Shadows di Lady_Macbeth (/viewuser.php?uid=84364)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Fissando il giardino fuori dalla finestra i pensieri di Meredith
correvano indietro nel tempo, tornavano su cose che avrebbe dovuto
dimenticare, e invece erano ancora lì e lei sapeva benissimo
che niente e nessuno le avrebbe mai cancellate, perché erano
indelebili come marchi a fuoco nella sua anima. La mattinata era
serena, quasi da film e lei era in ansia per quello che l'attendeva
anche se in fondo sapeva già come sarebbe andata a finire.
Ma non si sarebbe arresa per niente al mondo, lei otteneva sempre
quello che voleva, per alcune cose si trattava solo di faticare un po'
di più ma ci sarebbe riuscita. Ne era assolutamente convinta.
-Hey tesoro, vieni a fare colazione?
La voce di Megan la riportò sulla terra. -Arrivo, arrivo.-
rispose distrattamente senza muoversi.
-Guarda che si fredda...- insistette Megan.
-E va bene mamma vengo!!- disse Meredith sorridendo a quell'adorabile
rompiscatole che era la sua coinquilina, nonché migliore
amica. Anzi praticamente una sorella. Meredith aveva ventuno anni
compiuti da poco, ma se glielo chiedevano rispondeva che ne aveva
ventidue, perché odiava sembrare una ragazzina. Eppure lo
era, ma di quelle più in gamba che si possano immaginare, un
piccolo prodigio in realtà, visto che alla sua
età era già laureata in psicologia criminale,
aveva un' ottima conoscenza delle leggi e del sistema giudiziario, ed
era una bomba coi numeri: per lei la matematica era naturale come
respirare. A prima vista non sembrava una tipa tanto intelligente:
lunghi capelli biondi, alta centosettantacinque centimetri circa, occhi
azzurri che erano come scolpiti nel ghiaccio, due gambe che non
finivano mai, il seno piccolo, ma sodo e ben fatto. Sembrava uscita da
una sfilata per come appariva, ma non per il suo modo di vestire:
cercava sempre di non dare nell' occhio, jeans e magliette poco vistose
erano il suo abbigliamento abituale, perché era consapevole
del suo aspetto e non voleva apparire bella: preferiva che le dicessero
che era in gamba. Anche così però, si faticava a
non notarla, forse perché emanava quella certa aura di
femminilità che solo le donne dell' est hanno, e che
affascina anche senza essere appariscente. E in effetti un po' donna
dell' est lo era: il padre era americano, ma sua mamma era russa, e lei
sembrava la sua fotocopia.
Scese in cucina saltellando a piedi scalzi, lo faceva sempre, era una
cosa che ad Oliver dava sui nervi, infatti la rimproverò
subito brandendo il coltello con cui stava tagliando il pane per
tostarlo. -La pianti di fare la cavalletta salterina, piccola pazza che
non sei altro?-
-Perché sennò che fai, mi affetti e mi infili nel
tostapane?- rispose Meredith con un sorrisetto canzonatore e
accattivante allo stesso tempo, rubandogli una fetta di pane. Se c'era
una cosa che Oliver non riusciva a fare era rimanere arrabbiato con
Meredith, non sapeva proprio resisterle, infatti scoppiò a
ridere scuotendo la testa come a dire “con te non
c'è niente da fare”. Oliver era l'altro
coinquilino di Meredith e Megan, un ragazzo alto dai lunghi capelli
neri e il naso un po' pronunciato, non particolarmente bello ma
tremendamente simpatico, un vero e proprio clown a volte.
-Su su bambini non litigate e facciamo colazione.- disse Megan ridendo.
Anche Megan era una giovane donna, un po' più bassa di
Meredith, con lunghi capelli castani e un sorriso che abbagliava, occhi
scuri da cerbiatta e un piccolo neo sul mento. Lei, Oliver e Meredith
avevano tutti più o meno la stessa età, ed erano
praticamente cresciuti insieme, come tre fratelli. Si erano decisi ad
affittare un appartamento da dividere quando Meredith aveva finito gli
studi, perché altrimenti avrebbero dovuto separarsi, dato
che Oliver e Megan studiavano ancora legge all'università.
-Io scappo è tardi…- fece Meredith all'
improvviso infilandosi in bocca un'altra fetta di pane tostato mentre
tentava di mettere la giacca
-Di già?- disse Megan mentre la aiutava.
-Sì sì devo proprio andare, quando torno vi
racconto tutto…- dette un bacio sulla guancia a Megan e una
pacca sulla testa a Oliver e uscì di casa.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Gideon era chiuso nel suo ufficio immerso nei suoi pensieri, davanti a
lui le foto di tutte le persone che era riuscito a salvare gli
sorridevano e lo confortavano, si appoggiò allo schienale
della poltrona con le mani dietro la nuca e si lasciò andare
in un lungo sospiro.
-Jason abbiamo un piccolo problema puoi venire un attimo nel mio
ufficio?-
Hotch era entrato senza bussare, come sempre quando c'era qualcosa di
importante.
-Arrivo, di che si tratta?- fece Gideon alzandosi e seguendo il collega.
-Ora ti spiego.- aprì la porta e Jason proruppe in un Oh no,
non è possibile!! appena vide chi c'era all'interno.
Meredith Nelson stava seduta davanti alla scrivania di Hotch, e appena
questi entrò insieme a Gideon fece ridendo -Oh salve Gideon
anche io sono felice di vederti!-
-Meredith cosa ci fai qui?- Gideon sembrava parecchio seccato
-Come se tu non lo sapessi caro il mio professore.-
-Mi pare che ne abbiamo già parlato e ti ho già
detto che non è possibile…-
-Ne abbiamo parlato?- fece Meredith sempre ridendo -tu hai parlato e mi
hai liquidata senza nemmeno darmi una piccola possibilità.-
Hotch a questo punto si intromise -Ehm ehm, possiamo sederci e parlare
con calma per favore?-
-Ma io sono già seduta e sono calmissima.- fece Meredith con
un sorrisetto
Hotch la fulminò con un' occhiataccia.
-Allora…- riprese -Jason la signorina Nelson qui.-
-Dottoressa Nelson, grazie…- interruppe Meredith, lanciando
una nuova occhiata di traverso, Hotch riprese: -La dottoressa Nelson,
sostiene di conoscerti e ha avanzato la richiesta di entrare a far
parte di questa unità.-
Aveva decisamente l'aria di uno per niente convinto di quello che
diceva.
-Si io e Meredith ci conosciamo, perché lei è
stata una mia allieva- fece Gideon -e per quanto riguarda la sua
richiesta, la mia risposta era e rimane no.-
-Ma perché, è questo che non capisco, ti pare che
io non abbia i requisiti?- proruppe Meredith
-No non è affatto una questione di requisiti, forse quando
sarai un po' più grande...-
Aveva appena pronunciato una delle frasi che mandavano in bestia
Meredith.
-Quando sarò un po' più grande?-
sbottò -e che mi dici del Dottor Reid, è giovane
anche lui ma lavora lo stesso con voi.-
-Il Dottor Reid è un altra cosa che non c'entra proprio
niente con te, e comunque non ti devo spiegazioni su di lui.-
-No ma me le devi su di me…- fece Meredith sempre
più arrabbiata, - mi stai dicendo che mi reputi meno in
gamba di lui?-
-No ti reputo solo più giovane, meno matura e non ancora
pronta per questo lavoro-
-E questo da cosa lo deduci? Non mi hai neanche mai fatto provare!-
-Ti conosco e conosco il tuo passato, la conversazione per quanto mi
riguarda è finita, Hotch per favore accompagna Meredith alla
porta.-
-So benissimo dov'è la porta- fece lei andandosene
arrabbiata come non mai.
Hotch squadrò Gideon con un' occhiata eloquente
-Tutti così strani i tuoi allievi?-
-Già…- rispose Gideon pensieroso
-Jason, io non voglio darti contro ma quella ragazza è in
gamba, ho esaminato il suo fascicolo, è un elemento che
farebbe comodo alla squadra…-
-Lo so anche io.- rispose Gideon, -ma non è questo il punto.-
E tornò a immergersi nei suoi pensieri dirigendosi verso il
suo ufficio.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Meredith camminava furiosa per il corridoio, dirigendosi verso
l'uscita. Ribolliva di rabbia.
“Accidenti...” pensò “quell'
uomo è più testardo di un mulo, ma se crede che
mi arrenda così ha decisamente sbagliato persona!”
Camminava così furibonda, tanto da non guardare dove metteva
i piedi, e intanto continuava a meditare.
“Io
ho tutte le carte in regola per entrare a far parte di questa
unità, lo
so io e lo sa anche lui, perciò in un modo o nell'
altro…”
Andò a
sbattere contro qualcosa. No non era un qualcosa, ma un qualcuno: si
voltò di scatto pronta a divorare chiunque le stesse
ostacolando il
cammino, ma si fermò appena vide chi era:
-Spencer Reid!!- esclamò con un sorriso, - non posso
crederci, accidenti scusami stavo camminando senza guardare...-
Reid
si fermò un attimo perplesso, poi ebbe un' illuminazione:
-Oh Meredith,
ciao... no, no... è colpa mia scusami tu, neanche io stavo
guardando...-
Si era ingarbugliato come al solito.
-Beh, ciao eh stammi bene!- lo salutò Meredith sorridendogli
e riprendendo a camminare.
-C…ciao!-
fece Reid, poi si voltò come se volesse dirle ancora
qualcosa ma lei se
n'era già andata. “Grande! Non la vedo da un sacco
di tempo e non le ho
detto una mezza parola che avesse senso... Mi sono persino dimenticato
di chiederle se stava bene, e cosa faceva da queste parti... Ma
perché
le cose da dire mi vengono in mente sempre dopo? Accidenti che gran
figura da idiota...” pensò amareggiato mentre
riprendeva a camminare.
Meredith
era entrata in macchina e stava girando la chiave per avviare il
motore, “certo” pensò all'improvviso
“che Spencer non è cambiato di una
virgola, sembra sempre un ragazzino....” e si
lasciò andare in un
sorriso tenero.
“Beh cos'è questa storia, ti sei dimenticata che
lui
è il nemico?” fece una vocina maligna nella sua
testa, “Lui ha il
lavoro che tu non hai e che desideri fin da bambina!! Ti sei per caso
già arresa?”.
Meredith scacciò all' istante quel pensiero: “Ma
no,
che nemico e nemico!! In fondo non è colpa sua se lavora
nella BAU e io
no...” poi tornò ad arrabbiarsi “la
colpa è tutta di quel testone di
Gideon!”
Girò con forza la chiave e partì dirigendosi
verso casa.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Erano le quattro passate, quando Meredith si era svegliata nel cuore
della notte e non riusciva più a dormire: l'aveva sognato di
nuovo. Sapeva che era inutile tentare di combatterlo, quel maledetto
sogno sarebbe tornato ancora e ancora, fino alla fine dei suoi giorni.
Ogni tanto prendeva dei sonniferi, ma solo se strettamente necessario.
Non le piaceva prenderli si sentiva una drogata. Megan e Oliver avevano
tentato invano di convincerla che non era così, e che se ne
aveva bisogno era giusto che li prendesse ma senza successo. Se si
convinceva di una cosa, tentare di farle cambiare idea era come
scagliarsi contro i mulini a vento: loro lo sapevano, la conoscevano
troppo bene però ci avevano provato lo stesso, d'altra parte
era per il suo bene. Lei ovviamente continuava a fare di testa sua. Si
alzò dal letto e scese in cucina per bere un po' d'acqua. Si
sedette tremolante, ma anche a questo aveva fatto il callo
perciò la cosa non la stupiva. In realtà questa
era una cosa che ripeteva a sé stessa per auto convincersi
di stare bene; sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto farci l'
abitudine: l'incubo la tormentava fin da quando era bambina, non se ne
sarebbe mai andato e l'avrebbe sconvolta ogni notte costringendola a
svegliarsi per farlo smettere. E anche da sveglia non avrebbe mai
trovato sollievo, perché il suo incubo era reale, era il suo
passato che riaffiorava dai meandri della sua memoria ed era vero sia
in sogno che durante la veglia. Era la sua storia, e niente l'avrebbe
potuta cambiare. “Fantastico!” pensò
aprendo il frigorifero, “neanche un po' d'acqua fresca...
Questo è di sicuro merito di quel fannullone di
Oliver… toccava a lui la spesa oggi.” Prese un
bicchiere e aprì il rubinetto del lavello, cercando di
dimenticare che una volta aveva analizzato l'acqua con il microscopio
per gioco, e ci aveva trovato di tutto. “A volte certe cose
è davvero meglio non saperle!” pensò, e
bevve tutto d' un fiato. Si sentì subito meglio, anche se la
brutta sensazione non era del tutto sparita. “Almeno non ho
avuto una crisi” pensò ironica, “odio
sentirmi così, perdere il controllo di me stessa e
svegliarmi in preda ad un attacco di panico è una cosa che
detesto. Soprattutto perché Megan e Oliver si svegliano
sempre, e io non sopporto di disturbarli...” fece appena in
tempo a pensare così che la luce della cucina si accese, e
voltandosi vide Megan in pigiama sulla soglia.
-Di nuovo?- le chiese con uno sguardo di ansia e preoccupazione che per
Meredith era come una pugnalata al cuore: non voleva che stesse in
pensiero per lei.
-Non è nulla, torna a dormire.- rispose cercando di sembrare
convinta, ma Megan non l'aveva bevuta.
-Non fingere con me sai!- disse arrabbiandosi, -lo so che non stai
bene...-
Meredith non rispose, e si mise a lavare il bicchiere.
-Ma perché non ti decidi a parlarne con qualcuno? Insomma se
cerchi aiuto forse...-
Non la lasciò finire di parlare:
-Forse cosa? Tornano indietro e cambiano il passato? Sai che non
servirebbe a nulla te l'ho spiegato cento volte: non esiste un aiuto
per questo.-
Megan le lanciò uno sguardo triste, che la fece pentire di
avere parlato così.
-Mi dispiace averti svegliata,- riprese con un tono più
calmo – ma non ho voglia di discutere ora. Torniamo a
dormire?- chiese sorridendole. Megan annuì, ma non era
affatto convinta.
Tornata nella sua stanza, Meredith non riusciva a riprendere sonno
così si mise a leggere pensando che era stata veramente una
stupida a trattare male la povera Megan, la cui unica colpa era quella
di volerle bene e preoccuparsi per lei. “A volte mi prenderei
a schiaffi da sola...” pensò mettendosi a leggere
Orgoglio e Pregiudizio per la centesima volta, nell' attesa che
arrivasse la mattina.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Meredith guardava la strada scorrere via sotto le ruote della sua
macchina. I pensieri correvano liberi soffermandosi a volte sulla
giornata che aveva davanti, a volte spingendosi più indietro
nei
ricordi, ripensando al sogno di quella notte e al ricordo reale a cui
era legato. Era così immersa nei suoi pensieri che non si
accorse
nemmeno di essere già ben oltre la sua destinazione, e fu
costretta a
tornare indietro.
Il grande palazzo della sede dell' FBI di Quantico
(Virginia) stava davanti a lei, imponente e maestoso. Sembrava una
fortezza impenetrabile visto da fuori, ma a lei non faceva nessun
effetto: sapeva che prima o poi sarebbe entrata nell' unità
di analisi
comportamentale che si nascondeva lì dentro, era quello che
desiderava
da quando aveva sei anni, da quella maledetta sera che la tormentava
nei suoi incubi, da quando gli agenti di quella stessa unità
l'avevano
soccorsa. Allora aveva capito che un giorno sarebbe stata una di loro,
quanto tempo doveva passare non le importava: ce l'avrebbe fatta,
qualsiasi ostacolo le si fosse parato davanti lei l'avrebbe affrontato
e superato. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per entrare.
Varcò la
soglia con passo deciso, si sentiva un po' un soldato in guerra, pronta
a rispondere al fuoco col fuoco. Si diresse verso una porta al secondo
piano, stavolta sarebbe andata al nocciolo del problema: non da Aaron
Hotchner, ma da colui che concretamente le sbarrava l'accesso all'
unità: Jason Gideon.
Bussò alla porta del suo ufficio con fare
deciso, e la aprì quando dall' interno sentì
arrivare un “Avanti” non
troppo felice. Entrò e vide Gideon seduto alla scrivania,
esordì con un
-Buongiorno!- che suonava quasi come una sfida. Jason la guardava di
sottecchi -Buongiorno...- rispose visibilmente seccato -dimmi che non
sei qui per quello che penso, ti prego!-
-E invece è esattamente per
quello,- fece Meredith mantenendo lo stesso tono di sfida -sai che non
ti libererai facilmente di me...-
-Me ne sono accorto!- disse Gideon con aria sempre più
seccata.
-Però,- riprese Meredith – stavolta sono venuta
con una proposta che può interessarti-
-Io non credo, ma se proprio insisti...-
-Certo
che insisto!- rise sotto il naso la ragazza – La proposta
è questa: ti
chiedo un giorno di prova, fammi lavorare con voi ad un caso, se ti
deludo ti prometto che non mi vedrai più.-
-Perché sento che sta per arrivare un ma?- chiese Gideon
-Perché
sei un ottimo profiler- rispose Meredith strizzando l'occhio, - Se ti
deludo non mi vedrai più, ma se sarò all' altezza
mi permetterai di
entrare nella squadra.-
-E se rifiuto?- domandò Jason nonostante conoscesse
benissimo la risposta,
-Se rifiuti,- fece lei con un sorrisetto – non ti libererai
mai di me!-
-Ma per quale motivo ti preme così tanto entrare a far parte
della BAU?-
-Come se tu non lo sapessi! Sai cosa mi è successo...-
-Appunto
per questo non ti capisco... Con quello che ti è successo
non dovresti
voler stare a contatto con cadaveri e assassini.-
-Ti sbagli-
puntualizzò Meredith seria, - io voglio prendere quei
bastardi perché
non voglio che altri vivano la mia situazione. E non voglio neanche
aspettare che qualcuno li prenda per me: voglio essere io, con le mie
mani e la mia testa.-
Gideon non rispose, sembrava pensieroso. Dopo un attimo di silenzio
riprese a parlare:
-Il fatto Meredith è che tu sei molto giovane, non so se sei
pronta per questo lavoro.-
-Proprio per questo ti chiedo di fare una prova! Non lo sapremo mai se
sono pronta o no se non provo... Giusto?-
L’uomo non rispose di nuovo.
-Se ti faccio provare poi prometti di smetterla di tormentarmi?- le
chiese dopo un po'.
-Tu sei già sicuro che non ce la farò eh? Grazie
per la fiducia!- fece Meredith ironica. Gideon le lanciò un'
occhiata storta.
-Va bene,- riprese Meredith sorridendo - te lo prometto!-
-Lascia che ci rifletta su, d'accordo? Ti chiamerò io quando
avrò preso una decisione.-
Lei era felice come una pasqua. Non le aveva detto di no!
-D’accordo- fece raggiante di gioia -Grazie mille Gideon!!-
-Meredith, non ho detto si, ho detto che ci penserò... E
fammi un favore, non tornare qui finché non ti
avrò chiamata io.-
-Va benissimo- Meredith non riusciva a contenere la sua
felicità – non mi farò vedere
finché non mi chiami... Grazie!-
-E
piantala di ringraziarmi! Sparisci ora.- disse Gideon con un sorriso
teso sulla bocca. Meredith non se lo fece dire due volte, lo
salutò
aprì la porta e se ne andò continuando a
ringraziarlo. Non era mai
stata più felice in vita sua, si sarebbe messa a ballare di
gioia se
avesse potuto, ancora non ci credeva. Uscì dalla sede dell'
FBI
sentendosi molto più leggera, e si avviò alla
macchina.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Era passata una settimana dal suo ultimo colloquio con Gideon, e
Meredith non aveva ancora ricevuto telefonate. Ogni giorno doveva
lottare con se stessa per impedirsi di tornare in quell' ufficio a
chiedere spiegazioni, finora era riuscita a frenarsi ma non sapeva
quanto sarebbe durata la sua resistenza. “Quell' uomo
è decisamente un sadico, si diverte a torturarmi!”
pensava mentre guardava distratta la gente che passava, seduta a gambe
incrociate sull' erba in giardino. “E chiamami stupido
Gideon!” pensò arrabbiandosi col cellulare che non
si decideva a squillare.
-Sembri proprio un' adolescente innamorata che aspetta la telefonata
del suo lui!-
disse una voce canzonatrice alle sue spalle. Meredith si
voltò furibonda:
-Oliver piantala di fare l'idiota eh! Oggi non ti reggo...-
-E quando mai mi reggi?- continuò lui scherzando, poi
tornò serio – Dai Merry, tirati su non puoi mica
stare così, vedrai che chiamerà.-
-E smetti di usare quel nomignolo!- sbottò. Odiava essere
chiamata “Merry”.
Oliver rientrò in casa scoraggiato, sapeva che se Meredith
era di malumore era impossibile ragionarci perciò
lasciò perdere. Le sarebbe passata comunque, non era mai
stata una musona.
Infatti dopo un paio di giorni il suo cellulare
squillò, e lei si sentì sollevata quando
sentì la voce di Jason Gideon:
-Ciao Meredith eravamo fuori per un caso, adesso siamo di nuovo in
Virginia ti ho chiamata per dirti che ho pensato alla tua proposta...-
-E..?- rispose la ragazza che non stava più nella pelle.
-Ho deciso di accettare, puoi seguire un caso con noi.-
Meredith voleva urlare, ma si trattenne.
-Veramente?- non ci credeva ancora!
-Ti sembro uno che scherza? Ho detto di si.- continuò Gideon
– ma c'è una condizione...-
-Quale?- chiese Meredith curiosa.
-Non verrai sul campo, non puoi perché non sei un agente
dell' FBI ufficialmente, diciamo che sarai una sorta di consulente
esterno e ci assisterai dall' ufficio. Ci stai?-
Se Gideon pensava che questo l'avrebbe fermata, non aveva capito
proprio niente!
-Ma certo che ci sto!- rispose lei felice come non mai –
grazie mille per la possibilità, vedrai che non ti
deluderò.-
-Lo spero.- disse l'uomo, e mise giù.
Tentare di descrivere come si sentiva in quel momento è
molto difficile. Voleva ballare e urlare ma essendo per strada non
poteva farlo, aveva un sorriso ebete che non riusciva proprio a
togliersi dalla faccia, e il mondo non le era mai sembrato
così bello. Non riusciva a credere alla conversazione che
aveva appena avuto al telefono con Gideon, e pensare che di
lì a poco sarebbe stata a contatto con le menti migliori
dell' FBI e avrebbe lavorato con loro la faceva quasi stare male: se
provava a pensarci si sentiva mancare il respiro e le gambe le
tremavano. “Accidenti!” pensò esaltata
mentre il suo sorriso ebete si allargava sempre di più,
“sarò la migliore consulente esterna che quell'
uomo ha mai visto in vita sua, su questo può
giurarci!”
Saltellò verso la porta di casa, e la aprì
ansiosa di raccontare tutto a Megan ed Oliver.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Quella sera Meredith aveva preso alcuni sonniferi ed era andata a letto
presto: l' indomani era il grande giorno e lei voleva dormire ed
alzarsi fresca e riposata. Nonostante questo si era destata alle 5. L'
eccitazione per la giornata che la attendeva era più forte
persino del farmaco. Aveva fatto colazione stando attenta a non fare
rumore per non svegliare nessuno, poi una doccia veloce e si era
persino messa un filo di trucco, cosa che raramente faceva a meno che
non dovesse uscire la sera o ci fosse qualche occasione importante.
Voleva essere perfetta, ma soprattutto non voleva sembrare una bambina.
Sperava disperatamente che la prendessero sul serio, e ovviamente
sperava anche di fare un buon lavoro, in modo da costringere Gideon a
mantenere la promessa e farla entrare definitivamente nella
squadra. Un fiume di dubbi e ansie la travolse appena entrata
in macchina, ma lo ricacciò subito indietro.
“Niente scherzi...” pensò rivolgendosi
alla sua testa “…oggi nessuna esitazione
è permessa, io posso fare questo lavoro e lo
dimostrerò.”
Uscì dal vialetto di casa e si mise a guidare mentre il
cuore cominciava a battere a mille e lo stomaco si rivoltava su
sé stesso “Devo calmarmi, questo non va affatto
bene.” pensò nervosa, mentre un semaforo rosso le
sbarrava la strada.
Arrivò alla sede dell' FBI con una strana sensazione di
malessere fisico, le sembrava di dover dare di stomaco:
“Stupido organismo vedi di collaborare!”
pensò arrabbiandosi col suo stesso corpo, che troppo
facilmente somatizzava le emozioni forti. Respirò
profondamente prima di varcare la soglia, in modo da mandare via la
sensazione di nausea e riprendersi un po', appena pensò di
essere pronta e le gambe tornarono stabili si decise ad entrare.
Camminava sicura, lo sguardo dritto davanti a sé, tutte le
brutte sensazioni precedenti erano scomparse appena i suoi piedi
avevano iniziato a calpestare quel pavimento. Si sentiva un' altra
persona, concentrata e decisa. Le sembrò un'
eternità invece ci mise cinque minuti ad arrivare all'
ufficio di Gideon, bussò decisa alla porta e una voce
maschile la invitò ad entrare.
-Buongiorno!- fece sorridente mentre chiudeva la porta dietro di
sé
-Ciao Meredith.- una voce tremula che non era quella di Jason la
salutò, seguita da un tonfo.
Reid era nell'ufficio di Gideon, e nel salutarla fece cadere alcuni
fascicoli che aveva in mano. Non si aspettava certo di rivederla
così presto dopo il loro ultimo incontro-scontro nel
corridoio, qualche giorno prima.
-Ciao Spencer anche tu a rapporto dal capo?- lo salutò
Meredith, sorridendo,
-Eh?- sembrava non aver capito una parola.
-Lascia perdere- continuò lei sempre sorridendogli, -
piuttosto dov' è Gideon?-
-Chi?- rispose Reid ancora confuso.
-Jason Gideon, ti ricordi di lui vero?- rise forte lei - Ma ti senti
bene?-
-No, cioè si si... certo che mi sento bene... Gideon
è...- spremeva le meningi per tentare di ricordare dove
fosse andato Jason, ma la sua mente geniale in quel momento era fuori
servizio – non lo so comunque dovrebbe tornare tra poco.-
-Ok.- rispose Meredith un po' perplessa -Vorrà dire che lo
aspetterò qui con te. Posso sedermi?- chiese indicando la
sedia libera davanti alla scrivania, proprio accanto a quella di
Spencer.
-Sederti qui?- domandò lui quasi impaurito - oh si certo...
accomodati...-
-Grazie!- fece lei ridendo e strizzandogli l' occhio, cosa che per poco
non gli provocò un arresto cardiaco.
Meredith si sedette guardandolo con gli occhi pieni di
ilarità, e si mise ad aspettare. Aveva conosciuto Reid
quando lui faceva da assistente a Gideon e lei studiava ancora, e quel
buffo ragazzo estremamente intelligente ma un po' impacciato le aveva
sempre ispirato molta simpatia. Qualche volta ci aveva parlato, ma non
sapeva come mai ogni volta che gli si avvicinava lui faceva sempre
cadere qualcosa che aveva in mano, e dopo poco si inventava qualche
scusa per fuggire via. Chissà, magari non aveva molta
simpatia per una che lo riempiva sempre di domande sul lavoro di
profiler. Era comprensibile poveretto!
Mentre Meredith ripensava al passato la porta si aprì, e
finalmente Gideon entrò.
-Oh buon giorno Meredith, vedo che sei già arrivata!- disse
scorgendola sulla sedia,
-Buon giorno a te! Certo io sono famosa per la mia
puntualità, non ricordi?- rise lei
-La prima ad entrare in aula e l'ultima ad andarsene, mi ricordo bene
di te- fece l' uomo – comunque, oggi siamo qui per un altro
motivo- proseguì rivolgendosi a Reid- penso non ci sia
bisogno di presentarvi, ti ricordi di Meredith giusto?-
Se era una frecciata, Reid non la colse affatto e annuì con
la testa.
-Mi fa piacere…- continuò l’uomo
– …perché oggi tu lavorerai in ufficio
con lei.-
Non sapeva bene cosa l' aveva trattenuto dal cadere dalla sedia,
comunque riuscì a rispondere un flebile -Prego?-
-Meredith oggi ci assisterà come consulente esterno per un
caso,e se si dimostrerà all' altezza potrà
entrare a far parte dell' unità.- spiegò Gideon
– e visto che non ancora è un agente dell' FBI e
questo è il suo primo caso ho pensato che tu potresti darle
una mano, sempre se sei d'accordo naturalmente.-
Spencer fu preso da un attimo di panico e non rispose. “Ti
prego,” pensò Meredith rivolgendosi a lui
mentalmente “dì di si, anche se probabilmente non
ti sono molto simpatica sei l'unica persona che conosco qui dentro a
parte Gideon!”
-Allora?- incalzò l'uomo
-Oh si, ma... certo io... va bene!- rispose alla fine Spencer.
-Perfetto- riprese Gideon – non ci resta che scendere e
parlare al resto della squadra allora.- a quel punto si alzò
dalla sedia, Reid lo seguì e Meredith si unì a
loro pensando che se quello era un sogno, decisamente non voleva essere
svegliata.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Mentre scendevano le scale diretti all' open space, Meredith
sentì le
gambe cedere di nuovo, ma riprese presto il controllo di sé.
Stava per
fare la conoscenza di alcune delle menti più brillanti dell'
FBI, non
voleva dare l' impressione di essere una scolaretta al primo giorno di
scuola. Ma in realtà era proprio così che si
sentiva. “Rispetto per
tutti, soggezione di nessuno!” ricordò a
sé stessa il suo motto
preferito per farsi coraggio e si sentì un po'
più tranquilla. Gideon
si avvicinò al gruppo che aveva fatto riunire apposta
qualche minuto
prima, e iniziò a fare le presentazioni.
-Vi presento la dottoressa Meredith Nelson, che ci
affiancherà come consulente esterno nel nostro prossimo
caso.-
Ecco
ora tutti la guardavano. Sperava solo di non sembrare troppo stupida,
sorrise e pronunciò un “Salve!” che
sperava sarebbe risultato calmo e
controllato.
