Shadows

di Lady_Macbeth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Fissando il giardino fuori dalla finestra i pensieri di Meredith correvano indietro nel tempo, tornavano su cose che avrebbe dovuto dimenticare, e invece erano ancora lì e lei sapeva benissimo che niente e nessuno le avrebbe mai cancellate, perché erano indelebili come marchi a fuoco nella sua anima. La mattinata era serena, quasi da film e lei era in ansia per quello che l'attendeva anche se in fondo sapeva già come sarebbe andata a finire. Ma non si sarebbe arresa per niente al mondo, lei otteneva sempre quello che voleva, per alcune cose si trattava solo di faticare un po' di più ma ci sarebbe riuscita. Ne era assolutamente convinta.
-Hey tesoro, vieni a fare colazione?
La voce di Megan la riportò sulla terra. -Arrivo, arrivo.- rispose distrattamente senza muoversi.
-Guarda che si fredda...- insistette Megan.
-E va bene mamma vengo!!- disse Meredith sorridendo a quell'adorabile rompiscatole che era la sua coinquilina, nonché migliore amica. Anzi praticamente una sorella. Meredith aveva ventuno anni compiuti da poco, ma se glielo chiedevano rispondeva che ne aveva ventidue, perché odiava sembrare una ragazzina. Eppure lo era, ma di quelle più in gamba che si possano immaginare, un piccolo prodigio in realtà, visto che alla sua età era già laureata in psicologia criminale, aveva un' ottima conoscenza delle leggi e del sistema giudiziario, ed era una bomba coi numeri: per lei la matematica era naturale come respirare. A prima vista non sembrava una tipa tanto intelligente: lunghi capelli biondi, alta centosettantacinque centimetri circa, occhi azzurri che erano come scolpiti nel ghiaccio, due gambe che non finivano mai, il seno piccolo, ma sodo e ben fatto. Sembrava uscita da una sfilata per come appariva, ma non per il suo modo di vestire: cercava sempre di non dare nell' occhio, jeans e magliette poco vistose erano il suo abbigliamento abituale, perché era consapevole del suo aspetto e non voleva apparire bella: preferiva che le dicessero che era in gamba. Anche così però, si faticava a non notarla, forse perché emanava quella certa aura di femminilità che solo le donne dell' est hanno, e che affascina anche senza essere appariscente. E in effetti un po' donna dell' est lo era: il padre era americano, ma sua mamma era russa, e lei sembrava la sua fotocopia.
Scese in cucina saltellando a piedi scalzi, lo faceva sempre, era una cosa che ad Oliver dava sui nervi, infatti la rimproverò subito brandendo il coltello con cui stava tagliando il pane per tostarlo. -La pianti di fare la cavalletta salterina, piccola pazza che non sei altro?-
-Perché sennò che fai, mi affetti e mi infili nel tostapane?- rispose Meredith con un sorrisetto canzonatore e accattivante allo stesso tempo, rubandogli una fetta di pane. Se c'era una cosa che Oliver non riusciva a fare era rimanere arrabbiato con Meredith, non sapeva proprio resisterle, infatti scoppiò a ridere scuotendo la testa come a dire “con te non c'è niente da fare”. Oliver era l'altro coinquilino di Meredith e Megan, un ragazzo alto dai lunghi capelli neri e il naso un po' pronunciato, non particolarmente bello ma tremendamente simpatico, un vero e proprio clown a volte.
-Su su bambini non litigate e facciamo colazione.- disse Megan ridendo. Anche Megan era una giovane donna, un po' più bassa di Meredith, con lunghi capelli castani e un sorriso che abbagliava, occhi scuri da cerbiatta e un piccolo neo sul mento. Lei, Oliver e Meredith avevano tutti più o meno la stessa età, ed erano praticamente cresciuti insieme, come tre fratelli. Si erano decisi ad affittare un appartamento da dividere quando Meredith aveva finito gli studi, perché altrimenti avrebbero dovuto separarsi, dato che Oliver e Megan studiavano ancora legge all'università.
-Io scappo è tardi…- fece Meredith all' improvviso infilandosi in bocca un'altra fetta di pane tostato mentre tentava di mettere la giacca
-Di già?- disse Megan mentre la aiutava.
-Sì sì devo proprio andare, quando torno vi racconto tutto…- dette un bacio sulla guancia a Megan e una pacca sulla testa a Oliver e uscì di casa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Gideon era chiuso nel suo ufficio immerso nei suoi pensieri, davanti a lui le foto di tutte le persone che era riuscito a salvare gli sorridevano e lo confortavano, si appoggiò allo schienale della poltrona con le mani dietro la nuca e si lasciò andare in un lungo sospiro.
-Jason abbiamo un piccolo problema puoi venire un attimo nel mio ufficio?-
Hotch era entrato senza bussare, come sempre quando c'era qualcosa di importante.
-Arrivo, di che si tratta?- fece Gideon alzandosi e seguendo il collega.
-Ora ti spiego.- aprì la porta e Jason proruppe in un Oh no, non è possibile!! appena vide chi c'era all'interno.
Meredith Nelson stava seduta davanti alla scrivania di Hotch, e appena questi entrò insieme a Gideon fece ridendo -Oh salve Gideon anche io sono felice di vederti!-
-Meredith cosa ci fai qui?- Gideon sembrava parecchio seccato
-Come se tu non lo sapessi caro il mio professore.-
-Mi pare che ne abbiamo già parlato e ti ho già detto che non è possibile…-
-Ne abbiamo parlato?- fece Meredith sempre ridendo -tu hai parlato e mi hai liquidata senza nemmeno darmi una piccola possibilità.-
Hotch a questo punto si intromise -Ehm ehm, possiamo sederci e parlare con calma per favore?-
-Ma io sono già seduta e sono calmissima.- fece Meredith con un sorrisetto
Hotch la fulminò con un' occhiataccia.
-Allora…- riprese -Jason la signorina Nelson qui.-
-Dottoressa Nelson, grazie…- interruppe Meredith, lanciando una nuova occhiata di traverso, Hotch riprese: -La dottoressa Nelson, sostiene di conoscerti e ha avanzato la richiesta di entrare a far parte di questa unità.-
Aveva decisamente l'aria di uno per niente convinto di quello che diceva.
-Si io e Meredith ci conosciamo, perché lei è stata una mia allieva- fece Gideon -e per quanto riguarda la sua richiesta, la mia risposta era e rimane no.-
-Ma perché, è questo che non capisco, ti pare che io non abbia i requisiti?- proruppe Meredith
-No non è affatto una questione di requisiti, forse quando sarai un po' più grande...-
Aveva appena pronunciato una delle frasi che mandavano in bestia Meredith.
-Quando sarò un po' più grande?- sbottò -e che mi dici del Dottor Reid, è giovane anche lui ma lavora lo stesso con voi.-
-Il Dottor Reid è un altra cosa che non c'entra proprio niente con te, e comunque non ti devo spiegazioni su di lui.-
-No ma me le devi su di me…- fece Meredith sempre più arrabbiata, - mi stai dicendo che mi reputi meno in gamba di lui?-
-No ti reputo solo più giovane, meno matura e non ancora pronta per questo lavoro-
-E questo da cosa lo deduci? Non mi hai neanche mai fatto provare!-
-Ti conosco e conosco il tuo passato, la conversazione per quanto mi riguarda è finita, Hotch per favore accompagna Meredith alla porta.-
-So benissimo dov'è la porta- fece lei andandosene arrabbiata come non mai.
Hotch squadrò Gideon con un' occhiata eloquente
-Tutti così strani i tuoi allievi?-
-Già…- rispose Gideon pensieroso
-Jason, io non voglio darti contro ma quella ragazza è in gamba, ho esaminato il suo fascicolo, è un elemento che farebbe comodo alla squadra…-
-Lo so anche io.- rispose Gideon, -ma non è questo il punto.-
E tornò a immergersi nei suoi pensieri dirigendosi verso il suo ufficio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Meredith camminava furiosa per il corridoio, dirigendosi verso l'uscita. Ribolliva di rabbia.
“Accidenti...” pensò “quell' uomo è più testardo di un mulo, ma se crede che mi arrenda così ha decisamente sbagliato persona!”
Camminava così furibonda, tanto da non guardare dove metteva i piedi, e intanto continuava a meditare.
“Io ho tutte le carte in regola per entrare a far parte di questa unità, lo so io e lo sa anche lui, perciò in un modo o nell' altro…”
Andò a sbattere contro qualcosa. No non era un qualcosa, ma un qualcuno: si voltò di scatto pronta a divorare chiunque le stesse ostacolando il cammino, ma si fermò appena vide chi era:
-Spencer Reid!!- esclamò con un sorriso, - non posso crederci, accidenti scusami stavo camminando senza guardare...-
Reid si fermò un attimo perplesso, poi ebbe un' illuminazione: -Oh Meredith, ciao... no, no... è colpa mia scusami tu, neanche io stavo guardando...-
Si era ingarbugliato come al solito.
-Beh, ciao eh stammi bene!- lo salutò Meredith sorridendogli e riprendendo a camminare.
-C…ciao!- fece Reid, poi si voltò come se volesse dirle ancora qualcosa ma lei se n'era già andata. “Grande! Non la vedo da un sacco di tempo e non le ho detto una mezza parola che avesse senso... Mi sono persino dimenticato di chiederle se stava bene, e cosa faceva da queste parti... Ma perché le cose da dire mi vengono in mente sempre dopo? Accidenti che gran figura da idiota...” pensò amareggiato mentre riprendeva a camminare.
Meredith era entrata in macchina e stava girando la chiave per avviare il motore, “certo” pensò all'improvviso “che Spencer non è cambiato di una virgola, sembra sempre un ragazzino....” e si lasciò andare in un sorriso tenero.
“Beh cos'è questa storia, ti sei dimenticata che lui è il nemico?” fece una vocina maligna nella sua testa, “Lui ha il lavoro che tu non hai e che desideri fin da bambina!! Ti sei per caso già arresa?”.
Meredith scacciò all' istante quel pensiero: “Ma no, che nemico e nemico!! In fondo non è colpa sua se lavora nella BAU e io no...” poi tornò ad arrabbiarsi “la colpa è tutta di quel testone di Gideon!”
Girò con forza la chiave e partì dirigendosi verso casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erano le quattro passate, quando Meredith si era svegliata nel cuore della notte e non riusciva più a dormire: l'aveva sognato di nuovo. Sapeva che era inutile tentare di combatterlo, quel maledetto sogno sarebbe tornato ancora e ancora, fino alla fine dei suoi giorni. Ogni tanto prendeva dei sonniferi, ma solo se strettamente necessario. Non le piaceva prenderli si sentiva una drogata. Megan e Oliver avevano tentato invano di convincerla che non era così, e che se ne aveva bisogno era giusto che li prendesse ma senza successo. Se si convinceva di una cosa, tentare di farle cambiare idea era come scagliarsi contro i mulini a vento: loro lo sapevano, la conoscevano troppo bene però ci avevano provato lo stesso, d'altra parte era per il suo bene. Lei ovviamente continuava a fare di testa sua. Si alzò dal letto e scese in cucina per bere un po' d'acqua. Si sedette tremolante, ma anche a questo aveva fatto il callo perciò la cosa non la stupiva. In realtà questa era una cosa che ripeteva a sé stessa per auto convincersi di stare bene; sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto farci l' abitudine: l'incubo la tormentava fin da quando era bambina, non se ne sarebbe mai andato e l'avrebbe sconvolta ogni notte costringendola a svegliarsi per farlo smettere. E anche da sveglia non avrebbe mai trovato sollievo, perché il suo incubo era reale, era il suo passato che riaffiorava dai meandri della sua memoria ed era vero sia in sogno che durante la veglia. Era la sua storia, e niente l'avrebbe potuta cambiare. “Fantastico!” pensò aprendo il frigorifero, “neanche un po' d'acqua fresca... Questo è di sicuro merito di quel fannullone di Oliver… toccava a lui la spesa oggi.” Prese un bicchiere e aprì il rubinetto del lavello, cercando di dimenticare che una volta aveva analizzato l'acqua con il microscopio per gioco, e ci aveva trovato di tutto. “A volte certe cose è davvero meglio non saperle!” pensò, e bevve tutto d' un fiato. Si sentì subito meglio, anche se la brutta sensazione non era del tutto sparita. “Almeno non ho avuto una crisi” pensò ironica, “odio sentirmi così, perdere il controllo di me stessa e svegliarmi in preda ad un attacco di panico è una cosa che detesto. Soprattutto perché Megan e Oliver si svegliano sempre, e io non sopporto di disturbarli...” fece appena in tempo a pensare così che la luce della cucina si accese, e voltandosi vide Megan in pigiama sulla soglia.
-Di nuovo?- le chiese con uno sguardo di ansia e preoccupazione che per Meredith era come una pugnalata al cuore: non voleva che stesse in pensiero per lei.
-Non è nulla, torna a dormire.- rispose cercando di sembrare convinta, ma Megan non l'aveva bevuta.
-Non fingere con me sai!- disse arrabbiandosi, -lo so che non stai bene...-
Meredith non rispose, e si mise a lavare il bicchiere.
-Ma perché non ti decidi a parlarne con qualcuno? Insomma se cerchi aiuto forse...-
Non la lasciò finire di parlare:
-Forse cosa? Tornano indietro e cambiano il passato? Sai che non servirebbe a nulla te l'ho spiegato cento volte: non esiste un aiuto per questo.-
Megan le lanciò uno sguardo triste, che la fece pentire di avere parlato così.
-Mi dispiace averti svegliata,- riprese con un tono più calmo – ma non ho voglia di discutere ora. Torniamo a dormire?- chiese sorridendole. Megan annuì, ma non era affatto convinta.
Tornata nella sua stanza, Meredith non riusciva a riprendere sonno così si mise a leggere pensando che era stata veramente una stupida a trattare male la povera Megan, la cui unica colpa era quella di volerle bene e preoccuparsi per lei. “A volte mi prenderei a schiaffi da sola...” pensò mettendosi a leggere Orgoglio e Pregiudizio per la centesima volta, nell' attesa che arrivasse la mattina.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Meredith guardava la strada scorrere via sotto le ruote della sua macchina. I pensieri correvano liberi soffermandosi a volte sulla giornata che aveva davanti, a volte spingendosi più indietro nei ricordi, ripensando al sogno di quella notte e al ricordo reale a cui era legato. Era così immersa nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno di essere già ben oltre la sua destinazione, e fu costretta a tornare indietro.
Il grande palazzo della sede dell' FBI di Quantico (Virginia) stava davanti a lei, imponente e maestoso. Sembrava una fortezza impenetrabile visto da fuori, ma a lei non faceva nessun effetto: sapeva che prima o poi sarebbe entrata nell' unità di analisi comportamentale che si nascondeva lì dentro, era quello che desiderava da quando aveva sei anni, da quella maledetta sera che la tormentava nei suoi incubi, da quando gli agenti di quella stessa unità l'avevano soccorsa. Allora aveva capito che un giorno sarebbe stata una di loro, quanto tempo doveva passare non le importava: ce l'avrebbe fatta, qualsiasi ostacolo le si fosse parato davanti lei l'avrebbe affrontato e superato. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per entrare.
Varcò la soglia con passo deciso, si sentiva un po' un soldato in guerra, pronta a rispondere al fuoco col fuoco. Si diresse verso una porta al secondo piano, stavolta sarebbe andata al nocciolo del problema: non da Aaron Hotchner, ma da colui che concretamente le sbarrava l'accesso all' unità: Jason Gideon.
Bussò alla porta del suo ufficio con fare deciso, e la aprì quando dall' interno sentì arrivare un “Avanti” non troppo felice. Entrò e vide Gideon seduto alla scrivania, esordì con un -Buongiorno!- che suonava quasi come una sfida. Jason la guardava di sottecchi -Buongiorno...- rispose visibilmente seccato -dimmi che non sei qui per quello che penso, ti prego!-
-E invece è esattamente per quello,- fece Meredith mantenendo lo stesso tono di sfida -sai che non ti libererai facilmente di me...-
-Me ne sono accorto!- disse Gideon con aria sempre più seccata.
-Però,- riprese Meredith – stavolta sono venuta con una proposta che può interessarti-
-Io non credo, ma se proprio insisti...-
-Certo che insisto!- rise sotto il naso la ragazza – La proposta è questa: ti chiedo un giorno di prova, fammi lavorare con voi ad un caso, se ti deludo ti prometto che non mi vedrai più.-
-Perché sento che sta per arrivare un ma?- chiese Gideon
-Perché sei un ottimo profiler- rispose Meredith strizzando l'occhio, - Se ti deludo non mi vedrai più, ma se sarò all' altezza mi permetterai di entrare nella squadra.-
-E se rifiuto?- domandò Jason nonostante conoscesse benissimo la risposta,
-Se rifiuti,- fece lei con un sorrisetto – non ti libererai mai di me!-
-Ma per quale motivo ti preme così tanto entrare a far parte della BAU?-
-Come se tu non lo sapessi! Sai cosa mi è successo...-
-Appunto per questo non ti capisco... Con quello che ti è successo non dovresti voler stare a contatto con cadaveri e assassini.-
-Ti sbagli- puntualizzò Meredith seria, - io voglio prendere quei bastardi perché non voglio che altri vivano la mia situazione. E non voglio neanche aspettare che qualcuno li prenda per me: voglio essere io, con le mie mani e la mia testa.-
Gideon non rispose, sembrava pensieroso. Dopo un attimo di silenzio riprese a parlare:
-Il fatto Meredith è che tu sei molto giovane, non so se sei pronta per questo lavoro.-
-Proprio per questo ti chiedo di fare una prova! Non lo sapremo mai se sono pronta o no se non provo... Giusto?-
L’uomo non rispose di nuovo.
-Se ti faccio provare poi prometti di smetterla di tormentarmi?- le chiese dopo un po'.
-Tu sei già sicuro che non ce la farò eh? Grazie per la fiducia!- fece Meredith ironica. Gideon le lanciò un' occhiata storta.
-Va bene,- riprese Meredith sorridendo - te lo prometto!-
-Lascia che ci rifletta su, d'accordo? Ti chiamerò io quando avrò preso una decisione.-
Lei era felice come una pasqua. Non le aveva detto di no!
-D’accordo- fece raggiante di gioia -Grazie mille Gideon!!-
-Meredith, non ho detto si, ho detto che ci penserò... E fammi un favore, non tornare qui finché non ti avrò chiamata io.-
-Va benissimo- Meredith non riusciva a contenere la sua felicità – non mi farò vedere finché non mi chiami... Grazie!-
-E piantala di ringraziarmi! Sparisci ora.- disse Gideon con un sorriso teso sulla bocca. Meredith non se lo fece dire due volte, lo salutò aprì la porta e se ne andò continuando a ringraziarlo. Non era mai stata più felice in vita sua, si sarebbe messa a ballare di gioia se avesse potuto, ancora non ci credeva. Uscì dalla sede dell' FBI sentendosi molto più leggera, e si avviò alla macchina.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Era passata una settimana dal suo ultimo colloquio con Gideon, e Meredith non aveva ancora ricevuto telefonate. Ogni giorno doveva lottare con se stessa per impedirsi di tornare in quell' ufficio a chiedere spiegazioni, finora era riuscita a frenarsi ma non sapeva quanto sarebbe durata la sua resistenza. “Quell' uomo è decisamente un sadico, si diverte a torturarmi!” pensava mentre guardava distratta la gente che passava, seduta a gambe incrociate sull' erba in giardino. “E chiamami stupido Gideon!” pensò arrabbiandosi col cellulare che non si decideva a squillare.
-Sembri proprio un' adolescente innamorata che aspetta la telefonata del suo lui!-
disse una voce canzonatrice alle sue spalle. Meredith si voltò furibonda:
-Oliver piantala di fare l'idiota eh! Oggi non ti reggo...-
-E quando mai mi reggi?- continuò lui scherzando, poi tornò serio – Dai Merry, tirati su non puoi mica stare così, vedrai che chiamerà.-
-E smetti di usare quel nomignolo!- sbottò. Odiava essere chiamata “Merry”.
Oliver rientrò in casa scoraggiato, sapeva che se Meredith era di malumore era impossibile ragionarci perciò lasciò perdere. Le sarebbe passata comunque, non era mai stata una musona.
 Infatti dopo un paio di giorni il suo cellulare squillò, e lei si sentì sollevata quando sentì la voce di Jason Gideon:
-Ciao Meredith eravamo fuori per un caso, adesso siamo di nuovo in Virginia ti ho chiamata per dirti che ho pensato alla tua proposta...-
-E..?- rispose la ragazza che non stava più nella pelle.
-Ho deciso di accettare, puoi seguire un caso con noi.-
Meredith voleva urlare, ma si trattenne.
-Veramente?- non ci credeva ancora!
-Ti sembro uno che scherza? Ho detto di si.- continuò Gideon – ma c'è una condizione...-
-Quale?- chiese Meredith curiosa.
-Non verrai sul campo, non puoi perché non sei un agente dell' FBI ufficialmente, diciamo che sarai una sorta di consulente esterno e ci assisterai dall' ufficio. Ci stai?-
Se Gideon pensava che questo l'avrebbe fermata, non aveva capito proprio niente!
-Ma certo che ci sto!- rispose lei felice come non mai – grazie mille per la possibilità, vedrai che non ti deluderò.-
-Lo spero.- disse l'uomo, e mise giù.
Tentare di descrivere come si sentiva in quel momento è molto difficile. Voleva ballare e urlare ma essendo per strada non poteva farlo, aveva un sorriso ebete che non riusciva proprio a togliersi dalla faccia, e il mondo non le era mai sembrato così bello. Non riusciva a credere alla conversazione che aveva appena avuto al telefono con Gideon, e pensare che di lì a poco sarebbe stata a contatto con le menti migliori dell' FBI e avrebbe lavorato con loro la faceva quasi stare male: se provava a pensarci si sentiva mancare il respiro e le gambe le tremavano. “Accidenti!” pensò esaltata mentre il suo sorriso ebete si allargava sempre di più, “sarò la migliore consulente esterna che quell' uomo ha mai visto in vita sua, su questo può giurarci!”
Saltellò verso la porta di casa, e la aprì ansiosa di raccontare tutto a Megan ed Oliver.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quella sera Meredith aveva preso alcuni sonniferi ed era andata a letto presto: l' indomani era il grande giorno e lei voleva dormire ed alzarsi fresca e riposata. Nonostante questo si era destata alle 5. L' eccitazione per la giornata che la attendeva era più forte persino del farmaco. Aveva fatto colazione stando attenta a non fare rumore per non svegliare nessuno, poi una doccia veloce e si era persino messa un filo di trucco, cosa che raramente faceva a meno che non dovesse uscire la sera o ci fosse qualche occasione importante. Voleva essere perfetta, ma soprattutto non voleva sembrare una bambina. Sperava disperatamente che la prendessero sul serio, e ovviamente sperava anche di fare un buon lavoro, in modo da costringere Gideon a mantenere la promessa e farla entrare definitivamente nella squadra.  Un fiume di dubbi e ansie la travolse appena entrata in macchina, ma lo ricacciò subito indietro.
“Niente scherzi...” pensò rivolgendosi alla sua testa “…oggi nessuna esitazione è permessa, io posso fare questo lavoro e lo dimostrerò.”
Uscì dal vialetto di casa e si mise a guidare mentre il cuore cominciava a battere a mille e lo stomaco si rivoltava su sé stesso “Devo calmarmi, questo non va affatto bene.” pensò nervosa, mentre un semaforo rosso le sbarrava la strada.
Arrivò alla sede dell' FBI con una strana sensazione di malessere fisico, le sembrava di dover dare di stomaco: “Stupido organismo vedi di collaborare!” pensò arrabbiandosi col suo stesso corpo, che troppo facilmente somatizzava le emozioni forti. Respirò profondamente prima di varcare la soglia, in modo da mandare via la sensazione di nausea e riprendersi un po', appena pensò di essere pronta e le gambe tornarono stabili si decise ad entrare. Camminava sicura, lo sguardo dritto davanti a sé, tutte le brutte sensazioni precedenti erano scomparse appena i suoi piedi avevano iniziato a calpestare quel pavimento. Si sentiva un' altra persona, concentrata e decisa. Le sembrò un' eternità invece ci mise cinque minuti ad arrivare all' ufficio di Gideon, bussò decisa alla porta e una voce maschile la invitò ad entrare.
-Buongiorno!- fece sorridente mentre chiudeva la porta dietro di sé
-Ciao Meredith.- una voce tremula che non era quella di Jason la salutò, seguita da un tonfo.
Reid era nell'ufficio di Gideon, e nel salutarla fece cadere alcuni fascicoli che aveva in mano. Non si aspettava certo di rivederla così presto dopo il loro ultimo incontro-scontro nel corridoio, qualche giorno prima.
-Ciao Spencer anche tu a rapporto dal capo?- lo salutò Meredith, sorridendo,
-Eh?- sembrava non aver capito una parola.
-Lascia perdere- continuò lei sempre sorridendogli, - piuttosto dov' è Gideon?-
-Chi?- rispose Reid ancora confuso.
-Jason Gideon, ti ricordi di lui vero?- rise forte lei - Ma ti senti bene?-
-No, cioè si si... certo che mi sento bene... Gideon è...- spremeva le meningi per tentare di ricordare dove fosse andato Jason, ma la sua mente geniale in quel momento era fuori servizio – non lo so comunque dovrebbe tornare tra poco.-
-Ok.- rispose Meredith un po' perplessa -Vorrà dire che lo aspetterò qui con te. Posso sedermi?- chiese indicando la sedia libera davanti alla scrivania, proprio accanto a quella di Spencer.
-Sederti qui?- domandò lui quasi impaurito - oh si certo... accomodati...-
-Grazie!- fece lei ridendo e strizzandogli l' occhio, cosa che per poco non gli provocò un arresto cardiaco.
Meredith si sedette guardandolo con gli occhi pieni di ilarità, e si mise ad aspettare. Aveva conosciuto Reid quando lui faceva da assistente a Gideon e lei studiava ancora, e quel buffo ragazzo estremamente intelligente ma un po' impacciato le aveva sempre ispirato molta simpatia. Qualche volta ci aveva parlato, ma non sapeva come mai ogni volta che gli si avvicinava lui faceva sempre cadere qualcosa che aveva in mano, e dopo poco si inventava qualche scusa per fuggire via. Chissà, magari non aveva molta simpatia per una che lo riempiva sempre di domande sul lavoro di profiler. Era comprensibile poveretto!
Mentre Meredith ripensava al passato la porta si aprì, e finalmente Gideon entrò.
-Oh buon giorno Meredith, vedo che sei già arrivata!- disse scorgendola sulla sedia,
-Buon giorno a te! Certo io sono famosa per la mia puntualità, non ricordi?- rise lei
-La prima ad entrare in aula e l'ultima ad andarsene, mi ricordo bene di te- fece l' uomo – comunque, oggi siamo qui per un altro motivo- proseguì rivolgendosi a Reid- penso non ci sia bisogno di presentarvi, ti ricordi di Meredith giusto?-
Se era una frecciata, Reid non la colse affatto e annuì con la testa.
-Mi fa piacere…- continuò l’uomo – …perché oggi tu lavorerai in ufficio con lei.-
Non sapeva bene cosa l' aveva trattenuto dal cadere dalla sedia, comunque riuscì a rispondere un flebile -Prego?-
-Meredith oggi ci assisterà come consulente esterno per un caso,e se si dimostrerà all' altezza potrà entrare a far parte dell' unità.- spiegò Gideon – e visto che non ancora è un agente dell' FBI e questo è il suo primo caso ho pensato che tu potresti darle una mano, sempre se sei d'accordo naturalmente.-
Spencer fu preso da un attimo di panico e non rispose. “Ti prego,” pensò Meredith rivolgendosi a lui mentalmente “dì di si, anche se probabilmente non ti sono molto simpatica sei l'unica persona che conosco qui dentro a parte Gideon!”
-Allora?- incalzò l'uomo
-Oh si, ma... certo io... va bene!- rispose alla fine Spencer.
-Perfetto- riprese Gideon – non ci resta che scendere e parlare al resto della squadra allora.- a quel punto si alzò dalla sedia, Reid lo seguì e Meredith si unì a loro pensando che se quello era un sogno, decisamente non voleva essere svegliata.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Mentre scendevano le scale diretti all' open space, Meredith sentì le gambe cedere di nuovo, ma riprese presto il controllo di sé. Stava per fare la conoscenza di alcune delle menti più brillanti dell' FBI, non voleva dare l' impressione di essere una scolaretta al primo giorno di scuola. Ma in realtà era proprio così che si sentiva. “Rispetto per tutti, soggezione di nessuno!” ricordò a sé stessa il suo motto preferito per farsi coraggio e si sentì un po' più tranquilla. Gideon si avvicinò al gruppo che aveva fatto riunire apposta qualche minuto prima, e iniziò a fare le presentazioni.
-Vi presento la dottoressa Meredith Nelson, che ci affiancherà come consulente esterno nel nostro prossimo caso.-
Ecco ora tutti la guardavano. Sperava solo di non sembrare troppo stupida, sorrise e pronunciò un “Salve!” che sperava sarebbe risultato calmo e controllato.
