Aiko

di loveless_fairy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Aiko 2 ***



Capitolo 1
*** capitolo primo ***


AIKO

Autrice: Soffio d’argento

Serie: nessuna, è un original.

Rating: non saprei... sono proprio una frana ^^.

Capitolo: primo o forse unico.

Declaimers: i pg sono miei e solo miei *_*! Naturalmente non ci guadagnano -///-.

Note: è la mia prima yuri in assoluto. Non so perché l’abbia iniziata, so solo che ho seguito la scia di un pensiero e l’ho immaginata passeggiando.

Note di versione: capitolo betato! Ringrazio la mia carissima beta-rider e le porgo il mio più caro benvenuto nel mio piccolo mondo!

Dediche: alla sis, sperando che abbia il coraggio di leggerla ^^.

Dedica personale: alla mia beta Shotokan. Grazie di tutto!

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<< Sai cosa significa il mio nome nella mia lingua? >>

Alzai lo sguardo dalla rivista che stavo leggendo distrattamente e la guardai perplessa. Aiko stava ancora leggendo un manga in lingua originale. Era distesa accanto a me sul gran letto matrimoniale e masticava un bastoncino di liquirizia.

Era la prima volta che mi parlava apertamente di qualcosa che riguardava il suo passato.

Senza attendere una risposta e senza neppure sollevare lo sguardo dal manga, mi disse:

<< Frutto dell’amore. Non credi che sia un bel nome? >>

Mi sollevai sui gomiti per guardarla meglio. Indossava degli short gialli, di quel giallo che nella luce abbagliante del sole diventa quasi bianco, e una camicia di lino. Era supina e le gambe, piegate sulle ginocchia, ciondolavano avanti e indietro come il collo di un serpente.

<< E questo da dove ti esce? >>

<< L’ho letto su questo manga e mi è venuto in mente. La protagonista si chiama come me. >>

Tornai a guardare la rivista che avevo tra le mani. L’articolo che, svogliatamente, facevo finta di leggere, parlava delle relazioni omosessuali. Soffocai uno sbadiglio con la mano destra, mentre con la sinistra continuavo a sfogliare il giornale.

<< Non capisco perché compri questi giornali se poi non ti piacciono. >>

<< Non ho detto che non mi piacciono, è solo che mi annoiano dopo un po’. >>

<< Cioè dopo averli aperti. Ti va del tè? >>

Quando conobbi Aiko, lei lavorava in un bar con sala pub nelle ore notturne. Ero andata lì per festeggiare il mio compleanno con alcuni amici e la notai subito. Sembrava piccolissima dietro il bancone del bar. Agitava con estrema leggerezza lo shaker e pareva avesse un discreto successo con i ragazzi che frequentavano abitualmente quel locale. Vestiva una camicia bianca e dei pantaloni neri. Niente d’eccezionale quindi, ma indosso a lei sembravano d’oro.

La musica di sottofondo era molto bassa e a volte veniva sovrastata dal vociare sommesso dei tavoli vicini. Non so perché, ma in un primo tempo non riuscii a toglierle gli occhi di dosso.

Mi chiedo, adesso, se già non fossi caduta nella ragnatela del fascino che riusciva ad emanare.

Aveva i capelli rossi, così accesi da sembrare fuoco vivo, e un trucco forse un po’ troppo pesante, ma che le conferiva l’aria di una bambola di porcellana. Quando, forse richiamata dal mio sguardo incessante, sollevò gli occhi verso di me, per un attimo mi sentii persa. Era come fossi stata attraversata da una leggera ma costante scarica elettrica. Mi chiesi se fosse quello ciò che si provava ad innamorarsi di una persona.

Quasi avesse capito il mio smarrimento, mi sorrise come a volermi dire: non preoccuparti, non è successo nulla. Eppure qualcosa era accaduto.

Quella sera bevvi davvero molto. Ero così brilla da non capire chi fossi e dove mi trovassi. I miei compagni ridevano di me, ma di questo ben poco m’importava. Era la prima sbronza della mia vita e il mal di testa che ne sarebbe seguito lo avrei ricordato ogni volta che avessi cercato di bere qualcosa d’alcolico.

Quella sera uscimmo dal locale che era quasi mattino. Girovagammo in cerca d’aria per un’oretta, poi, quasi fossi stata richiamata da qualcosa, mi ritrovai davanti al pub.

In quel momento uscì lei, di corsa, e mi venne vicino. Mi spostò con la sua mano sinuosa una ciocca di capelli che mi ricadeva sul viso e mi sorrise. Disse solo che sapeva che sarei tornata lì, per lei. Mi prese per mano e mi accompagnò a casa. Le auto che, facendo rumore, ci passarono accanto nel silenzio della notte, sembrarono lucciole ai margini del bosco.

<< Il tè è pronto. Ti ho portato pure dei cioccolatini. >>

Aiko aveva, a mio avviso, un fascino innato. Apparteneva a quella categoria di persone che possedevano dentro di sé un po’ di magia. Non aveva il potere della telecinesi, non si spostava da un luogo all’altro fluttuando nell’aria, ma ogni suoi gesto sembrava far brillare mille luci colorate. Mi ricordava quei personaggi dei cartoni animati che vedevo da bambina, dagli occhioni grandi e dalla vita incredibile.

Aveva un viso piccolo, ma con lineamenti aggraziati e la sua pelle era così liscia che avrebbe benissimo potuto fare la modella per una marca di cosmetici, invece di lavorare in quel bar.

<< Stavi pensando a quel giorno, vero? Al giorno in cui ci siamo incontrate. >>

Questo è ciò che io definisco magia.

Sapeva leggere nel mio pensiero in qualsiasi momento della giornata, persino durante la notte.

A volte capitava facessi degli strani sogni che mi mettevano dentro un angoscia così grande da forzarmi a svegliarmi. Allora mi alzavo silenziosamente dal letto e aprivo la finestra lasciando che il rumore della città assonnata entrasse prepotentemente nella piccola stanza. I pensieri delle persone che dormivano nel nostro stesso palazzo fluttuavano come fantasmi fra le strade e mi pareva di scorgere, in ogni sogno che assaporavo, una nota lontana di malinconica tristezza.

