Andrea s'è perso.

di Jo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Andrea. ***
Capitolo 7: *** Two. ***
Capitolo 8: *** Three. ***
Capitolo 9: *** Four. ***
Capitolo 10: *** Sei. ***
Capitolo 11: *** Sette. ***
Capitolo 12: *** Otto. ***
Capitolo 13: *** Nove. ***
Capitolo 14: *** Dieci-Five. ***
Capitolo 15: *** Undici. ***
Capitolo 16: *** Dodici-Six. ***
Capitolo 17: *** Seven-Tredici ***
Capitolo 18: *** Quattordici. ***
Capitolo 19: *** Quindici. ***
Capitolo 20: *** Sedici. ***
Capitolo 21: *** Diciassette. ***
Capitolo 22: *** Eight. ***
Capitolo 23: *** Nine. ***
Capitolo 24: *** Ten-Diciotto. ***
Capitolo 25: *** Eleven-Diciannove. ***
Capitolo 26: *** Twelve. ***
Capitolo 27: *** Thirteen-Venti. ***
Capitolo 28: *** Fourteen. ***
Capitolo 29: *** Ventuno. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Andrea.

 

1.

I am tired, I am weary,

I could sleep for thousand years

A thousand dreams that would awake me

Different colours made of tears…

Dio, cos’è questa canzone.

Come l’eroina.

Anzi, meglio.

Non lo so.

Forse prima dovrei iniziare a farmi di eroina per scoprirlo.

Che uomo Lou Reed.

Già uno che si chiama Lurido, ha tutta la mia ammirazione di adolescente pippaiolo.

Ma comunque.

Mi brucia una gamba.

Ma che cazz…

Porca puttana.

La sigaretta.

Addio 501 nuovi.

Che palle di vita.

Un sussurro passa attraverso le cuffie.

Sono certo non esista.

Shiny boots of leather…

Qualcuno bussa alla mia spalla.

Toc toc, chi è?

Mamma. Ciao mamma.

Cos’è che stai sillabando? Cena? Cibo?

Non se ne parla neanche, non ho fame.

Cosa dici? Spegnere cosa? Si si, lo spengo lo stereo.

Vengo a cena, si. Almeno la smetti.

 

2.

Vorrei proprio sapere chi è che fa i palinsesti di Mediaset. Dico davvero, vorrei conoscere quell’uomo per sputargli in un occhio. Ah, è un capo di stato? Cavoli, rischio il carcere.

Beh, se servisse a cacciare dal pianeta Enrico Papi, potrei anche sacrificare la mia limitata libertà vigilata.

“Suuu…Gira la Ruotaa!!!”

Cristo, come lo odio. Cristo come lo odio.

Mia madre sembra adorarlo.

Non credo di aver mai conosciuto un essere più insulso di lei.

Spero vivamente di esser stato adottato.

La sua maggiore occupazione consiste nello sperperare in vestiti inutili tutto quello che riesce a guadagnare fingendo di lavorare in ospedale.

I capelli sempre ordinati, accuratamente ossigenati, ritoccati dove serve, gambe depilate ed abbronzate anche in dicembre, botox in faccia, silicone in petto, e moscerini nel cervello.

Non l’ho mai vista leggere neanche il dosaggio dell’aspirina.

Dio ti prego, se esisti, dimmi che sono stato adottato.

Beh, posso sempre sperare per parte di padre.

Non averlo mai conosciuto mi rende libero di immaginarlo diverso ogni volta.

A quattro anni era un ometto rotondo coi baffi che mi comprava i libri di favole.

A undici era un po’ come Papà Gambalunga, un amico immaginario con cui parlare.

Adesso che di anni ne ho quasi diciotto spero con tutto me stesso che sia un maledetto dottorone che una sera di ubriachezza molesta si sia scopato mia madre e accortosi dell’errore sia scappato via…

In fondo l’illusione è un buon placebo per la vita.

Finisco il pasto e faccio per andarmene. Vengo arpionato.

“Tesoro ma sei felice che domani ricomincia la scuola? Conoscerai un sacco di gente nuova qui…”

Si, che bello. È esaltante trasferirsi dall’altra parte del paese dove parlano un dialetto che si riesce malapena a capire.

Voglio tornare a casa mia.

“Si mamma, felicissimo.”

Mento sapendo di mentire. Solo così sono libero di pensare ad altro.

Dio come odio questa situazione.

Meglio tornare in camera mia, la voce che urla dal televisore inizia davvero ad infastidirmi.

 

3.

Oh Nico, se tutte le donne fossero come te.

She’s a femme fatale…

È lunedì. Io odio i lunedì.

Ziggy Stardust mi osserva, con quei suoi occhi diversi e i capelli color carota.

In realtà gli occhi sono dello stesso colore, ma sembrano uno nero e uno blu perché una botta ricevuto da piccola gli ha dilatato in maniera esponenziale la pupilla.

Mi sa che è partita l’aria condizionata. Ho la pelle d’oca sulla pancia.

Come deve esser squallido vedermi da fuori. Un ragazzo dalla carnagione pallida che in mutande attende ad occhi aperti qualcosa che non sa neppure lui.

Forse è ora che mi tagli i capelli. Non ci vedo più.

Mi alzo, l’aria fredda dritta in faccia.

Condizionatore del cazzo.

Entro in bagno. Lo specchio riflette solo una lanosa matassa nera e due occhi dello stesso triste banale marrone.

Qualcuno del palazzo vicino sta ascoltando qualcosa che somiglia a Vasco Rossi.

Che non amo particolarmente, a dire il vero.

Mi sta ricrescendo la barba. Che si fotta.

La doccia mi fa rabbrividire.

Vago nudo e bagnato per la stanza, alla ricerca di qualcosa da mettermi.

Cazzo, è tutto da stirare, la donna di servizio arriva solo oggi pomeriggio.

Ripiego sui miei bei jeans bucati e su una neutra camicia con le maniche arrotolate.

Butto nello zaino qualche quaderno, borsellino, chiavi, telefono e sigarette. E accendino.

La cucina è illuminata da un piccolo spiraglio di luce ribelle che filtra attraverso la persiana.

Che spalanco per abituarmi al nuovo panorama mattutino.

La vicina sta ballando davanti alla finestra su qualcosa che credo si chiami Rewind.

È giovane, di certo meno di trent’anni, ancora in canottiera e mutandine, e non mi ha ancora visto.

Continua a sgambettare allegramente. Ha un bel corpo, in fondo.

Si ferma di botto, e mi guarda da dietro il vetro. Mi saluta.

Ricambio. Poi fa una cosa buffa.

Continuando a sorridere e a ballare, si alza la canottiera.

Benissimo, ho una vicina esibizionista.

Finisce la canzone. Abbassa la canottiera e mi fa un inchino.

Applaudo, e mi allontano dalla finestra. Belle tette, comunque.

In cucina non c’è lo stereo, solo il televisore. Beh, mi godo il silenzio.

Esco e mi incammino verso la nuova strada, zaino in spalla.

Dio, come non ci voglio andare.

Mi accendo una sigaretta.

Non possiedo un lettore mp3 portatile, per un semplice motivo: mi piace ascoltare i suoni del mondo che mi circonda, le cuffie mi isolerebbero soltanto. Gli unici rumori che detesto sono quelli di casa mia.

I discorsi dei passanti, i diversi accenti, le auto, i gatti che si corteggiano…alla fine potrei anche abituarmi a questa città.

Intravedo uno zainetto rosso davanti a me: magari è una mia nuova compagna di scuola, o magari di classe. Ma non mi piace il modo in cui cammina. Va troppo veloce, sembra una di quelle persone che non perde tempo a riflettere, troppo impegnata a sopravvivere. Si ferma ad un incrocio.

La affianco. Mi guarda (è più bassa di me, e di parecchio).

Mi pende ancora il mozzicone dalle labbra.

“Mi sono per caso spuntate le antenne?”

“…scusa?” Temo di averla scandalizzata.

“Non so, è da cinque minuti che mi guardi. Ed è da almeno due che non passa una macchina”.

Abbassa lo sguardo e ricomincia a marciare.

Si, l’ho imbarazzata. Ma stiamo andando dalla stessa parte.

L’edificio scolastico è davvero orrido. Mi domando chi potrebbe mai averlo fatto costruire. Ci scommetto che è un amico dell’omino dei palinsesti di Mediaset.

Zainetto Rosso sta entrando. Probabilmente è andata talmente veloce che non si è accorta che sono qua anche io.

Tante facce nuove nel flusso che mi porta via allo scoccare della campanella.

Tutti si conoscono, tutti sono amici.

Me escluso.

Il mio compito è quello dell’eccezione. Talvolta, del capro espiatorio.

Ma non mi interessa.

Cerco la mia classe, e faccio il grande passo.

Sono dentro.

 

Le frasi in corsivo sono di due canzoni dei Velvet Underground: Venus in Furs e Femme Fatale. Vorrei averle scritte io, ma purtroppo non è così.

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Capitolo 2
*** Due. ***


Ok, la prima parte era solo un assaggino, per dare un'idea di com'è Andrea, di come si comporta degli altri, del mondo che lo circonda suo malgrado.

Non ho la più pallida idea sulla base di cosa si modifichino i rating, quindi ve lo dico prima: faccio uso di turpiloquio, di sarcasmo, parlo di sesso, e puzzo.

L'ultima delle cose non influenza necessariamente quello che scrivo, o forse sì.

Comunque siete avvisati/e/a (plurale neutro, per chi non lo capisse).

Buon proseguimento.

 

 

4.

Lo scenario è più o meno questo.

Tutti i banchi occupati due a due, tranne il primo, completamente vuoto.

Che è stato scelto come mio posto ad vitam.

Tutti si voltano a guardarmi. Non faccio neanche finta di sorridere.

I loro occhi già mi odiano.

Zainetto Rosso è anche lei al primo banco, vicino alla finestra, affiancata da un’altra Survivor. Anche lei mi guarda. Sta già macinando vendetta per la figuraccia che le ho fatto fare stamattina.

Mi siedo, insieme al mio vicino di banco invisibile.

Ma si, ci conosciamo già. All’asilo giocavamo sempre insieme ai pirati, e alle medie ci ritrovavamo a contendere sempre la stessa ragazza.

Che puntualmente sceglieva un Altro.

Il mio amico invisibile…quanto tempo è passato dall’ultima volta.

Entra l’insegnate. Già mi odia pure lui.

“Quindi te al primo banco dovresti essere Andrea Leone Fa…”

“Andrea, basta Andrea, grazie.”

“Immagino che questo nome pomposo ti vada stretto.”
”Immagina bene.”

“E immagino anche che sei stato cresciuto come un principino strafottente”

“E immagina bene anche stavolta.”

Direi che come bilancio della prima giornata non c’è male.

Il professore tenta di introdurre un nuovo argomento, ma la classe non sembra seguirlo molto. Sembrano tutti molto concentrati a vociferare su di me.

Dio, sono già famoso.

Cambio dell’ora. Altro giro altra corsa.

“Sei te il nuovo alunno di…?”

“Si signora, in carne ed ossa.”

“Come mai sei seduto da solo? Forse è il caso che ti metta accanto qualcuno, almeno conosci…”

“Non si preoccupi, grazie mille. Non vedo tutti molto entusiasti della mia presenza.”

“Oh no, suvvia, è meglio ambientarsi il prima possibile. Alice, ti potresti spostare qua? La tua vicina può sedersi tranquillamente accanto a Garini e Petrotti.”

Zainetto Rosso fa una smorfia e raccoglie le sue cose.

Caro amico immaginario, il nostro incontro termina qui. Sono sicuro ci incontreremo di nuovo, prima o poi.

Alice si siede accanto a me.

“Ciao Alice, i nostri destini si incrociano ancora.”

“’fanculo, stronzo.”

Direi che ho fatto breccia nel suo cuore.

“Prendete il volume secondo a pagina…”

Ovviamente, il libro non ce l’ho.

Temo che Alice debba condividerlo a malincuore con me.

Sposta il volume verso il centro dei banchi e cerca in tutti i modi di evitare il mio sguardo.

In cima alla pagina c’è scritto, con la penna rossa, “SHE’S LOST CONTROL”.

“Ti piacciono i Joy Division?”

“Uh?”

“Dico, ti piacciono i Joy Division? Per questa frase qua.”

“Aah…si mi piacciono. Non li conosco da molto, a dire il vero, ma non mi dispiacciono.”

“Lo hai visto Control?”

“Uhm…che cos’è?”

Mi infastidiscono un casino questi versi che fa prima di rispondere.

“E’ un film sulla vita di Ian Curtis girato da Anton Corbijn, il fotografo. La fotografia in bianco e nero è estremamente curata e i dialoghi sono belli da starci male. Te lo consiglio, anche se non so se si trova coi sottotitoli in italiano…”

“Uhm…provvederò. Grazie mille per la dritta.”

“BEH vedo però che contrariamente alle previsioni ti sei ambientato in fretta! FATE SILENZIO INSOMMA!”

Facciamo silenzio. Anche perché tutti quei versi gutturali non li sopportavo più.

Perdo tempo ad osservarla.

È piena di tic nervosi.

Quando non si tormenta i lunghi capelli lisci, rigira la penna tra le dita o le picchietta sul banco.

Non potendo correre per la stanza…

Ricreazione. Anzi, pausa di socializzazione.

Dio come sono ironico oggi.

Tutti si alzano ed imperversano nei corridoi.

Mi alzo lentamente, alla ricerca del bagno.

Dio, ho bisogno di due cose in rapida successione: nicotina e caffeina.

Altro che vizioso. Altro che fiori.**

Dov’è il bagno in questa galera? Ah, eccolo.

Entro.

Una quarantina di occhi maliziosi si posano su di me.

Mi sa che ho sbagliato bagno.

“Scusate gentili donzelle, sapete dove si trova un bagno più adatto alla mia presenza?”

Al piano di sopra, corridoio di sinistra.

Un’altra quarantina di occhi si posa su di me. Mi sa che le antenne mi son spuntate per davvero.

Passo davanti al cartello Vietato Fumare, e mi avvicino alla finestra.

Mi accendo una sigaretta.

“Non si può fumare qua dentro.”

“Si, so leggere.”

“E allora non fumare, coglione.”

“E dov’è che dovrei fumar in pace, di grazia?”

“Da nessuna parte, di grazia. Qua dentro non si fuma e basta.”

Mio Dio, sono finito davvero all’Inferno. Esiste davvero una scuola dove non si fuma in bagno?

Non ho voglia di discutere. Spengo la sigaretta ed esco.

Speriamo che almeno non sia vietato anche il caffé.

E infatti.

Non c’è una macchinetta del caffé in tutto il piano.

Solo un distributore di bibite Coca Cola Inc.

E quindi manco la caffeina. Io non finanzio dei negrieri.

Sto qua dentro da tre ore e già non ne posso più.

Suona la campanella, corro verso la mia aula.

Strano a dirsi, sono l’ultimo ad entrare.

“Li dev’essere Andrea Leone F…”

“Esattamente.”

“Noto con piacere che dalle sue parti la campanella ha un valore totalmente arbitrario.”

“Me ne scuso, è che non riesco ancora ad orientarmi bene nell’edificio.”

“Se vuole le disegno una cartina”

“Gliene sarei eternamente grato.”

Mi siedo. Forse dovrei trovare un modo per avere un rapporto un pochino più civile con gli insegnanti.

 “Da dove viene, Signorino?”

“Dagli antipodi, compagno Sir.”

Ma anche no, adesso che ci penso.

In compenso, la classe mi trova estremamente divertente.

“Vedo che è dotato di un sottilissimo humor inglese. Quante volte è stato espulso, nella sua onorata carriera scolastica?”

“Mai finora, compagno Sir.”

Alice sta morendo dalle risate. Non riesco a capire cosa ci trovi di divertente.

“Se continua così, temo ne diventerà avvezzo, invece.”

“Me ne dispiaccio, compagno Sir.”

“Trova divertente continuare a ripetermi compagno Sir???”

“E’ una citazione, speravo l’apprezzasse.*”

Alice sta per cadere dalla sedia.

“Apprezzerei solo un suo perpetuo silenzio, signorino.”

Amen.

Peccato i professori non abbiamo un buon senso dell’umorismo.

“Non credevo potessero esistere dei tipi come te, nella realtà”

“Lo prendo come un complimento”

“Oh, lo è. Sei davvero assurdo.”

La lezione inizia, si svolge, finisce.

È come se i miei pensieri fuoriuscissero dalla testa durante queste ore inutili, e vagassero per lo spazio in cerca di qualcosa da apprendere.

Il mio corpo è seduto sulla sedia e prende appunti, ma io non ci sono.

Io sono a casa mia, quella vera, con i miei vinili che puzzano di polvere, le mie scarpe bucate, i miei libri usati, la mia chitarra, le mie sigarette, e nessuno mi rinfaccia di essere asociale.

Torno in me, raccatto la mia roba e vado fuori.

Ossigeno dannazione, ossigeno.

Finalmente posso fumare. E noto che sono l’unico studente di tutto l’istituto con la sigaretta in mano.

Dio, ma dove cavolo sono finito?

“Ehm…Andrea! Mi aspetti per favore?

Mi volto. È Alice. A quanto pare ha paura di andare a casa da sola.

“Quanto tempo. Ti mancavo per caso?”

“…dimmi la verità. Perché sei così dannatamente stronzo con tutti?”

“Non è colpa mia, è che mi disegnano così”

“Avevi amici dove vivevi prima? Perchè sicuramente qua non te ne farai se sei sempre così.”

“Non ci tengo a circondarmi di gente ipocrita con cui devo comportarmi come un altro. Sono un pessimo attore.”

“E immagino tu non abbia neppure una ragazza, a questo punto.”

“No, infatti. E dato il livello delle ragazze dalle mie parti, non è poi una così grande perdita. E, da quel che ho notato da quando sono qui, non è che voi siate meglio. Ovviamente il voi non è riferito a te direttamente, è un voi generale.”

“Oh beh, mi hai confortata parecchio con l’ultima affermazione.”

È finita la sigaretta. La butto e già mi manca.

“Come mai ti sei trasferito qui? A quanto pare non sembra una tua libera scelta.”

Era meglio quando si vergognava di guardarmi.

“No infatti. Avrei preferito incatenarmi a casa mia piuttosto che venire qui”

“Ma non mi hai ancora detto il motivo”
”Forse perché non ti riguarda”

Minuto di silenzio. Si, si è offesa.

“Io giro qui. A domani, stronzo.”

“A domani. Posso considerare Stronzo un nomignolo affettuoso?”

“’fanculo”

No, temo di no.

Dio, come detesto le ragazze così scurrili.

Non riesco l’idea di doverle trascorrere almeno il primo quadrimestre accanto. Mi si gela il sangue.

Le persiane di casa sono chiuse. Ma mamma dove cazzo sta?

Apro il portone e salgo fino a casa.

Il tintinnio delle chiavi nella toppa fa muovere qualcosa all’interno dell’appartamento.

Apro delicatamente la porta.

I rumori provengono dalla camera di mia madre.

La domestica non può essere.

I ladri, lo escludo.

Non resta che mamma stessa.

Apro la porta.

E infatti.

 

*La citazione è da Arancia Meccanica, di Stanley Kubrick. Il protagonista Alex si rivolge ripetutamente ai suoi "superiori" con questo bizzarro appellativo.

** A chi indovina questa citazione dò un bacio in fronte, giuro.

 

5.

“Scusate signore, non intendevo disturbarvi. Vado a fare il pranzo”

Potrò sembrare vanitoso, ma non è da tutti restare impassibili davanti ad una scena simile.

A tutti i bambini è capitato, almeno una volta nella vita, di irrompere nella camera dei genitori in preda al terrore dei fantasmi e di coglierli nel momento fatidico.

A me no.

Quando avevo sette anni mamma mi prese da parte e mi disse “Cuore mio, la mamma si sente tanto sola senza il papà, così una sua amica viene a farle compagnia, così cucinano insieme, guardano la TV insieme, parlano…”

A me stava bene. In fondo la tipa mi comprava sempre una valanga di vestiti.

Un anno dopo la sua amica venne misteriosamente cacciata di casa.

Io le chiedevo il motivo, e mia madre si limitava a piangere.

Quando avevo tredici anni fu assunta in un ufficio. Il suo capo era un tipo a posto, un brav’uomo. Era spesso a cena a casa nostra.

Con la moglie, ovviamente.

Dopo sei mesi venne licenziata in tronco.

Non riuscii mai a capirne il motivo.

Credo che nel frattempo abbia avuto altre storie, a mia insaputa.

Come quella attuale, ad esempio.

“Maaaaammmaaaaa…spaghetti o fusilli?!?”

“Fusilli tesoro, il sugo è in frigo bisogna solo scaldarlo”

“Siamo in tre a pranzo vero?”

“Se non ti dispiace…”

Ovvio che no.

Mamma ha sempre avuto delle bellissime amanti.

Entrano in cucina.

Oh cazzo. Ma è la vicina esibizionista!

Non l’avevo riconosciuta, in quella posizione.

Dio, questo è davvero il non-plus-ultra.

“Beh credo che a questo punto è il momento delle presentazioni…Andrea…Alessia…”

“Sia mamma, sia…il congiuntivo…”

Mi dà la mano.

Reprimo una bruttissima immagine e gliela stringo.

Mi fa l’occhiolino.

Cristo, oltre ad essere esibizionista è anche ninfomane.

Certe volte mi chiedo come faccia a trovarle, mia madre.

Iniziamo a mangiare.

“Allora…da quant’è che vi frequentate?”

Si scambiano uno sguardo fugace, come due bambini che devono confessare di aver rubato delle caramelle.

“Beh, più o meno due settimane..” mi risponde Alessia.

“E quando avevate intenzione di dirmelo? Oppure contavate di farvi beccare con le mani in pasta?”

Cosa che di fatto è accaduta.

“Cuore di mamma non ti volevo dare questa notizia troppo in fretta…sai quanto ci tengo a queste cose...”

“Mamma non sono più un bambino, non c’è bisogno di trattarmi come un cretino. Le cose le capisco tranquillamente”

Odio essere considerato un ricoglionito.

“Scusa amore ma te per me resti sempre quel piccolo bambino che si sporcava col gelato…”

Alessia ride. Dio come mi infastidisce la sua presenza.

“Senti lascia stare l’argomento eh… non mi frega niente di quello che fai con le tue amichette, basta che metti il cartello fuori dalla porta con scritto “Lavori in corso” così non vi interrompo più mentre scopate, va bene?”

Continuiamo a mangiare.

Sento qualcosa di caldo poggiato su una gamba.

Qualcosa con cinque dita. Che si muove.

“E quindi…com’è andata oggi a scuola tesoro?”

La mano sale, dal ginocchio a metà coscia.

“Oh, d’incanto, mamma. Ho conosciuto un sacco di gente simpatica.”

Il contatto viene interrotto dal pacchetto di sigarette che ho in tasca.

“Come sono i professori?”

La mano sfiora la pelle appena al di sopra della cintola.

“Oh, anche loro sono simpaticissimi, cordiali e tutto. Andremo certamente d’accordo.”

La mano torna sopra ai jeans. Più verso il centro.

Alessia continua a mangiare tranquillamente, come se niente fosse.

Cerco il suo sguardo ma non ricambia.

Ovviamente mamma non sospetta nulla: da sopra il tavolo siamo semplicemente tre persone che pranzano in tutta tranquillità.

“E, Alessia, dov’è che vi sareste conosciute? A lavoro?”

La mano scivola ancora più giù.

Mi meraviglio della mia stessa impassibilità.

“Oh no, io non lavoro.”

…però ha una bella voce, in fondo.

“Ci siamo aiutate appena dopo il trasloco. Tu non c’eri, e le serviva qualcuno che la aiutasse a togliere i vestiti dagli scatoloni…”

E anche di dosso.

L’indice e il pollice si uniscono sul primo bottone.

“…io stavo casualmente in finestra…”

Quindi è sua abitudine fare gli stacchetti mattutini.

“…e visto che quando non conosci nessuno uno vale l’altro, mi ha chiesto di darle una mano”

In tutti i sensi.

“Abbiamo chiacchierato un po’ e abbiamo capito che forse c’era bisogno di…”

Secondo bottone partito.

“…di conoscerci più a fondo.”

In fondo al ventre, ad esempio. Forse dovrei fermarla, quella mano inizia a fare il suo effetto.

“Siamo andate a cena insieme, la sera in cui sei andato al cinema, ed è scattato qualcosa.”

I ganci del reggiseno, ad esempio.

“Tua mamma è una donna fantastica.”

Tripudio d’ipocrisia.

Si scambiano un’occhiata dolce e si stringono la mano.

L’altra resta dov’è.

“Capisco…beh, volete qualcos’altro da mangiare?”

Faccio per alzarmi.

“No tesoro tranquillo, ci penso io.”

Stronza. Proprio oggi devi fare l’amorevole padrona di casa?

Il terzo bottone salta da solo. Sai com’è, la pressione.

Squilla il telefono. Mia salvezza!

“Mamma vado a rispondere!!!”

Troppo tardi. È già entrata la segreteria telefonica.

È l’operatrice di uno di quegli insulsi call center.

Questa è proprio una giornata di merda.

Ho una mano completamente dentro ai pantaloni.

Mi sa che è ora di agire. Fanculo le buone maniere.

Le afferro la mano e la tiro via.

Lei continua a far finta di nulla.

Mi sembra di esser finito nel Rocky Horror Picture Show.

Mi richiudo la patta.

“Tesoro ma cosa stai facendo? Ma ti pare il caso? A tavola con ospiti, per giunta!”

Ditemi che non sta accadendo davvero a me.

“No è che…”

…alla tua amichetta piacciono anche gli uccelli.

“…mi si sono slacciati. Sai, sono un po’ difettosi.”

“Ma non sono quelli nuovi?”

“Si ma ricordi…li abbiamo comprati in saldo…”

Alessia continua a restare impassibile. Come fanno ad esistere persone del genere?

Finisco di corsa di pranzare. La mano sembra esser momentaneamente scomparsa.

Mi alzo e mi barrico in camera.

Vengono a bussare alla porta, per dirmi che Alessia torna a casa.

Ciao, ciao.

Meglio iniziare a far finta di studiare.

Dopo una puntatina in bagno, magari.

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Innanzitutto, vorrei ringraziare tutti per le visite.

Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra quelle seguite, nella speranza di leggere un giorno la conclusione.

Sappiate che vi faccio compagnia.

Ho pubblicato questa storia solo dietro numerosissime insistenze, e non avete idea di quanto mi costri separarmi dalla mia creatura per condividerla. Spero i miei sforzi vengano apprezzati.

 

@vasq: purtroppo non ho mai avuto occasione di leggere nulla di Paz, ma sono aperta a suggerimenti.

La citazione era, non molto fantasiosamente, da Vicious, di Lou Reed: leggenda narra che il ritornello ("Vicious/you hit me with a flower/ you do it every hour/ oh baby you're so/ Vicious") sia stato suggerito da Warhol in persona, mentre l'amico stava scrivendo il testo per una nuova canzone.

 

 

6.

Remember when you were young?

You shone like the Sun…

Amo l’aria condizionata al pomeriggio.

È come se una fredda mano amica ti carezzasse le gambe.

Mi disturba l’affanno dei miei coetanei: se c’è una cosa che farei tutta la vita, è restare sdraiato sul letto in mutande a fumare e ascoltare musica.

…shine on you crazy diamond…*

Squilla di nuovo il telefono.

Mamma è già andata a lavoro. Chi è?

“Pronto?”

“Ehm…sei Andrea?”

Chi diamine è ad avere il mio numero di casa?!?

“Dipende da cosa vuoi da lui.”
”Sono la segretaria della tua scuola, volevo solamente informare tua madre che ti abbiamo certificato l’esonero dalle lezioni di religione e che quindi hai il permesso di uscita anticipata.”

“Capisco…adesso mia madre non c’è, comunque la informerò al più presto. Grazie mille e complimenti per l’efficienza.”

“Di niente caro, in bocca al lupo per l’anno scolastico.”
”Crepi. Buona giornata.”

“Anche a te.”

Click.

Da quando in qua mi è stato concesso di scampare a degli inutili sermoni? Alessia sta decisamente facendo rinsavire mia madre.

Mi scolo un bicchiere di succo di frutta e torno in camera.

(On air: Pink Floyd-Have a Cigar)*

Cerco di concentrarmi sui libri, ma non ci riesco.

Da quando mi sono trasferito qua non ho più avuto modo di contattare nessuno.

Non che abbia molte persone con cui tenermi in contatto, a dire il vero.

Però mi manca il suono della sua voce.

Quella voce che mi cullava, calda, quando ero nei guai…

Quella voce che non avrò più modo di ascoltare, se non attraverso il freddo filtro del telefono.

Ma non chiama mai.

Quella voce.

Che si è già scordata di me.

Me che vivevo solo per lei…

La prima volta che ascoltai quella voce avevo quattordici anni.

Nel pieno della pubertà, tutto è un mix di odori e suoni.

E quel suono spiccava, netto, tra gli altri.

Dov’è adesso, con chi è adesso, che non sono io?

Più ci penso e più sto male.

Dio, perché mi hai privato di quella voce?

Me ne hai reso schiavo e poi me ne hai privato.

Sto letteralmente scadendo nel patetico.

So, so you think you could tell

Heaven from Hell

Blue skies from pain?*

Dio, come vorrei che tu fossi qui.

Sono cinico, insensibile, ipocrita, e anche parecchio stronzo, ma anche io soffro ogni tanto.

*Le tre canzoni sono, nell'ordine, Shine on You Crazy Diamond, Have a Cigar, Wish You Were Here, contenute nell'album Wish You Were Here dei Pink Floyd.

Leggenda narra che durante le registrazioni del disco, dedicato all'amico ed ex socio Syd Barret dedito oramai a compagnie ben più psichedeliche quali simpatici francobolli bollati dottor Huxley, egli sia comparso in studio ormai irriconoscibile, senza più la folta chioma che lo caratterizzava e notevolmente ingrassato.

Si, sono una maniaca delle storielle rock'n'roll.

 

7.

“Suuu! Gira la ruota!”

Odio il rito della cena.

Odio, un sentimento umano e duraturo.*

“Com’è bella Victoria, vorrei somigliarle almeno un po’”

La tipa che sculetta alla TV è Victoria, una bionda svedese che somiglia paurosamente ad una Barbie maggiorata.

Guardo mia madre.

Sicuramente da ragazza era bella. Di quelle bellezze classiche, però.

Non tanto alta, magrolina, seno piccolo e sodo e punto vita stretto.

Poi ha scoperto la chirurgia.

Adesso le sue tette sfidano la legge di gravità, e i capelli liscissimi sono di tre toni più chiari.

Io e lei abbiamo la stessa carnagione bianco latte, ma a forza di lampade lei somiglia ad una bambola californiana.

“Oh mamma, ma tu sei molto più bella di lei.”

“Grazie tesoro, sei davvero un figlio d’oro”

In effetti non è brutta, anzi, nel complesso è una bella donna.

Anche per come si acchitta e tutto.

Ma sa di plastica.

Il modo in cui parla, in cui si muove, in cui si veste…è plastica.

Odora di plastica, ha la consistenza della plastica.

Rigida, fredda.

Io odio la plastica. È asettica.

L’idea di abbracciare una persona di plastica, di baciarla…mi fa rabbrividire.

L’uomo è bello perché è un animale a sangue caldo.

Un semplice contatto epidermico può trasmettere milioni di sensazioni ed emozioni differenti.

La pelle è l’organo di senso più grande di tutto il corpo, ricoprendolo per intero.

(Pelle: è la tua proprio quella che mi manca, in certi momenti…e in questo momento è la tua pelle ciò che sento, nuotando nell’aria…)**

Dio, come mi manca la sua pelle. Il profumo, della sua pelle.

E quella voce…

“Tesoro ne vuoi un’altra porzione?”

“No mamma grazie, m’è passato l’appetito…”

“Va bene…ah!”

“Dimmi mamma.”
”M’ero scordata di dirti che mentre facevi la doccia ti ha cercato qualcuno al telefono, ma non mi ricordo che voleva…comunque niente di importante.”

“Lascia a me giudicare se fosse importante o meno. Era un ragazzo o una ragazza?”

“Non lo so, non me lo ricordo…ma appena mi torna in mente te lo dico, promesso”

Mia madre è davvero ritardata.

Finalmente mi chiama e lei si scorda di dirmelo.

Dio come la odio.

“Mamma c’è il gelato in frigo?”

“Dovrebbe esserci una vaschetta da 2 kg alla vaniglia e bourbon, ma…”

“…benissimo.”

Mi alzo, prendo un cucchiaio da minestra, apro il freezer, prendo il gelato e vado in camera mia.

Anneghiamo i dolori nel gelato al bourbon.

 * Questa è più facile, via.

**E anche questa. In lingua originale sono più facilmente riconoscibili.

 

8.

Ormai mi sono abituato alla nuova routine mattutina.

Alice mi aspetta all’incrocio, senza che io glielo abbia chiesto.

Interrompe il mio flusso di pensieri.

“Ciao!”

“Ciao” rispondo con poco entusiasmo.

Ho ancora in mente le tette mattutine di Alessia.

“Ho pensato che beh, visto che facciamo la stessa strada, ecco, magari non ti dà fastidio se la facciamo insieme.”

“Ok, nessun problema”

Fumo tranquillamente la mia sigaretta.

"Cosa fumi?"

“Winston Blu.”

“Come sono?”

“Contengono tabacco e nicotina”

“Capisco…”

No, non capisci.

“Posso rubartene una?”

“Fumi anche te?”

“Beh no…è che dalle nostre parti non fuma quasi nessuno. Di adolescenti, dico.”

“E allora no.”

“Perché?”

“Per due motivi: uno non voglio avere i tuoi polmoni sulla coscienza, due me ne son rimaste poche e preferirei non sprecarle. Senza cattiveria, eh.”

“Ah ok, capisco…”

No, non capisci.

Senza sigarette potrei sfogarmi in altri modi ben più dannosi.

“E perché mai vorresti fumare adesso?”

“Beh non lo so, sono curiosa…l’immagine di una ragazza con la sigaretta in bocca mi risulta strana.”

Dio, ditemi che è uno scherzo.

Questa se vede una canna sviene.

“Certo che questo posto è proprio strano.”

“Cioè?”

“Beh, che io sappia è l’unica città in tutta Italia in cui nessun adolescente fuma. Non che sia un male, intendiamoci. Ma di sicuro è molto strano. L’idea di trasgressione, associata alla giovinezza…è completamente sovvertita”

“Beh ecco…abbiamo semplicemente altri modi di trasgredire.”

Non vanno a messa la domenica?

“Ad esempio?”

“Se vieni con me stasera te lo dimostro”

Ooooooh…iniziano a farmisi delle proposte piccanti.

“Dove vorresti portarmi, di grazia?”

“Vedrai.”

Bah, meglio non illudersi.

Accetto, ed entriamo in classe.

Con dieci minuti di anticipo.

Questo posto funziona davvero alla rovescia.

L’aula è già mezza piena.

C’è chi parla con gli amici, chi ripassa per la lezione.

Nessuno che non abbia fatto i compiti.

Mi siedo al mio banco, educatamente, e faccio finta di rileggere anche io gli appunti.

Dylan Dog l’ho scordato a casa.

Due tipi, uno grosso biondo e balestrato, l’altro più basso, paffuto, si piazzano davanti al mio banco.

Alzo lo sguardo.

“Che succede amico?”
”Lo sai che sei davvero un coglione?”

“Ti ringrazio per il complimento. Altrettanto.”

Mi arriva uno schiaffo in faccia dal biondo.

Non mi scompongo.

“Si può sapere chi ti credi di essere?”
”Piacere, Andrea. Immagino tu sia il capo bullo della classe.”

Inizia a dare calci al mio zaino in terra.

Lo lascio fare.

Intanto l’attenzione della classe s’è spostata su di noi.

Guardo quello grasso.

“Te non dici nulla, Georgie Boy?”*

Mi guarda, evidentemente non ha capito.

A questo punto credo che da queste parti certi film siano vietati, un po’ come le sigarette.

“Hey che cazzo dici?”

“Oh nulla, mi chiedevo come mai il tuo amico fosse così taciturno”

Alice e le sue amiche hanno gli occhi sbarrati.

Mi sa che sto facendo qualcosa che non va.

“Senti stronzo, non abbiamo bisogno delle tue cazzate, hai capito? Abbassa la cresta prima che lo faccia io a forza di schiaffi.”

“Ti volevo informare che non incuti tanto timore quanto credi.”

Mi dà un altro schiaffo.

Che non fa male.

Entra proprio in quel momento l’insegnate, che stranamente non capisce quel che succede.

“Cari ragazzi, perché state in piedi?”

“Stavamo parlando con Andrea, per sapere come si trova nella nuova classe”

“Ah bene! E come si trova?”

“Oh, d’incanto. Abbiamo anche organizzato il comitato d’accoglienza.”

“Benissimo! Mi fa piacere che andate d’accordo-”

Andiate, cazzo. È così difficile usare i modi verbali giusti?

“-Andrea ha un carattere molto strano ma è un bravo ragazzo.”

“Grazie, Sir.”

“E spero che sei più intelligente di quel che sembri.”

“Che sia più intelligente, prof.”

“E io che ho detto?”

Dio, non arriverò mai alla fine dell’anno.

*vedi "Compagno Sir". Mi rendo conto solo ora che in quanto a citazioni Tarantino mi allaccia manco una scarpa.

 

9.

On my way home.

Ho già lasciato Alice da un pezzo, con un appuntamento per stasera alle nove al nostro incrocio.

Sto per infilare le chiavi nel portone, quando si materializza Alessia.

Dio, che c’è stavolta?

“Ciao Andrea!”

“Ciao…”

“Mi ha telefonato tua mamma, non torna a casa per pranzo. Mangi da me?”

“No grazie, preferisco stare a casa mia.”

“Dài davvero, tienimi compagnia…”

Mi prende le chiavi dalla mano e se le mette in tasca.

“Adesso sei obbligato a mangiare insieme a me”

Maledizione.

Casa sua è un autentico bordello.

La mia camera in confronto è ordinatissima.

I vestiti sono buttati alla rinfusa sul divano, mentre i libri (valanghe di libri, non avrei mai pensato che una come lei potesse possedere così tanti libri) fungono da mensole, soprammobili, paraspifferi e apriporte; i piatti accatastati nel lavello sfidano la forza di gravità, mentre il tavolo è invaso da una quantità disarmante di scartoffie. Quella che vedo dalla cucina dev’esser la camera da letto.

“Scusa il disordine, non aspettavo visite.”

Dio, come odio le frasi di circostanza.

“Cos’hai intenzione di mangiare?”

“Indovina”

Si, la stanza che si vede dalla cucina è la camera da letto.

Si può considerare abuso di minore?

Hot tramp, I love you so.*

 

*Di gran lunga la mia canzone preferita.

 

10.

“Alessia so che non è il momento più adatto per dirtelo ma…credo che dovremmo finirla qua. Non mi sembra giusto nei confronti di mia madre, ecco.”

Alessia mi guarda, mentre fuma una delle mie sigarette. Fa uscire il fumo in piccoli cerci, mettendo le labbra a forma di cuore, per poi passarci dentro l’indice sinistro. Mi domando come faccia ad essere così…così.

“Che c’entra tua madre scusa?”

“Come che c’entra mia madre?!? State insieme! Stai tradendo la tua compagna con il figlio! Non mi sembra poi così difficile da individuare quel che non va…”

“Ma che c’entra…siamo una coppia aperta.”

Aaah. Adesso si che è tutto chiaro.

“Comunque a me è venuta fame.”

“Se resti fermo qua ti preparo un panino”

Si alza dal letto completamente nuda.

Per esser bella è bella. Le spalle, i fianchi… un culo da dieci e lode.

Ed ha una pelle splendida.

Non come la sua, sia chiaro. Ma è meravigliosa.

Scivola così bene sotto le dita. Si amalgama ai polpastrelli.

Sento armeggiare in cucina.

Sposto la coperta e mi allungo per prendere i jeans. Sfilo il pacchetto e mi accendo una sigaretta. Si, l’ennesima.

Guardo fuori dalla finestra, nella mia cucina.

La luce è accesa, così come la televisione. Mamma è già tornata e non mi ha ancora chiamato.

Meglio così. Sarebbe un po’ dura da spiegare.

Alessia torna dalla cucina con una bottiglia d’acqua in una mano e un piatto stracolmo di tramezzini prosciutto cotto-maionese nell’altra.

“Spero ti piacciano, io vado letteralmente pazza per la maionese”

“Anche io, ne mangerei chili al giorno. Però mamma non la compra mai: sai, la linea…”

“Beh, sei libero di venire qua ogni volta che hai voglia di toglierti qualche sfizio.”

Lo avevo immaginato.

Il prosciutto è schifosamente insapore, tra l’altro.

Apro il tramezzino e lecco via la maionese. Che mi resta tutta sulla punta della lingua.

La sua pelle ha tutto un altro sapore.

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Capitolo 4
*** Quattro. ***


Ancora una volta, vorrei ringraziare i fanS, e in particolare vasq che mi sta dando i consigli per le letture :D

Spero questa parte sia di vostro gradimento.

Sono aperta a qualsiasi tipo di suggerimento.

 

11.

“Ciao mamma”

“Ciao tesoro! Come sei stato da Alessia? Oggi sapevo di far tardi e mi scocciava farti mangiare da solo. Sai, ci tengo che diventate amici.”

Diventiate, cazzo. Comunque non ti preoccupare, abbiamo un ottimo feeling.

“Grazie per il pensiero…sono stato bene, comunque. Abbiamo mangiato una valanga di roba. Abbiamo chiacchierato un po’, poi sono tornato qua che devo fare un sacco di compiti.”

“Capito…e di che avete parlato di bello?”

Oh di un sacco di cose mammina. Non potresti neanche immaginare.

“Mah…del più e del meno…già l’ho rimosso. Vado in camera che ho da fare.”

Mi defilo.

Ecco Settembre, che entra dalla finestra. Accendo lo stereo per mettermi un rumore di sottofondo.

Allora, filosofia…mi si mescolano i nomi in testa: etica, morale…è insensato.

È insensato che ci facciano studiare dei pensieri in maniera così barbara.

Dio, come odio la scuola.

Ti soffoca il cervello. Ti rende impossibile conoscere.