Si fece avanti una bella ragazza bionda -Agente speciale Jennifer Jareau, piacere di conoscerti!- le porse sorridendo la mano che Meredith strinse a sua volta, - puoi chiamarmi JJ- aggiunse.
-Oh!- fece Meredith rincuorata da quel gesto amichevole, - grazie, voi potete chiamarmi Meredith non mi piacciono troppo le formalità.-
JJ le sorrise di nuovo, e le presentò il resto del gruppo:
-Questi sono l'agente speciale Derek Morgan, l'agente speciale Emily Prentiss, e il nostro tecnico informatico Penelope Garcia.-
Meredith strinse la mano a tutti con un sorriso.
-Dov' è Hotch?- chiese Gideon.
-Aveva da fare sarà qui tra poco.- rispose JJ – Ho un nuovo caso da sottoporre alla squadra, ma vorrei che ci fosse anche lui prima di cominciare.-
-D'accordo- rispose l' uomo, - torno subito- e si diresse verso l' ufficio di Hotch.
Meredith non poteva credere che tutto questo stava succedendo davvero. Era lì, con quella squadra di agenti con i quali aveva sempre desiderato lavorare ancora prima di sapere chi fossero, e il suo sogno di diventare una profiler era così vicino che le sembrava quasi di poterlo toccare. Aveva un po' paura, le sembrava quasi che se avesse teso la mano tutto si sarebbe dissolto in una bolla di sapone. “Macché bolle e bolle!” disse seccata a sé stessa “sei qui, è reale ora hai l' occasione di far vedere quanto vali, non sprecarla in stupidi tentennamenti!”
Sentiva gli occhi di tutti puntati su di lei e la cosa era piuttosto sgradevole, si voltò verso l'unica persona che conosceva lì dentro, ma Spencer Reid distolse lo sguardo appena i loro occhi si incrociarono. “Grande!” pensò amareggiata Meredith “la persona con cui devo lavorare probabilmente, anzi quasi sicuramente non mi sopporta... Non è per niente un buon inizio”.
-Quanti anni hai Meredith?- la voce allegra dell’informatica ruppe il silenzio.
-Ventidue…- mentì la ragazza.
-Ventuno.- corresse una voce maschile alle sue spalle. Gideon era tornato e Hotch era insieme lui.
Meredith roteò gli occhi – Va bene va bene, ventuno!- rise.
-Però sei giovane...- disse Morgan guardandola in un modo che non le piacque affatto. Sembrava volesse dirle che non era all' altezza, ma probabilmente era solo uno scherzo della sua immaginazione.
-Andiamo ragazzi, il caso di oggi é veramente orribile vorrei parlarvene subito visto che ci siamo tutti.- disse JJ interrompendo le chiacchiere.
Si diressero verso la sala riunioni, e Meredith li seguì con la testa che le girava un po' per l' emozione.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Meredith non poteva credere di essere sul Jet privato della BAU, e di stare volando verso Denver (Colorado), con tutta la squadra per investigare su un caso decisamente delicato. Tre famiglie erano state uccise nello stesso quartiere, i genitori brutalmente massacrati, mentre i figli erano stati uccisi da un' iniezione letale. La ragazza guardava le foto e ascoltava i commenti degli altri (era nota per la sua capacità di fare più cose contemporaneamente), e nel frattempo pensava che fosse tutto uno scherzo terribile del destino. Un caso del genere, proprio quel giorno in cui anche lei era presente, non poteva essere una coincidenza. Se c'era un Dio, doveva aver deciso di metterla alla prova pesantemente. In ogni caso era ben decisa a non farsi condizionare, e a fare del suo meglio. Alla fine Hotch aveva convinto Gideon a non lasciarla a Quantico, come inizialmente aveva progettato, perché voleva tutti a portata di mano, infatti mancava solo Garcia che avrebbe lavorato come al solito dalla sua postazione, o “la stanza dei monitor” come la chiamava Gideon. Jason ovviamente era un po' riluttante ma alla fine aveva acconsentito: “Vorrà dire che invece di assisterci dall' ufficio di Quantico lo farai da quello della polizia di Denver, il fatto che non ti muoverai da lì non cambia chiaro?” le aveva detto. Lei aveva annuito ovviamente, anche se non era troppo contenta.
-Due modus operandi diversi possono indicare due SI diversi.- stava dicendo Morgan
-Si è possibile- annuì Emily
-Quello che bisogna capire.- disse Hotchner – E’ perché non ci sono segni di effrazione in nessuno dei tre casi.-
-Forse...- ipotizzò JJ -…era qualcuno che conoscevano.-
-E' improbabile.- sentenziò Meredith. Gli occhi di tutti erano di nuovo puntati su di lei. “Fantastico... Quando la smetteranno di fare così?” pensò la ragazza imbarazzata, poi continuò: - Con una famiglia sola forse poteva essere un' ipotesi plausibile, ma quante probabilità ci sono che l'SI le conoscesse tutte e tre?-
-Pochissime- fece pronto Reid.
-Appunto.- Meredith andò avanti rincuorata dal suo supporto - la cosa più probabile é che utilizzino un qualche pretesto per farsi aprire la porta.-
-Però,- fece Morgan con un tono ammirato che le suonò finto- la ragazzina sa il fatto suo!- e rise.
Meredith gli lanciò un' occhiata di traverso, ma si trattenne dal replicare a quel “ragazzina” che sapeva tanto di presa in giro. Quel Morgan non faceva che punzecchiarla da quando aveva saputo quanti anni aveva, e la cosa la infastidiva parecchio. Ma decise di non badarci, l'unica cosa che le interessava ora era il caso.
-Hai in mente qualcosa in particolare?- le chiese Gideon.
La domanda la spiazzò un po'. -Veramente ancora no...- ammise- ci possono essere un milione di pretesti, che so un finto guasto alla macchina per esempio.-
-Può essere…- fece Emily pensierosa, e la conversazione si interruppe lì. Meredith dentro di sé tirò un sospiro di sollievo, non andava poi così male come inizio. Ce l' avrebbe fatta, ora si sentiva più sicura. Si stese sullo schienale della poltrona e chiuse gli occhi continuando a pensare al caso nell' attesa che il Jet finalmente atterrasse.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Una volta arrivati alla stazione di polizia di Denver, Meredith e Reid si sistemarono in un ufficio per lavorare, mentre la squadra si spartiva le zone da controllare. Un sopralluogo fatto da Hotchner e Morgan sulle scene del crimine aveva portato sulla loro scrivania delle immagini orribili: c'era sangue ovunque in tutti i salotti, luogo dove venivano uccisi i genitori, e delle sedie dove la ragazza ipotizzò non senza provare una sensazione di pena mista a disgusto, che gli SI legassero i figli in modo da costringerli a vedere la morte violenta dei propri genitori. Le stanze dove erano stati ritrovati i corpi dei bambini invece, erano pulite e ordinate non c'era nessuna traccia dato che come l'autopsia aveva rivelato, veniva utilizzata una siringa contenente del Pentothal, un barbiturico molto potente usato anche nelle esecuzioni tramite iniezione letale.
Ormai erano quasi sicuri che gli SI fossero due, uno particolarmente aggressivo che si occupava dei genitori, e l'altro molto schivo e sottomesso che invece uccideva i bambini. Meredith era seduta alla scrivania che esaminava i fascicoli, Reid si era allontanato con la scusa di andarsi a prendere un caffé per la terza volta. Era chiaro che avrebbe voluto essere fuori con gli altri invece che costretto in quell' ufficio a far da balia a lei. La cosa la seccava, in fondo Spencer le era stato sempre simpatico non voleva che ce l'avesse con lei, così decise di parlargli chiaramente. Uscì e si diresse verso la macchinetta del caffé, dove lo trovò intento a squadrarla come se da quell'affare dovesse uscire chissà cosa da un momento all' altro.
-E' interessante?- scherzò Meredith ridendo alle sue spalle. Reid si voltò di scatto e la guardò come se avesse visto un fantasma.
-Cosa?- chiese agitato
-La macchinetta del caffé!- rise lei- la guardi come se fosse qualcosa di estremamente interessante.-
-Oh! No io...- era visibilmente imbarazzato, e tentò di farfugliare una qualche scusa, ma Meredith lo interruppe e si fece seria:
-Senti Spencer, posso essere sincera con te?-
-Si, certo...- rispose lui
-Bene, allora sappi che l' ho capito che non hai una assuefazione morbosa alla caffeina, l'unico motivo per cui vieni qui tanto spesso é perché vuoi evitarmi, ho indovinato?-
Tentò di replicare ma lei lo interruppe di nuovo:
-Senti, lo so anche io che per te deve essere una gran rottura di scatole stare qui con me, invece di essere là fuori e lo capisco.- continuò- però non potresti cercare di fare buon viso a cattivo gioco e darmi una mano invece di fuggire o lasciar parlare solo me? Finora mi sembra di aver fatto solo monologhi, ma se devo imparare a fare questo lavoro ho bisogno di qualcuno con scambiare opinioni e avere un dialogo. Sei d' accordo?-
-Si, si... certo- rispose confusamente lui. “Per un attimo ho temuto che mi avesse scoperto, invece per fortuna non ha capito un granché” pensò sollevato Spencer, “Fortuna? Ti sei rimbecillito?” fece una vocina canzonatrice nella sua testa “Lei crede che tu non la sopporti e che non vuoi lavorare con lei, ti sembra fortuna questa grande genio?”
“Non troppo in effetti...” ammise a sé stesso, “ ma sarebbe stato più imbarazzante se avesse capito davvero.”
Fece un profondo respiro e finalmente si accinse a dirle qualcosa di lontanamente rassicurante, parole che fino a qualche tempo prima non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle: -Guarda che mi fa piacere...-
-Cosa?- chiese lei
-Stare qui con te invece che là fuori.- l'aveva detto sul serio? Si stupiva di sé stesso.
-Non sembrava sinceramente- rispose lei dubbiosa.
-Si lo so, mi dispiace. Ora sarà diverso va bene?-
-Benissimo allora andiamo!- fece lei con un sorriso allegro.
“Si, benissimo” pensò Spencer mentre la seguiva, “ma morirò giovane se continua a sorridermi così”.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


“Le cose che si scoprono se solo ci si lascia andare sono incredibili” pensava Spencer mentre esaminava dei fascicoli inerenti al caso. E quello che aveva scoperto lui aveva davvero dell' incredibile. Avcieva scoperto di avere un feeling particolare con quella ragazza bionda che attaccava le foto delle vittime alla lavagna, con la quale fino a qualche ora prima non riusciva neanche a stare nella stessa stanza troppo a lungo. Feeling sul piano lavorativo s' intende, un' alchimia pazzesca che li aveva portati a scoprire un sacco di cose ragionando insieme, che nessuno dei due aveva visto da solo. Addirittura succedeva che finissero l' uno le frasi dell' altra. Non gli era mai capitata una cosa del genere, Spencer era abituato a sentirsi “il secchione”, quello diverso da tutti che parlava a macchinetta di dati e statistiche che nessuno in realtà voleva ascoltare. Ma con lei era diverso lei lo ascoltava, no di più: lo capiva. “Lo vedi brutto idiota?” fece la solita vocetta maligna nella sua testa “lei non é un' aliena venuta da chissà dove, é una ragazza normale con la quale puoi parlare tranquillamente, non ti mangerà!” Beh definirla normale era tutto dire, era un po' matta in realtà, però era divertente e soprattutto non si era mai sentito con nessuno come si sentiva con lei. Averla lì e lavorarci insieme lo faceva quasi sentire sicuro di sé, cosa che non era per niente facile impacciato com'era abitualmente.
Hotch entrò nella stanza e interruppe i suoi pensieri: sembrava molto agitato.
-C'è una cattiva notizia.- disse
-Novità?- chiese Reid
-Niente di buono purtroppo. Un' altra famiglia massacrata...- rispose -...ma stavolta c'è qualcosa di diverso: uno dei due figli é sopravvissuto.-
Meredith lasciò cadere i fogli che aveva in mano. Sembrava piuttosto sconvolta.
-Che cosa?- domandò come se il mondo le fosse appena caduto addosso.
-E' una ragazzina, ha quindici anni e si chiama Claire Santz, ora si trova in ospedale.- continuò Hotch -Pare che uno dei due SI quello con la siringa l'abbia fatta fuggire dal retro dopo aver ucciso il suo fratellino di appena otto anni.-
-Perché l'avrebbe fatto?-domandò Reid
-E' quello che dobbiamo scoprire, manderemo qualcuno in ospedale ad interrogarla...-
Meredith lo interruppe: -Facci andare me, ti prego.-
-Come scusa?- chiese Hotch
-Ho detto che voglio andarci io ad interrogarla.- aveva uno sguardo strano, faceva quasi paura.
-Sai che Gideon ha detto che non puoi uscire di qui, tu non sei ancora un' agente dell' FBI...-
-Si, si lo so anche io questo ma ti prego lasciami andare voglio parlare con lei.-
Sembrava molto decisa, così Aaron cedette.
-E va bene, se ci tieni tanto allora vai parlerò io con Gideon in fondo si tratta solo di interrogare una testimone...-
Avrebbe voluto abbracciarlo ma si trattenne, e gli disse solo -Grazie mille!- apprestandosi ad uscire, ma l' uomo la fermò -Aspetta!- disse -Non penserai davvero che ti lasci andare disarmata ad interrogare una sopravvissuta che potrebbe venire aggredita ancora... Reid accompagnala.- ordinò, il ragazzo si alzò e si accinse ad andare con lei.
-Mi raccomando andate la interrogate e tornate, che non ti vengano in mente strane idee capito?- disse rivolgendosi a Meredith.
-Capito.- rispose distrattamente la ragazza e si avviò all' uscita con Reid.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Meredith guardava la strada che scorreva senza dire una parola. Era Spencer a guidare, lei non era dell' umore giusto, era ancora troppo scossa. Non era possibile che stesse capitando davvero una cosa simile, mille pensieri diversi la invasero avvolgendola. Doveva essere tutto uno scherzo terribile, frutto della mente malata di un sadico che si divertiva a giocare con lei, con le sue emozioni. Non sapeva darsi altre spiegazioni. Pensò a quella ragazza dalla quale si stavano recando, alla sua giovane vita segnata per sempre dalla perdita dei suoi cari che così brutalmente le erano stati strappati. Non c' era assolutamente niente di ciò che avrebbe potuto dirle che l'avrebbe fatta sentire meglio. Niente. Questo la distruggeva, e l' empatia lentamente la invadeva. Si accorse che erano arrivati quando vide Reid aprire lo sportello dalla parte del passeggero per permetterle di scendere. Aveva atteso qualche minuto, ma vedendo che lei non accennava a muoversi l' aveva fatto al suo posto.
-Stai bene?- aveva l' espressione di un cucciolo smarrito, e da questo Meredith dedusse che il suo stato d' animo doveva trasparire dal suo volto. Non era molto brava a mascherare le proprie emozioni.
-Si...- disse cercando di sembrare convincente e accennando un lieve sorriso – é tutto apposto andiamo.-
Si diressero all' interno dell' ospedale, e Reid mostrando il tesserino dell' FBI chiese dove si trovasse Claire Santz.
-Stanza trecentotredici- fu la risposta secca dell' infermiera, che si affrettò a tornare alle sue occupazioni come se quell' interruzione l'avesse disturbata alquanto. “Gentile!” pensò Meredith ironica mentre si avviavano verso la stanza indicata dalla donna. Arrivati a destinazione incrociarono il medico che usciva dalla stanza di Claire, ed esauriti i convenevoli e le formalità, Meredith si premurò di chiedergli quali fossero le condizioni della ragazza.
-E' fortunata...- esordì l' uomo provocando in Meredith un impeto di rabbia che per fortuna riuscì a trattenere, - non ha riportato nessun danno fisico serio, a parte lo shock emotivo é in perfetta salute. Una vera fortuna.-
-Lei sa cosa le é successo?- chiese Meredith a bruciapelo
-Si, una vera tragedia...- la ragazza lo interruppe, e piantò i suoi meravigliosi occhi di ghiaccio in quelli dell' uomo, che a causa dell' espressione dura di quello sguardo sentì un lieve brivido lungo la schiena:
-Bene, allora mi faccia un favore la smetta di dire che é fortunata!- sibilò decisa con tono di rimprovero che non ammetteva repliche. Entrò nella stanza scavalcando il dottore, e Reid la seguì con un' espressione un po' perplessa.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Claire Santz era una ragazza carina dai lunghi capelli corvini, gli occhi scuri e il viso delicato. Giaceva distesa sul letto con lo sguardo perso nel vuoto ed un' espressione stanca dipinta sul volto. Quando Reid e Meredith entrarono, si voltò verso di loro con uno sguardo triste, tanto che la ragazza dovette distogliere per un attimo il suo, o i suoi occhi avrebbero iniziato ad inumidirsi. Doveva raccogliere tutte le sue energie e tentare di rimanere calma, ma non era affatto semplice. Spencer la guardò, e decise che sarebbe stato lui il primo a parlare:
-Ciao Claire.- disse con un tono di voce che si sforzava di mantenere calmo e sperava suonasse in qualche modo rassicurante, - io mi chiamo Spencer e lei é Meredith, siamo dell' FBI e vorremmo farti qualche domanda se te la senti di rispondere.-
“Siamo?” pensò Meredith inarcando un sopracciglio, “veramente io non faccio ancora parte della squadra... Bah!” scosse la testa e si costrinse a guardare la ragazza negli occhi, sforzandosi di sorriderle.
-Si, va bene...- disse Claire con voce flebile. La profiler trasse un profondo respiro e cominciò finalmente a parlare sperando che la voce non le tremasse troppo:
-Claire, vorremmo che tu ci dicessi tutto quello che ricordi di quella sera.-
Non avrebbe mai voluto costringerla a ricordare, ma doveva purtroppo. Gli occhi della ragazza si inumidirono di nuovo e Meredith dovette di nuovo staccare i suoi. “Così non va!” pensò rimproverandosi, “devo riprendere il controllo assolutamente!” e si girò verso Claire, che ora aveva nuovamente lo sguardo perso nel vuoto.
-Quella sera ci eravamo messi a tavola come al solito,- cominciò – e finito di cenare io e mio fratello stavamo aiutando la mamma a sparecchiare la tavola. Ad un certo punto suonò il campanello, e mio padre andò ad aprire. Era un uomo, diceva che aveva investito un gatto o qualcosa del genere... Non ricordo- deglutì visibilmente e lei si sedette sul suo letto posandole una mano sulla spalla:
-Non importa va avanti...- fece con tono rassicurante.
-Mio padre venne in cucina per prendere un sacchetto da dargli, e quando tornò alla porta era entrato un altro uomo, hanno preso i miei genitori hanno legato me e mio fratello alle sedie e ci hanno costretti a guardare...- scoppiò in un pianto dirotto, Meredith le passò un braccio intorno alle spalle e cercò di trattenere le lacrime:
-Questa parte puoi anche saltarla tesoro, raccontaci dell' uomo che ti ha lasciata andare.-
-Non so perché l' abbia fatto, comunque lui era più tranquillo dell' altro... - continuò la ragazza – ha portato me e mio fratello nella mia stanza e ha iniettato qualcosa a Mark, poi mi ha detto di stare zitta e che mi avrebbe fatta scappare dal retro, ma io non dovevo fare rumore o l' altro ci avrebbe scoperti.-
-Hai notato niente di strano in lui?- chiese Spencer
-No, era alto magro capelli neri e parlava spagnolo...- rispose Claire – e continuava a chiamarmi Sandy.-
-Va bene ora riposati, sei stata bravissima.- disse Meredith accarezzandole la testa, la ragazza si distese e loro uscirono dalla stanza.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Meredith andò a cercare un distributore perché aveva un disperato bisogno di rinfrescarsi un po. Spencer voleva seguirla ma lei aveva declinato l' offerta dicendogli di rimanere nei paraggi della stanza di Claire in caso la ragazza avesse avuto bisogno di qualcosa. Le dispiaceva allontanarlo così perché la sua preoccupazione era sincera, ma dargli spiegazioni riguardo al suo stato d' animo sarebbe stato troppo lungo e doloroso. E forse non avrebbe potuto capire. In realtà nessuno a parte quella ragazza che ora giaceva distesa in un letto di ospedale avrebbe potuto capire quello che provava. Questa consapevolezza le faceva molto male, avrebbe preferito continuare ad essere incompresa piuttosto. Era quasi tornata alla stanza, quando si sentì un urlo provenire da quella direzione. Meredith si mise a correre e arrivò trafelata nella stanza trecentotredici: Claire era seduta sul letto, calde lacrime solcavano il suo bel viso ed era impregnata di sudore freddo.
-Che é successo tesoro?- lei si slanciò verso la ragazza per tentare di calmarla, nel momento in cui anche Reid entrava nella stanza. Claire non rispose, continuava a singhiozzare e sussurrava ogni tanto ora il nome di suo padre, ora quello di sua madre, ora chiamava il fratellino. Allora Meredith capì, troppo bene conosceva quella scena, trasse un profondo respiro e abbracciò la ragazza ancora piangente, senza più riuscire a trattenere le lacrime:
-Tesoro ora calmati, é tutto finito era solo un brutto sogno...- la cosa buffa era che proprio lei doveva pronunciare quelle parole che ben conosceva come false. Non era un incubo il suo, ma la tragica realtà: Claire aveva sognato la morte dei suoi familiari e l' orrore che provava non se ne sarebbe andato al risveglio, forse sarebbe addirittura peggiorato. Per un po' Meredith rimase così avvinghiata a Claire, quasi come se avesse paura che sarebbe evaporata se l' avesse lasciata. Fu la ragazza a distaccarsi:
-Grazie, va un po' meglio adesso...- disse con voce ancora tremante – ho solo un po' di sete.-
Meredith le offrì pronta l' acqua che aveva comprato poco prima, che la ragazza bevve con avidità. Reid le toccò appena la spalla, per richiamare la sua attenzione, e le fece cenno di seguirlo fuori. La ragazza si asciugò il volto e disse a Claire che sarebbe tornata subito, dopo di ché uscirono.
-Ti senti bene?- le chiese Spencer con la solita espressione tenera da cucciolo
-Si...- mentì spudorata la ragazza, che ancora aveva gli occhi rossi per il pianto. Non riuscì a sostenere lo sguardo però, così lo distolse.
-No non é vero! Perché non mi dici la verità?- fece lui con un tono più di supplica che di rimprovero. Meredith non rispose subito, non sapeva cosa dirgli e in ogni caso non erano affari suoi. Perché non la lasciava in pace? Non fece in tempo a formulare questo pensiero, che subito se ne pentì. Il suo più grande errore di sempre era quello di allontanare la gente che si preoccupava per lei, sapeva bene che era sbagliato eppure non riusciva ad evitarlo. Sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime, ma riuscì a ricacciarle indietro. Non sapeva cosa fare.
-Non capiresti...- cominciò, ma lui la interruppe
-Non puoi saperlo se non provi.-
Non poteva dargli torto, ma aveva mille dubbi. Cosa avrebbe dovuto dirgli? La verità era la cosa più ovvia certo, ma non era sicura di essere pronta. Riuscì finalmente a guardarlo di nuovo negli occhi, e improvvisamente le sue incertezze si dissiparono. Non sapeva come e né perché, ma era come se lo sguardo di lui stesse leggendo fin dentro la sua anima non si era mai sentita così. Era una sensazione strana che la fece sentire bene e male allo stesso tempo.
-Io so come si sente Claire…- cominciò raccogliendo tutto il suo coraggio – …posso capirla perché anche io mi sveglio spesso nel cuore della notte in preda agli incubi.-
-Beh tutti abbiamo degli incubi è normale.- fece Spencer
-E' vero, è normale sognare cose orribili che poi svaniscono al risveglio- annuì lei, - ma quando una volta sveglio capisci che il sogno é la triste realtà é tutta un altra cosa.-
Il ragazzo la guardò senza capire, e lei decise che se proprio doveva raccontargli tutto, allora l' avrebbe fatto senza esitare ancora.
-Quando ero piccola- cominciò- vivevo con mia madre in un appartamento in affitto. Lei era russa e aveva conosciuto un americano durante un viaggio di studio. Si erano innamorati, poi lei é rimasta incinta di me e lui l'ha abbandonata. Ce la cavavamo bene da sole comunque, non avevamo certo bisogno di uno così. Quando avevo sei anni, una notte mi svegliai perché avevo fatto un brutto sogno e mi diressi verso la camera di mia madre per dormire insieme a lei, come facevo sempre in quei casi. Ci misi un po' a capire che la mamma non mi rispondeva perché non respirava più. Era immersa in un lago di sangue con la gola recisa, ma io continuavo a chiamarla e non capivo perché non apriva gli occhi. O forse non volevo capire.- Si fermò perché aveva un nodo in gola, poi riprese: - la mattina dopo, arrivarono gli agenti dell' FBI e mi trovarono stesa sul letto aggrappata a mia madre e intrisa del suo stesso sangue, mi ero addormentata accanto a lei nella vana speranza di sentire ancora il suo calore. Non realizzavo che non l'avrei sentito mai più. Tutto quello che è successo dopo lo ricordo in maniera confusa, ma l' immagine di mia madre immersa in un bagno di sangue torna a farmi visita praticamente ogni notte...- stavolta si fermò perché la commozione l' aveva vinta e non riusciva a fermare le lacrime che le scivolavano lungo le guance. Spencer non disse e non fece niente per alcuni minuti, non avrebbe mai immaginato una cosa del genere e ora capiva il perché di tutti quei suoi comportamenti così strani. All' improvviso si mosse, si slanciò verso Meredith e la abbracciò mentre piangeva. Non gli era venuto in mente altro che avrebbe potuto fare per farle capire che le era vicino. Lei capì, e gli fu grata per non essersene uscito con qualche stupida frase di circostanza. Stettero così uniti per alcuni minuti, dopo di ché rientrarono nella stanza per vedere come stava Claire.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


I ragazzi uscirono di nuovo per non rischiare di svegliare Claire, si era riaddormentata ora più tranquilla. Meredith si sedette su una delle poltroncine del corridoio mentre Reid rimase in piedi con la schiena appoggiata al muro. Aleggiava un silenzio imbarazzante, entrambi stavano ripensando alla scena di pochi minuti prima e sentivano di aver commesso uno sbaglio. Finalmente la ragazza ebbe il coraggio di esternare i suoi pensieri:
-Mi dispiace per prima.- disse sincera – non avrei dovuto lasciarmi andare ti sarò sembrata patetica...-
-Non sei affatto patetica.- rispose convinto lui.
-Allora sono poco professionale, non si dovrebbe farsi trasportare così giusto?-
-Lo stai dicendo alla persona sbagliata, e comunque se professionale significa arido e insensibile allora sono fiero di non esserlo!-
Meredith sorrise di nuovo, ma non era ancora del tutto persuasa.
-Sono io che dovrei scusarmi con te comunque.- riprese Spencer fissando con apparente interesse la punta delle sue scarpe- per, beh insomma...-
-Perché mi hai abbracciata?- finì la frase al suo posto
-Beh... si... Io non so cosa mi é preso...-
-Non devi scusarti, anzi devo ringraziarti mi hai fatta sentire molto meglio e non ha detto nessuna di quelle stupide frasi di circostanza che si usano in questi casi. Ne ho sentite fin troppe e ti giuro che non ne posso più.-
Spencer trovò di nuovo il coraggio di guardarla e vide che Meredith gli sorrideva. Si sentì un po' più sollevato, temeva addirittura che lei potesse odiarlo invece pareva stesse meglio sul serio. “Allora non combino solo guai...” pensò rincuorato. La voce di Claire li distolse dalla conversazione e rientrarono nella sua stanza, la ragazza era sveglia e disse di aver fame. Reid andò in cerca di qualcosa da mangiare, così lei e Meredith rimasero sole.
-Passerà mai?- chiese improvvisamente Claire. Avrebbe voluto disperatamente poterle dire di si, che tutto sarebbe finito e che il tempo cancella il dolore. Non era così, non con quel genere di situazioni lo scorrere del tempo non aveva alcun potere curativo su di esse. Decise per tanto di essere onesta:
-Purtroppo non riuscirai facilmente a liberarti delle ombre che popolano i tuoi sogni, vorrei tanto poterti dire che andrà tutto bene Claire davvero, ma io so come ti senti e ti farei un torto se non ti dicessi la verità.-
La ragazza la guardò con aria interrogativa, e Meredith proseguì:
-Quando avevo sei anni, mia madre che era tutta la mia famiglia venne brutalmente uccisa da un assassino seriale, che fu catturato solamente tre giorni più tardi. Da quel giorno io non ho mai smesso di sognarla.-
-E come fai ad andare avanti così?- domandò la ragazza con gli occhi di nuovo umidi.
-Perché non sono sola.- disse Meredith pensando con gratitudine a Megan e Oliver, che erano sempre stati con lei e l'avevano sostenuta in ogni momento della sua vita.
-E non lo sei neanche tu,- continuò porgendole un bigliettino – voglio che tu sappia che puoi chiamarmi in qualsiasi momento a tutte le ore del giorno e della notte, ogni volta che avrai voglia di parlare. Capito?-
La ragazza annuì, e lei le accarezzò la testa
-Ora riposati, vado a controllare che Spencer non si sia perso chissà dove- le disse ridendo.