In quelle notti rimanevo sveglia fino all’alba, perché il riaddormentarsi risultava impossibile. La finestra aperta lasciava entrare i pensieri di chi viveva o passava nelle vicinanze e questi si intrufolavano nei miei, prendendone possesso. Così mi capitava di pensare a cose stupide, come, per esempio, sarebbe stato il tempo il giorno dopo, oppure se nel cioccolato mettessero davvero quelle sostanze pericolose, gli OGM. Tutti pensieri a me estranei ma che, in quel momento, sembravano appartenermi più del colore dei miei capelli.

Dopo aver lasciato che la mia mente avesse assorbito tutta l’oscurità della notte, provavo ad alzarmi e la osservavo. Aveva gli occhi aperti e mi guardava con dolcezza. Il chiarore del lampione all’angolo le illuminava i fianchi avvolti dal lenzuolo e il suo sorriso brillava come quello delle bambole di porcellana. Allora mi allungavo verso di lei e mi sdraiavo di fronte. E restavamo così. A guardarci. Tutta la notte. Finché i nostri occhi si chiudevano e ci riaddormentavamo, con le mani strette.

Dormire assieme a lei mi riempiva di serenità.

Era un’altra delle sue magie, l’infondere serenità.

Era una sensazione talmente forte da legarti a lei con un solo sguardo.

Amavo percepire il suo respiro che si mescolava al mio, il profumo dei suoi capelli morbidi, le sue dita piccole e affusolate che stringevano le mie, le sue labbra che sapevano di fragola.

Mi piaceva tutto di lei. E questo mi terrorizzava.

Ne ero quasi ossessionata, come non potessi farne a meno. Non avevo mai provato stati di dipendenza in passato, non avevo mai fumato, né fatto uso di droghe di alcun tipo, eppure provavo qualcosa di simile quando stavamo insieme.

Dipendevo da lei quasi a livello maniacale.

Mi capitava spesso di pensare ad Aiko, anche quando lei era con me.

Chissà se le piacerà… chissà cosa direbbe Aiko… chissà come le starebbe…. Aiko… Aiko… Aiko.

A volte la odiavo, tanto n’ero presa. La odiavo perché mi faceva stare così, sospesa fra mondo reale e sogno. Incerta, debole, vulnerabile. Tutte sensazioni che, fino ad allora, non avevo provato, o almeno non nello stesso momento.

Era come un tifone che spazzava via ogni mia certezza. Come un uragano che faceva strage di me e dei miei sentimenti. E come il sole, che tornava dopo la tempesta delle mie emozioni. Come il sole che splendeva e mi riscaldava. Il punto fermo attorno al quale ruotava tutta la mia vita.

Aiko….

Quando era lei a pronunciarlo assumeva un suono particolare, come il rumore di un campanellino.

Aiko…. Amore…. Due parole che, inevitabilmente, mi riportavano alla stessa persona.

Un suono, tre sillabe, un universo intero. Pieno di stelle e pianeti, luci e oscurità.

Aiko non mi parlava mai del suo passato. Non sapevo cosa ci facesse qui, né chi fossero i suoi genitori. Sapevo che ogni volta che provavo a farle qualche domanda, si mordeva le labbra e capivo che non era ancora il momento. Lei allora si alzava e andava ad accendere la tv. Sapevo che non guardava nulla, ma che, in quel momento, cercava di respingere una parte di se stessa che avrebbe voluto dimenticare, una parte del suo passato che avrebbe voluto cancellare. E io mi sentivo colpevole, perché nonostante la sua sofferenza mi procurasse dolore, avrei voluto scoprire di più, avrei voluto farle domande su domande. Avrei voluto scavare in quel pozzo profondo nascosto dietro il suo sguardo sfuggente.

In quei momenti non sapevo che fare.

A volte mi sedevo accanto a lei, semplicemente, e la guardavo cambiare canale in continuazione.

Altre volte mi alzavo ed uscivo e il rumore della città attutiva quello della mia coscienza. Dimenticavo le domande che volevo farle e mi sentivo meglio.

Altre, invece, restavo a guardarla.

Mi sentivo incapace di agire.

Avrei voluto che vi fosse un manuale in proposito. Avrei voluto sapere cosa fare, cosa dire, ma finivo sempre per agire nella maniera sbagliata.

Avrei voluto che fosse solo mia, con ogni suo pensiero ed ogni tassello del suo passato. Ma mi accorgevo che non si può possedere una persona. La si può amare, le si può stare vicino nei momenti di sconforto, si può ridere con lei, ma non si può possederla. Per quanta sincerità possa esserci in un legame, la persona che ami non si concederà mai del tutto a te. Terrà sempre, in un luogo segreto, una parte di lei che non vuole farti conoscere.

E Aiko mi nascondeva il suo passato.

Ogni giorno mi imponevo di aspettare, di darle il tempo. Ma il tempo per cosa? Cosa nascondeva? Da cosa voleva tenermi lontana?

Aiko aveva conosciuto i miei genitori l’estate prima, per caso.

Non mi aveva mai chiesto di conoscerli, né mai io ne avevo sentito l’urgenza. Volevo che accadesse spontaneamente.

Un giorno eravamo andate al mare, sugli scogli.

Ricordo che, quel pomeriggio, il cielo era grigio e non prometteva nulla di buono. Un temporale estivo, probabilmente, ma la pioggia mi mette di cattivo umore e di uscire non avevo proprio voglia. Lei aveva insistito così tanto che temevo si sarebbe messa presto a piangere. Aiko non chiedeva mai nulla per sé, quindi le rare volte che accadeva, e con tanta insistenza, non potevo che assecondare ogni suo capriccio.

Avevo preso le chiavi della macchina e c’eravamo allontanate dalla città.

C’è un luogo, distante qualche chilometro dalla periferia cittadina, che lei amava in maniera particolare. In primavera ci andavamo spesso e anche in estate, quando il sole non picchiava troppo forte. È un angolo di mare facilmente raggiungibile tramite un viottolo scavato fra faraglioni.

