•Doomsday•

di Lirin Lawliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Count Down: la morte e l'imperatore ***
Capitolo 2: *** Contatto ***
Capitolo 3: *** Un passo indietro ***
Capitolo 4: *** Reazione chimica ***
Capitolo 5: *** L' Appeso ***
Capitolo 6: *** Il Diavolo ***
Capitolo 7: *** L' Eremita ***
Capitolo 8: *** Sacrificio di Donna ***
Capitolo 9: *** La pendola dell'apocalisse ***
Capitolo 10: *** Kyrie Eleison ***
Capitolo 11: *** Il giorno del giudizio ***



Capitolo 1
*** Count Down: la morte e l'imperatore ***


۞Ðøøмšđåỵ۞

1 COUNT DOWN
La morte e l'imperatore

 




Londra - 9 Novembre 2004
(pochi giorni dopo l'archiviazione del caso Kira)

 


Lo scoppiettio di palloncino di chewing-gum inghiottì il silenzio che si respirava nel piccolo appartamento immerso nella penombra...

"Cammina il tempo ma non riesce/ a farne un uomo xkè non cresce/ Vola nel vento come una piuma/ senza memoria i suoi giorni consuma. Entra di notte dalla finestra: Ti dice niente seconda a destra?"

Yana Yaromira rilesse tutto velocemente, modulando la voce in modo tale da assecondare l'enfasi che la filastrocca richiedeva. Ormai l'aveva imparata a memoria a furia di rileggerla di continuo, forse nella vana speranza che quelle semplici righe iniziassero spontaneamente a rispondere ai numerosi interrogativi che in quel momento sembravano aver iniziato ad occupare la sua mente.
Ovviamente, i suoi capricci non vennero soddisfatti con la faciltà da lei sperata.

Una sciarada? Uno scherzo di cattivo gusto? Rilesse il nome del mittente e ogni suo dubbio svanì così com'era sorto.

L...? Possibile che si trattasse proprio di lui?

, si ritrovò ad ammettere a se stessa; sapeva fin troppo bene che nessuno al mondo, mai, avrebbe provato ad appropriarsi indebitamente di quel nome. Chiunque avesse provato a rubargli l'identità avrebbe inevitabilmente scatenato la suscettibilità del più grande detective del XX e del XXI secolo. No, concluse, doveva trattarsi per forza di lui.
Non che questo servisse a chiarire il motivo di quell'inatteso contatto.

Erano anni che non aveva più rapporti con L.
Naturalmente, riceveva sistematicamente sue notizie... Non da lui direttamente, certo: si limitava a collezionare gli articoli di giornale che citavano il suo nome; che poi, con ogni probabilità, non doveva essere quello vero. Infatti, "L" era soltanto il più potente e famoso dei suoi innumerevoli pseudonimi, così come lo erano anche Eraldo Coil o Danuve. La poliziotta non ne conosceva la quantità esatta, ma supponeva che il numero complessivo dei suoi nomi in codice dovesse aggirarsi intorno alle tre cifre.

O forse, potevano addirittura essere quattro?

Si rassegnò al fatto che se avesse continuato a rigirarsi scioccamente i pollici non avrebbe mai soddisfatto la propria insaziabile curiosità; così fece scoppiare l'ennesimo palloncino di chewing-gum, digitò la soluzione all'engima sulla tastiera del pc e la inoltrò al mittente con una certa impazienza.
Iniziò a tamburellare nervosamente le dita contro il legno scuro del tavolo da studio, immaginando al contempo quale potesse essere stato il motivo che aveva indotto L a mettersi in contatto con lei. Perchè aveva chiamato proprio lei, la pecora nera della Wammy's House?

A stupire Yana Yaromira non era stata tanto la cripticità della filastrocca, apparentemente incomprensibile, quanto il fatto stesso che lui gliel'avesse inviata. La soluzione all'enigma era piuttosto semplice, a dir poco elementare per una ex-allieva della Wammy's House: Peter Pan.

Si ritrovò a paragonare la figura fiabesca dell'eterno bambino al ricordo lontano, eppure perfettamente nitido, che conservava del detective; e, a quel pensiero infantile, non riuscì ad impedirsi di sorridere, ormai sempre più impaziente di ricevere risposta al suo messaggio.

L' email non tardò ad arrivare: Complimenti, Yana. Sapevo di poter contare su di te. Ti aspetto alle 9:00 pm

La poliziotta inarcò un sopracciglio, comprendendo immediatamente il reale significato di quelle parole che, ad un primo impatto, sembravano avere poco senso. Dopotutto, sarebbe stato lecito chiedersi almeno dove doversi recare... Ma ripensandoci, lei lo sapeva già; non poteva essere altrimenti, o un uomo scrupoloso e meticoloso come L non avrebbe mai omesso un particolare così importante nel messaggio!
La stava valutando: raggiungerlo era una prova - o, se non altro, Yana decise di intenderla in questo modo. E questa consapevolezza le causò una scarica d'adrenalina che le percorse la spina dorsale con la rapidità di una saetta. Una piacevole, ma dolorosa, fitta allo stomaco le attorcigliò le membra, neanche se onde di lava incandescente avessero preso posto in luogo del suo sangue...

Presto lo avrebbe rivisto.

A quel pensiero, la giovane donna guardò l'orologio sul desktop del suo computer portatile e, non appena comprese la situazione, si abbandonò ad un'imprecazione spontanea: mancavano solo dieci minuti alle nove di sera.

"Damn!" disse a denti stretti, scattando in piedi così velocemente da far capovolgere la poltroncina della scrivania. Non c'era tempo per rimetterla nella giusta posizione; non c'era tempo neanche per guardarsi allo specchio. Cos'avrebbe pensato L quando l'avrebbe rivista? Quando avrebbe rivisto lei, con i suoi indomabili capelli di fuoco e il lieve sentore di fragola delle sue immancabili Big Bubbles? Beh -ragionò- non valeva la pena restare lì a chiederselo: presto l'avrebbe scoperto comunque. E poco importava che non avesse un filo di trucco in viso o che avesse una sorta di cespuglio al posto dei capelli... Tanto L avrebbe di sicuro trascurato quegli sciocchi particolari! O, se non altro, lei segretamente sperò che lo facesse.

Afferrò le chiavi della sua Harley e fece per uscire, quando un pensiero la bloccò sull'uscio... Tornò indietro, afferrò la sua Strayer Voight modello "Infinity" e la ripose nella fodera del giubotto (che, per la cronaca, non era di pelle, dato che la poliziotta era un'animalista convinta e non avrebbe mai neanche pensato di indossare qualcosa che fosse stato fatto ai danni di una povera bestia) e scelse un paio di scarpe comode.

Così, Yana uscì di corsa dal piccolo appartamento che dava su Cravent Road e si ritrovò a vagare lungo il versante Sud della medesima strada, infettata dal traffico congestionato e tipico della capitale inglese. A giudicare dal brusìo dei clacson e dall'aria fumosa che le annebbiava la vista, avrebbe impiegato circa quaranta minuti per giungere a destinazione...

"Bloody Hell!" borbottò contro un cielo plumbeo che sembrava farsi beffe di lei "Non poteva avvisarmi un po' prima, quel mentecatto?!"

 

Tokyo - cinque giorni prima 
(l'archiviazione del caso Kira)

 

L, il più grande detective del secolo, affondò goffamente nella poltrona che presentava un solco del suo corpo sgraziato; solco che ormai era così evidente da sembrar quasi plastificato. Di sicuro, chiunque avesse visto il detective in quel momento lo avrebbe giudicato come una persona stramba e trasandata; o almeno, così pensò lui.
Non che ad L importasse molto dell'opinione delle persone; era perfettamente consapevole di non essere un adone, così come era altrettanto conscio di rappresentare un illustrissimo esempio di rettitudine morale. E questo era tutto ciò che gli bastava sapere per avere un'alta opinione di se stesso e di ciò che il suo titolo significava.

Qualcosa nei suoi occhi d'onice, incorniciati da marcate occhiaie scure, destò la preoccupazione di Watari, il suo fido aiutante e benefattore.

L'uomo, fasciato in un impeccabile completo nero, gli si avvicinò a grandi falcate senza sapere esattamente cosa dire o fare ma, non appena gli fu troppo vicino, rallentò il passo sino a bloccarsi del tutto. Se in quel momento L gli avesse chiesto il perchè di quell'atteggiamento, probabilmente Watari, o meglio Quillsh Wammy, non avrebbe saputo rispondere con esattezza; fu come se qualcosa negli occhi del suo protetto lo avesse attratto e ripugnato al tempo stesso, incatendandolo a debita distanza da lui. C'erano ombre scure e cariche di pioggia nei suoi occhi d'inchiostro. Nonostante L fosse poco più di un ragazzo, spesso sapeva incutere un certo timore reverenziale nei confronti di chi aveva la fortuna di incontrarlo di persona. E Watari non costituiva un'eccezione.
Fortunatamente per lui, L non gli dedicò attenzione.

Il giovane detective sembrava particolarmente assorto, come se qualcosa, per la prima volta in venticinque anni di vita, lo avesse irrimediabilmente spaventato.

La schiena curva, schiacciata dal peso della sua stessa intelligenza.

Le braccia ossute che stringevano le ginocchia ancora più ossute.

Lo sguardo fisso su un quaderno nero...

L si mordicchiò distrattamente l'unghia del pollice destro; gesto che compiva ogni volta che si lasciava trasportare da un'intricata rete di calcoli, pensieri e macchinazioni. I suoi sospetti sulla vera identità di Light Yagami non si erano mai estinti; aveva osservato i suoi movimenti giorno e notte per mesi, senza riuscire a provare che lui fosse Kira. Ma non c'era dubbio che il pericoloso criminale fosse lui. Doveva essere lui. Onestamente, L non sarebbe stato soddisfatto finchè non avesse provato la sua colpevolezza, tanto che, se i suoi calcoli si fossero rivelati sbagliati e Light fosse stato innocente, in un certo senso, ci sarebbe rimasto male.

Ma Light Yagami non avrebbe commesso errori...

Non avrebbe fatto alcun passo falso. Aveva tessuto tutt'intorno a sè una ragnatela di bugie, ma era stato tanto ingegnoso -e soprattutto fortunato- da non cadere nella sua stessa trappola. Light Yagami era un genio, doveva riconoscerlo: aveva giocato bene le sue carte. Non aveva lasciato nulla al caso. Oppure sì?

La regola dei 13 giorni...

L era sicuro che non fosse autentica. Ma come provarlo?

Certo, avrebbe potuto scegliere due condannati a morte: A e B. Il condannato A avrebbe potuto scrivere il nome del candidato B sul Death Note, e poi sarebbe stato sufficiente aspettare 13 giorni per provare l'autenticità della regola misteriosa... Era tutto apparentemente semplice da risolvere ma, al contempo, sarebbe stato difficile mettere in pratica un piano di questo tipo. Le probabilità di compiere un'operazione del genere senza destare sospetti si aggiravano intorno al 4%.
Dunque, che fare?

Restava un'unica possibilità...

L sollevò la copertina nera del Death Note, tenendola delicatamente tra pollice ed indice, quasi fosse sporca. Infetta.

"L'umano il cui nome sarà scritto su questo quaderno... morirà" sussurrò tra sè e sè.

Watari lo guardò senza parlare. A differenza del suo protetto, non conosceva a memoria tutte le regole del quaderno della morte, ma quella, la prima, avrebbe saputo recitarla anche lui. L'uomo osservò L alzarsi di scatto, afferrare una penna nera e allontanarsi con passo strascicato in direzione di una delle tante scrivanie presenti nel locale. L gli stava dando le spalle di proposito, neanche dovesse vergognarsi per quello che avrebbe fatto di lì a pochi istanti...

"Cosa c'è L?" chiese Watari "Cosa vuoi fare?" aggiunse, quasi in un sussurro, quasi avesse davvero intuito qualcosa...

Il ragazzo non rispose; scelse velocemente una pagina bianca del Death Note e scrisse qualcosa che Watari non potè vedere.

"Che nome hai scritto, L?" insistette l'inventore, avvertendo il proprio cuore che gli si incastrava saldamente fra le corde vocali.

"L'ultimo nome che deve essere scritto su questo quaderno"

Così dicendo, il giovane detective sollevò il Death Note e lo fece dondolare quasi in segno di vittoria. Watari impallidi non appena ebbe la forza di mettere a fuoco il nome che, crudele, sembrava essere stato marchiato a fuoco sulle pagine del quaderno della morte. Le sue labbra sottili si dischiusero appena, stravolte dall'orrore.

"L... Cos'hai fatto!"
 

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_______________L Lawliet_________________

_____ si spegnerà serenamente tra 23 giorni_____

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Gli eventi che seguirono quel gesto furono estremamente rapidi. Come da L previsto, Light corruppe Rem facendo leva sui suoi sentimenti per Misa, costringendo la Shinigami a scrivere il nome dell'unica persona in grado di rappresentare un ostacolo per Kira; ciò nonostante, il piano di Light non aveva avuto successo perchè...

...Quando su due o più Death Note viene scritto lo stesso nome, avrà effetto soltanto il quaderno sul quale il nome è stato scritto per primo, a prescindere dall'ora della morte stabilita.

Quel giorno, Light Yagami fu arrestato dal suo stesso padre, Soichiro Yagami. Due ore dopo l'arresto, egli morì -inspiegabilmente- di attacco cardiaco. Probabilmente, fu lo stesso Ryuk a porre fine alla vita del più grande assassino del secolo... L non lo sapeva con certezza, e soprattutto non gli interessava approfondire l'argomento. Il Caso Kira era stato finalmente archiviato.

Adesso restavano soltanto lui, l'arma più terrificante che il mondo avesse mai conosciuto, e i suoi ultimi ventitrè giorni di vita... 

Tokyo - 6 Novembre 2004
-22 giorni


L congedò Matsuda con un gesto della mano. Finse di non prestare attenzione alle sue sentite condoglianze ma, benchè si sforzasse di non mostrarsi debole dinanzi ad un suo sottoposto, non potè fare a meno di apprezzare il gesto del poliziotto. In fondo, Matsuda era davvero un bravo ragazzo... , pensò con maggior convinzione, davvero un bravo ragazzo!
Piuttosto che presenziare al funerale di Light aveva preferito restargli accanto e vegliare sulla salma, ormai fredda ed immobile, di Watari.

Watari: l'unico errore di L.
Non aveva potuto prevedere la sua morte e non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.

Watari era l'uomo che l'aveva accudito come il più affettuoso e rispettoso dei padri; l'uomo che non gli avrebbe mai negato nulla, neanche la vita, se lui gliel'avesse chiesta...

 

L sollevò le lenzuola bianche e, con lentezza estrema, le fece scivolare sul volto dell'uomo, quasi come se volesse concedergli il tempo per riaprire gli occhi, alzarsi e andargli a preparare una delle sue torte preferite. Ma Watari non fece nulla di tutto questo. Non l'avrebbe fatto mai più.

Quella fu l'ultima volta che lo vide.

 

-21 giorni

L Lawliet osservò il fuoco divampare nel cestino dell'immondizia. Nei suoi occhi d'ossidiana brillò sinistra la scintilla della soddisfazione e, allo stesso tempo, si addensò l'ombra della sconfitta... Quanto male aveva causato quel dannatissimo Death Note? Quante persone avevano perso la vita per colpa di un oggetto tanto innocente come un quaderno? Cosa aveva fatto di male Watari per meritare di esserne vittima? Nulla. Watari... Beh, presto lo avrebbe raggiunto nell'al di là.

Avvicinò il Death Note alle fiamme, con la precisa intenzione di mettere fine all'esistenza di quell'abominio, quando una voce lo colse di sorpresa. Apparentemente, nessun muscolo del suo viso lo tradì mentre alzava lo sguardo vitreo sullo Shinigami.
Ryuk gli sorrise in modo inquietante, sfoggiando due file di denti perlacei e aguzzi.

"Ehi! Ehi! Sei sicuro di volerlo fare? Anche se lo bruci la tua vita non si allungherà!" tentò di persuaderlo, lo Shinigami.
L si limitò ad avvincinare ulteriormente il Death Note alle lingue di fuoco.
"Eddai aspetta! Light diceva che non quel quaderno sarebbe diventato il Dio del Nuovo Mondo!" continuò Ryuuk.
L esitò per un unico istante, e poi, con un movimento fluido condannò definitivamente il quaderno alle fiamme.
"Il modo in cui Light è morto... è stato forse degno di un Dio?"

Ryuk rovesciò la testa all'indietro e scoppiò in una fragorosa risata, come se quella di L fosse stata la più divertente delle battute e, fra una risata e l'altra, scomparve nel nulla, cancellato da una pioggia invisibile e odorosa di zolfo.

Era giusto lasciarlo andare? No, non lo era, in fondo, era l'unico vero responsabile della pazzia di Light Yagami, della scomparsa di Naomi Misora e della morte di Watari.
Ma in fondo, come si poteva giustiziare un Dio, anche se era un Dio della Morte?

Soltanto qualche giorno dopo L avrebbe scoperto quanto potesse essere diabolico un Dio a piede libero e si sarebbe pentito della propria scelta, ma in quel momento, nel suo cuore non c'era spazio per nulla che non fosse il dolore per la scomparsa del suo mentore.

Il detective prese posto dinanzi al computer e inviò un'e-mail a tutti i membri della Wammy's House per informarli della morte di Watari, ed immediatamente, forse per dovere morale o forse per non pensare alla scomparsa di suo... padre? (Sì, in effetti, era proprio in quel modo che pensava a Watari) iniziò a lavorare ad altri casi irrisolti, sparsi per il mondo...

 

Londra - 6 novembre 2004

Un trillo squillante si sostituì al silenzio che regnava, di solito sovrano, a casa Yaromira...

"No. Non ancora signor Roger! Mi faccia dormire un altro po'"

...Ma lo scampanellio non aveva alcun'intenzione di obbedire alle sue suppliche.

All'ennesimo squillo di quella macchina infernale -chiamata volgarmente "telefono"- Yana si decise a sollevare la cornetta e, senza chiedere nè chi fosse nè cosa volesse, gridò un poco educato Non ci sono!

"Ce ne hai messo di tempo, Belladdormentata!" grugnì una voce maschile, bassa e cavernosa, arrochita da anni di dipendenza dal sigaro.
Yana ebbe l'impulso di tagliare all'istante i fili del telefono.
"Black!... Ma lo sai che svegliare le persone alle prime luci dell'alba è un reato?!" piagnucolò, intenzionata a continuare a poltrire per almeno un tre ore.
"Primo: non è reato. Secondo: è mezzogiorno" precisò l'ispettore Desmond Black, inconsapevole del fatto che Yana lo stesse scimmiottando dall'altra parte della cornetta "E comunque sia, vestiti e raggiungimi in centrale immediatamente... Abbiamo un problema"
"Che genere di problema?" chiese lei, improvvisamente sveglia.
"Uno di quelli grossi!"
"Non puoi parlarmene da qui? Se mi fai saltare la colazione per nulla, giuro che ti arresto!"
"Credimi... Non avrei preteso il tuo grazioso culetto, se non si trattasse di una questione della massima urgenza"
"Uff!" sbottò Yana, dando un calcio alle coperte, che puntualmente finirono ai piedi del letto "Va bene, vecchio... Dieci minuti e arrivo!"
"Facciamo cinque"

Yana si precipitò a Scotland Yard a bordo della sua Harley, trovando miracolosamente posto per parcheggiare proprio dinanzi alla questura. Stranamente, la centrale di polizia era gremita di persone, cosa che accadeva in due ipotesi: o nel caso in cui fosse stato arrestato un pericoloso assassino, o nell'eventualità che fosse stato ucciso un personaggio molto noto. Rapidamente, la poliziotta contò una ventina di giornalisti. Li ignorò puntualmente, quando questi presero a scattarle delle fotografie e ad aggredirla con una sfilza di domande incomprensibili. La poliziotta si fece largo fra la folla, innervosita da tutto quel trambusto mattutino; possibile che nessuno si rendesse conto di quanto poteva essere pericolosa Yana Yaromira a stomaco vuoto?

Possibilissimo.

Ma rischioso.

La detective riuscì a fatica a crearsi un varco fra la fiumana di corpi e ad arrivare illesa al metal detector. Istintivamente si lasciò sfuggire un verso di stizza quando si rese conto che di guardia c'era un nuovo agente, uno di quelli che Yana semplicemente detestava. I nuovi arrivati facevano di tutto per mettersi in mostra e darsi un tono quando non erano neanche capaci di maneggiare una pistola senza fare danni... E il biondino dagli occhi azzurri che le bloccava il passaggio, decisamente, non sembrava fare eccezione. I suoi sospetti vennero confermati nel momento esatto in cui l'agente -di nome Scotty- le si parò davanti a braccia tese.

"Alt! Di qui non si può passare" dichiarò il giovane con voce ferma, nonostante i suoi occhietti turchesi stessero tradendo un acceso interesse per le forme generose della ragazza.

"Sono il detective Yana Yaromira" ribattè lei, visibilmente annoiata.

"Distintivo, prego" ordinò il giovane, dandosi tono decisamente troppo autoritario per uno che aveva ricevuto il distintivo da meno di un'ora.

Yana sbuffò sonoramente e, con un gesto stizzito, lanciò il proprio lascia-passare in aria, costringendo il povero agente a saltare per afferrarlo.

Lo vide corrugare le sopracciglia dorate, chiaramente perplesso.

"Ma qui c'è scritto che lei si chiama Яна Яромира!" precisò il giovane, provando ad inventare una pronuncia che non suonasse come una parolaccia. Yana gli strappò il distintivo dalle mani, esasperata. Avrebbe dovuto fare quattro chiacchiere con Black e scoprire dove trovava simili impiastri da arruolare. Al circo, forse?

"E' cirillico, dolcezza. E ora lasciami passare senza fare storie, ok?"

Così dicendo, la detective dai capelli rossi si fece spazio da sola, scansando l'agente senza tanti complimenti.

"Aspetti signorina! L'ispettore Black non vuole vedere nessuno e se..."

"Ma va a dirigere il traffico!" Gli gridò l'altra, allontanandosi e accompagnando il tutto con un gesto inequivocabile.

Quando si trovò faccia a faccia con l'ispettore Black non potè fare a meno di notare quanto fosse sudato; ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che, quando gli succedeva, era perchè era tremendamente, violentemente, irrimediabilmente agitato. Lo vide asciugarsi la fronte spaziosa con un fazzoletto che, ormai, poteva benissimo essere definito straccio e incontrò i suoi piccoli occhietti rotondi, di un sorprendente color caffè. Quegli occhi, non promettevano nulla di buono.

"Oh! Finalmente sei qui!"

Black le indicò la sedia dall'altro lato della sontuosa scrivania, per invitarla ad accomodarsi, ma Yana preferì restare in piedi.

"Ehi vecchio... Alla tua età non dovresti agitarti così tanto. Rischi di non arrivare alla pensione" provò a sdrammatizzare, accennando un sorriso.

Normalmente l'ispettore sarebbe andato su tutte le furie: avrebbe ripetuto all'infinito che i giovani non avevano più rispetto per le persone di una certa età, oppure avrebbe ciarlato per ore sul fatto che una volta l'avrebbero arrestata per aver detto molto meno ... Ma quella volta Desmond Black fece finta di nulla.

Il suo volto? Una maschera d'orrore - corredata da ben due doppi menti.

Tutto ciò bastò ad innervosire Yana quel tanto che sarebbe servito per mettere fuori gioco una squadra di rugby a mani nude. Se c'era una cosa che riusciva a mandare in bestia una persona già sufficientemente nervosa per carattere, quella era l'ansia del suo capo, nonchè amico, Desmond. In realtà, definirlo "capo" era una pura formalità; Yana non era alle dirette dipendenze di nessuno. La detective aveva lavorato per anni per la CIA e per l'FBI ma, a causa del suo carattere ribelle, aveva subito una dequalificazione che l'aveva portata ad arruolarsi nel sistema giudiziario di Scotland Yard. Ciò nonostante, le sue referenze e la sua abilità con le armi, l'avevano portata a costruirsi una certa popolarità nell'ambiente di polizia, tanto che persino l'ispettore Black aveva iniziato a considerarla come una sorta di agente speciale, piuttosto che come una sottoposta. Ovviamente, fra i due si era creato un rapporto confidenziale, simile a quello che sarebbe nato fra un padre brontolone ed una figlia certamente non priva di difetti.

"Che succede Black?" chiese la donna, con il tono più pacato di cui fosse capace.

L'uomo le mostrò due pezzi di carta stropicciati. Probabilmente, doveva averli piegati e ripiegati più volte per ridurli in quello stato. Yana li prese accuratamente tra le mani e li ispezionò, rileggendo due volte i nomi scritti in bella calligrafia. Non ci trovò nulla di strano, ma evidentemente qualcosa dovevano pur significare se avevano spaventato così tanto un uomo dalla corazza dura ed i nervi saldi come Desmond Black.

"Andrew McGregor e Michael Parker?" recitò ad alta voce "E chi sarebbero?"

In realtà, Yana era certa di averli già sentiti nominare, ma non riusciva ad associare i loro cognomi ad un volto.

"Un fisico nucleare e un violinista. Due concittadini famosi a livello mondiale. Due..."

"Due geni" terminò Yana per lui, annuendo fra sè e sè. L'ispettore Black asserì con un gesto del capo.

Un sospetto si fece spazio e prese forma nella mente della detective...

Che quei due... ?

"Sono morti stamattina all'alba. Alla stessa ora, ma in due posti diversi. McGregor si trovava a S.Pietroburgo, al momento del decesso; mentre Parker era con la propria famiglia nella sua tenuta di campagna, in Provenza"

"Una bella coincidenza... E allora? Sospetti di Kira?... Se così fosse, mettiti l'anima in pace, vecchio! Quel caso è di competenza di Tu-Sai-Chi"

"E qui ti sbagli!"

Yana aggrottò le sopracciglia, inviperita. Nessuno poteva dirle che aveva sbagliato. Lei non si sbagliava. Mai.

D'accordo: quasi mai.

"Il caso Kira è stato appena chiuso" le rivelò Black "Ne abbiamo avuto conferma ieri mattina"

"Impossibile" sussurrò Yana, fra sè e sè. E così, L ci era riuscito... Aveva incastrato Kira.

"Possibilissimo" così dicendo, Black le porse alcuni quotidiani: la notizia era sulla prima pagina di tutti i giornali del giorno precedente, e probabilmente sarebbe stata riproposta per settimane, forse persino mesi.

A caratteri cubitali, ogni rotocalco recitava più o meno la stessa frase: L consegna Kira alla Giustizia

Istintivamente, gli angoli delle labbra della detective si incurvarono in un sorriso sincero. L ce l'aveva fatta.

"In ogni caso, torniamo a noi. Non ti ho detto tutto" continuò Black, porgendole altri due pezzi di carta, più piccoli e spessi.

"Carte da gioco?" chiese Yana, rigirandosi i pezzi di cartoncino fra le mani "Tarocchi" concluse, osservando meglio i disegni.

"La Morte e l'Imperatore" continuò Black al suo posto.

"Non c'è motivo di agitarsi... La morte è una cosa naturale, Black. Il giorno del giudizio arriva per tutti..."

"Ma non ti avverte, di solito!" Black lesse il disappunto sul viso della giovane e precisò "I fogli con i nomi delle vittime ci sono stati inviati diverse ore prima dei decessi. E ora ti prego, non venirmi a parlare di giorni del giudizio... Non so se ti sei resa conto dell'inferno che c'è fuori da questa porta" sospirò l'ispettore, decisamente poco felice di dover rispondere alle domande dei giornalisti. Yana tralasciò accuratamente le chiacchiere inutili del suo capo, concentrandosi invece sulla frase rivelatrice.

"Mi stai dicendo che l'assassino, o comunque qualcuno che sapeva, ci ha avvertito in anticipo della morte di Parker e McGregor?"

"E c'è di più... Guarda il retro di ogni foglio"

Yana obbedì e ciò che vide la lasciò basita. La firma dell'assassino, o presunto tale, era chiara ed elegante; o almeno, quello era stato il pensiero di Black, ma per Yana quella grafia gotica era molto di più: era un indizio.
Il nome -o meglio, lo pseudonimo- del presunto killer era decisamente pittoresco, il che la portò a pensare che chiunque lo avesse scelto dovesse avere come minimo un'alta opinione di se stesso, oltre che una presunzione smodata.

"Doomsday" lesse a voce alta "Carino... Abbiamo a che fare con qualcuno che crede di poter decidere della vita e della morte del prossimo. Che originalità!" ironizzò, roteando gli occhi al soffitto con aria annoiata.

Per tutto il giorno, Yana effettuò delle ricerche al pc, ignorando la bustina bianca che le segnalava con inutile insistenza la presenza di nuova posta in entrata. Sicuramente, pensò, doveva trattarsi di pubblicità o di cose simili. Infatti, soltanto più tardi avrebbe appreso il nome del mittente...

Lesse invece numerosi giornali, in lingue diverse, che testimoniavano l'archiviazione del CASO-KIRA. L'annuncio era stato promulgato dalla squadra di L, costituita da Soichiro Yagami (ispettore capo della polizia giapponese), il quale aveva indetto una conferenza stampa, alla quale, però, avevano presenziato soltanto gli agenti Tota Matsuda, Kanzo Mogi e Shuichi Aizawa - per lutto in famiglia - così recitavano i giornali. In seguito, Yana svolse alcune ricerche sui due uomini deceduti per arresto cardiaco, ma non trovò le informazioni che desiderava...

Spense il portatile ed uscì in strada. Si guardò in giro e si rifugiò in una delle tipiche cabine telefoniche londinesi, rosse con il tettuccio a cupola. Onestamente, le trovava ridicole e, ancor di più, si sentiva ridicola lei ad utilizzarle; ma rappresentavano il solo modo sicuro di contattare l'unico uomo che avrebbe potuto confermare i suoi sospetti. Digitò il numero e aspettò. Al secondo squillo qualcuno sollevò la cornetta.

"Pronto?" Incredibile... Il vecchiaccio era ancora vivo!

Yana aveva sperato di non dover mai più parlare con quell'uomo, ma alla luce dei fatti, era l'unica cosa da fare. Nonostante tutto, fu colta dall'irrefrenabile desiderio di chiudere la comunicazione e fare dietro-front. Dovette fare appello a tutto il suo coraggio per restare. Strinse la cornetta con tanta forza che quasi temette di spaccarla in due.

"Pronto! Chi è che parla?"

La voce di Roger Ruvie, direttore della Wammy's House era sempre velenosa e gracchiante, proprio come la ricordava, ma c'era qualcosa di diverso.

Una sfumatura che Yana non ricordava. Era forse dolore?

"Sono Я!"

 

CAPITOLO CORRETTO E MODIFICATO IN DATA 17/07/2010

LA MODIFICA PIU' CONSISTENTE RIGUARDA I TAROCCHI

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Capitolo 2
*** Contatto ***


 

2 Contatto

Londra - 9 novembre 2004

-19 giorni

 

Yana tagliò l'incrocio tra Lancaster Gate e Notting Hill sfiorando i novanta chilometri orari.

Cambiò le marce con un gioco di polso. Neanche il semaforo rosso a Kensington Church Street riuscì ad impedirle di passare, anche se per poco non commise uno sterminio di anziane signore armate di ombrello. Ignorò le proteste dei passanti, e approfittò dell'ampio marciapiede per evitare una coda di pullman bloccati nel traffico, incurante delle proteste del vigile urbano, posto a guardia dell'ingresso di Kensington Gardens.

"Signorina si fermi! Non può entrare nel parco con la motocicletta!"

La detective lo ignorò del tutto, anzi, probabilmente non lo vide nemmeno. Ondeggiò pericolosamente sul terriccio, reso scivoloso a causa della nebbia: più si addentrava all'interno del parco, più la foschia si addensava. Quando fu certa di non essere seguita da qualche flatfeet* spense il motore e ritirò la chiave dal quadro; con un gesto meccanico abbassò il cavalletto e proseguì a piedi...

"Se non ricordo male" pensò "Dovrebbe trovarsi da queste parti, ma con questa nebbia non riesco a vedere un accidente!"

Avanzò di qualche passo, evitando per un pelo di scontrarsi contro ciò che stava cercando: la statua di Peter Pan. Per qualche strana ragione, il bambino più felice del mondo, quello che non cresce, le sembrò terribilmente triste; quello che al sole appariva come un sorriso smagliante, in quel momento non le parve altro che un ghigno distorto, eternamente scolpito nel marmo.

"Cammina il tempo ma non riesce/ a farne un uomo xkè non cresce/ Vola nel vento come una piuma/ senza memoria i suoi giorni consuma... Entra di notte dalla finestra: Ti dice niente Seconda a Destra?" Yana intonò la filastrocca in un sussurro e, contemporaneamente, girò intorno alla statua dell'eterno bambino; essa si trovava esattamente ad un crocevia, dal quale si diramavano sette sentieri.

"Seconda a destra..." ragionò "Quindi se l'ingresso del parco si trova a Sud... Devo prendere il sentiero che punta a Nord-Est!"

Yana sperò di non aver sbagliato strada. Cos'avrebbe trovato una volta terminato il sentiero? C'era davvero LUI ad aspettarla?
Fu costretta ad ammettere che un po' ci sperava.
Erano passati dieci anni dall'ultima volta che aveva visto L dal vivo e, sotto questo profilo, si poteva dire che fosse una delle poche persone a conoscere l'aspetto del detective senza volto e senza nome... Provò ad immaginare come e quanto il detective potesse essere cambiato in quegli anni. Probabilmente era diventato alto, o forse, era muscoloso; magari portava gli occhiali, o si era lasciato crescere la barba...

Era ancora immersa nei propri pensieri, quando si ritrovò a pochi centimetri da qualcosa.

Non riusciva a vedere cosa fosse per via della nebbia, ma sentiva distintamente il rumore basso e veloce di un respiro. Tese i muscoli e, istintivamente, una mano scivolò nella tasca interna del giubotto, pronta ad estrarre la sua Strayer Voight a 7 colpi.

Un passo. Un altro passo.

Yana sguainò la pistola con un unico movimento fluido e, quasi nello stesso istante, la nebbia si diradò quel tanto che le bastò per scorgere il proprio volto riflesso negli occhi di qualcuno che le stava vicino... Pericolosamente vicino.

In quel momento accaddero tre cose diverse, quasi tutte insieme: inavvertitamente premette il grilletto - udì un grido (e soltanto in secondo momento si rese conto di essere stata lei stessa a produrlo) - e il proiettile andò a conficcarsi nel terriccio fangoso, esattamente in mezzo a due paia di scarpe da ginnastica che un tempo dovevano essere state bianche. Rimase a fissarle, sconvolta, incapace di alzare lo sguardo...

"Buona sera Yana... Anch'io sono felice di rivederti"

Yana sussultò. Quella voce le era completamente sconosciuta, eppure... Eppure c'era qualcosa di familiare in quel tono pacato e monocorde.

Le sua labbra si mossero da sole.

"L...?"

La voce le uscì strozzata, più stridula di quanto avrebbe voluto. Erano anni che non pronunciava il suo nome ad alta voce, eppure il suono di quell'unica lettera le risultò tremendamente familiare. Ripetè nella sua mente quel nome per riassaporare quella sensazione sconosciuta e già nota al tempo stesso.
Non ricevendo alcuna risposta, Yana alzò lo sguardo verso la figura avvolta dalla nebbia.

Lo riconobbe immediatamente.
Era completamente diverso da come lo aveva immaginato, ed era diverso proprio perchè non era cambiato affatto.

Il viso di L aveva conservato i tratti delicati della fanciullezza, la sua mascella non si era squadrata; il pallore del suo viso adamantino contrastava con una chioma di capelli corvini e ribelli che gli circondavano il viso in modo disordinato; gli occhi, grandi e leggermente sporgenti, fissi su di lei. Aveva l'aria di chi non dormiva da giorni, e le occhiaie livide, simili ad ustioni, ne erano una conferma.

In effetti, ripensò, era davvero alto come aveva immaginato, ma la sua postura era scomposta, incurvata, tanto che dovette chinare lo sguardo per fissarlo negli occhi.

Sul suo volto regnava sovrana un'espressione neutra e composta. L'unico sintomo d'emozione fu la curva gentile delle labbra, piegate in un sorriso mesto, forse prodotto dalla mente della detective, ancora frastornata dal rimbombo dello sparo, che ancora le pizzicava fastidiosamente i timpani. O forse, era il battito accelerato del suo cuore, travolto dall'emozione, a renderla temporaneamente sorda e agitata.

"Sono lieto che tu abbia accettato d'incontrarmi a quest'ora. Sei stata brava a trovarmi"

Yana sbattè due volte le palpebre, incredula.

Non riusciva ad associare quella voce bassa e profonda a quel corpo che sembrava tanto fragile da potersi sbriciolare da un momento all'altro, come fosse fatto di soffice pan di spagna. Ciò nonostante, l'emozione non fu sufficiente a metter freno alla lingua tagliente della giovane poliziotta.

"Avresti potuto essere un po' più chiaro"

Yana non avrebbe avuto troppi riguardi per la carica ricoperta da L. Era ben intenzionata a non lasciarsi mettere in secondo piano, nonostante sapesse che sarebbe stata una partita persa in partenza.

"Ti chiedo scusa, ma dovevo testare le tue capacità..." nel tono del detective non c'era alcun segno di rammarico "Ma ero sicuro che avresti capito" Aggiunse, portandosi un indice alle labbra, ben intenzionato a torturarsi un'unghia già eccessivamente rovinata.

Yana non potè fare a meno di sentirsi gratificata da quelle parole, e istintivamente si sciolse in un sorriso. Era sempre stata una persona orgogliosa di sè e, come tutte le donne, era anche felice che le sue capacità venissero riconosciute. In particolare, era felice che a riconoscerle fosse stato il grande L. Ciò nonostante, non riuscì a trovare qualcosa da dirgli, ed L, già poco incline alle chiacchiere, la assecondò. Per un po' rimasero a fissarsi, circospetti e curiosi.

L la squadrò da capo a piedi; quegli occhi opachi sembravano fissi su un mondo che lei non poteva vedere ma, nonostante le apparenze, li sentiva bruciare sulla pelle, come se potessero trapassarla da parte a parte. Fu l'imbarazzo a costringerla ad aprire bocca.

"Mi dispiace per Watari..."

Watari. Tutti alla Wammy's House piangevano la sua scomparsa... Peccato che lei avesse ricevuto la notizia della sua morte dall'unica persona che forse poteva esserne felice: Roger Ruvie. Instintivamente i suoi pensieri si spostarono sulla conversazione avvenuta pochi giorni prima...

"Sono Я!"

"Ah, sei tu!" Aveva gracchiato il vecchiaccio, infastidito "Immagino che tu abbia saputo" sputò, velenoso.

"Allora avevo ragione! Andrew McGregor e Michael Parker..."

"Cosa c'entrano quei due? G e P non hanno nulla a che fare con la morte di Watari!"

In quel momento Yana si era lasciata sfuggire la cornetta dalle mani. Era rimasta a contemplare il vuoto per un tempo che le era parso infinito, finchè a ridestarla non tornò il sibilo venefico di Ruvie "Pronto! Pronto!?!?" ...Decise di riagganciare la cornetta, sperando che quella voce non tornasse a tormentarla nelle notti future. Dopo tutto, aveva avuto la conferma che cercava: Andrew McGregor e Michael Parker avevano frequentato la Wammy's House...

"Yana" la chiamò L, senza alterare il tono neutro della voce "Non vorrei dover avere fretta, ma temo che dovremmo allontanarci..."

"E dove vorresti andare?"

"A casa tua, ovvio!"

Era piuttosto raro che L terminasse una frase con un punto esclamativo, e se accadeva era solo per sottolineare l'ingenuità o l'ovvietà di una situazione. Yana non si mosse, infastidita dal modo in cui il detective si era autoinvitato. Certo, non lo avrebbe lasciato da solo, nel cuore del parco, nel bel mezzo della notte... Ma si aspettava che il grande detective avesse prenotato in quale albergo di lusso, magari a Piccadilly Circus. Se così non era, la spiegazione era molto semplice: il detective era in incognito. Ma per quale motivo?

"A casa mia? Non è esattamente una reggia, ma se..."

"Non preoccuparti..." la interruppe lui "Il mio assistente è già sul posto. Dobbiamo prendere tutte le precauzioni possibili"

"Il tuo assistente?!"

In realtà, la domanda esatta era "Precauzioni?!" ma la giovane detective non aveva potuto fare a meno di mostrare il proprio disappunto; che lei sapesse, L lavorava da solo, mobilitando a proprio piacimento associazioni e fondazioni, segrete o note, ma pur sempre senza avvalersi di collaboratori diretti.

L non aggiunse altro e s'incamminò a testa china verso l'uscita del parco, senza concederle ulteriori spiegazioni.

La poliziotta sospirò, ancora piuttosto incredula, e lo seguì fino alla sua Harley... Stavolta fu L ad essere sorpreso.

Yana si sistemò sul sedile e girò la chiave nel quadro, compiaciuta dell'espressione interdetta dipinta sul volto del detective. L la fissò per alcuni istanti, mordicchiandosi l'unghia del pollice; poi, senza aggiungere altro, si "appollaiò" alle sue spalle in modo del tutto anomalo. Le ginocchia erano piegate verso il petto, il mento appoggiato alle braccia incrociate, la schiena piegata in una posizione innaturale...

La poliziotta lo guardò stravolta, senza riuscire a nascondere il proprio disappunto. Osservare un uomo adulto accovacciarsi in posizione fetale non era esattamente ciò che poteva essere definito normale, ma d'altronde non aveva nessun'intenzione di farglielo notare, ed il detective sembrò apprezzare il gesto di cortesia.

Ingranò la prima e partì, sfrecciando verso la strada di casa...

Durante il tragitto nessuno dei due parlò; L non era certo il tipo di ragazzo che poteva essere definito "salottiero", anzi, sembrava gradire il silenzio... O forse, semplicemente, non amava sprecarsi in chiacchiere inutili.

Nel giro di qualche minuto, Yana ed L si trovarono al numero 7 di Cravent Road. Il palazzo in cui abitava la detective non era in condizioni che avrebbero potuto definirsi ottime, ma ciò nonostante, qualcosa rendeva la costruzione originale e graziosa. Si trattava di un duplex, alto e stretto, con i mattoni a vista e un lampioncino al lato della porta in pesante legno scuro.

La poliziotta fece per girare le chiavi nella toppa, ma qualcosa la costrinse a ritirare la mano...

"E' aperta..."

Non lasciò che la sorpresa o la paura le impedissero di entrare e, con una spallata, si precipitò all'interno dell'appartamento gridando "Polizia! Mani in alto!"

... In risposta, provenne un rumore dal piano superiore.

"Non dovresti gridare. Nel caso fosse un ladro gli daresti l'opportunità di coglierti di sorpresa o di fuggire, non trovi?" chiese L, avvicinandosi.

L non sembrava per nulla turbato, nè dalla situazione in sè, nè dal fatto che anche l'interno della casa Yaromira non mostrava il benchè minimo tocco femminile. L'arredamento era piuttosto spartano e, in qualche modo, tetro... Eccezion fatta per alcuni dipinti eccessivamente colorati ed eccentrici. L li osservò con interesse.

"Vladimir Kush" disse, indovinando il nome del pittore "Un surrealista di tutto rispetto"

"Tu resta qui!" gli ordinò Yana, stizzita dall'indifferenza del detective, iniziando a salire i gradini a tre a tre....

Il piano superiore della sua abitazione era immerso nell'oscurità più totale; dalla posizione in cui Yana si trovava, poteva fare soltanto due cose: dirigersi verso il bagno, e cioè a destra, o scegliere la sinistra, che l'avrebbe condotta verso l'unica camera da letto... la sua. C'era soltanto un'altra porta che dava su quel corridoio, il ripostiglio, ma fu certa che l'intruso non potesse trovarsi lì: era chiuso a chiave. Yana si appiattì contro il muro, silenziosa come un felino; trattenne il fiato e prese una decisione: sarebbe andata a destra. Contò mentalmente fino a tre, e scivolò fuori dal suo nascondiglio...

Nulla...
Nessun aggressore pronto a colpirla.

La porta del bagno era aperta, così come l'aveva lasciata... Vide la propria arma puntata contro un'altra se stessa, riflessa nello specchio... Ma fu qualcos'altro ad attrarre la sua attenzione: una sottilissima lama di luce dorata fendeva l'oscurità alle sue spalle.

Si voltò: la porta della sua camera da letto era leggermente socchiusa. La luce era accesa.
Strisciò lentamente verso la porta e quando fu abbastanza vicina da sfiorarla, la spalancò con un calcio...
"Non ti muovere!" gridò, puntando la pistola contro un possibile aggressore.
Ciò che vide la lasciò di sasso: un giovane orientale si voltò di scatto e, gridando come un ossesso, alzò prontamente le mani al cielo.

Non fu la sua aria stravolta e vagamente stupida a far pulsare una vena sulla fronte di Yana, quanto il fatto che l'intruso stesse stringendo convulsamente un paio di mutandine di pizzo, rosa confetto.

Yana ringhiò, furibonda.

"Tu... Razza di maniaco!" ruggì, levando la sicura dalla sua Strayer Voight.

Il giovane orientale trasalì, lasciando cadere il corpo del reato.

"N-No! Ti prego! P-Parliamone! Posso spiegare!" balbettò il giovane, arrossendo vistosamente.

"Ah sì? Avanti, sentiamo!" lo provocò la poliziotta, inarcando un sopracciglio.