I libri che ti fanno leggere, le cose che ti fanno scrivere…sono all’insegna delle bugie.

Non sono un fan dei Sex Pistols, ma è proprio vero che Schools Are Prisons.

E questa più che mai.

Con i compagni di classe che mi ritrovo, poi…

A proposito. Alice.  Non l’ho più risentita.

Bah, questi giovani d’oggi.

Vabbè, chissenefrega.

Lo farò in classe il compito, come al solito.

 

12.

“Tanto mi sembri un ragazzo atletico no? Non credo possa essere un problema per te scavalcare una recinzione.”

Certo, come no. Mi chiamavano Stracchino.

È freddo, tira una brezza leggera, e ho ancora la cena sullo stomaco.

Alessia è venuta a casa nostra, ovviamente. Ha detto a mia madre che sono un ragazzo adorabile, un vero tesoro. E che ho un sacco di “talenti nascosti”.

Chissà cosa intendeva.

Alice ha lanciato dall’altra parte dell’inferriata lo zaino, e si sta arrampicando velocemente.

Sembra molto abituata.

Il palazzo è circondato da un ampio giardino, e pare che da qualche parte ci sia anche un laghetto.

Alice atterra dall’altra parte e raccoglie lo zaino. Le lancio il mio, e provo a salire.

Scavalco, e con un salto sono a terra.

Alice mi porge lo zaino. “Sei pronto?”

“Sono pronto, bambola.” Una papera ci viene incontro.

“Ma non è freddo per le papere? Le lasciano qui d’inverno?”

“Non lo so, sai? Non me lo sono mai chiesto.”

Resterà un mistero, come le anatre di Central Park.*

Le scarpe affondano leggermente nel prato non curato. Erba, fanghiglia, stanno diventando tutt’uno con la suola delle mie Converse.

Intorno al laghetto ci sono già altri due ragazzi.

Stanno seduti per terra, e i loro jeans mi ricordano le mie scarpe.

E si tengono per mano.

“Ohi, Alice, sei arrivata finalmente. Pensavamo saltassi.”

“Non rinuncerei mai alla mia serata al chiaro di Luna”

E in effetti la Luna è crescente, quasi piena. E illumina i volti dei due ragazzi.

Adesso che li vedo bene, li ho già incontrati per i corridoi.

Uno dei due viene in classe con me. Era uno di quelli che mi stava insultando, stamattina.

Mi riconosce anche lui.

“Scusa per quello che è successo a scuola…è che sai, per tirare avanti, devo cercare di confondermi come posso…”

L’altro ragazzo gli passa un braccio intorno alle spalle e lo stringe a sé. Lui poggia la testa sul suo torace.

“Non ti preoccupare, sono abituato a queste cose…non te ne faccio una colpa.”

Alice tira fuori dallo zaino una coperta logora (e macchiata di fango) e la stende a terra.

Mi siedo accanto a lei.

“Se mia madre trova i pantaloni sporchi mi uccide”

I due ragazzi iniziano a togliersi le scarpe, i calzini, la maglietta.

Si sfilano i jeans e ammucchiano tutto sotto ad un albero.

Il mio compagno di classe è alto, robusto, ha gli addominali ben fatti e le gambe muscolose. L’altro invece è meno atletico, ha la pancetta da birra e le gambe pelose.

“Su, su, dovete farvi pregare voi due?”

Alice ha un costume intero, con una fantasia nera e rossa. È più magra di quel che sembra.

Io impiego circa dieci minuti a togliere le scarpe, visto che i lacci sono incrostati.

Resto in mutande, come gli altri due. Mi squadrano, temo di non esser di loro gradimento. Bianchiccio, e troppo magro, per giunta.

L’acqua è fredda, e mi fa venire la pelle d’oca. Ci sono anche le alghe, oltre al fango.

Ma è una cosa piacevole, comunque. Domani avrò una pelle liscissima.

Alice mi viene incontro.

“Allora? Com’è come inizio?”

“Beh, non è il tipo di trasgressione che mi immaginavo ma è…rilassante. Un bel silenzio rilassante”

Un bel silenzio d’acqua e di foglie.

Mi si avvicina ancora di più. Le mie gambe urtano contro le sue, di tanto in tanto.

“Beh, il meglio deve ancora venire.”

Oooooh. Ma questa donna ha mille risorse.

Adesso le gambe sono quasi avvinghiate.

“Tipo?”

“Lo vedrai”

“Quando?”

“Dopo”

“Dopo quando?”

“Dopo, non avere fretta.”

E chi ha fretta. La notte è nostra, in fondo.

Mi passa le braccia dietro la schiena e mi poggia la testa sul petto.

I capelli raccolti in una coda arrotolata mi sbattono sulle labbra.

Profuma di fragola.

Trema, un pochino. Magari teme una mia reazione.

Le poggio la mano sinistra dietro la nuca.

Scorro, con l’indice, tutte le vertebre, fin sotto l’acqua.

Fa un piccolo sussulto quando arrivo all’orlo del costume.

Le poggio il palmo in fondo alla schiena, per rilassarla.

Non mi guarda, tiene la testa bassa.

“Ti stai perdendo una Luna meravigliosa per abbracciare me.”

Tiene la testa bassa. Guancia a cuore.

Si gira, mi tocca lo sterno con il naso.

Ha il naso freddo, quasi più di me.

Finalmente mi guarda negli occhi.

E basta.

Mi vien da sorridere.

“Cos’hai da ridere?”

“Niente”

“E allora perché ridi?”

“Per niente, una stupidaggine”

“Ti faccio ridere io?”

“No, affatto. Beh, teoricamente si, ma non è colpa tua.”

“Cioè? Spiegami, per una volta, per favore.”

“No, niente davvero.”

In effetti non è niente. Mi ha fatto venire in mente un vecchio film francese, in cui i protagonisti sono due amanti, lui ladro alla Lupin e lei aspirante giornalista, e nella scena centrale lei gli dice una cosa come “Ci guardiamo negli occhi e non serve a nulla”. **

Però non c’entra davvero nulla, adesso che ci penso.

“Vabbè, io non ti capirò mai…”

E torniamo di nuovo guancia a cuore.

E ce ne stiamo così un bel po’, a non dire nulla, a non fare nulla.

Ad un certo punto la sua testa si fa più pesante e la sua stretta più lenta.

Credo si sia appisolata.

I due ragazzi sono già usciti, e stanno sulla riva.

Si stanno asciugando e si scambiano sguardi complici.

“Ehi te, morettino, noi entriamo, voi che volete fare?”

Alice gira la testa verso di loro.

“Scusate ragazzi, entrate dove?!?”

“Che domande, dentro!”

Guardo Alice “Scusa ma dentro dove?”

“Non lo sai? Il palazzo è abbandonato, al piano terra c’è un vero e proprio teatro, con le poltrone, il sipario, i costumi e tutto.”

“Beh allora che aspettiamo? Entriamo no?”

Io adoro il teatro.

L’ambiente, l’atmosfera, il palco e tutto.

Usciamo dall’acqua.

Sembro il mostro della laguna. Tiro fuori dallo zaino un asciugamano, mi siedo sul telo di Alice e cerco di ripulirmi meglio che posso.

Lei sta in piedi, davanti a me. Anche lei si sta asciugando. Ha i capezzoli turgidi per il freddo. È molto più carina in costume, che vestita.

Si riveste, e mi rivesto anch’io. I due tipi si stanno incamminando.

Arrotolo i calzini e li rimetto nello zaino. Sono talmente schifi che non riesco a metterli.

Mi infilo le scarpe e andiamo anche noi.

“Allor si mosse, e io le tenni dietro” ***

“Che?”

“No, niente. Dove si entra?”

Il portone è semi socchiuso. Lo spingo, ed entriamo. Percorriamo un lungo corridoio completamente buio. Per non inciampare nel tappeto cono costretto a tenere Alice per i fianchi.

Svolta a sinistra e scosta una tenda pesante di velluto. La scena mi ricorda un vecchio telefilm americano, e la cosa non mi tranquillizza affatto. Spero non ci siano nani ballerini, da queste parti. ****

La stanza non è molto grande, ci saranno al massimo dieci file di poltrone, tutte foderate di velluto rosso.

Anche se ne mancano parecchie.

Delle grandi vetrate danno sull’altro lato del giardino: le tende aperte lasciano entrare un flebile fascio di luce lunare.

Sopra al palco c’è una lunghissima fila di ceri bianchi, alcuni quasi completamente consumati, altri interi, tutti accesi, creando un’atmosfera soffusa che fa molto setta satanica. Spero di non essere l’ospite d’onore della serata.

Alice si siede in prima fila. Io, mi siedo accanto a lei.

I due ragazzi sembrano svaniti nel nulla.

Dentro fa molto più freddo che fuori, nonostante la gran quantità di candele.

Alice mi guarda, non sorride.

“Cos’hai? Perché ti sei intristita così?”

“No…è che…sai…io…”

Rieccoci. Lo sapevo.

“…tu?”

“Io…no, niente.”

“Come vuoi”

Spero solo non sia quel che penso io. Detesto quando la gente si innamora di me.

Ricompaiono i due ragazzi, abbigliati stile toga-party.

“Allora, che dite, iniziamo?”

 

* E' una citazione dal mio libro preferito, spero qualcuno la riconosca.

** Il veccio film francese è A' Bout De Souffle, di Godard.

*** E' la frase con cui Dante si rivolge a Virgilio prima della discesa agli Inferi. Ovviamente è ironica.

****Scusate, solo durante la rilettura mi rendo conto di tutte le citazioni inutili che faccio. Spero il senso si capisca comunque.

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Capitolo 5
*** Cinque. ***


@Morgain28: Dante REGNA. Inoltre è indubbio il fatto che Dante avesse già pronto un canto slash tra lui e Virgilio, che purtroppo è andato perduto: doveva rappresentare la Visio Dei, con la conversione in extremis di Virgy e la sua ascesa al Cielo, fino ad una congiunzione panteistica con il Motore Immobile e, ovviamente, con Dante.

@vasq: Si, le hai indovinate tutte :D


Buona lettura.

 

 

13.

“Lei, signorino al primo banco, forse dovrebbe prestare più attenzione alla lezione.”

Alzo lo sguardo. Non rispondo. Lo riabbasso.

Alice sembra un pochino più tranquilla, anche se ha l’aria turbata.

“Almeno faccia finta di seguire sul libro, insomma!”

Non ho il libro. Alice mi lascia leggere dal suo.

Sopra al paragrafo c’è scritto, con la penna verde: Gioia sperimentale le tue mani su di me.*

Ieri non c’era.

Dio, come odio aver ragione.

Prendo la matita e scrivo sul margine: cosa volevi dirmi ieri sera?

Scrive: niente di importante.

Sei sicura? Mi parevi parecchio turbata.

Non mi risponde.

Prende un pezzo di carta e scrive: ma, io e te, in che rapporti siamo?

Ci penso un attimo.

Noi? Ci odiamo cordialmente!

La mia risposta la fa sorridere. Meno male.

Ti sei divertito alla fine ieri notte?

Certo, che mi sono divertito. Ma non ho assolutamente intenzione di…

Si, certo.

“Senti, che non t’importa nulla della scuola mi può anche star bene, ma almeno consenti alla tua amichetta di seguire”

Alice accartoccia il bigliettino e lo mette nell’astuccio.

Torna alla lezione.

Io, resto a ieri sera.

 

*Ennesima canzone che desidererei ardentemente aver scritto. Elymania, by Afterhours. Ho resistito per un sacco di capitoli ma alla fine ho dovuto metterceli :D

 

14.

“Amore di mamma tutto a posto?”
”Si…perché…che vuoi?”

Tu dimmi se uno non si può chiudere in bagno in santa pace.

“Niente tesoro, è che sei in bagno da tanto tempo, mi stavo preoccupando…”

“Mamma…fatti…i cazzi…tuoi!”

Dio, non la sopporto più.

È da qualche giorno che non ho più rapporti con Alessia.

Nel senso, è da un po’ che non ci si sente. (L’ambiguità è voluta, sia chiaro)

Anche mamma, è da un po’ che non esce con lei.

Mi manca un po’, lo strip mattutino. Era un modo per salutare la giornata.

Poi ci mancava Alice, che è così ambigua, da quella sera in quella villetta.

Non riesco a capire cos’abbia, non riesco a farmi dire…

“Amore…?”

“MAMMA SI Può SAPERE CHE CAZZO VUOI?”

“…scusa…è che ti vogliono al telefono..”

“..CHI?”

“…un tuo amico che…non mi ricordo come si chiama…”

“…dici Alessandro?”

“…proprio lui!”

Benissimo. Ci mancava la ciliegina sulla torta.

Ma mio il numero lo scrivono nelle cabine telefoniche?

 

15.

“Ciao Andrea!”

“…”

“Come stai?”

“Cosa vuoi?”

“Dai ti prego smettila di trattarmi così…”

“…”

“…Andrea ci sei?”

“Vaffanculo, stronzo. Non provare-“

“…ma…”

“-non provare mai più a chiamarmi. Hai capito? Non ci provare che t’ammazzo…”

“Andrea ti prego cerca di capire-“

“Non voglio capire nulla. Sei stato così chiaro e incisivo l’ultima volta-”

…ultima volta che ci siamo visti. Quanto tempo è già passato?

“-l’ultima volta che non voglio sentire un’altra parola uscire dalle tue labbra che non sia Addio”

“Andrea…”

“Risposta sbagliata”

Sbatto la cornetta sul ricevitore.

Dio, Dio, Dio. Come m’incazzo quand’è così.

Mamma mi guarda allibita.

“Amore va tutto bene?”
”Si, uno splendore. Non vedi? Non sono mai stato meglio!”

Giro i tacchi e vado in camera.

Apro la finestra. Il vento gelido mi sbatte sulla faccia.

Mi siedo sull’intelaiatura. Passo di fuori una gamba e resto così, a cavalcioni sulla finestra. Ad un piede dal vuoto.

Mi allungo sul comodino e mi accendo una sigaretta.

Qualche passante alza lo sguardo per osservarmi. Lo mando cortesemente a fanculo col medio.

Perché ha chiamato?

Adesso che c’ero quasi riuscito, a non pensarci più.

A sostituire la sua voce con altro, a sostituire il suo odore con altro.

Un’anziana sembra parecchio preoccupata con me.

Ma tira dritto.

Passa una tipa, con una Reflex.

Alza il naso verso di me.

La guardo anche io.

Una lente ottica interrompe il nostro sguardo e riesco perfettamente ad immaginare il suono dell’otturatore.

Si rimette gli occhiali da sole (nonostante sia buio) e va via anche lei.

Devo essere una persona proprio interessante.

 

Questa è la fine della prima parte.

La seconda è ancora in fase di post-produzione. Quando sarò abbastanza convinta del risultato, inizierò a pubblicarla.

Grazie per chi ha retto fino a qui.

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Capitolo 6
*** Andrea. ***


 Grazie a tutti per la fiducia accordatami.

Alla fine c'ho messo meno tempo del previsto per convincermi a continuare.

Forse perchè morgain28 mi tiene sotto ricatto :D

O forse no.

 

Buon proseguimento. Spero questi capitoli non siano deludenti.

I wrote this novel just for you
It sounds pretentious but it's true
I wrote this novel just for you
That's why it's vulgar
That's why it's blue
And I say, thank you
And I say, thank you

 

Blue American - Placebo. 

 

 

Andrea.

 

1.

I AM AN ANTICHRIST, I AM AN ANARCHIST…*

…uh? Ma che ore sono?

Maledizione, le sette e tre quarti. Tra un quarto d’ora devo essere a scuola.

Il gatto sta dormendo sopra ai miei vestiti.

“Zecca TOGLITI IMMEDIATAMENTE!” Zecca miagola, e scende dalla sedia.

Questi jeans sono miei o di mio fratello?

Oh beh, fa niente.

Maglietta.

Felpa.

…cazzo, mi sono scordata un pezzo.

Oh beh, è troppo tardi, non faccio in tempo a togliermi tutto solo per mettermi il reggiseno.

Per oggi passo.

Arraffo lo zaino (dentro c’è qualche libro?) e volo fuori.

Rischio di essere investita un paio di volte.

Sto migliorando, nel giro di un paio di anni riuscirò ad essere un pedone modello.

Ma una terribile automobilista, in compenso.

Sta suonando l’ultima campanella. La calca si sta spostando nell’ingresso.

Corro sulle scale rischiando di inciampare nei lacci ed entro.

 

*Non sono uno dei Sex Pistols nè, temo, lo sarò mai, quindi la canzone, purtroppo, non è mia.

 

2.

Corro per il corridoio (per quale altro motivo si dovrebbe chiamare corri-doio? Altrimenti sarebbe un cammina-toio!) e apro la porta della classe.

Saluto il professore e mi siedo al mio posto.

Sento tutti gli occhi fissi su di me. Oddio, ditemi che non ho ancora la piega del cuscino sulla faccia.

…ma abbiamo un professore nuovo?

“Mi scusi signorina, lei chi sarebbe?”
Mi guardo intorno. Facce mai viste.

Houston, abbiamo un problema.

“Ehm, mi scusi ma…questa che classe è?”

“Temo non la sua, signorina.”

Cristo che figura di merda.

Prendo lo zaino e mi precipito nel precipita-toio.

Ma perché tutti i lunedì la stessa storia?

 

3.

“Ma Santi Andrea dov’è? Io inizio ad arra-“

“…eccomi! Eccomi! Scusi ma…”

…che mi invento ora?

“…ma sono tornata stanotte alle tre dal servizio sociale.”

Va bene, va bene, non si dicono bugie su queste cose. Ma che devo fare? In fondo ho solo barato di qualche ora…

“E dove lo fa il servizio sociale, signorina Santi, in discoteca?”

“Nossignore, è una casa di riposo, ma un anziano si è sentito male proprio mentre stavo andando via e sono dovuta restare là fino alla fine dei soccorsi.”

“Vabbè facciamo finta che me la bevo…siediti e lasciamo stare…”

Come ci voglio bene al professor Cherubini.

Un angelo, davvero.

Saranno quei due occhi che lasciano senza fiato, e quel cu…

“Andreaaa!”

Chi è? Mi volto di scatto, sbattendo i capelli in faccia al vicino (“Scusa!”).

“Oh, dimmi.”

“Me l’hai riportato?”
”Cosa?”

“GIOCHIAMO A UNO DUE TRE STELLA, mi volto e NESSUNO parla!”

Strappo un pezzo di carta e lo lancio a Lucia.

Cosa?

Lo apre, scrive e me lo rilancia.

Gioventù Cannibale, ricordi?

Ah. Il libro. Come glielo dico che non l’ho nemmeno aperto?

Scusa, ma stamattina stavo davvero di fretta e l’ho lasciato sulla scrivania. Giuro solennemente che domani te lo porto.

Lucia fa finta di credermi.

Ma sono davvero così bugiarda di solito?

Le due ore proseguono così, tranquillamente.

Mentre le luci elettriche stanno a guardare.

 

4.

Termina la seconda ora.

Ricreazione!

Tutti escono nell’esci-toio.

Ci provo anche io.

Cherubini mi prende per un gomito.

“Andrea, va tutto bene?”

“Si certo, tutto bene, non si preoccupi.”
La classe è completamente vuota.

“Andrea, ti prego, odio quando mi dai del Lei…”

“No, la prego, una volta per tutte. Io non sapevo sarebbe stato il mio professore, e lei non sapeva sarei stata sua alunna. Pura casualità, davvero.”

“Non ti ho mica detto di chiamarmi in chissà quale modo. Solo, non mi dare del Lei perché mi mette in imbarazzo. Lo considero un insulto all’affetto che nutro nei tuoi confronti.”

“Mi scusi ma non ci riesco più, davvero.”

“Va bene, non ti biasimo, in fondo non hai tutti i torti. Con tua madre è finita ormai, non hai il dovere di considerarmi ancora parte della tua vita privata.”

“Non si preoccupi, davvero. Anzi, è molto gentile a curarsi ancora di me. Però ho bisogno di allontanare le due sfere, sa com’è.”

“Hai ragione, hai ragione. E’ che…no, niente. Su, esci a fare ricreazione.”

Esco nel ricreaziona-toio.

Sulla questione Cherubini-mamma meglio metterci una pietra sopra.

Però, davvero, è una persona straordinaria.

Per come lo ha trattato mia madre, dovrebbe odiarmi a morte.

Invece, è uno degli insegnanti più buoni, nei miei confronti.

Mi manca la sua presenza in casa.

E quel suo vizio di lasciare le finestre sempre aperte.

In tutti i sensi.

 

5.

Finalmente è finita la mattina a scuola.

Esco dall’esci-toio e vado in strada.

Tiepido sole autunnale. Mi dà un po’ fastidio all’occhio destro.

Da quel giorno non riesco a vederci tanto bene.

Non ero una gran cima, da bambina.

Ho guardato un’eclissi solare dritta in faccia, e mi ha letteralmente abbagliata.

Per farla breve, adesso sono praticamente cieca dall’occhio destro.

Che è miracolosamente diventato verde smeraldo.

Per questo mi dà fastidio quando la gente mi guarda in faccia.

Ho timore di ogni qualsiasi reazione.

Non lo so, non voglio esser etichettata come diversa ed ostracizzata dalla società.

Inforco gli occhiali da sole e mi incammino verso casa.

Si, lo so, gli occhiali da sole stile Blues Brothers in pieno buio attirano ancora di più l’attenzione dell’eterocromia, ma non posso farci nulla.

Lo zaino mezzo pieno – mezzo vuoto mi pende dalla spalla sinistra.

S’è rotto lo spallaccio destro.

La parte destra del mio corpo non mi appartiene proprio.

Sono una donna a metà.

Meno male che sono mancina.

Mi guardo i piedi, per caso.

Ho una All Star rossa e una beige.

…no, non mi esprimo.

Alle volte mi sembro Due Facce.

 

6.

Devo attraversare la strada.

Benissimo. Dall’altra parte della strada c’è un’anziana signora con le buste della spesa.

Le buste sfondate in mano, e la spesa a terra. Non s’è accorta di nulla.

Odio essere crudele, ma devo farlo.

Speriamo ci sia.

Ma lo zaino è troppo leggero, troppo. Non può esserci.

E infatti ho dimenticato la Reflex a casa.

Peccato signora, le avrei riservato il posto d’onore. Per oggi niente nuove foto.

La signora scrolla la testa, forse ha sentito il mio sguardo su di lei.

Attraverso la strada di corsa.

“Signora…le è caduta la spesa…dove abita? La aiuto a …”

La signora mi guarda, sconvolta. Temo di averla spaventata.

“Scusi chi è lei? Come si permette di toccarmi? GUARDA CHE CHIAMO LA POLIZIA!”

“Signora, volevo solo…”

“TOGLI QUELLE ZAMPE!”

Inizia a prendermi a bustate. Meno male che sono vuote.

Mi proteggo gli occhiali con le braccia  e corro via.

Giro l’angolo e finisco addosso a uno.

“Oh…Cristo…scusami…è che sto…ecco, sono inseguita da una pazza che…”

Mi guarda e :”Si, vabbè, scollati…”

La signora ci ha incredibilmente raggiunti.

“ECCOLA, LADRUNCOLA! STA SPARTENDO IL BOTTINO CON UN COMPLICE!”

Il tipo mi guarda, dall’altro in basso.

“Signora le assicuro che io questa non la-“

“Io VI DENUNCIO!”

Ricomincio a correre- e lui accanto a me. Tutto questo è incredibilmente folle!

L’anziana ha ormai desistito- ma noi continuiamo a correre, corriamo con tutte le gambe del mondo, corriamo con il cuore in gola e le gambe ai piedi. Curva a destra, a sinistra, dritto in un vicoletto, poi di nuovo a destra.

Poi ad un certo punto lui si blocca. “Scusa ma, perché stiamo correndo?”
”Beh, forse è semplicemente il bisogno di correre, no?”

“…tu sei sciroccata.” E se ne va.

E’ strana la vita: alcune persone arrivano ad un passo dal diventare coscienti di loro stesse…e tornano indietro.

Vado a casa, che è meglio.

 

 

 

 

Sorpresi? Non credo. Fatemi sapere cosa ne pensate (tradotto: se commentate ne sarò immensamente felice. Soprattutto TU, che non commenti mai.)

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Capitolo 7
*** Two. ***


Spero che abbiate apprezzato l'Andrea 2.0

Se vi siete preoccupati per il nostro eroe scapigliato, non vi preoccupate, è pronto a tornare più "Andrea" che mai.

@vasq: non lo so, non la vedo molto tipo da Placebo. La citazione fatta all'inizio non c'entrava ovviamente niente con la storia :D

Spero di aver stimolato la vosta curiosità.

Stay Tuned.

 

7.

“Albè, il pranzo, cazzo! Ma quanto ci vuole a far bollire una pentola d’acqua?”

“Beh, almeno 100°C, per non parlare dell’influsso dell’altitudine..”

“Alberto, sparati, non ti ho chiesto di recitarmi a memoria le prime duecento cifre decimali del pi greco, ti ho chiesto di fare degli schifosissimi spaghetti in bianco!”

“Hai parlato ancora con Arturo, vero?”
Alberto ci riesce tranquillamente, a chiamarlo per nome.

Certo, lui non ce l’ha come insegnante.

Nella scuola che frequenta i professori hanno timore reverenziale, nei suoi confronti.

Lui è un Genio.

Ma non uno di quei Geni che vivono rinchiusi nelle loro torri d’avorio ad elaborare strane congetture.

Lui è un Genio Popolare.

Gli piace essere venerato come il sedicenne più brillante della storia.

Sta preparando il materiale per la maturità.

Compierà 16 anni solo a giugno, peraltro.

Hanno praticamente dovuto fargli una legge ad personam, per consentirgli di accedere a livelli di studio più adatti a lui.

Quando è nato era già un genio.

A tre anni parlava perfettamente con il lessico di un uomo maturo.

A otto era in grado di risolvere equazioni di primo grado.

A dieci parlava correntemente italiano, inglese e francese.

Adesso sarebbe perfettamente in grado di fare qualsiasi cosa, per quel che ne so.

Io non sono un Genio.

In un primo momento mamma ha pensato ad uno scambio di culla.

Sia vero o meno, ormai viviamo sotto lo stesso tetto, e ce lo teniamo volentieri.

“Chi l’avrebbe mai detto, eh?”

“Beh, di fatto era perfettamente plausibile, dato che è il tuo insegnante di lettere e frequenti un liceo classico.”

Un Genio, ma completamente privo di senso dello humor.

“Comunque si, ci siamo parlati, ma niente di che. Voleva solo sapere come stavamo e tutto.”

“Capisco. Lui come sta?”
”Non lo so, non ho pensato a chiederlo.”

In realtà non c’era molto da chiedere. Da quando mamma l’ha mollato, ha perso svariati chili, l’abitudine di sbarbarsi ogni mattina e ho anche il vado sospetto che abbia dimenticato come si faccia la lavatrice bianca.

“Sai che un po’ mi manca?”

“Anche a me, Albe, anche a me.”

L’acqua inizia a crepitare dentro la pentola.

Albe apre il pacco di pasta e ne getta esattamente 250 gr.

Non ricordo l’ultima volta che mamma abbia preparato il pranzo.

Forse c’era ancora Arturo, qui.

La scusa è quella del lavoro- ma in realtà non ha voglia di averci sempre tra i piedi, le ricordiamo troppo come il tempo passi in fretta e lei stia inesorabilmente invecchiando.

E le donne come lei non invecchiano, mai.

“Sai che i greci ritenevano i persiani effeminati perché indossavano i pantaloni?”
”Sai che i greci ritenevano paideutico avere rapporti omoerotici con i propri alunni?”

“Sai che i greci non permettevano alle donne di uscire dal gineceo perché non erano in grado di mantenere un comportamento corretto in pubblico?”

“Il che si ricollega a quel che ho detto io, testone.”

Alberto è gay, ma odia che glielo si faccia notare.

In realtà non è proprio gay, visto che non ha mai avuto alcuna esperienza sessuale in vita sua.

Alberto è gay per partito preso. È convinto che una donna non sarebbe in grado di apprezzare il suo lato geniale perché tenterebbe di curarlo. Ne ignoro il motivo ma per lui questo ha perfettamente senso.

Ho smesso da tempo di cercare di capirlo.

“La storia dimostra che l’omosessualità è sempre stata lecita e apprezzata.”

“Sono certa che Verlaine e Wilde condividerebbero il tuo punto di vista.”*

“L’ottusità bigotta non rientra nel mio ambito di studi. Resta comunque il fatto che i più grandi artisti e i migliori scienziati erano omosessuali.”

“Caravaggio era anche un assassino, se è per questo.”

“E’ inutile, facciamo questo discorso milioni di volte al giorno, e nessuno dei due è minimamente intenzionato a cambiare la propria posizione.”

In realtà io non ho nulla contro la sua omosessualità, anzi.

Solo, mi diverto a stuzzicarlo.

Sarà anche Popolare, ma l’Asperger** qualche limite lo impone comunque.

Ha imparato ad intrattenere buone relazioni con gli altri, ma ha ancora problemi nell’interpretazione dei sentimenti.

“Tieni, la tua porzione. Però sparecchia te che io ho da fare, eh.”

Cosa, non si sa.

Si chiude due ore esatte nella sua stanza, ogni pomeriggio, e non vuole rivelarci il motivo.

Ho provato ad entrare nella sua stanza in sua assenza, ma non sono riuscita a trovare nulla di sostanzialmente sospetto.

Bah.

 

*entrambi i poeti sono stati incarcerati per "reati" quali la sodomia. L'autrice preferisce non proferir giudizio sull'accaduto seppur remoto.

**Forma di autismo ad "alto funzionamento". Per informazioni guardatevi su Wikipedia.

 

8.

Quando mamma torna saluta me, saluta Alberto, e si defila nelle sue stanze.

Io e Alberto abbiamo imparato ad allevarci l’un l’altro, negli anni.

L’essere la sorella maggiore non ha richiesto una grande fatica, però.

Alberto era abbastanza tranquillo, da piccolo, e adesso che è grande si auto-gestisce quasi alla perfezione.

Certo, in alcuni momenti ho davvero pensato di non farcela- ma con molta pazienza mia e tenacia sua siamo riusciti ad andare avanti.

Non so se qualcun altro ne sarebbe stato in grado, al posto suo.

Squilla il telefono.

Alberto risponde “Pronto?...Andrea, vogliono te!”

Oddio. Cos’ho fatto stavolta?

“Signorina Santi?”

“….si?”

“Sono la segretaria della tua scuola, non ti preoccupare, chiamavo solo per informarti che domani alla prima ora ti aspettano nell’ufficio del preside.”

“Ah.”

“Hai capito? Otto e cinque davanti all’ufficio del preside, e mi raccomando non far tardi che sai com’è che finiscono queste cose.”

“No, certo…si, certo. Grazie, buona giornata.”

“Anche a te, tesoro.”

Solo questo ci mancava. Solo un richiamo dal preside.

Ma cosa avrò fatto stavolta?

Alberto mi guarda, di sbieco, come a chiedere chiarimenti.

“Che c’è? Era la scuola. Per dirmi che posso uscire durante l’ora di religione.”

“Non dovrebbero comunicarlo attraverso una circolare o una lettera indirizzata alla famiglia da far firmare per ricevuta?”

“Sono maggiorenne, non ce n’è bisogno.”

“Se lo dici tu.”

 

Libri. È sempre sommerso da una catasta di libri.

Eppure riesce a tenerli in ordine, ad orientarsi su di essi. Il suo corpicino rischia di essere assorbito da tutta quella carta, eppure riesce a dominarla magistralmente.

“Come ci si sente ad avere un seno inferiore alla media coreana?”

A volte non lo capisco proprio.

 

9.

Alle otto meno dieci sono davanti alla scuola. Record storico.

Facce nuove, gente mai vista. Forse perché di solito a quest’ora sto ancora dormendo.

Un ragazzo alto, magro, coi capelli davanti alla faccia mi guarda fisso, da lontano.

Non so perché ma ho come la sensazione di conoscerlo.

Continua a guardarmi.

Continuo a guardarlo.

Spegne la sigaretta addosso al muro, la getta in terra, la calpesta con la sinistra –scopata in vista- e fa per avvicinarsi, quando una ragazza con lo zaino rosso lo precede ed entra.

Lui mi guarda, un’ultima volta, e la segue.

Entro anche io, e salgo fino al terzo piano.

Incontro la segretaria per il corridoio, mi saluta – “Buongiorno Santi, tutto bene?”- e mi accomodo davanti alla presidenza, su di una sedia di plastica blu.

La porta di legno, color verde ospedale, è socchiusa, e dentro si intravede il preside chino sulla scrivania, preso in non so cosa.

Sento il passo di un paio di scarponi, da uomo, numero 44.

Cherubini mi si piazza davanti, ostacolandomi la vista.

“Sorpresa?”

“No, affatto. Immaginavo fosse lei.”

“…chi immaginavi fosse?”

“…tu. Anzi, sapevo fossi tu.”

“Già. Dai, entra, altrimenti la tua professoressa si preoccupa e ti manda a cercare.”

Lo seguo dentro ad una classe vuota.


...siete legittimati a pensar male. Senza che questo sia necessariamente corretto.

Il personaggio di Alberto è "liberamente" ispirato al Genio inglese Daniel Tammet, affetto dalla Sindrome di Asperger, le cui abilità si indirizzano soprattutto nell'ambito matematico e linguistico: oltre a saper recitare a memoria le prime 22.514 cifre decimali del pi greco, conosce ben undici lingue e ne sta imparando delle altre. Nei suoi libri parla inoltre di come il suo compagno lo abbia aiutato nelle relazioni interpersonali.

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Capitolo 8
*** Three. ***


Cara Morgain28, sei sempre la solita malfidata. Ma sono così terribile? Eppure sono una così brava ragazza... :D
Grazie a tutti per il sostegno, anche psicologico.
Se avete qualcosa da dire, beh, io sono sempre disponibile (il che tradotto in italiano corrente vuol dire "se commentate mi fate un piacere immenso").

 

Ultimamente ascolto solo Muse, Depeche Mode e Placebo, quindi se vedete che la storia prende una piega strana, beh, non è colpa mia.

 

And I thank you

For bringing me here

For showing me Home

For singing these tears

Finally I've found that

I belong here.

Depeche Mode- Home.

Quanto abbiamo pianto, in quel momento.

 

 

10.

A questo punto ci si potrebbe fare un’idea malsana di quel che c’è tra me e Arturo.

Per alcuni la sua attenzione nei miei confronti è malata.

Io non la vedo così.

Anzi, io non la vedo affatto così.

Soprattutto perché SO come stanno le cose, veramente.

“Sicura di quel che dici?”

“Assolutamente.”

“Non sarò troppo vecchio?”

“Senti, l’idea è la tua. Io ti assecondo, ma tu ora non devi tirarti indietro.”

“Tua Madre?”

“Non intendo dirle alcun che. Non sono affari suoi quel che faccio nella mia vita privata.”

“E che scusa intendi usare?”
”Alcuna. Lei non c’è mai. Mi basta dirle che esco, non vorrà sapere altro.”

“E Alberto?”

“Complice, ne sono convinta. E poi una sera fuori non può certo fargli male.”

“E’ in grado di mantenere un segreto?”

“E’ in grado di fare molto più di quanto tu creda, bambolo.”

Non ce la faccio, davvero. Non ci riesco a considerarlo solo un professore.

Soprattutto perché non me lo permette.

Pensavo di poterlo sopportare una, due, tre ore al giorno.

Ma poi ha avuto l’Idea Geniale.

E, ovviamente, non poteva esimersi dal coinvolgermi.

Pare che non lo facciano suonare per una serata intera senza cantante.

E in effetti tre ore solo chitarra acustica è un po’ una sega.

La sfiga ha voluto assistesse al mio saggio, lo scorso anno.

Un tripudio.

Che sfiga, cazzo.

Non sono in grado di dirgli di no, soprattutto dopo mia madre.

Soprattutto perché è un uomo meraviglioso.

Ma ora sono davvero invischiata nel guaio fino al collo.

“Meglio, bambola, meglio. Và, muoviti, che è tardissimo.”

Mi stampa un bacio in fronte ed esce.

Mia madre è una cogliona.

 

11.

Io non sono una brava cantante, penso durante l’ora di fisica.

Cantare Janis Joplin non è cantare. È farsi l’anima a pezzi, è spogliarsi di qualsiasi maschera, è mangiarsi il cuore, ma non è cantare.

Ma ormai è tardi per dirglielo.

Domani pomeriggio le prove a casa mia.

Campo neutrale.

Mamma, ovviamente, non c’è. Alberto, lo compro con l’uscita di sabato sera.

Basta fare in modo che non beva, e andrà tutto per il meglio.

“Santi, vieni alla lavagna a fare questo esercizio?”

“…io? No entiendo su idioma…”

“Santi, SE NON TI SBRIGHI AD ALZARTI TI SCHIAFFO DUE!*”

Ottimo. Ottimissimo.

Alzandomi inciampo sui miei stessi lacci e rischio di tirare una dentata alla cattedra.

Risata generale.

“So dove abitate”, bofonchio.

Mi appresto a svolgere l’esercizio.

Poggio il gesso sulla lavagna.

Non ho la più pallida idea di quel che cazzo devo fare.

Mi volto e vedo Lucia che mi fa spallucce, come a dire “Mi spiace, sei spacciata”.

Deglutisco rumorosamente.

Sussurro tra i denti un “Porca di quella…”

“Allora Santi?”

“Un attimo, sto aspettando la Grazia Divina.”

“L’illuminazione, Santi? Credo sia difficile, visto che dall’in-“

Suona la campanella. Una, due, tre volte.

Allarme anti incendio.

Panico generale.

O, piuttosto, la Grazia Divina.

“Ragazzi! Con calma! In fila! INSOMMA!”

La calca smarrita si precipita fuori dalla classe.

La professoressa si fissa a guardarmi.

Fuggo “terrorizzata” anche io, hai visto mai le venisse in mente di finire di interrogarmi.

 

*Citazione che Morgain non può non riconoscere.

 

12.

Tutta la scuola è riversata in cortile. Vedo Cherubini, da lontano, con una classe di quartini spauriti. Vedo la classe in cui mi ero imbucata la settimana scorsa.

Vedo la tipa con lo zaino rosso.

Ma il suo amico non c’è.

Sento un chiacchiericcio dietro di me.

“No, no, te lo dico io! È quello nuovo! Quel coglione…è convinto di essere il padrone del mondo, s’è messo a fumare in bagno. Non ci arriva che se c’è un segnale di divieto è per un motivo! Adesso per colpa sua s’è persa mezza mattinata.”

Chiunque sia il Coglione Quello Nuovo, è il mio nuovo eroe.

Lucia mi salta addosso.

“Andrè, che botta di culo!”

“Zitta, lascia perdere. Questo è un segno divino, lo Strimpellatore Supremo* vuole comunicarmi qualcosa, ha qualcosa in serbo per me!”

“Hai iniziato a farti le canne di prima mattina, per caso? Io te l’ho detto di lasciar perdere Cherubs, ma te niente…”

“…che C’ENTRA lui adesso! Io parlo del mio futuro da rockstar dissoluta! È lo spirito magnanimo di Joe Strummer* che mi sta mandando un segno!”

“…tu sei completamente sciroccata, sai cocca?”

“Lucia, ma che ne sai te. Quando sarò una stella a livello mondiale te ne accorgerai!”

“Ti aspetto al varco tra vent’anni quando sarai cassiera alla Coop!”

“…cassiera ma con stile!”

E ridiamo, insieme.

Risata distensiva.

Per l’onda inizia l’ora della risacca.

La mattinata prosegue, come sempre.

 

*Chi non riconosce questa è pregato di cambiare storia.

 

13.

“Senti, se continuiamo così però non combiniamo un cazzo, eh!”

La situazione è decisamente degenerata.

Cherubini- anzi, Arturo – è sdraiato sul divano, completamente a suo agio, con la chitarra in braccio e i piedi scalzi poggiati sul tavolinetto di cristallo.

Ha un calzettone bucato sull’alluce, e il ditone saltella fuori ogni volta che lo contrae.

Io sto accovacciata sulla poltrona, con il quaderno dei testi in mano.

Alberto è chiuso nella sua camera.

Ha fatto il bravo padrone di casa, e i suoi doveri si esauriscono qui.

La situazione è decisamente degenerata.

Abbiamo iniziato con il piede giusto, seri, concentrati, alziamo di mezzo tono, rallentiamo qua, acceleriamo là, tutto secondo i piani.

Poi non so come sia successo. Ci siamo messi a parlare di musica, di poesia, di politica, di cucina, di sesso, di botanica, di barba, di scuola, e il tempo è scivolato via come su di una lastra di vetro.

Arturo ride rumorosamente ad ogni mia battuta.

Quell’uomo non ha età. È così luminoso, quando ride.

Non è certo bello, né dotato di un fisico particolarmente avvenente.

Ma nei suoi occhi c’è una luce che…riscalda la mia mente.* Quando ti guarda è in grado di farti sentire la persona più importante dell’universo.

I capelli brizzolati, gli occhi verde intenso; quando suona li socchiude appena e ondeggia con la testa, come a seguire la melodia.

E non so perché, ma mi ricorda vagamente Hugh Laurie ultimo periodo.

Solo, meno inglese.

“Hai ragione, hai ragione. Continuiamo, ti va?”

Una canzone, mezza canzone.

Il nostro repertorio si compone quasi esclusivamente di Patti Smith e Janis Joplin.

Secondo lui non sarei in grado di cantare nient’altro, così bene.

Non lo, cosa possa voler dire, cantare per lui. È tutto così assurdo.

Quando viveva qui non abbiamo mai fatto niente del genere, insieme.

Voglio dire, magari canticchiavamo Clampdown mentre preparavamo per la cena, niente di più.

A volte vorrei fosse lui mio padre, e mia madre solo una tizia di passaggio che si è ritrovata a partorirmi.

Non che non le voglia bene.

Però è diverso.

Con lei non è come con Arturo.

Con lei è tutto così istituzionale, così burocratico.

Così formale.

Con Arturo invece è tutto…spontaneo. Non riesco proprio a mettere alcuna barriera tra di noi.

È come se vivessimo entrambi in un mondo estraneo agli altri, in un mondo in cui non è peccato ballare a piedi nudi**, mangiare dolci dopo le dieci di sera, cantare a squarciagola fregandosene di essere stonati, leggere vecchi libri macchiati di muffa.