La marea è sempre alta e gran parte degli scogli è, spesso, immersa. In quei casi scendevamo finché era possibile e restavamo a guardare il mare, forse un po’ deluse. Ma a volte capitava che la marea si abbassasse e allora potevamo percorrere quella parte di viottolo che prima le acque ostruivano, e ci allontanavamo dalla scogliera. Per quanto fosse pericoloso, ci sedevamo sui massi prospicienti il mare e lasciavamo che le sue acque, nella lenta carezza del vento, arrivassero a lambirci le caviglie. Allora Aiko cantava una canzone che non capivo ma che mi metteva dentro una tristezza sconosciuta.

Cantava nella sua lingua, sempre la stessa canzone.

“E’ il mare” mi diceva sempre sorridendo.

Il mare, allora sussurravo, ma poco importava. In quei momenti mi veniva da piangere.

Non le ho mai chiesto il significato di quella canzone. Forse se lo avessi fatto mi avrebbe risposto, ma il terrore che reagisse come sempre mi faceva desistere.

Sono i momenti in cui la mia incapacità di apparire una persona vera, mi fanno credere di essere inutile, e forse lo sono davvero.

In fondo che cosa ero? Che cosa avevo? Un lavoro che mi soddisfava poco, una famiglia che credeva fossi del tutto impazzita, un pesce rosso che diventava più chiaro ogni giorno che passava.

A pensarci bene, l’unica cosa importante della mia vita era lei. Era l’equilibrio, la colla che teneva unite tutte le mie stesse che, altrimenti, sarebbero fuggite lontano, lasciandomi nell’oblio. Era il filo che non si spezzava, la sanità nella mia pazzia di vivere.

Quel pomeriggio di metà estate incontrai i miei genitori.

Eravamo appena tornate dalla scogliera e stavamo cercando un parcheggio vicino al ristorante indiano in cui andavamo spesso. Avevo appena finito di parcheggiare, quando vidi mia madre venirmi incontro. Indossava un vestito di lino bianco, di quelli che avevo sempre odiato e che la facevano assomigliare più ad una lampada che ad altro. Indossava anche quel cappellino rosso che le avevo regalato l’estate prima e dei sandali dello stesso colore.

Con lei, c’era mio padre.

È stato un momento strano.

Al principio non ci siamo neppure parlati, limitandoci a guardarci.

Mio padre fissava ostinatamente il suo sguardo su di me, con quel cipiglio severo che mi aveva sempre mostrato da bambina, anche se adesso non lo ero più. Mi osservava e io lo sapevo, potevo leggerglielo negli occhi, mi rimproverava. Ero la vergogna della famiglia, lo sbaglio incomprensibile. Anche Ai lo aveva letto, mi aveva preso la mano e l’aveva stretta forte.

Mia madre aveva gli occhi rossi.

Non li vedevo da quando, un sabato mattina, durante la colazione, avevo rivelato alla mia famiglia che sarei andata a vivere con Aiko, la mia compagna.

Quanto tempo era passato?

Mia madre mi aveva gettato le braccia al collo e mi aveva abbracciata, senza dire nulla.

L’avvertivo piangere sommessamente, non so se per gioia o per dolore, e avevo sentito mio padre chiamarla con stupore. Io l’avevo abbracciata di rimando con la mano libera, senza lasciare quella di Aiko. Poi l’avevo trascinata in una stradina secondaria e lei si era staccata.

“Mi dispiace” aveva detto: “Sono proprio una scocciatura le vecchie madri, eh?”

“Non sei poi così vecchia, ma una scocciatura sì.”

E lei aveva riso e io avevo sentito il mio cuore sciogliersi.

Perché eravamo arrivati a questo punto? Sapevo e conoscevo la causa scatenante, ma perché era accaduto, perché c’eravamo allontanati, perché i miei fratelli e le mie sorelle rifiutassero anche solo di rivolgermi la parola, per me restava ancora un mistero.

Un anno. Era trascorso un anno da quella mattina in cui tutto il mio mondo fino a quel momento conosciuto era andato in pezzi. Cinque minuti solamente.

“Lei è…?” mi aveva chiesto mia madre imbarazzata, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza.

Lo sai, mi dissi, sai chi è. Perché fingi di non capire?

“E’ Aiko” risposi comunque.

Lei le sorrise e le porse la mano. Mia madre l’accolse fra le sue, ma mio padre si rifiutò di accettare persino il significato di quel gesto.

Del resto della conversazione ricordo ogni singolo movimento, ogni parola e ogni espressione.

I miei fratelli e le mie sorelle non mi parlano ancora. Anche loro, come nostro padre, si voltano dal lato opposto, quando mi incontrano per strada.

Mia madre, invece, venne a trovarci, qualche mese dopo. Fece un giro della casa, parlò con Aiko di arredamento e si accomodò a prendere il tè.

Ai quel giorno aveva comprato dei pasticcini deliziosi.

Ogni tanto mi telefonava e lo stesso facevo io, al cellulare. Le prime volte si imbarazzava a parlare con Aiko e, quando a casa trovava solo lei, le conversazioni si chiudevano in breve. Poi invece mi capitò sempre più spesso di sentirle parlare al telefono del tempo, della giornata trascorsa. E questo mi rese felice. Sapere che almeno mia madre mi sosteneva, anche se non mi capiva, mi faceva sentire meno triste.

Avevo Aiko, è vero, ma avevo avuto anche loro e la consapevolezza di non poterli avere più lasciava, dentro, un vuoto incolmabile.

Delle volte mi capitava di sognarli e incontrarli il giorno dopo. Quando li vedevo irrigidirsi e voltarsi indignati dal lato opposto, non potevo fare a meno di pensare… è davvero con loro che ho condiviso gran parte della mia vita? Sono stati loro il mio fulcro?

Non mi pensano? Non mi hanno sognato mai neppure una volta?

Si può smettere di amare una sorella?

Quel giorno lasciammo i miei genitori presto. Sentivo l’impazienza di mio padre premere fra di noi e soffocarmi. Sentivo l’imbarazzo di Aiko. E non potevo non ascoltarli.

Al ritorno dal ristorante Aiko si andò a sdraiare sul letto.

“Hai una bella famiglia”

“Avevo.”

“La famiglia resta. Nel bene o nel male è l’unico legame che non puoi scegliere e non puoi cancellare. Un giorno capiranno e se non lo faranno ci sarò sempre io con te.”

“Sempre?”

“Sempre.”

“E’ una promessa?”

