciata la sua secondogenita.
“Sì, Isabel; e cerchiamo di non andar troppo per le lunghe, Altezza.” Puntualizzò Caterina, battendo il piede sul tappeto diverse volte, segno che ormai non soltanto era impaziente, ma anche parecchio nervosa.
“Ecco qui, Maestà..” Isabel tirò fuori dalla tasca un libriccino che porse a sua madre. “Questo è quello che avevo nella mia tasca..” Disse guardandola negli occhi.
Caterina lo prese in mano, lo guardò e lo lesse: era il regalo di sir More per il suo ultimo compleanno. Spostò il suo sguardo dal libro alla figlia. Era evidente le stesse dicendo una bugia: non aveva solo quello in tasca, ed entrando aveva visto chiaramente il movimento della mano di Isabel. Tuttavia, sorprendendo perfino se stessa, non obiettò nulla. Rese il libro ad Isabel, con un tenue sorriso, e poi le volse le spalle rimettendosi al lavoro assieme a Maria, che aveva osservato la scena in perfetto silenzio.


 

“Enrico, ma che andate dicendo?”
Nello studio privato del Re, Thomas More da qualche minuto parlamentava con lui.
“Sarei uno schifoso, un traditore della peggior specie se sperassi nella sconfitta del mio Paese solo per avere ragione.” Disse in maniera accorata. Enrico lo guardò impassibile. “Se lo credete, Maestà, mettetemi ai ceppi e rinchiudetemi alla Torre. Non vedo davvero come potrei esservi utile qui, no?”
A quelle parole Enrico sorrise.
“Thomas, vi credo.. so che non fareste mai un torto del genere all’Inghilterra, ed a me..” Sottolineò con una certa forza. “E’ solo che mi piacerebbe foste un po’ più vicino alle mie idee..”
“Ma lo sono, Maestà.” Obiettò il suo vecchio precettore. “Solo, mi chiedo chi spinga tanto per una guerra del tutto inutile, che metterebbe in difficoltà il Paese, e per cosa poi? Un equivoco ed una scaramuccia, di cui non sono nemmeno certe le responsabilità..”
Enrico lo guardò non del tutto a proprio agio. Sir Thomas aveva il potere di frenare i suoi slanci e metterlo in difficoltà. Somigliava a Caterina. A volte la loro saggezza gli faceva comodo, ma altre era solo un fastidioso ostacolo.
“Fidatevi di me, e dei miei consiglieri, sir Thomas. Questa guerra ci darà la Scozia..” Disse lui, esaltato da una vittoria che sentiva più a portata di mano di quanto non fosse.
“Fidatevi di me, vostro umile consigliere e amico, Enrico.” Obiettò gentilmente sir More. “Nessuna guerra è senza prezzo. Nessuna senza vittime. Nessuna senza feriti. Nessuna senza alleanze tradite..”

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Capitolo 19
*** War and Peace ***


A Queen's Daughter - War and Peace

Londra, Inizi dell’estate 1530 – War and Peace

 
“Allora indiciamo nuove tasse!”
Sbottò Enrico spazientito. Thomas, ma anche il duca di Norfolk lo guardarono e scossero la testa.
“Maestà, il popolo è già provato. Non sopporterebbe altre tasse, per una guerra poi..” Si azzardò a dire lo zio di Anna Bolena.
“Allora voglio che i nobili aumentino gli emolumenti dati al mio Tesoro. Le protezioni e i vantaggi che concedo avranno pure un costo.” Replicò lui.
“Enrico, i nobili danno già parecchio danaro alle casse.  Inoltre chi di loro verrà in guerra con te pagherà di tasca tutto il proprio equipaggiamento. Non è saggio chiedere loro altri soldi..” Obiettò gentilmente Thomas.
Enrico si massaggiò le tempie doloranti. Quella riunione privata durava da due ore e non aveva avuto nessun risultato se non quello di fargli venire un enorme mal di testa.
“Basta!!” Gridò alla fine. I due consiglieri si guardarono, non troppo stupiti per la solita esplosione di collera. “Fatemi andare a letto, signori. Domani ne riparleremo, va bene?!” Norfolk e More si guardarono e poi annuirono, sparendo in pochi secondi, dopo l’inchino di prammatica.

 

“Lei ti adora, piccola..” Disse Maria.
Sedute in camera di Isabel, le due principesse avevano deciso di passare la notte a finire di cucire e sistemare gagliardetti e stemmi per la guerra ormai prossima. Di lì ad un mese, inoltre, Maria sarebbe partita per la Francia, e quindi quella era una delle ultime occasioni per una chiacchierata.
Stupita da quella affermazione improvvisa, Isabel si voltò a guardare la sorella. Erano partite col parlare di Francesco e Sten, poi avevano esaminato i loro sentimenti riguardo ai rispettivi fidanzati e alle reciproche aspettative. Infine avevano continuato coll’esaminare la situazione ormai logora tra i due genitori. Ancora una volta Maria si rese conto della tangibile sofferenza della sorellina. Isabel confessò il proprio rimorso per aver gareggiato in torneo, per aver perso la calma in quel modo con la sgualdrina Bolena e per aver prima ancora accettato quel ciondolo in dono. Era certa di aver messo in profondo imbarazzo sua madre, ed anche se non lo disse in modo aperto, Maria immaginò temesse di aver perso il suo affetto e la sua stima.
“So che mi vuole bene, Maria. Lo sento e lo percepisco..” Rispose. “Ma so anche che non esiterebbe un istante a trasferire su di me un po’ del tuo buon senso e della tua maturità, se potesse farlo..” Ammise, con un sospiro e un sorriso. Non era invidiosa della sorella, ma  sapeva che se avesse avuto un po’ del suo carattere, lei e sua madre avrebbero avuto molte meno frizioni.
“Ed io invece credo che lei mi vorrebbe tanto coraggiosa e forte come te, Isabel..” Replicò Maria.
“La mia è stupidità, Maria.. non coraggio.. dimmi, chi è così cretino da sfidare il Re in un torneo? Oppure chi sarebbe sano di mente da accettare un dono dalla puttana che è andata a letto col proprio padre ed ha umiliato e calpestato la santa donna che ti ha dato la vita?” Isabel scosse la testa e sentì gli occhi pizzicare, ma ricacciò indietro tutto. “Oh, e poi c’è il mio pezzo di stupidità favorito.. dimmi, Maria, chi insulterebbe di fronte a non meno di venti persone la suddetta sgualdrina, solo perché non riesce a mantenere la calma? Dimmi, Maria, pensi davvero che nostra madre ti vorrebbe coraggiosa come me?”

 

“Che ti prende, Enrico? Non eri mai stato così..”
Anna guardò turbata il Sovrano. Lui rotolò da lei e si sdraiò sulla schiena, in silenzio. Era perplesso. Per la prima volta fare l’amore con lei non gli aveva dato la medesima gioia delle altre volte. Non sapeva se la causa fosse la recente discussione con sir Thomas ed il duca di Norfolk, o se qualcosa fra loro due si era in qualche maniera modificato, ma era così. Si girò e la guardò. Era bella, davvero. I suoi occhi neri dicevano che era ancora presa di lui. Però la fazione della sua famiglia stava perdendo punti in consiglio.
Enrico aveva praticamente fatto finta di nulla, e non aveva reagito alla cosa, ma se n’era accorto. Inoltre troppe erano le cose successe da quando i Bolena erano assurti a consiglieri ‘preferiti’, e lui cominciava a sentire il peso di quell’amicizia.
“Così come?” Le chiese, incapace di sostenere la ridda dei pensieri nella sua testa, e troppo curioso di sapere cosa pensasse lei.
“Assente..” Rispose subito Anna. “E violento.. guarda qui che mi hai fatto..” Disse un po’ irritata, mostrandogli la pelle del collo scalfito dai denti e arrossata.
“E’ la passione, amor mio..” La canzonò lui, vezzeggiandola in italiano.
“Sicuro che non ti vuoi disfare di me?” Chiese lei. Il tono sembrava quasi scherzoso. I suoi occhi invece erano serissimi.

 

“Isabel, andiamo, non starai dicendo sul serio..” Nel dire ciò Maria si rese conto che sua sorella non solo pensava quelle cose, ma ne era profondamente convinta. “Nostra madre ti adora. So che mi vuole bene e non ho motivo di dubitare di ciò, né sono invidiosa di te, ma lo vedo come ti guarda. Sei la luce dei suoi occhi, Isabel. Credo che lei si riconosca in te. E che riconosca in te sua madre.. Perché credi che abbia trasferito molta parte della sua vita ad Hampton Court?”
“Per controllare che non combini guai e che dia altro scandalo?” Chiese Isabel, ma la sua domanda aveva tutta l’aria della sentenza.
“Isabel, ora sei ingiusta..” La contraddisse Maria, con una certa decisione. “Verso nostra madre ma anche verso te stessa..”
Isabel la guardò, e sospirò. La sorella aveva ragione. Pienamente ragione, anzi. E tuttavia, incapace di trattenersi, tirò fuori ciò che da anni la angustiava.
“Lo so Maria. Ma il bene che mi vuole non ha impedito che venissi spedita a 300 miglia di distanza da qui e che tutto quanto lei mi ha detto prima di salutarci sia stato: ‘Sii forte, figlia mia..’ Dopo di che un bacio, una carezza e l’ho vista uscire prima ancora di capire se mi avesse salutato in spagnolo o in inglese. Sai quante volte l’ho vista in quattro anni? Otto volte, Maria.. ”
La sorella la guardò corrugando le sopracciglia, ma senza dirle nulla. Isabel si sentì una sciocca. Aveva fatto ancora danni. E stavolta c’era pure un nuovo testimone.
“Isabel, tu credi che la decisione di mandarti a Newcastle sia stata della mamma?” Le chiese semplicemente la sorella, togliendole dalle mani la biancheria che stava piegando. Isabel alzò le spalle e scosse la testa, come se ignorasse la risposta. “E’ stato nostro padre a scegliere quella destinazione Isabel, non mamma.”
“Te l’hanno detto loro, immagino..” Rispose sarcastica.
“No, certo che no.” Ribatté con calma Maria. “Un giorno, un paio di mesi fa ho udito, senza volere, una conversazione tra lady Willoughby e lady Salisbury. Maria de Salinas stava raccontando alla mia istitutrice quanto nostra madre fosse ancora adirata col Re per averti mandato fin laggiù. Non ne vedeva il motivo e la necessità e si rincresceva di non aver a suo tempo insistito maggiormente per farti restare se non a Londra, comunque ad una distanza più ragionevole e vicina..” Spiegò Maria. Mentre la sorella andava avanti, Isabel abbassò il capo, in silenzio. Ascoltò con attenzione estrema ogni parola di quella spiegazione. Contravvenendo a diecimila regole, si sedette a terra sul pavimento, accanto al caminetto, subito seguita da Maria, che le si sedette a fianco.
“Ciò non toglie che nel salutarmi sia stata fredda e scostante.. come se si volesse liberare di me..” Commentò, con estrema amarezza. “Non mi sono mai sentita meno amata se non in quel momento..” Maria scosse la testa e cinse le spalle della sorellina.
“Era talmente addolorata nel lasciarti che stava per piangere di fronte a te..” Le rispose dolcemente. “Siccome non voleva farti vedere la sua sofferenza, né poteva, ti ha salutata in fretta ed è scappata via. Me lo disse lei stessa, un anno e mezzo fa, dopo che litigaste e lei ti schiaffeggiò. Si sentiva in colpa per tutta quella storia ed aveva bisogno di sfogarsi. Mi disse che avrebbe voluto tenerti vicina, consolarti e consolare se stessa prima del distacco. Si aspettava che tu, così piccola, piangessi, ed invece non lo facesti. Quella reazione, oltre la propria, la turbarono e la commossero fino alle lacrime. E per questo è corsa via. Solo per questo, Isabel..”
“Ti devo chiedere scusa, Maria..” Mormorò Isabel. “Ho pensato che fossi tu la causa di quanto era avvenuto prima della mia partenza. Non ho mai pensato che lei potesse aver reagito in quel modo. Ho invidiato per tanto tempo il saluto che diede a te.. Lungo, pieno di affetto e di reciproche promesse.. E mi dispiace essermi spiegata con te solo ora..” Ammise infine. Maria la guardò, addolorata, ma in un certo senso sollevata dalla sincerità della sorella. Finalmente stavano riuscendo a mettere le carte in tavola. “Mi sentivo diversa da te.. per anni sono rimasta convinta che tu fossi la sua preferita. Vi capivate al volo, la vostra sintonia era perfetta nel riuscire a farmi sentire in colpa o responsabile nello stesso identico modo. E poi ogni volta che ti vedeva le brillavano gli occhi Maria. Non ho mai visto quello sguardo con me sai?” Mormorò Isabel, invidiando un po’ la calma e l’armonia che la madre e sua sorella avevano sempre avuto.
“Ed io invidio la tua forza. Non si supera un’esperienza come quella che tu hai vissuto a Newcastle se non si è forti e tenaci. E tu lo sei Isabel. Sei della stessa pasta della nonna spagnola, tesoro. Dovresti vedere con quali occhi nostra madre ti guarda.. Io sarò forse erede al trono, Isabel. Ma tu sarai la sua erede..”
 

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“Caterina affido a te l’Inghilterra.” Enrico prese con dolcezza per le spalle la moglie e le sorrise. Stranamente lei non ricambiò il suo sorriso. Assunse la sua solita aria concentrata e seria, ed annuì.
“Mio signore, è in mani fedeli e sicure..” Rispose lei, compunta.
Non si azzardò a definire le proprie mani buone o capaci, perché purtroppo uno sbaglio era quanto di più semplice si potesse combinare nella sua posizione, ma erano fedeli. E lui lo sapeva. “Dio vi preservi, vi faccia vincere con gli scozzesi e possiate tornare presto sano e salvo.” Augurò ancora, prendendogli entrambe le mani e baciandogliele.
A quell’augurio, Enrico tremò. Lo aveva sentito mille volte, sotto altre forme, ma in quella particolare occasione, lo emozionò enormemente. Sapeva che Caterina, come altri suoi consiglieri, non era d’accordo con quella guerra, la considerava uno spreco di forze, di vite umane, di danaro e di risorse in genere, tuttavia non si era opposta. Certo, non che potesse davvero opporsi alla sua volontà, anzi, esprimere opinioni opposte a quelle di lui in certe questioni significava tradimento, e Caterina lo sapeva molto bene.. Tuttavia, era come se quel che lui faceva non le importasse più così tanto. Come se avesse lasciato andare le cose fra loro. Per mesi lo aveva rimproverato per la sua relazione con Anna, aveva gridato e pianto, gli aveva detto in mille modi che si sentiva offesa ed umiliata. Ora, invece, il silenzio. Come avesse accettato. Di più, come se lo lasciasse fare perché a lei in fondo stava bene così e non importava. Non era più innamorata di lui, forse? Chi poteva dirlo. Perfino la più fedele delle mogli alla fine si stanca, troppo umiliata e colpita per reagire, alla fine lascia scorrere le cose come vanno, senza più preoccuparsi.
Quella possibilità gli dava fastidio, doveva ammetterlo. Era stato sempre abituato ad avere tutti intorno, ad essere servito e riverito, a sapere di piacere a tutti. Il fatto che la moglie provasse disinteresse per lui e le sue azioni lo confondeva. Ed il fatto di dover andare in guerra rendeva tutto più difficile. Come un anno prima, quando il famigerato Cavaliere del Giogo era comparso e tutta la corte aveva accostato il suo nome a quello di Caterina, Enrico sentiva che c’era qualcosa che non andava: era come se stesse perdendo il controllo della situazione. E non gli piaceva. Sorrise di nuovo alla moglie, ma lei non gli regalò che un sorriso di circostanza, abbastanza tiepido. Quel gesto lo sminuì come Re e come uomo. Tutti, e soprattutto tutte, gli sorridevano. Chi era Caterina d’Aragona per negarsi a lui? Chi era per rifiutargli ciò che gli spettava di diritto, come marito? La questione si stava trasformando in questione di principio, soprattutto perché intorno a loro c’erano, non solo le due figlie, ma anche i Consiglieri del Re, la sua Corte con i mille personaggi che le gravitavano intorno. Accettare quella freddezza significava permettere a loro di trattarlo come Caterina stava osando fare.
Con uno sguardo deciso, il Re strinse le mani intorno alle spalle della consorte e poi le sorrise.
“Mia amata Signora.” Le disse, continuando a sorridere, ed a voce sufficientemente alta perché chiunque lo udisse. Caterina lo guardò inerme, ma i suoi occhi fiammeggiarono per un attimo. Il segnale era andato a segno, pensò Enrico. Lei si irrigidì sotto le sue mani, non in modo evidente, ma lui poté sentirlo. Così diede il tocco finale.
Dapprima la baciò sulle guance, prima una e poi l’altra; a quel gesto la sala fu percorsa da un breve ma intenso mormorio. Poi Enrico la baciò con le labbra sulle labbra. Caterina non si mosse e non ricambiò. Lui la sentì rigida fra le sue braccia, troppo stupita dal suo ardire, ma non si fermò. Aprì leggermente la sua bocca ed avvolse completamente quella di lei.
A quel punto chi era lì si guardò sconcertato. Una cosa era una bacio sulle labbra: retaggio medioevale, era segno di fratellanza e saluto, e non aveva la benché minima connotazione sentimentale. Un’altra cosa era invece era un bacio di quel tipo, più intimo e per certi versi passionale.
Quando Enrico si staccò da lei, Caterina aveva le guance rosse ed un’espressione stupita, che riuscì a mascherare benissimo pochi istanti dopo. Era davvero bravissima nel non fare vedere alla Corte e a chi le stava di fronte quello che pensava e che aveva in mente. Enrico adorava questa sua qualità così regale. Lui non la possedeva affatto. E nemmeno Anna.
Mentre si voltava verso gli astanti, Enrico incrociò gli occhi della sua amante. Era furente, lo avrebbe capito anche un cieco. Il Re non si fermò troppo di fronte a lei, e nemmeno di fronte ai Bolena. Andò dritto da sir Thomas, e a voce alta gli affidò il Paese e la sua amata consorte e Regina. Il segnale era chiaro a tutta la corte, consiglieri inclusi, e le diverse facce per niente contente lo dimostravano.

 
Quella sera, a dieci ore dalla partenza di Enrico per la Scozia, congedato sir More, Caterina ripensò a quella frenetica giornata.
Da che Enrico era partito alla testa dell’esercito, lei non aveva fatto altro che discutere con sir Thomas le prime mosse come reggente. Il Paese non aveva preso affatto bene quella nuova guerra. Diversi raccolti erano andati distrutti, le casse non erano piene, e per tutta l’Inghilterra le parole e le azioni eretiche dei riformatori continuavano a circolare. Non sarebbe stato affatto facile per lei tenere bene le briglie dell’Inghilterra, ma se Dio voleva, il popolo l’amava enormemente e si sarebbe affidato a lei per certi versi più volentieri che ad Enrico. La relazione con Anna, il suo comportamento ambiguo ed ondivago, i consiglieri del tutto inappropriati di cui si circondava, stavano cominciando a stancare il popolo e i primi sentori di dissenso avevano preso a manifestarsi, in molti strati della popolazione. Caterina invece aveva il grande merito di essere sempre stata misurata e coerente nelle sue azioni, ed il popolo la sentiva davvero vicina. Pur essendo straniera, aveva imparato ad amare l’Inghilterra, e ne aveva ricevuto affetto e dedizione pressoché totali. La Regina aveva tutta l’intenzione di usare bene quei doni e di risollevare il Paese, pur non facendo mancare soldi e rifornimenti all’esercito, ed al Re.
Mentre una delle sue dame si accingeva ad accompagnarla a letto, dopo averla aiutata ad indossare la camicia da notte, lo sguardo le cadde su un piccolo vessillo triangolare, con le iniziali sua e del Re ricamate in oro. Caterina lo prese in mano e sorrise al vedere le piccole macchioline rosse che punteggiavano la stoffa bianca.

“Come ti è venuto in mente di metterti a cucire?”
“Oh Maria, senti, non è mai morto nessuno per aver tenuto un ago in ma….AHI!..”
Maria la guardò mentre si pungeva per l’ennesima volta con l’ago, e non poté fare a meno di ridere.
“Sei proprio negata.. ma si può sapere perché ti sottoponi a questo tremendo supplizio?” Le chiese accarezzandole il braccio. Da che aveva iniziato, e fin da subito era stato chiaro che non sarebbe stato facile per lei uscire indenne da quella faccenda, Maria non aveva fatto altro che chiederle il motivo di quel gesto e  spingerla con dolcezza ad abbandonare. Isabel si era sempre rifiutata sia di fornire spiegazioni, ed anche di mollare.
“Vincerò io!” Continuava a ripetere. Ma dopo più di venti giorni di dita massacrate da punture continue, e gagliardetti e stemmi sporchi di sangue era ormai evidente che non avrebbe vinto nulla. Di più, sia le damigelle che Caterina si erano ormai accorte dei lavori sporchi, e sebbene nessuna dama osasse fare il nome di Isabel in presenza della Regina, era ovvio che tutte si chiedevano perché non smettesse.
Isabel diede un’occhiata intorno a loro due, alle diverse damigelle che Caterina aveva messo a cucire, e poi si sporse verso la sorella con aria cospiratrice.
“Sono fatti miei, il perché..” Rispose, seria. Maria la guardò mentre con un pezzo sottile di lino si puliva e poi fasciava il dito, e scosse la testa, aggrottando un poco le sopracciglia.
“Ti metterai nei guai, Isabel..” Le disse, assumendo il suo ‘tono da consiglio’, come lo chiamava Isabel.
“Uh, capirai che novità..” Ribatté la sorellina. “Sono sempre io la combina guai della corte no? Uno in più, dopo mesi e mesi di onorata carriera, cosa vuoi che sia?”
A quelle parole Maria cambiò espressione.
“Isabel, non voglio sentirti dire queste cose. Tu non sei una combina guai, e te l’ho già detto..” Mormorò Maria, decisa. Poi, per risollevare il tono della conversazione, guardò il ‘capolavoro’ di Isabel. “Non si può dire che non sia un’artista anche nel cucito, oltre che in musica.. I nostri soldati avranno i gagliardetti più strani d’Europa.. a pois!!”
“Potrebbe essere una moda fra qualche anno, che ne sai?” Ribatté Isabel, riuscendo finalmente a sorridere, prima di gemere dopo un’ulteriore puntura, stavolta più a fondo delle altre. La fortuna non fu dalla sua parte perché proprio mentre succhiava il dito e lo inumidiva con la saliva, entrò Caterina.
Immediatamente le dame si alzarono in piedi e la salutarono con una profonda riverenza, saluto cui si unirono all’istante anche Maria ed Isabel. La Sovrana vide subito la faccia sofferente della figlia minore e si avvicinò.
“Cosa c’è che non va?” Chiese. Isabel la guardò e poi sorrise, o almeno tentò.
“Niente, Maestà, niente.” Rispose la fanciulla. “Pensavo con la massima attenzione al lavoro che stavo facendo, per questo avevo gli occhi chiusi..” Aggiunse prevenendo la domanda della madre che la fissava con sguardo inquirente.
“Con la massima attenzione eh?” Obiettò Caterina socchiudendo gli occhi.
“Sì, Maestà..” Rispose la fanciulla a voce bassa e continuando a sorridere, sperando che la madre le sorridesse a sua volta. La Regina invece buttò l’occhio al lavoro che Isabel teneva tra le mani. Non che non sapesse a chi appartenevano i gagliardetti macchiati di sangue, ma in quel momento ne ebbe la conferma.
“A occhio dire che dovete fare ancor più attenzione, Altezza.” Le rispose, usando il suo titolo. Isabel abbassò il capo e capì al volo la situazione: sua madre non trovava affatto divertente il suo tentativo, e le stava dicendo, nemmeno troppo velatamente, di piantarla alla svelta. “Quando avrete finito, voglio vedervi. Ci siamo capite?” Le disse a voce bassa e con tono perentorio. La giovane principessa annuì in silenzio e si inchinò alla Regina che, dopo pochi istanti uscì.
“Spero vi siate divertita a sufficienza, Altezza..” Disse Caterina quando, dopo qualche ora, Isabel la raggiunse nel suo studio. Su un tavolo, impilati, c’erano i gagliardetti che lei aveva cucito. Erano tutti macchiati, alcuni in maniera tanto visibile da essere inutilizzabili, oltre che ridicoli.
Lady Thorston, che l’aveva accompagnata, le suggerì uno sguardo pentito e delle frasi di scuse adatte alla situazione.
“Spero almeno di essere migliorata, e che non siano tutti da buttar via..” Rise Isabel al vedere i suoi capolavori. La buttò a ridere sperando che la madre non se la prendesse.
“Potete andare, lady Thorston.. Grazie..” Sibilò Caterina, e Isabel chiuse gli occhi. No, decisamente la Regina non aveva preso bene la sua battuta. Prima ancora di potersi dare della stupida e di chiedere scusa, le parole di sua madre la investirono. “Ti diverti tanto? Pensi che sia un gioco? Siamo in guerra Isabel. Lo capisci cosa vuol dire? Fammi un cenno se lo capisci, figlia mia..” E lei annuì in silenzio. “Allora vorrei capire cosa ti diverte tanto di tutta questa storia. La tua incapacità a cucire? Dimmi, ti fa ridere questo? Non capisco nemmeno perché ti sei unita a noi. Non sai tenere un ago in mano, eppure da venti giorni non fai altro che perdere tempo a cucire. Invece di studiare e fare ciò che devi..” La rimbrottò aspramente Caterina. Isabel la ascoltò, a capo chino e senza fiatare.
“Avete ragione, mia Regina..” Mormorò.
“Ora voglio sapere il motivo per cui ti sei unita a noi, Isabel.” Le ingiunse. Alla giovane bastò alzar appena gli occhi per capire che sua madre non stava scherzando e che aveva preso quel suo gioco come una mancanza di rispetto.
“Siete voi il motivo, Maestà..” Rispose, guardandola dolcemente. La Sovrana piegò da un lato il viso, come se non potesse credere a quella motivazione.
“Io? Vuoi metterti in luce ai miei occhi, Isabel? Stai cercando di fare colpo, o cosa? Guarda, non c’è proprio bisogno, perché..”
“No, non è questo..” La interruppe la fanciulla. Caterina sospirò e chiuse gli occhi lentamente, per poi riaprirli dopo una decina di secondi. Era stanca, davvero stanchissima. Isabel poteva vederlo sul suo viso. Prima che sua madre riaprisse gli occhi, le accarezzò una guancia e la fissò con tenerezza. “Non dico vogliate una figlia diversa, ma posso capirvi se avete sperato e desiderato che un bel po’ del buon senso e della maturità di Maria passassero a me.” Disse d’un fiato. Caterina aggrottò le sopracciglia, senza capire. Aprì la bocca per bloccare quelle sciocchezze, ma ancora una volta Isabel la prevenne. “Da che sono tornata a Londra, non ho fatto altro che cacciarmi in un guaio dietro l’altro. Sono abbastanza certa di avervi delusa, mortificata ed umiliata. Eppure mi siete stata vicina, avete continuato a fare tanto per me. Questa guerra mi ha dato modo di ricambiare. Ho pensato che, per quanto il mio contributo non potesse essere memorabile, potessi comunque rendermi utile. So di non saper cucire e so che i gagliardetti cui ho messo mano fanno scompisciare dalle risate, ma volevo mettermi al vostro servizio, al pari di una vostra dama. Volevo mostrarvi che vi ho a cuore, mamà. Era un modo un po’ sciocco per dirvi quanto io vi rispetti e vi stimi come Regina.” Disse Isabel decisa. Caterina la guardò, con un mezzo sorriso ed il volto più disteso. “Oltre tutto questo, che è in ogni caso importante, devo aggiungere una cosa. Voi siete anche mia madre, ed io vi amo e vi voglio tanto bene.. Davvero tanto, mamà..”
Caterina non ricordava nemmeno più l’ultima volta che quelle tre parole erano uscite dalla bocca di Isabel. Tutto il suo discorso l’aveva emozionata, e tanto, ma le ultime parole l’avevano commossa, letteralmente. In silenzio prese le mani della figlia e guardò le dita. I piccoli pezzi di lino che Isabel vi aveva sistemato sopra, a mo’ di copricapo, le strapparono un sorriso. Non c’era dito che non si fosse punta, ed alcuni erano letteralmente martoriati. Sapere la motivazione di quel gesto, che prima sembrava una presa in giro e uno scherzo infantile, le fece sentire ancora più vicina la sua creatura. In silenzio l’abbracciò forte, accarezzandole i capelli.
“Anche la tua mamma ti ama e ti vuole bene, amore.” Le disse all’orecchio, stringendola ancora di più. “Non immagini nemmeno quanto, amore mio..”

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Capitolo 20
*** A plague of both your Houses ***


A Queen's Daughter - A plague of both your Houses

Londra/(Castleton, Hawick, Peebles, Edinburgh) Scozia/ Windsor, Estate 1530 – A plague of both your Houses

 
“Io sono amata dal Sovrano. E trovo indegno non essere stata invitata a questo pranzo!!” Gridò Anna. Caterina la guardò con aria di regale sufficienza. Seduta sul proprio scranno, aveva alla sua sinistra Maria ed Isabel, e alla sua destra sir Thomas More ed i duchi di Norfolk e Willoughby. Non scattò in piedi, non gridò, né sollevò la voce, non la rimbrottò aspramente; non scese insomma al suo livello. Con olimpica calma si alzò in piedi e la fissò, scandendo.
“Io sono la legittima consorte del Sovrano, e la Regina di questo Paese. Anche la vostra, lady Anna.” Era astuto il suo modo di trasmettere ai commensali presenti l’idea che la pazza isterica fosse Anna, e lei invece la serena, regale Sovrana che non si lasciava tangere minimamente da una donna di così bassa levatura. “Al contrario, noi troviamo indegno che voi osiate presentarvi qui, al nostro cospetto, vantando titoli che farebbero arrossire di vergogna qualsiasi donna ben nata.” La servì, passando al plurale maiestatis. Per Anna la situazione stava diventando ancora più delicata, e lo schiaffone non avrebbe potuto essere più sonoro ed evidente a tutti. La Regina le aveva appena dato della puttana, e senza aver usato un solo aggettivo offensivo.
A quel punto molti parvero attendere che le guardie si avvicinassero per portarla via, ma nessuno si mosse. Caterina rimase in piedi a fissare la rivale, quasi sapesse già in partenza la sua mossa successiva. Anna contrasse la mascella e strinse i denti, poi fissò ad uno ad uno i commensali, come ad imprimersi bene in mente le loro facce, quindi, senza salutare nessuno, Sovrana inclusa, lasciò la sala con la coda tra le gambe. Per due secondi nessuno fece un fiato, poi risuonò tra le volte ed i muri un generale sospiro di sollievo per la fine di quell’incontro. E mentre i presenti pensavano, ancora una volta, che Caterina avesse una regalità ed una classe impagabile, Maria le accarezzò il polso discretamente e senza farsi accorgere, ed Isabel la guardò negli occhi e le sorrise immensamente orgogliosa di lei. La Sovrana con estrema fatica riuscì a dominarsi ed a non prendere le sue creature e mollare tutti al loro maledetto banchetto. Ad un suo cenno, i servitori ed i valletti cominciarono a servire le portate ed il pranzo cominciò davvero senza ulteriori interruzioni.
 

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“Maestà siamo a dieci miglia dalla prima cittadina, Castleton..” Annunciò lord Brandon, di ritorno dalla sua ricognizione. “Quei cani sono accampati attorno a Hawick, a venticinque miglia da qui..” Enrico annuì, poi si volse indietro a guardare il suo enorme esercito.
Quel giorno avevano marciato per quasi l’intera giornata, macinando decine di miglia sotto il sole, e gli uomini erano stanchi e nervosi. Meglio accamparsi lì e passare la notte senza scontri con gli scozzesi. Il rancio ed il giusto riposo avrebbero confortato gli animi e i cuori dei suoi guerrieri. Ed il giorno dopo, all’alba avrebbero annullato la distanza con il nemico e l’avrebbero sorpreso, battendolo.
“Lord Brandon, dite ai miei lords che ci accampiamo qui per la notte. Voglio vederli fra due ore nella mia tenda, intesi?” Ordinò. Il Duca di Suffolk annuì e, fatto un inchino, risalì a cavallo e corse ad eseguire l’ordine appena ricevuto.

“Ma non ti sei stufata di ricamare monogrammi e monogrammi con la sua iniziale?”
Maria alzò gli occhi dal suo lavoro, posandoli su Isabel che, viola fra le gambe, terminava i suoi esercizi come ogni sera. Da quando Enrico era partito per la Scozia, Caterina si era trasferita a Greenwich, mentre Maria aveva preso a stare ad Hampton Court con la sorella.
“E tu non hai finito di usare le tue lezioni per evitare di chiacchierare e di conoscere lord Sten?” La prese in giro a sua volta.
“I tuoi informatori non valgono nulla, sorella..” Ribatté fintamente offesa Isabel. “E’ da due giorni che è tornato in Svezia..” Spiegò, riprendendo a suonare.
“E come è che non sei triste?” Rise Maria. Isabel la guardò appena e le fece una smorfia.
“Oh, Maria, sei qui..” Disse Caterina, entrando nella stanza. Immediatamente entrambe le ragazze si alzarono e si inchinarono alla Sovrana, seguite dalle due damigelle presenti. Era da quattro giorni che non la vedevano, dal pranzo in cui lei aveva sbugiardato ed umiliato Anna Bolena. Le sue giornate erano pienissime di impegni e di incombenze, più di quanto già non fossero e ovviamente vedere le due principesse era finito, suo malgrado, all’ultimo posto nella lista delle cose che riusciva a fare quotidianamente.
“Dite, madre..” Rispose pronta Maria, come se non si fosse accorta che Caterina non le aveva nemmeno salutate.
“Dobbiamo parlare, tesoro. Oggi, finalmente e per puro miracolo, sono riuscita a vedere l’ambasciatore francese..” Le annunciò Caterina. Maria annuì e subito fece strada alla madre, perché si sedesse su una delle poltrone.
“Vi lascio sole..” Mormorò Isabel con un sorriso, avviandosi alla porta. Caterina, che stava per sedersi, si tirò su e si voltò verso di lei.
“No, bambina, resta..” Le disse dolcemente. “E continua ad esercitarti..” La incoraggiò. La fanciulla guardò la sorella, per cercar di capire se quella soluzione andasse bene anche a lei. Non appena Maria le sorrise annuendo, si accomodò sulla sedia e riprese ad esercitarsi. Mentre sua madre spiegava alla sorella che la sua partenza sarebbe stata rimandata a dopo la guerra e che il Re di Francia avrebbe partecipato ad essa, rinnegando l’antica alleanza con gli scozzesi, Isabel riprese a suonare.
Per non disturbarle suonò a volume basso, cosa che con la viola era per fortuna possibile, e provò ad inventare una melodia sopra degli accordi di basso che mastro Hilliard le aveva dato proprio quella mattina. Dopo alcuni tentativi un po’ maldestri, all’improvviso ebbe una sorta di ispirazione e cominciò a suonare liberamente. Dapprima sfruttò le corde dello strumento pizzicandole con le dita, e quando il giro armonico terminò il proprio cammino, tornando al punto di partenza, prese in mano l’archetto e ripeté quanto aveva suonato con le dita.
“Dovete andare, vero, mamà?” Chiese Maria, con una nota triste nella voce, mentre Isabel alzava gli occhi su di loro, dopo aver riposto il suo strumento. Caterina scosse la testa e le disse che avrebbe passato con loro una parte della serata. Pochi istanti dopo, due valletti posarono sul tavolo due vassoi. In uno erano posati una caraffa di idromele e tre calici e nell’altro dei pezzetti di torrone, dolce che Maria non aveva mai assaggiato.
“E questo?!” Chiese quasi strabuzzando gli occhi alla vista di quel dolce tanto strano. Sua madre invece sorrise e guardò con tenerezza Isabel che aiutava a preparare il tavolo, pur non essendo quello un suo compito specifico.
“E’ torrone, Maria..” Spiegò Isabel. Dopo aver congedato i valletti, e fatto in modo che restassero da sole nella sala, versò lei stessa l’idromele nei calici.
“Mai sentito nominare..” Scosse la testa Maria, alzando le spalle. Guardò con diffidenza il nuovo dolce, poi, al vedere lo sguardo incoraggiante della madre, si fidò e lo assaggiò.
“Certo che il soggiorno in Italia non t’è proprio servito a nulla, Maria!” Esclamò Isabel con finto orrore, provocandola.
Caterina le guardò battibeccare in quel modo e sorrise: erano davvero meravigliose nel loro prendersi in giro. Le spiaceva che avessero raggiunto quella vicinanza da poco tempo, ma pensò anche che era una comunione più matura e davvero scelta, qualcosa che non avrebbero mai perso proprio perché raggiunta con molta fatica. Fu anche per quel motivo che la Sovrana decise di concedersi un paio d’ore in loro compagnia. La giornata era stata davvero piena, e l’attendevano ancora diverse ore di lavoro, pur se nel suo studio privato. Mentre Maria era ancora in silenzio dopo la battuta feroce della sorella, Caterina avvicinò la propria sedia a quella della primogenita, così da averla a portata di carezza, poi si prese in grembo Isabel, che ancora rideva divertita in attesa che Maria trovasse il modo di risponderle, quindi si accinse ad ascoltare il seguito.
“Mi sono soffermata a guardare le cose più interessanti..” Ribatté stizzita la futura sposa del delfino.
“Caspita! E hai impiegato venti minuti per rispondermi a questo modo..” La prese in giro la sorella. Maria fece una smorfia e non le rispose. Nemmeno si accorse che la sua risposta aveva attirato la curiosità materna.
“Maria, cielo, quali sarebbero le cose interessanti sulle quali ti sei soffermata durante il tuo soggiorno?” Le chiese.
“Madre, scherzavo..” Rispose la povera principessa, sbiancando in volto. A dispetto del tono innocuo della Sovrana, la sua domanda esigeva una risposta. Isabel le porse subito il vassoio con il torrone e poi corse in suo aiuto.
Mamà, conoscete la modestia di Maria. Non voleva vantarsi…” Attaccò, e la sorella quasi svenne in attesa che finisse la frase. “..di tutte le ore passate in preghiera ed a studiare..”
“Ah certo.” Rispose Caterina, lasciandosi andare un pochino e sorridendo. “Sono certa che Maria ha fatto fino in fondo il proprio dovere..”
A quelle parole, Isabel si coprì la bocca, reprimendo una risatina.
“E tu, signorina?” Chiese allora la Sovrana alla sua secondogenita. “Non hai proprio nulla da dirmi sul tuo soggiorno italo-francese?”
A quella domanda toccò a Maria sorridere. Lei ed Isabel si erano ignorate quasi del tutto, ma aveva saputo quello come la sorella si era comportata, le amicizie che aveva stretto e come si era fatta onore, facendo in modo che il nome dei due Sovrani inglesi fosse rispettato ed onorato.
“E’ stata bravissima, mamà..” Disse ‘soccorrendo’ la sorella ed evitando che fosse proprio lei a raccontare anche delle sole amicizie galanti che aveva intrecciato. Pian piano Maria raccontò a sua madre come Isabel aveva agito, interrotta di tanto in tanto dalla sorella, che narrava a sua volta le sole cose positive della primogenita.
Caterina, ovviamente, sapeva già tutto quanto le figlie avevano combinato, sia in positivo che in negativo, ma apprezzò enormemente sia la loro solidarietà reciproca, che anche quel loro tentativo di farle passare una serata tranquilla dopo giorni di lavoro intenso e grave.

 
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“Dottor Griffith..”
Caterina salutò il medico con un sorriso, ma non riuscì a nascondere la sua sorpresa nel vederlo. La sua era stata una visita del tutto improvvisa e l’espressione di lui era tutt’altro che serena.
“Maestà..Vostra Altezza..” La salutò lui con un inchino rispettoso e salutando anche Isabel che era accanto a Caterina. “Mi scuso per la mia improvvisata mia signora, ma devo darvi una notizia poco piacevole..”
Di solito non era mai così cauto e la cosa non le piacque per niente.
“Signora i casi di sudor in città sono decisamente aumentati. Uno dei miei mi ha avvisato che anche nel mio spedale oggi due dei miei pazienti hanno cominciato a mostrare sintomi del sudor.”
Caterina rabbrividì istintivamente e lanciò fugace occhiata ad Isabel che in silenzio aveva seguito quella svolta nefasta con estrema attenzione. La Sovrana annuì immediatamente. Non aveva bisogno di altre informazioni, né c’era certo bisogno di ulteriori suggerimenti. La corte si sarebbe trasferita quel giorno stesso, per evitare il contagio.
“Tenetemi informata, dottor Griffith..” Disse soltanto. “Ve ne prego..”
“Certo, signora.. mi metterò immediatamente in contatto col dottor Vittoria, vostro medico personale, e cercherò di sentire anche altri colleghi in modo da scambiarci informazioni..”
“Dottor Griffith, aspettatemi..” Intervenne Isabel, mentre Caterina annuiva alla proposta del medico. “Vi prego, datemi il tempo di cambiarmi, e poi verrò con voi allo spedale..”
A quelle parole, Caterina ebbe quasi un mancamento, e si voltò verso la figlia. Il medico, vedendo il suo repentino cambiamento di umore non disse nulla e si affrettò a congedarsi, lasciando a madre e figlia il tempo di discutere e risolvere la cosa. L’ultima cosa che voleva era esser risucchiato in una disputa familiare, tanto più in quella situazione e con quelle contendenti.
Caterina seguì con lo sguardo il medico, e poi si girò furente verso la figlia.
“Non credo di aver capito bene sai?, dove credi di andare tu?! Non azzardarti nemmeno a ripetere quanto hai appena detto, Isabel!!” Sibilò, guardando la figlia e trapassandola con i suoi occhi chiari. Dato che Isabel stava anche per risponderle, alzò immediatamente una mano per farla tacere. “In giro per Londra e per l’Inghilterra ci sono persone gravemente malate, che possono contagiare chiunque. La situazione è seria ed i medici del Paese sono già estremamente impegnati a tenere la situazione il più possibile sotto controllo. Devono fare di tutto perché il contagio fra le persone sia al minimo, e devono inoltre sperare di non morire essi stessi. Non hanno bisogno che mocciosi imprudenti e sciocchi intralcino il loro lavoro mettendosi in mezzo. Non sei di aiuto alcuno là, per cui te ne resti buona qui. Anzi, no, ti ordino di impacchettare alla svelta le tue cose, dando una mano alle tue dame, dopo di che mi seguirai a Windsor.” Ordinò con una brutalità che Isabel le aveva sentito pochissime volte. La principessa non riuscì a pensare che il tono della madre era dettato unicamente dalla preoccupazione, meglio dal terrore, che anche lei cadesse ammalata. Per il sudor purtroppo non c’era una vera e propria cura, anzi ce n’erano diverse e tutte per lo più empiriche e di ben poca efficacia, e spesso anche lo spostarsi da un luogo all’altro, alla ricerca di un posto sicuro dove stare, non sortiva alcun effetto e si cadeva ugualmente ammalati. L’idea che le figlie potessero contrarre il terribile morbo faceva letteralmente rabbrividire la Sovrana, che non pensò minimamente all’orgoglio di Isabel, né ad usare un tono almeno civile nel rivolgersi a lei, se questo voleva dirle fare in modo che le obbedisse e avesse salva la vita.
“Ma madre..” Osò protestare la fanciulla.
“Non fiatare nemmeno!! Farete bene ad obbedire, Vostra Altezza, o sarete in un mare di guai, ve lo assicuro!!” Replicò controllando a stento la collera per quell’impudenza. Isabel la guardò ed abbassò subito lo sguardo.
“Perdonatemi, non volevo farvi adirare..” Mormorò, in un sussurro. Non c’era niente che la spaventasse e le facesse immediatamente abbassare la voce come i rimproveri e le minacce di sua madre. Alzò gli occhi su di lei e ripeté quanto aveva detto poco prima, sperando che le credesse. “Volevo rendermi utile, madre, solo questo..”
Caterina la guardò in silenzio per alcuni istanti e poi le disse, dura.
“Non sei di alcuna utilità lì. Ora obbedisci e fila in camera tua..” Isabel annuì in silenzio e dopo averla riverita, si voltò e fece per uscire.
“Vostra Altezza.” La richiamò sua madre. Isabel si girò ed attese in silenzio. “Osate ancora contraddirmi, e vi assicuro che non la passerete liscia. Andate.”

 

“Maestà, ecco il conestabile di Hawick, sir Edmund Jeoffrey..” Annunciò il duca di Suffolk mentre l’anziano ‘sindaco’ andava incontro al Re d’Inghilterra per porgergli le chiavi della città.
Enrico annuì, poi smontò da cavallo e cavallerescamente andò a sua volta incontro al conestabile. Questi si inchinò prontamente poi alzò le braccia all’altezza della testa, porgendo le chiavi al Sovrano.
“Grazie sir Jeoffrey. L’Inghilterra è grata a voi ed alla cittadina di Hawick, ed anche io..” Gli disse, sorridendo e rialzandolo. Una frase come quella non era certo di poco conto. L’ira o la gratitudine di un sovrano, per di più di uno come Enrico, potevano essere spesso decisive, in un senso o nell’altro.
“Maestà, Hawick è una cittadina assai piccola, ma la nostra lealtà è grande ed una volta data vale per sempre.” Rispose quegli, infervorato dalle parole di Enrico. “I vostri amici saranno nostri amici. Analogamente chi si metterà sulla vostra strada, sarà di traverso anche nella nostra..” Aggiunse, completando il reciproco impegno alla lealtà. “Vogliate ora, Maestà, essere miei ospiti. Io e la mia famiglia desidereremmo offrirvi ristoro e riposo dopo la lunga battaglia..”

 
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Can you feel that? Ah, shit. Drowning deep in my sea of loathing, broken your servant, I kneel (will you give in to me?). It seems what's left of my human side is slowly changing in me (will you give in to me?). Looking at my own reflection when suddenly it changes, violently it changes (oh no). There is no turning back now, you've woken up the demon in me.
“Padre, Sua Maestà è partito da un mese, e noi ancora siamo isolati..” Si lamentò George Bolena. Suo padre, che stava compilando tutta una serie di documenti, non lo degnò di attenzione e quegli riprese a lamentarsi più petulante e noioso di prima.
“Sentimi bene, per queste cose ci vuole calma, pazienza e prudenza.” Sibilò, afferrandolo per le braccia e scuotendolo con una certa energia. Essendo tutti e due in un corridoio, sir Bolena si spostò in modo che la ‘conversazione’ potesse procedere in modo più discreto. “Per quanto non sia nelle mie grazie, la Regina è chiaramente amata e benvoluta, e fare le cose di fretta e senza troppo pensarci può portare solamente dei guai..”
“Ma padre..” Osò protestare suo figlio.
“Ho detto che si fa come dico io, perdio!!” Lo aggredì, alzando il volume della voce e stringendo la stretta attorno alle braccia del figlio. “Mi hai capito o devo spedirti lontano da casa?”
“Certo, padre. Scusate..” Cambiò subito tono George, improvvisamente rabbonito.
“Bene, vedo che ci siamo intesi.” Sorrise sir Thomas, nascondendo a stento il trionfo, pur per una vittoria assai magra come quella.

Get up, come on get down with the sickness. Open up your hate, and let it flow into me. Get up, come on get down with the sickness. You mother get up come on get down with the sickness. You fucker get up come on get down with the sickness. Madness is the gift, that has been given to me.

“Fatela venire qui immediatamente!!” Tuonò Caterina d’Aragona. Lady Willoughby annuì e mandò immediatamente a chiamare la sua vittima. La dama non aveva più udito quel tono di voce da molto tempo e ovviamente si affrettò ad obbedire. La Sovrana era a dir poco furente e di lì a poco sarebbe scoppiato il finimondo, ne era certissima.
Da due settimane la corte si era trasferita a Windsor, nel tentativo di scampare al contagio e il lavoro della Regina, le sue riunioni, i suoi incontri non ne avevano risentito troppo. Ella continuava infatti a vedere ed incontrare i suoi consiglieri più fidati e portava avanti il governo del Paese. Tuttavia, pranzi, cene e momenti di festa avevano risentito parecchio dell’influenza nefasta del sudor. Molti nobili avevano preso a disertare la Corte già prima della partenza di Caterina e delle principesse per Windsor. Quando questa divenne un fatto, essi si ritirarono nei loro castelli e nelle dimore intorno a Londra o alla residenza regale, mantenendo al minimo i contatti con il mondo esterno.
La popolazione più povera, poi, stava anche peggio. Caterina si era attivata affinché una parte del tesoro reale fosse dedicata e destinata a chi viveva in condizioni pietose, ma con una malattia come il sudor, estremamente letale e contagiosissima, i fondi che la Sovrana riusciva a destinare a quella causa, pur generosi e robusti, erano una goccia nel mare dei bisogni della popolazione.
Le due principesse si erano anche loro trasferite a Windsor ed avevano cercato di non stravolgere troppo la loro routine, sebbene mantenessero anch’esse i contatti al minimo. E fu proprio a causa di una delle due che Caterina si adirò enormemente.
Poche ore prima aveva scoperto che una dependance del Castello, sebbene da anni ormai in disuso, era stata destinata all’accoglienza ed alla cura, per quanto possibile, di persone che avevano perso parenti e familiari a causa del sudor. La cosa, pur generosa e nobile, l’aveva fatta infuriare, perché queste persone erano portatrici ambulanti della malattia, e potevano entrare in contatto con il personale del Castello. Inoltre il personale che li assisteva non era qualificato e spesso era costituito dagli stessi servitori del palazzo reale. Insomma, una situazione assurda ed estremamente pericolosa. Inoltre, cosa niente affatto trascurabile, l’autrice di questa bravata, aveva disobbedito ad un suo preciso comando, cioè di occuparsi unicamente dei propri uffici e delle proprie incombenze, lasciando ad altri quel genere di attività.
“Maestà, sua Altezza Reale..” Annunciò lady Willoughby, facendo entrare Isabel. Caterina non annuì nemmeno, né ringraziò. Il suo sguardo diceva più che bene quanto fosse in collera, e lei si affrettò ad uscire, pur non avendo ricevuto nessuna autorizzazione in tal senso. Conosceva talmente bene la sua amica, da sapere cosa fare e cosa no, e quando.
“Quanto pensavate avrei impiegato a scoprire il vostro bel piano?”
Ad Isabel non occorse molto tempo per capire la motivazione di quella chiamata, né in che stato fosse sua madre. Sapeva che cosa aveva fatto e sapeva bene di aver trasgredito ad un suo ordine netto. Anche se non si pentiva di come aveva agito, tuttavia non disse nulla e la lasciò sfogare. Se c’era una cosa che solitamente rendeva sua madre furente erano gli interventi non richiesti e non opportuni.
“Mi prendete per stupida?! Credevate davvero non mi sarei accorta di nulla!? Vi rendete conto del rischio cui avete esposto voi stessa ed il mio personale?!” Attaccò subito sua madre, alzandosi in piedi e andandole di fronte.
Quanto è pallida!’ Pensò Isabel con una fitta acuta di rimorso. ‘Ne sono in parte la causa..
“Per non parlare del fatto che vi avevo espressamente proibito di occuparvi di questa faccenda, Altezza..” Continuò, le guance rosso acceso, il viso leggermente sudato e sempre più in collera. “Dite, per caso il mio inglese è peggiorato in queste due settimane, tanto da impedirvi di capirmi bene? Il mio spagnolo vi è improvvisamente incomprensibile? O il mio francese, forse..” Chiese ironica e la fissò in attesa di risposta.
“No, voi vi esprimete in modo assolutamente comprensibile..” Rispose, calma, Isabel. “Tuttavia, Vostra Maestà..” Osò dire, sentendo dentro di sé una cosa del tutto nuova, un brivido mai provato prima.
“Tuttavia!?!?” Avvampò Caterina, come se Isabel l’avesse insultata nel peggiore dei modi. “Voi non dovete nemmeno osare contraddirmi!!!”
“E non lo faccio, Maestà..” Puntualizzò Isabel più decisa. “Ho voluto solo fare ciò che mi sembrava più giusto per la popolazione che vive qui intorno e non ha più nessuno..”
“C’è già il tesoro reale che provvede!! Come osate portare avanti iniziative personali?!” Sbottò Caterina. Il sudore le imperlava la fronte e la zona sopra il labbro superiore, e il labbro inferiore le tremava leggermente. Per un attimo, Isabel pensò che non stesse bene. “Voi non dovete nemmeno azzardarvi a portare avanti iniziative personali. Non ne avete l’esperienza, la competenza, tantomeno il prestigio!!” La schiaffeggiò moralmente, senza pietà.
Isabel strinse le labbra e ingoiò quell’insulto, pesantissimo. Sapeva di essere una ragazzina di sedici anni, senza alcuna esperienza, ma sapeva anche che nei cinque mesi in cui aveva lavorato col dottor Griffith si era fatta onore e si era conquistata il rispetto di chi operava con lui. Dirle ora quelle cose, pur ineccepibili, era una cattiveria senza motivo. Inoltre una cosa non era affatto corretta.
“Non sono a titolo personale!!” Protestò. Un conto era che le dicesse che era una pivellina, un altro che la trattasse da bugiarda e da imbrogliona. “Nulla è stato fatto a mio nome..”
Caterina la guardò, ma i suoi occhi per un attimo furono come annebbiati. La sovrana si portò la mano al viso e asciugò il sudore. Isabel la guardò e si sentì scuotere da un brivido di paura.
“State male? Mamà..” Le chiese, chiamandola e vedendola ondeggiare.
“Non ho nulla!!” Le rispose sua madre, ritrovando la rabbia e guardandola ferocemente. “E ditemi, se non sono a vostro titolo, chi mai è stato insignito di…” Continuò a dire, ma ad un certo punto non poté più dire nulla, perché la gola le si chiuse. La testa cominciò a farle male e la vista le si annebbiò improvvisamente. Con una mano cercò un sostegno cui appoggiarsi. Isabel le fu subito accanto e la sostenne prima che cadesse a terra.
Mamà, che vi sentite..” Le chiese cercando di farsi forza per non scoppiare in lacrime. “Guardatemi, cercate di non dormire.. non chiudete gli occhi, per l’amor di Dio..”
Pian piano Isabel riuscì a adagiare la madre sul tappeto, poi prese un cuscino da una sedia lì accanto e lo mise sotto la testa di lei. Continuando ad accarezzare il volto della madre, si voltò verso la porta chiusa e chiamò lady Willoughby con tutte le sue forze. Quindi tornò a fissare Caterina, che un paio di volte minacciò di addormentarsi.
“State sveglia!!” Le impose Isabel, colpendole la guancia. “Non lasciatevi andare.. non chiudete gli occhi.” Continuò a ripeterle disperata, mentre nella stanza entravano di gran carriera lady Willoughby e il dottor Vittoria.

I can see inside you, the sickness is rising, don't try to deny what you feel (will you give in to me?) It seems that all that was good has died and is decaying in me (will you give in to me?) It seems you're having some trouble in dealing with these changes, living with these changes (oh no). The world is a scary place. Now that you've woken up the demon in me.

 
“Poche decine di miglia e saremo a Peebles, Enrico..”
Sir Knivert tornò dalla sua ricognizione ed annunciò al Sovrano il nome della cittadina più vicino a loro.
Nelle ultime due settimane non avevano avanzato ulteriormente e gli uomini si sentivano eccitati e nervosi per la battaglia imminente. Dopo la conquista di Hawick, Enrico si era fermato nella cittadina, sia per cortesia nei confronti di sir Jeoffrey, che anche perché l’esercito aveva bisogno di rifornimenti e riposo. E oltrepassata Peebles li attendeva l’esercito di Francesco, o meglio i cinquemila uomini mandati dal Re francese, che erano accampati nei pressi di Edinburgo.
La fanteria dell’esercito di Enrico stava percorrendo, sotto i suoi occhi, una tratto di strada particolare: alla sua sinistra e poi davanti a sé aveva il fiume Tweed ed a destra le alture del Cramalt Craig
, coperte da una vegetazione non molto estesa, ma piuttosto fitta, che poteva nascondere delle insidie. I fanti percorrevano la strada, disciplinati e ordinati, disposti in file di dieci uomini, a passo cadenzato.
Ad un certo punto un rumore attirò l’attenzione del Sovrano. Sembrava un sibilo, leggero ma ficcante, e proveniva dal bosco a poca distanza. Enrico si voltò verso gli alberi, in ascolto. Non era una giornata ventosa, quindi non poteva certo essere il vento a produrre quel sibilo. Incuriosito avanzò verso la boscaglia, e ad un tratto i suoi occhi videro un mare di frecce partire dall’interno del bosco e prendere i suoi soldati, che ancora marciavano compatti. Il rumore dei loro passi e la loro concentrazione evidentemente li aveva talmente assorbiti che non si erano resi conto di nulla. Essi cominciarono allora a cadere, feriti alla gola o agli occhi, le uniche parti che la loro pesante armatura non copriva e non difendeva. I superstiti si girarono allora verso il bosco, ma fra quelli che si muovevano, alcuni venivano regolarmente infilzati dalle frecce e crollavano a terra, feriti o morti. Chi invece riusciva ad avanzare verso la boscaglia veniva sorpreso da lance ed asce, che, scagliate come le frecce, avevano una minore gittata, ma erano di gran lunga più pericolose.
Dopo qualche minuto oltre le frecce normali che continuavano a piovere, apparvero quelle infuocate, e le urla dei soldati inglesi si alzarono alte.
Rischiava di essere una carneficina, e solo allora Enrico si mosse. Per diversi minuti era rimasto come imbambolato, incapace di reagire allo strazio dei suoi uomini, imprigionati in quell’imbuto di acqua, legno e fuoco.
“Enrico, dai l’ordine della ritirata!!” Urlò sir Knivert. “Maestà, avanti!! Avanti, datelo!!”
“Il Re d’Inghilterra non si ritira!!!” Gli rispose, urlando a sua volta e facendosi sordo alle sue proteste, più che giustificate. “Soldati, in formazione!!” Ordinò il Sovrano, che non guardò nemmeno i suoi soldati, non si rese conto di quanto quell’imboscata li avesse sconvolti e frastornati. I fanti riuscirono, dopo diverse esortazioni, a mettersi in ordine, pur raffazzonato, poi partirono alla carica, sotto la guida del Re. Anthony Knivert si risolse ad obbedire, ma giudicava quella mossa avventata, inutile ed estremamente pericolosa.

 
“Altezza, non potete entrare qui..” Il dottor Fernando Vittoria si parò di fronte ad Isabel con uno sguardo duro. “Vostra madre è in condizioni serie e….”
“Oh, levatevi di torno!!” Lo aggredì Isabel mettendogli una mano sul petto e spostandolo, o almeno provando a farlo. “Ero con lei, so perfettamente in che condizioni è..”
“Sì, ma comunque voi non potete entrare qui dentr..”
Isabel non lo lasciò nemmeno finire di parlare. Rossa in viso e tremante, gli mise le mani sul torace e provò a spostarlo, esercitando una forza sorprendente per una ragazza dal peso tanto inferiore a quello del medico spagnolo. 
“Voi non siete nessuno per dirmi cosa io possa o non possa fare!!” Gli disse a brutto muso, alzando la voce. “Dottor Vittoria, badate, io entrerò lì dentro e niente potrà fermarmi. Se solo oserete mettervi in mezzo, mi farete perdere tempo, con il risultato che io passerò più tempo lontano da lei. Non è questione di sapere se io starò con mia madre, ma solo quanto tempo impiegherò per entrare nella sua stanza.” Continuò, più calma, ma non meno ferma e determinata. “Fate una cortesia ad entrambi, levatevi di mezzo e fatemi passare..” Disse infine guardandolo negli occhi con una tale sicurezza che davvero sembrava aspettare solo che lui si levasse dal passaggio.
Con somma sorpresa di lady Willoughby, che si era affacciata appena aveva sentito le voci provenire dall’anticamera, il medico della Regina si spostò e fece passare Isabel, che lo ringraziò appena.
“Vostra Altezza, Sua Maestà non vorrebbe in nessun caso che..” Protestò Maria de Salinas, fermando Isabel e mettendole entrambe le mani sulle spalle.
“Avete detto bene, signora. Sua Maestà non vorrebbe.” Le rispose pronta Isabel. “Voi però sembrate dimenticare che Caterina d’Aragona è anche, e soprattutto, una madre. Mia madre. Non c’è nulla che mi impedirà di stare con lei mentre sta male, mettetevelo bene in mente. Potete chiudermi dentro una torre, incatenarmi da qualche parte, farmi portare via da un esercito armato fino ai denti, non ha alcuna importanza. Io tornerei qui e cercherei in tutti i modi di stare con lei. Maria, voi siete una madre..” Le disse Isabel con lo sguardo su di lei e un’espressione speranzosa e decisa assieme. Alla fine lasciò a metà la frase più importante, quella che avrebbe, nelle sue intenzioni, dovuto commuovere e far capitolare la amica di sua madre. Come aveva previsto, lei si spostò e la fece passare, chiudendo poi la porta dietro ad entrambe.
Isabel entrò così nella stanza dove Caterina d’Aragona era stesa, incosciente ed esanime, sul suo enorme letto. La fanciulla le andò vicino e senza minimamente pensare al contagio, le accarezzò il voltò, baciandolo ripetutamente.
“Non mollate, Maestà. Fatelo per questo Paese che vi adora e ama. Tenete duro, mia dolce Regina..” Mormorò nel suo orecchio, cercando di mantenere il proprio contegno. Non le fu affatto semplice, mentre il respiro affannoso eppure superficiale della madre le entrava nell’orecchio. “Mia vita e mia luce, sono qui con te.. Non morire, ti prego..”