Claire ricambiò il sorriso e mentre si accingeva ad uscire Meredith sentì la sua voce che le diceva:
-Tornerai presto vero? Non voglio rimanere qui da sola...-
-Ma certo tesoro, non vado proprio da nessuna parte resterò qui con te per tutto il tempo che vorrai.- rispose sorridendo, la ragazza annuì rincuorata e lei uscì.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Non dovette fare molta strada per trovare Spencer, fatti pochi passi nel corridoio lo vide sbucare con in mano delle merendine.
-Io rimango qui in ospedale, tu se vuoi torna pure alla centrale.- disse Meredith d' un fiato appena lui fu abbastanza vicino da poterla udire.
-Ma Hotch ha detto di interrogarla e tornare, e tu hai risposto di si...- obiettò lui.
-So cosa ho detto...- fece la ragazza -...ma non ho intenzione di muovermi da qui per il momento. Scusami. Non voglio trasgredire ad un ordine ancora prima di essere entrata nella squadra, ma io devo restare con Claire.- Aveva un tono e uno sguardo talmente decisi che Spencer non poté più controbattere.
-Ok,- disse dopo aver riflettuto un attimo, -allora vorrà dire che chiamerò Hotch e gli dirò che restiamo qui.-
-Ma io ti ho detto che se vuoi puoi andare...- gli ricordò Meredith.
-E io non ho detto di volermene andare.- rispose lui prendendo il cellulare e porgendole le merendine da dare a Claire. Mentre Spencer telefonava lei tornò nella stanza della ragazza e camminando le venne da sorridere. Non sapeva perché, ma il fatto che lui sarebbe rimasto le faceva davvero piacere.
-E' davvero strano...- disse Reid affacciandosi alla porta della stanza, - quando ho detto a Hotch che volevi rimanere lui ha risposto che lo sapeva già, perché Gideon gliel' aveva detto quando lui gli aveva riferito che ti aveva mandata qui.-
Meredith non poté trattenersi e scoppiò in una sonora risata. Il ragazzo la guardò con aria interrogativa.
-Quell' uomo é sempre un passo avanti a tutti!- disse divertita, poi si rivolse a Reid - Vedi, Gideon era uno di quegli agenti dell' FBI che mi trovarono quando mia madre é stata uccisa. Conoscendo il mio passato e il mio carattere si era immaginato ciò che avrei fatto ancora prima che lo decidessi io stessa!- si mise di nuovo a ridere ma stavolta anche a Spencer scappò una risatina, poi si fece serio:
- Ah a proposito prima ho parlato anche con Garcia, e sembra che abbia trovato un uomo che corrisponderebbe al profilo del secondo SI, quello sottomesso.-
-Davvero?- chiese Meredith
-Si, un certo Roger Davis. Ora stanno andando a prenderlo per interrogarlo.-
-Bene.- fece la ragazza, - E poi?-
-E poi cosa?- domandò Reid
-Oh andiamo, te lo leggo in faccia che non mi stai dicendo tutto. Sputa il rospo.-
-Ok.- si rassegnò lui- te lo dirò, ma non ti arrabbiare. Vogliono che Claire sia presente all' interrogatorio.-
-Se lo possono scordare non possono chiederle una cosa del genere! Sono impazziti?- sbottò lei.
-No, é che hanno scoperto il motivo per cui l' ha fatta scappare: lei somiglia molto alla sua sorellina Sandy, dalla quale pare sia stato diviso quando sono rimasti orfani a causa dell' incidente d' auto che hanno avuto i genitori. Davis é stato affidato ad una famiglia e ha perso i contatti con la sorella.-
-Quindi se Claire che gli ricorda tanto la sua sorellina é presente, é più probabile che lui collabori giusto?-
-Esatto!- rispose Reid.
-Ho capito, ma non me ne frega niente Claire ha già sofferto abbastanza...- Meredith si stava arrabbiando sul serio. Improvvisamente venne interrotta dalla voce di Claire, che fino a quel momento aveva taciuto:
-Va bene,- disse con aria molto seria- portatemi da lui.-
Meredith la guardò un attimo: aveva capito cosa le passava per la testa, era una sensazione che aveva provato anche lei in passato. Poteva comprenderla, ma non le avrebbe permesso di farsi del male.
-Tesoro,- le disse dolcemente non sei costretta, possono trovare un altro modo...-
-Ma io voglio farlo, dico sul serio!- era davvero determinata, e Meredith capì che non sarebbe riuscita a convincerla. Alla fine, anche se a malincuore, dovette arrendersi.
-E va bene vestiti e andiamo, ma ricordati che non devi dimostrare niente: i tuoi lo sanno già.- e così dicendo uscì dalla stanza insieme a Reid per permetterle di cambiarsi.
-Che cosa vuole dimostrare?- chiese lui curioso una volta fuori.
-Di essere una brava figlia...- rispose la ragazza con un' occhiata eloquente.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Era stato difficile, ma ce l'avevano fatta. Grazie all'aiuto di Claire erano riusciti a prendere anche il secondo SI. C' erano stati un po' di tumulti ma finalmente l' avevano arrestato. Claire era stata affidata ai nonni che erano venuti a prenderla per portarla a vivere con loro in California. Meredith era andata a salutarla all' aeroporto non senza un po' di commozione, l' aveva abbracciata e le aveva rinnovato la raccomandazione di telefonarle se avesse avuto voglia di parlare. Inizialmente l' agente Prentiss si era offerta di occuparsi della ragazza, ma Hotchner si era opposto e comunque era già stato deciso che sarebbe andata con i nonni. A Meredith aveva fatto piacere questo suo slancio di umanità, aveva dimostrato di avere un gran cuore. Le piaceva sempre di più quella squadra, non erano solo ottimi profiler erano tutti delle persone eccezionali. Aveva rivalutato persino l' agente Morgan, nonostante all' inizio le fosse sembrato un po' ostile aveva capito che quello era soltanto il suo modo di fare. In realtà era un ragazzo d'oro, pronto a farsi in quattro se c'era qualche problema. Era decisamente da ammirare. Poi c'era Garcia l'irresistibile informatica capace di trovare praticamente qualunque cosa e di farti morire con le sue battutine. Era stata una delle prime persone a farla sentire veramente la benvenuta: quando prima di partire per Denver Meredith le aveva portato un caffè nella sua postazione ed era rimasta sulla porta per paura di danneggiare qualcosa se il caffè fosse caduto, lei si era alzata, le era andata incontro con gli occhi che brillavano dietro le lenti degli occhiali e le aveva detto:
-Scricciola, io ti amo già lo sai? Sei la prima persona che mostra un po' di rispetto per il mio regno.-
Meredith non aveva potuto trattenersi dal ridere e Penelope aveva riso con lei. Con JJ non aveva avuto un grande dialogo ma da subito si era rivelata una ragazza in gamba, dolce e gentile e l' aveva fatta sentire veramente a suo agio quando le era andata incontro col suo meraviglioso sorriso per presentarsi e presentarle gli altri. L'agente Hotchner ancora non era riuscita ad inquadrarlo bene, a volte sembrava così imperturbabile chiuso e lontano, ma lei sentiva che dietro il suo sguardo serio c' era tutto un mondo che ancora non riusciva a comprendere. Era questo quello che pensava mentre il jet decollava diretto di nuovo in Virginia. Le dispiaceva da morire dover lasciare quel team fantastico ancora prima di cominciare a conoscerlo davvero, ma purtroppo si era giocata l' unica possibilità che aveva di entrare a farne parte, ed era divenuta consapevole che ciò non sarebbe mai accaduto non appena i suoi occhi avevano incrociato quelli di Jason Gideon. L' uomo non le aveva detto una sola parola a proposito del suo comportamento, e proprio da questo e da come l' aveva guardata, così serio e severo, lei aveva capito. Aveva disubbidito ad un suo ordine diretto e non sarebbe stata perdonata. Ma non era triste, né tanto meno pentita. Se avesse avuto l' opportunità di tornare indietro nel tempo avrebbe fatto esattamente lo stesso. Era fatta così, non poteva evitarlo. Forse per questo motivo Jason le aveva detto che non era ancora pronta per il lavoro di profiler. Una volta arrivati alla sede dell' FBI di Quantico, tutti si misero al lavoro per stendere il proprio rapporto e andare finalmente a casa a riposare, tutti tranne Gideon che fece cenno a Hotch di seguirlo di sopra. Meredith ebbe la certezza che voleva parlargli di lei. “Ci siamo,” pensò con amara rassegnazione “é stato bello finché é durato.” I due uomini salirono le scale ed entrarono nell'ufficio di Aaron. La ragazza si sentiva come un condannato a morte che attende l' esecuzione della sentenza.
-Che hai piccola?- la voce di Garcia che passava di lì in quel momento la distrasse dai suoi pensieri.
-Oh, Penelope ciao mi hai spaventata...- era stata l'informatica stessa a dirle che poteva tranquillamente chiamarla per nome, -... non ho niente solo un po' di stanchezza.- mentì.
-Fatti un bel sonno cucciola.- le scompigliò dolcemente i capelli e se ne andò. Meredith sorrise, ma il suo sollievo durò poco perché Hotch si affacciò in quel momento e le chiese di salire un attimo. Gli altri si distolsero dal proprio lavoro e la guardarono. Non seppe che dire, non voleva neanche incrociare i loro sguardi temeva di scoppiare in lacrime. “Coraggio!” si fece forza e salì le scale diretta verso il suo triste destino.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Lo sguardo dei due uomini nell'ufficio era tagliente come una lama. Non prometteva niente di buono. Se proprio dovevano buttarla fuori si augurò che lo facessero in fretta, non poteva sopportare a lungo quel supplizio.
-Siediti Meredith.- le disse Hotchner facendole tornare in mente la scuola e le sue assidue visite all' ufficio del preside. Nonostante la sua intelligenza, aveva sempre avuto parecchi guai a causa della sua natura indisciplinata e al suo poco rispetto per l' autorità. Semplicemente certe cose non le andavano giù e non aveva nessun timore di mostrarlo e far valere le sue ragioni. Naturalmente la sua altissima media scolastica l' aveva sempre salvata, ma ora non era esattamente la stessa cosa. Sentiva che niente l' avrebbe potuta tirar fuori da quella situazione perciò respirò a fondo e si sedette, augurandosi che fosse una cosa rapida. Gideon si limitava a fissarla, fu Hotch a cominciare:
-Tu lo sai perché ti abbiamo chiamata vero?- le chiese.
-Beh, penso di sì...- rispose vaga lei.
-Bene, allora ti renderai conto da te che hai avuto un comportamento sbagliato.-
-A cosa si riferisce, al fatto che ho disubbidito all' ordine di un superiore o che sono voluta rimanere con Claire?-
-C'è differenza?- chiese l' uomo accigliato.
-Sissignore.- rispose la ragazza guardandolo finalmente negli occhi –Perché per non aver ubbidito sono disposta a scusarmi, ma per essere rimasta con Claire non mi pento affatto.- Entrambi la fissarono senza dire una parola, così andò avanti a parlare:
-Mi dispiace davvero di aver trasgredito l'ordine di rimanere in ufficio, ma non potevo lasciare quella ragazza da sola in ospedale e da questo punto di vista credo di aver agito per il meglio. Era sola, spaventata e ancora sotto shock per ciò che le era accaduto, solo una persona ignobile avrebbe avuto il coraggio di abbandonarla. E io non mi reputo affatto una persona ignobile.- Aveva pronunciato quelle parole guardandoli entrambi con uno sguardo deciso, traendo da dentro sé stessa un coraggio che mai avrebbe sospettato potesse venir fuori di fronte a due uomini del genere.
-Non credo ci sia molto altro da aggiungere allora.- la voce di Gideon finalmente risuonò nella stanza. Il suo sguardo era intenso e penetrante, la ragazza faticava non poco a sostenerlo. Sapeva che cosa voleva dire, lo sentiva in ogni fibra del suo essere. Si preparò a sentirsi dire “Sei fuori.” e ad essere accompagnata alla porta per non fare mai più ritorno, ma ciò che udì aveva un suono totalmente diverso:
-Sono molto fiero di te.-
Silenzio. Aveva sentito bene o quello era piuttosto un tiro mancino giocatole dalla sua mente? Guardò il volto di Gideon e vide che le sorrideva. “Non é possibile...” pensò senza comprendere. Di nuovo il suo stato d' animo trasparì chiaramente dal suo viso, così l' uomo si affrettò a dare spiegazioni:
-Vedi Meredith tu hai commesso una grave mancanza, ma il punto é che hai fatto la cosa giusta. Non ci serve a niente un profiler che ciecamente ubbidisce quasi fosse un cane ad ogni ordine che gli viene impartito. Se c'é una valida motivazione, e credimi la tua lo era, trasgredire é lecito. Non dobbiamo mai dimenticare che le persone sono il fulcro del nostro lavoro: noi cerchiamo di proteggerle facendo tutto ciò che é in nostro potere. Se smettiamo di preoccuparci per loro, allora non siamo più niente. Tu ti sei preoccupata per Claire, le sei stata vicina ed era questa la cosa più importante. Sei ancora giovane e hai ancora moltissimo da imparare nonostante tutto quello che già sai, ma hai imboccato la strada per il verso giusto e sono più che sicuro che un giorno diventerai un' ottima profiler.- Dopo questo discorso Meredith non sapeva più che cosa dire. Un fiume di emozioni la travolse e ci mise qualche minuto prima di ritrovare la parola:
-Ma per entrare nell' FBI bisogna avere almeno ventitré anni e io ne ho ventuno...- disse timidamente.
-Alle questioni burocratiche ci pensiamo noi, tu non preoccupartene.- le disse Hotch.
-Ti ho fatto una promessa ricordi? Io mantengo sempre la parola data.- rincarò Gideon.
A questo punto la ragazza si congedò dai due uomini ringraziandoli a più riprese, tanto che dovettero quasi buttarla fuori dall' ufficio o non avrebbe smesso più. Aveva una gran confusione in testa, si sentiva come ubriaca e provava una gioia indescrivibile. Scese di nuovo nell' open space con le gambe che le tremavano e si accorse che non c'era rimasto più nessuno. “Che peccato,” pensò “mi sarebbe piaciuto condividere con qualcuno la mia felicità.” Prese l' ascensore perché non era molto sicura di riuscire a camminare e uscì godendosi l' aria fresca e frizzante della notte che le accarezzava il volto quasi a voler festeggiare il suo successo.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Una voce conosciuta alle sue spalle la chiamò e lei si voltò. Spencer Reid le stava andando incontro.
-Hey...- fece Meredith sorpresa quando fu abbastanza vicino -...cosa ci fai ancora qui? Pensavo ve ne foste andati tutti.-
-Oh, beh ho finito tardi sai...- non era vero, ovviamente aveva finito prima di tutti ma sarebbe stato troppo imbarazzante per lui rivelarle che in realtà la stava aspettando. Meredith inarcò le sopracciglia un po' incredula ma decise di sorvolare. In fondo era contenta di non essere da sola.
-Beh?- chiese lui curioso.
-Cosa?-
-Che ti hanno detto Hotch e Gideon?-
-Oh quello... Beh sai mi hanno fatto un po' di ramanzine perché ho disubbidito e sono rimasta in ospedale.- rispose lei vaga.
-Capisco...- aveva un' aria visibilmente dispiaciuta.
-Comunque...- continuò Meredith con un sorrisetto malizioso – ti ci dovrai abituare ai miei colpi di testa dato che d' ora in poi lavoreremo insieme.-
Lui ci mise un po' ad elaborare la notizia. Alla fine era successo quello che aveva sperato: l' avevano presa, d' ora in poi avrebbe lavorato insieme a lei, a stretto contatto. Ogni giorno. Si sentiva felice e sul punto di morire allo stesso tempo.
-Complimenti allora.- riuscì a dirle alla fine.
-Grazie!- esclamò con un enorme sorriso stampato sulla faccia.
-E ora torni a casa?-
-No, non ne ho molta voglia.- disse Meredith proseguendo il cammino, così che lui fu costretto a seguirla, - Sai io non dormo molto la notte per via degli incubi, e stasera non riuscirei sicuramente a prendere sonno. Rientrando a quest' ora inoltre rischierei di svegliare i miei coinquilini e preferisco non disturbarli. Perciò é inutile che vada a casa.-
-Che intendi fare allora?-
-Se vieni con me lo scoprirai.- rispose con aria dispettosa e misteriosa allo stesso tempo. Era troppo intrigante per non seguirla. E poi a Spencer non dispiaceva affatto passare un po' di tempo da solo con lei a parlare di qualcosa che non fosse un caso da risolvere. O almeno provarci. Meredith si fermò di fronte alla macchina e Reid le domandò ridendo:
-Questa é tua?- Lei lo guardò fingendo di arrabbiarsi:
-Perché, hai da ridire sulla mia splendida bambina?- chiese.
-No,- fece lui non potendo trattenere un sorriso - solo che é un po'... Particolare! Ma non mi aspettavo niente di normale da te sinceramente.-
-Questa caro il mio genietto ignorante.- disse lei sempre facendo l' offesa – é una Ford Mustang del sessantotto, usata ma in ottime condizioni e...-
-Ed é totalmente viola!- finì Spencer ridendo.
-Se non ti va puoi sempre venire camminando!- Sfidò lei con un’espressione allegre -No, mi va benissimo!- e si affrettò a salire temendo che Meredith fosse davvero capace di lasciarlo a piedi.
-Spero che non avrai da ridire anche sulla musica perché in tal caso ti butterei fuori dalla macchina in corsa.- Avvertì ridendo e facendo partire un cd dei Metallica.
“Ma che razza di tipa é mai questa?” pensò con un sorriso il ragazzo “ ha una macchina viola, ascolta i Metallica e le interessano i casi di omicidio. E ora chissà dove mi starà portando... menomale che ancora non é armata o avrei davvero paura!” Di nuovo la voce maligna nella sua testa tornò a canzonarlo: “Sei proprio un tonto! Dovresti sentirti fortunato, finalmente hai un' occasione. Hai intenzione di sfruttarla o non farai nulla come al solito?” A dir la verità non aveva considerato la cosa da questa prospettiva, e solo a pensarci iniziò a sudare freddo. “Il solito imbranato, non combinerai mai niente!” rincarò la voce maligna. Reid decise di ignorarla. Erano finalmente arrivati: ancora una volta Meredith era riuscita a stupirlo.
-Ma che posto é questo?- le chiese stupefatto mentre scendevano dall' auto.
-Benvenuto nel mio posto segreto, o la mia casa sull' albero come amo chiamarlo.-
In realtà non c'era un albero né una casa, ma un piccolo molo che dava su un fiume. Reid non si ricordava di esserci mai stato, ma doveva ammettere che era bellissimo. Lontano dalle luci della città, una miriade di stelle brillavano di una luce incantevole che si specchiava nell' acqua creando un meraviglioso gioco di riflessi. Il tutto illuminato dalla luna piena, che tonda e splendente si ergeva come una regina in mezzo alla sua corte di piccole stelle.
-E' davvero stupendo, toglie il fiato.- esclamò Spencer.
-Vieni,- Meredith sorrise e fece cenno di seguirla. Si diresse verso il molo, sedette sul cemento coi piedi che pendevano sull' acqua e lo invitò a sedersi accanto a lei. Stettero un po' in silenzio a contemplare la bellezza del paesaggio, e dopo un po' la ragazza ricominciò a parlare:
-Sai, c' è anche un altro motivo per cui mi piace venire qui oltre che per la vista meravigliosa.- Spencer la guardò. Il suo volto illuminato dalla pallida luce della luna era anche più incantevole del paesaggio.
-Quale?- le chiese.
-Prometti di non prendermi in giro però. - disse guardandolo dritto negli occhi. Lui promise e lei andò avanti:
-Quando mia madre é morta, le sue ceneri sono state gettate in queste acque secondo quella che era la sua volontà. Da allora quando ho qualche problema oppure voglio un po' di pace o mi sento troppo sola vengo qui e mi sembra di poter stare di nuovo con lei in un certo senso.- Spencer continuò a guardarla senza dire una parola.
-Lo so che é stupido, ma la bambina che é in me ha ancora bisogno di un contatto con sua madre, seppure illusorio.- Aggiunse visibilmente imbarazzata.
-Non é affatto stupido é naturale.- rispose finalmente lui. Meredith si voltò a guardarlo, e per la prima volta si accorse di quanto fosse tenera quella sua espressione da cucciolo. Si guardarono negli occhi per un istante prima che quasi senza rendersene conto le loro labbra si fondessero in un lungo e tenero bacio che sembrò non avere fine.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


L' acqua gelata della doccia non le aveva affatto dato sollievo. Non riusciva a smettere di pensare alla sera prima, a quel bacio che poteva ancora assaporare se provava a chiudere gli occhi. Un pensiero la tormentava, ma non si trattava di questioni etiche quali la legittimità o meno di simili contatti tra colleghi. Pensieri del genere non si addicevano ad uno spirito libero come il suo, lei seguiva sempre l' istinto e se le andava di fare qualcosa la faceva punto e basta. Era un altro il suo problema. Temeva che Spencer potesse pensare che aveva organizzato tutto di proposito. Si torturava pensando all' opinione che avrebbe potuto farsi di lei, il che era piuttosto insolito dato che non si era mai curata di ciò che pensavano gli altri. Anzi spesso e volentieri si divertiva a provocare le persone, ma ciò che era successo su quel molo non era affatto una provocazione era qualcosa che era nato spontaneamente dentro di lei, e stava esplodendo con una violenza inaspettata che le faceva quasi paura. Ecco perché la sua opinione era così fondamentale. Si sentiva morire non voleva che lui fraintendesse le sue intenzioni. Non si era minimamente accorta della piega che stava prendendo il loro rapporto prima di quella sera. Si sentiva come sull' orlo di un precipizio: se guardava avanti quello che vedeva era una profonda voragine nella quale aveva una paura folle di tuffarsi. Ma aveva anche un disperato bisogno di farlo.
-Le persone che come te hanno sofferto molto.- le aveva detto saggiamente Megan -Hanno sempre paura a lasciarsi andare. Però tesoro, tutti si meritano un po' di felicità, te compresa. Non analizzare le tue emozioni e non temerle: vivile e basta.-
Aveva perfettamente ragione e Meredith lo sapeva. Ciò nonostante navigava in un oceano di dubbi e paure. Non sapeva più dove sbattere la testa. Era chiaro che doveva parlargli ma non sapeva come né quando farlo. Il cellulare vibrò facendola trasalire.
-Ciao Meredith ti disturbo?- la voce di JJ risuonò dall' altra parte. Per un attimo aveva temuto che fosse Reid, si sentì sollevata e delusa allo stesso tempo.
-No, dimmi pure.- rispose senza troppo entusiasmo.
-Bene, volevo solo informarti che é cominciata la procedura per farti entrare nella squadra, e a breve sarai una profiler della BAU a tutti gli effetti.-
-Davvero?- chiese lei esaltandosi. Quello che era successo le aveva quasi fatto dimenticare il resto.
-Si.- rispose ridendo JJ -credevi davvero che per Gideon sarebbe stato un problema aggirare la burocrazia?-
La ragazza non rispose, ma stava cominciando a pensare che quell' uomo potesse davvero tutto.
-Comunque…- riprese l' agente Jereau, -…volevo dirti che se vuoi posso darti una mano con l' esame per la pistola. A meno che tu scelga di non portarla ovviamente, dato che per i profiler non é obbligatorio.-
Meredith ci pensò su un attimo. Lei non sapeva neanche come si teneva in mano un' arma, però scegliere di non portarla avrebbe significato dover stare sempre in ufficio e aveva già dimostrato di non esserne capace.
-No, no va bene anzi grazie per l' aiuto.- rispose alla fine.
-Perfetto allora vieni cominciamo subito. Ti aspetto nel mio ufficio.-
Chiuse il telefono e si diresse in camera sua per vestirsi. In realtà dubitava che una come JJ potesse esserle utile per imparare a usare la pistola. Non sembrava affatto il tipo, non riusciva a vederla con un' arma in mano. Decise di fidarsi comunque, aveva imparato che la vita ti sorprende sempre e non bisogna mai fermarsi alle apparenze. Mentre guidava cercava di non pensare a cosa sarebbe successo se per caso si fosse imbattuta in Spencer una volta arrivata. Era ancora troppo confusa e non si sentiva affatto pronta ad affrontarlo. Arrivata davanti al palazzo dell' FBI parcheggiò la macchina ed entrò, diretta verso l' ufficio di JJ. Non si era minimamente accorta dell' uomo che appostato dalla parte opposta della strada l'aveva seguita da quando era uscita di casa e aveva osservato ogni suo movimento.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


L' esercitazione non era andata poi così male, e le aveva anche dato l' opportunità di conoscere meglio JJ che l' aveva stupita con la sua mira eccellente e la sua immensa pazienza e disponibilità nel correggere i suoi errori. Si sentiva sempre di più come se entrando in quella squadra stesse in realtà andando a far parte di una famiglia, una meravigliosa sensazione di calore che da troppo tempo aveva dimenticato stava nascendo dentro di lei e la faceva sentire come se camminasse a tre metri da terra. Almeno finché non si ritrovò davanti una figura maschile a lei ben nota che la riportò all' istante su questo pianeta: Spencer la stava aspettando davanti alla sua macchina.
"Accidenti," pensò Meredith non senza un po' di panico "proprio ora dovevo incontrarlo?"
-Ciao.- la salutò lui con un cenno della mano come era solito fare. La ragazza notò che non la guardava negli occhi.
-Ciao.- rispose con una nota di imbarazzo nella voce. Avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì avrebbe preferito incontrare chiunque tranne lui, ma ormai era in ballo e decise di ballare.
-Come stai?- gli chiese con tono più sicuro.
-Oh beh...- fece lui -...Benissimo e tu?-
-Benissimo anche io.- rispose - Ero insieme JJ ad esercitarmi con la pistola. Abbiamo esaurito i convenevoli?- chiese spiccia, -Ora me lo dici che stai facendo lì?- sorrise.
Lui finalmente si decise a guardarla. Era estremamente imbarazzato e non disse nulla.
-Devo fare proprio tutto io eh?- gli disse inarcando un sopracciglio e ridendo.
-Ascoltami ti va di prenderci un caffè e chiacchierare un po'? Offro io.-
-Si...Va bene...- rispose lui piuttosto timoroso.
-Perfetto dai sali, ma niente più commenti sulla mia meravigliosa macchina ok?- disse strizzandogli l' occhio.
-Ok!- rise finalmente lui sciogliendosi.
La sua acquisita sicurezza si sgretolò quando vide dove Meredith lo aveva portato. Non era una caffetteria, e neanche un bar. Era un' abitazione.
-Dove siamo?- chiese senza essere troppo sicuro di voler conoscere la risposta.
-A casa mia.- fece lei scendendo dalla macchina. Lui scese a sua volta e la guardò con aria interrogativa.
-Ho detto che ti avrei offerto un caffè, non che lo avrei pagato!- rise.
-Ma, io... Non ho detto niente!- protestò lui.
-La tua faccia dice tutto, ma stai tranquillo non ti accadrà nulla puoi entrare senza paura.- lo canzonò ridendo.
-Divertente!- fece lui ironico.
-Lo sai é tipico di voi maschietti pensare che una ragazza invita un ragazzo in casa sua solo se ha un secondo fine, siete maliziosi di natura.- disse guardandolo con aria di sfida.
-Ah si?- chiese lui divertito.
-Certo!- annuì la ragazza aprendo la porta.
Spencer si guardò un attimo intorno, la casa non corrispondeva affatto al profilo di Meredith, e quando glielo disse lei esclamò con un finto tono offeso:
-Ma come, mi hai fatto il profilo Dottor Reid?-
-Oh beh, sai... In realtà abbiamo parlato di te insieme agli altri... Deformazione professionale, non ci possiamo fare niente...- tentò di scusarsi. Lei si mise a ridere.
-Accidenti io ho fatto la stessa cosa con tutti voi, mi avete già contagiata!-
Il ragazzo fu molto sollevato nello scoprire che Meredith in realtà non era affatto arrabbiata.
-Non avete preso in considerazione un fattore importante però cari i miei profiler sbadati,- disse accingendosi a preparare il caffè, - cioé che io non abito da sola, ho ben due coinquilini.-
-Beh, noi non lo sapevamo. Fino all' altra sera non avevo idea...- si fermò di colpo. Quella ragazza era decisamente una streghetta intrigante. Era riuscita senza che lui neanche se ne accorgesse a farlo cadere sul punto focale di tutto quel discorso. E la cosa più bella era che da come gli sorrideva pareva proprio che avesse escogitato tutto di proposito.
-Bene finalmente sono riuscita a sbloccarti!- annunciò trionfante.
-Lei é veramente subdola,- la accusò puntandole il dito,- ma non posso fare altro che complimentarmi per le sue eccellenti capacità Dottoressa Nelson.- disse ridendo.
-Sono un genio o no?- rise lei a sua volta.
-Tornando seri.- riprese dopo qualche minuto -Io non vorrei che tu ti fossi fatto strane idee riguardo a quello che é successo l' altra sera.-
-In che senso?- chiese Spencer.