Improvvisamente una mano bianca come la luna le sfiorò l'orecchio destro; un braccio ossuto si sovrappose al suo...

"L! Ma che fai...?"

L afferrò la canna della pistola tra pollice ed indice e la sfilò delicatamente dalle mani della ragazza, come se fosse stata un giocattolo troppo pericoloso per lei. La poliziotta dai capelli rossi avvampò d'ira, incapace di dare un senso al comportamento del detective.

"Non vorrai uccidere il mio assistente? E' l'unico che mi è rimasto!" puntualizzò il detective, iniziando a giocherellare con la pistola. In pochi secondi, gliela smontò e gettò i componenti nel cestino della cartastraccia, sotto gli occhi sempre più sgranati della poliziotta.

"Questo maniaco...? Lui sarebbe il tuo assistente?!" gridò lei, agitando un indice in direzione del giovane intruso che, in risposta, si strinse nelle spalle e iniziò a trovare tremendamente interessanti le venature del parquet.

"P-piacere! Sono Tota Matsuda"

"Piacere un cazzo! Fuori di qui! Subito!"

Matsuda non se lo fece ripetere due volte e, nel giro di una manciata di secondi, si ritrovò al piano inferiore, in salotto, seguito da un agente di polizia disarmata e da un detective dallo sguardo perso nel vuoto.

La situazione non sembrava spiegarsi da sola. Yana sospirò rumorosamente aspettando che uno dei due iniziasse a raccontarle come stavano le cose, ma Matsuda continuava a rigirarsi i pollici e sembrava aver perso completamente l'uso della parola, mentre L rovistava nel suo frigorifero alla ricerca di chissà cosa, neanche si trovasse a casa sua.

"Allora... Qualcuno vuole gentilmente spiegarmi?"

L fece capolino dal frigorifero, con in testa le mutandine che poco prima si trovavano fra le mani di Matsuda, e la bocca sporca di gelato al cioccolato. Si leccò le labbra, soddisfatto. Yana fece appello a tutto il suo autocontrollo per non prenderlo a calci... Dopo tutto era pur sempre L.

Incrociò le braccia al petto, sforzandosi di assumere uno sguardo sufficientemente spazientito da costringere il detective a rispondere alle sue domande. Si sentì anche leggermente euforica: 'Lei, una poliziotta cacciata a calci nel sedere dalla CIA e dall'FBI, che interrogava 'niente poco di meno che' il grande L! Si guardò intorno alla ricerca di una lampada per far sì che l'interrogatorio facesse più effetto!.

"Cosa sai di Doomsday?" Chiese L a bruciapelo, distogliendo la giovane dai propri pensieri.

Tuttavia, Yana si aspettava una risposta, non certo una domanda. Doveva ammetterlo: trattare con L era decisamente fuori dalla sua portata.

"Niente. O meglio, ci sto lavorando ma..."

"E cos'hai scoperto?" Domandò l'altro, gettando nell'immondizia la confezione da 2 kili che soltanto due minuti prima era piena di gelato.

Lo stomaco di Yana si contorse violentemente per il disgusto.

"Poco! Tutto quello che so è che tutte le sue vittime hanno frequentato la Wammy's House... Ma questo lo sai di certo anche tu"

L si leccò le dita, disinteressato. Certo che lo sapeva anche lui!

"Secondo te, perchè sono stati uccisi?"

"Perchè? Non lo so, il perchè... Ma la domanda più importante è il come. Non ti sembra?"

L e Matsuda si scambiarono uno sguardo complice, che bastò ad insospettire Yana. A quello sguardo, il detective andò ad accomodarsi sul divano, in posizione fetale. Yana non ci badò... A quanto sembrava, avrebbe dovuto adeguarsi alle sue stranezze, se voleva sperare di capire qualcosa.

"Faglielo vedere!" disse L al suo assistente.

Matsuda annuì e iniziò a spogliarsi: si tolse la giacca, abbassò la cerniera dei pantaloni e liberò la camicia dall'elastico dei boxer...

"Ehi, maniaco! Che intenzioni hai?!? Tienilo dentro i pantaloni o giuro che..."

"Tranquilla" la interruppe L "Non è quello che vuole farti vedere..."

Matsuda arrossì nuovamente nell'istante in cui iniziò a sbottonarsi la camicia, rivelando poco a poco l'imbracatura di cuoio che gli circondava completamente il torace privo di peluria. Nonostante tutto, Yana dovette ammettere che il giovanotto non era niente male, ma poi qualcos'altro la distolse da quel pensiero... Si avvicinò per esaminare l'oggetto nero che Matsuda teneva al sicuro nella tasca dell'imbracatura. Un libro? No...

"Un quaderno?"

"Non è un semplice quaderno!" puntualizzò L "E' un Death Note"

Matsuda lo sfilò dalla tasca, con lentezza estrema, e poi, come se scottasse, lo porse alla ragazza, desideroso di disfarsene. Yana prese il quaderno e se lo rigirò tra le mani: sembrava a tutti gli effetti una semplicissima agenda nera, anche piuttosto mal ridotta. La copertina era sgualcita agli angoli, il che le fece pensare che il quaderno fosse stato usato spesso, ma la scritta era di un bianco immacolato e risaltava come fosse marchiata a fuoco... Eppure ciò che c'era scritto era incomprensibile!...Che lingua era? Non certo inglese!

"Death Note, hai detto?"

L annuì lentamente. Non accennò a staccarle gli occhi di dosso: aspettava che sfogliasse le pagine, e Yana lo accontentò... Le sue iridi smeraldine scorsero lungo un'infinito elenco di nomi: alcuni erano scritti in giapponese, altri in cirillico o greco, altri ancora presentavano lettere latine...

"Chi ha scritto tutti questi nomi?" chiese Yana, confusa.

"Kira!" Rispose Matsuda. Per la prima volta lo sentì parlare con voce ferma.

Scandì quel nome con odio, come se fosse la peggiore delle bestemmie!

"Per la precisione, il secondo Kira: Misa Amane" puntualizzò L, mordicchiandosi la punta del pollice "Si è suicidata quattro giorni fa gettandosi da un grattacielo... Dopo aver visto Light morire"

"E chi sarebbe Light?"

Nei centoventi minuti che seguirono, Yana apprese tutto su Light e Misa, sul Death Note e su come quel semplice, innocente, quaderno potesse essere ingrado di uccidere. L le aveva spiegato che normalmente, toccando un Death Note, era possibile vedere e parlare con lo Shinigami che ne era il custode e, quando Yana aveva chiesto perchè lei non vedesse nessuno, le era semplicemente stato risposto che Rem, la Shinigami a cui apparteneva quel quaderno, era morta. Yana aveva sfogliato le pagine dell'How To Use It alla ricerca di una regola che spiegasse come uccidere uno Shinigami, ma non trovò una risposta esaustiva del problema. Quando aveva provato a domandare come era morta Rem, L si era limitato a scrollare le spalle...

Era ovvio che c'era dell'altro, ma per una ragione o per un'altra, Yana preferì non insistere. Per il momento!

"Dunque, tu credi che questo Doomsday usi un Death Note per uccidere le sue vittime?" domandò Yana.

Avrebbe tanto voluto avere con sè i frammenti che aveva consultato qualche giorno prima, ma realizzò con rammarico che in quel momento si trovavano nelle mani della scientifica per lo screen delle impronte digitali e per un'analisi grafologica. A quel punto erano entrambe inutili: sicuramente chi li aveva inviati aveva utilizzato delle precauzioni per non lasciare prove; e se anche le avessero trovate, non sarebbero state contenute in nessun database... Soprattutto se aveva ragione lei...

"Al 99,9%"

"Ma se così fosse, Doomsday potrebbe essere chiunque. Un assassino del genere non lascia prove... A meno che non voglia essere trovato"

"Precisamente"

Yana sbattè più volte le palpebre, incredula "Quindi, lui vuole essere trovato. La firma, Doomsday, credi che significhi qualcosa?"

"Doomsday in inglese significa Giorno del Giudizio, giusto?" Chiese Matsuda, in giapponese.

"Sì, esatto. Che nome barocco per un assassino!" fu il commento di L "In ogni caso, Yana tu possiedi un automobile giusto?"

Yana si sforzò di trovare un nesso tra le due frasi, ma non ne trovò. Certo che era un tipo strano... Esattamente come lo ricordava.

"Posso procurarmene una entro domani mattina. A cosa ti serve?"

"Domani andremo alla Wammy's House" annunciò, alzando gli occhi al soffitto.

In quel momento di sicuro stava pensando più cose contemporaneamente. La sua mente lavorava come dieci equipe d'intelligence messe insieme.

Yana lo guardò con ammirazione: nessuno poteva sperare di raggiungere il suo livello. Nessuno.

Il detective la guardò come se le avesse letto nel pensiero: si portò un indice alle labbra, concentratissimo, ed infine decise di parlare...

"Yana, non è rimasto altro gelato nel freezer?"
 

altrove...

 

Ryuk si portò l'ennesima mela alle labbra e la ingioiò in un sol boccone, senza neanche scartare il torsolo. Qualcuno gli dava le spalle. Dalla posizione in cui si trovava lo Shinigami, l'unica cosa che poteva vedere della persona che divideva con lui la stanza, erano i suoi capelli, piuttosto corti. Eh sì, l'aveva scelto bene il suo successore... Non c'era che dire! Doveva proprio ammetterlo, quegli sciocchi umani sapevano essere davvero ingegnosi; interessanti... Si sarebbe divertito da morire!

 

*(flatfeet = in gergo britannico "piedi piatti")
 

CAPITOLO CORRETTO E MODIFICATO IN DATA 17/O4/2010

PRINCIPALE MODIFICA: LA DESCRIZIONE DI DOOMSDAY E' STATA MOLTO PIU' VAGA

PRECISAZIONE: YANA DICE CHE IL TITOLO DEL DEATH NOTE è INCOMPRENSIBILE PERCHE' SU QUELLO DI MISA C'E' SCRITTO QUALCOSA IN CARATTERI STRANI, SICURAMENTE NON LATINI. NON AVREI SAPUTO COME PRESENTARLI SU WORD, QUINDI SCUSATEMI PER L'INCONVENIENTE.

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Capitolo 3
*** Un passo indietro ***


 

3 Un passo indietro

-18 giorni

 

 

Giunti nella contea dell'Hampshire, Yana fece scoppiare un palloncino di chewing-gum alla fragola, il più rumorosamente possibile. Il silenzio che regnava nell'abitacolo da quasi tre ore le sembrò più soffocante della foschia che le impediva di fare ciò che più desiderava: superare i centodieci chilometri orari... E magari tornare indietro, a casa; o ancora meglio, dall'altra parte del mondo. Qualsiasi posto sarebbe stato perfetto purchè avesse un'unica, ma fondamentale, caratteristica: trovarsi il più lontano possibile dalla Wammy's House.

La sola idea di rimettere piede in quel posto la inquietava. Fotografie dell'anima, ingiallite e polverose, ma non per questo meno nitide, le impedivano di concentrarsi sulla strada; infatti fu Matsuda a farle presente di aver superato lo sbocco per Winchester, costringendola a stringere le labbra per non imprecare dinanzi ad L. Sbuffando sonoramente, tornò indietro appena il senso di marcia glielo consentì. Ai lati della strada, i pini e gli abeti spogli sembravano figure evanescenti, che apparivano e svanivano, con i loro rami spogli ora volti verso il cielo, come per chiedere perdono, ora protesi verso la strada, a sbarrarle il passaggio...

O per impedirle di tornare indietro?

"La nebbia si sta addensando..." fu l'unico commento di L da quando avevano lasciato Londra.

Yana alzò lo sguardo allo specchietto retrovisore ed incontrò per l'ennesima volta gli occhi vitrei del detective fissi nei suoi; non aveva smesso di studiarla neanche per un attimo, neanche per concedersi il tempo di battere le palpebre, a differenza di Matsuda, che non aveva quasi mai smesso di sonnecchiare. Al contrario, L non aveva chiuso occhio, nè durante la notte nè durante il tragitto fino a Winchester. Per qualche strana ragione non sembrava aver bisogno di dormire, nonostante le occhiaie livide e gli occhi sempre più gonfi fossero una conferma del contrario. Fu tentata di chiedergli se assumeva anfetamine...

"Non preoccuparti! Siamo quasi arrivati..." rispose la poliziotta, facendo attenzione ad imboccare il sentiero giusto.

Da quel punto in poi l'asfalto lasciò il posto ad un acciottolato impervio, fiancheggiato da prati cosparsi di brina e rugiada. Quando iniziò a scorgere una delle torri in stile gotico della Wammy's House, Yana avvertì l'angoscia solleticarle sadicamente la bocca dello stomaco.

"Quello è l'orfanotrofio fondato da Watari?" chiese Matsuda, ridestatosi da pochi minuti.

"...E dal vecchiaccio malefico!" precisò Yana proferendo in una smorfia carica di disgusto.

Realizzò che il principale motivo per cui non voleva assolutamente rivedere quel posto aveva un nome ed un cognome, pochi capelli e un dannatissimo bastone. Evidentemente Matsuda dovette guardare L con fare interrogativo perchè Yana gli sentì dire "Roger Ruvie" ...Come se questo potesse servire a spiegare le cose. In realtà non c'era proprio nulla di chiaro in tutta quella storia.
Yana parcheggiò nell'ampio cortile dell'orfanotrofio e spense il motore, riluttante. Una leggera pioggerellina iniziò ad imperlare il parabrezza...

"Non vorrei sembrare stupido, ma... Perchè siamo venuti qui?" azzardò il giovane poliziotto.

Bella domanda, Mastuda!

"Voglio assicurarmi che Yana abbia un valido aiutante, nel caso non riuscissi a risolvere questo caso entro diciotto giorni"

"Diciotto giorni?" chiese la rossa, improvvisamente spiazzata.

Perchè diciotto giorni? Cosa sarebbe successo dopo? In risposta alla sua domanda ricevette soltanto il rumore sordo delle portiere.

Perfetto. Altri segreti... Come se non ce ne fossero stati già a sufficienza!

Non ci fu bisogno di suonare alcun campanello. Ad aspettarli all'entrata, troneggiava spettrale la sagoma di un anziano signore, ingobbito e ossuto; il volto giallastro appariva malaticcio e cosparso da una spolverata di macchioline color caffè, le mani nodose si aggrappavano disperatamente ad un bastone di legno scuro e le rughe che gli solcavano il viso avevano da tempo congelato la sua espressione in una smorfia arcigna e sprezzante. I suoi piccoli occhietti infossati erano fissi su L...

"Ti stavo aspettando" gracchiò, rivolgendosi solo ed esclusivamente al detective "Prego, accomodati pure"

Roger Ruvie si fece da parte e lasciò passare L, ma subito dopo fece per richiudere la porta, come se Yana e Mastuda neanche esistessero; il suo tentativo di dimostrare alla ragazza quanto poco fosse felice di rivederla venne ostacolato da Matsuda, il quale, prontamente aveva intrufolato un piede per impedire alla porta di spiaccicarsi sul naso di Yana. I due si scambiarono un'occhiata.

"Immagino che il vecchiaccio malefico sia lui!" scherzò il giovane, spalancando del tutto la porta.

"Immagini bene!" rispose l'altra, precedendolo all'interno dell'orfanotrofio.

Era tutto esattamente come lo ricordava; nulla era stato cambiato o spostato. L'ingresso dava su un ampio salone, in fondo al quale si notavano due scale in marmo bianco, rivestite di un pesante e polveroso tappeto rosso, tra l'altro, di pessimo gusto. Roger Ruvie finse di non essersi accorto della presenza dei due collaboratori di L, e condusse quest'ultimo nel suo studio, ai piani superiori. La stanza personale del direttore della Wammy's House era spaziosa e luminosa ma, nonostante questi accorgimenti, nulla riusciva a rendere gradevole l'ambiente, impregnato del tipico odore salmastro che emanavano le persone anziane. In particolare, fu il sentore dell'acqua di colonia a far arricciare il naso alla poliziotta, profondamente disturbata dal dover condividere la stessa aria di quell'uomo...

Roger Ruvie affondò in una poltrona di pelle nera, anch'essa di pessimo gusto, ed invitò L ad accomodarsi sull'unica sedia presente dall'altro capo della scrivania.

"Prego, sedetevi" li schernì il vecchio, rivolgendosi per la prima volta a Yana e a Matsuda.

I due si scambiarono uno sguardo inviperito. Aveva voglia di scherzare? Non c'era nessun altro posto per sedersi!

"Roger, ti prego di essere più gentile con i miei collaboratori. Potresti essere tu a perdere la poltrona, non credi?" Chiese L, eloquente.

Roger Ruvie trasalì.

"Come posso aiutarti?" domandò, per cambiare discorso. Aveva aspettato anni per diventare direttore della Wammy's House e non aveva alcun'intenzione di perdere il posto, soprattutto a causa di quella ragazzina impertinente.

"Ho bisogno dei dossier di G e P. Dovrebbero essere da qualche parte negli archivi degli anni 80 del secolo scorso"

"Già" pensò Yana "Loro facevano parte della prima generazione di allievi"

"Provvederò quanto prima. Potrebbe occorrere qualche giorno per rovistare fra tutte quelle scartoffie... Se mi avessi avvertito prima ti avrei risparmiato il viaggio"

Yana alzò gli occhi al soffitto. Quando voleva -e con chi voleva- il vecchiaccio sapeva anche essere gentile...

"Non è l'unico motivo per cui sono qui. Ho bisogno di vederli" precisò L, riferendosi a qualcuno in particolare.

Roger sgranò gli occhietti da civetta, confuso, ed iniziò ad annuire ritmicamente. Sollevò la cornetta del telefono interno, pronto a chiamare chi doveva.

"Non ti scomodare, Roger. Andrò di persona... Sarà una conversazione privata" concluse, alzandosi e facendo per andar via.
Matsuda, da bravo assistente, andò ad aprirgli la porta.
"Sì, sì... Certo. Fa come se fossi a casa tua... Farò preparare una stanza"
"Facciamo tre" puntualizzò il detective, scomparendo nella penombra del corridoio, seguito da Matsuda e da Yana.
"Chi dobbiamo incontrare?" chiese Matsuda, rivolgendosi a Yana in un bisbiglio.
"Mello e Near"
"E chi sono? Altre mummie decrepite come quello di prima?" domandò l'altro. A Yana sfuggì un sorriso divertito.
"Lo scoprirai tra poco..."

°°°°

Continuarono a seguire L in silenzio fino al salone del primo piano. La prima cosa che saltava all'occhio, entrando in quella stanza, era il fatto che fosse tremendamente affollata, ma allo stesso tempo silenziosa. La sala era molto grande, di forma rettangolare, percorsa da una serie di finetre alte e strette, alcune delle quali nascoste da pesanti tende color porpora. Fuori pioveva: centinaia di rigagnoli d'acqua strisciavano lungo i vetri delle finestre, creando disegni contorti e trasparenti. Nessuno parlava; neanche i bambini più piccoli. Alcuni di essi dipingevano, altri leggevano libri ad una velocità disumana, un gruppetto di ragazzine costruiva un gigantesco ed impossibile castello di carte francesi, due ragazzi più grandi stavano avendo una discussione in aramaico antico, parlando al contrario.

Quando L fece il suo ingresso, tutti alzarono lo sguardo verso di lui.

Il silenzio divenne ancor più opprimente, quasi tombale. Nessuno osò parlare. Solo una ragazzina ebbe il coraggio di avvicinarsi ad L, indicandogli l'angolo estremo della stanza, dove, nascosto nella penombra, c'era un bambino intento a giocare a scacchi, da solo. L si diresse verso di lui con passo strascicato e si piazzò in posizione fetale dall'altro capo della scacchiera. Il bambino, palesemente albino, non diede segno di averlo notato e spostò il cavallo bianco, seguendo una precisa strategia di gioco. Matsuda e Yana non osarono avvicinarsi troppo per non interferire con il dialogo silenzioso che aveva appena avuto inizio fra i due geni.

"Ma... E' un bambino? Siamo qui per incontrare un bambino?"

"Near non è un semplice bambino. E' un genio della matematica... Nonchè un potenziale successore di L. E poi anche se non sembra, ha già 13 anni"

"Mi prendi in giro?!"

"Niente affatto. Near e Mello fanno parte della terza generazione e, fra tutti gli allievi della Wammy's House, sono quelli con il quoziente intellettivo più alto"

-"ncredibile... Credevo fossi tu quella destinata a succedere ad Ryuuzaki. Altrimenti perchè sarebbe venuto a cercarti?"

Già... L, o Ryuuzaki, come lo chiamava Matsuda, non aveva lasciato nulla al caso e, allo stesso tempo, non aveva detto tutto neanche ai suoi assistenti. Yana non aveva idea del perchè il caso Doomsday dovesse essere risolto entro diciotto giorni, così come Matsuda non sapeva perchè, fra tutti, L si fosse rivolto proprio a lei... In fondo, se solo lo avesse voluto, L avrebbe potuto piegare al suo volere l'intera FBI, la CIA e forse persino il Pentagono. Al contrario, a Yana il motivo della sua scelta era risultato subito ovvio. Anzi, forse quello era l'unico punto sul quale non aveva nutrito alcun dubbio... Ma non sapeva ancora se poteva confidarsi con il poliziotto giapponese, così si limitò a scrollare le spalle.

"Near, sai perchè sono qui?" chiese L, muovendo l'alfiere nero e mangiando così una pedina avversaria.

"Hai bisogno del mio aiuto" rispose semplicemente l'albino, spostando la torre di tre passi a sinistra.

"Quindi, non ti dispiacerebbe se ti mettessi alla prova"

Non era una domanda, ma un'affermazione.

L spostò il cavallo, il suo pezzo preferito, costringendo la torre di Near a tornare sulla difensiva.

"Immagino che tu stia indagando sulla morte di G e P"

"L'assassino ha dalla sua parte qualcosa di molto potente..." L mosse una pedina.

Near sarebbe stato costretto a mangiarla ma, facendolo, si sarebbe messo in trappola da solo.

"Ho bisogno di sapere se sei disposto a rischiare la tua vita, Near"

L'albino fece la sua scelta, e mosse l'unica pedina che non avrebbe dovuto spostare... Ma non si trattò di un caso. L sorrise.

"Scacco Matto"

°°°°

Mello si lasciò sfuggire un gemito. Per quanto cercasse di non farsi sentire, spesso il piacere lo sopraffaceva, impedendogli di trattenersi. Il respiro corto, i ciuffi biondi incollati alla fronte imperlata di sudore, i muscoli e i tendini preda in una folle lambada: tesi, rilassati, tesi, rilassati...

Afferrò le lenzuola, iniziando a perdere contatto con ciò che lo circondava. La stanza che condivideva con Matt divenne un'unica macchia indistinta e odorosa di tabacco e cioccolato.

"Non ti fermare... Continua"

Con un gesto convulso e improvviso, Mello afferrò le lenzuola che ricoprivano il capo dell'amante e le schiacciò in una trappola sensuale, impendendo al compagno di allontanarsi dal suo corpo rovente. Aspettò che le dita dei piedi smettessero di tendersi sino a fargli male e che i brividi che gli scivolavano lungo la schiena si placassero fino ad eclissarsi del tutto, cullandolo in un piacevole senso di euforia e confusione. Sospirò pesantemente.

"Ehi, siamo già stanchi?" chiese Matt, facendo capolino dalle lenzuola.

Matt aveva un modo unico e speciale di sorridergli, furbetto ed intrigante, ma Mello odiava quel suo atteggiamento spensierato, o meglio, odiava se stesso per non riuscire a ricambiare quel sorriso con la stessa spontaneità.

"Piantala Matt!" ringhiò il biondo, sgusciando dal letto "Lo sai che non mi piace parlare dopo..."

"Dopo aver fatto sesso tutta la mattina? Bel modo di ringraziare!" scherzò Matt, del tutto assuefatto agli sbalzi d'umore del compagno.

Mello si ostinava a non accettare la propria omosessualità, o meglio, non era sicuro che fosse giusto lasciarsi andare così, sia con una donna che con un uomo... Ma quando Matt gli sussurrava all'orecchio certe frasi non riusciva mai a trattenersi. Dannazione...

Tre colpi alla porta interruppero il corso dei suoi pensieri.

"Matt, pensaci tu. Ho bisogno di una doccia"

Il rossino sbuffò, raccattò i pantaloni e non si curò di infilarsi una maglietta. Aprì la porta e...

"Matt!"

Il ragazzo si ritrovò disteso sul parquet senza sapere come.
Cos'era stato? Era stato investito da un meteorite?
Realizzò pochi istanti dopo che si trattava di qualcosa di assolutamente peggiore.
A due centimetri dal suo viso, quello di una ragazza dagli strepitosi occhi verde menta e lucenti capelli rossi come i suoi.

"Sorellona?"

Yana gonfiò un palloncino di chewing-gum, che puntualmente esplose sul viso del giovane con un sonoro PLOFF.

"Ma che sta succedendo? E' lui Mello?" chiese Matsuda, sorpreso.

"No... lui è solo Matt, il fratello di Yana" spiegò L, dirigendosi direttamente in bagno. Di lì a poco un altro urlo fece tremare le pareti.

"Lui era Mello!" puntualizzò Near, riferendosi al grido.

°°°°

Pochi minuti dopo, tutti si riunirono nella stanza di Matt e Mello e si disposero in semicerchio sul pavimento. L'unico che sembrava essere a disagio in quella posizione era proprio Matsuda, che faticava a non sentirsi strambo... Gli sembrò di essere tornato all'asilo, soprattutto perchè stando accanto a quei cervelloni non poteva fare a meno di sentirsi ingenuo come un bambino. L iniziò a spiegare la situazione...

"Dunque" inziò Mello "Ci stai dicendo che questo Death Note è davvero ingrado di uccidere?"

"Esattamente. Ora che sapete come stanno le cose, vorrei che rifletteste su Doomsday..."

"Ha inviato lui stesso dei frammenti di Death Note all'ispettore di Scotland Yard. Ciò significa che vuole essere trovato, o quanto meno, che non voleva passare inosservato" azzardò Near.

"Giusta osservazione, ma io non credo che quei frammenti fossero diretti all'ispettore..."

"Yana lavora a Scotland Yard" aggiunse Matt, guardando negli occhi la sorella, così simile a lui.

"E' una possibilità. Yana, secondo te, perchè avrebbe voluto inviarti quegli indizi?" chiese L.

"Non ne ho idea. Io non sapevo neanche che esistesse un Death Note"

"Però non hai trovato difficile accettarne l'esistenza... A differenza mia"

Yana capì dove L voleva andare a parare e si limitò a fulminarlo con un'occhiataccia. Non voleva parlarne, non in quel momento e -soprattutto- non in quel luogo.

C'era un motivo ben preciso se L si era rivolto a lei, e non perchè i frammenti del Death Note erano stati inviati proprio alla centrale in cui lei prestava servizio, ma perchè fra tutti gli allievi della Wammy's House era quella che più avrebbe potuto comprendere la realtà del paranormale.

Yana Yaromira...

Яна Яромира...

Alla Wammy's House, semplicemente conosciuta con una lettera: Я, l'ultima lettera dell'alfabeto cirillico.

La Я era una lettera ibrida, il che la rappresentava perfettamente, ed inoltre indicava anche il pronome personale "io"

Mai Yana avrebbe dimenticato il modo in cui Roger Ruvie le sussurrava "Я последняя буква алфавита" per umiliarla...
...Я è l'ultima lettera dell'alfabeto! Tu non vali niente, sei qui solo perchè ho avuto pietà di te! Dovresti essermi riconoscente!

Così come non avrebbe mai dimenticato il rumore del suo bastone che si infrangeva sulla sua schiena, nè il modo con cui quel vecchiaccio le accarezzava la coscia dopo averla punita, magari chiudendola in cantina o in soffitta, dove a farle compagnia ci sarebbero stati soltanto i ratti... E i fantasmi.

Sì, Я vedeva anche i fantasmi. O meglio, aveva un sesto senso per certe cose... Da bambina faceva spesso sogni premonitori o avvertiva strane sensazioni. Era anche per questo che la lettera scelta per lei fu proprio la Я.
 

Я = R

 

R = r

 

r = L

Indicava il diverso spirito fra lei e il più grande detective del mondo; erano due parti di una stessa medaglia, opposte ma complementari. L era la parte razionale, Я quella spirituale; L non dormiva mai, Я era tremendamente pigra; L mangiava solo dolci, Я solo piccante; L era un tipo sedentario e calcolatore, Я era impulsiva e incline all'azione. Così diversi, eppure...

Ad interrompere i pensieri di Yana bastò la suoneria di un cellulare... Le occorsero alcuni secondi per rendersi conto che si trattava del suo.

Lesse il nome sul display e fu tentata di spegnere il telefono.

"Pronto Black, sono io. Senti scusami tanto! Posso spiegarti tutto... Anzi, no, non posso spiegarti niente! Sappi solo che avevo un valido motivo per non presentarmi a lavoro!"

"Non voglio saperlo, tanto comunque inventeresti qualche scusa! Piuttosto, ci sono novità su Doomsday..."

"Così presto?"

"Sì. Ci ha inviato un nuovo messaggio, ma stavolta è in codice. Non riusciamo a decifrarlo... Devi venire immediatamente in centrale"

Yana predispose la chiamata in modalità vivavoce, perchè tutti potessero sentire. Nessuno osò fiatare.

"Black, in questo momento non sono in zona. Dimmi tutto, proverò a risolverlo da qui..."

"D'accordo. Hai carta e penna?"

Mello recuperò velocemente un quaderno e una penna e li cedette a L.

"Sì. Sono pronta"

"m3++..."

m3++! 5070 m3+à 5473, qu3774 53n24 74 v0(473. 53! 5+4+0 4++3n+0? ! (0n+! 7! 54! f4r3? è 74 v3r!+à (h3 d3v! (47(074r3.

La risoluzione dell'enigma si prospettava più complicata di quanto non avessero immaginato.
Evidentemente, in più si giocava con Doomsday più Doomsday rendeva il gioco difficile.

 

CAPITOLO PARZIALMENTE CORRETTO IN DATA 17/04/2010

NON CI SONO PARTICOLARI MODIFICHE

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Capitolo 4
*** Reazione chimica ***


 4 Reazione chimica

 

m3++! 5070 m3+à 5473, qu3774 53n24 74 v0(473. 53! 5+4+0 4++3n+0? ! (0n+! 7! 54! f4r3? è 74 v3r!+à (h3 d3v! (47(074r3.
 

Il silenzio era rotto soltanto dal ticchettio della pioggia che si abbatteva ritmicamente contro i vetri, in una danza angosciante e infernale, in un pindarico concerto di note liquide...

Matsuda sbadigliò.
Mello addentò l'ennesima barretta di cioccolata, rigorosamente fondente, proprio come il suo cervello in quell'istante; Yana si alzò, nervosa, ed iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, disegnandone il perimetro con i passi; L e Near restarono in silenzio, in posizione fetale, assorti nei loro pensieri con lo sguardo fisso sulle piastrelle lucide del pavimento: le avevano già contate tutte, almeno venti volte... Erano settantadue. E mezzo, per essere precisi.

Matt, al contrario, appariva sorprendemente rilassato, ma forse ciò dipendeva dal fatto che in fondo lui era soltanto Matt... Qualsiasi conclusione avesse tratto da quell'enigma, di sicuro L, Near, Mello o Yana lo avrebbero preceduto. Tanto valeva non affaticarsi... Era già abbastanza spossato per la felice mattinata passata fra le lenzuola. Al solo risfiorare quell'idea un sorriso gli incurvò le labbra...

Fu Matsuda a rompere il silenzio. Pessima mossa!

"Scusate ma... Non dovremmo pensare a risolvere quest'enigma?" azzardò, a disagio.
Immediatamente, cinque paia di occhi lo trapassarono da parte a parte, ammonitori.
"E' quello che stiamo facendo" Spiegò Near portandosi un indice alla tempia "Nella nostra mente"
"Beh, sì ma... Qualche ipotesi?" insistette il giapponese, senza darsi per vinto.

In fondo, anche il suo compito era quello di arrestare l'assassino e pertanto anche lui aveva il diritto di essere messo al corrente dei loro pensieri. Ciò nonostante non potè fare a meno di chinare il capo, conscio di essere stato inopportuno. I ragazzi si scambiarono reciprocamente uno sguardo e poi scossero la testa, ad eccezione di L che iniziò a rosicchiarsi l'unghia del pollice, sempre più concentrato.

"Magari, dovreste soltanto provare a ragionare tutti insieme. Potreste aiutarvi a vicenda!" propose il giapponese.

Mello lo fucilò con un'occhiataccia inceneritrice: lui non avrebbe mai collaborato con Near!

"Tota non ha tutti i torti. Dobbiamo lavorare tutti insieme se vogliamo sperare di risolvere questa sciarada!" ammise Yana, tornando a sedersi in semicerchio. Tutti fissarono Mello in modo eloquente, e infine anche il biondo dovette arrendersi... In fondo, non poteva negare aiuto ad L. Tutti alla Wammy's House nutrivano ammirazione, se non addirittura ossessione, nei suoi confronti. Lui era un modello da seguire, un esempio per l'umanità, un mostro d'intelligenza e mai nessuno da solo avrebbe potuto eguagliarlo... E questo Mello lo sapeva bene.

Quindi, se lui non poteva paragonarsi ad L, neanche Near poteva.

Con questo pensiero sorrise ed espose per primo le proprie considerazioni...

"E' chiaro che ci troviamo di fronte ad un sistema di numeri e lettere, ed è altrettanto chiaro che non si tratta di un'operazione matematica, nonostante vi siano delle parentesi tonde e dei segni d'addizione. Inoltre, come sicuramente avrete notato, i numeri non corrispondono alla sequenza delle lettere in nessun alfabeto"

"Cosa vuoi dire con I numeri non corrispondono alle lettere?" Chiese Matsuda. Mello guardò il giapponese con sufficienza.

"Se i numeri corrispondessero alle lettere, la sequenza "5070" per esempio, avrebbe senso compiuto" annuncio Near, con fare disinteressato, arricciandosi una ciocca di capelli candidi.

"Continuo a non seguirvi..."

"Il numero 5 dovrebbe corrispondere alla lettera E e il numero 7 alla G, ma non esiste una Lettera Zero" spiegò Yana.

"Ah, ora capisco! E allora, se i numeri non corrispondono alle lettere, cosa rappresentano?" insistette Matsuda, esaminando per l'ennesima volta il pezzo di carta sul quale L aveva riportato l'arcana sequenza. Non ottenne risposta.

"Forse non significano niente. Potrebbe trattarsi di un trucco per tenerci impegnati... In questo modo l'assassino sarebbe libero di agire" azzardò Matt, giocherellando nervosamente con uno dei suoi accendini da collezione. Tutti sospirarono... In effetti, il ragionamento di Matt aveva una sua logica, non c'era che dire.

"No" annunciò L con fermezza "L'assassino vuole essere trovato. Siamo partiti da questo presupposto... Quindi questa sequenza rappresenta un modo come un altro per metterci alla prova. Inoltre, l'assassino potrebbe agire indisturbato in ogni caso, senza aver bisogno di tenerci a bada con questi giochetti!"

"Io sono d'accordo con L!" affermò Yana "Insomma, stiamo pensando tutti che ci sia un qualche significato matematico da risolvere, ma se così fosse l'avremmo già fatto. La matematica è la specialità di Near, dico bene?" chiese la rossa, con un pizzico di supponenza nei confronti del ragazzino albino, che si limitò ad asserire con un impercettibile cenno del capo. I ricciolini candidi ondeggiarono, accompagnando i suoi movimenti "Quindi il nesso tra questi numeri non è matematico. E poi guardate, oltre alle parentesi e ai segni d'addizione, ci sono anche dei punti esclamativi ed interrogativi..."

"Si tratta di una frase" concluse L, in tono monocorde; ciò nonostante Yana percepì chiaramente che L la stava invitando a continuare.

Stava forse cercando di incoraggiarla?

"Ok, è una frase, ma se le lettere non corrispondono ai numeri come pensi di ricavarle?" la imbeccò Mello, spazientito "Con un BibidiBodidiBu?"

Che Near fosse suo pari poteva anche accettarlo... Ma che la sorella maggiore di Matt fosse più acuta di lui... No, questo proprio oltrepassava ogni limite!

Yana colse la vena sarcastica del biondino, ma decise di non dar peso alle sue parole. Di certo anche lui aveva sentito "storie" sul suo conto, e sui suoi presunti poteri... Con ogni probabilità poteva essere stato proprio il suo caro fratellino a raccontargliele. Presto o tardi gli avrebbe fatto un bel discorsetto!

Ad ogni modo, non poteva più tirarsi in dietro: doveva riuscire a risolvere quell'enigma... Ma se neanche L ci riusciva... Neanche L ci riusciva?

Un palloncino di chewing-gum scoppiò rumorosamente, impiastricciandole il labbro e il mento, ma lei non cercò neanche di ripulirsi, troppo concentrata com'era.

Allora, dato che lei pensava in modo "opposto" ad L... ?

Se la soluzione non era scientifica, forse...

"Ho capito. Le lettere non corrispondono ai numeri perchè le lettere sono i numeri!" esordì la rossa, trionfante.

"Cosa?" gridò Mello "Ci stai prendendo in giro?! E' quello che sto dicendo da ore"

"Non ti scaldare, Britney Spears. Ora mi spiego meglio..."

Yana posizionò il foglio al centro del semicerchio, in modo che tutti potessero leggere per meglio seguire il suo ragionamento.

"Prendete il numero 5, per esempio. Cosa vi sembra?"

Tutti la guardarono con fare scettico, fatta eccezione per Near ed L, inespressivi come loro solito.

"Un cinque, forse?" Chiese ironico Matt, inarcando un sopracciglio.

"No! Su sforzatevi! Un po' d'immaginazione!" ma a quanto sembrava i quattro cervelloni ne erano assolutamente privi "E' una S, no? 5 = S. E così lo Zero è una O. Il 3 è una E rovesciata, e il 4 è una A... Mi seguite?"

Nessuno parlò: Near era sbalordito, Mello era indignato e Matt... Beh, Matt si alzò e andò alla finestra per accendersi una sigaretta.
Matsuda sorrideva per la piccola vittoria della ragazza, mentre L inclinò la testa da un lato, pensieroso... Non era ancora del tutto convinto.

"E il 7 che lettera sarebbe? E poi c'è ancora la questione dei + e delle parentesi tonde"

Ecco, a questo non aveva pensato...

"Beh, il segno +, con un po' di fantasia potrebbe rappresentare una "t" e le parentesi tonde..."
"Una C" indovinò Near, affascinato dal modo di pensare di quella ragazza. L'aveva giudicata male e doveva ricredersi.

Lui era troppo intelligente per non riconoscerle merito.

"E il 7?" insistette Mello, acido, iniziando a pensare alla soluzione. Doveva trovarla per primo... Nella numerologia il 7 era il numero della dualità...

Sette...

...Sette come i peccati capitali. Sette come le piaghe d'Egitto. Sette come i chakra. Sette come le meraviglie del mondo. Sette come gli anni di sfortuna quando si rompe uno specchio. Sette come i Sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di sette trombe suonate da sette Angeli, quindi dai sette Portenti e infine dal versamento delle sette Coppe dell'ira di Dio...

Accidenti, non riusciva a trovare una similitudine che facesse al caso, ma doveva riuscirci, dannazione! Doveva trovare assolutamente un modo per far vacillare quella teoria o avrebbe fatto la figura dello stupido davanti ad L...

Sussultò. Gli era sembrato di intuire qualcosa... Cos'è che aveva appena pensato?
 

L?

7 = L

...Jackpot!

"Il sette rappresenta la L" esordì Matt, un attimo prima che Mello potesse aprire bocca, lasciandolo del tutto sconvolto.
"Stavo per dirlo io! Tappati quella fogna maledetta!"
"Magari, più tardi, mi aiuterai tu a "tapparla" lo schernì il rossino, con fare malizioso. Mello avvampò di rabbia.

Come si permetteva di rubargli la scena e poi di umiliarlo così davanti a tutti?!

Yana sorrise raggiante. Aveva avuto ragione lei... Ma non sarebbe riuscita a completare la soluzione senza l'aiuto del suo caro fratellino. Doveva ammettere che le faceva piacere che nè Near nè Mello fossero riusciti ad anticiparla, ma in fondo era più che normale; Near e Mello rappresentavano le due metà di L e quindi ragionavano allo stesso modo, seppur Near mancasse di esperienza e Mello peccasse d'istintività. Ciò nonostante, se fosse toccato a lei indicare un successore, avrebbe di certo scelto Mello che, a suo parere, aveva ereditato le caratteristiche migliori di L... Ma le aveva anche integrate con altre, a dir poco irritanti.

"In ogni caso" intervenne L ad interrompere il battibecco tra i due compagni di stanza "Se Matt e Mello hanno ragione, la soluzione dovrebbe essere..."
 

"metti solo metà sale, quella senza la vocale. sei stato attento? i conti li sai fare? è la verità che devi calcolare."

 


"Che lingua è?" chiese Matsuda, perplesso.
Si aspettava che il messaggio fosse in inglese, ma a giudicare dalle sue reminescenze liceali, quello era tutto un altro idioma.
"E' italiano" spiegò Mello, traducendogli la frase in un giapponese perfetto.
"Metti solo metà sale?" domandò l'altro di rimando "Che significa?!"
"Significa che la sciarada non è finita" sussurrò L, rosicchiandosi il pollice "Doomsday ha fatto le cose per bene..."
"Come se non bastasse, nella parola SALE non esiste una metà senza vocale... "Sa" e "Le" la contengono entrambe" aggiunse Near, continuando a tormentare la sua povera frangetta color neve.
"E se invece non si riferisse alla parola sale?" Esordì L, parlando più a se stesso che agli altri; il suo sguardo vagava nel nulla "Il sale è anche conosciuto in chimica come Cloruro di Sodio"
"NaCl!" concluse Mello, che in chimica non aveva rivali "Certo! In questo caso la metà senza vocale è CL!"

Tutti annuirono con sorpresa.

CL?

"Potrebbe essere qualsiasi cosa. Un nome in codice. Una marca. L'abbreviazione di un nome di città ...In Italia ad esempio, la sigla del capoluogo di Caltanissetta è CL."
"No Yana, sarebbe troppo generico. Probabilmente il fatto che il codice sia in italiano non significa nulla... Per quanto ne sappiamo, CL potrebbe anche valere semplicemente 150, se pensiamo in numeri romani!" precisò L.
"Potrebbero essere le iniziali di qualcuno; magari della prossima vittima..." azzardò Mello, scartando l'ennesima barretta di cioccolata.
"...O quelle dell'assassino"

La proposta di Matt regalò un brivido a tutti i presenti. L'assassino era CL? Sì, poteva essere così.

Yana si alzò in piedi e compose il numero del cellulare privato dell'ispettore Desmond Black. Gli rivelò la soluzione all'enigma, ma omise che ad aiutarla fosse stato niente meno che il grande L, in compagnia dei suoi potenziali successori. Quando Black le chiese nuovamente dove fosse, rispose vaga e passò alla richiesta decisiva.

"Vecchio, devi farmi un piacere piccolo piccolo!" cinguettò, nel tentativo di ingraziarselo; cosa che, se lo conosceva abbastanza, non aveva mai funzionato...
"Oddio, ti prego. Se mi fai rischiare la pensione giuro che..."
"Non la pensione, ma il tuo matrimonio... Quindi ti va di lusso! Ti andrebbe di passare una notte negli archivi della polizia, in compagnia di scartoffie varie?"
"Tu che dici?!"
"Dico che devi cercare tutte le persone che per iniziali hanno CL... Dagli anni 80 del 900 ad oggi. Va bene?"
"Va bene un ca..."

Yana chiuse la comunicazione. Era certa che il vecchio Black, dopo tutto, non le avrebbe mai negato un simile favore... In un certo senso quell'uomo le voleva bene come fosse sua figlia.

Nel giro di pochi minuti, L, Yana, Matsuda e Near si congedarono. Matsuda fu il primo a dileguarsi con la scusa di volersi concedere un po' di riposo; in realtà si sentiva a disagio in presenza di Near... Quel ragazzino bianco aveva qualcosa di spettrale. I suoi occhi fissavano l'aria come se potessero scorgervi cose proibite al resto del mondo, i suoi piedini pallidi sfioravano leggeri le assi del parquet senza far rumore, con la delicatezza che avrebbe potuto avere una piuma nell'adagiarsi su una nuvola. Parlava poco. Osservava troppo ...In poche parole: gli dava i brividi.

Yana, dal canto suo, sembrava condividere i suoi stessi pensieri e, appena le fu possibile, si chiuse in camera... Dove scoprì, senza sorprendersi, che quel vecchiaccio maledetto le aveva riservato un misero ripostiglio privo di bagno. Le sue imprecazioni furono seconde soltanto a quelle di Mello...

"Tu! Come ti sei permesso di farmi fare la figura dell'idiota?!"

Aveva gridato il biondo, agitando furiosamente i pugni.

Matt, per tutta risposta, aspirò placidamente l'ultima boccata della sua Lucky Strike, assorto nei propri pensieri.
Non sopportava l'isterismo del compagno, ma aveva imparato che il modo migliore per calmarlo era uno soltanto, e gli riusciva anche piuttosto bene: ignorarlo.