 
Sotto una pioggia fittissima di frecce infuocate e non, la fanteria di Enrico avanzò verso il bosco. Quando i superstiti arrivarono agli alberi, la formazione ordinata e compatta in cui erano riusciti a chiudersi, si sciolse e i soldati si scatenarono in una caccia senza quartiere dei loro nemici. Dopo pochi istanti fu tutto un clangore assordante di spade, spadoni ed asce. Le urla dei combattenti si alzarono altissime, e ad esse si aggiunsero di lì a breve quelle straziate e strazianti dei feriti e dei moribondi.
Come ipnotizzato, Enrico rimase quasi in disparte a fissare i suoi uomini che tentavano di fare a pezzi i nemici prima che essi riservassero loro la medesima cortesia. Non c’era pietà né cavalleria in quei duelli; i fanti inglesi, scioccati dall’imboscata e poi caricati dalle urla di battaglia di Enrico erano tornati ad essere macchine da guerra formidabili, e gli arcieri scozzesi, che non portavano un’armatura particolarmente pesante, cominciarono a cadere uno dopo l’altro.
All’improvviso, un piccolo gruppo di arcieri si staccò dal resto dei compagni ed avanzò, nascondendosi ed usando di tanto in tanto gli alberi e la fitta vegetazione come scudo e protezione. Ad un reciproco segnale tutti assieme si misero in posizione e scagliarono le loro frecce in direzione di Enrico.
Sir Anthony, che li vide prepararsi, incitò il proprio cavallo nella direzione del Re e fece appena in tempo a frapporsi tra le frecce ed il corpo del Sovrano, prima di essere colpito da cinque di esse. Una gli trapassò il collo, una si conficcò nella guancia, e le altre tre lo colpirono sull’armatura e caddero a terra dopo pochi istanti. Sir Anthony ondeggiò sulla sella ed aprì la bocca vomitando un fiotto di sangue, poi si accasciò contro il collo del suo cavallo, incosciente.
Enrico, ancora una volta, rimase scioccato da quanto aveva visto e non si mosse. Fu uno dei soldati che si avvicinò a piedi al cavallo di sir Knivert e lo portò in una zona almeno in apparenza più tranquilla e fuori dalle traiettorie di quei micidiali proiettili. Poi fece la strada a ritroso e dato che Enrico era ancora lì fermo, lo incitò a muoversi, almeno per togliersi da lì..
“Maestà!! Maestà, non vedete che abbiamo bisogno di voi?!” Gridò con forza. “Tornate in voi Maestà!!”

 
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“Sir Thomas, io..”
Maria guardò il Cancelliere e scosse la testa. Nominata da quattro giorni Reggente, pur sotto il tutoraggio di Thomas More, la Principessa si sentiva del tutto inadeguata per quel compito, senza contare il fatto che, da quando si era sentita male, sua madre non aveva più ripreso conoscenza e le sue condizioni non sembravano poter migliorare in alcun modo. La giovane donna si sentiva letteralmente soverchiata dall’enorme peso che gravava sulle sue spalle e nemmeno l’aiuto di sir More sembrava sortire un effetto benefico. Il filosofo comprese allora che doveva stimolarla e pungolarla in modo più energico di quanto avesse fatto nei giorni precedenti e, per bene della fanciulla e del Paese, provvide subito.
“No, Vostra Altezza, così non va bene.” La rimproverò. “Vostra Madre vi ha nominata reggente, ha fiducia in voi. Talmente tanta da lasciarvi la guida del Paese..”
“Ma, sir Thomas..” Obiettò lei.
“Io sarò al vostro fianco, Altezza, per aiutare e servire voi, ed il Paese.” La confortò. “E con me ci sono molti consiglieri fedeli e devoti. E’ del loro costante e leale appoggio ciò su cui dobbiamo fare affidamento e che conviene tenere a mente, piuttosto dei pochi sleali ed infedeli servitori. A suo tempo essi saranno puniti, Altezza, non abbiate timore. Ma per ora, a voi l’onore e l’onere più alto che possa capitare ad una Principessa.” Seguitò a dirle con decisa tenerezza. “Siate orgogliosa dell’ufficio che, pur nella disgrazia, vi è piovuto in grembo, e rendete orgogliosi l’Inghilterra e vostro padre. E soprattutto vostra madre.”

 
“Vostra Altezza, dovete mangiare..”
Seduta sul letto accanto a sua madre, Isabel alzò una mano, agitandola con fastidio. Come poteva pensare a un’attività tanto stupida come il mangiare, quando sua madre non aveva mostrato alcun segno di miglioramento in quattro giorni? Come solo potevano pensare che il suo cervello pensasse ad altro che a lei?
“Vi ammalerete, Altezza..” La esortò lady Willoughby con maggiore energia. Riluttante, Isabel alzò lo sguardo su di lei, con una smorfia, per poi tornare a guardare sua madre.
“Non scende questa maledetta.. sono quattro giorni che brucia..” Mormorò a voce bassa, massaggiandosi la fronte e le tempie con le dita, lambiccandosi per capire cosa fare. Poi si alzò di scatto e prese a passeggiare avanti e indietro, lanciando ogni tanto uno sguardo, ora disperato, ora concentrato, alla figura esanime, pallida e sofferente distesa sul letto e con le pesanti coperte tirate fin quasi sulla bocca.
“Le coperte!!” Esclamò alla fine Isabel, fermandosi a metà di quel suo strano andirivieni. In un attimo fu accanto al letto, afferrò il bordo delle coltri, pesanti nonostante fosse estate, e con un movimento deciso le sollevò, scoprendo il corpo della madre. “Sono queste che non fanno scendere la febbre!!! Come ho fatto a non pensarci, stupida che non sono altra..” Si rimproverò aspramente. Lady Willoughby la guardò scandalizzata.
“Vostra Altezza, per l’amor di Dio, che fate?” Chiese terrorizzata da ciò che la fanciulla aveva appena fatto.
“Per l’amor di Dio, signora, portate acqua fredda e delle bende..” Le rispose Isabel, senza nemmeno dar ascolto alle sue stupide lamentele. “La febbre deve scendere e coprirla come una mummia non servirà di sicuro allo scopo!!” La donna rimase a guardarla, incapace di capire cosa stesse facendo, di accettare il suo ragionamento, men che meno di ritenerlo anche solo lontanamente corretto.
“Chiamo immediatamente il dottor Vittoria!” Esclamò, come se solo lui potesse esprimersi in modo compiuto su tutta quella faccenda.
“Fate come vi pare!!” Sbottò Isabel non curandosi del rimprovero appena ricevuto. “E già che andate via, fate portare lenzuola pulite.. questa stanza ha estremo bisogno di sole ed aria fresca..” Disse decisa, dandole per la prima volta in vita sua degli ordini. Quindi si diresse verso la vetrata, aprì le pesanti tende viola di velluto e subito dopo fece la stessa operazione su una delle finestre, in modo che cominciasse a circolare un po’ di aria fresca. “Non è ancora una tomba! E non lo sarà fino a che resterò con lei!!” Esclamò decisa.

 

“Enrico!!”
Una voce amica!!’ Pensò il Sovrano non appena vide il duca di Suffolk camminare a passo svelto verso di lui. I due compagni d’armi si abbracciarono, più a lungo del solito.
“Sono ancora sconvolto..” Mormorò Charles Brandon. Enrico, che non lo aveva mai visto nemmeno lontanamente vagamente turbato da qualcosa, a sentirlo addirittura sconvolto si spaventò davvero. “Come è potuto succedere, Enrico?” Chiese ancora il duca, sciogliendo la stretta con il suo Re. Quest’ultimo scosse la testa, ancora stravolto. Sembrava non voler ricordare o parlare di quanto era avvenuto.
Charles lo guardò con attenzione e sentì un brivido. Non era mai avvenuta una cosa simile e lui non seppe più come confortare o incitare il suo amico. Era impensabile che il Re cadesse in una sorta di depressione proprio ora. Erano a pochi passi dall’obiettivo ed ora c’era bisogno di tutte le loro energie, di tutta la loro forza e di tutta la loro speranza. La battaglia che si sarebbe scatenata ad Edinburgo non poteva essere presa in quel modo.
“Pensa ad Anthony, Enrico!!” Lo incitò allora sir Brandon, pensando di stoccare le corde della rivalsa e del suo orgoglio. “Andiamo da quei selvaggi bastardi e vendichiamo il nostro amico!! Con o senza l’aiuto dei damerini francesi, dobbiamo annientarli!!”

 

“Che state facendo?!”
La voce del dottor Vittoria ruppe, con una nuova nota quasi isterica, il silenzio della stanza della Regina.
Isabel, che stava ponendo le bende sul suo corpo, lo guardò appena, poi proseguì il suo lavoro, in silenzio. Da che aveva cominciato a stendere i panni freddi sulla fronte, sul collo, e sulle braccia di sua madre, si era chiusa in un silenzio carico di concentrazione e dolore. Non riusciva nemmeno a credere che quanto aveva ideato potesse non servire e che la vita di sua madre potesse scivolare via sotto i suoi occhi. La giovane principessa non osò nemmeno guardare il suo viso, perché sapeva che l’enorme carico di lacrime sarebbe diventato un fiume in piena se lei avesse solo incrociato quegli occhi chiusi e muti.
“Vi ho detto, che diavolo state facendo?!” La apostrofò, stavolta con molta meno grazia, il medico. Isabel non gli diede ascolto e continuò imperterrita. Con delicatezza sollevò la camicia da notte della madre fino all’altezza della vita e poi, sulla sua biancheria intima, all’altezza degli inguini, posò altre due pezzuole umide, una da una parte e una dall’altra.
“Sacrilegio!! ORRORE!!!” Gridò scandalizzato il dottor Vittoria. Isabel lo guardò, furente.
 Non rimise nemmeno a posto la camicia da notte della mamma, tanto era furiosa con lui.
“Come osate?!” Lo aggredì fuori dalla grazia divina, andando di fronte a lui. “Chi vi da il permesso di osare rivolgervi a me usando quelle parole oltraggiose!!!” Il medico, che certo non si aspettava una reazione di quel genere, la guardò visibilmente imbarazzato. Aveva osato parecchio, lo sapeva, ma pensava di poterselo permettere e che bastasse per aver ragione di lei e farla tornare al proprio posto, possibilmente fuori dalla stanza. Invece la piccola Isabel aveva assunto un contegno cocciuto e testardo, tipico della casa materna, e la rabbia improvvisa e letale, tipica di Enrico.
“Vostra Altezza, voi non sapete molto di medicina..” Riprese lui, più conciliante, pensando di poter ricomporre la frattura. “Forse dovreste affidarvi a chi sa ne di più e può occuparsi meglio di Sua Maestà..”
Il volto di Isabel divenne una maschera di gelida rabbia. Le sue guance divennero rosse e lei strinse le labbra, dopo averle inumidite. Lady Willoughby, che la conosceva meglio di lui, provò una tenerezza enorme per lei. Era evidente che stava contando fino a mille per non rispondergli malamente, ed era ovvio che fosse adirata ed offesa per quell’uscita del tutto inappropriata, per quanto tecnicamente corretta.
“Dottor Vittoria, vi siete occupato di Sua Maestà, per quattro lunghissimi giorni e non vedo come la vostra presenza e le vostre cure abbiano portato il benché minimo sollievo a mia madre.” Rispose lei con tutto il gelo di cui fu capace. Il voltò di lui si imporporò di rabbia e vergogna. Chi era mai quella ragazzina per osare parlargli a quel modo?, si chiese.
“Vostra Altezza, voi sapete, vero, che se Sua Maestà non dovesse riprendersi dopo questo.. uhm.. diciamo… trattamento alquanto strano, io non avrei certo alcuna responsabilità agli occhi del Re, o del Paese..” Buttò lì, con noncuranza. Il colpo andò a segno perché il viso di Isabel accusò la pesantezza di quelle frasi.
“Uscite immediatamente da questa stanza,
señor Vittoria..” Sibilò Isabel, dandogli le spalle e dedicandosi totalmente a sua madre.
“Vostra Altezza..” La salutò lui, con formalità e freddezza. Poi si avviò alla porta e lasciò in breve la stanza.
Solo quando il medico fu uscito da lì, Isabel rialzò gli occhi sulla porta, con un’espressione rabbiosa ed impaurita assieme. Sospirando tornò a guardare sua madre, le sistemò bene le pezzuole e rimise a posto la camicia da notte. Mentre separava il lenzuolo di lino pulito dal resto delle coperte, e la copriva solo con quello, il suo labbro inferiore iniziò a tremare. Dapprima fu una cosa leggera e quasi senza importanza, ma poi il tremito si fece più forte.
Per non piangere di fronte all’amica di sua madre e rischiare un’ulteriore cattiva figura, Isabel affondò i denti sul suo labbro inferiore, fino a che non sentì il sapore del sangue.
Lady Willoughby la guardò in silenzio, con immensa tenerezza. L’offesa che quel cialtrone le aveva rivolto era stata inescusabile e gravissima; per un attimo la dama aveva temuto che la principessa si sarebbe scagliata contro di lui, ma poi l’eccellente educazione ricevuta e l’esempio materno avevano avuto ragione del suo carattere e della sua giovanissima età e lei si era limitata a congedarlo, per quanto gelidamente. Per un attimo la lady ebbe l’impulso di andarle accanto e stringerla fra le braccia. Isabel era enormemente attaccata a sua madre, lo sapeva chiunque in Inghilterra, ed il compito che la fanciulla si era scelta rischiava di essere troppo gravoso per lei. Tanto più che se le male parole del dottor Vittoria si fossero avverate, per Isabel sarebbero potuti essere guai seri.
A poco a poco però la giovane principessa parve calmarsi e riprendere il proprio contegno. In silenzio si sedette a terra, accanto al letto di sua madre, e posò la testa sul materasso, facendo in modo che le dita di Caterina sfiorassero la sua fronte.
“Tieni duro, vita mia..” Mormorò fra sé, cercando di trattenere le lacrime che ormai le facevano male agli occhi da quanto erano urgenti.

 

 

“Maestà!!! Maestà!!!!”
Il messaggero scese da cavallo e crollò a terra. Enrico lo guardò e fece un rapido cenno. Immediatamente due guardie gli si fecero vicino e lo sollevarono, aiutandolo.
“La Regina è caduta ammalata, mio signore!!” Scoppiò in lacrime il povero latore.
Enrico sentì la terra mancare da sotto i suoi piedi. Le mani gli corsero alla testa.
Caterina era ammalata. Il solo pensiero lo faceva impazzire.. Nelle sue mani l’Inghilterra era al sicuro, ma ora.. Per la prima volta dopo anni il suo cuore era preoccupato per la moglie. Per la prima volta dopo anni il suo cuore mancò diversi colpi alla notizia che lei poteva morire. Il bacio che le aveva dato, più una provocazione a qualcuna che altro, poteva essere il suo ultimo gesto per lei.
Che diavolo ci faccio qui?’ Pensò. ‘Questi bastardi non meritano il mio impegno ora..
Mentre il messaggero descriveva la condizioni della Regina, cercando di non esagerare con i particolari nefasti, la mente del Sovrano si mise all’opera.
“Che sia rifocillato e si possa riposare!!” Ordinò, quando egli finì. “Sir Brandon, preparate per il nostro rientro..” Aggiunse, sconvolgendo chi era attorno a lui.

 
Quando si agitava il mio cuore e nell’intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a Te stavo come una bestia. Ma io sono con te sempre: Tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria.
Isabel chiuse la Bibbia, dopo aver messo il segnalibro fra le due pagine, e poi guardò sua madre, che ancora non aveva ripreso conoscenza. Erano passate molte ore da quando il dottor Vittoria aveva lasciato la stanza della Regina, e la giovane principessa non aveva fatto altro che stare accanto a sua madre, cambiando ogni ora le pezze umide, leggere per lei e pregare il Signore perché la rendesse sana e salva al Paese.
Le parole di Vittoria, uscite di bocca più per ripicca che per reale convincimento, l’avevano colpita. Che cosa le sarebbe capitato se la Sovrana non ce l’avesse fatta e se la sua fibra, pur forte, avesse ceduto? Sarebbe stato meglio per lei morire pochi istanti dopo. Suo padre non l’avrebbe mai perdonata, probabilmente l’avrebbe fatta finire alla Torre, se non addirittura sulla forca. Isabel scosse la testa. Era egoista a pensare quelle cose, mentre sua madre si dibatteva tra la vita e la morte. Non aveva senso sprecare i suoi pensieri in altro che non fosse lei.
“Farò di tutto per farvi uscire da questo pasticcio, mia signora..” Le mormorò all’orecchio, chinandosi su di lei, come aveva fatto tante volte Caterina quando era stata Isabel a star male. Le labbra della fanciulla si posarono sulla tempia destra della madre. “Ti tirerò fuori dal tuo sonno, mia adorata guida.”
Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere presso le porte della città di Sion.

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“Capitano Grenet!!” Esclamò Enrico scendendo da cavallo ed approcciando per la prima volta il comandate delle truppe francesi. Il suo interlocutore, un uomo alto meno di lui, ma più giovane, gli andò incontro a sua volta e poi si inchinò cortesemente di fronte a lui.
Majestè!” Esclamò. “Eccovi sano e salvo dunque!”
Poco distante, il duca di Suffolk sorrideva fiducioso. Ci erano voluti quasi due giorni per far riprendere Enrico dalla sua depressione, ma poi, in meno di una settimana a tappe forzate erano arrivati al campo francese, a meno di due km da Edimburgo. Le notizie che continuavano a provenire da Londra sulla salute della Regina non erano confortanti, ma se non altro non era morta. Anche per lei il Re aveva deciso di restare e continuare la guerra. Era certo che al suo ritorno Caterina sarebbe stata di nuovo in piena salute, e lui le avrebbe portato in dono la corona scozzese.
Pochi istanti dopo, mentre l’esercito inglese cominciava ad accamparsi sul terreno, Enrico radunò i suoi comandanti ed assieme a quelli francesi programmava la strategia con cui avrebbero fatto cadere la Capitale della Scozia ed il Regno di Giacomo.

 
Signore, tu mi scruti e mi conosci, Tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e Tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la Tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo.
Dopo aver cambiato la camicia da notte a sua madre, Isabel aprì la finestra e lasciò che l’aria fresca del mattino entrasse nella stanza. La notte precedente aveva dormito ben poco, come ormai da una settimana a quella parte, e si sentiva stanca, ma non avrebbe mai ceduto. Le notizie che provenivano dalle prime sedute del Consiglio con Maria a capo del Paese non erano incoraggianti. Il partito della famiglia Bolena era tornato di nuovo in auge e chi si era allontanato da loro, ora si era riallineato con la loro condotta. Maria, troppo inesperta e per niente smaliziata, aveva enormi difficoltà a far sentire la propria voce, pur con l’aiuto fedele di sir More. Era quindi necessario che Caterina tornasse al più presto in salute e riprendesse il proprio posto alla guida del Paese.
Immersa com’era nei propri pensieri, Isabel non sentì nemmeno il respiro più affannoso della madre. Solo quando si voltò, e vide la sua bocca aprirsi, corse da lei. Pochi istanti dopo essa sembrò essere in procinto di vomitare. Istintivamente Isabel le girò il viso su un lato, facendo appena in tempo a metterle sotto la bocca un enorme telo di lino. Prima che tutto fosse finito, la Principessa rimise la testa in posizione dritta, ma qualcosa andò storto. Le labbra della Sovrana divennero blu e lei smise in poco tempo di respirare.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.

 
“Avanti, Vostra Altezza, non mi verrete a dire che il Paese non necessiti di interventi ben diversi che le repressioni contro i riformisti..” Thomas Bolena fissò Maria e quasi le rise in faccia.
La Principessa lo squadrò gelidamente. Odiava quell’uomo e tutto quel che rappresentava.
“Non vi consiglio di sfidare me e la vostra buona stella, sir Bolena..” Gli rispose lei, ferma. Lui tacque, ma in realtà aveva vinto. Pochi minuti prima il Consiglio aveva respinto, con una maggioranza minima, ma pur sempre valida, una sua decisione che inaspriva le pene, pecuniarie e non, per chi veniva sorpreso a propagandare teorie eretiche.
Frustrata e delusa, da sé, ma non solo, Maria congedò i membri del Consiglio e si alzò, uscendo dalla stanza.
In quella settimana i Bolena avevano fatto di tutto per farle capire che non avrebbe avuto vita semplice ed alla fine erano riusciti a respingere una sua proposta. Era inaudito e lei si sentiva ribollire di rabbia. Avrebbe potuto far finire tutti alla Torre, ma in realtà si rendeva conto di non aver potere contro loro. Volevano spaventarla e ci stavano riuscendo. Con orrore e paura si chiese fin dove sarebbero arrivati per i propri scopi.
“Altezza, aspettate..” La voce rassicurante di sir More la fermò e la fece girare verso di lui. se possibile, il Cancelliere aveva un’espressione ancora più furente della sua. Anche lui stava vivendo malissimo quello smacco. “Altezza, non vi sarete fatta scoraggiare da questa mossa, spero..” La incoraggiò lui, ma la sua espressione diceva che era decisamente oltre la semplice delusione per quel voto contrario. “Coraggio, Altezza, non dobbiamo mollare proprio ora.. Ora si vede di che pasta siamo fatti..”

 

Lady Willoughby guardò Isabel come se avesse appena pugnalato sua madre, ma non fece nulla per rendersi utile.
“Portatemi uno stecco, presto!!” Ordinò Isabel. “Deve avere qualcosa nella gola..” La dama si affrettò ad obbedire ed in pochi secondi tornò nella stanza. “Per favore Maria, aiutatemi a tenere aperta la sua bocca.” Ancora una volta la dama di origine spagnola obbedì ed Isabel, dopo estenuanti tentativi riuscì a vedere che si trattava di un pezzo di…
“Ma è cibo!!” Esclamò la Principessa. “Chi diavolo si è permesso di darle..” Scattò subito.
“Perdonatemi, Altezza, ho pensato di darle un po’ di brodo, con del pane..” Mormorò lady Willoughby, scoppiando in lacrime. Isabel la guardò e la incoraggiò.
“Non ora, Maria.. ora mi servite lucida ed attenta..” La tirò su, o almeno ci provò. La donna si asciugò prontamente le lacrime e accorse al capezzale della Regina. Le sue labbra erano sempre più blu. Non appena Maria ebbe aperto la sua bocca, tenendo ferma la parte inferiore della mascella, Isabel prese lo stecco e si preparò ad acchiappare il pezzo di cibo. Concentrata ed attenta come pochissime volte in vita sua, dopo il terzo tentativo dovette desistere. Spaventata ma determinata a riuscire, usò le dita e finalmente, alla fine, riuscì a tirarlo fuori dalla trachea della mamma.
“Brava, Altezza!!!” Esclamò Maria, tutta contenta. Isabel deglutì, sospirando di sollievo.
“Ora giratela su un fianco..” Ordinò decisa. La dama corrugò per un attimo le sopracciglia, ma poi obbedì docilmente. Allora Isabel corse a prendere tre cuscini e li sistemò contro la schiena della madre, in modo che lei stesse a metà strada tra la posizione supina e quella sul fianco.
“Così respirerà meglio e se anche dovesse vomitare ancora, non soffocherà..” Sostenne Isabel. Lady Willoughby le sorrise e poi andò ad abbracciarla, con trasporto.
“Siete stata bravissima, Altezza..” Le disse con gioia. “Sua Maestà sarà orgogliosa di voi.” Aggiunse, mentre le labbra di Caterina riacquistavano colore e la Sovrana riprendeva a respirare normalmente.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora.

 

“Bene, Capitano Grenet, questa è la suddivisione finale dei compiti..” Annunciò trionfante Enrico. L’ufficiale francese sorrise compiaciuto.
Oui, Majestè.” Rispose. “Voi vi occuperete dalla parte occidentale e noi di quella orientale. Le strade dei rifornimenti saranno chiuse, a maggior ragione in caso di rifornimenti d’armi e truppe.” Enrico annuì.
“Non sarà semplice, ma staneremo quei bastardi. Se necessario attenderò che escano uno ad uno dalla città. Voglio prendere Edimburgo.. Dio solo sa cosa significhi per me e per l’Inghilterra..” Disse, pensando tanto a sir Knivert che a Caterina. Monsieur Grenet annuì in silenzio.
“Se permettete, Maestà, io vado a dare ordini ai miei uomini. Ci sono i primi turni di guardia da stabilire..” Chiese gentilmente congedo. Enrico annuì e, dopo che l’ufficiale d’oltre Manica fu uscito dalla tenda, restò solo con sir Brandon.
“Quei bastardi pagheranno tutto; dovessi passarli uno per uno con la mia spada, Charles.”
“Dopo che avrai fatto pulizia fuori casa, Enrico, sarà tempo per farla anche dentro..” Gli rispose il compagno, grave.

 
Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Io do l'Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l'Etiopia e Seba al tuo posto. »
Affacciata alla finestra, Isabel guardava le luci di Windsor e del giardino visibile dalla vetrata e ripensava al suo primo ricordo in assoluto. In uno dei troppo rari momenti in cui i suoi genitori erano entrambi in compagnia sua e di Maria, suo padre, imbracciato il liuto, suonava una gagliarda particolarmente allegra. Sua sorella, che aveva cinque o forse sei anni, danzava di fronte a tutti loro. Isabel sorrise al ricordo: da sempre Maria aveva un talento particolare per la musica, sia nella danza che nella pratica, merito certamente del loro padre che era assai abile, e delle lezioni che Caterina le aveva impartito fin da piccola. E mentre Maria danzava, lusingava e divertiva il Re coi suoi sorrisi, le sue attenzioni e le sue mosse aggraziate. Isabel, con i suoi tre anni, era troppo piccola per danzare, e troppo alle prime armi per accompagnare al virginale suo padre, e guardava quella scena stando in disparte, come spesso avveniva quando Enrico e Maria facevano qualcosa assieme. Fu quindi sua madre a coinvolgerla ed a farla sentire partecipe. Tese una mano verso di lei e la bimba si avvicinò immediatamente, sedendosi in grembo alla mamma e appoggiandosi con la schiena contro di lei. Seguendo il ritmo del brano con i piedi, Caterina la faceva salterellare sulle sue ginocchia, ridendo e divertendosi assieme a sua figlia.
La Principessa risentì nelle orecchie la gaia risata della mamma. Non aveva mai realizzato quanto anche lei fosse stata bene in quell’occasione e quanto si fosse divertita guardando Maria ballare ed Enrico suonare. Con nostalgia e tenerezza, Isabel pensò a quel momento come a uno dei più felici della sua vita. In compagnia di sua madre si sentiva sempre al sicuro ed amata, libera se non di mostrare tutte le proprie emozioni, per lo meno di mostrarle l’immenso affetto che sentiva per lei.
“Sei più di una madre per me..” Mormorò inginocchiandosi accanto al suo letto e posando il capo contro la mano della mamma. “Ti prego, torna da me.. dammi ancora la possibilità di volerti bene e di renderti orgogliosa di me.. ho ancora bisogno dei tuoi consigli, dei tuoi dolci rimproveri, delle tue lisciate sacrosante. Ho ancora bisogno delle tue carezze e delle tue coccole, ed anche di quegli sguardi con cui mi tieni d’occhio quando pensi che io non ti veda e non mi accorga..” Continuò sentendo pian piano arrivare tutta la paura e la fatica accumulata in quei giorni tremendi. L’idea che sua madre potesse non farcela cominciò a farsi strada nel suo cuore; più quell’idea trovava fondamento, più risultava insopportabile, indicibilmente dolorosa. “Torna da me.. Ho bisogno che tu viva per poterti difendere da quella sgualdrina e dalla sua orribile famiglia, e anche da mio padre che ogni giorno ti manca di rispetto ed è tanto stupido da non accorgersi di che tesoro abbia accanto, e che io e Maria non siamo cieche e soffriamo tremendamente. Son io, mamma, ad aver bisogno di te. Non sono pronta a lasciarti andare via. Ti prego, resta ancora con me..” Sussurrò a voce bassa, lasciando che le lacrime, trattenute durante tutti quei lunghi giorni, scorressero, finalmente libere. Non si accorse nemmeno che la mano della mamma si mosse accanto al suo viso, dapprima leggermente, poi con maggiore energia, arrivando perfino ad accarezzarla sotto la mandibola. 
«Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita. Non temere, perché io sono con te; dall'oriente farò venire la tua stirpe, dall'occidente io ti radunerò. Dirò al settentrione: Restituisci, e al mezzogiorno: Non trattenere; fa' tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall'estremità della terra, quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e formato e anche compiuto.»

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Capitolo 21
*** Lost and found ***


A Queen's Daughter - Lost and found

Londra/Windsor, Fine estate 1530 – Lost and found

“Ma Maestà..” Osò protestare Maria de Salinas.
Ormai era tarda serata e la Regina aveva avuto una giornata tutt’altro che leggera e scevra di impegni. Era visibilmente stanca e, almeno nelle intenzioni di lady Willoughby, avrebbe dovuto dormire e riposare in maniera adeguata. Il giorno dopo non l’avrebbe certo attesa un carico inferiore di problemi e di guai da risolvere.
“Maria, sono passate ben quattro settimane.” Rispose Caterina impaziente. “Non ce la faccio più a non vederla, lo capite?”
“Sì, Maestà, ma dovrei suggerirvi prudenza..” Balenò l’amica di lunga data.
“Maria, è rimasta con me quando io ero ammalata e non ha sviluppato nulla.” Rispose con una certa decisione. “E direi che è stata imposta una quarantena più che sufficiente. Ad entrambe..” Detto questo, si avviò verso la porta, senza attendere ulteriori risposte.
Dai propri appartamenti andò alle scuderie, dove una carrozza già l’attendeva, e si fece portare immediatamente a Windsor.

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“Mi spiace, Maestà ma non potete stare ancora qui!”
Il dottor Vittoria, richiamato in tutta fretta, non perse tempo. La Regina andava immediatamente separata da Isabel, che poteva essere ancora contagiosa. E fu un’operazione che lui compì con una certa gioia, dato che non aveva certo dimenticato il modo in cui la Principessa lo aveva trattato non più tardi di una settimana prima. Il fatto che poi il suo ragionamento avesse trovato riscontro reale e la Sovrana avesse ripreso a sentirsi meglio, era per lui solo una casualità.
Nient’altro che il destino benevolo.
“Vi prego, dottor Vittoria, solo un attimo..” Implorò Caterina, mentre Isabel veniva stesa sul letto dove fino a poco tempo prima era stata stesa lei. Il medico scosse la testa deciso, come se volesse mostrare tutto il carattere e il decisionismo che nei giorni precedenti non aveva tirato fuori.
“No, mia signora. Per voi potrebbe significare la morte..” Rispose duro, guardando Isabel, che era crollata, sfinita dal sonno e dalla fatica, dopo dieci giorni intensi, sotto ogni profilo. “Lasciamo che i decessi siano il meno possibile.” Aggiunse con poca grazia, senza nemmeno badare allo sguardo sconvolto della Sovrana.
“Decessi?” Chiese Caterina, con un filo di voce, voltandosi a guardare con paura il volto di Isabel, pallido e segnato da occhiaie. Sebbene non si sentisse in grado di avvicinarsi al letto senza l’aiuto di Maria de Salinas, vi provò ugualmente. Aveva estremo bisogno di toccare almeno il viso della figlia.
“Ferma!!” Ordinò il dottor Vittoria, raggiungendola ed osando toccarla per fermarle la mano.
Caterina lo guardò sbigottita. Come si permetteva?, pensò.
“Vi ho già detto che non dovete stare qui..” Riprese lui, riprendendosi dall’aver osato tanto. Si voltò verso le dame che erano venute a prendere la Sovrana. “Avanti, voi, portatela nella stanza che ho preparato per lei.. Ricordatevi Maestà, non meno di cinque settimane di quarantena. Dio non voglia che il contatto con vostra figlia vi uccida ora che siete sulla via della guarigione..” Sentenziò.

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“Hanno attaccato le guardie che li invitavano a sciogliersi in modo pacifico, Maestà..” La voce di sir More era un filo, imbarazzato e confuso.
“E’ la prima volta che succede una cosa del genere?” Chiese Caterina. Tornata alla guida del Paese da pochi giorni, quella era la prima questione spinosissima che si trovava a dover fronteggiare. In realtà sir Thomas le aveva detto delle crescenti difficoltà sue e della Principessa Maria, soprattutto con il ritrovato vigore dell’azione di disturbo dei Bolena. Azione che se prima si era limitata a delle votazioni a sfavore delle decisione prese dalla Reggente e dal suo ‘tutore’, si era poi trasformata in aperta ostilità, con veri e propri commenti malevoli ed ineducati sull’operato della figlia di Enrico e Caterina. E se inizialmente nessuno li aveva seguiti nel loro ardire, col passare dei giorni, quando la Principessa era apparsa sempre più in difficoltà, diversi consiglieri erano passati, o meglio tornati, dalla loro parte.
“No, Maestà, non è la prima volta che i riformisti protestano per le strade..” Ammise sir Thomas. “Io e la Principessa Maria abbiamo cercato di usare la persuasione per ragionare con loro. E’ chiaro che ho sottovalutato la loro azione, Maestà, e sono pronto a prendermi le responsabilità del mio errore. Fino in fondo..” Le disse chiaramente, guardandola negli occhi. Caterina gli sorrise.
“Non c’è ragione che io mi privi di voi, sir Thomas. Ho fiducia in voi e so che avete agito per il bene, anche con mia figlia.” Lo rassicurò, ed era davvero ciò che pensava. “Ora però, è bene che quella feccia sappia che l’ora della gioia è finita. Ora o rigano dritti o saranno estirpati da questo Paese. Uno per uno.” Aggiunse decisa. Sir Thomas annuì, concorde. Dio sapeva se l’Inghilterra poteva sopportare una guerra civile ora, o anche soltanto degli scontri per questioni religiose. “Mandate a chiamare il Capitano Connely.. ho da dargli alcuni compiti..” Ordinò ad un valletto la Sovrana. Quegli annuì immediatamente e dopo un inchino reverente, andò a chiamare il Comandante della guardia cittadina. 

 
“Eleanor, ditemi come sta mia madre?” Chiese Isabel. La dama, poco più grande di lei, che era stata destinata alla sua cura fino a che non sarebbe uscita dall’isolamento, le sorrise e scosse la testa.
“Non lo so, Vostra Altezza. Non esco mai da quest’ala del Palazzo.” Rispose dolcemente.
La giovane principessa sospirò con aria triste, e andò a prendere il liuto. Lo tirò fuori dalla custodia, poi si preparò ad accordarlo. Eleanor la guardò per qualche istante, in attesa di eventuali ordini, poi dopo averla salutata con un inchino, uscì dalla stanza. Non passò molto che la fanciulla vi rientrò.
“Vostra Altezza, il
Señor Fernandez de Velasco chiede di voi, e desidera visitarvi..” Annunciò la dama. Isabel smise in un istante ciò che stava facendo e si alzò in piedi, pronta per riceverlo.
“Altezza..” La salutò lui, inchinandosi quasi fin verso a terra, e mettendola in leggero imbarazzo. “Che gioia vedervi e sapervi in salute..”
Isabel arrossì leggermente. Era da tempo che non lo vedeva e per un attimo fu presa dal panico. La visita cui aveva fatto cenno Eleonor sarebbe stata una visita medica in piena regola, o una visita di cortesia? Imbarazzata come era non osò nemmeno chiederlo, cercò di rispondere al saluto di lui.
“Grazie, mio signore. Siete molto gentile come sempre..” Rispose con educazione, ma cercando di non essere fredda e distante. Juàn si alzò in piedi e si avvicinò a lei.
“State davvero bene?” Chiese soltanto, posando il proprio palmo sulla sua fronte. “Ho avuto il terrore che..” Disse, e non proseguì. I suoi occhi verdi la fissarono intensamente. Non c’era bisogno che lui terminasse la frase, perché Isabel ne capì al volo la parte mancante.
“Sto bene, signore, grazie..” Rispose lei, cercando di mantenere un contegno adeguato. “Prego, sedetevi..” Lo invitò, allontanandosi da lui e facendo respirare il proprio cervello ed il proprio cuore.
“Siete sempre gentilissima, Vostra Grazia..” Le sorrise, accogliendo il suo invito a sedersi.
“Venite dalla Corte?” chiese Isabel, e prima che egli potesse rispondere chiese ancora. “Per piacere, ditemi, come sta mia madre? Qui non so nulla e…”
‘Mi manca da morire, sono preoccupatissima per lei e per la sua salute..’  Continuò mentalmente Isabel. Come sempre, strinse le labbra e assunse il suo solito contegno rigido, tipico di quando era lì lì per mostrare le proprie emozioni e non avrebbe dovuto.
“Per favore, señor Fernandez, ditemi, come sta la Regina?” Chiese, di nuovo, formalmente.

 

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Giunta al castello, Caterina percorse i corridoi che la separavano dal suo obiettivo con una certa velocità, seguita a fatica da lady Willoughby, che l’aveva accompagnata.
Nonostante fossero quasi deserti, se si eccettuavano le guardie non c’era infatti anima viva nel palazzo, le sembrò di impiegare fin troppo tempo a raggiungere gli appartamenti della figlia.
Di fronte alla porta della stanza da letto, fece un respiro profondo e poi aprì la porta.
Isabel, seduta sul letto con il liuto posato su una coscia, suonava una Folia. Caterina restò sulla soglia a guardarla suonare, senza dire nulla. Dato che non si era fatta annunciare non voleva interrompere i suoi esercizi, preferendo che si accorgesse da sé della sua presenza. Quando finalmente Isabel alzò il capo, e si rese conto della sorpresa del tutto inattesa, per qualche secondo non riuscì a dire e fare nulla; poi, quando sua madre entrò dentro ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle, la giovane posò il liuto sul letto, si alzò in piedi su di esso e lo percorse, fino alla pediera, quindi con un balzo scese a terra. Percorse gli ultimi cinque metri fino a sua madre a passo svelto, inciampando nei suoi stessi piedi e nella camicia da notte. Rompendo ogni etichetta e senza nemmeno chiedersi se sua madre avrebbe gradito o meno il suo gesto,  quando le fu davanti le buttò letteralmente le braccia al collo.

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“Maestà, la popolazione ha attaccato le guardie..”
Sconvolto dalla fatica e con il respiro pesante tanto da non riuscire nemmeno a parlare, una guardia semplice, di quelle agli ordini del Capitano Connely, aveva cavalcato fino a Greenwich per portare la terribile notizia. Raggiunta la sala del Consiglio, non aveva esitato ad entrare, anche se sapeva che era in corso una riunione.
Caterina gli fece riprendere un po’ di fiato e si preparò ad ascoltare il resto, sempre più stravolta.
“Ci sono almeno dieci rivolte a Londra, due più grosse delle altre. Dei gruppi mercenari armati si stanno affiancando ai riformatori, Maestà benedetta. Sono vestiti come i civili e per noi è impossibile riconoscerli.. Rischiamo di sparare alla nostra gente, mia Regina..”
Caterina lo guardò, incamerando tutte le informazioni e poi si fermò a riflettere, mentre quello le chiedeva cosa mai dovessero fare.. La Regina si sentiva la testa scoppiare. Non si era mai trovata a dover affrontare una cosa del genere e temeva di sbagliare, qualunque passo avesse compiuto. Era chiaro ed evidente che una cosa così virulenta e ben organizzata non era e non poteva essere una cosa estemporanea, organizzata da quattro eretici in fila, spesso ignoranti e semianalfabeti, oltre che senza appoggi economici e politici. No, si disse Caterina, questa è una azione pensata, organizzata e congegnata per distruggere l’Inghilterra. E me.
I consiglieri la guardavano in silenzio totale, senza osare interrompere e disturbare il suo attimo di ragionamento e di organizzazione.
“Maestà, dovremmo lasciare che le guardie aprano il fuoco liberamente su quei rivoltosi..” Disse una voce.
Caterina, che era davanti alla finestra, si voltò di scatto. Era certa di aver riconosciuto quella voce e solo una persona poteva avere avuto l’ardire di interrompere e non rispettare il suo silenzio. Fissò a lungo il suo interlocutore e, rapida e intelligente come era, cominciò a capire.
“E dare quindi ai nostri nemici il pretesto per affermare che la Regina d’Inghilterra spara sulla sua gente?” Chiese gelida fissando sir Thomas Bolena. “Nemmeno per sogno, lord Rochford. Nessun ordine di quel tipo uscirà mai dalla mia bocca.”
Tutti i consiglieri guardarono stupefatti quello scambio, che sembrava uno scontro cruento quanto quello di due cavalieri di opposte fazioni; sir More fissò per un attimo la Sovrana e lei lo guardò a sua volta. Si capirono al volo, senza bisogno di ulteriori cenni. I Bolena erano dentro quel pasticcio fino al collo. Ora bisognava solo trovare le prove e distruggerli per sempre.
“Ma signora.. siete sicura di ciò che dite?” Osò lui. “Non sarete troppo tenera? La politica si sa che non è cosa da donne..”
A quelle parole Caterina avvampò visibilmente. Insulto peggiore non poteva forse uscire dalla bocca dello sconsiderato consigliere. La Regina torse nervosamente le mani una dentro l’altra, ma dopo alcuni istanti si controllò egregiamente, come sempre.
“In Spagna mia madre, alla testa delle sue truppe, ha cacciato i Mori, e reso il Paese una potenza, signore..” Sibilò furente, e tanto bastò perché il messaggio arrivasse chiaro e forte.
Tuttavia contrariamente alle attese sue, ed anche degli altri consiglieri, sir Thomas non si scusò con lei per la frase oltraggiosa. Caterina ingoiò regalmente anche quell’insulto, segnandolo nel conto senza fine che ormai quella dannata famiglia aveva con lei, e poi si voltò verso sir More, ignorando il padre della sgualdrina Bolena. All’improvviso il suo cervello fu colpito da un lampo e la soluzione per quel caos, la possibile soluzione, fu davanti a lei.
“Sir Thomas..” Lo chiamò, e lui si staccò dal gruppo, facendo un cenno rispettoso con il capo.
“Dica al mio scudiero di preparare un cavallo per me.. Io e lei andiamo a Londra.” Annunciò fra gli ‘Ooh’ stupiti dei Consiglieri. “Vediamo chi oserà disobbedire alla Regina, in sua presenza.”

 

“Sta bene, Vostra Altezza, sta bene.” Rispose Joàn, con un sorriso. “E voi, invece? Come state voi?” Chiese, leggermente più preoccupato. Isabel fece un cenno con la mano come a dire chiudere la questione.
“Oh, io sto bene.. figuriamoci, mi sembra un’assurdità che io sia qui ora..” Rispose lei. “Anche se posso capire..” Aggiunse, lasciando la frase a metà.
“Che intendete dire?” Chiese dolcemente Joàn, coprendo la sua mano con la propria. Isabel lo guardò come se avesse parlato senza pensare.
“Eh? Oh, no.. niente, sir Fernandez. Non ho detto nulla..” Disse cercando di essere convincente. “Sentite, se avete un po’ di tempo, potremmo suonare un po’ assieme, oppure potreste dirmi come state, come sta il dottor Griffith.. Sapete, mi manca un po’.. lui ed il suo spedale.. e tutti coloro che girando intorno a quella struttura..” Propose, aggiungendo l’ultima frase a bassa voce, intimidita tutt’ad un tratto.

 

“Dove state andando, signore?”
Thomas Bolena fermò il messaggero mettendogli la mano sulla spalla e stringendogliela.
“Devo partire per Edimburgo, lord Rochford. Ho questa lettera da consegnare..” Rispose quegli, un po’ stranito che sir Bolena si interessasse della corrispondenza della Regina.
“Bene, date pure a me la missiva. Manderò uno dei miei uomini e la consegnerà entro tre giorni al Re in persona..” Gli ordinò, tendendo la mano.
“Io ho ricevuto ordini ben precisi dalla Regina, e..” Obiettò il poveretto, corrugando le sopracciglia. La faccia di sir Bolena assunse allora una espressione ben diversa.
“Datemi quella lettera..” Si impose. Il messaggero lo guardò, sostenendone lo sguardo, per alcuni istanti e poi, riluttante, gli porse la lettera. “Una sola parola a chiunque su questa storia, e la vostra famiglia verrà distrutta.” Lo minacciò poi. Il ragazzo lo fissò spaventato e poi annuì. “Bene, vedo che ci siamo intesi. Per il vostro disturbo..” Lo congedò, dandogli una borsa piena di monete.

 

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Mamà!!!” Mormorò, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
“Tesoro mio adorato..” Mormorò Caterina, cingendole la vita con un braccio e posando l’altra mano sulla nuca della figlia. Non si aspettava quell’accoglienza così calorosa e del tutto fuori dall’etichetta, ma fu intenerita e deliziata dall’entusiasmo di Isabel. Era una delle poche cose genuine della sua vita e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. La Sovrana sentì la figlia addossarsi ancora di più a lei, e per un attimo tornò indietro nel tempo a quando Isabel era bambina e, turbata o spaventata, correva immediatamente fra le sue braccia o le si sedeva in grembo, a farsi tranquillizzare e consolare. Come allora, Caterina la strinse a sé, accarezzandole la schiena e baciandole il viso.
“State bene, vero? Ditemi, mia signora, state bene?” Cominciò a chiedere convulsamente sua figlia, staccandosi da lei e prendendole teneramente il viso tra le mani. “E’ da almeno due settimane che vorrei vedervi, ma..”
“Calma, Isabel, calma..” La fermò Caterina sorridendole. “Sto bene, come vedi. E tu, come stai?”
“Ah, bene, bene.” Rispose sbrigativamente Isabel, osservando con attenzione il viso della mamma e controllandole la temperatura con una mano, anche se sapeva bene che era assai improbabile avesse ancora anche solo qualche linea di febbre. “Non avete più febbre, per fortuna.. vi siete rimessa in forze completamente, vero? State mangiando ogni giorno con appetito? Dormite tranquilla?”
“Isabel, che sta succedendo?” Caterina abbassò con delicatezza la mano che la figlia le aveva posto sulla fronte, quindi prese il suo mento fra le dita e la guardò negli occhi. Quel comportamento frenetico le suonava strano e per certi versi allarmante. “Io sono qui con te, figlia mia, e sto bene..”
“Bene, madre, sono contenta..” Rispose Isabel visibilmente più soddisfatta. “Non avrei mai sopportato se, oltre a trasmettervi il sudor, avessi anche contribuito a…”
“Cosa? Chi ti ha detto che sei stata tu a trasmettermi il sudor?” Le chiese , prendendola per le spalle. “Isabel, chi ti ha messo in testa questa sciocchezza? Dimmi chi è stato..” Ripeté con maggiore energia, vedendo che non rispondeva.
“Io..” Rispose la fanciulla. “Io pensavo di avervi trasmesso il sudor, madre..”
“Tesoro non sei stata tu..” Disse Caterina, scandalizzata da quello che Isabel aveva creduto in quelle settimane. “Una delle mie dame si è ammalata, povera creatura, ed in meno di un giorno era già nelle mani di Dio.. Tesoro mio, non sei stata tu..”
A quelle parole, Isabel alzò gli occhi al cielo e sospirò di sollievo. Poi, sentendo la tensione emotiva salire e divenire sempre meno controllabile, voltò le spalle alla madre ed andò alla finestra a cercare di calmarsi.
La Sovrana rimase un attimo sconcertata dal suo repentino cambio di umore, ma poi iniziò a riflettere.
Per Isabel doveva essere stato tremendo durante quei giorni affrontare le proprie paure e le proprie certezze, ed occuparsi allo stesso tempo di lei, fare in modo che la situazione non peggiorasse. Un carico eccessivo e fin troppo pesante per una persona così giovane. E quel cialtrone del dottor Vittoria aveva osato dirle quelle parole infamanti e tremende. Dopo qualche istante Caterina la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
“Amore mio, sono così orgogliosa di te..” Le mormorò all’orecchio, baciandola e tenendola stretta a sé. “Sei stata tanto coraggiosa e intelligente, bambina mia. Mi hai salvato la vita, amore mio.. mi hai salvato la vita..”

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Da quando la Regina uscì da Greenwich ed a cavallo si diresse nelle zone della città dove erano scoppiate le ribellioni, nel giro di qualche ora la situazione rientrò quasi nella norma. Caterina aveva un mirabile ascendente sulla popolazione e dove i gruppi di ribelli erano pochi, il solo annuncio del suo arrivo era bastato a disperdere i rivoltosi. Inoltre il fatto che lei fosse lì, dopo tutto quello che aveva passato, aggiungeva un che di miracoloso alla sua presenza.
Mancava ormai solo una zona da riportare al controllo della Corona, e lei si diresse con decisione alla Croce di San Paolo assieme al suo seguito ed a sir More.
La Sovrana si era infuriata quando il Cancelliere le annunciò dove si erano radunati i rivoltosi e, nonostante fosse molto stanca, aveva deciso di recarsi sul posto. In quel luogo poco più di dieci anni prima sir More aveva bruciato tutte le opere di Lutero che aveva trovato a Londra. Che ora quegli eretici lo usassero come palco per il loro blasfemo comizio era a dir poco inconcepibile.
Arrivata all’enorme spiazzo, la Regina rimase sbalordita di fronte alla folle enorme che le si parò davanti.. Sconcertata si voltò verso sir More.
“Sì, mia signora, non sono meno di mille persone..” Mormorò lui, imbarazzato. Un conto era avere a che fare con cinquanta rivoltosi, per lo più contadini, un altro era avere a che fare con centinaia di persone, che urlavano e scandivano frasi contro i cattolici e la Chiesa.
“Voglio andare a parlare con loro..” Disse risoluta. “Andate a chiamare chi li guida..”
Sir More la guardò per un attimo sconcertato, come se non si aspettasse quella decisione, ma poi tutto sembrò precipitare.
Dapprima si udirono delle urla, poi degli spari di Matchlock, quindi di nuovo delle urla e dei colpi di spada e di altre armi bianche.
Prima che qualcuno potesse fermarla, Caterina spronò il cavallo e si diresse con decisione verso la ‘battaglia’. Immediatamente sir More la seguì, con la speranza che non succedesse l’irreparabile. Quello che gli si presentò davanti agli occhi non appena la raggiunse, lo stupì e lo impressionò profondamente.
La sola presenza della Regina nei pressi della battaglia furiosa tra guardie cittadine e rivoltosi, fece fermare la contesa tra i due litiganti. Come un’onda, dalla periferia al centro della lotta, tutti si fermarono quasi in attesa delle parole della Sovrana. Le guardie la osservarono stupiti e nervosi, ché qualcuno dei riformati potesse attaccarla o tentare di ferirla; i rivoltosi, ugualmente stupiti nel vederla lì, la guardavano con attenzione, in attesa delle sue parole e quasi increduli che proprio lei fosse lì. Tutt’intorno, come una cornice silenziosa, la popolazione che non apparteneva a nessuno dei due schieramenti e che, non appena si era diffusa la notizia della presenza di Caterina, pur timorosa, era uscita dalle case per vederla.
Le parole che uscirono, pochi istanti dopo, dalla bocca di lei, tese a rassicurare da una parte e ad ammonire dall’altra, fecero il silenzio più totale. Tutti erano in ascolto della sua voce, ognuno dei presenti poteva sentirsi chiamato in causa mentre lei parlava.
“Tutti voi sapete che io sono una madre, oltre che una Regina. Una madre non esita a correggere, e punire, quando ritiene che i suoi figli siano su una strada cattiva e pericolosa. Io stessa l’ho fatto, più volte, con le mie figlie. Un sovrano è genitore del suo popolo. Ebbene, oggi io sono qui in veste di madre dell’Inghilterra, e per il vostro bene, figli miei, vi chiedo di recedere dalla strada pericolosa ed eretica che avete intrapreso. Non lasciate che altri vi ingannino e vi usino per raggiungere i propri scopi. Lasciatevi convincere dalle mie parole; e se non credete a me, avete l’esempio del Signore Gesù Cristo: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa.’ Ha detto più di duemila anni fa. Queste parole siano la vostra certezza più delle mie..”
“La Chiesa è corrotta!! Ruba a noi e tiene per sé!!” Rispose pochi istanti dopo una voce tonante. Un attimo dopo, un uomo, corpulento e alto non meno di uno e novanta, si fece largo tra le file dei riformati e si avvicinò alle guardie e poi al cavallo di Caterina. “Siamo poveri eppure siamo derubati di quasi tutto. Non bastano le molte tasse per mantenere voi ed il vostro Regno, dobbiamo anche pagare chi dovrebbe salvare la nostra anima..”
Quelle parole, dure ed irrispettose, fecero rabbrividire sir More. Era proprio sull’ignoranza e la buona fede della povera gente che contavano quei mascalzoni dei riformati. La povertà era, più di tutti, l’argomento più semplice per loro per fare leva sulla povera gente e tirarla dalla propria parte. Bastavano poche frasi ben congegnate, su una realtà certa, ed il gioco era fatto. Il Cancelliere guardò la Sovrana. Non aveva perso nulla della sua proverbiale calma, ed appariva serena e tranquilla, anche se era difficile lo fosse davvero.
“Figlio mio caro, comprendo il vostro dolore e la vostra rabbia..” Replicò la Regina. “E’ vero, non tutti gli uomini di Chiesa sono irreprensibili e meritevoli della posizione che occupano e dei privilegi che possiedono. Avete perfettamente ragione. Sarà mia personale cura far partire una inchiesta, seria e approfondita, su tutti i monasteri e le chiese d’Inghilterra. Mi accerterò di persona che la fiducia nei sacerdoti e nei pastori sia ben riposta. Chi ha frodato sarà immediatamente rimosso e punito severamente, perché chi manca di rispetto a voi, manca di rispetto al Re ed alla Regina.”
Per alcuni istanti il silenzio che seguì quelle parole fu assordante quanto un urlo selvaggio. Poi, all’improvviso, qualcuno scagliò un sasso verso il cavallo di Caterina, colpendolo e facendolo quasi imbizzarrire. La Sovrana prese immediatamente le briglie e, prima ancora che sir More o sir Pole potessero fare qualcosa, riuscì a controllare l’animale.
Le guardie reagirono immediatamente ed attaccarono in massa i rivoltosi. La battaglia riprese, più forte che mai, ma stavolta si aggiunse un ulteriore elemento.
Inferocita per l’attacco proditorio e vigliacco alla Sovrana, la folla attaccò anch’essa i riformati, aiutando le guardie ad avere ragione di essi.

 

“Anche voi mancate allo spedale, Vostra Altezza.” Rispose con un sorriso sir Joàn. Isabel lo guardò e sorrise, in un muto ringraziamento, divenendo tutta rossa in volto. I suoi occhi la guardavano con tenerezza e attenzione e prima che lei potesse parlare di nuovo e spezzare quella dolce tensione fra loro, fu lui a parlare. “La vostra idea di spedale a Windsor ha salvato molte persone, e ha dato modo di assistere e confortare quelle che stavano molto male, sapete?” Continuò Joàn guardandola in volto, con un sorriso a metà tra l’ammirato e l’orgoglioso. “Ho visitato la struttura e, credetemi, avete fatto un buonissimo lavoro..”
Isabel annuì in silenzio. Quei complimenti le facevano enorme piacere, senza dubbio, e si sentiva orgogliosa di sé per aver contribuito a quel modo a creare qualcosa che fosse utile per quelle persone. Tuttavia, qualcosa la angustiava. Era certa che sua madre    fosse ancora adirata con lei per come si era permessa di creare una cosa del genere da sola, senza il suo permesso, ed anzi ben sapendo che le aveva raccomandato obbedienza e basso profilo.
“C’è qualcosa che vi turba, vero Altezza?” Chiese Joàn fissandola con occhi solleciti ed attenti. Isabel non poté negarlo, ma tentò ugualmente di dare poco peso alla cosa.
“Non è nulla che non si possa risolvere al più presto, signore..” Mormorò, sperando di aver ragione.
“Non vi preoccupate, Isabel. Non è necessario mi diciate tutto..” Rispose lui, toccandole il polso ed azzardando una carezza, pur se per pochi secondi. “Sappiate che quando e se vorrete confidarvi, io sarò pronto ad ascoltarvi. E in questi giorni desidero mi consideriate a vostra disposizione. Non sopporterei di sapervi sola..” Rincarò la dose, con un sorriso e tenendo la mano sul braccio di lei.

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“Qualche giorno fa ripensavo al mio primo ricordo..” Mormorò Isabel guardando dalla finestra. Caterina, seduta su una poltrona lunga a due posti, spostò gli occhi su di lei in attesa del resto. “Avevo tre o quattro anni, eravamo in una sala, non molto grande, ma accogliente. Ricordo gli enormi tappeti sul pavimento, il fuoco nel camino. Mio padre stava suonando il liuto e Maria danzava per lui.” Raccontò Isabel. Caterina socchiuse un attimo gli occhi, come se stesse mettendo a fuoco l’immagine, poi li riaprì annuendo. “Era sempre così quando lui suonava qualcosa.. Maria lo accompagnava al virginale, oppure danzava per lui. E quell’occasione non faceva certo eccezione, ovviamente.” Aggiunse con tono più amaro di quanto si fosse mai permessa.
“E tu eri da una parte..” Mormorò Caterina, agganciandosi alla perfezione al suo discorso. Isabel si voltò a guardarla leggermente stupita. Non pensava si sarebbe ricordata dopo tutti quegli anni. “Ti sei avvicinata solo quando ti ho teso la mano. E, come sempre, ti sei seduta sulle mie ginocchia..” Isabel rimase in silenzio. Mai avrebbe creduto che potesse ricordarsi così bene. “Era sempre così ogni volta che tuo padre e Maria erano in qualche sala ed interagivano, o anche quando c’era Maria soltanto.. vero, Isabel?” La Principessa annuì, in silenzio. Non aveva senso contraddire o contestare la madre. Quel che diceva era la pura e semplice verità.
“Tutti hanno sempre amato Maria..” Disse Isabel, con voce neutra. “Era giusto così. Maria è la primogenita, l’erede al trono, ed è vostra figlia. E’ obbediente, simpatica, amabile, sa come comportarsi in ogni momento; è assennata, virtuosa e studiosa. Tutto ciò che io non sono, e forse non sarò mai.” Aggiunse Isabel con convinzione e calore nei confronti della sorella maggiore. All’ultima frase, però, si voltò per guardare dalla finestra, ed abbassò sensibilmente il volume della voce.
Caterina tuttavia, udì ugualmente le sue parole e ne rimase turbata. Si rendeva conto che Isabel non era gelosa della sorella e le voleva sinceramente bene, però per quanto stesse trovando una propria dimensione che la faceva star bene, le permetteva di crescere bene e sentirsi apprezzata, si riteneva tanto peggiore di Maria. La Sovrana non capiva il motivo di quel ragionamento, ma non fu così per molto. “Voi la amate, e il Re.. bè, è pazzo di lei. Lui l’adora davvero. Non fa che parlare di lei, di quanto sia la sua perla, di quanto la apprezzi e la ritenga insostituibile come figlia..” Ammise alla fine, abbassando gli occhi e non osando guardare sua madre.
Non era gelosa del rapporto tra suo padre e Maria. I due erano estremamente legati da che Isabel ricordasse e si guardavano con occhi del tutto speciali. La fanciulla non sentiva quel tipo di legame con lui, quindi non invidiava in alcun modo la sorella, né avrebbe mai voluto esser al suo posto. Semmai, Isabel era consapevole di sentire quel tipo di affetto per sua madre, e nel tempo aveva sperato tante volte di poter creare con lei il legame profondo e complice che vedeva tra il padre e sua sorella. Tante volte però lei e Caterina avevano discusso, litigato, si erano scontrate e nella terribile occasione del Natale scorso, la madre l’aveva addirittura cacciata dalla corte. Un episodio che Isabel ricordava ancora con enorme dispiacere e le dava motivo di credere che sua madre non avrebbe mai pensato di fidarsi di lei, o ritenerla quello che Enrico pensava fosse Maria: la sua erede, non solo in senso stretto, ma anche caratterialmente e spiritualmente. Sapeva che sua madre le voleva bene, non era certo quello in discussione. Tuttavia la fanciulla si rendeva conto di sentire più del semplice affetto per la madre. Come le aveva detto già una volta: quando pensava a sé adulta, era sulle sue orme che voleva camminare; era la sua approvazione che desiderava e ricercava. “... C’è qualcosa fra loro, che sembra così evidente.. si capiscono al volo, si cercano di continuo con gli sguardi e con le parole, lui dice che ha preso tanto da lui.. Insomma, è un genitore innamorato della propria figlia..” Continuò Isabel, tornando a voltarsi e a guardare dalla finestra. Dopo quelle parole così esplicite non aveva il coraggio, non solo di guardarla direttamente, ma nemmeno nella sua direzione. Chiuse gli occhi, pronta a sorbirsi un altro incredibile, strabordante, trionfante elenco di apprezzamenti nei confronti di Maria, stavolta però da parte di Caterina. Si diede della stupida per aver iniziato lei le danze. Ora la madre ne avrebbe tessuto le lodi, ed avrebbe stroncato per sempre le sue speranze.
“Tesoro mio, ricordati sempre che tu hai me..” Mormorò dolcemente Caterina guardando nella sua direzione e sorridendo in attesa che lei si voltasse.
E Isabel si voltò, verso di lei. Gli occhi spalancati, la bocca appena aperta, tutto il suo corpo teso e quasi bloccato da quelle parole che le sembravano irreali. Fedele al suo ruolo di madre di entrambe, Caterina non era stata così esplicita come Isabel, e lei sapeva che era giusto così; tuttavia le aveva fatto capire che la predilezione che Enrico aveva nei confronti di Maria era bilanciata dalla propria nei confronti di lei.
Sua madre continuava a guardarla con gli occhi così traboccanti di amore che non ebbe più senso aspettare lì. La bocca di Isabel si aprì, pian piano ma inesorabilmente, ad un sorriso e la fanciulla a passi lenti si avvicinò alla poltrona su cui era seduta sua madre.
“Amore..” Mormorò Caterina, accogliendola fra le sue braccia. Isabel la abbracciò stretta, e si strinse a lei.
“Vita mia..” Le rispose la fanciulla. Commossa ed intenerita da quella parole, la Sovrana la strinse ancora di più a sé, indicibilmente felice.