A volte mi sembra l’unico in grado di capirmi veramente.

Non gli faccio schifo, né tristezza, né pena.

Mi ama dell’amore più puro possibile.

E non vuole niente, non esige niente in cambio.

Così ce ne stiamo in sala, per tutto il pomeriggio, a chiacchierare, come due vecchi amici.

Non so come posso anche solo aver pensato di continuare senza di lui.

Canto, suona, e non ci accorgiamo del tempo che passa.

“Tea Time?”

Tea Time.

Tè nero, poco zucchero, goccio di latte.

Sediamo uno accanto all’altra sul divano.

Mi passa una mano dietro la spalla e mi sussurra all’orecchio la cosa più dolce al mondo.

Poi sento la chiave girare nella toppa.


*Da Gioia e Rivoluzione, degli Area. Magari qualcuno conosce la cover degli After, come la sottocritta.

**Riferimento ad una famosissima canzone di Patti Smith intitolata, appunto, Dancing Barefoot.


...ultimamente mi piace lasciarvi con il fiato sospeso :D

Ah, se vi stavate preoccupando per le sorti del Nostro, è già pronto un rientro in grande stile...

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Capitolo 9
*** Four. ***


Oddio, questa storia sta iniziano davvero ad avere un bel seguito *.*

Grazie mille *.*


@gnuoba: Provo un immenso piacere nel leggere le tue muliebri lusinghe. Essendo totalmente ignara di quelle che siano le regole da seguire per il rating, ne cambio due a tre la settimana a seconda dell'umore. Variatio, sai. Comunque, se cambi idea, fammi sapere, così mi organizzo.

@Morgain28: OVVIO che è la G. L'eco della sua voce mi rimbomba ancora in testa. "SSSSSSSSSIGNORINE, SE NON STATE ZITTE VI SCHIAFFFFO DDDUUUEEE!". Cherubini è la mia idea di professore perfetto, e ho detto tutto. Certo, NON è Alan Rickman che insegna letteratura inglese, ma nella vita bisogna anche accontentarsi.

@Etolie_sama: spero questo capitolo soddisfi le tue aspettative.


Per tutti gli altri che capitano qui per caso, beh, buon divertimento.


You could have been number One

If you only found the time.

Muse- Uno.

 

 

 

14.

Mamma ci trova abbracciati a confabulare sul divano.

Non so dire se il suo sia terrore, odio totale o indifferenza malcelata.

Ma il suo sguardo è certamente inquisitorio.

Non fa in tempo a dirmi che sono la figlia che non ha mai potuto avere, che Arturo scatta in piedi con un poco convincente “Posso spiegarti”.

Cristo, è adulto e ancora non sa quanto questa frase sortisca sempre l’effetto contrario a quello desiderato.

Mamma gli allenta un ceffone in piena faccia e se ne va in camera sua ancheggiando vistosamente.

Come abbiamo fatto ad esser così stupidi da non renderci conto di che ora fosse.

Adesso sono nei guai.

Adesso sono nei guai seri.

Serissimi.

Arturo mi guarda basito, sconvolto, non sa cosa dirmi.

“Dai, metti via la chitarra, ne riparliamo quando si calmano le acque”

Mi guarda, ammutolito.

Fa i bagagli ed esce. Un bacio sulla fronte, ed esce.

Spio dalla finestra.

Si ferma sul marciapiede di fronte a casa nostra, si siede a terra e si accende una sigaretta.

Si prende la testa tra le mani.

Non so perché ma mi sento in colpa.

C’è qualcosa di sbagliato, in tutto questo?

Vado in camera, prendo la fotocamera.

Click, la sala.

Click, fuori dalla finestra.

Ha fatto il diluvio, mentre suonavamo.

Arturo è ancora in strada, la custodia accanto a lui.

Click, il mio Vero Padre.

Alberto non si è accorto di nulla, probabilmente.

O forse preferisce non immischiarsi.

 

15.

Mamma non cena, non prende il caffé, non fa colazione.

Non la vedo fino al pomeriggio successivo.

Non è andata a lavoro per parlarmi.

Ha perfino fatto il pranzo.

Alberto mangia, ignorando, o fingendo di ignorare, il problema.

“Hai intenzione di sfidare la mia autorità?”

“No.”

“Allora perché era qui? Sai che non può entrare.”

“Si.”

“Si COSA! Perché-era-qui!”

“Mi ha chiesto un favore. Aveva bisogno di provare delle canzoni per delle serate.”

“Non mi sembrava aveste l’atteggiamento di due che fanno le prove.”

“Pausa tè.”

“Mi fai schifo. Sei una figlia pessima, una delusione, una ribelle impertinente che non si rende conto delle proprie azioni; non ti rendi neanche conto di essere una puttanella da quattro soldi.”

Mi alzo ed esco sbattendo la porta.

Le dico “Non mi cercare, io per te sono MORTA.”*

Come…come si permette di trattarmi così? Dopo quello che ha fatto lei, come osa dare della puttana a me?

Questa casa mi disgusta, mi manca l’aria, mi manca tutto, non ci so stare qui con lei.

Non senza Arturo.

Odio quando mi ritrovo ad invidiare Alberto, così bastante a se stesso.

È una cosa orribile, lo so.

Ma alle volte lo invidio lo stesso.

 

*Libera interpretazione di una strofa di Dipendo da Te, dei TARM: E sei uscita così /sbattendo la porta / mi hai detto "non mi cercare / io per te sono morta".


16.

Alle cinque in punto bussa alla porta della mia camera, con in mano un tè nero della Pace.

Vorrei non farla entrare, sbatterle tutto il mio astio in faccia, ma non posso.

Poggia il tè sulla scrivania e si siede accanto a me.

“Scusa.”

…ho sentito bene? O inizio ad avere le allucinazioni?

“Scusami, Andrea. È che vederlo di nuovo così…così…famigliare, non so, mi ha fatto male.

Speravo per te fosse facile dimenticarlo quanto lo è stato per me.”

“Mamma, è il mio professore, passiamo la maggior parte della giornata a stretto contatto, non mi è possibile dimenticarlo.”

Prende fiato, fa un grande sospiro muto.

“Ma quello che stavate facendo non mi sembrava molto scolastico.”

Quello che stavamo facendo. Come se ci avesse beccati nel bel mezzo di un 69.

“Mamma, t’ho detto. Gli serviva qualcuno che cantasse un paio di canzoni, niente di più.”

“E proprio a te doveva chiederlo?”

“Sei stata tu a portarlo al mio saggio lodando le mie doti canore…”

A questo punto dovrebbe picchiarmi, ma ho come la sensazione che si sia ripromessa di non farlo.

“Comunque, la situazione è presto risolta. Gli dici che non sei disponibile e finisce qui.”

“Ma io sono disponibile.”

“Non hai capito. Se io vi vedo vicino anche mezzo metro fuori dall’edificio scolastico lo faccio sbattere in galera per violenze sessuali e abuso. Più chiaro adesso?”

“Come il sole, mammina.”

Ah già, dimenticavo di dire il motivo della loro separazione.

Mamma aveva casualmente trovato, chiuso dentro ad una scatola, sigillata da un doppio lucchetto e da una serratura con combinazione numerica, nascosta nello spazio tra il muro e lo scaffale della mia stanza, coperto da un mobiletto, il mio diario segreto, in cui avevo, con tutta l’innocenza del caso, imprudentemente dichiarato il mio debole nei confronti di Arturo. Cosa avessi scritto, di preciso, non lo ricordo neppure io.

Fatto sta che lei, convinta di chissà quale relazione incestuosa, lo sbatté fuori di casa come fosse il più porco dei pedofili.

Non servì a nulla dirle che non mi aveva mai sfiorata neppure con un dito, che erano solo le stupide fantasie di una ragazzina. Lei, ormai, aveva deciso.

Per fortuna con il tempo ha cambiato idea su di lui, su di me, su di noi.

Ma ritrovarselo come professore è stato un duro colpo per entrambe.

Quindi, certo, può accettare che mi veda per qualche ora al giorno, ma al di là di quel limite sarebbe in grado di sospettare qualsiasi cosa.

 

17.

“Capisco.”

Si siede sul banco, sopra di me. Mi guarda, con gli occhioni verdi spenti, come se gli avessi inferto un colpo mortale.

Perché deve sembrare tutto così illecito. Perché dev’esser necessario fare sempre il processo alle intenzioni.

“Quindi…”

“Quindi sabato, otto e mezza, davanti al pub.”

“No, Andrea, assolutamente no. Tua madre ti stacca la testa a morsi.”

E non sai quel che staccherebbe a te, a morsi.

“Arturo, ho deciso ormai. Non me ne frega niente di lei. Sono adulta. E so che non mi faresti mai nulla, contro la mia volontà. È normale preoccuparsi, ma stavolta credo non ce ne sia davvero bisogno. O  no?”

Scuote la testa.

Se avessi dieci, quindici anni di meno sarebbe diverso, sembra pensare.

Ma siamo Adulti, e siamo responsabili.

“Mamma non ha ragione di preoccuparsi, e glielo dimostreremo. Se lei sarà presente, non avrà nulla da sindacare.”

Iniziale terrore nei suoi occhi.

“A volte non saprei dire se sei pazza o sei un genio.”
”Otto e mezza davanti al pub.”

“…otto e mezza. Rimettiti i panni dell’alunna, che io torno ai miei di professore.”

“Va bene, prof.

“Ci vediamo tra un paio d’ore, Santi.”

“A dopo, prof.”

 

18.

Esco in ritardo, come mio solito.

Una vita in ritardo.

All’uscita c’è qualcuno che mi aspetta.

Seduto, in fondo alle scale, lo zaino gettato a terra.

Fuma distrattamente, mentre legge un tascabile.

Il fumo sottile gli avvolge la testa, i capelli spettinati, salendo verso l’alto.

Ha le spalle strette; la giacca gli va larga, sembra possa cadergli in un qualsiasi istante.

La linea della schiena è leggermente curva in avanti; sembra quasi possibile potergli contare le vertebre anche attraverso gli strati di tessuto.

Per leggere tiene i gomiti puntellati sulle gambe ossute, avvolte da un paio di jeans logori.

“Ehm.”

Si volta, e squadrandomi con degli immensi occhi neri -che non avevo notato l’altro giorno- mi riconosce.

Occhi neri che sembrano in grado di poter bruciare dentro più di qualsiasi altro tipo di fiamma.

Getta il mozzicone, rimette il libro nello zaino, si alza in piedi.

Sta due gradini più in basso di me e siamo alti uguali.

Così mi guarda negli occhi.

Con quei pozzi neri.

Con quei lineamenti quasi…impalpabili.

E finalmente mi parla.

 

 

 

 

Lo so, è un capitolo di passaggio, ma in qualche modo dovevo sciogliere la tensione, altrimenti mi prendono a randellate in testa :D

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Capitolo 10
*** Sei. ***


V'ho fatto penare, ma alla fine, eccolo, il Nostro, in forma smagliante.

@morgain28: sto facendo la brava bravissima bravisssimissssimisssima. SAI cosa significa.

@gnuoba: quindi, tra un paio di giorni lo scopri. L'attesa aumenta il desiderio.

@Etoile_sama: eh già, he's finally  back :D

 

Stay Tuned.

 

 

 

Fear and panic in the air
I want to be free
From desolation and despair
And I feel like everything I sew
Is being swept away
When I refuse to let you go
.

Muse-Map of the Problematiqué.

 

 

Andrea.

 

1.

Sunday Morning

And I’m falling

I got a feeling

I don’t understand.*

 

Sono nel mio letto, tra le mie lenzuola, nella mia camera, ma non sono io.

Lo so per certo perché io sono pallido sopra di me, nudo.

Io sono Alice, e sono pallida e nuda anch’io.

Io-Io sto baciando il collo di me-Alice, con una mano sul mio fianco morbido e l’altra dietro la nuca, mentre gioco con i miei capelli di seta nera.

Io-Alice mi tengo saldamente alla mia schiena, le dita conficcate tra le costole; mi accarezzo le scapole, le spalle, le vertebre, fin giù, e poi ritorno. Io-Io bacio la fronte di me-Alice, le orecchie, il collo, mordo le spalle, i seni, la pancia, mangio l’ombelico –ed Io-Alice ho una pancia così morbida e così liscia che sembra fatta apposta per esser mangiata- con una mano mi dischiudo le gambe e-

-e all’improvviso non so cosa succedere, Io-Io non sono più io, le spalle si irrobustiscono, i capelli diventano più corti, più ricci, la carnagione più scura, io divento Alessandro, e tra di noi –troppa roba- e Io sono di nuovo Io, e Alessandro mi morde al centro del petto, con i suoi denti freddi, mi accarezza la pancia, poi mi prende per i fianchi sussurrando qualcosa, poi-

-poi mi sveglio di soprassalto, urlando.

I sogni erotici sono una costante della domenica mattina.

Ma non mi era mai capitato un incubo del genere.

 

*Inutile dire che sono i Velvet Underground. I suoi orizzonti musicali sono abbastanza "limitati". 

 

2.

Stamattina l’ho vista.

La pazza fotografa con gli occhiali da sole.

L’ho vista davanti alla scuola, e sono certo mi abbia riconosciuto.

Questi maledetti bagni sono troppo stretti, mi fanno venire la claustrofobia.

Ditemi voi se per fumare una persona sana di mente deve ridursi in questo stato.

Il coperchio del cesso abbassato, i piedi sopra, accucciato, così nessuno può venire a rompere le palle.

Espiro il fumo verso l’alto.

Quando mi accorgo del dispositivo sul soffitto.

Il dispositivo anti-fumo sul soffitto.

Ecco perché sono tutti così ligi al dovere, qua dentro.

Quando lo realizzo è ormai troppo tardi, l’allarme è già scattato.

Il rombo dei quartini per le scale è assordante.

Butto la sigaretta ed esco dal cubicolo.

Il Preside mi aspetta dietro la porta del bagno insieme a due bidelli, stile assalto della Swat.

“Signorino, io e lei si deve fare due chiacchiere.”

Lo seguo in presidenza, scortato dalla maggior parte del personale scolastico.

Mi sento un incrocio tra Giordano Bruno e Giovanna D’Arco.

Spero solo di non fare la stessa fine delle mie sigarette.

 

3.

“Ora, io non so in cosa consistesse il regolamento della tua vecchia scuola, ma qui è assolutamente vietato fare uso di qualsiasi sostanza che comporti danni psico-fisici, sigarette incluse” dice, mentre sniffa una sottilissima striscia di coca sul piano lucido della scrivania.

“Non voglio avere i vostri giovani corpicini sulla coscienza.”

Il Preside è il solito lumacone viscido luma bambine. Muove le mani in maniera frenetica mentre parla, e ha gli occhi eccessivamente arrossati.

Mi chiedo chi diamine scelga i nostri tutori, e sulla base di cosa.

L’ipocrisia regna sovrana, nelle scuole.

“Vuoi?” porgendomi la cannuccia.

“No, grazie, sono a dieta.”

Fa spallucce, e prosegue meticolosamente il suo lavoro.

“Posso andare quindi?”

“Eh?”

“Posso uscire? Deve punirmi, sanzionarmi, non so…”

Mi alzo in piedi, e mi squadra con i suoi occhietti azzurri e viscidi.

Troppo magro, troppo alto, poco divertente.

“Si, si, vai pure. E mi raccomando, il fumo uccide.”

“Si, certamente, buona giornata.”

Dio, come odio questo posto.

 

4.

Che ti ha detto il Preside?

Sederle accanto è una tortura.

Non lo era, fino a l’altro ieri. Ma fino a l’altro ieri non ero entrato nel suo corpo.

In senso figurato, dico.

Mi ha offerto una tirata di coca per fare pace pacetta.

È come se fosse la mia unica alternativa. La mia unica alternativa alla pazzia, alla degenerazione, a tutto.

L’unica persona in grado di tenermi fermo a terra. Né al Cielo, né all’Inferno.

Gentile da parte sua, hai accettato?

Certo: dopo gli ho anche fatto un pompino per ringraziarlo.

È divertente scatenare la sua gelosia. Diventa tutta rossa, e cerca di nascondersi dietro ai capelli.

Due veri signori.

Sappiamo come ci si deve comportare in società.

“Allora facciamo COSI’. TU, indisponente novellino che non sei altro, vieni alla lavagna, e se la tua interrogazione fa schifo metto QUATTRO pure alla tua amichetta.”

E pensare che si lamentavano tanto perché non socializzavo.

Mi alzo, vado alla lavagna.

Prendo un gessetto e mi produco nel mio capolavoro.

Linee curve ampie, brevi, sinuose, morbide, dolci, come i suoi fianchi.

Sulla lavagna compare una discreta copia di Valentina*, ma con una folta chioma scarmigliata che la fa somigliare vagamente alla prof in una ipotetica quanto improbabile fase post-coitum.

O almeno, le somigliava nelle mie intenzioni.

Fossi in lei, apprezzerei il ritratto, opera di un giovane artista con ancora molto da imparare ma buone basi di partenza.

O forse la mia arte non è ancora abbastanza matura.

La classe è ammutolita, non sa come comportarsi per non perdere l’aplomb da rincoglioniti.

Alice ridacchia silenziosa e mi dedica un ampio sorriso, anche se le ho regalato un bel quattro.

Tempo dieci minuti e sono di nuovo in presidenza.


*Riferito al noto fumetto erotico di Crepax.


5.

“…ancora qui?”

“Non sentiva la mia mancanza?”

“…devo essere sincero?”

La coca è scomparsa, adesso si sta dedicando allo smistamento di scartoffie fintamente burocratiche.

“Che cosa hai fatto stavolta?”

“Un ritratto alla Guidi senza veli, alla lavagna.”
”Oddio Mio.” Spalanca gli occhi. La Guidi ha quel che si dice un corpo mozzafiato: 1.50 m x 1.50 m. Un cubo.

Una donna da schianto.

“…con il corpo di Valentina di Crepax.”

“…aaaah, beh. E a lei non è piaciuto?”

“Si vede che non ama l’arte”

“Io l’avrei preso come un complimento”

“Infatti, speravo davvero le sarebbe piaciuto.”

“Le donne non le sanno capire, certe cose.”

Si alza da dietro la scrivania e si siede sulla poltrona accanto alla mia.

Ma che ho fatto io di male per meritarmi tutto questo.

Sono brutto, sono osceno, sono stronzo, sono arrogante, e la gente continua irrimediabilmente ad essere attratta da me.

“Senti, scherzi a parte. Che devo farci io con te?”
Possibilmente non sesso.

 “Dico, prova a metterti nei miei panni. Sei entrato in questo ufficio due volte in una sola mattinata. I professori non fanno altro che lamentarsi della tua condotta.

Hai trasgredito qualsiasi regola immaginabile. Sai che dovrei sospenderti a questo punto, vero?”

Annuisco.

Mi poggia una mano sul ginocchio.

Verme.

“Ora, io non voglio sospenderti. Sai, ero proprio come te da studente: irrequieto, ribelle…ti capisco, sai, al contrario di quelle babbione.”

Mi sento rattrappire qualsiasi cosa.

“Facciamo così. Ti do un’ultima possibilità. Dimostrami che sei in grado di stare alle regole, almeno per un po’. Poi, tutti i tuoi “debiti” saranno cancellati. Va bene?”

Annuisco.

Basta che tolga quella schifosissima manaccia dal mio ginocchio- e non provi mai più a paragonarmi a lui, Cristo.

Mi alzo, mi dà una pacca sulla spalla e mi rivolge un sorrisetto mefistofelico.

“Altrimenti, mio caro, sarò costretto ad agire come di dovere.”

A questo punto si aspetta che mi getti a terra ad abbracciargli le ginocchia e lo implori di perdonarmi, dicendo che sono disposto a qualsiasi cosa – qualsiasi- pur di salvarmi.

“Si, certo.” Ed esco.

È divertente vederlo sulle spine.

 


Come dicevo, è tornato come e peggio di prima.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

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Capitolo 11
*** Sette. ***


Si informa la gentile clientela che l'ascolto massiccio e ripetuto di Master and Servant e 20th Century Boy potrebbero spingermi ad atti inconsulti.

Grazie per le recensioni, per aver aggiunto questa storia tra le preferite o tra le seguite, o anche solo per aver aperto per sbaglio questa pagina ed aver detto "và che cagata!".

 

 

To me it is strange
This feeling is strange
But it's not gonna change for anybody

Muse- Fillip


 

 

 

6.

Non ho voglia di tornare a casa, oggi.

Di rivedere Alessia, che è magicamente ricomparsa, di scoparmela perfino e di sopportare il piagnucolare di mia madre.

Voglio vivere da barbone sulle scale della scuola.

Mi sento il cervello bollito.

Ho anche litigato con Alice.

Non so come fare, con lei.

Vorrei tutelarla, tenerla all’oscuro di quel che sono.

D’altra parte però ho un profondo bisogno della sua calma tranquillità.

L’idea di casa che riesce a darmi.

Sento dei passi dietro di me, anche se la scuola è ormai praticamente vuota.

Si ferma.

“Ehm.”

Mi volto. È Occhiali da Sole.

Mi alzo sul mio gradino.

I nostri occhi sono alla stessa altezza.

Dietro lo specchio dei suoi occhiali marroni vedo una sfumatura diversa, nel suo occhio destro.

Ha le labbra piccole, a forma di cuore, il volto rotondo, i capelli da leone. Lo zaino le pende da una spalla, mentre al collo ha decine di monili.

Giovani Freak Crescono.

“Tu.”
”Io.”

“Voglio la mia foto.”

“Ormai l’ho stampata, è inutile cancellarla.”

“Non hai capito, non voglio eliminarla, voglio vederla.”

Mi guarda smarrita.

“Ah…vuoi vederla.”

“Scusa, oltre ad esser cieca sei anche sorda? Ovvio che voglio vederla! Ci tengo a tenere sotto controllo le mie foto in circolazione.”

Apre lo zaino, tira fuori la Reflex.

“Scusami, ma ho solo lo scatto.”

“Mi accontento.”

Salgo sul gradino accanto a lei e le passo un braccio sul fianco per guardare nel piccolo schermo della fotocamera.

Ha un sussulto.

I suoi capelli profumano di mela verde.

In quella fotocamera c’è di tutto: fiori, piccioni, bambini, lampioni, esperimenti di una giovane fotografa in erba.

Poi arrivo io.

La foto non è male.

Il contrasto tra la facciata bianca e miei jeans scuri sporti di fuori è…bello.

La nuvoletta di fumo che riempie l’intero specchio della finestra fa sembrare la mia camera estremamente oscura- mentre la mia posa è davvero da duro.

Adesso che mi guardo in foto quasi quasi mi innamoro anche io di me stesso.

“Mh…beh, non è male. Puoi stamparla decentemente anche per me?”

“Ho la carta fotografica, è abbastanza decente?”
”Aggiudicata. Quando me la porti?”
”Non lo so. Domani ci sei a scuola?”

“Se non mi espellono…domattina all’entrata, allora.

Hai da fare per pranzo?”

Non so come mi sia venuto in mente di chiederglielo. Ho solo voglia di non tornare a casa.

“Devo considerarlo un appuntamento?”

“Consideralo un bonus-kebab, piuttosto.”

“Mmmmh…”

…ma tutte che mugugnano le trovo?

“…ti ringrazio, ma è meglio se torno a casa. Ci vediamo domani.”

Si divincola dal mio braccio e se ne va via.

Bel culo, comunque.

Mi accendo una sigaretta e mi incammino verso casa.

Nella speranza di non incontrarla.

 

7.

Cristo fa che lei non sia qua.*

Apro il portone, e sembra filare tutto liscio.

Nessuna interruzione, nessuno strip tease. Sono solo.

Entro in casa. Sento trafficare in cucina.

“…mà?”

Vedo quel che non avrei voluto.

“Ciao Andre!”

Alessia è ai fornelli, con un simpaticissimo grembiule “Kiss The Cook”.

Mamma, evidentemente, non c’è.

“Andrea, cazzo, mi chiamo AndreA. Che ci fai tu qui?”

“Tua madre mi ha lasciato le chiavi di casa. Ha detto che ti ha visto un po’ strano, nell’ultimo periodo, e che hai bisogno di compagnia.”

Non si può tirare avanti così. Un qualsiasi adolescente impazzirebbe, con questa sovraesposizione ai ferormoni.

Non è sano, non fa bene alla mia integrità psico-fisica.

Alessia indossa una gonna bianca, coperta davanti dal grembiule.

È voltata verso i fornelli.

Non indossa niente, sotto la gonna.

Inizio a sentire un certo pizzicorìo.

Spegne il fuoco, scola la pasta, fa le porzioni.

Mangiamo in fretta.

Prepara la moka. Mette il fornello al minimo.

Incede verso di me, con le peggiori intenzioni possibili.

Allontano la sedia su cui mi trovo dal tavolo.

Mi si siede a cavalcioni sopra.

Il suo odore dolciastro mi invade le narici.

Mi aggredisce il pomo d’Adamo.

Le poggio le mani sui fianchi, reclino la testa all’indietro.

Mi sento mozzare il fiato.

Soffoco, e lei mi uccide.

Mi prende una mano, la accompagna sulla sua coscia, sulla sua natica.

Le mie dita affondano nella sua carne calda.

Si stacca dal mio collo e mi solleva la maglietta, sfilandola dalla testa.

Tendo le braccia verso l’alto per assecondarla.

Una cosa che mi sono sempre chiesto è come mai le donne abbiano sempre le dita fredde.

Ho la pelle d’oca.

Lei si muove appena, a contatto con i miei polpastrelli.

Mi sfiora il mento con le labbra.

Tesse la mia pelle bianca con le sue dita inesorabili.

Le cingo il bacino e le regalo un bacio, semplice, sulla punta delle labbra.

“Andrea, non ti illudere. Lo sai che è semplice ginnastica idraulica.”

“Lo speravo, a dire il vero. Era solo una gentilezza.”

“Oh ma che bambino educato.”

Apre contemporaneamente tutti bottoni dei miei jeans, che cedono volentieri ai suoi desideri.

“Non si può dire lo stesso di te.”
Dalla maglietta leggera traspare il reggiseno rosso porpora.

Intuisce le mie mosse e si spoglia da sola.

Nello stendersi scopre il pancino piatto, vagamente abbronzato.

Ha un piccolo neo rotondo accanto all’ombelico.

Lo accarezzo, e vibra leggermente al mio tocco.

Con la sola gonna addosso sembra la Libertà di Delacroix.**

Da qualche parte in un altro universo c’è una moka che fischia e allaga i fornelli di caffé.

I suoi seni hanno il sapore, della libertà.

La finisco di spogliare.

Poi ad un certo punto fa una cosa inaspettata.

Si alza e si avvicina al tavolo.

Si volta di schiena, mostrandomi il suo capolavoro botticelliano posteriore, e poggia i gomiti sul tavolo, sorreggendosi il mento per continuare a guardarmi.

Resto interdetto.

“Ho come la sensazione che tu preferisca così, anche se a parti invertite. Purtroppo non sono ancora riuscita a farmi spuntare niente, tra le gambe.”

Ecco.

Questa donna finirà con l’uccidermi, uno di questi giorni.

 

*Inizio della seconda strofa di 1.9.9.6. degli After. Non riesco a fare una storia intera senza citarli almeno un centinaio di volte.

**@MyMuse: Si, quello del "Cielo Impressionista". Và che figura di merda mondiale quella volta xD

 

8.

Si può soffrire del complesso di Elettra nei confronti di un ex amante di tua madre?”
”Non saprei, io ci scopo, con l’amante di mia madre.”
”Sei gay?”
”NO! Cioè…no. L’amante di mia madre è una donna.”

Oggi Andrea ha accettato il bonus-kebab, e in questo preciso istante stiamo allegramente barboneggiando su una panchina dei giardini pubblici.

Lei è seduta sullo schienale, mentre io sono appoggiato ad una delle sue gambe.

Andrea, così si chiama, si è dimostrata meno rincoglionita di quanto credessi.

È una suffragetta mancata, hippy mancata, cantante mancata. Sembra sia finita in questo decennio per sbaglio.

E lo dimostra il fatto che si sia presa una cotta per un uomo di vent’anni più vecchio di lei.

“Guarda che non mi sconvolgo mica se sei gay.”
”Beh, un’eccezione conferma la regola, no?”
”Certamente.”

“E allora non sono gay.”

“…non l’ho capita, ma sta bene.”
Mi accendo una sigaretta.

“Ma insomma com’è che ti fai la donna di tua madre?”
”In realtà, è lei che si fa me.”

“Addirittura! E che fa, ti lega alla sedia e ti violenta?”

“Fidati, poco ci manca.”
”Ma dai!”
”Fidati, quella è una pazza. Ma non so che fare, perché se la mollo lo va a dire a mia madre e viene fuori un casino; e poi…”

“...una chiavata gratis non si rifiuta mai.”
”…esattamente quel che intendevo dire io.”

“Voi maschi pensate solo a quello.”
”Non è colpa mia, assecondo soltanto i miei bisogni. Se lo facessero tutti ci sarebbe meno tensione, a livello mondiale. Il sesso, anche senza sentimento, fa bene al corpo e allo spirito. Per non parlare dell’autostima. La gente sarebbe meno stressata, meno incazzosa, molto più rilassata se facesse sesso regolarmente.”

“E tu senti di essere calmo, tranquillo, rilassato?”
”Beh, perlomeno sono appagato.”
”Contento tu.”

“Non mi lamento eccessivamente, mettiamola così. Piuttosto, con il professorino? Che vuoi fare? Proporre una versione moderna di Lolita?”

“Sarei troppo vecchia e troppo consenziente. E soprattutto, non credo di scatenargli irresistibili pulsioni sessuali”

“Ne sei certa? Perché…”

“Certissima!”

“…perché di solito, quando ti danno del pedofilo, cerchi di smentirlo, non di confermarlo. Di solito, quando la tua ex ti accusa di aver insidiato la figlioletta, non cerchi di coinvolgere la suddetta in tutto quel che fai. O no?”

“Beh, è solo protettivo nei miei confronti.”

“Secondo me sogna un regale banchetto tra le tue gambe.”
”ANDREA!”

Mi tira una quadernata in testa. È stata per tutto il tempo a scrivere su di un Moleskine nero.

Quasi quasi mi sento importante.

“Questa, almeno, è la mia impressione di maschietto arrapato. Poi vedi tu. Non mi pare un’idea così rivoltante.”
”Farsela con un professore o banchettare tra le mie gambe?”

“Beh, se ho capito qual è…direi entrambe.”

“Sei un porco.”

“Grazie, davvero. È uno dei più bei complimenti che mi abbiano mai rivolto.”

“Sai, non tutte le ragazze sono come quelle che conosci te. Ce n’è ancora qualcuna che pensa, prima di agire.”
Le cingo una gamba.

“E fanno male.”

 

9.

“Cuore mio, mi spieghi cos’hai?”

Ma perché dev’esser così oca.

“Niente mamma, t’ho detto. Sono solo stanco.”

Sfiancato è il termine giusto.

“Mi ha detto Alessia che oggi non sei venuto a pranzo. Come mai?”

Dio che ansia.

“Sono rimasto fuori a pranzo con gli altri della mia classe. Sai, andavano tutti insieme in pizzeria, non volevo fare il solito asociale.”

“Bene tesoro, mi fa piacere. Da quando siamo qui hai socializzato molto.”

Eh già.

“E sono anche certa che hai trovato una fidanzatina.”

Cristo, fidanzatina. Manco avessi tre anni. E poi il congiuntivo, che cazzo.

Mi merito questa tortura?

“Dici mamma?”

“Eh si, sei tutto così…con la testa da un’altra parte…”

Eh si. Proprio alla fidanzatina, penso.

“Chissà, magari hai ragione…”

Certo, magari.

“Oh! Davvero?!? Lo sapevo che facevi strage di cuori! Sei proprio come la tua mamma.”
Che mi tocca sentire.

“E chi sarebbe la fortunata?”

Inventarsi qualcosa, e alla svelta.

“E’…una della mia classe.”

Non so perché, ma inizio a raccontarle di Alice, di come sia bella, di come mi renda felice. Le racconto come ci siamo conosciuti, come abbiamo fatto l’amore (almeno nella mia mente), il modo in cui gioca con i capelli, in cui tiene la penna, in cui sorride.

Mamma mi guarda sorridente. Forse è la prima volta che la vedo pienamente soddisfatta di me.

Se solo fosse vero.

“Se vuoi, puoi portarla a cena, domani. Anzi, dille pure che è ufficialmente invitata dalla mamma del suo fidanzatino. E se non accetta mi offendo, eh!”
Alle volte ho il dubbio di essere dentro ad un film.

Dell’orrore.

 

10.

 

Ci mettiamo insieme? Si ৻ No ৻ Sono Lesbica  ৻

Devo essermi bevuto il cervello definitivamente.

Alice mi guarda smarrita.

Ci mettiamo insieme? Si ৻ No ৻ Sono Lesbica  ৻ Solo se mi costringi con la forza ■

La terza casella era barrata a matita, poi cancellata.

Ottimo.

Facciamo così, se ti metti con me ti regalo un lecca lecca. Sennò mi metto a piangere e mi butto per terra.

Andrea, ti sei infilato una scatola di pastelli nel cervello, per caso?

Mia madre s’è convinta che sono fidanzato. Per non deluderla le ho detto la prima cazzata che m’è venuta in mente. Si tratta solo della cena di stasera. Domattina puoi mollarmi e chiedermi gli alimenti, se vuoi.

Aaah, ecco.

Fa i versi anche per iscritto.

E perché le hai parlato di me?

Cazzo mi invento?

Perché sei la mia unica amica, testina.

Sembra soddisfatta della risposta.

Va bene. Ma non ti aspettare baci o effusioni varie. Mi lascio abbracciare, fattelo bastare.

Chi s’accontenta gode.

Ho appena firmato la mia condanna a morte.

 

 


Insomma, che casino... Io, siore e siori, non so che altro inventarvi, davvero! La mia fantasia ha un limite.

Ma non l'ho ancora raggiunto.

Con il prossimo post raggiungerò il fondo, e finalmente sarò degna del mio rating (anche se Alessia non scherza eh...)

Stay Tuned.

:)

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Capitolo 12
*** Otto. ***


@morgain 28: come promesso. Sviluppi interesssssantissimi.

@gnuoba: "Lui disse: Mi basta che sia più profondo di me."

Ti risponde?

 

Se avete resistito fin qui, beh, complimenti.


Buon divertimento.

 


 

 

11.

Aspetto Andrea all’uscita, ma non c’è.

Vedo passare il suo professore.

Chissà che combinano, quei due.

È un bell’uomo, comunque.

Si accorge che lo sto guardando. Mi sorride, ricambio.

Sarebbero davvero una bella coppia, se non ci fosse quella fastidiosissima differenza d’età.

Mi accendo una sigaretta e mi incammino verso casa.

Durante il tragitto penso ad Alessia, ad Alice, ad Andrea, a quanto siano strani i rapporti instaurati in così poco tempo.

Penso ad Alessia, e alla sua ninfomania.

Ad Alice, e all’idea di casa che sa darmi.

Ad Andrea, e alla sua…stranezza. Non saprei come definirla altrimenti.

È strana  e basta.

Penso a tutto questo perché non so cosa mi aspetta, una volta arrivato a casa.

O chi, mi aspetta.

Da lontano scorgo una sagoma rossa ben conosciuta.

Ducati Desmodue 750, ancora calda.

“Meglio di qualsiasi donna, eh?”

Sono queste le prime parole che Alessandro mi rivolge, dal vivo, dopo mesi.

“Sicuramente più fedele di qualsiasi uomo.”

Come ha osato.

Come cazzo gli è venuto in mente di presentarsi qui come se niente fosse.

Mi si avvicina, più minaccioso e bello che mai.

Dio, Dio, Dio, Dio.

Mi poggia le mani sulle spalle e avvicina il suo volto al mio.

Il suo profumo di dopobarba di invade le narici e mi violenta l’animo.

Lo scaccio.

“Andrea, ti prego.”

“Ti prego un cazzo. Come ti permetti di venire qua e far finta di niente?”

Si avvicina di nuovo. Non riesco a respingerlo ancora.

“Andrea, ti prego. Ho attraversato le nebbie del tempo per trovarti.”*

“Non me ne frega un cazzo. Puoi anche aver venduto l’anima al Diavolo!”

Mi stringe la testa tra le mani.

Mi costringe a guardarlo negli occhi.

Oh, che dolce tortura.

E tace.

Non può esser davvero lui.

Non può esser davvero qui.

Non ora che ho deciso di fare a meno di lui.

Di farmi una vita al di là di lui.

“Andrea, ti prego. Ascoltami una buona volta.”

Non ho voglia di scacciarlo, non ancora.

Lo ascolto.

Sembra soddisfatto della mia attenzione.

Mi tiene il collo con le mani, mi accarezza il mento.

“Non ho avuto modo di spiegarti. Sei partito da un giorno all’altro…”

Fa un respiro profondo, e riprende il discorso, che si prevede bello lungo.

“Io ti amavo, va bene? Anzi, no. Ti amo ancora. Ti ho sempre amato. Quello che è successo quella sera… non ero io. Era l’alcool. Non avrei mai osato… non oserei mai fare una cosa del genere. Alzare le mani su di te… è stato un atto di viltà. Una porcata. Mi sono sentito uno schifo. Sapere che te ne saresti andato al mattino dopo…non v’ho visto più. Io…scusa. Ti prego. Io…”

Inizia a piangere.

“Ti prego. Perdonami.”

Lo stringo a me.

Inizia a piangere, a lacrimare, senza fine. Sento le sue lacrime sulla camicia, che tiene stretta per non cadere.

Brucia.

Brucia ancora.

Nonostante tutto.

Lo abbraccio più forte.

Reclino la mia testa sulla sua.

Perché deve essere tutto così…così.

Come se non avessi già tanti problemi qui senza di lui.

“Andrea…”

“…si.”

“…lo sai che ti amo, vero?”

“…si, lo so.”

Resta in silenzio.

“Se sali a casa ti faccio un caffé.”
Lo sapevi che andava a finire così.

Dio mio.**

 

*La citazione, fatta ad recchiam, è da Dracula, il terribile film di Coppola: sono le ipocrite parole che un ispiratissimo Gary Oldman rivolge alla sua sperata sposa. Gary, ovunque tu sia, voglio che tu lo sappia: io mi farei "sposare" da te in qualsiasi momento. Sappilo.

**Dio Mio!- Il Teatro degli Orrori. Se non li conoscete andateveli a cercare.

 

12.

Mentre armeggio con la moka, Alessandro è seduto su di una sedia, con i piedi sollevati da terra e le braccia raccolte sul grembo, come se avesse freddo.

Mi accendo nervosamente una sigaretta che lascio pendere dall’angolo delle labbra.

Si alza in piedi di colpo, mi si avvicina, mi cinge la vita con le braccia e mi poggia la testa sulla spalla. Mi prende la sigaretta e finisce di fumarla.

Il caffé borbotta. Spengo il fornello.

Vorrei prendere le tazzine, ma non posso perché sono bloccato.

Alessandro mi stringe le mani tra le sue, e grava su di me con quasi tutto il peso.

Con le nostre mani intrecciate si sfila la sigaretta dalle labbra e la getta nel lavello.

Non è mai stato uno di quelli che si dice amanti dell’ordine.

“Andrea.” Mi sussurra all’orecchio.

“…si. Si. Di là.”

Odio quando i sogni mi danno ragione.

 

13.

 

Tu vas et tu viens
Entre mes reins
Et je
Te rejoins*

 

Subire l’amore è come andare in bicicletta. Magari non ci vai per anni e credi di aver dimenticato tutto- poi monti in sella e ti rendi conto che le tue gambe pedalano da sole.

Con Alessandro era lo stesso. Pensavo di aver dimenticato cosa potesse voler dire, invece è venuto tutto…spontaneo.

Le mie lenzuola non sono più abituate ai nostri due corpi.

Ziggy ci lancia il suo sguardo benedicente.

“Si.”

“Mh?” Mugugna.

“Si, ti perdono.”

Non sa quanto mi costi dire tutto questo.

Mi stampa un bacio leggero sulle labbra e mi si accoccola sul petto come un gatto che fa le fusa.  

“Però dovrai ripartire, vero?”

“Già.”

Già, certo.

L’università e tutto.

Ora che mi ha ricondotto all’ovile non ha più nulla di cui preoccuparsi.

Centinaia di chilometri macinati in fretta e in furia solo per assicurarsi che fossi ancora suo.

Mi tiene sotto il suo giogo da anni, ormai.

Non mi lascia la possibilità di liberarmi.

In catene da sempre.

E per sempre.

Poi mi spiazza.

“Allora, come te la cavi qui, senza di me?”
Cerco di pensare ad una risposta sensata.

Non me ne vengono.

“Un incubo. Ci credi, vero?”

“Si. Beh, io ho due caschi. Riesci a mettere tutta la tua roba in uno zaino che non sia troppo ingombrante?”

“Alex, che stai dicendo?”

“Sto dicendo che non posso sopportarti a miliardi di chilometri da me. Ti prego, torna a casa con me.”

Non ci posso credere.

Non può averlo detto sul serio.

“Lo sai che non posso, vero?”

“Si, certo. Ma voglio che tu sappia…che la porta di casa mia è sempre aperta, per te. Che io ti aspetto. Che non ti lascio andare.”

Mi sto obiettivamente sentendo male.

Aumentano i battiti.

Mi si chiude la gola.

Quanto mi costa dirgli di no?

Potrei partire, mollare tutto, tutti, vivere con lui, tornare alla mia vecchia scuola e consumarmi così di stupida passione adolescenziale.

Ma qualcosa mi forza a restare qui.

Non so neppure io cosa.

“Si, lo so. Ma ormai…è finita qui. Non può andare avanti oltre. Non…non possiamo.”

Non riesco a trattenere qualche lacrima, mentre parlo.

Sono un coglione.

Come on and lay with me

Come on and lie to me

Tell me you love me

Say I’m the only one.

“…ormai non è più possibile continuare. Tu hai la tua vita, senza di me, e io-“

“Io non ho una vita, senza di te.”

Come on and lie to me

Say I’m the only one.**

Si interrompe per alzare la testa e poggiarla sulla mia spalla, in modo da potermi parlare direttamente nell’orecchio.