Si fece avanti una bella ragazza bionda -Agente
speciale Jennifer Jareau, piacere di conoscerti!- le porse sorridendo
la mano che Meredith strinse a sua volta, - puoi chiamarmi JJ- aggiunse.
-Oh!-
fece Meredith rincuorata da quel gesto amichevole, - grazie, voi potete
chiamarmi Meredith non mi piacciono troppo le formalità.-
JJ le sorrise di nuovo, e le presentò il resto del gruppo:
-Questi sono l'agente speciale Derek Morgan, l'agente speciale Emily
Prentiss, e il nostro tecnico informatico Penelope Garcia.-
Meredith strinse la mano a tutti con un sorriso.
-Dov' è Hotch?- chiese Gideon.
-Aveva
da fare sarà qui tra poco.- rispose JJ – Ho un
nuovo caso da sottoporre
alla squadra, ma vorrei che ci fosse anche lui prima di cominciare.-
-D'accordo- rispose l' uomo, - torno subito- e si diresse verso l'
ufficio di Hotch.
Meredith
non poteva credere che tutto questo stava succedendo davvero. Era
lì,
con quella squadra di agenti con i quali aveva sempre desiderato
lavorare ancora prima di sapere chi fossero, e il suo sogno di
diventare una profiler era così vicino che le sembrava quasi
di poterlo
toccare. Aveva un po' paura, le sembrava quasi che se avesse teso la
mano tutto si sarebbe dissolto in una bolla di sapone.
“Macché bolle e
bolle!” disse seccata a sé stessa “sei
qui, è reale ora hai l'
occasione di far vedere quanto vali, non sprecarla in stupidi
tentennamenti!”
Sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei e la
cosa era piuttosto sgradevole, si voltò verso l'unica
persona che
conosceva lì dentro, ma Spencer Reid distolse lo sguardo
appena i loro
occhi si incrociarono. “Grande!” pensò
amareggiata Meredith “la persona
con cui devo lavorare probabilmente, anzi quasi sicuramente non mi
sopporta... Non è per niente un buon inizio”.
-Quanti anni hai Meredith?- la voce allegra dell’informatica
ruppe il silenzio.
-Ventidue…- mentì la ragazza.
-Ventuno.- corresse una voce maschile alle sue spalle. Gideon era
tornato e Hotch era insieme lui.
Meredith roteò gli occhi – Va bene va bene,
ventuno!- rise.
-Però
sei giovane...- disse Morgan guardandola in un modo che non le piacque
affatto. Sembrava volesse dirle che non era all' altezza, ma
probabilmente era solo uno scherzo della sua immaginazione.
-Andiamo
ragazzi, il caso di oggi é veramente orribile vorrei
parlarvene subito
visto che ci siamo tutti.- disse JJ interrompendo le chiacchiere.
Si diressero verso la sala riunioni, e Meredith li seguì con
la testa che le girava un po' per l' emozione.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Meredith non poteva credere di essere sul Jet privato della BAU, e di
stare volando verso Denver (Colorado), con tutta la squadra per
investigare su un caso decisamente delicato. Tre famiglie erano state
uccise nello stesso quartiere, i genitori brutalmente massacrati,
mentre i figli erano stati uccisi da un' iniezione letale. La ragazza
guardava le foto e ascoltava i commenti degli altri (era nota per la
sua capacità di fare più cose
contemporaneamente), e nel frattempo
pensava che fosse tutto uno scherzo terribile del destino. Un caso del
genere, proprio quel giorno in cui anche lei era presente, non poteva
essere una coincidenza. Se c'era un Dio, doveva aver deciso di metterla
alla prova pesantemente. In ogni caso era ben decisa a non farsi
condizionare, e a fare del suo meglio. Alla fine Hotch aveva convinto
Gideon a non lasciarla a Quantico, come inizialmente aveva progettato,
perché voleva tutti a portata di mano, infatti mancava solo
Garcia che
avrebbe lavorato come al solito dalla sua postazione, o “la
stanza dei
monitor” come la chiamava Gideon. Jason ovviamente era un po'
riluttante ma alla fine aveva acconsentito: “Vorrà
dire che invece di
assisterci dall' ufficio di Quantico lo farai da quello della polizia
di Denver, il fatto che non ti muoverai da lì non cambia
chiaro?” le
aveva detto. Lei aveva annuito ovviamente, anche se non era troppo
contenta.
-Due modus operandi diversi possono indicare due SI diversi.- stava
dicendo Morgan
-Si è possibile- annuì Emily
-Quello che bisogna capire.- disse Hotchner – E’
perché non ci sono segni di effrazione in nessuno dei tre
casi.-
-Forse...- ipotizzò JJ -…era qualcuno che
conoscevano.-
-E'
improbabile.- sentenziò Meredith. Gli occhi di tutti erano
di nuovo
puntati su di lei. “Fantastico... Quando la smetteranno di
fare così?”
pensò la ragazza imbarazzata, poi continuò: - Con
una famiglia sola
forse poteva essere un' ipotesi plausibile, ma quante
probabilità ci
sono che l'SI le conoscesse tutte e tre?-
-Pochissime- fece pronto Reid.
-Appunto.-
Meredith andò avanti rincuorata dal suo supporto - la cosa
più
probabile é che utilizzino un qualche pretesto per farsi
aprire la
porta.-
-Però,- fece Morgan con un tono ammirato che le
suonò finto- la ragazzina sa il fatto suo!- e rise.
Meredith
gli lanciò un' occhiata di traverso, ma si trattenne dal
replicare a
quel “ragazzina” che sapeva tanto di presa in giro.
Quel Morgan non
faceva che punzecchiarla da quando aveva saputo quanti anni aveva, e la
cosa la infastidiva parecchio. Ma decise di non badarci, l'unica cosa
che le interessava ora era il caso.
-Hai in mente qualcosa in particolare?- le chiese Gideon.
La
domanda la spiazzò un po'. -Veramente ancora no...- ammise-
ci possono
essere un milione di pretesti, che so un finto guasto alla macchina per
esempio.-
-Può essere…- fece Emily pensierosa, e la
conversazione si
interruppe lì. Meredith dentro di sé
tirò un sospiro di sollievo, non
andava poi così male come inizio. Ce l' avrebbe fatta, ora
si sentiva
più sicura. Si stese sullo schienale della poltrona e chiuse
gli occhi
continuando a pensare al caso nell' attesa che il Jet finalmente
atterrasse.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Una volta arrivati alla stazione di polizia di Denver, Meredith e Reid
si sistemarono in un ufficio per lavorare, mentre la squadra si
spartiva le zone da controllare. Un sopralluogo fatto da Hotchner e
Morgan sulle scene del crimine aveva portato sulla loro scrivania delle
immagini orribili: c'era sangue ovunque in tutti i salotti, luogo dove
venivano uccisi i genitori, e delle sedie dove la ragazza
ipotizzò non
senza provare una sensazione di pena mista a disgusto, che gli SI
legassero i figli in modo da costringerli a vedere la morte violenta
dei propri genitori. Le stanze dove erano stati ritrovati i corpi dei
bambini invece, erano pulite e ordinate non c'era nessuna traccia dato
che come l'autopsia aveva rivelato, veniva utilizzata una siringa
contenente del Pentothal, un barbiturico molto potente usato anche
nelle esecuzioni tramite iniezione letale.
Ormai erano quasi sicuri
che gli SI fossero due, uno particolarmente aggressivo che si occupava
dei genitori, e l'altro molto schivo e sottomesso che invece uccideva i
bambini. Meredith era seduta alla scrivania che esaminava i fascicoli,
Reid si era allontanato con la scusa di andarsi a prendere un
caffé per
la terza volta. Era chiaro che avrebbe voluto essere fuori con gli
altri invece che costretto in quell' ufficio a far da balia a lei. La
cosa la seccava, in fondo Spencer le era stato sempre simpatico non
voleva che ce l'avesse con lei, così decise di parlargli
chiaramente.
Uscì e si diresse verso la macchinetta del caffé,
dove lo trovò intento
a squadrarla come se da quell'affare dovesse uscire chissà
cosa da un
momento all' altro.
-E' interessante?- scherzò Meredith ridendo alle
sue spalle. Reid si voltò di scatto e la guardò
come se avesse visto un
fantasma.
-Cosa?- chiese agitato
-La macchinetta del caffé!- rise lei- la guardi come se
fosse qualcosa di estremamente interessante.-
-Oh!
No io...- era visibilmente imbarazzato, e tentò di
farfugliare una
qualche scusa, ma Meredith lo interruppe e si fece seria:
-Senti Spencer, posso essere sincera con te?-
-Si, certo...- rispose lui
-Bene,
allora sappi che l' ho capito che non hai una assuefazione morbosa alla
caffeina, l'unico motivo per cui vieni qui tanto spesso é
perché vuoi
evitarmi, ho indovinato?-
Tentò di replicare ma lei lo interruppe di nuovo:
-Senti,
lo so anche io che per te deve essere una gran rottura di scatole stare
qui con me, invece di essere là fuori e lo capisco.-
continuò- però non
potresti cercare di fare buon viso a cattivo gioco e darmi una mano
invece di fuggire o lasciar parlare solo me? Finora mi sembra di aver
fatto solo monologhi, ma se devo imparare a fare questo lavoro ho
bisogno di qualcuno con scambiare opinioni e avere un dialogo. Sei d'
accordo?-
-Si, si... certo- rispose confusamente lui. “Per un attimo
ho temuto che mi avesse scoperto, invece per fortuna non ha capito un
granché” pensò sollevato Spencer,
“Fortuna? Ti sei rimbecillito?” fece
una vocina canzonatrice nella sua testa “Lei crede che tu non
la
sopporti e che non vuoi lavorare con lei, ti sembra fortuna questa
grande genio?”
“Non troppo in effetti...” ammise a sé
stesso, “ ma sarebbe stato più imbarazzante se
avesse capito davvero.”
Fece
un profondo respiro e finalmente si accinse a dirle qualcosa di
lontanamente rassicurante, parole che fino a qualche tempo prima non
avrebbe mai avuto il coraggio di dirle: -Guarda che mi fa piacere...-
-Cosa?- chiese lei
-Stare qui con te invece che là fuori.- l'aveva detto sul
serio? Si stupiva di sé stesso.
-Non sembrava sinceramente- rispose lei dubbiosa.
-Si lo so, mi dispiace. Ora sarà diverso va bene?-
-Benissimo allora andiamo!- fece lei con un sorriso allegro.
“Si, benissimo” pensò Spencer mentre la
seguiva, “ma morirò giovane se continua a
sorridermi così”.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
“Le cose che si scoprono se solo ci si lascia andare sono
incredibili”
pensava Spencer mentre esaminava dei fascicoli inerenti al caso. E
quello che aveva scoperto lui aveva davvero dell' incredibile. Avcieva
scoperto di avere un feeling particolare con quella ragazza bionda che
attaccava le foto delle vittime alla lavagna, con la quale fino a
qualche ora prima non riusciva neanche a stare nella stessa stanza
troppo a lungo. Feeling sul piano lavorativo s' intende, un' alchimia
pazzesca che li aveva portati a scoprire un sacco di cose ragionando
insieme, che nessuno dei due aveva visto da solo. Addirittura succedeva
che finissero l' uno le frasi dell' altra. Non gli era mai capitata una
cosa del genere, Spencer era abituato a sentirsi “il
secchione”, quello
diverso da tutti che parlava a macchinetta di dati e statistiche che
nessuno in realtà voleva ascoltare. Ma con lei era diverso
lei lo
ascoltava, no di più: lo capiva. “Lo vedi brutto
idiota?” fece la
solita vocetta maligna nella sua testa “lei non é
un' aliena venuta da
chissà dove, é una ragazza normale con la quale
puoi parlare
tranquillamente, non ti mangerà!” Beh definirla
normale era tutto dire,
era un po' matta in realtà, però era divertente e
soprattutto non si
era mai sentito con nessuno come si sentiva con lei. Averla
lì e
lavorarci insieme lo faceva quasi sentire sicuro di sé, cosa
che non
era per niente facile impacciato com'era abitualmente.
Hotch entrò nella stanza e interruppe i suoi pensieri:
sembrava molto agitato.
-C'è una cattiva notizia.- disse
-Novità?- chiese Reid
-Niente
di buono purtroppo. Un' altra famiglia massacrata...- rispose -...ma
stavolta c'è qualcosa di diverso: uno dei due figli
é sopravvissuto.-
Meredith lasciò cadere i fogli che aveva in mano. Sembrava
piuttosto sconvolta.
-Che cosa?- domandò come se il mondo le fosse appena caduto
addosso.
-E'
una ragazzina, ha quindici anni e si chiama Claire Santz, ora si trova
in ospedale.- continuò Hotch -Pare che uno dei due SI quello
con la
siringa l'abbia fatta fuggire dal retro dopo aver ucciso il suo
fratellino di appena otto anni.-
-Perché l'avrebbe fatto?-domandò Reid
-E' quello che dobbiamo scoprire, manderemo qualcuno in ospedale ad
interrogarla...-
Meredith lo interruppe: -Facci andare me, ti prego.-
-Come scusa?- chiese Hotch
-Ho detto che voglio andarci io ad interrogarla.- aveva uno sguardo
strano, faceva quasi paura.
-Sai che Gideon ha detto che non puoi uscire di qui, tu non sei ancora
un' agente dell' FBI...-
-Si, si lo so anche io questo ma ti prego lasciami andare voglio
parlare con lei.-
Sembrava molto decisa, così Aaron cedette.
-E va bene, se ci tieni tanto allora vai parlerò io con
Gideon in fondo si tratta solo di interrogare una testimone...-
Avrebbe
voluto abbracciarlo ma si trattenne, e gli disse solo -Grazie mille!-
apprestandosi ad uscire, ma l' uomo la fermò -Aspetta!-
disse -Non
penserai davvero che ti lasci andare disarmata ad interrogare una
sopravvissuta che potrebbe venire aggredita ancora... Reid
accompagnala.- ordinò, il ragazzo si alzò e si
accinse ad andare con
lei.
-Mi raccomando andate la interrogate e tornate, che non ti vengano in
mente strane idee capito?- disse rivolgendosi a Meredith.
-Capito.- rispose distrattamente la ragazza e si avviò all'
uscita con Reid.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Meredith guardava la strada che scorreva senza dire una parola. Era
Spencer a guidare, lei non era dell' umore giusto, era ancora troppo
scossa. Non era possibile che stesse capitando davvero una cosa simile,
mille pensieri diversi la invasero avvolgendola. Doveva essere tutto
uno scherzo terribile, frutto della mente malata di un sadico che si
divertiva a giocare con lei, con le sue emozioni. Non sapeva darsi
altre spiegazioni. Pensò a quella ragazza dalla quale si
stavano
recando, alla sua giovane vita segnata per sempre dalla perdita dei
suoi cari che così brutalmente le erano stati strappati. Non
c' era
assolutamente niente di ciò che avrebbe potuto dirle che
l'avrebbe
fatta sentire meglio. Niente. Questo la distruggeva, e l' empatia
lentamente la invadeva. Si accorse che erano arrivati quando vide Reid
aprire lo sportello dalla parte del passeggero per permetterle di
scendere. Aveva atteso qualche minuto, ma vedendo che lei non accennava
a muoversi l' aveva fatto al suo posto.
-Stai bene?- aveva l'
espressione di un cucciolo smarrito, e da questo Meredith dedusse che
il suo stato d' animo doveva trasparire dal suo volto. Non era molto
brava a mascherare le proprie emozioni.
-Si...- disse cercando di sembrare convincente e accennando un lieve
sorriso – é tutto apposto andiamo.-
Si diressero all' interno dell' ospedale, e Reid mostrando il tesserino
dell' FBI chiese dove si trovasse Claire Santz.
-Stanza
trecentotredici- fu la risposta secca dell' infermiera, che si
affrettò
a tornare alle sue occupazioni come se quell' interruzione l'avesse
disturbata alquanto. “Gentile!” pensò
Meredith ironica mentre si
avviavano verso la stanza indicata dalla donna. Arrivati a destinazione
incrociarono il medico che usciva dalla stanza di Claire, ed esauriti i
convenevoli e le formalità, Meredith si premurò
di chiedergli quali
fossero le condizioni della ragazza.
-E' fortunata...- esordì l'
uomo provocando in Meredith un impeto di rabbia che per fortuna
riuscì
a trattenere, - non ha riportato nessun danno fisico serio, a parte lo
shock emotivo é in perfetta salute. Una vera fortuna.-
-Lei sa cosa le é successo?- chiese Meredith a bruciapelo
-Si,
una vera tragedia...- la ragazza lo interruppe, e piantò i
suoi
meravigliosi occhi di ghiaccio in quelli dell' uomo, che a causa dell'
espressione dura di quello sguardo sentì un lieve brivido
lungo la
schiena:
-Bene, allora mi faccia un favore la smetta di dire che é
fortunata!- sibilò decisa con tono di rimprovero che non
ammetteva
repliche. Entrò nella stanza scavalcando il dottore, e Reid
la seguì
con un' espressione un po' perplessa.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Claire Santz era una ragazza carina dai lunghi capelli corvini, gli
occhi scuri e il viso delicato. Giaceva distesa sul letto con lo
sguardo perso nel vuoto ed un' espressione stanca dipinta sul volto.
Quando Reid e Meredith entrarono, si voltò verso di loro con
uno
sguardo triste, tanto che la ragazza dovette distogliere per un attimo
il suo, o i suoi occhi avrebbero iniziato ad inumidirsi. Doveva
raccogliere tutte le sue energie e tentare di rimanere calma, ma non
era affatto semplice. Spencer la guardò, e decise che
sarebbe stato lui
il primo a parlare:
-Ciao Claire.- disse con un tono di voce che si
sforzava di mantenere calmo e sperava suonasse in qualche modo
rassicurante, - io mi chiamo Spencer e lei é Meredith, siamo
dell' FBI
e vorremmo farti qualche domanda se te la senti di rispondere.-
“Siamo?”
pensò Meredith inarcando un sopracciglio,
“veramente io non faccio
ancora parte della squadra... Bah!” scosse la testa e si
costrinse a
guardare la ragazza negli occhi, sforzandosi di sorriderle.
-Si, va
bene...- disse Claire con voce flebile. La profiler trasse un profondo
respiro e cominciò finalmente a parlare sperando che la voce
non le
tremasse troppo:
-Claire, vorremmo che tu ci dicessi tutto quello che ricordi di quella
sera.-
Non
avrebbe mai voluto costringerla a ricordare, ma doveva purtroppo. Gli
occhi della ragazza si inumidirono di nuovo e Meredith dovette di nuovo
staccare i suoi. “Così non va!”
pensò rimproverandosi, “devo riprendere
il controllo assolutamente!” e si girò verso
Claire, che ora aveva
nuovamente lo sguardo perso nel vuoto.
-Quella sera ci eravamo messi
a tavola come al solito,- cominciò – e finito di
cenare io e mio
fratello stavamo aiutando la mamma a sparecchiare la tavola. Ad un
certo punto suonò il campanello, e mio padre andò
ad aprire. Era un
uomo, diceva che aveva investito un gatto o qualcosa del genere... Non
ricordo- deglutì visibilmente e lei si sedette sul suo letto
posandole
una mano sulla spalla:
-Non importa va avanti...- fece con tono rassicurante.
-Mio
padre venne in cucina per prendere un sacchetto da dargli, e quando
tornò alla porta era entrato un altro uomo, hanno preso i
miei genitori
hanno legato me e mio fratello alle sedie e ci hanno costretti a
guardare...- scoppiò in un pianto dirotto, Meredith le
passò un braccio
intorno alle spalle e cercò di trattenere le lacrime:
-Questa parte puoi anche saltarla tesoro, raccontaci dell' uomo che ti
ha lasciata andare.-
-Non
so perché l' abbia fatto, comunque lui era più
tranquillo dell'
altro... - continuò la ragazza – ha portato me e
mio fratello nella mia
stanza e ha iniettato qualcosa a Mark, poi mi ha detto di stare zitta e
che mi avrebbe fatta scappare dal retro, ma io non dovevo fare rumore o
l' altro ci avrebbe scoperti.-
-Hai notato niente di strano in lui?- chiese Spencer
-No, era alto magro capelli neri e parlava spagnolo...- rispose Claire
– e continuava a chiamarmi Sandy.-
-Va
bene ora riposati, sei stata bravissima.- disse Meredith accarezzandole
la testa, la ragazza si distese e loro uscirono dalla stanza.
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Meredith andò a cercare un distributore perché
aveva un disperato
bisogno di rinfrescarsi un po. Spencer voleva seguirla ma lei aveva
declinato l' offerta dicendogli di rimanere nei paraggi della stanza di
Claire in caso la ragazza avesse avuto bisogno di qualcosa. Le
dispiaceva allontanarlo così perché la sua
preoccupazione era sincera,
ma dargli spiegazioni riguardo al suo stato d' animo sarebbe stato
troppo lungo e doloroso. E forse non avrebbe potuto capire. In
realtà
nessuno a parte quella ragazza che ora giaceva distesa in un letto di
ospedale avrebbe potuto capire quello che provava. Questa
consapevolezza le faceva molto male, avrebbe preferito continuare ad
essere incompresa piuttosto. Era quasi tornata alla stanza, quando si
sentì un urlo provenire da quella direzione. Meredith si
mise a correre
e arrivò trafelata nella stanza trecentotredici: Claire era
seduta sul
letto, calde lacrime solcavano il suo bel viso ed era impregnata di
sudore freddo.
-Che é successo tesoro?- lei si slanciò verso la
ragazza per tentare di calmarla, nel momento in cui anche Reid entrava
nella stanza. Claire non rispose, continuava a singhiozzare e
sussurrava ogni tanto ora il nome di suo padre, ora quello di sua
madre, ora chiamava il fratellino. Allora Meredith capì,
troppo bene
conosceva quella scena, trasse un profondo respiro e
abbracciò la
ragazza ancora piangente, senza più riuscire a trattenere le
lacrime:
-Tesoro
ora calmati, é tutto finito era solo un brutto sogno...- la
cosa buffa
era che proprio lei doveva pronunciare quelle parole che ben conosceva
come false. Non era un incubo il suo, ma la tragica realtà:
Claire
aveva sognato la morte dei suoi familiari e l' orrore che provava non
se ne sarebbe andato al risveglio, forse sarebbe addirittura
peggiorato. Per un po' Meredith rimase così avvinghiata a
Claire, quasi
come se avesse paura che sarebbe evaporata se l' avesse lasciata. Fu la
ragazza a distaccarsi:
-Grazie, va un po' meglio adesso...- disse con voce ancora tremante
– ho solo un po' di sete.-
Meredith
le offrì pronta l' acqua che aveva comprato poco prima, che
la ragazza
bevve con avidità. Reid le toccò appena la
spalla, per richiamare la
sua attenzione, e le fece cenno di seguirlo fuori. La ragazza si
asciugò il volto e disse a Claire che sarebbe tornata
subito, dopo di
ché uscirono.
-Ti senti bene?- le chiese Spencer con la solita espressione tenera da
cucciolo
-Si...-
mentì spudorata la ragazza, che ancora aveva gli occhi rossi
per il
pianto. Non riuscì a sostenere lo sguardo però,
così lo distolse.
-No
non é vero! Perché non mi dici la
verità?- fece lui con un tono più di
supplica che di rimprovero. Meredith non rispose subito, non sapeva
cosa dirgli e in ogni caso non erano affari suoi. Perché non
la
lasciava in pace? Non fece in tempo a formulare questo pensiero, che
subito se ne pentì. Il suo più grande errore di
sempre era quello di
allontanare la gente che si preoccupava per lei, sapeva bene che era
sbagliato eppure non riusciva ad evitarlo. Sentì gli occhi
riempirsi di
nuovo di lacrime, ma riuscì a ricacciarle indietro. Non
sapeva cosa
fare.
-Non capiresti...- cominciò, ma lui la interruppe
-Non puoi saperlo se non provi.-
Non
poteva dargli torto, ma aveva mille dubbi. Cosa avrebbe dovuto dirgli?
La verità era la cosa più ovvia certo, ma non era
sicura di essere
pronta. Riuscì finalmente a guardarlo di nuovo negli occhi,
e
improvvisamente le sue incertezze si dissiparono. Non sapeva come e
né
perché, ma era come se lo sguardo di lui stesse leggendo fin
dentro la
sua anima non si era mai sentita così. Era una sensazione
strana che la
fece sentire bene e male allo stesso tempo.
-Io so come si sente
Claire…- cominciò raccogliendo tutto il suo
coraggio – …posso capirla
perché anche io mi sveglio spesso nel cuore della notte in
preda agli
incubi.-
-Beh tutti abbiamo degli incubi è normale.- fece Spencer
-E'
vero, è normale sognare cose orribili che poi svaniscono al
risveglio-
annuì lei, - ma quando una volta sveglio capisci che il
sogno é la
triste realtà é tutta un altra cosa.-
Il ragazzo la guardò senza
capire, e lei decise che se proprio doveva raccontargli tutto, allora
l' avrebbe fatto senza esitare ancora.
-Quando ero piccola-
cominciò- vivevo con mia madre in un appartamento in
affitto. Lei era
russa e aveva conosciuto un americano durante un viaggio di studio. Si
erano innamorati, poi lei é rimasta incinta di me e lui l'ha
abbandonata. Ce la cavavamo bene da sole comunque, non avevamo certo
bisogno di uno così. Quando avevo sei anni, una notte mi
svegliai
perché avevo fatto un brutto sogno e mi diressi verso la
camera di mia
madre per dormire insieme a lei, come facevo sempre in quei casi. Ci
misi un po' a capire che la mamma non mi rispondeva perché
non
respirava più. Era immersa in un lago di sangue con la gola
recisa, ma
io continuavo a chiamarla e non capivo perché non apriva gli
occhi. O
forse non volevo capire.- Si fermò perché aveva
un nodo in gola, poi
riprese: - la mattina dopo, arrivarono gli agenti dell' FBI e mi
trovarono stesa sul letto aggrappata a mia madre e intrisa del suo
stesso sangue, mi ero addormentata accanto a lei nella vana speranza di
sentire ancora il suo calore. Non realizzavo che non l'avrei sentito
mai più. Tutto quello che è successo dopo lo
ricordo in maniera
confusa, ma l' immagine di mia madre immersa in un bagno di sangue
torna a farmi visita praticamente ogni notte...- stavolta si
fermò
perché la commozione l' aveva vinta e non riusciva a fermare
le lacrime
che le scivolavano lungo le guance. Spencer non disse e non fece niente
per alcuni minuti, non avrebbe mai immaginato una cosa del genere e ora
capiva il perché di tutti quei suoi comportamenti
così strani. All'
improvviso si mosse, si slanciò verso Meredith e la
abbracciò mentre
piangeva. Non gli era venuto in mente altro che avrebbe potuto fare per
farle capire che le era vicino. Lei capì, e gli fu grata per
non
essersene uscito con qualche stupida frase di circostanza. Stettero
così uniti per alcuni minuti, dopo di ché
rientrarono nella stanza per
vedere come stava Claire.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
I ragazzi uscirono di nuovo per non rischiare di svegliare Claire, si
era riaddormentata ora più tranquilla. Meredith si sedette
su una delle poltroncine del corridoio mentre Reid rimase in piedi con
la schiena appoggiata al muro. Aleggiava un silenzio imbarazzante,
entrambi stavano ripensando alla scena di pochi minuti prima e
sentivano di aver commesso uno sbaglio. Finalmente la ragazza ebbe il
coraggio di esternare i suoi pensieri:
-Mi dispiace per prima.- disse sincera – non avrei dovuto
lasciarmi andare ti sarò sembrata patetica...-
-Non sei affatto patetica.- rispose convinto lui.
-Allora sono poco professionale, non si dovrebbe farsi trasportare
così giusto?-
-Lo stai dicendo alla persona sbagliata, e comunque se professionale
significa arido e insensibile allora sono fiero di non esserlo!-
Meredith sorrise di nuovo, ma non era ancora del tutto persuasa.
-Sono io che dovrei scusarmi con te comunque.- riprese Spencer fissando
con apparente interesse la punta delle sue scarpe- per, beh insomma...-
-Perché mi hai abbracciata?- finì la frase al suo
posto
-Beh... si... Io non so cosa mi é preso...-
-Non devi scusarti, anzi devo ringraziarti mi hai fatta sentire molto
meglio e non ha detto nessuna di quelle stupide frasi di circostanza
che si usano in questi casi. Ne ho sentite fin troppe e ti giuro che
non ne posso più.-
Spencer trovò di nuovo il coraggio di guardarla e vide che
Meredith gli sorrideva. Si sentì un po' più
sollevato, temeva addirittura che lei potesse odiarlo invece pareva
stesse meglio sul serio. “Allora non combino solo
guai...” pensò rincuorato. La voce di Claire li
distolse dalla conversazione e rientrarono nella sua stanza, la ragazza
era sveglia e disse di aver fame. Reid andò in cerca di
qualcosa da mangiare, così lei e Meredith rimasero sole.
-Passerà mai?- chiese improvvisamente Claire. Avrebbe voluto
disperatamente poterle dire di si, che tutto sarebbe finito e che il
tempo cancella il dolore. Non era così, non con quel genere
di situazioni lo scorrere del tempo non aveva alcun potere curativo su
di esse. Decise per tanto di essere onesta:
-Purtroppo non riuscirai facilmente a liberarti delle ombre che
popolano i tuoi sogni, vorrei tanto poterti dire che andrà
tutto bene Claire davvero, ma io so come ti senti e ti farei un torto
se non ti dicessi la verità.-
La ragazza la guardò con aria interrogativa, e Meredith
proseguì:
-Quando avevo sei anni, mia madre che era tutta la mia famiglia venne
brutalmente uccisa da un assassino seriale, che fu catturato solamente
tre giorni più tardi. Da quel giorno io non ho mai smesso di
sognarla.-
-E come fai ad andare avanti così?- domandò la
ragazza con gli occhi di nuovo umidi.
-Perché non sono sola.- disse Meredith pensando con
gratitudine a Megan e Oliver, che erano sempre stati con lei e
l'avevano sostenuta in ogni momento della sua vita.