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“Mia signora, è un atto estremamente generoso da parte vostra..” Mormorò sir More, guardando Caterina e prendendo il foglio che lei aveva appena firmato, e gli stava riconsegnando. La Sovrana scosse la testa.
“No, sir Thomas..” Lo contraddisse con dolcezza. “E’ piuttosto un atto dovuto. E’ preciso dovere della Corona pensare a quei sudditi che non sono riusciti a guarire dal sudor. Il minimo che io ed il Re possiamo fare è pagare almeno i loro funerali.”
Il Cancelliere la guardò in silenzio, enormemente ammirato. Quella donna era straordinaria ed anche in quella occasione aveva dato prova di immensa generosità. Lui sapeva bene che il Re non si sarebbe mai sognato di pagare di tasca propria il funerale di quegli sfortunati sudditi morti, la cui miseria era talmente nera da non poter avere nemmeno un funerale decente. Caterina, invece, non aveva battuto ciglio e quando l’epidemia era finalmente terminata, una volta imprigionati tutti i riformati ribelli, si era dedicata ai ‘suoi figli più cari’, come aveva preso a chiamare i poveri del Paese.
“Vi prego, sir More, fatemi avere costanti informazioni a riguardo. Non voglio che uno solo dei miei figli debba lamentare ed avere a che dire che la Corona non fa il proprio dovere. Ci siamo intesi, vero?” Si raccomandò con una certa decisione. Il Cancelliere annuì e prese appunti. Stavano per passare alla questione dei riformati, quando da fuori udirono una voce provenire dall’anticamera. Pochi istanti dopo il dottor Vittoria entrò, trafelato e adirato, nello studio privato di Caterina. La Sovrana lo guardò con un misto di curiosità ed ostilità, poi attese che si scusasse per la sua entrata a dir poco irruenta e chiarisse il motivo della sua visita. Dato che da poco più di due settimane si era ripresa più che bene non capiva la sua agitazione. “A cosa dobbiamo questa sua premura, dottor Vittoria?” Chiese la Sovrana, con uno sguardo ben poco felice, ed esortandolo a scusarsi e chiarire il motivo di quella visita.
“Scusate Maestà, non è mia abitudine interrompere il vostro prezioso lavoro, ma devo protestare. Voi non vi siete ancora ripresa e non solo una settimana fa siete andata in giro per la città incontro a quella marmaglia, rischiando anche l’osso del collo, ma non avete minimamente diminuito il vostro carico di lavoro.” Cominciò lui. Caterina lo guardò e scosse la testa, in disaccordo con lui. L’uomo però non la fece nemmeno iniziare a parlare e proseguì la sua personale filippica. “Senza contare che le mosse imprudenti e del tutto sconsiderate di vostra figlia vi hanno messo in estremo pericolo. Dio solo sa che cosa vi ha trasmesso…” Osò dire. Thomas More rimase in silenzio, troppo stupito per l’ardire delle sue parole, ma con la coda dell’occhio guardò Caterina, che, rossa in viso, l’aveva ascoltato, finendo per adirarsi. “Dovreste punirla severamente per ciò che ha fatto.. Non solo non ha ascoltato le mie parole, e prima ancora mi ha disobbedito entrando nella vostra stanza, ma poi vi ha oltraggiata usando metodi a dir poco strani ed irriguardosi nei vostri confronti!! E tutto perché scioccamente convinta di aver ragione!!” Proseguì lui incurante dello sguardo sempre più cupo e meno accondiscendente della Sovrana. “Senza contare che mi ha cacciato dalla vostra stanza impedendomi di fare il mio lavoro..”
Ecco finalmente, pensò Caterina, i termini della questione. Il medico non era adirato per i modi poco ortodossi di Isabel, o perché la fanciulla avesse messo in reale pericolo la vita di sua madre, ma solo per essere stato cacciato e, prima ancora, offeso.
Quando, finalmente, terminò le sue geremiadi, il dottor Vittoria stette in silenzio, in attesa delle parole di Caterina. Si aspettava che la Sovrana lo avrebbe rincuorato e gli avrebbe sostanzialmente tenuto bordone, censurando, e magari punendo, l’atteggiamento della figlia.
“Mi riesce difficile immaginare e pensare che una creatura come Isabel possa riuscire fisicamente a mettervi da parte, dottor Vittoria..” Lo servì una prima volta Caterina. Il medico la guardò, stupito per quelle parole. Si aspettava un appoggio incondizionato, ed invece…
“Che intendete dire Maestà?” Chiese, cercando disperatamente di prendere tempo e capire dove lei volesse andare a parare.
“Quanto pesate, signore?” Spiegò la Regina, con l’aria dell’insegnante stufa di spiegare la lezione ad un alunno intelligente, ma svogliato. “80 chili almeno, mi pare, no? E siete alto quasi uno e ottanta..” E quello annuì. “Ebbene, mi chiedo come mia figlia, che pesa trenta chili ed è alta come minimo venti centimetri meno di voi, possa mettervi in un angolo senza che voi opponiate una pur minima resistenza.” Obiettò, chiudendogli la bocca e facendogli abbassare quello sguardo che negli ultimi mesi era diventato talmente altezzoso da essere ormai apertamente sfrontato.
“Vedete Maestà, in quel momento non ho avuto cuore di mandarla via..” Rispose il dottor Vittoria, dopo un po’. “In fondo era sempre vostra figlia..”
Caterina spalancò gli occhi. La rabbia che in quei minuti sembrava essersi almeno acquietata tornò su facendola quasi rabbrividire e tremare. Sir Thomas la fissò sentendo e percependo il suo dolore e la sua rabbia. Pur non volendo intromettersi in quella conversazione così privata e particolare, sentì di dover fare qualcosa per la sua Regina. In silenzio si avvicinò al medico e lo guardò sperando che capisse che era il caso di scusarsi e poi uscire di lì. Il suo interlocutore non se ne diede per inteso e, spostando lo sguardo di nuovo sulla Sovrana, affondò il colpo peggiore, quello che la fece davvero vacillare.
“E’ un miracolo che voi siate viva dopo le pratiche oscene di vostra figlia!! E’ un miracolo che Dio non si sia adirato con lei, punendo voi..” Buttò lì il furfante. A quelle parole, Caterina impallidì visibilmente e fu sir Thomas a congedare il medico, con modi meno accondiscendenti e disponibili di quelli che aveva solitamente.
Quando si voltò di nuovo verso la Sovrana, ella aveva il viso ancora pallido e lo sguardo atterrito. Era evidente che le parole di Vittoria avevano lasciato un segno tutt’altro che leggero su di lei.
“Mia buona signora, non penserete davvero che..” Cominciò a dire lui, con la sua solita voce calma e rassicurante. Caterina gli lanciò un’occhiata furente.
“Chiamatemi immediatamente lady Willoughby.” Ordinò, controllando a stento la rabbia.

 

“Vedo che il forzato soggiorno non vi impedisce di esercitarvi e di migliorare, Vostra Altezza.”
Isabel alzò il volto dal liuto con cui nelle ultime settimane aveva preso ad esercitarsi sempre di più e sorrise a Joàn che lady Thorston aveva fatto entrare nella piccola sala.
“Siete sempre molto gentile, signore..” Lo salutò lei, alzandosi ed andando verso di lui, dopo aver riposto lo strumento nella custodia. Joàn si inchinò prontamente di fronte a lei ed Isabel gli mise le mani sulle spalle, rialzandolo prontamente. “Vi prego, non è necessaria questa formalità, e questi onori poi non mi sono dovuti, mio buon signore..” Mormorò lei.
“E’ solo questione di tempo, Altezza.” Rispose lui, sorridendo nel suo solito modo, aperto e cordiale. Isabel lo guardò, corrugando le sopracciglia, senza capire dove volesse andar a parare. “Il trono, cara Isabel.. il trono sarà vostro..” Spiegò lui.
“Starete scherzando, spero..” Rispose lei, dopo alcuni istanti di scioccato silenzio. L’idea che suo padre potesse ritenerla adatta a regnare non l’aveva mai sfiorata, anzi si considerava fuori dai giochi in modo totale e completo. Non che le interessasse salire al trono, poi. “Dimenticate mia sorella, signore..” Puntualizzò, con una certa decisione.
“Voi credete che vostro padre darà alla Francia la possibilità di regnare sull’Inghilterra? E’ più facile che diventi io Re, semmai.” Rispose lui, quasi divertito da quell’inaspettato scambio di battute e di pareri.
“State diventando impudente..” Lo avvertì lei, e nei suoi occhi passò un lampo. Dopo di che, Isabel fece due passi indietro, allontanandosi da lui. “E poi dimenticate che io sono fidanzata con..”
“Quel vecchio borioso e gottoso!” Esclamò divertito sir Joàn. “Quanto penserete duri? E poi è già mezzo ammalato..”
“Non lo sapevo..” Ammise Isabel, sedendosi e restando in silenzio. Per diverse settimane il pensiero delle nozze con sir Sten era stato lontanissimo dalla sua mente. La situazione della madre e la sua malattia avevano assorbito completamente i suoi pensieri e le sue azioni. Si rendeva conto che il suo matrimonio era un evento che man mano passavano i giorni si avvicinava inesorabilmente. Il Re non doveva avere molta considerazione di lei per averla destinata ad un marito del genere, senza contare la sua intenzione di spedirla in un Paese lontano e completamente nuovo. Ma quello era il suo destino e lei aveva promesso si sarebbe piegata con serena tranquillità. Ora però, il dolore e la paura di partire, uniti alla sostanziale indifferenza che provava nei confronti del nobiluomo svedese, tornarono a fare capolino dentro di lei, rafforzati stavolta dal nuovo confronto con la madre, cui si sentiva sempre più legata, ma con la quale non erano tuttavia mancati motivi di contrasto e di forte dialettica, e poi dai suoi sentimenti verso sir Joàn, che non aveva mancato di andare a trovarla ogni giorno, restando con lei anche per diverse ore a parlare, far musica assieme, ridere un po’ e tenerla almeno serena nonostante l’enorme solitudine che sentiva. In silenzio alzò gli occhi su di lui e scoprì di non poter più fare a meno della sua presenza, delle sue parole, della sua voce calma e gioiosa che riusciva a rasserenarla ogni volta. I contrasti che nascevano con lui non erano quelli di due persone che non hanno nulla in comune, ma semmai quelli delle menti vivaci ed aperte, che dicono sempre quello che pensano, e che trovano conforto, oltre che nella mutuale vicinanza di idee e gusti, anche nello scambio continuo di punti di vista ed opinioni. La giovane sentiva che per certi versi il suo rapporto con Joàn somigliava a quello che aveva con sua madre. Questo da una parte le faceva enorme piacere, perché sentiva bisogno del confronto con persone come la Regina, ma più vicine per età e non necessariamente legate a lei da vincoli familiari o affettivi, ma dall’altra le incuteva timore e la spaventava; che cosa sarebbe successo se avesse continuato ad avvicinarsi a lui, e lui di rimando, una volta che il Re avesse deciso che era tempo che lasciasse l’Inghilterra e la sua casa? Isabel sospirò e scosse leggermente la testa. Si sentiva presa tra due fuochi: l’attrazione con Joàn era ormai evidente e talmente palpabile che tra i due giovani i silenzi avevano cominciato ad essere più carichi di significato e pesanti delle parole stesse.
“Vi prego, andatevene..” Mormorò Isabel, girando il viso, senza più osare guardarlo. “Vi chiedo la cortesia di non venirmi più a trovare, signore.”
Joàn la guardò, sorpreso ed enormemente addolorato per quella svolta inaspettata. Adorava starle accanto, si sentiva a suo agio e la Principessa gli piaceva enormemente. Sapeva bene che non c’era futuro per un eventuale legame che andasse al di là della amicizia e la vicinanza in alcune attività, ma per il momento riusciva a godere di quanto aveva senza provare troppo dolore, riuscendo a tener a bada l’ansia da separazione. Ora, il fatto che lei lo scacciasse a quel modo gli faceva provare un dolore acuto ed insopportabile. Aveva la sensazione di non capirla più e si sentiva quasi preso in giro dal suo comportamento improvvisamente ondivago ed umorale. Sulle prime ebbe l’impulso di chiederle ragione di quell’atteggiamento, ma poi il proprio orgoglio gli cucì la bocca e non chiese nulla, né commentò in alcun modo. In silenzio la guardò per alcuni istanti, quindi, dopo essersi chinato in segno di saluto, le voltò le spalle e si avviò verso la porta.

 

“Sto aspettando una risposta, lady Willoughby..” Gli occhi blu di Caterina si posarono sulla dama, che fissava in totale silenzio il pavimento. Il piede della Sovrana batteva nervosamente a terra e la sua impazienza era palpabile. La dama ed amica della Regina sospirò e poi annuì.
“E’ vero Maestà. Vostra figlia ha, di fatto, cacciato il dottor Vittoria dalla vostra stanza. E’ vero che gli ha messo le mani addosso, per poterlo spostare e che lui non ha opposto resistenza, nonostante si fosse detto del tutto in disaccordo con la Principessa su cosa fare per voi e le vostre condizioni.” Disse finalmente la donna. Caterina scosse la testa e sospirò, visibilmente adirata.
“Bambina testarda e cocciuta.” Mormorò, incollerita, andando di fronte ad una finestra a guardare il giardino. “Stavolta però non la passi liscia..” Aggiunse a voce talmente bassa da non potere essere udita.
“Aspettate, Maestà.. non ho finito..” Disse lady Willoughby. “E’ vero, vostra figlia ha osato allontanare il vostro medico, ma non vi ha lasciata un solo istante.. Ha dormito due ore per notte, e nell’ultima settimana anche meno. Quando si è resa conto che la febbre non scendeva, ha provato a togliervi le coperte più pesanti di dosso ed a lasciarvi… ehm… più leggera..” Spiegò, non osando scendere in particolari. “E’ vero, i suoi metodi hanno rasentato l’oltraggio quando vi ha messo le pezzuole bagnate con acqua fredda in parti del corpo che una figlia non dovrebbe toccare, tantomeno vedere..” A quelle parole, Caterina si voltò, paonazza.
“Cosa?!” Riuscì a sibilare, gli occhi sbarrati di collera. Maria de Salinas per un attimo non riuscì nemmeno a sostenere quegli occhi, tale era l’enorme imbarazzo provato. Poi però sembrò ricordarsi a cosa avesse portato quella mossa e riprese.
“Però, così facendo, la febbre è scesa Maestà, e voi avete potuto pian piano riprendervi.. e poi, vostra figlia, vi ha davvero salvato la vita.” Le disse, avvicinandosi. Osando toccarla, le accarezzò la spalla ed il braccio. Con delicatezza le raccontò dell’errore commesso, di come le avesse dato da mangiare, rischiando di portarla al soffocamento; poi le disse del coraggio enorme di Isabel, che non aveva esitato a tirarle letteralmente fuori dalla gola il pezzetto di cibo, prima con uno stecco e poi, dopo diversi testativi, con le dita.
Dopo il racconto sofferto e commosso di Maria, Caterina si voltò verso l’amica, e vide che aveva gli occhi colmi di lacrime. Quello sguardo, più che le parole, la convinsero di quanto aveva fatto Isabel e una strana sensazione la invase.
Isabel le aveva salvato la vita. Aveva fatto di testa propria, attuando comportamenti del tutto nuovi, ma aveva avuto intuito e fiuto, ed essi avevano avuto fortuna e portato frutto. Più di tutto, però, la colpiva e le riempiva il cuore il fatto che la sua creatura non si fosse arresa, mai. Aveva tentato ogni modo per salvarle la vita. La fortuna che aveva arriso alle sue azioni era una componente che a Caterina non interessava, ed ora perdeva di importanza anche il comportamento testardo e ostinato di Isabel. Ciò che più contava era che quell’angelo le aveva salvato la vita e le era rimasto accanto, nonostante il rischio praticamente certo di contagio e morte.
Tornando a guardare dalla finestra, l’unica cosa che la Sovrana desiderava era quella di stringere a sé la sua bambina, baciarne il viso e le mani, chiederle in silenzio scusa per aver pensato male delle sue azioni. All’improvviso però, un pensiero tornò a fare capolino nella mente della Regina: il dottor Vittoria le aveva lasciato intendere che Isabel si fosse comportata in maniera non solo sconveniente, ma addirittura oscena nei suoi confronti. E se aveva osato dire quel tipo di menzogne a lei, che era comunque la Sovrana e la sua padrona, che cosa non doveva aver detto ad Isabel, con il proposito di farla sentire responsabile delle condizioni in cui lei versava più di quanto fosse giusto? Che cosa mai quel delinquente non doveva aver insinuato nella mente della Principessa per metterle addosso la paura di una punizione severa? La collera della Regina tornò a salire inesorabilmente, e lei si sentì pian piano letteralmente ribollire.
“Fate sapere al dottor Vittoria che ESIGO venga qui nel più breve tempo possibile.” Disse soltanto, voltandosi verso Maria de Salinas e guardandola con occhi talmente furenti, che la dama abbassò immediatamente il viso, rispondendole con voce malferma.
“Era in partenza per la Spagna, Maestà..” Caterina la guardò con occhi lampeggianti.
“Fategli sapere che o passa qui a darmi spiegazioni, o le darà in tribunale..” Disse soltanto, e tanto bastò perché Maria sparisse a far riferire il messaggio.

 

La mano di Joàn si posò sulla maniglia e la abbassò, quando le sue orecchie vennero solleticate da un rumore sommesso e flebilissimo. Era un pianto. Il giovane restò con la mano posata sull’elegante ma freddo oggetto e girò appena il viso. Con la coda dell’occhio, vide Isabel che gli dava le spalle, scossa da singhiozzi trattenuti. Vederla in quel modo, con il viso nascosto tra le mani e l’ostinazione nel cercare di non farsi sentire, gli spezzò il cuore. Dopo pochi istanti andò verso di lei, azzardandosi a stringerla fra le braccia. Contrariamente a quanto si aspettava, Isabel non si sottrasse alla stretta, ed anzi la ricambiò.
Joàn la sentì tremare e singhiozzare fra le sue braccia e istintivamente la strinse ancora più forte, accarezzandole con una mano la schiena e poi i capelli.
“Perdonatemi..” Mormorò la Principessa contro la sua giubba di velluto. “Vi prego signore, perdonate la mia stupidità..”
Joàn abbassò il viso fino a che la bocca toccò l’orecchio di lei.
“Shht, non ci pensate, Altezza.” Le rispose dolcemente. “Ora calmatevi, su..”
Per alcuni istanti la Principessa continuò a tremare fra le braccia del giovane nobiluomo spagnolo, poi a poco a poco si calmò. Più serena, ma ancora singhiozzante, alzò il viso su di lui e ne incontrò gli occhi verdi. Come incantata da quella espressione dolce, alzò una mano e gli accarezzò la guancia. La barba morbida le solleticò il palmo della mano e le strappò un sorriso. Joàn sorrise a sua volta, e la tensione parve stemperarsi un pochino. Per diversi minuti, i due ragazzi, senza dire una sola parola, continuarono a guardarsi occhi negli occhi e di colpo tornarono a essere seri. Fu allora che Joàn avvicinò il proprio viso a quello della Principessa, e lei gli baciò le labbra.
 

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“Pensate che il Re mi punirà quando tornerà a Londra?”
Le parole di Isabel sorpresero, e non poco, la Sovrana. Caterina guardò la figlia e scosse la testa, sconcertata.
“Amore, no.” Le disse ferma accarezzandole con il dorso delle dita la guancia e sorridendo lievemente. “Nessuno ti punirà, amore mio. E non capisco nemmeno per cosa.”
“Ho rischiato di uccidervi, mamà..” Rispose Isabel. “Le mie azioni a dir poco sconsiderate potevano uccidervi.” Puntualizzò con forza.
“Isabel quello che tu hai fatto, semmai, ha contribuito a farmi vivere..” Ribatté Caterina, con eguale decisione. Isabel scosse la testa e non disse nulla.
“Avrei potuto uccidervi.. con le mie sciocchezze avrei potuto uccidervi..” Prese a ripetere, distogliendo gli occhi da sua madre. Gli occhi le si riempirono di lacrime e dopo qualche istante non disse più nulla. Pian piano si allontanò da lei, andando a finire nell’angolo della poltrona. Tirò su le gambe e si abbracciò le ginocchia.
Caterina la fissò teneramente e si sentì spezzare il cuore. Intuiva quanto dovesse essere stato difficile per Isabel prendersi cura di lei, con la costante paura di sbagliare, il terrore di cadere a sua volta ammalata, e non ultimo il fatto che il sudor fosse una bestia tremenda da sconfiggere e che le sue conoscenze mediche fossero del tutto inappropriate per quella situazione. Maria de Salinas le aveva raccontato dello straordinario coraggio che la figlia aveva dimostrato, del suo fermo decisionismo nel voler tentare di percorrere una nuova strada e dell’incredibile intuito che dimostrò nelle sue scelte. La Regina si sentiva piena di orgoglio e per un attimo, durante quei giorni convulsi e intensi, si pentì di aver ostacolato con tanta pervicacia il desiderio di Isabel di avvicinarsi alla medicina. Era ormai evidente che fosse portata per quella disciplina e che il suo contributo potesse realmente rendere migliori le vite delle persone. Il fatto stesso che, non appena arrivata a Windsor il mese prima, avesse organizzato una sorta di spedale alla buona per persone malate e indigenti, contribuendo a salvarne diverse, la diceva lunga sul suo spirito versatile ed attento e sulla sua enorme generosità. Solo quando parlò con Maria de Salinas, seppe che Isabel le aveva non solo intitolato lo spedale, ma anche dato tutto il merito della preziosa iniziativa, senza prendere per sé nessuna gloria, se non quella di aver contribuito a mettere su in modo concreto il tutto.
“Non mi hai ucciso, bambina mia..” Mormorò avvicinandosi a lei e sciogliendo la stretta delle braccia di Isabel. La fanciulla chiuse gli occhi e girò ancora di più il volto, segno più che evidente che stava ormai per cedere alla commozione. “Non mi hai affatto uccisa, come vedi.. Anzi, sei stata coraggiosa e forte, tesoro mio..” Le disse stendendo le gambe di Isabel e posandosele in grembo, in modo da potersi avvicinare ancora di più a lei. Con l’indice le accarezzò delicatamente la fronte e poi un lato del viso. Per quanto fosse forte, cercò di reprimere l’impulso di girare il viso della figlia verso di sé, e continuò a parlarle dolcemente. “E’ stata dura per te, amore mio, lo posso immaginare. Sono così orgogliosa di te, e tanto felice che sia stata tu a farmi stare meglio..”
All’improvviso Isabel si voltò verso di lei, il viso rigato dalle lacrime. Caterina fece appena in tempo ad aprire le braccia, che la figlia vi si gettò senza dir nulla, stringendo a sé la mamma.

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Capitolo 22
*** I Care ***


A Queen's Daughter - I Care

Londra, Settembre 1530 – I Care

 

“Maestà, grazie mille..” Inginocchiato e con il viso basso, il dottor Griffith stava di fronte a Caterina, che lo aveva appena nominato suo medico personale. La Regina lo guardò ed annuì in silenzio, compiaciuta dalla sua rispettosa devozione. Fatti un paio di passi, gli si avvicinò e gli toccò la spalla, facendogli capire che poteva rialzarsi.
“Dottor Griffith, è un piacere per me avervi nominato medico personale. Sono certa che sarete degno dell’ufficio che vi è stato posto fra le mani..” Disse lei a voce alta, in modo che tutti i consiglieri loro intorno e chi era presente nella sala del trono udissero le sue parole. Isabel e Joàn, uno di fronte all’altro, contenti per la buona sorte capitata al dottor Griffith, si guardarono e si sorrisero.
Erano passate due settimane da quel bacio e in quel periodo la Principessa era dapprima tornata a corte e poi, gradualmente, al suo lavoro ed ai suoi uffici. Caterina, benché assai impegnata, aveva cercato di vederla tutti i giorni e di starle accanto. Rivedersi, quindici giorni prima, e tutto quello che era scaturito da quella visita, era stato importantissimo sia per la Regina che per la Principessa, ed esse si sentivano legate ancor più profondamente e più consapevolmente di quanto fosse mai stato in passato. Soprattutto in quello che riguardava il lavoro allo spedale a Londra, che Isabel aveva ripreso da pochi giorni, e per quanto concerneva quello per malati di sudor a Windsor, madre e figlia cominciavano a capirsi più velocemente ed a concordare su modi di agire e persone da coinvolgere. La più grossa perplessità della Sovrana riguardava chi porre a capo della struttura londinese. Il delfino di Griffith, o comunque il medico che egli considerava come tale e di cui si fidava maggiormente, era Joàn, ma era impensabile che gli venisse affidata la responsabilità di entrambi gli spedali, ed essendo il giovane a capo di quello di Windsor, si doveva trovare una soluzione. Nemmeno il dottor Griffith avrebbe potuto occuparsi di quella questione: avendo nelle sue mani la salute della Sovrana, egli doveva essere reperibile in ogni istante ed i due uffici erano evidentemente incompatibili. Negli ultimi tre giorni l’anziano medico e Joàn erano stati continuamente a colloquio con Caterina, e le avevano sottoposto diversi nomi, ma la Sovrana aveva storto regolarmente il naso. Di un candidato non amava un aspetto, di un altro non ne apprezzava un secondo, ed alla fine i due non avevano ricevuto il via libera su alcun nome.
“Devo parlarvi, Vostra Altezza..” Sussurrò Joàn a fior di labbra, quando la ‘cerimonia’ di nomina terminò e i due ragazzi ebbero la possibilità di avvicinarsi di qualche metro. Isabel lo guardò annuendo e sorridendogli un poco. I due giovani, a dispetto del luogo in cui si trovavano e del fatto di non essere da soli, rimasero a guardarsi in silenzio per alcuni secondi, poi Joàn sorrise un ultima volta, si inchinò alla Principessa ed andò via. Isabel lo seguì con lo sguardo fino a che non ebbe lasciato la sala.
“Piccola, nostra madre ti chiama..” Le sussurrò Maria all’orecchio. Concentrata come era su Joàn, Isabel fece quasi un salto, quindi cercò di ricomporsi assumendo il suo abituale contegno, si girò verso la sorella, annuendo.
“Certo, Maria. Grazie..” Rispose, riuscendo perfino a sorriderle.

 

“Isabel, eccoti..”
La Principessa riverì la madre, rispondendo al suo tenue sorriso, poi vide Joàn e il dottor Griffith. La loro presenza la confuse per qualche istante. Perché mai si trovavano lì? Di cosa mai dovevano parlare con la Sovrana? Mentre cercava una risposta a queste domande, i suoi occhi incontrarono quelli di Joàn. Lo scambio di sguardi con il giovane la fece arrossire fino alle orecchie, ed anche lui, pochi istanti dopo, si affrettò a distogliere lo sguardo, per indirizzarlo direttamente sul pavimento. Se i due adulti si resero conto di cosa stava avvenendo, non lo diedero a vedere.
“Mia Sovrana, la situazione dello spedale di Londra necessita una qualunque risoluzione.” Disse il dottor Griffith, rispondendo inconsapevolmente alle domande di Isabel. “E’ una struttura grande, complessa, di una certa importanza, e non può contare e far affidamento su un responsabile a mezzo servizio, o addirittura su nessuno..Capite che non è più possibile procrastinare una scelta..” Caterina sospirò, annuendo in silenzio. Il medico aveva ragione, su questo non c’erano dubbi, ma tutti i candidati non la soddisfacevano pienamente e lei si fidava ciecamente del proprio istinto, di quella voce che le indicava la via da percorrere.
“Io sono d’accordo con voi, dottore, ma non c’è un candidato..” Obiettò lei, accogliendo comunque il suo ragionamento.
“A dire il vero c’è, Maestà..” Si permise di intervenire Joàn. La Sovrana corrugò per un attimo le sopracciglia, e rimase in silenzio, facendogli capire di proseguire a parlare. Joàn si voltò istintivamente prima verso Isabel, che cercò di restare impassibile, poi verso il dottor Griffith che fece un veloce cenno di assenso con la testa, spingendolo a spiegare alla Regina la soluzione che avevano in mente. “E’ un medico che viene dalla Spagna, e che conosce la vostra famiglia.. suo padre ha conosciuto vostra madre e per un certo periodo l’ha curata..”
“Bene, allora che aspettate? Fatelo venire qui in Inghilterra e organizzate un incontro con me.” Esortò Caterina. “E’ evidente che servano medici, e uno spagnolo credo sia preparato quanto uno inglese.” Disse ancora lei. Griffith e Joàn si guardarono in silenzio, perplessi da quanto aveva detto la Sovrana. Isabel li guardò di sottecchi e sentì un brivido lungo la schiena.
“Maestà..” Cominciò il medico più anziano. Caterina, intenta ad osservare per un attimo le espressioni a dir poco dubbiose di Isabel e Joàn, non lo udì subito. “Il medico in questione non è spagnolo.. E’ arabo, mia signora..” Spiegò finalmente, restando poi in attesa della reazione della Sovrana.
“Cosa è lui?” Sibilò la Regina, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa e da qualcos’altro che divenne in un attimo collera. “Un infedele non metterà mai piede alla corte d’Inghilterra!!” Aggiunse, alzando notevolmente il volume della voce. Il povero dottor Griffith rimase del tutto sconvolto dalla reazione di Caterina. Non si aspettava un totale rifiuto e mosso dall’istinto si volse verso Isabel, in cerca di aiuto.
“Madre, vi prego..” Si mosse subito la Principessa, avanzando di un paio di passi verso di lei. Quando le giunse davanti, appoggiò la mano sul suo braccio e la guardò dolcemente. “Madre, per piacere.. vi chiedo di considerare solo un colloquio con quest’uomo. In fondo, che male può fare? E’ un uomo di scienza, e sono certa che è un uomo di Dio, anche lui..”
Quelle parole furono per Caterina peggio di una scudisciata in piena faccia. Alzò gli occhi sulla figlia e la guardò con un gelo ed una severità tali che Isabel dopo pochi istanti tolse la mano dal braccio di lei.
“Quell’uomo non metterà mai piede qui, mi sono spiegata?!” Avvertì la Sovrana, alzando gli occhi sul dottor Griffith, che si affrettò ad annuire.
“Vi chiedo scusa, Maestà..” Mormorò lui, sinceramente costernato e spiazzato da quella situazione. “Non avevo conoscenza di questa vostra avversione e..” Cominciò a dire, per poi trattenersi. Caterina lo vide fissare Isabel e comprese all’istante come stavano le cose.
“Filate in camera vostra, Altezza..” Ordinò ad Isabel, guardandola di nuovo con severità. La Principessa le sorrise e tentò un ultimo dolce assalto.
“Maestà, vi prego. Lasciatemi..”
“Obbedite.” A Caterina bastò pronunciare quell’unica parola che Isabel obbedì all’istante.

 

“Oh, piccola!!”
L’espressione le uscì di bocca prima ancora che Maria potesse controllarla, ma quanto aveva fatto Isabel era stato sciocco, imprudente ed incredibilmente pericoloso. Sentendosi autorizzata in qualità di sorella maggiore, scosse la testa e, mani sui fianchi, si girò verso di lei per continuare la filippica. Quello che vide però la fermò. Seduta per terra, davanti alla finestra ed a capo chino, Isabel era muta. Era stata una lotta farsi dire cos’era successo, ed alla fine Maria aveva dovuto tirarle fuori le parole con le pinze. Una per una. Con una sofferenza indicibile. Ora, vedere la sorellina in quello stato le spiaceva, profondamente. Ammirava Isabel per la sua costanza e per il suo coraggio, anche se a volte si metteva in situazioni più grandi di sé, come in questo caso. Quando poi mamma e figlia entravano in rotta di collisione, erano fuochi d’artificio a ripetizione. Sapeva che sua madre adorava la sorella, ne aveva parlato con lei tante volte, ma in qualche modo temeva il comportamento spontaneo, vivace e sempre pronto all’azione di Isabel. Non riusciva mai a disciplinarla in modo totale e questo le provocava quasi angoscia, oltre che un’enorme confusione.
“Dai, tesoro, vedrai si aggiusterà tutto.” La incoraggiò, accosciandosi di fronte a lei e provando ad alzarle il viso. L’espressione negli occhi Isabel era terribile da sostenere: confusione, senso di responsabilità e di fallimento si mescolavano, e la giovane Principessa abbassò immediatamente gli occhi a terra.
“Vostra Altezza..” Lady Salisbury, la vecchia governante di Maria, entrò nella stanza e si rivolse alla Principessa. La ragazza si alzò e le si avvicinò, girandosi ogni tanto a guardare Isabel e come stesse.
“Siete sicura?” Chiese Maria, e la dama annuì sicura.
“Sì, Vostra Altezza. Sua Maestà non mangerà assieme a voi.. Anzi vi esorta a non tardare.”
A quelle parole, Isabel alzò il viso e incrociò gli occhi con la sorella, che istintivamente si era girata verso di lei.

 

“Maestà, vostra figlia è qui..” Annunciò lady Willoughby. Seduta di fronte al camino in preghiera, Caterina alzò automaticamente gli occhi sull’orologio posto sulla mensola del camino. Erano le dieci passate, che mai poteva doverle dire Maria? Cosa era così urgente da non poter aspettare?
“Fatela entrare, coraggio..” Incoraggiò la dama, che annuì immediatamente e si voltò verso la porta,dove la principessa attendeva. La giovane annuì in ringraziamento e poi entrò nella stanza della madre, riverendola immediatamente.
“Perdonate l’orario, madre..” Mormorò Isabel. Caterina la fissò con occhi di ghiaccio e rimase seduta dove era. La costrinse a restare in piedi, come faceva con coloro che non voleva mettere a proprio agio ed a cui voleva far pesare tutta la differenza di rango e di posizione.
Ben mi sta! Me la sono proprio cercata!’ Pensò Isabel, cercando di sostenere lo sguardo di sua madre. Poi ingoiò l’orgoglio ferito e si decise a vuotare il sacco.
“Madre, volevo chiedere scusa per oggi..” Cominciò, cercando di tenere un tono fermo e convinto. “Non volevo agire alle vostre spalle, ve lo posso assicurare. Mi sono solo proposta di fare da tramite tra il dottor Griffith e voi affinché..”
“E da quando avete l’autorità, la competenza ed il prestigio per fare da tramite?” La interruppe sua madre, servendola. Isabel chiuse gli occhi ed ingoiò, cercando di non perdere la propria compostezza.
“Comunque sia andata, madre, questo medico è una persona seria, competente e stimata. Mi chiedo perché non possa..” Riprese Isabel, che fu interrotta dalla madre.
“Nessun moro infedele oserà mai entrare in Inghilterra, meno che mai metterà le sue mani lorde su un inglese, per povero che sia..” Ribatté Caterina, dicendo una menzogna enorme, ma in quel momento necessaria.
Mamà, sapete che non è vero..” Obiettò Isabel con dolce fermezza, e gli occhi di Caterina per un attimo la fissarono fiammeggianti. “La loro medicina è migliore della nostra. Si basa sulla scienza, su una miglior conoscenza del corpo umano, su dati più certi di quelli che possediamo noi..” Insisté ancora. Caterina sospirò e poi si appoggiò allo schienale della sedia, le mani strettamente intrecciate in grembo. Isabel la osservò attentamente: sua madre era visibilmente stanca, ma se avesse ceduto e fosse andata via, avrebbe perso un’occasione forse unica. Con coraggio andò verso di lei e le si accosciò di fronte.
“Lo sapete anche voi, mamà, queste cose le avete viste con i vostri occhi. Far entrare un medico arabo non significherà certo abiurare alla nostra fede, o permettere confusione su cosa sia importante e cosa no..” Mormorò posando le mani su quelle di lei. “Aprire lo sguardo ad altri mondi non significa rinnegare quello che conosciamo ed amiamo.. anche a voi è capitato venendo qui.. avreste mai immaginato che l’Inghilterra sarebbe stata così diversa da come vi aspettavate? Avreste mai immaginato di potervi vivere bene? Eppure, col tempo, vi siete perfettamente inserita ed ora siete parte di questo mondo. Siete la risorsa più preziosa di questo Regno, mamà. E tutto questo senza perdere il vostro accento, i vostri modi, la vostra visione..”
Le parole di Isabel stavano portando Caterina a cedere. La sua creatura era stata brava a trovare gli argomenti giusti. In fondo alla mente pensò che quanto diceva non erano cose così sconvolgenti ed astruse.. Poi però.. poi però tornò al porto sicuro del suo rigore e della sua intransigenza, e scosse la testa.
“Ho detto di no, Vostra Altezza..” Impose, irrigidendosi sulla sedia e tirando via le proprie mani dalla presa della figlia. Ma la sua voce non dovette essere molto convincente perché lei insisté.
E se una delle loro procedure salvasse la vita del Re?” Chiese Isabel, azzardandosi su un terreno più che pericoloso. “Una di quelle che tanto disprezziamo e che riteniamo da infedeli..”
“Non ci si può certo sottrarre alla volontà di Dio, Isabel!! Ciò che Lui ha preparato è buono e giusto e sta a noi accettarlo con buona grazia.” Rispose la Regina, irritata dall’impudenza della figlia. Ma la Principessa non si arrese e tentò un’ultima carta.
“E se servisse a salvare Maria?” Chiese dolcemente, posando la testa in grembo alla madre e chiudendo gli occhi, come quando era piccola. “O me…” Aggiunse dopo qualche istante.
Nella stanza calò il silenzio più totale. Colpita a freddo da quelle domande, Caterina non fu più in grado di rispondere in alcun modo. L’idea di perdere Enrico era intollerabile, e ciò, nonostante l’enorme male che il marito le aveva fatto, ma quella di dire addio alle sue figlie era impensabile. Maria era l’erede designata, e la sua perdita sarebbe stata terribile, una tragedia senza fine, per se stessa e per il Paese. Quindi doppiamente dolorosa.
La morte di Isabel era una cosa che Caterina non aveva mai considerato fino in fondo, nonostante la mortalità infantile e giovanile assai alta, e le diverse occasioni di pericolo che si erano verificate nella vita della figlia. All’improvviso si rese conto che non avrebbe mai potuto sopportare un’eventualità del genere. Un profondo senso di angoscia ed un dolore sorprendentemente fisico le attanagliarono la bocca dello stomaco, e lei sentì risalire l’amaro dei succhi gastrici fino in gola. Il cuore le martellava nel petto ed era sicura che se si fosse alzata da quella sedia non avrebbe retto e sarebbe svenuta. Le sue mani si chiusero sui braccioli, fino a che le nocche non divennero bianche e quasi insensibili.
C’è qualcosa che non va..’ Pensò Isabel sentendo da troppo tempo la mamma ferma e zitta. Quella frase, forse un po’ forte, era stata la sua arma per farla capitolare, ma non aveva previsto quel silenzio. Così aprì gli occhi ed alzò il viso su di lei. Gli occhi di sua madre erano sbarrati per la collera e per l’enorme dolore. Isabel si rese conto che quanto aveva detto era stato incredibilmente crudele e che Caterina era sull’orlo delle lacrime. Il viso era livido di rabbia repressa ed era tremendamente pallido, eccettuati dei rossetti sulle guance. Non l’aveva mai vista a quel modo e la giovane ne ebbe assieme spavento e infinita pena.
“Perdonatemi..” Mormorò tirandosi su sulla schiena, pur restando in ginocchio. “Vi prego, perdonatemi, mamà..” Pian piano alzò una mano per accarezzarle la guancia e si avvicinò alla sua sedia. Quanto desiderava non aver detto nulla!! Quanto avrebbe desiderato rimangiarsi tutto!! Si chiese perché non avesse proseguito sulla strada della dolcezza e del tenero convincimento, invece di intraprendere quella della paura. Non appena le sue dita accarezzarono la guancia della mamma, questa si ritrasse, inorridita.
“Filate immediatamente in camera vostra..” sibilò con voce sorda. Isabel la guardò senza tuttavia riuscire ad obbedirle. Non le aveva mai sentito quella voce, nemmeno nei giorni peggiori del loro legame ed era realmente spaventata dall’idea d’aver combinato un guaio enorme. Aprì la bocca per provare almeno a rinnovare le proprie scuse, ma la madre la guardò con un tale gelido furore, che le parole le morirono sulle labbra, una per una. Prima che la situazione potesse degenerare, decise di andare via. Pian piano si alzò, poi guardò per qualche istante sua madre, per vedere se ci fosse almeno modo di non salutarsi a quel modo prima di andare a letto, ma lei girò il volto alla propria sinistra, rifiutandosi addirittura di rivolgerle lo sguardo, oltre che la parola. Isabel si chinò su di lei e posò le labbra sulla sua tempia, restando qualche secondo in quella posizione.
“Perdonatemi..” Mormorò un’ultima volta, prima di inchinarsi a sua madre e poi uscire dalla stanza di lei, camminando all’indietro. Caterina rimase ferma nella posizione in cui era, e solo quando Isabel lasciò la stanza, si alzò e andò a letto.

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“Piccola, forse è il caso che tu venga con me..” Isabel alzò gli occhi dalla viola da gamba su cui si stava esercitando da oltre tre ore e sospirò.
“Non credo sia una buona idea che io mi faccia vedere, sai, Maria..” Mormorò a voce assai bassa, giocando con l’archetto.
“Tirati su o giuro che ti prendo in braccio e ti porto alla sala del trono..” Insisté Maria. La sorella la guardò, un po’ stranita. Non era da lei insistere a quel modo, e con quel frasario, per giunta.
“Va bene, va bene. Obbedisco.” Rispose alla fine Isabel. Soddisfatta del risultato raggiunto, Maria sorrise ed uscì di corsa dalla stanza. La giovane principessa sospirò e poi, con molta calma, ripose lo strumento e l’archetto nella custodia.
In quei dieci giorni aveva scelto di sparire un po’ dall’orizzonte della mamma, preferendo lasciarla tranquilla e libera di calmarsi e sbollire la rabbia. Isabel si era chiusa letteralmente nelle proprie stanze, dedicandosi agli esercizi di viola, che aveva trascurato, ed allo studio di diversi testi che mastro Hilliard e sir More le avevano affidato. Sir Thomas era stato nominato da Caterina suo tutore, e nonostante i molti uffici come Cancelliere, riusciva a farle lezione, o a darle da studiare praticamente tutti i giorni. La giovane Principessa si era tuffata nelle cose da fare per non pensare a cosa aveva combinato e si era volontariamente confinata in un’ala assai piccola del palazzo, pur di non incrociare la mamma. Caterina le era mancata in maniera tremenda, e in diversi momenti era stata tentata di rompere quel volontario esilio, coprirsi il capo di cenere e chiedere pubblicamente scusa a sua madre. Ma ogni volta che ci pensava, si ripeteva con forza che era solo per il suo orgoglio che lo faceva e che la sua azione non avrebbe fatto altro che mettere in imbarazzo e in difficoltà la Regina. Così vi rinunciava, si chiudeva in stanza e non usciva se non per mangiare.
Ora, che Maria l’avesse richiamata, non solo era una cosa di cui ignorava le motivazioni e che non si spiegava, ma era una situazione potenzialmente pericolosa, perché la metteva in condizione di incrociare la mamma dopo quanto era successo. E questa, dato che lei non l’aveva cercata in quei giorni, né l’aveva fatta chiamare in alcun modo, era una cosa che a Isabel non piaceva per nulla. Nel tentativo di procrastinare l’inevitabile arrivo alla sala, la giovane percorse con indicibile lentezza i corridoi, fermandosi ad ogni vetrata non meno di cinque, sette minuti. Avrebbe fatto di tutto pur di sottrarsi a quell’incombenza.
“Altezza!” Troppo immersa nei suoi pensieri, Isabel non si accorse nemmeno che Joàn le era venuto incontro, l’aveva riverita e poi aveva preso a parlarle.
“Che volete, se
ñor Fernandez?” Chiese Isabel. “Vi prego di scusarmi, sembra io abbia dimenticato le maniere civili..” Troppo felice di vederla, Joàn scosse la testa, sorridendole, ed allungò una mano verso quella di lei.
“Devo parlarvi, Altezza!!” Le disse, entusiasta. Isabel corrugò le sopracciglia e lo guardò senza capire.
“Non capisco,
señor Fernandez..” Tentò di dire lei, ma Joàn le prese una mano, cominciò a camminare verso la prima vetrata aperta e, assieme a lei, uscì in giardino.

 

Mamà, non so davvero dove possa essere.” Constatò Maria. Caterina sospirò, visibilmente tesa, e si voltò verso lady Thorston.
“Ditemi, almeno voi lady Thorston, che sapete dove sia mia figlia.” Disse spazientita la Sovrana. La povera governante abbassò leggermente lo sguardo, costernata.
“Mi dispiace, Maestà. L’ho cercata dappertutto, ma senza successo. Nelle sue stanze non c’è, nei corridoi qui intorno idem; nessuna delle guardie del palazzo o delle sue dame sembra averla vista.” Rispose lady Joan. La Regina scosse la testa, quasi sconsolata; dove diavolo si era cacciata quella testarda e vivace creatura? Per ben dieci giorni aveva evitato di vederla e non l’aveva mai mandata a chiamare, facendole sentire il peso tremendo della sua collera per quanto Isabel aveva affermato ed osato ventilare quella famosa sera. Ora, all’improvviso Caterina si chiese se Isabel fosse rimasta male per quel comportamento e se quel rigore e quella disciplina estrema non fossero eccessivi dopo il ragionamento che la figlia le aveva prospettato. In quei giorni di pausa, Caterina aveva riflettuto seriamente su ciò che Isabel aveva detto e si era resa sempre più conto che sua figlia aveva ragione. I medici arabi erano di gran lunga i migliori in Europa e la loro medicina era solida, basata su una migliore scientificità e rispettata da tutti. Tutte cose assolutamente imprescindibili. Quella conclusione le aveva fatto fare marcia indietro e, richiamato il dottor Griffith, aveva annunciato che avrebbe incontrato il medico arabo. Qualora egli le avesse fatto una buona impressione, avrebbe lavorato per loro, nello spedale di Londra. Il suo medico personale, contento e soddisfatto si era allora immediatamente attivato per far arrivare l’uomo dalla Spagna. A tappe forzate, e dopo appena sette giorni di viaggio a cavallo, Yousuf al bin Ismail era arrivato a Londra.
“Maestà, il medico è arrivato..” Annunciò sir Thomas More. “Non c’è più tempo, Maestà..” Caterina annuì e, a malincuore, lo seguì verso la sala del trono.

 

“Dite davvero?” Esclamò Isabel al settimo cielo. Gli occhi le si illuminarono e la bocca si aprì al più felice dei sorrisi. “Oh, señor Fernandez, è un giorno memorabile questo!!” Proruppe alzandosi in piedi. Joàn la guardò, felice anch’egli. Era bellissima, nel suo abito blu e rosa antico. Il velluto la fasciava meravigliosamente e i semplici gioielli che portava esaltavano ancora di più i suoi colori. Le guance le si imporporarono per l’eccitazione, facendola ancora più bella.
“Sì, Altezza.” Rispose lui guardandola e sorridendole. “Lo è davvero..”
“Il vostro contributo è stato fondamentale..” Disse Isabel di slancio, sedendosi di nuovo accanto a lui. “Sono certa che è così..” Ribadì. Sapeva che sua madre lo teneva in grande considerazione, ed era certa che col dottor Griffith doveva aver tentato di convincerla della bontà del loro progetto e della loro ‘nomina’.
“No, Altezza..” Disse lui prendendole una mano. “Il merito è tutto vostro..” Aggiunse, alzando una mano ed accarezzandole la guancia con il dorso delle dita.
Istintivamente Isabel chiuse gli occhi ed espirò lentamente. La mano di Joàn era calda ed il suo tocco deciso, ma delicato. Le dita del giovane scesero sotto la mandibola di Isabel e poi lei sentì il suo alito caldo contro il proprio orecchio.
“Siete meravigliosa.. coraggiosa, spavalda, appassionata, compassionevole..” Mormorò Joàn. D’impulso Isabel aprì gli occhi e, voltandosi verso di lui, gli posò le labbra sulla guancia.
“Eccovi finalmente!!” Disse all’improvviso una voce che Isabel riconobbe subito. Pian piano staccò le labbra dalla guancia di Joàn e guardò nella direzione della voce, alzando appena gli occhi. Sapeva di essere rossa come un tizzone ardente, e si sentiva le guance bollire, letteralmente. Accanto a lei, Joàn si alzò subito e si inchinò. Subito dopo la giovane principessa fece lo stesso.
Di fronte a loro, ritta, accigliata ed accompagnata da lady Willoughby e lady Thorston, stava Caterina. Per quanto fosse sollevata dall’aver ritrovato la figlia, non poteva ignorare dove e con chi l’avesse pescata.
“Maestà..” Disse Joàn, con il suo solito tono cordiale ed allegro. Caterina lo salutò con un tenue sorriso e poi puntò i suoi occhi sulla figlia, che tenne i propri bassi e praticamente incollati al terreno.
Señor Fernandez, vi dispiacerebbe lasciarci da sole?” Chiese la Sovrana, con un certo piglio deciso nella voce. Il nobiluomo annuì immediatamente e dopo aver omaggiato sia Caterina che Isabel, si allontanò. Dopo qualche istante anche lady Willoughby e lady Thorston si avviarono sulla strada che conduceva a palazzo. Caterina ed Isabel rimasero così una di fronte all’altra, in silenzio. La prima ad avvicinarsi fu la Sovrana. Sapeva che se avesse aspettato la figlia, avrebbe atteso a lungo, così decise di rendere più semplici le cose e fece qualche passo verso di lei. Sorprendentemente e come scossa da una frustata, Isabel si avvicinò a sua madre e poi si chinò di fronte a lei, in una riverenza profonda e completa.
“Perdonatemi, mamà, vi prego. Perdonatemi..” Mormorò posando la fronte sul vestito di Caterina e chiudendo gli occhi.
Per alcuni istanti, la Regina non disse e non fece nulla, forse da una parte troppo sorpresa da quanto Isabel aveva fatto, e forse dall’altra come se attendesse che il gesto della figlia potesse ad un certo punto avere un termine. Quando fu chiaro che non sarebbe stato così, allungò una mano verso il viso di Isabel e la posò sulla gota della figlia. Sentendola umida di lacrime, si accosciò di fronte a lei. Il viso di Isabel, davvero contrito e rigato dal pianto silenzioso, la commosse profondamente. In silenzio e con estrema delicatezza, le asciugò le lacrime con i pollici, poi la abbracciò, stringendola forte a sé.

“Buonanotte Maria..” Mormorò Caterina. L’amica le sorrise e poi, dopo la solita riverenza, lasciò la stanza della sua signora. Dopo l’incredibile e lunghissima giornata, la Sovrana si guardò tutt’attorno, quasi non credesse di essere finalmente tutta sola. Era davvero stanca, ma l’enorme adrenalina non le permetteva di aver ancora sonno. Sul comodino accanto al letto era posato un sacchetto di velluto blu, chiuso da un nastro rosso vermiglio. Lo prese in mano e ne aspirò il forte profumo di spezie. Era un profumo che conosceva bene e che la fece immediatamente tornare indietro di più di trent’anni.
“Così voi sareste Yousuf al bin Ismail..” Constatò Caterina, osservando l’uomo che la raggiunse in giardino. Yousuf annuì, e dopo un breve inchino, le sorrise, mostrando una fila di denti bianchi come il latte e perfetti. Era alto quasi uno e novanta ed era massiccio, robusto e solido. La pelle, nera come l’ebano, era splendidamente avvolta in un vestito arabo multicolore che egli indossava con disinvoltura, nonostante la giornata fresca e uggiosa.
“E voi siete certamente Caterina d’Aragona.” Rispose lui, quasi divertito, mostrando di non avere nei suoi confronti alcun timore reverenziale, pur trattandola con il rispetto che il suo ruolo e la sua condizione esigevano e richiedevano. A quella risposta, il volto della Sovrana si contrasse per alcuni istanti; lady Willoughby e il dottor Griffith si guardarono, imbarazzati dalla schiettezza del medico.
“Non vi manca certo l’audacia..” Commentò Caterina, socchiudendo gli occhi. “E nemmeno la sfacciataggine e l’impudenza.” Lo scudisciò. Yousuf la guardò, serafico, come se non avesse appena ricevuto un’offesa. Abbassò leggermente il capo, per poi rialzarlo.
“Non mi avete chiamato qui per vedere come sono fatto, Maestà, né come è il mio carattere.” Le rispose lui, diretto e sincero. Caterina rimase spiazzata da quella risposta. Da sempre amava e faceva di tutto per circondarsi di persone sincere e che le dicevano la verità, a differenza di Enrico che preferiva essere attorniato da persone che facevano di tutto per lusingarlo e fargli credere cose che non erano vere, solo perché lui voleva così. Tuttavia la sincerità e la quasi brutalità di Yousuf l’avevano spiazzata.
La Regina ammise che quell’uomo aveva ragione. Non doveva piacerle, era lì perché giudicasse l’opportunità di averlo lì, in una struttura che era legata al suo nome ed alla sua reputazione. In un certo senso doveva giudicare la sua competenza. Non essendo medico sarebbe stato assai difficile, ma insomma ormai aveva accettato di incontrarlo, quindi tanto valeva..
“Venite, camminiamo un po’..” Gli disse lei. Yousuf annuì velocemente, e subito lady Willoughby e il dottor Griffith fecero un passo. “Da soli..” Puntualizzò Caterina.
Dopo un po’, e dopo un paio di battute generiche su dove fosse cresciuto e che cosa avesse fatto fino a quel momento, Caterina lo guardò e chiese, a bruciapelo.
“Come curereste una febbre?”
Yousuf la guardò, corrugando le sopracciglia. Non si aspettava delle domande così tecniche e per alcuni istanti rimase in silenzio. In realtà i modi di curare una febbre non erano poi molti, e una febbre da sola poteva essere una cosa senza importanza, oppure un elemento fondamentale che poteva determinare la vita o la morte di una persona.
“Alleggerirei la persona..” Rispose alla fine. “Abiti, coperte, scialli e quant’altro.. tutto ciò che concorre a mantenere su la febbre deve essere eliminato..” La Sovrana non disse nulla, e continuò a camminare.
“E se qualcuno stesse soffocando?, che fareste?” Chiese di nuovo, con un’espressione strana negli occhi. Yousuf la osservò bene, poi guardò davanti a sé.
“Gli libererei la gola, nel più breve tempo possibile..” Rispose asciutto.
“E usereste delle pezze bagnate per abbassare la febbre?” Chiese ancora. Prima che Yousuf potesse rispondere, parlò ancora. “E dove le mettereste? Ditemi!!, dove??”
“Sapete, quando ho saputo che volevate vedermi, non volevo crederci.. Non abbiatene a male, Maestà, ma siete l’ultima persona che pensavo avrebbe potuto chiamare me..” Disse lui, sincero.
“Lo so..” Ammise lei. “Ma qualcuno mi ha detto che la vostra medicina è migliore della nostra..” Replicò lei. “Anzi me lo ha ricordato, perché in realtà, io lo sapevo già.. anche se facevo finta di non ricordare, e mi ostinavo a negare l’evidenza..” Yousuf annuì e sorrise.
“Deve avere avuto vita difficile quel qualcuno..” Si permise di commentare. Caterina lo guardò, gli occhi spalancati dall’impudenza delle sue parole, ma la bocca distesa in un sorriso. Quell’uomo le piaceva. Era irriverente e di sicuro non aveva timore di lei, ma era schietto e sincero. Le ricordava tremendamente Isabel.
“Non sono cose che vi riguardano, signore..” Rispose Caterina, cercando di marcare la distanza da lui. Non gli riuscì molto bene, perché lui la guardò quasi divertito.
“Sapete, io mi ricordo di voi..” Disse ad un certo punto. “E mi ricordo di vostra madre.” A quelle parole, la Sovrana, chiuse automaticamente gli occhi.
Erano anni ormai che non parlava ad alcuno di Isabella, perfino ad Enrico, alle sue figlie o a Maria de Salinas, e in certi momenti la sua presenza, le cose condivise con lei, la sua figura, la sua voce, i suoi gesti erano ricordi talmente vaghi che sembravano appartenere ad un’altra vita.
“Era minuta, ma aveva la forza di un esercito, la volontà di una Nazione intera, e la fede che smuove le montagne..” Ricordò Yousuf. “Nessuna donna ci ha sconfitti a quel modo. E feriti solo la metà di quanto ha fatto lei..” Aggiunse brutalmente, le mani improvvisamente chiuse a pugno..
“Lo so, signore..” Ammise Caterina, posando la sua mano su quella di lui, e sentendo per la prima volta compassione per quanto aveva passato quel povero popolo. “Ma se lo vorrete, noi due, potremmo porre pace, lavorando assieme..”

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Capitolo 23
*** Timeo Danaos et dona ferentes ***


A Queen's Daughter - Timeo Danaos et dona ferentes

Ottobre/ Novembre 1530 – Timeo Danaos et dona ferentes

 

“Allora!?”
Spazientito, infreddolito ed enormemente innervosito, Enrico Tudor andava avanti e indietro da un po’, in attesa che il suo generale gli desse notizie confortanti. L’assedio a Edimburgo durava da mesi, oramai, e la città non solo resisteva, pur con difficoltà, ma aveva fiaccato la tempra ed il coraggio inglesi e francesi. Quest’ultimi, suborando ormai una sempre più possibile e vicina ritirata, da qualche settimana avevano preso ad impegnarsi di meno nelle scaramucce che di tanto in tanto si verificavano con le milizie scozzesi a difesa delle città.
“Maestà, mi dispiace, ma non riusciremo a passare anche l’inverno qui. O l’assedio diventa conquista, o sarà bene ritirarci.” Affermò sir Dacre, comandante in capo delle forze inglesi. Il Sovrano guardò l’uomo di fronte a sé e non rispose. A dispetto della sua assai giovane età, egli era uno dei comandanti più esperti e capaci. Suo padre Thomas era stato uno dei comandanti delle forze inglesi che avevano combattuto contro gli scozzesi a Flodden, sotto il comando di Caterina, più di quindici anni prima, e conosceva come nessuno la Scozia.
“Cosa?!?” Gridò Enrico, all’improvviso. Era paonazzo in volto, e la vena sulla tempia destra pulsava pericolosamente. Le mani davanti a sé, quasi pronte a afferrare qualcosa, o qualcuno, il Re sembrava sul punto di svenire. Sir Dacre lo guardò impassibile, senza farsi intimidire dal quel comportamento. Sapeva che Enrico era abituato ad ottenere quello che voleva e che la collera era uno degli elementi propri del Sovrano, elemento che portava i suoi interlocutori a ritirarsi in fretta, dandogli così le battaglie vinte.
Il comandante tuttavia, era fermamente deciso a non cedere. Conosceva in modo più che approfondito la situazione dell’esercito e cosa le truppe desideravano, al di là del dovere e della formale obbedienza al Re. Inoltre sapeva fin troppo bene che le forze inglesi non avrebbe mai potuto permettersi un inverno lontano da Londra. Non dopo mesi d’assedio inconcludente, per giunta. I soldati erano allo stremo e fra di essi serpeggiava, notevole, il malcontento.
Mentre il Re andava senza costrutto da una parte all’altra, come un animale in gabbia, sir Dacre lo guardava in silenzio, rimpiangendo il fatto che al suo posto non ci fosse la moglie, la Regina Caterina.