-Beh non vorrei che tu pensassi che ti ho portato lì di proposito.- Era di nuovo in imbarazzo, e mentre parlava si concentrava sulla moca, quasi come se guardandola avesse potuto in qualche modo contribuire alla preparazione del caffè. Reid si alzò e le andò vicino. La afferrò per le spalle in modo che fosse costretta a guardarlo.
-La vuoi sapere qual' é l' unica cosa che penso?- domandò.
Meredith ci mise un po' a rispondere, perché guardandolo negli occhi ebbe di nuovo quella sensazione che aveva provato all' ospedale, come se il suo sguardo potesse scrutare dentro la sua anima e leggere ciò che celava nel profondo. Però ora, anche a lei sembrò di potergli leggere dentro e si rese conto che lui provava esattamente le stesse cose che sentiva lei, che aveva un disperato bisogno che qualcuno lo salvasse dai suoi incubi come lo aveva lei. E realizzò di voler essere quel qualcuno.
-Dimmelo.- rispose alla fine la ragazza.
-Penso che quello che é successo l'altra sera sia la cosa migliore che mi sia mai capitata.- affermò senza neanche rendersi conto di ciò che diceva. Ora non si sentiva più impacciato come prima, lei lo faceva sentire diverso come se avesse una qualche sorta di benefica influenza su di lui.
-E' buffo.- fece Meredith guardandolo teneramente -E'la stessa cosa che penso anche io.- si guardarono negli occhi e fu come se il mondo intero avesse smesso di girare. C'erano solo loro due, il centro dell' intero universo consisteva nelle loro labbra unite e nella passione che trasmettevano, che li travolse e non si esaurì finché il caffè non fu del tutto evaporato.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Si svegliarono entrambi di soprassalto, perché i loro cellulari vibravano in contemporanea. Si erano addormentati l' uno nelle braccia dell' altra ed erano miracolosamente riusciti a non essere preda dell' insonnia e cosa che sembrava ancora più incredibile, ad avere un sonno senza incubi. Sul display del telefono di Reid lampeggiava la scritta “Jason Gideon”, su quello di Meredith c'era invece il nome “Aaron Hotcher”. Si guardarono allarmati: va bene essere ottimi profiler, ma non era possibile che li avessero già scoperti! La ragazza corse fuori per evitare che Hotch potesse sentire la voce di Spencer.
-Pronto?- disse chiudendosi la porta alle spalle.
-Ciao Meredith, ho bisogno che tu ci raggiunga in ufficio subito, abbiamo un nuovo caso.-
La ragazza emise un sospiro di sollievo.
-Bene, arrivo.- disse e riagganciò. Riaprì la porta e scambiò uno sguardo eloquente con Reid che aveva avuto la stessa conversazione con Jason.
-Accidenti che infarto!- disse la ragazza.
-Per poco non morivo!- fece lui, ed entrambi scoppiarono a ridere come due bambini che dopo aver rubato la marmellata alla mamma l'avevano fatta franca. Meredith si sedette sul letto e abbracciò Spencer che la baciò con trasporto. Lei si staccò e mordicchiandogli l' orecchio sussurrò:
-Niente bis, si rivesta Dottor Reid dobbiamo andare a lavoro.-
-Agli ordini capo!- rispose il ragazzo con la stessa espressione di un bambino a cui viene tolto un bel giocattolo mentre lei si alzava per andare a fare la doccia. Una volta usciti di casa però sembrò tornare il vecchio imbarazzato Spencer:
-Io vado col taxi.- disse – Non mi pare il caso di arrivare insieme con la tua macchina.- Meredith rimase un po' male, ma in fondo sapeva che aveva ragione lui e acconsentì. Attese circa quindici minuti dopo la partenza del taxi in modo da non arrivare in contemporanea e si avviò anche lei. Durante il viaggio ripensò un paio di volte a quello che era successo. “Te ne rendi conto vero che sei già nei guai fino al collo e ancora non hai nemmeno cominciato?” rimproverò una voce nella sua mente. Si, se ne rendeva conto perfettamente ma non le importava affatto. Il suo pensiero tornava sempre alla sera prima e per una volta nella sua vita fece la cosa giusta e seguì il consiglio di Megan: niente analisi dei pro e dei contro, dei come e dei perché. Era semplicemente qualcosa di meraviglioso che le stava accadendo e che era ben intenzionata a vivere appieno. E al diavolo l'etica e i ragionamenti contorti. Per una volta la mente non avrebbe vinto sui sentimenti. Parcheggiò l' auto e fu felice di vedere che il Taxi non c'era per cui Spencer doveva essere già arrivato. Mentre si avviava all' interno dell' edificio notò con la coda dell' occhio la figura di un uomo che sembrava osservarla da una macchina ferma sull'altro lato della strada. Decise di non farci caso, probabilmente era tutto frutto della sua immaginazione. La squadra era già riunita Meredith si scusò per il ritardo e si sedette nella sedia vuota tra Morgan e Reid senza rivolgere neanche uno sguardo di sfuggita a quest' ultimo. Non voleva destare il benché minimo sospetto.
-Bene, ora che ci siamo tutti possiamo cominciare.- annunciò JJ. -Siamo stati contattati dalla polizia di Los Angeles per una serie di omicidi avvenuti negli ultimi tre mesi, tutti nella stessa zona e con lo stesso modus operandi. Anche il tipo di vittime é lo stesso: maschi bianchi tra i trentacinque e i quaranta tutti sposati con bambini,uccisi con un colpo di pistola alla tempia nella loro auto mentre tornavano a casa dal lavoro.-
-Quante vittime ci sono state per il momento?- chiese Hotch.
-Quattro.- fece JJ – La polizia locale ci ha contattati perché temono sia opera di un assassino seriale.-
-C'è qualche collegamento tra le vittime?- domandò Emily.
-Apparentemente nessuno.-
-Bene.- sentenziò Gideon,- mi sembra che non ci sia molto da aggiungere, partiamo il prima possibile.-
-Il Jet é già pronto.- disse JJ con un sorriso.
-Ho ho!! allora andiamo nella città degli angeli!- disse Morgan piano a Reid strizzandogli l' occhio. Meredith li guardò senza capire e Spencer evitò il suo sguardo. Los Angeles era la città dove viveva Lila Archer.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


“Innamorarsi non é una colpa, innamorarsi non é una colpa...”
Spencer si ripeteva mentalmente questa cantilena per auto convincersi che non ci fosse nulla di sbagliato in ciò che era successo con Meredith. Era seduto sul Jet che li stava portando a Los Angeles e guardava alternativamente prima la punta delle sue scarpe poi quando pensava che nessuno lo stesse osservando sbirciava in direzione di Meredith che sedeva accanto a JJ qualche posto più avanti, con le cuffie nelle orecchie e lo sguardo perso fuori del finestrino.
“Probabilmente starà ascoltando una qualche canzone metal...” pensò lasciandosi sfuggire un sorriso tenero, “Certo che é bella davvero...” distolse lo sguardo e tentò di ricacciare indietro i ricordi che gli si affollavano nella mente. Temeva quasi che qualcuno potesse leggere i suoi pensieri e scoprire quello che era successo. Era ancora piuttosto confuso in realtà non capiva bene come era possibile che una ragazza simile si fosse interessata proprio a lui.
“Forse é un sogno e domani mattina quando mi sveglierò scoprirò che lei non é mai neanche passata da queste parti.” pensò guardando fuori dal finestrino con un sospiro. Morgan gli dette una pacca sulla spalla che lo riportò alla realtà.
-Allora,- scherzò -sei pronto per rivedere la tua vecchia fiamma?-
Spencer fu grato del fatto che Meredith stesse ascoltando la musica e non potesse sentire.
-Non é divertente.- disse guardando di sottecchi il collega.
-Che c'é non si può più scherzare? Ma che ti prende?- chiese Derek inarcando le sopracciglia.
-Niente, non sono dell' umore adatto.- mentì il ragazzo. Doveva fare molta attenzione a come si comportava, o rischiava di destare sospetti in quegli abilissimi profiler che erano i suoi colleghi. In sostanza, gli sarebbe servito un miracolo. Iniziò a parlare a Derek del caso per sviare il discorso. Atterrati a Los Angeles si diressero alla centrale della polizia locale, dove vennero accolti un po' freddamente. All' inizio i poliziotti del luogo erano sempre restii ad accettare quella che loro consideravano una intrusione da parte dell' FBI. D' altra parte era stato il loro capo a chiamarli quindi avevano poco da lamentarsi. JJ si fece subito indicare una stanza dove potessero sistemarsi, e la squadra si riunì per fare mente locale.
-Allora,- iniziò Gideon.- abbiamo quattro omicidi simili avvenuti nella stessa zona negli ultimi tre mesi. Che cosa sappiamo?-
-Tanto per cominciare… - fece Morgan – L’ SI é probabilmente una persona che abita oppure ha abitato nel quartiere e sa come muoversi al suo interno.-
-Non solo, sceglie sempre come vittime uomini sposati e con bambini, forse li invidia perché hanno quello che lui non ha.- disse Emily.
Hotch notò che Meredith sembrava assente.
-Che hai?- le chiese.
-Pensavo che il modus operandi é molto strano.- rispose la ragazza pensierosa, - Gli assassini seriali solitamente traggono un qualche tipo di piacere dall' omicidio. Ma sparare un colpo di pistola alla testa é un modo freddo e rapido di uccidere qualcuno. Sembrano quasi delle esecuzioni.-
-E' vero…- fece Reid – le vittime potrebbero aver fatto qualcosa all' SI che le ha punite. Oppure lui ne é convinto.-
-Si ma cosa? A parte l' età e la famiglia questi uomini non hanno altro in comune. Cosa potrebbero aver fatto che ha indotto l'SI a decidere di eliminarli?- chiese Hotch.
-Qualcosa ci sfugge.- affermò Gideon – Sento che stiamo tralasciando qualche particolare.-
Il telefono di Morgan vibrò, era Garcia e lui mise in viva voce.
-Dicci tutto bambolina.- la esortò il profiler.
-Mi sono arrivate fresche fresche nuove foto dalle scene del crimine. Sembra che un dettaglio sia emerso solo ora. Ve le mando.- Pochi minuti dopo arrivarono quattro fotografie raffiguranti le nuche delle vittime. Su di ognuna vi era inciso un piccolo pentacolo.
-Satanismo?- esclamò Morgan sbalordito.
-Non é detto.- fece Meredith,- guardate bene, questi pentacoli non sono rovesciati perciò il satanismo non c'entra affatto. Pochi sanno che il pentacolo in realtà non é un simbolo negativo o satanico, nel paganesimo stava infatti ad indicare l' unione mistica e l'equilibrio dei principi che regolano l' universo: quello maschile e quello femminile e in epoca classica era associato al culto della dea Venere.-
Gli altri la guardarono un po' sconcertati e si voltarono verso Reid come a chiedere conferma.
-Ha ragione...- affermò quest' ultimo imbarazzato nel ricevere tanta attenzione.
-Quante probabilità ci sono che anche l' SI sapesse queste cose?- chiese Emily.
-Li ha disegnati tutti e quattro dritti, non può essere un caso.- disse Meredith.
-Bene, tu e Reid lavorate su questi simboli Prentiss e Morgan andate a parlare con le famiglie mentre io e Hotch ci recheremo sulla scena del crimine.- disse Gideon con fare sbrigativo.
-Non capita tutti i giorni di incontrare qualcuno che sappia tante cose su un simbolo.- disse Spencer ammirato.
-Beh sono sempre stata appassionata di semiotica.- ammise Meredith lusingata.
-Oh no!- fece Morgan – ecco un' altra ragazzina con degli hobby assurdi. Divertitevi voi due.- e uscì ridendo.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Avevano lavorato per un ora sui pentacoli senza riuscire a capire cosa potesse significare il fatto che l' SI li incidesse sulla nuca delle vittime dopo la morte, come l'autopsia aveva stabilito.
-Ok, é chiaro che questa é una firma e che non ha un significato satanico.- disse Spencer – E allora cosa vuol dire? Perché inciderli?-
-Ha ragione Gideon ci sta sfuggendo qualcosa...- sospirò Meredith. Reid si appoggiò allo schienale della sedia e chiuse gli occhi per pensare meglio.
-Per quale motivo un uomo dovrebbe uccidere degli uomini che tornano a casa dal lavoro marchiandoli successivamente con un simbolo che viene associato alla dea Venere e all' equilibrio tra i due sessi?-
-Apparentemente non ha senso. A meno che...- sgranò gli occhi e guardò Spencer come folgorata da una improvvisa illuminazione.
-Cosa?- chiese lui.
-A meno che l'SI non sia un uomo, ma una donna.- Il ragazzo parve essere colpito dalla stessa folgorazione.
-Certo, questo spiegherebbe anche come mai gli spara invece di aggredirli fisicamente.-
-Essendo una donna non ne ha la forza.- completò Meredith,- dobbiamo chiamare gli altri.-
-Io telefono a Garcia vediamo che salta fuori.-
La ragazza parlò con Morgan ed Emily e disse loro di indagare sulla presenza di donne sospette nella vita di quegli uomini ma non uscì niente. Sembravano tutti mariti modello, nessuno li aveva mai visti con donne che non fossero le mogli. Spencer fu più fortunato, Penelope scoprì che sotto la facciata di quelle famiglie apparentemente felici si nascondevano dei problemi, dato che tutte vedevano la medesima consulente matrimoniale una certa Karen Wallace. La donna aveva un passato di violenze subite prima dal padre poi dall' ex marito e questo spiegava probabilmente il fatto che punisse gli uomini. Forse li incolpava dei problemi che le famiglie avevano e rivedeva il padre e l'ex in loro. Quando la arrestarono non si trovava nel suo studio, ma davanti alla casa di un altra famiglia in terapia da lei, i Mc Farland, e attendeva con la pistola in mano che il marito James rincasasse. Si arrese quasi subito e confessò gli omicidi.
-Magari tutti i casi filassero così lisci,- esclamò Emily quando rientrarono alla centrale- siete una forza voi due insieme.- fece rivolta a Meredith e Reid. I ragazzi sorrisero lusingati,e videro con piacere che il volto di Gideon era pieno di orgoglio.
-Il Jet non sarà pronto fino a domani mattina,- disse JJ- perciò ho prenotato delle stanze in un albergo qui vicino.-
-Bene, stasera ci diamo alla pazza gioia!- esclamò Morgan.
-Io voglio fare un giro per la città.- sorrise Emily.
-Aspettatemi vengo con voi.- si unì JJ.
-Credo che farò visita ad un vecchio amico, vieni con me?- disse Gideon rivolto a Hotch.
-Perché no?- rispose quest' ultimo – e voi che fate?- disse rivolto ai due ragazzi.
-Io sono stanca, devo ancora abituarmi credo che me ne andrò a dormire.- rispose Meredith.
-Ti accompagno.- fece Reid e se ne andarono. Jason e Aaron si scambiarono uno sguardo, ma non dissero nulla.
-Che non ti vengano in mente strane idee,- avvisò Meredith puntando il dito e ridendo una volta saliti sul Taxi diretto all' albergo.- quello che ho detto é vero, sono stanca morta. E poi qualcuno potrebbe vederci.-
-Cosa ho fatto ora?- disse Spencer con aria da cucciolo bastonato. Era troppo irresistibile e la ragazza gli schioccò un bacio sulle labbra, per poi scostarsi subito ed esclamare:
-Ho detto di no!-
-Prima mi baci e poi mi dici no? Tu hai qualche rotella fuori posto te lo dico io.- la prese in giro lui baciandola di rimando.
Scesero dal Taxi e il sorriso di Reid si congelò una volta entrati nella hall. Una figura femminile lo salutò con la mano e gli andò incontro sorridendogli.
-Ciao Spencer!- fece la ragazza abbracciandolo. Lui si discostò visibilmente imbarazzato e pronunciò un tremante -C... ciao Lila.-

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


“E questa gatta morta chi diavolo é?” pensò Meredith con rabbia. “No, calma. Io non sono una gelosa, e poi non ho nessun diritto di esserlo. Non lo so neanche io cosa c'é fra noi.” disse a se stessa tentando di placare l' ira che si impossessava di lei.
-Allora, come stai? E' un po' che non ci sentiamo.- disse Lila sorridendo a Spencer.
-Bene grazie...- rispose quest' ultimo- Sono stato molto occupato, sai...-
-Beh, ora sei qui.- sorrise lei maliziosa. - Per quanto ti fermi?- chiese.
-Poco, io... Noi eravamo qui per un caso ma domani mattina ripartiamo.-
-Ah, capisco...- fece squadrando Meredith dalla testa ai piedi. - E tu sei?-
-Lei é una mia collega , la dottoressa Meredith Nelson.- rispose Reid al suo posto.
“Si, e sono anche l' ultima persona che vedrai se non la pianti di fare l' oca giuliva.” pensò la ragazza guardandola di sottecchi e stringendo forse un po' troppo la mano che Lila le porgeva.
-Piacere di conoscerti.- disse questa con un sorriso che sembrava molto falso. Meredith non rispose e accennò un mezzo sorriso stirato.
-Bene, che ne dici di farci  un giretto in memoria dei vecchi tempi?- disse Lila sorniona rivolgendosi di nuovo a Spencer.
-Io... Non so, dovrei andare a dormire credo... Domani mattina devo alzarmi presto.- rispose lui imbarazzato guardando Meredith, che però non ricambiava lo sguardo.
-Oh, andiamo!- incalzò la Archer – l' ultima volta siamo stati bene no?- chiese civetta sbattendo le ciglia. Era decisamente troppo, non poteva sopportare quell' ochetta odiosa un minuto di più. Doveva assolutamente allontanarsi o non avrebbe più risposto di sé. Che se ne andassero al diavolo, non le importava niente.
-Ma si, in fondo puoi dormire anche domani mattina sul Jet, perché non vai? Io me ne andrò dritta a letto. Buona notte.- disse gelida senza guardare nessuno dei due e incamminandosi alla reception per farsi dare la chiave della stanza.
-Ma...- accennò Spencer sconsolato rendendosi conto di essere nei guai fino al collo. Perché doveva sempre andarsi a cacciare in situazioni imbarazzanti?
-Che ragazza strana...- fece Lila - Allora vogliamo andare?- chiese sorridendo.
-Ecco...- non era del tutto sicuro ma lei lo trascinò via e non lo lasciò finire. Meredith si chiuse nella sua stanza e si sdraiò sul letto. Non voleva pensare a nulla ma le riusciva parecchio difficile prendere sonno. Molto più del solito. Continuava ossessivamente a lanciare occhiate all' orologio e la sua ansia cresceva di minuto in minuto. Andò in bagno, aprì il rubinetto del lavandino e si gettò dell' acqua fredda sulla faccia. “Non me ne importa niente!” pensò guardando la propria immagine riflessa nello specchio come a volersi persuadere. Tornò a sedersi sul letto e mentre tamburellava nervosamente con le dita sul comodino il suo cellulare vibrò. Sul display lampeggiava il nome di Oliver. Doveva aver ricevuto il messaggio in cui lo avvisava che sarebbe tornata l' indomani mattina e che non dovevano aspettarla.
-Ehilà, come te la passi a Los Angeles? Hai incontrato qualche celebrità?- scherzò l' amico.
-No, mi sono rintanata nella solitudine della mia camera d' albergo e tento di trattenermi dal disintegrare qualcosa.- fece lei cupa.
-Mi prendi in giro?- chiese lui incredulo.
-No purtroppo.-
-Ma cosa é successo, stai bene?-
-Si, benissimo.- rispose lei sarcastica.
-Meredith mi stai facendo preoccupare, e se non vuoi che trascini la povera Megan che é appena andata a dormire sul prossimo volo per Los Angeles farai meglio a parlare.- intimò Oliver.
-Non ho voglia di parlare, e poi sono cose da ragazze.-
-Ah si? Ma guarda un po'... E non eri tu quella che diceva che l' unica differenza tra gli uomini e le donne é nel fisico, e che il resto é tutto frutto dei condizionamenti sociali che i bambini e le bambine subiscono fin dalla nascita?- la stuzzicò lui citando uno degli argomenti che le stavano più a cuore.
-Io e un' ampia corrente di pensiero, si e allora?-
-E non é forse vero che siamo cresciuti insieme, ci vogliamo bene come se fossimo fratelli e finora abbiamo sempre condiviso tutto?-
-E' vero.- ammise la ragazza con un sorriso.
-E allora tra noi stupidaggini simili non esistono. Perciò sputa il rospo.-
-Accidenti a te!- si mise a ridere lei - mi hai incastrata.-
-E non dimenticare che ti ho fatta ridere, sono due punti per me.- annunciò trionfante il ragazzo.
-Ok, ok... ma é una cosa stupida.-
-Aspetta fammi indovinare. C'entra per caso il tuo genietto?-
-La vuoi piantare di chiamarlo così?- lo rimproverò lei ridendo. - Comunque si, c'entra lui e il fatto che sono la più grande stupida che abbia mai calpestato il suolo terrestre. Abbiamo incontrato una sotto specie di... Barbie ammiccante e ancheggiante che a quanto ho capito ha avuto una storia con lui in passato.-
-Dimmi che l' hai presa a calci ti prego!- esclamò Oliver.
-Si, magari...- fece Meredith – …no, anzi lei gli ha chiesto di andare a fare un giro “in memoria dei vecchi tempi”, lui tentennava ma io l'ho spinto ad accettare e mi sono chiusa in camera.-
-Tu hai fatto cosa?- chiese il ragazzo sbalordito.
-Hai capito benissimo, ma non é un problema, anzi non me ne importa affatto.- rispose lei alzando le spalle.
-Oh certo! E scommetto che é perché non te ne importa niente che non riesci a dormire e fissi nervosamente l' orologio ogni due secondi, vero?-
-Come fai a saperlo? Mi hai per caso messo una cimice addosso?-
-No cara, é che ti conosco come le mie tasche.-
-Oh, e va bene!- si arrese, - mi importa eccome signor so tutto io, e mi sto struggendo. Contento? Avresti davvero dovuto iscriverti a psicologia piuttosto che a legge!-
-Almeno l' hai ammesso, é già qualcosa. No grazie ne basta una di strizza cervelli in casa.- la prese in giro lui.
-Non mi chiamare così!-
-Comunque che intendi fare ora?- riprese le fila del discorso.
-Che vuol dire?-
-Andiamo non mi dirai che vuoi rimanere chiusa in camera?-
-Certo che si! Ormai é andata così, di certo non uscirò a cercarli. Sarebbe stupido oltre che inutile. Hai idea di quanto sia grande Los Angeles?-
-Senti, fai come vuoi ma se non combatti non otterrai mai niente. Eppure solitamente sei una che lotta per i suoi obbiettivi e non si arrende di fronte alle difficoltà.-
-Si ma ora é diverso.-
-Per quale motivo?-
“Perché sono terrorizzata.” pensò con un sospiro la ragazza.
-Se non impari a non temere i tuoi sentimenti non sarai mai davvero felice.-
Accidenti a lui, riusciva a capire sempre quello che pensava!
-Lo so,- ammise- ma non é una cosa semplice.-
-Te ne pentirai se non ci provi, io lo dico per te. Buona notte piccola pazza me ne vado a dormire ora.-
-Ok, buona notte anche a te. Ah, Oliver...-
-Dimmi.-
-Lo sai che ti adoro vero?-
-Beh si, lo so sono irresistibile!- scherzò lui, e mise giù mentre lei rideva. Meredith fece un profondo respiro e uscì dalla stanza dirigendosi al piano superiore dove si trovava quella di Spencer. Ma fatti pochi passi vide una scena che la lasciò di sasso: Lila stava baciando Reid davanti alla porta della sua camera. Il ragazzo si accorse della sua presenza ma era troppo tardi, lei si lanciò correndo giù per le scale con gli occhi pieni di lacrime e richiuse la porta dietro di sé più in fretta che poté, lasciando che lui continuasse a chiamarla invano.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Erano ormai dieci minuti abbondanti che bussava a quella porta e non otteneva nessuna risposta. Sentiva singhiozzare piano dall' altro lato, ma non usciva altro suono. Era devastante.
-Ti prego aprimi.- disperato ripeteva la stessa frase, che però non sortiva alcun effetto. Meredith rimaneva chiusa nel suo ostinato silenzio. Reid si appoggiò con la fronte sul legno della porta, la mano destra fino a quel momento chiusa a pugno si aprì e scivolò lungo la porta in un gesto di disperata rassegnazione. Rimase così per alcuni minuti, poi si scostò e si diresse verso la sua camera con la morte nel cuore. Se solo avesse potuto parlarle. Ma lei non sembrava volerlo ascoltare. Giunto in fondo al corridoio vide che Lila sostava ancora davanti alla sua porta, lì dove l' aveva lasciata per correre dietro a Meredith. La rabbia si impadronì di lui.
-Che cosa ci fai ancora qui?- chiese tagliente.
-Ti prego non odiarmi. Mi dispiace tanto.- rispose lei.
-Ah ti dispiace? A me non sembravi così dispiaciuta quando mi hai baciato nonostante ti avessi spiegato come stavano le cose.- fece lui sarcastico. Gli occhi di Lila si inumidirono.
-Io non volevo accettarlo. Mi sono comportata da stupida é vero. Non avercela con me per favore, non volevo metterti nei guai.-
-E' un po' tardi per questo. Buona notte Lila.- sibilò lui gelido passando oltre e chiudendosi in camera. La ragazza scoppiò a piangere e se ne andò. Il mattino dopo, Meredith tentava invano di nascondere con un po' di trucco i segni che aveva intorno agli occhi dovuti all' azione combinata dell' insonnia e delle lacrime. Le tremavano le mani al punto che mentre si dava il mascara sbagliò mira e centrò la pupilla. Chiuse l' occhio dolorante e scagliò con rabbia l' applicatore nel lavandino. Non c' era niente che andasse per il verso giusto. Aveva di nuovo voglia di piangere ma  riuscì a trattenersi. “Dopo tutto per quale motivo dovrei stare male?” si disse vestendosi, “tra noi non c' era nulla, ci siamo baciati un paio di volte e abbiamo fatto l' amore. E allora? Nel Medio Evo forse ci avrebbero imposto di sposarci, ma al giorno d' oggi la gente fa queste cose con estrema naturalezza e senza la benché minima implicazione sentimentale. Perché mai sono stata tanto sciocca da pensare che tra noi ci fosse qualcosa di più?” chiuse la borsa con uno scatto rabbioso e uscì dalla camera. Per poco non inciampò su di una elegante figura femminile che la attendeva davanti alla porta avvolta in una morbida vestaglia di seta. Era Lila.
“Ma che cavolo ci fa la Barbie qui? Ha per caso deciso di morire? Perché se é così sarò lieta di darle una mano.” pensò guardandola di sottecchi.
-Ciao.- la salutò. Meredith non rispose e continuava a fissarla.
-Come stai?- azzardò l' altra.
-Non sono affari tuoi.- sbottò – E vedi di risparmiarmi le smancerie sono totalmente fuori luogo. Che cosa vuoi?-
-Capisco che sei arrabbiata ma ti prego almeno di ascoltarmi.-
-Io non sono affatto arrabbiata sono solo in ritardo.- mentì,- E ti prego di toglierti di mezzo visto che qualunque cosa tu abbia da dire non mi interessa.-
-Voglio solo spiegarti come sono andate le cose. Tu hai frainteso.-
-Io ci vedo benissimo non ho bisogno di spiegazioni tanto meno da parte tua. Ma ti ripeto che la cosa non mi interessa.-
-Non saresti scappata se non ti interessasse. Ti chiedo solo cinque minuti.-
-Facciamo due.- concesse lei - E vedi di muoverti ho un aereo da prendere.-
-Prima di tutto voglio che tu sappia che mi dispiace.- cominciò Lila. I suoi occhi sembravano sinceri e la rabbia di Meredith si placò un po' .
-Non hai niente di cui scusarti e comunque non é con me che devi farlo.- disse con tono più tranquillo.
-Si invece. Tu ora ce l' hai con Spencer ma la colpa é solo mia. Sono io che l' ho baciato nonostante mi avesse spiegato tutto. Mi sono comportata in maniera scorretta.-
-Ma insomma che cosa vuoi?- si spazientì di nuovo la ragazza.
-Io non cerco il tuo perdono anche perché non credo tu sia disposta a concedermelo. Ti prego solo di non avercela con lui. I suoi sentimenti nei tuoi confronti sono sinceri e non voglio che soffra per colpa mia. Lo sai, - disse con gli occhi velati di tristezza, - non ha fatto altro che ignorare le mie attenzioni e parlare di te tutto il tempo. E dovevi vedere il suo sguardo mentre lo faceva. Sono stata sopraffatta dall' invidia e dal desiderio che lui parlasse così anche di me e che mi rivolgesse quello sguardo. Ma per me non c'é più posto nella sua vita e me ne sono resa conto troppo tardi.-
Meredith trasse un profondo respiro e si morse il labbro inferiore. Non sapeva cosa dire.
-Ora devo proprio andare, mi staranno aspettando.- fece alla fine.
-Va bene,- disse Lila sconsolata congedandosi,- scusami per il disturbo.-
Meredith scese le scale e la sua testa era nella confusione più totale. Non ci capiva niente. Riconsegnò la chiave alla reception e uscì. Quasi le venne un colpo quando vide che Spencer era fuori dall' hotel. Probabilmente la stava aspettando.
-E gli altri?- domandò la ragazza senza guardarlo negli occhi.