“Andrea, credimi. In questo periodo in cui non ci siamo sentiti, sono stato…malissimo. Sono stato da schifo. Non riuscivo neppure a trovare il coraggio di chiamarti. L’idea di non rivederti più mi ha bloccato completamente.”

“Si, ma ormai non puoi più far nulla.”

“Finchè sei tra le mie braccia e io sono tra le tue c’è sempre qualcosa da fare.”

As I lay here with you
The shame lies with us
We talk of love and trust
That doesn't matter

“Per favore, non sei mai stato un tipo sentimentale.”

“Lo sono diventato in tua assenza. Ho giocato troppo con te- mi sono reso conto solo all’ultimo istante di quel che ho rischiato di perdere.”

“Ma tu mi hai già perso”

We talk of love and trust

That doesn’t matter.***

“Non è vero, e lo sai. E lo dimostra il fatto che sei ancora qui appiccicato a me e non ti sei neanche accorto che il tuo telefono suona a vuoto da dieci minuti.”

Oh cazzo.

Alice.


*Je t'aime-moi non plus, Jane Birkin e Serge Gainsbourg. Capolavoro assoluto.

**Lie to me, Depeche Mode.

*** It doesn't matter two, Depeche Mode. Ieri sera ero particolarmente ispirata dagli anni ottanta, che devo farci.

14.

“Non è niente che ti riguardi, comunque.”

“Si che mi riguarda, invece. Sei mio.”

“Non sono tuo. Non sono di nessuno.”

Ho richiamato Alice, cercando di mantenere un tono più neutro possibile. Le do appuntamento alle otto al semaforo, e riattacco.

Cerco di rivestirmi, ma non ci riesco, perché Alessandro me lo impedisce in tutti i modi.

Baci, carezze, soffi, morsi.

Quando ci siamo conosciuti era diverso.

Anzi, ero diverso.

Quartino, impaurito di tutto, quasi della mia stessa ombra.

Lui faceva la seconda liceo, ed era…beh, era bellissimo.

Ma a quattordici, quindici anni, non lo sai cosa vuol dire quando ti piace una persona. Non sai bene quello che devi fare, come ti devi comportare.

O comunque, non ci pensi su troppo.

E io non ci pensavo.

Ero a disagio, tra i miei coetanei.

Erano tutti così tranquilli, così sereni.

Io ero inquieto.

E poi ero magro, ed emaciato.

Voglio dire, più magro ed emaciato.

E non ero ancora così alto.

Sembravo davvero un cadavere ambulante.

E l’atteggiamento non aiutava.

Non so cosa mi fossi messo in testa di fare.

Mi truccato di nero, mi mettevo lo smalto.

Forse era l’ossessione che mi era presa per i Cure, non lo so.

Forse non me lo ero mai neppure chiesto.

Andavo in giro con gli occhi neri e basta.

Ah, e avevo iniziato a fumare.

Non che mi piacesse particolarmente- più che altro era per tenermi le mani occupate.

Per credere di poter maturare più in fretta.

Insomma, ero una specie di caso umano.

Manco a dirlo, ero lo zimbello della classe.

Un giorno stava diluviando, ed ero alla fermata dell’autobus smaniando per un accendino.

Alla fermata con me c’era lui, quello del secondo, che di tanto in tanto incrociavo per i corridoi, ma che non avevo mai osato guardare in faccia.

“Se ti serve un accendino tieni. Ma non sei un po’ troppo piccolo per fumare?”

“Tu non dovresti essere abbastanza grande da aver imparato a farti gli affari tuoi?”

La mia risposta aggressiva lo aveva senza dubbio sorpreso.

“Accidenti, quanto veleno in questo corpicino! Come mai tanto astio?”

“Forse è la pioggia.”

“Oppure- lasciami indovinare- ti fa schifo il mondo te compreso, giusto?”

“Complimenti per l’accurata analisi psicologica, mister Freud.”
Nel frattempo si era avvicinato sempre di più, e i nostri gomiti quasi si toccavano.

Rimanemmo a discutere sotto la pioggia per quasi mezz’ora, tanto l’auto era in ritardo.

Così il giorno dopo e quello dopo ancora.

Il quarto giorno lo intercettai nei bagni della scuola a fumare.

“Mi presti l’accendino?”

“Se vuoi te lo cedo in usufrutto, lo usi più di me!” mi disse sorridendo.

Era gentile con me. Era assurdamente gentile con me.

Ed io…non riuscivo a capirne il motivo.

Non riuscivo a capacitarmene proprio.

Lui vedeva in me molto più di quanto ci vedessi io stesso.

Però subivo il suo fascino, terribilmente.

Esser preso in considerazione da uno come lui mi faceva stare…bene.

Non pensavo a cosa potesse significare, ero lusingato e basta.

Era gentile, ed io ne ero felice.

Così il mio primo anno di superiori passò tra una sigaretta al bagno e una chiacchierata alla fermata, con la dovuta serenità d’animo.

Poi arrivò l’estate.

Mia madre aveva preso una casa al mare, come al solito. Per tre mesi.

Le giornate trascorrevano inutili e tutte uguali con lei a crogiolarsi sul lettino diventando sempre più nera e me, rannicchiato sotto l’ombrellone, praticamente vestito, nel tentativo di leggere da alcuni stupidissimi tascabili inglesi.

Nel frattempo mi erano cresciuti a dismisura i capelli e per non morire dal caldo ero costretto a tenerli raccolti in una coda.

Terribilmente atroce.

Quando un giorno sentii la sabbia smuoversi dietro di me e una voce conosciuta.

Quella voce.

“Ancora tu! Non mi pedinerai mica, ragazzino?”

Mi disse, dietro le spalle, e riuscivo quasi a vedergli il sorriso stampato in faccia.

Mi voltai, tra il sorpreso e il terrorizzato.

“Se riesci ad alzarti in piedi in meno di dieci minuti ti offro un gelato.”

“Non mi va il gelato.”

“Un caffé, una birra, due litri di vodka, la Luna, quello che ti pare.”

“Un gelato va bene.”

Mi alzai, mollai mia madre in stato semi-comatoso sotto al sole cocente e andai al bar con lui. Due Cornetti, e andammo a fare una passeggiata sul bagnasciuga, come fossimo stati una schifosissima coppietta.

Ci fermammo su di una insenatura rocciosa, deserta, a finire il gelato. Seduti su di uno scoglio quasi piatto, l’uno accanto all’altro.

“Per quale maledettissimo motivo vieni al mare con la maglietta, e nera, per giunta?”

Mi guardai.

Due corpi che si abbracciano.

Di cui uno fantasma.

All’epoca ero un tantino patetico, anche in fatto di abbigliamento.*

“Ho la pelle troppo chiara, mi brucio subito.”

Mi poggiò una mano sul ginocchio.

“Ma guarda le gambe! Ma come fai, tutte le sere ti fai un bagno nel latte?”

“Evito accuratamente qualsiasi tipo di vitamina beta. Sai, il biancore malaticcio fa figo. Anzi, in realtà sono un vampiro, ma ti prego di non dirlo a nessuno.”

“Allora perché non bruci, ora?”
”Ho qualche ora di autonomia.”

“Uau. Illuminante.”

Si voltò verso di me, mi poggiò una mano sul fianco e mi diede un bacio.

Evvai, il mio primo bacio.

Il mio primo bacio frocio, per giunta.

Già allora erano i guai a cercarmi, e non il contrario.

Rimasi interdetto, e lui continuava a guardarmi in attesa di una qualsiasi risposta, fosse stato anche uno schiaffo.

È che non me l’aspettavo, non da lui. Era così…virile.

M’era un po’ crollato un mito, ecco.

Dieci secondi dopo eravamo completamente sdraiati sullo scoglio, avvinghiati, a vedere com’era, essere froci per un pomeriggio.

La cosa proseguì per tutta la settimana.

Poi lui partì, e lì finì.

L’anno successivo a scuola tutto come al solito: accenno di saluto per i corridoi, sigaretta al bagno, chiacchierata alla fermata, niente di che.

Amici come prima. Come se non fosse successo nulla.

Il che, in qualche modo, mi dava sollievo. Iniziava a venirmi il dubbio che l’omosessualità fosse ereditaria, o genetica, o non so cosa.

E poi un giorno.

Pioveva, tanto per cambiare. Al contrario di quel che si crede, dalle mie parti piove sempre un casino.

Vidi sfrecciare un bolide rosso, poi curvare, tornare indietro, fermarsi proprio davanti a me.

“TU?”

“Che ci fai qui al freddo? Monta, ragazzino, ti porto a casa.”

“Ma tu puoi portarlo, questo mostro? Non credo tu abbia i requisiti…”

“So guidarla, tanto basta. Muoviti, che mi sto bagnando anche io.”

Salii dietro di lui.

Correva maledettamente forte, quel bastardo. Io non c’ero manco mai stato, in moto. Avevo il terrore di cadere, e mi reggevo fortissimo alla sua vita.

“Ma…tu non sai dove abito!”

Urlai al vento.

Mi ritrovai nel garage di casa sua.

“Se sali a casa ti faccio un caffé.”

Che mi ricordi, non bevemmo alcun caffé.

Casa sua era deserta.

E la sua camera era enorme, perché la divideva con la sorella ma lei si era trasferita e allora era tutta sua.

Gimme, gimme shelter

Or I’m gonna fade away.**

Mi sentivo indifeso.

Indifeso e spaurito.

Ma lui non mi lasciava andare. Non era disposto a lasciarmi andare così in fretta.

Mi spogliava, e io restavo inerme, coi capelli appiccicati addosso dalla pioggia.

Un pulcino inerme e bagnato.

Mi liberava il volto, e mi baciava ovunque, e io cedevo sotto di lui.

Perché in fondo era così.

È sempre stato così.

Era lui a volermi.

Ed io, semplicemente, non mi sottraevo.

Cazzo, avevo quindici anni appena, che dovevo fare?

Non potevo sfuggirli.

E, soprattutto, non volevo.

Sindrome di Stoccolma, la chiamano.

Comunque, quel pomeriggio piovoso, subii l’amore per la prima volta.

E non credete a quello che vi dicono.

Fa un male della madonna.

Magari non vuoi pensarci, perché stare con lui è divino e tutto il resto, ma se pesi niente come il sottoscritto fa un fottuto male canaglia.

Quasi mi misi a piangere.

Però ero stato io a volerlo, ad aver insistito. Quella storia di Stoccolma, ecco.

Lui, in compenso, aveva cercato di essere il più delicato possibile.

Però ecco, per fare un esempio biblico, non è che se ci metti il burro il cammello ci passa meglio, per la cruna dell’ago.

Comunque, nonostante il dolore fisico, non stavo proprio male.

Anzi.

Stavo schifosamente bene.

Le lenzuola grondanti di pioggia, sudore e quant’altro.

E il suo abbraccio forte.

I segni delle sue dita sulla schiena.

Alzai lo sguardo verso l’alto, mentre lui mi accarezzava il collo.

“Chi è quello?”

“COME chi è quello? Stai scherzando? È il mio Dio!”

All’epoca, la faccia truccata e i capelli arancio di Bowie non mi dicevano assolutamente niente.

“Ragazzino, sei un ignorante patentato. Allora. Lezione numero uno di teologia-“

“Starai scherzando!”

“…teologia. La Santissima Trinità: Bowie, Reed, Pop. Ci sei? Ti dicono niente questi nomi?”

“Si, no. Forse.”

“Allora…” si alzò sui gomiti, mentre poggiavo la testa sul suo petto.

“Apri bene le orecchie. Bowie, David Bowie. Il Padre. Ziggy Stardust, Alladin Sane, Il Sottile Duca Bianco, L’Uomo Caduto sulla Terra, il re dei Folletti, l’uomo che ha inventato il concetto di androgino. Ci sei fin qui?”

“Sì.”

“Benissimo. Lou Reed: il Figlio. Senti bene il suono: Lou-Reed. Il Lurido. Ti dico solo che i suoi hanno provato a curare la sua omosessualità con l’elettroshock. Emblema della New York Pop di Warhol. Presente il Disco Con La Banana? Ecco, idea loro. Fin qui?”

“Forte e chiaro.”

“Arriviamo al terzo. Lo Spirito Santo. Iggy Pop. Attualmente viene considerato il padrino di battesimo del punk. Un pazzo scatenato con degli addominali d’acciaio. A sessant’anni è esattamente uguale a quando ne aveva venti, nonostante l’abuso di droghe e tutto il resto. Poi.”

Così, carezzandomi i capelli, mi iniziava a quella che era la sua musica preferita, che diventò poi anche la mia.

Imparai ad apprezzare musica più adulta, meno…non lo so, non saprei come spiegarlo.

Buttai via la matita nera, ecco.

Crebbi, in qualche modo.

Reminds me of the summer time

On this winter day***.

Mi regalò il poster di Ziggy Stardust, perchè “se te lo tieni sempre davanti agli occhi vedrai quanti buoni consigli.”

Praticamente, eravamo una coppia fissa.

Tre volte a settimana restavo a pranzo da lui.

Mamma non sospettava nulla.

Dopo aver fatto l’amore, restavamo per ore nel suo letto, e lui mi leggeva stralci di poesie francesi da dei vecchi libri scalcinati e decadenti presi anni prima in una polverosa libreria di Boulevard St. Germain.

Così, con la testa sul suo petto, a giocare con i riccioli disordinati che lo costellavano, io diventavo il suo Rimbaud, e lui il mio Verlaine, come due cuccioli di leone che dopo essersi azzuffati a lungo si leccano a vicenda le ferite che si sono inferti poco prima.

Ero come un mucchietto di argilla, malleabile, tra le sue mani sapienti.

Andammo avanti per tre anni, tra alti e bassi.

Un paio di volte ci lasciammo anche.

Provai ad andare con qualche ragazza, ma la cosa mi annoiava terribilmente.

Insomma, la prima con cui sono andato fino in fondo è stata Alessia, figuriamoci.

Però lui è sempre rimasto l’unico, per me.

Non saprei dire se per lui sia lo stesso, ma oramai non importa più.

Perché lo sto lasciando.

Solo che lui non vuole capirlo.

“Alessandro, t’ho detto basta. Non sono più il tuo giocattolo.”

And it’s plain to see you were meant for me

I’m your boy, your 20th century toy

20th century boy, I wanna be your toy.

Non mi dà tregua.

Mi sfila la camicia per la terza volta e mi aggredisce le spalle.

I’m your toy, your 20th century boy.****

“Alessandro. Smettila.”

Conosce il mio corpo meglio di me.

“Ale…”

Un sospiro mi porta via il resto della frase.

Mi tiene, tra le sue mani, mi trattiene, mi tarpa le ali, fa in modo che non possa volare lontano da lui, come quei maledetti corvi inglesi.

Le sue labbra calde sulle mie.

Come sempre.

Questa tortura durerà per sempre.

Lo spingo sul letto e mi adagio su di lui.

Se bisogna andarsene tanto vale farlo in bellezza.

 

* E', un po' banalmente da parte mia, la copertina di Sleeping With Ghosts. Andrea ovviamente rinnega il suo periodo Placebo ma, insomma, sapete tutti cosa ne pensi IO di Brian Molko.

**Gimme Shelter, The Rolling Stones. L'hanno passata alla radio proprio mentre volevo scrivere che Andrea trova rifugio presso Alessandro. Non potevo non metterla.

*** The Bitter End, Placebo. Residui di matita nera per Andrea.

**** 20th Century Boy, T- Rex. Per maggiori e succulente informazioni si consiglia la visione di Velvet Goldmine, "liberamente" ispirato alla vita di Bowie.

Ovviamente nè Bowie, nè Reed, nè Pop, nè Warhol, sono minimamente di mia proprietà, ma scriverne mi diverte terribilmente.

 


Post lunghisssssssssssimo, ma l'ho scritto tutto d'un fiato e non me la sentivo di tagliarlo a metà.

Credo che ora molti lati del carattere di Andrea siano più chiari.

Spero vi piaccia almeno la metà di quanto piace a me.

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Capitolo 13
*** Nove. ***


Accidenti, quante fanS!

Quasi quasi sono lusingata.


@morgain28: quando scopro il loro destino ti chiamo, eh? Un bello spoilerino non si nega a nessuno...e SAI cosa voglio in cambio U.U

@vasq: lusingata, senza dubbio.

@gnuoba: di fatto, Lou Reed è un po' la guida spirituale di Andrea. Se Alessandro è Ziggy, Andrea è Lou. Con tutti gli annessi e connessi. Aver rivisto per la centesima volta Velvet Goldmine non fa affatto bene alle mie teorie cospiratorie a riguardo, purtroppo. Mi soddisfa il fatto che basti così poco, a renderti felice.

@MyMuse: che aggiungo, eh? La conosci meglio di me questa dannata storia. Inciso: la Santissima Trinità sono Bowie, Reed e Pop, ma GORE è DECISAMENTE l'Arcangelo Gabriele! :D

 

Canzone della settimana:

Time will help you through
But it doesn't have the time
To give you all the answers to the never-ending why

Placebo- Never Ending Why

(Secondo inciso: ma il tour estivo? :D)

 

 

 

15.

“Adesso però vattene, davvero. Sta tornando mia madre.”

“Pensi si sconvolga a sapere che suo figlio è gay?”

“Direi di si, visto che le ho detto che stasera le avrei presentato la mia ragazza.”
”Beh, magari se mi trucco e mi faccio meglio la barba…perché scusa, tu avresti una ragazza?”

“NO che non ce l’ho, cretino! Ma mia madre è convinta di sì e ho dovuto pregare in ginocchio una mia amica per fingere di essere la mia fidanzatina.”

“La tipa del telefono?”

“La tipa del telefono.”
”Che ha una cotta per te.”

“Che non c’entra niente.”

“E che un po’ ti piace.”

“Non-è-vero!”

Gli tiro una cuscinata.

Questo maledetto letto è un bordello- in tutti i sensi.

“Guarda che non sono mica geloso. Puoi andare con chi vuoi. Tanto lo so che ami solo me.”

“….ma smettila, per favore!”

“Su, negalo. Sii uomo. Per una volta, prendi le tue di palle in mano e scandisci a voce alta io non ti amo. Ti sfido a farlo.”

“Io non ti amo.”

“Non ci credo.”

“Fai male.”

“Perché io ti amo.”

Moi non plus.”

Mi soffoca ancora di baci.

Lo allontano.

“Per favore! Sei diventato davvero una checca.”

“Ma io sono una checca.”

“Si, ma di solito non lo fai notare così tanto.”

Mi lancia i jeans in faccia.

“Rivestiti, và. Hai visto mai tua madre subisse uno shock a vedere così tanti maschi nudi in un giorno solo.”
”Ma smettila!”

Si riveste anche lui.

I nostri vestiti sono sparsi ovunque.

Questa stanza è un vero bordello.

Quasi ricomposti del tutto andiamo in cucina e cerco di preparare la moka, ma mi tremano vistosamente le mani.

Guardo fuori dalla finestra.

Alessandro mi si avvicina per fare lo stesso.

Alessia ci ricambia ghignando.

Poi il rumore della chiave nella serratura.

Si alza il sipario.

 

16.

“Ciao tesoro! Com’è andata la mattinata? Uh, e chi è questo tuo nuovo amico?”
Gli porge la mano civettuola.

“Non è un nuovo amico, mamma, è un vecchio compagno di liceo…Alessandro, ti ricordi? Aveva una mattinata libera e ha pensato bene di venirmi a trovare.”
”Salve madame. È più bella che mai.”

“Alessandro…oh, ma certo! Allora è tua la moto parcheggiata qua sotto!”

“Esattamente”

“Infatti stava proprio andando a raggiungerla…”

“Andrea, ma che dici? Vuoi farlo ripartire a quest’ora? Ormai è inverno, si fa notte prestissimo, dovrebbe viaggiare al buio! Non posso assolutamente permetterlo. Se non ti crea nessun problema, caro, puoi restare a dormire qui, stanotte, e ripartire domattina quando vuoi.”

“Beh…” Alessandro ridacchia sotto i baffi.

Bastardo d’un finocchio.

“…in effetti domattina non ho da fare. Se non disturbo…”

“Perfetto! Ovvio che non disturbi! Tra l’altro, vieni proprio in un giorno fortunato, perché stasera finalmente conosco la fidanzatina di Andrea! Come si chiama caro? È un nome che inizia con la A…”

“…Alice, mamma. Si chiama Alice.”

Alessandro non sa più che fare per non scoppiarle a ridere in faccia.

“Uau. Che fortunato sono.”

“Già! E…oh! Tesoro, ti dispiace se viene anche Alessia? Sai, ormai è di famiglia…”

Ma ci mancherebbe!  Invitiamo anche un boia, già che ci siamo!

Come se tutta questa storia non fosse già abbastanza ridicola.

“Ovvio che non mi dia fastidio, mamma. Ormai è di famiglia…”

“Chi è Alessia?”

“Una mia amica” “La tizia che si scopa ultimamente.”

“ANDREA! Come ti permetti di rivolgerti così a tua madre davanti ad OSPITI!”

“Mamma, non sono ospiti, è Alessandro, con lui…”

Ho una storia da quattro anni.

“…non ho segreti.”

“Beh, questo non ti autorizza a trattarmi come una sgualdrina.”

“Signor-ina, mi scusi…lasci stare. Lo conosce suo figlio. Tende sempre ad esagerare. È solo un cazzone, tutto qui.”

Che coglione.

Mamma gli sorride. Ne è completamente invaghita.

“Caro, sei un tesoro, davvero. Se solo Andrea avesse preso qualcosa da te.”

…non può averlo detto.

Alessandro intuisce il doppio senso e sorride.

“Non si preoccupi, ha preso da me più di quanto creda.”
Che atrocità.

Cosa devono sentire le mie povere orecchie.

“Ora, ragazzi, scusatemi, ma devo preparare la cena, quindi se uscite mi fate un favore. Ah, e quando rientrate cercate di avere con voi anche Alice!”

“Ma certo, mamma.”

Ci precipitiamo di sotto, per le scale.

Mi porge il mio stupido vecchio casco.

“Da quanto tempo è che non ci facciamo più un giro io e te, eh ragazzino?”

Troppo, penso.

Ma ormai ho già calzato il casco e non si sente più niente.

 

17.

Fa freddo.

Fa un freddo canaglia.

Il vento mi taglia la pelle delle mani, che tengo saldamente ancorate a lui.

Dopo tanti anni, la paura non è ancora passata del tutto.

Lui guida, non curandosi di me.

Come se la mia presenza fosse talmente ovvia da esser indifferente.

Come se sapesse dove andare.

Guida fino in campagna, sotto le colline, nei pressi di un boschetto.

Guida come se conoscesse questo posto.

Frena, poggia i piedi a terra.

Spegne la moto.

Sfila il casco, ed io faccio lo stesso, reggendomi con il bacino sbilanciato in avanti verso il suo.

“Che c’è? Perché ti sei fermato qui?”
”Sai che film hanno girato qui?”
”No.”

Fa cadere il casco a terra.

“Manco io.”

Reclina la testa all’indietro, aspettandosi un mio sorriso.

“Alessandro, basta. Il tempo delle battute stupide è finito.”

“Un bacio, e il mio peccato sarà redento.”*
”Un bel niente. Restare qui mezza giornata in più non farà altro che peggiorare la situazione.”
”Per non parlare della notte!”

“Ecco, per non parlare della notte. E di Alessia. E di Alice. Cristo Santo.”

“Si prospetta una bella seratina, eh?”
”Zitto, per piacere.”

“Andrea, non c’è bisogno di trattarmi così. Lo so che vorresti mettermi da parte. Ma la verità è che sono l’unico che conta veramente, per te. E lo sai. E prima o poi lo ammetterai anche a te stesso.”

Non ho più volta di ascoltarlo.

Scendo dalla moto, goffamente, rischiando di cadere.

Alessandro mi trattiene per un braccio e mi tira a sé.

“Andrea, lo sai.

Mi viene da urlare, da bestemmiare, da strepitare, da piangere.

Avvicina il suo volto al mio e lo bacio, di forza.

You’re just too physical to me**

Sento i miei occhi arrossarsi e gonfiarsi di lacrime, mentre la sua stupida lingua brucia sul mio palato.

Perché deve essere sempre così.

Maledizione, lo amo.

Ma perché non mi lascia dimenticarlo.

Lo lascio smontare.

Mi abbraccia, mollemente.

“Andrea.”
”Ti amo.”
”Si, lo so.”
”Ti prego, lasciami andare.”
”Non posso.”
”Si, lo so.”

Il problema è che è vero.

Io senza di lui sono perduto.

Without you I’m nothing***

Ho resistito, per qualche mese.

Anche più a lungo di quanto credessi possibile.

Poi sono crollato.

Capitolato, in mezzo pomeriggio.

Poggio la testa sulla sua spalla.

Mi accarezza il collo.

Ho la pelle d’oca.

“Che vuoi fare, allora? Che vuoi farne, di noi?”
”Non lo so. Devo pensare. Devo pensare con calma.”
”Si, certo. Tanto io…”
”…mi aspetti. Si, lo so.”
”Già.”

Non so per quanto tempo restiamo abbracciati, come due dannatissime checche.

Sono completamente assuefatto al suo odore.

Non ho mai sentito un profumo altrettanto intenso in tutto il resto della mia vita.

Non ho la più pallida idea di cosa sia.

Non gliel’ho mai chiesto.

Forse, è per non aver paura di riconoscerlo addosso a qualcun altro, magari uno sconosciuto, un passante.

Non dare un nome alle cose le lascia nella terra dell’ignoto, del magico.

Everywhere I go I am spellbound****

“A che ora hai appuntamento con la tipa?”

 “Alle otto, vicino casa.”
”Allora è ora.”
Rimontiamo in sella e ripartiamo.

 

* Citare Romeo e Giulietta in situazioni del genere è decisamente troppo divertente.

** Physical, Nine Inch Nails. Che mondo sarebbe senza Trent?

*** Eh, scusate, 'sto periodo m'è presa a Placebo.

**** Spellbound, Lacuna Coil. Solo perchè la Scabbia è una gran gnocca, sia chiaro.

 

 

18.

Quel Maledetto Bastardo inchioda, davanti al semaforo rosso.

Mi si stanno annodando le budella.

Indico Alice, poggiata al muro.

“E’ lei. Lasciami qui, torniamo a casa a piedi. Tu vai, intanto.”
Gli lascio il casco e scendo.

Cavolo, s’è messa in tiro.

Ha i capelli raccolti dietro la nuca, in un’enorme cipolla.

Qualche ciuffo ribelle le danza sulla fronte.

Ha un trucco leggero, che le rende la pelle appena rosea.

Porta addirittura la gonna.

“Accidenti, quanta eleganza!”

“Beh, devo farti fare bella figura, no? E poi mi hai promesso un lecca lecca…ma chi era quello in moto?”
”Lascia stare, è una storia lunga. Te lo presento a cena.”
”Hai fatto anche gli inviti?”
”Lascia stare, mia madre s’è montata la testa. Figurati, ha invitato anche la sua fidanzata.”
”La sua fida-?”
”Si, fidanzatA. Mia madre sta con una donna.”
”Ah.”

Beh, almeno non è scappata a gambe levate.

“Andiamo, allora? Sai, tolto il dente, tolto il dolore.”
”…si. Si.”
Ci incamminiamo verso casa.

Faccio le prove poggiandole una mano sulla schiena.

“Non ci provare. Solo in presenza di tua madre.”

Ho come la sensazione che non funzionerà mai.

 

19.

Sotto casa ci aspetta Alessandro, avvolto da una nuvoletta di fumo.

Si squadrano a vicenda.

Beh, per esser bello, è bello.

Peccato sia gay, cara, penso.

“Piacere, Alessandro.”
”Alice. Ci sei anche tu per caso, stasera?”
”Sono capitato proprio al momento giusto, eh?”
”Non direi proprio.”

Ok, non le sta simpatico.

Ma almeno sta imparando a graffiare.

Quasi quasi sono fiero di lei.

“Ehm, prima che vi innamoriate, potremmo salire? Prima finisce questa farsa meglio è.”

“Certo, caro.” Risponde lei.

Alessandro si limita a gracchiare una risata.

E che lo spettacolo abbia inizio.

 

 

 

 

 

...eeeh insomma...

Questa parte fa abbastanza pena, ma la scuola mi sta letteralmente distruggendo e il germe della mia fantasia si sta lentamente et inesorabilmente appassendo.

Abbiate pietà di questa povera tizia e attendete con clemenza et costanza tempi migliori.

Citazione del giorno: Non puoi fare i confetti con i funghi.

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Capitolo 14
*** Dieci-Five. ***


Commenti sempre più lunghi, aggiornamenti sempre più brevi.

Chiedo venia.

@gnuoba: grazie per l'offerta, ma per ora passo. La mia storia è terapeutica soprattutto per me che la scrivo, perchè mi consente di liberarmi le viscere di un bel poì di schifezze. Grazie mille.

@MyMuse: "Brian Molko is the hottest androgynous guy I've ever seen." Questa estate non se ne esce vive :D

@vasq: LASCIAMO STARE. La settimana prima della data di Bologna mia madre se ne esce fuori con un "Ma il 29 ci sono i Placebo!" "Eh, si..." "Beh, non mi ci porti?" "Pensavo non potessi, comunque oggi pomeriggio corro a prendere i bigl-" "No, no, sono offesa perchè non mi hai detto niente. Tu a tua madre non ci pensi mai. Lascia perdere." Il destino mi è avverso ù.ù

@TheGemoCompany: tutt'altro, le critiche costruttive sono SEMPRE ben accette, anche perchè non sono così ipocrita da credere di essere una scrittrice infallibile. Il fatto che tutti i personaggi principali inizino per A è ovviamente pianificato, e solo dopo un certo punto mi sono resa conto che, una volta incrociata la storia, questo potesse creare confusione. Me ne scuso, soprattutto perchè io stessa tendo a confondere i personaggi di TUTTE le storie che leggo (sono arrivata ad usare un foglio di carta come segnalibro per segnarmi i nomi, e la scarsa memoria è uno dei motivi per cui odio gli autori russi.). Quella del citazionismo è purtroppo una malattia incurabile, una cosa che non riesco ad evitare in alcun modo: sono una di quelle che, quando parla, si ritrova a parlare per ritornelli di canzoni e dialoghi di film senza neanche rendersene conto. Cercherò di ridurne la quantità, o perlomeno di integrarle in maniera migliore con il testo. Last but not least, ogni tanto qualche uscita da cazzona, in piena aderenza coi miei personaggi, ce l'ho anche io, e non posso fare a meno di farlo notare. Grazie mille per il commentone:D

@Morgain28: il delirio è sempre dietro l'angolo, e lo sai. La madre di Andrea...beh, oggi ho visto passare per il corridoio una che ne era l'incarnazione, ti giuro. E' un mito inconsapevole.


 

I'll Be There As Soon As I Can.

 

 

 

 

20.

Stallo alla Messicana.

Tre fuochi incrociati, in gergo, si dicono “Stallo alla Messicana”.

Ma, di solito, gli unici protagonisti della scena sono i tre fuochi.

Non c’è nessuno in mezzo.

O, perlomeno, non ci sono io, in mezzo.

Alessia non fa altro che passare lo sguardo da me, ad Alessandro, poi di nuovo a me.

Alice sta subendo un interrogatorio a dir poco imbarazzante da parte di mia madre.

Alessandro…beh, è presente, tanto basta per mettermi a disagio.

In compenso, il cibo non è male.

Forse per la prima volta in vita sua, mamma è riuscita a cucinare qualcosa di commestibile.

O magari ha cucinato Alessia.

Comunque, non è che riesca ad assaporare il tutto più di tanto.

Ho come un certo amaro in gola.

Penso che sarebbe bello rinascere in un altro secolo, portare i capelli raccolti in un nastro di raso nero e guardare il tramonto sul Mare del nord.

Penso che sia un controsenso mandare i soldati in missione di pace.

Penso che un gatto non saprebbe cosa farsene di nove vite, mentre io qualche idea ce l’avrei.

“Andrea, come mai così pensieroso?”

È Alessia a parlarmi, da una dimensione parallela.

Lei sa che questa è solo una montatura.

Lei sa tutto, maledetta.

“Sono solo stanco.” Abbozzo un sorriso, passo un braccio dietro la spalla di Alice, la stringo a me.

Mi dà un bacio leggero sulla linea del mento.

Qui la situazione sta lentamente degenerando.

Le comunico mentalmente: stai male?

Ma il suo sguardo mi dice di non preoccuparmi, che sta solo recitando.

Che è tutto sotto controllo.

Alessandro non finge neanche di essere geloso.

Non ne ha bisogno.

Ormai sono suo.

I am yours

You are mine

You are what you are

Tutto quel che farò, da adesso in poi, sarà solo per lui.

Per tornare da lui.

Com’è sempre stato.

Don’t let the past

Remind us what we are not now.

Sono un debole.

Sono crollato al primo ostacolo.

Semplicemente, non posso riuscirci.

Non ce la faccio.

I am sorry.

Ma, nel frattempo, forse è meglio pensare a questioni un tantino più urgenti.

Tipo Alessia che mi fissa giocando in maniera molto equivoca con un boccone di spezzatino.

Sento vibrare la tasca.

“Scusatemi…”

Vado nell’altra stanza a rispondere.

“Pronto?”

“Andrea, sono io. Ho fatto un casino.”

 

 

 

 

Andrea.

 

1.

“Pronto?”

“Andrea, sono io. Ho fatto un casino.”
Non riesco a smettere di tremare.

È l’unica persona che potessi chiamare, in ogni caso.

Che non mi consideri una pazza.

“Andrea, cos’è successo?”

“L’ho baciato.”
”TU COSA?”

“L’ho…l’ho baciato. Stavamo…stavamo a casa sua, ad organizzarci per domani, perché mia madre si era convinta finalmente…e mi guardava con quella faccia…sai, quella faccia…?”

“…si, certo.”

“Ecco, non lo so, m’è venuto così, ho agito di istinto, ho dato retta ai tuoi consigli, e allora l’ho baciato, e…”

“E allora?”
”E allora COSA! L’ho baciato! Ho tradito tutti i miei principi morali!”

“Si ma lui che ha fatto?”

“E che doveva fare? In un primo momento s’è lasciato coinvolgere, forse perché non si è reso conto, non lo so…poi mi ha respinta, ha iniziato a ripete no no no no come…come fosse un mantra, sono scappata via, non sapevo che fare, sono in strada, non so che fare…”

Cado in terra, non ho la forza di rialzarmi.

“Andrea, dove sei di preciso?”

“Ma che ne so, sono per strada, è notte…un incrocio, un semaforo, un’insegna con scritto Paninoteca, non lo so…”

Scoppio a piangere senza tregua.

“Andrea, calmati. Stai tranquilla. So dove sei. Vengo a prenderti.”

Lo aspetto.

Resto seduta sul marciapiede, con la schiena al muro.

Quanto sono stupida.

Ho rovinato tutto.

Ho rovinato tutto.

Ero ad un passo dal riuscirci.

Dopo domani sera, sarei rientrata nei ranghi.

Sarebbe tornato tutto alla normalità.

Avrei dimostrato a mia madre quanto sia matura, quanto sappia controllarmi.

E invece niente.

Ho di nuovo perso il controllo.

Ho mandato tutto a puttane per i suoi maledetti occhi verdi.

Andava tutto per il meglio.

Era tutto nella norma.

Poi ho incrociato il suo sguardo, e sorrideva, maledetto, mi scrutava con i suoi smeraldi più preziosi e non ho saputo resistere.

Mi sono avvicinata al suo volto, e ho sfiorato le sue labbra con le mie.

Mi sono adagiata, sulla sua bocca, e lui mi ha accolta.

Ha socchiuso gli occhi, e li ho socchiusi anche io. Mi reggeva la guancia.

Con gli occhi socchiusi, a volte, si vede meglio che con gli occhi aperti.

Ma non poteva andare.

Come si fosse risvegliato da un sogno, ha spalancato le palpebre, serrato le labbra, e mi ha allontanata con una mano al centro del petto.

Il risveglio dal sogno

Forse uccide

Mai tradisce

“No Andrea, no. No. No.”

Le pupille dilatate, puro terrore.

“No. NO.”

Un solo monosillabo, scandito, all’infinito.

Come se tentasse di anestetizzarsi con una strana ninna-nanna.

Sono scappata, via, di corsa.

Non ha neanche provato a fermarmi.

Maledetta, Andrea, che tu sia maledetta.

Sei come tutte le altre.

Non sai tener fede neanche a te stessa.

Obbedisci solo alle tue maledettissime zone erogene.

“Oh, eccoti.”

È arrivato Andrea, in maniche di camicia.

È quasi nudo, senza una sigaretta tra le labbra.

“Che ci fai per terra, non sei me!”

Mi prende per un braccio e mi tira su.

Gli cado addosso, e mi sorregge con il suo corpo asciutto.

Inizio a balbettare “Sono una stupida, sono una stupida…”

Mi accarezza i capelli.

“Non sei una stupida, Andrea. Se fossi una stupida, non ti preoccuperesti tanto per un’inezia del genere.”

“Chiamala inezia!”

“Andrea, non hai commesso nessun peccato mortale. Per una volta, hai semplicemente lasciato che le cose accadessero.”

“E guarda come sto!”
”Ma ne è valsa la pena?”

Fermo le rotelline impazzite nella mia testolina e mi metto a pensare.

In fondo, non ho fatto niente di irreparabile.

Era solo un bacio.

Ed è stato bellissimo.

Un bacio puro, maledetto, ma puro.

Un bacio tra angeli.

“Beh, si.”
”E allora basta. Vedrai, domattina sarà tutto risolto. Ti saluterà, ti sorriderà, come sempre. Saprà capire il significato di quel bacio, forse anche meglio di te. Stasera era probabilmente troppo spiazzato per reagire nella maniera più opportuna. Non c’è nulla di cui tu debba eccessivamente preoccuparti.”

“E mia madre?”
”Tua madre…non dirle niente, cosa le importa, non sono cose che la riguardano. Non hai infranto nessuna ipotetica regola.”

“Ma ho baciato il suo ex…!”

“Andrea, EX. Non è più roba sua. E poi non ci sei mica andata a letto. Non è stato niente di carnale, l’hai detto anche te. Su, tranquilla.”

Mi stringo forte a lui, talmente forte che ho paura di stritolarlo, sottile com’è.

Sento una vibrazione su di una gamba.

“Ma che dia-?”
”Ale, dimmi.”

Sento una voce profonda parlare concitatamente dalla cassa del telefono.

“Si…si…calmo…CALMO, cazzo, almeno TE resta calmo! Arrivo, arrivo…ciao. Donne, vi odio tutte.”

“Cos’è successo?”
”La ragazza di mia madre s’è messa a litigare con la mia ragazza – cioè, la mia finta ragazza- una storia un po’ confusa. Fatto sta che se non mi sbrigo dovrò raccogliere i loro resti con un cucchiaino.”

“Mh, piacevole…beh, vai allora. Io…io torno a casa.”
”Vuoi che ti accompagni?”
”No, no, tranquillo. Camminare da sola mi farà bene, sai, per riflettere un po’.”
”Come vuoi. Ne riparliamo domani a scuola, va bene?”
”Si, si. Ciao Andrea.”
Si allontana.

“Ah…”

Si volta.

“…grazie.”
”Prego, Andrea, prego.”
E scompare dalla mia vista.



Suite: Judy Blue Eyes e Strategie non le ho scritte io, nè le ho mai eseguite in alcun modo. Sono stata brava stavolta :D?

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Capitolo 15
*** Undici. ***


Ora sono ufficialmente IN VACANZA.

Quindi potrei anche aggiornare due volte al giorno, conoscendomi.

Insomma, dateci una controllata, ogni tanto, ecco.


@MyMuse: l'entropia e il caos regnano sovrani, qualsiasi cosa significhino. Con il quaderno sto a buon punto u.u

@Morgain28: l'ammmmmmoreeh del tregiento (soprattutto per quanto riguarda Auerbach) trova sempre il modo di trionfare. Viva il delirio natalizio.

@cammy: grazie per i complimenti!


Jo_ e Hegel:

Tesi: la donna. La conoscenza originaria e pura.

Antitesi: l'uomo. Negazione della conoscenza originaria e pura.

Sintesi: Brian Molko. Fusione perfetta tra la conoscenza pura e la sua negazione ad un livello più alto.

Delirio dilagante.

Ho davvero bisogno di una vacanza.

 

Cercherò. Mi sono sempre detta: cercherò.

Troverai. Mi hanno sempre detto: troverai.

 

 

Andrea.

1.

“Insomma, volete spiegarmi cos’è successo?”
In cucina è sceso il gelo più assoluto.

Alice mi guarda. “Niente, non è successo niente. Sbrigati a mangiare, che voglio andare a casa.”

Alessandro fa finta di giocare con il cibo che ha nel piatto, pur di non intervenire.

“Cuore, non ti preoccupare, niente di importante. Si stava solo discutendo di…cose così, e la tua fidanzat- dico, Alice, e Alessia, avevano solo opinioni diverse a riguardo.”

E per poco non si scannano?

“In realtà stavamo parlando di sesso.” interviene Alessia.

Ah, ecco.

L’esperta in materia.

“E non sapevamo fossi un difensore della verginità muliebre, mio caro Andrea.”

Arrossisco vistosamente.

“Non ci trovo nulla di male nel fatto che voglia rispettare i miei tempi, ecco tutto.”

Alice lo dice tutto d’un fiato, come se fosse una colpa solamente parlarne.

“Si, infatti” le vengo in aiuto “ abbiamo deciso di muoverci con la dovuta calma. Non c’è fretta, non scappo mica.”

Mi pento subito di quel che ho detto.

Io scappo, scappo eccome.

Sono sempre scappato dai miei problemi- mai affrontati, solo aggirati.

E poi si ripresentano come il fantasma del Natale passato.

Alessandro mi guarda di traverso, e tace.

“Solo che non mi sembri tipo da fare voto di castità, ecco tutto” sentenzia Miss Quel Che Viene Viene, con tutti i vari doppi e tripli sensi.

“Potrei sorprenderti. Potrei fare di tutto per le persone a cui tengo.”

Alice non lo sa, se le mie parole siano riferite a lei o meno, ma le accoglie come vere.

Alza lo sguardo verso di me e sorride- un sorriso dolce come lo zucchero a velo.

Mi si appoggia addosso, e la abbraccio.

“Tutto questo miele non v’ha fatto venir voglia di dolce?” Alessandro cerca di sciogliere la tensione e di far proseguire la serata al meglio- o almeno, di farla finire al più presto possibile.