"Sto parlando con te!"
"Guarda che ti ho sentito" rispose Matt, gettando la cicca dalla finestra aperta.
Una sferzata di vento gelido gli frustò il viso "Cosa vuoi che faccia, adesso?"
"Chiedimi almeno scusa"
"Devo farmi perdonare...?"

Matt si sfilò la maglietta di cotone scuro e la lasciò scivolare ai suoi piedi. I suoi occhi agganciarono quelli di Mello, costringendolo a sottomettersi al magnetismo inspiegabile che quel ragazzo suscitava in lui. Mello vacillò, colto di sorpresa... Boccheggiò per qualche istante, incapace di trovare qualcosa di abbastanza velenoso da dirgli, ma non appena aprì bocca, quella di Matt gliela serrò dolcemente. Mello tentò di divincolarsi, o se non altro, finse di provarci... Ma ogni tentativo di sfuggire alle carezze della lingua di Matt risultarono inutili. Si lasciarono cadere sul pavimento, dove si abbandonarono ad una danza proibita, accompagnata dalla musica dei loro sospiri e dal profumo dei loro umori...

Infine, Mello si voltò su un fianco, dando le spalle al compagno.

"Sono assolto?" chiese Matt in un sospiro scherzoso all'orecchio del biondino che, in risposta, produsse un verso d'assenso.

Il suo sgnificato era chiaro: sì, ma adesso fammi dormire...
Peccato che Matt non fosse ancora abbastanza stanco.
Si sentiva inquieto... E quando si sentiva così, c'era solo una cosa che poteva calmarlo... Si accese una sigaretta.
"Matt, va fuori di qui! Lo sai che non devi fumare in questa stanza" si lagnò Mello, cercando a tastoni di spingere il compagno giù dal letto.
"Sì, sì, ora vado... Razza di dittatore!"

Matt sbuffò e uscì, richiudendosi la porta alle spalle...

°°°°°°°°°

Yana si svegliò di soprassalto. Gli occhi spalancati fendevano l'oscurità immobile, scrutando in ogni angolo dello stanzino.

Nessun babau nascosto nell'ombra ...Per il momento!

I battiti frenetici del suo cuore rallentarono poco a poco, i respiri spezzati tornarono ad essere profondi e meno dolorosi. Realizzò immediatamente di aver avuto un incubo, cosa alquanto strana... Erano anni che non ne faceva di così vividi. Vividi?! Provò a ricordare qualche dettaglio, ma ora che ci faceva caso, non le sembrava di ricordare nulla; eccezione fatta per le mele. Il che non aveva alcun senso dato che le detestava.

Con ogni probabilità era quel posto maledetto, la Wammy's House, a farle brutti scherzi...

Si guardò nuovamente attorno, nella speranza di trovare una tanica di benzina... L'avrebbe usata più che volentieri per dare a quell'inferno la tomba che meritava. Peccato che non ce ne fosse neanche l'ombra... E comunque non aveva un accendino.

"Fanculo! Chi l'avrebbe detto che dopo tutti questi anni sarei tornata qui?" disse ad alta voce, passandosi una mano fra i capelli madidi di sudore.

"Eh, Yana Yana...Ti è andata proprio male!" si commiserò, alzandosi in piedi ad una velocità più elevata di quanto le sue ginocchia avrebbero gradito.

Ricordò che il bagno più vicino si trovava due piani più in basso. Ringraziò mentalmente quella piattola rinsecchita di Roger Ruvie e s'incamminò nell'oscurità dei corridoi, ma ad ogni passo le sembrava che le porte che si estendevano ai suoi fianchi dovessero aprirsi da un momento all'altro per inghiottirla in chissà quale oscura dimensione.

"Fatti curare Yana... Qui non c'è niente! Qui non c'è niente..." ma senza rendersene conto iniziò a recitare quella frase come un mantra...

Era solo suggestione? ...O qualcosa c'era davvero?

°°°°°°°°°

"Ehi Ryuuk, dimmi una cosa" disse Doomsday, con fare curioso "Chi ha creato i Death Note?"

"Bah... Non lo so... Sarà stato il re degli Shinigami a farlo..."

"No, io non credo. Se così fosse, mi spieghi come avrebbe fatto a sopravvivere prima di crearne almeno uno?"

"Non ti seguo!" si lamentò lo Shinigami grattandosi la tempia bluastra "Che intendi dire?"

"Intendo dire" specificò Doomsday "Che senza un Death Note non avrebbe potuto rubare la vita agli esseri umani. E voi Shinigami vi nutrite di questo, giusto? Altrimenti anche delle divinità come voi..."

"Ah, sì! E' esatto... Sei davvero intelligente... Quasi come lo era Light!"

Detto questo, il dio della morte proruppe in una risata cavernosa. Anche Doomsday sorrise, saccente.

"Ah, un'altra cosa" aggiunse "Ho notato che per quanti nomi si voglia scrivere, le pagine del quaderno non finiscono mai. Sono virtualmente infinite... Eppure i primi nomi scritti sono addirittura in latino. Non vorrai farmi credere che i Death Note sono stati già utilizzati prima della nascita di Cristo!"

Così dicendo Kira fece scivolare il dito sui primi nomi...

*Caius Iulius Caesar, mors - idibus martiis

A stento trattenne un sorriso. Era uno scherzo? Voltò altre pagine...

 

**Adolf Hitler stirbt vergiftet - April 30, 1945 

Era assurdo. Quel quaderno era davvero appartenuto agli assassini di Giulio Cesare e Adolf Hitler? Pretese un'ulteriore conferma.

 

***Иосиф Виссарионович Джугашвили 

"Esatto. Questo Death Note è appartenuto a varie persone" rispose Ryuuk pensieroso "Non credo che tu le conosca. E' passato tanto tempo... Ora che ci penso, Calikarcha ancora non si è accorto che gliel'ho rubato! Devi sapere che ha otto occhi ma è cieco come una talpa!" Così dicendo Ryuuk scoppiò nuovamente a ridere, trovando la cosa oltremodo divertente...

°°°°°

Yana fece per aprire la porta del bagno di servizio. Se le regole non erano cambiate, quella toilette era utilizzata soltanto in occasioni di emergenza, dato che ogni stanza (fatta eccezione per la sua) era dotata di bagno. Appoggiò una mano alla maniglia e improvvisamente le ricomparì davanti agli occhi l'immagine di una mela. Si affrettò a scacciarla, quando la maniglia si abbassò da sola. Accadde tutto così in fretta che quasi non avrebbe saputo ricostruire la scena in ordine cronologico; l'unica cosa certa fu che accaddero tre cose diverse. E tutte e tre, quasi contemporaneamente.

La porta si spalancò con violenza, lei gridò, Yana colpì con forza la figura minacciosa che si era protesa verso di lei per acciuffarla.

"Ahiooo!!"
La figura si massaggiò il naso dolorante, sperando che non si fosse rotto "Cretina! Mi hai fatto male!"

"Matt?"
"No, la fata turchina. Certo, io!" la imbeccò lui, offeso "Che diavolo ci fai in piedi a quest'ora? E poi guarda! Mi hai spezzato l'ultima sigaretta!"
"Eddai scusa! Non l'ho mica fatto apposta!"
"Seee... Ho capito! Siete tutti contro di me!" Si lamentò il ragazzo incamminandosi verso la propria stanza "Ma tanto il vizio non me lo levo!"

 

 

*Caio Giulio Cesare, morte - idi di marzo

**Adolf Hitler muore avvelenato - aprile 30, 1945

***Ioseb Besarionis Dze Jughašvili (vero nome di Stalin)

 

 CAPITOLO MODIFICATO E CORRETTO IN DATA 17/04/2010

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Capitolo 5
*** L' Appeso ***


5 L'appeso

- 17 giorni

Matsuda, stanco di bussare senza ottenere risposta, abbassò la maniglia e spinse la porta.
Stava già iniziando a scusarsi per essere entrato senza permesso, ma le parole gli sfumarono in gola, così come la nebbia che s'intravedeva dalla finestra sfumava i contorni dei cipressi e dei pioppi del giardino. La stanza di L era completamente deserta. La luce spenta. Il bagno pulito. Il letto intatto... Che non avesse chiuso occhio neanche quella notte?

Sospirò.
Stava cercando di non mostrarsi troppo apprensivo nei confronti del detective. Non voleva ricordargli con il suo atteggiamento quanto fosse prossimo alla morte... Eppure, sforzarsi di non mostargli compassione era davvero difficile; soprattutto perchè non si trattava di "compassione", ma di orgoglio e riconoscenza: se L non avesse volontariamente sacrificato la sua vita scrivendo il suo nome sul Death Note, probabilmente, sarebbero morte migliaia di persone... Forse persino lui.

Turbato da questi pensieri, Matsuda si portò una mano alla gola, immaginando come sarebbe stato morire per mano di quel quaderno... Rabbrividì.

"Lo stavi cercando?" chiese una voce ibrida alle sue spalle. Matsuda sussultò, voltandosi di scatto.

Appoggiato allo stipite della porta c'era Near, intento a torturare uno dei suoi boccoli candidi. Un piedino bianco accarezzava piano il suo gemello.

"Ehm... Sì, ma evidentemente è già sceso per fare colazione" rispose, a disagio "Lo raggiungo subito..."

Non gli piaceva la compagnia di Near... E probabilmente non riusciva neanche a nasconderlo. Continuava a trovarlo mostruosamente inquietante, con il suo visino di porcellana e quello sguardo perso nel nulla. Sentì il bisogno di lasciare quella stanza il più in fretta possibile, ma prima che potesse dileguarsi, Near parlò di nuovo.

"E' andato alla cappella. Si trova sul retro, ma ci si può entrare solo dall'esterno... Ti servirà un ombrello"

Matsuda si bloccò. Si sforzò di sorridergli educatamente e ringraziò il ragazzino con un cenno cortese del capo.

"Non sta piovendo, Near" aggiunse, allontanandosi. Si sentiva un perfetto imbecille...

Avere paura di un bambino... Figuriamoci!

Ciò nonostante, prima di iniziare a scendere i gradini che lo avrebbero condotto all'uscita, spiò nella direzione del bambino bianco con la coda dell'occhio: lo stava ancora fissando. Matsuda aumentò il passo.

 

Chiuse gli occhi, assaporando a pieni polmoni l'odore dell'incenso. Era così dolce...

Accartocciato su se stesso, con le ginocchia strette al petto, L non riusciva a smettere di pensare. Pensare... Per lui era impossibile smettere di farlo. Era innaturale... Eppure, doloroso. Un castigo. Una pena da scontare. La sua intelligenza, come una corona di spine, lo feriva profondamente. Gli penetrava nella carne e nello spirito... E proprio per questo, faceva parte di lui. Si portò il pollice alle labbra sottili e fissò il rosone della cappella nella quale, da bambino, spesso si rifugiava...

Non che L avesse mai creduto in Dio.

O meglio, credeva in qualcosa... Qualcosa che preferiva chiamare giustizia, anzicchè darle nomi assurdi. Irrazionali. Privi di significato.

Eppure non riusciva a trovare giustizia in ciò che gli stava accadendo...

Diciassette giorni.

Diciassette giorni e la sua vita, mai vissuta, sarebbe stata spezzata.

Molti avrebbero ricordato il nome di L negli anni avvenire, forse addirittura nei secoli... Ma chi si sarebbe ricordato di lui? Chi mai lo aveva conosciuto realmente per quello che era? Forse nessuno. Neanche lui. Dopo tutto L era sempre stato un fantasma persino per se stesso...

E non aveva fatto altro che liberare il mondo dai fantasmi degli altri...

...Da quelli che si comportano da umani pur non avendo mai provato un'emozione. Da quelli che mangiano senza aver mai avuto fame. Da quelli che studiano senza aver avuto mai alcun tipo di interesse. Da quelli che difendono l'amicizia anche se non hanno mai avuto amici. Un sorriso amaro si dipinse sul suo volto pallido. Senza accorgersene, aveva appena descritto se stesso: il peggior nemico che avesse mai avuto. Allora, forse era giusto che alla fine morisse anche lui. D'altronde aveva scelto volontariamente di suicidarsi in nome della giustizia. Non aveva alcun senso rammaricarsene.

Ma aveva un ultimo dovere al quale adempiere: fermare Doomsday... E lui aveva un'arma che nessun altro possedeva...

"Ah, sei qui!" esordì improvvisamente Matsuda, alle sue spalle. Richiuse il pesante portone in legno di ciliegio e si avvicinò al ragazzo dai capelli scuri. Non appena gli fu troppo vicino si rese conto di aver infranto qualcosa. Aveva appena messo piede in un angolo privato, in un luogo sacro; e non si trattava della cappella...

Indietreggiò, dimesso "Se vuoi, posso aspettarti fuori..."

"Non serve, Matsuda. Ti ringrazio" Rispose L, alzandosi con un unico movimento fluido "E' solo che mi piace l'odore dell'incenso... Possiamo andare, adesso"

Matsuda asserì con un cenno del capo e scortò L sino all'uscita. Non appena aprì la porta, qualcosa di freddo gli colpì la punta del naso...

Pioggia.


Il salone, che da più di dieci anni veniva utilizzato come sala-mensa, iniziò a riempirsi. Come ogni mattina, alle 8:00 in punto, gli alunni si servivano da bere e da mangiare al tavolo del bouffet, tutti perfettamente ordinati in fila indiana, silenziosi e composti come stranamente ci si sarebbe aspettato da bambini e teenagers. Linda, una ragazzina di circa dodici anni, aspettava pazientemente il suo turno, recando tra le mani un vassoio di metallo, quando qualcuno la spinse di lato con poca grazia, passandole davanti.

"Ehi!" protestò.

"Problemi?" chiese il colpevole, trapassandola con lo sguardo. Linda si irrigidì e si affrettò a rispondergli "N-No! Scusa, Mello!"

Il biondino borbottò qualcosa di incomprensibile, infastidito, e si servì l'ultima tazza di cioccolata calda, lasciando a bocca asciutta tutti gli altri alunni; soprattutto la ragazzina con i codini che era appena dietro di lui. La vide allontanarsi a testa china, rassegnata. Non che gliene fregasse qualcosa!
Stava per prendere posto al suo solito tavolo, quando si sentì chiamare... Intenzionato a non rispondere, Mello si accomodò ed iniziò a sorseggiare la sua cioccolata, sperando che il discorso finisse ancor prima di cominciare... Peccato che il suo interlocutore pretendesse attenzione.

Yana sbattè violentemente un vassoio sul tavolo, con il preciso intento di infastidirlo "Come ti sei permesso?!" gli gridò.

Mello alzò lentamente lo sguardo su di lei. La scena gli sembrò familiare, identica a dieci anni prima, e per un istante quasi gli sembrò di essere tornato bambino...

Ma se Yana si illudeva che il risultato potesse ancora essere lo stesso... Beh, si sbagliava. E di grosso anche!

Portò nuovamente le labbra alla tazza, imperterrito, ma la rossa gliela strappò dalle mani prima che potesse fare un altro sorso.

"Come la mettiamo adesso?"

"Ridammela" ordinò Mello, senza scomporsi minimamente.

Per tutta risposta, Yana rovesciò la tazza, lasciando che il contenuto colasse sul pavimento.

Delitto!

Mello scattò in piedi, rovesciando la sedia all'indietro "Non mi provocare!" ringhiò a denti stretti.

"Altrimenti!? Mi rubi l'ultima tazza di cioccolata?" lo schernì l'altra "Vai a scusarti con quella ragazzina!"

"Scordatelo! Non sono più un moccioso!"

Yana stava per replicare qualcosa, ma la voce aspra e improvvisa di Roger Ruvie la costrinse a tacere.

"Basta così!" tuonò "Che sta succedendo?" Gracchiò il vecchiaccio, con la delicatezza che avrebbe potuto avere un citofono.

Yana chinò la testa, aspettando che Mello pronunciasse la frase che tante volte gli aveva sentito dire, gongolante: "E' stata Я"

...Ma inspiegabilmente questa non arrivò.

Lo vide alzarsi e rimettere la sedia al proprio posto, senza dire una parola. Ciò nonostante, non mancò di lanciarle un'occhiataccia assassina, che nonostante tutto Yana apprezzò moltissimo. In fondo, aveva dimostrato di aver ragione: non era più un moccioso!

"Allora?!?" incalzò il vecchio Ruvie, rivolgendosi esclusivamenta alla ragazza, come se fosse ovvio che la colpa non potesse essere di Mello.

"Mi è sfuggita la tazza" esordì il biondino "Chiedo scusa" aggiunse, senza ombra di rammarico.

Yana lo fissò, incredula: Chi era quello? E che ne aveva fatto di Mello?!?

Roger profferì in un gesto carico di stizza e frettolosamente appoggiò una pila di fogli sul tavolo -Sono i dossiers che mi aveva chiesto L- Annunciò. Yana lasciò che fosse Mello a prenderli, pensando che, se non si fosse mossa e non avesse spiccicato parola, forse, Ruvie l'avrebbe lasciata in pace. Infatti, lo vide avviarsi all'uscita con passo strascicato...

...Ma un attimo prima che potesse tirare un sospiro di sollievo, il vecchio parlò.

"Я dai una pulita a quello schifo... E già che ci sei, lava tutto il salone!"

Yana sentì il sangue ribollirle nelle vene.

Avrebbe voluto gridargli ogni tipo di imprecazione possibile in tutte le lingue che conosceva, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono finchè Roger non ebbe abbandonato la stanza. Mello ridacchiò sommessamente, divertito.

In fondo, anche se erano trascorsi dieci anni, certe cose non erano affatto cambiate...

"MA COME SI PERMETTE DI TRATTARMI COSI?! QUANDO SI DECIDE A CREPARE QUEL VECCHIACCIO MALEDETTO?!?" gridò la rossa, scatenando ulteriori risate da parte di Mello.

"Mello, smettila di prendere in giro la mia sorellona"

La voce di Matt giunse alle orecchie del compagno, che si affrettò a ricomporsi.

"Non sai che devi portare rispetto agli anziani?" scherzò ancora Matt, riferendosi a Yana, che in realtà era più grande solo di un anno rispetto a Mello, e di due rispetto a suo fratello. La rossa gli mostrò la lingua, ingenuamente offesa. Matt le sorrise, placido, e si accostò al biondino per esaminare i dossiers che stava leggendo: erano quelli di G e P. La sua espressione divenne improvvisamente tesa...

"Bleah! Matt! Sono le otto e mezza e già puzzi come una ciminiera!"

"Ho dormito male"

"E quindi?"

"Quando dormo male, fumo" spiegò il rossino, sbadigliando sonoramente.

"Tu fumi sempre!" gli fece eco Mello, improvvisatosi 'bocca della verità'

"Vorrà dire che dormo sempre male... Sarà che non vado a letto abbastanza stanco"

La suoneria del cellulare di Yana interruppe il battibecco fra Matt e Mello: era Black.

"Ehi, vecchio! Sei stato veloce! ...Come va la schiena?" chiese la ragazza, alludendo al "lavoraccio" che aveva impegnato l'ispettore per tutta la notte.

"Va di merda. Ed indovina di chi è la colpa?... Ma lasciamo perdere, ci sono novità"

"Davvero? Hai già una lista di potenziali CL?"

"Ho di meglio... O di peggio... Dipende dai punti di vista. C'è stato un omicidio al Camden Lock"


 

 L, una volta al corrente della situazione, agì più velocemente che potè. Gli occorrevano quante più informazioni possibili a proposito di Doomsday, e non avrebbe potuto studiarle a dovere restando confinato alla Wammy's House. Rapidamente, aveva fatto in modo che l'ispettore Black impedisse alla sua squadra di perlustrare la scena del crimine, affinchè eventuali prove non venissero inquinate, o peggio, occultate. Bisognava prendere ogni precauzione possibile perchè ogni impronta digitale, capello o fibra di tessuto restasse incontaminata fino al termine della sua personale ispezione, alla quale avrebbero partecipato anche Matsuda, Matt, Mello, Near e Yana. Dopotutto, Matsuda e Yana erano agenti di polizia; e gli altri tre lo avrebbero aiutato a cogliere eventuali sfumature per stilare un primo profilo psicologico dell'assassino...

Desmond Black era stato messo al corrente della partecipazione di L alle indagini, e aveva preso ogni precauzione possibile affinchè, per i giornalisti e per i suoi stessi agenti, lui fosse semplicemente il Detective Ryuuzaki.

Utilizzare un nome conosciuto come Daneuve o Eraldo Coil avrebbe attirato sicuramente l'attenzione della stampa... O peggio, dell'assassino. Ma, ovviamente, Black non poteva sapere dell'esistenza del Death Note e del pericolo che L correva semplicemente mostrando il suo viso in pubblico; ciò nonostante, non si era affatto opposto nè aveva trovato inopportuna la richiesta di Yana di procurarle sei caschi integrali dai vetri oscurati e un elicottero che li scortasse fino a Londra, per ottimizzare i tempi.

L'elicottero atterrò non lontando da Camden Town alle 10:07...

Il Detective Ryuuzaki e i suoi collaboratori vennero scortati sulla scena del crimine da un agente dagli strepitosi occhi di zaffiro. Yana lo riconobbe all'istante: era lo stesso pivellino che qualche giorno prima l'aveva costretta a mostrargli il distintivo. A quanto sembrava, non era ancora stato mandato a dirigere il traffico!

"Signore, le dispiacerebbe levare i piedi dal sedile?" chiese l'agente, rivolgendosi ad L, ovviamente seduto nella solita ed immancabile posizione fetale.

"E perchè mai? Sto così comodo... Perchè non prova anche lei?"

Il dialogo si concluse bruscamente. Il poliziotto continuò a guidare verso Camden Lock alla ricerca di qualsiasi scorciatoia che gli permettesse di sbarazzarsi al più presto di quello strano detective e della sua banda di ragazzini inquietanti; ragion per cui, giunto presso la zona del famoso mercatino di Camden, accese la sirena per farsi più agevolmente largo tra la folla. Il borough* di Camden Town era perennemente affollato da giovani, per lo più amanti delle mode alternative e del cosplay; il che giocava a favore dei detectives, in quanto non avrebbero attirato troppo l'attenzione soltanto perchè indossavano dei caschi integrali, dato che in giro c'erano teenagers molto più appariscenti di loro... Ciò nonostante, Black, che li attendeva sulla scena del delitto, li riconobbe immediatamente e ordinò ai suoi uomini di lasciarli passare nell'area sorvegliata senza controlli o perquisizioni.

Desmond Black sembrava distrutto: la sua fronte era solcata da rughe profonde, la sua pelle aveva assunto una sfumatura giallastra, malaticcia, e il modo in cui si teneva lo stomaco fu per Yana un chiaro segno che il cadavere non dovesse essere esattamente "grazioso" a vedersi...

"Buongiorno, ispettore!" disse L, diplomaticamente.

Benchè con il casco fosse impossibile distinguerlo dagli altri, Black fu quasi sicuro che a parlare fosse stato il ragazzo dalla postura un po' scomposta. Immaginò anche che dovesse essere piuttosto giovane, nonostante la voce filtrata dal casco non gli permettesse di stabilirlo con certezza. In ogni caso, rispose al saluto del detective con un cenno del capo rivolto a tutti i presenti.

"Black, dov'è la vittima?" chiese una voce femminile, indubbiamente, quella di Yana.

"E' lì, oltre la balaustra... Si è impiccata, o almeno così sembra" spiegò l'ispettore, invitando L e i compagni ad affacciarsi alla ringhiera (lui ne fece volentieri a meno) "Non l'abbiamo toccata. Apettavo il suo permesso, Detective Ryuuzaki..."

"La faccia recuperare" acconsentì L "Intanto, potrebbe dirci qualcosa sulla vittima? E' già stata identificata?"

"Sì... Numerosi testimoni hanno già confermato la sua identità" rispose l'ispettore, porgendogli una cartellina blu "Ecco! Qui c'è un reso conto generale... Al momento non possiamo essere più precisi"

L fece velocemente scorrere lo sguardo sulle sole tre pagine di appunti e, dopo poco più di dieci secondi, passò la cartellina a Yana perchè la leggesse...

La vittima si chiamava You S. Nosobani. Era nippo-anglosassone. Aveva appena quindici anni. Era stata adottata e gestiva con i genitori adottivi, anch'essi nikkei**, un negozio di vestiti proprio nel quartiere di Camden... Yana lesse velocemente le restanti notizie e le testimonianze di chi la conosceva, ma ciò che più la colpì fu la fotografia della ragazza. Benchè si trattasse di una fototessera, era più che evidente che You, in vita, era stata bellissima: aveva lunghi capelli scuri che avrebbero fatto invidia ad una geisha, luminosi occhi a mandorla e grandi labbra a cuoricino...

In quel preciso istante il corpo di You S. Nosobani venne recuperato da alcuni agenti di polizia. Il suo corpo era stato brutalmente gonfiato dall'acqua del fiume, aveva assunto un colorito verdastro, dalla consistenza melmosa. La corda che le avvolgeva il collo le aveva lasciato delle ecchimosi color porpora attorno al collo e le labbra erano velate di blu. Gli occhi e la lingua erano tesi e rigidi, come frammenti di marmo.

Yana e Black furono gli unici a voltarsi da un'altra parte, incapaci di restare impassibili dinanzi ad un simile scempio.

Matt fu il primo ad avvicinarsi alla vittima.

"Mi scusi, ispettore" disse "Come fa ad essere sicuro che non si tratti di suicidio?"

"Stamattina ci è stata inviata un'email al computer della centrale. Indicava il luogo in cui avremmo trovato la vittima... Inoltre ci è stata inviata per posta una strana busta. Non c'era il mittente, ma dato che le informazioni sul suo conto non sono state rese pubbliche, non credo si tratti di uno scherzo o di un'emulazione. Comunque sia, ho già dato l'ordine di rilevare eventuali impronte digitali"

"Cosa conteneva la busta?" chiese Near, a brucia pelo.

"Una carta dei tarocchi"

"L'appeso?" chiese Mello, sarcastico.

"Esattamente..."

"Davvero macabro" fu il commento di Matsuda, l'unico che ebbe il coraggio di fare dello spirito in quella situazione.

"Consegni pure il corpo alla scientifica, ma vi prego di fare in modo da lasciarci assistere all'autopsia" si raccomandò L, stendendo la mano all'ispettore Black.

"Può contare su di me, Ryuuzaki" rispose l'altro, stringendo le esili dita di L fra le sue, più tozze e grassocce.

L'autopsia si svolse quello stesso pomeriggio, alle ore 14:28, all'ILM ossia all'Institute of Legal Medicine di Londra. L'esame sul corpo della vittima venne eseguito dal patologo Parry Cox, il quale, tentò di nascondere il disappunto per la richiesta dell'Ispettore Black; non tanto perchè avrebbe dovuto lavorare con sei paia di occhi puntati addosso, quanto per l'aspetto trasandato, e a tratti inquietante, del detective Ryuuzaki e del suo seguito. Gli parve piuttosto strano, e forse anche poco ortodosso, che un detective così stimato da Desmond Black si accompagnasse a dei ragazzini... Ma nonostante tutto, Cox era un uomo razionale e non spettava a lui giudicare i vivi: preferiva valutare i morti. Sapeva fare bene il suo lavoro, e voleva farlo nel più breve tempo possibile; perciò, apprezzò moltissimo il fatto che il detective e i suoi compagni avessero preferito osservare al di là del vetro infrangibile, in modo tale da non compromettere la sua concentrazione.

Dall'autopsia, come L si aspettava, non emerse nulla di anomalo; niente che lasciasse presupporre l'omicidio: niente tracce di pelle sotto le unghie della vittima, nè segni d'aggressione o altri ematomi al di fuori di quelli dovuti alla corda. Risultato: semplice suicidio.

Ma il dottor Cox di certo non poteva sapere che Doomsday, attraverso il Death Note, avrebbe potuto spingere You S. Nosobani a togliersi la vita senza sporcarsi le mani...

Il solito elicottero, messo a disposizione da Scotland Yard, si occupò di riportare L e il suo seguito alla Wammy's House.

Sulla via del ritorno, Yana notò il nervosismo di L. Di sicuro, Yana non aveva una mente brillante ed acuta, scientifica, come quella di L o di Near ma, al contempo, aveva altri lati positivi: era un'ottima osservatrice. Le piaceva osservare le persone, cercare di scoprire, attraverso i piccoli gesti, sfumature del loro carattere...

E ormai sapeva che quando L iniziava a rosicchiarsi il pollice c'erano guai in vista.

"Qualcosa non va?" chiese, tanto di sembrare vaga.

"Stavo solo pensando..."

Yana non aveva molti dubbi in proposito. Le risultava difficile immaginare che L potesse smettere di pensare.

"A Doomsday?" insistette la rossa, annoiata dai monosillabi con cui il detective pretendeva di trascinare la conversazione.

"No... Alla vittima"

"Anch'io ci stavo pensando" si intromise Mello "E' piuttosto strano, non credete? Le sue iniziali non sono CL"

"In ogni caso, un semplice suicidio è da escludere. Doomsday ha inviato segnali precisi: la carta dei tarocchi e il luogo della morte di Nosobani" precisò Matt.

"Sì, però..."

"Matt ha ragione, Mello" lo interruppe L "Attraverso il Death Note, Doomsday avrà sicuramente indetto Nosobani al suicidio, indicando l'ora e il luogo del decesso"

"Come fai ad essere sicuro che si tratti proprio di Doomsday? La busta e l'email erano senza mittente!"

Mello non accettava di essere corretto, anche se a farlo era il grande L.

"E' molto semplice" intervenne Near "Il luogo"

Tutti, ad eccezione di L, si voltarono a guardare il ragazzino dai capelli bianchi.

"Nosobani si è tolta la vita a Camden Lock: CL" spiegò "E fra tutti i quartieri di Londra, Camden Lock è l'unico ad avere queste iniziali"

Mello fu costretto a mettere da parte i propri dubbi, ma non la sua indignazione.

"Questo è sicuramente un indizio. E non lo si può ignorare... Tuttavia, è ben altro a preoccuparmi..." disse L, portandosi un indice alle labbra.

"Ti riferisci al fatto che sia stata adottata?"

L levò gli occhi su Yana come se la vedesse per la prima volta. No, ne dedusse la ragazza, non si riferiva a quello.

"Effettivamente, potrebbe essere stata anche lei un'allieva della Wammy's House come G e P..." aggiunse Matsuda, terminando il pensiero di Yana.

"Può darsi" ammise L "Ma non è quello ad impensierirmi. Piuttosto..."

L venne interrotto da un improvviso boato che fece ondeggiare pericolosamente l'elicottero. Un tuono?

"Che succede?" chiese Matsuda, allarmato.

"C'è qualcosa laggiù in fondo... Un incendio forse!" spiegò il pilota, indicando un punto preciso davanti a se.

Tutti si sporsero in avanti per guardare e ciò che videro li lasciò di sasso.

"Ma lì c'è la Wammy's House!" esclamò Yana, inorridita.

C'era stata un'esplosione? Qualcuno era rimasto coinvolto? ... E se fosse morto qualcuno? Yana non voleva neanche pensarci.

Per quanto odiasse quel posto con tutte le sue forze, sperò vivamente che nessuno si fosse ferito.

Una colonna di fumo denso e plumbeo svettò alta nel cielo cinereo. Lingue di fuoco si protraevano disperatamente lungo le assi del soffitto e lungo le torri in stile gotico, avvolgendole completamente. Presto della Wammy's House non sarebbe rimasto nulla al di fuori delle sue stesse ceneri...

"Aumenti la velocità, per cortesia... Potrebbero esserci dei morti"

Un dubbio si fece sempre più spazio nella mente del detective.

Un dubbio strisciante, velenoso come un cobra, pungente come le spine di una rosa. Desiderò vivamente di sbagliarsi. Di avere torto.

...Almeno per una volta, in tutta la sua vita.


 

*BOROUGH: i quartieri di Londra vengono chiamati "borough" nel loro complesso

**Nikkei: giapponesi stabilizzatisi in altre parti del mondo

 

CAPITOLO CORRETTO E RIVEDUTO IN DATA 18/04/2010

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Capitolo 6
*** Il Diavolo ***


6 Il Diavolo

(Bellum omnium contra omnes)

 

- 17 giorni

Nel giro di poche ore, tutti i ragazzi della Wammy's House vennero tratti in salvo, grazie ai vigili del fuoco di Winchester. Anche Matsuda, Yana, Matt e Mello si offrirono di prestare aiuto, essendo più rapidi di L e più forti di Near. La Wammy's House si era ormai trasformata in una vera e propria prigione di fuoco, e affrontarla non fu affatto semplice: Matsuda finì per procurarsi delle brutte ustioni alle mani e Yana aveva rischiato di restare intrappolata tra le fiamme in più di un'occasione; ma alla fine, soprattutto grazie ai riflessi pronti di Mello, nessuno aveva riportato ferite che potessero destare preoccupazione...

Le operazioni di ricerca iniziarono subito dopo aver domato l'incendio, allo scopo di individuare eventuali superstiti, anche se, in realtà, l'unico a risultare disperso, secondo i calcoli di L, doveva essere Roger Ruvie.

Di lui non v'era più traccia... Come della Wammy's House in effetti, ridotta ormai ad un cumulo di scure macerie fumanti.

"Probabilmente è morto" fu il commento distaccato di Matt.

L iniziò a tormentarsi il pollice, come ogni volta che qualcosa lo impensieriva. Near, accanto a lui, giocherellava con l'elmetto di protezione che gli avevano fornito i vigili del fuoco, apparentemente per nulla scosso dalla situazione che aveva colpito quella che, fino a poche ore prima, era stata la sua casa.

Le loro menti, sveglie e precise, stavano calcolando tutte le probabili cause che avevano potuto scatenare l'incendio...

In realtà, a preoccupare L, non era tanto l'incendio in sè. Tutti gli incidenti più devastanti -era risaputo- potevano accadere tra le tranquille mura di casa; qualsiasi cosa avrebbe potuto provocare una reazione a catena ed innescare un'esplosione, anche solo per errore: fughe di gas, qualcosa di infiammabile a contatto con una fonte di calore, un accendino adoperato in modo erroneo...

Ma queste disattenzioni non potevano essere state scatenate da ragazzi intelligenti e responsabili come gli studenti della Wammy's House. Probabilmente, anche il più giovane di loro aveva una conoscenza in materia molto più ampia e approfondita di qualcunque esperto. Se solo avessero voluto, avrebbero potuto tranquillamente fabbricare una bomba artigianale con succo d'arancia ghiacciato e benzina...

No, l'incendio non era stato un semplice incidente. Era doloso, ne era sicuro.

Ma perchè?
Chi doveva morire? E perchè in quel modo?
E se l'incendio fosse stato provocato per distruggere qualcosa? Aveva senso.
E in questo caso, cosa? Passaporti? Dossiers? Fotografie?

"Mmmh..."

"Qualcosa di turba, Ryuuzaki?" chiese Matsuda. Si era appena fatto medicare le ferite, e in quel momento le sue mani assomigliavano ai guantini bianchi di Micky Mouse. Chiunque altro avrebbe riso al solo vederlo, ma non L, che continuò a fissarlo con un'espressione neutra dipinta sul viso pallido.

"Quando le operazioni di ricerca saranno terminate, dovrò fare un annuncio"

"Che genere di annuncio?"

In quell'esatto istante, alcune grida di richiamo provennero dall'interno della Wammy's House (o almeno, di ciò che ne restava). Alcuni uomini dotati di elmetto e lanternine uscirono velocemente all'esterno, sbracciandosi per reclamare l'attenzione dei paramedici, che accorsero rapidamente con barelle e strumenti di primo intervento.

"Sembra che l'abbiano trovato..." constatò Near, intento ad arricciarsi un ciuffetto ribelle che, per quanto facesse, continuava a pizzicargli la fronte.

Pochi minuti dopo, i paramedici uscirono nuovamente all'esterno e, stavolta, sulla brandina era stato adagiato il corpo carbonizzato di Roger Ruvie.

Tentarono di rianimarlo, ma senza successo. L, Matsuda e gli altri si avvicinarono alla squadra di rianimazione, e aspettarono pazientemente che gli venisse comunicato il responso. Yana, accanto ad L, era inquieta. Si agitava. Giocherellava con la frangetta e aveva preso a masticare quattro Big Bubbles tutte insieme, cosa che faceva solo quando i suoi livelli di nervosismo schizzavano in vetta alle classifiche storiche.

"E'... E' morto?" sussurrò, facendo scoppiare un palloncino, per mascherare l'inquietudine. Ma questa non sfuggì al finissimo udito del detective...

"Probabilmente sì" rispose con freddezza.

"Capisco"

Yana chinò lo sguardo.

Lei aveva desiderato la sua morte.

Non riusciva a dimenticare le parole che aveva detto soltanto qualche ora prima. Le aveva gridate con tutto il fiato che aveva in gola, con tutta la rabbia che l'assaliva ogni volta che quel dannato vecchiaccio la guardava, le parlava o la toccava. Tutto di quell'uomo la irritava. La ripugnava... Eppure in quel momento non riusciva ad essere felice per la sua morte. Si sentiva colpevole, come se fosse stata lei ad ucciderlo.

Quella frase non smetteva di tormentarla, di ricordarle che lei aveva predetto la sua fine; gliel'aveva augurata senza pietà...

 

Quando si decide a crepare quel vecchiaccio maledetto?

Quando si decide a crepare quel vecchiaccio maledetto?

Quando si decide a crepare quel vecchiaccio maledetto?

 

"Non c'è più nulla da fare" comunicò un paramedico "Quest'uomo è morto"

Yana non riuscì a mascherare il tremito che le intrappolava le mani in una danza folle e dolorosa.

Fu come se fosse stata investita da una secchiata d'acqua ghiacciata.

"Ora del decesso...?"

"Quindici e quicidici" annunciò Matt, senza guardare l'orologio.

Il medico in ogni caso controllò, poi appuntò i numeri su un libretto, senza alcun'emozione. Erano abituati a quel genere di situazioni. Morto più, morto meno, non faceva una gran differenza, tranne che per il loro stipendio.

Yana chiuse gli occhi e si allontanò senza dire nulla. Il fratello la seguì.

I paramedici, d'altra parte, iniziarono ad infilare il corpo del defunto in un sacco di plastica nero, che poi sarebbe stato destinato all'obitorio di Winchester; ma l'operazione non fu molto semplice: la mano di Ruvie, pallida e nodosa, continuava a saltare fuori dal sacco...

"Aspettate... C'è qualcosa che sporge dalla camicia" annunciò Near, annoiato.

I paramedici non gli prestarono attenzione. Dopotutto, era soltanto un bambino; avrebbe dovuto lasciarli lavorare...

"Non l'avete sentito?" tuonò Mello "Sbottonategli la camicia!"

I paramedici lo fulminarono con un'occhiata assassina. Ma perchè quei ragazzini non li lasciavano lavorare in pace?

"Fate come dicono" disse L, con il suo solito tono neutro.

I medici si scambiarono uno sguardo incerto. Non avevano alcun'intenzione di sottostare ai capricci di due marmocchi, ma non potevano rifiutarsi di obbedire alle direttive del detective Ryuuzaki. Sospirarono e fecero quanto gli era stato ordinato... In effetti qualcosa sporgeva dal braccio, ed impediva che questo scorresse rigido lungo il corpo. Una volta sbottonata la camicia, l'ostacolo divenne evidente.

Il paramedico fece per estrarre lo strano oggetto, ma L agì più velocemente, con una mano guantata.

"Non sapete che le prove non devono essere contaminate?" li imbeccò, severo "I guanti preservano dai germi. Dovreste indossarli sempre"

L espose l'oggetto alla luce del sole...

Una carta dei tarocchi.
La numero quindici.
Il Diavolo...

 

"Quell'uomo era il Diavolo!" esclamò Yana, cercando di mascherare la sua frustrazione "Era il mio diavolo personale! Si divertiva a tormentarmi"

Matt alzò lo sguardo verso il cielo.

Un raggio di sole, timido ma coraggioso, sfidò la coltre di nuvole che fino ad un attimo prima aveva assistito all'incendio, tirchia.

Non aveva più piovuto dalla notte scorsa. Forse, se quel pomeriggio fosse scoppiato un temporale come quello della notte precedente, forse, sarebbe stato possibile salvare la Wammy's House dalle fiamme...

"Te lo ricordi, Matt? Te lo ricordi come mi trattava?" chiese Yana, stringendo i pugni, in preda ad un attacco d'isterismo.

Il rossino sospirò e cinse le spalle della sorella con un braccio.

"Me lo ricordo" ripetè, laconico.

I due fratelli si sedettero sull'erba verde e umida, imperlata di goccioline trasparenti, di brina e di rugiada.

Per un po' Yana smise di parlare, ma Matt sapeva a cosa stava pensando. Poteva facilmente immaginarlo...

Sua sorella era un libro aperto per lui. Ogni singola emozione era dipinta sul suo viso, scolpita nell'arco delle sue sopracciglia, fusa nella rabbia che le fondeva nello sguardo. Persino dalla più piccola increspatura delle sue labbra gli era possibile cogliere ogni singolo pensiero di Yana... E quella volta, Matt non riuscì a farsene una ragione. Sul suo volto doveva esserci la soddisfazione. Il solco sulla sua fronte doveva sparire... Avrebbe quasi voluto strofinarglielo con il pollice, pur di cancellare quell'assurdo segno di preoccupazione...

"Perchè non sei felice?" chiese improvvisamente, curioso.

Yana si voltò verso di lui, con i suoi grandi occhi verdi, di un verde più brillante dei suoi. Sembrava sorpresa da quella domanda.

"Dovresti esserlo" le disse, ordinandole dietro un orecchio una ciocca di capelli rossi, anche quelli di un rosso più intenso dei suoi "Insomma... L'hai detto tu stessa. Volevi che Roger morisse!"

Yana tornò a spostare lo sguardo dritto davanti a sè. Matt non stava mentendo, dopotutto. Lei aveva desiderato la morte di Ruvie più di qualsiasi altra persona al mondo, gliel'aveva augurata, ma... Ora che il suo desiderio si era avverato, non riusciva a sentirsene appagata.

"Sì" ammise con voce atona "Volevo che sparisse per sempre, hai ragione"

"E allora, perchè fai così?!?" le gridò Matt, preoccupato "Dovresti essere soddisfatta! Quell'uomo non ti tratterà mai più male! Ha finalmente pagato per tutte le sue colpe! Cosa c'è che non va?"

Yana si alzò in piedi di scatto. Sentiva il bisogno di muoversi, di dare sfogo a quell'eruzione di tristezza che le era esplosa nell'anima e che non le dava tregua. Era come se tutti i suoi organi interni fossero stati improvvisamente tesi, come corde di violino, e pizzicati ripetutamente. Mai come in quel momento, desiderò aver preso il vizio di suo fratello; forse, era il momento buono per iniziare a fumare. Magari, l'avrebbe tranquillizzata.

"Non doveva morire così..." disse infine, osservando il cielo.

"Che vuoi dire?" chiese Matt in un sussurro. Non riusciva davvero a capire. Tutto ciò che voleva era vedere Yana sorridere.

Sua sorella si voltò e lo guardò da sopra una spalla. Nei suoi occhi potè scorgere la scintilla di un'infinita tristezza.

"Roger meritava di morire?" chiese con fare retorico "Chi sono io per stabilirlo? Non sono Dio, Matt! Non spetta a me decidere della vita e della morte"

"Credi di essere stata tu ad ucciderlo?"

"Sì... No... Un po'..." ammise "L'ho desiderato. L'ho detto stamattina, ricordi?"

"Certo che me lo ricordo! E con questo?"

"Beh, mi sento responsabile. Se non l'avessi detto, forse a quest'ora Roger sarebbe ancora vivo..."

Matt sbuffò.

Quante chiacchiere inutili.

"Non essere ridicola. Tu inveisci contro qualsiasi cosa, a cominciare dai semafori. Non hai ucciso proprio nessuno"

Roger era un bastardo. Fine della discussione. Meritava di morire per tutto il male che aveva fatto a sua sorella.

Quante notti, da bambino, aveva faticato ad addormentarsi perchè sentiva le grida di Yana provenire dalla soffitta? Infinite.

Quante volte l'aveva umiliata? Quante volte l'aveva picchiata? Quante volte le aveva ripetuto che era un essere inutile?

E chissà quante aveva osato toccarla?

Il solo pensiero delle mani di quel vecchio che sfioravano la pelle della sua adorata sorellina gli dava il voltastomaco...

Come poteva lei provare compassione per un simile mostro?

Sospirò pesantemente, accendendosi una sigaretta.

La fiamma divampò per qualche istante, tremula, prima di estinguersi del tutto. Un forte odore di nicotina gli irritò le narici.

"Yana, tu credi che un assassino sia per forza malvagio?"

La sorella lo guardò senza capire.

"Lascia stare..."

Una brezza gelida gli accarezzò il viso. Osservò il modo in cui la sigaretta veniva consumata dal vento.

"Dopotutto, l'hai detto tu stessa: non sei tu Dio"

Chiuse gli occhi e si distese sull'erba umida, lasciando che il fumo gli accarezzasse la gola, disperdendosi nel cielo di Novembre.

Sentì Yana sospirare, accanto a lui. Anche lei si distese... Due dita fredde incontrarono le sue.

Ricambiò la stretta della sorella, provando un calore paragonabile solo a quello che sentiva fra le braccia di Mello.

...Ma Yana faticava a rilassarsi.

Le parole del fratello, quelle che avrebbero dovuto rassicurarla, invece... Sembravano aver avuto l'effetto opposto. Si sentiva turbata.

"Non sono io" sussurrò al cielo "Non sono io Dio..."

Un brivido le percorse la schiena.