“Che state facendo?”
La voce dello zio sorprese, e non poco, Anna. La giovane fece di tutto per nascondere la missiva che aveva fra le mani, ma gli occhi del duca di Norfolk la scrutavano con molta attenzione, non perdendo un solo gesto di quelli da lei compiuti.
“Che dite, zio?” Fece lei, per guadagnare tempo, e sfoderando uno dei suoi proverbiali e fintamente ingenui sorrisi. “Non sto facendo nulla..”
“Cos’è ciò che avete fra le mani? Datemelo un po’..” Ribatté lui. Tanto fece e tanto disse che riuscì a strapparle dalle mani la pergamena. Dopo una rapida occhiata vide il sigillo reale e capì il guaio in cui la nipote si stava cacciando, anzi in cui era dentro fino al collo. “Questo è tradimento, Anna!! Possibile che siate così sciocca?” La apostrofò, cercando di tenere il volume della voce basso, e trascinandola in un angolo del palazzo, nel tentativo di evitare occhiate indiscrete.
“Suvvia zio, non vorrete mettere nei guai la vostra nipotina prediletta..” Lo ammansì lei, facendogli gli occhi dolci e piegando da un lato il viso, in un broncio che lui le aveva visto fare migliaia di volte.

 

“Che diavolo succede?” Sbottò Enrico. In lontananza si udivano grida incomprensibili e rumori, come se qualcuno stesse protestando con una certa forza. Sir Dacre ed il duca di Suffolk fecero per avvicinarsi, ma poi un messaggero venne loro incontro.
“Maestà!! Maestà!!” Chiamò a gran voce. “I francesi si stanno ritirando!! Il loro Re ha dato ordine di ritirare le truppe!”
Per un istante Enrico sentì la terra mancare da sotto i piedi. Era perduto! Senza l’aiuto e le forze dei francesi non avrebbe mai potuto completare l’assedio, con l’inverno ormai alle porte poi. Il suo ragionamento durò tuttavia solo lo spazio di pochi secondi; qualche attimo dopo, il fuoco della collera lo investì in pieno. Senza nemmeno rispondere alle domande dei suoi uomini, corse verso il primo cavallo disponibile e partì al galoppo. Sir Dacre e Charles Brandon si guardarono smarriti, ma con una successiva espressione del volto così chiara che non ci fu bisogno di esprimere a parole ciò che sentivano. Ancora una volta, il Re d’Inghilterra dimostrava di essere in totale balia di emozioni e sentimenti; era talmente sopraffatto da essi che non si curava nemmeno di nasconderli ai suoi sottoposti, dando costantemente l’idea di un uomo ondivago, umorale e tutt’altro che fermo e deciso.

 

 
“Sono perduto Charles..”
Seduto su un tronco cavo, le mani alle tempie ed il viso basso, Enrico Tudor scuoteva il capo, mestamente. Era ormai notte alta e fino a pochi istanti prima di fronte a lui c’era un messaggero. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che mandare missive su missive, alla moglie, a Francesco di Francia, a Thomas Bolena ed a Thomas More, e per tutto il giorno non aveva fatto altro che attende le loro risposte. La situazione era davvero sull’orlo del disastro completo.
“Non mi ha risposto nessuno.. Non Caterina, non Bolena.” Mormorò il Re, gli occhi bassi e sconsolati. Charles lo guardò con una pena infinita. In questi momenti Enrico sembrava mostrare tutta la sua inadeguatezza. “E nemmeno Thomas.. quanto a quel traditore di Francesco, gli ho detto chiaro e tondo che se non avrò le truppe promesse non esiterò a rompere il fidanzamento tra Maria e suo figlio.”
Il duca non rispose e continuò a fissare il Sovrano smarrito. Cosa poteva mai dirgli? Come poteva fargli capire che si stava mettendo in una posizione estremamente difficile, e che una decisione del genere poteva essere nociva per l’Inghilterra? Quali parole poteva usare per convincerlo a ragionare ed a non prendere tutto sempre di petto?
Certo, Francesco non era stato certo corretto a ritirar le truppe senza aver detto nulla al suo alleato, nonché futuro suocero. Brandon questo lo sapeva e non cercava giustificazioni per il sovrano francese, tuttavia.. tuttavia Enrico, come suo solito, si faceva prendere dai nervi, invece che organizzare un piano o blandire le persone che avevano abbandonato la sua causa. Invece di avvicinarsi a loro, finiva regolarmente con lo scontrarcisi. E questo, in politica e in amore, era sempre deleterio.
“Maestà, vi prego, ragionate..” Gli disse l’amico, asciutto e deciso. “Avete il Paese nelle vostre mani. Fate in modo che questo assedio non sia la nostra tomba e la nostra rovina.”

 

“Ne siete davvero sicuro, Gordon?” Giacomo V di Scozia fissò sir Gordon Fitzwilliam, il comandante in capo dell’esercito e suo amico di lunga data.
“Sì, sire.” Rispose quello, sicuro ed annuendo leggermente. “Enrico vuole la pace. Dice che ci siamo difesi con onore e che i due eserciti si bilanciano perfettamente, quindi per non fare altre vittime, ci offre la pace.” A quelle parole, gli occhi blu scuro del Re scozzese scintillarono di disprezzo e di orgoglio represso. La mascella si contrasse e poi rise sonoramente.
“I due eserciti si bilanciano perfettamente? E come è che lui ci offre la pace e non prosegue nell’assedio?” Chiese Giacomo. Sir Fitzwilliam sorrise a sua volta, senza rispondere alla domanda retorica del suo Sovrano.
“In realtà, sire, l’esercito inglese è sull’orlo della ribellione..” Confidò chinandosi verso di lui ed abbassando notevolmente il volume della voce. Il sorriso cui la bocca di Giacomo si aprì, illuminò il suo volto. Era oltremodo soddisfatto. Enrico aveva un esercito ben più numeroso e di sicuro meglio attrezzato, ma in un assedio la maggiore abilità non contava poi così troppo. Inoltre i soldati inglesi erano lì da mesi, con l’inverno ormai alle porte e senza l’appoggio degli improvvisati alleati francesi, la loro situazione era andata mano a mano peggiorando. La ribellione quasi minacciata dalle truppe, doveva essersi prima manifestata con un malcontento sempre più generalizzato e profondo, che alla fine aveva fatto abbassare la cresta al leoncello inglese. A Giacomo non parve vero di avere il destino di Enrico nelle sue mani. Il suo primo istinto fu quello di rifiutare l’offerta di pace del suo ‘collega’ e di fargli proseguire l’assedio fino alle estreme conseguenze. Ma poi pensò che anche Edimburgo non era messa molto meglio dei soldati di Enrico. La città non aveva rifornimenti da qualche settimana e le scorte non sarebbero durate che per poco tempo. La cosa più saggia era accettare l’offerta e sfruttare il fatto che fosse stato Enrico il primo a cedere ed a rendere in un certo senso le armi..
“Bene, sir Fitzwilliam, fate sapere a Sua Maestà che accettiamo la cessazione delle ostilità e ci rendiamo disponibili per negoziare i termini di un accordo vantaggioso, per entrambe le parti..” Disse solennemente Re Giacomo, alzandosi dal proprio scranno, ben deciso a sfruttare fin in fondo quell’opportunità. “Fate sapere a Sua Maestà che lo aspettiamo quanto prima a palazzo.”

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“Mia Regina, e mia sposa adorata..”
Mormorò Enrico ponendo sul capo della moglie la corona che apparteneva alla moglie di Giacomo. Il Re aveva percorso il lungo corridoio della sala del trono lentamente e come se ogni passo fosse di vitale importanza. Caterina, in piedi davanti allo scranno e con indosso gli abiti più preziosi che aveva, l’aveva aspettato con un’espressione sul volto di orgoglio e di felicità.
Subito i consiglieri dei due sovrani, Maria ed Isabel ed i cortigiani che avevano trovato posto nella sala, proruppero tutti in grida di entusiasmo e di gioia. Quando Caterina ebbe completato la riverenza che spettava al Re, scoppiò un applauso fragoroso e di liberazione, mentre il ciambellano annunciava che i due Sovrani d’Inghilterra erano appena diventati anche Sovrani di Scozia.
Quando Enrico si sedette, prima Maria ed Isabel, quindi i consiglieri ed i nobili sfilarono uno ad uno a rendere loro omaggio. Successivamente fu la volta dei capi dell’esercito e della marina inglese, quindi di tutti coloro che collaboravano con Enrico e con Caterina, pur non avendo incarichi specifici a corte. Mano a mano che sfilavano coloro che avevano accompagnato il Re in Scozia, Isabel si sentì sempre più triste. Sir Knivert non era più fra loro e il suo cuore era davvero in lutto. Durante la lunghissima sfilata di fronte al Re aveva cercato di trattenere la commozione e le lacrime, riuscendo in modo egregio. Ma quando i valletti sfilarono reggendo dei cuscini su cui erano posate le insegne dei comandanti morti durante la guerra in Scozia, fu decisamente più dura. All’improvviso, all’inizio del lungo corridoio comparve il cuscino con le insegne di sir Anthony ed Isabel si sentì gli occhi in fiamme, letteralmente. Deglutì diverse volte e cercò in tutti i modi di ricacciar giù le lacrime, di secondo in secondo sempre più urgenti, ma badò contemporaneamente di non lasciar trasparire il proprio stato d’animo.
Quando il valletto che reggeva il cuscino arrivò davanti al trono, inaspettatamente, Enrico di scatto si alzò in piedi e poi, prima che potesse dominarsi, scoppiò in lacrime. Sconvolto dalla propria reazione, si coprì gli occhi con la mano, ma riuscì solo a piangere più forte.
Intuendo il momento difficile del marito, subito Caterina lo imitò, alzandosi a sua volta, seguita da Isabel e Maria. La Regina posò con dolcezza la mano sul polso del marito, stringendolo un poco, e dopo alcuni istanti egli si calmò, proprio mentre il cuscino sfilava via.

 

Dopo tanti mesi, i Sovrani e le figlie cenarono assieme, in forma strettamente privata.
Isabel non ricordava nemmeno quale fosse stata l’ultima occasione che li aveva visti tutti assieme, ed al medesimo tavolo, ma ora, nel guardare i suoi genitori, si rese conto che era bellissimo ritrovarsi a quel modo. Suo padre, dopo la forte ed inaspettata commozione, si era ripreso assai bene, aiutato come sempre dalla Regina, che anche in quella occasione non gli aveva fatto mancare il suo supporto. Enrico era un pochino pallido, gli occhi erano ancora rossi, ma sul suo viso aveva cominciato a comparire un tenue sorriso. Seduto a capotavola, dopo aver chiacchierato con Maria, che gli sedeva alla destra, di cosa sarebbe stato dei preparativi del suo matrimonio, volse i suoi occhi blu su Isabel, che come sempre sedeva accanto a Caterina.
“Vi dobbiamo molto, Vostra Altezza..” Mormorò solamente, guardandola intensamente, dopo aver posato gli occhi sulla moglie. Isabel, che stava per mettere in bocca un pezzo di carne infilato in uno stecco, rimase con la sinistra a mezz’aria, la posata stretta ancora nella mano, incapace di rispondere. Aveva immediatamente percepito la solennità di quella frase. Con l’angolo dell’occhio vide sua madre girarsi verso di lei e guardarla con orgoglio ed affetto indicibili. “Vi dobbiamo davvero molto..” Ripeté suo padre con gli occhi lucidi ed Isabel, istintivamente, aprì la bocca per rispondergli e ringraziarlo. Ma poi le parole non vennero, tanta era l’emozione al ricordo dei giorni tremendi in cui la vita di sua madre era stata appesa ad un filo sottilissimo; lei abbassò lo sguardo, quindi il viso, restando in silenzio. Fu Caterina, ancora una volta, a fare da tramite fra il Re e le persone che lo circondavano, fossero essi consiglieri, nemici, sudditi in generale, o le proprie creature. La Regina allungò il braccio verso Isabel e posò la mano sul fianco sinistro della figlia, quasi volesse avvicinarla ancora di più a sé; le labbra di Caterina prima furono sulla sua tempia poi vicino all’orecchio, come a mormorarle qualcosa. Le guance di Isabel si colorarono di rosso e la fanciulla, piegando il viso verso la bocca della mamma, abbassò e poi chiuse gli occhi, commossa.
Enrico le osservò assieme e dovette ancora una volta ammettere con se stesso che avevano un’enorme confidenza ed un bellissimo e profondo legame. Il modo in cui la figlia aveva cercato in tutti i modi di salvare la vita della madre gli era stato raccontato, con dovizia di particolari da più parti. Ora l’una fonte, ora l’altra aveva esaltato questo o quel particolare aspetto della vicenda, ponendo in luce, di volta in volta, il coraggio, la ferma decisione, la dedizione, il geniale intuito della figlia, ma tutti avevano concordato su particolare: Isabel aveva davvero salvato la vita di sua madre, e molto probabilmente anche il suo regno.
Se Caterina fosse morta, Enrico se n’era reso subito conto, l’Inghilterra, con lui lontano, sarebbe precipitata nel caos ed i suoi nemici interni, non meno pericolosi e scaltri di quelli esterni, avrebbero cercato di prendere il sopravvento, e forse ci sarebbero pure riusciti. Enrico Tudor era consapevole che il suo mondo aveva rischiato la distruzione, non solo per opera del sudor. Il Sovrano aveva ammesso che la figlia da lui sentita distante sotto diversi punti di vista, incluso quello affettivo, era stata quella che aveva contribuito a rimettere le cose in carreggiata e gli aveva letteralmente permesso di continuare ad avere un regno. La sorte non era stata certo un accessorio in tutto questo, era ovvio; Isabel era stata fortunata, e non poco, ma si era resa più utile di Maria ed era stata più fredda nel gestire la sua parte di guai e di incombenze. Anzi, quasi s’era scelta il compito più difficile.
“A cosa pensate, amore mio?” Gli sussurrò Caterina, posando una mano sul suo polso ed accarezzandogli il viso. Come se si fosse risvegliato da un sonno lungo qualche istante, Enrico posò gli occhi su lei e rispose al suo sorriso.
“A quanto sono fortunato, Caterina.” Mormorò, accarezzandole una guancia con il dorso della mano. “A quanto io devo a voi, ai miei fidati consiglieri, ai nostri amici fedeli. Ed anche a nostra figlia..” Aggiunse, con un tono di voce che Caterina raramente gli aveva sentito. Non era solo dimesso e tenero, era davvero coinvolto e partecipe in quello che stava vivendo.
“Sì..” Annuì Caterina. “Tutti i nostri amici ci sono stati pienamente fedeli, Enrico. Ognuno ha portato avanti il proprio compito al meglio..” Confermò ancora la Regina.
“Ma Isabel..” Sorrise Enrico, guardando la figlia che nella sala accanto si esercitava con la sua viola da gamba ed eseguiva un rondeau, mentre Maria le mostrava i passi che aveva visto esser danzati in Francia.
“.. ci ha stupiti..” Proseguì Caterina, seguendo lo sguardo di Enrico e osservando anche lei Isabel. “Non hai idea di quanto sia maturata in questi mesi, e di come si sia impegnata nei suoi uffici e nei suoi doveri..”
Enrico sospirò ed annuì silenzioso. Sapeva tutto. Sir More, ma anche Mastro Hilliard ed il Vescovo Fisher gli avevano detto della crescita della figlia, e del suo contributo fattivo non solo nei suoi studi, ma anche nelle attività dei vari spedali. Quello che Isabel aveva fatto a Lambeth non era stato un caso. Il posto che lei aveva implorato con insistenza e durissima caparbietà non era stato l’infatuazione di un istante per una disciplina del tutto particolare ed affascinante come la medicina. Isabel aveva del talento e capacità vere. Come Caterina mesi prima, anche Enrico giunse alla conclusione che la figlia si stava avviando ad una splendida maturazione e poteva davvero migliorare la vita delle persone con cui entrava in contatto. L’aveva spesso sottovalutata, ritenendo che fosse semplicemente la piccola di casa, da coccolare e vezzeggiare, oltre che educare e disciplinare. Fino a che lui era stato a Londra la sua secondogenita era un cucciolo a cui dare comandi e moine, a seconda dei momenti; testarda, cocciuta e sincera fin quasi all’impudenza, Isabel alternava a questi atteggiamenti quelli in cui era solo una ragazzina spaventata, pronta a saltare in grembo a sua madre al primo alito di vento, che per anni aveva vissuto lontano dal luogo che chiamava casa, in balia di persone che l’avevano percossa, umiliata e trattata male. In pochissimi mesi si era avviata una trasformazione gigantesca. Caterina doveva esserne stata l’artefice principale, Enrico lo sapeva, ma anche Thomas More, il Vescovo Fisher ed il dottor Griffith dovevano aver avuto una parte considerevole. Per un attimo il Re si intristì al pensiero che lui non aveva visto nulla di tutto questo, e si trovava davanti al ‘prodotto’ finito. Per un istante il Sovrano avrebbe voluto essere un padre che vede con i suoi occhi i primi passi incerti di sua figlia, per poi osservarla andare sempre più sicura, sempre più spedita, sempre più veloce.
“Mi chiedo se quello svedese imbecille riuscirà a farla felice..” Mormorò Enrico. Caterina, che stava osservando Isabel, si voltò verso di lui. Era la prima volta che Enrico nutriva perplessità nei confronti di sir Sten; le sue parole sembravano più un pensiero a voce alta, sfuggito per caso, che una considerazione vera e propria. La Regina, però, non si fece scappare l’occasione e dato che si era aperto un varco, pur minimo, decise di sfruttarlo a pieno. Con lui era inutile dirgli cosa fare o addirittura imporre una qualche volontà. Era molto meglio fargli balenare in mente un ventaglio di soluzioni e con astuzia instradarlo verso una in modo particolare, quasi che fosse stato lui a scegliere quella strada.
“Avete qualche dubbio, Maestà?” Chiese lei, fingendo un’ingenuità ed un candore che non aveva.
“Non so..” Rispose perplesso Enrico, come se già non fosse più sicuro. “E’ come se vedessi mia figlia per la prima volta. Non è la bambolina che pensavo. E’ una creatura dalle mille risorse.” Proseguì, ora più sicuro. Caterina cercò di mascherare ad ogni costo il proprio trionfo. Era una vittoria importantissima, pur in quelle condizioni. Il dubbio aveva iniziato a farsi strada nella sua mente e questo era già tanto.
“Sì, lo è.” Confermò Caterina. “E’ una creatura davvero meravigliosa, una figlia devota e amorevole, Enrico, ed una suddita fedele e tenace. La sua mente è una risorsa per questo Paese, e l’impegno che mette in ciò che fa è ammirevole, considerando che è ancora poco più che una bambina.”
A quelle parole Enrico sorrise. L’attaccamento di Caterina per la loro secondogenita era così evidente, tuttavia lo commuoveva.
“Fosse per te, la faresti stare sempre qui in Inghilterra, non è vero?” Disse, provocandola un po’, ma continuando a sorridere. Non la stava rimproverando e fece attenzione affinché anche Caterina lo notasse. La Regina spostò gli occhi dalla figlia a lui e sorrise, arrossendo e rendendosi conto della propria parzialità.
“Fosse per me, non dovrebbe mai lasciar Londra.” Corresse lei, con un sorriso malinconico e la sensazione che il tempo stesse scorrendo via ad una velocità pazzesca. “Né questo palazzo.” Ammise infine ridacchiando. Enrico rise a sua volta. In quei mesi anche Caterina aveva subito una trasformazione, o almeno così gli sembrava. La moglie era più portata al sorriso, meno depressa, e aveva come sempre mostrato un piglio da vera Regina guerriera. Aveva tenuto il Paese in mano al meglio, considerando le molteplici sollecitazioni ricevute.
Mamà, sentite che impudenza!” Esclamò Maria avvicinandosi a Caterina e lasciando Isabel a ridere nell’altra stanza. Nonostante l’interruzione di un momento decisamente importante, la Sovrana accolse immediatamente la primogenita, cingendole la vita con un braccio, e stando in attesa di ulteriori spiegazioni. “Mamà, non potrete davvero credere a cosa mi ha detto Isabel..” Ripeté Maria.
Nell’altra sala, intanto, la secondogenita dei due sovrani rideva e scuoteva la testa, come se sapesse di non aver detto nulla di male.
Caterina guardò la promessa sposa del Delfino, incoraggiandola a parlare. Maria si fece tutta rossa e poi, dopo diversi secondi, si convinse ed aprì la bocca.
“Mi ha spinto a ondeggiare e saltare un po’ più, vedete?, in questo modo.” Spiegò e danzò come la sorella le aveva suggerito. “Dice che, se non sono riuscita ancora a farmi notare da Francesco, questo è certamente il modo migliore per colpirlo e tenermelo ben stretto.” Continuò a spiegare, seguitando ad alternare movimenti sensuali e lenti, e balzi vivaci ed allegri.
Nella sala calò un silenzio quasi tombale, rotto solo dal rumore dei piedi di Maria e dal fruscio della sua veste. La Sovrana guardò in silenzio quello spettacolo, troppo sbigottita perfino per proferire verbo. Non reagì nemmeno quando la giovane Principessa si fermò e, ansante, attese il suo giudizio. All’improvviso eruppe la risata di Enrico.
“Parola mia, figlia adorata, se tuo marito vedesse questi… questi movimenti sono pronto a scommettere che non avrà mai nulla da ridire su di te!!” Ridacchiò divertito. L’espressione di Maria, già in partenza assai poco convinta, dopo le parole del padre si fece a dir poco dubbiosa. Era ovvio che il suo parere fosse quanto di più ‘pericoloso’ e meno credibile, ma ovviamente non poteva dirglielo in faccia. La giovane si voltò verso sua madre, che stava ancora taciturna, con le mani intrecciate in grembo. Maria le si avvicinò titubante e le posò una mano sulla spalla.
“Madre..” azzardò a chiamarla, a voce bassa. Ma Caterina non rispose. Strinse ancora di più le mani, quindi alzò gli occhi sulla figlia, che ora la guardava davvero preoccupata.
“Farai meglio a dimenticare quei passi prima che tu parta per la Francia, Maria.” Sentenziò con un tono che non dava alcuna possibilità di replica né tantomeno di appello. Maria si girò verso la sorella, che si stava alzando dalla sedia ed annuiva, sorridente.
“Che ti avevo detto Maria?” Esclamò Isabel. “Meno di tre minuti alla reazione..” Ridacchiò affacciandosi sulla soglia e guardando Caterina che pian piano si stava rendendo conto di essere stata buggerata.
“Che rabbia, pensavo avrebbe resistito di più prima di sbottare..” Le fece eco la sorella andandole vicino e godendosi da lì la scena.
Vedendole così palesemente in accordo, Caterina si girò verso il marito e lo guardò come a chiedere conferma di quanto le due monelle avevano tramato alle sue spalle.
“Sì, mia cara, credo proprio che queste due mascalzone vi abbiano combinato un bello scherzo.” Rise lui.
“Un momento..” Protestò Maria, alzando le mani davanti a sé. “Io non ho fatto nulla. L’idea è stata..”
“Sì, sì, sono io la colpevole..” Ammise subito Isabel. “Chi mai potrebbe essere l’autrice di una cosa come questa, se non io?” Aggiunse, in tono scherzoso, ma facendo capire che quella nomea, per quanto corretta, le dispiaceva un po’. E mentre Maria andava subito ai piedi di sua madre, a scusarsi e in qualche modo ricomporre la cosa, almeno per quanto spettava a lei, Isabel rimase sulla soglia, appoggiata allo stipite della porta, come se non volesse interferire in quel quadretto. Vedendole parlottare e spiegarsi ed Enrico guardarle assorto, Isabel tornò nella sala accanto e rimise la viola da gamba nella sua custodia e poi si voltò per osservare di nuovo i tre. Sua madre la guardava con dolcezza, mentre Maria parlava con Enrico, quasi in attesa che lei le si avvicinasse. Incerta sul da farsi, Isabel rimase ferma dove era, fino a che Caterina non allungò un braccio nella sua direzione, come faceva quando era bambina, per chiamarla a sé. La Principessa, obbediente, le si avvicinò, accosciandosi di fianco a lei.
“Non volevo offendervi..” Disse subito, scusandosi e temendo che sua madre potesse esser rimasta oltraggiata per quanto aveva detto. Ma Caterina la sorprese del tutto, aprendo la bocca ad un sorriso enorme e posando una mano sulle sue labbra, come per zittirla.
“Il mio adorato buffoncello di corte..” Mormorò prendendole tra le dita il mento, e poi stringendola a sé.
“Questo l’ha preso da me!!” Eruppe Enrico, costringendo madre e figlia a sciogliere il loro abbraccio. “La mia vena comica è di sicuro più preminente della vostra, Caterina!!”
Isabel si voltò e lo guardò per alcuni istanti, sorridendo lievemente. Si chiedeva se stesse dicendo sul serio o meno, e quando lo vide convinto di quanto aveva affermato, si voltò immediatamente verso sua madre, che lo assecondò subito, annuendo e sorridendo a sua volta. Soddisfatto per il successo riscosso, Enrico mandò le figlie alle loro stanze e poi guardò la moglie.
“Ogni qual volta in Scozia non ho ricevuto vostre notizie e le risposte alle mie missive, mi son seriamente spaventato. Poi ho pensato che voi non..” Si interruppe, guardandola intensamente. Caterina gli posò una mano sul polso, e sorrise comprensiva, come spesso faceva in quei frangenti. Sapeva che il marito si era verosimilmente prima adirato molto per il suo silenzio, e che solo dopo era subentrata la paura, ma non lo disse, sorvolando con la solita discrezione sul reale andamento degli avvenimenti.
“Enrico, non mi sono mai arrivate le vostre lettere..” Rispose lei paziente, come se nei tre giorni precedenti non avessero mai affrontato l’argomento per ore e come se non avessero mai analizzato la cosa nei minimi particolari.
Il marito la osservò con attenzione: stava forse mentendo? E, nel caso, a che pro? Quale tornaconto avrebbe mai potuto ricavare dalle proprie menzogne? Forse che una volta tornato, non avrebbe scoperto il misfatto? E poi, da che la conosceva, Caterina non aveva mai mentito, non aveva mai agito contro quello che considerava il proprio Paese, né aveva mai messo in pericolo la vita di una sola delle persone che le era stata affidata. Possibile che in questo caso avesse ignorato un suo preciso ordine e gli avesse negato le truppe che esigeva e comandava arrivassero? No, no, Caterina gli era fedele. Enrico lo sapeva. Di più, ne era certo.
“Sire, voi pensate che non ci sarebbero nemici così forti e infidi da attentare alla stabilità del vostro Regno?” Chiese Caterina, prendendo in mano la situazione. Sapeva che avrebbe potuto costarle caro farsi vedere così sicura e decisa nell’incolpare altre persone quando la situazione non era chiara per nulla, ma non poteva fare altrimenti. Il fatto che Enrico non avesse ricevuto le risposte sue, di sir More e di tutti coloro cui aveva scritto, significava che qualcuno aveva tentato di isolarlo, riuscendoci pienamente, creando così un vuoto tra il Re e i suoi collaboratori intollerabile ed eversivo. Chiunque aveva agito a quel modo sapeva perfettamente cosa avrebbero significato le sue azioni ed era quindi impensabile si fosse trattato di un gesto momentaneo o di un incidente.
“Voi credete…” Chiese, improvvisamente spaventato da quella eventualità. “Io non.. ecco io non.. non pensavo che qualcuno potesse volere la mia rovina, e il mio trono. Non dopo Buckingham, almeno..”
Dopo quelle parole, piene di sconforto e quasi rassegnate, Caterina gli accarezzò il viso.
“Maestà, voi siete un re amato e benvoluto.” Gli disse in modo risoluto. “Il vostro Paese vi ama e vi rispetta, e questi sono gli atti di pochi ribelli. Avete il dovere di capire di chi si tratti, trovarli ovunque si nascondano e comminare la massima pena. Ma fareste un torto a milioni di sudditi se pensaste che l’Inghilterra non vi è fedele.”
Enrico la guardò in silenzio, ammirato, come molte altre volte. Gli occhi della moglie scintillavano di orgoglio e di intelligenza. Era stato un pazzo a pensare che una sciocca ragazzina potesse prima o poi diventare ciò che Caterina era, per nascita e per natura: una regina intelligente, misurata, astuta e brillante.

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“Perfetto sir Fitzwilliam. Fate entrare Sua Maestà.” Giacomo si alzò in piedi e restò in attesa.
Quattro ore prima aveva accettato formalmente la proposta di pace di Enrico e aveva mandato una delegazione affinché preparasse una bozza assieme alla delegazione inglese, che poi i due Sovrani avrebbero firmato.
“Enrico Tudor, Re di Inghilterra!!” Annunciò il ciambellano a gran voce. Giacomo contrasse la mascella per un istante e chiuse gli occhi. Era nervoso ed eccitato assieme. Enrico Tudor aveva abbassato la cresta, finalmente, e di fronte a sé vedeva arrivare un leoncello scornato e vagamente irritato per la conclusione di quella vicenda. Il Re scozzese represse un sorriso e facendo appello a tutto il suo sangue reale, andò incontro a colui che fino a pochi giorni prima avrebbe voluto vedere ucciso in qualsiasi modo, piuttosto che avere come alleato.
“Caro fratello!” Gli disse, aprendo le braccia e sorridendogli quanto più poté. Enrico rimase per un attimo impassibile e poi sorrise a sua volta.
“Maestà..” Gli rispose inchinandosi in modo cerimonioso e sottraendosi allo stesso tempo al suo abbraccio. Giacomo perse per un istante il sorriso, ma dopo pochi istanti si riprese. Per quanto fosse furente non avrebbe mai dato la soddisfazione di rendere visibile questo suo stato d’animo. Non la avrebbe data né ad Enrico, né a chi era assieme a lui.
“Accomodiamoci.” Propose gentilmente Giacomo, mentre gli ufficiali inglesi continuavano a entrar nella sala. Il Re scozzese istintivamente si sentì disturbato e distratto da tutte quelle persone. Non si aspettava che Enrico si portasse dietro il seguito delle grandi occasioni, ed invece non meno di cinquanta persone sfilarono ordinatamente e si disposero a ferro di cavallo, lungo il muro della sala, alla destra, alla sinistra e davanti ai due sovrani, che sarebbero stati al centro.
“Vostre Maestà, affinché possiate uniformarvi a questo trattato di amicizia e concordia perpetue, con i vostri sigilli ratificate la pace tra Inghilterra e Scozia.. In qualità di legato Papale sono testimone delle firme che le Vostre Maestà apporranno su questo trattato di reciproca amicizia e che nulla lo romperà. Così Dio vi aiuti.” Il Vescovo Stuart, primate della Chiesa Scozzese avanzò con in mano la pergamena su cui Enrico e Giacomo avrebbero dovuto firmare. Arrivato davanti ai due Re, il prelato sorrise e poi porse il trattato. Cavallerescamente Giacomo lasciò che fosse il collega a prenderlo e sistemarlo sul leggio, poi assieme presero la penna d’oca, la intinsero nell’inchiostro e, dopo un ultimo sguardo reciproco, si prepararono alla firma.
Poco prima di firmare, Enrico tossì un paio di volte. Giacomo non se ne preoccupò, né ci fece troppo caso, ma poi un sibilo corse per tutta la sala. Quando il Sovrano scozzese alzò gli occhi non vide che le porte della sala improvvisamente chiuse, e poi il massacro dei suoi da parte degli inglesi.
Gli accompagnatori di Enrico fecero in modo di disporsi dietro agli uomini di Giacomo, con un rapporto di due a uno. La sorpresa, la buona sorte e a velocità dalla parte dei primi, ed i secondi vennero sgozzati uno per uno, praticamente in modo simultaneo. La maggior parte dei soldati scozzesi non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi cosa stesse succedendo che già il sangue aveva cominciato a scorrere giù dalle loro gole, lungo il loro collo e gli abiti, fino a terra.
Bloccato prima dal terrore e poi da due uomini di Enrico, il Re scozzese non ebbe modo di reagire in alcun modo. Oltre e più di tutto, era sconvolto e disgustato allo stesso tempo. Enrico gli aveva teso una trappola, aveva abusato del credito che gli era stato concesso, mentendo volutamente su una delle cose più sacre, ossia un’offerta di armistizio. Aveva tradito la fiducia di due Paesi e le speranze di pace dell’intera Europa. Inoltre agli occhi di Dio era uno spergiuro ed un falso. Difficilmente avrebbe potuto essere assolto dopo una cosa del genere, non importa chi avrebbe ascoltato la sua confessione e la sua richiesta di perdono.
Da fuori si sentivano le urla disperate della sua gente, i colpi di mazza e di spada contro le colonne, i pilastri ed i muri del palazzo reale, contro le ossa delle persone.
“Vi darò tutto quello che volete, ma vi prego, fermate tutto questo. Risparmiate la mia vita.” Implorò Giacomo.
“Dì le tue preghiere, e chiedi perdono a Dio..” Gli rispose Enrico, sprezzante. Dopo pochi istanti, afferrò la spada di Charles Brandon, che teneva fermo Giacomo, e lo trafisse. Il corpo senza vita di Giacomo si afflosciò ai suoi piedi. Enrico si girò verso uno dei suoi soldati e gli ordinò di decapitarlo. L’uomo rimase per qualche istante interdetto, ché non si aspettava un gesto così brutale, ma poi lo sguardo feroce di Enrico lo fece obbedire assai velocemente.
Nelle settimane che seguirono, gli uomini di Enrico uccisero i personaggi più influenti della nobiltà scozzese, sia quelli notoriamente fedeli a Giacomo, sia coloro che erano più distanti dall’ex Sovrano, quando non addirittura ostili. Per giorni e giorni fecero bella mostra di sé le teste mozzate e fissate sulle picche agli angoli più frequentati delle città, o i corpi penzolanti dagli alberi. Fu un monito nemmeno troppo velato, ma efficace. Il popolo scozzese, solitamente riottoso e restio ad ogni giogo, si piegò abbastanza in fretta alla sistematica e metodica brutalità di Enrico e non oppose praticamente resistenza.
Una volta decapitata la nobiltà ed asservito il popolo, Enrico pensò al ritorno a Londra. Per un paio di giorni rifletté in totale solitudine su chi lasciare a Edimburgo, in sua vece. Inizialmente pensò a Brandon, ma poi si disse che il duca gli avrebbe fatto comodo nel viaggio di ritorno, così decise di lasciare lì sir Dacre. Era il giusto premio per il suo comandante, ed essendo un soldato di lungo corso la cui risolutezza e decisione erano ben note, la sua presenza avrebbe di sicuro scoraggiato eventuali ribellioni, sia da parte dei nobili, che da parte della popolazione.
Fu così che, poco meno di un mese dopo la vittoria su Giacomo, Enrico si preparò per tornare a Londra, con la corona di Scozia in regalo per Caterina.

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Capitolo 24
*** What love can do that dares love attempt ***


A Queen's Daughter - What love can do that dares love attempt

Londra/ Windsor, Dicembre 1530 - What love can do that dares love attempt

 

“Signora, vostra figlia..”
Caterina alzò gli occhi dalle carte che stava leggendo e firmando e restò in attesa.
“Maestà..” La riverì Isabel con un sorriso. La Regina si alzò subito e le andò incontro, per un abbraccio.
“Come stai, bambina?” Chiese dolcemente, accarezzando il volto della figlia.
“Sto, mamà.” Rispose Isabel con un sospiro.
Da poco meno di tre settimane, sir Sten era tornato a Londra e lei lo aveva visto quasi ogni giorno. Rispetto al loro ultimo incontro, qualche mese prima, nulla era cambiato. La loro conversazione continuava a languire, lui continuava a parlare di caccia, donne e cibo, e i due seguitavano ad avere nulla in comune e ancora meno da condividere. La giovane Principessa era più che demoralizzata, soprattutto se metteva a confronto il suo fidanzato ufficiale con Joàn. Era incredibile la differenza dei due. Sir Sten aveva avuto l’educazione migliore, maggiori possibilità di istruirsi, viaggiare, farsi una cultura, insomma ampliare la propria mente, eppure nulla di tutto questo sembrava interessarlo anche solo vagamente. Viceversa, Joàn era interessato a tante cose, conosceva diverse lingue, sapeva stare in mezzo alla gente senza l’aria di essere capitato lì per caso o, peggio, per errore. E più di tutto, il primo non era minimamente affascinate, il secondo sì. Pur non essendo infatti una bellezza, il giovane spagnolo sapeva come attirare su di sé gli sguardi, sapeva corteggiare e faceva in modo di farlo capire alla dama che gli interessava. In qualsiasi corte europea, dove i ‘giochi d’amore’ erano un passatempo divertente, ma importante anche per socializzare, sapere come comportarsi era ovviamente indispensabile. Isabel si chiedeva come mai avrebbe fatto a passare la vita con sir Sten. Di cosa avrebbero parlato?, cosa avrebbero condiviso, che tipo di vita li aspettava? Da quando poi Joàn aveva raggiunto Yousuf a Windsor, poco meno di una settimana prima, la giovane sentiva tremendamente la sua mancanza, al punto di aver cominciato ad ignorare palesemente sir Sten. Non che per il nobile svedese fosse una perdita, anzi, ma quell’atteggiamento aveva cominciato ad essere visibile anche ad altri membri della corte e le voci avevano iniziato a girare.
In silenzio e totalmente presa dai propri pensieri, Isabel oltrepassò il tavolo dove sua madre stava lavorando e si sedette su una poltrona lunga, di fronte all’enorme vetrata che dava sul giardino e sul parco adiacente. Caterina la guardò turbata. L’ultima volta che Isabel aveva assunto quell’atteggiamento così taciturno e pensieroso le aveva confessato di essersi innamorata di Joàn. Ora, e con il rientro in Inghilterra di sir Sten, il suo silenzio non faceva presagire nulla di buono. Pian piano e senza dire una parola la raggiunse, si sedette accanto a lei e le accarezzò il viso, con dolcezza.
“Amore, cosa c’è?” Chiese a voce bassa. Come colta di sorpresa dalla sua voce, Isabel ebbe quasi un sussulto.
Mamà, voglio andare a Windsor..” Disse dopo diverso tempo la giovane Principessa. La Regina rimase dapprima totalmente basita per quella richiesta, quindi s’irrigidì di colpo. Ritirò la mano ancora sul volto della figlia, alzandosi in piedi.
“Cosa vorresti tu? Non sognarti nemmeno una cosa del genere!” Disse, chiudendo di fatto la questione, e con una certa decisione. Furente tornò al tavolo e abbassò lo sguardo sulle carte ben disposte, fingendo di rivolgere a loro la propria attenzione.
Sapeva bene chi c’era a Windsor e non poteva minimamente permettere quella situazione. Non aveva certo dimenticato dove, e soprattutto con chi, aveva pescato Isabel, non più tardi di due mesi prima. Per quanto quella faccenda non fosse più all’ordine del giorno, e lei avesse finto di non aver visto, e quindi di non essersi preoccupata, non era certamente una questione archiviata. Non aveva troppa importanza che Isabel fosse romanticamente presa da Joàn; fino a che la figlia stava sotto la sua ala protettrice, la cosa era gestibile e controllabile. Ben altro conto era che se ne andasse a decine di miglia lontano da Londra, sotto l’unico controllo delle sue dame. Pur se capeggiate da lady Thorston, cui Caterina riconosceva enormi meriti, fra cui quello di amare profondamente Isabel e di tenerla lontana da guai, esse infatti erano per la maggior parte ragazze poco più grandi di sua figlia, perciò tutte più o meno inclini a commettere sciocchezze. La vicenda di Hampton Court, e del personale a servizio della Principessa aggiunto a insaputa della Regina, aveva spinto Caterina a non perdere più d’occhio la figlia, controllandone non solo l’istruzione e la crescita, ma anche chi di volta in volta entrava a far parte della sua vita, fosse stato anche solo per un giorno. Ora saperla a Windsor, a diverse decine di miglia da lì, con la presenza di Joàn e con tutto quello che sarebbe potuto accadere tra i due, bè.. questa era una cosa per lei inconcepibile.
Mamà, vi prego, ascoltatemi..” Disse Isabel, con uno scatto che la fece alzare in piedi ed andare al tavolo di Caterina. “Per favore, ascoltatemi. Fatemi spiegare ciò che sento.. non è un capriccio, credetemi. Non lo è davvero..”
“Isabel, così ho deciso.” Rispose ferma Caterina, alzando per un attimo gli occhi dal tavolo e guardando la figlia. “Non mi far ripetere quanto ho appena detto. Ho detto di no, e no sarà. Chiaro?”
“Ma perché? Perché mi impedite una cosa che fino ad ora mi avete permesso? Voi sapete quanto io tenga a fare bene i miei uffici. Per favore, datemi la possibilità..”
“Ho detto di no! Vostra Altezza, fareste bene a obbedire!” Minacciò Caterina, alzandosi in piedi e fissando la figlia con occhi di fuoco. Il volume della voce improvvisamente più alto, la Regina era chiaramente sul punto di adirarsi seriamente
“Ma perché?!” Chiese Isabel, alzando a sua volta la voce e esprimendo tutto il suo fastidio e la non comprensione per quella improvvisa chiusura da parte di sua madre.
“Perché no!!” Sbottò Caterina, con gli occhi quasi del tutto fuori dalle orbite. “E ora fareste bene ad obbedirmi e filare alla vostra lezione!!”
Isabel rimase diversi minuti a guardare sua madre, sinceramente colpita dal suo tono di voce e dai suoi modi. Le sembrava tutto così strano ed eccessivo per essere vero, ma non volle opporsi a quelle parole.
“In questi mesi ho fatto tutto quello che mi avete ordinato, senza mai fiatare..” Rispose con un filo di voce, ma cercando di non cedere all’emozione. “Ho fatto il mio dovere, lo so più che bene, ed obbedirvi è quanto ci si aspetta da me.. ma non merito un trattamento del genere. Non lo merito affatto, e voi lo sapete..”
Ciò detto, riverì sua madre, poi, camminando all’indietro, lasciò la sala. Non appena Isabel andò via, Caterina si lasciò andare sulla poltrona dietro di sé.
Lo scambio di vedute con la figlia l’aveva straniata, fatta adirare e demoralizzata assieme. Non era la loro prima discussione, ma quella volta c’era qualcosa di diverso. Isabel si era ritirata dopo un no, ma prima di lasciare il campo aveva in qualche modo accusato la Regina di essere ingiusta. Era un’assoluta novità quel comportamento. Quando aveva chiesto di poter avvicinarsi alla medicina, infatti, di fronte al no secco di Caterina, prima aveva protestato e si era ribellata, poi dolcemente, ma con fermezza, aveva tentato di far valere le proprie opinioni. Alla fine aveva ottenuto quello che desiderava, avvicinandosi enormemente a sua madre e mettendo assieme a lei le basi di quell’edificio solido che ora era il loro legame affettivo. Ora invece, Isabel si era permessa di protestare, di ribellarsi al no secco che la Regina le aveva imposto, senza alcuna spiegazione. Delusa e amareggiata per quella chiusura, la Principessa non aveva esitato a lasciare il campo dopo parole assai dure.
Stordita da quell’atteggiamento, Caterina chiamò lady Willoughby e le chiese di mandarle al più presto sir More. Con lui avrebbe discusso seriamente di Isabel e di quella faccenda e, qualora si fosse reso necessario, ne avrebbe parlato anche con Enrico. Se c’erano cose che non tollerava queste erano l’indisciplina e la disobbedienza. Quando poi esse provenivano dalle sue figlie, la cosa diventava addirittura inammissibile.
“Signora, il Cancelliere è qui..” Annunciò Maria de Salinas, dopo una decina di minuti, aprendo la porta e lasciando lo spazio perché sir Thomas entrasse nello studio.

 
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“Celebriamo e festeggiamo!”
La voce del Re risuonò nell’ampia sala dove la famiglia reale e la corte festeggiavano il matrimonio ormai imminente tra Maria e il Delfino di Francia, e la partenza della ragazza, di lì a qualche giorno. Nonostante l’improvviso ritiro dell’esercito francese dalla Scozia, i due sovrani avevano ricomposto la frattura e, soprattutto grazie all’opera congiunta delle due Regine, il fidanzamento dei due giovani non venne sciolto, né il matrimonio annullato. Stretta tra i due genitori, Maria appariva raggiante e bellissima. Francesco era sempre più nel suo cuore e nei suoi pensieri e i due avevano continuato a scriversi ed a comunicare anche nei giorni più difficili della guerra. Non vedeva l’ora di partire, nonostante l’enorme dolore nel lasciare Enrico e Caterina, ed anche la sorella minore.
Subito i musici cominciarono a suonare e l’ambasciatore francese si avvicinò a Maria per invitarla a danzare un rondeau. Caterina ed Enrico si accomodarono sui loro scranni, mentre altre coppie si formarono al centro della sala.
“E’ bellissima..” Mormorò Enrico, guardando la figlia maggiore con occhi sognanti. La moglie gli sorrise e poi seguì il suo sguardo.
“Non credo di averla mai vista così raggiante..” Rincarò la dose. In effetti, era così. Maria era palesemente felicissima, e quasi sembrava non vedesse l’ora di partire.
In un angolo della sala, Isabel osservava Maria. Il grande momento era arrivato e lei era di sicuro molto, molto felice per la sorella. Tuttavia, non poteva fare a meno di pensare che di lì a qualche giorno non sarebbero più state vicine, forse per il resto della loro vita. Provava una inesprimibile tristezza personale, accesa da lampi di reale gioia per la felicità di Maria. Sapeva che avrebbero potuto scriversi e continuare a stare reciprocamente vicine, ma era chiaro che non sarebbe più stata la stessa cosa.
Con la coda dell’occhio vide avanzare sir Sten e prima che potesse organizzare una ritirata strategica, lui la raggiunse; tentò di sorriderle, mettendo in mostra i suoi denti, come al solito orrendamente rovinati dai troppi dolci e da una pulizia che definire scarsa era un felice eufemismo. Isabel si sforzò di rispondere al sorriso di lui, e prima che potesse dire qualcosa per salutarlo, lui le afferrò la mano e la portò al centro della sala.
La giovane, essendo ormai sotto gli occhi di tutta la corte, si costrinse a provare almeno un minimo piacere per il suo invito e cercò di sorridere, senza sembrare un’ebete. Ancora una volta, sir Sten dimostrò tutta la propria inettitudine nella danza: non andava a tempo, non aveva la benché minima grazia, non riusciva a infilare due passi giusti di fila, costringendo la povera Isabel a cambiar di continuo i propri, venendogli incontro e facendo in modo che gli errori di lui si notassero il meno possibile. Alla fine del rondeau, sir Sten le afferrò il polso costringendola a danzare ancora con lui. Chi era accanto a loro si accorse di quel gesto e si fermò, come per osservare la reazione di Isabel, che era leggermente impallidita. Molti visi si girarono istintivamente verso i due sovrani. Enrico, per via delle persone davanti a sé, non aveva visto nulla, ma Caterina sì. La reazione della figlia, però, prevenne qualunque cosa. Isabel sorrise graziosamente al suo fidanzato e, non appena i musici eseguirono una gagliarda, iniziò a ballare con lui. Maria de Salinas e lady Thorston si scambiarono uno sguardo e poi entrambe si volsero verso la Regina, che aveva osservato la scena senza perdere un solo particolare.
“Ballate bene, Vostra Altezza!” Praticamente gridò sir Sten, in un inglese stentato e pieno di errori, mentre pestava per l’ennesima volta il piede alla povera Isabel. Lei cercò quanto più possibile di sorridergli e annuì, compiaciuta.
“Anche voi, mio caro..” Rispose. La scelta di quel termine vezzeggiativo fu improvvisa, e Isabel si stupì di se stessa. Quello che in ogni caso voleva essere solo una generica parola gentile infiammò sir Sten a tal punto che quasi prese per la vita la sua fidanzata. Poco mancò che le rovinasse sopra e solo la prontezza di Isabel riuscì a far passare il tutto come un piccolo inciampo da parte di lui, e non come una cronica mancanza di stile, delicatezza e minimo senso del movimento.
“Non è certo portato per la danza..” Mormorò lady Willoughby a voce bassa, osservando la scena.
“Non è portato per nulla!” Le fece eco lady Thorston, rincarando la dose. “Povera bambina mia, non so cosa mi tenga dall’andare lì a levargliela dalle mani..” Aggiunse, abbassando ulteriormente il volume della voce e peritandosi di non farsi udire da Caterina. “Come si fa..” Soggiunse sconsolata, andando via e non riuscendo più a sopportare quella vista.
Per tutta la sera sir Sten rimase letteralmente incollato ad Isabel, non dandole mai un solo momento di requie. La giovane non poté ballare con nessun altro, non riuscì a parlare con alcuno degli invitati, a malapena mangiò ed ebbe modo di riposarsi un attimo, fra una danza e l’altra. Quando i due non danzavano, il nobiluomo svedese la teneva impegnata in conversazioni estenuanti, quanto inutili e tediose. Il fatto che per la prima volta lui avesse categoricamente rifiutato di servirsi del solito interprete, aveva reso la situazione di Isabel più penosa del solito, dato che la di lui conoscenza delle lingue non era affatto migliorata, a voler essere buoni e caritatevoli.
Lady Thorston aveva provato un paio di volte ad avvicinarsi ad Isabel, con il proposito di farla almeno respirare un po’, ma ogni volta sir Sten l’aveva squadrata in un modo tale che lei finiva per desistere. La dama si ritrovava, ad un tempo, ogni volta più scoraggiata e più adirata di prima. Era evidente che la giovane Principessa avesse bisogno di cambiare aria, ma lui non sembrava nemmeno accorgersene. Peggio ancora, dava tutta l’aria di non aver a cuore i desideri e le necessità di Isabel. Tuttavia, c’era una cosa minimamente positiva in quella situazione. Nessuno a corte si era accorto di quanto stesse avvenendo; questo era un bene, perché una faccenda come quella sarebbe potuta diventare gossip in un istante, ed avrebbe potuto mettere in imbarazzo sia i due Sovrani che la stessa, povera, Isabel.
Lady Thorston sperò che non tutti nella sala non avessero notato quanto stava avvenendo, e così guardò in direzione della Regina, per capire se almeno lei stesse tenendo d’occhio la sua creatura, come d’altra parte faceva regolarmente, e con estrema dolcezza. Quella volta però, la Sovrana non stava osservando la sua secondogenita. Non aveva occhi che per Maria e per molte ore stette quasi unicamente accanto a lei. Lady Joan ammise che in quella situazione la Regina non poteva davvero fare altrimenti, tuttavia… Tuttavia trovava assurdo che nessuno potesse andare a strappare Isabel dalle grinfie di quel buono a nulla. Almeno ci fosse stato sir Fernandez nei paraggi, ed invece nulla.
Quando, ormai verso la fine della festa, lady Joan non vide più né Isabel né sir Sten, un brivido freddo le corse lungo la schiena. Dio solo sapeva cosa poteva aver combinato quel bellimbusto. La dama partì allora in cerca della giovane Principessa; dopo aver guardato attentamente nella sala, uscì da essa e si diresse nelle due sale adiacenti. Erano anch’esse illuminate e riscaldate, oltre che occupate da invitati e cortigiani, anche se in misura minore che nel salone principale. Esse venivano usate più per discorrere ed intrattenersi, che per danzare, ed erano quindi più tranquille e meno rumorose, anche se gli echi delle danze vi arrivavano comunque. Non avendola trovata nemmeno lì, passò oltre e si diresse verso le stanze più piccole, che erano poco illuminate e appena riscaldate. I corridoi del palazzo erano freddi e piccoli mulinelli di aria gelida arrivavano dalle vetrate. Lady Joan si strinse nelle braccia, rimpiangendo di non aver preso almeno un mantello leggero per ripararsi; ma se lo avesse indossato avrebbe quasi certamente destato almeno curiosità, ed era proprio questo che voleva evitare.
Dopo aver controllato con attenzione, senza trovare Isabel o almeno sir Sten, stava quasi per tornare indietro, quando si rese conto che restavano tre piccole stanze, in un corridoio laterale di quell’ala del palazzo. Erano dei piccoli salottini, che soprattutto la Regina usava per accogliere ospiti privati o per cucire con le sue dame, e che davano su una parte più riparata del giardino. Ormai quasi del tutto scoraggiata dal poter trovare Isabel, lady Joan volle comunque fare un tentativo. Nei primi due salottini non trovò nessuno, se non un gelo tremendo e la sensazione di aver sbagliato a recarsi laggiù. Stava per tornare indietro, convinta com’era che anche nell’ultimo salottino non vi avrebbe trovato nessuno, quando, più per scrupolo che per reale convincimento, aprì pian piano la porta accostata della terza piccola sala. Era buio e i suoi occhi faticarono un po’ ad adattarsi alle condizioni di scarsa visibilità; quando però vi riuscì, vicino alle ampie vetrate vide in modo distinto due figure. Entrambe le davano le spalle, quindi non si accorsero della sua presenza. In silenzio cercò di avvicinarsi, per capire almeno chi fossero. Istintivamente sorrise, nel riconoscere le due figure. Sorrise e tirò un sospiro di sollievo, grande quanto un palazzo.
Stretta in un affettuoso abbraccio e seduta in grembo alla Regina, aveva finalmente trovato Isabel!
Senza pensarci due volte, fece dietrofront e uscì da lì, preoccupandosi di accostare il più possibile la porta alle sue spalle, in modo che eventuali invitati non vi entrassero, e dando così a madre e figlia la possibilità di avere un po’ di privacy.

 

“Dove è la mia fidanzata?” Rientrata nel salone dove la festa si era appena conclusa, lady Joan venne immediatamente ‘affrontata’ da sir Sten. La donna fece di tutto per sorridergli, per quanto non ne avesse alcuna voglia, e poi rispose.
“Non so, signore..”
“Io ho fretta, ma voglio congedarmi da lei..” Replicò quello, con molta poca grazia.
“Vi ho detto che non so dove sia.” Ribatté lei, cominciando a perdere la pazienza. “Porterò a Sua Altezza i vostri omaggi ed i vostri saluti, non dubitate..”
Congedato in un modo tanto garbato, e dato anche che ormai la maggior parte degli ospiti stava andando via, al povero sir Sten non restò altro che lasciare il palazzo. Mentre andava via, non mancò di lanciare un paio di occhiate tutt’altro che amichevoli a lady Thorston. Non gli era affatto piaciuta l’ingerenza di quella stupida dama e non vedeva l’ora di poter mettere becco sul seguito che Isabel avrebbe dovuto portarsi dietro dall’Inghilterra alla volta della sua nuova destinazione. Era certo che Re Enrico non avrebbe avuto nulla da ridire di fronte alle sue sacrosante richieste e, proprio mentre saliva sulla carrozza che lo avrebbe accompagnato al palazzo dove alloggiava, pensò bene ad una strategia per far sì che la molesta lady Joan potesse essere eliminata al più presto dal seguito di Isabel.

 

“Amore.. va un po’ meglio?”
Con dolcezza Caterina sciolse l’abbraccio che l’aveva legata ad Isabel e fissò il volto della figlia. Con il pollice asciugò le sue lacrime, mentre l’altra mano accarezzava delicatamente la schiena di lei. Leggermente scossa dagli ultimi singhiozzi, Isabel annuì in silenzio. Incapace di trattenersi, Caterina le baciò la tempia e la strinse di nuovo a sé.
Per una settimana, da quella brusca discussione, si erano viste pochissimo; ogni volta che avveniva, Isabel abbassava subito gli occhi, sotto lo sguardo severo e adirato della madre. Non avevano più parlato di quanto la giovane aveva chiesto, anzi non avevano proprio più avuto occasione di scambiare due chiacchiere, tantomeno di riavvicinarsi. La Regina aveva sbottato malamente verso la figlia e l’aveva in pratica cacciata dal proprio studio. Una cosa mai successa prima d’allora. Isabel se n’era andata, obbediente come sempre, ma le durissime parole che le erano uscite dalla bocca avevano lasciato di stucco sua madre, e nei giorni successivi erano risuonate di continuo nella sua mente, facendola adirare ancora di più.
Durante la serata tuttavia, sebbene avesse dato l’impressione di non accorgersi di Isabel e di quanto stesse avvenendo tra la figlia e sir Sten, Caterina aveva sentito il proprio cuore stringersi man mano che la festa andava avanti. Sebbene tutta la corte l’aveva vista sempre accanto a Maria, non s’era persa uno solo dei gesti goffi che lo stupido nobiluomo svedese aveva avuto per Isabel, del modo in cui si era reso ridicolo danzando con lei, di come le aveva impedito di essere invitata per una danza, o anche solo avvicinata da chiunque altro che non fosse lui. Isabel aveva sopportato tutto con calma disumana e con un’incredibile dignità, senza mai lasciar trapelare il disagio e la poca stima che aveva nei confronti del fidanzato. Nessuno dei membri della corte poteva vederlo, perché tutti erano estranei. Lei invece aveva visto, e si era sentita spezzare il cuore.
All’improvviso i due si erano appartati per discutere in maniera abbastanza animata. Caterina li aveva seguiti, tenendosi però a distanza. Pur non udendo le loro parole, aveva intuito che l’alterco era stato tanto vivace, quanto penoso. Ad un certo momento, sir Sten doveva aver detto qualcosa di tremendo, perché Isabel era improvvisamente impallidita, restando di sale. Lui si era allontanato, e la giovane Principessa era scoppiata in lacrime. Per timore di essere vista, si era allontanata da lì in tutta fretta, seguita da Caterina, che non ci aveva pensato due volte. La festa, Maria, l’ormai imminente matrimonio, il suo ruolo di Regina e madre della futura Regina di Francia potevano ben aspettare di fronte a quanto aveva visto.
“Isabel, che cosa è successo?” Chiese dolcemente, sciogliendo di nuovo l’abbraccio con lei e guardandola. “Per favore, tesoro, dimmi che cosa ti ha detto sir Sten..” Gli occhi di Isabel rimasero bassi e per la Regina fu un’impresa avere un contatto visivo con lei. “Amore mio, che cosa ti ha detto, o fatto? Ti ha in qualche modo mancato di rispetto? Ti prego, dimmi.” La convinse dolcemente, riuscendo finalmente ad alzarle il viso. A quelle parole, Isabel corrugò le sopracciglia.
“Non è successo nulla, mia signora..” Disse decisa, guardando prima in basso e poi nella direzione opposta a quella in cui si trovava Caterina.
La Regina fu così sorpresa per quel colpo di scena che rimase totalmente zitta.
“Scusate, ma ora devo andare nei miei appartamenti..” Disse di nuovo Isabel, e fece per alzarsi dalle ginocchia materne.
“Come non è successo nulla, Isabel!” Esclamò Caterina, di colpo. Le parole della figlia e il suo tentativo di andare via, l’avevano risvegliata da quell’apparente impasse. Subito pose una mano all’altezza della bocca dello stomaco di Isabel e la trattenne, con dolce fermezza. “Isabel ho visto chiaramente quanto è successo fra te e sir Sten. Ti prego, non dirmi bugie.” La esortò, ma la figlia girò il viso e ammutolì.
“Non è successo nulla..” Replicò, dopo alcuni istanti.
“Non è vero, Isabel, e tu sai che stai mentendo. Ho visto tutto, sai? Ho visto come sir Sten ti ha monopolizzata tutta la sera. E soprattutto ho visto come ti ha trattata, tesoro mio..” Rispose Caterina, dapprima con una certa decisione, poi divenendo più dolce e facendola di nuovo sedere. “Amore, ti prego, raccontami quello che è successo. Se preferisci non vederlo più, non hai che da dirlo..”
A quelle parole, Isabel si voltò di scatto verso sua madre.
“Cosa?” Sibilò, tanto stupefatta, quanto palesemente furente. Aprì la bocca per riprendere a parlare, ma poi la chiuse di scatto, mordendosi il labbro inferiore.
“Isabel, cosa c’è..” Le chiese sua madre, che non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
“Ora mi venite a dire che…” Riprese Isabel, interrompendosi di nuovo. “Una settimana fa io vi ho chiesto.. No, io vi ho implorata di..” Il tono di voce di Isabel si incupì bruscamente, poi la giovane principessa si zittì e si morse di nuovo il labbro.
“Amore mio, che succede?” La voce della Regina rifletteva tutta la sua preoccupazione. Pur non essendo mai stata una gran chiacchierona, Isabel non era mai stata così reticente. Le mani di Caterina salirono sul viso della figlia, nel tentativo di capire ancora una volta cosa stesse succedendo. “Amore, parlami..”
“Non è giusto!!” Gridò improvvisamente Isabel. “Non è giusto!!” Caterina le prese con dolcezza le mani. Era evidente che la fanciulla fosse sconvolta, e lei era fermamente intenzionata prima di tutto a calmarla e in secondo luogo a capirne i motivi. “Lasciatemi stare!! Ne ho abbastanza di questi modi ipocriti!!” Proseguì Isabel, più sconvolta che mai. Di scatto si alzò dalle ginocchia della mamma e fece due passi indietro, sottraendosi alle mani di Caterina che, ancora una volta, cercavano di ricondurla per lo meno alla calma.
“Isabel, ti prego.. spiega..” Riprese a dire, ma la figlia la interruppe, e questa volta non ci fu modo per la Regina di fermarla.
“Sapete quanto mi costi parlare, esprimere i miei sentimenti. Voi lo sapete più di chiunque altro qui a corte. Eppure una settimana fa sono venuta da voi, ho aperto il mio cuore e vi ho chiesto, anzi supplicato, di mandarmi a Windsor per poter respirare un po’. Sir Sten è l’uomo più sbagliato, ottuso, meno intelligente e brillante che io abbia mai conosciuto. La sua conversazione è nulla, puzza, non ha modi civili e abbiamo opinioni su come condurre le nostre vite così distanti che perfino con un selvaggio delle Indie mi sentirei più a mio agio, infinitamente di più. Nonostante tutto, lo sposerò, per non mancare di rispetto al Re e soprattutto a voi, che siete importante per me come l’aria che respiro. Vi ho solo chiesto tempo, per poter star serena, per poter pregare e prepararmi ad una vita con lui, e mi avete cacciata in malo modo, quasi fossi un’appestata. Non avete nemmeno pensato di sentire le mie ragioni, né di chiedermi da cosa fossi così turbata, o oppressa.” Eruppe la giovane Principessa, con una forza nella voce che la madre ne rimase decisamente impressionata. Il suo volume era basso, appena udibile e comprensibile, ma le parole erano decise e forti, come scudisciate. “Mi sono sentita abbandonata più che in tutte le altre volte sono andata via da qui, o mie è stata imposta una decisione solo perché sono la figlia di un Re e non di un uomo comune. Pensavo di poter avere comprensione, sostegno e solidarietà da voi, sia come madre, che come donna. Ancora di più come donna, per aver vissuto la mia stessa vicenda. Ed invece nulla. Non solo mi avete ignorata, ma avete gridato contro di me. Non meritavo una cosa del genere. Non la meritavo davvero..” Continuò Isabel, mentre i suoi occhi si riempivano nuovamente di lacrime. Sentendosi enormemente colpevole, Caterina si alzò in piedi e fece due passi verso di lei, riuscendo a prenderle una mano, ma la figlia si divincolò e fece due passi indietro. “Grazie mille, per la vostra comprensione e la vostra attenzione, madre. Grazie davvero..” Concluse ironicamente. Dopo di che fece un inchino, quindi corse via. 
La Regina rimase a guardarla andare via senza poter fare o dire alcunché. Solo in quel momento si rese conto davvero di quanto importanti sarebbero stati per Isabel il suo supporto e la sua comprensione; solo in quel momento realizzò quanto le era costato venire a chiederle di essere mandata a Windsor. Non era un capriccio, né un modo per fare la furbetta, ma una reale necessità. Un modo per respirare e riordinare le idee in vista d’un matrimonio sempre più vicino e della partenza dall’Inghilterra e dalla corte. Per tutta la sera aveva notato, più di quanto già non sapesse, quanto Isabel e sir Sten appartenessero a due mondi totalmente diversi, e per tutta la sera aveva avuto un nodo in gola nel vedere quanto i due non avessero nulla da dividere. Lo sguardo di Isabel, acceso, vispo ed allegro ad inizio serata, si era spento ed incupito, a mano a mano che il fidanzato aveva preso ad esser sempre più presente ed opprimente. Isabel gli aveva detto, dapprima con gentilezza, poi con decisione via via più forte, che avrebbe gradito chiacchierare e danzare anche con altre persone, ma lui non se n’era dato per inteso e le era rimasto accanto fino a che non avevano discusso. O meglio, fino a che sir Sten non aveva detto qualcosa che aveva fatto impallidire la giovane, fino a farla andare via dalla sala. Solo allora Caterina aveva avuto la spinta per raggiungerla e consolarla. In realtà avrebbe voluto farlo fin da subito, ma un po’ per testare la coppia, un po’ perché era il giorno di Maria, un po’ perché era ancora assai adirata con Isabel, non si era mossa da lì. Quando l’aveva trovata in lacrime, però, tutto quanto l’aveva tenuta fino a quel momento lontana dalla figlia, era sparito in un attimo. In silenzio l’aveva presa tra le braccia, stringendola forte a sé. Non si sarebbe mai aspettata una reazione di quel tipo da parte di Isabel, né parole così dure e tanto sfrontate, ma cercò di capirla, nonostante tutto. O per lo meno di capirne le motivazioni, che erano chiarissime.
Cupa e pensierosa abbandonò la sala, ormai fredda, e ritornò nella zona del palazzo che aveva abbandonato quasi un paio d’ore prima.
Di Isabel non c’era traccia, e lei pensò di lasciarla tranquilla. Stava ormai preparandosi per la notte, quando inaspettatamente le venne annunciata la richiesta di un colloquio assai urgente con lady Thorston. Sulle prime la Regina si spaventò, poi cercò di calmarsi. Fosse stata un’emergenza, lady Joan non avrebbe chiesto nulla, ma si sarebbe precipitata dentro la sua stanza, dicendole cosa non andava. Così, riacquistò il suo abituale contegno e si preparò a ricevere la governante di sua figlia.