Lui le ha capite al volo, le mie parole.

Lui mi conosce quasi meglio di me stesso.

Tutto quel che cerca, in questo momento, è di far sparire tutta questa- pussy- e passare la notte in santa pace.

Di notte tutto scorre in maniera diversa-diventa tutto più facile, da sopportare.

Di colpo, mi sento in colpa con Alice. Le ho fatto passare una serata da incubo.

Spero potrà perdonarmi, un giorno.

Mamma tira fuori dal frigo dei budini confezionati, fingiamo di gustarli, la aiutiamo a sparecchiare.

Alessia se ne va salutando a mezza bocca.

“Ti accompagno a casa, Alice?”

“No, non ti preoccupare” si intromette Alessandro “ la porto io in moto, così si fa prima. Ti crea problemi?”
Alice è smarrita.

“Si…cioè…no...va bene.”

Scendo le scale con loro per non doverla salutare davanti a mia madre.

Alessandro le porge il casco.

Il mio casco.

“Ci sai andare in moto, bambola?”
”Me la cavo.”

“Beh, tanto nessuno è peggio di Andrea, comunque.”

Non si piacciono, ma almeno fanno finta di accettarsi.

Tempo mezz’ora e possono tranquillamente dimenticarsi uno dell’altra.

“Ciao, ci vediamo domattina a scuola.”

“Ciao, e grazie mille…scusami per la gente di merda che frequento mio malgrado.”

“Non ti preoccupare, non è mica colpa tua.”
Oh si, invece.

“Non è colpa di nessuno. Vado, che è meglio. A domani.”

La vedo allontanarsi in sella a quella bestia che Alessandro si porta in giro da anni.

Risalgo completamente intirizzito.

 

2.

“Quindi ti piace?”

“Che ti dico, non è il mio tipo…però è carina, e ha l’aria intelligente.”

Mamma, ovviamente, ci ha messi a dormire nella stessa stanza.

Nello stesso letto.

“Tanto siete come fratelli, no?”

Eh beh, che ci vuoi fare.

“In compenso non riesco ad inquadrare la donna di tua madre.”

A chi lo dici.

“Era la tizia in finestra di oggi pomeriggio, vero?”

“Si, proprio lei.”

“Non so, mi sembra…strana. Ma comunque, non importa.”

Mi bacia la tempia.

“Tanto prima o poi ti porto via da qui, te lo prometto.”

“Alessandro, non ricominciare con questa storia…”

“No no, ti prendo e ti porto via con me. Assolutamente.”

Mi perdo nel suo abbraccio.

Bye bye, Andrea.

 

3.

“Cosa diavolo stai facendo?”
”Non lo vedi?”

Sono in piedi, in mezzo alla stanza, con i jeans sbottonati e la camicia infilata a metà.

“Dovrei andare a scuola, io!”

Si libera dalle lenzuola e si sistema seduto a gambe incrociate.

“Non potresti saltare per una volta? Non vorrai farmi ripartire già!”

“Io devo andare a scuola, tu fa quel che ti pare. Già il preside mi controlla a vista e mi ha puntato come eventuale vittima sacrificale, non voglio finire sul braciere prima di Natale.”

Alessandro continua a guardarmi, senza parlare.

Finisco di vestirmi, prendo lo zaino, lo riempio con dei quaderni a caso.

Prendo telefono, sigarette, accendino e chiavi.

Poggio la mano sulla maniglia della porta.

“Andrea”.

Mi volto.

“Che vuoi?”

“Vieni qui.”

“Devo andare a scuola.”
”Vieni qui.”

“Devo parlare con una mia amica, che ha combinato un mezzo disastro. Quella che ha chiamato disperata ieri sera.”

“Beh, se ha chiamato ieri, può chiamare anche oggi. Vieni qui.”

Dio, quando lo odio quando fa così.

“Devo andare a scuola.”

Vieni qui.

Come here

Kiss me

Touch me

Now.

‘fanculo.

Butto lo zaino a destra ed inizio a sbottonarmi la camicia.

 

4.

Quando mamma si alza per andare a lavoro ci trova addormentati, mezzi abbracciati, tra le coperte sfatte, completamente nudi.

Ovviamente non sospetta nulla.

Sa com’è, tra fratelli.

“Tesoro, ma non vai a scuola’”
Mi scuote la spalla, delicatamente ma con fermezza.

“…uh? Oddio, la sveglia…”

Alessandro apre un occhietto, poi l’altro.

“Cazzo Andrè, la scuola…oddio, scusi…”

“Tranquillo caro, non ti preoccupare. Oh beh, ormai è tardi…vi preparo la colazione?”

Ci guardiamo l’un l’altro, vagamente affamati.

La cena è andata dispersa, tra una veglia e l’altra.

“Prepara la moka… il tempo di vestirci e arriviamo.”

Mamma sorride ed esce gioiosa dalla stanza.

Le piace sentirsi utile.

Io e lui ci guardiamo, completamente stravolti.

“Hai gli occhi rossi.”

“E tu tutta la faccia.”

“Beh, è colpa tua.”

“Immagino di si”

Finalmente esce dal mio letto, si alza in piedi, si stiracchia, e si risiede sul bordo per rivestirsi.

I miei, di vestiti, sono dove li ho lasciati qualche ora fa, sparsi sul pavimento accanto al letto.

Il caos, in questa stanza, è aumentato esponenzialmente da quando lui è qui.

In fondo, gli è sempre bastato poco per sconvolgere i miei equilibri.

“Andre, dove sono le mie scarpe?”
”Non lo so, infilati le mie, dovrebbero stare da quelle parti, sbrigati, le cerchi dopo, che ho una fame bestia.”

Si sente già puzza di bruciato.

Mamma è completamente incapace perfino di preparare un caffé.

 

5.

“Non sarebbe bello se fosse così ogni giorno?”
”Scusa, non ti seguo.”

Mi ficco in bocca il ventesimo o forse il trentesimo biscotto inzuppato nel latte e caffé.

Mi sembra di star facendo colazione da cent’anni.

“Se fosse così ogni giorno, se vivessimo insieme, mangiassimo insieme, cose così…”

“Alessandro, io mi sto seriamente preoccupando per le tue condizioni mentali. Sei sicuro di star bene? Magari è un virus, un batterio che ti sta facendo diventare patetico…”
”Smettila di prendermi in giro. Lo sai che mi manchi da morire.”

“Ma preferirei non me lo ripetessi ogni dieci minuti.”

“Non vorrei correre il rischio che te ne dimenticassi.”

“La vedo difficile, sai.”

Sorseggia il suo caffelatte, soddisfatto delle mie risposte.

Sa di potersi permettere queste smancerie- dopo ieri sera ha avuto la conferma di tutto.

Mi sento come un piccolo ragnetto rinsecchito appeso ad un filo sottile che si diverte ad arrotolare tra le dita: in alcuni momenti mi sembra di esser completamente libero di muovermi, quando poi mi accorgo che una forza sconosciuta mi trascina dove non voglio, e da lì devo ricominciare tutto.

“Che facciamo stasera?”

Io esco, tu torni a casa.”

“Si, certo. Che facciamo stasera?”

“Alessandro, te ne prego…devo andare a sentire una mia amica, che si esibisce in un pub. La tizia del telefono.”

“Ah già! La sciroccata.”

“Non è sciroccata!”

“Andrea, ti ha telefonato ad un’ora assurda e l’hai trovata seduta per terra in mezzo alla strada, tanto dritta non è!”

“Beh, credo che l’aggettivo adatto sia asimmetrica, nel suo caso.”

“Asimmetrica?”
”Si, sembra che le sue due metà siano state cucite insieme per scherzo e…beh, vedrai stasera, no?”

“Non vedo l’ora.”
Si, immagino.

Quest’incubo non avrà mai fine.

 

 

 

Altro che l'America.

 


Deliri liberamente ispirati da: Bart Vanzetti, Gianna (somma divina Gianna), Francesco De Gregori, Dave Gahan, Manuel Agnelli, Niccolò Ammaniti, la mia gita a Firenze, Pau, e altre robe così.

Scusate, prometto che il prossimo sarà di qualità migliore.

 

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Capitolo 16
*** Dodici-Six. ***


Aggiornamento breve breve, giusto per non farvi dimenticare di me.

Il Nachele mi rende particolarmente di cattivo umore, non posso farci nulla.

Fissazione da tarantola del mese: Gionata Mirai. Ergo, preparatevi psicologicamente.


@MyMuse: mi conosci, insomma. Andrea prova un perverso piacere nel cacciarsi nei guai :D

@Etoile_Sama: grazie :) Alessandro è volutamente un po' antipatico, perchè altrimenti davvero ci fa venire a tutte il diabete :D

@cammy: la mamma è un po' tonta, si sa. Ma anche lei avrà il suo momento di gloria, lo prometto :D

 

 

 

Since I was born I started to decay.

 

 

 

6.

Come previsto, abbiamo passato la giornata facendo la spola tra la cucina e la camera da letto.

Alessia mi ha visto numerose volte passare in mutande davanti alla sua finestra, ma è rimasta impassibile.

Forse sta elaborando qualche piano malefico- quella donna è imprevedibile.

Quando torno nel nostro rifugio con un pacchetto di patatine fritte, le sigarette e il posacenere lo trovo a gambe incrociate mentre sfoglia il mio quaderno di filosofia e cicca sul cuscino.

“Alessandro cerca di non inquinare. Io di solito ci dormo, dentro a questo letto.”

Gli porgo il posacenere.

Lo prende e se lo poggia sul ginocchio.

“Cosa dovrebbe essere ‘sta roba?”
” ‘sta roba, dici te, è Kant.”
”Ne ha sparate di boiate, eh?”

Continua a sfogliare il quaderno.

I bordi delle pagine sono ricoperti di scarabocchi, graffiti, frasi di canzoni, scritte di Alice.

“Questa non è la tua grafia.”
”Complimenti, Watson. E’ quella di Alice, è la mia vicina di banco.”

“Non ti sei impegnato troppo per trovare una fidanzata, eh?”

“Vuoi smetterla? T’ho detto, era solo per far felice mamma.”

Mi siedo di fronte a lui ed inizio a mangiare le patatine.

“Si, certo. Però ti posso assicurare che a lei non dispiacerebbe troppo, fare sul serio. Peccato tu sia impegnato.”
”Io non sono impegnato”

“Ed io chi sarei?”

“Un usurpatore.”
”Ah si?”

“Assolutamente.”
”Eh beh, mi fa piacere saperlo.”

“Uomo avvisato mezzo salvato. Ma cosa ti fa pensare che interessi ad Alice?”

“Primo, me lo ha detto lei. Secondo, è talmente evidente che se n’è accorta perfino tua madre.”

“Te lo ha detto LEI?”
”Ah, non te l’ho detto? Ieri sera, quando l’ho accompagnata a casa, ci siamo fermati a chiacchierare. Sai, ero curioso di sentirla parlare senza che temesse di esser giudicata.”
”E quindi?”
”E quindi, mi ha detto che ha accettato questa recita nella speranza di dimostrarti che lei è davvero interessata a te-ma che tu ovviamente non ti accorgi di nulla perché sei troppo concentrato su te stesso e sulle tue smanie di titanismo.”

Rischio di strozzarmi con una patatina.

“E lei ti ha detto tutto questo?”
”In persona. E ha anche detto che non riesce a capire il tuo comportamento- il che non mi sorprende affatto- per il fatto che un giorno la ignori completamente e quello successivo è la regina del tuo piccolo cuoricino di ghiaccio.”
”Io non ho il cuore di ghiaccio.”

“Sai solo contraddirmi?”

“Ti dico solo quello che penso. Comunque, non credo sia così irrimediabilmente attratta da me- e in ogni caso, non è ricambiata.”

“Mi ha detto anche che l’hai quasi baciata.”
Ancora con ‘sta storia. Inizio a finire le scuse plausibili.

“Che c’entra, alla fine mica è successo niente quella sera.”

La famosa sera del teatro- se solo me ne fossi rimasto a casa avrei evitato tutti questi malintesi.

Io non volevo baciarla, non volevo fare niente.

È lei che mi si è praticamente buttata addosso.

Che dovevo fare? Io sono per antonomasia vittima delle circostanze.

Andrea Malaussène.

Il fatto che avessi passato l’intera serata a mangiarla con gli occhi e con le mani è del tutto secondario.

Purtroppo in certe situazioni non è il mio cervello, a dirigere le azioni.

“Mi suona un po’ di unghie-su-specchio, sai?”
Quanto lo odio, con quel suo tono saccente.

“Resta il fatto che la cosa non ti riguarda minimamente.”

Chiude il quaderno, lo getta a terra, sposta il posacenere sul comodino e si avventa su di me.

Mi ritrovo sdraiato sotto di lui, a cavalcioni su di me, che mi blocca le spalle con le mani.

“Io la smetterei con queste stronzate, Andrea. Non ci credi neanche tu.”
”Magari se continuo a ripeterlo finisco per convincermi.”
”Mi spiace, possibilità non contemplata.”
Soffoco.

 

7.

“Visto che non puoi fare a meno di venire, almeno abbi il buon gusto di sistemarti decentemente!”

Alessandro mi guarda con gli occhi spalancati da cerbiatto spaurito.

I suoi capelli sono completamente sconvolti, i ricci hanno perso la loro forma; sembra sia appena riemerso dalle nebbie di una guerra millenaria.

“Cosa proponi per porvi rimedio? Un bel bagno nel sangue di giovani ragazzuoli innocenti? Potresti offrirti spontaneamente come vittima sacrificale.”
”Io sono innocente più o meno come Charles Manson. Comunque, credo che una comunissima doccia con dell’acqua corrente sia più che sufficiente, senza perder tempo in scomodi omicidi.”

Si rispoglia- per la terza o quarta volta- e si chiude nel mio bagno.

“Posso usare i tuoi asciugamani, vero?”
”Ci mancherebbe…ma muoviti, Cristo, che se faccio tardi è la volta buona che mi staccano la testa a morsi.”

Lo scroscio dell’acqua copre il suono della mia voce.

Apro la porta.

“Ale! Ma mi senti quando parlo!”

“No, ti preferisco quando stai zitto. O al massimo quando mugoli.”

“Che principino sei.”

“E’ la mia più grande qualità. Deciditi, che si fredda il bagno con la porta aperta: o dentro o fuori”.

“Eh?”
”O dentro, o fuori.”
Maledetto.

Dentro.

 

8.

“Chi è che ha detto L’amore è un cane che viene dall’Inferno?”

“Credo Bukowski.”
”Sei sicuro?”

“No, ma mi pare plausibile.”

Mette in moto.

Non abbiamo neppure cenato.

Ma tanto la notte è lunga.

 

 

Andrea.

1.

I AM AN ANTICHRIST…

No.

Spengo la sveglia.

Non voglio alzarmi stamattina.

Non voglio andare a scuola, non voglio vedere nessuno, non voglio fare niente.

Voglio restare a casa, sotto al piumone, e aspettare che sia domenica.

Cancellare questo giorno nefasto dal calendario.

“Andrea, dovresti svegliarti.”
”Zitto, te. Il sabato dormi.”
”Tu no, però. Devi alzarti. Devi andare a scuola.”

“Alberto, rimettiti a dormire.”
”Perché non vai a scuola?”

Dormi, perdio.”

“Se non vai a scuola stasera mamma non ci fa uscire.”

“Appunto. Per questo voglio restare qui.”
”Non vuoi uscire stasera?”
”No.”
”Perché?”

“Ho litigato con Arturo.”
”E perché?”
”Perché è un uomo, è intellettivamente inferiore.”

“Ciò non è scientificamente dimostrabile.”
”Fidati, l’ho dimostrato io.”

“E come?”

“Alberto, dovresti imparare ad avere più rispetto per tua sorella.”

Sono costretta ad alzarmi per non doverlo sentire più.

Vado a piedi nudi in bagno, apro il getto dell’acqua bollente e mi lancio dentro la doccia.

Nella speranza che riesca a coprire il mio pianto.

 

 

Vi ringrazio per la fiducia accordatami.

 

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Capitolo 17
*** Seven-Tredici ***


Nelle ultime notti ho scritto tantissimo, forse confortata dal maggior riposo giornaliero e dai regali tanto attesi ( Morgain28, ti amo *.*).

Non so se ne sia valsa o meno la pena, ma comunque.

@Morgain28: T'ho già detto che ti amo alla follia?

@gnuoba: è un piacere leggere di nuovo una tua recensione, temevo ti fossi dimenticata di me. La Questione in generale evolve ulteriormente, e ovviamente in peggio. Nella speranza di non deludere le tue aspettative.

@KissOfDeath: grazie per il commento :D Fa sempre piacere quando una lettrice perde una parte del suo tempo per farti sapere cosa ne pensa.


In generale: grazie mille per gli auguri, non me li merito.

Sono stata una ragazza cattiva :D

E poi: ce l'avete tutte col povero Alex, ma lui è buoooooono, in fondo in fondo (mooooolto in fondo in fondo).

Vi prometto un colpo di scena coi controfiocchi.

 

 

 

Perchè è Natale, ma io non ci sto dentro.

 

2.

Tremo.

Aspetto davanti alla scuola e tremo.

Ma dove cazzo è Andrea?

Possibile che non ci sia mai nessuno quando ne hai più bisogno?

‘fanculo, entro.

La prima ora la passo con la testa tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, intralciato dal corpo della prof di fisica.

In seconda ora correzione della versione di greco.

Quattro e mezzo.

Non male, davvero.

Terza ora, l’incubo.

Italiano.

Interrogazione, di italiano.

Cherubini entra, segna gli assenti, scorre velocemente il registro.

Sono una delle poche a cui manca il voto.

“…vediamo…S…Storani?”

Evita di guardarmi per tutta la lezione.

Non mi degna neanche di uno sguardo, di sfuggita.

Cos’ho fatto, cretina che non sono altro.

Suona la campanella della ricreazione.

La classe si svuota repentinamente.

Io resto incollata al mio banco, testa bassa, a scribacchiare sul mio diario.

Sento i suoi passi avvicinarsi.

Posa le mani sul mio banco.

“Andrea.”
Il suo respiro tra i capelli.

“Andrea, guardami quando ti parlo.”

Alzo la testa.

“Oh, almeno riesco a vedere i tuoi occhioni verdi.”

Mi sento arrossire.

“Andrea, senti.”

Deglutisco molto rumorosamente.

Mi stringe la mano con cui stavo scrivendo.

Sospira e ricomincia.

“Per quello che è successo ieri…mettiamoci una pietra sopra, va bene? Facciamo finta che non sia accaduto niente. Sono…”

Sembra pensarci, forse un secondo di troppo.

“…cose che capitano. E adesso non capitano più. Te lo prometto.”

Mi si gonfiano gli occhi di lacrime- e lui mi sorride.

Maledetto, in certe situazioni lui riesce solo a sorridere.

“Tranquilla, Andrea. Questo non mina in alcun modo il bene che provo nei tuoi confronti.”

Gli sorrido anche io.

“Su, bimba, io devo andare in un’altra classe. Ci vediamo stasera, va bene?”
annuisco.

“A più tardi.”

Esce dalla classe, perfettamente pacificato con se stesso.

Dio mio, quanto mi manca.

 

3.

Sono le nove e mezza.

Sono le nove e mezza e sto per collassare.

Arturo se ne sta poggiato alla scala antincendio e fumarsi la trentesima sigaretta della serata.

Avvolto dalla nebbia e dal breve fumo della sigaretta è bello da morire.

Mamma è dentro con Alberto, seduta da qualche parte.

Negli ultimi giorni ho accumulato una quantità di tensione tutt’altro che indifferente.

“Come ti senti?”
”Da schifo, mi viene da vomitare.”

“Brava, così ti voglio. Sull’orlo di una crisi di nervi. È a quel punto che si dà il meglio di sé.”

Un  tizio apre la porta d’emergenza.

“Datevi una mossa, tocca a voi.”
Dentro si sente una baraonda infernale.

Mi si avvicina per darmi una pacca sulla spalla e getta la cicca nel vicoletto.

“Dai, piccina, mostrami chi sei.”

Apre la porta e mi fa entrare per prima.

 

4.

Un respiro.

Due, tre, quattro.

E la voce inizia a fluirmi dalle labbra.

Canto qualcosa, una canzone, ma non ho idea di cosa sia.

Sto in piedi come una deficiente.

Ogni tanto mi volto appena alla mia destra solo per assicurarmi che Arturo ci sia ancora- e lui c’è sempre, seduto concentrato e dannatamente meraviglioso.

Gli occhiali che porto stasera sono troppo chiari, la luce seppur soffusa mi brucia da cani e non riesco nemmeno a distinguere una persona dall’altra.

Finiamo la prima canzone.

Sussurro un “grazie” al microfono a gente che non ci sta manco a sentire.

Altre due o tre canzoni, alla stessa maniera.

E poi, e poi, e poi.

Il mio pezzo forte.

Forse, la canzone che preferisco in assoluto.

Riadattata, certo, ma tant’è.

I’m a mean, mean woman…

Canto a pieni polmoni.

Sento uno strano silenzio scendere tra il pubblico.

Come se stessero davvero ad ascoltare me.

I guess I’m like a turtle

La gente sta davvero facendo silenzio.

Stacco il microfono dall’asta e inizio a muovermi.

Now call me mean, you can call me evil.

Neanche lo guardo più, Arturo.

Ain’t no one gonna dog me now.

Finisco, finiamo.

La gente applaude.

Applaude sul serio.

Sento lo sguardo stupido di Arturo su di me.

Mi viene quasi da sorridere.

Tre secondi e attacchiamo con la canzone successiva.

L’attenzione cala sensibilmente, ma resta comunque vertiginosamente alta.

Qualcuno batte addirittura le mani a tempo.

E allora canto, che cazzo, mi sgolo quasi, mi atteggio, sbatto i piedi a terra, non posso farmi abbattere a diciott’anni.

Strepito.

Durante Piece of my heart rischio di buttarmi a terra e di mettermi a piangere, ma comunque.

Come gran finale merita eccome.

Arturo si alza per abbracciarmi ed accennare un inchino.

Scendiamo dal palchetto.

E mi sussurra qualcosa all’orecchio.

Ma cos’ho fatto di male io?

 

Andrea.

1.

Tra la sventura e il nulla

Ho scelto te

“Allora, che ne pensi?”

“Sono terribili.”

“Sapevo ti sarebbero piaciuti.”

“Ma come fai ad ascoltare certa roba?”

“Vorrei ricordarti che una volta mi sono perfino innamorato di te. Pensa un po’ “.

“Allora si spiega tutto.”

Lascio il pc acceso e mi alzo dalla sedia. Intanto, la riproduzione del disco continua.

Alessandro è dritto davanti a me, e mi guarda.

“Vuoi davvero che me ne vada?”
”Si.”

“Pensaci bene.”

Ripensaci, tesoro, ripensaci!

“Si, voglio che tu vada.”

“Per sempre?”

“Si. No. Non lo so.”

“Andrea, lo sai che non puoi durare a lungo, senza di me.”

“…già.”

“Quindi?”

Abbasso la testa.

Alessandro mi abbraccia teneramente.

“Io vado. E sai che ti aspetto.”

Mi spettina i capelli e mi stampa un bacio sulla fronte.

Mi alza la testa per il mento, mi bacia il naso, le labbra, il collo. Mi stringe forte, e vorrei che quell’abbraccio non finisse- ma finisce, perché tutto finisce, comunque, e allora Alessandro si allontana, scuote la testa come per auto-convinersi ed esce dalla mia camera.

Scompare dalla mia vista.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, dicono.

Cazzate, dico io.

Sento la porta di casa aprirsi e chiudersi, i passi regolari sulle scale, il portone, il rombo della sua moto.

Io resto immobile nella mia stanza e mi ritrovo a piangere come un cazzo di bambino.

 

2.

Ma quanto male devo ancora farti

Per vederti andartene

E già mi manchi.

Io lo odio questo disco.

Mi dà la nausea.

E non posso fare a meno di ascoltarlo.

Pranzo controvoglia, insieme a mamma.

“Tesoro, cos’hai? Ti vedo triste.”

“Cazzi miei.”

“Su, non te la prendere con me. È per Alessandro, vero?”
”Affari miei.”

“Tesoro, non sono stupida come credi, sai? L’ho visto, come vi comportate. Tu la sottovaluti sempre, tua madre.”

Eh?

“Peccato per Alice, è così carina.”

“Mamma, cosa diamine stai dicendo?”

“Sto dicendo che non c’è bisogno che dici le bugie a mamma. Sono contenta che hai provato a farmi piacere, ma non dovevi. Potevi anche dirmelo che non avevi una fidanzatina ma un fidanzatino, anzi, un bel pezzo di fidanzato!”

“Mamma, stai delirando. Il freddo ti dà alla testa.”

“Adesso smettila, di trattarmi come una cretina. Ti sto solo dicendo che a me va bene.”

“Eh?”

“Si, insomma, va bene, te lo approvo.”

“Approvi cosa?”
”Alessandro, cos’altro dovrei approvare? Alessandro!”

Addio, è la fine.

La degenerazione è ormai completa.

“Solo, mi dispiace per Alice, è una ragazza così a modo.”

“Si, lo so, grazie.”

“Ma non ti piace per niente?”

“Mamma, ma che ti frega?”

“Mi frega eccome! Anzi, sai che ti dico, sono contenta che non stai con Alice, così sono l’unica donna della tua vita!” Sorride raggiante.

Ricomincio a sentire un certo impulso suicida.

 

3.


-Bambola, complimenti per ieri sera, sei una bomba!

-Grazie :D Ma c’eri anche tu?

-Non mi hai visto? Ero quello che ha battuto le mani per tutto il tempo!

-Sai che la mia vista è più o meno uguale a quella di una talpa…

Ho beccato Andrea in linea su MSN, e non posso esimermi dal farle i complimenti per ieri sera.

Cristo, è stata davvero grandiosa.

Non avrei mai immaginato avesse una voce così potente e così…sofferente.

-Come te la cavi, bambolo?

-Non c’è bene, grazie. Te, con il tuo professorino?

-Tutto risolto al meglio, per fortuna :D Sto alla grande. Tu piuttosto? Che hai fatto?

Ah, bella domanda.

Forse Andrea, se riesci ad inventare una balla credibile che sia una vinci duemila punti.

-Questioni sentimentali, niente di che.

-Oooooh, come niente di che! Sono interessantissime! Quindi, anche tu hai un cuore?

-Ah ah ah. Simpaticona.

-Ebbene?

-Che?

-Non me lo racconti?

-No! Sono affari miei.

-C’entra la tizia con lo zaino rosso?

-Buon Dio, NO!

-E allora chi? Non ti ho mai visto con nessun altro.

-Di solito i fatti privati tendo a mantenerli tali, io.

-Edddaaaai! Neanche se te lo chiedo io?

-Soprattutto se me lo chiedi tu.

-Che cattivo che sei, mamma mia.

-Eh, lo so.

-Manco un indizio?

-No.

-Ti sei innamorato di una professoressa.

-No. Non sono te.

-Hai litigato con la donna di tua madre.

-No, ci manca quello.

-E allora?

-Allora cosa? Non te lo dico, punto.

-Sei gay.

-Ancora? Inizi ad essere ripetitiva :P

-Sei gay! Lo sapevo.

-Ma che dici? Se ho una storia con una DONNA!

-Sei bi.

-Mavaffanculo, di cuore proprio.

-Allora sei gay e lei ti serve come copertura.

-Ma la fai finita? Sei pesante, dopo un po’.

-Che bello ho un amico gay *.* Ho sempre sognato di avere un amico gay *.*

-Piantala!

-Poi mi arrestano!

-…eh? …oddio, che cosa penosa hai detto.

-Eh, lo so :D Insomma, chi è questo lui che ti spezza il cuoricino?

-Andrea, per favore…

-Esssssuuu, diiimmmelo…

-…ma io che ho fatto di male…

-Ti sei messo in finestra a fare il figo nel momento sbagliato.

-A proposito, quando me la porti la foto?

-Ah, cazzo, me ne scordo sempre! Senti, quand’è il tuo compleanno?

-Tra due settimane.

-Ottimo. Facciamo che ti faccio il regalone per i diciotto, ça va?

-Ça va bien.

-Però tu dimmi chi è lui.

-Ancora! Continui?

-Finchè non me lo dici...

-…si chiama Alessandro, va bene? Facevamo la stessa scuola, dove abitavo prima. Prima di trasferirmi abbiamo litigato e non ci siamo più sentiti. L’altro ieri s’è presentato qui dicendo che mi ama e che non può fare a meno di me e che devo tornare da lui. Stamattina è ripartito e io non so dove sbattere la testa. Soddisfatta ora?

-…potevi inventare anche una storia meno assurda, sai?

-Grazie.

-Comunque, non vedo il problema.

-AH NO?

-No! Finisci la scuola e torni da lui?

-Certo, ovvio. Scontato, perfino. Dimentichi il piccolo particolare che potrebbe tranquillamente avere altre centomila storie a mia insaputa e io potrei mandare tutto a puttane per uno che deve marcare il territorio come un fottutissimo cane.

-Beh, i cani non fanno così tanti chilometri per pisciare su di un albero.

-Grazie per aver mantenuto intatto il senso della metafora.

-Voglio dire, se aveva un altro mica veniva a cercare te, no? Non vale la pena macinare tanto asfalto per uno qualsiasi. Anche se tu non potresti mai essere uno qualsiasi.

Quasi me la immagino arrossire, quando leggo queste parole.

-Però…se mi abbandonasse?

-Andrea, è un’eventualità. Devi saperlo tu. Devi essere in grado di capire se ne valga o meno la pena.

-Non lo so manco io.

-Pensaci, allora. Io vado a cena. Baci a domattina :*

-Ciao ciao.

Spengo il pc e mi butto sul letto.

Le lenzuola sono impregnate del suo odore, dei suoi umori.

Chiudo gli occhi e lo immagino sinuoso, sull’autostrada, sempre e solo sulla corsia di sorpasso.

Con gli occhi chiusi e le mani incrociate dietro la nuca me lo immagino addosso, mentre s’inventa qualcosa per infastidirmi.

Me lo immagino mentre mi accarezza dolcemente i fianchi e mi invade spasmodico.

Me lo immagino mentre strizza il filtro tra le dita e ispira a pieni polmoni, come se fosse più auspicabile morir di tumore che di solitudine in vecchiaia.

Me lo immagino mentre lui non immagina me, ed ecco che mi accorgo di quanto patetico io sia in realtà, quanto la mia vita sia una stupida recita nell’attesa che lui venga di nuovo a salvarmi.

“Amore, che vuoi fare stasera a cena?”
”Suicidarmi.”

“Ti accontenti di una pizza? Sei troppo magro, non ci mangerei niente con te.”

Fa anche dell’ironia, adesso.

“Come ti pare, tanto non mangio.”

“Si vedrà. Intanto vestiti e vieni qua.”

Mia madre sa davvero capire quando è il caso di lasciar perdere.

 

 

 

 

Ta-daaaaaaaaah! Colpo di scena della mitica mamma! Suvvia, non potevo continuare a trattarla come una demente, anche lei merita una chance :D

 

Deliri gentilmente ispirati da: Alessandro Orsini, Articolo 31, Vasco (e non fate le schizzinose, ha scritto alcune delle più belle canzoni della musica italiana, ma ha seri problemi di demenza senile), Roberto Dell'Era, Janis Somma Divina Janis, Il Teatro degli Orrori (in qualche modo ce li dovevo ficcare), i racconti del sabato sera all'Irish Pub.


Stay Tuned.

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Capitolo 18
*** Quattordici. ***


Le persone che hanno aggiunto questa storia alle seguite o alle preferite aumentano ogni volta ed io non posso che esservene grata.

Merci Beaucoup.

Mi farebbe immensamente piacere conoscere anche le vostre opinioni, ogni tanto, anche solo per dire: "oh, ganza" oppure "è la più grande cagata che abbia mai letto in vita mia."


@MyMuse: mi servono i tuoi racconti universitari, sei la mia principale fonte di ispirazione (e dopo aver letto questo capitolo temo non mi rivolgerai mai più parola, ma tant'è ù.ù). Lo sai che la Storani è una presenza fissa nei miei pensieri :D

@Etoile_Sama: ma grazieeeeeeee! Certo che mi frega di quel che pensi, altrimenti mica mi mettevo a leggerle le recensioni :D Quella delle citazioni è una dipendenza, delle mie amiche mi chiamano Wikiquote ;P

@cammy: Finalmente la riscossa della mamma! :)


E, tu, tranquilla, non te lo ammazzo il tuo Diletto.

 

 

Home is where your heart is.

 

 

 

 

4.

“Insomma il mio bambino è un ometto ormai.”

Dopo anni di dieta ferrea, è la prima volta che la vedo addentare una pizza con gusto.

La mozzarella le cola dagli angoli della bocca e la raccoglie con la punta della lingua.

Nessuna Alessia, nessuna Alice, nessun Alessandro.

Solo io e lei, finalmente.

“Mamma, ti prego.”

“Non capisco perché te ne vergogni tanto. Io non ci vedo niente di male.”
”Non sono cose che ti riguardano.”
”Si invece. Sono tua madre. Voglio saperle, certe cose.”

“Non l’ho mai nascosto.”

“Ma non l’hai neanche mai detto. Io vorrei solo che non mi considerassi una minorata mentale, ecco tutto.”

In un momento mi rendo conto di quante volte l’abbia trattata male, di quanto l’abbia volontariamente tenuta all’oscuro della mia vita senza che ce ne fosse realmente bisogno.

“Scusa”, biascico.

Non credo di aver mai formulato delle scuse sincere, prima d’ora.

“Non ti preoccupare, tesoro. È normale, sono tua mamma, è difficile vedermi come amica. Neanche io andavo d’accordo con la nonna, sai? Ma è normale. Quando crescerai lo capirai.”

Continuo a tagliare la mia pizza a spicchi e poi a quadratini.

Mangio lentamente, fingendo di assaporare ogni boccone.

Ho solo voglia di non tornare a casa.

“Mamma, ma a te piace davvero Alessia?”
”Eh?”
”Dico, Alessia, la ami?”

“Oddio, amarla, non lo so…la considero piuttosto la mia migliore amica. Ecco, si, affetto, non proprio amore.”

“Parlate mai di me?”
”Oh, certo, parliamo soprattutto di te.”
A posto.

Perfetto.

“E cosa vi dite?”
”Mah, niente…lei pensa che tu sia un ragazzo molto intelligente, ma un po’…inquieto, ecco. E non solo per Alessandro, insomma. Inquieto di natura. E purtroppo non posso darle torto. Forse non mi riuscirà mai di capirti, però…”

Voce rotta.

“…però io ti voglio bene, cuore, ricordalo sempre.”

Le stringo una mano, forte.

Le sorrido, tra una lacrima e l’altra.

“Si, lo so mamma.”
Cristo, sono un cane.

 

5.

Oggi è il mio compleanno.

Mi sveglio con questo pensiero fisso in testa, e non riesco a scollarmelo di dosso.

Non mi piacciono le feste.

E soprattutto non mi piacciono i compleanni.

Ma tant’è.

Quindi sono diciotto.

Mi scopro dalle lenzuola e metto i piedi a terra, sul freddo pavimento.

Mi spettino i capelli da solo.

Solo un’altra giornata di merda, niente di più.

Andrea mi porta un pacchetto enorme, avvolto da una carta con su delle tremende fatine rosa e celeste.

Dice di aver trovato solo quella, in giro per casa.

Alice non mi parla per metà della mattinata, poi a ricreazione mi porge un pacchettino.

Così adesso me ne sto in camera a scegliere il posto più adatto dove appendere la mia foto- che, senza falsa modestia, incorniciata è davvero divina- mentre in sottofondo Ian Curtis canta, straziato.

Chi meglio di te sa quanto faccia schifo questa vita, eh Ian?

Mi siedo sul letto con la sigaretta stretta tra le labbra e cerco di immaginarmi la foto sulla parete semi-vuota davanti a me.

Prendo da sotto il letto la cassetta degli attrezzi con chiodi e martello- quando sbatto contro qualcosa.

Tiro fuori la mia scatola dei ricordi e la sistemo sul letto davanti a me, tra le gambe.

I got the Spirit

But lose the Feeling

Feeling

Feeling

Feeling…

Sollevo il coperchio rovinato, rischiando di ciccarci dentro.

Biglietti aerei, ferroviari, vecchie foto, collanine rotte, bracciali di filo fragili come ricordi estivi.

La maglietta con la copertina di Sleeping with Ghosts.

Che stupido sono stato.

Mi sfilo la camicia e me la provo.

Mi sta ancora, incredibile.

Puzza di chiuso, di sudore, di salsedine, ma tant’è.

Mi rimetto sopra la camicia e continuo a svuotare la scatola.

Un pacchetto di sigarette accartocciato.

Una poesiola vergata da una mano incerta- mio Dio, sarà stata la prima elementare.

Che tonto ero.

Una manciata di plettri.

Un elastico per capelli.

Una copia di Jack Frusciante con dentro scritto a matita “Questa è la storia del nostro amico Alex”.

Eh già, bello. Gone, daddy, gone, love is gone away.

Qualche lettera d’amore.

Quasi tutte si concludono con un “ sei uno stronzo, mi hai solo presa in giro, bastardo.”

Eh vabè. Le ragazze prendono sempre tutto sul tragico.

Una scatoletta trasparente con dentro una rosa nera ormai del tutto sfiorita.

“E’ come te, Andrea. Un fiore freddo e morto, eppure bellissimo. E lo resterà in eterno.”

Dei lacci bianchi, di un paio di Superga che non mi entrano più da secoli.

Un paio di scarpette di lana da neonato.

Biglietti di concerti.

Riesco ad associare un ricordo preciso quasi a tutto.

Sento il cellulare vibrare tra le coperte.

Guardo lo schermo.

Alessandro.

Lo spengo e lo getto lontano.

Rimetto le cose in ordine nella scatola e la sotterro di nuovo sotto al letto.

Poi appendo la foto.

 

6.

Con Alessia è finita così come è iniziata.

Senza che me ne rendessi conto, è gradualmente uscita dalla mia vita.

Niente più strip mattutini, niente più pranzi, niente più “ginnastica idraulica”.

Quelle rare volte che viene a cena da noi accenna appena un saluto, nei miei riguardi.

Non so da cosa sia dipeso; fatto sta che ci siamo allontanati, e a me sta bene così.

Almeno per ora.

Alice, invece.

Dio mio, Alice.

Con lei non so che fare.

Questo continuo tira e molla è estenuante.

Vorrei essere in grado di prendere una decisione definitiva sulla questione.

O con lei o senza di lei.

Non voglio illuderla di qualcosa che non c’è, né voglio continuare a respingerla perché ho dannatamente bisogno di qualcuno che mi tenga coi piedi a terra.

Cristo, maledetto me e i casini in cui riesco a cacciarmi.

Per non dimenticare la questione Alessandro.

Anzi, facciamo così, una volta tanto.

Dimentichiamocelo.

Almeno per questa mezz’ora.

“Amore, faccio la lavatrice, devi lavare qualcosa?” urla mia madre da una dimensione a fianco.

“No!” le rispondo.

“Senti, quella maledetta maglietta la porti da due settimane, fa schifo solo a guardarla, posso lavartela?”
”Ci penso io, me la lavo a mano.”

“Come ti pare.”

‘sta maglietta è diventata la mia copertina di Linus.

Troppi ricordi da cui non riesco a staccarmi.

Quindi ecco, anche non volendo non riesco ad evitare di pensarci.

Se solo riuscissi a spezzare questa maledetta ipnosi.

Si sfilo la maglietta e vado in cucina a torso nudo.

Riempio il lavello d’acqua e di detersivo e ce la butto dentro.

Le do una strizzata e la tiro fuori.

La porto, arrotolata, a zonzo per tutta casa, sgocciolando sul parquet.

La stendo insieme all’altra roba.

“E tu così l’avresti lavata?”

“Mamma, una buona volta, fatti i cazzi tuoi.”
”Se ti vengono le pulci non ti arrabbiare con me, dopo.”

Tranquilla, tanto sono un cane.

Che viene dritto dritto dall’Inferno.

 

7.

Non chiedetemi come sia successo.

Vi giuro, non lo so.

Giuro solennemente che non è stata colpa mia.

Almeno stavolta.

Io non volevo farla bere.

Che ne sapevo io che era astemia?

Certo, ci sarei potuto arrivare, ma ormai è tardi.

Dopo mezza birra è partita completamente di testa.

Ok, forse non dovevo invitarla fuori- ma per una volta che faccio una gentilezza non potevo aspettarmi che andasse a finire così.

Con le sue mani appiccicate ai miei vestiti, le unghie nella carne, i denti nel collo, nascosti in un fottutissimo vicolo.

Io giuro di non aver fatto niente.

Lo giuro, cazzo, lo giuro.

“Non ti facevo così…”

“…così come?” Mi biascica in faccia.

“…selvatica.”
”Tu conosci solo la mia versione ripulita. Mi consideri solo una cazzo di-“ singhiozza “secchiona, ma non è vero, vedi? So divertirmi anche io.”

“Alice, ti pre-“

Mi preme la faccia contro la sua e mi infila la lingua tra le labbra.

Insomma, non è che io sia proprio sobrio, non ho tanta voglia di evitarla.

Sa di fragola.

Di dolce al miele.

Con un retrogusto di Kilkenny Strong.

“Visto? Anche io so farlo”

Inizia a sbottonarmi il cappotto.

“Lo so fare anche io.”

Mi tira fuori la camicia dai jeans e inizia a sbottonarmi pure quella.

Inutile dirlo, la lascio fare.

Joe Passività.

Nonostante l’alcool che ho in corpo fa un freddo boia, e ho i brividi- e le sue dita sono maledettamente fredde- ragazze, vi odio tutte, voi e le vostre mani ghiacciate- e mi scava nella pancia, e cerca ancora la mia bocca- allora la prendo per la nuca e mi abbasso- e insomma ci baciamo di nuovo, e a lungo, e- Cristo, sto facendo una cazzata gargantuesca- e slaccia pure la cinta dei pantaloni, e credo di aver perso il controllo del mio corpo, però no cazzo “No, Alice, no” le ordino “non deve essere così squallido, tu non sei così squallida, tu sei perfetta, e tutto questo è così sbagliato” e poi non le dico che l’ho sognata, che la sogno ogni domenica, ma che non è mai così brutto, così buio, che è sempre bianco e luminoso- ma lei non smette, mi sta mettendo una mano nelle mutande, e allora le stringo il polso e le dico “no, cazzo, no, mi capisci quando parlo?” e mi guarda smarrita, perché era convinta, mi dice, era convinta che la considerassi una frigida, mentre lei non lo è, è solo timida, non è frigida, è solo timida, e non sa come fare- e stavolta sono io a baciarla, ma non è un bacio tra diciottenni sbronzi, è il bacio di due disperati che hanno terribilmente bisogno di essere amati da qualcuno.