-E non lo sei neanche tu,- continuò porgendole un
bigliettino – voglio che tu sappia che puoi chiamarmi in
qualsiasi momento a tutte le ore del giorno e della notte, ogni volta
che avrai voglia di parlare. Capito?-
La ragazza annuì, e lei le accarezzò la testa
-Ora riposati, vado a controllare che Spencer non si sia perso
chissà dove- le disse ridendo.
Claire ricambiò il sorriso e mentre si accingeva ad uscire
Meredith sentì la sua voce che le diceva:
-Tornerai presto vero? Non voglio rimanere qui da sola...-
-Ma certo tesoro, non vado proprio da nessuna parte resterò
qui con te per tutto il tempo che vorrai.- rispose sorridendo, la
ragazza annuì rincuorata e lei uscì.
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Non dovette fare molta strada per trovare Spencer, fatti pochi passi
nel corridoio lo vide sbucare con in mano delle merendine.
-Io rimango qui in ospedale, tu se vuoi torna pure alla centrale.-
disse Meredith d' un fiato appena lui fu abbastanza vicino da poterla
udire.
-Ma Hotch ha detto di interrogarla e tornare, e tu hai risposto di
si...- obiettò lui.
-So cosa ho detto...- fece la ragazza -...ma non ho intenzione di
muovermi da qui per il momento. Scusami. Non voglio trasgredire ad un
ordine ancora prima di essere entrata nella squadra, ma io devo restare
con Claire.- Aveva un tono e uno sguardo talmente decisi che Spencer
non poté più controbattere.
-Ok,- disse dopo aver riflettuto un attimo, -allora vorrà
dire che chiamerò Hotch e gli dirò che restiamo
qui.-
-Ma io ti ho detto che se vuoi puoi andare...- gli ricordò
Meredith.
-E io non ho detto di volermene andare.- rispose lui prendendo il
cellulare e porgendole le merendine da dare a Claire. Mentre Spencer
telefonava lei tornò nella stanza della ragazza e camminando
le venne da sorridere. Non sapeva perché, ma il fatto che
lui sarebbe rimasto le faceva davvero piacere.
-E' davvero strano...- disse Reid affacciandosi alla porta della
stanza, - quando ho detto a Hotch che volevi rimanere lui ha risposto
che lo sapeva già, perché Gideon gliel' aveva
detto quando lui gli aveva riferito che ti aveva mandata qui.-
Meredith non poté trattenersi e scoppiò in una
sonora risata. Il ragazzo la guardò con aria interrogativa.
-Quell' uomo é sempre un passo avanti a tutti!- disse
divertita, poi si rivolse a Reid - Vedi, Gideon era uno di quegli
agenti dell' FBI che mi trovarono quando mia madre é stata
uccisa. Conoscendo il mio passato e il mio carattere si era immaginato
ciò che avrei fatto ancora prima che lo decidessi io
stessa!- si mise di nuovo a ridere ma stavolta anche a Spencer
scappò una risatina, poi si fece serio:
- Ah a proposito prima ho parlato anche con Garcia, e sembra che abbia
trovato un uomo che corrisponderebbe al profilo del secondo SI, quello
sottomesso.-
-Davvero?- chiese Meredith
-Si, un certo Roger Davis. Ora stanno andando a prenderlo per
interrogarlo.-
-Bene.- fece la ragazza, - E poi?-
-E poi cosa?- domandò Reid
-Oh andiamo, te lo leggo in faccia che non mi stai dicendo tutto. Sputa
il rospo.-
-Ok.- si rassegnò lui- te lo dirò, ma non ti
arrabbiare. Vogliono che Claire sia presente all' interrogatorio.-
-Se lo possono scordare non possono chiederle una cosa del genere! Sono
impazziti?- sbottò lei.
-No, é che hanno scoperto il motivo per cui l' ha fatta
scappare: lei somiglia molto alla sua sorellina Sandy, dalla quale pare
sia stato diviso quando sono rimasti orfani a causa dell' incidente d'
auto che hanno avuto i genitori. Davis é stato affidato ad
una famiglia e ha perso i contatti con la sorella.-
-Quindi se Claire che gli ricorda tanto la sua sorellina é
presente, é più probabile che lui collabori
giusto?-
-Esatto!- rispose Reid.
-Ho capito, ma non me ne frega niente Claire ha già sofferto
abbastanza...- Meredith si stava arrabbiando sul serio. Improvvisamente
venne interrotta dalla voce di Claire, che fino a quel momento aveva
taciuto:
-Va bene,- disse con aria molto seria- portatemi da lui.-
Meredith la guardò un attimo: aveva capito cosa le passava
per la testa, era una sensazione che aveva provato anche lei in
passato. Poteva comprenderla, ma non le avrebbe permesso di farsi del
male.
-Tesoro,- le disse dolcemente non sei costretta, possono trovare un
altro modo...-
-Ma io voglio farlo, dico sul serio!- era davvero determinata, e
Meredith capì che non sarebbe riuscita a convincerla. Alla
fine, anche se a malincuore, dovette arrendersi.
-E va bene vestiti e andiamo, ma ricordati che non devi dimostrare
niente: i tuoi lo sanno già.- e così dicendo
uscì dalla stanza insieme a Reid per permetterle di
cambiarsi.
-Che cosa vuole dimostrare?- chiese lui curioso una volta fuori.
-Di essere una brava figlia...- rispose la ragazza con un' occhiata
eloquente.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Era stato difficile, ma ce l'avevano fatta. Grazie all'aiuto di Claire
erano riusciti a prendere anche il secondo SI. C' erano stati un po' di
tumulti ma finalmente l' avevano arrestato. Claire era stata affidata
ai nonni che erano venuti a prenderla per portarla a vivere con loro in
California. Meredith era andata a salutarla all' aeroporto non senza un
po' di commozione, l' aveva abbracciata e le aveva rinnovato la
raccomandazione di telefonarle se avesse avuto voglia di parlare.
Inizialmente l' agente Prentiss si era offerta di occuparsi della
ragazza, ma Hotchner si era opposto e comunque era già stato
deciso che sarebbe andata con i nonni. A Meredith aveva fatto piacere
questo suo slancio di umanità, aveva dimostrato di avere un
gran cuore. Le piaceva sempre di più quella squadra, non
erano solo ottimi profiler erano tutti delle persone eccezionali. Aveva
rivalutato persino l' agente Morgan, nonostante all' inizio le fosse
sembrato un po' ostile aveva capito che quello era soltanto il suo modo
di fare. In realtà era un ragazzo d'oro, pronto a farsi in
quattro se c'era qualche problema. Era decisamente da ammirare. Poi
c'era Garcia l'irresistibile informatica capace di trovare praticamente
qualunque cosa e di farti morire con le sue battutine. Era stata una
delle prime persone a farla sentire veramente la benvenuta: quando
prima di partire per Denver Meredith le aveva portato un
caffè nella sua postazione ed era rimasta sulla porta per
paura di danneggiare qualcosa se il caffè fosse caduto, lei
si era alzata, le era andata incontro con gli occhi che brillavano
dietro le lenti degli occhiali e le aveva detto:
-Scricciola, io ti amo già lo sai? Sei la prima persona che
mostra un po' di rispetto per il mio regno.-
Meredith non aveva potuto trattenersi dal ridere e Penelope aveva riso
con lei. Con JJ non aveva avuto un grande dialogo ma da subito si era
rivelata una ragazza in gamba, dolce e gentile e l' aveva fatta sentire
veramente a suo agio quando le era andata incontro col suo meraviglioso
sorriso per presentarsi e presentarle gli altri. L'agente Hotchner
ancora non era riuscita ad inquadrarlo bene, a volte sembrava
così imperturbabile chiuso e lontano, ma lei sentiva che
dietro il suo sguardo serio c' era tutto un mondo che ancora non
riusciva a comprendere. Era questo quello che pensava mentre il jet
decollava diretto di nuovo in Virginia. Le dispiaceva da morire dover
lasciare quel team fantastico ancora prima di cominciare a conoscerlo
davvero, ma purtroppo si era giocata l' unica possibilità
che aveva di entrare a farne parte, ed era divenuta consapevole che
ciò non sarebbe mai accaduto non appena i suoi occhi avevano
incrociato quelli di Jason Gideon. L' uomo non le aveva detto una sola
parola a proposito del suo comportamento, e proprio da questo e da come
l' aveva guardata, così serio e severo, lei aveva capito.
Aveva disubbidito ad un suo ordine diretto e non sarebbe stata
perdonata. Ma non era triste, né tanto meno pentita. Se
avesse avuto l' opportunità di tornare indietro nel tempo
avrebbe fatto esattamente lo stesso. Era fatta così, non
poteva evitarlo. Forse per questo motivo Jason le aveva detto che non
era ancora pronta per il lavoro di profiler. Una volta arrivati alla
sede dell' FBI di Quantico, tutti si misero al lavoro per stendere il
proprio rapporto e andare finalmente a casa a riposare, tutti tranne
Gideon che fece cenno a Hotch di seguirlo di sopra. Meredith ebbe la
certezza che voleva parlargli di lei. “Ci siamo,”
pensò con amara rassegnazione “é stato
bello finché é durato.” I due uomini
salirono le scale ed entrarono nell'ufficio di Aaron. La ragazza si
sentiva come un condannato a morte che attende l' esecuzione della
sentenza.
-Che hai piccola?- la voce di Garcia che passava di lì in
quel momento la distrasse dai suoi pensieri.
-Oh, Penelope ciao mi hai spaventata...- era stata l'informatica stessa
a dirle che poteva tranquillamente chiamarla per nome, -... non ho
niente solo un po' di stanchezza.- mentì.
-Fatti un bel sonno cucciola.- le scompigliò dolcemente i
capelli e se ne andò. Meredith sorrise, ma il suo sollievo
durò poco perché Hotch si affacciò in
quel momento e le chiese di salire un attimo. Gli altri si distolsero
dal proprio lavoro e la guardarono. Non seppe che dire, non voleva
neanche incrociare i loro sguardi temeva di scoppiare in lacrime.
“Coraggio!” si fece forza e salì le
scale diretta verso il suo triste destino.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Lo sguardo dei due uomini nell'ufficio era tagliente come una lama. Non
prometteva niente di buono. Se proprio dovevano buttarla fuori si
augurò che lo facessero in fretta, non poteva sopportare a
lungo quel supplizio.
-Siediti Meredith.- le disse Hotchner facendole tornare in mente la
scuola e le sue assidue visite all' ufficio del preside. Nonostante la
sua intelligenza, aveva sempre avuto parecchi guai a causa della sua
natura indisciplinata e al suo poco rispetto per l'
autorità. Semplicemente certe cose non le andavano
giù e non aveva nessun timore di mostrarlo e far valere le
sue ragioni. Naturalmente la sua altissima media scolastica l' aveva
sempre salvata, ma ora non era esattamente la stessa cosa. Sentiva che
niente l' avrebbe potuta tirar fuori da quella situazione
perciò respirò a fondo e si sedette, augurandosi
che fosse una cosa rapida. Gideon si limitava a fissarla, fu Hotch a
cominciare:
-Tu lo sai perché ti abbiamo chiamata vero?- le chiese.
-Beh, penso di sì...- rispose vaga lei.
-Bene, allora ti renderai conto da te che hai avuto un comportamento
sbagliato.-
-A cosa si riferisce, al fatto che ho disubbidito all' ordine di un
superiore o che sono voluta rimanere con Claire?-
-C'è differenza?- chiese l' uomo accigliato.
-Sissignore.- rispose la ragazza guardandolo finalmente negli occhi
–Perché per non aver ubbidito sono disposta a
scusarmi, ma per essere rimasta con Claire non mi pento affatto.-
Entrambi la fissarono senza dire una parola, così
andò avanti a parlare:
-Mi dispiace davvero di aver trasgredito l'ordine di rimanere in
ufficio, ma non potevo lasciare quella ragazza da sola in ospedale e da
questo punto di vista credo di aver agito per il meglio. Era sola,
spaventata e ancora sotto shock per ciò che le era accaduto,
solo una persona ignobile avrebbe avuto il coraggio di abbandonarla. E
io non mi reputo affatto una persona ignobile.- Aveva pronunciato
quelle parole guardandoli entrambi con uno sguardo deciso, traendo da
dentro sé stessa un coraggio che mai avrebbe sospettato
potesse venir fuori di fronte a due uomini del genere.
-Non credo ci sia molto altro da aggiungere allora.- la voce di Gideon
finalmente risuonò nella stanza. Il suo sguardo era intenso
e penetrante, la ragazza faticava non poco a sostenerlo. Sapeva che
cosa voleva dire, lo sentiva in ogni fibra del suo essere. Si
preparò a sentirsi dire “Sei fuori.” e
ad essere accompagnata alla porta per non fare mai più
ritorno, ma ciò che udì aveva un suono totalmente
diverso:
-Sono molto fiero di te.-
Silenzio. Aveva sentito bene o quello era piuttosto un tiro mancino
giocatole dalla sua mente? Guardò il volto di Gideon e vide
che le sorrideva. “Non é possibile...”
pensò senza comprendere. Di nuovo il suo stato d' animo
trasparì chiaramente dal suo viso, così l' uomo
si affrettò a dare spiegazioni:
-Vedi Meredith tu hai commesso una grave mancanza, ma il punto
é che hai fatto la cosa giusta. Non ci serve a niente un
profiler che ciecamente ubbidisce quasi fosse un cane ad ogni ordine
che gli viene impartito. Se c'é una valida motivazione, e
credimi la tua lo era, trasgredire é lecito. Non dobbiamo
mai dimenticare che le persone sono il fulcro del nostro lavoro: noi
cerchiamo di proteggerle facendo tutto ciò che é
in nostro potere. Se smettiamo di preoccuparci per loro, allora non
siamo più niente. Tu ti sei preoccupata per Claire, le sei
stata vicina ed era questa la cosa più importante. Sei
ancora giovane e hai ancora moltissimo da imparare nonostante tutto
quello che già sai, ma hai imboccato la strada per il verso
giusto e sono più che sicuro che un giorno diventerai un'
ottima profiler.- Dopo questo discorso Meredith non sapeva
più che cosa dire. Un fiume di emozioni la travolse e ci
mise qualche minuto prima di ritrovare la parola:
-Ma per entrare nell' FBI bisogna avere almeno ventitré anni
e io ne ho ventuno...- disse timidamente.
-Alle questioni burocratiche ci pensiamo noi, tu non preoccupartene.-
le disse Hotch.
-Ti ho fatto una promessa ricordi? Io mantengo sempre la parola data.-
rincarò Gideon.
A questo punto la ragazza si congedò dai due uomini
ringraziandoli a più riprese, tanto che dovettero quasi
buttarla fuori dall' ufficio o non avrebbe smesso più. Aveva
una gran confusione in testa, si sentiva come ubriaca e provava una
gioia indescrivibile. Scese di nuovo nell' open space con le gambe che
le tremavano e si accorse che non c'era rimasto più nessuno.
“Che peccato,” pensò “mi
sarebbe piaciuto condividere con qualcuno la mia
felicità.” Prese l' ascensore perché
non era molto sicura di riuscire a camminare e uscì
godendosi l' aria fresca e frizzante della notte che le accarezzava il
volto quasi a voler festeggiare il suo successo.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Una voce conosciuta alle sue spalle la chiamò e lei si
voltò. Spencer Reid le stava andando incontro.
-Hey...- fece Meredith sorpresa quando fu abbastanza vicino -...cosa ci
fai ancora qui? Pensavo ve ne foste andati tutti.-
-Oh, beh ho finito tardi sai...- non era vero, ovviamente aveva finito
prima di tutti ma sarebbe stato troppo imbarazzante per lui rivelarle
che in realtà la stava aspettando. Meredith
inarcò le sopracciglia un po' incredula ma decise di
sorvolare. In fondo era contenta di non essere da sola.
-Beh?- chiese lui curioso.
-Cosa?-
-Che ti hanno detto Hotch e Gideon?-
-Oh quello... Beh sai mi hanno fatto un po' di ramanzine
perché ho disubbidito e sono rimasta in ospedale.- rispose
lei vaga.
-Capisco...- aveva un' aria visibilmente dispiaciuta.
-Comunque...- continuò Meredith con un sorrisetto malizioso
– ti ci dovrai abituare ai miei colpi di testa dato che d'
ora in poi lavoreremo insieme.-
Lui ci mise un po' ad elaborare la notizia. Alla fine era successo
quello che aveva sperato: l' avevano presa, d' ora in poi avrebbe
lavorato insieme a lei, a stretto contatto. Ogni giorno. Si sentiva
felice e sul punto di morire allo stesso tempo.
-Complimenti allora.- riuscì a dirle alla fine.
-Grazie!- esclamò con un enorme sorriso stampato sulla
faccia.
-E ora torni a casa?-
-No, non ne ho molta voglia.- disse Meredith proseguendo il cammino,
così che lui fu costretto a seguirla, - Sai io non dormo
molto la notte per via degli incubi, e stasera non riuscirei
sicuramente a prendere sonno. Rientrando a quest' ora inoltre
rischierei di svegliare i miei coinquilini e preferisco non
disturbarli. Perciò é inutile che vada a casa.-
-Che intendi fare allora?-
-Se vieni con me lo scoprirai.- rispose con aria dispettosa e
misteriosa allo stesso tempo. Era troppo intrigante per non seguirla. E
poi a Spencer non dispiaceva affatto passare un po' di tempo da solo
con lei a parlare di qualcosa che non fosse un caso da risolvere. O
almeno provarci. Meredith si fermò di fronte alla macchina e
Reid le domandò ridendo:
-Questa é tua?- Lei lo guardò fingendo di
arrabbiarsi:
-Perché, hai da ridire sulla mia splendida bambina?- chiese.
-No,- fece lui non potendo trattenere un sorriso - solo che
é un po'... Particolare! Ma non mi aspettavo niente di
normale da te sinceramente.-
-Questa caro il mio genietto ignorante.- disse lei sempre facendo l'
offesa – é una Ford Mustang del sessantotto, usata
ma in ottime condizioni e...-
-Ed é totalmente viola!- finì Spencer ridendo.
-Se non ti va puoi sempre venire camminando!- Sfidò lei con
un’espressione allegre -No, mi va benissimo!- e si
affrettò a salire temendo che Meredith fosse davvero capace
di lasciarlo a piedi.
-Spero che non avrai da ridire anche sulla musica perché in
tal caso ti butterei fuori dalla macchina in corsa.- Avvertì
ridendo e facendo partire un cd dei Metallica.
“Ma che razza di tipa é mai questa?”
pensò con un sorriso il ragazzo “ ha una macchina
viola, ascolta i Metallica e le interessano i casi di omicidio. E ora
chissà dove mi starà portando... menomale che
ancora non é armata o avrei davvero paura!” Di
nuovo la voce maligna nella sua testa tornò a canzonarlo:
“Sei proprio un tonto! Dovresti sentirti fortunato,
finalmente hai un' occasione. Hai intenzione di sfruttarla o non farai
nulla come al solito?” A dir la verità non aveva
considerato la cosa da questa prospettiva, e solo a pensarci
iniziò a sudare freddo. “Il solito imbranato, non
combinerai mai niente!” rincarò la voce maligna.
Reid decise di ignorarla. Erano finalmente arrivati: ancora una volta
Meredith era riuscita a stupirlo.
-Ma che posto é questo?- le chiese stupefatto mentre
scendevano dall' auto.
-Benvenuto nel mio posto segreto, o la mia casa sull' albero come amo
chiamarlo.-
In realtà non c'era un albero né una casa, ma un
piccolo molo che dava su un fiume. Reid non si ricordava di esserci mai
stato, ma doveva ammettere che era bellissimo. Lontano dalle luci della
città, una miriade di stelle brillavano di una luce
incantevole che si specchiava nell' acqua creando un meraviglioso gioco
di riflessi. Il tutto illuminato dalla luna piena, che tonda e
splendente si ergeva come una regina in mezzo alla sua corte di piccole
stelle.
-E' davvero stupendo, toglie il fiato.- esclamò Spencer.
-Vieni,- Meredith sorrise e fece cenno di seguirla. Si diresse verso il
molo, sedette sul cemento coi piedi che pendevano sull' acqua e lo
invitò a sedersi accanto a lei. Stettero un po' in silenzio
a contemplare la bellezza del paesaggio, e dopo un po' la ragazza
ricominciò a parlare:
-Sai, c' è anche un altro motivo per cui mi piace venire qui
oltre che per la vista meravigliosa.- Spencer la guardò. Il
suo volto illuminato dalla pallida luce della luna era anche
più incantevole del paesaggio.
-Quale?- le chiese.
-Prometti di non prendermi in giro però. - disse guardandolo
dritto negli occhi. Lui promise e lei andò avanti:
-Quando mia madre é morta, le sue ceneri sono state gettate
in queste acque secondo quella che era la sua volontà. Da
allora quando ho qualche problema oppure voglio un po' di pace o mi
sento troppo sola vengo qui e mi sembra di poter stare di nuovo con lei
in un certo senso.- Spencer continuò a guardarla senza dire
una parola.
-Lo so che é stupido, ma la bambina che é in me
ha ancora bisogno di un contatto con sua madre, seppure illusorio.-
Aggiunse visibilmente imbarazzata.
-Non é affatto stupido é naturale.- rispose
finalmente lui. Meredith si voltò a guardarlo, e per la
prima volta si accorse di quanto fosse tenera quella sua espressione da
cucciolo. Si guardarono negli occhi per un istante prima che quasi
senza rendersene conto le loro labbra si fondessero in un lungo e
tenero bacio che sembrò non avere fine.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
L' acqua gelata della doccia non le aveva affatto dato sollievo. Non
riusciva a smettere di pensare alla sera prima, a quel bacio che poteva
ancora assaporare se provava a chiudere gli occhi. Un pensiero la
tormentava, ma non si trattava di questioni etiche quali la
legittimità o meno di simili contatti tra colleghi. Pensieri
del genere non si addicevano ad uno spirito libero come il suo, lei
seguiva sempre l' istinto e se le andava di fare qualcosa la faceva
punto e basta. Era un altro il suo problema. Temeva che Spencer potesse
pensare che aveva organizzato tutto di proposito. Si torturava pensando
all' opinione che avrebbe potuto farsi di lei, il che era piuttosto
insolito dato che non si era mai curata di ciò che pensavano
gli altri. Anzi spesso e volentieri si divertiva a provocare le
persone, ma ciò che era successo su quel molo non era
affatto una provocazione era qualcosa che era nato spontaneamente
dentro di lei, e stava esplodendo con una violenza inaspettata che le
faceva quasi paura. Ecco perché la sua opinione era
così fondamentale. Si sentiva morire non voleva che lui
fraintendesse le sue intenzioni. Non si era minimamente accorta della
piega che stava prendendo il loro rapporto prima di quella sera. Si
sentiva come sull' orlo di un precipizio: se guardava avanti quello che
vedeva era una profonda voragine nella quale aveva una paura folle di
tuffarsi. Ma aveva anche un disperato bisogno di farlo.
-Le persone che come te hanno sofferto molto.- le aveva detto
saggiamente Megan -Hanno sempre paura a lasciarsi andare.
Però tesoro, tutti si meritano un po' di
felicità, te compresa. Non analizzare le tue emozioni e non
temerle: vivile e basta.-
Aveva perfettamente ragione e Meredith lo sapeva. Ciò
nonostante navigava in un oceano di dubbi e paure. Non sapeva
più dove sbattere la testa. Era chiaro che doveva parlargli
ma non sapeva come né quando farlo. Il cellulare
vibrò facendola trasalire.
-Ciao Meredith ti disturbo?- la voce di JJ risuonò dall'
altra parte. Per un attimo aveva temuto che fosse Reid, si
sentì sollevata e delusa allo stesso tempo.
-No, dimmi pure.- rispose senza troppo entusiasmo.
-Bene, volevo solo informarti che é cominciata la procedura
per farti entrare nella squadra, e a breve sarai una profiler della BAU
a tutti gli effetti.-
-Davvero?- chiese lei esaltandosi. Quello che era successo le aveva
quasi fatto dimenticare il resto.
-Si.- rispose ridendo JJ -credevi davvero che per Gideon sarebbe stato
un problema aggirare la burocrazia?-
La ragazza non rispose, ma stava cominciando a pensare che quell' uomo
potesse davvero tutto.
-Comunque…- riprese l' agente Jereau, -…volevo
dirti che se vuoi posso darti una mano con l' esame per la pistola. A
meno che tu scelga di non portarla ovviamente, dato che per i profiler
non é obbligatorio.-
Meredith ci pensò su un attimo. Lei non sapeva neanche come
si teneva in mano un' arma, però scegliere di non portarla
avrebbe significato dover stare sempre in ufficio e aveva
già dimostrato di non esserne capace.
-No, no va bene anzi grazie per l' aiuto.- rispose alla fine.
-Perfetto allora vieni cominciamo subito. Ti aspetto nel mio ufficio.-
Chiuse il telefono e si diresse in camera sua per vestirsi. In
realtà dubitava che una come JJ potesse esserle utile per
imparare a usare la pistola. Non sembrava affatto il tipo, non riusciva
a vederla con un' arma in mano. Decise di fidarsi comunque, aveva
imparato che la vita ti sorprende sempre e non bisogna mai fermarsi
alle apparenze. Mentre guidava cercava di non pensare a cosa sarebbe
successo se per caso si fosse imbattuta in Spencer una volta arrivata.
Era ancora troppo confusa e non si sentiva affatto pronta ad
affrontarlo. Arrivata davanti al palazzo dell' FBI
parcheggiò la macchina ed entrò, diretta verso l'
ufficio di JJ. Non si era minimamente accorta dell' uomo che appostato
dalla parte opposta della strada l'aveva seguita da quando era uscita
di casa e aveva osservato ogni suo movimento.
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
L' esercitazione non era andata poi così male, e le aveva
anche dato l' opportunità di conoscere meglio JJ che l'
aveva stupita con la sua mira eccellente e la sua immensa pazienza e
disponibilità nel correggere i suoi errori. Si sentiva
sempre di più come se entrando in quella squadra stesse in
realtà andando a far parte di una famiglia, una meravigliosa
sensazione di calore che da troppo tempo aveva dimenticato stava
nascendo dentro di lei e la faceva sentire come se camminasse a tre
metri da terra. Almeno finché non si ritrovò
davanti una figura maschile a lei ben nota che la riportò
all' istante su questo pianeta: Spencer la stava aspettando davanti
alla sua macchina.
"Accidenti," pensò Meredith non senza un po' di panico
"proprio ora dovevo incontrarlo?"
-Ciao.- la salutò lui con un cenno della mano come era
solito fare. La ragazza notò che non la guardava negli occhi.
-Ciao.- rispose con una nota di imbarazzo nella voce. Avrebbe voluto
essere ovunque tranne che lì avrebbe preferito incontrare
chiunque tranne lui, ma ormai era in ballo e decise di ballare.
-Come stai?- gli chiese con tono più sicuro.
-Oh beh...- fece lui -...Benissimo e tu?-
-Benissimo anche io.- rispose - Ero insieme JJ ad esercitarmi con la
pistola. Abbiamo esaurito i convenevoli?- chiese spiccia, -Ora me lo
dici che stai facendo lì?- sorrise.
Lui finalmente si decise a guardarla. Era estremamente imbarazzato e
non disse nulla.
-Devo fare proprio tutto io eh?- gli disse inarcando un sopracciglio e
ridendo.
-Ascoltami ti va di prenderci un caffè e chiacchierare un
po'? Offro io.-
-Si...Va bene...- rispose lui piuttosto timoroso.
-Perfetto dai sali, ma niente più commenti sulla mia
meravigliosa macchina ok?- disse strizzandogli l' occhio.
-Ok!- rise finalmente lui sciogliendosi.
La sua acquisita sicurezza si sgretolò quando vide dove
Meredith lo aveva portato. Non era una caffetteria, e neanche un bar.
Era un' abitazione.
-Dove siamo?- chiese senza essere troppo sicuro di voler conoscere la
risposta.
-A casa mia.- fece lei scendendo dalla macchina. Lui scese a sua volta
e la guardò con aria interrogativa.
-Ho detto che ti avrei offerto un caffè, non che lo avrei
pagato!- rise.
-Ma, io... Non ho detto niente!- protestò lui.
-La tua faccia dice tutto, ma stai tranquillo non ti accadrà
nulla puoi entrare senza paura.- lo canzonò ridendo.
-Divertente!- fece lui ironico.
-Lo sai é tipico di voi maschietti pensare che una ragazza
invita un ragazzo in casa sua solo se ha un secondo fine, siete
maliziosi di natura.- disse guardandolo con aria di sfida.
-Ah si?- chiese lui divertito.
-Certo!- annuì la ragazza aprendo la porta.
Spencer si guardò un attimo intorno, la casa non
corrispondeva affatto al profilo di Meredith, e quando glielo disse lei
esclamò con un finto tono offeso:
-Ma come, mi hai fatto il profilo Dottor Reid?-
-Oh beh, sai... In realtà abbiamo parlato di te insieme agli
altri... Deformazione professionale, non ci possiamo fare niente...-
tentò di scusarsi. Lei si mise a ridere.
-Accidenti io ho fatto la stessa cosa con tutti voi, mi avete
già contagiata!-
Il ragazzo fu molto sollevato nello scoprire che Meredith in
realtà non era affatto arrabbiata.
-Non avete preso in considerazione un fattore importante
però cari i miei profiler sbadati,- disse accingendosi a
preparare il caffè, - cioé che io non abito da
sola, ho ben due coinquilini.-
-Beh, noi non lo sapevamo. Fino all' altra sera non avevo idea...- si
fermò di colpo. Quella ragazza era decisamente una
streghetta intrigante. Era riuscita senza che lui neanche se ne
accorgesse a farlo cadere sul punto focale di tutto quel discorso. E la
cosa più bella era che da come gli sorrideva pareva proprio
che avesse escogitato tutto di proposito.
-Bene finalmente sono riuscita a sbloccarti!- annunciò
trionfante.
-Lei é veramente subdola,- la accusò puntandole
il dito,- ma non posso fare altro che complimentarmi per le sue
eccellenti capacità Dottoressa Nelson.- disse ridendo.
-Sono un genio o no?- rise lei a sua volta.
-Tornando seri.- riprese dopo qualche minuto -Io non vorrei che tu ti
fossi fatto strane idee riguardo a quello che é successo l'
altra sera.-
-In che senso?- chiese Spencer.