"E' sicuramente opera di Doomsday!" esclamò Mello, incredulo, esaminando la carta dei tarocchi: la numero 15.

"Ha architettato tutto affinchè Ruvie desse fuoco alla Wammy's House..."

"Sono d'accordo" confermò L "Ma perchè?"

Near, Mello e Matsuda lo fissarono straniti. Come sarebbe a dire "perchè" ?

L sospirò. A quanto pare, doveva sempre spiegare tutto.

"Se il suo obiettivo fosse stato semplicemente quello di uccidere tutti i membri della Wammy's House, avrebbe potuto farlo sin dall'inizio... Li avrebbe uccisi, tutti, senza risparmiare nessuno. E questo mi sembra piuttosto ovvio"

"Quindi" iniziò Mello, continuando il discorso del suo superiore "Il suo obiettivo era soltanto Ruvie?"

"Forse il vecchio sapeva cose che non dovevano essere rivelate!" azzardò Matsuda.

L scosse il capo.

"Ne dubito. Se era soltanto per questo, avrebbe potuto ucciderlo semplicemente scrivendo il suo nome sul Death Note. Un attacco cardiaco sarebbe bastato... Invece ha scatenato un incendio... Perchè?"

"Voleva che la Wammy's House scomparisse" intervenne Near, arricciandosi una ciocca di capelli candidi intorno all'indice "Forse, negli archivi c'erano informazioni su di lui... O su di lei"

"E non sapendo dove fossero nascoste queste informazioni, ha fatto in modo che fosse Ruvie a distruggerle! Ma certo!" esclamò Mello, sorpreso "I conti tornano!"

"I conti non tornano, invece..."

Tutti spostarono nuovamente l'attenzione su L, assorto come poche volte lo avevano visto in vita loro.

Non era mai stato così teso come in quel momento.

"Chiamate Yana e Matt. Devo parlare con tutti voi, in privato."

Poco dopo, la squadra di detectives al completo si riunì nella cattedrale di Winchester. La struttura in stile gotico era imponente e silenziosa. Le deboli luci delle candele tremolavano, sinistre, giocando con le ombre, rincorrendole, mescolandosi ad esse. Il suono di un organo si diffuse nell'aria, soave e inquietante allo stesso tempo. L'ombra di L percorreva quasi l'intera navata; il suo volto pallido sembrava ancor più spettrale grazie al favore della penombra. I suoi occhi leggermente sporgenti erano arrossati a causa del fumo dei candelabri e dell'incenso, ed erano fissi sugli astanti, impazienti di ascoltare quello che si supponeva essere un discorso importante.

"Dunque?" chiese Mello, accomodandosi su una panca di legno, che cigolò sotto il suo peso "Cosa volevi dirci?"

"Ho esaminato le informazioni attentamente... Ho raccolto ogni possibile indizio che questo caso mi ha messo a disposizione. E sono giunto ad una conclusione..."

"Vuoi dire che hai capito chi c'è dietro tutto questo? Se è così, dillo subito. Non ne posso più di questa storia!" lo interruppe Yana, ancora nervosa.

L sollevò una mano, come per chiedere che i suoi tempi venissero rispettati.

"Non così in fretta" la ammonì "Non so ancora chi sia Doomsday, ma ho un'ipotesi che a mio giudizio merita di essere sperimentata..."

L si interruppe nuovamente, ma questa volta nessuno osò scavalcarlo.
Lo sguardo di L si posò su Near, poi su Matt, su Mello e infine su Yana.
Soltanto Matsuda venne risparmiato dai suoi occhi indagatori e inquisitori.

Dopo alcuni secondi, il detective parlò di nuovo...

"Inizialmente ero convinto che Doomsday avesse come obiettivo i membri della Wammy's House... E quest'ipotesi era avvalorata dalla morte di G e P, le prime due vittime. Sin dal primo istante non ho avuto dubbi che l'assassino si fosse servito di un Death Note; ne erano prova i frammenti che sono stati inviati a Scotland Yard"

Tutti asserirono con un impercettibile cenno del capo.

"Le prime due vittime erano un avvertimento, o meglio, un invito. Michael Parker e Andrew McGregor sono entrambi stati uccisi con un semplice attacco cardiaco. Sono morti alla stessa ora in due luoghi diversi, e dubito fortemente che si possa trattare di una coincidenza. Dunque, sono propenso a credere che l'assassino si sia servito del Death Note con il preciso scopo di arrivare a Yana"

"A me?"

"Sì. Altrimenti, perchè avrebbe inviato i frammenti del Death Note proprio a Scotland Yard, dove c'eri tu, che, guarda caso, sei stata membro della Wammy's House?" chiese L, con fare provocatoriamente retorico "O forse, qualcuno sapeva che tu avevi frequentato questo istituto?"

"In effetti... Nessuno a Scotland Yard lo sapeva. Per tutti io sono nata e vissuta in Russia fino alla maturità, dove ho acquisito un diverso cognome"

"Esatto. Quei frammenti di Death Note sono stati inviati lì, perchè fossi tu a trovarli. Tu e nessun altro"

"Ma perchè?" chiese Matsuda, perplesso "Voglio dire, cosa c'entra Yana in questa storia?"

"Perchè Doomsday sapeva che io l'avrei cercata. Ci conosce molto bene. Sa tutto di noi. E ho buone ragioni di credere che il suo obiettivo sia L" disse, parlando di sè in terza persona "Doomsday sapeva che io conoscevo Yana e che, avendo condotto il caso-Kira, sarei intervenuto immediatamente se dei frammenti di Death Note fossero comparsi in altre zone del mondo. Ha calcolato tutto. Ora resta da scoprire come faceva a sapere della nostra conoscenza"

"Questo è impossibile! Se così fosse vorrebbe dire che Doomsday si trovava già alla Wammy's House!" protestò Matt.

"E perchè dovrebbe essere impossibile? E' stato solo molto furbo, tanto da non farsi notare. Oppure..."

La voce di L si spezzò ancora.

"Oppure, Doomsday non ha fatto lo scambio degli occhi. E' l'unica spiegazione che sono riuscito a trovare... Altrimenti dovrei essere già morto"

Nessuno fiatò.

Matsuda evitò di dire che, anche se Doomsday avesse fatto lo scambio, L non sarebbe morto comunque.

La sua data di morte, il suo giorno del giudizio, la sua ora... Sarebbe scoccata solo -e soltanto- fra diciassette giorni.

"Comunque sia, inizialmente credevo che Doomsday fosse un membro qualsiasi della Wammy's House... Ma la morte di You S. Nosobani mi ha aperto gli occhi"

"Cos'aveva di così strano?" chiese Yana "Adesso che gli archivi sono andati distrutti non possiamo neanche controllare che abbia mai messo piede all'orfanotrofio!"

"Questo è vero" le concesse L "Ma nascondere i suoi fascicoli, ammesso che siano mai esistiti, non era un motivo sufficiente a scatenare l'incendio. In quegli archivi probabilmente c'era qualcosa che Doomsday voleva nascondere a tutti i costi. Qualcosa che sarebbe stata troppo evidente, una volta che Nosobani fosse stata uccisa"

"Il dossier di Doomsday" intervenne Near.

"Era questa la tua conclusione?" chiese Matt, tentato di accendere un'altra sigaretta. L scosse il capo.

"No, affatto" rispose il detective "La mia conclusione è che Doomsday sia uno di noi"

Silenzio.

Nessuno osò respirare.

Doomsday era fra loro? Era seduto lì, da qualche parte, a pochi centimetri di distanza?

Era Yana? O forse Mello? Near? Matt?... Che fosse proprio L?

Tutti si alzarono in piedi e si scrutarono in cagnesco.

"E' inutile agitarsi così... Non so chi sia Doomsday. Ma ho buone ragioni per credere che sia qui, fra noi..."

"Perchè?" intervenne Yana, sconvolta "Come fai a dirlo?"

"E' molto semplice. You S. Nosobani... Il suo nome, come ho già detto, mi ha aperto gli occhi. You, in Giappone, è un comunissimo nome femminile, ma in inglese è un pronome di persona: TU, oppure, VOI, ma sono più propenso che l'assassino si voglia rivolgere ad un singolo soggetto"

"Mentre, Nosobani in inglese non significa nulla..."

"Ma in giapponese vuol dire Vicino A ...Questo era il significato del suo nome... E Doomsday se ne è servito per sfidarmi"

Ancora silenzio.

You Nosobani

Vicino a te
 

"Inoltre, seguendo lo schema del primo enigma, mi sono reso conto che qualcosa non quadrava... Non è ancora concluso"

"Ancora? Vuoi dire che Camden Lock non indicava le inziali "CL"?" chiese Mello, teso.

"Anche... Ma più probabilmente, le lettere C e L non vanno lette separatamente. D'altronde, nella tavola periodica, soltanto la C è scritta in maiuscolo... Pensateci..."

Cl = D

cl = d


"Cl sta per D! D è il nostro assassino!" esordì Yana, sgomenta.

"Esatto... Peccato che ora che gli archivi sono stati bruciati non possiamo sapere chi sia questo "D"

"Un momento" intervenne Matsuda "Come hai fatto ad arrivarci così in fretta?" chiese a Yana, indicandola.

"Ehi, coccobbello, stai forse insinuando che io sia Doomsday? Sono sempre stata insieme a te, tutto il santo giorno!" protestò la ragazza.

"Rilassati Matsuda... Ha risposto per prima, ma questo non significa nulla. Il vero Doomsday non l'avrebbe mai fatto per paura di essere accusato. Se fosse stato troppo lesto nel risolvere il problema delle iniziali CL, avrebbe attirato troppi sospetti su di sè" disse L, annoiato.

"Ma Yana ha risolto anche metà dell'enigma!" lo imbeccò Mello.

"E' vero, ma io lo avevo risolto prima di lei e voi non ve ne siete accorti... Quindi il colpevole potrei essere io, in fin dei conti..."

Nessuno protestò.

"Near sapeva che sarebbe scoppiato un temporale" sussurrò Matsuda "Sapeva che la pioggia avrebbe cancellato qualsiasi indizio sul corpo di Nosobani"

"Giusto! Near ha sempre avuto ragione su tutto! Sin dall'inizio!" gli fece eco Mello, puntando un indice contro il ragazzino dai capelli bianchi "Sapeva anche della carta numero 15!"

"Se è per questo" si difese Near, impassibile alle accuse "Se fossi stato io l'assassino, non mi sarei mai pronunciato. Anzi, avrei fatto finta di sbagliare..."

"Quindi è più probabile che Doomsday sia Mello?" chiese L, senza enfasi, facendo le personali congetture.

"Secondo voi avrei sbagliato a decifrare gli indizi... Di proposito? Voi siete fuori di testa! Tutti quanti!!" così dicendo, il biondino sferrò un calcio ad un candeliere, che si rovesciò sul pavimento di marmo "Dimmi L" lo provocò "Sei convinto che sia io l'assassino? Mi credi colpevole?! Parla!"

L alzò gli occhi al soffitto della cattedrale, pensieroso.

"Non saprei... Matt ha capito per primo che le lettere CL non portavano alla prossima vittima, ma all'assassino... E ha risolto il significato del numero 7, quello che ha presentato maggior difficoltà. Direi che ognuno di voi ha buone probabilità di essere Doomsday"

"Quindi ci siamo tutti dentro, fino al collo" concluse Matt, accendendosi una sigaretta, nonostante si trovasse in un luogo sacro.

"Esatto... Ma in questa situazione non ho prove per arrestare nessuno di voi; pertanto mi vedo costretto a prendere una decisione..."

Tutti attesero, in silenzio.

L'agitazione divenne palpabile. Una presenza reale, e sinistra che strisciava tra i presenti; da Matt a Mello, da Near a Yana...

"Ci divideremo in coppie. Ognuno terrà l'altro sotto controllo, 24 ore su 24. Ogni coppia non avrà possibilità di agire separatamente nè potrà comunicare con gli altri gruppi" spiegò L, portandosi un indice alle labbra.

"In parole povere, vuoi ammanettarci?" chiese Mello, quasi divertito.

"Sicuro. Non è un'idea grandiosa?" chiese il detective, sfoggiando un sorriso che nessuno osò ricambiare.

"Quindi" iniziò Matsuda "Matt resterà con Yana, Mello con Near e io con te, giusto Ryuuzaki?"

"Stai scherzando!?" ruggì Mello, indignato "Secondo te io dovrei restare ammanettato a quel marmocchio, giorno e notte? A questo punto arrestatemi subito, perchè lo ucciderei di sicuro!"

"Non preoccuparti, Mello" lo placò L "Tu farai coppia con Matt e Yana verrà con me. Due fratelli finirebbero per coprirsi le spalle a vicenda..."

"Come?? Ma questo vuol dire che io...?"

"Sì, Matsuda. Tu resterai con Near. Sei stato il primo ad accusarlo e dunque sarai più predisposto a tenerlo d'occhio"

"Ma questa è un'ingiustizia!"

"Al contrario... E' il modo più giusto per valutarvi. Se ad uno dei membri delle coppie dovesse succedere qualcosa, avremmo automaticamente un colpevole"

"Aspetta un attimo" lo interruppe Near "Tu hai un Death Note, L..."

L si grattò la punta del naso. Non aveva tutti i torti, il ragazzino...

"Hai ragione. Dovremmo rimediare anche a questo. Se io fossi Doomsday potrei usarlo per eliminarvi, senza essere accusato di nulla..."

"Perchè non lo bruci?" propose Yana "Sarebbe un problema in meno"

"Lo chiuderemo a chiave, in una cassaforte a Scotland Yard. Ognuno di noi sceglierà un numero per la combinazione; numero che dovrà essere segreto, in modo tale che nessuno di noi possa aprire la cassaforte senza il consenso degli altri"

"Mi sembra giusto" convenne Matsuda.

"Sbagli ancora, Matsuda... E' giusto!"

 

CAPITOLO CORRETTO E RIVEDUTO IN DATA 18/04/2010

I DIALOGHI SONO STATI CAMBIATI ED ADATTATI

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Capitolo 7
*** L' Eremita ***


7 L'eremita

- 15 giorni

  

"Servizio in camera. Come le posso essere utile, signor Bjourman?"

Erano trascorsi quasi due giorni da quando L aveva affermato, con estrema chiarezza e lucidità, che tra di loro poteva nascondersi Doomsday, il crudele assassino che si era macchiato già di ben quattro omicidi...

Andrew Mc Gregor, Michael Parker, You S. Nosobani e Roger Ruvie... Cosa accomunava tutte queste vittime? Assolutamente nulla.

Gli indizi raccolti erano stati alquanto sporadici e disordinati. L'unico elemento che ricollegava i quattro omicidi ad un'unica mano erano le carte dei tarocchi: la morte, l'imperatore, l'appeso e il diavolo. L non aveva dubbi che Doomsday si fosse servito di un Death Note e che ognuna delle quattro morti fosse una chiara sfida nei suoi confronti, nei confronti di colui che aveva incastrato Kira. Il motivo di tale rancore non era ancora del tutto chiaro; esisteva la possibilità che Doomsday fosse un seguace di Kira, e che quindi bramasse vendetta nei riguardi di colui che aveva posto la parola fine ai piani di Light Yagami... Ma, per qualche strana ragione, L non ne era troppo convinto. Il movente doveva essere qualcosa di più profondo. Allo stesso tempo, L era assolutamente certo che l'assassino fosse particolarmente vicino a lui e al suo gruppo operativo; la morte di You S. Nosobani ne era una conferma: "Vicino a te"

Ora, restava da stabilire chi fosse. In merito a questi dubbi, il grande detective non riusciva a trovare una soluzione, un indizio valido per incriminare uno dei suoi agenti. Ovviamente, aveva escluso a priori Tota Matsuda poichè non lo aveva perso di vista per un solo secondo. Fra tutti i membri della squadra anti-Kira, aveva scelto proprio lui proprio per il suo carattere pacifico e per la fiducia incondizionata che Matsuda dimostrava nei suoi confronti.

Non avrebbe avuto motivo di sospettare di Matsuda.

Quindi, il detective sentiva di aver previsto tutto e di non aver lasciato nulla al caso; eppure, l'esplosione alla Wammy's House lo aveva colto di sorpresa.

La morte di Ruvie era stata una spiacevole sorpresa, ma gli aveva permesso di restringere il campo delle ricerche e di confermare i sospetti che aveva nutrito sin dal momento in cui aveva assistito al recupero del corpo di You S. Nosobani, anche se, in seguito alla distruzione della Wammy's House, non era neanche più stato possibile verificare che negli archivi comparisse il suo nome e, poco ma sicuro, in ogni caso non avrebbero trovato sue fotografie. Ruvie e Wammy erano sempre stati categorici su questo: tutte le informazioni sugli allievi erano strettamente riservate e ridotte al minimo indispensabile. Ad ogni generazione, soltanto a ventisei persone era concesso di salvare il mondo. Soltanto a ventisei persone veniva offerto il previlegio di cambiarlo. E quelle persone andavano protette.

Con ogni mezzo. Ad ogni costo.

Ed L, per la prima volta in vita sua, non sapeva letteralmente che presci prendere. Certo, c'erano stati alcuni indizi che lo avevano indotto a sospettare di una persona a lui particolarmente vicina... Ma chi? Esisteva anche la possibilità che Doomsday non fosse nessuno di loro?

Beh, ci avrebbe pensato a stomaco pieno...

"Sicuro" rispose L, tenendo in equilibrio la cornetta del telefono tra pollice ed indice, come fosse stata ricoperta di invisibili germi "Tre porzioni di Apple Pie, due Crumble alle mele, sette Banana Split e... E sì, anche una Cheese Cake, grazie!"

La gentile signorina dall'altro capo del telefono emise un mugolio molto simile ad un'imprecazione, come se fosse stata colta improvvisamente da un attacco di gastrite. Boccheggiò per alcuni istanti, indecisa, prima di chiedere se occorresse qualcosaltro. Ovviamente, cercò di nascondere una nota carica di disgusto che, purtroppo, non sfuggì al detective più goloso del Mondo.

L si portò un indice alle labbra, pensieroso, e si voltò a guardare la poliziotta dai capelli rossi, che sedeva sul pavimento a gambe incrociate, e che lo fissava come fosse una strana forma di vita.

"Tesoro, hai fame?" chiese, premuroso, a quella che agli occhi di tutti era la sua dolce mogliettina. Yana si era registrata al Lancaster London Hotel con il nome di Lizbeth Bjourman, moglie di Lloyd Bjourman. L'idea di fingersi una coppietta di giovani sposini in luna di miele non le era piaciuta affatto, così come non le piaceva il miele, e così come altrettanto detestava essere chiamata 'tesoro'... Ma, suo malgrado, si rendeva conto della situazione e, in qualche occasione, aveva addirittura trovato divertente immaginare L nei panni di un marito innamorato.

"No, grazie" commentò, acida "Mi è passato l'appetito!"

"Come vuoi, cara!" recitò L, sforzandosi di apparire comprensivo "Signorina, è tutto. Lasci pure il cibo fuori dalla porta. Le farò avere una laura mancia"

La donna ringraziò cortesemente e mise giù la cornetta. Non potè fare a meno di pensare che quei due sposini erano davvero una coppia affiatata. Non erano usciti dalla loro stanza, la numero 77, da quando avevano messo piede al Lancaster London Hotel. Quello strano Bjourman doveva essere un tipo molto focoso, nonostante le apparenze bizzarre...

Sospirò. Avrebbe tanto voluto anche lei che qualcuno le ordinasse il servizio in camera e che le regalasse nottate di fuoco...

Con questi pensieri si rivolse a Mr. Pudding, il pasticciere, che di certo di 'focoso' aveva ben poco.

"Ehi! C'è un'altra ordinazione a nome Bjourman. Spicciati!" gli disse, acida come uno yogurth alle prugne.

"Un'altra? Ma è la terza da stamattina"

"Evidentemente, bruciano molte calorie!" sottolineò l'altra, sempre più depressa, contando le otto banconote da 100 sterline che quello strano ragazzo le aveva già fatto recapitare. In quel momento, invidiò con tutta se stessa la bella poliziotta dai capelli rossi.

 

"Non fermarti..."

La stanza, avvolta nella penombra, profumava di Davidoff. Le lenzuola sfatte e candide erano state dimenticate e lasciate ai piedi del letto, come un grosso segugio accucciato e paziente. Le persiane erano quasi del tutto abbassate; le imposte delle finestre erano aperte. L'aria fresca lasciava ondeggiare le tende che, come piume gentili, danzavano sospinte dal vento, al ritmo di una folle lambada. Il fuoco scoppiettava allegramente nel caminetto della suitte all'ultimo piano del Sydney Hotel di London Victoria. Alle pareti, un quadro della Vergine Maria osservava impassibile l'amplesso proibito di due giovani amanti; nella penombra, sembrava volesse fingere di distogliere lo sguardo, ma senza riuscire nel suo intento. Anche il suo sorriso genuino, in quel frangente, sembrava languido. Malizioso.

"Mello... Mello..."

Matt inarcò la schiena, offrendo al suo partner il massimo del piacere. Se solo avesse potuto, gli avrebbe offerto molto di più. Ma cosa poteva dargli ancora? Beh, qualsiasi cosa lui avesse desiderato, gliel'avrebbe data senza rimorsi nè indugi. Mello era tutto per Matt. Peccato che non fosse sicuro di poter affermare il contrario.

Mello con lui era freddo. Fuori dall'abbraccio tiepido e morbido delle lenzuola, il biondino dagli occhi d'ametista era un'altra persona. Non vi era più traccia del ragazzo che la notte sussurrava il suo nome e che raggiungeva il culmine del piacere fra le sue braccia. Quando Mello indossava i suoi abiti di pelle, tornava ad essere il freddo calcolatore, agguerrito e sfacciato che tutti alla Wammy's House temevano. E in quei momenti non c'era modo per lui di raggiungerlo, se non con la forza.

D'altronde, anche questo faceva parte della fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, no?

Il fatto era che quella fase di stallo si stava protraendo all'infinito, senza che nessuno dei due riuscisse a sciogliere la tensione che precedeva e seguiva quei momenti. Era come se ogni volta Matt dovesse tornare a lottare per conquistare Mello, ed ogni qualvolta era certo di averlo fatto suo, quest'ultimo continuava a scappare.

Una volta si era scoperto a pensare che Mello era come il fuoco: qualcosa di bellissimo e di potente, capace di illuminare e di riscaldare la sua vita...

Ma, come il fuoco, Mello era anche pericoloso: avvicinarsi a lui senza le dovute precauzioni aumentava il rischio di scottarsi.

E come il fuoco, Mello non poteva essere imprigionato. Non lo si poteva afferrare, nè lo si poteva domare.

Lo si poteva soltanto spegnere...

E, come l'acqua, Matt avrebbe scavato ogni roccia e agirato ogni ostacolo pur di arrivare al cuore di Mello.

"Basta" annunciò Mello, improvvisamente "Scusami" aggiunse, lievemente in imbarazzo, abbassando la voce.

Matt lo guardò ritrarsi e coprirsi con le lenzuola. Il suo sguardo era tornato ad essere gelido come il ghiaccio, e impenetrabile come il diamante; era lontano, fisso su realtà e pensieri che a lui non era dato di conoscere. Lo osservò scartocciare la sua decima tavoletta di cioccolato fondente e masticare silenziosamente, con lo sguardo rivolto alle pale ferme di un ventilatore silenzioso.

Matt sospirò.

Era offeso, ma non una sola parola sarebbe uscita dalle sue labbra, nè di rimprovero nè di comprensione. D'altronde, cosa avrebbe potuto dirgli?

Cercò alla rinfusa i suoi jeans sbiaditi e, nella tasca posteriore, trovò un pacchetto accartocciato di Lucky Strike morbide. Ne accese una e aspirò profondamente, cercando di trattenere il fumo il più possibile. Sapeva che quel gesto avrebbe irritato Mello, e sperava che questo bastasse a suscitare in lui qualche tipo di reazione, anche la più violenta. Lo odiava quando si ripiegava su se stesso, a riccio, solo con i suoi pensieri. Gli ricordava L in quei momenti...

E non riusciva a fare a meno di disprezzare quella somiglianza. Mello era Mello, e nessun altro. Mello, non era la fotocopia sbiadita di L.

Contrariamente a quanto aveva sperato, Mello non gli disse nulla. Si limitò a far scivolare le sue iridi preziose nelle sue, e a studiarlo come fosse un'equazione davvero molto complessa: altro sintomo del "virus L"

"Si può sapere che ti è preso?"

Ecco. Si maledisse per essersi concesso quella frase. Avrebbe dovuto aspettare che fosse il biondino a parlare per primo, e invece...

"Non mi andava, ecco tutto. Forse sono solo stanco" si giustificò Mello, addentando l'ultimo quadratino di cioccolata.

Accartocciò l'involucro e lo lanciò lontano, contro la parete di fondo: la pallina colpì il muro e rimbalzò nel cestino della cartastraccia. In una qualsiasi altra occasione, Mello avrebbe esultato, e da lì sarebbero partiti scherzi e frecciatine che li avrebbero nuovamente condotti su di un soffice materasso... Ma quella volta Matt sapeva che non sarebbe andata così.

"Stai pensando ad L!" lo incalzò il rossino, sempre più offeso. Anzi, non era offeso: era geloso.

Geloso di L e di tutto ciò che per Mello rappresentava.

Certo, anche lui lo idolatrava e lo considerava il migliore in assoluto: 'la mente più perfetta che la terra avesse partorito', però... Però non sopportava che quegli occhi sporgenti e quelle mani affusolate si intromettessero nel suo rapporto con Mello! Quello no!

Il biondino, dal canto suo, non rispose. Non smentì, nè ammise nulla... Ma chi tace acconsente, giusto?

"Beh, dovresti smetterla!" sbottò, imperterrito. Ormai aveva parlato e tanto valeva continuare a dire la propria.

Preferiva litigare, piuttosto che dover assecondare i silenzi imposti da qualcun altro; in special modo se ad imporli era proprio Mello.

"Non darmi ordini!"
"Prima, però non ti dispiaceva"

A quelle parole, Mello gli tirò un pugno.

Gli fece un po' male, ma ne trasse soddisfazione: aveva ottenuto la reazione che desiderava.

"Sto pensando al Death Note..."

A quell'ammissione, Matt si sentì particolarmente stupido. Lui pensava che la colpa fosse di L, e invece c'entrava quello stupido quaderno...

"E...?" lo incitò.
"E non mi convince. Questa situazione, intendo"
"Spiegati meglio. Che vuoi dire?"
"Voglio dire" iniziò il biondino "Che non capisco perchè L abbia deciso di rinchiuderlo in una banca"
"Per metterlo al sicuro in un caveau, forse?!" chiede Matt, con fare retorico e fortemente ironico.
"E fare in modo che nessuno di noi lo usi, lo so... Ma è proprio questo che mi turba"

Matt lo guardò senza capire.

Era quello lo scopo, no? Fare in modo che nessuno usasse il Death Note, L compreso.

"Se L sospetta di noi, come dice, avrebbe dovuto lasciarlo nelle nostre mani. In questo modo incastrare il colpevole sarebbe stato molto più facile. Non credi?"

Matt sospirò.

"In questo modo uno di noi sarebbe morto di sicuro..."
"Ma era un sacrificio che il grande L avrebbe dovuto fare. Non credi anche tu?"
"E se Doomsday ti uccidesse?" gli chiese Matt, passando un braccio intorno alle spalle del biondino.

A quel contatto, Mello si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.

"Beh... Allora dovrai cercarti qualcunaltro. Ma mi rendo conto di essere insostituibile!" lo apostrofò il biondino, ghignando.

"Scema!"
"Mai come te!"

Scoppiarono a ridere e tornarono ad abbracciarsi. Pian piano Mello si sciolse di nuovo, e si lasciò guidare da Matt verso una nuova corsa nel baratro. Odiava sentirsi così, in balia delle mani del suo compagno, ma d'altronde era più forte di lui. Non riusciva ad opporsi. Non voleva opporsi. Quando Matt gli accarezzava la schiena e lo graffiava senza fargli male, non c'era più nulla a cui potesse aggrapparsi, non c'era nulla che avrebbe potuto salvarlo dalle sue grinfie. Così, si abbandonava e concedeva alla sua mente veloce di arrestare la sua corsa. Chiudeva il mondo fuori e aspettava che il torpore al suo basso ventre lo confondesse, sino a fargli perdere il senso del tempo. In quei momenti, l'unica cosa che contava era Mello: i suoi occhi, la sua voce, le sue mani...

"Matt" gli sussurrò all'orecchio, più tardi. Ormai la luna aveva conquistato nuovamente il dominio del cielo.

Le nuvole si divertivano a nasconderla e a scoprire la sua veste d'argento, come se volessero giocare con lei, come se volessero sedurla.

"Sì?"

"Secondo te, chi è Doomsday?"

Matt lo fissò per un tempo che gli parve interminabile; aspirò una boccata di fumo e gettò la sigaretta accesa soltanto da pochi istanti.

"Credo quello che pensi tu... E' Near. E' stato lui ad accusarti, no? Ti ha anche fatto fare la figura del cretino agli occhi di L! Sbaglio?"
"Già... E' Near! Certe volte vorrei che sparisse per sempre..."

 

Matsuda continuava a tenere lo sguardo fisso sulla tv. In teoria, stava guardando un Tolk Show di cui: primo, non gli fregava niente; secondo, non ci capiva un'acca, perchè era in inglese. E l'inglese, in una scala da 1 a 10 delle cose che più odiava in assoluto, godeva del posto d'onore. Ciò nonostante, si era imposto di tenersi occupato in qualche modo, in qualsiasi modo: e le immagini sbiadite e colorate del programma televisivo erano sicuramente molto meno inquietanti di Near, il che bastava affinchè il più noioso del Tolk Show si trasformasse nella fiera del divertimento.

Dio, ma che aveva fatto di male per dovergli fare la guardia? Perchè gli era toccato proprio Near?

Ogni volta che sbirciava nella direzione del ragazzino dai capelli bianchi, lo scopriva a fissarlo, a pochi metri da lui. Il solo pensiero di trovarsi così vicino a quel bambino fantasma gli faceva accapponare la pelle, e più di una volta aveva pensato di forzare la serratura delle loro manette e di darsela a gambe, finchè poteva.

Manette, già! La grande trovata del detective del secolo! ...O meglio, la peggiore tortura a cui L poteva condannarlo!

Sospirò, sconsolato.

"Ti stai annoiando?" chiese improvvisamente Near, intento com'era a costruire un magnifico castello di carte francesi.

"Certo che mi sto annoiando!" ribattè sgarbatamente il poliziotto, iniziando a fare zapping.

La sua copertura era fallita, e il tolk show non serviva più. Optò per un programma a quiz: la versione britannica del "Chi vuol essere Milionario?"

...Peccato che a presentarlo non ci fosse Norio Morikawa*

"Posso farti una domanda, Matsuda-kun?" glielo aveva chiesto in giapponese.

La prima risposta che gli attraversò la mente fu "NO! NO! NO!" ma si sforzò di sorridere e lo incitò con un cenno del capo.

"Io ti faccio paura?"

Seguirono alcuni imbarazzanti attimi di silenzio.

Quella domanda lo aveva spiazzato. Come aveva fatto a capirlo? Era così facile leggergli dentro? ...O per caso quel ragazzino aveva poteri extrasensoriali? Per tutta risposta, Matsuda si limitò a fissare la schiena di Near che, pazientemente, ultimava il suo castello di carte.

Stava sistemando le ultime due, che avrebbero funto da torre.

"Ma cosa dici!"

Matsuda si sforzò di ridere, per sdrammatizzare; ma la sua risata risuonò tutt'altro che naturale.

"Cosa ti salta in mente? Come potrebbe farmi paura un ragazzino come te...?" chiese, ignorando la vocina della sua coscienza che gli poneva la stessa domanda.

"Ah... D'accordo"

Il castello di carte fu terminato. Era davvero magnifico, preciso in ogni dettaglio.

Matsuda si puntellò sul materasso, per cercare di osservarlo meglio: in effetti, non era proprio un castello... Era...

"Hai... Hai costruito la Wammy's House?" chiese, sorpreso e rapito dalla precisione con cui certi dettagli erano stati messi in risalto.

"Sì. Ti piace?" gli chiese Near, con voce piatta. Ciò nonostante, Matsuda notò quanto tenesse ad una sua opinione.

Deglutì, e si concesse di rispondergli.

"E' davvero molto bello... Ma perchè non facciamo qualcosa insieme? Te ne stai sempre da solo..."

"Intendi un gioco?"

"Beh..."

Matsuda non seppe esattamente cosa rispondere, anzi, non seppe spiegarsi neanche perchè aveva parlato, dal momento che l'ultima cosa che desiderava era fraternizzare col nemico; dato che lui ne era sicuro... Lo aveva detto anche L: visto che era stato il primo ad accusare Near, sarebbe stato anche il più propenso a smascherarlo, qualora il ragazzino avesse fatto qualcosa di strano.

"Se non ti va, non c'è problema" rispose Near, sollevandolo dall'imbarazzo.

"Oh, ma insomma Matsuda! E' solo un ragazzino solitario! E tu sei un uomo" pensò "Giusto?"

"No, no! Facciamo qualcosa... Proponi tu!" gli disse, in imbarazzo. Non ci sapeva fare con i bambini.

"Non saprei. Non conosco molti giochi... Alla Wammy's House giocavo sempre da solo"

Matsuda non riuscì a non provare pena per quel bambino. Non per Near in sè... Non per il genio senza limiti che era. Provò pena per il bambino che non aveva mai avuto l'opportunità di essere. Ripensò alla sua infanzia. Quando aveva circa l'età di Near, lui si divertiva giocando a calcio con gli amichetti di scuola, oppure trascorreva i pomeriggi nella piccola salagiochi a pochi isolati da casa sua... Non avrebbe mai neanche lontanamente pensato che potessero esistere dei bambini senza infanzia.

"A te piace giocare a scacchi?" gli chiese.

Lui odiava giocare a scacchi, anzi, non aveva mai neanche imparato la differenza tra la difesa siciliana e quella olandese, ma che importanza aveva?

Il bambino annuì piano con la testa, ma poi aggiunse "Perchè fai questo per me? Non mi credi più Doomsday?"

Il modo diretto con cui quel bambino gli poneva le domande gli dava i brividi.

Il suo aspetto era quello di un ragazzino così delicato e innocente che mai, mai, si sarebbe abituato alla sua lingua tagliente.

"Near, io non so chi sia Doomsday. Potresti essere tu come potrebbe essere qualcunaltro. Ho solo pensato che..."

"Quindi, secondo te, Doomsday sapeva che la notte dell'omicidio di Nosobani avrebbe piovuto. E che la pioggia avrebbe cancellato ogni indizio"

"Beh, ecco..."

"E dato che io ti avevo detto di portare con te un ombrello, mi credi l'assassino. La tua deduzione è esatta"

"Cosa? Allora tu...?"

"Sto solo dicendo che il tuo ragionamento era giusto. Non sto dicendo di essere io Doomsday... Anche perchè se lo facessi, a quel punto tu cambieresti idea e non mi dedicheresti più attenzione"

"E tu non vorresti questo?"

"No. Altrimenti non potremmo più giocare insieme"

"Ah..."

Quella risposta lo aveva spiazzato. Quel ragazzino ragionava davvero in modo strano, ma efficace. E lui, dal canto suo, era sempre più confuso.

Era lui o non era lui?

"E invece... Secondo te cosa vorrebbe Doomsday?"

Near ci pensò su, rigirandosi tra le dita la carta francese del Jolly.

"E' come ha detto L. G e P sono stati un avvertimento, Nosobani è stato un indizio per spingere L a sospettare di noi... Ma Ruvie è stato qualcosa di diverso, qualcosa di più personale. Forse anche Doomsday vuole solo giocare..."

"E uccidendo Ruvie cos'avrebbe ottenuto?" lo incalzò Matsuda, che a quel punto aveva perso del tutto la capacità di capire fino a che punto Near si stesse riferendo a Doomsday o a se stesso.

"L'eremita!" disse Near, improvvisamente.

"Come???"

"E' la risposta alla domanda del quiz" spiegò il bambino, indicando la tv. Matsuda lesse la domanda...
 

Queste vecchiette di una certa età

che vivon di ricordi leggendari,

la cosa assai grottesca vi parrà

passan a fare la vita i solitari

 

Matsuda arricciò il naso. Che c'entravano gli eremiti? Si parlava di vecchiette con la passione per le carte francesi, no? Come se Near gli avesse nuovamente letto nel pensiero, gli spiegò la soluzione.

"Il primo verso si riferisce alle "ere" e il secondo ai "miti" e gli ultimi due, alla loro unione..."

"L'eremità... Ora capisco. Beh Near, lo sai... Da bambino avrei voluto un amico come te. Mi avresti risparmiato un sacco di brutti voti!"

Near sorrise, e per un attimo Matsuda non ebbe più paura di lui.

Quando Near sorrideva, era un bambino come tutti gli altri.

Istintivamente ricambiò e gli scompigliò i capelli candidi; nel farlo però, gli fece inavvertitamente scivolare il Jolly dalle mani, che cadde al centro del castello di carte.

Sotto gli occhi di Matsuda e di Near la Wammy's House crollò nuovamente. E quando Matsuda gli chiese se volesse una mano per ricostruirla, il bambino si limitò a rispondergli: Ormai è troppo tardi... Però, qualcosa puoi farla. Sei disposto a giocare con me?

 

Due bambini giocavano sereni, intonando una vecchia filastrocca, tramandata da generazioni nel loro Paese natale: la Russia.

La bambina, la più grande, stringeva le piccole mani del fratellino e lo faceva volteggiare come una bambola. Mail era leggero ed esile; il volto era paffuto e rotondo, incorniciato da ciuffi vermigli e ribelli che gli ricadevano scomposti sulla fronte pallida. La sorellina adorava giocare con il piccolo Mail. Gli piaceva il modo in cui il suo sorriso si allargava lungo le guance, formando tenere fossette nell'incarnato morbido e chiaro. I due fratellini trascorrevano molto tempo assieme, tanto da essere inseparabili: dove c'era lui, c'era lei... E viceversa. La bambina amava raccontare favole al suo fratellino; le piaceva giocare con lui a nascondino, oppure, vedere chi sarebbe stato più veloce nella corsa. Solitamente, era lei a vincere... Ma sapeva che presto il piccolo Mail l'avrebbe battuta.

Quel giorno d'inverno, i due fratellini osservavano i fiocchi di neve che volteggiavano nel cielo, che li sfioravano leggeri e che si scioglievano a contatto con la loro pelle calda. Mail Jeevas starnutì e si coprì il nasino con una manica del giubotto, forse, troppo leggero per la bassa temperatura. La sorella gli sistemò la pesante sciarpa rossa intorno al collo, con fare quasi materno. Se il suo fratellino si fosse ammalato, il papà si sarebbe arrabbiato di nuovo con lui. O forse con lei, perchè non gli aveva prestato abbastanza attenzione. Ormai era grande, aveva già sette anni, e doveva badare al piccolo Mail meglio di quanto avrebbe potuto fare una madre.

Ogni tanto, Mail la guardava con i suoi grandi occhioni verdi e le chiedeva della mamma.

Lei non ricordava molto della loro madre, e così inventava... Non aveva nessuna intenzione di deludere le aspettative del fratellino. Sapeva che la mamma era morta perchè faceva un lavoro cattivo cattivo, e che il papà non parlava mai di lei. Forse il loro papà non voleva bene alla mamma. La picchiava sempre...

"Ma la mamma è su nel cielo?" chiese Mail, osservando i fiocchi di neve che scendevano leggeri leggeri verso di lui.

"Certo. Lei è come i fiocchi di neve"

A quella risposta Mail si allontanò e si coprì il capo con le mani "Non voglio che la mamma si sciolga!" a quelle parole la piccola Yana scoppiò a ridere, prese per mano il fratellino ed entrambi si diressero verso casa, quando qualcosa li costrinse ad affrettare il passo: del fumo. Ben presto, i due fratellini scoprirono che la loro casa era infestata dalle fiamme. La bambina abbracciò il fratellino. Lo abbracciò più forte che pote, soprattutto quando entrambi scorsero il corpo carbonizzato del padre, avvolto da un lenzuolo bianco, cosparso di brina.

"Non c'è stato nulla da fare" disse un medico.

"Sono stati i bambini ad appiccare il fuoco! Quelle due pesti giocano sempre con gli accendini, specialmente il più piccolo!" Gridò una signora, grassa e impellicciata.

"Sì! Sì! Sono stati loro! La ragazzina è un'assassina!"

"Allora li faremo rinchiudere in un manicomio"

Fiamme.

Neve.

Questo era tutto ciò che la bambina poteva dire di aver visto. Solo fiamme. Solo neve.

Era più grande adesso; aveva ormai dodici anni...

"Я è l'ultima lettera dell'alfabeto!" gracchiò Ruvie, sfilandole le mutandine bianche "Я deve essere obbediente".

Soltanto fiamme.

Soltanto neve.

Era una donna ormai. Una donna forte. Una donna buona... E se non fosse stata così buona?

Dopotutto, era un'assassina. Dopotutto era l'ultima lettera dell'alfabeto.

"Quando si decide a crepare quel vecchiaccio maledetto?"

Soltanto fiamme.

Soltanto neve.

Era cattiva? Forse lo era... Ma poteva ancora contare sulle persone che le volevano bene. Perchè le volevano bene... Non è vero?

Si fidavano di lei, non era forse così?

"Yana ha risolto per prima l'enigma. Sapeva già tutto, fin dall'inizio!" gridò Mello, puntandole il dito contro.

Fiamme. Fiamme. Neve. Neve.

Fiamme. Fiamme. Neve. Neve.

Fiamme. Fiamme. Neve. Neve.

Fiamme. Fiamme. Neve. Neve.


 

"Aaaaaah!!"

Yana si svegliò di soprassalto. Tutto ciò che vide fu il bianco. Quel solo, unico colore la terrorizzò a morte. Non si sarebbe mai liberata di tutta quella neve. Era ovunque, intorno a lei. Quel bianco, quel colore di morte... Prese a squarciarlo con le sue stesse mani.

Lo odiava, il bianco. Lo odiava.

Come odiava il rosso, come odiava i suoi capelli. I capelli del colore del sangue.

Il cuore le batteva all'impazzata, la vista era confusa ed annebbiata, il respiro corto e affannoso. Un dolore al petto e alle tempie le paralizzava i sensi.

Stava impazzendo. Come si usciva dall'incubo? C'era un modo per svegliarsi? Dov'erano tutti gli altri colori? Dov'era il nero.

Aveva un disperato bisogno di oscurità.

"Sta calma"

La voce di L al suo fianco la riportò alla realtà, e soltanto in quel momento Yana si accorse di aver distrutto le lenzuola.

"E' tutto finito"

Yana non lo ascoltava. Era al suo fianco e la fissava preoccupato con i suoi grandi occhi neri come l'inchiostro; e in quegli occhi inespressivi, stavolta Yana avrebbe colto la scintilla della preoccupazione, se non fosse stata troppo sconvolta per badare a qualsiasi cosa non fosse il nero che colmava le iridi del detective. Desiderò guardare quegli occhi e null'altro. Tutto il mondo poteva sparire. Tutto il bianco poteva sbiadire, se c'era L accanto a lei.

Solo il quel momento, Yana si rese conto di aver sognato.

Inspirò ed espirò a fondo, cercando di riordinare le idee... Odiava quegli incubi. La tormentavano da ragazzina, ma erano anni che non sognava più la morte di suo padre e tutto ciò che ne conseguì. Erano anni che non sognava di Ruvie, così com'erano anni che non sognava la neve.

Perchè stava accadendo?

Perchè in quel momento?

Perchè? Perchè? Perchè?

Istintivamente scoppiò a piangere, in preda al panico.

"Yana?"

La voce di L stavolta era molto più vicina. Soltanto in quel momento la rossa si rese conto che il ragazzo l'aveva abbracciata, in modo alquanto impacciato e goffo. Si sentì tremendamente stupida. Perchè stava piangendo? E perchè davanti ad L? Si vergognò della propria debolezza, e istintivamente cercò di allontanarsi dal gracile corpo del detective, ma la morsa di L, per quanto delicata fosse, non sembrava volerle dare tregua.

Sconfitta, Yana appoggiò il capo nell'incavo della spalla del detective e lasciò che le mani affusolate del ragazzo cercassero di consolarla. Se ne sarebbe vergognata, a mente lucida, ma in quel momento l'unica cosa che desiderava era il conforto. Necessitava di essere capita, per una volta.

L, dal canto suo, era perfettamente consapevole di non sapersi comportare in queste situazioni.

Le sue mani cercavano di confortare la ragazza, accarezzandole la nuca... Ma più che di carezze si trattava di ampi massaggi.

Sospirò... Dio, quanto era goffo!

Persino Matsuda sarebbe stato più convincente, in una situazione del genere.

Era doloroso da ammettere: ma il grande detective, colui che conosceva tutto lo scibile, era un completo ignorante nel campo delle dimostrazioni d'affetto.

"Grazie" gli disse Yana, tirando sul con naso.

"Non c'è di che"

Ecco, avrebbe potuto dire qualcos'altro, ma ormai era troppo tardi.

"Adesso passa. Era soltanto un incubo..."

"Un incubo o... un Incubo?"

