AIKO
Autrice: Soffio d’argento
Serie: nessuna, è un original.
Rating: non saprei... sono proprio una frana ^^.
Capitolo: secondo.
Declaimers: i pg sono miei e solo miei *_*!
Naturalmente non ci guadagnano -///-.
Note: è la mia prima yuri in assoluto. Non so perché l’abbia iniziata, so solo
che ho seguito la scia di un pensiero e l’ho immaginata passeggiando.
Dediche: alla sis, sperando che abbia il coraggio di leggerla ^^ e a Pam e Saku
che mi hanno incoraggiata. Questo capitolo è tutto per voi, spero che sia
all’altezza (parola grossa considerando che si tratta di mie opere ^^) del
precedente.
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Quel giorno Aiko si svegliò prima del solito. Non la sentii alzarsi e quando mi
svegliai trovai sul tavolo della cucina un suo messaggio. Presi il biglietto con
una mano, mentre con l’altra afferravo un biscotto dalla scatola.
“Sono andata via per qualche giorno. Scusa se non ti ho avvisata prima, ma è
stata un’emergenza. Ti farò sapere. Baci. Aiko. Ps: guarda che ti faccio
controllare, perciò mangia regolarmente e non invitare belle ragazze ad uscire!
Ps2: scusa di tutto. Quando tornerò ti spiegherò.”
Sorrisi appoggiando nuovamente il foglietto sul tavolo e andai a sedermi sul
divano. Da qualsiasi angolazione la osservassi, la casa mi sembrava sempre vuota
senza di lei. Era come un disegno dai colori sgargianti lasciato al sole per
troppo tempo.
Sbuffai un paio di volte prima di alzarmi e sedermi al tavolo per fare
colazione.
Da
quando aveva ricevuto quella telefonata, la settimana precedente, Aiko era
diventata improvvisamente strana.
Eravamo di ritorno da una serata a casa di amici e credo fossero le due di
notte. Aiko aveva bevuto un po’ quella sera ed era più allegra del solito. Avevo
faticato non poco a farla stare zitta durante il tragitto verso l’ascensore.
Aveva cantato tutto il tempo. Carlo aveva uscito da un armadietto un vecchio
karaoke e lei e Marika ci avevano “allietato” tutta la serata con canzoni,
balletti e improbabili duetti. Aiko, poi, aveva continuato a cantare anche in
macchina e nel condominio. Un giorno o l’altro ci buttano fuori, pensavo mentre
aspettavamo che l’ascensore scendesse dal quarto piano e cercavo di impedire ad
Aiko di cantare a squarciagola.
Aiko, da brava giapponese, bevevo spesso, ma mai da perdere il controllo di se
stessa. Le rare volte in cui accadeva si trasformava nel tipo da sbronza allegra
e questo mi procurava sempre tremendi mal di testa, ma poiché accadeva raramente
la lasciavo libera di bere.
Quando finalmente riuscii ad aprire la porta e spingere dentro Aiko, il telefono
stava già squillando. Guardai distrattamente l’orologio chiedendomi chi fosse a
quell’ora della notte. Quando andai a rispondere il telefono smise di squillare,
così mi voltai alla ricerca di Aiko. Quando era così allegra mi spaventava
perché diventata ancora più imprevedibile. Mi tranquillizzai solo quando la vidi
dormire placidamente sul letto. Sbuffai rassegnata, anche quella volta mi
sarebbe toccato cambiarla e metterla a letto.
Le
tolsi le scarpe e i vestiti, facendo attenzione a non svegliarla, le misi il
pigiama e la coprii con la coperta a quadretti rosa e bianchi che a lei piaceva
tanto. Solo ad operazione finita, quando mi misi ad osservare l’ottimo lavoro
svolto, il telefono tornò a squillare. Quasi mi ruppi una gamba nel tentativo di
rispondere prima che Aiko si svegliasse e quando sollevai la cornetta mi rispose
una voce maschile, calma e profonda, dall’accento orientale.
-
Un parente di Aiko - subito pensai.
Non sapendo che cosa fare, rimasi in silenzio un attimo, prima di rispondere con
un titubante “Hello?”.
“Good evening. Sorry for disturbing you. My name
is Akihito. I’m Aiko’s brother. Can I talk with Aiko?”
