Giglio di picche

di KH4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rogh Town. ***
Capitolo 2: *** Il giglio da 90 milioni di berry. ***
Capitolo 3: *** Confronto. ***
Capitolo 4: *** Fuga. ***
Capitolo 5: *** L'ultima alleata della ciurma dei pirati di picche. ***
Capitolo 6: *** Domande. ***
Capitolo 7: *** Giungle River. ***
Capitolo 8: *** Prendendo il largo. ***
Capitolo 9: *** La promessa. ***
Capitolo 10: *** La proposta della Marina. ***
Capitolo 11: *** Dubbi e pensieri. ***
Capitolo 12: *** Yukiryu, l'isola delle nevi perenni. ***
Capitolo 13: *** I ringraziamenti di Ace. Si festeggia! ***
Capitolo 14: *** A ritroso nel tempo. Sayuri, la figlia del diavolo. ***
Capitolo 15: *** Hotarubi. ***
Capitolo 16: *** Una semplice e preziosa verità. ***
Capitolo 17: *** L'isola delle perle. Jimbe, il Cavaliere del Mare. ***
Capitolo 18: *** La predizione della sibilla. Attacco a tradimento. ***
Capitolo 19: *** Si comincia! ***
Capitolo 20: *** Sulla vetta. La conca spinosa. ***
Capitolo 21: *** Tiratori a confronto. L'astuzia del medico-cecchino. ***
Capitolo 22: *** Battaglia sulla spiaggia. Due stili contrapposti. ***
Capitolo 23: *** La tranquillità che precede la tempesta. ***
Capitolo 24: *** L'imperatore Bianco. Il sogno da difendere. ***
Capitolo 25: *** L'orgoglio del fuoco. Il potere Gura Gura. ***
Capitolo 26: *** Risveglio. A bordo della Moby Dick. ***
Capitolo 27: *** Quando i timori diventano realtà. ***
Capitolo 28: *** Cosa fare? ***
Capitolo 29: *** Il momento di scegliere. Quando le parole contano più delle azioni. ***
Capitolo 30: *** Finalmente pace.....o quasi. ***
Capitolo 31: *** Rispetto. ***
Capitolo 32: *** Regalo. Il brindisi dei comandanti. ***
Capitolo 33: *** L'isola Otako. Lo spezzarsi della felicità. ***
Capitolo 34: *** Verità (prima parte). ***
Capitolo 35: *** Verità (seconda parte). ***
Capitolo 36: *** Risveglio con interrogatorio! ***
Capitolo 37: *** Extra: una giornata sulla Sunny! ***
Capitolo 38: *** Wintry Realm. ***
Capitolo 39: *** Egoista. ***
Capitolo 40: *** Le paludi di Loriam, l'inesistente terra. ***
Capitolo 41: *** Macabra leggenda: il tesoro che portò la rovina. ***
Capitolo 42: *** Persi nel labirinto. ***
Capitolo 43: *** Giù dove le ombre si annidano. ***
Capitolo 44: *** Inquietudine fra le mura di casa. ***
Capitolo 45: *** Sbarco a Kaluka. ***
Capitolo 46: *** Sparizione. ***
Capitolo 47: *** Dark blood. ***
Capitolo 48: *** Richiesta. ***
Capitolo 49: *** Distacco. ***
Capitolo 50: *** Amico. ***
Capitolo 51: *** Il preannuncio d'ogni paura. ***
Capitolo 52: *** Too late. ***
Capitolo 53: *** Udienza al palazzo di Pietra Blu. ***
Capitolo 54: *** Appello alla giustizia (prima parte). ***
Capitolo 55: *** Appello alla giustizia (seconda parte) ***
Capitolo 56: *** Aiuto inaspettato. ***
Capitolo 57: *** Un salto di vent'anni. L'ammiraglio Aron. ***
Capitolo 58: *** Impel Down. Comincia la discesa. ***
Capitolo 59: *** Avanza la notte. Disordini sui piani. ***
Capitolo 60: *** L'inferno ardente. La supremazia di Magellan. ***
Capitolo 61: *** L'inferno di ghiaccio. Deviazione d'emergenza. ***
Capitolo 62: *** La cura ormonale di Rufy e l'altro inferno. ***
Capitolo 63: *** L'inferno eterno. Destinazione raggiunta. ***
Capitolo 64: *** La risalita della speranza, la discesa del male. ***
Capitolo 65: *** Faccia a faccia / Divine Recall. ***
Capitolo 66: *** Handbreadth Court. ***
Capitolo 67: *** Farò di lui il Re dei Pirati. ***
Capitolo 68: *** Ritorno all'inferno ardente. ***
Capitolo 69: *** Al di là della porta / Finalmente fuori. ***
Capitolo 70: *** Resoconto post-guerra. ***
Capitolo 71: *** Ridestarsi. ***
Capitolo 72: *** Open your eyes. ***
Capitolo 73: *** Everything. ***
Capitolo 74: *** Facciamo festa!! ***
Capitolo 75: *** Final/ I'll keep my promise. ***
Capitolo 76: *** Extra: Simple and Clean. ***



Capitolo 1
*** Rogh Town. ***


Ringrazio una mia amica per avermi aiutato a decidere se mettere o meno questa fict.Comunque a chi la leggerà sappia che posterò tutto con moltissima calma perchè sono indaffarata in questo momento e devo avere i miei tempi ma spero di potervi allietare con la mia storia.Ringrazio veramente l'autrice di "Ambizione e fuoco" e gli chiedo scusa perchè non ricordo mai il suo nome.Al fianco di Ace ho messo un personaggio tutto mio,che spero sia di vostro gradimento!
 
 

Quando dei pirati si prefiggevano l’obbiettivo di varcare la grande montagna che portava al nuovo mondo era bene che conoscessero il minimo indispensabile per sopravvivere  in quello che era considerato l’oceano più grande e più pericoloso del mondo. Costellato di infinite isole, abitato da mostri marini e pieno di intriganti pericoli non ancora scoperti, la Grand Line era lo scenario dove l’era della pirateria viveva la sua avventura. Tra i vari luoghi, Rogh Town era il classico ritrovo per i fuorilegge dove perfino la marina preferiva tenersi alla larga. Si trattava di un isola piccola, che presentava ai ampi porti, locande di ogni genere, negozi e ovviamente in maggioranza, bar dove venivano serviti liquori di ogni terra a ogni ora. 

Era proprio su quell’isola che i pirati di picche erano sbarcati: al loro arrivo, i porti ospitavano un numero elevato di navi avversarie e questo aveva spinto il capitano della ciurma a scegliere un posto più isolato dove approdare. Certo, qualche chilometro in più se l’era dovuto fare ma almeno adesso se ne stava comodamente seduto su uno sgabello con gli avambracci appoggiati su un lungo bancone dove già si erano ammucchiate diverse portate ben spazzolate.

“Eh eh! Ne hai di appetito, amico“ ridacchiò l’oste, un uomo robusto, calvo e con dei folti baffi, intento a lucidare un grosso boccale di vetro.

Il cliente, un giovane uomo dal volto semicoperto da un visto cappello da cowboy arancione, che era poi il capitano dei pirati di picche, mandò giù un altro boccone prima di chiedere un’altra pietanza.

“Tenga. Questo è per quello che mi ha servito fino ad ora” disse nel posare sul banco un consistente sacchetto di denari.

L’omaccione fece sparire in un sol colpo il denaro e si premurò che al ragazzo fosse portato altro cibo. Data l’ora, la locanda aveva un ingente numero di clienti presi a tener occupata la bocca da rhum, fragorose risate e pietanze. Ace non faticava a pensare che anche la sua ciurma si stesse divertendo da qualche parte ma almeno si era ricordato di dare l’ordine di non creare battibecchi o eventi che li avessero visti costretti a interrompere la loro momentanea pausa; visto che il log pose avrebbe impiegato un altro giorno,potevano rilassarsi dopotutto. 

“Ultimamente l’isola è più affollata. Non c’è giorno che scoppino più di cinque risse. Una vera seccatura per noi lavoratori” borbottò il proprietario. “Di questo passo molti dovranno chiudere”
“Il suo locale mi pare in buono stato” notò il moro.
“Solo perché le mance sono esigue e affitto camere al piano superiore” 

In quel preciso istante, le ante dell’entrata si aprirono e il ridere e il bere dei clienti diminuirono di intensità; molte teste rimasero con i sensi sospesi mentre il leggero rumore delle ante in movimento scompariva. Una ragazza era appena entrata nel locale e nel mentre si dirigeva al bancone, diversi ghigni ben poco casti dipinsero le già felici espressioni di gran parte dei presenti. 

“Buonasera, signore” disse infine la neo arrivata con voce affabile e gentile “Può prepararmi il solito, per favore?”

Il proprietario annuì e si diresse verso la cucina.

“Chiedo scusa, è occupato questo posto?” rivoltasi ad Ace, indicava lo sgabello di fianco al suo.
“Prego” fece lui. 

Continuando a riempirsi lo stomaco, guardava senza troppa insistenza la parete di legno scuro che stava oltre al banco: era completamente tappezzata di avvisi di cattura.
I volantini segnalavano dei ricercati, tutti con una taglia sopra la testa. Viste le persone con cui dovevano trattare gli abitanti di quel piccolo paese, questi si premuravano di tenere un atteggiamento che permettesse a loro di mantenere un clima equilibrato, cosa che purtroppo risultava molto difficile se gente da un quoziente intellettivo troppo basso tendeva a lasciarsi andare un po’ troppo facilmente.

“Ecco a te. Buon appetito” 

L’omone era ricomparso con un piatto fumante di carne arrosto allegato ad uno più piccolo di verdure.
Con la coda dell’occhio, Ace osservò la minuscola portata.
 
Misera come cena Pensò. Lui con un solo piatto non avrebbe retto nemmeno per cento metri. 

Fu allora che finalmente la sua attenzione venne attirata dalla figura che gli sedeva accanto: era una giovane di media altezza, con una costituzione fisica ben proporzionata. Indossava una camicia stretta color verde chiaro, avente le maniche che le arrivavano poco al dì sotto dei gomiti, abbinata a dei pantaloncini bianchi che lasciavano scoperte le gambe, di un leggero colorito roseo, ulteriormente abbellite con stivali lunghi color marrone chiaro, dotati di un accenno tacco. Una cascata di lunghi capelli castano scuro incorniciava un viso dai fini lineamenti, dove due occhi color cioccolato facevano capolino.
A prima vista non sembrava portare armi addosso; al polso aveva un semplice log pose, nulla di più. 

“Ma come? Mangi soltanto quello?” le domandò stupito.
“Uh? Come?”
“Dovresti mangiare di più. Viaggiare richiede parecchie energie” continuò Ace. 

In genere a questo punto, qualunque essere appartenente al genere femminile se la sarebbe presa, visto che mantenere la linea era considerato sacro quanto la vita stessa ma fortunatamente Ace aveva incontrato quella che si soleva dire l’eccezione che confermava la regola. Difatti lei sorrise, spostando dietro l’orecchio una ciocca di capelli con le piccole dita affusolate. 

“Non sono una mangiona e quel poco che prendo mi basta” si giustificò “Anche se non mi dispiacerebbe avere un po’ del tuo appetito” ammise nel vedere i tanti piatti troneggiare lì vicino.
“Non ho mai visto nessuno mangiare così tanto” confessò lei
“Non ti stupire: quando ti trovi nella Grand Line.....” 

Senza preavviso e sorprendendo ulteriormente la ragazza, il moro crollò con la faccia nel piatto ma con il braccio inspiegabilmente teso e la forchetta ben salda in mano. 

“E-ehi, stai bene? Che cos’hai, stai male?” 

Cercò di farlo rinvenire ma senza alcun successo.
Non riprendeva conoscenza e dopo diversi tentativi, la preoccupazione della ragazza arrivò a toccare l'apice tanto da spingerla a chiedere aiuto.
 
“Qualcuno chiami un dottore, presto!”
“Sta tranquilla: il ragazzo sta solo dormendo” la rassicurò l’oste calmo.
“Come dice, prego? Sta soltanto dormendo?” 

Sembrava assurdo ma era la verità: il suo vicino dormiva e a giudicare dal russare anche alla grande. Praticamente era a prova di cannone: solamente avvicinandosi la castana udì il ronfare sommesso del suo vicino. 

“Vedrai che tra un po’ si sveglierà da solo. L’ha già fatto più volte”
“E' già capitato?” domandò incredula lei.
“Si. Chi soffre di narcolessia è spesso vittima di questi attacchi” le spiegò nel tentativo di rassicurarla ulteriormente.
“Oh..d’accordo. Se lo dice lei...” 

Nonostante la spiegazione esauriente, la giovane pirata non poteva non trovare il fatto alquanto bislacco. Non aveva mai visto una persona crollare di punto in bianco nel bel mezzo di una conversazione ma come ben sapeva, di gente particolare al mondo ce ne era e per quanto si reputasse normale, quei pochi che avevano avuto a che fare con lei, la vedevano come una di quelle stranezze.

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Capitolo 2
*** Il giglio da 90 milioni di berry. ***


Salve a tutti!prima di cominciare col secondo capitolo voglio subito ringraziare la carissima Yuki 689 e MBP per aver recensito già al mio primo capitolo.Visto che il pomeriggio universitario si è concluso in fretta,mi è stato possibile postare il seguito.Spero che vi piaccia che in molti altri seguiranno la vicenda!ringrazio ancora i lettori e tutti quelli che si sono interessati alla mia fict!


 
Quando Portuguese D.Ace uscì finalmente dal regno dei sonnellini, comprese di non essere più nel bar ma in una stanza del piano di sopra del locale, dove qualcuno si era premurato di portarcelo. Il suo cappello e lo zaino erano stati appoggiati su un piccolo tavolo; pareva non mancare nulla di quel che aveva.

“Yamn! Accidenti, mi sono appisolato” sbadigliò stiracchiandosi.

Mettendosi seduto, si stropicciò gli occhi più e più volte per svegliarsi decentemente.
Una volta raccattate le sue cose e sbadigliato per l'ultima volta, scese di sotto, dove ormai quasi tutti se ne erano andati. Il padrone di casa era ancora al suo posto, dietro il bancone con l'immancabile straccio e l'ennesimo boccale della serata. 

“Ben svegliato ragazzo” gracchiò l’oste nel vederlo arrivare.
“Per quanto ho dormito?” si informò lui sistemandosi esattamente dove stava prima e raddrizzandosi il cappello in testa.
“Un’oretta. La signorina si è presa un bello spavento: è stata lei a portarti a letto, era convinta che ti fossi sentito male” gli spiegò lui sempre con gli occhi fissi sull’ennesimo bicchiere da pulire.
 
A quella notizia, il pirata non potè che sospirare e passarsi una mano sulla faccia per la figura fatta. E ancora una volta la narcolessia aveva colpito! Anche se ormai ci aveva fatto il callo, tutte le volte non riusciva a non pensare quanto fosse fastidioso addormentarsi senza esserne coscienti. Era un bel grattacapo da quando era bambino e l'imprevedibilità di quella sua strana malattia era capace di farlo dormire per due giorni di fila. Più volte aveva ringraziato il cielo di non essersi addormentato troppo vicino all'acqua ma anche se se ne fosse tenuto alla larga, ugualmente si sarebbe svegliato in un posto a lui sconosciuto, manco fosse stato un sonnambulo! Non ebbe neppure il tempo di chiedere al padrone di casa dove fosse la ragazza, giusto per ringraziarla, quando una bambina in lacrime entrò di corsa nel bar; i vestiti e il viso erano impolverati e sul ginocchio sinistro era stata applicata una recente fasciatura.

“Zio, zio! Dobbiamo chiamare aiuto!” urlò disperata.
“Calmati. Cos’è successo?” 

La bambina dal nome sconosciuto, riprese un po’ di fiato e senza essersi calmata del tutto iniziò a raccontare: dopo che Ace si era addormentato, la misteriosa giovane aveva pagato la sua cena, uscendo così a fare due passi quando il caso, aveva voluto far sì che il suo cammino si incrociasse a quello della bimba, vittima di angherie di alcuni pirati che qualche ora prima si erano fermati nel suo stesso bar e che in quel preciso momento, si stavano divertendo alle spalle di quella piccolina per motivi di natura oscura. Ancor prima che avessero potuto infierire pesantemente su di lei, la giovane era intervenuta, facendo in modo che potesse scappare.

“Mi ha detto di mettermi al sicuro e che a quei tipi ci avrebbe pensato lei! Dobbiamo chiamare aiuto zio, le faranno del male!” 

Era ben evidente che la sua salvatrice doveva essere in svantaggio numerico e ora che Ace ricordava, non le aveva visto armi addosso. 

“Non devi preoccuparti. E’una pirata e sa quel che fa. Scontrarsi con i suoi simili fa parte della sua vita quindi non stare tanto in pena e va a dormire che è tardi” la rassicurò il parente.

Anche se non convinta del tutto, la bambina ubbidì e sparì dalla sala, lasciando che il parente barbuto terminasse il suo lavoro. Dal canto suo, il moro non aveva ragioni per immischiarsi in quella faccenda ma una parte di sé moriva dalla curiosità di andare a vedere il tutto e scoprire chi fosse quella giovane pirata dai modi affabili con cui aveva parlato per circa tre minuti prima di crollare come un peso morto sul bancone.

“Girano un sacco di ricercati qui ma solo pochi sanno cosa significhi veramente essere un pirata; il resto sono solo cialtroni che scappano alla prima difficoltà. Quei quattro se la vedranno molto brutta” decretò sicuro l’oste.
“Conosce quella pirata?”

A quel quesito, l’uomo dalla robusta costituzione si limitò a staccare dal muro che stava alle sue spalle una delle locandine poste in alto, mostrandola al ragazzo. Ritraeva una sua coetanea, la stessa con cui aveva parlato e a grandi caratteri sotto la foto c’era scritto: ”Sayuri, il Bianco Giglio”. La sua taglia ammontava a novanta milioni di berry.
Pugno di Fuoco fischiò per la cifra data. Ovviamente la sua era nettamente superiore ma era rimasto sorpreso nel vedere che tanti soldi sulla testa di una ragazza; doveva aver combinato qualcosa di veramente grosso se la Marina le aveva affibbiato una taglia del genere.

“Era così a modo che non l’ho neppure riconosciuta. Suona strano che una così piccola abbia sconfitto la triade nera del mare meridionale”boffocchiò tra i baffi.

 Data la notevole distanza che vi era tra il vecchio mondo e la rotta maggiore, la Marina aveva creato un plotone composto da tre squadre aventi trenta membri ciascuno;si trattava di uomini scelti,sottoposti ad allenamenti intensi, massacranti e spezza-ossa. La triade nera non era un semplice esercito qualunque, ma una forza militare realizzata per far sì che l’ordine fosse rispettato con qualsiasi mezzo. Il Quartier Generale della Marina aveva inviato quelle tre squadre speciali a occuparsi dei mari che erano separati dalla montagna che fungeva d’entrata alla Grand Line e l’ubicazione delle loro basi era ignota.
Il controllo di quelle zone era esclusivamente loro e quel che era peggio, era che alcuni di quei soldati avevano ingerito dei frutti del diavolo. Man mano che l’oste raccontava quel che aveva letto sul giornale, qualcosa nell’animo del moro si svegliò, superando la sua stessa curiosità pronta scoppiargli in petto: voleva combattere contro di lei.

Non si era mai sottratto ad un combattimento, il suo orgoglio l’aveva sempre spinto a battersi contro avversari ostici,che lo spingessero a dare il meglio di sé.
I suoi buoni propositi di starsene buono erano svaniti dalla sua testa e ora come ora voleva solamente sgranchirsi i muscoli insieme a Bianco Giglio.

“Uff, si prospetta una notte movimentata” sbuffò il locandiere nel vedere uscire anche il suo ultimo cliente.
 




Quando si era sparsa la voce che al porto numero cinque si sarebbe tenuto uno scontro tra pirati, in molti si erano nascosti nei paraggi per assistere alla vicenda. Regnava il silenzio attorno a quella ventina di pirati, che sogghignavano maliziosi davanti a Sayuri. La ragazza non aveva voglia di combattere, specie con individui che per essere sicuri di vincere avevano chiamato perfino i rinforzi, ma sapeva fin troppo bene che quelli non l’avrebbero lasciata andare così su due piedi, non dopo che lei aveva colpito così apertamente il loro capitano; l’uomo in questione puzzava di alcool, aveva capelli unti, occhi lucidi e arrossati.
La sua ciurma era ridotta nella stessa maniera, con abiti lerci e mente inebriata dal troppo bere. Un vero comizio di poveracci.

“Erk erk erk! Devi essere molto coraggiosa per osare metterti contro di me, dolcezza. Non sarebbe stato meglio se con te ci fossero stati i tuoi compagni?” domandò con voce trascinata il leader.
“Non ho una ciurma se è questo che vuole sapere” rispose lei composta
“Oh, ma davvero?” il luccichio nei suoi occhi si fece più oscuro e malevolo. “Che sorpresa. Mi sorprende che una graziosa fanciulla come te viaggi da sola: non sai che il mare è pieno di persone poco raccomandabili?”

Lui ne era l’esempio vivente. Bastava guardarlo per rendersene conto.
Si avvicinò alla ragazza, squadrando ogni centimetro di quel corpo così atletico con crescente vogliosità. Viaggiare era faticoso e avere ogni tanto una dolce e sensuale compagnia sotto le proprie lenzuola era quello che ci voleva per gente in astinenza come lui.

“Facciamo così, dolcezza: io sono disposto a dimenticare la tua mancanza di rispetto nei miei confronti e ti permetterò di unirti alla mia ciurma. Avrai un posto dove stare, ma in cambio..." e si leccò le labbra al sol pensiero "Esigo che tu ogni tanto soddisfi qualche mio desiderio” deglutì la saliva che rischiava di uscirgli per il poco controllo.

Il suo sogno perverso di toccare una creatura femminile con le sue mani, per tutto il tempo che voleva era sul punto di realizzarsi e niente sembrava poterlo impedire, tranne il rifiuto della bella castana; un rifiuto che aveva acquisito la forma di un pugno secco e deciso, che aveva scaraventato il pirata ubriaco in mezzo i suoi compagni allibiti. Anche i curiosi erano rimasti di sasso.

“Mi dispiace, ma non ho alcuna intenzione di venire con voi. I pirati che trattano gli innocenti come se fossero carta straccia mi disgustano” replicò con totale mancanza di freddezza e odio.

Era rilassata, come pochi.
L’aveva colpito con un semplice pugno, senza armi ma era stato sufficiente per stupire tutti e suscitare l’ira di quell’uomo e della sua ciurma.

“Stupida mocciosa!” ruggì, ripulendosi la bocca dal sangue “Prendetela! Picchiatela se vi va, ma non lasciatela scappare!”

Ubbidiente, l’intera banda si gettò alla carica con spade e bastoni. Era deplorevole: venti uomini armati, contro una ragazza apparentemente del tutto indifesa.
Chiunque, davanti a un simile scenario si sarebbe indignato e infatti qualcuno, arrivato giusto in tempo, scelse di intervenire invece di stare con la bocca aperta come il resto degli spettatori. Prima ancora che quelli avessero il tempo di avvicinarsi al loro obbiettivo, un muro di fuoco nato dal nulla li costrinse a fermarsi e a indietreggiare. Ora anche la castana era stupita: le fiamme erano alte e dense, tanto da impedirle cosa stesse succedendo dall’altra parte.

Improvvisamente, queste diminuirono e vennero convogliate in un singolo punto: una figura umana si materializzò nel bel mezzo di quello spontaneo incendio e richiamò a sé l’elemento fino a farlo estinguere completamente. Anche se era voltato di schiena, Sayuri l’aveva subito riconosciuto: quel ragazzo, con indosso una camicia a maniche corte giallo canarino e dei pantaloni lunghi fino al ginocchio, neri, era lo stesso con cui aveva parlato alla locanda.

“Vedo che non conosci le buone maniere se ti rivolgi a una signorina in questo modo” proruppe lui.

La sua entrata in scena non era stata molto gradita dall’avversario, già in collera di suo. Spavaldo, non indietreggiò e mostrò ai presenti una lunga sciabola pronta all’uso, mentre i suoi uomini rimanevano in disparte.

“Ragazzino impertinente, vuoi forse morire?! Non hai idea contro chi ti sei messo!” per la rabbia stava per uscirgli la bava dalla bocca “Hai segnato la tua condanna intromettendoti nei miei affari! La tua e di quella sgualdrinella!”

Gli puntò contro la spada come a volerlo intimorire, ma ciò non spaventò per nulla il pirata di picche, irritato da quelle parole offensive. Al contrario, i mezzi ubriachi cominciarono a sudare freddo: con la mente più lucida, erano riusciti a riconoscere chi il loro capitano stesse sfidando con tanta avventatezza. Lo avvertirono, ma la stupidità del loro superiore era troppo forte perché si rendesse conto del pericolo. D’altro canto, loro alla pelle ci tenevano e per tanto fecero la cosa più sensata da fare: se la svignarono a gambe levate.

“Tsk! Branco di imbecilli! Questa me la pagano!” imprecò
“Faresti meglio a seguire il loro esempio” gli consigliò il moro.

A quel punto l’istinto prese totalmente il sopravvento: l’uomo dai consunti abiti si lanciò contro Ace urlando con la sciabola ben alzata. La lama, che continuava a roteare, era pronta a cadere su di lui ma non appena iniziò la sua veloce discesa, venne sciolta dalla mano infuocata del capitano della ciurma dei pirati di picche, che rincarò la dose con un potente destro alla bocca dello stomaco. Il nemico volò per diversi metri, atterrando infine, rumorosamente, tra funi e casse lasciate lì dai marinai.

“Te l’avevo detto di seguire l’esempio dei tuoi uomini”

Rialzatosi dal volo appena fatto, il sudicio pirata imprecò tra sé e sé, per poi scappare via con la coda tra le gambe, insieme agli ultimi curiosoni.
Ora il porto era completamente deserto. Erano rimasti solo Pugno di Fuoco e il Bianco Giglio da novanta milioni di berry, che per tutto il tempo era rimasta a osservare quel veloce duello il cui vincitore era sempre stato scontato.

“Sei stato molto gentile ad aiutarmi” lo ringraziò.
“Dovere. Anche se sono sicuro che avresti potuto sistemare quell’idiota da sola” le rispose sistemandosi il prezioso capello.

Sebbene non paresse avere cattive intenzioni, Sayuri decifrò all’istante l’espressione che era comparsa sul volto di lui: le guance, coperte parzialmente da piccole lentiggini, erano piegate per via di un sorriso amichevole ma carico di sfida al tempo stesso. Evidentemente doveva averla riconosciuta ma non ne fu affatto sorpresa: aveva addocchiato diversi volantini appesi alla parete di quel locale e con ogni probabilità doveva esserci anche il suo.

“Ho sentito dire che sei molto forte” continuò il moro con un acceso interesse nell'animo.
“Posso dire lo stesso di te. Possiedi addirittura il potere di un frutto del diavolo” aveva notato lei.

Purtroppo, il volto di quel giovane uomo non l’aveva mai visto in vita sua e quindi non sapeva chi avesse di preciso davanti. Sicuramente si trovava nella rotta maggiore da un pezzo, ma non poteva dedurre altro. Già considerato l'inizio, la ragazza immaginò come sarebbe finita quella conversazione.

“La verità è che non volevo che quel senza cervello ti attaccasse perché avrei voluto essere io il tuo avversario. Mi piacerebbe molto verificare le tue potenzialità” confessò infine Ace facendo scricchiolare le nocche.

La castana credette di aver udito male, ma invece aveva sentito più che bene: le era appena stata lanciata una sfida.

“Perdonami, ma io non ho intenzione di combattere contro di te. Non ne ho il motivo” gli disse con tutta la sincerità di cui disponeva.
“Pensi che accetti il tuo rifiuto?”

Non era arrabbiato; sorrideva e si vedeva benissimo tutta la sua ostinazione. Ormai aveva deciso di combattere e doveva farlo. Non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di confrontarsi contro un nemico potente che l’avrebbe spronato a dare il meglio di sé, anche se in quel caso si trattava di una ragazza. Da parte sua, la giovane era cosciente che quel suo coetaneo non ce l’aveva con lei per qualche torto subito; aveva visto in lei un’avversaria e voleva ingaggiare un duello che sicuramente gli avrebbe fatto ribollire il sangue per l’eccitazione. Dopotutto entrambi erano pirati e combattere faceva parte del loro mestiere, se così poteva chiamarsi.

“D’accordo. Se vuoi batterti contro di me, non mi tirerò indietro” rispose lei con quel suo dolce e anomalo sorriso.

Le braccia, prima scomparse dietro la schiena, si materializzarono davanti, munite di lunghi pugnali sai argentati, splendenti come argento vivo sotto la luce lunare. Si trattava di armi di prima fattura, letali per gli avversari ma sicuri e maneggevoli per chi invece le utilizzava.

“Prima di iniziare, vorrei presentarmi: il mio nome è Sayuri ed è un piacere conoscerti. Potrei sapere contro chi mi batterò questa sera?” chiese affabile nel stringere la presa sull’impugnatura dei pugnali.

Davanti a tanta educazione, forse fuori luogo per un pirata, Ace si tolse il cappello e compì un piccolo inchino e rispose con altrettanta cortesia.

“Mi chiamo Portuguese D.Ace. Il piacere è tutto mio” 

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Capitolo 3
*** Confronto. ***


Salve a tutti!prima di lasciarvi alla lettura del capitolo,ci tengo a ringraziare chi ha recensito!
 
Yuki689:carissima,sono felice che la fict sia di tuo gradimento e sono ancora più felice che la mia Sayuri si ben accetta.Come vedrai presto è si gentile e educata ma al coltempo forte e difficile da sconfiggere.Ci vorrà un po’ di tempo ma spero di essere puntuale nel postare la storia anche se temo che i verrà difficile visto l’incombente esame di diritto ma tenterò ugualmente se dall’altra parte ho fan e scrittrici come te!

 MBP:ciao!finalmente!finalmente ti posso ringraziare a dovere per aver recensito così velocemente.Io non sono particolarmente brava nel descrivere i combattimenti,sono quelli in cui il realismo incide maggiormente ma spero ugualmente che piaccia!deciderai tu se il mio personaggio è incisivo e cazzuto come sostieni tu e poi mi dirai cosa ne pensi ma per il momento lascia che ti ringrazi ancora!

 Beatrix:non devi scusarti di nulla,non è una tragedia se non si recensisce all’istante.Ti ringrazio per il tuo commento e sono contenta che l’ambientazione nel passato ti sia piaciuta.Non sarei riuscita ad ambientare la storia dopo l’esecuzione di Ace,quindi ho pensato di raccontare gli eventi passati prima dell’entrata di Barbabianca (e devo ancora trovare un modo per metterlo anche se qualcosa mi sono già fatta venire in mente).Per i passaggi fondamentali riprenderò gli episodi narrati velocemente nel manga e spero di rendere l’idea il più reale possibile,ovviamente con il mio tocco personale!grazie mille per aver scritto e spero di sentirti ancora e che questo capitolo ti piaccia!
 
 
 
Fuoco e lame argentate ben visibili a occhio nudo stavano infestando il porto, divenuto in pochissimi attimi l’epicentro di quell'intenso scontro. Erano passati a malapena dieci minuti e Sayuri correva con rapidità evitando le furtive fiamme rossastre che tentavano di catturarla, nel mentre Ace faceva lo stesso con i suoi attacchi. Si stavano studiando a vicenda ma era evidente che la giovane cercasse il combattimento ravvicinato; si manteneva a distanza unicamente per poter escogitare il modo migliore per avvicinarsi.

Pugni e calci non servivano a nulla: essendo lui fatto interamente di fuoco era invulnerabile alle lame e ai comuni attacchi, ma ciò non toglieva che abbassare la guardia fosse sinonimo di stupidità.
Difatti, quando finalmente si ritrovarono vicini, Ace volle saggiare le potenzialità fisiche della sua avversaria e fu messo in difficoltà: la castana era veloce, ogni suo colpo faceva parte di una sequenza perfettamente allineata e la sua forza metteva ancora più in risalto quel suo particolare stile di combattimento.

Pratica le arti marziali e anche bene. Constatò nel mentre si difendeva. 

A ogni mossa era allegata una contromossa.
Non faceva uso delle Roku-shiki, si trattava di semplice karate da lei personalizzato, il che rendeva ancora più difficile prevederne il seguito. Lo scontro ravvicinato si stava rivelando veramente impegnativo ma ad un certo punto, scoperta una falla nella difesa, entrambi riuscirono a colpirsi a vicenda: lui le sferrò un poderoso destro al fianco mentre lei, con un sinistro impeccabile, gli colpì la mascella.
Cercando di infierire nuovamente, Sayuri fece riapparire magicamente tra le proprie mani i suoi sai, eseguendo un secco fendente. Purtroppo per sua sfortuna, la lama trapassò Ace senza neppure ferirlo.
Fu nello squarciare le fiamme e non il corpo fisico del suo avversario che si ricordò che i frutti del diavolo appartenenti alla tipologia Rogia rendevano invulnerabili i loro possessori da attacchi come quelli.

Me ne ero completamente dimenticata. 
“Higan!(trad: pistola di fuoco)” 

Non ebbe il tempo di distrarsi che Ace si era liberato dalla morsa ed era balzato su una pila di casse per avere una visuale migliore e iniziare così a mitragliarla con molta più precisione. Bianco Giglio dovette fare nuovamente affidamento alla sua velocità per schivare quei proiettili infuocati; scattando lateralmente, si riparò in una viuzza, inginocchiandosi con la schiena appoggiata al muro di un magazzino per recuperare un pò di fiato.

Il pugno datole era stato consistente e lei, nonostante si fosse appositamente allenata per sviluppare una certa resistenza, non potè trattenere una smorfia di dolore. 

Non posso continuare ad affrontarlo in questo modo, se non cambio strategia rischio di venir sconfitta. A questo punto non ho scelta.

Contro un Rogia l’unica arma possibile era soltanto una e visto che la situazione poneva il suo avversario un gradino al dì sopra di lei, non poteva indugiare ulteriormente.
 



Era in gamba.
Lo doveva proprio ammettere, quella Sayuri sapeva il fatto suo.

Gli teneva testa, molto di più di quanto avesse immaginato e ciò bastava per tenere alto quel suo sorriso sghembo e furbesco. Nessuno era mai riuscito a evitare la sua Pistola di Fuoco e da quel che aveva osservato non era stata semplice fortuna. Si vedeva che aveva talento da vendere; solitamente non gli piaceva infierire su delle ragazze, anzi non gli piaceva per niente essendo un persona educata e con dei principi, ma avendola sfidata lui stesso non poteva di certo andarci leggero, considerata la forza della pirata. Inoltre, non ci teneva a essere da meno e quindi le avrebbe dimostrato fin da subito chi tra i due fosse il migliore. A Ace perdere piaceva ancor meno che menare una femmina, testardo com'era non era capace di accettare o anche solo prendere in considerazione una simile eventualità: pur di non farla concretizzare era disposto a giocarsi gli arti. 

“(Trovata!)Kagerou!(trad: foschia di fuoco)” 

Percepita la presenza di lei, incenerì il magazzino: subito dopo pochi attimi scorse un'ombra fuggitiva guizzare fuori dalla viuzza e scattare verso di lui con fulmineità.

Era pronto ad accoglierla quando, improvvisamente, quella sparì sotto i suoi occhi; senza avere il tempo di reagire, avvertì una fortissima pressione al torace, seguita dalla sensazione di essere sollevato da terra e lanciato all’indietro.
A mezz’aria, prima di cadere, riuscì a riacquistare l’equilibrio, atterrando con le gambe piegate e il palmo sinistro che fungeva da terzo freno. Ci mise qualche secondo per realizzare che la ragazza era riuscita a colpirlo nonostante la sua intangibilità e non potè non stupirsi di questo. A diversi metri da lui, Sayuri era riapparsa, col braccio sinistro teso in avanti e la mano chiusa in un pugno. 

“Pazzesco, non l’ho neppure vista arrivare” tenendosi la parte colpita, Pugno di Fuoco si rimise in piedi, accusando un po’ di dolore.
“Prima, quando eravamo vicini, avresti potuto evitare i miei pugni ma non l’hai fatto perchè volevi verificare la mia forza” parlò lei incamminandosi verso la sua direzione “La tua invulnerabilità deriva dal potere del frutto del diavolo che hai mangiato e questo ti permette di non essere ferito da attacchi comuni, tuttavia..questo non ti rende del tutto infallibile”

Quando gli fu abbastanza vicino, Ace li vide e capì cosa le sue parole intendessero dire: vide due occhi carichi di una forza che non tutti potevano padroneggiare, occhi pacifici ma che in quel momento stavano sprigionando una determinazione tanto incisiva da annullare il suo potere.
Ne aveva sentito molto parlare ma non aveva mai avuto l’onore di incontrare qualcuno con quella “Dote”

“Ma guarda, sei capace di usare l’haki. Questa proprio non me l’aspettavo” con l’immancabile sorrisetto a increspargli le labbra, si pulì le braccia dalla polvere. 

La sfida stava diventando sempre più interessante e di perdere adesso non se ne parlava proprio. Anche se la sua avversaria era in grado di usare l’haki, quella capacità era tanto potente quanto delicata e ciò comportava ad una durata piuttosto limitata.
Fece ricorso a tutta la sua resistenza per parare i due pugni e il calcio che gli arrivarono tanto vicino da spedirlo in mare e restituì l’incasso con la medesima potenza.
Sayuri prese a balzare da un lato all’altro della zona con così tanta grazia e leggerezza che sembrava stesse danzando sul pelo dell’acqua; Ace non poteva fare altro che seguirla con gli occhi e capire da quale parte l’avrebbe attaccato, ma in quel momento era troppo veloce perchè ne prevedesse gli attacchi e quindi si vedeva costretto a schivare quelli che riusciva ad intercettare all'ultimo. 

Se la cava ma non può reggere ancora per molto. Pensò seriamente mantenendosi in una posizione ferma. 

Era a conoscenza di che cosa comportasse un uso troppo prolungato di quel potere e a giudicare da quanto osservato e testato sino ad ora, la castana non era una sprovveduta: infatti, dopo appena una manciata di minuti, vide chiaramente che i suoi movimenti erano meno fulminei, tanto da riuscire nuovamente a vederne l’intera figura.
Doveva approfittarne e senza pensarci troppo, aveva già in mente un’idea sul come ottenere la vittoria.
 



Sayuri dovette fermarsi per non dover accusare troppo di quello sforzo. Si era trovata ad affrontare un pirata resistente, calmo e che fino a quell'istante si era limitato a poco. Contro di lui, come aveva ben potuto constatare, i suoi sai erano inutili e di certo, anche se avesse avuto la possibilità di usarli, non l’avrebbe mai ucciso.
Il tempo stringeva e il suo corpo iniziava ad avvertire quella spossatezza che provava solo dopo ore e ore di combattimento: l’haki consumava parecchie energie fisiche e psichiche e lei in quel campo non era del tutto un esperta, anzi si riteneva ancora una dilettante. Se fosse stato un qualunque piratuncolo desideroso di provare il brivido della morte a pochi centimetri dal viso, avrebbe terminato quello scontro in pochi secondi ma quella sera il fato le aveva riservato un avversario decisamente diverso.

Ormai è tardi per i ripensamenti. Devo affrettarmi e concludere questo combattimento il prima possibile.

Scattò in avanti dritta contro il ragazzo, con tutti i muscoli carichi all’unisono e nuovamente si diede inizio a una lotta a mani nude.
I secondi non erano che minuti che scorrevano pigramente ma all’ennesimo attacco, qualcosa cambiò radicalmente l’andatura dello scontro: il contrattacco di Ace, concentrato in un solo pugno, fu così duro che la difesa di Bianco Giglio venne spezzata senza opposizione. Per via dell'urto, venne spinta all’indietro ma ancor prima che perdesse del tutto l’equilibrio, si sentì afferrare per il braccio. La presa era salda, ferma ma insolitamente non rude.

“Ti ho presa!” esclamò vittorioso.

La teneva ben stretta e benchè lei si stesse ribellando con molta forza, niente sembrava poterla liberare.
 
“Enjomo!(trad: rete di fuoco!)”

Un ampio cerchio di fuoco si creò attorno, elevandosi fino a oscurare il cielo già blue e nero. In un battito di ciglia, il cerchio divenne una cupola di fuoco che pian piano cominciò a restringersi, diminuendo così il suo raggio e annullando ogni tentativo di fuga. Con un ulteriore comando del padrone, le dimensioni d'essa diminuirono ancora di più, arrivando a investire i ragazzi.
Ace non aveva problemi ma Sayuri non disponeva dell’aiuto di un frutto del diavolo.

Oh no!

Inevitabilmente le fiamme l’avvolsero ma prima ancora che quelle la sfiorassero, richiamò con disperato tempismo il suo haki e con una mossa azzardata, si concentrò per far sì che questo la proteggesse come fosse una barriera invisibile: il fuoco la inondò e benché l’ambizione la stesse difendendo, il calore sprigionato dall’elemento era dirompente e lei, che già aveva usato quella forza in precedenza, percepiva la pelle bruciarle e la concentrazione alleggerirsi. 

D-devo resistere!

Strinse i denti ma lentamente il fuoco cominciò ad avere la meglio: la luce troppo intensa la costringeva a tenere gli occhi chiusi, lasciando in disparte le gambe lievemente piegate. Continuava a tener alzata la testa, eppure...avvertiva un che di strano: per quanto la situazione fosse critica, quelle fiamme sprigionavano un calore piacevole, qualcosa che solo più in là lei avrebbe conosciuto.
Non voleva arrendersi, però non poteva chiedere a sé stessa di andare oltre, dove ancora non era pronta. Sarebbe stato un suicidio.
 



A poca distanza dall’isola, alcuni navi della Marina si stavano avvicinando con fare silenzioso e pericoloso. Gli uomini erano disposti in ordinate file sul ponte, pronti a eseguire i comandi per portare a termine la missione affidata.

“Signore, siamo vicini al porto numero uno di Rogh Town. Ci prepariamo ad attraccare” informò il timoniere
“Perfetto. Una volta arrivati, sapete cosa fare. Mi raccomando, non voglio errori, intesi?” esigette il superiore con veemente autorità
“Si, signore!”gli risposero i soldati.
 



“Per la miseria! Sei un tipino davvero resistente!”

Ace era impegnato in uno doppio sforzo: sfondare le ultime difese della sua avversaria e cercare di non incendiare metà isola.
Stava concentrando tutte le sue forze in un solo, unico, minuscolo punto e non poteva usare di certo tutta la sua potenza; c’era il rischio che questo gli sfuggisse di mano.
Passarono altri secondi e tutti e due erano ancora lì, avvolti dalle fiamme: Pugno di Fuoco la teneva ferma e Bianco Giglio stava dando a fondo a ogni fibra del suo corpo pur di non finire arrostita, almeno non più di quanto lo fosse già.

Sentendo di non poter continuare a tenere quel controllo, Ace lasciò il braccio della ragazza e si allontanò velocemente, sciogliendo la tecnica.

“Riconosco che ci sai fare: non avrei mai pensato di ritrovarmi con il fiatone” affermò lievemente incurvato in avanti e con i palmi delle mani appoggiati sulle ginocchia. Era da un sacco che non combatteva con tanto ardore. 
“Ti ringrazio. Anche tu sei...molto forte. Sono onorata di aver avuto l’occasione di misurarmi con te” ricambiò lei, seduta a terra con la schiena inarcata.

Appena ripreso fiato, avrebbero sicuramente continuato: ora più che mai, si trovavano nel vivo di quello scontro e un vincitore doveva saltar fuori per forza. Le gambe li avrebbero sorretti fino a quando non avrebbero esaurito completamente le energie, così come le braccia e la loro determinazione.

Nulla li avrebbe fermati.
Nulla, se non quell’urlo spaventato proveniente da lì vicino, che strepitava l’arrivo di qualcosa, o meglio, di qualcuno poco gradito dalla pirateria.

“Scappate!! Sta arrivando la Marina!!”

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Capitolo 4
*** Fuga. ***


Prima di iniziare,ringrazio coloro che hanno recensito e ringrazio chi legge e trova bella questa fict!

Yuki689:allora,la storia parlerà di Ace quando era capitano della ciurma dei pirati di picche e in particolare degli episodi più salienti intravisti nel manga e a cui io spero di dare una meritata descrizione.Sicuramente andrà avanti fino al tradimento di Teach (a cui taglierei la testa) ma forse non penso di mettere l’esecuzione di Ace,anche perché su quella parte sono ancora insicura e ci sto lavorando sopra mentalmente e mi sto concentrando sugli attuali capitoli tra rifacimenti,correzioni stesura.Scrivo un po’ di qua e un po’ di là e alla fine quando sono al computer mi viene automaticamente(quasi) l’ispirazione.Comunque ho già pronti diversi capitoli ma come ho detto all’inizio posterò una volta alla settimana (a natale si vedrà se riesco o meno ma spero comunque di farcela,magari non al mercoledì)

MBP:sono contenta che ti piaccia la storia per ora!i capitolo più difficili mi risultano sempre quelli con i combattimenti e questo infatti ha richiesto alcuni piccoli ritocchi ma devo dire di essere soddisfatta del mio lavoro,anche se adesso sono impegnata a modificare altri combattimenti che si vedranno più in là….

Beatrix:carissima!sono felice che Sayuri sia di tuo gradimento.La sua indole tranquilla è stata una delle caratteristiche che ho pensato fin dall’inizio.Non la volevo mettere istintiva perché non mi piaceva,quindi ho optato per “quella carina che passa inosservata ma che può mettervi al tappeto senza che ve ne accorgiate”.Non voglio anticipare nulla sul mio personaggio per ora,preferisco mantenere la suspance(se ci riesco…) così il bello verrà riservato come portata principale!
 
 

Quella notte, che già di suo sembrava non voler finire, divenne ancor più rumorosa ed estenuante. Le quattro navi della Marina erano state una glaciale sorpresa per ogni cliente di Rogh Town; i porti principali, l'uno , il due, il tre e il quattro erano sotto stretta sorveglianza e tra le vie della cittadina, una ventina di uomini si stavano adoperando per assolvere il loro lavoro assegnato.

“Come procedono le ricerche? Ci sono delle novità?”

Il tenente comandante, un uomo di media altezza, con sottili baffi neri appuntiti e sguardo arcigno sedeva sul ponte, tenendo sotto controllo la situazione sulla terra ferma.

“No, signore. Stiamo interrogando tutti i ristoratori ma per il momento non abbiamo ancora trovato nulla” lo informò un soldato semplice.

Il superiore, già con un carattere poco trattabile e paziente, contrasse la mascella, assottigliando ancor di più le iridi nere dei suoi microscopici occhi.

“Mandate la seconda truppa nella zona ovest. Voglio essere aggiornato ogni dieci minuti. Dì loro di non tralasciare nemmeno il più piccolo degli spazi!” ordino austero.

La riuscita della missione era di vitale importanza. Non ci teneva a tornare al Quartier Generale con un fallimento che sicuramente avrebbe minato il suo curriculum. Inizialmente aveva trovato assurdo che il le alte sfere gli avessero ordinato semplicemente di mettersi in contatto con un solo pirata, quando in posto come quello, poteva ripulire il mare da un sacco di feccia ambulante ma nonostante la ragione per cui era stato inviato lì, aveva comunque accettato di buon grado il compito, seppur fosse ancor dubbioso su molti punti.

“Signore!”

Interrompendo le sue riflessioni riguardanti la missione, vide un secondo marine attraversare di corsa il porto e salire sulla nave completamente senza fiato e sconvolto.

“Signore, abbiamo dei testimoni! Pare che Ace Pugno di Fuoco sia stato avvistato al porto numero sette” esclamò tutto d’un fiato
“Perfetto!” era proprio quello che voleva sentirsi dire “Procedete con il piano”
“Signore, ci sarebbe dell’altro ”aggiunse il sottoposto con un po’ di titubanza. 
“Di che si tratta? Parla, svelto!”

L’irascibilità stava per fargli scoppiare le vene pulsanti visibili sul suo grosso collo, stritolato dal colletto bianco della divisa. Il povero subordinato era sull’orlo di farsi prendere dal panico, tanto che controllava a stento il tono della propria voce.

“Bianco Giglio, signore. E’ stata avvistata insieme a Pugno di Fuoco. Dalle informazioni raccolte sembra che si siano scontrati” disse infine.

La notizia non fu di certo tra le più leggere e passabili; ”Sayuri Bianco Giglio” valeva molto di più di tutti i pirati che si erano rintanati lì, escluso Portuguese D.Ace. La cosa lo turbò non poco, visto che l’occasione di catturare la malvivente gli era appena stata porta su un piatto d’argento. Era venuto lì con un incarico ben preciso da eseguire, senza distrazioni o colpi di testa. Lui e tutti gli uomini al suo servizio,appartenevano alla marina e come tale dovevano assicurare che l’ordine e la giustizia non venissero deturpati.
Ciò nonostante, una pirata da novanta milioni di berry non poteva essere così volutamente ignorata: era ben a conoscenza dei suoi crimini e pertanto, essendo per l’appunto un marine, non poteva permetterle di fuggire. Inspirò profondamente, chiudendo gli occhi in un ulteriore attimo di riflessione per poi chiedere che gli fosse portato il lumacofono; appena ebbe l’apparecchio tra le mani, si mise in contatto con chi già era a terra.

“Ascoltatemi attentamente: la nostra priorità assoluta è quella di rintracciare Portuguese D.Ace,tuttavia la presenza di Bianco Giglio implica una seconda manovra: se doveste  incontrarla, catturatela, non lasciatela scappare. Per quanto riguarda l’obbiettivo primario, sapete cosa fare!”
 



“Che razza di guastafeste! Mai una volta che ti lascino in pace”

Se c’era una cosa che Ace non sopportava, era il venire interrotto nel pieno di un combattimento da quella scocciatura chiamata Marina. Per colpa sua e dei suoi uomini, lui e Sayuri avevano dovuto levare le tende in fretta e furia e in un momento di confusione, le loro strade si erano divise. Svoltato l’ennesimo angolo, guardò con circospezione la strada che doveva attraversare e quella che aveva appena percorso, sporgendo il minimo indispensabile dalla testa al dì fuori del muro; assicuratosi che il nemico fosse da tutt’altra parte, tirò fuori dal piccolo zaino un bel lumacofono azzurro con il guscio viola.

“Qui Donnie. Dica, capitano”

Dall’altro capo della linea, una voce annoiata e stanca rispose alla sua chiamata.

“La Marina è venuta a farci una visita. Raduna gli altri e preparate la nave. Si parte non appena arrivo ma prima devo sbrigare di una faccenda”
“Spero non sia un massacro privato. Mi sentirei offeso” borbottò l’amico, per nulla toccato dalla cosa.
“No" lo rassicurò "Devo solo passare a prendere una persona”

Chiuse la comunicazione e dopo aver controllato per la seconda volta se la via fosse libera ,si diresse verso l’unico posto dove sperava fosse andata chi sapeva lui: la locanda dove avevano parlato la prima volta.
Ci impiegò più del dovuto ad arrivare, a causa dei marine che perlustravano ogni possibile buco grande abbastanza da nasconderci qualcuno; una volta arrivato a destinazione, gli bastò una rapida occhiata al posto per constatare che Sayuri non si trovava di certo lì. Vide numerose sagome nere danzare nelle stanze, illuminate dalla debole luce delle candele parzialmente consumate.

“Qui non c’è niente!” sentì uno.
“Proviamo più avanti”

Rivoluzionato da cima a fondo il posto, uscirono per passare al successivo.
Il pirata dal cappello arancione aspettò che si spostassero più in là per poter proseguire così la sua ricerca. In quella notte senza nuvole a rovinare il manto stellato, il tranquillo ritmo lavorativo era stato scombussolato come un fulmine a ciel sereno: uno a uno i porti, con tutte quelle belle navi variopinte, erano stati messi sottosorveglianza dai marine e le strade, i bar, le locande erano e venivano tuttora ribaltati come fossero calzini. Doveva sbrigarsi prima che rinforzi indesiderati arrivassero a dar man forte ai scocciatori già presenti.
Chissà poi perché diavolo erano lì….

Sta a vedere che si sono fatti coraggio e hanno deciso di rischiare. Ipotizzò mentalmente.

Corse dall’altro capo della strada e proseguì a nord, dove non vi era anima viva e lì, quasi desiderandolo come fosse un’ancora di salvezza, la incontrò: Sayuri si era isolata in un vicolo dove casse e sacchi erano stati ammucchiati e buttati lì malamente. Sedeva su una di queste, con ai piedi due borse ben riempite. Piegata in avanti, con i gomiti appoggiati alle gambe, teneva la testa rivolta verso il basso di modo tale che i lunghi capelli nascondessero alla vista estranea le guance rosse e accaldate.

Accortasi di una seconda presenza estranea, si alzò di colpo,spaventata, facendo sobbalzare anche il moro.

“Oh...ti chiedo scusa. Credevo fossero i soldati” gli disse tenendosi una mano sul petto.
“Anche tu scappi dalla Marina?” le chiese avvicinandosi.
“Ci provo ma la mia imbarcazione è tenuta sotto stretto controllo e mi è impossibile avvicinarmici senza farmi scoprire”

Il suo respiro era piuttosto affannoso. Evidentemente il suo fisico stava risentendo dello sforzo dovuto all’utilizzo dell’haki.

“Ti senti bene?” le domandò con un leggero velo di preoccupazione nel tono della voce.

Per un attimo lei lo fissò senza aprir bocca, poi si mise a ridere di soppiatto, con la mano premuta delicatamente sulla bocca per evitare di farsi sentire da altre orecchie.

“Eh eh! E'molto strano che tu me lo chieda:fino a pochi minuti fa ci stavamo dando battaglia”affermò sorridente e sorpresa.

Effettivamente, a pensarci bene, era insolito preoccuparsi delle sorti del proprio avversario, specie se la persona in questione poteva fare lo stesso o meno contro l’altro. La bislaccheria ormai era presente ovunque,in oggetti,animali, persone, divisa in così tante sfaccettature a cui era impossibile dare un preciso numero. La ragazza tornò a sedersi, sospirando con stanchezza e distendendo le gambe appesantite. Le occorreva un po’ di riposo, un posticino tranquillo dove dormire per il resto della notte.

Se solo fosse riuscita a recuperare la sua Flywind…
L’imbarcazione aveva le fattezza di un piccolo battello dotato di tutto ciò che occorreva per navigare, incluso un bagno con una bella vasca dove potersi rilassare. Fortunatamente i vestiti e i suoi pochi effetti personali, tra cui la refurtiva presa gentilmente in prestito dalle basi della Marina, li portava sempre con sé; preferiva di gran lunga tenerseli vicini, almeno quelli erano stati risparmiati dall’approfondita perquisizione che la Marina aveva già sicuramente apportato al suo mezzo prima di spedirla nel paradiso delle navi.

Temo proprio che sarò costretta a prolungare la mia permanenza su quest’isola se non trovo il modo di procurarmi un’altra imbarcazione. Pensò un pò amareggiata.

Sospirò nuovamente, cercando di fare ordine nella sua mente: non le sarebbe affatto dispiaciuto lasciarsi abbracciare dalle dolci braccia di Morfeo.

“Allora Sayuri, com’è che navighi tutta sola?” le domandò incuriosito Ace, giusto per non dilungare quello scomodo silenzio.
“Oh...” sussultò riprendendosi “Ecco...”
“Ehi, sono laggiù!”

Il tempestivo intervento della Marina troncò di netto la loro conversazione:erano in quindici, armati di fucili e desiderosi di acciuffarli. Li avevano scovati e circondati senza che loro se ne accorgessero ma nessuno dei due ricercati sembrava spaventato o tantomeno sorpreso dall'arrivo del nemico. Bastava guardarli per capire che la maggior parte di quelli desiderava non essere lì.

“Dai, vieni!”

Con un rapido gesto, Ace afferrò il polso della ragazza e sgattaiolò fuori dal nascondiglio dalla parte opposta, scansando senza troppe cortesie alcuni degli uomini armati.

“Fermateli!” urlò uno di loro

I loro assordanti passi riecheggiavano aritmicamente lungo la via. Il moro avrebbe potuto benissimo sconfiggerli con il solo dito indice se solo avesse voluto e invece aveva optato per farli sudare in una corsa che non avrebbero mai vinto. Scappare non era nella sua indole (tranne quando mangiava a scrocco); era una parola di cui conosceva il significato ma che non avrebbe mai messo in pratica in battaglia, un pò come il perdere insomma. Attualmente, la sua era una semplice “ritirata” data la presenza di una seconda persona. Non aveva agito per paura che la ferissero ma solo per avere un buon pretesto per portarla con sé. Correva sentendo la sua stretta ricambiata, mentre i marine divenivano piccoli puntini sempre più invisibili. Ormai la meta era vicina.

“Ace, puoi lasciarmi. Posso badare a me stessa senza problemi” gli disse da dietro lei
“Lo so ma non posso farlo” replicò lui continuando a correre
“Uh? Ma...per quale motivo?”

Non pareva capire.
Che stesse scherzando davvero questa volta? Una vocina nella sua testa le stava dicendo di no, che quella che aveva appena sentito era una verità ferrea, allegata ad una fermezza che la fece esitare di qualche attimo. Era ancora troppo presto per sapere che cosa il futuro le avesse riservato. Si accontentava di vivere, scegliendo la propria strada e agendo come meglio credeva, senza voltarsi indietro, dove ombre maligne ridevano di lei e la schernivano, eppure...quando gli disse il perché di quell’affermazione,non si ribellò. Non ebbe a disposizione parole per replicare o forze per respingerlo e non sarebbe passato molto tempo prima che scoprisse l’incomprensibile natura della sua stessa reazione ma per il momento doveva accontentarsi di rimanere allibita.

“E’ semplice: da questo momento fai parte della mia ciurma!”

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Capitolo 5
*** L'ultima alleata della ciurma dei pirati di picche. ***


Un veloce saluto alle carissime fan che mi scrivono sempre!

Beatrix:carissima,non c’è bisogno di scusarti.Ti ringrazio per aver recensito e che ti piaccia sempre di più la storia.Eh si!Adesso Sayuri verrà trascinata chissà dove ma sicuramente il viaggio non sarà tanto tranquillo.Con Ace accanto ci sarà da fare e anche tanto ma lascio a te il giudizio!Purtroppo non ho in mente la Beatrix di final fantasy 9 ma ti ringrazio per aver trovato la mia Sayuri delicata e letale,anche sull’inquietante non ci avevo fatto mai caso

MBP:un caloroso ringraziamento anche a te,cara!Sono felice che il mio personaggio ti incuriosisca e sono certa che ti piacerà il modo in cui incuriosirà Ace.

 Yuki689:ti ringrazio per il commento,per prima cosa.Sono felice che ti piaccia come tratto i pensieri dei personaggi.Cerco nel farlo nel modo più semplice.Ho provato a immaginare nella mia perversa testolina come potrebbe reagire Sayuri alla notizia dell’esecuzione di Ace.E’ stata un’esperienza di venti minuti intensi ma abbastanza soddisfacente anche se non credo che metterò quella parte,comunque per ora mi concentro sui capitoli attuali che sono già un bel da fare per muà!Ti ringrazio ancora e mi inchino,eh si mi inchino,davanti anche alla tua magnifica storia che attendo di leggere con impazienza questo venerdì!

 

 

 

Il Quartier Generale della Marina era forse uno dei posti più insidiosi che esistessero al mondo. Alcuni dicevano che l'isola fosse invisibile perchè ricoperta da una fitta nebbia argentata che, silenziosa, le conferiva quell'alone di mistero e paura che tenevano lontani i più vigliacchi. Marineford non era la meta preferita dai pirati poichè rappresentava la sede dove uomini potenti aventi ferrei principi non guardavano in faccia nessuno. Non facevano distinzioni, loro seguivano quella cosa che amavano tanto chiamare protocollo e quella stessa sera il personale era impegnato come sempre in faccende politiche della massima importanza, gran parte delle quali erano top secret. Le autorità si trovavano nel bel mezzo di una riunione quando uno dei vari lumacofoni del centralino cominciò a squillare. Appena dettata la notizia, l’ufficiale incaricato percorse il lungo corridoio dalle pareti chiare, per poi annunciare la sua presenza davanti ad un ampia porta scorrevole.

“Avanti!” disse una voce autoritaria e profonda.

L’ufficiale non si fece attendere più di tanto e aprì la porta per poi entrare in una stanza dal tatami color prato, arredata con mobili grandi e sontuosi; in fondo ad essa vi era una scrivania dai angoli molto elaborati dove il grande ammiraglio Sengoku, meglio conosciuto come il Misericordioso, stava revisionando i rapporti appena pervenuti. La lunga barba legata in più punti era appoggiata sulla scrivania e gli occhi fissi su alcuni fogli, leggevano da dietro un paio di tondi occhiali dalla montatura azzurra. Fuori dalla finestra tirava una leggera brezza e l’inseparabile capretta bianca ne sembrava rapita, tanto che all’entrata dell’uomo non si mosse di un millimetro.

L’uomo avanzò verso la scrivania con passo controllato, stando con la schiena ritta e il berretto ben sistemano in testa.

“Signore, abbiamo appena ricevuto una comunicazione da Rogh Town: pare che il contatto con Portuguese D.Ace sia fallito”

L’illustre autorità alzò la testa verso il suo subordinato e si sistemò i piccoli occhiali tondi con l’indice; indubbiamente era deluso per la non riuscita della missione ma in fondo era sempre stato ben conscio che parlare a quattrocchi con un pirata era molto più difficile che dargli battaglia con spade e cannoni. In poco tempo quel ragazzo era riuscito a farsi un nome, ad eliminare pirati che avevano molta più esperienza di lui e di conseguenza, a meritarsi una taglia da capogiro. I primi articoli riportati dalla cronaca avevano fatto in modo che il mondo intero lo conoscesse. Un’altra spina del fianco, aveva pensato la prima volta che i soldati l’avevano incontrato.

“E’ comprensibile" disse intrecciando le dita "Quel ragazzo seppur giovane non si lascia di certo avvicinare con così tanta facilità. Abbiamo altro?” domandò pacato.
“Si, signore. Sembra che nella cittadina sia stata avvistata un’altra fuorilegge di primo livello, per giunta in compagnia di Pugno di Fuoco” e gli consegnò la locandina che ritraeva la suddetta ricercata “E' Sayuri, il Bianco Giglio. Purtroppo anche di lei si sono perse le tracce”

Sengoku fissò a lungo il volto della ragazza prima di inspirare ed espirare profondamente. In quell’era chiamata pirateria i fuorilegge più giovani erano sempre i più pericolosi, fatta eccezione per alcuni veterani che non demordevano nella loro battaglia. La ragazza era colpevole di aver sconfitto tutta da sola la Triade nera e di aver rubato da diverse basi operative mappe e documenti riguardanti le attività commerciali nel mare meridionale. Novanta uomini, di cui alcuni erano possessori dei frutti del mare, addestrati al Quartier Generale, capaci di neutralizzare più di sei navi pirata messe assieme, sconfitti da un solo pirata e per giunta da una ragazza. Quando aveva letto il rapporto quasi stentava a crederci.

“Fate rientrare le truppe. E’impensabile ottenere un contatto diretto con l’uso della forza se l’obbiettivo è diplomatico. Chiamate il maresciallo Hiroya e ditegli di tenersi pronto; per il momento manderemo in ricognizione una semplice sentinella. Non appena riceveremo la posizione di Pugno di Fuoco, fate in modo che lo raggiunga immediatamente”

 

 

Il nome Sayuri significava giglio, anche se la sola semplice abbreviazione Yuri indicava quei fiori.
I gigli rappresentavano la dolcezza, ma erano meglio conosciuti come il simbolo della purezza e la ragazza rispecchiava alla perfezione quella qualità: era cortese, educata, con un animo immacolato e innocente, incapace di mentire, decisamente molto più femminile di quanto lo potessero essere alcune nobildonne altezzose ma il motivo principale che aveva spinto il Governo Mondiale a darle il soprannome di Bianco Giglio non si basava sul suo nome ma ad una particolarità che spiccava sul suo corpo: dietro la spalla destra era stata tatuata una coppia di gigli bianchi a grandezza naturale, di cui alcuni fili d’erba si diramavano, attorcigliando un quarto del suo braccio, abbellendolo con piccole foglioline e qualche bocciolo non ancora sbocciato dei suoi fiori preferiti, simboli di un ricordo a lei caro.

Non appena la nave aveva preso il largo il suo nuovo capitano l’aveva presentata alla ciurma, composta da una trentina di persone che nel capire che dopo immane tempo avrebbero finalmente avuto a bordo una femmina, saltarono per la gioia.

“Fammi capire, Ace: hai fatto a botte con questa ragazza per poi trascinarla sulla nave e reclutarla senza chiedere una sua opinione?”
Il capitano annuì sorridendo e aggiunse “La situazione richiedeva una decisione veloce”
L’altro non parve contento “Sei incredibile” sbuffò. Poi, nel guardare la nuova arrivata, disse: ”Una donna a bordo. Non è che la cosa mi vada a genio ma sei tu il capitano...”

Nel guardarsi un po’ in giro, la castana incrociò lo sguardo di quell’uomo che stava parlando con Ace: il suo nome era Donnie, Don per gli amici, ed era il medico-cecchino dell’equipaggio. Alto e smilzo, era un venticinquenne con occhi semichiusi aventi piccole occhiaie che li adornavano, conferendogli una espressione perennemente assonnata e svogliata; il leggero strato di barba non curato che gli copriva il mento e che risaliva per le basette, gli dava molti più anni di quanti ne avesse. Girava con indosso un berrettino di lana grigia, che non mancava mai di portare insieme ai suoi strumenti per apprestare delle cure di emergenza e il fucile a tracolla: aspetto a parte, era un medico in tutto e per tutto e non avrebbe mai permesso che uno dei suoi compagni morisse. Che si trattasse di emorragie o di semplicissimi tagli, si assicurava sempre che non fosse nulla di grave e che ciascun uomo presente su quella nave stesse al meglio. Il suo atteggiamento ingannava gli estranei perchè sapeva fargli credere di avere una possibilità di vittoria quando invece non ne avevano alcuna. Era intelligente e sapeva valutare con attenzione se la situazione lo richiedeva.

“Vieni con me. Non che ne abbia voglia ma ti darò un’occhiata” senza troppi complimenti, sottrasse la neo-arruolata dalle grinfie della ciurma, che non mancò di fulminare il medico con sguardo omicida.
“A volte non lo capisco proprio: prima ci dice di non combinare casini, poi è lui il primo a fare baraonda” brontolò mentre la visitava nel suo piccolo studio medico “E per giunta con una femmina!” aggiunse.

La stanza era ordinata, pulita, con leggero odore di disinfettante alle pareti. I pochi strumenti visibili erano in ordine, lucenti e senza imperfezioni. Un altro segno di quanto Don tenesse alla sua mansione. Parlava ma al tempo stesso si assicurava che non avesse nulla di rotto. Considerato chi era stato il suo avversario, era bene che facesse una visita completa. Dal canto suo, Sayuri non sentiva il bisogno di cure ma non volle contraddire il parere del dottore. Ancora si chiedeva il perché fosse lì, anzi, come fosse finita lì e perché non aveva opposto resistenza quando Ace l’aveva portata sulla nave ma tanto ormai era tardi per domandarselo così come dubitava che la sua imbarcazione fosse dove l’aveva lasciata. Ormai era lì, su quella nave e il tempo non avrebbe spostato le lancette indietro appositamente per lei.

“D’accordo, sei a posto. Un po’di riposo e sarai perfetta. Puoi andare”

 

 

Adesso era di nuovo sul ponte.

L’aria fresca le riempiva i polmoni, accarezzandole i capelli e dandole un piacevole senso di benessere. Levò il capo in alto, osservando il vessillo dipinto sulla bandiera legata alla cima dell’albero maestro, identico a quello stampato sulla vela principale: un classico jolly roger ma con indosso un cappello arancione alle cui spalle vi era un’enorme picca viola che ricopriva il teschio sorridente. Un disegno originale, che le abbozzò un sorriso sul viso. Camminò sulla destra, vicino alla balaustra, gettando di tanto in tanto un occhio al mare, tranquillo e senza onde.

“Che te ne sembra?” le domandò qualcuno lì vicino.

Ace era appoggiato con i gomiti al timone. Sayuri lo raggiunse e si sedette in cima alla scalinata di legno che rialzava quel tratto della nave.

“Devo dire che esteticamente non ha nulla da invidiare alle altre navi”
“E la ciurma?”
“Di buona compagnia ma credo di non piacere molto al medico di bordo” affermò pensierosa
Il moro scoppiò a ridere “Non farci caso! E' sempre….”

Non terminò la frase che cadde ancora una volta preda della narcolessia.

“Oh, santo cielo! Ace, tutto bene? Ace!”

Lo scosse delicatamente ma come era accaduto al locale, non riuscì a svegliarlo. Riprovò ancora e fallì. Eh,no: di svegliarsi proprio non se ne parlava.

Temo dovrò farci l'abitudine. Pensò sorridendo.

Non potendo fare altro, lo adagiò a terra e prese il timone. Di disturbare qualcuno che governasse la nave non se ne parlava: era perfettamente in grado di farcela da sola e inoltre non voleva svegliare nessun membro della ciurma. In fondo era arrivata nella prima parte della rotta maggiore con le sue sole forze, con la sua Flywind.

A ripensare alla sua barca, sospirò sconsolata. Quella era stata l'unica nota amara in tutta la serata. Dopo mezz’ora, il ragazzo si destò dal suo sogno con un ampio sbadiglio. Rimase perplesso per qualche secondo quando constatò di essere steso a terra e non vicino al timone dove teoricamente sarebbe dovuto essere. Poi realizzò come potevano essere andati i fatti e si rivolse a Sayuri.

“Sono crollato, vero?”
“Si, come un sasso” gli confermò lei.

Ace lasciò che continuasse lei a dirigere la nave, almeno così se si fosse nuovamente addormentato, si sarebbero risparmiati episodi che vedessero l’intera ciurma impegnata a recuperare la rotta perduta.

“Ace...” cominciò poi lei “Perché hai voluto che divenissi un membro della tua ciurma? Io potevo anche far parte di un'altra banda di pirati...”

Quella era una possibilità plausibile. Che garanzie aveva che non appartenesse ad un’altra ciurma? Era vero, c’erano molti pirati solitari ma per la gran parte, erano maschi. Sayuri era partita col presupposto di vedere il mondo senza nessuno. E poi...non sapeva niente di lei: conosceva il suo nome e la taglia che pendeva sulla sua testa, eppure..aveva scorto qualcos’altro. Qualcosa di natura riservata, segreta e che aveva attratto la sua curiosità come il miele faceva con le api.

“Era praticamente impossibile che navigassi con altra agente” le rispose “Ho visto le persone che c’erano e credimi, nessuno di loro era abbastanza accreditabile come tuo capitano quindi ho pensato “Perché non chiederle di unirsi alla mia ciurma?”. Ti ho sfidato perché mi hai incuriosito molto ma la verità era che mi serviva un pretesto per portarti sulla nave. Sembravi così sola.”

Rimase a bocca aperta quando le diede quella risposta. Era come se fosse stata la cosa più naturale del mondo; gliela aveva detto senza peli sulla lingua e con un sorriso a trentadue denti. D’accordo, chiunque davanti a una risposta del genere si sarebbe offeso o avrebbe alzato il tono di voce. Praticamente le aveva appena detto che aveva deciso già antecedentemente al loro scontro che lei facesse parte della sua ciurma. E senza neanche chiederlo! Lui gli sorrideva con naturalezza e con la convinzione che questo un po’l’avrebbe fatta ribollire dalla rabbia e invece la sua nuova alleata non si scompose, esattamente come aveva fatto prima.

“Ti ho fatto questa impressione?” gli domandò ricambiando il sorriso
“Solo alla fine. Inizialmente non credevo nemmeno che fossi un pirata” le confessò
“Eh eh! Non sei il primo a dirmelo: diversa gente che ho avuto modo di conoscere è rimasta piuttosto sorpresa davanti alla mia identità”
“Posso immaginarlo”

Finirono col parlare tutta la notte. Di quel che avevano fatto, con quanti avversari si erano scontrati, dei posti che avevano visitato ma per la maggior parte del tempo era stato Ace a parlare. Sayuri era rimasta al timone, guardandolo e ascoltandolo senza interromperlo come una bambina davanti alla favola della buonanotte che la mamma soleva raccontare ogni sera. Fu solo quando centrò un argomento in particolare che la ragazza si stupì ancor di più e lo interruppe, affascinata.

“Davvero? Vorresti sconfiggere Barbabianca?” gli domandò impressionata Sayuri
“Esatto” le rispose affermativamente.

La persona di cui stavano parlando era conosciuto come Edward Negate, alias Barbabianca: era stato il grande rivale del Re dei Pirati, Gol D.Roger e per tanto si era meritato l’onore di essere considerato il Re dei Mari, il simbolo della pirateria. Insieme ad altri uomini, conosciuti al mondo come imperatori, navigava nella acque del nuovo mondo, la seconda parte della rotta maggiore. Le innumerevoli battaglie con i grandi del passato avevano infierito sulle sue condizioni fisiche ma ciò nonostante niente gli aveva impedito di continuare la corsa verso il trono lasciato dal vecchio rivale. Era testardo e convinto della propria forza, altrimenti perché sarebbe ancora lì a inseguire il suo sogno?

“Per diventare il Re dei Pirati è necessario prima sconfiggere il Re dei Mari” proseguì con assoluta serietà ”Trovare il One Piece non significa soltanto raggiungere il limite estremo della rotta maggiore ma confrontarsi con tutti gli altri avversari per dare prova del proprio spirito e se voglio arrivare in fondo, devo misurarmi assolutamente con l’ostacolo più grande”

Era il suo sogno, quello di poter vivere come credeva e come voleva. Ne era sempre stato convinto ma nonostante la ragazza trovasse il tutto alquanto stupendo, un lato di sé rimaneva dubbioso sulla questione di Barbabianca. Quel pirata non era uno qualunque e per quel che sapeva, batterlo richiedeva forze ben superiori a quelle umane eppure Ace in quel momento era così serio, così intenzionato ad andare contro Barbabianca, che niente sarebbe stato in grado di fermarlo. Poteva vedere la sua determinazione a occhio nudo, come un aura rossiccia che saliva in alto e si disperdeva nella notte, risplendendo come un fuoco vivo.

“E tu? Ce l’hai un sogno?” le domandò il moro, con gli occhi fissi sull’orizzonte pieno di stelle.
“Io? Beh...” esitò un attimo prima di rispondere ”Se devo essere sincera non ne ho uno in particolare. Sono partita unicamente per vedere il mondo, scoprire che posto sia e vedere fin dove posso arrivare”

Fu solo una sfuggevole impressione ma Ace avvertì un impercettibile incertezza nelle sue parole. Le sue parole gli erano suonate così...strane. Per un attimo, aveva intravisto negli occhi della ragazza muoversi qualcosa: uno strano riflesso blu scuro che era apparso e sparito in un solo istante, senza più farsi vedere. Una risposta del genere non se l’aspettava. Ci avrebbe creduto se non fosse stato per quel lampo nei suoi occhi. Un lampo la cui natura era più intricata di qualunque emozione provata sino a quel momento. Sayuri era appena arrivata e già stava occupando uno spazio personale nella sua curiosità, che doveva essere assolutamente soddisfatta. Anche se sfuggevole, quel lampo bluastro si era riflesso nei suoi occhi nel medesimo istante in cui gli aveva risposto. Cosa poteva essere di tanto misterioso da far nascere in lui quel voler sapere silenzioso? Non ebbe modo di rifletterci sopra perché cadde ancora una volta in un attacco di sonno che lo tenne occupato fino all’alba. 

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Capitolo 6
*** Domande. ***


Buone feste a tutti quanti!auguro buone vacanze natalizie a tutti gli iscritti a Efp,a coloro che leggono la mia storia e a chi recensisce!Prima del capitolo,come sempre,passo a ringraziare chi ha lasciato le proprie opinioni:

 

Maya90:Benvenuta carissima!prima cosa,ti ringrazio per aver scritto,fa sempre piacere avere nuovi fan.Per rispondere alla tua recensione,ti posso dire che avevo già in mente di inserire una storia antecedente ai fatti che stanno accadendo in questo momento,e che mi stanno facendo tenendo col fiato sospeso.L’ho postata,anche se non del tutto completa per due motivi:primo,adoro il personaggio di Ace (anche se ora il pover uomo sta patendo le pene dell’inferno).Secondo,non sarei stata capace di dare un possibile seguito quindi ho optato per qualcosa di diverso,ovviamente con un mio personaggio di invenzione di cui sono estremamente orgogliosa (facciamo più di uno perché non conoscendo i membri effettivi della ciurma di picche ho dovuto improvvisare).

 

MBP:Visto come sono messa,per la comparsa del grande babbo ci vorrà ancora un po’ (alcuni capitoli non li ho trascritti a computer ma con le vacanze di natale spero di portarmi notevolmente avanti)Ma non ti preoccupare!Ho già in mente cosa fare per l’entrata in scena del vecchio!

 

Beatrix:Beh,che evo dire…Don è un po’ pessimista.Ho creato questo personaggio senza troppa fatica,anche perché sognavo di metterne uno di questo stampo nella mia storia.Si,è polemico ma in fondo è buon compagno (vedrai più avanti).Per quanto riguarda Sayuri,posso dirti che la sua gentilezza e il suo carattere sapranno affrontare al meglio il carattere del medico-cecchino.

 

Yuki689:La mia Sayuri incuriosisce parecchio.Modestamente sono felice che susciti così tanta curiosità e per quanto riguarda il suo passato posso solo dire una cosa.E’ la parte dove meglio ho cercato di esprimere i miei sentimenti,immedesimandomi in lei.Per il resto,dovrai aspettare (se anticipo tutto adesso,tanto vale che smetta di spostare,no?)

 

 

A cinque mesi dalla sua entrata, Sayuri era diventata a tutti gli effetti uno degli elementi di spicco nella ciurma dei pirati di picche. La sua forza fisica e intellettuale erano paragonabili solo alla sua dolcezza d’animo, le avevano fatto guadagnare il rispetto dei suoi compagni,che le rivolgevano la parola con l’appellativo “sorella Yu-chan”, la navigatrice. Non era un genio innato ma grazie alle conoscenze apprese dai documenti e da alcuni testi studiati quand’era piccola, era in grado quasi sempre di confermare se c’era un pericolo o meno.

Solo tre persone le davano del "tu" ed erano gli altri ufficiali più in vista: per primo il capitano Ace, con cui ormai aveva stretto una solida amicizia, il medico-cecchino Don, che le rimproverava spesso (ma mai con cattiveria) del suo essere troppo indulgente e infine da Bonz, il cugino minore di Don. Bonz era il cuoco di bordo e addetto all’artiglieria pesante, denominato per tale motivo cuoco cannoniere. Caratterialmente e fisicamente non assomigliava per nulla al cugino: era molto robusto, con la faccia gonfia, di un bel colorito rosso. Portava una larghissima maglia bianca che per via della grande mole sembrava lo stesse strangolando, lasciando così scoperta la pancia, lievemente trattenuta dall’inseparabile grembiule abbinato a dei pantaloni marroni. Come persona era bonaria, forse un tantino lento a capire le cose ma sicuramente un affidabile compagno di battaglia. Passava le giornate in cucina a sperimentare e creare nuovi sapori e pietanze oppure nell’armeria, a giocherellare con polvere da sparo e affini, sperando che la sua creatività potesse riversarsi anche in altro: quando si trovava lì, tutti si tenevano alla larga.

“Tutti a tavola!” il suo vocione rimbombava in ogni angolo della nave.

La cucina, suo indiscusso regno era grande e circolare, divisa in due parti: la prima ospitava il lungo tavolo dove la ciurma mangiava, la seconda invece era occupata dai fornelli, dalla dispensa e dalla sua stanza da letto, nascosta dietro una tenda rossa. Capitava che ogni tanto l’ispirazione lo cogliesse nel cuore della notte, così si alzava e si adoperava senza disturbare nessuno. Una cosa era certa: dopo aver assaggiato uno dei suoi piatti, si era capaci perfino di mangiare le pietre. Carne, alghe, alligatori, insetti...lui trovava sempre il modo di cucinarli e se la ciurma si trovava ancora nel mondo dei vivi e senza problemi di stomaco, voleva dire che se la cavava bene.

“Lucertole marine arrosto! Sayuri,assaggiale! Devi mettere un po’ di carne su quelle ossa” esclamò euforico.
“Bonz, mettiti gli occhiali. Stai parlando con la scopa” gli disse Don

Purtroppo, il suo unico difetto era proprio la vista: più cieco di due talpe messe insieme, si dimenticava sempre di mettersi gli occhiali, salvo quando doveva cucinare. Senza era perso e anche chi gli stava vicino se stava armeggiando con delle palle di cannone.

“Toh! E' vero!”
“Sei proprio irrecuperabile” sospirò l’altro “Come fai a dimenticartene sempre?”
“Non prendertela con lui, Don. E’solo un po’ distratto, non c’è niente di male” lo difese la ragazza.

Il medico-cecchino sbuffò sconsolato e continuò a mangiare.

Ace, lì vicino, era occupato con il suo enorme piatto colmo d'almeno trenta lucertole. Quando il proprio capitano possedeva uno stomaco profondo come un buco nero, tre erano le cose per fronteggiarlo: pazienza, ottima cucina e un enorme armadio stipato di provviste sotto le mani. Praticamente era come dover saziare due ciurme contemporaneamente ma quasi non ci si faceva caso se a tavola si rideva e scherzava. Sayuri era l’unica che si stupiva in continuazione nel vedere un solo essere umano mangiare così tanto e non riusciva mai a trattenere una risata, che si amplificava quando puntualmente il capitano crollava con la faccia nel piatto o cadeva all’indietro per via della narcolessia.

Era felice di stare lì. Lo era davvero e ogni giorno quella sensazione cresceva in lei,rigogliosa come una pinaticella ben accudita. Quella felicità..che mai avrebbe potuto pensare di raggiungere con qualcuno, adesso si stava materializzando.

“Sorella Yu-chan, qualcosa non va?” le domandò qualcuno
“Oh, niente. Ero solo soprappensiero”




Si era alzata dal tavolo dopo dieci minuti ed era uscita all’aria aperta.
La temperatura era aumentata, faceva più caldo ma la leggera brezza marina rendeva quella giornata perfetta e piacevole ai sensi. Stiracchiandosi le braccia, andò sul ponte rialzato per dare una controllata alle mappe d navigazione. Tutto il materiale tecnico era sparpagliato su un tavolo: oltre alla carta che la ciurma possedeva, utilizzava anche quelle requisite nelle basi della Marina. Queste segnalavano isole che spesso venivano utilizzate come “rifornimento” ma ancora non aveva avuto modo di scoprire di cosa e inoltre solo di alcune aveva un aspetto completo ed erano quelle considerate zone vietate ai civili. Raccattando altri fogli, cominciò a lavorarci con attenzione,cercando di non commettere errori.

“Uhm..vediamo un po’, se la corrente che stiamo seguendo è questa, la prossima isola disterebbe...”
“Ehi, eccoti qui!” Ace arrivò alle sue spalle “Non dirmi che hai già finito di mangiare”
L’amica gli sorrise “Sono a posto così e poi volevo prendere una boccata d’aria”
“Sarà ma rimango dell’idea che dovresti sforzati un po’ di più.”
“Eh eh! Mi spiace ma sai bene che non sono una mangiona“

Sorrideva, esattamente come la sera che l’aveva conosciuta. Sorrideva a tutti, mostrandosi gentile, cordiale, con un’eleganza e una semplicità nel suo modo di essere, impareggiabile. Era anche bella, molto, e ogni giorno lo diventava sempre di più, tanto che Ace si accorgeva di come i suoi uomini la guadavano, sentiva i vari apprezzamenti nei suoi confronti e nel profondo di sé non poteva negare che avevano ragione, eppure...per certi aspetti, per molti di questi, lui non la conosceva come avrebbe desiderato.

Da dove proveniva? Come aveva fatto a diventare così forte? Per quale ragione era una pirata se il suo sogno era solo quello di vedere il mondo? Non aveva esitato a domandarglielo più di una volta ma a ogni sua domanda giungeva una risposta si esauriente, che tuttavia lo spingeva a pensare che la castana non voleva realmente confidarsi. Forse preferiva tenersi per sé i fatti personali e questo era comprensibile; di certo non l’avrebbe mai forzata a parlare contro la sua volontà. Qualora avesse voluto, lui l’avrebbe ascoltata ma fino a quel momento, gli sarebbe sempre ronzata in testa un’unica domanda: chi era Sayuri?

“Ace? Qualcosa non va?”
“Uh? No, è tutto a posto” le rispose subito. Grazie al cielo, era sceso dalle nuvole appena in tempo per risponderle. Non poteva distrarsi con lei vicino.
“Ti chiamo quando ho finito di segnare la rotta. Va bene?”
“D’accordo.”

 


“Magari è una giovane sposa scappata dall’altare per evitare un matrimonio combinato” suppose quella stessa sera Don
“Una che deve sfuggire ad un matrimonio non si va a nascondere in un covo di pirati” replicò Ace.

Lui e il medico-cecchino erano gli unici rimasti sul ponte. Sopra di loro, il cielo era stato avvolto dal classico manto blu scuro che sostituiva il gemello più chiaro. Le nuvole lo coprivano parzialmente ma senza enunciare pioggia.

“Pensi che sia una spia?” gli domandò l’amico sistemandosi il berretto di lana grigia.
“Tu lo pensi?”
Don roteò gli occhi al cielo e poi mormorò qualcosa del tipo:“E’solo una supposizione ma se vuoi la mia reale opinione, credo che le donne siano le creature più problematiche di questo mondo e la nostra bella navigatrice non fa eccezioni”

Nel dirlo ne era fermamente convinto. Non odiava la ragazza ma l’esperienza passata con le due figure femminili della famiglia (la madre e la sorella) gli avevano insegnato diverse regole, come non contraddire mai e poi mai una donna se questa era sul piede di guerra o cercare di capire a cosa stesse pensando in quei momenti di assoluta dolcezza che venivano alternati da attimi di depressione, isteria, rabbia e furia assassina. Delle bombe ad orologeria, ecco come le vedeva: se si prendeva il filo giusto si era salvi, altrimenti tanti saluti.

“Io la trovo in gamba. Sa il fatto suo ed è un eccellente combattente. Mi basta sapere che qui si trova bene e che non si senta fuori posto”

Che ci fosse qualcosa o meno, avrebbe rispettato la sua privacy. In fondo,anche lui non voleva che certi dettagli della sua famiglia venissero scoperti.

“Sarà ma rimane comunque troppo gentile” borbottò Don
“Ne parli come se fosse un reato” sghignazzò Ace col suo fare divertito
“E in parte lo è; si sa, troppa gentilezza può uccidere”
Ace scosse la testa “Sei davvero un pessimista di primo ordine”
Don contraccambiò “Ha parlato il capitano”

Don non odiava Sayuri e questo Ace lo sapeva. Il suo riferimento che la gentilezza, se eccessiva, poteva uccidere era un modo per dirgli che anche lui aveva capito che dietro al semplice sorriso della ragazza c’era molto di più. Ne aveva sentito l’entità ma lei era così maledettamente brava nel mascherare ogni sua singola emozione, che a volte non riusciva a distinguere quale fosse il vero o il falso. Durante il loro combattimento, aveva riconosciuto in lei un avversario totalmente diverso da quelli affrontati fino a quel momento: era forte, calma, animata da un spirito combattivo privo di ostilità, puro, esattamente come lei appariva ai suoi occhi e a quelli degli altri.

C’era anche la determinazione di non perdere, aveva avvertito anche quella ma poi sulla nave, quando si era parlato dei propri sogni, quel bagliore blu che era guizzato nei suoi occhi l’aveva come avvertito di mantenere le distanze. Si impensieriva ogni qualvolta ci pensava e tutte le volte che capitava ma dal canto suo, non voleva, almeno una parte di sé, non voleva impicciarsi dei fatti personali dell’amica. Sentiva che non era giusto voler scoprire cosa fosse quel riflesso nei suoi occhi o perché le sue parole avessero un che di studiato. Non aveva alcun diritto su di lei, eppure ben presto si sarebbe ritrovato a pensarla diversamente da ora.


 

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Capitolo 7
*** Giungle River. ***


Salve a tutti!per festeggiare il capodanno ho deciso di inserire due capitoli come segno di ringraziamento a chi legge e scrive!vorrei poter rispondere a tutte voi come faccio di solito ma visto che bene o male mi hanno chiesto la stessa cosa,penso che risponderò con una sola risposta:Ho creato Sayuri e tengo nascosta la sua personalità perchè mi riesce difficile dire tutto in un solo colpo.I miei capitoli sono lunghi sei o sette pagine di word perchè se tento di inserire più cose temo che mi venga un brutto lavoro e so che questo a volte comporta anche molta pazienza anche per chi legge perchè si,aspettare una settimana è tanto,per questo ho deciso di postare due capitoli,per svelarvi qualcosina e per farvi un regalo(che spero apprezzerete)per fine annio!I miei più sinceri auguri di fine anno!Buona lettura

 

 

L’isola che la ciurma dei pirati di picche si stava apprestando a raggiungere, era conosciuta come Giungle River, la terra delle bestie infernali. Si trattava di creature uniche, mitologiche e dalle miste origini, tutte accomunate fra loro da un implacabile impulso famelico. Nel grande blu erano considerati dei mostri terrificanti, che non potevano essere domati ne tanto meno vivere con quelle che loro consideravano prede, per tale motivo l’isola era disabitata e considerata pericolosa.

“Bestie infernali? Stiamo parlando delle stesse che si dicono essere chiuse a Impel Down a fare la guardia ai prigionieri?” domandò Don. 
“Proprio quelle. Ho sentito dire che la Marina è obbligata a catturarle direttamente nei loro habitat e che le trasportano fino alla prigione di stato. Visti i detenuti, vogliono assicurarsi che non escano dalle celle” raccontò Ace
“Bestie infernali...chissà se sono buone da cucinare” si domandò Bonz

Mancava poco all’attracco. L’isola si stagliava imponente davanti a loro, ricoperta da una ricca vegetazione fittissima, escluso un minuscolo lembo di sabbia che costituiva la spiaggia. La calde e limpidissime acque circondavano quella terra selvaggia, sbattendo sulla superficie rocciosa di alcune scogliere mentre il vento si divertiva a insinuarsi fra le fronde dei grandi alberi e adirittura nell'acqua pur di farla guizzare in cielo. Ace cercava con gli occhi un possibile punto dove ormeggiare la nave; la spiaggia era perfetta ma decisamente troppo scoperta. Se la Marina fosse passata lì per caso, l’avrebbe vista senza ombra di dubbio.

Anche Sayuri stava cercando un buon posto.

“Possiamo attraccare lì” consigliò infine la ragazza indicando un punto più distante da dov’erano “Se seguiamo la corrente fredda che circonda l’isola, eviteremo anche di imbatterci nei mostri marini”
“Anche i dintorni sono infestati?” le chiese il cuoco-cannoniere.
“Potrebbe essere. Ci troviamo pur sempre in una zona sconosciuta ed è meglio essere prudenti, anche se non credo le bestie vogliano esporsi al dì fuori dell’isola”continuò lei.
“Ti riferisci al clima, vero?”

Ace ci aveva azzeccato.
Le bestie infernali vivevano solo su isole il cui clima girava intorno ai quarantacinque gradi. Alcune, quelle di Impel Down, erano riuscite ad adattarsi ma ciò derivava dal fatto che fossero state catturate e allevate in cattività. Per quanto fossero temibili, quelle libere erano totalmente incapaci di sopravvivere in un territorio diverso dal loro, privo dei requisiti di cui necessitavano. Potevano allontanarsi per un paio di chilometri ma non appena la temperatura scendeva anche di un solo grado, il loro organismo ne risentiva, tanto che dopo quindici minuti erano già morte. Almeno questo era ciò che si sapeva ma non era da escludere che quelle presenti a Giungle River si fossero adattate anche a climi più freddi. L’imprevidibilità era una delle loro caratteristiche più enigmatiche.

“Non è conveniente che tutti lascino la nave. Rimarremo giusto il tempo di permettere al log pose di registrare il magnetismo del posto.” affermò il capitano “ Io e Sayuri andremo in ricognizione. Bonz, tu pensa le provviste. Don, lascio a te il comando”

Una volta attraccati, gli uomini si disposero a seconda della mansione recapitata. Inizialmente, la ragazza sarebbe dovuta andare insieme al cuoco ma la prospettiva di lasciare Ace solo, in mezzo alla giungla, con il suo immancabile problemino della narcolessia, aveva fatto si che Don suggerisse alla navigatrice di lasciare Bonz al suo destino e di assicurarsi che il capitano non si perdesse o non si addormentasse per strada.

“Pensi che sia stato giusto lasciare andare Bonz da solo?”
“Non devi preoccuparti. Se si tratta di lui, gli unici che rischiano la pelle sono i mostri di quest’isola” le assicurò.

Ora che ci rifletteva con più attenzione, Bonz era un vero e proprio esperto nel cacciare selvaggina, l’autorità fatta a persona. Del resto, con quello che mangiavano, sicuramente non era uno che si faceva troppi problemi a sporcarsi le mani per sfamare i suoi compagni e questo gli faceva onore, solo che di tanto in tanto il suo entusiasmo nel cacciare qualunque cosa avesse quattro zampe o più, a volte era preoccupante, come in quel caso per esempio. Cosa poteva uscire con un cuoco euforico per la caccia e delle bestie infernali improntate a mangiare tutto ciò che era piccolo e indifeso? Sayuri si risparmiò la risposta.

Quando lei ed Ace entrarono nella foresta sembrò che dietro di loro si fosse chiuso qualcosa di invisibile alla vista e al tatto; le alte piante, con le loro chiome, oscuravano l’ambiente, rendendo il posto più afoso e oscuro. Cespugli spinosi si annodavano al terreno e rumori sconnessi circondavano lo stretto sentiero su cui camminavano i due ragazzi. Il verde mostrava a loro anche meraviglie floreali molto pittoresche ma poco rassicuranti e ad ogni loro passo dovevano stare attenti a dove mettevano i piedi, per evitare di finire dentro a qualcosa che li avrebbe visti protagonisti di situazioni spiacevoli.

Camminavano col sudore che imperlava la loro fronte, con diversi occhi indiscreti che li osservavano da dietro.

“Siamo già stati scoperti” disse Pugno di Fuoco abbozzando un sorriso di sfida
“Direi proprio di si” concordò l’amica.

Nel esatto preciso in cui si fermarono, quattro ombre fuggiasche si mossero alle loro spalle e con velocità balzarono davanti agli invasori, bloccando loro la strada.

“Chimere” sogghignò il capitano battendo i pugni.
“A giudicare da come ci guardano, devono averci scambiato per il loro pranzo” dedusse la ragazza.

Le bestie si mostravano minacciose e pronte alla lotta, con le bocche traboccanti di saliva. I loro corpi erano tesi, con tutto il peso riversato sulle zampe anteriori da galline; il muscoloso collo ospitava due teste, una da leone e l’altra da capra, che fissavano senza battere ciglio la carne viva, agitando la coda serpentesca. Ringhiavano e belavano all’unisono, a volte battibeccando fra loro ma senza mai scordare cosa avessero davanti. Contemporaneamente si avventarono su Ace e Sayuri.

Con qualche colpo ben assestato, il ragazzo colpì la prima chimera, scagliandola contro la compagna, mandandole così a terra entrambe. Queste, una volta rimessesi in piedi, gli furono subito addosso e lui non perse tempo: con un balzo saltò in aria e scansandosi, afferrò la coda di una delle bestie e la scaraventò contro una quercia rinsecchiata. Poi, sempre a mezz’aria, evocò dalle sue di dita il fuoco e lo indirizzò contro la seconda chimera che, investita dalle fiamme prese ad agitarsi, impazzita. Ace tornò con i piedi per terra richiamando l'elemento e quella si accasciò al suolo mentre la compagna, ripresasi, tentò di azzannarlo al braccio, sia con la testa di leone che con la coda. Era veloce ma per gli standard di Pugno di Fuoco non era nulla di impressionabile, tanto che con un solo colpo l’afferrò per la gola e la lanciò in aria, lontano da dov’erano.

“Non male ma potevano fare di meglio”

Nel girarsi, vide che anche l’amica si era sbarazzata delle altre due ma limitandosi unicamente a fargli perdere coscienza.

“In fondo, siamo noi gli intrusi” disse lei sorridendo.

 

 

Ad ogni loro passo, la foresta mutava aspetto e il caldo e l’oscurità si addensavano come un miscuglio omogeneo. Alberi dai larghi tronchi si ammassavano vicini tra loro e l’erba arrivava a sfiorare e solleticare le loro ginocchia. A lungo andare, si accorsero che quel paesaggio perennemente verde stava cambiando man mano che si adentravano nell'isola: notarono la presenza di diverse pareti rocciose, tagliate da numerosi solchi dove alberi rinsecchiti emergevano dolenti e il rumore di artigli che grattavano il duro suolo si faceva sempre più forte. Sayuri e Ace si guardavano in giro attentamente,consapevoli di essere osservati in quel ambiente molto spoglio.

Tra i mille occhi che li scrutavano, qualcun altro aveva già osato mettere il muso fuori dal proprio rifugio per tentare di racimolare il pranzo ma senza riuscirci. Si videro davanti serpenti lunghi almeno una decina di metri tentare di ingoiarli, piccoli basilischi dal piumaggio spennacchiato cimentarsi nella caccia di prede troppo ostiche e altre creature bizzarre ma sempre pronte ad attaccarli. In più di due ore di esplorazione si erano lasciati alle spalle una scia di bestie svenute e private della loro aggressività. Non avevano paura e proseguirono fino a quando non giunsero davanti a un altro ostacolo: davanti a quella che sembrava essere una zona più inoltrata, vi era un grifone grande quanto un elefante. La ragazza si stupì della sua mole, perché non immaginava certo di vederne uno, figurarsi poi di quelle dimensioni. Le ali, seppur piegate, erano di un bianco chiarissimo e fremevano di potersi slanciare in tutta la loro eleganza. Il corpo da leone, molto più possente di quello delle chimere e fortunatamente privo di code di serpente, si ergeva maestoso e immobile, con la testa d’aquila che con fierezza osservava i due ragazzi, grattando con gli artigli,senza alcun istinto, l’erba.

Era magnifico, un perfetto simbolo di fierezza e magnificenza. Sayuri si ritrovò come incantata davanti a quel animale il cui animo era luccicante quanto l’oro. Ace la pensava allo stesso modo: era un gran bel esemplare della sua specie.

Il grifone non li attaccò e continuò a rimanere fermo, esattamente dov’era, con il becco affilato puntato contro le loro teste.

Questo è il mio territorio. Andatevene.

Il suo sguardo trasmetteva quel messaggio e i due lo recepirono alla perfezione. Cambiando direzione, si avviarono verso le conche di roccia. In fondo era come aveva detto la castana qualche attimo prima: gli intrusi erano loro e quell’animale era stato il più intelligente che avessero incontrato fino a quel momento visto che il suo unico intento era proteggere il proprio spazio e non quello di staccare a entrambi la testa.

 

 

“Mi domando cosa ci sia lì dentro”

L’intera boscaglia era svanita nel nulla; diramata, aveva lasciato il posto a un terreno grigio e avido, scuro come la pece che si assottigliava nei stretti passaggi presenti nelle pareti rocciose,le stesse che avevano scorto prima. Potevano vedere i loro piedi venire circondati da una nebbiolina che fuoriusciva come fosse sangue. Un’altra zona a cui dovremo prestare ancor più attenzione, pensò Sayuri. Era inevitabile che oramai dovessero guardarsi intorno ogni secondo.

“C’è solo questa via. Entriamo a dare un’occhiata” disse Ace
“…….”
“Che cosa c’è, Sayuri?”
“Ah...niente. Perdonami, ero soprapensiero” solo pochi attimi prima un forte brivido le aveva percorso la schiena, come un sonoro avvertimento.

Facendo attenzione a dove mettevano i piedi, si addentrarono negli squarci: i passaggi si rivelarono meno opprimenti del previsto, tanto che dopo appena dieci minuti ne erano già usciti, con il risultato di ritrovarsi in quella che sembrava essere una parte dimenticata del posto.
Era un covo dove la natura era stata letteralmente imprigionata da sottili fili bianchi appiccicosi, addensati tra loro, che andavano a formare motivi centrici d’ogni dimensione, ovunque in quello spazio. Quella roba ricopriva perfino il terreno, sbuffando sotto i passi degli esploratori: la cosa più impressionate però rimanevano quella abnormi masse bianche ai piedi degli alberi o sospesi dai loro rami, aventi grossi fori da cui provenivano strani suoni non ancora identificato.

“Ragni. E anche belli grossi” esclamò Ace ma controllando comunque il tono della sua voce “Siamo finiti nel loro nido”

Gli bastò guardare le enormi prede imprigionate nelle ragnatele o rinchiuse nei bozzoli per capire che non erano esattamente dei ragnetti grandi quanto delle biglie. Dovevano essere grandi abbastanza da distruggere una o due corazzate della Marina ben allestite.

Calcando i suoi passi con estrema leggerezza, Ace iniziò ad avanzare.

“Cerchiamo di non fare rumore, d’accordo Sayuri?...Sayuri?”

Nel chiamarla, vide che non era più al suo fianco ma bensì a qualche metro da lui, con le mani strette al petto e gli occhi spalancati, rivolti al terreno.

Attorno a loro, scricchiolii e sibili iniziarono a farsi sentire con più insistenza.

“Sayuri, stai bene? Cosa succede?”

Non ricevette risposta. Si preoccupò quando nell’assottigliare lo sguardo, si accorse che stava tremando, scossa da brividi insoliti; non l’aveva mai vista reagire in quella maniera, anzi non l’aveva mai vista tremare. Udiva la sua voce bisbigliare qualcosa,in continuazione, col respiro corto e sfuggente .

“Sayuri, parlami!”

Come la prese per le spalle, lei si accucciò a terra, nascondendo la testa fra le mani. A quel punto lo scricchiolio divenne più forte,rieccheggiando in quella parte di foresta; dagli involucri bianchi e da qualsiasi altro punto coperto dalle ombre, zampe coriacee e pelose si mossero, trascinando i corpi mollicci e pieni di veleno dei padroni, dalla cui bocca traboccavano zanne bavose. Svegli e affamati, i ragni erano pronti a giocare al gatto e al topo.

Davanti all’intera colonia riunita pronta a divorarli, Ace non si tirò indietro ma invece di gettarsi verso di loro rimase dov’era, davanti alla castana, ancora inginocchiata a terra. Qualunque cosa avesse, non era nelle condizioni di poter combattere. Con il fuoco dalla sua parte, eresse un muro di fuoco attorno ai primi audaci, che sibilarono impauriti davanti al loro peggiore nemico; altri, ancora nascosti, uscirono e tesero le zampe verso di Pugno di Fuoco che da prima schivò e poi passo ad un contrattacco devastante. Li stava respingendo ma a suo malgrado non si era accorto che uno degli aracnidi era riuscito ad aggirare le sue difese; gli occhietti della bestia puntarono la ragazza e silenziosamente le scivolò dietro le spalle. Era quasi sul punto di ferirla ma come le sfiorò il braccio, quella scappò via urlando.

“No, Sayuri! Aspetta!!”

Troppo tardi. La sua voce non l’aveva raggiunta e lei ormai era fuggita via utilizzando lo stesso passaggio da cui erano venuti.

Non la posso lasciare sola!

Allontanò del tutto i ragni, scatenando un vero e proprio incendio all’interno del nido per poi correre immediatamente dietro la ragazza. Una volta fuori, si guardò attorno velocemente fino a quando non scorse una figura umana a notevole distanza da dov’era. Sayuri era piegata in avanti, con una mano stretta alla corteccia e col fiatone che la costringeva ad alzare e abbassare il petto pesantemente. La raggiunse subito.

“Sayuri, eccoti. Si può sapere che ti è preso? Perché sei...?”

Allungò la mano verso di lei ma come fece per girarla, la ragazza, impaurita, lo scansò bruscamente ma nel farlo perse l’equilibrio.

“Attenta!”

Ace l’afferrò nel tentativo di non farla cadere ma, troppo sbilanciato, finì anche lui con l’essere trascinato giù con la giovane; rotolarono lungo la discesa, come fossero dei sassi, finchè la loro caduta non venne prontamente fermata da un cespuglio.

 

 

Ohi, ohi...che male...

Sayuri aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre.

Si sentiva dolere la schiena ed era leggermente stordita dal volo appena compiuto. Non ricordava bene cosa fosse successo, sapeva solo di essere corsa via: il seguito al momento le sfuggiva. Tentò di alzare la testa ma qualcosa glielo impedì: su di lei gravava un peso indefinito, che non le stava bloccando soltanto la testa ma addirittura tutto il corpo. Era come schiacciata a terra e per il colpo appena subito, gli arti momentaneamente non rispondevano ai suoi comandi.

Stranamente, avvertì qualcosa di diverso su di sé e ciò non era provocato dal peso che la opprimeva ma da altro. Qualcosa di caldo e...umido, proprio all’altezza della bocca. Era piacevole, molto delicato al tatto. Che cosa poteva essere..?

Appena focalizzò meglio, vide che chi le impediva di alzarsi era Ace: il capitano le era involontariamente caduto addosso ma ciò che la irrigidì fu il comprendere la natura di quella sensazione fin troppo piacevole: le labbra del moro si erano sovrapposte alle sue, in un bacio fugace, che per l’imbarazzo da parte di entrambi si stava prolungando più del dovuto.

“Scusami!” Ace si tirò su con le braccia “Non avevo intenzione di..non volevo...” cercava di scusarsi ma era troppo agitato per farlo come adeguatamente.
“N-no. E’...colpa mia, sono...sono io quella che è scappata” balbettò lei rossissima.

Il ragazzo le si tolse di dosso e la aiutò ad alzarsi ma evitando accuratamente di guardarla direttamente negli occhi. Dal canto suo, Sayuri era totalmente persa e teneva le mani sul suo cuore, che galoppava freneticamente fuori controllo. In quel momento, era così tesa, che nell’avvertire uno strano rumore in lontananza, sussultò.

“Non..saranno...?” pregava che non si trattasse degli innominabili dalle otto zampe.
“Non credo. Sembra essere qualcosa di molto più grosso”

Ace accostò l’orecchio all’aria, cercando di capire di cosa si trattasse; il suono era ovattato, estremamente regolare e si stava avvicinando.

“E’ un battito d’ali” constatò “E viene verso di noi. Nascondiamoci”

Il buon senso che si ritrovava, gli aveva suggerito di sospendere i combattimenti fino a tempo indeterminato. Non sapeva cosa stesse arrivando di preciso, quindi doveva prendere la decisione più saggia che il suo subconscio gli stava suggerendo. Insieme alla compagna, si fece largo tra la natura, fino a scovare quello che cercava: un enorme albero, alla cui base era stata scavata una rientranza grande abbastanza da ospitarli. Si nascosero al suo interno, giusto per vedere sorvolare sopra l’intera foresta un volatile a dir poco che gigantesco, dalle fattezze identiche a quelle di un avvoltoio ma con un piumaggio molto più sgarciante. Come dimensioni si avvicinava a quelle di una balena adulta della rotta maggiore e il suo passaggio aveva temporaneamente oscurato quei piccoli spiragli dove la luce filtrava, anche se data l’ora, di luce ne era rimasta ben poca. Il tramonto stava pian piano lasciando posto alla sera.

“Ci converrà rimanere qui fino a domattina. Non è sicuro proseguire” decise il moro sedendosi a terra “E speriamo che qui la notte non sia troppo lunga”



 

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Capitolo 8
*** Prendendo il largo. ***


Buon 2010 a tutti!prima di lasciarvi al capitolo ringrazio come sempre chi recensisce ma ovviamente anche chi legge e trova la storia interessante!Vi avviso che purtroppo,non so quando dovrò far formattare (non so come si dica bene) il computer e purtroppo non disponendo di chiavetta (iella nera!)ho dovuto stampare tutto il lavoro.Per ora i documenti sono ancora sul computer ma se mai dovessi rallentare la pubblicazione è solo perchè dovrò scriverli nuovamente anche se spero nell'avvento di un miracolo.Comunque ci tengo a continuare questa storia,quindi non preoccupatevi!per ora è tutto a posto ma se in futuro non riuscissi più ad aggiornare con regolarità non dovete preoccuparvi perchè anche se con un pò di ritardo posterò!

Yuki689:ciao carissima!si,Ace finalmente ha scoperto qualcosa di Sayuri.La paura dei ragni mi nata dal nulla,volevo qualcosa di semplice ma che sortisse il giusto effetto.A dire la verità ho un amico che sofre di questa fobia ma non avendolo mai visto davanti ad un ragno non posso immaginarmi quanto sia terribile ma deve esserlo davvero perchè il solo nome lo fa irrigidire.

Beatrix:uhm...che dire Sayuri non è esattamente di ghaccio altrimenti l'avrei fatta più seria e senza sorriso comunque era necessario una scena simile altrimenti qualcuno mi avrebbe squartata viva.Purtroppo ci vorranno altri capitoli prima di arrivare a quello che tutti mi chiedono ma non preoccuparti:chi ha pazienza alla fine viene premiato!

 

 

“Si può sapere, di grazia, dove cavolo eravate finiti?! Sono rimasto a fare il palo tutta la notte!” sbottò Don con la faccia tiratissima.

La mattina era arrivata presto a Giungle River; i tenui raggi del sole si erano fatti strada tra il fogliame, svegliando di buon ora i due pirati, cosicché si incamminassero sulla via del ritorno. Sul ciglio della passerella avevano incrociato Don, a cui ora erano al cospetto, che li fissava con un espressione parecchio stanca e scocciata per l’abnorme ritardo, mentre loro rimanevano fermi dov’erano, come colpevoli di un atto a dir poco imperdonabile. E sorridevano pure, come se non fosse successo nulla di particolare! All'umore del medico-cecchino, ciò non giovò affatto.

“Rilassati. Abbiamo ispezionato qualche zona di troppo e alla fine ci siamo fermati a riposare” gli spiegò Ace raggiante.
“Fammi un piacere: fa sparire quel sorriso prima di accecarmi” brontolò il compagno.

Non doveva proprio aver dormito. Apriva e chiudeva gli occhi così lentamente che a momenti sarebbe potuto crollare a terra con l’eleganza di un sacco di patate, ma potevano forse criticarlo? Gli era toccata una ronda notturna più lunga del necessario.

“Ci dispiace moltissimo. Non volevamo attardarci” si scusò immediatamente la ragazza, dispiaciuta “Il nostro ritardo è più che altro colpa mia”

Si astenne dallo spiegare il perché del ritardo e si astenne ancor di più sui dettagli, come quello di aver dormito ad una distanza troppo ravvicinata con il capitano. A malapena conteneva il proprio rossore e le sensazioni scaturite. Il medico-cecchino la guardò con un cipiglio interrogativo ma disse:

“Colpa più o meno, l’importante che siate qui interi. Ah, a proposito, capitano, dovrei dirti una cosa”

Adesso il suo sguardo era cambiato. Emanava un che di serio, scaturito molto probabilmente da quello di cui doveva parlargli. Ace intuì immediatamente quel cambiamento. Don non anticipò nulla fintanto che rimasero sul ponte ma una volta arrivati nello studio personale di lui, gli parlò dell’accaduto, riassumendo il tutto in una sintesi concisa e piena degli elementi di maggiore rilevanza.

“Una sentinella? Ne sei sicuro?”
“Si. Quell’uccellaccio è rimasto a fissare la nave per un bel pezzo e poi se ne è volato via, ma sicuramente non per sgranchirsi le zampe”

Col cappello da cowboy arancione che gli copriva la parte superiore del viso, l’amico non poteva vedere concretamente l’espressione del moro, ma a giudicare dal momentaneo silenzio creatosi era evidente che Ace stava valutando la situazione con tutti i mezzi a sua disposizione. La linea della bocca era piegata in un angolatura negativa, rivolta verso il basso.

“Probabilmente la Marina ci è alle costole da quando siamo fuggiti da Rogh Town. Avranno mandato le sentinelle con il solo scopo di rintracciare la nostra rotta”

La nave era salpata e si era allontanata subito dall’isola delle bestie infernali, tuttavia qualcosa non andava. Certo, c’era la possibilità che la Marina saltasse fuori da un momento all’altro per attaccarli ma non era questo che faceva rimuginare così tanto Pugno di Fuoco: perché dopo tutto quel tempo, i marine li stavano ancora cercando? Non aveva senso. Avevano persino sguinzagliato le sentinelle per scovarli, il che era veramente strano, perché quei gabbiani, da quel che sapeva, solitamente non venivano impiegati di certo per ingaggiare un combattimento.

Non cercavano lo scontro fisico ma qualcosa di ben diverso, fuori dagli schemi.

Anche Don la pensava allo stesso modo. Il governo non era tipo da prolungare un inseguimento più del dovuto, era troppo rischioso e soprattutto dispendioso, tuttavia ciò non toglieva che stesse facendo di tutto per intercettarli. La ragione ancora rimaneva ignota, ma l’istinto stava suggerendo a Ace che non lo sarebbe stato ancora per molto.

 


Nella cucina, Bonz saltellava gioiosamente come un bambino felice nell’aver ricevuto in regalo il gioco più bello del negozio: girava intorno ai fornelli fischiettando, movendo il faccione e sorridendo allegramente come una pasqua. Era soddisfatto di sé stesso, aveva fatto una buona caccia e stava mostrando il tutto a Sayuri, seduta lì vicino ma, anche se col fisico si trovava lì ed ogni tanto faceva sentire la sua voce al cuoco, la mente era bloccata da tutt’altra parte.
L’esperienza vissuta a Giungle River era stata...decisamente fuori dal comune. Tra tutti i pericoli possibile e inimmaginabili, aveva finito per imbattersi in quei cosi pelosi che scatenavano in lei ricordi orribili e sensazioni che le facevano accapponare la pelle. Quel brivido alla schiena l’aveva avvertita e alla fine era accaduto il peggio. Era stato davvero orribile non riuscire a controllarsi, ma quello che proprio non poteva perdonarsi era il fatto che Ace, il capitano, l’avesse vista in quelle condizioni. Avrebbe ceduto l’anima al diavolo se solo fosse servito a non farla reagire a quel modo ogni qualvolta si trovasse di fronte agli aracnidi. Sconsolata, si lasciò sfuggire un sospiro troppo lungo e Bonz lo udì da dietro il bancone.

“Che cos’hai, Sayuri? Sei stanca? Hai mal di pancia?”
“Come? Oh, no sto bene. Sono solo sollevata dall’essere andata via dall’isola” gli rispose

In parte era vero, ma non poteva di certo confessare il resto. Se solo pensava a che cos'era accaduto dopo essere scappata dal nido, rischiava di diventare nuovamente bordò.

Si portò l’indice e il medio della mano sinistra vicino alle labbra, come a voler rievocare ancor più concretamente quel ricordo.

Aveva dato un bacio a Ace, il suo primo bacio.

Certo, non era accaduto per volontà di entrambi, pensò lei. Era stato un caso, in fondo se non fosse scappata via in quel modo e non l’avesse respinto, non sarebbero rotolati giù per quella discesa e...e se solo andava avanti col pensiero temeva di tradirsi con parole o espressioni senza volerlo. Erano rimasti accanto per tutta la notte, vicini. Se chiudeva gli occhi anche solo per un minuto, poteva ancora percepire su di sé quel braccio che le aveva cinto delicatamente le spalle, il calore del suo corpo, i suoi occhi...

Avvampò a quei pensieri. In quel momento, davanti al moro, non aveva trovato la forza per reagire: si era sentita vulnerabile e quello era stato l’unico aspetto che l’aveva intimorita. Aveva imparato che con le persone era sempre bene cercare di capire quali fossero le loro reali intenzioni prima di dargli una fiducia immeritata. Non aveva mai amato essere avvicinata, ma davanti a Ace...perché tutto era stato diverso? Aveva paura di trovarsi ancora indifesa, ma al coltempo, si era sentita al sicuro, protetta, tanto che era riuscita ad addormentarsi fra le sue braccia. Una nuova vampata di calore le colpì la faccia, tanto che dovette coprirsela con le mani per non farsi vedere.

Oh, santo cielo...che cosa mi succede? Che cosa mi succede?

Bonz, che ormai la guardava da un pezzo da dietro il bancone, si domandava se l’amica non stesse covando l’influenza.

“Sayuri, sei sicura di non volere nulla? Ti posso preparare certi piatti con tutto quello che ho preso!” già si sfregava le mani all’idea di cucinare la carne delle bestie infernali.
“Ti ringrazio, ma credo che per oggi eviterò di mangiare”
“Cosa? Non puoi non mangiare! Guarda che cosa ho preso!”

 


C’era silenzio sulla nave. Una tranquillità unica, che univa la ciurma nel suo lavoro, nonostante ce ne fosse poco al momento.

Don era al timone e Ace se ne stava di vedetta. Col vento favorevole e un clima stabile, la nave procedeva senza alcun problema, in tutta calma e serenità, ma seppur la giornata fosse ricca di sole, poteva essere rovinata dall’arrivo ben poco desiderato di nemici dalla candida divisa; dai calcoli fatti insieme al medico, la sentinella molto probabilmente aveva già provveduto a riferire la loro posizione alle navi più vicine. Potevano essere lì fra qualche giorno, forse una settimana o magari nel giro di qualche  minuto, chi poteva saperlo?

Ce ne erano di domande a cui pensare ma un improvviso attacco di sonno aveva colpito il capitano su due piedì, allontanandolo da tali quesiti istantaneamente.

Don alzò la testa verso la cima dell’albero maestro e lo vide appisolato, con una gamba che pendeva nel vuoto.

“Speriamo almeno che non cada” boffocchiò sistemandosi il berretto

Anche se fosse precipitato da quell’altezza nemmeno se ne sarebbe reso conto tanto ronfava. Mezzogiorno era da poco passato e a breve Bonz li avrebbe chiamati per il pranzo. Il cugino già immaginava cosa avesse preparato il parente, considerando l'euforia vista nei occhi del cuoco prima di chiudersi nel suo regno, ma non volle indagare ulteriormente. La cucina non era affare che gli riguardava, almeno se quella non incideva sul suo stomaco, questo era sottointeso.

Fece per sgranchirsi le braccia,quando...

“AAAAAAAAAAAHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!” 

Quell’urlo assordante allertò tutti quanti. Il capitano si svegliò di soprassalto, rischiando di cadere di sotto. Riconobbe subito chi era stato a gridare: Sayuri. Immediatamente, si precipitò di sotto, seguito da tutti i presenti radunatisi.

“Che accidenti è stato?”
“Non era sorella Yu-chan?!”
“Proveniva dalla cucina, andiamo a vedere!”

Corsero in direzione dell’urlo, armati come se dovessero andare all’arrembaggio ma non appena ebbero raggiunto la parte della nave da cui era partito il grido, si videro passare davanti una figura impossibile da distinguere: era schizzata fuori dalla porta con una velocità sovraumana e aveva percorso l’intero corridoio continuando a ripetere:

“Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni! Ragni!!!!!!!!!”

Ci volle un po’ a capire cosa fosse successo. La ciurma era rimasta a fissare il corridoio come se quello potesse rispondergli, ma Ace già conosceva la natura del problema; sporse la testa in avanti e guardò dentro l’abitacolo e vide il cuoco che teneva fra le mani due tarantole grandi quanto dei meloni. Esattamente come pensavo, si disse mentalmente. Quando anche il resto della ciurma volle sapere nel dettaglio la situazione, il moro non potè fare altro che raccontare tutta la santa verità. La cosa suscitò non pochi visi allibiti.

“Un’aracnofobica. Questa ci mancava” sospirò Don portandosi una mano sulla fronte “L’ho sempre detto che le donne sono problematiche”

 


Per lo spavento, la povera Sayuri si era nascosta in cima all’albero maestro, all’interno del posto vedetta. Vederli per due volte di fila in un così breve lasso di tempo stava decisamente mettendo alla prova il suo self-controll. Avere quei..esseri così vicino al viso le aveva fatto mancare il sangue dalle vene e praticamente si era messa a urlare senza rendersene conto. Era ancora seduta con il respiro affannato quando Ace oscurò il sole con la sua presenza.

“Eccoti qui!” esclamò sorridente “Ci avrei scommesso che saresti venuta qua”
Lei abbassò lo sguardo per poi rialzarlo quasi subito “E' stato più forte di me” disse.

Non era agitata come la prima volta. Parlava bene ed era in grado di riconoscere chi aveva vicino. Con parte del viso celato dal cappello, Ace era sollevato nel vederla in sé.

“Devo chiedere scusa a Bonz” aggiunse poi lei con la ritrovata calma “Non ha colpa, non poteva sapere della mia fobia”
“Se è per questo nemmeno gli altri ne erano a conoscenza. Hai cacciato un urlo talmente forte che credevano fossimo sotto attacco”

Stava ridendo. Trovava la cosa divertente; non si sognava di prendere in giro l’amica, voleva solo che anche lei trovasse il lato buffo di quella vicenda per non dover pensare troppo allo spavento. Sayuri ne era consapevole ma non riusciva a sorridere. Il suo cuore aveva ripreso a battere velocemente e avvertiva un’ondata di calore tentare di impossessarsi delle sue viso.

“Mi sento una sciocca” riuscì infine ad abbozzare un sorriso “La mia è proprio una paura infantile”
“Guarda che non c’è nulla di cui vergognarsi. Io mi addormento senza neanche accorgermene”

Stettero a fissarsi per qualche minuto e poi scoppiarono a ridere entrambi. Nessuno a quel mondo era perfetto. I pregi e i difetti di una persona potevano essere tanti o pochi e per quanto i provasse ad apparire sempre al meglio, la verità emergeva inesorabilmente almeno nel maggiore dei casi. A volte si vuole dimostrare qualcosa agli altri, altre si critica chi considerato strano o stupido. Si passa più tempo a parlare di cose insensate,di opinioni contrastanti e alla fine si diventa un semplice osservatore,che nel profondo desidera di aver il coraggio di dire o fare quel che gli pare, infischiandosene se quello che faceva era stupido o meno. In quel momento, sia Ace che Sayuri ridevano per i loro difetti, gli stessi che li rendevano per quel che erano e non se ne vergognavano. A volte basta una semplice risata per sistemare tutto.

“Che ne dici di andare a mangiare un boccone? A me è venuta una certa fame” le propose il moro
“D’accordo. Effettivamente un certo appetito è venuto pure a me”

Scesero dall’albero maestro e con gli stomaci reclamanti, si diressero verso l’interno della nave, quando qualcosa attirò l’attenzione della castana. Si fermò a guardare un punto preciso della balaustra, dove vi era un elemento estraneo, che stava perfino contraccambiando il suo sguardo.

“Ace, guarda”


 

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Capitolo 9
*** La promessa. ***


 
Don stava cominciando seriamente a spazientirsi. Dove cavolo erano finiti il capitano e la navigatrice????
 
Era tardissimo, praticamente notte inoltrata. Bonz aveva fatto ritorno un paio d’ore prima, con un quintale di cibo sufficiente per almeno sette mesi abbondanti di navigazione. Aveva volutamente evitato di chiedergli se avesse sterminato metà dell’isola; ciò che lo spazientiva di più al momento era il mostruoso ritardo di quei due. Riteneva impossibile che si fossero persi: erano perfettamente in grado di trovare la strada del ritorno, almeno Sayuri, lei il senso dell'orientamento ce l'aveva. Con molta più probabilità Ace era crollato sotto un altro attacco di narcolessia e la ragazza da sola non riusciva a trasportarlo. Scosse la testa, scartando anche quella supposizione: l'aveva consigliata apposta di andare con lui proprio per evitare che si addormentasse da qualche parte e inoltre fisicamente, lei era abbastanza forte per trasportare una persona, anche con qualche chilo di muscoli in più.
 
Sta a vedere che quei due se la stanno spassando mentre io sono qui come un povero fesso a fare il palo! Pensò nel provare un leggero strato di ingiustizia.
 
Si appoggiò con la schiena all’albero maestro e le braccia conserte. Il sentiero che avevano preso Ace e Sayuri oramai era completamente avvolto dall’oscurità; lo fissava senza mostrare troppa attenzione ma con fugace serietà. L’ambiente intorno alla nave era cambiato in qualcosa che lui sentiva inadatto; ostentava indifferenza davanti a quel cambiamento o meglio ignorava di non essersi accorto di lui ma sapeva che non doveva perderlo d’occhio.
Aveva percepito la sua presenza da un po’ e fin dall’inizio aveva capito che quel elemento non apparteneva all’isola. Rimaneva appollaiato su un ramo sporgente di un albero, con la testa ferma e i piccoli occhi neri puntati sulla nave. Ad un occhio inesperto, sarebbe apparso come un comunissimo gabbiano ma bastava un’analisi più dettagliata per capire che quel volatile era diverso dai suoi simili: sulla testolina portava un piccolo berretto alla marinara e gli occhietti erano seminascosti da un paio di occhiali scuri.
 
Ci mancava pure questa! Una sentinella...
 
Poteva trovarsi già lì quand’erano arrivati oppure, più possibilmente, doveva averli seguiti senza che se ne accorgessero. Don era orientato verso la seconda ipotesi ma più si immergeva in possibili ragionamenti, più la risposta si allontanava. Non poteva fare mosse azzardate data la situazione. Doveva limitarsi ad aspettare che il capitano e la navigatrice tornassero e anche in fretta.
 
 


Ormai era buio pesto nella foresta. Gli alberi si erano fatti scuri e minacciosi e i varchi che poco prima si distinguevano ora sembravano essersi dissolti magicamente. L’atmosfera si era tinta di colori tetri e cupi tanto da rendere l’aria inspiegabilmente fredda anche attorno all’albero dentro cui Ace e Sayuri si erano rifugiati. Il piccolo fuocherello creato dal moro scoppiettava tra i tonchi di legno raccolti, danzando con movimenti ipnotici e tenendo lontani i predatori. La castana lo osservava con occhi socchiusi, persi , tenendosi strette le ginocchia al petto, ondeggiando lievemente avanti e indietro, mormorando qualcosa senza mai fermarsi.
Ace era preoccupato.
Non l’aveva mai vista in quelle condizioni: la sua reazione davanti ai ragni giganti aveva dell’incredibile e anche adesso, la vedeva ancora mortalmente spaventata.
 
Era lì, accucciata, immersa nei meandri dei suoi pensieri, distante da tutto, da lui...
 
Percepiva come un vuoto dentro di sè, enorme, ed era ben conscio che l'origine stava nella ragazza, nel suo osservarla senza capire che cosa l'avesse spinta a chiudersi a quel modo. Come le si avvicinò, lei non reagì. Rimase perfettamente immobile come una statua.
 
“Sayuri, come ti senti?” le domandò piano. Avvicinandosi, notò che non era così immobile come appariva: il suo corpo scosso da leggeri tremiti “Sayuri, riesci a sentirmi?”
 
Allungò il braccio, fino ad appoggiarne la mano sulla sua spalla. Come appena svegliatasi da un lungo sonno, la castana si voltò verso di lui assonnata, con gli occhi color cioccolato lucenti.
 
“Oh, Ace..cosa succede?” domandò spaesata
“Dovrei essere io a chiedertelo. Cosa ti è successo prima?”
 
Lo vedeva.
Vedeva il suo viso ed era quello di una bambina che tentava di scappare il più lontano possibile da qualcosa. Stava cercando di mascherare il suo stato dietro alla sua tranquillità di sempre ma le riusciva difficile, era ancora troppo sconvolta. Incespicava senza riuscire a parlare e quando sembrava aver realizzato una frase a senso compiuto, si bloccava, ricacciando dentro di sé quanto creato, come se fosse sbagliato.
 
“Mi...mi dispiace. Non l’ho fatto apposta, credimi ma vedi il fatto è che...” prese un piccolo respiro e chiuse gli occhi “Io..io ho paura dei ragni” confessò con un filo di voce.
 
Sembrava le fosse costato uno sforzo sovraumano doverlo dire ed era vero; li odiava, li detestava, non poteva sopportarne la vista. Erano più di quanto di disgustoso ci fosse al mondo e il solo nome le faceva accapponare la pelle; anche in quel momento era stata colta da nuovi brividi. Bastava che ne immaginasse anche un minuscola parte e si irrigidiva istantaneamente.
 
“Hai paura dei ragni? Sul serio?” ad Ace quasi scappò uno sbuffo divertito.
“Per favore, non nominarli, ti prego” lo supplicò lei con voce bassissima.
 
Magari agli occhi degli altri poteva sembrare stupido ma per lei era un vero e proprio incubo. Al mondo c’erano tantissime cose di cui avere paura ma molte persone avrebbero trovato a dir poco ridicolo reagire così esageratamente davanti a degli aracnidi. Purtroppo per Sayuri era diverso: la sua paura non derivava dall’essere schizzinosa ma da una realtà di cui lei era stata protagonista tanto tempo fa, la stessa realtà che giaceva nel suo cimitero spirituale e che non appena coglieva l’occasione, le si presentava sogghignante.
 
Ace con quel suo sbuffo si era appena guadagnato la figura del menefreghista, decisamente inadatto alla situazione considerata la condizione dell’amica. Non voleva infierire più del necessario ma si sentiva in dovere di aiutarla, di consolarla. Deciso a fare ciò, le si avvicinò ulteriormente, mettendosi di fianco a lei e cingendole le spalle con il braccio. Un gesto decisamente inaspettato, che sorprese la ragazza, tanto da farla sussultare nuovamente. Percepì le guance infiammarsi e il cuore battere all’impazzata: era vicino, tanto vicino, tanto da poter distinguere i lineamenti adulti del suo viso contrarsi in una espressione comprensiva. Il capitano non era che un giovane che possedeva un animo da bambino ma che quando occorreva, si trasformava in un uomo pronto a combattere per i suoi ideali. Sayuri era incantata dalla sua figura, dai suoi occhi scuri, da quelle buffe lentiggini. Incantata dal suo spirito, che la stava sovrastando a tal punto da annullare ogni sua sicurezza, rendendola così piccola da lasciarsi addirittura sciogliere.
 
Perché non riusciva a distogliere lo sguardo?
 
“Senti freddo?” le domandò
“No, sto bene. Ho solo bisogno di dormire” mormorò stancamente.
 
Più facile a dirsi che a farsi. Come poteva dormire sapendo che rischiava di essere assalita da quei cosi? Anche se avesse avuto la forza per scappare, non sarebbe comunque riuscita a muoversi. Avere Ace così vicino le aveva paralizzato il corpo ed era strano, perchè se da una parte ne era in qualche modo intimorita, dall'altra...dall'altra voleva poter chiudere gli occhi, affidandosi completamente a lui.
 
“Sayuri, posso farti una domanda?” le chiese poi il moro
“Oh...si, certamente” trovava più consono parlare che focalizzarsi sul braccio attorno alla sua spalla.
“Te la sentiresti di raccontarmi la ragione per cui non sopporti i ragni?”
 
La domanda le morse il cuore. Avvertì quell’oscurità remota tentare di catturarla ma prontamente, lei si difese, ricacciandola indietro. Era diventata più forte di allora, a tal punto da colmare la sua anima di pace cristallina, rinchiudendo tutto ciò che poteva farla vacillare, eppure adesso..doveva rispondere. Lo doveva a Ace, che l’aveva difesa da quelle bestiacce e anche perché sotto ogni certezza, non avrebbe potuto evitare l’argomento.
 
“E’ successo quand’ero piccola. Sono caduta in un pozzo ed era pieno di...di quei cosi. Le pareti erano così scivolose che non riuscivo a risalire e alla fine sono rimasta lì dentro per un giorno intero” raccontò con voce sommessa e appena balbettante.
 
Era calma. La presenza di Ace la confortava e la loro vicinanza la rassicurava ancora di più. Era una sensazione davvero bella, avere qualcuno vicino, anche se il suo cuore batteva fuori controllo. Stava bene ma si sentiva enormemente imbarazzata.
 
 Che mi succede?
 
Si sentiva una stupida ad aver paura di quelle creature. La vedeva come un che di infantile e il peggio era che non poteva farci niente. Ne era troppo spaventata ma da come la guardava, Ace non le stava dando alcuna colpa.
 
“Deve essere stato un brutto momento” le disse lui
“Si, abbastanza” concordò cercando di non ricordare altri dettagli.
“Beh, almeno la prossima volta, se ce ne sarà un’altra, sapremo affrontare la situazione diversamente”
“Uh? Non riesco a seguirti. L’aracnofobia è un mio problema”
“Lo so, però non posso nemmeno lasciarti da sola in mezzo a una colonia di ragni. Sei un membro della mia ciurma e una persona a me cara, quindi ti aiuterò nella tua fobia” le garantì con un ampio sorriso.
 
Lo stupore si dipinse automaticamente sul volto della ragazza.
 
“Ace, davvero lo faresti?”
Lui annuì “Certo che si. E poi..” aggiunse con più serietà “Non voglio che tu soffra. Mi sono spaventato quando ti ho vista scappare via. Non riuscivo a farti tornare in te”
 
Le ultime parole furono il colpo di grazia. Non voleva che soffrisse. Le mancò il respiro quando udì quella frase. A malapena capiva cosa stesse succedendo, sentiva solo tanto caldo e questo non derivava certo dal focolare lì vicino. La considerava una persona cara e voleva aiutarla. Sapeva di dover dire qualcosa ma il suono della sua voce era bloccato in gola e non riusciva a concretizzarlo in parole. Quell’insolita paralisi la stava dominando completamente ma doveva reagire, doveva almeno dirgli grazie. Doveva, perché non aveva altro modo per ringraziarlo.
 
“Grazie, Ace” gli disse infine
“E di cosa? Siamo amici, ci dobbiamo aiutare a vicenda”
“Lo so, però dovevo comunque dirtelo. Davvero, grazie”
 
Sbadigliò per la stanchezza e si stropicciò gli occhi. Per quel giorno ne aveva avuto più che a sufficienza e ora il sonno stava diventando fin troppo insistente perché lei rimanesse alzata per evitare di essere mangiata dalle bestie infernali. E poi, chissà perché, era certa che non le sarebbe accaduto nulla...

“E’ meglio riposare adesso. Appena sarà l’alba, torneremo alla nave, okay? Ehi, Sayuri? Sayuri?”
 
Fu del tutto inutile che la chiamasse. La castana si era addormentata senza nemmeno averlo ascoltato.
 
“Sayuri….”

Il suo respiro era leggerissimo, appena impercettibile. Dormiva beatamente. Con la mano libera Ace le tolse dal viso una ciocca di capelli fuggitiva e rimase per qualche attimo a guardarla col sorriso sulle labbra.
 
Almeno adesso si è tranquillizzata.

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Capitolo 10
*** La proposta della Marina. ***


Buon mercoledì a tutti voi!eccoci col decimo capitolo!prima di lasciarvi,ringrazio(come sempre)chi mi scrive!

 

Alala:uh,una nuova arrivata!fa sempre un grandissimo piacere avere qualcun'altro che scrive!sono contenta che ti piaccia la storia e anche che Ace sia il tuo personaggio preferito!(poverino,ora sta patendo le pene dell'inferno,speriamo almeno che riescano a tirarlo giù dal patibolo alla svelta).Grazie ancora e spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.

 Yuki689:eccomi qua!per cominciare,posso dire che le feste sono andate più che bene!divertimento allo stato puro accompagnato da cenoni da far scoppiare la pancia!quando si è in buona compagnia scatenarsi è inevitabile ma siamo ancora vivi,nonostante gli innumerevoli botti lanciati!(alcuni dei miei amici si sono perfino divertiti a far saltare nel tombino dei minuscoli petardi).Per quanto riguarda la storia,sono felice che ti piaccia come stia andando e come Sayuri reagisce davanti a certe cose.Si potrebbe dire che su questo fronte lei sia mooolto ingenua e che quindi necessita di un paio di lezioni sull'amore ma io preferisco tenermela così,è troppo pucciosa e lo posso dire tante volte perchè l'ho creata io!Per quanto riguarda quello che hanno visto,non preoccuparti!con questo capitolo la tua curiosità sarà del tutto colmata!Ah,dimenticavo:di recente hanno messo un avviso sul sito e visto che cercavano fict da segnalare come le storie più belle ho messo la tua e quella di MBP:se ci sono delle storie che meritano di essere lette sono le vostre!

 MBP:carissima,non c'è bisogno di arrivare a questi sistemi!non è una tragedia se non si recensisce,perciò metti via la frusta e rilassati.Come ho appena detto a Yuki,tutto quello su cui siete curiose sarà pianato in questo capitolo.Ogni volta che mi sento dire che Sayuri è tenerissima quando si trova davanti a dei ragni me la immagino e mi viene sia da ridere che da piangere,con Don poi che afferma che le donne sono gli esseri più problematici che esistano stiamo in campana!Devo chiederti scusa se non recensisco mai la tua fict:la sto seguendo e mi piace tantissimo anche  perchè Keyra è davvero simpatica e ci sono rimasta di sasso quando sua madre non l'ha riconosciuta.Quelle medicine che prende non mi convincono per niente e nemmeno chi sta cercando di farle del male ma confido nelle tue doti di scrittrice e prego che la nereide si salvi e riesca anche a dichiararsi a chi sappiamo noi!Ho segnalato la tua fict e quella di Sayuri nel concorso perchè sono quelle che più seguo e ti ringrazio per aver fatto altrettanto con la mia anche se sono ancora agli inizi.Mi imbarazza un pochino che una mia storia sia presa così in considerazione ma ti ringrazio tanto,tanto,tanto!

 Maya90:Ciao ragazza!ti ringrazio per gli accorgimenti(a volte nemmeno mi accorgo di fare questi errori) e per la tua sincerità;non mi vengono molte cose da dirti però ci tenevo comunque a scriverti qualcosa perchè altirmenti mi sarei sentita un animale a non farlo e poi avrei provato dei rimorsi di coscenza spaventosi!L'idea dei ragni grandi come meloni era esattamente quello che cercavo da tempo:a seconda delle dimensioni Sayuri reagisce in maniera diversa,quindi ti lascio immaginare ogni sua reazione a tutti i tipi di ragni esistenti al mondo.Non so perchè abbia pensato ai ragni ma sono stata la prima cosa che mi è venuta in mente.I serpenti non mi piacciono e il buio era troppo classico quindi ho cercato qualcosa di semplice ma assolutamente perfetto per farle rizzare i capelli.

 Beatrix:mia carissima Beatrix,sono commossa per i tuoi suggerimenti riguardo il mio attuale problema tecnico.Purtroppo non posso attuare il tuo consiglio per il semplice fatto che non ho un secondo computer:mio padre ne ha un altro ma ce l'ha sempre dietro e non riuscirei mai a recensire regolarmente(minimo dovrei aspettare un mese o forse mai..)ma fortunatamente presto si procurerà un paio di chiavette (Dio,si è ringraziato il cielo) col quale potrò stare serena,visto che anche lui deve salvari alcuni suoi lavori.Ti ringrazio per la premura,comunque sei stata davvero gentile.Passando al capitolo,sono contenta che Don cominci a piacerti:lo so è un scostante e borbotta sempre ma in fondo è una persona buona a modo suo,anche se bisticcia sempre con il povero Bonz.Lui è un bonario in tutto e per tutto e la povera Sayuri dopo aver avuto a che fare per i ragni era logico che nel vederli così da vicino si mettesse a gridare in quel modo.Per quanto riguarda quel che ha visto...beh,leggi e vedrai!!a presto!!

 

 

 

La sentinella gabbiano era comodamente appollaiata sul legno della balaustra. Di tanto in tanto si sistemava le piume delle ali, arruffandole e lisciandole col becco, ma per il resto, rimaneva immobile esattamente come un animale impagliato. Oltre al berretto e agli occhiali ,questo al collo portava un lumacofono verde, in attesa che qualcuno si degnasse a fare la prima mossa.

Ace avanzò lentamente verso il volatile e non appena gli fu vicino, allungò il braccio,prendendo tra le mani l’apparecchio e avviando così la comunicazione.

“Biro-biro! Sto parlando con Portuguese D.Ace, detto Pugno di Fuoco?” la voce trasmessa al lumacofono era maschile e pacata.
“In persona. Chi parla?”
“Nessuno da cui debba tenersi alla larga: sono il maresciallo Hiroya. E’da diverso tempo che cerchiamo di rintracciarla”

Il moro aveva visto giusto. Quelli della Marina erano sulle sue tracce da quando aveva lasciato Roght Town.

“E quale sarebbe il motivo?” domandò lui.
“Una questione diplomatica che vorrei esporle di persona. Sono stato incaricato di occuparmi dell’intera faccenda e le posso assicurare che non attaccheremo ne lei ne i suoi compagni” gli assicurò

Certo che lo promettevano visto che, anche volendo, non sarebbero riusciti a sopraffarli. Da dietro, Sayuri attendeva il da farsi; stava memorizzando chiaramente le parole dell’ufficiale della Marina e trovava molto strano che volessero incontrare Ace. Quell’uomo aveva parlato di una questione diplomatica, quindi poteva supporre che si trattasse di una proposta o qualcosa del genere.

Quando il volatile se ne andò, il capitano si voltò verso di lei.

“Raduna la ciurma sul ponte. Sentiamo che cosa vogliono”

 


Appena quindici minuti dopo, la nave del maresciallo Hiroya ancorò a una decina di metri da quella della ciurma dei pirati di picche. Esteticamente era ben diversa dalle classiche corazzate da guerra che si vedevano in giro: possedeva una linea più elegante e fine, costruita con legni chiari e rossicci.
Il marchio del Governo Mondiale era dipinto sulla vela maestra e sotto ad essa vi erano una ventina di ufficiali che attendevano sull’attenti, mentre l’autorità diplomatica si dirigeva con due guardie verso la nave pirata a bordo della scialuppa. Gli uomini di Ace erano sparpagliati sul ponte alla giusta distanza in caso di mosse false da parti dei nemici. Sayuri era seduta sulla scalinata di legno e guardava il capitano con animo quieto. Non temeva la presenza di quei uomini, così come Don, anche se lui pareva più seccato del normale vista l’inaspettata e poco gradita visita della Marina.

“Speriamo si sbrighino. Non mi va che si freddi il pranzo” disse col solito tono scocciato.

Come i forestieri salirono, il silenzio si intensificò ancor di più. Hiroya, avvolto nel suo completo bianco, segnato da un’elegante fascia rossa dai risvolti dorati, appariva sicuro di sé, quasi amichevole. Alle sue spalle, le guardie sembravano non respirare tanto erano immobili. Si era scelto due gorilla nella speranza di avere qualche possibilità in più di essere ascoltato da tutti e in quel frangente, non soltanto il diretto interessato ma bene o male, tutti lo stavano squadrando come fosse un alieno invasore.

“Buon pomeriggio, sono il maresciallo Hiroya” si presentò cordialmente “Spero di non aver interrotto il vostro pranzo”
Speri male, idiota! Stavamo giust’appunto per sederci!

In sostanza il messaggio subliminale che l’intera ciurma stava mandando con occhi assatanati era quello. Praticamente erano sul punto di addentare il primo boccone quando Sayuri era entrata in cucina e aveva chiesto a tutti quanti loro di raggiungere Ace sul ponte. Fu facile per il maresciallo avvertire l’ostilità nei suoi confronti, ma non era tipo da badare a certe cose. Gli bastò guardare rapidamente i presenti per leggere il disappunto nei loro volti, tranne in quello di una fanciulla dai lunghi capelli castani, che sedeva su delle scale, con occhi privi di sentimenti negativi. Tra le tante teste che c’erano, lei era un’incognita.

“Sayuri, il Bianco Giglio” pronunciò elargendo un ampio sorriso “Questa è davvero una bella sorpresa. Non immaginavo che tra le file dei pirati di picche ci foste anche voi”

Si esibì in un piccolo inchino per dimostrare tutta la sua galanteria. Era un uomo aristocratico e benché fosse su una nave pirata, davanti a un bella fanciulla, che fosse ricercata o meno, era sempre buona educazione mostrarsi dei gentiluomini, a differenza di alcuni individui rozzi e senza alcun rispetto per il genere umano.

“La vostra locandina non le rende abbastanza giustizia” continuò lui.
“La ringrazio, ma se non erro, non siete qui per me, ma per parlare con il mio capitano. Quindi, vi prego, continuate col vostro discorso” esordì ricambiando il sorriso.

Se il maresciallo si fosse girato in quel preciso momento, si sarebbe ritrovato inondato dalla furia che aleggiava minacciosa nell’aria. La sua attenzione si era spostata sulla giovane e questo non era stato affatto gradito, specie perché gli occhi dell’ufficiale si erano soffermati per diversi secondi sulla sua figura fisica, prima di aprire bocca. Sarà pure stato un diplomatico, ma dentro rimaneva sempre un uomo. L’intera ciurma era molto unita e gran parte di loro, per non dire tutti, vedeva la ragazza come una dolce sorella, gentile e sempre pronta a dare una mano.

Più di tutti, c’era Ace a non gradire quella situazione. Non era così stupido da perdere la testa su due piedi per una cosa del genere, ma non sopportava che la ragazza venisse guardata a quel modo, con occhi troppo ambigui. Anzi, non gli era piaciuto nemmeno il fatto che quel mammalucco le avesse rivolto la parola come se fosse un’amica di vecchia data.

“Mi sembra giusto” affermò il maresciallo, voltandosi verso l’interessato
“Arrivi velocemente al punto” tagliò corto il moro ancor prima che l’uomo potesse aprir bocca.
“Certamente. Dunque, la Marina mi ha mandato qui per esporle una proposta di una certa importanza. Abbiamo osservato a lungo le vostre "imprese" e il suo essere così in vista non è potuto sfuggire ai nostri occhi“ si schiarì per bene la voce e poi continuò “Pertanto, dopo averne discusso a lungo, il Governo Mondiale, desidererebbe che lei accettasse di unirsi alla flotta dei sette”

Ci fu ancora più silenzio di quanto non ce ne fosse di già. E anche parecchio sgomento. Poi, pian piano, mormorii e sibili si diffusero tra le ciurma. Occhi allibiti e spalancati non credevano a quanto avevano appena udito. Non si trattava di uno scherzo, anche perché l’altezzoso maresciallo non si era minimamente scomposto e nulla di quel che rappresentava lasciava trapelare un elemento di ironia. Dal profondo del suo spirito, Ace era sorpreso della proposta ma esternamente si limitò ad alzare le sopraciglia come segno di aver capito bene il messaggio.

Sempre seduta, Sayuri osservava il tutto con mente razionale, elaborando pensieri semplici e logici con l’innata tranquillità di cui era dotata: la flotta dei sette era conosciuta in tutto il mondo come una delle forze portanti su cui si reggeva l’equilibrio mondiale. A comporre quel ristretto gruppo erano famigerati pirati la cui stessa natura umana era assai dubbiosa; il perché avessero scelto di portare un guinzaglio al collo, nessuno lo sapeva così come nessun’altro si azzardava a chiamarli cani del governo. Seppur avessero legato la loro vita a un accordo, i loro nomi erano sinonimi di terrore, potere e forse follia.

Di quei sette, la ragazza conosceva di nome soltanto Drakul Mihawk, soprannominato Occhi di Falco, il migliore spadaccino del mondo. Aveva sentito parlare anche di un altro, ora che ci rifletteva attentamente, ma non ne ricordava il nome.....

La flotta dei sette...

A chi veniva proposto di entrarci, erano riconosciute abilità e atti straordinari. Ace era forte, giovane, intraprendente, forse a volte un pò troppo sicuro di sé, ma indubbiamente era una persona che sapeva quello che voleva e che ogni qualvolta gli si presentava l’occasione, non mancava di dimostrare chi era e fin dove poteva spingersi per quello in cui credeva e difendeva.

Sayuri era consapevole con chi navigasse e a cosa tenesse per questo non si stupì quando il capitano, davanti a tutti, disse:

“Non mi interessa. Rifiuto”

Agli occhi sbigottiti si allegarono le bocche spalancate delle guardie dietro al maresciallo Hiroya. Quasi toccavano il suolo, tanto erano aperte. Lievemente sconvolto, l’autorità sbattè le palpebre più volte.

“Come? Rifiuta?” ripetè sorpreso il marine.
“Si. Non mi interessa affatto entrare nella flotta dei sette. Ho altri progetti” dichiarò schiettò. "Riferisca questo al Governo Mondiale"

Alle sue spalle la ciurma esultò con le braccia rivolte al cielo.

“Ci avrei scommesso che avrebbe risposto così” sogghignò Don.

I membri della Marina si guardarono tra di loro, senza parlare. Fermi dov’erano, osservavano il tutto senza cercare di smuovere la loro posizione. Il maresciallo Hiroya espirò, pensando già a come stilare il suo rapporto che poi sarebbe finito nelle mani dei suoi superiori ma d’altro canto, il suo dovere l’aveva fatto e insistere era del tutto fuoriluogo.

“Dunque è intenzionato a rifiutare l’offerta?” gli domandò per l’ultima volta.
“Si e non intendo ripetermi. Come vede, vorremmo proseguire il nostro viaggio”

La tentazione di aggiungere “E se ti azzardi a guardare Sayuri ancora un volta in quel modo, giuro che ti dò fuoco all’istante” era molto forte, ma si trattenne. Ora che non avevano più motivo di disturbarli, potevano anche andarsene.

“D’accordo. Non ho intenzione di rubarvi altro tempo”

Non si dilungò più di tanto anche perché neanche lui non voleva perdere tempo. Con tocco leggero si sistemò l’elegante copricapo e tornò sui suoi passi, seguito dalle fidate guardie. Ogni membro della ciurma seguì senza battere ciglio con lo sguardo la piccola scialuppa dirigersi verso la nave, per poi vederla allontanarsi senza tentare alcun assalto.

 


“Che scocciatori! Venire qui a interrompere il nostro pranzo” sbottò Don.
“L’hai detto! Per colpa loro ho dovuto cucinare tutto da capo!” esclamò indignato il cuoco col matterello in mano, ben alzato e pronto a colpire.
“Posa quell’affare e mettiti gli occhiali prima di cadere con la faccia in giù” lo rimbeccò il cugino. “Comunque se ne sono andati e quindi possiamo festeggiare senza altre rogne. Bonz, gli occhiali ce li hai sopra la testa!”
“Davvero? Toh, hai ragione!”

Quella stessa sera si festeggiava per il ben servito che Ace aveva dato alla Marina. Un ben servito con i fiocchi, perchè il maresciallo Hiroya non sembrava aver gradito la risposta, ma ormai nessuno ci dava più peso visto che erano presi a fare baldoria.

Avrebbe fatto meglio ad evitarsi il disturbo di venire, anzi, di setacciare i mari per poterli cercare.

“Che stupidi! La Marina pensava davvero di patteggiare con Ace!”
“Di che ti stupisci? Piuttosto che battersi preferiscono tenersi buoni chi può difenderli!”

I calici di birra si alzarono per l’ennesima volta, accompagnati da urla d’ammirazione. Era da parecchio che non festeggiavano con tanta vivacità e ora che avevano un’ottima ragione per farlo, si stavano scatenando come non mai. A volte le risate diventavano più forti perché Ace stesso crollava in preda alla narcolessia ma dopo qualche minuto si riprendeva come niente e continuava a mangiare o a scherzare con la ciurma. Sayuri da dov’era, si trovava a suo agio. Don era accanto a lei e borbottava qualcosa sul fatto che con tutto il casino che stavano facendo rischiavano di farsi sentire da qualcuno ma intanto anche lui si stava scatenando come un pazzo e lo stesso equivaleva per il cugino Bonz, da una parte intento a sfornare pietanze e dall’altra a non perdere gli occhiali durante le sue ridicole ballate con le padelle.

A dire la verità, lei era l’unica che stesse un po’ quieta, ma ciò era dovuto al fatto che non era abituata a tanto frastuono, in senso positivo. Non aveva mai preso parte a una festa del genere e quindi preferiva rimanere un pochino in disparte anche se il solo guardare la faceva sentire serena.

“Ehi, stavo pensando a una cosa. Anche sorella Yu-chan ha un taglia altissima ed è anche molto forte. Secondo voi perché non hanno fatto la proposta anche a lei?” domandò uno lì accanto
“Hai ragione! Prima di entrare a far parte della nostra compagnia, ha dato non pochi grattacapi alla Marina, senza contare che ha fatto tutto da sola!” si aggiunse un secondo.
“Sorella Yu-chan, che ne pensi?”

Cinque o sei teste si voltarono verso di lei, seduta in un angolo con un semplice bicchiere d’acqua mezzo pieno. I bianchi riflessi che s’andavano a increspare sulla superficie, si spostavano ad ogni suo minuscolo movimento. Tutti volevano sentire la sua opinione e ne erano incuriositi perché quella domanda era sorta per caso, dal nulla, ma aveva suscitato in quei pochi che se lo erano domandato un desiderio di conoscenza.

“Se devo essere sincera, penso che si siano basati sul fatto che mi sono limitata a mettere in difficoltà i loro traffici nel mare meridionale. Certo, anche io mi sono imbattuta in alcuni pirati, ma sicuramente non erano nulla di così straordinario, senza contare che non mi piace attirare l’attenzione più del dovuto. E poi....” sorrise “Tra me e Ace c’è una notevole differenza: lui è molto più forte di me. Credo che la Marina si sia basata sul nostro grado di pericolosità e ha scelto lui come il più idoneo a cui fare la proposta”

L’esauriente e ben esposta spiegazione della castana soddisfò i presenti. Si era limitata a dire ciò che pensava realmente e non vedeva altro da aggiungere. Se mai le avessero proposto di entrare a far parte della flotta dei sette, anche lei avrebbe rifiutato. Non aveva nullo contro quel gruppo, solo voleva difendere ciò che la identificava e la rendeva quello che era, almeno in parte: la sua libertà. Era uno dei valori, uno dei pochi e più preziosi, che possedesse e non voleva perderlo. Un tempo sarebbe stato sicuramente l’unico ma ora la situazione era notevolmente cambiata. Faceva parte di una ciurma, aveva degli amici e un capitano da seguire. Lo stesso capitano su cui la sua mente a volte, se isolata dal resto del mondo, si soffermava più a lungo del previsto.

A volte temeva quelle sensazioni ma il suo cuore le diceva di fidarsi perché forse quelle stesse sensazioni, le avrebbero fatto bene all’anima. Era tentata a immergersi in uno dei suoi ragionamenti razionali e concisi ma per quella sera poteva anche farne a meno. C’era pur sempre una festa e bisognava divertirsi.

“Ehi, Sayuri, vieni qui! Vieni!”

Dal fondo del tavolo, Ace la stava chiamando allegramente.

Non fece nemmeno a sedersi vicino a lui, che lo vide cadere all’indietro con le dita serrate attorno a un enorme cosciotto di carne.

“Ace!” era inutile. Quando lo vedeva cadere da così vicino, non poteva non stupirsi.
“Ah ah ah ah!! Ragazzi, il capo è crollato ancora!! Ah ah ah ah!!!”



 

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Capitolo 11
*** Dubbi e pensieri. ***


Salve a tutti!Lo so,è sabato è di solito non aggiorno prima di mercoledì ma visto che mi sono portata tanto avanti con i capitoli e lo studio,ho pensato di poter aggiungere un capitoletto per farvi felici!!

 

Yuki 689:cara sono contenta che Hiroya ti sia piaciuto e ancor di più la gelosia che è sorta in Ace,ero davvero tentata di fargli dare fuoco al marine!Il fatto che il marine ti abbia ricordato Sanji mi fa piacere,anche lui è uno dei mie personaggi preferiti (ma dopo Ace!qualcuno si degni di farlo scendere dal patibolo,abbiate un pò di cuore e che accidenti!).Scusa,un attimo di delirio.So che Ace e Sayuri sono carini ma ci vorrà ancora un pochettino prima di vederli in una scena per così dire "sciogli cuore"ma non temere:è molto ma molto vicina!

MBP:avere delle lettrici energiche come te è davvero il massimo!Si,Hiroya è un pò marpione ma ha fatto la sua parte e non lo si rivedrà più(spero).Ti volevo dire 2 cose:la prima è che Sayuri non conosce di persona un membro dela flotta dei sette ma ne ha sentito solo parlare,secondo riguarda la tua fict:appena si scoprirà chi sta drogando la povera Koral farà bene a tenersi pronto perchè gli sarà recapitato un pacco bomba anonimato!Non si può fare questo a una madre e a una figlia tanto carina!Non si può!

 

 

 

La notizia del declino da parte di Pugno di Fuoco a far parte della flotta dei sette si era sparpagliata in tutto il mondo dopo solo una settimana. I giornali avevano divulgato quanto c’era da sapere, con tanto di immagini e citazioni da parte del maresciallo Hiroya, a cui erano state affidate le trattative.

Nel leggere il quotidiano, soffermandosi con particolare interesse su quel articolo, Edward Newgate scoppiò a ridere fragorosamente.

“Guraguragurahh!!! Ma guarda! Gli hanno proposto di entrare a far parte di quella combricola e lui ha detto di no!Guraguragurahhh!!!”

Bevve un gran sorso di sakè dall’inseparabile bisaccia, per poi riporla al fianco del suo enorme trono e riprendere a leggere il seguito. Accanto a lui, le flebo allestite supportavano le cure mediche già ben eseguite dall’equipe personale composto prevalentemente da infermiere. Versava in condizioni delicate ma stare fuori all’aria aperta era dieci volte meglio che rimanere chiuso in una stanza, bloccato a letto e con solo un monotono soffitto da guardare.

“I tempi sono proprio cambiati!” rise tra i baffi “Cercano di tenerli al guinzaglio quando sono ancora in fasce. Che ne dici, Marco?”

Lanciò il giornale a un venticinquenne, con insoliti capelli biondi riuniti in cima alla testa e sguardo socchiuso. Sul mento spiccava un piccolissimo accenno di barba, maggiormente eclissato dalle pelle abbronzata.

La camicia aperta dava in bella vista il tatuaggio stilizzato del vessillo di Barbabianca.

“Sembra un tipo in gamba. Magari strafottente dalla faccia ma in gamba” giudicò il suddetto nel osservare la foto e l’articolo allegato.

La cosa non suscitava in lui alcuno stupore.

“Fammi un po’ vedere”

Il biondo passò l’insieme di fogli a Jozu, il comandante della terza flotta. La sua stazza era enorme, contenuta in una grossa armatura rossa e nera sbracciata, che lasciava libere le braccia scure e muscolose. Il muso arcigno, incorniciato da una capigliatura nera tirata e bislacca era ulteriomente marcato dai spessi lineamenti che ne definivano il volto. Gli occhi, del medesimo colore, scrutavano la foto con accanto l’articolo senza tralasciare il minimo particolare e a fine analisi, passò il giornale all’ultimo dei tre presenti, borbottando qualcosa di incomprensibile. I suoi grugni rimanevano un mistero, perché non si capiva mai se stesse parlando bene o male di una determinata cosa.

“Secondo me glielo hanno chiesto troppo presto. E’ uno che ha avuto parecchia fortuna, tutto qui” disse con tono rocco e profondo
“Parli in questo modo perché desideri verificare se quel che si dice è vero” lo ammonì la persona di fianco a lui.

L'ultimo dei uomini di Barbabianca non aveva ancora espresso la sua opinione al riguardo. Anch’egli ora stava leggendo quant'era riportato sul giornale ma la sua attenzione era rivolta più in basso, nell’angolo destro della prima pagina, dove c’era una seconda foto, più piccola, a cui era allegata una nota a detta sua molto interessante. Un ampio sorriso gli increspò il volto, rendendo il suo umore ancora più buono. Non era tanto preso dall’articolo riguardante Portuguese D.Ace ma dal fatto che sotto si parlasse, anche se con minor importanza,di un suo nuovo membro nella ciurma, una certa Sayuri.

“E comunque, Jozu” continuò “Se gli hanno fatto la proposta significa che ha del talento e anche la signorina qui sotto deve aver attirato l’attenzione per essersi meritata un posto accanto al suo capitano”

Satch era il comandante della quarta flotta, un eccellente spadaccino apprezzante anche il corpo a corpo, maniera efficace per testare con più adeguatezza le capacità del proprio avversario. Come età era sospeso tra i ventisei e i ventinove anni ma nessuno in realtà poteva affermare specificatamente quanti ne avesse: era una persona socievole, fiduciaria e dall’aria sapiente, contornata da un'immancabile allegria.

Con i suoi capelli biondo chiaro tirati all’insù, un pizzetto nero appuntito sul mento e il classico sorriso da “Ehi, facciamo amicizia?” amava poter dire quello che pensava nel modo più elegante che conosceva.

Jozu, a quella risposta da parte del compare, rispose con un “Tsk!” scocciato. Lui aveva una certa esperienza, navigava da tempo, sicuramente più di quel capitano dei pirati di picche e per quanti cambiamenti ci fossero stati, era convinto che offrire un posto d’alto livello a un moccioso fosse sbagliato ma ciò non toglieva che in quel caso la pensasse in maniera diversa e così anche suo padre e i due amici. Quello sembrava sapere il fatto suo e di talento pareva averne anche parecchio. Ora bisognava solo verificare il tutto di prima persona.

La risata di Barbabianca riecheggiò nuovamente sulla nave con vigore. Trovava divertente vedere come la Marina cercasse nuovi alleati ma lo era ancora di più quando questi rifiutavano, specie se volevano prendersi la sua testa. Non che fosse una novità, in molti volevano ambivano a tale obbiettivo ma era sempre uno spasso vedere i nuovi arrivati che puntavano a spodestarlo dal trono del re dei mari.

I giovani hanno troppa voglia di crescere in fretta. Decisamente troppa.

 

 

Dal giorno della visita della Marina, il tempo era trascorso molto in fretta, trasportato da una marea placida ma silenziosamente veloce nella sua ritirata. Mancava poco ormai per arrivare al nuovo mondo e davanti a quella verità, tutte le battaglie trascorse sembravano essere state totalmente dimenticate.

L’arcipelago Shabondy era vicinissimo.
Una volta superata quella tappa obbligatoria, sarebbero entrati ufficialmente nel seconda metà della rotta maggiore, la più vasta e pericolosa. Non tutti ci arrivavano e non tutti ci tornavano perché era evidente che alcuni non potevano nulla contro quella parte di mondo così ostile. C’era gente che sapeva guardarsi le spalle e gente che invece non sapeva proprio a chi affidarsi e questo poteva fare la differenza il più delle volte.
Quando navigava per conto suo, Sayuri aveva valutato attentamente più di una volta l’ipotesi di spingersi fino all’arcipelago ma sapeva benissimo che doveva essere pronta visto che essendo sola, non poteva che contare sulle proprie forze; il buonsenso che possedeva valeva più di quello di una ciurma intera ma prima di poter arrivare a una meta tanto famosa quanto affollata da marine, pirati e Draghi Celesti, doveva governare il suo haki alla perfezione: lei apparteneva alla tipologia dell’attacco, la più comune ma non per questo la più debole.

L’haki era conosciuto come lo spirito vitale, la forza interiore di una persona che si manifestava quando questa possedeva un grande carisma o fosse mosso da ideali così vigorosi da rendere la sua determinazione inarrestabile. Suo nonno le aveva raccontato di tale potere poco prima di morire e gli aveva confidato la sua certezza del fatto che anche lei ne era dotata.

“Non sono solo il coraggio o i sogni a renderci forti e dimostrare la propria superiorità esclusivamente per vanità, è da persone senza morale e spina dorsale. Ogni cosa, persona, pianta a questo mondo possiede uno spirito e lo manifesta nella forma che più preferisce”
“Intendi dire tutti? Anche io, nonno? Ho anch’io uno spirito?”
In quella occasione, lui le aveva sorriso e accarezzato la testa “Chi lo sa. Sta a te il compito di scoprirlo. La tua anima è pura e innocente e rispecchia la tua indole gentile. Non è simbolo di debolezza, questo ricordalo bene. Ci saranno persone che ti vorranno fare del male, persone che non si faranno scrupoli a ferirti ed è allora che dovrai agire seguendo i tuoi principi. La ricerca della forza interiore, di questa ambizione è lunga e difficile ma so per certo, piccola mia, che tu saprai sempre distinguere il bene dal male. Mantieni gli occhi fissi su quello che desideri e vedrai che dopo ogni cosa ti apparirà più chiara”

Quando il suo dolce nonno era venuto a mancare, aveva deciso che per dare fondo alle sue parole doveva andare via dall’isola. Visitò due o tre posti nuovi e su questi si fermò per addestrarsi a sviluppare l’haki. La meditazione si era rivelata essenziale; entrare in contatto con la natura, gli animali, ogni elemento presente e armonizzarli tra di loro, era risultato facile se la mente non era occupata da null'altro che non fossero libertà e silenzio ma Sayuri, matura per carattere, era sempre stata consapevole che durante uno scontro non poteva trovare quei elementi a sua disposizione e quindi aveva imparato a crearsi un proprio spazio nella sua mente, uno spazio dove il panico e la paura non sortivano alcun effetto.

Già dalle sue prime battaglie con alcuni pirati era riuscita a mettere in pratica quei pochi frutti del suo speciale allenamento ma per affrontare veri pirati, quelli che stavano nel nuovo mondo, doveva essere ancora più forte, più di quanto lo fosse stata contro Ace a Rogh Town.

 

 

Avevano fatto sosta su una piccolissima isola disabitata per permettere al log pose di registrare il magnetismo. Ad occhie e croce, occorrevano quasi tre giorni, giusto il lasso di tempo che disponevano per ultimare i preparativi prima di arrivare all’arcipelago. Non ci sarebbe stati per molto visto l’elevato rischio che si presentava. La Marina era in agguato e con i draghi celesti in giro, capaci di chiamare un ammiraglio in caso di bisogno, era bene evitare certi colpi di testa.

Era quasi tutto pronto, mancava solo che il log pose iniziasse a puntare la prossima meta ma ciò che premeva in quel momento ad Ace, era sapere dove fosse finita la sua navigatrice.

Sayuri era sparita, di nuovo. Da quando avevano ormeggiato la nave, la ragazza si era occupata di quel che doveva fare, per poi dirigersi sull’isola, dicendo soltanto che sarebbe tornata verso il tramonto. E così aveva fatto per quei due giorni.

“Bonz, hai visto Sayuri?” domandò il moro.

Il cuoco sbucò da dietro l’armadio della cucina col suo bel faccione rosso. Era occupato a pelare patate a non finire.

“Credo sia andata al solito posto. Se non è sulla nave o lì, allora non lo so”

Il posto inteso era un’ampia radura poco distante dalla spiaggia, dove il verde lussureggiante accerchiava una piccola cascata alla cui base si era creato un lago anch’esso minuscolo.

Ad Ace era quasi sfuggito di mente.
Scese dalla nave e percorse il breve tratto boschivo, fino a raggiungere il luogo designato.

Come previsto, la castana era lì ma non ad allenarsi con i sai o col karate come aveva fatto in quei ultimi due giorni, dove lui le aveva fatto anche da avversario, giusto per rendere la cosa ancora più impegnativa; sedeva su delle rocce su cui l’acqua della cascata si infrangeva. Le sue gambe erano incrociate, gli occhi chiusi e le mani raccolte nella classica posizione per meditare, col il viso rilassato e concentrato.
Sayuri meditava senza che il peso dell’acqua la disturbasse, senza che nulla attorno distogliesse la sua attenzione da quel che stava facendo. I capelli aderivano alla pelle della schiena, coperta solo dal reggipetto nero e su di essi, piccole perle d’acqua fredda li facevano risplendere. Gli stivali, la camicetta a maniche corte e il piccolo zaino erano vicini alla riva del laghetto.

Anche se Ace si trovava a distanza, poteva avvertire su di sé e intorno a sé la manifestazione dell’ambizione che si amalgamava con le forze naturali lì attorno. Nell’avanzare, captò che la sorgente era proprio la ragazza: stava provando ad espandere il suo haki nella zona circostante. Era un azione difficile la sua e spesso si sentiva addirittura vibrare il terreno visto che cercava di raccogliere tanto potere e di concentrarlo unicamente dentro di sè.

Il rumore della cascata le impediva di sentire i suoni esterni ma la sua mente era aperta, capace di percepire anche il più piccolo dei cambiamenti nell’equilibrio circostante.

La vedeva così concentrata e presa che non volle disturbarla. Decise di sedersi ai piedi di un albero, aspettando silenziosamente che finisse ma dopo nemmeno mezz'ora di resistenza, cadde appisolato come suo solito.

 


“Ace? Ace, svegliati. Coraggio, Ace”

Qualcuno lo stava chiamando. Era un voce molto gentile e paziente, niente a che vedere coi gli strepiti e le grasse risate degli uomini. Della sua ciurma, conosceva solamente una persona che soleva svegliarlo senza prenderlo a schiaffi o tirandogli addosso un secchio d'acqua; aprì gli occhi e stropicciandoseli un pò, si trovò faccia a faccia con il volto sorridente di Sayuri. I lunghi capelli le ricadevano oltre le spalle ed erano ancora bagnati. Doveva aver smesso di allenarsi da poco.

“Hai dormito bene?” gli domandò lei.
“Come sempre” si diede la spinta e si alzò in piedi stiracchiandosi le braccia “E tu? Col tuo allenamento?”

La castana abbassò lo sguardo per qualche istante, per poi rialzarlo nuovamente verso il capitano. Aveva lavorato sodo ma non era giunta a dove sperava e questo un po’ la deludeva. Anche se riusciva ad ampliare il suo spirito tanto da far vibrare l’acqua e le rocce che la circondavano, il contatto era stato pressa poco latente. Non possedeva l’haki del re e per tale ragione certe tecniche non le erano consentite, eppure era certa di poter ideare qualcosa di suo, di innovativo e allo stesso tempo così potente da lasciare allibita sé stessa, solo che le ci voleva tempo. Tempo e ancora molto allenamento.

“Devo dire che ho ancora molto da perfezionare” rispose infine alzandosi anche lei da terra "Sono parecchio lontana dal livello che vorrei raggiungere"

Era difficile ipotizzare una data precisa, di lavoro ce ne era ancora.

Ace le poggiò una mano su una spalla “Non scoraggiarti. Sei una delle persone più forti che conosca, quindi ce la farai senz’altro” le assicurò certo che sarebbe riuscita a raggiungere il suo obbiettivo.

Le parole del moro sapevano sempre come infondere fiducia in Sayuri. Era ben a conoscenza che doveva farne ancora di strada. Era giovane e per molti aspetti, ancora inesperta ma non aveva fretta. Non intendeva diventare più forte per primeggiare contro qualcuno, no, lei voleva proteggere quella sua libertà, ciò che era, da qualcosa che non poteva essere abbattuto con un pugno o un calcio. Il suo era un nemico invisibile e più infido di qualsiasi mente contorta e sudicia e per quanto lei fosse ponderata e sapesse controllarsi, rimaneva pur sempre un essere umano e presto sarebbe venuto il momento in cui non sarebbe stata più in grado di reggere quel peso.
Dietro a quei occhi color cioccolato, Ace vedeva qualcosa di più che la semplice gentilezza. Sayuri la mascherava bene e si mostrava sempre così serena ma oramai il moro era convinto, anzi era certo al 100%, che l’amica celasse qualcosa. Poteva domandarglielo? Ovvio, ma che cosa avrebbe ottenuto se non il fatto di volersi impicciare della vita altrui? Non ci teneva a essere invadente ma gli aveva promesso che non si creassero situazioni in cui lei soffrisse e adesso, che poteva dimostrare la veridicità delle sue parole, doveva tacere per non dare vita a qualcosa di irreversibile.

Come aveva pensato l’altra volta, aspettare era la sola cosa che poteva fare ma più la guardava più provava altro, oltre che a curiosità. Indubbiamente, la sua amica era una bella ragazza, molto graziosa e questo cominciava a essere un fattore piuttosto rilevante. A volte si ritrovava a guardarne i movimenti o a studiarne i più piccoli particolari e nel farlo dimenticava tutto il resto, come se non potesse pensare ad altro, eppure nel farlo rievocava anche un forte senso di gelosia: ricordava ancora bene come Hiroya l’aveva osservata con troppa malizia prima di parlargli e questo l’aveva irritato parecchio. Non c’era niente di strano nel guardare un persona se questa era affascinante ma ad Ace non piaceva affatto che la gente guardasse Sayuri come fosse un oggetto: quel pirata a Rogh Town, per esempio, era la personificazione della superficialità e indubbiamente di gente come lui ce ne era anche fin troppa. Gente che se ne infischiava, gente che non esitava a compiere gesti brutali anche a discapito di altre persone e  lui quelle categorie non poteva sopportarle.

“E’ tardi” disse uscendo dal suo groviglio di pensieri “Meglio tornare alla nave. Domattina salperemo presto”
“D’accordo. Ace”
“Che cosa c’è?” da come lo guardava, il moro sperava che volesse rivelargli qualcosa.
Ancora una volta la ragazza gli rivolse un grande sorriso “Ti volevo ancora ringraziare per i giorni scorsi. Combattere contro qualcuno è sempre il modo migliore per allenarsi e tu mi hai aiutato molto. Grazie mille”

Non era andata come pensava. Quel riflesso blu nei suoi occhi era comparso e scomparso in un solo istante e lui si era ritrovato ancora un volta a dover ignorare l’assillante domanda che cantilecchiava nella sua testa però in fondo era contento perché leggeva nel ringraziamento dell’amica una veridicità dolce e sincera.

“Figurati!” esclamò subito “Quando hai bisogno, sai dove trovarmi. Ma non è che stai tentando di superarmi, vero?” buttò lì con fare divertito guardandola con gli occhi seminascosti dal cappello.
Lei rise “Eh eh! Non credo di potermi paragonare a te. Mi hai già battuto una volta”
“Sbagliato, abbiamo pareggiato” la corresse “Su, adesso andiamo. Sei bagnata e comincia a fare freddo. Non voglio che tu ti ammali”

La premurosità che Ace aveva nei suo confronti la riscaldava più di un bagno bollente. Fu una vera fortuna che gli camminasse a pochi passi di dietro e non di fianco, altrimenti avrebbe notato il suo viso cambiare colore. Anche prima, quando l’aveva guardata da vicino, stava per arrossire ma fortunatamente era riuscita ad uscirne. Ogni giorno, sentiva quella sensazione crescere sempre di più e ogni volta nei suoi pensieri, compariva l’immagine del moro senza che lei lo volesse. Forse le stava capitando quello a cui tante sue coetanee capitava. Forse si stava....affezionando in maniera profonda a lui.

Mirando la schiena del ragazzo, ebbe un balzo al cuore. Le spalle erano larghe, i muscoli ben sviluppati e i contorni del suo corpo erano luminosi per via del tramonto a cui stavano andando incontro.

Se solo ripensava a Rogh Town, a Giungle River e a ogni momento passato sulla nave, il suo cuore galoppava senza ritegno.

Il sentimento che provava nei confronti di Ace cresceva a dismisura e lei si sentiva come persa in una landa sconosciuta, con un che di paura e sicurezza ad assalirla. Desiderava allungare la mano ma anche di rimanere dov’era per evitare di fare qualcosa di sbagliato o insensato e più guardava la sua schiena, più cresceva il desiderio di appoggiarvisi come fosse un rifugio sicuro.

Si provava questo quando si voleva tanto bene a una persona? Succedeva questo quando si era...innamorati?

Innamorata. Io sono..innamorata di Ace?



 

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Capitolo 12
*** Yukiryu, l'isola delle nevi perenni. ***


Eccoci arrivati a mercoledì e come sempre vi porto un nuovo capitolo della mia fict!Buona lettura a tutti quanti!

 

Maya90:ciao carissima!mi ha fatto piacere che abbia apprezzato la parte su Barbabianca.Prima di poterla mettere sono andata a leggermi le loro schede e a crearmi un immagine mentale di cosa potessero dire cercando di rispecchiare al meglio il loro carattere.Ti dico subito che hai azzeccato sul buon animo di Satch perché nonostante le future apparenza si dimostrerà essere un amico prezioso!Marco l’ho subito immaginato un pochino scontroso ma in fondo è un pirata con le spalle sulla testa e non voglio di certo rovinarlo (a fare il rompiscatole c’è già Don!).Per Jozu invece ho dovuto improvvisare perché non avevo proprio idea di come fosse.L’ho guardato in faccia è ho pensato ad un carattere un pochino burbero,tutto qui.Spero che col tempo mi venga in mente altro.Per quanto riguarda l’haki prima di ogni altra cosa mi sono andata a informare:l’haki dell’attacco è quello che usa Sayuri però visto e penso che ciascuno lo sfrutti a sua maniera,ho pensato che nonostante non fosse totalmente incisivo come quello del re,potevo comunque farlo diventare uno dei punti di forza della mia protagonista.Per ora ha rispecchiato le classiche caratteristiche mostrate nel manga,ma in futuro chissà…..Spero solo di non sforare troppo!So che sei curiosa di vedere Ace contro il vecchio Barbabianca e ti dico fin da subito che ci sto lavorando adesso.Sto dando gli ultimi ritocchi ma se ti può rendere felice,dopo questo capitolo e un altro ancora c’è una grande sorpresa!

MBP:non mi sarebbe dispiaciuto vederti arrossire,in fondo non credo di aver detto nulla di male!le scene a contatto con a natura e la meditazione devo dire che sono una delle mie preferite(non ti dico le altre dovrai tenerti la curiosità su questo).Ho cercato di essere il più realista possibile e ci ho messo un po’ perché a volte io tendo ad essere un tantino perfezionista e anche se alla fine sto a rileggere più di una volta mi scappa sempre qualche errore di grammatica,sigh!Per quanto riguarda Sayuri….eh si,comincia a rendersene conto ma non essendo mai venuta a contatto con la parola amore,sarà dura e visto che su questo lato è inesperta credo che dovrò inventarmi un bel modo per spingerla a fare i passi successivi anche se la tradizione vuole che sia l’uomo a fare il primo passo!ma se ne caso non ci riuscisse non è che potresti chiedere alla tua Key-chan di impartire un piccola lezione alla mia Sayuri in fatto di sicurezza?sugli altri fronti,esclusi i ragni,se la cava egregiamente ma su questioni di cuore forse un piccolo consiglio non guasterebbe,anche se io l’adoro così!!

Beatrix:innanzitutto calmati:so cosa significa avere problemi con la linea,lo so mooooolto bene e posso immaginare anche i tuoi impegni e per questo non devi scusarti.Come o già detto in precedenza,non è un dramma se non si recensisce subito o non si recensisce affatto.Grazie per aver apprezzato la rapida apparizione di Barbabianca;sono convinta che sguardo truce a parte e l’esagerata considerazione della sua forza,dietro a tutto questo di nasconda il vecchio buon cuore di un babbo pronto a proteggere i suoi figli!è l’aspetto che più mi piace di questo imperatore.Passando alla seconda parte della recensione…davvero hai visto Avatar?io devo ancora andare a vederlo ma il solo guardare le immagini mi ha fatto accapponare la pelle per l’eccitazione.Una natura del genere non l’ho mai sognata neppure io,è sicuramente di un altro pianeta,imparagonabile alla nostra.L’haki come hai detto tu è una forza difficile da gestire ma avendo già un buon punto di partenza,realizzarlo su misura per Sayuri è stato facile:la meditazione la aiuta a mantenere la calma anche durante le lotte e inoltre fa parte del suo allenamento standard,quindi è quasi d’obbligo.Nel rivedere le altre recensioni,alla fine salta fuori sempre una cosa:Sayuri agli occhi di tutti è tenera.Se vuoi avere un immagine concreta basta che pensi alla piccola Hinata di Naruto.Il fatto che reagisca così è perché non sa come comportarsi davanti a queste strane sensazioni e a forza di arrossire e chiedersi il perché non si scateneranno delle tempeste interiori ma veri e propri maremoti!A proposito,qual è la tua fict?mi piacerebbe leggerla,visto che tu sei così gentile nel farlo con la mia.Magari è li sotto il mio stesso naso,molto probabile e nemmeno la vedo!in questo caso devo chiederti scusa io!

Yuki689:ehi si!quando si è di buon umore e soprattutto più avanti del solito si ha voglia di autopremiarsi!La razionalità di Sayuri è dovuta proprio a come è stata cresciuta e il volersi migliorare sta proprio per tenersi pronta contro i pericoli del nuovo mondo.Lo so,ora mi chiederai in che modo è stata cresciuta e si vorrà sapere per una buona volta chi è questa ragazza ma ti dico una cosa che sicuramente ti farà piacere:il quattordicesimo capitolo tratterà del passato di Sayuri e credimi per scriverlo mi sono consumata le mani!Se questa settimana andrà bene posterò il tredici sabato quindi mercoledì prossimo (Se il computer è ancora qui e spero che ci sia)scoprirai la verità,tu e tutte le altre!Se non succederà nulla o sabato prossimo o mercoledì successivo!Non dico altro,ne su Ace ne su Sayuri altrimenti mi tradisco da sola.Io stessa mi sto già incatenando alla scrivania per trattenermi all’aggiornare all’istante ma devo resistere,altrimenti perdo il ritmo e non va bene.Spero che Ace faccia subito la pace con Yume perché non mi piace vederli separati,anche se devo ammettere che sarei stata molto curiosa di vedere Yume centrare Ace con un comodino…ih ih ih!

 

 

L’arcipelago Shabondy era un insieme di isolette vicinissime alla sacra terra di Marijoa, residenza dei cinque astri della saggezza. Si trovava vicino alla Red Line, divisa in due principali zone, l’anarchica e la turistica. Un posto singolare, disseminato da alberi detti Grove che delimitavano le diverse aree. Per quanto affascinante fosse, non poteva essere definito un luogo tranquillo perché non era altresì che un crocevia di persone dalle mille sfaccettature.
Dietro all’apparente stupore si nascondeva qualcosa di orribile e deplorevole, incolore e freddo come il ghiaccio. A Sayuri il posto non era mai piaciuto sia per il commercio degli schiavi, una cosa disgustosa e raccapricciante, sia anche per la continua sensazione di oppressione: durante il tragitto per arrivare alla zona dove venivano rivestite le navi, si era sentita maledettamente osservata da occhi che non provavano minimamente a essere indiscreti. Oltre alla presenza dei Draghi Celesti, i discendenti di coloro che avevano fondato il Governo Mondiale, la cui stima per gli uomini era pressoché inesistente, c’erano anche pirati che vantavano taglie e gesta fin troppo allettanti per i cacciatori di teste. In realtà si era mostrata molto più interessata a vedere il paradiso sommerso degli uomini pesce, la leggendaria isola situata sotto la Red Line e Marijoa ma prima di ogni altra cosa, doveva adempiere ai compiti affidatile dal capitano.

Insieme a Don si era occupata delle trattative per il rivestimento della nave mentre Ace si era misteriosamente eclissato per poi comparire cinque minuti prima della fine del lavoro, con in mano quello che gli occorreva per la loro prossima meta; il mercato del posto offriva molto più di quanto l’occhio umano non vedesse e se pagati bene, i commercianti erano disposti a vendere le loro merci più preziose. Ciò che il moro mostrò a loro dopo aver superato il paradiso sommerso non era che un semplice eternal pose che da tempo sperava di poter trovare.

Sayuri, Don, Bonz e il resto della ciurma, ignoravano la meta che si apprestavano a raggiungere ma fu il loro stesso capitano a illuminarli,diversi giorni prima dell’arrivo.

“Yukiryu? Non ne ho mai sentito parlare” ammise la ragazza.
“Nemmeno io” si associò il cuoco cannoniere.
Don sospirò pesantemente chiudendo gli occhi “Siamo messi davvero bene. Tra tutte le isole che ci sono, lui vuole andare lì”

I primi due si guardarono confusi per poi rivolgere l’attenzione sul medico-cecchino, che sbuffò nel sentirsi così apertamente osservato.

“L’isola di Yukiryu...” iniziò come sempre svogliato “Pare sia essere la base di Shanks il Rosso”

Bonz spalancò la bocca e sgranò così tanto gli occhi che quasi rischiarono di perforargli le lenti dei suoi occhiali scuri mentre Sayuri emise un semplice “Oh” di stupore.

Il pirata menzionato dall’amico era uno dei quattro imperatori che navigavano nel nuovo mondo. Si sapeva ben poco di lui, tranne il fatto che era in grado di tener testa a un pirata come Barbabianca. Don alla notizia, aveva reagito come sempre ma in quel momento la sua faccia stava sottintendendo anche “Non vorrà cimentarsi in un suicidio precoce?”.

La prospettiva di un futuro incontro/scontro con Barbabianca era assai allettante quanto immergersi in una vasca piena di mosconi, scorpioni e cavallette ma doversela vedere anche con un altro di quel calibro senza conoscere le intenzioni del capitano, era davvero rassicurante.

“Perché stiamo andando proprio là?” Bonz era stato l’unico a trovare le parole per chiederglielo.
“Questioni personali” si limitò a dire Ace.
“Che immagino tu ci terrai nascoste fino al momento opportuno” disse il medico-cecchino.
“Esatto ma non dovete preoccuparvi. Non ho intenzione di scontrarmi con lui” rispose il moro sorridendo.
“Meglio così...”boffocchiò Don calcandosi il berretto in testa "Mi sto ancora preparando psicologicamente per il Re dei Mari.."
“D’accordo” Sayuri si alzò da dov’era e si diresse verso l’interno della nave “Vista la meta, sarà opportuno organizzarci al meglio delle nostre possibilità. Non abbiamo molte informazioni sull’isola ma cercherò qualcosa che possa tornarci utile”

Era interessata a vedere quel territorio governato dall’imperatore rosso. Non capitava tutti i giorni di andare a fare una visita ad un pirata così in vista e lei si sentiva quasi onorata. Nel guardare le carte a sua disposizione, iniziò a far lavorare il cervello come una perfetta macchina oliata e man mano che proseguiva, si immergeva ancora di più nel suo lavoro, controllando il controllabile, senza tralasciare nulla. Ogni piccolezza poteva sempre tornare utile e lei visto il suo ruolo doveva farsi una chiara idea del territorio verso cui erano diretti; non c’erano molti strumenti o informazioni in suo possesso e ciò la svantaggiava ma voleva ugualmente non trovarsi impreparata davanti a quel luogo sconosciuto. La sua silenziosa determinazione era unita anche al voler aiutare il suo capitano a incontrare il pirata ma non di certo a conoscerne il motivo.

La curiosità non era mai stata il suo forte, aveva sempre evitato di impicciarsi della vita privata delle persone altrui, per rispetto nei loro confronti ma questo non significava che quando questi fossero stati in difficoltà, lei se ne sarebbe stata in disparte. Una cosa che non sopportava era l’ingiustizia e a quel mondo ce ne era anche troppa.

 

 
Appena quattro giorni dopo, raggiunsero l'obbiettivo prestabilito.

Yukiryu era un isola invernale del nuovo mondo, avvolta dal un leggero manto di nebbia che la oscurava davanti agli occhi dei navigatori.
Quel che la ciurma potè constatare fin da subito era che oltre a essere interamente ricoperta di ghiaccio, possedeva una morfologia molto irregolare, stravagante; archi di roccia grandi quasi quanto le montagne si ergevano con le loro gobbe innevate e sotto di essi la natura dormiva placidamente. Era grande, molto grande, il che avrebbe reso ancor più difficile la loro ricerca. Essendo un imperatore, il Rosso sapeva nascondersi nei posti più remoti dei suoi territori proprio per non essere disturbato o attaccato dalla Marina o da visitatori indesiderati. La temperatura doveva essere sicuramente sotto zero ma per fortuna la ciurma si era ben attrezzata con abiti pesanti, anche se il povero Bonz stava già dando forti segni di congelamento.

“Etciuu!!!! F-F-F-Fa freddo! Fa t-tanto freddo!” balbettò battendo i denti.
“Mi dispiace Bonz ma quello che indossi era l’unico cappotto che ti andasse bene” Sayuri si era impegnata a fornire a tutti quanti dei vestiti adatti ma per il povero cuoco-cannoniere la ricerca aveva portato esiti non del tutto felici; il cappotto trovato rischiava di scoppiargli addosso.
“Non..n-non p-preoccuparti..non s-sento c-c-così tanto f-freddo...ETCIUU!”

I suoi poderosi starnuti si disperdevano come echi fragorosi nell’ambiente circostante. Nessuno si sarebbe stupito di vedere cadere la neve da quei enormi archi di pietra. Sopra le loro teste, il cielo non dava segno di voler cambiare; anche se in quel momento non nevicava, poteva succedere da un momento all’altro e questo avrebbe costituito un bel problema.

“ETCIUU! ETCIUU!!!”
“Bonz! Abbi la compiacenza di metterti le mani sulla bocca. Non ci tengo a beccarmi una lavata gratuita di germi” lo rimbeccò Don coprendosi con le braccia “Usa almeno un fazzoletto!”
“Uh..sci..dov..?” biascicava con gli occhi lucidi e il naso rosso senza trovare qualcosa con cui pulirsi.
“Nella tasca, insieme a quei dannati occhiali che dovresti indossare!” gli urlò esasperato il cugino.
“Ho capito! Sei davvero insopportabile quando fai così, sfido poi che gli altri parlino male di te!” esclamò
“E chi parlerebbe male di me?!” sbottò.
“Non te lo dico, brontolone!” e gli fece la linguaccia.
“Sempre meglio essere un brontolone che un’enorme talpa cieca!”
“Non sono una talpa!” esclamò con denti appunti a mò di squalo.
“Oh scusami, non è giusto che insulti le talpe...SOTTOSPECIE DI SALAME ACCECATO!”
“PESSIMISTA DEI MIEI STIVALI!”
“VUOI FARE A BOTTE?!”
“PERCHE’ NO?!”

C’era di buono che quella assurda e insensata conversazione avesse fatto scordare a Bonz il freddo che solo pochi secondi fa lo stava letteralmente congelando.Era come guardare due poli opposti che cercavano di trovare dei punti di connessione ma senza riuscirci e Sayuri, che si vedeva spesso come la rappacificatrice, se ne stava volontariamente in disparte come il resto della ciurma, ben consapevole che i due cugini non avrebbero di certo dato inizio a una battaglia all’ultimo sangue, anche se si stavano pestando a vicenda. Strano poi che Don avesse perso le staffe così velocemente, non succedeva mai: probabilmente anche a lui il freddo non piaceva così tanto. Se mai la situazione fosse degenerata ancora di più, l’acqua gelida del mare avrebbe rinfrescato le idee ad entrambi.

Ace era già sceso a terra. Da sotto il suo cappello arancione, i suoi occhi osservavano quello spazio immacolato senza tralasciare il benché minimo centimetro; sotto quella coltre di neve bianca si nascondeva il vero aspetto dell’isola e Shanks il Rosso non solo conosceva alla perfezione quel posto ma era favoreggiato dal clima stesso. La neve rendeva tutto uguale e ingannava anche la vista più fine. Sicuramente si era rintanato in un posto isolato, dove nessuno sarebbe mai andato a cercarlo oppure stava proprio sotto il loro naso, chi poteva dirlo. Lui sapeva soltanto di doverlo trovare, non importava come. Doveva trovarlo perché quella sarebbe stata la prima e ultima occasione.

“Quando vuoi Ace, noi siamo pronti” lo avvisò Sayuri affiancandolo.
“Bene” si voltò in direzione della nave “Sapete tutti cosa fare. Mi raccomando, niente azioni istintive o colpi di testa. Ricordate che non siamo qui per combattere”

 

 

La quiete dell’isola dava a pensare che ogni cosa lì dormisse profondamente, piante e animali compresi ma in realtà quel gelo soporifero non era stato in grado di sortire il suo magico effetto su alcuni individui che conoscevano mnemonicamente tutto ciò che riguardava il loro territorio. Proprio due di quei individui, stavano osservando dall’alto della loro postazione i nuovi arrivati. Con un lungo cannocchiale, Yasop aveva già individuato chi doveva tener maggiormente sotto controllo mentre al suo fianco Rockstar, trasmetteva al lumacofono le brevi informazioni che il cecchino gli stava passando.

“Si sono divisi in tre gruppi” disse “Il primo è rimasto a controllare sia la nave che la costa mentre il secondo si è diretto verso gli archi che si trovano ad est e sono guidati da un uomo massiccio. L’ultimo gruppo è composto solo da tre persone e si dirigono verso il castello” informò velocemente.
“Il capitano sarò sicuramente nell’ultimo gruppo” aveva detto una voce al lumacofono “Che ne pensi, Shanks?”

Si udì una quarta voce in sottofondo, appena percettibile. Sembro dire qualcosa ma solo l’uomo che gli era vicino riuscì a comprendere che cosa avesse detto.

“Tenete d’occhio il terzo gruppo e appena arrivano nei pressi del castello, rientrate”comunicò.
“Eh eh! Il capo vuole accoglierli come si deve, eh?” ridacchiò Yasop

L’amico dall’altro capo del lumacofono gli rispose affermativamente.

 

 
L’intera foresta di pini era attraversata da un ampio sentiero che partiva dalla costa per poi giungere in un qualche punto remoto dell’isola.

Ace, Sayuri e Don stavano camminando su quest’ultimo con l’intenzione di scoprire dove questo portasse. Il medico-cecchino si teneva a due passi di distanza davanti ai compagni per controllare che non entrassero nel raggio d’azione di qualcuno cosicché da avvertirli con un segnale da lui inventato. Sayuri era nel mezzo e si occupava di tener sotto controllo i lati della strada; dietro ad essa si stagliavano alberi, archi di pietra, neve e altre strutture non molto visibili. Essendo rapida, poteva intervenire in aiuto dei suoi amici. Stando per ultimo, Ace controllava che la situazione alle sue spalle rimanesse immutata; sarebbe stato sufficiente innalzare un muro di fuoco per proteggere i suoi compagni e far fallire così l’attacco del nemico. Ognuno di loro era consapevole del proprio ruolo bene, visto che quel piano era stato ideato e studiato nei minimi particolari ancor prima che approdassero a Yukiryu e nonostante le intenzioni fossero pacifiche, non era detto che l’accoglienza potesse essere delle migliori.

Camminavano su una linea immaginaria, senza accelerare o rallentare il passo. Ciascuno si preoccupava di non farsi sfuggire nulla, o peggio, di abbassare la guardia.

“Bene, io mi fermo qui” sentenziò Don.

Erano davanti ad un bivio; la strada si diramava in un piccolo sentiero aperto che conduceva verso alcuni piloni di pietra particolarmente ampi, circondati da alcune collinette. La postazione ideale per chi doveva tenere sotto controllo qualcosa o qualcuno. Lì la foresta era meno folta.

“Qui ci penso io. Voi andate avanti”
“D’accordo. Avvertici se trovi qualcosa” gli disse il moro.
“Tranquillo. Al primo sospetto, vi chiamo”
“Fai attenzione” si aggiunse la ragazza
“Come sempre. Buona fortuna anche a voi, spero che la pesca vi vada bene”

Si era deciso di dividersi ulteriormente una volta inoltrati nella foresta. Don era stato il primo e a lui spettava il compito di verificare che un posto come quello in cui si era fermato fosse l’avanposto di qualcuno; se avesse trovato delle tracce, con un po’ di fortuna, avrebbero mosso passi da gigante ma questo dipendeva tutto da quel che trovava e se trovava qualcosa. Ace e Sayuri ripresero a camminare senza cambiare la loro posizione. Man mano che avanzavano, il numero degli alberi diminuiva e il sentiero sembrava che si stesse aprendo ancora di più. Stiamo per arrivare alla meta, pensarono all’unisono e quando finalmente si fermarono, ne ebbero la piena conferma.

Da dove si trovavano, si estendeva un enorme prato grande quanto due campi di grano messi insieme, circondati dalla foresta di pini circolare, notevolmente allargata. Ben visibile, una mastodontica montagna innevata si stagliavano sovrano su tutto il paesaggio, con la cima coperta dalla stessa nebbia argentea che avvolgeva l’isola. Ai suoi piedi, con grande stupore dei due, c’era un palazzo. Un grande palazzo totalmente ghiacciato, ricoperto fino alla base di spesse lastre di ghiaccio azzurro scuro. Era imponente ma esprimeva un forte senso di angoscia e malinconia; al suo fianco, semicoperto dai pini, vi era un lago, anch’esso ghiacciato, solo che la lastra si avvicinava a un bel bianco perla luccicante che mostrava i suoi bei riflessi nonostante la mancanza del sole.

Sia Ace che Sayuri si avvicinarono e poterono scorgere la presenza di altre costruzioni, case popolari, ridotte alla stessa maniera.

“Mi domando da quanto tempo si trovino in questo stato” si chiese Sayuri mantenendo un tono di voce basso.
“Non saprei risponderti con certezza ma credo più di una decina d’anni” azzardò il capitano.

La castana guardò in direzione del castello: era praticamente ai piedi della montagna, quasi attaccato ad essa. Proprio dove c’era l’edificio, la zona si ampliava ancora di più, in una piazza dalla neve battuta che portava nei pressi del lago oppure in direzione della montagna. Quando ebbero raggiunto il palazzo di ghiaccio, si fermarono nuovamente per procedere ad un ulteriore divisione, quand’ecco che il lumacofono della tasca di Ace cominciò a squillare. Dall’altro capo c’era Bonz, al quale era stato affidato il lato est dell’isola.

“Ace, la zona qui è completamente deserta. Non ci sono tracce del passaggio di uomini” lo informò subit.o
“Ne sei sicuro?”
“Si, Abbiamo controllato più volte; non ci sono impronte, rami spezzati o cose del genere. E’tutto intatto. Forse si trovano in una zona più interna” suppose.
Che è esattamente dove siamo noi pensò automaticamente Sayuri.

C’era da aspettarselo che quella ricerca non avrebbe dato esiti subito favorevoli. Non stavano giocando a nascondino con un principiante, affatto. Ace diede rapide istruzioni al cuoco, dicendogli di non muoversi e di mantenere la posizione e se nel caso avesse trovato qualcosa di avvertirlo. Chiuse la chiamata e rimise il lumacofono nella tasca del proprio cappotto. A quanto pareva, non rimanevano che loro due e Don.

“Controllerò il palazzo e i dintorni ” affermò sicura Sayuri.

Il vento cominciava ad alzarsi piano. A breve la neve sarebbe scesa. Non sapevano quando di preciso ma presto si sarebbero trovati a dover aguzzare la vista molto più di quanto stessero facendo in quel momento.

“Bene. A me non resta che la montagna” disse Ace. Contemplando per qualche secondo quest'ultima, si rivolse nuovamente all’amica “Tieni gli occhi aperti”
Per tutta risposta, ricevette il tipico sorriso dolce e rassicurante di lei “Anche tu e speriamo di trovare quel che cerchiamo” affermò con ottimismo.



 

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Capitolo 13
*** I ringraziamenti di Ace. Si festeggia! ***


Buon venerdì a tutti quanti!per festeggiare la riuscita di ben due esami mi sono detta "perchè non anticipare l'uscita del tredicismo capitolo a oggi?".Sono così felice,mi sono tolta un peso immondo!!Ringrazio per l'ennesima volta chi recensisce e vi auguro buona lettura!!
 
Beatrix:Dal tuo urlo non avevo capito che ti piacesse Shanks!effettivamente come personaggio è fantastico ma niente potrà sostituire Nico Robin,Sanji e Ace (finalmente Rufy è riuscito a liberarlo dalle manette e a farlo scendere dal patibolo,SIII!YUPPIIIII!alla faccia tua Sengoku!scusa,ora sono io quella con sta dando i numeri e sta saltando sul soffitto,ho sprizzato gioia da tutti i pori al vedere quella bella scena,che mi ha invogliato anche a anticipare l’uscita del tredicesimo capitolo!!).Volevo dirti che Rockstar non l’ho inventato io:è la recluta che viene mandata a consegnare una lettera importante a Barbabianca e che viene rispedita alla base con un “NO” formato maiuscolo.Prima di trattare dell’argomento sono andata velocemente a informarmi e visto che aveva la faccia simpatica mi è sembrato giusto metterlo con tutti gli altri.Ti dico che sarà una cosetta tranquilla,anche perché tra le due ciurme non saprei dare un vincitore,anche se statisticamente Sahnks stravincerebbe senza nemmeno sforzarsi…Ora che mi hai anche spiegato la questione della fict tua e di Yuki aspetto con ansia la sua uscita!ora sono davvero curiosa!!!

Yuki689:Se trattavo del passato dei pirati di picche,Shanks era doveroso metterlo anche perché serviva a me per una particolare scena!Lo so,probabilmente adesso mi lancerai addosso maledizioni ma ti prego aspetta a farlo!Ho aggiornato oggi perché visto il buon esito del mio esame mi ha spinta a scrivere,con la speranza che il mio computer resista ancora fino a mercoledì;se dovesse succedere qualcosa aggiornerò prima ma di una cosa mi sono ripromessa;se devo sopportare la mancanza del  mio amatissimo computer,mio unico sfogo al mondo,allora voglio interrompere la mia momentanea vena creativa con un capitolo che lascerà il segno!Oh,lo farò,eccome se lo farò!(a meno che non lo portino via mentre sono fuori in quel caso sarei ultrafregata…).Ormai che sono nel vivo della fict non posso certo tornare indietro,tanto che continui a ballare!

Maya90:mia cara,detto da te è un complimento ma non credo di potermi definire ai livelli del sommo Oda!(anche se negli ultimi scans mi ha fatto quasi morire di infarto…).Shanks è un parte importante sia nel fumetto che nella mia personale versione e ho cercato di renderla il più accettabile posibile.Non ci sono scontri (quelli verranno a breve) però visto che nei flashback era presente,come potevo non metterlo?mi sono un attimino scervellata per riuscire a render degno omaggio a capelli rossi e speriamo di aver fatto un buon lavoro!!!

MBP:carissima MBP,per rispondere ai suggerimenti di Key chan,Sayuri da prima ti ringrazia e si congratula per il dirompente dinamismo;l’argomento ragazzi è forse uno dei problemi più ostici per ragazze come le nostre protagoniste,che preferirebbero ritrovarsi accerchiate dalla marina con le mani legate dietro alla schiena piuttosto che trovarsi in imbarazzanti situazione a stretto contatto con chi sappiamo noi.L’idea di fare a botte con loro non è cattiva ma visto che l’esito dell’ultima battaglia è stato quello di venire trascinata su una nave per essere nominata automaticamente nuovo membro della ciurma credo sia meglio lavorarci  ancora su.Al posto della sfida a braccio di ferro,li farei volare contro il muro se solo osano mettere le mani dove non devono e come hai detto tu,per le questioni di cuore……ci vorrebbero una serie di miracoli,visto che uno non sembra mai bastare.Passando al capitolo…la litigata tra i due cugini è stata messa durante la correzione.E’ stato un momento di pura ispirazione e l’ho messo senza rifletterci due volte.
 
 
 
“Si sono divisi ancora una volta. La ragazza è rimasta nei pressi del castello mentre il ragazzo si sta dirigendo verso la montagna”

Con gli occhi incollati al cannocchiale, Rockstar continuava ad inviare le informazioni che Yasop gli passava con velocità e ottima sintesi. La concentrazione del cecchino non lasciava vuoto neppure il più piccolo degli spazi ma la stragrande parte di questa però era rivolta al primo dei tre che aveva lasciato il gruppo per appostarsi in una zona poco distante dal palazzo. Era salito in alto per poi mimetizzarsi così bene che adesso non riusciva più a vederlo; solo la sua certezza e l’istinto innato del grande cecchino che era il lui gli stavano suggerendo che il suo simile era nascosto lì e che anche lui li stava cercando.
Vicino a lui, la recluta dalla bizzarra capigliatura rossastra stava ricevendo le ultime direttive prima che la comunicazione si chiudesse.

“Che ha detto Benn?” gli domandò senza staccare gli occhi dal cannocchiale.
“Stiamo sul classico” si limitò a dire l’altro.

Yasop sorrise. Era esattamente quello che il capitano faceva in ogni situazione che non comportava un scontro bellico. Se le cose stavano così, ben presto non si sarebbero più ritrovati sotto la neve a fare le belle statuine.
 
 


Laddove Don si era appostato a pancia in giù, camuffato e col fucile in mano, cominciava a fare un po’ troppo freddo per i suoi gusti. La gelida neve gli pungeva lo stomaco, il vento era leggermente sfavorevole e come se non bastasse, la nebbia sembrava avesse deciso di diventare più fitta a quell’altezza. Nella sua personale tabella del giudizio su cui appuntava, analizzava e infine giudicava il tutto, quello era uno schifo con la “S” maiuscola. Benchè la pazienza fosse il suo forte e che grazie all'esperienza guadagnatasi fosse capace di sopportare qualsiasi terreno gli si presentasse, il nervoso continua a punzecchiarlo fastidiosamente come un bastone invisibile. Non erano tanto le condizioni climatiche a renderlo nervoso ma la consapevolezza di essere osservato da qualcuno senza che quest’ultimo si scoprisse.

Aveva gli occhi di un estraneo puntati addosso e se i suoi calcoli erano esatti, quel qualcuno doveva essere un bravo cecchino se riusciva a fargli salire il nervosismo tanto da rizzargli i peli delle braccia. Anche se giocava nel suo territorio, Don era certo che non sapesse di preciso dove si trovasse e questo gli permetteva di recuperare punti. L’intera zona ormai era stampata nella sua mente come un mappa che veniva sondata mnemonicamente, alla continua ricerca di un qualche elemento che nella realtà fosse cambiato ma a parte il clima e la neve che continuava a scendere, pareva non ci fosse nessuna novità e questo non poteva che significare una cosa nella sua personale tabella del giudizio: doppio schifo.

Che accidenti! Datemi un cenno di vita, vi costa così tanto?! Finirò per mettere le radici! Pensò.

E gli stava venendo pure fame. Non gli sarebbe dispiaciuto avere tra le mani una quelle belle lucertole allo spiedo che si era mangiato l’altro giorno. Forse con la pancia piena il suo umore sarebbe staro meno incline a sbottare contro sè stesso.

Improvvisamente, dopo tanto silenzio, avvertì qualcosa.

Un rumore. Secco, rapido, appena udibile. Un ramoscello spezzato? Poteva essere ma Don non ne era convinto a sufficienza. Stavolta anche gli occhi lo aiutarono; qualcosa appena sotto di lui si era mosso. Da dov’era non riusciva a vedere altro che gli alberi muoversi e lui, se solo compiva il benchè minimo passo sbagliato,era spacciato. Silenziosamente, scivolò giù dalla sporgenza per passarne a una più coperta.
Udì di nuovo quel rumore.

No, ora ne era sicuro: non era il rumore di un ramoscello che si spezzava. Quello, anzi quelli, erano passi, passi che scricchiolavano sotto la neve e la comprimevano ma c’era di più: un secondo rumore che era stato coperto da quei passi. Capì che la sua presenza era stata accertata al 100% ma intuì anche che chi stava arrivando da sotto, non era che una semplice esca. Sorrise e nel chiudere gli occhi si concentrò al massimo delle sue capacità. Poi, finalmente pronto, aprì li velocemente e con agilità felina si girò indietro puntando il fucile sopra di lui. Sulla sporgenza dove aveva sostato per la maggior parte del tempo, c’era un altro fucile che lo teneva sotto tiro, esattamente come lui stava facendo con chi si trovava più in alto.

“Mi hai scoperto. Complimenti” si congratulò l’uomo in alto.
Don sorrise beffardo “Non mi va di ammetterlo ma se non ci fosse stata la nebbia mi avresti ucciso all’istante”
“Anche tu avresti potuto ma ritieniti fortunato a non avermi come nemico, per ora”replicò l’uomo abbassando il fucile.
 
 
 

Il palazzo di ghiaccio era di uno splendore unico: imprigionato sotto quelle lastre di ghiaccio dalle luccicanti tonalità di blu e azzurro, assomigliava in tutto e per tutto a quelli delle favole che venivano raccontate alla bambine per farle addormentare. Sayuri l’aveva osservato bene, ci aveva girato intorno più e più volte  ma senza trovare alcuna via d’accesso; il portone principale era chiuso dal ghiaccio, così come le altre entrate secondarie e le finestre anche se gran parte d’esse erano troppo piccole perché lei ci potesse passare. Cercare di usare la forza sarebbe stato pericoloso con tutta quella neve e con la montagna proprio dietro l’angolo non era il caso di provocare una valanga. Nell’abbassare il cappuccio del cappotto, scrollò i lunghi capelli, liberandoli e lasciando che prendessero un pò di aria. Se nei pressi dell'edificio non aveva trovato un solo indizio, non le restava che controllare il lago.
Scese il minuscolo pendio che conduceva alla ex
spiaggia d’erba e lì potè ammirare da più vicino quella natura immobile color perla. Non era molto grande ma suscitava comunque un'innata serenità seppur l'angoscia per il triste destino dell'isola aleggiasse come una musica malinconia e soffusa. Notò la presenza di qualche panchina di pietra sotto gli alberi sommersi dalle neve ma nel non vederci nulla di utile, prosegui con la sua ricerca: tastò il terreno in cerca di un passaggio, controllò gli alberi per vedere se ci fossero delle cavità o che alcuni rami fossero spezzati così da provare la presenza di qualcun altro, compì praticamente ogni genere di controllo che le veniva in mente ma il risultato non cambiava: non c’era niente.

Che sfortuna. Spero che Ace sia riuscito a trovare qualcosa. Pensò con lieve velo di delusione dipinto sul volto.

Non rimaneva che la montagna da controllare e il capitano era andato da solo come tutti loro.
Bonz e gli altri non avevano trovato nulla ma per sicurezza, teneva il lumacofono a portata di mano nel caso le cose si fossero smosse. Risalendo la discesa, tornò nella piazza e, decisa a non gettare la spugna, si impegnò in altra perlustrazione dei pochi ruderi rimasti lì attorno. Forse le era sfuggito qualcosa, d’altro canto non era certo infallibile ma ciò non toglieva che quella era la sua zona di perlustrazione e quindi ne era responsabile. Era quasi vicina ai resti delle case quando avvertì finalmente un cambiamento. Una presenza, che richiamò la sua attenzione. C’era qualcuno lì vicino, dentro il suo raggio d’azione. L’ambiente rimaneva immutato e non dava segno di volerla aiutare ma non ce ne era bisogno, sapeva come cavarsela. In tutta tranquillità, continuò a camminare come se niente fosse, ispezionando le rovine ghiacciate senza mai distrarsi, fingendo di non essersi accorta di lui o di qualunque cosa che in quel momento le si stava avvicinando.

Proseguì fino alla fine dell'ispezione del villaggio ma ad un certo punto, non potendo più ignorare il suo inseguitore, perchè già inoltrato nel suo campo, si fermò in mezzo alla neve, voltandosi in direzione del palazzo.

“Chiunque tu sia, vorrei che uscissi dal tuo nascondiglio e mi spiegassi il perchè del tuo pedinamento”
 
 


Vista dal basso, la montagna pareva immensa, smisuratamente larga e difficile da scalare. Ace era lì che si guardava intorno in cerca di un sentiero, qualcosa che lo aiutasse. La neve ricopriva a pezzi la pietra color marrone grigia della montagna, rendendola così scivolosa da impedire ogni tentativo di scalarla. Eliminando l'intenzione di salire sulla montagna a mani nude, si concentrò sulle basi d’essa, dove la coltre bianca si era accumulata maggiormente; c’erano enormi spaccature e tutte mostravano delle rientranze profonde ma a fondo chiuso. A vederle da lontano, parevano inutili ma non appena il moro decise di ispezionarle da più vicino, gli venne in mente un’idea: Shanks il Rosso non era così stupido da lasciare la sua nave a riva dell’isola ne tanto meno risiedere all’interno del palazzo di ghiaccio, anche perché, da quanto constatato, era inaccessibile. No, uno come lui si sarebbe cercato un posto isolato ma comunque agibile per una partenza immediata, un posto che nessuno mai sospetterebbe o proverebbe come minimo a ispezionare. Il più delle volte alcuni elementi naturali tendevano a ingannare i sensi e in quel momento Ace si trovava davanti ad una rientranza che se vista da lontano non mostrava altro che il fondo della roccia ma che, se analizzata da più vicino, mostrava un passaggio nascosto sulla destra, che portava esattamente all’interno della montagna. Sorrise soddisfatto nello scovare quell'antro segreto che si dilungava all'interno della montagna proprio come fosse una galleria.

Senza esitazione, ci si addentrò, facendosi luce con una piccola fiammella prodotta dal suo stesso dito indice; l'umidità lì era molto forte, con tanto di pareti gocciolanti che rimbombavano per via dell'eco. Più avanzava, più il sentiero si faceva largo: continuò così per un pò,fino a quando non si trovò di fronte ad un bivio.

“Grandioso. Da che parte?” si domandò sollevando il cappello per vedere meglio.

Doveva immaginarselo che trovare il nascondiglio dell’imperatore rosso non sarebbe stato facile. Fin lì gli era andata bene ma adesso che strada doveva scegliere?
Osservò per un po’le possibili vie, poi quando stette per andare a sinistra, notò qualcosa di insolito: sulla parete di destra c’era un segno a forma di freccia inciso nella pietra. Con sguardo accigliato,Ace si avvicinò. Che fosse una trappola? Possibile, lui era un estraneo lì ma d’altronde quella freccia poteva indicare sia la via giusta che quella sbagliata e considerando che il suo senso dell'orientamento era molto scarso,imboccò la strada consigliata. Una trentina di metri più avanti, si trovò nuovamente a dover scegliere fra tre vie e seguì la freccia stampata al centro.

Uhm, è troppo facile...meglio stare attenti.

Era impossibile che fosse arrivato fino a lì senza essersi imbattuto in qualcuno. Con gli occhi puntati in più direzione, Ace proseguì tenendo la testa dritta davanti a sé ma con più prudenza di prima. La sua mente lavorava su un ipotesi piuttosto plausibile ma gran parte del suo io era concentrato a seguire le indicazioni; in principio non le avrebbe prese in considerazione ma se ciò che pensava era corretto, allora non aveva altra scelta se non quella di camminare in quella via per alla fine arrivare nel posto designato.
Proseguì dritto per almeno una decina di minuti, quando, nel dirigersi verso il prossimo bivio scorse qualcosa di nuovo che lo spinse a fermarsi e a indurire il suo sguardo: una figura umana lo stava aspettando con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte. Come accortosi della sua presenza, si voltò verso di lui e l'opzione di tornare indietro fu definitivamente cancellata ma anche se non ci fosse stato nessuno, di certo Ace non sarebbe tornato sui suoi passi. Da come era messo,sembrava che quell’individuo stesse aspettando proprio lui e non appena gli fu abbastanza vicino da illuminarne il volto con la sua piccola fiamma ne ebbe la conferma.

Era un uomo sulla trentina, incredibilmente alto e con lunghi capelli scuri legati in una coda bassa, fatta eccezione per un sottilissimo ciuffo che gli ricadeva sul viso. Da come sorrideva,non pareva affatto avere cattive intenzioni.

“Vedo che hai trovato il passaggio, complimenti” gli disse staccandosi dalla parete “I tuoi amici sono più avanti insieme a noi. Ci stanno aspettando”

Ace lo guardò dubbioso ma volle comunque dire il perché della sua presenza lì.

“Voglio solamente parlare con Shanks il Rosso. Nient’altro”
“Ah, ma sappiamo che non volete attaccarci” lo assicurò tranquillamente “Lo abbiamo capito subito non appena siete arrivati”

Benn Beckman era un uomo estremamente intelligente e non a caso era il vice capitano. Appariva come un uomo calmo, pronto a divertirsi e a combattere quando la situazione lo richiedeva ma il più delle volte preferiva un buon boccale di birra ad una spada o una scazzottata. Ace gli camminava a pochi passi di distanza sempre facendo luce e si chiedeva se davvero i suoi amici si trovassero lì come gli aveva appena detto l’uomo. Benn si era limitato a dirgli l'indispensabile e nel condurlo alla base, si divertiva a giocherellare con lo stuzzicadenti di legno che masticava nell'angolo della bocca.
Si inoltrarono ancor di più nelle viscere della montagna, in canali dalle svariate dimensioni e il moro potè vedere con i suoi stessi occhi la presenza di altri passaggi da cui spiravano leggere correnti fredde. Evidentemente quello che aveva scoperto, non era l’unico accesso al covo.

“Ace!”
La voce di Bonz fu la prima che udì nel giungere in un’area di ritrovo, dove tutta la sua ciurma era radunata.

“Ehi, ragazzi, è arrivato il capitano!” la ciurma si sentì ancora più sicura nel vederlo intero, sentimento che venne contraccambiato dal capitano.
“Ace, sei arrivato” si aggiunse una voce femminile.

A parlare stavolta era stata Sayuri. La vide lì davanti insieme a Bonz e a Don. Il suo volto rifletteva un espressione rincuorata. Erano stati portati tutti lì quando si erano divisi ma nessuno di loro era ferito o svenuto e questo lo rassicurò.

“A quanto ci siamo tutti” disse il medico-cecchino accertando la sua presenza.