-Beh non vorrei che tu pensassi che ti ho portato lì di
proposito.- Era di nuovo in imbarazzo, e mentre parlava si concentrava
sulla moca, quasi come se guardandola avesse potuto in qualche modo
contribuire alla preparazione del caffè. Reid si
alzò e le andò vicino. La afferrò per
le spalle in modo che fosse costretta a guardarlo.
-La vuoi sapere qual' é l' unica cosa che penso?-
domandò.
Meredith ci mise un po' a rispondere, perché guardandolo
negli occhi ebbe di nuovo quella sensazione che aveva provato all'
ospedale, come se il suo sguardo potesse scrutare dentro la sua anima e
leggere ciò che celava nel profondo. Però ora,
anche a lei sembrò di potergli leggere dentro e si rese
conto che lui provava esattamente le stesse cose che sentiva lei, che
aveva un disperato bisogno che qualcuno lo salvasse dai suoi incubi
come lo aveva lei. E realizzò di voler essere quel qualcuno.
-Dimmelo.- rispose alla fine la ragazza.
-Penso che quello che é successo l'altra sera sia la cosa
migliore che mi sia mai capitata.- affermò senza neanche
rendersi conto di ciò che diceva. Ora non si sentiva
più impacciato come prima, lei lo faceva sentire diverso
come se avesse una qualche sorta di benefica influenza su di lui.
-E' buffo.- fece Meredith guardandolo teneramente -E'la stessa cosa che
penso anche io.- si guardarono negli occhi e fu come se il mondo intero
avesse smesso di girare. C'erano solo loro due, il centro dell' intero
universo consisteva nelle loro labbra unite e nella passione che
trasmettevano, che li travolse e non si esaurì
finché il caffè non fu del tutto evaporato.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
Si svegliarono entrambi di soprassalto, perché i loro
cellulari
vibravano in contemporanea. Si erano addormentati l' uno nelle braccia
dell' altra ed erano miracolosamente riusciti a non essere preda dell'
insonnia e cosa che sembrava ancora più incredibile, ad
avere un sonno
senza incubi. Sul display del telefono di Reid lampeggiava la scritta
“Jason Gideon”, su quello di Meredith c'era invece
il nome “Aaron
Hotcher”. Si guardarono allarmati: va bene essere ottimi
profiler, ma
non era possibile che li avessero già scoperti! La ragazza
corse fuori
per evitare che Hotch potesse sentire la voce di Spencer.
-Pronto?- disse chiudendosi la porta alle spalle.
-Ciao Meredith, ho bisogno che tu ci raggiunga in ufficio subito,
abbiamo un nuovo caso.-
La ragazza emise un sospiro di sollievo.
-Bene,
arrivo.- disse e riagganciò. Riaprì la porta e
scambiò uno sguardo
eloquente con Reid che aveva avuto la stessa conversazione con Jason.
-Accidenti che infarto!- disse la ragazza.
-Per
poco non morivo!- fece lui, ed entrambi scoppiarono a ridere come due
bambini che dopo aver rubato la marmellata alla mamma l'avevano fatta
franca. Meredith si sedette sul letto e abbracciò Spencer
che la baciò
con trasporto. Lei si staccò e mordicchiandogli l' orecchio
sussurrò:
-Niente bis, si rivesta Dottor Reid dobbiamo andare a lavoro.-
-Agli
ordini capo!- rispose il ragazzo con la stessa espressione di un
bambino a cui viene tolto un bel giocattolo mentre lei si alzava per
andare a fare la doccia. Una volta usciti di casa però
sembrò tornare
il vecchio imbarazzato Spencer:
-Io vado col taxi.- disse – Non mi
pare il caso di arrivare insieme con la tua macchina.- Meredith rimase
un po' male, ma in fondo sapeva che aveva ragione lui e
acconsentì.
Attese circa quindici minuti dopo la partenza del taxi in modo da non
arrivare in contemporanea e si avviò anche lei. Durante il
viaggio
ripensò un paio di volte a quello che era successo.
“Te ne rendi conto
vero che sei già nei guai fino al collo e ancora non hai
nemmeno
cominciato?” rimproverò una voce nella sua mente.
Si, se ne rendeva
conto perfettamente ma non le importava affatto. Il suo pensiero
tornava sempre alla sera prima e per una volta nella sua vita fece la
cosa giusta e seguì il consiglio di Megan: niente analisi
dei pro e dei
contro, dei come e dei perché. Era semplicemente qualcosa di
meraviglioso che le stava accadendo e che era ben intenzionata a vivere
appieno. E al diavolo l'etica e i ragionamenti contorti. Per una volta
la mente non avrebbe vinto sui sentimenti. Parcheggiò l'
auto e fu
felice di vedere che il Taxi non c'era per cui Spencer doveva essere
già arrivato. Mentre si avviava all' interno dell' edificio
notò con la
coda dell' occhio la figura di un uomo che sembrava osservarla da una
macchina ferma sull'altro lato della strada. Decise di non farci caso,
probabilmente era tutto frutto della sua immaginazione. La squadra era
già riunita Meredith si scusò per il ritardo e si
sedette nella sedia
vuota tra Morgan e Reid senza rivolgere neanche uno sguardo di sfuggita
a quest' ultimo. Non voleva destare il benché minimo
sospetto.
-Bene,
ora che ci siamo tutti possiamo cominciare.- annunciò JJ.
-Siamo stati
contattati dalla polizia di Los Angeles per una serie di omicidi
avvenuti negli ultimi tre mesi, tutti nella stessa zona e con lo stesso
modus operandi. Anche il tipo di vittime é lo stesso: maschi
bianchi
tra i trentacinque e i quaranta tutti sposati con bambini,uccisi con un
colpo di pistola alla tempia nella loro auto mentre tornavano a casa
dal lavoro.-
-Quante vittime ci sono state per il momento?- chiese Hotch.
-Quattro.- fece JJ – La polizia locale ci ha contattati
perché temono sia opera di un assassino seriale.-
-C'è qualche collegamento tra le vittime?-
domandò Emily.
-Apparentemente nessuno.-
-Bene.- sentenziò Gideon,- mi sembra che non ci sia molto da
aggiungere, partiamo il prima possibile.-
-Il Jet é già pronto.- disse JJ con un sorriso.
-Ho
ho!! allora andiamo nella città degli angeli!- disse Morgan
piano a
Reid strizzandogli l' occhio. Meredith li guardò senza
capire e Spencer
evitò il suo sguardo. Los Angeles era la città
dove viveva Lila Archer.
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
“Innamorarsi non é una colpa, innamorarsi non
é una colpa...”
Spencer
si ripeteva mentalmente questa cantilena per auto convincersi che non
ci fosse nulla di sbagliato in ciò che era successo con
Meredith. Era
seduto sul Jet che li stava portando a Los Angeles e guardava
alternativamente prima la punta delle sue scarpe poi quando pensava che
nessuno lo stesse osservando sbirciava in direzione di Meredith che
sedeva accanto a JJ qualche posto più avanti, con le cuffie
nelle
orecchie e lo sguardo perso fuori del finestrino.
“Probabilmente
starà ascoltando una qualche canzone metal...”
pensò lasciandosi
sfuggire un sorriso tenero, “Certo che é bella
davvero...” distolse lo
sguardo e tentò di ricacciare indietro i ricordi che gli si
affollavano
nella mente. Temeva quasi che qualcuno potesse leggere i suoi pensieri
e scoprire quello che era successo. Era ancora piuttosto confuso in
realtà non capiva bene come era possibile che una ragazza
simile si
fosse interessata proprio a lui.
“Forse é un sogno e domani mattina
quando mi sveglierò scoprirò che lei non
é mai neanche passata da
queste parti.” pensò guardando fuori dal
finestrino con un sospiro.
Morgan gli dette una pacca sulla spalla che lo riportò alla
realtà.
-Allora,- scherzò -sei pronto per rivedere la tua vecchia
fiamma?-
Spencer fu grato del fatto che Meredith stesse ascoltando la musica e
non potesse sentire.
-Non é divertente.- disse guardando di sottecchi il collega.
-Che c'é non si può più scherzare? Ma
che ti prende?- chiese Derek inarcando le sopracciglia.
-Niente,
non sono dell' umore adatto.- mentì il ragazzo. Doveva fare
molta
attenzione a come si comportava, o rischiava di destare sospetti in
quegli abilissimi profiler che erano i suoi colleghi. In sostanza, gli
sarebbe servito un miracolo. Iniziò a parlare a Derek del
caso per
sviare il discorso. Atterrati a Los Angeles si diressero alla centrale
della polizia locale, dove vennero accolti un po' freddamente. All'
inizio i poliziotti del luogo erano sempre restii ad accettare quella
che loro consideravano una intrusione da parte dell' FBI. D' altra
parte era stato il loro capo a chiamarli quindi avevano poco da
lamentarsi. JJ si fece subito indicare una stanza dove potessero
sistemarsi, e la squadra si riunì per fare mente locale.
-Allora,- iniziò Gideon.- abbiamo quattro omicidi simili
avvenuti nella stessa zona negli ultimi tre mesi. Che cosa sappiamo?-
-Tanto
per cominciare… - fece Morgan – L’ SI
é probabilmente una persona che
abita oppure ha abitato nel quartiere e sa come muoversi al suo
interno.-
-Non solo, sceglie sempre come vittime uomini sposati e
con bambini, forse li invidia perché hanno quello che lui
non ha.-
disse Emily.
Hotch notò che Meredith sembrava assente.
-Che hai?- le chiese.
-Pensavo
che il modus operandi é molto strano.- rispose la ragazza
pensierosa, -
Gli assassini seriali solitamente traggono un qualche tipo di piacere
dall' omicidio. Ma sparare un colpo di pistola alla testa é
un modo
freddo e rapido di uccidere qualcuno. Sembrano quasi delle esecuzioni.-
-E' vero…- fece Reid – le vittime potrebbero aver
fatto qualcosa all' SI che le ha punite. Oppure lui ne é
convinto.-
-Si
ma cosa? A parte l' età e la famiglia questi uomini non
hanno altro in
comune. Cosa potrebbero aver fatto che ha indotto l'SI a decidere di
eliminarli?- chiese Hotch.
-Qualcosa ci sfugge.- affermò Gideon – Sento che
stiamo tralasciando qualche particolare.-
Il telefono di Morgan vibrò, era Garcia e lui mise in viva
voce.
-Dicci tutto bambolina.- la esortò il profiler.
-Mi
sono arrivate fresche fresche nuove foto dalle scene del crimine.
Sembra che un dettaglio sia emerso solo ora. Ve le mando.- Pochi minuti
dopo arrivarono quattro fotografie raffiguranti le nuche delle vittime.
Su di ognuna vi era inciso un piccolo pentacolo.
-Satanismo?- esclamò Morgan sbalordito.
-Non
é detto.- fece Meredith,- guardate bene, questi pentacoli
non sono
rovesciati perciò il satanismo non c'entra affatto. Pochi
sanno che il
pentacolo in realtà non é un simbolo negativo o
satanico, nel
paganesimo stava infatti ad indicare l' unione mistica e l'equilibrio
dei principi che regolano l' universo: quello maschile e quello
femminile e in epoca classica era associato al culto della dea Venere.-
Gli altri la guardarono un po' sconcertati e si voltarono verso Reid
come a chiedere conferma.
-Ha ragione...- affermò quest' ultimo imbarazzato nel
ricevere tanta attenzione.
-Quante probabilità ci sono che anche l' SI sapesse queste
cose?- chiese Emily.
-Li ha disegnati tutti e quattro dritti, non può essere un
caso.- disse Meredith.
-Bene,
tu e Reid lavorate su questi simboli Prentiss e Morgan andate a parlare
con le famiglie mentre io e Hotch ci recheremo sulla scena del
crimine.- disse Gideon con fare sbrigativo.
-Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che sappia tante cose
su un simbolo.- disse Spencer ammirato.
-Beh sono sempre stata appassionata di semiotica.- ammise Meredith
lusingata.
-Oh no!- fece Morgan – ecco un' altra ragazzina con degli
hobby assurdi. Divertitevi voi due.- e uscì ridendo.
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
Avevano lavorato per un ora sui pentacoli senza riuscire a capire cosa
potesse significare il fatto che l' SI li incidesse sulla nuca delle
vittime dopo la morte, come l'autopsia aveva stabilito.
-Ok, é chiaro che questa é una firma e che non ha
un significato satanico.- disse Spencer – E allora cosa vuol
dire? Perché inciderli?-
-Ha ragione Gideon ci sta sfuggendo qualcosa...- sospirò
Meredith. Reid si appoggiò allo schienale della sedia e
chiuse gli occhi per pensare meglio.
-Per quale motivo un uomo dovrebbe uccidere degli uomini che tornano a
casa dal lavoro marchiandoli successivamente con un simbolo che viene
associato alla dea Venere e all' equilibrio tra i due sessi?-
-Apparentemente non ha senso. A meno che...- sgranò gli
occhi e guardò Spencer come folgorata da una improvvisa
illuminazione.
-Cosa?- chiese lui.
-A meno che l'SI non sia un uomo, ma una donna.- Il ragazzo parve
essere colpito dalla stessa folgorazione.
-Certo, questo spiegherebbe anche come mai gli spara invece di
aggredirli fisicamente.-
-Essendo una donna non ne ha la forza.- completò Meredith,-
dobbiamo chiamare gli altri.-
-Io telefono a Garcia vediamo che salta fuori.-
La ragazza parlò con Morgan ed Emily e disse loro di
indagare sulla presenza di donne sospette nella vita di quegli uomini
ma non uscì niente. Sembravano tutti mariti modello, nessuno
li aveva mai visti con donne che non fossero le mogli. Spencer fu
più fortunato, Penelope scoprì che sotto la
facciata di quelle famiglie apparentemente felici si nascondevano dei
problemi, dato che tutte vedevano la medesima consulente matrimoniale
una certa Karen Wallace. La donna aveva un passato di violenze subite
prima dal padre poi dall' ex marito e questo spiegava probabilmente il
fatto che punisse gli uomini. Forse li incolpava dei problemi che le
famiglie avevano e rivedeva il padre e l'ex in loro. Quando la
arrestarono non si trovava nel suo studio, ma davanti alla casa di un
altra famiglia in terapia da lei, i Mc Farland, e attendeva con la
pistola in mano che il marito James rincasasse. Si arrese quasi subito
e confessò gli omicidi.
-Magari tutti i casi filassero così lisci,-
esclamò Emily quando rientrarono alla centrale- siete una
forza voi due insieme.- fece rivolta a Meredith e Reid. I ragazzi
sorrisero lusingati,e videro con piacere che il volto di Gideon era
pieno di orgoglio.
-Il Jet non sarà pronto fino a domani mattina,- disse JJ-
perciò ho prenotato delle stanze in un albergo qui vicino.-
-Bene, stasera ci diamo alla pazza gioia!- esclamò Morgan.
-Io voglio fare un giro per la città.- sorrise Emily.
-Aspettatemi vengo con voi.- si unì JJ.
-Credo che farò visita ad un vecchio amico, vieni con me?-
disse Gideon rivolto a Hotch.
-Perché no?- rispose quest' ultimo – e voi che
fate?- disse rivolto ai due ragazzi.
-Io sono stanca, devo ancora abituarmi credo che me ne andrò
a dormire.- rispose Meredith.
-Ti accompagno.- fece Reid e se ne andarono. Jason e Aaron si
scambiarono uno sguardo, ma non dissero nulla.
-Che non ti vengano in mente strane idee,- avvisò Meredith
puntando il dito e ridendo una volta saliti sul Taxi diretto all'
albergo.- quello che ho detto é vero, sono stanca morta. E
poi qualcuno potrebbe vederci.-
-Cosa ho fatto ora?- disse Spencer con aria da cucciolo bastonato. Era
troppo irresistibile e la ragazza gli schioccò un bacio
sulle labbra, per poi scostarsi subito ed esclamare:
-Ho detto di no!-
-Prima mi baci e poi mi dici no? Tu hai qualche rotella fuori posto te
lo dico io.- la prese in giro lui baciandola di rimando.
Scesero dal Taxi e il sorriso di Reid si congelò una volta
entrati nella hall. Una figura femminile lo salutò con la
mano e gli andò incontro sorridendogli.
-Ciao Spencer!- fece la ragazza abbracciandolo. Lui si
discostò visibilmente imbarazzato e pronunciò un
tremante -C... ciao Lila.-
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
“E questa gatta morta chi diavolo é?”
pensò Meredith con rabbia. “No, calma. Io non sono
una gelosa, e poi non ho nessun diritto di esserlo. Non lo so neanche
io cosa c'é fra noi.” disse a se stessa tentando
di placare l' ira che si impossessava di lei.
-Allora, come stai? E' un po' che non ci sentiamo.- disse Lila
sorridendo a Spencer.
-Bene grazie...- rispose quest' ultimo- Sono stato molto occupato,
sai...-
-Beh, ora sei qui.- sorrise lei maliziosa. - Per quanto ti fermi?-
chiese.
-Poco, io... Noi eravamo qui per un caso ma domani mattina ripartiamo.-
-Ah, capisco...- fece squadrando Meredith dalla testa ai piedi. - E tu
sei?-
-Lei é una mia collega , la dottoressa Meredith Nelson.-
rispose Reid al suo posto.
“Si, e sono anche l' ultima persona che vedrai se non la
pianti di fare l' oca giuliva.” pensò la ragazza
guardandola di sottecchi e stringendo forse un po' troppo la mano che
Lila le porgeva.
-Piacere di conoscerti.- disse questa con un sorriso che sembrava molto
falso. Meredith non rispose e accennò un mezzo sorriso
stirato.
-Bene, che ne dici di farci un giretto in memoria dei vecchi
tempi?- disse Lila sorniona rivolgendosi di nuovo a Spencer.
-Io... Non so, dovrei andare a dormire credo... Domani mattina devo
alzarmi presto.- rispose lui imbarazzato guardando Meredith, che
però non ricambiava lo sguardo.
-Oh, andiamo!- incalzò la Archer – l' ultima volta
siamo stati bene no?- chiese civetta sbattendo le ciglia. Era
decisamente troppo, non poteva sopportare quell' ochetta odiosa un
minuto di più. Doveva assolutamente allontanarsi o non
avrebbe più risposto di sé. Che se ne andassero
al diavolo, non le importava niente.
-Ma si, in fondo puoi dormire anche domani mattina sul Jet,
perché non vai? Io me ne andrò dritta a letto.
Buona notte.- disse gelida senza guardare nessuno dei due e
incamminandosi alla reception per farsi dare la chiave della stanza.
-Ma...- accennò Spencer sconsolato rendendosi conto di
essere nei guai fino al collo. Perché doveva sempre andarsi
a cacciare in situazioni imbarazzanti?
-Che ragazza strana...- fece Lila - Allora vogliamo andare?- chiese
sorridendo.
-Ecco...- non era del tutto sicuro ma lei lo trascinò via e
non lo lasciò finire. Meredith si chiuse nella sua stanza e
si sdraiò sul letto. Non voleva pensare a nulla ma le
riusciva parecchio difficile prendere sonno. Molto più del
solito. Continuava ossessivamente a lanciare occhiate all' orologio e
la sua ansia cresceva di minuto in minuto. Andò in bagno,
aprì il rubinetto del lavandino e si gettò dell'
acqua fredda sulla faccia. “Non me ne importa
niente!” pensò guardando la propria immagine
riflessa nello specchio come a volersi persuadere. Tornò a
sedersi sul letto e mentre tamburellava nervosamente con le dita sul
comodino il suo cellulare vibrò. Sul display lampeggiava il
nome di Oliver. Doveva aver ricevuto il messaggio in cui lo avvisava
che sarebbe tornata l' indomani mattina e che non dovevano aspettarla.
-Ehilà, come te la passi a Los Angeles? Hai incontrato
qualche celebrità?- scherzò l' amico.
-No, mi sono rintanata nella solitudine della mia camera d' albergo e
tento di trattenermi dal disintegrare qualcosa.- fece lei cupa.
-Mi prendi in giro?- chiese lui incredulo.
-No purtroppo.-
-Ma cosa é successo, stai bene?-
-Si, benissimo.- rispose lei sarcastica.
-Meredith mi stai facendo preoccupare, e se non vuoi che trascini la
povera Megan che é appena andata a dormire sul prossimo volo
per Los Angeles farai meglio a parlare.- intimò Oliver.
-Non ho voglia di parlare, e poi sono cose da ragazze.-
-Ah si? Ma guarda un po'... E non eri tu quella che diceva che l' unica
differenza tra gli uomini e le donne é nel fisico, e che il
resto é tutto frutto dei condizionamenti sociali che i
bambini e le bambine subiscono fin dalla nascita?- la
stuzzicò lui citando uno degli argomenti che le stavano
più a cuore.
-Io e un' ampia corrente di pensiero, si e allora?-
-E non é forse vero che siamo cresciuti insieme, ci vogliamo
bene come se fossimo fratelli e finora abbiamo sempre condiviso tutto?-
-E' vero.- ammise la ragazza con un sorriso.
-E allora tra noi stupidaggini simili non esistono. Perciò
sputa il rospo.-
-Accidenti a te!- si mise a ridere lei - mi hai incastrata.-
-E non dimenticare che ti ho fatta ridere, sono due punti per me.-
annunciò trionfante il ragazzo.
-Ok, ok... ma é una cosa stupida.-
-Aspetta fammi indovinare. C'entra per caso il tuo genietto?-
-La vuoi piantare di chiamarlo così?- lo
rimproverò lei ridendo. - Comunque si, c'entra lui e il
fatto che sono la più grande stupida che abbia mai
calpestato il suolo terrestre. Abbiamo incontrato una sotto specie
di... Barbie ammiccante e ancheggiante che a quanto ho capito ha avuto
una storia con lui in passato.-
-Dimmi che l' hai presa a calci ti prego!- esclamò Oliver.
-Si, magari...- fece Meredith – …no, anzi lei gli
ha chiesto di andare a fare un giro “in memoria dei vecchi
tempi”, lui tentennava ma io l'ho spinto ad accettare e mi
sono chiusa in camera.-
-Tu hai fatto cosa?- chiese il ragazzo sbalordito.
-Hai capito benissimo, ma non é un problema, anzi non me ne
importa affatto.- rispose lei alzando le spalle.
-Oh certo! E scommetto che é perché non te ne
importa niente che non riesci a dormire e fissi nervosamente l'
orologio ogni due secondi, vero?-
-Come fai a saperlo? Mi hai per caso messo una cimice addosso?-
-No cara, é che ti conosco come le mie tasche.-
-Oh, e va bene!- si arrese, - mi importa eccome signor so tutto io, e
mi sto struggendo. Contento? Avresti davvero dovuto iscriverti a
psicologia piuttosto che a legge!-
-Almeno l' hai ammesso, é già qualcosa. No grazie
ne basta una di strizza cervelli in casa.- la prese in giro lui.
-Non mi chiamare così!-
-Comunque che intendi fare ora?- riprese le fila del discorso.
-Che vuol dire?-
-Andiamo non mi dirai che vuoi rimanere chiusa in camera?-
-Certo che si! Ormai é andata così, di certo non
uscirò a cercarli. Sarebbe stupido oltre che inutile. Hai
idea di quanto sia grande Los Angeles?-
-Senti, fai come vuoi ma se non combatti non otterrai mai niente.
Eppure solitamente sei una che lotta per i suoi obbiettivi e non si
arrende di fronte alle difficoltà.-
-Si ma ora é diverso.-
-Per quale motivo?-
“Perché sono terrorizzata.”
pensò con un sospiro la ragazza.
-Se non impari a non temere i tuoi sentimenti non sarai mai davvero
felice.-
Accidenti a lui, riusciva a capire sempre quello che pensava!
-Lo so,- ammise- ma non é una cosa semplice.-
-Te ne pentirai se non ci provi, io lo dico per te. Buona notte piccola
pazza me ne vado a dormire ora.-
-Ok, buona notte anche a te. Ah, Oliver...-
-Dimmi.-
-Lo sai che ti adoro vero?-
-Beh si, lo so sono irresistibile!- scherzò lui, e mise
giù mentre lei rideva. Meredith fece un profondo respiro e
uscì dalla stanza dirigendosi al piano superiore dove si
trovava quella di Spencer. Ma fatti pochi passi vide una scena che la
lasciò di sasso: Lila stava baciando Reid davanti alla porta
della sua camera. Il ragazzo si accorse della sua presenza ma era
troppo tardi, lei si lanciò correndo giù per le
scale con gli occhi pieni di lacrime e richiuse la porta dietro di
sé più in fretta che poté, lasciando
che lui continuasse a chiamarla invano.
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
Erano ormai dieci minuti abbondanti che bussava a quella porta e non
otteneva nessuna risposta. Sentiva singhiozzare piano dall' altro lato,
ma non usciva altro suono. Era devastante.
-Ti prego aprimi.- disperato ripeteva la stessa frase, che
però non sortiva alcun effetto. Meredith rimaneva chiusa nel
suo ostinato silenzio. Reid si appoggiò con la fronte sul
legno della porta, la mano destra fino a quel momento chiusa a pugno si
aprì e scivolò lungo la porta in un gesto di
disperata rassegnazione. Rimase così per alcuni minuti, poi
si scostò e si diresse verso la sua camera con la morte nel
cuore. Se solo avesse potuto parlarle. Ma lei non sembrava volerlo
ascoltare. Giunto in fondo al corridoio vide che Lila sostava ancora
davanti alla sua porta, lì dove l' aveva lasciata per
correre dietro a Meredith. La rabbia si impadronì di lui.
-Che cosa ci fai ancora qui?- chiese tagliente.
-Ti prego non odiarmi. Mi dispiace tanto.- rispose lei.
-Ah ti dispiace? A me non sembravi così dispiaciuta quando
mi hai baciato nonostante ti avessi spiegato come stavano le cose.-
fece lui sarcastico. Gli occhi di Lila si inumidirono.
-Io non volevo accettarlo. Mi sono comportata da stupida é
vero. Non avercela con me per favore, non volevo metterti nei guai.-
-E' un po' tardi per questo. Buona notte Lila.- sibilò lui
gelido passando oltre e chiudendosi in camera. La ragazza
scoppiò a piangere e se ne andò. Il mattino dopo,
Meredith tentava invano di nascondere con un po' di trucco i segni che
aveva intorno agli occhi dovuti all' azione combinata dell' insonnia e
delle lacrime. Le tremavano le mani al punto che mentre si dava il
mascara sbagliò mira e centrò la pupilla. Chiuse
l' occhio dolorante e scagliò con rabbia l' applicatore nel
lavandino. Non c' era niente che andasse per il verso giusto. Aveva di
nuovo voglia di piangere ma riuscì a trattenersi.
“Dopo tutto per quale motivo dovrei stare male?” si
disse vestendosi, “tra noi non c' era nulla, ci siamo baciati
un paio di volte e abbiamo fatto l' amore. E allora? Nel Medio Evo
forse ci avrebbero imposto di sposarci, ma al giorno d' oggi la gente
fa queste cose con estrema naturalezza e senza la benché
minima implicazione sentimentale. Perché mai sono stata
tanto sciocca da pensare che tra noi ci fosse qualcosa di
più?” chiuse la borsa con uno scatto rabbioso e
uscì dalla camera. Per poco non inciampò su di
una elegante figura femminile che la attendeva davanti alla porta
avvolta in una morbida vestaglia di seta. Era Lila.
“Ma che cavolo ci fa la Barbie qui? Ha per caso deciso di
morire? Perché se é così
sarò lieta di darle una mano.” pensò
guardandola di sottecchi.
-Ciao.- la salutò. Meredith non rispose e continuava a
fissarla.
-Come stai?- azzardò l' altra.
-Non sono affari tuoi.- sbottò – E vedi di
risparmiarmi le smancerie sono totalmente fuori luogo. Che cosa vuoi?-
-Capisco che sei arrabbiata ma ti prego almeno di ascoltarmi.-
-Io non sono affatto arrabbiata sono solo in ritardo.-
mentì,- E ti prego di toglierti di mezzo visto che qualunque
cosa tu abbia da dire non mi interessa.-
-Voglio solo spiegarti come sono andate le cose. Tu hai frainteso.-
-Io ci vedo benissimo non ho bisogno di spiegazioni tanto meno da parte
tua. Ma ti ripeto che la cosa non mi interessa.-
-Non saresti scappata se non ti interessasse. Ti chiedo solo cinque
minuti.-
-Facciamo due.- concesse lei - E vedi di muoverti ho un aereo da
prendere.-
-Prima di tutto voglio che tu sappia che mi dispiace.-
cominciò Lila. I suoi occhi sembravano sinceri e la rabbia
di Meredith si placò un po' .
-Non hai niente di cui scusarti e comunque non é con me che
devi farlo.- disse con tono più tranquillo.
-Si invece. Tu ora ce l' hai con Spencer ma la colpa é solo
mia. Sono io che l' ho baciato nonostante mi avesse spiegato tutto. Mi
sono comportata in maniera scorretta.-
-Ma insomma che cosa vuoi?- si spazientì di nuovo la ragazza.
-Io non cerco il tuo perdono anche perché non credo tu sia
disposta a concedermelo. Ti prego solo di non avercela con lui. I suoi
sentimenti nei tuoi confronti sono sinceri e non voglio che soffra per
colpa mia. Lo sai, - disse con gli occhi velati di tristezza, - non ha
fatto altro che ignorare le mie attenzioni e parlare di te tutto il
tempo. E dovevi vedere il suo sguardo mentre lo faceva. Sono stata
sopraffatta dall' invidia e dal desiderio che lui parlasse
così anche di me e che mi rivolgesse quello sguardo. Ma per
me non c'é più posto nella sua vita e me ne sono
resa conto troppo tardi.-
Meredith trasse un profondo respiro e si morse il labbro inferiore. Non
sapeva cosa dire.
-Ora devo proprio andare, mi staranno aspettando.- fece alla fine.
-Va bene,- disse Lila sconsolata congedandosi,- scusami per il
disturbo.-
Meredith scese le scale e la sua testa era nella confusione
più totale. Non ci capiva niente. Riconsegnò la
chiave alla reception e uscì. Quasi le venne un colpo quando
vide che Spencer era fuori dall' hotel. Probabilmente la stava
aspettando.
-E gli altri?- domandò la ragazza senza guardarlo negli
occhi.