Solo in un sabato notte da incubo con cinque- o sei, boh- birre medie in corpo realizzo finalmente che lei non è innamorata di me, ma di ciò che per lei rappresento- il suo unico vero amico- e che non la conosco affatto, non conosco la sua vita, la sua infanzia, la sua famiglia.

Sento le sue lacrime scivolarmi sulle labbra e la stringo forte al mio corpo scosso dai brividi, singhiozzante.

Le bacio i capelli e la fronte, come si fa ai bambini che hanno paura dei fantasmi.

“Scusa” sussurra stretta al mio petto scarno.

“Non devi scusarti di nulla, non… non è il caso.”

“Mi piaci da star male, Andrea.”

“Lo so, mi dispiace tantissimo.”

“Faccio davvero pena in queste condizioni, vero? Guarda come sono ridotta…”
Mentre parla mi guarda ma io non sento neanche mezza parola, ipnotizzato dal movimento delle sue labbra.

Le sfioro la bocca con la punta dell’indice, e allora tace e aspetta che faccia qualcosa.

“Ssh” le poso l’indice al centro del cuore rosso delle sue labbra.

Le sollevo la testa per il mento e la bacio ancora, tutta tremante.

Mi si scioglie tra le labbra- non mi stringe più con forza ma mi accarezza i fianchi, si lascia andare, le faccio aderire la schiena al muro, mi passa le mani dietro al collo, infilo le mie sotto a tutti gli strati di vestiti, trema ancora ma in maniera diversa, e la sua pelle ha esattamente la stessa consistenza di come me l’ero sempre immaginata, e i suoi capelli sono fili scoperti- le bacio la guancia e il collo e ho finito il fottutissimo spazio- e le mie mani non trovano resistenza, da nessuna parte, in nessuna direzione, forse mi approfitto di lei, o forse è esattamente il contrario- il suo corpo è freddo però, la scaldo appena, ma per continuare dovrei toglierle qualcosa di dosso e fa decisamente troppo freddo- e le mie dita scivolano dietro la sua schiena e le slaccio il reggiseno- non me la cavo male per essere un finocchio- e anche i suoi seni sono freddi- cazzo, non è che è frigida, è proprio la Regina delle Nevi- però serra le dita tra i miei capelli, perché sensibilità ce l’ha eccome, si ritrova ad inarcare il bacino verso di me, non lo fa volutamente, ma lo fa, e socchiude gli occhi e sussurra qualcosa, tra le labbra, non lo so, non la sto ascoltando, perché stavolta sono io a sbottonarle i pantaloni- solo che lei mica mi ferma, anzi, si morde il labbro inferiore e mi asseconda- inizia a girarmi la testa per il freddo l’alcool e tutto, e la poggio contro il muro sopra la sua spalla, e lei si aggrappa al mio collo con entrambe le mani- mentre le devo bloccare i fianchi, in qualche modo, perché non si sa stare ferma- ed ecco che giuro non volessi farlo ma la accarezzo e sento il suo respiro accelerarmi nelle orecchie e allora penso sticazzi tanto ormai è andato tutto a puttane- e lo so che ho delle dita orrende e tutto il resto ma lei comunque sembra apprezzare e mi graffia il collo mentre mi sbuffa vapore bianco nell’orecchio- se passasse qualcuno in questo momento ci prenderebbe per due vecchi pervertiti- ma noi diremmo loro, tra un mugolio e l’altro, che siamo solo due anime sperdute, solo due anime sperdute, cui han dato solo due miseri corpi di carne, per soddisfare i propri bisogni.

Poi accelera tutto- respiri, battiti, movimenti, tutto, il freddo esplode, il suo corpo è finalmente caldo, caldissimo, mi asciugo le dita sui jeans, la abbraccio, le bagno le labbra asciutte, finalmente ha un’espressione rilassata, la lascio, mi risistemo i vestiti per quel che è possibile, anche lei tenta di ricomporsi ma le si inceppano le dita di continuo- poi mi sorride di nuovo timida, le passo un braccio sopra le spalle e la riaccompagno a casa.

Davanti al portone non sappiamo come salutarci- mi stringe la mano, ed io tengo la sua, così le bacio la punta delle dita in attesa di un sorriso- e quando mi sorride la lascio e mi volto, e mi incammino per la mia strada.

Prendo le sigarette dalla tasca del cappotto e me ne accendo una.

Ho la bocca impastata per effetto della birra e della saliva.

Cristo, che madornale cazzata ho fatto stasera.

Altro che oltrepassare il punto di non ritorno.

Adesso sono davvero nella merda fino al collo.

Soprattutto perché era esattamente tutto quello che desideravo.

 

 

 

 

 


Deliri gentilmente ispirati da: Green Day, Ian Curtis, Enrico Brizzi, Violent Femmes, i regali di Natale dell'Uomo Capri alle sue fidanzate, i Peanuts, la mia estate, Kill Bill 2, Vasco Brondi.


Buon Santo Stefano.

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Capitolo 19
*** Quindici. ***


Scusate per questo misero aggiornamento, ma la mia vita di merda mi prosciuga tutta la vena creativa.


@vasq: ogni tanto un po' di isolamento ci vuole. Io sto pensando seriamente di andare a fare l'eremita, ti giuro.

@gnuoba: lasciamo stare le versioni di greco, che le mie mi guardano in trepidante attesa. Ma mi piace farmi desiderare. L'unico difetto dei gay è che sono irrimediabilmente attratti dalle sole persone del loro stesso sesso. Che gran peccato.

@Vera Lynn: leggere una tua recensione è una delle cose che mi lusinga di più al mondo, giuro. Sono una tua appassionata lettrice. Niente di vero, comunque, Andrea è frutto della mia immaginazione: il fatto che esistano davvero persone come lui mi fa ben sperare che la storia sia perlomeno verosimile, se non veritiera. Ti chiami davvero Annick? Perchè se fosse così, mi stai già facendo partire un filmone in testa con Love Will Tear Us Apart in sottofondo, sappilo! :D

@Etiole_Sama e cammy: ecco quel che accade a ubriacarsi :D

 

 

Frase della settimana:
"Lo attivo io!"
Riferimenti a fatti, persone e circostanze realmente esistenti sono puramente casuali.

 

 

 

8.

Il lunedì mi sveglio con il terrore di quello che potrebbe accadermi.

Esco di casa con il terrore liquido che mi scorre nelle vene.

Non posso farci nulla, sono un vigliacco di natura.

Arrivo all’incrocio con la sigaretta ormai consumata tra le dita tremolanti e gli occhi carichi di angoscia.

E invece.

Alice mi si avvicina, mi posa una mano sulla spalla, si solleva sulle punte e mi stampa un bacio sulle labbra.

Così, puro e semplice.

“Ciao! Tutto bene?”
”…si, certo. Andiamo?”

Insomma, stiamo insieme.

O almeno, lei sta insieme a me.

In contumacia.

Ma in fondo è meglio così.

Anzi, è senza dubbio la cosa migliore che mi potesse accadere.

In fondo, ora come ora, lei è tutto ciò di cui ho bisogno.

Mi guardo intorno e l’unica cosa che vedo sono i suoi capelli neri.

Quindi mi lascio andare a questa nuova…storia? Boh.

Mi lascio andare e basta, insomma.

Al solito.

Ma la cosa più bella è vederla felice.

Dare una gioia così grande ad una persona per il semplice fatto di esser presente…è una cosa che non mi era mai successa.

Non ero mai stato importante per qualcuno.

Voglio dire, davvero importante.

Così inizio la mia prima storia normale da adolescente normale.

Quando lo dico a mamma per poco non muore dalle risate.

“E Alessandro?”
”Tu lo vedi in questa stanza?”
”No.”
”Allora non esiste.”
Non che dirlo serva davvero a farlo sparire dai miei pensieri, ma almeno ci provo.

E, per provarci, ci provo sul serio.

Ho deciso di fare le cose per bene.

Con lei è diverso.

Non posso permettermi le mie solite cazzate.

Cristo, mi sento una persona nuova.

Non tutte le sbronze vengono per nuocere, alla fine.

 

9.

Però, già che ci sono, apporto qualche modifica al piano.

Mi ero ripromesso di andarci coi piedi di piombo, ma dato il punto di partenza non è che sia proprio facile.

Prima o poi doveva succedere, no?

Dico, mi ci vedete come “difensore della verginità muliebre?”

Ma non scherziamo, su.

La conduco per mano in camera mia.

Non c’è mai stata, prima.

Il primo impatto è senza dubbio…notevole.

Insomma, non molto diverso dal bordello abituale.

Però, che diamine, ho perfino cambiato le lenzuola, dopo secoli, almeno questo merito mi venga riconosciuto.

“Perché hai una tua foto appesa accanto al letto?”
”Perché sono un egocentrico di merda, ho bisogno di ricordarmi di continuo di pensare a me stesso.”

Si mette a spulciare i vestiti gettati a caso sulla sedia.

Pantaloni, camice.

T-shirt nere e sbiadite.

“E questa?”
”Cosa?”
”Che ci fa in camera tua una maglietta dei Placebo?”
”Ce l’avrà lasciata la Fatina dei Dentini.”
”No, sul serio, tu ascolti i Placebo?”
Solo quando la scelta è tra loro e il suicidio.

“Li ascoltavo, al ginnasio.”

“E cos’è successo poi?”
Ho conosciuto Alessandro.

“Ho cambiato gusti, tutto qui.”

“Oh. E allora perché questa è ancora in giro?”

Avevo bisogno di ricordare momenti felici.

“L’ho ritrovata risistemando la roba. Temevo di averla persa con il trasloco.”

“Ci sei affezionato?”
”Abbastanza.”

La colgo di sorpresa baciandola e cerco di far cadere l’argomento.

Lei si lascia guidare abbastanza docilmente sul letto e la faccio sdraiare sotto di me.

Flash-  io nel suo corpo e io che all’improvviso divento Alessandro e poi odori e rumori inconfondibili- chiudo gli occhi e quando li riapro c’è solo Alice, solo lei, sdraiata, con i grandi occhi spalancati, che attende una mia mossa.

Mi sento un impostore.

Ma il mio corpo si muove da solo.

Ho perso il controllo.

La spoglio, un capo alla volta, la accarezzo, la bacio, e vorrei smettere perché è come se la stessi usando, ma non ci riesco perché è più forte di me e io voglio davvero fare l’amore con lei- con lei intimorita ma con gli occhi pieni di coraggio- ma lei non potrebbe mai essere l’ennesima “mi hai solo illusa.”

Non posso permettere che lo diventi.

“Se vuoi mi fermo qui” le dico, ormai sotto le coperte, abbracciati- ma è una domanda inutile, perché so che non mi direbbe mai di smettere- lo so perché mi ricordo esattamente che sensazione si provi.

E ho davvero paura di farle male perché in fondo io il suo corpo non lo conosco- come Alessandro conosce il mio- quindi non mi so regolare e ho il terrore di passarmene in qualche modo.

Però reagisce bene- si aggrappa alle mie spalle e chiude gli occhi- così avvicino la mia guancia alla sua e ascolto ogni sospiro, ogni sussurro che esce dalle sue labbra.

Ma in questo letto è come se fossimo in tre- sento la sua presenza fissa e inquisitoria- e allora anche io serro gli occhi nella speranza di scacciare il suo fantasma e quando sento che- mi sciolgo nel suo abbraccio e un bianco confortante cala nella mia mente.

 

10.

Sul polso sinistro ha tre nei che formano il profilo di Mickey Mouse.

Ha nascosto la testa sotto l’incavo del mio braccio, come se si vergognasse di farsi vedere in faccia.

Le accarezzo la spalla nuda che esce appena dalle lenzuola- i suoi capelli sparsi sul cuscino sono per la prima volta in disordine.

“Come stai?”

Solleva appena la testa.

“Mh.”
”Lo prendo per un “bene”?”
”Mh.”

“…lo prendo per un “bene” “.

“Sono stanca.”

“È normale. Vuoi mangiare qualcosa?”

“Mh.”

Le bacio la fronte e mi stacco da lei.

Si arrotola come un gatto sotto le coperte, privata del mio calore, mentre mi infilo le mutande e mi dirigo in cucina per fare pane e Nutella.

Al mio ritorno in camera Alice stringe tra le mani il mio cellulare.

“Che c’è?”
”Ti è arrivato un messaggio.” Risponde, secca.

“Di chi?”

“Dovresti saperlo.”

“L’hai letto, vero?”

“Già.”

“Che dice?”
”Cose che avrei preferito non sapere.”

“Dire che posso spiegare è inutile, vero?”

“Già.”

Si riveste, rapidamente e in maniera scomposta, raccoglie le sue cose, mi spintona per aprire la porta ed esce dalla stanza.

“Sei uno stronzo, e io che ci credevo davvero” dice, mentre è già fuori.

 

Non so dove sei e con chi, in questo momento. Ma ho bisogno di te. Ho bisogno di averti vicino, di sentire la tua voce, di fumare ridere e fare l’amore con te. Rispondimi, almeno oggi. Lo sai che prima o poi dovrai tornare da me.

 

Che cazzo.

Che tempismo del cazzo.

 

 

 

 

 


Deliri offerti, per questa volta, solo ed esclusivamente dalla mia mente bacata e dalle giornate casalinghe.

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Capitolo 20
*** Sedici. ***


Oh oh oh!

Benvenuti negli anni '10! Spero abbiate trascorso un buon Capodanno- o, perlomeno, se così non fosse, che vi sia servito per trarne qualche proficuo insegnamento, del tipo "le papere tendono a mordere qualsiasi cosa si metta loro davanti" o "urlare alle due di notte nella piazza di un paesino di collina potrebbe infastidire qualcuno". Ovviamente, riferimenti a fatti e persone sono puramente casuali.

I followers di Andrea aumentano di volta in volta ed io non posso che esservene immensamente grata!

Grazie! Grazie! Grazie! Grazie per alimentare i miei deliri mentali! Grazie!


@vasq: perdonami, ma la mia limitata capacità intuitiva mi impedisce di comprendere a pieno la metafora della volpe.

@Vera Lynn: ti assicuro, according to Murphy, che il messaggio sbagliato arriva sempre nel momento sbagliatissimo. Almeno un'altra che tifa per Alessandro! Complimenti per il nome, anche se credo sia un problema riempire tutti i moduli, vero? :P

@gnuoba: altrettanti auguri. In fondo, i self-portrait sono puri e semplici atti masturbatori, no? Il nostro Ego ha bisogno di esser coccolato, di tanto in tanto.

@Etoile_Sama: grazie mille, come sempre ^^

@MyMuse: sweetest, ci sarà un motivo per cui sei la mia musa, no? A qualcosa dovrà pur servire, tutto quel che ci capita.

@cammy: tranquilla, c'è speranza anche per Alice, prima o poi :D

 

 

"Si può sapere perchè ascolti solo band di checche?"

"Potevi farmi ascoltare Claudio Baglioni, invece dei Queen."

"...io mica ho detto che fai male, eh."

Perchè la genetica NON è acqua.

 

 

 

11.

Quando sono particolarmente depresso penso alla morte e mi tranquillizzo.

Potrebbe sembrare un controsenso, ma, di fatto, non lo è.

Anzi.

E’ l’unica cosa sensata che si possa fare, in certi casi.

Cos’è la morte? Ve lo dico io.

Stasi eterna.

Quiete assoluta ed infinita, nel tento e nello spazio.

Vuoto cosmico.

Annientamento all’ennesima potenza.

Cosa c’è di più confortante e rilassante del nulla?

Così mi sdraio per terra, ancora in mutande, finisco una fetta di pane e Nutella, mi accendo una sigaretta e penso alla morte.

Chiudo gli occhi e mi immagino i vari modi in cui si può morire.

Cause naturali, certo.

Infarto, cancro, cose così.

Il corpo umano non è così perfetto come dicono.

O almeno, forse lo sarebbe senza quel difettuccio di fabbrica chiamato Anima.

A Sua immagine e somiglianza.

Bella fregatura.

Malattia, anche.

Tutto quel che è estraneo al nostro stesso corpo ci danneggia, in qualche modo.

Batteri, virus, pollini, ventenni ricci su delle Ducati.

Poi c’è la morte indotta, o, talvolta, auto-indotta.

Soffocamento.

Annegamento.

Strangolamento.

Avvelenamento.

Combustione.

Colpo di arma da fuoco.

Impiccagione- che di fatto è soffocamento, a meno che non ci sia la frattura dell’osso del collo.

Poi certo, dissanguamento.

La cara vecchia Mors Stoica.

Morte a rallentatore- sai che palle.

Due ore ad aspettare solo per svenire- e poi non rendersi più conto di nulla.

Ci credo che nel frattempo Seneca si sia messo a discorrere di filosofia- avesse potuto se ne sarebbe andato volentieri.

Troppo tempo a disposizione per riflettere rischia quasi di farti cambiare idea.

Ho un tantino freddo, ma non ci faccio caso.

In realtà ho la pelle d’oca su tutto il corpo e mi si stanno congelando le palle.

Mi alzo, mi butto sul letto, mi copro col piumone- odora di fragola, dolce, femminile, non ci sono abituato e mi annebbia i sensi- e cado in un profondo sonno comatoso.

 

12.

Mamma mi sveglia per cena.

In modalità zombie spargo il cibo nel piatto fingendo un pasto vero- gli anoressici fanno così: fanno il cibo in pezzettini cosicché sembra abbiano mangiato, mentre in realtà non hanno toccato nulla.

“Tesoro, cos’hai?”
”Cazzi miei.”

“Hai litigato con Alice?”
”Mamma, cazzi miei.”

“Come mai avete litigato?”
”Come mai continui a farti i cazzi miei e non i tuoi?”
”Prima o poi ti renderai conto di tutto il male che mi fai.”

Si alza in piedi lasciando tutto sul tavolo e si chiude in camera sbattendo la porta.

Ottimo.

Il telefono continua a vibrarmi nella tasca.

Che cazzo.

 

13.

To the centre of the city where the road meets, waiting for you.

Stamattina all’incrocio non c’è ad aspettarmi, ovviamente.

Proseguo da solo, per la prima volta dopo molto tempo.

Davanti la scuola la trovo a parlare con i compagni di scuola, ed io me ne resto in disparte.

Mi sento assalire alle spalle.

“Ehi, bel tenebroso, come mai solo soletto?”

La incenerisco con lo sguardo e non le rispondo.

“Ah, scusa…ti va di parlarne?”

“Assolutamente no.”

“Senti” si toglie gli occhiali da sole e ho modo di guardarla per la prima volta direttamente negli occhi.

In fondo perfino Bono Vox ogni tanto si concede al naturale.

“Io non lo so cosa hai fatto, presumo sia l’ennesimo casino amoroso, ma…”

Faccio per interromperla.

“-stammi a sentire, fidati, prima lo affronti, meglio è. Io non sono in grado di aiutarti- soprattutto perché non ho la più pallida idea di cosa tu abbia- ma tu si. Credi in te stesso. E in situazioni come queste, ricorda: se ce l’ha fatta Madonna, può farcela chiunque.”

“Che c’entra Madonna adesso?”
”Niente, ma lei ha fatto praticamente tutto, nella vita, e se è riuscito a farlo lei può riuscirci chiunque.”

“Grazie mille per il preziosissimo consiglio, Andrea. Sai davvero come aiutare un amico.”

“Faccio del mio meglio.”

Suona la campanella, entrano tutti, ordinatamente, Alice, Andrea, io resto fuori, e mi ritrovo stupidamente a pensare a cosa farebbe Madonna al posto mio.

 

13.

La mia vicina di banco è un fantasma.

L’ennesimo.

Ha i capelli sciolti davanti al volto, ma posso intravedere gli occhi arrossati di qualcuno che ha pianto tutta la notte.

Fissa catatonica il foglio e la sua mano prende appunti meccanicamente.

Se potesse sprofonderebbe con il banco e la sedia in una dimensione parallela de-Andreizzata.

Le prime tre ore passano con una lentezza estenuante.

A ricreazione si slancia rumorosamente su dalla sedia ed esce dalla classe.

Mi ritrovo da solo a contemplare la lavagna.

Sbottono il polsino della camicia, arrotolo la manica e mi scrivo sull’avambraccio con la biro:

Love will tear us apart, again.

Quando rientra in classe cerca di evitare di guardarmi, ma un paio di volte la soprendo con gli occhi fissi su di me.

 

15.

Ci guardiamo negli occhi e non serve a nulla.

Vecchi film francesi.

La sua scia ancora sul cuscino appena coperta dal tabacco ardente.

È appena inverno e fuori piove come fosse il mio quinto ginnasio, quando mi divertivo a fare l’alternativo con i capelli bagnati.

And the rain fell down

The cold grey town

And the phone kept ringing…

Il telefono continua a vibrare, da qualche parte sul letto, accanto a me.

Mi prendo la briga di guardare chi sia.

Alice.

Alice?

…and we made sweet love.

“…pronto?”

“Sono davanti al tuo portone. Apri.”

Quando le apro ha i capelli scomposti e il volto arrossato dal freddo.

Io porto i pantaloni e quella stupidissima maglietta-idiota che non sono altro- con sopra un cardigan di cent’anni fa.

Mentre metto sul fornello l’acqua per il tè mi tremano le mani.

Non ci siamo ancora scambiati mezza parola.

Zucchero, bustina di English Breakfast Tea, acqua bollente, macchia di latte.

Le porgo la tazza fumante.

“Ti devo delle spiegazioni. Qualsiasi sarà la tua reazione, ti prego, fammi almeno spiegare.”

Così finisco per vuotare il sacco.

Le racconto di me, e di Alessandro.

Di come mi abbia usato- e di come mi sia lasciato, di fatto, usare.

Di come nonostante tutto non riesca ancora a staccarmi completamente da lui.

Di come sia stato il mio primo amore.

E, si, di come questa t-shirt c’entri, in questa storia.

Lei ascolta con attenzione il mio monologo, senza interrompermi, mentre sorseggia il suo tè.

“…solo che non vuole lasciarmi in pace. Non mi lascia lo spazio necessario per superarlo. Mi tormenta. Ho provato a… mollarlo, ma mi perseguita.”

“Quindi per te ero solo un diversivo.”

“NO. Assolutamente no. Tu non…Cristo, no.”

Mi butto in ginocchio davanti a lei.

Un misto di patetico ed umiliante, ma tant’è.

“Tu non sei affatto un rimpiazzo. Mi piaci sul serio.”
”Però porti ancora quella maglietta.”

“Cristo, sono un idiota, non posso farci niente, va bene? Alice, mi piaci davvero. Sei speciale, sei unica, sei…”

“Sei uno stronzo idiota bastardo.”

Mi rovescia il tè rimasto in testa ed esce.

Come adolescente innamorato sono proprio un fallito.

 

 

 



Deliri gentilmente ispirati da: mia mamma, i trascorsi con la mia famiglia adottiva, Ian Curtis, Jean-Luc Godard, Mick Jagger.

 

 

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Capitolo 21
*** Diciassette. ***


Ebbene SI! Nonostante tutto sono arrivata fino alla Befana.

Spero che questo aggiornamento non sia deludente.

Mi fa piacere che siano sempre in più a commentare :D


@_Fruscio_Di_Anime_: sicuramente questo commento è frutto di un'allucinazione, quindi farò finta di non averlo visto. E, tra l'altro, non sei il centro del mondo. Ricordi? IO vivo in collina ù.ù

@Morgain28: perdonata. Andrea è stronzo, stronzissimo in questi capitoli. Vediamo se riesco a migliorare un tantino la sua fama :D

@Etoile_Sama: la frase su Madonna è uno dei miei tormentoni :) In fondo, ammettiamolo, è riuscita a fare di  tutto. E intendo proprio di tutto.

@gnuoba: scusa per la lentezza, ma il mio Gulliver va spesso in ferie e funziona solo dopo le 23- ora in cui sto di solito sotto le coperte a guardare Californication. Tant'è. Viva i reggiseni di Madonna.

@Vera Lynn: mai affermazione più esatta fu formulata nei confronti di Alice. Salutationes.

@MyMuse: ripeto, altrimenti che Musa saresti? Effettivamente si, ne spariamo una discreta quantità ù.ù Madonna! xD

@cammy: Andrea è Andrea proprio perchè è strano, altrimenti che Andrea sarebbe :)



Frase della settimana: E' stata una debolezza. Sooolo una debolezza di un momento.

Si, ne spariamo decisamente troppe.

 

15.

 

Non ti preoccupare se la notte non riesci a dormire

Sono solo dei fantasmi che conoscono il tuo nome

Hanno anche il tuo indirizzo, quello nuovo

Ti spaventano al telefono.

 

Sono in una stanza completamente bianca.

Il soffitto, le pareti.

Il pavimento è nero, lucido.

Davanti a me c’è una bottiglia colma di un liquido blu, e Alessandro, appollaiato su di una poltrona di pelle, mi intima “Bevi.”

“Tu non sei Marla Singer, né un maledetto nano, ed io non sono Alice.”

“No che non lo sei, altrimenti non mi desidereresti tanto.”

“Io non ti desidero.”

“Se ti conforta crederlo. Bevi.”

“No.”

“Sai che vuoi berlo.”

Afferro la bottiglia per il collo e inizio ad inghiottire a grandi sorsate, e il liquido mi cola agli angoli della bocca, sulle guance, sul collo, mi macchia la camicia, sa di china, ma la bottiglia non accenna a svuotarsi, e più bevo e più ce n’è da berne, e Alessandro ride, sgangherato, appollaiato sulla sua poltrona, ride e mentre ride il suo volto si deforma e diventa simile a me, ma più vecchio- come se fosse mio padre.

Mi sveglio urlando con il volto imperlato di sudore.

Mamma si precipita in corridoio e spalanca la porta della mia camera.

“Cristo, Andrea, che hai fatto?”

Sono seduto sul letto con lo sguardo fisso e vuoto su di lei.

Mi si avvicina, sale sul letto e mi abbraccia.

“Basta, non può continuare così. Bisogna fare qualcosa.”

 

16.

Il giorno dopo, alle cinque in punto, mi ritrovo davanti ad una pesante scrivania di legno antico, mentre un professorone scruta attentamente mia madre.

“Signora, se il ragazzo è maggiorenne non è necessario che lei sia presente o venga messa al corrente degli sviluppi. Ovviamente a discrezione del ragazzo.”

“Preferisco non ficchi il naso nei miei affari, se capisce cosa intendo.”

“Ottimo. Allora si può accomodare fuori, signora.”

Mamma si alza ed esce dallo studio.

Io resto sulla mia sedia design foderata di pelle ordinata su chissà quale catalogo.

“Allora, Andrea Le-“

“Andrea, basta Andrea.”

“..Andrea. Tua madre ti ha portato qui perché ultimamente presenti dei disturbi del sonno- e secondo lei potrebbero essere legati a disturbi della sessualità. Cosa puoi dirmi a riguardo?”
”Posso accendermi una sigaretta?”

“Se ti fa sentire a tuo agio.”

Mi porge un massiccio posacenere di cristallo.

Lo poso sul bracciolo della sedia e mi accendo la mia bella Winston.

E non rispondo.

Lo studio è ampio, ben arredato- mobili di legno antico e tutto- scaffali carichi di libri, stampe di impressionisti, una notevole chaise longue di pelle- un classico da psicologo- e un ficus benjamin annaffiato con cura dalla segretaria.

Il professore ha anch’egli un’aria seriosa, da vero professionista.

In aria fritta, ma professionista.

Non mi piacciono gli psicologi.

L’idea che qualcosa creda di poter rendere razionale ciò che razionale non è, vedi l’ordine di ragionamento umano, è di per se risibile. Ritenerla addirittura una scienza esatta è del tutto insensato.

“Perché tua madre è convinta che tu soffra di disturbi della sessualità?”
”Perché la sua fidanzata preferisce gli uccelli, tra cui quelli dei presenti. Lei escluso. Almeno, credo.”
”Capisco.”
”No, in realtà credo dipenda dal fatto che la mia ragazza mi abbia mollato dopo aver scoperto degli sms abbastanza inequivocabili del mio ex.”
Annota qualcosa su di un foglio, dentro una cartellina con su il mio nome.

Odio essere un misero nome in un elenco.

Ho bisogno di sentirmi importante- il mio ego lo reclama a gran voce.

“E hai frequenti incubi.”

“Ho una fervida immaginazione, mettiamola così.”

“E cosa sogni?”
”Centinaia di ragazzine che urlano: ti prego, stuprami!”

“Nient’altro?”
”Poi si spogliano ed iniziano a mangiarmi vivo.”

“Interessante. Mai pensato di rivendere le trame dei tuoi sogni ad uno sceneggiatore? Ultimamente vedo che va di moda, la roba con vampiri o giù di lì.”

“Già, ma preferirei che la mia opera prima rimanesse, come dire, memorabile, non mi piacerebbe se fosse confusa con altre mille, se capisce cosa intendo. E poi il fascino del buon vecchio conte Vlad s’è andato a farsi friggere, lo sa meglio di me.”

“Intendo forte e chiaro, Andrea.  So che non ti importa assolutamente nulla di stare qui a farti psicanalizzare da un vecchio. Io non posso certo obbligarti. Vengo pagato lo stesso anche se passi i tuoi cinquanta minuti a leggere fumetti, sai? Sta a te. Hai l’aria di uno abbastanza sveglio da poter decidere da solo della propria vita. Allora?”

Ci penso su.

“Gli psicologi mi stanno sul culo.”

“Supponevo. Ordunque?”

“Siamo in ballo…”

“Ottimo. Ti chiedo di fare una sola, semplicissima cosa. Non voglio che mi racconti tutta la tua vita e cazzi vari- non me ne frega assolutamente niente. Ti chiedo solo di tenere un diario, in maniera regolare, e di appuntarci quello che ti passa per la testa: testi di canzoni, bestemmie, pensieri, e soprattutto sogni. Puoi farlo?”

“Con piacere.”

“Ottimo. Hai venti minuti per farti gli affari tuoi. Basta che non lo dici a tua madre.”

Apro lo zaino e tiro fuori Dylan Dog.

Il dottorone si sta rivelando più simpatico del previsto, in fondo.

 

17.

A volte ho la sensazione che il mondo intero sia solo una mia proiezione mentale e che io sia l’unico di questo schifosissimo universo. Cosa mi dici di questo?”

“L’altra sera ho rivisto Matrix.”

Scarabocchia sui fogli.

“Oh, questo è datato stamattina. Per migliorare la scuola italiana basterebbero due semplici mosse: meno gnocca e più carta igienica nei bagni. Ennesimo cinque e mezzo. In cosa?”

“Italiano. Articolo di opinione.”

“Eppure, da quel che ho l’opportunità di leggere, hai anche un certo talento. E hai anche una bella grafia, per giunta.”

“Già. Beh, alla mia prof dà fastidio il fatto che io sia più preparato di lei, dal punto di vista culturale. Una donna che non sa chi sia Bukowski non merita un posto fisso.”

“Sai, non credo sia un requisito fondamentale.”

“Scherza, vero?”

“…ti va una canna?”

“…scusi?”

“Hai capito, una canna, uno spinello, come li chiamate adesso voi giovani?”

“…scusi, è una specie di test o cosa? Vuole verificare se faccio uso di droghe o cosa?”

Prende una chiave dalla tasca, apre il cassetto della scrivania e tira fuori un cartoccio argentato e una confezione di cartine.

“Non è che per caso hai un biglietto dell’autobus, o un volantino pubblicitario? Non trovo i filtri.”

Lo ripeterò fino alla morte: le cose mi precipitano semplicemente addosso.

 

Un’indefinita quantità di tempo dopo sono sdraiato sul suo lettino molto professionale, mentre lui tenta di tenersi sulla poltrona in preda alle risate.

Sinceramente, ho leggermente perso la cognizione del tempo.

“Doc, non per approfittarmene, ma io avrei fame.”

“…che? Ah, già, cazzo, anche io. Senti, tua madre quando viene a prenderti?”
”Boh, che ore sono?”

“Non lo so proprio. Senti, dico alla segretaria di andarci a prendere qualcosa in pizzeria qua sotto, e di dire a tua madre se la incontra che oggi tardiamo. Che vuoi?”

“Quello che vuole lei, Doc.”

La segretaria sembra abbastanza abituata alla situazione, seppur sorpresa della mia presenza.

Esce dalla stanza picchiettando sui tacchi.

Uhm, bel culo, per una della sua età.

“Doc, ma lei non dovrebbe curarmi?”

“Andrea, tu non hai un bel niente da curare. Sei perfettamente sano. Solo, ficchi il tuo uccello in troppi affari. Impara a tenerlo a posto, e vedrai che scompariranno anche gli incubi.”
”Amen, doc.”

Ci spazzoliamo una quantità indefinita di pizza e inizia a raccontarmi dei suoi, di problemi.

Il mio mondo gira proprio alla rovescia, eh.

Così scopro che, come nel più classico dei classici, sua moglie se la fa con il maestro di tennis trentenne, mentre lui tenta di resistere alla segretaria che gliela serve ogni giorno su di un piatto d’argento.

“Figurati, non mi facevo più una canna da trent’anni-forse quaranta. È l’unico modo che ho per rilassarmi.”

“Povero Doc. Le faccio una sega?”
”No, grazie, non ce n’è bisogno. Grazie comunque del pensiero.”

“Pas de quoi, Doc.”

“Cristo, com’è maledettamente complicato l’animale-uomo.”
”A chi lo dice, Doc.”

 

18.

Vacanze di Natale.

Le tanto agognate e odiate vacanze di Natale.

Io lo odio, il Natale.

Tutto questo clima di festa e di amore fraterno… ma chi ci crede.

Metterci le lucine in testa non fa di noi degli angeli, come mettersi le penne nel culo non ti rende una gallina.

Alessia continua ad ignorarmi, ma va bene così.

Un problema in meno.

Finché continua a stare con mamma, per me va bene.

Alice continua ad odiarmi profondamente.

Ma non ne capisco il motivo- voglio dire, il motivo esatto.

Forse perché le ho tenuto nascosto l’affaire- Alessandro.

O forse perché ho dimenticato di dirle che, si, praticamente sono gay.

Ma comunque.

Niente di irrisolvibile.

Sono ottimista.

Spero solo non si suicidi in queste due settimane di assenza forzata da scuola.

Me ne riterrei personalmente responsabile.

Lo psicologo continua ad usarmi come terapeuta per le sue crisi di mezza età.

Ma almeno fumo a scrocco.

L’unica cosa positiva di tutto ciò è che sono le undici e mezza del mattino e sono ancora sotto al piumone.

Cristo, che bella sensazione.

Solo soletto nel mio letto maledetto.

Mh. Potrei mettermi a scrivere haiku.

Se solo riuscissi a ricordare il numero esatto di sillabe.

Suonano alla porta.

Cristo, no.

Non quando sono sotto al piumone.

Mamma non c’è.

Merda.

Esco di corsa dal letto a piedi scalzi e rispondo scocciato al citofono.

“Chi è?”
”Sei Andrea Le-“

“Si si, sono io. Chi è?”
”Poste. Ti è arrivato un pacco. Scendi, firma la ricevuta e portatelo a casa.”

Scendo le scale così come sto, firmo il foglio che mi porge- per quel che ne so potrei anche aver venduto i miei organi ad un petroliere russo- prendo il pacchetto e mi precipito nuovamente al caldo.

Da piccolo era quasi un gioco: mi tiravo la coperta fin sopra la testa e poi mi mettevo seduto di schiena, così riuscivo a leggere sotto le coperte con una piccola torcia senza che mamma si accorgesse di nulla.

Raccolto in questa posizione apro il pacchetto, con la luce fredda invernale che filtra attraverso l’apertura del piumone.

Dentro c’è una confezione della Apple e un biglietto ripiegato.

 

So quanto odi questi aggeggi malefici, ma è giunto il momento che ti adegui al mondo circostante. Vorrei che ascoltando le canzoni che ti ho caricato ti renda conto di quanto mi manchi e di quanto abbia bisogno di una tua risposta. La distanza mi sta uccidendo.

Ti prego, non dimenticarmi.

Ti amo.

A.

 

Posso bestemmiare, ora?

 

19.

Infilo di nuovo le cuffiette nelle orecchie.

Mi scivolano in continuazione.

L’I-Pod che mi ha comprato ha uno scomodissimo touch-screen, e ci impiego ben dieci minuti per aprire la cartella giusta.

Tra le playlist ce n’è una che si chiama “Andrea.”

Riesco a metterla in riproduzione.

Un giro di chitarra ben troppo noto.

A volte capita di sentire alla radio quella canzone che credevi ormai sbiadita, dimenticata per sempre, e ti sorprendi a conoscerne ancora le parole, e ti rendi conto che è come se la stessi ascoltando per la prima volta, che quelle parole hanno un senso talmente chiaro che non riesci a capire come possano esserti sfuggite per così tanto tempo.

Just 19 and sucker’s dream

I guess I thought you had the flavour.

Davvero credevo che la situazione si sarebbe risolta semplicemente ignorandolo?

Sono uno stupido.

Io non posso continuare in queste condizioni.

È una violenza che non posso più sopportare.

La playlist continua, ma io sono immerso nei miei pensieri, non sento più niente.

Io devo uscire da questa situazione.

Non posso continuare a rimandare.

Non posso più rimandare.

Il telefono vibra, ancora.

Lo prendo, lo guardo e finalmente rispondo.

 

 

Deliri ispirati da: Moka, Lynch, Carroll, Fight Club (Cristo, in maniera massiccia stavolta), mio zio, Depeche, Brian ( <3) e probabilmente qualche follia del sabato sera.

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Capitolo 22
*** Eight. ***


Sorpresa!

Sono ancora viva! La mia temporanea e duratura scomparsa è da imputarsi agli impegni scolastici (stavolta piacevoli: gita a Londra :D) e ad una momentanea perdita totale di ispirazione a seguito di una specie di tre e mezzo di picche che non sto qui a spiegare (anche perchè c'ho capito una sega manco io quindi figuriamoci a dirlo a voi).

Quindi, tornando a noi:

@MyMuse: tutto è un segno, mia cara. Mi manchiiiiiiiiiiii T.T Il Fato ci sarà favorevole, prima o poi? Necessito news universitarie T.T

@gnuoba: si, avevo intuito studiassi psicologia. Spero non te la sia presa- insomma, anche la Nutella, se ci pensi, non fa parte dei nutrimenti alla base dello sviluppo del corpo umano, eppure senza è impossibile vivere. Il futile è bello. E poi gli psicologi hanno sempre un sacco di belle stampe, negli studi.

@Etoile_Sama: sai, credo che di persona Andrea risulterebbe un po' spocchioso ed antipatico. Ma senza dubbio interessante :D

@Vera Lynn: quanta grazia! :D

@cammy: la curiosità è buona! Viva la curiosità! Siate curiosi: sarà questo a portarvi lontano.

@KissOfDeath: tranquilla, sei perdonata. Grazie mille per i complimenti.



Un saluto speciale anche a chi legge senza lasciare commenti.

Soprattutto a Lady e a Shorty ù.ù

 

 

 

 

Andrea.

1.

I AM AN ANTICHRIST, I AM AN…

Spengo la sveglia e resto con la testa sul cuscino.

Non so cosa aspettarmi dalla vita.

Con Arturo è tutto così…assurdo.

E incredibile.

E grandioso.

È davvero un uomo straordinario.

Mi perdo pensando a lui che mi riaddormento un poco.

Quando riapro gli occhi spaiati sono le 8:15.

Cazzo!

Mi vesto di corsa prendendo roba alla rinfusa.

Mi precipito in strada e inizio a correre come una matta.

Arrivo a scuola alle 8:40.

Aspetto l’inizio della seconda ora e apro la porta della mia classe.

Sì, è la mia classe- c’è Lucia, ci sono le mie foto appese al muro, c’è Cherubini sale e pepe alla lavagna con il gessetto a mezz’aria.

Ma c’è qualcosa che non torna.

Seduto al mio posto c’è un ragazzo con i capelli rossi, lunghi, crespi, dei capelli davvero incredibili- ramati, biondi, fuoco- con degli occhialetti rotondi, una felpa sformata dei Led Zep, lo zaino con le toppe gettato a terra.

“Oh, Santi, bentornata nel mondo dei vivi! Vespucci, vai a chiamare la bidella e fatti portare un banco e una sedia, credo che Santi reclami il suo- e a gran voce, per giunta.”

“Prof, vado io a cercarla, già che sto in piedi.”

“Hai visto mai fosse dannoso per la tua salute stare in classe, eh Santi?”

Esco in corridoio.

Vado a trovare la bidella con ancora su lo zaino e il piumino e le chiedo se può gentilmente procurarmi un banco ed una sedia, per favore.

Lei sbuffa, si guarda intorno, prende la sedia in mezzo al corridoio e “ tiè, ti cerco il banco, intanto sparisci, che vederti di prima mattina mi fa venire l’acidità di stomaco.”

Quando rientro in classe Vespucci ha già raccattato la sua roba e se ne sta in piedi, perplesso,  ad attendere ordini.

Gli porgo la sedia.

“Dovrai sopportarmi per almeno un’altra mezz’ora, la bidella ti è andata a cercare un banco. Comunque io sono Andrea.”

“Piacere, Rigo.”

“Bene, Santi, ora che hai ricreato tutto il tuo habitat di caos e fricchettoneria, posso interrogarti o devo prima chiedere il consenso agli astri?”
Che bastardo.

Ovviamente sa benissimo che non ho studiato un bel nulla, visto che abbiamo passato il pomeriggio di ieri a giocare a Guitar Hero.

Ormai siamo una specie di coppia insolubile.

Trascorro più tempo con lui che con chiunque altro.

Però, ecco, la parte del professore continua ad entusiasmarlo alla grande.

“Credo che le stelle le siano propizie oggi, prof. Spero lo siano anche per me!”