“Aiko’s sleeping. Can you call tomorrow?”
“I’m sorry but it’s very important.”
Esitai un attimo: “Ok. Wait
a minute, please.”
Non sapevo se fosse o meno la cosa giusta da fare, ma la strana urgenza che
avevo sentito affiorare attraverso le poche frasi scambiate con quell’uomo, mi
aveva convinto dell’importanza della telefonata.
“Aiko….” la scossi con leggerezza e lei, dopo qualche attimo di incertezza, si
mosse sotto le coperte.
“E’ già mattino?”
“Ai… c’è una telefonata per te.” sentii Aiko risistemarsi comodamente sotto le
coperte, segno che, chiunque fosse stato, per lei aveva poca importanza: “E’
Akihito, tuo fratello.”
Io
e Aiko stavamo insieme da anni e di tutte le espressioni che le avevo visto
balenare in viso quella era stata, senza dubbio, la più sorprendente. Sembrava
nervosa, ma, allo stesso tempo, sorpresa….
A
sentire il nome del fratello, Aiko era balzata fuori dalle coperte ed era corsa
al telefono. Brilla com’era mi meravigliai come, in quella quasi totale
oscurità, fosse riuscita a non inciampare da qualche parte. Aveva alzato il
ricevitore con altrettanta forza e, dopo un attimo di silenzio, l’avevo sentita
rispondere. Avevano parlato in giapponese e la voce di Aiko, solitamente alta,
si era abbassata, diventando quasi impercettibile. Si mescolava ai suoni che
provenivano dalla strada e, a tratti, mi pareva che si limitasse solo a muovere
le labbra, come un bravo mimo. Un giorno o l’altro devo decidermi ad imparare il
giapponese, mi dissi raccogliendo dal tavolinetto del salotto una rivista. Aiko,
immobile davanti a me, sembrava una statua di marmo e le spalle, l’unica parte
del suo corpo che riuscissi a vedere bene da quell’angolazione, erano tese.
Pensai avesse ricevuto qualche brutta notizia.
La
conversazione non durò molto. Subito dopo aver riagganciato, Aiko si era
avvicinata alla finestra e si era seduta sul davanzale.
“Brutte notizie?” le avevo chiesto fingendo noncuranza.
Capii che non voleva parlarne, così rinunciai dal principio.
Le
andai vicino e le posai un bacio sulla testa.
“Quando vuoi parlarne sai dove trovarmi.” scherzai un po’: “Vado a letto.”
C’era una cosa della quale non potevo fare a meno da quando ero andata a vivere
con Aiko. Era il suo calore. La sua pelle era sempre incredibilmente calda e mi
dava il tepore delle sere invernali. A volte capitava che lei, nei giorni di
maggior lavoro, tornasse tardi a casa, oppure che restasse in piedi fino a notte
inoltrata per sbrigare del lavoro arretrato. Allora, benché fossi stanca, non
riuscivo ad addormentarmi e mi rigiravo insonne nel letto, finché, con qualche
scusa banale, mi alzavo e mi sedevo accanto a lei.
“Buon giorno” mi diceva sorridendo.
“Buon giorno” le rispondevo io con la voce ancora roca. E non ero più sola.
Quella sera Aiko tornò a letto tardi. Io feci finta di dormire. La sentii
entrare nel letto e sistemarsi al mio fianco. Dopo poco tempo sprofondò in un
sonno profondo. Quando fui sicura che, qualsiasi movimento facessi, non si
sarebbe svegliata, mi voltai verso di lei.
Cosa mi nascondeva?
Di
come fosse Aiko prima di incontrarla non avevo idea. Non c’era foto, indumento,
nessun indizio che potesse darmi anche solo un’immagine sfocata dei suoi tempi
passati. Come se non bastasse, non ne parlava mai, neanche un accenno e quando
facevo qualche domanda diventava evasiva. Tutto ciò che ero riuscita a sapere,
ben poco, era che aveva vissuto tutta la sua vita in Giappone, che la sua
famiglia era ancora lì, che aveva frequentato un liceo con l’uniforme alla
marinaretta e nulla più. Come fosse arrivata in Italia, che cosa avesse fatto
qui durante i primi tempi, perché fosse scappata dal Giappone (perché ero
convinta che di fuga si trattasse) rimanevano ancora dei misteri. Io mi imponevo
di aspettare, ma fino a quando?