“E’ una promessa.”

Le sue dita affusolate disegnarono cerchi immaginari sulla mia schiena. Nella camera in penombra, illuminata solo dalle luci esterne, Aiko mi parve come un’apparizione, un sogno. Chiusi gli occhi cullata dalle sue carezze e mi addormentai.

L’ultima cosa che ricordo è il suo respiro sul mio collo e il suo corpo caldo accanto al mio.

“Dove ti ha portato la tua mente? Lontano da me?” mi chiese sorseggiando il tè.

“Pensavo” le dissi allacciando le sue dita alle mie.

“Quando pensi ti allontani e mi lasci sola.”

“Sei la solita sciocca, Aiko.”

Lei mi sorrise, di un sorriso triste, malinconico.

“Finché sarai con me, io sarò felice.” mi disse appoggiando la testa sulla mia spalla: “Non lasciarmi andare. Non gettarmi via.”

“Perché dovrei?”

“Ho sempre paura che tu possa stancarti di me e…”

“Finché sarai con me non avrò bisogno di nulla. Sei tu tutto ciò che cercavo.”

“Starai con me sempre?”

“Sempre.”

“E’ una promessa?”

“E’ una promessa.”

Le passai una mano fra i capelli, nel gesto che riusciva sempre a rilassarla. La sentii tremare un attimo e poi respirare profondamente.

Aiko era come me e come me lei aveva paura. Paura di restare sola, paura di perdere tutto… paura di perdere me, come io lei.

Il futuro… per quanto ci pensassi costantemente mi limitavo a vivere il presente, eppure se chiudevo gli occhi e cercavo di immaginarlo, nel buio totale della mia mente, solo una figura brillava chiara, ed era Aiko.

Fine

Note finali: questa storia è nata un anno fa, mentre passeggiavo per le vie di Siracusa, riscaldata dai raggi del sole. Era primavera, credo, ma non ne sono sicura, la mia memoria è come una barca che affonda. Solo adesso sono riuscita a completarla, ma anche questo motivo mi è oscuro.

L’avevo pensata come una piccola serie, ma non sono brava con le yuri, in effetti questa è la mia prima (e forse ultima?), quindi non so che fare. Merita un continuo o pensate sia meglio troncarla qui? Voi che ne dite?

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Capitolo 2
*** Aiko 2 ***


AIKO

Autrice: Soffio d’argento

Serie: nessuna, è un original.

Rating: non saprei... sono proprio una frana ^^.

Capitolo: secondo.

Declaimers: i pg sono miei e solo miei *_*! Naturalmente non ci guadagnano -///-.

Note: è la mia prima yuri in assoluto. Non so perché l’abbia iniziata, so solo che ho seguito la scia di un pensiero e l’ho immaginata passeggiando.

Dediche: alla sis, sperando che abbia il coraggio di leggerla ^^ e a Pam e Saku che mi hanno incoraggiata. Questo capitolo è tutto per voi, spero che sia all’altezza (parola grossa considerando che si tratta di mie opere ^^) del precedente.

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Quel giorno Aiko si svegliò prima del solito. Non la sentii alzarsi e quando mi svegliai trovai sul tavolo della cucina un suo messaggio. Presi il biglietto con una mano, mentre con l’altra afferravo un biscotto dalla scatola.

“Sono andata via per qualche giorno. Scusa se non ti ho avvisata prima, ma è stata un’emergenza. Ti farò sapere. Baci. Aiko. Ps: guarda che ti faccio controllare, perciò mangia regolarmente e non invitare belle ragazze ad uscire! Ps2: scusa di tutto. Quando tornerò ti spiegherò.”

Sorrisi appoggiando nuovamente il foglietto sul tavolo e andai a sedermi sul divano. Da qualsiasi angolazione la osservassi, la casa mi sembrava sempre vuota senza di lei. Era come un disegno dai colori sgargianti lasciato al sole per troppo tempo.

Sbuffai un paio di volte prima di alzarmi e sedermi al tavolo per fare colazione.

Da quando aveva ricevuto quella telefonata, la settimana precedente, Aiko era diventata improvvisamente strana.

Eravamo di ritorno da una serata a casa di amici e credo fossero le due di notte. Aiko aveva bevuto un po’ quella sera ed era più allegra del solito. Avevo faticato non poco a farla stare zitta durante il tragitto verso l’ascensore. Aveva cantato tutto il tempo. Carlo aveva uscito da un armadietto un vecchio karaoke e lei e Marika ci avevano “allietato” tutta la serata con canzoni, balletti e improbabili duetti. Aiko, poi, aveva continuato a cantare anche in macchina e nel condominio. Un giorno o l’altro ci buttano fuori, pensavo mentre aspettavamo che l’ascensore scendesse dal quarto piano e cercavo di impedire ad Aiko di cantare a squarciagola.

Aiko, da brava giapponese, bevevo spesso, ma mai da perdere il controllo di se stessa. Le rare volte in cui accadeva si trasformava nel tipo da sbronza allegra e questo mi procurava sempre tremendi mal di testa, ma poiché accadeva raramente la lasciavo libera di bere.

Quando finalmente riuscii ad aprire la porta e spingere dentro Aiko, il telefono stava già squillando. Guardai distrattamente l’orologio chiedendomi chi fosse a quell’ora della notte. Quando andai a rispondere il telefono smise di squillare, così mi voltai alla ricerca di Aiko. Quando era così allegra mi spaventava perché diventata ancora più imprevedibile. Mi tranquillizzai solo quando la vidi dormire placidamente sul letto. Sbuffai rassegnata, anche quella volta mi sarebbe toccato cambiarla e metterla a letto.

Le tolsi le scarpe e i vestiti, facendo attenzione a non svegliarla, le misi il pigiama e la coprii con la coperta a quadretti rosa e bianchi che a lei piaceva tanto. Solo ad operazione finita, quando mi misi ad osservare l’ottimo lavoro svolto, il telefono tornò a squillare. Quasi mi ruppi una gamba nel tentativo di rispondere prima che Aiko si svegliasse e quando sollevai la cornetta mi rispose una voce maschile, calma e profonda, dall’accento orientale.

- Un parente di Aiko - subito pensai.