-Sono già partiti. Ho detto loro che ti avrei aspettata.-
rispose lui. Meredith sentiva che i suoi occhi erano puntati su di lei
ed era come se il suo sguardo la attraversasse.
-Lo sai, ho appena finito di parlare con la tua amichetta.- disse
sarcastica guardandolo finalmente negli occhi.
-Oddio…- scherzò lui - e dove si trova il
cadavere?-
-Quanto sei scemo!- rise lei avvicinandosi.
-Mi ha raccontato tutto.- riprese guardandolo intensamente.
-Oh.- fece Reid preoccupato- E come mai sono ancora vivo?-
-La smetti?- disse ridendo la ragazza. Gli gettò le braccia
al collo e lo baciò.
-E questo cos' era?- chiese lui inarcando un sopracciglio.
-Era un bacio.- rispose Meredith ridendo.
-L' avevo capito anche io. Però sono un po' confuso... Non
eri arrabbiata?-
-Si prima lo ero. Ma vedi non credo ci siano molti ragazzi che
avrebbero respinto una come Lila per me. Devo riconoscerlo mi ha fatto
davvero piacere.- lui la guardò senza rispondere.
-Sarà meglio che ci muoviamo ora o ci daranno per dispersi.-
fece lei sbrigativa incamminandosi. Spencer non si mosse, la
tirò per un braccio avvicinandola a sé e le dette
uno di quei lunghissimi baci che tolgono il fiato e fanno girare la
testa, tanto che Meredith dovette aggrapparsi a lui perché
non sentiva più il suolo sotto i suoi piedi.
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Capitolo 27 *** Capitolo 27 ***
Che cosa era che l' aveva spinto a tornare in quel luogo? Frammenti di
un passato che a stento riusciva a dimenticare. Un peso che gravava sul
cuore come un macigno. L'aveva cercata, l' aveva trovata e ora la
osservava di nascosto. Come un ladro, un mostro. Era bella, come poche
donne al mondo riuscivano ad essere senza fare assolutamente nulla. E
le somigliava, Dio se le somigliava! La sua Natalia viveva negli occhi
di quella ragazza, nel suo viso, nei capelli, le mani... Tutto
combaciava. Aveva provato a resistere all' impulso, ma era troppo forte
il desiderio di sfiorarla, di fare in modo che quei meravigliosi occhi
azzurri incontrassero i suoi. L' aveva fatto qualche giorno prima,
quando lei tornava a casa probabilmente da un viaggio di lavoro. Aveva
preso coraggio e con il cuore che batteva a ritmo forsennato le era
andato incontro. Era stato un attimo: quegli occhi l' avevano
finalmente visto. Ma amara era stata la sua delusione quando dalle
labbra di lei erano uscite delle frettolose scuse per averlo urtato e
nient' altro. La ragazza aveva proseguito il suo cammino con passo
svelto. No lui non esisteva, non per lei almeno. Ferito e disilluso, si
era di nuovo rifugiato nel suo angolo da dove poteva vederla senza
essere visto. Osservava ogni suo più piccolo movimento,
conosceva a menadito ogni sua abitudine e la studiava attentamente. Non
sapeva se avrebbe osato ancora avvicinarla, la delusione del precedente
incontro era ancora troppo grande. Era un vigliacco e lo sapeva. Un
pluridecorato ex ufficiale della marina come lui avrebbe dovuto avere
più coraggio. Ma il suo segreto gli ricordava quanto tutte
le sue medaglie altro non erano che una fragile facciata. Lei era il
suo segreto, quella ragazza tanto bella quanto in gamba che lui
puntualmente spiava. Ogni giorno non faceva che pensarci, era la sua
ossessione. Nonostante fosse molto occupato dal suo nuovo lavoro non
faceva altro che aspettare, attendeva con ansia il momento in
cui sarebbe potuto finalmente andare da lei. Vederla non appagava
totalmente il suo desiderio, avrebbe voluto parlarle. Ma come avrebbe
potuto rivolgerle la parola? Lei non sapeva niente di lui neanche il
suo nome. E se anche l' avesse saputo probabilmente non avrebbe fatto
alcuna differenza. Pensieri simili lo facevano impazzire. Ma forse era
meglio così, lei non avrebbe mai potuto amarlo per
ciò che era, perché era un essere abbietto. E
allora non era forse meglio continuare a tacere, ad osservarla da
lontano come fosse qualcosa di irraggiungibile? Anche se questo
significava sentirsi una persona meschina e vile. Almeno aveva la
consolazione di vedere splendidi sorrisi distendersi su quel volto che
tanto amava, nonostante sapesse benissimo che non era e non sarebbero
mai stati rivolti a lui lo facevano sentire bene. Niente lo calmava,
erano solo briciole di pane quelle che raccoglieva e non gli bastavano
più. Un contatto, non chiedeva altro. Valeva la pena tentare
di nuovo anche se sapeva che probabilmente sarebbe tornato nel suo
angolo con la coda fra le gambe. No stavolta sarebbe stato diverso, lo
sentiva. Avrebbe tentato il tutto per tutto, lei non lo avrebbe
ignorato mai più. A qualsiasi costo. Scese dall' auto e
attraversò la strada attendendo che la ragazza parcheggiasse
e si accingesse ad entrare negli uffici del bureau dove lavorava.
“Ora o mai più.” pensò
andandole incontro con passo deciso.
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Capitolo 28 *** Capitolo 28 ***
La ragazza stava chiudendo la portiera della macchina e non vide
affatto l'uomo che sopraggiungeva dietro di lei. Sentì
però il suo tocco leggero sulla spalla e un brivido le corse
su per la schiena. Si voltò per vedere chi fosse, e non
riconoscendolo lo guardò con aria interrogativa. Era alto
più o meno un metro e ottanta, sulla cinquantina, i capelli
fini color biondo scuro in mezzo al quale cominciavano a spuntare
isolate ciocche bianche avevano un taglio che ricordava quello dei
militari e il suo volto era solcato qua e là da rughe che
gli conferivano un aspetto maturo. Quello che la impressionò
maggiormente furono però i suoi occhi, erano inquietanti di
un colore non ben definito tendente al grigio e la fissavano come se
volessero fotografare ogni centimetro del suo corpo. Non le piaceva
affatto, ma avendo frequentato corsi di autodifesa in passato e
trovandosi proprio di fronte alla sede dell' FBI non ebbe timore.
-Posso aiutarla?- chiese cordialmente ma guardandolo dritto negli occhi
con un' espressione che sembrava voler dire: “Attento a
ciò che fai, io sono un osso duro!”
L'uomo non rispose subito. “Mi da del lei...”
pensò amareggiato “io sono solo un
estraneo.”
-Era da tanto che volevo incontrarti Meredith, ma non trovavo mai il
coraggio.- ammise abbassando lo sguardo.
Questa frase la allarmò alquanto. Chi diavolo era quell'
uomo?
-Lei chi é e come conosce il mio nome?- chiese diretta.
“Ancora quel lei...” pensò lui con gli
occhi velati di tristezza. Perché si era avvicinato? Avrebbe
dovuto continuare a rimanere nell' ombra. Sarebbe stata la scelta
migliore. La guardò di nuovo e si decise finalmente a
parlare:
-Mi chiamo George , sono un tenente della marina in congedo. Forse non
mi crederai, ma io... sono tuo padre.-
La ragazza sgranò gli occhi e non rispose. Aveva sentito
bene?
-Tu...- finalmente smise di dargli del lei,- sei CHI?- chiese a denti
stretti. Si augurava di non aver capito.
-Io e tua madre ci siamo conosciuti quando lei era arrivata in America
da poco,- rispose l'uomo -e ci siamo innamorati. Lo sai tu somigli a
Talia in maniera impressionante.-
Meredith scattò:
-NON CHIAMARLA COSì!!- gridò richiamando
l'attenzione di qualche passante. -Se... se tu veramente sei la persona
che dici di essere... Allora non permetterti mai più di
usare il nomignolo della mamma davanti a me!- aveva il respiro
affannoso e non riusciva a contenersi. I suoi occhi azzurri
traboccavano di rabbia. Non era reale, non poteva esserlo. Doveva
essere il peggiore incubo che aveva mai fatto, addirittura peggio di
quando sognava sua madre. Non si sentiva più stabile sulle
gambe così si appoggiò alla macchina per avere un
sostegno.
-Non fingere di essere affettuoso!- concluse furiosa.
-Mi dispiace Meredith io... so che tu non mi credi ma io amavo tua
madre.- disse mostrandole una fotografia che lo raffigurava in divisa,
giovane cadetto sorridente al fianco di una bellissima donna bionda
dagli occhi azzurri e profondi, Natalia Chècova, ovvero la
madre di Meredith. Sembravano così felici.
-Questa...- disse alla fine reggendo la foto con le mani che tremavano.
- dove l'hai presa?-
-Ce l'hanno scattata dei miei compagni quando andavo all' accademia e
frequentavo tua madre. Lei iniziò a lavorare in quello
stesso bar quando...-
-Quando scoprì di essere incinta e si trasferì
definitivamente in America abbandonando gli studi e il suo paese per un
vigliacco che é scappato a gambe levate non appena lei gli
ha detto di me.- sibilò lei con rabbia. -Questo lo so anche
io.-
“Un vigliacco.” ripeté mentalmente l'
uomo, “Si è questo che sono sempre stato non si
può darle torto.”
-Tu,- riprese Meredith -non puoi essere di certo l'uomo che
é in quella foto. Perché se così fosse
mi chiedo con quale coraggio ti sei presentato qui oggi.-
-Io ho sbagliato tutto e non pretendo certo che tu capisca le mie
ragioni. Se sono qui é solo per dirti che mi dispiace di
essermene andato e perché voglio provare a rimediare.-
-A rimediare COSA?- sbottò lei – tu non puoi
rimediare un bel niente! I rapporti si recuperano quando si sono
sfaldati, non quando non sono mai esistiti! Cos' é vorresti
che ti abbracciassi e ti chiamassi papà? TU NON SEI NESSUNO
PER ME.-
-Io...- George sembrava molto scosso. Non si aspettava certo di essere
accolto con un mazzo di rose rosse, ma tanta rabbia repressa che con
violenza gli veniva gettata addosso gli faceva male. -Io non intendevo
niente del genere. Vorrei solo poterti stare vicino. A te e a tua madre
sempre che lei lo voglia.-
La ragazza guardò l'uomo negli occhi prima furiosa e infine
sprezzante:
-Non sai niente di lei non é vero?- realizzò.
-In che senso?- chiese lui senza capire.
-La mamma é morta quindici anni fa.-
-Come? Ma che cosa é successo? Io...-
-Tu non lo sapevi! Eh già e come avresti potuto visto che
non c'eri!- disse Meredith enfatizzando le ultime parole.
-Ora capisco tutto finalmente! Tu ti sei ripresentato qui oggi sperando
di poterti riconciliare con noi visto che in fondo non avevi fatto
altro che sparire per ben ventun anni e la cosa non ti pareva poi
così grave. Ci avresti dovuto lavorare un po' su ma alla
fine si sarebbe sistemato tutto non é vero? Bene ti
darò una notizia signor ex ufficiale della marina: qui non
c'è nessuna famiglia da ricostruire, io sono orfana da
quando avevo sei anni visto che mia madre é morta e mio
padre non c'è mai stato!-
-Meredith io non avevo idea... Se avessi saputo...-
-Che cosa avresti fatto sentiamo saresti tornato a prenderti cura di
me? Ma che animo gentile!!- fece lei sarcastica. Lui non rispose e
realizzò quanto immenso fosse il baratro che lo separava da
quella ragazza che era sua figlia solo perché aveva i suoi
geni. Ma questo non bastava affatto a fare di lui suo padre ne era
cosciente. Mai si sarebbe aspettato una cosa simile. Non riusciva ad
immaginare quello che lei aveva passato in tutti quegli anni, dovendo
crescere da sola senza nessuna guida. Doveva aver accumulato una
quantità incredibile di odio nei confronti di colui che
aveva abbandonato lei e sua madre.
-Mi dispiace.- furono le uniche parole che riuscì a
pronunciare.
-Cambia disco per favore, l'ho già sentito questo. Vuoi
stare qui tutto il giorno a ripeterlo? Per quello che mi interessa puoi
vendere tutti i tuoi averi e venire a vivere su questo marciapiede, io
me ne vado perché devo andare a lavoro e non voglio fare
tardi.- fece lei sbrigativa avviandosi.
-Aspetta!- disse l' uomo prendendola per un braccio.
-Ti conviene lasciarmi all' istante o ti scatenerò addosso
un tale putiferio che non puoi neanche immaginare.- lo
minacciò, -Sai dove siamo vero?-
-Si, perdonami... ma non puoi andartene così.-
-TU NON HAI NESSUN DIRITTO DI DIRMI QUELLO CHE POSSO O NON POSSO FARE!-
gridò la ragazza liberando il braccio con uno scatto.
-Adesso ascoltami bene perché non ho più
intenzione di sprecare un altro secondo della mia vita con un individuo
come te.- disse puntando il dito, - Non ho nessuna e dico NESSUNA
intenzione di avere a che fare con te sono stata chiara? Sono cresciuta
sballottata qua e là da un orfanotrofio all' altro sono
riuscita a laurearmi grazie alle mie capacità e ora faccio
un lavoro dove vedo cose orribili tutti i giorni, che però
é quello che ho scelto. Non ho mai avuto bisogno dell' aiuto
di nessuno tanto meno del tuo, e mai ne avrò.
Perciò, qualunque cosa ti sei messo in testa di fare ora non
mi riguarda non c'è posto per te nella mia vita io ho avuto
un solo genitore e quella era mia madre, niente e nessuno
potrà restituirmela e tu non potrai mai rappresentare per me
quello che era lei. Costituiva tutto il mio mondo, l'ho persa e non
può essere rimpiazzata. Ti é chiaro il concetto?-
L' uomo annuì suo malgrado con la testa.
-Benissimo, allora non abbiamo più niente da dirci. Ora ti
prego di voltarti e andartene senza dire un altra parola, e fai quello
che ti riesce meglio: SPARISCI!- e così dicendo
entrò nella sede dell' FBI lasciandolo senza la
possibilità di replicare.
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Capitolo 29 *** Capitolo 29 ***
-Hey, ragazzina va tutto bene?-
Morgan stava fissando Meredith da un po', lei sedeva dietro quella che
ormai era la sua scrivania nell' open space con lo sguardo perso nel
vuoto e il caffè che si raffreddava tra le sue mani. Erano
rimasti soli perché Emily era stata convocata da Hotch nel
suo ufficio e Reid era impegnato nell' ennesima partita a scacchi con
Gideon, e lui aveva colto l' occasione per parlarle.
-Agente Morgan io non sono una ragazzina quando la smetterai di
chiamarmi così?-
-Una tipica frase da ragazzina!- rispose il collega ridendo, - e puoi
chiamarmi Derek. Comunque non hai risposto alla domanda.-
La ragazza sospirò e pronunciò un -Sto bene.- non
troppo convincente.
-Lo sai...- disse Morgan –...non sei proprio capace di
mentire.-
Meredith guardò l'uomo e i suoi profondi occhi scuri le
rivelarono che sapeva più di quanto non le dicesse.
-Perché questo terzo grado?- domandò.
-Ho visto quello che é successo questa mattina dalla
finestra.- ammise.
-Derek Derek Derek!- fece lei scandendo il suo nome con aria di sfida.
- mi stavi per caso spiando?-
Lui sorrise. - Non metterti strane idee in testa, non nutro alcun
interesse per le bambine. E' stato un caso che stessi guardando fuori
proprio in quel momento.-
-Come, sono già retrocessa a bambina? Non vale!- rise lei a
sua volta.
Il profiler tornò a guardarla serio:
-Senti, se hai qualche problema non devi esitare a chiedere aiuto
capito?-
-Ti ringrazio,- fece la ragazza con un sorriso di sincera gratitudine,
- ma non é affatto ciò che pensi. E comunque
quell' uomo non si farà più vedere
perciò non c'è da preoccuparsi. Ho sistemato
tutto.-
-Bene, mi fa piacere.- disse lui mettendosi comodo sulla sua poltrona
girevole.
Meredith bevve il caffè tutto d' un fiato e si
alzò per prepararne un altro.
-E' già il terzo non starai esagerando?-
-La caffeina mi è vitale dato che non riesco a dormire bene
la notte.- ammise lei.
-Incubi?- chiese l'agente.
-Eh già...-
-Li abbiamo tutti purtroppo.-
-I miei sono un po' più... complicati diciamo.-
-Davvero?- chiese Morgan.
-Si, li ho sempre avuti fin da bambina. Cos'è l'ora di Derek
il babysitter questa?- chiese lei ridendo.
L' uomo capì che era un argomento di cui Meredith non voleva
parlare e che il sarcasmo e l' ironia erano le armi che utilizzava per
schermarsi da ciò che non voleva affrontare, così
decise di cambiare discorso.
-Allora da oggi sei proprio dei nostri eh?- chiese riferendosi alla
pistola e il distintivo che le erano stati consegnati quella mattina, e
che adesso giacevano sulla scrivania. Non sapeva neanche lei come aveva
fatto, ma aveva passato l' esame di tiro in maniera eccellente. Era
tutto merito delle lezioni di JJ, di questo era certa.
-Così pare.- rispose ancora incredula.
-Presto ci trasformeremo nell' unità asilo comportamentale,
se non la smettono di assumere ragazzini.- fece lui ridendo e scuotendo
la testa.
-Ha, ha ha! Ma che spiritoso!- esclamò Meredith sarcastica.
- Lo sai che parli come mio nonno?- lo prese in giro.
-Oooh, touché!- rise lui di rimando.
JJ arrivò ad interrompere la conversazione:
-Avete visto Hotch e Gideon?- chiese con aria preoccupata.
-Sono entrambi nei rispettivi uffici.- rispose Meredith.
-JJ che succede?- fece Morgan guardandola dritto negli occhi.
-Un uomo si é chiuso in un asilo a Cleveland e tiene in
ostaggio bambini ed insegnanti, é armato e minaccia di
sparare se non gli viene concesso quello che chiede.- era davvero
scossa.
-Ok vado subito a chiamare gli altri.- disse Derek precipitandosi su
per le scale.
JJ si appoggiò alla scrivania di Meredith e i suoi
bellissimi occhi blu si inumidirono. La ragazza poggiò una
mano su quella della collega e cercò di suonare
più rassicurante possibile:
-Li tireremo fuori!- le disse. La bionda agente annuì con la
testa più per persuadere se stessa che altro. Meredith le
sorrise e dovette fare uno sforzo per trattenersi e sembrare convinta
di ciò che aveva appena affermato.
La squadra si diresse immediatamente sul Jet, non avevano un attimo da
perdere, avrebbero discusso il caso a bordo.
-Allora,- fece JJ dopo aver consegnato un fascicolo a tutti, -Questa
mattina un uomo si é introdotto in una scuola materna
privata di Cleveland che si chiama Sunflower, ha tirato fuori una
pistola e tiene in ostaggio sette bambini e due insegnanti.-
-Sappiamo chi é e che cosa vuole?- chiese Gideon.
-Si chiama Gregory Owen ha circa quarantacinque anni ed é di
Cleveland. Ho già chiesto a Garcia di indagare sul suo
passato. Vuole che gli venga concesso di vedere sua figlia Grace che ha
quattro anni e vive con la madre. Il giudice gli ha negato il permesso
di vederla quando lui e la sua ex moglie Rebecca hanno divorziato un
anno e mezzo fa.-
-Per quale motivo non può vederla?- chiese Hotch.
-Ancora non abbiamo tutti i dettagli.- rispose JJ.
-Ditemi che prenderete questo viscido bastardo lo rinchiuderete e
butterete via la chiave!- la voce di Garcia risuonò in
collegamento con la web cam nel portatile che era aperto sul tavolo.
Aveva gli occhi umidi e sembrava sconvolta.
-Ti giuro che faremo tutto quanto è in nostro potere
bambolina.- affermò Morgan con tono sicuro, - Dimmi che hai
qualcosa per noi.-
-Si, certo che ce l'ho zucchero sono o no la divina Penelope? Gregory
Owen alias il viscido bastardo é nato e cresciuto a
Cleveland, si è diplomato per il rotto della cuffia e si
é iscritto alla facoltà di medicina che ha
però abbandonato dopo un solo anno, iniziando a lavorare
come operaio in una ditta edile. Tre anni dopo conosce Rebecca Hudson,
la sposa e dalla loro unione nasce la piccola Grace. La donna
però chiede presto la separazione accusando il marito di
avere atteggiamenti violenti.-
-La picchiava?- fece Emily.
-No tesoro, non picchiava lei. Rebecca é tornata a casa una
sera ed ha trovato la piccola gonfia di botte e il verme che se la
dormiva beato sul divano, con una puzza di alcol da far invidia ad una
distilleria e una bottiglia di whisky vuota ancora in mano. Ha fatto
due più due e si é rivolta immediatamente ad un
giudice, che non solo le ha concesso la separazione, ma ha pure imposto
all' uomo di non avvicinarsi alla bambina né a lei.-
-E ci credo!- esclamò Meredith. Poi le venne un dubbio
improvviso:
-Penelope, puoi controllare una cosa?- le chiese.
-Tutto quello che vuoi scricciola mia.- rispose l' informatica.
-Che asilo frequenta la figlia?- chiese. Spencer la guardò e
capì che cosa aveva in mente.
-Più veloce della luce!- rispose la donna iniziando a
digitare sulla tastiera. - Oh mio Dio!- esclamò poco dopo
portandosi una mano sulla bocca.
-Garcia cosa hai trovato?- chiese Reid.
-Grace Owen frequenta la scuola materna Sunflower di Cleveland!-
rispose lei ancora sconvolta dalla scoperta.
-Se é così allora.- disse lui sgranando gli occhi
-può darsi che tra gli ostaggi...-
-Ci sia proprio la figlia!- finì Meredith con profondo
rammarico.
-Ho paura che abbiate ragione.- disse Hotch pensieroso. -Grazie Garcia,
se avremo bisogno ti ricontatteremo.- congedò l' informatica
che chiuse la conversazione con un click.
Nessuno parlava, un silenzio surreale era sceso tra i passeggeri del
Jet. Un uomo armato, disperato e probabilmente ubriaco teneva in
ostaggio dei bambini così piccoli e le loro insegnanti, e
ciò che era più sconvolgente era che tra quei
bambini probabilmente c'era anche sua figlia. Era agghiacciante. Ne
avevano viste di cose orribili certo, ma quando in pericolo c'erano dei
bambini era sempre dannatamente difficile.
“Per colpire nel profondo una comunità bisogna
colpire i suoi figli. Niente di più vero.” pensava
Meredith con angoscia ricordando una citazione che aveva trovato non
sapeva di preciso dove. Non aveva la memoria eidetica di Spencer e non
mangiava statistiche a colazione, ma alcune frasi che leggeva le si
imprimevano bene nella testa e non uscivano più. Adesso era
quella che la tormentava. Improvvisamente la voce di Gideon ruppe quel
silenzio pesante.
-Dobbiamo scoprire perché quell' uomo ha avuto bisogno
prendere un intera classe della scuola materna in ostaggio per arrivare
alla figlia.- disse.
-Cosa intendi?- chiese Emily.
Meredith credeva di aver capito.
-Ha scelto la via più difficile,- disse,- avrebbe potuto
limitarsi a rapire la figlia.-
-Apparentemente non ha molto senso.- confermò Reid.
-Forse non l'aveva programmato, ha agito d'impulso.- azzardò
Prentiss.
-Magari era sotto l'effetto dell' alcol e non ha ragionato.- fece
Morgan.
-Cerchiamo di concentrarci su come far uscire quei bambini e quelle due
donne di lì sani e salvi adesso.- disse JJ spostando la loro
attenzione sul punto focale del caso.
-Hai ragione, ma per questo è meglio attendere di essere
arrivati sul campo in modo da farci un' idea della situazione.- disse
Gideon, e tutti si immersero di nuovo nei propri pensieri.
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Capitolo 30 *** Capitolo 30 ***
Scesi dal Jet si precipitarono sul posto. L' asilo Sunflower era un
edificio arancione con tanti girasoli gialli appunto. Era colorato ed
allegro come ci si aspetta da un luogo dove si ritrovano i bambini.
Eppure in quel momento, sapendo cosa stava accadendo lì
dentro Meredith non poté fare a meno di sentire i brividi
correrle su per la schiena.
-Stai bene?- la voce amichevole di Emily Prentiss interruppe i suoi
pensieri. La ragazza la guardò dritta negli occhi e le
sorrise:
-Si certo, tranquilla.-
Emily ricambiò il sorriso e la aiutò ad infilare
il giubbotto antiproiettile. Era la prima volta che Meredith
partecipava sul serio ad un' azione ed era un po' tesa. L'agente
Prentiss doveva averlo capito per questo le stava vicina, lei sapeva
come ci si sentiva ad essere la nuova arrivata, e data la giovane
età di Meredith doveva essere ancora più
difficile. La cosa che più la inquietava era la pistola che
adesso portava al fianco come tutti gli altri, e che avrebbe dovuto
farla sentire più sicura. Invece si augurava soltanto di non
doverla usare. Non era sicuramente pronta per una cosa del genere, e le
armi non le piacevano neanche più di tanto. D'altra parte
l'aveva voluta lei.
-Benvenuti.- disse quello che doveva essere il capo degli agenti locali
alla squadra non appena furono entrati in un grosso furgone nero
davanti alla scuola materna, dove la polizia era appostata. - sono
l'agente Harold Toole.-
-Jason Gideon, piacere.- disse l'uomo stringendo la mano che gli veniva
offerta.
Si presentarono anche gli altri e Meredith si sentì un po'
strana a definirsi “la dottoressa Nelson.” Lei
odiava le formalità. Allo stesso tempo notò
quanto fosse buffa l'espressione sul viso di Spencer e anche il fatto
che non ricambiasse mai una stretta di mano, ma salutasse sempre
agitando in aria la sua. “Come i bambini.”
pensò non senza un sorriso. Tuttavia tornò presto
concentrata: non doveva distrarsi non se lo poteva permettere in tale
frangente.
-Com' é la situazione?- chiese diretto Morgan.
-Per niente rassicurante.- rispose Toole scuro in volto, indicando i
monitor alle sue spalle che inquadravano l'interno dell'asilo, -quel
bastardo é lì dentro da ore e per quanto ne
sappiamo é ubriaco fradicio.-
-Lo immaginavamo.- disse con tono grave Hotch.
-Ha avanzato altre richieste oltre a quella di poter rivedere la
figlia?- chiese Reid.
-Si, vuole che il giudice venga qui gli conceda l'affidamento e anche
un mezzo per fuggire con la bambina.- disse l'agente.
-Vuole addirittura l'affidamento?- chiese Emily stupita.
-Così dice, e vuole che portiamo il giudice qui per
farglielo concedere.-
-Ha bisogno della presenza fisica e di sentire le parole del giudice
con le sue orecchie. E' disperato, ubriaco e non crede in niente ed in
nessuno. Si fida solo di sé stesso.- disse Meredith.
-Già, non sarà affatto facile convincerlo a
fidarsi di noi e rilasciare gli ostaggi.- fece Gideon pensieroso.
-Si ma c'è anche un altro problema.- interruppe l'agente
Toole.
-Quale?- Chiese Hotch.
-La bambina é diabetica, se non riceve regolarmente
iniezioni di insulina rischia il coma. O peggio.- rispose l'uomo con
l'aria di uno che non voleva neanche pensare a cosa potesse essere quel
“peggio”.
-Questo ci complica ulteriormente le cose.- affermò JJ.
-Non é detto.- disse Meredith con lo sguardo di chi aveva
appena avuto un' idea.
-Cosa intendi?- le chiese Emily.
-A quell' uomo interessa di sua figlia o almeno così pare,
quindi dovremmo riuscire a convincerlo a far entrare un dottore per
farle l'iniezione.-
-Vorresti mettere in pericolo un medico che non c'entra niente? Non ha
senso.- disse Morgan.
-Ho capito cosa intendi.- Gideon aveva un' espressione molto seria,- e
la risposta é: puoi scordarti di entrare lì
dentro!-
-Ma perché?- domandò la ragazza, -io sono
perfetta. Primo so fare le iniezioni, secondo non sembro affatto un
agente dell' FBI quindi Owen si fiderà di me, e cosa
più importante posso tenere tranquilla la bambina. Sai che
questo é il mio campo.-
-Lo so.- ammise l'uomo -ma la risposta é no comunque. Non
sei pronta e non posso rischiare di mandarti là dentro.
Può prendere in ostaggio anche te.-
-E cosa intendi fare allora?- domandò la ragazza.
-Insegna a Morgan a fare le iniezioni sarà lui ad andare.-
-Stai scherzando vero? Non abbiamo tempo! E se sbaglia va tutto a
rotoli. Posso andarci solo io.-
Gideon divenne taciturno. Di mandarla dentro da sola non se ne parlava,
era troppo rischioso. Cosa poteva fare? Era comunque un' ottima idea,
l'unica plausibile in quel momento a dir la verità. E il
tempo giocava contro di loro: ogni minuto che passava la vita di Grace
era sempre più in pericolo. Doveva inventare qualcosa
assolutamente.
-Vado io con lei.- la voce di Spencer risuonò nel silenzio
che si era creato all' interno del furgone. Si voltarono tutti a
guardarlo sbalorditi. Era stato davvero lui a parlare? Il ragazzo
sembrò imbarazzato da tutti quegli sguardi puntati, ma
confermò la sua affermazione:
-Posso andare dentro e fingermi un assistente, così Meredith
potrà fare l'iniezione alla bambina e non si
troverà da sola in una situazione che non ha mai affrontato.
Inoltre neanche io sembro un agente dell' FBI, posso tranquillamente
passare per un tirocinante o una cosa simile.- aveva pronunciato queste
parole con voce ferma, cosa insolita per uno come lui.
-Sei sicuro?- fece Morgan con fare protettivo,- posso andare io
altrimenti.-
-No ha ragione lui purtroppo loro sono gli unici che potrebbero
ispirare fiducia ad Owen.- ammise Hotch suo malgrado.
-State dicendo che dovrei mandare non uno ma due dei miei agenti a
rischiare la vita lì dentro?- domandò Gideon con
l'aria di chi sa perfettamente che non ha altra scelta, ma la cosa non
gli piace affatto.