Il
giorno dopo tutto ricominciò come al solito. Aiko era insolitamente allegra e
sembrava non fosse accaduto nulla, come se avesse cancellato, con un colpo di
spugna, la notte da poco trascorsa.
Preparai la colazione in silenzio e in silenzio mi sedetti al tavolo. Lei
canticchiava qualche canzone straniera, inglese forse, non si capiva bene dato
il tono di voce basso. Io la guardavo di nascosto, cercando di cogliere qualcosa
di strano, di insolito nel suo comportamento.
-
Perché non ti accorgi che ti osservo da mezz’ora? Perché non mi vuoi parlare? –
Ero convinta che, se fossi rimasta in silenzio, lei avrebbe continuato a far
finta di nulla, come sempre, ma quel giorno non ero più disposta a tacere.
“Quindi Akihito è il nome di tuo fratello? Non sapevo che ne avessi uno”
Aiko smise di cantare e si irrigidì.
Ecco, sta succedendo nuovamente, pensai, adesso si alzerà e uscirà, come sempre.
“Ai… perché non vuoi parlarmi della tua famiglia?”
Mescolava in silenzio la sua tazza di latte che diventava più fredda ad ogni
giro. Forse avrei dovuto smettere di domandare, ma l’idea che preferisse stare
da sola piuttosto che…. E fu in quell’istante che ebbi un’illuminazione. Aiko
viveva nella nostra città da ormai due anni, ma da quando stavamo assieme mai
una volta avevo incontrato qualche suo amico, neppure per strada, di passaggio.
Aiko non aveva amici? A pensarci bene le uniche persone che frequentavamo erano
i miei amici di un tempo e quelli che, insieme, avevamo conosciuto. Forse stava
con me perché si sentiva sola?
“Forse non mi ami abbastanza” avevo sbottato alzandomi e lasciando la cucina.
Non mi aveva seguito e questo mi aveva fatto arrabbiare.
L’idea che lei stesse con me solo perché temesse la solitudine mi faceva
rabbrividire.
Pensandoci bene quel che per me era stato chiaro fin dal principio forse,
semplicemente, per lei non lo era altrettanto. Quando l’avevo incontrata quella
sera al pub, avevo subito capito che quella persona sarebbe diventata il cardine
della mia vita. Aveva una forza talmente spaventosa che speravo distruggesse le
barriere che con tanta accuratezza avevo costruito. Sapevo, lo sentivo dentro di
me, come una creatura che nasce, che sarebbe diventata il tutto e il niente di
me. Ma per lei era stato lo stesso? Forse aveva semplicemente visto in me
qualcosa di diverso. Forse in me aveva visto un’amica, qualcuna con la quale
dividere le proprie giornate e sostenere i propri dolori. Forse avevo affrettato
gli eventi, l’avevo costretta a vedere quel che non esisteva e lei aveva
accettato, perché era sola. Forse desiderava soltanto qualcuno che la liberasse
dalla sua solitudine.
I
giorni che seguirono furono pieni di silenzi forzati. Io ero ancora arrabbiata
con lei e, dentro di me, la rabbia cresceva ogni giorno di più, insieme
all’incomprensione. Aiko, che solitamente ad ogni nostro litigio era la prima a
spezzare la tensione, quando era a casa restava in salotto quasi tutto il tempo
e andava a letto solo quando pensava mi fossi addormentata. Ogni tanto la
sentivo parlare al telefono, ma non riuscivo mai a capire di cosa parlasse e
soprattutto con chi. Tutte le volte che terminava una conversazione, però, il
suo volto assumeva sempre un’espressione tesa.
Ad
una settimana esatta dalla la telefonata del fratello, Aiko partì,
presumibilmente per il Giappone. Al mio risveglio trovai solo un foglietto che
alimentò le mie paure e i miei sospetti.
Cinque giorni dopo la sua improvvisa partenza, finalmente trovai, al ritorno da
una noiosa giornata di lavoro, un messaggio nella segreteria telefonica. Era
Aiko. Al suono della sua voce il mio cuore prese a battere furiosamente. Le mie
orecchie e il mio cuore si riempirono di Aiko e solo di lei. Presa da quella
frenesia incontrollabile, dovetti ascoltare il suo messaggio più e più volte. Mi
mancava. Mi mancava terribilmente!