-Sono già partiti. Ho detto loro che ti avrei aspettata.- rispose lui. Meredith sentiva che i suoi occhi erano puntati su di lei ed era come se il suo sguardo la attraversasse.
-Lo sai, ho appena finito di parlare con la tua amichetta.- disse sarcastica guardandolo finalmente negli occhi.
-Oddio…- scherzò lui - e dove si trova il cadavere?-
-Quanto sei scemo!- rise lei avvicinandosi.
-Mi ha raccontato tutto.- riprese guardandolo intensamente.
-Oh.- fece Reid preoccupato- E come mai sono ancora vivo?-
-La smetti?- disse ridendo la ragazza. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò.
-E questo cos' era?- chiese lui inarcando un sopracciglio.
-Era un bacio.- rispose Meredith ridendo.
-L' avevo capito anche io. Però sono un po' confuso... Non eri arrabbiata?-
-Si prima lo ero. Ma vedi non credo ci siano molti ragazzi che avrebbero respinto una come Lila per me. Devo riconoscerlo mi ha fatto davvero piacere.- lui la guardò senza rispondere.
-Sarà meglio che ci muoviamo ora o ci daranno per dispersi.- fece lei sbrigativa incamminandosi. Spencer non si mosse, la tirò per un braccio avvicinandola a sé e le dette uno di quei lunghissimi baci che tolgono il fiato e fanno girare la testa, tanto che Meredith dovette aggrapparsi a lui perché non sentiva più il suolo sotto i suoi piedi.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Che cosa era che l' aveva spinto a tornare in quel luogo? Frammenti di un passato che a stento riusciva a dimenticare. Un peso che gravava sul cuore come un macigno. L'aveva cercata, l' aveva trovata e ora la osservava di nascosto. Come un ladro, un mostro. Era bella, come poche donne al mondo riuscivano ad essere senza fare assolutamente nulla. E le somigliava, Dio se le somigliava! La sua Natalia viveva negli occhi di quella ragazza, nel suo viso, nei capelli, le mani... Tutto combaciava. Aveva provato a resistere all' impulso, ma era troppo forte il desiderio di sfiorarla, di fare in modo che quei meravigliosi occhi azzurri incontrassero i suoi. L' aveva fatto qualche giorno prima, quando lei tornava a casa probabilmente da un viaggio di lavoro. Aveva preso coraggio e con il cuore che batteva a ritmo forsennato le era andato incontro. Era stato un attimo: quegli occhi l' avevano finalmente visto. Ma amara era stata la sua delusione quando dalle labbra di lei erano uscite delle frettolose scuse per averlo urtato e nient' altro. La ragazza aveva proseguito il suo cammino con passo svelto. No lui non esisteva, non per lei almeno. Ferito e disilluso, si era di nuovo rifugiato nel suo angolo da dove poteva vederla senza essere visto. Osservava ogni suo più piccolo movimento, conosceva a menadito ogni sua abitudine e la studiava attentamente. Non sapeva se avrebbe osato ancora avvicinarla, la delusione del precedente incontro era ancora troppo grande. Era un vigliacco e lo sapeva. Un pluridecorato ex ufficiale della marina come lui avrebbe dovuto avere più coraggio. Ma il suo segreto gli ricordava quanto tutte le sue medaglie altro non erano che una fragile facciata. Lei era il suo segreto, quella ragazza tanto bella quanto in gamba che lui puntualmente spiava. Ogni giorno non faceva che pensarci, era la sua ossessione. Nonostante fosse molto occupato dal suo nuovo lavoro non faceva altro che aspettare, attendeva con ansia il  momento in cui sarebbe potuto finalmente andare da lei. Vederla non appagava totalmente il suo desiderio, avrebbe voluto parlarle. Ma come avrebbe potuto rivolgerle la parola? Lei non sapeva niente di lui neanche il suo nome. E se anche l' avesse saputo probabilmente non avrebbe fatto alcuna differenza. Pensieri simili lo facevano impazzire. Ma forse era meglio così, lei non avrebbe mai potuto amarlo per ciò che era, perché era un essere abbietto. E allora non era forse meglio continuare a tacere, ad osservarla da lontano come fosse qualcosa di irraggiungibile? Anche se questo significava sentirsi una persona meschina e vile. Almeno aveva la consolazione di vedere splendidi sorrisi distendersi su quel volto che tanto amava, nonostante sapesse benissimo che non era e non sarebbero mai stati rivolti a lui lo facevano sentire bene. Niente lo calmava, erano solo briciole di pane quelle che raccoglieva e non gli bastavano più. Un contatto, non chiedeva altro. Valeva la pena tentare di nuovo anche se sapeva che probabilmente sarebbe tornato nel suo angolo con la coda fra le gambe. No stavolta sarebbe stato diverso, lo sentiva. Avrebbe tentato il tutto per tutto, lei non lo avrebbe ignorato mai più. A qualsiasi costo. Scese dall' auto e attraversò la strada attendendo che la ragazza parcheggiasse e si accingesse ad entrare negli uffici del bureau dove lavorava. “Ora o mai più.” pensò andandole incontro con passo deciso.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


La ragazza stava chiudendo la portiera della macchina e non vide affatto l'uomo che sopraggiungeva dietro di lei. Sentì però il suo tocco leggero sulla spalla e un brivido le corse su per la schiena. Si voltò per vedere chi fosse, e non riconoscendolo lo guardò con aria interrogativa. Era alto più o meno un metro e ottanta, sulla cinquantina, i capelli fini color biondo scuro in mezzo al quale cominciavano a spuntare isolate ciocche bianche avevano un taglio che ricordava quello dei militari e il suo volto era solcato qua e là da rughe che gli conferivano un aspetto maturo. Quello che la impressionò maggiormente furono però i suoi occhi, erano inquietanti di un colore non ben definito tendente al grigio e la fissavano come se volessero fotografare ogni centimetro del suo corpo. Non le piaceva affatto, ma avendo frequentato corsi di autodifesa in passato e trovandosi proprio di fronte alla sede dell' FBI non ebbe timore.
-Posso aiutarla?- chiese cordialmente ma guardandolo dritto negli occhi con un' espressione che sembrava voler dire: “Attento a ciò che fai, io sono un osso duro!”
L'uomo non rispose subito. “Mi da del lei...” pensò amareggiato “io sono solo un estraneo.”
-Era da tanto che volevo incontrarti Meredith, ma non trovavo mai il coraggio.- ammise abbassando lo sguardo.
Questa frase la allarmò alquanto. Chi diavolo era quell' uomo?
-Lei chi é e come conosce il mio nome?- chiese diretta.
“Ancora quel lei...” pensò lui con gli occhi velati di tristezza. Perché si era avvicinato? Avrebbe dovuto continuare a rimanere nell' ombra. Sarebbe stata la scelta migliore. La guardò di nuovo e si decise finalmente a parlare:
-Mi chiamo George , sono un tenente della marina in congedo. Forse non mi crederai, ma io... sono tuo padre.-
La ragazza sgranò gli occhi e non rispose. Aveva sentito bene?
-Tu...- finalmente smise di dargli del lei,- sei CHI?- chiese a denti stretti. Si augurava di non aver capito.
-Io e tua madre ci siamo conosciuti quando lei era arrivata in America da poco,- rispose l'uomo -e ci siamo innamorati. Lo sai tu somigli a Talia in maniera impressionante.-
Meredith scattò:
-NON CHIAMARLA COSì!!- gridò richiamando l'attenzione di qualche passante. -Se... se tu veramente sei la persona che dici di essere... Allora non permetterti mai più di usare il nomignolo della mamma davanti a me!- aveva il respiro affannoso e non riusciva a contenersi. I suoi occhi azzurri traboccavano di rabbia. Non era reale, non poteva esserlo. Doveva essere il peggiore incubo che aveva mai fatto, addirittura peggio di quando sognava sua madre. Non si sentiva più stabile sulle gambe così si appoggiò alla macchina per avere un sostegno.
-Non fingere di essere affettuoso!- concluse furiosa.
-Mi dispiace Meredith io... so che tu non mi credi ma io amavo tua madre.- disse mostrandole una fotografia che lo raffigurava in divisa, giovane cadetto sorridente al fianco di una bellissima donna bionda dagli occhi azzurri e profondi, Natalia Chècova, ovvero la madre di Meredith. Sembravano così felici.
-Questa...- disse alla fine reggendo la foto con le mani che tremavano. - dove l'hai presa?-
-Ce l'hanno scattata dei miei compagni quando andavo all' accademia e frequentavo tua madre. Lei iniziò a lavorare in quello stesso bar quando...-
-Quando scoprì di essere incinta e si trasferì definitivamente in America abbandonando gli studi e il suo paese per un vigliacco che é scappato a gambe levate non appena lei gli ha detto di me.- sibilò lei con rabbia. -Questo lo so anche io.-
“Un vigliacco.” ripeté mentalmente l' uomo, “Si è questo che sono sempre stato non si può darle torto.”
-Tu,- riprese Meredith -non puoi essere di certo l'uomo che é in quella foto. Perché se così fosse mi chiedo con quale coraggio ti sei presentato qui oggi.-
-Io ho sbagliato tutto e non pretendo certo che tu capisca le mie ragioni. Se sono qui é solo per dirti che mi dispiace di essermene andato e perché voglio provare a rimediare.-
-A rimediare COSA?- sbottò lei – tu non puoi rimediare un bel niente! I rapporti si recuperano quando si sono sfaldati, non quando non sono mai esistiti! Cos' é vorresti che ti abbracciassi e ti chiamassi papà? TU NON SEI NESSUNO PER ME.-
-Io...- George sembrava molto scosso. Non si aspettava certo di essere accolto con un mazzo di rose rosse, ma tanta rabbia repressa che con violenza gli veniva gettata addosso gli faceva male. -Io non intendevo niente del genere. Vorrei solo poterti stare vicino. A te e a tua madre sempre che lei lo voglia.-
La ragazza guardò l'uomo negli occhi prima furiosa e infine sprezzante:
-Non sai niente di lei non é vero?- realizzò.
-In che senso?- chiese lui senza capire.
-La mamma é morta quindici anni fa.-
-Come? Ma che cosa é successo? Io...-
-Tu non lo sapevi! Eh già e come avresti potuto visto che non c'eri!- disse Meredith enfatizzando le ultime parole.
-Ora capisco tutto finalmente! Tu ti sei ripresentato qui oggi sperando di poterti riconciliare con noi visto che in fondo non avevi fatto altro che sparire per ben ventun anni e la cosa non ti pareva poi così grave. Ci avresti dovuto lavorare un po' su ma alla fine si sarebbe sistemato tutto non é vero? Bene ti darò una notizia signor ex ufficiale della marina: qui non c'è nessuna famiglia da ricostruire, io sono orfana da quando avevo sei anni visto che mia madre é morta e mio padre non c'è mai stato!-
-Meredith io non avevo idea... Se avessi saputo...-
-Che cosa avresti fatto sentiamo saresti tornato a prenderti cura di me? Ma che animo gentile!!- fece lei sarcastica. Lui non rispose e realizzò quanto immenso fosse il baratro che lo separava da quella ragazza che era sua figlia solo perché aveva i suoi geni. Ma questo non bastava affatto a fare di lui suo padre ne era cosciente. Mai si sarebbe aspettato una cosa simile. Non riusciva ad immaginare quello che lei aveva passato in tutti quegli anni, dovendo crescere da sola senza nessuna guida. Doveva aver accumulato una quantità incredibile di odio nei confronti di colui che aveva abbandonato lei e sua madre.
-Mi dispiace.- furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
-Cambia disco per favore, l'ho già sentito questo. Vuoi stare qui tutto il giorno a ripeterlo? Per quello che mi interessa puoi vendere tutti i tuoi averi e venire a vivere su questo marciapiede, io me ne vado perché devo andare a lavoro e non voglio fare tardi.- fece lei sbrigativa avviandosi.
-Aspetta!- disse l' uomo prendendola per un braccio.
-Ti conviene lasciarmi all' istante o ti scatenerò addosso un tale putiferio che non puoi neanche immaginare.- lo minacciò, -Sai dove siamo vero?-
-Si, perdonami... ma non puoi andartene così.-
-TU NON HAI NESSUN DIRITTO DI DIRMI QUELLO CHE POSSO O NON POSSO FARE!- gridò la ragazza liberando il braccio con uno scatto.
-Adesso ascoltami bene perché non ho più intenzione di sprecare un altro secondo della mia vita con un individuo come te.- disse puntando il dito, - Non ho nessuna e dico NESSUNA intenzione di avere a che fare con te sono stata chiara? Sono cresciuta sballottata qua e là da un orfanotrofio all' altro sono riuscita a laurearmi grazie alle mie capacità e ora faccio un lavoro dove vedo cose orribili tutti i giorni, che però é quello che ho scelto. Non ho mai avuto bisogno dell' aiuto di nessuno tanto meno del tuo, e mai ne avrò. Perciò, qualunque cosa ti sei messo in testa di fare ora non mi riguarda non c'è posto per te nella mia vita io ho avuto un solo genitore e quella era mia madre, niente e nessuno potrà restituirmela e tu non potrai mai rappresentare per me quello che era lei. Costituiva tutto il mio mondo, l'ho persa e non può essere rimpiazzata. Ti é chiaro il concetto?-
L' uomo annuì suo malgrado con la testa.
-Benissimo, allora non abbiamo più niente da dirci. Ora ti prego di voltarti e andartene senza dire un altra parola, e fai quello che ti riesce meglio: SPARISCI!- e così dicendo entrò nella sede dell' FBI lasciandolo senza la possibilità di replicare.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


-Hey, ragazzina va tutto bene?-
Morgan stava fissando Meredith da un po', lei sedeva dietro quella che ormai era la sua scrivania nell' open space con lo sguardo perso nel vuoto e il caffè che si raffreddava tra le sue mani. Erano rimasti soli perché Emily era stata convocata da Hotch nel suo ufficio e Reid era impegnato nell' ennesima partita a scacchi con Gideon, e lui aveva colto l' occasione per parlarle.
-Agente Morgan io non sono una ragazzina quando la smetterai di chiamarmi così?-
-Una tipica frase da ragazzina!- rispose il collega ridendo, - e puoi chiamarmi Derek. Comunque non hai risposto alla domanda.-
La ragazza sospirò e pronunciò un -Sto bene.- non troppo convincente.
-Lo sai...- disse Morgan –...non sei proprio capace di mentire.-
Meredith guardò l'uomo e i suoi profondi occhi scuri le rivelarono che sapeva più di quanto non le dicesse.
-Perché questo terzo grado?- domandò.
-Ho visto quello che é successo questa mattina dalla finestra.- ammise.
-Derek Derek Derek!- fece lei scandendo il suo nome con aria di sfida. - mi stavi per caso spiando?-
Lui sorrise. - Non metterti strane idee in testa, non nutro alcun interesse per le bambine. E' stato un caso che stessi guardando fuori proprio in quel momento.-
-Come, sono già retrocessa a bambina? Non vale!- rise lei a sua volta.
Il profiler tornò a guardarla serio:
-Senti, se hai qualche problema non devi esitare a chiedere aiuto capito?-
-Ti ringrazio,- fece la ragazza con un sorriso di sincera gratitudine, - ma non é affatto ciò che pensi. E comunque quell' uomo non si farà più vedere perciò non c'è da preoccuparsi. Ho sistemato tutto.-
-Bene, mi fa piacere.- disse lui mettendosi comodo sulla sua poltrona girevole.
Meredith bevve il caffè tutto d' un fiato e si alzò per prepararne un altro.
-E' già il terzo non starai esagerando?-
-La caffeina mi è vitale dato che non riesco a dormire bene la notte.- ammise lei.
-Incubi?- chiese l'agente.
-Eh già...-
-Li abbiamo tutti purtroppo.-
-I miei sono un po' più... complicati diciamo.-
-Davvero?- chiese Morgan.
-Si, li ho sempre avuti fin da bambina. Cos'è l'ora di Derek il babysitter questa?- chiese lei ridendo.
L' uomo capì che era un argomento di cui Meredith non voleva parlare e che il sarcasmo e l' ironia erano le armi che utilizzava per schermarsi da ciò che non voleva affrontare, così decise di cambiare discorso.
-Allora da oggi sei proprio dei nostri eh?- chiese riferendosi alla pistola e il distintivo che le erano stati consegnati quella mattina, e che adesso giacevano sulla scrivania. Non sapeva neanche lei come aveva fatto, ma aveva passato l' esame di tiro in maniera eccellente. Era tutto merito delle lezioni di JJ, di questo era certa.
-Così pare.- rispose ancora incredula.
-Presto ci trasformeremo nell' unità asilo comportamentale, se non la smettono di assumere ragazzini.- fece lui ridendo e scuotendo la testa.
-Ha, ha ha! Ma che spiritoso!- esclamò Meredith sarcastica. - Lo sai che parli come mio nonno?- lo prese in giro.
-Oooh, touché!- rise lui di rimando.
JJ arrivò ad interrompere la conversazione:
-Avete visto Hotch e Gideon?- chiese con aria preoccupata.
-Sono entrambi nei rispettivi uffici.- rispose Meredith.
-JJ che succede?- fece Morgan guardandola dritto negli occhi.
-Un uomo si é chiuso in un asilo a Cleveland e tiene in ostaggio bambini ed insegnanti, é armato e minaccia di sparare se non gli viene concesso quello che chiede.- era davvero scossa.
-Ok vado subito a chiamare gli altri.- disse Derek precipitandosi su per le scale.
JJ si appoggiò alla scrivania di Meredith e i suoi bellissimi occhi blu si inumidirono. La ragazza poggiò una mano su quella della collega e cercò di suonare più rassicurante possibile:
-Li tireremo fuori!- le disse. La bionda agente annuì con la testa più per persuadere se stessa che altro. Meredith le sorrise e dovette fare uno sforzo per trattenersi e sembrare convinta di ciò che aveva appena affermato.
La squadra si diresse immediatamente sul Jet, non avevano un attimo da perdere, avrebbero discusso il caso a bordo.
-Allora,- fece JJ dopo aver consegnato un fascicolo a tutti, -Questa mattina un uomo si é introdotto in una scuola materna privata di Cleveland che si chiama Sunflower, ha tirato fuori una pistola e tiene in ostaggio sette bambini e due insegnanti.-
-Sappiamo chi é e che cosa vuole?- chiese Gideon.
-Si chiama Gregory Owen ha circa quarantacinque anni ed é di Cleveland. Ho già chiesto a Garcia di indagare sul suo passato. Vuole che gli venga concesso di vedere sua figlia Grace che ha quattro anni e vive con la madre. Il giudice gli ha negato il permesso di vederla quando lui e la sua ex moglie Rebecca hanno divorziato un anno e mezzo fa.-
-Per quale motivo non può vederla?- chiese Hotch.
-Ancora non abbiamo tutti i dettagli.- rispose JJ.
-Ditemi che prenderete questo viscido bastardo lo rinchiuderete e butterete via la chiave!- la voce di Garcia risuonò in collegamento con la web cam nel portatile che era aperto sul tavolo. Aveva gli occhi umidi e sembrava sconvolta.
-Ti giuro che faremo tutto quanto è in nostro potere bambolina.- affermò Morgan con tono sicuro, - Dimmi che hai qualcosa per noi.-
-Si, certo che ce l'ho zucchero sono o no la divina Penelope? Gregory Owen alias il viscido bastardo é nato e cresciuto a Cleveland, si è diplomato per il rotto della cuffia e si é iscritto alla facoltà di medicina che ha però abbandonato dopo un solo anno, iniziando a lavorare come operaio in una ditta edile. Tre anni dopo conosce Rebecca Hudson, la sposa e dalla loro unione nasce la piccola Grace. La donna però chiede presto la separazione accusando il marito di avere atteggiamenti violenti.-
-La picchiava?- fece Emily.
-No tesoro, non picchiava lei. Rebecca é tornata a casa una sera ed ha trovato la piccola gonfia di botte e il verme che se la dormiva beato sul divano, con una puzza di alcol da far invidia ad una distilleria e una bottiglia di whisky vuota ancora in mano. Ha fatto due più due e si é rivolta immediatamente ad un giudice, che non solo le ha concesso la separazione, ma ha pure imposto all' uomo di non avvicinarsi alla bambina né a lei.-
-E ci credo!- esclamò Meredith. Poi le venne un dubbio improvviso:
-Penelope, puoi controllare una cosa?- le chiese.
-Tutto quello che vuoi scricciola mia.- rispose l' informatica.
-Che asilo frequenta la figlia?- chiese. Spencer la guardò e capì che cosa aveva in mente.
-Più veloce della luce!- rispose la donna iniziando a digitare sulla tastiera. - Oh mio Dio!- esclamò poco dopo portandosi una mano sulla bocca.
-Garcia cosa hai trovato?- chiese Reid.
-Grace Owen frequenta la scuola materna Sunflower di Cleveland!- rispose lei ancora sconvolta dalla scoperta.
-Se é così allora.- disse lui sgranando gli occhi -può darsi che tra gli ostaggi...-
-Ci sia proprio la figlia!- finì Meredith con profondo rammarico.
-Ho paura che abbiate ragione.- disse Hotch pensieroso. -Grazie Garcia, se avremo bisogno ti ricontatteremo.- congedò l' informatica che chiuse la conversazione con un click.
Nessuno parlava, un silenzio surreale era sceso tra i passeggeri del Jet. Un uomo armato, disperato e probabilmente ubriaco teneva in ostaggio dei bambini così piccoli e le loro insegnanti, e ciò che era più sconvolgente era che tra quei bambini probabilmente c'era anche sua figlia. Era agghiacciante. Ne avevano viste di cose orribili certo, ma quando in pericolo c'erano dei bambini era sempre dannatamente difficile.
“Per colpire nel profondo una comunità bisogna colpire i suoi figli. Niente di più vero.” pensava Meredith con angoscia ricordando una citazione che aveva trovato non sapeva di preciso dove. Non aveva la memoria eidetica di Spencer e non mangiava statistiche a colazione, ma alcune frasi che leggeva le si imprimevano bene nella testa e non uscivano più. Adesso era quella che la tormentava. Improvvisamente la voce di Gideon ruppe quel silenzio pesante.
-Dobbiamo scoprire perché quell' uomo ha avuto bisogno prendere un intera classe della scuola materna in ostaggio per arrivare alla figlia.- disse.
-Cosa intendi?- chiese Emily.
Meredith credeva di aver capito.
-Ha scelto la via più difficile,- disse,- avrebbe potuto limitarsi a rapire la figlia.-
-Apparentemente non ha molto senso.- confermò Reid.
-Forse non l'aveva programmato, ha agito d'impulso.- azzardò Prentiss.
-Magari era sotto l'effetto dell' alcol e non ha ragionato.- fece Morgan.
-Cerchiamo di concentrarci su come far uscire quei bambini e quelle due donne di lì sani e salvi adesso.- disse JJ spostando la loro attenzione sul punto focale del caso.
-Hai ragione, ma per questo è meglio attendere di essere arrivati sul campo in modo da farci un' idea della situazione.- disse Gideon, e tutti si immersero di nuovo nei propri pensieri.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Scesi dal Jet si precipitarono sul posto. L' asilo Sunflower era un edificio arancione con tanti girasoli gialli appunto. Era colorato ed allegro come ci si aspetta da un luogo dove si ritrovano i bambini. Eppure in quel momento, sapendo cosa stava accadendo lì dentro Meredith non poté fare a meno di sentire i brividi correrle su per la schiena.
-Stai bene?- la voce amichevole di Emily Prentiss interruppe i suoi pensieri. La ragazza la guardò dritta negli occhi e le sorrise:
-Si certo, tranquilla.-
Emily ricambiò il sorriso e la aiutò ad infilare il giubbotto antiproiettile. Era la prima volta che Meredith partecipava sul serio ad un' azione ed era un po' tesa. L'agente Prentiss doveva averlo capito per questo le stava vicina, lei sapeva come ci si sentiva ad essere la nuova arrivata, e data la giovane età di Meredith doveva essere ancora più difficile. La cosa che più la inquietava era la pistola che adesso portava al fianco come tutti gli altri, e che avrebbe dovuto farla sentire più sicura. Invece si augurava soltanto di non doverla usare. Non era sicuramente pronta per una cosa del genere, e le armi non le piacevano neanche più di tanto. D'altra parte l'aveva voluta lei.
-Benvenuti.- disse quello che doveva essere il capo degli agenti locali alla squadra non appena furono entrati in un grosso furgone nero davanti alla scuola materna, dove la polizia era appostata. - sono l'agente Harold Toole.-
-Jason Gideon, piacere.- disse l'uomo stringendo la mano che gli veniva offerta.
Si presentarono anche gli altri e Meredith si sentì un po' strana a definirsi “la dottoressa Nelson.” Lei odiava le formalità. Allo stesso tempo notò quanto fosse buffa l'espressione sul viso di Spencer e anche il fatto che non ricambiasse mai una stretta di mano, ma salutasse sempre agitando in aria la sua. “Come i bambini.” pensò non senza un sorriso. Tuttavia tornò presto concentrata: non doveva distrarsi non se lo poteva permettere in tale frangente.
-Com' é la situazione?- chiese diretto Morgan.
-Per niente rassicurante.- rispose Toole scuro in volto, indicando i monitor alle sue spalle che inquadravano l'interno dell'asilo, -quel bastardo é lì dentro da ore e per quanto ne sappiamo é ubriaco fradicio.-
-Lo immaginavamo.- disse con tono grave Hotch.
-Ha avanzato altre richieste oltre a quella di poter rivedere la figlia?- chiese Reid.
-Si, vuole che il giudice venga qui gli conceda l'affidamento e anche un mezzo per fuggire con la bambina.- disse l'agente.
-Vuole addirittura l'affidamento?- chiese Emily stupita.
-Così dice, e vuole che portiamo il giudice qui per farglielo concedere.-
-Ha bisogno della presenza fisica e di sentire le parole del giudice con le sue orecchie. E' disperato, ubriaco e non crede in niente ed in nessuno. Si fida solo di sé stesso.- disse Meredith.
-Già, non sarà affatto facile convincerlo a fidarsi di noi e rilasciare gli ostaggi.- fece Gideon pensieroso.
-Si ma c'è anche un altro problema.- interruppe l'agente Toole.
-Quale?- Chiese Hotch.
-La bambina é diabetica, se non riceve regolarmente iniezioni di insulina rischia il coma. O peggio.- rispose l'uomo con l'aria di uno che non voleva neanche pensare a cosa potesse essere quel “peggio”.
-Questo ci complica ulteriormente le cose.- affermò JJ.
-Non é detto.- disse Meredith con lo sguardo di chi aveva appena avuto un' idea.
-Cosa intendi?- le chiese Emily.
-A quell' uomo interessa di sua figlia o almeno così pare, quindi dovremmo riuscire a convincerlo a far entrare un dottore per farle l'iniezione.-
-Vorresti mettere in pericolo un medico che non c'entra niente? Non ha senso.- disse Morgan.
-Ho capito cosa intendi.- Gideon aveva un' espressione molto seria,- e la risposta é: puoi scordarti di entrare lì dentro!-
-Ma perché?- domandò la ragazza, -io sono perfetta. Primo so fare le iniezioni, secondo non sembro affatto un agente dell' FBI quindi Owen si fiderà di me, e cosa più importante posso tenere tranquilla la bambina. Sai che questo é il mio campo.-
-Lo so.- ammise l'uomo -ma la risposta é no comunque. Non sei pronta e non posso rischiare di mandarti là dentro. Può prendere in ostaggio anche te.-
-E cosa intendi fare allora?- domandò la ragazza.
-Insegna a Morgan a fare le iniezioni sarà lui ad andare.-
-Stai scherzando vero? Non abbiamo tempo! E se sbaglia va tutto a rotoli. Posso andarci solo io.-
Gideon divenne taciturno. Di mandarla dentro da sola non se ne parlava, era troppo rischioso. Cosa poteva fare? Era comunque un' ottima idea, l'unica plausibile in quel momento a dir la verità. E il tempo giocava contro di loro: ogni minuto che passava la vita di Grace era sempre più in pericolo. Doveva inventare qualcosa assolutamente.
-Vado io con lei.- la voce di Spencer risuonò nel silenzio che si era creato all' interno del furgone. Si voltarono tutti a guardarlo sbalorditi. Era stato davvero lui a parlare? Il ragazzo sembrò imbarazzato da tutti quegli sguardi puntati, ma confermò la sua affermazione:
-Posso andare dentro e fingermi un assistente, così Meredith potrà fare l'iniezione alla bambina e non si troverà da sola in una situazione che non ha mai affrontato. Inoltre neanche io sembro un agente dell' FBI, posso tranquillamente passare per un tirocinante o una cosa simile.- aveva pronunciato queste parole con voce ferma, cosa insolita per uno come lui.
-Sei sicuro?- fece Morgan con fare protettivo,- posso andare io altrimenti.-
-No ha ragione lui purtroppo loro sono gli unici che potrebbero ispirare fiducia ad Owen.- ammise Hotch suo malgrado.
-State dicendo che dovrei mandare non uno ma due dei miei agenti a rischiare la vita lì dentro?- domandò Gideon con l'aria di chi sa perfettamente che non ha altra scelta, ma la cosa non gli piace affatto.