-In realtà non ce ne sarebbe bisogno, so di potercela fare
anche da sola.- affermò Meredith.
-Ti ho già detto che non se ne parla, tu da sola non entri.
Non hai esperienza.-
La ragazza sbuffò. “Quest' uomo é
decisamente testardo. Lo sa benissimo che ho ragione eppure non lo
ammette.” pensò.
Dopo averci riflettuto su alla fine Jason cedette.
-E va bene, entrate tutti e due. Ma fai l'iniezione alla bambina e
uscite. Chiaro?- avvertì.
-Ovviamente sarete microfonati in modo che se le cose dovessero
complicarsi noi potremo intervenire subito.- completò Hotch.
-Va bene,- si arrese la ragazza - ma ho bisogno dell' insulina.-
-Non é un problema, la faccio recapitare qui
immediatamente.- disse l'agente Toole uscendo per andare a telefonare.
Mentre attendevano il medicinale i ragazzi vennero microfonati e
istruiti sul da farsi.
-Questo lo devi tenere sempre addosso non devi toglierlo per nessun
motivo al mondo,- stava dicendo Morgan a Meredith per la terza volta,
indicando il giubbotto antiproiettile che era stato sostituito da uno
che non recava la scritta “FBI”, in modo da non
insospettire il sequestratore. -Capito?-
La ragazza roteò gli occhi.
-Derek ho capito! Quante altre volte vuoi ripetermelo?-
-Fino alla nausea se necessario.- asserì lui mettendole
auricolare e microfono in modo che non fossero visibili. Poco
più in là Gideon faceva lo stesso con Reid, e
probabilmente lo assillava con le medesime raccomandazioni.
-Questo non é uno scherzo un minimo errore può
complicare ulteriormente le cose, per cui dovete essere rapidi e
soprattutto cercare di sembrare convincenti.- disse Hotch quando
l'insulina fu finalmente arrivata e tutti erano pronti.
-Abbiamo già comunicato ad Owen che due dottori stanno per
entrare a fare l'iniezione a Grace. Ha detto di fare in fretta
perché la figlia comincia a stare male.- disse Toole. Tutti
guardarono i monitor e videro la bambina distesa sulle ginocchia del
padre, era molto pallida e madida di sudore. Dovevano sbrigarsi.
-Bene,- disse Gideon – muoviamoci. Siete pronti?-
I ragazzi annuirono all' unisono.
-Allora andate, ma fate attenzione.- raccomandò per l'ultima
volta l'uomo lasciando che uscissero e si dirigessero verso l'edificio
del Sunflower. Sia Reid che Meredith evitavano il contatto visivo
diretto. Sapevano che se si fossero guardati negli occhi entrambi
sarebbero crollati, e non potevano rischiare. La ragazza
aprì la porta e lui la seguì all' interno.
Percorsero un breve corridoio e aprirono una porta verde sulla
sinistra, l'aula dove Owen si trovava con gli ostaggi. L' uomo era
armato e appena li vide entrare andò verso di loro per
perquisirli. “Fa che non trovi niente.”
pregò Meredith, ma non ce n'era affatto bisogno: era
talmente ubriaco che se anche fossero entrati con un bazooka nascosto
dietro la schiena non l'avrebbe notato.
-Siete davvero dei medici?- biascicò incredulo.
-In realtà siamo tirocinanti.- precisò
immediatamente Reid. Mossa infelice.
-E che diavolo vuol dire, eh?- chiese l'uomo avvicinandosi a lui
barcollando e brandendo la pistola che aveva in mano.
-Vuol dire che studiamo per diventare dottori e che stiamo facendo
pratica in ospedale,- disse pronta Meredith portando l'attenzione dell'
uomo su di sé e guardandolo fisso con piglio sicuro,- ma non
si preoccupi ne ho già fatte a migliaia di iniezioni non
sono un problema per me.- non era vero, in realtà ne aveva
fatte al massimo tre o quattro nella sua vita, ma ricordava come si
faceva e soprattutto doveva convincere un uomo ubriaco a fidarsi di
lei. L'impresa era ardua ma stranamente le sue parole sembravano aver
sortito l'effetto desiderato. L'uomo spostò la sua
attenzione verso la ragazza e abbassò la pistola.
-Sbrigatevi, Gracey non sta bene.- bofonchiò alla fine.
Meredith si mise subito all' opera aiutata da Spencer e in pochi minuti
praticarono l'iniezione alla bambina.
-Adesso starà bene.- annunciò il ragazzo, poi si
sbrigò a concludere – Ora dobbiamo uscire.-
-Quante altre ne hai lì dentro di quelle maledette punture?-
chiese l'uomo a Meredith ignorandolo.
-Altre quattro.- disse lei dopo aver controllato.
-Bene,- fece lui, - allora mettetevi pure comodi. Nessuno di voi due
uscirà di qui finché io e Gracey non saremo
fuggiti. Può avere ancora bisogno di quella roba.- e dicendo
questo puntò loro la pistola intimandogli di sedersi. I
ragazzi obbedirono e finalmente ebbero la forza di guardarsi, leggendo
il panico l'una negli occhi dell' altro.
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Capitolo 31 *** Capitolo 31 ***
Sapeva che sarebbe finita così, se lo sentiva in ogni fibra
del suo essere. E allora perché mai aveva accettato, per
quale assurdo e insensato motivo li aveva mandati disarmati
là dentro?
“Perché era l' unica cosa da fare, quella bambina
stava male.” gli ricordò in tono rassicurante una
voce nella sua mente. Jason Gideon guardava i monitor con aria
afflitta. Sentiva su di sé il peso di quella decisione,
vedeva i due ragazzi seduti a terra e l'uomo che li teneva in ostaggio
insieme ad insegnanti e bambini camminare nervoso su e giù
per la stanza. Era armato, ubriaco e pericoloso. Cosa gli era saltato
in testa? Si tormentava pensando che non avrebbe mai dovuto
autorizzarli ad entrare.
-Jason so cosa stai pensando, tu non hai niente da rimproverarti
é chiaro? Era l'unica cosa che potevamo fare, non c'era
più molto tempo.- la voce di Hotch tentava di confortarlo
sopra la sua spalla.
-Stai parlando con me o stai solo cercando di convincere te stesso?-
chiese l'uomo guardando nel vuoto. Aaron scosse la testa, sapeva quanto
Gideon poteva essere testardo e soprattutto quanto si sentisse
responsabile delle vite dei suoi agenti dopo Adrian Bale. Lo sapeva ma
non gli piaceva vederlo così. Emily e JJ erano andate ad
occuparsi dei genitori dei bambini che erano sopraggiunti in massa e
tentavano invano di arginare la loro comprensibile ira, agitazione e
preoccupazione. Soprattutto tentavano di tenere a freno la madre di
Grace che minacciava di smuovere mari e monti se non avessero tirato
fuori sua figlia. Era questo il motivo per cui ancora non sapevano
niente. Morgan non parlava, ma il suo stato d'animo si intuiva
chiaramente dai pugni che ogni tanto assestava al ripiano su cui era
appoggiato. Si malediva per non essere entrato lui.
-Ma che diavolo fa é impazzita?- la voce di Jason ruppe quel
momentaneo silenzio. Gli altri due uomini si avvicinarono per vedere e
sentire meglio. E ciò che videro li lasciò di
sasso.
-Signor Owen mi ascolti.- Meredith stava parlando all' uomo guardandolo
negli occhi con un espressione decisa. Aveva capito che era in questo
modo che prima era riuscita a calmarlo e sperava funzionasse di nuovo.
Sentiva lo sguardo di preoccupato di Spencer su di sé, ma si
impose di non guardarlo.
-Che vuoi ragazzina?- biascicò lui.
-Io devo dirle una cosa, non sono stata del tutto sincera con lei
prima.- e così dicendo fece qualcosa che strappò
a Morgan un' imprecazione. Si tolse lentamente il giubbotto
antiproiettile e lo appoggiò sul tavolo dove l'uomo era
seduto avvicinandosi a lui, dopodiché estrasse il
distintivo. - Non sono una studentessa di medicina, io sono un'agente
dell'FBI.-
L' uomo la guardò con aria assente, e dopo un po'
riuscì a parlare. Era confuso.
-Che significa?- chiese
-Significa che mi hanno mandata qui per fare l' iniezione a Gracey
facendole credere che fossi una dottoressa. Ma questo le può
tornare utile mi creda.-
-Ti ascolto.-
-Le faccio una proposta: lasci andare tutti gli altri eccetto me. Sono
una garanzia sufficiente per farla uscire da qui più di
tutti loro glielo assicuro. Non ha bisogno di trattenerli ancora.-
Owen sembrò pensarci su:
-Stai tentando di fregarmi ragazzina?- chiese guardandola di sottecchi.
Meredith però rimase ferma e decisa -Assolutamente no. I
miei capi ci stanno guardando in questo momento, e faranno di tutto per
tirarmi fuori le concederanno tutto quello che chiede. Non vuole
più l'affidamento di Gracey?- l' uomo annuì e si
grattò la testa. Ancora non era del tutto convinto. A quel
punto anche Reid si alzò e imitò i gesti compiuti
da Meredith in precedenza:
-Signor Owen.- disse – Due agenti dell' FBI in cambio delle
donne e i bambini. E' una offerta vantaggiosa, potrà uscire
di qui con sua figlia, niente e nessuno la fermerà. Ci
pensi.- affermò.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo. “Che diavolo
combina?” pensò con un moto di rabbia,
“era l' occasione perfetta perché uscisse anche
lui, gli sarebbe bastato continuare a fingere di essere un medico. Che
stupido!” . Spencer intercettò lo sguardo e lo
ricambiò con un' occhiata eloquente “Se pensavi
davvero che ti avrei lasciata qui da sola hai sbagliato di
grosso.” le disse mentalmente. Meredith tornò a
concentrarsi sull' uomo.
-Se mi fregate vi ammazzo entrambi é chiaro?- disse questi
dopo un po'. Si diresse barcollante alla porta della classe e la
aprì -Andate...- disse rivolto alle maestre e ai bambini che
si erano rannicchiati impauriti in un angolo. Non si mossero, erano
ancora increduli.
-FORZA!- urlò l' uomo facendoli scattare in piedi
terrorizzati. Le donne presero i piccoli per mano e li condussero
fuori. Non credettero di essere davvero in salvo finché non
rividero la luce del sole. I bambini riabbracciarono i loro genitori in
lacrime e le maestre corsero incontro ai propri cari che fino a pochi
minuti prima temevano non avrebbero rivisto mai più.
-Bisogna riconoscerlo hanno migliorato di molto la situazione.- disse
Hotch continuando a fissare i monitor.
-Com' é che la cosa non mi fa sentire meglio?- chiese
Morgan.
In quel momento Emily e JJ rientrarono sorridenti:
-Ma che é successo? Sono usciti tutti, come avete fatto?-
chiese Prentiss.
-Noi non abbiamo fatto proprio nulla, sono stati loro.- Derek
indicò gli schermi e il sorriso morì sulla bocca
delle ragazze.
-Oh mio Dio, ma cosa ci fanno ancora lì?- JJ si
portò una mano alla bocca nel vedere Reid e Meredith nella
stanza insieme ad Owen e sua figlia.
-Gli hanno proposto uno scambio: loro due in cambio di tutti i bambini
e le maestre.- disse Hotch.
-Ma non é possibile e gliel'avete permesso?- Emily era
incredula.
-Non gli abbiamo permesso un bel niente, hanno fatto tutto da soli.-
rispose amareggiato Morgan.
-La situazione sarà anche migliorata, ma se non troviamo un
modo per metterci in contatto con Owen non riusciranno ad uscire da
soli. Dobbiamo tirarli fuori noi.- affermò Gideon che fino a
quel momento aveva taciuto.
-Che cosa pensi di fare?- chiese Hotchner.
-Provo a chiamare Reid e mi faccio passare il sequestratore. Dobbiamo
trattare.-
-Non starai pensando di fargli davvero concedere l'affidamento della
bambina spero!- esclamò Morgan.
-No,- rispose l'uomo – ma é sufficiente che lui lo
creda. Agente Toole il giudice era un uomo o una donna?- chiese rivolto
al poliziotto.
-Una donna, perché?-
-Aveva una voce simile a qualcuna delle mie due colleghe per caso?-
L'agente inarcò le sopracciglia pensieroso.
-Forse l'agente Jereau potrebbe somigliarle, provi ad abbassare la voce
di un tono.- disse alla fine.
-Così?- chiese JJ.
-Si, dovrebbe andare.-
-Bene,- fece Jason – ora ascoltami attentamente JJ, tu dovrai
fingere di essere il giudice e ripetere quello che io ti
dirò è chiaro?-
-Certo, conta pure su di me.- rispose lei fissando i monitor.
-D'accordo adesso chiamo Reid.- disse prendendo il telefono e
componendo il numero. Il cellulare del ragazzo vibrò, e il
nome di Gideon lo fece sobbalzare.
-E' il nostro capo.- disse rivolto ad Owen.
-Visto?- annunciò Meredith trionfante,- Le avevo detto che
non stavo mentendo. Vuole sicuramente negoziare per farci rilasciare,
è la sua occasione! Le conviene rispondere.- L'uomo
sembrò riflettere poi prese il telefono che Reid gli porgeva.
-Pronto?- disse.
-Gregory Owen?- domandò la voce di Jason dall' altra parte.
-Chi vuole saperlo?-
-Agente speciale Jason Gideon, FBI.- si presentò.
-Bene, finalmente mi date ascolto!- esclamò Owen, -Ho
già detto alla polizia cosa voglio. Chiamate il giudice che
mi ha tolto mia figlia e fate in modo che sistemi le cose. Voglio
andare via con la mia bambina. Non sono un assassino sono un padre,
esaudite le mie richieste e nessuno si farà male.-
Meredith non poté fare a meno di sentire un brivido lungo la
schiena a quelle parole, e si sedette vicino alla bambina la quale si
accoccolò tra le sue braccia spaventatissima. Lei
cominciò ad accarezzarle la testa e a tranquillizzarla
sussurrandole che tutto sarebbe andato bene. E sperava di poter
convincere anche se stessa. Non c'era niente che potesse fare ne era
cosciente, doveva fidarsi di Gideon. Prima lui le aveva dato la sua
fiducia, stavolta era il suo turno. Si impose di non pensare e di stare
ad ascoltare. Guardò verso Reid e capì che
probabilmente anche lui stava pensando le stesse cose. Entrambi si
misero in attesa.
-E' già qui,- rispose Gideon – ma c'é
una condizione.-
-Quale?-
-Lei deve uscire da lì e venire fuori a firmare i documenti.
E' indispensabile per rendere ufficiale l'atto di affidamento.-
-Prima voglio parlare col giudice!-
Gideon avvicinò il telefono a JJ.
-Sono il giudice Abby Ross.- mentì lei pregando che Owen ci
cascasse.
-Che tu sia maledetta!- inveì l'uomo facendola trasalire.
L'aveva forse già scoperta?
-Sei contenta di avermi rovinato la vita?- proseguì lui
strappandole un sospiro di sollievo. Fortunatamente non aveva intuito
l'inganno.
-Signor Owen venga fuori, sistemeremo tutto.- rispose lei cercando di
suonare convincente.
-Credete che sia stupido? Se vengo fuori da solo mi arrestate.- disse
l'uomo, poi guardò in direzione di Meredith. -Tu vieni con
me alzati.- intimò.
La ragazza obbedì senza dire niente e affidò la
bambina nelle mani di Spencer che la guardò smarrito. La
tirò per un braccio lungo il corridoio puntandole la pistola
e infine uscì.
-Ora sono pronto per firmare.- annunciò.
Gideon Hotch e JJ stavano davanti a loro con le pistole puntate.
-Allora, dov'è il giudice?- chiese l'uomo.
-Se non la lasci andare non posso aiutarti.- disse Jason, guardandolo
fisso.
-Scordatevelo, prima voglio firmare.-
-Getta la pistola Owen, é finita.- un click
annunciò l'arrivo di Morgan da dietro. Puntava l'arma alla
tempia dell' uomo. Meredith non lo vedeva ma ne aveva riconosciuto la
voce. Owen ebbe un attimo di smarrimento, non sapeva più
cosa fare. Si rendeva conto di non avere più scampo ma non
si decideva ad arrendersi. Fu un attimo di distrazione,
allentò la presa sulla ragazza e lei ne
approfittò per disarmarlo e ribaltare la situazione.
-Adesso posso anche dirtelo,- fece trionfante puntandogli contro la sua
stessa pistola, - ti ho fregato alla grande!-
L'uomo attonito venne ammanettato e trascinato via, e Meredith
finalmente poté vedere che mentre loro erano impegnati con
lui, Emily e Derek erano entrati nell'edificio dal retro, liberando
Spencer e la bambina e permettendo a Morgan di prenderlo alle spalle.
La ragazza venne trascinata a forza da Derek verso un' ambulanza
nonostante protestasse che stava benissimo e non ce n'era bisogno, e
mentre passava fece in tempo a scorgere Owen nella volante che
l'avrebbe portato alla centrale.
-Ricordati una cosa,- sibilò gelida passandogli accanto, -
l'amore di una figlia non si pretende con la forza, va guadagnato, e
gli uomini come te non lo meritano. Pensaci quando sarai dentro.-
-Portatelo via.- fece Morgan sbrigativo guardandola con aria
interrogativa.
-Eih Derek...- disse rivolta al collega.
-Si?-
-Stamani non facevi altro che darmi della bambina, e mi sono ritrovata
chiusa in un asilo con un ubriaco armato. Riesci a cogliere la sottile
ironia di tutto questo?- rise lei.
-Ma piantala e vai a farti visitare!- fece lui scuotendo la testa
divertito.
Lei non disse nulla e andò verso i medici dell' ambulanza
fissando l'auto della polizia che se ne andava. Guardò in
direzione di Spencer e gli abbozzò un sorriso, che il
ragazzo ricambiò. Era davvero finita.
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Capitolo 32 *** Capitolo 32 ***
Erano rientrati a Quantico da pochi minuti e si stavano dedicando alla
stesura dei rapporti, quando videro Penelope scendere le scale con aria
trafelata e dirigersi verso la scrivania di Meredith:
-Buonasera.- fece la ragazza con un sorriso.
-Niente saluti per te piccola disgraziata,- cominciò l'
informatica guardandola con aria di rimprovero – é
vero quello che mi ha raccontato JJ?- chiese.
-Cioè?-
-Quello che hai fatto a Cleveland.- Penelope sembrava furiosa.
-Beh... Si...-
-Tu!- puntò il dito Garcia – Non devi farmi
scherzi del genere capito? Non ci provare più!-
-Scusami...- Meredith non sapeva se ridere o preoccuparsi. In
realtà la scena era piuttosto comica, infatti
riuscì a scorgere con la coda dell' occhio Morgan ed Emily
che sorridevano divertiti. Tuttavia non poté fare a meno di
ritenersi in grossi guai.
-Scusa un cavolo,- riprese la donna – Tu non puoi arrivare
qui tutta carina, farmi affezionare subito a te e poi correre rischi
simili. Non puoi capito?- e così dicendo se ne
tornò nel suo ufficio scuotendo la testa.
-Ma cosa...- la ragazza era incredula non riusciva a capacitarsi di
ciò che stava accadendo.
-Sei appena stata investita dal ciclone Garcia,- la informò
Morgan con gli occhi pieni di ilarità, - e se vuoi un
consiglio ti conviene trovare un modo per placarla o ti
renderà la vita molto difficile.-
-Tradotto vai immediatamente a parlarle.- completò Prentiss
sempre sorridendo.
-Ho capito,- fece lei – ma prima devo fare una cosa.- disse
prendendo la giacca e uscendo. Dieci minuti dopo tornò con
un incarto che emanava un buonissimo profumo.
-E quello cos'è?- esclamò Derek sorpreso.
-Un ramoscello d' olivo.- fece Meredith con un sorriso enigmatico
dirigendosi al piano superiore. Morgan guardò Emily allibito:
-Ma perché tutti i matti ce li prendiamo noi?- la mora
agente rise divertita.
Percorso il corridoio del piano superiore la ragazza si
fermò davanti alla stanza che faceva da ufficio a Garcia e
bussò piano alla porta.
-Chiunque tu sia preparati ad affrontare l' ira di una giocatrice
infuriata per essere stata interrotta sul più bello.-
avvertì minacciosa una voce dall' interno. Meredith
aprì la porta e trovo l' informatica intenta ad uccidere non
vedeva quale mostro in uno di quei giochi di ruolo online che
riproducono il medio evo in versione fantasy.
-Non ne faccio una giusta eh?- affermò la ragazza con tono
sconsolato, - e dire che avevo portato il calumet della pace.-
-Io non fumo tesoro.- rispose secca Garcia.
-Nemmeno io, per questo ho pensato che dei brownies al cioccolato
andassero bene lo stesso.- disse ridendo e togliendo l' incarto al
vassoio che teneva in mano. Penelope si alzò e le
andò incontro,
-Guarda che se pensi di cavartela così facilmente...-
cominciò arrabbiata, poi prese un dolcetto e dopo averlo
assaggiato esclamò raggiante:
-Sei carina intelligente bionda e amante della buona pasticceria. Dove
sei stata finora piccola?-
La ragazza rise di gusto:
-Se proprio dobbiamo dirla tutta me la cavo pure coi computer.-
-Davvero? Sei la mia anima gemella allora!- fece l'informatica
sgranando gli occhi. Lei scoppiò a ridere di nuovo e
pensò sollevata che forse era riuscita a rimediare al danno:
il ciclone Garcia era passato e lei era sopravvissuta. Si stava
ambientando proprio bene e ne era davvero felice.
Una volta finito di scrivere il suo rapporto Meredith salutò
i colleghi e uscì declinando l' invito di una cena cinese
tutti insieme. Dopo aver rischiato di non rivederli più
voleva tornare da Megan e Oliver e passare un po' di tempo con loro.
Non aveva previsto il fatto che avrebbe trovato di nuovo Reid ad
aspettarla fuori.
-Oh, ecco dove eri finito!- esclamò sorridendogli con finta
aria sorpresa, - Hai finalmente smesso di evitami?-
-Devi per forza essere sempre così diretta?- chiese lui
scuotendo la testa.
-Che vuoi farci, mi hanno fabbricata così.- fece lei alzando
le spalle. Il ragazzo sorrise ripetendosi per la centesima volta che
quella decisamente era tutta matta, e si incamminarono insieme diretti
alle macchine.
-Lo sai devo dirtelo sei stato veramente stupido a rimanere
lì dentro, potevi tranquillamente stare zitto ed andare via
con gli altri.- fece Meredith in tono di rimprovero.
-E cosa avrei dovuto fare lasciarti lì da sola?-
protestò lui.
-Devi per forza interrompere sempre le persone?- chiese lei ridendo e
facendogli il verso, poi proseguì più seria:
-Sei stato stupido ma anche carino. Non me lo aspettavo...- gli disse
dolcemente. Lui arrossì leggermente e inizialmente non
rispose.
-Cosa non ti aspettavi?- chiese poi.
-Che tenessi tanto a me. - ammise lei senza guardarlo. Ora era il suo
turno di diventare rossa.
-Beh sono arrivata.- disse alla fine indicando la sua famosa auto viola.
-Già...- fece lui guardandola come un cagnolino che implora
il padrone di non lasciarlo fuori sotto la pioggia.
-Allora ci vediamo.- fece aprendo la portiera dal lato del guidatore.
-Ok...- disse Reid salutandola con la mano senza mutare espressione.
Meredith ricambiò il saluto e lui vide la bizzarra Mustang
sparire nel buio. Si incamminò in direzione della sua auto
ed era quasi arrivato quando due fari lo illuminarono da dietro.
“Chi diavolo é perché non si decide a
passare?” pensò arrabbiato voltandosi. E quando
vide il colore della macchina che stava alle sue spalle non
poté fare a meno di sorridere.
-Non ci credo... Ma perché hai fatto il giro?- disse
allibito e divertito allo stesso tempo.
-Oh ma dai non avrai creduto sul serio che me ne sarei andata
così?- chiese lei strizzandogli l'occhio. -Volevo solo farti
spaventare.- concluse.
-E per quale motivo?- chiese lui sempre più confuso.
-Oh beh... avevo una certa cosa che ancora mi era rimasta sullo
stomaco.- fece enigmatica. Pensava ancora alla storia di Lila Archer.
-E cosa?- domandò allarmato Spencer senza capire. Lei nel
frattempo era scesa e gli si era avvicinata.
-Questo,- sorrise passandogli l'indice sulle labbra – non te
lo dirò mai!- l' espressione che si dipinse sul volto del
ragazzo a quel punto era indescrivibilmente buffa.
-Andiamo!- gli disse Meredith aprendo la portiera della macchina di lui
dal lato del passeggero.
-Andiamo dove?-
-Da te.- disse la ragazza come se fosse la cosa più ovvia
del mondo, -Devo ancora offrirti il caffè non ricordi?-
-Ma se andiamo a casa mia come fai ad offrire tu? - chiese lui
deglutendo vistosamente.
-Quando imparerai che se dico “offrire” non intendo
“pagare” ma "preparare"?- rise lei allacciando la
cintura. Spencer si decise finalmente a salire anche lui e mise in
moto. Non ci capiva niente sapeva solo che in qualche modo Meredith
riusciva sempre a destabilizzarlo totalmente. L' unica cosa di cui era
certo era che non gli dispiaceva affatto.
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Capitolo 33 *** Capitolo 33 ***
Stava rientrando a casa cercando di fare meno rumore possibile, e non
appena ebbe richiuso la porta alle sue spalle la luce nel corridoio si
accese.
-A ha!- fece una voce maschile accusatrice.
-Oliver che diavolo ci fai in piedi a quest' ora?- chiese Meredith
sottovoce.
-Senti chi parla, lo sai che ore sono?- si aggiunse una voce femminile
alle sue spalle. Era Megan in vestaglia con un bicchiere vuoto in mano.
-Anche tu? Sono le cinque del mattino perché siete
già svegli? Cos' é mi aspettavate?-
-Certo che si! Non dovevi tornare ieri sera?- si lamentò
Oliver.
-Si e non ci hai nemmeno avvisati che non rientravi!-
protestò Megan. Era vero, se n'era totalmente dimenticata!
-Mi dispiace! Chiedo perdono mi era passato di mente.- tentò
di difendersi.
-Ah si? E come mai sentiamo?- chiese il ragazzo.
-Io credo di saperlo. Secondo me é andata ad approfondire un
caso con un certo collega.- disse l'amica con un sorrisetto malizioso.
-Non é quello che pensi!- disse Meredith arrossendo un po'.
-No certo! E perché sei diventata rossa?- infierì
Oliver.
-Potevi magari mandare un messaggio.- Megan si voltò dall'
altra parte fingendosi offesa.
-Oh ma dai devi capirla, era “impegnata...”-
-E piantatela! Due contro una non vale, ho già chiesto
scusa.-
-Hai un solo modo per farti perdonare...- cominciò la bruna.
-Raccontarci tutto!- completò il ragazzo strizzando l'
occhio. Dopodiché la trascinarono su una sedia in cucina.
-Non c'è un bel niente da raccontare abbiamo bevuto un
caffè e chiacchierato tutta la notte.-
-Sii certo... e io sono stato appena eletto presidente.-
-Già... Non solo hai davanti a te la nuova Miss America!- la
canzonarono i due amici.
-Che spiritosi!- disse Meredith versandosi un po' d'acqua fresca in un
bicchiere,- E' la verità comunque.-
-Non dirai sul serio?- chiesero all' unisono.
-Si invece.-
Per un po' nessuno parlò, Meredith bevve e si mise a lavare
sia il suo bicchiere che quello che le porse la sua amica.
-Aaah dobbiamo proprio insegnarle tutto noi a questa ragazza.- fece
Oliver dopo un po' scuotendo la testa. Megan rise.
-Avete finito? Oliver sei un maniaco guarda che nella vita non
c'è mica solo quello!- protestò la bionda.
-Sei troppo giovane per capire come va il mondo cara.-
-Guarda che tu hai solo un anno più di noi caro!- rise Megan
facendogli il verso.
-Si ma ho comunque avuto più storie di voi.-
-E tu quelle le chiami storie? Ma se della maggior parte di quelle
ragazze non ricordi neanche il nome!- fece Meredith.
-L'importanza dei nomi é sopravvalutata.- asserì
lui saccente.
-E finiscila stupido!- risero in coro le due ragazze.
-Vado a fare la doccia.- annunciò Meredith dopo un po'.
-Non dormi?- chiese apprensiva Megan.
-Tesoro tra un paio d'ore dovrò essere di nuovo al Bureau
non ho tempo di dormire, mi imbottirò di caffeina come
sempre.- rispose lei avviandosi in bagno.
-Così finirai per ammalarti.- le gridò dietro
Oliver.
-Allora mi porterai dal dottore papino!- gli strizzò l'
occhio lei affacciandosi di nuovo alla porta. I due amici scossero la
testa ridendo della sua follia e se ne tornarono finalmente a letto,
felici di non avere lezioni quel giorno e poter dormire quanto volevano.
Meredith sotto il getto freddo della doccia ripensava alla notte appena
trascorsa. Era vero che erano rimasti svegli tutta la notte a parlare e
la cosa l'aveva resa piuttosto felice. Se fosse stato un film quella
sarebbe stata una di quelle scene che venivano fatte scorrere veloci
con qualche bella canzone di sottofondo, come a sottolineare che l'
importante non era il dialogo ma la scena in sé. Ed era
proprio così: avevano parlato di qualunque cosa, dal
sequestratore al quale erano appena scampati, alla prima volta che si
erano visti quando lei ancora studiava all' accademia, ai loro libri
preferiti, il cinema, la musica, dei loro padri entrambi poco presenti,
il rapporto che avevano con le rispettive madri, o nel suo caso con il
ricordo di essa... Non ricordava l' ultima volta che si era aperta
così con qualcuno, era solo che con lui gli veniva naturale
e non sapeva spiegarsene il motivo. La cosa le faceva piacere e la
spaventava allo stesso tempo. Ci aveva messo anni a costruire la sua
solida corazza e ora arrivava lui, che in punta di piedi era riuscito
ad intrufolarsi nella sua anima e toccare le corde più
profonde del suo cuore. Dire che era terrorizzata era poco.