Il
suo fu un messaggio breve. Diceva solo di stare bene e che non avrei dovuto
preoccuparmi. Se sarebbe fatta viva lei.
Nessun recapito, nessun numero telefonico. Niente di niente. Spariva
all’improvviso e si faceva risentire dopo cinque giorni come se nulla fosse.
Incurante di tutto. Incurante di me!
Rimasi davanti al telefono per mezz’ora. Nervosa e piena di domande. Quando
scese la sera decisi di prendere in mano la situazione. Sin da piccola non avevo
mai permesso a nessuno di scegliere per me. Mia madre spesso mi aveva
rimproverato questo carattere troppo indipendente e testardo. Sei una testa
calda, mi urlava dietro, ti troverai male nella vita! E invece era stato proprio
il mio carattere forte e orgoglioso a darmi l’energia e la forza per andare
avanti. Avevo sempre camminato da sola e a testa alta, forte delle mie idee e
delle mie convinzioni, almeno fino al giorno in cui avevo incontrato Aiko. Tutte
le mie fondamenta erano state scosse dal cambiamento. Nulla di ciò che avevo
sempre considerato certo ormai si rivelava come tale. I “se” e i “ma” che prima
mi erano sembrati sempre fonte di debolezza, erano diventati parti di me, della
mia dolce insicurezza. Avevo imparato a camminare al fianco di qualcuno, con lo
sguardo rivolto verso lei. Ero cambiata, mi aveva detto mia madre con un po’ di
malinconia, ed anche io ne ero consapevole. Ero diventata più insicura, più
debole, più… dolce e niente di tutto ciò mi spaventava. Ero felice del mio
cambiamento perché mi aveva reso una persona migliore, degna del mio sole.
Eppure, me ne rendevo conto solo in quel momento, forse mi ero indebolita
troppo. Forse ero dipesa da Aiko più del necessario. Avevo fatto di lei il
centro di tutto e ora che lei era tornata nella sua Avalon, mi trovato sperduta
e impaurita come non mai.
Dal momento in cui c'eravamo incontrate, il mio io ero diventato un noi e la mia
vita si era modificata conformemente. Tutte le mie certezze comprendevano Aiko e
attorno a lei ruotavano. Ma se lei non fosse più tornata? Se avesse deciso di
ritornare alla sua sconosciuta vita? Cosa ne sarebbe stato di me?
Gettai contro il muro il suo telefonino e urlai di frustrazione.
Aiko, dove diavolo eri finita? Quale gorgo ti stava risucchiando e dove ti
avrebbe portata?
Alle sette di sera, mentre l’orologio della chiesa vicina scandiva le ore, uscii
di casa ed andai da Manola. Girai come un turbine fra le strade della città,
lontana dalla confusione. Non volevo vedere nessuno e non volevo che nessuno mi
disturbasse. Per fortuna ero stata abbastanza cosciente da non prendere l’auto.
Trovai Manola al bar, come tutte le sere. Chiacchierava allegramente con un
cliente, mentre preparava un caffè. Manola conosceva Aiko da molti anni, avevano
lavorato nello stesso periodo nello stesso pub. Da qualche anno si occupava
della gestione di un bar, vicino al centro, insieme al marito. Lei era l’unica,
per quanto ne sapessi, che conoscesse qualcosa del passato di Aiko. A lei mi ero
rivolta tanto tempo prima, in preda alla frustrazione totale, quando sentivo che
i silenzi e i segreti di Aiko stavano creando un divario tra di noi. Lei era
stata categorica nel suo rifiuto. “I segreti” mi aveva detto “devono essere
svelati solo dalla persona che ne è padrona.”. Quando poi l’avevo chiesto ad
Aiko, lei mi aveva risposto sibillina, dicendo che Manola ne era venuta a
conoscenza nonostante tutto. La mia frustrazione era cresciuta, ma avevo
preferito assecondare Aiko nella sua testardaggine e avevo smesso di fare
domanda. Certe sere, però, mentre la osservavo guardare qualche programma sul
satellitare oppure la vedevo immersa nei suoi pensieri, non potevo far a meno di
pensare a Manola e al fatto che lei fosse a conoscenza di qualche segreto a me
negato. In quei momenti sentivo qualcosa, dentro il mio cuore, incrinarsi….