L’intera ciurma dei pirati di picche era stata condotta in quella che doveva essere l’entrata principale del covo; si trattava di una caverna circolare, molto ampia e dal soffitto alto, dove oltre a loro sedevano altre persone: Yasop, che aveva tenuto d’occhio Don, Rockstar, che aveva pedinato Sayuri per poi essere scoperto in flagrante e infine Lucky You che si era premurato di recuperare il grosso della ciurma. Esteticamente differivano tutti e tre: il cecchino vestiva in modo semplicissimo, con pantaloni scuri e giacca pesante appositamente contro il freddo; i capelli biondo sporco arricciati bislaccamente ricadevano ai lati della testa, tranne per qualche ciuffo che copriva il suo nome stampato in testa. Rockstar, la recluta, era decisamente il più eccentrico: indossava un lungo cappotto blu scuro ricoperto da bizzarri gingilli di ferro ma nulla di quella ferraglia che portava sembrava sufficientemente bislacca come la sua pettinatura rosso fuoco e le labbra gonfie, contratte in un sorriso forzato; sembrava gli fosse esploso un petardo in testa mentre l’altro ufficiale in seconda, Lucky You come fisionomia era identico a Bonz, forse con un paio di taglie in meno; sorrideva allegramente, col sorriso che gli partiva da un orecchio e arrivava all’altro e guardava gli ospiti da dietro i suoi minuscoli occhialetti. Il verde e il bianco dei suoi abiti sembravano fondersi in un unico colore ogni volta che si muoveva.

“State tutti bene?” si accertò il moro.
“Si, non c’è nessuno ferito” rispose Sayuri a nome di tutti.

Era bello vedere che non era successo nulla, almeno fino a quel momento. La parte interessante arrivava in quel momento. I presenti morivano dalla voglia di sapere che cosa avesse spinto il loro capitano a cercare un imperatore che non fosse Barbabianca ma per loro sfortuna non l’avrebbero saputo, visto che a loro sarebbe toccato aspettare lì fino alla fine del colloquio. Don e Bonz discutevano su qualcosa a bassa voce, mentre Sayuri guardava in direzione della scala scolpita nella pietra che portava ad un piano superiore. Quando vide Benn chiamare Ace e dirgli che se voleva vedere il capo doveva seguirlo, prese un profondo respiro come per scacciare la tensione e ci riuscì. Nell'osservare il capitano dirigersi verso le scale, non provò nulla di sgradevole.
Evitò di salutarlo con frasi del tipo “buona fortuna” o “fai attenzione” perché tanto ormai era certa che Ace non corresse alcun pericolo, però... non poteva fare a meno di ignorare quella strana sensazione che si stava espandendo per la stanza: era invisibile e non provocava alcun movimento ma era lì ed era discretamente potente, come trattenuta. Non le occorse molto per riconoscere la natura di tale entità, poichè anche lei era dotata di quella forza...

“Ehi, che ti prende?!”

Voltandosi di colpo, la ragazza vide che un suo compagno era caduto a terra. Il gruppo lo accerchiò e Don gli fu subito vicino per verificare che non fosse stato colpito alle spalle ma nel non trovare alcuna ferita, tranquillizzò il resto della ciurma. Sarebbe finita lì se soltanto altri due di loro non fossero crollati come il primo.

“Ma che succede?!”
“State tranquilli, hanno solo perso i sensi. Succede se non si ha uno spirito forte” spiegò lei.
Non dobbiamo dimenticare che non ci troviamo nel covo di un qualunque pirata. 

Ciò che aveva fatto svenire i suoi amici, non era altresì che l’haki emanato da una persona così influente e decisa che Sayuri riusciva a percepire come Shanks il Rosso: anche se lei si destreggiava nel suo utilizzo, non poteva non provare fatica nel mantenersi calma e ferma. Don accusava un leggero mal di testa mentre Bonz era seduto a terra con occhi lunatici,quasi fuori dalle orbite. Non c’era ombra di dubbio: esisteva solo un haki capace di far perdere i sensi in quella maniera ed era quello appartenente alla tipologia del re, la più rara, forse la più temibile al mondo, perché il solo sguardo - o la voce- della persona o che ne era dotata poteva scatenare un potere tanto devastante da distruggere un intera nave. Non c’era confronto con il suo, era già tanto che non accusasse alcun malessere.

E’ incredibile. Non credevo che la sua ambizione fosse così potente e dire che non è nemmeno presente su questo piano...

Rivolse ancora un volta gli occhi alla scalinata. Probabilmente anche Ace doveva essersi accorto di quella forte emanazione ma se era andato avanti significava che stava andando tutto bene. Il dubbio insito in lei la spingeva a chiedersi perché il ragazzo aveva voluto a tutti i costi incontrarlo; c’erano tante risposte al riguardo ma quasi tutte erano scontate, senza contare che fin dall’inizio la loro presenza lì non era a scopo bellico.

“Mi domando cosa voglia chiedergli...” mormorò lei.
“Non lo so, a me basta che quel dannato di un Rosso la smetta di sprigionare il suo haki prima che la testa mi scoppi!” sbottò Don nel massaggiarsi le tempie. 
 
 


Parte della montagna era stata scavata tempo addietro dagli abitanti dell’isola per scampare al gelo calato senza preavviso sul loro territorio ma non essendo capaci di sopravvivere senza gli adeguati mezzi, avevano lasciato quel progetto e deciso di cercare una nuova casa altrove, dove il clima non fosse così tremendamente rigido. Pochissimi lo sapevano e Shanks il Rosso rientrava tra quelli, tanto che aveva approfittato della situazione per trasformare Yukiryu nel suo Quartier Generale. Suonava assurdo come Ace fosse riuscito a trovare l’entrata così facilmente mentre altri invece avevano dovuto sudare sette camice solo per tornare a casa a mani vuote.

“Non credere che sia così facile da trovarci. La Marina potrà anche impiegare tutte le forze a sua disposizione ma non è abbastanza armata di pazienza per trovarci. Controlliamo l’isola ventiquattrore su ventiquattro e inoltre la montagna è un autentico labirinto da cui è impossibile uscire se non si conosce mnemonicamente il percorso. Le frecce che hai seguito le ho tracciate io. Abbiamo capito subito che non eravate nemici e se mai lo fosse stati, non sareste qui, credimi” gli aveva spiegato il vice.

La scelta di un posto isolatissimo era perfetta se non si voleva rogne dai piedi e il fatto che controllassero così minuziosamente il posto, era un’ulteriore prova di quanto l’imperatore ci tenesse a essere lasciato in pace. Ora che ci pensava attentamente, lui aveva si seguito le frecce ma non aveva ignorato gli innumerevoli cunicoli che aveva sorpassato come niente fosse. Se Benn non lo avesse guidato, a quest’ora starebbe ancora girovagando senza meta all’interno del labirinto di pietra. L’ultimo piano della montagna non si trovava in cima ad essa ma poco più in alto del mezzo; per arrivarci bisognava fare un tratto all’esterno della montagna. Quando Ace raggiunse la caverna, con alle spalle la neve che aveva ripreso a scendere,avanzò di qualche passo prima di fermarsi definitivamente. Alcuni uomini erano seduti ai lati della caverna,con le gambe e le mani incrociate e gli occhi chiusi.
Shanks il Rosso era seduto in fondo nella medesima posizione ma col mantello nero che gli copriva le spalle e in modo particolare la parte sinistra del corpo, dove mancava il braccio.
Ace non provò nulla nel vederlo, era esattamente come gli era stato descritto tante volte da Rufy: un uomo sui trentasette anni, di media altezza,dai capelli scarlatti quanto il sangue e con una tripla cicatrice a sfregiargli l’occhio sinistro. Al suo fianco, vicino al braccio rimasto, c'era la sua spada. A vederlo così, chiunque avrebbe dubitato del suo titolo eppure lui era uno dei quattro imperatori e quando levò gli occhi verso di lui,Ace riuscì ad avvertire il suo potere, il suo carisma trapassargli il corpo. Anche nel salire aveva avvertito il suo haki e se non fosse stata per la sua determinazione, come minimo sarebbe rotolato già dalle scale investito da quella potente corrente priva di calore.

“E così...”cominciò con voce bassa, quasi stanca “Volevi vedermi”

I suoi occhi non tralasciavano alcuna incertezza.

Mi sta scrutando, pensò Ace. In quel momento, si sentì più osservato come non mai, da uno sguardo che avrebbe potuto farlo volare giù dalla montagna se soltanto avesse impresso più potere alla sua volontà. Anche Sayuri nel loro primo scontro l’aveva fatto ma non così incisivamente. Lei e Shanks stavano su due piani totalmente diversi, ma questo non significava che non avrebbe spicciato parola.
Alzò le mani in segno di resa ma solo per cercare di fargli capire che la ragione per cui era venuto non era ostile.

“Aspetta, non sono qui per combattere contro di te. Voglio solo porgerti i miei ringraziamenti” s’affrettò a dire.
Il Rosso parve smuoversi dal suo torpore “Ringraziarmi? E per che cosa?”

Era logico che non sapesse chi fosse visto che non si erano mai incontrati prima, nemmeno quando lui era rimasto per un anno intero sull’isola di Foosha. La ragione personale che aveva tenuto nascosto ai suoi compagni riguardava un fatto risalente a quando il rosso si trovava proprio sull’isola: man mano che Ace glielo raccontava, lo sguardo di Shanks recuperava vigore e vivacità, fino a farlo sorridere per la felicità.

“Non ci posso credere! Allora tu devi essere Ace!” esclamò ora del tutto sveglio “Rufy mi parlava spesso di te!”
“Lo stesso faceva come me nei suoi confronti. Ci tenevo a ringraziarla personalmente per aver salvato la vita a mio fratello”

Shanks scoppiò a ridere, destando anche i suoi compagni mezzi addormentati.

“Non immaginavo che un giorno avrei incontrato il fratello maggiore di Rufy!” esclamò nell’alzarsi in piedi “Qui bisogna festeggiare!”
 
 


Tra le tante caverne a disposizione, la Grande Sala di ghiaccio era la più adatta per tenere una festa. Di forma circolare, come tutte le altre,si differenziava dalle altre per le parete azzurrognole brillanti e si innalzavano fino in cima,dove si era creato un lampadario di stalagmiti trasparenti che illuminavano l'antro con fasci blu e bianchi. Appena era stata pronunciata la parola “Festa”, i calici di birra erano stati levati in aria insieme ad altri alcolici e a cibarie sbucate fuori dal nulla, come l’intera ciurma di Shanks il Rosso. Entrambi gli equipaggi festeggiavano come se fossero amici di vecchia data, cantando e improvvisando sulle note. Seduti su delle casse vicino all’entrata, Don e Sayuri erano gli unici che si astenevano a non cimentarsi in gare di bevute o altre competizioni tipiche di chi voleva festeggiare fino a sentirsi male. Bonz nemmeno ci aveva provato a resistere; si era gettato nella mischia insieme a Lucky You e poi non si era più visto.

“Pazzesco, chi se lo aspettava che Ace avesse un fratello a cui Shanks ha salvato la vita” disse Don buttando giù il dodicesimo boccale di birra.
“Ti aspettavi qualcos'altro, non è così?" gli domandò Sayuri con in mano un semplice bicchiere d’acqua.
L’amico dal berretto grigio bevve un sorso e poi rispose: “Si. Pensavo gli avrebbe estorto informazioni su Barbabianca, qualcosa del genere. Insomma.....” e buttò già ancora un sorso di birra “Ci siamo sorbiti questo freddo assiderante, abbiamo girato per quest’isola come dei pazzi solo perché lui doveva semplicemente ringraziare un imperatore per aver salvato la vita al fratello! Dimmi se non è strano questo!” esclamò. L'effetto della birra stava già agendo sulla sua personalità
“A me non sembra così grave. Non vedo cosa ci sia di strano nel ringraziare una persona e poi da quel che vedo, la faccenda si è bene: stiamo festeggiando e se devo essere sincera, non ricordo di aver girato come una pazza per l’intera isola e nemmeno tu” precisò.
“Era per rendere l’idea! Possibile che non trovi la cosa un po’ assurda?! Oh, già dimenticavo con chi sto parlando, con santa Sayuri! E’ umanamente impossibile rimanere calmi è impassibili davanti a tutto quello che c’è di strano a questo mondo, non ha senso!! Tu non hai senso!” esclamò con denti aguzzi. A quanto pareva, la birra doveva già essere entrata in circolo più di quanto la castana pensasse, se Don si stava scaldando tanto.
“Scusami, ma sono fatta così, non posso farci nulla” si giustificò calma sorridendo con tutta la sincerità di cui disponeva.
“Scusa un corno!” brontolò lui. E buttò già il tredicesimo boccale di birra.

Era inutile. Una partita persa fin dall’inizio! Come si poteva essere così...così....passivi?!

Esclusi gli innominabili dalle otto zampe, Sayuri era sempre così calma, ponderata, gentile,disponibile....una santa! Era praticamente impossibile che un essere umano non si scomponesse nemmeno una volta nella sua vita; lui lo faceva sempre con Bonz ma solo perché quello era capace di portarlo all’esasperazione. E poi parlava con un tono così sottile ed era così buona, che ogni volta che si mostrava felice per qualcosa le si illuminava il viso facendo sentire chi aveva di fronte un verme immeritevole, lasciandolo scioccato e col morale in uno stato caotico
No, non poteva vincere contro di lei, nemmeno riempiendola di insulti anche perché era pur sempre una sua amica.

“Eh eh! certo che quando ti ubriachi cambi proprio personalità. Ma non è un po’ avventato bere tutta quella birra?” gli chiese nel guardare la piccola piramide di calici di legno che si era eretta di fianco all’amico.
“Non rompesce!!” biascicò “Sciono un medico, scindi scio come gescire la sciuazione!” boffocchiò poi con la lingua impastata.(trad: Non rompere! Sono un medico, quindi so come gestire la situazione!)

Se aveva iniziato a mordere le parole significava una sola cosa: era pronto per passare ai super alcolici. Quando Don beveva, mostrava quel lato di sé che teneva nascosto, insieme a tutte le domande, le affermazioni e le opinioni varie che fino a quel momento si era limitato a spargere sotto forma di briciole con la sua indole da svogliato pessimista. Era uno spasso vederlo cambiare faccia, non si poteva non ridere anche se a fine della sbronza tornava il solito di prima, forse quell'attimino più brontolone.

“Comunque, devo dire che inizialmente la pensavo come te” gli confessò lei tornando al discorso di prima “Anche io ero propensa a pensare che volesse chiedergli qualche informazione su Barbabianca”

Non si era scordata del reale obbiettivo del suo capitano. Trovare Shanks il Rosso era stato piuttosto difficile ma andare a scovare il re dei mari in persona sarebbe stato ancora più estenuante. Fece roteare tra le mani il bicchiere, facendo oscillare l’acqua che conteneva. Il freddo dell’isola l’aveva indolenzita nonostante si fosse adeguatamente coperta e lì, per quanto fosse strano, la temperatura era mite, tanto da poter stare anche senza cappotto, guanti o cuffie.

“Va bene, direi che ora poscio ansce ubriacarmi a dovesce….(Trad: Va bene, direi che ora posso anche ubriacarmi a dovere..)” decise Don balzando già dalle casse “ Chiscià com’è il rhum..” si chiese mentre si infilava tra la folla. Evidentemente era così preso a scegliere la prossima bottiglia che nemmeno l'aveva ascoltata.

Sayuri scosse la testa sorridendo. Don sembrava meno pessimista quando si ubriacava ma forse dipendeva da cosa beveva. L’ultima volta si era concentrato unicamente sulle birre e il risultato era stato un continuo borbottio di parole incomprensibili e biascicate, ma almeno aveva dimostrato di saper mettere da parte quel suo caratteraccio per fare baldoria in grande stile. A volte non lo capiva, davvero gli appariva così impassibile? Chissà...

Bene, credo sia arrivato il momento di unirmi alla mischia. Quasi quasi, provo anche...uh?

Stava per scendere dalle casse, quando notò qualcosa su una di esse; tra le tante cose portate lì c’era un pila di giornali che fungevano da informazioni alla ciurma per venire a conoscenza di quello che accadeva all’esterno. Sayuri si chiese come facessero a procurarseli. Si avvicinò ad essi e, nell’allungare il braccio, afferrò il primo della pila e lo sfogliò incuriosita. Era vecchio di una settimana ma poteva esserci qualcosa di interessante. Nel guardare velocemente gli articoli,girò l’ennesima pagina, ma poi.......non fece più niente. Le mani che reggevano il giornale si irrigidirono e dopo qualche secondo poggiarono il mucchio di fogli da dove l’avevano preso. Nel bloccarsi, aveva sentito il proprio cuore venire trafitto da infiniti paletti di ferro e stringere la presa fino a fargli sgorgare tutto il sangue che aveva. Gli occhi, che solo qualche istante prima lo guardavano incuriosita,ora erano pietrificati. Meccanicamente, si girò su sé stessa e si diresse all’uscita come fosse un automa muto. Qualcuno provò anche a chiamarla ma lei non sentì nulla, se non il leggero e affrettato rumore dei suoi stessi passi.

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Capitolo 14
*** A ritroso nel tempo. Sayuri, la figlia del diavolo. ***


Ed eccoci arrivati finalmente al momento che tutti aspettavamo!il quattordicesimo capitolo darà una svolta significativa a questa storia e la curiosità di molti verrà finalmente colmata.Fino a questo momento è il capitolo a cui ho dedicato più tempo e controlli perché per me rappresenta uno dei momenti più importanti di tutta la storia e renderlo abbastanza vivo da trasmettere il sentimento che emana è stato uno dei miei lavori più duri.Spero lo apprezzerete!Inoltre,tengo a informarvi e questa per me è una manna dal cielo che la situazione col mio computer è a posto!sto già utilizzandone uno nuovo,veloce e con tutti i miei lavori,e quale modo migliore di inaugurarlo se non con un nuovo capitolo?!

Beatrix:sapevo che avresti reagito così nel vedere la fine del capitolo ma data la situazione,la protagonista meritava uno spazio più ampio e ben fatto.Noto con piacere che il tuo amore per la ciurma di Shanks perfora il mio schermo come i cuori di Sanji alla vita di una bella fanciulla.Effettivamente quando un personaggio piace,saremmo disposti a tutto,compreso dargli una mano o navigare al suo fianco.Ti ci immagino al fianco di Shanks a combattere,scommetto che è un cosa che ti alletta!!Ahimè non ho potuto dare omaggio alla Red Force perché non avevo proprio idea di dove ficcarla ma non preoccuparti!Shanks farà la sua comparsa a breve,giusto per deliziarti prima dell’addio definitivo(e adesso chissà come verrò colpita da un mattone….)

Yuki689:festeggiare?quando ho visto Ace libero ho fatto i salti mortali fino al soffitto e ho ballato come una cretina per la felicità!ero pazza e non lo nascondo!!!dopo essere stata col cuore in mano per questo povero ragazzo (accidenti,Oda!se volevi farmi venire un colpo ci sei riuscito!!)finalmente abbiamo goduto della vista di quello che per tanto tempo abbiamo aspettato!!Fossi stata lì avrei fatto il pelo e il contro pelo a chiunque avesse provato ad avvicinarsi!!ora sono troppo curiosa di vedere il seguito,spero solo che non muoia nessuno,almeno non Barbabianca;il vecchietto mi è simpatico.E ovviamente rivolgo anche la mia curiosità verso la fine della tua fict.Oddio mi si stringe il cuore!spero che nel seguito ci sia ancora Ace o Yume,va benissimo anche Asuka!!!

Angela90:non posso che essere d’accordo con te cara!Ace è il mio personaggio preferito e anche l’occhio merita la sua parte!Un bel ragazzo non si può ignorare,specie lui.Felice di averti a bordo e grazie per il trovare carina la mia Sayuri;non credevo che la sua paura dei ragni fosse così contagiosa,è una effetto che non credevo di ottenere…

Maya90:io ho già dato 2 esami e devo darne uno a febbraio ma per ora non me ne preoccupo (è inglese).Sta tranquilla,in questo capitolo si avranno molte risposte e spero anche molto stupore perché ho passato l’intero martedì pomeriggio a rivedermelo e spero sia venuto bene.Sul capitolo 571 non posso che essere d’accordo con te….Dio,finalmente il miracolo è avvenuto!!!e adesso via con la fuga o col massacro!!

MBP:eh eh dopo il mio successo,modestamente dovevo festeggiare alla mia maniera e quale modo migliore se non offrire l’incontro di Ace e Shanks?in verità ho più volte revisionato questa parte,sia per la pubblicazione sia perché sentivo che mi mancava qualcosa e gira e rigira alla fine è uscito così ma se è piaciuto non ho più nulla da temere!!!

 

 

 Il mio sogno è trovare un sogno.

Cercarlo significa vivere? Non lo so perché io non so se ho il diritto di questa mia vita o di questo mio desiderio.

Non so cosa sia un sogno ma lo desidero così tanto perché forse può darmi la felicità che ora non ho.

Anche se cammino, respiro, osservo..sto forse vivendo come dovrei fare? Non lo so..

Ho paura a trovare la risposta.

Ho paura a guardare indietro.

Ho paura di quello che sono.

Ma io..chi sono?

 

 

Se ne era andata unicamente per non rovinare la festa agli altri e anche per poter rimanere un po’ da sola con sé stessa.
La neve scendeva leggera e delicata dal quel cielo sporco di grigio, cancellando lei sue orme senza alcuna fatica. Non aveva addosso il cappotto o i guanti, era uscita senza avere in testa una meta precisa, dimenticandosi così di indossarli. Voleva solamente stare da sola.

Camminava, guardando di tanto in tanto in avanti, ma alla fine si ritrovava sempre a guardare i suoi piedi portarla chissà dove e sospirava, come per cercare di non provare quel senso di oppressione che la stava facendo stare a quel modo. Neppure sapeva cosa sentisse. Nel prendere quel vecchio giornale di una settimana era stata colta dallo sgomento; qualcosa in lei si era spezzato e l’aveva distrutta in mille pezzi, permettendo che quell’entità, che per tanto tempo aveva rinchiuso, di uscire all’aperto. Autonomamente, il suo corpo si era mosso come fosse stato manovrato da un burattino e si era allontanata, senza comprendere cosa stesse provando.

Niente, il nulla. Nel vedere la foto allegata all’articolo, l’impulso di gettare a terra il giornale con tutta la sua forza non era emerso; una parte di sé aveva voluto farlo, aveva voluto distogliere lo sguardo, ma l’altro l’aveva spinta con mano silenziosa a guardare, a leggere quelle righe, a farle rimbombare nella sua testa da una vocina stridula e divertita.

Pensavi davvero di esserti lasciata tutto alle spalle? Sei davvero un stupida!  Le diceva.

Si fermò e nel levare lo sguardo su quanto la circondava, vide di trovarsi nei paraggi del palazzo di ghiaccio. Scossa da diversi brividi, si strinse le braccia intorno al petto, accorgendosi solo allora di non essere coperta a dovere. Gli abiti avevano già assorbito una buona quantità d’acqua, rendendoli umidi e bagnati.

Pazienza. Si disse Adesso non posso tornare di certo indietro.

Non era dell’umore adatto per festeggiare.

Si era allontanata subito perché l’impellente bisogno della solitudine era stato fin troppo forte perchè lei lo rifiutasse. Raggiunse il lago che affiancava il sontuoso edificio e andò a sedersi su una delle poche panche poste sotto le fronde di un albero innevato di cui ignorava il nome. La neve avvolgeva la sua chioma, creando una leggera penombra dove lei era seduta, riparandola dalla neve che fioccava dal cielo. C’era uno strano silenzio lì. Quando nevicava, il paesaggio diventava irreale, tutto bianco, ma con un che di magico. La gente rimaneva ipnotizzata, con la mente bloccata e incapace di riprendere a funzionare eppure quella di Sayuri era sempre stata attiva, in continua elaborazione di ragionamenti semplici e studiati. Anche adesso le era impossibile fermare il suo stesso subconscio poiché si stava addentrando in quell’antro oscuro dove le porte sigillate dal suo stesso spirito erano state spalancate.

Le porte di pietra che conducevano alla vera Sayuri, si affacciavano su un mondo che in cui lei aveva vissuto tempo addietro. Il suo passato.

 

 
Quell’incubo che cercava di perseguitarla ad ogni occasione di debolezza era cominciato ancor prima che lei nascesse.

Poco più di vent’anni prima, un'isola del Mare Meridionale era stata assalita da alcuni pirati di ritorno dal Grand Line. Si erano divertiti a saccheggiare, a uccidere gente innocente, ma uno di loro in particolare aveva goduto a violentare una giovane donna del villaggio, mentre i suoi compagni massacravano davanti ai suoi occhi carichi di disperazione il fidanzato. Furono giorni neri, i più brutti che quell'isola avesse mai vissuto, e quando gli invasori si stancarono, se ne andarono via a cercare un’altra isola da depredare. Gli abitanti che erano riusciti a salvarsi, avevano ricostruito le proprie case, coltivato nuovi raccolti e ricominciato a vivere; si erano fatti coraggio, ma non quella bella donna, che poco prima dell’orrore era prossima alle nozze. Era stata privata del suo sogno, del suo amore, della persona che sempre l’aveva fatta sorridere e per di più, dopo qualche settimana...scoprì di essere incinta.

Aspettava un bambino da quel pirata. Voleva abortire, ma il coraggio le veniva meno ogni volta, così come quando il pensiero di suicidarsi e falla finita per sempre le accarezzava con fare ingenuo l’animo già distrutto. Alla fine, dopo nove mesi, nacque una bimba, ma la cosa non allietò nessuno. In lei scorreva sangue nero, il sangue di un pirata, il pirata che aveva distrutto tutto il loro lavoro e stroncato vite innocenti e loro sapevano, erano ciecamente convinti, che sarebbe stata mela marcia. Un mostro come il padre....

La donna voleva sbarazzarsene, far si che fosse la Marina ad occuparsene, ma come poteva senza prove? La voce si sarebbe sparsa e allora si che non avrebbe più potuto guardare in faccia chi le dava ragione. Era costretta a tenerla, ma non a volerle bene. L’odio represso dalla tristezza provata, la tristezza data da quell’ingiusto allontanamento dal sua amato era riemerso e ora voleva solo dare sfogo alla sua rabbia contro l’unica, vera responsabile.

Non le avrebbe dato nulla, se non un minimo di cibo. Nemmeno un nome.
Non le avrebbe permesso di abbracciarla, ne di chiamarla mamma, perché non lo meritava e mai l’avrebbe considerata sua figlia.
Avrebbe infierito su di lei come era giusto che meritasse. Era colpa sua, solo sua se non poteva più essere felice. Per questo doveva pagare. Per questo doveva soffrire.

 

 
Cinque anni erano passati da allora e la bambina era evitata da tutti. Non c’era un solo abitante che si comportasse diversamente. Lei era piccola e pertanto, molte delle cose che le accadevano intorno le erano sconosciute, ma, ogni volta che passava per le strade, davanti alle case o ai piccoli negozi, il suo cuoricino le doleva terribilmente. Tanti puntaspilli le pungevano il petto in continuazione e lei non sapeva darsi risposta per quel continuo malore che la colpiva con meticolosa regolatezza.

“Ma deve proprio passare di qui?”
“Tsk! Se penso a quella povera donna. Occuparsi di quella...”
“Avrebbe dovuto gettarla in mare. E’ stata troppo buona”

Sentiva quelle parole sempre, costantemente, come in quel preciso istante, e nonostante provasse male, continuò a camminare verso casa come se nulla fosse, con in mano un mazzolino di margherite bianchissime. Proprio perché era una bambina, erano certi che non capisse le loro parole, quindi non si disturbavano a parlare a voce alta quando passava o li guardava e in parte era vero; non capiva, ma sentiva comunque male, però quel giorno si stava sforzando ancora di più per ignorare quello strano pizzicorio appuntito.

Piaceranno sicuramente alla mamma. Pensò nel guardare i fiori che teneva tra le mani.

Era felice, perché era convinta che portandole qualcosa di bello, lei le avrebbe sorriso. Aveva faticato tanto per mettere insieme quella semplice composizione, ma la sua fatica sarebbe stata ripagata ben presto, così pensava. Non le importava se le sue ginocchia erano sbucciate o se sulle braccia o sul viso avesse dei lividi provocatile dai bambini che si divertivano a trattarla come un fosse un sacco dell’immondizia, voleva solo che finalmente la mamma, la sua mamma, le sorridesse.

“Sono tornata! Mamma, ti ho portato un regalo!”

La casa in cui viveva era piccola, grande abbastanza per ospitare due persone. La stanza dentro cui era appena entrata in cui la bimba stava in penombra, illuminata debolmente dalla luce del tramonto. Seduta al centro, dove vi era il tavolo, c’era l’altra persona che occupava l’abitazione, una donna dai lunghissimi capelli dorati il cui volto era celato dietro a quest’ultimi. La bimba compì un piccolo passo in avanti verso la figura seduta a poca distanza, che si alzò lentamente dalla sedia, lasciando che la folta chioma bionda ricadesse lungo la schiena.
Era snella, con una pelle vellutata e due occhi azzurri cielo impareggiabili. Gli anni non avevano intaccato la sua bellezza. Per la piccola era bellissima, come un angelo, eppure il suo sguardo era perennemente spento, inespressivo, e questo l’aveva sempre impaurita, insieme a molte altre cose....

“Guarda, mamma, sono delle margherite. Le ho raccolte per te” le aveva detto sorridente porgendole il dono.

La donna la guardò, immobile, con gli occhi socchiusi e arrossati, fissi sui fiori. Attorno a lei, un grigiore spettrale sembrava infondersi nella stanza, fino a coprirla interamente, rendendo quello spazio spiacevole sia al tatto e alla vista. La bimba avvertì quel brusco cambiamento e percepì un gelido brivido percorrerle la schiena mentre la figura materna le si avvicinava sempre di più, diventando sempre più grande e inquietante. La piccola provò ancora più paura.

“Non...non ti piacciono, mam...?”

L’adulta non le permise di continuare; le schiaffeggiò le mani, buttando a terra i fiori raccolti. Alcuni di questi si ruppero, altri invece si salvarono.

“Mam...”
“Non chiamarmi in quel modo. Ti ho detto di non chiamarmi mai in quel modo” sibilò austera.
“Ma io.....ahia!”

La donna l’aveva schiaffeggiata con forza inaudita in faccia, gettandola a terra. Il suo rancore era così forte che come le molte volte precedenti, non si accontentò di una semplice sberla. Doveva ricordarle chi era, cos’era.

“Che cosa vuoi che me faccia dei tuoi insulsi fiori?!?”

La afferrò per i capelli e iniziò a prenderla a pugni. La colpiva senza avere in mente un punto preciso, bastava che soffrisse. Ignorava la mano che le doleva, ignorava le sue grida, ignorava volontariamente tutto quello che aveva lì attorno; ciò che la muoveva, le bastava per non vedere altro.

“Smettila, mamma! Mi fai male!” la supplicò in lacrime cercando di divincolarsi.
“Non chiamarmi mamma! Non nei hai alcun diritto!!” le urlò questa.

I suoi colpi infierivano dove capitava e la rabbia, l’odio, per non parlare dell’umiliazione subita, la stavano dominando completamente. Teneva stretta quella colpa per i capelli e non le importava se le stava facendo male. Non le importava affatto.

“Ti prego, mamma! Mi stai facendo male!” supplicò ancora la piccina.
“Ti sto facendo male? Ti sto facendo male?! BUGIARDA! Che ne sai tu, stupida!!”

La gettò con forza nell’angolo, con estrema noncuranza, piangendo quel rancore che le infiammava il sangue. Piangeva sempre, ogni volta che la vedeva, la sentiva, la picchiava....era più forte di lei.

La piccola, raggomitolata al fianco del grosso armadio, alzò la testa spettinata con fare tremante.

“M..Mam…”
“Ti ho detto di non chiamarmi in quel modo!! Non sono la tua mamma e tu non sei mia figlia!! Sei soltanto un errore, un errore, hai capito, stupida?! UN ERRORE!!! Non sei che uno sbaglio!! Non meriti niente da me, NIENTE!!! Ma perché…..” si accasciò a terra, distrutta e con voce roca e sommersa dalle lacrime, pronunciò le sue ultime parole guidata e sollecitata da tutto il suo io: “PERCHE’ DIAVOLO SEI NATA?!?!?”

 

 

I bambini indesiderati, nelle cui vene scorreva sangue pirata, erano considerati figli del diavolo. Affinché non ci fossero eredi, la Marina provvedeva ad ucciderli quand'erano ancora in fasce. Era inconcepibile, crudele, ma il Governo Mondiale non aveva altra maniera per impedire che generazioni future prendessero il posto di quelle vecchie.

La bambina non conosceva quella legge. Sapeva soltanto che l’essere la discendente di un pirata la rendeva agli occhi degli altri una persona cattiva, indipendentemente da come lei fosse dentro.
Non c’era giorno che non si guardasse e vedesse i lividi, i tagli sul suo corpicino.
Non c’era giorno che non provasse quel dolore al cuore quando la gente la guardava in quel modo.
E non c’era giorno in cui i bambini emulassero le gesta dei grandi eroi della Marina su di lei. Gli adulti erano stati così stupidi da trasmettere la repulsione anche ai loro figli: tra i tanti episodi a suo discapito, quello del pozzo rimaneva il più indelebile. Le pareti di pietra umide e scivolose, il pochissimo spazio, l’acqua gelida e sporca che la ricopriva fino al petto, i ragni che le sibilavano contro....

Aveva chiamato aiuto tantissime volte, ma nessuno era venuto ad aiutarla. Erano sempre passati oltre. Ne aveva udito sempre i passi allontanarsi il più velocemente possibile. Era rimasta per un’intera giornata lì dentro e quando finalmente c'e l'aveva fatta ad uscire, se ne era tornata a casa ma ad attenderla, c’era stato qualcosa di ancora più sconcertante. Arrivata malconcia, si era fermata davanti alla casa, con solo il vento lì attorno. Con occhi stanchi e confusi, aveva guardato quella costruzione come se la vedesse per la prima volta, con occhi sgranati e il cuore scombussolato. La porta, le finestre e perfino il camino, erano state inchiodate da pesanti assi di legno, con tanti chiodi. Il tutto era stato fatto quand’era rimasta imprigionata nel pozzo.

Alla fine, la sua....quella donna aveva deciso di abbandonarla definitivamente.

Se ne era andata via.
Lei girò intorno alla casa, come a voler cercare uno spiraglio da cui poter entrare, ma non trovò nulla. Fu inutile rimanere sul posto. L'abitazione non si di certo sarebbe aperta magicamente per lei. Aveva fame, freddo, ma trattenne il tutto con le forze richiamate a tempo di recod; gli abitanti del villaggio non le avrebbero dato nulla, quindi non le restò altro da fare che cercare qualcosa nei dintorni che l'aiutasse a sopravvivere.

“Ehi, guardate! Quella stupida è ancora qui!”

Un giorno mentre cercava qualcosa da mettere sotto i denti, alcuni bambini l’avevano vista con in mano delle mele raccolte dai alberi vicini al bosco. Mele ricercate a lungo perché nel bosco si poteva entrare entro un certo limite e di solito in quella fascia non c’erano alberi che ospitassero frutta.

“Che credi di fare?! Non puoi raccogliere queste mele!!” il capogruppo gliele buttò a terra e le schiacciò con i suoi stessi piedi.

La bambina tentò di recuperarli e finì col farsi male alle mani.

“A feccia come te non serve altro che la prigione! Questa è roba nostra!” la schernì gettandola a terra.
“Appena la Marina avrà le prove verrà qui e ti porterà in prigione, insieme a tutti gli altri. E' lì che meriti di stare!” le disse un altro.

Non facevano altro che ripetere le stesse parole che i genitori trasmettevano con il loro disprezzo. Gli adulti non si sarebbero abbassati a picchiare una bambina, per questo avevano trasmesso l’odio ai figli e li avevano avvertiti. Se erano loro a farle male, non c’era nulla di sbagliato e se qualche estraneo chiedeva, loro rispondevano che le scazzottate tra bambini non erano niente di così grave da imporre un rimprovero. Ma di estranei non ce ne erano e di buona gente ancora meno, quindi per quel tipo di problema non c’era di che preoccuparsi.

“Per aver rubato le mele dal bosco devi essere punita!” decretò il capo gruppo
“Gettiamola nel pozzo!” propose un terzo.

Alla parola “Pozzo”, la piccola rabbrividì per la paura. Ricordava ancora fin troppo bene quanto aveva pianto prima di riuscire ad uscirne. Lì supplicò, ma fu tutto inutile, non l’ascoltarono. Non voleva finire ancora lì dentro, ne era terrorizzata. Totalmente dominata dal panico, si alzò in piedi e scappò via verso il bosco.

“Ehi, sta scappando! Prendiamola!”

Iniziarono a rincorrerla ma avendo più vantaggio di loro, riuscì a non farsi catturare. Quando oltrepassò il confine segnato dal villaggio, i bambini smisero di rincorrerla, sicuri che da lì non sarebbe mai uscita. Quella parte dell'isola era inesplorata e pertanto ritenuta pericolosa. Sapeva di non averli più alle calcagna, ma la piccola continuò imperterrita nella sua corsa, con le lacrime agli occhi e, a forza di andare avanti senza una meta, finì per perdersi. Era sola, in quel posto spettrale e non aveva la benché minima idea di dove andare. Oltretutto, era così affamata e stanca da non reggersi più in piedi. Camminò con l’unico desiderio di trovare qualcosa che potesse essere commestibile ma, ad ogni passo, le sue forze diminuivano drasticamente.

Infine, debole, cadde ai piedi di una grande quercia e riuscì appena a rannicchiarsi per trovare un po’ di calore fra le sue stesse braccia. Lì, fece l'unica cosa concessale: si mise a piangere, come solo una bimba triste e sola poteva fare. Non aveva più niente, non aveva mai avuto niente e adesso che era ancora più sola, con le sue lacrime, non voleva far altro che piangere fino a morire. Pianse in silenzio e quando le forze le vennero a mancare completamente, cadde in un sonno profondo.

Se scomparissi qui....lei ne sarebbe ancora più felice....

Quel pensiero le era apparso in mente poco prima di sprofondare nel buio.

 

 

“Povera piccola, ti odiano per quello che sei, vero?”

A domandarglielo, era stato un anziano signore che l’aveva trovata mentre passeggiava in cerca di funghi. Aveva raccolto quel fagottino tremolante, portandoselo a casa senza pensarci due volte. La bambina, ridestatasi al suono di quella voce si era spaventata, aspettandosi di subire il trattamento da cui era riuscita a fuggire, ma poi, qualcosa l’aveva fatta calmare. Quell'anziano uomo...la stava guardando diversamente da tutta la gente del villaggio: in quelle iride azzurrine, quasi bianche, lei vide...la gentilezza. L'uomo scrutava quel cucciolo umano con comprensione, qualcosa che la piccola non seppe interpretare con certezza. Sapeva chi era, ogni tanto passava nei dintorni del villaggio e poteva immaginare fin troppo bene perché l’avesse trovata in mezzo al bosco, magrolina e svenuta.
Con un grande stupore da parte di lei, questo non si dimostrò come gli altri: le permise di restare. Lui era vecchio e solo e non voleva nient'altro che un po’ di compagnia, così da rallegrarlo. Non appena riacquistò le forze, la bimba potè uscire alla luce del sole. Nel guardarsi in giro, vide che la casetta che l’ospitava si trovava ai piedi di un’altissima scogliera, ricoperta da un fresco tappeto di erba che si estendeva in ogni direzione, con una spiaggia al di sotto d'esso, dove i paguri e i gabbiani zampettavano in tranquillità. Incosciamente, la bambina si ritrovò a contemplare quel panorama con occhi incantati, traboccanti di meraviglia: era un posto bellissimo. Poteva vedere addirittura il mare e stare lì per ore e ore a guardarlo, senza che nessuno la rimproverasse.

“Ti piace?” le domandò l’anziano sedendosi accanto a lei.
“........”
“Ancora in silenzio, eh? Eh eh, non ti biasimo. Con quello che hai passato, fidarsi delle persone è qualcosa che forse non ti riuscirà mai”

Le sue parole rispecchiavano quella realtà in cui lei era ancora invischiata e da cui avrebbe fatto emergere le sue capacità, il suo talento. Più guardava il mare e più il senso di vuoto nato in lei si ingrandiva, rinchiudendola come una gabbia faceva con un uccellino. La sofferenza le opprimeva il cuore come a pochi. Dovette passare un po’ di tempo prima che riuscisse finalmente a parlare, a fidarsi e fu difficile, ma quel vecchio seppe aspettare pazientemente; quando provò a comunicare con lui, non tentò in alcun modo di zittirla, ma si dimostrò disponibile, desideroso di ascoltarla. Sedevano sempre sulla loro sponda privata e la scena ricordava tanto un nonno in compagnia della nipotina, solo che le parole di lei non esprimevano alcuna felicità.

Al contrario, l’anziano signore, che un tempo era stato un valente marine, le raccontò quel che ricordava delle sue avventure. Si era spaventata quando le aveva detto chi era, perché temeva che la volesse portare in prigione. In realtà, una simile intenzione lui non l’aveva mai avuta.

“Tu sei la figlia di un pirata e questo non si può cambiare. Le persone ti guarderanno sempre per quello che pensano e non per quello che sei. Ti allontaneranno e ti odieranno, ma questo perché sono abituate e credere a quel che i loro occhi vedono. L’apparenza offusca la vista e la mente di tantissime persone e spesso anche la loro testardaggine, li rende più stupidi di quanto già non lo diano a vedere” le disse un giorno, sempre sulla spiaggia “E’ vero che quelli come te vengono cercati e uccisi per impedire che il sangue maledetto continui a vivere, ma io ritengo che un figlio non debba pagare per le colpe del genitore. Anche se sei considerata diversa, devi sempre tenere a mente che decidi tu chi essere, non una persona, non il tuo passato. Nessuno, solo tu”
“E come faccio a sapere chi sono?” gli aveva chiesto tristemente. Non aveva neppure un nome.....
L’anziano le sorrise e la prese per la mano “Vieni, ti voglio mostrare una cosa”

La condusse sul retro della casa, proprio dove c’era il suo tesoro. Protetti da un piccolo recinto di legno, vi erano dei bellissimi gigli bianchi, fragili quanto meravigliosi. I petali, di un candore puro, risplendevano sotto la luce del sole e godevano ogni tanto dell’acqua che il loro padrone si premurava di dargli. I gambi sottili e spessi esibivano foglie verdi brillanti con la punta arricciata. Erano pochi, massimo cinque, ma trattati con riguardo e amore; non ostentavano a nascondere la loro bellezza, il loro rigoglio e le piccole goccie d’acqua che ne abbellivano i petali li rendevano ancora più incantevoli.

Di tutti i fiori che aveva visto, la piccola trovò in essi qualcosa di raro, unico e inimitabile.

“Sayuri” disse infine l’uomo.
“Uh?”
“E’ il tuo nome. Significa giglio. A una bambina che presto diventerà una donna splendida occorre un nome altrettanto splendido. Questo è ciò che ti posso dare ma se vuoi veramente vivere come tutti quanti, allora trova il tuo sogno e inseguilo. C’è chi parte con il proprio da realizzare ma chi non sa cosa cercare, va per mare guidato dal fato”

Sayuri. Il suo nome. Indicava purezza. Indicava un fiore la cui bellezza era così ricercata che perfino le ombre la bramavano. Nel guardare quei fiori, la piccola percepì qualcosa, simile ad un battito. Qualcosa in lei aveva ripreso a vivere, a sperare e le venne voglia di sorridere per la felicità. Aveva un nome, un nome che le piaceva, anche se inizialmente si era imbarazzata. Sayuri le appariva un nome così raffinato, grazioso mentre lei era....beh, ancora non lo sapeva.

“Non ti piace? E' un nome da angelo” le disse dolcemente l’anziano per colmare la sua lacuna.
“N-no, mi piace....solo che non credo di essere un angelo. Gli angeli sono più belli e hanno anche le ali” gli rispose titubante.

Per caso, quando era ancora in convalescenza, aveva trovato un libro vicino al comodino e nel sfogliarlo, era rimasta totalmente incantata nell'ammirare l’immagine di quei esseri magnifici, candidi, con grandi ali bianche, che volavano in cielo. Possedevano lunghe chiome dorate e occhi azzurri celestiali, per non parlare della loro pelle nivea e di come il loro corpi fossero avvolti da veli del medesimo colore delle ali.

“Oh, le tue ali sono diverse dalle loro. E’ ancora troppo presto perché tu possa spiccare il volo”
“......Nonno”
“Che cosa c’è?” gli domandò premurosamente lui.
Sayuri lo guardò con i suoi occhi color cioccolato “Che cos’è un sogno?”
“Uh?”
“Tu mi hai detto che per vivere è necessario avere un sogno, ma io non so neppure che cosa sia. E’ davvero così importante averne uno?”
“Più di quanto credi, piccola mia” le rispose prendendola in braccio “Sognare è la sola cosa che divida gli uomini dalle bestie ma se questa non ti basta, allora dovrai cercare da sola il suo significato”

Doveva aspettare per sapere ma lei continuava a pensare che Sayuri fosse un nome addirittura troppo bello per lei e che il sogno tanto menzionato, fosse qualcosa di intoccabile, ma il suo nonno ci credeva e pian piano anche lei volle provare a pensarla allo stesso modo. Fu quando compì sette anni, che chiese al suo tutore di insegnarle le arti marziali. Da tempo ne era affascinata e voleva apprendere il sapere dell’anziano affinché potesse difendersi da sola, di modo tale da identificarsi come qualcun altro. Se doveva cercare il suo sogno, voleva essere in grado di dimostrare di essere meritevole di tale ricerca. Non si trattava di un capriccio, perché quand’egli accettò, prese sotto la sua ala un talento senza eguali.

Le insegnò da prima i principi sacri, come non uccidere o infierire per puro divertimento, poi le basi del karate. La piccola allenava corpo e mente e lo faceva con una calma e una pazienza innata che molti non possedevano, tanto che quando ne fu in grado, rese più suo quello stile, adattandolo alle sue esigenze. Gli occhi di quella persona ormai chiamata nonno, in quei pochi anni videro crescere una bambina dall’animo nobile, incapace di odiare, forse addirittura troppo maturo per una ragazzina della sua età, ma tutta quella ponderatezza serviva a contenere il dolore che da tempo non soleva più sentire. La sua forza cresceva giorno dopo giorno, quel fiore stava lentamente cominciando a sbocciare e lui l’aveva notato, non solo mentalmente ma anche fisicamente; i suoi petali si abbellivano, la figura diventava più armoniosa, rendendola più graziosa e bella, proprio come lui aveva sempre immaginato. Anche se la vista lo stava abbandonando del tutto, riuscì a vedere quella ragazzina che sempre si mostrava gentile e sorridente verso di lui, trasformarsi in un gioiello che avrebbe attirato a sé molte persone.

Quando poi raggiunse i dodici anni, il pover uomo, ormai stanco, la lasciò nuovamente sola, ma con parole confortanti e di incoraggiamento:

“Sei diventata forte mio piccolo angelo bianco, ma..hai ancora tanto da imparare e le tue ali sono molto lontane dall’essere viste da tutti. Il mondo è pieno..di persone che non esiteranno a farti del male” le aveva detto “Persone che distruggeranno, derideranno quello che difendi, ma non devi mai abbassare la testa o mostrarti per come loro ti voglio. La libertà...è già tua, difendila. Adesso mostrami...mostrami dove puoi arrivare”

 

 

Era morto quando aveva dodici anni, lasciandola sola ma non più amareggiata. Quei anni passati ad allenarsi le erano serviti a creare un confine tra il presente e il passato, a concentrarsi unicamente sulla ricerca di qualcosa che la spingesse ad andare avanti. Aveva la sua libertà, doveva proteggerla perché al momento non aveva nient’altro. Quando aveva abbandonato l’isola non si era voltata indietro, ma, prima di cimentarsi nella corsa della sua vita, aveva voluto fare in modo che quei gigli che tanto le piacevano venissero con lei, per questo, quand'era giunta nella prima terra del suo viaggio, si era fatta tatuare i suoi tesori sulla spalla destra. Da lì in poi aveva vissuto come meglio credeva e pensava che sarebbe bastato impegnarsi a fondo per arrivare laddove non era ancora giunta ma forse, per tutto quel tempo, si era soltanto illusa di poter fare finta di niente, di vivere felicemente, di poter ignorare che sangue le scorresse nelle vene, di trovare il suo sogno..

Che diritto ho di cercare qualcosa che non merito, se mi faccio condizionare così apertamente dal mio passato?

Si strinse le mani attorno alle braccia.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, dai suoi occhi fuoriuscirono delle lacrime. Sin da quand’era bambina non aveva più pianto e in quel momento, nemmeno si era rese conto di quel che stava facendo. Teneva gli occhi chiusi, senza sentire freddo, cercando di dare una risposta a tutte le domande a cui non aveva mai trovato soluzione e sentondosi una stupida. Quei anni passati col nonno erano stati i soli attimi felici della sua vita e quando lui se ne era andato, si era fatta coraggio, proseguendo il suo cammino ma dentro di sé, si era sentita ancora una volta abbandonata. Non aveva colpa quell’uomo, così come quella donna.
Col tempo aveva imparato a valutare ogni situazione con molta attenzione e nel ripensare a quei cinque anni passati con lei, era giunta alla conclusione che chi aveva sofferto più di tutti era stata proprio quella donna che non voleva farsi chiamare mamma. Lo aveva accettato per quello che era, e non poteva replicare, ma allora....perché adesso stava così male?

Se mi vedessero in questo stato... non mi riconoscerebbero. Pensò

“Sayuri?”

Al suono di quella voce spalancò gli occhi. Rigida sia per il freddo che per volontà sua, rimase immobile, avvertendo quella presenza familiare alle sue spalle.

Incespicò nel respirare e quando finalmente riuscì a voltarsi, si sentì sprofondare definitivamente. A pochi passi da lei, con uno sguardo decisamente allarmato, c’era la persona che meno avrebbe desiderato che la vedesse in quello stato pietoso.

“Ace...sei qui” 


 

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Capitolo 15
*** Hotarubi. ***


Buongiorno a tutti!eccoci finalmente arrivati a mercoledì!un ringraziamento speciale a tutti quanti,spero che la storia continui a piacervi e che continuiate a seguirla!faccio un saluto particolare a Yuki689 per la stupenda riuscita della sua fict “Ambizione e fuoco”,decisamente una storia che merita di essere letta e riletta.Ragazza,sei grande!!Ah,ovviamente,saluto anche le carissime che mi recensisco,tranquille non mi sono dimenticata di voi!!

Beatrix:cara,sono contenta che il capitolo(per quanto triste sia stato)ti sia piaciuto,ma se tu hai provato nausea solo a leggerlo,io avrei dovuto auto-flagellarmi mentre lo scrivevo.Come hai detto tu,è una capitolo fondamentale e hai azzeccato anche il fatto che per riuscire a sbrogliare questa situazione,ci vorrà tempo.Non tutto può essere risolto con una manciata di secondi e di parole.E’ vero,ci ho messo tanto e l’ho messa sul tardi questa parte ma unicamente perché prima non ci sarei riuscita.Mi occorreva un momento particolare,non saprei dirlo con esattezza.Se svelavo tutto subito o a pezzi,non mi sarei gustata al meglio il mio risultato,quindi ho preferito farvi tenere sulle spine,e qui in effetti sono stata un pochino cattiva…Sai che sono d’accordo con te sul fatto di alcune persone che credono che queste cose siano da bambini?ma che si facciano gli affari loro:noi siamo quel che siamo e non è mica un reato guardare cartoni o scrivere fict su di essi:guarda me,ho 20 e piuttosto di farmi passare per una che va in discoteca ogni sabato (non è vero,le odio) preferisco sedermi col mio migliore amico e giocare alla paly,wii che sia oppure andare in fumetteria e immergermi alla ricerca di qualche nuovo bel manga da leggere(One piece lo seguo su internet,ormai vivo di spoiler!)

Maya90:ehilà,eccomi qua!non avevo idea che tu vivessi di flashback specie i commoventi ma a pensarci bene sono le parti che ti fanno più piangere se questi sono veramente tristi.Il fumetto che mi hai indicato lo già sentito ma non l’ho mai letto:per caso il sottotitolo era “il demone dell’illusione”?credo fosse così ma comunque ne ho solo sentito parlare.Di che scena si tratterebbe?sono curiosa perché magari adesso scopro di aver erroneamente imitato qualcuno…

Angela90:eh si,carissima!ci sono voluti la bellezza di 13 capitoli ma finalmente ci siamo arrivati!purtroppo ti dico subito che non rivelerò cosa Sayuri ha visto sul giornale,per il semplice fatto che questo elemento mi occorre per una parte che verrà più in là.Se l’avessi messo qui,avrei dovuto riscrivere quasi tutti i capitoli e credimi sarebbe stato un duro lavoraccio!Comunque ho messo qual cosina che sicuramente ti farà piacere ma non ti dico niente perché se no rovino la sorpresa!

Yuki689: immagino di aver sortito un effetto scioccante su di te,sicuramente ti saranno serviti i defibrillatori o qualcosa del genere.Non sai la gioia che ho provato nel leggere la tua recensione,tutti quei complimenti,tuoi che degli altri,mi hanno fatta arrossire…!Se devo essere sincera,non ho trovato difficile trattare un simile argomento,anche se al momento,mentre scrivevo ascoltavo musica molto triste e mi immedesimavo nel personaggio.Volevo qualcosa che nel mondo di One piece risultasse normale ma al tempo stesso terrificante,perché lì è normale che i figli dei pirati vengano trattati a quella maniera (li manderei tutti al rogo!) e non pensavo che avrei riscontrato un accomunanza con Ace perché questa parte l’avevo pensata prima di sapere tutto l’ambaradam sul vero padre di Ace (cavolo,lì è stato veramente un momento di shock,chi se lo aspettava!).Come hai detto tu,tutti hanno il diritto di vivere solo che a volte dubitano di questa verità e Sayuri è una di queste;lo so,è un personaggio inventato,però visto che l’essere il figlio di un pirata è un tema si parlato ma molto vago,ho pensato di mostrare come il genere umano può reagire davanti ad esso:davanti alle apparenza,tutti sono bravi a picchiare e a guardar male,non importa se sei diverso;quel che hai nel sangue per loro conta più di chi sei dentro,bene o male,questa è la mentalità di chi non sa guardare.Volevo mostrare qualcosa di diverso e sono felice che sia stato apprezzato ma la strada e ancora lunga e gli ostacoli sono molto numerosi,questo è solo l’inizio.

MBP:Ok,dalla tua reazione ho capito che ti sei commossa!mi ha fatto tanto piacere che tu abbia trovato belli i discorsi tra Sayuri e il nonno;in realtà alcuni li ho inseriti durante la rilettura visto che ho sentito l’impellente bisogno di aggiungere quel tocco che porta a quel senso di completezza che ti fa dire “si!adesso è perfetto!”.So che ci è voluto tempo,molto tempo,però alla fine ci sono arrivata e spero che questo capitolo ti renda tanto felice,come tu hai reso felice me nel dare vita alla battaglia contro quel tritone che presto vedrà le stelle!

 

 

 

A festa inoltrata Ace si era accorto dell’assenza di Sayuri. La cercò lì intorno e nel chiedere ad alcune persone quasi del tutto imbevute di alcool, scoprì che era uscita senza dare spiegazioni a nessuno. Praticamente si era dissolta nel nulla e questo l’aveva trovato strano, un po’ troppo strano visto che in tre l’avevano chiamata e lei li aveva ignorati completamente. Non pensandoci due volte, il capitano dei pirati di picche aveva ripescato il suo cappotto e lasciato la festa, dirigendosi all’esterno con l’intenzione di cercarla, anche perché aveva notato che il suo cappotto e i suoi guanti erano rimasti lì nella sala; ciò andò a rafforzare ulteriormente la sua apprensione. Uscito, aveva controllato i dintorni del palazzo ghiacciato ma senza trovarla. La neve scendeva e con ogni buona probabilità aveva cancellato le sue impronte. Levò gli occhi al cielo, per poi togliersi momentaneamente il cappello dalla testa e scrollarsi la neve di dosso. Non gli sarebbe dispiaciuto tornare al nascondiglio e riprendere a fare baldoria con la ciurma ma prima d’ogni altra cosa, voleva assicurarsi che Sayuri stesse bene.

Era certo che fosse lì vicino, magari proprio a due passi da dove si trovava lui. Riprese a camminare, dirigendosi verso il piccolo lago ghiacciato che affiancava l’ex edificio reale, dove alcuni alberi dormivano sotto la coltre di neve da tempo indefinito.

Lì, sotto una di quelle fronde bianche, c’era Sayuri, seduta su una panca di pietra.

Le andò subito incontro ma si bloccò non appena fu capace di vederla distintamente. Quel che vide ribaltò il suo umore di punto in bianco, spiazzandolo: la ragazza teneva gli occhi chiusi e le guance arrossate per il freddo erano rigate  da sottili stille d’acqua. Stava piangendo. Ace avvertì all’istante una morsa terribile attanagliargli l’intero torace, contorcergli e stritolargli il cuore senza alcuna pietà, come fosse un panno inutilizzabile.

 Piangeva stringendosi le mani attorno le braccia, inerme a pensieri che lui non poteva ne vedere ne sentire.

Sayuri.

Fu come se tutto il suo essere fosse tenuto fermo da una forza invisibile che gli impediva addirittura di parlare. Il freddo di quel posto non era nulla in confronto a quello che stava provando. Lui non risentiva della temperatura del posto perché era fatto interamente di fuoco ma quel gelo spirituale l’aveva trafitto sotto forma di una lancia acuminata e spessa. Nella sua mente era ben impressa l’immagine di una Sayuri sorridente, graziosa, con un vistoso tatuaggio raffigurante dei gigli a decorarle la spalla, che lo guardava con occhi tanto celestiali da incantare chiunque li avesse guardati. L’immagine di una persona incantevole a cui molto spesso pensava e di cui non poteva fare a meno. Incantevole. Era la sola parola che la potesse definire ma adesso Ace....vedeva un’altra persona, una Sayuri triste, che piangeva da sola...

“Sayuri?”

Il suo nome, che prima era solo riuscito a pensare, ora l’aveva detto. Lei aprì gli occhi e si voltò verso di lui, sollevando di poco il busto.

“Ace....sei qui”

Con l’indice della mano sinistra la vide scacciare le lacrime che le bagnavano il volto ma era inutile che ormai nascondesse ciò che già era stato notato.

“Tu stai piangendo...” mormorò avanzando verso di lei. Non ci poteva ancora credere.

La castana lo guardò per qualche secondo prima di spostare la visuale sulla neve caduta a terra. Non si aspettava che fra tutti, proprio lui, la vedesse così.

“Non è niente” mormorò sorridendo dolcemente con gli occhi bassi, coperti dalla frangia “A-Avevo...avevo bisogno di stare un po’ sola con i miei pensieri...tutto qui”

Nel guardare quella foto, tutta la sua vita era riemersa in superficie in un solo colpo, decisamente troppo pesante perché lei lo sopportasse. Nella sua mente non udiva che il rumore di migliaia di vetrate distrutte, le urla di quella donna, quella spregevole risata che continuava a ripeterle, ridendo, che era un errore e che quella donna aveva ragione. Strinse i pugni congelati e lasciò scappare un flebile singhiozzo che non sfuggì però al moro ormai di fronte a lei.

“Ti prego di scusarmi, Ace” cominciò nuovamente con gli occhi chiusi “Ma non me la sento di tornare alla festa. V-Vorrei stare.....”

Le parole le morirono in gola quando nell’aprire gli occhi, vide Ace inginocchiato davanti a lei, impensierito e con le mani che stringevano le sue. La neve scendeva ancora e l’anima di Sayuri era appena tornata da un viaggio che aveva riaperto tutte le sue vecchie ferite, dilatandole il doppio. Rivivere quei momenti, anche solo con la mente, aveva fatto si che altre lacrime, altre sottili lacrime sfuggissero al suo controllo e che la privassero di tutte le sue energie. Quella bambina non aveva mai smesso di esistere in lei. Rappresentava chi era veramente, la vera Sayuri che Ace ora riusciva a scorgere in quei occhi color cioccolato tanto tristi: vedeva una sofferenza, un dolore così grande che al suo cospetto si sentiva piccolo e inutile. Un dolore volutamente relegato, strettamente personale, diverso da altri e per questo più orribile. I suoi occhi scuri scrutavano la castana, così dolce e bella, il cui volto ora era rigato da stille d’acqua che scendevano da occhi socchiusi e soffermi su di lui, carichi di incertezza. Vestita con abiti leggeri, tremava e sussultava per il freddo e per l’emozione. Era quanto di più splendido e triste ci fosse al mondo. La osservava e Ace non poteva distogliere lo sguardo, ne era ipnotizzato ma al contempo rattristato..

Non potendo star fermo senza far nulla, accentuò la stretta sulle mani della ragazza, riscaldandone le dita una a una.

“Dimmi che cosa ti fa male, Sayuri. Dimmi che cosa ti fa stare così male” le chiese, schiarendosi la voce.

La ragazza socchiuse le labbra in un brivido. Aprì gli occhi del tutto e si morse il labbro inferiore nel sentirsi totalmente in bilico. La presa che Ace aveva sulle sue mani era come una corda che la teneva sospesa verso la luce, verso il presente; il calore che sprigionava, che le infondeva, che le impediva di scappare via, le stava regalando un sentimento che mai aveva provato ma il cui nome era oscurato dal suo terrore. Abbassò il capo sconsolato e lo scosse in segno di negazione.

“Perdonami...” sussurrò con voce rotta “Ma non..non posso. Se lo faccio..io cadrò nel buio”
“Non succederà. Ci sono io con te e non permetterò che ti accada nulla!” affermò seriamente accentuando la presa

Sayuri nutriva un fiducia smisurata nelle sue parole. Aveva il cuore sul punto di esplodere e si sentiva così indecisa e impaurita al tempo stesso, che l’unica cosa che riusciva a fare era piangere. Ace era lì e per quanto stesse provando a correre verso di lui, le mura che si era costruita si ergevano troppo in fretta perché lei potesse raggiungerlo ma anche se quelli fossero rimasti semplice pietra, lei non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi. Con un sorriso tremolante volle ringraziarlo, perché mai nessuno si era fermato per lei ma poco dopo quel sorriso scomparve, sconfitto da quel dolore persistente e Ace capì che per lei non era ancora tempo di aprire le porte di quella parte della sua anima ad una persona al di fuori di sé stessa. Non era ancora pronta.

“Scusami, Ace....scusami” ripetè con un filo di voce “Per quello che sei, dovrei essere capace di parlartene; non ho...non ho mai avuto nessuno di così vicino come voi ragazzi e avervi nella mia vita è m-molto importante adesso perché m-mi fa stare bene. M-Mi piace poi parlare con te, s-sei il primo vero amico c-che ho, però io....io non ci riesco, è più forte di me. Scusami, scusami tanto ma n-non ce la faccio...” si portò una mano alla bocca per trattenere i singhiozzi.

Fu colta dall’ennesima sensazione di sgomento quando sentì una mano accarezzarle la guancia sinistra e asciugarla dalle lacrime. Non ebbe modo di calmarsi, perché Ace compì un ulteriore gesto che la paralizzò completamente: nell’attimo in cui si sentì tirata verso il basso, si ritrovò con il viso appoggiato alla spalla del moro e con le mani premute contro il suo petto. Ace la stava stringendo a sé. Lì, il suo cuore rallentò drasticamente.

“Non hai alcun obbligo nei miei confronti e se non vuoi parlarne rispetterò la tua decisione. Dimmi solo una cosa: quand’eri bambina, ci sei caduta per sbaglio nel pozzo?” le domandò con un misto di calma e serietà.

Scombussolata per il calore che le braccia di Ace le stavano infondendo, Sayuri sospirò e nascose la testa nell’incavo del collo del ragazzo con le guance piene di lentiggini. Poi, appena qualche istante dopo, scosse debolmente la testa mormorando:

“No"

Finalmente Ace ne aveva avuta la prova. Sin da Giungle River, aveva percepito qualcosa di sbagliato in Sayuri e ora sapeva di cosa si trattava; riguardava fatti antecedenti al loro incontro, fatti a cui lui era estraneo ma che ora voleva conoscere. L’aveva abbracciata per non doverla vedere ancora piangere e per scaldarla come meglio poteva. La Sayuri che aveva sempre visto, era una persona gentile, amorevole, dal comportamento molto simile a quello di una madre premurosa che sapeva sempre cosa dire nella maniera più semplice e candida possibile, ma che nascondeva dentro di sé un male così grande che neppure lui poteva immaginare. Non era una maschera, pensava, perché se avesse mentito se ne sarebbe accorto molto prima. No, lei si era sempre limitata a dire le cose entro un certo margine e se aveva omesso qualche dettaglio, era solo per non dover essere costretta a raccontare fatti a lei spiacevoli ma adesso che l’aveva colta in quello stato, non riusciva a fare altro che a pensare quanto fosse straziante vederla piangere. Era orribile e non voleva che accadesse ancora. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare i suoi incubi e allora sarebbe stato più difficile ma per il momento, avrebbe fatto l’impossibile per scacciarli via.

“Sei gelata” mormorò nell’allentare di poco la presa “Quanto tempo sei rimasta ferma?”

Fu logico che lei non gli rispondesse. Si limitò a rannicchiarsi ancor di più contro il torace del ragazzo, come fosse una bambina impaurita dall’uomo nero sbucato dall’armadio della propria stanza appositamente per spaventarla. Tremava e ogni volta che Ace la toccava, doveva fare attenzione per non peggiorare la situazione. Non sapeva se avesse smesso o no di piangere ma almeno non singhiozzava più.

“Ce la fai ad alzarti?” le chiese gentilmente lui.

Per la seconda volta, lei non gli diede cenno di vita; nel provare a mettersi in piedi avvertì che le gambe della ragazza tremavano troppo per reggere il peso del suo corpo e quindi rinunciò all’impresa, accentuando ancor di più presa che aveva su di lei. Averla così vicino e stringerla a sé come fosse da sempre stata sua stava facendo crescere in lui un fortissimo senso di protezione nei confronti di quella poverina. Non era soltanto la gelosia che provava quando qualcuno la guardava intenzionalmente, non era il senso di pace che provava quando ci parlava o semplicemente le stava accanto; era qualcosa di molto più forte e incontrollabile ma che adesso voleva solo esprimere al fine di tranquillizzare Sayuri. Non la voleva più vedere in quello stato, non voleva più vederla piangere. La sentiva inerme, incapace di reagire, rannicchiata al suo torace. Levò una mano per poi posarla sulla testolina castana e accarezzarla dolcemente. La sentì gemere e stringersi ancora di più. Avvertiva il suo respiro irregolare, il petto alzarsi e abbassarsi a scatti irregolari ma a ogni carezza si calmava, lasciando che quel male uscisse e non la tormentasse più al momento.

Brava, piccolina, sfogati. Ne hai davvero bisogno.

Percepì una strana sensazione partigli dallo stomaco, risalirgli in gola e infine elettrizzargli le labbra. La vicinanza di Sayuri lo invogliava a spingersi oltre a quell’abbraccio ma sentendo quanto fosse scossa, temeva che l’avrebbe  ferita ancora di più. Il solo fatto di stringerle il corpo stava esercitando una forte pressione sul suo autocontrollo e nonostante si stesse più volte ripetendo che fosse sbagliato, era sempre più tentato a superare quella soglia che ormai stava a due centimetri dai suoi piedi.Quando le chiese nuovamente se era in grado di alzarsi, stavolta la castana annuì leggermente. Sempre attaccata a Ace, si mise in piedi e poi lentamente si allontanò per riprendere un po’ d’aria; il suo viso era accaldato, rosso, con gli occhi lucidi e i capelli arruffati con qualche ciuffo appiccicato alla guancia. Nell’istante in cui provò a darsi un veloce ripulita, avvertì qualcosa di soffice e caldo scivolarle sulle spalle: Ace si era tolto il giaccone e l’aveva dato a lei.

“Ace, no” riuscì a dire “E’ il tuo e q-qui fa freddo...” balbettò cercando di restituirglielo.
Il moro le impedì di farlo, sorridendole: “Si e tu sei senza cappotto, guanti, fradicia come un pulcino e se non ricordo male, anche sprovvista del potere del frutto Foco Foco. Sta tranquilla, io posso stare benissimo senza indumenti pesanti” la rassicurò sistemandole una seconda volta il cappotto sulle spalle “Se ti ammalassi mi sentirei mortalmente in colpa” aggiunse poi con più solennità.

Sayuri sussultò, divenendo se era più possibile, ancora più rossa. Ace le era pericolosamente vicino e le stretta alle sue spalle la immobilizzava più di prima. I loro nasi si sfioravano e gli occhi del moro rispecchiavano un sentimento che lei non riusciva a decifrare correttamente, un che fermezza e sicurezza rassicuranti, dolci ma il solo sentire il caldo respiro del ragazzo scaldarle il collo le bastò a fermarle il cuore definitivamente. Aveva la forte impressione che Ace la stesse nuovamente attirando a sé e dal canto suo, era quel che il moro stava facendo; un piccolo gesto, un piccolo gesto contenente tutto quello che serviva per riavere il suo sorriso, per far cessare quelle lacrime e per sentirla ancora più vicina, questo voleva fare Ace. Gli mancava così poco....ma alla fine dovette fermarsi. Lo aveva visto ancora: quel riflesso blu negli occhi di Sayuri, stava a indicare che era ancora impaurita, troppo perché venisse stravolta un seconda volta.

Meglio di no.

Si allontanò di qualche centimetro, tornando alla giusta distanza, tenendo le mani sulle spalle di ella perché non tentasse di restituirgli nuovamente il giaccone. C’era di buffo, che quando arrossiva faceva tanta tenerezza, come in quel momento.

“Ace..”
“Tienilo tu. Non ne ho bisogno” le ripetè con sicurezza.

Per Ace non era davvero un problema rimanere a mezze maniche. Già indossava i suoi classicissimi pantaloni neri, lunghi fino al ginocchio, senza risentire della ghiacciaia e sembrava stare a suo agio. Controllare la propria temperatura era un bel vantaggio, almeno per chi possedeva il Rogia del fuoco. Capendo che sarebbe stato totalmente inutile insistere, Sayuri si strinse ancor di più nel cappotto, calmando il proprio corpo da quei tremiti incontrollabili. Era come se il ragazzo non avesse mai smesso di abbracciarla e la piacevole emozione di pochi secondi prima si stesse amplificando annebbiando tutto il resto.

“Va un po’ meglio?”
“Si, grazie”
“Perfetto. Dai, vieni con me”
“Dove?”
“Aspetta e vedrai”

Le prese la mano e cominciò a condurla lontano dal lago e anche dal palazzo, immergendosi nella radura che li circondava. Sayuri non capiva dove volesse andare ma rimase in silenzio domandandosi cosa volesse fare il suo capitano. La mano di Ace era caldissima e lei a stento controllava i propri tremiti a quel contatto. Improvvisamente, si rese conto di essere una vera e propria vigliacca. Se solo fosse stata più coraggiosa, gli avrebbe confessato ogni cosa ma la sua debolezza e la paura che tutto venisse a galla in un sol colpo glielo avevano impedito. Non meritava tanta compassione da quel ragazzo così premuroso, si sentiva un mostro. Non era degna di provare un affetto così profondo per lui ma non poteva farne a meno.

Oh, Ace....non sai quanto mi dispiace....

Raggiunto il punto desiderato, Ace si fermò, lasciandole la mano; erano giunti in uno spazio circolare, ampissimo, dove il poteva vedere il cielo senza che i rami ne impedissero la totale vista.

“Perfetto, qui può andare” affermò il moro.
“E’perfetto per che cosa?”

Il ragazzo si voltò verso di lei “Ora lo vedrai ma prima devi chiudere gli occhi”

La castana continuava a non capire dove volesse arrivare il capitano. Erano un po’distanti dalla montagna e lì non c’era niente se non un quintale di neve e alberi.

“Devo chiudere gli occhi?” ripetè con un filo di voce
“Esatto. Fidati di me”

Come poteva non fidarsi? Solo pochi secondi prima aveva rispettato il suo volere e non aveva insistito troppo sul perché l’avesse trovata in lacrime. Gli obbedì e chiuse gli occhi, avvertendo i passi del moro allontanarsi da lei di qualche metro. Non aveva idea di cosa volesse fare.

“Non sbirciare” le disse.
“Non lo farò” gli promise.

Non disse più nulla e attese con le mani strette in petto. Di tanto in tanto sentiva alcuni fiocchi di neve sfiorarle la pelle del viso ma non se ne preoccupò più di tanto, così come ignorò quello strano silenzio da sembrava poter uscire qualcosa di nuovo. Ace era a diversi metri da lei, percepiva benissimo la sua presenza ma non capiva cosa stesse facendo. Si tratteneva dal parlare perché temeva di disturbarlo in un momento cruciale ma un pochino era curiosa di aprire gli occhi e vedere cosa stesse combinando. Adesso non sentiva neppure il freddo, era come se fosse scivolato via dal suo corpo, insieme a parte di quel masso che le doleva sia il corpo che l’anima; anche se era ancora lì, lei se ne era distanziata e a breve lo avrebbe nuovamente sepolto.

“Ace...adesso posso chiederti perché hai voluto portarmi proprio qui?” gli domandò infine.
Lo sentì nuovamente avvicinarsi “Mi occorreva più spazio altrimenti non sarebbe stata la stessa cosa” si limitò a dire “Apri gli occhi”

Sayuri annuì con la testa e nel dischiudere le palpebre, sussultò rimanendo a bocca aperta: ai piccoli batuffoli di neve che scendevano dal cielo, si erano unite delle luci di ugual dimensione, gialle e luminose, che danzavano e si libravano in ogni direzione di quello spazio. Nell’allungare un mano per toccarne una, la castana avvertì un leggero calore sprigionato da quello piccola sfera di luce. Pensò alle lucciole come prima ipotesi ma, nel sfiorarle, comprese che erano un’altra dimostrazione di come Ace sapesse gestire il frutto del diavolo Foco Foco.

Lucciole di fuoco, pensò. Era un nome che calzava a pennello.

Oscillavano attorno a lei senza ferirla e si disperdevano in cielo per poi tornare giù a ballare un altro po’.

“Ace, come hai....?”
“Non è niente di così speciale” ridacchiò lui.

Il moro era ad un paio di metri da lei, con i palmi delle mani rivolti in avanti; le sue mani erano illuminate dalla stessa luce delle lucciole, solo con un pò più di intensità. Creava quelle luci senza alcuno sforzo e le controllava con perfetta maestria. Il giallo luminescente delle lucciole si confondeva con il bianco azzurro dei fiocchi di neve creando uno scenario irripetibile e Sayuri non poteva che sorridere per la felicità.

“Sono stupende, Ace” gli disse voltandosi nella sua direzione, meravigliata “Non avevo mai visto niente di simile in vita mia”
“Sono contento che ti piacciano” affermò “E che ti sia tornato anche il sorriso”

Era vero. Adesso Sayuri non avvertiva più il dolore di prima. Quello spettacolo l’aveva incantata a tal punto da farla librare in cielo tanto da immaginare di danzare tra la neve e le lucciole di fuoco come un allegro spiritello della neve. Non era mai successo che dimenticasse così in fretta ma Ace era riuscito dove da sola non era mai arrivata e questo significava molto. In lei non stava crescendo soltanto un grande sentimento affettivo nei confronti del ragazzo ma anche un che di rispetto, una sorta di giuramento che avrebbe suggellato con una promessa solenne. Si voltò di nuovo verso di lui, con le mani intrecciate dietro la schiena.

“Ti ringrazio per non avermi chiesto niente, Ace” cominciò lei dolcemente.
“Sarei stato uno stupido a....”
“Io non so...per quanto tempo ancora potrò resistere” continuò interrompendolo “Ma anche se adesso non riesco a dirti nulla, voglio che tu sappia che non ti tradirò mai, ne come amica ne come alleata e ti prometto, che in un modo o nell’altro..io ti farò diventare il Re dei Pirati. Hai la mia parola, Ace”
E forse..quando sarò pronta, riuscirò a dirti quel che provo per te.

Quella promessa, quel giuramento era stato detto si con dolcezza ma anche con una sottintesa determinazione che Ace afferrò immediatamente. Le parole di Sayuri riflettevano verità e anche ringraziamento, non c’era inganno o falsità, non erano state dette per compensare qualcosa, no; la promessa di Bianco Giglio era semplicemente sincera e Pugno di Fuoco la accettò come se fosse stata scritta su carta e suggellata da un timbro invisibile. Adesso che vedeva Sayuri sorridere, si sentì più sollevato. Poteva resistere ancora un po’ anche lui se il traguardo significava vederla sorridere sempre e starle accanto senza che si ferisse. Le si avvicinò, arrivandole col mento poco al dì sopra della testa.

“Torniamo al covo. Si sta facendo tardi”

 



 

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Capitolo 16
*** Una semplice e preziosa verità. ***


Eccomi qua (di nuovo);nonostante sia una settimana di esami,trovo sempre il tempo di postare la fict.E’ il mio unico svago,quindi senza non saprei proprio cosa fare.Dopo aver passato lo scorso venerdì con il defibrillatore (ho visto lo spoiler 573,non dico altro)mi sono fatta coraggio e ho pensato “Oda non avrà davvero intenzione di fare quel che penso?”.Questo lo pensavo prima di leggere le anticipazioni del 574.Vi lascio immaginare il mio attuale stato perché non ho il coraggio di aggiungere altro.Prima di lasciarvi al capitolo (Beatrix,so che lo adorerai perché c’è chi sai tu),ringrazio come sempre chi recensisce:

Maya90:cara,non ti scusare per il ritardo,capita e comunque il tuo capitolo meritava.Grazie anche per i complimenti,però andateci piano,io sono una che arrossisce all’istante se gli si fanno i complimenti ma già lo sai!Non ricordarmi la scena della Merry,li ho pianto sul serio(è stato un momento così toccante,sniff…).Ho sempre adorato le lucciole di fuoco,da quando l’ho visto (in giapponese con i sottotitoli italiani,gli episodi sono molto più eccitanti)me ne sono  innamorata e quando ho pensato a un modo per risollevare Sayuri,ho avuto la bislacca di idea di utilizzare qualcosa di veramente speciale:mi rifiutavo di mettere i nomi in italiano,senza offesa ma sono un insulto quelli di Ace (imperatore fiammante non può essere minimamente paragonato a Dai enkai entei,l’imperatore di fuoco).Lo ripeto,guardare gli episodi in giapponese con i sottotitoli in italiano è tutta un’altra cosa.Mi ha davvero sollevato quando ho letto che non avevo imitato quel fumetto,mi sarebbe venuto un colpo.Mi sono scervellata per essere crudele e un po’ risento i rimorsi ma ormai è andato,quindi non ci possiamo più fare nulla!!

Yuki689:tesoro,leggere i tuoi complimenti mi fa andare su di giri!anche gli altri ovviamente,mi fate tutte sorridere,arrossire,non riesco a smettere.Amica mia,so che aspetti con tanta pazienza il momento in cui Ace si dichiarerà ma ti chiedo di avere ancora più pazienza perché quel momento fa parte di un altro momento che a sua volta fa parte di tutto il mio contorto piano che reggere questa storia.Ma se la cosa ti può stuzzicare,ti dico che presto avverrà qualcosa di molto interessante!

Angela90:eccomi qua!Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto e che i sentimenti di Ace non passino inosservati.Vedrai,presto accadrà qualcosa ma non dico cosa altrimenti rovino tutto e tanti saluti!!

MBP:non fatico a vederti a terra con una miriade di cuoricini che spuntano come funghi dal tuo corpo.Effettivamente se fosse Ace a farmi l’hotarubi potrei schiattare a terra e andrei in paradiso più che soddisfatta.E dire che mi pareva di aver fatto il capitolo troppo sdolcinato.Adoro le scene mielose ma non troppo.Ti dirò,sono più portata a descrivere dei sad chap (capitolo tristi).Se ho in mente quello che voglio mettere per iscritto con allegata una canzone triste mentre lavoro,sono capace di tirare fuori l’impensabile e quando voglio so essere crudele.

Beatrix:amica mia,non posso che essere d’accordo con te.Di Ace sapevo ben poco ma sin dal primo incontro è stato amore a prima vista e saperlo in prigione mi ha quasi ucciso.Si è solo un personaggio inventato ma quando si legge qualcosa di bello,ci si innamora sempre di qualcuno in particolare e a me è capitato di appassionarmi al signore della fiamme!Forse esagero ma penso che anche tu abbia la stessa opinione;prova a immaginare Shanks al posto di Ace,come minimo andresti dritta filata a Marineford e uccideresti tutti quelli che ti capitano a tiro.Dopo ciò che ho visto nel 573,stavo letteralmente per morire e dopo aver intravisto le anticipazioni del 574…beh,non posso dire niente,perché in fondo non potevo di certo pretendere un miracolo(anche se ancora ci spero ma non troppo).Sono felice che tu abbia apprezzato la correttezza di Ace…e anche che tu abbia trovato un fidanzato,anche se col caratteri di Smoker;tranquilla!di solito gli orsi fingono di essere brontoloni ma in realtà sono dei coccoloni!forse mi sbaglierò ma magari chissà…..Se mi capita un persona come Ace,caratterialmente,me ne innamorerei subito!Ah,dimenticavo:sono ancor più contenta che Sayuri ti piaccia.Sai pensavo di averla fatta un po’ troppo perfetta;si,il fatto di non odiare ma la verità è che l’ho pensata così sin dall’inizio e non volevo omettere qualcosa che mi piaceva per sostituirlo con qualcosa che non mi andava a genio.

 

 

Per la prima volta nella sua vita, Sayuri si sentiva in una posizione di stallo, da cui non riusciva ad uscire. Avvertiva qualcosa di strano agitarsi nella sua anima, simile alla marea che si alzava al chiaro di luna e si abbatteva dolcemente sulla sabbia e che continuava a infrangersi al solo pensiero di quanto era capitato poche ore prima. Ace l’aveva colta in un momento debole, ben peggiore di quello passato a Giungle River, dove le sue innumerevoli ferite si erano aperte senza che lei potesse controllarsi, consolandola come nessun’altro aveva mai fatto. D’altro canto, prima della sua entrata nella ciurma dei pirati di picche, non aveva fatto altro che contare unicamente sulle proprie forze, perché chi tentava di avvicinarla non era mai per esserle amico; non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi alla sua sfera emotiva più intima. Tranne a Ace. Nel istante in cui l’aveva tirata a sé, abbracciandola sotto quell’albero, le tenebre che la tenevano imprigionata si erano diramate senza lasciare traccia. La tentazione di scoppiare a piangere era stata così forte che a fatica l’aveva cacciata indietro; aveva singhiozzato ma quel calore che aveva provato, che l’aveva avvolta per proteggerla a tal punto da rasserenarla,aveva fatto si che le sue lacrime si fermassero. Il viso gli si infiammò nel ricordare quanto il suo volto fosse stato pericolosamente vicino a quello del ragazzo. Se si fosse sporta lo avrebbe....

BLUSH!

Il viso le andò letteralmente in fiamme, tanto che dovette nasconderlo dietro le mani per non andare avanti con quella scenetta mentale. Ricordava bene come la guardava, così deciso e rassicurante. Ricordava bene la sensazione di incatenamento che aveva provato nel incrociare i suoi occhi e ricordava ancor di più quel piacevole e del tutto sconosciuto senso di impotenza che l’aveva immobilizzata mentre la distanza  tra loro due si riduceva sempre di più. Era assurdo che provasse così tanto imbarazzo visto che già lei il suo capitano si erano accidentalmente scambiati un bacio a Giungle River. Preferì non approfondire i ricordi altrimenti la situazione sarebbe degenerata irreversibilmente.Si raggomitolò ancora di più, scuotendo la testa. Le mani le coprivano ancora il viso. Sdraiata su delle casse di legno scuro lasciate in uno dei tanti corridoi di pietra dove le finestre filtravano la luce azzurrognola della luna, stava utilizzando come coperta provvisoria il cappotto che Ace molto gentilmente le aveva prestato. Era perfino rimasto a farle compagnia per la notte nel caso fosse stata tormentata da possibili incubi ma tanto quelli non l’avrebbero raggiunta cogliendola di sorpresa visto che si era svegliata senza più riuscire ad addormentarsi. Colta da brividi, si era destata con una gran sete e nell’alzarsi aveva notato che Ace non era più lì. Prima era seduto a terra con la schiena appoggiata alle casse mentre ora era letteralmente sparito; si sarà trovato un posto per dormire, aveva pensato subito.

“Uhm...che sete...” mugugnò poi insonnolita.

Scese dalle casse avvolgendosi col cappotto e una volta che ebbe indossato gli stivali, partì alla ricerca di una cucina o qualunque posto potesse avere qualcos’altro oltre agli alcolici. Non stette a chiedersi dove fosse finito di preciso il ragazzo, era già era stato fin troppo gentile e poi i suoi problemi personali doveva risolverseli da sola; anche se ancora non sapeva bene come,ci sarebbe riuscita con le sue sole forze. Non voleva mettere in mezzo nessuno, ne Don, Bonz, gli altri componenti della ciurma, ne Ace. Sopratutto Ace. Continuò a girare per i corridoi, a percorrere diverse scalinate ma senza riuscire ad orientarsi; senza neppure sapere il come, si era ritrovata nella sala grande dove si era tenuta la festa e dove ora si stava esibendo un coro di russi non tanto armonioso. Da dove era, Sayuri intravide Don sdraiato a terra, con una bottiglia di liquore in mano e Bonz, vicino a lui che dormiva beatamente abbracciando un pollo. Tipico del cuoco- cannoniere dormire a stretto contatto con del cibo.

“Niente da fare. Vediamo se riesco almeno a tornare al punto di partenza” sospirò.

Poteva stare lì tutta la notte ma alla fine si sarebbe ritrovata con un pugno di mosche tra le mani e magari persa in chissà quale punto di quel singolare posto; lasciando perdere la sua ricerca,tornò sui suoi passi, sperando di trovare la strada giusta.

“Ma guarda, ero convinto che dormissero tutti”

Quando la castana ebbe svoltato l’ennesimo angolo, nemmeno si era immaginata di trovarsi faccia a faccia con Shanks il Rosso. Era così stanca che non aveva percepito la sua presenza o ancora più semplicemente, pensò, lui non stava manifestando l’haki.La giovane sbattè gli occhi un paio di volte per avere la conferma di non stare sognando e subito spostò un ciuffo dietro l’orecchio senza nascondere la sua sorpresa.

“A quanto pare non sono l’unico a cui piace girovagare di notte. Cercavi qualcosa?”

A Sayuri occorsero ben quattro secondi per formulare, raccogliere ed esprimere i propri pensieri in parole.

“Ecco...” cominciò “Diciamo di si. Mi chiedevo se ci fosse una cucina da qualche parte, volevo dell’acqua” gli disse anche se la sete ormai le era quasi passata.

Non se ne accorgeva ma l’uomo la stava osservando con cipiglio interrogativo ma lei era così ingarbugliata nei suoi pensieri, che non faceva altro che strofinarsi le palpebre ed emettere leggeri sospiri.

“Hai l’aria di una che ha un bel groviglio di problemi” constatò col sorriso sulle labbra.

Ecco. Colpita e affondata. Se perfino l’onorevole imperatore si era accorto che in lei quella notte c’era qualcosa che non andava, evidentemente sul suo viso doveva esserci scritto “Povera anima in pena che cerca di dimenticare questa giornata”. Escluso il momento passato con Ace, il resto era da buttare via.

“Tutto a posto?” le domandò movendo due passi in avanti.

Solo in quel momento, Sayuri si accorse che in mano teneva un boccale di birra ma quello che c’era al suo interno non era birra o alcool ma una bevanda dall’odore dolciastro, simile alla camomilla ma dal colore rossastro. Oltre al chiedersi cosa stesse bevendo il Rosso, Sayuri cercò di dire qualcosa, qualunque cosa ma quando riuscì ad aprir bocca, si ritrovò a dover accettare un secondo boccale di quella bevanda,spuntato fuori dal nulla.

“Bevi, ti farà sentire meglio. Scalda e fa passare anche la sbronza più pesante, lo so per esperienza” le assicurò con sorriso ancor più ampio “Ti andrebbe di farmi un po’ compagnia all’aperto? Rischierei di perdere l’altro braccio se svegliassi qualcuno dei miei compagni” ridacchiò

Effettivamente svegliare qualcuno nel pieno di una sbronza poteva essere molto fatale e Sayuri non ebbe motivo di rifiutare quella proposta, anche perché il sonno oramai le era passato e una chiacchierata privata con uno dei quattro imperatori non era cosa da tutti i giorni. Seguì l’uomo fino a giungere ad un balcone esterno, scavato e modellato dalla natura stessa. Fortunatamente aveva smesso di nevicare e ora le nuvole si erano diramate, mostrando così il blu nero della notte. Erano in alto e la nebbia che  qualche ora prima impediva di vedere la cima della montagna,ora si era andata a nascondere sotto i suoi piedi,nascondendoli. Parevano essere al di sopra del mondo perché il silenzio che si udiva era irreale e quel buio rendeva l’atmosfera ancora più estranea ma senza quella sfumatura di paura che di solito aleggiava nei cimiteri o nelle lande desolate colorate di grigio. Si trovavano su un isola come tante altre, non doveva apparire così strano ma invece lo era. Sayuri guardava di sotto e immaginava di vedere miriadi di persone camminare, parlare, senza accorgersi di essere osservati in tutti i loro movimenti. Nonostante sentisse del terreno sotto i suoi stivali,si sentiva librare in aria insieme a un castello sospeso fra le nuvole, come quello delle favole.

“E’ davvero comodo avere il proprio nascondiglio all’intero di una montagna” mormorò la ragazza sempre nel guardare in basso.
“Si, ha i suoi vantaggi. Però devo ammettere che ogni tanto è sgradevole isolarsi dal resto del mondo, anche se voi siete riusciti a trovarci con facilità” affermò Shanks nel sedersi su un panca posto vicino alla parete rocciosa.
“Lei ci è venuto incontro e ci ha facilitato la ricerca”
“Uhm..vero ma siete stati comunque in gamba” ammise sorridendo “Allora, che cosa ti ha spinto ad andartene dalla festa?”
Sayuri strabuzzò gli occhi “Come se ne è accorto?” si trovò a dire.
Shanks rise “Se non ricordo male, sei l’unica ragazza presente in tutta l’isola”

La castana si diede della stupida per aver fatto una domanda tanto scema,però era sorprendente di come il Rosso avesse tenuto d’occhio la situazione anche con in atto dei festeggiamenti tiratardi. Da quel poco che aveva visto prima di andarsene, gli era parso che l'imperatore fosse totalmente preso a divertirsi e a porre ad Ace altre domande su Rufy, il fratello minore. Dietro all’apparente maschera sempre pronta a divertirsi, si nascondeva un uomo serio che prendeva molto a cuore le sue responsabilità e i suoi compagni.

“E poi Ace nel non trovarti, è partito in quarta a cercarti” aggiunse mantenendo quel sorriso smagliante

Sayuri cominciò a sentire distinatamente che la posizione di stallo in cui era invischiata stava diventando troppo opprimente. Shanks stava solo mostrando a parole quello che vedeva e lei era rientrata in quella confusione mentale a cui solo pochi minuti prima aveva appena dato un ordine come a tutte le vicende con cui aveva a che fare. Certo non poteva rimanere in silenzio,non davanti a un pirata di quel calibro, la sua educazione la stava spingendo a fare la mossa successiva sotto forma di mani invisibili che gli davano colpetti alla schiena.

“Avevo soltanto bisogno di prendere una boccata d’aria” cominciò calma e senza lasciar trasparire alcun’altro sentimento nella sua voce “Così ne ho approfittato per riordinare i miei pensieri”

A volte aveva la netta impressione che il suo comportamento la rendesse di ghiaccio.
Il solo fatto di essere gentile e educata nel rispetto dei suoi simili e che non finisse definitivamente i propri avversari la rendeva agli occhi degli altri odiabile. Per tanti anni, le persone che aveva incontrato, i cosiddetti colleghi con cui si era scontrata, per non parlare della Marina, l’avevano definita come una diversa, una persona altezzosa che col suo modo di fare credeva di essere superiore a chiunque. Una persona indossante una maschera perennemente su di una verità tanto semplice quanto nauseante ma non le era mai importato delle opinioni degli altri,perché non erano suoi amici: lei si comportava a quel modo, era un pirata diverso da altri perché quello era puramente il suo carattere. La sua incapacità di odiare forse poteva essere ritenuta falsa per chi considerava i pirati dei fuorilegge, dei senza cuore ma lei era così. Odiare non serviva a nulla se non a fare del male a sé stessi; se lei avesse odiato come quella donna aveva fatto con lei, probabilmente sarebbe morta anni addietro. Non avrebbe fatto che il gioco di quelle persone: vederla diventare quello che più temevano al mondo, diventando un mostro.

“E che cosa sei riuscita a ricavarne?” le domandò Shanks infine.
Lei si morse il labbro e rispose, alzando gli occhi verso l’uomo “....Che forse in fondo, sono una persona davvero stupida” rispose con voce bassa. “Mi sono sempre impegnata in quello che credo e non ho mai avuto ripensamenti ma il fatto di navigare con qualcuno, mi ha esortata a dare un nuovo volto a tutto ciò che fino a questo momento avevo considerato con un particolare metro e nel ripensare a quanto ho fatto, sono arrivata alla conclusione di non aver fatto molti passi avanti. Potrei direi di non averne fatti affatto” affermò con sorriso malinconico.

Abbassò nuovamente gli occhi. Forse era vero. Lei si era sempre tenuta a distanza, si era sempre comportata come una principessa irraggiungibile ma le persone che si era trovata avanti non volevano certo farsela amica senza avere dei doppi fini. Si era scontrata con altri pirati, sconfiggendoli e mostrandosi più forte di loro; aveva sconfitto la triade nera perché trovava i loro loschi affari alquanto disgustosi e inconcepibili. Rispettava la vita altrui ma non le ingiustizie commesse da queste; sapeva vedere bene le persone per quello che erano e fino a quel momento tutte quelle con cui aveva avuto a che fare, anche se per breve tempo, non erano meritevoli dell’unico elemento su cui lei riponesse sicurezza: la fiducia.

 Quella parola assumeva un significato prezioso quanto il diamante e lei non era il tipo da dispensarla ovunque e con chiunque perché a malapena ne conosceva il reale potenziale, esattamente come il sogno che stava cercando.

“Hai pensato di esserti liberata di una cosa che ti procurava non poco fastidio e invece te la sei ritrovata davanti senza preavviso, giusto?” le domandò seriamente l’uomo, riportandola coi piedi per terra.

La ragazza si trovò costretta a dover far salire i suoi occhi fino all’altezza della testa del Rosso. Per quanto fosse strano, davanti a sé aveva uno dei quattro imperatori. Era completamente diverso da come se lo aspettava; Barbabianca era imponente e bastava sentirne pronunciare il nome per cadere a terra scombussolato mentre il rosso era tutt’altro che spaventoso. Quello che vedeva non era che un comune uomo sui trentasette anni, con i capelli scarlatti, un leggero accenno di barba e baffi ad abbellirgli parzialmente la faccia e un lungo mantello nero a coprirgli il braccio mancante. Per l’aspetto assomigliava ad un qualunque essere umano, era normale ma al tempo stesso non lo era. I suoi occhi mostravano uno spirito vitale diverso da quello di cui lei era padrona, uno spirito cento volte più forte, devastante e sicuro del suo,uno spirito che sapeva richiamare a sé persone diverse e unirle sotto un unico tetto di avventure, viaggi, tutto quello che nella vita viene considerato come magico e senza limiti. Solo un uomo potente come lui poteva arrivare a tanto e racchiuderlo in sé senza lasciare che questo traboccasse inutilmente.

“Ci sono cose a questo mondo che non possiamo risolvere da soli” cominciò lui “Perché troppo grandi per una singola persona. Basta guardare alcune isole e vedere le città costruiteci sopra; non è stata una sola persona a realizzarla ma più persone che hanno collaborato al fine di ottenere qualcosa che li accomunava”

Che parlasse per esperienza o meno, la ragazza provò una strana sensazione: quell’uomo aveva combattuto tante battaglie ed era stato ferito innumerevoli volte ma ne era sempre uscito vivo senza mai vantarsi o accaparrarsi il merito di una vittoria. Non amava particolarmente la guerra ma credeva nei suoi ideali e li percepiva anche in quel momento, anche se erano invisibili. Nessuno aveva mai scoperto cosa volesse il Rosso realmente ma era certo che l’avere una ciurma piena di persone stravaganti e allo stesso tempo sorprendenti fosse una sua prerogativa per farsi riconoscere quel pochino. Solo chi era a stretto contatto con lui poteva immaginare cosa gli passasse in quella testa sorridente ed enigmatica.

“Ma se queste cose fossero diverse da un nemico da sconfiggere?” domandò lei stringendo il boccale con entrambe le mani.

Cercava di rimanere il più impersonale possibile.

“Non significa niente” le rispose sorridendo ”Ci sono tanti modi per affrontare un ostacolo ma tante persone preferiscono evitarlo o ricacciarlo indietro e questo è uno dei motivi per cui esiste il rhum. Vivere senza affrontare dei problemi, ignorarli o credere che questi non esistano non è vivere.” affermò con rinnovata serietà
“E lei pensa che affrontarli da solo sia sbagliato?”
“Oh no. Avere la consapevolezza di ciò che ti assilla è simbolo di maturità e cercare di affrontarli non è certo da stupidi, solo che se non ci si riesce da soli si può sempre chiedere aiuto a chi è disposto a darti una mano. Guarda me, sarò anche considerato uno dei più forti uomini che esistano ma non so nemmeno come si cucina un uovo in camicia!” ridacchiò.

Chiedere aiuto....

Era una cosa a cui Sayuri non era del tutto estranea;dovendo combattere, si era ritrovata in piccoli episodi dove le era capitato di aiutare una persona o due davanti a dei prepotenti che spadroneggiavano la loro arrogante autorità ma non le era mai successo di venire ricambiata o aiutata da qualcuno d’esterno.

“Sayuri” cominciò nuovamente il Rosso, richiamando la sua attenzione “Si vede che sei una ragazza matura e intelligente ma credimi, chiedere aiuto ai propri amici per un problema non è un crimine,al contrario. Se chiederai un loro consiglio, loro sapranno dartelo. In questo modo dimostrerai che ti fidi di loro e loro ricambieranno nell’aiutarti. Come credi che sia arrivato fin qui?”

Le parole dell’onorevole Shanks aprirono le porte di una nuova via che Sayuri non aveva mai intrapreso. Nel bere la tisana, sentì il liquido dolciastro scenderle in gola e sparpagliarsi in tutto il corpo, dandole un brivido di piacere e calore. La via che vedeva non era buia ne piena di nebbia ma bianca, come un foglio; toccava a lei disegnarci sopra, colorarlo e abbellirlo come meglio preferiva. Ora non viaggiava più sola, aveva degli amici. Amici con cui rideva e che voleva difendere perché era una loro compagna. Amici per cui sarebbe sempre stata disponibile. Amici di cui poteva fidarsi e che avrebbero ricambiato in eguale modo la sua fiducia. Adesso anche lei aveva qualcosa a cui tenere a cuore soltanto non sapeva che da questi poteva ricevere forza e sincerità. Sorrise lievemente, nascondendo gli occhi dietro la frangia.

“Onorevole Shanks, le potrei fare un ultima domanda?” domandò con tono dolce.
“Chiedi pure”
“Non vorrei essere invadente ma posso domandarle come ha fatto a perdere il braccio sinistro?”

In tanti gli avevano fatto quella domanda e lui non si era mai stufato di ripetere la risposta. Tutti si chiedevano come fosse stato possibile che lui, Shanks il Rosso, fosse tornato dal mare settentrionale senza un arto e senza il suo inseparabile cappello di paglia, compagno di tante scorribande. I tanti nemici affrontati  gli avevano arrecato ferite lievi e profonde ma da cui si era sempre ripreso. Quand’era tornato nella rotta maggiore, lo stupore nel vederlo privo di un braccio aveva lasciato tutti quanti molto sorpresi ma egli non se ne era mai lamentato, anzi; ogni qualvolta glielo domandassero, lui stringeva con l’altra mano la spalla e sorrideva con una sicurezza tale da spaccare le pietre.

“Ho solo fatto una scommessa con una persona” le confessò con un sorrisetto furbesco “E sono certo che non mi deluderà”
“Sembra aver riposto una grande fiducia in questa persona” intuì la ragazza.
“Certo e come ti ho appena detto, sono sicuro che non mi deluderà”

 

 
Era l’una passata e Sayuri era di nuovo in giro a cercare il punto di partenza. Ora che il sonno le era tornato, era quasi tentata di fermarsi in un qualunque punto ci fossero state delle casse o qualcosa su cui stendersi e mettersi a dormire senza preoccuparsi più di nulla, solo che lì in giro non c’era niente su cui sdraiarsi e l’idea di dormire sul pavimento si stava facendo sempre più incalzante anche se la prospettiva di svegliarsi con un gran bel mal di schiena la scoraggiava un poco. C’era di buono che ora non stava patendo più il freddo di prima ma l’avrebbe provato di nuovo se non si fosse mossa invece di guardarsi intorno in cerca di una possibile soluzione.Poi, nemmeno a desiderarlo, trovò un posto dove riposarsi; alcune casse, insieme a dei sacchi erano stati lasciati lì ai lati e lei ne approfittò per stendersi sopra. Lì o da un’altra parte non avrebbe fatto alcuna differenza. A ritrovare la strada ci avrebbe pensato la mattina successiva. Tastò i sacchi per vedere se potesse sdraiarci sopra. Erano morbidi, decisamente più comodi delle dure e spigolose casse di legno.

“Sempre meglio che dormire per terra” affermò nel sistemarsi.
“Direi di si, visto che il pavimento qui è piuttosto spigoloso” disse Ace comparendo alle sue spalle.
“Ace! Credevo fossi andato a dormire”
“No, ero solo andato a recuperare questo” tra le mani reggeva il suo lungo cappotto rosso, quello che si era dimenticata di indossare quand’era uscita “Nel sonno stavi tremando e così sono andato a cercartelo”

Il cuore mancò un battito. Ace le era rimasto accanto per tutto quel tempo e si era preso pure il disturbo che non patisse freddo. Riuscì a controllarsi e a non arrossire ma avvertì una piacevole ondata di calore pervaderla e farla sorridere con tutta la dolcezza possibile. Le premure del moro verso di lei continuavano sempre più a rasserenarla e si sentì nuovamente in colpa nel avvertire quel blocco all’altezza della gola, pieno di spine.

Non sai quanto vorrei dirti che...che....

Perfino mentalmente non le riusciva di dire che gli voleva bene. Che lo amava. Non sapeva bene cosa la rendesse tanto sicura che il sentimento che provava per lui fosse realmente amore ma voleva credere che fosse quello perché ormai difficilmente poteva pensare che fosse qualcos’altro. Ace solo riusciva a farla stare bene. Aveva un posto speciale nel suo cuore e per quanto il dolore persistente cercasse di farla desistere, stesse provando ad ingannarla dicendogli che se solo avesse detto la verità lo avrebbe perso, lei non avrebbe smesso di provare quel caloroso affetto che provava nei suoi confronti.
E dire che quando lo aveva incontrato a Rogh Town aveva pensato che mai lo avrebbe più rivisto, che dopo quel breve dialogo avrebbe proseguito il suo cammino da sola come sempre aveva fatto sin dall’inizio. Lei non era una persona che si scomponeva facilmente ma in presenza del moro e quando meno se lo aspettava si sentiva così tanto vulnerabile da fargli paura. Giungle River ne era stata una prova però ora quel forte senso di timore non era più così tanto pressante e se quel misto di confusione ed estraniamento che provava quando Ace le era accanto non era altresì che amore, allora era anche a disposta a soffrire un pochino di più perché non voleva perdere quel piacevole calore che le scaldava l’anima,non voleva perderlo. E anche se adesso non poteva far nulla se non tacere, il desiderio di trovare quel coraggio mai avuto per parlare apertamente come mai aveva fatto, cominciò a farsi largo in lei.

“Oh Ace, non dovevi. Adesso sto bene, non dovevi disturbarti ancora”
“Non dire sciocchezze” la rimproverò con filo di serietà “Non posso perdonarmi che tu stia male. Quindi adesso mettitelo”
“Soltanto se tu accetti di metterti il tuo” replicò dolcemente lei “Nemmeno io potrei perdonarmi di vederti ammalato” disse infine nascondendo l’imbarazzo.
“Per quanto mi riguarda, potrei stare anche solo con i pantaloni indosso e non congelerei al contrario di qualcun altro”

Cocciuto fino alla fine ma Sayuri non se la prendeva perché quella sua testardaggine era a fin di bene e questo la rasserenava e al tempo stesso le faceva battere il cuore. Anche se era fatto interamente di fuoco, la ragazza non se la sentiva di tenere e di usare il cappotto di Ace.

“Ace, prendilo per favore. Fallo per me. Sto bene” gli chiese ancora senza mutar tono.

Il moro alzò gli occhi per poi chiuderli ed emettere un lieve sospiro di rassegnazione.

“D’accordo ma solo perché sei tu a chiedermelo. Sia chiaro che se ti vedo tremare di freddo questa notte ti ci lego col cappotto” l’avverti scherzosamente puntandogli il dito contro.
“Eh eh! Come vuoi tu”     

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Capitolo 17
*** L'isola delle perle. Jimbe, il Cavaliere del Mare. ***


Buon mercoledì!lasciando a parte quanto sta succedendo nel mondo di one piece,concentriamoci su questo capitolo che sarà l’inizio di una parte molto,molto movimentata.Avviso fin da subito che forse nelle prossime settimane aggiornerò di sera,dipende dai miei orari di universitari (a dir poco che infernali,arrivo a casa a tardo pomeriggio,sera ormai).Detto questo,passo a ringraziare chi come sempre mi lascia qualche piccola recensione!(chiedo  scusa per la brevità ma ero un pochino di fretta,sorry!)Perdonate anche eventuali errori di ortografia!

Yuki689:Non sai che bello quando ho letto la tua rencesione!è davvero una soddisfazione riuscire a incentrare il carattere di un personaggio,specie se compare uno volta su diecimila come hai detto tu.L’incontro era doveroso,anche perché mi occorreva per forza un capitolo di mezzo se così possiamo dire!Come ho detto la volta scorsa,molti particolare occorrono per il mi diabolico e intricato progetto che spero di riuscire a portare a termine,ora con l’università il tempo per scrivere si è ridotto alla sera,i weekend,durante gli intervalli.Spero che l’ispirazione non mi abbandoni,mi serve per il gran finale!Sulla tua richiesta di avere Sayuri come sorella credo di poterti accontentare solo a un patto:prestami la tua Yume e forse ci penso,io la adoro quella ragazza!!

Maya90:ehi,si non capita tutti i giorni di parlare a tu per tu con un imperatore!potessi farlo io,avrei tante cose da dire….Come hai detto tu,occorre qualcosa di buono in questo momento e continuare la mia storia credo sia la cosa più giusta perché bene o male che siano andate e cose,Ace rimarrà ugualmente il mio personaggio preferito;vuoi la verità?anch’io spero in un miracolo ma se mai non accadesse…beh,non potremo dire che Oda non ci ha risparmiato i colpi di scena.Ti ringrazio tanto per l’abbraccio,ci vuole proprio!!

MBP:non scusarti,è normale;Oda ci ha tirato un tiro mancino che ricorderemo negli annali di one piece.Se avessi tra le  mani chi so io credo che verrei incarcerata a vita e condannata direttamente a morte ma almeno mi sarei tolta una bella soddisfazione.Congratulazioni per non esserti arresa e per aver continuato la fict(Bellissima vorrei aggiungere);se avessimo smesso di scrivere per tu sai cosa,credo che non avremmo mai potuto identificarci come scrittrici.

Beatrix:cara mia,sapevo che avresti apprezzato il capitolo.Riuscire a centrare la personalità del rosso non è stato proprio facile visto che compare pochissime volte quindi ho dovuto prima informarmi,analizzare,mettere tutto insieme e infine incrociare le dita:il risultato mi è parso buono.Shanks è un sognatore particolare che sa quello che vuole e spero sinceramente di vederlo presto in One piece (credo che ora stia combattendo contro Kaidoh).Mi fa piacere che ti sia “innamorata di Sayuri”:l’estremo riverenza deriva appunto dal suo carattere,non poteva di certo darle del tu,è pur sempre molto educata!Se Ace e lei ti fanno ridere aspetta di leggere quello che ho scritto qui….

Angela90:ciao tesorino!!inutile che ti dica che mi fa piacere che tu apprezzi il fatto che Ace e Sayuri si avvicinino e che soprattutto io abbia centrato il carattere di Shanks;non sei la sola a dirmelo ma grazie comunque,fa sempre piacere ricevere dei complimenti anche se finisco sempre per imbarazzarmi,non sono abituata!

 

 

Dopo essersi lasciati alle spalle Yukiryu, l’isola delle perle si stava sempre facendo più vicina. Fu una gioia per molti della ciurma potersi togliere gli indumenti pesanti e passare a quelli più leggeri; il freddo dell’isola invernale era stato più che sufficiente a farli desiderare il caldo del deserto, specialmente a Bonz.

Per tutto il tragitto del ritorno e il tempo impiegato per la partenza, Sayuri era rimasta assorta nei i suoi pensieri, senza parlare: il piccolo colloquio avuto con l’imperatore rosso era una questione su cui era indecisa se parlarne o meno a Ace ma gran parte del suo ragionamento la improntava a scegliere di tenersi per sé quell’episodio, almeno per ora. Era stato a dir poco sorprendente come quell’uomo le avesse aperto la mente su una prospettiva totalmente diversa da quelle che era solita vedere e ancora adesso ci ripensava con tutta calma, nonostante fosse concentrata sul suo lavoro di navigatrice; la mano sinistra impugnava la piuma d’oca la cui punta era bagnata di inchiostro nero mentre la destra teneva ferma il foglio e ogni tanto spostava indietro le ciocche dei suoi lunghi capelli dietro l’orecchio. Lavorare alla realizzazione di nuove cartine l’aveva sempre rilassata: non prendeva quel fare come fosse un lavoro, le faceva piacere perché ogni foglio diventava una testimonianza di un dato luogo che aveva visitato. Yukiryu non sarebbe rimasta impressa nella sua memoria solo per l’incontro col Rosso o per il suo sfogo con Ace: lo avrebbe ricordato come il punto d’inizio di una sua nuova veduta del mondo.

“Oggi sei fra le nuvole” affermò Don nel ripulire i suoi strumenti.

Entrambi si trovavano nella stessa stanza a lavorare senza troppe distrazioni.

“Può capitare. Sono pur sempre un’umana” gli rispose lei distinta e sempre tenendo sott’occhio contemporaneamente il log pose e la cartina.

Dopo una sbronza con i fiocchi, la mente di Don diventava temporaneamente così lucida da non lasciarsi mai scappare nessuna anomalia che riguardasse le cose o le persone. Se ripensava a quanto era successo dopo quelle tredici birre bevute tutte d’un fiato, a Sayuri quasi scappò uno sbuffo divertito, che non sfuggì al medico-cecchino.

“Strano, pensavo che santa Sayuri fosse perfetta sotto tutti i punti di vista, esclusi quei adorabili aracnidi a otto zampe” ironizzò col suo tono lievemente pessimista. Alla ragazza parve quasi di scorgere un lieve risolino in quell’affermazione.
“Ti dò l’impressione di essere perfetta?” gli domandò sorridente
“No, mi dai l’impressione di una persona che dubita di sé stessa” replicò colpendo il punto della situazione “Problemi?”

Don era uno svogliato. Un individuo dal carattere poco improntato a sorridere come fosse la felicità in persona e si sapeva. Era sempre schietto, non gli passava mai per la testa di occultare pensieri e parole con termini più eleganti: se diceva una cosa, la diceva a modo suo e se doveva rimproverare qualcuno, non esitava a farsi odiare. Era persona insopportabile per chi non era in grado di vedere cosa avesse davanti al naso ma lo faceva unicamente per dimostrare che mentire, anche se a fin di bene, era sempre sbagliato. Era una persona su cui si poteva contare e che teneva alle persone, agli amici che contraccambiavano la sua fiducia e Sayuri lo sapeva, altrimenti non si sarebbe interessato al suo umore. Anche se considerava le donne gli esseri più problematici al mondo, non poteva certo ignorare la ragazza, anche se a volte non riusciva proprio a capire la sua insulsa e a volte esagerata generosità ma la verità era che in fondo, molto in fondo, ormai la considerava un’amica e vederla assorta a quel modo lo aveva spinto a pensare che forse anche lei poteva avere dei problemi.

“No, stavo solo riflettendo su una cosa che mi è stata detta” si limitò a dire lei “E a forza di pensarci ho capito che se voglio trovare ciò di cui ho bisogno, devo impegnarmi come si deve, senza lasciarmi condizionare da qualunque cosa mi si pari davanti” gli disse elargendo un sorriso dolce dalle sfumature determinate.
Don sospirò “Per renderti così pensierosa deve essere qualcosa di grosso. Mi auguro che tu l’abbia risolta veramente questa faccenda, altrimenti se la prenderanno con me”
“Eh eh, non ti preoccupare: nel caso qualcuno sospettasse di te, negherei il tuo coinvolgimento e comunque ora sto bene” gli assicurò tornando alle sue carte.
L’amico parve più sollevato “Meglio così ma forse questo dovresti dirlo a Ace. Per tutto il tragitto fatto per tornare alla nave non ha fatto che guardarti con un’espressione cupa” le rivelò.

A quella novità, Sayuri distolse nuovamente l’attenzione dalle mappe, con il rischio che il log pose le sfuggisse dalla mano.

“Quando si è accorto che mancavi alla festa è venuto subito a cercarti e quando stamattina l’ho visto, era come se fosse appena stato a un funerale. E’successo qualcosa?”

Nel ruotare gli occhi verso sinistra, inclinando insieme la testa, la ragazza vagò con la mente indietro nel tempo. Il suo attimo di debolezza le era costato più di quanto pensasse ma alla fine aveva ottenuto qualcosa che l’aveva rinsavita: conforto.Ace le era rimasto accanto per tutto il tempo necessario,le era sempre apparso col volto sorridente ma probabilmente si era lasciata convincere troppo velocemente dalle sue stesse impressioni se adesso veniva a sapere che si stava ancora preoccupando per lei; non avendogli detto nulla al riguardo, era logico pensare che attualmente i suoi pensieri si fossero tramutati in domande prive di risposte e questo a Sayuri dispiaceva, perché non voleva vedere Ace soffrire per causa sua ma non voleva nemmeno confessargli ogni cosa o meglio, non poteva. Sentirsi una stupida ingrata non bastava, lei non era pronta ad aprirsi ma di certo non avrebbe lasciato il ragazzo con quella preoccupazione e con quell’ansia a tormentarlo.

“Non mi sono sentita bene e lui mi ha aiutato” rispose all'amico guardandolo dritto negli occhi.

Il medico-cecchino smise di passare il panno sui suoi strumenti nel sentire gli occhi della castana su di sé. C’era qualcosa di diverso in lei e ne ebbe conferma nel vedere quel riflesso blu guizzare nei suoi occhi, che subito scomparì dietro a un che di più intenso e meno enigmatico. Non era capace di vedere cosa ci fosse oltre, quella sorta di forza invisibile che accerchiava la ragazza lo respingeva come fosse una corrente ostile. Poi però, la vide sorridere con più spontaneità e quell’ostilità percepita, si acquietò, lasciandolo finalmente a capire cosa avesse spinto Ace a cercarla e farsi tante domande su di lei. Per certi versi, rimaneva ancora un mistero ma tutto sommato, nei profondi recessi del suo animo, ma davvero molto in fondo, non considerava quella ragazza poi così problematica ma mai lo avrebbe detto a voce. Costava tempo e fatica trovare le parole giuste e in quel momento era già preso a pulire i suoi strumenti da laboratorio.

“Vado a cercarlo. Finirò il lavoro più tardi” gli disse lei uscendo dalla stanza.

Abozzando quello che teoricamente doveva essere un sorriso, Don asserì mentalmente che quella era la cosa giusta da fare.

 


“Ace, posso entrare?”

Sayuri aveva bussato tre volte alla porta della cabina del capitano ma senza mai avere una risposta.Constatato che non si trovasse lì, lo cercò in cucina e nelle altre stanze, chiendo ai suoi compagni, per poi ritrovarsi sul ponte con niente tra le mani. Ace non si trovava da nessuna parte. Quando voleva, il moro sapeva eclissarsi ma la ragazza era sicura che prima o poi lo avrebbe trovato; non poteva di certo aver deciso di farsi un bella nuotata in mezzo al mare visto che sarebbe andato a fondo come un pezzo di piombo, quindi doveva trovarsi sulla nave per forza.Nel levare gli occhi al cielo, si confrontò con la luce del sole, che di tanto in tanto veniva deviata dalle vele gonfiate dal vento e nel guardare l’albero maestro, ebbe un intuizione; si arrampicò fino in cima e una volta arrivata, riversò i suoi occhi sulla figura seduta nell’abitacolo.

“Ace”

Il giovane capitano dei pirati di picche era comodamente seduto all’interno della vedetta: il cappello arancione con i vari decori nascondeva gran parte del viso, esclusa la bocca, piegata in una linea all’ingiù. Dalla posizione pareva che stesse dormendo ma non appena sentì pronunciare il suo nome, con il dito indice alzò il copricapo dalla falda intarsiata di perline rosse, per vedere chi lo stava chiamando.

“Sayuri” disse nell’apostrofare un sorriso storto “Che succede?”
Per tutto il tragitto fatto per tornare alla nave non ha fatto che guardarti con un’espressione cupa.

Nel ripensare all’affermazione fatta da Don, una forte amarezza investì la navigatrice . Leggeva in Ace l'astio e nonostante la stesse osservando con quell’espressione sorpresa e allegra, Sayuri si sentiva ugualmente in colpa. Era fin troppo brava a criptare le persone, era una sua dote: non era tanto per i segni o i gesti che compivano ma più che altro, per il brusco cambiamento che avveniva nella loro forza vitale, così lei la chiamava: aveva sempre visto la determinazione di Ace come una sottile fiamma cremisi alzarsi orgogliosa in cielo, per potersi mostrare a tutti quanti senza alcuna vergogna. Ma ora quella forza si era notevolmente affievolita ed era nera come la pece, senza alcun riflesso, totalmente opaca.

“Ti stavo cercando. Va tutto bene?”
Ace aggrottò le sopraciglia ancora più sorpreso “Certo, perché me lo chiedi?”
“Ecco..” cominciò cercando le giuste parole “Avevi un espressione così rabbuiata che ho pensato stessi pensando a qualcosa di poco piacevole.” confessò.

Nel rilassare i muscoli del viso, Ace respirò con un che di sorpreso negli occhi; un misto di serietà e calma lo coprì interamente, nonostante avvertisse il sentimento di Sayuri cercare di rimanere laddove doveva stare. La sua abilità, sviluppata con anni e anni di esperienza, le stava mostrando un lato del ragazzo che le faceva paura; le sembrava di camminare nel buio e che non ci fosse modo per tornare indietro. Aveva tante possibilità di centrare il primo passo quanto quelle di sbagliare e peggiorare le cose ma in quel momento, non voleva ne addentrarsi ne tornare indietro; poteva capire bene in quale condizione emotiva lui si trovasse, lo immaginava bene, perché era identica alla sua e quindi era ben conscia che l’unico modo d’agire possibile era quello di non insistere.

“So che non è affar mio ma non voglio che tu mi sorrida solo per rassicurarmi. So che c’è qualcosa che ti angustia e non volevo che insorgesse per causa mia. Non ti chiederò nulla ne ti assillerò, perché so bene che davanti a certi problemi si vuole essere forti abbastanza da affrontarli da soli, però se il motivo del tuo rabbuio è insorto per colpa mia, allora voglio scusarmi”

Anche lei aveva notato che Ace era strano, non solo Don ma temeva di toccare un tasto troppo intimo se solo avesse provato ad approfondire la conversazione. Ogni persona tendeva a nascondere qualcosa dentro di sé, anche se si trattava di insignificante e Sayuri ne sapeva qualcosa e pertanto, se Ace avesse preferito non parlare di certe cose, lei non sarebbe stato tanto sciocca da indurlo a confessarle quel che preferiva tenere per sé. Forse era un po’tardi per pensare ai dettagli ma quella sua consapevolezza era risorta con l’immagine di quell’abbraccio sotto la neve. Lì Sayuri aveva percepito un secondo sentimento oltre a quello di conforto: nel chiudere gli occhi, lo rievocò come stesse chiamando a sé l’haki e alla fine lo percepì nuovamente vicino a sè: Ace le aveva trasmesso comprensione. Si era creata un’affinità in quell'istante, un legame tanto sottile quanto forte, che gli occhi della castana vedevano come un filo violaceo legare il suo polso a quello del moro.

Nello stargli di fronte, nel viaggiare sotto il suo comando, aveva compreso che quel che più gli piaceva di lui, che la incantava tanto da farla vacillare, era il vederlo sorridere; il sorriso di Ace era spensierato proprio come quello di un bambino, sincero in ogni sua sfaccettatura e quando lo vedeva dipinto sul volto del ragazzo a cui voleva tanto bene, si lasciava avvolgere volentieri dalla sua allegria. Non sapeva bene che reazione si aspettasse dal suo capitano dopo avergli detto quel che pensava ma vederlo scoppiare a ridere, portandosi la mano sulla fronte, la ammutolì di punto in bianco.

“Tu sei davvero incredibile!!” esclamò calmando le proprie risate con la castana che lo fissava incredula.

Si alzò in piedi e nel portarle una mano sulla testa, le disse: ”Non riuscirò mai a capirti! Stai sempre a preoccuparti per gli altri e mai per te stessa e ti scusi come se avessi commesso un reato imperdonabile. Sei davvero troppo buona! Ah ah ah ah!!” continuò allegro nell’accarezzarle i capelli dolcemente. I loro visi erano molto vicini, come l’ultima volta.

 Sayuri si sentì ancor più persa di prima e la mano di Ace sulla sua testa non la stava aiutando a mettere in ordine le sue idee. Non si era sbagliata, le sue percezioni non l‘avevano mai ingannata, però Ace non le stava mentendo con quella risata, affatto.

“Ace..”

Funse da richiamo quel pronunciare il suo nome con un che di timore nel fondo. Sayuri lo guardava tendendo una mano stretta al petto mentre con l’altra si reggeva per non cadere all’indietro. L’aver fatto emergere inconsapevolmente qualcosa di oscuro, la spinse amaramente a dubitare di quella risata e quando poi scorse quel cenno di serietà tornare sul viso di Ace, ne ebbe la piena conferma. Quell’alone nero non si era dissolto del tutto. Era ancora lì, e da come Ace cercasse di occultare i suoi occhi, era evidente che di qualunque segreto si trattasse, per il ragazzo sembrava essere davvero imperdonabile.

“Si è vero” esordì tetro ”C’è una cosa di me che preferisco tenere nascosta. Quando ti ho vista piangere mi è sorto un dubbio che mi ha fatto pensare a questo fatto. Non ne vado affatto orgoglioso, anzi...mi disgusta” sibilò.

Il suo sguardo si era assottigliato a tal punto che le pupille erano ridotte a due fessure. A Sayuri fece di nuovo paura. Non lo aveva mai visto con quell’espressione, era un’altra persona, completamente diversa dal vispo e allegro ragazzo che conosceva. Nonostante la sorpresa, non distolse lo sguardo. Doveva essere pronta ad aiutarlo.

“Tu hai le tue ragioni per non dirmi nulla e come ti ho già detto, rispetto il tuo volere ma riflettendoci ho pensato, e di questo sono sicuro, che tu al contrario di me hai pagato delle pesanti conseguenze ed è per questo che vederti piangere mi ha fatto così male”

Strinse i pugni e nuovamente il cappello oscurò il suo viso, cosicché potesse nascondere a tutti quello che il suo stato d’animo stava esprimendo ma Bianco Giglio potè comunque avvertire che quello che Ace stava reprimendo con il solo pensiero, era un rancore così sviscerato e immenso che gli dava la nausea anche solo sfiorarlo. Avevano una cosa in comune ma entrambi la tenevano nascosta per non dover odiare o soffrire. Sapeva di condanna, una condanna decisa ancora prima che si incontrassero, che nascessero.Ace aveva visto in Sayuri una forza così grande da essere paragonata solo a quella che l’aveva fatta piangere e per questo si era sentito un verme, perché non era riuscito a impedire che il male interiore della ragazza la toccasse. Se quello che pensava era vero, allora avrebbe dovuto dirle di non rattristarsi e di non stare a pensarci, perché quella persona o quelle persone non avevano fatto altrettanto, che non meritavano le sue lacrime ma la giovane era così sensibile, che più che per se stessa, guardava gli altri, dimenticandosi invece di quanto poteva essere felice e questo a lui non andava giù. Nel sentirsi sfiorare e infine toccare la spalla, l’ostinazione e quella repulsione che stava autoalimentando svanirono. Sayuri era lì, con la sua dolcezza a placare anche l’istinto più violento. Ormai la sua presenza era diventata indispensabile, che neppure ricordava da quanto fosse lì.

“Resta qui, con tutti noi” gli chiese “Non possiamo andare avanti senza il nostro capitano”

Era il suo modo di dirgli che andava tutto bene e che avrebbe mantenuto la sua promessa. A quel punto Ace fu pervaso da una quiete purificatoria, che lo trascinò via da quei pensieri e lo riportò lì, dove c’era lei. Afferrò saldamente quella mano per fargli capire che era ancora lì e ci sarebbe rimasto.

Io ti farò diventare il Re dei Pirati. Hai la mia parola, Ace.

Ed Ace non ebbe più motivo di rivangare nel passato.

Nell’incatenare i suoi occhi neri a quelli color cioccolato della ragazza, calò un silenzio privo di imbarazzo e di parole. Inconsapevolmente, si erano trovati e nello stringere con più vigore la mano della ragazza, Ace tornò definitivamente nel presente; la pace che si creava ogni qualvolta lei fosse nelle vicinanze, era si dirompente ma al tempo stesso calma e silenziosa, tranquilla come il leggero vento che piegava i morbidi fili d’erba di un prato. Fin dall’inizio era rimasto incuriosito da quella ragazza ma solo dopo averla guardata negli occhi, aveva compreso perché fosse così particolare: le iridi marroncine nascondevano fascino e dolcezza, potere e calma ,beltà e candore. La sua sola presenza, bastava perché quel magnetismo che esercitava senza intenzionalità, attirasse a sé anche i meno curiosi. La sua natura elegante, i lineamenti fini e la sua volontà forte e pura quanto il diamante, la rendevano identica, se non superiore, a una principessa ,anche se irraggiungibile per via di quello strano senso di distacco che si creava intorno a lei e che fermava chi voleva conoscerla più a fondo. Era buona e gentile ma riservata e solo lui aveva avuto la cocciutaggine necessaria per fare quello che altri nemmeno avevano pensato di compiere; difatti, adesso lei faceva parte della sua ciurma e questa era stata una piccola grande vittoria che sempre gli avrebbe fatto piacere ricordare, anche se al momento aveva un altro tipo di vittoria nella testa che lo faceva sorridere furbescamente. Un piccolo episodio accaduto la notte precedente per essere più esatti.....

FLASHBACK

Era incredibile.
Ace non riusciva proprio a prendere sonno ed era quasi giunto al punto di desiderare che la narcolessia lo colpisse nonostante quella si presentasse sempre in momenti poco richiesti come il pranzo. Tutta Yukiryu dormiva placidamente sotto quella brillante coltre di neve, tranne lui.

Sbuffò, rilasciando dalla bocca un piccola e calda nuvoletta d’aria, per poi sistemarsi il capello in modo tale da coprirgli la parte del superiore del viso, stropicciandosi gli occhi con il pollice e l’indice; tempo sette secondi e optò per toglierselo, sospirando pesantemente una seconda volta e passandosi una mano fra i capelli neri. In verità non era stanco, affatto ma desiderava comunque crollare come spesso gli capitava di fare in altre occasioni, puramente per smettere di vedere impressa nella sua mente quell’immagine che gli stava straziando il cuore, arrivando addirittura a togliergli il respiro; vedeva ancora Sayuri piangere e quando tentava di allungare la mano, lei si allontanava, fino a diventare un punto a malapena distinguibile nel buio. Percepiva il gelo provato in quel momento di shock, i suoi occhi lucidi e rossi, la sua paura salirgli su per la schiena e spezzargli la spina dorsale in tantissimi pezzettini.
Era ancora tutto lì, nella sua mente, vivo e pulsante come un organo. La vedeva nella sua mente ma nella realtà lei stava dormendo su alcuni sacchi dietro di lui, tranquilla e senza agitarsi nel sonno. Nel girarsi di schiena e senza fare alcun rumore, si mise in ginocchio cosicchè da guardarla dall’alto verso il basso; era sdraiata sul fianco sinistro, con un braccio piegato sotto la testa mentre e l'altro vicino al ventre piatto. Il petto si alzava e si abbassava regolarmente e il suo respiro era talmente effimero che solo a una distanza molto ravvicinata si poteva sentire. I lunghi capelli le ricadevano sulla spalla scoperta dal cappotto, le folte ciglia femminili erano ben evidenti come i dolci lineamenti che contornavano il suo viso, un poco rossiccio per la temperatura. Le labbra, uniche a non risentire del freddo, erano appena dischiuse.

Mi stai tentando in una maniera indicibile, piccola Sayuri. Si ritrovò a pensare quando, senza volerlo, si piegò in avanti, dandosi appoggio con gli avambracci.

Il denominarla piccola non era un fattore ricollegato alla sua età o alla sua altezza; non poteva sapere che quella giovane era nata solo due mesi dopo di lui ma ugualmente la ricollegava a quell’aggettivo perché da Gungle River in poi, fino a qualche ora prima, aveva scorto in lei la sua reale facciata; una bambina dal volto semicoperto dai capelli, rigato dalle lacrime e dal sorriso incurvato all’ingiù. Con l’indice e il medio della mano destra, le accarezzò i capelli con tocco invisibile, fino a far discendere le dita lungo la linea dello zigomo, per poi solleticarle la guancia rosea. E intanto il suo volto veniva accarezzato dal respiro di lei, sempre più vicino. Non sarebbe stato affatto corretto a farlo, anzi sarebbe stato veramente sleale e subdolo: quella che si apprestava a baciare non era una persona qualunque ma Sayuri, la piccola e dolce Sayuri che aveva promesso di non far soffrire. Se la parte ragionevole di lui gli stava imponendo categoricamente di allontanarsi da lei, la parte istintiva, dettata dal cuore, non faceva che affermare l’insufficiente quantità di ragioni necessarie a fermarlo. Il semplice fatto di sapere che era sbagliato, fece comparire quel suo sorrisetto da canaglia istantaneamente, che trasformò in qualcosa di più sognante nel mentre si soffermava ancora un attimo sul viso della castana.

Non era che un semplice bacio quello che voleva darle, non era altro che il suo voler soddisfare un capriccio e un desiderio egoistico il suo. In fondo, lui rimaneva pur sempre un uomo e il fatto di essersi frenato prima, davanti alle lacrime di lei, lo sollecitava a compiere quel gesto all’insaputa della bella ragazza.

E dire che ho promesso di non ferirti. Pensò mentre le sue labbra andavano a toccare quelle addormentate di lei.

FINE FLASHBACK.

“Ace? Va tutto bene? Ace, mi senti?”
“Ah!”

Scosso dal tocco leggero della mano di Sayuri, Ace sbattè un paio di volte le palpebre, ridestandosi così da quel ricordo così vivido e vicino. Raccolta una buona manciata di secondi per mettere in ordine le idee, sorrise allegramente alla ragazza, sistemandosi come di consuetudine il cappello. La castana lo guardava confusa, con la testa piegata di lato e con quel lieve velo di preoccupazione rivolto unicamente a lui.

“Anche se avevi gli occhi aperti ero convinta che fossi caduto in un altro attacco di narcolessia. Non mi rispondevi” gli disse.
“Ah ah! Non ho ancora raggiunto un simile livello e poi credo che nemmeno mi accorgerei di avere gli occhi aperti se dormo” rise portandosi una mano sulla fronte.
“Penso di si, però devo ammettere che avevi un espressione felice” sorrise lei.
Si, ed è meglio che non ti dica il perché.

In quel momento era combattuto tra la voglia di sorridere e il leggero senso di colpa che gli stava urlando di essere un vero e proprio approfittatore. E intanto la dolce Sayuri si stava preoccupando per nulla, ignara di cosa il suo capitano avesse combinato. Quel suo lato ingenuo era così tenero e buffo che era paragonabile solo a quando arrossiva: uno spoettacolo davvero unico...

“Ma sono contenta...” mormorò poi lei addolcita “Almeno ti ho distratto. Davvero Ace, ho realmente temuto che ti fossi allontanato da tutti”

....però la sua preoccupazione, quella particolare preoccupazione che rivolgeva a lui, gli dava un senso di benessere interiore. Era risaputo che Bianco Giglio si preoccupasse prima della vita degli altri e poi della sua ma era palesemente ammirevole il fatto che lei fosse sempre lì, pronta anche solo ad ascoltare. Tecnicamente era lei quella che aveva passato un brutto momento ed era sempre lei quella il cui dolore non voleva lasciare libera ma ciò nonostante, agiva secondo il suo volere e sorrideva per farsi forza e andare avanti. Sorrideva per non dover far preoccupare gli altri e si impegnava nel farlo perché ora aveva degli amici e questi amici non dovevano penarsi per lei.

“Sta tranquilla, non ho intenzione di andare da nessuna parte, non senza di voi” la rassicurò.
“Mi fa piacere sentirtelo dire”
“Ehi,voi due!! Se avete finito di fare i piccioncini, il pranzo è pronto!!!!” urlò dal basso Don.

 


“Terra in vista!”

L’isola delle perle era piuttosto piccola, spesso non segnalata sulle mappe ma comunque abitata da un considerevole numero di persone; i pochi che ne conoscevano l’esistenza, sapevano che lì e soltanto lì si praticava l’elaborazione delle perle ed anche il loro commercio. Le acque attorno al teritorio ne erano cariche e gli uomini pesce si occupavano di raccoglierne la giusta quantità per poi lasciare che gli alleati umani le trasformassero in gioielli da rivendere ai vari mercati marittimi e terreni: era un lavoro svolto in perfetta armonia e senza intoppi.Sayuri era curiosa di visitare l’isola e di scoprirne le meraviglie considerando il fatto che il log pose ci avrebbe impiegato si e no quattro giorni a registrarne il magnetismo, se i suoi calcoli erano esatti. Era contenta che fossero arrivati almeno così avrebbe visto Ace più rilassato, anche se una vocina interiore le stava suggerendo di non esserne tanto sicura e per quanto cercasse di ignorarla, alla fine, come attraccarono, non potè che pensare che quella sua vocina interiore aveva più che ragione.

Da lontano si vedeva il paese ma quel che aveva attirato l’attenzione, si trovava proprio a qualche metro da dove avevano attraccato la nave: lui era lì, accompagnato da altri tre individui.

Il primo da destra era alto, con la pelle bagnata e grigiastra, le cui fattezze rispecchiavano alla perfezione quelle di uno squalo bianco; il fisico imponente e muscoloso, classico negli uomini pesce, era accompagnato da un’espressione austera, scocciata, ben poco propensa ad ascoltare una conversazione.Non indossava che un kimono sguarcito dalle maniche strappate, con solo un grossa cintura nera a simboleggiarne il livello e una grossa pinna sulla schiena che spiccava in maniera assai vistosa.Più in basso, si aveva un pesce martello molto anziano, dalle lunghe e folte sopracciglia bianche che coprivano i piccoli occhi tondi. Se ne stava seduto a terra e fisicamente parlando, le sue fattezze erano pressochè identiche a quelle di un bambino di sei anni ma un ulteriore occhiata ben più accurata, permise ai nuovi arrivati di scorgere in quella creatura molta più forza interiore di quanto i suoi muscoli mostrassero; tra le braccia conserte teneva un lungo bastone marrone scuro, che quasi si confondeva con le vesti da samurai avente indosso.Il terzo colpì molto di più l’attenzione perché non era un uomo pesce ma bensì un essere umano, più precisamente un ragazzino: alto, smilzo e coi capelli rossicci che gli ricadevano sui occhi azzurri che teneva fissi sulla ciurma appena arrivata, portava stretto alle spalle un lungo fucile a tracolla. Se avessero dovuto azzardare sull’eta, gliene avrebbero dati 16. Don riconobbe in lui un cecchino.

Ed infine, c’era lui: un enorme squalo balena dalla pelle bluastra, con una barbetta nera e ispida accompagnata da curiose sopraciglia arrotolate. Sosteneva lo sguardo di Ace senza lasciar trapelare alcuna incertezza o paura. Il kimono che indossava era rosso, con risvolti neri e maniche larghe che arrivavano fino ai polsi.

Il vederlo in prima persona, permise a Sayuri di indentificarlo come Jimbe, il Cavaliere del Mare, un membro della flotta dei sette, l’individuo di cui non ricordava il nome.

“Sei Jimbe della flotta dei sette, vero? Piacere di conoscerti, mi chiamo Ace” si presentò il moro. Dal tono, il capitano dei pirati di picche non era sorpreso, anzi: era come certo che l’avrebbe trovato lì.
“So chi sei” grugnì l’uomo pesce “E penso di conoscere la ragione della tua presenza su quest’isola ma per essere sicuro te lo chiederò ugualmente: perché sei venuto qui?”

Di certo sapeva come usare le parole. La diplomazia doveva essere un suo punto forte perché Sayuri aveva ben analizzato ogni dettaglio di quelle frasi, partendo dal tono e terminando coi movimenti: si era dimostrato rilassato ma non del tutto propenso a fornire quello che il suo capitano voleva e inoltre, non aveva gesticolato o stretto i pugni: era sicuro di sé e di quel che diceva.

“Speravo di trovarti” cominciò Ace “So che puoi dirmi qualcosa di molto interessante”
“Bada a quello che chiedi e come lo chiedi, umano! Devi portare rispetto al sommo Jimbe!” scattò qualcun'altro.

A parlare era stato lo squalo bianco, in un attacco d’ira improvviso.

“Togai!” lo rimproverò il Cavaliere del Mare. Il suo volto si era oscurato “Controlla il tuo istinto”

Il discepolo annuì e tornò al suo posto “Chiedo scusa maestro” disse con voce più controllata.

Anche se di sfuggita, Sayuri lo udì pronunciare “Tsk!Umani..”

Anche Don e Bonz se ne erano accorti.

“Che cos’è che vuoi sapere, Portuguese D.Ace?” gli domandò per la seconda volta tornando a fissarlo.

Il silenzio era dominante e tutti attendevano con trepidazione, sollecitati dalla tensione. Da dove si trovava la castana, era impossibile vedere cosa fosse dipinto sul viso del capitano ma poteva già ben intuirlo basandosi sul suo carattere: un sorriso di sfida, storto, che si alzava da sinistra per poi scendere a destra.

“Voglio incontrare Barbabianca”

Se prima il volto del flottaro era rabbuiato parzialmente, ora lo era del tutto: i suoi dubbi dunque erano veri e le parole di Ace a tale riguardo non gli erano piaciute per niente. La sua terra era in pace grazie a quell’uomo e sentirsi debitore non poteva compensare completamente a quel gesto; per tale motivo, a quella risposta, strinse i pugni e assottigliò gli occhi nel rispondergli.

“Non se ne parla. Per quanto ne so potresti essere un assassino. Vuoi forse sfidarlo?”
“E anche se fosse?”

La situazione era entrata nel vivo di quel conflitto apparentemente passivo. Ciascuno dei presenti era paragonabile a una corda di violino davanti all’incombente realtà di uno scontro con gli uomini pesce ma non tutti erano dei pezzi di legno; Don reggeva già nella mano destra il suo fucile e Bonz era in posizione d’attacco, con i pugni serrati.Sayuri si teneva pronta all’evenienza, con le gambe pronte a scattare. Dei tre alleati di Jimbe, Togai era quello più ansioso di scendere in campo, gettando da parte la sottile arte della pazienza a sua disposizione. Erano pronti ma non si avvertì alcun segnale, non si vide alcuna scintilla far scattare quei fuochi contrapposti. Jimbe era ancora lì, con una proposta che di certo non implicava consegnare liberamente informazioni sul Re dei Mari.

“Lottare qui sarebbe indecoroso, ci sono vite che non devono essere coinvolte tuttavia non ti posso permettere di incontrare il vecchio. Se vuoi continuare questa discussione, spostiamoci al santuario di Fisher Tiger. Noi due soli” propose.

Il santuario nominato dallo squalo balena si trovava nella zona più remota dell'isola delle perle; si trattava di un lembo di terra unicamente ricoperto di rocce che periodicamente veniva isolato dal resto dell’isola dalla alta marea, che creava dei vortici impossibili da aggirare o superare. La marea saliva per qualche giorno per poi ritirarsi e scoprire il sentiero e il momento in cui questa si sarebbe presentata era vicino; proprio per questo, Jimbe aveva chiesto a Ace di andare là e da solo. Nessuno li avrebbe disturbati.

“D’accordo ma a una condizione”
“Quale sarebbe?”
“L’incolumità. Per tutta la durata della nostra “discussione”, i tuoi servitori non dovranno attaccare la mia ciurma e viceversa. Non voglio che nessuno dei miei compagni rimanga coinvolto e nemmeno tu sembri il tipo da lasciar correre inutili ai tuoi alleati”
“Mi sembra giusto. Accetto” rispose. Si avvicinò alla costa e si preparò ad immergersi “Per arrivare al santuario ci vuole un giorno ma a nuoto diminuiremo drasticamente il tempo. Hai un mezzo con cui seguirmi?”

Non c’era bisogno che glielo chiedesse perché Ace si era già fatto portare giù lo Striker, la sua comoda imbarcazione alimentata dal suo stesso fuoco. D’aspetto, si avvicinava a quello di una tavola da surf monoposto, con una piccola vela ai cui piedi era stato costruito un motore che potesse immagazzinare il fuoco del moro e gli permettesse così di viaggiare a velocità elevatissime.Con quello avrebbe potuto tenere testa anche a uno squalo balena come Jimbe.

“Fa attenzione Ace. Non è un avversario da prendere sottogamba” lo avvisò Sayuri leggermente preoccupata.
“Sta tranquilla. Ci parlo soltanto” le assicurò facendole l’occhiolino.
“Si, per due secondi” si aggiunse Don col tono di chi sapeva come realmente si sarebbero svolte le cose.
“Hai così poca fiducia in me?” sghignazzò il moro.
“Non è una questione di fiducia, solo che conosco il tuo ego come le mie tasche” replicò.
“Già, sappiamo tutti che non ti piace perdere” incalzò Bonz.
“Siete davvero simpatici quando volete” sbottò lui “Quando ritorno facciamo i conti”
“Lo sai che vogliono solo aiutarti. Non lo dimostrano ma anche loro sono preoccupati” rivelò la ragazza.
“Parla per te, Sayuri” brontolò Don, schioccandole uno sguardo malefico.
“Ma è vero. Io sono preoccupato e anche tu lo sei” aggiunse bonariamente il cugino.
“Cuciti quella bocca e mettiti gli occhiali” sibilò stizzito il medico-cecchino.

La pantomima creata servì ad alleggerire quel momento ma quando Ace partì con lo Striker seguendo a ruota il membro della flotta dei sette, il silenzio calò nuovamente. I tre alleati dello squalo balena si erano defilati immediatamente, ritenendo la loro presenza del tutto inutile.

“Sarà una lunga attesa” affermò Don
“Lo credo anch’io. Avranno molto di cui discutere”disse Sayuri.
“Immagino ma stare qui come delle belle statuine non servirà a nulla. Vediamo di organizzarci” boffocchiò dirigendosi sulla nave.
“D’accordo” fece per seguirlo ma poi si voltò un ultima volta verso il mare, lasciando che la brezza marina gli sollevasse i capelli.
Speriamo che vadi tutto bene. 

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Capitolo 18
*** La predizione della sibilla. Attacco a tradimento. ***


Buonasera a tutti!prima di lasciarvi al capitolo,saluto coloro che seguono e recensiscono la fict,in particolare porgo i miei saluti alla nuova arrivata Sachi Mitsuki.E’ sempre bello conoscere gente nuova,è un po’ come allargare la propria famiglia!Magari vi aspettavate un capitolo movimentato visto il precedente ma questo sarà tranquillo ma come ho già detto,molte piccole parti occorrono per formare qualcosa che verrà svelato più avanti quindi se siete curiosi continuate a leggere!passiamo alle recensioni!

MBP:ciao carissima!beh,non si può dire che Ace sia un santarellino,almeno nelle nostre fict!noi due sappiamo bene che è gentile ma a noi piace vedere anche quel suo lato da “canaglia”,per così dire.Jimbe poi,lo costruito basandomi sulla sua morale;è un uomo…anzi no,un pesce d’onore ma anche lui è una testa calda (anche qui sono andata a informarmi) visto che già dall’aspetto non è una personcina che si fa mettere sotto i piedi da qualcuno.Se poi fosse stata lì  anche la tua Keyra forse l’isola sarebbe saltata in aria…ih ih ih!ovviamente la tua nereide è sempre ben apprezzata,si intende!!

Maya90:cara la mia Maya, che bello sentirti dire queste cose!con tutto quello che sta succedendo,le tue parole mi rendono più calma e felice;ora come ora voglio solo poter fare una cosa:continuare a scrivere in tranquillità senza lasciarmi influenzare da niente e da nessuno.Dopo il 575 (e li si sono avverate tutte le mie previsioni;sapevo che il maledetto sarebbe saltato fuori!) ho calcolato e valutato con razionalità la situazione e sono arrivata a una conclusione(una delle tante,specifichiamo):caschi il mondo io darò sangue e anima per questa fict,dovessi lavorarci anche la notte io la porterò a compimento!!(prende fuoco e incendia la casa).Sono così contenta che trovi i vari momenti salienti ben descritti e dire che alcuni li ho messi due giorni prima di pubblicare il cap.Ogni volta faccio così:rileggo,sento che manca qualcosa e aggiungo.Anche io penso che Jimbe sia un personaggio che esprime fascino,è uno che sa come gestire la situazione;sin da Impel Down mi è piaciuto (Anche Iva-chan e i suoi dolcetti,i suoi uomini,è un personaggio davvero esuberante e particolare).One piece è ricco di personaggi davvero stravaganti!

Yuki689: tesoro mio!Ah!lo sapevo che mi dicevi così ma tanto nemmeno io posso cederti la mia Sayuri;la mia principessa dei gigli non si tocca!Va beh,scherzi a parte…direi che la scenetta di Ace che ruba un bacio innocentemente a Sayuri è stata gradita assai.Altra cosetta aggiunta poco prima della pubblicazione.Ci ho pensato su e ho detto “Ma si,vediamo un po’ che cosa ne esce”.Credo che se Sayuri lo venisse a sapere arrossirebbe e si chiuderebbe in cabina o forse diventerebbe una statua di sale come quando vede i ragni….uhm,non saprei.Acqua in bocca,almeno fino al momento propizio ih ih ih!!Devo avvisarti che questo è una capitolo tranquillo,le battaglie inizieranno dal prossimo.Questo è stato creato precedentemente in un puro momento di folle ispirazione che mi serviva per il mio solito e intricato progetto che ovviamente vedrai anzi vedrete più in là.Forse sono un po’ lenta ma se non faccio le cose come voglio sono capace di piantarle lì e di non muovere più un muscolo.

Beatrix:a-ah!te l’ho fatta!te l’ho fatta!te l’ho fatta!te…Sdeng!colpita da un mattone.Pensavi che non fosse successo proprio niente?beh mi spiace ma volevo lasciarvi di sasso e direi di esserci riuscita alla grande!A dir la verità Ace si sentiva più soddisfatto che in colpa,chissà come mai….E dire che penso sempre di scrivere cose troppo sdolcinate ma se ti è piaciuto questa scappatella,chiamiamola così,ti lascio immaginare il dopo….Visto che trattavo il passato di Ace,la presenza di Jimbe era d’obbligo quanto quella di Shanks,se no come facevo a dare un senso alla storia?

Angela90: Non posso che essere d’accordo con te!a momenti mi sono vista arrivare sciabole e mannaie perché tutti volevano sapere il passato di Sayuri e adesso che ho pubblicato questa scena credo pretenderanno di più…aiuto!!Ora che sono impegnata con lo studio,un orario da suicidio,la scrittura è la mia sola ancora di salvezza e anche te e tutte le altre!!

Sachi Mitsuki: ben arrivata e benvenuta!non scusarti per non aver recensito,come dico agli altri non è mica una colpa!sono contenta che la storia e alcuni suoi pezzi in particolari ti siano piaciuti (sto pensato di aggiungere altre scene con i ragni ma ancora non ho ben pensato come).Rispondo subito alla tua domanda sul giornale letto dalla mia protagonista:quella parte non l’ho ancora svelata perché è necessaria per un capitolo in particolare,già in elaborazione ma non preoccuparti:tutto verrà svelato a tempo debito,perciò non preoccuparti e goditi la storia!!

 

 

Erano passati quasi quattro giorni dalla visita di Jimbe e Ace ancora non era tornato. La nave, ormeggiata a poca distanza dal paese, era così silenziosa da apparire come abbandonata ma all’interno di essa, la curiosità, la preoccupazione e il dubbio, si fondevano come il metallo a contatto con il fuoco, scombussolando ogni singolo componente della ciurma. Il posto di vedetta era costantemente occupato e il lumacofono tenuto sotto stretta sorveglianza; stare lì fermi, con quel mattone addosso mentre il proprio capitano se la vedeva con un membro della flotta dei sette era pressoché straziante, specie per loro che avevano le mani legate; Bonz per esempio, non faceva che camminare su e giù per la cucina.

In teoria, non c’era motivo per cui penarsi tanto: il loro capitano era Ace Pugno di Fuoco, un avversario ostico contro cui i nemici affrontati fino a quel momento non avevano avuto alcuna possibilità di vittoria. Davanti a una sfida non si tirava indietro, nemmeno se il nemico era il triplo di lui; voleva sempre primeggiare, dimostrare che era il migliore e per quanto quel suo lato orgoglioso a volte fosse un po’ sfrontato, era una persona responsabile, che sapeva analizzare la situazione usando il cervello, sempre pronto a proteggere i propri compagni e ideali. Aveva accettato di continuare la discussione con Jimbe al santuario di Fisher Tiger esclusivamente con la condizione che i suoi seguaci non attaccassero la sua ciurma e viceversa. Don aveva ostentato e ostentava ancora quella sua svogliata impassibilità standosene semi-sdraiato contro l’albero maestro, con il berretto che gli scendeva sugli occhi e anche Sayuri si mostrava calma e fiduciosa ma con meno disinvoltura del solito.

“Non so tu Don, ma io comincio a essere seriamente preoccupata per Ace. Sono già passati quasi quattro giorni. Pensi che stia bene?”

Fra tutte le ansie che aleggiavano, quella di Sayuri era in assoluto la più forte. Insieme al medico-cecchino, era l’unica che non stesse cercando di creare un solco sul ponte della nave ma ciò non toglieva che fosse preoccupata; di tanto in tanto si torturava il labbro inferiore senza nemmeno accorgersene e guardava il mare senza scorgerci nulla che le interessasse. Era già passato diverso tempo, forse troppo, e lei cominciava a pensare che Ace non stesse affrontando la questione con il semplice uso delle parole.

“Conoscendolo, starà sicuramente facendo valere le sue opinioni a suon di fuoco e fiamme. Come sempre” fu la risposta schietta dell’amico.
“Non posso che essere d’accordo con te ma mi preoccupa il fatto che ci stia mettendo così tanto” confessò guardando il compagno.

Sedette sulle scale portando le mani in grembo.

Anche se si mostrava sempre tranquilla e parlasse serenamente, il velo d'ansia che si mischiava al suo tono di voce, era inconfondibile. Anche lei cominciava a dare segni di cedimento. Quel timore le stava letteralmente stritolando il cuore, facendole male dolore ogni qualvolta pensasse a Ace. Sfiorò con le proprie dita il tatuaggio che portava sulla spalla, come se potesse consolarla ed espirò profondamente, come per liberarsi di un decimo di quel peso ma inutilmente. Non poteva non fare a meno di chiedersi se il capitano non stesse correndo dei grossi rischi.

“Don, tu che cosa ne pensi?”
“Cosa ne penso? Penso che se continuerai a rimanermi così vicino e a chiedermi cosa ne penso ogni quarto d’ora, mi metterai più ansia di quanta tu ne abbia” sbottò irritato ”Ti ricordo che quell’enorme sushi ambulante fa parte della flotta dei sette e che il nostro signore della fiamme è un tipo molto testardo quando si tratta di menar le mani, senza contare che l’argomento per cui quei due sicuramente si stanno sicuramente prendendo a sassate è Barbabianca, persona che disgraziatamente incontreremo in un futuro prossimo!” e concluse quello sfogo con un "Che accidenti!" ben udibile.

Sayuri tacque, evitando di porre ulteriori domande all'amico; era evidente che il suo umore stava passando in una fase oltre l'irritabile, dove ogni cosa diveniva una potenziale miccia. Anche lui non ne poteva più di stare lì senza potersi muovere e il fatto che le avesse risposto così era la prova lampante di quanto desiderasse prendere a randellate qualcuno.

“Però in effetti...” fece lui con tono più accondiscendente e alzando il berretto dagli occhi “La cosa comincia a farsi un po’ troppo lunga e il bello è che noi siamo qui con le rag...a fare le belle statuine”

Era riuscito a correggersi in tempo prima che Sayuri indietreggiasse con il viso sbiancato. L’ultima cosa che voleva era doverla tirare giù dall’albero maestro. Nell’alzarsi dalle scale, la giovane lisciò le pieghe della lunga maglietta color lilla dalle spalline sottili che lasciava scoperto interamente il tatuaggio, sistemando così anche la grossa cintura marrone che teneva ferma la maglia. Sotto portava dei jeans corti che le arrivavano appena un dito sopra le ginocchia e dei stivaletti marrone scuro. Al polso, come sempre, stava l’immancabile log pose. Nel tirarsi indietro i lunghi capelli sciolti, si diresse verso la passerella.

“Scendo a fare due passi. Se succede qualcosa, puoi avvertimi col lumacofono” lo avvisò
“Si, si..” borbottò Don nell’abbassarsi nuovamente il berretto sugli occhi.

 


Quel giorno la via principale era poco affollata. La gente era presa a lavorare nelle botteghe,alcune costruite di recente, altre più antiche e vecchie dei proprietari. L’artigianato e la lavorazione delle perle erano nati lì e rappresentavano il fulcro di quel commercio, grazie alla vasta presenza di quest’ultime attorno all’isola.Sayuri camminava con passo lento guardando i pochi negozi molto distrattamente, con la mente offuscata da altri pensieri.
L’aria era ricca di profumi salmastri e la natura che si scorgeva poco distante da lì -una folta foresta-, divideva quella zona civilizzata da quella che periodicamente veniva isolata dal mare. Era là che era stato eretto il santuario in onore di Fisher Tiger ed era sempre là che si trovava Ace. Gli abitanti del posto l’avevano costruito appositamente per il loro liberatore; anche se in tanti non ci credevano, esseri umani e uomini pesce avevano condiviso lo stesso tetto: erano stati degli schiavi. L’orrore viveva ancora dentro di loro ma andavano avanti con la testa alta e proteggendo la libertà trovata e lavorando con passione: gli uomini pesce si occupavano della raccolta delle perle con moderazione e gli uomini, grazie alle tecniche apprese da quest’ultimi, le lavoravano.

La castana aveva provato dispiacere nell'apprendere la loro storia ma per quanto essa fosse ingiusta, nulla la distoglieva dal pensiero di Ace contro un membro della flotta dei sette, un membro che rispettava Barbabianca e che non avrebbe permesso che un pirata pericoloso come il moro attentasse alla sua vita.Se solo avesse potuto sapere se stava bene....

Ma aveva dato la sua parola di rimanere lì ad aspettarlo e se fosse andata ad aiutarlo o solo per assicurarsi che fosse vivo, le avrebbe mancato di rispetto. Credeva in Ace ed era l’affetto che provava nei suoi confronti a farla stare così in pensiero ma non voleva disobbedire al suo volere, anche se ciò richiedeva tutto la sua calma.

“Ohi, ohi! Che dolore..!”

Nel distaccare il suo stato emotivo dai propri pensieri, fermò il suo avanzare a pochissimi metri da un fatto che la spinse a intervenire: un’anziana signora era caduta a terra e faticava a rimettersi in piedi.

“Aspetti, la aiuto a rialzarsi”

Accorsale subito in contro, Sayuri si accovacciò accanto all’anziana, accertandosi che non si fosse fatta male gravemente.

“Sente dolore da qualche parte?” le domandò premurosamente.
“Ohi, ohi...” gemette nuovamente “Solo alla schiena...ohi!”

Aveva tentato di alzarsi ma nel darsi la spinta, un’acutissima fitta alla zona lombare aveva rischiato di farla finire a terra una seconda volta. Fortunatamente, Sayuri era lì pronta a sorreggerla.

“Non si sforzi, finirebbe solo col peggiorare. Se vuole, la posso accompagnare a casa” si offrì.

Gli occhi della nonnina brillarono. La faccia lievemente abbronzata, mostrò rughe e pieghe profonde che si contraevano in posizioni diverse ogni volta che ella cambiava espressione, come in quel momento.Nell’afferrare mentalmente la risposta positiva che il sorriso della nonnina le stava trasmettendo, la castana se la caricò sulle spalle e partì alla volta della casa dell'anziana.

“Mi auguro che stia comoda” le disse dopo un po’.
“Non temere, sto già molto meglio. Alla mia età, acciacchi del genere sono frequentissimi. Ma tu piuttosto, sai che sei molto forte? Hai un aria così fragile che non l’avrei mai sospettato”
“Non è niente di che” sorrise “Da questa parte, giusto?” s’accertò
“Si, non è molto lontano. Ancora non mi ha detto il tuo nome bambina” domandò indirettamente, curiosa.
“Oh, mi chiamo Sayuri, signora. Piacere di conoscerla”
“Sayuri, eh?” mormorò lei “E’ davvero un bel nome”

 

 
Pochi minuti dopo, raggiunsero finalmente la loro destinazione, in un vicolo poco frequentato e anche piuttosto malandato, una zona lontana dai lavori e dalla maggior parte della gente. Sayuri si stupì molto perché più che una casa, quella che stava osservando assomigliava, no, era un tendone di medie dimensioni dove solitamente risiedevano quei indovini che si vantavano di saper leggere il futuro. La stoffa era di un viola scuro abbastanza impolverato e sopra l’entrata vi era stata appesa una piccola insegna di legno, con delle lettere scritte in corsivo da quanto poteva vedere; purtroppo erano sbiadite, impossibili da leggere. Ora che rifletteva con attenzione, la castana non aveva dato troppo peso al vestiario della nonnina ma nel farla scendere con cautela, si era accorta che questa indossava una lunga gonna fatta da vari drappelli ricoperti da più veli impolverati di brillantini, tutti dalle diverse tonalità d’arancione, con sopra uno splendido scialle rosso, anch’esso pieno di brillantini, che lasciava scoperti i secchi avambracci, di cui uno ricoperto da bracciali d’oro. Anche alle mani e agli orecchi portava degli ori e i capelli neri erano raccolti in un alto e semplice chignon.

Nonostante fosse molto in là con gli anni, quel tipo d’abbigliamento e quei accessori le stavano bene, perfetti per il suo lavoro di osservatrice del futuro. Sayuri la vide dirigersi verso l’entrata e scostare la tenda delicatamente ma invece di ringraziarla nuovamente e sparire dietro ad essa, rimase sul ciglio di quel tendone, come a voler aspettare qualcosa.

“Non possiedo molto denaro ma ci tengo a ripagarti della tua gentilezza quindi, per sdebitarmi, sarò ben felice di predirti il futuro” le disse.
La ragazza sbattè un paio di volte le palpebre, stupita per l’offerta. “Oh, ma non deve, io...”
“Su, su! Non ti mangio mica, sai? Coraggio, entra” insistette.

Ancor prima che potesse risponderle una seconda volta, l’anziana le prese il polso e la portò dentro la tenda; nel sentire quelle dita raggrinzite e ossute toccargli la pelle, fu colta da un freddo brivido che la elettrizzò. La stanzetta era circolare, con solo alcune candele ai lati d’essa ad illuminarla debolmente cosicché il buio rimanesse rintanato sul soffitto. Al centro c’era un tavolo coperto da un grande tovaglia di velluto nero, su cui era posata una sfera di medie dimensioni, lucidissima e completamente trasparente. L’indovina la invitò ad accomodarsi mentre a sua volta si sedeva sistemandosi lo scialle; dopo pochi attimi di esitazione, l'ospite si sedette, seguendo con attenzione i movimenti dell’anziana; la vide finire di armeggiare con la parte superiore del suo vestito e infine portare il volto all’altezza de suo, sorridendo cosicchè le labbra colorate di rosso sbiadito fossero messe in risalto.

“Allora mia cara, per cominciare, porgimi la mano destra” le chiese dolcemente.
“Va bene” rispose anche se un po’incerta.

Alzo il braccio e lo rivolse all’indovina che con entrambe le mani, prese la sua, portandosela vicino. Con gli neri occhi, osservò le linee presenti sul suo palmo, lasciando che il dito indice scorresse leggero su alcune d’esse.

Sayuri era certa di non aver nulla da temere da quella misteriosa vecchina ma non poteva non ammettere a sé stessa di provare un leggero senso di disagio.Le mani di quella donna era così fredde...

“Uhm..sei molto difficile da scrutare. Le linee della tua mano sono un bel rompicapo” affermò nel spostare i suoi profondi occhi su quelli color cioccolato della giovane.

Sorrise. Le era capitata una persona interessante a sua detta; erano pochi quelli a cui non riusciva a leggere la mano per identificare quale fosse la loro personalità, le emozioni e la vita. La sua vocazione era fin troppo diversa da quella fasulla e inesistente delle truffatrici con cui era solita a scontrarsi. Lei era stata colta in tenera età dal potere della divinazione ed aveva sempre preso il suo mestiere molto seriamente, anche perché questo gli permetteva di far luce laddove i suoi clienti non ci riuscivano.

“E va bene. Visto che non riesco leggere la tua mano, consulteremo le carte divinatorie. Sono molto più potenti e quindi mi servirà anche il tuo aiuto”

Le lasciò la mano per poter estrarre dallo scialle uno splendido mazzo di carte decorate con motivi artistici dai colori scuri e ipnotici. Per creare quel mazzo la sibilla aveva viaggiato in lungo e in largo e solamente chi aveva, per così dire, il dono, poteva criptare il messaggio che infondevano. Le mischiò un paio di volte e poi le dispose sul tavolo in tre file da otto.

“Ora, scegli tre carte: una da ciascuna fila. Mi raccomando, scegli con attenzione, lascia che sia il tuo cuore a guidare la tua mano”
“D’accordo.”

Trovava il tutto abbastanza..misterioso, non sapeva in che altro modo definire quella seduta spiritica. Le ombre sopra la sua testa danzavano, dandole un impercettibile senso di inquietudine ma non voleva interrompere quel momento ne tanto meno farsi spaventare da delle forme astratte. La luce delle candele ondeggiava con movimenti fluidi e regolari, distorcendo la posizione di queste ultime, rinchiuse nella tenda viola. Lo strano profumo dolciastro che aleggiava le riempiva i polmoni dandole l’impressione che curiosi spiriti osservasse in trepida attesa la sua prossima mossa. Prendendo un bel respiro, Sayuri chiuse gli occhi, lasciando che il cuore le indicasse le carte da toccare: dopo pochi minuti prese la terza carta dalla prima fila, l’ottava dalla seconda e la quinta della terza, consegnandole all’anziana che, nell’osservarle, sorrise soddisfatta.

“Uhm..esattamente come immaginavo” disse nel prendere tra le mani la prima carta.

Bianco Giglio si mostrò confusa e la donna voltò nella sua direzione la carta che reggeva tra le dita scure: il disegno mostrava un angelo indossante una veste luminosa e bianca, che reggeva tra le mani una moltitudine di fiori che gli si impigliavano nei lunghi capelli castani. La pelle di un color candido bianco perlaceo stringeva quei fiori come fossero un tesoro e sorrideva come se stesse portando speranza agli sventurati. Alle sue spalle, stavano un paio di ali dalle sfumature rosee, grandi e piegate.

“Sei una ragazza molto bella, con un animo innocente e..oh, si. Come l’acqua” e mostrò la seconda carta: una mare cristallino, animato da onde dalle diverse tonalità di blu “Hai un animo placido, gentile che quando si agita tuttavia diventa inarrestabile ma da quel che vedo, non sei propensa ad essere una persona violenta visto che...”

Alzò l’ultima carta. Il suo tono di voce si era abbassato,diventando mesto e cupo. La carta raffigurava una donna, dai lunghi capelli neri mossi, vestita con un lungo abito nero dal tessuto leggero, diviso in tanti drappelli. La sua pelle bianca, quasi cerea, era ben diversa da quella dell’angelo: abbracciava possessivamente una piccola luna appena più pallida di lei. Dagli occhi azzurri di quella donna, scendevano lacrime che bagnavano la stessa luna e alle sue spalle, il paesaggio era triste, scuro come la notte. Una natura morta.

“...Il tuo dolore è così grande da far sopprimere il tuo odio. Ma tu non puoi odiare, perché sei una bambina fin troppo buona, eppure, temi la paura di liberare quella sofferenza, non è così, Sayuri?”

Una giovane dalla bellezza semplice ma invidiabile...
Un animo puro e gentile capace di diventare inarrestabile come l'oceano in tempesta...
Un dolore nascosto....

Si, quelle tre figure rispecchiavano a grandi linee chi era Sayuri. Adesso sentiva le parole bloccate in gola, mentre continuava a guardare le carte. Le prime due non erano un segreto ma la terza rifletteva il suo vero io, lo stesso che aveva rinchiuso anni addietro, lo stesso che non voleva far vedere ad Ace ma che per sua disattenzione, era riuscito a sfuggirle, seppur di poco.

Ace!

Nel pensare nuovamente al ragazzo, sussultò. Lui era ancora con Jimbe, lontano da lei e da tutti gli altri suoi compagni. La preoccupazione la assalì rapidamente e per calmarsi si portò una mano al petto, lì dove il suo cuore rischiava di scoppiare.

“Bambina mia: so per certo che hai sofferto e che la grande forza interiore di cui sei dotata e il tuo carattere ti permettono di tenere imprigionato tutti ciò che ti ferisce ma...” e sorrise nel continuare “Vedo che in te c’è qualcos’altro. Qualcosa di molto forte e a giudicare da come sospiri, direi che si tratta di amore”

La sibilla aveva pigiato il tasto giusto. Sayuri arrossì, spostando la mano che le reggeva il cuore vicino alla bocca. Gli occhi persi di prima l’avevano tradita e la sibilla aveva interpretato i suoi gesti come delle prove schiaccianti alla sua ipotesi.

“Lei..come...” balbettò.
“Oh, mia cara. Sono stata giovane anch’io e so riconoscere quando una persona è follemente innamorata di qualcuno oppure ha solo una cotta passeggera e tu non sembri essere una persona superficiale. In questo momento sei preoccupata per la sua vita, giusto?”

Sayuri annuì e la anziana sorrise con più ampiezza, rimettendo in ordine le carte e facendole scomparire dal tavolo.

“Sei smarrita e anche molto confusa ma è perfettamente naturale: il tuo è un primo amore” le spiegò “Ed è sempre il primo amore ad essere il più dolce e allo stesso tempo il più complicato ma non devi spaventarti; forse quello di cui necessiti è fare luce su ciò che provi per questa persona perché io vedo che provi un forte sentimento per questa persona e desideri fare tutto il possibile per lui. Bambina mia...” E le prese la mano “Nel tuo cuore ci sono cose che non potrai mai dimenticare. Cose che continueranno a tormentarti e che non potrai incarcerare per l’eternità. La sola via che ti si apre è quella di mostrare a questa persona chi sei e far si che lui ti accetti per quella che sei. Cerchi la felicità ma devi permettere anche a quest'ultima di avvicinarsi”

Era la verità quella che avvertiva nelle parole dell’anziana. Niente a quel mondo era duraturo, lo sapeva, come sapeva che prima o poi si sarebbe ritrovata faccia a faccia con i fantasmi del suo passato, solo che ancora..non era pronta. Anche a Yukiryu, davanti a Ace, non era riuscita a dire quello che avrebbe dovuto dire, perché non si era sentita all'altezza.

“Signora, so bene che non devo nascondere le mie paure ma vede, se le rivelassi ancor prima di sentirmi in grado di affrontarle io...sprofonderei nelle tenebre”

Lei avrebbe continuato a resistere, giorno dopo giorno, finchè avrebbe potuto. Non desiderava che Ace, Don, Bonz e tutti i suoi amici, conoscessero quel suo lato nascosto. Non voleva raccontarlo adesso, non sarebbe riuscita a sopportare una possibile delusione. Voleva solo che si fidassero di lei e che contassero sul suo appoggio. Proprio come aveva detto a Ace. L’anziana, dal canto suo, non potè che comprendere lo stato d'animo in cui era immersa la giovane. Avvertiva il suo dolore, lo vedeva come una spirale dai colori tetri circondare e tenere prigioniera quell’aura bianca e fragile che era lei.

“Se sei consapevole del tuo dolore, io non posso fare altro che credere che un giorno vivrai ancor meglio di quanto tu faccia adesso. E ora, lascia che mi sdebiti completamente, scrutando nel tuo futuro”

Avvicinò a sé la sfera trasparente, inspirando ed espirando profondamente. Richiamò a sé tutta la sua concentrazione, tutto il suo potere per vedere con gli occhi della mente quello che il futuro di quella giovane le riservava.

“Ciò che vedrai in questa sfera, potrebbe essere una traccia del tuo destino” le disse solenne “Ma potrebbe darsi che esso allora si sarà intrecciato ad un’altra persona e che la sfera mi mostri un evento che vi vedrà entrambi uniti”

Non appena la sibilla portò le mano intorno al prezioso oggetto e iniziò la lettura d’essa, Sayuri raccolse i suoi pensieri, le sue preghiere e le concentrò sull’unica persona che contava più della sua stessa vita: voleva sapere se Ace, in quel preciso istante, stesse bene, voleva solo sapere quello. Teneva in grembo le mani congiunte e pregava con gli occhi chiusi, con l’animo sospeso tra la terra e il burrone alle sue spalle. Voleva sapere soltanto quello e sarebbe stata contenta anche così ma non appena la sibilla richiamò la sua attenzione, aprì gli occhi lentamente e li posò sulla sfera.

Fu colta da uno stupore che bloccò ogni suo pensiero e focalizzò tutto il suo essere sul tondo oggetto: non era più trasparente e le candele che illuminavano la tenda si erano spente tutte quante nello stesso istante. Avvolta da un sottile buio, Sayuri vedeva agitarsi all’interno della sfera di cristallo, un fuoco cremisi che danzava e ardeva orgoglioso, quasi volesse uscire da quella tonda prigione. Emetteva una luce così radiosa che la giovane ne rimase totalmente rapita; trasmetteva sicurezza, forza, calore, un che di indomabile e assolutamente libero. La luce dalle mille tonalità rosse e arancioni illuminava il suo viso e si rifletteva nei suoi occhi come fossero due specchi perfetti. Poi, accade qualcosa che la spaventò: dai margini della sfera comparve qualcosa di anomalo: piccole onde oscure cominciarono a diventare più spesse, più grosse e il fuoco non gradì affatto la loro presenza. Iniziarono a lottare, turbinando all’interno della sfera con ferocia ma più il fuoco cercava di prevalere e più quell’oscurità nera diventava sempre più grande finchè, dopo poco, quella non lo inghiottì interamente. Vide le sue ultime luci, le luci di quel fuoco che l’aveva stregata, sparire tra quelle lingue nere e poi....lo sentì.

Un tintinnio. Uno suono metallico che non aveva mai sentito. Secco, duro...e freddo.

Non udì o vide nient’altro e la sfera tornò linda e trasparente come era prima.

“Uhm....un cattivo segno” ne dedusse la vecchia “Si direbbe quasi che questo sia stato un avvertimento”

Sayuri avvertì un’immensa fatica addossarsi sul suo petto, costringendola a respirare affannosamente e con gli occhi rivolti non più sulla sfera ma sulla tovaglia nera: nella sua mente balenava una certezza ineccepibile, una paura concretizzata. Quello che aveva visto non era stato il suo futuro. La sibilla prima di cominciare l’aveva avvertita che ci sarebbe stata la possibilità di vedere il futuro di un’altra persona se questa fosse stata legata a lei e lei, in quel preciso momento, aveva intravisto il futuro di Ace e aveva paura perché non capiva cosa avesse scorto di preciso ma intuiva che fosse comunque un pericolo per l’incolumità del ragazzo.

“Quando accadrà?” domandò. Il suo respiro era pesante.
“Non ora bambina mia ma non significa che non accadrà” le ripose mestamente.
“Lei sa dirmi come posso impedirlo?” le chiese come fosse una supplica.
L’anziana scosse la testa “Dipende che cosa vuoi impedire. Se riuscirai a dar forma a questa visione forse potrai aiutare chi ti sta a cuore ma ricorda: non potrai impedire che succeda. Puoi solo cambiare qualcosa ma non tutto quanto”

Si sentì ancor più smarrita di quanto già non fosse. In un futuro prossimo, sarebbe capitano qualcosa ad Ace e forse, nemmeno il grande affetto che provava per lui, avrebbe vinto la volontà del destino perché al mondo c’erano forze più potenti dell’amore. La sibilla le parlò di forze oscure, nascoste nell’animo degli uomini e quell’oscurità che aveva visto sconfiggere il fuoco era la più potente e la più infida che esistesse. Il solo pensiero che potesse capitare qualcosa al moro, le fece dolere il cuore. La sola consolazione che le alleggeriva quello stato, era che non stava succedendo ora. Si, Ace stava combattendo contro il cavaliere del mare ma non sarebbe capitato nulla che già non conoscesse. Il suo capitano era forte ma adesso, che aveva visto, che aveva scorto il futuro, si chiedeva come e in che modo avrebbe cambiato quella visione.

 


Un fuoco, un’oscurità e un suono metallico. Cosa posso significare?

Sin da quando aveva ringraziato la sibilla ed era tornata nel centro del paese, Sayuri non aveva fatto altro che pensare e ripensare a quei tre elementi chiave della premonizione. Riviveva con la mente quanto aveva visto e cercava di focalizzare qualche cosa che gli fosse sfuggito, ripensava alle parole della donna che gli diceva di fare attenzione a quell’oscurità, perché era la più malvagia che esistesse.

E’ nascosta. Solo con gli occhi dello spirito la potrai vedere ma attenta: saprà ingannarti usando parole sincere.

Anche quella frase era un mistero e per quanto ci ragionasse sopra, sapeva solo di non dover mai abbassare la guardia. Le voci attorno a lei le fecero capire di essere tornata nel vivo di quel posto e questo la sollevò un po’. Quel quartiere logoro e isolato le aveva fatto una brutta impressione ma la sua non era altro che suggestione creata dalla sua ansia per Ace. Si sedette su un muretto e scrollò all’indietro i capelli con la mano indossante il log pose.

Devo tranquillizzarmi; andrà tutto bene. Presto Ace tornerà e noi partiremo per una nuova isola. Si disse prendendo un bella boccata d’ossigeno.

Si ripeteva questo mentre una forte esplosione, proprio dove era stata ormeggiata la nave, attirò l’attenzione di tutti. Grida animalesche echeggiarono da lontano e ombre non ben definite si dibatterono contro qualcosa di più piccolo rispetto alle loro dimensioni. Nel realizzare il pericolo, Sayuri saltò giù dal muretto e prese a correre verso l’esterno del paese, esattamente dove c’era la nave. Fece più in fretta che potè e quando arrivò, spalancò la bocca per quello che i suoi occhi le mostravano: chi tentava di assalire la nave non era che una murena gigante. La bestia dibatteva la testa e il corpo giallognolo, mostrando i denti fini e aguzzi, concentrando quei suoi minuscoli occhi sulla preda. Era stata immobilizzata e quando questa tentò di liberarsi, Don la colpì agli occhi con un paio di colpi del suo fucile, accecandolo. Un tiro da maestro, che si concluse con la grossa mazza chiodata di Bonz che ricadde pesantemente sulla testa del mostro, spedendolo a mollo nell’acqua privo di sensi.

“Don! Bonz! Che cos’è successo?” domandò allarmata raggiungendo entrambi.
Il medico-cecchino la guardò col viso contratto per l’indignazione “A quanto pare qualcuno ha deciso di non rispettare l’accordo”
“Devono essere stati i seguaci del cavaliere del mare” constatò Bonz “Solo loro possono averci mandato contro questo bestione! Fino a un'ora fa le acque era calmissime”
“E ne manderanno ancora. A questo punto non abbiamo scelta se non quella di raccogliere il guanto di sfida, altrimenti continueranno a mandarci contro i mostri di tutti i mari”continuò Don.

La visita di quella murena gigante non era stata affatto gradita. Evidentemente i seguaci di Jimbe dovevano aver pensato che senza il capitano nelle vicinanze, sterminare la ciurma sarebbe stato un lavoretto da cinque minuti. Si sbagliavano di grosso se credevano veramente che si sarebbero fatti mettere i piedi in testa da quei sbruffoni e lo avrebbero dimostrato presto, con uno scontro alla pari. La tranquillità di quei giorni era cessata non appena quella murena era comparsa dal nulla, portando il chiaro messaggio dei seguaci di Jimbe; loro lì non erano i benvenuti. Che l’ordine di attaccarli fosse un’iniziativa o una direttiva data dallo squalo balena loro non lo sapevano ma piuttosto che stare lì a incassare colpi, sarebbero scesi in battaglia mostrando contro chi si erano messi.

“Don, suggerirei di dirigerci verso il santuario di Fisher Tiger. Probabilmente loro sono già la ad aspettarci” disse Sayuri.
“Uh? Come fai a dirlo con tanta sicurezza?” le domandò il cuoco-cannoniere sistemandosi gli occhiali.
La ragazza si inumidì le labbra e spiegò velocemente il perché della sua affermazione “Questo è il loro territorio” cominciò “E vogliono combattere nei posti dove più saranno agevolati. Se rimanessimo qui, continuerebbero a mandare mostri marini e a pochi passi da qui si trova il paese e lì c’è della gente innocente. Non possiamo permettere che qualcuno ci rimetta e temo che loro pur di provocarci, siano pronti a usare qualunque mezzo”
“Allora diamogli una bella lezione!” urlò uno dei compagni.
“Non possiamo starcene qui con le mani in mano! Il capitano non è ancora tornato!” si aggiunse un altro.

C’era un’altra possibilità che Sayuri aveva calcolato: la presenza di più seguaci. Loro ne avevano visti solo tre ma poteva darsi che alcuni fossero rimasti nascosti e che adesso stessero attaccando Ace ma lei aveva cancellato fin da subito quell’idea: anche se l’aveva osservato per poco, Jimbe le era parso piuttosto rispettoso e ben improntato a mantenere la disciplina. Se teneva all’onore come pensava, allora Ace stava bene, per modo di dire.

“Calmi! Sayuri ha ragione” intervenne Don placando i compagni “Ci hanno spedito il loro invito personale e noi non possiamo declinarlo ma non possiamo neppure coinvolgere chi non centra e visto che sono solo in tre se escludiamo lo stesso Jimbe, non ci resta che rispondergli per le rime, anche se la cosa non mi eccita per niente” trattenne un forte sbadigliò, poi continuò “Voi tutti rimarrete qui e fermerete qualunque cosa tenti di mangiarvi. Bonz, pensaci tu”
“Tranquillo cugino” lo assicurò lui rafforzando la presa sulla mazza.
“Io e Sayuri andremo al santuario. Ci terremo in contatto con il lumacofono e qualunque cosa succeda, cerchiamo di non ridicolizzare il nome che portiamo sulle spalle”
 

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Capitolo 19
*** Si comincia! ***


Eccomi qui,in anticipo per giunta!mi sorprendo di me stessa!Finalmente inizia la parte movimentata della storia;avviso fin da subito,non sono particolarmente brava a descrivere i combattimenti,non ho mai compreso il perché..Beh,io ci ho provato,spero solo di aver fatto un buon lavoro ma questo lo deciderete voi!Se mai ci fossero degli errori grammaticali,perdonatemi fin da subito,l’ho riletto e corretto in fretta!

 

Maya90:te lo ripeto Maya,non c’è bisogno ne di scusarsi della brevità della recensione ne del ritardo,sta tranquilla!Per fare queste recensioni ho utilizzato la sola e unica mattinata in cui non devo svegliarmi alle 6.30 del mattino.Mi chiedi se l’oscurità sia collegata a Teach?chi lo sa…visto che si trattava di dare un occhiatina al futuro e visto che questo è incerto perché non mettere qualche presagio che faccia preoccupare la protagonista?va beh,è già preoccupata a sufficienza ma questo si è visto.Come ho detto sopra,non sono molto brava nel descrivere i combattimenti,qui il mio realismo è piuttosto scarso ma ci sto lavorando,spero comunque che come inizio non sia così catastrofico.

MBP:ecco un’altra che chiede perdono..guarda che non devi chiedermi scusa di niente e nemmeno le altre!siamo ragazze occupate in fondo!la tua coalizione con Yuki è stata di stimolo,visto che inizialmente il mio progetto era ben diverso da un happy ending…no,sul serio,inizialmente,visto che non conoscevo gli eventi ho pensato di fermarmi fino ad un certo punto che ora non specificherò ma poi ci ho ripensato e ho trovato una bomba di soluzione!non svelo niente,ho scritto qualcosa a mano:non riuscendo a scrivere capitoli ordinatamente,quando vengo colta dall’ispirazione scrivo subito per non dimenticare.Non dico che non ci saranno altre parti tristi,però posso affermare che serviranno al fine della realizzazione del mio diabolico piano (togliamo diabolico perché altrimenti mi vedrò arrivare lettere minatorie a raffica…)

Yuki689:cara,non scuotere la mia Sayuri,sii buona con lei!lo so che aspetti il momento in cui i botti scoppieranno e finalmente si daranno un bacio come si deve(che credi,anch’io non vedo l’ora di postare il capitolo in questione) ma la verità,e l’ho già detto,è che io sono lenta e visto che in mezzo ci sono altri episodi,questo sarà messo più in la ma non toglierò scene dove loro sue dovranno confrontarsi per questioni che ovviamente non posso essere trattate con due semplici paroline.Riguardo alla tua minaccia legata alla pretesa dell’happy ending….mi hai fatto tanta pauraaaaaa!!!,non si minacciano così le povere autrici indifese!e io che ti credevo carina e gentile,prima mi fai i complimenti per come scrivo poi mi minacci con un’occhiata truce.Sei cattiva Yuki,guarda che mi metto a piangere!no,scherzo,io ti voglio bene e lo so che a te i sad ending non piacciono ma non temere,ho quel che fa al caso tuo,fidati della buona e vecchia Ale,quindi posa qualunque arma tua abbia in mano e aspetta!

Sachi Mitsuki:dunque mia cara,tralasciando quel che sta capitando nel mondo di Oda,ti poso assicurate che qui Ace non morirà neppure se arrivasse il diluvio universale o l’apocalisse.Ace non si tocca!questo capitolo è un  po’ più corto rispetto agli altri ma da qui in poi iniziano i combattimenti(che spero siano all’altezza delle tue e delle aspettative delle altre).Cara,volevo informarti che il passato di Sayuri l’ho già trattato,è il capitolo 14.Ace si vedrà qui,in un piccolo spezzettone quindi ti tranquillizzo subito e per quanto riguarda il benedetto bacio…abbi tanta pazienza!Lo so che la prima volta è capitano per caso,la seconda perché Ace voleva soddisfare un suo capriccio,la terza…mistero!visto che i momenti tra quei due sono molto importanti sto cercando di renderli i più belli della fict e questo richiede ogni fibra del mio corpo e della mia concentrazione;ci saranno momenti dove dovranno confrontarsi come ho detto a Yuki che serviranno ad entrambi e poi alla fine chissà…Scusami ma se spiattello tutto adesso che figura ci faccio?di nuovo,benvenuta e sempre felice che questa fict ti piaccia tanto!

Beatrix:dolce Bea,se Don fosse qui ti direbbe che “ehi,ma per chi mi hai preso?”e altre robe sul fatto che gli uomini non hanno paura di rovinarsi le mani durante un combattimento.Don non sembra ma anche lui ci sa fare,avrai un piccolissimo assaggio  in questo capitolo ma il resto lo vefrai successivamente.Ti confermo che la murena è stata inviata da quei tre.Non ti preoccupare,quei due sanno come cavarsela,come ben presto vedrai!La parte relativa alla predizione è servita proprio a uno scopo preciso,come hai pensato:sarà il punto d’inizio di molte vicende per così dire,perché riguarderanno Sayuri ma ora non posso dirti molto,solo che la fase del frutto del diavolo Dark Dark è già in cantiere come molte altre;volevo trovargli una storia decente e credo che quella pensata sia la migliore;la sola cosa che posso dirti,se sei abbastanza curiosa,di continuare a leggere perché da qui in poi tutto sarà molto più interessante.Come hai detto tu,si brancolerà nel buio ma non temere,a fare luce ci penserà la sottoscritta!

Angela90:wow non pensavo che quella frase suscitasse tanto effetto!ciao carissima,anche tu piena di impegni eh?come tutti del resto…sigh,voglio una vacanza!io e il mio adorato Pc,soli soletti!La parte del solco sul ponte è stata un inserimento dell’ultimo minuto,dovevo pur rendere ancor più realistica la situazione e se non arrivava la murena,alla fine al posto del ponte ci sarebbe stato un bel buco.Per rispondere alla tua domanda devo dirti che Don inizialmente l’avevo creato così svogliato e pessimista perché volevo qualcosa di diverso.In realtà mi sono accorta dopo di averlo reso simile a Shikamaru e visto che viaggiavo sulla stessa lunghezza d’onda,ho pensato di osservare bene questo personaggio per prendere le qualità che più mi sembravano simpatiche,per il resto della ciurma li ho inventati tutti senza alcun particolare riferimento,in pratrica sono tutti farina del mio sacco,Sayuri per prima.Tornando alla predizione della sibilla devo dire che ho messo inquietudine un po’ a tutti,specie alla mia protagonista ma per ora questo non inciderà sui prossimi scontri.Spero solo di scriverli bene!

 

 

 

In lontananza, Don e Sayuri potevano sentire le urla dei cittadini e il rimbombo dei colpi di cannone diretti contro i mostri marini che stavano cercando di conquistare la costa. I due si trovavano già al di fuori del paese, quasi vicini all’entrata della montagna; non potevano fermarsi, ne girarsi a guardare come stesse andando la situazione, anche se un quadro generale di quanto stava capitando già se l'erano fatto. Avevano fiducia in Bonz e in tutti gli altri, erano più forti di quanto l’apparenza desse a vedere e quindi potevano indirizzare le loro menti su altro, come per esempio, raggiungere il santuario il più velocemente possibile; dovevano risalire l’intera montagna e poi scendere lungo la fiancata posteriore senza sprecare tempo e forze necessarie, ma la presenza dei tre alleati di Jimbe rendeva la missione delicata e incerta per alcuni aspetti. Non avevano alcuna informazione su di loro, come la gran parte dei nemici affrontati in passato, ne quali fossero le loro abilità e i loro poteri ma non potevano di certo tirarsi indietro solo perché non sapevano cosa li aspettasse. Non sarebbero stati pirati se non avessero corso qualche rischio.

I mostri marini erano stati indirizzati verso la costa solamente per dimostrare che i loro avversari a quel patto non ci stavano e questo era bastato per spingere la ciurma di Pugno di Fuoco a contrattaccare, anche se a dirla tutta, i membri dell'equipaggio erano convinti che quei tre se ne sarebbero stati buoni considerata la parola data allo squalo balena. Entrati nella foresta, il medico-cecchino e la navigatrice iniziarono la loro scalata superando alberi, saltando su rocce e sfrecciando tra i cespugli, salendo sempre più in alto come se avessero le molle sotto i piedi. La vegetazione era rigogliosa ma man mano che procedevano, tendeva a diminuire e a lasciar posto esclusivamente al terreno roccioso.

“Quei bastardi hanno decisamente passato il segno. Sguinzagliarci addosso quella bestiaccia strisciante e bavosa...” digrignò Don.
“Sicuramente la loro intenzione era quella di approfittare dell’assenza di Ace. Sono convinti che senza di lui, la nostra forza bellica diminuisca nettamente e credono dunque di poterci battere con più facilità” spiegò razionalmente Sayuri senza mai smettere di guardare dritto davanti a sé.
“Un motivo in più per prenderli a calci in culo” replicò l’uomo sempre più irascibile “Merda! Disturbarmi durante il mio pisolino. Credo non sappiano quanto sia sconveniente svegliare in malomodo una persona quando questa dorme beatamente!”

L’umore di Don era sempre volto al pessimismo, alla svogliatezza e alla passività ma una cosa andava ben ricordata se si voleva vivere tranquillamente sotto lo stesso tetto: al pomeriggio si concedeva una sua oretta di riposo, ora sacra e da non considerare stupida visto che si parlava di un medico e i medici, si sa, studiano anche di notte per approfondire e ampliare sia teoricamente che sperimentalmente le proprie conoscenze. Svegliarlo durante questo suo sonno senza un buon motivo, equivaleva a morire per mano di droghe letali senza la somministrazione dell’anestesia.

Nel loro proseguire, la salita si fece più ripida e i suoni sempre più distanti. Non sapevano da quanto corressero ma a differenza delle comuni persone, loro erano decisamente molto più resistenti: potevano andare avanti anche per giorni se l’occasione lo richiedeva. Don balzava da una pietra all’altra con agilità invidiabile e Sayuri era fresca come una rosa. La fatica non li toccava ne invogliava le loro menti a pensarla ma più si avvicinavano alla vetta, più il loro sesto senso trillava come un doppio campanello d’allarme; sino a quell'istante era andato tutto fin troppo bene ed era impossibile che durasse ancora. Se davvero quei tre avevano intenzione di ostacolarli, presto o tardi si sarebbero fatti vivi.

“Don, fa attenzione!”

Neanche a desiderarlo, il primo ostacolo era arrivato, anzi visto il numero, era più corretto dire i primi: da molti metri più avanti a loro, numerosi rovi color verde muschio emersero dal terreno e scivolando giù per la discesa, cercarono di colpirli con velocità che superava la norma umana: pieni di spine appuntite e pericolosamente grossi,questi strisciarono lungo il pendio come serpenti e una volta alzatisi, si abbatterono sulla roccia, spaccandola e frantumandola in pezzi più piccoli nel tentativo di colpire i due pirati.

“Che accidenti..?!”
“Arrivano!”

Ritiratisi per pochissimi secondi, quei giganteschi rami viventi ripartirono all’attacco da destra; Don e Sayuri si divisero, schivando il secondo assalto e con un balzo atterrarono al sicuro, stavolta pronti ad attaccare. L’uomo scattò in avanti issandosi sulla schiena la fidata arma di metallo e contemporaneamente la castana, armata dei suoi inseparabili pugnali sai, si spostò lateralmente.

“Sprecare dei proiettili per delle insulse piante sarebbe davvero stupido” e difatti, Don colpì uno dei rovi con un pugno così devastante da travolgere altri due suoi simili, sbattendoli contro gli alberi. “Per voi basta e avanza questo”

Nonostante il magro corpo, il medico-cecchino vantava una forza fisica al dì fuori della norma. Non a caso era uno dei membri più forti della ciurma dei pirati di picche.

Agli altri tre rimanenti ci pensò Sayuri: con un colpo netto ed elegante, tranciò buona parte dei loro corpi, come fossero fatti di burro. Questi caddero e si contorsero freneticamente, per poi smettere di agitarsi. I due compagni si scambiarono uno sguardo di sostegno e annuirono a vicenda, pronti a riprendere la loro corsa ma quei rovi, dopo appena qualche attimo di inazione, ripresero a muoversi, comprese le loro parti tagliate, ricresciute sotto gli occhi allibiti dei due umani. Ondeggiando con più dinamismo, rizzarono in piedi, irrobustendosi ancor più di prima.

Non poteva essere così facile. Pensò Sayuri alzando la guardia.
“Grandioso. Ricrescono pure! Dio, come odio le erbacce..” sbottò Don sistemandosi il berretto.

Come ricevuto uno stimolo, i rovi si piegarono verso il basso, cercando di colpire l’uomo con velocità assurda. Don schivò l’attacco ma questi non si fermarono e continuarono nel loro tentativo: il medico non potè far altro che schivare quelle erbacce che si muovevano come fruste, arrivando anche a sbattere il mento per terra pur di non farsi beccare. In un primo momento, Sayuri avrebbe voluto andare ad aiutarlo ma era rimasta ferma dov’era, colta da un illuminazione. Davanti a sé c’erano i rovi che aveva appena tagliato, insieme ai nuovi venuti ma questi non parevano sapere che lei fosse così vicino a loro: si muovevano lentamente, ondeggiando a destra e sinistra e tenendo i loro corpi ben sollevati. Apparentemente non vi era nulla di strano ma lei era a meno di tre metri da loro e questi non solo non si spostavano, ma nemmeno parevano essersi accorti della sua presenza. I loro movimenti era lentissimi, come se fossero addormentati, in attesa di qualcosa che li spronasse a muoversi.

E’ davvero strano. Mi hanno attaccata fino a questo momento mentre adesso sembrano non avvertire della mia presenza. Deve esserci qualcosa che li fa scattare, a meno che....

Pose velocemente gli occhi prima su Don e poi di nuovo sulle piante che la sovrastavano. La sua intuizione poteva essere giusta, doveva solo verificare di persona se ciò che aveva elaborato fosse vero; Lentamente, spostò la gamba sinistra, facendo strisciare volontariamente la suola dello stivale contro la roccia. Immediatamente, i rovi accuminati si riscossero e attaccarono esattamente ai loro piedi, proprio dove lei si trovava. Balzando all’indietro con un salto mortale, la ragazza atterrò su una roccia per poi gettarsi a terra con una capriola laterale prima che la pianta riuscisse ad afferrarla.

Lo sapevo. Adesso ho capito come fanno ad attaccarci.

Allontanandosi rapidamente, raggiunse l'amico e lo trascinò via dal raggio d’azione delle cosidette erbacce, allontanandosi da loro. Nel vederli cadere nello medesimo stato di smarrimento precedente, Sayuri si fermò e, per precauzione, si nascose insieme al compagno dietro ad alcuni alberi.

“Perché ci siamo allontanati? Dobb...”

Lei gli fece cenno di non parlare “Mantieni basso il tono di voce o ci sentiranno. E’così che riescono a captare i nostri movimenti, col rumore” gli spiegò nel sporgere la testa poco al dì fuori della roccia.
Don alzò le sopraciglia, sopreso “Come hai fatto ad arrivarci?”
“Grazie a te. E’ stato quando si sono rialzati che mi è sorto il dubbio: prima hai parlato loro ti hanno sentito mentre i rovi vicino a me non si sono accorti di nulla. E' come se fossero ciechi, basano i loro attacchi a seconda di quello che sentono”
Don annuì con la testa. Il ragionamento non faceva una piega e non lasciava vuoto alcun buco “Ottima deduzione ma anch’io penso di aver scoperto qualcosa di utile. E’ da prima che ci penso e credo che ormai sia una cosa certa”
“Di che si tratta?”

Lui gli indicò con l’indice il punto esatto da cui i rovi erano fuoriusciti, esattamente dove i loro corpi ancora risiedevano nel terreno. “E’ logico pensare che queste non sono comuni piante da giardino. Il fatto che siano comparse all’improvviso, proprio in questo punto, mi ha fatto capire che dobbiamo essere vicini alla vetta ma anche, che queste non solo vogliono difendere qualcosa ma anche, che hanno tutta l’intenzione di non farci passare”

“Quindi se seguiamo il tuo ragionamento, dovrebbe esserci qualcuno nei dintorni che le controlla, è questo che vuoi dire?”
“Esatto. E’ possibile che l’individuo si trovi più avanti, forse proprio sulla vetta. Probabilmente questi rovi sono la manifestazione di un potere scaturito da un frutto del diavolo e chi li comanda, deve trovarsi per forza da queste parti, in alto se seguiamo questo ragionamento; come hai detto tu, queste erbacce ci attaccano solo se avvertono del rumore, quindi è sicuro che il nostro amico, non vedendoci, non può indirizzare correttamente le sue pianticelle” concluse.
“Se le cose stanno così, allora ci basterebbe semplicemente evitarli” suggerì la ragazza.
“Si, è l’unica soluzione (il peggio verrà quando entreremo nel raggio d’azione di questo bastardo). Pronta a correre?”
Sayuri gli sorrise amichevolmente “Ti seguo”

 


“Occhio ragazzi! Ne arriva un altro!”

La costa dov’era ormeggiata la nave si stava pian piano trasformando in un campo da guerra dove cadaveri di mostri marini si ammassavano l’uno sopra l’altro sotto i colpi di cannone e i pugni inferti dai pirati. Il fatto che quelle creature fossero disumanamente enormi avvantaggiava i pirati in fatto di velocità; non si erano fatti scoraggiare o impaurire da quelle bestiacce da colori sgargianti e dai denti aguzzi e avevano impugnato le loro armi senza esitazione, dando mostra di un lavoro di gruppo impeccabile, perfetto contro un nemico primitivo che si limitava a far uso della sua forza senza cooperare con i suoi simili.

Dopo la murena dal corpo giallognolo, si erano visti impegnati contro un paio di serpenti marini dalla muta blu cobalto e un granchio gigante dalla corazza rossa rubino, decisamente difficile da rompere con il solo utilizzo dei pugni; in quel momento se la stavano vedendo con un’altra murena, grande come la prima ma dai colori più vivaci, richiamanti l’arcobaleno, che sotto il sole sembravano mescolarsi tra di loro. Abbatterne uno alla volta era il solo modo efficace per mantenere il vantaggio e per ora sembrava funzionare perfettamente; sorprendevano il nemico con colpi leggeri al fine di indebolirlo e, una volta distratto distrarlo, Bonz gli dava il benservito con una bella mazzata su cranio.

In fatto di forza fisica, era l’unico che potesse rendere incosciente un mostro marino grande quanto una fortezza della Marina. Nel affondare la sua arma sulla testa dell’ennesimo mostro, il cuoco-cannoniere saltò giù da quest’ultimo per atterrare rumorosamente a terra, sprofondando un po’ nel terreno mentre il nemico, appena colpito, stordito per il colpo, barcollò pericolosamente per poi cadere in mare con un tonfo sordo che inondò tutta la spiaggia.

“Bene, ne abbiamo sistemato un altro!” gioirono alcuni.
“Non perdiamoci d’animo! Ne stanno arrivando altri, dobbiamo resistere finchè il capo e gli altri non tornano!” urlò Bonz alzando la mazza.

 


Il santuario di Fisher Tiger non era che un piccolo altare di roccia scolpito dagli umani e dagli uomini pesce in onore del loro salvatore. Sopra l’asse lineare e liscio era stata messa una lastra circolare su cui era stato inciso il simbolo che aveva coperto il segno dell’artiglio dei draghi celesti: non era che un semplice sole ma il pensiero di non vedere più tatuato sulle propria pelle quell’orrore, rendeva quel simbolo ancora più significativo e importante, come un nuovo inizio, una seconda possibilità. Fisher Tiger aveva fondato la ciurma dei pirati del sole per riscattare chi era sull’orlo del precipizio, in particolare i suoi fratelli: non aveva salvato solo i suoi simili ma anche esseri umani, giganti, e molte altre razze per il semplice fatto che erano tutti degli esseri viventi e come tali, non potevano essere schiavizzati da dei loro simili, da chi si credeva addirittura un Dio, nonostante lui stesso odiasse gli umani.

Persone che trattavano gli abitanti di quel mondo come se fossero dei ornamenti per le loro case, a cui potevano dare un prezzo, su cui potevano imporsi perché di loro proprietà.....non esisteva niente di più deplorevole e disgustoso dell’asta di Shabondy. Li prendevano, li vendevano e più erano belli e in salute, più il loro prezzo saliva e sia il venditore che il cliente ci guadagnavano egregiamente. Bisognava essere privi di cuore per dare un prezzo alla vita umana e metterla sullo stesso piano di un oggetto inanimato. Gli abitanti dell’sola delle perle avevano patito tutto questo e cosa potevano fare se non rendere omaggio a quell’individuo, a quell’uomo pesce, che nonostante la sua repulsione per gli esseri umani, non si era lasciato abbindolare dalle discriminazioni e aveva donato la libertà a tutti quanti?

Il santuario era stato il loro ringraziamento, per onorare la sua memoria eppure in quel momento, quel piccolo fazzoletto di terra grigia non era il terreno su cui si stava svolgendo una celebrazione in segno di elogio ma un combattimento dove due opinioni differenti si stavano dando battaglia come due titani scatenati; le parole erano durate ben poco, senza contare che quello su cui dovevano discutere civilmente aveva già trovato la sua conclusione ancor prima di arrivare al santuario. Nonostante Ace vantasse il potere del fuoco, la forza mostruosa di Jimbe, allegata alle sue arti marziali, stava riuscendo a mettere a dura prova tutte le sue capacità.
La sua intangibilità non era più del tutto sicura ma questo non cambiava nulla: anche senza essa, rimaneva mostruosamente forte per competere contro quella dello squalo balena. Botti simili a scosse di terremoto stavano devastando la zona, sbriciolando la pietra in granelli di sabbia e rendendo l’aria carica di elettricità e polvere; più quei due andavano avanti, più tendevano a mostrare il peggio di sé.

“Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, Pugno di Fuoco. Arrenditi” gli consigliò Jimbe con tono che non ammetteva obbiezioni.

Le zanne laterali che sporgevano dalla sua bocca si erano imbrattate di sangue, cosi come per il viso bluastro, percorso da strisce scarlatte luccicanti.

“Spiacente, ma io non prendo ordini da nessuno” replicò Ace arrogantemente. La sua mano divenne incandescente, pronta a colpire “Dovresti aver capito che ho la testa più dura della tua”

Il suo sorriso strafottente ricalcava le sue parole, infondendo un doppio senso di irritazione che Jimbe a stento poteva sopportare in silenzio.

Il Cavaliere del Mare digrignò i denti e inarcò le ciglia arricciate nel vedere il braccio del ragazzo spostarsi all’indietro, nella consueta fase di caricamento. Lui stesso era cosciente di essere una testa calda e nemmeno a lui piaceva prendere ordini da qualcun altro al di fuori di sé stesso; doversi confrontare con una persona che aveva in comune con lui quei due punti era più faticoso perché richiedeva una dose extra di pazienza. Carattere a parte, era un pirata che odiava i pirati e per quanto suonasse strano, il titolo che vantava gli occorreva solo per poter assicurare la continua armonia sull’isola degli uomini pesce che tempo addietro quell’uomo, a sua detta, dall’onore più grande del suo, aveva ristabilito. Il paradiso marino era diventato un mercato incontrollabile, barbarico e i suoi abitanti non facevano che soffrire e perire per mano di chi passava di lì.

In quella terra dalle sfumature blu, dai giardini di corallo brillante, si era scatenato un inferno rosso come il sangue, così denso da oscurare le acque e farle sprofondare nell’oblio assoluto. Sarebbe andato perso se quell’imperatore, il più anziano e il più leggendario dei quattro, non avesse imposto la sua volontà come una legge inattaccabile: Barbabianca aveva placato il caos scatenatosi anni addietro e nessuno si era più permesso di rapire o sfruttare gli abitanti della sua terra ed era per tale ragione che adesso voleva a tutti i costi impedire che quel tipo lo incontrasse. Era il minimo che poteva fare.

“Hiken! (trad: pugno di fuoco!)”

Ace spinse in avanti il braccio destro, rilasciando tutta la sua potenza in quell’unico attacco. L’Hiken era una della sua armi più micidiali, un concentrato di fuoco allo stato puro completamente inarrestabile; occupava un raggio d’azione molto ampio ed era capace di distruggere diverse flotte navali in un solo colpo, lasciando al loro posto cumuli galleggianti di legno e vele. Nell’istante in cui Jimbe si vide arrivare addosso quel colpo dall’immenso potere distruttivo calcò per bene i piedi per terra e richiamò a sé tutta la sua concentrazione senza tentare di scappare. Già sapeva che non sarebbe servito, non avrebbe mai fatto a tempo e quando avvertì sulla propria pelle il calore di quella tecnica bruciare sempre di più, aprì gli occhi, pronto a contrattaccare.

Una cosa doveva sempre tenere a mente: il karate non era soltanto forza fisica ma anche mentale e nel caso degli uomini pesce, la concentrazione richiesta era tre volte superiore a quella umana se la lotta si svolgeva sulla terra ferma. In acqua, si era molto più agevolati.

“Pugno spacca 5000 tegole!”

Lo squalo balena sferrò un pugno potente nel vuoto, rilasciando tutta la concentrazione raccolta in esso: appena lo fece, l’aria cominciò ad agitarsi e a convogliarsi fino a creare un’onda d’urto che fermò la rapidissima avanza del pugno di fuoco di Ace. L’onda creatasi e il fuoco, si mischiarono, aggrovigliandosi fra di loro, fino ad annullarsi completamente.Nel vedere il proprio fuoco neutralizzato a quel modo, Ace sentì la propria schiena venire percorsa da un forte brivido d’eccitazione: quella sfida si stava facendo sempre più impegnativa, decisamente allettante per uno che voleva sfoderare tutta la sua potenza senza costrizioni. Sogghignò divertito. Data l’assenza di civili e considerato chi aveva davanti, lo scatenarsi era decisamente un obbligo impossibile da rifiutare.

“Interessante. Non immaginavo che le tue arti marziali fossero in grado di annullare addirittura il mio attacco” si sorprese.
“Come ti ho detto prima, non posso permettere che tu veda il vecchio. Le tue intenzioni non mi piacciono affatto quindi lascia perdere” affermò irremovibile l'avversario.
“Ah, allora sei sordo d’orecchi” disse il moro col suo solito sorriso furbesco “Ti ho detto che io non prendo ordini da nessuno”
Lo sguardo di Jimbe si assottigliò ancora di più “Allora credo che farti abbassare la cresta non sarà sufficiente”
 



 

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Capitolo 20
*** Sulla vetta. La conca spinosa. ***


Finalmente mercoledì!salve a tutti quanti,come state?spero bene,io sono semidistrutta.Vi porto il ventesimo capitolo come mia personale soddisfazione per essere riuscita a rimanere in piedi dopo i primi tre giorni della settimana (lo ripeto,questi orari mi stanno uccidendo);è un po’ corto ma spero ugualmente che lo apprezziate!volevo mettere anche il ventunesimo visto ieri era il mio compleanno (sono arrivata ai ventuno,sto diventato sempre più vecchia) ma non ci sono riuscita visto che ancora devo rileggerlo e correggerlo.Prima di iniziare,ringrazio le dolcissime sei che sempre mi scrivono le loro opinioni sulla fict e già che ci sono,se qualcuno vuole,lascio la mia e-mail visto che finalmente l’ho sistemata:cortinovis-alessandra@virgilio.it

Maya90:eccola qui,un’altra reduce di guerra!ciao tesorino,immagino tu sia molto stanca.Ti comprendo benissimo,io ho scritto le risposte delle recensioni in quei pochi minuti che avevo a disposizione.E’ così bello che ti sia piaciuta la scena della descrizione della terra di Jimbe e che ti piaccia il nostro sushi ambulante,come Don lo chiama!davvero,i combattimenti sono il mio tallone d’achille,ma se sono stati apprezzati allora devo aver fatto un buon lavoro.Non ti preoccupare,il vecchio Barbabianca salterà fuori molto presto ma non anticipo nulla,come sempre!abbi fede in me!

Yuki689:wow,hai recensito il capitolo alle 2.56 del mattino.Mi sento onorata!grazie per la tua approvazione e sostegno nell’affermare che nemmeno a te le scene di combattimento non piacciono e grazie anche per la minaccia.No,sto scherzando,ogni tanto è giusto impugnare il forcone e puntarlo alla schiena di chi potrebbe rendere felici o tristi i proprio lettori.Il tuo indirizzarmi sulla strada corretta è stato d’aiuto!so cosa rischio,quindi rinfodera le armi e se sei così gentile,passami il libretto di istruzioni così vedo cosa devo evitare o meno.Non voglio rischiare.

MBP:Marta-chan!un’altra che ha apprezzato la parte sull’asta di Shanbody!grazie cara e ringrazia anche Key-chan…ah,Sayuri ti saluta!a forza di complimenti rischio di rotolare a terra tutta gongolosa sospirando come una cretina ma è sempre bello sentire cosa ne pensano i lettori di questa storia.Non pensavo di rispecchiare il manga,ma devo dire che ci sto provando(vedi l’anima trasudare dal corpo).Come ho detto tempo fa a Maya,lavorerò giorno e notte su questa fict,per rendere onore a quel sant’uomo di Ace dalla schiena da dieci e lode(e qui cito Keyra)(gli altri li mettiamo un passettino indietro) e per dare un vero happy ending alla sua vita (non escludo momenti molto SAD!) 

Beatrix:la mia Bea a momenti che si strozza col cibo per recensirmi?tesoro,mi fai piangere dalla felicità.So di aver tralasciato qualche errore ma come ti ho detto (e ti ringrazio per la comprensione)il mio tempo a disposizione è un po’ scarso,sorry!Che ti devo dire poi…i sad moments sono il mio punto di forza,ma anche quelli dove c’è bisogno di dire la propria opinione (sto elaborando una cosina che però si vedrà molto più in avanti);non so perché ma mi riescono meglio di qualunque altra cosa.Non nominiamo i tremors;grossi,bavosi,striscianti…dei vermi formato extralarge!che schifo,che schifo,che schifo!Lo scazzo di Don ci voleva,nessuno può interrompere il suo sonnellino.Bonz è fatto di tutt’altra pasta ed è più commestibile del cugino che invece è insipido e spigoloso.Ha anche lui i suoi lati buono in fondo (molto,molto,mooooooolto in fondo).Lasciando a parte momentaneamente la santità della mia protagonista,mi concentro su Ace;visto il suo orgoglio,farlo un pochino strafottente era un mio diritto,anche perché nella sua scheda c’era scritto che era un pochino arrogante se si trattava di dover primeggiare (come sempre io mi informo)ma credimi,contro la mia dolce e tenere Yu-chan non si comporterebbe così!

Angela90:carissima!eh,svegliare Don nel bel mezzo del suo sonnellino pomeridiano è come assicurarsi la morte.La vigliaccata dell’attacco a distanza serviva solo per mostrare che i miei personaggi sanno far funzionare il cervello e anche perché non volevo mollare subito i combattimenti più grossi,ci vuole un po’ di suspance!Devo trovarmi d’accordo con te su Jimbe;prima come sempre mi informo sul sito di one piece,perché sono sempre curiosa di sapere;specie se poi si parla di spoiler non riesco a smettere!non sapevo bene come descriverlo nella mia fict ma immaginando la fedeltà nei confronti di Barbabianca e quello che il bianco ha fatto per l’isola e che cosa lui stesso rappresenti,capire il perché del suo comportamento è stato facile.Come è venuto, è venuto ma se piace allora ho fatto un buon lavoro!!

Sachi Mitsuki:un’altra gioia che mi fa i complimenti per la descrizione dell’asta di Shanbody;ragazze voi mi farete morire!non ti scusare per le domande perché non sei l’unica immersa nello studio fino al collo.I deliri poi qui sono all’ordine del giorno,perciò sei liberissima di lasciarti andare quanto ti pare (beh,evitando di mandare a fuoco la casa o distruggerla,questo è certo)

 

 

La semplice e veloce strategia elaborata da Don e Sayuri si era rivelata assolutamente efficace contro quelle erbacce spinose: era bastato schivare i loro attacchi e continuare a salire il più velocemente possibile perchè queste non udissero più alcun suono e quindi finissero addormentate: nel voltarsi verso il basso, per assicurarsi di non avere più i rovi alle calcagna e vedendoli caduti in quello stato di trance, i due ebbero un ulteriore conferma del successo del loro piano. Purtroppo, altri si presentarono pronti ad accoglierli e man mano che si avvicinavano sempre più alla vetta, questi divenivano più svegli e veloci ma non abbastanza pericolosi da costringere la navigatrice e il medico-cecchino a fare sul serio.

Quasi vicini alla cima, Sayuri e Don si stavano cimentando in quella corsa ad ostacoli con tutta la loro determinazione. Per quanto quelli ci provassero, i due pirati era di gran lunga più forti e abili di loro e nonostante il loro avanzare li stesse portando dritti verso il loro fautore, quelle grasse liane spinose non potevano fare nulla per fermarli; anche se venivano tagliate o sballottate, si rialzavano tardi e chi dovevano ostacolare, proseguiva senza mai fermarsi o indugiare. La loro salita continuò seguendo quel ritmo e a poco a poco, i rovi smisero di inseguirli, rimandendo indietro con la foresta, divenuta più piccola per permettere alle rocce di dominare sul monotono paesaggio. Ciò consentì ai due di rallentare per camminare con più calma ma senza che l'attenzione diminuisse.

“Non mi convince per niente. E’impossibile che li abbiamo seminati così di punto in bianco” affermò Don.
“Come fai a esserne sicuro?”
L’amico le fece cenno col polline di guardare i grandi fori sparpagliati qua e là che avevano perforato le rocce e il terreno “Prima mi sono sbarazzato di alcune di quelle erbacce e queste invece di ricrescere come hanno fatto le altre, si sono rifugiate all’interno dei loro buchi. Inizialmente non ci ho dato troppo peso mai poi mi sono accorto che il numero dei rovi che ci ostacolava, è diminuito man mano salivamo. Si sono ritirati di loro spontanea volontà e questo mi porta a pensare ad una sola cosa”
“Dobbiamo essere vicini alla vetta” concluse Sayuri per lui.
Già, e lui ci sta aspettando con qualche bella sorpresina. Pensò Don nell’osservare il paesaggio con aria guardinga.

La morfologia della montagna era completamente cambiata: l’intera zona era rimasta rocciosa ma presentava alti piloni chiari a forma di matita che delimitavano il sentiero e che rendevano incerta la visuale. Don li definiva punti d’osservazione, perfetti per chi prediligeva il combattimento a distanza senza sporcarsi le mani.

Perfetti per un cecchino. Precisò mentalmente

Si trovavano a una buona altezza, con il sole ormai in procinto a tramontare e per giunta senza vento. Nella loro attuale posizione, non c’era da preoccuparsi: non potevano muoversi con tutta la libertà, questo era certo ma nemmeno il nemico poteva agire liberamente, non con tutti quei ostacoli che coprivano il sentiero e che dunque offrivano un alta percentuale di fallimento. Avrebbe perso troppo tempo a mirare e inoltre si sarebbe scoperto facilmente, senza contare che se solo ci avesse provato, a tendere un agguato in quella zona, non avrebbe fatto altro che dimostrare la sua stessa stupidità.

“Siamo quasi arrivati in cima. Occhi aperti Sayuri” l'avvisò.
“D’accordo”

Non appena ebbero sorpassato la zona adornata di colonne,giunsero davanti al loro secondo ostacolo.

“Tu guarda questo maledetto..”si ritrovò a dire Don storcendo il naso.

Si trovavano sul ciglio di una discesa che portava all’interno di una conca circolare,rinchiusa da una liscia parete rocciosa bianca:l’interno di questa era colma di rovi che traboccavano in ogni direzione,come un vaso straripante d’acqua.Erano presenti anche un paio di punti di osservazione identici a quelli appena sorpassati,la cui base era immersa in quella natura spinosa;esclusi quelli,il resto era totalmente ricoperto da quelle odiose erbacce,compresa la via per oltrepassare la montagna e dunque scendere verso il santuario.Per il momento,era impossibile confermare la sua esatta posizione perché non la si riusciva a vedere.

“Non è che per caso hai delle cesoie con te?”ironizzò Don.
“No, mi spiace.Purtroppo credo che dovremo passare lì dentro. E’ l’unica via”disse grave la ragazza guardando in basso laddove erano diretti.
“Sapevo che l’avresti detto” sospirò sconsolato “E va bene, immergiamoci e cerchiamo di uscirne alla svelta. Comincio a non poterne più di tutto questo verde”

Non avendo molte altre scelte,anzi,non avendone affatto,discesero il piccolo tratto di sentiero e si fecero strada tra i rovi con non poca fatica:notarono subito la differenza con quelli precedenti,questi infatti erano più coriacei e grossi,tanto da ridurre ogni passaggio a delle piccole fessure strettissime.Al loro interno,la luce non riusciva a filtrare e così i due pirati erano costretti a vagare in una penombra dalle sfumature verdognole e arancioni.
Attaccarli sarebbe stato una pessima idea;non godendo di ampio spazio come nella foresta,rischiavano di non uscire più da quel labirinto spinoso,senza contare che poi,i movimenti lenti e anormali di quei cosi stavano facendo nascere nella mente del cecchino un dubbio che si era quasi subito concretizzato in una convinzione.Lui era un esperto nello studiare il terreno e nel sfruttarne i vantaggi e in quel preciso momento,nel osservare con estrema minuziosità i movimenti di quei rovi,capì tutto quello che c’era da sapere.