 
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“Vostra Altezza, Sua Maestà, vostro padre è qui..”
Isabel alzò gli occhi dallo spartito che stava studiando e sorrise a lady Joan. Pochi istanti dopo Re Enrico entrò nella sua stanza, debitamente salutato e riverito dalla figlia.
“Bambina mia, eccoti!! Come stai tesoro?” Esclamò Enrico prendendola dolcemente per le spalle e facendola rialzare. Poi depositò un bacio sulla sua fronte e, inaspettatamente, la strinse a sé per qualche istante. Quando la lasciò, Isabel era così sorpresa che non riuscì nemmeno a dire una parola. Tuttavia cercò di mascherare come poté lo stupore per quella novità. Gli sorrise di nuovo e poi stese la mano, invitandolo ad accomodarsi. “Non ho tempo, tesoro, per accomodarmi e stare con te..” Disse subito lui. Isabel chiuse gli occhi e fece una piccola smorfia a metà tra la delusione e il già vissuto. “Volevo solo dirti che se tu vuoi ancora andar a Windsor, e cominciare a stare lì un pochino prima delle prossime vacanze di Natale, hai il permesso. Quello di tua madre e, naturalmente, anche il mio.” Annunciò in modo del tutto inaspettato. Isabel lo guardò con un’espressione di completa sorpresa. Questo era un deus ex machina che non si aspettava davvero.
“Posso davvero?” Chiese, come se non fosse troppo sicura di aver sentito bene.
“Sì, Isabel, puoi.” Concesse lui, tutto sussiego e gloria. “Io e tua madre ne abbiamo parlato e discusso a lungo, ed alla fine io ho deciso che se vuoi, puoi andare..”
Enrico cominciò così uno dei suoi lunghissimi discorsi sui molti doveri di una Principessa, ovviamente dilungandosi sulle ripercussioni che il suo comportamento avrebbe avuto sulla Corona e sulla Famiglia reale, non solo sul suo onore. Ma Isabel non lo ascoltava già più. Ciò cui la Principessa riusciva unicamente a pensare era che l’artefice di tutto quanto non poteva che essere sua madre. Ancora una volta l’aveva sorpresa totalmente e le aveva regalato quello che davvero le serviva: tempo e silenzio. Aveva poco più di due settimane per fare deserto dentro di sé e prepararsi al meglio a ciò che l’avrebbe aspettata al rientro delle vacanze. Un matrimonio ed un viaggio…
“Allora, Isabel?, sarai obbediente e virtuosa come sei stata educata ad essere?” Chiese con una certa impazienza Enrico. Isabel si rese conto che aspettava una risposta da un po’ di tempo e si affrettò ad annuire.
“Certo. Certo, padre.” Rispose sicura, abbassando il capo e facendo un profondo inchino.
“Bene, figlia mia. Allora puoi preparare le tue cose. Le tue dame verranno ovviamente con te ed hanno già istruzioni in merito..” Disse Enrico sorridendole ed avvicinandosi a lei. La giovane si inchinò di nuovo profondamente poi, dopo aver ringraziato il padre, gli sorrise una seconda volta, quindi corse via. Enrico rimase solo nella stanza di Isabel. Per la prima volta si sentì strano dopo una chiacchierata con lei, e dopo averle concesso qualcosa. Non riusciva a capire bene cosa fosse e cosa lo turbasse, ma in qualche modo ne percepì l’acutezza e la dolorosa novità.
Lasciato suo padre, Isabel si diresse di corsa fuori. Aveva saputo da lady Willoughby che era in giardino per una passeggiata e lei, prima che la dama terminasse di parlare, e senza indossare nulla di pesante, si diresse verso la prima vetrata disponibile. La aprì e corse in direzione della parte di giardino indicatale da Maria de Salinas. La giornata era bella e serena, e non faceva troppo freddo; ma per l’intera notte e parte della mattina era nevicato e il manto erboso ed il selciato erano ricoperti da uno spesso strato di neve. Impiegò più del previsto a trovare sua madre, che evidentemente si era spostata. Quando la vide, a una trentina di metri da sé, le sorrise. Lei rispose al suo sorriso e sembrò alzare una mano, come per salutarla. Quello era il gesto che Isabel aspettava. A passo veloce e poi di corsa, raggiunse sua madre e di fronte a lei le sorrise ancora e le buttò le braccia al collo.
Troppo sorpresa perfino per dire qualcosa, Caterina per un attimo stette in silenzio, poi la figlia le mormorò qualcosa all’orecchio e lei, come una madre normale e comune, la strinse a sé per qualche istante. Sciolto l’abbraccio, guardò gli interlocutori con i quali fino a pochi istanti prima era a colloquio. La fanciulla spostò il viso a destra e a manca, ed arrossì ferocemente, rendendosi conto della situazione.
“Oh.. oh, perdonate, Maestà..” Mormorò enormemente imbarazzata. “Voi.. voi eravate a colloquio.. ed io vi ho bruscamente interrotti..”
Sir More e il dica di Norfolk si guardarono a vicenda e sorrisero. Lo slancio di Isabel verso sua madre era stato talmente genuino e sano che, per quanto altrettanto fuori dalla rigida etichetta di palazzo, aveva strappato loro più di un sorriso. Ora l’imbarazzo ed il rossore sulle guance di Isabel erano ancora più teneri del gesto in sé.
“Sir More, duca di Norfolk, ci scusate, vero?” Disse pazientemente Caterina, sorridendo loro e congedandoli. Entrambi annuirono con un sorriso, segno che comprendevano alla perfezione la vicenda, e non avevano alcun problema a togliere il disturbo. Pochi istanti dopo, Caterina ed Isabel rimasero sole. La giovane Principessa guardò la madre un po’ di sottecchi, poi alzò gli occhi al cielo, come ad ammonirsi per la sciocchezza commessa. Non si accorse nemmeno che Caterina la guardava con infinita tenerezza e le si era avvicinata.
“Madre, io davvero non so come chiedervi perdono per oggi..” Mormorò quando realizzò la presenza materna. Caterina non la fece nemmeno finire di parlare che la abbracciò.
“Non c’è nulla da perdonare, amore mio. Nulla.” Disse con forza tenendola stretta a sé.
Isabel annuì e poi tremò leggermente. Senza staccarsi dalla mamma, alzò leggermente il viso e vide la neve scendere. Nevicava già prima, ma ora era diventata più intensa. Un altro tremito la scosse ed allora Caterina si accorse che sua figlia indossava unicamente l’abito. Dolcemente sciolse l’abbraccio, poi le cinse con un braccio la vita, tenendola vicina a sé, quindi si avviarono verso il palazzo.
Al di qua della vetrata, Enrico vide tutto. Lo slancio di Isabel; la sorpresa di Caterina ed il suo successivo abbraccio, materno e tenero come sempre; i sorrisi di sir More e del duca di Norfolk, due uomini che erano ben lungi dall’essere teneri e portati all’accondiscendenza, sia pur con dei fanciulli o dei giovani. Poi arrivarono in rapida successione il congedo dei due consiglieri da parte della Regina, il tentativo di Isabel di dire qualcosa e l’abbraccio, stretto, di Caterina.
Non era certo la prima volta che vedeva i gesti d’affetto della moglie nei confronti della loro secondogenita, eppure stavolta si sentì strano. Geloso era forse il termine giusto. Non aveva mai cercato la complicità con Isabel, né di piacerle o di andarle a genio. Tra loro non c’era mai stata la tenera vicinanza che aveva con Maria. La piccola di casa doveva limitarsi ad obbedire e a ringraziare per i suoi gesti generosi verso di lei. Se poi riusciva a mostrarsi debitamente riconoscente e felice di vedere il padre, di tanto in tanto, ancora meglio. Ora, però, si rendeva conto che quel tipo di reciprocità non bastava più. Si accorgeva che Isabel era una persona molto più complessa e sfaccettata di Maria e che, per quanto approvasse il comportamento ed il modo di porsi della primogenita, era quello della secondogenita che lo affascinava. Quello che Enrico realizzò tutto ad un tratto era che con Maria lui non aveva costruito nulla; si era limitato a vederla nelle occasioni comandate, aspettarsi da lei il dovuto e farle due carezze quando proprio doveva. Tuttavia non la conosceva davvero, non sapeva nulla di lei, o quasi; e viceversa. Isabel e Caterina, invece, avevano stabilito non solo un eccellente rapporto madre figlia, pur di tanto in tanto tempestoso e vivace, ma si conoscevano, si capivano al volo, si cercavano di continuo. I sorrisi di Isabel per sua madre non erano dovuti, ma realmente sinceri. E la devozione che la giovane aveva per la Regina era totale, come avevano testimoniato le vicende avvenute a Windsor poco meno di sei mesi prima. La consapevolezza che Isabel gli stava rendendo quello che lui le aveva dato per primo lo investì in pieno, addolorandolo come mai gli era capitato. Non sapeva come maneggiare questi sentimenti, non sapeva se fossero in qualche modo normali o consueti. E mentre vedeva madre e figlia andare via, abbracciate strettamente, si rese conto che quelli erano probabilmente le ultime occasioni per avvicinarsi davvero a sua figlia, e che una volta partita, avrebbe potuto non rivederla mai più.

 
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“Isabel..” La voce di Joàn fu poco più di un sussurro lievissimo, ma tradiva un’emozione palpabile e ben visibile. Gli occhi spalancati, la bocca semiaperta dapprima per lo stupore, poi per la gioia, il giovane lasciò che stava facendo per avviarsi verso la Principessa. Con delicatezza, ma anche con una certa decisione le prese entrambe le mani e poi se le portò alla bocca. Isabel gli sorrise e poi abbassò lo sguardo, arrossendo. Quanto le era mancato!! Quel suo semplice tocco glielo aveva ricordato all’istante. Riaprì gli occhi e sollevò lo sguardo per sorridergli.
“Vostra Altezza, che piacere avervi qui..” la salutò Yousuf al bin Ismail, andandole incontro a sua volta e chinando educatamente il capo. Il medico arabo si era recato a Windsor per qualche giorno e, al pari del suo collega inglese, non si aspettava certo di vedere Isabel. Pur sorpreso, era tuttavia riuscito a contenersi più di Joàn ed aveva pronunciato il titolo di lei con un certo piglio, come per ricordare al suo giovane collega a chi si stava rivolgendo. Joàn impallidì per qualche istante e poi si riprese. Lasciò le mani della giovane e le sorrise, come suo solito.
“Grazie, signore..” Rispose Isabel, spostando gli occhi su di lui e sorridendo. Dopo alcuni istanti si udirono dalle sale attigue le lamentele dei pazienti. Yousuf girò il viso in quella direzione e poi guardò Joàn.
“Pensate voi a far fare a Sua Altezza il giro della struttura?” Gli disse. “Mi raccomando, señor Fernandez.. E’ affidata a voi..” Si raccomandò, serio in volto. Poi, dopo un sorriso ed un ultimo inchino ad Isabel, sparì.
“Non starete pensando davvero che io abbia bisogno del giro di conoscenza, vero?!”
Tutto serio e concentrato, ed ormai avviato proprio al tour all’interno dello spedale, Joàn si fermò nel bel mezzo alla sala. Lentamente si voltò verso Isabel e la guardò con un’aria a metà tra l’interrogativo e lo stupito.
“Dimenticate, señor, che sono stata io ad ideare questo spazio. Conosco ogni angolo ed ogni pertugio, credete a me.” Puntualizzò lei decisa, ma allo stesso tempo divertita dallo stupore di lui. Resosi conto dell’errore, Joàn le sorrise ed annuì.
“Avete ragione, Vostra Altezza. Perdonatemi.” Si scusò. “Allora permettetemi di farvi fare la conoscenza con..”
“Non ci siamo capiti, señor Fernandez, io voglio mettermi al lavoro.” Disse Isabel, con fretta. “Subito..” Aggiunse, levandosi il mantello da viaggio.

 

“Vostra Maestà, sir Sture..”
Caterina, che stava uscendo dalla piccola Cappella di Hampton Court, annuì alle parole di lady Willoughby e lanciò da lontano un’occhiata al nobile svedese. Seguita dalle due dame che erano entrate con lei in Chiesa, si avviò subito verso di lui. Non aveva troppa voglia di parlargli, tantomeno di vederlo, ma non poteva girare di tacchi ed andare via. Così si fece coraggio. Non appena gli fu vicina, represse un’espressione di disgusto. La giubba che il nobile indossava aveva delle macchie grandi quanto la palla usata per il tennis reale, i suoi calzoni e gli stivali erano sporchi di fango ormai rappreso e nel complesso gli abiti non sembravano pulitissimi.
Non appena vide la Regina, sir Sten chinò il capo e poi la schiena, in segno di saluto.
“Maestà..” Sorrise di malavoglia. “Avrei piacere di parlare con la mia fidanzata..”
“Mi spiace, ma ella non è qui..” Rispose Caterina, avviandosi verso il corridoio e girandosi poi per fargli capire che non sarebbe rimasta lì impalata a parlare con lui. Troppo sorpreso dalle parole di lei, per un attimo sir Sten non rispose.
“E dove è?! Ditemelo, ché la raggiungo subito..” Rispose deciso, restando fermo dove era. Quando poi si rese conto che la Sovrana lo attendeva, si affrettò a raggiungerla.
“Sua Altezza non è raggiungibile, sir Sten.” Rispose decisa. Lui la guardò senza riuscire a dire nulla. Non si aspettava una risposta così decisa da parte sua e ci rimase in qualche modo male. D’altra parte lui era il fidanzato ufficiale di Isabel, aveva diritto di starle vicino, anche perché non la conosceva benissimo.
In realtà nei confronti di lei provava sentimenti assai ambivalenti che non si era mai preso troppo la briga di scandagliare e analizzare con serietà. C’erano momenti in cui Isabel gli sembrava una ragazzina capricciosa e del tutto infantile, che non sembrava aver a cuore, né minima percezione dei suoi problemi di vedovo e che non faceva nulla per invogliarlo a trovarla almeno piacente, se non giusta per lui. Tuttavia c’erano altri momenti in cui il carattere di lei, così testardo e vivace allo stesso tempo, lo incuriosita. Quando la vedeva ballare, o la sentiva accalorarsi in qualche discussione, ecco in quei casi Isabel lo attraeva pazzamente. Poi però se ne usciva con una frase netta, decisa, che la maggior parte delle volte era assai distante da quanto provava lui, e la situazione tornava al punto di partenza e la giovane Tudor gli sembrava una ragazzina che gioca a far l’adulta.
“Ma io sono il suo fidanzato..” Azzardò. Gli dava noia che Isabel fosse distante da Londra, e da lui. Avrebbe voluto parlarle, star con lei in quelle settimane, continuare a conoscerla e, sì, perfino controllarla se era necessario. Sapeva che non avrebbe mai potuto dire a voce alta queste cose, ma le pensava eccome. Vedeva come lei si comportava, di quanta libertà godesse e quanto giocasse con gli uomini che giravano intorno al suo seguito ed alle sue dame. Tutto questo lo irritava e gli dava enorme fastidio. “Io sono l’uomo che il Re ha scelto per..”
“Sir Sture!!” Lo fermò la Regina, con un’occhiata improvvisamente di fuoco. “Quello che è bene per Sua Altezza lo decidiamo noi! Se riteniamo che qualche giorno fuori Londra possa esser utile per la sua crescita, lo programmiamo senza problemi. Se riteniamo che Sua Altezza abbia necessità di star fuori Londra, si procede in questo senso. Se riteniamo che la Principessa debba andare in questo o quel luogo in rappresentanza mia e di Sua Maestà, non c’è alcuna esitazione da parte nostra.. Siamo noi i suoi genitori, i suoi tutori, coloro che hanno a cuore tanto la sua salute quanto la sua educazione.” Lo avvertì, squadrandolo severamente. Sir Sten si mise subito sull’attenti, abbassò il capo e non osò più parlare. “Potrete vedere Sua Altezza quando noi ci sposteremo a Windsor, e la corte ci seguirà, come di consueto. Fra due settimane.” Spiegò, prevenendo la sua ovvia domanda.
“Certo, Vostra Maestà.” Rispose il povero nobiluomo, dopo diversi istanti di choc totale e completo silenzio. “Come desiderate..” Aggiunse, con tono ancora più servile ed umile.
Disgustata, Caterina gli riservò un’ultima occhiata di ammonimento e poi andò via, senza nemmeno salutarlo.

 
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“Come si sta comportando?”
Nonostante una furiosa tempesta di neve, il dottor Griffith si era recato a Windsor sia per parlare con il dottor Yousuf, che per dare uno sguardo ad Isabel, e di riflesso anche a Joàn. Il medico arabo sorrise e la guardò interagire con uno degli ultimi pazienti, con Joàn ed il personale della struttura.
“Raramente ho visto una persona così giovane, ma così interessata alla medicina ed a tutto questo..” Ammise Yousuf. “E considerando che potrebbe non occuparsene, è ancora più stupefacente.”
“E con lui?, come va..” Chiese ancora sir Griffith.
“Sono del tutto complementari.” Rispose subito il collega. “Si completano alla perfezione. E mi sembra che siano anche molto amici.”
“Forse perfino troppo.” mormorò sir Griffith, osservando i due giovani che terminavano di fasciare il braccio di un uomo semi-incosciente e si sorridevano. Era evidente che i due si stimassero e si cercassero di continuo, e per la verità il medico inglese aveva qua e là udito più di un pettegolezzo. Nulla di scandaloso, beninteso; quanto semmai giusto qualche  testimonianza su quanto effettivamente Isabel e Joàn fossero vicini.
Durante il resto di quella giornata i due rimasero separati, per poi ritrovarsi dopo cena.
Joàn avrebbe trascorso la notte allo spedale, a vegliare i malati più gravi, ed Isabel era fermamente decisa a far quella esperienza. Certo, sarebbe dovuta andar via dalle sue stanze di nascosto, nella speranza che alcuno la seguisse o venisse a sapere quanto aveva combinato. Per questo aveva escogitato un piano a suo giudizio infallibile. Aveva dato l’idea d’aver studiato e lavorato per l’intera seconda parte della giornata, quindi si era ritirata nelle sue stanze, avvertendo tutte le sue dame e lady Thorston che era sfinita e non desiderava essere disturbata per alcun motivo. Esse avevano annuito, obbedienti ed erano uscite, lasciandola in pace. Solo lady Joan si era mostrata un po’ strana di fronte alle parole di Isabel. Non era sospettosa, sembrava più incuriosita da quella novità.
“Altezza, siete sicura di non aver bisogno di nulla?” Chiese un’ultima volta. Isabel cercò di congedarla in modo fermo, ma gentile. Sorrise e la accompagnò alla porta.
“Sì, mia buona lady Thorston.” Rispose, gentile come al solito. “Ho solo bisogno di farmi un bel sonno..”
“Forse dovreste rallentare le vostre attività, Altezza. Tra poco è Natale e voi in questi giorni vi siete spesa moltissimo, facendo più che il vostro dovere.” Rispose la dama, quasi fosse decisa a non mollare la presa. “Dovreste scrivere a vostra madre e chiederle un consiglio. Che ne dite?” Isabel si irrigidì, pur impercettibilmente. Non era adirata per quel che la dama aveva osato dire, quanto semmai seccata del fatto che la questione rischiasse di allungarsi e non di poco, rischiando di far saltare il suo piano ben preparato.
“Non vi preoccupate, lady Joan, non sto male né sono particolarmente affaticata.” Le disse, cercando di mostrarsi calma e naturale al suggerimento della donna. “Sono certa che una bella notte di sonno mi aiuterà.. Buona notte..” Aggiunse, congedandola. Visibilmente di malavoglia la dama la salutò ed uscì dalla stanza. La giovane tirò un sospiro di sollievo e poi cominciò a prepararsi.

 
“Eccovi, finalmente!!” La accolse Joàn, quasi due ore dopo. “Ormai vi davo per dispersa..” Sorrise, mentre la guardava togliersi il pesante mantello e la cuffietta di pelliccia e velluto. Contrariamente al solito, non le diede una mano limitandosi ad osservarla da lontano.
“Avete perduto le buone maniere, signore?” Lo provocò lei, guardandolo e alzando un sopracciglio indagatore. “E poi che vuol dire che mi davate per dispersa? Dio solo sa cosa mi sono dovuta inventare per poter stare qui.”
“E’ stata una vostra scelta..” Commentò Joàn, senza riflettere. Un secondo dopo si pentì di quelle parole, crudeli ed inopportune e subito lasciò le bende che stava preparando per avvicinarsi ad Isabel. “Vi chiedo scusa. Non avrei dovuto..” Mormorò prendendole una mano e portandosela alla bocca.
“Sì, non avreste dovuto..” Sibilò lei furente, ritirando la mano e impegnandosi a sistemare da una parte mantello e cuffietta. “Avanti, ditemi cosa posso fare..”
“Altezza, per favore..” Riprese lui, provando di nuovo a scusarsi.
“Sir Fernandez, ho detto di dirmi cosa c’è da fare..” Rispose Isabel, guardando tutt’intorno e senza dargli più attenzione.
Per qualche ora i due rimasero impegnati in attività diverse e in stanze separate. Joàn si occupò più che altro della zona maschile, mentre Isabel si diresse verso quella in cui erano sistemate le donne. Non era un lavoro faticoso o particolarmente difficile: si trattava per lo più di controllare che nessuno stesse male o avesse bisogno di qualcosa; in caso contrario si doveva intervenire il più tempestivamente e nel migliore modo possibile. La giovane era elettrizzata: fino a quel momento aveva sempre lavorato negli spedali di giorno, per lo più in situazioni tranquille. Lavorare in quel clima di calma apparente le dava l’opportunità di migliorare nella prontezza, nella rapidità e nel prendere le migliori decisioni.
“James, calmati!!”
La voce di John, uno degli inservienti, ruppe il silenzio pressoché totale in cui erano immerse le enormi camerate. Successivamente si udirono rumori confusi, e un trambusto che svegliò parte della struttura. Isabel, che cercava di dormicchiare in una delle stanze riservate al personale che si fermava la notte, si alzò e senza nemmeno pensare, uscì dalla stanza. Prima che potesse accorgersene James la afferrò per un braccio e poi la minacciò per pochi istanti con un pugnale.
“Dovete darmi da bere!!” Urlò. Subito Joàn, accorso da pochi istanti, cercò di calmarlo e riportarlo alla ragione.
James Caldwell aveva visto morire moglie e tre figli nell’incendio della loro casa, e da allora non era stato più lo stesso. Uomo ormai di mezza età, era stato per gran parte della sua vita un fabbro assai conosciuto a Windsor e dintorni, la cui arte nel maneggiare il ferro lo aveva fatto apprezzare da molti nobili e perfino dal Re; ma da quel terribile giorno di tre anni prima, la sua vita era scivolata sempre più in basso. La melanconia che lo aveva colpito, era diventata un mostro orribile, che gli aveva occupato la vita, fino a farlo vivere come un recluso. Aveva così finito per non curarsi più di se stesso, del suo lavoro, di tutto quanto riguardava la sua esistenza, fino a diventare un fantasma scorbutico ed ineducato. Da qualche mese poi aveva preso ad essere sempre ubriaco, ed aveva finito per cacciarsi spesso in risse tra delinquenti ed ubriachi incalliti. Non avendo il fisico né il talento del picchiatore di professione o dell’attaccabrighe patentato, il risultato di quelle risse erano delle sonore sconfitte. Da una settimana, ormai mosso a pietà, Joàn lo aveva accolto nello spedale, più nel tentativo di sottrarlo ai pericolosi delinquenti con cui entrava in conflitto, che per reali necessità. Su una cosa era stato categorico: James doveva smettere di bere e riprendersi, e per essere più sicuro che la cosa avvenisse davvero, gli aveva tolto la solita razione di birra, pur leggera. Da quel momento in poi, solo mead, in quantità controllate e centellinate rigorosamente. In un primo momento, James non sembrava aver risentito del drastico cambio, ma da un paio di giorni era divenuto via via più irrequieto e scontroso. Quel giorno si era isolato quasi del tutto e non aveva partecipato per nulla alle attività in cui venivano coinvolti gli ospiti in buone condizioni. Joàn aveva cercato di rasserenarlo un poco, ma senza troppo successo. Tuttavia,  egli se n’era andato a letto e non sembravano esserci state conseguenze troppo negative. Almeno fino a quando era arrivata Isabel….
All’improvviso James era spuntato fuori dalla camerata in cui dormiva ed aveva afferrato la giovane Principessa per un braccio. Joàn si era sentito venire meno quando era accorso, ed aveva visto dapprima il pugnale e poi lo sguardo smarrito e terrorizzato di Isabel. Per un attimo aveva perfino pensato di lanciarsi contro il pover’uomo, ma ragionando si era poi trattenuto. Sarebbe successa letteralmente la fine del mondo se, per somma sfortuna, James, preso dal panico, avesse colpito Isabel, o peggio. Così aveva allargato le braccia e, facendosi disperatamente forza, aveva cercato di calmarlo.
“Mastro Caldwell, vi imploro, lasciate andare la Principessa.” Il tono del giovane era di una determinazione ed una calma in realtà fittizie se non addirittura irreali. “Vi prego, amico mio, lasciatela andare e vi darò quel che chiedete..” Ripeté, dicendosi che preferiva averlo ubriaco ma innocente, piuttosto che sobrio ed assassino. Sir Stephen Crown, il suo vice, lo guardò, stupito, come se disapprovasse quanto gli era appena uscito di bocca. Joàn gli lanciò un’occhiata veloce e poi distolse lo sguardo. Era palese che non fosse d’accordo, ma che ci poteva fare? Non era certo il momento per la rigidità e l’intransigenza. Non con la punta di un pugnale sul collo di Isabel. Quella visione gli era intollerabile ed il giovane nobile spagnolo concentrò lo sguardo solo su James e sui suoi occhi smarriti. “Coraggio amico, date a me quel pugnale.” Azzardò, avvicinandosi di un paio di passi. Con suo sommo terrore il vecchio fabbro sembrò stringere le dita attorno al manico dell’arma, e i suoi occhi si incupirono; poi mosse la mano, dapprima lievemente, come se non sapesse bene cosa fare, quindi abbassò il braccio armato. In pochi istanti lasciò libera Isabel, che tre secondi dopo sparì in nel corridoio laterale lì a fianco, senza minimamente preoccuparsi di apparire una donnicciola spaventata.

 
“Come state?”
Immersa nel buio di una saletta vuota e silenziosa, Isabel non si rese nemmeno conto che Joàn l’aveva raggiunta. Con le braccia strette attorno a sé, cercava di riprendersi da quei folli, lentissimi minuti di panico puro. Prima ancora che potesse accorgersi o allontanarsi, James l’aveva afferrata e stretta, puntandole il pugnale al collo.
“Angelo mio, come stai?” All’improvviso le mani calde di Joàn furono tutto quello che lei riuscì a percepire su di sé. Alzò lo sguardo ed i suoi meravigliosi occhi verdi la fissavano, ancora sconvolto e più che mai preoccupato per le sue condizioni. “Ti prego, dimmi che stai bene. Amore mio, dimmi che stai bene..” Prese a ripetere ossessivamente, mentre i suoi occhi, solitamente asciutti, nuotavano in un mare di lacrime. Senza dire una parola, Isabel sciolse l’abbraccio che ancora la teneva avvinghiata a se stessa e prese il volto di lui tra le mani. Dopo un istante, mentre lui chiedeva ancora come stesse e se fosse in qualche modo ferita, gli chiuse la bocca con un bacio. Per qualche istante Joàn non fece nulla, assolutamente nulla. Troppo sorpreso, non accennò nemmeno a baciarla, per quanto lo volesse e la desiderasse ormai da mesi.
Amor de mi vida..” Mormorò lei contro le sue labbra. Lo disse in spagnolo, certa che lui avrebbe capito. Come scosso da una frustata, il giovane spagnolo sentì un brivido lungo la spina dorsale e osò fare quello che fino a quel momento si era limitato a sognare. Cinse con le braccia Isabel e poi la baciò, come pochi minuti prima aveva fatto lei. La Principessa rispose immediatamente, aprendo le labbra ed assaporando quelle di lui. La giovane sentì il proprio corpo reagire subito a quell’intimità, fin’ora mai provata e solo immaginata. Il cuore accelerò i battiti, il respiro si fece più affannoso, man mano che i secondi passavano ogni suo senso sembrava rispondere ad una sorta di strano appello. Aprì gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto chiusi, e nella semioscurità vide il volto concentrato di Joàn; alla luce lunare le sue guance erano rosse di eccitazione e di gioia, e la sua bocca, pur impegnata nel bacio, sembrava accennare ad un sorriso. Anche il respiro di lui accelerò e manifestava la sua stessa gioia, la sua stessa eccitazione. Incapace di contenersi, e sentendo che a quel punto non aveva ormai più senso cercare di capire razionalmente cosa stesse avvenendo, Isabel chiuse gli occhi e lasciò che il suo cuore prendesse il sopravvento, certa che non si sarebbe pentita né avrebbe rimpianto nulla. Con le dita accarezzò la guancia lievemente barbuta di Joàn, mentre il loro bacio si faceva più profondo ed intimo, quindi insinuò le mani fra i suoi capelli morbidi. Joàn la strinse ancora di più a sé, dolcemente ma fermamente, e lei percepì maggiormente il suo corpo, la solidità dei muscoli, il calore dolce e strano che passava anche attraverso gli abiti. Aprì gli occhi e si stupì di vedere che lui li aveva aperti. Istintivamente gli sorrise ed il suo cuore diede un tuffo più forte quando lui ricambiò, pieno di gioia.
“No! Non va bene quello che stiamo facendo, Altezza!” All’improvviso, e senza alcuna spiegazione, Joàn sembrò tirarsi indietro. Isabel lo guardò, sgomenta ed offesa allo stesso tempo. Le sue mani la lasciarono, le braccia scesero lentamente lungo il corpo ed alla fine lui si allontanò di un paio di passi.
Fu allora che Isabel tremò. Non era solo per il freddo e l’improvvisa consapevolezza di trovarsi in una stanza vuota, buia e fredda, ma anche perché Joàn non era più contro di lei.
“Dici cose senza senso!” Lo scudisciò lei, e le parole erano tanto più feroci quanto stanco il tono della sua voce.
“Sapete benissimo che se qualcuno mi trova qui con voi, il minimo che rischio è la forca!!” Rispose, esasperato. Isabel alzò gli occhi su di lui e lo fissò stancamente.
“Siete solo un codardo!” Lo offese. Joàn deglutì e contrasse la mascella. “Siete solo un ragazzino che non sa quello che vuole e gioca a fare l’adulto. Amate da lontano e con la sicurezza della testa sul collo.. Mia madre non meritava le bugie che le ho detto per venire qui e stare più vicino a voi.. E voi non meritate la spiegazione che vi sto dando..” Gli disse, voltandosi e avviandosi verso la porta.
Non fece però in tempo ad aprire la porta, che Joàn la raggiunse e l’afferrò per un braccio, facendola voltare.
“Resta qui con me.. Ti prego.” Mormorò.
Isabel sentì montare dallo stomaco fino alla gola una rabbia cieca, fulminea. Si sentiva presa in giro da quel comportamento ondivago. Era vero che lui rischiava il collo, ma lei non era certo in una posizione più semplice. Sarebbe scoppiato il finimondo se sua madre avesse scoperto che non era dove avrebbe dovuto essere, che aveva rischiato il collo ad opera di James Caldwell, anche se solo per pochissimi istanti, ed aveva infine permesso a Joàn di baciarla. Non solo in quella occasione, a dire il vero.
Per non dire di ciò che avrebbe scatenato suo padre.
Accecata dall’ira, fulminea e istintiva, lo colpì con un ceffone, forte. Lui la afferrò per le braccia e le baciò la bocca con un impeto che Isabel stentò a riconoscere, ma che ben presto l’acchiappò in un vortice da cui non riuscì a sottrarsi. Le sue mani salirono sul viso di lui, lo accarezzarono con frenesia, la sua bocca corse su e giù per il viso di lui, soffermandosi appena su ogni punto di esso: labbra, palpebre, naso, guance, mento. Non ci fu un punto trascurato, e lui la imitò altrettanto freneticamente, altrettanto disperatamente. Il corpo della giovane Principessa si riscaldò di nuovo, al sentire quello di Joàn contro di sé. Lo sentì tremare, accecato come era dalla foga e dalla passione, dall’affanno che quasi gli mozzava il respiro contro le sue guance, le orecchie, il collo. Lo sentiva tremare, ma le sue mani restavano ferme sulle braccia di lei. Isabel comprese che sarebbe toccato a lei fare il primo passo e liberare entrambi da quella sorta di impasse.
In silenzio fece un passo indietro, sciogliendo entrambi dal serrato abbraccio in cui erano reciprocamente stretti e cominciò ad aprire la giubba di Joàn. Lentamente, un bottone dopo l’altro, con mani eccitate, tremanti e emozionate, l’indumento colorato si aprì e lei poté vedere il suo torso. Posò la destra contro il cuore di lui e lo sentì battere furiosamente. Senza pensarci prese la sua destra e la posò contro il proprio cuore. Chiuse gli occhi e la musica dei due cuori la portò quasi alle lacrime. Dopo qualche colpo ognuno per proprio conto, sembrò che i due muscoli andassero all’unisono. Quando riaprì gli occhi, quelli verdi di Joàn, la guardavano in un modo del tutto nuovo e lei si sentì sciogliere in un mare caldo di emozione e di indescrivibile beatitudine.
“Ti amo, Isabel..” Sussurrò lui, accarezzandole la guancia con la mano libera. “Ti amo, angelo mio..”
Isabel gli sorrise, prese dolcemente il suo volto fra le mani e riprese a baciarlo. Quelle parole le diedero la sicurezza che le mancava. Mentre lui ricambiava entusiasticamente il suo bacio, ed i loro respiri furono di nuovo corti ed affannosi, le mani di lei gli tolsero la giubba e liberarono la parte superiore del suo meraviglioso corpo.
“Ti amo anche io, Joàn..” Rispose riuscendo a parlare nonostante il fiato corto. “Sei la mia anima, Joàn..” Lui le sorrise di rimando e poi si staccò da lei, per guardarsi intorno.
Il caso aveva voluto che fossero capitati in una delle stanze più decentrate dello spedale, che veniva usata solo quando gli ospiti salivano di numero. Sembrava più una sorta di studio che una stanza da letto, ma era pulita e ammobiliata. Il camino, ovviamente, non era acceso e non c’era nemmeno un po’ di legna nella cassa accanto ad esso. Joàn imprecò mentalmente. Non era il caso di andare in giro per le stanze a cercare ciocchi di legno. Il fatto che la stanza fosse piccola non la rendeva troppo fredda, inoltre la fortuna sembrava non averli del tutto abbandonati perché, in un angolo, faceva bella mostra di sé una poltrona lunga a due posti.
“Aspettami qui..” Mormorò Joàn, avvicinandosi al suppellettile. La esaminò, girò un po’ intorno ad essa e poi sorrise, trionfante. Quasi nascosta da una pila di altri oggetti che nemmeno si curò di esaminare, vide e poi recuperò una specie di coperta. Non sembrava nemmeno impolverata, così se la avvolse intorno. Tornò di fronte ad Isabel e la aprì, invitandola ad avvicinarsi. La Principessa obbedì con entusiasmo, e i due si abbracciarono per qualche minuto in perfetto silenzio. Solo in lontananza i versi degli animali notturni ed il vento, che aveva ripreso a fischiare, rompevano quell’incanto.
“Non m’importa cosa sarà domani, Joàn.” Mormorò Isabel al suo orecchio. “Non mi importa di Re e Regine, di Paesi, di fidanzamenti ed alleanze. Non m’importa di nulla, se non di te. Questa notte io voglio amarti e stare con te.”
Aveva pronunciato quelle parole ripetendole prima nella sua mente, e centellinandole come fossero un vino che da immediatamente alla testa.
Joàn la guardò commosso. Era stato diverse volte felice nella sua vita, ma non era nulla a paragone con la scossa che sentiva in quel momento. Non c’erano parole sufficienti per dire ad Isabel quanto la amasse, pur giovani come erano. Così in silenzio le prese una mano e la posò sul proprio cuore, che gli martellava furioso e solenne nel petto. Isabel chiuse gli occhi, con un sorriso, e poi si avvicinò per baciarlo proprio in quel punto. Le mani di Joàn allora cominciarono ad armeggiare intorno al suo vestito.
La pelle della principessa era bianca e lattea ed emanava un profumo dolcissimo di miele e cannella. Il giovane spagnolo si chinò a baciare la spalla sinistra, l’incavo morbido appena sopra la clavicola, e poi il collo, fino ai lobi. Isabel fece lo stesso, imitando in tutto e per tutto i suoi movimenti e addossandosi contemporaneamente a lui.
“Sei una meraviglia..” Mormorò Joàn, come se solo in quel momento avesse ritrovato l’uso della parola. Per tutta risposta Isabel lo abbracciò e per un lungo istante non fecero altro.
Quando poi le dita del giovane armeggiarono sul corpetto della fanciulla, cercando di aprirlo e di liberarne il corpo, lei si irrigidì leggermente, arrossendo.
“Non avverrà nulla che tu non voglia, amore mio..” Le sussurrò Joàn, guardandola negli occhi, con voce ferma e dolce allo stesso tempo.
“Lo desidero, amore; con tutto il cuore..” Rispose lei, altrettanto ferma ed emozionata.
Joàn le sorrise e le baciò le labbra, poi la prese in braccio, lasciando cadere la coperta che era ancora attorno a loro, e la portò alla poltrona. Si sedette di fronte a lei e riprese a baciarla, ad accarezzarle il viso, le spalle scoperte ed il collo.
“Lascia allora che ti ami, Isabel..” Mormorò sulle sue labbra, fra un bacio e l’altro, mentre già le sue mani avevano trovato i lacci del corpetto.

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Capitolo 25
*** Like a riot in the heart ***


A Queen's Daughter - Like a riot in the heart

Windsor, Dicembre 1530 – Like a riot in the heart


“Potete andare lady Thorston, grazie..”
“Ma Altezza..” Osò protestare la lady. Isabel le lanciò un’occhiata per nulla contenta e la dama si affrettò ad abbassare lo sguardo. Soddisfatta, la fanciulla si diresse verso la piccola scala che conduceva al coro.
Mancavano solo pochi giorni a Natale, e nella cappella di Windsor mastro Hilliard aveva organizzato un piccolo gruppo di coristi e strumentisti che avrebbe animato la Messa di mezzanotte. Isabel, nonostante i diversi impegni, aveva deciso di parteciparvi, dividendosi fra un ruolo e l’altro. La governante le aveva detto, più e più volte, che non era opportuno né appropriato che lei vi prendesse parte, ma la giovane non aveva voluto sentire ragioni ed ogni giorno si era recata in Chiesa per le prove.

On December five and twenty, Fum, Fum, Fum! On December five and twenty, Fum, Fum, Fum! A babe for us to love came down this night, this blessed night. Of a maiden pure and holy, in a stable mean and lowly, Fum, Fum, Fum! 

Nonostante il gruppo fosse stato costituito da pochissimo tempo, l’amalgama delle voci non era affatto male e nelle navate della piccola cappella risuonavano annunci gioiosi e pieni di speranza. Mastro Hilliard chiuse gli occhi, godendosi il frutto delle fatiche sue e di tutti, e continuò a guidare la compagine.
Quando Isabel gli aveva proposto quel canto, lui non se l’era sentita di insegnarlo subito. A differenza degli altri, non era un canto prettamente liturgico, e sapendo quanto i Sovrani fossero attaccati all’ortodossia, la scelta di rinunciare sarebbe stata praticamente obbligata. Poi però, la Principessa aveva preso ad insistere, a dirgli quanto invece la Regina sarebbe stata deliziata di udire un brano tradizionale spagnolo, e di conseguenza quanto il Re sarebbe stato contento a sua volta, e compiaciuto per il suo lavoro. Così mastro Hilliard si era convinto abbastanza rapidamente; pur non essendo un uomo in cerca di potere o di gratificazioni regali, tuttavia godeva nel vedere le persone contente, e quando questo avveniva per opera sua, o del suo lavoro, tanto meglio. Il musico riaprì gli occhi e subito incontrò quelli di Isabel. I due si capirono al volo, si sorrisero, preso ognuno dalle proprie considerazioni.

Tiny stars look down from heaven, Fum, Fum, Fum! Tiny stars look down from heaven, Fum, Fum, Fum! If you hear the baby sigh don't let him cry, Don't let him cry. Now we sing the holy story, brighten all the sky with glory, Fum, Fum, Fum! Fum, Fum, Fum!

 

“Sir Sture, mi spiace, ma l’accesso alla Cappella è interdetto almeno per un paio d’ore.”
Sentendo la voce di una delle dame di Isabel, Lady Thorston si avvicinò per rendersi conto di cosa stesse succedendo.
Come aveva ben intuito ed immaginato, il fidanzato della Principessa era di fronte ad Elizabeth e pretendeva di entrare, nonostante le puntuali spiegazioni della giovane dama.
“Vorreste dirmi che nemmeno io posso entrar lì dentro?” Chiese lui, con il suo solito tono arrogante e sprezzante di tutto e tutti. “Voi state ignorando una mia precisa richiesta, mia signora..” Continuò, guardandola in un modo tale che la povera ragazza avvampò fino alle orecchie. “E di sicuro non è la prima..”
“Sir Sten, ditemi.. C’è qualche problema?” Lo approcciò Lady Joan, avvicinandosi.
“Non ce ne sarebbe nessuno, se solo riuscissi ad entrare..” Insisté lui, come se non avesse appena ricevuto un no e non fosse stato circostanziato fin nei minimi dettagli.
“Mi spiace, mio signore, ma non è possibile.” Ripeté la donna, cercando di star calma. “Vi prego, datemi retta e tornate fra un paio d’ore..” Provò a persuaderlo, prendendolo con dolcezza e calma. Quell’uomo era una solenne palla al piede, e quando si intestardiva su una cosa, finiva quasi regolarmente per diventare arrogante e sgradevole. Come un uomo del genere fosse stato scelto come fidanzato per Isabel, era un mistero che lady Joan non riusciva ancora a spiegarsi, e forse non avrebbe mai potuto.

“Sentite, signora, io non prendo ordini da una dama.” La apostrofò lui, e lady Thorston arrossì di rabbia repressa. “E’ un bel po’ che aspetto qui, in attesa che qualcuno si degni di farmi entrare, e mi chiedo cosa stia succedendo lì dentro che non possa vedere anche io.”
“Signore, non sono ordini miei.. sono ordini del Re in persona..” Lo servì lei con un tono educato ed asciutto, nonostante il volto ancora livido di collera. Quelle parole ebbero, finalmente, il pregio di chiudere la bocca del cocciuto nobiluomo, tanto che egli rimase lì, fermo e zitto, a quel punto incapace di replicare in qualunque modo.
Evidentemente soddisfatta del mutismo di lui, lady Thorston represse un sorrisetto e si allontanò da lì, pensando che lui l’avrebbe di lì a poco seguita.
Ed invece fu la fortuna a dargli una mano, ed a fargli vedere cosa stesse avvenendo lì dentro: la porta laterale che conduceva alla cappella, infatti, si aprì un poco, quel tanto che bastava perché egli fosse in grado di vedere una cosa che, dopo qualche minuto, gli fece, letteralmente, salire il sangue alla testa.
In un angolo della piccola Chiesa, appartati e sorridenti, Isabel e Joàn parlavano tranquilli. Sir Sten socchiuse gli occhi, così da mettere meglio a fuoco la scena. I due non sembravano proprio intenti a parlare; strumenti imbracciati, parevano più intenti a scambiarsi opinioni o suggerimenti. Ad un certo punto lui, posato a terra il proprio liuto, le si mise accanto. Da terra raccolse lo spartito che Isabel stava leggendo, fra i tanti che lei aveva come al solito distribuito sul pavimento, e glielo tenne in modo che potesse leggere più comodamente.
L’uso del foglio con la parte scritta non era diffusissimo, ma sir Sture sapeva che la sua fidanzata lo usava abbastanza di frequente. Lui, a dire il vero, non si intendeva per niente di musica, né gliene importava, ma per compiacere Isabel faceva finta di ascoltare, più o meno interessato, nella segreta sicurezza che lei prima o poi avrebbe smesso e si sarebbe dedicata ad altro, per esempio ai figli che lo attendevano in Svezia.
Stava ancora pensando ai propri figli, quando gli sembrò di scorgere nello sguardo di Joàn, o nel movimento della sua testa, o in chissà cos’altro, qualcosa di strano, di offensivo per Isabel. E, di conseguenza, per se stesso. Quando poi lei alzò il viso e gli sorrise, prima ancora che potesse ragionare e attendere, in attesa di sviluppi, partì alla carica. Nel mezzo del cammino, dimenticandosi completamente di dove fosse, sguainò la spada e ne mise la punta sotto il collo di Joàn.
“Brutto figlio di un cane!!” Lo apostrofò, gridando. “Non ti pare di esagerare, a guardare le grazie della mia fidanzata?!”
In meno di un secondo il gelo più totale calò nella piccola chiesa. Isabel, ancora seduta, alzò gli occhi sgomenta.
“Sir Sture, che state dicendo?” Gli chiese con un filo di voce, alzandosi e cercando di porsi fra i due.
“Signore, credo che voi abbiate commesso un colossale errore..” Sibilò Joàn, il volto terreo di rabbia repressa a stento. Con un braccio tentò di spostare delicatamente Isabel, in modo che non restasse a tiro, e poi guardò il proprio improvvisato rivale, nella speranza che cominciasse a ragionare, e ponesse fine a quell’incredibile scena.
“Non c’è nessun errore, figlio d’un cane..” Rispose sir Sten, con rabbia. “In guardia..”
“Signore!!, siamo in una chiesa… Vi scongiuro, riflettete.” Mastro Hilliard, accorso in quel momento, tentò di riportare alla ragione il nobile svedese e guardò Joàn, affinché la collera non gli facesse compiere una sciocchezza.
“Levati di torno, vecchio!!” Sir Sten non gli fece nemmeno finire la frase, che lo spostò con malagrazia da un lato. Poco mancò che l’anziano maestro non finisse a sedere a terra. “Avanti, ragazzo, rispondi!! Fammi vedere se hai coraggio..”
Con un sorriso beffardo sul volto, sir Sten riprese a provocare Joàn che, anche in questo caso, non rispose e ingoiò gli insulti ricevuti.
“Vi prego, signore.. Per piacere, lasciate andare..” Implorò Isabel posandogli una mano sul polso armato e provando a persuaderlo a dimenticare l’accaduto, per quanto non capisse bene cosa mai potesse aver scatenato l’ira di sir Sten. In un istante lui le prese il polso e la guardò, torvo, in volto. “Vi consiglio di non immischiarvi, Isabel..” Disse, chiamandola per nome di fronte a tutti, ed usando una confidenza che non avevano. La giovane principessa corrugò le sopracciglia e non si mosse. Non voleva aggiungersi in quel marasma, ma il fatto che sir Sten l’avesse chiamata per nome non solo non le piaceva, ma le diede oltremodo fastidio. L’impulso di rispondergli a dovere scemò in un istante, quando la punta della sua spada si avvicinò ancora di più al collo di Joàn.
“Sir Sture, vi prego. C’è stato sicuramente un errore e voi avete frainteso..” Provò a dire. Quelle parole accesero la collera dello svedese e non ci fu più ritorno. Dapprima egli strinse il polso di Isabel, fino a farla quasi gemere di dolore, poi si rivolse di nuovo al ‘rivale’, e nel suo tono sprezzante c’era l’arroganza di chi si sente già vincitore e, solo con le parole, può mettere a tacere gli altri.
“Allora, ragazzo? Rispondi solo quando quel gran bastardo di tuo padre ti copre le spalle? Eppure lo sanno tutti che sua madre era una puttana!” E nel dir queste parole, oltraggiose e infamanti, strinse ancora più forte il polso di Isabel, strappandole, stavolta sì, un gemito acuto.
Joàn rispose immediatamente, incendiato sia dalle parole contro i propri genitori, che dal dolore di Isabel.
“Siete solo un maiale!” Gli gridò, afferrandogli il polso armato con sorprendente forza e velocità, e costringendolo a mollare sia la spada che il polso della sua fidanzata. “Volete soddisfazione? Ebbene, ve la darò; e con immenso piacere, lurido maiale incivile.” Lo insultò, ormai al colmo della collera.
Troppo sorpresa per poterli fermare o per poter fare o dire qualcosa, Isabel li vide andare via, fuori dalla Chiesa e poi verso il giardino. Per alcuni istanti rimase lì, immobile, con gli astanti che, prima non facevano altro che fissarla, poi corsero fuori a vedere il prosieguo del ‘duello’.
“Altezza Reale, venite.. Venite con me, bambina..” Aveva preso a dire lady Thorston da qualche istante, ma lei pareva sorda a qualunque invito. Da fuori, come echi lontani, si sentivano i colpi delle due spade, le urla sforzate dei due rivali e quelle di incitamento del rinnovato pubblico.
“Io ti ammazzo, cane bastardo!!!” La voce di sir Sten, soffocata di fatica e di eccitazione, sovrastò le altre. “Voglio veder il tuo pio e devoto sangue spagnolo scorrere fino all’ultima goccia ai miei piedi!”
Isabel sentì il cuore fermarsi e si precipitò fuori. Incurante dei fendenti poderosi e tremendi che i due si stavano scambiando, si gettò in mezzo, rischiando di essere ferita tanto da Joàn quanto da sir Sten. Nella concitazione non si era nemmeno resa conto che le parole di sir Sten, per quanto violente e sinistre, erano lungi dall’essere veritiere, e meno che meno speranzose.
Grande e grosso come era, non faceva certo pensare ad una figura di guerriero agile, pronto e scattante. Quanto al saper maneggiare la spada, poi.. Joàn, pur non essendo uno spadaccino particolarmente esperto, era riuscito non solo a tenergli testa in modo più che dignitoso, ma a metterlo più volte in difficoltà. Solo la sua educazione e l’amore verso Isabel e la Regina, gli avevano impedito di affondare decisamente i colpi e ridicolizzarlo di fronte a tutti. Ora, però, la presenza di Isabel in mezzo a loro lo innervosiva enormemente e gli fece perdere concentrazione.
“Levatevi di mezzo, Altezza!!” La avvertì, terrorizzato dal fatto di poterla ferire.
“Vi prego, fermatevi!” Gridò lei di rimando, aprendo un poco le braccia e provando a tenerli a distanza. Un paio di fendenti le arrivarono davanti al volto e lei si girò verso il fidanzato che, nonostante la sua presenza e il pericolo di poterla ferire, non accennava a fermarsi, o a diminuire la sua foga.
“Togliti, donna, perdio!!” La voce di sir Sten fu decisamente meno accorata e sollecita di quella di Joàn. Il nobile svedese le afferrò di nuovo il polso, tirandola via da lì, con modi tanto brutali e spicci che la Principessa finì per ruzzolare per terra.
A quel punto il giovane non ci vide più: lanciò da una parte la spada e caricò verso sir Sten con tutta la sua forza, facendolo finire a terra. Sorpreso da quella mossa, lo svedese rimase fermo e zitto ed il suo antagonista cominciò a prenderlo a pugni, con una tale rabbia che in pochi istanti gli ruppe l’arcata sopraccigliare e gli ferì lo zigomo.
Pochi istanti dopo i due sovrani, allarmati e richiamati da qualcuno, comparvero alle spalle di Isabel, ancora a terra.
Mentre il Re si dirigeva verso i duellanti, ancora impegnati a darsele di santa ragione, la Regina corse verso la figlia. Si chinò accanto a lei e, dopo essersi accertata che non fosse ferita, l’aiutò ad alzarsi, quindi le cinse amorevolmente la vita e se la portò via, in silenzio.
A Joàn bastò vedere la punta della calzatura, per riconoscere all’istante gli stivali del Re. Il giovane alzò lo sguardo e gli occhi furenti di Enrico lo penetrarono da parte a parte. In silenzio si alzò, seguito dal rivale, e poi restò dritto davanti al Sovrano, in attesa.