Però non poteva fare a meno di essere felice di poter
finalmente abbassare la guardia con qualcuno. Era strano, una di quelle
cose che fanno bene e male al contempo. Uscì dalla doccia in
fretta e in pochi minuti fu fuori di casa diretta di nuovo alla sede
dell' FBI di Quantico. Era quasi arrivata alla macchina quando
finalmente si accorse dell' uomo che vi era davanti. Lo
fulminò con lo sguardo senza dirgli niente.
-Ciao.- azzardò lui.
-Dimmi quale aspetto della parola sparisci non ti é chiaro?-
chiese gelida. George la guardò sconsolato.
-Mi dispiace volevo solo salutarti.-
-Bene l'hai fatto ora addio.- si affrettò a concludere il
dialogo la ragazza.
-Volevo chiederti anche un' altra cosa...-
-Sentiamo, cosa?-
-La... tomba di Natalia... dove si trova?-
Meredith trasse un profondo respiro per tentare di calmarsi e non
uccidere quell' uomo.
-E a te che diavolo importa?- scattò lei. Non ne aveva
assolutamente nessuna intenzione, poteva scordarsi che lei gli dicesse
che le ceneri di sua madre si trovavano nel fiume. Quello era il SUO
posto speciale e non gli avrebbe mai e poi mai permesso di profanarlo
con la sua irritante presenza.
-E dove vuoi che si trovi?- chiese sarcastica,- al cimitero. Ma farai
un viaggio a vuoto la mamma non si trova lì, la lapide
l'hanno messa certo, ma il suo corpo non c'è si è
fatta cremare.-
-Davvero?-
-Si davvero e ora lasciami in pace.-
-Ma... e le ceneri?-
-NON SONO AFFARI TUOI!- sbottò salendo in macchina e
partendo a tutta velocità. Perché quel maledetto
continuava a tornare, che diavolo voleva? Tutte quelle domande su sua
madre come se davvero gli importasse qualcosa! "Beh, magari gli
importa..." azzardò una voce nella sua testa. "Si certo gli
interessa talmente tanto che non appena ha saputo di me l'ha lasciata
da sola, é fuggito e non si é più
fatto vedere fino ad oggi. Per me può tornarsene da dove
é venuto." pensò arrabbiandosi, "Anche
perché la colpa é tutta sua."
sentenziò parcheggiando e salendo diretta all' ufficio.
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Capitolo 34 *** Capitolo 34 ***
Jason Gideon stava passando dall' open space proprio nel momento in cui
Meredith entrava.
-Buon giorno!- lo salutò la ragazza, l'uomo non rispose e le
fece a malapena un cenno con la testa dirigendosi nel suo ufficio.
-Ok,- sospirò lei sconsolata sedendosi alla scrivania, -per
quanto ancora ce l'avrà con me per aver messo in pericolo il
suo cocco?-
-Non sono il suo cocco!- protestò il diretto interessato.
-Oh andiamo Reid! Lo sanno tutti che è così.-
rise divertito Morgan, -comunque io non credo che Gideon ce l'abbia con
te bimba.-
Meredith sorvolò su quel “bimba” a cui
ormai si stava abituando. Fino a poco tempo prima gli avrebbe risposto
male, adesso cominciava persino a piacerle.
-Si certo,- rispose sarcastica, - allora perché non mi
rivolge la parola da quel giorno?-
-Chiediglielo.- rispose semplicemente Spencer.- Non mi dirai che hai
paura di lui?- la punzecchiò.
-Io paura? Deve ancora nascere chi può farmi paura caro!-
disse con aria di sfida alzandosi e dirigendosi spedita verso l'
ufficio di Gideon.
-Ma perché la istighi lo sai che è matta,
chissà ora cosa combina!- fece Morgan con finta aria di
rimprovero. In realtà stava morendo dal ridere. Reid non
rispose si limitò ad alzare le spalle con un sorriso.
-Ora che siamo da soli hai intenzione di dirmi qualcosa o vuoi
continuare a fingere?- chiese Derek inarcando le sopracciglia.
-Eh?- fece lui senza capire.
-Andiamo ragazzino, pensavi davvero che non mi sarei accorto che fai
finta di niente ma quando pensi che nessuno ti veda te la mangi con lo
sguardo?- sorrise. Spencer si sentì mancare. Sapeva che
prima o poi sarebbe successo ma non pensava così presto.
“E adesso?” pensò in preda al panico.
-Guarda che non mordo.- incalzò Morgan – E
sicuramente non faccio la spia, non é nel mio stile lo sai.-
-Lo so.- ammise Spencer,- Non è questo.-
-E allora cosa.... Oh!!- sgranò gli occhi come folgorato,
-Non dirmelo!-
-Cosa?- Reid cominciava a sudare freddo.
-Che lei ti piace si vede lontano un miglio. Quello che ancora non mi
era chiaro é che anche tu piaci a lei, strano ma vero. Ho
indovinato?-
-Strano ma vero?- ripeté risentito.
-Oh dai lo sai cosa intendevo...-
-Si certo...In ogni caso smettila di fare assurde supposizioni su di
me. Non eravamo d'accordo di non farci il profilo?-
-Questo non è un profilo. Se dovessi farne uno scoprirei
tutto. Lo sai vero?- lo provocò. Il ragazzo si stava
decisamente alterando.
-Possiamo cambiare argomento per favore?-
-Certo.- acconsentì il collega con un sorriso che
significava semplicemente “Questo conferma ancora di
più le mie teorie.” e la conversazione
finì lì.
Meredith bussò lievemente alla porta dell' ufficio di Gideon.
-Avanti.- fece la voce distratta dell' uomo. Quando vide la ragazza che
entrava il suo volto si rabbuiò un poco.
-Che cosa c'è?- chiese in tono piuttosto brusco, che lei non
mancò di notare con una fitta di tristezza.
-Devo parlarti.- disse schietta.
-Siediti.- la invitò l'uomo senza mutare espressione.
-Non abbiamo ancora parlato dell' ultimo caso.- cominciò.
-C'è forse qualcosa da dire?-
-Si visto che hai smesso di rivolgermi la parola da quel giorno. Ho
capito che ti ha dato fastidio che ci sia finito di mezzo anche Reid,
ma credimi non era mia intenzione. Gli ho dato la
possibilità di andarsene con gli altri ostaggi e lui l'ha
deliberatamente ignorata decidendo di scoprirsi e rimanere
lì di sua spontanea volontà.-
L' uomo si passò le mani sul volto e proruppe in una risata
sommessa.
-Cosa c'è da ridere?- Meredith era alquanto
perplessa e seccata. La stava forse prendendo in giro?
-E' davvero questo ciò che pensi?- chiese Jason sempre con
un sorriso e scuotendo la testa.
-Che altro dovrei pensare scusa?-
Lui non rispose subito, si poggiò una mano sulla fronte e si
mise a ridere di nuovo.
-Vuoi smettere di ridere e rispondermi?- la ragazza si stava
arrabbiando. Non pensava che la cosa fosse divertente e non comprendeva
il motivo di tanta ilarità da parte di Jason.
-Scusami,- disse lui alla fine, -solo, non ricordavo che fossi
così ingenua.-
-Ingenua?- era allibita e voleva sincerarsi di aver capito bene.
-Se davvero pensi una cosa simile come altro potrei definirti?- rispose
il profiler come fosse la cosa più ovvia del mondo. Lei
continuava a non afferrare il concetto.
-Non ti ha sfiorata minimamente il pensiero che magari potrei essermi
preoccupato anche per te e che forse, sempre per ipotesi, stia
incolpando me stesso per averti mandata in una situazione
così pericolosa al tuo primo vero caso?-
Ora si che era imbarazzata. E finalmente capiva di essere stata una
stupida. Non sapeva cosa rispondere perciò rimase in
silenzio.
-A volte me ne dimentico che nonostante il tuo cervello sei ancora
così giovane.-
-Sai quando fai certi discorsi sembri ancora più vecchio
professore.- disse lei tanto per sdrammatizzare, -Comunque se
è questo il problema, non ti devi preoccupare sono io che
l'ho deciso o sbaglio? E per fortuna è andato tutto bene.-
-Si ma poteva non essere così.-
-Vorrà dire che dovrò imparare a lavorare con la
squadra invece di voler fare sempre di testa mia.-
-Vedo che cominci a capire,- fece l'uomo soddisfatto, - ma la domanda
è: una come te riuscirà in questa impresa?-
-Se non altro posso prometterti di provarci.-
-E' già qualcosa... -fece diventando pensieroso per un
momento. -Se non c'è altro vorrei tornare a quello che stavo
facendo se non ti secca.- concluse poi.
-Certo che no, anzi sono contenta che abbiamo chiarito.- disse lei
alzandosi con un sorriso.
-D'accordo, chiudi la porta quando esci... Ah Meredith!- la
richiamò quando già stava per richiudere la porta
alle sue spalle.
-Si?-
-Smettila di chiamarmi professore!- intimò bonariamente.
-Ricevuto capo!- rispose la ragazza ridendo e tornando nell' open
space. Si sentiva decisamente sollevata ora che tutto era risolto. Si
mise di nuovo seduta al suo posto ma dopo cinque minuti si
alzò di nuovo per andare a prendere l' ennesimo
caffè. Stava aspettando che la bevanda si raffreddasse
inalandone nel frattempo quel profumo che tanto amava quando si
sentì bussare piano su una spalla.
-Eih mi hai fatto prendere un colpo!- esclamò vedendo
Spencer dietro di lei.
-Devo dirti una cosa.- disse con l' aria di un bambino che si appresta
a confessare una marachella alla mamma.
-Dimmi.-
-Morgan sospetta qualcosa, cioè veramente sa praticamente
tutto.-
-Tutto che?- chiese la ragazza.
-Beh si insomma... di noi...-
-Oh!- fece la ragazza con finta aria sorpresa, -Perché che
c'è da sapere?-
-E smettila guarda che sono serio.-
-Io pure. Sapevamo che prima o poi sarebbe successo o sbaglio? Non vedo
il problema.-
-Come sarebbe a dire?-
-Sarebbe a dire che non capisco il motivo di tutta questa agitazione.
Finché é Morgan e non Gideon oppure Hotch non ha
senso preoccuparsi.-
-Questo sarebbe il tuo modo di affrontare i problemi? Lasciarli
peggiorare fino a che non diventano enormi?-
-Se la cosa non ti va dillo subito, basta saperlo e amici come prima.-
saettò gelida voltandosi e andandosene.
“Ma che bella giornata, fortuna che è finita
va.” pensò seccata dirigendosi alla macchina.
Naturalmente le brutte sorprese non erano ancora finite, visto che di
fronte all' auto parcheggiata sostava suo padre.
“Oh perfetto si si! Ci mancava solo lui!”
pensò con rabbia crescente. “Almeno mi
servirà per sfogarmi...”
-Ciao.- la salutò l' uomo con la solita aria imbarazzata.
Come al solito lei non rispose e si limitò a guardarlo di
sottecchi. Per qualche istante nessuno dei due parlò, poi
Meredith si spazientì:
-Ti decidi a toglierti dalla mia macchina? Devo tornare a casa.- disse
seccata.
-Io volevo scusarmi con te, forse sono stato troppo brusco stamani...-
azzardò l'uomo.
-Il problema non é quello, piuttosto perché
continui a tornare nonostante ti abbia già detto di sparire?-
-Che succede?- una voce maschile interruppe la conversazione. Era
Morgan.
-Derek...- esclamò la ragazza meravigliata, cosa ci faceva
lui là? Di nuovo aleggiò il silenzio, nessuno
parlava e Morgan alternativamente Meredith e l' uomo senza capire.
-Non é niente lui è...- dover pronunciare quella
parola relativamente a quell' uomo la disgustava profondamente, -Questo
é mio padre Derek.-
-Oh!- fece il collega sentendosi improvvisamente di troppo, - mi
dispiace io non lo sapevo.-
-Non deve preoccuparsi anche lei ne era all' oscuro fino a poco tempo
fa...- intervenì George.
Come diavolo si permetteva di dire una cosa del genere? Era decisamente
troppo e la ragazza non resse:
-E AVREI PREFERITO CONTINUARE AD IGNORARLO! LASCIAMI IN PACE!-
gridò scoppiando in lacrime. Tutto lo stress accumulato era
venuto fuori improvvisamente e non avrebbe potuto scegliere un momento
peggiore. Morgan a quel punto fece qualcosa di cui Meredith gli sarebbe
stata grata per sempre, si avvicinò all' uomo e gli
parlò con voce calma ma ferma :
-Signore mi dispiace intromettermi so perfettamente che questi non sono
affari miei, ma credo sia meglio per tutti che se ne vada.-
-Come?- finse di non aver capito lui.
-Al momento non mi sembra il caso che lei rimanga qui.-
continuò Morgan deciso. L' uomo lo guardò
perplesso, ma leggendo la decisione negli occhi scuri del profiler se
ne andò suo malgrado.
Nessuno dei due parlava, finché la ragazza non si decise ad
asciugare le lacrime e guardarlo di nuovo in faccia.
-Grazie Derek.- disse con gli occhi ancora arrossati.
-Stai bene?-
-Si, certo ora scusami ma devo davvero andare a casa.-
-Vuoi un passaggio?-
-No prendo la mia macchina, tranquillo davvero è tutto a
posto.- si affrettò ad andare lei salutandolo e
ringraziandolo nuovamente. Nel tragitto verso casa si impose di non
pensare a nulla e tenere i nervi saldi. Non poteva permettersi
cedimenti di sorta in quel momento. La sua vita stava prendendo
lentamente un senso e una forma e lei non voleva permettere a quell'
uomo di distruggere ciò che con tanta fatica e sacrifici
aveva creato giorno dopo giorno. Non poteva permetterglielo. Raggiunse
casa, ma all' ultimo momento non se la sentì di fermarsi e
si diresse al molo. Aveva proprio bisogno di un po' di calma. Scese in
fretta dall' auto e si tolse le scarpe, poi si sedette sul cemento al
suo solito posto e immerse i piedi nell' acqua gelata. La morsa di quel
contatto freddo le prese subito lo stomaco, ma la sensazione non le
dispiaceva. Probabilmente il suo sangue mezzo russo le permetteva di
trovare piacevole quella sensazione di gelo che a chiunque altro
avrebbe dato fastidio, costringendolo a ritirare in fretta i piedi. Su
di lei aveva invece un effetto calmante, e Meredith non chiedeva altro
in quel momento. Un po' di pace, da tanto, troppo tempo la desiderava.
Dicono che prima o poi tutti raggiungono una parvenza di
felicità. A lei in quel momento pareva impossibile anche
solo pensarci. Raramente si fermava a pensare a se stessa e alla sua
vita, preferiva andare avanti e non guardarsi mai indietro. Affrontare
il futuro e le sue mille incertezze e difficoltà le pareva
più semplice e meno doloroso che indugiare sul suo passato e
le ombre che lo popolavano. Perché quella notte quando aveva
trovato sua madre senza vita, un pezzo di lei se ne era andato per
sempre, e la ragazza pensava senza osare confessarselo che fosse la sua
parte migliore. Quello che le era rimasto valeva ben poco a confronto.
Gli elogi alla sua mente brillante che fin da bambina gli adulti sia
negli istituti dove era cresciuta sia a scuola le avevano elargito,
erano una ben misera consolazione. Lei conosceva il valore di
ciò che aveva perduto, ed era consapevole che niente avrebbe
potuto ripagarla di tale mancanza. Non era solo la sua mamma, che
indubbiamente rappresentava la fetta più grossa della
perdita. Erano la sua infanzia e la sua innocenza che quella notte
erano morte con lei, sostituite da una spavalderia di facciata che
celava una rabbia, una insicurezza ed un disincanto che persino lei era
incapace di comprendere appieno. Il suo carattere così forte
non era nient' altro che un muro fatto di cristallo. Sembrava
così resistente, ma in realtà era bastato
l'affetto sincero di un ragazzo che lei scioccamente aveva allontanato
perché troppo spaventata, o il ritorno dell' uomo che si
definiva senza diritto suo padre a farlo andare in briciole. Senza la
sua patetica corazza poteva vedere chiaramente che essere misero era e
compiangere se stessa. Si accorse di stare piangendo quando
sentì il rumore di un motore alle sue spalle. Non sapeva
dire da quanto tempo lo stesse facendo ma doveva essere parecchio. Si
voltò per capire da dove provenisse il suono ed ebbe un
sussulto quando il profilo di una vettura a lei nota si
stagliò contro quel paesaggio quasi incontaminato. Spencer
Reid stava scendendo da quel residuato bellico che lui chiamava la sua
macchina, e si avviava con passo svelto verso di lei. Meredith non ebbe
la forza di muovere un muscolo. Lui le si sedette vicino e le
sollevò il mento, notando così che quel viso che
tanto amava era rigato di calde lacrime salate. Lei continuava a non
parlare, anche perché non aveva idea di cosa avrebbe potuto
dirgli dopo la scenata assurda che gli aveva fatto quella stessa
mattina. Si sentiva una perfetta idiota. Lui la guardò
teneramente, e d' un tratto ebbe la certezza che sapeva tutto. Derek
doveva averglielo detto, non capendo appieno il significato che le
parole “Questo é mio padre.”
rappresentavano per lei. Ma Spencer poteva capirlo benissimo. I suoi
sospetti furono confermati dalla protesta triste di lui:
-Perché non mi hai detto niente?-
La ragazza sembrava aver perso l' uso della parola. Non riusciva a
formulare una risposta ed i suoi occhi parlarono per lei riempiendosi
di nuovo di lacrime. Reid la tirò a sé
stringendola in un abbraccio che valeva più di mille parole,
mentre il corpo di Meredith era scosso da violenti singhiozzi, come se
una diga avesse ceduto e tutto ciò che si era tenuta dentro
in quegli anni fosse uscito finalmente fuori, sopraffacendola e
togliendole il respiro e la facoltà di parlare. Si
abbandonò all' abbraccio di Spencer sentendo che non c'era
altro al mondo che desiderava e di cui aveva bisogno in quel momento.
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Capitolo 35 *** Capitolo 35 ***
-Oh mio dio tesoro ma che cosa hai fatto?- Megan guardava la sua amica
con aria esterrefatta. Era appena entrata in casa e aveva tentato di
andarsene in camera passando inosservata, ma era stata bloccata sul
primo gradino delle scale dalla voce della bruna. Si voltò a
guardarla piuttosto imbarazzata:
-Ciao! Non ti piacciono?- chiese.
-Ma no ti stanno benissimo, non è questo il punto.- disse
trascinandola in salotto. Meredith si lasciò trasportare ben
sapendo dove il discorso sarebbe andato a parare. Si maledì
per non aver fatto più piano. Megan la obbligò a
sedersi e la guardò dritto negli occhi.
-Allora?-
-Allora che?-
-Meredith sei tornata a casa con i capelli corti. Per gli altri forse
questo non vorrà dire nulla ma io ti conosco, e quando fai
così vuol dire che c'è qualcosa che non va.
Perciò ora parliamo.- sentenziò l'amica.
-Ma dai quanto sei esagerata li ho solo accorciati un po'...- disse la
bionda indicando i capelli che ora le ricadevano sbarazzini sul volto,
in un lungo caschetto scalato che in qualche modo la faceva sembrare
più grande.
-Devo forse rammentarti che alle medie ti sei tinta i capelli di rosso
perché avevi quelle continue lotte col professore di
matematica che ti odiava perché correggevi sempre i suoi
errori in classe? E che mi dici di quando ti sei fatta quella frangetta
nera con le meches viola perché avevi una cotta non
ricambiata per il tuo professore di neuroscienze all'
università?-
-Hai finito? Guarda che qui la profiler sono io!- protestò
la ragazza arrossendo nel ricordare i tempi dell' università
e quella sua sbandata pazzesca per il giovane professor Greene .
-Non serve essere una profiler, basta conoscerti. Quando c'è
qualcosa che ti turba tu te la prendi coi tuoi capelli. E ora che mi
sei tornata a casa con mezzo metro in meno di chioma voglio sapere che
ti succede.- rispose Megan con un misto di serietà e
sarcasmo.
-Ok, va bene inguaribile rompiscatole te lo dirò...- si
arrese Meredith alla fine. Si morse il labbro inferiore pensando a come
trovare le parole giuste per esprimersi. "Al diavolo," pensò
seccandosi con se stessa "glielo dico e basta!"
-Qualche giorno fa è venuto da me un uomo. -
cominciò fissando un punto non ben definito del pavimento -e
mi ha detto di essere mio padre.-
Megan la guardò attonita:
-Che cosa hai detto? Io spero che tu stia scherzando.- non avrebbe
saputo dire se quello che leggeva negli occhi della sua amica era
più rabbia o sgomento.
-No, ti pare che scherzerei su una cosa del genere? Mi ha pure mostrato
una foto di lui e mia madre da giovani. Non c'è dubbio che
sia davvero lui.-
-E cosa vorrebbe scusa?- Megan era incredula.
-Oh si questa è la parte comica,- fece la ragazza con un
sorriso amaro sul volto - voleva "ricostruire la famiglia", quell'
idiota non sapeva neanche che la mamma è morta. Non so se mi
fa più schifo o pena.-
Per un po' aleggiò un pesante silenzio in cui nessuna delle
due parlava. Era difficile per Meredith indovinare quali pensieri
passassero in quel momento nella mente della sua amica. Sapeva che
prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, ma non pensava succedesse
così all' improvviso. Non era ancora preparata a parlarne.
Anche se da una parte era contenta di aver trovato solo lei ad
aspettarla. Oliver non l'avrebbe presa bene ne era convinta.
-Me lo fai un favore?- chiese rivolgendosi alla bruna ancora immersa
nei suoi pensieri.
-Non chiedermi di non dire niente ad Oliver tanto lo sai che lo
verrà a sapere comunque...- cominciò lei quando
la conversazione fu interrotta dalla voce del ragazzo alle loro spalle.
-Non deve dirmi cosa?- chiese accigliato con le braccia incrociate sul
petto. Meredith e Megan si voltarono a guardarlo ma nessuna delle due
disse una parola.
"Quanto avrà sentito?" pensò allarmata la bionda.
Gli occhi di lui erano fissati in quelli di lei e pareva non volerne
sapere di desistere. Meredith trasse un profondo respiro e si decise
finalmente a parlare:
-E' venuto a cercarmi uno che dice di essere mio padre, e pare proprio
che sia così visto che aveva una foto di lui e mia madre da
giovani. Contento?- disse sbrigativa.
Lui si limitò a lanciarle un' occhiataccia e si
voltò cominciando a salire le scale:
-Vado a fare una doccia.- disse semplicemente. Dentro di se era
furioso, ma non aggiunse altro e sparì diretto al piano
superiore.
-Lo sapevo...- fece Meredith scuotendo la testa.
-E' normale che si arrabbi lo sai come è fatto, ma non
potevi certo nasconderglielo!- cercò di incoraggiarla l'
amica.
-Megan tu sei troppo ottimista. Sai che lui ci considera la sua
famiglia più di prima da quando i suoi hanno divorziato sei
mesi fa e suo padre si è trasferito in Australia con la sua
nuova fiamma.-
-Beh mi pare un eufemismo definirla così...-
-Col suo nuovo amante, o fidanzato, o quello che ti pare va bene? E'
stato un duro colpo per lui e più per il fatto che il padre
se n'è andato dall' altra parte del mondo da un giorno all'
altro, che per aver scoperto che è gay.-
-Lo so anche io. Per questo è meglio che tu gliel' abbia
detto subito.-
-Speriamo che sia così anche se ho un brutto presentimento.-
sospirò.
Megan si sentì molto triste. Era abituata a fare sempre da
paciere tra quelle due teste calde che erano i suoi migliori amici, ma
spesso la cosa le pesava non poco. Ci voleva una pazienza infinita, e
anche se la sua pareva inesauribile dentro stava sempre molto male
quando succedevano cose del genere.
L' uomo camminava da un po' ormai, e una leggera pioggerellina aveva
cominciato a cadere rendendolo zuppo in pochi secondi. Non sapeva
perché continuava ad insistere ma si stava dirigendo in un
luogo dove era certo che sarebbe stato accolto in malo modo. Ormai si
stava quasi abituando, no anzi rassegnando era il termine esatto.
Quella ragazza non voleva saperne di dargli una chance, era bella come
sua madre e testarda come lui. Ecco perché si stava
dirigendo là, non era un uomo che si arrendeva facilmente.
Si era arreso ed era fuggito solo una volta in vita sua e ancora ne
pagava il prezzo. Quegli occhi freddi come il ghiaccio che lo
guardavano con profondo disgusto misto ad odio erano la sua ossessione
e il suo tormento. Avrebbe tanto voluto che lo vedessero sotto una luce
nuova e si tormentava pensando a come poteva fare perché
ciò accadesse, senza riuscire a darsi una risposta. Giunto
finalmente a destinazione imboccò il vialetto stringendosi
nella giacca per il vento e la pioggia che lo sferzava lateralmente, e
dopo un attimo di esitazione si decise a suonare il campanello. Non fu
lei ad aprire la porta, ma una giovane ragazza bruna e minuta con gli
occhi vispi ed un piccolo neo sul mento.
-Posso aiutarla?- gli sorrise cordialmente. Ecco questa era
l'espressione che avrebbe tanto voluto vedere anche sul viso di sua
figlia. Ma era solo una vana illusione. Sapeva bene che ciò
non sarebbe mai accaduto, non con tanta facilità almeno.
-Salve, forse ho sbagliato casa...- cominciò quando una voce
che ormai aveva imparato a riconoscere lo fece trasalire.
-Megan chi è alla porta?- chiese mentre il rumore dei suoi
passi si faceva più vicino. L' uomo sapeva quale sarebbe
stata la sua reazione non appena l'avesse scorto ma non si mosse. Non
appena fu entrato nel suo campo visivo il suo viso disteso
mutò espressione caricandosi di un profondo disprezzo.
-Che diavolo ci fai qui? Ora ti permetti anche di venirmi a disturbare
a casa mia?- domandò secca. La brunetta la guardò
smarrita. Aveva indovinato chi era l'uomo al quale aveva aperto la
porta guardando Meredith in faccia, e si sentiva colpevole senza una
ragione apparente.
-Voglio sapere se c'è una minima possibilità che
riusciamo a parlare senza che tu faccia una scenata.- rispose George.
Aveva deciso di cambiare tattica, se con le buone non funzionava magari
gli sarebbe andata meglio con le cattive. Una mossa molto stupida.
-Cosa hai detto?- fece la ragazza allibita avvicinandosi in modo da
trovarsi in mezzo, tra lui e Megan, che a quel punto arretrò
non sapendo più cosa fare.
-Quello che hai sentito.- continuò lui -Voglio parlare con
te senza creare tutte le volte un melodramma. Pensi di riuscire a
farlo?-
-Tu non hai nessun diritto di parlarmi, figurati se ti permetto di
dirmi certe cose. L' unica cosa che devi fare è levarti di
torno quante altre volte dovrò ripetertelo?-
-L'ho capito questo. Ma voglio che sia tu ad ascoltare me per una
volta.-
-No tu devi sparire e basta capito?- disse lei furiosa cercando di
sbattergli la porta in faccia. Non glielo avrebbe permesso, non
stavolta. Mise prontamente un piede tra lui e la porta impedendole di
chiuderlo fuori e con uno scatto spalancò la porta di legno
facendo arretrare entrambe le ragazze.
-Cosa fai ora? Questa si chiama violazione di domicilio posso farti
sbattere dentro lo sai questo vero?- gli urlò addosso
Meredith furiosa e per nulla spaventata, slanciandosi verso di lui per
spingerlo fuori a forza. Si era dimenticata di trovarsi di fronte ad un
ex ufficiale della marina. George fu più veloce di lei e la
bloccò stringendole entrambe le braccia.
-Mi fai male lasciami immediatamente. Ho detto LASCIAMI!-
scandì la ragazza fulminandolo con lo sguardo. L'uomo la
guardò di rimando e non si accorse del ragazzo che per tutto
il tempo era stato alle spalle di Meredith e Megan e non appena aveva
visto l'uomo afferrare la sua amica era scattato in avanti. Vide
arrivare il suo pugno solo quando ormai era troppo tardi per evitarlo,
e questo si abbatté contro la sua mascella facendola
scricchiolare. Mollò la presa ed arretrò,
portandosi una mano sul punto in cui era stato colpito, che sentiva
pulsare dolorosamente. Guardò il ragazzo: era più
basso e più gracile di lui, ma nonostante questo aveva un
gancio niente male. Lui lo guardava a sua volta e si era posizionato in
modo da tenere le ragazze lontano dalla sua portata. "E questo
ragazzino che si crede superman chi è adesso?"
pensò George ironico.
-Esci immediatamente da casa mia, perché la prossima volta
non sarò così gentile te la spezzo la mandibola.-
sibilò minaccioso. L' uomo lo guardò allibito.
Non gli ci sarebbe voluto molto ad atterrare quel ragazzino presuntuoso
del quale non conosceva l' identità, ma non voleva creare un
problema del genere perciò decise che la ritirata per il
momento era la cosa migliore. Lanciò un ultimo sguardo a
Meredith che guardava allibita il suo amico e tornò sui suoi
passi, immergendosi di nuovo nella pioggia con la mascella ancora
dolorante.
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Capitolo 36 *** Capitolo 36 ***
Dopo che la porta era stata richiusa il silenzio dominava la casa.
Nessuno dei tre ragazzi aveva il coraggio di parlare. Oliver
risalì le scale e tornò al piano superiore, ma
Meredith lo seguì e lo bloccò nel corridoio
guardandolo con aria severa:
-Si può sapere che diavolo ti è preso?- chiese.
-Niente, l'ho visto alzare le mani e ho reagito d' istinto. Punto.-
rispose lui ricambiando lo sguardo con un' occhiata in tralice.
Aleggiava un' atmosfera molto pesante tra i due.
-Non parlo di questo, intendo in generale. Ultimamente non ti riconosco
più Oliver.-
-Oh davvero? Beh scusami tanto se non mi va molto di scherzare dopo
tutto quello che è successo. E scusami se tento di
difenderti da uno psicopatico che dice di essere tuo padre piomba in
casa nostra e fa tutto quel casino. CHE DIAVOLO VOLEVI CHE FACESSI EH?-
urlò esasperato.