Rigo sghignazza, evidentemente gli sono simpatica. In due su di un banco si sta stretti, ma non scomodi- Ringo cerca di limitarsi nei movimenti ed io faccio lo stesso.

“Bene Santi. Pagina 84. Leggi.”

Inizio a leggere l’Infinito di Leopardi.

Buono, lo so.

“Allora, Santi, ritrovami all’interno del testo i richiami più evidenti alla Teoria del Piacere.”
Merda. Non la so.

Anzi, a dire il vero, non so proprio nulla.

Per me l’infinito di leopardi era leopardare, figurarsi.

“…la siepe” sussurra Rigo.

“…beh, la siepe…” dico io a voce altra.

“E perché?”

“…vago e indefinito…” sussurra.

Mi sta suggerendo! E neppure mi conosce!

“Beh, perché richiama le tematiche del vago e dell’indefinito…”

“…che danno piacere…”

“…che sono appunto le caratteristiche del piacere. Leopardi infatti dice che procura piacere tutto ciò che appare lontano, sfocato, distorto da un filtro, che sia materiale o letterario, in questo caso la siepe, che gli consente…”

Continuo l’interrogazione fondendo le informazioni ricavate dalle note del libro e i suggerimenti di Rigo, fino a racimolare un dignitosissimo 7+.

“Complimenti Santi, sembra quasi come se avessi studiato.”

“Lei è un uomo di poca fede, prof.”

“Al contrario: oggi il tuo voto ha dimostrato l’esistenza di un qualche Dio, da qualche parte in questo universo.”
Poi entra la bidella, Rigo prende il suo banco e lo posiziona accanto al mio.

“Grazie, m’hai salvato la pelle.”
”Non c’è di che” risponde, regalandomi un ampio sorriso e due luminosi occhi azzurri.

La mattinata prosegue normalmente, tra una chiacchiera e l’altra.

Fino alla quinta ora.

In quinta ora c’è fisica.

“Oh, chi si rivede! Vespucci! Ed io che speravo di essermi liberata di te!”

“Mi spiace prof, se l’avessi saputo avrei preso un’altra sezione.”

“Vuoi terminare in bellezza il primo quadrimestre, eh? Vedo che hai fatto amicizia con Santi! Ma benissimo! La strana coppia all’opera! Spero mi abbiano riservato un posto in Paradiso, perché se riuscirò a sopravvivere a voi due combinati me lo sarò proprio meritato!”

Rigo le sorride, beffardo.

Ha cambiato sezione perché i suoi professori avrebbero finito col linciarlo vivo.

Assenze continue, attenzione nulla, nessunissimo voto in ben tre materie.

Chiunque altro sarebbe stato cacciato via a pedate nel culo.

Chiunque altro non fosse stato lui.

La sua attitudine all’esperienza scolastica è inversamente proporzionale al suo genio nell’apprendimento.

Una volta è andato in una prima liceo e si è finto supplente di letteratura latina, con tanto di registro finto e tutto.

Quando la professoressa è arrivata in classe si è bloccata sulla porta ad ascoltarlo.

La più bella lezione a cui abbia mai assistito in vita sua, dice lei.

Peccato che Vespucci, sul registro, avesse solo voti oscillanti tra il 3 e il 4.

Non si sa da dove le tiri fuori, certe cose, visto che a scuola non c’è praticamente mai, né con il corpo né con la mente.

Insomma, per farla breve, i professori non vogliono che una testa del genere, seppur calda, interrompa gli studi ancora prima del diploma.

Così lo hanno fatto trasferire vicino a me nella speranza che un diverso ambiente lo stimolasse allo studio- voglio dire, allo studio scolastico.

Qualche professore che lo odia c’è, comunque.

Vedi questa stronza di fisica.

Ma tanto lei odia tutti, non fa testo.

All’uscita mi saluta e vola via.

Andrea mi viene incontro.

“Ehi, bambolo, come va?”

“Non c’è bene, grazie. Te?”

“…oh, ancora? Ma cos’è? Tu non riesci proprio ad esser felice, eh?”
”Non lo faccio mica apposta.”

“Secondo me si, invece.”
”E come?”
”Secondo me ti crei dei problemi che non esistono. Non vuoi vedere il lato positivo delle questioni. Ti crogioli nell’autocommiserazione. Un po’ d’ottimismo! Non può esser tutto così nero.”

“Tu, piuttosto, come mai così allegra? Finalmente Cherubini ha meritatamente avuto accesso al Regno dei Cieli?”

“Ma SMETTILA PER FAVORE! Sei noioso e ripetitivo. Sai benissimo come stanno le cose.”
”Si, tranquilla, mi diverto solo a vederti infastidita. Resta il fatto che sei particolarmente euforica, oggi.”

“Mah, niente di che, ho preso 7+ in italiano.”
”Chissà in cambio di cosa.”
”E dai!”
”Si, scusami. Allora?”
”Allora, mi ha suggerito tutto uno che si è trasferito oggi in classe nostra.”

“Ah, ecco. Un maschio c’entra comunque.”

“Tu solo quelli, vedi.”
”…cattivella questa, non trovi?”

“Siamo pari. Ma…la tua amichetta?”

“Non mi parla più.”
”Perché?”

“Perché sono uno stronzo.”

“Dimmi qualcosa che non so già.”

“Perché sono uno stronzo, ho creduto di poter avere una storia con lei, ci siamo messi insieme, poi ha scoperto di Alessandro e mi ha mollato.”

 “Fermo, fermo, FERMO. Tutto questo quando sarebbe successo, di grazia?”

“In un lasso di tempo troppo breve, fidati.”
”E non ti vuole più parlare?”

“Decisamente no.”
”Le hai chiesto scusa?”

“E per cosa? Ha fatto tutto da sola.”
”Andrea, sai che non a tutte le ragazze fa piacere sapere che il proprio ragazzo ha avuto delle storie omosessuali?”
”Si, ma non è qualcosa per cui devo scusarmi. Le ho detto che non ci frequentiamo più, altro non posso fare.”

“Però evita di mentirle.”

“Non le ho mentito, infatti. È vero!”

“Ma se ti chiama di continuo!”
”Non è mica colpa mia. Neanche gli rispondo.”

“Il che non significa che tu l’abbia dimenticato.”

“…lasciamo perdere, tanto non se ne esce fuori comunque.”

“TU chiedile scusa, poi dimmi che effetto fa.”
”Ci proverò.”

Lo lascio andare per la sua cattiva strada.

 

2.

Natale, bianco dolce Natale.

Io lo adoro, il Natale.

Le lucine dorate sparse per la città mi danno un senso di serenità e gioia infinita.

Le vacanze di Natale sono il momento adatto per staccare la spina e riprendere fiato in vista del semestre successivo.

Per di più che quest’anno c’è anche l’aggravante degli esami.

Per le vacanze Cherubini ci ha assegnato la stesura di un mini saggio/mini tesina/maxi testo argomentativo su di un argomento a piacere, per iniziare a lavorare sull’organizzazione di un testo formale o giù di lì.

Tra mezz’ora ho appuntamento in biblioteca con Rigo per tirare fuori qualche ragno dal buco.

Anche se con me di mezzo sarà ben difficile.

 

3.

“Poi cos’è successo?”

“Quello che succede sempre in questi casi. Vespucci, dal preside! Ormai siamo diventati amici- anche se devo ammettere che quell’uomo mi intimorisce un tantino.”

In un’ora siamo riusciti a tirar fuori carta e penna e a fare due giri a filetto.

Stop.

Ragni cavati dal buco: zero.

 “Ma ti chiami davvero Rigo o è solo un soprannome?”

“Non proprio, è un’abbreviazione.”
”Di cosa?”

“Ti prego, non farmelo dire. È umiliante.”
”Secondo quale parametro? Io mi chiamo Andrea!”

Sospira.

“…Amerigo.”

“…eh?”
”Amerigo. Mi chiamo Amerigo Vespucci.”

“…davvero?”

“Già.”

“…Amerigo Vespucci. Forte!”

“No davvero. Odio il mio nome. È imbarazzante. La gente fa un sacco di battute.”
”Beh, poteva andarti peggio. Pensa se ti fossi chiamato Eros Peloso, o Antonio Catarro. Almeno hai un omonimo di tutto rispetto.”
”Di questo non posso lamentarmi. Devi però ammettere però che alla lunga diventerebbe tedioso e ripetitivo ascoltare sempre le stesse battute. O no?”

“Tipo?”
”…ti prego, risparmiamele. E risparmiatele.”

“Almeno una!”

“…è grazie a te che ora c’è la patata in tutto il mondo.”

Scoppio a ridere fragorosamente infrangendo il sacro silenzio della biblioteca.

Qualche testa si volta verso di noi ad intimarci di fare silenzio.

Rigo mi sorride con gli occhi e mi scribacchia sul quaderno:

Allora, ‘sta benedetta tesina?

Ce l’ho. Ho l’ispirazione.

Spara.

Cherubini si metterà a piangere dall’emozione, ci scommetto.

 

 

 


Cosa ne pensate di Rigo? Inizio a finire i nomi con la A (grazie morgain28 per l'ispirazione involontaria :D)!

In realtà avevo pensato di continuare con Andrea 1.0, ma mi sta venendo il sospetto che qualcuno si ispiri un po' troppo alla mia storia per scrivere la sua.

Voglio sperare che sia solo una buffa e strana coincidenza.

Mah.

Vi saprò dire.

Good night and good luck.

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Capitolo 23
*** Nine. ***


AAAAAAllora.

Innanzitutto, chiedo venia per il superextraiper ritardo, ma, tanto per cambiare, la scuola mi sta fottendo l'anima e il pc diventa ogni giorno meno collaborativo.

In compenso, nel frattempo ho: tagliato drasticamente i capelli, finendo per somigliare sempre di più al capo dei Goth Kids su South Park; pianto per la morte di un 91 che credevo scomparso ormai da tempo nelle nebbie dei campi di grano (J.D. hai segnato la mia vita, te ne sarò sempre grata); vinto la discografia COMPLETA dei Led Zeppelin (un segno, UN SEGNO!); visto l'ultimo film di Muccino (commento: ogni donna si merita un Marco Cocci); letto Kafka e ri-letto Bukowski; abbracciato Capitan Fede e tutta la MALEDIZIONE che m'ha scagliato contro quell'uomo; rivisto Kill Bill per la duecentonovantesima volta recitando a memoria tutte le battute.

Per quanto riguarda il presunto plagio, non vi preoccupate. Non riguarda nessuna di voi ( Vera, ci mancherebbe altro!), ed è più un sospetto che una verità accertata.

Diciamo che mi fa respirare un po' la stessa aria, ecco tutto.

Ma sono quasi certa che sia un puro caso.


@gnuoba: la cosa buffa è che io di Guccini non conosco assolutamente nulla. Il povero Leopardi è uno sfigato cosmico, ma in fondo in fondo tutti i torti non ce l'ha.

@Vera Lynn: Signora mia, MAI oserei accusarti di un'infamia del genere! Tutti fanno parte del mondo di Andrea. Andrea è, il mondo.

@MyMuse: Mhh...Rigo...saranno gli occhialetti??? xD Mi manchi <3

@KissOfDeath: fidati, Madonna ha fatto meno cose di quel che sembrano in realtà xD

@Kimaira Malfoy: mi fa piacere che tu abbia trovato un po' di tempo per me ^^

@Morgain28: infatti, che senso ha nasconderlo. Che farei senza di te? xD

@Elii: la tua recensione è più lunga dei miei capitoli O.o Punto uno: non sei degna di COSA. Mica sono un'entità superiore, anzi xD Le citazioni sono una mia manìa, alla quale non riesco a rinunciare. Il cinismo, modestia a parte, è tutto mio. Giuro che c'era anche prima di Hugh Laurie. Altra cosa di cui, mio malgrado, non riesco a privarmi. Alessandro ha in sè qualcosa di esotico, ma non saprei neppure io dire cosa. E ricorda: è dal caos che venne creato il mondo.

 

 

 

 

 

I'll comfort you my friend, helping you to blow it all away.    

 

 

 

 

4.

L’influenza dei capelli lunghi da Sansone a Jimmy Page. Che dire, solo due come voi potevano partorire un’idea malata del genere. Ho creato un mostro bicefalo!”

 Rigo mi sorride da dietro gli occhialetti.

Le vacanze di Natale sono passate in fretta tra una ricerca e l’altra, accompagnate da un paio di jam session- come prevedibile, Rigo suona.

In compenso ho del tutto trascurato Arturo.

Ma dalla sua faccia, direi che abbia perfettamente chiara la situazione.

E che, sotto sotto, approvi.

Almeno un pochino.

Anche se sono “la luce della sua vita”, come dice lui.

“Sono davvero curioso di leggerlo- soprattutto perché, Vespucci, ho sentito molto parlare di te, ma non ho ancora avuto modo di vederti all’opera, se così si può dire.”

“Non si preoccupi, c’è tempo.”

“Oh, ne sono certo.”

Arturo- insomma, Cherubini- mi guarda in cerca di supporto, e abbasso lo sguardo imbarazzata.

L’argomento Rigo mi mette in difficoltà.

In queste due settimane ho avuto modo di conoscerlo, ed è… non lo so, non mi viene in mente una parola diversa da “perfetto”.

La sua iniziale chiusura si è trasformata nei giorni in tranquilla riservatezza, di qualcuno che non è abituato a parlare dei propri fatti privati con gli altri, di qualcuno che non vuole la propria quiete interiore disturbata dagli altri.

Una volta superata la parete rocciosa, però, è come scoprire un Paese delle Meraviglie.

È una bella sensazione, quella che mi dà il trascorrere le giornate con lui, a parlare di tutto e di niente.

È come se fosse un Arturo più giovane ed ancora ribelle.

E credo si siano resi conto anche loro di questa rivalità, o presunta tale.

Un giorno è venuto a pranzo da me- insomma, ha conosciuto Alberto.

È il primo amico a cui lo presento.

Insomma, mi sto affezionando molto rapidamente a lui.

E un certo teporino interiore mi fa ben sperare che la cosa sia reciproca.

Alberto ha commentato dicendo che innamorarsi del proprio vicino di banco è sintomo di scarsa intraprendenza- ma solo perché aveva appena rivisto Le Fate Ignoranti.

All’uscita Andrea è seduto sulle scale a fumare con gli auricolari nelle orecchie.

Rigo mi saluta con un abbraccio e si allontana.

Andrea lo segue con lo sguardo.

“Mh, carino quello. Bel c…apello. Ma…chi sarebbe?”

“Rigo”
”Rigo...?”

“…eh, si. Beh, è il mio nuovo vicino di banco.”

“Prevedo duello all’ultimo sangue per conquistare il cuore della gentil pulzella.”
” E’ solo cortese.”

“Anche io lo sarei, se la mia vicina di banco non fosse un fantasma.”

“A proposito, Alice?”

“Ancora niente. Ma oggi pomeriggio mi presento a casa sua con il cuore in mano e le scuse in bocca.”

“Visto, in fondo ne sei convinto anche tu che sia la cosa giusta.”

“Beh, ti sembra che abbia alternative?”

“No, infatti. Sono fiera di te, sul serio. Non sono molti i ragazzi in grado di ammettere i propri errori.”

“Già.”

Lo vedo rabbuiarsi.

“Che c’è?”

“Niente, niente di importante. O che conti più, al momento.”
”Alessandro, vero?”
”Già. Ma tanto prima o poi sarebbe finita, no? Bisogna andare avanti.”

“Così si fa! Mi raccomando, tienimi aggiornata.”

“I will, my darling. Ci si sente”

Lo guardo allontanarsi avvolto dai suoi pensieri.

 

5.

Con le dita mi sposta i capelli da davanti al volto.

I suoi occhi azzurri dovrebbero essere freddi- dovrebbero, perché invece sento un fuoco crescermi dentro.

“Andrea, tu non ti rendi conto di quanto tu sia speciale.”

Lo sussurra ad un millimetro dal mio naso, e posa delicatamente le labbra tra i miei occhi- senza occhiali da sole sono praticamente nuda.

Il buio della sala non mi impedisce di ritrovare una certa traccia di emozione, nel suo volto.

Baciami, pezzo di stupido. Ba-cia-mi!

Ma non lo fa- si allontana di nuovo da me e torna con gli occhi fissi sulla pellicola.

Non ho la più pallida idea di quel che stiamo guardando.

Mi passa una mano dietro la spalla e con le dita giocherella con i miei capelli spettinati.

Mi adagio nell’incavo della spalla.

“Rigo, ma perché Spider Man ce l’ha tanto con Donnie Darko?”

Mi guarda e sorride.

Si avvicina di nuovo a me e mi sfiora la punta del naso con il suo.

Sento il suo respiro sulle labbra umide.

Esita un secondo di troppo.

Mi slancio verso di lui e le nostre labbra, incredibilmente, collidono.

Non so se sia sorpreso o meno- sembra bloccarsi, poi sciogliersi, mi prende nel suo abbraccio e finalmente mi bacia.

Il buio esplode in un bianco assordante.

All’improvviso Rigo è dappertutto- nelle vene, nei capelli, negli occhi.

Non so perché ma quando li riapro sono sdraiata sul sedile posteriore della sua auto sgangherata.

Oh no.

OH NO.

“…ciao nonna! Quanto tempo!”

Perché queste cazzo di figure alla Bridget Jones.

Io voglio sapere cosa diavolo avevo in testa quando mi sono messa le Sloggi.

“Scusami, io non…”

“Macchè, di che ti scusi? Credi che possano inibirmi in qualche modo?”

Mentre mi dice questo all’orecchio passa una mano sotto l’elastico decorato.

Oh, sant’uomo.

Dio benedica tutti i chitarristi su questa Terra.

 

6.

“Quindi alla fine gli hai aperto le porte del Paradiso?” chiede greve Andrea.

“Perché devi far sembrare tutto così squallido?”

Un rivolo di salsa piccante gli cola dall’angolo delle labbra arrossate dal peperoncino.

“Perché sono realista. Insomma, non mi chiedi niente?”
”Oh, si! Alice?”

Ingoia l’ultimo boccone di kebab e si lecca le dita.

Che porco.

La personificazione del vizio.

“E’ stracotta.”

“Ed è una cosa bella, no?”

“Certo. Mi sono gettato ai suoi piedi e le ho abbracciato le ginocchia in segno di supplica. È stata clemente.”

“Quindi?”
”Quindi, è stata la volta più bella della mia vita.”

“Andrea cuore di panna.”

“Mavaffanculo.”

Mi spintona la spalla.

“Ahi! Sono una signorina! Insomma, vi siete rimessi insieme?”

“Direi di si. Mai sentito meglio in vita mia.”

“Addirittura!”

“Addirittura. Era da secoli che non mi sentivo così tranquillo. Cioè, ho avuto un’adolescenza piuttosto traumatica, ma ora è finalmente finita.”

“Beh, allora festeggiamo!”
”…gang bang?”

“…ce la fai almeno per dieci minuti di fila a non pensare a scopare?”

“Se dico di no cosa vinco?”

 

 

 

 

 

 

Il film che Rigo e Andrea fanno finta di seguire al cinema è Brothers, una roba tristissima e allucinante con Tobey Maguire e Jake Gyllenhaal.


Vi invito a leggere Sinestesia, una drabble (100 parole ESATTE, incredibile) che è venuta fuori durante una lezione su Petronio (ho i testimoni).

Scusate, questo aggiornamento fa pena. Spero di tornare al più presto a scrivere qualcosa di buono (ah, se gli spoiler potessero parlare!)


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Capitolo 24
*** Ten-Diciotto. ***


Signore, voi mi viziate. Davvero.


@elii: Cherubini, se ha pensato a lei in quel modo, poi ha subito cambiato idea. Punto uno, perchè EFP non permette di pubblicare storie di questo tipo ( :D ). Punto due, perchè da bravo adulto responsabile sa che non sarebbe giusto nei suoi confronti.

@Vera Lynn: l'adolescenza, o la giovinezza, è un periodo di merda. Sempre pensato, sempre lo penserò. E il prossimo che mi dice "sono gli anni più belli della tua vita" riceverà un pugno in faccia."

@MyMuse: scusa, ho seri problemi a trovare spazi per Mr.Darcy nelle mie storie xD

@gnuoba: su Muccino inveisci pure. Me lo merito. Per quanto riguarda i cantautori italiani, non ne so molto. Oltre al fatto che ho ben presto memorizzato che la vita non è comoda per nessuno quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo, e che devi rischiare la notte il vino e la malinconia, la solitudine e le valigie di un amore che vola via. Nomen omen, sempre pensato io.

@Kimaira Malfoy: grazie :D

@KissOfDeath: ti accontento ora? ; )

 

 

Change your taste in...?

 

 

 

7.

Rigo si scioglie nell’orgasmo ed io con lui.

Ha un letto microscopico, così restiamo praticamente appiccicati.

Il suo corpo sudato emana un odore forte, fortissimo, straziante.

I capelli sconvolti gli ricadono sul volto.

Sembra un giovane leone finita la battaglia.

Prendo una ciocca scomposta e inizio ad intrecciarla.

“Ma ti piacciono tanto i miei capelli?”

“Si” rispondo, secca.

Mi bacia teneramente sulle labbra, ad occhi chiusi.

“E se ti dicessi una cosa?”
”Cosa?”

“Che ti amo? Che diresti?”

Ah. Oddio.

Il tempo mi precipita addosso.

Non so quanti giorni, settimane, mesi sono passati da quando ci conosciamo.

Forse non abbastanza.

O forse si.

Lo guardo, cieca e smarrita.

Sorride.

“Tranquilla, so apprezzare i silenzi per quel che valgono.”

 

8.

Il mio diario si sente abbandonato.

Non so scriverci altro che gonfi cuoricini rossi.

Perfino mamma s’è accorta che ho qualcosa di diverso rispetto al solito.

“Che fai per San Valentino, Andrea?”

Oddio, non lo so.

Ho perfino un fidanzato, quest’anno.

Proprio non lo so, cosa si faccia, a San Valentino, quando si è fidanzati.

Mai successo prima d’ora.

“Boh, forse esco con Lucia.”

“E il ragazzo coi capelli rossi?”

“Dici Rigo? Quello appena trasferito?”
”Proprio lui.”

Bingo. Colpita e affondata. Ma come fa a sapere di lui?

“Non so. Beh, si, forse esce anche lui.”

Alberto sta tagliando la carne in rettangoli, poi in quadratini, poi li dispone in fila e ne mangia uno per volta, saltandone sempre uno.

Il telefono di mamma squilla e lei si alza per andare a rispondere in un’altra stanza.

Però non riesce a moderare il tono, e si riesce a distinguere qualche parola.

Tipo alla sua età, ha bisogno di te, vi ho giudicati male, è colpa mia.

Intanto Alberto ha ordinatamente svuotato il suo piatto e si appresta a sparecchiare la tavola.

“Io e mamma non abbiamo finito”.

“Allora vado in camera.”

Lascia tutto nel lavandino ed esce dalla cucina.

Mamma torna e finisce di mangiare.

“Chi era?”

“Cose che non ti riguardano.”
”Quali cose?”
”Quelle che non ti riguardano”.

Mi alzo e vado via.

“Esco, vado a studiare in biblioteca. Torno per cena.”
Stare nella sua stessa casa è diventato impossibile.

Ogni occasione è buona per sfogare la sua frustrazione su di me.

Come se dipendesse da me, in ogni caso.

Mentre sono in strada con lo zaino in spalla mando un sms a Rigo.

In aspetto in biblio. Ho bisogno di te.

Uno squillo è tutto ciò che ottengo di risposta.

 

9.

Mi soffia nell’orecchio.

“Basta! Mi dai fastidio!”

“Quanto sei permalosa. Era solo per giocare.”

Abbassa lo sguardo.

“Quindi tua madre non sa nulla.”

“Assolutamente NO. Non deve saperlo. Rovinerebbe tutto.”
”E come?”

“Semplicemente sapendolo. Fidati, ne è in grado.”

“E’ davvero così terribile?”

“Non sai quanto.”

Mi prende una mano.

“Senti, sticazzi di tua madre. È con te che sto, mica con lei.”

Lo adoro quando dice così- è come se avessi lo stomaco pieno di farfalline svolazzanti allegramente di qua e di là.

“Che facciamo per San Valentino?”
”Non lo so, mia adorata. Che vuoi fare?” mi sorride come uno che ha in mente qualcosa.

“Quel che vuoi fare tu.”
”Ottimo. Allora tieniti una scusa pronta per tua madre.”
”Perché?”
”Lo vedrai. Comunque, non è previsto il rientro prima del mattino.”

“TU SEI PAZZO!” mezza biblioteca si volta verso di me.

“Tu sei pazzo! Vuoi farmi cacciare via di casa?”
”Dille che vai a dormire da Lucia. Ti prego, il giorno dopo non c’è neanche scuola…”
”Non lo so, Rigo, non so che dire…”

“Tu tenta, ok? Al resto, ci penso io.”

 

10.

Il motore della sua automobile ronza lungo la strada bianca.

“Rigo, non è che mi stai rapendo, eh? Non so, mi vuoi usare come vittima per qualche messa nera…”
”Che ti importa? Tanto ormai non sapresti tornare indietro comunque.”
Parcheggia la Panda sotto agli alberi, prende un borsone e mi conduce per mano lungo un sentierino.

Davanti a noi si apre una piccola insenatura rocciosa, con un mare più blu del blu.

“Cos’è questo posto?”
”Mi portava sempre mio padre quand’ero bambino. Non lo conosce praticamente nessuno. Ci divertivamo a lanciare sassolini ai gabbiani.”

È la prima volta che fa cenno alla sua famiglia.

Per quel che ne so, è stato cresciuto dai lupi.

Si ritrova a vivere dalla zia per puro caso fortuito.

Posa il borsone a terra e si siede sulla spiaggia.

Mi fa sedere accanto a lui.

“Rigo, è bellissimo.”
”Buon San Valentino.”
Inizia a baciarmi il collo, il mento, gli occhi.

Con le mani mi prende i fianchi, si insinua sotto al piumino, alla felpa, a tutto.

Maledette mani. Non le sa proprio tener ferme.

Mi squilla il telefono.

Lucia: calma piatta. Sto al pub, ho conosciuto uno. Poi ti racconto.

Domattina Rigo mi porta direttamente da Lucia, così mamma non sospetta nulla.

Quando si dice i piani geniali.

“Scusa ma…cosa mangiamo per cena?”

Rigo apre il borsone e tira fuori un paio di bottiglie di vino bianco, una di spumante, formaggio, panini di segale al prosciutto, olive, patatine fritte, noccioline, bicchieri piatti posate di plastica.

“Scusa, come cuoco sono negato.”

“Sei un tesoro.”

Ci riempiano la pancia di cibo e di vino e brindiamo a noi due.

Intanto scende la notte più buia, e il cielo si riempie di stelle.

Centinaia di puntini dorati ci guardano mentre, completamente ubriachi, iniziamo a spogliarci l’un l’altra.

Anche la sua pelle sa di vino- o forse è la mia bocca, non lo so.

Ha le lentiggini sulla pancia, e con la luce fioca della Luna sembrano anch’esse piccole stelline.

Balbetta qualcosa, ma non lo capisco, perché ha la lingua impastata.

Ma le sue mani non rallentano, non demordono.

Le sue mani mi divorano viva.

Centimetro per centimetro.

In qualche modo facciamo l’amore, mezzi vestiti, mezzi nudi. Coi calzini.

Mentre mi viene dentro mi aggrappo alle sue spalle e gli rantolo nelle orecchie un “Ti amo” soffocato.

Un gorgoglio gutturale è tutto quel che ottengo come risposta.

 

11.

Quando mamma viene a prendermi da Lucia ho la faccia masticata e risputata da un lama bulimico.

“Allora, che avete fatto di bello?”

“Brindato all’essere zitelle al pub.”

“Sai che roba.”

“Tu mamma che hai fatto?”
”Non ti riguarda.”

All’improvviso mi rendo conto che anche lei ha una sua vita privata.

Ma ricaccio immediatamente giù nella pancia quel pensiero inutile.

Ho le scarpe piene di sassolini.

Dio sa quel che è successo ieri sera. Io non me lo ricordo di sicuro.

Sento di avere la testa piena di moscerini.

Mela marcia che non sono altro.

Arrivate a casa mi chiudo in bagno e mi immergo nella vasca ricolma d’acqua calda e schiuma alla mela verde.

Dov’è che sarà andata mamma ieri sera? Non ha mai parlato di nessuno in particolare.

In realtà, non è che abbia mai parlato di qualcuno.

Arturo è stato una specie di miracolo.

Fermi tutti.

Il mio cervello ricomincia lentamente ad ingranare.

Arturo.

Da quando sto con Rigo non ci frequentiamo più.

Inoltre, è l’unico, oltre a Lucia, a sapere di noi due.

È l’unico che avrebbe potuto dirlo a mamma.

Arturo.

Mia madre frequenta di nuovo Arturo.

 

Andrea.

1.

SMS di San Valentino: Cerco su di me la tua pelle che non c’è.

Ti entravo, in fondo, dentro, lo sai, soltanto per capire chi sei.

Cristo, ho davvero bisogno di trovare rifugio nelle sue morbide pareti calde.

Ma questo è il meglio che posso fare.

Le “calde pareti” sarebbe la tua ragazza?”

Annuisco.

Sono il cliente preferito del mio psicologo.

Carve your name into my arm. Una A rossa campeggia sul mio polso pallido- rosso sangue, la lettera scarlatta, la lettera del peccato. Il freddo  mi rovina la pelle e mi ferisco ogni volta che strofino le mani.

Non si può giocare con il cuore della gente se non sei un professionista.

Tu lo sei?”

“Secondo lei?”
”In effetti. E come ci riesci?”
”E’ facile. Basta fingere.”

“Ah, ecco: meraviglioso come a volte ciò che sembra non è.

Sei bravo a fingere?”
”Secondo lei?”

 

Andrea.

1.

“Santi, se ci sei batti un colpo.”
Con la testa sul banco sollevata dal gomito sbatto il pugno sul quaderno semi aperto.

Mi sento da far schifo.

“Vespucci, mi controlli se respira ancora, là sotto?”
”Si direbbe di sì, ma non vorrei darle notizie false e tendenziose.”

Cherubini si allontana dalla lavagna e si accuccia davanti al mio banco.

“Andrea, cos’hai?”
”Mgh…”

“Vuoi uscire a prenderti un tè?”
”Gh…grazie…”

Mi alzo tremolante ed esco in corridoio.

Davanti ai distributori automatici c’è una stronza con un disgustoso profumo dolciastro che parla al telefono.

Faccio appena in tempo ad arrivare in bagno per vomitare anche l’anima.

 


Sono monotona, solo Placebo e Afterhours.


 

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Capitolo 25
*** Eleven-Diciannove. ***


Scusate, vado di fretta.

Anche se noto con piacere che aumetate di volta in volta.

Grazie mille, davvero.


"Ma tu non impari mai dai tuoi errori?"
"Non solo non imparo, ma PERSEVERO!"

 

 


2.

“Rigo, c’è un problema.”

Lo chiamo d’urgenza a casa mia.

Non ho la forza fisica e spirituale di uscire.

“Dimmi” mi dice, guardandomi negli occhi.

“Un enorme problema.”

“Dimmi, sto aspettando.”
”Anche io. Un bambino. O una bambina, non lo so.”

Rigo spalanca i suoi occhi azzurri.

“…eh?”

“Sono incinta, Rigo. Anche se non ne ho la certezza assoluta- e comunque basta andare in consultorio e…”

“Sei incinta.”
”Già.”

“Cosa vuoi fare?”

Bella domanda.

Non pensavo potesse accadere- voglio dire, non pensavo potesse accadere a me.

In ogni caso, fino ad ora, ero convinta di essere abbastanza risoluta a riguardo.

Appena diciotto anni, non so badare neppure a me stessa, come posso crescere un bambino?

Quindi, ecco, per me la soluzione era interrompere la gravidanza.

Ma quando lo pensavo non ero incinta.

“Non lo so. Non lo so. Non sono in grado di sopportare una cosa del genere da sola.”

“Perché da sola?”

“Beh…”

“Credi davvero che ti lascerei SOLA? La responsabilità è anche mia, o no?”
”Beh, si ma…”

“Andrea, stammi a sentire bene. Qualsiasi cosa deciderai di fare- perché, inevitabilmente, spetta a te decidere- sai che sarò qui con te. Ti aiuterò qualsiasi sarà la tua scelta.”

Inizio a piangere sulla sua spalla.

“Hai fatto il test che vendono in farmacia?”
”Si. Due volte.”
”Allora facciamo così. Telefona a …non lo so, chi si chiama in questi casi? Il ginecologo?”

“Cre…credo di si.”

“Bene. Gli telefoni e prenoti la visita. Vediamo cosa ci dice lui, va bene?”

“S…si.”

“Tranquillizzati ora. Sono con te.”

Mi accarezza dietro il collo.

“Tua madre lo sa?”

“No. Glielo devo dire stasera.”

“Se vuoi resto a cena. Non voglio che tu la affronti da sola. Sono responsabile anche io.”

“No, no. È meglio se non sei presente. Per quel che ne so potrebbe anche tagliarti la testa di netto.”
”Come preferisci.”

 

3.

La cena è stata un disastro.

Mamma ha iniziato ad urlare e a lanciare piatti.

Alberto, interdetto, ha finito di corsa di mangiare e si è rifugiato in camera tra le sue idee.

Le lacrime mi rotolano calde sulle guance e mi stringo al peluche che avevo da bambina.

Chissà se a mio figlio piacerà.

Se lo avrò, un figlio.

Qualcuno bussa alla porta.

“Chi…chi è?”

“Madre, futura nonna.”
”Entra.”

Mamma entra. Sembra aver seppellito l’ascia di guerra.

Almeno per ora.

Si siede accanto a me sul letto.

Le faccio spazio.

“Scusami. Ho avuto una reazione esagerata- solo che mi hai spiazzata, io…io non me lo sarei mai aspettato, ecco.”

“Neanche io, mamma. Qualcosa è andato storto.”
”E’ colpa del ragazzo con i capelli rossi, vero?”

“Non è colpa di nessuno. E’ successo.”

“Lui che vuole fare?”
”Quel che voglio io.”
”Scarica barile, bella roba.”

“No, niente affatto. Ha detto che asseconderà ogni mia scelta.”

“E tu ti fidi?”

“Ciecamente. Domani andiamo dal ginecologo. Insieme.”

“Vengo anche io. Voglio conoscere l’essere che ti ha messa in questo guaio.”

“Mamma, smettila. Non è colpa sua.”

“Ah no? È stato lo Spirito Santo? Credevo fossi abbastanza adulta da sapere come si usa, un maledetto preservativo.”

È la prima volta che sento mamma parlare di qualcosa di vagamente sessuale.

“Infatti. Ma non li fanno mica di acciaio.”

“Accidenti, non è un diciottenne, è Iron Man!”

“Mamma, ti prego, tutto questo è estremamente imbarazzante.”

“Si, vabbè. Ma domani vengo anche io.”

“Come ti pare.”

 

4.

Il gel per le ecografie è gelido.

Mamma continua a squadrare Rigo dall’alto in basso, come se potesse stagliuzzarlo con lo sguardo.

Rigo è in evidente difficoltà.

Il dottore sembra simpatizzare per lui.

“Beh, guardate, non c’è molto che possa dirvi…dalle dimensioni direi un paio di mesi-“

Merda, San Valentino!

“-e mi sembra in buone condizioni. In ogni caso, facciamo le analisi.”

Bene.

Esiste.

Il…coso, la creaturina, esiste. Un affaretto microscopico.

C’è.

Non ci posso credere, che mi nuoti liberamente nella pancia.

Rigo è stravolto, ha la faccia bianchissima e la mano che tiene stretta la mia gelida come non mai.

Quando usciamo dallo studio mamma si piazza davanti a noi.

“Amerigo, vorrei parlare con la tua famiglia di questa storia. Insomma, credo riguardi anche noi.”

Rigo abbassa lo sguardo.

“Mi scusi, ma non è possibile.”

“E perché mai?”
”Sono io, la mia famiglia.”

“Che vuol dire che sei la tua famiglia? Dove vivi?”
”Per ora da mia zia. Ma è solo fino alla fine del liceo. Dopo dovrò trovarmi un posto dove stare e un lavoretto- non sembra molto intenzionata a sopportarmi ancora a lungo.”

“Ah. Quindi non ti interessa proseguire gli studi?”
”L’interessante e l’utile sono due cose diverse. E comunque voglio far parte della vita del mio futuro figlio- andando all’università sarebbe quasi impossibile. ”

“Accidenti, che ragazzo altruista. Ti hanno cresciuto proprio bene, eh?”
”Mamma, smettila, ti prego.”
”No, Andrea, non ti preoccupare. Ha le sue buone ragioni, non la biasimo. Chiunque reagirebbe allo stesso modo con la persona che ha rovinato la vita della propria figlia-“
”Tu non mi hai rovinato la vita!”

“-Andrea, davvero, non mi offendo.”

“Amerigo, dove sono i tuoi genitori?” si insinua nuovamente mamma.

“Vuole davvero saperlo?”
”Beh, si, direi di si.”

Rigo prende fiato per farsi coraggio.

A dire il vero, non lo so neanche io dove siano.

Non l’ho mai costretto a raccontarmi del suo passato contro la sua volontà.

“Allora…mia madre è morta quando ero piccolo- di lei non ricordo quasi nulla, tranne che mi faceva sempre i biscotti alle nocciole. Mio padre è caduto il depressione- ha provato alcune volte ad impiccarsi e una c’è quasi riuscito, adesso è in cura e io sono stato affidato a mia zia, quando ero ancora minorenne. Finito il liceo, finiti gli obblighi nei miei confronti. Libero come un uccellino durante la stagione di caccia.” dice, tutto d'un fiato.

Mamma lo guarda sconvolta.

Non sa più come…

“Amerigo, ti prego, perdonami, io non…”

“No, davvero. Non si preoccupi. È…normale che si preoccupi per sua figlia. Ma voglio che sappia che me ne preoccupo anche io, a modo mio. Per quel che posso.”

“Ti va di venire a cena da noi?”

“Mi farebbe immensamente piacere.”

 

Andrea.

 

1.

Sono in bagno cercando di sfuggire all’ora di inglese.

Quella maledetta donna non sa apprezzare il mio humor.

Mentre guardo i piccioni azzuffarsi fuori dalla finestra, entra un tipo.

Piccoletto, magrolino, capelli neri a caschetto - tinti, ci giurerei- sguardo sommesso, occhi chiari, mani in tasca.

Il pollice che fa capolino di fuori è smaltato di nero.

Sulla gamba dei jeans c’è disegnata una rosa nera spinata.

Cristo, Violator.

Bel tipo.

Davvero bel tipo.

“Ehi, tu.”
”…dici a me?”
”Vedi nessun altro qui? Vieni qui.”

“…scusa?”

Vieni qui t’ho detto, ragazzino.”
”Non sono un ragazzino. Sono all’ultimo anno.”

“Ottimo.” Gli indico il primo bagno alla mia destra.

“Entra.”

“Scusa, ma chi saresti tu?”
”Fidati, non ti interessa. Come ti chiami?”
”B...Brian.”

“Perché?”
”…perché cosa?”

“Perché ti chiami Brian? È un nome da telenovela americana.”
”No, no, a mio padre piacevano i Queen e…”
”Sei frocio?”

“Eh?”
”Cristo, ma sei sicuro di sentirci bene? T’ho detto, sei frocio?”

“N…no.”
”Ottimo. Allora entra.”

“Ma…”
ENTRA.”

Checca Brian entra nel bagnetto ed io con lui.

Chiudo la porta alle nostre spalle.

Sono un genio.

Sono un fottutissimo genio.

 

2.

Ho le dita rattrappite dal freddo. Non riesco a scrivere neppure. Mi domando, se l’entropia è un progressivo avanzamento verso il caos, com’è possibile che sia regolato da formule? Come può il caos seguire delle leggi? La fisica, in tutte le sue forme, rimarrà per sempre inspiegabile, per me.

Andrea è incinta e la pancia si intuisce appena sotto le camice a quadri di flanella.

Ha un volto così dolce e morbido, non sembra neppure lei.

Ha avuto una botta di culo ad avere trovato Rigo, invece di un altro stronzo qualsiasi.

Ha le voglie più strane. Ieri ha voluto a tutti i costi una crêpe con Nutella, fragole e banane- una roba aberrante- e dopo due morsi l’ha mollata a me perché le faceva- giustamente- schifo.

Bah. Donne.

In compenso, sono diventato un abilissimo equilibrista. E giocoliere, anche.

 

A cosa ti riferisci con l’ultima frase?”

“Vuole davvero saperlo e rovinarsi la sorpresa?”
”In realtà no, mi servono i soldi di tua madre.”
”Immaginavo.”

 

 

 

 

 

@MyMuse: più Darcy di così mi viene la nausea, ti giuro. xD

@Morgain28: ...ma quanto sei falsa xD

@gnuoba: sai, sono la donna dalle mille sorprese. E, ovviamente è colpa mia. E' sempre colpa mia- faccio Malaussène di cognome, io.

@elii: ti prego le tue recensioni chilometriche mi mettono in difficoltàààà T.T Eh si, i personaggi sono tutti dei fighi- la cosa bella dei racconti è che puoi far sempre ritornar tutto per il verso giusto.

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Capitolo 26
*** Twelve. ***


Signore, signori, e tutto quel che c'è in mezzo, vi ringrazio per l'affetto, se così si può dire, che nutrite nei miei confronti.

Il seguito in costante aumento mi fa ben credere che questa storia sia davvero meritevole d'attenzione.

 

 

And I know that we've still got time, but I do not think we're invincible.

 

 

Andrea.

 

1.

Alberto ha apostrofato la notizia della gravidanza con un “ è biologicamente impossibile che Madre Natura abbia permesso a te di procreare un essere con i tuoi stessi geni. È un abominio.”

Nel giro di un mese Rigo s’è stabilito a vivere da noi.

Il divano letto è il suo nuovo giaciglio.

Il salotto la sua nuova camera.

La sua roba è posizionata ordinatamente per la stanza: i libri, i vestiti, l’Ibanez bianca.

In fondo, non ha molto altro.

Oltre a me.

E al bambino- o bambina, ancora non lo sappiamo.

Si, alla fine lo teniamo.

L’abbiamo sempre saputo, che l’avremmo tenuto.

Secondo il dottore nascerà per la metà di novembre. C’è ancora tempo per organizzarci.