 

“Oh, Maestà, dovevate vedere!!”
“Sì, Maestà!! Uno scandalo enorme.”
“E quel rozzo svedese..”
“Ma sir Fernandez gli ha dato il fatto suo..”
“Eh sì… Oh, Maestà.. che coraggio!!!”
Le dame di Isabel, che avevano seguito madre e figlia fino alle stanze private della prima, avevano preso a commentare quanto era avvenuto prima in chiesa e poi nel giardino. Dapprima una per volta, poi accavallandosi una sopra l’altra, le loro voci snodarono nei minimi dettagli la penosa vicenda, rendendo edotta Caterina ben più di quanto lei si aspettasse, e volesse.
In un angolo, Isabel, stava in silenzio, con gli occhi incollati al pavimento. Sapeva che la reprimenda materna sarebbe stata feroce e sarebbero fioccate punizioni esemplari, quindi tanto valeva star buona e in attesa.
Una sola occhiata della Sovrana a lady Thorston, e la donna, con un unico battito di mani fece zittire le dame. Pochi secondi dopo nella stanza non restavano che i loro profumi. In un istante anche lady Joan le seguì, lasciando Caterina ed Isabel da sole. La Regina attese che la porta venisse chiusa e poi guardò la figlia. Pallida in volto e muta come un pesce, era evidente che la sua creatura fosse ancora scioccata per quanto era accaduto.
“Bambina mia..” Mormorò, stringendola teneramente a sé e affondando le labbra nei suoi capelli. Quando l’aveva vista a terra non aveva creduto ai propri occhi, e vedere il giovane Joàn impegnato a pestare sir Sten con metodica furia, completò il quadro, aumentando la sua sensazione di freddo. Quando si scosse da quei pensieri, con sorpresa si accorse che Isabel non l’aveva stretta a sua volta, non aveva detto nulla, non si muoveva nemmeno. “Isabelita.. Tesoro mio, che succede?” Le chiese sciogliendo l’abbraccio e prendendole il viso gelido fra le mani.
“Volevo fermarli, mamà.” Mormorò Isabel, lo sguardo ancora un po’ perso. “Vi giuro che volevo..”
La Regina non le fece finire nemmeno la frase, che la serrò fra le braccia.
“Lo so, amore..” Mormorò dolcemente all’orecchio, baciandole la tempia ancora una volta. “Lo so, bambina mia..”
In un angolo della mente, per pochi istanti, pensò a Joàn e sir Sture di fronte ad Enrico, chiedendosi cosa stesse avvenendo in quell’ala del palazzo. Ricordava più che bene lo sguardo furente e sorpreso del marito. Poco prima, lady Thorston e lady Willoughby erano corse a cercarla spaventate, mentre un valletto aveva fatto lo stesso con Enrico. La faccenda si era presentata fin da subito complicata e quello stupido di sir Sture l’aveva trasformata in dramma. Non solo aveva osato comportarsi con Isabel in modo più che irriguardoso, ma aveva addirittura sguainato la spada in un edificio consacrato a Dio, arrivando infine a minacciare di morte un uomo. Per la Regina ce n’era più che abbastanza per sciogliere il fidanzamento di Isabel e congedare sir Sture, senza alcuna lamentazione o rimpianto.
Con delicatezza, e con riluttanza, sciolse l’abbraccio con la figlia e la sospinse pian piano verso una poltrona. Si voltò verso il tavolino alla sua destra e versò un po’ di sidro in un calice, quindi lo porse alla giovane.
“Bevi tesoro.. son certa ti farà bene..” La incoraggiò, sorridendole e cercando di mostrarsi, per quanto possibile, calma.
Isabel annuì leggermente, prese il calice e bevve qualche sorso. Nel tirare su il braccio, la manica del pesante abito in velluto scese lungo il suo polso, rivelando un segno rosso vivo sulla sua pelle. La regina, che a sua volta stava bevendo per calmarsi e tranquillizzarsi, vide il polso della figlia e si allarmò.
“Cos’è questo?” Le chiese mostrandole quel segno, dopo aver posato il calice che Isabel le aveva porto dopo avervi bevuto. “Avanti, Isabel, cosa è successo? Chi è stato a stringerti il polso a questo modo?” La incalzò, sedendosi accanto a lei.
“Quando ho cercato di fermarli, sono stata allontanata..” Rispose, omettendo volutamente l’autore del gesto. “Forse è stata la concitazione del momento..”
“Un corno!!” Rispose di getto Caterina. La cosa era talmente sorprendente che Isabel la fissò sbalordita. “Isabelita, guarda il tuo polso. Per lasciare un segno del genere la stretta deve essere molto forte. E’ vero o no?” Aggiunse, più morbida, tenendo il polso di Isabel in modo che potesse rendersi conto. La fanciulla annuì in silenzio. “E’ stato sir Sten, non è vero?” Chiese infine, ma era una domanda retorica. Sapeva benissimo che Joàn non si sarebbe mai azzardato a fare una cosa del genere, sia per il rispetto che nutriva nei loro confronti, sia, soprattutto, per quello che provava nei confronti di Isabel.
La Principessa alzò gli occhi e incontrò gli occhi di sua madre, penetranti e solleciti ad un tempo. Madre e figlia non si dissero nient’altro, ma quanto si trasmisero con lo sguardo fu più che sufficiente. Dopo diversi istanti di silenzio, Isabel si alzò ed andò alla finestra.
Come diamine sono finita in una situazione del genere? E' come se avessi una tempesta nel mio cuore. Una tempesta che non so nè capire, nè domare.. Come posso domarla?’ Si chiese, passandosi la mano sulla fronte, in cerca di una via d’uscita. ‘Come diavolo faccio ad uscire da tutto questo, ora?’ All’improvviso si girò verso sua madre ed aprì la bocca per chiederle aiuto, quando…
“Oh qui sei!!” Enrico, trafelato e rosso in viso, entrò nella stanza, la attraversò e poi andò a abbracciare Isabel. Troppo sorprese per dire qualsiasi cosa, madre e figlia si limitarono a scambiarsi un’occhiata. Il gesto del Re era stato davvero del tutto inaspettato.
“Come stai, figlia mia?” Chiese sollecito Enrico, sciogliendo poco dopo la stretta con Isabel e prendendole il viso tra le mani. “Stai bene, vero? Quel maiale non ti ha fatto del male, non in modo serio almeno, giusto?”
“No, padre..” Rispose Isabel, frastornata dalla sollecitudine paterna. Nemmeno quando si era schiantata contro il divisorio in legno nel tragico torneo di un anno e mezzo prima, il Re aveva avuto questo atteggiamento con lei.
“Bene, amore mio..” Rispose lui, visibilmente sollevato, abbracciandola di nuovo. “Non sai che gioia sia..”
Per alcuni istanti restarono così, stretti una fra le braccia dell’altro, poi Enrico annunciò.
“Ho bandito Joàn Fernandez dalla nostra corte. Gli ho fatto sapere che non abbiamo alcun piacere che una persona indegna come lui sia annoverato fra i nostri amici, e ch è solo per rispetto verso la Regina e l’Imperatore Carlo V che non lo impicco al palo più alto come un delinquente e un farabutto qualunque.” La voce tonante riempì la sala. Il Re si era eretto in tutta la sua altezza per dare questo annuncio, sul volto un’espressione soddisfatta di sé e delle sue azioni. “Lascerà oggi stesso Windsor, le attività che ha qui, e l’Inghilterra, e tornerà in patria.”
Dopo queste parole un silenzio tombale scese fra i tre. Nella stanza non si sentiva nulla se non l’orologio posto sulla mensola del caminetto. Disperata e incapace di ragionare, Isabel si volse verso la finestra e poi portò una mano sul volto.
“Mio signore, ma… perché?” Chiese sgomenta Caterina, andando con gli occhi sulla figlia. “Sir Fernandez è un giovane assennato e virtuoso; ha reso molti favori a me, alla mia famiglia, ed all’Inghilterra. Si è sempre comportato in modo impeccabile, ed è una delle persone di cui mi fidi maggiormente.”
“Non è stato così questa volta, mia signora.” Rispose Enrico scuotendo la testa. “Il tuo sir Fernandez ha provocato sir Sture fino a farlo reagire.”
“Ma era quest’ultimo ad avere una spada, e non ha esitato a sguainarla in una Chiesa!!” Esclamò Caterina scandalizzata dalla faciloneria del marito e dalla semplicità con cui egli si era bevuto quella storiella, non esitando neppure per un attimo a credere che la cosa non  avesse avuto un prologo ben diverso. “Senza contare che nostra figlia era…”
La frase della Regina venne mozzata dalla improvvisa fuga di Isabel. Nessuno dei due genitori fece per inseguirla e fermarla, troppo sorpresi dal suo gesto.
Uscita dalla stanza, la fanciulla si diresse di corsa verso le scuderie, vanamente inseguita da lady Thorston che, vedendola in quelle condizioni, non aveva esitato ad andarle dietro. Non appena raggiunse la sua meta, corse al box di Estrella. La sella era, come al solito, posata sulla staccionata alla sinistra della cavalla. Isabel la prese e la mise sulla sua groppa.
“Altezza, vi prego, lasciate fare a me..” Charles, uno degli stallieri di Estrella non esitò, al vederla lì, a porgerle il suo aiuto, benché conoscesse Isabel e sapesse quanto raramente la fanciulla lo accettasse.
“Andate via..” Sibilò lei, in risposta. Riconosciuto immediatamente il tono di voce nervoso e ben poco disposto al dialogo, Charles fece come gli era stato ordinato e sparì. Pochi istanti dopo, in groppa al proprio animale, Isabel uscì dalle scuderie e si diresse al galoppo il più lontano possibile dal castello e da quanto vi stava avvenendo.

  

Siete bandito da corte, sir Fernandez.. vi esorto e vi consiglio di raccogliere tutte le vostre cose e di abbandonare in fretta Windsor e l’Inghilterra..
Poco più di un’ora prima Joàn era stato gelato da queste parole. Enrico, dopo aver parlato per mezz’ora con sir Sture, poi l’aveva raggiunto nell’anticamera dei propri appartamenti e, senza dargli il modo di spiegare e di scusarsi per quanto era successo, lo aveva così brutalmente congedato. Al povero giovane non era restato che girar di tacchi ed andar via. Era certo che sir Sture aveva volto la vicenda a proprio tornaconto, facendolo passare per un delinquente, ma ormai che ci poteva fare? Il Re aveva deciso e non era purtroppo il tipo di persona con cui si poteva avere modo di spiegare, tantomeno era uno che accettava che i suoi ordini venissero disattesi o discussi. Per un breve attimo, Joàn aveva pensato di rivolgersi alla Regina, ma anche in quel caso non avrebbe potuto cambiare nulla in merito alla decisione presa da Enrico; avrebbe non solo rischiato di far la figura del ragazzino lamentoso e polemico, ma avrebbe verosimilmente creato problemi anche a lei, in quanto l’avrebbe posta in una posizione di ‘scontro’ con il marito. L’enorme rispetto che sentiva nei suoi riguardi, gli impedì di agire in questo modo. Non gli restava quindi che preparare le proprie cose e avviarsi a lasciare Windsor. Enrico non si dimenticò della buona creanza e gli concesse di fare con comodo, a patto che in pochi giorni levasse le tende. Colmo della sfortuna, non ebbe nemmeno modo di salutare né Caterina, che lady Willoughby annunciò impegnata in un colloquio con il Sovrano, né Isabel, fuggita chissà dove. Certo, avrebbe avuto ancora tempo, ma preferiva levare il dente quando ancora non faceva troppo male, piuttosto che rischiare di fare tutto all’ultimo, con il cuore ancor più sofferente e straziato.

 

“Isabel, dove sei stata fino ad ora?”
La porta della stanza si socchiuse dietro la Principessa che avanzò lentamente, mentre sua madre si affrettò ad andarle incontro.
“Tesoro mio, sei fradicia..” Constatò la Regina, prendendole il viso tra le mani e scendendo poi sulle sue spalle. Enrico assistette in silenzio, poi guardò lady Thorston che rientrava e porgeva alla Sovrana un telo di lino con cui asciugare Isabel, almeno sommariamente. Da due ore su Windsor si era infatti scatenata una bufera di neve e lei aveva gli abiti quasi zuppi d’acqua. “Si può sapere dove eri?, che hai fatto finora? E’ più di un’ora che manchi.”
“Lo so, mamà e mi dispiace. Vi assicuro, non volevo farvi preoccupare...” Rispose la fanciulla. I due genitori si scambiarono una lunga occhiata, silenziosa e vagamente ostile. Era chiaro avessero appena discusso, e Isabel intuiva anche per qual motivo. “Ho preso una decisione e vorrei mi venisse concesso ciò che chiedo.”
Il Re, che era rimasto un po’ in disparte in quel frattempo, si avvicinò con sguardo attento e pronto all’ascolto.
“Certo, amore. Dicci..” La esortò Caterina, scostandole dal viso un ciuffo di capelli bagnati.
“So che sir Sten è l’uomo che voi avete scelto per me. E’ nobile, fa parte di una importante famiglia ed è una brava persona. So che lo reputate l’uomo giusto per me..” Cominciò a dire Isabel, scostandosi leggermente dalla presa di sua madre. “Quanto è successo oggi, bè ecco mi ha un po’ frastornata ed io avevo bisogno di riflettere e di stare un po’ da sola. Mi spiace essere sparita così, ma avevo davvero bisogno..”
“Tesoro mio, tutto quello che ti serve..” Le disse di slancio sua madre, quasi fosse sollevata di udire da lei certe parole. Isabel la guardò in silenzio e poi si allontanò ulteriormente da lei.
“Voglio sposare subito sir Sture e partire al più presto per la Svezia.. Non credo di aver più motivi per stare a Londra.. voglio iniziare al più presto la mia nuova vita..” Disse Isabel, guardando suo padre e sperando che lui le desse il permesso.
“Figlia mia, sei sicura?” Mormorò istintivamente Enrico.
Era strano ma, per quanto avesse bandito Joàn dalla corte, dicendogli senza mezzi termini che non era più persona gradita, la richiesta di Isabel e l’idea che sposasse subito sir Sten non gli avevano dato la medesima gioia che il fidanzamento fra Maria ed il Delfino aveva suscitato in lui, pur con le mille riserve nei confronti del Re francese. Ecco perché, alla sua domanda, aveva istintivamente corrugato le sopracciglia e il cuore aveva dato un tuffo. In silenzio, si voltò verso Caterina e per un attimo si spaventò. La moglie era pallida in volto, quieta e silenziosa, gli occhi spalancati per lo stupore. A quanto pareva, quella strana richiesta non deliziava nemmeno lei, anzi.
“Sì, padre. Voglio sposare subito sir Sten ed andare via da qui..” Rispose decisa Isabel. Enrico la osservò per alcuni istanti, poi si girò verso la moglie, che non aveva ancora detto una sola parola. Con gli occhi tornò di nuovo su Isabel e le si avvicinò.
“Se vuoi, figlia mia hai il nostro..”
“Maestà, ci lasciate un attimo sole?” Intervenne allora Caterina. Enrico rimase un po’ sorpreso da quella richiesta, ma non esitò più di tanto e annuì con un sorriso.
“Certo, mia signora..” Concesse. Poi si girò verso Isabel. “Tesoro, voglio vederti dopo, per cominciare a preparare tutto.” La fanciulla annuì e, in silenzio, le due donne guardarono il Re uscire dalla stanza.
“Come t’è saltata in mente un’assurdità del genere?” La voce di sua madre era appena un sussurro, ciò nonostante Isabel poté percepire tutto il fastidio e la collera tenuti a freno, ma che minacciavano di saltar fuori da un momento all’altro.
“Madre, io voglio solo vivere serena e tranquilla..” Provò a rispondere.
In realtà, sapeva che la vita con sir Sten non sarebbe stata né serena, tantomeno tranquilla, ma l’idea di vivere senza Joàn era insopportabile: continuare a fare anche quelle cose che faceva con lui come se nulla fosse successo; girare per Londra, Windsor e tutta l’Inghilterra con la consapevolezza di non vederlo più spuntare fuori da qualche angolo remoto, non sentire più la sua voce, non vedere più il suo sorriso e il suo modo scanzonato ed allegro di fare; la corrispondenza fra loro che verosimilmente sarebbe stata resa più difficile, per non dire impossibile, dalle spie di suo padre; la dolorosa e consapevole certezza che prima o poi avrebbe sposato una donna sciocca che non avrebbe mai capito quale tesoro aveva accanto, tutto questo le provocava un dolore lacerante e costante al cuore. Perfino pensarci era impossibile senza gridare. Allora, tanto valeva sposarsi con uno svedese imbecille, vivere con lui e la sua dannata famiglia a migliaia di miglia da casa sua, in attesa che il proprio cervello ed il proprio cuore diventassero insensibili al ricordo di Joàn, o magari lo dimenticassero del tutto.
“Vivere tranquilla!?!?! Vivere tranquilla!?!?! Mi dici come potrai mai vivere tranquilla con quell’uomo insulso?” Sua madre alzò improvvisamente la voce e Isabel comprese che non sarebbe uscita indenne da quella discussione.
“Senza offesa, Maestà, ma è l’uomo che il Re ha scelto per me più di un anno fa; non mi pare che in questi mesi voi gli abbiate suggerito altri nomi..” Provò a dire in risposta lei, sperando che si calmasse. La Regina spalancò gli occhi e per un attimo Isabel credette che l’avrebbe mangiata.
“Io ti proibisco di sposarlo!” Disse, categorica e ostinata. “E questo è quanto!” Isabel la osservò per alcuni istanti e poi fece spallucce.
“Non penso che per il Re conti molto, dal momento che lui è d’accordo con me..” Rispose, dimostrando un’ostinazione ed una cocciutaggine almeno pari a quella materna.
Per diversi secondi nella stanza non si udì volare una mosca. Madre e figlia si guardavano, stupite e addolorate per quella piega improvvisa, e tuttavia nessuna delle due mostrava di voler fare un solo passo avanti.
Caterina riconobbe negli occhi di sua figlia una determinazione nuova. Intuiva che fra lei e Joàn il livello di complicità, confidenza e, forse, perfino affetto era salito inesorabilmente, divenendo ormai profondo e saldo. Quel che Isabel stava mettendo in atto non era il moto di ribellione di una ragazzina capricciosa, disobbediente e petulante, ma la sola via che conosceva per non restare schiacciata da quella situazione. Se lei, che era un’adulta ma era soprattutto sua madre, avesse preso tutto di petto se ne sarebbe forse pentita. Così scelse la dolcezza e pensò che essere accomodante potesse farle fare un passo indietro e rimangiarsi quello che il suo impulso giovanile le aveva fatto uscire di bocca.
“Tesoro mio, so come stanno le cose fra te e Joàn.” Mormorò, andando di fronte a lei ed accarezzandole la guancia col dorso della mano. “So che avete legato molto e che fra voi c’è un legame assai profondo e forte.” Isabel rimase zitta e non rispose nulla. Si limitò ad osservare ciò che faceva e diceva sua madre. “Penso che fra te e sir Sten non sia possibile alcuna vita assieme, tesoro. Non avete nulla in comune, non riuscite a dialogare neppure delle cose più banali. Mi dici come farete a dividere una vita assieme?”
Ancora una volta Isabel non rispose. Caterina le prese dolcemente le mani e la avvicinò ad una poltrona a due posti.
“Isabel, se tu lo vuoi, il fidanzamento si può rompere in un attimo e tu torneresti libera. Libera di crescere ancora, di maturare, di vivere serena e tranquilla.” Continuò Caterina accarezzando distrattamente la mano della figlia che teneva in grembo tra le sue. Isabel continuò a guardarla in perfetto silenzio, come se stesse aspettando la fine di tutta quella scena e di quel comportamento. “Libera di stare ancora qui, con noi..” Aggiunse ancora la Regina, e la fanciulla sorrise, come se aspettasse quella frase.
“Non credo che il re accetterà la rottura di questo fidanzamento..” Rispose, distogliendo lo sguardo. “E francamente non ne vedo il motivo né l’utilità..”
“Il Re accetterà qualunque cosa io, o tu stessa, gli diremo, tesoro mio..” Asserì dolcemente Caterina, continuando ad accarezzare la mano della figlia. “Amore, questo fidanzamento non è per te. E’ vero, o no?” Continuò con dolcezza.
“E quindi?” obiettò Isabel, con un tono un po’ più polemico. “Non mi pare che in questi mesi abbiate detto una sola parola in merito, Maestà. Cosa vi ha fatto cambiare idea? Uno stupido duello? Uno scontro fra sciocchi galletti da cortile? O forse è il vostro orgoglio che mi impedisce di crescere e di allontanarmi da voi..” Affondò Isabel, alzando nuovamente il livello dello scontro.
Troppo stupita ed addolorata dalle ultime frasi, Caterina non disse nulla. Per alcuni istanti la voce di Isabel, e l’eco delle sue parole sembravano volteggiare sulle loro teste.
“A voi non importa che io sia felice o stia bene con l’uomo che il Re ha scelto per me.” Proseguì Isabel, ormai decisa a vuotare completamente il sacco. “A voi interessa solamente far prevalere il partito spagnolo. Sir Sten non vi sta più antipatico di quanto vi stesse antipatico il marito di mia sorella. Se fosse spagnolo invece che svedese, o facesse parte dell’entourage dell’Imperatore, non avreste nemmeno notato i suoi difetti. Ditemi che non è vero, se avete coraggio, Maestà. Ditemi che in questo Regno tutte le cose non funzionano sempre così, e che non sia un gioco di potere, di partiti, di provenienze.”
Stordita dalle parole della figlia, Caterina non profferì parola. Raramente Isabel era stata così dura, e mai così decisa nel censurare una politica che durava da secoli e non era solo inglese. Ogni Paese aveva la sua rete di alleanze, di Paesi maggiormente ‘preferiti’, ed altri che invece teneva a debita distanza. Certo, a volte la disinvoltura con cui si passava da una posizione a quella diametralmente opposta era effettivamente troppa, ma così voleva la ragion di Stato. E tutti i Sovrani vi si adeguavano assai in fretta. Enrico Tudor e Caterina d’Aragona non erano quindi un’eccezione, tantomeno quella più scandalosa.
“Bene, dato che non avete null’altro da dire, mi ritengo congedata..” Disse Isabel, stufa di attendere. Il silenzio ostinato in cui si era chiusa sua madre era una cosa assurda, senza senso e per di più utile solo a farla sentire più distante da lei. Dopo aver sciolto la mano da quelle della Regina, si alzò ed andò verso la porta.
“Altezza, fermatevi finché siete ancora in tempo..” Le disse improvvisamente sua madre, con un tono di voce basso e fermo.
Isabel lo riconobbe subito, era il tono degli avvertimenti, di quei momenti in cui veniva avvisata che un passo oltre e sarebbero stati guai seri. La Principessa fece spallucce, ormai del tutto incurante.
“Non vedo per che motivo dovrei..” Rispose, provocandola.
“Noi non accetteremo mai questo matrimonio..” Le disse, usando il plurale maiestatis. “Vi esorto a fare un passo indietro e considerare la cosa nel suo insieme..”
Isabel socchiuse gli occhi ed attese il resto. Era certa che sua madre non si stava spingendo su quel terreno così delicato e scivoloso senza avere nulla in mente.
“Dio non voglia che vi uniate ad un partito che porta all’Inghilterra solo i suoi soldi. Non ha la nostra stima, non la nostra fiducia, non il nostro affetto. Fermatevi, altezza, o sarete costretta a scegliere fra lui e noi..”
Isabel guardò sua madre sbigottita. Era un ricatto!! Un ricatto bello e buono.
“Mio padre non è contro questo matrimonio. E i soldi di sir Sten, a quanto so, non gli fanno affatto schifo.” Rispose inacidita dalle parole di sua madre. “Mi risulta assai difficile credere che abbia cambiato idea, o che sia contrario a questa unione..”
“Non sto parlando del Re infatti.” Rispose Caterina, dopo un istante. Con un guizzo di gioia selvaggia vide gli occhi di Isabel socchiudersi ancora più di prima e diventare due fessure grigie. Era certa di aver catturato la sua intelligente e sagace attenzione. “Dovrete scegliere fra sir Sten, e me.” Disse, gelida.
Impercettibilmente Isabel si appoggiò allo stipite della porta, quindi chiuse gli occhi, del tutto atterrita. Lo sgomento e la sensazione di essere messa con le spalle al muro le salì dallo stomaco alla gola, ed aveva il sapore amaro degli umori biliari. Non poteva credere alle parole che aveva appena udito. Non poteva credere che sua madre, l’essere cui fino a quel momento aveva più creduto ed alla quale si era maggiormente appoggiata, la stesse tradendo a questo modo. Aprì la bocca per dir qualcosa, ma si accorse di aver la gola chiusa, secca ed incapace di far uscire un suono. Uno qualunque sarebbe forse bastato ad interrompere quel silenzio terrificante. Ma nulla uscì dalla sua bocca. La gola era sigillata, e non c’era verso di ‘aprirla’.
In silenzio sua madre sembrò guardare con compiaciuta soddisfazione la sua agonia. Non si pentiva di quanto aveva detto, non se ne sentiva dispiaciuta o colpevole. E questo era perfino più atroce delle parole che aveva detto.
“Vi prego, non fatemi questo..” Mormorò alla fine, riuscendo ad esprimere ciò che sentiva. Un istante dopo raddrizzò la schiena, staccandosi dallo stipite, come se volesse avvicinarsi a sua madre. Non sapeva bene cosa fare o dire, ma non voleva esasperare la situazione già fin troppo tesa; era pronta a tornare sui propri passi e accogliere le sue parole, pur di non perderla.
“Io non vi faccio proprio nulla, Altezza.” Replicò la Sovrana, con una nota dura nella voce. Non aveva compreso il gesto di Isabel, o forse non aveva visto in esso una volontà di riavvicinamento. “Preferirei vedervi morta, piuttosto che sposata a quell’uomo..”
A quelle parole Isabel sentì il sangue gelare.
Quello della madre non era solo l’atteggiamento del genitore che  vede crollare il legittimo desiderio di vedere un figli, o una figlia felice ed in pace. No. Era semmai l’orgoglio ferito di una persona altera, cocciuta, egoista. Una persona che non esitava a pronunciare parole tanto pesanti pur di ottenere quanto voleva.
La giovane principessa appoggiò una mano al muro accanto a sé, del tutto frastornata. Prima che se ne potesse accorgere, gli occhi si colmarono di lacrime che presero a scorrere lungo le guance, fin sotto la mandibola ed il collo.
A sua volta totalmente in trance per la piega presa dagli eventi, così veloce e improvvisa, Caterina rimase a guardare l’espressione addolorata di sua figlia, senza dire o fare nulla. In un angolo della mente si chiese com’erano giunte fino a quel punto, e a chi spettasse ora ricomporre i cocci di quella lite terribile. Spettava forse ad Isabel, che aveva pian piano alzato il tiro della lite, e si era rifiutata di obbedire? O piuttosto a lei, che essendo sua madre, doveva dar prova d’amore e saggezza infiniti, anche a costo di fare un passo indietro e ricacciare indietro l’orgoglio e la presunzione di saperne più della sua creatura?
Nel frattempo gli occhi feriti e stupefatti di Isabel la guardavano, sbarrati. Le guance, rosse per la collera trattenuta, l’infamia udita e l’immenso dolore, continuavano ad essere il passaggio delle sue lacrime silenziose e ostili. In un attimo, la Regina si rese conto che se non avesse ricomposto quella frattura non ci sarebbe stata più pace fra loro. Le parole che le erano uscite di bocca erano state improvvide e temerarie, oltre che ingiuste e cattive in modo del tutto gratuito. Spettava a lei fare il primo passo, era ormai evidente ed indubbio. Con estrema fatica, si alzò dalla poltrona su cui era ancora seduta e da dove aveva lanciato il suo proclama, pronta a riavvicinarsi ad Isabel. Il suo orgoglio ferito non contava nulla di fronte a quegli occhi smarriti e colmi di lacrime, e non le importava della figura che avrebbe fatto. Si sarebbe rimangiata di tutto, pur di tentare di riavvicinarsi ad Isabel.
“Fan bene a chiamarvi Caterina d’Aragona.” Sibilò Isabel, dopo qualche istante. A quelle parole, sua madre corrugò istintivamente le sopracciglia. Fu un attimo, ma Isabel lo notò e ne fu selvaggiamente contenta. “Anni fa vostro padre non ha esitato un solo istante ad abbandonarvi qui, pensando fino all’ultimo di tenere il piede in due staffe. La propria e quella di Re Enrico VII. Come lui vi ha usata per i suoi scopi, così voi non avete esitato ad usare me per i vostri. Non avete esitato un attimo a ricattarmi. Spero ne siate fiera. Spero siate fiera di essere la degna figlia di Ferdinando d’Aragona, l’infame imbroglione.” Le disse, con voce rotta dal pianto e dalla collera. Dopo qualche istante, girò di tacchi e, senza riverire sua madre, uscì dalla stanza.

 
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“Lady Thorston, fatemi la santa cortesia di smettere di piangere..”
Non era mai stata così dura con la sua governante, Isabel lo sapeva. Dopo la madre e sua sorella, era la persona di cui si fidava maggiormente ed a cui voleva più bene, ma ora le sue lacrime, perfino appena esibite, le davano il tormento. Lady Thorston la guardò, con i suoi meravigliosi e dolci occhi castani, e non rispose. Fu Isabel a distogliere lo sguardo e a puntarlo sui mobili della sua stanza, e poi sull’abito che avrebbe indossato di lì a poco. Era stupendo: la gonna, in raso liscio, color crema, cadeva fino a terra, ed era di una semplicità incredibile. Il corpetto, anch’esso in raso e dello stesso colore della gonna, aveva sulle spalle e sulle maniche piccoli inserti in panno dorato e bordeaux. Era più un abito da festa che da cerimonia, ma Isabel aveva ormai deciso. Quel matrimonio sarebbe partito sotto auspici che definire incerti era un eufemismo, e dopo due giorni di assoluto caos, per cui anche quell’abito, così poco adatto, era perfettamente intonato alla situazione.
Informato della scelta di Isabel, sir Sten era rimasto praticamente pietrificato, e sir More aveva dovuto ripetergli un paio di volte ciò che la principessa aveva deciso. Come se ciò non fosse bastato, al banchetto organizzato quella sera dal Re, aveva passato tutto il tempo a bere e mangiare fino a scoppiare; perfino Enrico, solitamente abituato a mangiare e bere, era rimasto a dir poco sconcertato dal suo comportamento. Prima che il suo futuro genero vomitasse e si sentisse male sul serio, il Re aveva lanciato una occhiata a due valletti che s’erano affrettati a portarlo via.
Dopo la festa, il Sovrano aveva avuto una chiacchierata con Isabel, a cui aveva detto e fatto presente la volontà di appoggiarla in ogni caso, qualunque decisione lei avesse preso. Con sua enorme sorpresa, la figlia aveva ribadito ancora una volta la bontà della propria scelta e si era detta certissima di un futuro felice e sereno con sir Sten. Dopo di che era uscita dalla stanza e lui non l’aveva più rivista, fino a quella mattina. Di nuovo le aveva chiesto se non avesse cambiato idea, ed al sospiro di lei comprese che non ci sarebbe stato alcun cambiamento.
“Siete bellissima, Altezza..” Mormorò Elizabeth, mentre lady Joan ultimava di sistemare i gioielli al collo e sulla testa di Isabel. La giovane sorrise alla dama, poi attese con pazienza che la governante terminasse.
“Ecco qui..” Annunciò lady Thorston, dopo l’ultimo sguardo esaminatore. Isabel attese che le altre dame uscissero, e poi guardò la sua governante, che si era messa a riordinare tutto quel che aveva lasciato in giro per la stanza.
“Lady Joan..” La chiamò, a voce bassa. La donna alzò subito gli occhi su di lei, non prima di aver lasciato quanto stava facendo. “Desideravo ringraziarvi. Da che vi conosco mi siete sempre stata accanto, e in questi due giorni voi siete stata come...” A quel punto Isabel tacque, incapace di terminare la frase. In realtà non ce fu alcun bisogno, perché lady Joan le sorrise, comprendendo alla perfezione cosa volesse dire. La dama le sorrise, quindi le accarezzò la guancia ed il mento, proprio come faceva sua madre.
“Siate felice, bambina mia adorata..” Mormorò, mentre la fanciulla sentiva salire, doloroso, il ricordo della Regina.
“Ci proverò..” Rispose, e per la prima volta ebbe netta la consapevolezza che non sarebbe stata felice con sir Sten.

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Capitolo 26
*** A new world (a.k.a. Different perspectives - Catherine's P.O.V.) ***


A Queen's Daughter - A new world (a.k.a. Different perspectives – Catherine’s P.O.V.)

Londra, Inverno 1530/Autunno 1531 – A new world (a.k.a. Different perspectives – Catherine’s P.O.V.)

 

Le braccia del Re avvolsero la piccola figura e la nascosero ai suoi occhi. Per diversi minuti i due rimasero in quella posizione. Infine l’abbraccio si sciolse, la fanciulla si voltò e, dopo qualche istante, salì in carrozza. In men che non si dica il mezzo partì al galoppo, scomparendo alla sua vista.
Non c’erano termini sufficientemente adeguati per esprimere il dolore terribile che aveva dentro, e la sensazione di disperazione era acuita dal fatto che nei due giorni precedenti il matrimonio, ossia da quando avevano discusso, Caterina d’Aragona e sua figlia non avevano più avuto modo di parlare, di vedersi, tantomeno di comunicare in uno qualsiasi dei diversi mezzi a disposizione. La reciproca collera, l’orgoglio, l’incredibile ostinazione di cui entrambe erano permeate, aveva impedito loro di venirsi incontro, dimenticando le parole, pur pesanti, che si erano reciprocamente scambiate.
Poco prima dell’ultimo abbraccio con il padre e di salire in carrozza, Isabel aveva alzato lo sguardo e aveva incrociato il suo.
Il tempo pareva essersi fermato, che madre e figlia rimasero per qualche istante immobili in quella posizione, a studiarsi e, quasi, a scrutarsi.
Nonostante la Principessa indossasse uno dei mantelli di pelliccia più lunghi e pesanti del suo guardaroba la Regina riuscì ugualmente ad intravvedere la gonna e le maniche del suo abito, riconoscendolo. I gioielli, semplici ma belli, che le adornavano il capo e le orecchie, completando così la sua mise, la rendevano ancora più bella. Sembrava quasi risplendere. Ma ad un esame più attento, la Sovrana notò ciò che il trucco non poteva cancellare: le occhiaie della sua bambina, e una profonda tristezza. Sir Sten non l’aveva accompagnata nel tragitto fino alla carrozza, e dal momento in cui Isabel ed Enrico erano usciti da Windsor, egli aspettava dentro il mezzo. La Sovrana era certa che non fosse la decisione di sir Sten ad aver reso triste la sua creatura. Le occhiaie di lei erano troppo profonde e la tristezza nei suoi occhi troppa, per pensare ad una cosa così recente. Doveva essere ben altro ad angustiare la figlia, e lei credeva anche di sapere cosa.
Dopo il loro litigio, la Regina si era chiusa nei suoi appartamenti, pensando che, pur dopo le frasi pesanti che le aveva rivolto, Isabel si sarebbe fatta viva, come era sempre successo. Era impensabile che affrontasse un passo del genere senza di lei, senza la sua benedizione, e senza riappacificarsi con sua madre. Sottovalutando la forza e la determinazione di Isabel, credette che sarebbe stata lei la prima a cedere. Ed invece…
Ora tutto rischiava di proseguire in quel modo assurdo. Isabel sarebbe partita per la Svezia, con un marito ed una famiglia a cui pensare, e chissà quando ci sarebbe stata l’occasione di rivedersi.
SE ci sarebbe mai stata.

La Regina sentì di non poter sopportare una cosa del genere. Tutto, ma non un addio di questo tipo. Il dubbio se fare un passo verso la figlia, o se restare arroccata sulle proprie posizioni si trasformò in fretta in proposito. Non poteva star lì e lasciar partire a quel modo Isabel. Non se lo sarebbe mai perdonata. Come Regina. Ma soprattutto come madre.
Ad un certo punto gli occhi di Isabel si spostarono sull’interno della carrozza e lei annuì in silenzio. Dopo un’ultima occhiata verso di lei, proprio quando Caterina si sentì pronta a fare il primo passo, azzardando addirittura un mezzo sorriso verso la figlia, quest’ultima salì in fretta in carrozza, non prima di essersi voltata verso Enrico per un ultimo, lunghissimo abbraccio.
Il cuore della Sovrana mancò due colpi e lei sentì una voragine dentro lo stomaco. Ora davvero non ci sarebbe stato più ritorno. Ora davvero non c’era più rimedio. Isabel aveva preferito salutare suo padre, con cui non aveva diviso che pochi giorni, e da cui non si era mai sentita capita, apprezzata, né accolta, piuttosto che ingoiare il proprio orgoglio e fare un passo verso sua madre.
Lo smacco che Caterina provava era enorme, ed era acuito dalla certezza che gli ultimi gesti di Isabel verso Enrico fossero quasi una sorta di lezione nei suoi confronti. Il suo proverbiale orgoglio fece sparire in un istante quella fiammella di vicinanza che aveva sentito con sua figlia ed il desiderio di ricomporre lo screzio con lei. Da quel momento in avanti non ci sarebbe stato più posto per Isabel nella sua vita, e anche in caso di un primo passo da parte di lei, non ci sarebbe stato perdono a meno di un’ammissione di colpa da parte sua.
Con un certo piglio afferrò i lembi del mantello e del vestito ed a passo deciso si avviò verso l’entrata del palazzo, ignorando lo sguardo ancora lucido e commosso di suo marito, che ancora scrutava un orizzonte ormai vuoto.

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“Maestà, ben arrivata. Prego..” Il Vescovo Fisher si affrettò a porgere la mano, in modo che Caterina potesse posare la propria e scendere agevolmente dalla carrozza. Con un sorriso, la Sovrana accettò il suo gesto educato e gentile, poi, assieme a lui, s’avviò verso lo spedale di Lambeth. Dal famoso attacco del marzo precedente, le difficoltà più gravi e pressanti della piccola comunità erano state quasi tutte sistemate. In autunno, a spese della Regina, che non aveva esitato ad attingere dal proprio patrimonio personale, era stato aperto un piccolo spedale che si occupava di curare coloro che erano rimasti feriti in modo più o meno grave e permanente. Per buona sorte, non erano moltissimi, ma diversi erano padri di famiglia, per lo più di guardie o uomini comuni che, facendo mancare la loro abilità al lavoro, avevano involontariamente messo le proprie famiglie in condizioni di necessità. Per la seconda volta dall’apertura, Caterina si recò presso di loro, sia per visitare chi era ancora ospite lì, sia i responsabili della struttura. Dopo aver salutato velocemente questi ultimi, sempre accompagnata dal Vescovo e dal dottor Gordon, il responsabile principale dello spedale, la Sovrana entrò nella prima grande camerata.
I lamenti ed i gemiti sommessi dei degenti cessarono all’istante quando lei varcò la soglia dello stanzone, e familiari e personale di ausilio si chinarono fin quasi a terra, in un unico gesto corale e simultaneo. Sembravano quasi aver fatto le prove.
Accompagnata dal dottor Gordon, la Regina passò in rassegna tutti gli ammalati presenti, fermandosi qualche istante con loro, o, quando le condizioni erano particolarmente gravi, con i familiari. A tutti regalò una parola di conforto, e strette di mano e carezze.
Dopo quasi due ore mancava un solo letto cui avvicinarsi. Un uomo, con gli occhi chiusi, la testa bendata, immobile e silenzioso, giaceva come morto. Quella che aveva tutta l’aria di essere sua moglie, piangeva sommessamente, stando a capo chino, mentre una ragazza e un ragazzo, verosimilmente fratelli, stavano ai lati del letto. Fu quest’ultimo ad alzarsi prontamente e a riverire la Sovrana, mentre il dottor Gordon si affrettava a darle notizie del malato. Si chiamava Robert Plummer, era un tonsore assai conosciuto in zona. Da sempre fedele alla casata Tudor, era un uomo giusto e perbene. La domenica fatidica era a Messa, con il resto della famiglia, e sperava ardentemente di vedere qualche membro della famiglia reale da salutare ed a cui gridare di gioia. Quando si era scatenato l’attacco, pur senza essere armato, non aveva esitato a lanciarsi contro i riformisti, soccombendo però assai presto. Picchiato da un gruppo di tre uomini, aveva avuto lesioni interne che erano miracolosamente guarite con il tempo e le cure, tuttavia la sua testa non era stata più la stessa. Non rispondeva mai a tono ed il più delle volte stava completamente zitto.
Caterina, particolarmente colpita da quella vicenda, annuì in silenzio alle parole del dottor Gordon, poi si avvicinò al letto.
“Oh Maestà, grazie..” Singhiozzò Magdalene Plummer, alzandosi e genuflettendosi di fronte a lei.
“Vi prego, mia cara..” Mormorò Caterina, posandole prontamente le mani sulle spalle e aiutando la donna a rialzarsi. Subito quest’ultima le baciò entrambe le mani, come segno di riconoscenza. Caterina tentò di fermarla, ma non ci fu verso. Vinta dalla fedeltà di lei, la lasciò fare e poi le sorrise, commossa.
Sapeva di essere amata, sapeva che il popolo guardava più volentieri a lei che ad Enrico, soprattutto la popolazione femminile, ma quel gesto di profonda devozione la toccò più di quanto si aspettasse.
Quando alzò gli occhi, la Sovrana incrociò lo sguardo della figlia di Magdalene. Era ancora seduta accanto al letto di suo padre e la guardava con un misto di dolore, infinita tristezza e ostilità.
“Questa è la mia secondogenita, Grace Isabel..” Mormorò Magdalene, voltandosi verso la figlia e invitandola ad alzarsi ed a raggiungerla, per riverire la Regina. La giovane obbedì e raggiunse la mamma. Con un inchino salutò Caterina, ma non c’era l’ombra di un sorriso sul suo volto, né ella profferì una sola parola.
Discretamente il dottor Gordon si avvicinò e ricordò che il giro non era ancora terminato e che altri malati aspettavano negli altri due stanzoni. La Sovrana annuì e, dopo qualche istante, si voltò, avviandosi verso la porta, non prima di aver sorriso ad ognuno ed essere stata salutata convenientemente.
Il resto della giornata passò, in un modo o nell’altro: dopo aver terminato la visita allo spedale, Caterina tornò a Whitehall e si chiuse nei suoi appartamenti. La vista di tutte quelle persone sofferenti, eppure ancora speranzose, e dei loro familiari, anch’essi provati dalle situazioni difficili in cui si trovavano, non le aveva dato il solito sollievo e la consueta gioia nel poter essere di conforto ai suoi sfortunati figli.
Inginocchiata davanti alla statua della Vergine, la Regina cercava nella preghiera un po’ di consolazione, ma le voci, le storie, le richieste di aiuto di coloro che aveva visitato solo poche ore prima, unite al suo stato d’animo, non le rendevano le cose semplici.

“Tenetelo fermo!!!” Aveva gridato il dottor Griffith con un ruggito imperioso. Subito due uomini erano accorsi a tenere immobile l’uomo straiato su un tavolaccio, posizionandosi uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra, poi se ne aggiunse un terzo che bloccò le gambe.
Isabel e Caterina, impegnate a piegare dei teli puliti, si voltarono immediatamente e fissarono in totale silenzio il medico che, preso il bisturi in mano, si preparava ad amputare l’avambraccio destro del pover’uomo. Gli occhi di costui si spalancarono e, non appena la lama entrò nella carne, gridò di dolore e di paura.
Samuel Dickinson era una delle guardie intervenute a difesa di Isabel nell’attacco alla Chiesa di Lambeth, pochi giorni prima. La sua ferita non era parsa particolarmente grave, sebbene piuttosto profonda, e fino a quel momento era stato meglio di altri colleghi e di altre persone. Quella mattina presto, però, l’arto aveva cominciato a dolere sempre di più fino a diventare dapprima blu, poi, con il passare di qualche ora, viola. Il dottor Griffith non ci aveva pensato due volte e, per evitare la morte certa di Samuel, aveva deciso per l’amputazione.
Trasportato a braccia nell’enorme salone usato per questi interventi, il poveretto era a malapena cosciente. Eppure, resosi conto delle regali presenze, aveva sorriso e chinato appena il capo.
Quando lo sentì gridare a quel modo, Isabel non ci pensò due volte: corsa al tavolaccio, prese dalla tasca il proprio fazzoletto, mettendolo delicatamente in mezzo ai suoi denti. Dopo un gemito prolungato e due blandi tentativi di liberarsi dalla stretta, Samuel svenne, reclinando da un lato la testa e chiudendo gli occhi. La giovane Principessa gli posò le mani sul capo, in modo da tenerlo fermo, e guardò il dottor Griffith.
“Posso?” Chiese unicamente. Il medico annuì in silenzio, ma con un leggero sorriso. Approfittando dello svenimento del paziente, si affrettò a terminare la disarticolazione del gomito, per poter poi procedere alla chiusura dei vasi, al controllo finale dell’osso ed alla cucitura definitiva della pelle del braccio. In poco tempo, tutto fu fatto; i tre inservienti lasciarono il ferito, e Isabel si avvicinò con tre teli puliti fra le mani. Li diede a uno degli aiutanti, quindi prese il braccio di Samuel, reggendolo in modo che il medico potesse fasciarlo a dovere.
“Grazie Altezza..” Mormorò sir Reginald, prendendo il primo telo ed avvolgendolo con attenta rapidità intorno al braccio. Isabel rispose con un muto cenno del capo, e poi si accinse ad osservare con attenzione i suoi gesti, in modo da imprimerseli bene in mente e sapere come agire al meglio in quella situazione.

Caterina si alzò dal proprio inginocchiatoio, con il rosario ancora in mano. Stancamente si lasciò quasi cadere su una sedia poco più indietro, sconsolata. Quella volta proprio non le riusciva di rasserenarsi e di calmarsi, nemmeno con la preghiera. Immediatamente la sua mente tornò ai ricordi di quella giornata.
Poco meno di un quarto d’ora dopo l’intervento su Samuel, nel giardino retrostante lo spedale, aveva trovato Isabel dare di stomaco. Con la mano appoggiata ad un albero cercava di sostenersi, ed il suo viso pallido e tirato aveva i segni di ciò che aveva visto poco prima. La Regina la raggiunse a passo veloce e la sostenne, mentre la figlia alzava pian piano il viso e riprendeva fiato. In silenzio le porse il proprio fazzoletto perché si potesse asciugare la bocca, e, quando Isabel si addossò a lei, la accolse fra le braccia.
Era strano, quando pochi giorni prima l’aveva trovata intenta ad aiutare sir Griffith, impegnato nell’amputazione di un braccio, Isabel non aveva avuto conseguenze di questo tipo; ora invece la medesima operazione sembrava averla sconvolta a quel modo. Caterina sapeva, per personale esperienza, che l’adrenalina era un potente anestetico delle emozioni, e poteva arrivare ad annullare dolore, stress, choc. In questa specifica occasione, invece, Isabel era corsa dal medico prima ancora che lui chiedesse aiuto ed il gesto tutto istinto e generosità della figlia ora aveva un rovescio della medaglia assai pesante.
Per un attimo, la Regina fu tentata di imporsi tanto da impedirle ulteriori coinvolgimenti in tali situazioni ed operazioni, ed aprì la bocca per pronunciare il suo netto veto, poi si trattenne. Sapeva che Isabel si sarebbe opposta strenuamente e lei, per quanto sapesse di aver l’autorità di decidere su quella faccenda, non si sentiva di aprire un fronte di scontro con la figlia. Di più, si fidava di lei e delle sue capacità di giudizio, e confidava che, qualora non si sarebbe sentita più in grado di portare avanti quell’impegno, se ne sarebbe tirata fuori, o avrebbe scelto un ruolo più consono.
Dopo qualche minuto, Isabel si calmò ed il suo respiro tornò regolare. Dopo alcuni istanti, si staccò dalla mamma, fino a sciogliere con dolcezza la stretta delle sue braccia.
“Grazie, mamà..” Mormorò, sorridendo leggermente. “Di tutto..”
Caterina la fissò per alcuni istanti, senza capire. La fanciulla sorrise e le accarezzò una guancia.
“Siete un angelo..” Soggiunse guardandola con un misto di amore e di ammirazione; poi venne di nuovo stretta dalle braccia materne e ricoperta dal suo incredibile affetto.
 

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“Come sta?”
“Meglio, Vostra Maestà..”
Il dottor Gordon lanciò un’occhiata sollecita a Robert, sorridendo mestamente. Da tre settimane a quella parte, effettivamente le condizioni dell’ex guardia si erano stabilizzate maggiormente e sembrava aver cominciato ad interagire un po’ di più con i suoi familiari e il personale dello spedale che entrava in contatto con lui. era merito anche di Caterina, che aveva stanziato una notevole somma per poter coprire meglio le notevoli spese che la struttura affrontava.
“Il Vostro merito nell’aiutarci a sostenere le spese per il mantenimento e le cure è grande, mia signora.” Mormorò di nuovo il medico. Caterina scosse leggermente il capo.
“No, dottor Gordon. E’ preciso dovere della Corona provvedere a coloro che non possono farlo da sé, o che sono stati colpiti dalla cattiva sorte.” Rispose la Sovrana, calma ma ferma. “Il resto della famiglia come sta?” Chiese poi. Il medico emise un sospiro silenzioso.
“Insomma.. Solo il maggiore lavora in modo continuo, è guardia in uno dei vostri palazzi di Londra; la figlia lavora ogni tanto, così pure Magdalene, ma con una figlia piccola ed il marito in queste condizioni quel che ricavano ogni mese non basta a coprire le forti spese per il soggiorno di Robert e per sostenere nel contempo la famiglia.” Rispose lui. Caterina annuì, pensierosa.
“Dove è lady Madgalene?” Chiese ad un certo punto. Prima ancora di ricevere la risposta del medico, si avviò verso l’uscita della stanza.
Quel giorno un pallido sole faceva temerario ogni tanto la sua capolino fra una nuvola e l’altra e, nonostante il freddo assai pungente, non era recentemente nevicato. Nel giardino che circondava lo spedale non c’erano quindi neve o fango, e tutto sommato, era davvero piacevole passeggiarvi.
Mamà, guardatemi..” Una vocina leggera e squillante scosse la Sovrana dai suoi pensieri. A meno di cento metri da lei, una bimba, di non più di sei anni, correva per il giardino con le braccia spalancate, quasi fosse un uccello in volo. “Mamà, sono un falco.. sono libera!! Libera!!”
Caterina si fermò ad osservarla, senza riuscire a trattenere un sorriso.

“Mamà, mamà!! Sentite cosa ho inventato!! Venite, mamà, venite ad ascoltarmi!!”
Un voce, ugualmente squillante, ugualmente allegra, risuonò nelle sue orecchie.
Mentre Caterina congedava una delle sue dame, Isabel la aspettava impaziente di fronte alla porta che conduceva agli appartamenti della bambina, saltellando da un piede all’altro.
“Mamà…” Chiamò impaziente di attendere ancora.
Congedata la dama, Caterina diresse i suoi occhi sulla figlia, e la guardò con aria fintamente severa, come se fosse seccata di esser stata disturbata. Per un attimo Isabel si fermò, temendo un reale rimprovero, poi al primo accenno di sorriso sul viso materno, rispose a sua volta con un sorriso. Poi corse dentro la stanza, imbracciò il piccolo liuto e non appena la mamma varcò la soglia e si sedette su una sedia, attaccò ad eseguire il pezzo su cui da settimane si stava faticosamente esercitando.
Caterina si accomodò e stette come sempre in silenzio, attenta ed in ascolto. La solita gagliarda su cui Isabel si esercitava stavolta si trasformò ben presto in un esercizio diverso e più complesso. La bambina, nonostante diversi errori e qualche incertezza, aveva inventato un tema nuovo, un po’ più complesso ed articolato, che alla fine tornò a quello di partenza.
Quando ebbe terminato di suonare, Isabel alzò lo sguardo, pieno di speranza di poter ricevere un complimento, pur minimo. La Regina sporse in avanti il braccio e accennò ad un sorriso. Subito la bambina depose da un lato il liuto e poi corse da lei.
“Siete stata bravissima, Altezza..” Le disse solennemente, accarezzandole il visetto ed il mento.

“Sì, amore, eri leggera e veloce, proprio come un falchetto..” Magdalene accolse fra le sue braccia la figlia più piccola, la strinse a sé e poi restò in silenzio in quella posizione.
Fu la piccola Margareth ad accorgersi che non erano sole e che una signora le osservava ad una decina di metri di distanza. Subito la signora Plummer lasciò la figlia e si inchinò alla Sovrana, senza nemmeno osare avvicinarsi.
“Signora Plummer, vi prego, alzatevi, mia cara.” Mormorò Caterina, raggiungendola e posandole con delicatezza una mano sulla spalla. Lentamente Magdalene si tirò su in piedi poi lanciò appena un’occhiata alla sua interlocutrice, che invece continuava a guardarla sorridente. “Venite, signora, sediamoci assieme.” Propose, e subito la donna obbedì.
Entrambe si accomodarono su una panchina poco oltre.
“Avete dei figli meravigliosi.” Mormorò Caterina, guardando Margareth che aveva ripreso a correre, incurante e apparentemente serena. Magdalene sospirò rumorosamente e annuì.
“Mi aiutano tanto, chi in un modo, chi in un altro..” Rispose, fissando a sua volta la figlia.
“Una delle mie dame di compagnia … diciamo, è partita..” Buttò là la sovrana, voltandosi a guardare Magdalene. La donna per alcuni istanti non disse né fece nulla, poi girò il viso verso la Regina.
“Maestà..” Rispose, scuotendo un poco il capo. “E’ un gesto estremamente generoso da parte vostra. Non posso accettare…”
Quell’offerta sarebbe stata una parziale soluzione dei loro problemi di soldi, lei ne era del tutto consapevole, ma non avrebbe mai approfittato né delle condizioni del marito, né dell’incredibile cuore della Sovrana.
“Vi prego, Mrs Plummer, pensateci. Prendete qualche giorno di tempo per rifletterci, poi, se non avrete cambiato idea, me lo direte, senza alcun problema. Ma, per piacere, non fatevi prendere dalla fretta e dall’impulso.” Insisté Caterina, posando la mano sul suo polso. La donna non rispose, sembrò quasi non aver sentito nulla. “Accettate la mia offerta e permettete a vostra figlia di stare in un ambiente sereno, pur se impegnativo. Signora, vi garantisco che Grace è in ottime mani, e che farò personalmente in modo che si trovi bene.” Tentò di convincerla ancora Caterina.
All’improvviso, proprio quando la donna pareva finalmente decisa a rispondere, irruppe fra loro Margareth. La piccola, forse stufa di giocare e correre come aveva fatto fino a poco tempo prima, si buttò letteralmente fra le braccia materne. Magdalene la fece sedere sulle ginocchia e poi la strinse a sé, in totale silenzio.
Colpita da quella tenera scena, che pure conosceva fin troppo bene, la Sovrana si affrettò a distogliere lo sguardo, poi, sentendosi un’estranea completa, si alzò e fece per avviarsi di nuovo verso lo spedale. Era inutile star lì come un avvoltoio, ad attendere e sperare nel sì della donna, e a spiare la sua intimità familiare con la piccola Margareth. Le aveva detto quanto doveva, era certa che le avrebbe presto risposto.
“Va bene, Maestà..” Mormorò Mrs Plummer, dopo pochi istanti. “Accetto senz’altro la vostra generosa offerta, mia signora.. E vi ringrazio immensamente..” 

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“Bene, Grace, potete andare..”
“Come comandate, Maestà..” Rispose sicura la fanciulla, e dopo un inchino, andò via dalla stanza.
Caterina la guardò uscire e si concesse un tenue sorriso. In poco meno di due mesi la sua nuova dama non solo si era inserita con relativa facilità e velocità, ma era quasi diventata irrinunciabile. Lady Willoughby l’aveva tenuta sotto strettissima osservazione per diversi giorni, e pian piano entrambe si erano rese che la giovane era sveglia, discreta, servizievole ed intelligente. Aveva insomma le quattro qualità insostituibili della dama di compagnia modello. Pur essendo assai giovane e nuova, aveva tenuto gli occhi aperti, ed osservato le sue compagne, riuscendo tuttavia a tenersi costantemente alla larga dai pettegolezzi, dalle chiacchiere, i commenti delle ‘colleghe’. Alla fine, era risultato evidente a tutti che Grace Plummer era tagliata per quel ruolo.
Ogni due settimane, tramite lady Willoughby, la Sovrana faceva avere a Mrs Plummer notizie, in modo che potesse essere sempre informata su ciò che stava succedendo. Ogni tre settimane, Grace, unica fra le dame, poteva tornare a casa e stare un’intera giornata con la sua famiglia.
“Maestà, la vostra corrispondenza.” Mormorò lady Willoughby, avvicinandosi a Caterina e reggendo in mano un vassoio con diverse missive.
Subito la Sovrana le prese in mano, osservandole attentamente una per una, e sperando di scorgere qualcosa di riconoscibile, ma nulla… anche quel giorno non ci sarebbero state notizie da parte di Isabel. Con un sospiro La Regina si sedette al proprio tavolo e cominciò a leggere la corrispondenza, ma dopo pochi istanti spinse via la pergamena.
Come sempre, Isabel era un pensiero talmente fisso nella sua mente che si stupiva quando, alla fine della giornata, si rendeva conto di non averle dedicato una parte dei suoi pensieri, della sua rabbia, delle sue preghiere. Durante quelle lunghissime e strazianti settimane, aveva tenuto tutto dentro, rifiutandosi condividere il proprio dolore perfino con il Re o il proprio confessore. A prescindere dalle attività personali, che aveva continuato a mantenere, Caterina restò sempre chiusa in un solitario ed assoluto dolore, non permettendo ad alcuno di misurarne la profondità e di saggiarne il peso. Isabel continuava ad essere, anche a distanza, il suo pensiero più costante, qualunque cosa facesse. Ogni tanto riviveva porzioni della loro ultima ‘chiacchierata’, se così poteva essere definita, e la Regina faticava a mantenere la sua abituale compostezza. Gli occhi grigi della figlia, che la fissavano con risentimento e rabbia, erano la sua croce, il palo orizzontale cui Caterina d’Aragona veniva ogni giorno inchiodata. Le parole di Isabel, assolute e dure come sono spesso le parole dei giovani, erano il suo tormento ed il suo senso di colpa quotidiani. Non ci sarebbe stata confessione, né condivisione alcuna che avrebbe mai potuto lenire la sua pena. Nemmeno la preghiera, contrariamente al solito.
Con disciplina e una certa punta di rassegnazione distolse la mente da quei pensieri e si dispose a leggere la corrispondenza. Avrebbe avuto la sera per pensare maggiormente ad Isabel e farsi trasportare dai ricordi e dal senso di colpa.

 

Enrico lesse la pergamena e poi guardò interdetto sir More.
“Sì, Maestà, è tutto vero quanto è scritto lì..” Lo prevenne sir Thomas. Il Sovrano emise un sospiro e poi tornò con lo sguardo sul foglio.
La Regina non deve sapere nulla in merito, sir Thomas.” Annunciò, deciso. Il Cancelliere rimase per qualche istante stupito, come se non capisse il senso di quelle parole e di quella decisione, ma si affrettò ad annuire pochi secondi dopo. Dio sapeva se aveva intenzione di mettersi di traverso nelle sue decisioni. Tuttavia, non riuscendo a stare completamente in silenzio, azzardò una domanda.
“Cosa pensate di fare, Maestà? E’ evidente che vostra figlia non viene trattata come spetta al suo rango. Ed è evidente che questo atteggiamento è una mancanza di rispetto nei vostri confronti.” Affermò, in modo deciso, ma con voce calma e tranquilla, come faceva quando doveva convincere il Re. Quest’ultimo lo guardò come a chieder conferma di quanto aveva appena udito, e sir Thomas annuì lievemente.
“Avete ragione, Thomas!!” Affermò deciso il sovrano, alzando un po’ il volume della voce. “Avete ragione, perdio!! Quello stupido bifolco dovrà far bene attenzione da ora in avanti!! Non tratta mica con uno dei suoi pari!!”
Per un attimo sir More si pentì di aver acceso in questo modo la collera regale. Dio solo sapeva cosa Enrico era in grado di fare se perdeva il lume della ragione, o solo intuiva un tentativo di inganno ai suoi danni.
“Maestà..” Mormorò appoggiandogli una mano sul polso, nel tentativo di calmarlo e fargli abbassare il volume. Tutto preso dalla sua invettiva, Enrico no si rese nemmeno conto del tocco, ma poi, osservando lo sguardo preoccupato e severo di sir Thomas, comprese.
“Certo, amico mio, avete ragione..” Ridacchiò divertito dall’espressione dell’amico. Era la stessa che sir More, come precettore, di tanto in tanto mostrava quando lui, futuro sovrano d’Inghilterra, non si comportava al meglio. Anche in quei casi, il più delle volte, una risata e l’occhiata divertita di Enrico serviva a smorzare la tensione e far tornare il sereno. “Ora scriverò a mio genero e vedrete che la cosa rientrerà in men che non si dica.. non sia mai che ci inimichiamo dei vantaggiosi amici e partner commerciali come gli scandinavi per delle semplici voci, no?” Esclamò, posando la mano sulla spalla dell’amico e facendo una leggera pressione. Sir Thomas capì al volo il significato nascosto delle sue parole ed annuì.
“Certo, Maestà..” Rispose, poi si permise un ultimo suggerimento. “Tuttavia, vi prego di controllar che le voci che girano siano effettivamente delle voci.”
“Certo, Thomas, certo..” Rispose il Re, in modo quasi distratto, poi si diresse verso l’uscita della stanza, non prima di aver appollottolato la missiva inviata dalla spia, ed averla gettata nel caminetto acceso.

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Entrata nella stanza, le sue dame, intente a cucire delle camicie per i poveri, cessarono le loro chiacchiere a voce smorzata. La Sovrana si guardò attentamente intorno per cercare di capire cosa stesse mai succedendo, ma ad una ad una le fanciulle abbassarono lo sguardo, fissandolo sul pavimento. A turno la riverirono e poi sparirono in un istante. Smarrita ed oltremodo confusa, Caterina guardò per cercare lady Willoughby ma non era lì intorno, quindi non potè avere lo straccio di una spiegazione.
“Miss Plummer.” Chiamò, notando la dama che passava svelta nell’anticamera. “Vi prego,  vogliate accompagnarmi nel mio salottino, dovrei veder l’ambasciatore spagnolo.” Chiese. Grace annuì e mormorò una risposta affermativa, poi si avviò a passare, con la Regina, per il lunghissimo corridoio che conduceva ai salottini privati dei Sovrani, usati per lo più per gli incontri informali.
Avevano ormai oltrepassato un gruppetto di cortigiani, che s’era chinato al loro passaggio, quando improvvisamente la Regina tornò indietro, per fermarsi di fronte a sei damigelle che ridacchiavano nemmeno troppo sommessamente. Ferma davanti a loro attendeva che smettessero quello sciocco spettacolo e le dessero una spiegazione. Quando una di loro si accorse della regale presenza divenne bordeaux e si chinò per un saluto. Le altre, accortesi poco dopo, la imitarono e tutte si profusero in un saluto profondo.
Dato che nessuna osava profferir verbo, fu Caterina a parlare per prima.
“Cosa vi fa divertire tanto, mie signore?” Chiese con una punta di nervosismo, nemmeno troppo nascosta. Le sei si sprofondarono, se possibile, ancora di più a terra, e la Sovrana si innervosì ulteriormente. “Allora?!” Chiese più decisa.
Dopo un tempo che sembrò infinito, una di esse alzò il capo e poi lentamente si tirò su in piedi. Guardò dritta negli occhi la Regina e le sorrise, amabile.
Caterina la riconobbe subito: era quella sciocca creatura di Margareth Shelton, una delle cugine della cagna Bolena. Nonostante da tempo quest’ultima fosse praticamente sparita dalla corte, la giovane cugina vi era invece rimasta stabilmente, anche se la sua presenza era sovente causa di pettegolezzi e scene poco edificanti.
“Abbiamo avuto notizie della Principessa.. Vostra figlia si  fa onore anche presso la corte svedese..” Rispose, continuando a sorriderle. “E’ proprio la degna nipote di vostra sorella.. Sapete, no?” Aggiunse a voce decisamente più bassa, accostandosi a lei appena un poco e roteando l’indice all’altezza della fronte.