“E’ davvero un gran bastardo” sentenziò con loquacità.
“Deduco che tu abbia scoperto qualcosa di interessante”constatò invece Sayuri con un sorriso gentile.
“Certo che si. Ascolta bene e vedi di memorizzare quanto ti dico perché mi serve il tuo aiuto se vogliamo liberarci di questi cosi”

 


I vortici creatisi per l’innalzamento del mare rendevano impraticabile il passaggio per il santuario di Fisher Tiger ma Togai e il vecchio maestro non si trovavano lì per tentare l’impossibile. Dalla spiaggia potevano udire perfettamente i leggeri rimbombi dei colpi che venivano sferzati al santuario; il rumore dei vortici li copriva, rendendo i suoni ovattati ma ogni tanto si poteva vedere qualche roccia venire smossa con forza o colonne di fuoco elevarsi alte in cielo per poi riversarsi con forza a terra. Dopo più di due giorni, quei due stavano ancora combattendo e questo a Togai, l’uomo pesce dalle fattezze richiamanti quelle di uno squalo bianco, cominciava a dare fastidio. La maggior parte del tempo l’aveva passata a digrignare i denti e a tener sotto controllo l’entrata in caso i sudici esseri inferiori, così gentilmente chiamati da lui, avessero tentato di andare ad aiutare il loro compagno. La pazienza era una delle virtù a cui scarsamente si era dedicato negli allenamenti così come l’autocontrollo, la modestia e il rispetto per l’avversario, per questo non era che un semplice allievo la cui forza tuttavia poteva mettere in seria difficoltà anche il più imponente degli uomini.

Seduto su una roccia piana, il vecchio pesce martello dalle ridotte dimensione, invece di agitarsi e inquinare l’aria con cattive vibrazioni, era immerso in uno stato di assoluta meditazione; sembrava non respirare tanto era immobile. A differenza dello squalo bianco, lui la pazienza la sapeva praticare molto bene, anche se non aveva replicato quando quest’ultimo aveva deciso di venire meno al patto stabilito dal sommo Jimbe. L’appostarsi sulla spiaggia, nonostante ci fossero i vortici che rendevano il passaggio innavigabile, a detta di lui, era inutile e del tutto privo di rispetto.

“La tua irrequietezza mi distrae. Vedi di calmarti, Togai” lo rimproverò calmo l’anziano aprendo per metà gli occhi
“Fa silenzio vecchio! Sai quanto me ne importa al momento! Ci sono cose più importanti a cui pensare!” esclamò furente l’altro smettendo di andare avanti e indietro.
“La tua insubordinazione nei confronti del Cavaliere del Mare non è più importante delle presenza di quelle persone” replicò freddo e distaccato “Hai forse dimenticato i sacri principi del karate degli uomini pesce?”
“Certo che no!Tengo alla nostra terra più della mia stessa vita ed è già tanto che sopporti la presenza di altri umani su questo rispettabile suolo!”

Il vecchio pesce martello dalla pelle lucida e marrone scosse la testa nel richiudere le palpebre. Parlare con Togai non era che un spreco di tempo, considerata la sua smisurata impulsività, grande quanto il suo essere discriminatorio. Fin dall’inizio aveva il sentore che l’allievo avrebbe architettato qualcosa per dimostrare ai pirati chi comandava lì ma la verità era che quella faccenda non gli riguardava e disobbedire a Jimbe, equivaleva a mancare di rispetto al più valoroso dei guerrieri la cui vita era consacrata alla nobile arte del karate; tra gli uomini pesce e gli esseri umani c’erano stati e c’erano ancora molti dissapori ma la differenza era che adesso entrambe le fazioni, se così si potevano chiamare, avevano imparato a rispettare i propri territori e chi ci abitava e questo grazie anche al prezioso contributo dato da Barbabianca.

Con l’inizio dell’era della pirateria l’isola degli uomini pesce, trovandosi proprio sotto alla Red Line e a Marijoa, era divenuta un passaggio obbligatorio per chi puntava ad andare nel nuovo mondo ma per sfortuna dei suoi abitanti, era diventata anche un luogo irriconoscibile sotto tutti i punti di vista e solo l’intervento del Re dei Mari aveva riportato la pace; rivendicando quel territorio come il suo ogni azione bellica, anche la più piccola ,era cessata. Nessuno era tanto stupido da volersi mettere contro il più anziano degli imperatori, l’uomo che si avvicinava maggiormente a toccare il trono del re dei pirati. Jimbe faceva parte della flotta dei sette unicamente per assicurarsi che sull’isola non capitassero incidenti come quello accaduto in precedenza.

“Togai, devo forse ricordarti che, aspetto a parte, siamo tutti degli essere viventi?” gli domandò tentando di parlare con l’intelletto dell’allievo che coi suoi muscoli.
“Non ricominciare con i tuoi insulsi discorsi sulla vita, vecchio! Noi siamo esseri superiori, non siamo pari a nessuno, sia nell’intelletto che nella forza fisica!”
“Se non erro, Ojo è un essere umano” gli ricordò lui.

Ojo non era che il ragazzino dalla capigliatura rossastra che attualmente mancava all’appello, colui a cui era stato affidato il controllo della parte più alta della montagna.

“Lui è un eccezione” affermò Togai, moderando il tono “E’ stato cresciuto come uno di noi, quindi ha idee diverse dai suoi simili. A me non va affatto a genio che il maestro Jimbe difenda un imperatore, anche se questo ha reso la libertà alla nostra patria. E’ pur sempre un essere umano, come quel piratuncolo da strapazzo. Vedrai, il maestro gli sbriciolerà le ossa per bene e la stessa sorte toccherà a quei altri sudici dei suoi compagni” sogghignò malvagio.
“Può darsi che questa sorte tocchi a te se non moderi il linguaggio” replicò serio l’anziano.
“Tsk! Non essere ridicolo! Non sarò mai inferiore a quei vermi!” affermò con ostinazione.

 


“Quel bastardo ci sta osservando” mormorò Don squadrando con attenzione ogni angolo con occhi vigili “I rovi si muovono su sua decisione e pertanto è capacissimo di tenerci qui dentro per sempre” era convintissimo di quel che diceva, così com’era convinto che il loro avversario fosse un cecchino.
“Dove pensi si stia nascondendo?” gli chiese Sayuri tenendo alta la guardia.
“Probabilmente su uno di quei spuntoni. Sono gli unici a non essere ricoperti da questi cosi e noi da qui non siamo in grado di vedere dove sia esattamente mentre lui può farci secchi quando vuole”

Sentirsi in trappola come un topo era una sensazione che Don difficilmente sopportava. Loro stessi si erano inoltrati in quel cespuglio appuntito formato extralarge ma non avevano avuto alternative se volevano proseguire oltre. Il vantaggio ora ce l’aveva quel cecchino che sicuramente voleva divertirsi a far perdere la pazienza ad entrambi prima di ucciderli e purtroppo per i due pirati, il tempo a disposizione continuava a diminuire sempre di più. Inspirando profondamente, l'uomo col berretto di lana richiamò a sè la calma e l'astuzia, fondendole per trovare una scappatoia; non potevano lasciarsi dominare dall’istinto proprio adesso e fino a li c’era arrivato, figurarsi farsi fregare su die piedi. Il loro avversario era un cecchino, una persona che prediligeva il combattimento a distanza invece di quello ravvicinato e per giunta, si serviva dei poteri di un frutto del diavolo.

Come informazioni erano poche ma sufficienti per elaborare un semplice stratagemma che forse poteva portare dalla loro parte un po’ di quel vantaggio che sicuramente sarebbe tornato utile a tempo richiestro. Raddrizzandosi il berretto, focalizzò il fulcro della sua idea proprio sull’abilità acquisita del nemico; avevano constatato di persona che quei rovi potevano ricrescere se tagliati ed era questo dettaglio ad essere il principale componente del suo espediente appena escogitato ma per portare a compimento l’opera, era necessario un ulteriore passo, l’ultimo e il più importante.

“Ascolta Sayuri, questi rovi sono la manifestazione di un potere derivante da un frutto del diavolo, giusto?” s’accertò.
“E’ l’ipotesi più accreditabile”
“Perfetto, diciamo pure che lo sono sicuramente. Saresti capace di richiamare a te l’haki e riversarlo in un attacco molto potente?” gli domandò
“Potente quanto?”
“Potente da distruggere tutti i rovi presenti nella zona” precisò.

La conca in cui si trovavano era molto ampia, superava i dieci metri, su questo potevano esserne sicuri ma precisamente avevano idea quanto fosse realmente grande. Nel suo ragionare, Don aveva dedotto che l’unica cosa che poteva neutralizzare i rovi e dunque liberare il passaggio era l’haki di Sayuri. L’abilità della ragazza avrebbe liberato il passaggio e consentito così il proseguimento di quella folle corsa ma quel che impensieriva il medico-cecchino era proprio la riuscita dell’attacco. Richiamare così tanto haki e poi rilasciarlo in un solo colpo avrebbe sfiancato l’amica e dubitava di poterla difendere quando quel maledetto sarebbe saltato fuori, senza dimenticare poi...che c’erano ancora il pesce martello e lo squalo balena da sistemare. La sua sola richiesta aveva fatto intuire a Sayuri il piano che aveva progettato.

“Non è necessaria tutta la zona” si corresse velocemente ”Limitati a una ventina di metri. Pensi di riuscirci senza svenirmi fra le braccia?”
“Penso di si”

Era meglio non rischiare. L’influenza dello spirito vitale su quei rovi ne avrebbe fermato la crescita ma era sicuro che il cecchino avversario ne avrebbe richiamati a sé altri. Dovevano sfruttare quei pochi secondi a disposizione per riuscire a proseguire. Nel vedere Sayuri afferrare saldamente i suoi sai e chiudere gli occhi per richiamare la dovuta concentrazione, il compagno compì qualche passo indietro per lasciarle il dovuto spazio, distanziandosi di un metro da lei data la scarsità di quest’ultimo. Lui non era un esperto dell’ambizione ma le poche volte che l’aveva vista utilizzare dall’amica, gli era bastato per farsi una chiara idea di quanto dovesse essere utile, specie contro chi vantava i poteri dei frutti del diavolo; all’idea che la ragazza si stesse allenando per potenziarlo, gli sorse il pensiero di cosa sarebbe successo se fosse riuscita addirittura a battere Ace.

Volendo, poteva farlo ma se i suoi ragionamenti erano corretti, e lo erano perché lo diceva lui, santa Sayuri sarebbe sempre stato un passettino indietro rispetto al capitano.Afferrando il fucile con la mano destra, si piegò leggermente sulle ginocchia e quando vide la compagna aprire gli occhi e le braccia, compiendo un ampio disegno circolare in aria, si preparò a scattare.

“Recall of Ambition: Wind Liberator! (trad: richiamo dell’ambizione: vento liberatore!)”

Ai piedi della ragazza si creò un vortice che nell’ingigantirsi spazzò via ogni rovo, da prima alzandoli e poi tagliandosi in più parti, fino ad abbattersi sul alcuni spuntoni rientranti nel raggio d’azione dell’attacco; il vento risalì in aria esattamente come una tromba d’aria e trascinò al suo interno tutto ciò che poteva essere sradicato. L’unico punto quieto era dove Don e Sayuri si trovavano; lanciata la tecnica, l’uomo si diede una spinta in alto e saltò su uno degli spuntoni di roccia, impugnando il fucile contro una seconda figura presente a due metri da lui, sorpresa della loro mossa. Era il ragazzino dai capelli rossicci.

“Lo sapevo che ti nascondevi qui, bastardello” sogghignò Don “ Presto Sayuri, prosegui! Al moccioso ci penso io!”

Rimanere lì ad intrattenere il nemico era il suo piano fin dall’inizio; anche se l’haki aveva bloccato i rovi, quel ragazzino poteva comunque dare del filo da torcere. Nonostante la giovane età, vantava un talento da non sottovalutare, cosa che Don era deciso a non fare e dal canto suo, Sayuri conosceva bene lo sguardo che l’amico aveva in quel momento e non ammetteva repliche. Aveva trovato il suo avversario e lei lì era soltanto d’impiccio. Rivolgendogli una piccola preghiera di fortuna, corse verso il passaggio appena liberato, iniziando così la sua discesa, accompagnata dal manto notturno che si stava lentamente sostituendo a quello color arancione tipico del tramonto.

“Non credere di averla vinta. Quella ragazza non ci arriverà mai al santuario. Togai glielo impedirà” lo informò Ojo nel tentativo di far vacillare la sua sicurezza
“Pensa alla tua di vita e non a quella degli altri” gli consigliò vivamente Don, accentuando la presa sull’arma “Con la sonora lezione che ti sto per dare, la pianterai di infastidire la gente con le tue stupide erbacce”
 

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Capitolo 21
*** Tiratori a confronto. L'astuzia del medico-cecchino. ***


Buon pomeriggio a tutti!nuova settimana,nuovo capitolo!prima di ringraziare chi come sempre mi lascia delle recensioni,voglio fare un saluto speciale a tutte le persone che hanno messo la mia storia nei preferiti e nelle seguite!lo so,sono in ritardo,ho scoperto solo di recente come si faceva a vedere(l’ho detto,io e la tecnologia siamo su due pieni diversi).Ah,dimenticavo,grazie a tutte per l’avermi augurato buon compleanno!Già che ci sono volevo anche mandare un saluto alla cara Yuki689;ciao carissima,ti sto immaginando immersa in libri,appunti e scartofie varie,spero che la mia fict ti posso alleggerire dal tuo mattone di studio!spero di sentirti presto e che tu stia bene,un abbraccio!! 

Preferiti:

Agentekuruta.

 Alala.

Angela90.

Beatrix.                                                                                                             

MBP.

Nico83.

Sachi Mitsuki.

Yuki689.

Fenicex8.

Seguita:

Himechan.

Kei87.

Lady death.

Maya90.

E ricordata da :

Dance.

Bene,e ora ringraziamo!

MBP:wow,una mia coetanea,che bello!!la tua Keyra ha ragione,Togai è un personaggio da prendere a pugni ma non temere,tutto verrà sistemato a tempo debito.Tranquilla per il super ritardo,sai che comprendo bene le vostre situazione;io per ora mi ritengo fortunata a riuscire ad aggiornare puntualmente,spero di continuare così ancora per un bel po’!

Beatrix:ah,è così hai 24 anni,eh?beh,ti dirò,in tre mi hanno detto che sono vecchia perché tra i miei amici sono tra quelli che sono più in là con gli anni;in realtà il 21 non mi piace molto come il numero,preferivo il 20 e il 17,non chiedermi perché,però mi ci trovavo bene. Conosci anche tu metal gear?ragazza,devo stringerti la mano,perché anch’io lo adoro,da piccola passavo sere intere a giocarci col mio papà!il primo era spettacolare,non lo dimenticherò mai!grazie per i complimenti sui combattimenti ma io aspetterei ancora un po’ visto che in ballo c’è ancora qualcuno;Togai l’ho reso così bastardo che non farai fatica a odiarlo ma vista la scarsa disponibilità di tempo,qui ho messo solo Don e un piccolo anticipo del prossimo.C’ è anche qualcos’altro ma non svelo niente!uf,questo creare movimento mi sta sfiancando la mente!è difficile pensare a qualcosa di buono e che non sia una roba fuori dagli schemi!

Maya90:oh,amore sei più piccola di me…che tenera!sei ancora più zuccherosa del solito,mi riempi di complimenti.Il razzismo nella mia fict ormai è un tema importante, innanzitutto per il passato della mia protagonista (cavolo,quanto frustate che mi sono dovuta dare per quello che ho scritto) e secondo perché la questione dei figli dei pirati sarà il fulcro di molti discorsi che si vedranno più in là:ora,non so quanto sarà lunga la fict,forse più di quaranta capitoli.Non mi importa se ci metterò tanto,dopo aver visto le vicende di one piece spoiler comincio a sospettare che Oda non sappia più dove sbattere la testa;sono certa che lui sa dove vuol fare arrivare la storia ma so bene che molti (moltissime fan)sono rimasti di sasso per quanto accaduto a Marineford ed è per questo che voglio impegnarmi a dar vita a una visione alternativa che rispetti lo stile di one piece.Forse è un po’ stupido,ma voglio ugualmente tentare e spero che tu e tutti quelli che stanno leggendo o che leggeranno la mia storia,sapranno capire le mie intenzioni.

Sachi Mitsuki:tesorino…per prima cosa,vorrei dirti che la protagonista non si chiama Yuri ma Sayuri!secondo..buon mercoledì!la ditta da te chiamata “Ace in fire” forse avrà la parcella salata come dici tu,ma pagherei ugualmente solo per vedere chi so io davanti agli occhi!!ok,abbandoniamo il delirio prima che sia troppo tardi.Purtroppo devo dirti che Shanks non ricomparirà,scusami!al momento la mia storia non prevede una sua seconda entrata in scena.Spero che la febbre ti sia passata ma sai,vedere Scary movie con la temperatura più alta della norma può avere terribili effetti collaterali,oltre agli sproloqui mentali.Eè meglio mettersi a letto,sotto le coperte e dormire tanto tanto!io sto iniziando ad avere la tosse e credevo di averla scampata!giuro che vado in facoltà anche se dovessi trascinarmi per tutta la salita!

Angela90:oh,ammalata anche tu come Sachi?cara se a 19 ti senti così,io allora dovrei essere già nella tomba in via di decomposizione!ok,è evidente che oggi non riesco a trattenere il mio lato pazzo.Spero che tu sia guarita e che il mio capitolo ti abbia risollevato di morale e di salute!

 

 

Anche se aveva sfoderato l’haki prima del necessario, Sayuri non provava stanchezza nel discendere velocemente il lato coperto della montagna. Gli allenamenti fatti l’avevano rafforzata ulteriormente. Chiamare a sé l’ambizione non era facile, specie nelle situazioni dove il panico era solito stare in agguato per poi assalire la vittima con un continuo crescendo ma lei aveva da tempo imparato a controllarsi e a sfruttare l’innata tranquillità di cui era dotata, anche nelle situazioni più critiche. Più volte si era ritrovata con le spalle al muro e le lance puntate alla gola ma era sempre riuscita a uscirne indenne, ribaltando la situazione a proprio favore: era solita utilizzare i sai e le arti marziali apprese ma l’haki lo evocava solo in caso di estrema emergenza.

Se ne avesse sempre fatto uso, non si sarebbe migliorata come invece voleva fare, senza contare che non riusciva ancora a tenerlo attivo a lungo; il suo massimo era di sette minuti, dopo di che le conseguenze potevano variare a seconda di chi aveva di fronte e verso quale esito la battaglia si stesse volgendo. Contro Ace era stata costretta a utilizzarne più del dovuto perché la sua intangibilità l’aveva messa in una situazione da cui difficilmente sarebbe uscita usando soltanto pugni e calci e alla fine, si era ritrovata con un bel mal di testa e un leggero senso di mancamento. L’haki era un potere straordinario, la dimostrazione della propria determinazione ma non era la sola forza di cui disponeva e a breve lo avrebbe dimostrato sul campo di battaglia.

Aveva impiegato tutta la notte a scivolare silenziosamente lungo il fianco della montagna e solo con le prime luci dell’alba, iniziò a scorgere il piccolo lembo di terra roccioso separato dal resto dell’isola; Ace stava ancora combattendo contro Jimbe,se lo sentiva. Preoccupazione per il capitano a parte, doveva trovare pensare alla maniera di attraversare quel tratto di mare pieno di vortici; aspettare che la marea arretrasse significava perdere altro tempo ma nell’istante in cui finalmente giunse in riva al mare, comprese che non sarebbe rimasta con le mani in mano, ne tantomeno le sarebbe stato concesso di pensare a come aggirare l’ostacolo marino; Togai e l’anziano pesce martello erano lì ad attenderla, come due guardiani devoti pronti proteggere l‘entrata di un antico tempio sacro.

“Ma guarda. Ne è arrivato uno ed è per giunta una femmina!” esclamò lo squalo bianco sogghignando “Non mi aspettavo che qualcuno fosse rimasto vivo”
“E noi non ci aspettavamo che rompeste il patto anche a scapito di innocenti” replicò Sayuri calma “Se desideravate battervi contro di noi, perché non parlarne apertamente? Siamo pirati ma non significa che abbiamo perso il dono della parola”

Nemmeno il tono strafottente dell'uomo pesce poteva scalfirla. Il suo scudo costruito interamente di pazienza le permetteva di elevarsi ad un livello superiore rispetto a dove stava Togai. Il vecchio, sempre seduto sulla sua roccia, aveva semiaperto gli occhi nell’avvertire la presenza della giovane e ora, nel guardala, ne studiava i movimenti e le parole.

“Taci, insulsa umana! Ti credi superiore a me, eh?!” esplose l’energumeno.
“Non ho detto e non credo a una cosa simile” replicò lei.
“Bugiarda!” e le puntò contro il dito ”Scommetto che ti diverte guardarmi con quei tuoi occhietti da saccente. Una femmina che si permette una tale azione non merita che essere punita” sibilò mostrando i denti.

Voleva che provasse paura, terrore e che implorasse pietà ma i suoi metodi ortodossi non funzionavano su chi era capace contenere le proprie emozioni e Sayuri, che già di per sè era incapace di odiare, non potè che trovare quell’individuo semplicemente maleducato e molto irascibile. Non dubitava che fosse forte, era pur sempre un uomo pesce e per quanto fosse tranquilla, agli occhi del nemico, lei appariva come sfrontata e meritevole di una punizione per la presunta mancanza di rispetto.

“Per essere un individuo devoto alle arti marziali, il suo comportamento lascia molto a desiderare: risponderle a tono sarebbe il modo peggiore per affrontare il discorso ma se devo essere sincera, credo che lei faccia troppo affidamento alla sua posizione. Per quanto mi riguarda, non mi ritengo superiore a nessuno e considero ogni essere vivente come mio pari, non come mio inferiore” affermò lei con assoluta eloquenza.
“Un’ottima considerazione” si complimentò il vecchio senza scomporsi. La sua voce spinse Sayuri a voltarsi nella sua direzione “A giudicare da quanto ho sentito, mi sembra di capire che tu sia stata addestrata alle arti marziali, vero?” le domandò con un cenno di curiosità.
“Si, signore. E’ esatto”
“CHI TI HA CHIESTO DI IMPICCIARTI, VECCHIO?”

Per l’essere stato messo da parte in quella maniera, Togai frantumò col pugno una roccia lì vicino. Ai lati dei suoi occhi, diverse nervature pulsavano, pompando sangue a volontà, come per alimentare la sua rabbia.

“Vecchio..” sibilò furente “Questa è un umana. Una stupida, inutile, misera e insignificante essere umana. Cosa vuoi che possa servirle aver praticato le arti marziali? E' risaputo che il karate degli uomini pesce è la sola arte dominante in tutto il mondo. E’ la migliore, il resto sono solo volgari imitazioni creati da stupidi esseri inferiori convinti di poter primeggiare con noi!”
“La tua è solo sciocca convinzione” mormorò lui “Discriminare le arti altrui è un atto deplorevole e del tutto privo di onore e tu non sei nella posizione per criticare chi invece dimostra più sale in zucca di te. Ti ricordo che tu hai imparato solo le basi”

Sayuri non potè che essere d’accordo con l’anziano sulla questione del rispetto nei confronti di altri stili di lotta. Anche suo nonno le aveva insegnato i principi e l’onore che si doveva portare davanti ad un arte diversa da quella che si rappresentava, anche se l’esponente in questione la stava discriminando con tutta la sua rabbia e non se la stava prendendo solo con lei ma anche contro un suo stesso simile.

“Sai solo recitare a memoria delle regole più vecchie di te e non è con le regole che si difende l’onore!” replicò ostinato.
“Mi permetto di dissentire” si intromise lei.
“Tu cosa?!”
“Ha capito bene. La sua opinione sulle arti e sugli esseri umani mi disgusta profondamente. Insultarmi non la renderà più forte e credere che delle regole non possano giovare a nessuno e sbagliato quanto le sue affermazioni. Ci sono persone che dedicano la propria vita a questi principi e li seguono perché vedono in essi una via che li porterà alla correttezza e all’armonia. Forse le arti marziali di noi esseri umani non saranno incisive quanto le vostre ma posso assicurarla che non per questo, siamo da meno” parlò con occhi fissi su di lui. Non aveva mostrato alcun segno di esitazione nel parlare.

Era ferma, sicura, convinta delle sue parole e del loro significato come fossero il suo credo. Per Togai, quella replica e quello sguardo impertinente furono come la goccia che fece traboccare il vaso. Non poteva più sopportare la parlata di quella presuntuosa umana; le avrebbe strappato la lingua a morsi tanto la odiava, così non avrebbe più avuto modo di sputare ridicolaggini. Era pronto a scattare in avanti e lanciarsi contro quella bipede con tutto il suo peso quando improvvisamente il vecchio scese dalla sua roccia e con rapidità innaturale si mise al suo fianco, bloccando la sua futura avanzata con la semplice punta bastone. A malapena Sayuri aveva colto i suoi movimenti, era stato velocissimo.

“Che diavolo fai?” ringhiò.
“Questo scontro seguirà le regole delle arti marziali e se non le rispetti verrai cacciato dall’isola degli uomini pesce” lo minacciò con freddezza “Ragazza, se anche tu sei stata addestrata al combattimento corpo a corpo come hai detto, allora saprai come si svolge un combattimento fra due arti differenti”

Ovviamente Sayuri ne era al corrente. Quello in cui si stava per cimentare era un scontro regolare, che non prevedeva l’uso delle armi, dell’haki, di colpi alle spalle e di nessuna forma d'inganno. Un semplice combattimento a mani nude, il più semplice di tutti. Annuendo col capo e volgendo un inchino in segno di rispetto, assunse la posizione di guardia, con le mani prive di armi e calcando bene i piedi a terra. Ancora una volta i suoi occhi non trasmetterono altro che sicurezza. Il non vederla tremare come molti avevano fatto, fece fremere di impazienza lo squalo bianco.

“U-uh! E va bene!” esclamò Togai preparandosi “Vorrà dire che prima di strapparti quella tua lingua impertinente a morsi, ti insegnerò a stare al tuo posto, piccola pezzente!”

 


“Dannata peste....”

La conca dove Don aveva deciso di fermarsi era diventata un campo di battaglia sotto tutti i punti di vista. Dopo che Sayuri si era dileguata, portandosi via anche gli ultimi raggi di sole, il blu nero della notte aveva coperto ogni cosa, compreso il terreno di gioco dei due cecchini, che per tutta la durata delle ore diurne, avevano combattuto sferrando numerosi colpi e cercando di avvicinarsi l’uno all’altro per potersi attaccare con più aggressività. I soli rumori che si erano uditi e che si udivano tutt'ora, erano gli spari di due fucili differenti che tentavano di colpire un bersaglio mobile e vivente ma fino a quel momento, nessuno dei due si era ancora deciso a cadere, mantenendo il punteggio in perfetta parità. L’aria era impregnata del forte odore della polvere da sparo e la natura lì intorno si era diramata per paura di venire anche solo ferita. Seduto dietro a una roccia, con le gambe piegate e i gomiti appoggiati alle caviglie, Don meditava, respirando con un lieve accenno di affanno e tenendo le braccia penzolanti nel vuoto. Il fucile era poggiato alla sua spalla, con la cintura dell'imbragatura attorcigliata al braccio di lui e la canna piuttosto rovente per il costante utilizzo.
La fronte lucida imperlata di sudore lo accaldava come il resto del corpo, sospeso in uno stato di tensione e tranquillità che gli faceva desiderare una quantità spropositata di acqua ghiacciata dove lasciarsi sprofondare.

Non sarebbe male...che cavolo, perché non mi sono portato dietro la borraccia?!

Sbuffò ma senza emettere fiato. Anche il più piccolo respiro poteva costargli la vita.

Con l’ultimo colpo, aveva sprecato ben 24 proiettili e nessuno di questi era riuscito a bloccare il nemico. Storse il naso in segno di sdegno e si passò una mano sul viso, scacciando la stanchezza accumulata durante quelle ore buie e liberandosi anche del sudore accumulato; quel ragazzino cominciava a stargli seriamente sui nervi, saltellava di qua e di là come se avesse delle molle sotto i piedi! Era svelto e sapeva giocare bene le sue carte anche a distanza ravvicinata. Nella sua personale tabella del giudizio, lo svantaggio era considerato come un set di padelle che si abbattevano una per una sulla sua povera testa: in poche parole, un umiliazione coi fiocchi. Se si aggiungeva poi che chi gli stava bagnando il naso era una moccioso con diversi anni in meno di lui, la cosa superava la fascia che poneva il limite fra l’essere inaccettabile e l’essere imperdonabile.

Diventerei lo zimbello di tutti se mi facessi battere da questo marmocchio ma devo ammettere che è davvero bravo. Se non mi invento qualcosa, rischio di rimetterci lo scalpo!

Il suo udito lo allarmò. A diversi metri da lui si potevano sentire dei leggeri e quasi impercettibili passi. Ojo lo stava cercando. Calma, si ripeteva Don, niente panico. Non c’era motivo di allarmarsi. Nello studiare il suono dei suoi passi,capì che si stava dirigendo a destra, esattamente dalla parte opposta da dove si trovava lui ma non era detto che i suoi occhi fossero rivolti nella medesima direzione. Un bravo cecchino doveva essere capace di vedere anche dietro la propria testa senza girarsi. Tutto stava nell’udito ma in quel momento quella regola non era ciò di cui Don aveva bisogno; gli occorreva un diversivo, qualcosa che gli consentisse di spostarsi e magari di immobilizzare il suo avversario. Sgranò gli occhi, illuminato dai suoi stessi pensieri che gli avevano appena suggerito indirettamente la strategia per ribaltare la situazione. Immobilizzare! Ecco la parola giusta!

Senza far alcun rumore che potesse allertare il nemico, estrasse dalla tasca interna due piccoli coltellini che utilizzava per prestare le piccole cure mediche insieme ad una boccetta di vetro bianca e un sacchetto di pelle nera contenente della polvere da sparo. Con un laccio legò per bene i due coltelli attorno alla bottiglietta e nuovamente aspettò che il ragazzino si facesse avanti: lo sentiva camminare, avvicinarsi ma doveva attendere che si spostasse almeno un po’ a sinistra, nel giusto punto che lui desiderava. Era un rischio alto, perché tutto dipendeva in gran parte dal caso e il suo avversario poteva far sfumare il suo piano se solo avesse proseguito sulla destra come stava facendo. Nel tentativo di scacciare la tensione, l’uomo con l’immancabile berretto di lana grigia smosse la bocca mordendosi il labbro inferiore. Doveva essere veloce, non poteva commettere alcun errore.All’improvviso, lo sentì; il nemico si era spostato a sinistra, anche se di poco.

Dandosi la spinta uscì allo scoperto, mostrandosi al ragazzino dai capelli rossi, già pronto a prendere la mira ma Don fu più veloce di lui e gli lanciò contro i due coltelli legati alla bottiglietta di vetro, sperando che il rossino non evocasse proprio in quel momento i suoi rovi; istintivamente, Ojo sparò, centrando la bottiglia e nell’istante in cui il fragile materiale venne a contatto con il proiettile,questo andò in frantumi in una piccola esplosione che liberò un liquido che bagnò parzialmente il ragazzo.

“Che cosa....?” lo sentì dire.

Il liquido era incolore, freddo, con un aroma molto forte, simile all’alcool usato per disinfettare le ferite. Non ebbe il tempo di chiedersi cosa fosse, perché Don era pronto a rincarare la dose con un secondo assalto; gli lanciò contro il piccolo sacco di pelle nera infiammato e lui fece in tempo ad allontanarsi prima che questo scoppiasse, generando una piccola esplosione nella conca. L’ondata di calore e fumo creata dall’enorme botto lo investì, accecandolo momentaneamente ma senza inibire i suoi affinati sensi; anche se il fumo gli stava offuscando parzialmente la vista, intravide una figura astratta e nera dirigersi verso di lui e i passi che udiva, provenivano dalla stessa direzione. Avrebbe approfittato della situazione se solo fosse riuscito a imbracciare il fucile.

Ma che..il mio corpo! Non riesco a muovermi!

L’azione progettata velocemente nella propria mente non riuscì a concretizzarsi. Gli occhi del ragazzino dai capelli rossi si tinsero di stupore: il braccio non rispondeva ad alcun stimolo e quando tentò di alzarlo, quello rimase lì, penzolante come se fosse privo delle ossa. Le dita che stringevano l’impugnatura sciolsero la loro presa, facendo cadere l’arma a terra e subito dopo anche lui si ritrovò in ginocchio e infine a pancia in giù, con la povere insidiata nelle narici. Non capiva, il suo corpo era pervaso da una strana sensazione, era....completamente paralizzato. Essa si era riversata nel suo corpo e lo aveva investito arto per arto, come il veleno di un serpente. Tutto in lui era addormentato, perfino i muscoli ma ogni singola percezione era ancora attiva: poteva provare dolore sulla sua pelle nonostante la paralisi.

“Però! Non pensavo che facesse subito effetto” esordì Don stupito a due metri da lui.
“B-Bastardo....che mi hai....?” perfino la sua bocca aveva qualche difficoltà a muoversi.
“Non ti agitare. Ho semplicemente fatto ricorso alle mie doti di medico. Ti ho anestetizzato” spiegò.

Il volto del ragazzino si colmò di rabbia così grande che sostituì il suo sbigottimento fino all’ultima goccia. Quel maledetto gli aveva lanciato contro la bottiglia di proposito perché era certo che gli avrebbe sparato contro. Ciò spiegava l’odore simile all’alcool ma non era sufficiente per spiegare l’esplosione creata. Era talmente furente che ogni ragionamento logico era impossibile da costruire o anche solo da formulare; più guardava quel pirata dal berretto grigio, più gli veniva voglia di tirargli un pugno in faccia.

“In teoria questo anestetico agisce nel giro di dieci minuti se inalato ma vista la situazione ho pensato di accorciare i tempi: la polvere da sparo che ho lanciato serviva unicamente per creare abbastanza calore da permettere all’anestetico di impiegare meno tempo e così di subito entrare in azione ed, essendo molto forte, ha agito come di conseguenza” avvicinandosi a lui, allontananò con il piede l’arma, per inginocchiandosi vicino al suo viso “L’effetto durerà un quarto d’ora e non subirai effetti collaterali quindi, non appena finisce, ti consiglio di levare le tende” gli suggerì
“Non intendi finirmi?” gli domandò aspramente. Se ne avesse avuta la possibilità gli avrebbe sputato in faccia.
Don lo guardò come se stesse fissando un alieno“Non ci penso nemmeno. Ho sprecato troppe pallottole e poi sono stanco. Mi hai fatto correre per tutta la notte. Non prendertela a male, sei stato bravo e anche coerente, ti sei battuto ad armi pari senza ricorrere ai poteri del frutto del diavolo e questo ti rende onore.” gli concesse

“Tsk! Io non gioco sporco come Togai” sibilò distogliendo lo sguardo.
“Meglio così ma anche se avessi imbrogliato te le avrei suonate di santa ragione. Sei ancora un pivellino!”

Ojo non replicò. Borbottò qualcosa tra sé e sé, per poi appoggiare la testa a terra senza più rivolgere la parola a quell’odioso uomo che l’aveva messo con le mani nel sacco. Solo perché aveva qualche anno in più di lui non significava che fosse più forte o astuto. L’aveva salvato il fatto di essere un medico, tutto qui! Senza i suoi intrugli puzzolenti non sarebbe scampato al suo fucile, su quello ne era certo.Non avendo più motivo di restare, il medico-cecchino si alzò in piedi e, facendo scricchiolare i muscoli del collo, si incamminò con l’intenzione di proseguire nella stessa direzione presa da Sayuri quando, improvvisamente, il lumacofono nella sua tasca cominciò a vibrare e ad emettere il classico suono di chiamata.

“Qui Don. Che succede Bonz?” domandò nell’aprire la linea, sapendo già con chi avrebbe parlato.

Ricevette parole confuse, veloci e anche allarmanti,un miscuglio incomprensibile che avrebbe confuso chiunque lo stesse ascoltando. C’era ansia in ogni sillaba, panico, una paura che avrebbe messo in ginocchio chiunque. Scorrevano veloci quelle parole, a volte si mangiavano a vincenda, tanto da rendere il discorso frammentato eppure Don, tra tanta confusione, comprese il messaggio di quella chiamata e sgranò gli occhi nel mettere insieme pezzi per formare il filo del discorso.

“Stai scherzando, vero?! Avete controllato bene?!”

La bocca gli si aprì, sconcertata e quelle domande si trasformarono in un grido. Con quella notizia, il panico discese lungo la gola per colpire il cuore, che intensificò il proprio ritmo al solo sentirsi ripetere quel già aveva udito bene in precedenza. Gettò gli occhi da prima su Ojo e poi sul sentiero che gli si presentava, per infine voltarsi di scatto verso quello da cui era venuto insieme a Sayuri. Se avesse proseguito, avrebbe sprecato più tempo ma se invece fosse tornato indietro, ci avrebbe impiegato di meno e inoltre, si sarebbe occupato immediatamente dei possibili feriti. Visto il nuovo pericolo che stava per arrivare, tutti quanti dovevano essere almeno capaci di reggersi sulle proprie gambe ma non poteva non chiedersi se l’amica sarebbe riuscita a occuparsi dei due rimasti da sola. Si diede dello stupido mentalmente; Sayuri era forte, più di quanto il suo bel viso grazioso desse a vedere e sicuramente i due uomini pesce non l’avrebbero fermata con tanta facilità. Poteva solo fidarsi della sua convinzione, della fiducia che riponeva nelle abilità della castana, nulla di più.

“Prepara la nave e di a tutti pronti! Se ci sono feriti gravi, portateli sotto coperta, gli altri li voglio tutti sul ponte! Io cercherò di arrivare il prima possibile!” ordinò.

Chiuse la comunicazione e caricandosi il fucile in spalla, cominciò a correre nella direzione opposta a quella che teoricamente avrebbe dovuto seguire. Era uno stato di massima allerta, non poteva esserci di peggio e proprio in quel momento! Come se non avessero già abbastanza problemi con il Cavaliere del Mare. Scosse la testa freneticamente; no, non era il momento di star lì a pensare a cosa stavano per andare in contro ma piuttosto a come potevano gestire quel caos che stava per raggiungere dimensioni apocalittiche.

Tra tutti, proprio lui....! Non ci credeva, doveva essere per forza un incubo.

Merda, siamo nei guai fino al collo! Qui non c’è un secondo da perdere!!

 


 

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Capitolo 22
*** Battaglia sulla spiaggia. Due stili contrapposti. ***


Ordunque,oggi tocca a me  aggiornare!come sempre saluto tutti i miei lettori e auguro buona lettura,sperando che il capitolo sia di vostro gradimento!!!!un saluto speciale a tutte queste persone e anche a chi si limita soltanto a leggere!!!!!Come avrete capito,questo capitolo tratterà del combattimento di Sayuri;io ho fatto del mio meglio,a voi il giudizio!!!!

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Beatrix: cara la mia Bea,sono contenta che Sayuri ti faccia ridere.Si,forse l’ho fatta troppo educata ma ci stava così bene che non ho voluto cambiare niente di lei.Eì stato davvero divertente creare la scena tra quei due.lui impaziente e lei tutta posata che non se la prendeva nemmeno se gli lanciava addosso i sassi;Togai è odioso,lo so,e qui lo odierai di più ma non preoccuparti.Troverà ciò che gli spetta!il povero maestro fa bene a vergognarsi di lui!Dunque ti piace fare il cecchino?certo,ha il suo fascino,piace molto anche a me;rimanere lì appostati nel silenzio e non appena qualche testa nemica spunta fuori dall’angolo..tram!devo darti ragione sulla faccenda del lumacofono,ma sai di solito succede così in one piece,credo,si chiama sempre dopo un combattimento ma forse avrei dovuto davvero applicargli il silenzioso….muble muble….Addirittura un capolavoro il combattimento di Don?tesoro,non farmi arrossire!lo so che vorresti strozzarmi per aver inserito questa scena di panico dove non si sa chi sta arrivando ma come sempre,non posso rivelare nulla (tranquilla,Bonzino è vivo!almeno questo spero ti consoli)

 MBP:la tua Key-chan è sempre incoraggiante!non temere,ci pensa la dolce navigatrice a quel baka senza cervello e educazione.Con Don dovevo pur fargli far bella figura,altrimenti mi presentava una lettera di dimissioni e poi chi trovavo come sostituto?!panico!!Marta-chan,non temere,quando il gioco si fa duro,le belle fanciulle come noi sono pronte a menar le mani!!

Yuki689:Oh cielo,addirittura due recensioni,una per ciascun capitolo!troppo buona la mia Yuki,ti abbraccerei!!!!non scusarti per il ritardo,come sempre capisco che la nostra vita è piena di libri,appunti e…beh,almeno qui non voglio parlarne.Non sai che gioia è sentirti dire che la mia Sayuri piace sempre di più;si,Togai troverà la sua calma snervante ma nemmeno il supremo degli insulti la potrà smuovere la mia navigatrice!E Don….beh,o gli davo un combattimento decente o dovevo cercarmi un altro medico-cecchino entro 24 ore,il che sarebbe stato difficile.Si ha penato per batterlo,come farà Sayuri.Certo non posso farli vincere subito tutti senza uscirne feriti,almeno un pochino,sarebbe esagerato!E poi è giusto che davanti a un pericolo,dietro ce ne sia un altro!non posso farli rilassare,One piece si basa anche su continue lotte e pericoli senza attimi di tregua!Non stare a penarti se non riesci a recensire subito,è normale!io stessa mi stupisco di riuscire a recensire puntualmente.

Maya90:eh si,finalmente siamo arrivati alla parte dove volano pugni,calci,fiamme..tutto l’arsenale possibile!Togai l’ho dovuto per forza fare così odioso,giusto per creare un’antagonista perfetto per la calma della mia dolce Sayuri.Certo,Don è stato ineccepibile ..(la verità?mi ha puntato il fucile dietro la nuca e ha detto “ho mi fai fare bella figura oppure questa storia finisce qui”).Certe persone sono così permalose…e dire che l’ho creato io così!apprezzo io tuoi sospetti ma ti prego,tu e tutte le altre,teneteveli per voi,se no che sorpresa è?!Ah,complimenti ancora per la tua storia,so di averlo già detto ma adesso che Rouge è finalmente sulla nave,non so se saranno più movimentati gli scontri con la marina e Barbabianca o i battibecchi di Rouge e Roger (io propendo per il secondo).

Angela90:sei ore di fisica più due di analisi di matematica?!?!?!?!?!tesoro che orrore!!!!!dov’è la finestra che così la faccio finita subito?scusa il mio delirio,ho sudato cinque anni di liceo per levarmela dai piedi.Allora mia cara,non devi temere per Sayuri:quando una ragazza è innamorata è capace di tutto ma proprio di tutto!Don ti ringrazia per i complimenti,dicendo che era il minimo visto che tutta la fatica l’ha dovuta fare lui..non starlo a sentire,è un brontolone!Anche tu,sui tuoi sospetti…ferma lì!no,non importa siete libere di fare congetture ma evitate di metterle per iscritto,aspettate almeno un paio di capitoli.

Sachi Mitsuki:eccola qui,la mia giapponesina(per il nome si intende).Hai 15 anni?oh ma che carina,sei piccolina,tenera,un amore!(scusa,mi viene naturale essendo avanzata di un anno.)Dunque odi anche tu Togai?benissimo,allora posso aprire ufficialmente il fan club “odiamo Togai!” (chiedo perdono,non ho trovato un nome decente!si accettano suggerimenti!) .Io aderisco alla ditta “Ace in fire”,è molto più gratificante!non ti preoccupare per la mal lettura,ho preso spunto anch’io su un dizionario e visto che i gigli sono i miei fiori preferiti,l’ho trovato perfetto per il mio personaggio!

 

 

L’alba era giunta da poco più di due ore e aveva portato con sé un corteo di colori dorati che ne simboleggiavassero la magnificità: lentamente, il blu della notte si attenuò, schiarendosi in un tenue azzurro accompagnato da grigie nuvolette che riflettevano una graziosa luce rosea mentre il sole giallo si svegliava dal suo sonno quotidiano. Ogni onda che si veniva a creare in mare catturava un po’ di quel bagliore mattutino, per poi giungere a riva e cimentarsi in un ultimo e spettacolare salto, che andava a infrangersi sulla spiaggia rocciosa dagli angoli sabbiosi. Uno spettacolo meraviglioso e suggestivo ma non abbastanza da far interrompere il duello di Sayuri e Togai; il karate degli uomini pesce si scontrava con le arti marziali umane come fossero due correnti ostili che tentavano di trovare un breccia da sfruttare a loro vantaggio; il primo reincarnava la forza bruta e il puro istinto omicida che contraddistingueva un uomo da una bestia mentre la seconda simboleggiava l’eleganza di un arte mai spenta. L’aggressività contro la raffinatezza; due termini che dicevano tutto.

Lo squalo bianco aveva adoperato la classica tattica dei suoi simili; girava intorno alla sua preda, studiandola e sogghignando come se potesse già sentire la vittoria nelle sue mani e man mano che si avvicinava, aumentava la velocità. Dopo una prima serie di colpi sferzati la ragazza, improntata sulla difesa, si teneva pronta a ricevere il prossimo attacco del suo avversario.

“E’ quasi un peccato doverti picchiare. Scommetto che quei bastardi dei Draghi Celesti pagherebbero bene per divertirsi con te” sibilò continuandole a girare intorno “Forse così la smetterebbero di cacciarci”

Sayuri ignorò le sue parole e l’astio che trasmettevano. Distrarsi anche solo per qualche secondo le sarebbe stato fatale: Togai era deciso a ucciderla e a dimostrare tutta la sua superiorità come essere vivente. Non poteva nemmeno più impensierirsi per Ace, doveva avere la assoluta concentrazione su di sé per poter sfruttare al meglio tutte le sue capacità. Inspirando, piegò le ginocchia e strinse i pugni; non appena lo squalo scattò in avanti, quasi scomparendo dalla sua vista, si scansò, evitando così di essere colpita dal suo pugno devastante, che non risparmiò il terreno su cui solo pochi secondi prima si era soffermata.
La rabbia per l’averla mancata si ingrossò ancora di più, tanto che l’avversario le fu subito addosso come una furia; sferrò una coreografia di pugni e calci ben studiata, con l’intento di non lasciarla o anche solo di permetterle di compiere qualsiasi forma di contrattacco. Sayuri schivava ma non stava cercando di scappare, al contrario: quel genere di combattimento dove la forza fisica veniva considerata l’elemento chiave per vincere non era il primo in cui si era imbattuta e quindi sapeva come comportarsi. Nell’evitare un calcio, si preparò a ricevere il gancio destro che stava per arrivarle in faccia: elevando dal basso la mano sinistra, a palmo aperto, cambiò la traiettoria dell'attacco con tocco secco. Questo si disperse l’aria e lei rincarò la dose colpendolo in pieno mento con una capriola all’indietro. Togai cadde a terra con del sangue che gli colava dalla bocca, più furioso che mai mentre la ragazza atterrava elegantemente sui suoi piedi a poca distanza da lui.

“Uhm..astuta l’umana” affermò il vecchio abbozzando un sorrisetto.
“Tu....piccola carogna...hai solo avuto fortuna!!” urlò l'avversario alzandosi in piedi.

Il vecchio non la pensò allo stesso modo. Vedeva la ragazza rimanere con la guardia ben alzata, fresca come una rosa e soprattutto, perfettamente calma e rilassata. Agli inizi del combattimento, si era limitata a studiare il suo nemico e aveva realizzato fin da subito che in fatto di forza fisica, gli uomini pesce erano nettamente superiori dei comuni esseri umani quindi, se lo avesse affrontato cercando di primeggiare con i suoi soli muscoli, molto probabilmente si sarebbe solo fratturata le mani o peggio se si fosse lasciata dominare dall’istinto. La tattica  della giovane stava nello sfruttare a suo vantaggio la forza di Togai ;più il colpo era veloce e ben caricato, più l’impatto sarebbe stato tremendo se questo fosse andato a segno, ma per sua sfortuna, l’allievo non si era accorto della piccola pecca che aveva quel suo cocciuto modo di fare; a quella velocità, il colpo poteva solo che andare dritto e bastava un semplicissimo tocco per mandarlo a monte e Sayuri stava esattamente adoperando quello schema.
Annullando il suo attacco lo scopriva e poteva colpirlo nei suoi punti più deboli e senza dover sprecare troppe energie, cosa che invece lo squalo bianco stava facendo. Gli occhi del maestro guizzarono sul colpo successivo; Togai concentrò peso e rabbia in entrambi i pugni, uniti in uno, la cui fulmineità era visibile quanto una corrente azzurra che pareva generarsi dalle nocche. Invece di schivare, Bianco Giglio attaccò un punto preciso di questi e in men che non si dica, lo squalo si ritrovò con le braccia all’aria e il torace scoperto: la pelle grigia e allenata di questo venne prima colpita da una gomitata orizzontale poi, rapidamente, la ragazza sollevò l’avanbraccio per colpire, sempre col la mano chiusa, il brutto muso viscido dell’uomo pesce. Infine, lo mandò a terra con un calcio rotante. Il malcapitato non potè non coprirsi il muso con le mani palmate, ringhiando per l'ennesima volta.

“Togai, mantieni la calma e concentrati” gli disse l'anziano con l’indiretto tentativo di aiutarlo.
“Taci! E' la mia battaglia e non voglio sentire volare una sola mosca!!”

Non c’era modo che lo ascoltasse; trasudava orgoglio, odio e arroganza come fossero fluidi verdognoli mischiati ad un rosso color sangue. Si ripulì col dorso della mano il sangue e sputò il restante per terra, senza mai distogliere lo sguardo dall’umana.

Ti credi furba, eh?! Aspetta che ti metta le mani addosso..

Stava ghignando. Sayuri lo vedeva distintamente ghignare come se avesse appena trovato la soluzione a tutti i suoi problemi. Avvertì la sua insana presunzione avvelenare il terreno e toccarle le gambe, provocandole un calore che però lei trovò inspiegabilmente freddo e pungente. Lo osservò alzarsi, con entrambi i pugni serrati, sempre più deciso a continuare e nel vederselo arrivare nuovamente contro, si preparò a difendersi quando, tutto a un tratto quello si bloccò a pochi metri e gli lanciò contro una strana polvere color nocciola; istintivamente lei si portò le mani agli occhi, ma la quantità di quella polverina sottile era stata sufficiente a ricoprirla e dunque accecarla.

“I miei...!!” gemette lei tenendosi le mani sul viso e cercando di togliersi di dosso quella che poi era sabbia.
“Togai!!” lo rimproverò duramente il maestro.
“Stupida umana!!” esultò vittorioso.

Le diede una spallata poderosa, gettandola contro una roccia e bloccandole il collo col braccio. Sayuri tossicchiò violentemente, col respiro mozzato e più si divincolava, più la presa sul suo collo si accentuava.

“Siete sleale” riuscì a dirgli con gli occhi chiusi.
“Non mi dire....”sogghignò.

SBAM!

Con l’altra mano libera le aveva sferrato un pugno in pieno stomaco. La spinse più in alto, in modo tale da farle toccare il terreno con le punte dei piedi.

“Sono curioso di vedere quanto tempo ci impiegheranno le tue ossa a rompersi” si chiese con un che di sadico nella voce.

SBAM!

La colpì una seconda volta.

SBAM!

Una terza...

SBAM!

Una quarta...

SBAM!

Una quinta e così via...

Togai infieriva sul suo stomaco, sul torace, sulle costole e anche sul viso. Voleva sentirla urlare ma dalla bocca della giovane castana non fuoriusciva nulla, nemmeno un suono simile a un rantolo di dolore, se non dei rivoli di sangue. Sayuri resisteva anche se a malapena riusciva a percepire la parte centrale del suo corpo. Doveva reagire prima che fosse troppo tardi, non poteva fermarsi lì: le braccia erano schiacciate contro la parete rocciosa e quindi non potevano arrivarci ma forse le gambe.....

Lo squalo bianco era così preso a massacrarla e a ridere che si accorse tardi del calciò che gli arrivò in pieno torace: la ragazza aveva alzato la gamba e piegato il ginocchio per poi raddrizzarlo e colpirlo con tutta la sua forza. Come da lei sperato, l'avversario sciolse la sua presa e si allontanò, tenendosi una mano sulla parte dolorante. Sayuri boccheggiò a carponi, riuscendo finalmente a respirare l'ossigeno che per lunghi e interminabili secondi le era mancato. Le mani poggiate in avanti erano il suo unico sostegno, ciò che le impediva di finire sdraiata a terra. Accusava un dolore lancinante nelle diverse zone fisiche tartassate, avvertiva le sue ossa vibrare ed emettere suoni anormali, ma non ci badò; nel rimettersi in piedi, scoprì di potersi muovere, stupendosi della sua stessa resistenza.

Era stata fortunata ma ciò non compensava la sua disattenzione; il suo avversario era riuscita a coglierla di sorpresa. Ansimando, squadrò lo squalo bianco, pulendosi gli occhi e togliendo i pochi granelli di sabbia rimasti a darle fastidio. Non poteva vedersi il viso ma a giudicare dalle fitte che le stavano circondando l’occhio, immaginò un grosso livido nero e viola attorno ad esso e forse anche sulla guancia destra, per non parlare del labbro spaccato. Il sapore del sangue le riempiva sia le narici che la gola, ne percepiva il lieve calore mentre questo colava a lato della sua bocca, per poi gocciolare sul terreno.

“Ti reggi ancora in piedi. Piccola presuntuosa, che cosa credi di fare, eh?! Stai solo rimandando la tua condanna. Non puoi vincere così come non può vincere il tuo patetico capitano! Affrontare il sommo Jimbe non è cosa da tutti e quello stupido e insulso essere umano si ritroverà con gli arti spappolati, ma non preoccuparti: la stessa sorte toccherà pure a te, così vi ritroverete subito insieme nell’aldilà!”

Alla sua ennesima offesa, Sayuri strinse le labbra, contrariata per poi lasciare la presa ed espirare. Se prima non considerava quelle parole come uno scherno, ora non poteva di certo ignorarle apertamente.

“Per quanto mi riguarda, non mi interessa essere presa in giro” iniziò senza rabbia nella voce “Ma le proibisco di parlare male del mio capitano. Forse ai suoi occhi non è nulla di speciale, ma le posso assicurare che è molto più forte di quanto appaia” gli rivelò lei indurendo il tono, rendendolo neutrale, quasi freddo. Il suo suonava come un avvertimento che non doveva essere sottovalutato.
“Oh, e questo dovrebbe farmi paura? Se il tuo capitano è così forte perché allora non è qui ad aiutarti?” la stuzzicò malignamente.
“Forse è ancora impegnato a mostrare al sommo Jimbe che non è insulso e patetico come l’ha definito lei. Ci terrei a farle notare che anche il Cavaliere del Mare non è presente e quindi, posso supporre che le trattative col mio capitano non si siano ancora concluse”
“Tsk! Che essere insulso....tu speri davvero che quell’omuncolo possa battere un maestro come il sommo Jimbe?!?” esplose.
“No, io non spero. Mi fido semplicemente di lui” rispose riposizionandosi “Come le ho già detto, il mio capitano è molto forte, ma devo avvisarla che nemmeno io sono da meno e visto che sembra non crederci, ora glielo dimostrerò” 

 


Ad ogni suo respiro i polmoni bruciavano come una foresta in fiamme e reclamavano pietà. Il suo corpo scottava ed era teso in ogni suo punto, coperto di lividi, tagli, tutti imbrattati di sangue. Ogni muscolo contratto stava andando oltre a tutti i limiti imposti al fisico umano ma lui non poteva definirsi normale e per tanto, molti di quei limiti non lo potevano fermare. Alcune ciocche nere ribelli gli ricadevano in avanti, scompigliate come il resto dei capelli. Era in ginocchio, con una mano appoggiata a terra e gli occhi ostinati rivolti al suo avversario.
Ace era vivo ma malridotto e Jimbe versava nel medesimo stato, col fiatone e la veste rovinata in diversi punti. Erano allo stremo, nulla avrebbe potuto confermare l’opposto, ma piuttosto che ammetterlo, avrebbero continuato la loro crociata autodistruttiva senza preoccuparsi se ci sarebbe stato un dopo per loro. L’orgoglio li univa, li spingeva a combattere per motivi differenti, ma che per volere del destino, si erano incrociati. Avevano perso la cognizione del tempo, avevano proseguito quello scontro infierendo l’uno sull’altro, senza risparmiare colpi, col risultato di trovarsi in parità, che per loro non equivaleva a nulla di risolto.

“Che c’è? Sei stanco, Pugno di Fuoco?” gli domandò in una sorta di rantolo provocatorio.
“Eh eh, questo dovrei dirlo io, visto che tra noi due, sei il più anziano. Alla tua età certi sforzi fanno male alla salute” lo canzonò l'altro apostrofando un sorriso furbesco.

La sua fronte era sfregiata da un taglio aperto che continuava a perdere sangue. Il liquido scarlatto discendeva lungo il viso, tracciando due linee che passavano dall’occhio sinistro fino ad arrivare al mento. La sua camicia color canarino a maniche corte era ridotta uno straccio, impossibile da recuperare. Il Cavaliere del Mare non aveva usato mezze vie per fargli capire che non intendeva in alcun modo permettere che qualcuno mirasse alla vita del Bianco ma nemmeno Ace ci era andato leggero con lo squalo balena; fuoco a parte, la sua forza fisica era bastata per slogargli la spalla e spingerlo a considerare l’idea che si era trovato un avversario decisamente meno morbido rispetto ai precedenti.
Jimbe digrignò le zanne e con estrema fatica si rimise in piedi contemporaneamente a Ace. Mossi più dal loro istinto che dalle proprie gambe, si scontrarono: entrambi sferrarono un pugno, riuscendo a colpirsi seppur in punti diversi. I loro colpi producevano un suono sonoro che si espandeva e coinvolgeva ciò che stava lì attorno. Dagli attacchi potenti e inimitabili, erano passati alla più classica, ma pur sempre efficace forma di combattimento preferita dai pirati: una comune e sana scazzottata. La mano più che pesante di Jimbe colpiva Ace come fosse cementata in ogni zona visibile e il ragazzo faceva altrettanto, restituendo tutto quello che lo squalo balena gli stava cortesemente dando. Si colpirono in faccia per l’ennesima volta, allontanandosi per l’urto violento che quel contatto aveva scaturito, rotolando a terra.

“Non pensare di averla vinta” sibilò Jimbe affannato.
“E chi lo pensa? Io lo so e basta. Sei più stanco di me, cadrai a terra senza accorgertene” gli assicurò col fiatone
“Sempre che tu non lo faccia prima di me, Pugno di Fuoco”




Quando Sayuri aveva fermato di non essere da meno del suo capitano, Togai con la sua sfacciataggine non aveva minimamente preso in considerazione quelle parole, facendo entrare e uscire dagli orecchi come fossero aria. Un grosso errore. La sua presunzione lo stava accecando e ogni suo colpo finiva a vuoto, mentre la ragazza non soltanto stava dando prova di grande calma, ma di una compostezza nei movimenti che le consentivano di combattere senza sprecare inutili energie.
L'uomo pesce era così addirato che le venature contornanti le sue tempie erano sul punto di esplodere e il maestro, perfettamente seduto sulla roccia, non potè far altro che sospirare per la stupidità del suo allievo; la forza bruta non serviva assolutamente a niente se la mente era colma di rancore, ma Togai si rifiutava categoricamente di ascoltare i suoi consigli, di calmarsi, permettendo così alla sua avversaria di prevalere senza troppa fatica.

Assistendo all'ennesimo smacco, il pesce martello contrasse le lunghe e bianche sopracciglia, stanco di vedere come la nobile arte dei uomini pesce stesse degenerando nelle mani dello squalo.

"Togai, adesso basta" proruppe.
"Che?! Vecchio, che vai a blaterare?! il combattimento non è ancora finito!!" esclamò quelo guardando con fare assatanato il più anziano.
"Invece lo è. Sei troppo irrequieto, non riesci a concentrarti e non fai che sprecare le tue energie in colpi troppo prevedibili. E' evidente che questa giovane ti è superiore quindi, se vuoi salvarti dall'umiliazione, vedi di smetterla"

Togai, a quelle parole riluttanti, digrignò i denti appuntiti. Guardò con quanto più disprezzo aveva quella sudicia umana che lo stava surclassando e la rabbia crebbe a tal punto da traboccare più di quanto già non stesse facendo.

"Superiore? Questa bastardella mi sarebbe superiore?" rise come se avesse appena ascoltato una barzelletta "Stronzate! Questi bipedi non potranno mai esserci superiori, è imp..."
"La tua bassa considerazione nei loro confronti ha già decretato la tua sconfitta" ribadì severamente il maestro "Non riesci a vedere la realtà per quello che è e ti ostini a combattere usando solo la forza fisica. Stai disonorando il buon nome delle nostre arti marziali e questo non lo posso accettare" lo rimproverò duramente.
"Io...cosa?!"

Il pesce martello lo trafisse coi suoi occhi, impedendogli di parlare ulteriormente. Lo squalo bianco aveva superato ogni limite e se prima aveva taciuto sulla sua condotta, ora non poteva rimanere impalato nel mentre l'allievo sconsacrava il loro stesso essere. Un guerriero doveva saper riconoscere anche i propri limiti, ma evidentemente la cocciutaggine di Togai era troppo dura perchè quel concetto gli si inculcasse bene nella testa.

"La sfida finisce qui" decretò per poi guardare Sayuri "Hai il permes...."

SBAM!

Con un pugno poderoso, Togai aveva appena frantumato una roccia, sbriciolandola in tanti sassolini dalle differenti dimensioni. L'attenzione tornò su di lui immediatamente, esortando la pirata a rialzare la guardia, pronta al prossimo attacco.

"Non finisce proprio niente.....NON FINISCE PROPRIO NIENTE!!" tuonò lui con l'astio dipinto sul muso.

Braccia e gambe tremavano per la rabbia: la sua pelle umida e grigiastra si era irrigidita, mettendo in bella mostra le sempre più numerose venature. La bocca, piena di denti agusti digrinò, contorcentosi all'unisono coi piccoli occhietti neri saettanti.

"Questa sudicia e immonda essere umana.." rantolo coi pugni ben stretti "Non se ne andrà da qui per nessuna ragione. E tu..." e si rivolse al maestro "Dovrai stare a guardare"

Senza neppure aspettare la replica del pesce martello, Togai focalizzò la sua attenzione sulla ragazza, ferma e pronta a scattare.
La doveva acchiappare, doveva riuscire a prenderla, ma se con le "buone" non era riuscito nel suo intento, allora voleva dire che forse, con un piccolo aiuto non del tutto corretto, la questione sarebbe volta a suo vantaggio.

Con questo smetterai di saltellare di qua e di là.....

Il vederlo sogghignare, allertò Sayuri. 
Aveva in mente qualcosa, ne era certa, e il vederlo estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni la convinse ancor di più. Non sapeva ben dire cosa fosse, il pugno di quell'essere occultava completamente l'oggetto, ma di qualunque cosa si trattasse, non doveva abbassare la guardia. I tendini delle gambe erano pronti a sorreggere ogni suo movimento ma, quando credette di doversi preparare ad evitare un nuovo assalto, vide con suo grande orrore l'uomo pesce scagliarsi verso l'anziano.

Oh no!

Inconscia del piano archiettato a suo carico, Sayuri si lanciò rapidamente versodi lui con l'intenzione di fermarlo; le sarebbe bastato deviare il suo attacco ma, quando gli fu di fianco, questo modificò nuovamente le sue intenzioni e l'afferrò per il polso prima che lei potesse scansarsi.

"Cos..?!"
"Presa!!"

Caricato il pugno, Togai colpì violentemente la ragazza, infliggendole un danno maggiore grazie al oggetto metallico che indossava attorno alle dita: un tirapugni.

In quel frangente, gli occhi color cioccolato della ragazza si dilatarono, accentuando il dolore inflitto: percepì le propria carne venire lacerata dalle punte di quell'accessorio, arrivado a incrinare le costole coperte dagli strani muscolari. La maglietta le si impregnò di sangue e per il colpo cadde in ginocchio ma Togai, insoddisfatto, la volle vedere nuovamente agonizzare e così, rigirò le punte del tirapugni di modo che scalfisse con più incisività le ossa già danneggiate.

"Whaaa!!"
"Fa male, stronzetta? Questo è quel che ti meriti per esserti messa contro gli uomini pesce!" esclamò ritraendo la mano ma sempre tenendole il polso con l'altra.

In ginocchio e coi capelli che le coprivano il viso, Sayuri si ritrovò alla disperata ricerca di ossigeno. Le fitte di dolore si manifestavano ogni qualvolta che il diaframma accoglieva i suoi respiri ansimanti. Strinse i denti, ma non riuscì a non rimproverarsi per l'essersi fatta raggirare per la seconda volta: avrebbe dovuto capirlo subito che il suo avversario non avrebbe esitato nuovamente di attaccarla facendo leva su mezzi sleali e se adesso si ritrovava alla sua mercede, la colpa non poteva essere che sua.

"Che cos'è che dicevi, vecchio? Che questa stupida mi è superiore? AH AH AH AH!" rise lo squalo "Guarda, non ci è voluto niente per sottometterla!"
"Sei uno sconsiderato e pagherai le conseguenze della tua sfrontatezza" lo riprese glaciale l'anziano.
"Tu vaneggi! Questa lurida feccia ha avuto quel che si meritava! Nessuna creatura che abiti queste terre può considerarsi al di sopra di noi, nemmeno quell'idiota del suo capitano!" esclamò "Sfidando il maestro Jimbe ha decretato la sua condanna"

Volgendo i piccoli occhi tondi sulla ragazza, immobile e apparentemente sconfitta, Togai alzò la gamba con tutta l'intenzione di schiacciarle la faccia a terra.

"Ognuno deve imparare a stare al proprio posto ed è ora che impari il tuo" sibilò.

Affondò il piede con slanciò ma, anzichè comprimerle la guancia, questo venne fermato dalla mano libera di Sayuri: inebetito, Togai spinse ancor di più, ma la ragazza lo aveva ben afferrato e, nonostante la ferita, stava riuscendo a trattenerlo egregiamente.

"Mi pareva di essere stata chiara" mormorò lei accentuando la presa "Lei è libero di schernirmi, ma non si deve permettere di offendere il mio capitano"

Ringhiando lo squalo bianco tentò di schiacciarla ma più tentava di sopraffrarla, più il suo piede contraeva fatica e la cosa in lui destò non poco stupore. Con la testa ancora china, Sayuri tese il suo braccio per imprimerci ancora più forza, decisa a impedire che il suo avversario offendesse le persone a lei care. Poichè di finirla civilmente non ve ne era la possibilità, non potè fare altro che appellarsi alla sola scelta rimasta: abbatterlo definitivamente.

Non aveva voluto ascoltare i consigli del suo maestro e ora ne avrebbe pagato le conseguenze.

Sollevò il piede del proprio avversario con tanta fulmineità da sbilanciarlo: colto il momento giusto, si alzò in piedi per passare al contrattacco.

"Quarto plenilunio: Danza della Madre Terra!"

Con una mano sorreggente il fianco ferito, Sayuri cominciò a tartassere il torace muscolosodi Togai seguendo una sequenza di mosse imparate a memoria nell'arco del suo addestramento: ogni suo colpo era preciso e diretto. Utilizzando soltanto l'indice e il medio, comprimette alcuni punti muscolari come a volerci tracciare una mappa e, all'ultimo, roteò su sè stessa per terminare l'attacco con un colpo di palmo aperto; colpendolo proprio sotto il mento, Togai venne scaraventato all'indietro, per poi cadere a terra coi occhi rivoltati all'insù e il sangue uscente dalla sua bocca.

"Sono desolata, ma lei...non mi ha dato altra scelta" ansimò ritraendo il braccio.

Dovette chinarsi leggermente in avanti per reprimere altre fitte dolorose. Le costole pulsavano e l'attacco appena eseguito aveva richiesto daparte sua una resistenza coriacea. Avrebbe fatto bene a sedersi, ma la presenza dell'anziano pesce martello negò tale possibilità: sebbene si fosse limitato ad osservare, niente escludeva che volesse scontrarsi con lei. Saltato giù dalla roccia, si avvicinò all'allievo svenuto, scossendo la testa debolmente, insegno di delusione.

"Te la sei andata a cercare" sospirò. Poi, guardò la ragazza "Sei libera di passare. Il santuario è davanti a te"
"Grazie..." mormorò "Un momento, per favore: come faccio per raggiungerlo?"

Il mare era troppo agitato perchè si potesse attraversare quel tratto semplicemente nuotando. Guardare quelle correnti e pensare a come sorpassarle era veramente difficile: a parte volare, come avrebbe fatto?
Stette per distogliere gli occhi quando, tutto ad un tratto, scorse qualcosa di insolito: vicino a uno dei vortici, vi era una strana  e astratta ombra avente due curiosi fili alle estremità. Continuava a girare, ma senza emergere dall'acqua.

"Quello è il pesce gatto di mare" le disse lui prendendo Togai e trascinandolo via "Esce fuori dalla sua tana quando le correnti iniziano a formarsi. Quando sarà abbastanza vicino, lasciati portare da lui e arriverai al santuario"

Con quelle ultime parole, il maestro se ne andò, senza neppure dare il tempo a Sayuri di ringraziarlo per quella piccola gentilezza.
Avvicinatasi alla riva, attese per una buona mezz'ora che la creature fosse sufficientemente vicina e, quando fece emergerela schiena scura, ci saltò sopra per poi aggrapparvisi senza che lui risentisse del suo peso.








 

  


 

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Capitolo 23
*** La tranquillità che precede la tempesta. ***


Eccomi,come sempre auguro un buon mercoledì a tutti voi!prima di passare al capitolo ci tengo a ringraziare come al solito tutti coloro che leggono la fict:in particolare agentekuruta-alala-angela90-Beatrix-fenicex8-maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-Yuki689 per aver messo la fict nei preferiti,Himechan-key87-lady death-TopazSunset per averla messa nei seguiti e infine Dance semplicemente ricordandola.Ah,ovviamente non mi dimentico di chi leggere semplicemente,spero di soddisfarvi con la storia ma se ci fosse qualcosa che non vi pace potete sempre dirmelo!(attualmente sono ad un punto morto:ho le idee ma non so come buttarle giù,che guaio!).Volevo poi approfittare del tempo libero ritagliato per scrivere ma credo che lo userò per portarmi avanti con altre cose,ma per ora riesco ancora a postare decentemente,anche se la mole di lavoro adesso si sta facendo sentire ancora di più….sigh!va beh,lasciamo a parte la tristezza e continuiamo,il mercoledì mi rallegra solo perché aggiorno la fict e spero tanto che rallegri anche voi,quei pochi minuti che bastano ad alleggerire la curiosità!

 

MBP:cara la mia Marta-chan!la tua Key-chan ti ha preceduta!dunque si,sembra irreale che Sayuri rimanga sempre così composta ma sai cosa si dice,bisogna sempre guardarsi da quelli troppo tranquilli e Togai ha fatto lo stupido errore di prenderla sotto gamba,anche se lui era destinato fin dall’inizio a prenderle di santa ragione!(e qui l’autrice e la sua creazione fanno un bel inchino e raccolgono le rose lanciate).Felicissima che il combattimento ti sia piaciuto,come ho già detto svariate volte i combattimenti sono il mio tallone d’achille:il solo modo che ho per rampare fuori è mettermi al computer posizionandomi come “il pensatore” e pensare.Per scene triste,la sera è perfetta ma questa è un’altra storia.(Parla Sayuri:Keyra ti ringrazio per i complimenti,la tua enfasi è un’ondata di energia inesauribile.Continua così e vedrai che diventerai ancora più forte)Ok,ci teneva a salutarla,visto che ha apprezzato i pon pon sventolati dalla nereide in suo onore!Ovviamente non manco di ringraziare anche te ma toglimi una piccolissima curiosità:sabato sono andata a Milano per vedere la fiera del fumetto.Non è che ci sei andata pure tu????visto che hai detto che anche tu eri stata via tutto il giorno ho fatto questo ragionamento perché sei di Milano.Ti sei di Milano,vero?oh santo cielo,forse mi sto confondendo…!!!

Beatrix:dolce Bea!no,no,Sayuri è stata onesta fino alla fine e ha saccagnato di botte quell’idiota di Togai soltanto a mani nude.Niente haki,tutta farina del suo sacco!Ha voluto barare ma tanto ha perso,mica lo lasciavo vincere e che accidenti!Non ti preoccupare per Ace e Jimbe,cinque giorni passati a darsele dovrebbero essere stati sufficienti,altrimenti arrivo io a porre fine al duello,in stile Nami;un bel pugno in testa a tutti e due!no,sono feriti entrambi e io non sono così energica come la rossa,oddio dipende da come mi gira..ok,torniamo al commento!spero che anche il seguito sia di tuo gradimento perché non ho ancora finito,anzi,potrei dire di avere appena iniziato (risatina sadica).

Maya90:la mia Maya!che posso dire,Togai l’ho creato appositamente per essere odiato.Dunque,ora tutti i tuoi sospetti,dubbi,quel che sono verranno svelati e vedremo se ci ha azzeccato anche se scommetto che ci hai preso in pieno.Grazie per la parte dei blocchi;io di sera mi metto a scribacchiare un po’ e solo quando poso la penna,spengo la luce per dormire mi viene l’ispirazione.E’ strano,perché dopo riaccendo la luce,annoto quanto ho pensato e rispengo la luce.Se aspetto la mattina successiva non ricordo più nulla e tanti saluti all’ispirazione.Comunque grazie,perché alla fine ho scritto la prima parte di un capitolo che ritengo il mio secondo orgoglio (dopo il passato di Sayuri).Che posso dirti?ti auguro buona ispirazione anche a te,sono sicura che il seguito della tua fict sarà spettacolare,io lo attendo con trepidazione!

Sachi Mitsuki: uh,la mia piccola Sachi!dunque ti dico subito che per il fan club “odiamo Togai” le iscrizioni sono aperte,quindi se desideri farlo nero sei la benvenuta ma,sai pensavo di ampliarlo anche ad altri personaggi ma per ora è solo un progetto.Eh si,la mia Sayuri un pochino le ha prese ma l’importante è che sia ancora viva.Eè carina tranquilla ma se deve combattere non si tira indietro!Dunque tu mi ha chiesto come faccio aggiornare così presto’è semplice mia cara,il mercoledì è l’unico e sottolineo l’unico giorno in cui riesco a combinare qualcosa.Si certo,anche negli altri giorni qualche secondo libero c’è l’ho però ultimamente mi sto dando da fare in vista degli esami di maggio;sembrano lontani ma il lavoro da fare è tanto (e qui mi vedi sommersa di libri e fotocopie).La mia speranza è di continuare con questo ritmo,altrimenti dovrò sfruttare le ore notturne ma passando ad altro,davvero ha in mente una storia?posso chiederti la trama?ok,mi freno subito perché altrimenti non mi calmo.Il segreto per scrivere è non avere mai fretta;non deve essere una cosa obbligatoria ma un hobby piacevole,libero.Infatti scrivere è il mio hobby,per questo attendo il mercoledì per scrivere.Al martedì arrivo a casa giusto un’oretta prima per scrivere le recensioni e tutto ma questa è un’altra storia.Anch’io all’inizio non sapevo come fare così prima ho iniziato a scrivere un bel po’ di capitoli come mi venivano,poi ho provato a postare una volta alla settimana.Ovviamente prima rileggevo e controllavo (e qui chiedo scusa per alcuni errori ortografici che sfuggono al mio occhio) ma se per adesso la fict non dispiace,perché non continuare?a parte che continuerei ugualmente ma tu non devi preoccuparti:prenditi il tempo che ti serve e se può esserti d’aiuto la sorellona Ale-san ti aiuterà!d’accordo ora sono io a divagare…Ah,volevo ringraziarti per la recensione sulla fict “ho bisogno di dirti che”,sei stata davvero gentile!io adoro Hinata-chan,è un amore!!!!

Angela90:eccomi qua!prima di tutto,facciamo un inchino al signor Chuck Norris e ai suoi onorevoli calci volanti e poi possiamo anche prendere a calci nel sedere lo squalo bianco.Sta tranquilla,Sayuri lo ha massacrato per benino e adesso non si rialzerà per un bel pezzo.Si è stato sleale (accidenti,l’ho scritto io…) ma ride bene chi ride ultimo e lui è stato così scemo da sottovalutare il potere femminile,cosa da evitare perché noi ragazze quando vogliamo sappiamo essere molto convincenti (basti pensare a Nami;se gli si parla di soldi scatta sull’attenti).Dunque,posso dirti solo che qui ci sarà un attimino di tregua,ma solo un minuscolo attimino perché non ho ancora finito con le scene di combattimento (ok,mi cucio la bocca prima di parlare troppo).Buona lettura!!!

 

 

Dopo qualche minuto passato a cavalcare la creatura marina, Sayuri balzò giù dal pesce gatto gigante, rischiando di slogarsi entrambe le caviglie; nel dare una rapida occhiata ai dintorni adocchiò subito lo Striker di Ace e, traballante, cominciò a correre verso l’unica via accessibile. Superò la piccola spiaggia e percorse tutta la salita rocciosa costeggiata da grigie pareti fatte del medesimo materiale, mantenendo una’andatura semiveloce, senza mai fermarsi. Anche se non perdeva più sangue, il dolore non era diminuito, anzi le stava invadendo il corpo come fosse un veleno inarrestabile, freddo e paralizzante; incespicava nel muovere correttamente le gambe, respirava con sempre più fatica e i giramenti di testa divenivano insistenti e sempre più influenti. La slealtà di Togai era stata a dir poco che ripugnante ma la sua stessa disattenzione, il cadere nelle sue trappole con tanta facilità aveva fatto la sua parte e anche se era riuscita a vincere, non poteva non pensare che se solo fosse stata un po’ più sveglia, non si sarebbe procurata quelle ferite. Non percepiva dolore nel mezzo e questo un pò la impensierì perché qualcosa di rotto doveva avercelo sicuramente ma al momento, non era la sua condizione fisica a starle a cuore bensì quella di qualcun altro e questa superava di almeno tre misure qualsiasi altra cosa. Costrinse le sue gambe ad aumentare il passo in uno sforzo dettato unicamente dal suo status emotivo.

Ace....Ace!

Teneva ben premuta la mano sulla ferita, usandola come tampone provvisorio, inspirando grandi manciate d’aria e rigettandole fuori con prepotenza. Se espandeva i propri sensi era certa che avrebbe sentito l’eco dei pugni che si scontravano, i loro movimenti, la terra tremare, qualcosa per cui l'isola si lamentasse ma invece....non sentiva nulla. Ora che era finalmente riuscita ad arrivare al santuario di Fisher Tiger, percepiva solo il vento tentare di spingerla all’indietro e solleticarle scherzosamente la pelle. Un dubbio le sfiorò la sfera emotiva. C’era qualcosa che non quadrava: quel silenzio non stava facendo che aumentare la sua ansia e la sua paura di andare avanti. Non voleva tornare indietro -anche se temeva quel che avrebbe visto-, ormai era lì e camminare sui suoi passi sarebbe stata pura vigliaccheria. Pochi minuti dopo, giunse in prossimità dello spiazzo dove il santuario era stato eretto; l’intero posto era un campo costituito unicamente di roccia, con spuntoni d’ogni forma e dimensione, privo anche del più piccolo filo d’erba. A Sayuri non occorse molto prima di focalizzare le profonde spaccature createsi sul terreno e i solchi che ne rendevano la struttura ancora più irregolare: la gran parte dei piloni era stata distrutta, come fatti esplodere da tanti petardi messi insieme. L’intera area era stata rasa al suolo da un tifone di dimensioni abnormi; un tifone scatenato da due entità parecchio in conflitto dovette aggiungere mentalmente Sayuri.

Zoppicando di qualche passo, sobbalzò nell’individuare chi cercava: a diversi metri da lei, c'erano Ace e il sommo Jimbe, a terra, con la pancia in giù, sfiniti e coi corpi martoriati, anche se quel termine non poteva descrivere a pieno il loro stato. Scioccata, la ragazza si portò una mano alla bocca nel vedere com’era conciato il ragazzo. Entrambi erano ancora coscienti e da come si guardavano, la giovane non potè che dedurre due cose: la prima era che, da quanto vedeva, non si erano chiariti per niente e la seconda che, piuttosto che arrendersi, quei due stavano cercando di darsele a suon di occhiate assassine pur di dimostrare chi tra i due fosse il più testardo.

In quel modo allora, potevano andare avanti all’infinito. Assurdità a parte per come ancora cercavano di malmenarsi, dopo cinque giorni erano ancora lì: Ace non aveva ceduto, anzi, stava cercando di tirarsi su e Jimbe era preso nella stessa azione. Attorno a loro si era allargata un chiazza scura dal sapore metallico e ad ogni movimento, le loro ferite non facevano che sgocciolare, lasciando ricadere il sangue che metteva in evidenza la profondità dei colpi e i terribili effetti che i loro corpi avevano dovuto subire. Se si aggiungevano anche quei sibili ossei che infestavano l’aria come spiriti maligni, quello non poteva che essere un macabro concerto reso più digeribile dall’alone di fierezza e orgoglio che entrambi i contendenti emanavano. Per quanto volesse andargli incontro e dirgli di smetterla, Sayuri rimase lì dov’era, cercando di non farsi notare e di non cadere a terra. Quella era pur sempre la battaglia di Ace e, condizioni disastrose a parte, non poteva andare lì e interromperlo. Glielo aveva promesso.

“Sei resistente, Pugno di Fuoco. Te ne devo dare atto!” gli riconobbe il Cavaliere del Mare con voce rocca.
“E tu, per essere un pesce che dice di amare la pace, hai la mano piuttosto pesante” replicò lui mantenendo alto l’orgoglio che infuocava il suo sguardo.
“Tsk! La tua arroganza ti sarà fatale, Pugno di Fuoco. La tua forza e la mia saranno anche sufficienti a ridurci in fin di vita ma non potranno mai bastare per competere contro quell’uomo. La sua potenza è assoluta” lo avvertì riuscendo finalmente a mettersi in piedi.

La sua bella veste rossa e nera ormai era logora, piena di strappi e macchie scarlatte, così come la sua pelle bluastra e i capelli crespi, ancora più ribelli di quanto già non fossero: Il codino alto che teneva legati i ricci si era sciolto e ora quelli ondeggiavano liberi solleticando li ciglia arricciate del membro della flotta dei sette.

“Staremo a vedere” fece spavaldo Ace alzandosi in piedi.

La tempesta tra quei due sembrava essere passata ma non perché avessero risolto le loro divergenze ma perché erano oltre al limite della sopportazione; ricoperti d’ogni genere di ferite ,avevano consumato ogni singola energia, sforzato i loro muscoli fino alla distruzione ma ciò nonostante, Sayuri continuava a vedere nitidamente i loro spiriti rimanere accesi come luci nell’oscurità: l’aura rossiccia di Ace si disperdeva lungo il terreno, mischiandosi a quella del sommo Jimbe, simile alle dolci e lente onde marine bluastre dell’oceano. Lo squalo balena respirava con difficoltà, rocamente, sbattendo le palpebre più volte per scacciare la stanchezza e con la spalla sinistra che perdeva sangue più di tutto il corpo messo insieme. Le zanne scarlatte avevano perso ogni candore.

“Io ti ho avvertito, Portuguese D.Ace” pronunciò infine “Se sfiderai Barbabianca perderai la vita ma se davvero miri alla sua testa, allora sarà lui a trovarti”
“Bene, lo attenderò a braccia aperte”

Si, l’arroganza non gli mancava di certo, nemmeno nelle situazioni dove l’ironia assumeva la forma dolente di una spina nel fianco. L’espressione stanca e rassegnata del flottaro fu l’ultima cosa che sia Pugno di Fuoco e Bianco Giglio videro prima che se ne andasse a fatica dal sentiero che stava alle sue spalle. Era identico a quello percorso da Sayuri e con molta probabilità, conduceva a una seconda spiaggia, verso il mare aperto. Era finita, adesso era veramente finita. Il silenzio calato ne era la prova. Perfino il cielo si stava schiarendo, come a voler annunciare lui stesso il termine di quella lotta, regalando qualche spiraglio solare prima offuscato dalle nuvole grigiastre che circondavano l’isola. Lentamente, la ragazza uscì dal suo nascondiglio e richiamò l’attenzione dell’amico.

“Ace?”

Nel voltarsi il moro la vide, sorpreso di trovarla lì. Da prima, rimase a fissarla poi, barcollò pericolosamente verso di lei; compì due passi ma non riuscì a mantenersi in equilibrio e cominciò a cadere in avanti, senza riuscire a darsi freno. Intuito il pericolo, l'amica scattò in avanti, correndo ad aiutarlo e gli passò un braccio intorno alla vita e l’altro attorno al suo collo, fermando così la sua caduta. L’ulteriore sforzo richiesto senza preavviso le costò molto ma ella non emise alcun gemito ne cedette alla tentazione di lasciarsi andare. Ogni dolore, parola o pensiero che si potesse ricollegare al suo stato fisico, stava venendo messo a tacere dal suo cuore non rivolto a sé stessa.

“Ace, stai bene?!”

Quasi le era venuta a mancare la voce. La prospettiva di avere delle costole rotte non era delle migliori ma in quel momento, tutto il suo io preoccupato era rivolto unicamente al moro. Le priorità riguardavano lui e nessun’altro e questo comprendeva anche il suo stesso stato di salute. Era sollevata di vederlo vivo ma terribilmente in ansia per le condizioni in cui versava.

“Argh! Maledizione...”imprecò lui.

Sembrava che tutti i colpi ricevuti si stessero concentrando in un’unica grande esplosione. Ora che la tensione e l’adrenalina si erano esaurite, i muscoli finalmente si erano potuti rilassare e per sua sfortuna, poteva sentire quel che il suo corpo fino a quel momento aveva trattenuto con tanta fatica e pazienza.

“Non ti sforzare.” gli disse lei con voce velata dalla preoccupazione “Oh, Mio Dio, devo portarti subito da Don..uh!”

Per quanto desiderasse fare quel che aveva appena detto, nemmeno lei poteva muoversi liberamente. La ferita si era riaperta e sentiva la maglietta già incrostata di sangue, inumidirsi e bagnarsi nuovamente di liquido ematico. Si sedette a terra sempre sorreggendo Ace, cercando di non compiere movimenti bruschi. Se solo avesse potuto chiamare Don col lumacofono....ma a causa del combattimento contro Togai, l’oggetto si era rotto. Se ne era accorta quando stava navigando sul pesce gatto di mare. Inoltre, non poteva nuotare in quelle condizioni e lo Striker era un imbarcazione studiata appositamente per fa si che solo Ace potesse utilizzarla ma al momento il ragazzo non era neppure in grado di alzare un braccio. Erano bloccati al santuario e senza possibilità di andarsene con le proprie gambe.

Non posso fare altro che aspettare e sperare che Don e gli altri arrivino presto. Pensò

Aveva paura nel sentire il corpo rovente di Ace a contatto col suo. Era dannatamente febbricitante ma ciò era dovuto solo allo scontro, senza contare che quelle ferite non gli giovavano affatto. Sayuri provava un immenso dispiacere nel vederlo così sofferente: la sua camicia era ridotta a brandelli, praticamente era a buttare e lasciava a vedere il tatuaggio che portava sul braccio sinistro, che poi era il suo nome trascritto con una esse di troppo, opportunamente sbarrata. Ad averlo così vicino provava anche esitazione, smarrimento ma era talmente in pena per lui che stava ignorando qualunque segnale il suo cuore le stesse mandando.

“Sayuri..posso chiederti un favore?” gli domandò col fiatone.
“Si, dimmi pure. Che cosa ti serve?”

Le parole le uscivano sempre più trafelate ma il briciolo di coscienza che la teneva sveglia, la stava spingendo ad andare ancora oltre alle linee di quel confine immaginario che poi si trovava nella sua mente. Sentì Ace cercare di respirare profondamente prima di riuscire a chiederle quel che l’avrebbe messa in una posizione da lei considerata non proprio imbarazzante ma che ugualmente, aveva saputo già paralizzarla in precedenza.

“Posso sdraiarmi....sulle tue gambe?”gli domandò con un filo di voce.

Stavolta il suo cuore riuscì ad intortirla. Di colpo, sussultò con la bocca semiaperta, lasciando che le guance impolverate si imporporassero di un lieve rossore.

“Vuoi sdraiarti?” ripetè lei.
“Si....non riesco a star seduto.” rispose faticosamente “Per favore..”

Come poteva dirgli di no? Stava soffrendo, lo vedeva fin troppo bene. Addolcendosi all’istante, come sempre faceva quando le si chiedeva aiuto, decise di accontentarlo.

“D’accordo. Non muoverti”

Se fosse stato in un momento diverso, sicuramente si sarebbe chiesta il perchè di quella domanda e con ogni probabilità il suo petto avrebbe preso a vibrare ritmicamente per l’emozione. Fosse stato un qualunque altro momento di pura pace, probabilmente sarebbe avvampata vistosamente e poi forse avrebbe addirittura tirato le cuoia ma lì era diverso: Ace era in uno stato a dir poco pietoso, con quasi un piede già nella fossa ed era più che logico che nelle sue condizioni cercasse un po’ di riposo e lei non poteva e non voleva di certo negarglielo: con estrema cautela, lo fece sdraiare a terra, con la testa appoggiata alle sue gambe, appena vicina al ventre.

“Va meglio?” gli domandò con premurosità mischiata a preoccupazione.
“Si...anf...grazie, Sayuri”
“Di nulla, ma adesso cerca di riposare. Rimango io sveglia”

Lui sorrise, ringraziandola nuovamente, avvertendo una sua mano toccargli la nuca corvina, lasciando l’altra abbandonata sul fianco.

Lo vedeva tenere gli occhi chiusi per la stanchezza, il viso arrossato e la fronte imperlata di sudore, dove alcuni fili neri, quali erano i suoi capelli, erano rimasti intaccati. Con la mano libera, allungò le fini dita sino alla sua fronte, laddove c’era un taglio ancora luccicante e con fare delicato e attento, gli spostò di lato i ciuffi ribelli. Fu sufficiente quel piccolo gesto a rasserenare fisicamente e mentalmente anche lei; per quanto fosse strano, non provava alcun imbarazzo o incertezza, anzi....le piaceva averlo così vicino, che la sua vita fosse nelle sue mani e che lei potesse difenderla.
I dubbi, i pensieri e le domande che tante volte si era posta soltanto guardandolo, erano scomparsi dietro a un velo di assoluta dolcezza dipinto ora sul suo volto, sotto forma di un amichevole e confortante sorriso. La sua era una situazione nuova, che la stava confortando in un certo senso: anche se il suo fisico stava cedendo, era più propensa ad abbandonarsi a quel momento di pura e assoluta quiete che occuparsi di sé stessa, perché aveva come la sensazione, che ciò sarebbe durato ancora per poco.

I suoi occhi marroni seguivano i più piccoli particolari di quel quadro, come se ne stessero cogliendo la bellezza in ogni punto; vedeva il torace scoperto del moro abbassarsi e alzarsi lentamente,stanco e affaticato. Avvertiva il suo respiro rilasciare ogni pressione sostenuta fino a quel momento. Percepiva il suo corpo come fosse sul punto di bruciare. Se fino a quell'istante era stata lei ad aver bisogno di lui, ora si stava verificando il contrario. Levò il capo guardandosi a destra e a sinistra, cercando di udire un suono o delle voci familiari ma nulla di quello che sperava diede segno di vita. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato e il non saperlo continuava a farle girare la testa in un continuo allarme silenzioso.

“Chi ti ha conciata in quella maniera?” fu poi la domanda di Ace.

Nel posare nuovamente gli occhi color cioccolato su di lui, notò che i suoi erano aperti e che la stavano scrutando con un che di profondo.

“Credevo stessi dormendo”
“E’ quello che farò non appena mi avrai spiegato cosa è successo in mia assenza e perché sei ridotta a quel modo” le disse affannato e calmo ma senza nascondere una nota di serietà.

Anche se aveva opportunamente coperto parte del viso con i propri capelli, al capitano non era sfuggito il gemito che si era lasciato scappare in precedenza, ne la grossa ferita all’altezza delle costole e nemmeno il suo trascinare a fatica le parole. Pure lei doveva aver sostenuto un duro combattimento e, domanda iniziale a parte, cominciò ad elaborare la più semplice delle spiegazioni che potesse combaciare con la presenza della navigatrice lì.

“Abbiamo avuto dei problemi con i discepoli di Jimbe, ma non preoccuparti, siamo riusciti a risolvere la questione” spiegò con sintesi perfetta.

Emise un rantolo di approvazione. Era esattamente quel che aveva pensato. Per quanto quello squalo balena si fosse dimostrato testardo come un muro fatto di cemento armato, non gli era parso tanto meschino da approfittare della sua presenza lì per attaccare i suoi compagni. Pensò a un complotto fatto a sua insaputa, organizzato da chi mal sopportava la loro presenza sull’isola. Un forte colpo di tosse lo rinsavì dai suoi pensieri; Sayuri si era portata la mano alla bocca per trattenerlo ma Ace, nel vedere un leggero rivolo di sangue oltrepassarle le dita e colare sul dorso, si allarmò. Fu istintivo alzare il braccio verso di lei e prenderle la mano. Non seppe neppure come fece perché il suo corpo era contrario a quello che il suo cervello gli stava impartendo.

“Anche tu faresti bene a riposarti. Dovresti vederti, sei irriconoscibile” le disse abbozzando un lieve sorriso dei suoi.
“Se devo essere sincera, il tuo aspetto è molto più terribile del mio”
“Beh, che posso dire? Jimbe mi ha quasi ammazzato” mormorò con lieve sarcasmo e chiudendo gli occhi.

Anche se era un uomo con una forza decisamente superiore alla media, rimaneva pur sempre un essere umano. Benché avesse dimostrato di sapere resistere anche contro i colpi più cruenti e spezza ossa del membro della flotta dei sette, non poteva di certo non accusare gli enormi segni di stanchezza e Sayuri ,che versava in una condizione simile, a malapena riusciva a rimanere cosciente. Ottenere un pareggio non era esattamente quel a cui mirava, anzi, lui i pareggi non li aveva mai mandati giù; era orgoglioso, a volte arrogante se l’avversario era fatto della medesima pasta ma in fatto di combattimenti, lui voleva essere il migliore e non era certo un segreto. Nell’appoggiare la mano sul torace, si accorse di tenere ancora stretta quella della castana e fu colto da un flashback illuminatorio: seppur odiasse a morte i pareggi, contro la ragazza aveva ottenuto uno di questi e cosa insolita, non aveva preteso la rivincita. Forse perchè poi l’aveva trascinata sulla sua nave nominandola automaticamente come nuovo membro della sua ciurma senza interpellarla. Anche prima di arrivare a Shanbody l’argomento era stato tirato in ballo e lui non aveva mosso ciglio.

Aprì di nuovo gli occhi e si ritrovò a guardare il cielo macchiato di nuvole, come se non potesse vedere altro mentre la sua mente rivangava indietro a quei momenti: si, aveva ottenuto un pareggio ma la cosa ormai non gli importava più e questo perché il suo avversario non era una persona qualunque: si parlava di Sayuri e lei non la si poteva di certo definire una nemica. Quando si trovava in sua compagnia, era come se tutto il risentimento di una vita si appianasse e lasciasse il posto a una calma e placida marea cristallina. Il solo guardarla o pensarla gli infondeva una pace interiore che purificava ogni male, sia interiore che esteriore. La sua dolcezza era paragonabile al morbido abbraccio di una dea invisibile a molti, tranne che a lui. Il solo sentirla carezzargli la fronte per spostargli i capelli dagli occhi, l'avrebbe fatto cadere nel più tranquillo e protettivo dei sonni; non era che un gesto innocente ma ugualmente Ace si sentiva privilegiato nel riceverlo.

“Mi piace” mormorò nel riaprire ancora una volta gli occhi.
“Che cosa?” domandò lei senza capire a cosa si stesse riferendo.
“La tua apprensione. E’ davvero piacevole. Quando ti preoccupi per gli altri diventi ancora più dolce”
La castana contenne il rossore mentre Ace la guardava “E’ normale. Come potrei non essere in pensiero per te e per gli altri? Io…” esitò “Tengo...a tutti voi”
Ace le strinse la mano “Lo so...” mormorò nel chiudere gli occhi definitivamente.
Per questo ti voglio sempre con me.

Anche adesso, esserle sdraiato così vicino, percepire le sue dita toccargli la pelle della fronte e stringere quell’altra piccola mano che poteva colpire e sconfiggere avversari addirittura il doppio di lei, gli stava infondendo una pace mai provata e ora più che mai non voleva perderla, ne tanto meno cederla a qualcun altro. Fin dall’inizio, fin dal suo incontro a Rogh Town, quella ragazza dai modi affabili l’aveva affascinato abbastanza da non doversi porre inutili domande. L’aveva sfidata perché voleva verificare di persona quanto fosse forte e l’aveva portata sulla sua nave trovando insensato che una persona così bella fosse sola.

“Immagino che non ti abbia detto nulla riguardo a Barbabianca” intuì lei nel cogliere in quel suo lungo silenzio un che di amaro per il risultato avuto.
“Già, ci toccherà a cercarlo nella vecchia maniera ma non prima di aver messo sotto i denti qualcosa: sto morendo di fame” affermò assonnato. Un lieve gorgoglio proveniente dalla sua pancia concretizzò le sue parole.
“Eh eh! Appena verranno a recuperarci, potrai mangiare tutto quello che desideri, a patto che ti riposi adeguatamente” gli promise lei.
“Si....affare fatto” disse con sorriso soddisfatto.

Riposo con allegata una mangiata coi fiocchi. Si, l’idea gli piaceva ma per il momento stare lì solo con Sayuri, in quella posizione, gli era più che sufficiente.

“Mi auguro che Don e gli altri non siano incappati in altri problemi. Tu che cosa ne pensi, Ace?”

Non udì alcuna risposta.

“Ace?Ac..oh..”

Nell’abbassare il capo, vide che il moro ormai era riuscito a prendere sonno. I lineamenti del viso si erano ammorbiditi,finalmente rilassati e il respiro non era più così pesante e difficoltoso. Gli occhi di lei si addolcirono ulteriormente. Poteva biasimarlo? In fondo aveva combattuto contro un membro della flotta dei sette, contro il Cavaliere del Mare, era più che logico che fosse crollato inavvertitamente sotto i suoi occhi. La sua mano, ancora avvolta da quella del ragazzo, rimase appoggiata lì, dove batteva il suo cuore; ne avvertiva chiaramente il battito, potente e regolare e, senza volerlo, arrossì.

Si è addormentato. Deve essere veramente esausto.

Un forte giramento le colpì la testa, tanto da farle chiudere ermeticamente gli occhi. Rimanendo seduta non ne risentiva ma i colpi inferti cominciavano a farsi sentire anche se era ferma. Quello strano vuoto che le infastidiva la testa le stava facendo mancare l’aria,come fosse appesantita. Ormai non sentiva neppure le gambe. Nell’abbassare ancor di più la testa, lasciò che la sua fronte si appoggiasse al palmo della sua mano appena alzata. L’altra era rimasta unita a quella di Ace.

“Uh....la mia testa…” gemette.

Doveva resistere, lei non era messa così tanto male come il suo capitano; se non fosse stato per la scorrettezza di Togai, non avrebbe provato quel forte senso di mancamento e nausea ma quel che era fatto era fatto, quindi non poteva fare altro che prendere un bel respiro, scuotere il capo in segno di negazione e vegliare sul sonno di Ace fino all’arrivo di Don.

 


“Allora, Bonz, ci sei riuscito?”
“No! Il lumacofono non da nessun segnale! Probabilmente quello che aveva Sayuri deve essersi rotto!!”
“Merda!”

A metà del tragitto di ritorno, Don era salito a bordo della nave già diretta al santuario di Fisher Tiger, compiendo un balzo ampio quanto quello di un leopardo nel pieno della caccia. Quando il cuoco-cannoniere lo aveva avvertito dell’imminente pericolo, si era letteralmente catapultato di sotto, come se fosse stato inseguito da un centinaio di marine armati fino ai denti. La sua non era rabbia ma panico, puro panico per quello che stava per arrivare e per quello che stava per capitare a tutti quanti loro. La situazione già era improntata sul difficile ma con quell’arrivo del tutto imprevisto, si stava avviando verso un conflitto irreversibile. Il punto di non ritorno.
Gli uomini schierati cercavano di favorire la navigazione affinché la nave fosse più veloce ma ogni sforzo era inutile; anche se continuavano a tenere sott’occhio il loro nuovo avversario, quello si trovava diversi metri più in avanti di loro, con maggiore velocità e favorito dai venti, tanto da essere diventato un piccolo puntino nero a malapena distinguibile. Le mani del medico-cecchino erano ben salde al timone, con la mente piena di una miriade di pensieri e angosce incomprensibili. Che fosse stato il caso a far si che si incontrassero ora questo lui non lo sapeva ma di una cosa era certo: Ace non si sarebbe tirato indietro anche a costo di perdere la vita e la prospettiva di perdere il capitano non era certo quella che lui si era immaginato all’inizio della battaglia contro gli alleati di Jimbe.

“Don, li stiamo perdendo!” avvisò la vedetta.
“Di questo passo arriveremo tardi. Che facciamo?” gli domandò Bonz seriamente.

Sotto pressione, l’uomo si passò una mano sul berretto, grattandosi nervosamente la nuca e assottigliando le pupille come fosse un gatto. Non andava bene, non andava per niente bene! Vista l’andatura, non ce l'avrebbero fatta ad anticiparli. La corrente li stava spingendo nella direzione giusta ma quel maledetto sarebbe ugualmente arrivato prima grazie all'enorme vantaggio di cui disponeva.

Staranno sicuramente utilizzando una corrente d’immissione o come cavolo si chiama, non c’è altra spiegazione.  Pensò nervoso.

Deglutì al formulare un pensiero mai fatto sino a quel momento: anche se fossero arrivati prima di lui, che differenza avrebbe fatto? Avevano appena finito di darle agli uomini pesce, il capitano e la navigatrice sicuramente necessitavano di riposo come tutti loro, come diavolo avrebbero potuto affrontare un secondo combattimento in un lasso di tempo così stretto? Ok, non era la prima volta che capitava, se l’erano sempre cavata egregiamente in situazioni come quelle ma, dannazione, quello che si stavano impegnando a sorpassare non poteva essere definito un nemico come tutti gli altri e loro stavolta non si trovavano nemmeno nella posizione di provare a competere contro quel mostro di assoluta superiorità. Ma ovviamente di tirarsi indietro, non se ne parlava: erano pirati non delle donnicciole strillanti!

Dannazione, però! Tra tutti, proprio il peggiore doveva capitare..

“Proseguiamo e cerchiamo di raggiungere il santuario il più velocemente possibile. Se ci sarà da combattere, cosa probabile, non ci tireremo indietro. Vi ricordo che Ace e Sayuri sono bloccati laggiù”

Non sapeva con certezza se la ragazza ce l’avesse fatta a sconfiggere i membri rimanenti di quel gruppo del sushi ambulante ma una vocina interiore gli stava dicendo con sfrontata sicurezza, che l’avrebbe trovata insieme ad Ace.

“Avanti, cerchiamo di darci una mossa!”

 


Silenzio.
Silenzio e anche buio.

Li percepiva vicini e amalgamati tra di loro. Intorpidita sia nelle mente che nel corpo, Sayuri si destò da quel torpore aprendo gli occhi come spaventata e sussultando. Senza volerlo si era addormentata. La sensazione di essere in mille pezzi la pervadeva come una malattia incurabile e i polmoni le bruciavano come se avesse ingerito fuoco invece che aria. Spostò gli occhi semichiusi sull’ampia zona rocciosa: deserta e mezza devastata, esattamente come l’aveva scorta solo qualche minuto prima. Ace dormiva placidamente e questo la tranquillizzò un po’ ma solo per qualche istante; una leggera brezza proveniente dalle sue spalle le solleticò il collo, facendole sollevare la testa e aprire del tutto gli occhi. Non era tutto uguale. Quello non era il silenzio vuoto e privo di forze magnetiche che influenzava le persone che vi si trovavano al suo interno, ne il vuoto silenzio di pace in cui fino a quel momento lei e Ace erano stati immersi. Quel silenzio stava portando qualcosa di nuovo, venuto da molto lontano; anche se debolmente, l’udito di Bianco Giglio accolse il leggero e lento movimento delle onde farsi più veloce, come rotta da qualcosa di grosso, di imponente.....

Che sia Don con la nave?

Fu il suo primo pensiero ma provvide a cancellarlo mentre realizzava che quella corrente proveniva nella direzione opposta a quella da cui era venuta, la direzione presa dal sommo Jimbe. Il suono delle onde si faceva sempre più forte, più veloce; si stava abbattendo su qualcosa, forse lo scafo di una nave ma da dove si trovava non aveva che un modo per verificarlo: andare a controllare di persona. In fondo all’animo non si sentiva sicura perché nel guardare il sentiero vedeva quella corrente salire e annebbiargli la vista. Provava un insolito freddo, ma il sentirsi spinta da mani invisibili era più forte dei suoi stessi timori. Con molta cautela, poggiò Ace a terra e si alzò in piedi tenendosi il fianco ferito. Poteva darsi che stesse perdendo momentaneamente la vista ma quella nebbia si stava facendo più fitta e l’immensa spossatezza che era insita in lei sollecitava il suo corpo a protestare per l’aver preso a camminare,anche se lentamente. Appoggiando la mano libera sulla parete che rinchiudeva il passaggio, Sayuri discese lentamente fino a sentire i propri piedi toccare il piano: il mare era davanti a lei, udiva il fuscio dell’acqua arrivare a riva e poi tornare indietro per ripetere l’azione.

La fonte di quella corrente si trovava davanti a lei: avvolta dalla nebbia grigio argentea, vide una figura immensa troneggiare nei pressi della riva. Un galeone? No, quel che scorgeva era molto più grande. Fu quando compì qualche altro passettino avanti, che quell’alone cominciò a diramarsi e a mostrare i colori di quella forma e la forma stessa. Da prima calmo, il cuore di Sayuri iniziò a battere energicamente nell’istante in cui aveva levato gli occhi poco al di sopra della sua testa, portandola dallo semplice stato confusionale e di sbigottimento, a pura paura. Batteva così forte il suo cuore che il respiro rischiava di morirgli in gola. Di quella sagoma sbiadita ora vedeva un solo e significativo particolare: un enorme polena sorridente a forma di balena che troneggiava sull’intera spiaggia.

Non può essere...

Voci estranee e flashback fugaci si accompagnarono a quella vista sconcertante; la sua mente le mostrò ogni cosa senza che lei l’avesse chiesto; un’informazione ascoltata da alcuni pirati, il nome di quella nave, la forma della polena, unica nel suo genere....

Tutto quel che aveva sentito, ricordato, ora si stava manifestando nell’unica forma concreta che era possibile e nel vederla, nel realizzare che non era un miraggio ma solo la nitida e drastica realtà, socchiuse la bocca ancor più spaventata. C’era solo una nave che si distingueva dalle altre per l’aver come polena una balena di quelle dimensioni......

Non adesso!!

Una risata, poderosa e impertinente,con una sfumatura roca risuonò nell’aria. Era la sua risata e anche se Sayuri non l’aveva mai sentita, chi altri poteva essere?

Udì dei passi. Passi pesanti e vicini a dov’era lei. Anche se era rimasta paralizzata, la castana raccolse quel poco coraggio trovato nel raschiare il fondo delle sue energie psichiche e abbassò gli occhi per guardare dritto davanti a sé. Come lo vide, la paura svanì; nel vederlo ebbe l’impressione di morire, tutto il suo io si fermò bruscamente, lasciandola vuota e con occhi vacui ma sempre presenti.

Davanti a lei c’era Barbabianca.

“Guraguraguragura!!!! Allora, chi sarebbe il pazzo che ha tanta voglia di tagliarmi la testa?!”



 

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Capitolo 24
*** L'imperatore Bianco. Il sogno da difendere. ***


Eccomi qua!spero che abbiate passato una buona pasqua e pasquetta e che abbiate mangiato tanto cioccolato (io devo smaltirne un bel po’ in parenti,amici e affini).Dunque,infine ci siamo,è comparso Barbabianca!ammetto che questa parte,alcuni di questi capitoli mi sono riusciti difficili da scrivere ma spero ugualmente di aver reso bene la mia idea,se avete apprezzato i precedenti:prima di passare alle recensioni saluto chi ha messo la storia nei preferiti:agentekuruta-alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-Yuki689-Giulio91.Chi nei seguiti:Himechan-key87-TopazSunset e chi l’ha ricordata:Dance.

Passiamo ai ringraziamenti!

Maya90:ciao carissima!wow,addirittura uno dei migliori?non farmi arrossire o inizio a gongolare come Chopper e non smetto più!sono tentata di chiederti quali consideri i migliori ma tralasciamo altrimenti passo a vorticare nella stanza come Sanji quando vede una bella ragazza.Non nego che ho goduto nel scrivere la parte di Sayuri che veglia sul sonno di Ace:come hai detto tu,il nostro pover uomo ha bisogno si di riposo!grazie anche per il piglio arrogante,vista la sua eccessiva fiducia era logico che almeno su quel punto un pochino orgoglioso lo fosse.Parlando di Newgate non è un personaggio per cui impazzisco,però mi piace moltissimo la sua personalità e la sua filosofia:è particolare il fatto che tratti i suoi uomini come fossero i suoi figli,a dirti la verità non mi è mai parso che volesse diventare proprio a tutti i costi il re dei pirati,per quelle poche volte che l’abbiamo visto e per come l’hanno descritto,è sempre stato una persona tranquilla (si fa per dire) che amava il suo stile di vita e che era più interessato a trovare un tesoro ben più grande del one piece a mia detta:una famiglia.E’ innegabile,è un uomo che sa quel che vuole e anche se forse non ha visto le stesse cose di Roger ne ha viste di ugual numero ma diverse (non penso nemmeno che il re dei pirati abbia visto tutto il mondo,in fondo lui è arrivato a Raftel ma non è detto che oltre non ci sia altro!questa piccola parentesi rientrerà in un mio capitolo più in avanti,moooolto più in avanti,se non cambierò il mio progetto!) e,si,mi è dispiaciuto molto che se ne sia andato (mai quanto Ace,però,ho visto il 580,le ultime pagine e mi stava venendo male).Ti dico subito che Sayuri non ha nulla a che fare con Barbabianca:i flashback erano ricorrenti a delle voci che lei aveva udito nel suo viaggio solitario,nulla di speciale.

Sachi Mitsuki:oh santo cielo!il mio migliore capitolo!sei troppo buona!!!ora sono io che impazzisco!calmati anche tu,perché mi sembri sul punto di morirmi di infarto.A posto?bene,allora:eh si,alla fine è arrivato il vecchio Barbabianca.Lui è d’obbligo visto che Ace è il suo secondo comandante quindi in qualche modo dovevo cacciarlo dentro.La marina,il buster call,Smoker e tutto l’ambaradam lasciamoli pure la dove sono,ora abbiamo altre gatte ben più grosse da pelare.Mi ha davvero chiamato Ale-san?non so sentirmi onorata o cosa ma potrei farci l’abitudine,uh uh1!(risata altezzosa).Non c’è bisgono di tanto,hai detto che questo è il mio migliore capitolo (adoro questa ragazza,ti abbraccerei fino allo sfinimento)cosa posso chiedere di più??

Angela90:Angelina! si,si le ragazze tranquille sono sempre le più imprevedibili!sto lavorando a una particina che vedrà Sayuri molti imprevedibile (purtroppo ci vorrà un bel pezzo prima che salti fuori ma sai com’è,quando l’ispirazione ti chiama tu devi scrivere per non dimenticare!). In momenti come quelli che stanno vivendo i mie due protagonisti la citazione “Oh merda” è perfetta.La situazione non è delle migliori,anzi stanno naufragando negli abissi più oscuri ma non disperiamo!Tu pensi che la sottoscritta non abbia un piano di riserva?ok,non è proprio un piano ma è comunque di grande effetto,spero vi piaccia.

MBP:Marta chan!oh,che peccato,a saperlo prima per la fiera;io ci sono andata di sabato con alcuni miei amici e siamo rimasti lì fino un quarto le cinque;contanto che eravamo in piedi dalle sei e mezza,sono tornata a casa anch’io per le sette e mezza.Beh,è andata così!passando alla tua recensione,credimi,se Ace e Jimbe avessero avuto ancora a disposizione altre energie come minimo affondavano l’isola;tranquilla,Sayuri non ha nulla a che fare con Barbabianca,ha sentito solo delle voci in giro sul suo conto,nulla di più altrimenti sarei qui a scervellarmi sul come avrei potuto cacciare nel passato della mia protagonista un personaggio così grosso,in tutti i sensi.Per il resto ormai il suo passato è noto al 90%,quindi non ci sono altri scheletri nel suo armadio,ne ho messi anche troppi!

 



La paura è definita come quella emozione che spinge il corpo e l’anima a bloccarsi e a far esitare la persona davanti a qualcosa o qualcuno, in particolare per farla vacillare, e, forse, se è sufficientemente forte, a farla cadere nel vuoto. La paura si trova ovunque, nessuno ne è immune, esiste da sempre ed è capace di far rabbrividire le persone a tal punto da farle desiderare di essere in un altro posto. Quando assume forma concreta, si diverte a comparire quando meno ce lo si aspetta, magari durante il sonno o quando i pensieri sono troppo bianchi e luminosi.
E’ come un mastino che, una volta adocchiata la preda, non la lascia più e quando riesce finalmente ad averla tra le zanne, la gusta con terrificante lentezza, infliggendo un’agonia unica che si proverà solo quella volta, perché dopo forse non si potrà più sentire ne toccare nulla. Il più delle volte, una persona tende a fuggire da questa, correndo come se non potesse fare altro e quando è convinto di non doversene più preoccupare, quella le si presenta davanti, sogghignante e sfacciata. Correre non è mai una buona idea. Lo puoi fare per un po’, ma la sola scelta sensata è prendere atto della situazione e affrontare ciò che ti rende inerme senza pensare a cosa succederà.

Sayuri conosceva bene la paura, ma in quel momento era ben diversa da quella che tempo fa le spiegò il nonno. Barbabianca non rappresentava un suo personale punto di svolta, ma un grosso traguardo che col tempo si sarebbe presentato, annunciando così una battaglia senza colpi di scena. Era consapevole che, navigando con Ace, prima o poi, lo avrebbe incontrato, ma non si aspettava di vederlo adesso, lì, davanti a lei, nel momento meno opportuno di tutta la sua vita. Era troppo presto e non avevano chance di batterlo. Lei non aveva chance di batterlo, essendo lì da sola.

“Guraguraguragura!!!! Allora, dove sarebbe il pazzo che dice di volermi tagliare la testa? Sono curioso di conoscerlo!!” esclamò, esordendo un ampio sorriso di sfida sotto quei lunghi baffi bianchi tirati all’insù.

I suoi occhi calarono sulla persona a poca distanza da lui. Era una ragazza malandata e a giudicare dall’espressione, anche fin troppo sorpresa di vederlo. Bianco Giglio deglutì al venire localizzata, annaspando l’aria che le stava attorno con avidità; la sola presenza di quell’uomo bastava a farla vacillare, ma non sarebbe caduta. Il solo pensiero di Ace in quello spiazzo, la incoraggiò a rilassare spalle e gambe, espirando con occhi concentrati. Era una pazzia quella che voleva compiere, ma scarse erano le alternative e di scappare, non se ne parlava; aveva paura, ma questa era fronteggiata dal suo coraggio che la esortava a fare quello che per lei era giusto. Da dietro la schiena fece comparire i suoi lunghi e spessi sai, impugnando l’elsa di ciascuno d’essi come se potessero infonderle ancora più forza.

“Ehi, sembra che ci sia qualcuno di sotto” esordì Marco atono.

I comandanti della prima, terza e quarta flotta erano a rimasti a bordo della nave sotto l’ordine del capitano, insieme al resto degli uomini. Il biondo dalla capigliatura ad ananas aveva seguito la discesa del padre ed era stato il primo a notare la presenza di una seconda persona in quella spiaggia desolata.

“E’ una ragazza” affermò Jozu, aguzzando la vista e tenendo le braccia conserte.
“Non una comune ragazza” s’aggiunse Satch, sorridendo “Se non ricordo male è Bianco Giglio, dei pirati di picche. Mi chiedo cosa voglia fare in quelle condizioni” si domandò con un fil di serietà nel tono.

Sayuri non si preoccupava di essere guardata da occhi estranei, era fin troppo presa a non distogliere gli occhi da Edward Newgate. Le braccia erano distese lungo i fianchi, con le mani ben salde attorno al metallo delle armi. Era stanca, la testa tentava di indurla a sedersi e lasciarsi abbandonare al sonno e gli occhi non le erano mai sembrati così tanto pesanti: fortunatamente, era ancora sufficentemente lucida da non cedere. Il suo sguardo stava combattendo contro quello del Re dei Mari e anche se la sua forza era pressochè schiacciante tanto da avvertire su di sè la potenza del suo spirito, non era benaccetta a volgere gli occhi da altra parte. Se era contro la morte che doveva battersi, non avrebbe esitato a difendersi, anche se il dolore fisico stava impiegando ogni possibile strategia per farla desistere. Porgendo in avanti il busto si inchinò, in segno di rispetto ed educazione per quello che a breve sarebbe divenuto il suo avversario.

“E’ un onore potervi incontrare, maestà” affermò calma “La vostra fama è ben conosciuta e meritata, ma non posso dire che la vostra presenza qui sia la benvenuta: sono desolata, ma non posso permetterle di andare oltre. Se è il mio capitano quello che vuole, allora dovrà prima liberarsi di me” gli disse irremovibile.

Raddrizzandosi, levò le braccia orizzontalmente, come segno di sbarramento, senza muoversi da dov'era.

Barbabianca all’udire tale frase scoppiò a ridere con più fragore “Bambina, tu ha coraggio! Dalle tue parole, immagino che questo tuo capitano debba essere molto vicino!” appurò con sorriso beffardo ”Ma, dimmi, non avrai davvero intenzione di metterti contro di me?”
“Lo farebbero anche i suoi uomini, se la sua vita si trovasse in pericolo” fu la sua risposta. Tossì violentemente, sputando sangue. ”Perciò le ripeto, che non la posso lasciar passare. Mi dispiace” continuò mascherando la fatica e il dolore in gola.

Era stupita di sé stessa. Non avrebbe mai pensato di poter parlare a Barbabianca e di rispondergli, di tenergli testa almeno nel dialogo. Probabilmente quello era l’unico fronte dove avrebbe avuto più possibilità di mettere a segno qualche punto.

Devo trovare il modo per tenerlo impegnato. Ma come?
“Hai un bel fegato a dirmi che non mi lascerai passare, te ne devo dare atto, ma non mi sembri in condizione di dettare regole!” ridacchiò lui, squadrandola dalla testa ai piedi.
" (Purtroppo ha ragione. Non..) COUGHT!!” tossì ancora e stavolta più forte.

Nel levare la mano dalla bocca, la vide nuovamente sporca di sangue. Era peggio di prima, quasi stava perdendo la cognizione di ciò che la circondava, ma il fatto di essere ancora miracolosamente in piedi, la spronò a far valere le sue parole; sforzandosi di non cedere chiuse gli occhi e richiamò a sé l’haki, concentrandolo da prima nel suo petto, poi nei sai. Ne accumulò una quantità enorme tanto da far vibrare i sassolini che in tutta tranquillità se ne stavano fermi sulla spiaggia.

Se è contro di lui che devo dare il massimo, allora dimostrerò tutto il mio valore....

Non poteva combattere contro quell’uomo usando le solite tecniche. Non poteva sperare di confrontarsi con lui come se fosse un comune mortale. Richiamò con ancor più vigore il proprio spirito vitale, ignorando la sua testa e lo sforzo immane che stava chiedendo al suo corpo. Le orecchie le fischiavano come ad avvertirla che si stava spingendo troppo in là, in quella zona ignota e minata che poi si trovava oltre a tutti i suoi confini fisici e psichici.

....la mia ambizione, e la farò brillare come non mai!

Doveva lanciare un attacco potente, il più devastante che avesse mai provato a creare. Si, era rischioso nelle sue condizioni, senza contare che lei, l’haki, lo utilizzava a piccole dosi: non era certa di poterlo sfruttare in grandi quantità, c’era la possibilità che perdesse il controllo e che gli effetti collaterali d'esso finissero per immobilizzarla. La terra tremò ancora di più, tanto che i ciottoli si innalzarono di qualche centimetro da terra e l’aria interruppe il suo flusso, come se il tempo fosse stato appena congelato.

Sono qui per questo e non mi tirerò indietro.

Non aveva alcuna speranza di vincere, ma non avrebbe permesso che Ace lo incontrasse, non adesso almeno. Come avrebbe potuto batterlo, se era uscito quasi ammazzato dallo scontro contro il sommo Jimbe poco più di un’ora fa?

Sarebbe stato un suicidio e nonostante lei confidasse nelle capacità del suo capitano, nonostante credesse in lui ciecamente, in quel momento, aveva paura per la sua vita, perché il Re dei Mari stava ad un livello che non era nemmeno visibile ai suoi occhi. Strinse ancor di più le dita attorno al metallo del manico dei sai, sentendolo diventare caldo e mentre lei si preparava a dimostrare tutta la sua forza di volontà, lui se ne stava lì, a braccia conserte, a ridacchiare sotto i baffi, incuriosito dalla sua azione.

“Ma guarda questa bambina! Sa usare l’haki!” esclamò lui, con un lievissimo cenno di sorpresa il vecchio ”Bene, vediamo un po’ quanto sa agitarsi!”

Le sue mani stavano bruciando tanto le facevano male e le ossa parevano sul punto di sciogliersi. Non aveva altro modo per definire quel vortice d’aria che la circondava e che a ogni passo giungeva con più velocità al punto di rottura; era lei stessa a richiamare tutto il suo spirito vitale, ma non si stava armonizzando con la natura come solitamente faceva in allenamento, no. La sua volontà dipendeva unicamente dal voler difendere una persona al di fuori di sé stessa. Stava superando quei limiti da cui si era sempre tenuta a debita distanza ma non le importava; era così decisa a proseguire nel suo intento da essere disposta a farsi male seriamente.

Se lo incontrasse adesso....

Sapeva bene quanto Ace fosse deciso a seguire il suo sogno. Glielo aveva raccontato non appena salita sulla sua nave e ancora adesso quelle parole le risuonavano incessantemente nella memoria.

....che ne sarebbe del suo sogno?!

Non era un segreto che quel ragazzo fosse incredibilmente testardo; benchè ragionasse e agisse con adeguata intelligenza durante le battaglie, Sayuri temeva che davanti a Barbabianca avrebbe ceduto fin troppo facilmente al suo istinto e alla sua troppa fiducia in sé.

 Ace!

Aveva paura che morisse, ne aveva davvero tanta e anche adesso che si apprestava ad attaccare il Bianco era più preoccupata per lui che per sé stessa. Temeva che quel sogno che l’aveva incoraggiata a prendere quella decisione svanisse per sempre, senza avere l'opportunità di tornare, ma fino a quando avrebbe continuato a resistere e a combattere, non avrebbe permesso a nessuno di intaccarlo. In quel sogno lei aveva scorto qualcosa di diverso ma che pian piano le era apparso giusto e meritevole d’esistere. Qualcosa in cui la sua immagine si era riflessa, per mostrarle qualcosa di più che una sagoma astratta...

“Ace, che cosa intendi fare quando sarai diventato il Re dei Pirati?”
“Che cosa?”

Entrambi si trovavano sul ponte. Erano passate appena due settimane dall’entrata di Sayuri nella ciurma e ormai ritrovarsi di notte, davanti al timone a parlare del più e del meno, era diventata una loro personale tradizione. Alla domanda sul cosa fosse il suo sogno, Sayuri aveva guardato lo scuro orizzonte che si prostrava infinito ai suoi occhi. Dalla sera in cui avevano parlato delle loro ambizioni, in lei era sorta una piccola vena di curiosità riguardante lo scopo del suo nuovo capitano. Nel giocherellare con il log pose si era girata verso di lui, guardandolo con un misto di dolcezza e curiosità negli occhi.

“So che il Re dei Pirati è solo un nome per indicare il più forte di questi, ma mi chiedevo se avessi qualche obbiettivo in particolare, una volta che avrai raggiunto la meta oltre a ciò che ti sei prefisso per il tuo viaggio” si spiegò meglio.

Qualche sera prima avevano chiacchierato sulle loro aspirazioni, anche se quel più si era aperto era stato il ragazzo. Nel sentirlo affermare di voler diventare il Re dei Pirati, le era venuto spontaneo porgli un ulteriore quesito, per verificare se ciò che il moro aveva detto fosse voler dimostrare la propria superiorità oppure puntare a qualcosa di diverso da un sogno vuoto dettato da puro egoismo.

"Si, c’è una cosa che voglio fare. Una cosa a cui non voglio rinunciare” affermò serio abbassando gli occhi sul timone. Aveva un che di laconico nella voce.
“E te la sentiresti di rivelarmela?”

Davanti a quei occhi, i suoi occhi, Ace non potè non tacere. Si sciolse in un leggero sorriso per poi mutare e tornare a com’era pochi attimi prima.

“Non è un mistero che tutti vogliano contendersi questo titolo e arrivare per primi all’One Piece. L’era della pirateria è nata anche per questo, ma solo quelli che hanno le carte in regola posso sperare di proseguire su questa rotta e non si tratta solo di essere forti o di avere tanti uomini al proprio seguito” esordì “Conta quello che hai dentro e cosa ti spinge a puntare all’irrealizzabile e sono convinto che tutti quanti abbiano diritto di vivere rincorrendo il proprio sogno”

Le parole uscivano e si distribuivano in frasi cariche di rammarico, specie le ultime, appena capaci di contenere cosa realmente volessero significassero. Il cappello di Pugno di Fuoco era calato su parte del suo viso esattamente come quando voleva starsene per i fatti suoi o quando era così immerso nei suoi pensieri da rendere indecifrabile l’espressione dipinta sul suo volto. Il lucido legno del timone venne stretto e compresso fra le sue dita, controllate come fossero delle marionette al fine di contenere sensazioni identiche alla repulsione per quello che si stava movendo in lui. Una volta certo che non si lasciasse scappare qualcosa,riprese a parlare.

“Però, Sayuri, alcune di queste persone sono costrette a vivere con il pensiero riguardante il fatto se sia giusto restare a questo mondo, anche se inconsapevolmente si sono fatti carico di colpe non loro. Non c’è bisogno che ti dica che noi pirati veniamo considerati come fonti di disordine, devastazioni, tutto quello che ti viene in mente e quando sono convinti di essersene liberati, per proteggersi, provvedono a cercare e a sbarazzarsi dei figli”

Il tiepido venticello notturno si alzò giusto appunto per carezzare i capelli castani della ragazza e solleticare la pelle nascosta sotto d’essi. A quel tocco, un brivido partì dal basso e risalì lungo la sua spina dorsale calcando per bene il suo passaggio su ciascuna delle vertebre: con bocca semichiusa, Sayuri non potè che comprendere a pieno le parole del ragazzo. Le riguardavano più di quanto lui pensasse, ma nel contenere alla perfezione la fitta proveniente dal suo cuore, si spinse a parlare con l’innata dolcezza di cui era dotata per venire incontro al suo amico.

“Vorresti che non provassero questo forte senso di colpevolezza, non è così?”

Era a conoscenza degli avvenimenti capitati poco più di vent’anni prima: appena pochi giorni dalla esecuzione di Gol D.Roger, il Governo Mondiale, al cui apice risiedevano i cinque astri della saggezza, aveva approvato la pubblicazione e la pratica riguardante la legge sui figli dei pirati; in qualche modo si era sparsa la voce che il Re dei Pirati avesse un figlio e allora il governo aveva incaricato la Marina di trovare sia lui che la madre e di ucciderli, per evitare che il sangue di quel demonio scorresse ancora. Quella legge tuttavia, venne espansa a tutti, in modo tale da diminuire drasticamente il numero di marmaglia che ora o in un immediato futuro, avrebbe potuto creare grossi problemi. In sostanza, questo era quello che lei aveva sempre saputo perché imparato a proprie spese e il suo caro nonno non aveva mancato a spiegarle il disprezzo che provava per quella legge, che riscuoteva brividi in chi la trovava cruda e senza ritegno per la vita umana.

Ma, purtroppo, esistevano persone che vedevano nella Marina e nel Governo mondiale i soli a poter fermare quella stupida situazione creatasi e vedevano nei loro provvedimenti l’autenticità della giustizia. D’altronde, non tutti i pirati erano dei sognatori e se solo Sayuri si metteva a scavare e ad aprire quelle porte che aveva chiuso al mondo intero, poteva confermare la veridicità di quella voce. Non tutti erano sognatori, molti erano solo uomini che puntavano ad arricchirsi, senza credere in niente e in nessuno. Per loro i sogni, l’era dei sogni, non era che ciarpame buono soltanto per finire nella spazzatura. Il ricordo di quella notte era dentro di lei e non stava a rappresentare una semplice conversazione ma una prova del fatto che Ace puntava ad arrivare così in alto per ottenere qualcosa di diverso e forse lei non avrebbe mai saputo la verità che si celava dietro a tanta determinazione, ma quel ragazzo le ispirava simpatia e comprensione e ascoltarlo, cercare di essere un appoggio anche solo d’amicizia, era un buon modo per dimostrargli che in fondo, anche lei, voleva la stessa cosa.
Voleva vivere ed essere certa che ne fosse meritevole e la sola vicinanza di quel suo nuovo strano amico sorridente che l’aveva trascinata sulla sua nave dopo essersi battuto con lei la invogliava sempre di più ad essere sicura di sé.

“Voglio provare a vivere come meglio credo e a navigare con tutti voi. Per ora mi basta questo e se un giorno arriverò a tagliare il mio traguardo, allora sarò soddisfatto” affermò infine, guardandola dritta negli occhi.

Le bastava chiudere gli occhi nel cuore della notte per ripensare a quelle parole e a credere di poter cambiare la sua strada. Non era la sola figlia indesiderata, ce ne erano tanti altri come lei e per quanto la vita fosse diversa per ciascuno di loro, la sola cosa che li accomunava era il fatto che un giorno o l’altro, avrebbero dovuto fare i conti con quelle immense colpe ereditate. Ace voleva vivere la sua vita al meglio, costruendoci dei bei ricordi fatti di amici e battaglie, il traguardo era qualcosa che avrebbe raggiunto soltanto se fosse stato soddisfatto di sé stesso e Sayuri, voleva poterlo aiutare. Dentro il suo animo, avvertì la sua ambizione traboccare, pronta per essere rilasciata e per mostrarsi al cospetto dei presenti.

Ho promesso che ti avrei fatto diventare il Re de Pirati, Ace, e ho intenzione di tener fede alla mia parola.

La sensazione di trovarsi davanti a delle entità soprannaturale che l’avrebbero giudicata per quello che era e per quello in cui credeva era così palpabile che poteva percepire quei occhi coperti dalla nebbia come fossero davanti a lei. Non aveva paura, non doveva perché lei era certa di essere nel giusto, perché era sicura che ciò che si stava per apprestare a fare non era altro che proteggere sia il suo sogno che la promessa fatta a Ace. Se ciò che doveva dare era una dimostrazione del suo coraggio e di quanto tenesse ai suoi compagni, non avrebbe voltato le spalle a nessuno di loro.

Tu devi andare avanti, Ace...

Le sue mani erano del tutto insensibili, così come la mente e gran parte del fisico; non escludeva la possibilità di morire, ormai incalzante e percepibile come un requiem, ma tornare sui suoi passi sarebbe stata pura vigliaccheria. Incrociò le braccia e piegò lievemente la schiena, pronta a lanciarsi mentre quella corrente si scatenava al massimo della sua forza.

....e realizzare il tuo sogno!!
"Recall of Ambition: Double Mircing Knifes! (trad: doppio taglio a mezzaluna!)”

Corse per un paio di metri per poi compiere un balzo e lanciare così due fendenti di un bianco luminescente, grandi come archi, contro Barbabianca; il suono prodotto da quell’attacco era simile a uno leggero stridio creato per rompere il vento e al suo passaggio la terra veniva tagliata come assoluta semplicità. Nel rilasciare tutta l’ambizione di cui era dotata, Sayuri, ancora sospesa in aria, guardò la scena senza staccarvile gli occhi di dosso: osservò i due archi correre e avvicinarsi fra di loro fino a diventare un unico e grande fendente, pronto ad abbattere ogni ostacolo sulla sua strada; si trovava ancora a mezza’aria quando spalancò gli occhi, scioccata, nel vedere il Re dei Mari prendere con una mano, un’alabarda incredibilmente pesante, alzare il braccio e tranciare la sua solida ambizione come fosse carta straccia.
La lama di quell’arma gigantesca, grande quasi quanto il suo padrone, aveva compiuto una semplice slamata da sinistra verso destra e nel farlo, non solo aveva vanificato l’attacco della giovane, ma aveva perfino rilasciato un’ondata di puro haki che la investì, trapassandola  e mandandola in frantumi come uno specchio.

Non può...!
"WHAAAAAAAAAA!!!!!!”

Venendo a contatto con quell’haki, perché era haki, Sayuri avvertì tutto il suo corpo paralizzarsi, esplodere nel vivo del dolore, per poi cominciare a spegnersi definitivamente come fosse una candela consumata dalla fiammella. I sai le sfuggirono dalle mani e volò ancora più in alto di quanto non fosse già, per poi atterrare sulla schiena, senza nemmeno aver provato a cader correttamente. Quell’ambizione, quell’attacco era stato troppo per lei e per il suo fisico già malconcio, ma anche se si fosse ritrovata nel pieno delle sue forze, non avrebbe potuto fare nulla se non arrendersi all’evidenza. Quello non era uno comune haki come il suo, ma l’haki del re conquistatore, il più raro e micidiale. La differenza tra le due ambizioni era schiacciante, imparagonabile. Era stato come se un enorme mano invisibile l’avesse trapassata e infine sbattuta a terra, schiacciandola con tutta la pressione che riusciva a generare. Per il colpo, aveva smesso di respirare tanto era stato dirompente.

“E’ andata giù con un solo colpo” proruppe Jozu secco.
“Che cosa pretendevi? Erà già malridotta ancora prima che questo scontro iniziasse” gli fece notare Satch.   
“Sarà, ma si sta rialzando” seguì Marco, appoggiando i gomiti sul parapetto della nave ”Sembra che non le sia bastato”

Sei occhi, più gli altri due del grande imperatore si riversarono sulla figurina che con somma fatica stava cercando almeno di mettersi seduta sui suoi talloni. Tremava violentamente per il colpo e ormai, stanca com’era, la testa le rimbombava, girandole più forte che mai. Tirò in avanti le braccia e fece strisciare le gambe fino al mettersi a carponi, con il capo ancora abbassato, incapace di fare movimenti più sciolti e liberi. Cadde in avanti, ma subito piegò i gomiti e si rimise nella medesima posizione di prima, sputando sangue dalla bocca. Al Bianco era basta un solo colpo per atterrarla, un colpo semplice, secco, che aveva tagliato perfino ciò che era intagliabile.

“Non ce la può fare. Con quella ferita al fianco e il colpo inferto da papà, muoversi in quelle condizioni è impossibile” decretò il comandante della prima flotta.
“ Era scontato fin dall’inizio la sua sconfitta” affermò Jozu inespressivo.
“Speriamo solo che papà non abbia esagerato. A volte tende a calcare un po’ troppo la mano” aggiunse l'altro biondo, con l’occhio più rivolto alla ragazza che al padre.

Ancora una volta Sayuri tossì, sputacchiando altro sangue. Emettendo una serie di rantoli tremanti rantolo, cercò di girarsi e incespicando più volte, i suoi occhi annebbiati intravidero la figura di Barbabianca, ferma e immobile,abbassare l’arma. La vedeva come un ombra dai colori sfocati, nulla di più. Non rivolse la sua mente ad alcun pensiero o desiderio in particolare, a malapena riusciva a distinguere il bianco dal nero. Era esausta, sfinita, troppo per continuare. Ondeggiava tra il mondo dei vivi e quello del sonno pericolosamente, come fosse sotto l’effetto di qualche droga e ansimava per la mancanza d’aria. Andare avanti le era impossibile, ma fintanto che rimaneva cosciente, poteva ugualmente riprovare. Impossibile, formulò lei con la mente offuscata.

Lui era troppo in là e lei nemmeno riusciva a sollevare le braccia. Se doveva andarsene almeno era contenta di averci provato, non avrebbe avuto alcun rimpianto o vuoto morale in questo. Sola cosa le stava rendendo quel momento ancora più difficile: la possibilità che Ace scoprisse la sua assenza e al posto suo trovasse anche lui l’eguale destino che adesso la attendeva a braccia aperte. No, si disse, Ace è forte e potrebbe pareggiare, anzi, pareggerà sicuramente. Il perché lo avesse pensato le era sconosciuto. Lo sentiva dentro di sé, non aveva altro modo per spiegarselo, ne il dovuto raziocinio per pensarci; chissà come, per quanto drastica fosse la situazione, non riusciva ad avvertire il dolce e freddo soffio della morte venire a prenderla. Ogni paura era svanita, una piccola stella rilucente le batteva in fondo al petto martoriato e le urlava di credere in un miracolo o qualcosa che gli si avvicinasse.

Mi spiace tanto, capitano...non posso fare più di così.....

Le tenebre si annidarono nei suoi occhi e la inghiottirono senza alcuna fatica. Barcollò indietro per poi iniziare a cadere come fosse vuota e inutilizzabile, senza neppure avvertire le fiamme della colonna di fuoco di Ace ergersi attorno a lei. Comparsa insieme al voce del moro che evocava quel colpo, la torre si eresse alta nel cielo, fino a convogliare nuvole scure attorno ad essa, dove la cima sembrava arrivare a toccare il cielo. Le fiamme che l’avevano costruita salivano in senso orario, ripetendo quel movimento all’infinito, senza mai fermarsi. Una mano infuocata fermò la caduta della giovane, che subito venne sollevata da terra e stretta vicino a un corpo più in fiamme della colonna stessa, come una luce dalla forma umana, il cui calore non feriva chi non era o rappresentava una minaccia. Improvvisamente, quella costruzione elementale diminuì il suo spessore,fino a scomparire nel nulla, richiamata verso il basso; le ultime lingue di fuoco vennero concentrate in un unico punto ed infine Ace, con in braccio l’amica priva di sensi, squadrò con occhi presuntuosi e anche furenti quel vecchio relitto che lo fissava con la stessa strafottenza.

“Mi stavi cercando, vecchio?!”

 


 

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Capitolo 25
*** L'orgoglio del fuoco. Il potere Gura Gura. ***


Bene,siamo arrivati ad un altro mercoledì e quindi ad un altro capitolo.Dedico questo capitolo a Sachi Mitsuki per aver segnalato la mia fict nella sezione delle storie scelte (grazie carissima!).Bene siamo arrivati ad un altro momento cruciale:speriamo di aver fatto le cose per bene!prima di passare i ringraziamenti,ringrazio chi ha messo la fict nei preferiti:agentekuruta-alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-sibillaviola-yuki689.Nei seguiti:13este-HimeChan-key87-TopazSunset.Chi nelle ricordate:Dance.E ovviamente a chi semplicemente la legge!!

 

 

Yuki689:whaaaaahhhh!!sei tornata,e mi ha lasciato addirittura tre recensioni!!temevo di non sentirti più!!(ok,mi calmo e riprendo a respirare…)Allora, da dove posso cominciare?beh,prima di tutto ti dico grazie e ti mando un abbraccio virtuale,perchè mi sei mancata tanto tanto!!!!.Dunque,il signor Togai le ha prese (come ben hai letto) ma questo era scontato perché si,come hai detto tu,Sayuri può essere molto ostica in battaglia visto il suo carattere placido.Mi verrebbe da dire altro su questo ma mi trattengo e vado avanti.Il momento “soli,soletti” occorreva anche perché non potevo di certo far piombare dal cielo Barbabianca in quattro e quattr’otto,quindi la scenetta romantica era l’unica maniera per farli respirare quei cinque minuti e per farmi contenta (ho bisogno di mettere quei teatrini dove ci sono loro due,se no do di matto).Si,forse hai ragione a dirmi che sono sadica (e ci sto andando ancora leggero,sappilo) ma in One piece quei poveri Mugiwara affrontano nemici su nemici senza avere un solo attimo di pace,pertanto l’entrata immediata e teatrale del signore dei mari era doverosa (anche perché poi non avevo altre idee su come introdurlo),così come l’intervento della mia pupilla,anche se le ha prese;il dialogo l’ho ritoccato più volte perché lo volevo rendere molto emotivo e palpabile e anche questo capitolo l’ho rivisto più di una volta,anche se non sono molto sicura del lavoro;volevo mettere parolaccia,almeno nell’ultima parte ma mi sono trattenuta dall’essere troppo volgare,spero comunque che sia riuscito bene e che non mi siano scappati degli errori ortografici (questa settimana sono di fretta e infatti sto scrivendo di sera adesso)

MBP:Marta-chan!eh si,hai ragione!cosa non si farebbe per Ace?Sayuri ci ha provato,ora tocca a lui e spero di aver reso bene tutta la sua cocciutaggine in questo capitolo (ho cercato di immaginare più volte lo scenario e l’unica cosa che vedevo erano pugni capitomboli e altri pugni).Ahimè quando si vuol bene rendere una cosa è difficile metterla per iscritto,starei ore e ore a rileggere quanto ho prodotto anche solo per correggere una sillaba.Bene,spero che la scazzottata di Ace ti piaccia!

TopazSunset:wow,benvenuta!va beh,avevo visto che seguivi la mia storia ma non mi aspettavo di ricevere altre recensioni.Sono così felice che potrei mettermi a gongolare come Chopper!grazie per la tua recensione e per il tuo apprezzamento verso la mia fict (addirittura bellissima…non fatemi piangere per la felicità!!!).Non vedo l’ora di vedere il seguito della tua,almeno saprò come sdebitarmi.

Maya90:carissima!che dire,ho fatto ricorso alla classica entrata all’ultimo minuto,funziona sempre e anche di più se a salvarti è Ace!la mia povera Sayuri è andata giù con un colpo solo ma almeno è andata giù con la testa alta!(accidenti,visto che non potevo farla vincere contro Barbabianca,diamole almeno un’inquadratura carica di onore).I comandanti di Newgate li ho messi apposta per dare loro una presentazione fugace dei loro caratteri ma più in là avranno un po’ più di spazio (Satch quel cincinino di più,Jozu ahimè fino adesso è quasi invisibile,non riesco a metterci tutti).Questa parte mi ha fatto sudare perché sinceramente non avevo idea di come impostarlo;l’ho riletto e strariletto in cerca di un’ispirazione aggiuntiva ma nulla,niente,nada,nisba!a parte qualche accorgimento è uguale alla prima stesura,detto questo….vuoi sapere se hai vinto qualcosa essendo il centesimo recensore?ti va bene tutta la mia gratitudine con allegato un abbraccio mozzafiato?ok,magari uno striscione con su scritto a caratteri cubitali “Maya90 forever!!”,eh non ho proprio idee..

Angela90:aaah,furbacchiona,ti piacerebbe essere tra le braccia di Ace,eh?prendi un numero e mettiti in coda allora,non sei di certo la sola(purtroppo anch’io sto aspettando il mio turno).Scherzi a parte,quanto hai ragione nel dire che il cioccolato è la rovina della dieta.Io so resistere,perché non sono una mangiona di dolci ma quando hai fra le mani quel particolare cioccolato che ti piace così tanto,un pezzettino tira l’altro e…beh alla fine il guaio è fatto!Mi chiedi dei momenti romantici?tesorino,cara….eh eh….i momenti romantici sono in fase di elaborazione ma (aspetta,posa il forcone!!)nei prossimi capitoli ho inserito qualcosa che stuzzicherà tutte voi (lo so,finisco per tirarla per le lunghe ma fidatevi,anzi fidati di me,che al capitolo romantico ci arriveremo e quando ci arriveremo sarà come aver fatto scoppiare la terza guerra mondiale).

 Beatrix:caspite,due recensioni addirittura!vuoi farmi schiattare di felicità?in questo caso è meglio che chiami Chopper e lo tenga pronto per farmi un massaggio cardiaco.Si,i tre comandanti che se ne stanno tranquilli e beati a guardare lo scontro ha un che di comico,già che c’ero potevo fargli bere anche il tè con i biscotti. (o the,cavolo non ricordo mai come si scrive).Effettivamente trovarsi davanti a quel colosso non è la situazione più allegra del mondo,visto che è il miglior modo per passare a miglior vita (tanto vale andare dritti al patibolo e uccidersi con le proprie mani).Si,la mia Sayuri è andata giù come un castello di carte ma si è fatta onore,come hai detto tu.Figurarsi se la facevo stramazzare al suolo senza un degno combattimento,l’alabarda era d’obbligo e anche il salvataggio di Ace in extremis!quello era assolutamente da mettere,anche se non so dove tu abbia visto del sensuale in tutto questo (lo scellerato però ci stava benissimo,visto che è una delle parole perfette per definire quell’amorevole testa calda).Tu vorresti essere tra le braccia di Shanks?tesoro,io sono in coda per avere lo stesso privilegio con Ace,anche se sono l’autrice di questa fict!dopo quello,potrei morire felice e senza alcun rimpianto!ora quella che sta delirando sono io ma quando scrivo è una reazione perfettamente normale,anche se a volte incontrollata…

Sachi Mitsuki:la piccola Sachi che sempre recensisce per prima!si,dovevo farlo finire così,ci vuole la suspance,il pathos e tutto l’ambaradam possibile.Sei alle prese con le interrogazioni?io a maggio ho gli esami d’università e mi sto portando avanti ma credimi,sto già sudando adesso!!d’accordo,chiudiamo qui con lo studio,questa fict è una scappatoia alla vita di noi povere studentesse!anche tu aspetti le scene amorose?dovrai pazientare ancora un pochino,io do pezzettini e poi vado con la mazzata finale,ma tranquilla,presto arriverà!Ace si era conciato male ma secondo te uno scellerato come lui (prendo in prestito il termine di Bea) si tira indietro a battersi contro il re dei mari?leggi questo capitolo è vedrai cosa intendo dire.Un’ultima cosa:ti ringrazio per aver segnalato la mia fict per essere messa nella sezione delle storie scelte (arrossisce e gongola alla chopper).Grazie,grazie grazie grazie ti abbraccerei sei potessi ma mi limito a farlo virtualmente!!GRAZIE!!

 

Ace era ancora avvolto dal carezzevole manto della tranquillità e del sonno quando percepì qualcosa di diverso in quel suo stato di dormi-sveglia. Anche se stava cercando di godersi quei minuti di pura e ricercata tranquillità, una minuscola parte dì sé era rimasta sveglia, in allerta, e adesso trillava come un campanella dal suono crescente e stridulo. Il suo corpo era disteso orizzontalmente per terra e le sue dita non stavano che stringendo l’aria invece della mano di Sayuri.
Provò smarrimento sia che per la mente che per il corpo; entrambi cominciarono a reagire a quella condizione,a svegliarsi, ma subito quel senso di privazione era stato sostituito da semplice sgomento quando udì un urlo provenire in direzione della spiaggia. Con gli occhi già aperti e fissi sul cielo era balzato in piedi con ritrovate energie nel sentire quella voce familiare e carica di sofferenza rompere il silenzio e disperdersi al vento. La consapevolezza che fosse accaduto qualcosa alla castana era divenuta più forte ad ogni suo passo, in quella camminata trasformatasi in corsa; l’aria aveva un sapore diverso, era più densa, carica di elettricità frizzantina fresca e incontrollabile.

Nel stringere i pugni e aumentare il passo, Ace tradusse quel brusco cambiamento come la dimostrazione lampante che lì, su quello spiazzo di pietre grigie, vi era la presenza di un elemento nuovo e sicuramente ostile. Il respirare quella elettricità mischiata all’ ossigeno gli restituiva le energie perdute e lo invogliava a proseguire,a scoprire quale fosse la sorgente di tutto ciò e quando finalmente era giunto in quella spiaggia, provò l’uguale sensazione che provava un maratone quando raggiungeva il traguardo tanto agognato, solo che al posto della felicità e della soddisfazione per aver completato il giro, in Ace c’era qualcosa di simile all’eccitazione e all’odio.

La prima gli scorreva veloce nelle vene e pompava il sangue a una velocità mostruosa, incapace di fermarsi e l’odio glielo faceva ribollire, rendendolo incandescente, di fuoco come era il suo corpo intero prima di tornare allo stato umano. Anche se esteriormente appariva malridotto e incapace di sostenere un combattimento, dentro di sé Ace si sentiva scoppiare di energia rinnovata ma regalata da un emozione che pretendeva che quanto dato venisse utilizzato per qualcosa che meritasse di essere visto. Era scattato in avanti alla sola vista della ragazza e ne aveva impedito la caduta, evocando la colonna di fuoco, presentandosi contemporaneamente al nuovo arrivato. Ogni briciolo della sua forza, del suo orgoglio, di tutto quello che lo rappresentava si stava comprimendo in un unico, minuscolo punto e si preparava ad esplodere come un piccolo big ben.

La fredda austerità che gli velava gli occhi era dedicata interamente a Barbabianca, che alla sua comparsa aveva fatto sfoggio dello stesso sorriso che aveva rivolto a Sayuri. Non c’era bisogno di un testimone per capire che cosa fosse successo e nel riversare i suoi occhi neri sulla ragazza che teneva in braccio tanto avidamente sospirò leggero, lasciando trasparire una nota di amarezza per il non essere arrivato prima da lei, che non aveva fatto altro che impedire uno scontro dall’esito già deciso in partenza. Sin da prima si era accorto di quanto fosse conciata male e nel vedere quella ferita sul fianco riprendere a sanguinare, il suo viso prima sofferente spegnersi del tutto, il moto di rabbia già insito in lui crebbe ancora di più.

“Allora vecchio, se non sbaglio è me che stai cercando!” tuonò in seguito, recuperando l’ira lasciata momentaneamente in disparte “Bene, mi hai trovato! Adesso vediamo se sei così forte come dicono!!”

Con quell’atto di sfida aveva totalmente vanificato l’intenzione della castana di tenerlo alla larga dall’imperatore; sapeva di farle un torto ma al momento era il suo istinto che stava avendo la meglio e ogni tentativo di dissuaderlo da quel combattimento si stava rivelando del tutto inefficace. La rocca risata del Re dei Mari si propagò nella spiaggia, amplificata di modo che anche le rocce potessero imprimere nella loro inesistente memoria quel suono tanto potente.

“Che moccioso impertinente! Per essere uno che sta per crepare, ne hai di energie da vendere, guraguraguragura!!!!!” sfociò in una risata più ampia.
“L’unico qui che ci lascerà la pelle sei tu!” sibilò Ace con lingua tagliente.

Non era mai stato così tanto sicuro in vita sua ma forse quella sua nuova forza scoperta era unicamente dettata dalla voglia di distruggere il più grande degli ostacoli con le sue stesse mani; alla fine l’occasione che aveva tanto cercato stava davanti a lui e se si fosse tirato indietro non avrebbe fatto altro che la figura del codardo ma piuttosto che alzare i tacchi e sperare in un momento più propizio, dove non fosse già reduce da una battaglia, si sarebbe ucciso mordendosi la lingua. Dal canto suo, Barbabianca non faceva che ridere divertito, come sempre aveva fatto da quando era sbarcato su quel piccolo lembo di terra. Con occhi sfrontati alzò la sua pesante alabarda appoggiandone la base sul terreno e affilando le pupille, restringendole in quella sua espressione beffarda e sogghignante.

Quello non era il primo che ambiva a prendersi la sua testa ma trovava sempre uno spasso quanto sbraitassero prima di finire con la faccia per terra. Sotto quei suoi prorompenti baffi all’insù, bianchissimi, non nascondeva di certo la sua smisurata superiorità perché era risaputo -lui stesso non mancava mai di ripeterlo o di dimostrarlo- che fosse molto egocentrico e confidasse nella sua forza, anche oltre i limiti concessi. La schiera delle cosiddette medaglie d’argento che lui e il vecchio rivale Roger si erano lasciati alle spalle era grande quanto quella dei nuovi volti che ogni giorno tentavano di mirare alla sua vita e non c’era momento in cui non dimostrasse chi comandava,ovvero lui.

“Dunque è la mia testa quel che vuoi,moccioso?” esordì prorompente “D’accordo, accomodati pure. Vieni a prendertela, se ci riesci!!” lo sfidò sfociando nell’ennesima risata.

Lo strascico del lungo cappotto che gli avvolgeva le spalle toccò di poco il terreno ai suoi piedi, strusciando lievemente mosso dal vento. Deboli raggi solari squarciarono le nuvole per colpire alcune chiazze della spiaggia e illuminare di più l’ambiente. Dietro Barbabianca, la Moby Dick era così immensa che difficilmente la si sarebbe potuta considerare una semplice nave; la polena a forma di balena sorridente pareva sul punto di prendere vita e di abbassare gli occhi appositamente per gustarsi in prima linea quello scontro ma ovviamente non sarebbe stata la sola: oltre ai comandanti, l’intera ciurma di Barbabianca era curiosa di vedere quanto l’avversario del loro babbo avrebbe resistito prima di crollare e cadere a terra.
Eppure all’appello mancava ancora qualcuno, non tutti gli spettatori erano presenti ma ciò non importava a Pugno di Fuoco; lui non voleva nessun’altro lì se non il vecchio, per questo arretrò, in cerca di un posto dove poter mettere Sayuri al sicuro; nel posarla a terra, a debita distanza, in modo che non venisse ulteriormente coinvolta, Ace udì voci a lui familiari, voci che urlavano il suo nome con un enfasi tale da spaccare ciò che era solido e astratto. Voci accompagnate da passi veloci,spronati dalla voglia di fermarlo e dall’evitare il peggio. Voci amiche ma in quel momento oscurate dalla sua cocciutaggine.

“Ace, fermati!!” gli urlò Bonz.
“Capitano è una pazzia!!”
“Quello ti ucciderà!!”

Rimessosi in piedi e nuovamente di fronte a Barbabianca, Ace si voltò parzialmente e vide tutti i suoi compagni correre giù per la discesa e tentare di raggiungerlo prima che commettesse la regina di tutte le pazzie; assottigliando lo sguardo e storcendo la bocca, si voltò nuovamente in avanti e allargò le braccia, con i palmi della mani ben aperti.

“Enjomo! (trad:rete di fuoco!)”

Dal terreno roccioso fuoriuscì una lunga linea di fuoco che provvide a separare Ace dal resto della ciurma. Invece di chiuderla e utilizzarla come fosse una cupola, esattamente come aveva fatto durante il combattimento contro Sayuri, Ace si era limitato a lasciare la rete al suo stato originale: un muro di fuoco alto e impenetrabile che offuscava la vista dei suoi compagni.

 “Ace, che diavolo fai?! Vieni via!!!” la voce di Don oltrepassò il muro eretto e giunse fino alle orecchie del moro.
“Andatevene immediatamente!! E' pericoloso se rimanete qui, io posso farcela anche da solo!!” ordinò.
“Ace non scherzare, quello ti uccide! Per una volta, metti da parte quel tuo stramaledetto orgoglio e vieni via prima di rimetterci la pelle sul serio!!”

Era del tutto scontato che Ace non lo stesse ad ascoltare. Oramai si era spinto oltre la linea del non ritorno e volente o nolente, non avrebbe avuto possibilità di tornare indietro anche se a chiederlo erano i suoi stessi compagni. Braccia e gambe erano un fascio di nervature verdastre visibili a occhio nudo e la fronte imperlata sia di sudore che di sangue secco riluceva come una sfera di cristallo. Lo stile di combattimento degli uomini pesce si era rivelato essere dannoso per il suo fisico visto che in parte Jimbe era riuscito a colpirlo, nonostante godesse dell’intangibilità del rogia di fuoco ma la scarica di adrenalina immediata ricevuta, simile all’innesco contemporaneo di più bombe lo aveva rimesso in piedi come fosse nuovo. L’eccitazione intrisa di rabbia gli si gonfiava in petto e doveva inspirare e espirare lentamente per alleggerire quella tensione che aleggiava tra lui e l’imperatore.

“Capitano, fermati!!” gli urlarono ancora.
“Vi ho detto di andarvene! Don, prendi Sayuri, ha bisogno di cure!!!”

Dall’altra parte del muro incandescente, il medico-cecchino abbassò gli occhi fuori dalle orbite e intravide una figura distesa a pochi metri da dove si trovava ;con ampi passi, fu subito accanto alla compagna svenuta e nell’inginocchiarsi al suo fianco, le prese il polso per controllarne il battito. Imprecò mentalmente e anche di brutto. Era debole e bisognava fare qualcosa per quella ferita al fianco prima che si infettasse o desse vita a complicazioni irreversibili. Non stette a chiedersi come diavolo avesse fatto a finire in quelle condizioni, non ce ne era il tempo; anche se non era in pericolo di vita,ogni secondo poteva ribaltare quella instabile certezza in una atroce realtà senza ritorno e l’ultima cosa che Don voleva era ritrovarsi con un suo compagno morto sul tavolo operatorio.

“Ace!” urlarono altri vanamente.
“E’ UN ORDINE!!”

Quello fu l’ultima frase che gli sentirono pronunciare; improvvisamente le fiamme si alzarono ancora di più, rendendo il muro ancor più impenetrabile e accecante, azzerando così ogni loro tentativo di raggiungerlo .Emanava un calore così intenso che il solo guardarlo avrebbe fatto sciogliere gli occhi a chiunque, per non parlare di quella luce dalle sfumature rossicce e arancioni; solo il sole poteva eguagliare un simile bagliore.

Barbabianca inarcò le sopraciglia, fingendosi sorpreso “Ma come, non vuoi che partecipino?” gracchiò con quel sorrisetto beffardo sempre stampato sulle labbra coperte dai baffi.
“Da capitano a capitano...” cominciò il più giovane prendendo il fiato necessario “Ti chiedo di lasciarli andare. In cambio, non mi muoverò da qui. Per te basto e avanzo solamente io” affermò con irremovibilità.

Da semplice sogghigno, il divertimento del vecchio divenne una risata ancor più ampia e sonora, per poi spegnersi ma senza far sparire nel nulla quella sua sicurezza e sfacciataggine che si insinuava nei suoi piccoli occhi. Quel bambinetto lo faceva morire dal ridere per quel suo atteggiamento dirompente ed esageratamente sicuro di sè; era pazzo se credeva di potercela fare da solo, ne doveva avere anche troppo di fegato per pensare di poterlo battere ma gli riconosceva il fatto di voler difendere la sua ciurma anche a scapito della sua stessa vita.
Ora comprendeva un pochino meglio l’intenzione dell’altra bambina che aveva cercato di sbarrargli la strada. Si grattò la testa inclinandola di un lato; forse aveva esagerato a colpirla con tutto quell’haki ma non l’aveva uccisa e questo bastava a compensare la sua esagerazione, almeno secondo il suo rapido e grossolano ragionamento.

“Che mocciosetto. Fammi vedere se oltre a urlare sai anche come ci si batte! Hai detto di voler la mia testa? Avanti, vieni a prenderla!” lo provocò con voce grossa.

“Con piacere! Hiken! (trad: pugno di fuoco!)”

Non intendeva perdere altro tempo e l’attacco lanciato funse da sigillo alle sue parole; aveva caricato il braccio all’indietro e l’aveva rilanciato in avanti,più mosso dall’istinto che dal proprio corpo. La dimensione, il calore sprigionato da quell’agglomerato di fiamme, superò di gran lunga tutti i suoi colpi precedenti. Le lingue di fuoco che lo contornavano si disperdevano nell’aria per poi tornare nel corpo principale diretto verso quell’unico obbiettivo che davanti ad esso non aveva battuto ciglio e ancora non si degnava di muoversi. Al passaggio di quella tecnica, le fredde rocce iniziarono a scaldarsi, a scottare, per poi bruciare infine sciogliersi; la scia lasciata dal pugno di fuoco non si sarebbe cancellata come si soleva fare con una gomma davanti a un errore di grafia.

“Che impeto...” boffocchiò il vecchio alzando nuovamente l’alabarda “Tipico di voi esaltati!”

Se Ace non fosse stato lì a vederlo con i suoi occhi mai ci avrebbe creduto: dilatò gli occhi e la bocca nel vedere il suo attacco di apertura venire tagliato perfettamente a metà e svanire come per magia, lasciando solo presente il vapore prodotto dal suo passaggio. Dal terreno, quell’aria bollente e densa annebbiò per qualche secondo la zona circostante, per poi andare dispersa insieme al clima più fresco della stagione. Riprendendosi da quel momentaneo shock, il capitano dei pirati di picche inarcò la bocca in un sorriso storto, all’ingiù, digrignando sia per la sorpresa che per lo smacco e scattò in avanti con gambe tese e cariche.

Non fece caso ai tendini doloranti, non poteva permettersi di farsi colpire da quella lama o dallo stesso Barbabianca: la scarica rilasciata per distruggere l’Hiken gli era arrivata addosso, scombussolandolo e rischiando di metterlo in ginocchio. Quale fosse la reale potenza di quello spirito vitale, era consapevole di non vederla ma non di immaginarne la disumanità. Caricò su di lui per poi spostarsi con quanto più rapidità possibile all’ultimo minuto, pronto a colpirlo ma nell’attimo in cui si accinse a rilasciare il fuoco accumulato sulle punte delle dita, successe l’indicibile; non ebbe il tempo di rendersene conto e venne colpito dietro la nuca, da un pugno più grosso della sua stessa testa, che lo fece sbattere a terra fino a far riempire il terreno di profonde incrinature.

Sentì la terra, il suo corpo sprofondare e l’osso del collo emettere un suono acuto, diverso da quelli percepiti e provati sino a quel momento. Lì per lì credette di esserselo rotto sul serio ma avvertendo ancora un minimo indispensabile di sensibilità presente, lo alzò insieme al resto del corpo,ancora intero se così poteva definirsi. L’avere la pelle dura quanto la sua cocciutaggine si rivelava sempre utile anche se in quel momento, tutto il suo io interiore che esteriore urlava confuso e disorientato. A carponi, si portò una mano dietro il collo dolorante e alzò gli occhi verso chi l’aveva colpito: Barbabianca era lì, a poco più di un metro da lui.

Che cosa?! Non si è neppure spostato?!

Sputò sangue dalla bocca, ansimando per la batosta appena presa. Vide doppio per qualche secondo prima di recuperare le percezioni rimaste; puntando i piedi per terra si alzò e compiendo qualche balzò indietro, ripristinò le giuste distanze, senza mancare di guardare quel vecchio in cagnesco.

“Guraguragura! Marmocchio, cosa credevi di fare cercando di cogliermi di sorpresa?!” esclamò sfoggiando la sua presunzione.

Ad Ace si rivoltò lo stomaco nel sentire l’imperiosità di quel vecchio schiacciarlo più di quanto avesse fatto il suo pugno.

“Chiudi il becco! Sono ancora in piedi!” sibilò a denti stretti.

Il fiato per rispondergli non gli mancava di certo ma le forze per sostenersi erano in netta diminuzione e non facevano che disperdersi nel vuoto esattamente come i suoi primi assalti. Con la schiena inarcata, la bocca spalancata in cerca di ossigeno e le mani appoggiate alle ginocchia, la mente del moro lavorava freneticamente, surriscaldata dalla pressione ma senza riuscire a creare qualcosa di innovativo che potesse portarlo un po’ in vantaggio. Voleva attaccare e infierire. La tentazione di richiamare il Dai Enkai, il grande banchetto di fuoco, lo stava tentando sotto forma di una sottile melodia utilizzata per incantare i serpenti ma si tratteneva dal farlo; il solo fatto che Barbabianca se ne stesse lì fermo, mentre lui si stava scervellando per trovare la giusta strategia gli dava sui nervi ma se si fosse fatto completamente abbindolare dall’istinto, senza ragionare, non avrebbe fatto altro che rivestire la figura del bambino sovraeccitato dall’emozione di compiere la più grande delle stupidate e l’ultima cosa che voleva in quel momento, era per l’appunto comportarsi come un bambino avventato e inconsapevole del pericolo.

Non che sfidare il più pericoloso dei pirati, da solo e in condizioni dolose fosse sinonimo di prudenza, se così si poteva dire,ma quello era un lato della situazione che Ace aveva volutamente ignorato. In quel momento, dove il tempo stava andando alla rallentatore, quel pizzico di ragione che sempre aveva fatto la differenza, gli stava illustrando in maniera sintetica e comprensibile i pro e i contro di quella possibilità: il grande banchetto di fuoco era l’iniziazione che introduceva automaticamente l’Entei, l’imperatore di fuoco, un piccolo sole grande quanto un’isola, capace di radere al suolo quest’ultima facendola inabissare. Era quanto di più devastante possedesse nel suo arsenale e l’ampiezza del suo raggio era sufficiente per spazzare via ogni cosa, compresi i suoi compagni. Questo lo frenava. Il potere del suo fuoco si sarebbe espanso molto più di quanto potesse immaginare su due piedi e l’ultima cosa che voleva era compromettere l’incolumità dei suoi amici.

Devo riflettere. C’è sicuramente un modo per attaccarlo. Pensò richiamando la calma.

Fu colto da un forte sbalzo di pressione: cosciente di star chiedendo troppo a sé stesso, stropicciò le palpebre scuotendo la testa in segno di negazione. Il suo sfiancamento precedente già assorbito dai muscoli e dalle ossa, sommato alla percossa di Barbabianca, lo stavano conducendo oltre quella linea nera che portava all’autodistruzione e all’oblio. La vista gli stava giocando brutti scherzi e le gambe stavano perdendo la poca sensibilità rimasta, tanto che le sentiva tremare sotto i propri palmi. Doveva sbrigarsi ma non sapeva cosa fare, come dare una svolta significativa a quel duello.

“Forza moccioso! Non dirmi che sei già stanco!” lo esortò il vecchio, fingendosi sorpreso.

Ace tacque, quasi al culmine della sopportazione.

“Va bene, allora attacco io” mormorò quelle parole come se fossero le ultime che il moro avrebbe udito.

Il ghigno apparentemente sadico, stampato perennemente sotto i bianchi baffoni, allarmò il moro così tanto da fargli provare dei forti brividi gelidi lungo la schiena. La mossa di Barbabianca superò di gran lunga tutto quello che aveva visto nella sua giovanissima carriera di pirata: lo osservò alzare il braccio libero e colpire l’aria come fosse solida e spaccarla; il rumore emesso era identico a quello di uno specchio che si incrinava per poi rompersi in mille pezzi. Ace vide delle crepe nere comparire da sotto il pugno dell’uomo e diramarsi di qualche centimetro prima di udire un rumore più forte e allarmante; la terra tremò, si spezzò sotto i suoi piedi ma in maniera assai diversa da quel che si vedeva in un normale terremoto. La terra si contorse e infine si sollevò come fosse un’onda anomala, pronta a colpire chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione,compreso il capitano dei pirati di picche.

Maledizione!
"Kyou Kaen!(trad: specchio di fuoco!)” urlò.

Evocò un anello di fuoco sospeso a mezz’aria e lo ingigantì con un movimento rotatorio, fino a fargli assumere una forma circolare e consistente che potesse difenderlo da quei massi: provvide a inginocchiarsi e a tendere ancor di più le braccia per fortificare lo specchio di fuoco. L’urto con quelle rocce fu molto brusco: Ace rischiò di essere sbalzato via ma puntò bene i piedi per terra e aumentando la potenza della sua barriera, continuò a contrastare con assidua ostinazione il massiccio attacco del bianco. Era come stare sotto una pioggia di meteoriti incontrastabili e il moro nemmeno si accorgeva che il calore sprigionato dal suo potere stava diminuendo inesorabilmente: non era così potente da sciogliere le rocce - o anche solo di fermarle - e quando sperò che quel enorme e spigoloso flutto fosse passato, ecco che la terra sotto i suoi piedi, proprio dove teoricamente doveva essere al sicuro, esplose come colpita da una palla di cannone.
Accortosene tardi, Ace venne sbalzato via e rotolò per qualche metro, arrivando vicino alla rete di fuoco da lui eretta. Sputò altro sangue, tossicchiando per l’urto e nel tentivo di mettersi in ginocchio, ricadde a terra di lato. Si era mosso troppo alla svelta.

Maledizione.....Maledizione..!!!

Muovendosi con più lentezza riuscì a sedersi sui talloni,mantenendo il capo chino, matido di sudore e sanguinante. Se prima il suo corpo urlava pietà, ora stava strepitando così tanto da renderlo sordo. I polmoni erano sul punto di collassare, così come il collo, le braccia, le gambe.....tutto. La stanchezza era così dolorosa che anche stare fermo era una tortura. Qualunque potere possedesse Barbabianca.....lo stava distruggendo completamente ma nonostante ciò,si rimise in piedi, traballando.

“E’ tutto qui....quello che sai fare vecchio? E’ tutto qui il tuo potere, eh?! IO SONO ANCORA IN PIEDI!!!”

Sorretto dalla sua smisurata fiducia o meno Ace era lì in piedi, sul punto di collassare ma ugualmente in piedi.

In piedi, davanti al suo ostacolo più grande.
In piedi, davanti a un giudizio dove tutte le sue abilità erano state richieste e valutate.
In piedi, davanti al traguardo per cui si era preparato.

Ormai non gli importava cercare una strategia, non gli importava ricordare che la rabbia gli stesse offuscando la mente distogliendolo dalla concentrazione di una. Non era che una questione d’orgoglio tra di loro, tra due individui estremamente orgogliosi.

“Se credi davvero di potermi battere così facilmente ti sbagli” mormorò barcollando in avanti “Continuerò ad alzarmi fino a quando non sarai tu a cadere” sibilò con l’ultimo fiato d’ossigeno rimastogli.

Ancora una volta, la risposta del Re dei Mari fu una risata sfacciata.

“Guraguraguragura!!!! Hai ancora la forza per parlare a vanvera ma non credo ti servirà laddove ti manderò!!” tuonò ancor più divertito e stavolta con vera sorpresa.

L’acqua che infine aveva riempito il grande vaso fino all’orlo iniziò a traboccare; Ace scattò in avanti dritto verso Edward Newgate, urlando come se potesse servire a imprimere ancora più forza in quel suo ultimo gesto disperato. Gli arrivò vicino ma non abbastanza da mandare a compimento il suo tentativo; il Bianco lo aveva afferrato saldamente con una sola mano e senza troppi preamboli, abbandomnò momentaneamente l’alabarda per assestargli il colpo di grazia, come se il suo braccio fosse stato il martello e Ace il chiodo da fissare sul muro. Venne scaraventato a terra con disumanità ancor più grande della precedente e il terreno si ruppe nuovamente. Il polverone alzatosi coprì entrambi, rendendoli parzialmente invisibili agli occhi della Moby Dick e degli altri spettatori. Il rombo prodotto aveva perfino fatto tremare il mare e le fiamme della barriera di fuoco, ancora incredibilmente in piedi.

“Quello doveva fare male” affermò Satch.
“Già ma non credo gli sia bastato. Se quelle fiamme non sono ancora svanite, significa che è ancora vivo, almeno per metà” constatò Marco nell’indicare l’Enjomo.
“Non potrà comunque ribaltare la situazione, anche se papà ci va leggero” si aggiunse Jozu.

 


D...Dannazione……..

Stava imprecando.
Mentalmente ma stava imprecando il che lo portava ad arrivare alla quanto semplice ma sconvolgente deduzione che fosse ancora vivo, almeno che il suo spirito lo fosse; per quanto riguardava il corpo, dopo quell’ultimo assalto si sarebbe rifiutato di eseguire i suoi ordini e di alzarsi. Aveva gli occhi aperti ma vedeva ugualmente nero per il fatto di essere schiacciato sulla terra a pancia in giù. Era sprofondato e l’odore di umido mischiato con la polvere gli stava invadendo le narici, impregnate del sapore metallico del sangue. Fu colto da brividi involontari. Si, era ancora vivo e lo era anche il suo fisico. Per quanto la spossatezza, il desiderio di lasciarsi cadere in un sonno profondo fossero incalzanti e invitanti, Ace si rifiutò categoricamente di cedere per propria debolezza: non aveva dimenticato l’Enjomo, non aveva dimenticato il confine creato appositamente per difendere i suoi compagni; se perdeva coscienza, automaticamente la rete sarebbe svanita e conoscendo bene i suoi uomini - e li conosceva molto bene- faticava nel vederli lontani dal santuario.
Come lui, erano delle teste di legno e avrebbero gettato la dignità al vento pur di non essere dei codardi, anche se gli era stato espressamente ordinato di andarsene. Senza sapere come, mosse il braccio abbandonato lungo il fianco e piegandolo, lo portò in avanti seguito dall’altro. Il dolore non era più visibilmente udibile. Forse era ancora presente e lui era talmente scombussolato da non sentirlo ma nemmeno gli interessava saperlo; con le mani piantate a terra levò il busto all’indietro, fino a farlo rialzare. Le gambe erano state piegate per facilitare l’operazione.

“Uhm...sei ancora vivo” osservò l'imperatore nel vederlo muoversi. Stavolta i suoi occhi e la sua voce parevano aver rilasciato una nota di sorpresa ma ciò era ridotto a un sussurro appena percettibile nella mente di Ace. “A pensarci bene, sarebbe stato un vero peccato se fossi morto. Hai grinta da vendere” continuò.

Aveva messo da parte momentaneamente quella sua rocca e profonda risata per parlare con solennità rispettosa. Con immane sforzo, Pugno di Fuoco alzò la testa; la voce del vecchio continuava a perdere consistenza. Capiva le parole, le sentiva rimbombare nelle orecchie e ampliarsi nella sua testa accompagnate da altri rumori ovattati a lui sconosciuti. Lo fissava con quell’astio che solo con gli occhi poteva esprimere e il sole, finalmente uscito allo scoperto, colpiva la sua figura, oscurandolo.

“Qual è il tuo nome ragazzo?” gli domandò infine lui.
“Anf…..A….Ace. Portuguese D.Ace” rantolò con un filo di irascibilità.
“Ace, eh?” riacquistò l’abbandonata risata “Guraguraguragura!!!!! Bene ragazzo, ho visto abbastanza per farmi un opinione sul tuo conto! Il momento in cui lascerai questi mari non è ancora arrivato! Se ti piace così tanto causare rovina e distruzione, allora fallo portando il mio vessillo sulla tua schiena e continua finchè ne hai voglia!!” esclamò.

La confusione che stava provando nell’ascoltarlo si amplificò nettamente, rendendo quelle parole chiare,concise e irripetibili. Ace sgranò gli occhi per lo sgomento e li aprì ancora di più nel sapere cosa stava per aggiungere quel bastardo; lo vide allungare il braccio e tendergli la mano, sorridendo come aveva fatto sin dall’inizio dello scontro.

“Diventa mio figlio” gli propose.
“Cos....?!” non aveva parole.
“Sei uno che non abbassa la cresta neppure davanti alla morte e questo ti fa onore” lo anticipò con voce ferma ma soddisfatta “La tua ciurma ti rispetta come capitano e come uomo per quello che ogni giorno offri a tutti loro. Le persone che considerano la propria libertà uno stile di vita sono quelle che meglio sanno apprezzare i valori del mare e i doni che ha da offrire. Se davvero tieni alla tua indipendenza come io penso, allora sali sulla mia nave e dimostrami quanto puoi dare a quest’era!”

Lo sgomento di Ace mutò; era allibito e sentiva quel nuovo stato di stupefazione toccare il suo apice e scendere velocemente nel baratro dove la rabbia si stava riorganizzando. Se prima non aveva parole per esprimere quanto aveva dentro di sé, ora qualcosa c’era. Sentiva la rabbia montare come un vulcano sul punto di esplodere,e quando eruttò, Ace trovò la risposta perfetta da rifilargli. Quattro parole che esprimevano tutto la sua opinione riguardante quella proposta insensata:

“NON PRENDERMI IN GIRO!!!!”

 


 

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Capitolo 26
*** Risveglio. A bordo della Moby Dick. ***




Buon pomeriggio a tutti voi!finalmente inizia ad arrivare un po’ di calura e le giornate sono ben  più piacevoli rispetto qualche mesetto fa!come sempre vi porto il nuovo capitolo,sperando di non aver tralasciato errori di ortografia(se ce ne sono scusatemi ma in questi giorni ho avuto solo il tempo di dargli una veloce occhiata per modificarlo e per mettere le recensioni).Ringrazio ovviamente chi ha messo la storia nelle loro preferite:agentekuruta-alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Chi nelle ricordate:13este-HimeChan-kei87-TopazSunset.E chi la ricorda:Dance.

Un grazie speciale a tutti coloro che soltanto la leggono e ancora un enorme grazie a Angela90-Maya90 e Sachi Mitsuki per aver segnalato la mia fict per il concorso con i personaggi più originali,siete state veramente gentili,grazie di tutto cuore!

MBP:Marta-chan!al solito,non ti scusare!(io ho ripreso le lezioni questo lunedì dopo che all’università hanno finito i colloqui finali per le lauree e adesso seguo le ultime lezioni che mi rimangono:sono sommersa dalla psicologia fino alla punta dei capelli!).Se devo dirti la verità il “NON PRENDERMI IN GIRO” volevo farlo sembrare un pochino più volgare ma non è proprio il mio stile,anche se forse sarebbe stato adatto mettere qualche parolina più cazzosa,come direbbe Key-chan.Beh,oramai è fatta,mando il seguito e spero sarà interessante!forse avrei dovuto chiedere consiglio a lei,è più maschile,in senso buono ovviamente!la adoro e anche Sayuri le è affezionata!

Maya90:ma quale imperdonabile!io riesco ad aggiornare solo perché al mercoledì rientro prima ma poi appena lo metto online mi fiondo da tutt’altra parte (ultimamente però devo dire che riesco a stare seduta al computer un po’ più del solito,spero che con i nuovi orari non succeda un pastrocchio,al massimo mi vedrete postare di sera).Il dover attendere un capitolo è si snervante ma alla fine quando lo vedi e lo leggi,non si può non pensare che tanta attesa sia stata ben ripagata:la tua storia poi è bellissima,meravigliosa,quindi prenditi il tempo che ti occorre!avviso da adesso che gli scontri,quelli spezza ossa per il momento si fermeranno qua,ora la vicenda si farà un pochino più tranquilla (non tanto per via di una cosetta che nel prossimo capitolo si farà sentire)ma assicuro la presenza di altri scontri,promesso!Ah,giusto:ho inserito una personcina che ti piacerà (spero ti piaccia),uno dei primissimi personaggi da me ideati;qui è citata,la si vedrà il capitolo successivo.Ah,prima che me ne dimentichi……..grazie,grazie,grazie,grazie!!!quando ho visto la segnalazione mi sono commossa,grazie mille,sei un amore!!!voi e la fict siete uno dei miei orgogli!(salticchia come una pazza,spargendo fiori nella stanza).Non pensavo di aver creato un personaggio così singolare,davvero non ne avevo idea ma forse perché voi vedete la storia in un’altra prospettiva e allora…..aaahh,sono felice,felicissima!!!

Giulio91:oh,da lettore a recensore!sei il primo ragazzo a cui mi capita di rispondere!!apprezzo che ti piaccia Don,vedrai con lui non ho ancora finito!tranquillo,non lo lascio da parte altrimenti poi dove lo vado a prendere un altro come lui?va bene,scusa il piccolo sproloquio:addirittura epico il venticinquesimo capitolo…con tutti questi complimenti potrei andare in paradiso anche adesso mai poi chi continua la storia?è ancora lunghetta,forse mi verranno sui 50 capitoli.Sicuramente non la troncherò di punto in bianco (inizialmente volevo farla finire ad un certo punto che ora non rivelerò perché potrebbe costarmi molto ma poi grazie alle sollecitazioni…facciamo adorabili minacce,ho deciso di cambiare il finale e dilungarmi,così siamo tutti contenti!).Oh,ho visto che aggiornerai presto!tranquillo,leggerò senz’altro i tuoi lavori e sono curiosa di vedere chi inserirai!Iva-chan mi ha fatto morire ma il migliore resta sempre Bon-chan (nessuno segue la gay way come lui,è l’amicizia con la A maiuscola!).Certo,nessuno può superare Ace  però gli altri non sono da disprezzare (tranne Teach e Akainu,quelli meritano solo una morta lenta e dolorosa,cosa che gli auguro con tutta l’anima).Scusa,quando parto e succede spesso,difficilmente riesco a fermarmi.Comunque puoi contare su di me per i tuoi lavori,sei già nei miei preferiti,quindi non temere,ti farò sapere cosa ne penso!

Angela90:carissima!non parlarmi di matematica….uno dei miei tanti incubi di cui finalmente sono riuscita a sbarazzarmi:elementari,medie e liceo mi sono bastati!sono ancora in coda per essere abbracciata da Ace ma Sayuri ha l’esclusiva (la povera autrice si mette nell’angolino in piena depressione.E chi sono?!?uffa!).Addirittura mi sono migliorata nel descrivere i combattimenti?aaaah…..basta ragazze io coi complimenti muoio,altro che balletto alla Chopper,qui schiatto a terra con un triplo infarto anche se ho 21 anni!questo capitolo segna la svolta,per così dire:adesso inizia la seconda parte,e anche quella in cui adesso sono ancora impegnata (sto mettendo appunto due capitoli molto speciali..).Qui ci sono più personaggi e il dramma è che non tutti hanno parti centrali,alcuni solo veloci comparse (scusate ragazzi ma tutti non mi ci state!)Don e Marco però li metto,forse non che sorseggiano il tè insieme ma qualcosa di sicuro me la faccio venire in mente.Un milione di grazie per la segnalazione,davvero non dovevi!quando l’ho vista ho pensato “un’altra?!”.Voi volete viziarmi ma siete adorabili!

Sachi Mitsuki:un’altra segnalazione e stavolta per il personaggio più originale??amore,non merito così tanto!sono imbarazzata e al tempo stesso contenta:la mia dolce piratessa di picche (bella trovata a proposito) è cresciuta…sniff…..whaaaa,la mamma è tanto contentaaaaa!!!!ok,adesso basta ci vuole un po’ di contegno!allora,noto con piacere che questo capitolo ti ha fatto sganasciare dalle risate,soprattutto la battuta finale di Ace.Congratulazioni per aver recuperato storia,il coro angelico te lo sei meritato davvero,l’ho sentito perfino io!si,i due hanno fatto danno,specie Ace (il vecchio l’ho fatto rimanere fermo in mobile ma tanto la situazione non sarebbe cambiata di molto se l’avessi fatto muovere:anzi,forse sarebbe volta al peggio,con il totale inabissamento dell’isola).Beh,che posso dire?spero che il seguito sia altrettanto emozionante!

 


Buio e silenzio.
Erano gli unici elementi di quel desolato panorama dove Sayuri continuava a vagare senza trovare via d’uscita; se provava a guardarsi le mani non scorgeva altro che il nero di quel posto, denso come la pece ma totalmente inodore. Era una sensazione nuova quella, palpabile e tiepida allo stesso tempo, priva di freddezza o spigolosità: non temeva quel buio stranamente, lo percepiva temporaneo, la cui durata era strettamente collegata a qualcosa che stava succedendo al suo esterno. Il tempo pareva non esistere e dunque era inconsapevole da quanto si trovasse lì, però ora cominciava ad avvertire su di sé come delle braccia invisibili che la stavano sollevando da terra, portandola in alto, verso la superficie. Ora il buio non era più così buio e l’aria non era priva di odore: inspirò un profumo dolce e pulito, come di fiori appena colti e nel percepire il proprio corpo e la propria mente risvegliarsi stropicciò gli occhi, cogliendo nuove sensazioni come l’avvolgente calore che la stava proteggendo e il benefico tocco di alcune fasciature che la stringevano dolcemente laddove era stata ferita; nell’aprire finalmente gli occhi scoprì di trovarsi in un letto, sdraiata sul fianco sinistro e con la certezza di non essere sulla nave dei pirati di picche. Era una stanza nuova quella, ben illuminata e con tutto l’indispensabile; da dov’era, Sayuri intravide un secondo letto attaccato alla parete di legno scuro opposta alla sua.

Tra i due letti c’erano due comodini con sopra una lampada nel mezzo; nel schiarire ancor di più la vista provò a mettersi seduta ma finì col cadere sul materasso, con il viso contratto in una lieve smorfia sofferente: il dolore fisico apparentemente scomparso si era aggiunto prepotentemente alle nuove sensazioni scoperte da poco. Nel portarsi una mano sul fianco fasciato, riuscì a raddrizzarsi e a tirarsi su,anche se con non poca fatica e dolore. Ora che il suo corpo stava cominciando a risvegliarsi, pareva essere diventato talmente sensibile ad ogni stimolo che lei non riusciva a non udirlo.

“Che bello, ti sei svegliata!” squittì una voce a lei del tutto nuova.

La porta della camera si era aperta e nella stanza era entrata una ragazzina sui quindici, sedici anni, indossante una graziosa uniforme color confetto rosa da infermiera, con tanto di cappellino, calze e scarpe ballerine col fiocco dello stesso colore. Il viso a forma di cuore era valorizzato da grandi occhi viola scuri, animati da una luce giocosa e da un larghissimo sorriso da bambina. Già con quei caratteri particolari appariva davvero bizzarra ma la cosa che la rendeva davvero buffa, erano i capelli a caschetto neri,scompigliati sulle punte; alcune ciocche del lato sinistro erano state colorate di un azzurro celeste intensissimo mentre il destro di fucsia. Con quei occhioni, i capelli e il fatto che stesse cercando di reggere un vassoio pieno zeppo di cibo e medicinali cercando di non perdere l’equilibrio, non vi era parola più idonea di buffa per definirla. Alla castana ricordò molto quelle bambole di porcellana vestite con abiti pieni di pizzi e merletti, solo che questa era a grandezza umana e la stava affiancando con un piatto di mele e un bicchiere colmo di tè caldo.

“Eravamo convinte che non ti saresti svegliata prima di una settimana e invece sono passati appena tre giorni e mezzo!” continuò posando sul comodino il piatto e la bevanda calda cosicchè potesse cingergli le spalle con il braccio “Ce la fai? Sai, non dovresti sforzarti”
“S-si, io..urgh!” non terminò la frase che venne colta da un forte capogiro.
“Non devi agitarti, sei ancora debole! Ah, dimenticavo di presentarmi: io sono Akiko e se te lo stai chiedendo, ti trovi nel reparto infermieristico della Moby Dick” la informò aiutandola a mettermi semiseduta.
“La...Moby Dick?” sussurrò la castana.

Qualcosa non quadrava. Mente e corpo lavoravano all’unisono, i suoi sensi intorpiditi stavano riprendendo lucidità ad ogni secondo e i ricordi momentaneamente ridotti a brandelli venivano ricuciti come pezze di un'unica grande tela. Quando questi ebbero ripreso il loro posto,tutto quello che prima Sayuri non riusciva a focalizzare fu illuminato da una luce rivelatoria: aveva visto il sommo Jimbe andarsene e subito dopo aveva ingaggiato uno scontro contro Barbabianca. Se era vero che si trovava sulla Moby Dick, allora non poteva che esserci un’unica spiegazione: aveva perso ma ciò non era di certo una cosa di cui doveva stupirsi. Doveva essere successo qualcosa dopo che era svenuta ma al momento non ricordava nulla se non quella corrente smisurata di potere colpirla in pieno petto e scaraventarla a terra.Al solo rammentarlo, il suo corpo gemette e lei con lui.

“Hai bisogno di più riposo. Quando ti abbiamo portato qui eri davvero malconcia” le disse l’infermierina.
“Non devi preoccuparti. Mi sento già molto meglio” mormorò

Lentamente portò le gambe fuori dal letto; i suoi piedi nel toccare il pavimento ripresero sensibilità. Se mai avesse avuto fra le mani uno specchio, il vetro avrebbe riflesso l’immagine di una giovane donna avente indosso una camicia da notte azzurra a maniche lunghe, che gli arrivava poco al dì sopra delle caviglie. Portava fasciature su gran parte del corpo, compresi i polsi, le caviglie e un bel cerotto bianco su una delle due guance.Le gote arrossate, gli occhi vacui per la stanchezza non ancora smaltita del tutto e i lunghi capelli puliti ma più gonfi del solito le conferivano un aspetto lunatico e non era una constatazione da negare visto che ancora non si era del tutto ripresa da quello stato di sonno in cui era caduta pochi giorni prima.

“Oh no! Non ti devi assolutamente alzare!” esclamò la più piccola spingendola delicatamente a sedersi “Maya mi ucciderebbe se ti vedesse fuori dal letto! Oltre ad un paio di costole rotte avevi un emorragia piuttosto estesa ed ematomi su tutto il corpo che non hanno fatto altro che ingigantirla! Nelle tue condizioni non devi muoverti e se fai anche un solo passo fuori da questa stanza, non sarai la sola a doverne pagare le conseguenze!” la avvisò come se lei stessa stesse rischiando la vita e a giudicare dalla lieve disperazione impressa nei suoi occhi, stava dicendo la verità.
“Per favore, ho soltanto bisogno di una boccata d’aria. Vorrei anche vedere se i miei compagni stanno bene” chiese debolmente.

La seconda ragione era quella che più gli stava a cuore. Essendo svenuta non era a conoscenza di quanto era accaduto successivamente e se lei si trovava sulla nave dell’imperatore a ricor di logica doveva per forza esserci anche il resto della ciurma, Ace compreso. Davanti alla potenza di Barbabianca non aveva potuto fare praticamente nulla, anche se fosse stata in perfette condizioni fisiche. Non osava pensare che cosa fosse successo al moro e a tutti gli altri e questo le stava procurando un rilevante peso al livello del torace, composto da timore, angoscia e paura. Dentro di sé percepiva la speranza battere ma la ragione le imponeva di pensare che il suo capitano, tanto forte quanto scellerato, non fosse salito di propria iniziativa sulla nave di colui che considerava il suo più grande ostacolo. Aveva imparato a conoscere Ace in ogni suo aspetto e sapeva fin troppo bene che in un combattimento voleva eccellere ed essere il migliore anche quand’era svantaggiato. La parola arrendersi non apparteneva al suo vocabolario così come il pareggio, che era un che di poco digeribile perché lasciava comunque un sapore amaro in bocca,un senso di incompiutezza al posto di un risultato concreto e irreversibile.

Aveva sfidato Barbabianca nonostante fosse malridotto? Si.
Si era deciso a sconfiggerlo anche a costo di morire? Si.
Aveva escluso tutta la ciurma al fine di tenerli lontani da quel combattimento? Ancora una volta si.

Era certa che fosse andata così anche perché al momento non poteva pensare ad un’alternativa valida.
Il mettere in mezzo i propri amici in una battaglia pericolosa era l’ultima cosa che Ace voleva. Era in grado di valutare le situazioni attentamente e di capire fino a che punto arrivava il livello di pericolosità presentatosi; il Re dei Mari superava ogni mappa, schema, qualunque rappresentazione grafica possibile il che stava a significare che se solo lo avesse voluto, li avrebbe uccisi tutti quanti. Eppure lei era ancora lì, viva e in un letto. Qualcosa le sfuggiva e necessitava di sapere, altrimenti l’agitazione che si stava movendo in lei, sarebbe cresciuta ulteriormente ma per avere un quadro completo della situazione doveva uscire dalla stanza...

“So che vorresti uscire” cominciò Akiko dandole le spalle per armeggiare col coltello e tagliare le mele “Ma credimi, è meglio se prima ti riposi. Anche i tuoi amici sono qua, solo che Maya li ha sistemati nell’infermeria grande e visto che dista un po’ dal nostro reparto speciale, è logico che tu ti stia domandando dove siano, però credo che a quest’ ora si trovino sul ponte; facevano così tanto rumore che temevamo ti svegliassero, così Maya li ha sbattuti fuori. Quando si arrabbia diventa una furia, non sai quanto fa paura! Se adesso dov....”

Nel voltarsi nuovamente con il tè in una mano e il piatto con le mele sbucciate nell’altro, Akiko bloccò la sua squillante parlantina per tacere, come tramutata in una statua di sale: quei pochi secondi di distrazione erano stati sufficienti per permettere a Sayuri di scivolare silenziosamente fuori dalla stanza senza compiere il più piccolo dei rumori. La brunetta non aveva neppure udito il rumore della porta che si chiudeva.

“E-Ehi dove sei? Non fare scherzi,esci, ovunque tu ti sia nascosta, non è diverte!...Sei ancora qui, vero?”

Come risposta ricevette un silenzio di tomba inquietante. Dopo sette secondi, lanciò in aria sia la bevanda che le mele e fece volteggiare la testa in ogni direzione, presa dal panico.

“No...No, No, No, No!!!” urlò infine portandosi le mani nei capelli.

Come un vortice incontrollabile rastrellò ogni centimetro della stanza, senza trovare l’infortunata. Poi scoppiò a piangere disperata.

“Whaaaaaa!!! Maya mi ucciderààààààà!!!!!!!”

 



Non era ben consapevole che cosa fosse accaduto di preciso dopo che aveva urlato a Barbabianca di non voler entrare a far parte della sua ciurma ma nell’aprire gli occhi, con la testa dolorante quanto un dopo sbornia con i fiocchi e scoprire di essere ancora vivo e vegeto sul ponte della Moby Dick, non gli fece mai così tanto desiderare la morte. A persone ostinate come lui la sconfitta non era che un marchio indelebile che bruciava ogni qualvolta lo si toccasse o lo si menzionasse; faceva male ma non era certo distruttivo quanto la clemenza mostrata dal proprio avversario. Uno schiaffo dato con un guanto d’algamatolite non era minimamente paragonabile a quella sorta di mostro che stava letteralmente divorando il fegato di Ace pezzo per pezzo. Era seduto su quell’immenso ponte, con la schiena appoggiata all’enorme parapetto, le gambe incrociate e la testa fra le mani come se non avesse la più pallida idea di come fosse stato possibile ritrovarsi in quella situazione così assurda e impensabile.

“Certo che per essere uno a cui le hanno date talmente di santa ragione da rischiare di lasciarci la pelle, ti sei ripreso piuttosto in fretta!” esclamò un biondo individuo seduto sul parapetto e con la schiena rivolta al mare.

Il suddetto in questione, la cui curiosa capigliatura a ciuffetto saltava subito all'occhio, era il comandante della quarta flotta di Barbabianca, Satch. Il seguire la vicenda da semplice spettatore per poi trasformarsi in co-protagonista insieme ai suoi compagni, per porre fine a quella veloce scaramuccia dall’esito scontato non sembrava averlo toccato, anzi; il solo fatto di trovarsi vicino a Ace tutto tranquillo e pimpante poteva soltanto significare una cosa:

“Ah, dimenticavo di presentarmi: io sono Satch, il comandante della quarta flotta. Visto che da adesso staremo sotto lo stesso tetto, che ne dici di fare amicizia e di berci qualcosa per suggellare la nostra nuova alleanza?”
“VAI AL DIAVOLO!!!” gli urlò il moro come risposta.

Si era presentato con un sorriso così smagliante che per il malumore di Ace era risultato efficace quanto un pugno nello stomaco.

“Scontrosetto, eh? E' normale, non sei il primo a reagire così. Scommetto che non hai idea di come tu sia finito qua, vero? Tranquillo, te lo riassumo in poche parole: dopo che papà te le ha suonate, sei collassato a terra e la barriera che avevi eretto, si è dissolta. La tua ciurma è accorsa subito per venire a riprenderti ma abbiamo provveduto a calmarli. Non preoccuparti, sono ancora tutti interi, si trovano nell’infermeria grande, a quest’ora saranno già in piedi” spiegò con sintesi impeccabile.

I muscoli facciali di Pugno di Fuoco si distesero lievemente e nel sollevare la testa dalle mani, sospirò con un che di sollievo nel cuore: era contento che nessuno dei suoi avesse perso la vita, non se lo sarebbe mai perdonato. Lasciò che gli avambracci ricadessero in mezzo alle gambe e che i gomiti combaciassero con le ginocchia. Sospirò nuovamente. Un piccolo pezzo di quel pesante piombo che aveva dentro di sè si era staccato dall’agglomerato generale ma non era sufficientemente grande da far dissipare quella rabbia che ancora gonfiava quel lato del suo carattere duro quanto il coccio.

“Ehi” borbottò infine lui alzando la testa in direzione dell’altro uomo.
“Si?”
“Davvero vi va bene così? Che stia senza catene o manette?” chiese seriamente.

Essere sconfitti da un ciurma avversaria e portati sulla nave di quest’ultima comportava l’essere considerati dei prigionieri. Teoricamente, la prassi era quella ma da quanto gli era appena stato detto e nella condizione in cui si trovava, Ace non si vedeva come prigioniero di guerra e non solo per il non essere legato; era come se la sua strada si fosse divisa in due rami che prendevano vie totalmente diverse da quelle che sempre si era prefissato e questo non faceva che accrescere l’umiliazione che andava a incidere sul proprio onore. Quel genere di clemenza lui non poteva accettarla,si rifiutava categoricamente di guardarla in faccia, almeno per quanto gli riguardava.

“Per quanto ci riguarda, siete liberi di andare a spasso per la nave come vi pare e piace. Se papà ha voluto così, non vedo perché debba contraddirlo. Credo ti trovi simpatico” sghignazzò l’altro.

Ace non poteva dire di provare lo stesso per quel vecchio visto che la sua simpatia nei suo confronti era alta quanto il desiderio di unirsi alla sua ciurma.

“Eccoti qua finalmente” esordì una voce familiare, pacata ma con accenno di sorpresa.

Nel voltare di scatto la testa verso sinistra,pugno di fuoco vide arrivare affannosamente qualcuno nella sua direzione. Don era sbucato da dietro una delle tante porte che conducevano all’interno della nave, con il suo inseparabile berretto di lana grigia a coprirgli i capelli; camminava con passo veloce, facendo leva sulla gamba destra, segno che la compagna non poteva sostenere completamente il peso del suo corpo. Le immancabili occhiaie sotto gli occhi erano appena più marcate del solito ma non c'era bisogno di impensierirsi perchè quell'ornamento faceva già parte del suo aspetto estetico. Essendo già di suo un medico, sapeva che compiere azioni avventate,sia piccole che grandi,non giovava affatto alla salute se questa era stata messa in pericolo ma di certo camminare con passo affrettato solo per compiere qualche metro e infine sedersi, non era abbastanza per essere reputato avventato nella scala medica stilata da Don. Ovviamente i risultati variavano a seconda del paziente.

“Però! Credevo di trovarti in condizioni peggiori” confessò il medico-cecchino nell’osservarlo accuratamente.
“Posso dire la stessa cosa di te, anche se ricordo chiaramente di avervi detto di andarvene”
L’amico alzò un sopraciglio con fare scettico “Ascolta, anche se avessimo seguito il tuo consiglio non sarebbe cambiato nulla: alcuni di loro si erano già premurati di sequestrare la nave quindi tanto valeva tentare la sorte con un ultimo ed magistrale gesto eroico, anche se alla fine abbiamo fatto la figura dei perdenti” spiegò con quella sua ironia pessimistica che mai sarebbe morta “Senza offesa” aggiunse nel incrociare un’occhiata a dir poco omicida.

Prendersela col passato non serviva a nulla. Si passò una mano nei capelli lievemente ondulati cercando di riacquistare la calma e la lucidità necessaria per fronteggiare quella situazione.

“Gli altri stanno tutti bene?” chiese poi Ace.
“Per il 99% della ciurma, te compreso, posso confermare che siamo tutti coscienti e in grado di camminare” gli rispose sistemandosi la benda che gli fasciava la mano destra.
La risposta non soddisfò appieno il capitano dei pirati di picche “Che intendi dire con il 99%?”
Nel mettere insieme le parole, Don spostò lo sguardo in basso a destra,per poi chiuderlo e infine riaprirlo, rialzandolo verso il capitano “Non posso affermare che tutti quanti stanno bene perché all’appello manca Sayuri. Lei è stata portata in un reparto speciale e da allora non si è più vista”

Quell’assenza di peso appena provato e assorbito si incrinò bruscamente, ingigantendosi addirittura il doppio. Spalancò gli occhi quasi a voler esprimere a parole, anzi a urla il suo pretendere di sapere altro. Come di getto, rievocò tutte le immagini che la riguardavano, che l’avevano vista protagonista in quell’intervallo tra la fine della battaglia contro Jimbe e la venuta dell’imperatore. Nello scandagliare centimetro per centimetro la sua memoria rivisse quel senso di pace che solo la castana era in grado di diffondere e lo sentì sfiorargli il torace appena guarito accompagnato da quello strano senso di alienazione che l’aveva cullato in un sonno ristoratore, con lei lì vicino preoccupata. Era venuta al santuario per verificare che stesse bene e aveva lottato insieme agli altri, il suo corpo ne era il primo e fondante testimone. Il suo viso era impresso nei suoi occhi come se l’avesse davanti a sè e lo guardava con quel misto di dolcezza e timore che sempre mostrava quando temeva per una vita diversa alla sua. Serrò la mascella nel seguire quel flusso memonico ma si fermò bruscamente per chiedere ulteriormente a Don altre notizie ma purtroppo l’amico scosse la testa, affermando altre notizie cattive. Tra quelle rientrava per giunta una chiara e lampante contestazione sul suo lavoro di medico!

“Non pensare male, ci ho provato in tutti i modi a estorcere delle informazioni su cosa cavolo sia questo reparto speciale ma quell’assatanata dai capelli viola non faceva che ripetere che in qualità di capo dell’equipe infermieristico, decide lei come trattare i pazienti e che io, in qualità di infortunato, dovevo stare zitto e rimanere fermo. Bah, valle a capire le donne! Sempre con quei loro atteggiamenti di preferenza fra i loro simili! Alla santa da una stanza privata e a noi ci ammassa tutti in un obitorio! Tsk, questa è discriminazione.." parlava come se il gentil sesso fosse una razza animale invece che umana.

Oltre alle botte perfino una ramanzina sul come doveva fare il proprio lavoro e per giunta da una donna dalla gonnellina troppo corta! Nella sua appena rinnovata e personale tabella del giudizio, quella situazione riscontrata meritava un solo e unico voto inderogabile: inaccettabile. Si, non era un voto ma solo perchè non aveva trovato di meglio e nonostante considerasse le donne gli esseri più problematici ed enigmatici della terra - e anche isterici - offenderle non era nel suo stile. Costava troppo stare lì a rimuginare sul termine perfetto con cui spiazzarle e poi se si approfondiva troppo, quelle solevano alzare il tono di voce ad un livello così acuto da provocare danni irreparabili all’udito.

“L’importante è che stia bene” mormorò Ace calandosi il cappello in modo tale da nascondere gli occhi.
“Ah, state alludendo alla ragazza con i sai, vero? Quando sono andato a vedere come stava ancora dormendo. E’ davvero carina vista da vicino, sembra una principessa!” si intromise Satch sorridendo innocentemente. Il suo momentaneo silenzio aveva fatto si che i presenti si dimenticassero di lui.
“Tu hai fatto cosa?” il rantolo di Ace era più simile ad un ruggito sottomesso.
Ci siamo, sta per scorrere del sangue... Predisse Don alzando gli occhi al cielo.

Per essere una persona che voleva semplicemente fare amicizia, Satch si stava dimostrando un po’ troppo audace per i gusti di Ace. Non capiva se il suo atteggiamento fosse naturale o studiato al fine di provocarlo e vedere quanto tempo impiegasse a reagire come lui sperava. Si morse più volte il labbro inferiore, fino ad inumidirlo ma solo per evitare di lasciar trapelare ulteriore astio. Anche se fisicamente stava ancora recuperando le forze, il suo spirito aveva ripreso a bruciare con una potenza paragonabile solo ad un incendio indomabile tanto grande da distruggere un’isola intera. Ace era di buon senso, rifletteva sempre - quasi sempre in verità- prima di agire ma in quel frangente, la tentazione di incenerire il comandante della quarta flotta era esclusivamente tenuto a freno dal volere vedere di persona Sayuri. E poi cos’era quella storia che era andato a vederla mentre lei dormiva?

“Ace, Don. Siete qui”
“Parli del diavolo…” rise Satch.

Silenziosa e invisibile come l’aria, la ragazza era giunta alle loro spalle senza che questi se ne accorgessero. Gli occhi dei suoi due compagni e anche del biondo si posarono immediatamente sulla sua figura, traballante ma che ugualmente si stava sforzando di rimanere in equilibrio. Scalza, la camicia da notte lasciava scoperte caviglie e polsi, mostrando così i bendaggi apportati. La piccola scollatura della veste faceva intravvedere che anche al petto erano state applicate delle fasciature.

Meno male. Pensò automaticamente Ace nel vederla.

La quiete parve infine mettere totalmente da parte il malumore del capitano dei pirati di picche. Nell’alzarsi in piedi e nel raggiungerla, il moro non ruppe mai il contatto visivo fra i suoi occhi e quelli socchiusi della giovane. Nel scorgere con più attenzione quel suo ondeggiare, le afferrò delicatamente le spalle per scongiurare il rischio che cadesse a terra.

“Sayuri, stai bene?” le chiese piano.
“Ah..si, sono solo un po’ frastornata” rispose esitante. Era inutile. Se Ace le si avvicinava troppo o la sfiorava, era inevitabile che lei sussultasse o diventasse rossa “E voi tutti state bene? Lo chiedo perché non ricordo bene cosa sia accaduto..” mormorò cercando di rendere più chiara la sua voce.
“Rilassati: orgoglio morto a parte, respiriamo ancora” la informò Don rimasto seduto ”A parte Bonz che ancora è bloccato a letto. Non ti allarmare, ha fatto solo una mega indigestione di carne” sbottò.

Bianco Giglio sorrise. Se il medico-cecchino aveva la forza per brontolare, allora significava che si era ripreso. Vedere Ace vivo le aveva tolto un peso così grosso dall’anima che per la felicità non potè non sorridere e anche se stava sentendo male al corpo ora sveglio del tutto, comprendendo di essersi alzata troppo presto e che quelle fitte sarebbero peggiorate se non fosse tornata a riposare, voleva ugualmente rimanere lì e resistere: aveva fatto così tanta strada per riuscire a trovare il ponte esterno che ora non aveva più forze di compiere altri passi. Rimanere anche solo in piedi si stava rivelando più faticoso di alcune sue battaglie passate personali contro la Marina. Mosse un piede in avanti ma lo poggiò male e finì per ritrovarsi in ginocchio soltanto perché Ace ancora le stava tenendo le spalle.

“Sayuri!”
“Non è niente” lo rassicurò flebile “Mi fanno soltanto male un po’ le gambe. Sto bene, davvero”
“Barbabianca le ha date anche a te di santa ragione?” le domandò Don ironico.
“A quanto pare...” mormorò lei.

Finalmente seduta, sentì il dolore alleviarsi e i muscoli forzati stendersi e respirare. Non aveva camminato tanto ma quei passi fatti per trovare la strada  giusta gli erano sembrati infiniti, uno più dolente dell’altro ma il traguardo aveva compensato la fatica provata: Ace le cingeva le spalle con un braccio per evitare che cadesse indietro. Ciò le donava calore e sicurezza ma anche la classica paralisi a cui mai si sarebbe abituata.

“Ehilà! Ben svegliata, principessa!” esclamò Satch con abbagliante allegria. “Hai dormito bene?”
“Oh...” cominciò incerta “B..Buongiorno a lei.”

A forza di parlare con tono più alto, diverse teste si erano voltate più di loro, più precisamente verso la ragazza in camicia da notte che per arrivare al ponte aveva girato senza meta nell’intricato interno della nave fatto di corridoi, stanze, porte, legno e chiodi. Era perfettamente normale considerare un labirinto un territorio mai visto e visitato ma la Moby Dick era fin troppo imponente per poter essere esplorata in un solo giorno; internamente era divisa in settori anche se l’unica zona che pareva mantenere le distanze dagli altri abitacoli erano gli alloggi privati delle infermiere,il reparto speciale-così da loro chiamato - e ovviamente le stanze dove veniva curato il capitano quando la sua salute gli imponeva di rimanere al coperto -. Sayuri ricordava di aver percorso molti corridoi tutti identici fra loro e forse di aver incrociato qualcuno ma al momento era sotto l’effetto di qualche anestetico e più che come un essere umana si era aggirata all’interno della nave come un fantasma. Anche adesso la vista non era del tutto ben messa a fuoco ma almeno riusciva a distinguere le persone, a dare un contorno ai loro corpi e man mano che riacquistava visibilità, si sentiva più pesante.

“Mi chiamo Satch, sono il comandante della quarta flotta” si presentò nuovamente scendendo dal parapetto “E tu sei Sayuri, dico bene?”

Ace gli scoccò l’ennesima occhiataccia da sotto il cappello. Un’occhiataccia che Satch raccolse al volo. Le dita del moro accentuarono la loro leggera presa sulla spalla coperta della ragazza, senza che lei se ne accorgesse.

“Si, sono io. Molto piac...”
“TI HO TROVATO!!”

Una quarta voce si era intromessa con irruenza e panico; Akiko era comparsa dalla stessa porta da cui era uscita Sayuri, col viso rosso, gli occhi fuori dalle orbite e la mano attaccata la porta per tenerla spalancata. Compiendo una veloce camminata coi piedi quasi attaccati al suolo raggiunse il quartetto,attirando per la seconda volta l’attenzione dei curiosi che stavano lì attorno.Aveva corso e si vedeva chiaramente dal bel colorito assunto dalle guance e dal leggero fiatone che le alzava e le abbassava ritmicamente il torace.

“Perché ti sei alzata dal letto?!” piagnucolò sedendosi di fronte alla castana come se le gambe non potessero più reggerla “Non devi sottovalutare la gravità delle tue ferite, se compi sforzi troppo eccessivi potresti morire dissanguata e io ti avrei sulla coscienza, senza contare che Maya mi ucciderebbe!!”

Da come agitava le braccia al vento, la sua paura di essere scoperta dalla presunta Maya doveva essere più che fondata. Parlava velocemente, con voce acuta, piena d’ansia e a volte borbottando tra sé e sé qualcosa che i presenti non riuscivano a tradurre. Satch stava sghignazzando, Ace e Sayuri la guardavano confusi, come se stesse osservando una poverina sull’orlo della disperazione e Don borbottava qualcosa del tipo “Sempre a piagnucolare queste femmine....”

“Ti prego, torna a letto! Ti prego, ti prego, ti prego, ti pregooooo!! Satch, aiutami a portarla a letto!!” supplicò lei rivoltosi all’amico.
“Non ce ne è bisogno” anticipò Sayuri alzandosi in piedi con molta cautela “Non occorre che altre persone debbano disturbarsi. Posso camminare tranquillamente per conto mio”
“Sarà, ma sei almeno cosciente di avere un lenzuolo al posto del viso?” Don alludeva al colore di quest’ultimo. Il rosso delle guance era spirato via nel venire a contatto con la fresca aria di mare.
“Non preoccuparti, sto bene e poi io non sono l’unica ad essere stata ferita quindi non ce bisogno che tutti si preoccupino esclusivamente di me” gli assicurò sorridente.

Nonostante il volto fosse rilassato e non tradisse il suo reale stato, dentro di sé sentiva un male crescente al livello del fianco, laddove le costole erano state rimesse apposto. L’occhio medico esperto di Don la sondava con tanta scrupolosità che pareva essere in grado di guardare al dì sotto dei vestiti e Ace...beh, Ace si era alzato in piedi, aiutandola a mantenere l’equilibrio, pronto con normale disinvoltura a riaccompagnarla all’interno della nave ma Sayuri gli fece cenno con la mano che adesso poteva lasciarla.

“Va tutto bene Ace, posso farcela fino all’infermeria. Camminare non è poi così faticoso e le gambe non mi fanno più tanto male” gli disse con dolcezza.
“Preferisco venire. Sei pallida e voglio assicurarmi che tu non ti senta male per strada” replicò.
“Ti ringrazio, però non è meglio se prima ti fai curare anche tu? Hai più ferite di me e dovresti riposarti adeguatamente” era più forte di lei. Non ce la faceva a non preoccuparsi e di questo Ace sorrise.
“Non penarti inutilmente: ho già dormito a sufficienza e poi non mi va di rimanere qua sul ponte. Accompagno te e poi vado a vedere gli altri, sempre se riesco a orientarmi” le disse con quel suo sorriso sghembo.

Un’altra qualità che rendeva il moro una persona particolare era il suo grande senso dell’orientamento:era come la narcolessia, andava a scatti. Una volta riusciva ad andare dove desiderava e nell’altra invece era capace di ritrovarsi su un’isola diversa da quella in cui aveva approdato. Sayuri sorrise sommessamente nel ricordare il perché Don avesse insistito - passivamente, sia chiaro - perché accompagnasse Ace nell’esplorazione di Giungle River: se non cadeva addormentato per la narcolessia, si perdeva con scarsissime probabilità di tornare al punto di partenza.

“E’ vero, gli altri. Come stanno? Nessuno di loro è ferito gravemente,vero?”
“Uffa, ti ho appena detto che siamo vivi e che respiriamo ancora tutti quanti. Fallo anche tu” le consigliò Don in una sorta di borbottio,grattandosi la guancia.
Ancor più sollevata, Sayuri si rivolse ad Akiko “Ti chiedo scusa ma non potrei essere trasferita insieme agli altri nell’infermeria grande? Sono i miei compagni vorrei stare con loro”
“No, no, no, no, no! Non puoi assolutamente!” scattò lei scuotendo la testa “Adesso non posso spiegarti il come e il perchè, quindi per favore vieni con me! Ti preeeeeeego!!!”

La stava supplicando con due occhioni che Sayuri non potè non sorridere. Era proprio buffa quella Akiko, le ispirava troppa tenerezza. La sua disperazione assomigliava in tutto e per tutto a quella dei bambini quando rompevano qualcosa e tentavano di nascondere l’incidente ai genitori con pessime doti bugiarde. Nell’annuire, venne letteralmente presa per il polso e trascinata dalla piccoletta al coperto, seguita a ruota da un Ace divertito.

“Interessante ...”mormorò Satch nel lisciarsi il pizzetto nero.

Don si voltò verso di lui. guardandolo con espressione interdetta.

“Il tuo amico è sempre così disponibile con lei?”
“Perché lo chiedi?”
“Pura curiosità”
Figurarsi, questo trama qualcosa. Pensò Don.

Distolse il contatto visivo e si alzò in piedi dando una raddrizzata al berretto.

“Penso che chiederò alla principessa di unirsi alla mia flotta” affermò il biondo con decisione e contentezza allo stesso tempo.
“Non credo che accetterà. Fossi in te non glielo chiederei nemmeno” gli consigliò il medico-cecchino con tono distaccato.
“Tentare non nuoce” replicò sempre più convinto il biondo.

Don non era tanto sicuro della validità di quelle parole, visto che conosceva bene sia Sayuri e Ace, in particolare Ace e non era così scemo da non capire che nella mente e nell’animo del ragazzo si fosse costruito apposta un posto speciale per la ragazza. Entrambi erano suoi amici, anzi, se doveva dirlo con parole sue, gli unici esseri dotato di un intelligenza compatibile alla sua. Non che gli altri suoi compagni fossero degli imbranati, tra di loro c’era una buona amicizia e cooperazione che via via si era ramificata, incatenandoli tutti quanti con i pregi e i difetti ma Ace e Sayuri li aveva sempre percepiti come persone più vicine,quasi dei fratelli. Aveva imparato a conoscerlo in tutto e per tutto ma da quando Sayuri si era aggiunta alla ciurma di picche, non era più convinto di ciò,perché lei era diversa; era buona e quando lei era nelle vicinanze, lui sorrideva con più allegria. Anche se per il momento la calma regnava, la sua durata era destinata a scivolare via silenziosamente e con una rapidità tale che nemmeno si sarebbero accorti della tempesta che ne avrebbe preso il posto.

Qui la battaglia non è ancora finita. Pensò guardando il cielo e vedendo il capriccioso sole nascondersi dietro alle nuvole. 

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Capitolo 27
*** Quando i timori diventano realtà. ***




Eccomi qua,salve a tutti!dunque,adesso possiamo anche dare il via alla seconda parte fict!in teoria la vera svolta si avrebbe un attimo più avanti (fate due capitoli,uno se riesco a fare il lavoro che mi sono prefissa nella mente) ma anche qui non mancherà la mia creatività,almeno spero:come molti voi mi hanno fatto notare,ora avrò fra le mani molto su cui lavorare e quel che ho fatto spera sia apprezzabile;chiedo scusa se ci saranno degli errori di ortografia e le solite cose ma adesso che si avvicina maggio sono più impegnata che mai e ho giusto il tempo di postare e basta(stranamente anche in orario,mi faccio paura..)Bene,passo subito a ringraziare  chi ha messo la fict nei preferiti:agentekuruta- alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Chi nelle seguite: 13este-HimeChan-kei87-HUNTERGIADA-TopazSunset.Chi nelle ricordate:Dance.E ovviamente anche tutti coloro che semplicemente leggono sono degni di ringraziamento,grazie a tutti!

 

MBP:Ma-chan!ora ho un bel mucchietto di cose da raccontare?eh si,si direbbe di si.Ovviamente io ci ho aggiunto qualcosa di mio e ho scritto il tutto nel modo che più rispecchia la mia personalità creativa;mi auguro che piaccia perché si,questa parte adesso è importante e molti capitoli di questa seconda parte sono stati più volti riscritti (stavo sprofondando tra fogli cartacei a forza di correzioni e nuove versioni).E’ vero ci sono tante cose e ho provato a inserirle tutte ma la prima volta è uscito un disastro quindi ho dovuto ridimensionare,allungare alcune parti quindi…beh,leggi e vedrai.Per Satch poi ho ritagliato una parte personale e Maya…eh eh…lei occorreva come guida nel mondo dell’amore,dove la mia Yu-chan è un tantino carente.