Non sapendo che cosa fare, rimasi in silenzio un attimo, prima di rispondere con un titubante “Hello?”.

“Good evening. Sorry for disturbing you. My name is Akihito. I’m Aiko’s brother. Can I talk with Aiko?”

“Aiko’s sleeping. Can you call tomorrow?”

“I’m sorry but it’s very important.”

Esitai un attimo: “Ok. Wait a minute, please.”

Non sapevo se fosse o meno la cosa giusta da fare, ma la strana urgenza che avevo sentito affiorare attraverso le poche frasi scambiate con quell’uomo, mi aveva convinto dell’importanza della telefonata.

“Aiko….” la scossi con leggerezza e lei, dopo qualche attimo di incertezza, si mosse sotto le coperte.

“E’ già mattino?”

“Ai… c’è una telefonata per te.” sentii Aiko risistemarsi comodamente sotto le coperte, segno che, chiunque fosse stato, per lei aveva poca importanza: “E’ Akihito, tuo fratello.”

Io e Aiko stavamo insieme da anni e di tutte le espressioni che le avevo visto balenare in viso quella era stata, senza dubbio, la più sorprendente. Sembrava nervosa, ma, allo stesso tempo, sorpresa….

A sentire il nome del fratello, Aiko era balzata fuori dalle coperte ed era corsa al telefono. Brilla com’era mi meravigliai come, in quella quasi totale oscurità, fosse riuscita a non inciampare da qualche parte. Aveva alzato il ricevitore con altrettanta forza e, dopo un attimo di silenzio, l’avevo sentita rispondere. Avevano parlato in giapponese e la voce di Aiko, solitamente alta, si era abbassata, diventando quasi impercettibile. Si mescolava ai suoni che provenivano dalla strada e, a tratti, mi pareva che si limitasse solo a muovere le labbra, come un bravo mimo. Un giorno o l’altro devo decidermi ad imparare il giapponese, mi dissi raccogliendo dal tavolinetto del salotto una rivista. Aiko, immobile davanti a me, sembrava una statua di marmo e le spalle, l’unica parte del suo corpo che riuscissi a vedere bene da quell’angolazione, erano tese. Pensai avesse ricevuto qualche brutta notizia.

La conversazione non durò molto. Subito dopo aver riagganciato, Aiko si era avvicinata alla finestra e si era seduta sul davanzale.

“Brutte notizie?” le avevo chiesto fingendo noncuranza.

Capii che non voleva parlarne, così rinunciai dal principio.

Le andai vicino e le posai un bacio sulla testa.

“Quando vuoi parlarne sai dove trovarmi.” scherzai un po’: “Vado a letto.”

C’era una cosa della quale non potevo fare a meno da quando ero andata a vivere con Aiko. Era il suo calore. La sua pelle era sempre incredibilmente calda e mi dava il tepore delle sere invernali. A volte capitava che lei, nei giorni di maggior lavoro, tornasse tardi a casa, oppure che restasse in piedi fino a notte inoltrata per sbrigare del lavoro arretrato. Allora, benché fossi stanca, non riuscivo ad addormentarmi e mi rigiravo insonne nel letto, finché, con qualche scusa banale, mi alzavo e mi sedevo accanto a lei.

“Buon giorno” mi diceva sorridendo.

“Buon giorno” le rispondevo io con la voce ancora roca. E non ero più sola.

Quella sera Aiko tornò a letto tardi. Io feci finta di dormire. La sentii entrare nel letto e sistemarsi al mio fianco. Dopo poco tempo sprofondò in un sonno profondo. Quando fui sicura che, qualsiasi movimento facessi, non si sarebbe svegliata, mi voltai verso di lei.

Cosa mi nascondeva?

Di come fosse Aiko prima di incontrarla non avevo idea. Non c’era foto, indumento, nessun indizio che potesse darmi anche solo un’immagine sfocata dei suoi tempi passati. Come se non bastasse, non ne parlava mai, neanche un accenno e quando facevo qualche domanda diventava evasiva. Tutto ciò che ero riuscita a sapere, ben poco, era che aveva vissuto tutta la sua vita in Giappone, che la sua famiglia era ancora lì, che aveva frequentato un liceo con l’uniforme alla marinaretta e nulla più. Come fosse arrivata in Italia, che cosa avesse fatto qui durante i primi tempi, perché fosse scappata dal Giappone (perché ero convinta che di fuga si trattasse) rimanevano ancora dei misteri. Io mi imponevo di aspettare, ma fino a quando?

Il giorno dopo tutto ricominciò come al solito. Aiko era insolitamente allegra e sembrava non fosse accaduto nulla, come se avesse cancellato, con un colpo di spugna, la notte da poco trascorsa.

Preparai la colazione in silenzio e in silenzio mi sedetti al tavolo. Lei canticchiava qualche canzone straniera, inglese forse, non si capiva bene dato il tono di voce basso. Io la guardavo di nascosto, cercando di cogliere qualcosa di strano, di insolito nel suo comportamento.

- Perché non ti accorgi che ti osservo da mezz’ora? Perché non mi vuoi parlare? –

Ero convinta che, se fossi rimasta in silenzio, lei avrebbe continuato a far finta di nulla, come sempre, ma quel giorno non ero più disposta a tacere.

“Quindi Akihito è il nome di tuo fratello? Non sapevo che ne avessi uno”

Aiko smise di cantare e si irrigidì.

Ecco, sta succedendo nuovamente, pensai, adesso si alzerà e uscirà, come sempre.

“Ai… perché non vuoi parlarmi della tua famiglia?”

Mescolava in silenzio la sua tazza di latte che diventava più fredda ad ogni giro. Forse avrei dovuto smettere di domandare, ma l’idea che preferisse stare da sola piuttosto che…. E fu in quell’istante che ebbi un’illuminazione. Aiko viveva nella nostra città da ormai due anni, ma da quando stavamo assieme mai una volta avevo incontrato qualche suo amico, neppure per strada, di passaggio. Aiko non aveva amici? A pensarci bene le uniche persone che frequentavamo erano i miei amici di un tempo e quelli che, insieme, avevamo conosciuto. Forse stava con me perché si sentiva sola?

“Forse non mi ami abbastanza” avevo sbottato alzandomi e lasciando la cucina.