-In realtà non ce ne sarebbe bisogno, so di potercela fare anche da sola.- affermò Meredith.
-Ti ho già detto che non se ne parla, tu da sola non entri. Non hai esperienza.-
La ragazza sbuffò. “Quest' uomo é decisamente testardo. Lo sa benissimo che ho ragione eppure non lo ammette.” pensò.
Dopo averci riflettuto su alla fine Jason cedette.
-E va bene, entrate tutti e due. Ma fai l'iniezione alla bambina e uscite. Chiaro?- avvertì.
-Ovviamente sarete microfonati in modo che se le cose dovessero complicarsi noi potremo intervenire subito.- completò Hotch.
-Va bene,- si arrese la ragazza - ma ho bisogno dell' insulina.-
-Non é un problema, la faccio recapitare qui immediatamente.- disse l'agente Toole uscendo per andare a telefonare. Mentre attendevano il medicinale i ragazzi vennero microfonati e istruiti sul da farsi.
-Questo lo devi tenere sempre addosso non devi toglierlo per nessun motivo al mondo,- stava dicendo Morgan a Meredith per la terza volta, indicando il giubbotto antiproiettile che era stato sostituito da uno che non recava la scritta “FBI”, in modo da non insospettire il sequestratore. -Capito?-
 La ragazza roteò gli occhi.
-Derek ho capito! Quante altre volte vuoi ripetermelo?-
-Fino alla nausea se necessario.- asserì lui mettendole auricolare e microfono in modo che non fossero visibili. Poco più in là Gideon faceva lo stesso con Reid, e probabilmente lo assillava con le medesime raccomandazioni.
-Questo non é uno scherzo un minimo errore può complicare ulteriormente le cose, per cui dovete essere rapidi e soprattutto cercare di sembrare convincenti.- disse Hotch quando l'insulina fu finalmente arrivata e tutti erano pronti.
-Abbiamo già comunicato ad Owen che due dottori stanno per entrare a fare l'iniezione a Grace. Ha detto di fare in fretta perché la figlia comincia a stare male.- disse Toole. Tutti guardarono i monitor e videro la bambina distesa sulle ginocchia del padre, era molto pallida e madida di sudore. Dovevano sbrigarsi.
-Bene,- disse Gideon – muoviamoci. Siete pronti?-
I ragazzi annuirono all' unisono.
-Allora andate, ma fate attenzione.- raccomandò per l'ultima volta l'uomo lasciando che uscissero e si dirigessero verso l'edificio del Sunflower. Sia Reid che Meredith evitavano il contatto visivo diretto. Sapevano che se si fossero guardati negli occhi entrambi sarebbero crollati, e non potevano rischiare. La ragazza aprì la porta e lui la seguì all' interno. Percorsero un breve corridoio e aprirono una porta verde sulla sinistra, l'aula dove Owen si trovava con gli ostaggi. L' uomo era armato e appena li vide entrare andò verso di loro per perquisirli. “Fa che non trovi niente.” pregò Meredith, ma non ce n'era affatto bisogno: era talmente ubriaco che se anche fossero entrati con un bazooka nascosto dietro la schiena non l'avrebbe notato.
-Siete davvero dei medici?- biascicò incredulo.
-In realtà siamo tirocinanti.- precisò immediatamente Reid. Mossa infelice.
-E che diavolo vuol dire, eh?- chiese l'uomo avvicinandosi a lui barcollando e brandendo la pistola che aveva in mano.
-Vuol dire che studiamo per diventare dottori e che stiamo facendo pratica in ospedale,- disse pronta Meredith portando l'attenzione dell' uomo su di sé e guardandolo fisso con piglio sicuro,- ma non si preoccupi ne ho già fatte a migliaia di iniezioni non sono un problema per me.- non era vero, in realtà ne aveva fatte al massimo tre o quattro nella sua vita, ma ricordava come si faceva e soprattutto doveva convincere un uomo ubriaco a fidarsi di lei. L'impresa era ardua ma stranamente le sue parole sembravano aver sortito l'effetto desiderato. L'uomo spostò la sua attenzione verso la ragazza e abbassò la pistola.
-Sbrigatevi, Gracey non sta bene.- bofonchiò alla fine. Meredith si mise subito all' opera aiutata da Spencer e in pochi minuti praticarono l'iniezione alla bambina.
-Adesso starà bene.- annunciò il ragazzo, poi si sbrigò a concludere – Ora dobbiamo uscire.-
-Quante altre ne hai lì dentro di quelle maledette punture?- chiese l'uomo a Meredith ignorandolo.
-Altre quattro.- disse lei dopo aver controllato.
-Bene,- fece lui, - allora mettetevi pure comodi. Nessuno di voi due uscirà di qui finché io e Gracey non saremo fuggiti. Può avere ancora bisogno di quella roba.- e dicendo questo puntò loro la pistola intimandogli di sedersi. I ragazzi obbedirono e finalmente ebbero la forza di guardarsi, leggendo il panico l'una negli occhi dell' altro.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Sapeva che sarebbe finita così, se lo sentiva in ogni fibra del suo essere. E allora perché mai aveva accettato, per quale assurdo e insensato motivo li aveva mandati disarmati là dentro?
“Perché era l' unica cosa da fare, quella bambina stava male.” gli ricordò in tono rassicurante una voce nella sua mente. Jason Gideon guardava i monitor con aria afflitta. Sentiva su di sé il peso di quella decisione, vedeva i due ragazzi seduti a terra e l'uomo che li teneva in ostaggio insieme ad insegnanti e bambini camminare nervoso su e giù per la stanza. Era armato, ubriaco e pericoloso. Cosa gli era saltato in testa? Si tormentava pensando che non avrebbe mai dovuto autorizzarli ad entrare.
-Jason so cosa stai pensando, tu non hai niente da rimproverarti é chiaro? Era l'unica cosa che potevamo fare, non c'era più molto tempo.- la voce di Hotch tentava di confortarlo sopra la sua spalla.
-Stai parlando con me o stai solo cercando di convincere te stesso?- chiese l'uomo guardando nel vuoto. Aaron scosse la testa, sapeva quanto Gideon poteva essere testardo e soprattutto quanto si sentisse responsabile delle vite dei suoi agenti dopo Adrian Bale. Lo sapeva ma non gli piaceva vederlo così. Emily e JJ erano andate ad occuparsi dei genitori dei bambini che erano sopraggiunti in massa e tentavano invano di arginare la loro comprensibile ira, agitazione e preoccupazione. Soprattutto tentavano di tenere a freno la madre di Grace che minacciava di smuovere mari e monti se non avessero tirato fuori sua figlia. Era questo il motivo per cui ancora non sapevano niente. Morgan non parlava, ma il suo stato d'animo si intuiva chiaramente dai pugni che ogni tanto assestava al ripiano su cui era appoggiato. Si malediva per non essere entrato lui.
-Ma che diavolo fa é impazzita?- la voce di Jason ruppe quel momentaneo silenzio. Gli altri due uomini si avvicinarono per vedere e sentire meglio. E ciò che videro li lasciò di sasso.
-Signor Owen mi ascolti.- Meredith stava parlando all' uomo guardandolo negli occhi con un espressione decisa. Aveva capito che era in questo modo che prima era riuscita a calmarlo e sperava funzionasse di nuovo. Sentiva lo sguardo di preoccupato di Spencer su di sé, ma si impose di non guardarlo.
-Che vuoi ragazzina?- biascicò lui.
-Io devo dirle una cosa, non sono stata del tutto sincera con lei prima.- e così dicendo fece qualcosa che strappò a Morgan un' imprecazione. Si tolse lentamente il giubbotto antiproiettile e lo appoggiò sul tavolo dove l'uomo era seduto avvicinandosi a lui, dopodiché estrasse il distintivo. - Non sono una studentessa di medicina, io sono un'agente dell'FBI.-
L' uomo la guardò con aria assente, e dopo un po' riuscì a parlare. Era confuso.
-Che significa?- chiese
-Significa che mi hanno mandata qui per fare l' iniezione a Gracey facendole credere che fossi una dottoressa. Ma questo le può tornare utile mi creda.-
-Ti ascolto.-
-Le faccio una proposta: lasci andare tutti gli altri eccetto me. Sono una garanzia sufficiente per farla uscire da qui più di tutti loro glielo assicuro. Non ha bisogno di trattenerli ancora.-
Owen sembrò pensarci su:
-Stai tentando di fregarmi ragazzina?- chiese guardandola di sottecchi. Meredith però rimase ferma e decisa -Assolutamente no. I miei capi ci stanno guardando in questo momento, e faranno di tutto per tirarmi fuori le concederanno tutto quello che chiede. Non vuole più l'affidamento di Gracey?- l' uomo annuì e si grattò la testa. Ancora non era del tutto convinto. A quel punto anche Reid si alzò e imitò i gesti compiuti da Meredith in precedenza:
-Signor Owen.- disse – Due agenti dell' FBI in cambio delle donne e i bambini. E' una offerta vantaggiosa, potrà uscire di qui con sua figlia, niente e nessuno la fermerà. Ci pensi.- affermò.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo. “Che diavolo combina?” pensò con un moto di rabbia, “era l' occasione perfetta perché uscisse anche lui, gli sarebbe bastato continuare a fingere di essere un medico. Che stupido!” . Spencer intercettò lo sguardo e lo ricambiò con un' occhiata eloquente “Se pensavi davvero che ti avrei lasciata qui da sola hai sbagliato di grosso.” le disse mentalmente. Meredith tornò a concentrarsi sull' uomo.
-Se mi fregate vi ammazzo entrambi é chiaro?- disse questi dopo un po'. Si diresse barcollante alla porta della classe e la aprì -Andate...- disse rivolto alle maestre e ai bambini che si erano rannicchiati impauriti in un angolo. Non si mossero, erano ancora increduli.
-FORZA!- urlò l' uomo facendoli scattare in piedi terrorizzati. Le donne presero i piccoli per mano e li condussero fuori. Non credettero di essere davvero in salvo finché non rividero la luce del sole. I bambini riabbracciarono i loro genitori in lacrime e le maestre corsero incontro ai propri cari che fino a pochi minuti prima temevano non avrebbero rivisto mai più.
-Bisogna riconoscerlo hanno migliorato di molto la situazione.- disse Hotch continuando a fissare i monitor.
-Com' é che la cosa non mi fa sentire meglio?- chiese Morgan.
In quel momento Emily e JJ rientrarono sorridenti:
-Ma che é successo? Sono usciti tutti, come avete fatto?- chiese Prentiss.
-Noi non abbiamo fatto proprio nulla, sono stati loro.- Derek indicò gli schermi e il sorriso morì sulla bocca delle ragazze.
-Oh mio Dio, ma cosa ci fanno ancora lì?- JJ si portò una mano alla bocca nel vedere Reid e Meredith nella stanza insieme ad Owen e sua figlia.
-Gli hanno proposto uno scambio: loro due in cambio di tutti i bambini e le maestre.- disse Hotch.
-Ma non é possibile e gliel'avete permesso?- Emily era incredula.
-Non gli abbiamo permesso un bel niente, hanno fatto tutto da soli.- rispose amareggiato Morgan.
-La situazione sarà anche migliorata, ma se non troviamo un modo per metterci in contatto con Owen non riusciranno ad uscire da soli. Dobbiamo tirarli fuori noi.- affermò Gideon che fino a quel momento aveva taciuto.
-Che cosa pensi di fare?- chiese Hotchner.
-Provo a chiamare Reid e mi faccio passare il sequestratore. Dobbiamo trattare.-
-Non starai pensando di fargli davvero concedere l'affidamento della bambina spero!- esclamò Morgan.
-No,- rispose l'uomo – ma é sufficiente che lui lo creda. Agente Toole il giudice era un uomo o una donna?- chiese rivolto al poliziotto.
-Una donna, perché?-
-Aveva una voce simile a qualcuna delle mie due colleghe per caso?-
L'agente inarcò le sopracciglia pensieroso.
-Forse l'agente Jereau potrebbe somigliarle, provi ad abbassare la voce di un tono.- disse alla fine.
-Così?- chiese JJ.
-Si, dovrebbe andare.-
-Bene,- fece Jason – ora ascoltami attentamente JJ, tu dovrai fingere di essere il giudice e ripetere quello che io ti dirò è chiaro?-
-Certo, conta pure su di me.- rispose lei fissando i monitor.
-D'accordo adesso chiamo Reid.- disse prendendo il telefono e componendo il numero. Il cellulare del ragazzo vibrò, e il nome di Gideon lo fece sobbalzare.
-E' il nostro capo.- disse rivolto ad Owen.
-Visto?- annunciò Meredith trionfante,- Le avevo detto che non stavo mentendo. Vuole sicuramente negoziare per farci rilasciare, è la sua occasione! Le conviene rispondere.- L'uomo sembrò riflettere poi prese il telefono che Reid gli porgeva.
-Pronto?- disse.
-Gregory Owen?- domandò la voce di Jason dall' altra parte.
-Chi vuole saperlo?-
-Agente speciale Jason Gideon, FBI.- si presentò.
-Bene, finalmente mi date ascolto!- esclamò Owen, -Ho già detto alla polizia cosa voglio. Chiamate il giudice che mi ha tolto mia figlia e fate in modo che sistemi le cose. Voglio andare via con la mia bambina. Non sono un assassino sono un padre, esaudite le mie richieste e nessuno si farà male.-
Meredith non poté fare a meno di sentire un brivido lungo la schiena a quelle parole, e si sedette vicino alla bambina la quale si accoccolò tra le sue braccia spaventatissima. Lei cominciò ad accarezzarle la testa e a tranquillizzarla sussurrandole che tutto sarebbe andato bene. E sperava di poter convincere anche se stessa. Non c'era niente che potesse fare ne era cosciente, doveva fidarsi di Gideon. Prima lui le aveva dato la sua fiducia, stavolta era il suo turno. Si impose di non pensare e di stare ad ascoltare. Guardò verso Reid e capì che probabilmente anche lui stava pensando le stesse cose. Entrambi si misero in attesa.
-E' già qui,- rispose Gideon – ma c'é una condizione.-
-Quale?-
-Lei deve uscire da lì e venire fuori a firmare i documenti. E' indispensabile per rendere ufficiale l'atto di affidamento.-
-Prima voglio parlare col giudice!-
Gideon avvicinò il telefono a JJ.
-Sono il giudice Abby Ross.- mentì lei pregando che Owen ci cascasse.
-Che tu sia maledetta!- inveì l'uomo facendola trasalire. L'aveva forse già scoperta?
-Sei contenta di avermi rovinato la vita?- proseguì lui strappandole un sospiro di sollievo. Fortunatamente non aveva intuito l'inganno.
-Signor Owen venga fuori, sistemeremo tutto.- rispose lei cercando di suonare convincente.
-Credete che sia stupido? Se vengo fuori da solo mi arrestate.- disse l'uomo, poi guardò in direzione di Meredith. -Tu vieni con me alzati.- intimò.
La ragazza obbedì senza dire niente e affidò la bambina nelle mani di Spencer che la guardò smarrito. La tirò per un braccio lungo il corridoio puntandole la pistola e infine uscì.
-Ora sono pronto per firmare.- annunciò.
Gideon Hotch e JJ stavano davanti a loro con le pistole puntate.
-Allora, dov'è il giudice?- chiese l'uomo.
-Se non la lasci andare non posso aiutarti.- disse Jason, guardandolo fisso.
-Scordatevelo, prima voglio firmare.-
-Getta la pistola Owen, é finita.- un click annunciò l'arrivo di Morgan da dietro. Puntava l'arma alla tempia dell' uomo. Meredith non lo vedeva ma ne aveva riconosciuto la voce. Owen ebbe un attimo di smarrimento, non sapeva più cosa fare. Si rendeva conto di non avere più scampo ma non si decideva ad arrendersi. Fu un attimo di distrazione, allentò la presa sulla ragazza e lei ne approfittò per disarmarlo e ribaltare la situazione.
-Adesso posso anche dirtelo,- fece trionfante puntandogli contro la sua stessa pistola, - ti ho fregato alla grande!-
L'uomo attonito venne ammanettato e trascinato via, e Meredith finalmente poté vedere che mentre loro erano impegnati con lui, Emily e Derek erano entrati nell'edificio dal retro, liberando Spencer e la bambina e permettendo a Morgan di prenderlo alle spalle. La ragazza venne trascinata a forza da Derek verso un' ambulanza nonostante protestasse che stava benissimo e non ce n'era bisogno, e mentre passava fece in tempo a scorgere Owen nella volante che l'avrebbe portato alla centrale.
-Ricordati una cosa,- sibilò gelida passandogli accanto, - l'amore di una figlia non si pretende con la forza, va guadagnato, e gli uomini come te non lo meritano. Pensaci quando sarai dentro.-
-Portatelo via.- fece Morgan sbrigativo guardandola con aria interrogativa.
-Eih Derek...- disse rivolta al collega.
-Si?-
-Stamani non facevi altro che darmi della bambina, e mi sono ritrovata chiusa in un asilo con un ubriaco armato. Riesci a cogliere la sottile ironia di tutto questo?- rise lei.
-Ma piantala e vai a farti visitare!- fece lui scuotendo la testa divertito.
Lei non disse nulla e andò verso i medici dell' ambulanza fissando l'auto della polizia che se ne andava. Guardò in direzione di Spencer e gli abbozzò un sorriso, che il ragazzo ricambiò. Era davvero finita.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Erano rientrati a Quantico da pochi minuti e si stavano dedicando alla stesura dei rapporti, quando videro Penelope scendere le scale con aria trafelata e dirigersi verso la scrivania di Meredith:
-Buonasera.- fece la ragazza con un sorriso.
-Niente saluti per te piccola disgraziata,- cominciò l' informatica guardandola con aria di rimprovero – é vero quello che mi ha raccontato JJ?- chiese.
-Cioè?-
-Quello che hai fatto a Cleveland.- Penelope sembrava furiosa.
-Beh... Si...-
-Tu!- puntò il dito Garcia – Non devi farmi scherzi del genere capito? Non ci provare più!-
-Scusami...- Meredith non sapeva se ridere o preoccuparsi. In realtà la scena era piuttosto comica, infatti riuscì a scorgere con la coda dell' occhio Morgan ed Emily che sorridevano divertiti. Tuttavia non poté fare a meno di ritenersi in grossi guai.
-Scusa un cavolo,- riprese la donna – Tu non puoi arrivare qui tutta carina, farmi affezionare subito a te e poi correre rischi simili. Non puoi capito?- e così dicendo se ne tornò nel suo ufficio scuotendo la testa.
-Ma cosa...- la ragazza era incredula non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo.
-Sei appena stata investita dal ciclone Garcia,- la informò Morgan con gli occhi pieni di ilarità, - e se vuoi un consiglio ti conviene trovare un modo per placarla o ti renderà la vita molto difficile.-
-Tradotto vai immediatamente a parlarle.- completò Prentiss sempre sorridendo.
-Ho capito,- fece lei – ma prima devo fare una cosa.- disse prendendo la giacca e uscendo. Dieci minuti dopo tornò con un incarto che emanava un buonissimo profumo.
-E quello cos'è?- esclamò Derek sorpreso.
-Un ramoscello d' olivo.- fece Meredith con un sorriso enigmatico dirigendosi al piano superiore. Morgan guardò Emily allibito:
-Ma perché tutti i matti ce li prendiamo noi?- la mora agente rise divertita.
Percorso il corridoio del piano superiore la ragazza si fermò davanti alla stanza che faceva da ufficio a Garcia e bussò piano alla porta.
-Chiunque tu sia preparati ad affrontare l' ira di una giocatrice infuriata per essere stata interrotta sul più bello.- avvertì minacciosa una voce dall' interno. Meredith aprì la porta e trovo l' informatica intenta ad uccidere non vedeva quale mostro in uno di quei giochi di ruolo online che riproducono il medio evo in versione fantasy.
-Non ne faccio una giusta eh?- affermò la ragazza con tono sconsolato, - e dire che avevo portato il calumet della pace.-
-Io non fumo tesoro.- rispose secca Garcia.
-Nemmeno io, per questo ho pensato che dei brownies al cioccolato andassero bene lo stesso.- disse ridendo e togliendo l' incarto al vassoio che teneva in mano. Penelope si alzò e le andò incontro,
-Guarda che se pensi di cavartela così facilmente...- cominciò arrabbiata, poi prese un dolcetto e dopo averlo assaggiato esclamò raggiante:
-Sei carina intelligente bionda e amante della buona pasticceria. Dove sei stata finora piccola?-
La ragazza rise di gusto:
-Se proprio dobbiamo dirla tutta me la cavo pure coi computer.-
-Davvero? Sei la mia anima gemella allora!- fece l'informatica sgranando gli occhi. Lei scoppiò a ridere di nuovo e pensò sollevata che forse era riuscita a rimediare al danno: il ciclone Garcia era passato e lei era sopravvissuta. Si stava ambientando proprio bene e ne era davvero felice.
Una volta finito di scrivere il suo rapporto Meredith salutò i colleghi e uscì declinando l' invito di una cena cinese tutti insieme. Dopo aver rischiato di non rivederli più voleva tornare da Megan e Oliver e passare un po' di tempo con loro. Non aveva previsto il fatto che avrebbe trovato di nuovo Reid ad aspettarla fuori.
-Oh, ecco dove eri finito!- esclamò sorridendogli con finta aria sorpresa, - Hai finalmente smesso di evitami?-
-Devi per forza essere sempre così diretta?- chiese lui scuotendo la testa.
-Che vuoi farci, mi hanno fabbricata così.- fece lei alzando le spalle. Il ragazzo sorrise ripetendosi per la centesima volta che quella decisamente era tutta matta, e si incamminarono insieme diretti alle macchine.
-Lo sai devo dirtelo sei stato veramente stupido a rimanere lì dentro, potevi tranquillamente stare zitto ed andare via con gli altri.- fece Meredith in tono di rimprovero.
-E cosa avrei dovuto fare lasciarti lì da sola?- protestò lui.
-Devi per forza interrompere sempre le persone?- chiese lei ridendo e facendogli il verso, poi proseguì più seria:
-Sei stato stupido ma anche carino. Non me lo aspettavo...- gli disse dolcemente. Lui arrossì leggermente e inizialmente non rispose.
-Cosa non ti aspettavi?- chiese poi.
-Che tenessi tanto a me. - ammise lei senza guardarlo. Ora era il suo turno di diventare rossa.
-Beh sono arrivata.- disse alla fine indicando la sua famosa auto viola.
-Già...- fece lui guardandola come un cagnolino che implora il padrone di non lasciarlo fuori sotto la pioggia.
-Allora ci vediamo.- fece aprendo la portiera dal lato del guidatore.
-Ok...- disse Reid salutandola con la mano senza mutare espressione. Meredith ricambiò il saluto e lui vide la bizzarra Mustang sparire nel buio. Si incamminò in direzione della sua auto ed era quasi arrivato quando due fari lo illuminarono da dietro. “Chi diavolo é perché non si decide a passare?” pensò arrabbiato voltandosi. E quando vide il colore della macchina che stava alle sue spalle non poté fare a meno di sorridere.
-Non ci credo... Ma perché hai fatto il giro?- disse allibito e divertito allo stesso tempo.
-Oh ma dai non avrai creduto sul serio che me ne sarei andata così?- chiese lei strizzandogli l'occhio. -Volevo solo farti spaventare.- concluse.
-E per quale motivo?- chiese lui sempre più confuso.
-Oh beh... avevo una certa cosa che ancora mi era rimasta sullo stomaco.- fece enigmatica. Pensava ancora alla storia di Lila Archer.
-E cosa?- domandò allarmato Spencer senza capire. Lei nel frattempo era scesa e gli si era avvicinata.
-Questo,- sorrise passandogli l'indice sulle labbra – non te lo dirò mai!- l' espressione che si dipinse sul volto del ragazzo a quel punto era indescrivibilmente buffa.
-Andiamo!- gli disse Meredith aprendo la portiera della macchina di lui dal lato del passeggero.
-Andiamo dove?-
-Da te.- disse la ragazza come se fosse la cosa più ovvia del mondo, -Devo ancora offrirti il caffè non ricordi?-
-Ma se andiamo a casa mia come fai ad offrire tu? - chiese lui deglutendo vistosamente.
-Quando imparerai che se dico “offrire” non intendo “pagare” ma "preparare"?- rise lei allacciando la cintura. Spencer si decise finalmente a salire anche lui e mise in moto. Non ci capiva niente sapeva solo che in qualche modo Meredith riusciva sempre a destabilizzarlo totalmente. L' unica cosa di cui era certo era che non gli dispiaceva affatto.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Stava rientrando a casa cercando di fare meno rumore possibile, e non appena ebbe richiuso la porta alle sue spalle la luce nel corridoio si accese.
-A ha!- fece una voce maschile accusatrice.
-Oliver che diavolo ci fai in piedi a quest' ora?- chiese Meredith sottovoce.
-Senti chi parla, lo sai che ore sono?- si aggiunse una voce femminile alle sue spalle. Era Megan in vestaglia con un bicchiere vuoto in mano.
-Anche tu? Sono le cinque del mattino perché siete già svegli? Cos' é mi aspettavate?-
-Certo che si! Non dovevi tornare ieri sera?- si lamentò Oliver.
-Si e non ci hai nemmeno avvisati che non rientravi!- protestò Megan. Era vero, se n'era totalmente dimenticata!
-Mi dispiace! Chiedo perdono mi era passato di mente.- tentò di difendersi.
-Ah si? E come mai sentiamo?- chiese il ragazzo.
-Io credo di saperlo. Secondo me é andata ad approfondire un caso con un certo collega.- disse l'amica con un sorrisetto malizioso.
-Non é quello che pensi!- disse Meredith arrossendo un po'.
-No certo! E perché sei diventata rossa?- infierì Oliver.
-Potevi magari mandare un messaggio.- Megan si voltò dall' altra parte fingendosi offesa.
-Oh ma dai devi capirla, era “impegnata...”-
-E piantatela! Due contro una non vale, ho già chiesto scusa.-
-Hai un solo modo per farti perdonare...- cominciò la bruna.
-Raccontarci tutto!- completò il ragazzo strizzando l' occhio. Dopodiché la trascinarono su una sedia in cucina.
-Non c'è un bel niente da raccontare abbiamo bevuto un caffè e chiacchierato tutta la notte.-
-Sii certo... e io sono stato appena eletto presidente.-
-Già... Non solo hai davanti a te la nuova Miss America!- la canzonarono i due amici.
-Che spiritosi!- disse Meredith versandosi un po' d'acqua fresca in un bicchiere,- E' la verità comunque.-
-Non dirai sul serio?- chiesero all' unisono.
-Si invece.-
Per un po' nessuno parlò, Meredith bevve e si mise a lavare sia il suo bicchiere che quello che le porse la sua amica.
-Aaah dobbiamo proprio insegnarle tutto noi a questa ragazza.- fece Oliver dopo un po' scuotendo la testa. Megan rise.
-Avete finito? Oliver sei un maniaco guarda che nella vita non c'è mica solo quello!- protestò la bionda.
-Sei troppo giovane per capire come va il mondo cara.-
-Guarda che tu hai solo un anno più di noi caro!- rise Megan facendogli il verso.
-Si ma ho comunque avuto più storie di voi.-
-E tu quelle le chiami storie? Ma se della maggior parte di quelle ragazze non ricordi neanche il nome!- fece Meredith.
-L'importanza dei nomi é sopravvalutata.- asserì lui saccente.
-E finiscila stupido!- risero in coro le due ragazze.
-Vado a fare la doccia.- annunciò Meredith dopo un po'.
-Non dormi?- chiese apprensiva Megan.
-Tesoro tra un paio d'ore dovrò essere di nuovo al Bureau non ho tempo di dormire, mi imbottirò di caffeina come sempre.- rispose lei avviandosi in bagno.
-Così finirai per ammalarti.- le gridò dietro Oliver.
-Allora mi porterai dal dottore papino!- gli strizzò l' occhio lei affacciandosi di nuovo alla porta. I due amici scossero la testa ridendo della sua follia e se ne tornarono finalmente a letto, felici di non avere lezioni quel giorno e poter dormire quanto volevano.
Meredith sotto il getto freddo della doccia ripensava alla notte appena trascorsa. Era vero che erano rimasti svegli tutta la notte a parlare e la cosa l'aveva resa piuttosto felice. Se fosse stato un film quella sarebbe stata una di quelle scene che venivano fatte scorrere veloci con qualche bella canzone di sottofondo, come a sottolineare che l' importante non era il dialogo ma la scena in sé. Ed era proprio così: avevano parlato di qualunque cosa, dal sequestratore al quale erano appena scampati, alla prima volta che si erano visti quando lei ancora studiava all' accademia, ai loro libri preferiti, il cinema, la musica, dei loro padri entrambi poco presenti, il rapporto che avevano con le rispettive madri, o nel suo caso con il ricordo di essa... Non ricordava l' ultima volta che si era aperta così con qualcuno, era solo che con lui gli veniva naturale e non sapeva spiegarsene il motivo. La cosa le faceva piacere e la spaventava allo stesso tempo. Ci aveva messo anni a costruire la sua solida corazza e ora arrivava lui, che in punta di piedi era riuscito ad intrufolarsi nella sua anima e toccare le corde più profonde del suo cuore. Dire che era terrorizzata era poco. Però non poteva fare a meno di essere felice di poter finalmente abbassare la guardia con qualcuno. Era strano, una di quelle cose che fanno bene e male al contempo. Uscì dalla doccia in fretta e in pochi minuti fu fuori di casa diretta di nuovo alla sede dell' FBI di Quantico. Era quasi arrivata alla macchina quando finalmente si accorse dell' uomo che vi era davanti. Lo fulminò con lo sguardo senza dirgli niente.