La Regina sgranò gli occhi, e si ritrasse di due passi, inorridita. Non sapeva assolutamente nulla di quella storia, e il sorrisetto sul viso di quella piccola sgualdrina era decisamente troppo soddisfatto perchè stesse dicendo una frottola o una storiella.
Sgomenta corse via senza nemmeno replicare a miss Shelton, che si permise perfino il lusso di riderle dietro.
“Che diavolo è questa storia?!”
Al suo cospetto, tutti i membri del Consiglio schizzarono in piedi, imbarazzati.
Il Re invece, come nelle ultime settimane accadeva sempre più di frequente, la guardò con stanchezza ed un certo fastidio.
“Se avete la buona grazia di spiegarmi, Caterina..” Le rispose con noncuranza, sospirando annoiato ed aumentando la sua collera. Alla Sovrana bastò guardarsi appena intorno, che i consiglieri capirono al volo l’antifona, prendendo la porta nel più breve tempo possibile.
“Ho sentito dei pettegolezzi di una gravità inaudita su vostra figlia..” Annunciò lei, non riuscendo a trattenere la propria ira e i sentimenti profondamente ambivalenti che sentiva nei confronti di Isabel.
Dopo alcuni istanti di silenzio meditabondo, Enrico si alzò dalla pesante sedia su cui si era quasi rifugiato all’entrata della moglie ed andò alla finestra. Era impossibile ormai, oltre che inutile, nasconderle come stavano le cose.
“Non sono pettegolezzi, Caterina.” Le rispose girandosi verso di lei, ma restando distante.
Sgomenta e annichilita da quelle parole, la Sovrana portò una mano alla bocca e chiuse gli occhi. Il mondo attorno a lei sembrò improvvisamente girare ad una velocità folle, e lei si lasciò cadere pesantemente su una sedia, per non cadere a terra.
Isabel era come Giovanna, sentenziò con terrore la Sovrana.
Instabile; capace di straordinaria generosità, ma anche di gesti inconsulti e pericolosi per gli altri, e chissà forse anche per se stessa; debole e fragile, eppure dotata di una forza d’animo incredibile e straordinaria. La sua figlia più amata era una fanciulla da tenere a corte per poterla meglio controllare. La sua speranza per il trono inglese era un completo fallimento.
Incapace di dire qualsiasi cosa, Caterina si alzò e dopo un veloce inchino a suo marito, uscì da lì. Non aveva alcun senso per lei sapere come e quando si erano svolti i fatti, chi fossero le persone coinvolte e che ruolo aveva giocato Isabel in tutto quel presumibile marasma. Desiderava solo chiudersi nelle sue stanze e dimenticare il senso di vergogna e infamia che sentiva.

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“Siete sicuro, Enrico?”
Enrico sospirò e guardò il giardino oltre la vetrata. La giornata era stata uggiosa e pioveva ormai da diverse ore. I nove mesi, dal matrimonio di Isabel e sir Sten fino a quel giorno, sembravano essere volati, letteralmente corsi davanti ai suoi occhi.
Quando sua figlia era andata via, il giorno dopo Natale, per alcuni giorni la sua dimora di Windsor gli era parsa, per la prima volta, incredibilmente vuota. Non si era mai reso conto di quanto la voce e la risata di Isabel riempissero la vastità di quelle enormi sale, e la sua tremenda solitudine. Non si era mai reso conto che il sorriso della figlia aveva il potere di far sorridere anche lui, anche solo per un istante. Quel che però lo turbava davvero era il potere di Isabel su Caterina. Da che lei se n’era andata, la Regina era di colpo invecchiata. Nemmeno nei giorni più bui del loro legame era stata tanto depressa, solitaria, sconfortata. Quando non era in Chiesa, era nelle sue stanze; se non era impegnata nella preghiera o nel cucire camicie per i bisognosi, si recava con qualche sua dama allo spedale della comunità di Lambeth, che ormai era una realtà importante e solidamente formata.
La corte la vedeva rarissimamente, ed Enrico appena un po’ di più. Per lui era meglio non vederla. Il suo sguardo spento e rassegnato, oltreche incollerito da tutta quella situazione, era un tormento. Si sentiva impotente, incapace di tirarle su il morale e di aiutarla, oltre che di risolvere concretamente la situazione.
Da che Isabel aveva dato in escandescenze, le quotazioni inglesi in giro per l’Europa erano scese terribilmente, ed il nome di sua figlia veniva accostato con sarcasmo e pesante ironia a quello di Giovanna, la sorella di Caterina. Il fatto che sir Sten fosse decisamente parte in causa in quella faccenda sembrava non importare a nessuno. E nemmeno importava il fatto che Isabel fosse poco più che una fanciulla, perennemente sotto esame, praticamente confinata in un Paese che non capiva ed in cui non riusciva a farsi capire.
Sir Sten le ha mancato di rispetto, a comportarsi a quel modo, pensò il Re. Ma in fondo quello era lo scotto che pagavano praticamente tutte le mogli quando il marito era più o meno giovane, piacente e costituzionalmente sano. Imparerà ad accettare, si disse ancora Enrico, come sua madre ha fatto con me. Tuttavia c’era un pensiero che lo angustiava.
Isabel era ancora evidentemente immatura ed acerba per la vita coniugale, e agendo come aveva fatto, si era messa in ridicolo, disonorando se stessa e l’Inghilterra.
E disonorando l’Inghilterra, aveva disonorato suo padre. Per quanto sua figlia fosse nelle sue grazie, questo non era minimamente tollerabile. Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia avevano dovuto rinchiudere Giovanna, per impedirle di continuare ad essere lo scandalo che era; e prima ancora la Regina aveva dovuto segregare sua madre Isabella, per le medesime ragioni.
Era evidente lo scandalo che Isabel costituiva per il Regno inglese, Enrico poteva ormai vederlo. Un conto erano le sciocchezze da bambina, ma questo... questo era intollerabile..
La voce di sir Thomas lo richiamò alla realtà.
“Maestà, allora, do ordine a sir Sullivan di andarla a prendere domani stesso?” Chiese calmo il suo Cancelliere. Enrico si girò a guardarlo e sospirò.
“Sì. Sì, Thomas, vi prego..” Rispose, voltandosi di nuovo verso la finestra.
Ora avrebbe dovuto darne notizia a Caterina. Cos’avrebbe dovuto aspettarsi da parte sua? Gioia? Indifferenza? Collera verso quella figlia che adorava, ma che le aveva parlato in un modo tanto duro e irrispettoso?
In silenzio fissò gli alberi scossi dal vento e dalla pioggia.
“Maestà.. Maestà!!” Incurante dei modi, un valletto piombò nella piccola sala reggendo un vassoio con una missiva. Enrico si volse e gli corse incontro, prendendola. Riconobbe in un istante il sigillo, ed il fatto che arrivasse a quell’ora serale non gli piaceva per nulla.

“Buon Dio..” Mormorò incredulo, lasciando scivolare la pergamena a terra. Subito sir Thomas si chinò a raccoglierla e la posò sul tavolo poco distante. “Sta tornando.. mia figlia sta tornando a Londra..”

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Capitolo 27
*** A new world (a.k.a. Different perspectives - Isabel's P.O.V.) ***


A Queen's Daughter - A new world (a.k.a. Different perspectives - Isabel's P.O.V.)
Stoccolma, Inverno 1530/Primavera 1531 – A new world (a.k.a. Different perspectives – Isabel’s P.O.V.)

 

“Vostra Grazia siamo arrivati ad Halmstad.”
Il capitano Nilsson entrò nella cabina di sir Sture ed annunciò l’ormai imminente attracco al porto. Il nobile svedese annuì, concedendosi un piccolo sorriso soddisfatto. Ora la prima cosa che avrebbe fatto, sarebbe stata quella di alloggiare Isabel nel proprio palazzo e, man mano, ridurre gran parte, se non tutto, il numeroso seguito che suo padre le aveva messo accanto. Tutto però sarebbe avvenuto con calma, nel tempo e senza gesti improvvisi, soprattutto per non mettere in allarme la sua giovane sposa, che era sveglia, estremamente intelligente ed astuta.
Al momento, per prima cosa avrebbe raggiunto la sua cabina e le avrebbe dato l’annuncio del loro arrivo. Per buona parte delle settimane di viaggio, infatti, Isabel era stata male ed aveva sofferto il mal di mare. Sir Sten si era ben guardato dallo stare con lei, limitandosi a qualche visita più che sporadica e trascorrendo le giornate a giocare e stare con i propri ufficiali.
“Altezza, vostro marito..” Annunciò lady Thorston, avvinandosi allo spartano letto su cui Isabel era stesa. La Principessa annuì e poi, con enorme fatica, si tirò a sedere, mentre sir Sten entrava nella piccola cabina.
“Stiamo per approdare ad Halmstad, mia signora.” Annunciò, tenendosi a distanza. Isabel lo guardò e tentò un sorriso, ma prima che potesse chiedere ulteriori informazioni, sir Sten uscì da lì.
La Principessa sospirò sconsolata. Suo marito non aveva chiesto come stesse, come avesse trascorso gli ultimi due giorni di viaggio e se potesse esserle utile in qualche modo. Era ovviamente assai delusa, ma in qualche modo pensò di poterlo far avvicinare prima o poi a lei. L’esempio di sua madre, che non si era mai arresa ed aveva sempre tenuto duro anche nei momenti peggiori, le era oggi ancora più evidente e chiaro.

 

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“Olaf!! Vi ho detto che dovete chiamare Sua Altezza madre!!”
La voce tonante e piena di collera di sir Sten spaventò il ragazzino che fece quasi un salto. Come faceva ormai da giorni, Isabel cercò immediatamente di intercedere per evitare che fosse punito.
“Vi prego, Vostra Grazia, non è successo nulla di male. Sono certa di avere il rispetto di Olaf anche se non usa quel termine.” Affermò sicura e decisa, nonostante la smorfia più che riluttante del ragazzino. “Lasciatemi risolvere la cosa con Olaf, e vedrete che tutto si risolverà..”
Ma sir Sten non era affatto di questo avviso. Con sguardo minaccioso si avvicinò al figlio, lo prese per un braccio e lo scosse un paio di volte. Il ragazzino lo guardò spaventato e cercò di ritrarsi, ma suo padre lo tenne ben stretto e non gli fu possibile sottrarsi alla presa.
“Lo lascio alla vostra disciplina.” Disse sir Sten guardandola. Isabel lo fissò istupidita. Non poteva credere alle sue orecchie. La stava esortando a punire Olaf per una cosa veniale e di ben poco conto. Lo sguardo della giovane si posò sul ragazzino.
A quattordici anni era alto quasi quanto lei, biondo come il padre, e con un paio di occhi nerissimi e assai vivaci. Da che Isabel era arrivata a Stoccolma, quasi due settimane prima, pur non avendolo visto che pochissime volte, non l’aveva mai visto sorridere, aveva scambiato con lui una manciata di parole, con risultati assai poco incoraggianti, e lui si era reso spesso responsabile di scherzi e giochi assai crudeli ai danni dei fratelli più piccoli, due maschietti di dodici e dieci anni ed una femminuccia di cinque. Nonostante questo incipit, si vedeva da lontano che Olaf era un ragazzino assai sensibile e che soffriva tremendamente per le nuove nozze del padre. Era per questo che considerava Isabel una perfetta estranea, che si era inserita a forza nel precario equilibrio che esisteva prima del suo arrivo. In tutto questo sir Sten non solo non era di minimo aiuto, ma addirittura era un intralcio, quando non un danno, come in quel preciso istante. Era impensabile costringere un quattordicenne a chiamar mamma una donna mai vista e mai conosciuta. Il fatto che la vicenda coinvolgesse la sua famiglia ed i suoi figli sembrava non toccare minimamente il nobile svedese, né riguardarlo nemmeno, con sommo scoramento di Isabel che tutto avrebbe desiderato e pensato, fuorché il proprio inserimento in un modo tanto brutale.
Quasi impaurita lei stessa dallo sguardo torvo e deciso di suo marito, per un istante non seppe che fare. Poi si risolse a provare a prendere in mano la situazione.
“Benissimo, Vostra Grazia.” Rispose decisa. “Lasciate fare a me..”
Ciò detto si avvicinò ai due e posò la mano sul braccio di Olaf, stringendolo. Gli occhi del ragazzino si spalancarono di terrore, ma ciò bastò perché sir Sten, soddisfatto, lo lasciasse andare, consegnandolo a lei.
“Ottimo. Vedo che ci capiamo.” Commentò annuendo, felice che lei avesse capito la nuova situazione alla svelta.
“Ora vorrei ci lasciaste soli, Vostra Grazia.” Chiese, o meglio cercò di pretendere con voce quanto più ferma possibile. Suo marito annuì, e si voltò per lasciare la stanza.
Isabel sospirò di sollievo e si voltò verso Olaf, addolcendo un po’ l’espressione dura che aveva sul volto. Voleva tranquillizzarlo e fargli capire che non gli avrebbe fatto nulla.
“Un momento!” Sbottò sir Sten all’improvviso voltandosi verso i due. Non impiegò molto tempo ad interpretare quello che vide. In un attimo percorse i sei passi che lo separavano da Isabel ed Olaf, prese il ragazzino per un braccio e, senza profferire una sola parola, lo trascinò via.
La giovane Principessa rimase sgomenta, totalmente senza parole. Tutto si era svolto ad una velocità incredibile e lei non aveva potuto opporsi a sir Sten in alcun modo. Per un po’, troppo spaventata da quanto era accaduto, non fece assolutamente nulla. Poi però si riprese, uscì dalla stanza e si diresse nella direzione da cui proveniva la voce concitata ed agitata di suo marito. Dopo un istante di indecisione, entrò, giusto in tempo per vedere sir Sten assestare un manrovescio al figlio.
“Vi prego fermatevi!” Lo implorò correndo verso di lui e frenando un secondo colpo.
“Uscite di qui, donna!!” Ruggì lui, girandosi verso di lei ed afferrandole il braccio. “Mio figlio e come lo educo sono affare mio!!”
Gli occhi di Isabel si posarono sul volto di Olaf e sui suoi occhi. Non c’era ringraziamento da parte del ragazzino per essere intervenuta in sua difesa, anzi una malcelata ostilità, che gelò il sangue di lei. Vinta, dall’ordine del padre e dal risentimento del figlio, uscì da lì, in silenzio. Non ebbe nemmeno il tempo di soffermarsi sull’accaduto che lady Thorston la raggiunse.
“Vostra Altezza, la lezione di svedese.”  Mormorò dopo un inchino. Isabel sospirò e annuì. Quel che era accaduto, ed ancora stava avvenendo, l’aveva turbata e non la faceva stare per niente tranquilla.
“Signor Andrersson.” Salutò Isabel, sorridendo appena. Il suo insegnante di svedese, come al solito, si profuse in un inchino fin quasi a terra, strappandole il consueto sorriso.
“Altezza Reale..” Rispose lui quando, finalmente, riuscì a tirarsi su in piedi. Nonostante la sua mole, si ostinava a fare inchini profondi. Era ovvio che poi la risalita risultasse come minimimo goffa. “Come state, Altezza? Vi state abituando almeno un poco a questo clima, Altezza? Ditemi, Altezza, posso fare qualche cosa per voi?”
Smetterla con le domande, per esempio…’ Rispose mentalmente Isabel, esasperata. Tuttavia, in un secondo momento, si sforzò di mostrarsi almeno cortese e gentile, se non proprio cordiale. Il suo insegnante non aveva alcuna responsabilità di quanto stava vivendo, e non era corretto scaricare su di lui il proprio nervosismo.
“Cominciamo?” Propose lui, senza minimamente accorgersi del suo stato. Lei annuì e poi si voltò verso lady Thorston affinché la lasciasse sola.
“Cominciamo..” Rispose lei, con un sospiro, quasi stesse andando al supplizio.

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“Dov’è mio marito?”
Sir Nilsson, il segretario di sir Sten, la guardò come se non si aspettasse il suo arrivo e, istintivamente, si spostò, mettendosi davanti a lei e proteggendo la porta dello studio.
“E’ impegnato, Altezza..” Disse, cercando di mascherare l’enorme imbarazzo che provava.
“Ho assoluto bisogno di vederlo. Per cortesia, fatemi passare..” Ribadì lei, spostandosi a sua volta da un lato, per cercare di passare.
“La prego, Altezza, lasci che la annunci..” Propose lui. Era evidente che stesse cercando di prendere tempo e la cosa insospettì Isabel. Tuttavia, dato che c’era pubblico alle sue spalle, non fece altro baccano e annuì, facendogli capire di avvisare sir Sten della sua presenza. Sir Nilsson si voltò e bussò alla porta; solo dopo aver ricevuto il via libera, entrò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
Isabel corrugò le sopracciglia, pensierosa ed ancora più insospettita. Da che era arrivata lì, due mesi prima, suo marito non aveva mai attuato quel tipo di comportamento.
In quei giorni, a dire il vero, non si erano visti spesso, perché sir Sten era dovuto andare fuori città per altre questioni, e il suo era più che altro un presentimento; tuttavia, in parte il proprio sesto senso, in parte quello che aveva visto fra i due genitori, le dicevano che nel comportamento di suo marito c’era troppo mistero. Il fatto che in quei mesi non avessero mai diviso il letto, se non pochissime volte, da una parte le sembrava decisamente strano, dall’altra non le importava più di tanto. Non lo amava e, per come lui si stava avviando a comportarsi, c’erano motivi più che fondati che non sarebbe mai successo. Quel che aveva visto e conosciuto di lui a Londra era solo una parte di quel che vedeva e conosceva ora. E pur tuttavia voleva far funzionare quel matrimonio: nella sua mente c’era il proposito ed il desiderio di farsi amare ed accettare, almeno dai figli di lui. Le loro notti assieme erano state più fallimentari che mai. Sir Sten infatti non era mai riuscito ad amarla, e molto probabilmente non la desiderava nemmeno. Questo, da una parte, era stato umiliante per lui, che se n’era andato ogni volta furente, imbarazzante ed assieme un sollievo per lei, che aveva capito in fretta che assai probabilmente lei ed il marito sarebbero vissuti da fratello e sorella per tutta la vita.  
“Potete entrare, Altezza..”
La voce del segretario la distolse dai propri pensieri. Annuì distratta quindi, dopo averlo ringraziato, entrò nello studio. La prima cosa che le assalì le narici e la testa fu un odore intenso e fastidioso. Non lo conosceva, né le sembrò quello di qualche fiore, ben difficile per non dire impossibile a quelle latitudini poi. Alla fine la riconobbe: era lavanda! Lavanda essiccata. Sir Sten non usava profumarsi, anzi tutt’altro, per cui non era a lui che apparteneva quell’odore. In realtà c’era un secondo profumo che si univa al primo. Bè, più che un profumo, sembrava trattarsi di un lezzo. Era quello del pelo di renna, che lei non aveva mai sentito prima del suo arrivo, e che in quei mesi aveva pian piano imparato a riconoscere. Era evidente che da quella stanza fosse appena uscito qualcuno.
“Chi c’era qui?” Chiese quindi, senza nemmeno salutare suo marito.
“Che cosa mai pensate, mia signora?” Rispose lui, alzando distrattamente gli occhi dalle carte.
“Mi prendete in giro, signore?” Sibilò furente Isabel.
I ricordi tremendi e dolorosi degli amoreggiamenti fra suo padre e la sgualdrina Bolena tornarono su. E con essi il ricordo di sua madre, dei suoi abbracci stretti a lei ed a Maria, delle notti in cui la Regina andava a trovarla nella sua stanza, credendola addormentata, e al mattino Isabel poteva ancora sentire il suo profumo. Tornarono a galla i ricordi del viso di sua madre, ferito ma dignitoso, che cercava di mostrare, non solo a lei ed sua sorella, ma anche al resto della corte, una calma che non sempre aveva davvero e la compostezza che la Regina sapeva di dover dimostrare.
“Io cosa?” Chiese sir Sten, con un tono di voce assai meno conciliante. Il nobile alzò gli occhi ed incrociò quelli duri e furenti della moglie. Era evidente che non stesse scherzando affatto. Tuttavia, lui era il capofamiglia e poteva fare quel che gli aggradava senza sentirsi in obbligo di fornire spiegazioni, o esserle fedele. “Badate bene, signora..” La avvertì, la voce bassa, ma tagliente, e il dito puntato contro di lei.
“No badate voi, signore..” Rispose a brutto muso Isabel, avvicinandosi alla sua scrivania e stando a tre metri da lui. “Non costringetemi a sbugiardarvi di fronte ai vostri amici ed al vostro Re. E non costringetemi ad affrontare la sgualdrina che vi portate a letto…”
Inaspettatamente, quella minaccia, ebbe il potere di zittire all’istante sir Sten. Neppure lui si capacitava di come questo fosse possibile. La Svezia non era un Paese diverso dagli altri, i mariti facevano tutto sommato il proprio comodo, soprattutto fra le classi elevate, dove il matrimonio d’amore era più unico che raro. Eppure le parole e soprattutto il tono di voce di Isabel gli avevano imposto una marcia indietro totale. Il timore che lei si rivolgesse a suo padre e gli dicesse come stavano le cose lo spaventava un po’. Certo, Enrico non era tipo da poter dare lezioni sul matrimonio, tuttavia poteva ancora se non sciogliere il loro legame, fargli capire che non avrebbe tollerato ulteriori mancanze di rispetto da parte sua nei confronti di sua figlia. Gli conveniva di sicuro tenersi buono il suocero e limitare, o meglio azzerare, per un po’ di tempo i suoi ‘contatti’. Poi con il tempo, avrebbe ripreso il suo andazzo, come prima.
“Eravate venuta qui per questo, o c’era dell’altro?” Chiese lui, improvvisamente. Isabel per un attimo non se ne accorse, ma poi il suo cuore diede un tuffo gioioso. Aveva vinto su sir Sten e lo aveva rimesso a posto. Nella foga della conversazione non si era resa conto della marcia indietro.
“Oh, sì..” Rispose lei, ricordandosi improvvisamente il motivo per cui lo aveva raggiunto nello studio. “Vorrei trasferirmi con i bambini fuori Stoccolma per qualche settimana. Ho bisogno di star con loro e conoscerli. Solo in questo modo potrò legare con loro ed essere, se non una madre vera e propria, per lo meno non un’estranea totale e completa.” Chiese, tutta speranzosa per una risposta positiva.
“No!” Rispose sir Sten, tornando con gli occhi sulle carte, e non degnando più la moglie di ulteriori attenzioni. Quella risposta secca e semplice indicava che la questione era per lui chiusa, definitivamente.
“Perché?” Chiese quindi Isabel, per niente convinta non solo dalla risposta ricevuta, ma anche dal fatto che essa non era stata motivata in alcun modo. Questa cosa era del tutto incomprensibile e strana. “Ditemi perché? Volete che io sia una madre per i vostri figli, no? Datemi la possibilità di esserlo sul serio..”
“No!” Ribadì sir Sten, lanciandole appena un’occhiata. “Voi non dovete essere una madre per i miei figli, ma solo un’educatrice. Una madre l’avevano, ed è morta. Lo sanno e non ne cercano un’altra.” Spiegò lui, lasciando la moglie di sasso. “E nemmeno io.”
“Se volevate un’educatrice potevate comperarne una qui, senza venir fino in Inghilterra!!” Ribatté Isabel, al colmo dello sdegno. Era incredibile che lui ammettesse quel che aveva fatto con tanta tranquillità, quasi non si curasse della sua reazione e dei suoi sentimenti. “Mi avete distrutto la vita, signore.” Aggiunse, girandosi ed avviandosi verso la porta.
“Non sono io ad avervela distrutta, mia cara..” Rispose lui, restando fermo dove era e non alzando nemmeno lo sguardo su di lei. Nonostante questo, le sue parole la fecero fermare, la mano posata sulla maniglia. “Sono stati vostro padre e vostra madre a farlo. Non hanno esitato un istante a farvi sposare con il sottoscritto, nonostante le loro perplessità e i molti dubbi che avevano su di me.”
A quelle parole, Isabel si voltò, esterrefatta. Non aveva mai, in tutti quei mesi, pensato che sir Sten fosse perfettamente cosciente e consapevole dei forti dubbi che i suoi genitori, in primis sua madre, avevano nei suoi riguardi.
“Povera cara… pensavate fossi uno sciocco ed uno sprovveduto e che non conoscessi le furberie di vostro padre e di quella spagnola di vostra madre…” La commiserò, alzando finalmente lo sguardo su di lei, e guardandola con pietà. “Pensavate forse che la Svezia fosse troppo lontana per sapere le brighe di vostro nonno materno, Ferdinando, l’infame bugiardo, o dell’avarizia di Re Enrico VII, vero?”
Sempre più sgomenta da ciò che le veniva sbattuto in faccia senza pietà, Isabel non riusciva a rispondere in alcun modo. Era incredibile quanto e come avesse sottovalutato la furbizia e, così sembrava, la scaltra intelligenza di sir Sten. A poco a poco, quell’uomo si era insinuato nelle loro vite, carpendone i segreti ed i molti retroscena, alcuni dei quali sconosciuti anche a lei.
“Sono certa che i miei genitori..” Obiettò, ma fu appena un sussurro, che suo marito non si prese nemmeno il disturbo di troncare. In realtà lei sapeva benissimo di cosa fossero capaci suo padre Re Enrico e sua madre Caterina d’Aragona. Sapeva fin troppo bene fino dove si poteva spingere il decisionismo freddo, astuto e crudele dell’uno e la cocciuta intransigenza dell’altra. Conosceva fin nei minimi dettagli i loro piani e le mosse tanto per la vita di sua sorella, quanto per la propria. Sapeva per esperienza diretta che tanto suo padre quanto sua madre non avevano minimamente esitato a sgridarla ben più che aspramente o punirla in modo severo. Perché stavolta doveva essere diverso? Maria, con buona pace della Regina, era andata in sposa al Delfino, nonostante l’odio di Caterina nei confronti della Francia. E per lei era stato deciso un marito ben più grande di lei, con prole e con cui non ci sarebbe stato nulla in comune, nemmeno il credo religioso, dato che sir Sten si era recentemente convertito al riformismo protestante.
Senza dire una parola, dato che ormai non c’era da dire più nulla, la Principessa inglese si girò ed uscì dalla stanza. Si sentiva stordita e lucida allo stesso tempo. Nemmeno per un attimo mise in dubbio le parole di sir Sten. Erano troppo aderenti alla realtà che lei stessa aveva mille volte vissuto per essere considerate menzogna, eppure la consapevole certezza di esser stata solo un capo pregiato venduto al mercato del più svelto offerente la faceva impazzire di dolore e di disgusto.
Come faceva in Inghilterra, a passo svelto si diresse verso le scuderie, corse al box dove era sistemata Estrella
de Alhambra; le salì in groppa e la lanciò al galoppo, sentendosi, per la prima volta in tutte quelle settimane, finalmente libera.

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In totale solitudine e con un libro in mano, Isabel passeggiava per l’immenso parco retrostante il palazzo. All’inverno era seguita la primavera e così i primi tepori, i colori più vivi e accesi, lo scioglimento, dapprima timido, poi sempre più inesorabile, della neve e del ghiaccio. Da qualche settimana la corrispondenza con Maria si era fatta più continua e costante, e lei ne aveva tratto sensibile giovamento. Da un paio di settimane circa sir Sture aveva congedato quasi tutto il suo seguito inglese, escluse lady Thorston ed altre due dame, il suo confessore, e quattro o cinque valletti che si erano miracolosamente salvati dall’ecatombe. Sir Sten aveva giustificato l’improvviso gesto col bisogno di risparmiare, ed a nulla erano valse le forti proteste e le minacce di Isabel, oltre le sue dimostrazioni che il pagamento di coloro che le erano fedeli avveniva attraverso il proprio patrimonio, e non quello di suo marito.
“Voi avete preso da vostro padre, donna..” Aveva chiuso la questione sir Sten, facendola uscire letteralmente dai gangheri. Era un’insinuazione gratuita e anche fosse stata vera, lui non era nessuno per poter salire in cattedra a dar lezioni di vita. Isabel aveva così afferrato la prima cosa che si era ritrovata tra le mani e l’aveva stretta fino a che le nocche non erano diventate bianche e dolenti. Sir Sten, mal comprendendo il suo fastidio, le aveva riso in faccia. “Siete proprio degna nipote di Isabella di Castiglia..” L’aveva infine schernita, facendo riferimento alla follia della sua bisnonna materna. Vinta da quel comportamento irrispettoso ed ineducato, la Principessa aveva posato sul tavolo il pesante fermacarte che aveva preso e poi aveva fissato suo marito.
“Non azzardatevi mai più a immischiarvi in cose che non vi riguardano, signore.” Aveva minacciato, con voce sorda, per poi uscire dalla stanza.
A pensarci bene, era stata impulsiva ed eccessiva, come spesso le capitava quando andava in collera; tuttavia a sua difesa adduceva il fatto che sir Sten si era davvero occupato di una cosa che non lo riguardava, che non toccava in alcun modo i suoi affari e i suoi soldi, e per cui nemmeno l’aveva consultata. Era intollerabile. Nemmeno suo padre si permetteva di mettere becco nelle molteplici attività, di carità e non solo, di cui sua madre si occupava e per cui spendeva ingenti somme del proprio patrimonio, quindi perché mai un nobilotto tanto sciocco quanto vanitoso doveva permettersi?
Seduta su una panca di legno, rifletteva sulla propria situazione, e, come faceva sempre in queste occasioni, rigirava fra le mani il libro di preghiere. In realtà la vicenda del seguito tornato improvvisamente in Inghilterra era solo la punta dell’iceberg di un malessere che da tempo la permeava. Quando era partita da Londra era quasi del tutto consapevole che la convivenza con sir Sten e la sua famiglia sarebbe stata come minimo difficile, ma la verità era che non si aspettava di doversi scontrare quasi quotidianamente con un muro talmente duro da respingere ogni suo attacco, e così apparentemente malleabile da farle credere ogni volta di aver una possibilità di riuscita. Ed invece, sistematicamente, ogni sua proposta veniva respinta, ogni tentativo affettuoso verso i figli di sir Sten erano o ignorati, o messi alla berlina, non solo da suo marito stesso, ma addirittura dai quattro ragazzi. Perfino la più piccola la respingeva, imitando l’atteggiamento irriverente e scostante dei fratelli. Insomma, c’era solamente da mettersi le mani fra i capelli e fuggire il più lontano possibile. Anche l’intimità con suo marito continuava ad essere praticamente nulla; i successivi tentativi di essere per davvero marito e moglie furono se possibile peggiori di quelli precedenti e lasciarono su entrambi una dose enorme di frustrazione e risentimento. Sir Sten, infatti, la rimproverava di non essere capace di attirarlo e farsi amare, e lei, forte della pur unica esperienza con Joàn, si rendeva conto che solo in parte la responsabilità di ciò che stava accadendo era sua e della sua presunta incapacità di farsi amare.
E nel momento in cui lo ripescò dal fondo dei suoi ricordi, improvvisamente i suoi pensieri mutarono direzione e virarono diretti su Joàn. Era la prima volta che ripensava a lui da quasi cinque mesi a quella parte. Il suo cuore diede un tuffo non appena il nome del nobile spagnolo le salì sulle labbra e lei comprese che, nonostante i mesi trascorsi, lui era ancora nel suo cuore e che lo amava, ancora. Assieme a lui aveva vissuto momenti indimenticabili: il primo attimo di conoscenza, le schermaglie reciproche, che servono a saggiare il terreno, la reciproca intelligenza ed il carattere di entrambi. Con lui aveva vissuto l’attimo magico del primo bacio, del primo abbraccio, del primo contatto fisico. In un attimo Isabel si rese conto che non sarebbe mai riuscita a permettere a nessun altro uomo di amarla, di toccarla, di respirarle accanto, così come aveva permesso a Joàn.
Immediatamente si chiese cosa stesse facendo, se stesse bene e si fosse ripreso dopo il putiferio successo a Natale, se avesse ripreso a lavorare e con chi; si chiese se in quei mesi le avesse dedicato qualche pensiero, se avesse pregato per lei, augurandosi che stesse bene e fosse, se non felice, almeno serena.
Le immagini del loro primo incontro le tornarono alla memoria. Non aveva mai davvero realizzato quanto fosse stata a proprio agio fra le sue braccia, e quanto lui le fosse piaciuto fin da subito, nonostante i modi, nonostante la sua gioiosa sfacciataggine. Sembrava quasi conoscere fin dove potersi spingere e fin dove osare con lei. Che confronto impietoso con sir Sten!! Quest’ultimo era sembrato costantemente un pesce fuor d’acqua, e con l’andar del tempo la situazione non era per niente migliorata. Eppure suo padre aveva ritenuto che quest’ultimo fosse un partito migliore per lei. Nonostante fosse il signorotto di un Regno lontano, con una popolazione scarsa e complessivamente arretrato rispetto al resto d’Europa, lo aveva preferito piuttosto che un nobile spagnolo, più giovane, più bello, ma dalle origini non chiare. Quanto la reazione di Re Enrico era stata differente da quella di sua madre, che invece aveva preso le parti del giovane spagnolo.
A dire il vero, però, sua madre era stata ben più ambigua. Era vero, quando Isabel le aveva confessato di essersi innamorata di Joàn non aveva battuto ciglio, ed anzi per la prima volta la fanciulla l’aveva sentita decisamente più complice, ma poi, per tutti quei mesi successivi non aveva mai opposto alcuna obiezione al prosieguo del fidanzamento con sir Sten. Isabel ammise con immenso dolore, e una punta di risentimento, che a lei aveva sempre fatto credere di ritenere possibile un legame con il nobile spagnolo, ma poi, nei fatti, si era sempre adeguata alla volontà paterna e non vi si era mai opposta. La giovane sorrise, scuotendo la testa. Come aveva potuto pensare che la madre fosse seria in merito a quell’argomento? Come aveva potuto dare credito alle sue parole? Come aveva potuto farsi prendere in giro a quel modo senza mai accorgersene? Alla solita fitta di dolore, che l’accompagnava da mesi ogni volta che pensava a lei, si aggiunse una nuova sensazione di risentimento e di qualcos’altro che sembrava disprezzo. Si sentiva presa in giro, e dalla persona che aveva più amato….
“Sei uno stupido!!”
Una vocina infantile la distolse di botto da quei pensieri e dalle sue recriminazioni. Subito una seconda le rispose ed una accesa discussione cominciò. Isabel alzò gli occhi dal libro chiuso fra le sue mani e guardò in direzione del litigio.
“Sei solo un ragazzino pestifero!!” Urlò Olaf a Sven, il più piccolo dei maschietti. Pochi istanti dopo gli assestò un ceffone e lo fece cadere a terra.
Isabel non ci pensò un istante. Per quanto sapesse di non essere un elemento gradito, si alzò dalla panchina e corse verso di loro. Con un’occhiata sufficientemente adirata fermò il maggiore dei figli di sir Sten e si diresse verso il piccolo che, ancora a terra, non sapeva che fare.
“Coraggio, Sven, rialziamoci.” Lo incoraggiò Isabel, chinandosi accanto a lui e sorridendo. Con dolcezza lo prese per un braccio e l’aiutò a rialzarsi, poi gli scosse dai vestiti polvere ed erba.
“So far da solo!!” Protestò quasi subito il bambino, immusonendosi e lanciando una veloce occhiata al fratello, come a chiederne la muta approvazione. L’immediato sorriso di Olaf le fece capire che aveva visto giusto. Infastidita da quell’atteggiamento, scosse la testa, con uno sguardo che lasciava intendere quanto quel giochino cominciasse ad innervosirla. Fiutando una possibile adiratura Olaf, finalmente, perse il sorrisetto beffardo che aveva da un po’ e piantò gli occhi a terra.
“Allora, vediamo come stai, signorino..” Disse Isabel, prendendo per un braccio Sven e controllandolo per bene. Persa la carica data dal fratello maggiore, il bambino si calmò e stette fermo e buono. La Principessa gli pulì gli abiti e lo rimise in sesto. Pochi istanti dopo, però dal naso del piccolo cominciò a colare del sangue. Immediatamente Isabel prese il proprio fazzoletto e lo tenne fermo sulla narice.
“Svelto, Olaf, corri a chiamare lady Thorston. Dille di venire immediatamente.” Ordinò con un piglio talmente sconosciuto che il ragazzino la guardò stupefatto. “Lascia perdere. Andiamo noi da lei..” Cambiò idea, prima che lui potesse risponderle. In un istante prese in braccio Sven e corse verso il palazzo, seguita a ruota da Olaf, che qualche istante dopo aveva preso a correre dietro di lei.
Non appena la vide, sir Johann Mellberg, capo dei valletti in servizio a palazzo, le venne subito incontro.
“Vi prego, chiamate lady Thorston, ditele di raggiungermi nei miei appartamenti..” Chiese Isabel, correndo verso le proprie stanze e non attendendo nemmeno la sua risposta.
Una volta in camera, posò a terra il bambino, ordinandogli di tenere fermo il fazzoletto contro il naso e sorridendogli per tranquillizzarlo. Poi corse a prendere una piccola scatola dove teneva le sue cose mediche. Da lì prese un unguento, ne spalmò un po’ su un piccolo pezzetto di lino e poi sorridendo si avvicinò a Sven.
“Ora ti spiego tutto..” Lo rassicurò, vedendo la sua espressione spaventata. “Questo unguento serve per aiutare il tuo naso a guarire più in fretta. E questo piccolissimo telo servirà ad assorbire il tuo sangue, in modo che non coli dal tuo naso e non ti sporchi tutto. Che te ne pare, Sven?” Il bambino annuì cautamente, preparandosi così per la piccola medicazione. Isabel annuì a sua volta e preparò il pezzo di lino. Aveva appena terminato che sir Mellberg comparve nella stanza.
“Dov’è lady Thorston?” Chiese subito lei, infastidita per quel mancato arrivo e fiutando qualcosa di strano.
“Altezza, la vostra governante è stata congedata..” Cominciò a spiegare l’uomo.
Immediatamente Isabel si tirò su in piedi, furente. Dopo avergli affidato il bambino, corse fuori dalla stanza diretta verso lo studio del marito.
“Altezza.. ditemi..” Cominciò sir Nilsson. Ma Isabel era talmente furibonda che nemmeno si accorse che aveva parlato. “Altezza, vi prego..” Implorò toccandole il braccio.
“Fatemi passare immediatamente..” Sibilò lei.
“Devo annunciarvi, madama. Sono obbligato..” Spiegò lui. Nonostante la rabbia che provava, Isabel scoppiò quasi a ridergli in faccia.
“E chi vi obbliga, di grazia?” Chiese, quasi divertita.
“La tradizione, Altezza.. da secoli nelle case dei nobili..” Cominciò a spiegare il segretario, senza nemmeno rendersi conto di essere quasi ridicolo agli occhi di lei.
“Non dite idiozie, signore!!!” Rispose Isabel, ridendo. Il povero segretario la guardò a dir poco sbigottito, e lei ne approfittò per passare oltre. “State tranquillo, non sconvolgerò la vostra tradizione ancora per molto..” Aggiunse, abbassando la maniglia e aprendo la porta dello studio. Ancora divertita dalla baruffa con sir Nilsson, non si rese subito conto di quel che trovò nella stanza. Poi però, percepì di nuovo quell’odore temendo di lavanda e renna. Ma stavolta il suo naso non fu l’unico ad essere colpito.
Prima uno e poi un altro, anche altri due sensi vennero colpiti e misero quasi del tutto a fuoco la scena che le si presentò di lì a poco.
Le orecchie furono le prime ad udire respiri e sospiri del tutto particolari e ben poco adatti allo studio che sir Sten impiegava di solito per lavorare ed incontrare personalità politiche e partner commerciali. Insospettita da quei rumori, Isabel avanzò verso le vetrate, davanti alle quali era sistemata l’enorme scrivania e la pesante sedia su cui solitamente suo marito sedeva per lavorare. Sulla sinistra, la porta della piccola stanza usata da sir Sten per gli incontri informali, era semi aperta. Era strano, dal momento che essa veniva usata quando erano presenti amici stretti o parenti, e non era quello il caso.
Al sospetto si aggiunse la perplessità sulla novità, e così Isabel si avvicinò, aprendo ancora un poco la porta, senza far rumore. Quello che vide per un attimo la gelò, poi il sangue le andò alla testa.
Seduto comodamente su una poltrona, la testa leggermente reclinata all’indietro, gli occhi chiusi ed un’espressione di beatitudine sul volto, sir Sten nemmeno si accorse del suo arrivo. Una donna era china su di lui e lo stava, per così dire, omaggiando. Nemmeno lei si rese conto della sua presenza.
Nella stanza non si sentiva nulla se non i sospiri ed i gemiti di soddisfazione di suo marito.
Per Isabel non ci fu bisogno di ulteriori inviti. In due passi raggiunse la donna, la afferrò per i capelli e la tirò via. Quella cacciò un urlo e fece per girarsi, per vedere cosa mai fosse successo. Troppo sorpresa dalla presenza di Isabel, pur essendo più alta di lei, non osò dire o fare alcunché
“Puttana che non sei altra!!” Le gridò la Principessa facendola finire in terra e assestandole un ceffone così forte che la mano le bruciò pochi istanti dopo.
Solo a quel punto, sir Sten parve svegliarsi dal suo sonno beato. Vistosi scoperto, si affrettò a tirarsi su i calzoni e a ricomporsi, almeno un po’. Isabel lo guardò con occhi di fuoco e disgustati assieme.
“Maiale schifoso!!” Gli gridò con voce strozzata. La donna, vedendo che la cosa stava finendo male, fece per alzarsi e prendere la porta, ma Isabel fu più lesta di lei. Dapprima la afferrò per il vestito, poi per i capelli, quindi, nonostante fosse più mingherlina di lei, la girò e le assestò un secondo ceffone, più forte del primo, quindi un terzo e poi un quarto.
“Cosa credevi di fare, sgualdrina!!” Prese a gridare in inglese, ormai fuori di sé.
Terrorizzata di fronte a quella reazione inaspettata, la donna alzò le mani in segno di resa, ma la Principessa aveva appena cominciato. Di nuovo la afferrò per il vestito e poi la trascinò fuori dalla stanza, quindi fuori dallo studio. Nell’anticamera si era radunata una piccola folla, che da lì aveva sentito le grida ed i rumori dei ceffoni.
Come in preda ad un demonio, Isabel si diresse verso la prima vetrata aperta, con le mani strette attorno al vestito della sconosciuta, ormai in preda al terrore più cieco, quindi la scaraventò letteralmente fuori, sulla ghiaia del giardino.
“Giuro che se vi vedo di nuovo qui, vi ammazzo!!!” Le sussurrò, china su di lei. Poi, con la più assoluta calma, passò tra due ali di folla letteralmente sbigottita, per dirigersi verso i suoi appartamenti, ben decisa a lasciare quel posto.

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Capitolo 28
*** Losing my religion ***


A Queen's Daughter - Losing my religion

Parigi/Milano/Stretto della Manica/Londra, Estate/Autunno 1531 – Losing my religion

 

“Dio Santo!!!”
Avvertita da un valletto e chiamata in tutta fretta, Maria rimase sgomenta di fronte alla scena che le si presentò davanti. Disteso a terra, di fronte a lei, stava sir Sten, in una pozza di sangue. La giubba in velluto color crema e verde scuro era intrisa di sangue all’altezza dell’addome, e il nobile svedese era bianco come un panno di lino. A distanza di pochi metri, sua sorella giaceva a terra, con un’ampia ferita all’altezza del sopracciglio sinistro, un occhio e lo zigomo tumefatti e la bocca gonfia. Sembrava fosse stata pestata a sangue da una banda di delinquenti.
“Vi prego, aiutatemi a portarla via di qui..” Mormorò Joàn, guardandola con occhi  colmi di lacrime e imploranti aiuto
“Certo. Aspettatemi qui!!” Rispose la Principessa inglese dopo un attimo di sorpresa. In fretta uscì dalla stanza, per poi farvi ritorno con il Delfino e due sconosciuti.
“Portate la Principessa negli appartamenti di mia moglie..” Ordinò Francesco. “Io farò in modo di prepararvi la via del ritorno, grazie a questi due amici. Se fra un paio di giorni la Principessa sarà in grado di affrontare il viaggio, partirete per dove vorrete.”
Joàn annuì in silenzio. Prese in braccio Isabel poi, scortato da Maria e una delle sue dame, la portò dove Francesco aveva detto.
“E di lui che ne facciamo, Altezza?” Chiese uno dei due uomini.
“Me ne occupo io. Dite a Morissot di sellare il mio cavallo e preparare la scorta.” Ordinò il Delfino ad uno dei due. “Voi, avvolgete il corpo di questo bastardo e portatelo in una delle stanze che sapete. Mettete un uomo di guardia, e accertatevi che nessuno si faccia scappare una parola prima che io parli con mio padre..”

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“Come vi permettete di giudicarmi!! Siete solo una cagna fredda!”
La mano di sir Sten si chiuse intorno al polso di Isabel, stringendolo con forza. Lei lo fissò, per la prima volta davvero spaventata che alla veemenza del suo linguaggio potesse fare seguito anche la violenza fisica. Da quasi due mesi erano in giro per l’Europa, in una sorta di giro alla ricerca di nuove alleanze per conto del Re svedese, Gustavo I Vasa. Dopo quattro settimane presso la corte fiamminga di Carlo V, al momento erano da tre in Italia, alla corte di Milano. Il momento scelto per l’arrivo in Italia era stato particolarmente fortunato, poiché proprio in quelle settimane nel ducato erano in visita diverse personalità politiche, italiane e straniere. Tappa successiva sarebbe stata la Francia, dove il nobile svedese aveva deciso di recarsi, tanto per allacciare rapporti con Francesco I per conto del proprio Re, quanto per avviare una serie di rapporti commerciali a favore della sua famiglia. Sir Sten, tuttavia, aveva fatto in modo di aggiungere ai compiti ufficiali e familiari, anche delle personali distrazioni. Fin quasi dal loro primo giorno nei Paesi Bassi, infatti, il nobile svedese si era spesso intrattenuto con diverse dame di corte, divenendo sempre più sfacciato e meno discreto nelle sue frequentazioni. Isabel, dapprima aveva cercato di fare buon viso a cattivo gioco, sperando che la sua ultima sfuriata in terra svedese gli fosse servita da lezione; con il passare dei giorni però, aveva visto la discrezione di suo marito assottigliarsi sempre più, e dalle cortesie galanti egli era passato al fare i propri comodi praticamente alla luce del sole. Non c’era banchetto in cui, spesso in presenza della moglie, il nobile svedese non amoreggiasse o ballasse con diverse dame, tenendole sovente sulle ginocchia e rivolgendosi a loro con termini che solitamente erano riservati ad altre situazioni. Perfino in una corte vivace come quella fiamminga, che ricordava ancora gli exploit di Filippo il Bello, quel comportamento fu scandaloso e tutti compiansero Isabel, che mantenne per l’intero soggiorno lì un contegno totale, limitandosi in pubblico a far finta di nulla, ed in privato a ignorare sovranamente il consorte.
In Italia le cose non cambiarono quasi per nulla, né ci fu un miglioramento, anzi. La fase discreta di sir Sten durò meno che nella precedente permanenza e creò fin da subito pettegolezzi e malignità. Con la presenza dei vari ambasciatori stranieri, poi, queste notizie fecero il giro delle corti europee in brevissimo tempo, arrivando fin alle orecchie di Enrico, e aggiungendosi così alle altre notizie che già il sovrano aveva in merito.
Anche in Italia quando sir Sten perse i freni inibitori e cominciò ad essere sulla bocca di tutti, Isabel cercò di mantenere la compostezza e l’aplomb che sua madre le aveva insegnato, e dimostrato con il proprio esempio.
Quel giorno, durante il pranzo, tuttavia, sir Sten esagerò. Come suo solito ormai, aveva cominciato ad amoreggiare con due dame presenti nella corte sforzesca, arrivando quasi a baciarle sulle labbra. Appesantito dal cibo e totalmente ubriaco a causa dei molti vini bevuti, andò ben oltre, arrivando a accarezzare una di esse, insinuando una mano sotto le sue gonne.
A quel punto, sotto gli occhi sbigottiti dei presenti, Isabel si alzò da tavola e, seguita a ruota da lady Thorston, che era riuscita a richiamare dopo la sfuriata dei mesi precedenti, lasciò la sala e il pranzo, senza una sola parola, sentendosi profondamente sdegnata, oltraggiata ed umiliata.
Suo marito l’aveva raggiunta pochi istanti dopo e, dopo aver congedato brutalmente lady Joan, aveva cominciato a litigare con lei. Alle parole feroci di lui, che le ingiungeva in buona sostanza di far buon viso a cattivo gioco, rimarcava il proprio ruolo di padrone di se stesso e delle proprie azioni e le ricordava che, come moglie, lei aveva l’unico diritto di tacere, erano seguite quelle di lei, non meno taglienti e furenti. Incattivita da mesi di incomprensioni e dalle sue personali illusioni su cosa avrebbe potuto diventare il loro matrimonio, Isabel aveva pronunciato parole di fuoco, accusando il marito di infedeltà e paventando, per la prima volta in quei sei mesi, l’idea di rivolgersi a suo padre. Ovviamente non era affatto sicura che Enrico sarebbe intervenuto, quanto poi ad essere un modello di fedeltà, suo padre rischiava di peggiorare la situazione più che contribuire a migliorarla; tuttavia sperava che fare il suo nome potesse far recedere sir Sten almeno dai comportamenti smaccatamente irrispettosi ed oltraggiosi verso di lei. Ed invece lui non solo non aveva ammesso le proprie colpe e promesso un comportamento se non altro più discreto, ma l’aveva aggredita a parole e, così pareva, anche nei fatti.
“Come vi permettete ho detto!!” Riprese a gridare sir Sten, stringendo il suo polso ancora di più. “Voi siete mia moglie e farete bene a obbedirmi, a fare buon viso a cattivo gioco e sorridere quando vi sarà richiesto! Sono io che comando, voi dovete solo eseguire!!”
“Io sono una persona adulta. Sono stata abituata ad obbedire solo a mio padre ed a mia madre. Non sono un pupazzo nelle vostre mani, signore.” Ribatté Isabel decisa, provando a liberare il braccio, e ritrovando il piglio che nei minuti precedenti sembrava essere sparito, fagocitato dalla paura di suo marito ed i suoi modi.
“Voi farete quello che vi dico io!!” Gridò sir Sten alzando l’altra mano sulla moglie. Istintivamente Isabel chiuse gli occhi e sollevò il braccio per proteggersi il viso. Il colpo di cui era certa, però, non arrivò. Dopo qualche istante sentì la mano di suo marito allentare la stretta sul polso e poi lasciarlo del tutto. Isabel aprì così gli occhi, giusto in tempo per vedere quelli iniettati di sangue di sir Sten.
“Badate bene a ciò che vi ho detto, signora.” Sibilò furente, con un ultimo guizzo imperioso di voce. Isabel non osò rispondere e pochi minuti dopo lui uscì dalla stanza.

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Farewell, vain world! I'm going home! My Savior smiles and bids me come, and I don't care to stay here long! Sweet angels beckon me away, to sing God's praise in endless day, and I don't care to stay here long!

Isabel chiuse gli occhi e respirò profondamente, stringendosi nel suo mantello e calandosi sul viso il cappuccio fin quasi a non vedere nulla.
Era in viaggio da tre giorni, e quella era la prima volta che si avventurava fuori dalla cabina. La zona intorno all’occhio tumefatto non aveva smesso un solo istante di farle male, nonostante le dosi sempre più forti di laudano. In realtà era tutto il viso a farle male, alternando momenti di dolore intenso e forsennato, ad altri in cui sentiva più un fastidio, o piuttosto una decisa pressione. Sir Sten le aveva colpito con forza e metodo il viso, e lei sarebbe di sicuro morta se qualcuno non fosse arrivato in suo soccorso. Respirò di nuovo profondamente, ringraziando il Cielo di essere viva.
Dietro di lei c’era un gruppo di persone che cantava sommessamente. Isabel l’aveva notato quando era salita sul ponte, ed ora si fece più attenta alle parole del canto. Sembrava un inno, o un cantico. Riuscì a distinguerne qualche parola qua e là, ma non lo riconobbe. Si chiese se era stata fuori dall’Inghilterra a sufficienza da dimenticare i canti delle Messe o gli Inni delle preghiere. La melodia era bellissima e le parole coinvolgenti e così adatte al proprio stato d’animo, che si ritrovò dopo qualche istante a canticchiarla a bocca chiusa.

Farewell, vain world! I'm going home! My Savior smiles and bids me come, and I don't care to stay here long! Sweet angels beckon me away, to sing God's praise in endless day, and I don't care to stay here long!

“Non dovreste stare qui, Altezza..”
Alle sue spalle comparve sir Joàn Fernandez e la sua voce la fece istintivamente sorridere. L’accento spagnolo si era notevolmente accentuato, ed ora la leggera cadenza inglese, che ricordava nella sua voce, era sparita quasi completamente.
“Non avete perso il vizio di darmi ordini, Vostra Grazia..” Ribatté lei, voltandosi appena e sorridendogli. L’espressione di lui le fece morire il sorriso sulle labbra. Era visibilmente preoccupato, lo avrebbe visto anche un cieco.
Ma c’era qualcos’altro nei suoi occhi. “Joàn, che succede? Per piacere, non tenetemi all’oscuro.” Gli chiese, preoccupata a sua volta, voltandosi del tutto verso di lui e posandogli una mano sul polso.
“E’ in Inghilterra che stiamo andando, Vostra Altezza..”
Mormorò lui, in spagnolo. “Sarete più al sicuro..”
Isabel chiuse gli occhi e scosse un poco la testa, con un sospiro leggero. Poteva già vedere l’espressione a dir poco accigliata di suo padre, per non parlare di quella di sua madre.
Re Enrico avrebbe scosso la testa, sconfitto. Avrebbe lamentato per giorni la fine di quel matrimonio, e forse avrebbe anche urlato un po’, tentando di farla sentire in colpa.
Ma la Regina avrebbe scatenato il finimondo non appena l’avrebbe avuta di fronte, Isabel ne era più che certa. Poteva già immaginare il suo sguardo severo trapassarla da parte a parte, i suoi sospiri interminabili e le parole durissime che le sarebbero uscite di bocca. Qualora si fosse degnata di riceverla, l’avrebbe trattata con durezza e rigore, come sempre faceva quando era ‘una bambina disobbediente e capricciosa’, ma stavolta era sicura ci sarebbe stato dell’altro. Quasi sperava in un completo ostracismo e nell’indifferenza più totale.
Quando riaprì gli occhi, Joàn la stava guardando con una dolcezza ed una sollecitudine che la toccarono profondamente. Sembrava non essere passato nemmeno un giorno da quando si erano lasciati l’ultima volta. Isabel ne era ora più consapevole che mai: avrebbe dovuto sposare lui, e non quel borioso, stupido, incolto svedese che le aveva fatto passare le pene dell’Inferno.
“Non sono certa di essere al sicuro a Londra..” Mormorò in risposta, abbassando gli occhi. “Ma avete fatto bene, e vi ringrazio. Una volta che mi avrete riportata dalle Loro Maestà, sarete finalmente libero.”
Prima che Joàn potesse rispondere, si voltò di nuovo verso il mare.

I'm glad that I am born to die, from grief and woe my soul shall fly, and I don't care to stay here long! Bright angels shall convey me home, away to new Jerusalem, and I don't care to stay here long!

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Al loro arrivo a Parigi, Maria le corse incontro e la abbracciò senza dire una parola. Dopo una veloce occhiata, vagamente ostile, a sir Sten, la futura Regina di Francia si dedicò completamente alla sorella minore, lasciando a Francesco la ‘delizia’ di occuparsi di quell’imbecille.
“Quanto sei dimagrita!” Fu la prima cosa che Maria le disse. Isabel sorrise ed abbassò lo sguardo.
La sorella aveva ragione: non mangiava che pochi cibi della strana ed affumicata dieta svedese, e aver viaggiato molto di recente non aveva affatto aiutato. Nelle ultime sei settimane, infatti, soffriva di forti dolori allo stomaco, che la costringevano a volte a rimettere.
“La dieta svedese non è nelle mie corde, cara.. Mi manca quella di casa..” Rispose con un sorriso. Maria non disse nulla, limitandosi a guardarla in silenzio. Quanto somigliava alla Regina! Isabel fu costretta ad abbassare gli occhi, sentendo le ciglia umide.
“La smetti di dir bugie Isabel?” Sentenziò di nuovo, e lei non poté fare altro che continuare a tenere la bocca chiusa. “Come ti sei fatta quell’occhio nero?” Chiese all’improvviso, vedendo un’ombra tra il viola ed il nero poco sotto la palpebra inferiore sinistra di Isabel. Maria le andò di fronte e le alzò il viso, esaminandolo con attenzione. “Ora scrivo a nostro padre!!” Esclamò furente, e sorpresa dal silenzio della sorella. Non era mai stata così remissiva, nemmeno quando il suo legame con i loro genitori, soprattutto la madre, fu ai minimi storici. Non si capacitava davvero di come Isabel avesse potuto trasformarsi a quel modo.
“Ti prego, no.” Chiese quest’ultima. “Per piacere, Maria, non lo fare.”
La moglie del Delfino rimase in silenzio, a fissarla, in attesa di una spiegazione convincente.
“E’ stato solo un episodio..” Continuò.
“Uno di troppo, piccola!” Rispose con veemenza Maria, prendendola per le spalle e guardandola negli occhi.
Isabel non rispose, ma l’occhiata che lanciò a sua sorella diceva più di mille parole. In silenzio si inumidì le labbra, nervosamente, e poi si accarezzò la fronte. Si sentiva in trappola. Suo marito le aveva messo le mani addosso e più volte, negli ultimi giorni, le aveva rovesciato una caterva di parole minacciose e ben poco gentili che, in altre circostanze, l’avrebbero portata ad una minima reazione. E invece, un po’ per paura, un po’ per senso di colpa, un po’ per assuefazione, non aveva detto nulla. Non aveva fatto nulla. Non aveva opposto la pur minima resistenza ad un matrimonio che l’aveva prostrata fisicamente e moralmente.
“Hai ragione, Maria.” Ammise alla fine, alzando gli occhi su di lei. “Ma ormai, che si può fare? Io non ho il coraggio di tornare indietro… e poi… l’Inghilterra non può permettersi una cosa del genere..” Aggiunse, tirando fuori la scusa della politica, anche se sapeva che l’Unione di Kalmar era ben poca cosa a confronto del suo Paese e che l’Inghilterra avrebbe avuto bene poco da temere da uno scontro, di qualunque livello fosse. Tuttavia giocò quella carta per cercare di rabbonire la sorella e farla recedere dal proposito di scrivere ai genitori.
Forse comprendendo la stanchezza e la rassegnazione di Isabel, sorprendentemente Maria lasciò stare quel terreno e le sorrise.
“Che ne dici di visitare il palazzo? E poi ho una sorpresa per te..” La incoraggiò con voce vivace e coinvolgente, cambiando completamente argomento.
“Quale sarebbe questa sorpresa?” Chiese la sorella, improvvisamente incuriosita, ed abbozzando un sorriso. Maria non rispose, limitandosi a sorriderle di nuovo. Poi, con un braccio attorno alla vita di Isabel, la condusse verso l’uscita della stanza, quindi nei propri appartamenti. Una delle sue dame le si avvicinò e mormorò qualcosa all’orecchio. La moglie del Delfino sorrise, annuendo leggermente con il capo e poi fece accomodare la sorella minore nel salottino che usava per incontri informali.
“Posso farti portare qualcosa da bere? Un po’ di mead?, del vino?” Chiese.
“Maria, hai detto che dovevi farmi vedere una sorpresa..” Rispose Isabel, guardandosi intorno e poi tornando con gli occhi su di lei. “Mi stai facendo morire così..”
“Non sei cambiata per niente.. la pazienza continua a non essere davvero il tuo forte..” Ribatté fintamente offesa Maria. “Va bene, ti accontento subito..”
E così dicendo si avviò verso l’uscita, si affacciò leggermente sulla destra e tornò dentro con l’ultima persona che Isabel si aspettava di vedere lì.
“Sir Fernandez..” Mormorò sbigottita, mentre il nobile spagnolo, visibilmente emozionato, eseguiva un profondo ed impeccabile inchino.
“Vedo che non c’è bisogno di ulteriori presentazioni. Posso anche andare.” Rise Maria, notando l’evidente, emozionata alchimia tra i due ragazzi.
“Come state?”
Fu Isabel a parlare per prima dopo molti minuti di silenzio leggermente teso, in cui non fecero altro che guardarsi, emozionati e stupefatti.
A differenza di Isabel, che non sapeva della sorpresa e chi fosse coinvolto, Joàn sapeva bene che cosa Maria stava preparando. Da poco meno di due mesi a quella parte i due, infatti, avevano cominciato a scriversi con una certa frequenza.
La moglie del Delfino aveva contattato il nobile spagnolo non appena le lettere della sorella le erano parse strane, ricche di particolari riguardanti il nuovo Paese in cui viveva, ma totalmente ermetiche per quanto riguardava la sua salute, la sua vita, il suo legame con sir Sten. La maggiore delle due figlie di Re Enrico aveva trovato strano quel particolare; nonostante sapesse bene quando la sorella fosse discreta e riservata, aveva sinceramente creduto di poter ricevere lettere un po’ più dettagliate. Nel frattempo essa aveva discretamente indagato sui sentimenti di Joàn, venendo così a conoscenza di tutto quanto era successo dal duello con sir Sture, alla sua partenza dall’Inghilterra. Aprendo per la prima volta il proprio cuore, egli aveva confessato di essere ancora profondamente innamorato e di sentirsi legato alla giovane principessa inglese, pur sapendo che un qualunque
rapprochement fra loro era da considerarsi fuori questione. Tuttavia, quando la visita in Francia di Isabel e sir Sten era divenuta ufficiale, Maria aveva invitato Joàn. Era totalmente convinta che i due giovani potessero prima di tutto confortarsi e aiutarsi, ed inoltre non aveva del tutto abbandonato l’idea di poter fare in modo che un matrimonio tanto inutile come quello in cui la sorella si era infilata, poteva e doveva essere interrotto. L’aver visto il volto contuso di lei, le confermò la bontà del proprio agire e quando una delle dame le annunciò l’arrivo di Joàn a palazzo, ne fu più che soddisfatta.
Le parole di Isabel rimasero senza risposta. Joàn le stava davanti, ma era incapace di muoversi, di dire una sola parola, di fare qualsiasi cosa tranne che guardarla intensamente. Fermo e rigido, quasi fosse sull’attenti, gli occhi lucidi e fissi su di lei, l’unica testimonianza della sua emozione erano dei leggeri rossetti sulle guance. Isabel provò a sorridergli, per cercare di spezzare quella tensione, che profumava di emozione, ma che rischiava di far sprecare loro il presumibile pochissimo tempo a loro disposizione. Dato che lui non rispose al sorriso, si risolse a parlare per prima, ripetendo la domanda che gli aveva fatto pochi istanti prima.
“Come state?” Fece per chiedere, ma a quel punto lui si mosse. In un istante le prese entrambe le mani, se le portò alle labbra e poi al petto.