Ho un po’ di nausea, ma il fisico regge abbastanza bene.

In fondo sono giovane, conduco una vita sana. Posso riuscirci senza un’eccessiva fatica.

Anche se ho un mal di gambe perenne.

Alberto ha un timore quasi reverenziale nei miei confronti.

Ha perfino paura di toccarmi.

Esamina ogni mio atteggiamento alla luce della gravidanza e lo interpreta come una stranezza da puerpera.

Mamma invece è cambiata radicalmente.

Ora che è quasi nonna si comporta come avrebbe dovuto con me da bambina.

Mi coccola, mi vizia.

È bello così.

Ma quel che ha sentito di più la botta è stato Arturo.

Era stravolto.

L’eterna bambina che- puff! Donna.

Non sa ancora come comportarsi con me- per di più che, si, insomma, è tornato a frequentarsi con mia madre e tutto.

A scuola un sacco di gente mi indica per i corridoi e mi parla alle spalle, ma non mi interessa.

Ringo mi stringe a lui e non mi importa proprio di un bel nulla.

Se prima era un amore adolescenziale, ora è un legame di sangue.

Inscindibile.

Forse non dureremo a lungo- voglio essere realista, insomma, niente di buono è mai per sempre- ma so per certo che non potremo mai più essere completamente separati.

Stiamo sul divano a guardare un film, ora.

Guardiamo sempre un sacco di film, io Rigo e il girino.

Anche se mi sono accorta che i miei gusti sono un pochino cambiati- mi risulta un po’ più difficile sopportare le scene con tanto sangue, dopo un po’ devo correre in bagno- così sono stati banditi i vari Tarantino e co.

Così ora guardiamo un sacco di cinema impegnato.

Stiamo facendo fare una cultura al girino.

Mi sdraio posando la testa sulle gambe di Rigo.

Con una mano mi accarezza i capelli e con l’altra la pancia- sono buffissima, sembra quasi che abbia mangiato un Super Tele mezzo sgonfio.

“Che succede là dentro?”
”Si dorme, direi. E forse dovremmo seguire anche noi il suo esempio. Domani c’è il compito di storia.”
”Ah, già.”

“Rigo, abbiamo studiato insieme. Prova a consegnare il foglio il bianco e renderò me stessa vedova e tuo figlio orfano.”

“Cara la mia Andromaca, sai cosa ne penso a riguardo.”

“Penso che se esci con sessanta agli esami non ti prendono neanche per fare il centralinista.”

“Posso sempre fare la marchetta.”

“Hai le gambe troppo pelose, avresti pochi clienti.”

“…pensa alle tue!”

“Come OSI dire una cosa del genere ad una MAMMA?”
Mamma.

Io sono una mamma.

Cristo santo.

 

2.

Le giornate iniziano ad allungarsi e a farsi più tiepide.

La pancia cresce, e l’esserino che la abita ha finalmente un’identità sessuale.

“Quindi come la chiamerete?”

Andrea e i suoi occhi neri mi sorridono, cercando di intuire i miei pensieri.

“Non lo so. Pensavamo a Gloria…”

“Dio, NO. Gloria Santi sarebbe davvero ridondante. Anna? Che ne pensi di Anna?”

“Anna…”

Oh no.

Assolutamente NO.

“Anna è il nome delle mamma di Rigo. Era, il nome della mamma di Rigo.”

“Ah, capisco. Allora niente.”

“Elisabetta? Che ne dici di Elisabetta?”

“Troppo lungo, verrebbe su una teppista.”

Sembra pensarci un attimo.

Si porta una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio.

“…però è bello. Potreste sempre chiamarla Betty, poi.”
”Lizzie.”

“Betty.”

Lizzie.”

“…come ti pare. Deciderà lei, poi.”

Si rigira tra le dita l’accendino.

E basta.

“Ma hai smesso di fumare?”

“Più o meno. Sto cercando di rallentare. Ad Alice dà fastidio il sapore della nicotina in bocca, sai.”

“Accidenti, per far smettere TE di fumare dev’essere proprio roba seria.”

“Già. Beh, io quando decido di fare qualcosa mi ci metto di impegno. Non voglio deludere ancora le persone che amo. So che non sembra, ma sono convinto che ci si debba dedicare ad una sola cosa alla volta, ma anima e corpo- un po’ come fanno i pinguini.”

“Mi fai quasi commuovere, quando dici così”

“Non sono io, è l’esorbitante quantità di ormoni che hai in circolo. Come sta il futuro paparino?”

“Non se la passa male- insomma, lui non si sta gonfiando come una mongolfiera. Ma è sempre molto carino e tutto- voglio dire, fa tutto quel che può per me.”

“Inizia già a perdere i capelli?”

“Sei invidioso per caso?”
”Affatto, mi piacciono i miei capelli. E a lui non starebbero affatto bene.”

Gli vibra il telefono nella tasca.

“Insomma? Com’è andata?”

Una vocina squillante si agita dall’altra parte del cellulare.

“Grande! Allora mi passi a prendere! Sto davanti al parco con Andrea.”

“Salutamela”
”Ti saluta.”

Secondo di silenzio.

“Ti risaluta. Venti minuti? Ti aspetto qui. A dopo bambola.”

Chiude la chiamata e ripone il telefono in tasca.

“Alice ha appena passato l’esame di pratica- sta venendo a prendermi. Serve un passaggio?”

“No, grazie. Torno a scuola che mi porta Arturo.”

“Giusto! Da amante a nonno in un batter d’occhio. Ha fatto un gran salto di qualità!”

“Per favore… è già abbastanza confuso di suo. E non ti dico in casa- ogni volta che si incrociano con Rigo scintillano saette.”

“Immagino. Il professor Stranamore non è mai arrivato in terza base, Rigo c’ha pure piantato le tende…”

“Ma ti diverti tanto a fare tutte queste metafore idiote?”

“Non immagini quanto.”

 

3.

Un pazzo.

Mi sono innamorata di un pazzo.

E siccome uno non basta, ci si mette anche Arturo.

Incrociare le spade, come direbbe Andrea.

Ma hanno deciso di usare gli strumenti che più si adattano a loro.

La sfida vede momentaneamente in vantaggio Arturo- ma solo perché è più esperto.

Io siedo sul divano in piena contemplazione.

Davanti a me, un culo secco e un altro…beh, non secco.

Sul televisore scorre la combinazione dei tasti del ritornello di Rock All Along The Watchtower.

Rigo ha le dita più veloci ma sotto pressione rende di meno.

Solo due scemi potevano sfidarsi a Guitar Hero.

Per vedere chi è più tosto.

“Ehi, Vespucci, ti vedo in difficoltà.”

“Zitto, prof, non mi distragga.”

Arturo fa un 98%.

Impressionante.

“Pivello, mi sa che ti ho battuto.”

“Ancora.”

“Ti piace prenderle, eh?”
”Mi piace anche darle, soprattutto.”

Mi sdraio su di un fianco.

Elisabetta si muove contrariata.

Next song, You Give Love a Bad Name.

Incredibile, Arturo è un fulmine. Viaggia su quei pochi tasti colorati come se da quello dipendesse chissà cosa.

Betty- dico, Lizzie- scalcia.

Mi sfugge un gemito.

Rigo butta a terra la chitarra.

“Cos’hai? Cos’è?”
Anche Arturo si ferma e si volta verso di me.

“No, niente…è che si muove, le piace…”

Rigo si inginocchia accanto a me.

Posa il palmo e l’orecchia sulla pancia. Elisabetta inizia a muoversi ancora di più.

È buffo, siamo tre cuori che battono insieme.

Arturo ci guarda intenerito, ancora con la chitarra in mano.

“Scusate, mi sento di invadere la vostra intimità.”

Rigo lo zittisce con un gesto della mano.

“Non sento se parla” sussurra.

Arturo si sfila la chitarra dalla testa e va in cucina.

“Preparo il tè, eh.”

Accarezzo i capelli di Rigo.

“Ce la faremo a restare sempre così?”

“Non ti posso promettere quello che non so, Andrea. Non posso sapere come andrà. Magari a novant’anni staremo ancora qui a farci le treccine e a guardare film- o magari appena nasce Betty-“

Lizzie.”

“-come ti pare, appena nasci inizi ad odiarmi e mi cacci di casa. Come facciamo a saperlo? Il futuro non è scritto. Guarda dove siamo ora. Te lo saresti mai immaginato?”

“No, hai ragione, scusami.”

“Non ti preoccupare, si chiama spirito di conservazione. Ti preoccupi per il tuo cucciolo, tutto qui.”

Si avvicina e mi dà un bacio.

“Non hai idea di quanto tu sia figa con il pancione.”

“Immagino.”

Arriva Arturo con le tazze in mano.

“Earl Grey va bene per tutti, no?”

 

4.

“Ti piace?”

Rigo abbozza una scritta sulla copertina del mio quaderno.

Una striscia con su scritto THE FUTURE IS UNWRITTEN e un quadrifoglio.

“Si, mi piace, ma con quali soldi conti di farlo?”
”Il tatuatore è un mio amico. E mi deve un grosso favore. Che dici, sul polso?”

“Scusate, piccioncini” ci interrompe la bastarda di fisica “ capisco che dobbiate preparare il nido, ma questo non mi sembra il momento più adatto- anzi “ si avvicina “ facciamo così. Vespucci, ultimo banco, al posto di Rossi. Rossi, hai vinto una vacanza premio accanto alla Mamma dell’Anno.”

Oh no.

Rossi no.

Nessun flagello è peggiore di Rossi.

Rossi la piaga.

Rossi la piattola.

Rossi la puzzola.

Mi si siede accanto e mi sorride coi suoi denti muffiti.

Mi dà una pacca sulla spalla- “ciao, bella pancia!”- e una ventata di pesce marcio mi arriva dritta in faccia.

La sua puzza sedimentata è quasi insopportabile.

Finirò per vomitare anche gli occhi, prima della fine delle lezioni.

Qualcuno bussa alla porta.

Cherubini entra trafelato e un tantino scomposto.

“Scusate…Santi, Andrea…scusi…esci, è urgente.”
Mi guardo intorno spaventata.

La Stronza mi intima di uscire con “il mio professore preferito”.

Mi alzo cercando di mantenere la calma.

Arturo mi tiene la porta aperta mentre esco.

Poi la chiude alle mie spalle.

 

 



In questi giorni scrivo a getto continuo e in maniera del tutto asistematica e "pindarica", se si capisce quel che intendo.

@Morgain28: quella bastarda di inglese...lasciamo stare. Sei una falsocchia ;P

@senseless: onoratissima, invero. Davvero onoratissima.

@VeraLynn: grazie cara, t'amo anch'io :D E per quanto riguarda la sceneggiatura, io stessa mi figuro la storia un po' come un film, quindi vedi te, insomma.

@MyMuse: coda di paglia A PALLAAAAAA. Criptico is the way ù.ù

@gnuoba: sappi che Brian ci riserverà delle MERAVIGLIOSE sorprese. Non dico altro.

@elii: ma io apprezzo le tue recensioni, e che non mi sento all'altezza di cotanta mole di digitazioni :D Andrea 1 è misterioso, si sa...ma alla fine, vedrai, tutti i nodi verranno al pettine.

@Kara_Sho: ciao nuova fan! Le citazioni ci sono, ma non si vedono. Sto cercando di tendere alla discrezione ù.ù

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Capitolo 27
*** Thirteen-Venti. ***


Signori, signore, grazie davvero.

Believe it or not, siamo ormai agli sgoccioli.

La Fine è ormai in arrivo per i Nostri.

Spero di avervi intrattenuti bene, finora.

 

"Basta, mi butto." "Non puoi." "Perchè?" "Regola generale: vietato buttarsi dai palazzi senza smalto nero sulle unghie dei piedi."

 

 

 

5.

“Cos’è successo?” chiedo.

Cerca di prendere un ritmo regolare e sputa fuori “Alberto si è buttato dal tetto della sua scuola.”

Alberto.

Non è possibile- non Alberto.

Non farebbe mai una cosa del genere- lo conosco troppo bene.

Non è da lui.

“L’ambulanza è arrivata immediatamente. È un cumulo di ossa rotte ma respira ancora. È vivo per miracolo.”

Non ci posso credere.

Non ci voglio credere.

Non…non è possibile.

“Aveva…aveva addosso un congegno fatto da lui. Una specie di…macchina leonardiana per volare. E la cosa assurda è che è riuscito a volare, per una decina di metri.”

“Un…un marchingegno?”

“Esatto. Immagina delle ali completamente smontabili- o almeno, è quel che sembrano da quel che ne resta. Fatto sta che quand’è uscito dalla classe la professoressa non s’è neppure accorta che avesse con sé qualcosa di così ingombrante.”

Mentre dice così mi accompagna in segreteria a firmare il permesso d’uscita.

 

6.

Sono passate 36 ore dal fattaccio.

Alberto è sveglio e cosciente, ma si rifiuta di esprimersi in un qualsiasi modo.

Mamma continua ad interrogarlo, ma lui niente.

Una mummia.

Muto e bendato come una mummia.

A sfuggire al bianco, solo due occhietti spenti e un ciuffo scarmigliato.

Mamma ha voluto che fosse portato a tutti i costi a casa- non le piacciono gli ospedali.

Rigo ha deciso molto saggiamente di rimanersene in disparte.

Quel ragazzo ha una propensione quasi innata all’essere un Ponzio Pilato.

Ci ha aiutate a sistemare Alberto nella sua stanza e si è nascosto in un angolo del salotto a “studiare” per “della roba vecchia accumulata”. Oggi e domani niente scuola, né per me né per lui.

Appena mamma esce dalla stanza Alberto cerca di posare lo sguardo su di me e sussurra qualcosa.

Mi avvicino alle sue labbra tumefatte.

“…f…funzionava…”

La macchina.

Quel maledetto…coso per volare.

“No, Alberto, non funzionava. Sei caduto e ti sei spappolato a terra come un uovo fresco. Ci hai quasi lasciato le penne.”

“Ho…ho volato…”

“Tu sei caduto, Alberto” gli accarezzo il ciuffo- Elisabetta scalcia innervosita “ vedi, noi non siamo fatti per volare. L’uomo non è anatomicamente adatto a volare con delle ali. Insomma, ne sai molto di più me, a riguardo. Come…com’è t’è venuto in mente di fare una cosa del genere?”
”…funzionava…il modellino…funzionava…”

Il modellino.

Chissà da quanto tempo ci stava lavorando su.

E noi non ci siamo accorte di nulla.

Un…ragazzino ha progettato delle maledette ali gigantesche per volare e nessuno s’è accorto di nulla.

Come ho potuto trascurarlo così.

Come potrò esser madre se non so neanche accorgermi di quel che fa mio fratello?

“Io…lo so che funzionava il modellino, lo so per certo, perché l’hai fatto tu, e tu non sbagli mai…quasi, mai…e non avresti rischiato la vita se non ne fossi stato certo, ma…a noi è proibito volare.”

“Perché?”
”Perché altrimenti fuggiremmo via dai guai”.

Mamma entra di nuovo e di nuovo cala il silenzio più gelido.

 

7.

A me fanno schifo gli aghi.

A me fanno dannatamente schifo, gli aghi.

Il polso di Rigo è tutto arrossato- tesoro, lui, ha la pelle sensibile e tutto il resto- e il tatuatore sembra sceso da un ring di wrestling.

Begli amici che ti devono favori, bello mio.

“Allora, Andrea, che te ne pare?”

Solleva il braccio gonfio e puntinato di sangue.

Corro fuori dallo studio e vomito in strada il pranzo.

“Si, le piace” dice al tatuatore “fa sempre così quando le piace qualcosa.”

 

8.

Gli esami si avvicinano minacciosi.

E, nell’ordine, ho:

-un culo grosso come quello di una balena.

-un fratello convalescente emule di Icaro e Leonardo da Vinci.

-un fidanzato tatuato e residente in un’iperuranica dimensione parallela.

-una figlia/verme solitario che mi fa mangiare come un suino.

-cinque fisso in fisica.

-una madre/nonna completamente impazzita che trascina il suo povero compagno/professore in giro per il mondo alla ricerca della calzatura perfetta per l’arrivo dell’estate.

-un sonno bestiale.

 

Sono spacciata.

Sono dannatamente spacciata.

 

9.

Se non recupero fisica non verrò ammessa agli esami.

Se non verrò ammessa agli esami, sarà un bel cazzo di problema.

“Ehi, ma ci sei?”

“…eh?”

“…cazzo Andrea, così è davvero imbarazzante.”

“….eh? No, no! Continua! Scusa, mi…stavo…rilassando…sono andata con la testa da un’altra parte.”

“Non mi pare proprio- anzi, si sta divertendo Betty molto più di te.”
Lizzie.”

“Cristo, COME TI PARE! Resta il fatto che per te sono del tutto scomparso.”
”Ma cosa dici?”

“-una figurina sullo sfondo. Che cazzo devo fare per esser preso in considerazione? Almeno FINGI! Abbi pietà di me!”

“Ringo, ma che….?”

Alza la testa dalle mie gambe e si rinchiude in cucina sbattendo la porta.

Mando un sms ad Andrea con l’accaduta.

Risposta: se ai mortali è proibito mangiare l’ambrosia, ci sarà un motivo.

Sono sempre più convinta del fatto che mi circondo delle persone sbagliate.

 

10.

Stanotte ho pianto come una stupida.

Rigo non mi rivolge più parola, appare freddo e scocciato.

Rigira il cucchiaio nella tazza senza guardarmi in faccia.

Torno in camera e prendo la Reflex.

Quando entro di nuovo in cucina alzo lo sguardo interdetto e lo immortalo con i pensieri stampati a vivo negli occhi azzurri.

“Ti pare che io non abbia neanche una tua foto? È indecente.”

Abbassa di nuovo lo sguardo sulla tazza e intuisco un sorriso nascosto sotto ai capelli.

“E’ incredibile come tu riesca a farti voler bene comunque, Andrea.”

 

11.

E’ maggio.

È maggio ed io sto ancora in panne.

Quel maledetto genio, Dio solo sa come diamine abbia fatto, è riuscito a recuperare cinque anni di liceo in un paio di mesi scarsi.

Io, la mia pancia e la mia ignoranza patentata non riusciamo a capacitarcene.

A proposito di Pancia.

Elisabetta cresce sana e forte, forse più di me.

Per fortuna non risente più di tanto del mio stress. Dio solo sa come.

Beh, meglio così.

Sarà sicuramente una donna migliore di me.

“Santi, che vogliamo fare?”
”Eh, che vogliamo fare?”

“Non saprei, non sono io ad avere 5 in fisica e gli esami tra un mese e mezzo.”

Professoressa, sa cosa diceva Oscar Wilde? Niente di veramente importante può essere insegnato. Prego, continui pure.

“…compito di recupero?”

“E compito di recupero sia. Ma sappi che sarà su tutto il programma del secondo quadrimestre- visto che non ci sarò io, in commissione, non voglio farmi ridere dietro.”

“Grazie per la disponibilità” digrigno tra i denti.

“Non c’è di che, Santi, sempre al suo servizio.” risponde la Stronza. “Giovedì in terza ora, prendere o lasciare.”

“Prendo, prendo.”
”Ottimo.”
Ottimo un cazzo.

Sono spacciata.

 

Andrea.

 

1.

“Tadzio, oh Tadzio.

M’è arrivato un pacco con l’intera discografia di Rufus Wainwright.

Per prepararmi agli esami, certo. Anche se mi sento tranquillo- anzi, tranquillissimo. Come se non dovessero capitare a me. Non che sia uno studente affannato, anzi. Diciamo pure che non me ne frega niente. Mi basta finire quest’incubo in fretta. La mia vera vita sarà dopo.

Che progetti hai per il futuro?”
”Ad ora? Iniziare a vivere.”
”Come?”
”Che razza di domanda è? Nel migliore dei modi, chiaro.”

“Niente pessimismo né fatalismo?”
”Né pessimismo né fatalismo. Un po’ di sana ingenuità non guasta, di tanto in tanto.”

 

 

 


@elii: ma povera Alice! Quanto la odi xD Tranquilla, il finale le riserverà delle meravigliose sorprese. Beata te che sei in vacanza!

@KissOfDeath: eheheh, reggi ancora un pochino, sono in arrivo grandiose rivelazioni :D

@gnuoba: supponi, supponi. E' lecito, ancora.

@Kara_Sho: giusto, Brian? Eh eh...chissà...

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Fourteen. ***


Ci stiamo avvicinando alla fine. Il prossimo, sarà l'ultimo aggiornamento- per questo motivo l'odierno è leggermente "ristretto".

Prendetelo come un assaggio dell'happy ending.

Se avete resistito fin qui...diamine, complimenti!

 

Se non provi a spostare l'orizzonte un po' più in là, i sogni non coincideranno mai con la realtà.

 

 

Andrea.

 

1.

Io lo guardo.

Lui mi guarda.

Ci guardiamo.

Maledetta sindrome del foglio bianco, proprio durante il compito di fisica doveva venirmi?

Mi guardo intorno smarrita.

Rigo si risistema gli occhialetti sul naso.

“Santi, cerchi appoggio?”

“Più che altro l’ispirazione divina.”

Torno a guardare il foglio bianco.

Ho studiato, cazzo. Ho studiato.

Per una volta che ho studiato.

Sono andata a ripetizione tutti i maledetti giorni da una settimana a questa parte.

Ho perfino tolto il libro dal cellophane.

Me lo merito un sei, cazzo.

Rileggo il primo esercizio.

Poi il secondo, e il terzo.

Il quarto è una domanda di teoria.

Intanto faccio quella- sono abbastanza sicura della risposta.

Il secondo esercizio è la messa in pratica del quarto- quindi faccio anche quello.

Il primo implica troppe formule che non sono riuscita a mandare a memoria. Ne ho scritta qualcuna su di un foglietto, ma avulse dal contesto non hanno nessunissimo senso.

Mi incaglio dopo il terzo passaggio.

Lo mollo lì.

Il terzo, alla luce del primo, sembra quasi fattibile. Lo svolgo, anche se quel che viene fuori non vuol dire un bel nulla.

Che palle.

Mi viene da vomitare.

Mi viene seriamente da vomitare.

Betta, calma. Per favore, almeno te, mantieni la calma.

Finisce l’ora.

La Stronza mi si avvicina.

“Allora, Andrea?”

Andrea.

È la prima volta che mi chiama per nome.

“Eh, ho fatto quasi tutto…” gli altri sono usciti a fare ricreazione.

“Fammi vedere.”
Prende il foglio.

“Perché il primo l’hai lasciato a metà?”
”Mi sono bloccata.”
”Guarda” posa di nuovo il foglio sul banco e prende la mia penna.

“Il primo passaggio è corretto. Ma qui hai preso il valore sbagliato e allora si scompiglia tutto…”

Rifà l’esercizio sotto al mio.

Con calma, senza acidità di alcuna sorta.

Incredibile. È gentile!

“Il secondo e il quarto vanno bene…a parte questa” sottolinea “ e questo, che non è proprio un errore, quanto un’imprecisione…”

Corregge.

“…il terzo…si, si, mi pare che vada…”

“…quindi?”

“Quindi va bene, il sei in pagella te lo metto- senza problemi. E incrociamo le dita per gli esami…”

Mi viene quasi da piangere per la gioia.

“…però ecco, non ti adagiare troppo sugli allori. Devi lavorarci molto. Se vuoi sono disponibile ad aiutarti a studiare, qualche pomeriggio. Se vuoi.”

No, vi prego.

Ditemi che sta scherzando.

Che è una candid camera.

“La…la ringrazio. Come…come mai è così gentile con me?”
Finisce la ricreazione, gli altri ricominciano ad entrare.

“Non ti emozionare troppo, Santi. Mi fai solo un po’ pena.”

Prende le sue cose ed esce.

Sono salva.

Sono fottutamente salva.

 

2.

10 giugno.

Nell’immaginario collettivo, il giorno più bello dell’anno.

Pantaloncini corti, scarpe di tela e canottiere in attesa dell’ultima campanella.

Io sto per svenire sul banco dal caldo.

Non ce la faccio più.

È troppo caldo per essere incinta, cazzo.

Mi stringe il vestito.

In compenso, ho due tette stratosferiche.

Cherubini fa seriamente fatica, a guardarmi in faccia quando mi interpella.

Neppure lui ha più voglia di fare lezione.

“Sentite…questa sarà probabilmente l’ultima volta che ci vedremo, scolasticamente parlando. Posso dire, in tutta sincerità, che è stato un vero piacere conoscere ciascuno di voi, nessuno escluso, anche se per un breve periodo. Spero di essere in qualche modo corrisposto. Sappiate che ho cercato di fare il meglio che ho potuto, in ogni occasione. Non sarò presente in sede d’esame, perciò…”

Suona l’ultima campanella dell’anno.

“… in bocca al lupo, ragazzi.”

 

3.

L’attesa.

L’attesa è snervante.

Io odio attendere.

Soprattutto, odio attendere studiando come una pazza.

“No, davvero, ormai è inutile, non si può recuperare in una settimana quel che non si è fatto in una vita.”

“Parla per te, Lucia.” risponde Rigo.

“Sai, Vespucci, non sono tutti geni come te. Sii clemente coi noi povere menti inferiori.”

“Ci proverò.”

Abbiamo occupato un’intera saletta della biblioteca con zaini e scartoffie varie.

Ma sono convinta anch’io che il ripasso pre-esame sia del tutto inutile.

Serve solo a far passare il tempo nell’attesa dell’ora X.

L’ora fatale.

Comunque, dicevo, inganniamo l’attesa fingendo di studiare.

È durante l’attesa che si rivela la nostra vera natura.

Andrea: il lupo solitario. È scomparso magicamente- s’è barricato in casa in piena fase di riflessione zen, dice di non volere la sua tranquillità turbata da noialtri.

Rigo sta sfoderando tutte le sue conoscenze pregresse- va a finire che ne sa molto più di noi che abbiamo sempre studiato con costanza.

Beh, più o meno.

Comunque, Andrea la leonessa e il suo cucciolo tengono duro.

Sono pronta, sono carica.

Quel che so deve bastarmi. E, possibilmente, avanzarmi.

“Oh, una ripassata alle tesine?”

Si, certo.

Lucia se n’è uscita con l’originalissima tesina sul Sogno.

Non so perché, ma negli ultimi mesi ci siamo allontanate molto- come se non avessimo più niente da doverci dire.

Boh, cose che capitano.

“Rigo?”
”Il paradosso. Mi sembra abbastanza coerente con la mia personalità.”
Di materiale ne ha trovato per una tesi di laurea, ma è riuscito a stringersi fino ad un discorso di un quarto d’ora circa. Meglio di così non è proprio riuscito a fare.

“Tu Andrea?”

Ridacchiano conoscendo già la risposta.

“Che bastardi siete.”

4.

“Non ce la faccio, mi viene da piangere.”

“Non dire stronzate- ce la fai eccome. Ormai siamo in ballo, balliamo.”

“Non ce la faccio…”

“Andrea, guardami negli occhi.”
Mi brucia con i suoi due carboni ardenti e mi scuote delicatamente per le spalle.

“Senti, Madonna ha un diploma. Ti rendi conto? Se è riuscita a diplomarsi lei, può riuscirci chiunque. E sai benissimo di essere di gran lunga più figa di lei.”

“Non è vero, ma ti ringrazio per averlo detto.”

Mi si avvicina all’orecchio.

“Non solo sei più figa, ma hai anche le tette più grosse.”
”Quello è perché sono incinta, pezzo d’idiota.”

“Ok, questa me la merito.”
”Alice?”

“Sta arrivando- è imbottigliata nel traffico. Ormai si muove solo in automobile.”

“Non potevi venire con lei?”
”Mi piace l’aria frizzantina del mattino.”
”Frizzantina un corno, saranno quaranta gradi.”
”Trentotto, poco cambia. Comunque, preferisco camminare- sai com’è, per sciogliere la tensione.”

Mezz’ora.

Tra mezz’ora inizia la prima prova.

È un incubo.

È una roba terribile. Ma ormai è tardi, per rimandare. Cinque anni di vita si mettono in discussione in una manciata di ore. Mi stanno venendo i crampi allo stomaco.

“Io sto morendo dal caldo, la aspettiamo dentro?”
”Certo, mamacita.”

Entriamo.

 

 


Beh, sapete CHI aspettarvi nell'ultimissima parte.

 


@MyMuse: Rigo, come tutti i capelloni che si rispettino, va a fasi alterne :D Ogni riferimento...

@Vera Lynn: Alberto neanche ci pensava, alla morte. Semplicemente, non l'aveva considerata nei piani.

@Morgain28: quand'è che finirai di farmi gli spoiler nelle recensioni te??? xD

@cammy: bentrovata :D

@ellii: Abbi fiducia in Brian. E Lunga Vita ai Viaggi Mentali :D


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Capitolo 29
*** Ventuno. ***


21 vittoria grande baldoria!

 

Ebbene, siamo giunti al termine.

Il puzzle, finalmente, si ricompone. So di avervi tenute in sospeso a lungo, ma finalmente sarà rivelato il tutto.

Beh, più o meno.

Durante la fase di scrittura (tra una cosa e l'altra, è più di un anno che mi sveno sopra questo racconto) ho pensato più volte di cancellarlo definitivamente. A fasi alterne, ho anche pensato di mandarlo ad una casa editrice al grido di "Se ce l'ha fatta Moccia, posso facerla anch'io".

Sinceramente, non lo so. La marea è bassa ultimamente, e mi sembra una fatica inutile lavorarci ancora.

Spero almeno di avervi fatte divertire.

Grazie a chi ha commentato con costanza, a chi è scomparso e riapparso, a chi ha preso spunto, a chi si è ritrovato in quel che scrivo, a chi mi ha fatto conoscere De Andrè, a chi ha aggiunto la storia tra i seguiti e i preferiti, a chi ha aggiunto ME tra gli scrittori preferiti (che dire, è quasi emozionante).

Grazie.

 

 

 

Andrea.

 

1.

Passeggio per il corridoio in attesa del mio turno.

Aspettare per gli orali è snervante.

Un buon 40% della prestazione te lo giochi per la pressione.

Mi siedo, mi sfilo il libro dalla tasca e mi metto a leggere.

I tascabili hanno la meravigliosa caratteristica di perdere completamente forma dopo pochi minuti.

Ci sono solo io, con un altro paio di tizi per i quali non nutro il benché minimo interesse.

Vi chiederete dove siano gli altri- Andrea e tutto.

Beh, Andrea è a casa, in panciolle. Ha finito ieri con un dignitosissimo 75.

E Alice? E Checca Brian? Ve lo ricordate, Checca Brian?

Ecco, in questo preciso momento è chiuso in bagno con due metri di lingua nella gola di Alice- quel ragazzo ha un’insana passione, per i bagni della scuola.

Si, avete capito bene.

Alice, non Andrea. Alice.

Insomma, alla fine era etero sul serio. Anche se credo avrei potuto benissimo fargli cambiare idea, in qualche modo.

A questo punto, sorge spontaneo: ma te e Alice non stavate insieme?

Certo, certo.

Ma, ricordate? Io sono monogamo come un pinguino.

Amo una sola persona, e la amo per sempre.

Dopo le vacanze sono andato in ginocchio da lei e le ho detto la pura e semplice verità- che è una delle persone più belle che abbia mai conosciuto ma che il mio corpo non riesce proprio ad amarla come vorrebbe e tutte queste storie qui- e le ho chiesto scusa. Non perché avessi davvero torto, sia chiaro. Ma a volte bisogna sottomettere il proprio stupido ego a quello che si ritiene più importante, in quel momento.

Lei ha iniziato a piangere- chi l’avrebbe mai detto.

Poi mi ha tirato un pugno nello stomaco- e me lo sono preso.

Poi me ne ha tirato un altro- e mi sono preso pure quello.

Al terzo pugno l’ho bloccata e l’ho abbracciata.

Insomma, in qualche modo l’ha accettato.

Restava però il fatto che l’avessi lasciata sola- e non potevo permettere che una come lei rimanesse sola, sarebbe come abbandonare un cucciolo nella foresta in preda ai leoni.

Così le ho cercato un altro cucciolo- e l’ho trovato, perfino.

Ecco, la scenetta in bagno era solo per creare un po’ d’atmosfera.

L’ho messo seduto sul coperchio chiuso e gli ho fatto un bel discorso- anche se, spaurito com’era, avrei potuto fargli di tutto.

Non pensate che non ci abbia pensato.

Avrei potuto.

Sempre per quella storia del pinguino.

Comunque, li ho fatti conoscere.

Una scena ai limiti della nausea, ad essere sinceri.

Ho ricomposto l’unità della depressione- dovrei aprire un’agenzia matrimoniale.

Sono disgustosamente perfetti, insieme.

Quindi ora, grazie al mio altruismo, me ne sto a leggere un tascabile spiegazzato in pieno vuoto gnoseologico pre esame.

Mi si avvicina la prof di inglese.

“Andrea, non vorrei disturbare la tua pace interiore, ma è il tuo turno”.

“Eccomi.”

Raccatto la mia roba ed entro.

 

2.

Alice e Brian entrano a metà del colloquio, quando ormai ho già esposto la tesina.

Si siedono rapidamente sulla parete di fondo.

Rispondo a tutti i quesiti, quasi con flemma.

Il presidente di commissione appare quasi sorpreso, per la mia preparazione.

“Le parlerò in tutta franchezza, Ranieri.”

Si, Ranieri sono io.

È un cognome stupido, no?

“I suoi professori mi hanno parlato molto di lei. Perfino il preside, mi ha parlato di lei. Tra queste pareti viene considerato quasi un alieno precipitato dritto dritto da Marte. Credo lei lo sappia, insomma. I suoi scritti sono… impressionanti. Davvero. Il suo spirito critico e la sua capacità di rielaborazione personale sono a dir poco… ammirevoli. La seconda prova è buona, asciutta, con una buona resa in italiano. Ora che ho avuto modo di vederla di persona, di guardare dentro ai suoi occhi mentre parla… beh, il voto verrà deciso insieme, ma sappia che, per quanto mi riguarda, lei è uno degli alunni più brillanti che abbia mai incontrato. Non mandare tutto a puttane- per usare un francesismo, s’intenda.”

“La ringrazio.”

“Non ce n’è bisogno. Non le ho promesso nulla.”

“Mi basta saperlo.”

Mi alzo ed esco dalla stanza.

Brian e Alice mi vengono dietro.

“Sei un grande!” pigola Brian con la sua vocina.

Quanto è effeminato, Cristo santo.

“Confermo, li hai stesi.”

Li ringrazio con un cenno della testa.

Usciamo di fuori.

Meravigliosa giornata estiva.

Una volta finiti gli esami, tutto è meraviglioso.

Anche gli uccellini che cinguettano e gli alberi in fiore.

Chissenefrega. Viva la banalità. Oggi sono felice.

Mi abbracciano, mi salutano per l’ultima volta e si incamminano per la loro strada.

Alice lo saluta da lontano con un cenno della mano; Brian non lo conosce- anche se è già stato vagliato ai raggi X e catalogato come “checca inoffensiva”.

Percorro il vialetto e gli vado incontro.

Tiro fuori dalla tasca il pacchetto e mi accendo una sigaretta.

Non ci avrete creduto sul serio, che avessi smesso.

Piuttosto mi raso a zero- ho solo rispetto delle donzelle incinte.

“Allora, com’è andata?”

“Il presidente di commissione mi si sarebbe sbattuto volentieri. Ma, mi conosci, sono un pinguino. Ciao tesoro.”

L’uomo poggiato sulla sagoma rossa si sporge verso di me e mi bacia.

M’era mancato il sapore delle sue labbra calde.

Mi passa una mano tra i capelli e si avventura con la lingua nella mia bocca.

Cristo, come m’era mancato.

Mi reclina la testa di lato e inizia a baciarmi il collo.

“Se non ti sbrighi a mettere quel tuo culo secco sulla sella giuro che ti scopo qui.”

Mi porge il casco e mette in moto.

I borsoni vuoti sul serbatoio distorcono la silhouette femminile di quest’affare infernale.

Se penso a tutto il tempo che ci dovrò trascorrere sopra già mi sento male.

 

3.

I vestiti li ho già preparati sul letto.

Non intendo portarmi via tutto adesso- è solo la roba più urgente.

Una specie di atto dimostrativo.

Grazie alla scenetta architettata con Alice- lei finge di stare con me e io le copro le assenze/fughe d’amore- mamma non sospetta nulla. Anche se mi ha preso per un indeciso cronico.

Beh, meglio così.

Adoro chi mi sottovaluta, ho la possibilità di sorprenderli.

Lo psicologo è quello che c’è cascato più di tutti. Che fesso.

Andrea 1, Psicanalisi 0.

Beh, in fondo ci siamo venuti incontro- anzi, gli ho quasi fatto un favore, a dargli tutti quei bei soldi.

Anche se, devo dire, era un tipo simpatico, in fondo- solo che tutto quel fumo lo rallentava un tantino nei processi cognitivi.

Ziggy Stardust è arrotolato in un tubo di cartone.

Quando si saranno calmate le acque farò il trasloco completo- ma nel frattempo non posso certo lasciarlo qui.

Chiamatemi pazzo, chiamatemi come volete.

Io qui non ho niente che mi appartenga, neanche parzialmente.

Ho ristabilito l’equilibrio intorno a me, ora devo farlo dentro di me.

Alessandro posiziona i borsoni sul letto e inizia a ficcarci dentro la roba, come capita.

Non è mai stato un amante dell’ordine, lui.

“Ti prego, sii clemente, almeno con le magliette.”

Svuoto lo zaino di scuola e lo riempio con il poster, qualche libro, una decina di dischi.

Prendo la foto di Andrea e la tolgo dalla cornice.

Speriamo non si rovini troppo.

“Quanto sei narciso.”

“Sei tu che mi fai sentire importante, non è colpa mia.”
”Si, come no. Pronto per l’addio ai monti, Lucia?”
”Si. No. Pranziamo, prima.”
Portiamo la roba in cucina e preparo l’acqua per la pasta.

L’occhio mi scivola fuori dalla finestra.

Alessia ha appeso un cartello con scritto “buon viaggio e grazie per il divertimento” gigantesco, con un pennarello rosso.

Mi viene da sorridere.

Chissà come cazzo fa a sapere sempre tutto.

Alessandro spalanca la finestra e legge il cartello.

“E’ stata una bella scopata, almeno?”
A quanto pare qua sono tutti Sherlock Holmes.

Tranne mia madre. E lo psicologo.

“Direi di si. Quasi non me lo ricordo più.”
”Beh, non sono tutti memorabili come me, sai.”
”Come sei modesto.”
”Affatto. Ho tutte le ragioni per non esserlo. Mentre tu…”
”Mentre io COSA?”

“Beh, non sei così memorabile, paragonato al tuo Ego.”

“EH?”
Scoppia a ridere, lo stronzo.

Cristo, che urto mi dà.

“Scherzo, scherzo, non ti innervosire tanto. Sei una scopata adorabile.”

“Grazie per avermi retrocesso al grado di scopata.”

Si volta verso di me e con un dito mi solleva il mento.

Mi guarda con gli occhi di traverso, dall’alto in basso.

Qualche istante di necessario silenzio.

“C’è una cosa che dobbiamo fare io e te, appena arrivati a casa.”
”Cosa?”

 

4.

Come cazzo mi è venuto in mente.

Esistono i treni, gli aerei, le automobili.

NO.

In MOTO.

Miliardi di chilometri in moto, avvinghiato ad un mezzo psicopatico che mi ha praticamente rapito e preso in ostaggio.

Che io sia consenziente è un’altra storia.

Non arriveremo prima di notte.

Mi spiace solo non aver potuto salutare per bene la futura mamma.

Si, alla fine ho mollato tutto e ho seguito lui.

Ho fatto bene, ho fatto male?

Cristo, non lo so.

Ho diciotto anni, non so neanche ritrovarmi il buco del culo, da solo.

A settembre mi iscrivo a lettere.

Non ho ancora deciso cosa farne, di me, di noi, ma per ora va così.

In fondo, non ho molto da perdere.

Non ho niente.

Oltre ad un motociclista pazzo come amante, s’intende.

E futuro coinquilino.

Sarà un nuovo inizio.

L’ennesimo.

Il mio problema è sempre stato questo: mi piace iniziare, ma dopo non so mai come finire.

Lasciavo infinite parentesi aperte.

Ma ora è diverso.

Ho ricomposto l’equilibrio.

Alla faccia dell’invidia degli dèi, la perfezione platonica è raggiunta.

Io, e lui.

Punto e a capo.

Nuovo definitivo inizio.

Sempre se non ci schiantiamo prima.

 

Epilogo.

 

“Centos…svegliati, che facciamo tardi.”
”Mghh…”

Alessandro continua a scuotermi per una spalla.

“Centos…non vorrai arrivare in ritardo… che figura ci facciamo…”
”…smettila di chiamarmi in quel modo…”

“Scusa, Pelle di Luna, ma non sono io quello che è uscito dalla matura con un cento tondo tondo, per di più grattandomi la pancia per tutto il tempo. Ora alzati però.”
”…non ho voglia…”
”Beh, vedi di fartela venire. I matrimoni senza testimone non si possono fare.”

“…cinque minuti…”

Non capisco tutta questa urgenza di sposarsi in agosto, Cristo.

“Neanche mezzo. Sono già le quattro, non arriveremo mai in tempo.”
Mi tiro su sui gomiti.

“Si può sapere perché ci tieni tanto a questa cosa?”

“Primo, sono curioso di vedere quella pazza con il pancione e il vestito bianco, due, devi ritirare il diploma per iscriverti all’università, e tre, dobbiamo finire il trasloco.”

Ah già.

Cazzo.

C’è almeno una possibilità su tremila che non incontri mia madre?

C’è rimasta un po’ male con questa storia della fuga.

“Dai, mi sono fatto prestare l’auto dal compagno di mia sorella apposta.”
”Bell’affare.”
”Beh, cos’hai contro quell’auto?”

“Auto? Dì pure camion. La Volvo Polar non è definibile come auto- al massimo come carro funebre.”

“La prossima volta scappi di casa da solo, va bene?”
”Quanto sei acido di prima mattina…”

“Allora, ti sbrighi a vestirti?”

“Si, si, mi vesto, mi vesto…”

Poso i piedi a terra.

Io li odio, i matrimoni.

 

 


Grazie ancora e buona notte.

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