Maya90:tesorino,ciao!!si lo so:ora posso sbizzarrirmi quanto voglio e spero che questi capitoli vi soddisfino:è la mia seconda stesura perché la prima era veramente orrenda,il risultato di un mix di schifezze che pensavo potessero dare vita a un puzzle ben colorato e che invece si è rivelato un fallimento colossale;ho dovuto togliere molte cose anche perché in questi giorni ho proprio il tempo di postare e basta (alla sera scrivo le risposte e riguardo velocemente per togliere qualche errorino e se scappano..amen!).Satch lo voluto trattare personalmente visto che nessuno conosceva bene la sua personalità,quindi lo vedremo di tanto in tanto saltare fuori come un fungo nei momenti meno opportuni,ih ih ih!Tranquilla,qui la tua omonima farà la sua comparsa e spero sia di tuo gradimento:come per gli altri,la prendo a pezzi,giusto per renderla interessante.Se presi a tocchetti i personaggi sono più ammirevoli,almeno così mi è stato detto!

Giulio91:amico mio,davvero pensavi che avrei fatto finire la storia in questo modo?se l’avessi fatto mi sarei trovata davanti alla porta di cosa una folla inferocita armata fino ai denti pronta a spellarmi viva.Mica posso lasciare la mia Sayuri così,qui ci va di mezzo sia il mio progetto che la mia vita (mi sento come se avessi una spada di Damocle appena sopra la testa,glom!).Ebbene si,si può dire che adesso sta per iniziare la seconda parte del racconto che forse sarà lunga anche più della prima,ci sarà ancora un bel po’ di roba da leggere;io poi che adoro dilungarmi e aggiungere cosine in più sono terribile ma è il mio stile e mi atterrò a questo fino alla fine.Spero che questi capitoli possano soddisfarti perché si è la parte dove da il via alla sua crociata personale ma l’ho resa a modo mio:ho provato a dare totale spazio al moro ma il risultato è stato un diastro,non si capiva niente.Qui si vede un’inizio ma mi auguro che sia soddisfacente,anche perché l’ho riscritto tutto.Ho pensato di metterne due in uno ma veniva enormemente lungo,quindi dovrete portare pazienza (a meno che non riesco ad aggiornare in anticipo,cosa un po’ difficile però;vedrò quel che si può fare..).Per quanto riguarda Maya,lei la prenderò a dosi,come faccio sempre:un passettino per volta e la apprezzerete come il grande Donnie Don (almeno così mi auguro)

Beatrix:Bea-san!(posso chiamarti così?)non scusarti per il ritardo,comprendo cosa significhi anche se intuisco che la mia fatica non sia grande come la tua,quindi non preoccuparti,tanto la fict non scappa da nessuna parte!mi vengono le lacrime agli occhi nel leggere che hai apprezzato Barbabianca in tutta la sua enormità,io me lo sono sempre immaginato abbastanza egocentrico riguardo sulla sua forza e anche molto sicurò di sé ma questo già si vedeva anche senza la mia storia:Ace ci ha provato e si è spento come un cenerino,come hai detto tu ma mica potevo farlo vincere,ti sembra?lui poi è così testardo ma in fondo gli vogliamo bene per quello che è!immagino che Akiko ti sarebbe piaciuta,l’ho creata apposta per essere tenera e con gli occhioni sbrilluccianti:praticamente la bambolina da coccolare e abbracciare fino allo sfinimento (whaaaa,il solo dirlo mi fa venire voglia di stritolarla!).Si,Don sospetta che tra i due ci sia un rapporto speciale,che accidenti soltanto uno cieco e sordo non lo capirebbe,poi Satch…uhm,no su lui sto zitta per ora,ih ih ih!non voglio spifferare niente di niente,quindi ti tocca leggere carissima!

TopazSunset:carissima!non invidiare il mio stile che è il tuo è bellissimo;ognuno ha il suo e deve andarne fiera,specie poi se si riesce a migliorarlo!Akiko è una sorta di mascotte nell’equipe infermieristico (un po’ come chopper) e Maya ovviamente è la “schiavista” che prende a frustate chi non fa il proprio dovere (no,non è così crudele però ha il polso di ferro,come intuirai qui).Addirittura magistrale il modo in cui gestisco gli eventi?basta,mi fate morire!(piange per la commozione)

Angela90:ti piacerebbe vedere quella testolina ad ananas di Marco e quel brontolone di Don sorseggiare tè,eh?posso solo immaginarmela perché non avrei mai il coraggio di metterla,non sono proprio i tipi da fare una cosa del genere.Akiko e Maya saranno lei due infermiere che maggiormente compariranno ma le altre le lascio come cornice (troppi personaggi rischiano di farmi scoppiare la fict) e Don…..ih ih,lui le donne non le sopporta,esclusa Sayuri!mai contestare il suo parere medico!la piccola Akiko poi l’ho creata appositamente per essere piccola e tenere,esattamente come un peluche da coccolare!SWEET LOVE!!

Sachi Mitsuki:Sachi-chan!!vuoi sapere quando si baciano quei due?ah ah ah!!!no,scusa non volevo:in verità per la grande scena romantica ci vuole ancora un pochino ma in compenso ho sparpagliato qua e là dolci teatrini che allieteranno l’attesa.Se potessi la metterei subito la scena tanto chiesta ma non posso,proprio non posso altrimenti la storia perde tutto il senso e le cose lasciate appositamente indietro per rendere quel momento ancora più idilliaco! Per quanto riguarda poi Akiko, non ha dato la risposta  a Sayuri non perché non sapesse rispondergli ma perché voleva evitare che Maya scoprire la sua disattenzione,altrimenti non l’avrebbe trascinata dentro la Moby Dick.

 

 

“Che belle! Davvero le hai realizzate tutte tu?”
“Si, certamente”

Akiko sospirò con fare sognante. Era seduta su una sedia, vicino al letto di Sayuri e tra le mani reggeva alcune mappe realizzate da quest’ultima. Tutti gli effetti personali della giovane pirata, abiti e materiali compresi, erano stati sistemati nella stanza cosicche potesse utilizzarli.

“Sei bravissima! Io non riesco neppure a fare un quadrato giusto e dire che disegnare mi è sempre piaciuto” rivelò la più piccola ammirando i colori a pastello usati per creare delle sfumature più scure per il mare.

Altri due giorni erano passati dal suo risveglio e Sayuri ancora non poteva uscire. L’essere relegata in quella stanza, seppur soleggiata e accogliente, la faceva sentire esattamente come un uccellino in gabbia e ogni volta che guardava al di fuori dell’oblo, sospirava e pregava che il tempo scorresse più velocemente in modo tale da poter varcare quella soglia poco distante da lei e andare così dai suoi compagni. Desiderava poterli vedere visto che ancora non gliene era stata data la possibilità e anche loro volevano verificare con i loro stessi occhi che lei, da loro battezzata sorella Yu-chan, stesse bene ma gli ordini dati dalla forza maggiore che incuteva terrore ad Akiko erano stati categorici: l’accesso al reparto infermieristico era proibito a qualsiasi essere vivente di sesso maschile e così la sua sola compagnia, ben accetta ovviamente, era la tenera corvina, ora affascinata nel vedere tutti i suoi lavori. Benchè fosse l’infermiera più giovane e non fosse “Dotata” come le altre sue colleghe, la sua intelligenza compensava più che a sufficienza la mancanza di un corpo più adulto e flessuoso. Non era un caso che facesse parte dell’equipe infermieristica personale di Barbabianca: amava il suo lavoro, metteva anima e corpo anche nei lavori più semplici e questo le faceva onore.

“Yu-chan, da quanto tempo sei in mare?” le domandò con curiosità non troppo esuberante.

Era partita con l’intenzione di conoscere ogni aspetto della sua nuova amica e dato il suo ricovero, poteva approfittare di quel tempo di riposo imposto alla più grande per fargli tutte le domande che voleva. Inoltre l'avrebbe controllata e di conseguenza non avrebbe mancato ai propri doveri di infermiera. 

“Da molto. Ho iniziato a viaggiare a dodici anni ma ho incontrato Ace poco più di un anno fa” rispose completa, consapevole che gli avrebbe posto la domanda riguardante la sua appartenenza alla ciurma dei pirati di picche.

Akiko ascoltò attentamente ogni sua risposta, annuendo come a voler far intendere che stava seguendo. Le domande le uscivano veloci, spontanee, dettate dalla sua voglia di conoscere tutto sulla sua nuova compagna di stanza: amava stare a sentire la gente raccontare, era come ascoltare delle storie sempre nuove,ricchi di esperienze, che i libri a volte omettevano o descrivevano con poca enfasi. L’essere un’infermiera gli offriva il vantaggio sia di aiutare i suoi amici sia di farsi narrare da loro avventure in luoghi stravaganti e pittoreschi e immaginarsele nella sua testolina. Certo, non sempre erano belle e ricche di colore quelle storie, ne era consapevole visto che il periodo in cui vivevano tutti quanti loro era anche pieno di pericoli ma quello era pur sempre un modo di vedere il mondo in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi e la qualità di essere una sognatrice coi piedi ancorati per terra l’aiutava a non distrarsi più di quanto le capitasse spesso.

“E come hai incontrato Ace?” domandò poi con occhi luccicanti.
“Eh eh, questa è una parte piuttosto particolare” ammise grattandosi la guancia con l’indice.

Il ricordare il suo primo incontro con pugno di fuoco le mise un buonumore nostalgico. Era passato molto tempo da allora ma ancora sentiva quel momento più vicino rispetto a molti altri. Sorrise sommessamente, come sempre e guardò Akiko che trepidamente attendeva la risposta.

“Ci siamo incontrati in una delle prime isole della rotta maggiore, a Rogh Town . Se devo essere sincera, il nostro fu più che uno scontro, ci demmo battaglia nel porto durante la notte” raccontò lei

Divertita da quelle immagini ormai appartenenti al passato, narrava come se le avesse vissute solo pochi attimi prima e la corvina a ogni passo, sgranava gli occhi, stupendosi. Aveva ottime ragioni per reagire a quella maniera: fin da subito aveva compreso che Sayuri era una persona ponderata, gentile e intelligente. Aveva faticato a credere che fosse una pirata, sia per l’aspetto che per il carattere ma conoscendola meglio e soprattutto ascoltandola, aveva capito che dietro a quei occhi così tranquilli e luminosi si nascondeva una volontà d’acciaio. Era rimasta incantata dal suo coraggio di affrontare a soli dodici anni i pericoli che il mare poteva offrire, tanto da non essere in grado di penetrare più a fondo negli occhi dell’amica.

Ancora non poteva sapere che la castana sapeva bene come nascondere ciò che non voleva che la luce vedesse ma questo solo perché non si era avvicinata a farle domande ancor più personali ma anche se gliele avesse poste, lei di certo non si sarebbe comportata diversamente; si sarebbe limitata a dire lo stretto indispensabile, inducendo indirettamente l’infermiera a non toccare più l’argomento. La capacità della ragazza di celare i più oscuri segreti della sua vita era paragonabile soltanto a quella di attirare le persone semplicemente guardandole con quei suoi occhi color cioccolato ipnotizzatori. Indubbiamente non lo faceva di sua volontà, ogni ragazza se molto bella sapeva attirare su di sé l’attenzione anche solo camminando ma anche in questo aspetto, Sayuri si differenziava per il semplice fatto che erano pochissime le giovani piratesse che avevano il coraggio di navigare nello stesso mare insieme a uomini che vedevano in lei e nelle sue coetanee, solo uno piacevole svago con cui divertirsi fin quando si voleva. Molte erano le qualità che la rendevano diversa, speciale, anche più delle altre ma solo una sorgeva nel preciso momento in cui la si guardava: il mistero. Da lì le strade che potevano definire quella ragazza erano molte e alcune impensabili.

“Vi siete dati battaglia? Cioè, vi siete picchiati?” sussurrò allibita lei.
“Esatto” confermò lei.
“Ma allora come ha fatto a convincerti a salire sulla sua nave?”
“Più che convincermi mi ci ha trascinata senza chiedermi nulla. Ero già diventata un membro della sua ciurma senza neppure saperlo” sorrise.
“Tipico dei maschi! Prendono senza chiedere!” proruppe una terza voce.

La porta si era spalancata e nella stanza era giunta la tanto temuta capo infermiera Maya, colei che aveva messo a tacere Don, guadagnandosi istantaneamente la sua antipatia: vestiva esattamente come Akiko, fatta eccezione per gli stivali a tacco alto leopardati che gli superavano le ginocchia e la fascetta rossa stretta al braccio che ne segnava il rango nel reparto da lei organizzato. Nel vedere il suo superiore, la corvina si alzò in piedi e spostò la sedia di lato in modo tale da lasciarla passare.

“Buongiorno Maya” la salutò Sayuri cortesemente.
“Buongiorno a te, cara. Allora, come ti senti oggi? Oh, vedo con piacere che il tuo bel viso ha ripreso colore” si compiacque nel vedere l’ospite migliorata ancor di più “Vediamo le costole”

Le fece alzare la camicia da notte con l’aiuto di Akiko mentre lei, col suo occhio esperto esaminava la zona interessata. Tastò delicatamente le ossa, a volte premendo con più forza nel voler verificare se queste si fossero saldate a dovere ma facendo scorrere le dita con leggerezza, senza alcuna fretta; essere frettolosi non portava mai a nulla di buono, specie se la vita che si ha tra le mani non è la propria.

“Bene, sembra che tu sia tornata in piena forma e fortunatamente i tagli non hanno lasciato cicatrici. Sarebbe stato un vero peccato per una bella ragazza come te: le cicatrici per gli uomini varranno pure come medaglie al valore ma per noi donne non sono certo dei gioielli da sfoggiare, non credi?” le domandò alzando lentamente gli occhi su di lei con quel fare sensuale che solo certe donne poteva esercitare.
“Non avevo mai considerato le cicatrici come dei marchi. Fino ad ora non me ne ero mai preoccupata più di tanto” confessò Sayuri sistemandosi la camicia da notte “A proposito Maya, come stanno i miei compagni? Si sono ripresi tutti quanti?”
La capo infermiera sbuffò portandosi una mano alla fronte “Mi pare di avertelo già detto: stanno tutti quanti bene. Sono in piedi e pimpanti abbastanza da assillarmi ogni giorno per chiedermi se possono vederti, compreso il tuo bel fidanzato. Ho dovuto minacciarlo di legarlo con delle catene di algamatolite ma grazie al cielo, i tuoi amici hanno avuto il buon senso di prenderlo di peso e portarlo fuori dal mio raggio d’azione”
La castana sbattè più volte le palpebre “Ace non è il mio fidanzato. Io e lui siamo buoni amici” riuscì a dire correndo il rischio che la parola “fidanzato” potesse suonare più acuta delle altre.
“Ma davvero?” domandò la più grande maliziosa. Nel sedersi direttamente sul letto, di fianco a lei, si inumidì le labbra truccate dal rossetto color cremisi, socchiudendo gli occhi dalla folte ciglia per poi rialzarli verso di lei “Eppure la sua insistenza mi ha lasciata molto perplessa: non dico che un capitano debba trascurare i suoi compagni ma appena ha saputo che avevo vietato l’accesso ai non autorizzati, non ha fatto altro che aggirarsi nei dintorni chiedendomi se ti fossi aggravata. Dovevi vederlo, preoccupato unicamente per te....un po’ troppo premuroso per un buon amico, no?”

Akiko rise divertita mentre Sayuri tentava con tutte le sue forze di non avvampare; i suoi occhi marroni luccicanti erano intrecciati a quelli di Maya, rossi, dalle maliziose sfumature scure, e nel sentire le guance diventare più calde comprese fino a che punto poteva spingersi la capacità di quella donna di metterla con le spalle al muro,quando l’argomento era Ace. Maya era una di quelle persone sicure di sé, autoritarie, che sapevano dirigere il gioco se questo era allettante e soprattutto molto difficile: non era un caso che fosse l’unica capace di obbligare Barbabianca a smettere di bere il suo buon sakè quando doveva prestargli le cure quotidiane e non a caso era la capo infermiera della Moby Dick.

Venticinquenne, alta, con un corpo ben sviluppato e slanciato, Maya guidava le sue diciassette seguaci come fossero un piccolo esercito contro la battaglia più grande che il mondo della medicina avesse impartito: occuparsi della salute dell’uomo che più si avvicinava a diventare il prossimo Re dei Pirati. I lunghi capelli viola ondulati, le coprivano tutta la schiena combaciando perfettamente coll’ambiguo colore dei suoi occhi, lievemente valorizzato da un leggero ombretto rosa sulla pelle nivea e dalle labbra carnose, rosse per via del rossetto. A volte le ragazze tendevano a truccarsi per apparire più appariscenti ma anche senza trucchi Maya risultava comunque una donna bellissima che poteva permettersi il lusso di stare bene con qualunque make-up. Lei poi, con quella deliziosa frangetta e i capelli curati, ulteriormente valorizzati dal cappellino da crocerossina posto proprio in mezzo alla testa come fosse una corona, assomigliava a una regina di beltà invidiabile e dal carattere indomabile. Le altre infermiere di certo erano ben in grado apparire al meglio e soprattutto di fare bene il loro lavoro ma Maya era unica, aveva quella marcia in più che le consentiva di essere la migliore, la numero uno, che l’aveva fatta eccellere laddove altre non erano arrivate.

“Allora tesoro, vuoi dirmi come stanno le cose tra te e il tuo capitano?” le domandò infine scandendo le parole con un tono quasi sensuale.

La castana si sentì esattamente come un piccolo topolino che il grosso gatto faceva rotolare fra le zampe prima di divorarlo in un sol boccone. La bocca e gli occhi della donna erano contorti in quell’espressione maliziosa, dolcemente sicura delle proprie ipotesi e che non lasciava via d’uscita alla vittima puntata.

“Non c’è niente di speciale se non un’ottima amicizia” fu la riposta preparata e controllata di lei.

La capo infermiera sospirò chiudendole palpebre, riaprendole lentamente per guardare Akiko con sguardo complice e poi tornare su di lei.

“I tuoi occhi ti stanno tradendo cara ” le fece notare.
“C-Come?”
“Tu sei innamorata!” le rivelò la corvina vivacemente.
“E direi anche da parecchio tempo” aggiunse Maya con calma trionfante “L’amore non si può di certo dissimulare”

Inutile. Quando si trattava di Ace e dei suoi sentimenti, inevitabilmente Sayuri alzava più barriere di prima mostrandosi calma come in una comune conversazione: fino a quel momento non aveva mai avuto seri problemi a nascondere il tutto e questo perché lei era una maestra nell’occultare i propri sentimenti.
Si era sempre premurata di maturare con le proprie forze e di ragionare con la testa sulle spalle perché certi argomenti richiedevano tutta la sua attenzione ma l’amore....su quello lei non sapeva nulla; l’affetto che provava per Ace era smisurato e lei nella sua semplicità, era certa di esserne innamorata perché da moltissimo tempo non poteva più considerarlo come un amico e nemmeno un fratello ma c’erano tante cose che non capiva e tante che la frenavano. Non sapeva descrivere bene cosa fosse quell’ondata di calore che provava ogni volta che lo vedeva avvicinarsi, ne capiva perché ogni volta sentiva il cuore battere all’impazzata e le parole morirle in gola. Quando superava quella soglia,si sentiva indifesa e provava un po’ di paura perché non riusciva a immaginare cosa potesse esserci oltre ed era a quel punto che dubitava di sé stessa,per tale motivo ogni volta rifletteva bene e cercava di estrapolare qualcosa di nuovo che potesse in qualche aiutarla. Ora però, l’essere torchiata da quelle due le rendeva tutto più difficile da gestire, senza contare che lei non aveva mai parlato con delle ragazze....

“Sembri confusa” proferì Maya.
“.....Lo sono un pò” mormorò la castana intrecciando le dita e guardandosele con un che di assente nello sguardo.
“Perché non glielo dici?” azzardò Akiko.

Dirglielo...

Sorrise sommessamente ma senza alcuna allegria. Come poteva se nemmeno sapeva bene cosa fare? Se ancora non aveva la forza di aprirsi, in che modo avrebbe potuto confessare i suoi sentimenti? No, almeno questo non poteva, non doveva farlo vedere alle sue due nuove amiche. Almeno quello....doveva rimanere nascosto dov’era. In fondo nel fingere e nel mascherare i suoi sentimenti era sempre stata maledettamente brava e se si applicava poteva anche essere inavvicinabile. Si, era insensato e ripeterselo non faceva che confermare la veridicità di quell’unica realtà che ormai faceva parte di lei: era una stupida perché se soltanto l’avesse voluto, avrebbe potuto lasciarsi andare a Yukiryu, quand’era tra le braccia di Ace, quando finalmente dopo tanta oscurità aveva scorto una luce liberatrice in fondo a quel tunnel che percorreva sin dalla sua nascita. Ma non l’aveva fatto. Aveva detto di no perché era terrorizzata; terrorizzata di scoprirsi di mostrare a qualcun altro quello che era e anche se Ace l’aveva rassicurata con parole dolci e gentili, non se l’era sentita di ripagarlo con ricordi orribili e incancellabili,non in quel momento.

“Yu-chan, perché non glielo dici e basta?” domandò di nuovo la corvina.
“Akiko, sai bene che con la fretta non si risolve nulla, specie l’amore. Per quello è necessario avere bene in mente che cosa si vuole” la rimbeccò Maya.
“Lo so ma se si tira troppo la corda poi c’è il rischio di non avere nulla fra le mani” replicò la più piccola corrucciando le labbra.
“Scusatemi..”
“I rischi fanno parte della vita; se non ci si mette in gioco non si potrà mai sapere di cosa si è capaci. Vivere nell’incertezza non serve a nulla” continuò la capo infermiera voltandosi verso l’apprendista.
“Appunto! Perchè non proviamo a...?”
“Scusatemi” Sayuri dovette alzare un po’ la voce per non correre il rischio di venire messa da parte. Doveva impedire che quella piacevole e tranquilla conversazione si trasformasse in una missione dai risvolti imbarazzanti e disastrosi.

Le teste colorate di Akiko e Maya tornarono a guardarla, mettendo da parte i loro dialoghi di coppia: la castana dovette ammettere che la corvina, nonostante fosse più giovane di lei, parlava con una spigliatezza invidiabile, senza vergognarsi dell’intimità di certi argomenti. Probabilmente ciò era dovuto dal fatto di essere circondata da figure femminili più grandi di lei e quindi con un “bagaglio culturale” ben più ampio del suo e che non faticavano a trattenere. Sospirò mentalmente comprendendo che lì, l’unica inesperta era lei.

“Pensate sia possibile lasciarmi uscire a prendere una boccata d’aria?” chiese affabile.
“Prima ci devi dire cosa provi per Ace!” la ricattò Akiko gonfiando le guance.
“Non vedo cosa dovrei dire” affermò vaga, sorridendo per il faccino che la corvina stava elargendo.
“Ehi!”
“Akiko, basta” la rimproverò ancora una volta la donna alzandosi dal letto “E’ evidente che questo non è il momento per indagare ne per agire. Dobbiamo attendere che gli eventi si sviluppino almeno un po’, no?”

Era ben evidente che Maya aveva i suoi limiti di invasività rispetto alla più piccola ma ciò non rassicurava molto la castana: gli sguardi delle infermiere si erano uniti contro di lei senza un fine malvagio ma ugualmente poco rassicurante, specie quello scarlatto della più grande, decisa a non mollare la presa tanto facilmente. Evidentemente dovevano stare preparando qualcosa per un eventuale occasione futura, occasione che vedeva lei protagonista insieme a qualcuno che loro speravano di coinvolgere il più presto possibile. Erano simpatiche, due brave ragazze ma quella astratta alleanza creatasi la induceva a pensare di non abbassare la guardia davanti a situazioni che non poteva gestire combattendo come era solita fare. Aveva letto una curiosità maliziosa nei loro occhi, una curiosità che avrebbe scavato a fondo di quelle questioni rosee, continuando nel suo operato fino a quando non sarebbe giunta a qualcosa di così eclatante per cui valesse la pena saltare dalla gioia. Emise un leggero sospiro come per dire che presto o tardi si sarebbe dovuta confrontare con problemi ben più grossi di quelli presentatile fino ad ora ma al momento, nell’alzarsi in piedi e chiedere il permesso di poter uscire, non era quello che la preoccupava maggiormente....

“D’accordo” acconsentì la più grande ”Dopotutto è giusto che tu esca all’aperto. Akiko, accompagnala: la nave è molto grande e perdersi qui è facile per chi sale la prima volta. Ah, i tuoi vestiti sono nell’armadio. Meglio se ti cambi, non è conveniente che tutti gli uomini a bordo ti vedano in camicia da notte. Una volta è stata più che sufficiente, vero Akiko?” calcò le ultime parole in modo tale che la corvina, già irrigidita per il tono freddo e accusatorio della superiore, capisse che lei sapeva tutto e che a breve le sarebbe arrivata un punizione coi fiocchi.

La povera quindicenne evitò di guardare negli occhi la capo reparto, immaginando da sé l’espressione austera e troneggiante che la rendeva spaventosamente gigante davanti a lei, piccola come una briciola di pane, inerme, e senza potersi scusare perché in fondo la disattenzione era stata sua. Fu quando Sayuri la prese per mano e la portò fuori dalla stanza che finalmente riuscì a respirare.

“Mi dispiace, Akiko. Uscendo senza permesso ti ho messo nei guai” disse la più grande “Sono così terribili le sue punizioni?”
“Ecco, come dire...” cercò di cominciare “No, in fondo sono lavoretti che un’apprendista deve ugualmente svolgere e poi non devi scusarti di nulla: ormai è passato e poi non è certo la prima volta che vengo...glom! Punita da Maya” le sue ultime parole erano state ridotte ad un flebile e acuto sussurro.

Rabbrividì nel far scorrere il lungo elenco di lavoretti impostigli dalla superiora: i primi giorni a bordo della Moby Dick erano stati impegnativi e lei aveva avuto modo di fare sua quella routine che ora sopportava senza ostentare fatica. Da sempre era stata una persona che imparava alla svelta e questa sua qualità si era ulteriormente rafforzata grazie a Maya e ai suoi provvedimenti che puntualmente si presentavano per via della goffaggine di lei: Akiko era volenterosa ma a volte si faceva prendere dal panico per le cose più stupide e alla fine del pandemonio si ritrovava ad affettare più di dieci chili di cipolle, a sterilizzare con lo spazzolino ogni singola stanza che venisse utilizzata a scopo medico, a lavare da sola le vele di scorta della nave oppure a imparare come si sbucciano le mele, cosa che fino a quel momento non le era mai riuscita visto che alla fine del suo macabro operato si ritrovava sempre tra le mani un torsolo tutto deforme al posto del tondo frutto ben sbucciato,pronto per essere mangiato.
Quando poi doveva preparale per il capitano era la tragedia delle tragedie. La pesantezza di quei lavoretti variava a seconda della gravità del disastro e Maya sapeva bene come incutere terrore nella piccola corvina perché indubbiamente sapeva quali tasti del suo animo doveva pigiare per far si che lei scattasse. Sayuri aveva avuto modo di conoscere il lato tenero e comprensivo della formidabile capo reparto ma da quanto la coinquilina gli aveva spifferato, era consigliabile non farla arrabbiare ne disubbedirle. Maya disponeva di molti assi nella manica, molti di cui neppure Akiko era a conoscenza.

“Mi prenderò le mie responsabilità: se qui c’è qualcuno che ha colpa, sono io. Sono uscita di nascosto dalla stanza nonostante tu mi avessi detto di non muovermi” affermò dolcemente risoluta.

Se c’era una cosa che poteva fare era dare alla donna una versione chiara e completa di quanto fosse accaduto al suo risveglio ed evitare che la sua amica dai capelli colorati venisse punita inutilmente. Gli occhi della piccola si allargarono, luccicando come due piccoli fari violacei nella notte.

“Lo faresti davvero?????” le domandò trasformando quel suo viso a cuore in un’amorevole musetto compassionevole.
“Certo” rispose lei con naturalezza disarmante.

Ebbe appena due secondi per riuscire a sostenere il peso dell’amica, saltatale addosso per la felicità e abbracciandola come fosse un peluche gigante.

“Whaaaaa!!! Grazie Yu-chan, grazie, grazie, grazie, grazie!!! Ti voglio tanto bene!!! Prometto che non ti chiederò più niente di te e di Ace!!!” scoppiò.

 

 

L’essere su una nave nemica, tenuti in uno stato che non poteva essere definito prigioniero, senza catene e controllo era quanto di più umiliante c’era per chi come Ace possedeva un carattere testardo e orgoglioso. Il non poter accettare la situazione e il voler a tutti  i costi far capire che tipo di pirata Barbabianca avesse portato sulla sua nave era ciò che più preoccupava Sayuri; ora che era libera di uscire poteva camminare nei corridoi e cercare i suoi compagni, in particolare il suo capitano. Il presentimento che la stava allarmando da un po’ di tempo era riconducibile a un nodo allo stomaco molto inquieto, che si stava agitando a tal punto da arrivarle al petto e fermarsi lì, continuando a martellare con troppa euforia; la calma vissuta stava per perdere definitivamente il suo effetto ne era fin troppo sicura. Era sicura che adesso qualcosa sarebbe accaduto. Passeggiava con andatura più lenta del solito e gli occhi non facevano che guardare senza una ragione precise le assi di legno che si dilungavano linearmente e Akiko,al suo fianco,osservava quel suo distacco improvviso.

“Yu-chan, non ti senti bene? Vuoi tornare in camera?” domandò lei nell’incurvare la testa per poterla vedere meglio.
“Uh? oh, no Akiko. Ero solo sovrappensiero”

Percorrevano silenziosamente quel palazzo navale di legno e porte senza dar peso agli altri, salendo sempre più in alto con l’intenzione di giungere sul ponte per godersi il resto della giornata. La castana si reputò fortunata ad essere in compagnia con la corvina, l’interno della nave era davvero intricato. Si domandava come avesse fatto la prima volta a trovare la strada per il ponte.

“Ho come un presentimento” le rivelò con voce dolce ma al tempo stesso dubbiosa “E’ difficile spiegarlo perché neppure io so dargli una forma concreta, però non posso negarne l’esistenza”
“Forse sei solo ansiosa di vedere i tuoi amici e Ace” ipotizzò l’altra.
“Potrebbe essere” eppure non ne era completamente convinta.

Aumentò l’andatura, chiudendo gli occhi solo per pochi istanti prima di aprirli e sollevarli verso il fondo del corridoio, dove altre strade di diverse dimensioni si diramavano. Il solo modo che aveva per riuscire ad appianare quel nodo era soltanto uno: trovare Ace. Stette per imboccare le scale,seguita da Akiko, quando il suo udito non percepì più il silenzio.Si fermò, voltando la testa all’indietro con movimento rapido e secco: alle loro spalle proveniva un rumore sordo che continuava a crescere, tanto da far tremare alle pareti. Il rumore di qualcosa che si rompeva,del legno che si piegava per poi spezzarsi inesorabile. Nel sentirlo vicino a dov’erano,con elegante rapidità Sayuri prese per il polso Akiko, portandosela dietro le spalle e con l’altra mano libera impugnò uno dei suoi sai.

SBAM! CRASH!!

“Whaaa! Che succede?!?”

Ad esattamente due metri da dove si trovavano le ragazze, la parete era stata prima rigonfiata e poi aperta da un’esplosione così forte da sollevare addirittura le assi del pavimento anziché il classico polverone; qualcosa l’aveva sfondata, spaccata, producendo un botto assordante,per poi terminare la sua corsa contro la parete opposta. Akiko per lo spavento aveva urlato, affondando le unghie nelle spalle di Sayuri e nascondendo la testa dietro la sua schiena cercando di farsi ancora più minuta. Con la guardia alzata,perfettamente calma e concentrata, Sayuri aguzzò la vista, coi riflessi pronti a scattare:senza muoversi di un solo centimetri, puntò i suoi occhi marroni sulla figura che aveva creato quella voragine nella parete: appena realizzò chi fosse abbassò all’istante il braccio armato col pugnale e rilasso i muscoli per correre definitivamente verso quella persona che non era altresì che.....

“Ace!”

Bianco Giglio gli fu subito accanto, pronta a offrirgli il proprio aiuto per alzarsi ma quello si rimise i piedi, tenendosi il naso sanguinante senza aver neppure notato la sua presenza; fu quando volse il capo alla propria destra per seguire la direzione presa dal moro che la castana scorse quella lunga serie di buchi creatisi nelle pareti precedenti all’ultima che aveva frenato la corsa di Ace. Le teste sportesi per vedere l’accaduto, da prima visibilmente allibite, avevano riversato l’attenzione sul fondo di quel tunnel scavato nel legno.

“Ehi, ma ti è dato di volta il cervello?!”
“Secondo me vuole farsi ammazzare...”

Domande come quelle volarono libere sotto forma di sussurri invisibili e vennero chiaramente ignorate dal ragazzo. L’impulso di Sayuri di chiedere al capitano se fosse tutto a posto venne messo a tacere dalla sua stessa coscienziosità; gli occhi di Ace erano accecati da un sentimento simile all’odio e alla non rassegnazione, uniti in un muro così denso e alto da coprire tutto ciò che gli stava attorno, lei compresa. Tacque quando lo vide ripercorre a grandi e ben calcati passi la strada da lui creata,lasciandosi dietro una scia rossastra emanante un emozione molto simile, se non identica, all’ira.

“Ace...”

Lo vide andare via,senza che la sua voce potesse raggiungerlo.

“Principessa, fattelo dire: il tuo capitano non conosce la discrezione” proruppe una voce allegra e familiare.

Satch era comparso di fianco ad Akiko, sobbalzata per l’essersi accortasi solo in quel momento della sua presenza. Era esattamente come l’aveva visto la prima volta ,solo che alla cintura portava una spada infoderata nella sua elsa: non era una katana, le dimensioni della lama erano troppo grandi così come per lo spessore e non era nemmeno una sciabola. Sayuri potè solo classificarla, a prima vista, solo come un’arma pesante ma ben capace di ferire se usata da un guerriero abile e con un’esperienza tale da potersi definire un veterano. Rinfoderando il sai, la navigatrice si levò in piedi, raggiungendoli.

“Vedo che ti sei ripresa. Allora, che te ne pare della Moby Dick?”
Lei esitò per qualche secondo, ancora presa dall’avvenimento accaduto “Non ho ancora avuto modo di visitarla a dovere”
“Perfetto! Akiko puoi andare, ci penso io alla principessa” esordì il comandante cercando di cacciare via senza troppi preamboli la quindicenne.

La corvina lo guardò in cagnesco, gonfiando le guance, per nulla decisa a muoversi da lì. Si avvinghiò al braccio della castana come fosse una ventosa, cercando di trasmettergli con gli occhi il seguente messaggio: “Scordatelo!”. Semplice e conciso. La ragazza, lievemente impietrita per l’imbarazzo, si sentì come una corda che stava per essere tirata da entrambi i lati. Se doveva essere sincera, dopo aver visto Ace e intuito il perché di quel volo pazzesco attraverso le pareti, visitare la Moby Dick da cima a fondo era l’ultimo dei suoi desideri; immaginando che parlare con lui sarebbe stato pressoché impossibile, la sua unica possibilità per concretizzare ciò che la sua mente aveva elaborato era di andare a chiedere personalmente a Don e a Bonz cosa stesse capitando, con la certezza che quanto aveva appena visto non era che l’inizio. 

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Capitolo 28
*** Cosa fare? ***


Buon mercoledì a tutti!siamo al ventottesimo capitolo(28 ma ancora ne mancano per finire questa fict)Bene,vi lascio subito al seguito ma prima,come sempre i dovuti ringraziamenti:Preferiti: agentekuruta- alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP-nico83-Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Seguiti: 13este-HimeChan-kei87-HUNTERGIADA-TopazSunset-happylight.Ricordata:Dance.E ovviamente a chi legge soltanto,anche voi siete apprezzatissimi!!

Yuki689:Yuki-chaaaaaaaaaannnnnn!!!!!!!!!!!!(la stritola fino all’asfissia)carissima,da quanto tempo!!anche tu impegnatissima immagino;non sei la sola,io sono piuttosto in ansia per questi esami,più studio e più mi pare di dimenticare quanto ho imparato;gli appunti mi dicono una cosa i libri un’altra,non so più dove sbattere la testa.Va beh,lasciamo un attimo da parte il lato depressivo dell’essere una studente universitaria e passiamo a te:lieta che ti sia piaciuta la testardaggine di Ace e che questa rispecchi tutto il suo carattere:è una testa dura al cento per cento,secondo te gettava la spugna al primo colpo?Anche tu sei stata contagiata dalla piccola Akiko;l’ho creata appositamente per essere un “amorino”;bene o male prima di arrivare al ponte ha ribaltato mezza nave ma alla fine è riuscita a trascinarla dentro e Satch….ih ih ih,la vicenda tra lui,Ace e Sayuri sarà molto interessante,dico solo questo per non rovinare niente!Satch è uno dei personaggi che ho più messo in rilievo e sarà dunque un po’ più presente degli altri;non sostituisco però Don e Bonz,i miei due cugini incompatibili,loro rimarranno dove sono e faranno ugualmente la loro grande figura (specie il primo).

Giulio91:eccomi qua!si,dopo un po’ di azione le scene femminili saltano fuori ma solo per mettere in crisi la mia povera protagonista;è già nel pallone per conto suo quindi necessita di un piccolo aiuto sulle questioni di cuore,almeno così riordinerà le idee.Maya in versione vecchietta tirannica?mi spiace ma l’ho creata così:il fatto è che nel vedere tante belle infermiere prendersi cura di Barbabianca ho pensato di dover creare una capo-reparto degna di guidare quell’equipe e poi l’aspetto fisico e il carattere già ce li avevo in testa pertanto non ci ho pensato due volte e l’ho inserita.Mi fa piacere poi che patteggi per Don,qui lo si vedrà e spero che la sua presenza venga ancora più gradita,come questo capitolo.Ho fatto del mio meglio,spero basti anche perché questo capitolo,come altri è stato riscritto più volte (i primi tentativi erano un disastro assoluto).

MBP:Marta-chan!Maya e Akiko sono state ben apprezzate a quanto ho visto,Maya poi credo che con Keyra avrebbe il suo da fare ma questa è un’altra storia,avrà già molto da fare con Sayuri (sta inviando segnali di fumo,qualcuno prima o poi li vedrà).I giornaletti?nemmeno se fossero l’ultima risorsa sulla terra li userei,senza offesa,i tuoi sono stati spassosi anche se  Key-chan ha avuto molto da ridire,ma tanto poi è riuscita comunque ad avere Ace (wiii!!!!congratulazioni!!!).Satch ti fa ridere?aspetta,io non ho ancora iniziato con lui ma ti assicuro che qual cosina ho messo ma più avanti.Si,la dichiarazione prima o poi arriverà (quell’attimo poi):ho i miei tempi ma se c’è,c’è quindi non preoccuparti!per ora mi preoccupo solo di aver reso bene questi capitoli,ce l’ho messa tutta e spero siano usciti decentemente ma i lettori siete voi pertanto tocca a voi giudicare.

Maya90:tesoro!eeeeh,lo sapevo che la mia Maya avrebbe colpito:l’ho creata appositamente per comandare le infermiere al servizio di Barbabianca,una come lei dovevo inserirla così come Akiko con quei suoi grandi occhi luminosi.Ti dirò,Marco comparirà qualche volta ma lo lascerò un pochino da parte per dare maggior rilievo ad altri personaggi ma in qualche dialogo salterà fuori.Don mi sta già puntando la canna del suo fucile alla tempia quindi lui sarà presente.Beh,non posso far altro che incrociare le dita e vedere come va,anche se forse più avanti prenderò una pausa di una settimana per dedicare ancora più tempo allo studio,devo vedere come organizzarmi…(buuuu,sono tanto in ansia!!!!)

Sachi Mitsuki:Sachina mia!!!dunque,fammi capire:hai un gattino tutto bianco e con gli occhi azzurri di nome Ice ma che potresti chiamare Ace perché simile???allora,primo di tutto deve essere una amore da coccolare (tranne per le unghie credo),secondo se fosse un gattino nero si avvicinerebbe di più a essere chiamato Ace (se poi gli metto anche il cappello):è una situazione strana ma forse ho la situazione:chiuditi nella stanza con lui e ripeti ad alta voce Ice in continuazione fino a quando non ti verrà fuori automaticamente.Per quanto riguarda Ace…leggi la mia fict o guarda una sua immagine e il cuore ritornerà a battere per lui!(sto ancora aspettando il mio turno,sai?)

Angela90:carissima!eh si,ora Sayuri verrà torchiata costantemente (ok,non sempre però verrà torchiata).Akiko si è dolce ma perché vede Sayuri come la sorellona che la difende dalla crudele capo-reparto e ovviamente anche perché le è già affezionatissima e visto la sua situazione con Ace la vuole tenere lontano da altri aspiranti!chiedi il duello Don-Maya?ragazza,qualcosa salterà fuori ma non dico nulla,uh uh uh!!

 

 

Sotto ogni previsione, i giorni che seguirono quell’apparente e fin troppa sospettosa calma mutarono radicalmente: l’episodio delle pareti rotte a cui Akiko e Sayuri avevano assistito era stato solo l’inizio di una lunga e interminabile serie di tentativi da parte di Ace con l’unico scopo di far rotolare la testa di Barbabianca sulla sua stessa nave. I suo attacchi continuavano a essere l’argomento del giorno, decisamente interessanti se guardati dalla giusta prospettiva; non c’era secondo che non si sentissero frastuoni e colpi.

Aveva perfino provato ad attaccarlo nel sonno, quando credeva che col favore della notte le sue chances sarebbero aumentate; gli era arrivato molto vicino, abbastanza da recidergli la carotide col pugnale che sempre portava appeso al fianco ma non aveva neppure avuto il tempo di riacquistare forma umana - era entrato nella stanza sotto forma di piccola fiamma - che Barbabianca gli aveva sfoderato contro uno dei suoi terribili pugni, buttandolo fuori dalla stanza. L’elemento più allucinante di quel fatto era che il vecchio neppure si era svegliato ma su questo Ace non era per nulla convinto. Quando rivolse il più glaciale dei suoi sguardi su quella figura addormentata, era certissimo che lui fosse sveglio. Tutti i rumori del mondo erano concentrati su quella nave e quasi sempre erano accompagnati dalla rottura di qualche parte di quest’ultima.

Nel bene e nel male, la volontà di Ace era da ammirare nonostante questa non stesse raggiungendo lo scopo sperato: continuava senza sosta e senza successo, col risultato di trovarsi al punto di partenza ogni volta che si rialzava ed egualmente ciò capitava anche a chi invece, costretto solo a guardare, stava provando a spingersi più in là: Bonz e Don si erano fatti avanti dopo i primi settanta tentativi provando a calmarlo, a farlo rinsavire da quella missione suicida contro cui si stava gettando a tutta velocità ma le loro parole si erano disperse nel vento senza neppure essere state prese in considerazione. Quando il capitano dei pirati di picche si prefiggeva un obbiettivo, non demordeva fino a quando questo non veniva raggiunto, anche a costo di doversi spezzare tutte le ossa. In quell’occasione e a quell’andatura, sicuramente qualche osso sarebbe volato.

“A quanti tentativi siamo?” domandò uno.
“Uhm...credo sui duecento”
“Davvero? Io ne ho contati di più”
“Eh eh! Ogni giorno è sempre la stessa storia ma è impressionante quanta grinta ci metta!” ridacchiò Vista, il comandante della quinta flotta, un uomo dai folti baffi indossante un cappello nero a cilindro.

Ace non si faceva problemi ad attaccare il Re dei Mari in pieno giorno e davanti ai suoi stessi figli, quest’ultimi nemmeno ci provavano a fermarlo: lo guardavano chiedendosi cosa diavolo avesse in mente e soprattutto per quanto tempo avrebbe continuato. La vita sulla nave era più movimentata grazie a lui ma se loro trovavano divertente i suoi complotti, Ace era nero dalla rabbia per ogni singolo smacco che puntualmente riceveva. Dai primi tentativi si era fatto molto più insistente e le giornate successive si erano susseguite tutte nello stesso modo e più i suoi compagni cercavano di dissuaderlo, più lui si intestardiva. Parlare ad un muro sarebbe stato ben più redditizio.

“Che cosa facciamo? Non possiamo lasciarlo continuare” si fece avanti qualcuno con decisione.
“E’ vero, ma non ci ascolta neppure. Forse dovremmo provare a lasciarlo stare per un po’” propose un secondo.

La ciurma dei pirati di picche era riunita nella sala grande. Era sera inoltrata ma nessuno era propenso a rilassarsi o ad andare a dormire, non col capitano che girovagava in cerca del momento giusto per fare la festa al Bianco. Altre due settimane erano passate e ormai l’isola delle perle era troppo lontana per poterci tornare; di tempo ne era passato parecchio ma nessuno di loro stava lì a contare quanto di preciso. Don al suo solito era seduto con le gambe accavallate e le braccia conserte, con un espressione scocciata ulteriormente valorizzata dalla bocca corrucciata. Bonz invece stava in piedi, con le braccia poste nella stessa posizione del cugino, la testa piegata a destra con fare pensoso, in mezzo ad alcuni compagni intenti a pensare a una possibile soluzione. Oramai quasi tutti non sapevano che pesci pigliare e Don, dall’alto della sua intelligenza, era visto come l’unico adatto e ancora non del tutto scoraggiato, a poter dire o fare qualcosa che avrebbe ribaltato la situazione; lui era il vice e teoricamente la sua influenza sia come amico che come persona più vicina al capo, lo poneva in una posizione di vantaggio, così la pensavano gli altri ma in verità perfino lui non sapeva dove sbattere la testa.

“Sentite: conosciamo tutti Ace, no?” cominciò nel porre le braccia sul tavolo e prendendo a tamburellare il tavolo con le proprie dita.

Alla sua domanda tutti annuirono in perfetta sincronia.

“Bene. E sappiamo quanto sia testardo, orgoglioso, impulsivo, scellerato eccetera eccetera....quindi è logico che se non ha ascoltato ne me e ne Bonz, non ascolterà nessuno di voi altri e sappiamo anche, che cercare di fermarlo con la forza sarebbe di sicuro la cosa più stupida che possa venirci in mente”
“Hai ragione ma un tentativo lo dobbiamo comunque fare. Siamo pur sempre suoi amici” affermò Bonz.
“Oh si, certo. Stavo giusto pensando di coglierlo di sorpresa nel sonno, legarlo come un salame per poi appenderlo alla cima dell’albero maestro e tenerlo lì fino a quando non avesse deciso di far funzionare come si deve il suo cervellino ma poi mi è venuto in mente che la persona in questione è il nostro capitano, che è fatto di fuoco e cosa ancora più eclatante, è che in questo momento sarebbe capacissimo di scuoiarci vivi ancor prima che avessimo il tempo e la possibilità di immobilizzarlo. Non so voi ma questa prospettiva non mi attrae molto ma se a qualcuno piace, che si faccia avanti”

Quale modo migliore per dire che usare le maniere forti equivaleva a comprare un biglietto di sola andata per l’aldilà se non il sarcasmo?

“Quindi ci stai dicendo che non dobbiamo fare niente?” domandò uno allibito.
“Non ho detto questo” replicò sospirando come se stesse parlando al vento “Dico solo che nessuno di noi ha i giusti mezzi per attirare l’attenzione di Ace e visto che io non ho voglia di rincorrerlo su e giù per questa nave e non credo nemmeno voi, manderemo l’unico membro valido che sono sicuro Ace non ucciderà e che ascolterà senza obbiettare”

E automaticamente la testa di Don si spostò a destra dove sedeva poco distante da loro la navigatrice, Sayuri. Anche lei aveva ascoltato la conversazione ma era sempre rimasta in disparte, silenziosa e invisibile al resto del gruppo, con gli occhi immobili sul legno del tavolo. Almeno fino a quel momento. Nel sentirsi osservata, quel senso di distacco che era riuscita a creare svanì come una nuvola di fumo e ora l’attenzione di tutti era esclusivamente per lei. Gli altri presenti si chinarono in avanti col busto per poter vedere chi il medico-cecchino stesse guardando di preciso e nel realizzare mentalmente che le sue parole si riferivano puramente a lei,capirono che sin dall’inizio avrebbero dovuto rivolgersi a sorella Yu-chan. Vociferarono qualcosa del tipo “Giusto, sorella Yu-chan è la più adatta” ma furono sibili tenuti sottovoce mentre la gran parte degli occhi rimaneva bloccata sull’unica figura femminile presente nella sala.Davanti a tutti quei sguardi, una persona si sarebbe sentita in imbarazzo, avrebbe fatto finta di non sentire quella pressione incalzante ma Sayuri era tutto che una persona comune, così come tutti i presenti su quella nave; invece di ignorarli o di stupirsi, li guardò tutti quanti con la sua solita e dolce tranquillità stampata sul viso e scosse il capo in segno di negazione, girandosi interamente verso i suoi amici che non compresero cosa significasse quel gesto tanto elementare.

“Non cambierà nulla, nemmeno se a parlargli fossi io” spiegò lei pacata.
“Ma sorella Yu-chan, Don ha ragione! Tu sei l’unica che può riportare alla ragione il capo!” protestò uno di loro.
“Dobbiamo fare qualcosa!”
“Ace è ostinato. Se continua così potrebbe finire male!”

Era normale che si preoccupassero per il loro capitano e anche Sayuri lo era giustamente ma ciò che la poneva in una posizione diversa dalla loro, era la consapevolezza che fermare Ace in quel momento, significava mettersi in mezzo alla sua battaglia per il conseguimento di parte del suo sogno, anche se il timore che il Re dei Mari potesse stancarsi stava aleggiando di fianco a quella convinzione con non poca leggerezza.

“Non cambierà nulla” ripetè calma “Dovete capire che Ace non sta attaccando Barbabianca per un suo personale capriccio. Il suo precedente combattimento contro di lui è rimasto irrisolto e credetemi, so bene che quanto sta facendo è avventato ma parlargli adesso sarebbe inutile”

Non stava dicendo che non era preoccupata, al contrario lo era, solo che stava mascherando così bene quel sentimento da apparire ancor più calma e ragionevole del solito. Aveva visto gli occhi di Ace e in essi ardevano fiamme incontrollabili ,spiritiche e più pericolose di quanto potessero essere le altre. Da quel momento aveva preferito non mettersi in mezzo anche perché Ace non l’avrebbe presa in considerazione tanto era accecato dalla sua cocciutaggine ma questo non gli impediva di rimanere nelle sue vicinanze; qualcuno doveva pur assicurarsi che non finisse fuori babordo. Nel sistemarsi con movimento elegante il log pose, realizzò che c’era troppa calma lì attorno; una calma che stava regnando piuttosto a lungo.

“Sayuri, non possiamo stare con le mani in mano!” scattò Bonz alzandosi in piedi “In qualità di amici e compagni di Ace abbiamo il diritto di farlo ragionare ma se lui non ci ascolta a chi possiamo rivolgerci se non a te? Oh, ma sai che hai le mani ruvide? Mi sembri anche più abbronzata….”

I presenti erano troppo allibiti per di dirgli che la ragazza era dalla parte e che lui aveva preso le mani di un povero innocente che passava di lì per caso, ora scioccato dalle parole e indeciso sul da farsi. Non c’era niente da fare: senza occhiali, era perduto.

“Dì un po’ cugino, hai intenzione di continuare ad andare alla cieca per il resto della tua vita?” lo canzonò Don.
“Spiritoso!” borbottò il cuoco-cannoniere dirigendosi verso di lui. “Io ci vedo benissimo!”

Se lo smilzo parente non avesse disteso il braccio per fermare la sua camminata, con tutta probabilità Bonz sarebbe rotolato giù nella dispensa che stava dietro il loro tavolo.

“Si, vedi bene quanto una talpa. Mettiti gli occhiali se non vuoi finire a faccia in giù col naso rotto” gli consigliò lui secco.

Concluso quel teatrino quotidiano, la questione su come dissuadere Ace tornò a galla non appena uno dei compagni della ciurma dei pirati di picche si rivolse nuovamente alla giovane seduta vicino a loro.

“Sorella Yu-chan, col capo allora....?”
“State tranquilli. Lo conosciamo tutti abbastanza bene da sapere che non è una persona stupida e sono certa che sa quel che sta facendo, solo che non vuole che ci immischiamo perché è una sua faccenda personale. Quando si sarà calmato un po’, proverò a parlagli” promise sorridendo dolcemente.

Il problema però era SE si sarebbe calmato...

Non dubitava dell’intelligenza del suo capitano ma in quel frangente era pronta a scommettere che fosse l’istinto a guidare ogni sua azione e non il cervello. Era difficile da definire come situazione e per quanto fosse strano che fossero lì, vivi, su una nave nemica...aveva più paura che Barbabianca perdesse la pazienza con Ace che di finire a mollo in acqua insieme agli squali. Oramai era trascorso diverso tempo, abbastanza per far si che una comune rabbia si fosse ben sbollita ma Sayuri, dal profondo della sua coscienziosità, era certa e lo vedeva bene, che ciò che animava il ragazzo per cui provava un affetto smisurato era ancora lì, divampante come un incendio quale era lui. Aveva promesso ai suoi compagni di provarci ma lì non si trattava di trovare il momento giusto ma di prendere coraggio e di farsi sentire perché non esisteva un momento dove la sua determinazione fosse più debole di adesso.

“Sai, ero convinto che saresti andata dritta di filato a parlargli” le disse Don una volta in corridoio.
“In realtà sono stata tentata molte volte a farlo ma poi finivo sempre col ripensarci. Come hai detto tu, ora come ora non ascolterebbe nessuno”
“Vero. Ne ho viste di teste calde nella mia vita ma Ace le batte tutte. Quando si mette in testa una cosa è impossibile fermarlo; certe volte mi verrebbe voglia di mettere quella sua testaccia vuota sott’acqua e tenercelo quanto basta per rinfrescargli le idee ma tanto alla fine riesce sempre a uscirne vincitore e io faccio la figura del povero deficente. Sono portato a pensare che non è del tutto umano..” boffocchiò pensieroso.
“Significa che è molto tenace, non a caso è il nostro capitano. Tu lo conosci da più tempo di me, non dovresti meravigliarti di quel che può fare e non sei un deficiente”
“Si, si..comunque, tornando al discorso di prima, è tuo dovere parlarci” sentenziò con fermezza.

Nel dover fronteggiare l’irremovibilità di Don, a Sayuri fu sufficiente ripensare a come l’aveva guardata in particolare qualche minuto prima nella sala grande: con quei suoi occhi scuri che le dicevano chiaro e tondo “Ok, Sayuri: va e fa il tuo dovere” le aveva praticamente scaricato sulle spalle quel compito all’apparenza impossibile, dato il soggetto con cui doveva trattare.

“Potrei sapere il perché della tua scelta?” gli domandò garbatamente senza mai distogliere lo sguardo dall’amico.
“Perché per grazia divina non sono una femmina” fu la sua risposta.

La castana si fermò, rimanendo indietro di qualche passo rispetto a Don

“Prego?”
“Sto dicendo che tu, in qualità di donna, hai più possibilità di attirare l’attenzione di Ace con mezzi che se usassimo noi uomini sono certo sminuirebbero la nostra mascolinità; fai gli occhioni, sbatti le ciglia, scoppia a piangere, fagli le coccole, imploralo..che ne so! Voi femmine fate sempre così per convincere qualcuno a fare quel che volete”

La sua conoscenza sul mondo femminile rasentava l’inverosimile: si rifaceva sempre alla parte più subdola che una dolce creatura poteva sfruttare a suo vantaggio. Sayuri sbattè le palpebre come per dire che lei, su quell’atteggiamento che Don sicuramente aveva visto in molte altre sue simili, era completamente inesperta visto che mai aveva dovuto ricorrere a stratagemmi del genere e mai ne avrebbe fatto uso. Aveva avuto modo di osservare diverse donne più grandi e dotate di lei quando navigava nei mari che precedevano la grand line e nei loro movimenti e nelle loro parole aveva scorto l’inganno e la seduzione che mai avrebbe fatto uscire dalla sua bocca; forse erano il modo perfetto per abbindolare qualche povero allocco desideroso di trascorrere le sue notti con compagnie allettanti ma Sayuri si era sempre reputata abbastanza matura da riuscire a non ricorre a simili mezzi, anche perché lei sulle cosiddette arti seduttrici non sapeva nulla.

“Ti chiedo scusa Don ma non penso di poterti accontentare, non ne modo che mi hai appena suggerito; ho promesso di parlare con Ace ma lo farò nella maniera che riterrò più opportuna”
“Già, in effetti tu non sei esattamente quella che si dice una ragazza provocante. Ti avvicini di più ad essere una suora” la prese in giro ridendo.
“Non lo nego ma sono pur sempre la persona a cui hai chiesto aiuto” replicò per nulla offesa.
“E già me ne sto pentendo. Vedi di non vantarti troppo”
“Sai che non mi permetterei mai” e sorrise nuovamente

Il medico-cecchino mugugnò qualcosa di incomprensibile. Indubbiamente non poteva e mai avrebbe potuto metterla con le spalle al muro, quella era un’abilità innata di cui solo Ace era dotato. La sua enigmaticità la contraddistingueva da tutto la ciurma, era praticamente impossibile non domandarsi da dove provenisse e che cosa l’avesse resa così accondiscendente e pacata. Nel guardarla dalla testa fino ai piedi, dovette ammettere però, che nonostante non vestisse e non si comportasse come una femmina fatale, rimaneva pur sempre più bella di altre ragazze che non facevano che sfoggiare i loro corpi come fossero mercanzia di prima qualità; almeno questo glielo concedeva. Sayuri non era una stupida ochetta dalla stridula risata, era una ragazza intelligente, forte, giudiziosa, composta e calma. Una specie in via d’estinzione secondo il suo ragionamento pessimista. Senza contare che era un sua amica in fondo, con cui parlava apertamente, anche se a suo modo ed era certo che fra tutti quanti, lei potesse riuscire laddove loro avevano fallito visto che non ci voleva certo un genio per capire cosa ci fosse tra lei e il capitano.

 


Calma. Quiete. La tranquillità del mezzodì accompagnata da un cielo azzurro illuminato da un caldo e piacevole sole. Nonostante fosse una giornata così bella e placida, Sayuri nel guardare il largo ponte e in particolare il trono occupato da Barbabianca avvertiva un imminente tempesta all’orizzonte. Era rimasta sul ciglio di una delle tante porte e osservava minuziosamente quel ponte a più piani dove la gente parlava, lavorava e via dicendo. Quasi spinta dal vento, avanzò con i capelli che le ricadevano in avanti, rotando gli occhi in ogni direzione ma con discrezioni invisibile.

Non si vede. Ma dov’è?

Era già tanto dover vedere il ragazzo posseduto dal suo irrefrenabile orgoglio ma non sapere dove fosse di preciso le teneva il cuore in uno stato di sospensione tra la salvezza e l’oblio. Poteva attaccare in ogni direzione essendo all’aperto e questo la esortava a temere per la sua vita ancora di più. Mi converebbe parlargli subito, pensò camminando. Sarebbe stato più saggio fermarlo adesso che scommettere su un futuro incerto ma non riusciva a trovare le parole giuste e quando si sarebbe dovuta confrontare con lui voleva essere pronta. Non voleva solo chiedergli di smetterla perché sarebbe stata una richiesta inutile e vuota, voleva fargli capire qualcosa che si ricollegasse direttamente al suo orgoglio e che lo scuotesse abbastanza da farlo parlare con la verità in mano, non con la cocciutaggine; solo che per realizzare il suo obbiettivo doveva prima vedere di persona  fino a che punto il suo bel capitano fosse arrivato e la cosa richiedeva più pazienza del solito. Doveva vedere di persona e scandagliare nell’animo di Ace per poter cogliere le motivazioni che si nascondevano dietro a tanta determinazione e anche se alcune le aveva già scoperte, sentiva che le restanti su cui avrebbe dovuto lavorare con più forza di volontà erano ancora nascoste.

“Che cos’è quel faccino pensieroso, principessa?” le domandò Satch appoggiato al parapetto con le braccia conserte.

Senza aspettare una sua risposta la raggiunse.

“Preoccupata per il tuo capitano? Non devi impensierirti: papà ha la mano pesante, questo è vero, ma non hai mai ucciso nessuno che gli stesse simpatico”

L’espressione dubbiosa della giovane bastò come risposta. Se il suo era un tentativo di alleggerire il peso che le opprimeva sia la testa che l’anima, allora doveva fare di meglio perché il macigno in questione era più grande del mondo intero.

SBAM! CRASH!!!

Quel rumore di assi di legno e metallo che si piegavano e rompevano a una velocità vicina a quella della luce ormai era impresso nella mente di Sayuri in ogni sua forma e variazione. Nel voltarsi di scatto con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta seppe dove indirizzare la sua attenzione. Nonostante la scena si fosse svolta in pochi secondi, la mente della castana la ricreò nuovamente con un effetto rallentatore: vide un essere umano coperto da lingue di fuoco lanciarsi verso il trono occupato da Barbabianca e venire respinto verso il parapetto, spaccarlo e dunque finire in mare aperto.

“Che volo” fischiò il biondo.
“ACE!”

Sayuri non indugiò e prendendo la rincorsa da dov’era, saltò sul parapetto e si buttò in mare di testa prima di chiunque altro. La possibilità che la persona scaraventata fuori dalla nave fosse proprio Ace corrispondeva alla metà di quanto occorreva per ottenere la certezza piena ma visto che l’altra metà rimaneva un’incognita e che sulla nave non potevano esserci due uomini di fuoco, alla ragazza non occorreva stare lì a pensare su chi fosse o meno perché lei era sicura al 100% che fosse Ace.

“Ehi, è caduto in mare! Qualcuno lo vada ad aiutare!” esclamò un pirata affacciandosi all'oceano.
“La ragazza si è tuffata!”

L’impatto con l’acqua fredda dell’oceano investì bianco giglio con la stessa dirompenza di un masso scontratosi con un corpo in movimento ad altissima velocità. Aprì gli occhi e individuò subito il moro a poca distanza da lei. Stava affondando rapidamente, senza neppure avere la possibilità di reagire. Era risaputo che i frutti del diavolo offrivano poteri e abilità uniche a chi li mangiava ma ciò comportava un piccolo sacrificio: chi li ingeriva, perdeva automaticamente la capacità di nuotare. Un prezzo che diveniva relativamente molto alto se per gran parte della propria carriera di pirata si combatteva lungo i mari. Il corpo diveniva pesante e non rispondeva ai comandi, come fosse totalmente pietrificato e non si aveva la possibilità di impedirlo.
L’impotenza era orribile come sensazione, specie quando si era totalmente circondati da una massa fredda e immensa come l’oceano che rubava l’ossigeno come se potesse servirgli in qualche modo. Sayuri nuoto velocemente verso di lui e nel prendergli il polso gli fece passare il braccio intorno al suo collo e gli strinse la vita da dietro con l’altro braccio in modo tale da tirarlo su senza inutili sforzi. Cominciò a spingere con le gambe e in pochi attimi la sua testa e quella di Ace infransero la sottile barriera che divideva il mondo marino dall’aria di cui disperatamente il ragazzo necessitava.

“Principessa, afferrala!” gridò Satch

A pochi metri da lei, era stata lanciata una scala fatta di corde. Dovette lasciare il polso del moro per poterla afferrare e quindi venire issata insieme a lui; infilò il braccio in una delle aperture e arrotolò la corda intorno ad esso, per poi afferrarla con la mano e dunque assicurarsi una presa più che sufficiente a sostenere il peso di entrambi. Quando iniziarono a tirarli su, strinse più forte sia la corda che la presa che aveva su di Ace. La botta e il tuffo in acqua lo avevano ridotto in uno leggero stato confusionale che pian piano stava svanendo tra un colpo di tosse e l’altro.

“Indietro, lasciatelo respirare!”

Don era arrivato sul ponte seguito da Bonz e tutti gli altri; inginocchiato di fianco a Ace, insieme alla ragazza verificò rapidamente la sua salute e la diede per passabile. Il moro dal canto era suo seduto suo talloni,ansimante; come unico appoggio le mani erano poggiate sul ponte di legno e la testa era china, intenta a cercare di riprendere a respirare regolarmente.

“Tutto a posto Sayuri?” le domandò Bonz affiancandola.
“Si...” avrebbe voluto dire altro ma non sapeva bene cosa.

Era lì vicino a Ace e voleva dire qualcosa ma non ci riusciva. Sapeva che doveva farlo, non poteva aspettare che il suo capitano allentasse la presa perché non lo avrebbe mai fatto; le fu sufficiente porgere lo sguardo su Barbabianca, seduto sul suo gigantesco trono contornato da flebo e infermiere ,tra cui spiccava Maya occupata a scrivere ardentemente su una cartella. Nel scuotere dolcemente il capo bagnato e sospirando come se non ci fosse altro modo, scelse che era ora che lei facesse la sua parte e se Ace non l’avesse ascoltata l’avrebbe obbligato, seppur non fosse nel suo stile. Ma prima urgeva che si desse un’asciugata e che si cambiasse quei abiti che lasciavano travedere più di quanto lei volesse mostrare; non dava peso ai occhi che la guardarono di spalle mentre si dirigeva all’intero ma rivolse uno sguardo particolare a Don, uno sguardo di intesa.

Lo farò.


 

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Capitolo 29
*** Il momento di scegliere. Quando le parole contano più delle azioni. ***


Salve!scusate la fretta  e scusate al solito vari errori ma per tutta settimana ho avuto molto da fare e a brevissimo inizierò gli esami e ho giusto il tempo di postare (oramai sto per fare le ore piccole e non sarebbe un male ma sono così cotta che appena tocco il letto vado dritta spedita:per forza mi alzo alle sei per essere in biblioteca alle otto,senza contare le lezioni..)d’accordo,passando a voi.Al solito,ringrazio chi ha messo la storia nei preferiti: alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP- Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Seguiti: 13este-HimeChan-kei87-HUNTERGIADA-TopazSunset-happylight.Ricordata:Dance.Ovviamente sono ben ringraziati anche chi legge soltanto!

Maya90:cara!!complimenti per la resistenza,io all’una crollo ma spesso anche prima.Vuoi che Ace faccia arrabbiare Sayuri?uhm..si potrebbe fare qualcosina,vedrò di pensarci bene.Se riuscirò a creare un momento simile,farò di tutto perché sia epico:insomma,Sayuri arrabbiata..come minimo ci scappa l’apocalisse,ih ih ih!In realtà all’inizio non avevo bene idea su come gestire questo capitolo perché di certo non potevo far dire a Sayuri “fermati,ti stai comportando come un bambino”,no troppo semplice scontato e soprattutto non è nello stile della mia protagonista.Se avessi invece seguito il consiglio di Don,la ragazza si sarebbe presentata davanti a Ace e gli avrebbe detto “Ace,se mi prometti che non attaccherai più Barbabianca io ti farò tante tante coccole” (no,meglio di no.Sayuri non è una sicuramente quella che si direbbe una ragazza provocante,ma gliele farei volentieri io..ok,basta delirare!).Sul pezzo di Ace che parla di Roger rispondo di si,quello l’ho messo,come non potevo?ci vorranno ancora alcuni capitoli,non molti però si vedrà presto,promesso!è un pezzo che ha richiesto la mia particolare attenzione,come tutti (beh,si alcuni sono il mio orgoglio e non vedo l’ora di postarli) quindi vedrò di fare del mio meglio,come sempre.

MBP:Ma-chan!!si Ace a ogni fallimento si incavola come una bestia,per questo ritenta sempre più agguerrito e anche sei poi finisce in acqua (porrino!!!).Don poi,con il suo discorso ha detto tutto:la sua mentalità sulle donne sarà sempre di quello stampo e mai cambierà!si,Sayuri non è una femmina fatale,grazie al cielo altrimenti avrebbe già fatto impazzire il povero medico cecchino e sulla suora…beh un pochino è vero ma non ti preoccupare:insomma non si arrabbia mai:Yu-chan è fatta così ma chissà,qualcosa potrei inventarmi. (ah,ti perdona,sa che non stavi dicendo sul serio,o era Keyra?non importa,perdona anche lei).La scelta su chi dovesse riportare alla ragione Ace secondo chi poteva essere se non lei?la mia pupilla è unica e poi qualcuno deve dire “fermati”a quel cocciuto (ma sempre affascinante) di Ace.Se glielo dico io mi sa che mi ignora su tutta la linea.Va beh,comunque sono felice che Don faccia ridere (come sempre) e spero che questo capitolo ti piaccia:il discorso è stato più volte corretto quindi ora è arrivato il momento di vedere il risultato (quei pochi ritocchi dati velocemente perché di tempo ne avevo pochino).

happylight:oh,altro recensore,che bello che bello che bello!!!benvenuta carissima e grazie per aver scritto e per il fatto che ti piaccia la mia Sayuri!eh,lo so,non esiste una ragazza più tenera di lei,almeno in questa fict.Condivido pienamente la tua opinione su Teach:merita una morte lenta e dolorosa per quello che ha fatto ma se ti può consolare il bello di queste fict è che noi autrici siamo libere di non seguire la trama principale di one piece.Sei riuscita a intuire qualcosa di Satch ma per sicurezza non rivelo nulla;lui poi si è visto solo una volta e quindi ho pensato di dargli un ruolo di maggiore rilievo e qui posso sbizzarrirmi quanto mi pare.Per ora sto zitta,quindi dovrai pazientare per sapere (iihh,come sono cattiva..ok,mi fermo prima di perdere il senno della ragione)

giulio91:ti aspetti grandi cose?aah,mi sento onorata per la fiducia che riponi in me.Si,ho lavorato un po’ sul discorso di Sayuri (quel poco tempo che avevo e meno male che avevo scritto tutto in precedenza..) e mi auguro che possa piacere.Visto che Don la mandata in avanscoperta,deve fare un buon lavoro e io con lei.Don poi…ammetto che le ultime battute le ho aggiunte alla fine della correzione visto che mi sembrava troppo poco per lui ma non temere,lui ci sarà!grazie per informarmi dei tuoi aggiornamenti,mi fa piacere,così posso recensire prima (si,appena mi connetto) e leggere ogni tanto qualcosa di creativo,che mi faccia ridere o che mi faccia tenere col fiato sospeso!

Angela90:tesoro!ok,forse ho un po’ esagerato con Don ma questo è lo stile che gli ho dato e quando avevo finito di scrivere quella frase ho detto :”si è perfetta per uno come lui” e a quanto pare è stata ben apprezzata (effettivamente fare gli occhioni è una delle mie specialità,funziona che è una meraviglia ma il guaio è che ci casco anch’io se è qualcun altro a farmeli,specie la mia bellissima cugina dai grandi occhi azzurri).Satch è da tenere d’occhio perché ha quel sorriso innocente ma in realtà è una mente diabolica e la cosa darà qualche nervoso al moro;si,vorresti sapere di più ma ti tocca aspettare un momentino.Ogni cosa a suo tempo e io voglio fare le cose per bene altrimenti mi riesce tutto male.

 

Superati i quattrocento tentativi di uccidere il vecchio, la cocciutaggine di Ace pareva ormai essersi finalmente resa conto di stare sbattendo inutilmente contro un muro fin troppo duro anche per la sua testa calda. In verità ne aveva sfondati centinaia di migliaia e ancora era deciso a continuare anche a costo di spaccarsi il cranio ma evidentemente la parete contro cui stava facendo i conti adesso era più resistente delle sue precedenti. Attaccare il Re dei Mari era divenuto un riflesso automatico,completamente privo di logica e pieno di un’avventatezza che ogni giorno lo incitava a continuare anche se alla fine il risultato era sempre lo stesso ma non era il solo a provare: i suoi amici avevano provato a placarlo, col risultato di finire a fare gli spettatori. Tirò indietro la testa, poggiandola al legno con cui era stato costruito il parapetto: stare all’aperto, sotto quel mare fatto di aria e stelle che poi era il cielo era il solo modo per poter stare in pace con i suoi pensieri. La brezza marina e il silenzio della sera accompagnato dal leggero sottofondo delle onde che si scontravano con lo scafo della nave era rilassante abbastanza da fermare anche la sua impulsività, che fino a poche ore fa pareva essere indomabile.

“Riprendi fiato prima di ricominciare?” gli domandò una voce gentile e ben familiare.

La linea curva della bocca, che fino a quel momento era rimasta lievemente piegata all’ingiù, si alzò per trasformarsi in un mezzo sorriso. Sin dal suo risveglio sulla Moby Dick, Ace passava le sue notti su quel ponte, in cerca di qualcos’altro, che andasse oltre alle ore di sonno ristoratrici ma quando giungeva l’alba e apriva gli occhi, non trovava nulla che potesse tornargli utile.Vuoto totale, a parte un il nervoso dato dalla situazione. Inspirò con regolarità quell’ossigeno ricco di aroma salmastro mentre udiva i passi di Sayuri farsi sempre più vicini; sedeva nel solito punto, con una gamba distesa e l’altra piegata. La testa, da prima reclinata all’indietro per fissare un punto qualunque del cielo, ridiscese fino a focalizzare la figura della ragazza, inginocchiata davanti a lui con in mano un vassoio pieno di cibarie. La sua comparsa non poteva essere una coincidenza e se teneva conto del fatto di chi fosse, allora la sua presenza lì sul ponte insieme a lui non poteva che avere un solo e semplice fine.

“Hanno mandato te perché sanno che ti ascolterò?” le domandò Ace senza quel suo sorriso sghembo e ironico,sostituito da una voce ben poco propensa a scherzare e tenendo sempre il cappello calato sugli occhi. Gli era sempre tornato utile per nascondere qualcosa che preferiva tenere per sé.
Sayuri alzò le sopraciglia sorridendo “In sostanza è ciò di cui sono più certi ma l’aver chiesto il mio aiuto tempo addietro mi ha vista costretta a rifiutare la richiesta dato che già sapevo che non mi avresti ascoltata” rispose con calma eloquente.
“E che cosa ti fa pensare che adesso, per non starti a sentire, io non mi alzi e non me ne vada?” la provocò con serietà guardandola dritta negli occhi stavolta.

Le era stato chiesto quella stessa mattina di provare a parlare con Ace ma in realtà lei aveva già notato da tempo dei segnali che lasciavano intendere il volere di tutta la ciurma dei pirati di picche, solo che lei non era certa di volerlo fermare e il fatto che fosse lì non era tanto per riportare un po’ di lucidità nell’animo del signore delle fiamme ma più che altro per esprimere una sua opinione sulla situazione e voleva, desiderava che almeno su quel punto Ace la ascoltasse, anche se la stava guardando con occhi pieni di sfida, arrabbiati.

“Per il semplice fatto che tu già mi stai ascoltando e anche rispondendo. Inoltre, ti ho portato la cena” rispose con quel sorriso che avrebbe potuto benissimo perforare un’armatura di algamatolite e mostrando il vassoio al suo fianco pieno di cibarie calde, molto invitanti per uno stomaco stato a digiuno per diverso tempo.
“Uno a zero per te” le concesse il moro tornando a fissare il vuoto.

Era consapevole che il suo cattivo umore lo aveva distanziato a tempo interminato dagli altri come fosse un lebbroso. Raddrizzando la schiena, si staccò così dal parapetto per poi sistemarsi il cappello in modo da vedere nitidamente quel volto dall’innocenza disarmante contro cui non poteva vincere. Tornò a guardarla, pronto a elargire le spiegazioni che lei sicuramente avrebbe preteso ma la coetanea non aprì bocca, stette lì a fargli compagnia, senza nessun desiderio di conoscenza negli occhi. Per quanto gli riguardava, Ace poteva anche rimanere zitto per tutta la notte ma sarebbe servito a qualcosa se già era certo che la ragazza puntualmente si sarebbe ripresentata la sera successiva? No, non sarebbe cambiato nulla. Lei sarebbe arrivata e come ora, gli avrebbe fatto compagnia senza pretendere nulla, come per dirgli che non voleva nulla ma che era ben disposta ad ascoltarlo se voleva, permettendo che quel silenzio scivolasse via come l’acqua dal vetro.

“Sto facendo la figura dello stupido” mormorò alla fine più a sé stesso che a lei.
“Uhm..avventato è più corretto”
“Se qui per chiedermi di smetterla?” domandò lui, arrivando subito al nocciolo della questione.
“Non ho mai detto di essere venuta qui per questo motivo. Volevo assicurarmi che tu non saltassi i pasti: attentare alla vita di una persona come Barbabianca richiede molte energie, non credi?” e gli sorrise nuovamente.

Nel guardarla come se fosse un’aliena, Ace non capì se si stesse prendendo gioco di lui  oppure fosse realmente seria: la conosceva fini troppo bene e sin da quando era divenuta un membro della suo equipaggio, mai aveva improntato conversazioni che contenessero battute o frecciatine. Proclamava ogni suo pensiero senza mai essere volgare o infantile, mostrando ogni volta le sue idee e le sue opinioni senza mai imporle a qualcun altro. Se mai fosse capitato che Sayuri divenisse spietatamente autoritaria e inflessibile o che semplicemente si fosse arrabbiata come tutti gli altri comuni mortali, la cosa avrebbe sconvolto l’intera ciurma, tanto da lasciarli a bocca aperta, eppure al momento il moro non aveva modo di replicare perché non capiva dove lei volesse portare la conversazione.

“Trovi insensata la mia battaglia personale?”
“Trovo perfettamente normale che un pirata cerchi di sconfiggere un suo simile, anche se il campo di battaglia rischia di colare a picco insieme agli spettatori”

Era evidente che il suo voler esprimere la propria opinione sulla situazione era più importante che dargli una risposta certa invece di girarci intorno. Quell’insolito sarcasmo fece scappare al ragazzo un sbuffo che tuttavia non produsse alcuna risata. Quando nuovamente cercò il suo sguardo e lo trovò, percepì quel lieve irrigidimento  nei occhi color cioccolato di lei; doveva davvero avere un espressione ferma e grigia per suscitare nella ragazza un emozione derivante ma con molto meno potere incisivo, del timore. Le ombre che nascevano per via della luce lunare che illuminava ogni singola parte esterna della Moby Dick giocavano ad allungarsi, a rincorrersi, a restringersi e anche a contorcersi in tutte le loro forme ma nonostante ciò, l’ombra che oscurava parzialmente il viso di Ace era immobile. Esattamente come quella di Sayuri, rilassata, in attesa della prossima domanda.

“Vuoi che smetta, Sayuri?” le domandò nuovamente.

La ragazza socchiuse gli occhi volgendoli verso le mani, per poi chiuderli come fosse un gesto per raccogliere le parole e spezzare l’esitazione che si stava accingendo a farla vacillare. Li riaprì lentamente, come l’alba che silenziosa scacciava la notte, con la gola libera e la voce limpida come l’acqua.

“Sayuri”
“Che cosa vorresti sentirti dire di preciso, Ace? Che attaccare Barbabianca con sconsideratezza non serve a nulla? Che è inutile che ci provi ogni giorno? No, non è questo quello che penso” cominciò lei con una mano poggiata all’altezza del cuore “Ho capito che questo pirata non può essere battuto e non si lascerà mai battere da chiunque voglia prendersi la sua testa. Poteva ucciderci e invece ci ha risparmiati. Il perché io sia rimasta in disparte per tutto questo tempo dipende dal fatto che non avevo alcuna ragione per fermarti, perché capivo che il tuo sogno era minacciato da un ostacolo davvero difficile da superare, però....” esitò per qualche istante “Ciò significa che non fossi...che non sia preoccupata per te. Continuo a temere che prima o poi questo imperatore possa perdere la pazienza e che decida di fare quel che non ha fatto al santuario di Fisher Tiger. Temo soltanto questo.”

Non stava dicendo di aver paura, non così tanta almeno e non lo stava neppure supplicando di interrompere la sua lotta contro il più anziano degli imperatori; lei voleva capire  che cosa ci fosse dietro a tutta quella ostinazione. Comprendeva il bisogno di difendere il proprio sogno, comprendeva che per Ace accettare la sconfitta e lasciar perdere come se niente fosse era qualcosa di vergognoso quanto la sottomissione ma la sola cosa che gli sfuggiva e che voleva farsi sentire dal ragazzo, superava di gran lunga tutte quelle domande e le riuniva attorno al fulcro dove si nascondeva una ragione che neppure lui stesso riusciva a spiegare. Bastò che il moro guardasse e osservasse quei occhi carichi di apprensione e quel gentile sorriso che gli chiedeva soltanto di fidarsi, come lei stava facendo con lui. Sayuri aspettava ed era venuta lì perché ora lui poteva rispondere a quella domanda a cui prima non era stato in grado di rispondere.

“Sayuri, cos’hai provato quando hai capito che non eravamo più sulla nostra nave?” le domandò con serietà laconica.
“Confusione..stupore per l’essere ancora viva”
“Io rabbia e anche vergogna” non nascose, calcando bene le parole “E ne provo ancora, solo che non riesco a indirizzarle dove voglio. Prima riuscivo vedere chiaramente cosa volevo e non mi importava contro chi cercassi di prevalere ma ultimamente, a forza di guardare queste persone, mi sembra che ogni mia azione cada nel vuoto. Ci sono così tante cose che non capisco, che mi appaiono insensate ma al tempo stesso non ignorabili e anche solo il fatto di essere ancora vivo, mi fa pensare che magari quello che ha detto il vecchio è vero: la mia ora non era ancora giunta”
“Ma non riesci ad accettare queste parole come fossero un’opportunità, vero?”
“No, e mi pare di averlo dimostrato più volte. Una sconfitta rimane pur sempre una sconfitta”
“Questo è vero ma è anche l’occasione per potersi migliorare e tu hai la possibilità di scegliere se rimanere o andartene”

Era vero.
La loro permanenza sulla Moby Dick dipendeva dalla decisione del capitano dei pirati di picche, che era lui. Barbabianca aveva posto sul tavolo delle trattative la sua offerta e ora stava solo a lui scegliere quale rotta seguire; declinare con un “no” definitivo e andarsene oppure restare e portare il nome dei Re dei Mari sulla propria schiena e far valere il suo nome più di quanto lo fosse ora. Non poteva chiedere a nessun’altro di prendere questa scelta al posto suo, anche se dentro di sé, un po’ lo desiderava. L’incertezza che lo stava spingendo a pensare, a riflettere su ogni particolare di quella situazione gli stavano ponendo il tutto con mille prospettive: sarebbe cambiato qualcosa se avesse detto no? La sua vita e quella della sua ciurma sarebbero state le stesse se avesse deciso di tornare a navigare come se non fosse successo nulla? Avrebbe tanto voluto trovare le rispose anche per quelle domande.

“Non ho idea di come comportarmi” ammise calandosi il cappello sui occhi.
“Non c’è una scadenza per decisioni del genere. Prenditi il tempo che ti serve e non preoccuparti di come andranno le cose. Siamo pronti a seguirti come abbiamo sempre fatto” gli disse sicura che anche gli altri gli avrebbero detto ma stessa cosa.
“Questo lo so, anche se devo ammettere che come disciplina lasciate un po’ a desiderare visto che vi avevo chiesto di andarvene e invece siete rimasti” boffocchiò alludendo alla sua scelta di battersi da solo con l’imperatore.
“Oh, ma questo è comprensibile se il nostro capitano fa di testa sua” ridacchiò lei.

Implicitamente, gli aveva appena detto che lui era il più cocciuto di tutti; nel sentirsi amorevolmente preso in giro, Ace avvicinò rapidamente il suo volto a quello della castana che, sotto ogni previsione, si imporporò per benino. La sua intenzione di prendersi una piccola rivincita, mettendola con le spalle al muro come solo lui sapeva fare era qualcosa che sempre gli avrebbe dato una piccola grande soddisfazione e che mai l’avrebbe stancato. Quando poi riusciva a coglierla di sorpresa, era sicuro che lei non sapesse come uscire da quel cunicolo dove lui l’aveva voluta portare ed era lì che Ace si divertiva a stuzzicarla per far si che quel suo grazioso viso arrossisse unicamente per lui.

“Sai che è maleducazione prendere in giro il proprio capitano? Potrei anche offendermi...” le soffiò rocamente, con quel suo sorrisetto tipicamente furbesco.

Sayuri ritrasse la testa di qualche centimetro richiamando il sangue dentro di sé e lasciando che le guance tornasse di un colore chiaro. Erano così vicino che poteva vedere senza problemi ogni lato di quello spruzzo di lentiggini che conferiva al viso di Ace un aria pestifera e al coltempo innocente. Un peste a cui lei voleva tremendamente bene. Ormai aveva imparato a coglierla di sprovvista ma lei non voleva lasciarsi assuefare così velocemente,almeno non quando non si sentiva definitivamente con le spalle al muro: il suo impeccabile controllo delle emozioni non era nulla di calcolato, freddo o meccanico, era naturale, insito in lei sin dalla nascita ed era in grado di gestirlo con la stessa influenza che aveva sulla sua stessa volontà.

“Non ti volevo offendere” gli disse ponderata ma senza smettere di sorridergli “Ho solo espresso la mia più sincera opinione, come ho fatto per tutto il resto. Se ti ho offeso ti chiedo scusa”

Anche se aveva ripreso maggior parte del controllo, un vago rossore era rimasto laddove prima si era accumulato e i suoi occhi,un poco più lucidi del solito, non avevano smesso di guardare quelle iridi nere dal potere magnetico. Ace si ritrasse soddisfatto di quel che era riuscito a provocare: il viso di Sayuri che si tingeva ogni qualvolta lui pigiasse il giusto tasto era a dir poco che impagabile. D’accordo, non era giusto approfittarsi così di lei ma non poteva fare a meno di quelle piccole vittorie, non da quando lei occupava gran parte dei suoi pensieri.

“Quello che dovrebbe chiedere scusa sono io” continuò nel riprendere il filo del discorso e la fermezza “So di avervi ignorati. Mi sono lasciato trasportare dalla rabbia” non stava cercando di discolparsi o di giustificarsi.

Sbattè le palpebre nel sentire la tiepida mano di Sayuri toccargli la spalla.

“Va tutto bene Ace. Ne sei consapevole è questo è già un bel passo avanti, però ora non credi che sia il caso di trovare la risposta che cerchi?”

Fu la sua ultima domanda prima di lasciarlo da solo a riflettere. Nuovamente a tu per tu con i propri pensieri, Ace si ritrovò ad annui sospirando:lei non poteva colmare le lacune create dai tanti quesiti, non poteva dargli la madre di tutte le risposte che gli avrebbe permesso di vedere il resto di quel quadro incompleto ma se non altro era stata in grado di fargli avere tra le mani ciò di cui necessitava e a cui voleva dare fondamento, senza contare che ora la quiete dentro di lui scorreva come il sangue nelle vene. Era contento di aver parlato con la castana, lei sapeva sempre ascoltare e aprire nuove parti di lui, parti di verità che parevano essere scontate ma che in realtà era più importanti di quelle che considerava primarie. Niente era inutile, ogni cosa aveva un piccolo valore. Si passò una mano fra i capelli corvini. Doveva riflettere ma con più lucidità e coscienziosità.D’altronde, se lui cercava una risposta, Barbabianca ne stava aspettando a sua volta una da lui.

“Guarda che se non mangi, si raffredda tutto” lo avvertì una voce dall’alto.

Ace non fece in tempo a levare gli occhi all’insù, che la figura di Marco piombò sul ponte con eleganza e senza emettere alcun rumore. La camicia bianca aperta lasciava intravedere il vessillo rosso di Barbabianca disegnato sul torace. Ora che ci pensava bene, da quando si trovava a bordo della Moby Dick, Ace non aveva rivolto molte parole alla ciurma ancora nemica, anzi, escludendo il mandare al diavolo Satch, si era astenuto dal fare amicizia.

“Allora, hai preso una decisione?” gli domandò con le mani infilate in tasca.

 Il moro lo guardò per un solo istante con occhi torvi ma poi placò quel crescente moto di ilarità per guardare il pavimento di legno. Nessuno di chi voleva poteva dargli ciò che cercava perché era qualcosa che solo un estraneo, un appartenente di quella nave, poteva dargli. E visto che il comandante della prima flotta era lì...

“Perché lo chiamate padre?”
“Uh?” la testa ad ananas lo guardò con cipiglio interrogativo.
“Perché chiamate padre Barbabianca?” ripetè.

Il biondino aggrottò le sopraciglia, come se quella domanda non potesse contenere una risposta più ovvia e scontata. Quasi dimenticava che Ace stava cercando accoppare il vecchio in tutti i modi possibili ed esistenti al mondo ma il sentirsi domandare perché il più anziano dei quattro imperatori venisse addirittura chiamato padre dai suoi stessi uomini meritava di ricevere una spiegazione tanto semplice quanto preziosa. In molti non capivano, in molti trovavano assurdo il legame che si creava tra capitano e ciurma, però il loro si poteva definire diverso. Si poteva definire un legame più vincolante di quello di sangue, intriso di devozione e affetto che si rafforzava man mano che passavano il tempo insieme, fra una battaglia e l’altra, tra risate e momenti dove il sostegno della famiglia era più importante di qualsiasi altra cosa. Loro avevano imparato ad apprezzare quell’ottica e ad affezionarci, quindi andava bene così.

“E’ perché lui ci tratta come se fossimo i suoi figli. Noi siamo considerati dei mostri, nessuno ci vuole e lui, considerandoci la sua famiglia, ci rende felici di quel che siamo” rispose con un lieve cenno di sorriso.

Per quanti posti ci fossero al mondo, nessuno sembrava ben disposto a ospitare o ad accettare chi poteva minare la tranquillità altrui. Tanta era la terra inesplorata e tanta era la gente che rivendicava sua quell’isola senza neppure conoscerne le origini. Tante erano le persone che si sentivano sperdute nel loro stesso oblio e che non sapevano bene dove indirizzare i loro occhi senza doverli chiudere. Tanti erano i pirati che si sentivano inadatti,ma su quella nave, simile a una enorme casa galleggiante, avevano trovato una seconda possibilità, come se la prima fosse andata sprecata con la loro stessa nascita. La semplicità di quella spiegazione seppe disarmare Ace, tanto da fargli mordere il labbro inferiore per il non esserci arrivato prima. La risposta era cruda, priva di fronzoli, tanto lampante quanto la sua stupidità per non aver aperto di più gli occhi e osservare come quei uomini interagissero con quel vecchio dai folti baffi.

“Non puoi rimandare in eterno” continuò il comandante della prima flotta “Lui aspetta solo che tu gli dica si o no. La scelta è tua”

Ace abbassò la testa. Già, come dimenticarsene....

Ora che aveva ottenuto quel che cercava, anche la sua scelta si era concretizzata e per quanto all’inizio sarebbe apparso assurdo, sia ai suoi occhi che a quelli dei suoi amici, col tempo avrebbero capito. Tornare a navigare come prima non sarebbe stata più la stessa cosa perché l’aver incontrato chi si prefiggeva di sconfiggere l’aveva stravolto in ogni senso. I suoi assalti erano il frutto di un’azione a doppio taglio; il voler portare a compimento quello che non era riuscito a fare al santuario di Fisher Tiger nascondeva il desiderio di capire il perché di quell’intesa che aleggiava sulla nave e perché pian piano, lui stesso non potesse fare a meno di pensarci costantemente. Quel domandarsi l’aveva portato a parlare con Sayuri e poi, finalmente, a comprendere che era arrivato il momento di dare una bella svolta alla sua esistenza e anche a quella dei suoi compagni, che confidavano nella sua decisione, almeno così sperava. Alzandosi in piedi e superando un sorridente Marco, si diresse verso l’interno della nave guardando sempre dritto davanti a se. Ora aveva scelto e non poteva tornare più indietro.

Si può solo andare avanti. Pensò davanti alla porta della stanza del capitano.

 


 

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Capitolo 30
*** Finalmente pace.....o quasi. ***


Eccomi qua,con un capitolo molto più lungo del solito!ho unito due parti in uno che perché la prima mi è parsa un pochino povera e per questo ho anche rimpicciolito il carattere per non farlo sembrare troppo pesante.Forse dopo questo staccherò un’attimino,per dare più tempo agli esami,vedrò se riesco a gestire il tempo con adeguatezza (spero di si ma non è detto).Prima di lasciarvi al seguito,ringrazio chi ha messo la fict nei preferiti: alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP- Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Nei seguiti: 13este-HimeChan-kei87-HUNTERGIADA-TopazSunset-happylight.E ricordata:Dance.Un gran saluto a tutti quelli che poi si limitano a leggere soltanto,sono sempre benvoluti!.

Sachi Mitsuki:ah,la mia piccola Sachi!!il computer ti ha abbandonato?!tragedia!!!!anche io ci sono passata e non è stato il periodo più roseo della mia vita.Tieni duro e non sbattere la testa contro il muro (fa male,lo garantisco) e non preoccuparti per le micro-recensioni;la sola cosa che mi interessa è che questa fict piaccia,nulla più!

MBP:Ma-chan!si,finalmente il nostro bel fiammiferino si è deciso;inutile negarlo,noi ragazze sappiamo come calmare i bollenti spiriti di certe persone.Ho unito due capitoli perché il trentesimo da solo rendeva pochissimo e poi mi andava di essere ancora più buona.Marco era d’obbligo anche perché era una delle scene che mi è piaciuta maggiormente del veloce flashback di Ace.Adesso posso iniziare a sbizzarrirmi ancora di più e infatti ho giust’appunto iniziato da questo capitolo,ih ih ih!

Giulio91:magistrale il capitolo?e poi sei tu quello che si emoziona per i complimenti!che dire,prendere Ace per la gola (anzi per lo stomaco)si è rivelato uno stratagemma semplice ed efficace ma non credere che senza Sayuri non sarebbe riuscita a parlarci comunque.Tanto si sarebbe ripresentata la notte successiva e quella ancora fino a quando l’adorabile testone non avesse ceduto.Zitta zitta lei aspetta.Non sono un’esperta in queste cose,come prendere la gola per gli uomini si intende,non sono neppure fidanzata ma conosco alcuni polli e di tanto in tanto osservo,non dico altro.Ora si avrà un po’ più da fare e qui anch’io dovrò fare del mio meglio per rendere questi capitoli ancora più avvincenti (e la montagna di lavora si alza ancora di più) ma  ho iniziato e ormai è tardi per tornare indietro,ancheh perché qualcuno mi taglierebbe la testa!

happylight:tesoro!!visto che Sayuri ce l’ha fatta?chi altri poteva riuscirci se non lei,la mia pupilla?ti dirò la questione della famiglia e del legame che si viene a creare in questa ciurma è un aspetto importante per la mia fict,ci tengo molto anche perché è per questo che Barbabianca mi è simpatico:non mi interessa se è il più forte del mondo o via dicendo,mi piace perché dietro a tutta la sua immagine c’è semplicemente un uomo che mira ad avere una famiglia con cui navigare felicemente per il resto della sua vita.Al diavolo il one piece!(qualunque cosa sia;non ho nulla contro questo coso ma al momento le mie preferenze sono altre).Sono felice che questa fict ti stia piacendo,mi auguro possano piacerti ancora di più i prossimi capitoli!

Maya90:Mayuccia mia!!davvero i miei capitoli sono così belli?sniff (si commuove).Whaaaaa,sto per piangere,lo sooooo!!!!Dico subito che non c’è il dialogo col bianco:ho provato a scriverlo ma mi occupava troppo spazio e mi cambiava diverse parti di alcuni capitoli successivi,così sono tornata all’idea iniziare,spero ugualmente che piaccia (sta già pregando tutti i santi possibili).Sayuri ha fatto il suo dovere e anche Marco e adesso possiamo anche dare inizio alle danze!!ora che sono ufficialmente dei pirati di Barbabianca,si avrà un bel po’ fare e credimi qui,mi sono sbizzarrita tantissimo.Come?leggi e vedrai…Si,si il tema della famiglia è uno dei miei preferiti,anche se la discriminazione è stato il mio primo punto di ispirazione:Sayuri l’ho posta proprio sotto questa luce perché ho fatto caso che spesso questo tema si salta fuori ma poco e quindi volevo dargli una mia immagine personale.Ho visto tanti passati tristi,Nami e Chopper mi hanno fatto piangere.

 

 

Nel dire “Si”, Ace aveva ufficialmente proclamato la sua decisione di entrare a far parte della ciurma di Barbabianca e con lui, tutta la sua ciurma.
Era stato diretto, non aveva chiesto chiarimenti o quisquiglie del genere; se mai si fosse soffermato su qualcosa, probabilmente un qualche argomento dalle opinioni opposte, sarebbe saltato fuori e allora le belle parole di Sayuri, l’aggiunta di Marco e la sua riflessione al riguardo si sarebbero andate a fare benedire ancor prima che il sole sorgesse. Aveva dato la sua risposta e si era sentito a posto con sé stesso. Quella stessa notte aveva dichiarato il suo volere al vecchio e lo stesso Marco gli aveva tatuato il vessillo del Re dei Mari sulla schiena; era libero di non farselo ma Ace era un uomo di parola e ciò che prometteva, manteneva. Quel suo nuovo tatuaggio simboleggiava il suo voler dire che mai e poi mai si sarebbe guardato indietro. Aveva provato una strana sensazione di smarrimento mentre il nuovo compagno gli bucava la pelle con l’ago; dall’essere il capitano dei pirati di picche al diventare uno dei tanti figli del vecchio vi era come un salto ne vuoto, dove tutto veniva inibito e il fondo pareva non esistere. Parole, pensieri ed emozioni divenivano bianche e grigie, perdevano il loro colore per poi assumerne dei altri, nuovi e mai visti. La sua decisione non riguardava soltanto lui ma anche coloro che per tanto tempo lo avevano accompagnato per mare e visto l’esito di quel breve dialogo avuto poco più di due ora prima, non potevano che mandare giù il boccone. Anche adesso che camminava lungo il corridoio che portava in una delle tante aree della nave, rimuginava sul cosa fosse più corretto dire: ad ogni passo il legno color corteccia delle assi scricchiolava leggermente. In teoria, avrebbe dovuto informare i ragazzi di mattina visto l’ora ma più camminava, più la voglia di fermarsi e tornare indietro diventava incalzante.

Mi sento un cretino. Un’idiota!

Alla fine si era fermato, passandosi più volte la mano sul viso.

“Cosa vedono i miei occhi: Pugno di Fuoco in preda all’esitazione”

Quella parlantina sorpresa, condita di ironia passiva non poteva che essere di una sola persona: Don stava a pochi metri da lui, con la schiena appoggiata alla parete, le braccia conserte e quel suo bislacco sorriso incurvato all’insù. Doveva essere lì da un bel pezzo, perché Ace notò che le occhiaie dell’amico era più marcate del solito.

“Non mi dire che ti stai arrovellando il cervello per il dover dirci che non stiamo più ai tuoi ordini perché tanto già lo sappiamo” lo informò “Quindi rilassati”

Senza volerlo, il medico-cecchino gli aveva tolto un gran peso dallo stomaco perché le parole per dare un senso logico ai suoi pensieri, proprio non ne volevano sapere di uscire e unirsi in un discorso sensato.

“Lo ammetto, non mi aspettavo che scegliessi di unirti alla sua ciurma. Dopo trecento e passa tentativi, credevo avessi ancora energie da vendere” ammise l’uomo dall’inseparabile berretto grigio.
“Ho riflettuto attentamente sulla situazione. Niente di più”
“Ah si? Io ero convinto che ti fossi fatto convincere da qualcuno a cui rivolgi sempre un occhio di riguardo”
“Sei geloso?” lo punzecchiò il moro.
“Tsk, della santa? Figuriamoci!" borbottò con voce schifata “Solo che non trovo giusto queste tue preferenze. Potevi ascoltare anche noi invece di mandarci tutti al diavolo” brontolò incrociando le braccia.
“Lo avrei fatto se aveste tentato di più invece di mandare in avanscoperta lei” replicò il moro.

D’accordo, stavolta il punto della vittoria se l’era aggiudicato Ace. Era fin troppo evidente che la ragazza era stata inviata come ambasciatrice di pace da tutta la ciurma, visto che loro avevano miseramente fallito. Un po’ gli seccava la cosa; insomma, mandare la castana in prima linea per fare cessare il maremoto da lui creato sapeva un pò di vigliaccheria, come se lei fosse un capro espiatorio ma d’altro canto, era vero che non aveva dato retta a nessuno se non a Sayuri. Aveva atteso il momento più propizio e poi,se doveva essere sincero, contro di lei non poteva vincere. Lui e il suo orgoglio, la sua rabbia, non avevano il coraggio di inveire contro di lei, che non aveva fatto altro che aiutarlo a vedere la vicenda con più ampiezza cosicchè trovasse la risposta a tutti i suoi quesiti.

“Come l’hanno presa i ragazzi?”
“Uhm...un pochino dispiaciuti ma non vogliono tagliarti la testa se è questo che pensi. Ci vorrà un po’ di tempo per abituarsi all’idea di non essere più la ciurma dei pirati di picche, ma non per questo ci dimenticheremo chi eravamo prima” e ammiccò un mezzo sorriso.

Quella prospettiva era più digeribile di altre; non era la fine ma solo il continuo di una storia che aveva preso una piega del tutto inaspettata. Ciò che era stato costruito con tanta determinazione non si sarebbe sgretolato in tanti pezzi,ne sarebbe crollato come un castello di carte: avrebbe contribuito alla realizzazione di un sogno di un suo simile, solo più grande e più bravo a menar le mani. Non significava che doveva chiudere in un cassetto le sue ambizioni, ne dimenticarle. Anche se non mirava più all’essere il Re dei Pirati, poteva ugualmente ambire ad essere un pirata ancor più temibile di quanto non fosse ora. Non era che un titolo, un soprannome quello del Re dei Pirati e lui, nel profondo, desiderava più ad avere una vita piena di emozioni che durassero a lungo e di cui potesse essere protagonista. Se servire Barbabianca era il suo destino, allora lo avrebbe accettato e avrebbe dimostrato ugualmente di che cosa era capace. Senza contare, che lui e Rufy da piccoli si erano fatti la promessa di rincontrarsi un giorno, quindi non aveva alcuna intenzione di farsi superare dal suo fratellino con tanta facilità.

“Va bene, direi che a questo punto si può anche andare a dor....ahia! Che cavolo...?!”

Tutto si era svolto nel giro di cinque secondi; Don si era girato, pronto a incamminarsi lungo il corridoio per andare laddove i suoi compagni dormivano ormai da diverse ore e inavvertitamente era andato a sbattere contro qualcuno che veniva dalla biforcazione dei due corridoi. Il medico-cecchino era caduto sul sedere senza neppure aver quei pochi secondi per mantenere l’equilibrio.

“Sta attento a dove metti i piedi! Potevi farmi cadere la crostata!” lo ammonì una voce pesante e piuttosto seccata.

Sistemandosi in fretta e furia il berretto, Don alzò di impeto la testa per vedere contro chi o cosa fosse andato a sbattere, seguito da Ace; era un uomo, più alto di loro, dalla corporatura massiccia, col petto e la pancia coperti da una consistente peluria nera, parzialmente oscurata da una camicia bianca aperta. Il viso rispecchiava alla perfezione il classico esempio di pirata vecchio stampo, quello che veniva sempre utilizzato per raffigurare i bucanieri sui libri di favole: occhi piccoli, capelli neri, incolti, ricci, coperti da una bandana, un naso dalla gobba pronunciata e una bocca malcurata con diversi denti mancanti. La pelle abbronzata era ben evidente nonostante sul viso spiccasse un cenno di barbetta che copriva tutto il mento fino a fermarsi agli zigomi. Era più grosso di Bonz, questo lo si poteva ben vedere e a giudicare dai lineamenti spessi e rozzi, doveva avere all’incirca sui quarant’anni. Inevitabilmente, il medico-cechino lo guardò malissimo.

“Sai che disgrazia..” boffocchiò alzandosi in piedi. “Chiedere scusa, no?”
“Ehi pivello, mi sei venuto tu addosso perciò quello che deve pretendere delle scuse sono io” replicò l’omaccione con una sorta di ringhio nella voce.
“Smettetela” li rimproverò Ace tirando indietro l’amico per il braccio.

Ci mancava che adesso fosse il medico-cecchino a creare scompiglio. Nel sentire la sua ostinazione spegnersi e allentare la tensione che gli avvolgeva il corpo, sciolse la presa che aveva sul suo braccio; anche quel misterioso uomo avente la crostata in mano si placò, ritirandosi indietro di qualche passo ma senza mancare di guardarli con un che di indagatorio negli occhi.

“Non è un po’ tardi per lo spuntino di mezzanotte?” domandò Don adocchiando il dolce.
Quello per tutta risposta sbuffò, indignato “Una crostata di ciliegie è troppo buona perché possa essere mangiata solo in certi orari. Di queste prelibatezze potrei mangiarne anche più di cento, zehahahahahahaha!!!”

Nel volgere l’attenzione sul dolce in questione, la sua voce e anche i muscoli del viso si erano ammorbiti. Sembrava avere una vera passione per quel genere di torta, tanto da farlo distrarre da qualunque cosa stesse facendo, anche da un Don che sembrava sul punto di continuare il discorso ma senza l’ausilio esplicito delle parole visto che stava venendo beatamente ignorato, anzi decisamente considerato inferiore a uno stupido dolce stracarico di zuccheri. La fortuna voleva che non fosse una persona le cui molle della pazienza saltavano al primo sbalzo d’umore, quindi acquietò l’acquietabile e si ricompose, pronto per andarsene a dormire, altrimenti quella pietanza l’avrebbe spalmata sul grugno contorto che poi era il muso di quell’omaccione.

“Sono troppo stanco per mettermi a discutere” borbottò superando l’estraneo “Vieni anche tu, Ace?”
“Si”
“Ah! E così tu sei Ace!" esclamò lui mandando giù un’intera fetta di crostata “Non ti avevo ancora visto! Io sono Teach, della seconda flotta!” gracchiò guardandolo con la testa rivolta all’indietro.
“Piacere di conoscerti” gli fece di rimando il ragazzo alzando il cappello.
“Piacere mio e benvenuto tra noi, zehahahahaha!!!” e se ne andò per la sua strada, continuando a mangiarsi avidamente quel che rimaneva del dolce.
“Finirà per rimanere completamente sdentato se mangia tutto quello zucchero. E potrebbe anche morire” fece Don guardandolo di traverso.
“Da come l’hai detto, sembra quasi che tu ci stia sperando” affermò Ace.
“Le mie sono semplice e lampanti osservazioni mediche ma se ci rimette qualcosa non me ne dispiacerò affatto” specificò quello.

Il moro sbuffò divertito. Conosceva soltanto il nome di quell’uomo imponente ma per Don  era più che sufficiente per detestarlo come fosse un nemico di vecchia data.

“Un medico che augura la morte a qualcuno non è molto coerente col giuramento che ha prestato” lo canzonò.

Chiunque esercitasse la professione medica doveva rispettare il giuramento dei medici come fossero parte di sé: il giuramento di Ippocrate fungeva da autorizzazione e limitazione in certi ambiti dove alla medicina era vietato mettere piede. Molti erano i punti che lo costituivano, come curare con impegno e dovere chi ne avesse bisogno, mettere le proprie conoscenze al servizio della medicina e poi, molto importante, che in nessuno modo, neppure se fosse stato il paziente stesso a chiederlo, gli doveva somministrare farmaci letali che portassero alla morte il malato. Don lo conosceva in ogni suo aspetto perché era un codice che doveva rispettare quanto quello dei pirati, anzi forse ancora di più ma questo non gli impediva di pensar male della gente, specie di quell’individuo. Lui sapeva catalogare le persone in base ad un primo e attento quadro che si creava nella sua mente quando le incontrava e in base a quello si comportava come tale, un po’ come la sua personale tabella del giudizio. Solo che già certo che non avrebbe ben sopportato quel grassone, se lo sentiva dentro.

“Non l’ho mica ucciso. Ho solo espresso il mio parere medico, quindi non tentarmi” replicò il medico-cecchino.
“Ah ah! Sei....”

Lasciando Don con occhi sgranati e sensi allibiti, Ace cadde all’indietro, con le braccia stese ai lati,completamente preda della narcolessia. Ormai ci aveva fatto l’abitudine ma vederlo cadere ogni volta indietro o in avanti come fosse un pezzo di piombo era qualcosa che sempre avrebbe lasciato una parte del proprio subconscio senza parole e ammutolito.

“Ci risiamo. Ace, dai svegliati. Andiamo, bell’addormentato!”

Inginocchiato a terra cominciò a dargli leggeri colpetti sulla guancia ma l’unica cosa abbastanza forte lì che stava superando qualsiasi altro possibile rumore era il russare del moro.

“Ace, che cavolo, non puoi crollarmi qua!”

Cominciò a prenderlo a schiaffi. Niente da fare.

“Ace!!! Guarda che non ti porto di peso fino alla stanza, ti lascio qui e tanti saluti! Insomma svegliati cretino!! EHI!!!!!”

 



Dopo aver parlato con Ace, Sayuri era tornata nell’alloggio che condivideva con Akiko.
La sua insistenza nel dormire insieme agli altri suoi compagni era stata più volte respinta dall’autorità della capo infermiera Maya, per poi venir totalmente soppressa dall’ultima e fatidica parola dettata dalla donna dai capelli viola e ondulati. Non era dispiaciuta a stare li, anzi, la compagnia di Akiko era ben accetta ma le pareva di essere stata posta in una posizione più privilegiata rispetto ai suoi amici. Sicuramente a quell’ora stavano tutti dormendo e anche a lei sarebbe piaciuto seguire il loro esempio, se solo la piccola corvina dalle ciocche variopinte non l’avesse braccata davanti alla porta come un avvoltoio affamato; nel mettere piede nella stanza, si era trovata a mezzo centimetro dal suo faccino corrucciato e curioso, desideroso di conoscere il resto della sua vita come fosse una favola ricca di avventure ed emozione. Quella ragazzina era davvero incontentabile ma troppo tenera perché ci si potesse arrabbiare. All’alba delle tre del mattino era ancora lì a narrare e fortunatamente le domande di Akiko riguardavano soltanto la sua vita da pirata, che bastavano a farle spalancare quei bei occhioni lilla. Il momento tragico era giunto quando Maya, quatta quatta, era entrata nella stanza e, cingendole le spalle in un abbraccio, le aveva domandato molto maliziosamente.

“E del tuo bel fidanzato? Ora sei disposta a raccontarci qualcosa di più?”

Si era accorta della presenza della donna ma l’aveva lasciata fare perché sapeva che non era piena di cattive intenzioni, la domanda era ben prevedibile vista la vena indagatrice della donna quando si parlava di uomini, per questo non sobbalzò o lasciò che qualunque sua parte del corpo la tradisse; ovviamente, non potè non ringraziare la penombra della stanza offerta dalla fioca luce della lampada visto che non era così sicura di aver mascherato a dovere la sua faccia con la classica e ponderata tranquillità di cui era padrona.

“Maya, mi pare di avertelo già detto. Siamo ottimi amici” rispose.
L’altra scosse il capo “Tesoro, so riconoscere un amicizia da un amore e credimi, ti posso assicurare, che tu e Ace siete innamorati l'uno dell’altra.”
“E...da cosa lo capisci?” le domandò lei senza esitare troppo.
“Da molti elementi ma potremmo cominciare dal fatto che lui, dopo averti ascoltata, è andato da papà dandogli la risposta che tanto attendeva”
Sayuri socchiuse la bocca “Ha accettato? Davvero?”
“Si, si!” si intromise Akiko balzando dal suo letto a quello dell’amica “Prima di venire qui ho incontrato Marco e mi ha raccontato tutto. Che bello, restate con noi!”

Un’ondata calda di puro sollievo accarezzò la castana, grata che quella battaglia fosse finalmente cessata. Effettivamente non pensava che Ace desse la sua risposta così velocemente ma era ugualmente contenta che alla fine fosse riuscito a chiarire i dubbi che tanto lo assillavano. Stentava a crederci, adesso appartenevano alla ciurma di Barbabianca a tutti gli effetti; in altre circostante la scelta di Ace l’avrebbe sorpresa, non che ora non lo fosse, solo che da come il moro le aveva parlato, era già stata capace di intuire qualcosa e sicuramente anche gli altri. Non sapeva cosa sarebbe accaduto da lì in poi ma al momento era più contenta che nessuno di loro si trovasse in quella posizione traballante tra il si e il no.

“Yu-chan, a che stai pensando?” le domandò la corvina.
“Oh, nulla. Mi sento più sollevata. In verità temevo che Barbabianca si spazientisse...” cominciò lei.
“Non hai motivo di impensierirti: è grande, grosso e a volte ha una faccia minacciosa ma non ha mai mangiato nessuno di noi” la rassicurò Maya con tono materno “Ha un cuore buono ma è così testardo che a volte è impossibile parlarci, soprattutto quando devo somministrargli le medicine e lui beve liquori come fossero acqua!” scattò nervosa.
“Gli devono piacere molto” rise la ragazza.
“Si, tanto da non preoccuparsi della sua salute! Non mi importa se è considerato il più forte del mondo, se non si fa curare bene poi sarà peggio!”

Il repentino cambio d’umore della capo-infermiera si fermò lì; la venticinquenne si bloccò, inspirò profondamente con gli occhi chiusi per poi espiare e far uscire tutto il nervoso che doveva essere ancora scaricato. Akiko le aveva parlato di come convincere l’anziano imperatore a volte fosse più difficile che battere cinquecento marine con le mani legate dietro la schiena ma non avendo mai visto di persona quella testardaggine, non aveva potuto fare altro che rimanere in silenzio ad aspettare che Maya si placasse. Nel stringere le ginocchia al petto, intrecciando le dita, sorrise felice; stava discutendo con delle ragazze, le prime in tutta la sua vita. Potevano parlare di argomenti vari, diversi da quelli che solitamente intavolava con i suoi compagni e sicuramente questi erano più intimi e personali; di certo non avrebbe mai potuto parlare a Don del fatto che volesse un mondo di bene a Ace per numerose ragioni, come per esempio il fatto che questo l’avrebbe guardato con occhi lunatici e assassini. Se doveva essere sincera con sé stessa, nemmeno con Akiko e Maya avrebbe aperto bocca perchè....beh, doveva fare diversi chiarimenti con sé stessa prima di arrivare a confessare che quella non era una semplicemente cotta ma un innamoramento grande quanto il cielo, esattamente quello che le due avevano intuito sin dall’inizio. C’erano così tanti dubbi che non facevano altro che spuntare come funghi e farle sentire la testa pesante e disorientata.

Quand’era vicina a Ace riusciva a controllarsi, ma poi succedeva che in certi momenti, quando fisicamente o moralmente superava la soglia limite che il suo autocontrollo aveva posto, temeva di non essere più capace a ritrovare la strada della lucidità. Che lo facesse intenzionalmente o per caso, Ace la disarmava e questo ancora un po’ la intimoriva. Un giorno avrebbe dovuto far cadere ogni sua barriera, sia per il suo bene, sia per mantenere la promessa fatta a Yukiryu e anche per riuscire finalmente a dichiarare quello che ormai per il suo cuore era una certezza chiara quanto la vita stessa ma fino a quel momento avrebbe continuato a farsi coraggio e a lavorare sopra tutto ciò che poteva portarla a una vita più serena, senza che il suo passato le si presentasse prepotentemente.

“Pensieri felici?” le domandò Maya vedendola sorridere.
“Qualcosa del genere” rispose serena.
“Ci fa piacere, adesso però dicci tutto su te e Ace!” ordinò Akiko guardandola con occhi avidi di conoscenza "Non ho passato cinque ore a scrostare la chiglia della nave dai molluschi inutilmente, quindi adesso sputa il rospo!"

 



Lo scorrere del tempo non era mai interessato a nessuno sulla Moby Dick. C’era troppo da fare per poter stare lì e domandarsi da quanto tempo si conducesse quella vita. Il mare del nuovo mondo era immenso e molti dei suoi angoli erano ancora inesplorati, selvaggi e liberi dalle mani delle persone. Altri invece erano infestati dai pirati che solcavano quello stesso mare con l’intenzione di giungere per primi alla meta finale e altri ancora, di quei angoli, erano protetti dalla parola di Barbabianca; le isole dove la gente viveva rasserenata, volgevano sempre un ringraziamento speciale al Re dei Mari per quella pacifica esistenza e parevano essere state poste sotto una campana di vetro indistruttibile la cui durata veniva costantemente pregata. Era gratificante che la gente, almeno una parte del mondo, fosse consapevole che non tutti i pirati erano malvagi e senza cuore e che alcuni di loro fossero uomini d’onore, come il grande rivale di Gol D.Roger ma a volte qualche esaltato si divertiva a prendere di mira terre innocue con la credenza di poter imporre il proprio dominio senza contrarre alcuna resistenza ed era per questo, che l’intera ciurma della Moby Dick era stata suddivisa in flotte, cosicchè da poter gestire le suddette missioni senza incombere in alcun tipo di problema; ognuna di queste era capitanata da un comandante, che affiancava la nave madre con una propria e si occupava di svolgere gli incarichi dovuti. Essendo sedici le flotte, la maggior parte d'esse erano sparpagliate in vari territori del nuovo mondo ma sempre vicine all’imperatore in caso di attacco. In quei mesi, Ace aveva conosciuto tutti quanti, compresi Marco, Jozu e Satch, i comandanti della prima, terza e quarta flotta. Il posto di leader della seconda compagnia al momento era vacante.

Inutile dire che erano persone al dì fuori dal comune, tutti diversissimi tra di loro; il biondo vantava un’esperienza tale che gli permetteva di istruire i meno svegli su certe regole e abitudini della nave e non aveva di certo paura a parlare con tono arrogante anche se si trovava davanti persone dal potere spaventoso. Era loquace per la gran parte del tempo, con uno sguardo un po’ assente ma una risata o due sapeva farsele e come bevitore non era niente male. Il mastodontico comandante della terza flotta invece, per il suo imponente aspetto e per il viso truce, pareva essere perennemente imbronciato; il suo volto contratto non lasciava spazio per le emozioni, era sempre così fermo e stabile che a volte non si capiva cosa stesse pensando. I primi giorni aveva guardato Ace con occhi molto truci, come responsabile di chissà quale colpa.

“Fa così con tutti. Li osserva per un po’ e poi decide se parlarci o meno. Dipende da come gli gira” gli aveva spiegato Marco.

Dovette attendere un’altra settimana prima che il gigante di diamante gli boffocchiasse un “ciao” ma almeno era felice di non stargli antipatico. Anche Vista, il comandante della quinta flotta era una personcina particolare; stava sempre ad attorcigliarsi quel baffi e a riderci sopra come se stesse perennemente pensando a qualcosa di molto gratificante. Conoscere gente nuova era una delle cose che più piaceva ad Ace ed era contento di aver avuto la possibilità di conoscerli, solo che di questo non poteva esserne totalmente sicuro se l’affermazione ricadeva su Satch: era sicuramente una persona sorridente, che come lui voleva fare amicizia. Infatti era stato il primo a rivolgergli la parola, a chiedergli di andare d’accordo e aveva imparato ad apprezzarlo come amico e compagno, solo che tutta la sua simpatia e il suo carattere frizzantino venivano quotidianamente e totalmente dimenticati quando il moro beccava quest’ultimo intento a chiedere a Sayuri di entrare a far parte della sua flotta. La faccenda era iniziata il giorno dopo aver accettato l’offerta di Barbianca: ricordava bene quando Satch aveva fatto la proposta alla ragazza, sul ponte e in presenza di una quantità ingente di testimoni e ogni volta che ci pensava, veniva colto da un insieme indescrivibile di emozioni e desideri omicidi, tutti placati dal soddisfazione che aveva seguito la domanda del biondo.

“Principessa!” e lì, a quel nomignolo, Ace aveva voltato il capo guardandolo con l’espressione più furente che potesse chiamare a sè “Come sono felice di vederti! Visto che finalmente Ace ha accettato di unirsi a noi, che ne diresti di entrare a far parte della mia flotta? Mi renderebbe tanto felice averti nelle mie file!”

Quasi rischiava di dare fuoco al parapetto: piuttosto che vedere Sayuri con lui era disposto a vendere l’anima a Satana. Era già pronto ad andare lì e a dirgliene quattro ma la ragazza era stata più veloce e molto più incisiva di qualunque altro pugno che Ace avrebbe potuto rifilargli.

“Mi dispiace, comandante Satch, ma la vostra offerta non mi interessa affatto” gli aveva risposto cordiale.

La faccia ebete del biondino era stata impagabile. La tentazione di andare lì e dirgli quanto gli stesse bene era stata così forte che aveva dovuto girarsi di schiena per trattenere le risate. Lo sforzo era stato così eccessivo che credeva di essersi almeno rotto un paio di costole. I suoi compagni invece erano scoppiati a ridere senza neppure provare a trattenersi ma quello non se l’era presa affatto, anzi, si era unito a loro. Possedeva una personalità solare e genuina, decisa a farsi tanti amici con cui ridere, scherzare e combattere insieme. Ci parlava volentieri ma quando entrava in scena Sayuri, lui si presentava con la solita domanda e la cosa gli dava parecchio fastidio, nonostante, la solita risposta di lei. Non era avvolto dal desiderio di picchiarlo perché era un suo amico - non adesso perlomeno - però immaginare la ragazza che accettava la sua proposta era qualcosa che non lo avrebbe fatto stare buono e zitto. Con quello che provava per lei, non avrebbe permesso che gliela portassero via così facilmente; era egoistico come pensiero, perché la poneva come se fosse un oggetto e l’ultima cosa che voleva era trattarla come tale. Ne aveva passate molte da quel poco che era riuscito a strapparle, però...l’idea che decidesse di entrare a far parte della quarta flotta gli stava letteralmente divorando il cuore e l’anima.

“Qualcosa non va, Ace?” gli domandò Maya.
“No, niente.”
La donna spostò la testa di lato, con la punta dell’indice poggiata sulla bocca “Anche se la tua faccia dice una cosa, il tuo cuore ne sta dicendo un’altra. Preoccupato?”
“Dovrei?”
“Eh eh! No, ma visto come stanno andando le cose, credevo che stessi escogitando un modo per far saltare la testa a Satch” confessò lei.

Erano sul ponte, insieme ad un folto gruppo di persone riunitesi in un grande cerchio al cui centro due pirati si stavano dando battaglia; uno era Vista il comandante della quinta flotta e l’altra era Sayuri. L’uomo dai baffoni arricciati impugnava una spada sue due come un perfetto moschettiere, mentre la ragazza era armata dei suoi sai.

“In guardia, milady”

Dopo in consueto inchino, entrambi erano partiti all’attacco; nessuno dei colpi era mortale ma ogni stoccata, affondo, era una spettacolo che meritava di essere ammirato in prima fila. La parte rialzata del ponte era piena di spettatori che incitavano gli sfidanti a fare del loro meglio. Vista era uno spadaccino eccezionale: rapido e veloce pareva creare immagini illusorie di sé stesso tanto era sfuggente. Gli occhi mostravano solo quello che la mente riusciva a realizzare, ma Sayuri non faceva mai uso della sola vista, per questo non si lasciava incantare da quelle immagini astratte che avrebbero confuso un dilettante;le lame si incrociavano, scintille dorate le illuminavano e si riflettevano in queste generando colori celestiali. Era un susseguire di luci fredde e taglienti. Vista viaggiava leggero sui suoi piedi come se fosse su una nuvola ma nulla poteva superare la grazia e la beltà che Sayuri imprimeva nei suoi movimenti. Il suo stile era unico.

“E’ splendida, non trovi?”
“Vero. Sa come incantare la gente” concordò Ace senza smettere di guardarla.

Nel volgere una rapida occhiata dal ragazzo alla ragazza e viceversa, un ampio sorriso si dipinse sulle labbra carnose e rosse della donna. Ace era una persona che usava il cervello prima di passare ai fatti e questo gli faceva onore ma quello che più adesso era evidente, era come stesse guardando la ragazza;a parte che sempre la guardava, aveva notato che con lei addolciva il tono e di tanto in tanto riusciva a strapparle un espressione imbarazzata che lo faceva sorridere con più allegria. Anche adesso era così preso a guardarla che il resto era grigio e privo di interesse. Con lei vicino diventava ancora più calmo, si rilassava e non ci voleva certo un genio per capire che una semplice amica non era capace di sortire tale effetto. Maya era certa che la ragazza provasse una forte sentimento per il moro ma per sua sfortuna non era in grado capire il perché della sua esitazione: la verità era che Sayuri rimaneva un mistero per molti dei suoi aspetti e solo Ace era in grado di far luce su alcuni di essi. La sua personalità, il carattere, la ponevano come una ragazza a modo, raffinata e delicata, la tipica persona a cui i ragazzi si affezionano e a cui piace prendersi cura, ingenua e per questo sfruttabile.

Ma la realtà era ben diversa; dietro a quel dolce sorriso c’era una volontà d’acciaio, più dura del diamante e più pura della luce stessa. Bastava parlarci solo per pochi attimi o osservarla mentre combatteva per comprendere che non era il tipo da farsi mettere i piedi in testa, che poneva delle distanze. Gli occhi erano ciò che alimentavano la curiosità altrui, l’elemento fisico dai cui era più facile dedurre i pensieri e le emozioni: erano di comune colore, un mix di marroni dalle diverse sfumature ma che racchiudevano qualcosa di inafferrabile, che spingeva la gente a diventare curiosa,a seguirla con lo sguardo con la vana speranza di capire cosa avesse di tanto particolare e Maya, già affezionata a lei, voleva conoscere a fondo la sua personalità,per poter capire che cosa la rendesse così diversa dalle altre, cosa la spingesse a creare tante barriere. Lei era un’artista nel leggere delle persone ma Sayuri e purtroppo questo lei non lo poteva sapere, era una vera maestra nel mascherare le proprie emozioni, molto più di quanto lo fosse lei stessa, che poteva immaginare ben poco sulla reale identità della giovane. Questo poteva essere uno dei motivi per cui Satch si era deciso a farla entrare nella sua ciurma ma certamente non era il principale: quel biondino sapeva essere imprevedibile e indecifrabile quando si metteva in testa una cosa ma lei e il suo cervello da donna, sapevano decodificare e quindi rendere traducibile qualsiasi anomalia e stranezza che capitasse su quella nave e se il suo ragionamento era corretto,allora le intenzioni dell’amico non avevano nulla di cui doversi preoccupare.

“Devo confessarti che all’inizio era molto incerta se considerarla una pirata o meno. Ha un aspetto molto innocente, tranquillo, una cosa piuttosto anomala in questo ambiente” ammise.
“L’apparenza inganna e comunque non sei la sola che lo ha pensato”
“Già ma poi hai concretizzato le tue ipotesi battendoti con lei” replicò con lievissimo tono contrariato. Le notti passate a interrogarla fino all’alba avevano portato esiti molto positivi, a parte delle antiestetiche occhiaie che doveva coprire con un doppio strato di fondotinta chiaro.
“Non l’ho pestata a sangue, se è questo che pensi” si mise subito sulla difensiva.

Ace non era certamente il tipo di persona che andava a picchiare la gente senza un valido motivo; pensava sempre prima di agire - quando se ne ricordava - e non alzava mai le mani a meno che non venisse minacciato,in special modo non attaccava briga con le ragazze. Con Sayuri era stato diverso perché, primo, la sua taglia parlava da sola, secondo, la sua curiosità lo aveva spinto a verificare personalmente quanto fosse forte e terzo, lei aveva dato fin da subito prova di quanto fosse forte sia fisicamente che moralmente.

“Davvero l’hai trascinata sulla tua nave senza prima chiederle se volesse unirsi alla tua ciurma?” domandò poi la donna.
“Certo”
“Perché l’hai fatto? Potevi anche parlarci civilmente”

La versione di Sayuri l’aveva ascoltata, ora voleva sentire quella di Ace. Intromettersi era una cosa che non le era mai piaciuto; dare consigli e spronare una persona a prendere una particolare decisione era solo un modo per aiutare la sua nuova amica ma lei di certo non sarebbe andata lì e gli avrebbe detto che la castana era pazzamente innamorata di lui e che se non si dava una mossa, l’avrebbe persa visto che si vociferava che Satch era intenzionato a farla entrare nella sua flotta anche con l'uso della forza. D’accordo la questione non era del tutto vera, almeno non la parte dell’uso della forza: per arrivare a quei livelli la situazione doveva raggiungere l’apice dell’assurdità ma se fosse stato necessario, Maya avrebbe usato tutte le sue carte a disposizione. Sarebbe stata una mossa stupida,impulsiva e molto infantile e poi avrebbe avuto sulla coscienza l’anima del biondo che sicuramente sarebbe tornata dall’aldilà per tormentarla. Ace e Sayuri erano dei ragazzi maturi e lei, che si era affezionata così tanto alla ragazza,voleva capire quali sentimenti il ragazzo provasse per lei; visto che l’amica pareva essere così enigmatica, non le restava altro da fare che estorcere informazioni, indirettamente, ad Ace.

“Mi ha incuriosito” le spiegò sorridendo con sghembo “Ed era anche sola. Mi sono chiesto tante volte perché una persona così forte viaggiasse per conto suo e quando ci ho combattuto contro, mi è venuto naturale pensare di averla nel mio equipaggio. Un perché preciso non saprei dartelo. So solo che quando l’ho portata sulla nave stavo facendo la cosa giusta”

Questo se lo era messo in testa lui e mai si era detto il contrario. Una persona sana di mente sicuramente gli avrebbe tirato un calcio dove solitamente il sole non batteva e sarebbe scesa dalle nave anche a costo di dover tornare a riva nuotando ma visto l’ex capitano,il medico-cecchino, il cuoco-cannoniere e il resto della truppa, come poteva quella graziosa navigatrice essere definita normale se non aveva battuto ciglio quando Ace l’aveva auto-nominata nuovo membro dei pirati di picche, senza interpellarla? Normale era un termine scontato in mare, niente era uguale a quello che si vedeva a casa o nei libri di favole, tutto era pieno di sfumature e particolari che stravolgevano la realtà, mutandola in ogni suo minuscolo aspetto e questo valeva anche per le persone.

“Un modo bizzarro il tuo, ma probabilmente se glielo avessi chiesto con formalità, lei ti avrebbe detto di no, esattamente come sta facendo con Satch” disse accennando un lieve sbuffo divertito e tornando all’argomento iniziale.

Il cappello arancione da cowboy calò sugli occhi di Ace. L’ornamento che portava sulla testa tornava sempre utile quando preferiva non far vedere le proprie emozioni; anche se era sempre stato bravo a contenersi, a volte gli occhi lasciavano trapelare qualcosa, come un libro aperto che aspettava il buon lettore che lo sfogliasse. Intanto, Sayuri e Vista avevano terminato il loro duello: non c’era stato ne un vincitore ne un vinto ma entrambi avevano dato prova di saperci fare con le lame, anche se la ragazza era visibilmente più affaticata del comandante della quinta flotta. China col busto in avanti e le ginocchia piegate,stava riprendendo fiato con le mani appoggiate a quest’ultime. La lunga cascata di capelli ricadeva in avanti,impedendo ad Ace di vedere il suo volto.

Io ti farò diventare il Re dei Pirati. Hai la mia parola, Ace.

Scosse la testa con movimento involontario. Perchè proprio in quel momento gli erano tornate in mente quelle parole? A volte gli capitava di essere colto all’improvviso da quei flashback e di non fare a meno di immergersi,perdendo la cognizione del tempo. In piena notte o alle prime luci dell’alba, rimaneva steso a pancia in su sul suo letto, con le braccia incrociate dietro la testa e la testa piena di ricordi di cui anche Sayuri era protagonista; non c’era immagine dove lei non ci fosse e non sorridesse ma quando avvertiva l’avvicinarsi di quei frammenti tristi, pieni di lacrime, allora chiudeva gli occhi e nascondeva la faccia sotto il cappello. Un giorno lei gli avrebbe parlato, si sarebbe aperta completamente su quel lato terribile che la perseguitava e sicuramente avrebbe pianto e lui voleva essere lì per consolarla e anche per proteggerla. Non era una debole però voleva evitare che venisse colta ancora dal quel dolore che si presentava una sola volta ma che sapeva distruggerla come nessun’altra arma materiale avrebbe fatto. Ripensando a Yukiryu, alle sue lucciole di fuoco e alla sua promessa di aiutarlo a realizzare il suo sogno, sorrise mestamente con gli occhi ancora nascosti. Ormai era deciso a far portare a quell’era il nome di Barbabianca, quindi vedeva difficile che quella promessa potesse trovare un traguardo da tagliare.

“Che cos’è quella faccia rassegnata?” domandò improvvisamente Maya facendolo scendere dalle nuvole pensierose le quali erano i suoi pensieri.
“....Pensavo a una promessa che non credo potrà mantenere” rispose alludendo alla castana.
“E perché se è lecito saperlo?” chiese ulteriormente arricciando un boccolo.
“Perché nel dire di "Si" a Barbabianca, ho detto di "No" a lei”
Maya lo guardò accigliato “Non dovresti esserne così convinto” iniziò lei scendendo dal rialzo del ponte “L’hai detto anche tu che sa come incantare la gente, quindi non è detto che abbia rinunciato alla sua aspirazione. Lei ti considera una persona speciale e un grande capitano, fallo anche tu nei suoi confronti”

Detto ciò se ne andò, pronta a ricominciare il suo lavoro e lasciando un Ace molto grato e sorpreso per la piccola rivelazione fattagli.

E così mi considera speciale e un grande capitano..  Pensò con gli occhi rivolti all’insù.

Ciò lo rese felice e soddisfatto allo stesso tempo.

“Ehi, Ace, che cos’hai da ridere?”
“No, niente di particolare. Allora, tocca me adesso, no?” domandò scrocchiare le nocche.

 

 

“Bonz, sei proprio sicuro di aver perso qui gli occhiali?” domandò Sayuri.
“Sicurissimo, com’è vero che mi chiam..ahia!”
“Ti sei fatto male?”
“No, tutto a posto. Ormai ci sono abituato”

Il guaio di una grande nave come la Moby Dick era che se si perdeva qualcosa,dopo era difficile ritrovarla, anzi, quasi impossibile. La navigatrice e il cuoco-cannoniere stavano rastrellando da cima a fondo il primo settore in cerca dei perduti occhiali di quest’ultimo. A carponi, Bianco Giglio stava controllando ogni possibile fessura senza tralasciare alcun angolo mentre il povero Bonz, anche lui preso dalle ricerche, non faceva che sbattere la testa contro ogni parete che scambiava per la ragazza. Il pover’uomo aveva chiesto espressamente il suo aiuto perché non ci teneva ad avere rogne col cugino su quanto fosse svampito, che gli occhiali doveva tenerli incollati al naso bla bla bla..... Tanto finivano sempre per urlarsi di tutto e se doveva farlo voleva almeno evitare di parlare al muro, porta, padella che sia mentre Don gli urlava che stava alle sue spalle.

“Niente da fare, qui non ci sono. Prov...Bonz! Fa attenzione alle....!”
“Che cos....AAAARGH!!”

La ragazza aveva fatto in tempo soltanto a vederlo a quattro zampe a terra, davanti una rampa di scale che portava al piano di sotto; la mano destra era alzata, pronta per cercare un appoggio che avrebbe trovato solo qualche metro più in basso. L’arto si era abbassato troppo tardi perché lei potesse fermarlo e subito dopo l’intero corridoio era stato oggetto del suo capitombolo, con tanto di lievi scosse.

“….scale” concluse scoprendosi gli occhi “Bonz? E' tutto a posto? Stai bene?” domandò preoccupata affacciandosi sul fondo di queste.
“...Si, ma non mi sento più la schiena. Ehi, ho trovato gli occhiali!” lo sentì esultare.
“Davvero? Mi fa piacere” disse sollevata, raggiungendolo e aiutandolo ad alzarsi.
“Non dirlo a me! Erano nella tasca dei pantaloni! Mi ero dimenticato di averli messi lì!”

Sayuri lo guardò stupita, per poi ridere con una mano che le copriva la bocca. Aveva fatto bene Bonz a chiedere il suo aiuto invece che al cugino. Se non altro li avevano trovati e la caduta non ne aveva procurato la rottura. Quella miniavventura con l’amico le era servita a scacciare l’insidioso velo di malinconia che da diverso tempo stava tentando di coprirla: ora che Ace non era più il capitano dei pirati di picche, molte cose erano cambiate. Le missioni assegnate le avevano svolte insieme sotto le direttive di alcuni comandanti e al momento la cosa non l’aveva preoccupata ma in un futuro prossimo, forse non sarebbero più potuti stare insieme come prima, anche se navigavano sulla stessa nave. La ciurma di Barbabianca era immensa, spropositata e nonostante reputasse logico il venire assegnata a una delle sue divisioni, desiderava rimanere con i suoi vecchi amici e con Ace, per questo rifiutava con cortesia il continuo invito di Satch: a meno che non ci fossero stati anche loro,lei non avrebbe scelto nessuna divisione in particolare.

“Ma guarda chi abbiamo qui! Principessa!” esclamò qualcuno.

Salutato Bonz, non aveva neppure fatto in tempo a voltare l’angolo che subito era stata intercettata dal comandante della quarta flotta. Stava davanti a lei e sventolava la mano in segno di amicizia.

“Comandante Satch” lo salutò con riguardo.
“Satch è più che sufficiente! Allora, principessa, cosa ci fai qui tutta sola soletta?”
“Oh, nulla di particolare: aiutavo Bonz a trovare i suoi occhiali. Avevi bisogno di qualcosa?”
Lui la guardò con un sorriso ampio e bianchissimo “In effetti si, cercavo proprio te. Ho bisogno di un piccolissimo favore, niente di che”
“E di che favore si tratterebbe, se posso chiedere?”
“Te lo spiego subito” rispose lui appoggiandosi con le spalle al muro “Domani devo partire per una missione importante e il mio navigatore è malato, pertanto non può muoversi; ho bisogno di un sostituto e ho pensato “Chi meglio della dolce principessa di gigli può farlo?"” ed esordì un sorriso a trentadue denti.

Una cosa del biondo era ben chiara: il suo voler andare d’accordo era costantemente accompagnato da un positivismo così semplice, che ogni sua parola,richiesta o quel che fosse, venivano trasmesse alle persone come fossero amicizie antiche e salde, a cui non si poteva negare l’aiuto ma Sayuri, prima di voler dar voce alle sue motivazioni, intendeva conoscere la ragione che avesse spinto il comandante della quarta flotta a scegliere lei, una novellina per così dire, al posto di un altro compagno con cui già avesse un rapporto e una fiducia ben salda. Se la missione era importante come diceva, era più sicuro optare su persone con cui si aveva già lavorato in precedenza che con quelle nuove.

“Che cosa c’è? Non mi sono spiegato bene?” domandò lui individuando un accenno di dubbio nell’espressione della ragazza.
“No, al contrario: ho capito perfettamente, solo vorrei conoscere la ragione della tua scelta e l’importanza della missione in questione, nel caso io accettassi”
Satch ridacchiò “Difficile da convincere, eh? Beh, mi pare giusto doverti dare qualche spiegazione. Devi sapere che a tre giorni da dove attualmente ci troviamo, c’è l’isola di Meriko, uno dei territorio sotto la giurisdizione di papà. E’ un territorio tranquillo ma ultimamente nei suoi dintorni sembrano essere stati riscontrati dei diverbi bellici e temiamo che possano minare la pace della cittadella. Lì la gente non è in grado di difendersi e di sostenere una simile situazione col solo utilizzo della diplomazia, per questo ho ricevuto l’ordine di andare a verificare di persona la situazione e vista la scarsa quantità di tempo, mi occorreva qualcuno che fosse subito disponibile. Ti ho soddisfatto, principessa?”
“Non del tutto” rispose lei spostando con l’anulare alcuni capelli dalla guancia destra “Se devo essere sincera, ho diversi dubbi riguardo la tua risposta. Dubbi che mi portano a pensare che tu non mi abbia detto tutta la verità ma solo la parte che mi volevo sentir dire e che la situazione sia ben diversa da come l’hai descritta”
Il biondo alzò le sopraciglia con fare sorpreso “E che cosa te lo fa pensare?” domandò nel calcare quelle parole con tutta la curiosità di cui era dotato.
“Per cominciare, le tue stesse parole” spiegò lei con calma “Hai parlato di una possibile minaccia che al momento non sta coinvolgendo persone civili ma che col evolversi potrebbe spingersi fino a tale punto. In genere, per questo tipo di missioni vengono inviate poche persone, massimo due, incaricate di osservare e stilare un rapporto su tutto ciò che risulta incoerente e sospetto nell’ambiente cittadino ma il semplice fatto che per questo primo approccio venga mandato addirittura un comandante mi fa pensare che la situazione sia più grave di quel che mi hai descritto e che il nemico non sia da sottovalutare”
“E per quanto riguarda te?” chiese Satch, ormai preso dalla spiegazione della castana.
“Credo nella tua versione” continuò incrociando le braccia “Anche se sono più propensa a pensare che tu abbia chiesto a me di accompagnarti unicamente perché sei curioso di saggiare le mie potenzialità, ma questa è solo un’idea. Sono stata esauriente?”

Più che esauriente, Satch avrebbe detto spiazzante. Annuì, con gli occhi rivolti verso il basso, chiaro segno di essere stato scoperto in flagrante.

“Accidenti! E pensare che avevo ripetuto il discorso tre volte. Sapevo che eri sveglia, ma non mi aspettavo che mi smascherassi così in fretta: mi hai davvero colpito, principessa! Davvero non vuoi proprio entrare a far parte della mia flotta? Ne sarei onorato!" squittì
“Mi spiace, ma non posso accontentarti” gli disse elargendo un dolce sorriso.
“Lo immaginavo ma non importa!” esclamò recuperando il suo sorriso, prima spento per l’ennesimo buco nell’acqua “Ho giusto due settimane per potermi godere la tua compagnia”
“Come hai detto?” Sayuri sbattè le palpebre, come se non fosse riuscita a cogliere il significato dell’ultima frase “Perdonami, Satch, ma io non ho accettato...”
“Lo so” la interruppe “Ma non avresti potuto ugualmente dirmi di no perché tecnicamente sono un tuo superiore e tu, mia adorabile principessa, non sei nella posizione di discutere un mio ordine”

Stavolta fu la ragazza a rimanere spiazzata. Quel genere di risposta, che non offriva alcuna replica o scappatoia, allegata a quel sorriso  del tutto privo di secondi fini, non maligni almeno,avrebbe spinto chiunque a sfondare con un pugno l’apparato dentario del biondo. La sua faccia era la gioia fatta a persona, gioia di aver ottenuto ciò che desiderava e che sapeva di non poter più perdere. Non era cattivo ma il fatto di essere un comandante gli permetteva di giocare carte più fruttuose dei comuni pirati e di ottenere quello che voleva senza alcun spargimento di sangue, anche se molti predecessori di Sayuri avrebbero gradito assai volentieri la visione del pestaggio del biondino.

“Quindi se lo vorresti, mi obbligheresti a far parte della quarta flotta, giusto?” domandò lei recuperando la voce.

Dato il ragionamento spiegato, quella era una possibilità che aveva un’alta percentuale di concretizzazione.

“No, questo è un caso diverso” le disse Satch “La scelta è unicamente tua, io mi limito soltanto ad assillarti nella vana speranza che tu cambi idea e comunque, per quanto riguarda la missione...” e le si avvicinò fino ad accostare la bocca all’orecchio di lei “Non devi fartene pensiero. La distanza rafforza l’amore”

Con rapidità, la ragazza soppresse sia il rossore che il sussulto pronto a farle vibrare il cuore. Soddisfatto di sé, Satch raddrizzò il busto, allontanandosi da lei.

“Bene, se non hai niente da chiedermi,i o leverei le ancore. Ti occorre qualche delucidazione, principessa?”
“Nessuna, solo vorrei che non mi chiamassi "Principessa"” gli chiese.
“Oh, ma sei crudele! Ti da fastidio?”
“No, ma....”
“E allora che problema c’è? Ti si addice così tanto!” esclamò.
“Che cos’è che le si addirebbe tanto?” domandò una terza persona.

Ace stava venendo verso di loro. Visto il vistoso tatuaggio che portava sulla schiena, era normale vederlo col torace scoperto e la schiena in bella vista. La volta che il ragazzo aveva mostrato il nuovo vessillo all’amica, lei, contenendo il rossore e l’imbarazzo per l'assenza della camicia, era stata capace di dirgli che il nuovo tatuaggio gli donava molto. Era stato un momento improvviso e anche se ormai lei era cosciente che qualunque cosa riguardasse Ace fosse un’arma perfettamente in grado di minare il suo controllo, non sarebbe mai stata in grado di farci l’abitudine.

“Ace”
“Oh, giusto te!” squittì Satch. Ecco che arrivava la parte drammatica “Ho appena detto alla principessa che verrà in missione con me a Meriko. Non te la prendere, Ace, mi serviva un navigatore e poi sono soltanto due settimane” aggiunse sbrigativo ma sempre col quel sorriso sornione stampato in faccia “Bene, io vi lascio da soli. Ciao, ciao!” e si dileguò alla velocità della luce prima che succedesse qualcosa che sicuramente avrebbe potuto minare alla sua salute.
“Stava scherzando, vero?” la voce di Ace rispecchiava alla perfezione l’espressione dipinta sul suo volto: ferma e calma, ma priva di quel candore che solitamente era presente quando parlava con lei.

Sayuri si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi.

“No. Ho provato a replicare, ma in qualità di comandante può scegliere da sé chi portare in missione e io, non facendo ancora parte di una effettiva flotta, posso essere messa a disposizione di ciascuna di queste” spiegò senza mai distogliere lo sguardo.

Non sapeva bene che reazione aspettarsi dal moro ma sicuramente non una manifestazione esagerata di felicità. Aveva questa sensazione, quella sorta di timore che non la spaventava ma che le diceva di fare ben attenzione a qualcosa ma non sapeva bene a cosa. Sapeva di non voler accettare di entrare a far parte di nessuna flotta in particolare se questa non comprendeva Ace e i suoi amici ma vista come era stata incastrata per benino, non aveva scelta se non fare del proprio meglio per aiutare il biondino a sbrogliare la situazione a Meriko e dunque tornare alla Moby Dick il più velocemente possibile.

“Ace, va tutto bene?” gli domandò nel vedere che il silenzio si stava dilungando più del dovuto.
“Lo strozzerei volentieri” ammise lui con uno strano luccichio nei occhi.
“Cosa?”
“Niente, farfugliavo tra me e me.”

Altro che farfugliare, appena lo trovava lo decapitava seduta stante. Voleva urlargli dietro qualcosa di ancora non ben definito ed era pronto a seguirlo laddove si era andato a nascondere ma fu fermato dalla ragazza.

“Ace, non è niente di grave” cominciò lei “Sono soltanto due settimane e di certo non cambierò idea solo perché lavorerò sotto le sue direttive.”
Si...ma la cosa mi da fastidio comunque!

Il fatto che Sayuri fosse stata messa nel sacco e che lui non poteva muovere un dito, lo stava irritando in una maniera indescrivibile.

“Non andare” buttò lì.
“Uh?”
“Non andare” ripetè seriamente.

Senza volerlo si era avvicinato di più a lei, tanto che ora la stava guardando con la testa lievemente abbassata, ma solo perché la ragazza era più minuta di lui. Davvero, non voleva che andasse, gli avrebbe fatto troppo male saperla lontano da dove era sempre stata. La sua non era stata una supplica a qualcosa che si avvicinava pericolosamente ad essere un ordine. Gli era così vicino che poteva vedere le diverse tonalità di marroni dei suoi occhi, mischiarsi, separarsi fra loro e infine unirsi in venature chiare che circondavano la pupilla nera mentre il resto delle iridi rimaneva di un marrone più scuro. Lei con le spalle al muro, non poteva scappare. Erano soli come le tante volte che si erano parlati a tu per tu ma con l’esitazione su entrambi i loro cuori. Nessuno dei due sapeva bene cosa fare, cosa dire ma la persona più in difficoltà era la ragazza mentre il suo ex capitano pareva essere deciso a fare qualcosa....

“Meno male che sei ancora qui, principessa!”

....Qualcosa che però era destinata ad essere rimandata a quanto pare!

“Ma non te ne eri andato?!?” tuonò Ace mentre velocemente la ragazza si girava per non far vedere il rossore comparso a tempo di record.

Sul più bello era arrivato Satch, gradito quanto una carie ai denti, ma nonostante Ace stesse cercando di dargli fuoco con gli occhi, continuava a sorridere beatamente, tanto che ignorò il moro è andò subito vicino alla principessa.

“Dimenticavo di dirti che visto che sarai il nostro navigatore, avrai bisogno delle informazioni sul luogo e del materiale inerente alla pianta geografica del territorio. Data la partenza ci terrei a mostrarti il tutto il più velocemente possibile, quindi raggiungimi appena puoi nella sala grande”
“C’è altro?” digrignò Ace.
“No, nient’altro. A dopo principessa!” e se ne andò per la seconda volta.

Se prima Pugno di Fuoco riusciva a sopprimere il desiderio di fargli il pelo e il contropelo, adesso non c’era nulla che potesse impedirgli di torcere il collo al comandante della quarta flotta. A parte ovviamente la voce melodica di Sayuri.

“So che non è carino dirlo, ma a volte lo trovo un po’ assillante” si ritrovò a dire in un sospiro lei.
“Un po’?” gli fece eco Ace tornando a guardarla "Soltanto un pò?"
“Si, soltanto un po’” riaffermò lei sorridendo “E comunque l’ho già detto: due settimane non mi faranno cambiare idea quindi sta tranquillo, non tradirò la tua fiducia”
“Oh ma di quello sono sicuro” disse lui riaccendendo il sorriso “Mi fido di te, sarei un cretino a non farlo”
E’ di lui che non mi fido!!

Sayuri rimase per qualche secondo ferma prima di ridere dolcemente e ringraziarlo della fiducia che riponeva in lei. Temeva che avrebbe reagito male e sapeva che dentro di sé, un po’ di rancore lo portava per l’aver saputo così a bruciapelo la notizia, però preferiva vederlo positivo che arrabbiato. In fondo, non facendo parte di una specifica divisione,era logico che di tanto in tanto venisse richiesto il loro contributo.

“Sarà meglio che vada. Dovrò prepararmi a dovere e non voglio rischiare di incontrare sorprese.”
“Aspetta”

Ace l’aveva afferrata ma ciò era sfuggito al suo controllo. Il corpo si era mosso senza che lui lo volesse. Che diavolo stava facendo? Aveva deciso di starsene buono ma in verità avrebbe voluto lasciare che il suo istinto agisse per lui ma ciò sarebbe stato infantile e del tutto privo di buon senso. Prima si era lasciato trasportare e se non fosse arrivato Satch di certo non si sarebbe fermato di sua volontà. Non vedere Sayuri per due settimane, saperla su un’altra nave e con un suo amico che invano tentava di convincerla ad unirsi al suo equipaggio non gli piaceva, lo infastidiva a tal punto che si sarebbe mangiato il fegato piuttosto che vedere con i propri occhi la ragazza che tanto gli piaceva salire sulla nave e sparire all’orizzonte. Era più forte di lui, se c’era una cosa capace di mettere a durissima prova il suo autocontrollo era proprio lei. Nel tenere quell’esile e sottile polso, percepiva il tempore corporeo di lei aumentare lievemente; sotto i suoi polpastrelli sentiva le vene pompare il sangue e il battiti del suo cuore farsi appena più udibili. Non andartene, le voleva dire ancora. Al diavolo la missione e quello’idiota di Satch, poteva scegliersi qualcun altro. Voleva abbracciarla e chiederle di restare, ma non poteva...almeno non ora. Doveva unicamente fidarsi di lei, come aveva sempre fatto. Era certo che mai e poi mai lei lo avrebbe tradito, ne come amica ne come compagna.

“Fai attenzione e vedi di non esagerare” le disse infine lasciandole il polso.
“D’accordo. Cercherò di tornare presto” 

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Capitolo 31
*** Rispetto. ***


Eccomi qua!nonostante siano iniziati gli esami recensisco ancora puntualmente e giust'aapunto perchè ho superato il primo orale a quasi pienissimi voti mi sento in dovere di pubblicare questo capitolo,sto sprizzando felicità da tutti i pori,yupiii!!!!!allora,qui c'è il capitolo che la carissima Maya90 voleva da tempo vedere;se ci sei tesoro,spero di ti piaccia e che soddisfi le tue esigenze,ok anche voi altri è sottointeso!prima di lasciarvi ringrazio tutti coloro che seguono la fict a partire dai preferiti: alala-angela90-Beatrix-fenicex8-fior di loto-giulio91-Maya90-MBP- Sachi Mitsuki-sibillaviola-Yuki689.Seguiti: 13este-HimeChan-kei87-HUNTERGIADA-TopazSunset-happylight.E infine chi la ricorda:Dance-sora-13.Un mega saluto anche Beatrix,Yuki689 che sicuramente staranno sgobbando come matte,porrine (tranquille ragazze,non vi ho dimenticate!) e anche a Satch Mitsuki a cui il computer non parte più (so cosa significa...).Ovviamente anche tutti coloro che leggono soltanto o che buttano un occhietto qui sono sempre ben accetti!

MBP:Ma-chan!visto?Don ha subito capito come trattare Teach,il mangia crostate a tradimento (Tanto morirai e per mano di una di noi!!!!).Bene o male i comandanti si faranno un po’ conoscere in seguito,ma avviso che Satch avrà un ruolo più marcato…come amichevole persecutore della principessa;no,non se ne approfitta,in fondo sa già com’è la situazione e anche se non ne fosse al corrente ci penserebbe Ace a mettere nero su bianco!si,l’ultima parte ha suscitato in tutti ilarità,e beh c’erano quasi..ma non ancora!può consolarti che a breve ci sarà qualcosa di mooolto speciale?mi auguro di si ma per ora gustati questo capitolo!

happylight:ciao tesoro!!!ovunque tu abiti credo di aver udito le tue risate,seguite da un tonfo.Sei per caso caduta,ti sei sentita male?no?fiuuu,meglio così.Date le recensioni,credo che dovrò istituire il club “Die Teach” ma è perfettamente normale,di certo non diventerà uno dei miei personaggi preferiti neppure se venissi presa a sassate,vestita con i cactus e trascinata per i capelli su per una salita piena di sassi appuntiti.Sono ultra contenta che Satch riscuota successo,anche se è un po’ impiccione ma d’altro canto farlo così è stato naturale;ho visto quel suo sorriso furbesco e ho subito realizzato come poter creare la sua personalità.Rilassati il momento tragico è ancora un pochino lontano,quindi puoi quietare il tuo cuoricino.Bonz meritava una piccola parentesi,era da un po’ che mancava quindi mi sembrava giusto dargli uno spazietto:non penso di far rientrare Marco nelle scenette pazze,credo potrebbe attentare alla mia vita e per quanto mi riguarda mi è caro vivere.

Angela90:cara,devo chiederti scusa!mi sono dimenticata di risponderti l’altra volta,scusa,scusa,scusa,scusa,scusa!!!me essere mortificata da morire!perdonami,me ne sono accorta tardi.Dunque…davvero Teach è il personaggio preferito di Oda?cos’è uno scherzo??beh,d’altro canto lui è l’autore e forse ha in mente qualcosa per lui,in fondo è il classico pirata vecchio stampo che dispensa carneficine per raggiungere il suo obbiettivo..non mi starà mai simpatico,ho già detto a happy light cosa preferirei fare piuttosto che ammirarlo!Satch ha tirato un bel colpo basso, sfruttando la sua autorità e suscitando anche l’istinto omicida di Ace ma non temere:Yu-chan ha solo occhi per Ace,così come lui ha occhi solo per lei quindi potrà chiedergli all’infinito di entrare nella sua ciurma,tanto lei risponderà sempre :”No,mi spiace.Non mi interessa”

TopazSunset:Hello!!dalla tua reazione ho dedotto che ci sei rimasta un pochino male per il momento tanto atteso.Si,lo so hai atteso venti capitoli e questa è stata una crudeltà e..no,un momento,che fai?p-posa quel forcone!aaahh,oohh,eeerk!!!!!(scampato il pericolo,esce dal bunker).Allora,mi fa piacere il tuo entusiasmo nel voler uccidere Teach,benvenuta fra noi!!!sto giust’appunto allestendo uno stand per raccogliere varie proposte su come far soffrire quel traditore assassino,quindi ogni richiesta sarà analizzata e presa in considerazione.Non so se sentirmi onorata per il fatto che la mia storia ti prenda tanto ma anche la tua è bellissima quindi continua così ragazza!Forse il biondino saprà come farsi odiare da Ace ma non è cattivo,anzi è una brava persona,a modo suo si intende!

Giulio91:eccomi qua!senti la mancanza di azione?mi spiace ma questo periodo sarà più tranquillo ma non troppo:visto che non sarà qui che Satch troverà il Dark-Dark per ora le acqua saranno calma ma preoccuparti;devo  ancora dare inizio al vero massacro quindi sta tranquillo che l’azione non mancherà e visto che posso sbizzarrirmi quanto mi pare e piace ho intenzione di gettarci dentro di tutto!ti dico subito che Don dopo aver preso a schiaffoni Ace per una buona mezzora l’ha lasciato lì(secondo te se lo caricava in spalla?non è nel suo stile);non l’ho messo nel capitolo ma era sottointeso che l’avesse fatto e Bonz meritava uno dei suoi momenti esilaranti,porrino l’ho un pochino trascurato…!

 

 

Meriko era conosciuta come l’isola dell’eterno autunno, uno dei quattro territori galleggianti sul mare che costituivano il regno di Kisetsu. Questo era conosciuto perché le isole presentavano un clima ciascuno diverso dall’altro, che richiamavano le diverse stagioni che per tutto l’anno rimanevano immutate; oltre a Meriko c’erano Aruba, l’isola della primavera risvegliante, Taiyo, la terra della splendente estate e infine Fuyu dell’allegro inverno. Disposte circolarmente come in un grande cerchio, il solo modo che si aveva per viaggiare da l’una all’altra era tramite la corrente che si era generata in quell’anello creato dai quattro territori.
L’eterno autunno rispecchiava alla perfezione il paesaggio della terza stagione dell’anno; una temperatura calda che si avviava all’affievolimento ma che ugualmente permetteva ai suoi abitanti di vestire con capi leggeri e di godersi quel paesaggio dai caldi colori mutevoli. Gli immensi campi di grano dorati si slargavano giù per le colline, illuminati da un sole che si avviava al sonno invernale ed erano coperti da un cielo che al tramonto diventava arancione, dai pallidi riflessi rosei e gialli. Le costruzioni erano tutte riversate sulla pianura; le tipiche case in stile Shiracawa - le case comuni - riempivano uno spiazzo poco distante dalla riva e condividevano il loro spazio con alberi dai bianchi tronchi e dalle chiome rosse, marroni e giallognole mentre più in alto, appena dopo il meraviglioso bosco di aceri, dove la strada era una distesa di foglie gialle e marroni contornate da una continua e lenta pioggia di fogliame dorato con qualche verde superstite,stavano le abitazioni più raffinate e ben messe, le Shoinzukuri. La monarchia lì non poteva definirsi tale vista la mancanza di un re ma le questioni politiche, quelle poche che si presentavano insieme a tutto ciò che comportava il mantenimento del territorio, erano affidate ad un saggio che, insieme agli altri tre rappresentanti, formavano il consiglio di Kisetsu. Satch, Sayuri e la quarta flotta erano partiti per rispondere all’appello del signore di Meriko e oramai mancavano dalla Moby Dick da quasi una settimana.

Vista l’assenza della navigatrice, Ace aveva pensato bene di tenersi il più occupato possibile fino al suo ritorno, almeno per non stare lì a fissare il mare ventiquattr'ore su ventiquattro. Era preferibile impegnare il proprio corpo in combattimenti estenuanti che riempire la propria mente su pensieri che poi avrebbero portato all’omicidio prematuro di qualche biondino sfacciato di sua conoscenza e la cosa bene e male stava funzionando: nel suo viaggiare aveva perfino incontrato di nuovo Jimbe e nel fare qualche tratto di mare in sua compagnia entrambi si erano fatti un’idea diversa sull’altro, tanto da potersi considerare buoni amici e ottimi rivali. Visitare nuovi posti e conoscere le loro peculiarità era divertente e interessante ma gira e rigira, alla fine la sua testolina su chi tornava? Su Sayuri.

Si era così abituato alla presenza della ragazza che il saperla con qualcun altro, anche se temporaneamente, lo rendeva suscettibile a qualunque pensiero di natura contorta. Era consapevole di averla lasciata andare dicendole che si fidava di lei, di fare attenzione, ma solo ora cominciava a provare un leggero rimorso per non averle detto di restare e soprattutto per non aver mandato a quel paese Satch. Non aveva gradito affatto quel suo tiro mancino e anche se Maya gli aveva assicurato che l’amico non avrebbe fatto nulla che superasse la soglia dell’amicizia, la cosa non gli andava giù ugualmente, per questo si cimentava in missioni in solitario o in compagnia dei suoi amici quando poteva. Conclusa l’ultima di una serie, il moro si stava godendo qualche attimo di riposo sul ponte mentre gli altri erano andati in una delle sale grandi; più che essere stanchi per aver spinto la nave avanti e indietro come degli assatanati, il gruppetto non era in vena di festeggiare l’ennesima vittoria, non con il morale a terra almeno.

“Si può sapere che cosa avete per fare quelle facce depresse? Sembra di essere a un funerale” sbottò Don guardando uno ad uno i compagni, partendo da Bonz.

Non ce ne era uno che non avesse le labbra corrucciate e gli occhi tondi e tristi.

“Ci manca tanto sorella Yu-chan!!!!” piagnucolarono in coro.
“Fatela finita: non se ne è mica andata e non è nemmeno morta! Quando avrà tempo vi scriverà una cartolina”
“Sei un animale!! Non ha un briciolo di umanità!!!” esclamarono ancora una volta tutti insieme con i denti amò di squalo.
“E voi un branco di idioti dal cervello piccolo quanto una noce! Guardate che tanto torna prima o poi quindi piantatela di frignare, i mocciosi hanno più ritegno di voi!” replicò stizzito “Sayuri è grande e vaccinata quindi sa badare a sé stessa!”

Concluse il tutto con un pesante sbuffo. Ci mancava solo che dovesse vestire i panni del cattivo di turno, insensibile e freddo come una statua. A parte che già era l’incarnazione perfetta di tutti quei elementi, non aveva voglia di mostrarsi ancora più crudele ma dover badare a quel branco di idioti che sentivano la mancanza della santa stava veramente mettendo a dura prova i suoi nervi, senza contare che non erano solo loro a rompergli le scatole....

“La tua gentilezza è paragonabile soltanto alla tua scarsa competenza medica. Se fossi andato tu sicuramente questa sala non sarebbe un mortorio” proruppe Maya alle sue spalle.
“Osi forse mettere in dubbio il mio lavoro, donna?” domandò, come i suoi compagni non bastassero a snervarlo a sufficienza.
La capo infermiera arricciò il naso “Donna lo dirai a tua moglie razza di maleducato e comunque, se ogni tanto ti mostrassi più aperto verresti di gran lunga più apprezzato. Dovresti essere un po’ più accondiscende con questi ragazzi e capirli: d’altro canto Sayuri è anche una tua amica o mi sbaglio?”
“Si può dire che in un certo senso andiamo d’accordo ma c’è una sostanziale differenza tra un’incrollabile santa e un’altezzosa e isterica crocerossina” sogghignò lui.

Una vena bluastra si gonfiò a lato della tempia di Maya. Mordendosi le labbra rosse, contenne il desiderio di urlargli con tutta la voce che aveva in corpo e rilassò i polmoni espirando. Di persone come Don ne aveva viste molte, perciò sapeva bene come comportarsi e inoltre mettersi a strepitare non sarebbe servito a nulla se non a dare ulteriori punti credito a quell'uomo osioso.

“Sei libero di giudicarmi con qualsiasi metro e comunque, caro il mio Donnie, devi sapere che i tipi come te sono destinati a morire soli e per giunta nel loro stesso vortice di negatività”
“Meglio morire soli che in tua compagnia” sogghignò come certo che persone come Maya, ma e poi mai nella vita avrebbero trovato qualcuno che fosse capace a sopportarle “Come dico sempre, voi donne siete gli esseri più problematici di tutto il mondo e tu ne sei una chiarissimo esempio”

La capo infermiera arricciò il naso nuovamente ma in segno di sdegno. Parlare con Don poteva essere eccitante quanto una partita a scacchi: era tutta questione di strategia, pazienza e di colpi che non dovevano lasciar scampo all’avversario. La sua mentalità negativa riguardante il mondo donne era un argomento dove la difesa pareva essere molto dura per via delle motivazioni fondate del medico-cecchino ma ciò non la irritava: era divertente osservare l’opinione di quel brontolone, era un modo curioso per vedere come gli uomini definivano la sfera femminile nonostante il suo collega tirasse in ballo soltanto il lato malvagio del gentil sesso, ovvero quello che comprendeva una gamma infinità di aggettivi come ricattatrice, subdola, falsa, astuta, manipolatrice, pronta a riempirsi le tasche, maligna. Ecco, quello era il termine che Don usava per definire Maya: maligna, puramente maligna.

Comunque l
a lista era lunga e Maya, se doveva dire la sua, non avrebbe di certo smentito alcune di queste caratteristiche perché esse erano insite nell’indole di ogni fanciulla. Per questo contraccambiava tanta gentilezza col dire che come medico faceva pena, anche se sapeva bene che non era così. La logica di quest’ultimo si basava che uomini e donne fossero stati creati con stampo diverso e nonostante a volte alcune di quelle qualità, sia buona che cattive, fossero spesso più adatte a uno che all’altra o viceversa, le donne risultavano essere più abili nel crearsi la maschera di perfetto enigma ingannatore.

Il fascino di una creatura femminile si poteva manifestare in moltissime maniere, non solo fisicamente ed era questa la chiave che faceva di lei la capo infermiera della Moby Dick: talvolta i suoi pensieri erano estranei anche alle sue amiche più intime. Se fosse stata un libro aperto non ci sarebbe stato gusto nel suo lavoro; non che lo odiasse, ma lei era una figura portante per le sue colleghe, una sorta di mito vivente. Non negava di essere problematica, perché anche lei aveva i suoi grattacapi da risolvere - come tutte le sue simili del resto - ma forse Don non sapeva che se si scavava bene in fondo a tutta quella mole intricata di difetti, poteva esserci qualcosa di molto più semplice e amabile. Non dubitava che quel cervellino irritabile nascosto sotto quel berretto di lana grigia potesse arrivare alla stessa fine del suo ragionamento, solo che la sua visione delle donne era così limitata che difficilmente avrebbe accettato le novità.

“Quale esperienza illuminatoria ti ha portato a fare di questa credenza la tua filosofia sul mondo femminile?” domandò con curiosità vellutata la bella donna dai capelli viola.
“Se speri in un matrimonio fallito ti avviso che hai fatto subito cilecca, donna”
“Matrimonio? E chi era la povera sfortunata?”
“Ah ah, che spiritosa”

Non fu un caso che i presenti si distanziarono di qualche passo. A giudicare dall’aura ostile, perfettamente cagnesca che i due stavano richiamando al loro cospetto, era già tanto che non stessero mettendo a soqquadro la nave a suon di urla e di cazzotti. Ma loro erano intelligenti e piuttosto che passare alle mani, avrebbero preferito di gran lunga tacere e sopprimere il tutto fino a quando non sarebbero scoppiati per il troppo nascondere. Don era calmo ma da come si ripassava le labbra con la lingua ogni volta che Maya apriva la sua boccuccia rossastra era ben chiaro che il desiderio di affogare nell’acido quella testa colorata di viola, man mano si stava facendo largo nella sua mente e la capo infermiera d’altro canto, era allettata dal voler stuzzicare il dottorino fino all’esaurimento soltanto per puro divertimento. L’aria era carica di elettricità a tal punto che scintille azzurrognole scoppiettavano come tanti piccoli petardi.

“Accetta un consiglio donna: non cominciare una guerra che non puoi vincere” le suggerì Don.
“Uhm...potrei farlo” mormorò tamburellando l’indice sul labbro “Ma non lo farò. In fondo non ho motivo per darti addosso”
“Ah si? E criticare il mio lavoro cos’e', un complimento? Donna, porta rispetto” esigette.
“Lo farò quando inizierai a chiamarmi per nome maleducato e visto che sei stato così gentile a darmi un consiglio, voglio dartene uno anch’io: sappi che Barbabianca non è il solo a portare i pantaloni su questa nave, quindi fa attenzione a come ti muovi e sopratutto a come parli”
“Bel consiglio ma se non l’avessi notato li porto già i pantaloni perciò vedi di non darti tante arie, hai capito? Oh scusa, tu alludevi a te, vero?” la canzonò
“Insisti, eh?”

E ricominciarono a battibeccare tenendo alta l’elettricità creatasi attorno a loro, lasciando al di fuori di quella sfera carica di tensione e linee infuocate quel misero gruppetto di pirati che li guardava come se fossero loro i due bambini lagnosi.

 

 

“Io? Guidare la seconda flotta?”

Dal ritorno dalla missione di Doma erano passati a malapena due giorni; Ace stavolta era andato da solo, come per la gran parte delle ultime missioni. Nulla sembrava poter piegare ne la sua forza, ne il suo compito di far capire che certi territori non dovevano essere toccati: gli avversari posti cadevano senza troppi colpi e tutti i tentativi per contrastarlo venivano sfatti seduta stante come tanti castelli di carta traballanti. Contro il fuoco poche erano le armi capaci di giungere a una parità ma Ace, oltre ad essere indubbiamente forte, possedeva uno spirito capace di influenzare chiunque gli stesse vicino: anche in quel caso il capitano di quei pirati avversari, Doma, un accanito avversario di Barbabianca, non era stato in grado di tenergli testa e vincere la battaglia. Finchè la cocciutaggine di Ace si sarebbe dimostrata superiore a quella dei suoi avversari, nulla gli avrebbe impedito di primeggiare e anche se quella di Doma si era rivelata abbastanza dura da fracassare, alla fine l’aveva avuta vinta lui.

Quella sarebbe passata come un’altra vittoria a favore del più anziano degli imperatori ma con la differenza che Pugno di Fuoco quella volta era riuscito a portare il pirata dalla parte del bianco. Bastava un semplice sguardo serio e irremovibile per far suscitare il dubbio in chi si stava cimentando in azioni illecite. Al sentire quella proposta, girò la testa di lato, dove c’era un suo compagno; le sue mani erano occupate dal pane e dalle carne che stava trangugiando per la gran fame in una delle piccole cucine a disposizione sulla nave.

“Si. E’ da tempo che quel posto è vacante e tu sei sicuramente il più idoneo. Sono tutti d’accordo” gli spiegò quello.

La proposta non era sorta per caso; le sue continue riuscite nelle missioni avevano concretizzato quella remota opinione fino a quel momento rimasta in sospeso in una sorta di purgatorio delle idee. Ace non poteva che essere un po’ sconcertato sul fatto che la scelta fosse ricaduta proprio su di lui: la ragione per cui si era dato così tanto da fare non era soltanto far rispettare il nome del suo capitano, che d’altro canto era un uomo di buon cuore, ma anche per non dover pensare a Sayuri. La ragazza era ancora via nonostante le due settimane stabilite fossero passate da più di cinque giorni e questo cominciava ad allarmarlo; ogni qualvolta che faceva ritorno alla Moby Dick andava subito a cercare Akiko per sapere se la castana fosse tornata ma fino a quel momento, la risposta era sempre stata negativa. Anche la corvina dalle ciocche variopinte sentiva la mancanza della sua compagna di stanza. Il senso di vuoto grande quanto un buco nero ormai non poteva più essere colmato da distrazioni materiali o incarichi, questo Ace lo sapeva, come sapeva che Sayuri era perfettamente in grado di badare a sé stessa. La cosa che lo infastidiva però, rimaneva sempre il fatto che fosse con Satch.

Ha approfittato della situazione solo perché Sayuri è troppo buona!  Pensò con una nota di irritazione.

Il comandante della quarta flotta mirava a qualcosa di cui lui ancora non riusciva a comprendere la natura; non era cattivo, anzi, era stato il primo a volergli essere amico anche se lui l’aveva cacciato con un sonoro “Va al diavolo!!”; era una brava persona, solo trovava scocciante che fin dall’inizio avesse riservato una particolare attenzione alla castana. La chiamava pure principessa! Storse il naso a quel pensiero e buttò giù il boccone di carne che aveva in bocca.

“Non fareste meglio a chiedere a qualcuno con più esperienza?” domandò tornando al discorso antecedente “Teach, tu sei qui da più tempo rispetto a me. Perché non lo fai tu?”

A tavola c’era anche lui, il mangia torte, presissimo per l’appunto a divorare tutte le crostate di ciliegie presenti sulla nave. Pareva non sapesse mangiare altro.

“Zehahahahahahaha!!! Certe cose non mi interessano, preferisco stare dove sto! Fallo tu, ci staresti bene come comandante! Zehahahahaha!!!” esclamò, slargando ancor di più la bocca colorata di rosso.

Ace si ritrovò a fissare l’interno del proprio boccale. Senza volerlo si era fatto un nome all’interno di quella grande e immensa famiglia: se avesse accettato, avrebbe avuto tra le mani l’occasione di riunire insieme agli altri componenti della seconda flotta anche la sua vecchia ciurma, inclusa Sayuri e questo era un ottimo motivo per accettare. Sulle sue labbra comparve quel tipico sorrisino furbesco da canaglia che simboleggiava il suo voler accettare la proposta. Visto che avevano scelto ad unanimità, perché non accettare?

 

 

“Portuguese D.Ace, detto Pugno di Fuoco, comandante della seconda flotta di Barbabianca. Ti pareva, capitano a te tutte le fortune! Mi scoccia ammetterlo ma ti calza a pennello” affermò Don sorseggiando la sua birra.

Sbilanciarsi nonostante la futura promozione dell’amico non era sufficiente per far uscire dagli schemi un tipo come il medico-cecchino. Doveva essere ubriaco fradicio per arrivare ad un livello di umanità che si avvicinasse all’essere simpatico.

“Ben fatto Ace! Sarai di nuovo il nostro capitano!” esultò Bonz “Ma perché non dici nulla? Oh, ho capito! Vuoi festeggiare quando ci sarà anche Sayuri! E' giusto, però....”
“Bonz finiscila, stai parlando con il muro. Mettiti quei cavolo di occhiali!” lo rimbeccò acido il cugino.
“Ah si! Ehm...dove....?” si stava tastando le tasche dei pantaloni senza riuscire a trovarli.
“In testa!” sbraitò esasperato Don “Ce li hai in testa!!!!” e si lasciò cadere all’indietro su una sedia, portandosi una mano sugli occhi e massaggiandoseli.
“Com’è che sei più nervoso del solito?” domandò Ace.
“Niente, niente” boffocchiò tra se è se aggiungendo a sottovoce ”Che accidenti, lui diventa comandante e io torno a fare il povero subordinato. C’è davvero troppa discriminazione in giro....”
“Qualcosa è successo. Bonz, me lo dici tu?" domandò il moro rivolgendosi al cugino panciuto.
“Ha bisticciato con Maya, la capo infermiera” spiegò velocemente, sedendosi di fronte a lui e con gli occhiali al giusto posto.
“Non era bisticciare ma un dialogo acceso che io ho gestito alla perfezione” specificò storcendo il naso il diretto interessato “Quella crocerossina non ha ben chiaro che ha portare i pantaloni sono gli uomini e non le donne” corresse senza scomporsi “Dannazione, spero che la santa sia già sulla via del ritorno, almeno quella assatanata tormenterà lei e non me!”

Era la sola capace di sopportare l’idiozia del cugino, dei suoi compagni e anche l’irritante carattere della capo infermiera ma di certo non era il solo a volerla riavere indietro; Yu-chan mancava anche a tutti gli altri - già glielo avevano fatto notare - in special modo ad Ace. Si fermava a scrutare l’orizzonte con lo sguardo seminascosto dal cappello come a cercare qualche cosa che assomigliasse ad una nave. Anche in quel momento era intento a perlustrare l’immensità dell’oceano nella vana speranza di vedere qualcosa di diverso in esso, nonostante fosse buio.

“E’ un modo curioso per festeggiare la propria promozione” proruppe Marco affiancandolo.

Ace non si sorprese della sua presenza: aveva imparato da tempo che il comandante della prima flotta sapeva celare la propria presenza con tale maestria che pochi riuscivano a capire se fosse nelle vicinanze o meno.

“Non c’è niente da festeggiare visto che non ho ancora deciso se accettare o meno. Resto dell’idea che l’incarico spetti a uno con più esperienza” rispose senza staccare gli occhi dall’orizzonte.
Marco contorse la bocca in un mezzo sorriso “Può darsi ma se papà pensa che tu sia adatto per ricoprire il ruolo di comandante, non vedo cosa ti trattenga ancora. Comunque sono venuto a informarti sulle vicende a Meriko” lo avvisò poi.
Ace voltò la testa verso il biondo, con occhi avidi di conoscenza “Che novità ci sono?”
“Sembra che la faccenda sia durata più a lungo del previsto. Le comunicazioni là non sono molto buone, per questo abbiamo ricevuto la chiamata solo adesso. Sono tutti vivi e sono sulla via del ritorno però non sappiamo con certezza quanto tempo ci metteranno ad arrivare. Può essere fra un ora o fra un giorno, non ne siamo sicuri”

Pugno di Fuoco sospirò abbassando il cappello con la mano. Non era ne contento ne deluso; sapere che Sayuri si trovava sulla via del ritorno e che soprattutto era viva lo allietava ma aspettare ancora senza sapere di preciso quanto ci avrebbe impiegato a tornare cominciava ad essere terribilmente fastidioso. La sua unica chance a quel punto era avere costanza ma se non poteva avere pace su quel fronte, non poteva di certo averne sul secondo che inevitabilmente stava sorgendo come l’alba. Quel miscuglio di malinconia e di dubbi sulla propria posizione non facevano che danzargli ritmicamente attorno senza mai fermarsi.

Da quanto tempo era sulla Moby Dick? Da quasi un anno se ci pensava attentamente ma c’era così tanto movimento che parevano essere passati soltanto pochi mesi. Inizio a parte, la vita sulla nave aveva preso una piacevole piega: i suoi compagni erano simpatici e il vecchio col suo egocentrismo trattava tutti loro come se fossero carne della sua carne. Benchè l’apparenza ingannasse, quell’uomo dalle gigantesche fattezze era davvero buono e non perdeva mai l’occasione di farsi due risate insieme a tutti loro ed era quel dettaglio, insieme a molte altre osservazioni, che aveva indotto Ace a riflettere attentamente su quanto gli stava venendo offerto. Pensarci tutta la notte non era bastato per questo di prima mattina era ancora sul ponte, con la schiena appoggiata  al parapetto e le braccia incrociate.

Era intenzionato a fare quella cosa ma non era sicuro di saper gestire le parole e la situazione nel complesso. Avrebbe voluto che Sayuri fosse lì, anche solo in silenzio, per infondergli la giusta pace e sicurezza che gli occorreva per orientarsi sulla giusta strada ma nel tenere a mente in nocciolo della questione, reputò che fosse un bene che la ragazza non si trovasse lì e che non ci fossero nemmeno Don, Bonz e gli altri. Ciò che doveva affrontare non richiedeva l’aiuto dei suoi amici, ma solo la presenza dell’imperatore. Moralmente parlando, la sua coscienza lo spronava a non rimanere in silenzio; lo incitava a scoprirsi con chi gli voleva bene e con chi lo conosceva come un fratello ma non poteva. No, quell’affare personale non lo voleva rivelare ma sapeva, ne era fin troppo consapevole, che non poteva rimanere su quella nave, a servire quell’uomo, nascondendogli la verità che poteva vederlo gettato fuori babordo. Non sarebbe stato altro che un codardo.

 


“Ace! Che ci fai sulla porta? Entra ragazzo!”

Invece di essere seduto sulla sua enorme poltrona lilla, quel giorno Edward Newgate era rimasto nella sua stanza sdraiato sul letto, con più flebo del solito. Sull’enorme torace dove già troneggiavano diverse e ben evidenti cicatrici, erano stati applicati dei grossi cerotti bianchi che nascondevano i minuscoli tubicini di plastica trasparente collegati alle sacche poste vicino all’ampio letto. A volte capitava che dovesse rimanere al chiuso e sdraiato, specie per terapie intensive, ma se si trattava di un solo giorno il vecchio poteva anche starci e questo segnava un punto al buonumore della capo infermiera. Bastava una semplice veduta a 180 gradi per capire che l’interno della stanza si avvicinava più ad essere una sala operatoria che al comune appartamento personale del capitano; l’intero lato destro era stipato di mensole e armadietti contenenti ogni genere di boccette di medicinali, disinfettanti, antidolorifici e molti altri.
Accanto ad alcuni grossi asciugamani c’erano vassoi su cui erano disposti con ordine i classici strumenti da lavoro, tutti perfettamente puliti e affiancati da un paio di respiratori. Ace non faticò a immaginare l’equipe di infermiere guidata da Maya indaffarata al fine di mantenere il più stabile possibile la condizione dell’uomo. Dall’alto della sua posizione, la malattia di cui era vittima non doveva essere presa sottogamba, specie se era la più crudele e inarrestabile di tutte: la vecchiaia, per quanto un uomo fosse forte, era impossibile da evitare e da sconfiggere, anche per chi era considerato il simbolo vivente della pirateria. La si poteva tenere sotto controllo, ma non sradicare come una radice dal terreno. Apparteneva alla vita stessa, faceva parte del suo ciclo come per molte cose che riguardava il corpo umano. Era inevitabile.

“Che ti succede, ragazzo? Perchè quello sguardo tetro?” domandò il vecchio nel scorgere l’espressione cupa di Ace.
“....Ho bisogno di parlarti. E’ una cosa importante” gli rispose seriamente.

Aveva passato tutto il giorno a prepararsi, a scegliere con cura le parole e a trovare il coraggio di aprire l’armadio e tirare fuori l’unico scheletro della sua vita che lo disgustasse e presentarlo davanti all’imperatore. Barbabianca, cogliendo la solennità della sua risposta, socchiuse gli occhi; la presenza del ragazzo era dettata da una ragione meritevole di ascolto e che pretendeva essere spiegata in tutto e per tutto. Gli fece cenno di sedersi dove più gli aggradava.

“Dimmi tutto” gli disse infine.

Seduto ai piedi del letto, Ace chiuse gli occhi per qualche istante: gli occorreva una manciata di secondi per iniziare quel discorso nella maniera più adeguata. Stava per incamminarsi su campo minato e lui era bendato, senza il benché minimo senso dell’orientamento. Aveva tante possibilità di avanzare quante quelle di cadere e non riemergere più.

“Quasi un anno fa mi hai portato sulla tua nave offrendomi la possibilità di diventare uno dei tuoi figli e sai che inizialmente mi rifiutavo perché non potevo accettare il fatto di essere stato risparmiato” iniziò “Entrare a far parte della tua ciurma per me ha significato ricominciare da capo e non ho avuto alcun ripensamento nel prendere quella decisione perché mi hai dato la possibilità di scegliere ed è per questa ragione che porto il tuo simbolo sulla mia schiena. Se sono qui adesso è perché voglio che tu sappia una cosa su di me e perché tu rifletta bene prima di offrirmi una nomina tanto importante come comandante di una delle tue divisioni”
Barbiabianca lo guardò accigliato “Su cosa dovrei riflettere di preciso? Hai talento per i combattimenti e sai farti valere in battaglia, senza contare che i tuoi compagni ti stimano e sono disposti a seguirti quando decidi di affrontare il pericolo. Perchè dovrei riflettere se promuoverti o meno? Hai le carte in regola e la mia fiducia ragazzo!” esclamò sorseggiando del liquore.
“Anche se sono il figlio del tuo vecchio rivale?”

L’ampia gola del vecchio smise di accogliere il liquore dolciastro che fino a quell'istante non aveva fatto fatica a farsi largo lungo la sua trachea. L'imperatore abbassò la bisaccia e squadrò Ace con occhio fermo, nascondendo la bocca sotto i folti baffi.

“Tu saresti il figlio di Roger?” domandò con fermezza.

Ace tacque ma non distolse lo sguardo. Pensare che odiasse il padre non era che un eufemismo. I pirati l’avevano conosciuto come colui che si era spinto più in là di chiunque altro, ottenendo ricchezze inimmaginabili. Il Governo Mondiale lo aveva identificato come la più fastidiosa spina nel fianco che gli potesse capitare. Il resto del mondo l’aveva reputato come la miccia che aveva dato inizio a quell’immane esplosione che poi era l’era della pirateria. Non c’era mare che non fosse solcato da navi pirata, non c’era giornale che non parlasse di arrembaggi e non c’era bocca che non accusasse Roger per tutto questo. Chi poteva immaginare che il Re dei Pirati, colui che alla fine del suo viaggio si era consegnato spontaneamente alla marina, avesse un discendente? Non era stata che una voce che aveva preso forma in una realtà inadatta e inospitale dove vivere.
A tutti coloro che possedevano sangue maledetto era destinato un trattamento diverso, che non sfiorava ne la felicità ne l’amicizia se questi venivano riconosciuti come figli di bucanieri. L’odio e il disprezzo provato nel sapere le origini era stato alimentato dalle dicerie che quella gente continuava a sparpagliare al vento come se fosse il solo modo per sfogarsi. Non lo aveva mai conosciuto perché era morto ancor prima che lui nascesse ma quando chiedeva informazioni sul quell’uomo, ad Ace non giungevano che impeti e insulti ed erano così cattivi, che invece di colpire un fantasma, prendevano e ferivano lui, andando così ad alimentare quella fiamma nera sempre più vicina ad assomigliare a un incendio. La sua vita la doveva unicamente a colei verso il quale sarebbe sempre stato debitore e che mai avrebbe potuto ringraziare perché scomparsa ai suoi primi respiri: Portoguese D.Rouge era la sola persona che meritasse di essere ben ricordata ma a cui non poteva neppure dare un volto.

Doveva la sua infanzia anche a Garp, che l’aveva preso con sé trattandolo proprio come fosse suo nipote e a Rufy, il solo che fosse capace a sostenergli l’animo con la sua disarmante ingenuità e a farlo sorridere, ma a sua madre doveva molto di più; gli doveva la vita, la stessa che lei aveva utilizzato per resistere e per far si che non morisse. Prendere il suo cognome era stato il solo gesto affinchè il suo ricordo, insieme a quel poco che sapeva di lei non svanisse definitivamente, annegato nel suo stesso sangue ripugnante. Non avrebbe biasimato Barbabianca se l’avesse sbattuto fuori dalla nave, ne avrebbe negato l’evidenza se qualcuno glielo avesse chiesto. Il suo orgoglio e la sua posizione non gli permettevano di replicare, di tralasciare quella questione come fosse un qualunque appunto e il semplice fatto di essere un uomo di parola, lo spingeva ad assumersi le sue responsabilità. Era pronto ad ogni reazione dell’imperatore, anche a prendersi un suo pugno in faccia e venire lanciato fuori dalla nave.....tranne a quel sorriso beffardo che stava comparendo sul suo volto rugoso, facendo risaltare i lunghi baffi bianchi.

“E così saresti il figlio di Roger? Guraguraguragura!! Ragazzo mio, fattelo dire: non gli assomigli per niente!! Guraguraguraguragura!!!!” e buttò giù un altro sorso di sakè.

Cercando di nascondere al meglio la propria esitazione e anche la sorpresa per quella reazione, Ace si mantenne serio.

“Bene, adesso lo sai. Mi caccerai via?” domandò.

Barbabianca lo guardò per qualche secondo prima di scoppiare definitivamente a ridere. I numerosi tubicini attaccati al suo corpo traballarono su e giù per il leggero e ritmico movimento del torace del vecchio.

“Cacciarti?! Guraguraguragura!!! E perché mai dovrei farlo?!? Guraguraguragura!!!!!!!”

Ace tacque di nuovo, completamente allibito.

“Per la miseria, mi sono davvero preoccupato quando hai detto che dovevi parlarmi di una cosa importante, avevi una faccia così seria!! Guraguraguragura!!!!” si interruppe per bere un altro sorso di sakè. Poi, guardò il ragazzo negli occhi “Ascolta figliolo: se c’è una cosa in cui credo e che tutti quanti siamo figli del mare. Per alcuni i legami di sangue possono essere importanti, per altri possono valere meno di zero ma se osservi bene questo mondo, ti accorgerai che tutti quanti condividiamo la stessa terra e lo stesso cielo! Navighiamo nelle stesse acque e ciascuno di noi è libero di credere in quello che vuole. Siamo tutti figli di questo grande mondo e continueremo ad esserlo anche quando saremo polvere!! Guraguraguraguragura!!!!!!!”

Quei piccoli occhietti neri che Ace guardava impietrito non certo per paura, brillavano di una determinazione che sempre aveva creduto nei propri ideali: lo spirito di Barbabianca era vissuto a lungo e viveva ancora come allora, forte, sicuro, privo di esitazioni o rimpensamenti. Lui si considerava libero e fiero di quello che era, in tutti i suoi pregi e difetti e di certo, solo perchè qualcuno gli faceva notare quest'ultimi, avrebbe cambiato comportamento. Ace vedeva quella cieca convinzione tenere in piedi quell'uomo dal fisico apparentemente stanco e farlo combattere con lo stesso ardore che possedeva un giovane della sua età. Non era una menzogna il fatto che quell'imnperatore, il solo che avesse potuto tenere fieramente testa a Gol D.Roger oggi fosse considerato l'uomo più forte del mondo. E lui, il figlio di Roger, lo avrebbe servito per il resto della vita perchè così aveva deciso quel giorno quando aveva accettato la sua proposta. Era ironico ma giusto dal suo punto di vista.

“Quindi...posso restare?” riuscì a domandare il moro ormai completamente allibito e disarmato.
“Ma mi sembra ovvio!!! Sei il comandante della mia seconda flotta quindi adesso va e stupiscimi!! Guraguraguraguragura!!!!!”

 



   

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Capitolo 32
*** Regalo. Il brindisi dei comandanti. ***


Buon giovedì a tutti!ieri era il due giugno e pertanto,essendo festa non ho aggiornato,ma solo perché ero fuori,intendiamoci e visto che volevo essere coerente con i tempi ho postato oggi,contenti?spero di si.

Passiamo ai ringraziamenti così poi potete passare alla lettura:

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happylight:carissima!!cosa sta combinando Satch?mistero della fede….e intanto Ace rode per la gelosia ma adesso che è il comandante della seconda flotta la potrà riavere nelle sue file così Satch non romperà più!eh si,consoleremmo tutte quante questo ragazzo ma ahimè non ho voglia di riprendermi il bigliettino e mettermi in fila,sarebbe troppo stressante!Yu-chan è lontana ma adesso direi che possiamo farla anche tornare,no?

MBP:Ma-chan!felice che i bisticci tra Maya e Don ti siano piaciuti.Effettivamente Sayuri si avvicina ad essere qualcosa di accettabile per Don,che considera il genere femminile con occhio pessimista.Noto con piacere che il tuo disgusto per mangia crostate;tesoro,non sei la sola,qui tutte noi vorremmo fargli la festa a modo nostro.Vista la momentanea assenza della mia pupilla (tranquilla è viva)era giusto dare quel ritaglio ad Ace e alla sua promozione:nel flashback si vedeva e io volevo assolutamente metterlo anche perché a breve ci sarà una cosa che si ricollegherà al suo essere il figlio del re dei pirati ma non sorvoliamo ancora su questa vicenda e concentriamoci sul ritorno di Sayuri:ih ih ih,ci hai azzeccato,Ace è molto geloso della sua navigatrice e anche gli altri ne sentono la mancanza ma dovevo un attimo toglierla di mezzo,per così dire,per fare bene questa parte quindi,visto che sembra essere piaciuta ora posso farla tornare…un momento,dov’è?Sayuri?....oddio,l’ho persa!

giulio91:ciao!questa volta mi sono addirittura superata?d’accordo non è la prima volta che me lo sento dire ma mi fa ugualmente piacere (e ricomincia a gongolare come una scema…).Grazie per l’aver apprezzato la descrizione di Meriko e anche per venerare il nostro gigante dal cuore buono.Sapevo che il duello Don-Maya avrebbe riscontrato parecchio successo,la frase che mi hai segnalato desideravo metterla da tempo perché in bocca al mio mitico medico-cecchino avrebbe fatto la sua gran bella figura.Lui è fatto così lei è fatta così,si sono trovati ma solo per litigare.Dovevo mettere qualcosa di carino e divertente altrimenti il capitolo mi veniva cortissimo,poverello e quindi insoddisfacente!Grazie per il complimento ai miei esami,speriamo che di continuare così!ah,ovviamente buona fortuna anche con la tua maturità!

Angela90:tesoro!allora,prima cosa:Teach potrà fuggire quanto gli pare,tanto lo troverò e gli farò il pelo e contropelo.Il grassone ha le ore contate!!!comunque,passando a te…si,si Ace lavora tanto ma pensa sempre a Sayuri e a come fracassare il cranio a Satch,ma vedrai,in questo capitolo Satch sarà più..come dire…si vedrà un lato di lui che ho costruito appositamente per riflettere quel tratto di personalità seria che dovrebbe essere insita in lui.Beh,leggi e capirai.Hai azzeccato sulla scena di Don-Zoro.Era bellissima,volevo metterla a tutti i costi ma la parte centrale di questo capitolo era appunto la rivelazione di Ace:si,nel flashback si vedeva quindi l’ho messa senza pensarci e anche perché mi piaceva,quindi l’ho presa,scritta e infine pubblicata.Adesso,chissà cosa succederà…ih ih ih!

Sachi Mitsuki:amore,sei tornata!!!!(la stritola e non la molla più).Veramente sono più di venti volte che mi fai i complimenti ma non importa sono benaccetti!mi chiedi se Rufy comparirà?beh,posso dirti di si ma non aggiungo altro,ho già detto troppo.Lui mi occorre per il mio intricato progetto di cui la fine ancora non si vede,quindi dovrai pazientare ancora un pochino.Ho ancora molto su cui lavorare…Non andarmi in depressione perché Shanks non c’è più,non fare così!!purtroppo non so dove metterlo e non saprei nemmeno come gestire tanti personaggi insieme,quindi fammi un bel sorriso!

 

 

 

Quando Ace uscì dalla stanza del capitano lo sentì ancora ridere come se gli avessero appena raccontato una barzelletta divertentissima. Delle molte reazioni lui era sfociato in quella meno improbabile, anzi, quella che sicuramente Ace avrebbe scartato per primo visto il grado di importanza della questione. Alla fine Barbabianca, con quei suoi giri di parole gli aveva detto di fregarsene da chi discendesse e di continuare la sua vita come meglio credeva. Gli venne da ridere se solo ripensava a quanto era stato lì a prepararsi mentalmente e posò una mano sulla fronte sghignazzando incredulo. A una risposta come quella, proprio non si era preparato.

“Vedo che sei di buon umore, Ace” osservò qualcuno alla sua destra.

Aveva girato la testa così velocemente che quasi il cappello gli era sfuggito. Quel qualcuno aveva una voce familiare, che il moro non udiva da moltissimi giorni e di cui sentiva terribilmente la mancanza. Il sorriso gli si allargò senza che lui desse un ordine al suo cervello: Sayuri era a pochi metri da lui, sorridente e con le braccia incrociate dietro la schiena. Pareva un po’ affaticata ma non abbastanza per cercare l’amico che per troppo tempo non aveva visto. Leggeva lo stupore nei suoi occhi e anche una felice sorpresa.

“Sayuri! Quando sei tornata?” le domandò andandogli incontro.
“Pochi minuti fa. Sono venuta a cercarti perché eri l’unico che ancora non avevo salutato. E’ successo qualcosa col capitano? Ti ho visto uscire dalla sua stanza..”
“No, niente di particolare” rispose con assoluta naturalezza “Sono solo diventato il comandante della seconda divisione” rivelò come fosse una notizia di poco conto,guardandola con occhi divertiti.

Alla notizia, gli occhi di lei si illuminarono: era fattibile che non sapesse quanto era successo durante la sua assenza vista la scarsa possibilità di tempo, senza contare che lei era stata impegnata a fare tutt’altro. Il canale di comunicazione non era di sua competenza e il nemico essendo stato piuttosto numeroso e anche sufficientemente astio aveva richiesto tutta la sua attenzione, però in quel momento non poteva non essere felice per il ragazzo, che dal canto suo era più che contento di vederla nuovamente sulla nave: non era cambiata fisicamente, eppure il vederla dopo tanto tempo rendeva la sua presenza ancora più benvoluta, anche se ora che la guardava con più attenzione doveva ammettere che il suo pallore un po’ lo impensieriva.

“Stai dicendo sul serio?” gli domandò stupita.
“Si, si. Non mi credi?”
“No, al contrario. E’ meraviglioso Ace! Sono cont...!”

La gioia per la novità e il suo dolce sorriso svanirono senza che lei potesse accorgersene. La testa cominciò a vorticare pericolosamente tanto da darle la sensazione che sotto i suoi piedi la terra si fosse aperta. Non seppe bene descrivere cosa fosse successo perché era come se si fosse addormentata senza preavviso ma appena riprese coscienza di sé, avvertì un braccio cingerle le spalle e sostenerla con vigore. Sbattè più volte le palpebre, disorientata, incrociando gli occhi di Ace.

“Sayuri, stai bene?!” domandò visibilmente preoccupato.
“A-Ace..” si riscosse. Era quasi svenuta “Ti chiedo scusa, è..è solo la stanchezza. La missione a Meriko è stata davvero impegnativa e anche il viaggio di ritorno è stato altrettanto faticoso. Tutti quanti noi abbiamo dovuto dare a fondo alle nostre energie” spiegò con voce debole.

Che fosse stato un semplice attimo di debolezza causata dalla missione, di questo Ace non ne era molto sicuro. L’aveva vista sbiancare di colpo e nel sorreggerla percepiva il suo corpo ancora più leggero di quanto già non fosse. Non gli occorse molto per convincersi che la ragazza aveva combattuto per continue ore senza riposo, ciò era perfettamente normale, ma quel che aveva più fondo in quella sua certezza era il fatto che lei non avesse toccato neppure cibo. Da quel poco che era riuscito a estorcere ai compagni, un quarto dell’isola era rimasta isolata senza cibo, acqua e i dovuti ripari e conoscendo bene la ragazza, non faticava a pensare che avesse scartato quel poco che mangiava per darlo a chi ne aveva più bisogno. Era ammirevole ma in parte sciocco; già di suo si nutriva con poco, se poi digiunava incombeva nel rischio di ammalarsi gravemente. Ancora una volta rimpianse di non averle detto di restare.

“Sto bene” ripetè lei cercando di rimettersi correttamente in piedi “E’ stato solt..A-Ace cosa stai facendo?!”

Senza troppi preamboli, il moro aveva fatto passare l’altro braccio sotto le ginocchia della ragazza in modo da sollevarla da terra, prendendola così in braccio.

“Ace, ti prego, mettimi giù. P-posso farcela ad arrivare fino all’infermeria, non..non è lontana!” balbettò arrossendo.
“Non credo proprio. Sei diventata troppo pallida e potresti avere un altro mancamento” replicò con voce incapace di accettare repliche.
“Ma io...”
“Te lo dissi anche a Yukiryu, ricordi?” la interruppe con voce ferma e seria, posando lo sguardo su di lei “Mi sentirei mortalmente in colpa se tu stessi male”
“Ace...” riuscì a pronunciare solo il suo nome poi si bloccò,non essendo in grado di dire o fare altro.

Quei occhi color pece riuscivano sempre a stregarla, a metterla con le spalle al muro, ma non di certo per ferirla. Ogni volta sentiva il proprio io inabissarsi e sprofondare nei meandri più profondi e freddi dell’oceano, dove non riusciva più a muoversi, dove galleggiava in quel silenzio che nonostante tutto la proteggeva. Ace riusciva a sortire quell’effetto su di lei, sempre. Anche adesso che la guardava.

“E poi...” aggiunse il ragazzo con tono più morbido “Se non erro, il comandante qui sono io e tu, in qualità di mia sottoposta devi obbedire, quindi adesso fa la brava e fatti portare in infermeria. Non vorrai farmi stare in pensiero ancora di più spero” e sfoggiò il suo conosciuto e carismatico sorriso.
“No, scusami, però io....”

Non riuscì ad andare oltre. Solo in quel momento realizzò che i loro volti erano vicini, troppo vicini. Pericolosamente vicini. I sensi del corpo e della mente si stavano espandendo al massimo delle loro possibilità, in modo tale da permettere alla ragazza di percepire ogni cambiamento che veniva dal suo interno: sentì le guance accaldarsi gradatamente, il sangue aumentare di velocità e scaldarle la punta delle dita, il cuore battere pesantemente come se stesse venendo frustato per farlo, il respiro impazzire..

A stento si controllava e solitamente era una persona più che ponderata e riflessiva. Com’era possibile che ogni volta che fosse troppo vicina ad Ace si sentisse così persa e non sé stessa? Era sempre stata brava a mascherarsi ma con lui diveniva tutto difficile, come fosse un apprendista alle prime armi. Dal canto suo Ace, si stava dando mentalmente del cretino. Che diavolo stava facendo? La preoccupazione per la salute della ragazza aveva dato il via libera a quella parte di sé che a stento rimaneva ferma se si ritrovava a una distanza troppo ravvicinata dalla ragazza. Sentiva di avere un espressione diversa da quella che abitualmente aveva e la poteva vedere riflessa negli occhi color cioccolato della giovane: era la tipica faccia che lasciava intendere di voler fare qualcosa, qualcosa di non poco trascurabile e per grazia divina lui se ne era accorto in tempo. Non era mai stato il genere di persona che arrossiva o che reagiva di impulso come un suo fratellino di conoscenza - il suo autocontrollo era più forte - per questo riuscì perfettamente a riprendere in mano la situazione e a farla ritornare su un piano normale e tranquillo ma ormai era fin troppo scontato che se Sayuri era nei paraggi, difficilmente poteva pensare ad altro. Ormai era incantato da quella ragazza, ogni parte di lei lo incuriosiva: certo era forte, possedeva l'haki - abilità difficile da sviluppare, che solo pochi ottenevano - e poi..era davvero speciale per lui e quindi voleva fare le cose per bene, non di fretta.

“D’accordo” disse infine “Io ti metto giù ma ti accompagno ugualmente in infermeria. Ti va bene?” le domandò calmo.
“E’ perfetto” rispose lei, toccando il pavimento con i piedi. Mentalmente tirò un profondo sospiro di sollievo, nonostante Ace le stesse ancora cingendo la schiena “Ah, quasi me ne stavo dimenticando” infilò una mano nella tasca laterale dei pantaloni e ne estrasse qualcosa che tuttavia il ragazzo non riuscì bene a vedere. Lei gli prese il polso ma anche senza capire cosa stesse facendo, Ace lasciò che gli legasse qualcosa attorno ad esso.

Quando ritrasse le mani, lei sorrise senza dirgli nulla, lasciando che fosse lui stesso a giudicare; nell’alzare il polso vide che insieme a log pose, che solitamente portava, era stato aggiunto un braccialetto fatto di fili intrecciati, dove si alternavano il rosso e il bianco.

“E’ un portafortuna” gli spiegò “Fin dall’antichità Meriko è stata una terra molto ricca di tradizioni e usanze: la gente del posto si diletta a creare oggetti del genere perché sono convinti che i colori rispecchino l’animo delle persone e che se queste indossano un oggetto con il colore che più si armonizza con il loro io interiore, verranno protette dall’elemento che simboleggiano. Poco prima di partire ho imparato a intrecciare i fili e così ho costruito questo bracciale per te: ho pensato che il rosso ti si addicesse”

Dai lavori che aveva potuto ammirare soltanto per qualche minuto a Sayuri era venuto il timore che tra le sue mani quei fili potessero soltanto appallottolarsi invece di diventare qualcosa da cui trarre un piccola soddisfazione. Era rimasta affascinata nel vedere le dita degli abitanti lavorare con precisione e velocità su quei fili colorati, intrecciarli l’uno all’altro come corde e trasformarli in collane, bracciali o altri oggetti richiamanti le loro tradizioni. Nello scegliere il rosso per costruire il suo bracciale le era stato detto che quello era il colore del fuoco, motivo più che sufficiente che l’aveva spinta a prediligere quel colore anziché un altro: con pazienza si era seduta su una panca e aveva cominciato a lavorare i fili sfruttando tutta la sua pazienza, senza fretta, anche se temeva di combinare un guaio. Un conto era se il monile costruito lo si teneva per sé ma cambiava tutto se l’oggetto veniva costruito per un’altra persona: da quel che aveva capito, oltre a fornire a quella persona la protezione del proprio elemento, i fili assorbivano la volontà di chi creava l’amuleto, per trasmetterla così a colui o colei che riceveva il dono, in modo tale che questo o questa non venisse attaccato da spiriti maligni. Non era che una leggenda, una credenza con l’egual valore dell’acchiappasogni ma Sayuri ne era rimasta colpita e in fondo al cuore sentiva di crederci e per tale ragione aveva aggiunto il suo colore al bracciale: il bianco indicava candore e purezza, richiamante la serenità ma anche simbolo di una luce ben diversa da quella che il fuoco era solita sprigionare ma non per questo inconciliabile con esso. Quando finalmente era riuscita a completare il suo monile, lo aveva stretto a sé pregando che quella luce a cui era legata proteggesse l’indomito fuoco di cui era tanto innamorata e che la predizione fattagli tempo addietro non si avverasse.

“Mi piace! Davvero l’hai fatto per me?” Ace lo ammirò con occhi brillanti.
“Si. Visto quant’è accaduto, puoi vederlo come un regalo per la tua promozione”
“E’ bello! Di la verità, il bianco è il tuo colore, vero?” intuì lui con il suo sorriso sghembo.
“Si..” cominciò lei “In verità soltanto rosso non mi convinceva, così ho utilizzato anche il bianco per renderlo più vivace. Il bianco è il colore della luce che scaccia i demoni e gli spiriti maligni”

Ace sorrise, osservando con somma felicità il suo regalo: sicuramente ora che era il comandante della seconda flotta un po’ di fortuna gli sarebbe servita; in quanto alla protezione non dubitava di quanto Sayuri gli aveva detto perché in qualche modo poteva avvertire l’impegno che la ragazza aveva messo per realizzare quel bracciale. Era come se una pezzettino della sua anima adesso fosse legata al suo posto, cosicchè potesse infondergli la forza necessaria per fare quello in cui più credeva. Spostò gli occhi sulla ragazza e si preoccupò nel vederla con la schiena appoggiata alla parete e la fronte riversata sul palmo della mano.

“Va tutto bene?”
Lei per tutta risposta alzò la testa, stropicciando gli occhi mormorando “Ho sonno”

Quasi il suo cuore rischiò di fermarsi definitivamente: aveva appena avuto il tempo do pronunciare quelle due parole con somma difficoltà quando Ace - già di suo molto vicino - aveva accorciato ulteriormente la poca distanza per poggiare la propria fronte sulla sua. Inebetita, la ragazza ignorava la mano sulla sua spalla, quello era un contatto minore rispetto a ciò che adesso le stava facendo mancare il respiro. Così vicina a lui poteva vedere distintamente le buffe lentiggini che riempivano le guance del mora, percepire il suo respiro solleticarle la pelle, immaginare cosa i suoi occhi neri cercassero di dirle. Si sentiva cadere ma le sue gambe ancora la reggevano. Non rischiava di precipitare nel buio, al contrario, ma la sensazione era uguale, solo...era così rassicurante. Non riusciva a comprendere come Ace potesse soggiogarla a quel modo, ma le piaceva. Ogni giorno lasciava che quella convinzione si inoltrasse nella parte più remota e spaventosa di sé ma ancora non aveva raggiunto ciò che cercava.

“Non hai la febbre, per fortuna” sospirò con una nota di sollievo.

Su questo Sayuri non era così sicura. Le mancava l’aria e quel caldo che solo lei pareva sentire continuava ad aumentare costantemente. Ace era ancora troppo vicino, ma almeno il suo cuore aveva ripreso a battere, solo con una velocità allarmante, che aumentò esponenzialmente nel guardare il ragazzo.

Perché non riesco a distogliere lo sguardo? Pensò con le mani incrociate al petto.

Era come la scorsa volta, poco prima che Satch li interrompesse: lo stesso silenzio, loro due soli.... La ragazza era sul punto di cedere e le sue gambe con lei. Senza desiderarlo si ritrovò a davanti a pensieri mai formulati, accorgimenti a lei noti ma mai espressi e tutti quanti riguardavano Ace. Tutti quanti ricadevano su di lui e si univano in un’unica convinzione, la stessa che la portava ad arrossire quando lui le era vicino, quando sorrideva allegramente o quanto il suo viso diveniva quello di un uomo determinato a fare qualcosa senza ripensamenti sulla coscienza: Ace era un bel ragazzo e lei ne era innamorata persa. Di per sé era già piuttosto minuta rispetto a lui ma nel guardarlo con gli occhi rivolti verso l’altro, non percepiva quel suo sovrasto come un che di minaccioso, al contrario.

Non aveva idea di cosa fare ma sapeva soltanto che se non distoglieva lo sguardo sarebbe capitato qualcosa....

“A-ah! Trovati!” esultò una voce familiare.

......Qualcosa che evidentemente non era destinato a capitare visto che qualcuno aveva il brutto vizio di interromperli sempre! Satch era comparso davanti a loro, con le braccia conserte e un sorriso molto curioso. Dalla cintola di cuoio marrone pendeva il fodero della sua spada, che rimaneva fermo nonostante lui stesso camminasse.

“Si può sapere tu da dove diavolo sbuchi?” sibilò Ace controllando l’irritazione crescente.
“Da dietro l’angolo, e da dove se no?” disse innocuamente “Principessa, non dovresti andare a letto? E' tardi e se vuoi mantenere quel bel visino che hai, devi dormire adeguatamente|”
“Lo so, ma prima volevo salutare Ace” rispose recuperando a tempo di record la facoltà di parlare.

Satch storse la testa e guardò il moro diagonalmente e nel notare quel bagliore poco rassicurante nei occhi neri del compagno, arrivò alla lampante deduzione di essere a pochissimi passi dalla morte. Ovviamente aveva le sue buone ragione per guardarlo a quel modo ma ignorò bellamente ogni singolo segnale a suo carico e continuò perterrito.

“Bene, allora se hai fatto lo sequestrerei io. Ho giusto bisogno di scambiargli due paroline veloci”

Ace si sorprese; era insolito che Satch chiedesse di lui e non di Sayuri. Qualunque cosa fosse, avrebbe aspettato almeno un paio di minuti.

“Prima accompagno Sayuri in infermeria” affermò calmo affiancando l’amica.

Preferiva assicurarsi che la ragazza non stesse male ancora una volta.

“Non ce ne è bisogno, posso andare per conto mio e poi è qui vicino” replicò lei gentile.
“Sei sicura? Sei ancora pallida”
“Adesso sto molto meglio, grazie. Buonanotte ad entrambi”
“Buonanotte principessa! Sognami!” esclamò il biondo ricevendo un’occhiata ultra-omicida da Ace.

Con un cenno di mano, li salutò e sparì dietro l’angolo. La felicità di aver rivisto Sayuri era stata grande ma il tempestivo arrivo del comandante della quarta flotta aveva incrinato quel momento. In cuor suo sperava che l’amico avesse un valido motivo per richiedere la sua presenza alle tre di notte, altrimenti era certo che una sfuriata non gliel’avrebbe levata nessuno. Dopo quella giornata costellata di lieti eventi, difficilmente avrebbe preso sonno ma voleva ugualmente stendersi ed immergersi nel suo fiume inarrestabile di pensieri e riflessioni, cosa che a quanto pare non era destinato a fare visto che il biondo gli aveva appena chiesto di seguirlo nel cucinino più vicino. Chissà cosa doveva dirgli di tanto urgente.....

 


“Ecco qua! Una bella bottiglia di birra per festeggiare la tua promozione! Congratulazioni collega!” trillò l’uomo dal ciuffo all’insù posando sul banco di legno del cucinino una bottiglia di vetro color arancione scuro insieme a due boccali di legno “Beh? Che hai per guardarmi con quella faccia indagatoria? Non ho mica avvelenato la birra” scherzò sulla difensiva.
“Non sono così malfidato, solo vorrei sapere che cos'hai da dirmi di tanto urgente da non aspettare domattina” gli disse Ace incrociando le gambe sotto il tavolo.
“Come, non si vede?” e alzò la bottiglia ultrasorridente.
“Satch” il solo pronunciare il suo nome bastò per far capire al suddetto che era inutile tirarla per le lunghe.
“Ok. se devo dirti la verità non avevo nulla da dirti. Volevo solo qualcuno farmi un leggero goccio in compagnia di un amico” rivelò con un sorriso a trentadue denti.

Il cappello arancione rischiò di cadergli per terra nuovamente. Ace, allibito per la risposta, era indeciso tra la convinzione che Satch stesse cercando il modo più sicuro e diretto per provocarlo e la remota possibilità, ma pur sempre valida, che volesse parlargli seriamente.

“Era da tempo che non mi capitava di affrontare una missione così impegnativa. Mi mancava” esordì reclinando lo schienale della sedia con la schiena e incrociando le braccia dietro la testa avente gli occhi alzati al soffitto “Non che le altre siano state una passeggiata ma ogni tanto è bello dare il 100% in una battaglia, puoi sfogarti quanto ti pare, anche se nella mia posizione devo stare attento alla vita dei miei compagni oltre che alla mia”
“E’ il tuo modo di illustrarmi le responsabilità di un comandante?” domandò Ace nel versarsi un po’ di birra nel boccale. Qualcosa gli diceva che avrebbero tirato fino all’alba.
“Nah! Prima di arruolarti con noi sei stato un capitano, quindi ti risparmio volentieri le prediche, non sono come Marco: lui a volte è insopportabile” rispose prendendo la bottiglia per riempire anch’egli il suo boccale. “E poi qualcosa mi diceva che avresti rivestito tu il ruolo di comandante della seconda flotta. Ti calza a pennello” continuò poi giocherellando con il calice di legno in mano.

Pareva avere molti pensieri nella testa, bastava guardare il suo volto dagli occhi socchiusi e assorti per capire che stava rivangando in qualcosa di bello ma al tempo stesso pieno di molteplice di molte situazioni che avevano costruito la sua vita su quella nave. Le dita della mano destra erano serrate attorno al manico del boccale mentre la mano sinistra stava col gomito appoggiato sul tavolo e col palmo aperto dove era appoggiato il mento. Quel singolare pizzetto nero triangolare era scomparso tra la pelle del mento e quella della mano.

“Toglimi una curiosità Satch, come sei entrato a far parte della ciurma?” domandò Ace. Era da un po’ di tempo che voleva chiederglielo.
“Come ho fatto?” ripetè lui raddrizzando il busto “Dunque, posso cominciare col dirti che non è stato lui a trovarmi ma io ad incontrare lui. Miravo fin dall’inizio del mio viaggio a diventare un membro del suo equipaggio. Il perché? Non ero il tipo di persona che viaggia in solitario e poi volevo mettermi alla prova sia come combattente che come uomo. Non l’ho cercato perché fosse il più forte, semplicemente mi piace che lui sia diverso dai suoi simili e da alcune delle nuove leve di quest’era. Ne ha viste quante il Re dei Pirati però è da quando mi trovo qui che ho come la sensazione che lui non stia realmente puntando al trono come fanno tutti: non so con certezza cosa voglia, so solo che è felice di avere una ciurma tanto grande. Per lui noi siamo la sua famiglia, per questo non ho intenzione di fallire come suo comandante” sospirò infine.
“Che intendi dire?”
Il biondo deglutì un altro po’ di birra, passandosi una mano nei capelli “Beh, quando lui mi ha proposto di diventare suo figlio, io ho accettato senza esitazioni e ho fatto del mio meglio per dimostrargli il mio rispetto nei suoi confronti” cominciò “Ma io avevo la mia idea e solo osservandolo in azione e combattendo come uno dei suoi ho capito quanto fosse importante per me stare al suo servizio. L’atmosfera qui è calda e accogliente, con tanti amici e fratelli e non avendo mai avuto niente del genere mi sono ripromesso di difendere tutto questo anche a costo della vita. E cosa succede un bel giorno? Mi ritrovo comandante della sua quarta flotta. Sorprendente, no?”
“Direi. Vai avanti” lo spronò il moro poggiando i gomiti sul tavolo. Ormai era preso dal suo racconto e voleva sapere tutto quanto.

Il silenzio della notte stava accompagnando quella conversazione come un sottofondo spesso e impenetrabile, facendo in modo che nessun’altro potesse sentirli. Le parole non si perdevano come il dolce sapore della birra che scendeva giù, lungo le loro gole; entravano nelle menti di entrambi e andavano a formare altre immagini da aggiungere ai ricordi di una vita, sottoforma di un nuovo e piccolo episodio da aggiungere al grande libro dalle pagine gialle e consunte della memoria, come una fotografia che ogni tanto sarebbe stata riguardata con un che di nostalgico. Satch era contento, ma sul suo volto traspariva qualcosa di simile alla preoccupazione ma più remota e invisibile. Timore forse? Ace non potè dirlo con certezza, così come Satch non poteva esserne sicuro.

“Ero intenzionato a rifiutare. La mia nomina intendo” gli rivelò nel far passare l’indice sul bordo circolare del boccale, con voce più leggera e assorta “Non si parlava della mia vita ma anche quella di tanti uomini, i miei amici. Il loro domani sarebbe dipeso per la maggior parte da me e non volevo provare il dolore di perdere qualcuno ma essendo un pirata questo è un rischio che dovevo accettare, così come la morte improvvisa di qualcuno” sospirò con un nota calcata di rammarico.