Quando entrai Manola dovette capire subito che qualcosa non era andata nel verso
giusto, perché lasciò quel cliente e venne verso di me.
“E’ successo qualcosa ad Aiko?” mi chiese ansiosamente.
“Parlami di lei e dimmi tutto ciò che sai.”
Nei pochi attimi che seguirono, che a me parvero eterni, Manola mi scrutò a
fondo e alla fine mi disse di sedermi ad un tavolo. Era quasi l’orario di
chiusura. Presi posto vicino al vecchio jukebox ormai inutilizzabile e lei mi
portò un caffè lungo.
L’ora di chiusura arrivò presto o almeno questo fu quel che percepii
dall’acquietarsi del rumore. Mentre il marito si occupava di rimettere a posto
il locale, Manola venne a sedersi di fronte a me.
“Allora? Cos’è successo?”
Le
raccontai ogni cosa, anche i particolari inutili, dalla festa alla telefonata di
Akihito, dal comportamento strano di Ai alla sua scomparsa che aveva il sapore
amaro di una fuga. Quando finii di parlare, mi accorsi con sorpresa di avere il
fiato corto, come se avessi corso per chilometri, e di sentirmi stranamente
leggera, libera.
“Akihito, eh?” Manola guardò pensosa il bicchiere davanti a sé. “Questo mi
riporta indietro di anni. Un tuffo nel passato davvero lungo…”
“Manola so che vorresti fosse Ai a parlarmi del suo passato, ma se qualcosa di
ciò che sai potesse aiutarmi a capire cosa diavolo sta succedendo o potesse
aiutarmi a comprendere il perché della fuga di Aiko, allora te ne sarei grata
dal profondo del mio cuore!”
“Ti và di salire su? Stasera Fabrizio va a casa di amici a vedere la partita,
così avremo la serata tutta per noi e potremo parlare con tranquillità. Ti và?”
Feci un vago cenno di assenso e aspettai che finisse di parlare con il marito.
Manola e Fabrizio avevano un grazioso appartamento sovrastante il bar, oltre ad
una grande villa al mare e vari locali sparsi per la città. Vivevano insieme da
solo due anni, eppure sembrava stessero insieme da sempre. Non c’era Manola
senza Fabrizio né Fabrizio senza Manola. Di tutte le coppie che conoscevo loro
costituivano il mio ideale irraggiungibile.
Salite a casa ci sedemmo sul divano.
“Quando conobbi Aiko lavoravo già in quel pub. Quando me la presentarono ricordo
che pensai qualcosa del tipo “ma è vera o no?”. Aveva un sorriso aperto sul
volto di chi nella vita sa solo sorridere e per questo al principio non mi fu
molto simpatica. ”
La
guardai sorpresa. Il sorriso di Ai era stata la prima cosa che mi aveva colpito,
dritta al cuore come una freccia d’oro.
“Era piccola e fra i tavoli sembrava scomparire. Non so perché ma fra noi non si
creò subito un feeling particolare. Io me ne stavo per i fatti miei e lei faceva
lo stesso. Credo di essere stata l’unica immune al suo fascino. Non so
spiegartelo bene ma guardarla mi rendeva triste.”
Squillò il telefono e, scioccamente, per un attimo sperai fosse lei. Uscii il
cellulare dalla borsa e nella confusione scorsi anche quello di Aiko, malandato
ma ancora funzionante. Lo accarezzai con delicatezza, quasi fosse l’ultima cosa
che di lei mi fosse rimasta, e questo pensiero mi fece rabbrividire. Scossi la
testa e riposi il suo cellulare nella borsa.
“Scusami tanto. Era Fabrizio, voleva dirmi che farà tardi stasera. Dopo la
partita va a mangiare una pizza con gli amici.”
“E
tu? Non vai con loro?”
“Scherzi? Finalmente riesco a liberarmene per una sera e dovrei pure seguirlo?”
mi guardò sorridendo: “Credo che in ogni rapporto sia necessaria un po’ di
libertà, no? Allora dove eravamo arrivate? Ah sì! Come ti dicevo fra noi due non
si era creato nessun feeling, così ce ne stavamo ognuna per conto proprio.