-NON URLARE CON ME!- gridò lei di rimando -Non c'era affatto
bisogno di fare una scenata del genere.-
-Ah io ho fatto una scenata? Stai a vedere che adesso è
colpa mia! Sbaglio o quello è TUO padre?-
-Questo che c'entra? E' venuto qui a mia insaputa di certo non l'ho
invitato io. E comunque potevo benissimo cavarmela da sola!-
-Si ho visto!- fece lui sarcastico – E' il colmo... Lo sai
non c'è affatto bisogno di prove per capire che siete
parenti. Siete fatti della stessa pasta.-
Decisamente aveva detto una parola di troppo, e ancora prima che avesse
finito di pronunciare quella frase la mano di Meredith si era abbattuta
sonoramente sulla sua guancia.
-Non ti permettere di dire certe cose!- tuonò furiosa.
-E tu non permetterti di prendermi a schiaffi! Bella ingrata che sei!-
la rimbeccò lui massaggiandosi la guancia arrossata e
scomparendo dietro la porta della sua stanza, che richiuse alle sue
spalle con un tonfo. Meredith non era mai stata tanto arrabbiata con
lui in vita sua, e non ricordava che avessero mai avuto un litigio del
genere. Scese le scale come una furia passando accanto ad una Megan
atterrita senza dirle una parola, e si precipitò fuori di
casa. La pioggia non aveva ancora smesso di cadere, ma non le importava
molto di bagnarsi. Cominciò a camminare senza una meta
precisa sperando che le gocce d'acqua potessero lavare via il ricordo
di quelle ultime ore che a lei erano sembrate secoli. Non riusciva a
credere a ciò che era successo, eppure era la
realtà. Guardava le persone passarle accanto mentre
camminava, e si domandava se anche le loro vite somigliassero ad un
melodramma quotidiano come la sua, o magari erano tutte perfette come
quelle delle famiglie ritratte dalle pubblicità televisive:
mariti modello, mogli impeccabili, figli invidiabili.
“Si come no.” pensò amareggiata
“la vita non è affatto così. Purtroppo
o per fortuna, chi lo sa.”
Entrò in un bar senza neanche guardare, si mise seduta al
bancone e ordinò un the caldo con limone. Aveva bisogno di
riscaldarsi e anche se il the nel pomeriggio faceva molto
“british” non le importava. Pensò con
una fitta di tristezza che un tempo Oliver l'avrebbe presa in giro per
questo. Soprattutto perché lei solitamente non beveva
alcolici, e lui la prendeva in giro chiedendole come potesse esistere
qualcuno che non ordinava un drink quando entrava in un bar. Odiava
ammetterlo ma si sentiva una stupida per come aveva reagito poco prima.
Aveva molta nostalgia dei tempi in cui tutto andava bene e loro tre
vivevano felici pensando che il futuro fosse un foglio bianco e loro
gli unici possessori dell' inchiostro adatto a scriverci sopra.
“Felici come nelle pubblicità.”
pensò con un sospiro triste. Non era affatto così
semplice e non tutto nella vita dipende dalla nostra
volontà. Che lo si voglia chiamare destino, fato oppure
ordine naturale dell' universo poco importa, c'è sempre
qualcosa di imprevisto che sfugge al nostro controllo e ci piomba
addosso all' improvviso scombussolando tutti i nostri piani. Lei non
era mai stata del tutto convinta che le cose stessero così,
ma gli ultimi avvenimenti le avevano fatto mutare opinione. Il ritorno
di suo padre che ancora non riusciva a spiegarsi l'aveva turbata
alquanto, portando scompiglio in quelle che erano le sue certezze
più elementari. E non era certo stata lei a desiderarlo, le
era capitato e basta e non era del tutto sicura che fosse stato per
caso, anche se in quel momento non riusciva a comprenderne la
motivazione. Ammesso e non concesso che ve ne fosse una. Tutti i suoi
pensieri molto filosofici e poco razionali furono interrotti da una
voce nota che la chiamò facendola sussultare. Le
bastò voltarsi appena per scorgere la figura di Jason Gideon
che si stagliava sullo sgabello accanto al suo.
-Oh, ciao non ti avevo visto.- si scusò.
-Me ne sono accorto.- rispose l' uomo guardandola con aria seria. -Va
tutto bene?- chiese.
-Si, certo... tutto bene.- mentì lei. Non aveva nessuna
voglia di parlare al momento.
-Mi fa piacere.- si limitò a rispondere vago Jason facendosi
pensieroso.
-Davvero?- chiese la ragazza incredula -Niente commenti da profiler sul
fatto che sono dieci minuti abbondanti che giro distrattamente il
cucchiaino nella tazza e ancora non ho bevuto nemmeno un sorso?-
Gideon fece un sorriso
-Era questo quello che volevi sentirti dire?-
-Non saprei, e comunque ormai non ha più importanza me lo
sono detto da sola.- disse Meredith sorridendo a stento.
-Beh, visto che hai fatto tutto da sola potresti anche dirmi cosa
c'è che non va.-
-Non lo so se è lecito parlare di questioni personali con un
superiore.- disse lei assumendo un finto tono professionale.
-Però non c'è nulla di male nel confidarsi con un
vecchio professore o sbaglio?- chiese Gideon con un sorriso sornione.
-Ah, adesso sei di nuovo il mio professore?- rise la ragazza divertita.
-Se serve...-
-Lo sapevo che saresti riuscito ad incastrarmi.-
-L'esperienza dovrà pur portare qualche vantaggio, no?-
Meredith pensò che probabilmente avrebbe dovuto rivolgersi a
lui già da tempo e si sentì una stupida per
averlo realizzato così tardi. In fondo Gideon non era
solamente l' agente federale che l'aveva trovata accanto a sua madre
quando l'avevano uccisa, più di una volta aveva
rappresentato l'unica persona a cui chiedeva consigli grazie alle
lettere che periodicamente gli scriveva, alle quali dal canto suo
l'uomo si premurava di rispondere non appena gli era possibile. Non
solo, in seguito era diventato il suo professore all' accademia e
infine il suo nuovo capo. Aveva sempre avuto un ruolo importante nella
sua vita e lei se n'era accorta soltanto in quel momento. Decise di
raccontargli tutto quello che le era capitato in quei giorni,
tralasciando ovviamente le parti che riguardavano lei e Spencer per
evitare di mettere entrambi nei guai. Anche se il contesto era
informale lui era pur sempre un superiore, e certe cose era meglio che
non venisse a saperle. Man mano che andava avanti nel suo racconto
sentiva come se un grosso macigno fosse rotolato giù dalle
sue spalle dopo avervi sostato per molto, troppo tempo. Era una
meravigliosa sensazione di liberazione. Jason la ascoltava in silenzio
e attese che lei avesse finito prima di prendere finalmente la parola:
-Ora capisco perché te ne stai qui tutta sola.- disse con
aria grave.
-Eh già...-
-Lo sai Meredith io fossi in te andrei a cercare quell' uomo e ci
parlerei.- disse semplicemente. La ragazza non credeva alle proprie
orecchie:
-Come?-
-Si lo so che non ti aspettavi che ti dicessi questo. Ma se tu provassi
ad ascoltare le sue ragioni senza aggredirlo, probabilmente tutta
questa sofferenza che provi finirebbe. Il mio unico consiglio
è quello di dargli una possibilità. Non pretendo
certo che tu gli salti al collo e lo abbracci, ma prova almeno a
lasciarlo parlare.-
-Lo dici come se fosse una passeggiata.-
-Sono perfettamente cosciente che per te non lo è credimi,
ormai ti conosco da molto tempo. So bene che provi tanta rabbia e che
il tuo orgoglio ti ostacola ma penso che dovresti almeno provarci o non
ne verrai mai fuori.-
Meredith stette un momento in silenzio a riflettere sulle parole che
Gideon le aveva appena detto. Aveva tanta voglia di smettere di
soffrire, però Jason aveva ragione sul suo orgoglio. Era
testarda e orgogliosa come pochi, soprattutto con quelli che la
ferivano. E colui che tecnicamente era suo padre si trovava in cima
alla lista. Anche perché ciò che non aveva
confessato a nessuno era che lei gli dava la colpa per quello che era
successo a sua madre. Si era ingenuamente convinta che se fosse stato
con loro non sarebbe mai accaduto niente. Sapeva bene che questo non
era vero, che quasi certamente l'assassino avrebbe ucciso anche lui e
che l'unico motivo per cui lei era ancora viva era che probabilmente
non si era accorto della sua presenza in quella casa. Nonostante tutto
aveva bisogno di incolpare qualcuno e l'uomo che era sempre stato
così pesantemente assente nella sua vita era il capro
espiatorio perfetto. Sospirò e alla fine si decise a
rispondere:
-Va bene.- si arrese – forse posso provare ad ascoltarlo. Ma
questo non significa nulla.- aggiunse con rabbia.
-Certo che no, una cosa alla volta.- rispose Jason compiaciuto -Posso
farti una domanda che non ha a che fare con questo?- chiese poi con
l'intento di cambiare argomento.
-Certo.-
-Mi hai detto che vuoi fare la profiler perché desideri che
nessuno provi l'esperienza che è toccata a te. Ma questo non
è tutto vero? Qual è l'altra motivazione?-
-Mi fai quasi paura! Sei un mago per caso?- scherzò la
ragazza
-Io sono solo un attento osservatore Meredith, non c'è
niente di sovrannaturale in questo.-
-Si lo so.- disse tornando seria – In realtà
è vero che c'è dell' altro ma non so se
è il caso di dirtelo.-
-Non puoi saperlo se non ci provi.-
-Vedi, gli SI a cui diamo la caccia sono persone che in qualche modo
hanno tutte subito qualcosa. Chi aveva una madre troppo pressante ed
ossessiva, chi un padre violento, altri hanno visto morire i propri
genitori...-
-O l'unico genitore che avevano.- disse l'uomo con un' occhiata
eloquente.
-Esatto, era proprio quello che intendevo. Il mio passato è
simile a quello di molti di loro. Allora perché io non ho
mai sentito il desiderio di uccidere qualcuno? Perché non
davo fuoco ai gattini da piccola o immaginavo di squartare il
professore di scienze? Quello che voglio davvero sapere è:
io sono come loro? E se non lo sono qual è il motivo?
Davvero non lo capisco.-
Jason annuì:
-E' una domanda più che lecita quella che ti poni. Io non
conosco la risposta, e credo che tu sia l'unica che possa trovarla. L'
unica raccomandazione che mi sento di farti è di non farla
diventare un' ossessione.-
-No, certo...- fece lei vaga -adesso devo proprio andare ho un po' di
cose da sistemare. Ci vediamo al bureau.-
L' uomo annuì con un cenno del capo.
Meredith lasciò i soldi accanto alla tazza e si diresse
verso l'uscita, ma si bloccò quasi subito:
-Grazie di tutto.- disse rivolta a Gideon che era rimasto seduto. Lui
sorrise, e Meredith la prese come una risposta positiva
perciò si avviò all' uscita e una volta fuori
scoprì che la pioggia era cessata ed era spuntato il sole.
“Se questo è un segno è decisamente
rincuorante.” pensò con un sorriso mentre si
immergeva nella folla di persone che camminavano per la strada.
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Capitolo 37 *** Capitolo 37 ***
Per l'intero week end che ormai stava volgendo al termine, Meredith non
si era fatta vedere né sentire e la cosa lo stava facendo
preoccupare alquanto. Va bene che ormai si era abituato ai suoi
comportamenti fuori dell' ordinario, tuttavia ciò non gli
impediva di stare in ansia. Spencer posò il libro di
psicometria che stava leggendo comodamente disteso sul divano di casa
sua ed afferrò il cellulare che giaceva inerte sul tavolo.
“Ancora niente.” pensò amareggiato,
prima che una voce nella sua mente lo punzecchiasse
“Di che ti lamenti scusa? In fondo neanche tu ti sei fatto
vivo o sbaglio?”
Aveva ragione, ma non era quello il punto della situazione. Non l'aveva
chiamata perché dopo essere venuto a conoscenza del ritorno
del padre aveva pensato che lei volesse i suoi spazi. Un ragionamento
logico sensato e razionale che aveva ingaggiato un' aspra lotta con la
sua sfera emotiva, la quale ovviamente premeva affinché lui
se ne fregasse della logica e si decidesse a chiamarla. Anche solo per
sentire il suono della sua voce, che in quei giorni gli era mancato
terribilmente. Si sfregò le mani in preda all' ansia da un
lato e l' indecisione dall' altro.
“E prendi quel telefono diamine! Tonto che non sei
altro!” si spazientì la voce nella sua testa
mentre il suo braccio si dirigeva quasi automaticamente verso il
telefonino. Compose il numero che aveva ovviamente imparato subito a
memoria come suo solito, e attese con un po' di apprensione che
Meredith rispondesse.
-Che ci fai qui?- disse brusco Oliver scostandosi un ricciolo scuro dal
volto. La bionda si stagliava all' ingresso della sua stanza e lo
guardava seria, con le braccia incrociate sul petto e la schiena
poggiata contro lo stipite della porta.
-Tanto per cominciare ci abito...- disse semplicemente.
-Questo non ti da il diritto di entrare in camera mia senza bussare.-
si scocciò lui posando la penna che teneva in mano sulla
scrivania, e chiudendo con uno scatto il libro di diritto privato.
-Hai ragione è vero.- annuì la ragazza
avvicinandosi e cominciando a sfogliare il medesimo libro. -Non
è difficile questa parte...- commentò vaga.
Oliver si spazientì sul serio:
-Non sarà difficile per te... E vuoi piantarla di divagare?
Quando fai così mi fai saltare i nervi!- sbottò.
-Posso essere ancora più irritante se voglio, ma penso che
per stavolta ti grazierò.- sorrise sorniona lei posando il
manuale e appoggiandosi al ripiano di legno nero.
-Ti ringrazio!- fece lui ironico ma in fondo divertito – Ora
mi dici cosa vuoi?-
-Oh insomma sai che voglio fare pace non dovresti neanche chiederlo!-
Il ragazzo si voltò finalmente a guardarla e Meredith
constatò con piacere che sorrideva.
-Ma cosa sei una bambina dell' asilo? Non dovresti dare tutto per
scontato. Pensi che basti venire qui e dirmi che vuoi fare pace
perché questo accada? Le cose non funzionano esattamente
così.-
-Le cose spesso funzionano come noi decidiamo di farle funzionare
caro.- disse lei saccente.
-Odio quando ti atteggi a filosofa!- la prese in giro lui, cosa che la
rese davvero felice. Significava che nonostante volesse fare
il duro in realtà non ce l' aveva più con lei, e
questo la confortò non poco. Capiva bene il suo
comportamento non tanto perché era una profiler e neanche
perché lo conosceva da molto tempo. La vera motivazione era
il fatto che tra i suoi due migliori amici, Oliver era sicuramente
quello che le somigliava di più dal punto di vista
caratteriale. Anche se lui solitamente era di indole più
scherzosa della sua aveva la testa dura come il marmo esattamente come
lei, a differenza di Megan che era invece dolce e paziente. Ecco
perché spesso e volentieri si scontravano, ma ciò
che l' aveva spaventata maggiormente in quel caso era stato il fatto
che solitamente Oliver era uno di quelli che abbaiano ma non mordono.
Vederlo alzare le mani su George nonostante questi se lo fosse meritato
pienamente, l' aveva scossa non poco. Gli era quasi sembrato di
trovarsi di fronte ad un altra persona, un totale sconosciuto, e questo
l' aveva spaventata. Lui e Megan costituivano il suo principale
sostegno, e se uno dei due vacillava il suo piccolo mondo andava
inevitabilmente in frantumi. Oliver dal canto suo era cosciente di aver
esagerato e capiva la reazione che aveva avuto la sua amica, anche se
naturalmente non lo avrebbe mai ammesso. In un primo momento si era
sentito soddisfatto e gli era persino piaciuto poter sfogare tutta la
rabbia accumulata nei giorni precedenti dopo ciò che gli era
accaduto con suo padre, in seguito però aveva riflettuto e
capito di aver fatto un gesto un po' avventato.
-Non è vero,- fece Meredith portandosi alle sue spalle e
cingendolo da dietro la sedia della scrivania su cui era seduto
– tu non puoi odiarmi!-
-Cos'è un ordine?- chiese lui mettendosi a ridere. La voce
di Megan sopraggiunse in quel momento alle loro spalle:
-Voi due non state mica amoreggiando senza di me vero?- chiese in finto
tono di rimprovero.
-Oh ma tesoro come ti viene in mente? Vieni qui!- le disse la bionda
tendendo un braccio nella sua direzione in modo che si unisse a loro.
-Ma che bel quadretto, veramente commovente... Mi verrà una
carie se continuate così!- disse Oliver sarcastico e
scherzoso al contempo.
-Zitto tu!- lo rimbeccò la mora – Tanto lo
sappiamo che fai lo spavaldo ma sei un adorabile orsacchiotto.-
Le ragazze si guardarono negli occhi con uno sguardo complice, e come
se quella frase fosse un segnale convenuto si abbassarono verso di lui
pizzicandogli forte una guancia ciascuna.
-Adorabile orsacchiotto!- ripeterono insieme cantilenando.
-Ahi! E basta non vale siete due contro uno!- protestò il
ragazzo mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime per il dolore.
-Piccolo gli facciamo la bua!- lo canzonò Meredith
scompigliandogli vigorosamente i ricci neri. Avevano sempre avuto l'
abitudine di far pace attraverso scherzi infantili come quelli, e
nonostante il trascorrere del tempo continuavano a punzecchiarsi a
vicenda come bambini.
-Tu stai attenta, e dormi con un occhio solo, la mia vendetta
sarà implacabile e tremenda!- la avvertì lui con
tono minaccioso massaggiandosi le guance.
-Si certo, sto già tremando!- rise la ragazza. Vennero
interrotti dallo squillo del telefono di Meredith sul cui display
lampeggiava il nome di Spencer. Megan non mancò di coglierlo
prontamente con la coda dell' occhio:
-Uuh!- civettò divertita rivolgendosi ad Oliver –
E' il suo genietto!-
-Aah!- le fece eco lui ridendo e strizzando l' occhio.
-Smettetela sembrate due vecchie pettegole!- protestò la
ragazza nascondendo il cellulare e arrossendo lievemente.
-Ma che tenera è diventata rossa!- la presero in giro all'
unisono i due amici.
Meredith si allontanò e quando fu quasi alla porta prese un
cuscino scaraventandolo nella loro direzione:
-Chiudete il becco!- rise scendendo al piano inferiore, e si decise
finalmente a rispondere.
-Era l' ora, stavo per mettere giù!- protestò la
voce del ragazzo nell' altoparlante. Chiudendo gli occhi Meredith
poteva vedere l' espressione imbronciata che doveva essersi dipinta sul
volto di Reid al pronunciare quella frase. La scena la fece sorridere e
decise di tormentarlo un po':
-Beh che cosa ti aspettavi che rispondessi al primo squillo dopo quasi
due giorni che non ti fai vivo? Sono una ragazza impegnata io...-
affermò con un tono di voce tra l' acido e il sarcastico.
-Veramente non ti sei fatta sentire neanche tu.- puntualizzò
lui.
-Ma tu stai sempre fermo ad aspettare che le cose ti succedano invece
di agire e fare in modo che accadano?- chiese la ragazza inarcando un
sopracciglio.
-E tu ti comporti sempre come se avessi ragione anche quando sei
palesemente in torto?- ribatté Spencer cominciando ad
alterarsi. Probabilmente lo stava provocando perché aveva
voglia di litigare, e se era davvero così ci stava riuscendo
benissimo. Sapeva essere estremamente indisponente quando voleva, e lui
era consapevole di stare cadendo nella sua rete, ma non gli importava.
Voleva capire che cosa le era successo di così importante da
farle dimenticare totalmente della sua esistenza.
-Bene, ora ci stiamo sentendo no? Che vuoi?- chiese lei spiccia.
-Sei insopportabile quando rispondi così. E' tanto strano
che io ti chiami per sapere come stai dal momento che non ci siamo
sentiti per tutto il week end?-
-No, non è strano. Comunque ora sto bene.-
-Perché dici ora? E' successo qualcosa?-
Oh si, ne erano successe tante di cose. Meredith però non
era sicura di volergliene parlare. Si rendeva conto di avere un
atteggiamento sbagliato e che il povero Spencer nulla aveva a che fare
con quello che le era capitato, eppure aveva una gran voglia di
sfogarsi con qualcuno. O meglio su qualcuno.
-Te lo riassumerò brevemente. George mi è
piombato in casa all' improvviso pretendendo che lo ascoltassi ho
rifiutato ed ho provato a cacciarlo ma lui non voleva andarsene e mi ha
afferrata per le braccia, al che Oliver è sceso
giù e gli ha dato un pugno in faccia. Lui se n'è
finalmente andato e io ho litigato anche col mio amico, dato che
nonostante le buone intenzioni il suo gesto non mi è
piaciuto. Sono uscita sotto la pioggia senza ombrello per non pensare e
cercare di calmarmi, mi sono infilata in un bar dove ho trovato Gideon
col quale mi sono confidata e che mi ha dato un sacco di buoni
consigli. Dopodiché sono tornata a casa. Adesso avevo appena
finito di far pace con Oliver e mi hai telefonato tu. Fine del
resoconto. Contento?-
-No per niente!- sbottò Spencer in preda ad un moto di
rabbia mista a gelosia -Tu mi hai deliberatamente ignorato per due
giorni solo perché hai avuto uno stupido litigio col tuo
amico?-
-Tanto per cominciare smettila di urlarmi nelle orecchie!- fece lei
innervosendosi davvero – E poi che diavolo vorresti dire con
questo discorso? Uno “stupido litigio”? Chi sei tu
per definirlo così, e che ne sai di quanto ci sono stata
male?-
-Già è proprio questo il punto.-
saettò lui gelido.
-Spiegati per favore non capisco dov'è che vuoi arrivare.-
In realtà l' aveva capito benissimo, ma non voleva credere
ai suoi stessi sospetti. Non era possibile che gli fosse venuta in
mente una cosa simile e che stessero litigando per quello.
-Se sei stata così male da dimenticarti di me, allora non
credo che siate soltanto amici sinceramente.-
“L'ha detto davvero, incredibile!” pensò
allibita. Come poteva essere così stupido ed egoista? Le
sembrava di non conoscere più neanche lui. Quella non poteva
essere una frase pronunciata da Spencer Reid.
-Stammi a sentire,- cominciò alquanto rabbiosamente
– punto primo io non ti devo assolutamente nessunissima
spiegazione e punto secondo tu hai perfettamente ragione, noi non siamo
soltanto amici. Siamo come fratelli, il che è ben diverso. E
il fatto che tu ti permetta di fare certe insinuazioni del tutto fuori
luogo mi disgusta profondamente sappilo!-
-Io non insinuo niente commento soltanto i fatti.-
-Allora fammi un favore tienili per te i tuoi stupidi commenti!-
scattò lei chiudendo la conversazione con un click. Furiosa
come mai lo era stata con qualcuno si diresse in cucina prese un
bicchiere e lo riempì d' acqua con le mani che le tremavano,
tentando nel frattempo di fermare le lacrime di rabbia che avevano
cominciato a scorrere sul suo viso. Bevve tutto in un unico sorso
appoggiò il bicchiere sul lavello e si diresse in camera sua
con gli occhi ancora umidi. Si distese sul letto e trasse un profondo
sospiro, cercando disperatamente di non pensare a quella conversazione
che, forse, aveva sancito la fine della sua relazione con Spencer Reid.
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Capitolo 38 *** Capitolo 38 ***
Era arrivata in ufficio puntuale quella mattina e non aveva rivolto la
parola a nessuno, se si escludono i saluti tradizionali elargiti in risposta a quelli dei colleghi. Se ne
stava seduta alla sua scrivania in un angolo, attenta a non incrociare
lo sguardo con quello di Spencer. Già le risultava molto
difficile sopportare la sua presenza. Dopo la loro discussione le era
diventata inevitabilmente odiosa, figuriamoci parlarci. Era
assolutamente fuori questione, se la voleva sapeva dove trovarla lei
non avrebbe certo mosso un dito in quel senso. Non era colpa sua se lui
aveva fatto quella scenata, si era semplicemente comportato da stupido
e in quanto tale doveva essere lui a rimediare. Per quanto la
riguardava potevano continuare ad ignorarsi per sempre, non le
importava affatto. Si alzò per dirigersi alla macchina del
caffè, e nel voltarsi si trovò di fronte proprio
Reid.
"E ora che vuole?" pensò mettendosi subito sulla difensiva e
guardandolo di sottecchi. Lui non parlava.
-Senti.- si spazientì - Vuoi toglierti di mezzo per favore?
Vorrei tornare a quello che stavo facendo.-
-Ma se non stavi facendo niente!- la rimbeccò lui sarcastico.
-Fa lo stesso, smettila di starmi tra i piedi se non hai nulla da
dirmi.- ribatté la bionda alquanto seccata, andandosene
senza ascoltarlo.
-Aspetta!- la raggiunse lui correndo -Voglio parlare con te.-
-Secondo me non c'è proprio nulla da dire, mi pare che sei
stato abbastanza chiaro no?-
-Si ma non possiamo continuare così.-
-Spiegati, che vuol dire?- chiese la ragazza fermandosi e guardandolo
dritto negli occhi. Se era giunta l' ora dei chiarimenti allora che si
sbrigasse a parlare.
-Voglio dire che io e te siamo colleghi, lavoriamo insieme ed
è importante che non ci siano tensioni fra di noi. La
prossima volta che avremo un caso che faremo, staremo tutto il tempo ad
ignorarci come adesso? Sai che non è possibile dobbiamo
collaborare.-
Meredith si morse il labbro inferiore, aveva ragione da vendere.
-Lo so.- ammise - Così non possiamo lavorare. Quindi cosa si
fa?-
Ora era il turno di Reid di mordersi il labbro e tacere. Sembrava
imbarazzato, tuttavia la ragazza sapeva bene quello che stava per
succedere. Era l' inevitabile conseguenza di un rapporto nato all'
improvviso, nel quale si erano lasciati entrambi trasportare senza
sapere bene come era successo. Se nuotando ci si abbandona alla forza
delle onde, queste ci trascinano a largo facendoci affogare. Lo
sapevano bene entrambi, eppure dirlo era difficile. Dannatamente
difficile.
-Dovremo...- cominciò il ragazzo titubante.
-Dovremo prenderci una pausa, ed essere per prima cosa colleghi.-
concluse la frase Meredith al suo posto. Indovinava cosa stava per
dirle, ma le sue orecchie si rifiutavano di sentire quelle parole
pronunciate da lui. Sarebbe stato troppo doloroso, così
aveva deciso di anticiparlo. Attaccava sempre per prima quando temeva
di venire ferita, era una sua abitudine.
-Si hai ragione tu. Ripartiamo da zero, ci siamo lasciati coinvolgere
troppo.- fece Reid sconsolato fissando un punto non precisato del
pavimento. La ragazza annuì:
-Siamo d' accordo allora. Beh io torno a sedermi di là
adesso.- disse avviandosi con uno sguardo triste alla scrivania.
Spencer rimase impalato a guardare nel vuoto. Doveva prima realizzare
ed accettare che era tutto finito anche se dentro di lui sapeva che non
sarebbe mai stato in grado di farlo. Non voleva lasciarla andare,
eppure era quella la cosa giusta da fare. Sentiva un enorme vuoto
dentro di se e gli sembrava di essere sul punto di esplodere.
Meredith seduta alla sua postazione intanto sospirava tristemente. Era
una fortuna che nessuno fosse presente in quel momento, non avrebbe
potuto spiegare il perché di tanta malinconia. Stava
ripensando alla prima volta che aveva visto Spencer all' accademia,
quando ancora studiava per diventare profiler, e al primo periodo in
cui lei aveva iniziato a lavorare alla BAU quando avevano
imparato a conoscersi meglio. Quei giorni le sembravano così
lontani che non era più neanche sicura di averli vissuti
davvero. Ripensò a quella sera in cui l'aveva portato alla
sua casa sull' albero, cioè il molo, e a quel bacio nato
spontaneamente con la complicità della luna e delle stelle.
Si distolse subito da quel ricordo, perché sentiva che
avrebbe pianto e non voleva che accadesse. Era giusto così,
sapevano entrambi come sarebbe andata. Non le restava che rassegnarsi
alla fine di una storia che non sarebbe mai dovuta nascere, e che era
già morta ancora prima di cominciare.
Alla fine dell' orario di lavoro, Meredith si congedò in
fretta dagli altri e si avviò alla sua macchina. George era
là ad aspettarla.
"Ci avrei scommesso!" pensò la ragazza sospirando. Gli si
avvicinò e questa volta disse qualcosa che l' uomo non si
sarebbe mai aspettato:
-Volevo farlo da sola, ma visto che sei qui ti va di cenare da qualche
parte? Sono affamata sinceramente, e presumo tu abbia molte cose da
dirmi. Prometto che stavolta se ti comporterai bene nessuno ti
picchierà.- aggiunse mantenendo sempre il medesimo tono di
voce piatto di chi si sta sforzando tremendamente a fare qualcosa che
non gli va.
-Dici sul serio?- chiese lui incredulo.
-Si, ma vedi di sbrigarti prima che io cambi idea. E sappi che la mia
decisione di ascoltarti non cambia il fatto che non ti voglio nella mia
vita. Questo deve essere ben chiaro.- puntualizzò seria
aprendo la portiera della macchina.
-Ho capito, va bene.- si arrese George dicendosi che tutto sommato era
già un miracolo che potessero parlare senza creare
cataclismi, di certo non poteva pretendere di più. Meredith
accese il motore e partì. Non sapeva dove tutto questo l'
avrebbe portata, se la sua vita sarebbe migliorata o peggiorata non
poteva prevederlo. L' unica cosa di cui era certa era proprio
l'incertezza, divisa com' era tra un futuro che appariva nebuloso all'
orizzonte ed un passato popolato di ombre che mai l' avrebbero
abbandonata. Non era sicura di come sarebbero andate le cose, e forse
neanche voleva saperlo. Qualunque cosa il destino le riservasse lei era
lì, pronta ad affrontarlo come aveva sempre fatto, e questo
niente avrebbe mai potuto cambiarlo.
THE END
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