-Ciao.- azzardò lui.
-Dimmi quale aspetto della parola sparisci non ti é chiaro?- chiese gelida. George la guardò sconsolato.
-Mi dispiace volevo solo salutarti.-
-Bene l'hai fatto ora addio.- si affrettò a concludere il dialogo la ragazza.
-Volevo chiederti anche un' altra cosa...-
-Sentiamo, cosa?-
-La... tomba di Natalia... dove si trova?-
Meredith trasse un profondo respiro per tentare di calmarsi e non uccidere quell' uomo.
-E a te che diavolo importa?- scattò lei. Non ne aveva assolutamente nessuna intenzione, poteva scordarsi che lei gli dicesse che le ceneri di sua madre si trovavano nel fiume. Quello era il SUO posto speciale e non gli avrebbe mai e poi mai permesso di profanarlo con la sua irritante presenza.
-E dove vuoi che si trovi?- chiese sarcastica,- al cimitero. Ma farai un viaggio a vuoto la mamma non si trova lì, la lapide l'hanno messa certo, ma il suo corpo non c'è si è fatta cremare.-
-Davvero?-
-Si davvero e ora lasciami in pace.-
-Ma... e le ceneri?-
-NON SONO AFFARI TUOI!- sbottò salendo in macchina e partendo a tutta velocità. Perché quel maledetto continuava a tornare, che diavolo voleva? Tutte quelle domande su sua madre come se davvero gli importasse qualcosa! "Beh, magari gli importa..." azzardò una voce nella sua testa. "Si certo gli interessa talmente tanto che non appena ha saputo di me l'ha lasciata da sola, é fuggito e non si é più fatto vedere fino ad oggi. Per me può tornarsene da dove é venuto." pensò arrabbiandosi, "Anche perché la colpa é tutta sua." sentenziò parcheggiando e salendo diretta all' ufficio.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Jason Gideon stava passando dall' open space proprio nel momento in cui Meredith entrava.
-Buon giorno!- lo salutò la ragazza, l'uomo non rispose e le fece a malapena un cenno con la testa dirigendosi nel suo ufficio.
-Ok,- sospirò lei sconsolata sedendosi alla scrivania, -per quanto ancora ce l'avrà con me per aver messo in pericolo il suo cocco?-
-Non sono il suo cocco!- protestò il diretto interessato.
-Oh andiamo Reid! Lo sanno tutti che è così.- rise divertito Morgan, -comunque io non credo che Gideon ce l'abbia con te bimba.-
Meredith sorvolò su quel “bimba” a cui ormai si stava abituando. Fino a poco tempo prima gli avrebbe risposto male, adesso cominciava persino a piacerle.
-Si certo,- rispose sarcastica, - allora perché non mi rivolge la parola da quel giorno?-
-Chiediglielo.- rispose semplicemente Spencer.- Non mi dirai che hai paura di lui?- la punzecchiò.
-Io paura? Deve ancora nascere chi può farmi paura caro!- disse con aria di sfida alzandosi e dirigendosi spedita verso l' ufficio di Gideon.
-Ma perché la istighi lo sai che è matta, chissà ora cosa combina!- fece Morgan con finta aria di rimprovero. In realtà stava morendo dal ridere. Reid non rispose si limitò ad alzare le spalle con un sorriso.
-Ora che siamo da soli hai intenzione di dirmi qualcosa o vuoi continuare a fingere?- chiese Derek inarcando le sopracciglia.
-Eh?- fece lui senza capire.
-Andiamo ragazzino, pensavi davvero che non mi sarei accorto che fai finta di niente ma quando pensi che nessuno ti veda te la mangi con lo sguardo?- sorrise. Spencer si sentì mancare. Sapeva che prima o poi sarebbe successo ma non pensava così presto. “E adesso?” pensò in preda al panico.
-Guarda che non mordo.- incalzò Morgan – E sicuramente non faccio la spia, non é nel mio stile lo sai.-
-Lo so.- ammise Spencer,- Non è questo.-
-E allora cosa.... Oh!!- sgranò gli occhi come folgorato, -Non dirmelo!-
-Cosa?- Reid cominciava a sudare freddo.
-Che lei ti piace si vede lontano un miglio. Quello che ancora non mi era chiaro é che anche tu piaci a lei, strano ma vero. Ho indovinato?-
-Strano ma vero?- ripeté risentito.
-Oh dai lo sai cosa intendevo...-
-Si certo...In ogni caso smettila di fare assurde supposizioni su di me. Non eravamo d'accordo di non farci il profilo?-
-Questo non è un profilo. Se dovessi farne uno scoprirei tutto. Lo sai vero?- lo provocò. Il ragazzo si stava decisamente alterando.
-Possiamo cambiare argomento per favore?-
-Certo.- acconsentì il collega con un sorriso che significava semplicemente “Questo conferma ancora di più le mie teorie.” e la conversazione finì lì.
Meredith bussò lievemente alla porta dell' ufficio di Gideon.
-Avanti.- fece la voce distratta dell' uomo. Quando vide la ragazza che entrava il suo volto si rabbuiò un poco.
-Che cosa c'è?- chiese in tono piuttosto brusco, che lei non mancò di notare con una fitta di tristezza.
-Devo parlarti.- disse schietta.
-Siediti.- la invitò l'uomo senza mutare espressione.
-Non abbiamo ancora parlato dell' ultimo caso.- cominciò.
-C'è forse qualcosa da dire?-
-Si visto che hai smesso di rivolgermi la parola da quel giorno. Ho capito che ti ha dato fastidio che ci sia finito di mezzo anche Reid, ma credimi non era mia intenzione. Gli ho dato la possibilità di andarsene con gli altri ostaggi e lui l'ha deliberatamente ignorata decidendo di scoprirsi e rimanere lì di sua spontanea volontà.-
L' uomo si passò le mani sul volto e proruppe in una risata sommessa.
-Cosa c'è da ridere?- Meredith era alquanto  perplessa e seccata. La stava forse prendendo in giro?
-E' davvero questo ciò che pensi?- chiese Jason sempre con un sorriso e scuotendo la testa.
-Che altro dovrei pensare scusa?-
Lui non rispose subito, si poggiò una mano sulla fronte e si mise a ridere di nuovo.
-Vuoi smettere di ridere e rispondermi?- la ragazza si stava arrabbiando. Non pensava che la cosa fosse divertente e non comprendeva il motivo di tanta ilarità da parte di Jason.
-Scusami,- disse lui alla fine, -solo, non ricordavo che fossi così ingenua.-
-Ingenua?- era allibita e voleva sincerarsi di aver capito bene.
-Se davvero pensi una cosa simile come altro potrei definirti?- rispose il profiler come fosse la cosa più ovvia del mondo. Lei continuava a non afferrare il concetto.
-Non ti ha sfiorata minimamente il pensiero che magari potrei essermi preoccupato anche per te e che forse, sempre per ipotesi, stia incolpando me stesso per averti mandata in una situazione così pericolosa al tuo primo vero caso?-
Ora si che era imbarazzata. E finalmente capiva di essere stata una stupida. Non sapeva cosa rispondere perciò rimase in silenzio.
-A volte me ne dimentico che nonostante il tuo cervello sei ancora così giovane.-
-Sai quando fai certi discorsi sembri ancora più vecchio professore.- disse lei tanto per sdrammatizzare, -Comunque se è questo il problema, non ti devi preoccupare sono io che l'ho deciso o sbaglio? E per fortuna è andato tutto bene.-
-Si ma poteva non essere così.-
-Vorrà dire che dovrò imparare a lavorare con la squadra invece di voler fare sempre di testa mia.-
-Vedo che cominci a capire,- fece l'uomo soddisfatto, - ma la domanda è: una come te riuscirà in questa impresa?-
-Se non altro posso prometterti di provarci.-
-E' già qualcosa... -fece diventando pensieroso per un momento. -Se non c'è altro vorrei tornare a quello che stavo facendo se non ti secca.- concluse poi.
-Certo che no, anzi sono contenta che abbiamo chiarito.- disse lei alzandosi con un sorriso.
-D'accordo, chiudi la porta quando esci... Ah Meredith!- la richiamò quando già stava per richiudere la porta alle sue spalle.
-Si?-
-Smettila di chiamarmi professore!- intimò bonariamente.
-Ricevuto capo!- rispose la ragazza ridendo e tornando nell' open space. Si sentiva decisamente sollevata ora che tutto era risolto. Si mise di nuovo seduta al suo posto ma dopo cinque minuti si alzò di nuovo per andare a prendere l' ennesimo caffè. Stava aspettando che la bevanda si raffreddasse inalandone nel frattempo quel profumo che tanto amava quando si sentì bussare piano su una spalla.
-Eih mi hai fatto prendere un colpo!- esclamò vedendo Spencer dietro di lei.
-Devo dirti una cosa.- disse con l' aria di un bambino che si appresta a confessare una marachella alla mamma.
-Dimmi.-
-Morgan sospetta qualcosa, cioè veramente sa praticamente tutto.-
-Tutto che?- chiese la ragazza.
-Beh si insomma... di noi...-
-Oh!- fece la ragazza con finta aria sorpresa, -Perché che c'è da sapere?-
-E smettila guarda che sono serio.-
-Io pure. Sapevamo che prima o poi sarebbe successo o sbaglio? Non vedo il problema.-
-Come sarebbe a dire?-
-Sarebbe a dire che non capisco il motivo di tutta questa agitazione. Finché é Morgan e non Gideon oppure Hotch non ha senso preoccuparsi.-
-Questo sarebbe il tuo modo di affrontare i problemi? Lasciarli peggiorare fino a che non diventano enormi?-
-Se la cosa non ti va dillo subito, basta saperlo e amici come prima.- saettò gelida voltandosi e andandosene.
“Ma che bella giornata, fortuna che è finita va.” pensò seccata dirigendosi alla macchina. Naturalmente le brutte sorprese non erano ancora finite, visto che di fronte all' auto parcheggiata sostava suo padre.
“Oh perfetto si si! Ci mancava solo lui!” pensò con rabbia crescente. “Almeno mi servirà per sfogarmi...”
-Ciao.- la salutò l' uomo con la solita aria imbarazzata.
Come al solito lei non rispose e si limitò a guardarlo di sottecchi. Per qualche istante nessuno dei due parlò, poi Meredith si spazientì:
-Ti decidi a toglierti dalla mia macchina? Devo tornare a casa.- disse seccata.
-Io volevo scusarmi con te, forse sono stato troppo brusco stamani...- azzardò l'uomo.
-Il problema non é quello, piuttosto perché continui a tornare nonostante ti abbia già detto di sparire?-
-Che succede?- una voce maschile interruppe la conversazione. Era Morgan.
-Derek...- esclamò la ragazza meravigliata, cosa ci faceva lui là? Di nuovo aleggiò il silenzio, nessuno parlava e Morgan alternativamente Meredith e l' uomo senza capire.
-Non é niente lui è...- dover pronunciare quella parola relativamente a quell' uomo la disgustava profondamente, -Questo é mio padre Derek.-
-Oh!- fece il collega sentendosi improvvisamente di troppo, - mi dispiace io non lo sapevo.-
-Non deve preoccuparsi anche lei ne era all' oscuro fino a poco tempo fa...- intervenì George.
Come diavolo si permetteva di dire una cosa del genere? Era decisamente troppo e la ragazza non resse:
-E AVREI PREFERITO CONTINUARE AD IGNORARLO! LASCIAMI IN PACE!- gridò scoppiando in lacrime. Tutto lo stress accumulato era venuto fuori improvvisamente e non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore. Morgan a quel punto fece qualcosa di cui Meredith gli sarebbe stata grata per sempre, si avvicinò all' uomo e gli parlò con voce calma ma ferma :
-Signore mi dispiace intromettermi so perfettamente che questi non sono affari miei, ma credo sia meglio per tutti che se ne vada.-
-Come?- finse di non aver capito lui.
-Al momento non mi sembra il caso che lei rimanga qui.- continuò Morgan deciso. L' uomo lo guardò perplesso, ma leggendo la decisione negli occhi scuri del profiler se ne andò suo malgrado.
Nessuno dei due parlava, finché la ragazza non si decise ad asciugare le lacrime e guardarlo di nuovo in faccia.
-Grazie Derek.- disse con gli occhi ancora arrossati.
-Stai bene?-
-Si, certo ora scusami ma devo davvero andare a casa.-
-Vuoi un passaggio?-
-No prendo la mia macchina, tranquillo davvero è tutto a posto.- si affrettò ad andare lei salutandolo e ringraziandolo nuovamente. Nel tragitto verso casa si impose di non pensare a nulla e tenere i nervi saldi. Non poteva permettersi cedimenti di sorta in quel momento. La sua vita stava prendendo lentamente un senso e una forma e lei non voleva permettere a quell' uomo di distruggere ciò che con tanta fatica e sacrifici aveva creato giorno dopo giorno. Non poteva permetterglielo. Raggiunse casa, ma all' ultimo momento non se la sentì di fermarsi e si diresse al molo. Aveva proprio bisogno di un po' di calma. Scese in fretta dall' auto e si tolse le scarpe, poi si sedette sul cemento al suo solito posto e immerse i piedi nell' acqua gelata. La morsa di quel contatto freddo le prese subito lo stomaco, ma la sensazione non le dispiaceva. Probabilmente il suo sangue mezzo russo le permetteva di trovare piacevole quella sensazione di gelo che a chiunque altro avrebbe dato fastidio, costringendolo a ritirare in fretta i piedi. Su di lei aveva invece un effetto calmante, e Meredith non chiedeva altro in quel momento. Un po' di pace, da tanto, troppo tempo la desiderava. Dicono che prima o poi tutti raggiungono una parvenza di felicità. A lei in quel momento pareva impossibile anche solo pensarci. Raramente si fermava a pensare a se stessa e alla sua vita, preferiva andare avanti e non guardarsi mai indietro. Affrontare il futuro e le sue mille incertezze e difficoltà le pareva più semplice e meno doloroso che indugiare sul suo passato e le ombre che lo popolavano. Perché quella notte quando aveva trovato sua madre senza vita, un pezzo di lei se ne era andato per sempre, e la ragazza pensava senza osare confessarselo che fosse la sua parte migliore. Quello che le era rimasto valeva ben poco a confronto. Gli elogi alla sua mente brillante che fin da bambina gli adulti sia negli istituti dove era cresciuta sia a scuola le avevano elargito, erano una ben misera consolazione. Lei conosceva il valore di ciò che aveva perduto, ed era consapevole che niente avrebbe potuto ripagarla di tale mancanza. Non era solo la sua mamma, che indubbiamente rappresentava la fetta più grossa della perdita. Erano la sua infanzia e la sua innocenza che quella notte erano morte con lei, sostituite da una spavalderia di facciata che celava una rabbia, una insicurezza ed un disincanto che persino lei era incapace di comprendere appieno. Il suo carattere così forte non era nient' altro che un muro fatto di cristallo. Sembrava così resistente, ma in realtà era bastato l'affetto sincero di un ragazzo che lei scioccamente aveva allontanato perché troppo spaventata, o il ritorno dell' uomo che si definiva senza diritto suo padre a farlo andare in briciole. Senza la sua patetica corazza poteva vedere chiaramente che essere misero era e compiangere se stessa. Si accorse di stare piangendo quando sentì il rumore di un motore alle sue spalle. Non sapeva dire da quanto tempo lo stesse facendo ma doveva essere parecchio. Si voltò per capire da dove provenisse il suono ed ebbe un sussulto quando il profilo di una vettura a lei nota si stagliò contro quel paesaggio quasi incontaminato. Spencer Reid stava scendendo da quel residuato bellico che lui chiamava la sua macchina, e si avviava con passo svelto verso di lei. Meredith non ebbe la forza di muovere un muscolo. Lui le si sedette vicino e le sollevò il mento, notando così che quel viso che tanto amava era rigato di calde lacrime salate. Lei continuava a non parlare, anche perché non aveva idea di cosa avrebbe potuto dirgli dopo la scenata assurda che gli aveva fatto quella stessa mattina. Si sentiva una perfetta idiota. Lui la guardò teneramente, e d' un tratto ebbe la certezza che sapeva tutto. Derek doveva averglielo detto, non capendo appieno il significato che le parole “Questo é mio padre.” rappresentavano per lei. Ma Spencer poteva capirlo benissimo. I suoi sospetti furono confermati dalla protesta triste di lui:
-Perché non mi hai detto niente?-
La ragazza sembrava aver perso l' uso della parola. Non riusciva a formulare una risposta ed i suoi occhi parlarono per lei riempiendosi di nuovo di lacrime. Reid la tirò a sé stringendola in un abbraccio che valeva più di mille parole, mentre il corpo di Meredith era scosso da violenti singhiozzi, come se una diga avesse ceduto e tutto ciò che si era tenuta dentro in quegli anni fosse uscito finalmente fuori, sopraffacendola e togliendole il respiro e la facoltà di parlare. Si abbandonò all' abbraccio di Spencer sentendo che non c'era altro al mondo che desiderava e di cui aveva bisogno in quel momento.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


-Oh mio dio tesoro ma che cosa hai fatto?- Megan guardava la sua amica con aria esterrefatta. Era appena entrata in casa e aveva tentato di andarsene in camera passando inosservata, ma era stata bloccata sul primo gradino delle scale dalla voce della bruna. Si voltò a guardarla piuttosto imbarazzata:
-Ciao! Non ti piacciono?- chiese.
-Ma no ti stanno benissimo, non è questo il punto.- disse trascinandola in salotto. Meredith si lasciò trasportare ben sapendo dove il discorso sarebbe andato a parare. Si maledì per non aver fatto più piano. Megan la obbligò a sedersi e la guardò dritto negli occhi.
-Allora?-
-Allora che?-
-Meredith sei tornata a casa con i capelli corti. Per gli altri forse questo non vorrà dire nulla ma io ti conosco, e quando fai così vuol dire che c'è qualcosa che non va. Perciò ora parliamo.- sentenziò l'amica.
-Ma dai quanto sei esagerata li ho solo accorciati un po'...- disse la bionda indicando i capelli che ora le ricadevano sbarazzini sul volto, in un lungo caschetto scalato che in qualche modo la faceva sembrare più grande.
-Devo forse rammentarti che alle medie ti sei tinta i capelli di rosso perché avevi quelle continue lotte col professore di matematica che ti odiava perché correggevi sempre i suoi errori in classe? E che mi dici di quando ti sei fatta quella frangetta nera con le meches viola perché avevi una cotta non ricambiata per il  tuo professore di neuroscienze all' università?-
-Hai finito? Guarda che qui la profiler sono io!- protestò la ragazza arrossendo nel ricordare i tempi dell' università e quella sua sbandata pazzesca per il giovane professor Greene .
-Non serve essere una profiler, basta conoscerti. Quando c'è qualcosa che ti turba tu te la prendi coi tuoi capelli. E ora che mi sei tornata a casa con mezzo metro in meno di chioma voglio sapere che ti succede.- rispose Megan con un misto di serietà e sarcasmo.
-Ok, va bene inguaribile rompiscatole te lo dirò...- si arrese Meredith alla fine. Si morse il labbro inferiore pensando a come trovare le parole giuste per esprimersi. "Al diavolo," pensò seccandosi con se stessa "glielo dico e basta!"
-Qualche giorno fa è venuto da me un uomo. - cominciò fissando un punto non ben definito del pavimento -e mi ha detto di essere mio padre.-
Megan la guardò attonita:
-Che cosa hai detto? Io spero che tu stia scherzando.- non avrebbe saputo dire se quello che leggeva negli occhi della sua amica era più rabbia o sgomento.
-No, ti pare che scherzerei su una cosa del genere? Mi ha pure mostrato una foto di lui e mia madre da giovani. Non c'è dubbio che sia davvero lui.-
-E cosa vorrebbe scusa?- Megan era incredula.
-Oh si questa è la parte comica,- fece la ragazza con un sorriso amaro sul volto - voleva "ricostruire la famiglia", quell' idiota non sapeva neanche che la mamma è morta. Non so se mi fa più schifo o pena.-
Per un po' aleggiò un pesante silenzio in cui nessuna delle due parlava. Era difficile per Meredith indovinare quali pensieri passassero in quel momento nella mente della sua amica. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, ma non pensava succedesse così all' improvviso. Non era ancora preparata a parlarne. Anche se da una parte era contenta di aver trovato solo lei ad aspettarla. Oliver non l'avrebbe presa bene ne era convinta.
-Me lo fai un favore?- chiese rivolgendosi alla bruna ancora immersa nei suoi pensieri.
-Non chiedermi di non dire niente ad Oliver tanto lo sai che lo verrà a sapere comunque...- cominciò lei quando la conversazione fu interrotta dalla voce del ragazzo alle loro spalle.
-Non deve dirmi cosa?- chiese accigliato con le braccia incrociate sul petto. Meredith e Megan si voltarono a guardarlo ma nessuna delle due disse una parola.
"Quanto avrà sentito?" pensò allarmata la bionda. Gli occhi di lui erano fissati in quelli di lei e pareva non volerne sapere di desistere. Meredith trasse un profondo respiro e si decise finalmente a parlare:
-E' venuto a cercarmi uno che dice di essere mio padre, e pare proprio che sia così visto che aveva una foto di lui e mia madre da giovani. Contento?- disse sbrigativa.
Lui si limitò a lanciarle un' occhiataccia e si voltò cominciando a salire le scale:
-Vado a fare una doccia.- disse semplicemente. Dentro di se era furioso, ma non aggiunse altro e sparì diretto al piano superiore.
-Lo sapevo...- fece Meredith scuotendo la testa.
-E' normale che si arrabbi lo sai come è fatto, ma non potevi certo nasconderglielo!- cercò di incoraggiarla l' amica.
-Megan tu sei troppo ottimista. Sai che lui ci considera la sua famiglia più di prima da quando i suoi hanno divorziato sei mesi fa e suo padre si è trasferito in Australia con la sua nuova fiamma.-
-Beh mi pare un eufemismo definirla così...-
-Col suo nuovo amante, o fidanzato, o quello che ti pare va bene? E' stato un duro colpo per lui e più per il fatto che il padre se n'è andato dall' altra parte del mondo da un giorno all' altro, che per aver scoperto che è gay.-
-Lo so anche io. Per questo è meglio che tu gliel' abbia detto subito.-
-Speriamo che sia così anche se ho un brutto presentimento.- sospirò.
Megan si sentì molto triste. Era abituata a fare sempre da paciere tra quelle due teste calde che erano i suoi migliori amici, ma spesso la cosa le pesava non poco. Ci voleva una pazienza infinita, e anche se la sua pareva inesauribile dentro stava sempre molto male quando succedevano cose del genere.
L' uomo camminava da un po' ormai, e una leggera pioggerellina aveva cominciato a cadere rendendolo zuppo in pochi secondi. Non sapeva perché continuava ad insistere ma si stava dirigendo in un luogo dove era certo che sarebbe stato accolto in malo modo. Ormai si stava quasi abituando, no anzi rassegnando era il termine esatto. Quella ragazza non voleva saperne di dargli una chance, era bella come sua madre e testarda come lui. Ecco perché si stava dirigendo là, non era un uomo che si arrendeva facilmente. Si era arreso ed era fuggito solo una volta in vita sua e ancora ne pagava il prezzo. Quegli occhi freddi come il ghiaccio che lo guardavano con profondo disgusto misto ad odio erano la sua ossessione e il suo tormento. Avrebbe tanto voluto che lo vedessero sotto una luce nuova e si tormentava pensando a come poteva fare perché ciò accadesse, senza riuscire a darsi una risposta. Giunto finalmente a destinazione imboccò il vialetto stringendosi nella giacca per il vento e la pioggia che lo sferzava lateralmente, e dopo un attimo di esitazione si decise a suonare il campanello. Non fu lei ad aprire la porta, ma una giovane ragazza bruna e minuta con gli occhi vispi ed un piccolo neo sul mento.
-Posso aiutarla?- gli sorrise cordialmente. Ecco questa era l'espressione che avrebbe tanto voluto vedere anche sul viso di sua figlia. Ma era solo una vana illusione. Sapeva bene che ciò non sarebbe mai accaduto, non con tanta facilità almeno.
-Salve, forse ho sbagliato casa...- cominciò quando una voce che ormai aveva imparato a riconoscere lo fece trasalire.
-Megan chi è alla porta?- chiese mentre il rumore dei suoi passi si faceva più vicino. L' uomo sapeva quale sarebbe stata la sua reazione non appena l'avesse scorto ma non si mosse. Non appena fu entrato nel suo campo visivo il suo viso disteso mutò espressione caricandosi di un profondo disprezzo.
-Che diavolo ci fai qui? Ora ti permetti anche di venirmi a disturbare a casa mia?- domandò secca. La brunetta la guardò smarrita. Aveva indovinato chi era l'uomo al quale aveva aperto la porta guardando Meredith in faccia, e si sentiva colpevole senza una ragione apparente.
-Voglio sapere se c'è una minima possibilità che riusciamo a parlare senza che tu faccia una scenata.- rispose George. Aveva deciso di cambiare tattica, se con le buone non funzionava magari gli sarebbe andata meglio con le cattive. Una mossa molto stupida.
-Cosa hai detto?- fece la ragazza allibita avvicinandosi in modo da trovarsi in mezzo, tra lui e Megan, che a quel punto arretrò non sapendo più cosa fare.
-Quello che hai sentito.- continuò lui -Voglio parlare con te senza creare tutte le volte un melodramma. Pensi di riuscire a farlo?-
-Tu non hai nessun diritto di parlarmi, figurati se ti permetto di dirmi certe cose. L' unica cosa che devi fare è levarti di torno quante altre volte dovrò ripetertelo?-
-L'ho capito questo. Ma voglio che sia tu ad ascoltare me per una volta.-
-No tu devi sparire e basta capito?- disse lei furiosa cercando di sbattergli la porta in faccia. Non glielo avrebbe permesso, non stavolta. Mise prontamente un piede tra lui e la porta impedendole di chiuderlo fuori e con uno scatto spalancò la porta di legno facendo arretrare entrambe le ragazze.
-Cosa fai ora? Questa si chiama violazione di domicilio posso farti sbattere dentro lo sai questo vero?- gli urlò addosso Meredith furiosa e per nulla spaventata, slanciandosi verso di lui per spingerlo fuori a forza. Si era dimenticata di trovarsi di fronte ad un ex ufficiale della marina. George fu più veloce di lei e la bloccò stringendole entrambe le braccia.
-Mi fai male lasciami immediatamente. Ho detto LASCIAMI!- scandì la ragazza fulminandolo con lo sguardo. L'uomo la guardò di rimando e non si accorse del ragazzo che per tutto il tempo era stato alle spalle di Meredith e Megan e non appena aveva visto l'uomo afferrare la sua amica era scattato in avanti. Vide arrivare il suo pugno solo quando ormai era troppo tardi per evitarlo, e questo si abbatté contro la sua mascella facendola scricchiolare. Mollò la presa ed arretrò, portandosi una mano sul punto in cui era stato colpito, che sentiva pulsare dolorosamente. Guardò il ragazzo: era più basso e più gracile di lui, ma nonostante questo aveva un gancio niente male. Lui lo guardava a sua volta e si era posizionato in modo da tenere le ragazze lontano dalla sua portata. "E questo ragazzino che si crede superman chi è adesso?" pensò George ironico.
-Esci immediatamente da casa mia, perché la prossima volta non sarò così gentile te la spezzo la mandibola.- sibilò minaccioso. L' uomo lo guardò allibito. Non gli ci sarebbe voluto molto ad atterrare quel ragazzino presuntuoso del quale non conosceva l' identità, ma non voleva creare un problema del genere perciò decise che la ritirata per il momento era la cosa migliore. Lanciò un ultimo sguardo a Meredith che guardava allibita il suo amico e tornò sui suoi passi, immergendosi di nuovo nella pioggia con la mascella ancora dolorante.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Dopo che la porta era stata richiusa il silenzio dominava la casa. Nessuno dei tre ragazzi aveva il coraggio di parlare. Oliver risalì le scale e tornò al piano superiore, ma Meredith lo seguì e lo bloccò nel corridoio guardandolo con aria severa:
-Si può sapere che diavolo ti è preso?- chiese.
-Niente, l'ho visto alzare le mani e ho reagito d' istinto. Punto.- rispose lui ricambiando lo sguardo con un' occhiata in tralice. Aleggiava un' atmosfera molto pesante tra i due.
-Non parlo di questo, intendo in generale. Ultimamente non ti riconosco più Oliver.-
-Oh davvero? Beh scusami tanto se non mi va molto di scherzare dopo tutto quello che è successo. E scusami se tento di difenderti da uno psicopatico che dice di essere tuo padre piomba in casa nostra e fa tutto quel casino. CHE DIAVOLO VOLEVI CHE FACESSI EH?- urlò esasperato.