Yana sapeva a cosa L si stesse riferendo. L era uno dei pochi a sapere dei suoi sogni particolari e delle sue capacità extrasensoriali; e anche se nè lui nè lei in realtà ci avevano mai capito molto riguardo a quelle strane peculiarità, avevano silenziosamente accettato il fatto che esistessero. Yana non avrebbe saputo dire con certezza chi dei due trovasse più difficile accettarne l'esistenza.

"La seconda che hai detto" rispose la ragazza, scostandosi di poco dal collo del detective.

"Vuoi parlarne?"

"No"

"D'accordo, non insisterò... Hai fame?"

Yana sorrise al detective e gli schioccò un bacio sulla guancia.

Quel ragazzo era davvero incomprensibile; impacciato e timido, ma stargli vicino era davvero piacevole. Sì, piacevole...

"Secondo te, il cuoco si arrabbierà se gli chiedo un takos al chily alle quattro del mattino?" chiese Yana, riavviandosi i capelli.

"C'è una possibilità del 99%"

"Correrò questo rischio!"

Un attimo prima che L potesse telefonare la reception, il suo cellulare privato e sette volte criptato squillò improvvisamente.

Lui e Yana si scambiarono un'occhiata eloquente.

"Sono L"

"Grazie al cielo hai risposto! Dovete raggiungerci subito!"

  

 CAPITOLO CORRETTO E RIVEDUTO IN DATA 18/04/2010

 

 

 

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Capitolo 8
*** Sacrificio di Donna ***


 

SACRIFICIO DI DONNA
 

-14 giorni

 

 

"Sono L"
"Grazie al cielo hai risposto! Dovete raggiungerci subito!"

Yana, accanto al detective, si irrigidì. I suoi occhi, ancora arrossati e lucidi, erano colmi di preoccupazione. Chi poteva chiamare L alle quattro del mattino? Doveva essere accaduto qualcosa di grave. Come se L avesse percepito l'inquietudine della poliziotta, chiese alla persona dall'altro capo del telefono di aspettare un attimo; in poco più di un secondo, il detective dispose il cellulare in modalità 'vivavoce' affinchè anche Yana potesse ascoltare la conversazione...

"Parla pure, Matsuda. Cos'è successo?" chiese il detective, per nulla allarmato.
"Non c'è tempo per le spiegazioni! E' stato un incidente! Mi sono voltato un attimo e..."
La voce del giapponese s'incrinò, rotta dai singhiozzi.
"Matsuda, controllati" lo rimproverò L, tenendo il cellulare in equilibrio fra pollice ed inidice dinanzi al proprio volto.
"Si tratta di Near" spiegò il poliziotto giapponese, cercando di prendere fiato.
Yana ebbe un sussulto a quella rivelazione.
"Cos'è successo al moccioso?" chiese infatti, con la voce distorta dall'ansia. Matsuda non rispose subito.
"Matsu, parla! Dannazione! Ti muovi a dirci cos'è successo?" gridò la poliziotta, alzandosi dal letto, come se sentisse che, muovendosi, avrebbe potuto accelerare i tempi.
"Near è... Near ...E' morto"

A Yana occorsero diversi minuti per elaborare l'informazione. Era incapace di collegare la parola 'morte' al visetto candido di Near. Certo, non aveva mai avuto simpatia per i bambini, e in particolare, non l'aveva mai avuta per Near... Ma il pensiero che una creatura piccola e innocente si fosse spenta così, da un momento all'altro, non poteva non turbarla. Era inconcepibile per lei. Aveva visto Near soltanto due giorni prima, e godeva di perfetta salute... Com'era possibile che fosse morto?
E perchè Matsuda non aveva fatto nulla per aiutarlo? Come poteva essere successo? Era assurdo.
Doveva essere un incubo...
Sì, era senz'altro così: stava ancora sognando. Non c'era altra spiegazione.
Fu un semplice gesto di L a farle capire che non si trattava di un sogno: il detective aveva indossato le scarpe.
Yana sapeva quanto il detective amasse camminare a piedi nudi, e capiva perfettamente che, se L aveva deciso di mettersi le scarpe, doveva essere per una causa sicuramente valida.
Allora era così, realizzò. Non stava sognando: Near era morto davvero.
L aspettò pazientemente che la poliziotta si ridestasse dallo stato confusionale nel quale era sprofondata. Aspettò che gli occhi della ragazza cercassero i suoi, per trovarvi la conferma a tutti gli innumerevoli interrogativi che in quel momento affollavano la sua mente. L non fece nè disse nulla per scuotere la ragazza: sapeva che la fase del rifiuto era più che naturale per un essere umano e, in particolare, sapeva che doveva essere particolarmente difficile affrontarla, soprattutto per un soggetto emotivo come Yana. Lasciò che la poliziotta si schiarisse le idee e trovasse nuova forza per agire e, fortunatamente, non dovette aspettare molto...
Vide la poliziotta inspirare ed espirare lentamente, come se volesse concentrarsi a tutti i costi su qualsiasi cosa le permettesse di restare lucida. Apprezzò sinceramente lo sforzo della ragazza, intuendo che, buona parte di quella reazione era dovuta alla sua presenza disturbante: era lui che, con il solo fatto di essere lì, le ordinava di tornare in sè. Ed L, dal canto suo, era sicuro che Yana avrebbe combattuto per non dimostrarsi debole ai suoi occhi.
Infatti, tutto si poteva dire di L, meno che fosse uno sprovveduto: aveva già intuito da tempo quanto Yana fosse sensibile al suo giudizio.
Come se la poliziotta avesse voluto dare una conferma ai suoi pensieri, si alzò di scatto ed afferrò il cellulare, sforzandosi di nascondere il tremore alle mani.
Dal modo in cui L le vide muovere le dita, capì a chi avesse intenzione di telefonare.
Aspettò insieme a lei che Matt rispondesse...

"Sei una piaga! Ma ti rendi conto di che ore sono?!"
Entrambi sentirono la voce assonnata e infastidita del ragazzo, dall'altro capo del telefono. Yana, in qualsiasi altra occasione, avrebbe risposto alle proteste del fratello con una qualche imprecazione o con una battuta... Ma la voce della ragazza, quella volta, fu sorprendentemente spenta e priva di qualsiasi enfasi.
"Matt, siediti... Devo dirti una cosa importante"

Mello osservò il viso del compagno, nella speranza di intuire l'argomento della discussione. Era piuttosto bravo nel decifrare le reazioni degli altri, in particolare, quelle di Matt... Eppure, ciò che vide lo confuse ancor di più. Non aveva mai visto il viso di Matt, solitamente disteso e pacifico, contorto in una maschera di puro sgomento. Il candore dell'incarnato del compagno, mai come in quel momento, risultava pallido. Malaticcio.
Cosa poteva aver sconvolto Matt fino a quel punto?
Mello prese a sgranocchiare nervosamente una tavoletta di cioccolato, l'ultima che avesse conservato. Inspiegabilmente, si rese conto di non trovare giovamento dal sapore dolce che gli accarezzava il palato: gli sembrava, piuttosto, di ingoiare veleno.
La conversazione fu relativamente breve, ma i secondi si susseguirono con lentezza estrema, agli occhi di Mello.
Il silenzio di Matt era frustrante. Perchè non parlava? Perchè non gli permetteva di capire cosa stesse succedendo?
In sottofondo, si sentiva la voce distorta di Yana. Parlava a scatti, come se avesse difficoltà a scegliere le parole.
Mello smise di masticare, nella speranza di riuscire a cogliere qualche frase ma, per quanto si sforzasse, non vi fu verso di capire la conversazione. L'unica cosa certa era l'espressione contratta di Matt, e il modo in cui stringeva convulsamente il cellulare, neanche fosse un'ancora alla quale aggrapparsi...
Fu allora che Mello capì: qualsiasi cosa Yana gli stesse dicendo, doveva essere terribile.
Matt chiuse la comunicazione, lasciando che il braccio destro gli cadesse immobile lungo un fianco. Il rosso osservò a lungo un punto imprecisato della stanza, come se, da quel punto, potessero scaturire delle risposte alle domande cui, probabilmente, non riusciva a trovare soluzione.
Mello sbuffò per attirare l'attenzione del compagno. Voleva una spiegazione. La pretendeva. Odiava essere ignorato, soprattutto se a farlo era Matt.

"Allora? Si può sapere che succede, o è chiedere troppo?!"

Matt sbattè più volte le palpebre, come se si fosse ridestato da un sogno ad occhi aperti. Osservò Mello come se lo vedesse per la prima volta, come se, sino a quel momento, non si fosse accorto della presenza del biondino. Matt si inumidì le labbra più volte prima di parlare...
Fu proprio un attimo prima che potesse farlo, che Mello si alzò di scatto e si posizionò proprio davanti a lui, come per essere sicuro di riuscire a sentire ciò che aveva da dirgli. Gli occhi chiari di Matt cercarono disperatamente di non incrociare i suoi, e questo fu ciò che, più di ogni altra cosa, spaventò Mello.

"Devo... Devo chiamare un Taxi" disse Matt, laconico.
Fece per oltrepassare il compagno, ma il biondo glielo impedì, trattenendolo energicamente per le spalle.
"Perchè?" chiese "Cos'è successo?"
Matt indugiò per qualche secondo, alla ricerca del modo più giusto per dirgli la verità... Anche se, lo sapeva, un modo giusto non esisteva.
"E' meglio che tu ti sieda..."
"No, io non mi siedo!" ribattè l'altro, scandendo ogni parola per imprimere meglio il concetto "Voglio la verità, e la voglio adesso. Sono le quattro del mattino, Matt! Non ci vuole un genio per capire che è successo qualcosa di grave... E si dà il caso che io non sia in vena di chiacchiere, quindi parla senza troppi giri di parole" gli disse, parlando a voce bassissima, ma con la dovuta enfasi "Cos'è successo?" ripetè, con più determinazione.
Soltanto allora Matt si decise ad incontrare gli occhi del compagno. Non poteva più scappare da lui.
"Near è morto"

 

Erano ormai le sei del mattino, quando L, Yana, Matt e Mello raggiunsero lo Strand Palace Hotel. Quando arrivarono, notarono contemporaneamente l'autoambulanza allontanarsi dall'albergo e capirono di essere arrivati troppo tardi. Nessuno espresse quel pensiero a voce alta. Nessuno era effettivamente pronto per rivolgersi a Near con il termine di 'cadavere' poichè, per nessuno di loro, poteva esistere una parola più definitiva di quella.
I quattro detectives si salutarono con un cenno del capo e aspettarono che l'ascensore li conducesse al decimo piano, dove si trovava la stanza n°99. L'atmosfera, in quei pochi metri quadrati, era soffocante. I pensieri di ognuno dei detectives erano stranamente assordanti. L, dal canto suo, ne approfittò per studiare i volti dei suoi collaboratori: Yana armeggiava nervosamente con la cinghia della ventiquattrore che si era portata dietro dall'albergo; Matt aveva gli occhi sgranati e le narici dilatate, come se fosse concentrato su una difficile equazione di meccanica quantistica, e Mello... Mello era spento.
A tratti, sembrava dimenticarsi di respirare, per poi riprendere a farlo, affannosamente... Era come se 'lasciarsi vivere' fosse tutto ciò che gli rimaneva da fare.
Era totalmente, irrimediabilmente, assente.
L sapeva che Mello e Near avevano dedicato le loro esistenze a superare loro stessi per poter prendere il posto del più grande detective di tutti i secoli; sapeva che il rapporto di rivalità che esisteva fra Mello e Near andava ben oltre la semplice competizione; sapeva che, per quei due, dimostrare all'altro di essere il migliore era l'unica ragione di vita. Si chiese come potesse sentirsi Mello, ora che Near non c'era più... Certo, ora sarebbe stato lui ad essere indicato come successore di L, ma dall'espressione che gli leggeva in viso, era certo che Mello non potesse -e non volesse- ritenersi soddisfatto per quella vittoria.
Near, morendo, lo aveva tradito. . .
Lo aveva tradito perchè non gli aveva permesso di dimostrargli la sua superiorità. Lo aveva tradito perchè aveva abbandonato il gioco nel momento decisivo.
Almeno, queste erano le conclusioni che L aveva tratto.

La stanza 99 era gremita di persone; per lo più, poliziotti e membri del RIS. Quando L irruppe nel locale, presentandosi come il Detective Ryuuzaki, tutti interruppero il lavoro che competeva al proprio ufficio e si dileguarono in silenzio, come fantasmi. Matsuda era ancora lì e, quando vide L e gli altri, si sforzò di sorridere per accoglierli nel più delicato dei modi. Quel sorriso, a Yana parve sincero, invece, ciò che la colpì furono le occhiaie livide che incorniciavano gli occhi del giapponese. Mai come in quel momento, L e Matsuda le sembrarono piuttosto simili.

"Dov'è il corpo?" chiese L, con poco tatto.
Alla parola 'corpo' Mello fulminò il detective con un'occhiata incendiaria, per poi cadere nuovamente nel proprio limbo personale.
"Lo hanno appena portato via, si trova all' ILM adesso" rispose Matsuda, riportando alla mente di tutti l'istituto di medicina legale in cui erano stati qualche giorno prima.
"Capisco" disse L, guardandosi intorno "Ora, puoi spiegarci com'è successo?"
Matsuda annuì e si schiarì la voce, indicando una porta alla loro destra.
"Ero in bagno, ma non potevo allontanarmi troppo da Near per via delle catene, così come non potevo chiudere la porta. Quindi gli ho chiesto di voltarsi... E... E quando sono tornato lui..."
"Lui era morto" concluse per lui, L.
"Sì" annuì Matsuda, stropicciandosi gli occhi gonfi "Attacco cardiaco"

Nessuno sembrò sorprendersi a quella rivelazione. Dopotutto, era piuttosto chiaro che ad uccidere Near fosse stato Doomsday. Nessuno parlò per qualche secondo, nella speranza di eludere il discorso cui quella constatazione avrebbe inevitabilmente condotto. In fin dei conti, era ovvio, quanto sconcertante, che se era stato davvero Doomsday ad eliminare Near, l'assassino doveva essere lì con loro, in quella stanza. Questo, sempre che le supposizioni di L fossero corrette.
Nessuno sembrava troppo deciso ad intavolare il discorso, almeno per il momento.
Fu il cellulare di Yana a rompere il silenzio.
Mello fulminò la ragazza con lo sguardo, infastidito dal suono ridicolo della suoneria del cellulare. In quel momento, qualsiasi cosa, anche la più insignificante, sembrava compromettere il delicato equilibrio che il biondino si era sforzato di creare. La poliziotta comprese la situazione, ragion per la quale decise di non fare commenti indelicati e rispose al cellulare senza neanche leggere il nome che era comparso sul display.

"Pronto?"
"Sono Black" disse frettolosamente l'ispettore di Scotland Yard "Yana, cos'è successo?"
"Come fai a sapere che è successo qualcosa?" chiese la poliziotta, ancora piuttosto lenta nelle deduzioni a causa della situazione generale.
"L'ho intuito... Puoi raggiungermi in centrale? C'è qualcosa che dovresti vedere"
"Non ora, Black. Dimmi di cosa si tratta e vedrò di passare più tardi" rispose sbrigativamente la poliziotta.
"Ci è stata inviata un'altra carta dei tarocchi, proprio pochi minuti fa" spiegò l'ispettore "Pensavo t'interessasse saperlo"
"Un'altra carta" sussurrò Yana, pensierosa. Allora era proprio stato Doomsday ad eliminare Near, non c'erano dubbi.
"Sì, è la carta dell' Eremita; la numero 9. Significa qualcosa per te?"
"No"
"Beh, sto esaminando le ultime segnalazioni di cadaveri ritrovati a Londra nelle ultime 24 ore. Se trovo qualcosa..."
"Non ti sforzare, vecchio" lo interruppe la poliziotta, pentendosi immediatamente del tono usato "Grazie lo stesso, ma sappiamo già tutto"
"Come vuoi..." sussurrò l'ispettore, preoccupato "Yana, se avessi bisogno di qualcosa, io... Sappi che puoi contare su di me, ecco"
"Lo so, Black. Scusami tanto... Ti richiamo più tardi"

Così dicendo, chiuse la comunicazione e spiegò ad L e agli altri del ritrovamento della carta dei tarocchi. Tutti ragionarono sulla questione, arrivando alla stessa deduzione, piuttosto ovvia, cui era giunta Yana qualche secondo prima.

"Credo che a questo punto, sia necessario fare un po' d'ordine" annunciò L "So che forse non vi sembrerà il momento, ma ho bisogno di sapere cosa stavate facendo ieri notte" asserì il detective, scrutando i presenti.
"E' inevitabile? Non mi sembra nè il momento nè il luogo più opportuno" protestò Yana, confusa.
"Come ho già detto, forse non lo è... Ma ho bisogno di sapere" ripetè il detective.
"Io e Mello siamo stati nella nostra camera per tutto il tempo" disse Matt, predisponendosi per un discorso pacifico e ragionevole.
"E puoi affermare di aver tenuto d'occhio Mello per tutta la notte?" chiese L, indicando il biondino.
"Sì"
"Come?"
"Beh...Ecco noi..."
"Abbiamo avuto un rapporto" concluse Mello per lui, in tono piatto "Per tutta la notte... Fin quando Yana non ci ha telefonato"
Yana era allibita, così come lo era anche Matt. Gli sembrò che i loro ruoli si fossero invertiti.
Mello, dal canto suo, non appariva per nulla turbato dal modo in cui aveva risposto ad L. Nulla sembrava avere più importanza per lui, in quel momento. Tutto era sfumato. Non c'era più motivo di nascondere nulla. Ora che Near non c'era più, avrebbe semplicemente fatto di tutto per aiutare L nelle indagini; avrebbe messo l'intero pianeta a ferro e fuoco pur di incastrare il colpevole: colui che gli aveva rubato la possibilità di confrontarsi ancora con Near.
"Capisco" fu il commento disinteressato di L, che si portò un indice alle labbra, dubbioso "Ma questo non costituisce un alibi... Farò ispezionare la vostra stanza" aggiunse "Fino a quel momento, voi due sarete sotto la mia sorveglianza... Non vi dispiace, vero?" chiese il detective, con fare retorico.
Matt e Mello non annuirono, ma non si permisero neanche di dissentire.
"Matt, ma tu...? Insomma, perchè non mi hai detto che tu e Mello...?" chiese Yana, stupita. Matt si limitò a scrollare le spalle.
"Perchè avrebbe dovuto dirtelo?" si intromise Mello, fulminando Yana con lo sguardo "Devi metterti in testa che noi siamo rivali, adesso. Siamo tutti indagati per questi omicidi, se non te ne fossi ancora accorta! Perchè Matt avrebbe dovuto confidarsi con te, dal momento che potresti benissimo essere tu l'assassina?!" insinuò il biondino, con voce piatta, come se stesse leggendo la lista della spesa, piuttosto che accusare di omicidio la sorella del suo compagno.
Yana era sbalordita ma, allo stesso tempo, non riuscì a controbattere. Era così che Matt la vedeva? Come una rivale? Come una potenziale assassina?
"Giusta osservazione" esordì L "Yana, sapresti dimostrare di essere innocente?"
La poliziotta si morse il labbro inferiore.
Sì, poteva dimostrarlo, ma non sapeva come avrebbe reagito L... Beh -si disse- l'avrebbe presto scoperto.
Senza sbrigarsi in ulteriori chiacchiere, Yana si sfilò la ventiquattrore a tracolla dalla spalla e la depositò sull'unica scrivania presente nella camera. Tutti la osservarono senza capire, fin quando la poliziotta non tirò fuori un computer portatile dalla custodia. Inaspettatamente, non lo accese.
"Cosa pensi di fare con quello?" chiese Matsuda, perplesso.
"Hai una penna?" domandò invece l'altra, esaminando la tastiera.
Matsuda scosse la testa e poi guardò gli altri, finchè Matt non le consegnò una biro. La poliziotta si appropriò del tappo di plastica e riconsegnò la penna al legittimo proprietario che, come tutti gli altri, la osservò senza capire a cosa potesse servirle. La rossa incastrò la punta del tappo al di sotto di uno dei tasselli della tastiera, ed esercitò una leggera pressione per fare da leva, finchè il tasto della lettera "L" non saltò fuori dal proprio asse.
"Ecco fatto" esordì la rossa, porgendo il tasto a Mello.
Il biondo lo osservò per qualche istante, accorgendosi subito dell'anomalo bottoncino che si trovava sul lato posteriore del tassello...
"Una cimice?" chiese più a se stesso che alla poliziotta, prendendo delicatamente la ricetrasmittente fra pollice ed indice.
"Hai registrato le nostre conversazioni?" chiese L, leggermente stupito. Yana avvampò di vergogna... Dopotutto, aveva osato spiare L.
"Cosa credevi? Che non prendessi anch'io delle precauzioni?"
"Al contrario. Ero certo che avresti escogitato qualcosa... Anche se, ammetto di non essermi accorto di nulla"
"Si vede che mi hai sottovalutato" rispose la poliziotta, stringendosi nelle spalle.
Si aspettava un minimo di riconoscimento, ma forse era troppo pretendere che L si esibisse in affettuose pacche sulle spalle.
Probabilmente, quello era il massimo dell'ammirazione che poteva pretendere da lui.
"Bene, allora a questo punto non ho più bisogno di te"
Yana sussultò. Cosa intendeva con 'non ho più bisogno di te'?
Si voltò a guardare il detective, sconvolta. L, per tutta risposta, sollevò le spalle con noncuranza.
"Hai fatto quel che dovevi fare. Sono sicuro che in quelle registrazioni non troveremo nulla di compromettente, anche perchè posso confermare il tuo alibi, dal momento che ero insieme a te. L'unica conclusione che ne posso trarre è che tu non sia Doomsday. Quindi sei libera. Non hai più motivo di stare qui" spiegò il detective, perfettamente tranquillo.
Yana non credeva alle sue orecchie.
"Mi stai licenziando?" chiese la rossa, sgomenta e furiosa.
"In un certo senso, sì... Ho bisogno di concentrarmi su ciò che mi è utile. E dato che tu sei innocente, non mi serve tenerti d'occhio" disse il detective, gelido.
Yana faticò a mettere insieme le informazioni.
L la stava mandando via? La stava escludendo dal caso?
"Ma perchè devo andarmene? Posso aiutarti comunque a capire chi è l'assassino" nell'esatto istante in cui lo disse, la poliziotta si sentì ridicola.
L non aveva bisogno di aiutanti.
Di che aiuto poteva essergli?
"Non puoi, invece. Gli unici sospetti sono Matsuda, Matt e Mello, e dubito fortemente che tu voglia indagare su tuo fratello. Non posso permettere che i sentimenti personali inquinino le ricerche..." spiegò L "Sono certo che puoi capire"
Yana si sentì tradita. L non la riteneva capace di controllare i propri slanci emotivi? Bene, gliene avrebbe dato la conferma e si sarebbe tolta la soddisfazione di mandare a quel paese il più grande detective del secolo.
"Ryuuzaki! Perchè hai incluso anche me?" protestò Matsuda, allarmato. Nessuno gli diede risposta.
"Capisco benissimo" rispose Yana, con il fuoco che le animava lo sguardo "Tanti auguri, detective! Fa' un po' quel che ti pare"
"Ryuuzaki! Si può sapere perchè sono sospettato anch'io?" insistette Matsuda. Ancora una volta, nessuno badò a lui.
"Mi rincresce, Yana" sussurrò L, un attimo prima che Yana potesse lasciare la stanza.
La poliziotta si voltò verso di lui, speranzosa. Forse, L sarebbe tornato sui suoi passi e le avrebbe chiesto di continuare ad aiutarlo.
Lo guardò, carica di aspettative, aspettando che il detective continuasse il discorso.
"Mi rincresce chiedertelo, Yana... Ma potresti sbarazzarti del mio e del tuo cellulare? Non vorrei farlo, ma non posso farmi più trovare da te"
La poliziotta desiderò con tutto il cuore che il pavimento la inghiottisse.
L la stava umiliando. La stava umiliando senza ritegno. Come si permetteva?
"Insomma, Ryuuzaki! Perchè sospetti di me? Che cosa ho fatto?" protestò ancora Matsuda, terrorizzato.
"L?" chiese Yana, afferrando il cellulare che il detective le stava porgendo "Devo dirti un'ultima cosa prima di andarmene"
"Dimmi pure. Ti ascolto"
Le labbra della poliziotta si incurvarono in un sorriso beffardo e carico di risentimento.
"Va a farti fottere"

L'ILM era come tutti gli istituti di medicina legale. L'ambiente era immacolato e spoglio. Un forte sentore di disinfettante ustionava le narici e faceva lacrimare gli occhi. I passi di L e dei suoi collaboratori riecheggiavano sul pavimento in formica, riproducendo un rumore simile ad un coro di cicale. Matsuda aveva il volto adombrato per essere stato incluso nella lista dei sospettati; Matt e Mello non sembravano troppo preoccupati: in quel momento la cosa più importante era vedere Near.
Quando si ritrovarono dinanzi ad una porta nera che recava la scritta 'Morgue' i passi cessarono, e il silenzio scese fra gli astanti.
Mello fu il primo a muoversi...
Non ebbe bisogno di parlare: quando incrociò gli occhi spenti di L, ottenne l'unica risposta che desiderava.
Un attimo dopo, la grande porta nera venne spalancata e si richiuse al passaggio di Mello...
L'obitorio era, come ci si sarebbe aspettato, estremamente silenzioso. Tutto era stato predisposto perchè Mello potesse salutare il suo rivale. Al centro esatto della stanza, il corpicino di Near risplendeva sotto l'influsso delle luci al neon. Mello deglutì e si avvicinò per osservarlo meglio. Dovette aggrapparsi al bordo del tavolo di metallo per non cadere, tanto fu violento lo schiaffo che la verità crudele gli inflisse. Sino all'ultimo istante, Mello aveva sperato che si trattasse di uno scherzo, di un banalissimo scherzo... E invece, in quel momento, era costretto a ricredersi.
Near era lì, davanti a lui. Era immobile e pallido, come avrebbe dovuto essere qualsiasi cadavere. Le mani erano giunte, come se il piccolo Near stesse pregando.

"Ehi, testone..." iniziò Mello, con voce spezzata "Andiamo... Svegliati!" lo ammonì, arrabbiato.

Near non si mosse.

"Fai finta di non sentirmi, eh? Come vuoi, starò al gioco" propose Mello "Sai, sospettano di me, ma immagino che tu lo sappia già"

Near non si mosse.

"Ma non preoccuparti, Near... Mi guadagnerò il posto di successore di L, con le mie forze. Non voglio diventarlo soltanto perchè tu te ne stai qui, a far finta di dormire. Non mi va di vincere in questo modo, ti pare? Beh, sono sicuro che tu sia d'accordo con me, per una volta"

Mello non avrebbe pianto. Non avrebbe mai pianto. Mai.
Piuttosto, avrebbe mostrato con orgoglio a Near, quanto fosse orgoglioso di se stesso... Quanto fosse orgoglioso di aver avuto Near per rivale.

La porta alle sue spalle si aprì lentamente e silenziosamente. Il volto scarno di L fece la propria comparsa. Ancora una volta non servirono parole: Mello uscì dall'obitorio così come ne era entrato, si lasciò ammanettare senza discutere e si fece scortare lungo i corridoi dell'istituto. I suoi passi riecheggiavano ritmicamente, ancora una volta, a tempo con quelli di tutti gli altri... Tic Tac... Tic Tac... Eppure c'era un passo stonato. Un rumore sordo alle sue spalle, quando ormai era troppo lontano per tornare indietro, gli suggerì che qualcuno era entrato nell'obitorio. Si bloccò per un istante. Chi c'era?

"Avanti, Mello... Dobbiamo andare" disse L, indicandogli l'uscita.

Yana addentò con rabbia il terzo takos al chily che aveva comprato.
Mangiava per evitare di pensare. Mangiava perchè in qualche modo doveva pur sfogare la rabbia che sentiva. Le sembrava quasi di poterla toccare, tanto era feroce. Le pareva di sentirla camminare dentro di lei, che si arrampicava lungo lo stomaco, prepotente, per poi riversarsi in qualche imprecazione soffocata che, di tanto in tanto, aveva la meglio contro il cibo che si ostinava a cacciarsi in gola. La poliziotta si rendeva perfettamente conto di non essere particolarmente graziosa ed elegante, soprattutto in quel frangente, ma in quel momento non le importava degli sguardi allibiti e disgustati che le lanciavano i passanti.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era L.
Era furiosa. Indignata. Frustrata. Se lo avesse avuto fra le mani lo avrebbe preso a calci e gli avrebbe dato un buon motivo per avere gli occhi cerchiati di nero.
Come aveva potuto trattarla così? Con quale coraggio le aveva detto di andarsene?
Se avesse saputo che L l'avrebbe scaricata, una volta dimostrata la sua innocenza, non avrebbe escogitato la tattica della ricetrasmittente. Avrebbe di gran lunga preferito continuare ad indagare insieme a lui. Dopotutto, poteva pur essergli ancora utile, in qualche modo. Possibile che L fosse stato tanto superbo?
Possibile che fosse stato così ... Stupido?
Sì, stupido. Era esattamente in quel modo che Yana lo avrebbe definito.

Faticò ad inghiottire l'ultimo boccone. Qualcosa le diceva che stava per avere un'illuminazione. Riprese i propri pensieri da dove li aveva lasciati. C'era qualcosa, in quello che aveva pensato, che le suggeriva di essere andata molto vicina a capire qualcosa di importante...
Yana scattò in piedi, come se avesse preso la scossa.

"Stupido..." ripetè a voce alta "Ma certo!"

L non poteva essere stato tanto stupido da dire ad alta voce che non sospettava più di lei. L non avrebbe mai commesso un errore del genere: se davvero avesse mai sospettato di lei, non l'avrebbe mai scagionata con la semplice prova della ricetrasmittente. No, L doveva aver avuto un piano preciso. Doveva esserci un motivo se l'aveva allontanata... Ma quale?
La poliziotta tornò a sedersi sulla panchina del parco e cercò di ragionare su quel pensiero. Qualcosa non le tornava. Decise di accovacciarsi nella posa caratteristica di L, sapendo che questo avrebbe aumentato le sue capacità deduttive del 40%...

"Allora... Io cosa so di Doomsday?" chiese a se stessa, rischiando di farsi prendere per pazza dai passanti "So che usa un Death Note per uccidere. E per uccidere occorre il nome e il volto della vittima, in modo da non colpire eventuali omonimi... E poi? Cos'altro so?" si chiese, iniziando a masticare l'ultima Big Bubble che le era rimasta, e allo scoppio del primo palloncino di gomma, Yana ebbe la tanto attesa illuminazione.

Perchè L aveva voluto sapere cos'avevano fatto, lei e gli altri, nelle ultime 24 ore? Dopotutto, se lei avesse avuto un Death Note a disposizione avrebbe potuto posticipare la data della morte a proprio piacimento, avendo il tempo di crearsi un alibi poco prima del decesso della vittima -in quel caso, Near...
Ed L non avrebbe mai tralasciato questa possibilità. Doveva assolutamente averci pensato, poco ma sicuro.
Allora, le opportunità erano due: o aveva fatto sì che lei credesse di essere stata scagionata, in modo da spingerla ad agire di impulso e fare qualcosa di avventato... Oppure, L sapeva sin dall'inizio che lei era innocente, e voleva indurre Doomsday ad uscire allo scoperto, restringendo il campo delle ricerche.
Certo, doveva essere così...
L l'aveva lasciata andare per uno scopo ben preciso... Ma quale?

In quel preciso momento, la poliziotta si ricordò del cellulare che L le aveva dato. Lo accese ed aspettò di poterlo utilizzare. Esisteva la possibilità che effettivamente L glielo avesse dato perchè se ne disfacesse, eppure sentiva di dover controllare. Inspiegabilmente, sentiva di avere la soluzione fra le mani.
Non appena fu possibile utilizzare il cellulare, Yana iniziò a spulciare nella rubrica, scoprendo che era stato salvato un solo numero di telefono, con il nome "C".
La poliziotta non potè fare a meno di stupirsi per quella scoperta.
L era molto prudente, e non avrebbe mai lasciato tracce di sè, a meno che non volesse -appunto- lasciarle di proposito.
Così, Yana iniziò a scorrere nella pagina delle chiamate perse, ricevute ed effettuate, e finalmente trovò qualcosa...
Dalla memoria del telefono risultava che L aveva ricevuto due telefonate e che ne aveva fatta a propria volta una sola.
Quattro numeri di telefono, tutti diversi...
Due li riconobbe subito: uno era il suo e l'altro era di suo fratello Matt. Li aveva chiamati il giorno dell'incendio alla Wammy's House.
Gli altri due le erano completamente sconosciuti.
Notò che uno dei due numeri aveva chiamato L sia alle 2:00 che alle 4:00 del mattino, di quello stesso giorno...
La poliziotta improvvisamente ricordò che, proprio alle quattro del mattino, Matsuda aveva chiamato L per dirgli della morte di Near. Quindi, c'era da presupporre che Matsuda gli avesse telefonato anche alle due, quando lei dormiva. Ma a quale scopo? E soprattutto, perchè L non glielo aveva detto?
Di sicuro, non avrebbe potuto telefonare a Matsuda per chiedere spiegazioni.
E poi, c'era la questione dell'altro numero di telefono: il numero di C

"Ok, questa è la volta buona che L mi arresta..." disse fra sè e sè, schiacciando il tasto di richiamata "Facciamo un tentativo"

Il telefono suillò a vuoto, finchè non si inserì in automatico un messaggio di segreteria telefonica...

Questa è la segreteria del Dottor Parry Cox. In questo momento non posso rispondere. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico

Yana attaccò. Il dottor Cox era quello che aveva eseguito l'autopsia sul corpo di You S.Nosobani, non poteva sbagliarsi. Ma perchè L aveva conservato il suo numero? E quando glielo aveva chiesto? Che lei ricordasse, non si erano detti più di due parole, e di sicuro non si conoscevano così bene tanto da scambiarsi i numeri di telefono. No, era surreale che L avesse conservato il suo numero.
E poi, perchè avrebbe dovuto conservarlo? L, con le sue capacità, lo avrebbe ricordato a memoria.
Decisamente qualcosa non quadrava...

Yana si rifugiò in una cabina telefonica e prese a spulciare l'elenco telefonico. Trovò quello che le interessava e poi chiamò dal proprio cellulare. Le rispose una voce femminile, molto cordiale.

"ILM, posso esserle utile?"
"Sì, sto cercando il dottor Parry Cox. Sono... Ehm... La nipote"
"Mi dispiace, ma il dottor Cox non presta più servizio in questo ospedale" rispose la donna.

La poliziotta chiuse la comunicazione senza nè ringraziare nè salutare, e compose il numero della centrale di Scotland Yard, ma nessuno le rispose. Inspirò ed espirò profondamente. D'accordo -si disse- avrebbe indagato per conto suo. La prima cosa da fare era andare all'ILM e sperare di ottenere qualche informazione più dettagliata...

Proprio quando arrivò dinanzi al Legal Institute of Medicine, incrociò il detective L, seguito da Matt, Mello e Matsuda, con i polsi coperti dai giubotti, probabilmente per nascondere le manette. I ragazzi furono piuttosto sorpresi di trovarla lì.
"Yana!" esclamò Matsuda, nel vederla così trafelata.
"Devo dirti una cosa, L!" disse la poliziotta, con fare di chi non ammetteva repliche.
"Mi auguro che non comporti atti autoerotici, come l'ultima volta. Non sono particolarmente in vena in questo momento" replicò il detective, alludendo al 'Va a farti fottere' con cui Yana lo aveva lasciato. Ciò nonostante, nella sua voce non v'era una sola nota di risentimento.
"No... Ascolta..." ma un attimo prima che Yana potesse parlare, un cellulare squillò.
L frugò fra le proprie tasche, estraendone un cellulare nuovo, e, tenendolo fra pollice ed indice, se lo portò all'orecchio. L annuì un paio di volte e poi chiuse la comunicazione, sotto lo sguardo interrogativo dei presenti.
"Hanno ispezionato le vostre stanze. A quanto sembra, non hanno trovato nulla" rivelò il detective.
"Quindi, non hai più motivo per tenerci ammanettati. Non ci sono prove, no?" chiese Matt.
"In teoria è così, ma preferisco tenervi d'occhio"
"L, devo parlarti! Mi è venuta un'idea" lo interruppe Yana, sforzandosi di parlare lentamente e con la dovuta calma.
"Parla pure"
"Hai detto che nelle loro stanze non sono stati trovati Death Note, o suoi frammenti, giusto?" il detective annuì debolmente "Allora dobbiamo esaminare il Death Note che abbiamo nascosto in banca. Se anche quello è pulito, non avrai più nessun motivo di sorvegliare Matt e gli altri" spiegò Yana, stando ben attenta a non utilizzare parole come 'fratello' per evitare di essere screditata agli occhi del detective.
L si portò un indice alle labbra, sovrappensiero.
"Sarebbe una buona idea, ma senza il numero scelto da Near, non abbiamo la combinazione per aprire il caveau"
"Dobbiamo tentare lo stesso. Sono certa che qualcuno ha utilizzato quel quaderno" insistette la ragazza.
"E se ci rifiutassimo?" chiese L.
"Vorrebbe dire che avreste qualcosa da nascondere" rispose la poliziotta, sbrigativa "Il mio numero è il 2" aggiunse, guardando L dritto negli occhi, per sfidarlo.
L scambiò un'occhiata con gli altri e poi tornò ad osservare la rossa.
"Dal momento che non posso impedire a Matsuda e agli altri di rivelarti i propri numeri, non mi opporrò alla tua iniziativa. Non ho intenzione di ostacolarti" disse L "Ma io non ti aiuterò"
"Fa come vuoi! Mi inventerò qualcosa!"
"Ne sono certo" rispose il detective, stiracchiando le labbra in un sorriso enigmatico.

Così, Matsuda rivelò il proprio numero, il tre, ma decise di restare con L per qualche strano motivo. Matt e Mello invece seguirono Yana sino alla National Bank, dove le dissero i rispettivi numeri scelti per la combinazione: l'1 e il 4.
"Come intendi fare? Ti mancano due numeri" domandò Matt, scettico.
"Non amo ripetermi: mi inventerò qualcosa" ribattè la poliziotta, andando a discutere con il responsabile del caveau. Quando tornò, disse ai ragazzi che avrebbe dovuto andare da sola, poichè soltanto una persona poteva avere accesso ad un'area tanto riservata.
"E perchè proprio tu?" chiese Mello, nervoso.
"Perchè non ho dei braccialetti carini come i tuoi, tesoro" ribattè la rossa, alludendo alle manette del biondo.
In realtà, Yana non avrebbe voluto rispondere così male a Mello, ma era gelosa di lui e del rapporto, così intimo, che aveva instaurato con suo fratello. Lo vedeva, in un certo senso, come un ostacolo alla sua felicità.
Mello rispose con un verso stizzito.
Yana si lasciò guidare per i corridoi, sino alla porta del caveau, corredata da una pesante maniglia e da un lucchetto a combinazione, tipico di ogni cassaforte. Lì, chiese di essere lasciata sola, e prese a fare alcuni tentativi... Ma più il tempo passava, più iniziava a credere di aver commesso un errore.
Era certa che qualcuno avesse avuto accesso al quaderno, e anche se così non fosse stato, trovarlo intatto, sarebbe valso a scagionare tutti, dal momento che non era stato trovato niente nelle loro stanze. Beh, certo... Esistevano altre mille possibilità, però valeva la pena fare un tentativo. Eppure, lei stava fallendo. Se ne rendeva conto.
Era lì, sola, insieme ad una maledettissima cassaforte, senza avere la più pallida idea di cosa inventarsi. Eppure, fino a qualche minuto prima, tutto le sembrava chiaro... E invece...
Colta da un moto di stizza, assestò un pugno alla porta blindata, imprecando sommessamente...
E poi accadde.
Per un attimo, tutto attorno a lei sparì: la cassaforte, il pavimento e il soffitto si oscurarono, per lasciare il posto ad un'unica, ma nitida immagine nella sua mente. I suoi poteri per una volta, erano accorsi in suo aiuto al momento giusto: il numero 7 comparve davanti ai suoi occhi.
Lo inserì nella combinazione.
Era scattata.
Ora mancava l'ultimo numero, quello di Near...
Aspettò che una seconda illuminazione l'aiutasse ad indovinare l'ultimo tassello del puzzle, ma questa non arrivò mai. Yana aspettò per diversi minuti, con la mano premuta sulla manopola. Provò a fare due tentativi, che andarono a vuoto. Al terzo errore, la combinazione sarebbe stata inutilizzabile e la porta non si sarebbe più potuta aprire, se non con una bomba ad orologeria.
Pensa -si disse- Yana, pensa...
Un numero per Near... Near...
Poi le venne in mente un certo particolare: la carta dei tarocchi di cui le aveva parlato Black, proprio qualche ora prima.
La carta dell'eremita.
La numero 9.

"D'accordo... E' l'ultima occasione..."
Ruotò la manopola fino al numero stabilito...
"Andiamo, figlia di puttana! Apriti!" pregò...
E, con sua grande meraviglia, la serratura scattò. Ancora incredula, e con le ginocchia indolenzite, Yana si apprestò a spostare il pesante portone di metallo, per ritrovarsi in una piccola stanza illuminata a giorno. Era completamente vuota, eccezion fatta per il quaderno nero.
La poliziotta inspirò ed espirò...
In qualche strano modo, era sicura che qualcuno aveva avuto accesso a quel quaderno. Era certa, certissima, di essere vicina alla soluzione.
Afferrò il Death Note che era appartenuto a Misa Amane e raggiunse l'ultima pagina.
Sbiancò.
Il quaderno le scivolò dalle dita, per toccare il pavimento con un tonfo sordo.
Aveva sbagliato tutto. Non aveva capito nulla.

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_______________L Lawliet_________________

_____ si spegnerà serenamente tra 23 giorni_____

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"Non posso crederci... L è..."
Un attimo prima che potesse terminare la frase, il cellulare squillò. Yana armeggiò con le proprie tasche finchè non si accorse che a squillare non era il suo cellulare, ma quello di L. Era il numero sconosciuto. Attese qualche istante, incerta, e poi schiacciò il tasto verde. Aspettò ancora, in silenzio...
"Sono Near"

CONTINUA...

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Capitolo 9
*** La pendola dell'apocalisse ***


 

LA PENDOLA DELL'APOCALISSE

-14 giorni

 

D'un tratto, il caveau inespugnabile della National Bank fu invaso dalla nota melodia di Wagner, la 'Cavalcata delle Valchirie'
Yana, colta di sorpresa, non riuscì ad impedirsi di sussultare. Inspirò profondamente, cercando di imporsi una calma che non le apparteneva per carattere, e armeggiò con le proprie tasche finchè non si accorse che a squillare non era il suo cellulare, bensì quello di L.
Sul touch-screen, la scritta 'unknown' risaltava come se fosse stata incisa nel marmo. Cosa doveva fare? Poteva rispondere? Dopotutto, quello non era neanche il suo cellulare ed L probabilmente si sarebbe arrabbiato, se avesse saputo che non se n'era sbarazzata come lui le aveva chiesto.
Attese ancora qualche istante, incerta, e poi le sue mani si mossero da sole, vittime della curiosità della poliziotta. Così, prima di potersi rendere davvero conto di quanto quel gesto potesse essere sconsiderato, Yana accettò la chiamata e si portò il cellulare all'orecchio, aspettando con il cuore in gola che qualcuno parlasse...

"Sono Near"

Per poco la poliziotta non si fece sfuggire il cellulare dalle mani.
Si pietrificò, ancora inginocchiata all'interno del caveau, incapace di dire qualsiasi cosa. La sua mente era come paralizzata, le sue labbra erano serrate in una smorfia carica di sgomento, i suoi occhi erano sbarrati e fissi sull'ultima pagina del Death Note che era appartenuto a Misa Amane...
Doveva aver capito male. Questo era l'unico pensiero che riusciva ad accettare.
Near era deceduto poche ore prima per arresto cardiaco, per mano di Doomsday; ed L, Matsuda, Matt e Mello avevano anche visto il suo cadavere al Legal Institute of Medicine... Quindi c'era da presupporre che, se fosse esistita anche la più remota possibilità che Near non fosse davvero morto, se ne sarebbero resi conto.
No -concluse- non era possibile che quello fosse Near, anche se la voce era pressochè identica.

"Ti consiglio di respirare, Yana" disse la voce dall'altro capo del telefono "Dovresti sapere che non sono avvezzo agli scherzi, per cui, per quanto possa sembrarti impossibile, ti assicuro che stai parlando con il vero Near e non con una voce simulata... Ma non preoccuparti; ti sarà spiegata ogni cosa"

 

Yana si schiarì la gola e si inumidì le labbra, quindi chiuse gli occhi.

D'accordo -si disse- non era la prima volta che entrava in contatto con un defunto; le era già successo quattro anni prima, quando morì A, uno dei potenziali candidati al titolo di L ...Quindi, tutto sommato, non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto se ora stava discutendo con il fantasma di Near.

Però, la cosa strana era che di solito i fantasmi non la rintracciavano con il cellulare!

Era assurdo -pensò- cosa cazzo stava succendendo?