Per un solo istante, il moro intravide un ombra attraversare gli occhi del biondo. Era stato un riflesso fuggiasco, proveniente dal passato, che subito si dileguò in chissà quale parte dell’animo dell’amico. Gli ricordò molto quello che poche volte aveva scorto negli occhi di Sayuri.

“Ho perso amici, compagni e questo è stato terribile ma anche inevitabile: il mare, la strada che abbiamo scelto, è piena di pericoli e per alcuni il cammino è destinato a interrompersi troppo presto, anche se ho provato più volte a convincermi del contrario. C’è gente che dice di non aver paura della morte perché fa parte della vita ma credo che almeno un po’ tutti, nel profondo, temano che quel momento arrivi prima che si abbia fatto tutto quello che ci si è prefissati. Lo ammetto, anch’io sarei spaventato se stessi per morire ma sarei un completo idiota se lo mostrassi apertamente, per questa ragione ho accettato di diventare il comandante della quarta flotta: se devo affrontare questo lato della vita ogni santo giorno, tanto valeva che lo faccia con dignità”

Ace annuì, con gli occhi lievemente abbassati. Sinceramente era sorpreso che Satch potesse parlare a quel modo, toccare discorsi tanto solenni. La sua personalità allegra sapeva mischiarsi a quella seria senza mai mutarne il carattere e il solo fatto di sentirgli pronunciare quelle parole, gli fece comprendere che lui, ogni giorno della sua vita, vedeva le cose con positivismo, giusto per non stare a pensare ai problemi che implicava l’essere un pirata. Capì anche che la complicità tra comandante e sottoposto era un importante quanto l’amicizia stessa, perché bene o male, si parlava comunque di amici e quindi la fiducia era al centro di quell’universo gerarchico: lui non deludeva loro e loro non deludevano lui, sotto tutti gli aspetti che la vita poteva offrire. Si rideva, scherzava, si combatteva insieme e ogni secondo poteva essere l’ultimo se non si prestava sufficiente attenzione. Lui ne era ben conscio visto che era già stato un leader, gli bastava ripensare al primo incontro con Barbabianca per dare fondo a tutto quel discorso. Quello era stato un suo scontro e non aveva voluto che i suoi amici ne fossero coinvolti, non avrebbe mai avuto il coraggio di perdonarselo. La loro era una vita libera ma difficile e la visione della morte era un realtà che bisognava accettare se si decideva di inseguire i propri sogni senza essere imprigionati in inutili costrizioni e obblighi.

“Dì la verita, hai accettato anche perché l’idea di essere un comandante ti allettava parecchio” lo punzecchiò Ace.
“Ahi, mi hai beccato!” si rese colpevole il biondo grattandosi la nuca “Che dire, ho sempre avuto un debole per l’autorità” non nascose.
“Già, ho visto”
“Oh suvvia, non ce l’avrai ancora con me perché ho goduto della presenza della principessa per più di due settimane?”
“No, ce l’ho ancora con te perché praticamente non le hai dato la possibilità di scegliere. La cosa è ben diversa” replicò versandosi il rimasuglio della bottiglia nel boccale.
“Ok, forse ho un pochino abusato delle mia posizione ma vuoi forse farmene una colpa? Volevo soltanto conoscerla meglio e...anche farla entrare nella mia flotta” aggiunse evitando accuratamente di guardare Ace, conscio del fatto che la sua figura troneggiava dietro di lui come un’incombente pericolo.

In quei giorni aveva avuto modo di osservare la ragazza, i suoi modi, di ammirare e studiare la sua eleganza, le movenze, l’altruismo e tutta la sua forza, senza mai cogliere esitazione o paura nei suoi occhi. L’aveva scelta come navigatrice in quella missione per avere la possibilità di conoscerla e scoprire qualcosa in più sulla misteriosa principessa dei gigli ma ogni suo sforzo era stato vano. Al di là della sua beltà e della sua indole gentile, aveva scorto ben poco di quello che gli interessava ma sufficiente per capire che per quanto potesse insistere nella sua assurda proposta, lei, il bel Bianco Giglio, gli avrebbe sempre risposto di "No" per il semplicissimo fatto che era una persona devota e questo introduceva argomenti più emotivi di cui lui già si era fatto un’idea fin dall’inizio ma che avrebbe tenuto per sé. Poteva insistere ma lei non avrebbe cambiato idea. D’altronde lei aveva già scelto da tempo chi seguire.

“Ma alla fine..” squitti terminando quanto stava dicendo prima “Non ha fatto altro che darmi dei bei due di picche. Duecentocinquantasei per la precisione. A quanto pare non riscuoto abbastanza fascino per attirare la sua attenzione” sospirò desolato.
“E’ possibile con la faccia che ti ritrovi” scherzò il moro. E intanto dentro di sé, il suo cuore compì capriole e salti mortali mai fatti.
“Oh, ma sentitelo! Allora la prossima volta...!”
“Non ci sarà una prossima volta” proferì seriamente. Il rovesciamento che aveva subito la sua voce aveva dell’incredibile, abbastanza da lasciare a bocca sospesa Satch, incredulo davanti agli occhi neri e freddi dell’amico “Non ho nulla contro di te: sei mio amico e lo sei anche di Sayuri ma non mi perdonerei mai se le succedesse qualcosa, mai”

Non stava alludendo in particolare a quanto era successo qualche ora prima ma a un quadro ben più grande e complesso: il temporaneo allontanamento della giovane gli aveva permesso di vedere più a fondo in sé stesso e di capire meglio i sentimenti che provava per lei. Saperla da un’altra parte e non vicino a lui, gli metteva addosso un angoscia che poteva varcare facilmente la linea che la separava dal divenire paura. Si fidava di lei ma temeva per quello che nascondeva in sé e che aveva intravisto a Yukiryu: non voleva vederla stare male, la voleva proteggere, vederla sorridere ma sapeva di non poter osare con lei, non al momento e questo per lui cominciava a essere un problema perché i paletti che aveva impiantato al suo istinto cominciavano a cedere Temeva di spaventarla, era la sua paura più grande. Nel stringere tra le proprie braccia il suo corpo, nell’avere la possibilità di fare quel che desiderava si era dovuto fermare e ci era riuscito all’ultimo secondo. L’ultimo dei suoi pensieri era approfittare di lei. Sarebbe stato un autentico mostro e Satch, nel guardare quei occhi neri fermi e irremovibili,capì cosa Ace fosse disposto a fare per quella ragazza. Non intendeva sottrargliela, questo mai, ma solo fare sì che entrambi capissero quanto l’uno avesse bisogno dell’altra, più di quanto già sapessero.

“Sarai un grande comandante” proferì infine Satch “Ma lascia che ti dica una cosa, prendilo come un consiglio: la vera vittoria sta nel tornare vivo e vegeto da chi ti stima e rispetta, da chi ti considera un amico e un fratello e che verserebbe lacrime vere se ti perdesse. Niente può ferire più di quelle”
“E’ un bel consiglio. Chi te lo ha detto?”
“Come? Non credi che provenga dal mio animo di pirata?” scattò falsamente indignato.

Tempo due secondi e scoppiarono a ridere, un po’ per l’alcool nelle vene e un po’ per tutto. I calici produssero un suono ovattato quando si colpirono reciprocamente per segnare il brindisi.

“A noi” proclamò Ace
“A noi” concordò Satch.

 

 

Nota personale: il bracciale di Ace esiste realmente, lo indossa sullo stesso polso del log pose.



 

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Capitolo 33
*** L'isola Otako. Lo spezzarsi della felicità. ***


Buon mercoledì!siamo arrivati al capitolo 33;sarà un capitolo soft ma la fine tralascerà intendere qualcosa che molti di voi,in particolari coloro che seguono la fict dall’inizio (ma si diciamo pure tutti quanti) aspettano da tempo.Dovrete tenervi la curiosità ancora per un’altra settimana ma intanto potete sempre godervi questo capitolo,già molto lungo.Passiamo adesso ai ringraziamenti!!(al solito,se ci sono errori ma non penso perchè ho controllato,chiedo umilmente scusa!).

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MBP:Marta-chan!!visto?adesso ti chiamo correttamente!che peccato che eri a Bergamo e non ti ho vista,io sono di quelle parti e ho l’università proprio lì,beh a essere corretti è in città alta,comunque…sigh!(si raggomitola nell’angolo).Pazienza,è andata così!spero sia andato tutto bene col minilaboratorio di fumetto ma sono sicura che hai fatto un ottimo lavoro!Sayuri è tornata dove deve stare e si,Satch è un po’ inopportuno ma non dalle cattive intenzioni:al solito il braccialetto è stata un’inventiva dell’ultima correzione visto che il capitolo mi pareva troppo corto(non so mai quando fermarmi;ad esempio questo cap è lungo 18 pagine di word ma ne vale la pena e dopo intuirai il perché).Grazie per il “bellissimo” e per l’incoraggiarmi ma credo che fra un pochino farò una pausetta per riprendere fiato;comincio ad essere a corto di capitoli e anche se lì sto scrivendo regolamente potrei avere dei ritardi,senza contare che ho gli esami ma non temere!avvertirò quando accadrà così non si avranno brutte sorprese.E sempre parlando di brutte sorprese,voglio darti un consiglio:per la tua salute mentale non guardare l’episodio one piece 454.Io l’ho fatto e mi stavo strappando i capelli per l’assurdo orrore,non dico altro.

happylight:carissima!si,si ora che Ace è comandante,se Sayuri non fosse tornata,avrebbe preso lo striker e l’avrebbe riportata a casa anche a costo di picchiare a sangue mezza isola.Le interruzioni di Satch sono sempre al momento meno opportuno e verrà il giorno in cui chissà come prenderà fuoco inaspettatamente…no,non siamo crudeli con l’assillante biondino:in fondo vuole che i due piccioncini stiano insieme.Non ti preoccupare per Sayuri:ha avuto un mancamento perché era stremata,non perché è malata (nooooooo!!!la mia pupilla non si tocca.Sono io che decido cosa deve capitargli e quando,quindi non facciamo scherzi.Sono una schiavista ma sia ben chiaro:la mia Yu-chan non deve essere toccata da mani altrui)

giulio91:eccolo qua,come andiamo?vedo bene,visto che hai superato l’interrogazione di filosofia,complimenti!Ora Ace può riunire la vecchia ciurma ma Satch rimane sempre in agguato per rompergli le uova nel paniere;eh,c’erano quasi ma hanno fallito ma a breve succederà qualcosa,a brevissimo facciamo!Hai davvero pensato che la mia Yu-chan si sia innamorata di Satch???di,non è che volevi vedere la reazione di Ace nel vedere la sua navigatrice tra le braccia di quel furbastro?lo spargimento di sangue era assicurato!Ci voleva la parte seria perché dovevo dare al biondino della quarta flotta un aspetto che si avvicinasse al suo essere comandante e anche perché ovviamente occorre per il mio conosciutissimo diabolico progetto (non vado oltre).

angela90:tesoro!non sai quanto pagherei per strozzare Teach con una delle sue adorate crostate,oh non hanno idea di cosa potrei fargli uh uh!(sguardo sadico e assassino) ma lasciamolo lì nell’angolo per il momento e veniamo al presente:e ancora una volta sono d’accordo con te.Alzo la mano,voglio essere io al posto di Sayuri ma visto come è andata l’ultima volta credo che rimarrò qui buona buonina a rodere d’invidia e a scrivere come mio compito.La storia del braccialetto è si romantica e volevo metterla perché nel profondo sono anch’io una romanticona,forse a volte esagero ma starà a te vedere se sono troppo smielata o meno.Credevi che Satch avrebbe smesso di importunare Yu-chan?eh eh,no,no lei gli ha dato una marea di due di picche ma tanto ora è di nuovo con Ace che sta facendo i salti di gioia.In fondo Satch vuole solo aiutarli immedesimandosi in un cupido troppo ficcanaso però!

 

 

Sull’isola di Otako l’alba giungeva un’ora prima rispetto le altre terre ma questo non era mai stato un problema per i cittadini, grandi lavoratori fin dai tempi antichi. Era un’isola di modeste dimensioni con un quartiere lussuoso, circondato da tranquille periferie e porti dove la pesca era abbondante e frequente. In alcuni periodi dell’anno si svolgevano delle festività ricorrenti alle tradizioni e tale eventi richiamavano l’attenzione di altri isolani ma fortunatamente per Ace e la seconda flotta non vi erano festività o marine che potessero tenerli a distanza da quel territorio. Per motivi di sicurezza  avevano approdato in una zona isolata, dove la nave fosse riparata da rocce grandi e scure che impedissero a occhi curiosi di avvicinarsi e dare l’allarme.
Il cielo bluastro simboleggiava il dominio della notte e i primi fasci arancioni provenienti da est annunciavano la venuta dell’alba, momento che Sayuri attendeva con pacata pazienza per poter scendere e svolgere le sue commissioni. La missione assegnata ad Ace era stata portata a termine con largo anticipo quindi lui e tutti i suoi compagni si erano concessi una piccola sosta prima di tornare alla Moby Dick, giusto per rifornirsi di materiale e di energie. La navigatrice aveva bisogno di carte e altri utensili per portare avanti il suo lavoro di cartografa; aveva scoperto di essere rimasta senza rotoli e alcuni effetti indispensabili per la creazione delle sue cartine ormai si erano talmente consumati da non poter essere più di alcun aiuto. Sarebbero ripartiti verso il tardo pomeriggio per questo motivo si era alzata di buon ora, almeno la mattina l’avrebbe spesa a procurarsi ciò che le serviva e il resto della giornata, poco prima della partenza, l’avrebbe dedicato alla stesura dei suoi appunti. Non aveva arretrati ma quando le capitavano fra le mani dei fogli volanti, preferiva sempre trascriverli su quaderni che vederli svolazzare via per poi non essere più recuperati.

“Ti ringrazio per accompagnarmi, Teach. Mi spiace averti svegliato, non ne avevo l'intenzione” parlò lei rivolta al compagno che le camminava di fronte.
“Zehahaha! Figurati Yu-chan, tanto mi sarei svegliato ugualmente e poi preferisco di gran lunga la tua compagnia che quella di quello spocchioso medico!” esclamò lui. Alludeva a Don.

I soli dialoghi che erano capaci di improntare avevano come argomento il litigio e l’imminente morte di uno dei due.

“Non parlare così. Ammetto che a volte è un po’ intrattabile ma ti posso assicurare che è una brava persona”

In fondo al cuore, la coscienza di Sayuri stava cercando di spiegare alla ragazza che il suo utilizzo del termine “a volte” doveva essere totalmente revisionato dati i soggetti in questione: altri compagni si erano aggiunti alla nomina di Ace e lei aveva legato con tutti quanti ma Don e Teach erano di per certo la coppia che più gettava scompiglio all’interno della flotta. In confronto, le litigate che il medico-cecchino sosteneva col cugino non erano che scaramucce capricciose e superficiali: Don e Teach erano inconciliabili, c’era una sorta di ribrezzo che alimentava il loro disappunto quando l’uno incontrava per caso l’altro e quando ciò succedeva, iniziava lo spettacolo. Fortunatamente qualche volontà divina pareva aver donato ad entrambi la capacità di non perdere quel barlume di intelligenza necessaria a non ridurre la nave ad un cumulo di poltiglia inutilizzabile e a non menar le mani come fosse uno scontro vero e proprio, però un po’ lo si doveva ammettere; guardarli a volte era un vero divertimento, anche se Sayuri in un paio di quelle discussioni era stata tirata in ballo come arbitro....

"Dannato medico da strapazzo! Chi ti ha dato il permesso di mangiarti la mia crostata?!?” tuonò Teach slargando la bocca al massimo dell’ampiezza.

Quel litigio era avvenuto pochi giorni dopo la nomina di Ace. Sayuri la ricordava bene anche perché era stata la prima di una lunga e interminabile serie di cui ancora il fondo non si vedeva.

“Ehi grassone, che io ricordi sul dolce non c’era mica scritto il tuo nome e poi ho fatto un favore alla tua salute: dovresti piantarla di mangiare unicamente dolci. Ti verrà un infarto con tutta quella marmellata di ciliegie” rispose con acidità
“Tsk! Preferisco di gran lunga i dolci che i tuoi intrugli acidi da quattro soldi” replicò il compagno.

Quell’affermazione aveva segnato il punto di non ritorno. Con le tempie pulsanti e di un bel colorito verdastro, Don contrasse la bocca in una smorfia incontrollata.

“Intrugli da quattro soldi? Stammi a sentire, i miei intrugli servono a salvare la pellaccia di questi uomini, compresa la tua, anche se lasciarti morire sarebbe ben più gratificante”

Se prima vi era la remota possibilità di evitare la collisione tra quelle due meteore grosse quanto il loro orgoglio, ora era del tutto sfumata.

“Ci tieni tanto a morire?” domandò Teach abbassandosi per vedere più vicino il medico.
“Mai quanto te” sibilò per ripicca assottigliando gli occhi. Aveva già messo via i suoi attrezzi, segno che i presenti dovevano tenersi a una distanza di almeno dieci metri.

Entrambi fecero scricchiolare le nocche delle loro dita, senza mai smettere di guardarsi in cagnesco.

“Mi auguro che tu sappia incassare bene” gli disse Barbanera.
“E io spero che tu abbia un paradenti abbastanza grande per coprire quella tua boccaccia larga altrimenti vedrai i tuoi ultimi denti saltare via”

Il solo ricordare quell’episodio le bastava per farsi una chiara idea di quanto quei due andassero d’amore e d’accordo. Il loro non era un odio, nemmeno lo si poteva chiamare tale ma di tanto in tanto uno dei due o finiva in acqua o col piatto in faccia e questo la portava a rivalutare anche la parola “odio”. Erano due pirati che per parlare litigavano e non avevano nulla in comune a parte il fatto volersi fare la festa; no, forse qualcosa poteva anche accomunarli ma difficilmente li avrebbe visti seduti allo stesso tavolo e parlare tranquillamente senza tentare di infilzarsi con le posate.

“Litigate a parte, siete delle brave persone. Dovete solo trovare il modo per sopportarvi a vicenda, magari con un argomento in comune e se non ci riuscite potete sempre ignorarvi” suggerì lei non rinunciando all’idea. Meglio non parlarsi affatto che demolire la nave e coinvolgere qualche malcapitato.
“Non è una cattiva idea, zehahaha!! Com’è che tu sei riuscita a sopportarlo per tutto questo tempo?” domandò lui incuriosito.
“Non è stata una questione di sopportazione. Posso dire che ho imparato ad apprezzare i lati buoni e cattivi dei miei amici come loro hanno fatto con me”
Teach la guardò strafottente “Zeh, e che ci sarebbe di male in te?”

Bella domanda.

“Ecco..” e tamburellò l’indice sulle labbra “Per cominciare sono troppo buona. Don pensa che un giorno all’altro potrò rimetterci la pelle per questo. Ho altri difetti come il fatto che non mi arrabbio mai, che ho paura dei...ehm..su questo preferirei sorvolare, comunque, chiunque ha i suoi pregi e i suoi difetti. Dipende per come una persona li vede. Può darsi che per qualcuno la mia bontà sia un crimine e per qualcun altro sia una bella qualità”
L’uomo dalla corporatura abbronzata e robusta scoppiò di nuovo a ridere fragorosamente. Appena riprese il controllo riprese a parlare “Per essere così piccola sei sveglia, Yu-chan! Com’è che non hanno chiesto a te di fare il comandante?”
“Perché al momento non ero disponibile e poi sei devo essere sincera, non penso di essere in grado di ricoprire una posizione così importante. Mi piace stare dove sono” confessò senza esitazione “Pensi che Ace non sia un valido comandante?”
“No, al contrario, se la cava egregiamente!” esclamò “Ma non mi stupirei se un giorno fossi tu comandante! Tu farai strada, su questo non ci piove, zehahahaha!!!!”

 

 
Qualche ora più tardi, Sayuri si ritrovò da sola alla ricerca di un cartoleria ben fornita. Teach era svanito nel nulla con l’affermazione di dover recuperare del materiale per il rivestimento della nave e lei non aveva avuto nulla da obbiettare. Camminava tra la folla con la serenità nel sangue, senza che il pericolo che qualcuno la riconoscesse come ricercata. Vedeva la gente entrare e uscire dai negozi soddisfatta quanto il venditore e anche lei non vedeva l’ora di poter fare i suoi acquisti ma essendo selettiva, quando si parlava del suo lavoro di cartografa, voleva trovare del buon materiale e l’unico modo che le si offriva, era osservare attentamente con una prima perlustrazione i negozi e cosa e a che prezzo questi offrissero la loro mercanzia. Quando ebbe completato il suo giro, ripercorse mentalmente la strada fatta per poi svoltate in una stradina laterale, che la portò nei pressi di un piccola piazza circolare con una fontana in mezzo dove alcuni pesci rossi nuotavano spensieratamente. La base di questa era circondata da un riquadro di sassolini bianchi. Strutturalmente era simile ai quartieri alti - differiva soltanto per i colori - ma lei ancora si trovava nella periferia, esattamente davanti alla bottega che stava cercando.

Nello spostare una ciocca di capelli dietro l’orecchio, Bianco Giglio mosse le gambe ed entrò: l’ambiente interno era di medie dimensioni, ben illuminato, con il pavimento fatto d’assi legno bianche e le pareti del medesimo colore: la vetrina esponeva ordinatamente delle scatole contenenti log pose dai cinturini elaborati, mappe dettagliate e alcuni scrittoi di mirabile fattura, allegati a delle piuma d’oca variopinte. L’interno era diviso in due zone: nella prima, dove vi era la vetrina, sostavano dei scaffali con i ripiani occupati da diversi materiali. Il primo ospitava piccole boccette di inchiostro colorate che il sole illuminava, riflettendone il colore sul legno, il secondo delle comuni piume d’oca bianche disposte in fila crescente, il terzo dei quadernetti in pelle scamosciata dalle pagine ingiallite e il quarto infine, presentava delle cartellette utilizzate per conservare le mappe. L’altra metà del locale, rappresentata da una parete nascosta interamente da un armadio a più ripiani invece, era dedicata ai libri: la parte destra, dove il pavimento era coperto da un elegante tappeto rosso, non era che una minuscola libreria, dove spiccavano volumi dalle fini e colorate copertine.

“Come posso esserti utile, signorina?”

L’uomo dietro il bancone era basso, con folti baffi neri parzialmente schiariti e la pelle abbronzata. Sayuri si avvicinò, notando che alle sue spalle c’erano altri ripiani, quadrati stavolta, aventi una profonda rientranza nel muro ed ospitavano rotoli di diversa consistenza e colore, altre boccette di inchiostro e molti altri oggetti scrupolosamente puliti e ordinati. Un ulteriore conferma di come quel negozio si premurasse di vendere articoli di prima qualità e uno dei principali motivi per cui la navigatrice l’aveva scelto fra tanti. Educata come sempre, lei chinò la testa e si presentò con un “Buongiorno a lei” e gli porse la lista stilata la sera prima, con tutto l’occorrente. Il proprietario le diede le spalle per qualche minuto, poi si rigirò verso di lei con quanto gli era stato chiesto.

“Vorrei scegliere di persona la carta e verificarne la consistenza, se è possibile” richiese gentilmente.
“Certamente. Le mostro dei campioni”

Era una buona cosa che un navigatore si affidasse al tocco delle sue mani e ai suoi occhi, era un buon modo per avere un primo contatto col materiale su cui in seguito avrebbe lavorato; il proprietario espose sul bancone alcuni fogli di carta, dai colori chiari che variavano dal bianco al giallognolo e lasciò che la cliente scegliesse quel che meglio rispondeva alle sue esigenze. Non doveva essere ne troppo fine ne troppo spessa: le carte di papiro per esempio erano vulnerabili ad ogni genere di calamità, anche alla semplice umidità. L’acqua poteva distruggere il lavoro di una vita in pochissimi secondi o deformare l’inchiostro fino a ridurlo in un ammasso informe se la carta era troppo densa: alla fine non si aveva altro tra le mani che un disegno astratto. Nel fare scorrere la punta delle dita sui fogli, Sayuri ne tastò la composizione con i polpastrelli: li accarezzò dolcemente, esaminandoli uno per uno senza alcuna fretta. Toccò da prima una superficie lucida e liscia, una crespa e spessa, per poi passare a una dura dai bordi sfilacciati. Infine, il suo tastare si soffermò sul penultimo campione: era lievemente ruvido, non sottile e spesso come il cartone. Pareva essere resistente e il colore era di un chiaro giallo scuro. Sorrise e porse il pezzo scelto al commerciante.

“Un’ottima scelta signorina, è uno dei migliori che possiedo. Quanti gliene occorrono?”
“Dieci pezzi sono più che sufficienti. Le dispiace se do un’occhiata ai libri esposti su quello scaffale?”
“Certo che no, giusto ieri mi sono arrivati dei nuovi volumi freschi di stampa” affermò soddisfatto.

Vogliosa di posare gli occhi su quella bella libreria, Sayuri compì qualche passo lateralmente e si immerse nella lettura dei titoli intanto che il padrone del negozio imbustava i suoi acquisti. Ciò che l’uomo aveva detto era vero: alcuni testi erano più recenti di altri, sia nell’aspetto che nel contenuto. Non vi erano soltanto testi di navigazione ma anche dei romanzi, saggi e qualche testo culinario. Nel far scorrere l’indice fino in fondo all’ultimo scaffale si fermò su uno dei ultimi volumi, uno che era riuscito particolarmente a incuriosirla: la copertina era di un lilla impolverato, decorato con un disegno al centro che ritraeva il mare, sopra cui erano state stampate delle lettere dorate. Purtroppo la gran parte di esse si erano scrostate, rendendo impossibile leggere il titolo. Le pagine ingiallite e dai bordi bruciacchiati mostravano immagini ancora colorate, allegate a caratteri corsivi, eleganti e piccoli. Nel sfogliarlo con occhi incantati, Sayuri lesse velocemente qualche riga, soffermandosi sulle figure con più interesse: i frutti del diavolo.

“Racconti di terre lontane” pronunciò l’uomo nel vederla con in mano quel libro.
“Come dice?”
“Racconti di terre lontane. E’ il nome del libro. Deve sapere che una decina di anni fa c’è stato un grosso incendio in questo quartiere e quel libro è il solo oggetto di questo negozio che è rimasto illeso. Apparteneva ad un ricercatore che me lo lasciò perché lo restaurassi ma non più tornato a riprenderselo”spiegò.

Gli occhi color cioccolato della giovane si riversarono nuovamente sulla copertina consumata. Era ben diverso da una comune enciclopedia, il contenuto non trattava soltanto di quei magici frutti ma anche di persone che avevano avuto a che fare con essi. Fu come un richiamo quello che avvertì, una scossa elettrica che la colpì da capo a piede. C’era qualcosa tra quelle pagine che attendeva soltanto di essere letto e lei desiderava da tempo ritagliarsi un’oretta alla sera per leggere qualcosa che non fosse un manuale sul come migliorare le proprie capacità di navigatore.

“Quanto costa questo libro?” gli chiese lei, posando il suddetto sul bancone,accanto al materiale già comprato.

Il commesso sbattè le palpebre con faccia attonita ma poi sorrise, spingendo il tomo verso di lei.

“Nulla, ve lo regalo”
“Oh, ma io non posso accettare...”
“Insisto” e le mise il libro in mano “Sono sicuro che ne avrete cura e poi non saprei cosa farmene”
“Signore, la ringrazio ma io non...”
“Prendetelo” insistette “Sono sicuro che vi piacerà”

 

 

L’ora di pranzo si era fatta più vicina di quanto pensasse.
Appena uscita dal negozio, Sayuri fece ritorno sulla strada principale con l’intenzione di tornare sulla nave ma data l’ora era possibile che Bonz si trovasse come lei sulla terra ferma a comprare le dovute provviste e che sulla nave non ci fosse nessuno. Pochi rimanevano ma unicamente per controllare che la via fosse sgombra dalle navi della Marina e che la loro posizione non venisse minacciata ma la gran parte della ciurma, con ogni probabilità, stava girovagando nella cittadina. Don sicuramente stava ispezionando ogni erboristeria per procurarsi ciò che mancava al suo arsenale e per comprare ciò che più suscitava il suo interesse di medico. Teach non lo vedeva da quella mattina che era sceso con lei per andare in paese e Ace..chissà dov’era il suo comandante.

Eh eh, vista l’ora sicuramente starà mangiando da qualche parte. Pensò col sorriso sulle labbra.

Nell’avvertire un leggero brontolio partirle dallo stomaco, ritenne opportuno rifocillarsi prima di tornare alla nave: si lavorava dieci volte meglio se si aveva lo stomaco pieno. Tra i tanti locali, la colpì un chiosco a lato della strada, con dei piccoli tavolini bianchi per due persone intorno ad esso, il tutto recintato da un muretto di sassi. A dargli quel tocco estivo erano gli ombrelloni posti vicino ai tavoli, giusto per offrire ai clienti un fresco riparo dal clima tropicale dell’isola che in quel periodo soleva farsi sentire. Il vedere quel grazioso locale stuzzicò il suo buongusto femminile e, sorridente, decise di fermarsi lì.

“Buondì, cosa le porto?” le chiese il cameriere.
“Vediamo..” mormorò leggendo la lista “Vorrei una piadina e un bel bicchiere di tè freddo al limone, per favore”

Preso l’ordine, il cameriere si mosse in direzione della cucina. Finalmente seduta, Sayuri distese il collo all’indietro, chiudendo gli occhi per qualche minuto e beandosi dei caldi raggi solari che le scaldavano la schiena. Stare all’aperto era ben più gratificante che rinchiudersi in una stanza buia e soffocante: si poteva godere del beneficio del venticello tiepido che giocava con i propri capelli, del cielo azzurro e privo di nuvole, il tutto illuminato da un sole allegro che permetteva di indossare abiti leggeri e più consoni a quei momenti di pura tranquillità: quel giorno indossava una bella gonna grigio scuro con il fondo svolazzante, che le superava di poco le ginocchia e una maglietta verde acqua senza maniche col colletto che lasciava ben intravvedere il suo tatuaggio, mettendo in risalto il suo addome. Ai piedi portava dei bei sandali marrone scuro, aperti e coi lacci che si intrecciavano alla caviglia. I lunghi capelli erano come sempre sciolti  e le ricadevano sulla schiena con eleganza e raffinatezza.

“Ecco a lei” il cameriere era tornato al suo tavolo con l’ordinazione.
“La ringrazio”

L’invitante profumo della piadina imbottita stuzzicò il suo palato. Sistemata la chioma su una sola spalla sorseggiò il suo tè tranquillamente mentre la gente passeggiava lungo la via principale senza dare peso quel che facevano le altre persone. Non vi era alcuna forma di pericolo, Sayuri percepiva la quiete propagarsi in lungo e in largo senza scontrarsi con nulla di anomalo e che potesse comprometterla. Quelli erano momenti piuttosto rari da trovare data la sua carriera da pirata ma di questo non si era mai lamentata: la sua taglia parlava da sola ma era soltanto questione di saper scegliere un posto giusto comprendente l’assenza di una base della Marina, la Marina stessa e i cacciatori di taglie. E poi ovviamente, bisognava tener conto della fortuna, quella giocava una piccola ma importante parte; a volte gli isolani era più informati di quanto potessero apparire e non ci impiegavano molto a contattare le forze dell’ordine se si sentivano minacciati ma in quel frangente, Sayuri non doveva preoccuparsi di nulla, se non di soddisfare i capricci del suo stomaco. Aveva già la mano pronta quando d’un tratto non percepì più il sole scaldarle la schiena. Qualcuno era alle sue spalle.

“Ma come? Mangi soltanto quello?” domandò scandalizzato quel qualcuno.
“Eh eh!”

Era con quella domanda che tutto aveva avuto inizio. Rise nel sentirla nuovamente e provò nostalgia e al coltempo felicità nell’apprendere che nulla era cambiato, che loro erano rimasti gli stessi di allora, anche se gli eventi li avevano portati a non essere più i pirati di picche ma quelli di Barbabianca. Ace prese la sedia che stava dall’altra parte e si affiancò alla ragazza sapendo che non avrebbe rifiutato la sua compagnia.

“Dovresti mangiare di più. Viaggiare richiede parecchie energie” continuò.
“Non sono una mangiona e quel poco che prendo mi basta”

Stettero a guardarsi per qualche secondo prima di scoppiare a ridere contemporaneamente. La ragazza non si era allarmata nel percepire una presenza vicina a sé perché sapeva bene chi era e pertanto non aveva avuto motivo di girarsi e vedere di persona chi fosse.

“Sei uscita prestissimo questa mattina. Hai trovato quello che cercavi?”
“Si, adesso ho tutto quel che mi occorre per lavorare. Wintry Realm è isolato dal resto mondo, quindi era indispensabile che mi organizzassi col materiale. Secondo i miei calcoli, una volta che ci saremo ricongiunti alla Moby Dick dovremmo impiegare all’incirca sei giorni per arrivare alla meta, a patto che tempo e correnti siano favorevoli”
“Considerando il territorio credo che il passaggio tra le correnti sarà piuttosto movimentato” continuò Ace “Da quello che Marco mi ha detto al lumacofono, la fascia che divide Wintry Realm dal mare caldo è instabile ma non abbiamo motivo di preoccuparci: papà conosce il posto, quindi sicuramente entreremo senza problemi” affermò sicuro il ragazzo.
“Meglio così. Mi auguro solo che non succeda nulla di grave”

Wintry Realm era il dominio di Whitey Bay, meglio conosciuta come la strega di ghiaccio, la sola alleata donna che spalleggiasse Barbabianca. Nel sorseggiare il suo tè, Sayuri si chiedeva che tipo di persona fosse questa donna e chi fosse l’altro alleato che avrebbero incontrato; il motivo di quell’incontro poteva essere semplicemente che la rotta che stavano seguendo portava proprio al territorio di quest’ultima e che il passaggio fosse obbligatorio oppure poteva trattarsi di una discussione su alcuni territori non ancora esplorati. Se c’era una cosa che bisognava sempre tenere a mente era che il nuovo mondo era vastissimo e per tanto molte delle sue aree erano e forse sarebbero rimaste inesplorate. Magari l’autore del libro è finito proprio su una di queste isole, pensò lei guardando di fuggita il pacchetto. A quel mondo niente era impossibile, le leggende non erano che realtà nascoste, dove solo alcuni - i più audaci - potevano avere l’onore di vederne la veridicità.

C’erano così tante meraviglie,così tanti posti bislacchi, così tanta gente nuova e singolare che la sorpresa oramai era all’ordine del giorno. Rivangò con il sorriso sulle labbra nel passato, quando navigava per conto proprio e dovette ammettere che niente di quello che aveva visto era paragonabile a quanto stava vivendo ora. Non negava di aver visto posti bellissimi e di essere arrivata molto più in là di quanto si fosse prefissata ma soltanto ora capiva che probabilmente da sola non sarebbe mai stata capace di arrivare la dove adesso si trovava.

“A che pensi?”
“Uh, come?”
“Stai sorridendo” le fece notare Ace “Ne deduco che stai pensando a qualcosa di bello”
“Ah..si. Scusa” a quanto pare era rimasta un po’ troppo assorta fra i suoi pensieri “Ogni tanto mi capita di ripensare a certi momenti e finisco per perdermi in me stessa” affermò sciogliendo le dita dal bicchiere.
“Posso sapere a quali momenti alludi?” indagò lui con una punta di curiosità.
“Eh eh, mi dispiace Ace. Questo è un segreto” rispose con l’indice posto vicino alle labbra,nel consueto segno di silenzio.
“Come vuoi. Tanto lo scoprirò comunque” affermò lui incrociando le braccia dietro la testa. Reclinò lo schiena della sedia e prese a dondolarsi avanti e indietro.

Il sole di mezzogiorno era caldo e l’atmosfera era davvero molto tranquilla. Era inconsueto che due pirati come loro potessero sedere all’aperto e mischiarsi alla gente come fossero esattamente come tutti gli altri. Non suscitavano nulla, neppure curiosità ed era questo ciò che rendeva davvero piacevole e al coltempo strano quel momento,ma andava bene così: di tanto in tanto era gratificante accettare l’illusione di essere come delle persone prive di taglie e bandiera e godersi quei minuti di pura pace. Nessuno teneva conto della presenza di stranieri così come nessuno sembrava accorgersi di cosa ci fosse tatuato sulla schiena di Ace. Il velo dell’ignoranza, se tale poteva chiamarsi, copriva i loro occhi nascondendo ciò che a loro non interessava o che non conoscevano. Raramente avrebbero trovato un altro posto dove passare così inosservati: il nuovo mondo non era di certo pieno di allocchi e sprovveduti.....e nemmeno di locandieri bendisposti a offrire gratis le loro intere scorte a un forestiero dallo stomaco profondo quanto un buco nero.

“Che cosa sta succedendo là in fondo?”

La castana sporse la testa e vide che poco più avanti da dove era seduta, la gente si stava spostando dalla strada principale con occhi increduli e allibiti; qualcosa stava arrivando da una stradina laterale e di qualunque cosa si trattasse, stava urlando a squarciagola come se non avesse altro modo per sfogare la sua rabbia. Quando finalmente quel qualcuno comparve, Sayuri potè dargli un volto: a giudicare da grembiule bianco tappezzato di macchie, il cappello a forma di fungo leggermente schiacciato sulla sinistra e la mannaia che stava facendo roteare come una sciabola senza controllo, doveva essere un cuoco o il padrone di un ristorante. Era un uomo massiccio, dalle enormi spalle larghe e abbronzate. La testa era completamente pelata - per l’appunto coperta dal cappello - e la camicia bianca, aperta per i primi tre bottoni era in tinta con dei pantaloni blu scuro che a malapena si intravvedevano perché coperti dal grembiule; nonostante la mole si muoveva piuttosto bene e agitava il suo enorme coltello sotto gli occhi spaventati di tutti.

“Non sperare di fregarmi, razza di mascalzone!! Tanto ti trovo, anche se dovessi ribaltare questa città da cima a fondo!!” sbraitò fuori di sé.
“Mi domando con chi possa avercela...” si domandò Bianco Giglio.
“Oh, io un’dea ce l’avrei..” mormorò Ace alzandosi dalla sedia e cominciando ad arretrare con molta cautela.
“Ace” Sayuri si voltò vero di lui “Non avrai per caso mangiato senza pagare?”

Il sorriso sghembo di lui lasciò intendere tutto.

“Ace” pronunciò il suo nome senza rimprovero.
“Non è colpa mia!” si giustificò portando le mani in avanti “Il fatto è che mi sono addormentato nel piatto e sono uscito convinto di aver pagato”

La castana lo osservò per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere con la mano sulla bocca; non dubitava della versione di Ace perché non era una novità che il ragazzo cadesse con la faccia nel piatto senza neppure rendersene conto e non lo era nemmeno la sua arte dello scroccare a sbaffo. Lo stomaco del suo comandante era capace di svuotare le dispense dei ristoranti più forniti e i proprietari avevano tutte le buone ragioni del mondo per infuriarsi se il cliente ringraziava senza pagare. Quel lato bambino di Ace era sempre stato in grado di farla ridere di gusto. Il suo era un comandante eccentrico ma era quell’eccentricità a renderlo unico e lei di certo non avrebbe mai disprezzato quel suo aspetto.

“Eh eh! Ti conviene nasconderti, ho l’impressione che quel signore voglia tagliarti la testa” gli consigliò lei. Sorrideva cercando di ridere con più controllo, giusto per non incuriosire la gente.

Ace però non le rispose. La stava guardando, col viso rilassato e privo di quel sorriso furbesco che solitamente sfoggiava.Gli piaceva vederla felice, la sua risata era così cristallina che avrebbe perfino placato un tempesta. Quel suo modo elegante e disinvolto di portare la mano vicino alla bocca, di sistemarsi i lunghi capelli e di guardarlo con quei occhi brillanti...tutto in lei richiamava la raffinatezza di una principessa, dai delicati lineamenti del viso alla sua indole altruista e gentile. Possedeva un’anima buona e una volontà d’acciaio,incrollabile, sempre pronta a combattere. Era forte, più di quanto il suo aspetto desse a vedere ma era anche fragile, inutile negarlo; la sua forza non serviva a combattere soltanto gli avversari che le si paravano davanti ma anche a contenere quel dolore di cui lui ancora non conosceva la natura. Sicuramente era molto più grande di quanto avesse visto a Yukiryu e questo incupiva i pensieri di Ace quando la notte rimaneva steso sul suo letto senza riuscire a prendere sonno ma in quel preciso momento, il solo vederla sorridere gli stava alleggerendo l’anima, rilassandogliela. Solo lei poteva indurre una simile ondata di tranquillità.

“Ace? Che cosa c’è?”

Ecco. Stava arrossendo, anche se a malapena. Sapeva come imporporarle il viso e gli piaceva da matti quando ci riusciva: diventava ancora più bella....

“Niente, non posso guardare la mia navigatrice?”

Le guance della giovane si accaldarono ancora di più. Dentro di sé Ace sorrise soddisfatto. Valeva davvero la pena stuzzicarla di tanto in tanto se poteva godere di quella vista. Lui solo aveva quel potere su di lei e da tempo faticava a rimanere al di là dei paletti che aveva appositamente impiantato. Desiderava varcarli, distruggerli, sradicarli per finalmente arrivare da lei ma in cuor suo, ogni volta doveva arretrare e ignorare i suoi desideri per dare la precedenza alla fiducia che Sayuri poneva in lui, però era davvero difficile guardarla e non rimanere ipnotizzato dai suoi occhi...

“E'meglio se vai via. Il locandiere se ne è andato ma potrebbe tornare da un momento all’altro” lo avvisò.
“Ah, secondo me ci ha rinunciato! Di solito dopo i primi venti minuti di caccia demordono” ridacchiò il moro reduce di una serie di episodi identici a quello.
“Uhm..non ne sono molto convinta. Quel signore mi è parso molto deciso”
“E’ solo uno sfogo temporaneo” fece lui allegro “Vedrai, a quest’ora avrà già sbollito la rabbia e se ne starà tornando alla sua locanda”
“A-AH! ECCOTI QUA, MALEDETTO MOCCIOSO!”

La voce alta e minacciosa del locandiere li fece trasalire entrambi; era arrivato alle loro spalle senza neppure che ne percepissero la presenza, troppo impegnati a parlare per capire che in realtà non aveva intenzione di demordere sino a che Ace non lo avesse pagato adeguatamente per tutte le cibarie consumate. Dal volto paonazzo emergevano venature violastre e gli occhi, già fuori dalle orbite, si stavano impegnando a sporgere di più così come la bocca, esageratamente allargata in una smorfia furente, ricopriva buona parte del viso. Con quella mannaia in mano poi il locandiere pareva essere veramente un demone appena uscito dall’inferno, pronto a scatenarsi.

Sayuri non ebbe neppure il tempo di dirgli “Corri” che il comandante della seconda flotta si trovava già in fondo alla strada con il locandiere alle calcagna e la gente ai lati della strada, scombussolati e anche scioccati per la scena.

“A più tardi Sayuri!” le urlò vivacemente prima di diventare un puntino nero invisibile.
“FERMATIIIIIII!!!!” sbraitò successivamente l’uomo pelato.

 

 

Erano da poco passate le due ma Sayuri ancora si trovava in città, più precisamente vicino alla spiaggia a est da dove era ormeggiata la nave. Il sole si stava facendo più caldo e scaldava la fine distesa color nocciola su cui le onde si trascinavano avanti e indietro pigramente. Camminando vicino al muretto di pietra che divideva il marciapiede dalla spiaggia si era lasciata avvolgere da quel calore pomeridiano che la stava invogliando sempre di più a sedersi e a leggere il libro comprato. Di certo il mondo non sarebbe crollato se lei avesse ritardato un pochino a lavorare sulle sue mappe quindi, sedendosi sul muretto e sistematasi la gonna, prese dal sacchetto il libro ponendolo sulle sue gambe. Era in procinto di aprirlo, di godersi ancora un po’ quella quiete isolana quando tutto un tratto una leggera folata di vento le portò qualcosa di inaspettato: guardò i propri piedi, scoprendoli vicini ad un cappello arrivato lì grazie al vento

“Il mio cappello!”

Forse quel pomeriggio, finito il suo pranzo, avrebbe fatto meglio a tornare sulla nave per lavorare come aveva stabilito, ma si era detta “Che cosa può succedere se ritardo un po’?”. Quando si pensa di poter programmare la propria vita spesso e volentieri ci si dimentica che il destino è una carta dalle mille facce e solitamente fa i suoi comodi che quelli di una persona ma Sayuri questo lo sapeva bene, per questo non si era prefissata nulla di particolare. Viveva i giorni come meglio credeva, accompagnata da quel benessere di cui sentiva di non poter più fare a meno ma ciò aveva comportato la dimenticanza di una cosa che lei sempre aveva tenuto bene a mente: il destino, proprio perché è così imprevedibile, sa essere ironico e maligno allo stesso tempo e in quell’attimo, quando raccolse il cappello e levò gli occhi su chi l’aveva perso, se ne ricordò perfettamente.

Sei una stupida ragazza. La prese in giro questo Una stupida, stupida ragazza.

 


“D’accordo, nessuno si faccia prendere dal panico: è solo in ritardo” esordì Don piatto.

La giornata stava volgendo al termine: il tramonto, con i suoi caldi colori stava avvertendo i pirati della seconda flotta di Barbabianca che era ora di salpare ma non tutti erano presenti. Sayuri era la sola che mancava, con quasi due ore di ritardo, e la cosa cominciava a suscitare preoccupazione fra i pirati. In teoria avrebbe dovuto essere una delle prime a rientrare ma per tutto il pomeriggio non si era vista e nessuno aveva la benché minima idea di dove potesse essere.

“Dove sarà?” si chiese un primo.
“Non è da sorella Yu-chan tardare così tanto” affermò un secondo.
“Non state a scervellarvi inutilmente: le donne sono ritardatarie croniche per natura. Sicuramente sarà in un negozio a provarsi decine e decine di vestiti” boffocchiò il medico-cecchino incrociando le braccia.
“Non sorella Yu-chan” replicò un terzo.
“E se si fosse imbattuta in qualche nemico?” ipotizzò Bonz. Tra tutte le supposizioni fatte quelle era l’unica che poteva suonare accettabile.
“Lo escludo, quest’isola è fuori dalle rotte principali e inoltre ce ne saremmo accorti subito” replicò il cugino.
“Però potrebbe essere successo ugualmente qualcosa, magari è stata colta da un malore” suppose un altro.
“Se fosse così non avrebbe fatto meglio ad avvisarci col lumacofono?”

Stavano letteralmente brancolando nel buio. Non era da sorella Yu-chan svanire così, senza preavviso, senza avvisare nessuno. Che si fosse realmente sentita male? Che davvero fosse incappata in qualche pirata avversario? Erano tutte supposizioni valide ma non escludevano il fatto che Sayuri non avesse neppure il lumacofono acceso. Se ci fossero stati dei problemi, come la Marina per esempio, avrebbe subito avvisato la nave e invece....nulla, nemmeno una chiamata. Era strano, anzi no, allarmante e Don sentiva che a breve quell’enorme agglomerato di ansia e domande gli si sarebbe riversato addosso con la grazia di un elefante. Si stropicciò gli occhi pregando che quella santa della navigatrice cadesse dal cielo prima che la situazione toccasse il fondo a cui già pericolosamente si stava avvicinando.

“Zeh, secondo me sta bene. Yu-chan non è una debole” proruppe Teach "E' una con la testa sulle spalle”
“Già, ma se non ricordo male stamattina era uscita con qualcuno che però è tornato da solo” ricordò il medico-cecchino guardandolo sottecchi.
“Cos’è, cerchi rogne?” gli fu subito addosso l’omaccione.
“No, ma un po’ di moto non mi guasterebbe e nemmeno a te”
“Tieni ferma quella tua linguaccia permalosa se non vuoi che te la tagli” lo minacciò guardandolo dall’alto al basso
“Sto letteralmente tremando di paura..” boffocchiò lo smilzo dottore assonnato.
“Finitela!”

Al comandante della seconda flotta, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, era bastato quell’ordine freddo e tagliente per riottenere il silenzio di cui necessitava: indubbiamente lui era quello con più pensieri in testa e ne era talmente assorto che neppure si era voltato a guardare i suoi subordinati. Teneva le braccia incrociate, appoggiate al parapetto e con la testa posta in direzione della cittadina,senza muoversi. Non capiva il perché di quel ritardo: aveva visto Sayuri all’ora di pranzo e in quel momento stava benissimo, non aveva notato nulla di anomalo nel suo comportamento. Tardare non era nelle sue abitudini e se capitava avvertiva. Inoltre aveva detto più volte che quel pomeriggio se ne sarebbe stata sulla nave per finire di lavorare le sue carte. Cosa poteva essere successo di così sconvolgente da distrarla dal suo lavoro proprio non lo sapeva e questo lo stava facendo preoccupare non poco visto che l’ultima volta che la ragazza si era dileguata senza dire nulla, era per non doversi far vedere mentre piangeva disperata.

“Vado a cercarla” asserì deciso mentre si dirigeva verso la passerella “Nessuno abbandoni la propria posizione, torno il prima possibile”
“Sono qua!”

In perfetta sincronia, tutta la seconda flotta si voltò in direzione della passerella: Sayuri era finalmente arrivata e da come ansimava doveva aver corso come una forsennata fino a quel momento. Stringeva al petto il pacchetto con tutti gli acquisti fatti mentre la mano libera l’aveva appoggiata al ginocchio giusto per sostenersi

“Sorella Yu-chan!”
“Sayuri!”
“Allora sei viva. Degnarci di una chiamata?”
“Mi..Mi dispiace. Sono mortificata” ripetè annaspando l’aria e raddrizzando il busto.
“Sayuri, dove sei stata? Il ritrovo era per due ore fa” Ace si era lasciato sfuggire una nota di rimprovero ma soltanto per nascondere almeno una minuscola parte di quell’eccessiva preoccupazione cresciuta a tempo di record.
“Lo so e chiedo scusa a tutti” mormorò stanca raddrizzandosi.
“Cos’è successo?”
“Niente di grave” cominciò lei recuperando il fiato necessario “Avevo un po’ di mal di testa questo pomeriggio e così mi sono seduta su una panchina ma ho finito per addormentarmi. Mi dispiace veramente tanto: quando mi sono accorta dell’ora, sono subito cosa qui” e abbassò di nuovo la testa in segno di pentimento.

Dentro di sé, Ace tirò un enorme sospiro di sollievo. Aveva temuto il peggio ma vederla l’aveva rasserenato anche se non completamente:f orse era soltanto una sua impressione ma in Sayuri c’era qualcosa di......anomalo. La sua voce era....dura, qualcosa la rendeva distaccata.

“Come ti senti adesso?” le domandò studiando con attenzione il suo viso.
“A dire la verità così e così” ammise “Se non occorre il mio aiuto, vorrei andare a riposare un pochino. Vi dispiace?”
“Vai tranquilla, Sayuri“ le disse Bonz alzando il pollice all’insù.
“Hai ancora mal di testa?” indagò Don.
“Un po’, ma non preoccuparti. Sta già passando”
“Bene, ma al prossimo ritardo ti lasciamo a terra e alla base ci torni a piedi” l’avvertì.
“Eh eh, d’accordo. Allora io vado e scusatemi ancora”

Fu strano. Insolito. In quell’istante, nel sentirla passargli accanto, Ace avvertì ancora quell’anomalia. Non era un brivido, ne una scossa elettrica: no, era qualcosa di completamente diverso...di...si, di anomalo. Quello era il solo aggettivo che potesse combaciare a quella ragazza così dolce e riservata e solo quello poteva essere in grado di descrivere l’ondata di pressione che lo aveva attraversato,tanto da paralizzargli i muscoli. Lo aveva visto ancora, aveva visto quel riflesso bluastro danzare negli occhi della ragazza ma stavolta non era subito scappato via: quel bagliore aveva assunto le sembianze di un lumino spiritico, inquietante, così incisivo e potente da annullare la sua volontà di chiedere di più alla ragazza. Anche Don aveva notato qualcosa, ma la sua non era che una sfuggevole impressione, insufficiente a sfondare le difese emotive della ragazza.

E’ successo qualcosa.

Quando la nave riprese la rotta di casa, la mente di Ace era ancora occupata da quelle fiamme bluastre che avevano sostituito lo sguardo sereno e lucente della castana. Nessuno l’aveva notato, era apparsa a tutti normale, la solita Sayuri ma lui era certo di quel che aveva visto, anche se era stato soltanto per pochi attimi, ed era sufficiente a metterlo in guardia da quello che poteva o stava già capitando. Quel bagliore, che fino a quel momento era stato labile, effimero, ora era mutato; si era trasformato in un muro di fiamme altissimo, chiuso attorno alla castana e lui quel fuoco non poteva dominarlo con il suo, non poteva nemmeno avvicinarsi. Da quando la conosceva, per la prima volta, si sentì completamente estraneo ai suoi occhi.  



 

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Capitolo 34
*** Verità (prima parte). ***


Ok,ci siamo,buon pomeriggio a tutti voi!premetto che dopo questo capitolo,sotto ogni mia possibile previsione verrò presa a sassate almeno per la maggior parte del testo,perché qui sono stata un po’ cattiva con la mia pupilla ma se posso dire la mia,questo capitolo (che poi è la prima parte) insieme al seguito è uno dei miei migliori lavori,dove ho speso più tempo e energie,come il 14 e..beh,vedrete voi quel c’è.Siete liberi di dire quel che volete.E ora,prima di iniziare,come sempre porgo i miei sentiti ringraziamenti!

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Sachi Mitsuki:tesorino mioooo!!!povera,prima il computer e ora la linea?!?fatti forza,un giorno sarà tutto a posto,non perdere la speranza che è l’ultima a morire.Mi fa piacere che la parte della locanda ti sia piaciuta:ho sempre desiderato metterne una del genere anche perché è tipico di Ace mangiare a scrocco!il cuoco però non era molto d’accordo al riguardo,forse perché con un solo cliente gli sono finite le scorte di due e passa mesi ma per Ace si può fare uno strappo (io lo farei,lui non proprio).Adesso saprai cos’è successo a Sayuri ma non svelo nulla(ok,posso dirti che il cappello non è di Rufy) e non preoccuparti per il capitolo scorso;se l’hai letto e l’hai trovato bello tanto mi basta quindi doppiamente grazie!

giulio91:ciao!bravo,hai indovinato il cappello non è di Rufy ma comunque lui già si trova nel grande blu;io seguo la mia linea non quella di Oda.Il libro l’ho messo….perchè l’ho messo?ah si,per una particina che devo ricordarmi di mettere (perdonami,la mia mente tende a divagare un po’ troppo).Don non ha bisogno di dire nulla perché ormai è l’idolo delle folle e sa di essere figo.Spero tu abbia superato l’infartino adeguatamente o devo aspettarmi una parcella dal tuo dottore?meglio saperle adesso certe cose prima che mi arrivi per posta inaspettatamente.Ih ih,si il locandiere da come l’ho messo giù sarebbe stato capacissimo di mettere ai lavori forza il povero Ace come hai detto tu ma ormai è così abituato a darsela a gambe che ormai nessuno più lo prende,tranne quando crolla in strada preda della narcolessia..Fammi un favore:riprendi a respirare,usa defibrillatore ma non schiattarmi perché vi lasciato in sospeso,tanto ora saprai tutto.Non voglio avere uno dei miei lettori sulla coscienza (non è che poi verrai ad assillarmi nel sonno,vero?)

angela90:cara,noto con piacere che io e te siamo d’accordo su una cosa:twilight è eccessivamente smielato,i vampiri mi piacciono ma non così sdolcinati alla romeo e giulietta e ti ringrazio per aver letto la mia presentazione (non sono riuscita a metterci le immagini,sigh!) e si,sono piena di compassione nei tuoi confronti perché ce ne vuole,ripeto CE NE VUOLE per fare un corso di laurea in matematica;che la matematica ti abbia sempre affascinato oppure tu abbia avuto un’illuminazione divina (per sarebbe stata infernale) nei primi giorni della tua vita questo non lo so ma se ti piace non sarò di certo io a fermarti,comunque complimenti per la scelta.Altra stima e rispetto per il mio mitico Don e per la mia cartografa;si,si Sayuri è brava nel scegliersi i materiali altrimenti invece di approdare nella grand line finiva alla deriva di qualche isola sconosciuta.Una navigatrice deve pur avere un buon senso dell’orientamento,no?cmq…ti sei fatta un’idea su chi possa aver visto Sayuri?beh,cara adesso lo saprai….

happylight:ok,ok,calmati!ho capito che sei curiosa però adesso calmati,smettila di saltare!no,scusa vista l’enfasi iniziale ho pensato che stessi saltando per la stanza desiderosa di sapere il seguito.Eh,lo so fa un brutto effetto vedere il z%&(=s!” (al solito,parolacce che non posso tradurre perché troppo volgari)in compagnia della mia pupilla ma presto anche lui avrà quel che si merita,uh uh!!.riguardo al libro posso dirti che rimarrà nelle mani d Yu-chan ma come sempre non posso dirti nient’altro perché se spiffero tutto nei commenti che mi leggete a fare la fict?

 

“Coff...anf...”

Ampi respiri strascicati e pesanti si disperdevano in quel piccolo bagno senza uscire perché tutto chiuso. I muscoli delle braccia erano tesi, impegnati a sostenere il peso del suo corpo, accaldati e sudati come le gambe e tutto il resto, scosso da tremiti involontari. La leggera camicia da notte aderiva alla sua pelle, stritolandola come un cappio intorno al collo e le mani erano avvinghiate al pavimento di legno, stretto e infilzato dalle sue stesse unghie. Era esausta, le sole forze rimastele venivano in suo soccorso solo per aiutarla a tirare su la testa e vomitare nella tazza del gabinetto. Sayuri stava malissimo e in quel piccolo bagno rischiava di soffocare per il troppo caldo creatosi, ma uscire le era pressochè impossibile.

“Yu-chan? Yu-chan, va un po’ meglio?”

La vocina sottile e preoccupata di Akiko giunse da dietro la porta chiusa a chiave. La piccola corvina era rimasta attaccata al muro della porta per tutto il tempo e non aspettava altro che l’amica uscisse o le chiedesse qualcosa, ma le risposte alle sue domande non arrivavano mai e la sua preoccupazione saliva maggiormente. La castana inspirò con la bocca e incespicò nel richiamare a sé la voce, ma quel che ne uscì fu soltanto un rantolo incomprensibile, flebile e senza alcun significato.

“Yu-chan, mi senti?”

La mano della navigatrice afferrò con forza un asciugamano bianco e lo intrise nella piccola tinozza di acqua fredda che aveva accanto; nel tirarlo fuori ci gettò dentro la faccia senza neppure stritolarlo e si bagnò la fronte, le guance, per poi infine passarlo sul collo e laddove provasse un caldo insopportabile.

“Yu-chan, aprimi almeno la porta” la blandì lei.
“A...Akiko..preferisco di..di no” rantolò infine “Fra un...fra un po’ esco”
“Lo hai detto anche un’ora fa!” scoppiò con voce acuta ma controllata “Ti prego! Se non vuoi che entri, non chiuderti dentro a chiave. E’ pericoloso!” la supplicò ancora.

Sayuri non l’ascoltò. Non poteva ascoltarla, perché dentro di sé stava succedendo il finimondo: stava male, perché quello che tratteneva con tanta ostinazione era qualcosa che non poteva essere lasciato libero e lei non voleva. Stava male perché la sua vita pareva essere tornata a quando aveva cinque anni: un inferno che pochi avevano conosciuto. Quegli orrori l’avevano circondata da ogni fronte, senza lasciarle via di scampo e ridevano, ridevano come dei posseduti, infierendo su di lei come solo dei demoni sapevano fare.

Per favore...smettetela....

Il viso bianco dalle guance un poco incavate e le occhiaie sempre più evidenti la stavano portando ad essere un fantasma più che un essere umano, ma l’aspetto fisico era l’ultimo dei suoi problemi. Le stava scoppiando la testa e la cosa ridicola era che, nonostante stesse soffrendo, non riusciva a piangere: gli occhi le bruciavano da morire, li sentiva riempirsi fino all’orlo, ma non era capace di lasciar sfogo alle sue lacrime....

Stupida mocciosa! Cosa vorresti cercare, tu? Un sogno? La felicità? Le diceva una vocina calma e divertita.
“Vai via...” sussurrò impercettibile.
E perché dovrei? Hai dimenticato cosa sei, stupida immonda?
“Vattene...” ripetè stringendosi le braccia sulla pancia.
Sei un rifiuto. Dovresti saperlo bene, no?
“Smettila..” chiese un po’ più forte.
“Yu-chan?” stavolta era stata Akiko a parlare “Va tutto bene?”

Stava perdendo ogni contatto. La realtà finì per mischiarsi a quella dimensione immaginaria e lei non capì più cosa fosse vero e no. Affondò le unghie negli avambracci con forza così brutale, che quelle arrivarono a bucarle la pelle.

E, dimmi, cosa meritano i rifiuti? Di essere gettati nella spazzatura, e tu, stupida, non puoi di certo ambire ai sogni, figuriamoci alla felicità. Quelli se la meritano solo i bambini benvoluti e tu non lo sei.   Continuò quella beatamente.
“Ho diritto di vivere...quanto loro” le rispose.
Ma davvero? E questo chi te lo ha detto? Il tuo nonnino defunto? Oppure il tuo comandante? Cos’è, credi a tutto quello che ti dicono, ora?

Quella vocina maligna la stava distruggendo, era decisa a non lasciarla in pace. La sua tonalità mirava ad essere non carica di rabbia ma ponderata, lenta, cosicchè potesse bearsi della sofferenza della sua vittima. Voleva che si arrendesse piano piano, giusto per godere pienamente quel momento.

Tu non sei come gli altri. Sei cattiva, ti nascondi dietro a una maschera di bontà spropositata e io so perché lo fai. Lo so, lo so! Trillò gioiosa.
“No....”
Lo fai perché se sapessero chi sei veramente, non ti vorrebbero più bene. Tu sei cattiva e sai di esserlo!
“N-Non è vero!” balbettò “Io...”
Altrimenti, perché nasconderesti la verità sul tuo passato?

Quello fu il colpo più pesante che potesse ricevere. Sayuri non potè replicare nulla di quanto le aveva detto perché...era la verità.

Se tu fossi una brava bambina, diresti la verità, invece non l’hai mai fatto. Anche se la dicessi adesso, non servirebbe proprio a nulla, ti odierebbero ugualmente. Ace ti odierebbe.

La castana sussultò a quell’ultima frase.

Tu non puoi desiderare niente, non puoi possedere nulla che non sia l’infelicità. Non puoi amare e non potrai essere amata perché questo è il destino riservato a quelli come te.
“Adesso basta...”
La vita che ti è stata data è sporca del sangue di tanti innocenti e del dolore di quella povera donna che ha dovuto sopportarti per cinque lunghi anni....
“Basta...”continuò più forte.
Non puoi sperare in niente, così come non puoi sperare di essere ricambiata da Ace.
“Yu-chan, apri la porta! Maya, provaci tu, non so più come fare!” esclamò esasperata la corvina.

Il leggero picchiettio della capo infermiera non smosse nulla di nuovo: la porta rimase ugualmente chiusa.

“Sayuri, apri, sono io.”

Nessuna risposta.

“Akiko, da quanto tempo è li dentro?”
“Da quasi due ore” rispose la piccola senza mai smettere di fissare la porta.

Sayuri le sentì parlare, ma le loro voci stavano sortendo l’effetto di un sottofondo fastidioso. La sua testa era al limite della sopportazione, il corpo distrutto dalla fatica e quella vocina, quella dannata vocina maligna, non voleva smettere.

Tu sei nata per essere sola.... Continuò.
“Vai via....”
“Sayuri, apri la porta” chiese Maya placida.
Ti vuole soltanto l’inferno.
“Tesoro, aprimi. Siamo preoccupate per te, fammi almeno vedere cos’hai” insistette la capo infermiera.
Tu sei sola. Ripetè
“Vattene via...” e si portò le mani alla testa.
“Sayuri? Con chi parli?”
TU SEI UN MOSTRO!!
“LASCIATEMI IN PACE, ANDATE VIA!!!!” urlò infine.

Fuori dal bagno, Maya e Akiko indietreggiarono di qualche passo per lo spavento. Sayuri era consapevole di aver urlato con tutta la voce che aveva in gola, ma la sua mente era così annebbiata e confusa, che non fu più in grado di sopportare nulla. Non voleva vedere nessuno, voleva stare da sola, voleva piangere e dare sfogo a quel dolore intriso di rabbia che ora stava fuoriuscendo da lei come vampate di calore oscure.

“Sayuri..?”
“E’ TROPPO CHIEDERE DI ESSERE LASCIATA IN PACE? ANDATEVENE!!”

Non capiva l’ostinazione delle due infermiere ad entrare. Perchè diavolo non la lasciavano in pace? Perchè la dovevano infastidire? Non c’era solo quella vocina interiore, ma anche loro e lei non voleva ne vedere, ne sentire nessuno. Potevano anche chiamare il capitano o Ace, tanto non avrebbe aperto.

“Sayuri, che....?”
“Akiko, no. Lasciamola tranquilla” decise Maya.
“Che cosa?!” la corvina era sconcertata “Maya, non sta bene!”
“Lo so, ma forzarla a uscire di lì peggiorerebbe soltanto le cose” replicò pacata. Poi rivolse gli occhi alla porta del bagno “Noi andiamo via, Sayuri: quando vorrai uscire, sai dove trovarci”

Nel sentire i loro passi e il rumore del pomello d’ottone che veniva girato, Sayuri trattenne un respiro. Appena la porta venne chiusa, tirò su col naso e si rannicchiò a terra con le braccia strette allo stomaco. Il respiro stanco e appesantito, si fece più lento, rilassato e gli occhi della ragazza, vitrei, erano fissi su un punto qualunque del muro. Sapeva cosa aveva fatto, se ne era accorta e non aveva fatto niente per impedirlo; in verità, non aveva più forze per fare nulla, non aveva alcuna voglia di muoversi da lì e uscire per chiedere scusa. Si accoccolò di più al pavimento, cercando di ignorare l’istinto di rimettere e chiuse gli occhi gonfi e brucianti.

Non ce la faccio, nonno, non ci riesco. Ti prego...ti prego, aiutami.

 


Seppur non convinta del tutto, la piccola Akiko aveva seguito Maya.
Mai Sayuri aveva urlato così forte e con tanta rabbia: lei, che la rabbia pareva non aver mai conosciuto, adesso era chiusa in quella stanzetta, animata da quel sentimento così intenso e malvagio e per un motivo che lei non conosceva. Da quando era tornata da Otako, la sua amica si era sempre tenuta molto impegnata, quasi avesse paura di fermarsi anche solo per pochi secondi. Non aveva pensato a nulla di preoccupante, in fondo, lei aveva mansioni diverse dalle sue, ma dopo quei ultimi minuti, stava cominciando seriamente a pensare che la castana stesse così male già da prima e che lei, nonostante fosse una sua amica, la sua compagna di stanza, non fosse stata capace di accorgersi di nulla. C’erano tante cose che non sapeva di Sayuri, ma in quel momento si maledì per non avere quel pizzico di autocontrollo in più che contraddistingueva Maya dal resto dell’equipe. Evitò di mandarle occhiatacce preoccupate o di assillarla con domande sconclusionate, ormai sapeva bene di dover mostrare un certo rigore nel suo lavoro, però.....rimaneva pur sempre angustiata per Yu-chan.

“Non uscirà dal bagno, vero?” le domandò infine lei, anche se la domanda sapeva più d’affermazione.
“No, almeno finchè saremo sveglie. L’hai sentita Akiko, vuole rimanere sola”
“Lo so, però non pensi che sia giusto parlare dei propri problemi? Se Yu-chan sta male per qualcosa, può sfogarsi con noi, con Ace o con gli altri. Non è sola!” affermò ostinata, fermando la sua camminata.
Maya addolcì lo sguardo, ma questo ugualmente rimase mesto “Non è così semplice, Akiko. Sayuri è malata di dolore” le rivelò.
“Di...Di dolore?”
La donna annuì col capo “E’ uno dei mali più grandi di questo mondo, forse il più terrificante e subdolo: ci sono persone che possono morire per mano sua e altre che invece lo portano come un fardello per tutta la vita, come Sayuri” le spiegò “Lei soffre da sempre”
“Ma non è un buon motivo per stare zitta!” replicò la corvina “Siamo sue amiche! So che le persone vogliono tenersi per sé alcuni argomenti, ma non trovo giusto che debbano nascondere il dolore così, come se fosse una colpa! Io..” balbettò posando gli occhi a terra “Io voglio aiutare Yu-chan. E’ mia amica....” quasi le veniva da piangere.

Non era giusto, non era affatto giusto. Era la sola cosa che stesse pensando la corvina e più se lo ripeteva, più si sentiva incitata dalla sua coscienza a tornare indietro e a buttare giù la porta del bagno con l’ausilio di una sedia. Quasi scattò indietro nel sentire le mani di Maya appoggiarsi sulle sue spalle e dunque attirare la sua attenzione.

“Il dolore non si può affrontare con l’arroganza. Non puoi costringere una persona a parlare, se non vuole. Finiresti per farle ancora più male”
“Ma....”
“Non possiamo aiutare una persona a stare meglio se non capiamo cosa prova. Dirle che comprendiamo come si sente, sarebbe soltanto una bugia e lei finirebbe col chiudersi ulteriormente in se stessa.”
“Quindi....non possiamo niente?” domandò rassegnata la corvina.
“Possiamo aspettare. Quando si sentirà più tranquilla, saprà dove trovarci e se non vorrà parlarci, noi rispetteremo il suo silenzio” le rispose la più grande sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio “E’ quello che fanno le amiche”

 


Il vento si era alzato all’improvviso, ma in cielo non c’era neppure una nuvola. Quel bel cappello dal nastro rosa svolazzante le era caduto proprio vicino ai piedi, sospesi da terra soltanto di qualche centimetro. Lei aveva chiuso il libro ed era scesa dal muretto per coglierlo e, nell’alzare gli occhi, aveva visto la donna che l’aveva perso: era bella, molto bella, un angelo. Quei lunghi capelli dorati e ondulati che venivano spostati su di un lato dal venticello tiepido dell’isola, gli occhi azzurri dolci e amorevoli, i lineamenti fini e delicati nonostante non fosse più così tanto giovane....era davvero bella, esattamente come lei la ricordava, soltanto che invece delle lacrime, sorrideva felice.

"Scusami! Mi è volato via senza che me ne accorgessi” si giustificò avvicinandosi.
"Oh, non importa. Può succedere” la sua risposta era dolce, gentile...come sempre.

Nel porle l’elegante cappello, le loro dita si sfiorarono, ma nulla mutò. Entrambe non provarono nulla. Lei non provò nulla.

“Mamma!”

Una voce nuova si era aggiunta. Era acuta, tipica dei bambini, ma anche molto allegra e vivace. Era di una bambina. La vide affiancarsi a quella donna e stringere le rosee mani attorno alla lunga gonna azzurra di quest’ultima. Erano identiche, salvo per i capelli a caschetto della piccola. Nell’incrociare lo sguardo color cioccolato di lei, la bimba allargò il sorriso mettendo in risalto le belle gote rosse.

“Ciao! Grazie per aver recuperato il cappello della mia mamma!” esclamò.
"
Di nulla. E’ stato un piacere” ancora una volta aveva ricambiato con un sorriso, come tutte le volte.
“Adesso dobbiamo andare. Avanti, Shion, il papà ci aspetta”
"
Uh? Va bene! Grazie ancora, signorina!!” la salutò allegramente.,
“Prego, arrivederci”

Quando si è rimasti soli per tanto tempo si impara a cavarsela con le sole forze, a contare unicamente su sé stessi, a volte isolandosi dagli altri, giusto per trovare lo spazio necessario per riflettere su qualcosa in particolare e alla fine si ha fra le mani una lista mentale di tutto quello che si è fatto fino adesso. Si vede il mondo e le sue meraviglie sotto una luce diversa, solitaria e più sfocata di tutte le altre. Capita di provare uno strano senso di vuoto che non assomiglia lontanamente a quello che si avverte la prima volta che ci si trova davanti a una persona cara: è diverso, perché nel fare scorrere quella lista di ricordi, di fatti e di emozioni, i sentimenti sembrano essere inibiti, minimizzati appositamente per permettere alle persone di vedere le cose con molta più chiarezza, eppure, da qualche giorno, Sayuri era tormentata da quel ricordo che la impensieriva, tanto da rinchiudersi più che mai dentro sè stessa, nella sua fortezza inespugnabile.

Non stava bene e questo purtroppo era stato notato: mangiava pressoché niente, non riusciva a dormire e, in qualche modo, teneva a distanza tutti quanti. Da quando era tornata alla Moby Dick aveva fatto in modo tale da tenersi il più occupata possibile, sia con il suo lavoro come cartografa che con gli allenamenti, ma a lungo andare, a quel ritmo esagerato, il suo fisico avevano iniziato a cedere e da lì in poi, non era più uscita dalla sua stanza. Voleva dormire, ma non poteva: anche in quel momento, sin da quando si era coricata, non aveva chiuso occhio perché immersa proprio in una di quelle riflessioni, con quelle immagini che inizialmente non avevano smosso nulla nel suo animo: era seduta sul suo letto con le ginocchia raccolte all’altezza del petto, coi piedi scalzi e gli occhi rivolti verso l’oblò da dove si poteva vedere la luna illuminare pallidamente la notte. Sapeva di avere un aspetto orribile, ma non avendo fatto altro che tirare su l’anima per tutto quel tempo, certamente il suo viso non poteva che essere inquietante. Al contrario di lei, Akiko dormiva come un ghiro, stringendo avidamente il suo cuscino. Nel guardarla Sayuri sorrise amorevolmente, come se stesse guardando quella sorellina che mai aveva avuto: era una personcina vivace e molto ottimista, anche se a volte tendeva a distrarsi e ad agitarsi inutilmente, col solo risultato di trovarsi con la testa arruffata come se un petardo le fosse scoppiato in faccia.

Provò un rimorso enorme al ripensare a come aveva trattato lei e Maya. Guardarla le diede sollievo, ma fu subito eclissato da quella malinconia che ormai non era più in grado di contenere. Per tutto il viaggio di ritorno dall’isola di Otako e compreso il tempo che aveva passato sulla Moby Dick, ogni suo gesto, pensiero e perfino il sorriso, era stato meccanico, difficile e sofferente. Si era resa invisibile ad Ace e ai suoi amici per non scoprirsi e aveva passato gran parte del tempo con le sue mappe, sommergendosi di lavoro come non mai. Nel portarsi una mano sulla fronte lasciò che i capelli le ricadessero in avanti. Non aveva provato nulla quel giorno: aveva raccolto il cappello con naturalezza, le aveva parlato educatamente senza mostrare esitazione sia nel tono di voce che nel viso, mostrando una disinvoltura praticamente perfetta, come se quella visione non l’avesse in alcun modo toccata, cosa che invece, era riuscita a fare:era andato tutto bene, troppo, e solo nel vederle andare via, aveva come avvertito qualcosa mozzarle il respiro e toglierle ogni gioia acquisita in tutto quel tempo. Aveva bisogno di aria, non ce la faceva più a rimanere lì.

Silenziosamente, uscì dalla stanza, movendosi con maestria e con la principale intenzione di non svegliarla. Passeggiò lungo i corridoi con in mano un piccolo lumino per farsi luce, accompagnata da un cauto silenzio presente solo a quell’ora di notte. Aveva bisogno di dar respiro alla sé stessa che si nascondeva nelle innumerevoli stanze della fortezza, ma per farlo aveva bisogno di qualcosa che per diciotto anni non aveva mai avuto.

 

Bussò alla porta con enfasi controllata ma dall’interno non giunse alcun rumore. Stringendo la maniglia allora la aprì, provocando un leggero scricchiolio: si sporse di poco, giusto per vedere se dentro la cabina ci fosse qualcuno. La luce biancastra della luna filtrava da un piccolo oblò simile a quello della sua stanza rendendo l’ambiente non così buio e nero. Non c’era nessuno. Controllò ancora e ancora, ma non vide nessun’altro lì se non le ombre notturne e così, sospirando, chiuse la porta. Il suo cuore cominciò stranamente a battere più forte, tanto da farle mettere entrambe le mani all’altezza del petto. Il respiro prese ad appesantirsi e a velocizzarsi, come se stesse per cadere vittima del panico.

Ma dov’è? Dov’è?

Doveva rimanere calma.
Forse era lì vicino, non era il caso di perdere il controllo ma ormai era al limite. Voleva piangere, le bruciavano gli occhi e tutto quello che desiderava, era vedere Ace. Sentiva di non potercela fare da sola, non questa volta. Comportarsi con assoluta normalità era stato un gioco da ragazzi, ma ogni sua parola detta equivaleva a un spillo talmente acuminato che puntualmente gli perforava il cuore. Non era stato un brutto momento: no, era stato il momento più terribile e doloroso della sua vita. Reprimere quella sofferenza, ben più grande di quella provata a Yukiryu, le aveva prosciugato le forze, indebolendola sia fisicamente che mentalmente. Era stata male, ma, come sempre, si era mostrata forte e serena, armeggiando con le sue difese forse addirittura eccessivamente. Sospettava di aver fatto nascere dei dubbi nei suoi amici, ma lei era andata avanti, come sempre, soltanto che alla fine, dopo aver passato così tanto tempo a cavarsela da sola, a prendere ogni cosa brutta della sua vita come fosse una lezione da cui trarre coraggio, non pareva più essere in grado di sostenere nulla.

Stava male e voleva soltanto liberarsi di quel peso, ma voleva che solo Ace la ascoltasse e non poteva aspettare la mattina successiva, ne tanto meno smettere di cercarlo. Perlustrò le sale grandi, i cucinini, ogni posto che era solito frequentare, ma non lo trovò. Era come svanito. Accaldata come se lei stessa stesse andando a fuoco, volle uscire. Avvertiva i propri polmoni venire afferrati e strangolati a tal punto da soffocarla internamente.

Raggiunto il ponte, chiuse delicatamente la porta alle sue spalle, riempiendo le narici di pura e sana brezza marina che con fare innocente le muoveva il fondo della gonna della camicia da notte smanicata che le arrivava poco al di sopra delle caviglie. Con la metà già prefissata, scavalcò la spessa balaustra bianca di legno e ferro e si sedette su un punto imprecisato dell’enorme polena a forma di balena. La nave aveva tutto un altro aspetto quando non c’era nessuno a fare chiasso, come abbandonata e nel lanciare una veloce occhiata alle sue spalle, la sua lista mentale si allungò ancora di qualche centimetro; la sua mente rivangò fino a tornare su un altro ricordo ben preciso, il punto d’inizio.

Sono passati otto anni. Quasi non mi sembra vero....

Otto anni potevano apparire come una manciata di tempo e polvere che si disperdeva col vento, ma per le persone come Sayuri, rappresentavano giorni scolpiti nel cuore, sempre presenti, per nulla insignificanti. In quel momento, li sentì vicini più che mai.

Sono addirittura diventata un pirata al servizio di Barbabianca. Che cosa ne pensi, nonno? Saresti fiero di me ugualmente?

Il suo amorevole tutore, un tempo, era stato un marine a dir poco che valente, reduce di grandi battaglie contro uomini come Gol D.Roger, ma deluso da persone che consideravano i sogni come delle sciocche distrazioni, qualcosa da scavalcare. In nome della giustizia, aveva visto uomini privi di coscienza utilizzare anche il più subdolo dei mezzi per arrivare ai propri scopi. In nome della cosiddetta giustizia, aveva visto uomini sfruttare il proprio prestigio per disonorare il codice dei marine.

Per proteggersi da verità scomode, per eliminare ostacoli che per altri rappresentavano la pace e la salvezza, le alte sfere incaricavano la marina di sbarazzarsi di ogni prova. Aveva visto tutto ciò e molto di più: lui cercava il rispetto, loro la giustizia ad ogni costo. A lungo gliene aveva parlato, a lungo le aveva raccontato di come ci aveva provato, ma alla fine dei conti, lui era stato scartato perché troppo umano per la sua posizione. A loro occorreva qualcuno che sradicasse i pirati senza esitazione, non un uomo che perdesse il suo tempo a combattere i potenti di quel tempo come se fossero rivali che meritavano ammirazione. Ci aveva provato, ma aveva fallito, eppure, ciò nonostante, era contento, perché almeno un tentativo l’aveva fatto, solo che si rammaricava per quelli che presto avrebbero dovuto affrontare le conseguenze delle loro azioni: per continuare a vivere a loro libero piacimento, i discendenti dei fondatori del Governo Mondiale giocavano con le vite di altre persone.

Per evitare che stirpi pericolose continuassero a vivere, la Marina uccideva i bambini ancora in fasce, prima che potessero divenire un pericolo effettivo....

SEI SOLO UN ERRORE!!!

Le parole di quella persona le rimbombarono in testa a tal punto da farla rabbrividire. La sua voce, il suo volto contratto per la rabbia, gli abitanti del paese che la tenevano alla larga, i bambini che la picchiavano e la schernivano...era tutto lì.

Col tempo quei ricordi erano diventati ombre violacee dalle lunghe dita e dai volti sadici ogni qualvolta lei abbassasse la guardia e anche se ciò capitava di rado, non significava che non fossero lì. Erano parte di lei, un pezzo che non poteva essere ne sostituito, ne cancellato. L’aveva accettato e, nonostante il dolore datole e la consapevolezza che c’erano altre persone come lei, che forse avevano patito la stessa sofferenza o forse anche di più, adesso non era più così spaventata e doveva solo ringraziare un persona.......

“Sayuri?”

Avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille. Ace era alle sue spalle, con solo la balaustra a separarli. Era lì, era apparso appositamente per lei e solo per lei.

“Ciao, Ace” lo salutò alzandosi in piedi “Anche tu sveglio?”

Gli sorrideva perché non aveva altro modo per dirgli grazie, perché non sapeva fare altro. Nel vederlo scavalcare la ringhiera di legno, lasciò che le catene, i sigilli e le briglie che tenevano bloccate le porte del suo male si sciogliessero. Non aveva più forze per resistere, non aveva più motivo di farlo. Adesso lui era lì e non avrebbe chiesto altro.

Per tutto questo tempo non ho fatto altro che aspettare. Ho continuato ad aspettare...

Ace la vide diversa: sorrideva con le mani dietro la schiena e pareva essersi appena svegliata da un lungo sonno. Era serena, più di quanto non lo fosse mai stata, eppure percepiva la sua titubanza svanire ogni secondo che passava.

“Sayuri, che cosa fai qui fuori? Stai bene?”

Erano le sole parole che riuscì a pronunciare, ma anche le uniche che rispecchiassero in una semplice perfezione la sua preoccupazione nascosta da un volto semiserio. L’aveva vista a malapena quei giorni e ora che finalmente l’aveva trovata, non seppe pronunciare altro.

“Certo. Ti stavo aspettando”
...E alla fine sei arrivato tu.

 Non c’era più bisogno di aver paura, così come non c’era più ragione per resistere. Finalmente era pronta. Ace meritava di sapere la verità e anche se sarebbe stato difficile, il suo desiderio di poterglielo rivelare era più forte della sua incertezza.

“Tempo fa, ti chiesi di avere fiducia in me, anche se non potevo dirti cosa mi faceva soffrire..”
Sono sempre rimasta sola....
“Avevo paura e non mi sentivo affatto pronta per affrontare quella realtà, però...”
..E per quello che ero, che sono, non meritavo che la morte e senza volerlo...
“...Credo che ora sia arrivato il momento di mantenere fede a una promessa”
..Sono caduta in un’oscurità a me invisibile.

Ace era immobile, sia fisicamente che psicologicamente. Lei gli aveva fatto cenno di rimanere lì e non riusciva a distogliere lo sguardo da quella ragazza che la luna illuminava con luce fiocca ed etera. Dentro di sé, sentì un moto incontrollabile che voleva spingerlo ad andare più vicino. Un moto che stava riportando a galla tutte le sensazione provate a Yukiryu.

“Sayuri..”
“Io sono....la figlia di un pirata. Una figlia indesiderata. Sono nata da una relazione violenta e fin dal mio primo giorno di vita ne ho pagato le conseguenze” rivelò.
Ogni giorno..non ho fatto altro che andare avanti, cercando il mio sogno...
“Mia madre mi picchiava, mi riteneva un errore e non faceva che ripetermelo. Mi riteneva responsabile della sua infelicità, come tutte le persone del villaggio...” continuò col capo chino e le mani congiunte in avanti.
...Ma invece di andare avanti, mi sembrava di rimanere sempre indietro.

Si sforzò di rimanere calma, anche se le labbra un po’ le tremavano. Non riusciva a guardare Ace in faccia. Se l’avesse fatto, si sarebbe automaticamente tradita, scoppiando così a piangere. Raccontava e riviveva allo stesso tempo; le angherie, le parole, i gesti, gli occhi carichi di odio, la sua tristezza, il suo caro nonno...erano tutti lì, erano sempre rimasti lì.

“Mi sono sempre chiesta se viaggiando, avrei trovato il mio posto nel mondo. Sono andata avanti con la convinzione di poter diventare abbastanza forte...di poter diventare qualcun'altro, da potermi creare la mia strada e respingere tutti i mali che mi attaccavano. Anche se ero stata disprezzata fino a quel punto, non ero in grado di fare altrettanto perché se lo avessi fatto...se lo avessi fatto sarei diventata esattamente come loro volevano che divenissi.”
Volevo andare avanti a cercare quel sogno ma non sapevo neppure che cosa potesse significare per me.

Una forte folata di vento le alzò i capelli portandoli sulla sinistra, nascondendo i suoi occhi lucidi. Sentiva caldo alle guance, per non parlare di quel grosso groppo alla gola che le faceva tremare la voce. Rischiò di perdere l’equilibrio con una un seconda volata ancora più forte.

“Sayuri!” Ace era già pronto a venirle incontro.
“No! Resta lì, per favore” gli chiese con voce ferma, recuperando l’equilibrio.

Voleva finire. Voleva fare sì che quel momento finisse senza interruzioni. Si sentiva come sull’orlo di un baratro profondissimo, ma non chiedeva altro che pochi secondi per fare quello che doveva fare. Deglutì come per cacciare in giù le lacrime e riprese a parlare.

“Il motivo per cui sono andata via dai festeggiamenti, quella volta a Yukiryu, era dovuto al fatto che per caso avevo visto su un vecchio giornale una foto di mia...di quella donna”
Non sono neppure più capace di chiamarla per nome....

Nel rievocare l’immagine nella sua mente, gli occhi le si appannarono del tutto e rivide i lineamenti perfetti di quella persona costruirne il viso ancora splendido, accostato da lunghi capelli biondi e occhi azzurri. Gli anni non avevano intaccato la sua bellezza, l’avevano giovata, resa più felice; si era risposata, aveva letto, con un personaggio di spicco non più appartenente alla Marina, che tuttavia pareva ancora esercitare molta influenza sul sistema democratico e militare. Se nel leggere quelle poche righe aveva creduto di stare per morire, ciò che si era susseguito fu devastante, il vero colpo di grazia che aveva innescato la resa delle sue difese.

“Ha una figlia. E’ identica a lei” mormorò con sorriso tremolante. “Le ho incontrate a Otako poco prima di partire”
anche se vorrei poterlo fare.

Non era stato il fatto di rivederla a sconvolgerla, ne tanto meno sapere che si era risposata e che avesse una figlia. Certo, tutte quelle novità non l’avevano lasciata indifferente, ma nel guardare meglio quella vecchia foto in bianco e in nero, nel sfiorarla con le dita, seppe dove indirizzare la sua agonia.

“So bene che non è giusto...so bene che ormai non dovrebbe importarmi, però, sai...l-la sola cosa che veramente volevo, era che mi accettasse, per questo ogni giorno...ogni giorno provavo a farla sorridere” raccontò trattenendo a stento le lacrime “Ci provavo in tutti i modi..ma sembrava che fossi capace soltanto a farla p-piangere. Se ne è andata perché non mi sopportava e perché non voleva continuare a vivere in quel modo. M-Mi...mi sono sentita così tradita, ma che potevo fare..se non biasimarla? In fondo, anche lei soffriva, più di m-me..sniff...”

E infine era crollata: le sue difese, il suo controllo...era tutto caduto un passo alla volta e ora che non aveva più nulla con cui proteggersi Ace riuscì finalmente a vederla: la bambina di cinque anni da volto semicoperto dai lunghi capelli era davanti a lui, come un fantasma smarrito. La vera Sayuri era davanti a lui e, silenziosa, non si era mai fatta sentire o vedere per paura di essere giudicata.

“Desideravo così tanto che sorridesse almeno una volta. Lo volevo con tutto il cuore” gli disse disperata “Volevo veramente che mi accettasse come figlia e quando l’ho vista nella foto insieme a quella bimba, quando...q-quando l’ho vista sorridere, ho pensato che non avevo fatto abbastanza, che io non era abbastanza, perché non ero quello che lei voleva, perché lei non...non mi aveva mai voluto! Anche se ero viva e volevo trovare un posto dove stare, anche se lo cercavo, continuavo ad a-avere l’impressione che questo si allontanasse da me, però io....” singhiozzò, stringendo i pugni “N..Non volevo smettere di provare perché se lo avessi fatto..non avrei avuto altro motivo per esistere. Non potevo non chiedermi se avesse senso che io fossi nata, non potevo fare a meno di d-domandarmi per quale motivo fossi venuta al mondo. Non potevo fare a meno di resistere, ma più andavo avanti e più..e più tutto il mondo sembrava essere contro di me! Sembrava...S-Sembrava desiderare che io scomparissi, mi urlava di andarmene, che ero uno sbaglio e, c-credimi..tante volte ho pensato che quella ad avere torto fossi solo io, ma, dimmi, Ace....ti prego, dimmi...” e alzò finalmente il capo, rigato di lacrime “E’ così sbagliato che una come me desideri vivere così tanto?!?”
Dimmelo, perchè io non lo so più!

Non ricevette una risposta fatta da semplici parole. Si sentì tirata in avanti e poi stretta da qualcosa di caldo e fortemente protettivo. Il respiro le morì in gola, ma era così confusa da quel che stava provando, che gli occhi rimasero aperti, con le lacrime che continuavano a scenderle lungo il volto. Quella leggera e piacevole pressione che stava percependo all’altezza delle labbra, la stava sconvolgendo e, contemporaneamente, la rassicurava, spianava ogni sofferenza, accrescendo la convinzione di non poterne fare a meno. Ace non la stava semplicemente abbracciando: la stava anche baciando. Percepì le sue dita carezzarle il volto, asciugarlo dalla lacrime, tranquillizzarla e al tempo stesso dare sfogo al solo modo che aveva per porre fine al suo dolore. L’altro braccio circondava la schiena, tenendola dolcemente a sé con la consapevolezza che lei non sarebbe scappata.

“Meriti di vivere più di molte persone che non sanno cosa sia la comprensione” affermò con un misto di dolcezza e solennità una volta allontanatosi di poco da lei.

Inevitabilmente, la poverina prima arrossì, senza aver modo di parlare o di muoversi. Solo pochi attimi dopo si riscosse, abbassando di poco gli occhi, imbarazzata e portandosi l’indice e il medio della mano sinistra sulle labbra. Ace l’aveva appena baciata e nell’incatenare i suoi occhi a quelli di lui, lesse il desiderio di volerlo fare di nuovo e lei non aveva alcuna intenzione di respingerlo. Lo voleva, ma il desiderio di piangere era troppo incalzante, e finì per nascondere il viso contro suo torace, singhiozzando sommessamente mentre sentiva la mano del moro carezzarle la schiena. Poteva cadere e farsi male, ma lui l’avrebbe sollevata e l’avrebbe consolata come ora stava facendo e Ace dal canto suo, non l’avrebbe mai lasciata sola, non più. Abbracciò quel corpicino tremolante e spossato, cercando di trasmettergli ciò che occorreva per calmarlo, ma un pianto liberatorio era molto più efficace di parole gettate al vento e mal dette.

E mentre lei parlava, facendo appello a tutto il suo coraggio, lui non voleva fare altro che andare lì e zittirla, come per dire che era sufficiente e che non era necessario che dovesse parlare di una faccenda così dolorosa soltanto perché glielo aveva promesso. Tenerla stretta a sé, al caldo, e, soprattutto, al sicuro da qualunque cosa potesse ferirla o anche solo graffiarla...desiderava da così tanto tempo poterlo fare, ma prima di ogni sua intenzione c’era Sayuri, che ancora piangeva colta da quei terribili spasmi. Usò la mano libera per alzarle il volto rossiccio e le asciugò ancora un volta le lacrime, sorridendo a quei occhi color cioccolato fattisi lucidi per il continuo pianto, prima di regalarle un secondo bacio. Stavolta non c’erano paletti o imposizioni morali a tenerlo fermo. Anche se ancora scossa, rispose timidamente a quel piacevole contatto per poi poggiare la guancia sulla spalla muscolosa del moro, chiudendo gli occhi col petto ancora singhiozzante mentre lui le carezzava la testolina.

“Vieni con me” le mormorò dolcemente poi all’orecchio il ragazzo.
“No, a-aspetta..” si ridestò, alzando la testa “I-Io devo dirti una cosa. E’ importante”
Le loro fronti si toccarono, combaciando alla perfezione “Ascolterò tutto quello che vorrai dirmi, ma lo faremo in camera mia. Hai bisogno di riposarti” le disse con egual tono di prima.
“Ace” cominciò lei, guardandolo, spinta dall’ultimo frammento di coraggio rimastole “Io so chi sei” 

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Capitolo 35
*** Verità (seconda parte). ***


Eccomi qui,con la seconda parte della rivelazione!strano a dirsi ma non ho ricevuto alcuna lettera minatoria o pacchi bomba:mi ero già munita di un set d’imbottitura fatta di cuscini costruite appositamente per respingere eventuali attacchi di sassi,lance,coltelli e tutto quello che poteva compromettere la mia salute ma per mia fortuna sono ancora viva il che mi ha risparmiato una pesantissima parcella dal dottore.Bene,vi lascio alla seconda parte;spero non sia smielata ma anche se lo fosse non potrei farci nulla perché dopo 34 capitoli di attesa (ripeto,34) non vedevo l’ora di inserire questa parte.Vi avviso che non contiene scene sconce,è una cosa…beh,leggete e giudicate coi vostri occhi(ah,stavo per dimenticarmene;è possibile,non è detto che dopo questo mi prenda la famosa pausa per rifornirmi di capitoli e lasciare ancor più spazio allo studio.Non odiatemi,magari mercoledì prossimo riesco ad aggiornare o meglio ancora a non interrompere,sta tutto a come mi organizzo ma comunque ci tenevo ad avvertirvi).Ah,vista l'occasione ho inserito la canzone di Avril lavigne "innocence" giusto per rendere l'atmosfera ancora più sentimentale;purtroppo il link non sono riuscito a inserirlo,non so come si faccia comunque la traduzione del testo rispecchia molto quel che la mia protagonista prova alla fine di tutto quello che gli ho fatto passare (forse sono stata quel cincinino crudele,che dite).Ok,passiamo ora ai ringraziamenti:

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Sachi Mitsuki:ok,vedo che ti sei commossa.Tieni,prendi questi fazzoletti e asciuga le tue lacrime,se no rischio anch’io di unirmi al repertorio.Mi spiace tesoro ma Sayuri è mia e non la faccio adottare da nessuno men che meno prestare,mi spiace fa parte della mia famiglia fantasiosa.In quanto alla parte del dolore posso capire la tua ingiustizia visto che sono stata io a costruire la trama:la personalità di Sayuri non essendo crudele come avrai ben avuto modo di conoscere non è capace di scaricare sugli altri le colpe che teoricamente dovrebbero sorbirsi loro e date le angherie sopportate e il male represso è ovvio che dopo aver visto sua madre dopo la bellezza di quindici anni(se non erro) è stato il colpo di grazia definitivo.Ma come vedi non è stato tutto un pianto questo capitolo visto che è arrivato Ace e ha fatto quel che andava fatto.Non la potevo di certo lasciar soffrire ancora la mia povera pupilla quindi rasserenati e goditi la seconda parte (se ti senti ancora in vena di commozione meglio che ti tenga vicino altri fazzoletti)

happylight:cara,hai visto?l’attesa è giunta al termine(finalmente!!!).Si,questo bacio ormai si stava facendo fin troppo desiderare ma come vi avevo promesso eccolo qua:sono lentina ma le cose se voglio le faccio bene.Ho lasciato in sospeso ma solo per mettere l’adeguata suspance per questa seconda parte;la mia Sayuri è sfortunata assai.Le pochissime volte che a che fare col suo passato sono sempre incisive su di lei,infatti il vedere sua madre ha lasciato il segno!spero che il seguito sia di tuo gradimento e che sia all’altezza del precedente (incrocio le dita).

MBP:Marta-chan!che ti posso dire,mentre scrivevo questo capitolo ero in piena fase ispiratrice e con l’aggiunta di una canzone bellissima ma perfettamente in accordo a quanto sta provando Sayuri(la traduzione è bellissima) sono partita nella realizzazione di questo capitolo farcito di “amarezza a tutta birra!”.Non so perché ma nel leggere la tua recensione mi è parso di sentirti spenta,evidentemente devo averti colpito in pieno:immagino sia per la prima parte che si svolge nel bagno ma è comprensibile,poi ti ho visto più allegra al momento del bacio.E alla fine ce l’ha fatta,evvaiiii!!!!stupita per l’ultimo colpo di scena?tranquilla,qui troverai tutto quello che ti serve.Ci è voluto un po’,anche la questione del giornale l’avevo lasciata in sospeso appositamente per rendere questo momento veramente triste (si,sono una perversa votata alla sofferenza altrui ma che ci posso fare,queste cose mi ispirano!) e a quanto pare ci sono riuscita!

Huntergiada:oh,salve a te,benvenuta nella mia fict!provo un’immensa gioia nel sapere che questo capitolo ti ha commosso a tal punto da tenerti incollata allo schermo del computer ma se vuoi un consiglio mantieni le distanze o ti rovinerai gli occhi!si,il bacio finalmente è arrivato (difatti il cielo si è aperto,è arrivato un coro angelico ed è scesa una parata celestiale che ha sventagliato bandiere e squillato trombe per la riuscita del momento).La povera Akiko è tenera,fa tenerezza pure a me perché è uno scricciolo sull’orlo del pianto che vuole aiutare l’amica ma che al momento non può (santo cielo,ma sono stata così crudele?).Non temere per lei,ora dorme profondamente e passiamo alla seconda parte dove tutto sarà svelato (e che diamine,vi ho lasciati in sospeso con una piccola rivelazione,credo sia arrivato il momento di fare luce laddove il faro non arriva).

giulio91:buondì!poverino,un mercoledì piovoso e freddo?non sei l’unico,pure io mi sono beccata l’acqua.Il capitolo più commuovente di tutto “Giglio di picche”?adesso sono io che mi emoziono…sniff (si gira per non farsi vedere piangere).Si dopo attese,disturbi da parte di quell’impiccione di Satch (S:ma chi,io?/Kh4:SI TU!!!) siamo arrivati alla meta tanto designata,però lo spumante aspetterei di aprirlo:finisco questa parte e poi possiamo anche brindare fino a diventare ciucchi a patto che ci sia anche un torta o dei pasticcini,se no non va bene!condoglianze per i prof infami,ne conosco un paio anch’io a cui tirerei volentieri il collo.

angela90:tesoro mio!non ho faticato a immaginarti sotto forma di adorabile cucciolo accarezzato dalla divina mano della matematica come fossi la sua prediletta (al tuo posto io sarei stata presa a frustate).Mi spiace che tu abbia cannato con la persona che Sayuri ha visto:per caso hai pensato al pirata contro cui si è scontrata a Rogh Town?beh,mi spiace ma chi altri poteva essere se non sua madre?tranquilla,nessuno poteva saperlo.Sayuri è stata male e lo è ancora ma anche la mia piccola Akiko soffre;come ben hai potuto vedere la prima parte non era del tutto rosea..Da come l’hai scritto,credo tu sia saltata in aria nel sapere che la persona vista dalla mia Yu-chan era sua madre (scendi o finirai con la testa incastrata nel soffitto!) ma poi ho pensato a un infarto quando mi hai scritto del bacio:si,ci sono voluti la bellezza di 34 capitolo ma ce l’ho fatta,non puoi immaginare il mio orgoglio nel pubblicare queste parti,ho le lacrime agli occhi e il cuore che batte a mille!davvero vuoi farmi la statua?ah,che bello una statuetta in mio onore…(sta gongolando alla chopper;tornerà appena avrà finito).Mi ci vedrei bene come statua delle libertà,solo che al posto della fiaccola metterei la penna e al posto del libro i miei appunti (si,sarei davvero figaaaa...ok,basta è evidente che mi si sta fondendo il cervello.Non darmi retta!)

 

SOUNDTRACK:INNOCENCE (DI AVRIL LAVIGNE).

 

Aveva iniziato a piovere. Leggera e silenziosa, l’acqua scendeva dalle nuvole passeggere, non tanto arrabbiate da scatenare una tempesta, ma ugualmente cariche di qualcosa di cui dovevano liberarsi. Picchiettava sul ponte e si diffondeva all’interno della nave sotto forma di tanti piccoli tamburi sordi. Senza ricevere alcuna replica, Ace aveva portato Sayuri nella propria stanza, leggendo nel suo silenzio il desiderio di non voler più andare avanti con quanto stava succedendo.

Il peso di tutti quei anni passati a contenere un inferno dato dal distacco, dall’odio e dalla discriminazione, alla fine, era stato sciolto dalle briglie che lo tenevano relegato nel petto della ragazza, liberando una sofferenza così grande che la poverina non era più stata in grado di rinchiudere nuovamente dentro di sé; imporsi di resistere, di non piangere per quei pochi minuti che le occorrevano, era stato del tutto vano. Il suo animo e il suo io interiore si erano riempiti di incrinature, ferite, così come le catene e i sigilli posti da lei stessa: le cicatrici si erano riaperte, andando ad approfondirsi e a sanguinare ininterrottamente e le sue difese a lungo andare si erano arrugginite, indebolite dal suo vacillare. Il colpo a cui tanto si era preparata era stato di una potenza indescrivibile, imparagonabile a qualsiasi altro attacco fisico o morale che fino a quel momento aveva subito; invece di rilasciare pezzi di sé periodicamente, aveva accumulato e accumulato, col risultato di non saper reagire con dovuta risolutezza a tale impatto, troppo forte per lei, già sull’orlo del baratro.

Si aspettava veramente di cadere nella solitudine più buia e di non vedere più la luce del sole, ma a salvarla era stato Ace, ad aver avuto pazienza era stato lui; nel sentire la porta chiudersi alle proprie spalle, aveva avuto la sensazione di trovarsi in un posto sconosciuto al mondo intero, dove c’erano soltanto loro due. L’abbracciava e la teneva vicina a sé con ancora più calore di quanto non avesse fatto a Yukiryu, quasi in braccio; udiva i suoi singulti, il tremore dei suoi pugni che man mano diminuivano, e, intanto, faceva passare le sue dita tra i lunghi e morbidi capelli di lei, appena un po’ umidi.

“Ero convinta che non sarei mai stata in grado di scoprirmi con qualcuno” mormorò con voce stanca ”Ero convinta...di non meritare la compagnia di nessuno”

Tutti quei anni passati a cercare il proprio posto, a scoprire che cosa fosse un sogno e quale fosse il suo parevano essere finalmente giunti a una metà ben più grande del semplice traguardo che si era prefissa e che solitamente si intravedeva verso la fine della propria vita. Il parlare apertamente, il ricevere quel bacio, le avevano fatto capire che anche lei aveva il diritto di vivere e ancor di più, di essere felice. Non aveva desiderato altro ma ancora sentiva il bisogno di sfogarsi del tutto.

“Mi..Mi dispiace, Ace”

Quando era tornata da Meriko, era subito voluta andarlo a cercare e a forza di girovagare a caso, si era trovata davanti alla porta della stanza del padre. Lì, aveva sentito ogni cosa. Le parole che aveva udito, le avevano paralizzato le gambe, imponendole di restare fino alla fine, pregando che la sua presenza non venisse avvertita dai due uomini.

“Mi dispiace v-veramente, Ace, io..non avevo idea che passando di lì avrei sentito quel discorso..” cominciò insicura.
“E’ tutto apposto” la anticipò lui “Probabilmente se non fossi passata di lì nemmeno te lo avrei detto”

La sola persona, escluso lui e la ragazza, che era a conoscenza di quel segreto, era per l’appunto il capitano, ma quello era un caso ben diverso, perché lì aveva ritenuto necessario dirglielo. Odiava il fatto di sapere a quale ramo paterno appartenesse e tutto quello che comportava essere il suo erede. Sayuri non aveva colpa se aveva ascoltato la conversazione e poi, prendersela con lei in quel momento tanto delicato, sarebbe stato tutto tranne che giusto. Lei gli aveva appena confessato tutto quanto, tutto il dolore che lui aveva già percepito in passato e poteva ben capire quanto le fosse costato farlo; si sarebbe comportato da infame se si fosse lasciato condizionare da quell’istinto primitivo, che si svegliava puntualmente quando udiva il nome del Re dei Pirati o quando si parlava di lui. Gli avrebbe imposto di urlare cose impensabili, forse gli avrebbe perfino fatto alzare le mani, ma tutto questo non poteva farlo, non a lei: la rabbia non si era presentata, non lo aveva istigato come tutte le volte e tutto perché la persona che stringeva a sé non meritava di essere trattata come fosse un abominio. Piuttosto, si sarebbe tagliato le vene pur di non ferirla.

Non era lui che necessitava d’aiuto in quel momento, però, era consapevole che sviare l’argomento sarebbe stato difficile, anzi impossibile, e proprio perché aveva Sayuri così vicino, per quella calma che riusciva a infondergli come la luce del sole, che il mostro divoratore di anime insito in lui era meno aggressivo del solito, anzi...stranamente quieto. Quando poi la castana sciolse lentamente l’abbraccio per raddrizzare il busto, in modo tale da poterlo guardare nei occhi, non solo capì di non avere più alcuna possibilità di tirarsi indietro, ma anche che i ruoli si erano invertiti. Le guance umide e rosse, gli occhi lucidi, i capelli sparsi sulla schiena e sulle spalle, quel tatuaggio che simboleggiava ulteriormente il suo candore e quel sorriso dischiuso che ora non vedeva....

Non era umana, non poteva esserlo. Lì, in quella stanza, quella piccola convinzione non faceva che crescere e crescere senza sosta.

“Ti importa, non è così?” mormorò lei reclinando il capo sulla sinistra.
“Tsk! Certo che no!” fu la risposta noncurante e fredda di lui.
“Non mentirmi. Tu lo odi, e ciò significa che ti importa. Se davvero è come hai affermato, allora quella volta non avresti dovuto lasciarlo così tanto a vedere” lo rimproverò piano.

Alludeva a un momento particolare e Ace sapeva bene quale: poco prima dello sbarco sull’isola delle perle, loro due si erano avvicinati. Adesso Pugno di Fuoco lo sentiva forte e chiaro: un misto di disprezzo e vergogna, un buco nero dall’odore marcio e nauseante che corrodeva la terra. Sulla parte superiore del suo viso calò il buio. La mano appoggiata al materasso serrò le lenzuola in un pugno mentre la linea della sua bocca rimaneva in bilico, neutra, totalmente inespressiva. La mano che stringeva quelle lenzuola leggere tremava non di certo per la paura e quando Sayuri la toccò con dita tiepide, temette di ritrarsi.

“Ace, ricordi cosa mi hai detto, quando ti chiesi cosa volevi fare un volta divenuto il Re de Pirati?”

Il ragazzo tacque.

“Volevi mostrare a chi, come noi, ha una possibilità” mormorò flebilmente “La possibilità di vivere e soprattutto di non essere costretti a provare il peso di colpe non loro. Non ho mai dimenticato quelle parole, ma dopo averti sentito parlare con Barbabianca ho capito....” deglutì “Che quel discorso non valeva per te”

Un tuono squarciò il cielo, arrivando a tuffarsi nell’oceano con violenza inaudita. I lampi azzurri e gialli si divertivano a spaventare i viaggiatori, a rincorrersi in quel cielo blu e grigio che piangeva abbastanza da rendere la terra e il mare inquieti. La fortuna voleva che la Moby Dick fosse ancorata al sicuro e che il maltempo non fosse così cattivo e capriccioso come il più delle volte succedeva. Ace intuì dove la ragazza volesse arrivare, ma questa volta doveva fermarla: a lui interessava essere libero con il desiderio di rendere quell’uomo, che tempo addietro l’aveva sconfitto, il Re dei Pirati. Nulla di più.

“Per me è diverso...”cominciò.
“No che non lo è!” lo interruppe lei prepotentemente stringendo i pugni “Non può essere diverso perché se lo fosse, tu non avresti alcun diritto di vivere!” urlò con voce rotta.

Piangere non le era mai sembrato così facile.

“Dimmi perché...dimmi perché dovrebbe essere diverso, se io e te siamo uguali” sussurrò nel guardarlo con occhi lucidi.

Se da una parte Ace voleva tacere e andarsene, dall’altra voleva rimanere e parlare apertamente con chi poteva capire cosa significasse essere meritevoli della propria esistenza. Percepì i brividi della ragazza mentre questa gli carezzava la guancia. Gli occhi erano sempre nascosti sotto il suo cappello arancione, che portava dietro come fosse un tesoro. Sicuramente con la sua spiegazione l’avrebbe scossa, ma voleva che capisse che loro stavano su due piani diversi perché un conto era essere il figlio di un qualunque pirata, un altro era essere il figlio del Re dei Pirati. Il figlio di un demonio.

“Noi non siamo uguali” esordì freddamente, afferrandole la mano “Anche se abbiamo condiviso un destino simile, i nostri modi di vivere e di pensare sono completamente diversi: tu sei buona e incapace di portare rancore anche a chi ti ha fatto piangere e patire la solitudine. Sai vedere la realtà in tutte le sue prospettive e questo ti rende più matura di me. Io al contrario, se lo vedessi, non mi farei problemi a pestarlo a sangue” sibilò quelle ultime parole con la seria intenzione di concretizzarle se solo gliene fosse stata data la possibilità.
“Ma soffriamo ugualmente per questo” replicò lei calma.
“Tu più di me” continuò interrompendola “Hai dovuto subire tutte quelle angherie senza poterti opporre e hai represso questo tuo male fino adesso, mentre io ho ricevuto ciò che pensavo di non meritare”

Il solo ricordare i giorni trascorsi della sua infanzia erano una prova più che sufficiente per dar fondo alle sue parole. Quel vecchiaccio di Garp l’aveva preso sotto la sua ala come se fosse carne della sua carne, Dadan, coi suoi modi burberi, si era sempre preoccupata per lui e Rufy, con quell’ingenuità sorprendente, l’aveva sempre fatto sorridere, anche se di ragioni spesso e volentieri non ce ne erano, perché tutto ai occhi di quella piccola peste di gomma appariva semplice e lampante.

“Ma non significa che io sia la sola a non provare dolore” sorrise dolcemente lei con gli occhi ancora lucidi “Ace, io non sono l’unica. Ce ne sono tanti altri, te compreso. Io posso capire ciò che provi soltanto a metà, non comprendo il tuo odio e il tuo rancore, ma sono sicura...” singhiozzò con dei ciuffi a coprirle il viso “...C-Che deve essere un terribile peso per te, perché so che cosa si prova a dover tener nascosto qualcosa che può portarti via quello che hai di più caro e per quanto..sniff..cerchiamo di convincerci che non conta nulla, non siamo in grado di negare che in realtà c-ci importa perché è parte di noi, altrimenti per quale motivo...p-per quale motivo lo avremmo tenuto nascosto?”

Il leggero suono della pioggia che si infrangeva sul rivestimento esterno della nave divenne più forte e incalzante. L’aria profumava di umidità salata, ma nella stanza di Ace nulla era cambiato a differenza dell’ambiente al di fuori di essa. Era rimasto tutto uguale, tranne per il fatto che finalmente quei due ragazzi erano riusciti a stringersi la mano e a trovarsi. In cuor suo Sayuri pregava di non aver detto qualcosa che potesse far incupire ancora di più il moro; nonostante gli fosse molto vicina non era in grado di scrutare i suoi occhi. Voleva allungare la mano e alzargli il cappello, ma la paralisi che l’aveva colta, portando il suo viso ad arrossarsi ad un livello inimmaginabile e il suo cuore a martellare con incisività tale da farle male, era la più forte di cui fosse stata vittima e le stava imponendo di non muoversi. Non aveva idea di quanto potesse spingersi, ma non voleva chiudere quel discorso come se non fosse mai esistito, non poteva ignorare di aver fatto scoprire a Ace scheletri che per tanto tempo si era premurato apposta di non fare vedere agli altri.

“Sayuri, ascolta....”
“Ti chiedo scusa”

Finalmente lui scoprì gli occhi da sotto il cappello.

“Ti ho detto la verità su quanto avevo sentito perché non avevo alcun diritto di ascoltare una conversazione privata e così delicata come questa. Volevo scusarmi e parlartene prima, ma riaprire una ferita del genere ti avrebbe fatto soffrire e io non ero nella posizione più idonea per chiederti spiegazioni. Ho taciuto e forse è stato un male, ma sentirti parlare così duramente mi ha esortato a non spingermi laddove non potevo capire. Se questa notte ho parlato, è perché non potevo continuare a fare finta di niente, a far finta di non saper nulla. Perdonami, Ace” sussurrò con un fil di voce.

Ecco, lo stava facendo di nuovo: si stava preoccupando per lui invece di sé stessa, senza minimamente ricordare che nemmeno un’ora prima stava piangendo sul ponte. Ace non aveva capito come facesse ad essere così altruista, buona e comprensibile e mai ci sarebbe riuscito. Sapeva solo che era fatta così e che l’amava per quello che era e per come lo faceva sentire: libero e senza colpe. Quando mai avrebbe potuto arrabbiarsi con lei? Gli veniva da sorridere per quel suo modo adorabile di preoccuparsi per lui, unicamente ed esclusivamente per lui.

Allungò le braccia sino ad avvolgerla delicatamente.

“Che dolce sciocchina che sei....” mormorò poi attirandola a sé “Ti ho trovata che piangevi e adesso sei tu che mi consoli. Così non è leale” affermò con sorriso sincero.
“Te l’ho detto, Ace: io non sono l’unica persona che soffre nel mondo” ripetè poggiando la testa appena al di sotto della spalla “A dispetto di molti, credo di essere stata fortunata. Io sono viva”
“E’ perché non ti sei arresa” le disse Pugno di Fuoco “Sei una persona forte, di buon cuore che sa vedere al di là delle apparenze e delle voci. Non mi sono mai pentito di averti portato sulla mia nave senza chiederti il permesso e sarei pronto a rifarlo altre cento volte se significa averti con me, non sopporterei l’idea di vederti su un’altra nave o non vederti affatto. Tu sei meravigliosa ed è per questo che ti dico grazie per non avermi trattato o guardato diversamente dai come hai sempre fatto”

Le braccia di Ace la strinsero un po’ di più, infondendole maggior calore. Lei chiuse gli occhi, beandosi di quella piacevole sensazione per poi tornare a vedere. Sollevò di pochissimo la testa, circondando con le proprie braccia, dapprima morbidamente schiacciate tra il suo torace e quello del ragazzo, la sua schiena.

“Essere il figlio del Re dei Pirati non è sufficiente a renderti diverso ai miei occhi e mai lo sarà” gli rivelò.
“Sayuri..”
“Io mi sono innamorata di Portoguese D.Ace, non di Gol D.Roger” continuò lei guardandolo negli occhi “Mi sono innamorata del capitano dei pirati di picche, del secondo comandante della flotta di Barbabianca, non del figlio del Re dei Pirati. Non mi risulta che esista un Gol D.Ace, senza contare che un simile cognome non è molto bello da sentire” sorrise “Non mi importa sapere quali reati abbia commesso questo Re dei Pirati, perché io conosco te, non lui. A te ho giurato fedeltà, non a lui. Amo te e te solo seguirò fino alla morte, e poi.....” gli accarezzò una guancia “Le lentiggini ti donano molto più dei baffi”

Sapeva di avere la pelle del viso intrisa di un color indescrivibile ma da tempo desiderava potergli rivelare quelle parole fino a quell'istante solo pensate e la sua bocca, nel muoversi da sola,aveva fatto il resto. Forse era stata troppo aperta ed espansiva ma era così che si sentiva in quel momento: incapace di trattenere ogni cosa.

Improvvisamente, senza bene capire come, si ritrovò distesa sul materasso; Ace era sdraiato sul fianco, ma col busto sovrapposto al suo e con le mani poggiate sulle sue esili spalle. Non gliele stringeva con forza, ma la guardava con una determinazione così disarmante che sarebbe stata capace di zittire anche il più pericoloso dei pirati; si stava perdendo in quei occhi neri e non ebbe timore nel vederlo avvicinarsi pericolosamente al suo viso.

“Ti fidi di me, vero?” le sussurrò all’orecchio.
“..Si”
“E sai che non ti farei mai del male” aggiunse.
“Si”
“Bene. Allora, lascia che mi prenda cura di te”
“Cos..?” forse aveva capito male “Ace, che cos’hai detto?” la sua voce si era ridotta a un piccolissimo sussurro.
“Ho detto..” ripetè caldamente, azzerando la minuscola distanza che c’era fra i loro volti “Che mi prenderò cura di te e stai pur certo che lo farò. Dopo quello che hai passato per dirmi la verità sarei un cretino se non facessi nulla per vederti finalmente felice”

La baciò per la terza volta. Stavolta non c’era stupore nelle iridi color cioccolato di Sayuri, ne quel senso di smarrimento che aveva provato la prima volta che le labbra di Ace avevano toccato le sue. Era felice, per questo fece calare nuovamente le palpebre e lasciò che le prime lacrime di gioia le bagnassero le guance mentre si abbandonava a quel semplice, leggero, ma dolcissimo gesto d’amore. Non aveva mai provato nulla di simile in vita sua, l’affetto di Ace era diverso da quello che il suo nonno adottivo gli aveva infuso in quei anni di pura tranquillità: in qualche modo attorno a lei si stava creando un velo argentato, fatto di tanti diamanti che la avvolgevano senza stringerla con troppa forza e al contemporaneamente la proteggevano da qualunque oggetto esterno che potessero mirare al suo cuore.

“Che cosa c’è? Perchè stai piangendo?”

Nel dischiudere le palpebre lo trovò ancora vicino a sé, ma la guardava come impensierito, allertato dalle stille d'acqua salata che le bagnavano il viso.

“No, i-io...” balbettò arrossendo nuovamente “Scusami, è che stavo pensando che questo è stato il mio..il mio primo vero bacio, ecco...non che l’altro..” non aveva idea di quello che stava dicendo.
“........”
“Che..che cosa c’è?”

Ace la stava osservando con esitazione anzi, con aria colpevole aiutata da un sorriso semi-divertito.

"Ace?"
“Quanto ti arrabbi se ti dico che a Yukiryu ti ho baciato di nascosto?”

Anche se poteva sembrare impossibile, il viso di Sayuri divenne ancora più paonazzo, raggiungendo tonalità mai viste e gli occhi, già velati dalle lacrime, si impietrirono e lì Ace, nonostante gli sforzi, non riuscì a non ridere. Automaticamente lei si girò sul fianco, coprendosi il viso con le mani e cercando di farsi sufficientemente piccola per poter sparire. Ace le stava chiedendo scusa in mille modi ma senza riuscire a trattenere quella tonalità divertita e lei, imbarazzatissima,non sapeva dove indirizzare i suoi pensieri; si vergognava e nemmeno sapeva il perché...no, forse qualcosa poteva intuire, ma ciò era coperto dal piacere che provava nel comprendere che il ragazzo l’amava già da allora.

Ovviamente, se stava lì ad analizzare attentamente la vicenda, ne saltava fuori che il moro aveva volontariamente approfittato della situazione, anche se si trattava di un innocente bacio, però, a dispetto del gesto, la prima cosa che aveva capito una volta lasciato appena da parte l’imbarazzo era che lui aveva aspettato così tanto soltanto perché lei glielo aveva chiesto. Non aveva scordato quando sotto la neve, si era ritrovata pericolosamente vicina al suo viso: ricordava bene i suoi occhi e di come avesse leggermente allentato la presa sulle sue braccia e ricordava anche quelle belle lucciole di fuoco che le aveva regalato per vederla nuovamente sorridere. Ace aveva sempre pensato a lei, si era sempre premurato di farla sorridere per non doverla vedere preda di pensieri oscuri.

“Scusa, Sayuri, davvero....”
“Grazie” pronunciò la castana rigirandosi verso il ragazzo e mettendosi seduta.
“Mi ringrazi per averti baciato di nascosto?” si sorprese imitandola “Dovrò farlo più spesso, allora”
“No, non è per questo” scosse la testa “E’ per..è per aver avuto tanta pazienza con me. Per non avermi chiesto nulla. Davvero...grazie”

Il tintinnio della pioggia era aumentato e quella nenia priva di strumenti musicali era quanto di più conciliante ci fosse in quel momento. Si era fatto ancora più tardi e solo in quel frangente si rese conto che se non rientrava in camera Akiko sarebbe stata capace di cacciare un urlo tanto potente da far svegliare l’intera Moby Dick e tutte le navi presenti nel raggio di trenta chilometri. L’aveva evitata, allontanata, ed era uscita dal bagno solamente quando lei già si era coricata. Voleva chiedere scusa anche a Maya: aveva urlato ad entrambe, ma loro non avevano fatto nulla se non provare ad aiutarla. Voleva chiarire quella faccenda, ma la stanchezza accumulata in tutti quei giorni cominciava a pesarle non poco; non avvertiva più alcun senso di nausea o giramenti di testa, ora che si era totalmente svuotava, desiderava solo poter dormire e rilassare ogni singola fibra del suo povero corpo. Stava già girando il busto verso la porta quando tutt’un tratto venne circondata per la vita da due braccia molto forti.

“Eh no! Tu non vai da nessuna parte” la rimbeccò divertito Ace “Non vorrai tornare in camera proprio adesso”
“L’idea era quella” ammise lei girandosi quanto serviva per vederlo in faccia “Non mi sento molto sicura a dormire con qualcuno che mi bacia nel sonno”
“Hai ragione anche tu” e accentuò di poco la presa che aveva su di lei “Non dovevo farlo, sono stato scorretto. Mi perdoni?”
Sayuri roteò gli occhi per qualche istante per poi farli ricadere sul ragazzo, ridendo sommessamente “Solo se mi lasci andare”
“Uhm....no”
“Ace, lasciami andare” gli chiese calma “Se Akiko si dovesse svegliare...”
“Rimani qui”

Avvertì le sue braccia attirarla più a sé, senza prepotenza e abbracciarla con più dolcezza mentre il mento del moro si appoggiava alla sua spalla. Il solo essere così vicina al ragazzo bastava per confondergli i sensi e annebbiarle la mente già persa, ma la cosa non gli dispiaceva anzi, in un certo senso quella paralisi la stava invogliando sempre più a restare. Tutte le sue lacrime e le ferite erano state lavate via e quel calore che percepiva, il contatto fra la sua schiena e il torace di Ace la stava trascinando in un oblio diverso da quello in cui era caduta vittima fin da piccola: era protettivo, sicuro, tanto caldo e il battito del cuore del moro era così regolare e allo stesso tempo talmente forte da rasserenarla.

Sotto la neve dell’isola di Yukiryu, aveva avuto modo di provare quel senso di assoluto benessere e di distacco dal resto del mondo, dalle sue ombre ed era da allora che tutto si era fatto in qualche modo più chiaro; aveva più che mai bisogno di quella sensazione perché da sola non la poteva plasmare, ma se da una parte desiderava amare dall’altra era spaventata per quanto doveva confessare. Dopo tanto tempo ci era riuscita, aveva svelato le pagine mancanti di quel libro che poi era la sua memoria e ne era sollevata: Ace non l’aveva cacciata ne respinta, anzi, la voleva tenere lì e tutte quelle malignità canzonate dalla vocina si erano dissolte insieme a lei ma allora perché..non era così sicura di voler rimanere?

“Ace, io…”
“Sta tranquilla” la rassicurò con voce calma e calda “Voglio solo tenerti con me e assicurarmi che tu non faccia brutti sogni. Nient’altro.”

Fu automatico: chiuse gli occhi soltanto per pochi attimi e si lasciò trascinare giù, in una spirale dal tepore invitante e rassicurante. Li riaprì e incrociò lo sguardo di Ace che le sorrideva, con la testa un po’ più in alto della sua. La mente della ragazza vorticava per la spossatezza e per quelle emozioni che la stavano scombussolando a tal punto da farla arrossire e da rendere il suo respiro ancor più accelerato. Si sentiva lontana, forse troppo ma sinceramente non le importava perché li con lei c’era Ace. Distesi entrambi sul fianco, si guardavano senza parlare e gradualmente, avvertendo le proprie guance accaldarsi ancor di più, Sayuri abbasso gli occhi, stringendo i pugni al petto.

“Davvero pensi che non farò incubi?” sussurrò poi lei.
“Certo. Ho detto che mi prenderò cura di te e ho intenzione di farlo. Se ti perdo di vista c’è il rischio che tu pianga ancora” le rispose abbracciandola.
“.....”
“Cosa c’è?”

La castana aveva alzato timidamente gli occhi e ora stava cercando di chiedergli qualcosa ma incespicava con le parole.

“Se avrò altri incubi..se starò male...allora, posso venire da te?”

Li, a quella richiesta tanto semplice quanto insensata, Ace sorrise provando ancora una volta un’immensa tenerezza per quella ragazza che amava così tanto.

“Sciocchina..” mormorò poi dandole un bacio in fronte “Puoi venire da me tutte le volte che vuoi, non c’è bisogno che tu me lo chieda. Adesso dormi”

Lei annuì e si accoccolò di più al torace del ragazzo, nascondendo la testa nell’incavo del collo ma prima di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo volle dire al comandante della seconda flotta un’ultima cosa.

“Ace”
“Si?”
“Anche tu puoi venire da me: ti ascolterò ogni qualvolta tu ne abbia bisogno e ti sosterrò quando non saprai dove andare, te lo prometto”
“Lo so, Sayuri“ sussurrò “Lo so. Grazie”

 


 

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Capitolo 36
*** Risveglio con interrogatorio! ***


Ah,eccomi qua!a dispetto di quel che avevo detto posso dire con certezza che aggiornerò sia oggi che mercoledì prossimo ma poi non so!in verità non voglio bloccarmi in un punto critico quindi sto preparando qualcosa che sia come un fine saga ma al momento non preoccupatevi.Godetevi questo capitolo.Passiamo ai ringraziamenti!

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TopazSunset:aaaahh,sei tornata!!!!!che bello risentirti,come stai?spero che si andato tutto bene con gli esami ma non dilunghiamoci su queste cose obriose.Addirittura chiamarmi salvatrice è un po’ esagerato ma dopo 30 e passa capitoli direi che finalmente siamo arrivati dove tutti volevano;no,no Satch l’ho lasciato a ronfare perché non potevo non rovinare un momento come questo,c’era l’assoluta necessità del romanticismo senza interruzioni.Hai visto che alla fine ci sono arrivata anch’io?ora però bisognerà vedere cosa succederà ai nostri due bei innamorati perché ti ricordo che Sayuri è fuori dalla sua stanza e qualcuno forse si sta domandando dove sia…Non dico altro,spero di aver reso questo capitolo il più decente possibile.L’avevo pronto ma al solito il tempo per ricontrollarlo e correggerlo è stato quasi inesistente quindi prego nella divina provvidenza!

Sachi Mitsuki:ciao piccola mia!!!!dalla tua reazione ho capito che devi essere andata fuori o che ti sei sciolta davanti al computer;pensavo di aver fatto la dichiarazione di Yu-chan troppo dolce ma in verità l’ultima parte quella delle lentiggini l’ho messa perché è fin dall’inizio che desideravo poterglielo far dire e visto che la mia Yu-chan è la dolcezza fatta a persona chi meglio di lei poteva dirglielo?ok,ero tentata di farlo io ma dovendo rimanere nelle retro linee non posso interagire come vorrei.Come faccio a scrivere così?non ne ho idea,scrivo come scrivo ma a volte penso di esagerare con certe parti perché leggo altre storie semplice e con una scrittura tanto coinvolgente da farmi pensare che devo applicarmi di più se voglio far elettrizzare i lettori al fine di far sentire i sentimenti che provano i protagonisti della storia.Ma ognuno ha il suo stile quindi non potendo di certo copiare gli altri (piuttosto mi uccido)posso solo fare di meglio e sperare che venga apprezzato!

MBP:Marta-chan!innanzitutto grazie per avermi accettato nel culto dei dio asso (sei sempre il migliore Ace!).L’argomento di questo capitolo è stato si delicato ma Yu-chan ha saputo come farsi ascoltare.Eh si,la scenetta dove lui confessa di averla baciata di nascosto non vedevo l’ora di inserirla.Qui rispondo alla tua Key-chan:cara,la conosci la mia pupilla,cos’altro avrebbe potuto fare?non è energica come te,nel senso che non dà cazzotti spontaneamente e per quanto riguarda la scena lemon…ehm….per ora lasciamoli godere questo amore appena scoperto!Sayuri:( affianca l’autrice)oh,sta rispondendo alle recensioni?se non le dispiace saluto Key-chan:sono felice che tu abbia rivisto tuo padre,vedrai che andrà tutto bene non devi preoccuparti!/Kh4:bene,grazie cara ora va che fra un po’ tocca a te.Tornando a te Marta-chan,sinceramente la scena lemon dovrà aspettare perché ora come ora non riesco a inserirla per via di motivi che successivamente salteranno fuori ma questo non vuol dire che non la metterò.Cercherò di fare del mio meglio!

giulio91:Applausi,stretta di mano…mi osanni pure in ginocchio????potrei abituar mici…ah,comunque venendo a te:ripetizioni di che??non parlami di questi orrori,sono terribilmente allergica alla matematica,brrr!!!grazie per aver trovato il capitolo toccante e di alto livello:l’azione di quel genere non l’ho messa per certi motivi che ho presentato subito (il piccolo problemi della famiglia..) ma mi fa piacere che un ragazzo apprezzi questi capitoli romantici,sul serio!wow,riprenderai a scrivere?ci sarò senz’altro per recensire e spero anche per postare decentemente perché in tutta sincerità non vorrei smettere ma se non produco capitoli dubito che la storia vada avanti da sola.Ci sarò,forse non istantaneamente ma terrò d’occhio il sito.Buona fortuna per il tuo esame,stendili!!

angela90:carissima!!lo studio mi sta assalendo,fra poco mi vedrete coperta letteralmente dai libri ma spero che mi venga porta un ancora o qualcosa di simile altrimenti mi dovrete recuperare con la ruspa.Si,si Ace l’ho farò protettivo con la sua Yu-chan,specie quando qualcuno di nostra conoscenza partirà all’attacco.I discorsi trattati come hai detto sono spinosi e profondi ma dovevano essere affrontati:Ace ha fatto il bravo e ha confessato il reato ma tanto sa che Yu-chan è incapace di arrabbiarsi quindi in qualche modo l’avrà sempre vinta lui(ottiene tutto quello che vuole solo perché è carino..tanto carino) e il bacio...eh si,mettiamoci il romanticismo che fino a questo momento si è fatto desiderare (ci credo,l’ho tenuto fermo io).Bene,adesso ci divertiremo un pochettino a torturarli ih ih ih!

Huntergiada:eccoti qui!fa sempre piacere leggere le recensioni e vedere apprezzati i propri lavori.Si questi due capitoli uniti al 14 e al 15 sono le mie parti preferite:romantiche e riflessive perché si affrontano argomenti difficili ma con sotto lo sfondo dell’amore appena scoperto.Ace ha fatto il furbo ma alla fine ha detto la verità e ne è stato contento comunque perché adora vedere Sayuri arrossire e sa che non reagirebbe in altro modo.Ho un modo di scrivere divino?tesoro,tu e tutti gli altri mi farete seriamente morire.Mi farete diventare bordò a forza di complimenti!!  

 

Nel cominciare a riemergere da quel bel sonno, Ace prese pienamente coscienza che quanto accaduto la notte scorsa non era stato soltanto un sogno come inizialmente aveva creduto. Il tepore e la presenza di una seconda figura vicino a lui erano una prova più che sufficiente per fargli realizzare che quanto era successo e vedeva, non era frutto della sua immaginazione: aveva dormito magnificamente, e anche se ora si sentiva scoppiare di energie, quel bel tepore e la semioscurità mattutina dentro cui era immersa la stanza, stavano anestetizzando la sua grinta, invogliandolo a rimanere lì, sotto le coperte, con chi ancora riposava. Accoccolata al suo petto, Sayuri dormiva profondamente, nascosta sotto le lenzuola, con il suo braccio che la teneva vicina a sé, abbracciandola con fare protettivo. Pugno di Fuoco vide che adesso stava bene e ne fu contento: la pelle del viso era tornata ad essere rosea e tiepida - non più umida e rossa - e il suo respiro, leggero ma comunque udibile, simboleggiava quella spossatezza e quell’immane fatica a cui si era sottoposta per giorni interi. Dormiva placidamente, senza nulla che potesse disturbarla.

Così ben nascosta, pareva una bambina che per non farsi vedere dal mostro dell’armadio si era appositamente rimpicciolita quanto serviva per sparire sotto le coperte. Delicatamente, il moro le scostò dalla guancia dei ciuffi sfuggiti in avanti: finalmente sapeva ogni cosa ed era grato che non ci fosse altro. La sofferenza della castana era stata capace di superare di gran lunga le sue vedute; anche se aveva intuito qualcosa tempo addietro, aveva sempre rispettato il suo silenzio, perché come più volte si era ritrovato a pensare, sarebbe stato inutile e da stupidi forzare una persona su un argomento tanto importante.

Era sempre stata sul ciglio di quel baratro oscuro e freddo che anche lui conosceva come le sue tasche, il più piccolo errore l’avrebbe portata allo sconforto totale, e per questo, ora, capiva il perché di tutte quelle barriere emotive, il perché di tanta paura, ma ora non c’era più bisogno che lottasse da sola, perché lui stesso non avrebbe permesso che venisse sopraffatta da quel male: l’avrebbe protetta lui, avrebbe allontanato il dolore definitivamente dal suo cuore, perché era giusto che vivesse serena e felice, non tormentata da ombre maligne e ingannatrici. L’aver passato un’infanzia intrisa di odio, disprezzo e discriminazione, non l’avevano trasformata in quello che gli abitanti del villaggio credevano di vedere e da quanto aveva capito, il suo nonno adottivo era stato l’unico a vedere come stessero realmente le cose. Era stato il suo primo spiraglio di luce, ma poi era tornata ad essere sola, contro il mondo e anche se era riuscita ad andare avanti Ace se ne era dispiaciuto comunque, benchè ella possedesse un animo dolce e una volontà estranei all’odio.

“Mmm...”

 Pian piano la castana stava cominciando a destarsi dal suo sonno.

“Hey..”

Stropicciando sia gli occhi che il naso, Sayuri sciolse l’abbraccio invisibile che Morfeo aveva su di lei per levare gli occhi assonnati sul viso lentigginoso del ragazzo: le guance le si imporporarono un poco, ma sorrise con dolcezza nel trovare due occhi neri, che subito ricambiarono la sua gentilezza.

“B..Buongiorno” mormorò ancora più in la che in qua “Che ore sono?”
“E’ presto, il sole non è ancora sorto” le disse Ace. Da dov’era, poteva vedere la finestra e da essa filtrava ancora il buio, anche se un po’ più schiarito.
“Oh...”

Lei chiuse quei occhi ancora appesantiti dai pianti scorsi e dal sonno arretrato, nascondendo così le iridi color cioccolato dalle chiare sfumature. Si erano coricati tardi e quelle poche ore di sonno non erano state sufficienti a restituire le forze alla ragazza e questo Ace lo sapeva bene, perchè si era accorto che nei giorni scorsi si era lanciata nel lavoro e negli allenamenti con troppa foga e quando aveva provato ad avvicinarsi, non era riuscito neppure a rivolgere la parola, poichè si era chiusa in bagno non uscendone più. La frustrazione di non poter muovere mezzo dito anche solo per sfondare quella maledetta porta lo aveva fatto sentire un verme, ma nel continuare a lottare contro quel muro di fiamme bluastre aveva compreso che se a cedere non era lei, lui non avrebbe mai potuto vincere quelle difese tanto ben costruite.
In fin dei conti, aveva dovuto aspettare ancora qualche ora ma per lui, che amava quella ragazza, lo stare lì e il dover accettare forzatamente quella scelta era equivalso ad abbandonarla e quando finalmente era riuscito a trovarla, nel vederla così strana, come pronta al grande salto, le fiamme che l’avvolgevano si erano disciolte definitivamente proprio grazie alla sua presenza: indirettamente le aveva sconfitte e tutto perché quella poverina aveva un bisogno disperato di essere aiutata.

Sfiorandole il viso, provò un moto di tenerezza immenso: il volto dai fini lineamenti abbellito dalle guance rossicce, i lunghi capelli lisci e profumati dispersi sul cuscino, le mani dalle dita sottili rannicchiate al petto. Per quanto Satch fosse insistente, su una cosa aveva ragione: Sayuri, sia per il carattere che per l’aspetto, si avvicinava pericolosamente ad essere una principessa. Una principessa che preferiva rimanere a giocare con i suoi gigli che cercare il principe azzurro, ma mai avrebbe dato al biondino tale soddisfazione. Era splendida ed era sua, tutta sua e non l’avrebbe ceduta a nessuno. Potevano anche dirgli che era un egoista, non avrebbe replicato: sin da quando era stato capace di sognare, non aveva desiderato altro che solcare i mari e diventare un potente pirata, avere una ciurma con cui condividere la vita di tutti i giorni e trascorrere i suoi giorni senza rimpianti di alcun genere, ma mai, mai, avrebbe pensato di poter trovare qualcosa che fosse capace di toccarlo e scuoterlo anche laddove fosse tutto chiuso e isolato. L'iniziale curiosità nei confronti di quella ragazza si era trasformata in amicizia, poi maturata in un affetto dalla natura indecifrabile e infine sbocciata quasi senza preavviso, anzi, addirittura saltando tutti quei passaggi lenti e interminabili, in un amore dolce quanto il sorriso della principessa di gigli.

Nel sentirla muoversi appena, gli venne voglia di abbracciarla ancor di più, ma si astenne dal farlo per non volerla stritolare. Gli bastava che rimanesse lì.

 “Ace..” mormorò con voce impastata, che lasciava intendere la richiesta.
“Dormi”
“Tu resti qui?”
“Tranquilla” e la coprì meglio “Non ti lascio sola”

 

 

“Akiko, Maya: mi dispiace tanto!”

Queste erano state le primissime parole che Sayuri aveva pronunciato nel rientrare in camera a mattinata già conclusa. Non c’erano giustificazioni per come si era comportata l’altro giorno, almeno così lei pensava, e scusarsi era la sola maniera venutale in mente per mostrarsi sinceramente pentita di quel che aveva fatto. Ebbe appena il tempo di rialzare la testa, che subito si trovò Akiko attaccata al collo. Questa non scoppiò a piangere ne cominciò a farfugliare parole sconnesse come talvolta le capitava di fare, specialmente quand’era agitata; semplicemente l’abbracciò con tutta la forza che aveva, come per dirle che non c’era nulla di cui scusarsi e che aveva capito. Nonostante il silenzio, Sayuri percepiva ugualmente il corpo della più piccola vibrare e non si sarebbe stupita se si stesse mordendo il labbro inferiore pur di trattenere i grossi lacrimoni.

“Grazie, Akiko” e ricambiò l’abbraccio, carezzandole la testa.
“Ti senti meglio ora?” le domandò Maya.
“Si, adesso si. Grazie”
“Davvero?” pigolò Akiko, guardandola con gli occhioni color ametista “Davvero, davvero, davvero?”
“Si, davvero” sorrise.

Ci aveva azzeccato in pieno: la corvina aveva fatto appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere.

“Molto bene!” esclamò la capo infermiera, chiudendo a chiave la camera. I suoi occhi brillavano di pura e curiosa maliziosità “Perché ora dovrai spiegarci per filo e per segno dove sei stata questa notte e soprattutto con chi”

 

 

Nella sala grande intanto Ace si stava rifacendo della colazione mancata con un doppio pranzo; all’alba delle undici e un quarto lui e Sayuri si erano alzati e usciti dalla sua stanza, ma anziché di seguirlo, la ragazza si era diretta verso il reparto speciale, volendo prima scusarsi con le sue amiche.

Speriamo non le facciano l’interrogatorio di terzo grado. Pensò mentre ingoiava l’ultimo boccone del suo mastodontico pasto.

Considerando la personalità di quelle due, era difficile pensare che se ne sarebbero state in disparte o ancora meglio, avessero bellamente ignorato la sua assenza notturna: Maya era una persona esigente e attenta ad ogni minimo particolare e Akiko era curiosa quanto un bambino davanti a un oggetto mai visto. Data l’ora c’era la forte possibilità che fossero già dietro a controllare la salute del capitano, ma qualcosa gli diceva che quelle, pur di sapere dove era stata, l’avevano attesa per tutto il tempo davanti alla porta oppure nascoste nell’armadio, pronte a saltar fuori per coglierla di sorpresa.

Ne sarebbero capaci.  E buttò giù in un solo colpo l’acqua contenuta nel bicchiere.

Da quel che aveva visto, la capo-infermiera sapeva come centrare al primo colpo il nocciolo di un argomento e sapeva anche porre le giuste domande col fine di mettere in evidenza le parti che più si volevano nascondere alla luce, quindi era certo che la castana non aveva chance di uscire indenne dalla conversazione. Nell’incrociare i gomiti al tavolo, ripensò a tutto quello che gli aveva detto poco prima di crollare esausta. L’aver estratto quella parte di lei che sempre si era tanto curata di tenere chiusa in quel comodino immaginario, situato nel profondo di sé, l’aveva posto davanti a una bella prova: quando qualcuno scherniva l’ex Re dei Pirati o che questo avesse un figlio era come se gli insulti, gli impeti si riversassero tutti su di lui e quando succedeva, picchiava quelle persone senza pietà.

L’aveva fatto molte volte da piccolo e anche se adesso era più grande e più maturo di allora, quell’impulsività era ancora insita in lui, non si era dileguata ed emergeva quando si sentiva soffocare dalla rabbia. Quella notte aveva riprovato la stessa sensazione di molti anni addietro, ma quell’odio, quella rabbia che tanto lo faceva infuriare si era ammorbidita e rattristata nel vedere che tra i due, Sayuri era quella che più ci aveva rimesso. Aveva mantenuto la promessa e le aveva mostrato con che cosa aveva dovuto convivere per tutti quei anni, cosa fosse stata considerata, come fosse stata trattata e nel vederla piangere, nel sentirgli chiedere se fosse giusto che lei desiderasse vivere nonostante il suo sangue, non ci aveva più visto e l’aveva stretta a sé. Non era stato più capace di rimanere fermo, di resistere e l’aveva baciata dimenticando cosa comportasse il suo gesto e ogni sua possibile conseguenza: voleva solo scacciare quel male che la perseguitava, difenderla e dirle che meritava la felicità più di chiunque altro. Voleva vederla sorridere sempre e avrebbe fatto l’impossibile affinchè quella dolce ragazza dal cuore buono quanto il pane non fosse più triste, non dopo che era stata capace di toccare e placare quel lato di sé che odiava.

Anche tu puoi venire da me: ti ascolterò ogni qualvolta tu ne abbia bisogno e ti sosterrò quando non saprai dove andare, te lo prometto

Poggiò la tempia nel palmo della mano, sorridendo sommessamente: soltanto una sciocchina come lei poteva preoccuparsi per gli altri a quel modo, ma la cosa ormai gli dava un piacere immenso, visto che quella particolare preoccupazione sembrava prediligere lui.

“Ace? Ace, che accidenti! Mi vuoi ascoltare?!? ACE!!” sbottò una voce scocciata.
“Eh?

Scosso da quella vociaccia, smise di fluttuare tra i suoi pensieri: nel voltare la testa a destra, vide un certo numero di compagni guardarlo con una moltitudine di espressioni diverse dipinte sul viso, ma che tutte erano accomunate dalla convinzione che quella mattina il comandante fosse fin troppo allegro: Don, che l’aveva ricondotto con i piedi per terra, lo fissava con che di infastidito negli occhi, Bonz, raggruppato insieme agli altri, con curiosità,maliziosità e sorrisetti sogghignanti.

“Che c’è?”
“Dovremmo essere noi a chiedertelo: avanti, spara, che ti è successo?” domandò il medico-cecchino.
“Niente” rispose automaticamente.

Subito il compagno sbuffò e lo guardò di traverso. E doveva crederci?

“Ace, ti stanno brillando gli occhi e il tuo sorriso mi sta letteralmente accecando. Stai sprizzando gioia da tutti i pori” gli fece notare l’amico.
“Ma io sono sempre di buon umore alla mattina” replicò calmissimo.

Quel sorriso smagliante ed esageramente largo...

Quel viso da canaglia che sempre riusciva ad averla vinta....

Mentalmente, Don pregò tutti i santi che conosceva affinchè questi gli donassero la forza di non prendere a schiaffi il suo comandante.

“Ace” ricominciò snervato “Hai saltato la colazione ed è già tanto che il cielo non sia crollato sulle nostre teste” gli si avvicinò in modo tale che solo lui potesse udire il seguito “Per quanto mi riguarda, ho già una mezza idea...vuoi piantarla di sorridere almeno per cinque secondi?!?!? E che accidenti, stammi a sentire!!” esplose inviperito.
"Ma ti sto ascoltando"

Ok, era sul punto di strozzarlo: le sue mani bramavano, chiedevano, stavano praticamente supplicando in ginocchio di artigliare quel collo e di malmenarlo fino allo sfinimento. Mancava soltanto che si mettesse a cantilecchiare.

“Se urli così tanto ti salirà la pressione” continuò poi Ace sogghignando.
“Ah ah, ridi, ridi pure. Stammi a sentire, tu..” si ricompose e nuovamente gli si avvicinò “Ti conosco da troppo tempo e so riconoscere una faccia felice da una estasiata, quindi non fare il finto tonto. So con chi hai dormito questa notte, pertanto, fammi questo immenso favore: vuota il sacco”
Il moro aggrottò un sopraciglio “Non ti facevo così impiccione”
“E infatti non lo sono” dichiarò tornando al suo posto “Solo non è mia intenzione passare tutto il santo giorno a vedere la tua brutta faccia sorridere come se fossi appena sceso dal paradiso”
“Chi sarebbe sceso dal paradiso?”

Alle spalle di Ace erano comparsi Marco, Jozu e Satch, incuriositi dalla conversazione.

“Che succede qui?” chiese il primo.
“Niente di particolare. Parlavamo soltanto” sviò con naturalezza il moro.
“Dalla tua faccia non si direbbe” grugnì il comandante della terza flotta.

Era troppo bello che lo scatto di Don non avesse incuriosito i presenti: l’invasività dei suoi compagni stava toccando a zone che Ace avrebbe preferito tenere chiuse e lontane dai curiosi, ma a quanto pare era lui stesso, seppur indirettamente, a invogliare proprio quei curiosi ad avvicinarsi e sporgere l’occhio e l’orecchio laddove teoricamente non potevano.Le possibilità erano due: la prima era che i suoi compagni avevano imparato a conoscerlo così bene da tradurre ogni suo gesto anomalo in un segnale d’emergenza e che, dunque, richiedeva la loro attenzione. La seconda, che sulla faccia avesse scritto a caratteri cubitali “Sono l’uomo più felice del mondo” e che le scritte lampeggiassero appositamente per farsi notare. Con tutta probabilità, la seconda ipotesi era quella più accreditabile, perché Satch e Marco si sedettero in modo tale da imprigionarlo ai lati mentre Jozu rimase in piedi dietro di lui.

“Che cos’è, un sequestro?”
“Nulla del genere: siamo soltanto curiosi di sapere cosa ti rende tanto felice” rispose Marco.
“Farvi i fatti vostri, no?”
“Impossibile. Siamo una famiglia” gli ricordò Marco con sorriso storto.
“Lo so, ma questo non esclude la privacy di una persona” replicò Ace spazientito.

Anche Sayuri doveva star sopportando il medesimo interrogatorio. Quella convinzione si stava facendo sempre più forte.

“Se fai così è sicuro che ti è successo qualcosa. Di la verità, Ace: centra la principessa, eh?” azzardò il biondo della quarta flotta dandogli una leggera gomitata.
“Falla finita” borbottò il moro calandosi di più il cappello sul viso.

Accidenti, che razza di impiccioni! Era affezionato ai suoi amici, ma quando si impuntavano erano irrefrenabili. Sapeva che per evitare o quanto meno, ritardare il disastro avrebbe dovuto sgusciare fuori dalla camera alle prime luci dell’alba, prendere dalla cucina quanto serviva per fare una bella colazione abbondante, tornare alla base e godersi la piacevole compagnia di Sayuri insieme a una squisita tazza di caffèlatte ma metterla adesso era facile: solo tre ore fa, non si sarebbe alzato dal letto nemmeno se la nave fosse stata sul punto di affondare. Se mai gli fosse stata data la possibilità di uscire da quella situazione imbarazzante, l’avrebbe subito colta al volo, ma quella mattina il fato aveva deciso di congiurare contro di lui e la sua fidanzata....

“COME SAREBBE A DIRE CHE LUI TI ERA SOPRA E NON AVETE FATTO NIENTE?!?!?”

 ...e di vanificare ogni loro tentativo di fuga. Sayuri era nelle grinfie delle infermiere; se prima aveva qualche dubbio ora ne era sicuramente certo. Fu davvero curioso il modo in cui trovò il legno del tavolo così interessante mentre su di sé aumentavano a livello esponenziale il numero di facce e occhi dall’aura rossastra. Certo che però Akiko poteva moderare il volume della sua voce....

“Dire che a questo punto tu ci debba una spiegazione” si fece avanti Vista annuendo.
“Invece no” replicò stizzito il poveretto continuando a guardare il legno del tavolo.
“Come sei permaloso” sospirò Marco “Don, che ci dici?”

Ecco, ti pareva che non chiedessero a me Pensò coi nervi già stressati. Forzatamente tirato in ballo, il medico-cecchino sbuffò con gli occhi rivoltati all’insù: meccanicamente, mandò giù il boccone, posò la forchetta, si girò di novanta gradi e schiarendosi la voce disse:

“E’ saltato addosso alla santa” e tornò a mangiare come se non avesse detto nulla di eclatante.
“Grazie mille, Don” digrignò fra i denti Ace.
“Figurati. Buona fortuna”

Ora non avrebbe più lasciato la sala da pranzo.

 

 

“Facci capire bene: avete dormito insieme, ma non avete fatto niente?!?!?”
“No..no, niente”
“Niente? Ma niente, niente, niente, niente????”
“Niente” ripetè Sayuri “Akiko..davvero, non è successo nulla, in quel senso..”

Bianco Giglio era ancora chiusa in stanza con Maya e Akiko, le sue personali sequestratrici. Seduta sul letto, abbracciava le gambe utilizzando le ginocchia come poggia-mento, mentre cercava di ripercorrere passo dopo passo quei momenti da prima annebbiati, ora invece del tutto nitidi: non ricordava di aver mai pianto così tanto in vita sua, ne di essere stata così male. Ogni fibra del suo corpo quella notte aveva urlato con tutta la voce che aveva in gola, ma alla fine tutto era scomparso,spazzato via, rimarginato da venti benefici, caldi e confortevoli. Le sue percezioni sulla realtà vacillavano visto che era ancora assuefatta da quel torpore che non l’aveva lasciata del tutto. La poca razionalità svegliatasi la stava aiutando a rimanere concentrata quanto bastava per non lasciarsi scappare qualcosa che poi le sarebbe costato l’esilio a vita in quella stanza. Certi aspetti era meglio tenerseli per sé ma con quelle due, nulla poteva rimanere nascosto a lungo.

“Non capisco” boffocchiò la corvina, storcendo il nasino “Ero sicura al 100% che tu e Ace....beh, hai capito cosa intendo"
“Cosa..Cosa te lo ha fatto pensare?”
“Ma è semplice! Ace ti ha sempre guardato come se fossi l’unica ragazza esistente al mondo e poi non ci voleva certo un genio per capire che gli piacevi, sai? Perfino io l’ho notato!” esclamò compiendo un salto sul materassso ma sempre rimanendo seduta.
“Adesso non fare la saputella” la rimbeccò Maya dandole un leggero colpetto alla testa “Su certi argomenti è preferibile rimanere in silenzio che dispensare cattivi consigli”
“Ma la mia era soltanto un’osservazione” obbiettò l'altra gonfiando le guance.
“E’ la stessa cosa e comunque, quando ci si dichiara, non è necessario passare subito ai fatti; è vero, devo ammettere che anch’io ero convinta che dopo tanto attendere, sareste passati a qualcosa di più consistente di un semplice abbraccio..” sospirò falsamente delusa la grande, suscitando nell’amica reazioni impagabili “Ma sono sicura che voi due abbiate voluto chiarire certe questioni rimaste in sospeso, non è così, Sayuri?”
“S..Si....”

Maya aveva subito centrato il punto e senza che lei gliene parlasse. Si era limitata allo stretto indispensabile anche perché con l’imbarazzo che le scorreva in corpo difficilmente sarebbe riuscita a scendere nei particolari. Inoltre, ora che rifletteva con più attenzione, la donna dai capelli viola le aveva lasciato il giusto spazio, non aveva insistito a voler entrare forzatamente in bagno quando lei si era sentita male. Aveva sempre saputo a grandi linee cosa la rendeva infelice, ma era conscia di non poterla aiutare, non subito almeno, per questo aveva aspettato che si calmasse e si sfogasse con chi meglio di lei poteva comprenderla.

“Tesoro...” e le si sedette di fianco, cingendole le spalle con il braccio “Ci fa piacere che finalmente tu abbia chiarito ogni cosa con Ace e che ti sia aperta ancora di più, ma non credi che anche noi meritiamo di conoscere realmente i fatti? Tu sai bene di cosa sto parlando”
“Ma, Maya, io...” titubò.

Loro volevano sapere del suo passato, era così lampante, ma anche costoso per la ragazza.

“Siamo tue amiche” continuò con un che di maternità nel tono, carezzandole i capelli con delicatezza “Se non vuoi raccontare questi fatti, prova almeno a descrivere cos’hai provato e cosa senti adesso. Comprenderemo lo stesso, ma non tagliarci fuori: tenersi tutto dentro non serve mai a nulla, meno che mai il dolore”

Nel guardare la capo infermiera e poi Akiko che annuì col sorriso sulle labbra, la castana finì per guardarsi le punte dei piedi. In cuor suo, sapeva che la più grande aveva ragione: era giusto che si aprisse, che permettesse alle sue amiche di sapere chi realmente lei fosse ma tra quel momento e la notte scorsa c’era una differenza dal valore non ignorabile. Aveva confessato tutto ad Ace perché era disperata,sull’orlo della distruzione psicologica. Ora che si era liberata non era del tutto sicura su cosa sarebbe successo visto che adesso non si sentiva più minacciata da nulla, ma in fin dei conti il più era stato fatto e aprirsi maggiormente non gli avrebbe fatto che bene.Si mordicchiò il labbro inferiore: non era più sola, non lo era più e nell’accentuare l’abbraccio alle gambe socchiuse gli occhi,pronta a tuffarsi.

“Credevo che la mia vita avesse dei limiti e che via di questi potessi ottenere molto poco da quello che invece sognavo, ma ho voluto ugualmente mettermi in gioco. Non l’ho fatto per sfidare qualcuno o per essere riconosciuta come una piratessa, io...volevo soltanto provare: ero sola e cadere, pertanto, era più facile che lottare contro un nemico più forte e veloce, però...era proprio perché non avevo nulla, proprio perché non sapevo cos’altro fare, che non volevo smettere di provare. Che altro avrei potuto fare altrimenti?”

Rise a quell’ultima frase. Lei non ambiva, non aveva mai puntato a collezionare tesori ne aveva mai aspirato a costruirsi una ciurma e una reputazione che la identificasse come una ricercata di livello S. Davanti a sé aveva una strada e voleva percorrerla come meglio credeva, accettandone le meraviglie e le conseguenze dei suoi gesti.

“Non avevo una meta precisa, ma rincorrevo un sogno che ancora non riuscivo vedere. La mia compagna era la solitudine e da essa traevo forza per proseguire il mio cammino. Avevo paura di voltarmi indietro, quelle ombre mi facevano troppa paura e io non volevo farmi toccare da queste perché altrimenti avrei perso la possibilità di spiccare il volo con le mie ali”
“Le tue ali?” mormorò Akiko, senza capire.
“Si..le avrei ottenute soltanto quando fossi stata pronta”

Ricordava bene le parole di suo nonno che sempre l’aveva vista come un piccolo angelo ingenuo e timoroso degli esseri umani. Le aveva parlato di quelle creature divine come se le avesse viste coi propri occhi e lei, da bambina curiosa che era, voleva sapere perché la considerasse al loro livello, visto che per giunta gli aveva dato per giunta un nome dal suono angelico.

“Non ti piace? E' un nome da angelo” le disse dolcemente l’anziano per colmare la sua lacuna.
“N-no, mi piace....solo che non credo di essere un angelo. Gli angeli sono più belli e hanno anche le ali” gli disse titubante.
“Oh, le tue ali sono diverse dalle loro. E’ ancora troppo presto perché tu possa spiccare il volo”

Le sue ferite erano ancora fresche, sentiva il sapore metallico del sangue bagnarle gli occhi e trapassarle il fragile torace ancora acerbo. A quel tempo si sentiva ancora vulnerabile, feribile da ogni cosa. Le sue ali non potevano ancora essere viste da tutti e lei pensava che, nonostante si allenasse per essere più forte, queste mai le avrebbe ottenute, perché non era desiderata dal mondo. Ma, ugualmente, si impegnava per poterle avere, perché nel profondo di sé continuava a credere e a provare. Per quanto ritenuta inutile e incapace una persona aveva sempre il diritto a provare perché quando tutto appariva confuso e non c’erano risposte a cui aggrapparsi, senza volerlo continuava a resistere, anche con piccoli tentativi perché dentro di sé sapeva che quella era l’unica cosa che poteva e che era in grado di fare.

“Ero sola, viaggiavo sotto la luce del sole, ma dentro di me percepivo il buio farsi sempre più forte, così tanto da oscurarmi gli occhi, ma poi ho incontrato Ace..ed è cambiato tutto: ciò che provavo per il mio passato era una paura diversa, era...timore” esitò “Soltanto nel circondarmi di persone che potevo chiamare amici, ho provato una paura diversa, più fredda e subdola. Ho iniziato a temere per il mio presente perché sapevo bene che in qualche modo le ombre che avevo rinchiuso dentro di me potevano distruggerlo. La mia non era soltanto paura di perdere i primi amici: quando stavo con lui provavo qualcosa di più profondo..di più bello” confessò con occhi chiusi e col sorriso sulle labbra “Non so...la sua compagnia mi rasserenava, mi faceva sentire in pace e io non volevo perderlo. Mi era vicino, parlavamo e ridevamo, però...a volte mi ritrovavo a guardarlo o a pensarlo senza motivo. E’ stata una cosa, ecco..graduale” tentò di spiegare mentre giocherellava con le dita “Ero confusa, ma credo di esserlo ancora..” mormorò.
“E’ così che ci si sente quando ci si innamora” le disse Maya.

Per tutta risposta lei affondò il viso sulle ginocchia. Sentiva il proprio cuore gonfiarsi di gioia e sospirare con assoluta spensieratezza mentre veniva allietato da dolci immagini e parole racchiuse nella sua memoria. Ace dunque era il suo primo amore e a giudicare da quel calore che le stava pervadendo il corpo, era sicura che mai avrebbe potuto provare per qualcun altro le stesse emozioni, la stessa felicità. Era sempre stato gentile con lei, le aveva sempre sorriso: sia nei gesti che nelle parole, l’aveva in qualche modo privilegiata a dispetto degli altri suoi amici. Bastava che rievocasse nella sua mente la notte precedente che subito sentiva il sangue salire e riempirle le guance. Era...si, era felice non sapeva in che altro modo dirlo: non si sarebbe mai aspettata di provare l’amore, un amore così forte poi, ma ciò non toglieva che adesso si sentiva come in un vicolo cieco. Aveva bisogno di aiuto e Mata e Akiko erano prontissime offrire tutto il loro appoggio anche se da come si stava evolvendo la conversazione avrebbe fatto volentieri a meno di certi quesiti. Il suo sesto senso le stava dicendo che anche Ace era invischiato in una situazione del genere. Nel vederla rasserenata, le due amiche si scambiarono un’occhiata complice per poi tornare a fissarla intensamente.

“Com’è stato?” domandò poi la corvina, con occhi luccicanti.
“Com’è stato cosa?”
“Baciare Ace!” squittì tutta curiosa “Vi siete almeno baciati, vero?”
Il rossore delle guance della castana divenne un bordò intensissimo. “E'....E’ proprio necessario che risponda?”
“Si, se vuoi rivedere la luce del giorno” la ricattò amorevolmente Maya.
“Ah...ecco..non so..” cominciò incerta “Ho provato..tante cose”

Le era assolutamente impossibile definire con un solo aggettivo quel momento: era stato dolce, travolgente, magico, idilliaco, protettivo, caldo e tanto altro ancora. La sua sola certezza era che le era piaciuto molto e da come le due la stavano guardando con un che di trionfante nel viso, doveva avercelo scritto in faccia.

“E come avete dormito?” incalzò Akiko.
“C-C-Cosa?”
“Come avete dormito! Eravate abbracciati? Vi siete dati la schiena? No, lo escludo. Ah, ho capito! Lui era....”
“Akiko!!” esplose ultra-mega imbarazzata “P-P-Per favore..”

Quando prima aveva urlato quasi era svenuta per l’imbarazzo. Praticamente l’avevano torchiata fino all’esasperazione per tirarle fuori che ad un certo punto Ace le era stato quasi sopra a cavalcioni. Il solo ripensarci le fece bollire la faccia.

“Niente "Per favore"” la bloccò Maya “Dobbiamo conoscere ogni particolare, così la prossima volta parlerete di meno e vi darete più da fare” e strizzò l’occhio dall’iride rossa e maliziosa.
“Da..Da..Da..Da fare?” balbettò la poverina sull’orlo dell’infarto.
“Certo. Tesoro, lo facciamo per il tuo bene” continuò la capo infermiera annuendo.

Non ne era convinta. Non ne era assolutamente convinta!

 

 

Se Sayuri si trovava nel bel mezzo di una tempesta imbarazzante, fatta puramente di domande, Ace di certo non se la stava spassando, visto che era tenuto in ostaggio da tutti i presenti della sala grande, tra cui spiccavano pure quattro comandanti. A sapere che andava a finire così, avrebbe optato per il suo piano iniziale o, in caso di emergenza, si sarebbe tenuto i crampi alla pancia e avrebbe aspettato l’imbrunire prima di mettere piede nella sala.

“Coraggio, Ace: racconta” lo incitò Marco.
“Non ho nulla da dire e tu, Jozu, vuoi deciderti a lasciarmi?” sbottò seccato.

Il comandante della terza flotta l’aveva braccato per le spalle in modo tale che non tentasse la fuga.

“Eddai, Ace!” esclamò Satch, mettendogli il braccio intorno al collo “Sappiamo benissimo che la principessa ti è sempre piaciuta e adesso che finalmente avete combinato qualcosa, non puoi non dire nulla a noi, i tuoi affezionatissimi compagni d’avventura! Su, su, confessa!” e gli si avvicinò all’orecchio “Di la verità, ci avete dato dentro?”
Immediatamente Ace se lo scrollò di dosso “Tu sei l’ultima persona a cui lo direi e comunque, non abbiamo fatto niente, quindi piantatela di guardarmi con quelle facce accusatorie!”

I visi truci e scuri di quasi tutti i compagni stavano cercando di incutere con fare intimidatorio quel timore che poi in Pugno di Fuoco avrebbe dovuto trasformarsi in paura per la propria vita. In particolar modo era la sua vecchia ciurma - escluso Don, lui stava mangiando per i fatti suoi - ad essere la più agguerrita visto che la persona di cui si stava parlando era la loro dolcissima e amatissima sorella Yu-chan. Con l’urlo di Akiko e la conferma fatta da Don, prima erano sbiancati, poi, una volta ridestatisi, avevano preso in mano la situazione e si erano coalizzati come una massa informe di pura cattiveria da riversare sul loro diretto superiore.

Dal canto suo, Ace cominciava seriamente a spazientirsi: sapeva che i suoi compagni stavano scherzando, ma la cosa ugualmente non gli andava giù per ovvi motivi che di certo non poteva sbandierare ai quattro venti.

“Non le ho fatto alcun male” ripetè glaciale “Non mi sognerei mai di fare qualcosa che possa ferirla, quindi fatela finita”

E li tutti tacquero. Bastava che ripensasse a quanto gli aveva confessato, a quanto dolore gli aveva mostrato attraverso le sue lacrime, che subito sentiva crescere l’impellente desiderio di spaccare la faccia a tutti quei bastardi che avevano infierito su di lei quand’era piccola. Non c’erano scusanti per quelle azioni, per quel comportamento, e più ci pensava, più la rabbia infiammava il suo torace e risaliva su fino ad arrivare alla gola, come se volesse uscire sottoforma di un urlo così disumano da far rabbrividire anche il mare, ma poi questa si placava, si acquietava e svaniva al ricordo di quelle parole...

“Io mi sono innamorata di Portoguese D.Ace, non di Gol D.Roger” continuò lei guardandolo negli occhi “Mi sono innamorata del capitano dei pirati di picche, del secondo comandante della flotta di Barbabianca, non del figlio del Re dei Pirati. Non mi risulta che esista un Gol D.Ace, senza contare che un simile cognome non è molto bello da sentire” sorrise “Non mi importa sapere quali reati abbia commesso questo Re dei Pirati perché io conosco te, non lui. A te ho giurato fedeltà, non a lui. Amo te e te solo seguirò fino alla morte, e poi...” gli accarezzò una guancia “Le lentiggini ti donano molto più dei baffi”

Non potevano avere idea di quanto fosse stato felice nel sentirsi dire quella frase, anche perché, ovviamente, ciò sarebbe rimasto un segreto, ma il punto era che Sayuri rappresentava quella felicità che solo l’amore poteva dare. Era vero, gli era sempre piaciuta fin dall’inizio, ma proprio perché le voleva così bene che non voleva fare qualcosa che potesse, in qualche modo, farla piangere. Inizialmente era stato facile, ma poi, pian piano, bastava poco, un niente per incrinare il suo autocontrollo già minato più volte. Bastava davvero pochissimo, anche un semplice sguardo di lei per incantarlo: i suoi occhi color cioccolato lo scrutavano con dolcezza e quando li incrociava coi suoi, puntualmente avvertiva un pezzo di sé rompersi, come soleva fare un bicchiere a contatto col pavimento.
Si muoveva leggera, come se stesse danzando; ogni suo movimento era elegante e quando sorrideva provava l’egual sensazione che solitamente si percepiva nel vedere un fiore sbocciare in tutto il suo splendore. Era proprio perché suscitava un emozione del genere, che non voleva osare, non contro la sua volontà. Dal tono freddo e che non ammetteva replice, Marco capì che Ace stava parlando sul serio, ma non si soprese più di molto visto e considerato che lui era un buon osservatore da sempre. Sapeva quando scherzava e quando parlava seriamente e se l’argomento era Sayuri, allora lì bisognava stare attenti, perché una sola parola mal detta al riguardo della ragazza poteva costare caro a chi l’aveva pronunciava.

“Non prendertela, sappiamo bene che sei una brava persona. Siamo solo molto contenti per te, quindi non avertene a male se ti prendiamo un pochino in giro” lo rassicurò scompigliandogli i capelli.
“Marco ha ragione: noi poi ti conosciamo da più tempo quindi siamo certi che saprai prenderti cura di sorella Yu-chan come si deve” si aggiunse Bonz a nome di tutti gli ex pirati di picche “Giusto, Don?”
“Eh? Si, si..” borbottò “Sono liberissimi di fare quello che vogliono, purchè non facciano i piccioncini smielati davanti ai miei occhi e con questo intendo niente baci in pubblico, niente imboccate, coccole o roba simile. Se vedo anche solo una forma di smanceria, butto entrambi in mare” sentenziò irremovibile.
“E smettila di fare il brontolone: dillo che sei contento per loro” lo esortò il cugino.
“Tappati la bocca con una patata e mettiti quei dannatissimi occhiali“ sibilò prima di tornare a mangiare.

Quando mai aveva parlato...!

E dire che non ci voleva un genio per capire che tra Ace e la santa era successo qualcosa: al moro erano persino spuntate due soffici e pelose orecchie da lupacchiotto felice e sicuramente presto avrebbe visto anche la coda.

Per quanto gli riguardava, il comandante della seconda flotta voleva prendere andarsene visto che non aveva nulla di criminoso da confessare a quei inquisitori dei suoi compagni ma riuscire a tirarsi fuori da un simile groviglio era più facile a dirsi che a farsi: non poteva diventare invisibile e sgattaiolare via come se nulla fosse anche se la cosa non gli sarebbe dispiaciuta affatto.

“D’accordo, ora che sapete tutto, mi lasciate andare?” chiese snervato.

Mai aveva così desiderato di eclissarsi. Ringraziava il cielo che papà non fosse presente. Ovunque fosse, pregò che rimanesse lì fino al momento della sua fuga.

“Oh, suvvia, Ace! Con una così bella notizia non vuoi festeggiare?” si finse offeso il biondo della quarta flotta.
“Mi stupisci, Satch” osservò Vista, ridacchiando fra i suoi folti baffoni “Tu non stravedi per la principessa?”
“Certo che stravedo per lei” gli rispose subito con occhi carichi di determinazione “E continuerò a stravedere. Si, questa notizia mi ha lasciato un po’ d’amaro in bocca, ma sapete come si dice: finchè c’è vita, c’è speranza!” esclamò fiducioso “E finchè avrò vita, non smetterò mai di infastidire la dolce principessa dei gigli, almeno fino a quando non cadrà ai miei piedi”

Automaticamente gli occhi di tutti puntarono in direzione di Ace e sempre meccanicamente, tutti quanti compirono un paio di passi indietro prima di venire coinvolti nell’imminente reazione del ragazzo: Satch amava scherzare, ma da come i pugni di Ace stavano bruciacchiando la superficie legnosa del tavolo era evidente che l’intenzione del signore delle fiamme, ovvero di far provare al biondino le brezza di essere una torcia umana, non aveva nulla di scherzoso o ironico. E dire che era ben conscio che il comandante della quarta flotta non aveva intenzioni così serie con la ragazza, ma ugualmente quei suoi modi di fare quando si parlava della navigatrice, della sua navigatrice intendiamo, suscitavano in lui un prurito alle mani che a volte rischiava di superare la sottilissima soglia della sopportazione. Assillare la poverina non era ne un gioco ne una fissa: in realtà era portato a pensare che quel comportamento era un po’ l’uno e un po’ l’altro e proprio perché il biondino non faceva altro che beccarsi continui “No, mi spiace” che imperterrito, si divertiva a stuzzicare la pazienza di lei suscitando così le ire di lui, come in quel preciso momento.

“Non guardarmi in quel modo, Ace! Sai che sto scherzando!” s’affretto a dire intanto che i sudori freddi si facevano sentire “In nome della nostra amicizia, prometto di non impicciarmi nella vostra vita amorosa. Ah, però, nel caso non funzionasse, sarò onorato di prendere il tuo posto. Modestamente mi ritengo più che all’altezza per soddisfare le aspettative della principessa”

Per sua fortuna non aggiunse altro anche perché Ace, seriamente, a stento si stava trattenendo dal saltargli addosso e strangolarlo. I suoi occhi erano animati da una luce omicida e lasciavano intendere il seguente messaggio:

“Sarai anche un mio buon amico, ma se soltanto provi ad allungare di troppo la tua mano su Sayuri giuro che ti ammazzo sul serio” e questo diceva tutto.

Intuito ciò, Satch si allontanò molto più degli altri. Stava praticamente grattando con le unghie il legno della porta d’uscita ma senza mancare di sorridere,come per dire:

“Lo faresti davvero?”
“Si” stavolta Ace aveva dato la sua risposta tramite voce.
“Uffa, che egoista che sei!” brontolò “Non posso neppure darle un bacetto..”

Nel giro di due secondi sia Marco, Jozu che Vista dovettero bloccare Ace prima che riuscisse a realizzare il suo pensiero e dunque dare fuoco a tutta la sala grande.

“Comandante, non faccia così!” gli dissero alcuni dei subordinati, cercando già di spegnere il fuoco che stava consumando il tavolo.
“Fossi in te, Satch, mi comporterei con attenzione nei confronti di Sayuri. Lo dico per il tuo bene” gli consigliò il comandante della prima flotta, comprendendo perfettamente il succo di quei taciti gesti.
“Eh eh, tu dici?” ironizzò con almeno quattro strati di sudori freddi addosso.



 

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Capitolo 37
*** Extra: una giornata sulla Sunny! ***


Eccomi qua!questo è l’ultimo capitolo che vi lascio,ora se non vi dispiace prendo una pausetta per i motivi già elencati in precedenza,spero di riprendere presto ma se tutto va bene,prima di agosto sarò di nuovo in attivita.Questo è un piccolo extra che ho creato per voi e pertanto ho cambiato lo stile:mi auguro che vi piaccia e mi scuso se ci sono alcuni errori ma ho dovuto riscriverlo a tempo di record perché con l’originale ci sono stati dei problemi.Passiamo ai ringraziamenti:

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MBP:Marta-chan,eccoti qua!grazie ancora per il disegno,sei libera di ritrarre la mia pupilla come vuoi (lo farei io ma mi manca lo scanner e…beh,il disegno per me è come la matematica:incomprensibile!)Immaginavo che Key-chan si sarebbe unita ad Akiko ma come tu gli hai ricordato anche lei ha atteso un po’ prima di lasciarsi andare e in aggiunta io non ho fatto ricorso a riviste e con questo ho detto tutto!(senza offesa cara,la tua strategia Marta-chan è stata eccezionale) ma concordo con Key-chan che Ace è veramente un gran bel pezzo di ragazzo (se hai in mente Homer Simpson quando sbava con la bocca aperta mi ci ritrovi).Purtroppo le tue e-mail non le ho ricevute ma penso che sei me le invii con quella normale sicuramente le vedrò come hai detto tu.Beh si vedrà!

giulio91:holà!complimenti per gli orali,ora potrai goderti a pieno l’estate!pensavi che li lasciassi tranquilli senza che nessuno curiosasse un pochetto?si,Don si è isolato ma solo perché non voleva fare la parte dell’impiccione che deve sapere a tutti i costi perché Ace sia così pimpante ma tanto lo sapeva già perché dietro ad un grande uomo c’è un grande cervello (si,il detto non è così ma diamogli dei punti di merito al nostro medic-cecchino).Satch ora dovrà stare attento,molto molto attento perché adesso la dolce Yu-chan non si può più toccare e quindi se soltanto provarà ad allungare la mani il fidanzato provvederà ad accorciargliela di tanto.Lo strillo di Akiko è stata una trovata dell’ultimo minuto,giusto per mettere Ace in imbarazzo e dunque impedirgli di scappare,anche se credo che con Jozu alle spalle,io manco mi sarei mossa.Tu ti saresti inabissato?come minimo io sarei morta seduta stante per il troppo imbarazzo e anche per il triplice infarto ma sono ancora viva e adesso (con mio rammarico)lascio l’ultimo capitolo e mi prendo una pausa piccola.Prometto di tornare prestissimo quindi tieni d’occhio il sito e il farò altrettanto con le tue fiction!

happylight:carissima!ti sei letta due capitoli in un soffio e vedo che sei rimasta soddisfatta.Si,la seconda parte  è stata romantica,giustamente doveva spiegare il tutto mentre questo ultimo capitolo l’ho fatto apposta divertente per vedere i due piccioncini preda degli interrogatori!cara,ti dico subito che la fiction non è ancora finita,c’hai voglia prima che arrivi alla parola fine ma siccome sono quasi a corto di capitoli,non avendo avuto molto tempo per prepararne altri,mi prendo una piccola pausa per portarmi avanti con il lavoro ma non lascio nulla in sospeso,difatti ho creato questo extra che taglia fuori dalla fict,giusto per farvi ridere un po’ ma non temere,tornerò presto!(spero…)

Sachi Mitsuki:amorino mio!!!!si,si Akiko l’avranno sentita pure a Raftel con l’urlo che ha fatto,ih ih ih!come ho già detto ora Satch dovrà fare attenzione se non vorrà finire incenerito per davvero!poverina,ancora problemi col computer?tranquilla,vedrai che tutto si sistema!

angela90:ciao amorino!!visto?di la verità,vorresti anche tu risvegliarti così,eh?magari senza interrogatorio.Sarebbe stato ingiusto far patire soltanto a Yu-chan la pena dell’interrogatorio quindi per rispetto ho impegnato anche Ace,costringendolo a scendere dalle nuvole.Don..non commentiamo perché il suo sesto senso parla per lui,mi sto rendendo sempre più conto che sta riscuotendo un grande successo,ulteriormente dovuto all’odio che prova per Teach (e qui si alza il coro che incita “Go Don!”).Grazie per defibrillatore,a Sayuri serviva perché con quanto le hanno estorto le infermiere e come gli hanno suggerito di agire per parlare di meno e agire di più la mia povera pupilla è stramazzata per arresto cardiaco almeno un paio di volte.Va beh,Ace è un uomo ma devo darti ragione perché nemmeno a me piacerebbe essere circondata dai pirati,specialmente avere Jozu dietro al schiena mi spaventerebbe non poco ma in fondo vogliono solo esprimere le loro felicitazioni (ok, e anche prenderlo un pochettino in giro)ma in fondo gli vogliono bene!

Huntergiada:tesoro!Ace e Sayuri hanno goduto di alcune ore tranquille ma prima o poi avrebbero dovuto affrontare le primissime conseguenze della loro relazione e sfuggire a Maya,Don Akiko e a tutti i pirati di Barbabianca è pressoché impossibile e ringraziamo che non abbia tirato in ballo anche il re dei mari altrimenti la situazione diventava veramente irrecuperabile.Ace con le orecchiette amò di lupacchiotto è bellissimo,me lo sono immaginato chissà quante volte e anche con la coda scodinzolante,quindi non c’era modo migliore per mostrare la sua felicità.Satch si,dovrà fare attenzione perchè adesso non potrà più fare tanto il provolone visto che ora Ace ha il suo valido motivo per dargli fuoco!

 

 Cosa accadrebbe se Sayuri incontrasse il fratellino di Ace?

 

Capitava che ogni tanto la dolce Sayuri andasse per conto proprio a perlustrare alcune isole mancanti al completamento delle sue mappe. Quelle mini missioni - se così si potevano chiamare - le ricordavano i tempi andati, quando ancora navigava da sola, per conto suo, per tale motivo aveva chiesto ad Ace di andare da sola; non che la sua compagnia e i suoi amici la infastidissero, tutt’altro, solo che quando l’occasione lo permetteva, voleva cimentarsi in quelle ricognizioni dove la sua sola occupazione era per l’appunto raccogliere le dovute informazioni al fine di realizzare delle mappe utili, complete e facili da seguire. In quel frangenti poteva godere della tranquillità del mare, senza che la Marina le ronzasse intorno come era solita fare ma quel suo ultimo giorno ad Aborn sarebbe stato diverso da come l’aveva programmato: quella manciata di ore non sarebbe scivolata via insieme al tramonto per poi finire insieme a tutte le altre giornate, no, quel giorno l’avrebbe sempre ricordato per le tante risate che era stato in grado di suscitarle.

Il fratellino di Ace e la sua ciurma erano un concentrato dinamico di bislaccheria pura a cui era impossibile resistere.



Tutto era cominciato il giorno prima della sua partenza dall’isola....

Si era alzata di buon ora quella mattina e allo scoccare delle nove stava già camminando lungo le vie di quella cittadina avente le case col tetto rosso. L’imponente e singolare torre dell’orologio centrale spiccava tra tutte le costruzioni, mostrando all’intera città il meraviglioso congegno a cui tutti gli orologiai del posto si erano dedicati fin dalla fondazione di Aborn: sotto lo specchio circolare che segnava l’ora, allo scoccare del mezzogiorno, si apriva una finestrella che svelava un carillon grande quanto una casa. La base su cui poggiava veniva fatta sporgere quanto serviva affinchè l’opera di tutti gli orologiai dell’isola venisse ammirata e contemplata coi cuori sospesi tra la meraviglia e lo stupore: al posto della classica ballerina c’erano sei bambini che giocavano a girotondo. La torre dei sogni, così era stata battezzata la torre di Aborn, la terra degli orologi. Alla fine dell’anno architetti, muratori,artisti e compagnia bella si riunivano per cambiare il design del carillon e l’orchestra cittadina si occupava di comporre la nuova melodia.

Fu nell’attraversare la grande piazza del mercato che stava ai piedi della rinomata torre, che Sayuri vide ancora una volta quell’individuo girovagare come se non avesse la benché minima idea di dove andare. La sola ragione per cui la sottoposta della seconda flotta aveva colto quella specifica persona e non nessun’altro, stava nel fatto che in quell’individuo spiccavano i capelli di un verde chiarissimo, bislacco per essere abbinato ad un volto così abbronzato e serio, anche se tale accostamento a lui pareva donare; vagava per la piazza passandosi ogni tanto la mano sulla testa verdognola e sfiorando con le dita dell’altro arto libero le tre katane che portava al fianco senza preoccuparsi di nasconderle.

Che cosa insolita. Mi sembra di aver già visto quella persona passare da queste parti almeno tre volte.

Purtroppo di interrogarsi con più minuziosità non ne aveva il tempo; imboccò un sentiero laterale con l’intento di sbrigare le ultime commissioni il più velocemente possibile ma ancora non sapeva a cosa stava andando incontro. A mezzogiorno il sole raggiuinse come suo solito l’apice del cielo, scaldando l'isola e regalando agli abitanti una luce estiva allegra e vivace. Nel mettere piede in locale qualunque giusto per mettere qualcosa sotto i denti, Bianco Giglio rischiò di essere investita da una misteriosa macchia rossa e blu; il fuggiasco ricordo di quel ragazzo dai capelli verdi ormai si era dissolto come un ombra nel buio ma nell’entrare in quel ristorante si era dovuta letteralmente gettare al lato di quest’ultima per non dover essere travolta da quell’indescrivibile tifone rosso e blu che trovò la propria fine esattamente davanti al bancone delle ordinazioni.

Anche gli altri clienti erano rimasti allibiti.

“Santo cielo, c’è mancato poco” mormorò lei rimettendosi in piedi.

Chiunque fosse era stato così veloce che si era accorta soltanto all’ultimo secondo del suo arrivo. Di gente strana ce ne era al mondo ma ciò che aveva attirato l’attenzione della navigatrice non fu tanto la vocetta insistente di quel individuo - alias la macchia rossa e blu -, che continuava a reclamare cibo battendo le posate sul bancone, ne quel mastodontico appetito che stava svuotando ritmicamente ogni piatto che subito gli veniva servito; no, ad aver stuzzicato la curiosità della ragazza era quel bel cappello di paglia che stava su quella testa corvina tanto affamata. Era un oggetto di comune valore che tuttavia aveva fatto scattare sull’attenti la mente della pirata, ora seduta ad attendere il proprio pranzo: la fisionomia smilza di quel giovane non le era nuova ma non riusciva a focalizzare dove già li avesse visti....

Se soltanto si girasse per qualche secondo.. Pensò nuovamente nel guardarlo con perfetta discrezione.

Poi, nel vedere il cameriere arrivare con la propria ordinazione distolse l’attenzione.

“Ecco signorina, il suo..whaaaa!!”
“Oh!”

Tutto si era svolto nel più rapido dei modi: la cartografa della seconda flotta di Barbabianca aveva avuto la bellezza di due secondi e mezzo per osservare il proprio pranzo con un certo appetito prima che questo le venisse rubato sotto gli occhi da una mano allungatasi di qualche metro per arraffare il contenuto del primo piatto capitatogli a tiro.

“Ma cosa..?”

Guardò allibita quel braccio ritirarsi in direzione del bancone e sparire dietro quel ragazzo che prima aveva osservato pensierosa. Incurante di quello che aveva fatto e di come il resto della clientela lo stesse guardando, quello continuò beatamente a mangiare, accumulando decine e decine di piatti.

Ha allungato il braccio come se fosse fatto di gomma. Che sia...?!

Non poteva stare lì e non dare fondo ai suoi dubbi. Alzandosi dal tavolo si avvicinò al ragazzino, affiancondolo. In cuor suo, Sayuri era convinta che solo Ace potesse mettere tanto cibo nello stomaco ma nel vedere quelle piccole torri di piatti continuare a salire dovette ricredersi; se davvero quel tizio era chi pensava allora non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto.

“Perdona il disturbo” richiamò la sua attenzione.
Sentitosi toccare il braccio, il ragazzo si girò verso di lei.
“Eh? Si, che cosa c’è?” le chiese con la bocca piena di carne.

Nel vederlo finalmente in faccia la ragazza emise un risolino vittorioso; sarebbe dovuta essere in grado di riconoscere il fratello minore di Ace solamente guardando la spropositata quantità di stoviglie svuotate che lentamente stavano occupando tutto il bancone. Il suo comandante le aveva parlato tantissimo di Rufy ma mai ,mai, si sarebbe immaginata di incontrarlo di persona.

“Perdonami per l’aver interrotto il tuo pranzo ma non potevo non rivolgerti la parola. Sei Monkey D.Rufy, dico bene?”

Rufy - perché era lui - la fissò con quei suoi grandi occhi ebeti e ingenui per poi mandare giù il boccone e slargare la sua bocca in un ampissimo sorriso.

“Si, si, sono io! Ma tu chi sei? Non mi ricordo di te”
“Oh, è naturale, questo è il nostro primo incontro. Devi sapere che...”
“TI HO TROVATO!!!”

SBONK!!

Per la seconda volta Sayuri assistette a una scena che le tolse totalmente le parole di bocca. Era lì, pronta a presentarsi e subito si ritrovò ad osservare quella scena tanto violenta quanto comica: alle spalle di Rufy era arrivata con passo calcato e furente una ragazza molto bella dai capelli a caschetto color mandarino e gli occhi nocciola, che aveva sferrato un poderoso pugno sulla testa gommosa del moro, tanto da farla rimbalzare sul bancone e non soddisfatta, l’aveva afferrato per la camicia sbracciata scuotendolo come fosse un pupazzo.

“Siamo alle solite! Ti perdo di vista solo per un secondo e tu sparisci subito alla ricerca del primo ristorante! Quando dico di rimanere uniti intendo vicini e non sparpagliati qua e là chissà dove!!!!” urlò fuori di sé quella.
“Ahia! Scusami Nami!! Ma io avevo fame....” tentò di giustificarsi.
“Il tuo stomaco senza fondo sarà la mia rovina!!!!!” sbraitò scuotendolo ancor di più sotto gli occhi terrorizzati dei presenti ”Hai idea di quanto mi costi pagare le tue abbuffate?!?!?! OVVIO CHE NO!!” lì, i pochi rimasti scapparono per la paura “Sarei pronta a scommettere che ti sei mangiato pure il cervello!!”

Era così furibonda che i denti le erano diventati aguzzi, per non parlare dei occhi: completamente assatanati.

“Signorina, si calmi! Gli sta facendo male!” tentò di fermarla Sayuri.
“Non ti intromettere tu! Per questa testa di rapa è il minimo! L’unica vittima sono io, che sono costretta a sopportare quest’idiota di capitano ogni santo giorno e parlando di idioti dobbiamo ancora recuperare quel deficiente di Zoro che....scusa ma tu chi sei?” domandò nel riprendere sembianze umane.
“Io? Oh si, stavo giust’appunto per presentami a Rufy” rispose tranquilla e riordinando le idee che si erano sparse per quel siparietto creato dalla nuova arrivata “Molto piacere, il mio nome è....”



Usciti dal ristorante e recuperato Zoro - che stava ancora vagando senza meta nella piazza - Rufy, impaziente di presentare l’amica di Ace al resto della sua ciurma, allungò il braccio e si lanciò nel vuoto con attaccati le due ragazze e lo spadaccino. Inutile dire che la sua impulsività fu punita per l’ennesima volta dalla navigatrice ma Cappello di Paglia era così eccitato di poter finalmente avere notizie del fratellone che si era ripreso subito e aveva condotto la ragazza a bordo della Thousand Sunny, la nave più variopinta e originale che lei avesse mai visto: si trattava di un brigantino molto grande con una polena a forma di testa di leone versione peluche, la cui criniera ricordava molto i petali di un girasole. Bastava una semplice guardata per capire che quella nave era dotata di tante specialità: la vedetta dell’albero maestro era una palestra, il ponte basso era ricoperto da un sofficissimo e fresco prato verde e sui piani rialzati e al di là del balcone bianco si potevano addirittura vedere dei frutteti carichi di mandarini. Sayuri ne rimase totalmente affascinata ma dovette conservare un bel po’ del suo stupore per la ciurma del fratellino di Ace.

Descriverla? Molti erano gli aggettivi: stramba, incontrollata, pazza, scatenata, imprevedibile...tutti aspetti che Sayuri avrebbe avuto modo di conoscere e che già in parte aveva visto nel fare amicizia con i primi tre ragazzi, anche se aveva il sentore che il più pazzo di tutti - in senso positivo - fosse proprio il ragazzo col cappello di paglia di cui tanto aveva sentito parlare.

“Ragazzi, lei è Sayucci! E' un’amica del mio fratellone e ci farà compagnia per un breve tratto!” esordì felice.

Per quei minuti passati a terra - prima di lanciarsi nel vuoto - Rufy l’aveva chiamata in tutti i modi possibili e inimmaginabili ma senza mai azzeccare quello corretto. Nemmeno i pugni micidiali di Nami erano bastati a sedarlo. A parte gli scatti d’ira a cui aveva assistito - i bernoccoli pulsanti sulle teste del capitano e dello spadaccino ne erano la prova - la ragazza aveva mostrato anche un lato gentile e accondiscendente e l’essere entrambe cartografe aveva facilitato ancor di più la loro conoscenza.

“Allora Yucci-chan...”
“Si chiama Sayuri!” ripetè esasperata la rossa.
“Che differenza fa?allora, Zoro e Nami li hai già conosciuti, ora ti presento gli altri: lui è Usop”

Un ragazzo della stessa età di Rufy compì un passo in avanti portando le mani ai fianchi,in una consueta posa di superiorità. Aveva capelli ricci, neri, labbra larghe e gonfie e un incredibile naso lungo.

“Ah ah! Capitano Usop vorrai dire! Io sono il valoroso bucaniere che da più di cent’anni comanda ottomila fedelissimi uomini!”

Anche un sordo avrebbe capito che quella era una bugia grossa come una casa e a giudicare dalle reazioni non stupite della ciurma - escluso quel buffo animale peloso che stava proprio al fianco di Usop - quella non doveva essere la prima bugia che elargiva.

“Ottomila uomini?” ripetè Sayuri stando al gioco “Non immaginavo esistesse una ciurma più imponente di quella di mio padre. Mi domando se un guerriero con così tanta esperienza come voi sia sufficientemente forte da tener testa al più anziano dei quattro imperatori” si domandò lei con sorriso innocente.
“Ecco...v-v-veramente...” balbettò il nasone sbiancando d’un colpo.
“Si che è all’altezza! Usop ha solcato tutti i mari del mondo e ha sconfitto pirati fortissimi!”

A parlare era stato il curioso animaletto. Nel guardarlo Sayuri provò quell’emozione che solitamente colpiva l’equipe infermieristico della Moby Dick: un’irrefrenabile moto di tenerezza che si scatenava quando si vedeva qualcosa di incredibilmente e irresistibilmente carino, allegato poi al desiderio di coccolare tale cosa fino allo sfinimento. Questo era peloso, con delle corna che spuntavano ai lati di un cappello rosa e un graziosissimo nasino blu. Sicuramente se Maya fosse stata lì insieme alle altre infermiere, quel piccolino sarebbe stato spupazzato a dovere fino al soffocamento. Appena i loro occhi si incrociarono, l’esserino sobbalzò e corse subito a nascondersi dietro le gambe di Rufy.

“Lui è Chopper, il nostro medico di bordo” spiegò quest’ultimo.
“E’ molto carino” elegantemente la castana si inginocchiò per osservarlo meglio ”Piacere di....” non finì la frase che quello scappò a nascondersi in cucina “..conoscerti”
“Eh eh, il nostro Chopper è timido ma non ha paura di te. Devi dargli il tempo di abituarsi” la rassicurò una seconda voce femminile.
“Già, naso blu fa sempre così quando vede degli estranei a bordo” concordò qualcun altro.

Si erano fatti avanti un uomo e una donna: il primo - tra i due era il più particolare - era scalzo e indossava soltanto delle mutande attillate e una camicia hawaiana. La folta capigliatura celeste era acconciata in un ciuffo simile a quello di Satch, forse appena più accentuato. Gli avambracci erano muscolosi e su ognuno d’esso c’era disegnata una stella. La seconda invece era bellissima: alta, abbronzata, aveva dei bei capelli corvini e profondi occhi azzurri. Si vedeva fin da subito che era più grande di Nami, sosteneva la sua maturità con un sorriso composto ma sincero in tutte le sue sfumature.

“Mi chiamo Nico Robin. E’ un piacere conoscerti Bianco Giglio” e le porse la mano.
“Il piacere è tutto mio” ricambiò la stretta.
“Robin è un’archeologa mentre Franky è il nostro carpentiere. Ha costruito lui la Sunny”
“Veramente? Questa nave l’ha costruita lei?”
“Aw! Puoi scommetterci sorella! Quando si tratta di costruire navi, ponti, scale non c’è nessuno al mondo che possa superarmi: i miei lavori sono SUPER!”

E si mise nella sua posizione di battaglia unendo gli avambracci per poi cominciare ad ancheggiare a destra e a sinistra come se stesse seguendo il ritmo di una musica. Nami le sconsigliò di seguirlo.

Fino a quel momento quelli che le erano stati presentati li conosceva in merito alla fama che si erano guadagnati: Zoro era un ex cacciatore di pirati, Nami una ladra le cui previsioni erano sempre azzeccate, Usop - alias Sogeking - era il rinomato cecchino che non mancava un solo bersaglio, Franky un cyborg costruitosi da solo, Nico Robin la famosa bambina demoniaca capace di leggere i Poigne Griffe e Chopper....in tutta sincerità non sapeva molto su di lui. E ancora non era finita....

Nel riprendere il giro si ritrovò inginocchiato ai suoi piedi un ragazzo biondo ben vestito che elegantemente le stava porgendo un vassoio con sopra una squisita fetta di torta al cioccolato, guarnita di panna e ciliegina rossa.

“Ad un angelo sceso da paradiso io offro questo dolce come segno del mio amore. Non sono altro che un povero marinaio disperso in questo grande oceano chiamato amore e che con tanto ardore cerca un approdo sui cui far riposare le sue stanche ossa innamorate. Questo che ti porgo non è che un misero dono in confronto alla bellezza: accettalo ,oh mio bellissimo angelo, e il mio cuore e le mie mani di cuoco saranno tuoi schiavi per l’eternità!”

Tra l’essere imbarazzata e al tempo stesso lusingata, Sayuri optò come scelta iniziale un silenzio riflessivo. Era inusuale, anzi forse addirittura contro le leggi della natura che Sanji avesse aspettato così tanto per presentarsi ma nel vedere l'ospite si era sentito in dovere di preparare qualcosa in suo onore; non era una novità che il cuoco della ciurma amasse le donne quanto la nobile arte della cucina: viziare Nami-san e Robin-chan con i suoi squisiti manicaretti mentre queste lo ringraziavano bastava per cospargere la nave di tanti cuoricini rosei. Era sufficiente che loro pronunciassero “Sanji-kun, mi porteresti del tè?” e lui scattava sugli attenti; il più delle volte era la rossa a chiederglielo ma lui obbediva, ogni richiesta delle sue dee equivaleva a una dichiarazione d’amore.

“Ah..ti ringrazio molto Sanji, sei stato davvero gentile a preparare questo dolce per me” gli disse cordiale prendendo il vassoio “Deve essere buonissimo. E’ un incanto soltanto guardarlo”
“Mellorine-chwan, tu sei un incanto!” e schiattò a terra.
“Che tipo! Quando vede una donna perde completamente la testa” sbuffò Usop incrociando le braccia.
“Con tutti gli infarti d’amore che lo colpiscono mi sorprende che sia ancora vivo” aggiunse Franky.
“Eh eh, dovete ammettere però che con le parole è molto bravo” arrivò Robin.

Dal canto suo, l'ospite era un po’ preoccupata. Sanji ancora non si rialzava.

“Ma sta bene?”
“Tranquilla, fa sempre così. Si riprenderà a breve” la rassicurò Nami.
“Tsk, che babbeo..”
“Cosa hai detto testa d’alga?!” ringhio il suddetto saltando in piedi.
“Non hai sentito cuocastro? Ho detto babbeo”
“Meglio essere un babbeo che uno spadaccino rozzo e dall’inesistente senso dell’orrientamento” replicò sul piede di guerra “Nami-san ti è pure venuta a cercare. Dovresti essere riconoscente!”
“Riconoscente?” quasi si strozzava con la saliva “Fossi matto! Io con quella aguzzina non voglio avere debiti”
“Tu sei già in debito come me, Zoro. E se non ti sbrighi a saldare il conto raddoppierò la somma” lo avvisò quest’ultima.
“Ancora con questa storia? I soldi te li ho restituiti!”
“E’ vero ma le clausole incluse dove li metti? Quando ti ho prestato i soldi ti ho fatto firmare un contratto dove ti impegnavi non solo a restituirmi la cifra prestatati ma a versare una somma extra per l’aver richiesto un prestito diretto dalle mie casse” gli ricordò a menadito.

Al povero spadaccino fu impossibile replicare e il punto della vittoria se lo aggiudicò la bella navigatrice. Nami poteva essere simpatica, carina e anche un’ottima amica ma quando si parlava di affari non c’era amicizia che teneva e Zoro lo sapeva fin troppo bene perché ancora non era riuscito a liberarsi della morsa di quella strega che appena si trovava in pericolo doveva subito soccorrere. E mentre lui le sentiva su quella sottospecie di sopraciglio attorcigliato continuava a vorticare intorno alla rossa sprizzando al solito miriade di cuori grandi quanto palle da bigliardo.

“Siete sempre così allegri da queste parti?” domandò Sayuri.
“Shishishi, si sempre!” sghignazzò Cappello di Paglia “Vediamo..chi manca? Ah si! Yucci-chan, lui è Brook, il nostro musicista. Sa suonare un sacco di strumenti!”
“Oh, molt..ulp!”

Se non l’avesse visto coi suoi stessi occhi non ci avrebbe mai creduto. Stava tendendo la mano ad uno scheletro altro quasi due metri, con tanto di completo nero, bastone da passeggio e capigliatura afro molto voluminosa.

“Yohohohoho! piacere Sayuri-san! Non si faccia spaventare dal mio aspetto, ho un cuore buono anche se ormai non c’è l’ho più! Yohohoho, skull joke!”
“Ah...le credo sulla parola...” mormorò nel stringergli la mano....o quel che ne restava.

 


Una volta salpati, Nami annunciò che sarebbero arrivati alla prossima isola la mattina successiva, verso mezzogiorno. Fino ad allora la cartografa della seconda flotta di Barbabianca sarebbe stata loro ospite. Terminate le presentazioni, l’amica le aveva fatto visitare la Sunny e tutte le stanze di cui disponeva; oltre agli alloggi e ad un bagno spaziosissimo quella grande per le femmine e l’altro per i maschi - c’era perfino un acquario nella saletta bar e una biblioteca-studio costruita appositamente per Nami e Robin, oltre alla stanza da letto tutta per loro.

“Giochiamo a nascondino!” propose Rufy una volta che le ragazze tornarono sul ponte.
“Si!” esultarono Usop, Chopper e Brook in coro.
“Nami, vuoi giocare con noi?”
“Vuoi scherzare, spero. E’ un gioco da bambini”
“Ma è divertente! dai Nami!”la blandì Rufy.
“Dai Nami!!” la supplicarono gli altri tre.
“Ho detto di no!”
“Uffa! Dici sempre di no! Sai, saresti più simpatica se ogni tanto ti lasciasti andare” le consigliò Usop.
“Come dici?” sibilò lei con occhi truci.
“Iiiihh, niente!” e arretrò di quattro metri.
“Eh eh, non prendertela Nami” si fece avanti Sayuri, divertita per quella scena “Se volete, prendo io il suo posto” si offrì volontaria lei.

A giudicare dalle tante stelline sostituitesi agli occhi, parevano non esserci problemi.

“Sul serio Yucci-chan?”
“Certo, però prima non è che mi spieghereste le regole? Non ho mai giocato a nascondino” ammise.

Solitamente qualcuno avrebbe chiesto com’era possibile che a quell’età non si conoscessero giochi elementari come nascondino ma l’euforia di Rufy nell’aver trovato qualcun altro con cui giocare superava qualsiasi altra curiosità e di questo Sayuri ne fu felice.

“D’accordo, però conti tu!”
“Ma siete scemi?!” scattò la rossa “Si è offerta volontaria e voi la fate contare?!”
“Aaaahh, se la prende con noi!” e tutti si nascosero dietro la castana.
“Non arrabbiarti, è soltanto un gioco” la tranquillizzò “Non mi crea problemi contare, davvero”

La Gatta Ladra la guardò accigliata ma poi distese i lineamenti del viso. Se a lei andava bene giocare con quei scalmanati non c’era nessun motivo per cui dovesse impedirglielo.

“Contenta tu. Quando hai finito - sempre che ti lascino andare - mi trovi nello studio”
“D’accordo, grazie”

 


Dopo aver chiuso gli occhi e contato fino a cinquanta come Usop le aveva spiegato, Sayuri iniziò a cercare gli amici nascosti. Data la grandezza della nave  e le molte stanze non sarebbe stata una caccia rapida e facile ma era proprio per quel motivo che la ragazza trovava il tutto molto divertente: per via della sua brutta infanzia non aveva mai potuto giocare con i suoi coetanei e pertanto il più bell’aspetto di quel periodo lei l’aveva perso, sostituendolo agli allenamenti e a tanti altri sforzi per diventare sufficientemente forte da poter così badare a sé stessa. Era la sua prima esperienza e voleva godersela pienamente.

“Bene,cominciamo”

Iniziò la sua ricerca dalla cucina dove trovò Rufy senza alcuno sforzo; nel cercare un nascondiglio si era lasciato incantare dalla visione di quella enorme scatola metallica quale era il frigorifero, contenente chili e chili di carne che il suo stomaco rumorosamente bramava. I crampi allo stomaco erano stati più che sufficienti a fargli dimenticare che doveva nascondersi se non voleva farsi trovare immediatamente.

“Uffa, ma come si apre?”

Seduto davanti al frigo con le gambe e le braccia incrociate, cercava di capire come funzionasse quell’aggeggio; eppure con quello vecchio bastava afferrare la maniglia e si apriva senza alcuno sforzo ma Sanji, stufo dei suoi continui furti lo aveva cambiato con un modello nuovo. Smise di rimuginare soltanto quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla

“Tana per Rufy” gli sorrise Sayuri “Che cosa stai facendo?”
“Yucci-chan, giusto in tempo :mi devi aiutare!” squittì. Si era completamente scordato del gioco “Sto morendo di fame ma non riesco ad aprire il frigorifero. Ci sono questi numeri che non capisco a cosa servono...”

Una rapida occhiata bastò a far intender che i numeri a cui alludeva Rufy facevano parte di una tastiera posta di fianco alla maniglia del frigorifero: solamente inserendo il giusto codice, scelto dal proprietario, si poteva avere accesso a quanto la scatola conteneva e avendo avuto modo di osservare in prima persona la voracità del fratellino di Ace, non bisognava essere un genio per capire cosa avesse spinto Sanji a scegliere un modello del genere: dato il cervello grande quanto una noce del ragazzo di gomma, una combinazione otteneva lo stesso effetto di un lucchetto di algamatolite e ciò impediva a quest’ultimo di spazzolare tutti i rifornimenti in meno di due giornate.

“Aiutami Yucci-chan!” la supplicò.
“Vorrei ma non penso sia una buona idea. Sanji si arrabbierebbe con te”
“Ma io ho fame! Per favore Yuc...”

SDONG!

La provvidenziale padellata infertagli dal cuoco fece cessare ogni suo lamento.

“Razza di pozzo senza fondo!! Come osi approfittare della gentilezza della dolcissima Yu-chwan?!” gli ringhiò prendendolo per la camicia esattamente come aveva fatto Nami al ristorante.
“Ma Sanji..”
“Niente ma! Adesso esci prima che...”
“Per favore Sanji, aspetta” lo fermò Sayuri.
“Siiiiiiii, Yu-chwan? Come posso esserti utile?” domandò con tono esageratamente smielato.

Era davvero impressionante la velocità con cui cambiava atteggiamento; il cuoco aveva le sue ragioni per tenere lontano Rufy dal suo beneamato frigorifero, tuttavia essendo nuova non riusciva a vedere la reale entità dei danni che quel ragazzino avrebbe potuto combinare se soltanto avesse avuto libero accesso al mezzo. Un’idea in generale poteva farsela perché Ace le aveva parlato tantissime volte del suo fratellino e di quanto amasse fare di testa sua, esattamente come lui ma con più sconsideratezza, però in quel momento non voleva che Rufy venisse punito perché, se rifletteva attentamente, lei prima aveva interrotto il suo pranzo che a causa di motivi successivi non era riuscito a terminare.

“Allora Yu-chawn? Cosa può fare il tuo Sanji per te?” gongolò lui.
“Se non ti pesa, vorrei che preparassi qualcosa per Rufy. L’ho interrotto mentre pranzava, per questo stava cercando di aprire il frigorifero. E’ colpa mia quindi per favore, se non ti è di disturbo, potresti saziare il suo appetito?”

Dal canto suo il ragazzo di gomma stava già saltellando per tutta la cucina come se avesse appena sbarcato su una nuova isola da esplorare. Dentro di sé la pirata sperava di non aver approfittato troppo della disponibilità del cuoco ma quanto aveva visto era sempre ben disposto ad esaudire le richieste delle ragazze e a giudicare da come l’occhio gli si gonfiò fino a diventare un cuoricino, prese coscienza che la sua richiesta era stata accettata.

“Un uomo che si rispetti non può dire di no a una fanciulla così bella. Per te mia splendida Yu-chwan, farò un eccezione” le rispose “E tu vedi di esserle riconoscente!!” aggiunse tornando ad essere inflessibile.

Rufy era troppo felice per starlo a sentire.

“Ti ringrazio Sanji” e come sempre lei sfoggiò il suo bel sorriso.
“Che angelo!!!” e crollò nuovamente a terra, seppellito dai suoi stessi cuoricini.
“Sanji? E' tutto a posto?”

Doveva essere abituata a fatti del genere visto che il suo comandante ogni tre per due cadeva a terra addormentato senza neppure accorgersene ma era più forte di lei preoccuparsi quando le persone si comportavano come se fossero sull’orlo dell’infarto.

“Sanji..? Stai bene?” ripetè.
“Certo che si!!” e turbinò immediatamente ai fornelli.
“Shishishi, grazie Yucci-chan” le bisbigliò Rufy.
“Di nulla, è stato un piacere”

 


La palestra-vedetta era stato il primo locale che Chopper aveva pensato come nascondiglio ed era lì che si era rifugiato nonostante Zoro la stesse occupando per potersi allenare: era risaputo che la vedetta era la sua seconda stanza, creata per lui in modo tale che svolgesse il suo ruolo senza interrompere quello che faceva tutto il santo giorno, a parte dormire come fosse un orso in pieno letargo.

Non devo farmi trovare. Se mi trova non avrò scampo e mi mangerà!  Pensò nel tenersi il prezioso cappello con le zampine tremolanti.

Oltre ad essere molto timido, il dottore della ciurma era un credulone di prima categoria e Usop, per l'appunto un bugiardo di prima categoria, ne approfittava quasi sempre: poco prima che Rufy facesse ritorno alla Sunny, Nami aveva avvisato tramite un lumacofono che avrebbero avuto un ospite che a quanto pare era amica di Ace. Inizialmente ne era stato felice mai poi il nasone l’aveva preso in disparte e lì gli aveva confessato che in realtà quella era una strega cattivissima che adorava mangiare animali piccoli e teneri proprio come lui. Quando gli aveva sorriso e porto la mano aveva creduto che volesse fargli un incantesimo e subito si era andato a nascondere. Come era possibile che tutti gli altri si fossero lasciati abbindolare così facilmente? Probabilmente doveva aver già stregato la maggior parte di loro senza che se ne accorgessero, pensò mentre si rannicchiava dietro ai pesi che gli fungevano da muro. Certo, però lui di streghe non ne aveva mai viste ora che ci pensava bene e poi quella ragazza era molto carina, aveva un bel sorriso, per non parlare del suo profumo, dolce come la vaniglia....

No! no, no, no, non devo farmi incantare! Sicuramente avrà usato dei sortilegi per nascondere la sua vera natura ma io non mi farò mettere in un pentolone, no no!

“Io non mi farò mangiare!” esclamò slargando le pelose zampette.

 Senza accorgersene era saltato in piedi urlando, facendo cadere così tutti i pesi che lo mimetizzavano con la palestra.

“Insomma Chopper, vedi di fare più attenzione” lo rimproverò lo spadaccino continuando a compiere flessioni sugli indici.
“Scusami Zoro”
“Oh, eccoti qua”

Al riconoscere quella voce, la piccola renna compì un salto di due metri per poi atterrare vicino al muro. Nemmeno si era accorto che la strega gli fosse arrivata alle spalle

“Perdonami piccolino, non volevo spaventarti così tanto” si scusò lei.
“N-Non riuscirai a incantarmi!” balbettò sulla difensiva.

Cercò di arretrare ma era già al limite dello spazio consentito.

“Zoro presto, mandala via! E' una strega e mi vuole mangiare!” esclamò agitando le braccine pelose.
“Come dici? Una strega?”
“Non farci caso” borbottò lui mentre faceva lavorare i suoi muscoli “Chopper crede a tutto quello che Usop gli racconta”
“Oh, adesso mi è tutto più chiaro”

Questo spiegava perché fosse scappato via durante le presentazioni e quando si era avvicinata per giocare con lui e gli altri. Quando poi tornò a guardarlo, questo tentò di raschiare ancor di più il muro, sempre convinto che volesse farlo diventare il suo spuntino di mezzanotte.

“Ti faccio così tanta paura?” gli domandò sorridendogli per nulla offesa dal suo comportamento.

Gli si inginocchiò a poco più di un metro. Era proprio un animaletto davvero tenero; con quel nasino blu poi avrebbe fatto sicuramente impazzire tutto il reparto infermieristico ma al momento il suo desiderio non era farlo conoscere a tutte le infermiere della Moby Dick ma soltanto provare a fare amicizia con quel piccolo esserino peloso dai grandi occhi tondi.

“Hai ragione a dubitare di me: ho sentito dire che le streghe sono creature orripilanti che per nascondere la loro bruttezza si mimetizzano da giovani ragazze per riuscire a catturare le loro prede” gli raccontò

E intanto Chopper continuava ostinatamente a tentare di sfondare il muro con il solo uso degli zoccoli. Zoro era così preso ad allenarsi che neppure stava ascoltando la conversazione; la piccola renna era sola contro quella strega e anche se lei gli stava dando ragione niente sarebbe riuscito a farlo saltare di sua volontà nel sacco, anche se dentro dì sé un pochino si stava lasciando influenzare da quel sorriso che in qualche modo catturava l’attenzione.

“Se può rassicurarti però, posso confessarti un segreto che pochi conoscono” riprese alzando l’indice. Chopper si mostrò curioso “Alcune streghe preferiscono mangiare il pesce che la carne. A quanto pare quell’alimento provoca una strana orticaria”
“E tu....e tu che tipo di strega sei?” balbettò con minore tremore.

Sayuri addolcì ancor di più il suo viso. Almeno era riuscito a strappargli qualche parola che non fosse un grido spaventato.

“In verità non ne ho idea anche perché se devo essere sincera, sono sicura di non essere una strega”

 


Nel frattempo nello studio…

“Però, come cartografa non se la cava male” mormorò Nami ”Ha raccolto informazioni di ogni genere, tutte pertinenti ai posti che ha visitato. Vediamo che cos’altro ha..” sogghignò nel rovistare nello zaino che Sayuri aveva lasciato lì.
“E' proprio vero che il lupo perde il pelo ma non il vizio" le si affiancò Robin.
“Non sto facendo nulla di male” replicò la rossa difendendosi “Voglio solo confrontare i suoi lavori con i miei, non glieli rubo mica”

La curiosità della Gatta Ladra non aveva saputo resistere alla tentazione di vedere coi propri occhi tutto quel bel materiale contenuto nei quaderni di Sayuri; sfogliava le pagine con occhi luccicanti e passava da un’informazione all’altra con l’entusiasmo che rischiava di farle scoppiare le vene. Ovviamente lei si reputava una cartografa di primo ordine ma il suo ego non era così esageratamente grande da non farle riconoscere la bravura della nuova amica. Tuttavia, il non approfittare di quella fruttuosa possibilità sarebbe stato da stupidi visto che appunti del genere potevano evitarle un mucchio di grane da parte della Marina.

Toc-toc!

“Robin? Nami? Scusate se vi disturbo..” dalla porta dello studio fece capolino la testa della castana.
“Sayuri, giusto a te stavo pensando!” squittì la rossa trascinandola  dentro.
“Davvero? Scusa, come mai il mio zaino è aperto?”
“Non ha resistito alla tentazione di vedere i tuoi lavori” le svelò l’archeologa sedendosi e riprendendo a leggere il suo libro.
“Oh, capisco...e ti occorre qualcosa?”

Il fatto che un’altra navigatrice avesse curiosato fra il suo materiale senza esplicito permesso pareva non toccarla minimamente. Benchè il soprannome di Nami dicesse tutto, Sayuri era convinta che in quell’occasione la Gatta ladra non stesse sfoderando le sue arti arraffanti; per quanto le riguardava poteva guardare quel che più le interessava e anche se mai avesse sottratto qualcosa, non l’avrebbe tenuto in mano abbastanza a lungo da poterlo leggere.

“Mi dispiace, so che avrei dovuto chiedere il tuo permesso ma visto che sei qui che ne diresti di fare uno scambio?”
“Uno scambio? E di che genere?”
“Di materiale nautico!” rispose immediatamente lei poggiando le mani sui fianchi “Te lo dirò con parole semplici: parte del tuo materiale mi interessa e sono disposta a proporti un equo baratto.”

I suoi occhi stralodavano di sfida. Il suo olfatto aveva fiutato un’occasione irripetibile: da quanto aveva potuto osservare i materiali raccolti riguardavano quasi tutte le potenziali isole su cui sarebbero potuti sbarcare e data la situazione e il numero di marine in circolazione su alcune di queste, non sarebbe stato affatto male avere pronto un piano d’azione che permettesse a tutti loro di svignarsela senza dare troppo nell’occhio. Per quanto le riguardava. la castana non voleva declinare ancora una volta l’invito della rossa ma aveva impiegato una buona mezz’ora a convincere il tenero Chopper che lei non era una strega come pensava e solo dopo che questo l’aveva squadrata da capo a piede, annusata per essere sicuro che non stesse comprendo il suo odore con un profumo dolce, si era finalmente deciso a darle la zampa.

Spero che Usop e il signor Brook portino un altro po’ di pazienza.
"D’accordo Nami, ma se non è chiedere troppo, vorrei risolvere la questione velocemente” disse poi.
“Tranquilla, sarà una cosa rapida” e sbattè sul tavolo un mazzo di carte estratte dalla minigonna “Dimmi, hai mai giocato a Poker?”

Quindici minuti dopo....

“Ho vinto”
“Cosa?! Ma non è possibile!!!”

Nami si era sempre reputata un abile giocatrice. Durante quei otto anni passati al servizio di Arlong non soltanto aveva imparato a ripulire le stive delle navi dei pirati ma si era specializzata anche in giocate legali che le avevano sempre garantito vincite altissime. I ricconi andavano in giro con tasche troppo piene e per lei era facilissimo abbindolarli e questo grazie al suo bel visino ma ovviamente quando l’affare si faceva difficoltoso e l’avversario era più coriaceo del solito, allora bisognava rendere il tutto più interessante e l’unico modo era quello di alzare la posta e dunque rischiare qualcosa. Dopo tanta esperienza sul campo non sapeva quante vincite avesse incassato ma quando si parlava di perdite, quelle le poteva contare benissimo sulle dita perché si trattavano di avvenimenti praticamente quasi inesistenti. Quando aveva proposto alla castana la sfida, aveva deciso per pura bontà del suo cuore - e qui Zoro avrebbe ribadito qualcosa - che ci sarebbe andata leggera, giusto per non darle una cattiva impressione come persona ma anche se si fosse di impegno si dall’inizio la situazione non sarebbe stata in alcun modo diversa.

“Ancora una volta!”
“Nami per favore, possiamo fermarci qua?”