-NON URLARE CON ME!- gridò lei di rimando -Non c'era affatto bisogno di fare una scenata del genere.-
-Ah io ho fatto una scenata? Stai a vedere che adesso è colpa mia! Sbaglio o quello è TUO padre?-
-Questo che c'entra? E' venuto qui a mia insaputa di certo non l'ho invitato io. E comunque potevo benissimo cavarmela da sola!-
-Si ho visto!- fece lui sarcastico – E' il colmo... Lo sai non c'è affatto bisogno di prove per capire che siete parenti. Siete fatti della stessa pasta.-
Decisamente aveva detto una parola di troppo, e ancora prima che avesse finito di pronunciare quella frase la mano di Meredith si era abbattuta sonoramente sulla sua guancia.
-Non ti permettere di dire certe cose!- tuonò furiosa.
-E tu non permetterti di prendermi a schiaffi! Bella ingrata che sei!- la rimbeccò lui massaggiandosi la guancia arrossata e scomparendo dietro la porta della sua stanza, che richiuse alle sue spalle con un tonfo. Meredith non era mai stata tanto arrabbiata con lui in vita sua, e non ricordava che avessero mai avuto un litigio del genere. Scese le scale come una furia passando accanto ad una Megan atterrita senza dirle una parola, e si precipitò fuori di casa. La pioggia non aveva ancora smesso di cadere, ma non le importava molto di bagnarsi. Cominciò a camminare senza una meta precisa sperando che le gocce d'acqua potessero lavare via il ricordo di quelle ultime ore che a lei erano sembrate secoli. Non riusciva a credere a ciò che era successo, eppure era la realtà. Guardava le persone passarle accanto mentre camminava, e si domandava se anche le loro vite somigliassero ad un melodramma quotidiano come la sua, o magari erano tutte perfette come quelle delle famiglie ritratte dalle pubblicità televisive: mariti modello, mogli impeccabili, figli invidiabili.
“Si come no.” pensò amareggiata “la vita non è affatto così. Purtroppo o per fortuna, chi lo sa.”
Entrò in un bar senza neanche guardare, si mise seduta al bancone e ordinò un the caldo con limone. Aveva bisogno di riscaldarsi e anche se il the nel pomeriggio faceva molto “british” non le importava. Pensò con una fitta di tristezza che un tempo Oliver l'avrebbe presa in giro per questo. Soprattutto perché lei solitamente non beveva alcolici, e lui la prendeva in giro chiedendole come potesse esistere qualcuno che non ordinava un drink quando entrava in un bar. Odiava ammetterlo ma si sentiva una stupida per come aveva reagito poco prima. Aveva molta nostalgia dei tempi in cui tutto andava bene e loro tre vivevano felici pensando che il futuro fosse un foglio bianco e loro gli unici possessori dell' inchiostro adatto a scriverci sopra.
“Felici come nelle pubblicità.” pensò con un sospiro triste. Non era affatto così semplice e non tutto nella vita dipende dalla nostra volontà. Che lo si voglia chiamare destino, fato oppure ordine naturale dell' universo poco importa, c'è sempre qualcosa di imprevisto che sfugge al nostro controllo e ci piomba addosso all' improvviso scombussolando tutti i nostri piani. Lei non era mai stata del tutto convinta che le cose stessero così, ma gli ultimi avvenimenti le avevano fatto mutare opinione. Il ritorno di suo padre che ancora non riusciva a spiegarsi l'aveva turbata alquanto, portando scompiglio in quelle che erano le sue certezze più elementari. E non era certo stata lei a desiderarlo, le era capitato e basta e non era del tutto sicura che fosse stato per caso, anche se in quel momento non riusciva a comprenderne la motivazione. Ammesso e non concesso che ve ne fosse una. Tutti i suoi pensieri molto filosofici e poco razionali furono interrotti da una voce nota che la chiamò facendola sussultare. Le bastò voltarsi appena per scorgere la figura di Jason Gideon che si stagliava sullo sgabello accanto al suo.
-Oh, ciao non ti avevo visto.- si scusò.
-Me ne sono accorto.- rispose l' uomo guardandola con aria seria. -Va tutto bene?- chiese.
-Si, certo... tutto bene.- mentì lei. Non aveva nessuna voglia di parlare al momento.
-Mi fa piacere.- si limitò a rispondere vago Jason facendosi pensieroso.
-Davvero?- chiese la ragazza incredula -Niente commenti da profiler sul fatto che sono dieci minuti abbondanti che giro distrattamente il cucchiaino nella tazza e ancora non ho bevuto nemmeno un sorso?-
Gideon fece un sorriso
-Era questo quello che volevi sentirti dire?-
-Non saprei, e comunque ormai non ha più importanza me lo sono detto da sola.- disse Meredith sorridendo a stento.
-Beh, visto che hai fatto tutto da sola potresti anche dirmi cosa c'è che non va.-
-Non lo so se è lecito parlare di questioni personali con un superiore.- disse lei assumendo un finto tono professionale.
-Però non c'è nulla di male nel confidarsi con un vecchio professore o sbaglio?- chiese Gideon con un sorriso sornione.
-Ah, adesso sei di nuovo il mio professore?- rise la ragazza divertita.
-Se serve...-
-Lo sapevo che saresti riuscito ad incastrarmi.-
-L'esperienza dovrà pur portare qualche vantaggio, no?-
Meredith pensò che probabilmente avrebbe dovuto rivolgersi a lui già da tempo e si sentì una stupida per averlo realizzato così tardi. In fondo Gideon non era solamente l' agente federale che l'aveva trovata accanto a sua madre quando l'avevano uccisa, più di una volta aveva rappresentato l'unica persona a cui chiedeva consigli grazie alle lettere che periodicamente gli scriveva, alle quali dal canto suo l'uomo si premurava di rispondere non appena gli era possibile. Non solo, in seguito era diventato il suo professore all' accademia e infine il suo nuovo capo. Aveva sempre avuto un ruolo importante nella sua vita e lei se n'era accorta soltanto in quel momento. Decise di raccontargli tutto quello che le era capitato in quei giorni, tralasciando ovviamente le parti che riguardavano lei e Spencer per evitare di mettere entrambi nei guai. Anche se il contesto era informale lui era pur sempre un superiore, e certe cose era meglio che non venisse a saperle. Man mano che andava avanti nel suo racconto sentiva come se un grosso macigno fosse rotolato giù dalle sue spalle dopo avervi sostato per molto, troppo tempo. Era una meravigliosa sensazione di liberazione. Jason la ascoltava in silenzio e attese che lei avesse finito prima di prendere finalmente la parola:
-Ora capisco perché te ne stai qui tutta sola.- disse con aria grave.
-Eh già...-
-Lo sai Meredith io fossi in te andrei a cercare quell' uomo e ci parlerei.- disse semplicemente. La ragazza non credeva alle proprie orecchie:
-Come?-
-Si lo so che non ti aspettavi che ti dicessi questo. Ma se tu provassi ad ascoltare le sue ragioni senza aggredirlo, probabilmente tutta questa sofferenza che provi finirebbe. Il mio unico consiglio è quello di dargli una possibilità. Non pretendo certo che tu gli salti al collo e lo abbracci, ma prova almeno a lasciarlo parlare.-
-Lo dici come se fosse una passeggiata.-
-Sono perfettamente cosciente che per te non lo è credimi, ormai ti conosco da molto tempo. So bene che provi tanta rabbia e che il tuo orgoglio ti ostacola ma penso che dovresti almeno provarci o non ne verrai mai fuori.-
Meredith stette un momento in silenzio a riflettere sulle parole che Gideon le aveva appena detto. Aveva tanta voglia di smettere di soffrire, però Jason aveva ragione sul suo orgoglio. Era testarda e orgogliosa come pochi, soprattutto con quelli che la ferivano. E colui che tecnicamente era suo padre si trovava in cima alla lista. Anche perché ciò che non aveva confessato a nessuno era che lei gli dava la colpa per quello che era successo a sua madre. Si era ingenuamente convinta che se fosse stato con loro non sarebbe mai accaduto niente. Sapeva bene che questo non era vero, che quasi certamente l'assassino avrebbe ucciso anche lui e che l'unico motivo per cui lei era ancora viva era che probabilmente non si era accorto della sua presenza in quella casa. Nonostante tutto aveva bisogno di incolpare qualcuno e l'uomo che era sempre stato così pesantemente assente nella sua vita era il capro espiatorio perfetto. Sospirò e alla fine si decise a rispondere:
-Va bene.- si arrese – forse posso provare ad ascoltarlo. Ma questo non significa nulla.- aggiunse con rabbia.
-Certo che no, una cosa alla volta.- rispose Jason compiaciuto -Posso farti una domanda che non ha a che fare con questo?- chiese poi con l'intento di cambiare argomento.
-Certo.-
-Mi hai detto che vuoi fare la profiler perché desideri che nessuno provi l'esperienza che è toccata a te. Ma questo non è tutto vero? Qual è l'altra motivazione?-
-Mi fai quasi paura! Sei un mago per caso?- scherzò la ragazza
-Io sono solo un attento osservatore Meredith, non c'è niente di sovrannaturale in questo.-
-Si lo so.- disse tornando seria – In realtà è vero che c'è dell' altro ma non so se è il caso di dirtelo.-
-Non puoi saperlo se non ci provi.-
-Vedi, gli SI a cui diamo la caccia sono persone che in qualche modo hanno tutte subito qualcosa. Chi aveva una madre troppo pressante ed ossessiva, chi un padre violento, altri hanno visto morire i propri genitori...-
-O l'unico genitore che avevano.- disse l'uomo con un' occhiata eloquente.
-Esatto, era proprio quello che intendevo. Il mio passato è simile a quello di molti di loro. Allora perché io non ho mai sentito il desiderio di uccidere qualcuno? Perché non davo fuoco ai gattini da piccola o immaginavo di squartare il professore di scienze? Quello che voglio davvero sapere è: io sono come loro? E se non lo sono qual è il motivo? Davvero non lo capisco.-
Jason annuì:
-E' una domanda più che lecita quella che ti poni. Io non conosco la risposta, e credo che tu sia l'unica che possa trovarla. L' unica raccomandazione che mi sento di farti è di non farla diventare un' ossessione.-
-No, certo...- fece lei vaga -adesso devo proprio andare ho un po' di cose da sistemare. Ci vediamo al bureau.-
L' uomo annuì con un cenno del capo.
Meredith lasciò i soldi accanto alla tazza e si diresse verso l'uscita, ma si bloccò quasi subito:
-Grazie di tutto.- disse rivolta a Gideon che era rimasto seduto. Lui sorrise, e Meredith la prese come una risposta positiva perciò si avviò all' uscita e una volta fuori scoprì che la pioggia era cessata ed era spuntato il sole.
“Se questo è un segno è decisamente rincuorante.” pensò con un sorriso mentre si immergeva nella folla di persone che camminavano per la strada.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Per l'intero week end che ormai stava volgendo al termine, Meredith non si era fatta vedere né sentire e la cosa lo stava facendo preoccupare alquanto. Va bene che ormai si era abituato ai suoi comportamenti fuori dell' ordinario, tuttavia ciò non gli impediva di stare in ansia. Spencer posò il libro di psicometria che stava leggendo comodamente disteso sul divano di casa sua ed afferrò il cellulare che giaceva inerte sul tavolo.
“Ancora niente.” pensò amareggiato, prima che una voce nella sua mente lo punzecchiasse
“Di che ti lamenti scusa? In fondo neanche tu ti sei fatto vivo o sbaglio?”
Aveva ragione, ma non era quello il punto della situazione. Non l'aveva chiamata perché dopo essere venuto a conoscenza del ritorno del padre aveva pensato che lei volesse i suoi spazi. Un ragionamento logico sensato e razionale che aveva ingaggiato un' aspra lotta con la sua sfera emotiva, la quale ovviamente premeva affinché lui se ne fregasse della logica e si decidesse a chiamarla. Anche solo per sentire il suono della sua voce, che in quei giorni gli era mancato terribilmente. Si sfregò le mani in preda all' ansia da un lato e l' indecisione dall' altro.
“E prendi quel telefono diamine! Tonto che non sei altro!” si spazientì la voce nella sua testa mentre il suo braccio si dirigeva quasi automaticamente verso il telefonino. Compose il numero che aveva ovviamente imparato subito a memoria come suo solito, e attese con un po' di apprensione che Meredith rispondesse.
-Che ci fai qui?- disse brusco Oliver scostandosi un ricciolo scuro dal volto. La bionda si stagliava all' ingresso della sua stanza e lo guardava seria, con le braccia incrociate sul petto e la schiena poggiata contro lo stipite della porta.
-Tanto per cominciare ci abito...- disse semplicemente.
-Questo non ti da il diritto di entrare in camera mia senza bussare.- si scocciò lui posando la penna che teneva in mano sulla scrivania, e chiudendo con uno scatto il libro di diritto privato.
-Hai ragione è vero.- annuì la ragazza avvicinandosi e cominciando a sfogliare il medesimo libro. -Non è difficile questa parte...- commentò vaga. Oliver si spazientì sul serio:
-Non sarà difficile per te... E vuoi piantarla di divagare? Quando fai così mi fai saltare i nervi!- sbottò.
-Posso essere ancora più irritante se voglio, ma penso che per stavolta ti grazierò.- sorrise sorniona lei posando il manuale e appoggiandosi al ripiano di legno nero.
-Ti ringrazio!- fece lui ironico ma in fondo divertito – Ora mi dici cosa vuoi?-
-Oh insomma sai che voglio fare pace non dovresti neanche chiederlo!-
Il ragazzo si voltò finalmente a guardarla e Meredith constatò con piacere che sorrideva.
-Ma cosa sei una bambina dell' asilo? Non dovresti dare tutto per scontato. Pensi che basti venire qui e dirmi che vuoi fare pace perché questo accada? Le cose non funzionano esattamente così.-
-Le cose spesso funzionano come noi decidiamo di farle funzionare caro.- disse lei saccente.
-Odio quando ti atteggi a filosofa!- la prese in giro lui, cosa che la rese davvero felice. Significava che  nonostante volesse fare il duro in realtà non ce l' aveva più con lei, e questo la confortò non poco. Capiva bene il suo comportamento non tanto perché era una profiler e neanche perché lo conosceva da molto tempo. La vera motivazione era il fatto che tra i suoi due migliori amici, Oliver era sicuramente quello che le somigliava di più dal punto di vista caratteriale. Anche se lui solitamente era di indole più scherzosa della sua aveva la testa dura come il marmo esattamente come lei, a differenza di Megan che era invece dolce e paziente. Ecco perché spesso e volentieri si scontravano, ma ciò che l' aveva spaventata maggiormente in quel caso era stato il fatto che solitamente Oliver era uno di quelli che abbaiano ma non mordono. Vederlo alzare le mani su George nonostante questi se lo fosse meritato pienamente, l' aveva scossa non poco. Gli era quasi sembrato di trovarsi di fronte ad un altra persona, un totale sconosciuto, e questo l' aveva spaventata. Lui e Megan costituivano il suo principale sostegno, e se uno dei due vacillava il suo piccolo mondo andava inevitabilmente in frantumi. Oliver dal canto suo era cosciente di aver esagerato e capiva la reazione che aveva avuto la sua amica, anche se naturalmente non lo avrebbe mai ammesso. In un primo momento si era sentito soddisfatto e gli era persino piaciuto poter sfogare tutta la rabbia accumulata nei giorni precedenti dopo ciò che gli era accaduto con suo padre, in seguito però aveva riflettuto e capito di aver fatto un gesto un po' avventato.
-Non è vero,- fece Meredith portandosi alle sue spalle e cingendolo da dietro la sedia della scrivania su cui era seduto – tu non puoi odiarmi!-
-Cos'è un ordine?- chiese lui mettendosi a ridere. La voce di Megan sopraggiunse in quel momento alle loro spalle:
-Voi due non state mica amoreggiando senza di me vero?- chiese in finto tono di rimprovero.
-Oh ma tesoro come ti viene in mente? Vieni qui!- le disse la bionda tendendo un braccio nella sua direzione in modo che si unisse a loro.
-Ma che bel quadretto, veramente commovente... Mi verrà una carie se continuate così!- disse Oliver sarcastico e scherzoso al contempo.
-Zitto tu!- lo rimbeccò la mora – Tanto lo sappiamo che fai lo spavaldo ma sei un adorabile orsacchiotto.-
Le ragazze si guardarono negli occhi con uno sguardo complice, e come se quella frase fosse un segnale convenuto si abbassarono verso di lui pizzicandogli forte una guancia ciascuna.
-Adorabile orsacchiotto!- ripeterono insieme cantilenando.
-Ahi! E basta non vale siete due contro uno!- protestò il ragazzo mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime per il dolore.
-Piccolo gli facciamo la bua!- lo canzonò Meredith scompigliandogli vigorosamente i ricci neri. Avevano sempre avuto l' abitudine di far pace attraverso scherzi infantili come quelli, e nonostante il trascorrere del tempo continuavano a punzecchiarsi a vicenda come bambini.
-Tu stai attenta, e dormi con un occhio solo, la mia vendetta sarà implacabile e tremenda!- la avvertì lui con tono minaccioso massaggiandosi le guance.
-Si certo, sto già tremando!- rise la ragazza. Vennero interrotti dallo squillo del telefono di Meredith sul cui display lampeggiava il nome di Spencer. Megan non mancò di coglierlo prontamente con la coda dell' occhio:
-Uuh!- civettò divertita rivolgendosi ad Oliver – E' il suo genietto!-
-Aah!- le fece eco lui ridendo e strizzando l' occhio.
-Smettetela sembrate due vecchie pettegole!- protestò la ragazza nascondendo il cellulare e arrossendo lievemente.
-Ma che tenera è diventata rossa!- la presero in giro all' unisono i due amici.
Meredith si allontanò e quando fu quasi alla porta prese un cuscino scaraventandolo nella loro direzione:
-Chiudete il becco!- rise scendendo al piano inferiore, e si decise finalmente a rispondere.
-Era l' ora, stavo per mettere giù!- protestò la voce del ragazzo nell' altoparlante. Chiudendo gli occhi Meredith poteva vedere l' espressione imbronciata che doveva essersi dipinta sul volto di Reid al pronunciare quella frase. La scena la fece sorridere e decise di tormentarlo un po':
-Beh che cosa ti aspettavi che rispondessi al primo squillo dopo quasi due giorni che non ti fai vivo? Sono una ragazza impegnata io...- affermò con un tono di voce tra l' acido e il sarcastico.
-Veramente non ti sei fatta sentire neanche tu.- puntualizzò lui.
-Ma tu stai sempre fermo ad aspettare che le cose ti succedano invece di agire e fare in modo che accadano?- chiese la ragazza inarcando un sopracciglio.
-E tu ti comporti sempre come se avessi ragione anche quando sei palesemente in torto?- ribatté Spencer cominciando ad alterarsi. Probabilmente lo stava provocando perché aveva voglia di litigare, e se era davvero così ci stava riuscendo benissimo. Sapeva essere estremamente indisponente quando voleva, e lui era consapevole di stare cadendo nella sua rete, ma non gli importava. Voleva capire che cosa le era successo di così importante da farle dimenticare totalmente della sua esistenza.
-Bene, ora ci stiamo sentendo no? Che vuoi?- chiese lei spiccia.
-Sei insopportabile quando rispondi così. E' tanto strano che io ti chiami per sapere come stai dal momento che non ci siamo sentiti per tutto il week end?-
-No, non è strano. Comunque ora sto bene.-
-Perché dici ora? E' successo qualcosa?-
Oh si, ne erano successe tante di cose. Meredith però non era sicura di volergliene parlare. Si rendeva conto di avere un atteggiamento sbagliato e che il povero Spencer nulla aveva a che fare con quello che le era capitato, eppure aveva una gran voglia di sfogarsi con qualcuno. O meglio su qualcuno.
-Te lo riassumerò brevemente. George mi è piombato in casa all' improvviso pretendendo che lo ascoltassi ho rifiutato ed ho provato a cacciarlo ma lui non voleva andarsene e mi ha afferrata per le braccia, al che Oliver è sceso giù e gli ha dato un pugno in faccia. Lui se n'è finalmente andato e io ho litigato anche col mio amico, dato che nonostante le buone intenzioni il suo gesto non mi è piaciuto. Sono uscita sotto la pioggia senza ombrello per non pensare e cercare di calmarmi, mi sono infilata in un bar dove ho trovato Gideon col quale mi sono confidata e che mi ha dato un sacco di buoni consigli. Dopodiché sono tornata a casa. Adesso avevo appena finito di far pace con Oliver e mi hai telefonato tu. Fine del resoconto. Contento?-
-No per niente!- sbottò Spencer in preda ad un moto di rabbia mista a gelosia -Tu mi hai deliberatamente ignorato per due giorni solo perché hai avuto uno stupido litigio col tuo amico?-
-Tanto per cominciare smettila di urlarmi nelle orecchie!- fece lei innervosendosi davvero – E poi che diavolo vorresti dire con questo discorso? Uno “stupido litigio”? Chi sei tu per definirlo così, e che ne sai di quanto ci sono stata male?-
-Già è proprio questo il punto.- saettò lui gelido.
-Spiegati per favore non capisco dov'è che vuoi arrivare.-
In realtà l' aveva capito benissimo, ma non voleva credere ai suoi stessi sospetti. Non era possibile che gli fosse venuta in mente una cosa simile e che stessero litigando per quello.
-Se sei stata così male da dimenticarti di me, allora non credo che siate soltanto amici sinceramente.-
“L'ha detto davvero, incredibile!” pensò allibita. Come poteva essere così stupido ed egoista? Le sembrava di non conoscere più neanche lui. Quella non poteva essere una frase pronunciata da Spencer Reid.
-Stammi a sentire,- cominciò alquanto rabbiosamente – punto primo io non ti devo assolutamente nessunissima spiegazione e punto secondo tu hai perfettamente ragione, noi non siamo soltanto amici. Siamo come fratelli, il che è ben diverso. E il fatto che tu ti permetta di fare certe insinuazioni del tutto fuori luogo mi disgusta profondamente sappilo!-
-Io non insinuo niente commento soltanto i fatti.-
-Allora fammi un favore tienili per te i tuoi stupidi commenti!- scattò lei chiudendo la conversazione con un click. Furiosa come mai lo era stata con qualcuno si diresse in cucina prese un bicchiere e lo riempì d' acqua con le mani che le tremavano, tentando nel frattempo di fermare le lacrime di rabbia che avevano cominciato a scorrere sul suo viso. Bevve tutto in un unico sorso appoggiò il bicchiere sul lavello e si diresse in camera sua con gli occhi ancora umidi. Si distese sul letto e trasse un profondo sospiro, cercando disperatamente di non pensare a quella conversazione che, forse, aveva sancito la fine della sua relazione con Spencer Reid.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Era arrivata in ufficio puntuale quella mattina e non aveva rivolto la parola a nessuno, se si escludono i saluti tradizionali elargiti in risposta a quelli dei colleghi. Se ne stava seduta alla sua scrivania in un angolo, attenta a non incrociare lo sguardo con quello di Spencer. Già le risultava molto difficile sopportare la sua presenza. Dopo la loro discussione le era diventata inevitabilmente odiosa, figuriamoci parlarci. Era assolutamente fuori questione, se la voleva sapeva dove trovarla lei non avrebbe certo mosso un dito in quel senso. Non era colpa sua se lui aveva fatto quella scenata, si era semplicemente comportato da stupido e in quanto tale doveva essere lui a rimediare. Per quanto la riguardava potevano continuare ad ignorarsi per sempre, non le importava affatto. Si alzò per dirigersi alla macchina del caffè, e nel voltarsi si trovò di fronte proprio Reid.
"E ora che vuole?" pensò mettendosi subito sulla difensiva e guardandolo di sottecchi. Lui non parlava.
-Senti.- si spazientì - Vuoi toglierti di mezzo per favore? Vorrei tornare a quello che stavo facendo.-
-Ma se non stavi facendo niente!- la rimbeccò lui sarcastico.
-Fa lo stesso, smettila di starmi tra i piedi se non hai nulla da dirmi.- ribatté la bionda alquanto seccata, andandosene senza ascoltarlo.
-Aspetta!- la raggiunse lui correndo -Voglio parlare con te.-
-Secondo me non c'è proprio nulla da dire, mi pare che sei stato abbastanza chiaro no?-
-Si ma non possiamo continuare così.-
-Spiegati, che vuol dire?- chiese la ragazza fermandosi e guardandolo dritto negli occhi. Se era giunta l' ora dei chiarimenti allora che si sbrigasse a parlare.
-Voglio dire che io e te siamo colleghi, lavoriamo insieme ed è importante che non ci siano tensioni fra di noi. La prossima volta che avremo un caso che faremo, staremo tutto il tempo ad ignorarci come adesso? Sai che non è possibile dobbiamo collaborare.-
Meredith si morse il labbro inferiore, aveva ragione da vendere.
-Lo so.- ammise - Così non possiamo lavorare. Quindi cosa si fa?-
Ora era il turno di Reid di mordersi il labbro e tacere. Sembrava imbarazzato, tuttavia la ragazza sapeva bene quello che stava per succedere. Era l' inevitabile conseguenza di un rapporto nato all' improvviso, nel quale si erano lasciati entrambi trasportare senza sapere bene come era successo. Se nuotando ci si abbandona alla forza delle onde, queste ci trascinano a largo facendoci affogare. Lo sapevano bene entrambi, eppure dirlo era difficile. Dannatamente difficile.
-Dovremo...- cominciò il ragazzo titubante.
-Dovremo prenderci una pausa, ed essere per prima cosa colleghi.- concluse la frase Meredith al suo posto. Indovinava cosa stava per dirle, ma le sue orecchie si rifiutavano di sentire quelle parole pronunciate da lui. Sarebbe stato troppo doloroso, così aveva deciso di anticiparlo. Attaccava sempre per prima quando temeva di venire ferita, era una sua abitudine.
-Si hai ragione tu. Ripartiamo da zero, ci siamo lasciati coinvolgere troppo.- fece Reid sconsolato fissando un punto non precisato del pavimento. La ragazza annuì:
-Siamo d' accordo allora. Beh io torno a sedermi di là adesso.- disse avviandosi con uno sguardo triste alla scrivania. Spencer rimase impalato a guardare nel vuoto. Doveva prima realizzare ed accettare che era tutto finito anche se dentro di lui sapeva che non sarebbe mai stato in grado di farlo. Non voleva lasciarla andare, eppure era quella la cosa giusta da fare. Sentiva un enorme vuoto dentro di se e gli sembrava di essere sul punto di esplodere.
Meredith seduta alla sua postazione intanto sospirava tristemente. Era una fortuna che nessuno fosse presente in quel momento, non avrebbe potuto spiegare il perché di tanta malinconia. Stava ripensando alla prima volta che aveva visto Spencer all' accademia, quando ancora studiava per diventare profiler, e al primo periodo in cui lei aveva iniziato a lavorare alla BAU quando avevano imparato a conoscersi meglio. Quei giorni le sembravano così lontani che non era più neanche sicura di averli vissuti davvero. Ripensò a quella sera in cui l'aveva portato alla sua casa sull' albero, cioè il molo, e a quel bacio nato spontaneamente con la complicità della luna e delle stelle. Si distolse subito da quel ricordo, perché sentiva che avrebbe pianto e non voleva che accadesse. Era giusto così, sapevano entrambi come sarebbe andata. Non le restava che rassegnarsi alla fine di una storia che non sarebbe mai dovuta nascere, e che era già morta ancora prima di cominciare.
Alla fine dell' orario di lavoro, Meredith si congedò in fretta dagli altri e si avviò alla sua macchina. George era là ad aspettarla.
"Ci avrei scommesso!" pensò la ragazza sospirando. Gli si avvicinò e questa volta disse qualcosa che l' uomo non si sarebbe mai aspettato:
-Volevo farlo da sola, ma visto che sei qui ti va di cenare da qualche parte? Sono affamata sinceramente, e presumo tu abbia molte cose da dirmi. Prometto che stavolta se ti comporterai bene nessuno ti picchierà.- aggiunse mantenendo sempre il medesimo tono di voce piatto di chi si sta sforzando tremendamente a fare qualcosa che non gli va.
-Dici sul serio?- chiese lui incredulo.
-Si, ma vedi di sbrigarti prima che io cambi idea. E sappi che la mia decisione di ascoltarti non cambia il fatto che non ti voglio nella mia vita. Questo deve essere ben chiaro.- puntualizzò seria aprendo la portiera della macchina.
-Ho capito, va bene.- si arrese George dicendosi che tutto sommato era già un miracolo che potessero parlare senza creare cataclismi, di certo non poteva pretendere di più. Meredith accese il motore e partì. Non sapeva dove tutto questo l' avrebbe portata, se la sua vita sarebbe migliorata o peggiorata non poteva prevederlo. L' unica cosa di cui era certa era proprio l'incertezza, divisa com' era tra un futuro che appariva nebuloso all' orizzonte ed un passato popolato di ombre che mai l' avrebbero abbandonata. Non era sicura di come sarebbero andate le cose, e forse neanche voleva saperlo. Qualunque cosa il destino le riservasse lei era lì, pronta ad affrontarlo come aveva sempre fatto, e questo niente avrebbe mai potuto cambiarlo.

THE END

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