Non mi aveva seguito e questo mi aveva fatto arrabbiare.

L’idea che lei stesse con me solo perché temesse la solitudine mi faceva rabbrividire.

Pensandoci bene quel che per me era stato chiaro fin dal principio forse, semplicemente, per lei non lo era altrettanto. Quando l’avevo incontrata quella sera al pub, avevo subito capito che quella persona sarebbe diventata il cardine della mia vita. Aveva una forza talmente spaventosa che speravo distruggesse le barriere che con tanta accuratezza avevo costruito. Sapevo, lo sentivo dentro di me, come una creatura che nasce, che sarebbe diventata il tutto e il niente di me. Ma per lei era stato lo stesso? Forse aveva semplicemente visto in me qualcosa di diverso. Forse in me aveva visto un’amica, qualcuna con la quale dividere le proprie giornate e sostenere i propri dolori. Forse avevo affrettato gli eventi, l’avevo costretta a vedere quel che non esisteva e lei aveva accettato, perché era sola. Forse desiderava soltanto qualcuno che la liberasse dalla sua solitudine.

I giorni che seguirono furono pieni di silenzi forzati. Io ero ancora arrabbiata con lei e, dentro di me, la rabbia cresceva ogni giorno di più, insieme all’incomprensione. Aiko, che solitamente ad ogni nostro litigio era la prima a spezzare la tensione, quando era a casa restava in salotto quasi tutto il tempo e andava a letto solo quando pensava mi fossi addormentata. Ogni tanto la sentivo parlare al telefono, ma non riuscivo mai a capire di cosa parlasse e soprattutto con chi. Tutte le volte che terminava una conversazione, però, il suo volto assumeva sempre un’espressione tesa.

Ad una settimana esatta dalla la telefonata del fratello, Aiko partì, presumibilmente per il Giappone. Al mio risveglio trovai solo un foglietto che alimentò le mie paure e i miei sospetti.

Cinque giorni dopo la sua improvvisa partenza, finalmente trovai, al ritorno da una noiosa giornata di lavoro, un messaggio nella segreteria telefonica. Era Aiko. Al suono della sua voce il mio cuore prese a battere furiosamente. Le mie orecchie e il mio cuore si riempirono di Aiko e solo di lei. Presa da quella frenesia incontrollabile, dovetti ascoltare il suo messaggio più e più volte. Mi mancava. Mi mancava terribilmente!

Il suo fu un messaggio breve. Diceva solo di stare bene e che non avrei dovuto preoccuparmi. Se sarebbe fatta viva lei.

Nessun recapito, nessun numero telefonico. Niente di niente. Spariva all’improvviso e si faceva risentire dopo cinque giorni come se nulla fosse. Incurante di tutto. Incurante di me!

Rimasi davanti al telefono per mezz’ora. Nervosa e piena di domande. Quando scese la sera decisi di prendere in mano la situazione. Sin da piccola non avevo mai permesso a nessuno di scegliere per me. Mia madre spesso mi aveva rimproverato questo carattere troppo indipendente e testardo. Sei una testa calda, mi urlava dietro, ti troverai male nella vita! E invece era stato proprio il mio carattere forte e orgoglioso a darmi l’energia e la forza per andare avanti. Avevo sempre camminato da sola e a testa alta, forte delle mie idee e delle mie convinzioni, almeno fino al giorno in cui avevo incontrato Aiko. Tutte le mie fondamenta erano state scosse dal cambiamento. Nulla di ciò che avevo sempre considerato certo ormai si rivelava come tale. I “se” e i “ma” che prima mi erano sembrati sempre fonte di debolezza, erano diventati parti di me, della mia dolce insicurezza. Avevo imparato a camminare al fianco di qualcuno, con lo sguardo rivolto verso lei. Ero cambiata, mi aveva detto mia madre con un po’ di malinconia, ed anche io ne ero consapevole. Ero diventata più insicura, più debole, più… dolce e niente di tutto ciò mi spaventava. Ero felice del mio cambiamento perché mi aveva reso una persona migliore, degna del mio sole.

Eppure, me ne rendevo conto solo in quel momento, forse mi ero indebolita troppo. Forse ero dipesa da Aiko più del necessario. Avevo fatto di lei il centro di tutto e ora che lei era tornata nella sua Avalon, mi trovato sperduta e impaurita come non mai.

Dal momento in cui c'eravamo incontrate, il mio io ero diventato un noi e la mia vita si era modificata conformemente. Tutte le mie certezze comprendevano Aiko e attorno a lei ruotavano. Ma se lei non fosse più tornata? Se avesse deciso di ritornare alla sua sconosciuta vita? Cosa ne sarebbe stato di me?

Gettai contro il muro il suo telefonino e urlai di frustrazione.

Aiko, dove diavolo eri finita? Quale gorgo ti stava risucchiando e dove ti avrebbe portata?

Alle sette di sera, mentre l’orologio della chiesa vicina scandiva le ore, uscii di casa ed andai da Manola. Girai come un turbine fra le strade della città, lontana dalla confusione. Non volevo vedere nessuno e non volevo che nessuno mi disturbasse. Per fortuna ero stata abbastanza cosciente da non prendere l’auto.

Trovai Manola al bar, come tutte le sere. Chiacchierava allegramente con un cliente, mentre preparava un caffè. Manola conosceva Aiko da molti anni, avevano lavorato nello stesso periodo nello stesso pub. Da qualche anno si occupava della gestione di un bar, vicino al centro, insieme al marito. Lei era l’unica, per quanto ne sapessi, che conoscesse qualcosa del passato di Aiko. A lei mi ero rivolta tanto tempo prima, in preda alla frustrazione totale, quando sentivo che i silenzi e i segreti di Aiko stavano creando un divario tra di noi. Lei era stata categorica nel suo rifiuto. “I segreti” mi aveva detto “devono essere svelati solo dalla persona che ne è padrona.”. Quando poi l’avevo chiesto ad Aiko, lei mi aveva risposto sibillina, dicendo che Manola ne era venuta a conoscenza nonostante tutto. La mia frustrazione era cresciuta, ma avevo preferito assecondare Aiko nella sua testardaggine e avevo smesso di fare domanda. Certe sere, però, mentre la osservavo guardare qualche programma sul satellitare oppure la vedevo immersa nei suoi pensieri, non potevo far a meno di pensare a Manola e al fatto che lei fosse a conoscenza di qualche segreto a me negato. In quei momenti sentivo qualcosa, dentro il mio cuore, incrinarsi….