Questo almeno fino a quella sera….” Si accense una sigaretta e si avvicinò alla
finestra: “Ti dispiace se fumo?”
“No no. Fai pure.”
“Era pieno inverno ed avevamo chiuso più tardi del solito. Aiko non viveva molto
lontano, quindi andava sempre a piedi a casa e non aveva mai accettato alcun
passaggio. Quella sera, ad aspettarla poco distante dal bar, c’era una macchina
scura. Quella stessa sera, io, che solitamente ero la prima ad uscire, ero
rimasta al pub a chiacchierare un po’ con la proprietaria. Quando uscii, un’ora
dopo, mi stupii di trovare ancora lì Aiko, così, spinta dalla curiosità, feci
finta di non riuscire a trovare le chiavi della macchina e rimasi ad ascoltare.
Aiko stava parlando con qualcuno nella sua lingua madre. Sembrava nervosa ed
agitata e questo mi stupì ancora di più della sua presenza lì e a quell’ora. Ad
un certo punto l’uomo con cui stava parlando la prese per un braccio e cercò di
forzarla ad entrare in macchina. Aiko si dimenava e urlava qualcosa in
giapponese, cercava di liberarsi dalla stretta con tutte le sue forze.”
Rimango ad ascoltare impietrita, divorando ogni sua parola. L’immagine che si
affaccia alla mia mente è quella di un’Aiko diversa, più vulnerabile. Mi sento
come una ladra. Mi sto appropriando di una parte del suo passato nonostante lei
non voglia che ne faccia parte.
“Naturalmente sono intervenuta. Ho fatto finta di chiamare la polizia. L’uomo
che stava forzando Ai a seguirlo deve essersi spaventato e così è rientrato in
macchina ed è andato via. Poiché Aiko mi sembrava ancora molto scossa, l’ho
invitata a prendere un tè a casa mia. Non so, ma forse si sentiva un po’ in
obbligo nei miei confronti o forse sentiva l’urgenza di parlare con qualcuno,
fatto sta che, mentre sorseggiavamo il tè, abbiamo iniziato a chiacchierare e in
breve, senza accorgercene è arrivata l’alba. Da quel momento le cose fra noi
sono cambiate e il resto, come si dice in questi casi, è storia.”
La
guardai ansiosamente. Non era questo ciò che mi interessava e lei lo sapeva.
“Ma non è questo che ti interessa, vero?” si accomodò sul divano davanti a me e
continuò: “Purtroppo non so molto. So solo che quello era uno dei suoi fratelli,
Akihito appunto, e che era venuto per riportarla a casa, a Tokyo. Mi ha detto
che era scappata di casa appena finito il liceo, ma non so il perché. So che ha
viaggiato un po’ in tutta Europa, assieme ad amici incontrati strada facendo, e
che ha fatto i lavori più svariati, fino a quando è approdata in Italia, per uno
caso del tutto fortuito.”
Restammo in silenzio, io valutando ogni sua parola, lei osservandomi. Le mie
mani, intrecciate davanti alla fronte, tremavano. Se cercavo certezze non le
avevo trovate e, anzi, il caos nella mia mente era aumentato.
Quando infine mi decisi ad alzare lo sguardo, Manola stava accendendo la seconda
sigaretta.
“Come vedi non so molto, mi dispiace.”
“Sempre più di ciò che so io…. Quindi i suoi sono di Tokyo… magari è lì che si
trova ora. Forse… forse dovrei andarla a cercare, no?”
Domandai e non sapevo più se a Manola o a me stessa.
“Forse… ma come pensi di trovarla? Non sai che il nome e il cognome e…”
“Lo so. Ma qualcosa devo pur farla! Mi sembra di impazzire!” mi alzai di scatto
dalla poltrona ed uscii nella veranda.
L’aria fresca della sera mi colpì il volto sferzante. Il cielo, orfano di
stelle, sembrava un’umida coperta logora. La città mi apparve stanca e
orribilmente truccata. Niente riusciva a darmi la pace che cercavo.
Manola mi seguì dopo qualche minuto.
“Non prendertela con il mondo intero e neanche con Ai. La colpa è solamente
tua!”
“Lo so.” sospirai.