"Posso capire il tuo disappunto, Yana, ma ti chiedo di ascoltarmi" disse la voce "Sei sola in questo momento?"
La poliziotta non confermò, nè disse alcunchè, ancora troppo sconvolta per parlare.
Near, o chiunque egli fosse, intese il suo silenzio come un invito a proseguire.
"Hai mai sentito parlare del Sacrificio di Donna?" chiese la voce, retoricamente "E' una mossa degli scacchi, molto rischiosa" spiegò "Solitamente non ricorro a questa strategia, perchè comporta il sacrificio di un pezzo importante: quello della Regina... Eppure, in determinati casi, può rivelarsi un espediente molto utile per mettere in guardia l'avversario"

La voce si interruppe per lasciare alla poliziotta il tempo necessario per assorbire le informazioni.
Yana si morse il labbro inferiore. Doveva seriamente considerare l'idea che quello con cui stava parlando fosse proprio Near? Poteva farlo?
Era una pazzia ma, dopotutto, lei stessa non aveva agito in modo razionale fin da quando L l'aveva trascinata in quel caso. Quindi, in fin dei conti, valeva la pena di fare un ultimo -folle- tentativo.

"E sarei io la Regina da sacrificare?" azzardò, titubante.
"Precisamente" rispose Near "Ho stretto un accordo con Matsuda ed L per inscenare la mia morte, allo scopo di disorientare Doomsday... Ho chiesto anche all'ispettore Black di mentirti sulla carta dei tarocchi, in modo da rispettare il modus operandi dell'assassino e puntare così sull'effetto sorpresa"

La poliziotta iniziò a collegare i vari avvenimenti, annuendo meccanicamente.
Ricordò che Matsuda aveva telefonato ad L anche alle 2:00 di notte, oltre che alle 4:00 del mattino, e immaginò che fosse stato in quel frangente che il detective si era accordato con Near per metter su un quel drammatico teatrino. Questo, tecnicamente, scioglieva ogni dubbio sul fatto che Near fosse ancora vivo...
Però, come mai Matt e Mello non se ne erano accorti quando si erano trovati faccia a faccia con il suo presunto cadavere?
No... Decisamente, c'erano ancora molte cose che non le erano chiare.

"Com è possibile che tu sia vivo?" chiese, sospettosa "Gli altri hanno visto il tuo cadavere, meno di un'ora fa"
"Il dottor Cox ci ha dato una mano ad inscenare un caso di morte apparente... Hai letto Romeo & Giulietta, vero?"
Yana si massaggiò le tempie, confusa. Cosa c'entrava il romanzo di Shakespeare, adesso?
"Sì, l'ho letto... E con questo?"
"Allora ricorderai che Giulietta assume un veleno capace di sospendere le funzioni vitali per molte ore, al fine di simulare la propria morte" spiegò Near "Ed è esattamente a quel tipo di veleno che mi sono sottoposto! E' un miscuglio di Papaver Somniferum e vari tipi di Solanacee, per intenderci"
"Ora capisco..." lo interruppe la poliziotta "Dal Papaver si estrae l'oppio, che è un potente narcotico in grado di rallentare il battito cardiaco, mentre le proprietà di blocco neuromuscolare degli antiglicolinergici sono tuttora utilizzate per effettuare anestesie generali prolungate"

Ricordò di aver appreso molte di queste informazioni dall'ispettore Black, che per anni aveva sfruttato queste conoscenze per anticipare le mosse dei narcotrafficanti che si aggiravano nel quartiere di Soho. Si compiaque di se stessa per la memoria e ringraziò mentalmente il proprio mentore per le noiosissime lezioncine che le aveva riservato per anni, anche se, in tutta sincerità, non avrebbe mai creduto che prima o poi le sarebbero tornate utili!
Dunque -concluse- se le cose stavano così, non aveva motivo di dubitare del fatto che Near fosse ancora vivo...

"Quindi, ora che ti sei sottoposto ad un trattamento così rischioso, sei stato ufficialmente scagionato da L" commentò la poliziotta "Ma questo cosa c'entra con me? In che senso sono io la Regina da sacrificare?"
"E' quello che ho intenzione di spiegarti... Matt e Mello mi credono morto, ma uno dei due sa che ad uccidermi non è stato Doomsday"
"Quindi, stando ai tuoi calcoli, uno di loro dovrebbe comportarsi in modo anomalo perchè immagina che qualcuno gli stia tendendo una trappola..."
"E' quello che spero" ammise Near "Ed è qui che entri in gioco tu: il tuo compito sarà quello di capire chi dei due è Doomsday e indurlo ad uscire allo scoperto con ogni mezzo. E' una mossa molto rischiosa, e devo ammettere che non avrei mai lasciato a te un incarico del genere... Ma L ha insistito perchè te ne occupassi personalmente"

La poliziotta sospirò, continuando a massaggiarsi la tempia sinistra.
Non riusciva a pensare velocemente come Near e aveva bisogno di più tempo per riordinare le idee...
Stando al piano architettato da L a sua insaputa, Doomsday doveva necessariamente nascondersi dietro le spoglie di Matt o di Mello e, fin qui, tutto le era chiaro: era l'idea di tenere d'occhio suo fratello che non le piaceva affatto! Non era la persona più adatta per quel compito, ed L avrebbe dovuto saperlo. Lei non era una traditrice e, nonostante fosse piuttosto esperta nel campo dello spionaggio, era convinta che non sarebbe mai riuscita a fingere con Matt.
Inconsapevolemente, aveva sempre finito per sospettare di Near o di Mello, fosse anche solo perchè non aveva mai avuto un buon rapporto con nessuno dei due. Era persino arrivata a spiare lo stesso L (e sarebbe stata anche pronta a tendergli una trappola se le circostanze lo avessero richiesto), ma mai, neanche una volta, l'aveva sfiorata l'idea che Doomsday potesse essere proprio suo fratello.
Matt, o meglio Mail, era il suo dolce fratellino; era un ragazzino alla mano e un po' svogliato, con la fissa per i videogiochi e il vizio di fumare... No. Lui non poteva essere Doomsday. Si rifiutava categoricamente di crederlo.

"Mi stavi ascoltando, Yana?" chiese Near, improvvisamente "Dicevo che L avrebbe una certa premura di parlarti" ripetè, annoiato.
In risposta, non ottenne altro che un sospiro esasperato.

La poliziotta non aveva alcuna voglia di parlare con lui.
L aveva agito alle sue spalle. Le aveva mentito. L'aveva umiliata. L'aveva allontanata senza renderla partecipe del suo piano e l'aveva manovrata come una pedina. Credeva che fosse così stupida? Certo, lei non poteva neanche lontanamente paragonarsi a Near o a Mello, ma non era così sciocca da non rendersi conto di essere stata usata senza alcun riguardo per i suoi sentimenti. Si sentiva... ferita? Sì, forse quella era la parola più adatta.
Eppure, sapeva di non poter essere così intransigente; in fondo, il detective aveva semplicemente svolto il proprio lavoro e stava facendo di tutto per portarlo a termine. Dopotutto, se si era servito di lei, era perchè la reputava la persona più idonea, no? E poi...

...E poi c'era il Death Note che aveva davanti.

Non riusciva ancora a credere ai propri occhi. Chi aveva scritto quel nome? 'L Lawliet' poteva essere il vero nome del detective?
L'ultima pagina del Death Note era stata riattaccata con il nastro adesivo: ecco perchè la prima volta che lo aveva sfogliato non l'aveva notata. Le parole erano state scritte con estrema cura e precisione, in modo tale da non poter essere in alcun modo fraintese.
Il quaderno parlava chiaro: L Lawliet si spegnerà serenamente fra 23 giorni.
La poliziotta si rifiutò categoricamente di realizzare ciò che quella scritta sembrava volerle sbattere in faccia, con la violenza di uno schiaffo. Non riusciva neanche a concepirne il senso e sapeva che, se vi avesse indugiato un secondo di troppo, avrebbe finito col perdere la poca lucidità che le era rimasta...
E questo, non era ciò che L si aspettava da lei.

"Passamelo!" acconsentì in fine, con voce più stridula di quanto avrebbe voluto. Era spaventata, doveva ammetterlo.
"Salve, Yana" disse L, formalmente. Il cuore della poliziotta perse un battito.
Cos'era quella sensazione? Perchè la voce del detective le aveva fatto un simile effetto? Non lo sapeva. Non con certezza, almeno.
Avrebbe voluto dirgli tante cose in quel momento. Avrebbe voluto gridargli di tutto. Avrebbe voluto rinfacciargli di averla tirata in ballo in gioco più grande di lei. Avrebbe voluto dirgli che avrebbe lasciato il caso seduta stante e che... Cos'altro? Cos'erano quelle parole che sembravano arrampicarsi lungo la sua gola e che non avevano il coraggio di uscire?
Nell'incertezza, Yana gli disse soltanto "Ciao"
"Sono lieto di sentirti... Anche se immagino tu sia parecchio scossa"
"E me lo chiedi?!" sbottò lei, più acida di quanto avrebbe voluto.
"Suppongo di doverti delle scuse per averti mentito e per averti usata come diversivo, ma era necessario sfruttare la tua impulsività. Sapevo che, se avessi fatto leva sul tuo orgoglio avresti agito d'istinto... Facendo esattamente quello che hai fatto"

Insomma, era un modo delicato per dirle che gli dispiaceva di averla sfruttata?
Yana volle convincersene.

"Lascia stare. Anch'io devo scusarmi per... Sì, beh... Per averti mandato a fanc..."
"Non ha importanza. In tutta franchezza, contavo anche su una reazione del genere" ammise L "Dove ti trovi, con esattezza?"
"Sono alla National Bank"
"Allora sappi che è inutile cercare di aprire il caveau. Il Death Note è pulito"
"Ti sbagli..." sussurrò Yana, prendendo fra le mani il quaderno della morte. Ancora una volta, la scritta le causò una fitta al petto.
"Non so come dirtelo, quindi te lo dico e basta: qualcuno ha scritto il tuo nome sul Death Note" spiegò la poliziotta, agitata "Non so chi sia stato nè come abbia fatto a scoprire la combinazione, ma sono certa che le telecamere di sicurezza potrann..."
"Non ce n'è bisogno" la interruppe il detective, con voce piana. La poliziotta aggrottò le sopracciglia.
"Come sarebbe a dire? Si tratta della tua vita e..."
"Sarebbe a dire che so già chi è stato a scrivere quel nome" rispose il detective, incredibilmente calmo "Sono stato io"

Per la seconda volta da quando aveva accettato la chiamata, Yana sentì che il cellulare le sarebbe sfuggito dalle mani. Strinse l'apparecchio con forza, sino a farsi sbiancare le nocche, già pallide di natura. La poliziotta sentì gli occhi pizzicarle fastidiosamente...
Ora capiva molte più cose. Non c'era modo di sperare che quello fosse soltanto un normalissimo pezzo di carta incollato fra le pagine del Death Note; non c'era modo di incolpare nessun assassino, perchè semplicemente non esisteva: L aveva firmato la propria condanna a morte con le sue stesse mani. Questa era la verità.

"Allora è così" sussurrò "Stai per morire...?"

Quella fu una domanda sciocca, ma Yana non era ancora psicologicamente pronta ad affrontare una simile realtà. Eppure, in quel momento si diede della stupida, perchè avrebbe dovuto capire: qualche giorno prima, quando si erano recati alla Wammy's House, L le aveva detto che avrebbe dovuto risolvere il caso-Doomsday entro diciotto giorni... Ora, ne mancavano meno di quattordici.

"Sì" ammise il detective "Ma possiamo sfruttare questa condizione a nostro vantaggio. Se Doomsday cercasse di uccidermi adesso, il potere del suo Death Note non avrebbe effetto su di me. In un certo senso, abbiamo un asso nella manica, no? Anzi, ne abbiamo due"
"Due?" chiese Yana, asciugandosi una lacrima che era sfuggita al suo controllo.
Sperò che la voce non tradisse il suo tentativo di mascherare l'ammirazione mista a disperazione che provava nei confronti di L.
Improvvisamente capì che il suo essere stata manovrata da lui, era ben poca cosa in confronto alla rassegnazione che aveva segnato la vita del detective. Lui si era sacrificato per la giustizia, per lei, per tutti, per il mondo intero... E lei come lo aveva ripagato? Mandandolo a quel paese e facendo di testa sua!
"Esatto, due. Conto su di te, Yana... Sei la sola che possa avvicinarsi a Matt e Mello e studiarli da vicino. Inoltre, mi risulta che tu abbia delle particolari doti empatiche, che in una situazione del genere potrebbero rivelarsi utili" spiegò il detective, in tutta calma "Ricorda: hai poco tempo a disposizione"
"Quanto tempo?"
"Quello necessario per raggiungermi... Siamo a London Victoria, al Sydney Hotel, nella stanza di Matt e Mello. Prima ho simulato una falsa telefonata: non avevamo ancora perquisito le loro stanze. Abbiamo approfittato del fatto che tu li avessi allontanati per frugare tra le loro cose, ma non abbiamo trovato nulla... Quindi, c'è la probabilità dell'87% che uno di loro abbia il Death Note con sè, in questo preciso istante"
"Tu sei davvero sicuro che Doomsday sia uno di loro?"
"Non dovresti chiedermelo" disse il detective, pronto a chiudere la comunicazione "Mi fido di te, Yana"
"Aspetta!! Cosa gli devo dire, adesso? Come mi devo comportare con Matt e Mello?"
"Sono certo che ti inventerai qualcosa" la voce del detective si affievolì in un sussurro "Sta attenta" aggiunse, chiudendo la comunicazione.

La poliziotta spense il cellulare e lo smontò, recuperando la scheda SIM. Avrebbe dovuto disfarsene alla prima occasione.
Non c'era tempo per ideare un piano: erano già passati quaranta minuti da quando era entrata nel caveau della National Bank e, se si fosse trattenuta ancora, Matt e Mello si sarebbero insospettiti. Doveva agire d'istinto.
Senza un motivo preciso, strappò alcune pagine del Death Note e le nascose nel reggiseno. Sentiva che prima o poi le sarebbero tornate utili, soprattutto se L aveva ragione e Doomsday nascondeva il Death Note nei propri indumenti. Chiuse il caveau e percorse il corridoio che l'avrebbe condotta all'ingresso, quando s'imbattè nel responsabile del sistema di sicurezza e le venne un'idea. Gli si avvicinò a grandi falcate, quasi di corsa, e si aggrappò al suo braccio.

"Deve aiutarmi!" gli disse "Devo cambiare la combinazione del caveau... Ordini del detective Ryuuzaki"

Aveva mentito spudoratamente ma, per sua fortuna, l'uomo decise di soddisfare la sua richiesta senza farle ulteriori domande. La poliziotta dettò la nuova combinazione, e i numeri da lei scelti furono il 4, l'8, il 15, il 16, il 23 e il 42. Quando il responsabile del sistema le chiese come mai avesse scelto proprio quei numeri, Yana si limitò ad alzare le spalle ma, in realtà, un motivo ben preciso c'era davvero: quelli erano i numeri che componevano la famosa Equazione di Valenzetti, una formula matematica in grado di calcolare con precisione la data in cui il genere umano avrebbe dovuto estinguersi. Non c'era modo di dimostrare la fondatezza di quella formula che, per quanto ne sapeva, era poco più di una leggenda metropolitana; ma per lei, la scelta di quei numeri suonò come una macabra metafora per affermare che, se qualcuno avesse aperto il caveau e si fosse impossessato del suo contenuto, avrebbe causato la fine del mondo grazie all'arma più terrificante che fosse mai esistita: il quaderno della morte.

Prima di tornare da Matt e Mello, Yana controllò l'orologio: erano trascorsi cinquanta minuti da quando li aveva lasciati nella sala d'attesa.
Controllò il proprio viso in uno specchio e si sforzò di assumere un'espressione affranta, convincendosi di essere all'altezza della fiducia di L.
Quando raggiunse la sala d'attesa, trovò Mello appoggiato al muro, intento a sgranocchiare una barretta di cioccolata, e Matt seduto a capo chino su una delle tante poltroncine di plastica arancione presenti nella stanza. I due ragazzi si voltarono a guardarla, in perfetta sincronia.

"Allora?" chiese Matt, alzandosi in piedi "Trovato nulla?"
"No, mi dispiace... Non sono riuscita a scoprire i due numeri mancanti" mentì la poliziotta, chinando lo sguardo.
"Forse è meglio così" risposero in coro i due ragazzi, con un'alzata di spalle.

Yana rimase leggermente stupita da quella reazione sincronica.
Durante i suoi primissimi interrogatori a Scotland Yard, aveva appreso che alzare le spalle era sintomo di un comportamento distaccato e di un palese disinteressamento: una reazione tipica di Matt. Quante volte lo aveva visto esibirsi in un'alzata di spalle? La risposta era una: infinite.
Ma una reazione così poco intensa era atipica per una persona aggressiva e superba come Mello... Anche se, c'era da considerare che era da diverse ore che il biondino si crogiolava nel silenzio; ma forse questo dipendeva dal fatto che, probabilmente, non si era ancora ripreso dalla morte di Near.

"Torniamo da L" annunciò la poliziotta, invitando i due ragazzi a raccogliere i rispettivi giubotti per nascondere le manette.

Durante il tragitto Matt e Mello non dissero una parola, così che Yana potè studiarli in tutta tranquillità nonostante odiasse ricoprire il ruolo della spia: sentiva che avrebbe dovuto mettere da parte il proprio affetto per Matt e considerare tutte le possibilità del caso con lucida obiettività, anche a costo di arrivare a scagionare Mello. Partì da un 50 e 50, in modo da concedere ad ognuno il beneficio del dubbio.

Decise di valutare prima Mello, ipotizzando che Doomsday fosse lui.
Mello avrebbe potuto far finta di sbagliare tutte le soluzioni agli enigma (da lui stesso escogitati) per evitare di attirare sospetti su di sè. In questo modo, sarebbe stato libero di accusare qualcun altro di saperne fin troppo (nella fattispecie, aveva accusato lei, nonostante il primo enigma l'avesse risolto Matt). Inoltre, Mello era anche l'unico ad avere un movente per uccidere Near, dal momento che, con la sua morte, sarebbe diventato l'unico in grado di succedere ad L.
Eppure, era anche l'unico che sembrava sinceramente dispiaciuto per la scomparsa del rivale... Certo, poteva anche essere un bravissimo attore, per quel che ne sapeva lei, ma dubitava seriamente che una persona impulsiva come Mello fosse in grado di recitare per un tempo così lungo.

Ripetè l'operazione, stavolta ipotizzando che Doomsday fosse Matt.
Matt era stato il primo a risolvere l'enigma inviato a Scotland Yard. Questo poteva avere un significato se l'avesse escogitato lui stesso...
In questo modo, anzicchè restare nell'ombra e fingere di non riuscire a risolverlo, avrebbe potuto giocare sulla psicologia inversa e dare l'impressione di essersi semplicemente impegnato: dopotutto, quale assassino avrebbe fatto finta di risolvere un enigma da lui stesso creato? La risposta era semplice: uno molto furbo.
Inoltre, c'era da considerare che suo fratello era stato il primo a capire che la sigla CL rappresentava l'assassino, D, e non Camden Lock, il luogo in cui era stato ritrovato il corpo di You S. Nosobani. E ancora, Matt era stato anche l'unico a gioire della morte di Roger Ruvie e ad indovinare l'ora esatta del suo decesso, nonostante non portasse alcun orologio al polso...

Yana si bloccò, scandalizzata. Stava davvero sospettando di suo fratello?
Sì, lo stava facendo... E alla luce delle nuove considerazioni, le sembrava anche più plausibile che Doomsday fosse lui, e non Mello...
Iniziò a respirare affannosamente. Era nervosa e spaventata. Una parte di lei si rifiutava di dar ragione alla sua coscienza, ma l'altra le diceva di fidarsi del proprio istinto... Dio, era troppo nervosa! Doveva calmarsi... Ecco, quello sarebbe stato il momento buono per iniziare a fumare!

...Fumare?!

Solo in quel momento notò che Matt non aveva toccato neanche una delle sue Lucky Strike... E non potè fare a meno di pensare che quello fosse un gesto insolito per uno che funziona a nicotina. Sospirò, osservando la nuca adamantina di suo fratello, guardandolo per la prima volta con occhi diversi. Sospettosi.
Detestò L per averla spinta fino a quel punto, fino al punto di dubitare di Matt.
Da quando l'aveva trascinata in quel caso non era più sicura di nulla. Tutto le appariva confuso e distorto.. E poi si sentiva stanchissima; il che era plausibile, dal momento che aveva dormito poco più di quattro ore... Già, perchè anche i suoi stranissimi incubi erano tornati a tormentarla e...

...I suoi incubi?!

Il primo della serie si era verificato alla Wammy's House, la notte in cui era avvenuto l'omicidio di You S. Nosobani. Quella notte si era svegliata di soprassalto, con la sensazione di aver sognato un mostro orribile, e con la certezza di aver visto delle mele: cosa strana, dal momento che lei odiava la frutta. Così -ricordò- si era alzata e si era diretta in bagno, dove aveva rivisto la stessa mela comparirle davanti agli occhi un attimo prima di... Oh, Dio no!... Un attimo prima di incontrare suo fratello!

"Qualcosa non va?"
La poliziotta si riscosse dai propri pensieri, ritrovandosi a fissare gli occhi verdi di Matt. Si affrettò a distogliere lo sguardo.
"No... E' tutto ok"
Quella fu la prima volta che mentì a suo fratello: non era affatto tutto ok!

Raggiunsero il Sydney Hotel trenta minuti più tardi. Chiesero alla reception del Detective Ryuuzaki e gli fu detto che la sua stanza era la n°7, una delle camere più lussuose dell'albergo. Trovarono la porta al primo piano e, quando bussarono, fu lo stesso L ad aprire per farli accomodare all'interno della suitte: la stanza era incredibilmente spaziosa, il mobilio era raffinato e la tv al plasma era impostata sul canale che trasmetteva il telegiornale 24 ore su 24. Matsuda non era presente, ma nessuno chiese dove fosse.

"Bentornati" disse semplicemente L, accoccolandosi su una poltroncina beige "Immagino tu abbia fatto un buco nell'acqua"
"Sì... Avevi ragione. Ho fallito" rispose Yana, reggendogli il gioco. Ciò nonostante, non le fu difficile assumere un'aria offesa.
"Non ne dubitavo. Immagino non serva ribadire che sei comunque estromessa dalle indagini"
"Immagini bene" affermò la poliziotta "Ma mi chiedevo se fosse possibile salutare mio fratello, con calma, prima di levare il disturbo"

Per un attimo, gli occhi del detective brillarono sinistramente.
Come da Yana previsto, L finse di pensarci su, si portò un indice alle labbra e alzò gli occhi scuri al soffitto.

"Ti concedo un'ora" decise "Ma non lascerò che Matt si allontani... Puoi usare la stanza di Matsuda, la numero 6. Lui in questo momento non c'è, si trova a Scotland Yard per un confronto delle impronte digitali" spiegò il detective "Le chiavi sono sul tavolino"
"Ti ringrazio" disse Matt, chinando la testa in segno di rispetto.
"Un'ora" ripetè il detective, prima che i due fratelli lasciassero la stanza.

Una volta rimasto solo, Mello si guardò intorno, leggermente a disagio. Stava per scartocciare la sua ennesima tavoletta di cioccolata, quando si accorse che L lo stava fissando con insistenza. Il biondino si sforzò di sostenere lo sguardo del detective, cercando di intuire cosa volesse da lui.
"Sta tranquillo" disse L "So che sei innocente: ti ho sentito parlare con Near all'obitorio e so che hai giurato di catturare Doomsday ad ogni costo"
Un attimo dopo, il detective si voltò verso il televisore e cambiò canale, facendo cenno a Mello di tacere.
Le prime note della Cavalcata delle Valchirie risuonarono nell'aria, fin quando la voce di L non disse:

"Pronto?"

"Ryuuzaki, sono Matsuda"

"Ti ascolto"

"So che potrà sembrarti strano, ma non credo più che Doomsday sia Near... Non dopo quello che è disposto a fare pur di dimostrartelo"

"Di cosa si tratta?"

"Cos'è questo nastro?" chiese Mello, sbigottito.

"La registrazione della cimice nascosta nel computer di Yana" rispose L, continuando a fissare il monitor.

"Vuole sottoporsi ad un trattamento per inscenare un caso di morte apparente. In questo modo, se l'assassino si nascondesse fra Matt e Mello, uno dei due si sentirebbe sotto pressione sapendo di non aver commesso un omicidio. Near è convinto che con quest'imprevisto, sarà più facile indurre Doomsday a fare qualcosa di avventato"

"E' una proposta ragionevole" gracchiò la voce di L "Potrebbe anche funzionare, ma è un trattamento rischioso"

"Per questo ti ho chiamato... Mi chiedevo se potessi contattare il dottor Cox. Dato che è un amico di Block, sono certo che farà di tutto per aiutarci"

"Presto fatto. Richiamami a questo numero esattamente fra due ore"

La registrazione si interruppe bruscamente.

Mello era scioccato, ma lo fu ancora di più quando la porta del bagno si aprì, rivelando la presenza di Matsuda e di Near, in perfetta salute. Il biondo si sbilanciò all'indietro, sconvolto. Non poteva crederci: Near era davvero vivo. Dischiuse le labbra per parlare, ma non riuscì ad emettere alcun suono, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua. Se in quel momento gli avessero detto che gli asini erano in grado di volare, ci avrebbe creduto! Eccome se ci avrebbe creduto!

"Ciao Mello" disse Near, accennando un sorrisetto compaciuto. Mello si accontentò di fissarlo, ancora troppo esterrefatto per parlare.

"Direi che la recita ci è venuta bene" scherzò Matsuda, per rompere il ghiaccio.

"Ma non è ancora il momento di calare il sipario" annunciò L, schiacciando un altro tasto del telecomando: sul monitor, decine di telecamere nascoste inquadrarono la stanza n°6, quella in cui si trovavano Matt e Yana. Era inutile dirlo: il grande L aveva pensato proprio a tutto.

"Un momento!" esordì Mello, riacquistando l'uso della parola "Ma questo significa che...!!!"

"Sì" sussurrò Near "Doomsday è Matt"

"Al 90%" lo corresse L "Voglio fare un'ultima verifica"

 

"E così, ora te ne andrai" disse Matt.
Si spogliò della giacca color créme caramél e la lanciò sul letto, dove atterrò con un tonfo sordo. Il rossino si stiracchiò, indolenzito.
"Ma che ci tieni in quelle tasche? Pietre?" scherzò la poliziotta, indicando la giacca del fratello.
Matt scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Un attimo dopo le diede le spalle e si avvicinò allo specchio, dal quale poteva vedere il riflesso della sorella.
"Tu mi credi un criminale?" chiese a bruciapelo.
Yana sussultò.
Cosa doveva rispondergli? Era capace di mentirgli?
Nell'incertezza, tacque.
"Sta nevicando..." constatò Matt, affacciandosi alla finestra "La neve mi mette tristezza, sai? Mi ricorda la Russia"
"Anche a me" concordò la poliziotta "Era un posto orribile"
"Lo penso anch'io, però... Ogni tanto mi tornano in mente i bei momenti che abbiamo passato lì, insieme" sussurrò Matt, voltandosi nuovamente a guardare la sorella "Ti ricordi? Ci sfidavamo sempre a chi faceva il pupazzo di neve più grande, e vincevi sempre tu"
"Sì... Eri un vero impiastro!" ridacchiò la poliziotta, tristemente.
"E' vero... Però a nascondino ero imbattibile! Non riuscivi mai a trovarmi, anche quando mi imbucavo nei posti più ovvi. Spesso e volentieri ero nascosto proprio sotto il tuo naso e tu non mi vedevi" raccontò Matt, accennando un sorriso malinconico.
"Facevo finta: sapevo che ti nascondevi sempre nell'armadio" ammise Yana, con una punta d'amarezza. Matt affilò lo sguardo, avvicinandosi a lei.
"Tu me la davi sempre vinta, sorellina... Hai sempre fatto tanto per me, mentre io non ho mai potuto ricambiare"
"Dai, smettila di fare il sentimentale!" scherzò Yana "Non è vero che non hai mai fatto nulla"
"Ah sì?" gridò improvvisamente Matt, afferrandola per un polso "E cosa ho fatto quando papà ti picchiava perchè io mi ero preso un raffreddore? Ti ho per caso difesa quando ti hanno accusata di aver dato fuoco alla nostra casa? No! E lo sai perchè? Perchè ero terrorizzato" la voce di Matt si affievolì "L'ho appiccato io il fuoco"
Yana non disse nulla: aveva lo sguardo perso nel vuoto.
"E ancora, ti ho mai aiutata quando Roger Ruvie si divertiva ad umiliarti? No. Non ho fatto nulla di simile... E per cosa poi? Per non giocarmi la successione al titolo di L. E a cosa è servito? Te lo dico io: a nulla" sibilò il rosso a denti stretti "Perchè io sono solo Matt"

Yana rabbrividì.
Non aveva ascoltato quasi nessuna parola del fratello.
L'unica cosa che sapeva era che i suoi poteri le avevano appena mostrato la verità. Un susseguirsi rapidissimo di immagini le aveva attraversato la mente ed era difficile spiegare cosa avesse visto con esattezza, ma aveva la certezza di aver registrato un concetto molto chiaro: la morte.
Ebbe le verigini, ma non se ne rese neanche troppo conto. Quando fu nuovamente in grado di pensare si accorse di essere fra le braccia di Matt, e fu certa di sentirlo piangere. Ancora una volta, la stessa sensazione di odio, di rabbia, di delusione e di disperazione la pervase: erano le emozioni del fratello che interagivano con le sue; era come se, con il semplice contatto, Yana fosse in grado di creare un ponte psichico fra lui e Matt...

"Ma io rimedierò, Yana... Te lo giuro! Farò qualcosa per te, qualcosa di bello" singhiozzò "Voglio vederti felice"

Inconsapevolmente, anche Yana pianse.
Pianse perchè ormai sapeva: Doomsday era proprio suo fratello.

In quel preciso istante, la porta della camera venne spalancata con violenza, tanto che uno dei cardini cedette e si staccò dalla parete, rimbalzando sulla moquette color champagne... Una, due, tre volte.
Da quel momento, il tempo sembrò scorrere a rallentatore, scandito dai rintocchi dell'orologio a pendolo posto sulla parete nord.

Mello fu il primo ad irrompere nella stanza, seguito da L, Near e Matsuda.
Il biondo si avventò su Matt e, con un balzo, lo trascinò sul pavimento.
Yana era troppo confusa per riuscire a distinguere le parole gridate da Mello, ma fu certa della ferocia assassina con cui le pronunciò.
Era disperato. Sconvolto. Deluso. Incredulo.
I suoi occhi chiari erano velati di lacrime amare, mentre le sue mani stringevano convulsamente il colletto della maglia a righe di Matt.
La nuca del rosso colpì il pavimento con violenza. Una, due, tre volte... In sincronia con i rintocchi dell'orologio a pendolo.
TOC! TOC! TOC!

Matt piangeva silenziosamente, mentre il suo compagno gli rinfacciava di averlo amato e di essersi fidato di lui, di un assassino.
La situazione sembrò sul punto di concludersi, quando, improvvisamente, Doomsday ribaltò ogni pronostico: assestò un poderoso calcio allo stomaco del suo aggressore e, con un movimento fulmineo, si avventò sul proprio giubotto, ancora abbandonato sul letto.
Lo squarciò con rabbia, rivelando che il Death Note era nascosto nella fodera interna dell'indumento.

Altre grida salirono verso il cielo, in un unico, indistinto latrato.

Tutti osservarono Matt estrarre una penna dalla tasca dei pantaloni (la stessa penna che aveva prestato a Yana per recuperare la ricetrasmittente dal pc portatile) e aprire il Death Note ad una pagina qualsiasi. Tutti si bloccarono, congelati dall'orrore, mentre gli occhi di Doomsday scrutavano i presenti, uno ad uno...

"State indietro" gridò Matt "Soprattutto tu!" ringhiò, indicando Mello con lo sguardo "Oppure ti... Ti..."
"Avanti, fallo! Scrivi il mio nome! Uccidimi! Fammi vedere se ne sei in grado!" lo provocò Mello, stringendo i pugni.
"Io..." Matt sembrò esitare.

Il battito frenetico dei cuori dei presenti sembrò diventare assordante.
Matsuda era pronto a sparare.
L e Near si tenevano in disparte, con gli occhi fissi sull'assassino.
Mello e Yana erano i più vicini, gli unici che avrebbero potuto immobilizzare Doomsday, se non fossero stati terrorizzati.
Improvvisamente, Matt lanciò la penna contro Mello e si voltò di scatto, in direzione della finestra, intenzionato a buttarsi...

"No!!" gridarono tutti in coro, atterriti.

Yana e Mello si avventarono su Doomsday per cercare di trattenerlo, ma Matt si liberò con uno strattone deciso e, con un unico salto, sfondò la finestra e sparì nel vuoto. Mello e la poliziotta si ritrovarono sul pavimento, sommersi da una pioggia di scheggie di vetro.
Per qualche istante, entrambi rimasero immobili, incapaci di rialzarsi.
Trascorsero diversi secondi, nei quali udirono Matsuda imprecare e gridare: "Merda! L'avevamo quasi preso! E' riuscito a fuggire, dannazione!"
Mello sentì un dolore lancinante al braccio e, quando fu in grado di riaprire gli occhi, si accorse che Near stava cercando di sfilargli un grosso frammento di vetro dalla spalla, tagliandosi a propria volta.
Gli occhi dei due rivali si incontrarono e si scontrarono, sostenendosi a vicenda. Infine, Mello sorrise, accettando l'aiuto di Near.

"Non farci l'abitudine, testone"
"Neanche tu"

Contemporaneamente, Yana si rotolò su un fianco, cercando di rimettersi in piedi: un fiotto di sangue arterioso colò sul pavimento. Non riusciva a tenere gli occhi aperti, sentendo un corpo alieno che le perforava la gola. Era straziante persino respirare: se non fosse stata la verità, avrebbe detto di avere la sensazione di ingoiare vetro. Sentì due braccia esili, ma stranamente forti, cercare di sorreggerla.

"C'era un..." biascicò "C'era un most..." tossì, accorgendosi di aver coperto di sangue una maglietta bianca che non le apparteneva "...Tro"
"Matsuda, chiama un'ambulanza"

La voce calma, ma ferma, di L le giunse lontana... Lontanissima...
Sentiva che stava per perdere i sensi e si aggrappò con tutta la forza che le era rimasta a due fogli di carta che stringeva convulsamente fra le mani.
Erano alcune pagine che era riuscita a strappare dal Death Note di Matt.

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Capitolo 10
*** Kyrie Eleison ***


 

KYRIE ELEISON

-10 giorni

Ps: l'immagine l'ho fatta io.

 

"Dottor Cox, come sta?"

"Si riprenderà... Ormai è fuori pericolo, anche se occorrerà qualche giorno prima che riprenda conoscenza. Al momento, è sotto sedativi"

"Capisco" rispose L "Grazie dottore"

"E' così, non è vero...?"

La voce stanca e vellutata di L riecheggiò nella piccola cappella dell'ospedale come uno spiffero di vento tiepido. Le candele candide erano state radunate ai margini dell'angusta saletta, ai piedi di quadri scadenti e dai colori spenti, spesso sui toni del grigio piombo e del verde bosco, che succhiavano avidamente la luce, la voce e persino la pace. La claustrofobica cappella assomigliava terribilmente ad una piccola cellula tumorale, marcia e venefica, inglobata dalla frustrante aria di rassegnazione e ansia che trasudava dal gigantesco organismo allo stadio terminale che era l'ILM: il Legal Instutute of Medicine.

La fuga di Matt -o meglio, di Doomsday- aveva generato non poche conseguenze; prima fra tutte, il ricovero d'urgenza di Yana. La poliziotta, infatti, nel disperato tentativo di fermare il fratello e, allo stesso tempo, di evitare che Matsuda gli sparasse, era stata gravemente ferita dall'esplosione della finestra dalla quale Matt era poi scappato. Un grosso frammento di vetro, spesso cinque millimetri e lungo sette centimetri, le aveva quasi sezionato la carotide e aveva costretto un'esperta equipe di chirurghi a sottoporla ad una profonda anestesia per ripulirle le vie respiratorie ed intestinali da qualsiasi residuo estraneo che, circolando nel suo sangue, avrebbe potuto fermarle il cuore con la stessa facilità con cui si spegnerebbe l'interruttore della luce.

Non era stata un'operazione semplice: l'insegna rossastra della sala operatoria aveva continuato a brillare incessantemente per quasi dodici ore sotto gli occhi di un L impotente e di un ispettore Black pallido e sudato. L ricordava benissimo l'oscillìo cadensato dei suoi due doppi menti, e il velo di sudore freddo che gli imperlava la fronte giallastra, malaticcia. Ricordava anche con estrema chiarezza le sue dita grassocce che torturavano un fazzoletto di stoffa che forse non era mai stato davvero bianco; ricordava le sue suppliche silenziose miste a maledizioni gridate contro un cielo londinese che, da quando Yana aveva iniziato il conto alla rovescia prima di addormentarsi a causa dell'anestesia, non aveva mai smesso di piangere fredde lacrime di pioggia.

Ogni immagine era impressa nella mente lucida e fulminea del detective; ogni suono aveva una sua voce, e ogni voce un volto e una spiegazione. Ad ogni azione corrispondeva una reazione, perchè tutto, nella schematica concezione del divenire, doveva per forza quadrare. Era per questo che L non era mai stato così spaventato: perchè era successo di nuovo. Ed era colpa sua. Sua, e di nessun altro.

Aveva sempre vissuto nella convinzione di poter calcolare ogni cosa; era sempre stato ottimisticamente certo che ogni singolo pensiero umano potesse essere ricondotto ad una semplice sequenza logica, che dietro ogni sentimento vi fosse una mera reazione chimica, che oltre ogni azione si nascondesse la chiarezza allarmante di un'equazione matematica... Questo era sempre stato il credo di L: prevedere i limiti dei suoi avversari, in modo da non averne di propri. E che la vita avesse dei limiti, L lo sapeva fin troppo bene; ciò che invece aveva egoisticamente ignorato era il suo valore, un valore che non poteva essere quantificato.

Infatti, non aveva considerato un particolare decisamente fuori luogo, urticante ed offensivo per la sua mente scientifica: l'imprevisto.

Aveva già perso Watari a causa dei suoi calcoli razionali. E tutto a causa dell'imprevisto.

E non voleva perdere anche Yana.

Non gli era mai importato molto delle persone, dei suoi sottoposti. Certo, erano validi, scaltri, in gamba... Ma erano pur sempre delle pedine.

Delle pedine con un'anima? suggerì una vocina lontana, da qualche parte dentro di lui.

L'idea di sacrificarsi per delle pedine non lo aveva mai neanche sfiorato; scrivere il proprio nome sul Death Note non era stato un gesto altruistico nei confronti del mondo, non era stato il gesto di un martire pronto ad immolarsi in nome della giustizia. No. Era stato semplicemente l'unico mezzo possibile per sconfiggere Light Yagami. In fondo, che valore poteva mai avere la sua vita in confronto alla soddisfazione della vittoria? Lui non salvava vite umane perchè si sentiva ispirato da nobili motivi ideologici; non consegnava stupratori e assassini al sistema giudiziario mondiale perchè mosso da uno spirito caritatevole e salvifico.

Nulla di tutto questo: lui, il grande L, faceva quel che faceva perchè non conosceva altro modo di vivere.

Per lui, vincere era un gioco.

Un gioco troppo pericoloso, a conti fatti. Non credi? gli bisbigliò ancora quella vocina lontana, fastidiosa come un tarlo nel cranio.

Ebbene sì, convenne L: era stato già abbastanza crudele con il proprio cuore per non rendersi conto di quanto male aveva fatto agli altri.

Lui era sempre stato solo e soltanto un'icona. Un mito. Il re degli intrighi e delle soluzioni. Una mente brillante senza identità.

Ma quante pedine aveva sacrificato per concludere ogni partita con uno Scacco Matto? Troppe.

Quanti crimini aveva commesso egli stesso, nascondendosi dietro un ideale di giustizia personale? Troppi.

Era giunto il momento di chiudere la partita, e di vincere un'ultima volta. Ma adesso sapeva cosa fare. Tanto non aveva più nulla da perdere. Non aveva più pedine da muovere, e il tempo stava ormai per scadere. Si sarebbe mosso lui, il re.

Perchè se il re non si muove, nessuna pedina può seguirlo.

Avrebbe condotto il gioco in prima persona, esponendosi per la prima volta. E lo avrebbe fatto per Yana...

Prima di incontrarlo, la vita di quella ragazza doveva essere stata serena, nonostante il lavoro di poliziotta l'avesse di sicuro esposta a numerosi rischi; eppure L aveva la certezza di averla data in pasto al pericolo molto più lui in una settimana che il suo mestiere in tutta la sua vita. Era colpa sua, perchè era stato lui a scegliere di mostrarle un mondo fatto di quaderni della morte e di shinigami; era colpa sua, perchè era stato lui a manovrarla al solo scopo di farle scoprire la vera identità di suo fratello, con la certezza di poter contare sul suo carattere orgoglioso e sui suoi presunti poteri.

Era colpa sua... E non c'era teorema che potesse dimostrare il contrario.

Se lui non fosse mai esistito, Matt non avrebbe mai tentato di sconfiggerlo.

Se lui non fosse mai esistito, Mello non avrebbe perso il proprio amore.

Se lui non fosse mai esistito, Near non avrebbe rischiato di morire.

Se lui non fosse mai esistito, Matsuda non avrebbe condotto una vita così pericolosa.

Se lui non fosse mai esistito, Yana non avrebbe mai conosciuto il tormento.

Non poteva fare a meno di pensarlo, a conti fatti. L'unica cosa che gli restava da fare era porre rimedio, nel suo piccolo.

E l'unico modo per sconfiggere l'imprevisto era combatterlo con la stessa moneta: con un altro imprevisto.

E lui, L, imprevedibilmente ci aveva già pensato.

Il detective deglutì a fatica, inspirando profondamente il lieve profumo d'incenso che sembrava posarsi su ogni cosa, anche su di lui, come uno spesso strato di polvere invisibile. Si sentiva stanco... Tremendamente stanco, ma in tutta la sua vita non era mai neanche stato più determinato.

"E' così, non è vero?" ripetè, fissando il grande crocifisso che troneggiava al di là dell'altare di marmo grezzo "Con Te non riesco mai a vincere..." ammise, chinando lo sguardo "Ho creduto di poter sconfiggere il Destino e di poter agire al di sopra del libero arbitrio. Ho creduto in tutto e in nulla... Ma a questo punto non so più neanch'io cosa sia giusto o sbagliato... Ammesso che queste due parole abbiano ancora un significato. Ultimamente, ho iniziato a credere che la realtà non possa essere divisa in bene e male, in bianco e in nero, in acceso e spento... Oh, ma scusa! Sto divagando..." continuò, parlando più a se stesso che al Cristo "Forse, Ti starai chiedendo perchè sono qui, giusto? Te lo spiego, anche se conto sulla Tua muta comprensione: sono qui per chiederTi scusa per quello che sto per fare" sorrise mestamente "Lei forse era destinata a Te e a grandi cose, lassù. Ma io sono troppo egoista per lasciarla andare..."

O forse, sei troppo innamorato? gracchiò garrula la vocina fastidiosa, segretamente gongolante.

Così dicendo, L infilò una mano ossuta nella tasca posteriore del suo jeans sdrucito per estrarne alcuni fogli di carta e due penne nere.

 

"Quindi, perdonami se lei non potrà andare nè in Paradiso nè all'Inferno..." L scrisse per qualche minuto e poi dichiarò trionfante "Scacco Matto!"

Aveva scritto lo stesso nome su due diversi fogli, appartententi a Death Note differenti, l'uno di proprietà di Doomsday, l'altro di proprietà di Misa Amane. Si era ricordato della regola del quaderno della morte secondo la quale se lo stesso nome veniva riportato su due quaderni con uno scarto di 0,06 secondi, i due nomi sarebbero stati considerati scritti simultaneamente e pertanto il quaderno della morte non avrebbe avuto efficacia, rendendo la vittima designata immune a qualsiasi Death Note. Il problema iniziale era stato quello di scrivere lo stesso nome contemporaneamente... Ma poi aveva avuto un'illuminazione: scrivere il vero nome di Yana Yaromira - Yana Jeevas- omettendo la "s" finale. E poi scrivere quest'ultima nello stesso momento, con entrambe le mani. Così, aveva tratteggiato con cura la curvatura della "s" concludendo il nome completo della ragazza nel medesimo istante.

Ormai il suo destino era già segnato: sarebbe morto entro dieci giorni; ma Yana, forse, avrebbe avuto qualche chances di continuare la sua vita, lì dove si era interrotta dal momento che le loro strade si erano incrociate. O almeno, così L si augurava.

 

...Due giorni prima

 

Da quando Doomsday era scappato e aveva fatto perdere le proprie tracce, Mello non aveva praticamente chiuso occhio.

Era nervoso ed irritabile -e non a torto!- e consumava cioccolata come un grottesco Willy Wonka armato fino ai denti e dall'espressione omicida degna di Jack lo Squartatore. Chi lo conosceva bene, come Near, sapeva di doversi tenere a debita distanza da lui e cercare di intavolare brevi e concise discussioni relative, solo ed esclusivamente, agli eventuali progressi delle ricerche.

L'ispettore Black aveva sguinzagliato un vero e proprio esercito di poliziotti e agenti speciali pur di trovare il fugiasco e, inoltre, aveva istituito posti di blocco e pattuglie in ogni schifosissimo angolo della Capitale, nella speranza di incastrare quel bastardo che aveva ridotto la povera Yana in fin di vita.