Quando entrai Manola dovette capire subito che qualcosa non era andata nel verso giusto, perché lasciò quel cliente e venne verso di me.

“E’ successo qualcosa ad Aiko?” mi chiese ansiosamente.

“Parlami di lei e dimmi tutto ciò che sai.”

Nei pochi attimi che seguirono, che a me parvero eterni, Manola mi scrutò a fondo e alla fine mi disse di sedermi ad un tavolo. Era quasi l’orario di chiusura. Presi posto vicino al vecchio jukebox ormai inutilizzabile e lei mi portò un caffè lungo.

L’ora di chiusura arrivò presto o almeno questo fu quel che percepii dall’acquietarsi del rumore. Mentre il marito si occupava di rimettere a posto il locale, Manola venne a sedersi di fronte a me.

“Allora? Cos’è successo?”

Le raccontai ogni cosa, anche i particolari inutili, dalla festa alla telefonata di Akihito, dal comportamento strano di Ai alla sua scomparsa che aveva il sapore amaro di una fuga. Quando finii di parlare, mi accorsi con sorpresa di avere il fiato corto, come se avessi corso per chilometri, e di sentirmi stranamente leggera, libera.

“Akihito, eh?” Manola guardò pensosa il bicchiere davanti a sé. “Questo mi riporta indietro di anni. Un tuffo nel passato davvero lungo…”

“Manola so che vorresti fosse Ai a parlarmi del suo passato, ma se qualcosa di ciò che sai potesse aiutarmi a capire cosa diavolo sta succedendo o potesse aiutarmi a comprendere il perché della fuga di Aiko, allora te ne sarei grata dal profondo del mio cuore!”

“Ti và di salire su? Stasera Fabrizio va a casa di amici a vedere la partita, così avremo la serata tutta per noi e potremo parlare con tranquillità. Ti và?”

Feci un vago cenno di assenso e aspettai che finisse di parlare con il marito.

Manola e Fabrizio avevano un grazioso appartamento sovrastante il bar, oltre ad una grande villa al mare e vari locali sparsi per la città. Vivevano insieme da solo due anni, eppure sembrava stessero insieme da sempre. Non c’era Manola senza Fabrizio né Fabrizio senza Manola. Di tutte le coppie che conoscevo loro costituivano il mio ideale irraggiungibile.

Salite a casa ci sedemmo sul divano.

“Quando conobbi Aiko lavoravo già in quel pub. Quando me la presentarono ricordo che pensai qualcosa del tipo “ma è vera o no?”. Aveva un sorriso aperto sul volto di chi nella vita sa solo sorridere e per questo al principio non mi fu molto simpatica. ”

La guardai sorpresa. Il sorriso di Ai era stata la prima cosa che mi aveva colpito, dritta al cuore come una freccia d’oro.

“Era piccola e fra i tavoli sembrava scomparire. Non so perché ma fra noi non si creò subito un feeling particolare. Io me ne stavo per i fatti miei e lei faceva lo stesso. Credo di essere stata l’unica immune al suo fascino. Non so spiegartelo bene ma guardarla mi rendeva triste.”

Squillò il telefono e, scioccamente, per un attimo sperai fosse lei. Uscii il cellulare dalla borsa e nella confusione scorsi anche quello di Aiko, malandato ma ancora funzionante. Lo accarezzai con delicatezza, quasi fosse l’ultima cosa che di lei mi fosse rimasta, e questo pensiero mi fece rabbrividire. Scossi la testa e riposi il suo cellulare nella borsa.

“Scusami tanto. Era Fabrizio, voleva dirmi che farà tardi stasera. Dopo la partita va a mangiare una pizza con gli amici.”

“E tu? Non vai con loro?”

“Scherzi? Finalmente riesco a liberarmene per una sera e dovrei pure seguirlo?” mi guardò sorridendo: “Credo che in ogni rapporto sia necessaria un po’ di libertà, no? Allora dove eravamo arrivate? Ah sì! Come ti dicevo fra noi due non si era creato nessun feeling, così ce ne stavamo ognuna per conto proprio. Questo almeno fino a quella sera….” Si accense una sigaretta e si avvicinò alla finestra: “Ti dispiace se fumo?”

“No no. Fai pure.”

“Era pieno inverno ed avevamo chiuso più tardi del solito. Aiko non viveva molto lontano, quindi andava sempre a piedi a casa e non aveva mai accettato alcun passaggio. Quella sera, ad aspettarla poco distante dal bar, c’era una macchina scura. Quella stessa sera, io, che solitamente ero la prima ad uscire, ero rimasta al pub a chiacchierare un po’ con la proprietaria. Quando uscii, un’ora dopo, mi stupii di trovare ancora lì Aiko, così, spinta dalla curiosità, feci finta di non riuscire a trovare le chiavi della macchina e rimasi ad ascoltare. Aiko stava parlando con qualcuno nella sua lingua madre. Sembrava nervosa ed agitata e questo mi stupì ancora di più della sua presenza lì e a quell’ora. Ad un certo punto l’uomo con cui stava parlando la prese per un braccio e cercò di forzarla ad entrare in macchina. Aiko si dimenava e urlava qualcosa in giapponese, cercava di liberarsi dalla stretta con tutte le sue forze.”

Rimango ad ascoltare impietrita, divorando ogni sua parola. L’immagine che si affaccia alla mia mente è quella di un’Aiko diversa, più vulnerabile. Mi sento come una ladra. Mi sto appropriando di una parte del suo passato nonostante lei non voglia che ne faccia parte.

“Naturalmente sono intervenuta. Ho fatto finta di chiamare la polizia. L’uomo che stava forzando Ai a seguirlo deve essersi spaventato e così è rientrato in macchina ed è andato via. Poiché Aiko mi sembrava ancora molto scossa, l’ho invitata a prendere un tè a casa mia. Non so, ma forse si sentiva un po’ in obbligo nei miei confronti o forse sentiva l’urgenza di parlare con qualcuno, fatto sta che, mentre sorseggiavamo il tè, abbiamo iniziato a chiacchierare e in breve, senza accorgercene è arrivata l’alba. Da quel momento le cose fra noi sono cambiate e il resto, come si dice in questi casi, è storia.”