La rossa non si degnò neppure di ascoltarla e mischiò le carte con foga disumana. Su venti giocate la cartografa di Cappello di Paglia ne aveva perse venti ed era già tanto se alle prime tre il mare non si fosse prosciugato.

“Avanti Nami, lasciala andare. Non puoi tenerla qui tutto il giorno” le venne in aiuto Robin.
“Invece si! Devo riprendermi quanto mi è stato tolto!”

Che equivaleva a undici cartine e due cesti dei suoi meravigliosi mandarini.

“Se si tratta della vincita ti restituisco tutto. Non ne ho bisogno”

Inutile, era come se stesse parlando al vento: e dire che a lei non aveva mai apprezzato il gioco d’azzardo ma da buona osservatrice quale era, osservare alcuni suoi compagni era una cosa totalmente naturale; lei poi, si era limitata a guardare e a imparare le regole ammirando Don e lui si che sapeva lasciare in mutande tutti quanti. Per il medico-cecchino svuotare le tasche dei suoi compagni era facile come ricaricare il suo adorato fucile ma non era il caso di sorvolare su certi pensieri visto che stando semplicemente ad osservare il maestro per l’eccellenza - come osava definirsi per l’appunto l’amico - era riuscita a guadagnarsi l’odio di Nami. E intanto l'archeologa continuava a leggere col sorriso sulle labbra.

Avrei fatto bene a non accettare. Sospirò mentalmente.

E prese le carte datele.

 


Uh uh! Non c’è che dire, sono un genio!

Anni di onorata e inviolata imbattibilità nell’arte del nascondersi erano sempre molto utili quando non ci si voleva far trovare e Usop poteva ritenersi il migliore in fatto scomparire nel nulla: questa volta mi sono superato, si ripeteva tutto orgoglioso. Dentro di sé saltellava e rideva, ultra sicuro che Sayuri non l’avrebbe mai trovato nonostante fosse in bella vista: tra tutti i posti possibili e inimmaginabili, nessuno avrebbe mai sospettato che si fosse travestito da corallo gigante appositamente per mimetizzarsi alla perfezione tra i pesci dell’acquario. Grazie alla bombola d’ossigeno e al boccaglio - anch’esso mimetizzato - poteva starsene comodamente seduto sul fondo della vasca per tre ore abbondanti. Si sarebbe dato una pacca sulla spalla volentieri ma ogni movimento doveva essere rimandato a fine partita: Rufy e Chopper sotto ogni possibile previsione dovevano essere già stati trovati, su Brook non ne era certo dato che uno scheletro alto e sottile poteva infilarsi dappertutto, comunque sia, lui doveva solamente aspettare.

Questo è il miglior travestimento che abbia mai costruito; potrei brevettarlo in...eh?

Così preso a gongolare che non si accorse dello sguardo stranito di un polipetto rosso. Quasi gli sfuggì il boccaglio per lo spavento ma fortunatamente Sayuri non era ancora nei paraggi quindi gli era andata bene. Tirò un sospiro mentale ma appena aprì gli occhi si ritrovò nuovamente quel polipetto davanti a sé, con il muso imbronciato e gonfio.

Che vuoi? Vattene, sciò, sciò!

Sperava che quanto avesse pensato venisse trasmesso tramite contatto visivo ma ormai l’essere dai piccoli e corti tentacoli l’aveva preso di mira per un motivo sconosciuto. Ostentare indifferenza. Fare finta di nulla. Ecco cosa doveva fare il Re dei Cecchini: ignorarlo. Se non ci faceva caso se ne sarebbe andato. Spostò le pupille giusto in tempo per vedere la ragazza aggirarsi dentro la sala e le socchiuse per maggior sicurezza. La seguì in tutti i suoi movimenti e quasi non appena questa si avvicinò alla porta per uscire, il suo cuore si preparò a compiere un triplo salto mortale con avvitamento carpiato; salto che mancò irrimediabilmente nell’istante in cui il polipetto tornò ad occupare la sua visuale insieme ad almeno altri dieci suoi compagni, tutti ben imbronciati. Usop sudò freddo: quelle guance così gonfie potevano significare una sola cosa....

No, No, No, No, No, No, No, No! Andate via, sparite! Mi rovin...

Improvvisamente tutto divenne nero: l’inchiostro dei polipetti lo investì come fuliggine nera, tanto che per lo spavento perse il boccaglio senza riuscire più a recuperarlo.

Fuori Sayuri era in procinto di uscire e solo nel sentire uno strano bussare ovattato si girò in direzione dell’acquario.

“Santo cielo, ma che cosa..?”

L’acqua cristallina era diventata densa e nera come il catrame ma quel che più la allarmò fu la figura con la faccia completamente schiacciata alla parete di vetro e che gradualmente stava venendo assalita da tutti i polipetti presenti nella vasca.

“Brpfggr!!!"
“Usop!”

 


Per tirarlo fuori aveva dovuto gettarsi anche lei nell’acquario e inevitabilmente ne era uscita completamente ricoperta di inchiostro. Aveva praticamente impiegato tutto il pomeriggio per scovare tre dei quattro membri dell’equipaggio nascosti e dato il piccolo incidente, ora la ricerca del signor Brook doveva essere rimandata ad un’altra partita. Le dispiaceva non aver terminato il gioco, in fondo si stava divertendo ma conciata in quel modo avrebbe finito per sporcare l’intera nave.

“Fortunatamente mi sono portata dietro altri vestiti” si disse fra sé e sé.

Era nel bagno delle ragazze e la vasca aspettava soltanto lei: l’acqua calda emetteva dei soffici sbuffi vaporosi che lentamente stavano creando una nebbiolina calda abbastanza da appannare i vetri delle finestre. Meglio così, almeno avrebbe evitato di vedersi allo specchio: il sentirsi i capelli appiccicaticci, la pelle e i propri abiti intrisi a tal punto da essere una cosa sola era più che sufficiente per farle desiderare un bagno. Robin poi era stata gentile a suggerirle di usare i sali che lei e Nami utilizzavano di tanto in tanto. Per eventuale sicurezza aveva chiesto alla più grande dato il precedente avuto con la quasi coetanea...

Se ne era andata a metà della ventiseiesima partita affermando chiaramente che non era interessata ne a proseguire, ne tanto meno ad accettare le sue vincite.

Mi auguro che non se la sia presa.

Sperava che Nami non le portasse rancore. Dopo la partita l’aveva rivista soltanto per sgridare e prendere a cazzotti Usop per il macello creato nella sala dell’acquario. Le scappò uno sbuffo divertito mentre si dirigeva all’armadio per prendere i sali: tra tutti i membri, sicuramente era lei a tenere le redini della nave. Non ne era certa ma la grinta mostrata le aveva dato quell’impressione. Nessuno era com’era, tutti lì erano davvero strani e per questo molto divertenti. Per qualche assurda ragione le veniva voglia di ridere sempre, come se stesse ascoltando battute così divertenti da farle venire il mal di pancia. L’atmosfera era allegra ma c’era qualcosa che la invogliava a....incredibile, non aveva idea di che cosa stesse pensando.Una nave è come una casa, l’equipaggio come una famiglia, pensò con occhi socchiusi.
Lei sulla Moby Dick aveva tutto quello che sempre, dentro di sé, aveva desiderato possedere: qualcuno che le sorridesse, le dicesse grazie..degli amici. Qualcuno per cui valesse la pena combattere con tutte le proprie forze. Li adorava i suoi fratelli così come rispettava suo padre e amava Ace. Con loro era felice ma lì, su quel brigantino, non riusciva a smettere di sorridere e anche se appariva sempre calma e ponderata, dentro di sé moriva dalla voglia di lasciarsi andare fino a piangere.

Starai diventando pazza. Questa poteva essere la tipica risposta che Don gli avrebbe affibbiato.

Eh eh, è probabile. Gli avrebbe risposto lei.

Si privò degli abiti sporchi deponendoli in una cesta e si diede una veloce sciacquata sotto la doccia: un bagno coi sali andava goduto lentamente e non ci teneva a imbrattare la vasca di inchiostro. Con indosso soltanto un asciugamano, allungò la mano verso l’anta dell’armadio e l’aprì: le venne un colpo nel vedere uscire da prima la mano scheletrica, poi a seguire tutto il corpo del signor Brook.

“Yohohoho! Complimenti Sayuri-san, mi ha trovato!” esclamò alzando il cappellino posto in cima al suo preziosissimo afro “Perdonate l’intrusione ma vedete, stamane mi sono dimenticato di chiederglielo: non è che mi mostrerebbe le sue mutandine?”

 


Sul ponte nel frattempo....

“Brook! Andiamo, esci! Brook!”
“Aw! Avanti testa d’osso, fatti vedere!”

Rufy e Franky urlavano a squarciagola ininterrottamente sul ponte della Sunny da quasi mezz’ora: i loro vocioni erano così potenti che la cartografa e l’archeologa dovettero uscire dallo studio per vedere di persona cosa li spingesse a fare tanto chiasso ma ancor prima che potessero avvicinarsi e ricevere delle quanto meritate spiegazioni, sopraggiunsero Chopper, Usop e Zoro, contemporaneamente a Sanji che fino a quel momento era rimasto in cucina, impegnato a preparare la cena.

“Allora l’avete trovato?”
“No: abbiamo controllato nella mia officina, nelle nostre camere ma niente”
“Aw! Quello scheletro è un vero mago a eclissarsi!”
“E nel sottomarino Shark? nella Mini Merry II?”
“No, nessuna traccia”
“Ma insomma, qualcuno si degna di spiegarmi cosa sta succedendo?” sbottò irritata Nami.
“Non riusciamo più a trovare Brook” spiegò Chopper preoccupato “Siamo andati a cercarlo per dirgli che non giocavamo più, però non sappiamo dove sia”
“Avete controllato bene tutte le stanze?” domandò Robin.
“Si, due volte”

La cosa stava cominciando seriamente a impensierire tutti quanti tanto che la piccola renna temette seriamente che il musicista fosse caduto in mare e loro non se ne fossero accorti.

“Uh? E Yucci-chan dov’è?” solo in quel frangente Rufy notò la sua assenza.
“Dovrebbe essere in b..”

La navigatrice rimase con la bocca semiaperta e gli occhi immobili: il suo cervello aveva iniziato a riavvolgere quanto era successo fino a quel momento e nel fermarsi al momento delle presentazioni, realizzò che Brook, stranamente non aveva posto la domanda che sempre rivolgeva in presenza di una bella ragazza. C’era da preoccuparsi? Si, se la fanciulla era da sola e quello scheletro pervertito aveva fatto misteriosamente perdere le sue tracce.

“Ragazzi, avete controllato tutte le stanze? Anche il nostro bagno?” domandò riprendendo voce.
“Certo ma il vostro bagno no. Ci dici sempre di non entrare lì o nella camera tua e di Robin, per...”

Pian piano tutti realizzarono perché Nami si fosse impietrita e al tempo stesso inorridita. Le possibilità che incombesse una strage o quel che pervertito di Brook perdesse in un batter d’occhio la sua seconda vita erano alte quasi quanto l’irrefrenabile desiderio del cuoco di rasare a zero l’amato afro del musicista ma tutte furono vanificate dal momento che, una volta giunti nei pressi del bagno delle ragazze, trovarono il suddetto fuori dalla porta con la testa conficcata nel muro e il corpo ossuto che si agitava come un’anguilla.

“Yohohoho!” lo sentirono gracchiare dall’interno “La signorina picchia davvero duro!”
“Vuoi forse darle torto? In fondo te la sei cercata” ridacchiò l’archeologa.

 


Sayuri non era esattamente una persona che perdeva la pazienza velocemente, nemmeno se era provocata o schernita. La tranquillità era la sua forza ma come ogni buona donna si rispetti, reagiva se si veniva violata quella privacy che ogni essere femminile si riservava al fine di rilassare i muscoli ed eliminare pensieri pensanti per poterli sostituire a un dolce far niente: il signor Brook aveva esagerato e anche una estremamente paziente come lei si era vista alzare il pugno e dunque sbatterlo fuori dal bagno senza neppure sprecare qualche parola. La richiesta delle mutandine l’aveva fatta avvampare ma quella del togliersi l’asciugamano era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

Era la prima volta che colpiva qualcuno senza che si trattasse di un combattimento; se mai Don fosse stato presente, sicuramente le avrebbe rinfacciato che dopotutto non era così santa come dava a vedere ma durante quella serata tale pensiero non la sfiorò minimamente. L’avere lì un ospite per Rufy equivaleva a fare festa, specialmente se l’ospite era un amica del suo fratellone; fra un cosciotto di carne e l’altro, il ragazzo di gomma non faceva altro che assillare la castana che, sedutagli accanto sulla scalinata, rispondeva a tutte le domande: le chiedeva se Ace stesse bene, cosa stesse facendo..insomma, tutto quello che gli passava per la testa e ad ogni risposta che la ragazza gli dava, lui slargava gli occhi come per ampliare la sua felicità. Veniva sballottata in tutte le direzioni come fosse una bambola di pezza ma l’essere circondata da così tanta allegria non le dava stanchezza, anzi: era ancor più contenta.

Appena il capitano la lasciava respirare, Usop ne approfittava per raccontare le sue avventure e mentre lei rideva piano Chopper sgranava gli occhi e slargava la lingua credendo a quella parole come se fossero scritte. Franky con il suo ukulele si cimentava in canzoni improvvisate e dalle note stonate che spesso aumentavano di tonalità quando si venivano ad aggiungere al coro Cappello di Paglia, il Tenero Peluche, il Re dei Cecchini e il musicista che univa il suono del suo bel violino alla chitarra del carpentiere. Sanji roteava attorno al tavolo di Nami e Robin, servendole e riverendole come due regine e ogni tanto si allontanava per riempire di attenzioni anche Sayuri: inutile dire che tutte quelle smancerie venivano prontamente infrante quando Zoro, tra l’addormentato e lo sveglio, puntualmente ripeteva al cuoco quanto fosse idiota e tra un “Buzzurro” un “Cuoco dei miei stivali” seguiti poi da un “Testa di cactus” e un “Sopraciglio attorcigliato” alla fine la litigata sfociava in un combattimento del tutto privo di aggressività, ma sempre accesso da quello spirito competitivo che li animava.

Le ragazze erano forse le più tranquille di tutta la ciurma, in particolare la seconda. In fatto di calma e ponderatezza, Sayuri e Robin si assomigliavano ma per la rossa era stato molto facile far vacillare la nuova amica, un po’ per curiosità e un po’ di più per ripicca: il suo frugare nello zaino della castana aveva fatto saltare fuori una foto che la ritraeva insieme a Ace e ad altre due persone, Don e Bonz. L’occhio esperto della Gatta Ladra aveva subito adocchiato come il fratello maggiore di Rufy tenesse molto vicino a sé la giovane. Per il povero Bianco Giglio, sfuggire a quell’inquisitrice era stato impossibile e nonostante avesse dissimulato alla perfezione per i primi dieci minuti, quella si era talmente intestardita che alla fine era riuscita ad ottenere quello che voleva, ovvero un riassunto completo sui sentimenti che provava per Ace e il rapporto con lui.

 


A forza di andare avanti si era fatta notte e tutti quanti erano crollati ma riuscendo almeno a raggiungere le loro stanze. Doveva essere tardissimo perché la notte era così nera che soltanto la luna, adornata dalle piccole stelle, illuminava il mare, ammirandosi come se questo fosse un enorme specchio. C’è silenzio adesso, pensò Sayuri. Era tornata a sedersi sulle scalinate di legno visto che per qualche strana ragione il sonno non le era ancora venuto incontro e ora che poteva godere del beneficio della sua solitudine, fece scivolare i suoi occhi su ogni particolare di quel bel brigantino colorato che secondo quanto le era stato raccontato, avrebbe continuato a navigare in tutti gli oceani splendendo come il sole nonostante le minacciose tempeste. Una nave scintillante che neppure le acque più oscure avrebbe potuto spegnere perché ciò che la rendeva tanto luminosa era l’equipaggio con cui viaggiava insieme. Socchiuse gli occhi, increspando le sue labbra con un sorriso appena abbozzato: quello strano e buffo calore che provava all’altezza del cuore gli stava facendo il solletico alle corde vocali al fine di farla ridere ancora un’ultima volta. Le sfuggì una risata sospirante e questo allarmò chi, quatto quatto, stava cercando di entrare in cucina.

“Rufy?”

Come fosse appena stato colto sul fatto, il ragazzo di gomma si girò velocemente ma rilassò i muscoli ed espirò sollevato nel vedere chi fosse che l’aveva chiamato.

“Ciao Yucci-chan” sussurrò.
“Come mai sei ancora sveglio? Qualcosa non va?” domandò mantenendo il tono di voce basso.
“Ho fame e volevo andare in cucina a vedere se era rimasto qualcosa”
“Davvero hai ancora fame?” e dire che aveva finito di mangiare appena due ore prima “Eh eh, tu sei proprio insaziabile”
“Lo so! E tu cosa fai ancora sveglia?” domandò distogliendo gli occhi dalla porta.
“Io?” esitò, e poi ripiegò la testa si di un lato “...Non lo so. Immagino che sia per il sonno credo, non riesco ad addormentarmi”

L’aveva creduto sino a quell’istante ma non era così. La ragione per cui quel giorno non era riuscita a smettere di ridere, l’aveva capita alla fine. Era stato proprio Cappello di Paglia a mostrarglielo, anche senza esserne cosciente. Erano state le sue domande su Ace ad averle fatto comprendere che quel ragazzino era davvero affezionato al suo comandante così profondamente, che un tale legame non poteva essere minimamente paragonato a quello di sangue. Loro non erano veri e propri fratelli perché lei sapeva bene chi Ace fosse in realtà, però..lo erano ugualmente, lo erano nello spirito: si trattavano a vicenda come fossero parenti.

Tante volte il moro le aveva parlato di Rufy e lei si era accorta, sempre si era accorta, che quando parlava del suo fratellino gli occhi di lui si riempivano di stelle e sorrideva entusiasta e nel ricordare le parole di quella notte, quando era tornata alla Moby Dick, aveva ulteriormente compreso perché la vita di quel ragazzo di gomma fosse così importante per Ace: esattamente come si era comportata lei, a Rufy non era mai interessato realmente di chi il moro fosse figlio e questa indifferenza per la parentela aveva aiutato Ace a pensare diversamente sul suo ruolo in quel mondo. Era ingenuo, l’aveva realizzato fin da subito, istintivo, ma proprio perché non conosceva ideologie di cui gli adulti si servivano costantemente quasi fossero delle droghe, proprio perché voleva soltanto che lui gli fosse amico, che era riuscito appunto a farlo sorridere con tanta spensieratezza. Per lui tutto era risolvibile in poche parole, semplici e concise; le complessità non gli piacevano, le trovava inutili, senza alcuno uso perché non erano altro che fronzoli e drappelli con cui vestire una verità che forse non stava ne in cielo ne in terra.

Sono un po’ invidiosa di te, Ace. Ammise dentro di sé lei accentuando il sorriso.

Il fatto che a lei non le fosse importato chi fosse suo padre, era dovuto all’amore che provava per lui, a quanto nel profondo si assomigliassero e a che cosa avesse fatto per lei quella notte che ancora sentiva vicina. L’essere uscita con un pensiero del genere non aveva nulla di maligno: provava contentezza ma quando si era detta che un po’ era invidiosa del suo capitano non aveva mentito. Era sempre rimasta sola, nessuno voleva avere a che fare con la figlia di un pirata, non dopo quanto era accaduto prima della sua nascita. Non aveva amici, neppure sapeva cosa significasse quella parola. Quand’era giunta al culmine aveva desiderato di morire, aveva veramente pensato che se fosse morta quella donna almeno ne sarebbe stata felice. Ma era stata salvata e adesso stava viaggiando nel grande blu, al servizio di Barbabianca, accanto a una persona che la stimava e con tanti compagni con cui stare.

Non ho rimpianti, però sai Ace...
“Uh? Yucci-chan? Ti sei addormentata?”
..Anch’io avrei voluto avere un fratello o una sorella. No, anche solo un amico mi sarebbe andato benissimo.
“Yucci-chan? Mi senti?” il pirata le stava sventolando la mano davanti agli occhi.
Sono contenta che tu abbia Rufy. Posso immaginare cosa abbia fatto per te...
“Rufy” lo chiamò poi guardandolo con più attenzione “Grazie”
“Eh?” si grattò la testa senza capire ma subito slargò la sua bocca fino a contrarla in uno dei suoi sorrisi larghissimi “Non so cosa ho fatto ma se mi ringrazi allora non devo aver fatto nulla di male, shishishi!”
…E sono sicura che quando lo rincontreremo per la battaglia finale, non ti deluderà.

 


Il mezzogiorno del giorno dopo arrivò e per Sayuri era giunto il momento di tornare alla Moby Dick. La Sunny non aveva ancora attraccato al porto; era rimasta ferma appositamente per porgere il suo ultimo saluto alla ragazza.

“Vi ringrazio per la vostra premura nei miei confronti. Siete stati molto gentili ad ospitarmi per questa notte” e chinò il capo in segno di educazione.
“E’ stato un piacere anche per noi averti qui” la salutò Robin.
“Torna a trovarci presto. La prossima volta riuscirò a batterti senz’altro” affermò sicurissima Nami stringendole la mano.
“Ma devi proprio partire subito? Non puoi rimanere un altro pò?”

Chopper si era rattristato alla notizia: per gran parte della giornata aveva scambiato la ragazza per una strega che voleva trasformarlo in uno spezzatino e anche ad Usop dispiaceva, specie perché lei era rimasta ad ascoltare le sue frottole volentieri e per ricambiare, gli aveva raccontato di quando lei e Ace avevano avuto modo di incontrare Shanks il Rosso: non le era occorso molto per capire che tra il cecchino di Capello di Paglia e quello appartenente alla ciurma dell’imperatore, vi fosse un legame di sangue.

“Mi dispiace, ma mi stanno aspettando. La mia era soltanto una missione di ricognizione per raccogliere delle informazioni, ma non devi essere triste” e gli carezzò il cappello rosa “Se ti può far piacere, mi sono divertita molto a giocare a nascondino e appena se ne ripresenterà l’occasione giocheremo ancora”
“Davvero?” pigolò Chopper.
“Certo”
“Yohohoho! Allora avrò ancora modo di scoprire di che colore sono le sue mutandine” rise il musicista.
“Ma ti sembrano discorsi da fare???”

E venne sbattuto a terra da un doppio calcio sincronizzato inferto da Nami e Sanji.

“Avresti dovuto colpirlo più forte” disse Robin.
“E’ vero ma se lo avessi fatto probabilmente avrei rovinato il suo bell’afro” replicò la castana.
“Che tristezza!” mugugnò il cuoco raggomitolato nell’angolo con la depressione ad appesantirgli il cuore “E’ destino che gli angeli debbano tornare al paradiso. E io che mi ero illuso di poter godere della presenza di questa creatura così divina..” e iniziò a fare cerchiolini sull’erba.
“Imbecille..” borbottò Zoro.
“Come mi hai chiamato troglodita?!?”

Per evitare scene sconvenevoli, li lasciarono battibeccare in un angolo.

“Aw! Sorellina, ti ho sistemato la barca e irrobustito lo scafo, così viaggerai più sicura” si aggiunse Franky.
“Oh, ma non dovevi disturbarti...”
“Scherzi? Per un carpentiere super come il sottoscritto, migliorare qualsiasi mezzo che galleggi sull’acqua è un dovere, aw!” e unì gli avambracci in segno di vittoria.

Per quanto le sarebbe piaciuto intrattenersi anche solo dieci minuti in più, Sayuri sapeva che non era possibile. Era ora che tornasse dai suoi compagni che sicuramente la stavano aspettando. Con un piccolo salto, atterrò elegantemente sul suo piccolo battello monoposto, poggiando lo zaino vicino al timone.

“Yucci-chan!” le urlò Rufy dal parapetto “Salutami tanto il fratellone!!”
“Lo farò!” gli rispose sventolando il braccio “A presto!”

Si preparò a far partire la sua imbarcazione, quando, nel girarsi, notò un elemento nuovo che prima non vi era: sulla coda dello scafo c’era uno strano marchingegno fatto di tubi metallici e cuscinetti di gomma che aprivano un piccolissimo sportellino da cui si potevano vedere quattro bottiglie di coca-cola, fissate ad un gancio ed a una pompa. La parte superiore era costituita da tre piccoli caminetti sempre fatti di ferro, col tettuccio rosso. Che fosse stato Franky a installarglielo?”

“E questo?”

Sul piccolo pannello non vi era altro che un enorme e tondo bottone rosso su cui era scritto “ON”

“A che cosa servirà..” e intanto il suo indice si avvicinò pericolosamente a premerlo.

 


“Accidenti! Mi sono dimenticato di avvertire la sorellina del Motor-Cola numero quattro!” esclamò Franky mettendosi le mani nei capelli.
“Il che cosa? Ma non avevi soltanto rinforzato lo scafo di quel battello?” domandò Usop.
“Beh..” e abbassò gli occhi, grattandosi la guancia “Ho pensato che su un modello del genere si potesse installare qualcosa che le permettesse di andare più veloce, nel caso la sorellina fosse stata attaccata la Marina”
“E di che si tratta precisamente?”
“Aw! Di un autentico gioiellino!" esclamò "Si tratta di un mini motore a cola che può superare i 180 chilometri all’ora in meno di cinque minuti. Basta premere il bottone sul pannello e quel battello volerà via senza che quelli della Marina abbiano il tempo di accorgersene!” ridacchiò orgoglioso.
“Che forza!” esclamarono Rufy, Usop e Chopper insieme con occhi luccicanti.
“Che forza un corno!” strillò Nami “Una tua creazione su una barca così piccola è pericolosissima!”

Subito la navigatrice si sporse dal parapetto per avvertire l’amica ma il suo tentativo non portò ad alcun risultato, dato che in quel preciso momento, Sayuri aveva azionato il congegno di Franky: nel produrre strane nuvole color cola, la Flywind II cominciò a muoversi lentamente per poi schizzare via alla velocità della luce, verso il mare aperto, zigzagando a destra e a sinistra sino a diventare in pochissimi secondi un puntino invisibile. La navigatrice giurò di aver visto Sayuri attaccata alla poppa, nel disperato tentativo di risalire sulla imbarcazione.

“Dimmi che hai installato un bottone per fermare il motore” sussurrò Nami allibita.
“No. L’imbarcazione della sorellina si fermerà soltanto quando il combustibile sarà terminato. Diciamo fra un’oretta circa” fece il conto il cyborg.
“UN’ORA?!?” tuonò la rossa “Ma tu sei completamente matto!”
“Shishishi! Dai Nami non prendertela: ha detto che si fermerà!"

Il problema era se la castana sarebbe riuscita a resistere fino all'esaurimento del carburante cola.........



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Capitolo 38
*** Wintry Realm. ***


Eccomi qua,la pausa è finita!si torna in scena,contenti?spero di si!bene,possiamo dare il via alla terza parte di “giglio di picche”.Ora avviso tutti,perché non si creino problemi:non seguo più gli spoiler da un pezzo,quindi non ho idea di cosa stia capitando quindi se nel leggere dovreste trovare qualcosa di non itinerante alla trama di Oda è perché non ho seguito e non seguo la traccia dell’autore,la storia segue la mia linea che personalizzerò ancor di più in molti ambiti.Avverto da ora in caso saltino fuori parti strane.Molto bene,bando alle ciance e iniziamo.Ah,giusto prima devo pur ringraziare chi mi ha scritto!

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foreverme96:Ma ciao!un nuovo arrivata!mi fa piacere che la mia fict sia la prima di One piece che ti è capitata fra le mani e che sia da te molto apprezzata.Si,si Ace si è innamorato di una persona gentile,educata ma credimi quando combatte sa come imporsi sull’avversario e presto lo potrai vedere coi tuoi stessi occhi visto che questa terza parte sarà molto movimentata(ok,non subito ma l’azione non mancherà,garantisco,sperando di non dover fare altre pause per rifornirmi.Essendo poi un’universitaria il tempo è quello che è anche se sono in vacanza ma farò del mio meglio e visto che sei nuova avviso subito che io aggiorno tutti i mercoledì,prima delle diciannove trovi il capitolo nuovo,garantito!).Già mi fai i complimenti perché sono brava ma credimi qualche errore ortografico mi scappa sempre ma sei comunque la benvenuta,grazie mille!

giulio91:e son tornata,e son tornata...eccomi qua,visto?ho trovato il modo di staccare senza trascinarmi dietro arrabbiature o sbuffi!il progetto l’avevo già in mente da tempo ma l’avevo scritto solo per un quarto quindi ho dovuto fare tutto nel giro di quattro giorni,tra studio e tutto ma se a tuo giudizio è bellissimo (giudizio ben accettato!)allora posso ritenermi più che soddisfatta.Ora spero che con il seguito le cose rimangano come prima,cioè,spero di non aver perso il mio smalto perché è una parte complicata piena di tante cose e mi auguro di non deludere nessuno di voi!al solito,i complimenti mi esortano a danzare come una cretina in tondo alla stanza!

yuki689:yu...yu...yuki-chaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaannnnnnnnnnn!!!!!!!!!!!!(l’abbraccia fino a soffocarla).Whaaahh,che bello mi hai scritto,sono così felice che potrei spiccare il volo!nonostante i tuoi impegni mi hai lasciato delle recensioni,ti adoro,sei un amore!!allora,vedo che hai avuto modo di vedere Ace che cerca di fare lo scalpo a Barbabianca,Satch che ci prova con Sayuri,lei che con un colpo da maestro fa ragionare Ace e di come il biondino guastafeste sia riuscito ad accaparrarsi per due settimane Yu-chan.Eh lo so,visto così Satch non sembra tanto simpatico ma vedrai,in fondo è buono (un po’ guastafeste ma buono),quindi rinfodera l’arco tesoro.Diciamo che gli piace vedere quanto Ace si incavola quando qualcuno che non è lui osa avvicinarsi quel tantino di troppo alla sua Yu-chan.Tu sei arrivata fin qui ma non temere,quando andrai avanti capirai tante cose,se ti anticipo tutto ti rovinerei la sorpresa di parti che per essere capite vanno lette e comunque a consolarlo ci penso io,nemmeno io te lo cedo facilmente Ace,no,no!entrambi sanno mettersi alle strette e in particolare mi è piaciuto adottare questa tecnica nel 29.Quatta quatta Yu-chan ha aspettato il momento deciso e bang!ha raffreddato i bollenti spiriti che stavano surriscaldando il cervellino del moro e lui per ripicca l’ha fatta arrossire perché sa che così la mette in imbarazzo e lui ci gode a vederla così!spero di sentirti presto cara,mi troverai qui o su virgilio o ancora su deviantart!

maya90:carissimaaaaa!!sei tornata anche tu dall’oltretomba,è da una vita che non ti si vede più!!!!!ho voglia di stritolare anche te,ma per la felicità si intende!!!come ti ho promesso ho scritto il capitolo che tanto attendevi e ho provato una gioia immensa nel sapere che ti è piaciuto,in effetti ci ho lavorato un po’ e sono ancor più felice che tu abbia apprezzato il Satch che ho creato.Per partorire quella frase sono rimasta sveglia diverse notti,stessa cosa per i siparietti di Don e Maya,la tua omonima:entrambi meritano scontri degni dei loro cervelli,non potevo farli sfigurare!è inutile che ti dica che ho versato lacrime,sudore e sangue per fare del 34 e del 35 i miei due capolavori (ok,forse qualche errore ortografico anche qui mi è scappato) ma dopo il 14 e il 15 morivo dalla voglia di metterli perché,insomma era quello che aspettavano tutti!e la frase poi che mi hai citato è una delle mie preferite.La mamma può dire di essere orgogliosa e lo è ancora di più se il suo lavoro è apprezzato!non preoccuparti per la tua fict,non sarò di certo io a venire a casa tua per picchiarti ma fossi in te uscirei con in mano uno spray al peperoncino.Non si sa mai,c’è sempre qualcuno in agguato…

Valy1090:ci sei anche tu,non ci credo!va beh,lo sapevo già perché ci sentiamo ma anche qui non posso non dirti grazie per apprezzare la mia storia!purtroppo ti avviso che l’adorata barchettina di Yu-chan,la flywind si trova già nel cimitero delle navi,l’unico piccolo svantaggio dell’essere trascinata via da un semi-sconosciuto alto 1.85,affascinante e con un sorriso da canaglia….(anche io voglio essere trascinata via da Ace!al diavolo la barca!).Si,la mia Yu-chan è semplice,dolce,gentile,un fiore sceso dal cielo…(cacchio forse l’ho fatta troppo carina!.....nah!) ma lasciò a te il giudizio completo,non so se l’hai letta tutta o gran parte,ma comunque non ti svelo nulla che puoi già trovare postato.Un motivo per cui sia così forte dovrà pur esserci no?e io intanto continuerò a curiosare la tua “Belle rose”per conoscere gli sviluppi della stratega e di quel cuoco che a perdifiato corre lungo il sentiero dell’amore dove al traguardo c’è una fanciulla che aspetta solo lui (corri Sanji,corri!)

happylight:ciao stellina,come vanno le vacanze?mi auguro bene.Un incontro ravvicinato coi mugiwara era doveroso;in realtà volevo metterlo alla fine della fict,come extra ma visto che poi per necessità ho dovuto stoppare,l’ho piazzato qui e ho fatto felici tutti (spero..)comunque,il Yucci-chan di Rufy è stato un mio colpo dell’ultimo minuto.La particina di Chopper è stata la più bella da creare perché quella renna è troppo credulona e volevo dargli una parte di merito e.La mia povera Yu-chan attaccata alla barchetta potenziata da Franky col motor-cola numero 4 (altro lampo di genio emerso all’ultimo) ha dovuto aspettare che il carburante si esaurisse ma non c’è da preoccuparsi,si è salvata,nessun schianto contro gli scogli!

Huntergiada:ehilà,sono qui!per affrontare i mugiwara in tutta le loro stramberie ne ce vuole,si sa:Brook poi,ritrovarselo nell’armadio del bagno non è esattamente la cosa più bella e rincuorante del mondo.Sayuri si è semplicemente difesa:l’ha preso e in tutta la sua regalità l’ha buttato fuori da bagno.Rufy ha storpiato il suo nome,come fa sempre con tutti,mi sovviene adesso la signorina Hancock,ma è una cosa normale per uno come lui,come entrare a tutta velocità in un locale rischiando di investire chi cerca di passare (poveri Smoker e Ace!il primo si è beccato una testata sulla colonna vertebrale ma ad Ace è arrivato addosso il commodoro e tutta la serie di muri oltre quello del ristorante).Non preoccuparti,Sayuri si è salvata:ha dovuto aspettare che il carburante finisse dato che se soltanto provava a muoversi rischiava di rimanere in mezzo all’oceano per chissà quanto.

Sachi Mitsuki:amorino mio!!!!!bere la coca cola?è un’idea ma penso che la priorità di Yu-chan in quel momento sia stata tenersi ben incollata alla barca(ah,per l’esattezza,ha dovuto aspettare che il carburante finisse).Cara,ma io non mi sono arrabbiata con te perché sbagliavi a pronunciare il nome della mia pupilla,la mia è stata solo una pura e semplicissima osservazione.E poi Rufy storpia in continuazione i nomi della gente,ma lui è fatto così!tanto poi Sayuri ha la pazienza di duecento santi e passa,quindi prima che si alteri il mondo sarà bello che terminato!Si,è vero non si è parlato del fatto che lei e Ace siano fidanzati ma conoscendo la mentalità di cappello di paglia dubito che riuscirebbe a capire cosa significhi essere fidanzati,se ne uscirebbe con “è qualcosa che si mangia?” e poi,anche se indirettamente,ci ha pensato Nami ha chiederle il tutto(spiona,non si fruga nella borsa degli altri!).Sono contenta che poi ti sia piaciuto Chopper,volevo da tempo avere l’occasione di fare qualcosina su di lui.

angela90:ciao carissima,passato bene le tue due settimane di vacanze?si,possiamo dire,ma senza troppa certezza che Don in un modo tutto suo ha un lato ten…ha un lato buono,ecco diciamolo così.La tua felicità nel vedere Zoro ha forato il mio schermo,non sapevo fossi una sua fan sfegatata,buona a sapersi.A Rufy dovevo riservare un'entrata in scena che rispecchiasse tutto il suo carattere.Il giocare nascondino è stato un modo per unire quella parte di infanzia mai provata a un’escursione sulla Sunny,allegandola anche al conoscere meglio i membri della ciurma.Ho cercato di inserire tutti in modo eguale e se ha fatto ridere tutti questo capitolo penso di aver ben centrato l’obbiettivo.Essendo poi un capitolo preparato in poco tempo ne sono soddisfatta:un quarto era già scritto ma il resto…….beh è stato un vero lavoraccio ma alla fine è andato tutto bene,e ora possiamo riprendere la storia da dove l’avevamo lasciata!  

 

Wintry Realm non era che un agglomerato di ghiacciai collegati a qualche piazzola vegetale che sopportava senza problemi il clima freddo e pungente che avvolgeva perennemente quelle terre trecentosessantacinque giorni all’anno. Il regno della Strega di Ghiaccio, così era conosciuto: un territorio freddo e inospitale dove nessuno metteva piede per svariati motivi, una perfetta tomba silenziosa dove tutto si conservava per secoli e secoli. Gli alti pineti centenari lasciavano che la resina prodotta dalle loro pigne unisse il suo profumo dolciastro a quello fresco e forte della menta selvatica che cresceva ai loro piedi, cosicchè animaletti pelosi come i topi delle tempesta uscissero dalle loro tane per deliziarsi di quel miscuglio olfattivo; i colli di soffice neve si alternavano a monumenti naturali creatisi nel ghiaccio, duro e trasparente che rifletteva l’aurora boreale nei suoi tanti specchi lucidi quasi volesse catturarne l’essenza e quei coloro cangianti che formavano l’arcobaleno notturno.

Erano terre selvagge, libere e imprevedibili, proprio come Whitey Bay, la loro signora: non era insolito che Barbabianca solesse sostare dagli alleati per qualche tempo se i territori di loro dominio si trovavano sulla sua rotta e Wintry Realm era un paradiso dove nessun’altro pazzo si sarebbe addentrato. Al di fuori di alleati o compagni di ciurma, la strega scacciava i malvoluti a suon di palle di cannone, più che sufficienti a sfondare i rivestimenti delle navi e farle colare a picco in quella acque gelide e pesanti che non davano spazio neppure a mezzo respiro umano. Al momento dell’approdo era quasi mezzogiorno e il termometro locale segnava i meno dieci gradi sotto zero, che per chi era abituato a vivere in posti come quelli significava che la temperatura era piacevole, quasi calda, ma per chi per la gran parte dell’anno aveva navigato in zone temperate, quel brusco abbassamento non significava altro che un ulteriore imbottitura delle proprie vesti invernali.

“E...E...ETCIUUUU!!”

Il clima rigido aveva già sortito il suo effetto sul povero Bonz, in preda di starnuti violenti. Nonostante portasse vestiti doppi, pesanti e addirittura della sua taglia, il viso paffuto e roseo del povero cuoco-cannoniere stava già diventando bluastro con tanto di labbra viole e occhi lacrimanti.

“ETCIUUU!! I-I-Io odio il f-f-f-f-freddo” balbetto tra i denti.

Il concerto di starnuti da lui gestito aveva preso vita sin dal primo passo messo fuori dalla sala da pranzo e da quel momento non aveva più smesso.

“Cerca di resistere, Bonz” gli fece coraggio Sayuri passandogli quanti più fazzoletti si era portata dietro per aiutare l’amico.
“Si e vedi anche di controllare i tuoi starnuti prima di scaricarci addosso i tuoi germi e i ghiacciai del posto” aggiunse Don calcandosi meglio il berretto di lana in testa.
“M-M-M-Mi si sono g-g-g-ghiacciate anche l-l-le lenti degli o-o-oc...ETCIUU!!!”

Quel giorno il cielo era grigio, con chiazze lattee piuttosto sporche. Un cielo carico di neve, pensò Ace guardandolo attentamente prima di unirsi agli altri e dunque addentrarsi in un ghiacciaio dalla forma ricordante una torre piuttosto deforme, con punte e rami d’ogni dimensione; Vista faceva loro da guida per evitare che finissero in aree dove il pericolo di contrarre decine di asce era alto. Nessuno di loro ben comprese il perché di tutto quell’allarmismo ma il comandante della quinta flotta si limitò a ridacchiare tra i suoi baffoni rispondendo:

“Capirete appena vedrete chi comanda qui”

E non potendo fare altro, annuirono e continuarono a camminare guardandosi in giro. Addentrandosi nel ghiacciaio, scoprirono che l'interno era stato letteralmente scavato per potervi costruire e ospitare un ampio cantiere dove la nave della piratessa era ormeggiata proprio nel minuscolo lago che riempiva quasi tutto il centro del pavimento. Lì dentro faceva addirittura più freddo di fuori ma agli uomini di Whitey Bay e a Whitey Bay stessa ciò pareva non essere un problema rilevante. Nell’avanzare, Ace, Sayuri, Don e Bonz notarono oltre ai pirati che si muovevano come formiche sul poco pavimento, che un folto gruppo d’essi, la stragrande maggioranza, era intento a lavorare sulle pareti: appesi con dei ganci, penzolavano nei vuoto e stavano come imbottendo le mura ghiacciate  per poi coprire i buchi fatti il con una sostanza bianca che veniva spalmata con la stessa tecnica con cui si lavorava il cemento.

“Stanno rivestendo la caverna. Quando la temperatura sale i ghiacciai sono sempre i primi a risentirne e questo essendo molto grande ha bisogno di essere ben conservato visto che nasconde il cantiere della Strega di ghiaccio” spiegò Vista con gli occhi all’insù.
“Ero convinta che in territori come questi la temperatura rimanesse costante” mormorò Sayuri nel guardarsi in giro.
“Vero, ma il clima è imprevedibile e Whitey Bay è una persona che odia farsi trovare impreparata. Credetemi, sarebbero guai se qualcuno che non fosse lei riuscisse a mettere le mani sulla sua preziosa nave” garantì l’uomo.

Da quel poco che sapevano e che avevano sentito, la nave della piratessa era dotata di un marchingegno da lei stessa ideato, progettato e costruito, che aveva battezzato col nome di rompighiaccio: si trattava di una macchina posta sul muso della nave, dotata di tre artigli aventi la punta acuminata e spessa come il becco di un rapace adulto, capace di aprire un varco in pochi e sapienti minuti di lavoro. Dalla forma simile a quelle delle zampe di un granchio, questi scavavano nel ghiaccio, lo grattavano e infine lo distruggevano in tanti piccoli pezzettini. Era l’orgoglio di Whitey Bay, il suo massimo capolavoro di ingegneria e per questo diveniva incredibilmente suscettibile se si osava criticarlo o se persone non addette ai lavori posavano le loro sudice manacce dove non dovevano mettere neppure piede. Anche adesso stava urlando dietro ad alcuni curiosi, minacciandoli di sculacciare i loro fondoschiena con la sua spada se non ristabilivano una dovuta distanza.

“Insomma! Vedete di sparire, qui c’è gente che sta lavorando! Devo prendere a schiaffi quei vostri cervelli avvizziti per farvi comprendere il concetto di girare al largo da qui?! E voi, si può sapere quanto ci mette a costruire quelle impalcature?!? La lama destra del rompighiaccio urge un'immediata manutenzione e se pesco anche un solo granello di ruggine sul mio gioiello, vi garantisco che per il resto della settimana mangerete pesce surgelato!!!”

Urlava con moderata imperiosità, sufficiente a non doverle far ripetere il discordo due volte. Immediatamente i rimproverati si eclissarono prima che la donna avesse il tempo di rincarare la dose e i nuovi arrivati, ancora distanti dal suo raggio di cattura rimasero ammutoliti e zitti per evitare di non farsi sentire, non ancora. Non si era mai vista così tanta autorità, non da una donna pirata almeno e c’era da dire che il capitano in gonnella sapeva come gestire i propri uomini

“Per caso è la sorella della donna?” azzardò Don rompendo il silenzio troppo prolungato. Come sempre, con "Donna" intendeva Maya.
“No, però sono buone amiche” rispose Vista ridacchiando fra i baffi.
“Ma và, non l'avrei mai detto..” ironizzò a sottovoce.

Come se quell’assatanata dai capelli viola non bastasse a rendere la sua vita e il suo lavoro un inferno. Se mai il santo patrono dei pirati fosse esistito - insieme anche alle altre varie figurine sacre -, di certo una preghierina sul desiderio di non voler avere niente a che fare con un’altra isterica smaniosa di demolire il suo essere maschio non l'avrebbe risparmiata.

“Io batterei in ritirata prima che quella ci tiri addosso dei picconi” suggerì il medico-cecchino.
“Rilassati Don, basterà stare attenti a come le si parla” ne uscì Ace sorridente.
“E questi qui chi sono?!”

Don rischiò di ghiacciarsi la lingua per aver aperto la bocca inutilmente visto l’intromissione esterna.

Fulminea come pochi, la piratessa era scivolata via dalla postazione per pararsi davanti a loro, con le mani poggiate ai fianchi e un espressione infastidita e al coltempo molto impegnata. La Strega di Ghiaccio fissava quei nuovi volti con i suoi occhi verdastri mentre i lunghi capelli ondulati, di un forte castano rossiccio le contornavano quel viso dalle guance rosse per il freddo. Solitamente era calma, ragionevole ma quando si trovava nel suo cantiere esigeva che gli estranei si attenessero alle regole e questo mutava il suo carattere a tal punto da farla diventare irascibile e pungente come un porcospino. I suoi uomini ci avevano fatto l’abitudine e quindi sapevano dove rimanere e quanto potevano osare ma i nuovi rischiavano sempre di finire in acqua e di rimanerci per molto tempo se solo osavano introdurre una parola di troppo.

“Vista, chi sono questi? Lo sai che non mi piace essere disturbata mentre lavoro!” scattò lei inviperita.

L’interpellatto ridacchiò sotto quei baffi, portando la donna ad aggrottare il sopraciglio destro più in alto che potè.

“Nervosetta come sempre. Rilassati, questo è il comandante della seconda flotta” e indicò Ace “E quelli sono alcuni suoi compagni” alluse a Bonz, Don e Sayuri.
“Il comandante della seconda flotta, eh?” si avvicinò al muro e lo osservò con occhi stretti “Così tu sei il famoso Ace Pugno di Fuoco. Piacere, Whitey Bay” e alzò il cappello.
“Piacere mio” e a sua volta alzò il suo copricapo.
“S-S-S-S-Salve, i-i-io sono..B..B..B-Bonz!” pronunciato il nome si girò giusto in tempo per riprendere l’assolo di stranuti.
“Don” e lui non si degnò di alzare il fidato berretto di lana.
“Io sono Sayuri, lieta di conoscerla” si presentò con un lieve inchino “Il suo rompighiaccio è davvero impressionante”

Al sentire la parola “rompighiaccio” e “impressionante” insieme, la strega squadrò subito da capo a collo la ragazza con occhio guardingo.

 “In che senso, impressionante?” domandò poi.

Pose quella domanda con un tono che lasciava intendere che la risposta che la ragazza le avrebbe dato, in qualche modo avrebbe inciso ulteriormente sul suo carattere. Da come gli uomini fissavano entrambe, era evidente che la navigatrice aveva posto un affermazione che subito aveva fatto scattare il sensibilissimo allarme emotivo di Whitey Bay e che adesso la sua vita dipendeva unicamente dalla risposta che le avrebbe dato. I quattro e qualche altro passante, guardarono Sayuri poi Whitey Bay, poi ancora la castana e ancora la pirata dei ghiacci mentre la tensione fuoriusciva dal pavimento lustro su cui poggiavano.

“Ho detto impressionante perché non mi è mai capitato di vederne uno. E’ il primo rompighiaccio che vedo e se devo essere sincera non ero neppure convinta che simili macchinari esistessero, tutto qui” si spiegò meglio la ragazza.

Calò ancor più silenzio che crebbe ulteriormente con la figura della piratessa che misteriosamente si fece più grande a tal punto da coprire la giovane che le stava davanti.

Comincia a dire "Ciao, ciao" alla tua ragazza. Pensò Don scambiandosi uno sguardo d’intesa con Ace.

Non ci era voluto molto per capire che personcina fosse la Strega di Ghiaccio e già le menti dei presenti stavano creando velocemente possibili proiezioni di quel futuro così vicino e che poteva scatenare l’ennesima ramanzina. Tra tutte le possibili reazioni formulate, quella della donna superò e scartò di gran lunga quelle più probabili e conosciute....

“Come hai detto di chiamarti?”
“Sayuri”
“Molto bene, Sayuri” e le battè una pacca sulla spalla, sfoggiando un sorriso compiaciuto “Che ne diresti di vedere da vicino il mio rompighiaccio? Bada, ti concedo un simile onore perché è doveroso che tu conosca cosa sia realmente la mia splendida arma. Allora devi sapere che....”

Agguantata per il braccio la giovane, Whitey Bay si allontanò dai restanti quattro ignorandoli completamente. Aveva letteralmente sequestrato la ragazza dal gruppo ed era così presa a narrare come l’idea del rompighiaccio le fosse venuta in mente, che nemmeno udì le domande degli altri. Continuò per la sua strada, trascinando Sayuri come fosse sua amica da sempre. Vista nel cogliere quel leggero velo di incomprensione per la situazione, spiegò che se c’era una cosa che superava la personale manutenzione del suo rompighiaccio, era per l’appunto parlare per ore e ore di questo e di come tutta la sua storia aveva avuto inizio.

Aveva visto la ragazza come un libro nuovo dalle pagine bianche in attesa che qualcuno ci introducesse qualcosa di eclatante, meraviglioso e visto e considerato che la questione sarebbe andata avanti per molto, difficilmente avrebbero rivisto presto l’amica.

“Ok, ci siamo definitivamente giocati la navigatrice” sentenziò Don a parole.

 

 

La neve aveva ripreso a scendere. Ancora una volta. Quei singolari, soffici e freddi piumini fatti d’acqua e aria cadevano leggeri su Wintry Realm per adornarne il manto, rendendolo ancora più immacolato. A Oars la neve piaceva e da dove sedeva, poteva vederne in quantità industriali ma il freddo d’essa lo ricopriva esattamente come questa faceva con la terra. Non c’era una grotta abbastanza grande per lui, o un albero sufficientemente alto per ripararlo: lui era enorme, così enorme che solo le montagne più alte del posto potevano sfidarlo in altezza.
Enorme più del suo antenato, Ozu detto il Trascina-Isole. Quando la neve, la pioggia e il vento ululavano e picchiettavano sulla sua pelle, Oars percepiva soltanto dei lievi formicolii. Non gli dava fastidio il freddo, però man mano che si accumulava sulla sua testa, diventava fastidioso e si ritrovava a sbuffare e a togliere quel che si era depositato dovendo così interrompere la sua contemplazione. Lì a Wintry Realm amava sostare sulla collina più alta, laddove il mare per lui era paragonabile ad un enorme pozza d’acqua; anche adesso ammirava quest’ultimo con le ginocchia incrociate e le braccia nascoste nell’incavo che si creava tra le gambe. Forse se guardava con attenzione poteva addirittura vedere altre navi in lontananza, ma con quella neve che si divertiva a coprirgli gli occhi, difficilmente avrebbe potuto vedere così tanto lontano. E di ripari non ce ne erano...

“Ehi lassù!!! Mi senti?!?”

Un leggero fischio gli colpì le larghe orecchie coperte dai capelli color paglia. Sbattè le palpebre e quando lo udì di nuovo, gli parve che assomigliasse ad un ronzio, solo che al posto di quel rumore che solo gli insetti potevano emettere, questo conteneva parole umane. Guardò in basso ai propri fianchi e sulla destra ci trovò un omino che stava agitando le braccia al vento con lo scopo di far notare la sua presenza e lo osservò salire senza alcuna difficoltà sulla rupe più alta che c’era.

“Ciao!” esclamò Oars chinandosi appena “Anche a te piace guardare neve?”
“In un certo senso" gli rispose quello "Io sono Ace, tanto piacere” si presentò tenendo un tono di voce più alto del solito.
“Io Oars III” ricambiò il gigante.

Parlava biascicando, con voce rocca, mangiandosi di tanto in tanto le parole. Ace quasi credeva che gli stesse per venire addosso tanto si era avvicinato. A lui piaceva andare in avanscoperta in posti nuovi e quando aveva notato una montagna dalla testa umana si era subito incuriosito. La sua sorpresa nel vedere un gigante in carne e ossa era stata grande quanto quella creatura immensa; era la prima volta che incontrava una persona così possente - per non ripetersi - e per giunta alleato di Barbabianca, quindi il diventare amici fu una sorta di dovere piacevole. Parlarono di tante cose, suscitando l’uno le risate dell’altro ma nel conversare l‘attenzione di Pugno di Fuoco si era riversata più volte sui abiti leggeri e in particolare, sui cumuli di neve che si depositavano sulla testa spettinata e sulle braccia pelose del nuovo amico.

“Oars, non ti da fastidio la neve?” gli domandò ad un certo punto alludendo alla soffice coltre accumulatasi sulla sua testa.
“Uh? Ormai Oars ci ha fatto l’abitudine!” ridacchio grossamente “Da fastidio agli occhi ma me non potere fare niente” continuò grattandosi la nuca paglierina.

Poi, smettendo di ridere, curiosò con gli occhi un oggetto che da qualche minuto lo stava attirando:

“Sai, tu avere proprio un bel cappello!" esclamò.
“Ah, si? Grazie. Ci tengo molto” rise il moro.

Fu proprio nel tirare in ballo il suo bel cappello arancione con le palline rosse che ad Ace si illuminarono gli occhi. Oars era così grande che poteva attraversare alcuni tratti marini senza aver bisogno della propria nave e sradicare querce millenarie con il solo dito indice ma per quanto quelle cose fosse incredibili, il gigante alleato di Barbabianca era così grande, ma così grande che non poteva sperare di trovare un riparo naturale che lo proteggesse dalla neve che tanto gli piaceva. A Pugno di Fuoco dispiaceva perché gli era simpatico e nel sfiorarsi il fedele copricapo, fu colto da un bozzo di idea che sicuramente avrebbe risolto il problema del suo nuovo amico. Tutto quello che gli occorreva era sapere per quanto tempo sarebbe rimasto lì e almeno cinquanta chili, se non di più, di paglia.

 

 

 

La zona forestale di Wintry Realm era decisamente meritevole di essere ammirata in ogni suoi aspetto, dall’albero più alto all’angolo più umido che possedesse. Sayuri amava passeggiare in foreste come quelle, specie se a renderle così ultraterrene era quel cielo mezzo chiaro e mezzo scuro che rendeva più spesse e fredde le ombre della vegetazione. Pareva il classico cielo che si veniva a creare poco prima di un temporale ma con la differenza che i contorni che le nuvole creavano brillavano di una luce fiocca e debole. Era riuscita a sopravvivere a quasi cinque ore ininterrotte di pura teoria riguardante la progettazione, la costruzione e la manutenzione del rompighiaccio con allegati gli scrupolosi dettagli, ma alla fine di tutta la spiegazione, la sola cosa che aveva compreso era che quell’arnese necessitava di continue manutenzione e che Whitey Bay lo considerava sacro quanto la sua stessa vita.

Ancora si chiedeva come fosse riuscita a tirarsene fuori: non le dispiaceva vedere l’ardore della donna nello spiegare passo per passo tutta la sua sapienza riguardante il gioiello meccanico e dato che non aveva il cuore di alzarsi e levare le tende come se nulla fosse, aveva pazientemente aspettato il momento più opportuno per togliere il disturbo. Momento venuto molto in là data l’ora.

Dove ora camminava la terra era dura, asciutta; molto probabilmente quella era una zona dove la neve non soleva depositarsi. Il vento ululava tra gli alberi e solleticava le foglie dei cespugli e i petali dei fiori. Attirata da quest’ultimi, si inginocchiò ai piedi di un mucchietto d’essi: alcuni erano violacei, con sfumature più chiare rivolte all’interno e il gambo di un bel verde scuro mentre altri erano gialli. Con un braccio che stringeva da sotto le ginocchia, Sayuri allungò delicatamente la mano inguantata e sfiorò quei petali colorati: li toccò delicatamente con la punta delle dita, come se al posto di esseri vegetali stesse carezzando un timido animaletto tutto peloso e dai grandi occhi neri curiosi, sorridendo per quei boccioli così piccoli e belli. Difficilmente avrebbe visto qualche creaturina lì in giro, quei animaletti temevano l’odore e la presenza dell’uomo. Senza un motivo ricollegato alla bellezza di quei fiori, allargò il suo sorriso: dentro di sé percepì un’innata felicità, mischiata a un calore mai provato fino a quel momento, identico in tutto e per tutto a un vortice che aumentava di intensità man mano che si lasciava coccolare dalla sua spirale. Era innamorata e l’essere ricambiata la rendeva ancora più serena e leggera ma non così distratta da percepire che alle sue spalle c’era qualcuno.

“Satch, mi faresti un grande favore se la smettessi di fissarmi da dietro quel masso” gli disse lei voltandosi in direzione dell’albero dietro cui il soggetto si stava nascondendo.
“Veramente preferisco rimanere qui. Non si sa mai che Ace sbuchi fuori da un cespuglio e mi dia fuoco per l’essermi troppo avvicinato” proferì facendo sporgere parzialmente la spalla.
“Eh eh, non penso che arriverebbe fino a quel punto. Si fida di entrambi e poi lo farebbe soltanto se tu osassi troppo” replicò.
“E cosa ti fa pensare che non oserò troppo?” domandò compiendo un passo in avanti con le braccia nascoste dietro la schiena e uscendo così dal suo riparo.
“Perché non l’hai mai fatto e mai lo farai” rispose semplicemente lei.
Il biondo passandosi una mano sulla nuca sospirò: “Mi conosci proprio bene, principessa”

La sorpassò per andar far appoggiare la propria schiena all’albero di fianco alla ragazza, tenendo le braccia conserte e le dita strette attorno a un foglio di carta giallognolo.

“Che cos’è? Una lettera?” domandò la ragazza facendo cenno col dito al foglio.
“Uh? Si, mi è appena arrivata tramite via gabbiano. Proviene dalle paludi di Loriam” spiegò, aprendola e spiegazzandola con discreta attenzione.

“Le paludi di Loriam? Non ne ho mai sentito parlare” ammise la giovane alzandosi in piedi.
“E’ naturale, poche carte le segnalano. Devi sapere che sono un gruppo di piccolissime isole che distano un giorno da dove siamo noi. E’ abitata da indigeni, molto protettivi nei confronti delle loro terre” spiegò sinteticamente.

A Sayuri non sfuggì il velo di fermezza e serietà che ricalcava il suono delle sue parole e che i suoi occhi emanavano. Doveva trattarsi di qualcosa di urgente, di fuori dalla norma per togliere al comandante della quarta flotta la solita allegria che lo contraddistingueva dagli altri. La sua mente prese ad elaborare semplici deduzioni, possibili supposizioni che spiegassero il perché del suo comportamento; immaginò che quelle paludi fossero uno dei tanti territori sotto la giurisdizione di Barbabianca - era più che fattibile - ma ciò non bastava a spiegare il perché Satch fosse così serio visto che con altri luoghi non aveva mai mostrato alcun cambiamento di quel tipo. No, quelle paludi possedevano una peculiarità che le differenziavano dalle altre ma di quale peculiarità si trattasse, Sayuri era incerta se porla sul piano personale. Non le restò altro da fare che chiedere direttamente a Satch, spulciando l’argomento un passettino alla volta.

“Hanno inviato una richiesta d’aiuto?”
“Non esattamente” rispose l'altro “Qui c’è scritto che devo venire il più velocemente possibile ma non allude ad altro e la cosa mi lascia perplesso” mormorò lisciandosi il pizzetto nero e guardando il pezzo di carta senza alcun motivo in particolare.
“Se richiedono solamente la tua presenza ne deduco che tu abbia già visitato queste paludi e conosciuto la popolazione” ragionò Sayuri.
“Si, ho avuto modo di avere a che fare con loro” gli concesse Satch cercando di nascondere una smorfia dietro un sorriso improvvisato.

Ancora una volta le deduzione di Bianco Giglio si rivelarono esatte. Nel non poter dissuadere la ragazza a passare ad un altro argomento, l’amico dall’appuntito pizzetto nero gli raccontò per filo e per segno il rapporto che lo ricollegava a quel territorio: le paludi di Loriam non erano che dei minuscoli lembi di terra, grandi quanto granelli di sabbia, isolati da tutto e tutti. La prima volta che Satch approdò lì era appena diventato comandante della quarta flotta: aveva portato a termine una missione lui da solo ma nel ritornare alle nave madre il log pose si era danneggiato, portandolo così sulle rive di quelle paludi afose e scure. Cercando di non alludere al fatto che inizialmente si era fatto abbindolare e legare come un salame per poi essere appeso a testa in giù da dei bambini che l’avevano figurato come potenziale cibo straniero - cosa malriuscita vista le doti intuitive della navigatrice -, Satch le raccontò che quei indigeni vivevano in quelle terre da secoli e che mai nessuno di loro si era avventurato nel mondo esterno, a detta di loro troppo pericoloso e vasto. Fatto stava che era riuscito a diventare amico degli shamani - ovviamente dopo essere stato tolto dal pentolone - e che questi lo avessero aiutato a riprendere il mare. Inutile dire che durante il suo soggiorno aveva imparato a conoscere la loro cultura e in particolar modo la loro lingua cosicchè quei pochi che ancora non si erano convinti sulla sua natura non lo scambiassero nuovamente per del cibo parlante.

“Nella lettera non è precisato il motivo della chiamata ma voglio ugualmente andare a controllare, quindi appena avrò preparato il necessario partirò” decretò ripiegando il foglio e mettendoselo nella tasca del giaccone.
“Ne hai già parlato con nostro padre?”
“Si e mi concesso di lasciare la nave. Non è la prima volta che vado a visitare quell’isola ed essendoci anche vicino, impiegherò meno tempo. Cambiando discorso principessa..” e qui sfoggiò nuovamente il suo sorriso da sornione “Che ne diresti di tornare alla nave, bere una cioccolata e nel mentre raccontarmi cosa tu e Ace state combinando di bello?”

La castana fu colta da un insolito senso di duplicità: arrossì ma al tempo stesso rise sommessamente come era solito fare. Era fin troppo inusuale che il biondo mantenesse una serietà che durasse più a lungo dei suoi dieci minuti e infatti il suo voler sapere di lei e di Ace, la portò nuovamente alla convinzione che nonostante fosse il comandante della quarta flotta, quel suo carattere giocherellone sarebbe sempre apparso maggiormente rispetto alla solennità che tuttavia nascondeva perché noiosa e insipida. In verità l’amico sapeva quando agire con caparbietà: si, era ostinato in certi versi ma al tempo stesso sapeva frenarsi e mantenere dunque quel pregio senza che diventasse un difetto.

Lei stessa l’aveva visto in azione e in quei giorni aveva capito molto bene perché un individuo come lui fosse diventato addirittura un capo delle sedici divisioni appartenenti a Barbabianca: per certi aspetti, Satch cambiava quando la situazione superava quella soglia che divideva una battaglia leale da una carneficina insensata: non gli piaceva la gente che si divertiva alle spalle degli altri, che non si curava di chi stesse attaccando,se erano nemici o alleati, come chiunque sulla Moby Dick dato il legame che univa tutti loro nonostante non fossero parenti di sangue. Per gente del genere la parola feccia era più che perfetta, erano loro, i veri malvagi di quel mondo contorto e vario in cui vivevano e diverse volte tra quei volti non c’erano esclusivamente dei pirati: il loro cosiddetto obbiettivo veniva prima di tutto e se non lo perseguivano, in quel determinato momento erano capaci di sporcarsi ancora più di sangue e sia lui che lei ne erano stati dei valenti testimoni.

L’episodio del Meriko era stato in grado di sfiorare quel limite e lì Sayuri, aveva visto l’amico mettere a tacere a suon di colpi di spade il leader degli invasori ancor prima che questo potesse estrarre la sua. Non era stata la sua movenza nel maneggiare l’arma o la rapidità con cui quell’ultimo scontro si era concluso: no, in quel momento Satch era investito e avvolto da una corrente incolore dura come l’acciaio, che marcava i lineamenti del suo viso,rendendo i suoi occhi così espressivi, un tutt’uno con l’autorità e l’implacabilità che gli scorreva nelle vene, che si era tramutato in un'altra persona. No, non era diventato cattivo: era semplicemente deciso a far comprendere a quei presuntuosi che cosa significasse mettersi contro chi aveva a cuore le sorti di territori che non potevano fare nulla contro le barbarie di quelli come loro,esseri il cui cervello - quel poco che avevano - era inquinato da uno sporco istinto. Quasi faticava a credere che quello che ora gli stava sorridendo con tanta naturalezza potesse diventare così meritevole di lode, più di quanto non fosse già, ma in qualunque momento lo rispettava come guerriero e come amico, anche se diventava irritante quando si impuntava su qualcosa: se non lo otteneva continuava ad insistere senza tener conto che la sua testa non era del tutto insensibile ai muri contro cui andava a sbattere.

Un punto in comune che ha con Ace. Pensò lei sorridendo Però sarà meglio non farglielo notare.
“E allora, principessa? Io sto aspettando...” canticchiò lui gongolante.
“Perdonami, ma non ho intenzione di dirti nulla” rispose lei "Le questioni mie e Ace sono private"
“Che??????” il suo sorriso si piegò all’ingiù, così tanto aperto che quasi il mento toccò terra “Ma sei ingiusta! E io che mi sono fatto coraggio nonostante il devastante dolore nel saperti con Ace..” pigolò melodrammatico, inginocchiato a terra e con la mano levata in aria quasi stesse tenendo tra le mani un teschio immaginario ”Ah! Quale dolore attanaglia il mio cuore!”

Finì per mettersi a ridere con le mani a coprirle la bocca tanto era esilarante. Dentro di sé, stava seriamente pensando se preoccuparsi o meno per quella scenata teatrale ma alla fin fine si lasciò andare ancor di più all’allegria perché in fondo quello che stava guardando non era altro che il suo buon amico Satch.

 



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Capitolo 39
*** Egoista. ***


Buon mercoledì e buone vacanze a tutti quanti!per tutti coloro che adorano Maya e Don,in questo capitolo li vedranno battibeccare in una delle loro scenette competitive e con questo ho già detto tutto:non voglio aggiungere altro quindi mi fermo qua!dunque,prima di lasciarvi,come sempre,porgo i miei sinceri ringraziamenti a tutti coloro che leggono la  mia storia e mi scrivono le loro opinioni al riguardo e ovviamente ringrazio anche chi legge soltanto,è ugualmente il benvenuto!

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TopazSunset:eccola qui la mia Topaz!!!ciao carissima!!!il buon vecchio Satch continua nella sua campagna ma con risultati deludenti:spiacente,Yu-chan è di Ace punto e basta!non ho mai smesso di pensare che tu non abbia più letto la mia fict,ci mancherebbe altro e comunque fai bene ad andare in vacanza,serve ma se riuscirai a postare prima di partire ti lascerò un bel papiro come consolazione altrimenti ci risentiremo quando sarai tornata!grazie mille cara!

Sachi Mitsuki:tesorino!grazie per la recensione,non vedevo l’ora di ritornare alla carica,cominciavo a sentire la mancanza del mio aggiornamento quotidiano.Qui per la gioia di molti ci sarà un piccolo duello fra Don e Maya.Non dico altro!

Huntergiada:carissima,son tornata!la strega di ghiaccio sa come tenere le redini del comando e si,Don non si sente molto a suo agio con una donna che è amabile quanto Maya,a cui ho riservato qui dentro una scenetta comica.La faccenda di Oars mi è piaciuta e così l’ho messa senza pensarci due volte,questo gigante mi ha ispirato!Su Satch non spreco parole perché sappiamo come è fatto e non demorderà mai anche se un certo signore delle fiamme è comunque nei paraggi.Io farei attenzione!Sarà pure un comandante ma è riuscito a farsi mettere le mani nel sacco dai bambini che se lo volevano mangiare per cena.(S=ero alle prime armi!/Me=si,si,dicono tutti così..).La scena alla Shakespeare poi…ero tentata di fargli tirare fuori il teschio dalla tasca:mancava solo quello e le luci del riflettore che puntavano su di lui ma essendo una cosetta teatrale la si può sempre immaginare.

tre88:ulalà un’altra nuova arrivata!benvenuta!un’altra che patteggia per il nostro signore delle fiamme alias il dio asso così battezzato da una mia amica che condivide questo amore viscerale per questo bel personaggio che va in giro col torace scoperto(potevo dirlo meglio ma in quel caso avrei sbavato come la prima volta che l’ho visto ed è una visione non consigliata) e che trova dunque la mia Yu-chan e l’ex vice dei pirati di picche due personaggi ben idealizzati.Per quanto riguarda quell’immensa palla di lardo mangia crostate a tradimento tralascio tutto il mio odio perché anche qui farò bene a non pronunciare impeti che mi costerebbero assai.Non sei l’unica ad odiarlo,fidati!prima di te e di me,c’è come minimo una fila lunga quanto l’equatore che aspetta solo il momento di agire,se vuoi aggregarti sei la benvenuta!non anticipo nulla perché altrimenti mi tradirei e ti ringrazio per avermi scritto(a proposito,non hai messo nulla di offensivo) e grazie per trovare bella la mia storia.(e visto che ti piacciono i battibecchi fra Maya e Don qui ce ne è giust’appunto uno!)

angela90:ciao cara!!!!!a-ah,allora è vero che sei cotta dello spadaccino.Si,concordo con te,il primo amore non si scorda mai e io quando ho visto Ace sono partita per la tangenziale.I vice sono sempre personaggi affascinanti,anche se prediligo tu sai chi.Certo però non si può non notare altri personaggi:Bepo è bellissimo anche se l’ho visto un paio di volte e basta e devo dire che provo una certa simpatia per il chirurgo della morte ma forse è il suo berretto che mi ispira(è guardando quello che mi è venuto in mente Don)e parlando appunto di Don…come si dice,la classe non è acqua!lui sul mondo delle donne avrà sempre qualcosa da ridire,la sola che forse,quasi,straordinariamente rappresenta un eccezione è proprio Yu-chan che riesce ad appunto a non cadere nelle ire della piratessa come ben hai detto.E Satch porrino non ci riesce a ingraziarsi la principessa ne tanto meno a nascondere l’inconveniente capitatogli la prima volta a Loriam,anche se certe cose è giusto non dirle per non rovinarsi la reputazione!  

foreverme96:buondì,eccomi qua!fenomenale e stupenda la mia fict?finirò per cadere nuovamente a ballare e a gongolare come Chopper a forza di complimenti!Satch non può intromettersi nelle faccende di Yu-chan e Ace,anche se lo chiede amichevolmente.No,no,no non si dicono certe cose,no,no,no!sono veramente contenta di sapere che la mia fict è apprezzata,mi fa davvero piacere e spero di continuare a suscitare in te e in tutti i lettori questo sentimento.Grazie mille!

 

 

La cosa bella del visitare isole straniere non era tanto il metterci piede e ammirarne le peculiarità ma più che altro, portare dentro di sé un minuscolo pezzo di quella terra come fosse un monile,un portafortuna. Assaggiare le specialità della casa, raccogliere una particolare conchiglia dalla spiaggia o assistere ad uno spettacolo celebrativo molto simbolico per gli abitanti non erano che piccolezze piacevoli ma l’imparare un’arte da questi luoghi era ben diverso dall’osservare, dal toccare o dal gustare e Ace lo sapeva: costruire qualcosa era più facile da ricordare perché mente e mani si impegnavano insieme e divenivano un tutt’uno per creare qualcosa che poi avrebbe generato soddisfazione, ma la sua vicenda non rispecchiava appieno quell’aspettativa perché il suo senso di compiacimento non si sarebbe rivolto all’aver completato un lavoro iniziato e ben eseguito ma bensì all’espressione che sperava di vedere in Oars nel regalargli un tipico cappello kasa fatto da lui in persona. Aveva imparato a fabbricarli quando in una delle sue missioni era giunto all’isola di Watanuki: la terra dell’armonia gli aveva offerto un soggiorno per l'appunto tranquillo prima del suo consueto rientro e quei cappelli lo avevano affascinato a tal punto da voler imparare a farli. Con quello, il gigante non avrebbe più dovuto preoccuparsi della neve o della pioggia ma prima di potersi abbandonare a pensieri futuri, il caro Ace doveva riuscire a finirlo quel beneamato accessorio o quantomeno, evitare di bruciarlo...

“Intreccia, passa, intreccia, passa, int...dannazione, di nuovo!!” esclamò adirato.

I Kasa erano cappelli a forma di scodella rivolti all’ingiù, fatti interamente di paglia. Il materiale in questione era soffice come le piume di un cuscino ma anche flessibile e lavorabile come le canne di bambù: per creare il cappello a regola d’arte era necessario partire da una base circolare fatta di fili maneggiabili e resistenti, con vari rametti lasciati sporgere in verticale, su cui poi si andavano a costruire cerchi più piccoli, sino ad arrivare alla punta arrotondata e fino a lì Ace ci era arrivato. La parte più difficile, anzi, più capricciosa, stava nel realizzare  gli spicchi con la paglia soffice: per prima cosa si doveva realizzare una base triangolare coi fili duri e chiuderne il fondo sempre con essi, mentre con la paglia morbida bisognava riempire il vuoto che si creava, incastrandola delicatamente cosicchè non uscisse. Il lavoro richiedeva mani ferme, silenzio, pazienza e anche una buona dose di nervi saldi ma era risaputo che a parole ogni cosa risultava facile mentre la pratica molto meno: il problema di Ace era che senza volerlo a volte faceva fin troppa pressione con le mani e allora lo spicchio si disfaceva, la temperatura del suo corpo saliva, trasformava la paglia in cenere e lui finiva per sbuffare con le tempie pulsanti per l’ennesimo buco nell’acqua e patatrack!

Doveva riniziare.

Già di per se quel lavoro era molto faticoso, se si aggiungeva poi che il corpo del moro era fatto interamente di fuoco, la questione diveniva ancora più ardua ma al ragazzo piacevano le sfide e ciò che veniva considerato impossibile per altri, per lui non era che un lavoro difficile ma non per questo irrealizzabile. Si era ripromesso di costruire quel cappello per Oars e ce l’avrebbe fatta, anche se i precedenti mostravano che il lavoro stava procedendo un pochino a rilento rispetto ai tempi che il ragazzo si era prefissato: il primo incidente lo aveva rivisto rifare interamente la base e nel secondo aveva bucato tre spicchi che stava cercando di unire.

Per una persona come lui che tendeva a scaldarsi quasi subito, quella era un’autentica impresa, una prova di assoluta concentrazione e pazienza. Un risolino gli si dipinse in volto: all’ultima parola formulata subito aveva pensato a Sayuri, lei sicuramente aveva più possibilità di completare quel lavoro senza incappare nel rischio di bruciare tutta la paglia presente nella grotta.

Chissà dov.....

L’ennesimo attacco di sonno lo colpì alla sprovvista, lasciandolo seduto, con la testa piegata su di un lato e le braccia perfettamente sospese in aria e con in mano la paglia.

 

“Adesso basta: donna, levati di mezzo!” ordinò Don irritato.
“Prova a chiedere per favore, cafone” replicò Maya scocciata.
“Mmmghf....! D’accordo, va bene” sibilò fra i denti. Il medico-cecchino chiuse gli occhi, prese un bel respiro e sciogliendosi in quello che teoricamente doveva essere un sorriso pronunciò le seguenti parole: “Donna, per favore: levati-di-mezzo” aveva perfino scandito le parole.
“Non ci penso nemmeno”
“Ehi, non prendermi in giro!” scattò con più esasperazione l’uomo “Ho detto “Per favore”!”
“E’ vero, ma non significa nulla” gli disse la capo infermiera scuotendo la testa in segno di negazione “Non l’hai detto col cuore”
“Tu, razza di...!”

Era sul punto di esplodere e le venature che gli costellavano le tempie rossicce ne erano una lampante prova. La sua passività era completamente evaporata nel giro di quindici minuti e ora più che mai sentiva l’irrefrenabile desiderio di dire cose che per buona etica non si dovevano dire a delle fanciulle.

Ma questa non è affatto una fanciulla!  Strillò lui con una nota acutissima dentro di sé: E' una vanitosa, isterica, altezzosa e insopportabile crocerossina dal seno troppo abbondante!

Si trovavano nell’infermeria grande: Maya era su lato destro di uno dei tanti letti disposti vicino alle pareti e Don sul sinistro. La capo infermiera sosteneva coi suoi occhi scarlatti lo sguardo di sfida lanciata dal dottore, tenendo le braccia incrociate sotto il prosperoso petto e la schiena ben dritta, come fosse un soldato sull’attenti. Benchè fuori si gelasse, la divisa invernale dell’equipe infermieristico era praticamente identica a quella estiva, con la sola differenza che questa era a maniche lunghe e includeva calze pesanti color confetto sotto gli stivali leopardati a tacco alto.

“Te lo ripeto, Don” parlò lei inarcando il fianco e poggiandoci la mano “Fintanto che non ci sono battaglie che coinvolgono direttamente le navi, sono io che mi occupo dei feriti e degli ammalati. Il tuo aiuto non mi occorre quindi adesso esci di qui e fammi curare tuo cugino”
“Tsk! Allora, per prima cosa, io non ti ho offerto il mio aiuto: sei tu che ti sei messa in mezzo. Secondo, io sono il suo dottore e quindi lo curerò io che ti piaccia o meno quindi se c’è qualcuno che deve uscire qui, sei solo tu” e gli indicò molto garbatamente la porta.

Entrambi si sporgevano in avanti per cercare di sovrastarsi in ogni modo possibile e immaginabile. Sdraiato sul letto, con le coperte che gli arrivavano sulla punta del naso stava il povero Bonz, tremante e con la faccia bluastra. Era in piena fase di assideramento, comprensibile visto che era caduto in acqua perché casualmente non aveva quei benedetti occhiali che teneva ovunque ma non sopra il naso. Ci era voluto poco per ripescarlo e altrettanto poco sarebbe stato il tempo per fargli assumere un colore decente ma Don e Maya stavano prolungando la sua agonia con il loro interminabile battibeccare e nessuno dei due gli aveva dato o fatto qualcosa perché evitasse almeno di tremare.

“R-R-R-R-Ragazzi...s-s-s-s-sto gel...gel...gel...” la bocca gli rimase spalancata completamente ghiacciata e con le labbra di un bel color prugna.
“Deve assumere liquidi caldi: riscaldare l’interno è la prima cosa da fare in questi casi” affermò lei ignorando bellamente il malato.
“Questo lo so ma prima ancora bisogna togliergli i vestiti e cercare di dividere il calore corporeo con lui” replicò l’imparentato.
La donna corrugò le sopraciglia in un espressione disgustata “Ehi, non mi metto ad abbracciare la gente! Lo possiamo mettere in un sacco a pelo o avvolgerlo con coperte di lana” propose alzando l’indice.
“Adesso fai pure la schizzinosa!” le accusò Don slargando le braccia.
“R-R-R-R-Ragazzi..” balbettò un sempre più assiderato Bonz.

Ogni sua parola era ridotto a un sibilo acuto; la gola era così secca che a malapena riusciva a far passare una sillaba. Non poteva muoversi, i suoi grandi occhi a palla erano fissi sul soffitto e tanta era la disperazione che si era messo a contare quelle poche assi di legno che scorgeva appannate.

“Io non sono schizzinosa!” sibilò Maya afferrando per il colletto il collega “Per quanto mi riguarda posso mettere tranquillamente le mie mani nella pancia di un paziente ed estrarre un tumore maligno, sezionare le budella di un Seaking per procurarmi gli ingredienti per i sali curativi, sporcarmi di fango, ricucire arti con ago e filo, spezzarmi le unghie e anche insudiciarmi i capelli. Ho passato anni interi a fare cose che il tuo cervellino di arrogante maschio non si sognerebbe di immaginare quindi non venire a dire a ME che sono una schizzinosa!”

La distanza ravvicinata - cinque centimetri esatti separavano i loro visi - rese il tutto ancor più marcato.

Per la prima volta in vita sua, Don si zittì con la consapevolezza di essere in una posizione molto pericolosa per la sua vita e che una singola parola gli sarebbe costata anche lo scalpo: Maya era stata, decisa, convincente, anzi furente nel dirgli apertamente che non aveva problemi a fare tutte quelle cose elencate con tanta minuziosità e sinceramente neppure lui non avrebbe avuto problemi nel eseguirle. Poteva ribattere e dirgli che sapeva lavorare meglio di lei ma per qualche strana ragione, i brividi che gli stavano puntellando la schiena con tanta insistenza gli suggerirono di non farlo perché altrimenti avrebbe avuto la disgrazia di conoscere la vera infamità delle donne, di Maya in quel caso, che ancora lo teneva ben stretto per il colletto, senza aver paura di far vedere la vistosa scollatura che arrivava quasi in fondo alla pancia piatta, mostrando quelle rotondità spropositate per cui il genere maschile perdeva fiotti di sangue dal naso.

“D’accordo, non sei una schizzinosa” le concesse ”Ora potresti lasciarmi?”
“Le buone maniere le hai già dimenticate?” lo canzonò facendo schioccare le labbra truccate di rosso.
“Devo proprio?” mugugnò infastidito.

Lei annui vigorosamente, scuotendo così la chioma violacea.

Uffa, verrà il giorno in cui la strangolerò nel sonno!  Pensò raschiando il fondo della pazienza.

Sottraendosi a quell'idea promettente, prese un bel respiro e disse:

"Signorina Maya, può gentilmente lasciarmi andare prima che la mia faccia finisca a guardare laddove c’è il rischio di contrarre uno schiaffo?”

E intanto che lui cercava di essere “Gentile”, Bonz si godeva la paradisiaca visione di un giardino pieno di bellissimi fiori colorati.

 

Mi domando dove sia Ace....

Da quasi un’ora, Sayuri cercava il ragazzo ma senza alcun successo. Si era immersa nella foresta ammirandola in tutti i suoi aspetti, che nemmeno si era resa conto di quanto si fosse fatto tardi. La notte era vicina e di conseguenza la temperatura sarebbe scesa ancor di più e anche se Ace era fatto interamente di fuoco, se mai avesse deciso di mangiare fuori, si sarebbe dovuto accontentare dei cubetti di ghiaccio. Avvolta nel suo lungo cappotto blu scuro con la pelliccia a immmorbidirle i polsi, camminava facendo attenzione ad ogni minimo rumore. I suoi sensi erano come quelli di un gatto, sempre in allerta nel caso il pericolo fosse stato dietro le sue spalle, con la sola differenza che il suo corpo era rilassato e lei non mostrava il benché minimo segno di irrigidimento. Era rilassata ma ben attenta a cosa succedeva nell’ambiente che la circondava.

Ad un certo punto, i suoi piedi la fecero fermare davanti ad un ampia grotta, nascosta dietro ai ghiacciai che occultavano la Moby Dick: non avendo nulla da perdere, ci si addentrò nella speranza che il comandante della seconda divisione fosse lì e non perso da qualche parte nella foresta. Purtroppo per lui, l’orientamento era una delle poche cose in cui non brillava.

“Ace, sei qui dentro?”

La sua domanda riecheggiò fino al fondo di quel corridoio di pietra ma vanamente. Nel non udire alcuna risposta, vi si inoltrò ancor di più. Il solo rumore che in quel momento si poteva sentire era quello dei suoi passi leggeri, che rimbalzavano sulle pareti come sassi lanciati ma appena la navigatrice parve scorgere il fondo della caverna, udì qualcosa che le diede conferma che lì c’era qualcun altro oltre a lei e le sfuggì un sorriso nel riconoscere quello strano suono, ma non nuovo alle sue orecchie. Con passo sicuro raggiunse la fonte di ciò e tra la sorpresa nel vedere montagne di paglia toccare il soffitto di roccia e ricoprire quasi tutto il pavimento, vide Ace nel pieno di una delle sue ronfate colossali.

Avrei dovuto immaginarlo.

Qualunque cosa stesse facendo era stata interrotta bruscamente dalla sua narcolessia. In punta di piedi la castana si avvicinò piano piano al ragazzo e una volta postagli davanti, si inginocchiò: eh si, da come russava, doveva star dormendo da parecchio. Le dispiaceva svegliarlo ma non poteva lasciarlo lì tutta la notte, anche se il freddo per lui non era assolutamente un problema. Nell’abbassarsi il cappuccio e dunque liberare i capelli, allungò la mano inguantata e l’appoggiò sulla spalla del ragazzo.

“Ace, mi senti? Su, svegliati.”

Nessuna reazione.

“Coraggio Ace, svegliati. E’quasi ora di cena”

Ancora una volta non ottenne nulla, nemmeno con la fatidica parola “cena”. Continuò ancora, con delicatezza, ma quello era così preso a dormire che nessuno dei tentativi di lei funzionò. Ora che rifletteva con più attenzione, mai nessuno era riuscito a svegliarlo quando cadeva in quello stato di sonno improvviso: ogni volta che le capitava di vederlo crollare in avanti, si limitava a metterlo in una posizione più comoda e aspettava che si svegliasse da sé, cosa che a quanto pare era destinata fare anche in quell’occasione, fatta l’eccezione di doverselo caricare sulle spalle. Facendo attenzione allungò entrambe le mani verso quelle sospese a mezz’aria di Ace e con cautela prese a sfilargli dalle dita quell’insolita costruzione di paglia ancora in fase di elaborazione: una volta sicura di aver preso saldamente l’oggetto prese a tirarlo lentamente verso di se, ignara del sorriso furbesco che stava contornando il viso del moro. Era così presa a fare di tutto per non svegliarlo che non capì bene come successe: sentì solo le dita di lui stringere senza alcuna aggressività le sue e poco dopo, senza comprendere il come e il perchè, le sue labbra appena un po’ screpolate per il freddo, toccarono quelle di un Ace vittorioso.

“Ti ho presa” le soffiò lui ancora vicinissimo a lei.
“A-A-Ace!!”

Fu immediato il rossore delle guance della castana, sconvolta per l’essere stata colta così alla sprovvista. Tempo di realizzare l’accaduto che subito era salta indietro,atterrando con il fondo schiena ad appena un metro da lui. Neppure si era accorta che il comandante della seconda flotta stava bellamente fingendo di dormire; la cosa le fece portare entrambe le mani davanti alla bocca, mentre Pugno di Fuoco sogghignava divertito e al tempo stesso soddisfatto di sé stesso.

“Non..non è divertente” mormorò lei balbettando.
“Lo so ma non ho resistito” ammise lui diminuendo il suono delle sue risate “La verità è che mi sono svegliato pochi minuti prima del tuo arrivo e quando ti ho sentita...è stato più forte di me!”

Sapeva bene che certi slanci affettivi mandavano in panico la giovane ed era proprio per tal il motivo che aveva escogitato quel piccolo scherzetto a suo carico: anche se adesso erano insieme, riusciva ugualmente a farla arrossire come ai quei vecchi tempi non così vecchi e a lui piaceva da matti vedere quelle guance tingersi di rosso perché ciò comportava la venuta di un comportamento totalmente differente da quello consono, che mostrava soltanto a lui. Quando l’abbracciava la sentiva rilassarsi e sorrideva con più solarità, con più allegria e quando voleva dimostrarle quanto l’amava arrossiva nonostante la consapevolezza di quel sentimento. Era fatta così, mai si sarebbe abituata a quell’affetto così diverso dall’amicizia ed Ace ne era felice perché poteva bearsi ogni volta di quel visino grazioso che si imporporava solo per lui. Osservarla mentre cercava di rimanere a galla poi era la parte migliore: ogni sua mossa lo invogliava a sorridere perché nella sua semplicità era buffa, specie quando la ragazza era in preda ad un imbarazzo esorbitante. Nel vederla coprirsi la testa col cappuccio, cercando di farci sparire la faccia, si portò una mano agli occhi tentando di non scoppiare a ridere una seconda volta: gli sembrava di vedere una bambina invece di una ventenne matura e con la testa sulle spalle. Ciò era la prova che anche lei, Bianco Giglio, era umana: un’umana incredibilmente dolce e forte come pochi.

Spense appena un po’ il suo ghigno, giusto per configurare la sua bocca in un sorriso appena accentuato all’insù. Quella che stava guardando, la pirata avente una taglia da novanta milioni di berry sulla testa, non era la Sayuri che con la sua indomita calma era capace di combattere chiunque le si parasse davanti tirando fuori una forza sovraumana, non era la ragazza con cui si era battuto a Rogh Town. Non era niente di tutto ciò che potesse passargli per la testa in quel preciso istante.

Si alzò in piedi e subito e nel sedersi dietro di lei la fece accomodare in mezzo alle sue gambe. No, quella che adesso gli era vicino era la vera Sayuri, quella bambina piccola e fragile che sempre si era nascosta per via di quelle brutte ferite che portava.

“Scusami” mormorò abbracciandola “Non ti volevo prendere in giro ne divertirmi alle tue spalle”
“Ma lo ha fatto comunque” replicò lei piano.

Ace avvertì la rigidità del suo corpo e da come stringeva le braccia al petto, ancora non si era lasciata andare nonostante le fosse così vicino. Un fatto insolito visto e considerato che con un contatto del genere riusciva farle abbassare ogni barriera. Aveva esagerato un pochino e di questo ne era consapevole, ma non si aspettava che la castana se la prendesse a tal punto da non volerlo vedere in faccia.

“Non mi dire che adesso metti il broncio” disse tra il calmo e il divertito mentre la teneva vicino a sé con un braccio e con l’altro si apprestava ad aprirle il cappuccio “Sei arrabbiata?”
“Non ho detto di esserlo, solo che non mi piace che tu mi colga così alla sprovvista. Lo sai” gli rispose a bassa voce.

Nel sentire le sue mani vicine, si coprì la testa con le braccia. Si sentiva una stupida: percepiva ogni singolo centimetro della sua pelle bollente a tal punto che le sue orecchie a breve avrebbero prodotto un fischio simile a quello di una locomotiva a vapore. Il suo cuore batteva ma non sapeva perché si stesse nascondendo: perché lo faceva? Perchè…?

In fondo Ace ormai la conosceva sotto ogni suo aspetto ed era libero di giudicarla come meglio credeva e forse era per questo che aveva reagito così. Lei si era aperta come mai aveva fatto riponendo così la sua fiducia nelle mani di quel ragazzo che amava così tanto. Poteva essere insignificante prendersela per così poco ma la verità era che non voleva essere presa in giro da lui, anche se il suo gesto non conteneva nulla di così offensivo. Ace non le avrebbe mai fatto del male quindi era insensato nascondersi e poi era un bacio, nulla di così grave o drammatico. Per l’ennesima volta si diede della stupida, era davvero ridicolo chiudersi nel proprio guscio per un bacio. Un bacio non era di certo una cosa di cui vergognarsi. Era già pronta a scusarsi quando avvertì le proprie braccia venire tolte delicatamente dalla sua testa e lasciate ricadere dolcemente in grembo. A seguito di quel gesto, la punta delle dita di Ace le sfiorarono la pelle del viso, aprendole il cappuccio rosso e rivelando nuovamente il suo viso ancora arrossato al cospetto del giovane e della caverna.

“Scusami” ripete con più solennità scostandole alcuni ciuffi dagli occhi “Non lo faccio più però non isolarti. Non mi piace quando fai così”

Si lasciò immergere in quelle pozze nere senza pensare alle possibili conseguenze. Sorrise dolcemente per contraccambiare quella premura che le dimostrava sempre, che prediligeva lei e solo lei. Con fare leggero, levò la mano verso la sua guancia, sino ad accarezzargli le lentiggini. Si, era davvero una stupida a ritrarsi in quella maniera.

“Lo sai che non sono capace di arrabbiarmi con te. Se c’è qui qualcuno che deve chiedere scusa sono io. Era solo..un bacio”
“Quindi posso prendermene un altro?” domandò senza tanti preamboli “Con il tuo consenso, si intende”

Glielo domandanva ma tanto finiva sempre che riusciva ad ottenere tutto quello che voleva; e infatti, dopo quel secondo di silenzio interdetto, col suo sorriso angelico, lei annuì quel quanto bastava per accontentare la richiesta del ragazzo. Ancora una volta provò quel senso di piacere e tepore che ultimamente non faceva che allietare i suoi pensieri, riempire i vuoti da tempo incolmabili e infine renderla serena con tutto e tutti,in special modo con sé stessa. Come un ago che minuziosamente ricuciva uno strappo, la gentilezza e l’amore di Ace lentamente stavano chiudendo lei sue ferite e i ricordi maligni su cui aveva versato tante lacrime; stavano venendo relegati e infine sostituiti da altri, più belli e luminosi quanto il sole. Le pareva di vivere in un quadro colorato, con un bella cornice, in un mondo che agli occhi di tutti sembrava perfetto per la tanta felicità che manifestava eppure...la perfezione era qualcosa che nella loro vita non esisteva e che mai sarebbe esistita: la pace era perfezione e proprio perché era così ambita che non poteva essere ottenuta, non con la vita che facevano. Loro erano pirati ma anche se fossero stati marine o persone comuni,questa ugualmente non li avrebbe benedetti. La pace eterna non esisteva e mai sarebbe esistita: era qualcosa di troppo puro per esistere a quel mondo in cui bene e male si mischiavano fino a diventare irriconoscibili.

“Cosa c’è Sayuri?” Ace vide nei occhi di lei quell’indistinto riflesso blu. Qualcosa la stava turbando.
“Ace.." ed esitò "Pensi che noi due potremo rimanere così per tutta la vita?”
“Mh?”
“Voglio dire..fino ad ora siamo sempre riusciti a vincere, a sconfiggere ciò che minacciava la nostra libertà e i nostri sogni. Non ci siamo arresi, ci siamo sostenuti a vicenda come una famiglia e adesso che siamo arrivati così lontano..ho un po’ paura” ammise “Io voglio bene a tutti quanti voi: al nostro capitano, a Don, Bonz, a te e il solo pensare di avere tutto questo mi fa sentire felice e meritevole di ogni cosa che sono riuscita a conquistare ed è per questo che voglio difenderlo fino alla morte, perché so che se lo perdessi non sarei capace di farmene una ragione, ma a volte penso anche a quando potremo vivere in pace e questo mi spaventa più di qualunque altra cosa” si interruppe, ma continuò quasi subito “Ogni giorno convivo col timore di vedervi andare via e di non tornare più. Siamo pirati e viviamo così perché lo abbiamo scelto e sono sempre stata consapevole di tutti i rischi che questa decisione comporta ma adesso che siamo arrivati fino a qui, mi domando se mai un giorno potremo stare insieme senza che la morte ci perseguiti come ora”

Il parlare di quel cruccio a cui pensava da diverso tempo le prosciugò il respiro e le  energie richiamate per realizzarlo: lasciò che la sua testa si appoggiasse nell’incavo della spalla e del collo di Ace. Era così strano...era felice ma al tempo stesso aveva paura che tutto quello che vedeva, in cui credeva potesse svanire come una nuvola di fumo. Temeva per la vita dei suoi amici, per Ace, per come la loro avventura stava procedendo; sino a quel momento il loro navigare non aveva contratto nulla di spaventoso o troppo grande per essere affrontato, se si escludeva la faccenda di Barbabianca. Tante volte si era ripetuta che mai avrebbe sperato in una vita come quella,con persone al suo fianco che ridevano, combattevano, festeggiavano con lei ma alla fine stava vivendo quello che sempre aveva solo immaginato e mai realizzato e le piaceva perché aveva scoperto che non c’era niente di più bello al mondo che viaggiare con qualcuno che ti era amico. Ovviamente poi aveva conosciuto l’amore e lì si era sentita sollevare fino in cielo, là, dove c’erano gli angeli di cui gli parlava suo nonno. Ora però voleva sapere se tutto questo poteva durare, se sarebbe durato ancora a lungo o almeno sperare in qualcosa di simile e che la spronasse ancor di più a seguire quella via.

“Non so se sarà per sempre” le rispose Ace calmo avvolgendola ancor di più “Potrebbe esserlo e non esserlo ma di una cosa sono sicuro:la pace, quella di cui tanto parlano e che tanto vogliono realizzare, non ci sarà mai fintanto che noi esisteremo e se anche si realizzasse, non sarebbe quella che molti sperano. Tutto quello che possiamo fare adesso è approfittare di momenti come questi; per quanto piccoli siano, è qui che dobbiamo costruire i nostri ricordi e fare in modo che non muoiano. Non so quanto tutto questo durerà ma voglio prometterti una cosa” le disse prendendo fra le mani il suo viso “Continuerò a vivere perché tutti voi mi avete dato qualcosa per cui valga la pena vedere fino in fondo quest’era e se mai un giorno avremo realizzato tutti i nostri sogni, allora staremo insieme senza che nulla ci ferisca”

Debolmente lei annuì col capo, trovando giusto quel che il moro le aveva appena detto: l’era dei pirati non poteva convivere con quella della pace tanto decantata dal Governo Mondiale e di questo molta gente se ne dispiaceva, ma potevano forse tante guerre sanare un mondo già più volte lacerato nel profondo? Cosa se ne sarebbe ricavato alla fine?

Per quante volte lo si pensasse in tante maniere diverse,il risultato non cambiava. Il loro modo di vivere, la libertà che difendevano non era ben accetta da chi dall’alto della propria posizione si permetteva di decretare le regole. Per la società erano loro i cattivi, di cosa poi non lo aveva mai capito....

Era forse sbagliato credere nei sogni? Era forse sbagliato vivere liberi? Perchè tutto questo doveva avere un limite o peggio ancora considerato inutile quanto la spazzatura? Poteva rispondersi da sola ma preferì cacciare via quelle imposizioni dure e fredde come il metallo perché quelle risposte, tutte quante, erano troppo insensate perché fosse lei a pronunciarle o quanto meno a pensarle. No, Sayuri voleva credere che da qualche parte ci fosse un angolo per loro due. Voleva credere che un giorno,anche fosse stato l’ultimo della sua vita, avrebbe potuto dimostrare che vivere e amarsi non era ne un divieto, ne un pregio designato a quelli nati sotto una buona stella. Voleva credere in sé stessa come non mai. Forse quel momento, il momento in cui lei e Ace sarebbero stati insieme senza preoccupazioni, conflitti o quanto altro era lontano, forse nemmeno esisteva, per tal motivo già custodiva quei piccoli frammenti presenti come fossero il suo più prezioso tesoro; non c’era bisogno che desiderasse altro. Le andava bene anche così perché in quel modo quei attimi sarebbero diventati così indelebili da non farle rimpiangere nulla di quanto poteva ottenere se mai avesse deciso di smettere di essere un pirata.

“Sayuri” la voce di Ace la riscosse dai suoi pensieri “Vorresti vivere così?”
“Come?”
“Dimmi..” ripetè Pugno di Fuoco seriamente e guardandola dritta negli occhi “Preferiresti una vita diversa da questa? Magari quella che potremmo avere senza aspettare di arrivare in fondo a quest’era?”

Poche volte l’aveva visto così fermo e serio e sempre l’argomento era così delicato che l’esito dato dalla risposta non era mai scontato o previsto. Le stava proponendo di scegliere, le stava apertamente chiedendo se volesse concretizzare quell’astratto desiderio di cui l’esistenza era incerta, in qualcosa di immediato e così raro che poi al primo tocco difficilmente l’avrebbe rifiutato. Il viso di Ace, i suoi lineamenti rispecchiavano alla perfezione quella solennità che lo animava da dentro e quasi lasciava intendere che ogni risposta che lei gli avrebbe dato, l’avrebbe rispettata e accettata senza alcuna replica. Era davvero disposto a mettere da parte quel che aveva conquistato soltanto per lei?

“Sarebbe bello poter dire di si..” mormorò guardandosi le mani “Ma sappiamo entrambi che non è quel che vogliamo, almeno non adesso”

Oh si...certo che poteva. Ace era un uomo di parola e se c’era una cosa che detestava era lasciare delle questioni in sospeso. Se lei un giorno non fosse stata più in grado di andare avanti, pur di non lasciarla sola, lui sarebbe rimasto a terra con lei mettendo da parte il rispetto e la fedeltà che nutriva per l’imperatore e tutto quel che comportava. Poteva farlo ma come aveva appena detto, non era quel che realmente voleva, non al momento e piuttosto che far perdere a Ace la felicità sarebbe stata disposta anche a tornare nella solitudine volontariamente. Il punto era, che quella questione non era un vecchio conto da saldare o una rivincita contro un pirata avversario: lì c’erano solo loro due e basta, con una domanda la cui risposta dipendeva strettamente da come si sarebbero comportati fino alla fine di quell’era o della loro storia a bordo di quella nave, nella loro carriera da pirata in generale.

“A me va bene anche così” continuò guardandolo sorridente “Mi va bene continuare a vivere in questo modo. Non posso tornare indietro, non voglio e anche se sarà difficile ancor più di prima, mi impegnerò e combatterò per proseguire su questa rotta. Ho scelto io di essere un pirata e non me ne pento; continuerò ad esserlo per poter avere altri momenti come questo e anche se non riuscissi ad ottenere quanto ci si aspetta di trovare alla fine, non ne avrei male perché...perchè...”

Improvvisamente la voce le venne a meno e si ritrovò come ingarbugliata in una matassa di fili fatti di parole. Ecco, stava arrossendo proprio sul fulcro di quel sintetico discorso. Quel groppo alla gola non erano che le sue ultime parole e lei nemmeno riusciva a pronunciarne una.

“Perché cosa? Dai, voglio saperlo” fece il finto tonto il moro avvicinandosi pericolosamente a lei.

Sorrideva furbescamente perché sapeva fin troppo bene quel che lei voleva dirgli ma non riusciva a rimanere serio davanti a quel rossore che continuava ad aumentare esponenzialmente.

“Io...insomma....ecco....”balbettò con la testa sempre più nascosta nelle proprie spalle.

Non capiva: capiva il perché stesse balbettando ma non capiva come fosse possibile dopotutto! Tenersi le mani sul cuore per provare a riportarlo a un battito umano le serviva quanto respirare e al momento di ossigeno ne aveva un disperato bisogno per non cadere a terra paralizzata come quando veniva a stretto contatto con quelle piccole e odiose creature a otto zampe. Ci stava mettendo l’anima a finire quanto iniziato e se Ace l’avesse lasciata fare un altro po’, sicuramente quella tensione interna di lei avrebbe raggiunto livelli così alti da farle uscire del vapore da tutto il corpo. Pugno di Fuoco sbattè la fronte contro il palmo della mano, lasciandosi sfuggire una mezza risata divertita: non c’era niente da fare,quando andava in panico per colpa sua - solo lui riusciva a ridurla in quello stato -, gli veniva troppa voglia di ridere e di mirare ogni suo gesto come se fosse nuovo. Ma di certo non poteva farla continuare in eterno, poverina....

“Ok, ho capito” allungò le mani quanto bastava per riprenderle il viso “Su, vieni qua..”
“Ace, cos...?”

Il sentirsi nuovamente toccare sul viso la ridestò da quello stato di balbettante imbarazzo in cui era incappata senza poterne uscire. Aveva avuto giusto il tempo di percepire la stoffa dei guanti del ragazzo accarezzarle le guancia, accompagnata da una pressione fattale sulla schiena per spingerla in avanti e poi..la confusione emotiva era finalmente cessata. I gesti semplici su di lei funzionavano come un calmante, esattamente come la sua pazienza e la sua amorevole calma placavano Ace quando era sul piede di guerra. Il solo parlare della questione di Barbabianca, sull’entrare o meno sulla sua ciurma, aveva richiesto tutta la sua delicatezza possibile perché sopra ogni altra cosa non voleva ne imporre la propria opinione sulla scelta del moro, ne tanto meno ferire il suo orgoglio.

E la stessa cosa valeva per lui: tante volte aveva fatto di testa sua, la lotta contro Jimbe era un bell’esempio o meglio ancora il primo scontro diretto con il vecchio Newgate, e a molte  era arrivato ad un passo dal rimetterci la pelle. Ora, una strigliata come minimo non sarebbe stato tanto fuori posto perché era sempre bene che certi testoni comprendessero i loro limiti e Sayuri a modo suo glieli aveva fatti notare: gentilmente si era seduta ed era rimasta in silenzio fino a quando lui stesso, non sapendo più che pesci pigliare,aveva iniziato a parlare. Lei ascoltava, ascoltava sempre e faceva così tanto che a volte neppure si accorgeva di quanto fosse tenera, per questo Ace la amava e voleva riempire quei vuoti di felicità, perchè era quel che si meritava. E anche un semplice bacio poteva diventare solido abbastanza da far cessare ogni incertezza.

“Tu dici che se anche non dovessi arrivare fino in fondo saresti ugualmente contenta perché avresti con te questi ricordi ma io no” ribattè ad appena un centimetro dalle labbra di lei.

I lucidi occhi color cioccolato di Sayuri furono inevitabilmente attratti dai suoi neri e profondi, esercitanti un magnetismo talmente incisivo che cancellavano il resto che li circondava, esclusa quella punta di calore lasciatole dal moro all’altezza delle labbra.

“Io voglio essere egoista” decretò convinto “Non dico che quello che ho non mi piace, solo che non c’è niente di male a voler desiderare di più: ci sono tante cose per cui valga la pena essere egoisti e non parlo soltanto di voler rendere papà il prossimo Re dei Pirati”

Quasi stentò a credere che quello fosse il comandante della seconda flotta di Barbabianca: una persona qualunque avrebbe pensato che un individuo avente quel ruolo fosse giudizioso, dal polso fermo, ragionevole e capace di usare il cervello prima di passare ai pugni e in un certo senso Ace ricalcava quelle qualità, forse con un ritmo non proprio costante,ma le incarnava tutte. La sola aggiunta era che quel suo egoismo non era esattamente quello che si poteva additare ad un bambino di cinque anni, non del tutto. C’era fermezza nel suo dire,sapeva come far intendere alla gente quando scherzava o meno e lì Ace aveva optato per una via di mezzo, mostrando si quel suo lato infantile che spesso era accompagnato dall’aspetto malandrino ma messo di fianco a un che di veritiero. Per quanto adulto dentro di sé, il ragazzo conservava quello spirito di bambino che tutti custodivano gelosamente - perfino lei, ma solo perché c’era suo nonno - ed era bello vederlo emergere,specie perché le serviva a scacciare via pensieri, dubbi, tutto quello che poteva inclinare il suo umore.

“Pensi che pretendere più di quanto si abbia sia sbagliato?” le domandò poi.
“No, a mio parere non lo ritengo una cosa del tutto negativa” confessò un po’ pensierosa con le prime idee venutele in mente “Se la posta in palio sono la nostra vita e i nostri sogni, credo che il non indietreggiare davanti agli ostacoli sia la scelta più saggia. Se si rinuncia immediatamente significa che quel che si mira a conquistare non è poi così importante”
“E se la vita in gioco non fosse soltanto la tua?” le domandò poi.

Il respiro le si spezzò, lasciando che emettesse un singulto spaesato.

“Ho detto di voler essere egoista, Sayuri” ripetè scostandole una ciocca ribelle dalla guancia “E tra le molte cose per cui ritengo giusto pretendere più del necessario ci sei tu, specialmente tu” calcò bene quel tu come a volerlo scolpire nel proprio animo “Voglio poter stare con te e continuare a vivere anche quando sarà tutto finito, voglio vederti serena perché so che se non ti vedo sorridere sono capace di non muovere mezzo passo. Voglio consolarti quando starai male e parlarti quando mi servirà un consiglio. Ci sono un mucchio di ragioni per cui sono pronto a mirare ancor più in alto, un sacco, ma per ora ti basti sapere che gli intermezzi non mi sono sufficienti: voglio rimanerti vicino e proteggerti ma per avere tutto questo, ho bisogno, io devo andare fino in fondo, quindi...” e qui sfoggiò il suo sorriso sghembo “Sarai costretta a seguirmi, che tu lo voglia o no”

Ed esattamente come la prima volta, Sayuri venne trascinata senza consenso su di una barca da cui difficilmente sarebbe scesa. Ace stesso la guidava e da quando Bianco Giglio vi era salita a bordo, il capitano ne aveva bloccato tutte le vie d’uscita per impedire che questa se ne andasse veloce come un battito di ciglia. Aveva bisogno di lei, era una presenza che lo faceva sentire così vivo da non poterne sopportare la lontananza. Dipendeva dal suo sorriso, quando non sapeva cosa fare lei tranquillamente gli indicava la via e lasciava che fosse lui ad arrivare alla conclusione più ovvia. In silenzio, lei stava al suo fianco e lo aiutava a vivere e lui non poteva fare altro che alleviare il dolore che per tanto tempo aveva combattuto da sola, proteggerla ed evitarle situazioni che la ferissero. Per quanto forte e capace di badare a sé stessa, era giusto che ogni tanto si preoccupasse per lei perché se negli scontri fisici eccelleva come pochi, in quelli emotivi, che la colpivano dove le pareti erano più deboli, il risultato era molto diverso, tale da vederlo preoccupato visto che le reazioni di lei erano un continuo mascheramento del suo vero status. Le lacrime che versava in quei momenti risvegliavano una bambina troppo ferita e diffidente perché lui potesse anche solo avvicinarsi ma ciò nonostante era sempre riuscito a raggiungerla e a consolarla, così come lei aveva fatto con lui non molto tempo fa. Era fatta così e non c’era modo per poterla cambiare: si preoccupava per gli altri incondizionatamente senza tener conto di chi avesse davanti, proponeva la soluzione più pacifica per evitare che qualcuno si facesse inutilmente male, combatteva tenendo alti quei principi con cui era cresciuta, mostrando un eleganza nei movimenti - sia quotidiani che no - che avrebbe fatto invidia a chiunque e sorrideva in un modo così sopranaturale che a volte, molte volte, credeva di avere a che fare veramente con un essere non del tutto umano.

Proprio come in quel momento.

“Se questa è la volontà del comandante..” sorrise lei “Penso di non poter replicare, giusto?”
“Esatto, dovrai sopportarmi per un altro bel po’. E poi se non ricordo male devo prendermi cura di te, non posso e non voglio lasciarti sola”

Altrimenti non l’avrebbe vista piangere, ne avrebbe potuto asciugarle le lacrime.

“E’ vero..l’hai promesso” mormorò memore di quel ricordò così bello “Così come è vero che anch’io devo mantenere fede alle promesse fatte”rispose.

Tra le molte parole, i sorrisi e i gesti fatti, Ace seppe subito dove indirizzare quell’ultima frase. Benchè avesse usato il plurale,S ayuri si era riferita a quella promessa, quelle che con tanto amore veniva custodita ma che tristemente non sarebbe mai stata baciata dalla luce. Ace sorrise e la strinse ancora una volta a sé, intrecciando in quei lunghi capelli le sue dita. Ancora credeva di poterlo rendere il re dei pirati mai ormai lui era deciso a far salire su quel trono chi considerava realmente come padre. Non era più possibile che fosse lui a ricoprire quel ruolo ma nonostante ciò, per una ragione e per un’altra, non riuscì a dire alla ragazza di smettere di impegnarsi per quel particolare giuramento. Lo sapeva che non sarebbe stato più possibile ed era certo che anche lei ne fosse ben conscia. Allora perché ancora ci credeva? Non osava rispondersi ne osava dirgli quel che pensava.

Preferiva tacere e godersi il calore di quel corpicino esile.

“Ti amo, sciocchina” le sussurrò all’orecchio.


 

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Capitolo 40
*** Le paludi di Loriam, l'inesistente terra. ***


Al solito,buon mercoledì a tutti voi!vi porto il quarantesimo capitolo che inaugura un mini-saga di vitale importanza per gli eventi successivi della storia.Spero vi piaccia,ho cercato di renderla il più realistica possibile.Bene,prima di lasciarvi,come sempre,vi ringrazio per leggere la mia fict,siete molto gentile e apprezzati dalla sottoscritta!

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E ovviamente anche un mega-ringraziamento a coloro che leggono soltanto!grazie!!

happylight:oh,la mia stellina e tornataaaaaaaaa!!!!!la strega dei ghiacci ha colpito,si si,e Sayuri più di tutte.E’ stata una fortuna che Whitey Bay non ti abbia visto sbadigliare altrimenti saresti finita a fare compagnia ai pesci surgelati insieme a me.La tua curiosità sull’isola su cui deve andare Satch qui sarà colmata e riguardo al suo mettersi in ginocchio col teschio immaginario,benvenuta nel club cara,non sei la sola che ha trovato comica questa scenetta e premetto che anche qui un po’ di comicità alla Satch non mancherà,ih ih ih!Maya e Don meritavano un loro spazietto,ma credimi cara,la sola cosa che scapperà fra questi due sarà un colpo di fucile.Il loro rapporto è difficile da spiegare ma non penso di farli mettere insieme,li preferisco litigarelli.Credo che se provassi a progettare il matrimonio mi lincerebbero viva.

Huntergiada:carissima,vedo che la scenetta fra i due eterni rivali ti è piaciuta!si,questi due non smetteranno mai di punzecchiarsi a vicenda,anche se un po’ mi dispiace per aver fatto cadere Bonz nell’acqua gelida,però se non mette gli occhiali io che ci posso fare?la mia Yu-chan imbarazzata fa sempre tante tenerezza pure a me e ogni volta devo inventarmi dei momenti decenti per renderla ancora più pucciosa!è una fatica ma ne vale la pena.So che non leggerai subito questo commento,ma spero ti auguro ugualmente buone vacanze!(si,sarai già tornata allora ma volevo dirtelo in ogni caso).

MBCharcoal:la mia Marta-chan!!a momenti stavo per scrivere ancora MBP,l’abitudine,sai com’è.Ma mi spieghi perché diavolo ti devi scusare?ti sento quasi sempre su deviantart,quindi non è un dramma…uf,non sto a ripeterti la solfa,ma davvero tesoro,non c’è bisogno che tu ti scusi,però a volte lo faccio pure io…va beh,cambiamo argomento!Bonz è vittima di starnuti orchestrali anche se l’ho fatto coprire per bene ed è anche caduto nel ghiaccio (temo che alla fine di questa fict mi manderà un reclamo per l’essere stata un po’ troppo cattiva con lui) e mentre lui corre verso il bellissimo giardino fiorito,il cugino e la capo-infermiera battibeccano.Non a caso Don è un cecchino se riesce a vedere da capo a collo la scollatura dell’infermiera..no,la verità è che quella la minacciava a distanza ravvicinata e poi,siamo sinceri,per quanto sia polemico sulle donne,nel profondo e ne va orgoglioso,è un uomo al cento per cento ma la sua etica e le sue opinioni gli impediscono di vedere Maya come una “donna” diciamo.In poche parole è stato attento solo per non beccarsi probabili schiaffoni.Oars mi stava simpatico e quindi ho voluto metterlo apposta perché ero tutta eccitata all’idea di mettere la sua parte e in quanto al signore delle fiamme…il fatto dell’essere egoista è stata una revisione completa di quella parte,come l’avevo messa prima non mi piaceva affatto e visto che poi lui è orgoglioso e non molla l’osso fino a quando non la spunta,perché non mostrare ancor di più quanto sia testone?(un gran bel pezzo di testone se devo dire la mia!).

angela90:tesoro!!!eh si,occhio a chi rivolgi gli occhi perché Zoro non sembra ma sta sempre attento alle sue fan,non vuole di certo farsi bagnare il naso dal marimo dalle ciglia arrotolate.La questione dei cappelli….te lo devo dire,non so come ho fatto,me lo sono immaginato:non so neppure se si facciano così io sono andata a tentoni e quel che ho messo,ho messo e se è piaciuto tanto meglio per me!se mai dovessi cimentarmi a fare un cappello per un grande come Oars credo che getterei la spugna nonostante la pazienza che mi ritrovo,finirei nell’anno 3000,forse.Che dirti,la mia Maya nonostante il freddo saprebbe andare in giro anche in bikini se fosse l’uniforme ufficiale,per donne come lei e lei sue fedeli seguaci,mantenere lo stile(come ha detto tu) è importante quasi quanto il lavoro.Lasciando da parte Don che è l’eccezione e l’idolo della foglia,Ace  ha occhi soltanto per Yu-chan,anche se approfitta della situazione per tendergli il dolce agguato;lei non è il genere di persona che veste con robe scollate,non come Nami.Al massimo la si vedrà con un gonna corta di jeans e basta ma non aspettatevi scollature a V fino l’ombelico.Per quello basta Maya e il medico-cecchino ne sa qualcosa.E intanto Bonzino corre in mezzo ai campi di fiori…

foreverme96:ehilà,buondì cara!mi emoziona sapere che lo scorso capitolo è stato uno dei più belli che tu abbia letto e ancor di più che tu abbia apprezzato la parte di Ace e Sayuri.Dunque,tu mi hai chiesto se introdurrò la morte di Ace(Dio,come odio quel momento):tralasciando gli sproloqui su cosa avevo in mente di fare prima,io seguirò la mia linea personale.Nel senso che,detestando il numero 573 con tutta me stessa per aver fatto spirare il mio personaggio preferito,ho deciso di modificare il finale che già avevo in mente di piazzare.Ho pubblicato la mia storia senza sapere cosa sarebbe successo a Ace e l’ho allungata per necessità,proprio perché detesto quel che è successo nel mondo di Oda e quindi,visto che seguo per l’appunto una mia linea,perché sono liberissima di gestire gli eventi,ho deciso di dare un finale alternativo a quello di Oda,dove cercherò di superarmi al meglio.Ci saranno combattimenti,chiaro,questa parte cercherò di renderla molto movimentata,spero solo di farla bene con il tempo,perché dentro ci metterò di tutto.Riguardo a Sayuri…chissà…….

tre 88:ciaooooooo!!!ti dico da subito che in un modo o nell’altro,Bonz si è salvato,è al sicuro è si sta riempiendo la pancia.Don e Maya hanno smesso di litigare per ora,altrimenti se ci fossero stati altri malati ci sarebbe stato un sterminio di massa.Questi sono un po’ come Zoro e Sanji ma preferiscono darsele con le parole che con le mani!Si,Ace è dispettoso e se ne approfitta perché Sayuri è buona e lo perdona..no,no,no,non si fa!non si bacia una persona a tradimento e poi la sia abbraccia come se niente fosse (anche se però io un pensierino lo farei volentieri..).

Sachi Mitsuki:la mia piccola Sachi!!!!!tranquilla,Bonz è salvo.Ace è il solito,lo so,gli piace baciare a tradimento,due volte sono troppe ma tanto finchè Yu-chan non se la prende…l’ho fatta troppo permissiva questa fanciulla,troppo dolce,tenera,buona,troppo tutto!però non la cambio,no,no:è la mia pupilla!Don e Maya doveva avere il loro attimo di gloria,era il minimo,ogni tanto bisogna pur rispolverarli.Qui sarà l’inizio di una parte fondamentale per la storia,con due persone che già conosci bene…non dico altro!

 

 

Un altro giorno, un'altra nevicata.
Oars III era seduto al suo solito posto e l’ammirava in tutta la sua sofficità e freddezza. Quei tondi fiocchetti di neve facevano a gara per scendere il più velocemente possibile, sorpassandosi a vicenda, rallentando la loro caduta o accelerando involontariamente. Era davvero buffo vedere quei strani chicchi color latte scendere dal cielo, imbiancare il terreno e ghiacciare il mare. Peccato che ogni volta doveva togliersi dalla testa, dalle zanne e dalle molte altre parti del corpo scoperte quella coltre immacolata che a lungo andare gli provocava un certo fastidio. Per l’ennesima volta, il suo sbuffo fu così sonoro da trasformarsi in una forte folata di vento caldissima che spinse una buona parte della neve lontano dalla sua bocca. Con un paio di dita si grattò via la neve dai capelli e si pulì le zanne sporgenti dai lati della bocca. Era davvero un peccato che non ci fosse un posto tranquillo sotto cui ripararsi...

Senza un motivo preciso, gli venne in mente Ace: era davvero un ragazzo simpatico, la sua compagnia gli era piaciuta fin da subito e aveva anche un bel cappello! L’arancione era un colore così allegro e poi la falda adornata con tutte quelle palline rosse, che si univano attorno a quei due stemmi dalle faccine sorridenti e malinconiche era molto pittoresca. Di cappelli ne aveva visti tanti però al momento quello del nuovo amico era presente nella sua testa poichè come modello di riferimento stava usando proprio quello. Si, si era davvero un gran bel cappello: non gli sarebbe dispiaciuto averne uno tutto suo ma era già un impresa trovare delle grosse vele colorate che potesse cucire per ottenere dei vestiti, figurarsi costruire una cosa tanto complicata come un cappello o quanto meno, trovarne uno della sua misura....

E intanto la neve scendeva. Sbuffò e, ancora una volta, con le dita, si tolse la neve depositatagli sulle punta delle zanne: davvero non capiva come una cosa tanto bella come la neve potesse era così fastidiosa. Proprio non capiva....

“Ehi, Oars!!!”

Il sentire pronunciare il proprio nome gli fece sbattere le palpebre un paio di volte. La voce non gli era nuova. Movendo di pochissimo la testa coperta dalla folta barba e dai lunghi capelli, il gigante fece roteare i suoi piccoli occhi verso il basso: con grande sorpresa ci trovò proprio Ace e da come sorrideva, doveva essergli capitato qualcosa di bello, anche se non comprendeva ancora la ragione. Inoltre, che cos’era quella grossa cosa tonda gialla dietro alle sue spalle?

“Ciao, Ace. Essere venuto a guardare neve?” lo salutò.

Il moro sorrise. Le volte che veniva a trovarlo gli poneva sempre la stessa domanda.

“Non proprio, sono venuto per darti una cosa” confessò.

Incuriosito, il gigante piegò la testa su di un lato. Che si trattasse di quella strana cosa gialla?
Si lisciò la barba attaccata alla guancia mentre osservava Ace trascinare ancor più vicino quel buffo oggetto. Anche se era lievemente chino per vedere meglio, non riusciva a collegare la cosa a una forma che avesse già visto.

“Cosa è?” domandò poi non trattenendo più la curiosità.

Per tutta risposta, Ace si voltò sorridente e gli fece segno di prendere quel che aveva portato lassù in cima. Nonostante fosse un po’ confuso, l’amico allungò il braccio quanto serviva e con l’enorme mano afferrò l’oggetto. Nel tastarlo, scoprì che era paglia, paglia resistente, la quale era stata intrecciata e lavorata al fine di creare quel grande e tondo coso che aveva le fattezze di una scodella. Lo osservò, piegando il capoccione più volte e guardandolo in ogni sua angolatura, con la speranza di scorgere un che di rivelatore che gli permettesse di capire cosa reggeva fra le mani.

“Cosa essere, Ace?” chiese per la seconda volta, arrendendosi.
“E’ un cappello. E’ conosciuto come Kasa, l’ho costruito per te” spiegò il moro raggiante.

Il gigante alleato di Barbabianca non parve capire. Quella sorta di scodella di paglia era un cappello?

“Un cappello? Per me?” ripetè guardando incredulo il piccolo uomo arrampicatosi sulla sporgenza più alta.
“Esatto” gli rispose “Con quello potrai guardare la neve senza che ti dia fastidio”

Oars III sgranò i piccoli occhi a palla e guardò prima il cappello, poi Ace, poi ancora il regalo: lo rigirò più volte come fosse un disco e infine provò a metterselo in testa, facendo attenzione alle corna che aveva in testa. Tutto il lavoro di Ace sarebbe stato vano se per errore il cappello fosse stato bucato proprio da una delle sue corna ramificate. Fece attenzione, fermandosi più volte per controllare se  lo stava ponendo nella maniera più corretta e una volta sentitolo toccargli la punta della testa, allontanò le braccia. Subito, il freddo che sempre gli aveva fatto compagnia per via del diretto contatto che aveva con l’aria, fu sostituito da un tepore che riscaldò la sua folta testa: era così strano non sentire la neve sulla proprio capo, perfino le spalle erano coperte quel quanto serviva a non provocargli brividi per la temperatura troppo bassa.Vedeva nitidamente, non percepiva più quella sofficità incolore come un fastidio.

“Allora, Oars? Che te ne pare?” domandò Pugno di Fuoco in attesa di una sua qualunque risposta.

In silenzio aveva osservato l’amico gigante guardare con fare guardingo il dono su cui aveva speso tempo e pazienza: dopo essersi concesso una pausa, aveva lavorato tutta notte, con Sayuri al suo fianco che gli aveva alleggerito il carico dividendo la paglia soffice da quella dura. Era andato tutto bene fino a quando, nello smistare la paglia, la poverina si era ritrovata sul braccio tanti piccoli ragnetti appena usciti dal bozzolo: il solo ripensare ai secondi successivi fece nascere in Ace l’ennesimo moto di tenerezza per la sua navigatrice. Non si era messa ad urlare e nemmeno era scappata via: semplicemente era collassata, rimanendo nella posizione in cui si trovava, con la faccia priva di quel poco colore che aveva e con quei simpatici esserini che le zampettavano su e giù per il braccio. Insospettitosi nel vederla ancora più silenziosa del solito, si era avvicinato e nello scoprire la causa di tanta rigidità, si era subito accurato di togliergli i ragni di dosso, spaventato, perché per almeno una buona mezz'ora la castana non aveva dato alcun segno di reazione - a parte qualche parola balbettata - rischiando di andare in iperventilazione se non l’avesse portata di corsa da Maya.

Non aveva idea di come quel bozzolo fosse finito nella paglia visto che i controlli della merce erano sempre molto minuziosi ma fatto stava che quando si parlava di ragni era meglio che Sayuri rimanesse lontana e anche se quel fatto gli aveva vantato altre coccole - e questo era l’unico lato positivo - non voleva vederla in quello stato, mai. Le aveva fatto compagnia in infermeria, tenendosela vicina e cercando di farla rinsavire con calma e alla fine ci era riuscito, anche se poi lei aveva preferito non rimettere piede in quella caverna. Quella notte era andata così, ma fortunatamente il tempo rimastogli era stato più che sufficiente per portare a termine il lavoro.

“Oars? Allora?”

Non riusciva a identificare l’espressione dell’amico, anche perché il dislivello era notevole ma poi distinse perfettamente le ampie zanne della bocca contrarsi in un sorriso ebete e ampissimo.

“Mi piace! Mi piace!” esclamò tenendosi il cappello con le mani.

Rise fragorosamente, così tanto che l’acqua del mare si increspò e la neve attaccata ad alcune sporgenze cadde per terra. Oars era davvero contento di quel cappello.

“E’ bello, mi piace!” ripetè gioiso. Poi guardò Ace e con la punta dell’indice gli toccò la testa, in segno di ringraziamento “Tu essere buon amico, Ace. Molto gentile e simpatico”
“Ah ah, ti ringrazio!” rise lui nel sistemarsi il suo di cappello.

Insolitamente il tocco del gigante non fu pesante, anzi: era stato controllato, leggero. Nel vederlo giocherellare con il suo regalo, il moro si sentì soddisfatto: almeno così la neve non sarebbe più stata un problema e Oars avrebbe potuto ammirarla senza diventare tutt’uno con essa. La contentezza dell’amico gli aveva quasi fatto dimenticare l’attuale situazione ma ora che era tutto passato, si domandava se avesse fatto bene a lasciare andare Sayuri con Satch. Gli rodeva, oh se gli rodeva, perché conosceva fin troppo bene quel biondino e, seppur fosse un suo grande amico, il vederlo andare da qualche parte con Sayuri non poteva non dargli fastidio, visto come l’aveva incastrata l’ultima volta. Già il dover sopportare i suoi saltelli mentre canticchiava sul ponte principale “Vado con la principessa, vado con la principessa!” era stato un supplizio a cui molto volentieri avrebbe posto fine, ma si era trattenuto, ripensando molto, ma molto attentamente, a quanto gli era stato spiegato con premura dalla sua cartografa. La questione era diversa dalla scorsa: era stata una scelta della ragazza - non di lui come subito aveva pensato - e dopo avergli illustrato anche il perché e chiesto molto gentilmente il permesso, lui gliel’aveva dato.

E certo che gliel’hai dato! Te lo ha chiesto lei!  Gli urlò il cervello.

Con tale affermazione, il suo cervello, momentaneamente posseduto da una volontà estranea alla sua, lasciò sott’intendere, come molti altri suoi compagni già sapevano, che quando si trattava di Sayuri, lui cambiava atteggiamento.

“Tutto perché lei ti guarda con quei occhi da santarellina innocente e tu, come un perfetto idiota, ti fai abbindolare” avrebbe aggiunto Don.

L’idea non gli era piaciuta subito fin dall’inizio, perché piuttosto di lasciar campo libero a Satch, sarebbe anche arrivato a fare a pugni con un compagno, cosa proibita sulla nave. Era più forte di lui, anche se era ben conscio che il biondo non si sarebbe mai permesso di osare in quel senso ma oramai non era più il caso di scaldarsi o di pensarci assiduamente come fosse un rompicapo mentale: Sayuri era già partita e a rincuorarlo - o meglio, a impedirgli di gettarsi al loro inseguimento - c’erano un serie di fattori per cui valesse la pena scommettere, come la smisurata fiducia che li univa, l’affetto che uno provava per l’altra e tanto altro ancora. In alcuna maniera si sarebbe permesso di dubitare di lei, mai lo aveva fatto e così sarebbe stato e poi, se proprio doveva dirla tutta, non ci teneva a fare la figura del gelosone. Il suo orgoglio glielo poteva far negare quanto voleva ma era chiaro come il sole che quando la ragazza veniva guardata con occhi languidi o ricevesse apprezzamenti poco consoni, immediatamente le pupille si assottigliavano a tal punto da ridursi a due fessure abbastanza intimidatorie. I suoi compagni non si permettevano di assumere simili comportamenti perché sapevano bene che genere di rapporto fosse il loro e, ancor più importante, essendo lei, la dolce sorellina che sempre dava una mano a chi ne aveva bisogno, nessuno si sarebbe permesso di negarle il rispetto che meritava di avere. Al di là di come avesse cercato più e più volte di farla arruolare nella sua flotta, anche Satch le riconosceva la forza e lo spirito di un vero pirata e stava sempre ben attento a non superare la linea di confine ben marcata, quindi non c’erano ragioni per cui dover temere le sue ridicole scenette.

E se mai fosse capitato qualcosa, sapeva dove trovarli e come interrare l’amico, lasciandogli fuori dal terreno soltanto la testa.

 


Le paludi di Loriam erano il tipico territorio dove tutto lasciava presagire che lì gli stranieri non fossero i benvenuti: non erano altro che sette zolle fangose, umide e incredibilmente calde, dove le canne e l’erba crescevano incolte e nascondevano tutto quello che c’era di viscido e strisciante. Lì di colori allegri non ve ne erano e se mai fossero esistiti, dovevano essersi spenti secoli addietro. Tutto lì era lugubre: il mare nero come la pece, le nuvole dense a tal punto da nascondere il sole e avvolgere le paludi in una notte senza fine, perfino l'aria stessa che si respirava. Le uniche luci presenti erano quelle presenti sulle fiaccole appese a dei pali conficcati nella fanghiglia salmastra, che poi doveva essere il mare, nonostante la disgustosa viscosità. La piccola imbarcazione su cui viaggiavano Sayuri e Satch veniva guidata con maestria e assoluta calma da quest’ultimo: il comandante impugnava il timone saldamente e con movimenti leggeri ma decisi portava la barca verso la riva, un ponticello di legno piuttosto malandato, avente le basi insite nella melma. Era facile pensare che anche il villaggio fosse sospeso su palafitte ma quello ancora non si vedeva quindi non se ne poteva essere certi.

“Ci siamo, principessa: benvenuta alle paludi di Loriam” esordì l’amico.

Il fondo della barca toccò riva: era stata una buona indea quella di prendere una scialuppa per attraversare quel tratto, la nave di Satch si sarebbe potuta incagliare negli scogli bassi o finire impantanata in mezzo a quel lerciume e non era proprio il caso visto che quello era il loro unico mezzo per tornare a casa. Assicurato l’attracco, il comandante della quarta flotta scese per primo, seguito dalla navigatrice.

“Ora segui i miei passi, principessa, altrimenti rischierai di affondare in questo pantame” le disse.

Prima del pontile vi era un sentiero di pietre galleggianti in mezzo appunto al pantame. Alcune di essere erano solidissime, perfettamente in grado di sostenere il peso di una persona ma altre erano fin troppo leggere e se qualcuno ci fosse salito sopra, subito si sarebbe ritrovato a testa in giù in quella melma talmente pesante da rendere ogni movimento vano. Con occhio attento e gambe scattanti, la castana segui passo dopo passo Satch e in men che non si dica, furono al sicuro sul pontile.

“Il villaggio è proprio davanti a noi. Andiamo?”
“D’accordo. Satch, scusami se te lo domando adesso, ma posso sapere perché gli abitanti del posto hanno richiesto la tua presenza? Da quel che mi hai spiegato, non hanno neppure scritto il motivo di tale chiamata..”
“E’ vero, ma non te l’avevo detto?” trillò girandosi verso di lei con sorriso smagliante “La letterà è stata una mia invenzione per strapparti dalle grinfie di Ace e buttarci così in una fuga romantica!”
“Satch”

Lo sguardo, sommato alle braccia conserte, disse tutto. Lei aveva chiesto il permesso al suo comandante di lasciarla andare alle paludi in quanto quel territorio era di fondamentale importanza per il completamento di una mappa a cui lavorava da tempo e Satch, ovviamente era stato così felice che l’aveva caricata immediatamente sulla barca, partendo alla velocità della luce prima che potesse cambiare idea. Sapeva di doversi comportare bene e di non fare avances alla fidanzata del suo amico perché altrimenti non soltanto avrebbe dovuto risponderne a lui ma anche all’intera seconda flotta visto che Yu-chan era molto beneamata.

“D’accordo, è una bugia. Credo sia inutile nascondertelo, lo scopriresti ugualmente” proferì recuperando dal suo fondo emotivo un po’ di serietà “Devi sapere che oltre alla lettera che ti ho mostrato, ho ricevuto un altro messaggio ma che è arrivato separatamente dal primo per motivi di sicurezza” spiegò “Sin dall’inizio volevo che mi accompagnassi ma non te l’ho detto perché..beh, si vede quanto tu voglia stare con Ace e lui ti adora, però poi tu ti sei mostrata interessata e...”
“E allora hai colto l’occasione, dico bene?” concluse lei.
“Esatto” continuò asserendo col capo. Esito un po’, ma poi riprese a parlare “Non potevo chiederlo ai miei compagni e le infermiere giustamente devono prendersi cura della salute di papà, per questo quando hai accettato mi sono sentito sollevato. Tu sei la che sola può aiutarmi in questo così momento difficile” le afferrò le spalle e guardandola dritta nei occhi esclamò: “Sayuri, non hai idea di quanto ti sia grato della tua presenza qui!”
“Ne sono felice, ma ancora non mi hai spiegato di che cosa si tratta”

Satch esitò ancora una volta mai poi, annuendo con più vigore rispetto a prima, decise di finire quello che aveva iniziato:

“Mi devo sposare.”
“Satch” e gli rifilò lo stesso e identico sguardo di prima.
“...Non ci hai creduto nemmeno per un secondo, vero?”
“Esatto”
“Uffa!” sbuffò deluso “E dire che mi sono esercitato! Volevo ingelosirti con il mio matrimonio combinato così finalmente avresti dato libero sfogo ai tuoi reali sentimenti, ti saresti finalmente dichiarata e avremmo potuto coronare il nostro sogno d’amore!” pigolò, piegando la testa in basso e rigirandosi i pollici.
“Perdonami se te lo faccio notare, Satch, mai io sono già felice con Ace” gli rispose lei sorridente.
“Quindi non ti alletta l’idea di un amante segreto?” tentò nuovamente.
“Affatto. Ora saresti così gentile da spiegarmi il vero motivo di questa convocazione?”

Il biondino dovette arrendersi ancora una volta all’evidenza prima che fosse troppo tardi e passare ad argomenti meno dolenti al suo orgoglio.

“E’ come ti ho spiegato la volta scorsa” le disse camminando di fianco a lei “La lettera dice soltanto di venire il prima possibile ma il motivo non l’hanno accennato minimamente”
“Allora non ci resta nient’altro da fare che scoprirlo da soli” ragionò lei.
“Esatto e ho già una mezza idea da dove partire”

In pochi minuti giunsero al villaggio: ogni costruzione aveva la base sospesa sulla fanghiglia, esattamente come delle palafitte. Era incredibilmente piccolo e spoglio: il pontile si districava in altre ramificazioni più piccole, unendo le capanne dal tetto di paglia verde e dalle pareti circolari fatte con le canne di bambù. Anche se era affiancata da Satch, che conosceva bene la zona e le persone, Sayuri si sentì ugualmente spaesata e soprattutto osservata da occhi curiosi e guardinghi: non ci badò più di tanto, perché era perfettamente logico visto che lei in quelle terra era una straniera a dispetto dell’amico. Sarebbero andati a far visita agli sciamani del villaggio, i capi delle terre di Loriam e per eventuale sicurezza lei avrebbe aspettato fuori. La loro lingua alle sue orecchie era incomprensibile e voleva evitare di far fare brutte figure al biondo con domande che richiedevano una continua traduzione.

“Satch, puoi spiegarmi che cosa rappresentano quelle statue?” domandò ad un certo punto.
“Uh? Quali?”
“Quelle situate sui bastoni al posto dei focolai” precisò, riferendosi a quanto stava osservando “Cosa rappresentano di preciso?”

Era da un po’ che le osservava senza ben capire cosa esattamente fossero. Le acque attorno ai pontili ne erano piene ma era così buio lì, nonostante i focolai, che era riuscita soltanto in quel momento a realizzare i tratti estetici di una di quelle statue. La prima deduzione pensata fu a una divinità protettrice del villaggio: raffigurava un uomo - almeno così credeva - e le molteplici tavole erano sparse un po’ dappertutto, anche vicino al pontile d’entrata a Loriam. Sospettava che tutta la palude ne fosse circondata.

“Si tratta di un guerriero” le venne in aiuto l'amico “Il nome non lo conosce nessuno, ma pare che secoli addietro abbia salvato queste terre da un demone e che da allora il suo spirito protegga il villaggio” spiegò sinteticamente.
“Un demone?”
“Così parla la leggenda..oh, siamo arrivati”

Avevano percorso tutto il villaggio sino ad arrivare davanti a una capanna visibilmente più grande delle altre. Davanti alla tenda d’entrata - che fungeva da porta - vi era un anziano:il suo fisico era asciutto, tanto che le costole gli si intravedevano piuttosto bene, così come le ossa delle caviglie, dei polsi, benchè se questi fossero avvolti da bracciali grossolanamente lavorati con del rame giallo. La sua pelle era scurissima, in pieno contrasto con la barba e i capelli completamente bianchi, intrecciati e legati insieme in un acconciatura tipicamente indigena. Gli abiti erano ridotti a una semplice toga che gli coprivano le gambe e metà torace, sostenuta da un nodo legato sulla spalla. Scalzo ai piedi, era lievemente ingobbato e osservava i nuovi arrivati con circospetto, in particolar modo Sayuri.

Satch lo salutò nella lingua insegnatagli e la ragazza non potè fare altro che inchinarsi in segno di rispetto, sperando che quel gesto non fosse nulla di compromettente in quella cultura. L’anziano si rivolse al biondo con voce appena udibile e rauca e a giudicare dai furtivi sguardi che lanciò alla giovane,era evidente che stesse chiedendo all’amico chi fosse la straniera che si era portato a presso. Il comandante della quarta flotta parlò tranquillamente e man mano che continuava nel suo discorso pareva convincere sempre più l’anziano,che annuiva silenziosamente.

“Tutto a posto!” esclamò il biondo una volta che l’anziano fu rientrato nella capanna.
“Posso sapere cosa gli hai detto?” domandò Sayuri.
“Semplice: gli ho detto che sei la mia futura sposa e lui si è congrat....ehi, ehi, ehi! Dove stai andando?!”

Senza alcuna esitazione, la “Futura sposa” si era girata di centottanta gradi e incamminatasi con tutta calma lungo il pontile, con la ferma intenzione di tornare alla scialuppa.

“Eddai, principessa, stavo scherzando! Scherzavo!” le si parò davanti grattandosi la nuca dispiaciuto.
“Satch, tu sei un mio buon amico, ma sappi che se continuerai ad abusare della mia pazienza in questo modo, recupererò la nave e tornerò alla Moby Dick. Conosci la ragione per cui mi trovo qui, pertanto ti prego di smetterla, altrimenti dovrai risolvere questa faccenda senza il mio aiuto” lo avvertì tranquillamente.

Il biondino intuì che dietro a quell’innata calma che sempre contraddistingueva la ragazza ci fosse, oltre la pura verità che gli era stata appena detta, quella determinazione che sicuramente sarebbe emersa se non avesse posto fine alle sue scenette scherzose: non immaginava di certo una simile reazione da parte della principessa ma non poteva non ammettere che stava calcando la mano con le sue solite avances. E a ricor di fatti, era meglio essere rimproverati amorevolmente da lei che essere massacrati dal quel gelosone di fuoco quale era il suo fidanzato.

“Ok, non lo faccio più, ma non dirlo ad Ace. Potrebbe seriamente attentare alla mia vita” le chiese con le mani congiunte a preghiera.

Da prima lei lo osservò attentamente, poi si lasciò scappare una risata dolce.

“Purchè tu ora ti concentri su questa faccenda”
“Sissignora!”

 


Era seduta su quella panca di bambù da quasi un’ora. Satch era ancora dentro a parlare con gli sciamani e lei non potendo partecipare alla conversazione, era stata gentilmente posta fuori ad aspettare, esattamente come aveva previsto. La scelta non le dispiaceva, i sommi anziani di Loriam avevano le loro buone motivazioni per volere nella capanna soltanto l’amico ma dentro di sé cominciò a crescere quella minuscola punta di curiosità che non avrebbe potuto soddisfare istantaneamente. Con gli occhi rivolti alle gambe dondolanti e la mente priva di pensieri tristi, si domandò se la convocazione dell’amico fosse una sciocchezza risolvibile in un paio di secondi oppure una faccenda delicata e che dunque richiedeva la massima attenzione e sicurezza.

Proprio non ne ho idea...

Sospirò ritraendo le gambe e accucciando le mani in grembo. Quell’ambiente era così cupo e fermo che poteva benissimo far perdere la cognizione del tempo a qualunque persona che non appartenesse al villaggio. Si ritenne fortunata ad avere Satch con lei, non vi era particolarità di quel posto che non conoscesse, senza contare che poi li non c’era nessuno con cui potesse provare a interagire. La cosa la lasciò alquanto perplessa: d’accordo che il villaggio era piccolo e dunque gli abitanti fossero pochi, ma non vederne neppure uno in giro la stava impensierendo non poco, anche perché l’atmosfera che la circondava si era inspiegabilmente raggelata, tanto da far spegnere i fuochi sui pali. Una corrente densa come la nebbia si era alzata e ora copriva i pontili e tutto quello che c’era al suo disotto. Vi era un che di spettrale, di silenzio tombale e man mano che Sayuri cercava di armonizzarsi con quell’ambiente, percepiva la nebbia trasformarsi in tentacoli, solleticarle i polpacci e salire lentamente fino alla vita. C’era qualcosa lì, tra la nebbia e quelle spire, qualcosa di freddo e di solido..

Nel sentirsi sfiorare la schiena scattò in piedi ma nel voltarsi non vide nessuno: com’era possibile che qualcosa le fosse arrivato alle spalle senza che lei se ne accorgesse?

Inspirò e con i sensi allertati e il corpo pronto, strinse saldamente un elsa del sai che stava per estrarre da sotto la maglietta; scrutò con gli occhi la zona e solo quando vide un ombra astratta avanzare verso di lei, si preparò ad afferrare anche il secondo pugnale. Era pronta ad agire ma quando quell’ombra giunse ai suoi piedi, vide che non era altresì che una piccola palla marrone.

“E questa qui?”

Sciolse la presa sui pugnali e prese tra le mani il tondo oggetto senza abbassare la guardia:era proprio una palla, di cuoio scuro,scucita in più punti da cui fuoriuscivano quelli che assomigliavano a dei fili di lana bianca. Fu nel tenere tra le mani quel giocattolo che lo avvertì: riuscì a indirizzare i suoi sensi verso un punto concreto, verso una fonte che stava in piedi davanti a lei, a pochi metri da dov’era inginocchiata. Un bambino- probabilmente il proprietario della palla - era comparso dal nulla e ora pareva guardarla, anche se gli occhi erano occultati da lunghi e lisci ciuffi neri: era piccolo, non aveva che dei pantaloncini neri indosso, impolverati quasi quanto la canottiera non più bianca. Aveva tutte le fattezze di un piccolo essere umano ma fatto stava che la pelle chiara, cerea stava a indicare che non era del posto: per quanto potesse risultare incredibile, la pelle di quel bimbo era di un color cadavere, con tanto di sfumature violastre nei vari angoli del viso e del collo ed era da essa che proveniva quella misteriosa freddura. Nel alzarsi cautamente in piedi, Sayuri ne scorse la bocca contratta in un sorriso all’ingiù, triste e spento. Che fosse l’artefice di quell’atmosfera o altro, la ragazza acquietò il suo animo e avanzò verso di lui con calma per poi inginocchiarsi davanti e porgergli l’oggetto.

“E’ tua?” gli domandò con dolcezza.

Da prima, lui non si mosse ma poi annui timidamente, come se fosse spaventato da lei.

“Su, prendila” lo esortò con delicatezza.

Ignorava cosa volesse, quel bimbo non accennava a muoversi; allungo semplicemente le braccina ossute e quando le sue dita toccarono il materiale liscio e un po’ rotto della palla, subito le ritrasse velocemente. Cosa successe dopo lei non lo seppe: si sentì sollevata in alto e poi lasciata cadere senza aver nulla con cui rallentare la caduta. Al momento dell’impatto aprì gli occhi di colpo, boccheggiando. Con la mano appoggiata all’altezza del cuore, si guardò in giro prendendo ampie boccate d’aria, come fosse appena emersa dall’acqua: i fuochi erano accesi, si udivano le voci degli abitanti....

Era tornata o meglio, si era svegliata.

“Meno male..” sospirò rilassando i muscoli.

Dubitava fortemente che fosse stato un semplice incubo provocato dall’aver mangiato cibo pesante, oramai sapeva distinguere le falsità dalle verità e quello di certo non era stato un desiderio remoto del suo subconscio: qualcosa l’aveva chiamata e attirata in quel quadro spettrale, con quel bambino....

Il problema era: che cosa?

“Ce ne hai messo di tempo per svegliarti” proruppe una voce strascicata.
“Uh?”

Un’anziana abitante del villaggio le si era avvicinata incuriosita dalla sua lunga permanenza su quella panca. Lentamente la ragazza voltò la testa e fece abbassare i suoi occhi, sino a incontrare due iridi nere dai contorni bianchi e stanchi. La figura che vide non era altro che una nonnina tutta ingobbata e avvolta nelle sue vesti che le fasciavano il corpo,lasciandone alcune scoperte, come caviglie e braccia. Il viso scuro era solcato da molte rughe, chiari segni di una vecchiaia avanzata, la corporatura esile e sottile veniva aiutata a tenersi in piedi da un robusto bastone che stringeva tra le sue magre dita. Ciò che saltava più all’occhio erano le moltitudini di orecchini pendenti che portava sui lobi; troppi perché un piccolo pezzetto di carne potesse reggerli tutti insieme ma a forza di indossarli ogni giorno della sua vita, la vecchina si era abituata a tal punto da non udire più alcun fastidio.

“Non pensavo che quella canaglia di Satch si portasse dietro qualcuno” si mostrò sorpresa avvicinandosi alla panca per poi sedervici sopra.
“Lei conosce la nostra lingua” Sayuri ne fu colpita, non credeva che ci fosse qualcuno in grado di capirla.
“A differenza di quasi tutti gli abitanti del villaggio. Se sei un’amica di Satch, immagino che anche tu sia una pirata” dedusse lei.
“E’ esatto: mi chiamo Sayuri, molto lieta” si presentò chinando il capo in segno di buona educazione.
“Piacere, io sono l’anziana Chiko. Non ti dispiace se ti faccio compagnia? Mi sembri annoiata a stare qui da sola”
“Oh no, affatto. La ringrazio molto”

Fu confortante avere qualcuno con cui parlare. L’anziana Chiko abitava nel villaggio da sempre e conosceva tutto di tutti, anche se visto le attività dell’isola c’era ben poco da sapere. Le visite erano rare così come le uscite nel cosiddetto mondo esterno: per rispetto di quelle terre e soprattutto per la loro storia, gli sciamani del villaggio - un branco di cocciuti a detta dell’anziana signora - non volevano in alcun modo che il loro piccolo popolo potesse essere in qualche modo invaso e deviato da culture più grandi e in disaccordo con l’armonia creatasi nel posto.

“Le nostre isole non sono fiorenti come le altre, senza contare che qui veniamo regolarmente colpiti dai terremoti. A nessuno piacerebbe vivere in un posto dove la terra trema in continuazione, senza contare che qui siamo molto isolati dalle rotte principali, come ben certo tu saprai” raccontò appassionatamente.
“Queste isole sono soggette a terremoti? E come riuscite a vivere senza risentirne?”

L’anziana allargò la sua bocca in un ampio sorriso; la curiosità degli esterni era sempre ben apprezzata da lei che amava parlare del suo villaggio.

“Ah, non devi sorprenderti: viviamo qui da tantissimo tempo e abbiamo imparato a convivere con i pro e i contro di queste terre. Inoltre quest’isola è più distante delle altre e pertanto non risente molto delle scosse sismiche”

La disinvoltura che mostrava era un chiaro segno della veridicità delle sue parole, tuttavia quel lieve velo di malinconia che si annidava nei suoi occhi era evidente quanto la sua felicità e dopo aver ascoltato tutti quei bei discorsi, Sayuri ne comprese il perché: Loriam era da sempre un posto isolato, dove nessuno osava metterci piede sia per le condizioni ambientali e anche per un motivo - quello principale - di cui lei ancora non conosceva la natura. Gli sciamani aiutavano quelle poche persone del villaggio a vivere in piena tranquillità ma la loro mentalità era ristretta e se si proponeva qualcosa che non combaciava alle loro aspettative subito la deponevano in un angolo come non valida. Ricordava bene lo sguardo severo dell’anziano vicino alla tenda e doveva ringraziare Satch se non era stata cacciata. Nel guardarsi le mani provò un insolito senso di smarrimento: quella non era la sua casa e proprio perché ne era conscia percepiva una nostalgia che neppure con il definitivo abbandono della sua isola natale aveva provato. Certo, la c’era la tomba di suo nonno, i suoi gigli...

Anche se avesse voluto, difficilmente sarebbe tornata su quell’isola. I suoi ricordi più orrendi risiedevano là.

“Però, la tua mano è difficile da leggere!” affermò l’anziana Chiko.
“Come dite, prego?”

Si era così inoltrata nei meandri della sua mente, che neppure si era accorta che l’anziana aveva preso tra le sue mani la sua, esaminandola attentamente.

“La tua mano. Le linee delle tue mani sono molto difficili da leggere” ripetè.
“Eh eh, lei non è la prima persona che me lo dice”

Anche quella sibilla glielo aveva detto.
Era stata la prima cosa che era saltata fuori durante la sua seduta per conoscere il proprio futuro. Purtroppo la parte che sempre soleva emergere come un ritornello dal suono crescente riguardava l’ultimo pezzo, la sfera di cristallo: tante erano le volte che ci aveva pensato e mai sino a quel momento era capitato qualcosa di grave a Ace, però...il ripensare al fuoco che veniva inghiottito da quell’oscurità le faceva accapponare la pelle.

E’ nascosta. Solo con gli occhi dello spirito la potrai vedere ma attenta: saprà ingannarti usando parole sincere.

Quella frase era la chiave per risolvere l’enigma ma non era ancora riuscita a ricollegarla nella realtà. Era sempre ben attenta a quanto le accadeva intorno ma non poteva arrivare a dubitare dei suoi stessi amici. La sibilla le aveva rivelato che era un cattivo segno e che era libera di agire al fine di mutare il corso degli eventi ma stava di fatto che quella cosa sarebbe ugualmente accaduta o avrebbe portato la nascita di un evento spiacevole. Nel serrare le dita, chiudendole in un pugno, rafforzò la convinzione di non arrendersi: che fosse vera o meno quella predizione, nessuno le avrebbe impedito di difendere le persone che amava, anche a costo di utilizzare la propria vita come scudo. Doveva solo capire da cosa guardarsi le spalle e fare in modo che nessuno a lei caro venisse ferito.

“Saprà ingannarmi con parole sincere....” mormorò con occhi vitrei.
“Che? Cosa ti prende, Sayuri?”
“Oh..” si riscosse dai suoi pensieri “Perdonatemi, anziana Chiko. Stavo riflettendo”

Sentiva quel momento in agguato, vicino e invisibile ai suoi occhi, come un giaguaro che osserva la sua preda e aspetta di colpirla al momento giusto. Non si sarebbe lasciata cogliere di sorpresa, avrebbe fatto tutto il possibile per parare il colpo e respingerlo al mittente. Sedutale accanto, l’anziana signora strabuzzò gli occhi per quello che stava vedendo agitarsi nelle iridi color cioccolato di quella ragazza: conosceva molte leggende sul nuovo mondo ma mai avrebbe pensato di vedere di prima persona l’haki, lo spirito vitale di una persona. Seppure fosse potente - perché lo percepiva come tale -, quella ragazza lo stava tenendo sotto controllo perfettamente; non c’era esitazione o macchie di paura a sporcare quella volontà limpida e dura come l’acciaio, quella ragazza era..pura. Non vi era molto di cui stupirsi, di possessori di haki ce ne erano ma il fattore che suscitava una così elevata sorpresa nel cuore raggrinzito dell’anziana, era che non si aspettava di vedere un simile potere nel corpo di una persona così giovane e a giudicare da quanto riusciva a percepire, doveva già esserne in possesso da parecchio tempo. Fu allora che volle compiere un piccolo azzardo:

“Sayuri, posso chiederti cos’hai sognato?”
“Come?”
“Ti ho chiesto cos’hai sognato mentre dormivi: ti sei svegliata di scatto, come spaventata da qualcosa. Hai avuto per caso un incubo?” domandò con premurosità nel tono.
“Oh..a essere sincera, non si trattava proprio un incubo ma nemmeno un sogno. Non saprei bene come identificarlo” ammise pensierosa.
“Tu prova a raccontarmelo e vediamo se ti posso aiutare”

Sayuri attese prima di cominciare e nell’intrecciare le dita rievocò mentalmente quella visione ancora così vicina e nitida. La bocca le si aprì e cominciò a raccontare: parlò della nebbia, del freddo e di quel bambino dalla pelle bianca e violastra, ossuta e di come fosse triste...

Aveva udito e percepito sulla sua pelle chiara un forte senso di solitudine ma anche un lieve velo di malignità concreta,presente appositamente per lei, affinchè vedesse e capisse un qualcosa che ancora non aveva colto. Man mano che proseguiva, l’anziana Chiko ascoltava attentamente, annuendo ogni tanto: la vecchia abitante del villaggio si mostrava calma ma dentro di sé, lo stupore aleggiò a tal punto che dopo un po’, giusto verso la fine del racconto, i suoi occhi non poterono nascondere tanta sorpresa. Indubbiamente la giovane non poteva aver mentito, era fuori discussione e pertanto la sola scelta che rimaneva era quella a cui fin dall’inizio pensava con assiduo vigore.

Se davvero ha sognato quello spirito questo può significare che è giunto il momento di agire ma non avrei mai pensato che fosse questa ragazza....

Sapeva che i componenti della ciurma di Barbabianca erano dei autentici fuori classe, alcuni di loro possedevano poteri e capacità che sfuggivano alla comune logica della natura ma in tutta sincerità, il solo osservare quella bambina,il solo percepire la sua volontà, le stava scombussolando lo spirito. Leggerle la mano non le era stato sufficiente, le sue linee erano vaghe, troppo per tracciarne un profilo abbastanza convincente e a giudicare da come tutti i suoi sensi erano concentrati su un unico pensiero, era evidente che quella fanciulla nascondeva molto più di quanto desse a vedere.Era sicuramente un segno: l’inviare la lettera a Satch serviva a condurlo lì, cosicchè potesse porre fine a tutta quella pantomina e mostrare la verità che si celava dietro alla leggenda delle paludi di Loriam ma mai avrebbe pensato che il fato le venisse incontro con così tanta fortuna; certo, la questione non poteva essere delle più rosee perché se quel che pensava era corretto, significava che il tempo a disposizione era scaduto: quel bimbo di cui le aveva parlato non era che un messaggero di quelle entità che stavano aldilà della porta e che a quanto pare l’avevano designata come una degna depositaria dell’arma. Ormai le loro terre non erano più sicure, loro avevano deciso ma lei, scettica e dubbiosa sul piano d’azione di quelle entità, prese la ferma decisione di vederci chiaro.

 


“Come hai detto? Non ti hanno spedito loro la lettera?”
“Già. Sono stato li dentro un’ora a cercare di capire se stessero mentendo o meno ma da come mi hanno guardato sorpresi, direi che non ne sapevano niente fino a questo momento” Satch sbuffò e si sedette sulla panca con pesantezza “Non hanno fatto che ripetere le stesse cose, ancora un po’ e diventavo matto”

Dopo un’altra buona manciata di tempo sprecata ad aspettare pazientemente, Sayuri aveva finalmente visto uscire Satch completamente distrutto e con la testa dolorante. Non osò chiedere cosa di preciso i nobili anziani lo avessero sottoposto ma fatto stava che oltre a un bel mal di testa aveva scoperto che nessuno di quei cinque capi gli aveva spedito la lettera e che quindi le possibilità della sua presenza lì insieme alla principessa erano collegate a due opzioni: la prima, che fosse stato qualcuno’altro a chiamarlo con tanta urgenza, la seconda, che era stato tutto uno scherzo a opera di quei adorabili bambini indigeni che già una volta avevano tentato di cucinarlo con le verdure del posto. L’uomo scosse la testa energicamente scacciando la seconda ipotesi: d’accordo, già una volta l’avevano fatto ma era bastato semplicemente mostrare un quarto della sua spada per fare capire a quei frugoletti che il cibo preferito dei pirati sono i bambini birichini e che se capitava una seconda volta potevano già considerarsi la sua cena.

No, la lettera era stata scritta indubbiamente da un adulto ma nonostante il suo continuo pensare,più la parlata con i capi del villaggio, il motivo della sua chiamata non era ancora saltato fuori. Eppure era lì, su un piatto d’argento che sicuramente lo stava fissando sventolando le braccine di metallo e lui ebete nemmeno se ne accorgeva. Doveva riflettere con calma e lucidità;sicuramente prendere un po’ d’aria fresca lo avrebbe aiutato.

“Siamo a un punto morto, principessa. E io ti ho perfino lasciata qui sola soletta..” sospirò sistemandosi meglio il ciuffo all’insù.
“Non rammaricarti, ho avuto modo di conoscere un’anziana abitante del villaggio che è stata così cortese da...”
“Un’anziana abitante del villaggio?” la interruppe bruscamente.

Improvvisamente nel biondo si accese quella piccola lampadina che simboleggiava l’avvento di un’idea o meglio ancora di una illuminazione rivelatrice: che idiota! Perché diavolo non ci era arrivato subito? Sicuramente doveva star apparendo alquanto fuori di sé mentre si dava continue sberle ma davvero...non sapeva cosa gli avesse impedito di arrivare alla lampante deduzione che dietro a tutto quanto c’era colei che meglio conosceva il villaggio, le sue peculiarità e che sempre ne sapeva una più del diavolo. Non ci volle molto per convincere la principessa a fargli dire per filo e per segno cosa fosse successo in sua assenza e soltanto quando l’amica ebbe finito di narrare quel poco che c’era da conoscere, il quadro che cercava invano di completare da quando era sbarcato a Loriam prese un senso.

“E’ stata lei. Ha scritto la lettera per farmi venire qui, gli sciamani dicevano la verità” affermò sicuro di sé ”Come diavolo ho fatto a non arrivarci prima?”
“Perdonami, ma non riesco a comprenderne la motivazione” si fece avanti la ragazza “E poi se davvero è stata lei a convocarti, perché non ti è venuta a cercare al molo?”

Si erano incamminati verso l’uscita del villaggio, proprio dove avevano lasciato la loro imbarcazione e tra i due, Sayuri era l’unica che ancora non aveva ben compreso il piano progettato da quella vecchina. Teneva il passo senza farsi influenzare da quel caldo afoso ma nonostante il biondo la stesse rendendo partecipe delle sue deduzioni, non riuscì comunque a capire dove volesse arrivare.

“Satch, ti prego, spiegami a cosa stai pensando: la signora Chiko è in pericolo?” domandò preoccupata, bloccando la sua veloce camminata.

Il comandante della quarta flotta si voltò verso di lei, in attesa della sua risposta.

“No, non credo” le disse, sollevandole l’animo “Ma per sicurezza voglio controllare che sia in casa: credimi principessa, quella avrà pure le sembianze di una innocua nonnina, ma ha una mente contorta che solo pochi riescono a capire.”
“In questo caso allora sarà meglio affrettarsi”

Qualunque cosa l’anziana signora indigena avesse in mente, era opportuno fermarla o quanto meno, pretendere una spiegazione per tutta quell’assurda faccenda di cui ancora entrambi non vedevano il fondo ed era quel che Satch voleva ottenere una volta trovata la suddetta.

 


 

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Capitolo 41
*** Macabra leggenda: il tesoro che portò la rovina. ***


Buon pomeriggio a tutti voi!bando alle ciance e inoltriamoci nella saga di Loriam!come sempre prima di iniziare,porgo i miei sentiti e dovuti ringraziamenti a tutti voi!

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TopazSunset:ciao carissima!visto?un capitolo dove Satch ha campo libero,più o meno.Ci prova in tutti i modi ma non può mettere nel sacco Yu-chan,anche perché ne andrebbe della sua vita.Ti dico solo che mentre saltellava felice e contento sul ponte,Ace era trattenuto da tutta l’ex ciurma dei pirati di picche.Non era molto felice al riguardo ma fintanto che ha fiducia in Yu-chan,non ha nulla di cui preoccuparsi visto che lei dice sempre di noi,cordialmente al biondo!si,in passato lo si voleva strangolare amorevolmente visto che interrompeva i piccioncini sul più bello ma in fondo,come non si può amare quest’uomo?(per quel poco che si è visto).

tre 88:ehilà,ciao!!!hai visto?Ace ce l’ha fatta a terminare il cappello(tra un incendio e l’altro).Non lo dirà mai apertamente perché ha la testa dura come il marmo ma è molto geloso che qualcun altro guardi la sua Yu-chan,Satch sarà pure contento di poter andare in missione con lei ma se sgarra sono guai!ti dico subito che la faccenda della nonnina durerà qualche altro capitolo e spero di averla trascritta bene.In questi giorni il tempo è quello che è e se servono delucidazioni puoi sempre chiedere,non farti problemi.Per quanto riguarda il caro Don,il fatto che lui non alzi le mani su Maya è perché se mai osasse la darebbe vinta a lei,mostrandosi rude violento e tutto le robe via dicendo.Lui la vuole zittire a parole e non picchia perché dall’alto della sua posizione,lo ritiene inutile (a parte quando si devono massacrare gli avversari,lì è tutto regolare).Sta tranquilla,non stai scrivendo niente di offensivo,anzi,mi fa piacere che tu ti preoccupi ma non ce ne è motivo.E’ normale chiedere.

MBCharcoal:Marta-chaaan!!grazie per i complimenti,sono felice che il Satch che ho creato sia il più provolone del mondo.Ace e Oras,l’ho già detto meritavano spazio perché i loro flashback mi sono piaciuti tantissimo e già che c’ero ho inserito un pezzettino sui ragni,l’incubo della mia povera pupilla.Non è stata una passeggiata essere ricoperta di piccoli,pelosi e zampettanti esserini,la povera Yu-chan non ha più voluto mettere piede in quella caverna,anche se a malincuore per non poter aiutare Ace ma piuttosto che rimettere piede lì dentro,sarebbe disposta a nuotare in costume fra i ghiacci!incuriosita sulla faccenda di Loriam?tesoro mi fa piacere,spero solo di renderla a dovere,in questi giorni sono un pochino indaffarata,quindi se scappano errori o incomprensioni,chiedimi quel che vuoi e io risponderò!

Beatrix:è….è….E’TORNATA!!Bea è tornata,Bea è tornata!!!cara,che bello risentirti dopo tanto tempo!!sei a Lignano Sabbiadoro?oh,immagino allora che starai vivendo di bagni e gelati!mi sento onorata che la mia fict sia in vacanza con te,non importa se recensisci a blocchi…sono così felice di risentirti!!dunque,il blocco 27-30:che ti devo dire,Ace ha la testa dura e calda come ben sappiamo e nella sua crociata solitaria contro Barbabianca ha un pochino demolito la Moby Dick ma fra quei 1600 uomini dei carpentieri ci dovevano stare(dietro Ace,nell’angolino c’erano dieci di loro armati di tutto punto per riparare quanto stava per essere sfasciato).Tra i figli di Barbabianca che lo lasciano fare,la ciurma che non sa più dove sbattere la testa,emerge il mitico Don:si,forse una bella scazzotta ci sarebbe stata bene ma ho pensato(e anche Don ha pensato) che era meglio far calmare Ace in un modo diverso,mettendolo con le spalle al muro non forzatamente ma quanto bastava per farlo calmare e ragionare con la sua testa e Sayuri,quatta quatta,ha fatto così:a parte i momenti di puro panico e i rossori che saltano fuori quanto è torchiata dalle due infermiere,la mia Yu-chan se la cava molto bene negli scontri a parole.Si,si Ace pian piano non può più fare a meno di lei e vice versa e la cosa bene e male è risaputa sulla nave,specie se è Maya ad avere l’esclusiva:per riuscire a far smettere di bere per cinque minuti un uomo come Newgate ci vuole o anche solo per dirglielo con autorità.S incavola perché lui non le dà ascolta e ha anche ragione ma è lui che comanda!Satch l’ho fatto apposta così per far stare sulle spine il povero signore delle fiamme:si diverte un sacco a farlo ingelosire ma sta anche attento perché non ci tiene a farsi bruciare il ciuffo.Purtroppo e qui accolgo appieno la tua disapprovazione,c’è il maletto.Lo so,è indigeribile ma dovevo metterlo per forza maggiore,mica potevo tirarlo fuori dal cilindro come fosse un coniglio all’ultimo!compare ogni tanto,non molto ma spero sopporterai per leggere altro.Ti auguro altri bagni e altri gelati(se sei ancora giù),ciao Bea-san,a presto!!

happylight:amorino!il quarantesimo capitolo è stato ideato per mandare alla carica Satch e se sei rotolata a terra per il ridere direi che ha funzionato più che bene!e Sayuri ,si,ha la pazienza di una santa ma almeno gradisce la sua compagnia che quella dei ragni(porrà,è rimasta scioccata di brutto,con tutti quei ragnetti che le camminavano addosso).Ho preannunciato diversi misteri ma non temere,man mano verranno svelati tutti!con calma ci si arriva!

angela90:ciao angela!il capello di paglia è stato costruito finalmente,dopo incendi e intoppi vari Ace l’ha fatta (e i cori angelici esultano per il successo).Yu-chan ha passato un brutto momento,poveretta,non l’ha presa molto bene;fortuna che c’era Ace lì vicino altrimenti poco ma sicuro non la sbloccava più nessuno.Ho dato spazio a Satch per motivi che si vedranno in seguito e tra l’essere serio e il provare a far colpo sulla principessa (anche se l’aura del fidanzato aleggia minacciosa sulla sua testa) si ritrova insieme a lei su queste paludi dove i guai sono dietro l’angolo!non era esattamente come aveva previsto ma si deve accontentare.E intanto Ace sulla nave rimugina…beh,lui lasciamolo un attimino lì dov’è e dedichiamoci a questi due!

foreverme96:curiosa su quel che può succedere?ti capisco ci vorrà un attimo per capire ma tesoro,non devi preoccuparti.Tutto verrà svelato a tempo debito!purtroppo sulla tua domanda al momento mi astengo dal rispondere perché non voglio rovinare o anticipare nulla.Non odiarmi ma se seguirai la saga di Loriam saprai risponderti da sola.Ma intanto godiamoci le scenette di Satch e il suo provarci scherzosamente con Sayuri.Ne approfitta perché il fidanzato è lontano ma in realtà lo fa soltanto per stuzzicare la gelosa di Ace e far saltar fuori così il loro rapporto.L’ho fatto così,senza pensarci!

Sachi Mitsuki:la mia piccolina!confusione su tutti i fronti!ti riassumo un pochettino,forse facendo un minuscolo spoiler:la vecchia ha  mandato la lettera a Satch perché voleva che fosse lui a prendersi il tesoro e l’amico si è portato dietro Sayuri per motivi già conosciuti.Ora,mentre il biondo parla coi sciamani,Sayuri incontra la vecchietta è raccontandogli il sogno capisce che gli spiriti,mai fattisi vivi,hanno finalmente trovato chi può aiutarli,per così dire e quindi l’anziana signora è andata sull’isola sapendo bene che quei due l’avrebbero seguita.Se ancora non ti è chiaro,non temere,tutte le risposte verranno elargite in questi capitoli!Purtroppo le nove non compariranno,forse le metterò alla fine così per far girare certe notizie ma non salteranno fuori per ricoprire specifici ruoli,Full Metal Alchemist l’ho sentito nominare ma non ho mai avuto il piacere di vederlo.Non avevo idea di aver fatto un collegamento,ma la mia storia è comunque diversa,almeno così mi auguro!

Huntergiada:eccola qui,tornata dalle vacanza!spero tu ti sia rilassata per bene!si,Ace ha terminato il cappello e l’ha regalato a un Oars tutto contento.Almeno la soddisfazione lo distoglierà dal pensare la sua bella in compagnia di quel provolone che saltellando se l’è portata via con molta cortesia.Siamo agli inizi della saga,qui spiegherò un po’ l’origine di queste paludi e della sua leggenda ma spero comunque di suscitare l’interessa di tutti!

 

Quando i due pirati giunsero nei pressi della capanna dell’anziana Chiko e videro che non vi era nessuno, i dubbi del biondo si concretizzarono come l’inchiostro sulla carta. Era bastata una semplice ma accurata occhiata all’abitazione per farlo girare di 180 gradi e percorrere a grandi falcate il pontile, verso la scialuppa utilizzata per giungere in quelle afose paludi.

“E’ andata al tempio. Ci scommetto la spada che è andata lì” affermò con decisione irremovibile.
“Di quale tempio stai parlando?” domandò Bianco Giglio nel sostenere il medesimo passo veloce.
“Mi riferisco a quello situato sulla quarta isola. I comuni abitanti del villaggio e ovviamente gli stranieri non posso visitare quel territorio senza il consenso di almeno uno degli sciamani: è una zona sacra, senza contare che è da lì che si generano i terremoti”spiegò.

Le informazioni che stava elargendo rivelarono qualcosa di nuovo di quel posto ma ancora non bastavano alla ragazza per capire a quale conclusione il compagno fosse arrivato. Aumentato il passo per l’ennesima volta, in pochi minuti raggiunsero l’imbarcazione,ancora perfettamente al suo posto.

“Satch, pensi che sia andata lì per quello che le ho raccontato?”

Dubbiosa, non era stata capace di trattenere quel quesito ulteriormente. L’anziana Chiko si era avvicinata senza un motivo preciso, per farle compagnia e lei aveva apprezzato la sua iniziativa ma non era stata tanto stupida da non accorgersi della sua fretta dopo che aveva finito di raccontare il suo strano sogno. La sua era stata un’osservazione colta dall’intuito e non ci aveva rimuginato più di tanto perché era logico pensare a un impegno ricordato all’improvviso, nonostante la poca quantità di attività da compiere lì. Eppure adesso, quel piccolo accorgimento, stava ribaltando l’equilibrio degli eventi fino a quel momento compiuti e lei necessitava di altre certezze per poter essere pienamente aiuto a Satch.

“Se devo essere sincero, penso proprio di si” le ripose lui.

Slegarono la fune che teneva ancorata la barca e immediatamente presero il largo.

In tutta franchezza, l’uomo non sapeva a cosa pensare: non aveva più ripensamenti sul fatto che fosse stata proprio quella donna a mandargli la lettera e sicuramente la ragione di tutto ciò era ricollegabile all’essere andata di sua spontanea volontà nell’epicentro della zona sismica. Benchè fosse una persona che sapeva badare a sé stessa e che in aggiunta conosceva quel posto come le sue tasche, rimaneva ugualmente un’anziana signora che in caso di pericolo non sarebbe stata in grado di cavarsela facendo leva sulle proprie gambe visto che queste erano stanche e coi muscoli ridotti a dei ossicini fragili.

Ma perché al posto delle gambe non le si è atrofizzato il cervello?

Freneticamente, si scompigliò il ciuffo giallo mentre tante goccioline disperate gli contornavano la nuca, enfatizzando l’esasperazione che già gli stava piombando addosso e che sarebbe aumentata non appena si sarebbe trovato faccia a faccia con quella nonnina apparentemente angelica.

“Quando siamo arrivati al villaggio hai menzionato a una leggenda. Di che cosa tratta?”

La nuova domanda posta stoppò l’immaginare del biondo, zittendo i suoi pensieri.

Sayuri aveva intuito il nesso che vi era tra le statue raffiguranti il misterioso guerriero e la quarta isola ma non le era sufficiente per avere tra le mani un quadro più ampio e soddisfacente e il compagno sapeva che lei avrebbe continuato a porgli domande su quanto ancora non le era chiaro. Bianco Giglio si sentiva in qualche modo responsabile, l’anziana signora era andata in una zona pericolosa perché sollecitata dal suo racconto,come a voler verificare la veridicità delle sue parole: non aveva idea di che cosa volesse fare ma sicuramente non sarebbe rimasta con le mani in mano, quindi più sapeva, meno sorprese avrebbe riscontrato.

“Satch, che cosa c’è sulla quarta isola?” gli domandò più precisamente allontanando alcune canne dalla loro visuale.
“In una parola? Il male” le rispose quello remando all’unisono con lei “I pochi che conoscono le paludi di Loriam si tengono a distanza per paura di venire colpiti dal male che infesta queste terre ma non sono sempre state come le vediamo ora. Un secolo fa erano prospere, popolate da moltissime persone, praticamente un paradiso. Da quanto mi ha raccontato la vecchia Chiko, un giorno un guerriero dell’isola centrale - quella che abbiamo appena lasciato- ha trovato alla deriva della spiaggia un oggetto; non chiedermi cosa sia, so soltanto che gli abitanti lo denominarono “Il tesoro del mare””
“Ha quel nome perché è stato portato per l’appunto dal mare?” domandò la ragazza continuando a lavorare coi remi.
“Si, ma anche perché la gente credeva che il mare, così come la terra e il cielo, fosse la manifestazione di uno spirito divino: si crede che questi tre territori siano nati per volontà degli dei e che gli spiriti di questi ultimi, una volta compiuta la grande creazione - il mondo per essere chiari-, si siano rifugiati nel cuore di questi ambienti, ovviamente inaccessibile a noi comuni mortali. Ciò che nasce dal mare, dalla terra o dal cielo, quando muore, non va perduto ma ritorna nel suo luogo d’origine, cosicchè lo spirito si possa preparare adeguatamente per rinascere a nuova vita”

L’erba e le canne stavano rendendo più difficile il passaggio della barca, costringendola a curvare e dunque ad allungare il suo percorso, così come la fanghiglia salmastra si appiccicava allo scafo cercando di appesantire il mezzo anche se il peso era pressoché inconsistente, insufficiente a farla fermare.

“Comunque, tornando a quel giorno..” riprese l’uomo passandosi il dorso della mano sulla fronte matida di sudore ”Gli sciamani del villaggio compresero il potere di quel tesoro ma data la provenienza, decisero di farne una reliquia sacra e di custodirla come simbolo cerimoniale. Il caso volle che non tutti furono d’accordo: alcuni guerrieri si opposero a tale scelta, convinti che il tesoro fosse giunto a Loriam per essere utilizzato dal più forte di loro.”
“Ne deduco che da quelle divergenze sia scoppiata una ribellione” disse la castana scrutando nella nebbia sempre più fitta.
“Se per ribellione intendi uno completo sterminio...” mormorò Satch.

Come fosse appena stata punta da un intero sciame d’api, Sayuri smise di remare. Anche il comandante della quarta flotta aveva deposto i remi temporaneamente: sedeva dietro la ragazza,con le gambe aperte e i gomiti appoggiati alle ginocchia, in modo tale che le braccia penzolassero nel vuoto. Non seppe mai dire se la folata di vento che li inondò fu una coincidenza o un gesto voluto da una qualche entità suprema al fine di rendere quel momento ancora più tetro, ma di certo riuscì pienamente nel suo intento.

“Quella stessa notte, la persona che aveva trovato il tesoro entrò nella capanna degli sciamani, li uccise e si prese quanto era suo, dopodiché lo utilizzò per continuare il suo operato su tutti gli abitanti di Loriam” proseguì lugubre il biondo osservando il volto della giovane voltatasi “Li uccise uno per uno. I più forti guerrieri provarono a contrastarlo ma sassi e lance erano a dir poco che inutili, così come i loro tentativi: quel tipo aveva perso il senno, si è lasciato consumare dal potere di quel tesoro e in pochissimo tempo si è trasformato in un autentico demone, avvolgendo queste terre nella più totale oscurità.”

La voce di Satch era bassa, cupa e trasformava parole astratte in sensazioni palpabili. Potè sentire sulla sua pelle quei brividi, potè vedere nella sua mente quell’atrocità anche se non ne era stata testimone: la gente che urlava disperata, i corpi mutilati che inquinavano le acque allora cristalline, il sangue imbrattare la terra e farla dunque marcire....

E tutto per un oggetto...
Tutto per un semplice tesoro venuto dal mare...
Tutti quei morti...per uno stupido tesoro...

Ma che cosa c’era da meravigliarsi? Gli uomini non sono perfetti, si disse Sayuri. Sono facili da corrompere se gli si offre la cosa che più desiderano al mondo.La perfezione non esisteva, se l’era detto molte volte, così com’era vero che non tutti gli uomini erano avidi e pronti a sacrificare una cosa per averne un’altra di maggior valore. Lei aveva visto e sentito di uomini crudeli,come quell’assassino, ma viaggiava insieme a persone che anche se reputate malvagie dalla società, non erano cattive come si pensava. Era complicato da spiegare o anche solo da pensare, però esisteva...esisteva quella questione a cui tanti non erano capaci di rispondere o a cui diversi davano una loro versione,imponendola sugli altri: cos’è bene? Cos’è male?

Chi poteva saperlo...forse la domanda più logica da porsi era cosa fosse il bene e cosa il male ma ciò nonostante, in quel frangente,essa non era quel che più premeva a Sayuri di conoscere: nel sentire la parola oscurità, la sua mano si era stretta ancor di più attorno al remo, lasciandosi sfuggire un tremito involontario. Davanti ai propri occhi rivide quel giorno che da allora la impensieriva costantemente, con tutti i particolari che lo rendevano così vivo in lei e che si espandevano inarrestabilmente. Avvertì dei brividi, più intensi e freddi premere sulla sua colonna vertebrale: oramai sentiva quel momento vicino..ma ancora non lo scorgeva. Davanti alla sua visuale appariva tutto calmo come il mare dopo una tempesta benché i suoi fondali non fossero del tutto quieti per via dei suoi timori. E intanto che quella minuscola paura si nutriva dei suoi pensieri, vide accentuarsi sul viso del comandante della quarta flotta una serietà intrisa di allarmismo, che le fece contrarre i lineamenti coperti da quel leggerissimo strato di barbetta scura presente intorno al pizzetto nero. Neppure a lui quella storia doveva essere piaciuta quando gliel’avevano raccontata per la prima volta.

“Cos’è successo in seguito?” domandò lei recuperando la parola.
"E’ arrivato un guerriero” rispose laconico l’altro “Da quanto so, proveniva da molto lontano, uno straniero in poche parole. Iniziò a fronteggiare il demone e la loro battaglia proseguì per otto giorni ininterrotti finchè all’alba del nono, il misterioso viaggiatore riuscì faticosamente a sconfiggere l’avversario e a rubargli la fonte del suo potere.”
“E che cosa se ne fece? Se ne è liberato?”

Pendeva dalle sue labbra per sapere il seguito, seppur fino a quel momento la storia non fosse stata delle più rosee.

“Non esattamente. Anche se era riuscito a vincere, lo straniero era rimasto a dir poco terrorizzato dal potere del tesoro del mare. Era convinto che se lo avesse preso con sé lo avrebbe condotto a una morte lenta e dolorosa o peggio, si sarebbe lasciato influenzare come era successo al suo predecessore e quindi lo lasciò nelle mani dei pochi sopravvissuti e se ne andò via.”
“Vuoi dire...che se ne lavò le mani?” mormorò stupita.
“Esatto. Meglio se ricominciamo a remare o rischiamo di arrivare tardi o peggio di incagliarci in questo pantano”

La piccola imbarcazione di legno riprese a navigare fra le canne e l’erba alta con tranquillità.

“I pochi scampati a quel genocidio si mossero immediatamente” continuò “I corpi dei loro cari andavano sepolti ma essendo morti ingiustamente e per mano di un altro essere umano, non potevano trovare l’eterno riposo in una qualunque cerimonia funebre ed è per questo motivo che hanno costruito il tempio che sta sulla quarta isola: crearono una sala enorme e ci deposero tutti i corpi al suo interno per poi chiudere la porta con appositi sigilli. Per quanto riguarda il tesoro, si dice che sia stato messo in un baule e posto di fronte all’apertura per impedire agli spiriti di uscire, come ulteriore blocco”
“Gli spiriti?” era confusa al riguardo “Intendi dire, che gli spiriti di quelle persone potevano uscire se..?”
“Difficile da credere, vero principessa? Anch’io la prima volta sono rimasto molto perplesso” ammise Satch abbozzando un sorriso “Qui a Loriam sono molto legati alla questione dell’anima: quando una persona nasce, lentamente inizia a morire e quando giunge alla fine della sua vita, per permettere alla sua anima di salire in paradiso e dunque di ritornare alla pace originaria, l’intero villaggio esegue una cerimonia funeraria, un rituale di passaggio eseguito personalmente dai cinque sciamani” spiegò inspirando l’ossigeno necessario ai suoi polmoni.
“E in che cosa consisterebbe questo rito?”
“Praticamente celebrano una sorta di canto spiritico col quale separano l’anima dal corpo e grazie a questo la guidano verso il paradiso, tuttavia...” e qui nuovamente si incupì “Nessuno di quei abitanti era morto per cause naturali. La loro vita era stata stroncata improvvisamente, senza che avessero il tempo di rendersene conto. I pochi rimasti non erano in grado di svolgere la cerimonia di purificazione o anche solo di dare una degna sepoltura ai caduti, erano troppo spaventati: per questo li hanno ammassati in quel tempio e hanno sigillato le porte. Principessa, riesci a immaginare cosa accadrebbe se quella struttura o anche solo le ante di quella porta dovessero cadere?”

Colpita da quella storia, Bianco Giglio non faticò a intuire il motivo di tante precauzioni da parte dei primi abitanti di Loriam, così come non faticò a immaginare le conseguenze a cui Satch alludeva. Il corpo al momento della morte smetteva di funzionare ma l’anima no. Essa racchiudeva tutto quello che rappresentava quella persona: le emozioni, il carattere, la personalità...tutto. Se l’essere umano viveva e cessava di esistere per cause naturali e veniva dunque purificato - per così dire - dalla cerimonia, la sua anima poteva riposare sino al prossimo richiamo, ma se questo non accadeva, allora si andava incontro a quello che loro simbolicamente chiamavano castrofe: se una persona veniva uccisa per mano di un altro simile e non riceveva l’adeguato rito di passaggio, la sua anima vagava in un limbo identico ad un banco di nebbia privo di luci. La gente di Loriam era morta nel dolore, le loro anime erano confuse, terrorizzate e sicuramente, quando finalmente erano riuscite a uscire di loro spontanea volontà dai corpi ormai putrefatti, spinte dal voler di rivedere la luce, non avevano desiderato altro che qualcuno le aiutasse, che udisse le loro grida, inconsapevoli di essere diventate capaci di ferire la gente e dunque di portarle alla morte. Erano fantasmi dilaniati, squarciati nell’aspetto e disorientati, alcuni addirittura così arrabbiati da essere diventati malvagi ma fintanto che si trovavano dietro a quella porta costruita dai sopravvissuti, erano al sicuro: se si fossero liberati avrebbero appreso come erano morti,che non erano più vivi, in che modo e perché e questo avrebbe distrutto quel poco che rimaneva di loro, condannandoli totalmente a bramare vite altrui.

Il tempio, la porta che nascondeva nelle sue viscere....per gli indigeni tutto quel che si ricollegava alla quarta isola era fortemente connessa all’inferno. La quarta isola era la porta sull’inferno, forse addirittura l’inferno stesso.

Le paludi di Loriam erano inospitali, vittime di terremoti irregolari ma quelle scosse non erano ad attribuire a qualche causa geologica: quando la terra veniva smossa violentemente era perché a farla tremare erano le voci, le grida di quelle anime sospese dietro la porta. Loro erano vive e volevano far sentire il loro eco a chiunque conoscesse la storia di quel posto.

Conosciuto il trauma di quella landa dimenticata, Sayuri udì il proprio cuore rallentare: come racconto era triste, macabro e sicuramente aveva segnato permanentemente la vita delle paludi di Loriam e anche se lei non era originaria di quel posto, provò ugualmente un’angoscia e un timore sempre più crescente. Farsi suggestionare per una leggenda del genere non aveva nulla di ridicolo perché in fondo dentro di sé si conservava la ferma convinzione che in fondo erano solo dicerie senza fondamenta logiche: in pratica, una storiella che gli abitanti del posto si divertivano a raccontare per far conoscere la loro tradizione ad altri o più semplicemente per far andare a nanna i bambini capricciosi, ma la ragazza la pensò diversamente e non soltanto perché stava vedendo con i suoi stessi occhi la desolazione di quelle minuscole zolle umide: riusciva a percepire una malignità in quel posto, una malignità vagamente familiare e man mano che si avvicinavano alla quarta isola, questa si faceva sempre più forte.

“Tu ci credi a questa leggenda?” domandò poi, cominciando a scorgere i primi lembi di terra ferma.

Il biondo osservò nuovamente la figura della castana che gli dava la schiena e pose lo sguardo sul fondo della barca come a volerci trovare le parole da utilizzare

“No. Non credo alle leggende ma rispetto le tradizioni altrui” le rispose infine “L’idea di profanare un tempio sacro creato sulla base di una storia simile non mi piace per niente ma non ho intenzione di ignorare la vita della vecchia Chiko” e poi aggiunse in uno sbuffo sdrammatizzante “Prima la tiro fuori da lì e poi le faccio tirare IO le cuoia come si deve.”

 

 

Dopo poco più di un’ora di canotaggio fra canne di bambù, erbe incolte ed emanazioni dense e calde che andavano a formare la fitta nebbiolina che ora ricopriva il loro percorso e la stessa terra su cui poggiavano i loro piedi, l’ansia di Sayuri crebbe ancora di qualche centimetro, unendosi alla matassa che le aggrovigliava la cassa toracica: il suo sesto senso era sempre stato molto fine a eventuali cambiamenti, se poteva definirlo tale. Non era soltanto l’ambiente, stava captando qualcosa che si avvicinava alle fattezze di una bestia primitiva, antica, addormentata in un sonno che ora stava per essere spezzato bruscamente. Di qualunque cosa si trattasse, era nascosto nelle profondità di quel luogo sacro e proibito e la sua energia pareva diramarsi ovunque, come tanti tentacoli freddi e oscuri.

Stiamo camminando su un terreno macchiato di sangue...

Da quando Satch le aveva raccontato la leggenda delle paludi di Loriam, il ricordo della predizione fattale dalla sibilla era riemersa con una velocità così impressionante che quasi le era sfuggito il remo nel sentire la voce cupa e strascicata dell’anziana signora mentre scrutava gli avvenimenti che si stavano manifestando nel tondo oggetto di cristallo.

E’ nascosta. Solo con gli occhi dello spirito la potrai vedere ma attenta: saprà ingannarti usando parole sincere.

Era peggio di un ritornello e se ne stava lì, senza che lei riuscisse in qualche modo a sopprimerlo: il pensiero di quel fuoco caldo, libero e dirompente quale era Ace, imprigionato da quell’oscurità così smisuratamente potente, considerata per l’appunto la più subdola esistente, le metteva un tale peso all’anima impossibile da scacciare. Aveva scelto volontariamente di venire a Loriam ma non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in una situazione del genere e solo ora si stava rendendo conto che lì c’era un nemico ben diverso da quelli affrontati in passato: nel toccare con le suole delle ballerine quel territorio appena un po’ umido, osservò l’entrata di quell’antro, impossibile da ignorare, che scendeva giù nelle profondità del suolo ed ebbe la forte impressione di venire risucchiata al suo interno. Si trovavano su un pezzo di terra piccolissimo, circolare, con soltanto un paio di quei pali illuminanti che tappezzavano il villaggio, con la differenza però che non c’erano i fuochi sulla punta di essi, il che - se si aggiungeva la nebbia spettrale e l’ambiente dimenticato da tutti - rendevano l’entrata del tempio, la bocca dell’inferno, la cosa più inquietante che potesse esistere a quel mondo: non era che un buco scavato nella terra, a cui attorno era stato costruito un arco rettangolare di pietra con tanto di colonne che ora apparivano malconce, instabili e ricoperte di viscido muschio melmoso. Fu nel guardare quella cavità, nel soffermarsi su quella bocca nera che non lasciava spazio ad alcun che di bello che Sayuri avvertì una mano invisibile tentare di afferrarle il collo. Si irrigidì ma nel tastare la pelle della zona colpita non provò nulla.

E’ nella mia testa, non devo farmi suggestionare. Pensò rilassando la muscolatura.

Raggiunse l’amico a pochi passi da lei.

“Orme” boffocchiò quest’ultimo ”E appartengono tutte alla stessa persona”

Satch era inginocchiato a terra, che osservava le sottili rientranze del terreno molliccio: le prime, a forma di piede umano erano affiancate da un’altra seria più piccola, circolare. Indubbiamente quei solchi erano stati fatti con la base del bastone d’appoggio di cui si serviva l’anziana signora. Nel seguirle in fila indiana, arrivò a guardare la bocca dell’inferno ed emise un lieve sospiro sconsolato, passandosi la mano su ciuffo appena risistemato.

“Le impronte sono fresche quindi deve essere arrivata qui poco prima di noi” constatò nell’alzarsi in piedi.

Sayuri ammiccò con la testa ma senza mai distogliere la visuale dall’entrata. Lì sotto era nascosta la reliquia di Loriam e adesso lei e Satch dovevano inoltrarsi nel santuario, violare la sacralità di quel luogo senza tener conto della loro condizione di stranieri e dunque sfidare le antiche leggende che identificavano quel posto come un antro di pura disperazione. Per dei pirati questa si avvicinava molto a una caccia al tesoro, una sfida, e teoricamente doveva esserci l’emozione al posto del dubbio ma la verità era che quel posto avrebbe fatto battere i denti anche a chi amava avventurarsi in posti come quello. Nemmeno a farlo apposta, i sensi della navigatrice si stavano intrecciando con quei strani influssi di cui la terra trasudava copiosamente, a tal punto da far tremare quel piccolo scoglio fangoso: nel suo scrutare, giurò di aver visto ancora quel bimbo freddo dai occhi celati correre verso l’entrata e difatti le era comparso realmente ma era svanito ancor prima che avesse il tempo di dischiudere le labbra per parlargli. Che fosse uno spirito maligno la causa di quella malsanità, che fosse l’arma del demone a far pressione sull’aria, Sayuri per sua sfortuna non lo sapeva, ma stava dando più credibilità a quelle supposizioni fantasiose che alla semplice evidenza che lei e Satch si trovassero nel bel mezzo di una zona sismica e che lo squallore del posto derivasse dalle condizioni climatiche e ambientali già carenti. E tutto perché lei poteva sentire, vedere, percepire sulla sua pelle quell’angosciante mano invisibile che stava tentando ripetutamente di afferrarle il collo.

“Satch, pensi che questa sia realmente l’entrata per l’inferno?” mormorò assorta.
“Se non te la senti principessa, puoi sempre rimanere qui a fare guardia alla barca”
“Non ho detto questo”

Nell’udire quella voce velata di anormalità, subito il biondo guardò l’amica con occhi perlessi. Lei, che si era sempre mostrata una persona razionale, ponderata sia nel carattere che in combattimento, sembrava essere entrata in contatto con i fantasmi di quel posto e che questi le stessero mostrando fatti e immagini che appartenevano ad un mondo lugubre, avvolto da così tanti veli da rendere il tutto sfocato, dove ogni oggetto era bianco e nero e le poche parole comprensibili formavano nessi incomprensibili e angoscianti. Non voleva mentire a sé stesso, nemmeno a lui quel posto andava a genio ma la sua sensibilità non era fine come quello della castana, che ora assomigliava sempre più a una medium in piena trance: osservò quell’entrata come se al suo centro ci fosse qualcosa che lui non poteva cogliere. Ovviamente la giovane non era in possesso di poteri paranormali, semplicemente aveva imparato a vedere anche coi occhi delle mente, ad ampliare i suoi sensi e a crearsi un silenzio interiore che le permetteva di ascoltare e vedere suoni e oggetti. Tante volte nel combattimento questa sua concentrazione l’aveva aiutata ad ottenere la vittoria e a lungo andare aveva imparato ad applicarla anche in comuni situazioni che tuttavia non la richiedevano. Poteva considerarla come un atto istintivo e Satch in cuor suo non si sarebbe stupito se lei si fosse girata e gli avesse confessato di aver appena visto una persona dirle di venire avanti: niente nel mondo dei pirati poteva essere considerato normale e se doveva tirare le somme su quanto stava capitando ad entrambi, sicuramente la questione avrebbe coinvolto più la principessa che lui,per motivi che al momento solo quella pazza dell’anziana Chiko conosceva. E se centravano fantasmi, spiriti inquieti, allora sarebbe convenuto rimanere in allerta.

“Ad essere sincero, non ho idea se qui ci siano spettri, mostri o maledizioni” affermò nel strappare dei panni impregnati di alcol, per poi avvolgerli attorno a dei rami e farne dunque delle torce. Era sempre buona cosa avere del materiale a disposizione “Ma siamo in un territorio considerato sacro e maledetto allo stesso tempo” aggiunse “E se c’è qualcosa lì sotto, allora faremo bene a non disturbarla”
“Mi pare più che giusto”

E lasciarono che la bocca dell’inferno li inghiottisse.

  

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Capitolo 42
*** Persi nel labirinto. ***


E’ Mercoledì e sapete che significa?che si aggiorna,yeah!dunque dunque,ci addentriamo nei neandri della quarta palude alla ricerca della vecchia Chiko perduta chissà dove,cosa succederà?lo scoprirete subito ma prima,come sempre,i ringraziamenti!

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MBCharcoal:eccola qua la mia Marta,sempre tanto indaffarata su tutti i fronti!anche tu hai apprezzato la leggenda e mi fa piacere;un mortorio come quello doveva pur avercela una storiella triste,no?adesso i due si addentreranno e cosa succederà?leggi cara e lo saprai.Si,si sono tremenda a far finire così i capitoli ma è il bello della suspance e poi altrimenti non finivo più di scrivere e già i capitoli sono molto ma molto lunghi..

angela90:ma ciao cara!il povero Satch si ritrova a dover inseguire una vecchietta che ha deciso di farlo dannare e Sayuri è la sua sola ancora di salvezza.Lei sempre si preoccupa per gli altri,è inevitabile.E’ fatta così;sa cos’è il dolore ma trova insensato l’odio per tanti motivi che ritiene inutili e stupidi.Si,si Ace con lei è egoista ma sotto sotto,se lei gli chiedesse qualcosa lui sarebbe beni disposto ad accontentarla.La leggenda di Loriam è triste si,uno sterminio non è mai una cosa allegra e ora i due pirati dovranno fare del loro meglio per uscirne vivi e con la vecchina.E’ ora di addentrarci meglio nel tempio!mi auguro solo di descrivere bene la faccenda ma penso che pian piano,a ogni capitolo che comprende questa saga,si capirà tutto.

foreverme96:Hello!la storia ti ha emozionata?!ma mi fa piacere,persino mi elogi che nello scrivere sono brava!nah,non dire così(gongola alla Chopper)!mi hai fatto tante domande vedo e mi piacerebbe risponderti ma temo che per non rovinare nulla,chiuderò la boccuccia.Scusami,so di essere crudele ma non voglio spifferare niente,se non che questa saga-forse l’ho già detto-è importante per lo sviluppi di eventi futuri molto importanti!

Huntergiada:eccomi qua!uh,hai avuto perfino i brividi per la macabra leggenda?e dire che devono entrare adesso nel tempio..uh,che bello,giù sottoterra!sospetti che il tesoro del mare sia un frutto del diavolo?tutto è possibile gioia!Sayuri è stata messa in mezzo semplicemente perché Satch non andava a genio agli spiriti-detto sinteticamente-e per questo si sono manifestati a lei.La vecchiettà ha solo intuito le loro azioni e ora vuole vedere di persona quel che succederà,anche se qui farà dannare un pochino Satch ih ih ih!

happylight:la mia stellina!in generale tutti siete curiosi di sapere perché i fantasmi hanno scelto Sayuri e cosa vogliono da lei.Diciamo che la ritengono più idonea di Satch,per dirla brevemente.Forse qui non si capirà ma caso mai spiegherò meglio nel prossimo capitolo.Ci ho messo un po’ a mettere in piedi questa saga,a scriverla perché mi uscisse come desideravo e ora spero solo che non mi scappino errori o incomprensioni!per me è una tragedia quando capita è so che ogni tanto mi scappano degli orrori ortografici ma penso che questa sia oltre a una distrazione personale un’inevitabilità.

tre88:ciao carissima!allora,come ho potuto ben leggere anche tu ambisci a tagliar la testa a Teach;non posso che dirti benvenuta perché siamo in molte a detestarlo.L’idea del cianuro nelle sue torte è un’idea da non scartare:subirà una morte lenta e dolorosa da parte del suo cibo preferito…si,mi piace,la metterò insieme alle altre e alla fine stilerò una tabella da seguire per potergli infliggere le pene dell’inferno(chiunque potrà imporgli la propria tortura,tutte avranno il loro turno e non smetteremo fino a quando la sua testa non rotolerà!).Considerati dei nostri!passando a Yu-chan..si,povera la mia stella che si preoccupa per tante cose senza capire quel che vorrebbe.A ogni cosa il suo tempo,non c’ altra soluzione,purtroppo.Beh,ci penserò io a far luce su certi avvenimenti,Cominciamo da questo capitolo,per quanto si potrà capire…

 

 

Quando Satch e Sayuri si addentrarono in quella gola di scale instabili e strette, vennero colpiti da una folata d’aria fetida e ammuffita che li spinse a storcere il naso e a strizzare gli occhi più di una volta. Qualcunque fosse la causa di quell’odore così marcio, si avvicinava pericolosamente ad essere quello di un cadavere in decomposizione. Man mano che scendevano l’entrata si allontanava sempre più,sino a scomparire, completamente dissolta nel buio e il caldo afoso del posto aumentava insieme all’umidità già elevata. Le fini dita della ragazza stringevano la fiaccola come se fossero fatte di pietra,aprendo la via che pareva non avere fondo; era tesa ma l’aver quel piccolo fuoco vicino a sé la rincuorava abbastanza da farle muovere le gambe senza temere alcun pericolo. A quel cruccio che oramai la infastidiva a tal punto da pesarle sul torace come un enorme sfera chiodata, si aggiunse lo stupore nel vedere non soltanto la tanto agognata fine delle scale ma nell’ammirare il labirinto sotterraneo che per tanto tempo era rimasto vuoto e senza alcuna forma di luce a renderlo più presentabile. Tutte le fiaccole erano accese e la loro soffusa luce emanava un bagliore arancione che si rifletteva sulle pareti scure e vecchie della struttura; benché fossero consunte sostenevano quell’atmosfera lugubre e misteriosa, come a voler dimostrare che per quanto decadente e maledetto fosse quel posto esso era ancora vivo, in un qualche modo che sfuggiva alla logica umana.

Preferirono non star lì a chiedersi come fosse possibile che tutte quelle fiaccole fossero state accese. Avevano già molto a cui pensare e una curiosità in più, nel bel mezzo dell’epicentro dei terremoti, non era il caso.

“Può essere ovunque” affermò Satch osservando le crepe che sfiguravano il soffitto “E a giudicare da come sono ridotte le pareti, qui le scosse di terremoto devono essere sicuramente più regolari che al villaggio. Difatti siamo nella cosidetta zona rossa” ricordò con nota dolente.
“Se ci addentriamo rischiamo di non uscire più visto e considerato che non conosciamo la pianta del labirinto ma se non corriamo il pericolo, la signora Chiko rimarrà imprigionata per sempre qui sotto e noi con lei nel caso la prossima scossa di terremoto ci seppellisca vivi” ragionò la compagna guardandosi anch’essa nei dintorni “Se sei d’accordo, suggerirei di dividerci e di lasciare delle tracce che ci aiutino a tornare al punto di partenza; in questo modo copriremo un maggiore raggio e aumenteremo le possibilità di trovare la signora”

Impressionata dagli spiriti, fantasmi o meno, quando si parlava della vita di una persona, Sayuri sapeva prendere in mano la situazione con una razionalità e una fermezza che neppure i veterani possedevano. Era il suo modo di accettare le sfide: tutto quello che faceva era rilassare il proprio battito cardiaco come se stesse per immergersi sott’acqua, mantenere l’equilibrio fra il corpo e la mente cosicchè da poter raggiungere la calma e infine riflettere senza farsi condizionare dai fattori esterni. Già alle prime lezioni suo nonno le aveva detto che la calma è la virtù dei forti e soltanto avendone il pieno controllo si potevano ottenere ottimi risultati; non aveva mai avuto problemi a far sua quella emozione ma teneva ben a mente il consiglio del suo parente adottivo quando si preparava a combattere. Le bastò quello per richiamare a sé tutto il resto e comportarsi come sempre. Quel processo era divenuto un riflesso incondizionato, che usava sempre durante l’allenamento insieme alla meditazione, soprattutto quest’ultima, per poter utilizzare l’haki al meglio delle sue capacità.

“Una strategia magistrale, principessa” si complimentò Satch “Degno di te”
“Ti ringrazio” sorrise “Devo aggiungere però, che questo posto mi mette i brividi...” il solo guardare i corridoi senza fondo non l’aiutava di certo ad allentare la tensione.
“Non ti biasimo: siamo sotto terra, pronti ad addentrarci in un labirinto per cercare una nonnina dispersa e con altissime probabilità di venire maledetti o sepolti qui sotto. Manca che.....”

TRRRRRRR!!!!!!!!!!!!!!!!

L’improvvisazione era la qualità che più si detestava dei terremoti, oltre alla forza bruta si intende. L’essere nell’epicentro di una calamità del genere riduceva la percentuale di sopravivenza quanto bastava per farle toccare lo zero: in pochi secondi le pareti del labirinto tremarono a tal punto che le mattonelle erano pronte ad uscire di loro spontanea volontà da esse. I muri si spaccarono e si aprirono come tagli sulla pelle, la pietra venne compressa e rigirata fino a che la pressione sovrastò la loro resistenza e la costrinse a riversarsi nel vuoto creatosi sotto terra.

“VIA!!”

Inevitabilmente il soffitto crollò. Con agilità Satch e Sayuri si lanciarono ai lato opposti del corridoio evitando che le macerie li investissero; ci fu un cozzare di sassi mescolato allo stridio delle pareti,botti e sbalzi così potenti da aprire anche il pavimento. La scossa si esaurì in pochi attimi e il silenzio tornò a regnare insieme al gran polverone sollevatosi per il colpo, con la sola differenza che adesso i due pirati erano divisi.

“Coff, coff! Per la miseria...principessa, niente di rotto?!” le urlò il biondo tenendo ben salda alla cintola la propria spada.

Ancora stesa a terra con la pancia ingiù, la castana si riscosse, mettendosi a sedere su talloni,con gli abiti pieni di polvere e cenere.

Ci è mancato poco...

Frastornata, scosse la testa e sospirò sollevata, ringraziando la fulmineità dei suoi riflessi.

“Principessa!”
“E’ tutto a posto, sto bene. Satch, non sei ferito vero?” domandò preoccupata.
“No, sono ancora intero. Tu guarda che macello..” sbuffò nello storcere il mento adornato da lungo pizzetto nero.

Un’accurata visione di quel muro irregolare appena creatosi bastò per far intendere che le rocce erano fin troppo ben incastrate fra di loro per essere rimosse a mani nude ma anche se fossero state malleabili, nulla poteva escludere il crollo definitivo di quella parte di soffitto, per non dire tutto. Tastarle non riscosse alcun successo: erano divisi e non c’era modo di liberare il passaggio.

Nel ripulirsi, Sayuri non perse tempo ed iniziò a riflettere su cosa si poteva fare: erano in un labirinto - di questo ne era certa- quindi, i corridoi erano stati costruiti per intrecciarsi e creare un reticolo da cui era difficile uscire, senza contare che alcuni di questi conducevano a vicoli ciechi. Ciò però non escludeva il fatto che se i cunicoli si incrociavano, allora c’era la possibilità che lei e Satch si ritrovassero, seppur non conoscessero mezzo centimetro di quel posto. Tutto stava nell’imboccare la direzione giusta.

“Ma come?” sussurrò pensierosa.

Lì era tutta questione di orientamento: se la sua teoria era corretta non erano spacciati ma quel di cui non era certa, era la presenza di una seconda via d’uscita, motivo in più per cercare l’anziana Chiko.

D’accordo, mettiamoc...

Sobbalzò e con gesto naturale si portò un pugno all’altezza del cuore.

Fu come se un ago freddo e appuntito le avesse appena bucato il cuore giusto per attirare la sua attenzione: vi era un pianto alle sue spalle, un suono debole e frammentato che soltanto lei poteva distinguere parole frammentate che a malapena riusciva a completare.

“Aci...taci...sigh...aiut...mand..mandalo..via..”

Piangeva e chiedeva la stessa cosa. La cartografa non voleva guardarsi le spalle ma doveva se ci teneva a comprendere almeno qualcuna delle stranezze che aleggiavano a Loriam: roteò su sè stessa con gli occhi chiusi e quando si fu girata del tutto, li aprì e vide...niente. Non c’era niente lì a parte un lungo corridoio che aspettava di essere esplorato.

Com’è possibile? Io ho sentito distintamente qualcuno piangere.

Ancora si poneva quelle domande pur sapendo che lì riflettere con la logica era utile quanto combattere con le mani legate dietro la schiena. Necessitava muoversi prima che un'altra scossa lì colpisse.

“Satch, sei ancora lì?” domandò senza smettere di guardare il punto da cui aveva udito il pianto.
“Sempre a tua disposizione, principessa. Tutto a posto?”
“Ah..si” si riscosse “Ascolta, dobbiamo cercare una seconda via d’uscita”
“Sempre che ce ne sia una. Ti ricordo che questo posto non era e non è tutt’ora una meta turistica”
E’ vero e forse comincio anche a capirne i motivi nascosti...

Non era un illusione o un semplice presagio creato dalla sua mente; quella voce era reale così come quel senso di disagio, la strana forza maligna che avvertiva fluire verso la superficie e quel bimbo che aveva visto per ben due volte. Era come se lì i suoi occhi vedessero molto più di quel che il labirinto stesso offrendo: aveva di quel posto una visione più inquietante, vedeva e sentiva elementi appartenenti da sempre a quella terra morta, incatenati e costretti a stare lì, a nascondersi da qualcosa e il semplice fatto che soltanto lei potesse assistere a tutto questo la metteva ancor più in disagio con sé stessa. E dire che era un pirata e viveva in un mondo dove tutto era possibile: esistevano isole leggendarie come Raftel, tesori come il One Piece, le armi ancestrali, i cento secoli del buio narrati sui poigne griffe...delle rovine costruite per coprire e nascondere corpi insanguinati e sigillare il tutto dietro a una leggenda che non era mai uscita dai confini di Loriam in confronto a tali mete e tesori, non era nulla di così speciale. Il tempio sacro nascondeva un’arma potente di cui nessuno conosceva la natura ma in fondo poteva trattarsi di un artefatto che col tempo si era sgretolato...

Oppure di qualcosa che dopo tanti secoli ancora vive sotto i nostri piedi. Pensò mestamente tirandosi indietro i capelli.
“Non farti spaventare da questo posto, principessa: vedrai che ci inventeremo qualcosa” le fece coraggio dall’altra parte l’amico “Per ora ci conviene muoverci prima che un altro terremoto venga a farci visita”
“Va bene. Mi raccomando Satch, fai attenzione”
“Anche tu. Speriamo di avere fortuna” sospirò lanciando un’occhiata a lungo corridoio che lo attendeva a braccia aperte

 

 

 Il fuoco della fiaccola scoppiettava vivacemente rosicchiando il legno con insistente avidità; nonostante ciò la luce che emanava era debole ma sufficiente a illuminare quel luogo ammuffito e a creare un alone protettivo intorno alla figura umana che lo sorreggeva. Da minuti interminabili girava in quei corridoi senza ben sapere quale direzione scegliere e quando le si presentava un vicolo cieco doveva sforzarsi di ricordare la strada percorsa. Dell’anziana Chiko non vi era traccia e Sayuri temeva sempre di più per l’incolumità di quella vecchina ma niente era forte tanto quanto quella presenza che si stava divertendo a stuzzicarla: numerose volte si era guardata le spalle cercando di non destare sospetti ma fino a quel momento non aveva scorto nessuno se non la propria ombra. Era certa di non essere in possesso di un sesto senso ma il fatto di essere in qualche modo più sensibile a quanto la circondava, continuava a tenerla in uno stato di allerta che cominciava seriamente a mettere in dubbio la sua presenza lì dentro: era innegabile che ci fosse qualcosa, che in un punto sconosciuto di quella trappola sotterranea si nascondesse il fulcro di quella negatività che ora le carezzava la pelle quasi con malizia.

“Resta calma Sayuri, puoi farcela” si disse prendendo un bel respiro di incoraggiamento.

Poteva provare ad attaccarla ma Bianco Giglio avrebbe respinto qualunque cosa questa gli avesse lanciato contro,eppure..tra quel nero lei aveva visto un piccolo puntino bianco e che per giunta gli si era presentato chiedendole aiuto.

Compì altri passi e quando svoltò ancora una volta a sinistra i muscoli del corpo si rilassarono e il viso gli si distese in un espressione semi-delusa: ancora una volta si era ritrovata in un vicolo cieco. Non c’era di che stupirsi visto che era già un miracolo che quella struttura non fosse già collassata da tempo. Anche lì si era verificato un crollo e i detriti avevano ostruito il passaggio: era la sola ragione per cui bisognava fare dietro front e cercare un’altra via, ma un controllo più ravvicinato permise a Sayuri di scoprire un fessura grande abbastanza da farci passare una persona.

“Assomigliano a delle scale...” mormorò una volta inginocchiatasi.

Se quella linea sottile che scorgeva prima che su aprisse il vuoto simboleggiava una scalinata, significava che si poteva scendere ancora più in basso e dunque proseguire. L’avrebbe vista come un piccola vittoria a suo favore se soltanto le sue percezioni non fossero state tanto attive da avvertirla per l’ennesima volta che lì sotto il pericolo era ancora maggiore e di certo non si stavano riferendo ai terremoti...

“Sembra che non abbia scelta”

Parlare ad alta voce l’aiutava a non farsi coinvolgere dal silenzio tenebroso che l’accompagnava senza emettere alcun tipo di suono.

Tutte le vie non portavano a nulla se non a un vicolo cieco: se doveva proseguire e dunque trovare l’anziana signora non si sarebbe fatta intimorire da entità soprannaturali. Con attenzione, si inoltrò nella fessura e iniziò lentamente ad attraversarla facendo ben attenzione a dove mettesse le mani.

 

 

“Ancora?! Ma non è possibile!”
“Te l’avevo detto che dovevano svoltare a sinistra ma tu non mi hai voluto ascoltare”
“Non l’ho ascoltata perché quella via era chiusa come questa e come tutte le altre” replicò calmo e sopprimendo il fascio di nervi che tentava di inondargli la schiena.
“Io intendevo la seconda a sinistra. Certo che per essere un pirata hai un pessimo senso dell’orientamento” si lamentò.
“E lei nonostante la sua veneranda età si diverte a far correre qua e là gli amici come fossero dei genitori disperati” la rimbeccò lui.
“E chi ti ha chiesto di preoccuparti per la mia salute? Conosco bene questo posto e sono capace di trovare la via del ritorno, solo che al momento non riesco a ricordarla. Tutto qui” boffocchiò lei difendendo la propria persona.

Satch era al limite della esasperazione. Quella era l’undicesima via che imboccava e che puntualmente si rivelava chiusa; come se non fosse sufficiente,l’anziana Chiko non teneva la bocca chiusa neppure per mezzo minuto. L’aveva trovata seduta in uno dei tanti cunicoli percorsi, tranquilla e con la mente fra le nuvole, troppo in là per accorgersi dell’arrivo dell’amico e dunque stare a sentire il rimprovero a suo carico. La sfortuna aveva voluto che si fosse fatta male durante il terremoto e non riuscendo ad appoggiare il piede adeguatamente era stata comodamente caricata sulle spalle del biondo, che invano non sapeva più dove sbattere la testa per la situazione: si era inoltrato così tanto che ora il continuare a girare in tondo ininterrottamente senza trovare un benché minimo straccio di via alternativa gli stava consumando a tempo di record la suola degli stivali. Contrassegnare i muri era stata una idea utile ma la pianta dei piani interni differiva da quelli più esterni e quel particolare aveva ribaltato completamente la strategia improntata da Sayuri; lì dove ora si trovava era tutto uguale, non c’era modo di far saltar fuori degli indizi o delle peculiarità che lo aiutassero a trovare la via del ritorno e fino a che la testolina della vecchia Chiko non avesse ripreso a funzionare correttamente, avrebbe dovuto fare affidamento sulle sue capacità o meglio ancora, sperare in un colpo di fortuna.Ma fintanto che cercava, poteva alleggerire quella tensione cercando di estrapolare qualche spiegazione sensata dalla vecchietta che si portava sulle spalle. Non era certo di voler credere che quella squinternata fosse venuta lì soltanto perché Sayuri aveva avuto una visione ma tutti i fatti parevano appoggiare quella teoria e dunque la sua sola possibilità era chiedere conferma all’anziana.

“Che cos’ha visto nella principessa?” domandò infine imboccando l’ennesimo corridoio.
“Chi?”
“Sayuri. Lei è venuta qui per avere conferma di qualcosa. Visto che ci metteremo un bel po’ ad uscire, tanto vale che lei mi racconti cosa le è passato per la mente con questa sua bravata”
“Bravata?” e rise fra sé e sé “Satch mi conosci da molto tempo e sai bene che quando si parla della cultura del mio popolo non tollero alcuna forma di scherzo o bravata” sentenziò.

A giudicare dalla serietà impressa nelle sue parole, la questione doveva essere presa con le pinzette tanto era fragile e delicata.

“Io amo il mio popolo ma odio l’ignoranza in cui vive” affermò “Temere il mondo è una cosa fattibile se per tanto tempo si è vissuti a sua volta in un mondo più piccolo; noi siamo persone che hanno accettato di vivere isolati pur di difendere quello che custodiamo qui sotto ma questa realtà esiste soltanto in quelli come me,non nei giovani. Io sono stanca Satch” sospirò poggiando la testa sulla spalla robusta dell’amico, che subito cacciò un occhio per vederla in faccia “Sento le ossa assottigliarsi e la vita sfuggirmi dalle dita ma non voglio ancora andarmene; non posso lasciarli da soli. So che vogliono essere aiutati e darei i miei ultimi giorni per poter alleviare le pene di quelle anime ma la verità è che nella mia posizione io non posso fare nulla, non finchè l’amore per la mia gente mi terrà ancorata qui a Loriam”
“Quindi ha riposto le sue speranze in me: una scelta obbligata ma saggia”

Se mai avesse avuto la mano libera si sarebbe lisciato il pizzetto nero in segno di compiacimento.

“Tsk! Il solito esaltato, ma hai ragione: tu eri l’unico che potesse aiutarmi, eri l’unico adatto a questo compito” gli concesse lasciandosi sfuggire una debole e roca risata “Ai suoi occhi forse ma a quelli dei suoi buoni spiriti la principessa è apparsa più idonea”

Lì si era privato dell’accento ironico per lasciar maggior spazio a un tono controllato, piano e ben disposto ad affrontare il fulcro dell’argomento con maggiore e accurata attenzione e visto che entrava in gioco la principessa, era bene che non perdesse il filo del discorso o quanto meno non se ne uscisse con battute di spirito, non con Sayuri che fungeva da elemento-chiave per svelare e portare alla luce quella moltitudine di fatti da cui lui era stato escluso.

Avvertì chiaramente il corpo raggrinzito ed esile dell’anziana Chiko raggomitolarsi e stringere la sua leggera giacca azzurra fra le sue mani ruvide e scure.