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“Altezza, forse è meglio fermarci!!” La voce di Joàn coprì il rumore assordante dei tuoni ed arrivò fino a lei. Isabel scosse la testa  ed agitò una mano, facendogli capire che era meglio proseguire.
In sella da non meno di sei ore, totalmente intirizziti e fradici di pioggia e fango, stavano avanzando verso Londra. Nonostante i due mantelli indossati, Isabel letteralmente gelava di freddo, ma non si sarebbe fermata, per nessun motivo. Voleva arrivare a destinazione entro sera, a qualsiasi costo. Joàn le aveva più volte proposto un viaggio più confortevole, magari in carrozza, e con almeno una tappa di un paio d’ore per riposarsi, ma lei aveva rifiutato decisamente.
“Mi fermerò solo se crollerò a terra!!” Aveva gridato a voce altissima, scuotendo il capo e girandosi verso di lui; con quel grido aveva quasi sfidato il vento contrario che sembrava volerle ricacciare in gola quella volontà. Joàn l’aveva guardata un po’ incerto.
Durante la traversata in mare l’umore della Principessa non era mai stato nemmeno lontanamente sereno. Al silenzio non aveva alternato che pochissimi monosillabi, e solo quando ce n’era stata strettissima necessità. Dopo le botte prese, il viso le si era gonfiato enormemente e le zone tumefatte erano passate dal blu al nero/viola in pochissime ore; a nulla erano valse le infinte passate di unguento lenitivo o le dosi di laudano, che l’avevano fatta dormire praticamente per l’intero viaggio. Isabel non si era mai lamentata per i forti dolori se non quando effettivamente sollecitata, non aveva gridato terrorizzata quando aveva capito di non poter vedere da un occhio, non si era mai chiesta se il suo viso sarebbe mai tornato normale. Da una parte Joàn aveva sospirato di sollievo nel vederla così calma, ma dall’altra parte tremava al pensiero che quella fosse rassegnazione e passività. Ma poi era arrivata quella frase, gridata con forza da Isabel, e lui si era un po’ rassicurato. Non aveva capito quasi nulla di quanto aveva detto, ma il piglio mostrato era inequivocabile. Certo, le loro condizioni di viaggio non erano per nulla rassicuranti, tutt’altro, ma almeno Isabel sembrava essersi un po’ ripresa psicologicamente.
Era ormai notte quando giunsero a Londra. Nonostante la pioggia insistente, la città era come sempre un via vai continuo di persone a piedi, a cavallo e in carrozza. Isabel sollevò il cappuccio calato sugli occhi e sorrise un poco. Si sentiva un po’ più al sicuro ora. Quasi senza accorgersene rallentò l’andatura del cavallo, e contemplò le case, le strade, il veloce andirivieni, gli odori e i colori che aveva quasi dimenticato. L’accento londinese tornò a solleticarle le orecchie, mescolato alle cadenze appartenenti alle diverse classi sociali.
“Altezza, state bene?” Chiese Joàn, affiancandosi a lei e temendo che la momentanea sosta fosse dovuta a motivi più gravi.
“Sì, sì, Joàn.” Rispose lei, destandosi non appena sentì la sua voce. “Andiamo, coraggio.”
Prima che lui potesse replicare, Isabel partì nuovamente al galoppo, diretta a Greenwich. Sperava che i genitori non fossero in qualche altro palazzo della città, o addirittura fuori da essa, e che non dovessero girare ancora. Ora che il viaggio stava finalmente terminando non vedeva l’ora di scendere da cavallo e fermarsi a riposare. Verosimilmente invece, suo padre l’avrebbe chiamata nel proprio studio ed avrebbe dato il via ad un interminabile sermone, con il risultato che sarebbero passate ore prima di potersi coricare e dormire. Se poi a suo padre si fosse aggiunta anche sua madre, la cosa sarebbe durata all’infinito. Isabel scosse la testa. Era ben decisa a rimandare le questioni familiari all’indomani e si ripromise di essere ben decisa e ferma con i suoi. Le questioni riguardanti il matrimonio avrebbero atteso una notte. Non sarebbe crollato il mondo. Mentre lavorava su se stessa, cercando di convincersi a mostrare fermezza, giunsero a palazzo.
Per evitare l’entrata principale, e quindi tutto il traffico di cortigiani e personalità in quel momento presenti, Joàn si diresse verso un’entrata secondaria e più riservata.
Appena smontarono, due palafrenieri li raggiunsero e presero in consegna i cavalli, portandoli così in direzione delle stalle.
“State bene?” Chiese subito Joàn, avvicinandosi a lei. Isabel sorrise ed annuì leggermente. Soddisfatto per la risposta ricevuta, il nobile spagnolo allargò il braccio e sfiorò la schiena di lei, come per sostenerla, poi si voltò e si diresse verso l’entrata del palazzo.
Non appena furono dentro, Isabel si calò il cappuccio ancora più sugli occhi. Non voleva che alcuno la vedesse e non voleva che i sovrani fossero avvertiti bruscamente da qualche dama o valletto spaventati.
Al vedere sir Fernandez, i cortigiani e i vari ospiti presenti a palazzo, nonostante l’ora ormai tarda, rimasero a dir poco sbigottiti; quindi gli lanciarono occhiate vagamente ostili, e la maggior parte di essi si rifiutò di salutarlo convenientemente, scostandosi addirittura al suo passaggio, o voltandogli palesemente le spalle. Avvicinandosi ancor di più a Isabel, e cingendole la vita come per proteggerla, il nobile spagnolo mostrò quanto poco avesse cura di quel tipo di accoglienza e quanto il suo scopo fosse quello di scortare a Londra la Principessa, facendo in modo che arrivasse sana e salva.
“Tutto bene?” Mormorò in spagnolo, quando arrivarono nella zona degli appartamenti reali. Isabel si fermò per un attimo e poi annuì.
La testa aveva cominciato a farle malissimo e per un attimo aveva pensato di chiedere a Joàn di sostenerla, perché non riusciva a camminare senza un minimo sostegno. Con una mano provò a massaggiarsi la fronte, per cercare di rilassarsi un po’, ma non le fu possibile sfiorarsi senza aumentare considerevolmente il dolore che provava. Allora abbassò il viso, perché le sembrava che quella posizione le desse un minimo conforto, ed assieme al suo angelo custode continuò ad avanzare. Quando alzò un po’ lo sguardo riconobbe i corridoi che portavano alle stanze materne.
Inaspettatamente sentì girar la testa, e un dolore tremendo al collo, alle braccia, alle gambe la fece gemere sommessamente. Completamente preso dal suo compito di scorta, Joàn non sembrò sentirla e continuò ad avanzare per qualche passo.
“Joàn!!” Chiamò, angosciata da quella situazione nuova ed inaspettata, proprio mentre lui, accortosi di stare avanzando da ‘solo’, si voltava per vedere dove fosse rimasta. In un attimo le fu davanti, proprio un attimo prima che Isabel, reclinata la testa all’indietro si afflosciasse fra le sue braccia come un sacco vuoto.
Dopo averla sollevata agilmente fra le braccia, si voltò nuovamente in direzione delle stanze della Regina. Grande fu la sua sorpresa quando si rese conto che, a quindici metri di distanza, Caterina e lady Willoughby avevano assistito sbigottite all’intera scena.

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“Altezza..”
Isabel scosse la testa di fronte al paggio che reggeva nelle mani un enorme vassoio ricolmo di ogni tipo di cacciagione. Quello passò oltre seguito da un collega che posò sul tavolo un pasticcio di verdure, formaggio e carne. La principessa inglese sorrise anche a questo e prese una piccola porzione di cibo, sotto gli occhi discretamente vigili di Maria, che era seduta alla sua sinistra, tre posti più in là.
Da che Joàn era arrivato, due settimane prima, Isabel aveva ripreso un po’ di colore e i sorrisi si erano fatti meno rari e meno tirati. Era evidente quanto lui contribuisse a farla stare bene.
Quando venne a conoscenza della presenza del nobile spagnolo a corte, sir Sten protestò, non poco, con Francesco, ma il Delfino dimostrò molta sagacia ed una notevole dose di calma, rintuzzando i suoi attacchi e facendogli capire che la presenza di sir Fernandez era gradita a suo padre, oltre che a lui stesso. Stando così le cose, il marito di Isabel aveva dovuto compiere una veloce marcia indietro e far buon viso a cattivo gioco. Per tutto il soggiorno francese, quindi, l’aveva ignorato, risolvendosi a salutarlo solo quando strettamente necessario, e nel modo più freddo che poteva.
Ora il ‘bastardo spagnolo’, come lo chiamava non solo in privato, era a distanza di sicurezza da sua moglie e, soprattutto da lui, per cui si dedicò completamente al pranzo. Una delle dame si avvicinò al suo calice e gli versò una dose generosa di vino, chinandosi tanto da fargli vedere quel che la sua scollatura ancora copriva. Isabel chiuse gli occhi e si preparò alla inevitabile scenetta che sarebbe di lì a poco seguita. Immediatamente, infatti, sir Sten le sorrise e si passò diverse volte la lingua sulle labbra, con voluttà. La dama arrossì e si tirò su, ma non mancò di rispondere al sorriso di lui. Pochi istanti dopo il nobile svedese si alzò dal tavolo e non vi fece più ritorno.
“Pensate di degnarci della vostra presenza?, o…”
Improvvisamente Isabel aprì la porta, giusto in tempo per trovare suo marito intento a rivestirsi, in tutta calma. Disgustata lo fissò, in attesa che lui si voltasse verso la porta e si accorgesse della sua presenza. Quando lo fece, non si curò nemmeno di mostrarsi dispiaciuto o almeno contrito, ma anzi le sorrise soddisfatto, come se le avesse dimostrato ancora una volta che lui poteva fare il proprio comodo senza renderle conto di nulla.
“Allora, signora, vi piace quello che avete immaginato?, o siete gelosa?” Chiese, canzonandola. Isabel lo guardò, ma non gli rispose nulla. Il disgusto che provava era totale e quella fu la spinta per dire basta, in modo definitivo.
“Tra qualche giorno tornerò in Inghilterra..” Gli disse guardandolo e poi voltandosi per andarsene via. In un attimo sir Sten le fu dietro, la prese per un braccio e la girò verso di sé.
“Voi siete mia moglie. La fine di questo matrimonio non è in discussione, né ora né mai, signora.” Le rispose, asciutto.
“Lo vedremo.” Lo sfidò Isabel, guardandolo in modo beffardo. “Mio padre mi ha comunicato che mi attende a braccia aperte..” Mentì, per forzare un po’ la cosa e smarcarsi da quella situazione, che stava cominciando ad infastidirla seriamente. Per tutta risposta sir Sten le rise in faccia.
“Vostro padre non vi vuole…” La zittì. “Mi ha scritto centinaia di lettere dicendomi che è ben felice che voi siate lontana dall’Inghilterra. Lontana da Londra non potete recare loro scandalo ed i vostri vaneggi di donna malata non li sente nessuno..”
Le parole di sir Sture erano una menzogna, ma Isabel conosceva suo padre e sapeva che non avrebbe avuto alcun problema a dire di lei una cosa del genere. Per Maria non avrebbe usato quelle parole, ma per lei sì, eccome.
“Mi fate schifo..” Rispose lei, incattivita e frustrata da una situazione che non aveva sbocco alcuno.
“Può essere..” Rispose lui bonario, avvicinandosi a lei e sorridendo beffardo. “Ma sono l’unico marito che avrete in questa vita signora..”
“Un marito che non sa fare il suo dovere..” Ribatté Isabel, con una cattiveria che non aveva da mesi. “Dite un po’, lo sanno le vostre sgualdrine che non siete capace? Oppure fate loro credere di essere abile?”
Lo schiaffo che le arrivò pochi istanti dopo, le aprì il labbro inferiore e le colpì la parte bassa del naso. Il sangue fiottò immediatamente fuori dalla sua bocca e le colò lungo il mento. La giovane si pulì con una mano e poi guardò, furente, suo marito. Un istante dopo, senza dire nulla, tirò fuori un pugnale e tentò di colpirlo, sfiorandolo all’addome.
La reazione di sir Sten arrivò, fulminea. Con un pugno colpì l’occhio sinistro di Isabel, che crollò a terra in ginocchio, lasciando cadere a terra l’arma. Suo marito si abbassò un poco e, senza nemmeno preoccuparsi del pugnale, la colpì sull’altra guancia con un ceffone, un secondo, quindi un terzo, fino a che lei non crollò a terra. Stordita com’era, non riuscì nemmeno a proteggersi il viso.
Quasi fosse un indemoniato, sir Sten si chinò su di lei, le sollevò il tronco, afferrando con una mano il vestito e poi cominciò a colpirla con schiaffi e pugni sul viso, sul capo, ovunque potesse farle male. Non si curava del sangue che cominciò a zampillare dall’arcata sopraccigliare aperta, dallo zigomo ferito, dal naso e dalle labbra, e nemmeno dei gemiti sempre più sommessi e rauchi di Isabel. Non si curava neppure dei graffi sempre più profondi che gli si aprivano sulla mano. Il suo scopo era farle capire chi comandasse fra i due, e cosa le sarebbe successo se avesse tentato di colpirlo ancora una volta, o di alzare la cresta con lui.
Era ancora impegnato a darle una lezione, quando qualcosa lo colpì sulla testa. Frastornato, scosse il capo, e un istante dopo alzò di nuovo il braccio su Isabel, pronto a continuare a picchiarla, quando gli arrivò una seconda botta, più forte della prima. Allora sì che fu costretto a mollare la moglie, che batté prima la schiena e poi la testa, con un colpo sordo sul pavimento.
Senza curarsi minimamente di lei, si voltò per vedere chi osasse colpirlo. Al vedere il giovane ‘bastardo spagnolo’, sorrise soddisfatto. Ora poteva chiudere i conti anche con lui. Senza dire una parola si alzò, pronto alla battaglia, ma prima ancora che potesse avvicinarsi a lui, Joàn in due passi gli fu davanti e mosse il braccio.
Sir Sten sentì un freddo improvviso e poi come un liquido che colava. Abbassò il viso giusto in tempo per vedere il pugnale di Isabel conficcato nel proprio stomaco.

Joàn gli fu di nuovo davanti e, inaspettatamente, lo serrò in un abbraccio da cui non gli fu possibile sciogliersi. Posando la mano sull’elsa dell’arma, il nobile spagnolo l’affondò ancora nello stomaco dello svedese, fino a che questi non stramazzò a terra, esanime.

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Capitolo 29
*** Real Danger ***


A Queen's Daughter - Real Danger

Londra, Autunno 1531 – Real danger

 

“Joàn!! Aiutatemi, vi supplico..”
Isabel non fece nemmeno in tempo ad afferrar la giubba di velluto del giovane che svenne, afflosciandosi come un sacco vuoto. Il nobiluomo spagnolo la prese immediatamente fra le braccia.

Zuppo di pioggia e sporco di terra e fango, non meno che Isabel
, nemmeno si curò della traccia che entrambi avevano lasciato da che avevano messo piede a palazzo. L’unica cosa che gli premeva in quel momento era arrivare agli appartamenti della Regina. Isabel doveva esser immediatamente asciugata e messa a letto.
Non aveva nemmeno ripreso a camminare che, a meno di venti passi, scorse due figure femminili. Erano la Regina e lady Willoughby.
Il giovane accennò un leggero cenno del capo, ma poi pensò unicamente alla Principessa e riprese a camminare a passo più svelto che poté.
Caterina sembrò avere la stessa idea, perché, afferrò i lembi della veste da camera e corse verso di loro.
Per un attimo, essa sembrò voler prendere Isabel dalle braccia di Joàn e portarla lei stessa nelle proprie stanze, invece restò pietrificata ad osservare il volto devastato della figlia. Ci vollero diversi istanti perché si riprendesse del tutto, ma quando avvenne, prese tra le mani il viso gelido e tumefatto di Isabel, lo esaminò con estrema attenzione, quindi aprì il doppio mantello in cui era avvolta. Subito da esso grondò a terra una miscela pesante e molle di acqua, ghiaccio e fango, che sporcò ulteriormente gli stivali di Joàn e le pantofole da notte di Caterina. La Sovrana non sembrò farci nemmeno caso, tutt’attenta come era a tastare le mani e il polso della figlia.
“Il mio medico, e quello del Re!!, immediatamente.” Ordinò ad una dama poco dietro di lei, che sparì all’istante. Un valletto si avvicinò senza nemmeno la necessità di un richiamo e prese Isabel dalle braccia di Joàn, quindi la Regina si voltò verso Maria de Salinas e le diede precise istruzioni su come trattare la figlia fino all’arrivo dei medici. Al pari dei due prima di lei, anche la dama spagnola sparì, e Caterina e Joàn restarono soli.
“Grazie, sir..” Disse unicamente la Regina.

“Maestà, la Principessa vostra figlia è arrivata.”
Fu sir More in persona ad entrare nello studio privato di Enrico, annunciandogli l’arrivo di Isabel. Il Sovrano, che stava esaminando alcune carte importanti, sollevò gli occhi dai fogli e poi si alzò di scatto.
“Perché nessuno mi ha avvertito? E dov’è ora? Come sta? Chi è con lei? Avete chiamato sir Linacre?” Chiese in rapida successione, slanciandosi poi verso la porta. Il Cancelliere lo raggiunse in due passi e lo fermò, cercando di farlo calmare.
“Enrico, calmatevi..” Gli disse, guardandolo in volto. “C’è la Regina con lei, ed entrambi i dottori delle Loro Maestà. Ora calmatevi, Enrico. Non vorrete entrare nella camera di vostra figlia in queste condizioni..”
Il Re restò in silenzio, ma annuì alle sensate parole del suo amico e Cancelliere. Oramai Thomas era preziosissimo, non solo come uomo di Stato, ma anche, e soprattutto, come amico. Raramente le sue posizioni non erano condivisibili, e ancora più raramente esse erano contrarie al bene del suo Paese.
“Come stava?” Chiese, dopo un po’ e dopo aver riacquistato un po’ di calma.
“Tutto considerato, bene.” Rispose sir More, dopo diversi istanti.
Non sapeva davvero cosa dire per preparare il Re a quel che avrebbe visto. Quando aveva intravvisto Isabel, deposta sul letto, come padre si era sentito letteralmente strizzare le budella, e il suo cuore aveva dato un tuffo. Poi i suoi occhi si erano posati sul viso pallido e sgomento della Regina che attendeva il responso dei due medici, ed era corso via, incapace di sostenere quella situazione. Forse per la prima volta in vita sua, aveva provato una sensazione di rabbia cieca e di impotenza assieme. Isabel si era senza dubbio infilata in un matrimonio palesemente sbagliato, incoraggiata e sostenuta dai genitori, ma non era né la prima né sarebbe stata l’ultima Principessa a trovarsi in una situazione spiacevole e con un marito con cui non aveva nulla in comune. Quel che era accaduto, invece, era a dir poco assurdo, e nessuno dei tre, Isabel in primis, meritava un conto tanto salato da pagare, per quanto si fosse comportato con troppa leggerezza in una materia tanto delicata.
“Avranno finito i medici?” Chiese Enrico, mettendo da una parte i fogli che aveva ripreso in mano.
“Vale la pena di andare a vedere..” mormorò pensieroso sir Thomas, sperando che lo stato del viso della Principessa fosse peggiore delle sue condizioni reali, e che potesse rimettersi presto.

 

“Temo la Principessa abbia la febbre, Maestà. Tuttavia, siamo riusciti ad asciugarla del tutto e stiamo provvedendo a riscaldarla..”
Il dottor Griffith, assieme al dottor Linacre, andarono immediatamente incontro a Caterina che, dopo aver parlato con sir Fernandez, raggiunse i propri appartamenti, quindi Isabel. Quelle parole non le piacquero affatto, ma se non altro ora la sua creatura era in un ambiente caldo ed asciutto, circondata da persone che si sarebbero prese cura di lei.
“Per quanto riguarda i lividi, Maestà.” Mormorò il dottor Griffith a voce più bassa, e con evidente imbarazzo. Caterina tornò a guardarlo in attesa che parlasse. “Non sembrano esserci ossa rotte, ma sarà da valutare bene lo stato di vostra figlia quando si sveglierà e si riprenderà del tutto..” Spiegò, e fece capire che i colpi presi da Isabel erano stati duri e di una certa forza. La Sovrana annuì e poi si avvicinò al letto della figlia. Discretamente ed in silenzio le dame e i due medici uscirono dalla stanza, permettendo una certa privacy.
Caterina si sedette sul letto e guardò Isabel in un’altalena di sentimenti. Non la vedeva né sentiva da nove mesi, ed era visibilmente più magra. Zigomo ed orbita sinistri erano gonfi e lividi, e l’arcata sopraccigliare era stata suturata. Anche la bocca e il naso della fanciulla non avevano la loro naturale linea ed erano illividiti, ma di sicuro il freddo e le condizioni di disagio avevano accentuato notevolmente il tutto. Completava il quadro l’occhio destro, gonfio e, a differenza di quello sinistro, chiuso. La Regina non osò nemmeno toccarla per timore di svegliarla o farle male. Si limitò a prenderle la mano sinistra nella propria, accarezzandole le dita, lentamente. Era gelida e le dita erano rosse e leggermente gonfie. Con delicatezza se la posò in grembo, quindi cominciò ad accarezzarle piano il braccio, cercando di abituarsi allo stato del suo viso.
All’improvviso si udì un frastuono di passi e di voci concitate dall’anticamera antistante la porta. Caterina si girò appena in tempo per vedere suo marito entrare come una furia nella stanza.
“Oh, mio Dio!! No!! NO!! NOOO!!!” Eruppe il Sovrano, incapace di contenere il proprio terrore. Subito si slanciò verso il letto in cui la figlia riposava, e quasi certamente l’avrebbe presa fra le braccia, se Caterina non l’avesse fermato, abbracciandolo e tentando di calmarlo.
“Amore mio, calmatevi..” Mormorò, con dolcezza, sostenendolo nonostante fosse più minuta di lui. Il pianto del Re non si fece attendere ed esplose, inconsolabile. Abbracciato alla moglie, cadde in ginocchio, trascinando anche lei con sé.
Caterina lo strinse fra le braccia, quasi a proteggerlo da quella visione terrificante. Mentre Enrico piangeva calde lacrime, lei ripensò a tutte le volte che era stato cinico e freddo nei confronti di Isabel. Lui preferiva Maria, più obbediente e solerte nei suoi riguardi; tutta la corte lo sapeva, e perfino le due ragazze. Non si era mai nemmeno premurato di essere almeno discreto in questa sua preferenza. L’aver visto Isabel in quelle terribili condizioni, sembrava aver fatto nascere una sorta di amore paterno, tanto violento e immediato, quanto pericolosamente momentaneo. Caterina sapeva come andavano le ‘passioni’ del marito; quanto più erano accese ed esplosive, tanto più erano fugaci e momentanee.
“Dov’è Linacre?” Chiese Enrico, rompendo quel momento di vicinanza fra loro. Dopo aver sciolto l’abbraccio con la moglie, si tirò su in piedi e poi le porse la mano, aiutandola a ritrovare la posizione eretta.
“Penso sia fuori, Enrico..” Rispose lei, andando con lo sguardo su Isabel. “Restate qui con me, ve ne prego..” Chiese.
Il marito si voltò verso di lei e fece anche un paio di passi nella sua direzione, ma poi i suoi occhi si posarono sul viso devastato della figlia e si sentì tremare.
“No. Devo vedere Linacre..” Rispose all’improvviso, ed uscì.
Caterina sospirò, sconsolata. In realtà, non si aspettava che Enrico rimanesse, ma vederlo fuggire a quel modo le spiaceva molto. Sapeva che la sua speranza non aveva fondamento alcuno. Il Re temeva tutto ciò che aveva a che fare con le malattie, o con uno stato di salute non perfetto. Vedere Isabel in quelle condizioni non aveva aiutato per nulla, e non appena aveva ripreso il controllo di sé, egli era scappato.
A passi lenti tornò accanto al letto di Isabel e si sedette proprio mentre lei gemeva di dolore. Dopo un attimo aprì l’occhio sinistro, e la fissò.
Majestad..” Mormorò dolorosamente la fanciulla, guardandosi intorno e riconoscendo la camera da letto della  madre.
“Come ti senti, Isabel?” Mormorò Caterina, avvicinandosi e poi chinandosi ancora un po’ verso di lei. Era sorpresa, spaventata e tesa assieme. Isabel si era ripresa, certo, ma le sue condizioni erano tutt’altro che buone. Non badò nemmeno a sorriderle o a mostrarle la sua gioia nel vederla cosciente e in grado di parlare. Al momento le importava sapere come stesse e se potesse far qualcosa per lei.
“Perdonatemi..” Rispose Isabel, evitando la sua domanda. Con sorprendente energia, chiuse la mano che era posata in grembo a sua madre, sul ginocchio di lei, stringendolo leggermente. “Perdonatemi, per favore..” Ripeté con fatica, aumentando la stretta.
“Shht, Isabel, zitta..” Rispose la Regina, cercando di allentare la presa della mano e allo stesso tempo di calmarla. “Non ci pensare, ora, bambina..”
Isabel la fissò intensamente e riaprì la bocca per provare di nuovo a chiedere perdono. Caterina vide l’occhio aperto colmarsi di lacrime che presero a scendere lungo entrambe guance, rigando il viso della figlia.
“Perdonatemi, vi prego..” Tornò a chiedere la fanciulla, scossa dai singhiozzi.
Caterina scosse la testa. Non stava bene che Isabel si agitasse a quel modo. Senza pensar di poter essere fraintesa e che la sua determinazione potesse essere scambiata per durezza, posò la propria sulla mano della figlia, sciogliendo la stretta che ancora esercitava.
“Basta, Isabel, devi calmarti e riposare..” Disse decisa, ma con una nota apprensiva nella voce. La figlia scosse la testa e riprese a stringere la gamba materna.
“Per favore… per favore..” Implorò

La Sovrana chiuse gli occhi, sconfitta dall’insistenza della figlia. Nel tentativo di farla calmare, si chinò su di lei e, più ferma che poté, cercò di rassicurarla.
“Certo che ti perdono, Isabel.” Mormorò, stringendole la mano e ricevendo una stretta  pari alla propria.
Le lacrime sul volto di Isabel, anziché arrestarsi, continuarono a scorrere senza tregua. La giovane Principessa prese allora la mano della mamma e se la portò alla bocca, baciandola ripetutamente. Caterina si abbassò ulteriormente su di lei, le prese i lati della mandibola, accarezzandoli, quindi chiuse le dita sul mento.
“Ora dormi. Devi riposare e riprenderti, Isabelita.” Mormorò, abbassando la mano della figlia e preparandola al sonno ristoratore. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia e tenerla stretta a sé, ma per via della febbre e del suo stato generale, non era davvero il caso di agitarla ulteriormente. Così, a malincuore, le impose con decisione il sonno. Ci sarebbe stato modo e tempo di stare vicine ancora una volta, di parlare, di spiegare le reciproche posizioni, ma mai come quella volta la Sovrana sentì forte il desiderio e l’urgenza di parlar con Isabel, di spiegarsi con lei, di dare e ricevere perdono.
“Beneditemi, Majestad.” Mormorò Isabel, fissando sua madre. “Vi prego, mia signora..”
A quella richiesta la Sovrana pensò di non riuscire a mantenere il contegno che fin lì si era imposta, riuscendoci perfettamente. Chiuse gli occhi e deglutì, col pollice destro fece un piccolo segno di croce sulla pelle calda e poi posò la mano sul volto della figlia ribelle, che, finalmente soddisfatta, chiuse gli occhi senza dire nulla.

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“Dottor Griffith, diteci..”
La mattina seguente, il medico personale di Caterina visitò Isabel assieme a quello di Enrico. Passarono quasi un’ora dalla Principessa, ad esaminare, valutare e tracciare il quadro delle sue condizioni, prima di uscire e raggiungere i Sovrani, in attesa. I due si scambiarono un’occhiata, quindi il dottor Griffith parlò.
“Vostre Maestà, la Principessa è in condizioni serie. Ha la febbre alta, i suoi polmoni sono congestionati, verosimilmente a causa del freddo e della pioggia. In una persona in buona salute una cavalcata, pur con un tempo inclemente, non arrecherebbe danno alcuno, ma vostra figlia è magra, debole e.. bè, diciamo non in perfetta salute..” Spiegò guardando la Sovrana, e facendole capire che la questione era decisamente seria. “Per ora le daremo del laudano e faremo in modo di abbassare la temperatura. Speriamo essa scenda in tempi brevi..”
“Voglio entrare da lei.. vi prego, fatemi passare, dottor Griffith.” Disse risoluta Caterina. Ciò che aveva sentito era stato così tremendo che non voleva perdere un minuto di più fuori dalla stanza in cui Isabel era stesa. Subito il medico le lasciò il passaggio, a differenza di sir Linacre, il medico di Enrico, che rimase fermo davanti alla porta.
“Maestà, io credo che voi dobbiate restare fuori e lasciare noi medici dentro con vostra figlia.” Azzardò a dire, pur in tono deferente e gentile. Caterina lo fulminò con lo sguardo e fece per proseguire oltre, senza nemmeno darsi la pena di rispondergli. “Maestà, vi prego..” Insisté ancora. “Lasciate fare a noi..” Consigliò avvicinando una mano al braccio della Regina, come se volesse fermarne il cammino. Caterina gli lanciò un’occhiata severa.
“State parlando di mia figlia, signore.” Sibilò. “Non azzardatevi a fermarmi..” E detto questo, passò oltre, andando verso la stanza.
Non appena la videro, le dame intorno al letto di Isabel la riverirono, e si allontanarono, lasciandole lo spazio per avvicinarsi.
Incosciente ed inerte, Isabel era distesa sul letto, un lenzuolo di lino ed una coperta leggera le arrivavano fino al petto. Caterina si sedette accanto a lei e le prese la mano, portandola alle labbra.


“Maestà..”
Charles Brandon gli toccò la spalla, e il Sovrano sussultò, spaventato. Per provare a non pensare alla figlia e riprendersi un pochino, dopo le notizie ricevute, si era diretto nella parte di giardino su cui si affacciava il suo studio. Qui passeggiò per ore, nel tentativo di togliersi dalla mente il viso di Isabel.
Quando la moglie era entrata nella sua stanza, l’aveva intravisto, e la voragine che dal  giorno prima gli si era aperta nel cuore e nello stomaco, si era addirittura spalancata. Il volto della Principessa gli era apparso quasi una maschera nera e viola. Non c’era nulla di umano e di riconoscibile. Nemmeno il respiro, solitamente calmo e regolare, che ora era quasi un rantolo affannato e faticoso. Incapace di gestire quell’immenso dolore che gli era piombato tutto in una volta, era corso a nascondersi lì. Ogni ora si rinnovava quello strazio tremendo, ogni momento che vedeva i volti dei consiglieri, dei cortigiani, dei servi, delle dame di Caterina, di chiunque fosse a palazzo in quei giorno. I loro occhi lo compativano e avevano pietà di lui, della moglie e del loro dolore. In fondo non erano che due genitori, accomunati a tanti altri che avevano, o avevano avuto, un figlio ammalato o sofferente.
“Io non sapevo che fosse così..” Mormorò, prendendosi la testa fra le mani. Chiuse gli occhi, strizzandoli. Non c’era nulla che potesse farlo stare meglio, nemmeno pensare che Isabel fino a quel momento gli aveva dato più grattacapi che gioie, e che tutto quanto era successo era stato un suo tragico errore di valutazione.
Aveva evidentemente pensato che quell’imbecille di svedese potesse essere il marito giusto e se l’era sposato di colpo, nonostante le perplessità che lui le aveva mostrato, e il fatto che la Regina avesse scatenato l’inferno ed avesse litigato furiosamente con lei. Ma in realtà Enrico biasimava se stesso. Per mesi interi Caterina non aveva fatto quasi altro che mettergli sotto il naso le continue deficienze di sir Sture, la sua mancanza di classe e di stile, il fatto che nemmeno riuscisse a comunicare con Isabel. Pensando che lei esagerasse e che volesse, come sempre, mettere becco in tutte le faccende che riguardavano le figlie, e specialmente Isabel, non aveva fatto altro che negare, prendendo le parti del nobile svedese, finendo per litigare con la Sovrana, fino a imporle la sua volontà. Quando la figlia aveva annunciato la sua volontà di sposare quell’uomo assurdo, lui non aveva fatto altro che opporre una minima resistenza. Ora il risultato di quell’atto coraggioso stava disteso sul letto della moglie, incosciente. Dio sapeva se si sarebbe mai ripresa, e quale sarebbe stata l’eredità di quel pestaggio.
Senza pensarci mollò un cazzotto all’albero che aveva di fronte. Il dolore fu intenso, e la pelle fra le nocche di indice e medio si scalfì. Prima che Brandon, che gli stava dietro di cinque metri, potesse fermarlo, allungò il braccio e colpì di nuovo l’albero, una seconda, poi una terza, quindi una quarta volta. La pelle della mano si aprì e cominciò a sanguinare in modo copioso. Temendo che si facesse male sul serio, il duca di Suffolk gli si accostò, alzando il braccio per fermarlo.
“Enrico..” Lo chiamò l’amico; dopo un ultimo pugno, le mani a pugno posate sul tronco della pianta e la testa china, il Re crollò in ginocchio, gridando tutto il suo dolore e la sua angoscia.

 

“Maestà, dovreste mangiare..”  Maria de Salinas si avvicinò alla Sovrana e le toccò con delicatezza la spalla.
“Non ho fame, Maria..” Rispose Caterina, dandole appena un’occhiata.
L’amica scosse la testa e con un rapido cenno della mano, mandò via Grace Isabel, che era entrata ed era pronta a portare il pranzo alla Sovrana.
“Mia signora, non va bene così..” Azzardò la dama spagnola. “Finirete per indebolirvi sul serio e ammalarvi. Quando vostra figlia si riprenderà avrà bisogno di voi, e dovrete essere in perfetta salute.” La esortò, posando una mano sulla sua spalla, e sperando che la Regina staccasse gli occhi da Isabel e le desse retta.
“Vi prego di uscire, lady Willoughby..” La voce della Sovrana fu poco più che un sussurro, ma la sua dama prediletta la sentì fin troppo bene. “Lasciatemi sola!!” Aggiunse con uno scatto di impazienza che, pur leggero, non era da lei, sempre così calma e pacata. Maria de Salinas si affrettò ad obbedire in silenzio e, dopo averla riverita, uscì da lì.
“Non vuole mangiare?” Chiese Grace, al vedere la dama. Lady Willoughby scosse la testa sconsolata. “Ma non può!!” Eruppe.
“Miss Plummer, Sua Maestà è stata fin troppo chiara.” La stoppò la nobildonna spagnola. Grace non rispose nulla, ma chinò in capo. Per quasi quattro ore restò in attesa che la Regina emergesse da quella sorta di limbo in cui era precipitata, ma non accadde nulla. Così, disobbedendo all’ordine che le era stato impartito e disattendendo la volontà della stessa Caterina, si diresse verso le cucine, fece preparare un pasto veloce ma nutriente, e lo portò nella stanza dove era distesa Isabel.
Quando vide la Sovrana inginocchiata accanto al letto della figlia, quasi totalmente china su di essa e completamente presa dalla sua creatura, la giovane dama ebbe per un attimo dei seri dubbi sulla validità del suo proposito e temette di mettersi in guai molto seri. La Regina era stata più che categorica nell’esprimere la propria volontà, e opporsi come stava facendo lei poteva essere assai pericoloso.
“Cosa desiderate, miss Plummer?” Chiese all’improvviso Caterina. Grace, che stava ormai uscendo, si fermò, quasi paralizzata. Non aveva ‘scampo’, né altra scelta che voltarsi verso di lei e portare avanti l’idea che aveva pensato.
“Maestà, ecco io..” Biascicò, la gola secca per il terrore di fare altri danni. Al solo vedere il vassoio con il piatto, lo sguardo della Sovrana si incupì inesorabilmente.
“Ho detto che non avrei mangiato!!” Sibilò furente, mentre Grace riprendeva a mormorare qualcosa. “Vedo che non vi siete presa la briga di ascoltare, miss Plummer!!” La giovane dama impallidì e abbassò lo sguardo. Era in un mare di guai, lo sapeva benissimo. Non solo non osò rispondere, ma nemmeno provò ad alzare lo sguardo su di lei. “Andatevene via!” La scudisciò infine.
“Maestà, io ho sbagliato, e me ne prenderò le conseguenze. E’ giusto e sono pronta. Ma, vi prego, non trascuratevi. Fatelo per vostra figlia.” Era ormai sulla porta, quando si voltò e provò un ultimo appello a Caterina. Per alcuni minuti, la Sovrana stette in totale silenzio, poi si volto verso Grace.
“Se non voglio crollare sarà il caso che mangi, almeno un po’..” Commentò. Senza farselo ripetere due volte, la ragazza corse verso di lei e posò il vassoio su un tavolino vicino al caminetto.
“Quando avete terminato, non esitate a chiamarmi..” Mormorò, chinandosi di fronte a lei e prendendo congedo.
“Lo farò, miss Plummer..” Rispose Caterina, ritrovando un certo piglio nella voce. “E non discuteremo solo del mio pranzo..” La avvertì, facendole capire che la sua iniziativa non le era per niente piaciuta, e che doveva attendersi una dura reprimenda.

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“Maestà, il dottor Griffith vorrebbe parlarvi..”
Impegnato a fare colazione, Enrico guardò prima la moglie seduta accanto a lui, e poi il valletto che era entrato nel suo salottino privato.
“Fatelo entrare, dunque..” Rispose il Sovrano, finendo di masticare un pezzo di frutta.
“Maestà.. mi scuso per l’improvvisata..” Salutò il medico personale della Regina, non appena entrò nella sala. I due sovrani risposero al saluto, e poi Caterina sorrise un poco, come a dire che non c’era alcun problema. “Son passati tre giorni da quando la Principessa è arrivata a palazzo e due da quando ha cominciato a stare male; la sua febbre non è mai scesa e siamo sinceramente preoccupati.” Cominciò a spiegare. Enrico, che aveva ripreso a mangiare, si fermò di colpo. Quelle notizie erano inaspettate e lo turbarono non poco. Non che ignorasse le condizioni di Isabel, ma pensava che il suo stato fosse dovuto in buona parte alle condizioni in cui aveva viaggiato ed era arrivata a Londra, oltre al pestaggio subito. Aveva pensato che i due medici potessero curarla e farla stare meglio in poche ore, ed invece… Mentre attendeva che il medico terminasse di spiegare, lanciò un’occhiata alla moglie. Nonostante il suo solito, incredibile, perfetto autocontrollo, Enrico poteva infatti vedere il suo labbro inferiore tremare appena, ed una leggera ombra di sudore bagnarle quello superiore. Con ostentata calma, le andò a fianco e le prese la mano. Lei gliela strinse immediatamente, e chiuse gli occhi. Era evidente quanto fosse terrorizzata e questo lo accese.
“Volete dire che non sapete fare il vostro mestiere, dottor Griffith?” Lo accusò, nemmeno troppo velatamente. Il medico deglutì un paio di volte, e tentò un sorriso.
“No, Maestà..” Disse, ritrovando la sua abituale compostezza. “Dico solo che io e il vostro medico non sappiamo cosa fare per far riprendere vostra figlia e che, forse, la nostra medicina non è all’altezza..” Ammise, con un leggero tremore nella voce. Col collega aveva deciso che sarebbe stato lui ad andare dai sovrani, a perorare una certa causa. Essendo il medico personale di Caterina, avrebbe avuto più facilmente la Regina dalla loro parte, ed era assolutamente vitale che lei si schierasse al loro fianco.
“Allora parlate, perdio!!!” Esplose il Re, lasciando la mano di Caterina, e facendo un passo verso il medico. “State lì a tergiversare!!, ad attendere!!”
“Enrico..” Mormorò la Regina, con voce appena percettibile, la mano posata su quella del marito, e stretta intorno al polso di lui, lo invitava alla moderazione ed alla calma.
Il Sovrano non rispose alla moglie, né diede altro segno, ma tacque, e il dottor Griffith poté così proseguire.
“Vorremmo che a prendersi cura della Principessa fosse Yousuf al bin Ismail, sire.” Disse deciso il medico. Enrico aggrottò leggermente le sopracciglia, ma non fiatò, dando così al proprio interlocutore la possibilità di proseguire. “E’ un medico davvero molto capace, da quando la sua scienza è al servizio di Vostra Maestà, lo spedale di Lambeth è diventato..”
“E’ cristiano?” Chiese Enrico, alzando all’improvviso la mano e fermando il prevedibile discorso che sarebbe continuato.
Il medico si zittì subito. Interdetto scambiò uno sguardo con la Regina, ma, anche lei, era rimasta spiazzata dalla domanda del marito.
“Maestà, ecco..” Replicò sir Griffith, in evidente imbarazzo. “E’ un uomo di scienza, valido e preparato; credetemi..”
“Allora, non se ne parla nemmeno.” Sentenziò il Sovrano, afferrando al volo l’antifona.
Sgomenta per le parole appena udite, la Regina si voltò verso il marito, che fissava, torvo in viso, il proprio ‘antagonista’.
“No, Enrico.. vi supplico, sire..” La Sovrana gli prese le mani, stringendole forte, e quasi inginocchiandosi di fronte a lui.
Re Enrico riuscì a liberare una mano e la sostenne prontamente,
“Vi scongiuro, Maestà, salvatela. Salvate la mia bambina..”
In silenzio la ascoltò, imbarazzato e sorpreso dalla sua reazione, così forte ed appassionata, ma così dolce e materna, proprio come era lei. Gli occhi blu della moglie divennero rossi in un attimo, ma lei riuscì a non cedere al pianto. Solo le sue mani si chiusero attorno a quella del marito, in una preghiera muta, ma implorante.
Il Re chiuse gli occhi, vinto. Yousuf al bin Ismail era un infedele, lui lo sapeva. Fino a che toccava i suoi sudditi, poveracci condannati e di cui non gli importava nulla, era un conto. Ma Isabel... per un attimo si vide di fronte al Diavolo. Per un solo istante vide gli occhi rossi e gialli del Maligno ghignare di soddisfazione, la bocca aperta in un sorriso orrendo e le mani pronte ad arraffare la sua creatura. Era terrorizzato, paralizzato dalla paura, ma sapeva fin troppo bene che l’alternativa era consegnarla nelle mani tremanti e, fino a quel momento, incapaci dei medici di corte. Al punto in cui era, avrebbe tentato di tutto, pur di salvare Isabel.
“E va bene..” Mormorò, sentendosi sconfitto. Immediatamente Caterina e il dottor Griffith sorrisero, sollevati. Il medico fece quasi per voltarsi a dare immediate disposizioni. Il tono perentorio della voce del Re lo fermò, facendolo restare col piede a mezz’aria, sia pure per pochi secondi. “Ma badate.. un solo passo falso, una purga o un salasso di troppo, e giuro che finirà a Tyburn, appeso, eviscerato, evirato e squartato come la più infame delle carogne!” La minaccia andò a segno, perché sia sir Reginald che Caterina persero il sorriso che ancora illuminava i loro volti. “Fate in modo che Yousuf al bin Ismail sappia, e non mancate di ripetergli ogni momento il mio ammonimento!!” Il dito ancora puntato verso il medico, Enrico quasi soffiò quelle parole, rosso in volto e con il respiro affannoso.
“Non dubitate, sire..” Rispose quello, pallido e leggermente colpito dalle parole del Re. Quella minaccia avrebbe colpito anche lui e sir Linacre, se qualcosa fosse andato storto, lo sapeva fin troppo bene. Tuttavia cercò di non pensarci e, dopo aver riverito i Sovrani, si affrettò a lasciare la piccola sala. Meno tempo perdeva, meglio sarebbe stato.

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“Lasciate, sir, faccio io..”
Caterina prese dalle mani di Yousuf una pezzuola imbibita di acqua, e la passò sulla fronte bollente di Isabel.
Da quando il medico arabo era entrato in scena ed aveva cominciato a prendersi cura della Principessa, quasi tre giorni, la situazione non era per niente migliorata, tutt’altro.
Le finestre della stanza dove la fanciulla era sistemata erano state aperte fin da subito, in modo che l’aria fredda delle giornate autunnali circolasse per gran parte della giornata, le bende umide che i due medici inglesi avevano sistemato sulla fronte e le braccia di Isabel, che venivano cambiate ogni otto ore, erano state quasi quadruplicate e venivano sostituite ogni quattro ore. Con somma sorpresa di sir Linacre, il medico musulmano aveva bandito salassi e purghe, e preferiva che due volte al giorno le fosse somministrato un po’ di vino, in modo che le desse forza. Tutti quei metodi, strani e ben poco ortodossi per gli inglesi, non avevano portato benefici e nelle ultime quarantotto ore il corpo della Principessa era quasi diventato una fornace. La parte superiore delle guance si era arrossata fin quasi a diventare paonazza, il volto, pur diventando sempre più scavato e sofferente, non si era sgonfiato, né i lividi si erano attenuati, cambiando colore. Da quando aveva chiuso gli occhi, dopo la benedizione della mamma, Isabel non s’era più svegliata e l’intero Paese era in uno stato di angoscia e trepidazione. Come loro consuetudine, i due sovrani vivevano anche questa situazione in modi diametralmente opposti.
Il Re alternava scatti d’ira pazzeschi ad altrettanto sorprendenti crisi in cui minacciava le lacrime. In quei tre giorni aveva tenuto una seduta del Consiglio al giorno, ma tutte erano state interrotte bruscamente, ora in un momento ora in un altro, non appena qualche valletto era entrato ad annunciare la situazione delle condizioni di Isabel. Charles Brandon l’aveva spesso trovato nei giardini più appartati di Greenwich, in ginocchio con la testa fra le mani, oppure intento a passeggiare fra un vialetto e l’altro, con i nervi a fior di pelle.

La Regina, invece, si era praticamente ritirata dalla vita pubblica, non aveva lasciato mai il capezzale della figlia, divenendo lei stessa assistente di Yousuf, che la aggiunse ai due che aveva già. La tenue speranza di saperla in mani capaci, speranza che l’aveva sostenuta per quasi due giorni, era tuttavia pian piano diminuita, fino a spegnersi quasi del tutto, di fronte al sempre più evidente peggioramento delle condizioni della fanciulla. Isabel non reagiva, non migliorava, non dava alcun cenno di ripresa e vederla immobile nel letto era tremendo. La Sovrana le parlava spesso, pregava a voce alta accanto a lei, o le raccontava di quando era piccola, ma nulla cambiava.
Gracias, Majestad..” Mormorò Yousuf. Caterina chiuse gli occhi per un attimo, cercando di dimenticare che l’ultima volta che aveva sentito parlare spagnolo era stato quando Isabel le aveva fatto capire che si era svegliata e che, almeno momentaneamente, si era ripresa. Con dolcezza, la Regina aveva preso il piccolo canovaccio in lino e l’aveva passato sul collo della figlia, nella zona delle clavicole, fino alle spalle, poi sulle braccia e le mani, fino a rinfrescarle la pelle bollente. Come al solito, Isabel non aveva reagito in alcun modo e per un attimo, un solo brevissimo istante, la Sovrana era stata quasi tentata di afferrarla per le spalle e provare a scuoterla. Era incredibilmente doloroso vederla così passiva e ferma; se pensava alla quotidiana energia e vivacità che metteva in ogni cosa che faceva, il confronto diveniva crudele e terribile.
“Amore mio, ti prego, torna da me..” Mormorò in spagnolo la Sovrana, chinandosi sulla figlia e parlandole amorevolmente.
Yousuf, che udì la sua voce, e ne intuì la carica emotiva, chiamò a sé gli assistenti ed uscì, lasciandola tranquilla e libera di parlare.
“Angelo mio, devi riprenderti.” La incoraggiò, prendendo la sua mano ed accarezzandola. “Devi farti coraggio e resistere, bambina mia adorata.. Mi senti, amore? Devi resistere..” Mormorò, accarezzandole un fianco e sentendo fortissimo l’impulso di prendere la figlia fra le braccia.
Così la trovò Enrico quando, pochi istanti dopo, fece capolino nella stanza.
Nell’avvicinarsi a lei, notò una cosa cui in tutti quegli anni non aveva mai badato: la parte terminale di una cicatrice che Isabel aveva sul braccio destro. Pochi secondi, e il Re ricordò perfettamente come si era ferita.
Era estate, Isabel aveva poco più di sei anni e Maria quasi undici. Di ritorno dalla Francia, dove lui e la moglie avevano incontrato i Sovrani francesi, e fidanzato Maria col Delfino, le due sorelline avevano preso ad aver litigi e discussioni a ripetizione; Enrico non ricordava quando tutto fosse iniziato, sapeva solo che questi scontri erano arbitrati da Caterina che, ora con la dolcezza, ora con la severità, cercava di far capire loro che dovevano e potevano confrontarsi e perfino litigare, ma senza che venisse mai meno il rispetto reciproco. Maria, pur essendo la maggiore, contava sul suo aiuto e sul suo sostegno, e lui era sempre pronto a scusarla ed a supportarla, sovente a scapito di Isabel; con una punta di rimorso il Re si rese conto che la maggiore delle sue figlie non esitava allora a tiranneggiare la sorella, spesso raccontando bugie sul reale svolgimento dei fatti. Quando quel che accadeva arrivava alle sue orecchie, a nulla servivano le intercessioni di Caterina a favore di Isabel; la piccola veniva invariabilmente punita, con carichi di studio supplementari, accompagnati da lunghi e solenni rimproveri.
Quella volta non faceva eccezione: Maria,preso alla sorella un libro, aveva cominciato a correre qua e là per il giardino, inseguita senza sosta da Isabel che, a sua volta, cercava di recuperare ciò che le apparteneva. Lady Salisbury e lady Thorston, governanti di Maria e di Isabel, rispettivamente, seguivano quell’ennesima lotta, e avevano più volte comandato loro di smettere, ma nessuna delle due aveva minimamente dato retta agli ammonimenti ricevuti. Maria continuava a correre, ed Isabel ad inseguire.
All’improvviso le voci erano cessate ed il momentaneo, apparente silenzio era stato squarciato dall’urlo di dolore e di terrore di Isabel.
Lady Joan non ci aveva pensato due volte ed era partita in soccorso della principessa a lei affidata; con orrore l’aveva trovata accanto ad un cespuglio, con un piccolo ramo infilato nel braccio. In un attimo si era accosciata e l’aveva presa in braccio, poi si era diretta verso il palazzo, seguita sia dalla governante di Maria che dalla bambina, la quale, alla vista della madre, non aveva osato nemmeno fiatare.
Quando il Re aveva raggiunto la moglie, tutto era finito.
“Come sta?” Aveva chiesto, avanzando a piccoli passi nella stanza. Era strano, si sentiva colpevole per la disobbedienza di Maria, come fosse stata la propria. Caterina gli aveva detto mille volte che viziarla oltremodo non avrebbe aiutato nessuna delle loro figlie, ma lui aveva regolarmente fatto spallucce. Ora temeva il suo rimprovero, almeno quanto da bambino temeva quelli di suo padre.
Ed invece, Caterina aveva alzato lo sguardo e rilassato il viso in una sorta di sorriso. Seduta in un’enorme sedia, teneva sulle ginocchia Isabel che, sfinita dalla paura, dalle lacrime e dal dolore, dormiva tranquilla. Il braccio della bambina, avvolto in un panno candido di lino, era coperto, in corrispondenza della ricucitura, di macchioline di sangue.
“Non pensi sia meglio stenderla?” Chiese ancora, ma contrariamente al suo solito, stavolta non c’era rimprovero né astio nella sua voce.
“Lo so, Enrico..” Rispose lei, posando le labbra sulla fronte della piccola e riprendendo a cullarla dolcemente. “Non riesco a lasciarla. Mi sembra un miracolo che quel ramo non sia finito in un occhio..”
Il Sovrano aveva annuito in silenzio e si era seduto accanto alla moglie, restando accanto a lei, per ore, in attesa che Isabel si svegliasse.
Mentre avanzava verso il letto di Isabel, titubante adesso come allora, non poté far a meno di ripensare a quella vicenda. Adesso come allora, Caterina era intenta a coccolare Isabel, standole accanto ogni momento libero della giornata, e riversando su di lei tutto l’affetto di cui si sentiva capace.

 

Dopo essersi segnato, l’ambasciatore Chapuys avanzò lungo la navata. L’odore di incenso era come sempre intenso, e l’unica luce era quella che proveniva dalle alte vetrate istoriate e dalle innumerevoli candele. Inginocchiato e con la fronte posata sulle braccia, un’unica figura abitava quel luogo solitario, ed era evidentemente in preghiera o in raccoglimento.
“Joàn..” Mormorò il legato, posando una mano sulla sua spalla. Come colto di soprassalto, egli alzò di scatto il capo e si voltò alla propria sinistra.
“Eccellenza.. ci sono novità?” Chiese preoccupato, alzandosi e spostandosi leggermente alla propria destra, in modo che l’ambasciatore potesse accomodarsi.
“No, nessuna novità..” Rispose Eustace Chapuys con un sospiro ormai rassegnato. “Il medico arabo sta facendo del proprio meglio, ma non ci sono miglioramenti..”
Joàn serrò la mascella e deglutì il groppo che, a quella notizia, sentì arrivare subito su.
“Cosa possiamo fare, Eccellenza?” Chiese di slancio. “Io mi metto al servizio della Regina, e se posso dare una mano lo faccio volentieri. Non ce la faccio più a stare qui, con le mani in mano..”
A quelle parole, il buon Chapuys posò una mano sul braccio del suo giovane protetto.
“Non spetta a noi, amico mio. Non spetta a noi.” Gli rispose calmo. Joàn guardò davanti a sé e poi chinò il capo, quasi sconfitto. “La Regina sa che le siamo fedeli e che può, qualora lo ritenga giusto ed opportuno, chiamarci, in qualunque momento.”
“Non è giusto, sapete?” Mormorò Joàn. Non voleva contraddirlo, o mettersi contro i due Sovrani, ma sentiva la pesantezza di quell’attesa. “Io vorrei davvero…”
“Mio giovane amico, Re Enrico, e soprattutto la Regina, vi sono incredibilmente grati per aver riportato la Principessa in Inghilterra. Dobbiamo aver pazienza, caro Joàn, e attendere che la Principessa si riprenda..” Riprese Chapuys, stringendo leggermente il suo braccio. Joàn rispose unicamente con un sospiro. Poi, annuì silenziosamente. “E non dimenticate che dovete tornare presso l’Imperatore, per concludere le trattative..”
A quelle parole Joàn ebbe un improvviso tremito e si adombrò.
“Vorrei non dover concludere proprio nulla..” Ammise, sconsolato.

 

“Farewell, vain world! I'm going home!”
Al sentire quel canto sommesso Caterina si guardò intorno, cercando di capire chi osasse fare una cosa del genere, in quella situazione poi. Grande fu la sua sorpresa quando si rese conto che era Isabel! Subito posò ciò che aveva in mano e raggiunse il letto.
“Amore, sei sveglia!”
Proruppe, sorridendo di sollievo. “Lady Joan, chiamate il medico, vi prego!!” Esclamò. Subito prese le mani di Isabel e le baciò, poi le accarezzò il viso.
“My Savior smiles.. I don't care to stay here long! Sweet angels beckon me away, I don't care to stay here long!”
Cantò sommessamente la fanciulla. Non guardò, né rispose a sua madre. La Regina la fissò, perplessa. C’era qualcosa di strano nel suo comportamento. Era come se non fosse presente a se stessa.
“Amore, guardami..” Le disse, cominciando a sentirsi ansiosa. Con delicatezza prese per il mento il viso di Isabel e tentò di girarlo in modo che la guardasse per bene. “Isabelita, sono io..” Mormorò in spagnolo. “Sono la tua mamma, angelo mio..”
Ma Isabel non rispondeva. Il viso era girato verso di lei, gli occhi della figlia erano nei suoi, ma non la guardavano. Isabel sembrava non rendersi nemmeno conto di averla di fronte. Tutto quel che faceva era ripetere quel canto in modo ossessivo. In attesa di Yousuf, tese le orecchie e cercò di afferrare se non le parole, almeno il concetto che esprimeva. Uno degli assistenti del medico arabo si avvicinò al letto, ma Caterina lo fulminò con lo sguardo.
“Non vi azzardate..” Sibilò con un tono tale che quello si piantò come un palo, non osando nemmeno risponderle. “Mi cielo, sono qui.. sono qui accanto a te, mi preciosa hija..”
Con dolcezza, ma anche con decisione, Caterina riprese a cercare un contatto visivo con Isabel. Non capiva che cosa le stesse succedendo e cosa potesse fare per modificare la situazione.
“Lei non mi vuole..” Mormorò la fanciulla. “Lei non mi vuole..”
A quelle parole la Sovrana si bloccò. A chi si stava riferendo Isabel? Di chi stava parlando?
“Amore mio, di chi parli?” Le chiese prendendole le braccia e facendo in modo che lei la guardasse. Per tutta risposta, Isabel agitò il braccio, tentando di scioglierlo dalla presa materna.
In quella entrò Yousuf; non gli bastarono che pochi secondi per capire che la Principessa era preda di uno strano delirio. In un istante le tastò la fronte con la mano, e poi il collo; quindi guardò Caterina perché la lasciasse. La Sovrana obbedì prontamente e lui poté prenderla in braccio. La fanciulla si agitò un paio di volte, ma la presa del medico era forte e salda, e non la lasciò andare.
“Non mi vuole!!! La spagnola mi ha venduta!!” Riprese a gridare Isabel mentre Yousuf attraversava la vetrata ed il giardino. La Regina, che era dietro di loro, si paralizzò.
Le parole di Isabel erano dettate evidentemente dalla febbre e dal delirio, ma forse proprio per questo più genuine, meno artefatte. Il suo dolore era così radicato da farle gridare una cosa tanto infamante; tutti in Inghilterra sapevano quanto Caterina adorasse entrambe le sue figlie, e tutti sapevano che per Isabel avesse una predilezione del tutto speciale.
Paralizzata dalle parole della figlia, che ancora si agitava e faceva sentire la propria voce disperata, Caterina la guardò mentre Yousuf la immergeva per diversi lunghi minuti in un cumulo di neve. All’improvviso la fanciulla tacque, il volto pallido; cominciò a tremare visibilmente, le labbra divennero leggermente blu e gli occhi minacciarono di chiudersi. Come un fulmine lady Joan passò accanto alla Regina, la superò e si diresse verso Yousuf ed Isabel. Non appena il medico sollevò di nuovo fra le braccia la fanciulla, la dama cercò di avvolgerla in una coperta, poi i due sfrecciarono davanti e di fianco a Caterina, diretti nuovamente verso il palazzo.
“Che cosa pensavate di fare? Ditemi, signore, cosa diavolo pensavate di fare con mia figlia?” Enrico non attese nemmeno che Yousuf e lady Joan rimettessero a letto Isabel, che subito lo aggredì. Il medico terminò quel che stava facendo e poi alzò il viso sul Sovrano, puntandogli addosso i suoi occhi nerissimi.
“Salvarle la vita, sire.” Rispose semplicemente.


 

Tre ore dopo un urlo straziante svegliò di soprassalto Yousuf al bin Ismail. Si era appisolato per poco meno di mezz’ora, vinto dalla terza notte consecutiva praticamente in bianco, dalla fortissima tensione accumulata in quei giorni ed infine anche dal recente diverbio con il Sovrano, a proposito dei suoi ‘metodi curativi’. In fretta balzò in piedi dalla poltrona su cui si era seduto e corse a perdifiato in direzione di quella voce.
“Dio, no!! Oh, mio Dio NO!!!” A mano a mano che correva, il medico arabo sentiva sempre più forte quella voce straziata. “Amore mio, svegliati!! Svegliati, angelo mio!! Parlami!!!”
Quando spalancò la porta della stanza dove Isabel dormiva, trovò la Regina che, seduta sul letto e mani strette sulle sue spalle, scuoteva con foga la figlia. La testa della fanciulla era del tutto reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e sul viso era diffuso un pallore mortale.
Isabel era morta.
“Svegliati, amore! Svegliati, ti prego; svegliati amore mio..” Continuava a gridare Caterina. “Non mi lasciare, angelo! Non mi lasciare, non mi lasciare…”

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