La guardai ansiosamente. Non era questo ciò che mi interessava e lei lo sapeva.

“Ma non è questo che ti interessa, vero?” si accomodò sul divano davanti a me e continuò: “Purtroppo non so molto. So solo che quello era uno dei suoi fratelli, Akihito appunto, e che era venuto per riportarla a casa, a Tokyo. Mi ha detto che era scappata di casa appena finito il liceo, ma non so il perché. So che ha viaggiato un po’ in tutta Europa, assieme ad amici incontrati strada facendo, e che ha fatto i lavori più svariati, fino a quando è approdata in Italia, per uno caso del tutto fortuito.”

Restammo in silenzio, io valutando ogni sua parola, lei osservandomi. Le mie mani, intrecciate davanti alla fronte, tremavano. Se cercavo certezze non le avevo trovate e, anzi, il caos nella mia mente era aumentato.

Quando infine mi decisi ad alzare lo sguardo, Manola stava accendendo la seconda sigaretta.

“Come vedi non so molto, mi dispiace.”

“Sempre più di ciò che so io…. Quindi i suoi sono di Tokyo… magari è lì che si trova ora. Forse… forse dovrei andarla a cercare, no?”

Domandai e non sapevo più se a Manola o a me stessa.

“Forse… ma come pensi di trovarla? Non sai che il nome e il cognome e…”

“Lo so. Ma qualcosa devo pur farla! Mi sembra di impazzire!” mi alzai di scatto dalla poltrona ed uscii nella veranda.

L’aria fresca della sera mi colpì il volto sferzante. Il cielo, orfano di stelle, sembrava un’umida coperta logora. La città mi apparve stanca e orribilmente truccata. Niente riusciva a darmi la pace che cercavo.

Manola mi seguì dopo qualche minuto.

“Non prendertela con il mondo intero e neanche con Ai. La colpa è solamente tua!”

“Lo so.” sospirai.

“Come fai a stare con una persona senza sapere nulla di lei? È da pazzi!”

“E credi che non ci abbia mai provato? Ma ogni volta che toccavo, anche se solo alla lontana, l’argomento, lei si richiudeva a riccio e io desistevo perché avevo paura! Avevo paura che mi lasciasse! Avevo paura che sparisse per sempre! Sono…”

“… un’idiota, ma purtroppo non ci si può fare nulla.” mi disse accarezzandomi i capelli, mentre io, appoggiata alla ringhiera, piangevo in silenzio: “Ma qualcosa posso farla, forse.”

Alzai il volto di scatto. Quasi mancai un battito.

“La padrona del locale in cui lavoravamo è una mia cara amica. Potrei chiederle di dare un’occhiata ai documenti presenti in archivio… sai per l’ingaggio.” E quasi avesse letto nella mia mente: “Ma domattina. Ora vai a casa e riposati. Domani mattina mi metterò in contatto con lei e le parlerò. Oggi il locale è chiuso. Ora vai a casa, fatti una bella tisana e riposati, che ne hai davvero bisogno. Domani mattina, se vorrai proseguire con il tuo intento, allora ti darò tutte le informazioni disponibili.”

Manola insistette per riaccompagnarmi a casa. Mi lasciò proprio davanti il condominio e attese che entrassi prima di ripartire. Forse aveva intuito quanta poca voglia avessi di ritornare a casa. Quello spazio vuoto mi riempiva di malinconia. Mi faceva sentire sola.

Appena dentro andai subito a controllare la segreteria telefonica ma non vi era nessun messaggio. Ascoltai ancora la voce di Aiko un paio di volte, poi decisi di seguire i consigli di Manola. Preparai la vasca e feci un lungo bagno rilassante, mi preparai una tisana e mi gettai sul letto, stanca e avvilita. Controllai l’orario sul display della sveglia: mezzanotte. Mancava ancora troppo all’arrivo del sole e ancora di più alla telefonata di Manola.

Fuori dalla finestra, i rumori della città, ovattati dal silenzio della notte, entravano nella mia camera in punta di piedi, quasi cantassero una ninna nanna. Ipnotizzata da questo rumore monotono, mi addormentai quasi subito, per la prima volta da quando vivevo con Aiko. “Forse, pensai, sarà sempre così, dovrò abituarmi. Anche questa Aiko svanirà rapita dal tempo che passa.”

Mi risvegliai a giorno inoltrato. Non avevo sognato. Era stata una lunga, tranquilla notte breve.

Mi alzai ancora assonnata e, brancolando, mi andai a sedere sul divano. Ancora una volta non c’erano messaggi in segreteria. Mi lasciai andare sulla spalliera e mi deliziai del nulla che si infiltrava nella mia mente.

Tutto attorno a me era quiete e tranquillità e, quando essa fu interrotta dal suono acuto del telefono, sobbalzai spaventata. Allungai lentamente la mano verso la cornetta e risposi.

“Pronto?”

“Sono Manola. Ho qualche notizia per te.”

Fu come risvegliarsi all’improvviso in piena notte, dopo un incubo, con i sensi vigili e il cuore che batte impazzito.

Respirai in profondità un paio di volte, chiusi gli occhi ed ascoltai.

Fine seconda parte

Erano mesi che non riuscivo a mettere due parole, che avessero un minimo di senso, una accanto all’altra! Quasi non riesco a crederci! E, come se non bastasse, con il secondo capitolo di Aiko che, nell’idea originale, doveva essere una os! E’ nata da sola, come un piccolo sogno pomeridiano ed è stato un piacere per me scriverla. In futuro seguiranno altri capitoli, ma non posso promettervi una data sicura. Spero solo che questo momento di grazia creativa continui.

Grazie del vostro sostegno.

Ps: cercasi beta rider senza impegno ^^. Scrivo poco e raramente (se si esclude la ff di compleanno dello scorso anno della sis non scrivevo da anni) e scrivo ff di ogni genere e rating. Chiunque volesse sacrificarsi ^^ è libero di contattarmi. La mail sapete come trovarla, no? Grazie!

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