“Hanno paura, Satch. Credo sia per colpa della reliquia, è lei che emana questo fetore. Da tempo la terra trema con più vigore ma nessuno sembra essersene reso conto per questo ti ho scritto quella lettera: avevo bisogno di un aiuto esterno per capire che cosa stessero cercando di dirmi”

Per fetore lei alludeva alla malignità che silenziosamente serpeggiava tra le fessure di quella decadente struttura con eleganza e disinvoltura, quasi fosse una cacciatrice in cerca di appetibili prede che saziassero la sua fame. Coperta dalla stoffa dei suoi abiti, la pelle appena abbronzata di Satch si era drizzata tutta nell’approdare sulla quarta palude: intuite le intenzione dell’anziana Chiko, aveva represso brividi o timori che soltanto in battaglia si premurava di far dissolvere, per lasciare spazio alla dovuta concentrazione eppure per qualche assurda ragione, il suo corpo aveva deciso di concedersi il lusso di disobbedire alla volontà del suo padrone per lasciarlo scoperto davanti a quell’ambiente dove ogni cosa,perfino l’erba, pareva essere impregnata di un sentimento così freddo e antico da poter essere udito da chiunque. Lui l’aveva sentito ma soltanto come suggestione nata per l’aspetto malconcio e puzzolente del posto; alla principessa invece era stato riservato un posto d’onore, addirittura in prima fila, perché potesse vedere e dunque arrivare laddove loro volevano.

Chiuse gli occhi in un attimo di meditazione e raccoglimento: non era stato così cieco da non notare come aveva squadrato la bocca dell’inferno in tutti i suoi dettagli ma il suo essere scettico davanti all’esistenza di creature astratte, boccheggianti, chiuse dietro una porta di pietra inaccessibile lo aveva visto scuotere la testa e darsi dello stupido visto che adesso la principessa era da sola e la sua incolumità non era del tutto sicura data l’entità degli avversari.

Ma se vogliono soltanto che lei li aiuti allora non dovrebbero farle del male. Riflettè seguendo il suo stesso ragionamento.
“Secondo lei quelle anime cosa vogliono fare?”
“In tutta sincerità non ne ho idea ma se la tua amica ha avuto modo di vedere uno spirito al di fuori di quest’appezzamento, è probabile che per prima cosa cercheranno di condurla nel cuore di questa struttura. Certo che per essere degli incorporei...” sghignazzò “Hanno scelto una buona custode..”
“Si spieghi meglio” ordinò laconico Satch.

L’ultima cosa che voleva e che quelli si approfittassero dell’ignoranza di Sayuri per fare qualcosa alle sue spalle o per appiopparle chissà quale oggetto maledetto.

“Non c’è ragione per cui tu debba preoccupare per la vita di quella ragazza; è più forte di quanto mostri e le anime di Loriam non le torceranno un singolo capello” gli assicurò.
“Questo lo dice lei ma sarò io a farne le spese se dovesse capitare qualcosa alla principessa”

Era certo che nessuna forma di potere esistente al mondo, maledizione che sia, avrebbe placato l’ira di Ace se fosse successo qualcosa alla sua fidanzata. L’aver ottenuto la sua compagnia nella missione che poi si era rivelata un bluff coi fiocchi non era stato frutto di un suo sfruttare la propria posizione di comandante, anzi: lei stessa si era presentata con l’esplicita richiesta di poterlo seguire per raccogliere informazioni su quelle paludi ma tra le tante alternative elencabili, non si sarebbe mai sognato di sconsacrare un tempio che per un secolo intero era stato lasciato in pace. Tutto perché l’adorabile e al quanto strozzabile signora Chiko aveva deciso di mettere a rischio e pericolo la sua vita,coinvolgendo la sua e anche quella della principessa, soprattutto quella della ragazza che adesso rischiava di venire rapita da dei fantasmi! Da esseri di cui lui dubitava fortemente l’esistenza!

“Ho motivo di credere che quelle anime l’abbiano scelta come custode della reliquia perché hanno visto in lei delle doti straordinarie. Doti che potrebbero essere in grado di contenere il male che quella reliquia sta scatenando” continuò pensierosa “Evidentemente le difese poste dai nostri antenati sul tesoro stanno perdendo efficacia e quindi per difendersi, hanno cercato di attirare l’attenzione di chi poteva sentire le loro voci. Lei è stata capace di vedere quel bambino e di accogliere la sua richiesta di aiuto; sono pronta a scommettere che sono stati loro a dividervi. Si, si deve essere così, stanno cercando di condurla alla porta per consegnarle direttamente il tesoro”
Semmai staranno cercando di scaricare il loro problema sulla principessa.

E mentre faceva buon uso del suo libero pensiero per dire la sua sul quadro generale, la vecchia Chiko continuò a parlare con sempre maggior entusiasmo, più con sé stessa che col biondo: lo scoprire gradualmente le intenzioni degli spiriti equivaleva a una scoperta di grandezza storica quanto quella di un nuovo continente e l’essere una spettatrice la incitava a voler vedere con i suoi stessi occhi il risultato di quella vicenda. Dal canto suo, il comandante della quarta flotta desiderava poter riemergere da quel labirinto sotterraneo e respirare il buon vecchio ossigeno prima che l’umidità di quel posto gli facesse crescere la muffa anche nei polmoni, tuttavia le priorità erano altre e non poteva fermarsi a pensare a cosa volesse alludere la vecchia con doti straordinarie perché era innegabile che la principessa fosse forte. La prima volta che l’aveva incontrata era ferita, stanca, senza alcuna possibilità di sconfiggere il capitano ma anche se fosse stata nel pieno delle sue forze, il suo tentativo non avrebbe portato a nulla; ciò nonostante, aveva impugnato le proprie armi e l’aveva affrontato senza provare alcuna paura per la propria vita e tutto perché non temeva per la sua incolumità ma quella di molte persone che condividevano con lei legami preziosi come l’oro.

Che fosse per quello che gli spiriti di Loriam l’avevano scelta? Per il suo buon cuore? Era possibile, un minimo di attenzione doveva pur avercela.

Ma in che razza di groviglio mi sono andato a cacciare?  

Seppur in minima parte, anche lui era coinvolto in quella cosa e non voleva star lì senza far quel poco che poteva se ben teneva conto che tra le file che Sayuri amava tanto, c’era una persona in particolare che era riuscito a conquistarla..

Certo che però la vita è ingiusta.. pensò amareggiato.
“Sob” sospirò malinconico, abbassando la testa in resa di sconfitta.

Perché non poteva avere anche lui un angelo per fidanzata?

Sbuffò nuovamente come per cercare di togliersi quell’amarezza dallo stomaco.

“Dì la verità, Satch: quella fanciulla ha già il ragazzo” ridacchiò maliziosa l’anziana.
“Si, uno molto ma molto geloso” brontolò riprendendo a camminare.

 

 

Ad ogni passo che compiva il suo sangue diveniva sempre più freddo, tanto che le emozioni le si erano congelate all’altezza del torace. I flebili singulti che solleticavano le sue orecchie diventavano suoni ben udibili e impossibili da ignorare. Continuava a scendere quelle scale da cui un’aria gelida come interi blocchi di ghiaccio risaliva lentamente e la sorpassava senza destare alcun interesse per lei. Era pungente, così...priva di vita. Quel pianto proveniva dal basso ma il fondo di quel percorso continuava a rimanere avvolto dalle tenebre e Sayuri già aveva impugnato un sai e l’aveva rivestito del suo haki. Conscia di starsi addentrando di sua iniziativa nell’ala più oscura di quel tempio non voleva farsi trovare impreparata. Certo, mettere in bella vista l’arma e impregnarla di pura volontà senza avere nemici attorno era un gesto sconsiderato, se non uno spreco di buon haki che poteva tornare utile quando il pericolo le si sarebbe presentato con un corpo solido ma l’entità che aleggiava lì intorno non si stava nascondendo, ne tanto meno stava attendendo il momento propizio per attaccarla: Bianco Giglio si sentiva circondata e ogni mattone di quel posto per quanto ne sapeva sarebbe stato capace di mugugnare e prendere vita per dimostrare che quelle non erano rovine comuni ma imperterrita, proseguì preoccupata per la sorte della signora Chiko, ignorando che già fosse al sicuro con Satch.

Mi chiedo dove portino ques...

Così assorta nei suoi pensieri che solo all’ultimo secondo riuscì a non perdere l’equilibrio per via dell’improvviso scossone; si ritrovò schiacciata col petto alla parete e per l’aumento d’intensità della scossa cadde in ginocchio con solo la punta dei piedi a sostenerla. Si aspettava di vedere l’azione vissuta poco prima di essere divisa dall’amico ripetersi come un schema scritto ma con sua grande sorpresa, la scossa durò meno di quanto pensasse: le scale smisero di ballare le pareti di avanzare, tutto tornò piatto e muto esattamente come prima.

“Mi è andata bene” mormorò sollevata.

I muscoli delle gambe le si sciolsero come burro al sole e subito si ritrovo seduta e con la testa poggiata al muro. Data la profondità a cui si trovava, si ritenne egregiamente fortunata di non essere stata ancora inondata e seppellita da più di un quintale di fango; sapeva che la fortuna era sfuggente come il vento e che sarebbe stato tutt’altro che saggio affidargli la propria vita ma dentro di sé sentiva di essere arrivata a sfiorare i limiti dell’auto-conservazione. Era smarrita, sia nel fisico che nella mente, non aveva idea di cosa dover fare o come comportarsi al fine di uscire da quel labirinto sotterraneo. Sentiva la necessità di respirare aria pulita, buona come l’acqua e che le rigonfiasse le vene. Le sue ossa reclamavano un minuto di tregua. Stanca, non le sarebbe dispiaciuto chiudere gli occhi per poter alleggerire la sua testa da quella pressione che le stava schiacciando le tempie ma avendo sviluppato una buona resistenza si disse che poteva proseguire visto che non era in fin di vita o con un buco nella pancia che gli impartisse di rimanere ferma. Lentamente si staccò dal muro e si rimise in piedi scrollando dai capelli quanta più polvere poteva togliersi di dosso.

“...Aci..”

Si impietrì. Tutto di lei divenne pietra; soltanto la testa era stata risparmiata, cosicchè potesse muoverla e vedere chi stava a pochi gradini sotto di lei. La mosse e nonostante alcune sue lunghe ciocche le coprissero la visuale, Sayuri riuscì ugualmente a vedere il bambino della palla marrone guardarla con aria di supplica.

“Ai..aci..aiutaci..p..favore..”

Singhiozzava; sulle magre guance bianche colavano lacrime grosse e lucenti che si facevano strada lungo il suo viso per poi toccargli il mento e infrangersi a terra mentre quelle piccole manine sporche, chiuse in due pugni, cercavano di asciugarsi gli occhi invisibili.

“Piccolino..?”
“Sniff....per fav...per favore..”singhiozzò quello
Sayuri gli si avvicinò cauta “Sta tranquillo, va tutto bene. Ti aiuterò ma non piangere. Ti..”

Di nuovo. Una seconda scossa di terremoto. Perfino il bimbo si mostrò impressionato nel vedere quel corridoio contorcersi e deformarsi come creta: piccole crepe si unirono ad altre fino a diventare una sola e unica spaccatura che deturpò le scale e le aprì con suono stridente proprio dove stava lui.

“Attento!”

La cartografa scattò in avanti nel mentre il bambino iniziava a precipitare in quella voragine creatasi senza preavviso: si tuffò di testa, riuscendo ad afferrare saldamente per la vita il piccolo prima che fosse troppo lontano per essere salvato. Subito roterò il corpo verso l’apertura e prontamente ci si aggrappò con la mano libera. Erano sospesi nel vuoto ma la terra ancora urlava furente, con le aperture che minacciosamente continuavano a slargarsi con irregolarità.

"Ugh...avanti..." digrignò fra i denti appellandosi a tutti i suoi muscoli.

Stringendo più a sé il bambino, cercò di puntare i piedi contro la parete e di tirarsi su con le sole forze concesse ma la roccia a cui era aggrappata era mobile e traballante; senza nemmeno provare a resistere quanto bastava, questa si ruppe definitivamente, lasciando precipitare entrambi ancora più in basso, sempre più vicini al fondo e alle anime che continuavano a picchiare contro la porta incessantemente. 

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Capitolo 43
*** Giù dove le ombre si annidano. ***


Salve a tutti quanti!e siamo giunti all’ultimo capitolo della saga di Loriam,cortina ma comunque importante.Qui quel che deve essere svelato sarà svelato,quindi saltando gli inconvenievoli,passiamo ai ringraziamenti e lanciamoci in questo capitolo!

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maya90:tesoro,che bello risentirti!spero che ora la connessione ora sia più regolare e che tu in generale stia bene!ti sei sparata tutti i capitoli pubblicati dalla tua ultima recensione;complimenti,mi fa piacere poi che ti siano piaciuti.Withey Bay la volevo mettere da tempo,così come Oars anche se ho improvvisato nei loro colori non sapendo bene come fossero nell’anime,comunque..Don ha modo di tenersi a distanza da lei e dalla tua omonima anche se dopo finiscono a litigare.Ho adorato mettere un’altra loro scenetta,da tempo li stavo trascurando.Satch è il solito,ma almeno gli ho concesso più spazio per stare con la principessa anche se so che non era come lui desiderava e Ace..beh,il cappello di Oars glielo aveva fatto lui,quindi una particina per quel momento ci doveva stare,anche se poi ha preferito baciare a sorpresa Yu-chan,ih ih!è più forte di lui!grazie per la citazione messa su Loriam:in questa parte e in futuro si giocherà molto sulla faccenda del bene e del male e spero di scriverla bene perché a pensarla è semplice ma essendoci tante cose è difficile trovare una fine adatta e che lasci il segno ma intanto posso dirti che si,mi sto sbizzarrendo su questa parte horror;non è proprio così visto che la saga di Moria è bastata ma ha comunque la sua importanza e alla fine di questo capitolo capirai anche il perché.In origine la storia era un po’ diversa e la fine anche ma ho deciso di seguire questa andatura perché mi pareva la più sensata.Sono felice che tu sia tornata,veramente,non vedo l’ora di leggere il prossimo capitolo della tua fict!

angela90:ciao cara!dopo terremoti,crolli e anche fantasmi siamo giunti alla fine!il povero Satch non è stato molto fortunato,non con la vecchia Chiko visto che sperava di godere della compagnia di Yu-chan ma nemmeno lei se la sta passando mica bene.Avere alle costole,per così dire dei fantasmi non è che sia tanto rassicurante ma confida nelle capacità della mia pupilla,se non ci sono ragni nel raggio di cento chilometri ha la situazione perfettamente sotto controllo.Fossi stata al suo posto sarei morta:non si può stare tranquilli,io mi sarei già fatta prendere dal panico e a suon di urla mi sarei fatta crollare le mura addosso.La vecchietta è sveglia,si si,ma anche un cieco vedrebbe la depressione dipinta su Satch (poverino,forse sono un po’ troppo crudele con questo uomo).Anche se ferita,la forza per parlare e parlare c’è l’ha!

happylight:la mia lucina felice!si va sempre più a fondo e si capisce sempre meno,succede sempre così!non si può dire che la fortuna stia baciando i due e in quanto ai fantasmi..beh,in qualche modo dovevano attirare l’attenzione?mica poteva andargli a fare “pat pat” sulla spalla e chiedere aiuto.Nah,ci vuole più mistero cosicchè la gente abbia un po’ di fifa,anche se dubito alquanto che Ace si farà intimorire da questi:eh he,l’hai detta giusta,se quelli alzano un dito su Yu-chan posso considerarsi ancor più morti di prima.E intanto la vecchietta malefica si diverte sulle disgrazie del nostro povero comandante.Porrino!

Huntergiada:ciao tesoro.E’ come dici tu,è sfiga!ma d’altro canto sono o non sono in una zona considerata sacra ma anche maledetta?e mentre Yu-chan girovaga un po’,Satch viene amorevolmente preso in giro dalla vecchietta che subito intuisce che la principessa è già felicemente impegnata ma tanto la sua bella figura l’ha fa sempre,anche se l’ombra minacciosa del comandante della seconda flotta incombe su di lui…

tre88:hello!per il club su Barbanera,non temere sono convinta che ce ne siano già molti in circolazione e penso che gli aderenti siano per la stragrande ragazze.Hanno idea di che cosa il mondo femminile ha perso??va beh,tornando a te…si,il fuocherello anche se piccolo la rincuora ma purtroppo non basta per fermare l’ondata do sfortuna che si è abbattuta sulla testa dei due pirati.Anche tu consoli il povero Satch,e in effetti un po’ comprensione gliela si deve dare altrimenti Ace gli farà provare le brezza dell’essere la torcia umana.

foreverme96:ciao!!sta succedendo il finimondo in questo labirinto,lo so.Yu-chan qui riceverà il dono degli spiriti,anche se in realtà lei preferisce non trafugare nulla (e con questo ho fatto un megaspoiler,accidenti).Posso dirti che non sarà il contenitore di niente e mi fermo qui perché altrimenti rovino la sorpresa nel capitolo e non va bene.Anche tu hai apprezzato la parte della nonnina e di Satch!praticamente tutte avete adorato questa vecchietta quando ha intuito che la principessa è già occupata.Beh,era logico,dopo 34 capitoli di attesa si può dire che adesso quei due si siano detti tutto!ora,vedrai che cosa ho tenuto in serbo per la mia pupilla e spero che piaccia!

Kicchan 96:un’altra arrivata!felice di accoglierti fra le mie file,ultimamente ne arrivano e io non posso fare a meno di gioire!non sarebbe male che Ace facesse la sua entrata in scena,prenda Sayuri in braccio e la salvi dai fantasmi,però (per quanto mi dispiaccia)lui salterà fuori nel prossimo capitolo.La saga di Loriam lo vedeva temporaneamente sostituito da Satch anche se il poveretto nemmeno si immaginava di dover finire sottoterra per cercare una adorabile vecchietta.Grazie per i complimenti,me li fate sempre ma io non mi ci abituo mai,spero che continuerai a seguire la storia e che il seguito ti interessi ancor di più di quanto hai già letto.A presto!

 

 

“Dannazione, questa è stata davvero forte” imprecò Satch “Vecchia Chiko, come sta?”
“Non preoccuparti, grazie a te non mi sono fatta nulla”

Quell’improvvisa scossa di terremoto aveva fatto urlare le pareti come se fossero state vive; al momento dell’impatto la pelle del comandante della quarta flotta si era rizzata al sentirsi rimbombare nella testa l’orripilante suono di mille unghie che grattavano con insistenza quella che pareva essere una enorme lavagna. Lo stridio si era slargato a tal punto da afferrarli le giunture delle ginocchia e farlo quasi cadere a terra ma all’ultimo aveva reagito ed era scattato indietro; col proprio corpo aveva fatto da scudo all’anziana che pochi secondi prima gli era aggrappata alla schiena.

“Siamo vicini alla sala, dobbiamo fare attenzione” decretò l’anziana.
“Si è ricordata la strada?” le domandò il biondo con una piccola nota di speranza.
“Ti ho detto che non devi essere in pensiero per quella ragazza. Gli spiriti non le faranno alcun male”
“Ma il fidanzato geloso ne farà a me se non riporto gli la principessa sana e salva” ripetè.

Teneva sempre ben a mente che Bianco Giglio si era si offerta di sua spontanea volontà per accompagnarlo ma teneva ancor più a mente tutte le volte che Ace aveva cercato di fargli la festa con il solo ausilio degli occhi. I molteplici sudori freddi che gli stavano bagnando gli abiti non lo aiutavano a uscire dai pensieri involontari che la sua mente stava partorendo ma la reale preoccupazione per la ragazza bastò per ripristinare quella giuste dose di sanità mentale che gli occorreva per proseguire.Forse gli spiriti canzonati dall’anziana non avrebbero infierito su di lei ma ciò non toglieva che su questa storia voleva vederci chiaro, senza contare che non aveva alcuna intenzione di uscire da lì senza la ragazza. Se proseguire era l’unico modo per ottenere entrambe le cose, allora non gli restava altro da fare che issarsi ancora una volta la nonnina sulle spalle, riprendere a camminare e sperare che la principessa stesse bene.

 

 

Aiutatemi per favore! C’è qualcuno che riesce a sentirmi?!

La sua voce rimbombava tremolante e debole fra quella parete bagnata chiusa amò di cerchio. L’acqua gocciolante si mischiava al suo respiro accelerato e tale era il silenzio lì, che il veloce battito del suo cuoricino spaventato si udiva distintamente. Stava correndo e poi, in quell’attimo di distrazione, la terra era venuta meno ed era precipitata giù in quel buco nero, fino a far infrangere il proprio corpo contro la superficie di quell’acqua fredda come l’indifferenza degli abitanti del suo villaggio d'origine.

Aiutatemi...non so come uscire...

Era disperata. Il calore che percepiva sul suo viso non era dato che dalle sottili lacrime che incondizionatamente scendevano contro la sua volontà. Toccava le pareti in cerca di un appiglio, si arrampicava, cadeva e riemergeva maggiormente infreddolita e timorosa di non vedere più la luce del sole. Quel ricordo l’aveva sempre ossessionata come il ritornello di una melodia incessante e sempre era stato capace di farla sobbalzare come una bimba indifesa quale era un tempo.

A..Aiutatemi...

Le mani erano rosse, le dita bollenti. Il sangue colava da quei tanti taglietti a tal punto da ricoprirle interamente, rendendole scarlatte e con un profumo eccessivamente metallico. Dalla punta dei piedi sino a metà busto era gelata,irrigidita. Temeva che se soltanto avesse provato a piegare le ginocchia queste si sarebbero spezzate come ramoscelli.

Il ricordo del pozzo, di quel pozzo, l’aveva sempre, in ogni occasione, spaventata. Così vivo, così impresso sulla sua pelle come un marchio indelebile e orrendo, l’aveva sempre fatta rabbrividire per tutte le angosce che era in grado di suscitare nel suo cuore. Non importava quante volte chiudesse gli occhi e si imponesse di dimenticare, lui era lì, come un punto di riferimento da cui doveva stare lontano. I suoi orrori riemergevano quando lei abbassava la guardia, quando qualcosa all’esterno la colpiva con tanta forza da far tremare le sue difese sino a farle sgretolare come tanti castelli di sabbia ma questa volta era stato diverso.

“Attento!”

Ricordò che quel bambino le era apparso nuovamente implorando il suo aiuto. Ricordò che per l’ennesima volta il labirinto sotterraneo era stato vittima di un terremoto. Ricordò la voragine e di come lei si fosse gettata per salvare quel bambino ma ciò che più ricordava di quella sequenza avvenuta così velocemente e che ora stava rivivendo con più calma nella sua mente appena svegliatasi, era il corpo di quel piccolo: era come se avesse abbracciato un mucchietto d’ossa ma con pezzi di carne attaccati a presso così gelidi da essere estranei a quel mondo. Per quanto sgradevole al tatto, non aveva mai allentato la presa e aveva fatto l’impossibile perché la caduta non lo ferisse. Sentiva di avergli urlato di resistere e che tutto sarebbe andato bene ma poi era diventato tutto nero. Il fatto che stesse cominciando a percepire il proprio corpo steso a terra, fra i tanti massi caduti, le fece comprendere di essere ancora viva. Mosse le spalle con involontarietà e mugugnò per il dolore: doveva essere atterrata di schiena perché lì era dove più udiva le proprie viscere pulsare. Benchè avesse ancora gli occhi chiusi, se lì coprì con l’avambraccio mentre piegava le ginocchia cercando di verificare se mai si fosse rotta qualcosa e con suo grande sollievo scoprì di essere tutta intera, con qualche ammaccatura ma pur sempre intera.

Sono stata fortunata. Ad un’altezza del genere e con il terremoto in corso, avrei potuto seriamente farmi male.

Scopertasi le palpebre si mise lentamente a sedere, mirando in alto, laddove poco prima era appesa. Dubitava di poter risalire, le pareti erano troppo distanti dal buco e non vi erano appigli su cui potesse fare affidamento ma in quel momento, più che domandarsi come avrebbe fatto a risalire,era preoccupata per quel bambino: non lo vedeva da nessuna parte, era scomparso. Voltò il capo a destra e a sinistra,incontrando solo macerie e detriti. Non poteva essersi dissolto nel nulla ma doveva tener conto che era rimasta priva di sensi per qualche minuto e che dunque durante il suo stato di incoscienza poteva essere accaduto qualcos’altro. Riflettere su cosa fosse successo non le sarebbe servito a molto dato che non aveva indizi sui cui posare possibili opinioni ma ciò che adesso pareva in qualche modo tenerle il fiato e i sensi in sospeso era che sotto alle scale ci fosse un altro corridoio: a giudicare dall’odore marcio quel posto doveva essere rimasto al chiuso per moltissimi anni e da come le mura erano consumate, tanto da rendere pressoché irriconoscibili i mosaici dipinti dagli indigeni, sotto ogni possibilità, doveva essere finita nei pressi del cuore della struttura. Si alzò in piedi, avvicinandosi al muro o a quanto ne rimaneva: con la punta delle dita accarezzò le raffigurazioni messe meglio le osservò, facendo scivolare i suoi occhi sull’interezza della parete. A quanto pareva, i dipinti un tempo la ricoprivano totalmente.

Questo corridoio deve essere più antico di quelli situati al piano di sopra. Probabilmente i disegni dovevano rappresentare qualche scena sacra collegata alle usanze di Loriam. Riflettè socchiudendo gli occhi.

Continuò a far scorrere le sue dita su quelle raffigurazioni,fino ad appoggiare l’intero palmo della mano su quella superficie dissestata. Poi, qualcosa la spinse a soffermarsi: tra quelle pitture antichi, tra quei simboli a lei irriconoscibili, era sopravvissuta la raffigurazione di una scena di lotta. Ritraeva due guerrieri combattere con ferocia, armati e pronti a inferire l’uno sull’altro come mai avevano fatto in vita loro: il primo era un indigeno dalla pelle scura,avente fra le mani una lancia per attaccare e uno scudo per difendersi e il secondo...

“Ma che cos..?”

Arretrò di un passo portandosi la mano al petto, come per placare l’animo da quella visione così sconvolgente: l’avversario dell’indigeno era un’ombra. Un’ombra nera, ondeggiante, con tante lingue oscure che l’avvolgeva interamente e da cui emergeva un solo arto concreto quale era il braccio, lungo e sottile come le affilate falangi. Il nero che era stato utilizzato per dipingerlo era così scuro e carico di sfumature sui contorni del mosaico che dava l’impressione di sgorgare dalle pareti, disperdersi sul pavimento e infine raggomitolarsi al fine di far prendere vita alla creatura che raffigurava. Era inquietante, il solo guardarla dava a Sayuri una sgradevole sensazione all’altezza della carotide, come se una mano invisibile stesse cercando di afferrargliela come quando si era ritrovata davanti all’entrata del tempio, la bocca dell’inferno; era esattamente come l’oscurità che aveva sopraffatto il fuoco nella predizione fattale dalla sibilla.

Ace...

Fintanto che lo sapeva sulla nave non aveva nulla di cui preoccuparsi perché di certo con loro padre così vicino nessuno si sarebbe permesso di tentare un arrembaggio solitario. Caso mai si fosse verificata tale eventualità la persona in quel caso o era molto sicura delle sue capacità o molto stupida e poco attaccata alla propria vita, però nonostante ciò era preoccupata ugualmente, timorosa più che altro e il guardare quel mosaico di certo non la stava aiutando a sentirsi meglio. Ma non doveva perdersi d’animo, non così in fretta.

Coraggio Sayuri, non bloccarti.

Si diede dei colpetti alle guance e sospirò sciogliendo la tensione che gli stava appesantendo le spalle: i suoi dubbi non erano a rischio come la vita della signora Chiko, senza contare che doveva ritrovare anche Satch e pensare a come uscire da quella gabbia di terra. Per quanto ne sapeva,il prossimo crollo poteva anche essere l’ultimo della sua vita ma piuttosto che pensare in negativo, preferì occupare il cervello con qualcosa che poteva dare una svolta alla situazione e visto che aveva a disposizione un lungo corridoio da perlustrare - nonché sua unica via- tanto valeva vedere dove portasse.

 


“D’accordo, a questo punto posso dire di averne piene le scatole” sentenziò Satch pienamente scocciato.

Il buon comandante della quarta flotta aveva tutte le ragioni del mondo per sbuffare come una locomotiva a vapore al massimo della velocità; dopo tanto girare ed essere scampati a ben tre scosse la sola cosa che il biondo chiedeva al cielo era di dargli una via libera. Una sola via libera, un minuscolo passaggio verso la libertà o meglio ancora che lo portasse dalla principessa, non gli sembrava di chiedere così tanto ma i santi dei pirati quel giorno si erano coalizzati contro di lui perché non gliene stava andando bene neanche una e sbuffare era il solo modo per sfogarsi senza lasciarsi andare al puro istinto di sfoderare la sua affilata spada e di distruggere qualsiasi cosa che si trovasse nel suo ristretto raggio d’azione. Non si sporcava le mani se l’occasione non lo occorreva ne tanto meno ricorreva alla sua arma così frequentemente come fosse una piuma d’oca, ma dopo tanti vicoli ciechi la povera anima di Satch si era sfracellata la testa a forza di sbattere contro quel muro immaginario creatosi da sola. Da come l’aveva guidato l’anziana Chiko gli era sembrato che si fosse finalmente ricordata la strada ma il piccolo, minuscolo barlume di speranza si era spento nel vedere le scale completamente ostruite da solito mucchio di sassi irremovibili.

“Questa non ci voleva. Non possiamo scendere più di così”

Nella voce strascicata della vecchia vi era udibile un sonoro velo di irritazione.

“Conosce un’altra strada?”
“Purtroppo no” scosse la testa “Questa era l’unica via per accedere alla sala del tesoro. Non ho idea se ne esistano altre, ero a conoscenza soltanto di questa”

Grandioso. Veramente grandioso, si ritrovò a pensare l’uomo sarcasticamente. Aveva fatto a malapena trenta metri e subito si era ritrovato bloccato per l’ennesima volta e neanche a chiederlo, avrebbe scommesso il ciuffo che la principessa era lì sotto perché gli spiriti del posto le avevano aperto la via di loro iniziativa.

E la cosa non mi piace.

Sinceramente non era disposto a girare i tacchi e cercare un altro passaggio libero ne tanto meno trovare l’uscita tanto agognata senza prima aver recuperato la compagna.

“Satch, cosa vuoi fare?”

Facendo molta attenzione il biondo poggiò a terra la nonnina e ne rialzarsi, si rimboccò le maniche della giacca azzurra.

“Non ho intenzione di stare qui a far niente mentre la principessa si prende tutto il divertimento” affermò “Voglio proprio vedere cosa hanno intenzione di fare i suoi fantasmi, vecchia Chiko”

Si avvicinò ai massi con occhio attento e cercatore: tastò con leggerezza alcuni punti apparentemente fragili, in cerca di uno spiraglio o una frattura che gli indicasse che qualcosa si poteva fare e nel sentirsi solleticare il dorso della mano da un leggero spiffero,toccò la pietra su cui si era soffermato e la scoprì immobile. Sorrise vittorioso:dunque non tutto era perduto, quel passaggio poteva essere ancora utilizzato. Figurarsi se un uomo del suo rango si arrendeva così facilmente.

 


“Sei venuta....”

Stava camminando cautamente quando la vocina del bimbo le sfiorò l’udito. Non sussultò, ne tanto meno si spaventò perché era certa che sarebbe riapparso per farle vedere quel qualcosa di cui ancora non sapeva nulla. Le era davanti e ora riusciva perfino a vederne gli occhi: piccoli,neri,lucidi per le lacrime e orribilmente incavati. Il bambino cereo fissava Sayuri con le manine sciolte ai fianchi e solo quando ricevette da lei uno sfuggente sguardo di intesa, come dirgli di “Fammi strada”, capì che lo avrebbe aiutato, esattamente come gli aveva promesso e anche se esternamente non lo dava a vedere, dentro di sé ne era felice o almeno credeva di esserlo. Le fece cenno di seguirlo e la ragazza dei gigli lo segui con la guardia alta ma mostrandosi disinvolta, calma, perfettamente a suo agio. Il suo corpo avanzava,combatteva contro una corrente contraria alla sua direzione e in qualche modo la voleva costringere a tornare indietro ma man mano che percepiva il fulcro di quella malignità sempre più vicino, lasciò che il fisico e la mente si armonizzassero e che si abituassero a quella pressione, che la capissero, la scoprissero laddove lei con una sola occhiata non era riuscita a vedere nulla di interessante.
Oltre a quella vi era altro, in netta minoranza ma sempre presente: un’entità nascosta, schiacciata dalla negatività a cui sempre di più si stava avvicinando e quando arrivò in quello che era il punto più profondo e remoto del labirinto, bloccò le sue gambe sul ciglio della stanza quadrata e ne osservò le particolarità con stupore silenzioso e coi sensi completamente appiattiti, spenti. I tenui fuochi accesi sulle pareti laterali illuminavano il posto dandole la stessa tonalità presente ai primi piani, un arancione intriso di catrame e ombre che si annidavano negli angoli e nelle fessure. Nel vederla spoglia, priva di adorni e nuda come un manichino, Sayuri mosse gli occhi sino a guardare la parete posta in fondo e lì il suo cuore perse un battito: in sostituzione ad essa vi era una porta immensa, di pietra, le cui ante erano chiuse, anzi completamente sigillate da un’infinità di corde sacre robuste e spesse come il cemento. Senza accorgersene si ritrovò ad un passo da questa e nel appoggiarci sopra da prima la mano e poi la guancia, chiuse gli occhi per tentare di ampliare al meglio quel che percepiva col semplice contatto fra la sua pelle e la pietra: era calda e pulsante, proprio come un’organo umano.

Proprio come un cuore.

Dischiuse parzialmente le palpebre ,slargando le ciglia. A orecchie umane non sarebbe giunto nient’altro che un silenzio privo di vita ma la cartografa in vent’anni aveva imparato ad ascoltare anche il più piccolo suono e quindi, quei leggeri colpi dati da dietro la porta erano fin troppo udibili. Portò le pupille in altro, fino a incrociare una delle corde: i lacci sacrali erano i soli sigilli di contenimento che impedissero a quella porta di aprirsi e dunque di mostrare al mondo qualcosa di non suo e non osava immaginare cosa fosse successo se questi fossero stati in qualche modo distrutti. Scosse debolmente il capo e si allontanò di un passo dalla parete: per il suo bene era meglio distogliere l’attenzione da certi pensieri, anche perché ora come ora, dietro di lei il bambino la stava appunto richiamando per mostrarle qualcosa che prima aveva ignorato: alle sue spalle, proprio al centro della stanza,vi era una cassa.

“Da questa parte”

Sollecitata da voci invisibili, ruotò volto e busto in sincronia per poter infine camminare intorno ad essa e inginocchiarsi ai suoi piedi. Gli occhi di lei da prima esitarono mai poi con più sicura cautela studiò quanto aveva davanti, con le mani poggiate alle gambe: era una forziere di legno scuro piuttosto malconcio, ammaccato agli angoli, come fosse stato più volte spostato...

Ma non è umanamente possibile, si disse. L’accesso alla quarta palude era severamente vietato, soltanto con l’autorizzazione degli sciamani si poteva accedere al tempio. La loro era puramente un eccezione.

Le si raggelò la spalla tatuata nel sentirsela toccare da quella piccola mano gelida.

“Alcuni sono venuti senza che noi lo chiedessimo” parlò poi il bimbo apparendogli di fianco ”Non volevano aiutarci. Nessuno ci sentiva e chi poteva scappava via. Ce ne sono stati tanti come te, ma avevano tutti paura e se ne sono andati via”

Di chi stava parlando? Dei loro discendenti? No, se fossero stati realmente loro, sicuramente avrebbero cercato di trovare una soluzione ma se c’era di mezzo la paura poteva cambiare tutto: erano spettri quelli che chiedevano aiuto,spettri insanguinati, che per il loro bene e quello dei vivi dovevano rimanere segregati in quel tempio-labirinto più simile a una tomba. Riflettere con razionalità davanti a quanto le si presentava era difficile Sayuri dubitò fortemente che chiudendo gli occhi e contando fino a dieci si sarebbe trovata sulla Moby Dick insieme a tutti i suoi compagni e per quanto lo immaginasse fermamente nella sua testa, non era che un illusione che subito si dissipava nel nulla quando scopriva le sue iridi color cioccolato. Meccanicamente, nel ridestarsi, allungò il braccio sino a sfiorare con le punte delle proprie dita le grosse catene che tenevano ben chiusa la cassa: ignorava ancora quale genere di arma fosse contenuta lì dentro ma si stupì nel cogliere un bagliore giallastro riflettersi fra il grigio del metallo.

Questa è...algamatolite!

La conosceva soltanto perché aveva letto molto al riguardo ma non le era mai capitato di poterla toccare: da quanto ricordava, l’algamatolite era un minerale addirittura più duro del diamante e che racchiudeva dentro di sé l’energia del mare,energia che emetteva e rendeva deboli coloro che si erano cibati dei frutti del diavolo. La sezione scientifica della Marina era molto all’avanguardia su tale argomento; il dottor Vegapunk, il luminare di quel campo, si era guadagnato fama e rispetto grazie alle scoperte riguardanti tale pietra, in particolar modo sul suo utilizzo in campo militare e navale. La pietra veniva raccolta in particolari zone marine, possibilmente molto ricche di corallo e veniva fatta fondere e infine intrisa con metallo comune al fine di conferirle la leggerezza che le mancava ma senza farle perdere il suo grande potere. Per persone come Ace, quel minerale rappresentava un bel grattacapo perché oltre alle capacità derivanti dai frutti, li privava anche della forza fisica, rendendoli totalmente invulnerabili anche al più semplice dei colpi. Mirarla più volte le servì a darsi abbastanza conferme da poterci credere: si trattava di algamatolite purissima e in grande quantità a giudicare dalle molteplici catene imposte sul forziere. La faccenda si stava maggiormente intricando: a cosa serviva una simile precauzione?

E poi lo vide. Le catene si incrociavano fra di loro ed erano tese, ma il lucchetto...

Lo prese in mano: presentava vari segni di scioglimento e sembrava essere stato allentato. Anche alcune parti delle catene erano più sottili di altre, rovinate, sciolte da un calore che lì non poteva esistere, corrose da un acido pungente e velenoso mai conosciuto. La sola cosa che poteva rovinare la superficie liscia dell’algamatolite era uno strumento fatto a sua volta dello stesso materiale, non esisteva altro. Ma allora com’era possibile...com’era possibile che quell’algamatolite fosse così debole? Perfino il colore era opaco, privo di lucentezza.

“Ormai quelle catene stanno per cedere, non rimane molto tempo” riprese il bambino spostandosi per poterla guardare negli occhi.
“Come dici?” mormorò ancora assorta.
“Le catene...” ripete il piccolo indicandole “Non bastano più e abbiamo paura. Per favore signorina, per favore...” le chiese con vocina sottile “Lo prenda lei”

A tale favore la castana dischiuse una piccola parte della bocca, senza far fuoriuscire alcuna parola. Immediatamente guardò il bimbo pallido e se lo ritrovò mortalmente vicino, tanto da poter vedere fin troppo bene le sfumature dei suoi occhi neri. Essendo lei inginocchiata e lui in piedi, le loro altezze si equivalevano.

“Signorina, la prego..” continuò sempre più triste “Lo prenda. Lei può reprimerlo. Non abbiamo nessun’altro a cui chiederlo.”
“Piccolino, non riesco...ah!”

Dovette poggiare entrambe le mani per terra per evitare di cadere: quello spettro dal corpo inspiegabilmente solido,nello slargare i suoi corti arti superiori l’abbracciò, nascondendo la propria testa nel suo petto. Per quanto si dicesse che l’abbraccio di un cucciolo umano fosse una delle cose più tenere e care che esistessero al mondo, quello non aveva nulla di tutto ciò, proprio perché quel piccolo aveva perso ogni luce e felicità che un tempo l’avevano reso vivo. La sensazione che Sayuri provò fu veramente sgradevole: tanti aghi freddi e velenosi, come zanne di serpente, le stavano perforando la pelle e continuavano a penetrare con così tanta lentezza che non riuscì a reprimere un gemito di dolore. Si aspettò di veder zampillare del sangue tanto lo sentiva agitarsi freneticamente ma paralizzata com’era, non riuscì a muovere il collo all’ingiù. A malapena gli occhi le rispondevano. Non comprendeva dove volesse arrivare, cosa volesse toccare; quei aghi continuavano inesorabilmente a trafiggerla con totale calma, a paralizzarla, ma doveva resistere, doveva essere forte perché senza saperlo con assoluta certezza..avvertiva il tutto come una prova. Loro si erano fatti avanti, l’avevano guidata e adesso toccava a lei dimostrare quel che volevano verificare e per quanto tutto, ma tutto tutto, fosse incredibilmente fuori da ogni logica, Sayuri lo stava vivendo e lo accettava con una ponderatezza fuori dal mondo. Non possedeva capacità extrasensoriali, ne tanto meno era una medium ma in qualche modo capiva i frammenti distorti di quel mondo imprigionato lì sotto. Capiva che in lei avevano visto qualcosa che ancora non era maturato a sufficienza ma ugualmente insistevano per lasciarle quanto più faceva tremare le loro anime derelitte,se potevano essere chiamate così.

Per quanto le riguardava, lei si era decisa a voler venire in loro soccorso ma non poteva mentire a sé stessa, non poteva non percepire quell’aura maligna che si contorceva ovunque lì dentro, senza aveva una fonte rintracciabile ed era pronta a scommettere - anche se non aveva prove - che la cassa incatenata in tutto ciò rivestiva un ruolo chiave.

“Piccolo” e lo afferrò delicatamente per le spalle “Non posso accontentarti.”
“Ma aveva detto che mi avrebbe aiutato!” replicò colpendola al petto con pugni privi di forza ”Tu sei più forte di loro”
“Lo so, ma non è per questo che sono qui” continuò. Intercettò i colpi e li prese senza alcuna violenza fra le sue mani “Non sono interessata a quel che c’è li dentro, voglio solo ritrovare un’anziana signora che si è persa e un mio amico” gli sorrise.

Anche se stava parlando a un fantasma, le dispiaceva deluderlo ma la verità era che neppure lei era sicura sulla sua decisione: qualcosa in quella cassa la rendeva inquieta,abbastanza da farla vacillare sulla sua scelta. Certo, aveva detto che avrebbe offerto il proprio aiuto ma il sentirsi bloccata dalla sacralità di quell’artefatto che apparteneva a una terra di cui lei nemmeno era originaria, era ciò che più si stava imponendo dentro di lei. Sperava che capisse ma da come quello reagì, le sue speranze si rivelarono mal pensate: il bambino dalle ginocchia impolverate cominciò a tremare, a mordersi il labbro e guardò la porta sigillata dalle corde sacre con panico e disperazione emergenti. Il cuore che non aveva non emise fiato ma per quanto uno spettro avesse perso al momento della morte, l’emozione in qualche modo - un minuscolo brandello che ancora lo teneva sospeso tra l’umanità e la pazzia - ancora persisteva. Doveva insistere ma ancor prima che riprendesse a supplicare, accadde la tragedia.

“Che cosa....?”

Immediatamente il bambino si allontanò da lei con espressione scioccata e visibilmente terrorizzata. Mentre lui indietreggiava, Sayuri a malapena potè muovere i piedi e pertanto non si scansò in tempo. La cassa aveva preso a vibrare e infine a tremare violentemente come se ci fosse il terremoto ma il fatto strano era che di terremoti non ve ne erano l’ombra. Soltanto quella tremava, ringhiava come una belva feroce tenuta troppo a lungo segregata e le catene che la rivestivano saltavano come molle impazzite rimbalzando suoi muri, lasciando fuori uscire un fumo nero, denso e ondulante.

“Impossibile” sussurrò seguendo quelle onde arrivare a toccare il soffitto.
"Adesso non può più tirarsi indietro" le disse il bimbo lasciandosi inghiottire dal muro.

Le catene continuavano a spezzarsi e a volar via,liberando sempre più quella strana emanazione scura e densissima. Era tardi per scappare e quando l’ultima catena fu sciolta, il forziere si aprì di botto e tutta quell’oscurità inghiottì la stanza, compresa Sayuri, che ebbe appena il tempo di udire un flebile sussurro prima di cadere in un vuoto infinito insieme alla sua stessa volontà.

“Combatta signorina”

 

 

Stava spostando le ultime macerie quando alzò gli occhi verso la piccola apertura creata e rimase in attesa con le orecchie ben dritte. Non sapeva neppure descriverlo a sé stesso ma c’era qualcosa di strano in quel corridoio che finalmente cominciava a intravedere dopo tanto scavare. Poteva essere l’emozione nell’aver finalmente trovato una via che portasse da qualche parte ma da bravo comandante quale era,non si esaltò perché il suo istinto lo stava avvertendo di fare molta attenzione.Benchè il fondo di quel cunicolo fosse buio, Satch ci vide ugualmente quel qualcosa che lo spinse a sguainare la spada e a spostare il peso leggermente all’indietro. Si contorceva, in una sorte di fase preparatoria. Senza distogliere lo sguardo, prese l’anziana signora e la mise al riparo dietro alle macerie tolte prima per evitare che venisse colpita

“Resti qui”

Lei annuì e si raggomitolò meglio dietro i massi.

Ritornando sui suoi passi, il biondo alzò la guardia; continuò a guardare il fondo del corridoio e quando questo decise di compiere la sua mossa, lui si preparò a riceverla posizionando la spada orizzontalmente. Non aveva idea di cosa aspettarsi e una folata di vento tiepido era di per certo la più improbabile dato l’ambiente ma questa non era una semplice corrente dispersasi lì dentro perché entrata da qualche spaccatura e appena pochi secondi dopo tale fatto lo comprese Satch: appena quel vento gli sfiorò le nocche, per poi trapassarlo completamente al fine di superarlo e scomparire in chissà quale parte del labirinto, il biondo trovò istintivo contrarre i denti e serrare la mascella con quanta più durezza la bocca gli permettesse. Non era una folata di vento qualunque: della semplice aria non poteva comprimergli i muscoli e le ossa a tal punto da renderle una cosa sola, ne tanto meno poteva possedere una vitalità che la rendesse tiepida come un corpo umano.

Haki?

Inspirò fortemente con il naso quanta più aria poteva e strizzò gli occhi per imporsi maggiormente di non cedere e di non finire schiacciato a terra. Era questione di pochi secondi ma tale era l’impeto di quello spirito vitale che anche la testa stava cominciando a fischiargli. Resistette senza perdere i sensi ma appena quell’onda passò oltre, cadde a terra poggiando entrambe le ginocchia; le braccia tese ancora in avanti tremavano debolmente e la gola annaspava l’ossigeno che gli era stato sottratto senza preavviso. Non c’era che dire:una bella scarica di haki come quella avrebbe risvegliato anche un morto. Nervi e tendini li aveva in fiamme ma appena pochi attimi dopo tutto si acquietò e potè tornare in piedi e abbandonare le braccia ai fianchi.

Controllò all’istante l’anziana Chiko: aveva perso i sensi ma il sentirle il polso regolare lo rasserenò. Una reazione normale quella dello svenimento se non si aveva una volontà salda e ferrea, nulla di preoccupante ma di star lì a pensare alle conseguenze Satch non ne aveva alcuna intenzione ed iniziò a correre lungo quel corridoio che l’haki aveva liberato dalle ultime macerie. Non gli era nuova quella scarica, già una volta l’aveva vista ed escluso lui,in quel labirinto c’era una sola persona che avesse quel potere. Scattò in avanti, senza neppure rallentare quando iniziò a scendere altre scale a due a due:per averla costretta a utilizzare una così grande quantità d’ambizione la principessa doveva aver incontrato qualcuno di veramente tosto, magari un minotauro piuttosto indispettito per l’essere stato svegliato così malamente. Si diede dell’idiota e con un balzò saltò gli ultimi quattro gradini e riprese a correre seguendo la sola direzione possibile.

Cerchiamo di essere realisti. Si auto-rimproverò.

Sayuri non faceva mai utilizzo dell’haki, almeno non in caso di estrema e assoluta necessità. Per quanto la situazione a Meriko fosse stata seria, non l’aveva mai vista utilizzare nessuna tecnica che necessitasse dell’ambizione ed era riuscita benissimo a fronteggiare il nemico senza mai infierire troppo; questo l’aveva spinto più volte a domandarsi come fosse possibile che una ragazza come lei, per certi aspetti ingenua, potesse far sentire il peso della propria volontà su altre persone. Bastava guardala: era gentile, molto premurosa nei confronti dei suoi amici, sempre pronta a preoccuparsi per gli altri e a regalare un sorriso di incoraggiamento..del tutto imparagonabile allo stereotipo di pirata che quelli della marina si erano fatti fin dall’alba dei tempi antichi. Era forte,molto più di quanto il suo grazioso aspetto desse a vedere e lui all’inizio non era riuscito a capire cosa potesse spingere una come lei a lottare così duramente, a proseguire con determinazione silenziosa nella realizzazione dei suoi obbiettivi ed era questo suo lato che lo rendeva identico ad un ape voglioso di cercare il fiore più carico di polline: amava imporsi sfide personali perché gli permettevano di conoscere meglio chi aveva accanto ma per quanto avesse scoperto sul conto della ragazza - tra cui l’affetto smisurato per un certo Pugno di Fuoco- non era riuscito ad ottenere quello che voleva.

Perchè sorrideva sempre?

Era nella sua indole, certo, ma tanto candore doveva pur avere un origine,no?si parlava di una ragazza delicata come un fiore ma che sapeva abbattersi sul nemico con la stessa forza di cento uomini e dubitava fortemente che fosse venuta su così per conto proprio. Sperava che osservandola avrebbe colto in un suo attimo di debolezza quel che più cercava ed era successo, dopo che la seconda flotta era tornata da Otako: perfino lui aveva notato quel brusco cambiamento, il modo in cui si era estraniata dal mondo e non gli erano occorsi molto calcoli per capire che il suo carattere serviva a reprimere orrori inimmaginabili. Orrori su cui preferiva non indagare per rispetto. Anche se si fosse fatto avanti per consolarla o quanto meno per capire il motivo di quella chiusura interiore, non avrebbe fatto altro che ferirla perché le sue buone intenzioni erano rese inutili dal suo non provare gli uguali sentimenti. Dentro di sé si impegnava a non piangere e per questo Satch si sentiva un verme perché non poteva aiutare la castana come voleva ma anche se fosse riuscito a tirarle su il morale, lei si sarebbe aperta sinceramente soltanto con Ace - cosa che a quanto pare aveva già fatto -, perché era lui quello che per qualche ragione oscura, la comprendeva meglio di chiunque altro ma non era questo il motivo per cui si mostrava sempre così serena.

Sorrideva non soltanto per dire grazie ma anche per avere una vita piena di sorrisi che la rallegrassero e la conducessero fin laddove sarebbe arrivata.

Se gli fosse stato chiesto se era geloso non avrebbe detto ne "Si" ne "No"; se ne sarebbe uscito che il suo amore per Sayuri rimaneva dentro i confini di quella sana e buona relazione chiamata amicizia e se ogni tanto la stuzzicava o ci giocava senza intaccare i suoi sentimenti, lo faceva puramente per vedere Ace proteggerla e godere di come quei due si fossero trovati, anche se più volte all’inizio aveva temuto per la sua incolumità data la gelosia del moro.

Gelosia che si trasformerà in istinto omicida se gli restituisco la principessa con qualche graffio!

Dopo essere andato dritto per almeno una trentina di metri, svoltò a destra e lì finalmente si fermò ma non per prendere fiato: affannato, mirò il muro ad una decina di metri da lui che segnava la fine del corridoio. A parte la completa interezza e l’incredibile assenza di crepe - come fosse appena stato costruito - quello che lo fece nuovamente scattare avanti fu Sayuri, stese a terra con gambe e braccia piegate.

“Principessa!” precipitandosi all'istante, la afferrò per le spalle e cercò di metterla a sedere “Ehi, principessa ma che hai combinato?”

Non ancora del tutto in sé, la testa della castana ciondolò pericolosamente prima indietro, poi di lato a destra per infine appoggiarsi alla spalla dell’amico: faceva fatica a respirare ma nel esaminarla, il biondo non trovò ferite. Era semplicemente esausta.

“Mmm..S-Satch? Come sei arrivato qui?” sussurrò con occhi semichiusi.
“Dovrei chiedertelo io visto che qui non ci sono passaggi e l’unico che c’era l’ho aperto io. Si può sapere cosa ti è successo? Perchè hai usato così tanto haki?
“L’haki? L’ho...usato?”

Sembrava, anzi, era totalmente all’oscuro delle sue stesse azioni; probabilmente doveva aver battuto la testa ma contro chi o cosa questo Satch non lo sapeva e chiederlo adesso alla ragazza non era il caso. Dal canto suo, la mente di Sayuri era annebbiata: qualche minuto prima era tutto nero e non riusciva a ricordare altro. Le tempie pulsavano vivamente e lei quel dolore lo conosceva bene: l’amico aveva ragione, per qualche strana ragione aveva utilizzato l’haki e cosa ancora più strana era che quell’ambizione che aveva fatto sua da tempo,gli era parsa diversa; forse ne aveva usato troppo, per questo si sentiva tanto spaesata. Il rievocare il perché le stava facendo scoppiare la testa e la stessa cosa si poteva dire per il resto: la porta, il bambino..benchè fosse certa della loro esistenza adesso non c’erano più. Tentò per l’ultima volta di mettere insieme quelle immagini ma a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti; rinunciò per la troppa stanchezza ed era grata al braccio del biondo che la sorreggeva, permettendole di stare semi-seduta.

“Ahi, ahi principessa, devi aver preso una bella botta” affermò lui nel far ondeggiare quel suo pizzetto nero appuntito “Uh? Che stai tenendo fra le mani?”
“Cosa..? Fra..le mani?” ripetè flebilmente.

Guardò in basso; stava tenendo le braccia incrociate ma tra il suo torace e queste c’era qualcosa che inconsciamente doveva aver stretto per tutto il tempo. Sciolse quanto bastava gli arti e osservò cosa fosse: era uno strano oggetto, grosso, dal colore insolito, un lilla scuro privo di sfumature con una forma tonda e grassoccia, con tutta una serie di motivi concentrici sporgenti con la punta che formavano la tondità e la consistenza d’esso. Sulla cima facevano capolino tre foglie color verde menta,piuttosto voluminose. Fu nello sbattere le palpebre per mettere meglio a fuoco la vista, che si rese conto di che cosa avesse in mano ma Satch fu più veloce di lei nel affermarlo a parole.

“Che mi venga un colpo: è un frutto dei diavolo!”



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Capitolo 44
*** Inquietudine fra le mura di casa. ***


Eccomi,col solito aggiornamento del mercoledì!finita la mini-saga delle paludi di Loriam,si torna nuovamente sulla Moby Dick.Sono contenta di poter postare perché a casa siamo indaffarati con lavori che forse potrebbero implicare anche lo studio dove si trova la connessione e senza non posso aggiornare(disastro!!!!) ma a quanto detto,non dovrebbe succedere,speriamo.Se mai capitasse,posterò non appena mi sarà possibile ma per il momento ecco il 44esimo capitolo,tutto per voi!prima,come sempre,i miei più sentiti ringraziamenti!

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happylight:ma ciao cara!eh si,ti devo dare proprio ragione,adesso le cose si faranno molto interessanti.Non ti svelo niente perché questo capitolo darà fondo a dubbi e risponderà a domande ancora vaganti.Posso dirti che seguirò l’originale per un altro pezzettino e poi andrò di mio e lì spero di far bene quel che devo ma intanto ti ringrazio per aver trovato così interessante la saga di Loriam e ti mando un grandissimo abbraccio!spero che anche questo capitolo ti piaccia!

MBCharcoal:la mia Marta-chan,eccola qui!che ritardataria,ti sento quasi tutti i giorni!eh eh,Satch trema davanti alla possibile ira di Ace se gli restituirà la principessa con un solo capello fuori posto e fa bene perché le torture col fuoco sono lente e dolorose e il nostro pugno di fuoco è un gelosone se si tratta di Yu-chan.La parete si era uno dei segnali,come l’algamatolite ma invece di risponderti,ti consiglio semplicemente di leggere il capitolo perché qui si capirà qualcosa di più.Non faccio spoiler perché non ce ne è bisogno però posso dirti che qui invece della coppia Don e Maya c’è la Don per Akiko,cortina ma di grande effetto!

angela90:ciao amorino!che dire,oltre alla salute a Sayuri è rimasta anche una certa graziosità e poi se è quello che è lo deve al suo passato (non è da dire a questo tono però…)e poi a consolarla c’è stato Ace quindi alla fine gli è andata bene(e se lo meritava sottolineamo!!).Ora che sono finalmente usciti da questo benedetto labirinto,si torna sulla Moby Dick.Si facciamo festa!!no,adesso si farà un altro passettino avanti per schiarire ancor di più la situazione e introdurre piano piano un’altra ancor più grande.Quale?tutto a tempo debito,ma intanto goditi il 44esimo capitolo!

foreverme96:hello,tesoro!tranquilla,anche se un pochino impolverata,Sayuri sta bene e Satch ha evitato di perdere lo scalpo con tanto di ciuffo biondo(e infatti sta già ringraziando i santi dei pirati).Il perché l’algamatolite sia divenuta così debole l’ho già fatto intendere nello scorso capitolo ma poi introdurrò un veloce approfondimento più avanti(forse il prossimo cap) e in quanto la natura del frutto del diavolo…..mi cucio la bocca perché ti basterà leggere per capire e al massimo potrai sempre chiedermi ma preferisco non risponderti subito per non rovinare la sorpresa.Iin quanto all’haki…eh eh,anche questo si vedrà più avanti.Era haki ma più potente di quello che usa di solito,ti dico solo questo per ora.

13ste:uh,salve una nuova arrivata tra i recensori(fuori i coriandoli!!).Mi fa un immenso piacere che tu abbia trovato la mia fict tanto appetibile da leggertela tutto in un fiato e che ti piaccia come abbia approfondito il personaggio di Satch.Rispondo subito alla tua domanda:allora,partendo dal principio,ho creato giglio di picche basandomi sui flashback mostrati della vita di Ace,per gli eventi più importanti e meno(insomma per costruire a parti la storia)e poi principalmente ci ho aggiunto il mio tocco.Ora,in questa terza parte seguirò un pochino ancora Oda(per i due passi fondamentali)e poi partirò con la mia personale visione.Per ora posso dirti solo questo.Grazie ancora per i complimenti sulla mia puntualità ma non esagerare,mi fai arrossire e gongolare come Chopper!.Cerco di essere puntuale perché mi piace postare e spero di non rallentare i ritmi con l’università o coi lavori che ci sono a casa.

tre88:carissima!altri complimenti a carico della mia Yu-chan:eh si,è in gamba non c’è che dire e io posso dirlo perché sono l’autrice!non ti scusare per il “bastardo”,esistono impeti peggiori con cui poterlo definire.Come ho detto e sto dicendo alle altre,non svelo nulla:qui c’è un altro segnale che porterà avanti lo sviluppo degli eventi (a forza di passettini ci arriviamo,si!).Anche tu tifi per i battibecchi fra Don e Maya,eh?qui non ci sono proprio loro ma Don rientra in una scenetta divertente,ih ih!

maya90:eccola la mia Mayuccia adorata!no,meglio che ti chiami Maya.Sul frutto non do conferme perché il capitolo soddisferà le tue curiosità.Non temere per Sayuri,nonostante il volo è viva e vegeta,non sarà di certo una caduta a fermarla.Se no Satch come lo spiegava a Ace?uh,non pensavo di aver reso così bene le parti del bambino fantasma,e dire che alcune le ho modificate.Lo faccio sempre il giorno prima della pubblicazione ormai.Allora cara,tu mi chiedi quanti capitoli mancano alla fine di questa fict?bella domanda.No,vediamo..beh,posso dirti che vado oltre i sessanta ma spero di non superare i settanta.Questi saranno momenti di battaglia e non possedendo il dono della sintesi,adorando il descrivere le sensazioni perché sono una maledetta perfezionista (stranamente dimentico sempre degli errori di ortografia,mannaggia) e non andandomi mai bene niente,ci vorrà ancora un po’.Se interrompessi in un certo punto,credo che verrei presa a sassate.

Huntergiada:ciao!sempre a sogghignare sulla preoccupazione di Satch nei confronti della principessa.Se non torna intera son guai per lui.Anche tu sospetti del Dark Dark vedo.Molto bene,direi che a questo punto si può procedere.Ah,quasi dimenticavo una cosa:sul fatto del bambino sono d’accordo con te,per quanto tenero anche a me verrebbero i brividi.E che diamine,c’erano anche una tonnellata di cadaveri non purificati ad un passo da lei,chiusi dietro una porta,un po’ di fifa io l’avrei avuta eccome,forse mi sarei messa anche a urlare giusto per sfogarmi.

Sachi Mitsuki:la piccola Sachi,vieni che ti abbraccio!(e la stritola).Non scusarti cara,capita!pure io in questi giorni ho il timore di non pubblicare e recensire per via dei lavori e del rientro,sono già in ansia!sei curiosa di sapere che tipo di frutto è?qui lo scoprirai,verrà offerta una situazione che permetterà di fare luce!

 

“Niente nemmeno qui” sospirò delusa.

Chiuse silenziosamente quel libro che con molta concentrazione aveva letto per poi riporlo alla sua destra e prenderne un altro dalla pila non ancora consultata. Erano passati quasi cinque giorni dal suo rientro dalle paludi di Loriam e nessuno al dì fuori di sé stessa, sapeva quanto fosse grata di essere tornata a casa: tanti erano i fatti inspiegabili che adesso stava cercando di srotolare dalla matassa creatasi nella sua testa e uno di questi per esempio era il come fossero riusciti lei, Satch e l’anziana Chiko ad uscire dal labirinto nel giro di cinque minuti, dopo che aveva ripreso conoscenza con il frutto del diavolo fra le braccia. A ripensarci attentamente forse,anzi senza ombra di dubbio, quello era l’evento più incomprensibile di cui tutt’ora non riusciva a liberarsi. Chiunque avrebbe fatto i salti di gioia davanti a una simile occasione ma bianco giglio era perplessa e i suoi motivi da lei reputati buoni venivano scambiati senza alcuna ragione,insensati agli occhi dei suoi molti compagni. Cavoli, non capitava tutti i giorni di trovare un frutto del diavolo! Era una rarità quanto la pioggia durante la siccità. Ella ne era al corrente ma data la quasi totale assenza di appoggi sicuri,si era posta come priorità il ricercare notizie su quanto le era capitato quasi per caso: il potere del frutto le era sconosciuto e il ricercare informazioni su qualunque testo presente sulla Moby Dick si stava rivelando a dir poco che inutile ma doveva tener pur conto che quell’oggetto era rimasto chiuso in quel baule per ben cent’anni e pertanto era più che naturale che i più recenti dizionari non ne parlassero, senza contare la leggenda di Loriam e la sua mistica provenienza dal mare...

Perfino i libri di storia che ogni tanto descrivevano qualcosa che facilmente si ricollegava a questi non le erano serviti a più di tanto, se non a procurarle un fastidioso bruciore agli occhi per l’aver passato intere nottate in piedi a cercare di reperire una qualche utilità.

Anche Ace le stava dando una mano e gliene era grata perché la sua presenza la rasserenava e alleggeriva quei suoi dubbi riducendoli al peso di una nuvola nonostante fosse un effetto temporaneo. Dopo quanto si era sorbita su quelle paludi non era mai stata così felice di vederlo, le era mancato e il solo avvertire il suo braccio intorno alla vita, creava una sorta di campo sonoro che la distaccava da ogni singolo rumore circostante. Il ponte per la sua estensione e per i suoi comodi rialzi era il luogo perfetto per dedicarsi alla lettura quando il clima non era torrido e il sole si divertiva a giocare dietro a nuvole di panna.

“La tua si che è una faccia delusa”

Marco, conosciuto anche come "la Fenice", stava avanzando con passo scazzato verso di lei. Lui era uno dei pochi che non avesse assillato Sayuri sulla sua scelta; d’altro canto, come papà aveva stabilito, chi trovava un frutto del diavolo poteva mangiarselo e se doveva star lì a spiegare tutta la sua opinione al riguardo, non avrebbe fatto altro che dire che la ragazza stava dando prova di grande intelligenza visto che mangiare uno di questi senza conoscerne le peculiarità poteva essere pericoloso e avventato visto che c’erano tante possibilità che fosse un Rogia quante uno Zoo-Zoo modello elefante.

 Quelle ore della mattina alcuni le dedicavano ad allenarsi visto l’immenso spazio permesso e il comandante della prima flotta era uno di questi; senza troppe cerimonie lasciò cadere rumorosamente il fondoschiena per terra, massaggiandosi il collo umido.

“Buongiorno, Marco” lo salutò composta l’amica prima di far tornare gli occhi sull’ennesimo testo.
“Niente di nuovo?”
Lei scosse la testa “Anche se non è mia intenzione utilizzare il frutto del diavolo mi preme lo stesso conoscere quale potere racchiude. Secondo Satch può trattarsi di un Rogia, i motivi concentrici di questo tipo si sono visti soltanto su questa categoria ma per quanto riguarda il colore e la grandezza..” riprese un attimo fiato “Sono completamente diversi da tutti quelli che ho visto fino a questo momento, quindi posso solo supporre che si tratti di un eccezione.”
“In sostanza, ti aspetta un duro lavoraccio” sintetizzò l’amico “Con l’aiutante che ti ritrovi poi...” e indicò il moro accanto a lei.

Tutta la buona volontà di Pugno di Fuoco nel voler aiutare la sua ragazza era svanita dopo aver sfogliato sei pagine giuste dato che nell’atto di passare alla settima si era addormentato di botto e stava usando come cuscino d’emergenza la spalla di lei.

“Apprezzo il fatto che voglia aiutarmi” sorrise la giovane con tono di voce moderato.

Benchè dormisse, il braccio di lui sosteneva una presa salda sulla sua vita, calda e protettiva e questo a lei bastava per non dover pretendere altro.

“Lo so ma farai meglio ad arrangiarti. Comunque, tornando al discorso di prima, penso che la tua supposizione sia esatta: vista la scarsità di informazioni è possibile che quello che tu abbia tra le mani sia un reperto unico del suo genere ma proprio perché non hai uno straccio di informazioni sul suo riguardo, dubito che tu possa piazzarlo sul mercato” spiegò convinto delle sue parole “Però...” e riprese il discorso con nota speranzosa “Dato che si tratta di un frutto del diavolo e forse di un potenziale Rogia, il prezzo d’acquisto base sicuramente supererebbe i duecento milioni di berry”
“Sempre che si tratti realmente di un Rogia” mormorò pensierosa.

Marco aveva pienamente ragione: con una merce del genere a disposizione, chiunque avrebbe fatto carte false per accaparrarselo ma vista la delicatezza della situazione, l’arma da utilizzare non erano i pugni o i calci ma la diplomazia e l’astuzia, strumenti che Sayuri sapeva maneggiare meglio dei suoi stessi sai: a lei mancavano i fondamentali - la tipologia e il potere - e su questo il mercante poteva approfittarne cercando di ottenere il tesoro ad un prezzo ragionevole per le sue tasche e fruttuoso per le entrate. In seconda ipotesi, poteva mentire con impeccabile spudoratezza affermando di sapere che tipo di frutto si trattasse ma anche se si fosse trovato nel medesimo stato di ignoranza, il compratore avrebbe fatto di tutto pur di raggirare il cliente e dal canto suo, la castana si sarebbe difesa egregiamente anche se era certa che un mercante, una persona reputata intelligente, ci avrebbe pensato molto attentamente prima di tentar di raggirare un membro della ciurma di Barbabianca. No, forse per timore di ritrovarsi senza testa avrebbe chiuso baracca ancor prima che lei potesse anche solo chiedergli un’informazione del tutto diversa dall’argomento ma anche davanti a tutte quelle possibili reazioni, la ragazza ancora rimaneva incline a tenersi il frutto piuttosto che scaricarlo ad altri, cosa che invece gli spettri della quarta palude avevano fatto con lei.

I ricordi di cosa fosse successo dopo aver visto quella cassa ricoperta di algamatolite erano sfocati nonostante ora fosse lucida ma la vecchia Chiko l’aveva rassicurata più volte con parole che per lei erano incomprensibili, continuando a ripeterle che aveva soddisfatto tutte le loro aspettative e che adesso per amor di quei dei che ancora pregava, un po’ del dolore di quei spiriti era scomparso. Purtroppo quanto dettole, non era servito a placare la sua confusione e per quante volte rigirasse la questione come una frittata, finiva sempre per ritrovarsi al punto di partenza. Tutto sarebbe stato più facile se avesse trovato il frutto insieme a Satch: ci aveva fantasticato sopra e le era piaciuta come alternativa, se non per una piccolissima pecca, ovvero che questo - il frutto per intenderci - non poteva essere spartito fra due persone, men che meno tagliarlo con un coltello. C’era chi credeva che dividendolo, esso perdesse tutti i suoi poteri e marcisse in un battito di ciglia ma come la sua origine, anche questa era un incertezza: dopo quanto era stata testimone e la maniera in cui si era procurata l’oggetto, era ben propensa a credere a qualunque supposizione riguardante l’origine di quei tesori tanto ambiti. Non era un mistero che nessuno fosse a conoscenza del loro luogo di provenienza e del perché esistessero ma il possederli era sinonimo di potenza non soltanto per quanto offrivano ma perché provenivano dal mare, solcato in lungo e in largo ma ancora non totalmente esplorato. Il suo era stato portato dal mare ma seppur privo di volontà, era stato capace di far scorrere così tanto sangue che il precedente possessore sicuramente ci aveva pure fatto il bagno tanto era euforico. Il solo ripensarci le dava una sgradevole sensazione che si acquietava sempre più di rado.

Nonostante i macabri pensieri, rise dentro di sé: con quello che aveva subito, con quello che affrontava ogni giorno, farsi mettere in soggezione da simili dubbi o ancor di più da spettri più vivi che morti era da sciocchi.

Ma tutto cambia quando vedi queste sciocchezze concretizzarsi davanti ai tuoi occhi.

Non c’era nulla di cui ridere, nulla che andasse sottovalutato. L’essere scontati, il considerare qualcosa superficialmente, quello era da sciocchi perché quando ce se ne rendeva conto era troppo tardi e il prezzo da pagare era troppo alto per essere saldato.

“Non mi sono mai interessati i frutti del diavolo” confessò poi lei reclinando la nuca all’indietro sino ad appoggiarla al legno del parapetto “Non li disprezzo, ma preferisco rafforzarmi a modo mio, per questo non ho mai preso in considerazione l’eventualità di averne uno fra le mani. Se non fosse tanto prezioso lo restituirei al mare e a essere sincera, lo farei senza rimpianti, ma penso che dopo tanta fatica sia giusto almeno sapere per che cosa ho rischiato tanto, non credi?”
“Non pormi domande di cui già conosci la risposta. Il frutto è tuo, quindi sei libera di farne quello che vuoi” le rispose Marco grattandosi la capigliatura ad ananas
E’ vero, ma il problema sta proprio che non so che cosa farne..

Accompagnò quel pensiero ad un ridacchiare silenzioso. E intanto Ace dormiva beato sulla sua spalla.

Se almeno disponessi di testi itineranti all’epoca....

Ci arrivò. Senza neppure sapere come, fu colta da un piccolo lampo rivelatore sorto inconsciamente dentro la sua mente presa.

“Ma certo..” mormorò risoluta.
“Certo, cosa?”

Si era così tanto concentrata sui dizionari che non aveva minimamente preso in considerazione ciò che invece si trovava già nelle sue mani da tempo. Come caspita aveva fatto a non arrivarci prima? Tra i molti testi studiati, ne aveva ancora uno a disposizione e che forse le poteva dare l’aiuto che tanto cercava. Doveva verificare immediatamente: con attenzione poggiò Ace a terra, gli tolse il libro di mano e si alzò in piedi per poi dirigersi verso l’interno della nave.

“Devo prendere dell’altro materiale. Marco, ti dispiace fare compagnia ad Ace mentre non ci sono?”

Per tutta risposta il comandante della prima flotta le fece cenno con il pollice all’insù senza nemmeno girarsi.

“Ti ringrazio” e sparì dietro la porta.

 

 

Il libro preso all’isola di Otako era il solo oggetto sopravissuto a un incendio scoppiato dieci anni prima nel quartiere di periferia: il venditore le aveva raccontato che un esploratore era giunto sino al suo negozio e glielo aveva affidato perché lo restaurasse ma per qualche strana ragione, poi non era più tornato a riprenderselo. Da allora era sempre rimasto nella libreria insieme a tutti gli altri testi, ma nessuno l’aveva mai notato..nessuno tranne lei: lo possedeva già da tempo ma non era mai riuscita a leggerlo o anche solamente a sfogliarlo ed era questo che la faceva sperare come una naufraga in mezzo al mare in tempesta. Camminò svelta, superando i compagni che salivano in superficie senza sfiorarli ed evitando di rallentare l’andatura. Voleva controllare il prima possibile e se mai la fortuna le fosse venuta incontro non avrebbe più avuto dubbi sul da farsi. Svoltò a destra e a sinistra, salì e scese scale che conosceva memonicamente e non appena intravide la porta che dava sul reparto infermieristico, compì un piccolo balzo in avanti che le consentì di atterrare davanti ad essa. Sapendo cosa cercare, Sayuri puntò ad entrare nella sua stanza e ad allungare le mani sul baule che stava ai piedi del suo letto per aprirlo con un debole click da parte della serratura. Ben ordinati, gli oggetti che erano custoditi al suo interno rispecchiavano le preferenze e anche il lavoro di Bianco Giglio: vi erano libri, carte da disegno, l’occorrente per disegnare le sue mappe e anche un paio di boccette legate insieme a dei panni e a una spugnetta che utilizzava per pulire a affilare le lame dei sai. Addocchiato l’involucro di pelle marrone che conteneva il libro di Otako - delicato com’era, ogni precauzione era indispensabile -, lo prese e insieme ad esso, il frutto del diavolo che aveva riposto al suo fianco; l’aveva avvolto con un piccolo lenzuolo bianco e messo nel baule essendo l’unico posto venutole in mente ma data l’attuale ricerca, averlo sott’occhio le avrebbe consentito di non commettere eventuali errori di riconoscimento.

“Bene, torniamo di sopra”

Chiusasi la porta alle spalle ripercorse i passi fatti con corsa lenta ma appena fu in procinto di risalire la terza rampa di scale legnose, interruppe il suo andare e con gli orecchi tesi rimase in attesa.

Un suono. L’inconfondibile scricchiolio delle assi che soleva farsi sentire quando qualcuno ci camminava sopra.

Con gesto naturale voltò la testa in direzione del corridoio da cui era venuta ma non scorse altro se non la propria ombra un po’ sbiadita. Chiunque sarebbe giunto alla conclusione che quel rumorino non era nulla di allarmante: ogni nave aveva i propri scricchiolii, anche quella più curata, quindi perché porsi tanti crucci per una simile banalità? Salì un paio di scalini lasciando indietro quella domanda tanto assurda ma nuovamente lo sentì. Lo stesso scricchiolio,insolitamente furtivo,troppo veloce per essere involontario. Un’altra banalità? Perchè no? Non c’era motivo per cui dover stare a rimuginare su una stupidaggine del genere...ma se tali rumorini erano accompagnati da una mano invisibile che cercava di afferrarti il collo, allora c’era tanto su cui rimuginare. L’aria non era solida ma aveva tentato comunque di aggredirla e questo aveva spinto la ragazza a voltarsi di scatto e ad impugnare un sai nella mano libera. Le ricordò Loriam: la stessa sensazione, la stessa mano invisibile..no, forse addirittura più cattiva.

Tendette il braccio con l’enfasi che iniziava a scorrerle in corpo come acqua bollente, raccogliendosi nell’arto teso e pronto a colpire. La scarica era potente ma per natura incontrollabile e stava cercando in ogni modo di spingere il cuore a battere con più impeto, come tanti cavalli al galoppo in una prateria sconfinata. Era sola e chiunque la stesse seguendo, osservando, facendo affidamento su un nascondiglio a lei invisibile, contava sul fatto che se fosse riuscito a prenderla, Bianco Giglio non avrebbe più potuto chiamare aiuto o difendersi ma nonostante il respiro le si frammentasse a metà gola, il viso era rilassato, deciso, elegantemente fermo come quando affrontava un avversario.

Basta. Pensò con irremovibilità.

Regnava un crescente caos nella sua mente, caos che intendeva diffondersi come un virus anche nei suoi muscoli, nelle ossa e nelle emozioni di cui era padrona. A immagini, voci, flashback sfociati senza permesso, Sayuri impose il silenzio e ristabilì l’ordine interiore.Di paura non ne aveva; se ne fosse stata vittima, la presenza lì attorno -persona o no -, avrebbe ottenuto la vittoria ma ciò che più le era inspiegabile era che quella corrente silenziosa, gelida, priva di colori e sentimenti, stesse omettendo la sua reale natura, cioè...si stesse contenendo appositamente per non mostrare la sua vera faccia. Era il suo confondersi in un luogo sicuro come la Moby Dick che le stava dando un forte senso di disagio, senso che la stava avvertendo di guardarsi le spalle.

In cima alle scale c’era una persona, ne avvertì la presenza e la sua comparsa era parallela al dissolvimento di quella corrente così inumana. Il saperla ferma, la fece girare con meccanicità disinvolta.

“Teach, sei tu”

 

 

“Uffi, certo che è davvero un lavoraccio!” sbottò silenziosa.

Le pause per Akiko erano momenti per far respirare polmoni e cervello ma, per lo più, si trattavano di minuti carichi di noia che non riusciva a godersi come le sue altre compagne più grandi di lei. Detestava il caffè, specie alle dieci e un quarto del mattino: quella brodaglia scura e amara le aveva fatto contorcere la lingua e gli occhi a tal punto che neppure quando sarebbe stata maggiorenne lo avrebbe bevuto. Si era intestardita nel volerlo provare la prima volta che aveva visto la capo infermiera sorseggiarlo seduta nella loro saletta, ma poi, si era pentita o meglio, le sue papille gustative si erano categoricamente rifiutate di mandar giù un ulteriore goccia di quell’intruglio. E poi ingialliva i denti! Il tè freddo al limone era di gran lunga più dissetante della bevanda per gli adulti: sarebbe stato un oltraggio e un attentato alla sua gola, per questo quando quel quarto d’ora arrivava si cercava qualcosa da fare, che la distraesse un pochino. Quella mattina le era capitata un occasione che come minimo le sarebbe costata la corta chioma, ma non coglierla sarebbe stato un delitto e, fintanto che il diretto interessato non lo veniva a sapere, non c’era pericolo che quel suo innocente passatempo si interrompesse, specie se a mantenere il silenzio c’era anche Marco.

“Che dici, Marco? Li ho fatti bene?” domandò ansiosa cercando il consenso del più grande.
“Perfetti, però io ci aggiungerei anche delle stelline” le suggerì lui con ghigno divertito.
“E’ vero: ho ancora spazio!” esultò mantenendo la voce bassa.

Con occhi gioiosi, la più piccola delle infermiere ripose nella tasca cucita sul petto il pennarello rosso, sostituendolo con uno giallo canarino. Tolto il cappuccio si chinò quanto bastava e delicatamente, poggiò la punta sulla pelle ancora scoperta del viso di Ace.

Pugno di Fuoco dormiva alla stragrande e Akiko indisturbata gli aveva riempito la faccia di piccoli cuoricini rossi e adesso si stava adoperando ad abbellirla con delle belle stelline. Il comandante della prima flotta, seduto con la schiena poggiata al parapetto, sghignazzava, pregustandosi la faccia che l’amico avrebbe tirato fuori quando si sarebbe reso conto dell’arcobaleno che gli era stato colorato in faccia.

“Uhm...Marco, la fronte è ancora pulita. Che cosa posso metterci?” gli domandò indecisa voltandosi nuovamente verso di lui.
“Lasciala così, almeno quella risparmiala” ridacchiò il biondo cercando di non ridere troppo forte.
“No! Voglio dipingergli tutta la faccia, fronte compresa!” replicò lei agitando i pugnetti armati di pennarelli. Tornò a concentrarsi sulla sua personale tela di carne “Dunque, vediamo un po’...”

La fenice dalla capigliatura ad ananas non insistette e lasciò che Akiko si dilettasse nel suo appena scoperto hobby da bambina, attorcigliando una ciocca celeste intorno all’indice. Maya poteva istruirla su molte cose, ma il lato tenero della corvina stava proprio in quella sua infantilità non ancora spenta, che si riaffermava quando per esempio ascoltava qualcuno e lo osservava con quei suoi grandi occhi lilla luccicanti o quando urlava senza il benché minimo contegno per la sorpresa o lo sdegno - e lì Ace ne sapeva qualcosa- oppure quando si disperava e cadeva nel panico per qualche distrazione. Che dire poi quando abbracciava Sayuri come fosse una sorellina gelosa e le si strusciava contro tutta felice - e lì Satch puntualmente andava a rifugiarsi nell’angolino della depressione -.

Il buffo aspetto non l’aiutava ad apparire come una donna matura e slanciata, ma se al corpo mancava quel che alla sua età non si poteva avere, il tutto veniva compensato da un indole intelligente e per certi versi maliziosa, molto ben coltivata dalla capo infermiera. Indole che poi se ne usciva con frasi spiazzanti per una certa navigatrice di sua conoscenza...

“Che diavolo combini, mocciosa?”

La corvina quasi sobbalzò, rischiando di far sbavare il pennarello e dunque rovinare la sua opera d’arte. A scatti, girò la testolina colorata e abbozzò un sorriso storto nel guardare Don dritto nei occhi mentre questo troneggiava su di lei per l’essere semplicemente in piedi.

“Ciaooo, Don..” e sventolò la manina libera.
“Colta in flagrante nel bel mezzo del reato” affermò quello con occhi socchiusi “Che hai da dire a tua discolpa?”
“Ehm….ecco..” balbettò “Non sto facendo nulla di male, volevo soltanto vedere come stava con la faccia colorata e il trucco si può togliere con una paio di lavate!” esclamò poi tutto d’un fiato.

Scusa tipica da bambina in pieno panico, con tanto di vocetta acuta e occhi lucidi per fare scena. Prevedibile e fin troppo visto, già annotata e catalogata nella sua tabella personale.

“Cos’è, vuoi metterla agli arresti domiciliari?” scherzò Marco.
“Tsk, se fosse così dovrei denunciare anche te, visto che sei un complice indiretto” gli rispose.
“No, no, no, no, no!! Ti prego, non dirlo a Maya!” piagnucolò lei implorante, attaccandosi alla sua maglietta “Mi uccideràààààà!!”
“Ma quale Ma..” il nome gli si bloccò in gola. L’orgoglio l’aveva frenato in tempo “Quella donna non oserebbe rovinarsi la manicure ne tanto meno la divisa. Il sangue è difficile da togliere” borbottò. Con quell’ultima parte Akiko era sbiancata di colpo.
“Io non la prenderei tanto in giro; la nostra capo infermiera sa essere più temibile di molti di noi” gli consigliò il compagno con il braccio appoggiato al ginocchio.
“Lo so” replicò stizzito ripensando a Wintry Realm. Il dibattito avuto nell’infermeria grande gli era bastato “Comunque, mocciosa...” e le puntò il dito contro “Rimane il fatto che il tuo reato lascia veramente a desiderare” concluse con nota rimproverante.
“Uh? Che vuoi dire?”

Il medico-cecchino si sbattè il palmo della mano contro la fronte: ai bambini bisognava sempre spiegare tutto!

“Intendo dire..” e sfilò dalla tasca interna della giacca una penna nera “Che i pennarelli a colori li usano soltanto i marmocchi che non sanno disegnare nemmeno un cerchio. Se devi impiastricciargli la faccia, almeno usa l’indelebile!”

 

 

A volte Sayuri si poneva domande a cui spesso non riusciva a dare risposta. Non le dimenticava, ne le aveva ritenute mai superficiali, soltanto che altre si erano sovrapposte a quelle già presenti e la loro importanza era stata così incalzante da spingere le già presenti in un angolo della sua mente; ma non erano state dimenticate, ne cancellate.Erano ancora lì, in attesa di essere riprese e spolverate per poi venire saziate dalla risposta che tanto aspettavano.

“Teach, sei tu” disse lei alzando la testa per poterlo vedere interamente “Va tutto bene?”
“Si. Ti stavo cercando, Yu-chan”

I piccoli tondi occhietti neri sputavano quel suo bisogno di chiedere qualcosa a scatti, come un serpente faceva con il veleno che gli bagnava le zanne candide e appuntite.

“Mi cercavi? e di che cosa hai bisogno?”
“Io nulla ma forse posso aiutare te” replicò sorridente.

Scese un paio di gradini e automaticamente le gambe di Sayuri indietreggiarono dello stesso numero. Si sorprese di sé stessa per l’aver agito senza neppure volerlo.

Teach era un compagno, un suo amico e l’aveva sempre giudicato come una persona dalle poche ambizioni ma dall’esperienza tanto vasta da superare di gran lunga la sua e di quella di molti altri compagni più giovani. Per lei che osservava in silenzio, riuscendo a cogliere quelle particolarità che poi erano i tasselli principali che le permettevano di comprendere a grandi linee chi avesse davanti, quell’uomo si era rivelata una personalità limitata: amava sguazzare nel suo stagno senza mai voler provare a tuffarsi in uno più grande e fresco perché abituato a vivere in spazi consoni alle sue esigenze. Credeva nei sogni e non gli andavano a genio quei idioti materialisti che manco sapevano navigare in un laghetto di montagna.

Noi uomini siamo fatti per sognare e i sogni sono fatti per essere realizzati. Senza, la vita è solo un inutile spreco di tempo.

A volte si era chiesta se quell’omone dall’irrefrenabile passione per le crostate alla ciliegia avesse un sogno; il suo parlare di quell’argomento con tanta convinzione non poteva non basarsi su un desiderio personale ma in quel momento quel quesito non le stava solleticando le meningi con una soffice piuma bianca: il suo corpo stava percependo qualcosa che il suo io non sentiva ed era qualcosa di così forte che si era preso la briga di prendere il controllo su di lei. Si ritrovò al piano di sotto senza neppure accorgersene, con lui a poco più di un metro di distanza.

“Vuoi aiutarmi? E in che modo se posso chiedere?”
“Ah, è semplicissimo!” esclamò. Ripulì col pollice il labbro inferiore dal residuo di marmellata rimastogli sopra, gustandoselo prima di riprendere a parlare “So che non riesci a trovare nessuna notizia sul frutto del diavolo che hai trovato, quindi ho pensato di venirti incontro, visto che mi sembri in difficoltà”
“Oh..e immagino che tu voglia vederlo di persona per verificare se già l’hai visto su qualche particolare enciclopedia, dico bene?”

Teach slargò i suoi microscopici occhietti sbattendo le palpebre due volte prima di scoppiare a ridere sguaiatamente.

“Zehahahahaha!! Non c’è che dire Yu-chan, non ti sfugge nulla!” rise portandosi le mani sulla pancia pelosa.
“Ti ringrazio. Mi sorprende molto che tu abbia informazioni inerenti a quello che cerco”
“Ma io non ho detto di avere informazioni al riguardo” sottolineò lui sorridente.
“E’ giusto ma sei venuto a cercarmi offrendomi il mio aiuto quindi questa possibilità non è del tutto da escludere e, nel caso tu non possedessi dei riferimenti scritti, potrei sempre azzardare l’ipotesi di una tua memoria fotografia, fatto sta che se sei venuto qui perché hai comunque qualcosa che potrebbe ricollegarsi a quello che sto cercando”

Per la seconda volta il compagno si lasciò andare in una sonora risata che riempì tutto il piano.

“Zehahahahahaha!! Per la miseria, se più perspicace di quanto pensassi! Ti facevo sveglia, ma non così tanto!” le concesse nuovamente contenendo con le mani i singhiozzi del pancione.
“E io non ti credevo un appassionato di libri” replicò gentilmente.
“Beh, sai come si dice” le disse “L’apparenza inganna”
“Si, è vero...”

Lei stessa ne sapeva qualcosa. Poteva sorridere ed essere premurosa ma per molti anni dentro di sé aveva sofferto come pochi. Si era sempre sentita divisa in due parti, di cui sosteneva costantemente il peso senza mai mostrare il benché minimo segno di fatica o debolezza e conosceva ogni emozione provata in tutte le sue sfumature. Proprio perché era lei,poteva capirsi meglio di chiunque altro, tanto che la sua innata calma più volte le aveva permesso di comprendere le persone che le stavano attorno e di fermarsi dove sentiva di non essere gradita ma davanti a Teach quella sua capacità pareva darle soltanto un forte senso di vago.Una nebbia fitta al cui interno era celato qualcosa di identificabile. La sensazione ricalcava perfettamente quel disegno e mai come ora l’omone amante delle crostate alla ciliegia le era sembrato così imponente: quei tre metri abbondanti di carne e ossa superavano nettamente il suo metro e sessantacinque ma a parte l’altezza o l’aspetto...cominciò ad avvertire quel che il suo corpo cercava di trasmetterle già da qualche minuto prima.

Estraniamento. Confusione. Inquietudine. Tutti quei sentimenti intaccavano i suoi pensieri e le impressioni riguardanti Teach; si mischiavano e si scioglievano distruggendo così quel che sapeva di lui o meglio che credeva di sapere, lasciandola in un oblio vorticoso da cui non poteva estrapolare niente di utile. Per qualche strana ragione si sentì molto piccola e indifesa, esattamente come un agnellino senza senso dell’orientamento.

Un agnellino alla mercede di un animale molto affamato... Le cantilecchiò la vocina creduta morta.

Le dita delle sue mani strinsero la copertina del libro e il frutto nascosto sotto il lenzuolo. Ciò che avvertiva non la stava aiutando perché non era ne buono o cattivo, troppo astratto per poter essere colto così sue due piedi. La natura di quel cambiamento brusco le sfuggiva ma esternamente Marshall D.Teach, le appariva normale, esattamente come la prima volta che l’aveva conosciuto: un uomo enorme, goloso di dolci con le ciliegie, dal naso grosso ingobbatto, con una bocca larga a cui mancavano alcuni denti davanti e una pelle scura e pelosa che gli ricopriva le braccia e il pettorale lardoso.

Ma se era così normale come lo vedeva...perché avvertiva quel brusio sottile quanto un filo echeggiare in una lingua incomprensibile? Perchè si sentiva così?

“Allora Yu-chan, posso vedere questo fantomatico frutto?” le domandò ponendo la parola fine al discorso lasciato in sospeso antecedentemente.
“Oh..certamente”

Senza troppa fretta o calma, Sayuri si riprese e porse l’oggetto all’amico. Quella leggera linea di nervosismo che voleva intaccare la sua voce venne soffocata seduta stante, lasciando posto alla voce chiara e serena che sempre l’aveva contraddistinta insieme al suo carattere. Al momento del passaggio temeva di vedere una qualche serie di immagini distorte e senza senso ma non appena non avvertì più il peso del frutto si stupì ancora una volta: non era successo nulla.

Nessuna stranezza, nessuna visione, nessuna frase dettata dalla vocina canzonatoria..Niente. Ma per lei il niente equivaleva a qualcosa di più che sufficiente per stare attenta e rafforzare muscoli e articolazioni.

Il lenzuolo bianco venne alzato e infine tolto, svelando così all’uomo il tesoro da lei trovato: tenendolo tra i due palmi delle mani,Teach lo osservò attentamente ma senza lascia trapelare nulla di interessante dal suo viso. Ne smmirò il fogliame, sino a posarsi sui motivi concentrici che si ripetevano sulla sua superficie color lilla, seguendone le linee con la punta dell’indice. Lo girò da un lato e poi da un altro, contorcendo la bocca in giù,a destra e a sinistra, grattandosi anche la nuca ricciolina mezza coperta dalla bandana un paio di volte, incerto sul formulare la sua ipotesi ma alla fine, dopo avergli concesso un’ulteriore ispezione, annuì con una mezza certezza e restituì il frutto alla ragazza, che subito lo ricoprì con il telo.

“Sei fortunata, penso di aver quello che fa per te!” sorrise.
“Davvero? Ne sei sicuro?”
“Zehahahaha! Credo di si, ma se non ti secca, vorrei aiutarti di persona nella consultazione dei testi; li ho con me da tanto e ci sono affezionato e poi sono curioso di vedere che cosa hai tra le mani” chiese realmente coinvolto.
“Beh, penso che..” mormorò incerta calando gli occhi sull’oggetto in questione.
“Sempre che a te vada bene, Yu-chan”

La sovrastava a tal punto che le sarebbe potuto cadere addosso e farla scomparire fra le fessure del pavimento. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato e il suo pensare farneticamente al riguardo non era dovuta alla stanchezza accomulata, eppure....non capiva dove dover guardare. Quella presenza era intorno a lei ma se si focalizzava su Teach non riusciva a percepire nulla se non una perfetta neutralità che ugualmente non la rincuorava.Era potente quella strana forza che percepiva, fredda, priva di coscienza, inarrestabile, disgustosamente inumana e ogni secondo che passava le scombussolava la mente e mutava aspetto. Schiacciata contro il pavimento, sentì l’urgente bisogno di uscire e di respirare ma tale era la confusione che nuove domande, nuove annotazioni si appendevano da sole nel suo muro dei ragionamenti, sovrapponendosi ad altre con ritmo ingestibile. Doveva essere contenta di aver trovato un aggancio e in minuscola parte lo era ma se tra il gioire come un bimbetta per l’aver ricevuto un bel regalo dalla mamma e il rimanere in attesa dell’imminente attacco fatale di un nemico invisibile e in mega vantaggio su di lei, preferiva di gran lunga mettersi ad urlare con tutta la voce che aveva in corpo,almeno si sarebbe sfogata.

“Quando potrei consultare i tuoi testi?” domandò mimetizzando l’ingarbugliamento interiore.
“Anche subito se non hai problemi. Sono nella mia cabina. Dai, faccio strada” esclamò già girato per metà verso il fondo del corridoio.
“D’accordo, se non ti....”
“Ah, eccoti qui, principessa!”

Dalla parte opposta alla direzione che stavano per imboccare, un allegro e fischiettante Satch aveva richiamato la castana col soprannome personale con cui lui stesso l’aveva investita. Era di ottimo umore, come al solito.

“Buondì, Satch” lo salutò cortesemente lei.
“Satch” Teach alzò la mano.

Il biondo inarcò gli occhi per poi guardare la seconda figura presente nel corridoio oltre alla ragazza

“Teach, è curioso vederti da queste parti” disse nel puntare poi gli occhi sull’amica “Spero di non aver interrotto nulla di serio ma sul ponte è richiesta la tua presenza” spiegò.

Si stava trattenendo dal cadere a terra con le braccia serrate intorno alla pancia.

“E’ successo qualcosa di grave?”
“Non esattamente” sghignazzò “Diciamo che la piccola Akiko si è divertita a truccare il tuo ragazzo e al suo risveglio non l’ha presa molto bene. L’infermierina necessita della tua ala protettrice”
“Oh santo cielo” sospirò nel portarsi una mano in fronte.

Già ben aveva delineato il quadro della situazione e come conosceva il carattere di Ace, conosceva bene anche quello di Maya e su quello c’era di che preoccuparsi perché se con Ace poteva risolvere la cosa in pochi secondi, con la capo infermiera difficilmente avrebbe trovato un accordo poichè la disciplina valeva a peso d’oro nella sua etica di autorità in campo medico sulla Moby Dick. Tutto dipendeva da come lei avrebbe giudicato l’azione ma per sicurezza, era meglio rimanere nei paraggi nel caso l’avvenente donna dai capelli viola avesse sfoderato una delle sue punizioni speciali.

“Teach, ti chiedo di scusarmi!” pregò chinando la testa in avanti “Appena mi sarà possibile verrò da te, lo prometto”
“Zehahahaha! Tranquilla Yu-chan, tanto non scappo. Va da quel soldo di cacio prima che Maya la scopra!”

Nel raddrizzarsi ricevette una pacca sulla spalla tatuata. Tante piccole scariche elettriche si unirono in una sola carica che le attraversò interamente il corpo per poi dissolversi a contatto con l’aria.

“Sarà meglio sbrigarsi pri...principessa?”

Il comandante della quarta flotta si ritrovò a guardare una ragazza immobile come una statua di sale. Quell’elettricità che le aveva toccato la pelle e gli organi interni era a dir poco che gelida e benché questa ancora fosse in circolo, lei sorprendentemente era ancora in piedi.Adesso che tutto era piatto come la bassa marea, le nuvole c he le impedivano di vedere chiaro cominciarono a diradarsi, portando con se quel piccolo sentimento che il suo cuore iniziò a bere molto lentamente....

“Principessa, stai bene?” le domandò l’altro avvicinandosi.
“Certo” si riscosse sorridendogli “Perdonami, ho così tanti pensieri in testa che mi è difficile ordinarli. Andiamo?”
“Ok”

 


“Accidenti!”

Quello era almeno il quarto “Accidenti” che tirava fuori ma nessuno poteva dargli torto visto lo scherzetto ordito a sue spese dalla piccola infermiera, sostenuta dalla complicità del medico-cecchino e del comandante della prima flotta. Non avendo alcun controllo sulla narcolessia, Pugno di Fuoco si addormentava senza accorgersene e puntualmente si risvegliava sempre con un lieve senso di disorientamento che lo avvolgeva per un leggera manciata di secondi. Ma questo non autorizzava nessuno a tempestargli la faccia di stelline e cuoricini! Seppur fosse stata la vittima dello scherzo, non si era arrabbiato seriamente con la corvina perché il pennarello con un paio di lavate andava via quindi aveva accettato di buon grado le sue scuse, ma quello che invece non poteva perdonare così su due piedi era il fatto che Don le avesse suggerito di ripassare i disegni con l’indelebile e Marco bellamente era rimasto a guardare il tutto. Tra i due non sapeva con chi prendersela di più ma il suo “vendicarsi” l’aveva rimandato a data da stabilirsi visto che fatta la scoperta, si era chiuso in bagno per cercare di togliersi tutto quell’inchiostro dalla faccia: a forza di insaponare, sciacquare e asciugare era arrivato quasi al punto di scorticarsi la faccia ma grazie al cielo Maya gli aveva dato un prodotto specifico e quindi adesso poteva andare a cenare senza suscitare le risate dei suoi compagni. Akiko era stata fortunata a non essere punita, un po’ grazie alla sua clemenza e un po’ anche a Sayuri a cui subito si era attaccata non appena ne aveva visto l’ombra sbucare dietro la porta.

Si sentiva in colpa per l’essersi addormentato di punto in bianco lasciandole tutto il lavoro; anche se sapeva che non se la sarebbe presa, rimaneva il fatto che le aveva negato - involontariamente - il suo aiuto, quindi bisognava rimediare. Così preso a pensare che solo in quel frangente si ricordò di aver dimenticato il cappello in camera sua. Era da quella mattina che l’aveva lasciato lì.

“Accidenti!” e fecero cinque.

Subito tornò indietro e imboccando i giusti corridoi arrivò subito alla meta; allungò la mano per sbloccare la serratura ma nel girare il pomello si rese conto che questa era già stata aperta mentre lui ricordava di averla chiusa.

Accentuando la presa sul pomello, lo girò lentamente e spinse con la mano la porta, aprendola di soppiatto. In contemporanea a quell’azione, guardò chi ci fosse dentro e nel cogliere la sola anormalità della sua stanza, aprì la porta ma rimanendo fermo sul ciglio: il suo cappello era sul letto, poggiato al cuscino esattamente dove lo aveva lasciato ma lì sopra c’era anche qualcun altro che credeva nella sala grande.

“Sayuri?”

La ragazza era stesa a lato sul suo letto: coi piedi scalzi, le gambe erano parzialmente piegate. Il braccio destro era diritto, schiacciato sotto il fianco, mentre quello sinistro era incurvato, con la mano poggiata sul cuscino: le dita stringevano un piccolo lembo del cappello arancione, in una presa ferma nonostante il sonno. Per il resto era profondamente addormentata ma un leggero tremito da parte del suo corpo bastò per far chiudere a Ace silenziosamente la porta, avvicinarsi e inginocchiarsi ai piedi del letto per accertarsi della sua condizione.

Emise un sospiro rattristato. Allungò il braccio quanto serviva per accarezzarle la guancia e scoprirle il viso semicoperto dai lunghi capelli ma a quel tocco la castana si svegliò sobbalzando e solo la mano ferma del moro le impedì di scattare all’indietro.

“A..Ace” mormorò rilassando i muscoli del viso.
“Sta tranquilla, sono io” si sedette sul bordo del letto ma senza mai smettere di accarezzarla “Non volevo svegliarti”
“No, non fa niente, io....non dovrei neppure trovarmi qui. Scusami” si mise a sedere con molta lentezza.

Con voce flebile combatteva quel sonno da cui si era appena svegliata ma ne era sollevata; dopo quel dialogo con Teach, non era più riuscita a concentrarsi e si era sentita mancare l’aria. Era rimasta sul ponte per un altro po’ ma poi era tornata in stanza e aveva riposto tutto il materiale nel proprio baule. Sarebbe dovuta andare a fare qualcos’altro, qualcosa che al momento non ricordava ma il vortice dispersivo che si era venuto a creare dentro di lei, aveva innalzato inquietudini fino a quel momento gestite impeccabilmente e ancor prima che potesse rendersene conto, era corsa nella stanza di Ace, stringendo il suo prezioso cappello come fosse un appiglio sicuro. Nel lasciar giù il frutto si era sentita galleggiare; da quando se l’era ritrovato fra le braccia, il suo corpo si era fatto più pesante e soltanto nel riporlo se ne era accorta. La sensazione era identica a quella di tante catene legate attorno all’addome e strette a tal punto,da renderle difficile il sol gesto di camminare. Non era tanto il peso ma quanto il gelo che avevano portato: le avevano fatto ricordare l’acqua di quel pozzo, le sue pareti e il sole che scaldava tutto tranne quel buco umido e bagnato. Non le era piaciuto affatto il modo in cui quel ricordo le era piombato addosso: senza preavviso, di colpo, brutalmente...

Dal canto suo, il moro comprese che la ragazza non stava bene e l’essersi rifugiata in camera sua era la prova che l’aveva cercato ma nel non trovarlo era rimasta lì ad aspettarlo. Un altro buon motivo per sospirare, visto che la ragazza pareva essere lì da molto tempo. Le mani e le braccia erano incredibilmente fredde e non fece fatica a pensare che anche i piedi fossero nel medesimo stato; nonostante facesse piuttosto caldo era fredda, evento tanto strano quanto preoccupante visto che lei era sempre mite in fatto di temperatura corporea ma non c’era bisogno a stare a rimuginare sul perché se in ballo c’erano ricordi più freddi degli abissi marini. Bastavano quelli a ferirle l’animo, a farla tremare e dirigere verso la fortezza dove sempre andava per evitare di venire inghiottita dal terreno. Forse erano stati proprio quelli a ridurla così,ma Ace non volle chiedere nulla per puro rispetto dei suoi sentimenti al riguardo.

“Incubi?” le domandò teneramente poi circondandola con le proprie braccia.
“...Non ne sono sicura” mormorò portandosi una mano alla tempia.

Finì per tacere, senza proferire altre parole che sicuramente le avrebbero ingombrato la testa inutilmente. Lasciò che la mano le ricadesse in grembo e che la vicinanza al torace scoperto di Ace la rassicurasse come tante volte aveva fatto. Quei brividi non la volevano lasciare in pace, si alternavano in continuazione, spingendo il suo corpo a reagire seppur lei non lo volesse e il moro avvertiva in lei la resistenza che vanamente si opponeva a quei tremiti.

“Ho capito”

Senza usare la mani, il ragazzo si tolse gli stivaletti neri e si distese sul letto, tenendo vicino a sé quel corpicino tremolante che subito gli si accucciò contro il torace, nascondendovi braccia e capo che lui prese ad accarezzare premurosamente. Aumentò quanto bastava la temperatura del proprio corpo per scaldarla ma senza che le coperte e il materasso prendessero fuoco. Il percepire i muscoli di lei sciogliersi lentamente diede sollievo alle sue preoccupazioni abbastanza per farlo sorridere con più convinzione anche se il pericolo non era del tutto scongiurato: le iridi color cioccolato di Sayuri vacillavano ancora, temevano quel qualcosa che sentiva ma non riusciva a focalizzare come meglio desiderava e l’impotenza davanti a tale realtà la spinse a cercar ancor più appoggio e sicurezza nel ragazzo.

“Ace, ho paura” confessò con voce sommessa dal sonno.

Non era necessario che lei glielo spiegasse o che desse sfogo ai suoi dubbi. Se voleva, lui l’avrebbe ascoltata ma non in quel momento, non ora che era aveva bisogno soltanto di un po’ di riposo.

“Non preoccuparti, ci sono io. Adesso cerca di riposarti” la rassicurò lui con un bacio sulle labbra.

Intontita, la ragazza impiegò pochissimo ad obbedire e cadde nuovamente in un sonno lontano, diverso da quello che prima permetteva a orrende visioni di venirle fare visita, con la certezza che anche Ace la stesse copiando. Ma Pugno di Fuoco era sveglio, seppur con gli occhi chiusi, e lo sarebbe stato per tutta la notte per evitare che quel che più spaventava Sayuri, bussasse alla sua porta.


 

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Capitolo 45
*** Sbarco a Kaluka. ***


Buon mercoledì a tutti voi!!lo dico sempre e spero sia vero,comunque....prima di iniziare,porgo nuovamente i miei applausi a MBCharcoal per aver completato la sua prima fict e di cui ci sarà un seguito che sono sicura,saprà piacere!brava la mia Marta-chan!ora,qui dentro ho fatto ricorso al francese per un personaggio che qui comparirà;tranquilli,si vedrà solo qui ma non sapendo un accidente di questa lingua,mi sono fatta aiutare dal traduttore,quindi cercate di venirmi incontro,se fra di voi ci sono persone che sanno il francese.Detto questo,buona lettura!

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happylight:ciao cara!ma quale ritardo,la fict tanto non scappa da nessuna parte.Purtroppo è arrivato,eh si il maledetto mangia crostate a tradimento ha fatto la sua entrata (qui si alza il coro di imprecazioni).A quanto pare l’imprecare e l’augurargli maledizioni su maledizioni non ha sortito l’effetto sperato e ne arrivano ancora di lettere minatorie a suo carico.La mia idea era di fargli una bambola wodoo coi suoi capelli e poi..beh,a turno ognuna di noi si sbizzarrirà.E’ commovente poi vedervi tutte schierata a difendere la mia Yu-chan(si,si lei non si tocca altrimenti una bella testata nucleare non gliela toglie nessuno).Eh eh,Ace ha avuto modo di diventare la tela per Akiko,aiutata da Marco e Don che pure le consiglia di usare l’indelebile:la verità è che se si vuole fare un lavoro allora bisogna farlo bene,questo è quel che direbbe lui in sua difesa.

angela90:eccola qui,il mio tesoro!povera,preda degli esami!ci penso io a distrarti!il perché i nostri eroi siano usciti tanto in fretta dal labirinto è semplice:consegnato il regalo,non avevano più motivo di tenerli lì sotto e quindi li hanno rispediti in superficie.Marco cerco di rendergli giustizia a pezzettini,insieme agli altri.Troppi personaggi non riesco a gestirli,quindi a ognuno do un particina o li nomino per non farli finire nel dimenticatoio(ho visto anch’io qualche immagine di quando è trasformato.Che dire la fenice dalle fiamme azzurro è davvero bella!).Ace qui ha fatto la parte della vittima perché finisce per essere colorato da Akiko(cara,non aveva niente da fare e se Marco sta zitto zitto..).Qui Don farà ancora la sua comparsa..ma insieme a Maya!e ora passando all’infame…prima di lasciarvelo,lo massacro io perché in mezzo c’è la mia adoratissima pupilla.Anche tu pensi che gli abbiamo mandato maledizioni,fatture e altra roba che basterebbe anche per maledire un morto ma in verità penso che per questo ammasso di lardo peloso e sdentato ci voglia qualcosa di più forte.Cercherò al riguardo,intanto lo si tiene d’occhio.

Sachi Mitsuki:la mia piccola Sachi!piaciuto il finale?si,la situazione è un po’ così,per questo ci ho messo Akiko che impiastriccia la faccia di Ace.Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto approfittarne.Il frutto è quello che pensi,ormai non ci sono più segreti che impediscano di capire la sua reale natura.Se quel coso è saltato fuori dal suo buco,un motivo deve esserci?(l’avrei lasciato anche lì ma per far progredire la storia,mi tocca chiamarlo..)

Huntergiada:ehilà,sono qui!!la particina riservata ad Akiko è piaciuta(chi non vorrebbe imbrattare la faccia di pugno di fuoco mentre questo ronfa?con Don che poi suggerisce di usare gli indelebili..).Purtroppo la seconda c’è lui,che non si schioda dalla nave nemmeno se compissi cento rituali purificatori(e non so nemmeno come si fa);l’unica opzione è continuare a imprecargli contro quindi forza alle voci!la mia Yu-chan è un po’ spaventata ma il bello nell’avere un fidanzato di fuoco e che si può usurfruire di lui in modalità stufetta!(potessi farlo io credo non mi schioderei più da quel letto!scusa,sono i deliri di una povera pazza..).

tre88:carissima!come stai?addirittura SUPER(mi sembra di sentire Franky..)grazie,grazie non smetterò mai di gongolare per questo genere di complimenti.Ace crolla per l’ennesimo attacco narcolettico e l’aiuto proposto alla ragazza va a farsi benedire,così come la sua faccia,presa di mira dalla piccola Akiko.Era da un vita che volevo mettere una scena del genere(la faccia di Ace piena di cuoricini e stelline,eh eh!un piccolo capolavoro!)e con Don poi che suggerisce di ripassare il tutto con l’indelebile(eh,che pretendete?lui è il maestro!).E poi ho dovuto,per forza di cosa mettere il coso(e intanto mi flagellavo preoccupata a morte per la sorte della mia pupilla).Ormai l’ho messo e non posso più toglielo(però sono sempre ben accette libere idee sul cosa fargli).

maya90:tesoro mio,eccoti qui!!visto?è sempre bene controllare cosa si abbia in mano,anche perché una Sayuri in modalità elefante lascerebbe tutti alquanto scioccati(noooo,la mia povera Yu-chan!!).Ace al solito crolla e Akiko ne approfitta per passare il tempo(è un’infermiera ma è ancora piccina).Condivido i tuoi brividi perché non è una bella cosa ritrovarsi quel coso su in cima alle scale e non c’è nessuno che possa sentirti(ma non c’èera qualcuno da dietro che poteva buttarlo giù dalle scale?!magari si rompeva l’osso del collo!ovviamente Yu-chan viene fatta spostare).Per il resto,tengo la bocca cucita(scusami cara,per ora non posso dire altro).Davvero sono migliorata?che bello,non sai che piacere sentirselo dire!!faccio del mio meglio,cerco di dare a tutti un particina e ogni tanto li nomino ma non sono Oda,lui gestisce l’intero mondo di One piece e non so nemmeno come faccia!(forse perché ne è l’autore..).

MBCharcoal:Marta-chan!allora,devo farti i complimenti per la recensione perché oltre a essere la prima e la più lunga che tu mi abbia mai scritta.Brava il mio amorino!!allora,vediamo un po’..uh,auguri il cagotto a chi mangerà quel frutto?un bel dolore intestinale che terrà incollato al water per l’eternità il possessore di quel potere(mi piace l’idea e la cosa mi alletta perché anche Magellan è costretto a passare tutto il giorno in bagno essendo l’uomo veleno..ah!ti sta bene!).Marcuccio lo messo perché volevo dargli la giusta parte con un discorso che renda giustizia alla sua intelligenza(scazzato e intelligente.Una accoppiata perfetta.Pure Don è fatto così!).Per l’orrore dei nostri occhi è saltato fuori lui ma non preoccuparti:la sottoscritta è già armata di mazza da baseball(appena gira l’angolo,il suo nasone gobbo diverrà un grugno ancor più contorto di prima,ah ah ah!!!).Stupido ammasso di lardo peloso e sdentato,anche se è roba di mio pugno,non devi far paura alla mia Yu-chan!!!fortuna che c’è Ace a tranquillizzarla,nella sua pratica e calorosa modalità a fornelletto(ed è pure comodo,ih ih).

 

 

Le stive della Moby Dick erano umide, piuttosto inospitali e completamente al chiuso: perfette per uno come Marshall D.Teach, che amava ritirarsi lì quando il suo vero io rischiava di emergere da dietro la coltre di quel suo imprevedibile autocontrollo. L’essere così vicini all’acqua infastidiva le ossa dei possessori dei frutti del diavolo e proprio perché assomigliava ad un tugurio, che veniva ricordato soltanto il giorno della pulizia, motivo per il quale Teach lo utilizzava per estraniarsi dalla ciurma che ormai conosceva esattamente come l’alfabeto. Tra le coperte che venivano usate per riparare casse e barili accatastati ordinatamente negli angoli, l’uomo dall’accenno di barbetta arricciata si inoltrò tra questi sino a giungere in un buco senza vie d’uscite. Lì c’era il suo rifugio dove periodicamente sedeva, riparato dal legno e dai materiali presenti nel livello più basso della nave che ospitava anche delle prigioni. Era sempre bene avere qualche cella a disposizione in caso di cattura che, aggiunta poi all’odore stagnante che impuzzolentiva quanto c’era lì sotto, rendeva il soggiorno ancor più scomodo.

Il lumino posto vicino al suo ginocchio consumava il petrolio lentamente, senza alcuna fretta: da tempo quella lampada non veniva accesa, le ragnatele e la povere attorno al vetro ne erano le prove. Barbanera aveva smesso da diverso tempo di scendere lì sotto per consultare i preziosi testi da lui raccolti - rubati in verità - insieme ad appunti e annotazioni presi qua e là che nascondeva in una rientranza della parete, coperta da un’asse malferma, ma data la piega che quella linea piatta che poi era la sua vita sulla Moby Dick aveva preso, un’ultima visita lì era necessaria, anzi doverosa. Il fato gli era venuto incontro e considerata l’entità della piega, non poteva non aprire le braccia e cercare di agguantare quanto gli stava venendo offerto.

Nel leccarsi la punta dell’indice scuro, girò le pagine di quella vecchia enciclopedia i cui segreti non potevano più considerarsi tali e sogghignò come non faceva da tempo nel pensare a quanto aveva atteso. Come un volatile apriva le ali, la mascella si dispiegò con più sadismo, mostrando un sorriso a tutti sconosciuto tranne che a lui. Allora era vero che quando si è sul punto di arrendersi dopo tanto provare, in qualche modo si riesce ad ottenere ciò che si vuole; non l’aveva mai pensata così ma dovette ricredersi perché la sua situazione combaciava alla perfezione con quella credenza. Interruppe il suo sfogliare e contemplò il consunto disegno che raffigurava il biglietto per la realizzazione del suo sogno nascosto nel cassetto. Sin dal primo sguardo, dalla prima lettura di quelle poche righe che spiegavano quanto c’era da sapere, aveva realizzato che quel frutto doveva assolutamente averlo lui, così come quell’enciclopedia che ora reggeva avidamente fra le mani, sua unica fonte di conoscenza al riguardo. Ciò che voleva, che bramava con ingordigia, quel frutto poteva darglielo ma trovare una simile rarità di cui per giunta si erano udite solo voci incerte era difficile, in special modo se si rimaneva fermi a terra. Un’ottima motivazione per decidere dunque di imbarcarsi sulla nave del pirata considerato il più vicino a sedere sul trono dell’One Piece.

Puah, quante idiozie!

Malato com’era era già molto che stesse in piedi e se doveva dirla tutta, i suoi figli erano dei veri idioti a credere che sarebbe riuscito ad arrivare in fondo. Il suo tempo l’aveva fatto, l’occasione l’aveva avuta e si era dovuto accontentare del secondo posto. Era ora che si decidesse a mollare la corda ma orgoglioso com’era non avrebbe abbassato la testa nemmeno da morto. Quanti anni erano passati da quando si era imbarcato? Molti, troppi, ma ogni giorno era stato ben speso ed ora che era vicino, no, vicinissimo, a toccare la prima metà che lo avrebbe lanciato alla ribalta, doveva mostrarsi più che mai attento. L’eccitazione lo istigava con schiocchi di frusta tanto violenti quanto piacevoli, invogliandolo, spingendolo ad agire prima che l’opportunità attesa quasi tutta una vita gli scivolasse via dalle mani ma il suo raziocinio gli imponeva un ulteriore attesa dato che prima di far suo il potere di quel rogia doveva ottenerlo.

Sayuri andava trattata con delicatezza e visto il suo smarrimento, l’avrebbe aiutata da buon amico quale era per avergli risparmiato la fatica di trovarlo. Vista la persona, era il caso di prendere il tutto con molta cautela: avrebbe dosato la sua insistenza col contagocce, lasciando che fosse proprio a lei a venire a cercarlo e poi....beh, il seguito non poteva avere scelta più spiacevole ma dubitava che la castana fosse tanto altruista da regalargli il frutto: non era una stupida da poter raggirare con due paroline ben dette, già sospettava qualcosa ma non poteva non sorprendersi più di tanto visto che la ragazza era una delle persone più sveglie con cui avesse mai avuto a che fare. Vantava qualità e un cervello degne di essere premiate con alti onori ma preferiva rimanere dov’era perché non interessata a robe del genere.

Caspita, quasi gli dispiaceva uccidere una personcina così buona e gentile...

Sogghignò di nuovo: che poteva farci? I sogni comportavano dei sacrifici e purtroppo l’amicizia non era sufficientemente importante quanto il suo.

Inumidendo le labbra con la lingua, richiuse il libro riponendolo al sicuro dietro l’incavo, assieme a tutto il suo materiale. Aveva aspettato in silenzio per più di dieci anni, era rimasto nell’ombra così tanto da imparare a confondersi con essa: qualche giorno in più non lo avrebbe di certo ucciso. E visto quel che Yu-chan aveva fatto per lui, le avrebbe regalato una morte rapida e indolore. Nell’ammirare uno dei suoi pugnali affilati quanto le zanne di una tigre, assottigliò i tondi occhi neri già sapendo cosa fare: un colpo dritto al cuore, preciso e senza spargimento di sangue. Nessuna possibilità di urlare. Nessun respiro.

Come segno della sua gratitudine non l’avrebbe fatta soffrire, anche se....la prospettiva di buttarla a terra, serrare le dita attorno a quel collo morbido, caldo, vivo e stringerlo per il puro gusto di vedere il viso di quella bambina contrarsi per l’agonia interminabile era molto, molto, ma molto allettante.  

 

 

“Abbiamo preso tutto?”
“Quasi: dobbiamo solo passare dalla signora Sumì a ritirare delle scorte. E’ a pochi passi da qui”

La Moby Dick era giunta al porto di Kakuka al sorgere dell’alba; la tappa era obbligatoria per il rifornimento visto che appena tutto fosse stato pronto, alcune flotte sarebbero partite alla volta di missioni a lungo termine e siccome quella di Ace rientrava fra le scelte, era doveroso organizzare la nave, imbottire le stive e studiare le rotte da seguire. I preparativi stavano tenendo occupati tutti, compreso un Don che sin dalle prime luci del sole si era messo a discutere con la capo infermiera per la scelta e la quantità dei bendaggi e delle medicine da lui reputati necessari per le cure dei suoi pazienti in caso di battaglia.

Inutile dire come si fosse svolta la vicenda....

“Esci dalla mia infermeria, donna” le aveva intimato.
"Solo quando mi porgerai le tue scuse” gli aveva risposto quella con egual tono fermo.
“E di grazia per cosa dovrei scusarmi?”
“Per avermi mancato di rispetto” aveva replicato lei incrociando le braccia sotto il prosperoso seno “Quando una collega offre il proprio aiuto si dovrebbe, almeno in teoria, ascoltare quello che ha da dire invece di trattarla come se fosse lo straccio per le pulizie”
"Non ricordo di aver parlato con una collega” sottolineò lui “So solo che un’indesiderata rompiscatole è entrata nella MIA infermeria, si è seduta sulla MIA scrivania e ha iniziato a farmi la predica sul come gestisco i MIEI materiali nemmeno se fossi un lattante e tendo a precisare che dove sei seduta, io ci lavoro”

Arricciando il nasino, Maya sbuffò quanto bastava per esprimere la scocciatura che quel dialogo le stava infliggendo. Accavallò le gambe coperte e strinse le braccia come per riaffermare la sua irremovibilità.

“Sei proprio un cafone” aveva boffocchiato poi nello spostare indietro la chioma viola “Se fossi più disponibile ad ascoltarmi, apprezzeresti i miei consigli e non li troveresti così orribili”
“Oh, ma sicuro!” esclamò lui sarcasticamente “E magari poi dovrei mettermi quella sottospecie di asciugamano rosa scollato che ti fa assomigliare tutto tranne che a una infermiera”

Lì, Akiko si era incollata al braccio della castana con già in testa le sequenze successive: si era aspettata di vedere i molteplici segni dell’arrabbiatura ricoprire le tempie di Maya e pulsare come se fossero sul punto di esplodere o peggio ancora, che la superiora agguantasse il bisturi che teneva nascosto nella divisa per recidere la carotide di Don visto che le uniformi le aveva disegnate lei. Ma non vide nulla di tutto questo. La reazione che la capo infermiera improntò non fu peggio di quella immaginata.....fu molto diversa e per questo reputata più pericolosa perché mai vista in azione.

“Ti dirò” era scesa dalla scrivania e gli si era avvicinato ancheggiando disinvolta ”Non mi dispiacerebbe vederti con una delle mie mise, giusto per farti provare le comodità di noi donne”
"Ma davvero? Guarda, sto già impazzendo dalla voglia di mettermi i tacchi alti e di operare con indosso delle unghie finte” ribattè il medico-cecchino stando al gioco.
“Dimentichi il trucco, caro il mio Donnie. Poco per non essere troppo appariscenti ma abbastanza da mettere in risalto il nostro viso. Come pervertito saresti perfetto, con una parrucca rossa e quelle gambe secche e pelose poi...”
“Sicuramente avrei più fascino di te, come ora”

Si erano messi a ironizzare e questo era stato tradotto dalle due fanciulle come un punto di non ritorno: con la corvina attaccata alla schiena, Sayuri aveva preso la lista stilata la sera prima e si era volatilizzata, conscia del fatto che provare a dividerli sarebbe stato pericoloso quanto perdere la vita in un combattimento. Se Don poi si metteva a sfottere l’aspetto estetico di Maya era chiaro quanto il sole che quei due non avrebbero concluso la questione con delle scuse, cose del tutto inesistenti per loro.

“E’ così difficile per te chiedermi scusa?” sibilò Maya puntando le mani sui fianchi.
“Le scuse te le ho già porte, a Wintry Realm”
“E suppongo che in quell’occasione tu ti sia sbagliato”
“Ovvio, e adesso esci dal mio studio”
“Solamente quando mi chiederai scusa”
“Allora spero che ti piaccia dormire per terra perché se vuoi fermarti qui il mio letto non te lo cedo neppure se fossi morto!” sentenziò mantenendo il tono di sfida.

 Era difficile stabilire cosa fosse successo successivamente perché le due ragazze se ne erano andate lasciando i due a sbrigarsela nella maniera che meglio avrebbero reputato più giusta. Per il bene loro era consigliabile non rimanere nei paraggi perché a lungo andare i dialoghi di Maya e Don raggiungevano vette mai toccate ne sperimentate e tanto più a lungo si tenevano fuori dal loro raggio d’azione, meno ne avrebbero risentito. Akiko tremava al sol pensiero della sua superiora in modalità demone - così lei l’aveva sempre immaginata - perché Maya era capace di tirare fuori l’impensabile e con Don che era alla sua altezza poi, la guerra era assicurata.

Inconsciamente, creò uno di quei simpatici siparietti comici, buttandoci dentro quella che tecnicamente doveva essere la raffigurazione fatta a modo suo del dialogo fra i due medici: da una parte c’era Maya, con le corna, gli artigli e le zanne di demone che le aveva conferito lei personalmente nei primi anni di tirocinio e dall’altra c’era Don, con indosso un vestito da lucertolone sputafiamme. Il tutto con uno sfondo pieno di macerie mentre questi si scannavano come dei pazzi.

Rappresentazione infantile ma che ben ricalcava entrambi se si considerava il fatto che visti da quella angolazione, assomigliavano più a dei mocciosi che dei adulti razionali. Mocciosi che però, se lo volevano, potevano far saltare in aria la nave....

“Yu-chan, pensi che si picchieranno?” sussurrò la corvina guardandola con le due grandi ametiste lucide, già avvinghiata al suo braccio. Nel dubbio non poteva fare a meno di chiedere se le sue contorte fantasie avessero un fondo di verità.
“Eh eh, no, stai tranquilla” la rassicurò carezzandole la testolina “Maya e Don discutono spesso ma nessuno di loro ha mai alzato le mani sull’altro. E’ il loro modo di comunicare”

Prendersi a pugni era considerato il botta e risposta più rapido e incisivo che le persone dalle opinioni fortemente differenti usavano al fine di imprimere al meglio il concetto nella testa del rivale, ma osservare da vicino il medico-cecchino e la capo infermiera, le aveva dato prova che quella rozza e alquanto inutile maniera poteva essere elevata ad un livello meno doloroso per il fisico ma decisamente più intrigante sull’aspetto letterale: Maya e Don erano entrambi orgogliosi, sicuri dei loro precetti e decisi a difenderli con ogni mezzo e il loro litigare era una sfida a non cedere alla tentazione di retrocedere al livello base. In quel caso molte stanze, tra cui l’infermeria generale sarebbero inaccessibili per continue riparazioni.

“Non pensarci, sono sicura che quando torneremo, si saranno calmati” aggiunse per rincuorare l’amica.
“Speriamo. L’ultima volta che Maya ha bisticciato con Don ho dovuto lavare tutti i piatti delle cucine almeno due volte” brontolò gonfiando le guance come fosse una ranocchia.
“Eh eh, basterà aspettare che si calmino le acque”

Anche se non del tutto convinta, la più piccola annuì e le lasciò il braccio per poterle permettere di camminare senza inciampare. Sorridendo dentro di sé, la castana ripensò al loro primo incontro, a quando era uscita di nascosto dall’infermeria e lei, disperata, l’aveva cercata per tutta la nave. Sebbene mostrasse rigore, attenzione e un forte spirito di intraprendenza nel suo lavoro, dentro di sé, sui contorni di quella personalità sveglia c’era una bambina che quando andava in panico o non aveva idea di che cosa doveva fare, era capace di agitarsi così tanto da ritrovarsi dei secchi d’acqua sulla testa. Aveva un modo di fare tutto suo, alternava furbizia a ingenuità, tipico delle persone che si apprestavano a crescere ma che ancora possedevano quell’infantilità che li contraddistingueva dai maggiorenni ma Akiko, a detta di Sayuri, era già cresciuta quanto bastava perché il suo carattere non ne risentisse: era certa che sempre l’avrebbe vista come adesso la vedeva, anche se la sua poteva essere la tipica considerazione di una sorella maggiore dato che la corvina per lei ricopriva il ruolo di ala protettrice.

“Allora, quanto manca alla nostra meta?”
“Uhm..” la piccola infermiera portò l’indice all’angolo delle labbra e lo fece tamburellare un paio di volte “Se non ricordo male, dobbiamo proseguire dritto fino all’armeria e poi girare a sinistra”

La signora Sumì era un’anziana signora ritiratasi dalla carriera di pirata da almeno una trentina d’anni: vecchia conoscenza di Barbabianca, gestiva ora un emporio che metteva a disposizione dei pirati per eventuali approvvigionamenti. Si confondeva tra gli abitanti di Kaluka, che la conoscevano per l’ampia scelta di prodotti e per il non volere grane nel suo negozio; il fucile che nascondeva sotto al bancone, insieme alle armi nascoste nei vari angoli della bottega bastava a far intendere che non era disposta a tollerare che qualcuno alzasse un polverone laddove aveva pulito più volte e i pochi che avevano osato ribaltare il suo negozio con degli stivali infangati, si erano ritrovati almeno cinque pallottole di piombo a testa nelle braccia.

Non a caso, un tempo era stata una fuorilegge.

Camminarono un altro po’ quando tutt’un tratto successe quel che nelle locande si verificava oramai con quotidianità giornaliera: si udì un botto tremendo, tanto forte da far spaventare i passanti. Le ante di un bar volarono in aria, per poi atterrare completamente distrutte in mezzo alla strada.

“Che succede?” nel domandarlo Akiko si era subito nascosta dietro alla schiena della più grande, come faceva di solito quando aveva paura.
“Non ne ho idea”

Si udirono dei passi. Da dove le ante erano state scardinate, uscì un uomo, insieme ad altri quattro suoi compari e a giudicare da come ridevano senza il benché minimo controllo, parevano aver bevuto non poco. Dovevano avere molto tempo libero se potevano permettersi il lusso di rimpinzarsi di liquori alle dieci del mattino. A Sayuri tornò in mente quella banda che aveva incontrato a Rogh Town ma il paragone lì differiva di qualche punto: questi almeno non puzzavano, ma nel loro essere puliti, erano così appariscenti che chiunque altro veniva subito messo in ombra come fosse un poveraccio. La pelliccia di uno era così lunga e soffice al solo contatto visivo, che toccava il suolo con incredula leggerezza e la sciabola di un secondo, era un continuo luccichio di pietre preziose d’ogni colore e dimensione. Contò anelli, abiti e ornamenti del tutto estranei a quelli visti sino a quel momento, troppo vistosi - seppur magnifici - per un pirata. Era gente che a quanto pareva, godeva di una vita piena di furti redditizi e che amava sfoggiare quanto rubato, divenendo un tutt’uno con quel mucchio eccessivamente dorato e luccicante. Tra quei quattro, che nel frattempo continuavano a ridere e a darsi sonore pacche sulle spalle, la ragazza notò che il capo spiccava per l’essere davanti a tutti loro, mostrandosi alla gente come se fosse una persona che non aveva bisogno di parole per presentarsi. A vederlo sembrava un nobiluomo: portava pantaloni neri accompagnati da stivali alti, con una giacca lunga il cui orlo arrivava al ginocchio, nera come le calzature e i pantaloni, perfettamente abbottonata su una camicia di seta lilla aperta quando bastava per creare una piccola scollatura a “V” sulla pelle liscia e visibilmente tonica.

“Che razza di posto schifoso! Non c’era neppure del sakè decente!” biascicò irritato il seguace dalla spada preziosa.
“Bleah! Mai assaggiato roba più insipida e oleosa di questa!” continuò un altro.
“Capo, quest’isola non ha nulla di interessante! Torniamo alla nave e salpiamo!” esclamò il terzo che si trascinava a presso la pelliccia.

Il leader sospirò, abbozzando un lieve sorriso. Seppur chiassosi i suoi uomini avevano ragione: nel loro giro di visita, quell’isola si era rivelata una completa delusione, non c’era nulla che avesse suscitato il suo interesse e ispezionare taverne scadenti non era il migliore dei modi per passare inosservati, non se la propria ciurma decideva di svuotare ogni singola bottiglia presente che rientrava nel loro campo visivo. Ma in fondo, che male c’era ad alzare un bel polverone? I suoi uomini avevano pur diritto di sfogarsi ogni tanto e non era di certo colpa loro se quei baristi non erano capaci di servire del vero sakè o quanto meno della buona birra. Bevande che poi preferiva sostituire con qualcosa di più dolce e raffinato.

“Allora capo? Che si fa?” domandarono impazienti.
“Ce ne andiamo, mi sembra ovvio. Ma la prossima volta evitate almeno di sfondare le porte dei bar. Non vi basta distruggere l’interno?”

Quelli per tutta risposta ridacchiarono, con le guance rossicce e gli occhi incurvati in ogni direzione tranne dove teoricamente dovevano stare. Il capitano sospirò ancora. Insegnare un minimo di educazione ai suoi uomini era doveroso per quanto fosse impossibile: in battaglia erano perfetti, seguivano le sue direttive e si muovevano come un gruppo compatto ma il silenzio non si adoperava soltanto in arrembaggi strategici. Ogni tanto era bello cercare di bere una tazza di tè, assaporarne l’aroma senza sentire quell’orribile sottofondo di tavoli e sedie rotte, persone urlanti....era troppo chiedere qualche minuto?

Non si aspettò altre risposte e fece per incamminarsi verso il porto in procinto di potersi accomodare nella sua cabina, ma nel far sorvolare i suoi occhi lungo quella strada appena un po’ gremita di persone, il suo sorriso ricomparve, incurvandogli le labbra e compiacendo gli occhi per la visione donata. A una certa distanza dal bar da cui era uscito insieme ai suoi compari, stavano passando due ragazze: la prima era una corvina dalle strane ciocche colorate, con una strana divisa rosa indosso.....carina, ma troppo piccola e priva del fascino a cui era abituato. Quel che invece aveva risvegliato il suo istinto per la beltà, era a chi quella piccola infermiera si stesse tenendo: si trattava di una ragazza dai lunghi capelli castani che, cullati dal vento, sbattevano delicatamente contro la schiena appena scoperta dal vestito bianco dalle sottili spalline. Fu rapito dal disegno sulla sua spalla: da dov’era non poteva vederlo nitidamente ma nell’avanzare pregò che fosse chi già pensava assiduamente.

Ancor prima che Akiko potesse avvertire Sayuri che uno di quei tipi si stava velocemente avvicinando a loro, se lo ritrovarono davanti, con sorriso amichevole e mani coperte da eleganti guanti bianchi: l’orlo delle maniche, del vestito e i bottoni erano in oro. Non c’era dubbio che quell’uomo si trattasse al meglio.

“Pardonnez l'intrusion,mais je ne pouvais pas arrêter Miss (trad:perdoni il disturbo signorina, ma non potevo non fermarvi)”
La castana rimase disorientata per qualche istante “Come dice? Non riesco a capirla”

Nel cogliere il disorientamento di lei, si affrettò a correggersi.

“Chiedo scusa” parlò ancora l’uomo “Nella fretta di rivolgervi la parola ho utilizzato la mia lingua natia. Vogliate ancora scusarmi” e si chinò leggermente con la mano poggiata sul lato destro del torace.
Questo qui non mi piace! Pensò la ragazzina squadrandolo velocemente. Si schiacciò ancor di più alla castana nel vedere con la coda dell’occhio che anche gli altri quattro le stavano raggiungendo.
“Non è necessario, ma se non vi disturba vorrei che mi spiegaste per quale motivo ci avete fermato. Siamo piuttosto di fretta” fece Bianco Giglio.
“Immagino, ma spero che abbiate il tempo per scambiare due chiacchiere veloci”

Anche se stava guardando quell’uomo, si era accorta che alle sue spalle qualcun altro si stava avvicinando e non le occorse molto per capire di chi si trattasse. Prese la mano della corvina cercando di tranquillizzarla e subito la sentì rilassarsi un poco. Non avere paura, ci sono qui io, le disse col pensiero e anche se non poteva guardarla, l’amica recepì il messaggio. Sapeva di stare parlando con un pirata anche se il suo vestiario poteva contraddire i suoi pensieri. I lineamenti tipici di un uomo trentenne - ventottenne per essere più precisi - erano incorniciati da capelli scuri, ricci sulle punte, chiusi in una coda di cavallo che lasciava andare soltanto un paio di ciuffi ai lati della fronte. Era affascinante, sapeva di esserlo e sfruttava ogni grammo di quel che aveva per arrivare laddove più gli aggradava; poteva passare come un nobiluomo affabile ma gli occhi in quel momento lo tradivano: Sayuri li stava leggendo e aveva scorto una vena sadica, depravata, più pericolosa di quella dei suoi fidati subordinati che avevano accerchiato sia lei che Akiko, convinti di averle colte di sorpresa.

“Mi chiamo Dimitri” si presentò con voce vellutata “E ho il piacere di parlare con Sayuri, meglio conosciuta come Bianco Giglio, dico bene?”

Aveva inscenato quella domanda per averne conferma ma già sapeva chi lei era e la pirata se ne era accorta.

“Esatto, purtroppo non posso dire di conoscervi” rispose lei mantenendosi pacata “Ma se siete un pirata come io penso, allora devo supporre che amiate molto la vostra privacy se fino a questo momento non ho visto nessun manifesto raffigurante il vostro volto”
Dimitri sorrise annuendo “Ammiro il vostro spirito di osservazione”
“La ringrazio e ora sarebbe così gentile da dirmi perché mi avete fermato?”

Era più sveglia di quanto avesse sentito dire ma non c’era niente di cui stupirsi visto che non si aspettava nient’altro da una fanciulla avente una taglia che sfiorava i cento milioni di berry. Guardarla negli occhi era il solo modo per non soffermarsi troppo a lungo sulla fine linea delle spalle che saliva fino al collo scoperto: Il vestito bianco che indossava le arrivava poco al di sotto del ginocchio, con una moderata scollatura “V” non troppo appariscente ma che copriva il tutto con una raffinatezza che solo una persona avente un determinato corpo poteva possedere. Il cotone leggero di quell’indumento era alternato dal nero che rifiniva i bordi della gonna e dell’apertura avanti,colorando invece interamente le spalline. Era di consistenza diversa dal bianco, ma aggiungeva un tocco di originalità all’indumento, insieme al grazioso fiocchetto attaccato sotto la spallina di sinistra. Da lontano, Dimitri aveva potuto mirare le gambe, indossanti delle ballerine nere col cinturino color ocra; nessuno oggetto in particolare, solamente un log pose al polso. Un abbigliamento semplice ma che su di lei diveniva un'eleganza ricercata. Un'eleganza che colpiva chiunque nell’istante in cui si coglieva il viso di quella ragazza,grazioso e dai lineamenti gentili e delicati come quelli di un fiore. Lui che amava le cose belle e che amava ancor di più averle per sé, non potè resistere a quel richiamo, a quell’ordine che il suo subconscio gli stava impartendo sotto forma di cantilena tentatrice.

 “Vengo subito al sodo madmoiselle: l’ho fermata perché voglio che accetti il mio invito di unirsi alla mia ciurma” affermò
“Che?!?” Akiko squittì con tutta la sua indignazione.
“Mi perdoni ma sono costretta a rifiutare” rispose prontamente l’interessata laconica “Faccio già parte di una ciurma e non mi permetterei mai di tradirla”
“Oh, ne sono certo. Mi scuso nuovamente, forse glielo chiesto nella maniera sbagliata..” replicò con insistenza silenziosa “Ma vedete madmoiselle, voi mi piacete e io che amo le cose belle, desidero esserne circondato sempre quindi siate gentile, seguitemi sulla mia nave e discutiamone davanti a un buon bicchiere di vino.”

I balordi ubriaconi avevano diminuito la grandezza del cerchio: bastava che lei desse una risposta negativa e subito il piano B sarebbe stato messo in atto. Se le parole non funzionavano, la violenza poteva risolvere tutto. Col cuoricino che batteva sempre più freneticamente, la corvina cercò di degludire senza fare rumore, affondando metà faccia nella spalla di Sayuri, che ancora non dava segni di cedimento.

“Signor Dimitri” disse chiudendo gli occhi ”Mi lusinga di aver attirato la vostra attenzione, ma devo respingere la vostra offerta” affermò aprendoli lentamente “Io e la mia amica abbiamo delle questioni da sbrigare e non possiamo trattenerci più di così. Sono desolata, ma temo che dovrà porgere l’invito a qualcun altro”

Senza indugiò s’accostò di lato e riprese a camminare, ben tenendo Akiko per mano. Mentalmente contò due passi prima di percepire l’aria sibilare dietro di lei: uno dei masdanieri era dietro di loro, con la sciabola alzata ma così lento a prendere lo slancio che in una frazione di secondo si ritrovò la lama di uno dei suoi sai sotto il mento. La punta gli sfiorava la pelle del collo, ma la ragazza nemmeno si era voltata: soltanto il braccio si era mosso.

“Le consiglio di retrocedere, non ho intenzione di coinvolgere delle persone innocenti, ne tanto meno di combattere” proferì neutra a quel pirata che ora sudava freddo e teneva gli occhi così spalancati che quasi gli uscivano dalle orbite.
“Vraiment ètonnant(trad:davvero stupefacente)” si complimentò Dimitri battendo le mani in modo regale “Siete degna del vostro nome e della vostra taglia ma..” e qui il suo sorriso si tramutò in un ghigno poco rassicurante “Io detesto che qualcuno mi dica di no”

Quel repentino cambiamento di tono segnava la fine della diplomazia. Udì lo sfrusciare delle vesti insieme ai veloci e pesanti passi dei pirati che - esclusi il capo - stavano per attaccarla con le armi già pronte a colpire.

“Ci attaccano, Yu-chan!” l’avvertì Akiko.

La gente si tenne da subito lontana, per evitare di venire coinvolta da quella zuffa. Non succedeva raramente ma era preferibile andare via prima di venire coinvolti,anche se qualcuno, spinto dalla curiosità, stette ad ammirare il combattimento a debita distanza. Più rapida di prima, Sayuri roteò su sé stessa e con un calcio colpì al fianco il primo capitato nel suo raggio d’azione: mentre quello cadeva a terra tenendosi la parte dolorante, un secondo le puntò la pistola carica ma, già sull’offensiva, la ragazza colpì col manico del sai la canna dell’arma, volgendola verso l’alto: il corpo partì e si disperse nel cielo.

“Bastar...!”

Infuriato, lo sgherro fece per abbassare l’arma ma lei con la mano libera lo anticipò nuovamente e caricando un pugno, lo colpì tanto duramente da farlo volare all’indietro, centrando il terzo che stava caricando su di loro. Akiko vicino a lei, veniva fatta spostare con una fulmineità tale, da lasciarla con la bocca spalancata: la più grande stava combattendo e al tempo stesso la difendeva senza mai perdere di vista nessuno dei propri avversari. Se ne avesse avuta la possibilità, la corvina si sarebbe allontanata all’istante perché ben sapeva che lo stare lì vicino all’amica non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione ma quei poco di buono le avevano accerchiate di modo che non ci fossero spiragli abbastanza grandi da farle scappare.

Quella era la prima volta che la più giovane dello staff medico di Barbabianca vedeva in azione la compagna di stanza, senza nessuno a supportarla.

Yu-chan sei fantastica!  Non potè non pensare, completamente meravigliata.

Fresca come un rosa, senza un filo di fiato ,la ragazza si rimise in piedi e alzò la guardia, preparandosi a ricevere il quarto, ansioso di conciarla per le feste.

“Aspetta” lo fermò Dimitri. Si piazzò davanti al subordinato, guardando Sayuri con occhi da predatore “Voglio avere io il piacere di vederla a terra sconfitta”

Avvicinandosi senza alcuna fretta, si sfilò i guanti e li ripose nella tasca dei pantaloni per evitare di rovinarli.

“Ma dèlicieuse Sayuri(trad:mia deliziosa Sayuri)” ora le dava del tu “Se davvero ti ostini a rifiutare il mio invito, allora temo proprio che dovrò insegnarti a rispettare la mia persona” affermò fintamente dispiaciuto.

Da sotto la giacca tirò fuori una lunga frusta nera che srotolò ai suoi piedi come un serpente ubbidiente al suo padrone.

“E visto che mi sembri così decisa a non voler venire di tua spontanea iniziativa, vorrà dire che dovrò punirti con la mia frusta, anche se poi il tuo visino ne risentirà. Ma non preoccuparti..” sogghignò malevolo “Saprò come prendermi cura di te”

La vista del sangue che usciva da un ipotetica ferita aperta sul quella pelle morbida stava eccitando Dimitri a tal punto da fargli tremare le dita per l’emozione. Porre fine a quella frenesia che i pirati alimentavano con l’omicidio era impossibile. Non sapendo nulla sul suo riguardo, la castana poteva aspettarsi di tutto e questo era una valente ragione per tenersi pronta a ogni evenienza, senza contare che lì non c’era in ballo soltanto la sua vita.

“Con il vostro permesso, madmoiselle..” sussurrò il gentiluomo “Commencer!”(trad:cominciamo!)

Come animata di vita propria, la frusta scattò verso di lei rapidamente. Fulminea, Sayuri si spostò di lato ma quella le fu subito addosso e la costrinse a schivare anziché attaccare: quel serpente nero di pelle si muoveva senza seguire uno schema preciso, ondeggiava ubriaco e poi attaccava spedito, creando altri suoi simili illusori. Quando questi ripartirono all’attacco, la castana scoprì il secondo sai e con un fendente respinse il solo corpo reale che cercava di colpirla.

“Niente male” si complimentò l’uomo.

Con movimento lento, mosse il polso e lanciò nuovamente l’arma afflosciata a terra alla carica; ancora una volta mancò il bersaglio e finì per distruggere alcune casse abbandonate ai lati della strada.

E’ stato più veloce. Pensò la pirata senza distogliere lo sguardo dall’avversario.

Stava saggiando le sue potenzialità così come lei si prendeva il tempo necessario per trovare una falla nei suoi attacchi. Non erano ancora entrati nel vivo ma quel “colpisci e osserva”non sarebbe durato in eterno: uno dei due avrebbe dovuto fare la mossa successiva, prendere l’iniziativa e la castana non poteva permettere a Dimitri di guadagnare più vantaggio di quanto già disponesse. Inspirò ed espirò lentamente: doveva riflettere, raccogliere quanto aveva visto e trarne delle piccole conclusioni che l’aiutassero a costruire una strategia che le permettesse di cambiare posizione.

Possiede un’arma a lungo raggio e questo gli permette non soltanto di attaccarmi senza muoversi dalla sua postazione ma gli assicura anche una difesa difficile da eludere. Inoltre, la velocità con cui la maneggia gli consente di rendere impenetrabile il muro che si crea attorno quindi, devo evitare accuratamente gli attacchi frontali.

Fino a lì tutto quanto combaciava a quel che aveva visto ma certa di poter arrivare a trarre qualcos’altro, continuò a far lavorare la mente: al di là delle sue prestazioni base, doveva scoprire se questi suoi primi assalti rientravano in un piano elaborato sin dall’inizio. Se mai si fosse trovata in aria non avrebbe avuto modo di difendersi a dovere per via dell’assenza di terreno, inoltre...con lei c’era Akiko. Purtroppo la corvina non era una combattente e la sua presenza lì poteva costarle caro. Cosa le vietava di pensare che Dimitri non l’attaccasse per metterla in difficoltà?

Come vide il compare di quest’ultimo spostarsi, capì che se anche avesse chiesto all’amica di allontanarsi,lui glielo avrebbe impedito, insieme agli altri tre balordi che, seppur barcollanti, avevano accerchiato il campo di battaglia. Uno sguardo di intesa con l’amica, le fece comprendere che anche lei era arrivata a quella conclusione, spavento a parte.

A quanto pare, dovrò appesantire la mano.

Non poteva stare lì a combatterli uno a uno: vista l’abissale differenza fra il capitano e i suoi uomini, la prima cosa da fare era sconfiggere quest’ultimi per permettere alla corvina di scappare ma quell’uomo che ora la guardava con sempre più intensità non era disposto a concederle niente di quel che lei pensava .

Rizzando le orecchie come fosse un felino, Bianco Giglio inarcò la schiena all’indietro per evitare la punta della frusta. Roteò su se stessa e sparì dalla visuale dei pirati, per poi ricomparire davanti ad uno di essi che subito venne atterrato con un calcio alla bocca dello stomaco. Seguirono il secondo e il terzo: il primo dei due le si fiondò addosso con tutto il peso caricato in un pugno potente ma banalmente prevedibile. Con leggerezza, lei si spostò di lato, afferrandogli il polso e l’avambraccio insieme e senza che quello potesse rendersene conto, si ritrovò a roteare per aria per poi atterrare malamente a terra.

Avvertì il terzo apprestarsi ad attaccarla ma non era il solo ad essersi fatto avanti: Dimitri aveva lanciato la frusta nuovamente all’attacco e lì vicino c’era Akiko.

Sta per attaccare!

Richiamò quel tanto d’haki che le bastava per rendere le sue gambe più veloci: in un’altra situazione non ne avrebbe fatto alcun utilizzo ma la vita dell’amica non permetteva restrizioni o tanto meno incertezze sull’usare o meno il proprio spirito vitale. Si lanciò verso la corvina - paralizzata nel vedersi arrivare addosso quel qualcosa che non riusciva a definire - e nel vedere la frusta esserle alla pari, scattò ancora più in avanti, serrando i denti. Allungò il braccio e nello stringere la vita della più piccola la tirò a sé, balzando sul tetto più vicino.

“Graz...Yu-chan, la tua guancia!”

Con occhi inorriditi, la piccola Akiko fissava un preciso punto del suo visto. Nello sciogliere la presa sull’amica, percepì la pelle accaldarsi, bruciare proprio dove l’infermierina aveva indicato: un lieve tocco da parte delle dita confermò il piccolo taglio che ora perdeva sangue.

Deve essere riuscito a colpirmi prima che salvassi Akiko..
“Yu-chan, mi dispiace...” mormorò lei con occhi mortificati “E’ colpa mia”
“Non ti preoccupare, non è niente di grave” la rassicurò con dolcezza “L’importante è che tu non sia ferita” ed era felice che non lo fosse.

Non era un esagerazione affermare che ne aveva viste di peggiori, come affrontare una cinquantina di uomini armati in una piazza priva di uscite a quattordici anni, rompersi alcune costole combattendo contro un uomo pesce o affrontare Edward Newgate debilitata e con inesistenti possibilità di vincere. Quante volte si era fatta male negli allentamenti per perfezionarsi? Ne aveva perso il conto ma il dolore delle giunture, della testa e di tutto il corpo che chiedeva a grande voce una pausa, quello lo ricordava bene. Era impresso in lei, nelle sue ossa come fosse calcio e l’aveva aiutata a rafforzarsi e ad aumentare la resistenza che sempre le tornava utile in uno scontro come quello. Annullò l’haki, alleggerendo così la mente e rilassando il torace teso per poi spostare quei suoi meravigliosi occhi color cioccolato verso l’uomo che silenziosamente,senza neppure farsi vedere, le aveva raggiunte. Sembrava fosse volato lì sopra anziché balzatoci.

“Absolument magnifique! (assolutamente magnifico!)” e applaudì nuovamente “Il vostro altruismo mi commuove ma non vorrei che per proteggere quella bambina, voi non diate il massimo” temette con un emergente ghigno all’angolo della bocca.

Con movimento fluido e aggraziato, Sayuri alzò il braccio, puntandogli un sai contro.

Le parole furono inutili perché la risposta che sir Dimitri cercava la trovò in quello sguardo determinato e pacifico allo stesso tempo: occhi marroni, semplici, carichi di colori cangianti che come veli di seta trasparente e colorata volteggiavano liberi e sfuggenti, colmi di ambizione..

Le dita fremettero ancora e come una cancrena gli inondarono le mani, le braccia, fino a toccare le spalle. Fu scosso da un brivido così carico di eccitazione che strinse il manico della frusta più forte che mai.

“Siate ragionevole, madmoiselle: accettate la mia offerta” parlò affabilmente offrendogli così la possibilità di approdare sull’ultima spiaggia.
“La prego di non insistere” tagliò corto la castana “Il vostro invito non mi interessa”
“Ed io non posso accettare il vostro rifiuto, mon cher” replicò assottigliando lo sguardo “Quindi preparatevi perché verrete come me anche se vi dovessi trascinare per i capelli”
“Non penso proprio”

Dimitri non ebbe il tempo di chiedersi nulla. Potè soltanto girarsi e vedere l’aria diventare rossa e arancione, così calda da ustionargli la pelle; le gambe non risposero subito all’ordine imposto dal suo cervello e la sua mascella venne brutalmente compressa da qualcosa di solido che gli sollevò il corpo fino a farlo indietreggiare da dov’era.

Barcollò con la testa rivolta verso il basso e le gengive pulsanti. L’attacco a sorpresa arrivò a stordigli temporaneamente anche la vista ma non appena quel giramento fu terminato, indirizzò gli occhi carichi di impulso omicida verso quello strano muro colorato che gli era apparso alle spalle senza neppure farsi notare.

“Ma guarda un po’..” mormorò poi questo, assottigliando gli occhi e sputando dall’angolo della bocca un po’ di sangue “E’ arrivata la cavalleria”

Il sapore metallico del liquido ematico gli riempì la bocca, per poi venire ingoiato amaramente come fosse una medicina scadente e dall’odore nauseabondo.

Non si poteva certo dire che quell’intrusione fosse delle più benvenute. Il riccio si pulì la bocca con il dorso della mano, nascondendo i denti bianchi stretti fra di loro per lo smacco subito mentre osservava il comandante delle seconda flotta di Barbabianca fare la sua comparsa ad appena tre metri da lui. L’avambraccio sinistro - unica parte del corpo non spenta - era sollevato in avanti, piegato a “V”, completamente avvolto dal fuoco di cui era padrone. L’altra mano era appoggiata al fianco. Se mai Dimitri si fosse trovato nella situazione di dover stilare una lista di tutte le cose che lo infastidivano, mal sopportava e detestava, l’essere interrotto in un combattimento sarebbe stata fra i primi cinque di questa ma non doveva dimenticare che era un gentiluomo e anche se quel moto di irritazione stava scalando l’intero torace per arrivargli in gola, contenersi era un obbligo per non essere uguale a certi pirati di bassa lega con cui aveva avuto a che fare.

“Questa si che è una sorpresa” affermò sistemandosi l’ultimo ciuffo “Portuguese D.Ace, detto Pugno di Fuoco. Quanti incontri importanti..” si sospese un attimo e poi ricominciò “A che devo la presenza di un comandante di Barbabianca?”

Le fiamme che avvolgevano il braccio del moro si ritrassero al minimo e si estinsero lasciando che questo tornasse alla normalità.

“Passavo da queste parti..” cominciò alzando il cappello con l’indice per scoprire la parte superiore del viso “E visto che c’ero, volevo chiederti cosa diavolo pensavi di fare alla mia ragazza”

L’irritazione fuoriuscita dalle labbra trapasso Dimitri con abbastanza vigore da sorprenderlo.

“La tua ragazza?” ripetè l’altro alzando le sopraciglia. “Non avevo idea che madmoiselle Sayuri fosse impegnata”
“E invece lo è, razza di buffone arricciato!” esclamò Akiko facendo sbucare la sua testa da dietro la schiena della castana per poi nascondercela di nuovo.

La cosa gli fece storcere gli occhi, come se gli fosse appena stato gettato del peperoncino addosso. Non era così scemo da attirarsi le ire di Barbabianca, conosceva il trattamento che quell’uomo riservava alla sua ciurma e ancor meglio quello che riversava su chi attentava alla loro vita. Ma combattere fra colleghi non implicava chissà quale pene capitali, specie se poteva ugualmente contare sulla possibilità di ottenere quel che voleva nel modo più leale che gli si presentava.

“E’ un colpo di scena davvero inaspettato” ammise annuendo “Questo rende il tutto più interessante. Potremo giocarci questo scontro seguendo le regole e il vincitore ne uscirebbe pulito”

Togliendo i fronzoli e le movenze, il contenuto della frase rimaneva tale e quale al pensiero base da cui era stato originato: chi vince si porta a casa il premio e dal quel poco che Ace aveva visto e sentito - tra cui il trascinare per capelli la ragazza - questo era sufficiente per dare a quello strafottente - per non scendere nel volgare - quel che si meritava.

Certa come poche volte nella sua vita, la castana comprese che quel signore riccioluto stava sfidando il fuoco in persona senza essere a conoscenza di cosa realmente potesse comportare il solo sfiorarlo. Non aveva mai avuto motivo di temerlo ed era anche ben disposta di renderlo partecipe a quei consigli che dava ogni tanto ai suoi avversari prima che questi si gettassero contro di lei o Ace o chiunque altro suo amico che visibilmente era superiore a quei pazzi che si mettevano in testa di compiere il balzo di qualità cercando di intascarsi una taglia da capogiro. Poteva dirgli di lasciar perdere ma non lo fece: meccanicamente si voltò, alzò le braccia e incrociando le lame dei suoi pugnali, arrestò il colpo di quel grosso martello esageratamente sfarzoso che stava per colpire lei e Akiko, sempre agguantata alla sua schiena. Il pirata, il solo rimasto in piedi oltre al suo capitano, spingeva verso il basso mettendoci tutta la forza che aveva cercando di rompere quelle fini lame in realtà più robuste di quanto dessero a vedere.

“Se il suo seguire le regole è attaccare alle spalle il proprio avversario....” cominciò lei disarmando l’uomo e colpendolo con il palmo aperto all’altezza della gola, tramortendolo “Mi domando cosa sia per lei il combattere slealmente” finì voltandosi nuovamente verso di lui e Ace.

La compostezza che il pirata dalle nobili vesti cercava di tener su come una solida impalcatura finì per crollare come un bel castello di carte: il viso si contorse a tal punto che anche i muscoli del collo si irrigidirono, perdendo così la loro delicata linea. Il solo impiegare più tempo del necessario lo infastidiva ma l’avere in mezzo anche un comandante di Barbabianca d’altro calibro cominciò seriamente a pesare sulle sue intenzioni. Poteva combatterli entrambi? Difficile a dirsi..

Il solo vedere Pugno di Fuoco serrare al meglio i suoi pugni e mostrare quel sorriso sghembo che sempre lo accompagnava quando si preannunciava un combattimento, gli fece intendere che aveva osato troppo, che si era inoltrato al di là di quei confini che per Ace si restringevano largamente quando c’era di mezzo la castana.

“Vediamo che sai fare”

  

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Capitolo 46
*** Sparizione. ***


Buonasera!lo so,è tardi rispetto al mio solito orario di pubblicazione ma il fatto è che sono ricominciate le lezioni e il mercoledì finisco alle sei,quindi faccio quello che posso.Anche se il tempo ora scarseggia prometto che cercherò sempre di postare di mercoledì,che sia prima o dopo cena troverete il capitolo e in caso estremo io non riesca,farò giovedì e spero anche di non dover interrompere per altri motivi ma intanto che posso comunque procedere,andiamo avanti!

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MBCharcoal:La mia Marta-chan!vedo che serio riuscita nell’intento di farti un bel bagnetto al mare,son contenta per te!allora..piaciuto il discorsetto fatto da Don e Maya?guarda che vestito da vestito con un divisa rosa confetto non starebbe male;certo come donna sarebbe terrificante ma se ne uscirebbe che gli dona più a lui che alla assatanata dai capelli viola.(Io ugualmente non tenterei di fargliela mettere,col caratteraccio che ha poi..).Non posso darti che ragione su Yu-chan:per una volta che si può vestire più liberamente salta fuori il provolone.Ma d’altro canto,con tanti soldi sulla testa e un visetto caruccio,non può non attirare qualcuno,no?e infatti ha attirato il signore delle fiamme che poi ha provveduto a congedare gli altri e che ora sistemerà anche questo qui.Mi unisco al tuo augurio per il cagotto perenne(spero che rimanga incollato all’asse del water per il resto dei suoi giorni!!)

happylight:ciao tesora!un’altra votata all’omicidio di Teach,eh?si,si,potessi dargliele io le mazzate,saprei dove indirizzarle.Certo,però mi farebbe male il braccio a forza di colpirlo quindi tu tieniti nei paraggi che così mi dai il cambio(lui è resistente ma io dopo i primi 300 colpi mi stanco).Eh eh,credo che la tua idea sul fango poi sia azzeccatissima,Dimitri si incavolerebbe di brutto per l’avere anche solo una macchiolina sulla camicia o sul suo viso da schiaffi.Tranquilla,Ace lo sistemerà a dovere qui.

TopazSunset:ciao amore!grazie per il messaggio d’obbligo,l’ho apprezzata molto!(peccato per la scena censurata perché mi interessava vedere cosa succedeva al lardoso sdentato).Prima di qualunque altra cosa,ti ringrazio per la stima ma penso tu sia saltata a conclusioni troppo affrettate:non voglio illuderti sul destino di Satch o Sayuri perché premetto che la fict non è ancora finita e ci vorrà un bel po’ prima che lo sia.Non sai quanto mi dispiaccia doverlo fare ma i brutti momenti devono ancora arrivare e se hai capito cosa intendo,allora mi scuso ancora.Mi lusinga che tu veda in me una maestria per gli intrecci(me si inchina) e che avresti voluto unire la mia fict alla tua:Sayuri ti ha stregata da quanto leggo e non sai che piacere è il sentirsi dire che un personaggio inventato abbia conquistato tanta simpatia.Non mi sarebbe dispiaciuto ma purtroppo i filoni sono diversi,le storie sono già troppo in avanti(e per quanto Yu-chan sia buona,non sarebbe corretto nei suoi confronti che Ace faccia il filo alla piccola Momo.Si è pure messo in competizione con Marco..).Chissà,qualcosa si inventerà!grazie mille per il tuo entusiasmo,spero tu possa apprezzare ancora la mia fict perché quest’ultima parte è molto carica di adrenalina!

angela90:ciao!inizi l’uno?io ho iniziato questo lunedì e come vedi gli orari hanno già influenzato il mio orario per postare.Il rimedio anti Barbanera lo sto ancora cercando;ho testato qualcosa ma essendo lui molto resistente le idee iniziali non sono servite a molto…non importa,si continua!si,a lui ormai è partito il cervello(più di prima):ha visto il frutto e ora lo vuole e non gliene importa nulla se ad averlo è la mia angelica Yu-chan(VADE RETRO ANIMALE,TI STRANGOLOOO!!).Ormai quasi tutti stravedono per i duelli di Don e Maya:scriverli a volte è più faticoso del resto del capitolo perché essendo due personalità puntigliose,devono lanciarsi battute a volte semplici ma con il giusto tono.A Don poi basta pronunciare “donna”e l’infermiera è pronta a rispedire il colpo al mittente.SI,si,meglio fuggire perché è indescrivibile quello che poi combinano.Grazie per la dritta in francese ma mi occorreva solo per il capitolo scorso.Ora che è arrivato Ace,non avrò più bisogno di scervellarmi a scrivere e tradurre le frasi di quel falso donnaiolo!

Chibi Hunter:carissima,hai cambiato nome,che carino!a momenti quando sono venuta a rivedere le recensioni quasi non me ne accorgevo.Iiiiiih,il tuo paragone su Teach e i ratti mi fa accapponare la pelle!già lui è luridamente orrendo..bleah,che schifo!ti do ampiamente appoggio per il calcio,vai tranquilla,pestalo come meglio credi!i nostri medici preferiti litigano ma preferiscono scannarsi che sposarsi e sopportarsi più a lungo di quanto già facciano(non costringete il povero medico-cecchino ad auto-suicidarsi.Piuttosto che il matrimonio,l’alternativa è quella o altre a cui sicuramente penserà perché non credo voglia far perdere al mondo un grand’uomo come lui.Sotto sotto è molto modesto,ih ih).

tre 88:lo sfogo te lo perdono anche se non me lo chiedi perché tutte appena vedono Teach partono in quarta con i repertori.Ciao tesoro!sono contenta che tu abbia apprezzato il ritorno di Don e Maya:come coppia litigarella vanno benissimo,quelli amano battibeccare(Don un po’ meno).I siparietti di Akiko hanno sempre un fondo di verità,conoscendo i soggetti in questione e lei povera deve stare attenta a non farsi appioppare incarichi che riflettano l’umore della capo-infermiera se no sono guai.E intanto vien protetta da Yu-chan che a sua volta riceve l’intervento del suo bel comandante.Beh,anche se non arrivava,un paio di cazzotti e vedi come la smettevano di importunarla,ma lasciamo fare ad Ace la parte dell’eroe,così poi può riscuotere il premio!

maya90:La mia maya,eccola!la mia descrizione su Teach rispecchia quel penso su di lui?si,per mezzo quarto potrebbe anche andare,poi la versione lunga sarebbe ristretta a tanti nomignoli non proprio educati e a scene a cui applicherebbero la censura immediata.Si,lo ficcato nella stiva anche se chiuso in una cella di algamatolite,nelle fogne di Impel Down sarebbe stato meglio(l’oceano me lo inquina per quanto profondo e non voglio rischiare).Eh eh,è bello che apprezzi la tua omonima e Don,continui anche a sperare che tra i due scappi qualcosa (si pensa a qualche schiaffo ma sono troppo intelligenti e superiori alla norma per scendere a tanto).Questo Dimitri,ti dirò,mi sono ispirata a un altro personaggio di un anime,un po’ l’ho modificato,a Don Rodrigo manco c’ho pensato,Comunque hai ragione:la fama attira i malviventi e se aggiungiamo tanti soldi su un tenero visino,ti lascio immaginare che tipo di malviventi possano venire a far visita a Yu-chan(Dimitri è simile,solo più elegante e non puzza come quello del secondo capitolo).Ma tanto c’è Ace che arriva e pesta chi prova a fare la corte alla ragazza.Tranquilla,il francese non ricomparirà più,mi serviva per gli sviluppi che verranno a verificarsi qui,nient’altro!

 

“Davvero pensi che non farò incubi?”
“Certo. Ho detto che mi prenderò cura di te e ho intenzione di farlo. Se ti perdo di vista c’è il rischio che tu pianga ancora”

Era davvero sorprendente come certi ricordi emergessero in situazioni completamente diverse da quella che invece ne aveva accompagnato la nascita. Fu un frammento quello che le toccò la mente, un frammento minuscolo ma molto significativo per lei, che ne poteva comprendere tutti gli aspetti. Sayuri non aveva idea del perché quella frase le fosse venuta in mente in quel frangente ma nel guardare Ace combattere e al tempo stesso pensare a quella sua promessa, le scaldò il cuore sufficientemente da renderla sicura sul fatto che il suo comandante, quello scontro, non lo avrebbe perso. Lo osservava dal basso della strada, non lo perdeva di vista, stava attenta, anzi, più che attenta, incantata, ma assorta com’era, nemmeno si rese conto di quel che stava facendo o di che espressione fosse dipinta sul suo volto.
Osservava semplicemente Ace combattere e non poteva farne a meno: la disinvoltura dei suoi movimenti era diversa dalla sua, sprigionava una sicurezza arrogante ma al tempo stesso contenuta, che amava farsi mostrare ma senza troppa eccessività. Il nemico, quel Dimitri, provava a stargli dietro ma per quanto i suoi arti inferiori fossero magri e scattanti, non riuscivano a sfuggire a quel fuoco che camminava sui tetti su cui poi sarebbero rimaste delle bruciature riparabili. La frusta, o quel che ne rimaneva, giaceva inutilizzata ai piedi del locale sopra cui combattevano, per tre quarti liquefatta e per l’atro pezzo intera ma ugualmente inservibile.

“Puoi venire da me tutte le volte che vuoi, non c’è bisogno che tu me lo chieda”

Lo vide avvicinarsi di corsa all’avversario,caricare il pugno e affondarlo nel suo stomaco. I battiti del suo cuore accelerarono appena un poco: impercettibili dall’esterno, rimbalzavano dentro di lei riempiendo tutti gli spazi vuoti impedendole di sentire altri rumori, tra cui la serie di pareti legnose o cementate contro cui il riccio andò a sbattere. Vide assi, cocci, vetri volare e cadere disordinatamente ma niente di così eclatante da far voltare il suo interesse: il solo colore che animava quel quadro grigio che andava per giunta a rallentatore, era quel ragazzo che era stato capace di suscitare in lei sentimenti mai provati, solamente conosciuti a voce. Sentimenti che come Ace, riuscivano a sorprenderla, a farla vacillare nonostante ora potesse dire di conoscerli bene.

A farla arrossire....

“Sei grande Ace!” esultava Akiko elettrizzata saltando sul posto.

Si era innamorata del fuoco, uno di quei spiriti indomabili come il mare e libero come il vento. Alcuni dicevano che era aggressivo, capace di distruggere quel che incontrava con il più piccolo dei gesti ma anche se quel lato fosse realmente esistito, mai lo avrebbe visto o quanto meno toccato con le sue dita.

Si era innamorata del fuoco ed Ace ne era l’indiscusso padrone, così come lei era la dolce signorina dei bianchi gigli che nella sua semplicità ne aveva attirato l’attenzione. Accostamento strano il loro..ma perfetto perché si capivano meglio di chiunque altro e nonostante ciò ancora riuscivano a sorprendersi a vicenda. Seguì quel poco che restava dell’incontro con aria assorta ma la sua mente registrava tutto quanto senza tralasciare alcun particolare, da quei veloci scambi di parole poco cordiali, al numero di muri rotti che diminuiva man mano che il combattimento si esauriva. Si aspettava di vederlo sorridere con quel piglio arrogante e molto divertito che lo contraddistingueva sempre ma il cogliere nel suo viso quella linea severa e poco propensa a ripensamenti, le fece ricacciare giù in gola l’aria inspirata pochi secondi prima. In passato aveva già visto quel volto scurirsi ma benché sapesse bene in quali occasioni esso fosse comparso, non sentì il bisogno di preoccuparsi: per quanti difetti Ace potesse avere, come ogni buon essere umano si rispetti, non agiva mai, non alzava mai le mani se dietro non c’era una buona e più che giusta ragione.

E lì la ragione era lei, più precisamente quello che Dimitri voleva fare con lei.

Il sentire il colpo definitivo, accompagnato da un urlo quasi del tutto strozzato che finì col disperdersi subito, sentenziò la fine del combattimento. Akiko gioiva come una bambina ma la sua allegria non era sufficiente a far uscire Sayuri da quella sorta di incantamento non del tutto dispersivo in cui si era auto-immersa. Solamente quando Ace uscì da quella coltre di polvere alzata per il continuo movimento distese la bocca in uno dei suoi sorrisi, ma nemmeno lei seppe dire se quello fu un gesto automatico o un regalo per aver preso le sue difese. Fatto stava che da quando lo conosceva, le piaceva sorridere con più spontaneità.

 


“Come va la guancia Yu-chan? Brucia?” domandò la corvina sistemandole il più delicatamente possibile il cerotto bianco.
“Sta tranquilla, è soltanto un graffio” le disse “Non lo sento neppure”

Quella era almeno la ventesima volta che la piccola infermiera le chiedeva se andasse tutto bene, se la guancia non le dolesse o se le si fosse gonfiata; si sentiva responsabile per quella ferita, se non si fosse lasciata bloccare dalla pura Sayuri di certo non si sarebbe procurata quel taglio. Combattere richiedeva concentrazione, di questo Akiko ne era a conoscenza perché aveva visto diverse volte i suoi compagni scontrarsi con dei nemici, ma proteggere una persona allo stesso tempo raddoppiava tutto ciò che uno scontro implicava, un mucchio di cose impossibili da elencare ma sempre importanti. Cose che lei non conosceva perché non erano inerenti al ruolo che rivestiva sulla Moby Dick, per questo in quel momento si stava dando da fare - forse addirittura troppo - perché l’amica non soffrisse per quel taglio, fatto che per la giovane castana era pressoché superficiale visto che come aveva ripensato pochi minuti addietro, una ferita di quel genere non era per nulla paragonabile a certi episodi passati.

“Akiko” e le prese la mano fra le sue “Va tutto bene, non agitarti. E’ perfettamente normale che io mi ferisca, sono una pirata, ricordi?”
“Si, ma io sono un’infermiera e devo curare i feriti” replicò lei decisa.
“Vero, ma curare non significa bendare da capo a piedi se la ferita in questione è un taglietto” ironizzò Ace alludendo alla matassa di bende candide che la corvina reggeva fra le mani.

E per tutta risposta la piccolina gli fece la linguaccia, suscitando le risate dei due ragazzi; quando veniva stuzzicata nei suoi punti deboli la più piccola delle infermiere a seguito di Maya, automaticamente diventava una bambina a tutti gli effetti. Gonfiò le guance come era solita fare, irrigidì le braccia coi pugni ben chiusi e assottigliò gli occhietti color ametista per poi sbuffare indispettita. Nel vedere Ace calarsi immediatamente il cappello sul viso per non riderle nuovamente addosso, quest’ultima sbuffò ancora dal naso,smuovendolo come a volerci togliere la polvere dalla punta.

“Non c’è niente da ridere!” scattò col visetto corrucciato ”E poi...e poi non sarebbe successo nulla se tu non fossi così carina!” proseguì puntando il dito contro l’amica “E’ risaputo che ai pirati e ai cacciatori di taglie piacciano le belle ragazze con tanti soldi sopra la testa!”

Detto questo, andò verso l’entrata dell’emporio della signora Sumì a passi veloci e calcati, osservata dai due ragazzi che invece erano rimasti in un angolo della strada, vicini a un muretto dove lei ci era seduta sopra mentre lui vi era appoggiato con la schiena e i gomiti all’indietro.

“Io vado dentro a prendere quello che ci serve” disse poi girandosi e sistemandosi il piccolo cappellino rosa in testa “Non approfittarne per fare le cosacce con Yu-chan!” esclamò puntando il dito contro il moro.

E sparì dentro al negozio prima che potesse vedere la più grande reagire.

“Non c’è che dire, ha un caratterino tutto suo” affermò Ace sedendosi al fianco della castana.
“Hai ragione” concordò “A modo tutto suo di fare le cose. E’...” si interruppe per trovare il termine giusto “Speciale” mormorò alla fine con gli occhi rivolti ai tetti delle case.

Con l’imminente partenza c’erano un mucchio di cose da preparare e organizzare ma al momento l’indole lavoratrice di Sayuri vagava pensierosa come un fantasma in una città disabitata. Quel che doveva fare l’aveva fatto ma non poteva dirsi soddisfatta perché le mancava ancora qualcosa che aveva trascurato in quei tre giorni proprio per respirare e lasciare che nuove idee le venissero in aiuto. Staccare la spina dai problemi a volte aiutava a riflettere senza essere provata dal peso di dubbi inutili che si divertivano a saltellare sulla schiena col fine di piegare la colonna vertebrale per poi non rimetterla più dritta, con l’eccezione che quello non era propriamente un dubbio ma una questione da non prendere sottogamba. L’avere tra le mani quel frutto del diavolo non le piaceva, per non parlare di tutte quelle sgradevoli sensazioni emerse come funghi in piena stagione di raccolta.

Le udiva ancora, le ripercorreva parola per parola sperando di scorgere qualche dettaglio sfuggitole la prima volta ma con più calma, senza l’acqua alla gola e con la mente fresca e sgombra; se ora era in grado di poter affrontare la questione con rinnovata prontezza lo doveva ad Ace, che le aveva restituito quelle serenità creduta fin troppo lontana. Il sentire il suo braccio circondarle le spalle e attirarla con molta dolcezza a sé non la colpì di sorpresa: si lasciò trasportare e chiuse gli occhi nel toccare con la propria guancia la spalla scoperta,priva di vestiti. Le bastava veramente poco per sentirsi protetta, piccolezze che il moro sapeva sempre regalarle al giusto momento.

“Hai ancora paura?” le domandò.
“No, non più” gli rispose sempre coi occhi chiusi “Grazie”
“Figurati. Lo sai che se hai bisogno di qualcosa, io ci sono”

Vederla finalmente rilassata valeva più di cento dei suoi ringraziamenti: da quella sera che l’aveva trovata addormentata in camera sua si era premurato di farla distrarre da quel frutto del diavolo, almeno per concederle un attimo di riposo dopo la missione alle paludi di Loriam. Si erano impegnati in diversi allenamenti coi compagni, a parlare di come si sarebbero svolte le future missioni..quello che gli veniva in mente al momento, tutto per tenere Sayuri lontana da quel costante cruccio e per evitare che quei dubbi che tanto la preoccupavano ponessero la sua salute in secondo piano; una cosa che ben aveva imparato di lei era che il suo essere altruista le si ritorceva addosso quando, preoccupata per gli altri, finiva inevitabilmente per il trascurarsi. Ace sospettava che dietro a tanta tenacia nel cercare di scoprire la natura di quel frutto ci fosse qualcos’altro, un brutto presentimento come lei lo avrebbe definito: temeva seriamente che volesse combattere da sola un’altra volta ma quando l’aveva vista lì, assopita sul suo letto, si era sentito sollevato, perché lei era venuta a cercarlo. Era venuta a chiedergli aiuto e da quel momento non l’aveva lasciata mai sola, esclusi gli ultimi quaranta minuti. Però sapeva bene che i problemi non si potevano rimandare a lungo, ne tanto meno cancellarli e seppur Ace avesse desiderato poter togliere quel peso alla sua ragazza, incluso il suo passato, poteva soltanto limitarsi a sostenerla come lei faceva con lui quando non sapeva cosa fare o dove andare.

“Hai poi pensato a cosa fare del frutto del diavolo?”

La sentì muovere la testa di poco, immaginando che avesse aperto gli occhi e tornando dunque alla realtà che ogni tanto appariva troppo brutta e spoglia a dispetto di quella immaginaria e piena di luci che si veniva a creare nella propria mente.

“Lo lascerò qui” rispose lei infine “Lo metterò in un baule e lo seppellirò in una zona sicura, ma prima voglio sapere di che cosa si tratta: ho chiesto a Teach di mostrarmi il suo materiale questa sera. Non voglio che altri lo trovino”

Gli aveva raccontato ogni cosa, facendo attenzione a non dimenticare parti importanti e a non incespicare con le parole. Aveva parlato di fantasmi, voci, sensazioni ed emozioni che in quel labirinto di pietra sotterraneo si erano mischiate sino a diventare irriconoscibili e a come quel frutto le fosse capitato fra le mani senza che lei lo chiedesse. Era un’assurdità dopo l’altra, un ingarbugliamento di illogicità, ma Ace non aveva avuto bisogno di accertamenti o prove che confermassero la veridicità delle parole di lei perché gli era bastato osservarla per tutto il tempo per credere a quanto sentito. Sayuri non era capace di mentire, non raccontava bugie e il semplice fatto che non volesse che altri venissero a contatto con quel frutto, era un ulteriore prova delle sue incertezze riguardanti esso.

“Pensi che sia una cattiva idea?” gli domandò la ragazza alzando la testa e guardandolo.
“Se ti farà star meglio, non ho nulla da obbiettare” rispose lui “Ho obbiezioni invece..” e intrecciò le sue braccia attorno all’esile vita della castana ”Sul fatto che io non sia stato ringraziato a dovere per aver salvato la vita a qualcuno” concluse sfoggiando il suo bel sorriso da canaglia.
Sayuri rise dolcemente mentre le guance le si imporporavano per la troppa vicinanza “Da quel che mi stai dicendo vorresti un premio, giusto Ace?”
“Si, si, lo voglio” rispose azzerando completamente la distanza rimasta fra i loro visi.

E si prese il bacio tanto meritato, avvicinando ancor più a sé la ragazza, fino a far risalire le sue mani lungo la schiena. Per quante volte potessero ripetere la stessa azione Ace percepiva quell’anormale ondata di candida calma che sempre lo investiva come un che di nuovo, imprevedibile ma deliziosamente dolce. Riuscì a sentire com’era Sayuri, che cosa rappresentasse, come fosse capace a infondergli quel senso di pace che governava unicamente lei; dentro di sé tutte quelle sensazioni si moltiplicavano e infine scoppiavano in ogni angolo, senza lasciare traccia. Poteva anche stare a bearsi del suo sorriso o a stuzzicarla per farla arrossire - cosa che lo divertiva sempre - ma tutto questo, ogni particolare che la riguardava incideva sul suo autocontrollo sempre più sottile e facile da spezzare. Autocontrollo che volontariamente stava scavalcando per approfondire una delle più semplici manifestazioni d’amore.

“Ace? Cosa c’è?” mormorò la ragazza.

Staccatisi appena, gli occhi color pece del ragazzo fissavano quelli di lei, chiari e abbelliti da quel rossore che le dipingeva il volto; la osservava e gli appariva smarrita ma allo stesso tempo, conscia di quel qualcosa che aveva reso il loro bacio più profondo. Poteva osare e sentirla più vicina di quanto non fosse ora? se era quel che anche lei desiderava non avrebbe avuto più motivo di rimandare ma in caso contrario, avrebbe pazientato ancora anche se ormai molte parti di sè stavano coalizzandosi contro la sua volontà per fargli dire o fare cose da lui soltanto pensate.

“Ace?”

La voce era cristallina, limpida come l’acqua al chiaro di luna. Un suono innocente,gentile ma che poteva mutare e trasformarsi in un comando fermo e privo di rabbia o odio. Lo sentì accarezzargli nuovamente quella zona profonda che ormai pulsava dentro di lui esattamente come il cuore e fece di tutto per poterlo percepire nuovamente: era flebile ma delicato, come un sospiro tiepido ora tramutato in quella mano che era poggiata sulla propria spalla, senza esercitare alcun tipo di pressione. Un contatto troppo delicato e fine per una pelle come la sua, abituata ad essere un tutt’uno col fuoco divoratore. Eppure non lo respingeva, si rifiutava di farlo. Se per un certo periodo della vita si era convinto di poter beneficiare di un illusione dove non ci fosse nulla per cui sentirsi vili, ora pretendeva di afferrare quel vedeva perfettamente, senza dover far attenzione a chissà quale avvertimento. Le sue dita toccavano quel corpo dandogli conferma che fosse reale, le mani di quella ragazza facevano altrettanto per rafforzarne la certezza e i suoi occhi confermavano che quanto stava accadendo, sia esternamente che internamente, non era frutto di una illusione creata dal suo subconscio per soddisfarlo. Lei era reale così come lo era lui.

“Ace? Va tutto bene?”

La desiderò. Non se lo nascose o provò a riformulare il pensiero: pensò solo di non poterne più fare a meno. L’egoismo si era trasformato in ossessione, era stato sufficiente un piccolo passo perché questo degenerasse. La conosceva in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue qualità e debolezze, non c’era bisogno che scandagliasse più a fondo per verificare se avesse tralasciato qualcosa. Non era il suo io che stava osservando con gli occhi che salivano dal basso all’alto ma qualcosa di molto più scorgibile all’occhio umano e che era anche considerato fonte di attrazione...

“Ace? Che cosa c’è che non va?” gli domandò nuovamente lei con velatura preoccupata.

Non le rispondeva da troppo tempo. Se ne stava fermo a guardarla con quanta più indecifrabilità ci fosse solitamente nel suo volto, senza sbattere le palpebre o lasciando che i suoi respiri emettessero il benché minimo suono.

Provò ancora a chiamarlo ma il sentire una delle mani del ragazzo salire ancor di più lungo alla sua schiena, insinuarsi fra i suoi capelli, fino a fermarsi dietro al suo collo per poi spingerla ancora di qualche centimetro in avanti, la fece zittire. L’intenzione di muovere le mani morì insieme al tempo, scacciato ad ampie falciate da loro.

Appena dallo sfiorarsi con le labbra, Ace poggiò la propria fronte contro la sua e si decise a parlare.

“Non mi basta” le mormorò roccamente.

Immaginò di averlo pensato e che la sua bocca si fosse mossa per sbadigliare ma non era così e lo capì nel vedere la ragazza arrossire vistosamente, tanto da riempirle gli occhi di molteplici luci. Le aveva appena detto di volerla in tutti i sensi e il rendersene conto lo riportò in superficie così velocemente da fargli slargare gli occhi in tutta la loro ampiezza. Si era liberato da quella bolla dentro cui si era immerso a tal punto da lasciarsi assuefare ma ora che questa era esplosa, non provò alcun genere di rimpianto, peccato solo che l’averlo detto in quel modo aveva posto Sayuri in una situazione alquanto bislacca; l’aveva recepito così bene che aveva abbassato la testa con un  pugno appoggiato lateralmente alle labbra e con l’altro braccio ritto appoggiato sulle gambe. Il rossore era così evidente che poteva essere quasi paragonato alla luce del sole, con la sola differenza che questa era colorata di rosso. Se l’era detto, non provava alcun rimpianto anzi, gli era tremendamente piaciuto poterla avere così vicina come fosse in suo potere ma...lei rimaneva sempre Sayuri, la sua Sayuri. E benché adorasse vederla arrossire, il piccolo lato razionale deposto nell’angolino della sua mente, gli stava dicendo di aver esagerato.

“Scusami” le disse seriamente, ponendo le mani sulle sue spalle e distanziandosi di qualche centimetro “Non volevo chiedertelo così”

Inspiegabilmente lei scosse la testa senza mai alzarla o proferire parola. Pugno di Fuoco le potè vedere soltanto la parte bassa del viso, per via dei capelli.

“Sayuri, sul serio non ti volevo spaventare..” continuò mentre mentalmente si ripeteva quanto fosse idiota.
“N...Non è per questo” parlò lei nel prendere fiato ”Il fatto è che...” e alzò la testa scoprendo il viso esageratamente imporporato “Quello che mi preoccupa e che Maya e Akiko non mi lasceranno uscire dalla stanza fino a quando non avrò risposto a tutte le loro domande” mormorò con un filo di voce.

In quei pochi secondi Ace si era preparato a ricevere tutte le risposte più plausibili a cui la ragazza potesse appoggiarsi, ma quella nemmeno l’aveva presa in considerazione. Finiva sempre per non indovinare quel che gli altri si apprestavano a dirgli, questo almeno succedeva con il capitano e con lei. Forse si stava sbagliando, forse aveva semplicemente sentito male e una parte di lui gli stava dicendo che era così ma in stragrande maggioranza una vocina gli stava dicendo, anzi gli stava urlando che Sayuri, anche lei indirettamente, gli aveva detto di si, nonostante non riuscisse a guardarlo in faccia per poco più di tre secondi. La cosa assurda era che temeva il successivo interrogatorio a cui che quelle guardie carcerarie travestite da infermiere che poi erano le sue amiche, l’avrebbero sottoposta e di questo Ace scoppiò a ridere allegramente perché ancora una volta gli era stata data un ulteriore prova del perché si fosse innamorato perdutamente di una persona come lei.

“Non c’è che dire, sei incredibile! Ah ah ah!”

L’abbracciò nascondendole il viso nel torace, scorgendo con l’immaginazione quel lieve cenno di sorriso che si stava facendo realmente strada sul volto della ragazza. Quando si parlava di lei le sorprese erano all’ordine del giorno ma al moro andava bene così perché fintanto che era lui a scoprire quei particolari ritagli della sua personalità, non vedeva ragione per cui smettere di stare con quella ragazza tanto  dolce. Non ci teneva che fosse qualcun altro, men che meno uno sconosciuto a conoscere Sayuri come la conosceva lui.
Gli amici erano uno conto perché c’era quel rapporto di fiducia e collaborazione che li teneva uniti, senza contare che stravedevano per Yu-chan come fosse una sorella ma se invece le persone erano come quel Dimitri i fatti cambiavano, e di molto: poteva star lì a rimuginare su come quel bastardo si fosse permesso di avvicinare la ragazza e di considerarla come un premio da conquistare ma perché soffermarsi a rimuginare su qualcosa che oramai non poteva più considerarsi una minaccia invece di godere della vicinanza della castana?

Si staccò appena per afferrarle delicatamente con l’indice il mento e alzarglielo.

“Dovresti vederti, sei veramente buffa” le carezzò la guancia coperta dal cerotto “Comunque, seriamente..” e tornò a guardarla senza alcuna traccia di comicità nei occhi “Non sei obbligata a dirmi di si solo per farmi contento, ok? Se non vuoi...”

Ci teneva veramente a fare le cose per bene ma ogni suo dubbio o tentennamento riguardante l’argomento si eclissò quando sentì le proprie guance lentigginose venire toccate dalle dita della ragazza.

Va bene, gli diceva lei con lo sguardo. Niente di più.

Il sorriso che ricevette, valse più che a sufficienza, perché quel particolare tocco per lei era un modo semplice per dirgli che non c’era nulla di cui preoccuparsi, una sorta di tacita risposta che rilasciava tutto il candore che deteneva e Ace la colse perché non attendeva altro.

“Ace, che cos..?” la ragazza si sentì scostare lateralmente, di modo tale che una parte del suo collo fosse appena scoperta.
“Lasciami fare” la rassicurò.

Chinatosi quanto serviva, il moro le accarezzò la pelle con le proprie labbra, lasciandole un segno sul collo, una piccola scottatura nascondibile coi capelli ma impresso con temperatura poco più alta del normale affinchè rimanesse lì fino a nuovo ordine. Per quanto minuscolo, Sayuri potè comunque percepire il calore di una piccola fiammella imprigionata sotto quella specifica zona del collo; era piccolo, poco più di un centimetro ma carico di quel che bastava per farle liquefare gli occhi e chiuderli nel pieno di un annebbiamento su un punto qualsiasi del cielo, mentre brividi mai provati la elettrificarono e il corpo le si scioglieva fino a disperdersi in mare aperto. Non l’aveva mai sfiorata o toccata in quella maniera, non così passionalmente eppure la fiducia che deponeva in lui, quell’affetto smisurato, la aiutò a stare ferma, a non temere le sue azioni mentre lui continuava ad avvolgerla in quella spirale dove le fiamme danzavano sensualmente libere. Ancora una volta si sentiva esattamente come in un labirinto: persa, senza il benché minimo senso dell’orientamento ma la novità stava che la sua vita fosse legata da un spesso filo rosso che ogni tanto la tirava pian piano verso la direzione che voleva lui e lei, obbediente, lo seguiva senza mai guardarsi indietro.

A ogni passo le infondeva un che di speranza, sicurezza, abbastanza da renderla più sicura sull’imminente uscita ma nella realtà quella porta o uscita che fosse, era il poter stare con Ace sotto ogni aspetto. Amare una persona e rimanerle vicino ogni giorno, rischiando la vita senza sapere cosa poteva riservare il futuro era una sfida che aveva accettato sin da quando aveva compreso cosa significasse provare quel qualcosa in più per quella persona, per quel fuoco tanto vivo quanto grande. Sarebbe stato difficile ma non impossibile ed entrambi erano disposti a non gettare la spugna visto che a modo loro erano testardi alla stessa maniera.

 


Mi nasconde qualcosa. Ne sono certissima!

Akiko non faceva che borbottare mentalmente da quando era tornata sulla nave insieme a Sayuri e Ace: puliva i bisturi più e più volte ma l’occhio color ametista cadeva sempre sulla compagna di stanza, concentrata a studiare le mappe e a rifinire le ultime che le mancavano. Cercava di coglierle un sospiro, un che di vagante negli occhi ma alla fine girava sempre la testolina con viso sempre più imbronciato e sfregava il panno bianco con più foga sul metallo già lustrato. Corrucciare le labbra e il naso l’accompagnava a rimuginare su cosa la castana stesse pensando perché DOVEVA essere successo qualcosa tra lei e Ace. Doveva per forza!

Non aveva prove concrete, ne aveva visto nulla – sfortunatamente - ma in lei era sorta quella convinzione che seppur senza basi, reggeva alla perfezione. Che anche lei stesse cominciando a sviluppare il famoso intuito femminile di cui le parlava sempre Maya?

Posò lo straccio e gli strumenti sul tavolo per incrociare le braccia e sbuffò appena, sollevando una ciocca colorata sulla fronte. Trattenere l’aria e gonfiare le guance come una ranocchia avrebbe rischiato di fargliele scoppiare tanto era curiosa. Doveva pensare: se si trattava di Ace come sicuramente lei già credeva, sarebbe bastato andare lì e farle il terzo grado fino a farla confessare. Yu-chan andava sempre in panico quando si intavolavano conversazioni sopra i diciotto anni ma era anche vero che lei ne aveva sedici e che per riuscire a metterla con le spalle al muro come minimo, la capo infermiera doveva essere presente per fare pressione anche solo con la sua presenza.

No, No, No! E scosse la testa vigorosamente Se Maya può farlo alla posso riuscirci anche io!

Era tutta questione di sicurezza.
Se formulava le giuste domande, con il giusto tono e anche la giusta espressione, sicuramente Yu-chan sarebbe crollata subitissimo. Certo, però...era giusto impicciarsi? Si stava parlando pur sempre della sua sorellona che le offriva una schiena riparatrice dalle ire di una Maya a volte troppo lunatica e che la faceva dormire con lei quando non riusciva a prendere sonno....

E invece si che è giusto!  Scattò in piedi spostando indietro la sedia Se non mi faccio avanti io, finisce che non mi racconterà niente e che dovrò aspettare chissà quanto prima di conoscere i fatti!

Il giorno dopo la seconda flotta, come molte altre, sarebbe partita e lei non aveva idea di quando sarebbe tornata. Ciò la rattristava perché già sapeva che le sarebbe mancata tantissimo e questo poneva di per sé una lunga attesa senza precisa data di ritorno. In camera c’erano soltanto loro due, quindi non poteva farsi sfuggire l’occasione anche perché se avesse continuato a chiedersi il come e il perché, il suo povero cervello si sarebbe fuso.

Decisa oltre il 100%, si girò di 180 gradi e calcandosi il cappellino rosa in testa, compì i sette passi che la separavano dalla compagna che ancora lavorava immersa nel suo stato di assoluta concentrazione.

“Insomma Yu-chan, sei cattiva!” sbottò indispettita una volta di fianco a lei.

Richiamata, la più grande alzò leggermente il capo in tutta tranquillità, fino a incrociare il visino imbronciato della corvina.

“Qualcosa non va Akiko?” le domandò sorridendole.
“Non fare finta di niente!” e le puntò contro il dito “Lo so che tu e Ace approfitterete del fatto che sarete lontani per fare le cosacce, quindi non tentare di deviare l’argomento e parla!”

Invece di arrossire come aveva predetto, Sayuri sorrise ancora e alzò le spalle. Un gesto che spiazzò la piccola.

“Mi dispiace deluderti, ma al momento non ho nulla da raccontarti”

Un lampo vittorioso illuminò gli occhi dell’infermierina. Non aveva detto di non aver nulla da raccontare ma che al momento non c’era nulla per cui loro due dovessero parlare!

“Allora qualcosa c’è!” esclamò.
“Eh eh, può darsi” le rivelò lei.

Akiko dentro di sé gioì ancor di più,immaginando di potersi dare tante pacche sulla spalla. Gonfia di soddisfazione roteò su sé stessa fino ad esaurire la carica d’allegria che l’animava e proseguì, convinta di poter scucire all’amica quanto voleva.

“Non ci credo, non ci credo, non ci credo!!!” ripetè mentre terminava di volteggiare “Yu-chan, prometto di non dire nulla a Maya” giurò abbassando la voce “Ma dimmi, davvero tu e Ace farete le cosacce?” le domandò stringendo le mani a mò di preghiera.

Le sembrava così inverosimile, così assurdo di essere riuscita a farla parlare al primo colpo. C’era molto di cui essere fieri! Lei, che era sempre così timida sulle faccende personali, adesso le stava per rivelare.....

“Uh? Ma Akiko, io non ho mai detto questo”

....Un bel niente.

Immediatamente la poverina cadde con le gambe all’aria per la bastonata che quelle poche parole le avevano inferto, rompendo in un solo colpo il vetro della vittoria che fungeva da teca alle sue illusioni future da lei costruite in fretta e furia.

“Come sarebbe a dire che non intendevi quello?!?” esplose tornando in piedi “L’hai detto tu stessa che avevi qualcosa da raccontare!”
“Perdonami, ma io non ho detto di aver qualcosa di cui parlare: ho detto che al momento non avevo nulla da poter raccontare” la corresse sorridendo.
“Ma tu..!”
“Inoltre” aggiunse chiudendo il libro e posando la piuma d’oca “Io non ho mai toccato quell’argomento, non ho parlato di fatti sconci, men che meno ho menzionato Ace”
“Ma tu hai detto...che adesso non avevi nulla da dire, cioè credevo ti riferissi al fatto che non è successo..” balbettò confusa e coi capelli in aria.
“Oh, quello..scusami, forse mi sono spiegata male”sorrise ancora “Vedi, io mi stavo riferendo all’esperienza che farò in questa missione. Avrò modo di conoscere nuovi posti e persone e di approfondire la mia visuale sul nuovo mondo, per non parlare delle mie conoscenze nautiche. Sono sicura che quando tornerò avrò molto di cui parlarti ma forse prima mi sono spiegata male e tu devi avere frainteso, mi dispiace”

Il viso animato dall’isteria della povera piccola rimase perfettamente immutato per almeno altri quattro secondi prima di cominciare a cedere: le labbra di Akiko iniziarono a tremolare e a piegarsi all’ingiù, accompagnati dal mento, dalle guance e da tutti gli elementi che rientravano nella parte superiore del corpo, capelli compresi. Strizzò le labbra all’indentro per reprimere la voglia di gridare, limitandosi a una serie sconnessa di piccoli ringhi mentre il resto assumeva la stessa tonalità dei suoi occhi che cercava di assottigliare quanto bastava per assumere l’espressione più minacciosa che una sedicennne come lei potesse permettersi. Era sul punto di esplodere e Sayuri essendole davanti non potè non accorgersene.

“Akiko, non prendertela” le disse cercando di calmarla.
“Io non me la prendo!” strillò indignata, arricciando il musetto e incrociando le braccia contemporaneamente “Sei cattiva Yu-chan, sei veramente cattiva!” e le diede le spalle.

La più grande non potè che muovere debolmente la testa a destra e a sinistra lasciandosi sfuggire un risolino dolcemente divertito. Le dispiaceva comportarsi così ma sapeva che Akiko era sveglia e che sicuramente avrebbe approfittato del momento più propizio per estorcerle informazioni imbarazzanti. Ammirazione a parte per la determinazione dell’amica, questa non poteva competere con la sua imperscrutabilità, qualità che meglio si organizzava se Maya, la demolitrice di barriere emotive, non era nei paraggi. Lì sarebbe stata dura a nascondere il bel segno che Ace le aveva lasciato sul collo - anche se coperto dai lunghi capelli - e ancor di più, la miriade di sensazioni che l’avevano pervasa in quel momento quando la più piccola era dentro al negozio. Dubitava di poterlo nascondere davanti a Maya, lei era capace di captare il benché minimo cambiamento ancora prima che si trovasse completamente dentro una stanza. Quando quelle due erano unite potevano farle dire di tutto ma se Akiko era sola, la faccenda andava a suo favore, tuttavia il vedere la piccola infermiera dalle ciocche colorate tenerle il muso non fece che intenerire ancora di più il suo cuore e conoscendo la persona in questione, non sarebbe stata capace di mantenere un arrabbiatura del genere così a lungo.

“Akiko” la chiamò come fosse una mamma.

Pochi secondi di attesa e se la ritrovò inginocchiata a terra, con le braccia incrociate sulle sue gambe e la testolina posta nel mezzo di esse.

“Non è giusto” pigolò accucciando meglio il capo “Tanto lo so che farete qualcosa”
“Anche se facessi qualcosa non pensi che questo dovrebbe rimanere fra me e Ace?” le domandò carezzandole i capelli.

La piccola mugugnò qualcosa di incomprensibile, per poi mostrare il viso non più tanto imbronciato. Con il suo tentato interrogatorio aveva ottenuto l’effetto contrario di quanto desiderato e in una situazione normale, chiunque avrebbe avuto modo di lamentarsi o quanto meno criticare la sua infantilità e la arroganza nel spiattellare accuse infondate e puramente avvertite dal proprio istinto ma per sua fortuna,Sayuri non era chiunque. Lei era buona e il fatto che le stesse regalando i sorrisi che tanto le piacevano solo per sollevarle l’umore, era più che sufficiente a sollecitare il suo subconscio a prendere atto delle proprie azioni e dunque di chiederle scusa per l’esagerata scenata.
A ben riflettere, era proprio come le aveva detto lei: argomenti come quelli era preferibile condividerli solamente con l’altra persona coinvolta, anche se nulla vietava alle amiche di dire la propria opinione o ancor meglio, di cercare di far indossare un completo intimo di pizzo bianco coi nastri azzurri ma forse era meglio che quell’ultima parte rimanesse nelle remote profondità della sua mente prima che la sua superiora le infliggesse la giusta punizione per aver fatto la spia, visto che era un progetto top-secret.

Si, si, meglio tacere altrimenti Maya mi spella viva!

Il sol pensiero la rese pesante come un macigno e in cerca di sollievo circondò la vita della castana, issandosi più su.

“Sei ancora arrabbiata con me?” le domandò alzando la testa.
“Non lo sono mai stata” le rispose.
“Scusami Yu-chan, non lo faccio più”
“Eh eh, non c’è bisogno che tu ti scusi, non è successo nulla di grave” la rassicurò.

Scostandola senza farle male, si alzò in piedi gettando una fugace occhiata fuori dall’oblò: era quasi il tramonto e dell’azzurro appartenente al mattino oramai non vi era più alcuna traccia.

“Yu-chan? Devi andare da Teach?” le domandò l’amica tornando a sedere al suo posto.
“Esatto” avvicinatasi al baule, si inginocchiò e lo aprì per riporvi dentro il libro consultato “Voglio...”

Fu come se il tempo si fosse fermato tanto si era pietrificata. La mano che reggeva la parte superiore del suo mobilio era serrata intorno al ferro opaco che ne rifiniva i bordi mentre l’altra era rimasta sospesa nel vuoto, con il libro ben saldo fra le dita.Sayuri era ferma, immobile, così come gli occhi che solo pochi attimi prima si agitavano frettolosi come un criminale che aveva appena commesso un omicidio involontario. Guardava il contenuto del suo baule e le mancavano le parole nonostante il pensiero fosse di una semplicità mostruosa da formulare. Il suo silenzio attirò ancora una volta l’attenzione della compagna che nel notare il suo irrigidimento saltò giù dalla sedia e le si avvicinò,ma senza toccarla.

“Yu-chan, che c’è?”

Lei continuò a guardare la cassa ma finalmente le mani, insieme alle braccia e quanto era rimasto fermo come colpito da un fulmine, ripresero a muoversi e frugarono nel baule senza alcun risultato. Divise il materiale contenuto,frugò nei angoli, prendendo e togliendo gli oggetti più fragili fra cui il libro di preso ad Otako che alla fin fine non le era stato d’aiuto. Brevi accenni di spedizioni archeologiche malriuscite ma nulla su cui rimuginare logicamente. Il rovistare continuò ancora per qualche secondo, dopodiché finì e lei tolse le mani per rimanere seduta a terra lievemente smarrita, con un lenzuolo bianco fra le dita affusolate.

“Non c’è più...” mormorò allibita lei.
“Cosa non c’è più?” Akiko non capiva di cosa stesse parlando.
“Il frutto del diavolo..” le disse allarmata “Non c’è più. E’ sparito”



 

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Capitolo 47
*** Dark blood. ***


Buonsera,sono arrivata!dunque,sarà un capitolo duro e lungo(per questo ho dovuto rimpicciolire la calligrafia ma i miei calcoli sulla lunghezza del capitolo sono leggermente sforati),non volevo tagliarlo ne per far suspance o rimandare,l’ho scritto interamente con questa intenzione.Spero possa piacere,a livello letterale si intende,ma non voglio anticipare niente perché bene o male penso che tutti abbiate capito cosa sta per succedere.Da qui si darà il via una periodo nero,un periodo che durerà più di uno o due capitoli e con questo ho già detto molto.Bene,cominciamo.

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neff:una seconda storia scritta da Oda?non esageriamo(sta gongolando come una matta).Allora,primissima cosa,benvenuta e grazie per l’aver trovato fino adesso la mia fict meritevole del tuo interesse,mi fa un estremo piacere!Ace poi è un personaggio che non ha bisogno di essere presentato o roba simile(se non l’avessi capito,sono una sua fan sfegatata,nonostante il destino che Oda sensei ha scelto per lui,sigh!).Ora,se leggerai questo capitolo,non farò spoiler di nessun genere perché finirei col rovinare tutto.Se troverai degli errori,sii comprensibile;torno tardi a casa quasi tutti i giorni e ho poco tempo per ricontrollare,correggere i capitoli,quindi chiedo sin da ora scusa!ancora grazie cara,spero di sentirti presto!

angela90:carissima!basta che qualcuno faccia un passo falso su Yu-chan e subito Ace scatta.E il provolone francesino l’abbiamo sistemato,ora non darà più fastidio.Ormai si sa che non c’è storia che regga quando c’è di mezzo la principessa.Akiko è un piccolo amorino che si vorrebbe abbracciare sempre,è fatta apposta per essere così piccola,carina e tanto curiosona su Yu-chan,ma tenerissima,i momenti in cui la faccio saltar fuori cerco di rendere pucciosa fino l’inverosimile!il completino come ho detto è un progetto top secret ma più che una morte istantanea,lei preferisce mettersi nell’angolo,rossissima in faccia e coi occhi piccoli mentre le due infermiere avanzano,però ora non è il momento di pensare a queste cose (anche se lo si vorrebbe!).Mi tocca dare il via alla parte sad e questa durerà un po’…

13este:ehilà,ciao cara,tutto bene?sono contenta che i capitoli ti siano piaciuti e qui spero di saziare la tua curiosità(beh,penso che una ventina di pagine di word bastino).Il tempo è quello che è per via dei molteplici impegni con l’università ma se mi organizzo,posso sempre postare alla sera,quindi il ritardo è solo di qualche ora.Poi,al massimo faccio il possibile per postare il giorno dopo!

MBCharcoal:la mia Marta-chan,eccola qui!(ennesimo stritolamento)vedo che aprrezzi sempre di più i miei scleri.Eh,che posso dirti…è roba mia ma poi ognuno ha i suoi mezzi per ispirarsi e anche tu li conosci bene cara.La frase alla Belle è stato un inserimento dell’ultimo minuti,per farle dire qualcosa con cui potersi difendere(poverina anche lei,fa il suo lavoro..).Ti avevo detto che mettevo una cosina speciale qui dentro e da come ti sono sbrilluccicati gli occhi direi che ha gradito:Yu-chan si preoccupa perché le due amiche la torchieranno senza sosta e si,forse visto com’è lei ti aspettavi che magari schiattasse sul muretto(no,si imbarazza molto però direi che resistere e all’impulso) ma almeno così gli ha detto di si(squillano le trombe) e la scottatura..ih ih,piccolo anticipo molto gradito.Ora..non dico niente.Sai quel che so quindi ti lascio leggere così poi potrai scannarmi.buona lettura.

happylight:tesoro,ti piaciuto tanto il capitolo!in mille e più modi,si riesce sempre a far dire o pensare quello che Yu-chan prova per Ace(i miei deliri qui funzionano che è una meraviglia,poi al massimo vado di concentrazione e canzoni romantiche).Per Akiko basta immaginarsi un bimba curiosa e coi grandi occhioni ametista poi la mentalità viene da sé!(le gambe all’aria sono un’idea tratta da dragon ball sono cresciuta con quello).Sei libera di armarti come meglio preferisci,ormai chiunque ha il libero consenso di decidere come far crepare il mangiatorte a tradimento.Ci vorrà un po’ perché il pacco è grosso e resistente ma si sa,alla fine tutti cedono.

Sachi Mitsuki:la mia piccola Sachi!non scusarti,i compiti sono compiti anche se io non ne faccio più un problema avendo finito il liceo.Posso augurarti di tener duro e che la mia fitc possa aiutarti a staccare la spina per quei due minuti quando serve!

Chibi Hunter:ciao,Chibi!un piccolo passo avanti verso la meta sempre più vicina (eh si,c’era bisogno che mettessi qualcosa che facesse spalancare gli occhi).Non è chissà cosa però è un inizio.Akiko è una bambina,in tutti i sensi.Quando si mette in testa una cosa non la ferma nessuno e gonfia le guance fino a scoppiare.Sul frutto non dico nulla:il capitolo dice tutto quel che vuoi sapere,quindi non proferisco o faccio spoiler inutili.

TopazSunset:ciao tesorino,sei qui!!mi metti nei preferiti?sono addirittura un piccolo genio del male?troppo gentile.Hai udito il coro dell’alleluia?da tanto aspettavi un momento simile?beh,effettivamente non è che lo facessero di nascosto o nello sgabuzzino delle scope,anzi non lo facevano proprio ma ho voluto così per motivi miei.Siamo arrivate al dunque:cosa ci sarà?chi lo sa..non posso rispondere alla tua disperazione perché quel che vuoi sapere è qui.Grazie ancora per la tua fict ma come hai detto tu,ormai non è più fattibile e poi anche così la tua storia è bellissima,quindi diamoci da fare.

maya90:amore!!!!l’immagine poetica ha sortito l’effetto sperato e mi fa tanto piacere che tu abbia gradito il momento e una frase in particolare,mi fa capire quanto io sia riuscita nel mio lavoro ed è una bella cosa per me!la bambolina ha un suo modo di fare le cose,per questo è così pucciosa e adorabile,manca solo che sia in versione peluche ma anche così penso che vada più che bene.E adesso,adesso….si comincia.Ultimamente non so che dire nelle recensioni e qui in particolare,quindi scusa se è cortina ma cerco di non anticipare nulla che non si possa trovare qui.

tre88:olà!è bello vedere Ace così protettivo,vero?a chi non piacerebbe averlo vicino…(sospira persa nei suoi pensieri).Akiko  fa le tragedie per un tagliettino ma è tanto cara che non la si può non amare.Ora bisogna vedere chi ha rubato il frutto,no?ok,qui troverai tutto quello che cerchi.
 
 


Era quasi fatta.
Ancora una manciata di minuti e finalmente il suo lungo cercare avrebbe tagliato il traguardo che fino a quel momento era apparso inavvicinabile, addirittura incerto. Marshall D.Teach era ansioso come se stesse per andare in guerra, ma, esternamente, era perfettamente controllato, tranquillo, esattamente come tutti i giorni trascorsi su quella gigantesca nave dalla ridicola polena a forma di balena.
Fremeva di un'eccitazione paragonabile al piacere di tagliuzzare miriadi di gole tremolanti e di far uscire così tanto sangue da rendere i muscoli deboli, molli e bianchi; a fatica riusciva a non mordersi il labbro superiore per trattenere i morsi del suo istinto di pirata, ma doveva pazientare, si ripeteva, doveva pazientare soltanto altri pochissimi minuti. Alla fine, era andato tutto come aveva previsto e se non fosse stato un adulto, sarebbe anche scoppiato a piangere per la gioia: la dolce Yu-chan era venuta a chiedergli consiglio e, senza nemmeno architettare chissà quale assurdo e complesso stratagemma, ora si stava recando all’appuntamento che insieme avevano fissato, accompagnato da un tramonto rosso come il sangue, che giocava a filtrare tra alcune canne di bambù che costeggiavano il sentiero, insieme all’alta vegetazione presente. Il luogo scelto era poco distante dalla nave, ma sufficientemente coperto, quindi nessuno li avrebbe visti e, in quanto alle urla.....beh, quelle non sarebbero state un problema.

Acquietare le acque era stata la scelta più saggia, vista l’incertezza della ragazza: in tutta sincerità, quando le aveva rivolto la parola, quella volta in corridoio, si era sentito inspiegabilmente scoperto, come se gli occhi di lei avessero intravisto le sue reali intenzioni, come se fosse riuscita a toccare quel qualcosa in lui a tal punto da farlo indietreggiare e dunque prendere nuovamente le distanze. Non aveva mai provato nulla del genere, nulla di così..anomalo e dannatamente angoscioso. Yu-chan, in quel momento, al di fuori della sua intelligenza, al di fuori di quello che lei era e che conosceva, sarebbe stata in grado di vedere oltre a tutto ciò che poteva toccare con le mani, odorare col naso e sentire con l’udito. Per quanto ci avesse riflettuto nella stiva, anche il solo simulare mentalmente quella sensazione non gli era piaciuto affatto; era giunto alla conclusione che, per il suo bene, era meglio che la bambina dei gigli sparisse, anche se la cosa un po’ gli dispiaceva, dato che con lui si era sempre mostrata molto disponibile per una chiacchierata. Come si era ripetuto più volte, annuendo con quel suo capoccione ristretto, una morte rapida e indolore era quanto ciò poteva offrirle come segno di gratitudine.

E non c’è nulla di più azzeccato di questo tramonto rosso per dire addio a un’amica.

La luce scarlatta che creava ombre nere e arancioni fra la vegetazione, investiva la terra di un rosso così luminoso e scuro, che il corpo esanime della castana sarebbe apparso completamente intriso di sangue, quando invece, la sola cosa che l’avrebbe potuta identificare come morta, sarebbe stato il pugnale conficcatole nel petto in tutta la sua lunghezza.
Per essere sicuri avrebbe potuto legare il cadavere ad un masso e lasciarla sprofondare nelle acque salate dell’oceano, ma in fin dei conti, tutte le accuse sarebbe ricadute su di lui, vista l’improvvisa sparizione, quindi perché darsi pena per nascondere un corpo?

Van Auge lo attendeva e lui si era premurato di organizzare il tutto con la massima scrupolosità: incontrarlo aveva fatto di lui il primo membro del suo nuovo equipaggio, anche se la garanzia non era del tutto certa. Eppure quel cecchino gli era parso d’accordo sul suo progetto, quel poco menzionatogli - anche se non si era sbracciato in emozioni esagerate - e non aveva obbiettato, anzi, si era fatto avanti lui per essere il primo, particolarmente incuriosito. In un qualche modo contorto, le loro opinioni espresse diversamente si ricongiungevano come linee incidenti, ma quello non era ne il momento, ne il luogo per riflettere su che persona avesse reclutato: di tempo ne avrebbe avuto in futuro, ora, l’importante, era sbrigarsi. Aveva recuperato tutti i suoi pochi effetti personali, compreso il grosso e ben affilato pugnale che avrebbe usato per spezzare il cuore alla giovane e che teneva nascosto nella fascia color ocra che gli legava la grassa vita. Poco importava se lei aveva anticipato il loro incontro, l’importante era che avesse il frutto. Al resto, ci avrebbe pensato di persona.

“Salve, Teach”

La piazzola era perfettamente rotonda, circondata da canne e alberi alti che mischiavano i caldi colori del tramonti con alcuni scuri e astratti come le ombre che si divertivano a giocare a contorcerci fra di loro. Si aspettava il silenzio o meglio ancora, la soave e innocente voce della fanciulla che doveva incontrare, ma in tutta sincerità, non si aspettava di udire un suono maschile al di fuori del suo. Tra quelle forme nere a cui mancava soltanto la parola, una figura umana fece capolino fra di esse e lo osservò guardarsi in giro fino a trovarlo. La mente e il corpo di Teach traballarono, perché quella voce non era di chi doveva essere, non era di chi credeva di trovare lì, e questo fece incrinare in lui quel qualcosa che si poteva definire malvagio.

“Satch, che sorpresa” disse coprendo il tutto con maestria “Stai facendo una passeggiata?”
“Uhm..” il biondo inclinò la testa prima a destra e poi a sinistra “Qualcosa del genere” boffocchiò poi, lisciandosi il pizzetto nero “No, a dire la verità, stavo aspettando proprio te” confessò con il solito sorriso sornione.
“Ah, si?”

E intanto dentro dì sé, imprecava contro l’amico in una maniera così assurda che se mai avesse avuto la possibilità di pronunciare quei impeti, la bocca gli sarebbe marcita per l’orrore. Il comandante della quarta flotta se ne stava seduto con braccia e gambe conserte su una roccia poco distante da lui e mentre rispondeva al suo sorriso, dentro di lui nasceva e cresceva la convinzione che l’uomo non si trovasse lì per caso visto che aveva pure affermato di stare aspettandolo.

“Vedi, c’è stato un cambio di programma” gli spiegò questo, saltando giù dalla roccia ma senza avvicinarsi “Ti ho chiamato io qui, perché volevo dirti che purtroppo la principessa non ce la faceva a venire. Non prendertela, era piuttosto stanca” fece.

Quel qualcosa si incrinò ancora di più ma lo dovette reprimere con maggiore forza: era eccitazione, un’impazienza che gli formicolava lungo le spalle, puntellandogli le mani a tal punto da volergliele far muovere involontariamente, ma ancora una volta, si trattenne e ingoiò quel perverso desiderio. Non ancora, si ripetè, non ancora.....

“Davvero? Peccato, vorrà dire che le mostrerò il materiale un’altra volta, zehahahaha!!” ridacchiò, soffocando il ringhio mentale “Grazie per avermi avvertito!”

Voltandosi verso la direzione da dov’era venuto, il viso gli divenne così impenetrabile che fu impossibile decifrare l’espressione che in quel momento glielo dipingeva. Se quella sensazione avuta con Sayuri poco tempo fa non gli era piaciuta, questa sicuramente non l’avrebbe digerita con tanta facilità. Qualunque cosa stesse facendo la principessa, le augurò che fosse il più dannatamente appagante, perché dopo lo smacco datogli, se la poteva anche sognare la morte rapida e indolore. Indubbiamente, era il suo istinto a parlare, per troppo tempo aveva dovuto metterlo a tacere o meglio, si era rifiutato di ascoltarlo per non doversi tradire, ma in quel preciso istante, l’essere come una carpa davanti ad un esca che continuava ad avvicinarsi e a fuggire divertita, girandogli intorno, cominciava seriamente a infastidirlo.

No, non è il caso di scaldarsi. Più si è pazienti e più il premio sarà grande. Si disse, annuendo sempre mentalmente.

Non c’era problema.
Fintanto che a Yu-chan occorreva il materiale che possedeva, il frutto sarebbe rimasto al suo posto e visto che, in quel caso, ad avere le redini del gioco era lui, la sola cosa da fare era aspettare. Doveva rimanere perfettamente liscio come la superficie dell’acqua, solo successivamente si sarebbe agitato quanto bastava perchè il mare si scatenasse come da tempo desiderava.
Ma come credeva nel destino, questo gli riservò un piccolo avvenimento che da lì a pochissimo lo avrebbe sollevato di ogni preoccupazione e da qualunque altra forma di attesa.

“Dì un po’, quel bel pugnale che nascondi nella fascia è forse un fermacarte per i tuoi appunti?”