Near si era occupato del sistema di sorveglianza: aveva fatto allestire una vera e propria rete di mircotelecamere in ogni stazione ferroviaria, strada principale, banca, e aeroporto. Aveva inoltre interdetto l'accesso ai traghetti e ai battelli che solitamente transivatano lungo il River Thames e che potevano offrire una valida via di fuga per chiunque. Matsuda, invece, si era degnamente occupato di dirigere i blocchi autostradali e di verificare che nessun hotel, bettola o ostello ospitasse un ragazzo che corrispondeva alla descrizione di Matt. E poi c'era Mello, che si era opportunatamente camuffato per cercare di ricavare qualche preziosa informazione dai rifiuti della società che bazzicavano nei quartieri poveri di Londra. Per il momento non aveva scoperto molto: aveva seguito erroneamente due piste false, che lo avevano condotto a dei veri e propri vicoli ciechi, ma non si sarebbe dato per vinto neanche per tutto l'oro del mondo.

Matt si era nascosto bene... Ma lui lo avrebbe trovato.

Cos'avrebbe fatto quando l'avrebbe scovato, questo ancora non lo sapeva; era un altro paio di maniche. L'importante era trovarlo.

Per il momento, l'unica cosa che gli importava era darsi una lavata, cambiarsi la fasciatura al braccio e indossare qualcosa che non puzzasse di trippa marcescente e alcool di modesta qualità. Il solo pensiero di lui, indiscusso genio dalla mania per gli abiti costosi, ridotto a dipendere dalle informazioni che gli passavano gli spacciatori, le puttane e i barboni gli causava semplicemente la nausea... Ma per Matt, questo e altro.

Oh sì... Questo e altro!

Fu proprio mentre quel pensiero gli attraversava la bionda chioma scomposta che L si presentò al quartier generale che avevano istituito nella Piccola Locanda del Bucaniere - una pensioncina senza pretese che non dava troppo nell'occhio. Near e Mello, gli unici presenti in quel momento, ruotarono le teste verso la figura del detective, che in quel preciso istante sembrava ancora più esile e storta del solito. Le perle corvine che aveva al posto degli occhi erano opache e spente, come finestre cosparse di grasso; i capelli, se possibile, erano ancora più indisciplinati ed eccentrici; e le occhiaie praticamente ricoprivano il 40% del suo viso, ancor più smunto e perlaceo del normale.

"Come sta Yana?" chiese Near, educatamente. In realtà, non gliene importava nulla, ma sentiva di doversi informare...

"E' ancora in terapia intensiva" rispose L, laconico.

"Puoi tornare da lei" lo avvertì Mello, a metà fra l'esasperazione e la comprensione "Quando avremo delle novità saremo noi ad avvertirti"

"Sono io ad avere delle novità per voi" rispose stancamente il detective, allungando una busta di plastica a Near "Aprila"

Near obbedì e ciò che vide fu semplicemente un insieme di fogli di carta; alcuni erano macchiati di sangue, altri erano lisci e levigati come se nessuno li avesse mai toccati; alcuni erano immacolati, altri erano pieni di tratti a penna...

L'albino sollevò lo sguardo, interrogativamente "Death Note" disse, senza alcun'inflessione nella voce piatta. L annuì, come se Near gli avesse appena detto che fuori stava piovendo. Non c'era motivo di sorprendersi.

"Yana è riuscita a strappare due fogli dal Death Note di Doomsday" annunciò "Sono quelli macchiati di sangue"

Near sollevò quei fogli e lesse velocemente, annuì, e consegnò la busta a Mello, che fece altrettanto. Gli occhi di Mello si riempirono di rabbia.

 

You S. Nosobani, donna di servizio della Wammy's House, trova per puro caso le chiavi degli archivi segreti durante il turno del pomeriggio del 10 novembre 2004 e le usa per rubare i dossiers degli elementi L, D, N e Я. Dopodichè, li nasconde nel recipiente dello scarico del bagno comune, al primo piano. Si dirige a casa propria, a Camden Lock, e si suicida impiccandosi con una corda sospesa ad un ponte.

 

"Incredibile... Ha fatto tutto questo sotto i miei occhi, quella notte... Il primo giorno che voi siete arrivati alla Wammy's House" sospirò Mello, più frustrato che furioso, ripensando al modo in cui aveva chiesto a Matt di andare a fumare da qualsiasi altra parte che non fosse la sua stanza. Gli aveva solo facilitato il compito "Me l'ha fatta sotto il naso!" aggiunse, nuovamente in collera con se stesso.

"E non è tutto" annunciò L "Probabilmente, Matt si è recato in quel bagno a notte fonda e si è accorto che non tutto era andato per il verso giusto"

"Infatti" gli diede man forte Near "Il Death Note non può far compiere operazioni impossibili alle sue vittime. Quindi, molto probabilmente, You S. Nosobani non era stata in grado di rintracciare il fascicolo che più gli interessava: quello di D"

"Perchè quasi sicuramente solo Ruvie sapeva dove fosse... E così..."

"E così l'ha fatto fuori, come un cane" sfiatò Mello, facendo scorrere lo sguardo sul secondo foglio...

 

Roger Ruvie cosparge di benzina il primo piano della Wammy's House, si infila la carta dei tarocchi del Diavolo sotto il braccio destro e dà fuoco all'intero ambiente, morendo fra le fiamme alle ore 15:15 del 11 novembre 2004.

 

"Cristo" mormorò Mello a denti stretti "Ecco come faceva a sapere l'ora esatta del decesso senza avere l'orologio al polso" constatò "Ha fatto di tutto pur di far sparire i propri documenti... Perchè immagino che D sia Matt. Giusto?"

"Non c'è altra spiegazione" convenne L "Se volti il foglio, noterai anche un altro particolare..."

Mello obbedì... e sbiancò.

L Lawliet muore di attacco cardiaco nella stanza n°7 del Sydney Hotel il 15 novembre 2004

 

"Non è possibile... Questo... Questo è il tuo vero nome, L?" chiese Mello, sconvolto.

Il detective annuì "Matt voleva uccidermi lo stesso giorno in cui è riuscito a scappare; non aveva programmato un piano di fuga, se non altro..."

"No, aspetta un attimo! Mi stai dicendo che L Lawliet è il tuo vero nome?" insistette il biondo, sconvolto.

"Ormai non ha più senso nasconderlo" rispose l'altro, stringendosi nelle spalle esili.

"Ma se è stato scritto sul Death Note, perchè sei ancora vivo?" chiese Near, sospettoso.

"Forse questo è solo un misero pezzo di carta senza valore. O forse..."

"No" lo interruppe il detective, scuotendo lievemente il capo "Matt non poteva saperlo ma, semplicemente, il Death Note non ha avuto alcun effetto su di me... Perchè io sono già predestinato"

Near e Mello sussultarono, tesi come corde di violino. Quelle parole, dette con la tenera delicatezza del velluto, morbide come una cucchiaiata di miele nel latte caldo, tranquille e pacifiche come una cascata di granelli di zucchero... Altro non furono che un violento schiaffo ai loro personalissimi dogmi. Nella loro concezione, L era una sorta di divinità immortale. Possibile che stesse davvero per morire?

"Per... Perchè non ce lo hai detto prima?" chiese Mello, cauto. L si limitò a fissare i due ragazzi.

"La domanda è un'altra: perchè ve lo sto dicendo adesso?" lo corresse il detective. Near e Mello si scambiarono una fugace occhiata.

"Vuoi dire che hai definitivamente preso una decisione?" chiese Near, tranquillo. L annuì nuovamente, con più convinzione.

"Io, L Lawliet, sto per nominare il mio successore..." annunciò "E io nomino..."

Le parole rotolarono su Mello e Near come spire di vapore incandescente e, allo stesso tempo, gli serrarono la lingua e gli arti, come fossero state gelide catene di metallo. Quel momento, il più importante della loro vita, era finalmente giunto: L avrebbe nominato il suo successore. Near socchiuse gli occhi, pronto a non esultare troppo una volta che avesse sentito il proprio nome fuoriuscire dalle labbra di L; Mello strinse i pugni sino a farsi sbiancare le nocche, segretamente convinto di essere lui il suo prediletto...

"Io nomino... Nessuno" disse sorridendo, soddisfatto delle espressioni sconcertate dei suoi discepoli "Ed entrambi"

"Cosa?" chiesero all'unisono, per la prima volta d'accordo su qualcosa.

"Oh, andiamo! Non fatemi pentire di questa scelta facendomi domande scontate! Soltanto insieme potrete eguagliarmi e superarmi, e lo sapete benissimo. Ma non sarò io a deciderlo. Io ho fatto la mia mossa, lasciandovi campo libero: sarete voi stessi a decidere cosa farne di voi stessi e delle vostre capacità. Io non mi opporrò a nessuna vostra decisione; se vorrete, mi seguirete... Altrimenti, la leggenda di L morirà con me"

Quelle parole risuonarono per qualche istante, rimbalzando sulle pareti del cuore di entrambi i ragazzi; quelle frasi, rapide e chiare, restarono così, in attesa, quasi stessero galleggiando in aria come tante belle bolle di sapone in attesa di esplodere.

Loro due... Near e Mello... Entrambi L... Se lo volevano. Quelle parole non avevano senso.

Eppure, erano allo stesso tempo densissime di significato.

I due geni arrischiarono uno sguardo perplesso.

"Tu vorresti che noi due imparassimo a collaborare?" chiese Mello, dubbioso e sconcertato.

"E se non volessimo accettare, non esisterà più alcun L?" gli fece eco Near, guardingo.

"Esattamente. A voi la scelta"

Near e Mello si osservarono per un lungo istante, come due animali famelici e pronti a studiarsi a vicenda. La loro alleanza era fuori discussione, eppure era l'unico modo per coronare il loro sogno. Che valore avevano dato a quel sogno? Era così importante da far passare in secondo piano la loro storica rivalità? Sì, decisero.

"Accettiamo" sospirarono infine, nuovamente all'unisono.

"Bene. Ora sappiate che dovrete fare di tutto per catturare Doomsday"

"Lo stiamo facendo, ma lui può contare sul Death Note per eliminarci qualora diventassimo troppo pericolosi"

"Non può più" sogghignò L, arricciando le labbra in un sorriso leonardesco.

Così dicendo, il detective prelevò un altro gruppo di fogli -stavolta immacolati- dalla busta di plastica.

"Altre rivelazioni scioccanti?" ironizzò Mello "O è solo la lista della spesa?"

"Nessuna delle due. Questi fogli appartengono al Death Note che abbiamo nascosto in banca" spiegò L, accomodandosi dul pavimento lercio sotto lo sguardo consapevole di Near e oltraggiato di Mello "Yana è riuscita a scoprire la combinazione e ne ha rubato qualche foglio"

"Accidenti! Quella stronzetta mi ha fregato..." borbottò Mello fra sè e sè.

"E' chiaro che Matt desiderasse uccidere Near per qualche motivo, dal momento che stava cercando il suo dossier" iniziò L "Quindi, è anche probabile che conosca il suo vero nome. In ogni caso, ora come ora, sarà meglio prendere precauzioni anche per te, Mello" annunciò, estraendo una penna dalla tasca dei jeans.

"Che vuoi dire? Non ti seguo..."

"Voglio dire che vi ho resi immuni al Death Note" spiegò L "Non conosco i vostri veri nomi. Dunque, mi sono preso la briga di sbagliare per quattro volte a scrivere ciascuno dei vostri pseudonimi, di proposito. Ovviamente vi ricorderete della regola che cita: qualora si scriva erroneamente per quattro volte il nome di una determinata persona avendone in mente il volto, il quaderno della morte non avrà più efficacia su tale soggetto - dico bene?" chiese, con logica schiacciante.

Near e Mello rimasero pietrificati, come statue di sale.

"E perchè non scrivere il vero nome di Matt, a questo punto?" chiese Near, stringendosi nelle spalle.

"Per ovvi motivi: non conosco il suo vero nome... E comunque, anche se lo sapessi, non userei il Death Note contro di lui. Non in questo modo" poi aggiunse "A meno che, non sia tu, Mello, a volerlo fare" lo sfidò.

"Il suo vero nome è Mail Jeevas" annunciò Mello, intento a placare un prurito inesistente alla nuca "Ma non scriverò il suo nome su un'arma stupida e infantile come il Death Note. Io troverò Matt e gliela farò pagare con le mie stesse mani... Ma non sarò io ad ucciderlo. Ci penseranno le autorità locali a processarlo"

"Ci occuperemo personalmente della sua cattura, L. Non devi preoccuparti per questo"

"Per una volta, mi avete dato la risposta che volevo sentire" annunciò il detective, alzandosi nuovamente in piedi, proprio nel momento in cui la porta della stanza si aprì e lasciò il posto alla figura trasandata di Matsuda. A giudicare dalla sua espressione, doveva essere sinceramente sorpreso di trovare L in quella stanza.

"Ora voi due siete il Nuovo L... Lascio tutto nelle vostre mani. Ovviamente, resterò nei paraggi ed indagherò per conto mio, facendo di tutto per aiutarvi finchè avrò ancora tempo" annunciò, avviandosi verso la porta "Ah... Matsuda, sappi che sei stato il miglior agente che abbia mai conosciuto"

Così dicendo, L si richiuse la porta alle spalle, lasciando Matsuda più sbigottito che mai e Near e Mallo appesantiti da una responsabilità che, se non altro, avrebbero diviso in parti uguali per il resto della loro vita...

Mentre L si allontanava dalla Piccola Locanda del Bucaniere si accorse di sentirsi più leggero. Aveva salvato Mello e Near. Aveva rimediato in parte all'errore di averli coinvolti con tanta leggerezza in un gioco pericoloso... Forse, sarebbe morto senza rimpianti. Forse.

 

-7 giorni

 

Matt si lasciò cadere a peso morto contro il muro gelido e umido della galleria della metropolitana più infima che avesse mai visto: l'East End. Si era rifugiato in una galleria secondaria, in cui passava un unico treno alle 12:00am in punto, per poi ricomparire quasi per magia alle 12:00pm. Approfittava di quelle pause per andare mangiare: si camuffava abilmente, nascondendo i capelli rossi, facilmente riconoscibili; si era lasciato crescere la barba e si era spogliato dei soliti occhialini a mascherina che ormai sembravano essere divenuti una sorta di appendice per il proprio corpo, più asciutto e magro di quanto non fosse stato una settimana prima.

Mancava poco, si diceva. Mancava poco e le acque si sarebbero calmate, cosicchè presto avrebbe potuto andarsene. In fondo che ci voleva? Bastava trovare qualcuno disposto a scortarlo fino a Liverpool o a Manchester, dove poi avrebbe trovato il modo di prendere un aereo. In fondo, aveva pur sempre il Death Note a disposizione; poteva costringere chiunque a fare qualsiasi cosa prima di morire... Gli serviva solo il soggetto giusto.

Cosa stai facendo? gridava disperata una vocina stridula dentro di lui Perchè lo hai fatto? Perchè lo fai? Costituisciti!

Colto da un'ondata di pura rabbia, Matt scagliò l'unica bottiglia di birra che gli era rimasta contro il muro grigiastro e coperto di muschio davanti a lui. Resosi conto dell'ennesima stupidagine che aveva fatto, si prese la testa fra le mani e cercò di smettere di pensare... Eppure, più beveva, più quella vocina sembrava cercare di prendere il sopravvento su di lui. Chi era quella voce? A chi apparteneva? Era la sua? E se era la sua perchè la odiava tanto? Chi era lui?

Lui era quello che aveva ucciso L. Era quel genio che aveva scritto il suo nome sul Death Note.

Ti sbagli - gracchiò la vocetta dentro di lui - L non è morto. Il quaderno non ha avuto effetto... E tu non sei un genio: sei un assassino.

"NO!" gridò, tanto da far sobbalzare persino lo shinigami che lo seguiva ovunque andasse "Io sono un genio! Io..."

Tu sei quello che li ha traditi. Li hai traditi tutti! Non ci pensi a Yana? E a Mello? Cosa credi di aver dimostrato?! Tanto non sarai mai come L...

"NON E' VERO!"

Oh, sì che è vero... Hai avuto la presunzione di decidere della vita e della morte degli altri. Ti sei sentito Dio. Ma non lo sei, Mail... Tu non sei che un...

"TACI! IO POSSO FARE TUTTO! NESSUNO PUO' DIRMI COSA NON POSSO FARE! SE IO DECIDO CHE LORO DEVONO MORIRE, LORO LO FARANNO!"

Ah, sì? Ne sei davvero convinto? La verità è che tu non volevi tutto questo. E' stato il Death Note a fartelo credere!

"Credo che tu stia dando leggermente di matto, eh Matty? Io ti avevo avvertito... Il potere del Death Note porta chi lo usa alla pazzia!" gracidò Ryuuk, grattandosi piacevolmente la schiena, incurante di tutto ciò che lo circondava "Forse ti ho sopravvalutato, ragazzino. Light non si era lasciato incastrare tanto facilmente... Anche se lui ha combattuto soltanto contro L"

"Già! Io ho dovuto fare molto di più! Ho lottato contro Near, Yana e Mello! Sono tutti contro di me! Lo sono sempre stati! Mi hanno tradito, Yana e Mello! Io mi fidavo di loro... Li avrei risparmiati! Li avrei fatti diventare i miei collaboratori... Sarebbero stati fieri di me, ne sono sicuro! Eppure... Non doveva andare così" sfiatò, affranto "Se non ci fosse stato L, non sarebbe andata così! Mi ha rubato tutto! Yana e Mello erano tutto ciò che avevo... Tutto!"

Ti sbagli, e lo sai benissimo. Sei tu che ti sei messo contro di loro... E contro un potere che sapevi di non poter controllare! Assassino!

"Beh, hai sempre il Death Note..." gli ricordò Ryuuk "Conosci i loro veri nomi, no? Puoi sempre vendicarti della loro insubordinazione..."

"Io..."

Non farlo! Non farlo Matt!

"Io..." senza neanche rendersene conto aprì il Death Note ad una pagina qualsiasi ed impugnò la penna "Io non... Loro... Devono pagare. Sì..."

"Avanti! Non avrai mica paura?" ridacchiò lo Shinigami, subdolo.

Ce l'hai! Te la stai facendo addosso dalla paura! Fermati finchè sei ancora in tempo!

"No! Io non ho paura!" e così dicendo scrisse i nomi di Yana, Near e Mello: Yana Jeevas, Nate River e Mihael Keelh. Aveva il fiato corto, spezzato, come se una lama di ghiaccio gli trapanasse lo sterno e il costato; aveva lo sguardo offuscato e la mente confusa, neanche se una forza invisibile lo stesse strattonando dall'interno, tendendo tutti i suoi organi al limite. La vocina dentro di lui, quella del vecchio Matt, del vero Matt, continuava a strillare terrorizzata e supplichevole...

Assassino! Assassino! Vivrai per sempre nel peccato! Sconterai questo fardello per sempre!

Cosa farai quando un dolore fisico e morale ti attanaglierà le membra e il cuore? Cosa farai quando il tuo sonno verrà violentato da ricordi ammantanti di nero e di rosso? Cosa farai quando realizzerai che il tuo corpo è diventato una bambola assassina? Cosa farai quando, improvvisamente, dopo aver aperto gli occhi ti sarai ritrovato senza nessuno? Eh, Matt -anzi, Mail- cosa farai? RISPONDI!

Te lo dico io -accondiscese melliflua la vocina intrappolata nel suo cuore - Niente, Matt. Non potrai fare niente, perchè...

Non puoi scappare quandolo Shinigami siede al banco del giudice.

Non puoi chiudere gli occhi quando il tuo peccato ti punta contro il suo dito accusatore.

Non puoi dimenticare, quando la commissione d'accusa è la tua stessa vita.

Non puoi fuggire, quando la giuria è fantasma.

Non puoi sottrarti, quando il verdetto è il tormento.

Non puoi fare nulla per espiare i tuoi peccati Mail. Non puoi dimenticare! ASSASSINO!

 

"Non è vero! Non è vero niente! Io posso farti tacere! Io posso dimenticare tutto... Io..." Matt si voltò a guardare Ryuuk, disperato, che ancora lo guardava in attesa di una qualsiasi frase di senso compiuto "Ryuk... Io voglio dimenticare. Rinuncio al quaderno"

"Tsk... D'accordo, rossino, non ti agitare" così dicendo, lo Shinigami gli cancellò la memoria con un gesto annoiato della mano. Il corpo di Matt cadde a peso morto, con un tonfo secco "E poi, in tutta franchezza, non eri un granchè come assassino... Anche se ammetto di essermi divertito abbastanza con te! E poi, presto sarebbe finita comunque"

Lo Shinigami raccolse il Death Note e se lo rigirò fra le mani, con fare soddisfatto. Aveva avuto ciò che voleva, lui. Aveva corrotto l'anima di Matt e l'aveva incatenata ad un'esistenza piatta nel mondo di Mu, il mondo del nulla; e con un po' di fortuna, in un giorno senz'alba nè tramonto, anche Matt sarebbe divenuto uno Shinigami, un mietitore di anime. E la stessa cosa sarebbe accaduta ad L, così com'era già successo a Light Yagami... Tre anime in poco meno di un mese! Mica male, no?

Ridacchiando come un fruscìo di foglie morte e accartocciate, lo Shinigami si voltò, pronto ad andarsene... Quando una strana figura si frappose fra lui e il muro.

Il suo corpo altro non era che un agghiacciante ammasso di ossa scomposte e bradelli di carne grigiastra e marcescente; ma ciò che più inquietava nella sua figura -simile a quella di un rettile- era la sua testa, dal cranio oblungo e bitorzoluto, contornato da quattro grossi occhi sporgenti e rossastri per lato. La sua bocca, priva di labbra, era una tagliola inquietante di dentini auguzzi e nerastri, dai quali ogni tanto saettava una lunga lingua scura e collosa.

"Finalmente ci rivediamo, Ryuuk... Come te la passi?" chiese la figura, ruotando contemporaneamente gli occhi in direzione dello shinigami.

"Calikarcha! Ma che sorpresa!" gracchiò Ryuuk, incrociando le braccia dietro la nuca bluastra "Qual buon vento? Il vecchio ti ha mandato a fare i bisognini su questo Piano?" ridacchiò, lo shinigami, allargando il sorriso famelico, falso come Giuda.

"Ti conviene non scherzare troppo, Ryuuk. Hai qualcosa che mi appartiene, non è così?" chiese Calikarcha, lucidandosi i dentini scheggiati.

"Oh... Cenerentola ha perso la scarpetta!" cinguettò lo shinigami "Mi hai scambiato per il principe azzurro? Non mi stupirei, dato che nonostante i tuoi occhioni sei cieco come una talpa"

"Ryuuk" scandì Calikarcha, spazientito "Il Death Note! Subito"

"Eddai! Proprio adesso?" si lagnò lo Shinigami.

"Adesso"

"Beh... D'accordo... In fondo, mi sono divertito a sufficienza!"

Quando Matt riaprì gli occhi, non potè fare a meno di chiedersi perchè si trovasse in un luogo tanto buio e squallido e, soprattutto, non potè fare a meno di domandarsi perchè Mello e Yana lo avessero minacciato con delle pistole. Davvero non riusciva a ricordare nulla. Si prese la testa dolorante fra le mani e si lisciò la rada barba adolescenziale.

"Mh, è proprio il caso di darle una spuntatina"

Sì, Matt. Era proprio ora di darci un taglio!


 

-5 giorni

 

"Mh... Capisco" rispose L, stringendo delicatamente il cellulare fra pollice ed indice "Quindi, stando alle telecamere, Matt sarebbe stato avvistato due giorni fa nella zona più periferica della città... Comprendo, sì... Informerò io l'ispettore Black, non preoccuparti Matsuda. Tu bada soltanto a proteggere Mello e Near e a cercare di ipotizzare tutti i possibili percorsi compiuti da Matt, partendo dal presupposto che di sicuro non ha lasciato la città" disse, aspettando la risposta affermativa del giapponese "Sì, io sono alla Piccola Locanda del Bucaniere insieme a lei. Il dottor Cox l'ha appena scortata fin qui"

"Come l'ha presa?" chiese Matsuda, agitato.

"Non parla e non vuole mangiare. Continua a fissare il soffitto e a ripetere il nome del fratello..."

"Sai cosa volesse dire quando ha detto che accanto a Matt c'era un mostro?"

"Credo si riferisse allo Shinigami..." rispose il detective, tagliando corto "Tienimi aggiornato. A dopo"

L chiuse la comunicazione e lasciò vagare lo sguardo lungo le quattro pareti annerite dal fumo e dall'umidità. L'arredamento della piccola stanza era spartano e sui toni del beige, con lampade al neon e mobilio tarlato. Il lieve sentore di urina che si respirava nel corridoio gli causava la nausea e le macchie sulle tendine che un tempo dovevano essere state bianche gli suscitavano una leggera inquietudine. Non era abituato a trovarsi in simili ambienti, ma non poteva lamentarsi; non in quel momento. Nella stanza adiacente alla loro qualcuno aveva alzato il volume della radio a livelli degni di una sana denuncia per disturbo e schiamazzi, ma si sforzò di non farci troppo caso; l'unica cosa che lo infastidiva davvero era il modo in cui Yana si ostinava a fissare il soffitto senza quasi respirare.

L era a disagio.

Non gli piaceva il modo in cui gli angoli delle labbra della ragazza restavano rigidi e paralizzati in una smorfia amorfa.

Non gli piaceva il modo in cui le mani restavano abbandonate ai lati delle sue cosce, anch'esse così rigide da sembrare di legno.

Non gli piaceva il modo in cui le sue palpebre si ostinavano a sbattere, troppo lentamente, chiudendosi su un paio di verdi prati che ormai sembravano prossimi all'arsura. Che ne era stato delle sue battutacce? Che ne era stato del suo appetito? Della sua voglia di vivere?

L si schiarì la gola e osò qualche passo in direzione del letto "Ha chiamato Matsuda" azzardò "Vedrai che lo troveremo"

Yana non parlò nè si mosse; l'unico segno di risposta fu una lieve accelerazione del respiro.

"Dovresti mangiare qualcosa... Perchè non andiamo a fare due passi?" mai avrebbe pensato di farle una simile proposta, lui, che in tutta la sua vita aveva percorso a piedi non più di un paio di chilometri. Yana per tutta risposta sbattè le palpebre e distolse lo sguardo dal soffitto solo per inchiodarlo su una delle tante pieghe del lenzuolo. L sospirò, accomodandosi sul limitare del materasso. Tentennò per qualche secondo e poi, con un gesto leggermente più deciso, prese una mano della ragazza e la strinse nel proprio pugno. Era ghiacciata e asciutta, piuttosto piccola se paragonata alla sua, più grande e tiepida.

"Guardami" le sussurrò, seriamente preoccupato. Mai come quella volta, L era in pensiero per qualcuno. Avrebbe voluto fare qualcosa per Yana, per quella ragazza che, a causa sua, aveva visto la sua vita scoppiare in mille pezzi di vetro. Incollarli di nuovo era impossibile, e lui lo sapeva... Ma ci avrebbe provato.

"Perchè?"

Era la prima volta in sette giorni che sentiva la sua voce. Era diversa da come la ricordava.

"Perchè non riesco a capire..." spiegò "Sembra quasi che tu voglia morire"

Yana chiuse gli occhi per qualche istante. Era forse una conferma quella? Voleva morire? L iniziò a scaldarsi.

"Allora spiegamelo, Yana, perchè stai respirando?"

Yana ruotò lentamente il capo e piantò i suoi occhi in quelli neri di L, fissi su di lei. Le sembrò... Angosciato?

"Perchè respiri Yana, se non hai più motivo per farlo?"

"Per riflesso involontario, forse... O è solo per ostinazione. Non lo so!" sfiatò la ragazza, tornando a fissare il soffitto.

Inaspettatamente, L le prese il volto con entrambe le mani e la costrinse a guardarlo nuovamente.

"Non credi di essere egoista?" le chiese, con voce ferma "Non pensi alle persone che soffrono nel saperti in questo stato?"

Yana abbozzò un sorriso ironico.

"Chi potrebbe soffrire per me?"

L si morse il labbro inferiore, accomodandosi meglio sul materasso smollato.

"Beh... Tutti. L'ispettore Black, per esempio. Tu sei come una figlia per lui..." azzardò "E poi, anche Matsuda era in pensiero per te"

"E poi?" chiese Yana, osservando per la prima volta L con interesse.

"E poi... Anche il Dottor Cox. E Mello. Probabilmente anche Near vorrebbe che tu ti riprendessi..."

"Sei egoista anche tu, L..." fu la risposta indecifrabile della ragazza. L sbattè le palpebre, incerto.

"Anche ora non riesci a fare chiarezza, lo vedi? Non ho voglia di alzarmi da questo letto, L... Non ho voglia di uscire e scoprire che sta ancora piovendo. Non ho voglia di comprare il giornale e sapere che mezza Londra è alla ricerca di mio fratello" disse "Perchè io, nonostante tutto, non riesco ad odiarlo..."

L la lasciò sfogare, notando che le sue dita si erano involontariamente strette nella sua mano e che il respiro della ragazza era divenuto celere e irregolare.

"Non credo sia stato giusto uccidere quelle persone, però... Lui l'ha fatto per me. E' diventato quel che è diventato per me. Ha ucciso Ruvie perchè lui mi molestava. Ha ucciso G e P perchè loro spesso mi chiudevano nei bagni o nelle cantine per dispetto, perchè avevano paura dei miei poteri... E' diventato un assassino per rendermi felice, lo ha detto lui"

"E credi che questo sia giusto?"

"No... Non lo penso affatto. E' orribile..." una lacrima le percorse uno zigomo "Ma nonostante tutto, Mail è il mio fratellino. E io non so odiarlo"

"Capisco" acconsentì L "Ma questo non è un motivo per odiare se stessi"

"Allora aiutami, L... Amami tu"

L sussultò, incredulo, lasciando andare il viso della ragazza, che ora tremava un po' di paura e un po' d'emozione.

"Fai finta di amarmi, per un'ora. Se davvero anche tu tieni a me, fallo, L... Altrimenti vattene, e lasciami sola!"

"Io..."

"Lo vedi? Non ci riesci" a Yana scappò quasi una risata isterica "Se nessuno riesce ad amarmi, perchè dovrei farlo io? Dimmelo, perchè davvero non capisco. Perchè dovrei continuare a lottare se tutto ciò che è successo è accaduto per causa mia?"

"Sei insensibile, Yana..."

Quelle parole rimasero sospese lì, come se qualcuno le avesse inchiodate al muro, in attesa di essere spiegate.

Il detective e la poliziotta si fissarono per un lungo istante. Entrambi erano arrabbiati e confusi, e forse anche spaventati.

"Tutto quello che dici non ha senso, e tu lo sai. Non sei mai stata così..." sussurrò L, quasi offeso "E non dovresti permetterti di dire cose che non sai. Non puoi chiedermi di amarti se la ragazza che ho di fronte non è la stessa Yana che conosco io... Perchè questo pezzo di carne che ho davanti non è Yana. Io non la conosco. Non ha nulla a che vedere con lei. Quindi, se vuoi che io ti ami lo farò, ma non sarà nè per un'ora nè per gioco" così dicendo L si alzò e le diede le spalle "Se ti senti morta, strappati il cuore e vendilo al miglior offerente... Ma se non ne sei in grado, se provi ancora dolore... Allora, vuol dire che non sei ancora pronta per morire" sfiatò L, deluso "Salutami la vera Yana e dille che quando avrà deciso di vivere, io sarò fiero di averla amata"

L fece per andarsene, quando un rumore stridulo, simile ad un miagolio, colmò la stanza. Esplose. Implose. Riprese, più basso e sinistro...

L si paralizzò sul posto, lasciando che un debole sorriso gli illuminasse il viso appuntito.

Yana stava piangendo. Finalmente.

"Ti prego... Resta!" gridò Yana, fra le lacrime "Resta con me!"

"Sì"

"Non te ne andare. Non voglio stare sola. Ho paura di restare sola! Ti voglio con me!" pianse la ragazza, nascondendo il volto fra le lenzuola in un crescendo di suppliche disperate.

"Sì" le concesse L, con la voce morbida come il velluto "Resterò con te"

"Per sempre?" chiese ingenuamente la ragazza, azzardandosi a guardare la figura di L che si avvicinava lentamente al letto.

"Fino alla fine dei miei giorni"

L allungò una mano verso il volto di Yana, non senza un certo tremore. Aveva paura, ma sentiva di non potersi fermare; le sue dita si mossero lentamente ma inesorabilmente, come se fossero state mosse da un burattinaio esperto. Non appena arrivò a sfiorarle il viso, la poliziotta si mosse verso di lui, affondando il volto nell'incavo della sua spalla. Quel contatto tanto atteso e cercato lo spaventò a morte. Si sentì indifeso, ma anche appagato.

In pace.

Yana premette le guance contro la gola calda di L; voleva lasciarsi cullare dal suo abbraccio impacciato e timido, come quella volta, come quando si era svegliata nel cuore della notte in preda al panico...

L corrispose al suo abbraccio, stringendo il corpo di Yana prima delicatamente, poi con più energia, rincuorato dal modo in cui anche lei sembrava gradire quel contatto così intimo, così poco casto. Il profumo della ragazza iniziò a confonderlo e ad annebbiargli la vista e la mente. La sensazione del seno caldo e morbido della ragazza premuto contro il proprio petto lo lasciava basito e sconcertato dall'ondata di emozioni che lo sommerse e inghiottì ogni scintilla della sua razionalità. Nel momento in cui i loro cuori spaventati e feriti iniziarono a battere all'unisono, entrambi si accorsero di stare meglio; pian piano, la paura, l'ansia, l'odio e persino le colpe scemarono e si sciolsero in un misto di emozioni liquide, finchè non svanirono, come cancellate da una pioggia invisibile.

Le labbra di Yana cercarono quelle sottili di L, leggermente dischiuse, in attesa dell'ignoto. Il cuore di L si incastrò saldamente in gola per l'emozione nel momento in cui la lingua morbida della ragazza iniziò ad accarezzargli l'interno della bocca. Era dolce Yana. Era dolce il modo in cui le loro anime tentavano di unirsi nella magia di quel bacio, lungo, disperato, insicuro...

Ben presto i loro respiri divennero corti. Spezzati.

I loro occhi si offuscarono. La stanza perse i contorni e i colori, e divenne eterea e vaporosa come una nuvola inconsistente.

Non avrebbero saputo spiegare neanche loro come avevano fatto a spogliarsi dei vestiti, e con essi della vergogna.

Non avrebbero saputo spiegare neanche loro come poteva essere tanto piacevole il tocco delle loro mani sui reciproci corpi.

Non avrebbero saputo allontanarsi da tutti quei diversi strati di gioia che li circondavano e li ingabbiavano in una bolla sospesa al di là del mondo, al di là del tempo. La loro non era altro che una piccola stanza, sospesa nel nulla, al di là della quale c'erano solo rabbia, dolore e morte. Nei loro occhi, invece, non c'era altro che gioia.

Forse quello era l'amore.

O forse non lo era.

In ogni caso, non aveva importanza. Erano felici, loro.

Sarebbe stata una gioia destinata a svanire, una volta varcata la soglia della stanza; sarebbe stato un desiderio destinato a svanire, una volta raggiunto l'orgasmo; sarebbe stata una sicurezza destinata a svanire, una volta abbandonato il tepore del letto...

Ma in quel momento non aveva senso. Nulla aveva senso, a parte il modo in cui i loro sospiri saturavano l'aria rovente.

"L" sussurrò lei, lasciando aderire il proprio corpo contro quello più esile di lui.

L si lasciò sfuggire un gemito deliziato. Quel nome sterile, se pronunciato da Yana, poteva diventare potenzialmente erotico...

Lei iniziò a chiamare il suo nome, soffiandolo nell'orecchio; quelle parole gli rotolarono addosso come un soffio rovente, eccitandolo oltre ogni più fantasiosa previsione. Cosa poteva essere più perfetto di quei brividi gelidi e al contempo incandescenti che gli scivolavano lungo la schiena? Cosa poteva essere più desiderabile delle labbra di Yana che si chiudevano morbidamente, come un fiore di loto, sulla curva marcata del suo pomo d'adamo? Cosa poteva confonderlo e deliziarlo di più di quel profumo di cocco e vaniglia che gli accendeva il fuoco nei lombi? Nulla.

Voleva farla sua. Doveva essere sua. Perchè lei era Yana, la vera Yana... E lui, per la prima volta, si sentì completamente catturato da tutto ciò che lei rappresentava. Desiderò congelare il tempo, per un ultimo istante, prima di marchiarla a fuoco con il proprio corpo, prima che la sottile linea che li separava si infrangesse come una bolla di sapone.

La guardò: era perfetta così. Non era alta. Non era neanche troppo magra; non aveva il naso alla francese e non aveva i capelli biondi o gli occhi azzurri... Ma nulla poteva essere più splendido di lei. Perchè lei era sua.

L si perse per un ultimo istante negli occhi lucidi di Yana, prima di accarezzarle il viso accaldato e scivolare delicatamente dentro di lei.

La sentì irrigidirsi e inarcare la schiena, sconvolta e deliziata dalla sua tanto attesa intrusione. Era così vicino al suo viso perfetto da poterle contare le ciglia; quelle ciglia lunghe e nere, come ventagli spalancati su un mondo che per la prima volta gli era concesso di vedere. Gli occhi di Yana, socchiusi e sognanti, non erano mai stati così presenti, così belli, così voraci. E questa fetta di paradiso, quest'attimo di sogno era solo per lui.

Una lacrima ribelle, grondante di piacere, era rimasta incastonata fra le sue ciglia, in attesa di scivolare giù, verso le sue labbra gentilmente aperte... Si sentì geloso di quella lacrima e la succhiò via, affondando contemporaneamente il grosso membro nella tenera carne del suo corpo. Una. Cento. Mille volte.

Abbandonare le nuvole per la realtà, in quel momento, gli sembrò impossibile.

Una. Cento. Mille volte, solo per lei. Dentro di lei. Attraverso di lei.

Ricordarsi di pensare, in quel momento, gli parve quasi una bestemmia.

Una. Cento. Mille volte insieme a lei. Con lei. Per lei.

Staccarsi dal tepore del loro abbraccio, in quel momento, era un gesto sovrumano.

Una. Cento. Mille volte assaporò il piacere di sentirla fremenere, sotto di lui.

"L!"

Era sua...

"L!"

Soltanto sua...

"L!"

Per sempre.

  

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Capitolo 11
*** Il giorno del giudizio ***


 

IL GIORNO DEL GIUDIZIO
 

-1 giorno

 

Ore: 11:50 pm

Matt correva.
Non avrebbe saputo dire con certezza da cosa stesse scappando, nè da quanto tempo lo stesse facendo. Sapeva solo che doveva correre.
Le sue scarpe da ginnastica producevano uno strano rumore liquido sui marciapiedi umidi, spruzzati qua e là da torbide pozzanghere maleodoranti che rimandavano una visione distorta dei negozi e dei pub che stava superando a gran velocità. Si sentiva stordito: il chiacchiericcio concitato dei passanti, l'ululato feroce delle sirene della polizia, l'abbaiare impazzito di un cane in lontananza... Tutto, ogni voce, ogni rumore, si era trasformato in un sibilo ovattatato, che gli dava l'impressione di aver perso l'udito tanto iniziava a mancargli il fiato a causa di quella corsa fuori programma.
L'unico rumore che gli teneva compagnia durante quella fuga disperata contro tutti e nessuno era il battito frenetico del suo povero cuore sotto sforzo...

Tump Tump Tump

Il latrato isterico delle sirene divenne più chiaro; più vicino.
Una dolorissima fitta alla milza costrinse Matt a strizzare le palpebre e a stringere i denti. Avrebbe tanto voluto fermarsi per riprendere fiato, ma respirare non era un lusso che poteva concedersi; non in quel momento. Mai come in quell'istante Matt maledisse se stesso per aver abituato i propri polmoni ad essere ingordi di nicotina e catrame, tanto che, se avesse avuto un pacchetto in tasca -con ogni probabilità- se ne sarebbe sbarazzato all'istante.
In ogni caso, non doveva fermarsi.
Non poteva fermarsi!

Tump Tump Tump

Ma perchè, dannazione, lo stavano cercando? Cosa volevano da lui? Perchè non gli davano un attimo di tregua?
Solo un attimo, sì... Un attimo per guardarsi intorno, per capire il senso del dramma che lo pretendeva come protagonista.
E lui, Mail Jeevas, non era pronto per un risvolto simile: lui non era mai stato protagonista di nulla. Neanche della propria vita.

Tump Tump Tump

Senza indugi, urtò un'anziana signora e la sorpassò senza scusarsi nè fermarsi. Era grassa? Era bionda? Non ricordava.
Non sapeva dove stesse andando.
Ogni piazza, ogni strada, ogni vicolo gli sembrava perfettamente identico a quello precedente e ormai aveva la sensazione terrificante di aver girato in circolo per più di un'ora. Il tappo ovattato che gli riempiva le orecchie di strano silenzio si trasformò in un fischio doloroso e destabilizzante, simile a quello di una vecchia teiera panciuta che, per un attimo, gli ricordò L e le sue tazze di porcellana bianca colme di zucchero e sporcate da qualche sporadica goccia di earl grey tea...
A quel pensiero, inconsciamente increspò le labbra in una smorfia disgustata: l'immagine di L riprodotta dalla sua mente gli aveva causato un moto di stizza inspiegabile, come se a quel volto scarno e a quel corpo gracile fossero legati solo pensieri spiacevoli.
Perchè era convinto di dover essere arrabbiato con il detective? Perchè il solo ricordo della sua voce piatta gli faceva annodare l'intestino come se fosse stato un grosso cobra pronto ad attaccare? Perchè il solo pensiero di L lo faceva sentire in collera con l'universo intero?
Non lo sapeva.

Tump Tump Tump

Sgusciò in un vicolo.
Qualcuno lo stava seguendo? Lo sciabordìo che sentiva era dovuto al suo sangue che ribolliva come una cascata di lava e orrore sotto la sua pelle, o era dovuto a decine, centinaia di piedi che ad ogni passo si avvicinavano a lui? Una cosa era certa: non si sarebbe voltato per verificare.

Tump Tump Tump

Il vicolo era buio e anonimo. Evitò agilmente un cassonetto dell'immondizia e, senza pensarci troppo, lo rovesciò con il braccio destro per ostacolare la corsa dei suoi inseguitori senza volto e senza nome. Alzò gli occhi, ritrovandosi ad un passo da una rete di metallo arrugginito, che divideva il vicolo da un cortile privato. Non gli occorse più di un ottantesimo di secondo per calcolarne l'altezza: due metri e mezzo.
Poteva scavalcarlo, si disse.

Tump Tump Tump

Disperato più che mai, Matt afferrò la rete di ferro e la strattonò, come se fosse lei la colpevole di tutti i suoi guai.
Infilò un'altra mano nel reticolato e, inavvertitamente, si tagliò il pollice. Il sentore pungente del sangue gli invase le narici e si mescolò al tanfo di ruggine e pioggia. Non aveva importanza. Introdusse un piede, come se volesse sventrare quella creatura di ferro che gli ostacolava il passaggio.
Ne infilò un altro, con più decisione.
Doveva farcela o lo avrebbero preso. Lo avrebbero catturato senza motivo. Gli avrebbero puntato contro le loro vigliacche dita accusatrici e gli avrebbero rovesciato addosso accuse senza fondamenta.
Lui non aveva fatto niente.
Lui era innocente!

Tump Tump Tump

Era dall'altra parte. Ci era riuscito.
Si voltò, trionfante e allo stesso tempo terrorizzato, pronto a fissare negli occhi gli uomini che volevano la sua testa per qualche assurdo motivo...
Sbattè più volte le palpebre, incredulo, ritrovandosi a contemplare il vicolo deserto. Non c'era nessuno.
Nessuno lo stava inseguendo...
Una goccia di sangue percorse l'unghia del suo pollice e si tuffò in una pozzanghera ai suoi piedi...
In fondo al vicolo, un camioncino bianco attirò la sua attenzione: un'ambulanza, cazzo! Un'ambulanza, non una volante della polizia!
Stanco e confuso, lasciò vagare lo sguardo alle suole delle scarpe e osservò i suoi stessi occhi riflessi nella pozzanghera. L'altro Matt sembrava spaventato quanto lui.

"Sii sincero" disse all'immagine riflessa nell'acqua torbida "Dimmi la verità almeno tu: è il mondo che è sottosopra, o sono io che sto impazzendo?"

Con uno sbuffo liberatorio, Matt si accasciò al suolo, incurante dell'umidità che gli impregnava i vestiti e che gli irrigidiva le ossa, e chiuse gli occhi, in attesa che il respiro si stabilizzasse e che il cuore tornasse a battere con regolarità. Si prese stancamente la testa fra le mani, affondando le dita gelide fra i capelli fradici e induriti dalla pioggia.
Cosa diavolo gli stava accadendo? Perchè qualcuno lo stava cercando? Soltanto pochi giorni prima, la polizia lo aveva sorpreso a passeggiare nei pressi di Covent Garden e un giovanotto biondo in divisa gli aveva gridato di alzare le mani sopra la testa, puntandogli contro un'arma da fuoco.
Si era spaventato, doveva ammetterlo. Era scappato, senza sapere perchè le forze dell'ordine volessero catturarlo, e iniziava segretamente a pentirsi di averlo fatto... Di sicuro, doveva esserci stato un malinteso; forse, se lo avessero lasciato spiegare, avrebbero capito che qualsiasi cosa credessero lui avesse fatto era fasulla.
C'era di sicuro un errore.
Doveva esserci!