“Come fai a stare con una persona senza sapere nulla di lei? È da pazzi!”
“E
credi che non ci abbia mai provato? Ma ogni volta che toccavo, anche se solo
alla lontana, l’argomento, lei si richiudeva a riccio e io desistevo perché
avevo paura! Avevo paura che mi lasciasse! Avevo paura che sparisse per sempre!
Sono…”
“…
un’idiota, ma purtroppo non ci si può fare nulla.” mi disse accarezzandomi i
capelli, mentre io, appoggiata alla ringhiera, piangevo in silenzio: “Ma
qualcosa posso farla, forse.”
Alzai il volto di scatto. Quasi mancai un battito.
“La padrona del locale in cui lavoravamo è una mia cara amica. Potrei chiederle
di dare un’occhiata ai documenti presenti in archivio… sai per l’ingaggio.” E
quasi avesse letto nella mia mente: “Ma domattina. Ora vai a casa e riposati.
Domani mattina mi metterò in contatto con lei e le parlerò. Oggi il locale è
chiuso. Ora vai a casa, fatti una bella tisana e riposati, che ne hai davvero
bisogno. Domani mattina, se vorrai proseguire con il tuo intento, allora ti darò
tutte le informazioni disponibili.”
Manola insistette per riaccompagnarmi a casa. Mi lasciò proprio davanti il
condominio e attese che entrassi prima di ripartire. Forse aveva intuito quanta
poca voglia avessi di ritornare a casa. Quello spazio vuoto mi riempiva di
malinconia. Mi faceva sentire sola.
Appena dentro andai subito a controllare la segreteria telefonica ma non vi era
nessun messaggio. Ascoltai ancora la voce di Aiko un paio di volte, poi decisi
di seguire i consigli di Manola. Preparai la vasca e feci un lungo bagno
rilassante, mi preparai una tisana e mi gettai sul letto, stanca e avvilita.
Controllai l’orario sul display della sveglia: mezzanotte. Mancava ancora troppo
all’arrivo del sole e ancora di più alla telefonata di Manola.
Fuori dalla finestra, i rumori della città, ovattati dal silenzio della notte,
entravano nella mia camera in punta di piedi, quasi cantassero una ninna nanna.
Ipnotizzata da questo rumore monotono, mi addormentai quasi subito, per la prima
volta da quando vivevo con Aiko. “Forse, pensai, sarà sempre così, dovrò
abituarmi. Anche questa Aiko svanirà rapita dal tempo che passa.”
Mi
risvegliai a giorno inoltrato. Non avevo sognato. Era stata una lunga,
tranquilla notte breve.
Mi
alzai ancora assonnata e, brancolando, mi andai a sedere sul divano. Ancora una
volta non c’erano messaggi in segreteria. Mi lasciai andare sulla spalliera e mi
deliziai del nulla che si infiltrava nella mia mente.
Tutto attorno a me era quiete e tranquillità e, quando essa fu interrotta dal
suono acuto del telefono, sobbalzai spaventata. Allungai lentamente la mano
verso la cornetta e risposi.
“Pronto?”
“Sono Manola. Ho qualche notizia per te.”
Fu
come risvegliarsi all’improvviso in piena notte, dopo un incubo, con i sensi
vigili e il cuore che batte impazzito.
Respirai in profondità un paio di volte, chiusi gli occhi ed ascoltai.
Fine seconda parte
Erano mesi che non riuscivo a mettere due parole, che avessero un minimo di
senso, una accanto all’altra! Quasi non riesco a crederci! E, come se non
bastasse, con il secondo capitolo di Aiko che, nell’idea originale, doveva
essere una os! E’ nata da sola, come un piccolo sogno pomeridiano ed è stato un
piacere per me scriverla. In futuro seguiranno altri capitoli, ma non posso
promettervi una data sicura. Spero solo che questo momento di grazia creativa
continui.
Grazie del vostro sostegno.
Ps:
cercasi beta rider senza impegno ^^. Scrivo poco e raramente (se si esclude la
ff di compleanno dello scorso anno della sis non scrivevo da anni) e scrivo ff
di ogni genere e rating. Chiunque volesse sacrificarsi ^^ è libero di
contattarmi. La mail sapete come trovarla, no? Grazie! |