Frugò fra le proprie tasche alla ricerca del cellulare. Non ricordava quando, ma purtroppo si era rotto: il touchscreen si era spaccato a metà, e la scheda prepagata era andata inspiegabilmente perduta. Possibile che l'avesse persa? Era piuttosto improbabile che qualcuno avesse smontato il suo telefono senza che lui se ne accorgesse. Eppure, non si sentiva di escludere quella possibilità. C'erano troppi buchi neri nella sua memoria.
In ogni caso, non poteva telefonare a Mello e chiedergli di raggiungerlo; non aveva soldi per chiamare da una cabina telefonica e chiedere ad un passante di prestargli il cellulare non gli sembrava l'idea migliore. Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?

La pioggia si trasformò in neve, candida e gelida. A Matt, quella visione paradisiaca e pacifica non ricordava il tepore di un caminetto o l'emozione del Natale: per Matt, la neve aveva lo stesso odore del sangue; del fuoco.
Della morte.

"Dove sei, Mello? Perchè non sei qui con me?" sussurrò, avvertendo improvvisamente gli occhi pungergli dolorosamente.

...E così, in preda alla paura e alla confusione, Matt finalmente pianse.

 

"Matt, dove cazzo sei finito!?" chiese Mello, alzando presuntuosamente il mento contro il cielo plumbeo.

Era stato costretto ad abbandonare la sua moto sul ciglio della strada, all'incrocio fra St.James's Park e Buckingham Palace, a causa della neve che aveva iniziato, poco a poco, a ricoprire le strade come una spolverata di gelido zucchero a velo. Intorno alla suola dei suoi costosissimi stivali di pelle lucida si era formata una cornice di nevischio grigiastro e sporco; il solo osservare quell'imperfezione gli causò un moto di stizza misto a rassegnazione.

Quando e se avesse trovato Matt, gli avrebbe messo in conto anche i suoi inestimabili stivali Dainese!*

Provò per l'ennesima volta a rimettere in moto il suo veicolo, ma il motore gemette, esausto, come uno strumento a fiato tenuto sott'acqua...

"Merda! Ci mancava solo questo"

Avrebbe dovuto chiamare Near e chiedergli di continuare le ricerche al suo posto? Neanche a parlarne! Di sicuro, il principino apatico avrebbe gradito la sua generosa richiesta - tanto più che, dall'alto della sua fraccomodità, avrebbe proseguito le ricerche a bordo di una calda e accogliente limousine. Mello sbuffò, contrariato all'idea di lasciare a quel testone di Near tutto il divertimento; perchè per Near, di divertimento si sarebbe trattato. Invece per lui, ritrovare Matt era di importanza vitale: era una questione personale.

...O, almeno, così gli piaceva pensare.

Di mala voglia, comunque, compose il numero del cellulare di Yana. Non sopportava quella ragazza e, ancor meno, sopportava l'idea che L le avesse dato il compito di visionare le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso di tutte le banche, grandi magazzini e musei di Londra, al solo scopo di cercare di ricostruire l'ipotetico percorso compiuto da Matt. Cos'erano quelle preferenze? Persino Matsuda avrebbe potuto occuparsi di un compito del genere. Perchè solo la Principessina sul Pisello Paranormale poteva permettersi il lusso di non mettere il suo impudente nasino patrizio fuori di casa, mentre lui era costretto a congelarsi le membra nel bel mezzo di una tormenta di neve?

Sbuffò di nuovo, contrariato dai suoi stessi pensieri. In fondo, lui era il nuovo L, ed era giusto che si mobilitasse in prima persona. E poi, di sicuro per Yana non sarebbe stato semplice dare fisicamente la caccia a suo fratello. E ancora, se quel compito pratico era stato affidato a lui, era perchè era l'unico in grado di portarlo a termine con una più alta percentuale di successo.

Sì, doveva essere così: L non era così buono da privilegiare qualcuno senza una motivazione valida.

Il cellulare squillò a vuoto per qualche secondo, quando la voce di Yana finalmente chiese "Mello?"

"No, la Fata Turchina! Sì, certo, Mello... Chi altri?!" chiese il biondo, stanco "Non posso proseguire con la moto" spiegò poi, riservando un'ultima occhiata alla carcassa della suo veicolo "Rientro a Scotland Yard con la prima metropolitana che trovo; tu manda un carroattrezzi a recuperare la mia due ruote il prima possibile, ok?"

"Aspetta! Ci sono delle novità" ribattè la ragazza "Seguendo le registrazioni siamo riusciti a ricostruire il percorso compiuto da Matt nelle ultime ventiquattro ore"

"Davvero?" chiese Mello, leggermente stupefatto "Qual è la zona?"

"Sta girando in tondo senza un obiettivo preciso... E' come se fosse disorientato" spiegò l'altra "Sta facendo su e giù fra Bridge Street e Victoria Station"

"Quindi è vicinissimo a Broadway e a Scotland Yard" ipotizzò Mello, controllando la piantina digitale sul display del suo cellulare.

"Secondo l'ultima registrazione, si sta allontanando verso Westminster Abbey; però L dice che c'è un margine di errore del 40% sul calcolo del percorso"

"Ci vado subito"

"Stiamo inviando anche delle volanti di soccorso" disse l'altra, e poi aggiunse "Ti raggiungiamo anche noi!"

"Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno" replicò il biondino, leggermente a disagio per la forzata intromissione della polizia nella sua faccenda personale.

"Neanche di un F.N. Nemesis e di proiettili al narcotico?"

Seguì una breve pausa, durante la quale un lieve sorriso affiorò sul viso di Mello.

"Yana?"

"Sì?"

"Non ti ci abituare ma... Non sei così male, per essere una raccomandata"

"Neanche tu sei così male, per essere la brutta copia di Britney Spears*"

"Dacci un taglio, con quel nomignolo!"

Così dicendo, Mello chiuse la comunicazione, si gettò al centro della strada senza curarsi delle macchine e costrinse una Lamborghini Gallardo arancione ad una brusca frenata. L'auto si arrestò a pochi centimetri dalle ginocchia di Mello, con uno stridìo di freni a dir poco assordante.

Il finestrino del pilota si abbassò velocemente, neanche fosse furioso anche lui.

"Ma che cazzo fai?!? Volevi morire, stronzo?" gli gridò un giovanotto dai corti capelli scuri, agitando furiosamente un pugno contro il cielo.

Mello si limitò a sollevare un sopracciglio, si controllò le tasche e ne estrasse una Glock Plus non più lucida a causa del troppo uso; di sicuro il fucile di precisione che gli avrebbe procurato Yana avrebbe fatto più effetto, ma per un figlio di papà pieno zeppo di soldi poteva andar bene anche la sua vecchia compagna di avventure. Nascose l'arma nella manica del giubotto: se il tizio avesse collaborato senza fiatare forse avrebbe anche potuto evitare di sventolare la sua pistola ai quattro venti.

"Allora, ti muovi? Spostati, testa di cazzo!!" continuò a gridare il proprietario della Lamborghini, suonando ripetutamente la tromba dell'auto.

"Hai davvero una bella macchina, amico" disse Mello, calmo, accostandosi al finestrino.

"Ragazzino, ma sei fuso o cosa? Levati oppur..." il povero disgraziato, che tanto povero non era, non riuscì a concludere la frase, poichè lo strano biondino dall'aria annoiata gli aveva appena piazzato la canna di una pistola fra le labbra.

L'uomo sbiancò e sgranò gli occhi, terrorizzato.

"Sarebbe buon'educazione scusarsi con chi si stava per investire, non credi?" chiese Mello, tirando indietro il cane della Glock "Scendi dalla macchina!" gli intimò poi, strappando con la mancina le chiavi dal quadro dell'auto per evitare una possibile fuga del pilota.

L'uomo obbedì, tremante e visibilmente terrorizzato.

Mello lo squadrò durante la discesa dall'automobile: era vestito con un completo grigio perla di Valentino, indossava un Rolex d'oro zecchino con il quadrante tempestato di brillanti e aveva davvero un bel paio di stivaletti neri...

"P-P-P-Prego!" farfugliò l'uomo "E' t-t-tutt-ta tua! Prend-d-dila pure! T-Tanto n-n-ne ho un'a-altra!"

Mello lanciò in aria le chiavi della Lamborghini e le riacciuffò al volo, fulminando quel giovane riccone con i suoi occhi fiammeggianti. L'uomo ebbe un sussulto ed emise un mugolìo strozzato alla vista della Glock, ancora saldamente puntata contro di lui, che si abbassava sino ad indicare le sue calzature...

A Mello per poco non sfuggì un sorriso.

"Ehi amico... Che numero hai di piede?"

Il Big Ben segnò le quattro del mattino, proprio mentre Matt si stava godendo un meritato caffè amaro in un take-away aperto ventiquattr'ore su ventiquattro. Il locale era semideserto, sporco e spartano, e nell'aria aleggiava un vago sentore di salsicce e fagioli, tipici del breakfast anglosassone. Lo stomaco del rosso gorgogliò, protestando sonoramente ad ogni sorsata di caffè bollente, ma a Matt non importava. Era immerso nei suoi pensieri confusi, alla ricerca di qualsiasi cosa gli potesse regalare un po' di normalità e, in quel frangente, persino lo squallido take-away all'angolo di Wenstminster Square faceva al caso suo.

La graziosa cameriera non mancava di scoccargli qualche sorrisino gentile ogni volta che Matt levava lo sguardo verso di lei, per poi riabbassarlo di colpo, scuro in viso. Il sorriso di quella ragazza era troppo luminoso per il suo umore, nero come il caffè che si ostinava ad ingoiare pur non avendo sete. La giovane donna, dagli eccentrici capelli decolorati e tinti di fucsia, corti e a spazzola, avrebbe anche potuto rimediare al vortice di sensazioni sgradevoli che si arrampicavano lungo la sua gola... Ma ogni volta che il pensiero di invitarla a bere un caffè si affacciava alla mente, l'immagine di Mello si appropriava prepotentemente del suo cuore, e lo stringeva in una morsa spinosa e letale.

Dov'era Mello? Perchè non si erano ancora ritrovati?

L'ultimo ricordo che aveva di lui era sbiadito e frammentario come un incubo notturno che svanisce dopo i primi attimi di veglia; come un puzzle senza senso, in cui i pezzi non sembrano trovar modo di combaciare.

Stava bene, Mello? Era forse arrabbiato con lui?

Mandò giù l'ultimo, amaro, sorso di caffè e spostò lo sguardo sulla clientela del take-away.

Non c'era nessuno di interessante: una guardia giurata che probabilmente stava aspettando di iniziare il turno di notte e che, nel frattempo, fumava una Marlboro Light al tavolino più lontano dalla sua posizione; un paio di impiegatucci in giacca e cravatta che sparlavano apertamente del loro capo mentre divoravano muffin ai mirtilli annaffiati con cappuccini che sapevano più di acqua calda che di caffè; e poi, c'era un giovane mediorientale, tutt'intento a cliccare sui tasti del suo pc portatile, incurante di tutto ciò che lo circondava.

Annoiato e stanco, Matt spostò lo sguardo sulla televisione: stava per iniziare il notiziario notturno.

"Scusi, può alzare il volume?" chiese uno degli impiegati alla graziosa cameriera, indicando al contempo il televisore. La donna, a malincuore, distolse lo sguardo da Matt e fece quanto le era stato ordinato. Il rossino era sicuro che, non appena l'avesse fatto, sarebbe tornata a concentrarsi su lui, ma inaspettatamente lei non lo fece: qualcosa aveva attirato l'attenzione di tutti, lì al take-away. Così, incuriosito, anche lui si concentrò sul notiziario... E sbiancò.

Un disegno colorato al computer riproduceva perfettamente il suo viso e, in sovrimpressione, lampeggiava pericolosamente la scritta: Matt - Pericoloso Criminale

Matt avvertì una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco: nausea.

"...Il pericoloso criminale -conosciuto come Matt- è sospettato di pluriomicidio volontario. L'omicida sarebbe stato avvistato dagli agenti di Scotland Yard nei pressi di Covent Garden soltanto trentadue ore fa, ma contro ogni previsione è riuscito a far perdere le proprie tracce e ad allontanarsi, indisturbato" annunciò una enchorewoman dai lunghi capelli biondi "Ed ora, facciamo qualche domanda all'ispettore Desmon Black, il responsabile delle indagini"

Il faccione rotondo del noto ispettore di Scotland Yard riempì lo schermo e, allo stesso tempo, riempì d'orrore anche il cuore di Matt.

"Ispettore Black, sarebbe così gentile da elencare i capi d'accusa?" chiese la telecronista.

"Certamente. Il ragazzo conosciuto come Matt era uno degli studenti del famoso istituto Wammy's House, andato distrutto nel corso di un incendio circa una settimana fa. L'incendio stesso, doloso, è da imputare alla follia di Matt, che fra le altre cose sarebbe colpevole di omicidio plurimo ed intenzionale"

"Come mai i nomi delle vittime non sono stati resi noti dalla polizia?"

"Per motivi di riservatezza. Dovevamo fare il possibile per non compromettere le indagini"

"Con il vostro consenso, possiamo mostrare i volti delle vittime al pubblico?"

"La pregherei di limitarsi a citare i nomi"

Il cuore di Matt perse un battito, in attesa.

"Le vittime del pluriomicida sono: Michael Parker - 24 anni; Andrew Mc Gregor - 24 anni; Roger Ruvie - 76 anni; You S. Nosobani - 21 anni..."

Cosa stava dicendo quella puttana? Come si permetteva di dire tali assurdità? Lui non aveva ucciso nessuno!

Nessuno!

"... Il detective Ryuuzaki - 25 anni; un suo compagno di studi conosciuto come Mello - 19 anni; un'agente di polizia - Yana Yaromira, 22 anni..."

No.

Non era possibile.

Non era vero. Non c'era niente di vero.

Mello e Yana...? Loro... Loro erano morti?

E li aveva uccisi lui? No. Non era possibile! MENZOGNE! Erano tutte menzogne!

"Stai mentendo!!" gridò Matt, in preda al panico, incurante delle occhiate cariche di sgomento e di terrore dei presenti "Sta mentendo! Fatela smettere!"

"E' lui!" gridò uno degli impiegati, sconvolto "E' l'assassino!"

"Tutti a terra!" strillò la guardia giurata, estraendo la propria pistola di servizio. La prima ad obbedirgli fu la giovane cameriera che, fra uno strillo acuto ed uno più alto ancora, si stese dietro il bancone.

Quel che successe dopo, fu semplicemente un'altra corsa contro il tempo: un'altra corsa verso il baratro.

Matt sollevò il tavolino da caffè, incurante della tazza di ceramica che andò in frantumi un attimo dopo. Si fece scudo con la superficie di alluminio, riuscendo così a proteggersi dai tre proiettili che erano diretti contro di lui.

Un ulteriore proiettile distrusse la vetrata alle sue spalle, mandandola in pezzi.

Era la sua occasione!

Con abile mossa sgusciò dall'apertura appena creatasi e si fiondò in strada, accompagnato dalle grida dei clienti del take-away e dallo scoppiettìo provocato da altri due colpi di pistola: uno di essi si incastrò nella rotula destra. Perse l'equilibrio ma riuscì a non rovinare a terra. Strinse i denti, con gli occhi fuori dalle orbite per il dolore lancinante che si espandeva in tutto il corpo. Forse non sarebbe più stato in grado di camminare, in futuro, ma in quel momento non poteva fermarsi: doveva assolutamente riuscire a scappare.

Stancamente, si trascinò sino all'uscita ovest di Wenstminster Street e si calò nella metropolitana, puntualmente seguito dalla guardia giurata. Aveva sparato in totale sei colpi: gliene rimaneva soltanto uno.

Poteva farcela.

Nonostante il dolore gli paralizzasse la gamba destra, Mett trovò la forza di risalire i gradini che lo avrebbero condotto all'uscita sud della stessa linea della metro e, quando riemerse in superficie, si accorse che stava ancora nevicando. Il sangue, che gli colava copiosamente dalla ferita fresca, izuppava di rosso la neve che si era depositata al suolo. Si costrinse a distogliere lo sguardo per non vomitare. Doveva restare lucido.

La cattedrale di Westminster Abbey, sede del Parlamento britannico, si ergeva dinanzi a lui e il Big Ben svettava contro il cielo violaceo come un immenso e famelico dinosauro di pietra...

Poteva farcela - si disse nuovamente.

"Mello..." sussurrò il fuggiasco, pensando alle notizie del telegiornale "Yana" aggiunse, sorpreso dalla sua stessa voce, incrinata dal dolore "Io..."

Vi ho davvero uccisi? Io?

"Vi raggiungerò presto... Non temete..." sussurrò, arrancando in direzione della cattedrale "Non vi lascerò soli"

L osservava la strada senza vederla davvero. Continuava a rosicchiarsi l'unghia del pollice, incurante del fatto che stesse già sanguinando da un bel pezzo, con aria assorta e sguardo fisso nel vuoto. Yana, al posto di guida, accarezzava con sicurezza il volante e la leva del cambio, destreggiandosi abilmente in un labirinto di strade coperte di neve, senza batter ciglio.
Nessuno dei due parlava.
La poliziotta era ridotta ad un fascio di nervi; masticava nervosamente il suo chewing-gum alla fragola e sussultava ogni volta che faceva scoppiare uno dei palloncini di gomma americana, nonostante fosse consapevole di essere lei stessa a produrre quelle piccole esplosioni: quel rumore le ricordava troppo il suono di uno sparo, nonostante quello prodotto dal chewing-gum fosse molto più dolce e basso. In quel momento, l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era la strada. Quel semplice premere i piedi sui pedali e fermarsi agli stop era un gesto meccanico, che le veniva naturale, ed era anche l'unica azione che le permetteva di non soffermarsi troppo a pensare alla situazione generale. Ogni volta che era costretta a fermarsi ad un semaforo, i pensieri tornavano ad investirla, crudeli e pericolosi come un'onda anomala: il tempo di L stava per scadere, la vita di Matt era in pericolo, e poi c'era ancora quell'altro problema... Quel problema che, in quel frangente, non sembrava tale, ma che per qualche strana ragione sembrava premere e scalciare dentro di lei, voglioso di essere esternato ed affrontato.
Ancora una volta, la poliziotta resistette all'impulso di inchiodare la macchina al centro della strada, aprire la portiera e scappare il più lontano possibile da tutti i guai che l'affliggevano. Doveva resistere; doveva farlo per L, per Matt e per se stessa.

La radio della polizia gracchiò.

"Gatto Silvestro a Duffy Duck, mi ricevete? Passo"

Oh sì... Matsuda avrebbe potuto benissimo inventarsi dei nomi in codice migliori!

"Sì, Matsuda. Parla pure" rispose Yana, svoltando ad un incrocio.
"Hai dimenticato di dire -passo-" la corresse il poliziotto "Comunque, abbiamo avvistato Doomsday: abbiamo ricevuto la segnalazione da una guardia giurata che presta servizio a Wenstminster Abbey. Io e Near stiamo andando lì. Passo"
"Stiamo arrivando. Passo" rispose L, staccando finalmente le labbra dalle proprie unghie.
"E' arrivato anche Mello. Passo e chiudo!"

Per una manciata di secondi, il silenzio tornò a regnare sovrano all'interno dell'abitacolo.
Poi, Yana parlò...

"Era proprio necessario diffondere la notizia della nostra morte?"
"Sì"
"Perchè?" insistette la poliziotta, stanca dei monosillabi del detective.
"Perchè esiste la possibilità che Matt abbia rinunciato al quaderno"

Yana si rosicchiò l'interno delle guance, cercando di capire il senso di quella spiegazione.

"Cosa te lo fa pensare?"
"Il fatto che lui stesso sia ancora vivo"
"Non ti seguo..." ammise la poliziotta, nervosa.
"Doomsday non è come Kira; non ha la stessa forza e la stessa sete di potere. Lui non vuole regnare come un Dio di un ipotetico mondo perfetto"
"Stai insinuando che Matt sia un debole?"
"No. Lo sto affermando"

Seguì un'altra pausa.

"Continuo a non capire questo cosa c'entri con il fargli credere che noi siamo morti"
"Voglio che si senta in colpa..."

Yana schiacciò con violenza il piede sul freno, tanto che per poco L non sbattè la testa contro il tergicristallo.
La poliziotta sbiancò e cercò lo sguardo del detective, orripilata.

"Tu... Vuoi indurlo al suicidio"

Il detective si limitò a ricambiare lo sguardo, con lucida calma.

"E' l'unico modo per indurlo ad uscire allo scoperto. Se si rendesse conto di aver ucciso te e Mello, di sicuro sceglierebbe di togliersi la vita, e lo farebbe in modo piuttosto plateale... In effetti, trovo che sarebbe proprio un gesto stupido"
"Tu avevi previsto che avrebbe rinunciato al quaderno?! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?" sbraitò la poliziotta, furiosa.
"Non avevo scelta"
"C'è sempre una scelta, L" dichiarò Yana "Non lascerò che mio fratello si tolga la vita"
"...Allora, saresti capace di premere il grilletto contro di lui?"

Yana non rispose e, come se il detective non avesse aperto bocca, inserì la prima marcia e partì.
Segretamente, la sua risposta fu un implicito e secco no.

Matt osservava rapito i coriandoli di neve che vorticavano attorno a lui, che scendevano dal cielo e che proseguivano in graziose piroette verso il Tamigi. Il vento gli frustava le guance e il sangue colava dal suo ginocchio ferito, scivolando velocemente verso il quadrante dell'orologio del Big Ben - pochi metri sotto di lui. Si era trascinato a fatica sulla cima della torre, simbolo di Londra, e ora che aveva raggiunto la sua meta non poteva far altro che osservare le acque scure del fiume che presto avrebbero accolto le sue spoglie mortali.
Si sarebbe suicidato.

Dopotutto, se lo meritava no? Aveva commesso molti peccati; aveva provato invidia, lussuria, superbia... E li aveva trasformati in morte.
Aveva ucciso Mello e Yana e, anche se non ne aveva memoria, non poteva ignorare di averlo indiscutibilmente e innegabilmente fatto.
Come li aveva uccisi? Non lo ricordava.
Avevano sofferto? Non lo sapeva.
Cos'avevano visto prima di morire? Le sue mani che stringevano le loro gole? Non poteva ricordarlo.

Un'ennesima fitta al ginocchio gli ricordò di essere ancora vivo. Non avvertiva più il freddo... Il freddo era qualcosa che, mai come in quel momento, gli sembrava piacevole. Gli ricordava la morte e la morte era proprio ciò che più desiderava.
Voleva morire per espiare le sue colpe. Per redimersi. Per pulire la sua anima dal male che aveva fatto a se stesso e alle persone che amava...

Lui doveva morire.

Chiuse gli occhi e piegò il ginocchio sinistro, quello sano, in procinto di lanciarsi nel vuoto, quando una voce alle sue spalle gli gelò il sangue nelle vene.

"Non è una grande idea"

Quella voce... L'avrebbe riconosciuta fra mille.
Si voltò, rischiando di perdere l'equilibrio, e si scontrò immediatamente con l'angelica bellezza di Mello.
Com'era possibile? Era già morto? Si era lanciato nel vuoto ed era spirato senz'accorgersene?
Mello non c'era più. Lo aveva ucciso lui. Com'era possibile che fosse lì, a pochi metri di distanza?

"Dicevo... Non è una grande idea farsi un bagno con questo freddo..." proseguì Mello, osservando il volto di Matt, congelato dallo stupore.
"Ma tu... Come mai non sei...? Tu non...?"
"Come mai non sono morto? Dio, Matt! Mi credi così debole da morire per mano di uno stupido quaderno?"
"Quaderno? Io non capisco... Come...?"
"Hai dimenticato tutto" non era una domanda, quella di Mello "Dammi la mano e lasciati arrestare. Ora hai bisogno di cure"
"No, io... Questo dev'essere un sogno. Tu sei morto! Ti ho ucciso io!" replicò Matt, arretrando di un passo e avvicinandosi pericolosamente al baratro alle sue spalle.
"Tsk! Stupido... Sono vivo, no? Quelle che hai visto al telegiornale erano notizie false. Ora vieni qui, che devo metterti questo paio di braccialetti!" gli intimò Mello, mostrandogli un paio di manette di lucido metallo. Così dicendo, Mello avanzò di un passo e, contemporaneamente, Matt ne fece uno indietro.
Perse l'equilibrio e avverì immediatamente il vuoto sotto i suoi piedi.
Le mani afferrarono l'aria, finchè qualcosa non strinse con violenza il suo polso destro.
Quando Matt ebbe nuovamente il coraggio di aprire gli occhi si rese conto di avere decine di metri sotto di sè, ma la distanza che lo separava da una morte certa non si accorciava perchè qualcosa lo stava trattenendo con energia: la mano di Mello.
I loro occhi si cercarono, disperati.

Mello stava facendo forza sui gomiti per non essere trascinato nel vuoto insieme a Matt, e con l'altra mano tentava disperatamente di aiutarlo a risalire, ma era tutto inutile: i piedi di Matt penzolavano nell'aria, circondati da mille fiocchi di neve bianca. Non c'erano appigli.
Mello strinse i denti, in una smorfia di dolore.

"Resisti" sibilò al rosso "Cerca di darmi l'altra mano"
"No... Io non me lo merito. Perchè lo stai facendo?" rispose il biondino, con lo sguardo offuscato dalle lacrime.
"Smettila di essere così egoista!!!" gridò Mello, fuori di sè "Dammi quella cazzo di mano, e lasciati salvare!"
"Ma... Perchè...? Io ho..."
"Non mi importa di quello che hai fatto! Mi importa di quello che puoi ancora fare per rimediare... E non è certo con la tua morte che cambierai il passato!"
"Mello..."
"Ora dammi l'altra mano!"

Con una forza che Matt credeva di non possedere sollevò il braccio sinistro e strinse con forza la mano contro il polso di Mello, ma proprio in quel momento il biondino venne trascinato verso il vuoto...
Accadde tutto molto lentamente: prima il corpo di Mello slittò verso quello di Matt, i loro occhi si guardarono, spalancati e terrorizzati, poi le gambe di Mello fendettero l'aria, con i piedi che svettavano in direzione del cielo... E poi iniziò la discesa...
Con la coda dell'occhio Matt osservò le acque scure del Tamigi che si avvicinavano, pronte ad inghiottirli. Era finita.
Non avevano vie di scampo.

"Perdonami Mello..." gridò il rosso proprio in quel momento...

Sarebbero morti insieme. E, ancora una volta, era colpa sua.
Chiuse gli occhi con forza, pronto a scontare anche quell'ulteriore fardello... Quando il suo corpo atterrò su qualcosa di morbido, per essere subitamente schiacciato dal peso di Mello. Un attimo dopo, svenne a causa del dolore al ginocchio.

Mello si fece coraggio ed aprì piano un'occhio... Poi li spalancò entrambi a causa della sorpresa.
Lui e Matt erano atterrati su una specie di alto materasso ad acqua. E si trovavano a bordo di un motoscafo.

"Ma come...? Chi...?" blaterò, incredulo.
"Mi devi un favore" disse una voce infantile alle sue spalle: quella di Near.

La figura bianca ed esile del ragazzino fece capolino da sottocoperta; al timone c'era Matsuda, intento nel fare manovra per tornare incolumi verso il molo.
Li avevano salvati per il rotto della cuffia! Near aveva avuto un'idea eccezionale, questo Mello glielo doveva proprio riconoscere, ma soprattutto era riuscito ad attuarla in tempo grazie all'aiuto del poliziotto giapponese...
Era incredibile!

Mello si costrinse a chiudere la bocca, ancora spalancata per la sorpresa. Non poteva impressionarsi per così poco, no?

"Non ti aspetterai mica che ti dica grazie?" replicò Mello, cercando di rimettersi in piedi.
"No... Ma mi renderai il favore, vero?" chiese Near, accennando un sorriso.
"Ci puoi contare"

Seguì una breve pausa, in cui i due rivali si sorrisero sommessamente; pausa, che venne interrotta da Matsuda, armato di manette.

"Dobbiamo arrestarlo lo stesso, Mello" gli disse il poliziotto, che appariva dispiaciuto.
"Lo so... Ma dobbiamo portarlo in ospedale. E' ferito" disse il biondino, esaminando la ferita di Matt.
"Certo. Il dottor Cox è già arrivato al molo con un'ambulanza"

E così, Mello finalmente si rilassò, e osservò il motoscafo che ripiegava placidamente verso la riva...
Forse, adesso poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo...

Matt venne portato via d'urgenza all'ospedale più vicino a bordo dell'ambulanza...
L osservò la vettura che si allontanava a sirene spiegate, con la sensazione di essersi definitivamente spogliato d'un peso: poteva definitivamente ritenersi soddisfatto di come si erano svolti i fatti...

Yana in quel momento appariva più tranquilla, ora che il fratello sembrava essere tornato quello che lei conosceva.
Fu segretamente felice di vederla più rilassata; dopotutto, quella ragazza ne aveva passate di tutti i colori da quando lui era piombato nella sua vita...

Mello e Near sostavano l'uno accanto all'altro e osservavano la neve che scendeva placidamente giù dal cielo...
Anche fra loro due sembrava essersi instaurato un certo equilibrio.
Insieme sarebbero stati in grado di sostituirlo egregiamente: Near sarebbe stato una lucida mente, mentre Mello sarebbe stato un valido braccio.

E Matsuda... Matsuda ormai sembrava aver preso a cuore il piccolo Near.
I primi disagi e timori nei confronti di quello strano ragazzino sembravano essere stati sostituiti da tenerezza e da affetto sincero.
E lui era sicuro che il poliziotto giapponese sarebbe stato ben felice di prendersi cura di qualcuno; dopotutto, Near era pur sempre un bambino di tredici anni.

Era andato tutto bene -si disse- era andato tutto per il meglio. C'era solo un'ultima cosa da fare, prima che il sipario calasse sulla scena...

Timidamente afferrò la mano fredda di Yana. La strinse con forza, come se volesse cercare disperatamente di infonderle un po' di calore.
La poliziotta si voltò a guardarlo: i suoi grandi occhi verdi brillavano di sollievo. Ad L si strinse il cuore: avrebbe dovuto lasciarla...
Era davvero un peccato aver scoperto l'amore così tardi, quando ormai mancava così poco tempo... Così troppo poco tempo...
Si avvicinò alla ragazza e le sfiorò la fronte con un bacio leggero, lungo ed immensamente triste.
La ragazza si strinse contro il suo piccolo corpo, in cerca di calore. Immaginò che stesse chiudendo gli occhi... Quegli occhi così belli...
Involontariamente, L le circondò la vita con forza, come se avesse tutta l'intenzione di restare così per sempre.

"L... Cosa c'è?" chiese lei con un filo di voce. Aveva capito. Lui lo sapeva che lei aveva capito.
"Non è un problema"
"Cosa?" chiese la ragazza, confusa.
"Quello che volevi dirmi... Quello che volevi farmi sapere e che non trovavi il coraggio di dire... Non deve essere un problema"
"L..." le lacrime iniziarono a rigare il volto della poliziotta.
"Ti prego di averne cura, di quel problema... Me lo prometti, Yana?"
"Sì! Sì, L, te lo prometto" rispose la poliziotta, piangendo di dolore e di gioia "Certo che voglio prendermene cura, ma tu..."

L soffocò le parole di Yana con un lungo bacio. Near e Matsuda distolsero lo sguardo, mentre Mello li osservava, curioso.
Da quando quei due stavano insieme?

"Ti amo, L"

A quella rivelazione, che suonò più come una supplica che come un'affermazione, L stiracchiò le labbra in un sorriso mesto.

"Ora vorrei restare solo..."
"Ma non...!" le parole della ragazza vennero fermate dall'indice del detective, che si andò a posare sulla sua bocca.

Yana capì e si sforzò di annuire, nonostante non avesse il coraggio di accontentare la richiesta del suo amato...
Subitamente, Mello, che non aveva mai potuto soffrire la poliziotta, la prese per un braccio, con delicatezza, e la costrinse ad allontanarsi. L osservò Yana voltarsi più e più volte, in cerca di un ultimo sguardo... E poi la vide piangere nell'incavo della spalla di Mello.
Si sforzò di non gridarle di tornare indietro e di restare con lui.
Si voltò a guardare Matsuda e Near, pur di non continuare a seguire le orme lasciate da Yana nella neve...
Gli occhi del giapponese erano lucidi di lacrime, al contrario di quelli di Near, perfettamente asciutti, ma sinceramente addolorati.

"Non ti dimenticherò mai, L"
"Abbi cura di te, Matsuda..."

E fu così che L rimase solo. Respirò a lungo l'aria gelida dell'alba dell'ultimo giorno.
I primi, timidi raggi di sole spazzarono via la coltre di nubi che oscuravano il cielo; i colori dell'aurora dipinsero il cielo, l'aria e persino l'acqua con ampie e distratte pennellate d'oro. Tutto il mondo attorno a sè veniva risaltato da una splendida e rasserenante aura dorata e luccicante. Era tutto così... Perfetto. E bello. Non si era mai soffermato ad osservare quanto potesse essere splendido il mondo; aveva sempre cercato di capirne le funzioni, gli sviluppi, i cambiamenti... Ma c'erano delle cose, così semplici, che non potevano essere spiegate. E così era quel momento: il sorgere del sole.
Un moto antico, eppure sempre nuovo e diverso...

Chiuse gli occhi.

Le lancette del Big Ben si spostarono sino a segnare le sei del mattino.
L'orologio rintoccò una prima volta...
Una seconda...
Una terza...

Sarebbe stato bello -pensò- restare ancora un po' ...

Il Big Ben rintoccò una quarta volta: il cuore di L si contrasse in uno spasmo.
Rintoccò una quinta volta: le ginocchia cedettero.
Rintoccò una sesta volta: i suoi occhi si chiusero.
L si era spento serenamente, all'alba del ventitreesimo giorno: il giorno del suo giudizio.

L, l'uomo che aveva sventato la terza guerra mondiale, l'uomo che da solo aveva cambiato il destino del mondo, l'uomo che aveva sconfitto Kira, l'uomo che aveva piegato la morte al proprio volere, l'uomo che si era sacrificato in nome della Giustizia... Da quel giorno, divenne LEGGENDA.

Epilogo

 

10 anni dopo

 

Mello attraversò i corridoi del carcere con passo sicuro e mento in sù, sgranocchiando di tanto in tanto una barretta di cioccolato fondente; conosceva a memoria ogni angolo ed anfratto di quel luogo, tanto che avrebbe saputo orientarsi in quell'intricato alveare di grigio cemento anche ad occhi chiusi e su una gamba sola. Salutò Scotty, il nuovo ispettore della centrale di polizia: era un omaccione alto e muscoloso, dai corti capelli biondi e dai luminosi occhioni turchini, che incuteva timore al solo vederlo... E dire che lo aveva conosciuto quand'era ancora solo un pivellino, smilzo e timidone!
Scotty ricambiò il saluto e, come faceva ogni dì, si congratulò con Mello per i suoi bellissimi stivali.
Mello ormai non ci faceva più caso; ogni minimo gesto faceva parte del grande ingranaggio della sua quotidianeità: quel posto era diventato come una seconda casa per lui, ma lo sarebbe stato ancora per poco perchè presto Matt sarebbe stato rilasciato e sarebbe stato affidato alla sua custodia.
Si sarebbe accollato lui stesso tutte le responsabilità del caso, e lo avrebbe fatto con immenso piacere.

Attraversò un'ultima porta, oltre la quale avrebbe incontrato nuovamente Matt e gli avrebbe parlato da un vetro blindato per mezzo di un telefono. Prima di andare, osservò la sua immagine riflessa allo specchio posto sulla parete destra del corridoio...
Non era cambiato molto, in quei dieci anni: aveva tagliato i capelli, che ora erano cortissimi, quasi da militare; la sua mascella si era squadrata ed era ricoperta da una sottile peluria bionda, morbida e molto curata. Per il resto, era rimasto lo stesso Mello di sempre.

Abbassò la pesante maniglia d'ottone e si ritrovò faccia a faccia con Matt, seduto al di là del vetro.
Non appena lo vide, gli occhi del giovane si illuminarono di gioia e gli angoli delle sue labbra si inarcarono verso l'alto, rivelando una fila di dentini piccoli e bianchi come perle. Anche Matt non era cambiato troppo: aveva ricominciato ad indossare i suoi caratteristici occhialini con l'elastico e aveva lasciato crescere i capelli, che ora portava raccolti in un codino basso; nel complesso, assomigliava molto più ad un surfista americano che ad un criminale.

Ah... E poi c'era il cambiamento più significativo: a causa della pallottola che lo aveva colpito dieci anni prima, il suo ginocchio destro aveva riportato una frattura insanabile, tanto che, ormai, il povero ragazzo non poteva più camminare senza l'ausilio delle stampelle o della sedia a rotelle. Ma Matt aveva accolto quell'handicap con naturalezza, quasi come fosse segretamente felice di poter espiare i suoi peccati in qualche modo, anche a costo di dover dipendere da qualcun altro per il resto dei suoi giorni... E in ogni caso, ci sarebbe stato sempre la solida spalla di Mello alla quale appoggiarsi.
Mello ricambiò il sorriso, anche se meno platealmente, e si accomodò sulla poltroncina di pelle scura che sostava dall'altro capo del vetro blindato. Afferrò la cornetta del telefono e se la portò all'orecchio sinistro...

"Ti trovo bene..."
"Anche tu non sei niente male, Britney"
"Risparmiati il sarcasmo per quando sarai fuori di qui"
"Non vedo l'ora... Sono cambiate tante cose in questi dieci anni..."
"Già"
"Ma tu non sei cambiato" continuò Matt, sciogliendosi in un sorriso dolcissimo.
"Ah no? Potresti ricrederti... Sai, credo di essere diventato più irritabile da quando lavoro con Near"
"Oh... Vorrà dire che quando tornerai a casa ci penserò io ad ammansirti"
"Vorresti domarmi?" chiese Mello, lasciandosi sfuggire una mezza risata soffocata.
"Solo se me lo chiederai... Dopotutto, sono sempre stato piuttosto bravo nel farti ruggire..."

E andarono avanti così, ridendo e scherzando in un modo tutto loro, finchè per Mello non arrivò l'ora di andar via. I due si salutarono, felici di potersi riabbracciare nel giro di poche ore; presto non ci sarebbero stati più nè vetri blindati nè telefoni a dividerli... E il fuoco della loro passione sarebbe tornato ad ardere come un tempo.
Mello lasciò il carcere e si diresse a passo svelto verso il ciglio della strada dove, non soltanto la sua moto, ma anche una splendida limousine nera lo stava attendendo...

Il finestrino dal vetro oscurato si abbassò silenziosamente e il viso pallido di un giovanotto dai capelli candidi fece capolino dall'interno dell'autovettura.

"Ce ne hai messo di tempo..." ironizzò Near, con voce piana.
"Sei tu che sei in anticipo" lo incalzò Mello, accomodandosi sul sellino della propria motocicletta.

Un secondo finestrino, quello del pilota, si abbassò e rivelò il volto di Matsuda -che nel frattempo era diventato parte della Squadra L.

"Vogliamo star qui a chiacchierare o andiamo ad incastrare il serial killer di Brighton?" chiese il poliziotto.
"Facciamo una gara" propose Mello, calandosi il casco sulla testa "Chi arriva prima risolve il caso... Ci stai, Near?"
"Non c'è sfida che io non accetti, Mello" rispose l'altro, sollevando il finestrino.


E così, il nuovo L -cioè Near e Mello- continuava a liberare il mondo dagli oppressori e dai disonesti, in nome della Giustizia.

...O almeno, questo era quello che il giornale che stava leggendo Yana riportava...

La poliziotta bevve un lungo sorso di spremuta d'arancia prima di chiudere il quotidiano e lasciar vagare lo sguardo lungo le colline verdeggianti e il lago che si trovava a poca distanza dalla villetta di campagna che il vecchio ispettore Black le aveva regalato dieci anni prima. L'ispettore Desmond ormai aveva raggiunto la sua tanto agognata pensione e si era trasferito con Yana in quella casetta accogliente, lontana dal caos e dallo smog della Capitale. Spesso e volentieri, il dottor Perry Cox andava a trovare il suo vecchio amico e trascorreva con lui intere giornate a giocare a carte; oppure, quando il tempo era particolarmente bello, proprio come in quella giornata d'estate, i due amici se ne andavano a pesca e facevano a gara a chi catturava la carpa più grossa.

A Yana piaceva quella vita, ma avrebbe potuto essere ancor più bella se soltanto L fosse stato lì con lei...
Non c'era giorno che non pensasse a lui, alle sue unghie rosicchiate, ai suoi capelli scompigliati e ai suoi occhi d'inchiostro... Eppure, c'era un problema che riusciva ad alleviare le sue sofferenze e a trasformarle in gioia sconfinata: e quel problema le stava venendo incontro di corsa, a grandi falcate, sporco di fango da capo a piedi e con i capelli zuppi d'acqua.

"Mamma! Mamma!"

Yana storse il naso e si lasciò scappare una risata "Justice, si è fatto tardi! Vieni a mangiare!"

Ebbene sì, Yana aveva avuto una figlia da L.
Il suo nome era Justice, ed aveva ormai nove anni. Fisicamente ricordava molto il padre: era gracile, ma non debole; era candida, ma non pallida. Il suo visetto era magro ed appuntito, ma era anche semplicemente dolcissimo, con i lunghi capelli corvini, perennemente scompigliati, che le incorniciavano l'incarnato, e con gli enormi occhi verde smeraldo che le illuminavano il volto.
Gli occhi verdi erano l'unica cosa che Justice aveva preso dalla madre...
O meglio, non proprio l'unica...

Justice non era silenziosa come lo era stato il padre; era una bambina vispa e solare, ed era anche incredibilmente intelligente: a quattro anni già parlava tre lingue e faceva di conto, leggeva dozzine di libri e costruiva altissimi castelli di carte... E, sotto questo punto di vista, di sicuro Justice era più simile ad L che a Yana.
Ma c'era un particolare che alla madre non era sfuggito: Justice aveva ereditato il suo sesto senso. I suoi poteri.

Justice non parlava molto di questa sua dote, ma Yana spesso la vedeva parlare da sola.
E tutte quelle volte, Justice rideva e scherzava con una persona invisibile, ma che per Yana era inconfondibile...

Quella persona, Justice la chiamava "papà"

"Non voglio mangiare il pesce del nonno Desmond! Non mi piace!" protestò la piccola Justice "Voglio il gelato!"
"Tale e quale a tuo padre, non c'è che dire!" disse Yana, battendosi una mano sulla fronte "Se mangi solo dolci finirai per ingrassare!"

Justice rimase un attimo in silenzio e guardò alla propria destra. Poi rise.

"Papà dice che se i dolci li si mangia con la testa non si può ingrassare!"
"Di' al tuo papà che deve inserire le proteine all'inizio del suo alfabeto" disse Yana, ironica. Ormai si era abituata a questo scambio di battute silenziose fra sua figlia e lo spirito di L, e lo trovava anche molto rassicurante.

La bambina ripetè l'operazione, ma stavolta non rise. Sembrava perplessa.

"Che c'è tesoro?"
"Non ho capito una cosa che mi ha detto papà"
"Oh, davvero?" chiese la madre, inginocchiandosi davanti alla figlia.
"Ha detto di dirti che all'inizio del suo alfabeto c'è solo Я"**
Yana abbracciò forte sua figlia e disse sotto voce "Grazie L"

FINE

*Britney Spears - Yana chiama in questo modo Mello nel 4° capitolo di questa fic
** Richiamo alla frase "Я è l'ultima lettera dell'alfabeto" che Ruvie era solito dire a Yana - la trovate nel 4° e nel 7° capitolo

E così sono finalmente arrivata a scrivere questa parola. Fine. E' davvero strano per me annunciare la conclusione di questa storia che, nel bene e nel male, con gioia e con dolore, mi ha aiutata a migliorare. Posso ritenermi discretamente soddisfatta di ciò che ho scritto; credo di aver ideato una buona trama e un buon personaggio femminile che -spero- non sia considerato una MarySue solo perchè ha una figlia da L. L'idea di Justice è sorta alla fine, al solo scopo di prolungare l'esistenza di un L che non poteva essere in alcun modo salvato. Sono soddisfatta di come ho parlato di L; e anche di Mello e Matt posso ritenermi piuttosto compiaciuta. Mi dispiace invece per Near e Matsuda, che non ho saputo sviluppare come e quanto avrei voluto.
In sostanza, questa storia è per me motivo di orgoglio nonostante sia consapevole di non averla scritta come avrei dovuto. Mi riprometto di ricontrollarla nuovamente in futuro e cercare di aggiustare la sintassi e la grammatica. Detto questo, ragazzi cari, è veramente la fine ^^

Ringrazio con immenso affetto e con sconfinata gratitudine:

ICEMAN
REDSEAPERL
AVLY
SMOOTH CRIMINAL
PADME86
MYROSE
ZIO KIRA
PICH_91

Inoltre ringrazio chi ha messo questa storia fra le preferite:

FUJIMAYA
GBR_IVAN90
ICEMAN
LAYLA94
SMOOTH CRIMINAL
ZIO KIRA

Ringrazio ancora chi ha messo questa storia fra le seguite:

AVLY
BIKA
BLACKYGRACE
GOKUMICIANERA
LAYLA94
MYROSE
PADME86
PICH_91
REDSEAPERL
SMILE989
_BONNIE_

 

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