I suoi piedi smisero di mettersi l’uno davanti all’altro. Non aveva che fatto pochi passi ed era ancora nella piazzola coperta da alberi, canne di bambù e con il cielo ormai sul punto di imbrunire del tutto. Il tramonto cremisi stava svanendo per essere sostituito da una notte nera, buia, priva di luce e si sapeva, che notti come quelle erano capaci di rapire chiunque senza che nessuno se ne accorgesse. Teach si ritrovò a girar la capoccia con tanta meccanicità che quasi lasciava intendere che il suo collo avesse bisogno di una lubrificata tanto era rigido. Con spavalderia, il comandante della quarta flotta puntò subito l’attenzione su quei piccoli occhietti tondi e rispose ancora una volta con quel suo immancabile sorrisino che tuttavia, per gli occhi di Barbanera, rappresentò un fastidio sempre più crescente.

“Satch, sono un pirata” gli disse “E’ un mio diritto portami dietro un arma” si difese girandosi completamente.
“Certo, ma solitamente, i pugnali tu li porti alla vita e non li indossi mai al di fuori di uno scontro, nemmeno per difenderti” fu la pronta replica dell’altro.

In lui qualcosa non andava. Apparentemente era il solito buon vecchio Satch, ma l’omone dalla bocca sdentata era sveglio e stava intuendo che il biondino pareva ben intento a portare la conversazione a livelli molto delicati, di cui sicuramente uno di loro due si sarebbe pentito amaramente. Di sfuggita, mirò al gomito che poggiava sul manico della spada appesa alla cintola di cuoio e comprese maggiormente e con più enfasi, che l’amico non si trovava lì unicamente per avvertirlo che il suo incontro con la principessa era rinviato, rinvio su cui cominciò a nutrire un forte sospetto, alimentato da quel che di malvagio sempre più insistente...

“Sai, è curioso” cominciò lui compiendo qualche passo in avanti “Siamo compagni da tanto tempo, ma è come se non ti conoscessi affatto, strano no?”
“Che c’è di strano? Siamo in tanti in famiglia e non si riesce a parlare e avere l’ugual rapporto con tutti”

Dove voleva andare a parare?

“E’ vero, ma si sa...in famiglia ci sia aiuta sempre. Quello che mi sorprende e che sia tu a voler aiutare” puntualizzò il biondo “Sei sulla Moby Dick da molto più tempo di me e c’è chi ti rispetta per la tua esperienza, ma, a parte questo, non so nient’altro di te. Ah, quasi dimenticavo la tua passione per le crostate con le ciliegie”

I fasci scarlatti e luminescenti non facevano che diventare sottili come fili davanti al continuo inspessimento del buio. Quel sentiero che poi non era altresì che la sola uscita da quella piazzola, si era come volatilizzato, distanziando quel minuscolo granello di terra dal resto dell’isola. La barriera del silenzio conteneva il rumore del vento, lo sfrusciare delle foglie che si solleticavano a vicenda e di tanto in tanto il gracidare di qualche corvo spettatore che tranquillamente attendeva il compiersi dell’evento. Il resto era vano, nullo, povero di significato e privo di fascino.

“Ma, d’altro canto, se in palio c’è un frutto del diavolo, chiunque vorrebbe fare del proprio meglio per accaparrarselo, visto che l’attuale proprietaria non è interessata ad appropriarsi dei suoi poteri” aggiunse Satch togliendo alla sua voce quella nota di allegria che lo contraddistingueva da molti.

Teach seppe di non poter più deviare l’argomento o far finta di nulla e comprese....oh, si, comprese perfettamente dove volesse arrivare e comprese ancor di più quella durezza che il biondo riservava alla feccia che si divertiva a giocare con la gente innocente. Ciò gli fornì la prova schiacciante di ogni sua supposizione. Ma perché interromperlo così bruscamente, se poteva quanto meno farsi due risate davanti ai suoi ragionamenti?

“E’ forse un delitto voler aiutare una propria compagna?” sghignazzò divertito.
“No” rispose l'altro “E’ solo che per un frutto del diavolo, una persona è pronta a tutto, anche ad approfittare in maniera pesante di un’amica” aggiunse con una fermezza d’acciaio.

Calcò quelle parole per fargli intendere che sapeva, ma Teach non fece che slargare quella sua bocca, mostrando la dentatura imperfetta e contorta in un sorriso ridacchiante, troppo perché lui non si impensierisse. La lama nascosta nella fascia stava diventando incandescente, vibrava come fosse viva, ma non abbastanza da superare la vogliosità di quelle sue mani - ben più ossute rispetto il torace - che si stavano animando d’ogni sorta di istinto dal quale speravano di ricavare un piacere così grande, un senso di appagamento così immenso, da non poter più smettere di agitarsi. Se le sentiva legate, le aveva sempre percepite in qualche modo trattenute a forza, ma con la comparsa del suo frutto, era come se la chiave tanto sognata e pregata fosse stata calciata ai suoi piedi e ora, non aspettava altro che essere usata per quell’unica volta. E intanto che quelle imposizioni si allentavano sempre di più, Satch avanzò di un altro paio di passi verso di lui, sempre più vicino ad attaccare e afferrare il nodo della questione, con le dita strette intorno all’elsa della sua spada.

“Teach” e pronunciò il suo nome con quanta più accusa potesse esprimere “Tu volevi uccidere Sayuri e rubarle il frutto”

Lo aveva notato, lo aveva sospettato anche se la cosa gli era risultata quasi inverosimile e il solo pronunciarlo senza alcuna traccia di esitazione, non fece altro che auto-convinverlo di quella verità chiara e profonda. Da quando erano tornati alla Moby Dick, il comportamento della principessa era sempre stato sulla difensiva, anche se magistralmente non lo faceva mai notare e mai lo avrebbe capito se non l’avesse vista parlare insieme a Teach: gli era sembrata così normale e disinvolta apparentemente ma il guardarla in quei rari momenti dove la sua guardia era a riposo, l’aveva visto scoprire il suo lato sconvolto, scombussolato, più mentalmente che fisicamente e anche un cieco avrebbe notato quel brusco cambiamento.
Si parlava pur sempre della principessa, non di una persona qualunque. Indubbiamente quel frutto esercitava un influsso che solo lei poteva recepire e comprendere, come per le molte altre cose che la riguardavano e questa semplice peculiarità di lei, lo poneva su un piano dove non poteva dire di poter capire perfettamente quel che lei cercava di ridurre drasticamente per evitare che questo la portasse a cadere nel panico o roba simile. E questo, tutta quella serie di dubbi a lui incomprensibili, l’aveva sempre portato a sospirare e a grattarsi la nuca più e più volte. Anche se poi si era mostrata ai fratelli, a papà e a Ace, serena come sempre, era certo che quel problema non se ne fosse andato completamente, ma che si trovasse lì, ad attendere nell’angolino, pronto a riemergere per essere affrontato con rinnovate forze. Non era un affare di cui si sarebbe dovuto immischiare anche se aveva partecipato al ritrovamento, ma i suoi sospetti, i suoi continui pensamenti l’avevano indotto a fare quel che più era giusto per lui. Per questo aveva deciso di agire di conseguenza, prendendo quell’unica e altrettanto incosciente iniziativa come sola possibilità per difendere l’amica...

“Questo frutto” precisò. Come per magia nella sua mano comparve quel tesoro considerato più prezioso dell’oro “A cui tu sei particolarmente interessato e che non è citato da nessun testo, ma sono pronto a scommettere che tu ne sai abbastanza per andare spontaneamente incontro alle conseguenze delle tue azioni”

Mentre quella grande bocca contornata da un’ispida barbetta nera si rimpiccioliva fino ad assumere un che di neutro, quella del biondo si inspessì visibilmente, rendendo i lineamenti del viso più marcati, freddi e duri come sbarre di ferro,che andarono a rafforzare la serietà su cui reggeva il discorso. Consapevolmente, mostrare l’oggetto del desiderio a una persona la cui reazione poteva essere inaspettata era tanto necessario quanto stupido, ma Satch non aveva avuto scelta: se voleva ottenere la verità ed evitare che dei compagni piangessero sul cadavere della sorella, non c’era pericolo che teneva. Ora come ora, quello che gli stava davanti e che lo superava in larghezza e altezza, gli pareva un estraneo, un nemico, e non aveva idea di chi realmente fosse perché altrimenti in lui si sarebbero rotte catene impregnate delle più caotiche emozioni umane, ma anche se fosse stato a conoscenza di cosa realmente fosse quello che un tempo poteva considerare amico, che fino a quel momento aveva considerato tale, non avrebbe perso nulla di quanto mostrava ora, neppure una goccia di sangue freddo.
Il leggero vento proveniente dalle loro spalle li accarezzò debolmente smuovendo i capelli, slargando le sue spire fra le canne di bambù e infiltrandosi fra gli spiragli delle cortecce per poi svanire senza che nessuno se ne preoccupasse.

E intanto che il tramonto scompariva, la notte scendeva giù, giù sempre più giù, fino a imporsi sullo specchio dell’oceano, rendendolo nero e imperscrutabile come gli occhi di quei due corvi che, appollaiati su un ramo morto, muovevano il beccuccio affilato a scatti senza mai distogliere la visuale dal basso.
Osservavano senza gracidare, ma, improvvisamente, lo sentire quella risata diversa da ogni altra udita, dalla tonalità così divertita, malsana e crudele, quei uccelli neri agitarono le loro ali spaventati e volarono via coi cuoricini in preda ad una agitazione che solitamente erano loro a suscitare ai topolini a cui davano la caccia. Marshall D.Teach rideva, rideva di gusto, tenendo aperte le braccia come per espandere quella sua risata che saliva sempre più in alto, fino a far diramare le nuvole ancora visibili. Cacciò indietro la testa fino a far rizzare quel suo naso tozzo e gobbo, come se le risate fossero troppo potenti perché la cima del suo corpo ne sopportasse il peso, ma poi smise; diminuì l’intensità e lasciò che quel capoccione riccioluto coperto da una bandana bordò ricadesse in avanti insieme alle braccia, abbandonate sui fianchi.

“Le ragazze a modo e gentili sono sempre state le mie preferite, zehahaha....” ridacchiò alzando lentamente il viso nella direzione del biondo “Ci sono già fin troppi idioti che non conoscono l’educazione e avere una come lei nella mia ciurma sarebbe stato gratificante sotto tutti gli aspetti, ma...” e qui scoprì due occhi veramente inquietanti “Dubito che mi avrebbe seguito di sua spontanea volontà e quindi, per ricambiare ugualmente la sua disponibilità e il suo aiuto, avevo deciso di ucciderla rapidamente, con questo” e sfilò dalla fascia il pugnale che risplendette di luce sinistra.
“Davvero magnanimo da parte tua” mormorò il comandante della quarta, afferrando con l’altra mano il fodero della sua spada per poi estrarre l’arma con rapidità ed eleganza “Sono curioso di vedere se avrai il coraggio di ripeterlo davanti a papà”
“Zehahahaha…” ridendo piano, Teach lanciò il pugnale a terra e prese ad avanzare verso il biondo “Non dovrò difendermi, se tu non gli riferirai nulla, caro il mio Satch”
 
 



Aveva un terribile peso al livello del petto. Un peso che non faceva altro che aumentare sin da quando aveva aperto il baule per prendere il frutto del diavolo, gesto che non era avvenuto perché esso era sparito misteriosamente. Insieme ad Akiko aveva ribaltato la stanza senza trovarlo e ora correva a perdifiato lungo il corridoio per arrivare sul ponte dove sperava che Maya, Don e tutti quelli che si erano offerti di aiutarla, avessero trovato qualcosa. L’agitazione per quel fatto inspiegabile si era diffusa così velocemente che ora tutti i suoi fratelli e suo padre si erano mobilitati per risolvere il tutto e trarne una spiegazione plausibile: un furto subito nella propria stanza era grave, specie perché l’oggetto in questione era un frutto del diavolo, ma ancora più inconcepibile, era il fatto che a compiere il crimine era stato un compagno.

Nessuno sano di mente si sarebbe infiltrato all’interno della Moby Dick per addentrarsi tanto in profondità senza un motivo valido, non con tutti i milleseicento uomini a bordo. E poi, c’era di dire che il ladro non aveva esitato: se fosse stato un estraneo, avrebbe ribaltato la stanza e invece quello aveva subito realizzato dove cercare. Al momento, quella era l’ipotesi più plausibile e seppur a malincuore, la ragazza stava cercando di tenere a mente i nomi dei non presenti. Non voleva sospettare dei suoi amici, di coloro che rientravano a far parte della sua famiglia, non le piaceva, ma nel risalire le scale e aprendo la porta che dava sull’esterno, senza pensare se dall’altra parte ci fosse qualcuno in procinto di entrare, sentì chiaramente il peso comprimerle la cassa toracica. Ad ampi passi e col fiato corto, raggiunse la capo infermiera, Marco e l’ex vice dei pirati di picche con occhi speranzosi, ma il cogliere la delusione nei loro, la fece sospirare appena prima di fermarsi davanti a loro.

“Io e le ragazze abbiamo controllato l’ambulatorio e le mense, ma è tutto in ordine” cominciò la donna intercettando gli occhi della castana.
“Noi ci siamo occupati degli alloggi” seguì Marco alludendo anche a Jozu, rimasto dentro “Non abbiamo trovato niente. Mi spiace, Sayuri”
“E dalle stive non sappiamo ancora nulla, stiamo cercando” concluse Don.
“Capisco...” mormorò lei “Vi ringrazio, siete veramente gentili ad aiutarmi”

Non poteva fare altro che sorridere come segno di riconoscimento anche se al momento la vena della felicità pareva essersi ostruita. Purtroppo la situazione non era delle più rosee e anche se era sinceramente commossa che tutti la stessero aiutando, ciò non toglieva che ancora non aveva nulla fra le mani.

“Papà” il comandante della prima flotta si rivolse all’imperatore “Notizie da Ace e Vista?”

Il vecchio Newgate era seduto sull’enorme poltrona affiancata come sempre dalle decine di flebo tutte collegate al suo corpo; nel palmo della mano teneva un lumacofono grande quanto una briciola data la grandezza dell’arto, che gli permetteva di rimanere in contatto con i figli usciti per perlustrare la città. In quanto capitano, sarebbe sceso anche lui, ma per evitare il panico assoluto, ritenne più saggio monitorare la situazione da dov’era. Non era consigliabile per un imperatore del suo calibro scendere e camminare per le via di una città come se fosse invisibile, cosa che, per sua sfortuna, non era. Il mezzo di comunicazione era tornato muto dopo aver riferito quanto i due comandanti avevano trasmesso e purtroppo anche lì non vi era stata alcuna svolta.

“Non hanno ancora trovato nulla” rispose volgendo gli occhi sulla figlia.

Silenziosamente lei comprese quel che il padre gli stava trasmettendo con lo sguardo: non doveva demoralizzarsi, presto avrebbero trovato il colpevole e allora la motivazione e tutte le risposte mancanti sarebbero comparse per far sembrare quel puzzle più significativo. L’essere rincuorata non poteva che farle bene ma troppi erano i pensieri che si stavano concentrando nella sua mente.

“Papà!”

Affannati, alcuni uomini emersero dall’interno della nave per poi arrivare a pochi passi dai presenti.

“Che cosa succede, Johnny?” domandò l’imperatore.
Il suddetto ansimò per qualche istante prima di parlare “Ecco, non riusciamo a trovare da nessuna parte Teach”
“Come?” il Bianco si sporse di qualche centimetro dallo schienale della poltrona.
“Si” affermò un secondo “L’abbiamo cercato ovunque e poi..” esitò “E’ sparito anche il comandante Satch”
“Che?” la fenice aggrottò le sopraciglia sconcertato “Ero convinto che fosse sceso con gli altri”
“E’ vero, ma, effettivamente..” sopraggiunse Maya con l’indice appoggiato sulle labbra “Nessuno di noi li vede da un bel po’”

Il sopraggiungere di quella notizia inquietò Sayuri quanto bastava perché il flusso dei suoi pensieri aumentasse vertiginosamente mentre si stringeva nelle spalle come fosse premuta da due muri laterali: le immagini sfilavano rapide e frammentate dentro di lei come flashback incomprensibili, ma poi, sul finire, riuscì a trarre qualcosa da tutta quella confusione e ne realizzò anche la gravità. Fu tutto molto rapido, tanto da non poter venir visto in una sequenza più moderata: lesta nei movimenti, si precipitò giù dalla nave ignorando le voci di chi al momento le era accanto e imboccò il sentiero che affiancava la costa bassa, insinuandosi fra la vegetazione nera del posto.

Per favore, fa che mi sbagli......

Per tutto quel tempo aveva pensato a come far si che nessuno al dì fuori di lei, sapesse quel che le stava accadendo da quando quel frutto le era giunto fra le mani. Il controllare l’haki, l’utilizzarlo, le aveva concesso di entrare in contatto con tutto quello che la circondava, con la natura, con le persone, con ogni cosa che possedesse una vita propria e quelle presenze, quelle percezioni, qualunque cosa fossero l’avevano toccata e messa su una difensiva molto solida. Poteva avvertirne l’essenza anche se labile e solo ora, nel rievocarla in tutta la sua interezza, comprese che quanto pensava, sospettava era la pura verità: Teach...era lui la causa. Straordinariamente aveva occultato quanto poteva farlo scoprire, cosa fosse, e lei nel solo riuscire a cogliere quella piccolissima parte, neppure la metà di un decimo, si era sentita raggelare come non mai.
Aveva intravisto un’altra persona. Aveva intravisto quello che forse era il vero Marshall D.Teach e questo la spinse a correre più veloce con il cuore in gola, in preda a battiti fuori misura.

Per favore, fa che non sia così!

Se lo ripetè in continuazione. Nel frattempo le sue mani avevano già impugnato i sai. Ora che il punto dove lei e il compagno si sarebbero dovuti incontrare si faceva sempre più vicino, la vicenda iniziò ad assumere risvolti così spaventosi che ancora non era pronta ad affrontare o soltanto a credere. Ciò nonostante, non si fermò ne indietreggiò perché sarebbe stato come voltare le spalle a quell’amico mancante insieme all’altro, che si era preso la briga di prendere il frutto e dunque contrarre la sorte che il destino aveva serbato per lei....

“Ma cosa....?”

Con velocità impressionante era arrivata al ciglio della piazzola e il solo ad attenderla lì era un silenzio tombale, smosso soltanto da un venticello che scuoteva le foglie e le spingeva a cadere su terreno dal colore impossibile da identificare. C’era perfino il mare, con le sue pigre onde che bagnavano gli scogli, accompagnato all’unisono con il suo respiro affannato e calcato dai battiti ritmici del suo povero cuore che non capiva più perché si stesse sforzando tanto. Avanzò con titubanza, fino a fermarsi davanti al punto che più aveva attirato la sua attenzione: in piedi, esattamente al centro di quello spazio abbastanza ampio e di forma circolare, guardò quello squarcio abnorme che si era aperto nella vegetazione circostante, creando un passaggio alternativo e violento a giudicare da quanti arbusti fossero stati buttati giù. Compiendo un altro passo e inginocchiandosi nel punto interessato, notò che alcuni erano stati recisi da una lama e che altri invece, erano stati spezzati a mani nude, cosa alquanto incredibile dato che si avevano non soltanto canne di bambù ma anche tronchi dallo spessore simile a quello delle querce. Benchè fosse buio, ormai, la luna in cielo, seppur oscurata da alcune nuvole, illuminava fiocamente ogni contorno di un bianco opaco che bastava per far apparire il nero della notte ancor più denso.

Eppure quella luce era diversa, incapace di esprimere serenità come invece aveva sempre fatto. Era così fredda e vuota, suscitava nella ragazza solo brividi emotivi che si intensificarono quando le sue dita sfiorarono la terra inumidita da qualcosa avente un forte profumo metallico che aveva imparato a distinguere perfettamente da ogni altro. Sapeva bene di cosa si trattava e velocemente ritirò la mano, chiudendola contemporaneamente ai suoi occhi e mordendosi il labbro inferiore come se parte di quella sorte già si fosse consolidata pienamente. L’espirare pesantemente la spinse a incrociare le mani armate all’altezza del cuore mentre, tornando in piedi, guardò con quello squarcio dal fondo indefinito.

“No.....”

Si gettò in quel buio udendo dietro di sé il gracidio dei corvi e il loro sbattere le ali come per dirle di tornare indietro, che era pericoloso. Un comportamento insolito per dei uccelli di quel genere, ma ignorabile se le proprie dita erano tinte del sangue di un amico che forse, in quel momento, necessitava del suo aiuto.
Non ebbe bisogno di riempire le braccia e le gambe di taglietti per farsi strada perché la vegetazione era stata abbattuta e calpestata a tal punto da non poter più rappresentare un ostacolo. Sotto i suoi piedi rami e foglie scricchiolavano, ma lei continuò a proseguire lungo quel corridoio naturale da cui non giungeva alcun rumore di lotta. Non era certa di volerlo interpretare come un buon segno; quell’odore metallico e pungente le aveva impregnato il naso fin dal suo primo tocco e ora non riusciva a sentire altro di abbastanza forte da distrarla. E lo vedeva, come un fiume rosso che copriva il pavimento di fogliame su cui lei correva;non era reale,non tutto almeno: il sangue c’era ma non così copioso. Il suo subconscio le stava mostrando quel che poteva essere, quel che poteva trovare ma che ancora rifiutava perché speranzosa di poter arrivare in tempo.

“Satch!”

Urlò il suo nome cominciando a scorgere finalmente una radura poco più grande di quella che si era lasciata alle spalle. Era sul ponte insieme agli altri quando aveva compreso che dietro al furto c’era lui. Teach era escluso visto che lei stessa glielo avrebbe portato e gli altri non erano al conoscenza di nulla ma per il comandante della quarta flotta, la questione era diversa e non soltanto perché era presente con lei alle paludi di Loriam........

“Principessa! Ehi, principessa, aspetta!”

Erano sottocoperta e lei aveva appena parlato con Teach sul frutto del diavolo recuperato. Sperava di trovare qualcosa, ma sino a quell’istante aveva imboccato un sacco di vicoli ciechi e dentro di sé si agitavano così tante supposizioni e immagini prive di senso, seppur accompagnate da valide immagini, a cui non sapeva porre spiegazione. Perchè quel bambino si era rivolto a lei? Perchè le avevano dato quel tesoro? La sua scelta non aveva rappresentato nulla, quei fantasmi avevano fatto di testa loro e il solo pensarlo la faceva sentire alquanto stupida nonostante ad appoggiare la sua versione c’erano dei testimoni, ma al momento, non era scombussolata per i fatti passati.

Si sentì soffocare, debole, aveva bisogno di respirare e di vedere la luce del sole. Camminava velocemente,troppo e se ne accorse soltanto quando percepì la mano di Satch afferrarle la spalla costringendola a girarsi.

“Principessa, che hai?”
“Io?” mormorò tornando coi piedi per terra “Oh, ti chiedo scusa, Satch. Ho solo tanti pensieri in testa e non so bene a chi dare la priorità” gli disse sorridendo sinceramente.
“Per caso tra le tue possibili priorità ci sono io?” azzardò sfregandosi le mani il biondo.
“Eh eh, no, mi spiace”
Il vaporoso ciuffo del comandante si afflosciò come le sue insensate speranze.
“Sei veramente crudele, ma parlando seriamente..” e recuperò la solita faccia amichevole, appena velata di preoccupazione “Sicura che sia tutto a posto? Hai un faccino sconvolto..”

Doveva avere un aspetto orribile o giù di lì perché ad essere sinceri si sentiva esattamente come uno straccio che era stato ripetutamente gettato da un pavimento all’altro senza ritegno. Era stanca come pochissime volte e forse una bella dormita le avrebbe fatto un gran comodo, ma il problema era che non sapeva cosa sarebbe successo, se avesse chiuso gli occhi. Per anni aveva ricacciato indietro incubi e voci del passato quindi teoricamente le sarebbe bastato adottare lo stesso meccanismo di difesa, ma la differenza stava che la forza scatenante di tutto quello che le stava capitando proveniva dall’esterno e poteva comunque essere più forte di quanto pensasse.

“Vorrei non averlo mai trovato questo frutto” aveva mormorato fra sé e se, con gli occhi coperti dalla frangia.

Le sue dita strinsero il lenzuolo bianco e quello che nascondevano.Perchè tanto timore, tanta esitazione per qualcosa apparentemente inanimato? Perchè non poteva essere un tesoro qualunque anziché una rarità?
Per sua sfortuna, i frutti del diavolo erano diversi, unici nel loro genere, con un valore inestimabile e gettarlo in mare come fosse un sacco della spazzatura sarebbe stato un puro atto di stupidità, anzi di pazzia. C’era di cui essere orgogliosi, ma lei non si sentiva tale, quello sembrava starsi svegliando dal lungo sonno impostogli dalle catene di algamatolite.
E quello che stava facendo riemergere, quello che stava riportando a galla, non le piaceva.

“Perdonami, Satch, se non ti spiace, io andrei da Akiko e poi penso di tornare nella mia stanza”
“D’accordo, ma sei sicura di..?”
“Sto benissimo” l’aveva anticipato, elargendo un sorriso così dolce da far sparire ogni sospetto “Voglio solo distrarmi con un bel bagno”

Occultare quell’insolito malessere emotivo era stata una reazione istintiva perché il senso di angoscia che avvertiva al ventre si stava propagando troppo velocemente.Desiderava riporre il frutto, gli appunti, tutto il suo materiale nel baule, chiuderlo, per non riaprirlo nelle prossime ore. Toglierselo momentaneamente dalla testa sarebbe stato un buon modo per calmarsi e riflettere con più lucidità. Nessun’altro poteva percepire quel che le sue orecchie e i suoi occhi le trasmettevano e questo era importante perché era vivamente certa che quel frutto non fosse innocuo come dava a vedere; per quanto pesante e incomprensibile fosse,gli spiriti martoriati di Loriam lo avevano affidato a lei e lei ne sarebbe stata pienamente responsabile. Ritirarsi da un impegno una volta preso era inaccettabile,anche se a commissionarlo erano stati dei morti.

“Principessa”

Sentitasi chiamare, si era voltata verso il biondo che ancora non si era mosso da dove l’aveva lasciato.

“Andrà tutto bene, non preoccuparti”

Ricordava come le aveva sorriso amichevolmente, come quelle parole così semplici l’avessero rasserenata ed era proprio perché aveva colto quel preciso momento che era scesa in fretta e furia dalla Moby Dick. Il pensare all’amico come il ladro era stato automatico e il fatto che avesse trovato la piazzola vuota e con del sangue attorno la portava a pensare con sempre più riluttanza quanto fosse stata stupida per non esserci arrivata prima. Correva e al sol scorgere pozze più dense sul terreno e di dimensioni diverse, strizzò gli occhi ripetendosi che poteva farcela,che poteva ancora fare qualcosa. Poteva farcela se non ripensava a quella frase che le aveva infuso sicurezza....

“Andrà tutto bene, non preoccuparti”

Sorrideva come sempre in quel momento, proprio come la prima volta che si erano incontrati. Le aveva provocato una strana stretta alle vie respiratorie il vedere la sua schiena farsi sempre più piccola e l’osservarlo andare via, l’allontanarsi senza permetterle di chiedere il perché di quella rassicurazione dallo strano suono, le aveva dato la sgradevole sensazione che l’amico se ne stesse andando molto lontano da lì.
Così lontano, da non poter essere più raggiunto da nessuna voce.
 
 



“Satch? Sei qui?”

Al di fuori del suo affanno, tutto il resto rimase in un perfetto e tacito silenzio. Era arrivata alla fine di quel corridoio creato da mani umane con le ginocchia appesantite e ora stava ammirando una parte boschiva ampia, ma piuttosto occultata per l’ormai totale imbrunimento. Non aveva idea se fosse vicina o meno alla città o alla costa, quel che più l’angustiava era l’aver intravisto quelle macchie luccicanti contornare alcuni tratti del sentiero, sporcare rami, tronchi e foglie come fosse inchiostro, con la possibile spiegazione che continuava a ronzarle in testa avente sottoforma di cantilena malvagia che si lasciava sfiorare appena giusto per riservarle il peggio al momento propizio. Accaldata, spostava la testa in ogni direzione cercando una continuazione, ma nel comprendere che quella zona era molto più grande di quel che appariva, capì che se voleva proseguire doveva trovare una qualche traccia, un indizio....

Eppure non era necessario andare avanti. La sua coscienza aveva parlato per lei: quello era il capolinea.
Voleva poter chiamare l’amico, ma preferì rimanere dov’era, con un sai a difenderle il torace. Osservò con circospezione quel che riusciva a cogliere con facilità, soffermandosi su quel che invece richiedeva più attenzione: fu nello spostare gli occhi color cioccolato che non riuscì più a muoverli. Fissò un sasso, uno strano sasso dalla forma che le raggelò la gola, i polmoni e le stesse pupille per l’atrocità della sua natura: le sue gambe si mossero da sole, tremanti e quando fu abbastanza vicina, non ebbe neppure la forza di girare la testa, tanto era il gelo che le aveva bloccato il collo.

“Whaa...!” la mano appoggiata al petto venne velocemente portata all’altezza della bocca per evitare che l’urlo toccasse l’aria e arretrò di due passi col rischio di cadere a terra.

Quel sasso dalla forma tanto strana, non era altro che un braccio umano immerso in una pozza nera dal fresco e forte odore metallico, lo stesso di quelle macchie che avevano sporcato il sentiero attraversato. Voleva distogliere gli occhi inumiditi, chiuderli, ma non poteva: delle dita invisibili le tiravano la pelle delle palpebre e la costringevano a fissare la mano semi aperta sicuramente già priva di gran parte del colorito originale. Sembrava affogare in quel piccolo stagno senza fondo e il solo soffermarsi su quelle dita rigide, ma in realtà molli, trasformò i battiti ormai fuori controllo del suo cuore in tante fitte dolorosissime.

“P-Principessa......”

Raggelò del tutto al sentire quella voce di cui subito riconobbe il proprietario. Non voleva voltarsi, ma il collo, improvvisamente tornato in sé, si mosse senza il suo consenso e quei occhi che tanto avrebbe voluto chiudere anche solo per un secondo la tenevano inchiodata lì, senza lasciarle scampo.
I pugnali le scivolarono via dalle mani e non appena vide Satch cadere in avanti si gettò verso di lui e lo afferrò, sedendosi bruscamente per terra, ma tenendolo stretto a sé per evitare che non si ferisse più di quanto non fosse già.

“Satch! Satch, oh, mio....per favore, rispondimi!!”

Era...orribile.
Non era stato massacrato, torturato o picchiato a sangue per poi essere lasciato in fin di vita lì. Era molto di più di tutto ciò, raddoppiato, forse addirittura triplicato.
Le gambe, il braccio ancora attaccato e il viso erano un unico grande livido coperto di bozzi terribilmente sporgenti. La gamba destra era stata come masticata e sputata, tanto era martoriata, e numerosi tagli spiccavano in più zone, aprendo e mostrando così le carni interne e i vasi sanguigni svuotati. Non c’era un solo centimetro di quel corpo che fosse ancora sano o che potesse essere salvato: i capelli spettinati gli ricadevano disordinatamente sporchi sulla fronte ,coprendo l’occhio più malmesso che gli impediva di vedere interamente la paura e lo sgomento della ragazza. Poteva fare affidamento sull’altro, ma vedeva ugualmente sfocato e anche così era doloroso quanto il solo sforzo respirare.
Era stato preso a calci e a pugni, sbattuto e tagliuzzato, quasi diviso in due e anche bucato.

Gli arti di Sayuri, compreso il vestito, si imbrattarono di sangue, del suo sangue, che sgorgava senza sosta da quei immani fori che gli avevano distrutto la cassa toracica, attraversato gli strati muscolari e i vasi sanguigni per poi perforare organi quali il polmone destro e altri di cui però non ricordava il nome. L’aria bruciava puntigliosamente, mancava poco perché sapesse di polvere sparo e nella sua disperazione Sayuri non riusciva a fare altro che a tappare con le proprie mani quelle sgorganti perforazioni e pregare che il sangue smettesse di fuoriuscire.

“Resisti, Satch, adesso...adesso ti porto da Maya e Don, loro sapranno aiutarti, però devi cercare di resistere, hai capito? Satch, riesci a sentirmi?!”

Tremava ed era sul punto di piangere per quanto era spaventata. Non era un medico, le precauzioni che conosceva grazie ad Akiko lì erano inutili, ma nonostante ciò si impegnò a fare quanto le era possibile, cercando di rimanere calma e così dare forza all’amico. Lo guardava cercando di trasmettergli quella poca convinzione che a malapena serviva a lei per non venire soppressa da ondate di agitazione che avrebbero soltanto peggiorato la situazione. Doveva mantenersi forte: lei era il solo appiglio presente e avrebbe fatto l’impossibile perché Satch si tenesse aggrappato fino all’arrivo dei soccorsi. Qualcuno doveva pur averla seguita!

Dio, ti prego..ti scongiuro, fa che arrivino in tempo!

Pregava, ma il sangue non si fermava e le ferite non si rimarginavo.

“Principes..sa...s-sei......preocu..preoccupata p..er me?” biascicò debolmente cercando di sorriderle.
“Non....N-non dovrei?” gli domandò trattenendo i singulti e senza mostrare il viso “Sei mio amico, è naturale..” respirò per nascondere un altro singulto “Che..che mi preoccupi per i miei amici s-se stanno male”

Gli sorrise. Gli regalò un sorriso tremolante contornato da lacrime grosse e involontarie.

“E’ stato lui, vero?” domandò poi tornando sulle ferite dell’addome “E’ stato lui a...?”

Non ebbe il coraggio di pronunciare quel nome. L’impulso di vomitare fu fortissimo, ma lo ricacciò dentro di sé e si mordicchiò il labbro inferiore per trattenersi dal farlo.

“Lo c..cerc..ava..” mormorò il biondo ansimando rocamente “L’ha semp..COUGHT!”

Sputò altro liquido rosso lucente e lo lasciò scivolare giù lungo gli angoli della bocca, fino alla linea degli zigomi e poi su quella del collo, anche se parte inumidì quel suo pizzetto nero ora irriconoscibile.

“Per favore, Satch, non ti sforzare!!”

Strappò la gonna in più parti e coi lembi ricavati tamponò l’addome al meglio delle sue possibilità. Ma la stoffa era leggera e le ferite troppo grandi perché venissero poste sotto controllo da quei piccoli stracci e in pochi secondi divenne inutilizzabili; immediatamente, Sayuri tornò a tamponare con le proprie mani quei disumani solchi. Le affondava e queste si inabissavano nel sangue; le toglieva per cercare di coprire le cavità più grosse, ma per quanta buona volontà ci mettesse, non poteva ricostruire un intero polmone con il solo desiderio di volerlo. Non poteva trasportarlo ne non voleva lasciarlo solo....era disperata e si odiava.

Si odiava per l’essere stata così disattenta.
Si odiava per non aver compreso prima dove volesse arrivare quello che credeva un buon compagno.
Si odiava per aver permesso a un suo amico di venire coinvolto così apertamente, si odiava per aver abbassato la guardia così ingenuamente.....
Le veniva da vomitare a da piangere nello stesso frangente: mai si era detestata così tanto e non riusciva a fare altro che chiedere aiuto mentalmente. La voce compariva soltanto per parlare con il biondo,per fargli forza, ma lui continuava a sorridere, dentro di sé lei lo vedeva sorridere come sempre e si odiò ancora di più perché non voleva accettare quel che stava per avvenire. Alzò la testa di scattò verso di lui nel sentirsi prendere la mano da quella malandata del biondo.

“Las..perdere” le disse.
“No, io.....” tartassò ancora una volta il labbro inferiore oramai divenuto rosso e pulsante “..Non avresti dovuto farlo” disse poi ricambiando la stretta “Tu non avresti....p-perché lo hai fatto?” gli domandò con la voce rotta per l’imminente pianto.
“Perché...e..eh..e..eh..” ridacchiò rocamente “T..Tu avres..ti fatto..l..lo stes..so” mormorò “L..lo st..avi..facendo..”

Tossì nuovamente, ma di sangue non ne uscì. Con le mani tenute lontane dall’addome, Sayuri gli alzò delicatamente la testa.

“Asc..ascolta, pri…principessa” continuò con maggiore fatica “Lui non è...come l..lo ab...abbiamo s..sempre cred..uto...” ansimò “Il tuo..frutto...lo stav..cercando..” ripetè reprimendo il dolore.
“Non parlare, adesso devi soltanto stare tranquillo!!” esclamò l’altra, senza tremolii nella voce “L’importante adesso è curarti, al resto..al resto penseremo in seguito. Vedrai, sono certa...si, sono certa che nostro padre...”
“No” la interruppe.Poi la guardò “Sayuri...lo...de..devi fermare tu”
Si sentì immobilizzata “Che...che cosa?”

Cosa significava? Perchè doveva fermarlo specificatamente lei?
Era evidente che Satch conosceva più fatti, ma ugualmente non capiva tutto quell’allarmismo. La sola consapevolezza che aveva di sé era l’essere agitata per le sue terribili condizioni, tutto il resto era in balia di onde violente e altissime che le impedivano di vedere il suo sole. Non aveva idea di dove indirizzare i propri pensieri, le fitte che la colpivano come sassi non la smettevano di tartassarla, ogni fibra in lei urlava confusamente, ma con potenza non sufficiente a sfondare la sua resistenza emotiva, che con tanta costanza lei manteneva alta per rincuorare almeno l’amico come fosse una piccola voce esalata dal suo ultimo respiro di volontà; la spronava a tener duro, a non crollare mentre il comandante della quarta flotta cercava di terminare quanto aveva da dirle prima che le corde vocali si spegnessero definitivamente.

“E’...s..tato..uno di..noi...s-solo per..questo..” riprese “Quel f..frutto..no..non è come gli...altri...lui...non..”

Univa frasi sconnesse cercando di arrivare al fulcro il più velocemente possibile, ma sapeva di non poter chiedere al suo corpo più di quanto gli stesse permettendo al momento. Con un rantolo indicò alla ragazza la tasca dei propri pantaloni: il foglio appallottolato al suo interno avrebbe compensato l’assente parte della spiegazione. L’aveva rubato durante il combattimento, in quel’unico attacco a sorpresa che era riuscito a mettere in difficoltà quel bastardo: nemmeno lui sapeva bene come ci fosse riuscito ma in quel minuscolo, quasi inesistente lasso di tempo ottenuto puramente per poter leggere quelle sapienti righe, aveva compreso che quel frutto del diavolo avrebbe permesso a Teach di sottomettere chiunque altro possedesse abilità derivanti da altri tesori identici a quello.

“Con q-quello....avr..avrà il potere..defi..COUGHT!COUGHT!”
“Per l’amore del cielo, Satch, smettila!!” lo supplicò lei.

La pozza si allargò di più e la vita già condannata s’assottigliò tanto da cominciare ad evaporare. Sayuri gli teneva la testa con una mano mentre l’altra stringeva quella del biondo che ricambiava la stretta con forza,per impedirle di tamponare le ferite. Con o senza soccorsi ,il suo povero corpo, aperto in due, non poteva rimettersi e il sangue perso non sarebbe stato strizzato dalla terra come si soleva fare con un panno umido. Quel poco che aveva, si stava allontanando, inibendogli le percezioni ancora presenti ma un barlume di coscienza ancora brillava e l’avrebbe aiutato ad avvertire i suoi compagni, a dire a Sayuri cosa lei, i suoi fratelli e suo padre presto avrebbero dovuto affrontare. L’aveva creduto uno scherzo, ma il sentire il peso di quei pugni, la viscidità di quella risata puramente intrisa di perversione e disumanità ricadergli addosso, aveva fatto si che comprendesse, che Marshall D.Teach, detto Barbanera, da lì in poi non si sarebbe più nascosto dietro a qualcuno e la sua ascesa non sarebbe passata inosservata visto che con un potere del genere fra le mani, l’obbiettivo era scontato.

“Ascol..ta, principessa, lui...lui..farà piomb..are quest’..era..nell’oscurit..à” degludì con difficoltà. “S..S..Se..n..non..lo..f..fermi, nes..nessuno...sar..sarà..al sic..uro..”

La mano insanguinata strinse ancor di più quella dell’amica, cercando di non cedere.

“Lo devi...fermare, prin..ci..pessa...fermalo”

Gli occhi di lei erano lucidi, traboccanti di acqua salata. Bloccava i singhiozzi all’altezza della trachea e solo quando vide del liquido incolore e cristallino bagnare la guancia del comandante della quarta flotta si accorse di non potersi più trattenere, anche se già da prima, quella minuscola forma di resistenza, era caduta miseramente. Non lo posso salvare, si ripeteva, non posso fare niente per lui. Tutto quel che rientrava nelle sue possibilità era lo stargli accanto, impedire che la paura lo portasse via in un posto lontano da quello in cui sarebbe dovuto andare, ma nemmeno così le stava bene.

Così..non era giusto. Non era giusto e non lo era anche per Satch: l’unica differenza tra i due stava che per lui, ora come ora, era inevitabile. Leggeva in Bianco Giglio l’incertezza, la paura celata dietro la forza delle sue parole, ma si impegnava per far si che non si preoccupasse, che non si agitasse: il dolore le rigava il viso sottoforma di lacrime, piangeva per lui e la cosa nel profondo lo rallegrò. La bontà della principessa aveva toccato anche lui, anche se lì una simile contentezza non poteva competere coi risvolti amari che la realtà stava offrendo e che purtroppo non si sarebbero potuti sostituire. Preferì dirle il perché avesse scelto lei anziché confortarla come stava facendo con lui: le parlò senza fermarsi, provando a essere più scorrile e il solo osservare quei dolci lineamenti modellarsi attorno a quel poco detto lo fecero sentire completo. Fu come se nei occhi color cioccolato della castana, si fossero riflesse altre verità che,unite alle sue, avevano creato un quadro così grande da superare il suo e quello di lei di almeno due stazze. Pareva non aver mai visto niente di così orribile e nauseante, ma non espresse alcun giudizio a tal proposito. Si limitò solamente alla piccola parola data che aspettava.

“T-te..te l’ho prometto, Satch: io..sniff...io lo fermerò” seppur tremolante e con voce rotta, quel fil di decisione, amalgamato alla fermezza ridotta in polvere, venne ugualmente sentito.
“B...Be..ne...cont..o su di....te...principessa”

Consumate anche le corde vocali, il suono vocale si ridusse a un lieve sussurro e non provò ad andare oltre: benché stringesse la mano di Sayuri, non percepiva le sue dita, stavano sfuggendo al loro controllo, diventando molli e dischiudendosi appena dal contatto.

“S..Sono..uno..stupido” mormorò
“E....perché? ”sussurrò lei tirando su col naso.
“Tempo fa..d-dissi a A..Ace che e-era d..da st..tupidi...far..farsi v-veder..e..spavent..ati, p..però s-sai..princ..cipessa…” lei ebbe un tuffo al cuore: quella che vide scendere dall’unico occhio aperto del biondo, anche se sottile come un ago, era una lacrima “N..N..Non pensav..o fos..se..così..dif..difficile” continuò, cercando di riappropriarsi della mano buona per stringere quella della ragazza “S..S..Se..fosse q-q-qui, il tuo..f-f-fidanz..ato me..le dar..ebbe..d-di santa rag..ragione..eh...ee..eh..”

La sua mente gli regalò quell’ultimo ricordo, il brindisi fatto con il moro: si era detto di voler morire con dignità, che se mai fosse giunta la sua ora l’avrebbe accettata perché parte di sé, seppur tragica e aveva reso partecipe il nuovo comandante della seconda flotta di quella realtà di cui già ben conosceva le peculiarità. Sicuramente, Pugno di Fuoco lo avrebbe riempito di botte se in un contesto diverso avesse osato venir meno a quelle parole pronunciate con così tanta enfasi e magari gli avrebbe anche intimato di smetterla di infastidire Sayuri, ma lui non avrebbe ascoltato. No, avrebbe continuato a stuzzicarli entrambi, solo per vederli più insieme come meritavano e poi, magari, avrebbe sfidato Vista con la spada per rafforzarsi ed evitare di far rilassare troppo i muscoli dei fianchi.
Si...in un contesto diverso, di certo sarebbe andata così, ma adesso nemmeno riusciva a distinguere la luna dalle stelle e la sua mano ormai non rispondeva più a nessuno...

“Avere paura....è normale” gli disse la castana, sorridendo con tremore nuovamente “Non c’è nulla..sigh..di cui vergognarsi..” e tirò su col naso “Se ne sei consapevole e..riesci ad a-accettarla..allora non avrai alcun rimpianto e..e sarai l-libero”

Nel contesto che anche lei si era creata, Satch si sarebbe messo a ridere. Se ne sarebbe uscito con una risata e un complimento su come certi discorsi uscissero solo dalla sua bocca, seguito dall’assiduo invito che sempre le poneva e che lei sempre declinava con molta cortesia. A quel punto, sarebbe arrivato Ace, che gli avrebbe chiesto di smetterla di importunarla e il ciclo degli eventi si sarebbe ripetuto da capo come solitamente si verificava da quando si conoscevano. Purtroppo, non sarebbe successo; era spezzato, quel normale ciclo, rotto, e nessuno lo avrebbe riparato. Nessun suono giungeva più alle orecchie di Satch, nessun odore o percezione.
E mentre il sorriso di lei tremava sempre di più, fino a incurvarsi e poi sparire, perché morso dai denti fino a farlo sanguinare, l’iride azzurrina semiaperta del comandante della quarta flotta fissava il vuoto senza la piccola stilla di vitalità che l’aveva tenuto lì fino all’ultimo. Le lacrime si mischiarono al sangue, le macchiarono i vestiti già sporchi e scesero giù fino a scomparire nella pozza scarlatta, mentre, contemporaneamente, il dolore saliva vertiginosamente su per la gola, pronto a essere rigettato.
Salì in alto e quando giunse a destinazione, i corvi appollaiati sui rami volarono via cercando di raggiungere la luna perché spaventati da quell’urlo distrutto, reclamante l’amico, ormai troppo lontano per essere raggiunto.



 

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Capitolo 48
*** Richiesta. ***


 Buonasera a tutti voi!eccomi,col 48esimo capitolo!sto cercando di improntare un nuovo stile(cosa stupida:vedere se i dialoghi attaccati stan meglio dei separati per esempio).Non c’è nulla da anticipare,vi lascio scoprire cosa ho messo,quindi buona lettura!!passiamo subito ai ringraziamenti prima che me ne dimentichi!

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13este:eccomi qua!ho postato una fine tragica,si.Ho commosso un sacco di persone a quanto ho visto(santo cielo,mi fate piangere ancora di più).Dovevo dargliela purtroppo altrimenti la storia non sarebbe progredita come volevo io,anche se non mi sarebbe dispiaciuto trovare subito un happy ending.Ormai siamo arrivati fino a qui e c’è ancora molto di cui parlare,più che altro molto da scrivere!

angela90:buonasera.Mi sono resa conto di aver fatto bene a non dividerlo come mi hai detto perché in tutta sincerità non avrei saputo precisamente dove bloccarmi.Icorvi ce li avevo in testa da molto tempo e mi occorreva qualcosa che si,insomma,rendesse la situazione ancor più grave.Ho messo tante cose e temevo di sbagliare perché nel concentrarmi troppo su una pensavo di tralasciarne una o di non dargli la giusta rilevanza.Ho dato importanza a Satch in questa fict perché oltre a non essere molto descritto a Oda,volevo fin da subito far intrecciare il suo destino insieme a quello della protagonista,anche se la faccenda si è conclusa tragicamente.Sono contenta che sia stato apprezzato tanto,sul serio e spero di non deludere nessuno adesso.

TopazSunset:ciaoooo(a passettini si avvicina).Devo averti sconvolto se ti ho fatto addirittura piangere.Tra la tua disperazione leggo l’apprezzamento e ti ringrazio(mi scuso per la figura che il capitolo ti ha procurato col capitolo) per l’apprezzarmi(addirittura una delle migliore…ora sono io che mi metto a piangere come una cretina..)

Sachi Mitsuki:ciao cara!si,il tuo odio per l’innominabile è tutto giustificato,non preoccuparti.Credimi,dispiace anche a me per quello che ho fatto,si perché ho scritto io questo capitolo…sigh!non posso far altro che andare avanti,quindi armiamoci di coraggio e proseguiamo.

neff:eccoti qua!non sai quanto hai ragione:già di mio,peno per aver scritto questo capitolo.Il vuoto che c’era attorno a lui l’ho riempito io a modo mio(esclusa la sua fine purtroppo).Sayuri ha fatto quel che ha potuto però siamo all’inizio,posso dirti che questo incidente darà il via a una serie di fatti che presto posterò,sperando di non incepparmi per vari motivi.

happylight:tesoro!spiazzata?hai tutti i motivi per esserlo.L’aver realizzato una personalità tanto apprezzata attorno a questo personaggio visto poco e conosciuto solamente a voce mi rende molto felice e il toglierlo mi rattrista(e qui rivolgo tutta la mia ira sul solo colpevole).Saranno capitoli difficili da qui in avanti,molto secondo la mia modesta opinione perché se per ora,a parte lo scontro con Jimbe e Barbabianca,è stato tutto relativamente tranquillo,ora sarà un po’ diverso.

Chibi Hunter:hello,ciao cara!eh si,ho lasciato qualche errorino qua e là,chiedo scusa,succede e manco me ne accorgo.Credevate tutti che l’avesse preso Teach il frutto ma invece la preso Satch per farlo uscire allo scoperto.Ha intuito e ha subito la sorte inizialmente destinata alla principessa.Hai ragione nel dire che adesso ci sarà un periodo nerissimo perché a breve e dopo metterò altre cosette da infarto.Non c’è più pace sulla Moby Dick.

maya90:amorino!!(la abbraccia fino lo sfinimento).In primo luogo,chiedo scusa:lo so,mi faccio sempre scappare stupidi errori e le frasi lunghe e articolate..a quelle ci lavorerò,non so mai darmi fine.Quella sera ho dannato per postare,la connessione era lenta,non capivo se avevo aggiornato o meno.Sono qui che ringrazio tutte voi per l’aver apprezzato la ricostruzione dei sentimenti della mia protagonista ma non so bene cosa dovrei dire perché la scena è quella che è.Non sorvoliamo su Ace,Barbabianca e gli altri perché qui vedrai di persona come reagiranno e premetto che questa è la prima parte.

tre88:carissima!ah,dì pure quel che ti pare su Teach,insultalo come vuoi,sei liberissima,hai campo libero!Barbabianca in giro per la città come se niente fosse sarebbe uno spasso,lo si vedrebbe oltre il muro.Sono onorata che tu abbia imparato ad apprezzare il personaggio di Satch tramite la mia fict:nome e faccia non saranno miei ma il carattere datogli si!dunque la mia storia non comprenderà l’esecuzione di Ace,posso dirti solo questo al momento.Centrerò l’attenzione su un altro ambiente che chi ha già visto gli spoiler antecedenti a Marineford ha visto.Non voglio rovinare o anticipare sorprese.Da fonti attendibili so che Barbanera è il personaggio preferito di Oda(come può??????odio a morte sia lui che il disgustoso ammiraglio di lava!!!) e ancora infatti non riesco a concepirlo.Sicuramente da adesso in poi avrà un ruolo portante nella storia(è da prendere a bastonate!!!) ma qui rimarrà puramente odiato dalla sottoscritta a e da tutti!
 
 



La notte a Kaluka era molto veloce, benché durasse esattamente come sulle altre isole. Gli abitanti rimanevano svegli fino a tardi, considerando le ore precedenti alla mezzanotte come parte di un pomeriggio molto inoltrato. Anche quella notte doveva essere rapida, come tutte quelle che si erano susseguite sino a quel momento; doveva essere veloce e silenziosa, tanto da portare via quanto quella giornata aveva prodotto e probabilmente per i cittadini lo era, ma non si poteva dire che per la ciurma dell’imperatore più vicino a conquistare il trono del re dei pirati fosse la stessa cosa. Come mai sarebbe potuto?

Quella notte era lenta, terribilmente e dolorosamente lenta, più del dolce e rilassante abbattersi delle onde sulla sabbia bagnata e dei sospiri che il vento emetteva per provare la sua esistenza. Il tempo si era impigrito, il silenzio tramutatosi in sussulti e rantoli indescrivibili, carichi di emozioni forti e dure. Non c’erano più voci felici e festose, non c’erano più i calici di birra da sollevare ne i brindisi che seguivano tale azione. La Moby Dick non era mai stata tanto morta e la bella polena a forma di balena piangeva, nonostante l’ampio sorriso scolpito sul legno. Piangeva insieme ai suoi compagni per il motivo che rendeva lunghe e agognanti quelle interminabili ore. Tutte le luci erano accese, escluse quelle esterne poste sul ponte. Seppur deboli, illuminavano i corridoi quanto bastava per tenerli in penombra. Non c’era più traccia di quelle emozioni allegre, perché per la prima volta la perdita di un amico, un compagno, un fratello, non era stata causata da un nemico come molte volte era successo, ma da un amico, un altro fratello, una persona insospettabile e questo rendeva quel crimine ancor più oltraggioso di quanto lo potesse essere un comune omicidio. Teach era sparito nel nulla, senza lasciare niente di sé dietro se non una lunga scia di sangue nero.

Era fuggito e Satch era morto per mano sua.

Non era servito a niente rastrellare l’isola una seconda volta, non era servito a niente tenere sott’occhio le correnti marine che permettevano una più agevole uscita dal territorio, così come non era servito a niente tenere occupata la sala operatoria per un’ora con l’intento di far resuscitare un morto. Il comandante della quarta flotta non c’era più e il vestito di Sayuri, interamente sporco del suo sangue, ne era un ulteriore prova. Il sentire quell’urlo squarciare la vegetazione a tal punto da farla tremare, aveva allertato quelli che erano scesi per cercare di raggiungerla. Era stato Marco a trovarli, insieme a Jozu: boccheggianti e con la loro fermezza espressiva distrutta sul nascere per quanto quella radura imbrattata stava offrendo, la Fenice e il comandante adamantino si erano gettati sui due immediatamente e li avevano portati alla Moby Dick nonostante l’irreparabilità del fatto. La confusione si era dilagata come peste e nel giro di una ventina di minuti, la nave di Barbabianca era caduta in uno stato di coma profondo, insieme a coloro che si erano visti sfilare davanti il cadavere del biondo, benché fosse stato celato dalla presenza dei due colleghi. Ci avevano provato ad arrivare in tempo, a tentare l’impossibile, ma la morte non si poteva sconfiggere o ingannare, e quando Maya era riemersa sul ponte, seguita da alcune sue compagne, tra cui un Akiko, che non aveva il coraggio di guardare nessuno in faccia, i pirati preferirono voltare la testa e serrare la mascella, per ricacciare indietro parole inadatte o non ancora formulate. La rabbia, il disprezzo per quel bastardo, sarebbe emerso soltanto quando ognuno di loro avrebbe appreso a pieno quanto era sufficiente per far sì che la propria mano impugnasse con vigore la spada e reclamasse quanto dovuto. Le parole e i pensieri ridotti in cocci sarebbero stati aggiustati anche loro non appena quel momento creduto soltanto un brutto scherzo si fosse in qualche modo allentato.

E intanto la notte continuava. Seppur lenta ,alla fine di essa sarebbe arrivata l’alba, ma tenendo conto di quel che era stato versato, nessuno si sarebbe stupito se il sole,quel giorno, sarebbe stato tanto rosso da far sembrare l’oceano e la terra prede di un enorme incendio.
 



Tling.....

Un suono.
 
Ti-tling....

Un suono metallico. Secco, duro...e freddo. Un suono familiare. Non aveva niente di nostalgico quel flebile tintinnio, non era mai stato fonte di conforto, soltanto di angoscia e timore. Molte volte il sonno le era mancato per via d’esso, sempre accompagnato da quella predizione indelebile come uno schiaffo, esattamente come le parole delle sibilla.

E’ nascosta. Solo con gli occhi dello spirito la potrai vedere, ma attenta: saprà ingannarti usando parole sincere..

Benchè al momento non percepisse il suo corpo, la mente già parzialmente sveglia le stava facendo ricordare quell’avvertimento su cui più volte aveva riflettuto senza mai coglierne l’aiuto. Per quanti sforzi avesse impiegato, non era riuscita a capire cosa realmente la sibilla le avesse detto quel giorno, non aveva colto il senso di quelle parole mentre la verità, per tutto il tempo, le era sempre stata davanti, ingannandola così magistralmente da farla apparire come una stupida ingenua. Se gliene fosse stata data la possibilità si sarebbe rannicchiata sul fianco per potersi nascondere, ma gli arti non rispondevano al suo comando: avvertiva tutta sé stessa come intontita per l’effetto di droghe terribilmente pesanti e quella poca lucidità che l’aveva aiutata a rendersi conto della situazione, le risvegliò i sensi dispersi. Scossa da un brivido, udì di nuovo quel tintinnio, troppo vicino a lei, così come quel freddo che le fascinava più parti del corpo con morsa mortale. Aprire gli occhi non le servì a nulla: era avvolta dal buio, ma comprese di essere stesa a terra e che quelle catene, le fautrici del suono da lei ritenuto dolente, la stavano inchiodando a un pavimento invisibile.

“Cosa..?”

Provò ad alzare i polsi, ma non riuscì neppure a scorgere il luccichio grigio opaco di quel ferro immobilizzante, perché questo, nell’avvertire il suo leggero movimento, le si strinse ancor più addosso, arrivando a stritolarle l’addome, le braccia, le gambe e anche il collo. Stridevano contro la sua pelle, si cibavano di quanto possedesse, rendendola docile come un agnellino, imbottendola di sostanze inibitrici. Lunghe e sciolte dalle prese di padroni inesistenti, ballavano inscenando una melodia confusa e ripetitiva mentre la trascinavano ancor più giù, nei meandri di quel posto indefinito. Non le era chiaro perché era lì, nemmeno sapeva come ci fosse arrivata......

Davvero non lo sai?

Sussultò nel riconoscere quella vocina maligna e le catene la strattonarono ancora di più.

Davvero non ricordi nulla?

No, non era vero che non ricordava nulla.Mentalmente era ancora là, in quella radura, cercando di aiutare Satch a rimanere lì con lei, con tutti quanti loro,tentando di non dare a vedere quanto fosse spaventata. Ma il sangue non si fermava, non si era fermato, aveva continuato a bagnare e a tingere la terra e le sue mani mentre lui, con quel briciolo di forza rimasta, le chiedeva di fermare Teach. Era pericoloso, più di quanto potessero immaginare e nessuno sarebbe stato in grado di dire con certezza in che modo avrebbe agito da lì in avanti con il potere che lei gli aveva porto su un piatto d’argento. Ricordava ogni goccia di quel liquido scarlatto scivolare via insieme alle altre, ogni filo d’acqua salata trattenuto e poi rilasciato per l’insopportabilità dell’accaduto, ogni fibra dei suoi muscoli contratto, per poter ricambiare la stretta di mano che Satch le aveva chiesto....
Ricordava l’odio rivolto a sé stessa per l’aver permesso un crimine del genere e per essersi lasciata cullare troppo a lungo da dubbi senza mai toccar direttamente quel che invece vedeva con tanta chiarezza. Il bruciore agli occhi fu istantaneo, così come quello strano gonfiore a livello dello sterno che si soleva sentire quando si era sul punto di scoppiare.

Satch...io.....

Piangere le sarebbe apparsa come la via più facile per sfogarsi, ma tutto il suo io si era esaurito nell’istante in cui aveva sporto indietro la testa e urlato come per espellere la propria anima. Ora era esausta, indebolita e prosciugata di ogni energia; di lacrime pareva non averne più e anche la minuscola percezione dell’essere in quel posto lentamente la stava abbandonando. Non voleva dormire, ma le palpebre tremavano per un peso davvero troppo elevato per la loro capacità: nonostante il cedere fosse una prospettiva da cui fuggire era pressoché impossibile, desiderava poter andare via da lì, tendere la mano verso l’altro e afferrare quella corda che ora non vedeva, ma di cui l’esistenza era una certezza come la vita. Quel che l’attendeva all’esterno non le sarebbe piaciuto poco, ma sicuro perché ciò che ora non la raggiungeva, l’avrebbe colpita non appena sarebbe riemersa ma era preferibile affrontare la realtà piuttosto che aver a che fare con l’altra faccia della sua medaglia: la solitudine.
Non era pronta a tornarci, men che meno in una così buia e richiamante sensazioni fino a quel momento sfiorate con le dita perché senza paragoni con le altre. Il resistere stava divenendo labile e la sofferenza che quelle catene le infliggevano a tal punto da farsi risucchiare all’interno dei muscoli, le rubarono un gemito di dolore all’ennesimo e silenzioso atto di strangolamento.

Non è niente rispetto a quello che ha dovuto pagare Satch per la tua stupidità!  Le accusò la vocina.

Il rinfacciarle quelle affermazioni la divertiva,facendola sentire rinata. Mai le avrebbe permesso di uscire da quell’angolo creato da lei stessa; per troppo tempo era stata relegata, quasi distrutta, da quel immondo amore rivolto all’altrettanta immonda ragazzina, quindi era più che giusto che le ricordasse qual'era il suo vero posto, ma nemmeno a farlo per scherzo, fu nuovamente lei, la vocina maligna, ad essere ricacciata indietro come una bestia ammalata di rabbia. Le catene che fino a quel momento ondeggiavano sinuose, presero ad agitarsi e a stridere acutamente, esattamente come la vocina fatta allontanare da lì ma che ancora insultava quell’affronto con tutta la malignità di cui era padrona. Con quel piccolo spicchio d’iride ancora miracolosamente aperto, Sayuri alzò appena la pupilla e li vide: bagliori rossi, arancioni e gialli illuminavano le pareti nere di quella dimensione, perforandole per poter fuoriuscire sotto forma di lingue di fuoco e aprire così il vuoto sopra di lei. Le catene urlavano impaurite,confuse, tutto perché quelle fiamme le stavano toccando, infliggendo un dolore che solitamente un metallo freddo e senza vita come quello non poteva provare. Eppure quel fuoco pareva essere nocivo per qualunque cosa componesse quel posto, esclusa lei. Come fosse dotato di mani proprie,le sciolse delicatamente i polsi, il collo e il resto, lasciandosi accarezzare dalla ragazza, smarrita, ma, al coltempo, felice per quella comparsa tanto lieta.

Ace...sei tu, vero?

Erano così calde quelle fiamme, così dirompenti ma allo stesso tempo protettive, esattamente come il loro padrone. Bianco Giglio potè respirare con una sorta di commozione, ma non si trattò altro che di un soffio temporaneo di sollievo: l’oscurità sembrava non aver gradito quell’intrusione e ora si stava facendo sempre più grande e minacciosa, risucchiando tutto quello che non faceva parte di lei, convogliandolo in grande un buco nero dalla spirale oraria e quel fuoco, quel fuoco tanto forte, cominciò a spegnersi per impedire che lei venisse trascinata via. Si ribellava con forza, serrando i denti, combattendo con scoppi e affilando le unghie ma nulla sembrava ferire quell’oscurità sempre più insaziabile e mentre l’elemento che tanto le piaceva, veniva sopraffatto senza avere la possibilità di far qualcosa, senza che lei potesse rivolgere una qualche preghiera affinché questo venisse risparmiato, il dolore, lentamente, cominciò a farla librare in alto.

E in lontananza, riecheggiò ancora una volta quel suono metallico duro, secco e freddo.
 
 


Quando il lumacofono aveva iniziato a vibrare emettendo il classico suono di chiamata, Ace e Vista erano sulla via del ritorno. Quanto riferito, bastò per farli correre fino alla nave come se avessero tutta la Marina a meno di cinque metri di distanza e fra i due, era proprio Pugno di Fuoco ad essere quello più agitato. Da quel che era riuscito a capire si era verificato un incidente, qualcosa che ancora non sapevano bene definire e sia Satch che Sayuri ne erano stati coinvolti, il primo in particolar modo. Era grave ed era bastato questo a fargli trasformare le gambe in fiamme e a farlo scattare con velocità raddoppiata lungo quel sentiero che inevitabilmente aveva risentito del suo passaggio per via delle piccole bruciature lasciate. Sarebbe stato capace di incenerire completamente la strada senza alcuno sforzo: preso com’era da quel panico sempre più crescente, nient’altro avrebbe potuto calmarlo se non il sapere i propri compagni sani e salvi. Non poteva essere stato un incidente come il biondo aveva detto; se Satch era grave come aveva affermato, per forza maggiore doveva essere successo qualcosa di ben più serio, qualcosa di ricollegabile al furto del frutto del diavolo. Come ragionamento ci poteva anche stare, ma nulla di tutto ciò sfiorò Ace: arrivato, saltò sul ponte evitando la passerella e non appena riuscì a farsi spiegare quanto gli altri già conoscevano, impallidì inorridito.

“Satch..è morto?”

Nemmeno seppe come diavolo avesse fatto a dirlo. Marco si limitò a far calare le sue palpebre rispondendo mutamente. Maya aveva fatto l’impossibile, ma la profondità delle ferite, quegli squarci che l’avevano trapassato portandosi via interi pezzi di carne, avevano provocato gravi lesioni interne ed emorragie inarrestabili. Era già morto quando l’avevano portato a bordo e la capo infermiera aveva fatto sì che la notizia uscisse dopo un’ora, soltanto per poter rispondere a domande che pretendevano di sapere come ciò fosse successo. In quel frangente, l’aiuto di Don era stato provvidenziale, perché davanti a un amico ridotto a quel modo, la proverbiale serietà della donna aveva rischiato di vacillare e insieme alla sua, anche quella del medico-cecchino della seconda flotta, disgustato su tutti i fronti per quell’orrore. Solo quando furono riusciti a coprirlo col telo, entrambi avevano potuto accasciarsi sulla sedia e prendersi la testa fra le mani.

Ace era pietrificato. La voce di Marco gli giungeva come un suono basso e rammaricato, senza che perdesse la classicità che lo contraddistingueva dagli altri, ma la sua mente vagava altrove, in una zona vuota, come in cerca di qualcosa di cui neppure lui conosceva la natura. Riscosso, agì di istinto e afferrò il compagno per le spalle con tanta fulmineità da far inarcare le sopraciglia a quest’ultimo.

“Dimmi che sta bene! Dimmi che Sayuri sta bene, dimmelo!!”

La Fenice azzurra rimase con la bocca semiaperta e Ace nemmeno stette ad aspettare la sua risposta; a passi calcati percorse il resto del ponte,sorpassò i presenti e si inoltrò nei corridoi correndo verso il solo posto dove era sicuro al 100% di trovare la ragazza e infatti, quando vide Don uscire dalla porta dell’infermeria, non gli diede neppure il tempo di dire qualcosa che lo scansò malamente e spalancò la porta con violenza. Come a volersi dimostrare, la ragazza era stata portata lì perché avesse qualche minuto di tranquillità, per calmarsi o almeno, cercare di riprendersi dal suo attuale stato di shock: non si era mossa dal lettino delle visite, ne si era cambiata o lavata. Stava con le gambe sospese da terra, le braccia in grembo e la testa rivolta verso il pavimento. A vederla ridotta così, coi occhi aperti, ma totalmente vuoti, era più vicina ad essere una bambola di porcellana piena di incrinature che un essere capace di ragionare e di respirare. Una bambola col vestito e il viso imbrattati di sangue secco avente ancora quel suo tipico odore metallico e la coscienza dispersa chissà dove. Tardamente, Ace si era reso conto che la sua entrata in quella stanza era stata pressoché burrascosa e dunque non proprio appropriata, ma tutto il rumore provocato non era bastato a far sobbalzare la ragazza, ancora immobile, in quello stato catatonico che suscitava solo pena in coloro che la vedevano.

“Sayuri!”

Le sue mani andarono ad abbracciare le spalle scoperte e fredde, ma neppure quel contatto diretto sortì l’effetto sperato. Era ancora ferma, con la maggior parte dell’abito ormai rossa, strappata su di un angolo, ma interiormente stava cominciando a prendere nuovamente possesso di sé.
Non aveva senso, quel che era accaduto non aveva senso: perché un compagno avrebbe dovuto uccidere un suo amico? Per un frutto del diavolo? Questo era ciò a cui tutti erano arrivati, ma Sayuri, in quella stanza, in attesa di essere ricevuta dal capitano, aveva colto quel che alla comune vista e al comune udito sfuggiva. Lei conosceva Satch e Teach, in particolar quest’ultimo; dopo essere stata una spettatrice diretta del suo operato, aveva intravisto nel suo gesto un quadro ben più grande, tanto semplice quanto vomitevole, che le aveva consentito di guardare in un futuro imminente e nero come il buio da cui era appena uscita. E proprio perché era riuscita ad uscire da lì, che avvertì qualcosa di caldo toccarle le spalle: alzò appena la testa e scorse Ace, di fronte a lei e visibilmente preoccupato.

“Sayuri, stai bene?! Sei ferita?!”
“.......”
“Sayuri?”

Era assente. Anche se udiva perfettamente la voce del ragazzo, i suoi occhi erano ancora vitrei, bloccati da un’immagine proiettata nella sua mente.

“Hey.....” il moro le carezzò la guancia, pulendola da una macchiolina rossa.
“I..I-Io....” cominciò lei alzando ancor un po’ il viso “Non..non ho potuto fare niente...n-non sono..non sono riuscita a metterlo in guardia dalla pericolosità di quel frutto. E’...colpa mia” finì per il mordicchiandosi il labbro con lo sguardo lucido “E’ colpa mia...”
“Non dire assurdità!” esclamò con vena furente trattenuta “L’unico colpevole è Teach e verrà punito per quel che ha fatto!”

Sapeva di non dover alzare la voce e di fatto si era contenuto il più possibilmente - anche se non sembrava -, ma la ragazza aveva comunque stretto le spalle tornando a guardare il pavimento, celando gli occhi dietro le lunghe ciglia nere e tremando come una foglia. L’immagine del volto morente di Satch le ronzava in testa e da come aveva intrecciato ermeticamente le dita, si stava sforzando a non cedere davanti ad essa. Ace potè solo immaginare che cosa stesse cercando di fare e sarebbe stato ben disposto a cedere metà della sua vita anche solo per provare un decimo di quel che la ragazza stava sopportando silenziosamente, almeno così da poterle dire che la capiva. Ma non poteva ed era questo ciò che più lo mandava fuori di sé. Una delle tante ragioni per cui sfasciare quel che c'era a distanza ravvicinata risultava facile come leggere.
E visto che non era certo delle sue successive parole, prese le sue mani nelle sue. Sperava che quel piccolo contatto la tranquillizzasse un pochino e nel tentativo di farla smettere di rabbrividire, nel cercare di trovare un contatto a quella stretta, le trasmise più calore.

“Andrà tutto bene”

Furono le sue uniche parole certe. Non voleva azzardarne altre, non su Satch o qualunque altra cosa lo riguardasse perché il solo ripensarlo vivo quella stessa mattina gli pietrificava il sangue nelle vene, esattamente come prima. Ne lui ne tutti gli altri lo avrebbero visto il giorno successivo entrare nella sala sbadigliando, parlottare con loro del più e del meno, cercare di far colpo sulla principessa, allenarsi con la spada o ridere con un calice di birra in mano.......nessuno di loro lo avrebbe più visto fare quei atti rientranti nella quotidianità della nave perché ormai il comandante della quarta flotta se ne era andato via. Non su un campo di battaglia dove molti speravano di far bene la propria parte, ma su un’isola, senza poter dire addio a tutti quanti. Morire soli era una crudeltà che non doveva colpire chi era pronto a difendere sogni, ideali e compagni, senza alcuna esitazione, e questo era un altro buon motivo da mettere in conto a quel bastardo di Teach. Al sollevare il suo nome, gli occhi neri di Ace si infiammarono: quel corto agglomerato di sillabe non sapeva più di nulla, quel che si era costruito in tondo ad esso era stato spazzato via e cancellato dal suo stesso padrone. Non c’era nulla di lui che potesse appartenergli, perché, forse, quel che pensavano di sapere sul suo conto era sbagliato, ma di una cosa Ace era sicuro: non l’avrebbe passata liscia, affatto. Sayuri pensava che la colpa fosse sua, ma anche lui, in qualità di suo comandante, aveva la propria responsabilità,anche se non rientrava nella questione. Quell’infame era un suo sottoposto e aveva agito senza che lse ne accorgesse, attendando alla vita di una delle persone a lui più adorate e strappando quella di un fratello che aveva pagato a caro prezzo il suo voler difendere la ragazza.

“Andrà tutto bene, Sayuri, te lo prometto” ripetè con più determinazione “Non resterà impunito, te lo posso assicurare”

Il tepore che sentiva sulla sua pelle era lo stesso di quelle fiamme che si erano diramate nel buio confinato da qualche parte dentro di sè. Le poche energie raccolte le stavano venendo a meno, il suo corpo supplicava un po’ di riposo, ma non ascoltò nessuna di quelle richieste che solo lei poteva recepire. Ace le stringeva la mano senza essere brusco e quello pareva essere il solo tocco che in quel momento fosse in grado di accettare. Intorpidita e con le labbra appena socchiuse, fece di quella debole stretta il suo unico conforto e lasciò che le gambe ciondolassero sospese dal pavimento senza tener conto di null’altro: il contrasto con la realtà era stato ed era ancora più forte di quanto pensasse e lei il dolore lo conosceva fin troppo bene. Si, quella era una sua nuova forma, ma l’effetto rimaneva lo stesso. Alle lacerazioni curate con premurosità se ne aggiunsero altre di varie dimensioni e spessore, che non tardarono a sanguinare e a riaprire quella già cucite. La carne ferita, la sua, venne infilzata e strizzata, tanto che dischiuse di più la bocca, piegando la schiena in avanti. Il fiume rosso era così scuro e denso da sembrare nero e dalla sua superficie emergevano parole, momenti, immagini e sorrisi a volte accompagnati da quel braccio strappato dal resto del corpo, che le aveva dato un assaggio di quanto avrebbe trovato in seguito.
Teach era colpevole di omicidio, questo era innegabile ma ciò non toglieva che il frutto fosse suo e, detta meglio, che fosse una sua responsabilità tenerlo vicino a sè e non poteva far finta di niente visto che le era stato rubato per poterle evitare la morte certa. Il foglio appallottolato era ancora nella tasca della sua gonna, così come l’avvertimento del biondo, che risuonava come un requiem spezzettato nel suo animo ridotto ad un cumulo di nebbia grigia. La voce di Ace, la sua forza di volontà animata dal fuoco che gli ardeva in quelle pozze nere che per molto tempo l’avevano incantata, furono sottomesse da un altro suono ben più breve, ma con un incisività tale, che fu scossa da un brivido involontario che la paralizzò interamente.

Ti-tling.
Il suono metallico. Il suono di catene fredde e dure. In men che non si dica rivide il fuoco, le fiamme che tanto le piacevano lottare con un orgoglio imparagonabile il buio, l’oscurità capace di risucchiare tutto senza aver limiti. Li vide squadrarsi attaccarsi e infine unirsi in una spirale composta da entrambi, poi....di nuovo quel suono.

“Sayuri, cos’hai? Che ti succede?”

Il moro sciolse le proprie mani per poterle riporre nuovamente sulle sue spalle. Tremava con più violenza e aveva incrociato le mani al petto cercando di farsi piccola quanto bastava per ridurre quel conflitto che stava raggiungendo livelli così intensi da rendere vano il suo voler mascherare le proprie emozioni. Tutto intorno a lei era un continuo tintinnio incontrollato che non faceva altro che crescere e scavare nei suoi timpani fino a romperglieli. Teneva gli occhi serrati, ma assisteva a quel che più di tutto desiderava non vedersi realizzato: per un solo attimo, tra le fiamme era apparso lo stesso Ace che ora la guardava preoccupato e tra le spire oscure, il volto sprezzante di malignità di Teach. Rideva, rideva come mai aveva fatto in loro presenza e infieriva sul ragazzo a tal punto che il dolore stava colpendo realmente lei al torace, nella zona che cercava di coprire con le braccia.

“Ugh....!” non riuscendo a trattenere un lieve gemito, si piegò di più.
“Sayuri!” per timore che cadesse, Ace la tirò su, facendola appoggiare a sé.

Faceva veramente male, quasi le mancava il respiro. Il pugnale immaginario scendeva lungo la sua schiena e si inoltrava nella sua pelle con lentezza perfezionista, come se quell’oggetto non volesse saltare uno solo strato di muscoli o eseguire un lavoro veloce e poco preciso. E intanto che il dolore aumentava, delle fiamme che erano presenti nella sua mente, non era rimasto nulla, neppure un piccolo spiraglio: la risata di quel maledetto riecheggiava in tondo, costantemente, parallela al flebile suono della voce di Satch, insieme al suo viso, al suo sangue....
Le lacrime scesero e la poverina finì per singhiozzare contro il torace scoperto del ragazzo, che la abbracciò quanto più potè, poggiando il mento sulla sua testa.

“Mi..Mi dispiace..sigh....m-mi dispiace....!” ripeteva.
“Non dire così” le mormorò il moro, mandando giù il groppo che aveva in gola.

A quella distanza così ravvicinata poteva sentire le sue difese, quelle poche rimaste, sgretolarsi come tanti muri insieme a quel che difendevano con tanta insistenza. Era comprensibile che lui e tutti gli altri reagissero a quel dolore diversamente: indubbiamente era grande, spiazzante, inspiegabile per molti aspetti e che non lasciava spazio a parole senza significato ma purtroppo Sayuri era un gradino più in alto rispetto ai altri, perfino al di sopra del babbo, che amava tutti loro come fossero figli suoi. Ace aveva gli occhi lucidi e un moto d’animazione vasto quanto due oceani tempestosi messi insieme, ma non per questo pianse. Non per orgoglio o per mancanza di sentimento, semplicemente perché al momento non era lui ad aver bisogno di un sostegno. Per i tanti compagni sulla nave, c’era bisogno di qualcuno che fungesse da pilastro per far sì che la Moby Dick non sprofondasse e questo era uno dei molti motivi validi per cui Barbabianca aveva scelto, lui, Marco, Jozu, Vista e pochi altri come comandanti delle sue divisioni. Non chiedeva di reprimere le emozioni o di non piangere, no questo mai, voleva soltanto che chi fra i compagni si sentisse smarrito, trovasse in loro e nel padre una figura di appoggio per recuperare l’animo perso. Sayuri non si era persa ne si era allontanata; non aveva ricostruito le sue barriere ne vi si era rifugiata all’interno. Era andata in pezzi e Ace stava facendo sì che nel suo abbraccio, quel fiore appesantito dalle lacrime raccogliesse i petali smarriti lì attorno per tornare a splendere sotto la luce del sole. Non sarebbe stata una ricerca facile e rapida, ciò richiedeva tempo, ma quel che al momento le occorreva, non era nulla di tutto questo.
Con attenzione, Pugno di Fuoco fece scivolare la mano sotto le ginocchia della ragazza, le tirò su le gambe, deponendole delicatamente sul lettino senza mai lasciarla andare.

“Forse adesso non te la senti...” le disse con quanta più dolcezza riuscì a trovare “Ma, almeno un po’, devi riposare.”

Muta e con occhi privi di pupille, lei non reagì in alcun modo e si lasciò maneggiare tranquillamente, ma senza abbandonare quella debole presa che aveva su di lui. Seppur apparentemente vuota, era in grado di udire ogni singolo rumore, percepire i cambiamenti...in qualche modo era ancora collegata alla realtà ed era certa che il merito fosse solo di Ace. Si sarebbe abbandonata volentieri a quel tepore seguendo così il consiglio del ragazzo, ma in quel preciso momento, la porta dell’infermeria si aprì con un lieve cigolio e Maya fece capolino all’interno della stanza.

“Scusami, Ace, ma Sayuri deve venire con me: papà vuole parlarle” proferì tristemente neutrale.

La sua voce ricalcava gli sforzi che stava compiendo per non cedere alla malinconia.

“E’ necessario che la veda adesso?” chiese lui preoccupato per la castana “Non...”
“Va bene”

Riemersa dal suo io, Sayuri parlò con voce sottile ma udibile dai presenti nella stanza. Strascicando, scese dal lettino e si avviò alla porta affiancata da Ace.

“Se non ti dispiace, io..vorrei andare da sola” sussurrò sull’uscio dell’entrata, rivolta poi al ragazzo.
“Preferisco accompagnarti” replicò laconico.
“Ace” si intromise la più grande “E’ meglio se aspetti qui. Papà vuole parlare soltanto con lei”

Se quella era la volontà del capitano, non poteva insistere anche se il vedere la capo infermiera cingere le spalle di Sayuri e portarla via gli costò molto. In cuor suo, la castana ringraziò mentalmente l’amica per esserle venuta in aiuto: era vero che il capitano voleva parlare con lei da solo, ma anche se non avesse chiesto di vederla, in ogni caso lei si sarebbe fatta avanti per prendere in mano la situazione e impedire che quanto temeva si completasse. Non poteva permettersi di esitare e anche se dentro di sé era in subbuglio per l’eccessiva concentrazione di sentimenti, pensieri e flashback, doveva farsi coraggio e parlare all’imperatore.
Arrivate alla porta, la capo infermiera bussò per lei. Dall’interno, si udì la voce del capitano invitare la giovane ad entrare con un sommesso “Avanti”.

“Non ti preoccupare, andrà tutto bene” la incoraggiò Maya con premura.
“...Si” le rispose chiudendosi la porta alle spalle.
 



Barbabianca era seduto su una poltrona affiancata al letto, identica a quella che veniva sistemata sul ponte quando stava all’aperto. Nonostante la tarda ora non vi era traccia di stanchezza nell’uomo più forte del mondo, nei cui occhi si annidava un sentimento intriso di amarezza e delusione, celato da un profondo silenzio ricercatore di parole, incapace di sostenere quell’atmosfera creatasi ovunque sulla nave. La sua pesantezza riempiva quella stanza a tal punto da mettere a disagio la ragazza, che nel sedersi sulla seggiola posta di fronte a lui, la percepì farsi più incalzante. Doveva essere davvero ridicola ai suoi occhi; quella era la prima volta che si trovava così vicino al capitano se escludeva il combattimento avuto al loro primo incontro. Consapevole di doverlo guardare, non ci riuscì; era nella stessa, medesima posizione di quando stava nell‘infermeria, con i capelli che ogni tanto si muovevano senza ragione. Le flebo collegate al corpo dell’imperatore lavoravano e fuori dalla finestra, il vento ululava contro il vetro così piano che quasi pareva aver paura di rompere quel che si era creato. Erano piccoli quei rumori, insufficienti a spezzare la tensione o quanto meno a scioglierla di un poco, ma non importava. Non avrebbe fatto alcuna differenza.

“Raccontami quel che è successo” le chiese lui poi, con voce roca.

La notte era già lunga di per sè, ma i minuti che seguirono quella richiesta lo furono di più. Dopo un inizio incerto, Sayuri cominciò a narrare l’accaduto partendo dal ritrovamento del frutto del diavolo, senza tralasciare particolari; la sua voce era accompagnata da un suono basso, controllato, privo di esitazione, ma ugualmente frammentato. Parlava, svelava i suoi dubbi e l’insicurezza provata non tanto per utilizzarli come giustificazione, ma per far capire all’imperatore che lei si sentiva colpevole quanto Teach e che era pronta a rimediare se lui gliene avesse data l’occasione.

“Questo è quanto” mormorò infine, terminando la sua testimonianza.
“..Va bene così” asserì piano il Bianco “E’ più che sufficiente”

Aveva evitato appositamente di chiederle se stesse bene perché era logico, anche solo guardandola, che non stava bene. La testa pareva star sopportando un peso troppo grande perché le permettesse di sollevarla. Il vestito era macchiato di sangue e nonostante questo si fosse asciugato, non cancellava comunque il ricordo di quella notte. Era stata sincera e coraggiosa a parlare subito e poteva immaginare benissimo cosa significasse per lei. La sua grande famiglia, in passato, aveva già dovuto dire addio a molti suoi membri e lui non aveva potuto fare altro che seppellirli e augurargli buona fortuna ovunque andassero. Mandare giù in gola l’amaro che quelle perdite scatenavano, era un qualcosa a cui non ci si poteva abituare, specie quella di un figlio che se ne va prima del padre. E il dolore di una figlia per non l’essere riuscita ad aiutare come voleva un fratello, era qualcosa che perfino lui non poteva comprendere appieno per quanto amore provasse per ciascun membro del suo equipaggio. Fu proprio quell’incomprensione parziale a farlo sporgere dalla poltrona per potersi chinare abbastanza da muovere il braccio e allungarlo fino alla bambina; la sua enorme mano le circondò da prima la spalla e poi le accarezzò la testa con fare paterno senza che venisse respinta.

“Ti ringrazio, Sayuri” le disse “Sei stata brava”

Nel starla ad ascoltare aveva scorto quel piccolo barlume di forza non ancora del tutto sgretolato muoversi dentro di lei, lo stesso barlume che l’aveva esortata a venire lì e a stare nella stessa stanza con lui anche se fino a quel momento non c’era stato modo di poterla guardare negli occhi. Lo stesso che l’aveva spinta a combattere contro di lui quella volta, per impedirgli di arrivare ad Ace. Ora rimaneva ben poco da guardare e non se la sentiva di trattenerla ancora lì. Non aveva bisogno di sapere altro perché non gli sarebbe stato difficile trovare le conclusioni per quel tragico episodio, ma nel risedersi sulla poltrona, facendo ondeggiare così i diversi tubicini collegati al suo corpo, vide la ragazza ancora immobile, con qualcosa che la rendeva incomprensibilmente diversa ai suoi occhi esperti.

“Vorrei chiederle un favore, padre” mormorò poi lei.

Le sue mani si stringevano a vicenda irrigidendo i muscoli degli avambracci e delle spalle, come a voler imprimere più spessore e forza alle sue corde vocali, pronte a espellere i pensieri concretamente. Temeva di non aver più ossigeno o energie per arrivare a quel punto, che crollasse senza neppure rendersene conto e invece, contro le maggiori aspettative da lei previste, sentì scorrere la propria volontà come una linea calda che si diffondeva in tutto il suo corpo, anche se debolmente. Ancora celava lo sguardo al pirata dai prorompenti bianchi che la osservò per qualche secondo prima di far calare e aprire in un battito d’ali affaticato le sue palpebre.

“Di che si tratta?”

Seguirono altri secondi di sospensione, con un leggero scricchiolio da parte del legno del pavimento che dilungò il suo essere compresso fino a sparire senza essere degnato d’attenzione.

“Io so bene..” cominciò stringendo per l’ultima volta i lembi della gonna “Che l’omicidio...è un reato grave e che va punito severamente, così come conosco la legge riguardante i frutti del diavolo che vigila sulla vostra nave: chiunque entri in possesso di tale tesoro ha il diritto di appropriarsi dei suoi poteri. Ho trovato quel frutto e me ne sono assunta la responsabilità, vista la mia scelta di non utilizzarlo, perché lo reputavo maligno ai miei occhi, ma nonostante questo..” si morse il labbro ormai tartassato “Non sono riuscita.... a vedere cosa stava accadendo. Mi sono fatta sottrarre il frutto e Satch ha pagato con la sua vita per proteggere la mia ed è una cosa che non posso sopportare ne ignorare, perché vede, padre, io.... mi sento colpevole esattamente quanto Teach. Per questo motivo...” si interruppe nuovamente per riprendere fiato “Non posso rimanere qui con le mani in mano, senza agire”
“E dunque cosa vorresti fare?” le domandò il capitano.

Con gesto inaspettato, la ragazza levò lentamente il capo, lasciando ricadere all’indietro la lunga chioma castana, mostrando due occhi carichi di una determinazione seriamente disperata.

“Vorrei che mi affidasse l’incarico di trovare Teach” concluse la pirata fermamente.
 
 


C’era un fermento silenzioso sul ponte principale della Moby Dick. Tutti quanti erano svegli e condividevano lo stesso ambiente carico di tensione senza fiatare più del necessario. Il brusio presente aspettava la decisione di papà tenendo la mente occupata con pensieri contrastanti a quella calma snervante che stava accompagnando ogni singolo secondo di attesa. Più di tutti, era la quarta flotta a mal sopportare quel momento e a desiderare che quel bastardo traditore di Teach morisse all’inferno per quello che aveva fatto.

“Si sa qualcosa?” domandò Bonz nel vedere Marco arrivare dai corridoi.
“In questo momento papà sta parlando con Sayuri. Vorrà sapere come sono andati i fatti” rispose atonico il biondo. Poggiò la propria schiena contro la parete di legno, passandosi una mano sulla bizzarra capigliatura gialla.
“E Ace?” si aggiunse Jozu.

Il comandante della prima flotta scosse la testa come per dire che non ne aveva idea, anche se era ben immaginabile che fosse dentro con la ragazza o nelle sue vicinanze. Raddrizzandosi, andò a sedersi sulla scalinata, poggiando i gomiti alle ginocchia mentre i lembi laterali della sua camicia viola svolazzavano di tanto in tanto sollevati dal vento. Mai si era sentito tanto pesante e nell’atto di liberarsi di quella minuscola quantità di anidride carbonica, riversò in avanti il capo volgendo così gli occhi su quelle scale che lo separavano dal pavimento.

“Quello stronzo aveva organizzato tutto” proruppe poi intrecciando le dita.
“Cosa te lo fa pensare?” gli domandò Vista inarcando un sopraciglio nero.
“Rifletteteci bene” mormorò alzando la testa e mostrando un espressione quieta ma dalle dure sfumature “Per tutti questi anni, Teach non ha mai fatto nulla che potesse farci insospettire del suo comportamento. Tutti noi lo conoscevamo bene, ma nonostante questo, non siamo stati capaci di vedere quel che ci stava davanti al naso e lui non ha avuto problemi a ingannarci”
“Non riusciamo a seguirti, comandante Marco” si fecero avanti alcuni.
“Il suo disinteresse” precisò Don facendosi avanti “Ecco cosa abbiamo trascurato: si trovava su questa nave da anni e non gli sono mai interessate posizioni di prestigio come quelle che ricoprono Marco o Jozu, anzi, ha sempre cercato di rimanere nell’ombra, esattamente come un’incognita”

Don era lì da poco più di un anno ma i pirati che servivano Barbabianca da più tempo, seppero trovare un fondo convincente nelle parole del medico-cecchino. Teach aveva sempre preferito apparire il meno possibile - battaglie escluse - nonostante si fosse guadagnato quel rispetto di veterano che lo contraddistingueva dai novellini, ma nessuno era stato lì a rimuginare sul perché di quella poca mania di grandezza, almeno fino a quel momento.

“Stava aspettando il momento più propizio per agire ed è stato capace di attendere per tutto questo tempo perché era certo che fra le file di Barbabianca avrebbe avuto più fortuna” terminò Marco trattenendosi dal serrare la mascella “E infatti, essendo riuscito a ottenere quel che voleva, non aveva più motivi per restare”
“Ma...ma perché? Perchè uccidere il comandante Satch?” domandarono altri confusi ”Il frutto non era nemmeno suo!”
“Probabilmente doveva aver intuito le intenzioni di Teach in precedenza” spiegò Jozu con meccanicità “Per questo motivo ha preso di nascosto il frutto dal baule di Sayuri. Se non avesse agito di conseguenza, ci sarebbe andata di mezzo lei”
“Già e questa è la ragione per cui adesso lei sta chiedendo a papà di affidarle la spedizione punitiva”

Le ultime parole di Don coinvolsero ancor più persone,le cui orecchie si erano già indirizzate su quel discorso che con fare crescente pretendeva dei come e dei perché, verso risposte che ai loro occhi apparivano solo come dei piccoli amassi di nebbiolina. Era vero che Sayuri si trovava dentro col babbo da tempo, forse troppo anche per un difficile resoconto, quindi soltanto chi la conosceva bene, in ogni suo aspetto, in ogni sua sfumatura poteva immaginare con più razionalità verso quale direzione il discorso stesse vertendo. Chi ancora non era giunto a tale conclusione pretendeva quanto meno di avere il quadro completo di quel che era successo per potersi mobilitare al meglio senza lasciare spazi vuoti, ma arrivati lì, anche quelli che avevano retto la conversazione si erano ritrovati increduli davanti all’affermazione data dal medico-cecchino, ma consci del fatto che stava dicendo la verità; egli non era il genere di persona che sputava sentenze superficiali, era preciso in quel che diceva perché conosceva bene i suddetti a cui si riferiva.

“Non guardatemi con quelle facce” e ammonì quelli che lo stavano fissando con espressione ebete.
“Pensi sul serio che lo farà?” gli domandò Vista seppur già conoscesse la riposta. A momenti prima il cilindro gli era sfuggito dalla testa.

Per la prima volta da quando era sulla Moby Dick, Don si tolse il berretto e fece ciondolare la testa verso destra buttando fuori un grosso sospiro mentre il fidato accessorio veniva fatto girare fra le sue dita veloci e ferme.

“Tutti noi conosciamo Sayuri e sappiamo che non era intenzionata a tenersi quel frutto. Ora, presupponendo che sappiate come sia fatta, davvero pensate che rimarrà qui ferma senza fare niente?”

Certo che no, fu la risposta mentale di tutti. Non potevano dire di conoscerla come Ace, ma a grandi linee, sapevano che accostata alla sua gentilezza c’era una determinazione che solo pochi potevano permettersi. Nel modo più assoluto, la cartografa della seconda flotta aveva sempre preso ogni incarico affidatole senza mai dare nulla per scontanto, mostrandosi responsabile di quello che le veniva dato o richiesto, ma questo chiunque lo poteva sapere se le stava vicino.
Quel che poneva Don, su un piano più vicino alla giovane, era il fatto che conoscesse la sua emotività e quella, in una situazione del genere, avrebbe giocato un ruolo non poco irrilevante, trasformandosi in qualcosa che sicuramente l’aveva già spinta a prendere l’iniziativa. Non dubitava delle sue supposizioni, perché aveva imparato a osservare la compagna da ogni angolazione; conosceva la sua dolcezza, come combatteva e con quali principi sostenesse la sua volontà. Sorrideva e si proteggeva da ricordi orribili che parevano infestarla come una moltitudine di fantasmi. Poteva dire tanto altro, per esempio di come il suo fare altruista a volte la portasse a trascurarsi ed era quello il punto da cui si erano diramati i suoi passaggi logici: Sayuri era buona e non aveva paura a sacrificarsi per gli altri, a difenderli anche a costo di pagare a caro prezzo le sue scelte ed era questa consapevolezza ad averlo allarmato.

“Vediamola su un piano meno personale” riprese “Sayuri ha trovato questo frutto e ne aveva la responsabilità fintanto che non avrebbe deciso sul da farsi dato che non aveva intenzione di mangiarselo. Sicuramente Teach doveva aver capito fin da subito che il frutto rivenuto era quello che gli interessava e che, a quanto pare, stava cercando da tempo. Così ha iniziato a muoversi per rientrare in un raggio d’azione ancor più vicino al suo obbiettivo, cercando di non mostrarsi esageratamente interessato: probabilmente questa sera dovevano incontrarsi, ma, a presentarsi all’appuntamento, non è stata lei, ma Satch, che di nascosto aveva sottratto il frutto per smascherarlo”
“Se si fosse presentato a mani vuote di certo quel bastardo avrebbe inscenato una scusa per rinviare il tutto in seguito, per questo Satch ha portato con sè il frutto: era l’unica maniera che aveva per far uscire Teach allo scoperto” proseguì Vista, con il mento incastrato tra il pollice e l’indice.
“Già...e siccome lo stronzo non poteva permettersi in alcun modo di vedere sfumata la sua unica occasione, ha gettato la maschera” concluse il medico-cecchino sostituendosi al comandante dai folti baffoni neri.
“Dove vuoi arrivare, Don?” gli domandò Jozu secco.

Con uno schiocco di labbra, l’ex vice dei pirati di picche rindossò il berretto di lana grigia mandando giù in gola la saliva depositatagli in bocca.

“Sayuri era la sola depositaria di quel frutto” ripetè quelle parole scandendole una per una “E il non essere riuscita a salvare la vita di Satch, la sta facendo sentire colpevole per non essersi accorta prima di come stavano andando le cose. Se non è ancora uscita dalla stanza del capitano è perché con ogni probabilità sta cercando di ottenere il consenso per poter dare la caccia a Teach e, credetemi, io la conosco bene: non si arrenderà fino a quando non otterrà quanto chiesto”

Era così semplice intuire quali fossero le intenzioni della ragazza visto il suo carattere e il ruolo ricoperto in quell’incidente ma ancora non poteva dire di sapere una delle due ragioni principali: avvertiva la presenza di una seconda come fosse una spada pendente sopra la sua testa e quella ragione, piccola o grande che fosse, era la molla che principalmente senza alcun dubbio aveva esortato l’amica a farsi carico di quel peso. Avrebbe messo in gioco la sua carriera di medico pur di dimostrare che quanto aveva appena detto era la sacrosanta verità. Che fosse subito o fra tre giorni, la pirata non avrebbe avuto modo di trovare pace dentro di sé se non fosse andata lei stessa a risolvere la situazione.

“Se papà dovesse dare il suo consenso, è poco ma sicuro, che ad Ace la cosa non piacerà” affermò Vista lugubre, calandosi il fidato copricapo nero sui occhi.
“Sempre che glielo dia il permesso” grugnì il comandante della terza flotta con le enormi braccia abbronzate conserte.
“Qualunque sarà la sua decisione..” proferì Marco lanciando un’occhiata alla bandiera in cima all’albero maestro, piatta quanto la marea “Dobbiamo prepararci al peggio”

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Capitolo 49
*** Distacco. ***


Buonasera!premetto che sono stata più  impegnata del solito e quindi ho apportato modifiche qua e là molto velocemente;ho avuto a disposizione solo un giorno(voi direte:tanto!si,beh essendo io puntigliosa su alcune parti e avendo la mano da una parte e l’altra su libri o cose del genere,il risultato è stato quel che è stato).Se ci sono errori,perdonatemi.Spero comunque che vi piaccia.

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MBCharcoal:Marta-chan!brava la mia cucciola che ha postato l’ultimo capitolo!ora attendo il seguito!capitolo triste ma bello,hai ragione e qui succederà che….non lo dico;leggi e scopri da te mia cara.Prepararsi al peggio ha suggerito Marco.E noi allora prepariamoci.

angela90:ciao cara!come ben hai visto la tensione è fin troppo alta,quasi insostenibile e a pagarne di più le conseguenze è proprio Sayuri.Si è liberata di un peso per prenderne un altro e qui Ace purtroppo non può fare molto.Il senso di colpa come ha visto è molto forte e qui ne si avrà la seconda parte;ha deciso di mantenere la parola data a Satch e di difendere anche tutti gli altri.Quanto alla decisione del babbo e della reazione di Ace,vedrai qui quel che serve per farsi un’idea completa.

maya90:amorino,che bello sentirti!la relativa calma prima della tempesta da te vista nello scorso capitolo qui diverrà un vero e proprio uragano ma non dico altro.Newgate qui ho cercato di farlo il più tremendamente assomigliante a quello che Oda ci ha fatto vedere una o due volte prima della saga di marineford(speriamo di avercela fatta).Grazie per aver apprezzato Marco e Don,come accoppiata sulle spiegazioni li ho sempre visti molto bene e qui ho avuto modo di inserirceli anche se l’argomento suscitava tutto tranne che felicità.Stupida crapa lardosa!!si,è stato bravino a rimanere nell’ombra e dire che non era nemmeno un fuscello..però questo non cambia per nulla la mia opinione su di lui.

tre88:ehilà!hai visto?nemmeno io so come Oda possa adorare Teach,forse perché è uno dei pirati vecchio stampo.Basta guardarlo per convincersi che non è uno stinco di santo!Bonz c’è sempre,solo che non trovavo mai il momento adatto per ficcarlo dentro (a parte quando è caduto nel ghiaccio).Per forza di cose Maya e Don hanno collaborato:litigano ma sanno quando mettere da parte le divergenze per un caso grave,sono pur sempre due adulti molto intelligenti.Su Ace e Sayuri non c’è bisogno che ti dica nulla perché qui troverai tutto quello che vuoi sapere.Se ci sono errori,chiedo scusa ma come ho detto sopra,sono molto impegnata.

Chibi Hunter:cara,no,no piangere!se no comincio anche io!non preoccuparti per l’appellativo dato a Teach,c’è di peggio ma per motivi di buona educazione eviterò di elencarli o potrei venire anche denunciata.Ace si è furioso,non sai quanto e Don,proprio perché conosce bene sia lui che l’amica sta già immaginando che cosa potrebbe succedere.Sayuri poi se lo sente addosso questo senso di colpa ed è più opprimente del suo passato,quindi di certo non se ne starà buonina sulla nave…ok,mi fermo perché se non faccio spoiler e non va bene!

neff:carissima!si,si adesso ci inoltreremo in una parte dura,difficile e più movimentata del resto della storia(sperando di farla bene).Ace non sa cosa fare,forse per questo che hai avuto più compassione per lui;vede Sayuri in quello stato e nonostante i suoi sforzi non riesce a farla star meglio,è impotente(noooo,il mio povero fiammifero preferito!!!).Goditi il capitolo!

happylight:eccola la mia lucina felice!lo scorso capitolo è stato un agglomerato di tristezza e tensione;per figurarmi tutti i membri della ciurma di Barbabianca sul ponte,inabilitati a muovere un passo ci è voluto tanto,anche perché essendo una scena madre ci tenevo a renderla al meglio.Su Sayuri poi son stata cattiva:sta male ma come hai visto tu adesso la mia prediletta sta cercando di convincere il babbo a lasciarla andare.Don che la conosce bene sa che non si tirerà indietro,per questo lo afferma con smisurata certezza.E poi conosce ancor meglio Ace,cosa da prendere in considerazione visto l’avvenimento.Buona lettura,spero possa sorprenderti!
 
“Glielo chiedo per favore, padre: mi affidi l’incarico di trovare Teach”

Non seppe dirsi se fosse la disperazione a farla muovere o il suo dovere in quanto ex proprietaria del frutto del diavolo rubato, fatto stava che Sayuri era sempre stata intenzionata di chiedere quel permesso al capitano sin da quando aveva messo piede all’interno della stanza. Ora che finalmente riusciva a guardarlo in faccia, gli occhi le bruciavano maledettamente ma da essi non fuoriuscivano lacrime: lucidi, erano irradiati di un vigore sempre più abbagliante, che danzava nelle sue iridi color cioccolato con sempre meno controllo. Bastava concentrarsi su di essi per dimenticare temporaneamente in che stato fosse stata trovata.
La ragazza vedeva nella sua richiesta la cosa giusta da fare, la sola ritenuta accettabile e afferabile. L’abisso da cui era riemersa le aveva aperto gli occhi su molte cose, troppe, crudeli, ma importanti affinchè conoscesse quel crudo futuro non così tanto lontano. Le sue originali convinzioni erano mutate, da prima ridimensionatesi radicalmente, poi accresciute di particolari così spiazzanti a cui ancora non riusciva dare un posto fisso. Affermare sfrontatamente che Teach li avesse traditi non era corretto per quanto assurdo potesse suonare. Bisognava vederla in un’ottica smisuratamente ampia ed era con un metro di quella portata, che Sayuri era stata capace di delineare il vero Marshall D.Teach, alias Barbanera: egli non apparteneva a pieno all’era passata ne a quella presente, che da una parte stava venendo infangata da alcuni idioti che non credevano nei sogni.

I sogni....l’essenza di un uomo.

Quante volte l’aveva ascoltato al riguardo? Credere all’impossibile era da bambini perché il mondo in cui vivevano era così materialistico che non se ne faceva nulla di desideri inconsistenti come i sogni ma Teach non era di quello stampo, non c’aveva mai tenuto a infettarsi le orecchie di simili scempiaggini. Lui era un sognatore e, per l’appunto, aveva un sogno da realizzare e questo non conosceva limiti, confini o amicizie. Non aveva preso in giro nessuno di loro, li aveva sempre considerati suoi amici; semplicemente, il suo desiderio superava di gran lunga qualsiasi altra fonte di felicità, perché troppo grande per poter essere considerato o spostato in una posizione secondaria. Satch aveva rappresentato un limite, un pericolo per il suo sogno e lui se ne era sbarazzato, dando prova che non esisteva nulla al mondo che potesse impedire agli uomini di realizzare i propri obbiettivi, perché essi non meritano alcun tipo di imposizione. Altrimenti non sarebbero sogni.

“Ho iniziato a navigare a dodici anni e mi sono sempre ripetuta che nonostante quanto avessi già provato, il mondo poteva offrire molto peggio oltre che le sue meraviglie e ci sono molte cose d’esso, che io ritengo ingiuste: l’uccidere insensatamente è una di queste” mormorò con voce stanca “Non ho mai avuto paura di combattere o di respingere chi mi attaccava ma non mi sono mai permessa di infierire mortalmente, perché non ne avevo motivo. Anche se ci fosse stata una qualche ragione a spingermi, non l’avrei reputata abbastanza importante da pormi al dì sopra di quella vita.”

Inconsciamente la sua voce si stava assottigliando, riempiendosi di una strana commozione. La pelle attorno agli occhi, già pizzicata dalle lacrime, tornò a farsi rossa mentre le piccole gocce trasparenti come i diamanti iniziavano a bagnarle le fini ciglia nere.

“E’....la prima volta che vedo morire un amico” confessò in un sorriso tremolante “Pe..pensavo che se mai mi fosse capitato, sarei stata in grado di sostenerne il peso senza che mi schiacciasse..ma mi sbagliavo” e degludì “Non sono forte come credevo di essere ne così attenta come molti miei compagni d-dicono”

Cacciò indietro i singulti già pronti a spezzare la sua voce per far sì che le lacrime scendessero. Compresse con la mano le labbra con quanta più forza poteva e solo quando fu sicura di aver represso ogni possibile singhiozzo traditore inspirò altra aria per poter proseguire.

“Non voglio che Teach sparisca dalla circolazione con la convinzione di aver raggirato una stupida e anche se al momento è così che mi sento, io..non ho intenzione di dargliela vinta”
Se adesso non combattessi....
“So bene che un simile fatto richiede l’intervento di un comandante ma vede..proprio perché sono coinvolta a tal punto, che vorrei essere io ad occuparmene” continuò con la visuale nuovamente incollata al pavimento e il respiro affannato.
...Se non reagissi...
“Quindi glielo chiedo con tutto il cuore, padre..”

Si lasciò cadere a terra in ginocchio, picchiando la fronte contro il pavimento e puntando le mani ai lati di essa.

“La prego, mi lasci partire!!”
..Perderei quanto ho di più caro a questo mondo!

Non provò vergogna nel supplicare il più anziano degli imperatori ne le importava di umiliarsi davanti a gente estranea purchè questa capisse appieno la sua disperazione. Fino a quando il capitano non avrebbe emesso la propria sentenza, lei non avrebbe alzato il capo da lì e se mai le fosse stata negativa l’approvazione avrebbe ritentato. La predizione non era più un ricordo sfocato ed enigmatico ma un’autentica fonte di paura che si era elevata, mostrandole che quell’incubo era soltanto alle fasi iniziali. Se non poteva impedirlo, poteva almeno cambiare i fatti ed era questo che puntava a fare, ma prima di tutto necessitava del permesso del padre perché se fosse rimasta sulla nave, in silenzio, qualcun altro sarebbe andato per imporre la giustizia di Barbabianca e lei sapeva fin troppo bene che quel qualcuno era Ace.
Orgoglioso com’era, non avrebbe mai permesso che Teach la passasse liscia e glielo aveva anche detto. Non si parlava soltanto della vita di un fratello o della sua ma di come quel pazzo avesse preso in giro il buon nome del padre, lo avesse utilizzato a suo piacimento per agire con maggior libertà e quel comportamento era la maniera più efficace per mandare in bestia uno come Ace, il cui affetto per il capitano era profondo per molti aspetti che solo lui, lei e ovviamente il Bianco conoscevano.

Si era sforzata di non far trapelare nulla di quel discorso che accidentalmente aveva ascoltato ma prima di quella notte dichiaratoria, aveva pensato e ripensato alle parole del ragazzo, a come trasudassero di indifferenza nei confronti del parente biologico e lei, nonostante la sua buona volontà, il suo passato, non aveva potuto comunque comprendere appieno quel rancore e tutto perché era troppo buona per serbare dentro di sé un simile sentimento, proprio come lui le aveva detto. Il dolore era simile ed era grazie ad esso che si erano trovati, avvicinati fino a stringersi e a mostrarsi; da lì in poi, la vita di Sayuri aveva cominciato a salire lungo quel sentiero che sino ad allora aveva percorso da sola. La felicità era arrivata a sorriderle, a illuminarle la via, aprendole gli occhi su quanto fino a quell’istante le era stato negato e ne era stata così attratta che solamente ora, davanti al proprio capitano, comprese che tanta gioia era strettamente unita a un dolore ben più spesso di quello che era stata costretta a subire.
Non aveva legami con quella donna o con gli abitanti del suo paese natale, tutti loro le avevano impedito qualsiasi forma di consolazione, convinti che non fosse degna di tale privilegio e pertanto le avevano riversato contro quel che un mostro malvoluto meritava. Suo nonno era stato con lei per pochi anni e la vecchiaia l’aveva portato via quando ancora logicamente una bimba di dodici anni ha bisogno di una figura più grande da cui possa imparare altro per stare al mondo ma in quel caso, la vita aveva già fatto il suo corso; lui se ne era andato naturalmente e si era premurato di prepararla affinchè vedesse in quell’abbandono non un qualcosa di forzato ma di inevitabile. Sayuri l’aveva accettato, seppur a malincuore, ed era partita tenendo sempre a mente le amorevoli parole di quell’uomo. Anche adesso cercava di rievocarle per farsi coraggio ma come poteva trovare conforto in qualcosa che era del tutto diverso da quello che stava vivendo ora? Perchè si doveva soffrire così tanto per una persona cara?

Perché sono proprio quelle persone, i sentimenti che provi per loro, che ti danno la certezza di essere viva.  Le avrebbe detto il suo caro nonno.

L’avrebbe presa sulle ginocchia, rivelandole che un legame non era un semplice scambio di parole e sorrisi ma un’autenticazione della propria esistenza. Per qualche strana ragione tutto si gonfiava e prendeva più vigore, brillando e incitando parti del proprio io a uscire allo scoperto per saggiare questa novità. Tra un incomprensione e l’altra, il piccolo giglio aveva realizzato che l’avere degli amici la faceva star bene anche con sé stessa e l’avere una persona come Ace accanto era quel che più la commuoveva per ciò che lui da solo rappresentava nel suo piccolo mondo.
Era importante per lei, tremendamente importante, a dispetto della sua nascita e di chi fosse. Non le interessava da quale famiglia provenisse, non le interessava se lui era il figlio di Gol D.Roger...per lei era semplicemente Ace e l’amava per tutte quelle cose che le aveva donato e a cui non era disposta a rinunciare.

“Per favore, padre...” ripetè un ultima volta con voce soffocata “Mi permetta di andare”

Raddrizzò appena la schiena ma senza alzare il capo. La stanchezza fino a quel momento rimasta assente le piombò a chili come tanti blocchi di cemento armato. Solo in quel frangente si accorse di come le sue unghie fossero conficcate nella carne dei propri palmi: sanguinanti, li rinchiuse in due pugni ben serrati e se li portò al petto istintivamente mentre Barbabianca la osservava con occhi cupi.

“Mi dispiace, Sayuri, ma non ti posso lasciare andare. Non manderò nessuno di voi a cercarlo” proruppe da sotto quei baffi bianchi a mezzaluna.

Di colpo la castana sollevò la testa, allibita, mostrando il viso sconvolto e arrossato. Dovette poggiare le mani al pavimento per sostenere il peso del suo corpo sportosi in avanti bruscamente.

“Ho perso un tuo fratello questa notte” continuò rammaricato stringendo fra le sue dita il bracciolo della poltrona “La morte di un compagno su questa nave è un crimine che non si può perdonare e questo sono sicuro che tu lo sappia bene. Voi non siete semplici compagni di battaglia per me, ma dei figli in tutto e per tutto..” e la guardò come a volerla privare di quel peso che lei aveva definito "Responsabilità" “E come padre, non ho intenzione di esporvi a un pericolo troppo grande per le vostre capacità”

In Barbabianca si stavano annidando emozioni diverse dall’egocentrismo e dalla sfrontatezza che solitamente giocavano dentro di lui, animandolo irrimediabilmente quando brandiva la pesante alabarda di cui era padrone. Tra il rammarico che rendeva amara persino l’aria presente in quella stanza, l’incertezza, la più sconosciuta tra le tante sensazioni, era riuscita a penetrare nel suo corpo provato dai molti scontri, facendolo vacillare addirittura sulla vendetta di uno dei suoi amati figli. Non era un segreto che il più anziano degli imperatori colpisse duramente chiunque riuscisse a far cadere anche solo uno dei suoi uomini ed era per tale ragione che molti si tenevano ben lontani da una simile azione ma Teach non ci aveva badato: lui aveva violato la sacralità di quella regola, se tale poteva definirsi, si era macchiato di un omicidio ed era scappato. Chiunque su quella nave l’aveva valutato come un atto imperdonabile, primo di tutti lui, l’ex rivale del Re dei Pirati, e così era stato.
Allora perchè stava esitando? Perchè non dava a quello che credeva suo figlio la punizione che si meritava?

“Ho un brutto presentimento” non nascose affondando definitivamente le unghie nel bracciolo lilla “E non voglio che nessuno di voi venga coinvolto ulteriormente. Teach sicuramente si starà allontanando..” seminascosta dai baffi, la mascella gli si contrasse con forza trattenuta “Ma non ho intenzione di porre le vostre vite al di sotto del mio onore.”

In qualunque altra situazione, non avrebbe esitato a incaricare uno dei suoi comandanti a svolgere il proprio dovere. In qualunque altra situazione, non si sarebbe imposto di porre ordine a quell’animo di padre e capitano che aveva coltivato all’unisono ma il camminare nel vago, con addosso quella strana sensazione che non lasciava presagire nulla di buono, lo stava incupendo come non mai, tanto da non permettergli di scorgere nulla che non appartenesse a quel presente ora così tetro e privo di suoni allegri. Il dubbio lo corrodeva come acido sulla pelle, lo faceva tentennare quanto bastava per impedire che i suoi figli corressero verso un pericolo di cui la portata era sconosciuta.
Non poteva fare altro che rimanere dov’era, seppur forzatamente, ad attendere che gli eventi si sviluppassero e detto soltanto a parole, era già molto difficile visto che con la sua decisione, stava confermando la vittoria di quel bastardo.

“Devo rimanere qui?” sussurrò Bianco Giglio.

La frangia le copriva la parte superiore del viso. Con tono apparentemente arrendevole, Edward Newgate sospirò a bocca chiusa mentre osservava la ragazza ancora inginocchiata a terra.

“Si, Sayuri” aveva dischiuso le labbra quanto serviva per risponderle.

Non erano che poche parole, condite da diverse tonalità di voce a tenere in piedi quel magro discorso la cui fine nemmeno era certa ma nonostante quell’inconsistenza, su tutt’altro lato esso era molto più pesante di quanto apparisse, spesso quanto bastava per impedire al capitano e al sottoposto una conversazione più viva. Barbabianca reggeva quel confronto come fosse in piena tempesta e le onde stessero cercando di investirlo ma la povera Sayuri era distrutta e da padre quale era, l’anziano uomo si stava adoperando per porre fine a quello strazio, quasi del tutto ignaro che quella bambina non aveva intenzione di accettare la sua decisione in un consentito silenzio.

“Mi perdoni, padre...ma sono costretta ad andare contro la vostra volontà”

Il Bianco aggrottò un sopraciglio, mostrando quel pizzico di sorpresa nello scoprire la non ancora perduta forza d’animo della giovane.

“Io comprendo che vogliate proteggerci da questo potenziale pericolo e ve ne sono grata” riprese sottile “Però, non dovete dimenticare che anch’io, come voi, sono un pirata e il fare parte di una ciurma tanto grande, mi ha sempre esortato a proteggere chi è disposto a fare lo stesso con me. E’ una sensazione...che ho conosciuto solo in questi ultimi due anni” ammise calibrando il proprio battito cardiaco “Ma è una delle più belle che io abbia mai provato e se adesso mi sento così male, è soltanto perché..perchè questo legame tra me e tutti coloro che fanno parte di questa grande famiglia è più profondo di qualsiasi altra amicizia esistente. E’ la prova che sono viva e che posso amare e piangere per loro, al di fuori di questa nave non c’è niente per me. Glielo chiedo umilmente..” inspirò quanto bastava per finire quel discorso ”Mi dia il permesso di lasciare la Moby Dick”

La calma che le aveva permesso di parlare senza singulti, balbettii dovuti per le lacrime ancora nascoste, l’aveva lasciata incredula ma non per questo si era fermata. Placida, appena sotto voce, aveva trovato la forza per replicare, per far luce su un altro lato di sé che era riuscita perfino a strapparle un mezzo sorriso in quella notte senza tempo e luce, dominata da un incantesimo che si sarebbe spezzato soltanto quando il fato avrebbe deciso cosa farne del giorno che prima o poi sarebbe dovuto succedere ad essa. Ma non bastava per andare oltre e lei lo sapeva; per rompere la malinconia e far sorgere quel sole che sicuramente sarebbe stato rosso, doveva guardare in faccia e confrontarsi con quella figura possente che una volta l’aveva atterrata e battuta con un solo colpo. Sentì nelle sue viscere agitarsi un moto crescente, dai contorni identici a quelli della disperazione appena consumata ma più forti ed eleganti. Non sapeva bene come descriverlo ma lo percepiva scuotersi senza controllo.
Nel tentare di domarlo, rivolse nuovamente lo sguardo verso l’enorme uomo, che tese i muscoli del collo e mosse la testa in avanti, piegandola appena in giù per guardarla interamente. I tubicini vennero tirati appena e le flebo produssero il suono di tante bollicine rotte ma poi si zittirono tutte quante per lasciar spazio al padrone della stanza. La mano solcata dai segni della vecchiaia incontrò ancora una volta la spalla dieci volte più piccola della giovane, insieme alla sua testolina castana che accarezzò con sol gesto.

“Va a riposarti, Sayuri” le disse “Hai fatto abbastanza”

Di altre maniere per dirlo non ve ne erano. Edward Negate non voleva ripetersi e apprezzava, ammirava quanto lei fosse stata forte per l’aver retto sino a quel momento ma doveva porle un freno, per evitare che si facesse male con le sue stesse mani.

“Ma, io...”
“E’ sufficiente così” la fermò con tono calmo “Non è necessario che tu mi dimostri la veridicità delle tue parole o che vada a vendicare Satch per provarmi che sei affezionata ai tuoi compagni e che vuoi proteggere le loro vite”
“Invece lo è perché sono proprio i miei compagni che voglio proteggere!! ”esclamò lei.

Il misterioso moto le era risalito su per la gola ed era esploso senza alcun preavviso, lasciando il re dei mari interdetto. Sayuri pareva aver liberato quel qualcosa che la opprimeva a tal punto da non farla sembrare sé stessa e così era: le sue corde vocali si erano alleggerite di inutili tentennii e ora stavano traducendo i suoi pensieri a una velocità talmente esorbitante che quasi li rubavano direttamente dal cervello ancor prima che potessero fuoriuscire da esso. Non erano mai state così tanto assetate dalla voglia di fare il loro dovere.

“E’ perché ho loro e voi che avrò sempre un motivo per combattere” riprese mostrando ancora una volta l’ultimo barlume di determinazione ancora vivo in lei “E’ perchè ho deciso di navigare sotto il simbolo del Jolly Roger che farò sì che la mia fede non crolli. E’ perché sono qui che non voglio arrendermi! Ho scelto io di essere una pirata e non posso tornare indietro perché non vi è altra strada che possa percorrere se non questa!”

Le altre porte le si erano chiuse ancora prima che potesse emettere il suo primo verso. Più volte aveva sorriso quando al mondo non aveva nessun’altro al di fuori di sé stessa e spesso si era chiesta il perché non riuscisse a rispondere al rancore che le veniva scaricato puntualmente addosso. Non lo comprendeva e ogni volta, quelle domande simili a un ritornello, finivano per essere lasciate indietro senza neppure essere degnate della dovuta attenzione. Parlava ad alta voce, si poteva dire che stesse gridando contro il capitano ma era così animata da dentro di sé, che non poteva fare a meno di guardare dritto nei occhi l’anziano imperatore e stringere i pugni sul pavimento come a volerceli far affondare.
Pregava che capisse quanto gli aveva detto e quanto stava per dirgli ancora.

“Probabilmente non sono all’altezza di Teach, ad essere sincera dubito fortemente di portelo battere” disse soffocando il rotto della sua stessa voce ”Ma è per questa ragione che le chiedo ardentemente di farmi andare: non posso proteggere nessuno se non combatto e non posso diventare più forte di così se non ci provo!”
Non voglio perdere nessun’altro..
“Se posso lottare per me stessa...”
Non voglio che accada ancora..
“..Posso lottare anche per loro...”
Non voglio che niente di quel che ho visto si avveri..
“..Ma non è stando qua che riuscirò a diventare quello che voglio essere!!”
NON VOGLIO!
“PER FAVORE PADRE, MI LASCI PROVARE!!”

Lasciò che la sua richiesta urlasse insieme a tutta l’emozione che le circolava in corpo come tante campane fatte scattare all’unisono. Appena l’ultima sillaba ebbe consumato il suo eco, i muscoli del collo di Sayuri si afflosciarono completamente e insieme a loro anche quelli delle dita, rimaste serrate in due pugni micidiali per tutto il tempo. Ora che era stata ascoltata poteva anche accasciarsi di più a terra e sperare che tutto quello fosse solo un brutto incubo ma il problema stava che non lo era. Niente di tutto quello che era successo, che la circondava e dentro cui stava era falso e il prenderne atto era ancor più difficile se si cercava ostinatamente di vedere la realtà in modo diverso: lei per prima avrebbe voluto addormentarsi e svegliarsi nella sua stanza, per poi sospirare felice ma non voleva fuggire dalla realtà ne tanto meno convincersi che questa non fosse quella vera. Quei eventi che per il momento la tormentavano, prima o poi, sarebbero giunti a toccare le sponde del suo mondo e sarebbero ugualmente accadute perché così doveva essere. Le aveva dato forma ma il conoscere quella minaccia - anche se non del tutto - non sarebbe comunque servito a impedire che questa si manifestasse ed era proprio perché si sarebbe concretizzata, che voleva essere lì per poterla affrontare perché seppur minimo, quel cambiamento che intendeva realizzare, avrebbe salvato la vita della persona di cui era innamorata e di cui non poteva più fare a meno. Far sì che Ace rimanesse lì sarebbe equivalso a proteggere lui, i suoi compagni e anche il capitano stesso; era la piccolezza che avrebbe ribaltato i pesi della bilancia e se poteva veramente farlo, a prescindere da quanto le aveva detto la sibilla, non avrebbe esitato a utilizzare anche il più piccolo grammo d’energia per evitare che la Moby Dick piangesse ancora una volta un proprio amico.

Il padre lesse in quelle minuscole iridi color cioccolato una traccia di quella ostinazione che solo pochi minuti prima si era espressa ad alte parole e comprese. Comprese di non poter piegare neppure un decimo di quel che apparteneva alla figlia e che la sua insistenza nel farla desistere non avrebbe trovato un fondo fintanto che lei l’avrebbe respinta con motivazioni a cui era faticoso poter porre un freno. Era disperata. Poteva negare a un pirata di essere quel che più desiderava anche se era per il suo bene?
Sotto il tocco di quella sua grande mano lei continuava a venir colta da brividi di pura adrenalina che, armati di fruste, la stavano istigando a farsi valere e il percepire questa intermittenza, permise al capitano di allargare la sua veduta su quella bambina.
Gli bastò guardarla un’ ultima volta. Gli bastò osservare quella che un tempo aveva avuto il coraggio di battersi con lui per proteggere i propri cari e che ora cercava quella risposta, quell’assenso che solamente in lui poteva trovare, per decidere che cosa era meglio fare.

“Va bene, Sayuri” disse l’imperatore tornandosi a sedere sulla poltrona con fare stanco “Hai il mio permesso per partire”

Le flebo emisero un debole suono e Bianco Giglio rimase a bocca aperta mentre l’uomo lasciava che la propria testa si appoggiasse all’ampio schienale della poltrona.

“Dite sul serio, padre?” sussurrò allibita lei.
“Si” le rispose “Ma voglio che tu ti limiti a una spedizione esplorativa: rintraccerai e seguirai la rotta su cui sta navigando Teach e una volta assicuratati della sua reale posizione, mi avvertirai. Hai carta bianca su come muoverti e organizzarti ma voglio che eviti qualsiasi forma di contatto con lui. E’ tutto chiaro?”

Era quanto le potesse permettere e Sayuri non ebbe di che replicare. Le sembrava di aver capito male ma il sentirselo nuovamente dire le fece tirare un grosso sospiro di sollievo che però si limitò unicamente a pensare: aveva ottenuto quel che voleva e senza che il padre le imponesse un accompagnatore, fattore che avrebbe senza ombra di dubbio dilungato quel discorso. La veemenza con cui l’imperatore le aveva spiegato quel che doveva fare, la rese ancor più conscia di quanto fosse riuscita a conquistarsi con le sue mani e davanti a tale concessione non potè che ringraziarlo.

“Si...si, va bene. La rin..”
“NO CHE NON VA BENE!”

L’opposizione nata dal nulla irruppe nel loro dialogare senza nemmeno tener conto dell’essere stata invitata o meno. Per la seconda volta, Portuguese D.Ace aprì una porta con sufficiente forza da farne allentare i cardini. Non aveva chiesto il permesso o bussato: semplicemente aveva dato una forte pedata alla sola barriera che si sovrapponeva fra lui e la stanza del padre, entrando così al suo interno e portandosi appresso tutta la sua disapprovazione per quel che aveva sentito.

“Ace..”

La ragazza era sobbalzata al solo sentire quel brusco rumore alle sue spalle, tanto da rischiare di cadere con la schiena appiccicata al pavimento; non riuscì a rimettersi seduta composta, le era impossibile distogliere i propri occhi dal moro che guardava dritto in faccia il capitano senza tener conto del fatto che lei fosse a meno di due metri da lui.

“Ace..” ripetè ancora scombussolata “Che..”
“Non accetto che la lasci andare!” esclamò lui senza neppure sentirla “E non accetto che quel bastardo la faccia franca! Pedinarlo senza muovere un dito non servirà a fargliela pagare per il crimine che ha commesso!!”

Infuriato com’era, pareva stesse dando fuoco all’abitacolo con la sua sola presenza e neppure l’essere rimproverato a vista dal padre per aver irrotto nella stanza a quella maniera dopo aver ascoltato di nascosto la conversazione servì a riportarlo oltre la soglia della ragione.

“Calmati, ragazzo” gli ordinò il capitano.
“Ha offeso il tuo onore e ucciso un compagno!” ruggì il giovane avanzando verso la poltrona e ignorando le sue parole “Si è preso gioco di noi e ci ha voltato le spalle come se niente fosse!!”

Le mani serrate a pugno tremavano e scottavano per l’alta temperatura corporea che cresceva in contemporanea al suo astio. L’aria ondeggiava intorno ad esse e la pelle riluceva di un sempre più visibile bagliore arancione, identico a quello del cappello che ora lasciava ben scoperto il viso lentigginoso e adirato del proprietario. La sua utilità nel non mostrare al mondo intero quello che Ace voleva tenere per sé fu vana perché in quel preciso momento, il ragazzo non si stava facendo problemi a mostrarsi pienamente rabbioso e a ogni suo passo, le mani divenivano sempre più calde, sul punto di diventare rosse come il sangue che scorreva nelle sue vene.
Accucciata e scossa sul pavimento, Sayuri aveva perso la facoltà di parlare e anche quella di muoversi: ebbe il desiderio di andarsi a rannicchiare nell’angolo ma non lo fece. Il vedere Ace così diverso da come era solitamente, così fuori di sè, l’aveva spiazzata tanto da pietrificarle le gambe e metà busto; purtroppo non era quell’immobilità che le corrodeva il corpo ciò che più le stava facendo battere il muscolo cardiaco all’impazzata, ma bensì la piena consapevolezza di quel che Ace voleva dire al padre....

“Andrò io a cercarlo. Sono il comandante della seconda flotta e lui era un mio sottoposto, quindi spetta  a me sistemare questa faccenda!” affermò risoluto.
“Capisco il tuo senso del dovere, Ace, ma non ti posso accontentare” lo respinse immediatamente il capitano “Per quanto stupido, Teach non escluderà la possibilità che mandi qualcuno e appena scoprirà di avere te alle costole, si premurerà di tagliare la corda”
“Che cosa?!”

Barbabianca aveva perfettamente ragione. Quel traditore prima di ogni altra cosa pensabile, avrebbe fatto perdere le proprie tracce per calmare le acque. A meno che non fosse un completo idiota, sia lui che Sayuri dubitavano fortemente che si sarebbe fatto vedere in isole dove l’influenza dell’imperatore era molto potente. Stanarlo prima che si dileguasse era una corsa contro il tempo dove diversi fattori, inclusa perfino la fortuna, giocavano ruoli decisivi e tra essi rientrava anche la persona che vestiva i panni del “Cacciatore”: Ace era il comandante della seconda flotta di Barbabianca, soprannominato Pugno di Fuoco, uno dei pirati più temibili della ciurma, capace di distruggere intere navi con una semplicità mostruosa. La sua forza e il potere derivante dal frutto del diavolo l’avevano reso famoso ed era proprio il suo calibro di pirata che rischiava di farlo scoprire e dunque permettere a quel farabutto di alzare ancor di più il fondoschiena e levare le ancore con velocità raddoppiata. Difficilmente la Marina avrebbe ignorato la presenza di un appartenente della ciurma di Barbabianca così lontano da casa e questo avrebbe portato altri grattacapi.

“Ace..” la ragazza azzardò per la terza volta a chiamarlo “Ha ragione..”

Finalmente il moro si voltò a guardarla.

“Tu sei uno dei perni portanti di questa nave e anche se so che puoi passare inosservato, rimane comunque alta la possibilità che tu possa venire scoperto..” tentò di spiegare.

La voce non le era mai stata tanto debole ed esitante.Le gambe si rifiutavano di sorreggerla, quasi tutto il suo corpo era esausto, sul punto di spegnersi come una piccola fiammella avente ormai consumato tutta la candela; di lacrime ne aveva versate a sufficienza, aveva elargito motivazioni nate unicamente per dar voce alla sua volontà, si era sgolata per imprimere con la dovuta energia quel momento che sempre avrebbe ricordato per il resto della sua vita. Aveva dato corpo e anima in quella stanza e solo lei sapeva quanto desiderasse poter riposare giusto quelle due orette per poi partire in missione ma la presenza di Ace la stava costringendo a risalire quelle mura lisce e trasparenti come specchi dopo che, con tanta fatica, era riuscita a scalarle la prima volta, aggiudicandosi così il consenso del padre. Non voleva leggere la pietà o la compassione nei occhi del ragazzo, anche se questi ne erano pieni; doveva raccogliere quei residui rimasti dentro di lei e usarli per far capire a Ace le sue intenzioni, almeno quelle che aveva illustrato al padre.
Non avrebbe avuto alcun senso se si fosse messa a raccontare ad entrambi che il suo voler compiere personalmente quella missione era dovuto al fatto che in passato le era stata fatta un predizione e che se ora Ace fosse andato al posto suo, gli sarebbe accaduto qualcosa di orribile che inevitabilmente avrebbe coinvolto tutti quanti loro. Sotto ogni aspettativa possibile, era sicura che non le avrebbero creduto ma tutto quello di cui aveva bisogno, glielo poteva dare soltanto il suo comandante e nessun’altro.

“Ace..” scoprì di più il viso accaldato e supplicante “Ti chiedo soltanto di fidarti di me, nient’altro”
Ho bisogno..che tu creda in me.

Doveva semplicemente fare quello che sempre, incondizionatamente, avevano fatto l’uno nei confronti dell’altro. Doveva solo annuire, stendere i nervi per evitare che la piccola Sayuri non lo guardasse coi occhi lucidi e le mani strette in petto.

“Ti prometto che non mi avvicinerò a lui” mormorò abbassando la testa “Gli starò lontana, farò quel che mi ha detto nostro padre e appena l’avrò trovato tornerò alla Moby Dick ma ti scongiuro..uh..” cacciando via un singulto risollevò il capo castano “Lascia che sia io ad andare”

Era arrivata al limite. Non aveva altre sponde su cui arenarsi o altri muri da scalare, si stava lasciando trascinare via dalla corrente insieme alla speranza che il moro le dicesse di si. Altro non poteva fare, se non uscire da quella stanza impregnata di disinfettante che solamente ora percepiva e col vestito orridamente macchiato e strappato.

“No” ribattè lui “Se c’è qualcuno che deve risolvere questa situazione sono io. Teach era un mio sottoposto ed è quindi mio dovere occuparmi personalmente di lui. Non voglio che un'altra persona a me cara ci vada di mezzo”
In special modo tu.

Anche se aveva tralasciato quell’ultima parte, Sayuri la recepì e fu proprio quella a spingerla a replicare.

“Nemmeno io lo desidero ma questa faccenda riguarda in prima persona me oltre che lui e non devi parlarne come se fosse colpa tua. La responsabilità è unicamente mia perché non sono stata capace di accorgermi di nulla!”
“Che diavolo stai dicendo?!” scoppiò ancora puntando su di lei a grandi falcate.

Si spostò così velocemente che il cappello gli ricadde sulla schiena, trattenuto dalla cordicella che ora poggiava alla base del collo del ragazzo. Afferrò la ragazza per le spalle con così tanto vigore che questa quasi cercò di ritrarsi, anche se inutilmente. La morsa che Pugno di Fuoco esercitava su di lei non accettava alcun tipo di ribellione.

“Sayuri, quello voleva ucciderti e non gliene sarebbe importato nulla, così come non gli è importato di ammazzare Satch!”

La castana non riuscì a non provare qualcosa di diverso dalla paura; la teneva ben attaccata al pavimento legnoso con fare piuttosto incalzante. Seppur la sensazione di mobilità fosse sgradevole, ella non accennò a distogliere lo sguardo da quello del ragazzo. Affondò ancor di più le mani nel petto, sopprimendo il fastidio che quelle del comandante le stavano procurando perché troppo calde.

“Proprio per questo voglio occuparmene io” cercò di riprendere con più tranquillità “Te lo chiedo per favore, Ace, abbi fiducia in me”

Non voleva aver paura di lui ne di come la stesse osservando in quel momento. Si, non poteva negare i brividi che le scorrevano lungo il corpo ma di certo in futuro avrebbe provato sulla sua pelle un inferno che perfino il suo stesso passato non era stato capace di mostrarle e dunque di infliggerle. Un inferno da cui pareva non esserci una via d’uscita o un’apertura verso la luce. Lì non vi era soltanto la solitudine ma il rimorso, affiancato dall’impotenza, che sogghignante l’avrebbe sempre rimproverata di essere una bambina cattiva, che nonostante tutti i suoi eroici sforzi, non era riuscita a proteggere chi diceva di amare.

“Ace, non mi accadrà nulla, io...”
“Lo dici tu ma non puoi esserne sicura!” la bloccò malamente “Andrò io e basta, chiaro?!”
“No! Nemmeno tu puoi essere certo di quel che ti capiterà e...”
“E quindi secondo il tuo brillante ragionamento, io dovrei rimanere qui mentre tu ti vai a far ammazzare!!” la sorpassò brutalmente. Non si accorse di aver stretto ancor di più le spalle della ragazza.
“Ace..mi..mi fai male..” mugugnò sentendo il fuoco bucarle la pelle. Per la prima volta poteva percepire il dolore che le fiamme del ragazzo riversavano sui nemici.
“Ace, adesso basta” proruppe il capitano con espressione molto alterata.
“Smetto solo se tu non la fai andare!” ribattè.

Non ragionava più, era troppo infervorato e se non si calmava, il padre come minimo lo avrebbe sbattuto sul fondo dell’oceano senza nemmeno farlo passare dalla porta.

“Ace..per favore, fidati di me..” ripetè con fiato ritrovato “L’hai sempre fatto, non è difficile! Perchè ti ostini a non capire?!”
“E che cosa accidenti dovrei capire?!?”
“CHE NON SEI ALLA SUA ALTEZZA!!!”

E da lì, il rumore di mille specchi che si infrangevano al suolo, impersonificò la fine di quella conversazione, la definitiva. Le lancette dell’orologio si fermarono, il vento tacque e gli oggetti inanimati di per sé, perdettero perfino i loro colori. Sayuri si rese conto troppo tardi di quel che aveva fatto e il padre rimase scioccato, benché visibilmente non si notasse più di tanto. Le labbra più volte prese a morsi, tremarono e il tapparle con le mani non servì a riavvolgere il tempo e a cambiare gli eventi accaduti pochi secondi prima. Non osò guardare Ace, poteva ben immaginare che espressione fosse comparsa sul suo viso dopo quella affermazione gridata dal suo subconscio slegato oramai da chissà quanto tempo. In frantumi non vi erano andati soltanto quei vetri immaginari ma anche quel che lei fino all’ultimo aveva chiesto al ragazzo con tanta esasperazione e che ora gli aveva negato nel modo peggiore possibile; l’aveva colpito nel suo punto più sensibile, l’orgoglio, e l’urlargli a squarciagola che non era all’altezza di punire un suo sottoposto, equivaleva a dire che non aveva alcuna fiducia in lui, che lo considerava un debole.

Fu come se in quella semplicissima frase, ci avesse immesso quel che più poteva farlo incavolare e glielo avesse sbattuto in faccia insieme a uno schiaffo violentissimo.
Desiderò morire, tagliarsi le vene e donare il suo sangue a una qualunque entità divina affinchè cancellasse quel suo errore ora impresso nella mente di Pugno di Fuoco come i tatuaggi che fieramente portava sulla schiena e sull’avanbraccio. Desiderò che il suo corpo, almeno la testa, si muovesse e che le corde vocali trovassero un altro poco di forza per aiutarla a spiegarsi ma non appena avvertì le mani del ragazzo scivolare via dalle sue spalle, capì di averlo allontanato troppo dal suo rifugio perché lui la venisse a cercare nuovamente. Udì il contorcersi della stoffa nera dei suoi pantaloni mentre questo si alzava da terra per sistemarsi il cappello di modo che gli coprisse quanto voluto.

“A-Ace, io non...” balbettò.
“Fa come ti pare” sibilò stizzito.

Non corse via, ne sbattè la porta: uscì come se non fosse successo niente, sistemandosi al meglio la falda arancione con la mano, nascondendo così lo spirito ora del tutto spento. Quando agli occhi della giovane non fu più visibile il vessillo di Barbabianca tatuato sulla schiena del moro, immediatamente si aggrappò al tenue rumore dei suoi passi e quando essi furono leggeri come l’aria, confondendosi con il restante appartenente alla nave, anche lei si spense come solevano fare le candele. Le lancette che segnavano l’ora ripresero a ticchettare, il vento, assicuratosi di non dover più temere l’ira di nessuno, picchiettò contro il vetro dell’oblò per poi danzare con l’acqua salata che lui stesso agitava. La notte finalmente ricominciò a scorrere e nonostante fosse ancora piuttosto lunga, l’alba presto o tardi sarebbe arrivata, portando con sé non soltanto il rosso scarlatto di cui sicuramente si sarebbe vestita ma anche la gelida e austera consapevolezza che per salvare da morte certa il proprio amore, Sayuri ne aveva perso la fiducia e il sorriso, guadagnandosi così il suo odio.

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Capitolo 50
*** Amico. ***


Salve,sono arrivata!vi lascio subito al capitolo non avendo nulla di speciale da dirvi,se non che ringrazio tutti quanti per il leggere e sostenere la mia fict anche solamente leggendola.Il capitolo è stato scritto seguendo una canzone dei Nickelback;il testo mi piaceva troppo e qui serve più che altro per intensificare alcuni sentimenti della protagonista,spero possa essere di vostro gradimento(purtroppo non sono riuscita a caricare il link della canzone,sorry).Grazie di cuore a tutti!

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Gaara the Best:oh,ma che bello,un nuovo recensore,benvenuta!il dire che la mia fict è la migliore che tu abbia mai letto già mi fa arrossire vistosamente(ho voglia di mettermi a ballare e a ridere come una cretina.I complimenti mi fanno sempre questo effetto) e stavo per schiattare quando ho letto che vedi la mia fict come una seconda realtà di One piece per come la gestisco (mi viene da piangere..).Ti ringrazio,tutto ciò mi rende felicissima;hai davvero fatto un disegno della mia Sayuri?no,lo voglio vedere,mi hai messo una curiosità addosso!eh si,sono un talento…no,scherzo,non mi permetterei mai di mettermi a un livello così alto (e intanto se ne vanta mentalmente) però se me lo si dice non ci vedo più.Se volevi stendermi a complimenti ci sei riuscita perché non sapevo più dove guardare.Ora la situazione nella fict non è esattamente rose e fiori però sto cercando di fare il possibile per renderla davvero appetibile(sto sudando più di dieci camice per farcela).Confida lettrice,non rimarrai delusa(spero) ma intanto ti ringrazio nuovamente per la recensione!

neff:ciao!!fine brusca,lo so,forse inaspettata perché magari qualcuno si aspettava  di vederli partire insieme anziché litigare.In origine la storia era diversa,nello scorso non dovevano litigare ma poi ho deciso di cambiare e fare così.Il motivo era perché non conoscevo la fine della saga dedicata ad Ace (saga che poi mi ha lasciato un amaro in bocca davvero impensabile) ma poi nel vederla,ho deciso di cambiare,anche se già stavo lavorando sull’alternativa.

giulio91:ola,bentornato!!ti sei rituffato su Efp anche con la tua fic a cui rinnovo i complimenti perché il tuo ultimo capitolo mi è piaciuto molto.Passando a quanto hai letto,mi fa piacere che la saga di Loriam sia stata di tuo gradimento(e dire che ancora non so come diavolo abbia fatto a tirarla fuori).Tra dubbi e anche primi sospetti,siamo arrivati alla morte di Satch(sigh!);era prevedibile però l’aver costruito di prima la persona la sua personalità non essendo ben conosciuta nel mondo di Oda,ha comunque reso duro il colpo.Purtroppo si,i due amanti della storia hanno litigato e mi piacerebbe dire che qui in questo capitolo discutono e si riappacificano ma non sarà così.In compenso ho dato rilievo a un altro personaggio che tu ammiri particolarmente per l’aver rimproverato Akiko di non usare gli indelebili e per aver quasi condotto insieme all’acerrima nemica(per così dire) il cugino verso i campi di bellissimi fiori eh eh!

angela90:buonasera cara!possiamo dire che qui la tensione ha toccato l’apice.Il babbo dai grandi baffi bianchi fa la sua parte e sinceramente ho temuto di essere uscita dalla linea che Oda aveva usato per definire il suo carattere(si sa,a volte non ce ne accorgiamo e tendiamo a mettere un po’ di nostro in alcuni personaggi già esistenti.La carezza per esempio era una cosa su cui era piuttosto insicura).Sayuri come dici tu sa quel che deve fare e anche papà lo sa,sono testardi a modo diverso.Ace si è preoccupato ma in quel momento diciamo pure che è incavolato nero e anche questo pover uomo c’ha le sue ragioni ma tra il dire questo e l’altro,si perde la calma e si finisce per dire cose che neppure si pensano(o che si pensano ma non le si dice per buon rispetto).La freddezza di Ace nei confronti di Sayuri fa molto più male di quanto ha passato però in cuor suo non poteva agire diversamente visto la situazione.

maya90:ciao amorina mia!!!la seconda parte hai visto la mia Yu-chan molto più determinata di prima ma bisogno giustamente tener conto che si sente in colpa per quanto è accaduto,quindi la forza motrice che la spinge in avanti è la disperazione.Già nel manga si vedeva Barbabianca molto dubbioso sulla faccenda e anche qui ho deciso di mettere tale stato ma ovviamente,personificandolo.Ace..beh,la rabbia ha parlato per lui e Sayuri ha dovuto colpirlo nell’orgoglio,parte più sensibile e vulnerabile ai cambiamenti repentini.Sarà anche meno istintivo del fratellino e c’avrà quel pochino di sale in zucca che lo contraddistingue da Rufy ma quando si incavola non c’è ragione che tenga..o Sayuri in questo caso.(uh,mi sento un mostro,la mia povera pupilla..)

happylight:tesoro!come hai visto la situazione ha preso una brutta piega(diciamo pessima):la navigatrice della seconda flotta si è fatta valere per tener fede alla promessa fatta a Satch e per impedire che quanto teme si avveri del tutto.Più che accompagnarla,Ace voleva andare da solo e fare il culo a Teach come merita ma la differenza fra lui e lei è che la ragazza può già intuire che cosa si nascondi dietro a quel lurido cosa informe,grasso e peloso,Ace no.Il colpo all’orgoglio è stato duro,molto,ormai conosciamo bene quanto Ace possa essere,al di là dell’essere gentile,ostinato testardo e a volte così furente da comportarsi come un bambino.E la risposta poi di lui,ha detto tutto.Credo non poteva esserci di peggio per la povera ragazza(e qui rispunta la mia vena sadica..però qui purtroppo è necessaria)

Chibi Hunter:ciao cara!eh si,lo scorso capitolo è stato di ghiaccio su ogni fronte.Ho impiegato quei cinque minuti in più a vedere se Il Barbabianca che ho messo qui era idoneo a quello di Oda(i dubbi continuano ad assalirmi da tutti i fronti).Yu-chan ha dato l’anima per ottenere il permesso dal padre e dire che era esausta è un eufemismo(prova tu a parlare tu per tu con il babbo.Io sarei già stata spedita negli abissi dell’oceano..).Ace è furente e su questo non ci piove.Non pensavo di aver ripreso delle frasi del manga,le avevo lette in inglese ma niente di più.La reazione finale di Yu-chan ha lasciato diversi a bocca aperta da quanto ho letto ma d’altro canto,se intuisce cosa potrebbe succedere ad Ace (e fossi stata lì l’avrei legato al letto)non può starsene zitta.

tre88:olà!credevi che Ace non si potesse arrabbiare con Sayuri?beh,sai come si dice,c’è sempre una prima volta…(non l’avessi mai messa ma mi serviva..).Per ottenere una cosa bisogna essere pronti a pagarne le conseguenze e la mia protagonista non ha potuto scegliere diversamente;lo ha promesso a Satch in fondo.Qui per la gioia vostra c’è il mitico Don,spero ti piaccia!!
 

NICKELBACK:I COME FOR YOU.


Stava preparando il proprio zaino quando i primi raggi solari fecero capolino sul mare schiarendolo dalla densa pece di cui si era intriso. Come previsto, il log pose aveva finito di registrare il magnetismo dell’isola e ora bisognava riprendere la navigazione prima che l’ago modificasse la sua posizione. Kaluka non era conosciuta solamente come un porto ben organizzato ma principalmente per l’essere un crocevia di decine di correnti tutte diverse fra di loro e tale peculiarità forniva un grave svantaggio visto che le possibilità di seguire la stessa rotta due volte di fila, erano vicinissime a sfiorare lo zero; senza contare poi che l’ago, influenzato da tutte queste correnti, non poteva mantenere la propria stabilita a lungo e purtroppo per Sayuri, tale prerogativa l’aveva penalizzata ancor prima che scendesse dalla Moby Dick.

Sarebbe stato molto più semplice seguire la rotta intrapresa dal fuggitivo ma anche se fosse riuscita a individuarla, oramai lo strumento di navigazione si era stabilizzato su una corrente scelta in quel lasso di tempo e nemmeno a farlo apposta, essa non era quella su cui sperava di navigare. Meccanicamente le mani della ragazza raggiunsero le carte e gli utensili che le sarebbero occorsi durante il viaggio per tracciare la rotta e segnare le isole su cui si sarebbe soffermata quanto bastava per registrarne il magnetismo: non avrebbe potuto di certo seguire Teach in ogni sua tappa quindi, la sola possibilità rimastale a disposizione era quella di bloccargli la strada prevedendo in anticipo le sue mosse. Il fatto di essere una cartografa le permetteva di rendere quel piano più che realizzabile perciò era indispensabile che avesse sempre sotto mano una cartina, una penna d’oca e il fidato cinturino con incastonata la bolla per l’ago, senza il quale non poteva navigare correttamente.
Era giunta alla conclusione che Teach non poteva aver fatto tutto da solo, anche se non possedeva prove che lo dimostrassero; era convinta che fosse stato aiutato da un complice con cui si era sempre tenuto in contatto e che in qualche modo, questo fosse arrivato a Kaluka prima di loro e che dunque ne avesse registrato il magnetismo. Ciò avrebbe spiegato la fulmineità della sua fuga ma in ogni caso, star lì a pensare a come fosse riuscito a squagliarsela, guadagnando così terreno, non serviva a nulla se non ad alimentare il disprezzo del suo gesto.

Concentrati e rifletti attentamente.   Si era detta una volta tornata nella propria stanza.

Sgombrata la mente da ogni pensiero e annotazione,si era seduta sul letto e chinato la testa in avanti, buttando fuori un grosso sospiro: le era sconosciuto il come fosse arrivata lì ma una volta chiusa la porta, nemmeno aveva provato a domandarsi del perché la sua coscienza, scappata in qualche modo al suo controllo, le avesse imposto di pensare a come agire piuttosto che soffermarsi su altre questioni che la riguardavano ancor più intimamente. Obbligata da questa, aveva spronato i diversi ingranaggi del suo cervello a lavorare ininterrottamente e ora, alle prime luci di quell’alba quasi creduta perduta, sapeva esattamente dove Teach si stava dirigendo. Nel nuovo mondo non poteva rimanerci, non con tutte le isole sotto la giurisdizione di Barbabianca, pertanto era logico pensare che volesse acquietare le acque almeno quanto serviva per sparire dalla circolazione e la sola maniera per fare tutto questo era per l’appunto lasciare la seconda parte della Grand Line e tornare nella prima.

E a quanto risultava, c’era solamente una maniera per riuscirci, ovvero passare attraverso l’arcipelago di Shabondy.

Tutte le sue correnti confluivano in quel territorio suddiviso in diversi grove e, per forza di cose, i pirati che miravano ad oltrepassare la linea rossa dovevano forzatamente giungere all’arcipelago per poter passare oltre; lo stesso ragionamento funzionava per uscire e tornare indietro. La sola differenza era che lì bisognava conoscere le correnti che si volevano utilizzare per arrivare all’arcipelago visto che queste erano più grandi e imprevedibili delle altre, pertanto se quel farabutto voleva far perdere le sue tracce immediatamente, doveva far ricorso ad un eternal pose per poterci arrivare il prima possibile. Da Kaluka gli sarebbero occorse quasi due settimane per arrivarci ma Sayuri doveva giungerci prima e impedirgli di uscire perché se mai ce l’avesse fatta a superare l’arcipelago, trovarlo poi sarebbe stato ancor più difficile.

Sembra così facile a parole....

Rimase con le mani strette allo zaino ancora aperto mentre per la terza volta si fermava, raggomitolando la testa fra le spalle: per tutto il tempo che aveva impiegato a prepararsi, a pensare quale fosse la strategia migliore per non perdere ancor più terreno di quanto non ne avesse già perso, si era sentita e si sentiva tutt’ora come una marionetta a cui venivano dati ordini affinchè eseguisse alla lettera il volere di una persona estranea. Ignorava che fosse lei stessa a esercitare quell’insolito controllo sulla parte di sé che non rispondeva ne ai richiami del cuore o della mente ma lo accettava incondizionatamente. Fatti forza, le diceva il piccolo briciolo di forza che la stava tenendo in piedi, se non reagisci perderai tutto.

Come se avessi ancora qualcosa... Pensò mestamente.

La padronanza del suo corpo era dettata dal voler scendere da quella nave prima che qualcuno la vedesse e le chiedesse qualcosa per cui sicuramente il cuore le avrebbe fatto un male atroce. Quella notte aveva tirato fuori il peggio di sé e il prezzo per quel suo sfogo era stato così alto che ora, ogni bene sino a quel momento appartenutole era scivolato via dalle sue mani. Sapeva di avere un’aspetto a dir poco che terrificante: sotto la doccia si era liberata del sangue che aveva addosso da interminabili ore ma l’acqua calda invece che lavarle via almeno quel peso estetico, aveva intriso il vapore del sapore metallico che ancora persisteva, abbastanza da farla uscire quasi immediatamente già prevedendo cosa si sarebbe scatenato nella sua testa. Si aspettava di rivivere quell’orrore ancora, calcato da altre immagini dove poche parole bastavano per farle desiderare altre lacrime da versare e invece....non succedeva niente. Vi era il vuoto,un oceano ricco di ricordi ora distrutti, dispersi come tanti cocci di vetro.
E nemmeno erano in grado risuonare seppur vicini fra loro.

Poteva dire di aver toccato il fondo anche se per una causa da lei considerata buona. A dispetto di come la pensasse il padre, lei stava per intraprendere una missione che l’avrebbe vista lontana da tutti i suoi cari. Una missione lunga e senza nessuno che la supportasse, praticamente un eccezione alla regola, ottenuta al fine di poter dar prova che anche lei, in quanto membro della ciurma di Barbabianca, aveva il diritto di fare la sua parte e di proteggere i propri compagni. Questo era quel che aveva detto al padre ma non era che la minima parte della verità che si nascondeva dietro alla sua più grande paura. La stessa paura che ora le aveva fatto riprendere la mobilità delle braccia, fatto chiudere lo zaino e uscire dalla stanza prima che la piccola Akiko si svegliasse. Il guardare quella bambina-adolescente dormire completamente sfinita da quelle ore notturne non benevoli, le strappò un sorriso e quell’espressione da sorella maggiore che sempre la corvina cercava quando si cacciava nei guai per qualche distrazione dovuta ai suoi momenti di panico.
Probabilmente quel sonno profondo in cui era immersa era dovuto alla medicina datale da Maya; qualcosa le stava suggerendo che la più piccola dell’equipe era stata contraria a quella decisione ma il vedere sopra il comodino un bicchiere vuoto, una bottiglietta d’acqua e una piccola bustina bianca aperta, le fecero dedurre che la capo infermiera non aveva permesso alcun genere di replica al riguardo ma soltanto perché quel suo lato materno che affiancava a quello professionale, voleva proteggerla. Sicuramente la ragazzina dalle ciocche colorate non le avrebbe mai perdonato di essere partita senza salutarla ma in cuor suo non ci teneva a far soffrire quella piccina con un dialogo dai risvolti crudeli e insensati. Parlare, rispondere alle sue domande, cercare di farle capire le sue motivazioni non avrebbero fatto altro che spingere la piccola infermierina ad aggrapparsi alla sua vita e abbracciarla, supplicandola di rimanere lì; conosceva l’amica in ogni suo aspetto o riflesso, quindi se le evitava quel confronto,avrebbe risentito meno il trauma della partenza. L’essere conscia di trovarsi nel torto per diversi aspetti però non le impedì di avvicinarsi al suo letto e di darle un piccolo bacio sulla guancia, unico tocco concessole.

“Scusami, Akiko” le sussurrò vicino all’orecchio.

Prendendo un grosso respiro, ritornò sui suoi passi e afferrò il pomello della porta, girandolo molto lentamente. Con un ultimo sguardo rivolto alla tenera ragazzina, si portò fuori da quella stanza, ben sapendo che tornare indietro o anche solo ripensarci, non le era più consentito.
 
 


I corridoi non le era mai sembrati tanto lunghi e silenziosi. Aveva imparato a conoscerli bene,a stare attenta dove portassero e ad apprezzare i simpatici scricchiolii che si venivano a creare con la pressione dovuta al peso di una persona contro il pavimento legnoso. Le porte di varie misure che superava con la stessa silenziosità di un fantasma, le lanterne spente per l’essere rimaste accese troppo a lungo...tutti quei oggetti parevano avere dei occhi intagliati sulla loro superficie e la stavano guardando passare incuriositi ma pur sempre zitti per via della mancata bocca. Era di quel silenzio che Sayuri aveva bisogno: ne voleva essere avvolta, svanirci come per incanto e ricomparire solamente quando lei l’avrebbe ritenuto opportuno. La strada per il ponte si riduceva sempre di più mentre la spossatezza rinchiusa forzatamente dentro di lei cercava di sfondare a testate le barriere erette e fintanto che non poteva essere rilasciata, questa le corrodeva il viso facendolo appassire come un fiore senza l’acqua; a parte gli occhi, irrimediabilmente rossi, le guance erano lattee, così come le labbra deturpate da qualche taglietto provocato per averle morse troppo. Contava che i capelli le nascondessero il viso ma chiunque, anche un cieco, si sarebbe accorto di quanto fosse disastroso il suo aspetto e lei non voleva essere vista in quello stato; l’insopportabilità per quella condizione era già fin troppo abbondante perché le preoccupazioni - o il disgusto - a suo carico che i compagni le avrebbero rivolto si aggiungessero in massa.
Superata la penultima rampa di scale, le mancò un solo corridoio per arrivare al ponte principale, dove sperava di non trovare nessuno. Riusciva già a scorgere il fondo del piccolo sentiero inscatolato anche da dov’era ma ancor meglio, vide chi la stava aspettando a braccia e gambe incrociate, con la schiena poggiata svogliatamente alla parete. Non si parlarono fino a quando lei non gli fu ad un metro esatto di distanza e quando si trovarono vicini, Sayuri abbozzò un sorriso rassegnato ma anche contento per quel piccolo granello di fortuna ricevuto.

“Speravo di vederti” mormorò a un Don falsamente addormentato in piedi.
“Non avrai davvero pensato di andartene così sue due piedi senza nemmeno salutare il sottoscritto, spero. Potevo anche offendermi, sai?” le disse aprendo gli occhi e volgendoli su di lei
“Conoscendoti, suppongo di si”

Per qualche strana ragione,si sentì felice nell’aver incontrato il medico-cecchino. Tra i molti volti familiari, il suo spiccava sempre per una parola o un atteggiamento che ne rivelava la personalità. Era l’ex vice capitano dei pirati di picche, il migliore amico di Ace, una persona che sapeva cosa doveva essere fatto e soprattutto come. Diceva quel che pensava e lei era sempre stata testimone di questo suo comportamento, ammirandolo per quel suo essere così se stesso; forse perché lui era quel tipo di persona che sapeva bilanciare le emozioni in qualunque situazione si trovasse, senza che esse sgorgassero troppo dal contenitore dentro cui erano chiuse e al momento. Non che lei fosse diversa ma adesso di certo non era la stessa Sayuri di una settimana fa e lei al momento aveva un disperato bisogno di potersi rivolgere a una persona del genere, un amico che non le desse consigli o la aiutasse perché troppo coinvolto emotivamente, nonostante le vicende ancora fresche e brucianti.

”Non dovresti partire” le disse guardandola attentamente col suo occhio medico “Fai pietà”
“Hai ragione ma non è una giustificazione sufficiente” replicò a bassa voce “Che sia fra un giorno o un anno, non cambierà nulla sul fatto che Teach ci ha traditi e che adesso si sta nascondendo da noi per non pagare le conseguenze del suo gesto. Non mi importa di fare pena, ne che la cosa giusta da fare sia aspettare” continuò “So solo che non mi sentirei più la stessa con questo rimorso”
“Certo, certo. Ora però, mettendo da parte quella schifosa palla di lardo e anche le tue nobili intenzioni già elencate, che ne dici di spiegarmi esattamente come stanno le cose?”

Dritto al punto. Come sempre.
Lo star a girare in tondo al fulcro principale dell’argomento era solo un’inutile presa in giro che alcuni utilizzavano per ammorbidire l’altra persona al fine di farla parlare con più spontaneità. Don non conosceva mezzi termini o mezze vie ma anche se fosse stato il contrario, sicuramente non si sarebbe messo a inventare insulse formulazioni per entrare elegantemente e con delicatezza nella parte del discorso che più gli interessava. Quella notte le notizie erano state fornite col contagocce e successivamente gettate addosso alla ciurma come tante secchiate d’acqua gelida; tra una e l’altra, il medico-cecchino si era fatto un’idea piuttosto traballante al riguardo, insoddisfacente e soprattutto sbagliata per i suoi standard. Non dubitava che quanto appreso fosse la verità ma il conoscere Sayuri e il comprendere pienamente quanto fosse coinvolta, gli aveva concesso il beneficio di porsi al dì sopra di altri e dunque di pretendere quanto chiedeva, ovvero ogni cosa
Dal canto suo, la castana recepì che il compagno era deciso a farle vuotare il sacco ma solo perché voleva aiutarla ad affrontare quanto l’aspettava con un peso in meno a cui pensare. Rifiutare un appiglio nel bel mezzo di una bufera già prossima all’espansione globale sarebbe stata una stupidità anche se lo si faceva a fin di bene, ma nelle condizioni in cui si trovava, sentiva di non potercela fare a combattere su tutti e due i fronti da sola.

“Ho bisogno che tu mi aiuti, Don” mormorò.
“Tu pensa, non l’avevo capito” rispose lui senza alcuna ironia “Avanti, raccontami tutto”

Non poteva pretendere che le offrisse una mano se prima non capiva esattamente le sue intenzioni e visto che era lei a trovarsi con le spalle al muro, non poteva di certo replicare o trovare un compromesso che andasse a suo vantaggio. Era Don, non Ace.
Iniziò a parlare, più a sé stessa che all’amico,con la speranza di trovare qualcosa che le era sfuggito per l’ennesima volta,un particolare, un dettaglio piccolissimo che smuovesse il vuoto insito in lei. Sapeva cos’era accaduto, come aveva reagito e cosa aveva fatto ma i ricordi non solevano riemergere come erano soliti fare quando venivano menzionati. I frammenti rimanevano a terra,ogni tanto luccicavano ma non facevano null’altro.E intanto lei raccontava.

Forse era meglio così; dopo quanto passato, un minimo d’aria era indispensabile ma il non avere niente, il non ricordare la faceva sentir un guscio a cui mancava soltanto che le rubassero il cuore perché fosse completamente privo di una qualunque utilità. Eppure lei era ancora viva, sapeva cosa voleva fare e niente, a dispetto di come si sentiva, l’avrebbe potuta fermare: chiedersi più di quanto si stesse già facendo al momento, spronare il corpo la mente e il cuore a trovare la forza almeno per scendere da quella nave e dare inizio alla sua missione, era il passo più difficile ma una volta compiuto, tutto sarebbe stato più scorrevole e l’ansia se ne sarebbe andata. Quel che voleva chiedere a Don,mentre continuava a raccontare, non era propriamente un aiuto ma una specie di promessa che doveva strappargli in nome della loro amicizia e che lui mai avrebbe osato spezzato per via delle diverse ragioni che ora molto puntigliosamente gli stava elencando.

Lui era il silenzio di cui lei aveva bisogno, la tacita fiducia a cui tendeva la mano inginocchiata sui carboni ardenti.

“Mi sembrava strano che non ci fosse altro” si pronunciò l’uomo una volta finito di ascoltare.
“............”

Il levare gli occhi su di lei, lo rese partecipe di quella visione sconfortante che era dipinta sul viso della compagna: anche se non ricordava, gli echi di quei frammenti risuonavano fiocamente fra le pareti della sua mente, abbastanza da farle guardare il pavimento con quel fastidioso bruciore a puntellarle gli occhi.

“Gli ho detto una cosa orribile, Don” sussurrò con le labbra appena tremanti “Gli ho detto che non era all’altezza. L’ho ferito”
Ed ecco spiegata la ragione dello sfondamento della porta della sala principal. Pensò il medico-cecchino.

Per tutta la durata della conversazione che Barbabianca aveva tenuto con Sayuri ,Ace non si era fatto vedere e non ci voleva di certo un genio per capire che doveva trovarsi nelle vicinanze della ragazza. Se loro avevano delle valide ragioni per far tirare le cuoia a quel bastardo, Pugno di Fuoco ne aveva una che le riuniva tutte, in quanto comandante della flotta di cui il traditore era un sottoposto e persona molto legata a Sayuri. Don lo conosceva da più tempo rispetto agli altri e aveva sempre saputo che Ace odiava il tradimento e gli atti che si avvicinavano ad esso, quindi non aveva escluso l’ipotesi che si fosse offerto personalmente di occuparsi della missione e di infliggere a Teach la dovuta punizione. Eppure, conosceva anche Sayuri e non si era fatto problemi a spiegare agli altri cosa lei stesse cercando di ottenere dal padre e da come Ace era comparso in sala, sfasciando quanto capitatogli sotto mano, era evidente che doveva essere successo qualcosa che aveva incrementato la sua rabbia a tal punto da ridurre anche la sua camera in un cumulo di assi di legno rotte, urlando e imprecando come fosse posseduto dal demonio in persona.
Se doveva essere sincero con sé stesso, la cosa l’aveva lasciato alquanto spiazzato: Ace e Sayuri avevano litigato. Era la regina di tutte le assurdità possibili ed esistenti. Nessuno ci avrebbe creduto se non l’avesse visto coi propri occhi ma ora che si era fatto narrare la storia per intero, poteva crederci senza alcun problema, così come poteva intuire il perché la ragazza gli avesse chiesto aiuto. Guardarla, gli diede quel piccolo senso di dispiacere che si provava quando una persona con cui si andava d’accordo era giù: Sayuri era a pezzi, sia dentro che fuori e qualunque cosa avesse mai potuto dirle, non l’avrebbe fatta sorridere come ci riusciva soltanto Ace ma intendeva comunque fare quello per cui era lì, anche a discapito di rimetterci il cappello e lo scalpo insieme.
Si parlava pur sempre di un’amica e l’unico gesto che trovò consono fu quello di poggiare la mano sulla testolina di lei, scuotendole di poco i capelli.

“Hai ferito il suo orgoglio, non lui” le disse poi con calma avente influssi rincuoranti “Ace è forte ma spesso dimentica di non essere imbattibile, quindi non è sbagliato se ogni tanto glielo si rinfaccia”
“Questa dovrebbe essere una scusante per quanto gli ho detto?” le sfuggì un accenno di sorriso portato da un lieve sbuffo impercettibile.
“Non del tutto visto che hai elargito tutt’altra roba per convincere papà a lasciarti partire”

Esternare i sentimenti non era un cosa che Don amava particolarmente, nonostante la incrollabile schiettezza insista in lui: l’essere compassionevoli, il provare a essere gentile come lo erano gli altri era una cosa che rendeva il medico-cecchino rigido e duro come il marmo, incapace di muoversi liberamente e destinato a cadere a fondo senza possibilità di risalire con le proprie forze. Anche se non lo aveva detto a parole, Sayuri aveva compreso quanto sottintendeva e ancora una volta si ritrovò a riconfermare la certezza che non esisteva un'altra persona al mondo come Don: se aveva coscienza delle proprie azioni poteva considerarsi un passo avanti rispetto a quel testone di fuoco di Ace. Non aveva idea di quante volte si fosse rimproverata per l’aver detto quella cosa: si, era vero che nessuno era imbattibile, men che meno Ace, per quanto fosse ostico come avversario, ma il punto era che ad averglielo fatto notare era stata lei e di questo non si sarebbe mai perdonata perché così facendo aveva perso la sua fiducia, guadagnandosi il tormento di quel sentimento da cui aveva provato a liberarsi nei suoi primi diciotto anni di vita.

E quello faceva male più di qualsiasi altra sofferenza patita.

“Penso proprio che non se lo aspettasse da me” parlò calando quelle sue lunghe ciglia ancora bagnate sulla pelle situata sotto gli occhi.

Avrebbe voluto chiedergli scusa. Gli sarebbe corsa dietro per afferrargli il braccio e dirgli che non era come aveva sentito. Se il tempo fosse tornato indietro esclusivamente per lei, non avrebbe permesso che niente di quanto già accaduto si ripetesse una seconda volta ma quel suo desiderio, insieme a tante altre cose,tra cui la vita di Satch, non poteva essere esaudito, nemmeno se lo chiedeva in ginocchio. Anche se lo avesse raggiunto poi, che cosa avrebbe fatto? Gli avrebbe detto come stavano realmente le cose? Probabilmente no, ma anche se ci avesse provato, Ace non la sarebbe stata a sentire.

“Lui mi odia..” e sorrise mestamente nel dirlo perché ancora le suonava impossibile.

Non c’erano più le fiamme, i bagliori e quei bei colori che le illuminavano il cielo in uno spettacolo tanto splendido da farle illuminare gli occhi e spalancare la bocca per la felicità. Non c’era più il calore che percepiva ogni volta che era vicino a Ace o quando pensava a lui; era tutto sparito ,portandosi via quanto regalatole fino ad ora. Non era rimasto niente, se non una stanzetta color cenere scoperchiata, vuota, immersa nel caos più totale e con lei nel mezzo a cercare di trovare qualcosa da aggiustare.

“...Ma preferisco essere detestata che non vederlo più”
Non avrei più il coraggio di proseguire su questa strada se lui se ne andasse troppo lontano.

Due lacrime gemelle solcarono le sue guance e si infransero a terra disperdendosi in pezzi più piccoli.  

“Don” e alzò la testa da cui era stata levata la mano dell’amico “Tu sei l’unico a cui possa rivolgermi. Te lo chiedo per favore..” supplicò con voce soffocata.
“Sta tranquilla, lo tengo d’occhio io” la anticipò tagliando il discorso “Cosa pensi che ci faccia qui, eh?”

Senza rendersene conto, l’appiglio che vedeva in lui l’afferrò e le strinse il polso con un vigore tale da far sparire la brutalità di quella bufera incontrollabile. Per lo stupore sbarrò gli occhi lacrimanti. Fu come se l’ossigeno stesse venendo aiutato da qualche macchinario invisibile al fine di facilitare la sua respirazione. Rimase per qualche secondo in silenzio, cercando di trovare la giusta frase per accogliere tale aiuto ma ancor prima che riuscisse ad acchiappare quanto offertole, il medico-cecchino agì una seconda volta, posandole sulle mani quella che a prima vista era un’apparente salvietta di cuoio color nocciola: non capendo, Sayuri la srotolò quanto serviva per vederne il contenuto, scoprendo così cinque boccette di vetro. Le prime contenevano un liquido giallo ocra mentre le altre due restanti ancora della sostanza liquida, ma di un fortissimo color rosso rubino. A parte, vi erano tre piccolissime siringhe portabili.

“Sono degli integratori” spiegò indicando con l’indice le prime tre bottigliette gialle “Il viaggio sarà lungo e conoscendo il tuo grande appetito, ho pensato di darti questi. Un quarto di questo liquido ti permette di viaggiare senza toccare cibo per almeno cinque giorni”

Le diede velocemente delle indicazioni su come utilizzarli, quando a suo parere e come trasferire il medicinale nelle siringhe senza incombere nel rischio di perdere essenziali gocce. Una volta finito, si incupì e nel posare gli occhi sulle due boccette rimaste, quelle rosse, guardò Sayuri con precisa scrupolosità.

“Questo è un ricostituente molto particolare” iniziò lui prendendo uno dei contenitori e alzandolo cosicchè lei lo vedesse bene “E’ un composto di pura adrenalina e di altri medicinali per cui sarei costretto a deporre i ferri anche dopo la morte. Bada, Sayuri” e la mise in guardia più di una volta “Lo devi usare soltanto in caso di estrema emergenza, facciamo pure in punto di morte: tamponerà emorragie e ferite esterne e interne, darà forza ai tuoi muscoli e spronerà i tuoi organi a funzionare correttamente, ma come tutti i medicinali potenti, ha un effetto collaterale. Il preparato restituisce vigore al tuo corpo ,ma, contemporaneamente, inibisce alcune terminazioni e tra queste ci sono i Nocicettori, che si occupano di farti sentire dolore se vieni attaccata. Inoltre, avendo il ricostituente un effetto temporaneo, una volta terminato, il tuo corpo riacquisterà il ritmo precedente all'iniezione e ciò significa che se sei stata ferita, questo ne risentirà. Il mio consiglio è che se devi usarlo, fallo, ma evita il combattimento visto che non so cosa potrebbe succederti. Io non ho idea di cosa tu voglia fare ,ma di qualunque cosa si tratti, evita di usare quella tecnica”

Era riluttante ad aver aggiunto medicinali tanto pericolosi in quella sacca. Si trattava pur sempre di composti sperimentali e lui nemmeno avrebbe dovuto crearli ben sapendo quante conseguenze potevano provocare: anche se rinvigorivano il corpo e lo potenziavano, questo avrebbe sofferto comunque e proprio perché la persona era sotto l’effetto di tale sostanza, che c’era la forte possibilità che questa potesse compiere azioni insensate senza tener conto che il suo fisico stesse andando oltre la soglia consentita, cosa su cui lui aveva già espresso la sua opinione. Don si sarebbe astenuto dal dare una cosa tanto pericolosa all’amica ma da tempo era a conoscenza di un suo esperimento che pareva essere stato totalmente perfezionato nel corso dell’ultimo periodo. Era riuscito a vedere una piccola parte del suo operato durante un allenamento solitario di lei e non aveva trovato altra parola per definirlo se non sconvolgente.
Indubbiamente ci aveva lavorato per più di un anno e i risultati erano sbalorditivi ma lasciavano ben vedere la pericolosità che comportava. Cercò il “Si” che voleva sentirsi dire nei occhi color cioccolato della ragazza e lo trovò, insieme a un abbraccio che lo colse impreparato.

“Grazie, Don..grazie” mormorò lei con voce rotta, affondando il viso nella sua spalla.

La rigidità lo investì dalla punta dei piedi fino alla testa. Si ritrovò a rispondere da prima con un minimo cenno di impaccio, poi con più sicurezza e di scioltezza,riuscì a  portare per la seconda volta la sua mano ruvida sulla testa dell’amica, facendola scendere a livello della nuca. Che diavolo, l’avrebbe rivista chissà quando....

“Stagli alla larga, Sayuri. Non fare pazzie”
 
 


Nome: frutto Dark Dark.
Tipologia: Rogia.
Particolarità: attualmente non se ne conosce l'ubicazione esatta ma pare essere stato studiato da alcuni studiosi e cercatori che hanno avuto la fortuna di incappare in esso, anche se tali testimonianze sono per la maggior parte infondate. Nonostante l’appartenenza alla categoria dei Rogia, le notizie raccolte al suo riguardo lo identificano come un eccezione a tale ramo: non offre l’intangibilità tipica di quest’ultimi ma permette al proprio possessore di privare a chiunque altra persona avente un frutto del diavolo il potere di cui dispone, rendendolo vulnerabile ad ogni attacco fintanto che rimane a contatto con questo.


Era almeno la sesta volta che rileggeva quel foglio. Sedeva sul letto della stanza affittata con le gambe distese diagonalmente mentre entrambe le mani reggevano quel pezzo di carta stropicciato. Le scritte erano piccole, sbavate in alcuni punti e cerchiati in rosso in altri, segno che Teach aveva sottolineato quel che più gli premeva di sapere. Vi aveva appuntato anche altre informazioni, probabilmente reperite da altri testi.
Già sulla nave aveva avuto modo di darci un’occhiata ma l’aveva fatto velocemente, cercando solo quel che le occorreva per confermare le sue ipotesi e adesso si trovava lì, in un piccolo hotel di quella prima isola raggiunta a grandissima velocità. L’alzare la testa dal foglio le fece notare che la scrivania, unico mobilio insieme a un piccolo armadio e un comodino posto accanto al letto, era sepolta sotto le sue cartine e altri appunti presi in altre occasioni, tutti ammucchiati. E dire che l’ordine era una delle cose che più le piaceva applicare nel suo lavoro.....

Aveva dato fondo alle sue conoscenze e alla sua dimestichezza nel maneggiare le carte nautiche, studiando esse e il log pose con estrema minuziosità sin da quando era approdata e alla fine era riemersa da quel caos cartaceo con la rotta bella scritta sulla mappa principale, che le avrebbe permesso di arrivare a Shanbody.

“Una piccola vittoria a mio favore..” ridacchiò debolmente lasciando cadere la pagina strappata a terra.

Non si degnò di raccoglierla. Provata da una pesantezza indescrivibile, si alzò traballante e andò a sedersi alla scrivania incrociando le braccia sul banco, per poi affondarci la testa, incurante delle carte sotto di lei. Ci aveva rinunciato a ricordare, troppo denso era il vuoto che le perforava l’addome e che continuava ad espandersi pian piano. Era rimasto il senso di colpa e tante altre pecche che si legavano ad esso come indissolubili catene, ma a parte questo...non c’era niente.
Sapeva della loro esistenza perché quei eventi li aveva provati sulla sua pelle ed era certa che fossero dentro da qualche parte, ma la verità era che essendo sfinita, in tutti i sensi, perfino il semplice atto di riprendere una semplicità preziosa come il ricordo era uno sforzo troppo eccessivo. Il sonno non avrebbe cancellato niente e forse il risveglio le avrebbe inflitto una seconda doccia fredda, mostrandole che quello che stava vivendo era maledettamente reale ma le palpebre la pensavano diversamente e iniziarono a calare con sempre più insistenza. Quel che ancora scorgeva, si muoveva come tante linee oblique e i colori si mischiavano tra di loro fino ad annullarsi a vicenda. Venne il nero e le voci dei cittadini che camminavano lungo il viale illuminato da bancarelle e lampioni divennero labili e lontane.

Finì per ritrovarsi in quella stanzetta grigia e scoperchiata, completamente sola: si sedette al suo centro e rannicchiate le gambe se le strinse al petto, affondando nelle ginocchia il viso, in attesa dell’alba del nuovo giorno che l’avrebbe fatta rialzare e riposta sul cammino scelto.

 

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Capitolo 51
*** Il preannuncio d'ogni paura. ***


 Eccomi,pronta a postare e largamente in anticipo,ma solo per oggi purtroppo!dunque dunque,per chi ama l’accoppiata Don e Maya,qui li vedrete discutere un po’ più civilmente del solito.Il motivo?leggere e capirete!so di aver lasciato una sorta di vuota nel capitolo scorso:Sayuri che parte senza neppure salutare Ace o riappacificarsi con lui.Si,può suonare triste ma sempre leggendo capirete il perché della mia scelta.Ora,come sempre,prima di lasciarvi,i miei più sentiti ringraziamenti!

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Gaara the Best:olà mia cara!la sincerità dei tuoi complimenti mi ha portato alle stelle.Adesso però sono curiosa di vederlo questo disegno di Sayuri!la mia mail è cortinovis-alessandra@virgilio.it.Il nostro Don ha la scorza dura ma nel profondo è un vero amico sotto tutti gli aspetti e aiuta quando si ha bisogno di lui.Sui medicinali purtroppo devo tacere;ricompariranno più avanti ma per cosa non posso dirlo se no faccio mega spoiler e non va bene.Garantisco però che la fict durerà ancora un bel po’ per la tua gioia!

angela90:amorino!addio doloroso quella di Sayuri e Akiko che dorme tutta bella infagottata nel suo lettino ti fa venir voglia di stritolarla e di riempirle di baci.E’ dura,durissima perché con alle spalle la morte di un caro amico,una litigata più unica che rara,la mia Yu-chan può solo aggrapparsi al fatto che così sta facendo la cosa giusta e per fortuna c’è Don!il caro,buon vecchio Don…penso sempre che lui e Zoro andrebbero d’accordo.Pure io ho letto l’inizio di Umi no high school;tranquilla,se riesce a reggere il confronto con 1600 passa uomini una scuola di pazzi scatenati la può reggere ma chissà…vedremo!

13ste:ciao!lo so è stato un po’ triste il capitolo ma volutamente centrato su Don per mettere in risalto il tema dell’amicizia.Di capitoli ce ne sono ancora,quindi non disperare(Se finissi qui la storia non penso che ne sareste felici) “Giglio di picche”durerà ancora un po’,promesso!

giulio91:ehilà!ti dirò..all’inizio la fict doveva terminare sui cinquanta capitoli e avevo in mente un finale decisamente diverso da quello che ora ho in mente (due in realtà,tragici entrambi,tra cui dovevo scegliere).Ora la cosa è molto diversa quindi la fict non è finita,anzi ci vorrà un altro pochino,non so quanto perché i capitoli non li ho ancora finiti di scrivere.Don nel suo essere burbero sa che cosa è giusto fare e qui lo vedrai ancoraPer quanto mi riguarda,la mia versione non si attiene a quella del manga(odio Marineford ed essendo Ace il mio personaggio preferito non mi dilungo sul perché) e in quanto a quello che è successo in questi ultimi capitoli…..leggi caro,spero possa lasciarti sorpreso!

neff:ciao cara!vero che fa effetto leggere il capitolo con la canzone in sottofondo?me ne sono servita molto per descrivere la parte di Don e Sayuri.Può sembrare crudele il fatto che Ace e Yu-chan non si siano salutati,lo so ma qui in questo capitolo capirai il perché.Il viaggio durerà quel che deve durare e ci saranno altri colpi di scena(se posso chiamarli tale,ovviamente dipende da come io li realizzo).Ci sono alcune cose che devo aggiungere,temi che volevo mettere un po’ per centrare il mondo di One piece e spero che nella somma esca bene!

happylight:stellina mia,eccoti!Yu-chan soffre..povera la mia pupilla!(si strappa i capelli)il fatto che Akiko fosse addormentata le ha reso le cose più facili.Su Don potrei scrivere poemi interi ma qui per forza di cose devo ridimensionare il tutto.Essendo un buon osservatore sa su cosa ha ragione e di certo nell’ascoltare Yu-chan comprende maggiormente il perché Ace abbia devastato la sala da pranzo e la sua stanza.Essendo orgoglioso arriva tardi a capire le conseguenze delle sue gesta.Quanto ho penato per lui quand’era su quel patibolo…no,tornando a noi,Don sa che non è propriamente giusto quel che sta facendo l’amica ma il vederla consapevole delle sue gesta,lo rasserena un po’,anche se non del tutto.Le medicine datele torneranno in futuro ma al momento avrà altro a cui pensare.

Chibi Hunter:tesoro!no,non piangere!basta quel che scrivo per farmi fustigare!Ace che fa il diavolo a quattro fa rabbrividire si perché è una cosa quasi inumana ed è uno dei motivi per cui Don ha deciso di vederci chiaro.A suo modo la consola,sa che soffre e che vorrebbe cancellare quanto capitato ma non potendo si sforza a fare la cosa giusta anche se le è costa caro.Non mi sarebbe dispiaciuto poter descrivere l’incontro fra il medico-cecchino e Ace ma non avendoci mai pensato,mi riuscirebbe difficile inserirlo.Comunque,se può esserti di ispirazione qui c’è un loro confronto,insieme alle intenzioni di Ace.(e una menzioncina speciale al rosso che mai nessuno ascolta!)

tre88:ciao cara!giustificare la litigata di Ace e Sayuri è stata una delle prime cose che ho fatto dopo aver scritto il capitolo(e infatti sto progettando di costruire la bambolina  woodo di quella palla di lardo su cui sfogherò i miei istinti omicidi).Don nel suo piccolo si è fatto strada,mi spiace solo non poter descrivere come lui e Ace si siano conosciuti(non perché non voglia ma non ho idea di come fare e poi c’è già tanta di quella roba che mi assale che è già un miracolo che non sia sepolta viva).
 
 


Le tre di notte e lui era ancora in piedi. Dopo una pessima giornata come quella, chiunque sarebbe stato felice di ficcarsi sotto le coperte e dormire fino all’arrivo del nuovo giorno, ma di sonno, Don non ne aveva la benchè minima traccia; si era abituato a fare le ore piccole per motivi professionali e visto che questo - il sonno si intende - non si decideva ad aiutarlo, il medico-cecchino si era aggrappato al collo di una bottiglia di rhum trafugata dalla cucina. L’alcol annebbiava la mente e i sensi a tal punto da farli rigettare sottoforma di vomito se la quantità assunta era alta, ma perfino l’ubriacarsi come un barbone non stava sortendo l’effetto sperato, visto che era più lucido di un astemio. Gettò malamente l’occhio sulla bottiglia verde smeraldo affiancata dalla candela che gli aveva impedito di picchiare i nervi delle ginocchia, risparmiando così imprecazioni su imprecazioni ma scosse ugualmente la testa appesantita da tutto quel nervosismo che si era accumulato a tempo record.

Dovevo immaginarmelo. Borbottò mentalmente, adocchiando nuovamente la bottiglia Sarà difficile che mi ubriachi per bene con questa schifezza.

Con l’indice, fece scivolare il bicchierino mezzo pieno poco lontano dalla sua mano. Si era completamente dimenticato di essere un accanito bevitore di prima categoria: scolarsi mezza bottiglia di rhum scadente come quello, gli avrebbe solo fatto male allo stomaco, ma intanto aveva riagguantato il bicchiere e mandato giù il restante con la persistente speranza che almeno un quarto di quella giornata andasse al diavolo.

“Hai intenzione di giocarti il fegato per caso?”

Una voce falsamente provocante fu accompagnata da una camminata ancheggiante e secca, appartenente a una figura che si soffermò a lungo a guardare con occhi scarlatti e molto accigliati il solo presente nell’ampia sala da pranzo.

“Per essere un medico non hai molta cura di te stesso, se bevi quella roba” lo rimproverò l’ombra, sempre guardandolo coi due rubini ben spalancati “E non è neppure delle migliori” aggiunse sdegnata una volta afferrato il collo della bottiglia.
“Tsk! Smettila con le prediche, donna: siediti e bevi in silenzio” ordinò lui stizzito.

Con mezzo sorriso sprezzante, Maya si accomodò di fianco al collega e fece comparire da sotto il tavolo un bicchierino identico a quello già presente che subito venne riempito.

“Brutta giornata, eh?”
“Da dimenticare” mugugnò l’uomo, con il gomito puntato e il palmo aperto per sostenere la guancia destra “Come se la situazione non stesse colando a picco già di suo..”

Non era inusuale che Don fosse pessimista, la negatività faceva parte di lui come fosse un secondo cervello ed emergeva puntualmente per rispondere a tono alla stessa capo infermiera che ora guardava il bicchiere col suo stesso muso lungo, senza neppure bere un goccio di quanto si era versata. Di battibeccare quel giorno non era il caso, l’acidità del medico-cecchino dell’ex ciurma di pirati di picche era talmente al di sopra della soglia di sicurezza che anche il più piccolo rumore, sgherro o parola che fosse stato emesso fuori posto, gli avrebbe fatto scagliare la bottiglia contro il muro e Maya, nel cogliere quanto stesse cercando di affogarsi nell’alcool, comprese che mai sarebbe stata tanto stupida da punzecchiarlo col bastone. Il vederlo agitarsi nel brodo dell’amarezza era più che sufficiente a venirgli incontro con un salvagente.

“Dovresti avvertirlo” gli consigliò seriamente lei.
“Credi che non ci abbia provato? Glielo avrò detto almeno dieci volte, ma quello manco mi è stato a sentire” sbottò di rimando.
“C’era da immaginarselo, ma vista e considerata la ragione per cui è partito, non c’è da stupirsi che ti abbia sbattuto la cornetta del lumacofono in faccia”
“Non ricordarmelo” e buttò giù altro rhum come fosse acqua.

Era rimasto attaccato a quel benedetto apparecchio per interminabili ore, col solo risultato di dover urlare per far inculcare in quella testa di fuoco quale era Ace quanto lui stesso aveva udito con le proprie orecchie pochi attimi dopo che quel putiferio scoppiato sulla Moby Dick era cessato.
Quel giorno, quel dannatissimo giorno che stava ancora maledicendo tra un sorso e l’altro, a distanza da tre mesi dalla partenza di Sayuri, era venuto a far visita a papà una delle persone più improbabili che esistessero sulla faccia della terra. Lo sentire la propria testa come una camera dove si erano venuti a concentrare una moltitudine ingestibili di fischi era stato il primo e unico indizio che gli aveva permesso di riconoscerlo mentre affiancava la sua nave alla loro. Dio, era quasi morto per l’emicrania quando quello era salito sulla passerella e aveva sfilato sul ponte lasciandosi dietro una trentina di uomini svenuti, ma il farglielo notare non era servito più di tanto, se aveva avuto il coraggio di sorridere e chiedere addirittura a Marco di entrare a fa parte della ciurma.

C’era da dire che Shanks il Rosso era un pazzo a mostrare tanta noncuranza davanti a una ciurma di mille e seicento passa uomini, anche con il suo grado di imperatore.

Era impensabile che avesse fatto tanta strada per una semplice visita di cortesia al vecchio dato che quei due, per questioni lampanti, erano avversari, ma il vederlo portarsi a presto quell’enorme bisaccia colma di liquore della sua terra d’origine, con la sola intenzione di parlare a tu per tu con il vecchio Newgate lo aveva insospettito ancor di più. Il Rosso si era presentato senza neppure dare un avviso, ma ora che ricordava bene, tempo addietro si era presentato uno strano tipo - un certo Rockstar se non ricordava male - che aveva consegnato una lettera scritta di suo pugno per il loro babbo,istantaneamente rispedita in mille brandelli a casa insieme al messaggero. Era rimasto perplesso davanti a un simile gesto da parte di quel uomo: a parte lanciarsi palle di cannone, cosa dovevano dirsi due imperatori?
Il possedere lo stesso titolo non implicava certo una qualche particolare alleanza, con il carattere del loro capitano poi,era stato difficile figurare questi due seduti, uno di fronte all’altro, a bere sakè e a parlare come nulla fosse; ma il difficile che lui si era solo immaginato aveva preso forma, trasformando una qualunque giornata di sole nel preannuncio di un disastro dalla proporzioni bibliche. Erano stati mandati via, tutti quanti, di modo tale che i due capitani potessero parlare senza l’interferenza di opinioni da parte dei membri della ciurma, ma rimasto a una distanza di sicurezza - nel primo posto vedetta, precisiamo -, Don aveva udito ogni singola parola fuoriuscita dalla bocca seriamente preoccupata di Shanks il Rosso.

“Devi fermare Ace, subito”

Quell’uomo dai capelli scarlatti aveva combattuto le sue guerre, affrontato nemici di ogni genere e procuratosi ferite che più di una volta l’avevano visto quasi in punto di morte, ma tra le molte che avevano segnato il suo fisico, una in particolare aveva ripreso a bruciare come fosse animata di vita propria: la triplice cicatrice che spiccava sull’occhio destro era riconosciuta come un marchio vistoso e, in un certo senso, anche famoso, visto che tale ferita era arrivata vicinissima a privare l’imperatore di metà della sua vista. Don era rimasto ad ascoltare in silenzio il perché il più giovane fra i due imperatori si fosse premurato di riferire di persona la sua preoccupazione e una volta tratte le conclusioni e tentato in più modi di far ragionare Ace al lumacofono, aveva adescato la bottiglia di rhum e si era messo a bere, con le parole dell’imperatore stampate a caratteri cubitali nella sua memoria.

Non ha mai cercato di prendere posizione sulla tua nave perché stava aspettando il momento migliore per agire.

Il seguito ricalcava alla perfezione il ragionamento che tempo addietro aveva formulato per dar spiegazione al gesto di quell’ameba disgustosa, ma il sentirlo uscire da quella bocca che più pareva saperne al riguardo, lo aveva letteralmente congelato.
Guardò il suo bicchiere con occhi appesantiti dalle occhiaie, la mente piena di assurdi pensieri tutti soppressi da uno che ora pareva essere la sua unica certezza.

“Avrei dovuto picchiarlo più forte” disse “O incatenarlo all’albero maestro”
“Non penso avrebbe fatto alcuna differenza” replicò la capo infermiera, prendendo la bottiglia quasi vuota con le sue dita laccate di rosso “Lo conosci meglio di me”
“Per questo dovevo provarci con più convinzione” reclinò indietro la testa, stirandosi tutti i muscoli del collo.

L’indolenzimento delle proprie ossa non lo preoccupava così come la flaccidità dei suoi muscoli: faceva tutto parte della semplice e piratesca arte del bere. L’alcol scendeva giù per la gola che era un piacere, bagnava le pareti dei vasi sanguigni lasciandosi dietro un bruciore ghiacciato che invadeva gli organi fino a stordirli come tanti pugni concentrati in un unico punto. Se fosse riuscito a ridurre anche il suo cervello a un ammasso gelatinoso inconsistente ne sarebbe stato più che felice, almeno non sarebbe stato lì a pensare all’ultima conversazione avuta poco più di tre mesi addietro con il suo migliore amico...

“Che diavolo combini?”

Si trovava nel piccolo hangar dove veniva custodito lo Striker di Ace. Era piccolo, con un pontile sulla destra e il resto del pavimento sostituito dall’acqua marina che faceva galleggiare il mezzo. Pugno di Fuoco ci stava trafficando velocemente, il suo zaino preferito era già stato prontamente sistemato vicino al motore.

“A te cosa sembra? Vado a stanare quel bastardo” gli rispose taglientesenza nemmeno guardarlo in faccia.
“Raccontala a un altro. Sappiamo entrambi che non stai andando da quel traditore” replicò con egual tono, ma più basso.
“E dove dovrei andare altrimenti?”
“Non scherzare, Ace”
“Ti pare che lo stia facendo?” sillabò quello perché le parole esprimessero la sua serietà.

Non gli aveva mai dato le spalle da quando lo conosceva. Lo trovava indifferente, così come le sue domande, inutili e dispendiose di tempo che lui non voleva sprecare.C’e l’aveva ben chiara la situazione, ma Don non ritenne ciò sufficiente a giustificare il comportamento del compagno.

“Ma che fai?!”

Una delle braccia del moro era stata afferrata con forza e tirata verso l’alto con l’intento di far girare il resto del corpo.

“E’ buona educazione guardare in faccia una persona quando gli si parla”
“Se non l’avessi capito, Don, devo partire” tagliò corto Ace, riafferrando la fune sfuggita.
“E’ il tuo orgoglio che parla o la stupidità? Sinceramente non ho idea di con chi io stia parlando, ma di sicuro non sto parlando con l’Ace che conosco”

Non c'era traccia del ragazzo che aveva conosciuto quel giorno di pochi anni fa e che poi era diventato suo capitano. Non vedeva l’Ace sorridente con cui parlava del più o del meno.
Ace non c’era, al suo posto si erano auto-sostituiti quell’ego falsamente ferito e la scelleratezza dettata dal desiderio di mostrare la sua superiorità. Era arrabbiato, furente e il medico-cecchino sapeva meglio di chiunque altro di star giocando col fuoco in persona, ma piuttosto che rimangiarsi le parole dette e quelle future, si sarebbe tagliato a metà la lingua. Aveva promesso.

“Posso capire benissimo il rancore che provi nei confronti di quello stronzo, tutti quanti noi lo condividiamo, ma quello che non mi è chiaro, è che cosa pensi di fare scendendo dalla Moby Dick” ricominciò “Se adesso parti e la raggiungi, non pensi che tradirai la fiducia che riponi in lei?”
“Ho forse detto di volerla raggiungere?” domandò per rimando “Mi pare di aver già spiegato più che a sufficienza sul ponte che cosa voglio fare”
“Veramente io ho sentito solo un mucchio di stronzate”

Seppe di averlo accoltellato nel vivo e ne prese ancor più coscienza quando ricevette un pugno in piena faccia dal quest’ultimo. Rotolò nell’angolo e sbattè violentemente la schiena contro la parete che per puro miracolo aveva resistito all’impatto. Era difficile pensare che Pugno di Fuoco si fosse trattenuto e infatti non si era premurato di farlo: le nocche erano rosse e fumanti, prossime a incendiarsi e la rientranza creata da Don lasciava intendere il poco restante.

“Secondo te l’onore e il nome di papà..” sibilò lui, afferrandolo per il colletto,“Sono un mucchio di stronzate?!”

L’aveva tirato su con un braccio solo, tenendolo schiacciato contro il muro, come se volesse farlo diventare un tutt’uno con esso.

“No” replicò, accusando il colpo “Solo le tue ragioni, la tua codardia e il tuo fottuto orgoglio” rispose con egual tono.

Gli tirò un calcio all’altezza delle costole e quello di rimando lo gettò a terra senza mollargli la presa che aveva sul suo colletto. Finirono entrambi a terra, il medico-cecchino inchiodato a terra con Ace sopra che lo schiacciava con tutto il suo peso. Ingoiando la saliva imbevuta di qualche goccia sanguinea, Don storse la bocca e gli occhi accigliando ancor di più la sua espressione già visibilmente contrariata.

“Sei tanto forte da distruggere delle navi con un solo pugno, ma non sopporti l’idea che qualcuno ti sia superiore o che tu venga considerato meno di quanto vali, e sono pronto a scommettere che adesso sei più incazzato con Sayuri che con Teach!”
“Adesso sei tu che stai dicendo un mucchio di stronzate!”
“Davvero? Non mi sembra affatto” digrignò coi denti cercando di liberarsi dalla sua presa.

Gli stava facendo male, ma non abbastanza da fargli implorare pietà, cosa che mai aveva e avrebbe fatto. In quello stato Ace non avrebbe combinato nulla di buono in mare, figurarsi dare la caccia quel bastardo e infliggergli la giusta punizione per il crimine commesso. Da parte sua, era consapevole di star calcando un po’ troppo la mano, ma le sue accuse non erano delle falsità, non quelle sull’onore e il nome del padre: doveva accertarsi che quello scemo non si stesse lasciando trasportare dalla rabbia e che non fosse stato tanto stupido da prendersela per un semplice colpo diretto al suo ego. Era sicuro che la faccenda di Sayuri gli stesse rodendo più di quanto lui stesso volesse ammettere, ma non certo per l’insinuazione da lui fatta e che gli aveva permesso di guadagnarsi i primi lividi violacei sulla faccia.
Non lo avrebbe mai ammesso o forse si se glielo tirava fuori a suon di calci; fatto stava, che in quel preciso momento non aveva alcuna intenzione di mollarlo fino a quando non avrebbe capito cosa cavolo gli stesse passando in quella testa bacata e infuocata che si ritrovava.

Con una ginocchiata ai reni, se lo tolse di dosso; ne approfittò per bloccarlo a terra, nella stessa posizione in cui lui era stato per pochi secondi prima, con un ginocchio impiantato nel torace.

“Tu sei arrabbiato perché ti ha detto che non eri all’altezza, non è così? Sei arrabbiato perché credi che lei ti abbia negato la sua fiducia, quando da te, invece, non si aspettava che questa!” gli urlò tirandogli un pugno in faccia “Sei così arrabbiato perché non riesci a capire il suo comportamento quando invece non dovresti avere dubbi sulle sue scelte, anche se incomprensibili!”

Il vedere come gli occhi del moro stessero cercando di incenerirlo lo spronò a continuare; fino a quando non avrebbe ammesso quello che voleva farsi sentire, il medico-cecchino avrebbe continuato a rinfacciargli quella cruda verità che stava colpendo il suo orgoglio ben scoperto alla luce del giorno come una carie grossa quanto il suo berretto. Il semplice fatto che riuscisse a picchiarlo nonostante quello stesse aumentando sempre di più la propria temperatura corporea, gli diede l’ulteriore prova che Ace non aveva il pieno controllo su di sé e anche se l’avesse avuto, lo stava esercitando gran male; era sicuro che continuando su quella strada, le sue ossa avrebbero gridato per il dolore, ma sinceramente non gliene importava un fico secco. Se per farsi ascoltare fino in fondo, se per ottenere delle beneamate risposte doveva picchiare e a sua volta essere picchiato a sangue, allora non si sarebbe fermato.

Da parte sua, il comandante della seconda flotta non potè più sopportare con mezza passività tutto quello che Don gli stava riversando contro. La verità faceva sempre male e lui ne aveva dovute sopportare di molto pesanti, ma quella....quella le superava di gran lunga tutte quante. Non aveva idea di quanto fosse ridicolo in quello stato, ne di star mostrando un’infantilità incompatibile con la sua età, la sua sola consapevolezza era che le proprie mani lo stavano supplicando di farle chiudere e colpire quella bocca che con tanta facilità sputava sentenze su sentenze.

“Ma tu..” ringhiò nel spingerlo via “Che diavolo ne sai?!”

Lo calciò dolorosamente e lo gettò lontano da lui, per poi riafferrarlo per la maglia e sbatterlo ancora contro la parete legnosa.

“Ti permetti di farmi la predica, ma non hai la minima idea di come mi senta ora. Credi che sia entrato di prepotenza nella stanza di papà solo per farmi incaricare di inseguire quel dannato? Credi che non abbia tenuto conto di quanto era successo?! Credi che..” e sbattè Don ancor più forte contro la parete “Non abbia visto in che stato fosse lei?!”

Le assi scricchiolarono pericolosamente insieme ai trattenuti mugugni dolori del compagno col berretto. I segnali che il suo corpo gli stava inviando, cominciavano a essere troppo insistenti per continuare a venire soppressi. Da una parte la solidità del muro, seppur cedente, gli stava puntellando la schiena con le sue schegge; dall’altra, le mani incandescenti di Ace stavano bruciacchiando la sua pelle a sufficienza per farci rimanere dei segni rossi se quello avesse deciso di trasformare l’intero arto in puro fuoco. Era infuriato perché non capiva; benchè sapesse che lei era fatta a quel modo e che mai sarebbe cambiata, il tutto gli apparve insensato, quasi riluttante a voler chiedere aiuto; si era sentito spingere via, allontanato, murato al di fuori di quelle difese che lui stesso a poco a poco aveva fatto cedere ed era rimasto così pietrificato quando lei gli aveva detto quelle cose - una poi - che quel che doveva replicare, insieme ai sentimenti messi in gioco al momento, era svanito, sepolto sotto una coltre di ghiaccio calato con la stessa incisiva lentezza di un requiem funebre.

Le aveva detto di fare come meglio credeva. Le aveva permesso di scendere dalla nave senza neppure provare a spiegarsi. L’aveva lasciata andare via senza che le potesse parlare; era arrabbiato con lei, ma anche preoccupato per quella sua stupida immolazione a cui non si era opposto, ma per Don, lo stesso Don che ora aveva colpito con un altro pugno per averlo schernito tanto apertamente, e che adesso si trovava ancora a terra con la faccia dolorante, le sue parole parevano essere inconsistenti, vuote, patetiche.

“So come sta, l’ho vista” ansimò quello reggendosi la guancia “Ma la cosa che mi fa più schifo di tutta questa storia, è che tu te ne sbatta di come lei stia e che lei...” e calcò bene il pronome “Stia male per quello che ti ha detto”

Seppe di aver toccato l’ennesimo tasto dolente perché l’espressione di Ace si deturpò quanto bastava da impedirgli di parare il colpo che lui gli restituì seduta stante. Non avrebbe mai pensato di arrivare a quei livelli, livelli che nemmeno gli si addicevano ma non poteva non togliersi dalla mente il dialogo avuto con la ragazza, la sua versione dei fatti - più che completa - le sue motivazioni e di come in particolar modo si fosse affidata totalmente a lui. Gli aveva mostrato e fatto leggere il pezzo di carta datole da Satch prima di morire e dopo ciò, non aveva più avuto dubbi sul fatto che se qualcuno, dotato dei poteri dei frutti del mare, fosse andato a cercare Teach, non avrebbe trovato altro che una sconfitta mortale. Si era incupita maggiormente nel descrivere quella parte e lui non aveva dimenticato quel viso,ora stampato nella sua memoria. Aveva promesso, lei confidava nel suo silenzio e Don nel profondo di sé non voleva venire a meno a quel giuramento: Ace non poteva vincere contro un potere che inibiva il suo e benché fosse forte anche senza, non era detto che potesse farcela contro l’uomo che era riuscito addirittura a uccidere il comandante della quarta flotta.
Gli si fiondò addosso con il viso di Sayuri sempre impresso nella mente, tenendolo ben fermo per permettergli di continuare in quella lite la cui fine era incerta.

“Tu non sei imbattibile, Ace, nessuno a questo mondo può essere il più forte per sempre, ma evidentemente, orgoglioso come sei, hai preferito fare di testa tua invece che ragionarci sopra. Non stiamo parlando dell’onore di papà, ne del suo nome, ma di quello che stai per commettere e non pensare che te lo lasci fare, sai?”

Il ragazzo sotto di lui tenne la bocca contratta in una smorfia ribelle e distolse lo sguardo, ma senza smettere di far leva coi palmi per controbilanciare la presa che il medico-cecchino aveva su di lui.

“Lo vedi che ti stai comportando peggio di un poppante?! E guardami quando ti parlo idiota!”

Gli mollò un altro pugno, costringendolo così a volgere la testa verso destra, con tutti i capelli che gli coprivano il viso.

"Non riesci nemmeno a renderti intangibile..” ansimò Don, disgustato “Adesso stammi bene a sentire” lo afferrò per le spalle alzandogli così la testa da terra “Posso accettare che tu decida di batterti contro tutta la Marina da solo. Posso accettare che tu voglia rendere il capitano il Re dei Pirati anche a costo della tua stessa vita e posso anche passare sopra a tante di quelle cose per cui meriteresti una lavata di capo colossale, ma non posso, non posso in alcun modo perdonarti per l’aver messo il tuo fottuto ego prima di lei!” a quel punto esplose definitivamente “CAZZO, ACE, E’ SAYURI NON CHISSA’ CHI! MA TU PENSI SUL SERIO CHE NON ABBIA MAI VISTO QUANTO NE SEI INNAMORATO PERSO?!?”

L’acqua su cui galleggiava lo Striker si appiattì seduta stante benchè la corrente proveniente dall’esterno fosse piuttosto agitata per via del tempo nuvoloso e minaccioso. Il muscolo cardiaco di Don dopo quell’urlo, martellò animatamente nella cassa toracica dentro cui era rinchiuso cercando di regolarizzare il suo andazzo, contenendo il desiderio di salire il gola ed espandere i suoi palpiti, ma il medico-cecchino aveva un ultima cosa da dire a quello stupido e il trattenerlo dentro di sé era impensabile: era certo che Ace, quello vero, fosse lì, sotto tutta quella coltre di odio ingigantito e doveva tirarlo fuori, anche malamente se necessario, per fargli comprendere che il suo istinto lo stava spingendo a comportarsi in maniera del tutto contraria da quella consona che ci si aspettava da un comandante della flotta di Barbabianca, anzi..da un amico.

“Hai detto che non ti saresti mai sognato di ferirla e io ci ho creduto subito perché solo un cieco non vedrebbe quanto tu le sia legato, ma forse sono stato troppo frettoloso. Può darsi..” e assottigliò le pupille “Che tu non le voglia così bene come hai sempre detto”

A quel punto l’ambiente circostante calò in mutismo ancor più profondo di quello creatosi pochi secondi addietro.
Infine glielo aveva detto, quel che pensava realmente. Anzi, più che detto, prima urlato e poi sibilato con tanta veemenza da far tacere perfino l’increspare del mare. Si era lasciato trasportare da quel sentimentalismo che per fargli raggiungere la meta senza alcuna esitazione, aveva assunto le sembianze di una Sayuri sull’orlo della disperazione e che gli chiedeva aiuto. Smise di spingere nel non percepire più l’ostilità fisica di Ace, ma non gli tolse le mani di dosso per non rischiare di finire nuovamente a terra. Il silenzio in quel piccolo hangar si era indurito come il cemento nell’acqua, i granelli di polvere si erano appiattiti contro le parti del muro ancora integre e le rabbie acquietate del tutto. Quella fiammella troppo alta che aveva gonfiato a dismisura pugno di fuoco si era estinta, da prima pian piano poi,scomparsa in un battito di ciglia; aveva fatto tacere, sbollire quel moccioso lentigginoso nel solo modo che gli era consentito ovvero attaccare con tutta la sua forza quella parte di lui dove il ricordo di Sayuri era vivo quanto il suo stesso cuore. Era stato crudele, un autentico bastardo nel rinfacciargli tutte quelle cattiverie, ma al momento non se ne pentiva: voleva verificare, voleva scoprire che cosa c’era realmente dietro tutta quella maschera mal assortita di sentimenti negativi, perché si rifiutava categoricamente di credere che a Ace non importava nulla della ragazza. Glielo aveva sentito dire prima, continuando a girarci intorno ma lui invece aveva pesantemente preteso che quelle parole uscissero dalla sua bocca senza che nessun impedimento morale lo bloccasse.

Arrendersi era contrario alla personalità del moro, ci era sempre stato incredibilmente allergico e i continui attentati alla vita di Barbabianca quando quello lo aveva portato sulla sua nave ne erano un chiaro esempio. Ma allora Ace non aveva litigato con Sayuri;l’aveva avuta accanto, sempre, che fosse in silenzio o gli parlasse per il solo sapere come stesse.

Ma adesso era completamente diverso. Lei non c’era....

“Mi sa che hai ragione” mormorò il moro “Forse non le voglio bene come ho sempre pensato”

A quel punto la pressione che le mani del medico-cecchino esercitavano sul compagno, vacillò quanto bastava da diminuirne nettamenta la forza. Con occhi lievemente allargata e la bocca sul punto di aprirsi da sola, Don rimase totalmente abasito per quel che aveva appena udito: Ace, l’orgoglioso testone di fuoco che il più delle volte faceva di testa sua, gli stava dando ragione.

“Le ho detto che voglio essere egoista” riprese con un sorriso mesto “Le ho detto che voglio avere più di quanto ho già e che sarebbe stata costretta a sopportarmi per un altro po’ visto che avevo promesso di prendermi cura di lei ma forse..” e qui l’amaro gli scese giù in gola “Di lei non mi importa così tanto se sono stato addirittura capace di metterla al di sopra del mio stupido ego”

Voleva averla sempre vicino per evitarle ulteriori sofferenze, per non vederla piangere.Voleva essere il suo appoggio, la sua spalla, tutto quello che lei avrebbe desiderato e in cambio, lui non avrebbe chiesto che il suo sorriso e la sua presenza quando ne avrebbe sentito il bisogno.

“Le ho detto che qualora ne avesse avuto bisogno, sarebbe potuta venire da me” continuò con gli occhi celati dai capelli scompigliati “Le ho detto..che l’amavo”

Ace non era tipo da esternare così apertamente i suoi sentimenti più profondi, nemmeno al suo migliore amico anche se era quel che stava facendo. Odiava sentirsi in qualche modo scoperto; finiva per dire cose mai pensate,si ghiacciava a tal punto da allontanare col solo sguardo tutti. Quanti uomini aveva ridotto in fin di vita perché sparlavano di Roger? Non c’era modo di tenerlo a freno quando l’argomento era quello perché ogni volta finiva per distruggere tutto quanto mentre dentro di sé si sentiva unicamente ferito. Solamente Sayuri era riuscita a placare quel lato ingestibile di lui, a toccarlo e a rassicurarlo come nessun’altro e il realizzare che lei era lontana da quella nave lo stava facendo impazzire. Come Don era venuto lì per fargli capire che andare non sarebbe servito a nulla, Ace voleva fargli comprendere che andare, era il solo modo che aveva per mantener fede alla sua promessa, per proteggerla e anche se molto di quello che doveva ancora dire era nella sua mente, il medico-cecchino era abbastanza lucido per intuire il tutto senza che il moro finisse di scoprirsi. Pugno di Fuoco gli stava dando ragione, stava ammettendo fatti che si sarebbe tenuto volentieri per sé se Don non fosse venuto lì e avesse iniziato a picchiarlo e inveire contro di lui, ma al tempo stesso non stava demordendo e l’amico oramai ne aveva preso pienamente coscienza, osservandolo come solo lui aveva imparato a fare nel giro di quei anni trascorsi a navigare insieme.

“Tu sei un pazzo” brontolò il medico-cecchino togliendosi da sopra “E lei più di te. Ci credo che state insieme”

Si pulì col dorso della mano la bocca insanguinata.Gli dava la schiena, quindi udì solo i suoi passi e il rumore dell’acqua appesantirsi e nuovamente muoversi. Poteva ancora fare qualcosa? No, quello che doveva dire l’aveva detto, con tanto di scazzottata e disfacimento dell’hangar. Sapeva di star deludendo un’amica, ma la sola cosa che poteva fermare un’idiozia d’amore era un’altra idiozia d’amore e lui lì, nonostante la sua influenza di amico, non poteva competere contro una simile opposizione. Non poteva capire l’amore, la malattia più grave esistente al mondo - detta in termini medici -.

“Io vado, Don”

Non gli fece un cenno di saluto ne si sprecò ancora a parlare. Finì col rimanere lì mentre sentiva il motore dello Striker emanare vampate di calore contro la sua schiena e rombare verso il mare aperto, fino a confondersi con il resto di quella calma piatta.

“Non potevi fermarlo, Don” gli disse Maya, una volta che quello fu tornato al presente “Nessuno di noi avrebbe potuto”

La prima bottiglia era stata sostituita da una seconda,di una marca più buona e accettabile rispetto l’altra,già dimenticata nell’angolino. Se si doveva affogare il dispiacere nell’alcool - se poi si poteva chiamare così - era meglio farlo con roba decente si erano detti più volte quella notte.

“Le persone sono stupide” continuò la capo infermiera, battendo il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto in un colpo il suo contenuto “Siamo stupidi perché crediamo di avere padronanza della nostra ragione, dei nostri sentimenti e delle emozioni, quando è invece il cuore, il nostro vero cervello, a farci fare quello che vuole lui, perché sa esattamente cosa vogliamo in assoluto al di sopra di tutto il resto” spiegò lei agguantando la bottiglia “Siamo schiavi del nostro cuore, è un dato di fatto”

Fissò il bicchiere per qualche secondo ma poi preferì bere a canna sotto lo sguardo basito e stanco del collega.

“Che finezza..”
“Taci e soffoca i tuoi sensi di colpa” e allungò il braccio per passargli la bottiglia.
“Chi ha parlato di sensi di colpa, donna?” le domandò afferrando quanto offerto.
“Fammi un favore, Donnie” gli disse seriamente nonostante la voce velata dall’alcool e il viso appena rossiccio “Bevi e sfogati, così domani mattina saremo troppo impegnati a vomitare per ricordarci questa conversazione ed eviteremo di insultarci pateticamente a vicenda. Non mi diverto a prenderti in giro se non sei in forma.”
“Concordo, donna” e riempì per l’ennesima volta i bicchieri.
 



Crash!

La tazzina ben colma di tè al limone rotolò giù dal tavolo e si infranse a terra disperdendosi in tanti piccoli cocci bagnati. Non era nemmeno sul bordo, ma per qualche strana, assurda ragione, quella era finita per terra, spaventando chi l’aveva ordinata. Da qualche giorno Sayuri era tesa,col fiato corto e ancor più insolito, non per le ragioni che l’avevano spinta a fare quel che aveva fatto. L’aria stava trasportando qualcosa, un presagio di cattivo auspicio che continuava a picchiettare contro la sua pelle senza però lasciarsi afferrare del tutto. Era frustrante avvertire qualcosa ma non apprenderla a fondo,era come brancolare nel buio seppur con la consapevolezza che da qualche parte ci fosse una cosa dal valore non poco trascurabile. Il guardare quella tazzina rotta diede a bianco giglio l’ennesima brutta sensazione, un altro avvertimento dai caratteri indecifrabili. Purtroppo, non era riuscita a bloccare Teach a Shanbody - il bastardo era arrivato prima di lei - e adesso si trovava su un’sola della Grand Line, prossima a riprendere l’inseguimento. In tre mesi di navigazione era riuscita a raccogliere soltanto degli avvistamenti che poi si erano rivelati dei bluff, bande di pirati che si vantavano della loro taglia, ma che appena vedevano un collega di rango più elevato se la squagliavano a gambe levate prima che il nome ottenuto finisse nella spazzatura.
Non c’era bisogno di star a pensare che i pirati,non tutti almeno, rendessero onore al proprio nome; la testa della castana era affollata da pochissime cose, ma ingarbugliate a sufficienza fra loro per occupare il vuoto vacante. La stanchezza non era più un peso per lei,quei ritmi veloci e tiranti li aveva fatti suoi in pochi attimi e se mai fosse stata a letto più del necessario, era convinta che poi non si sarebbe più rialzata. Riassettandosi ordinatamente i capelli, afferrò la mappa e il log pose tolto temporaneamente dal polso per controllare la correttezza della rotta.

“Vediamo, io son....eh?”

Credette di aver visto male. Lo sguardo si era rivolto sullo strumento di navigazione anzichè sulla cartina; stropicciò gli occhi con le dita, certa che fosse stato un abbaglio, ma nel riprendere in mano l’oggetto e nel guardarlo da vicino, vide che non si era sbagliata.
Il piccolo ago contenuto nella bolla trasparente si stava muovendo, ma non nella direzione che le aveva indicato poco prima che si sedesse per pranzare.

Sta puntando a nord-est, ma prima invece era su nord-ovest. Com’è possibile?

Il pezzettino di ferro acuminato ondeggiava verso la nuova indicazione per poi tornare indietro, come se non sapesse decidersi sul da farsi. Lo vedeva nitidamente, l’ago pareva essere impazzito. Sayuri non si era sbagliata perché aveva segnato sul proprio quaderno l’ora di registrazione e la direzione che il log pose le aveva fornito pochi minuti prima, ma adesso quello stava nuovamente cambiando direzione e non era possibile che si stesse posizionando su un’altra rotta, il magnetismo di quell’isola era stato appena registrato. Qualcosa non andava. Pagò velocemente quanto mangiato e si diresse nel primo negozio di cartografia adocchiato. Appena entrata andò subito al bancone, richiamando l’attenzione del padrone.

“Buongiorno, posso esserle utile, signorina?” le domandò l’uomo dietro il lungo tavolo, un anziano dai capelli marroncini prossimi a diventare bianchi.
“Si, vorrei chiederle di dare un’occhiata al mio log pose, se non le spiace”
“No di certo” e prese l’oggetto portogli “Mi dica, che cos’ha che non va?”
“Ecco, in verità non ne sono sicura” cominciò cercando le parole più adatte “Ha registrato il magnetismo dell’isola diversi minuti fa e adesso sta cercando subito di sintonizzarsi su un’altra rotta. Continua a cambiare direzione, guardi lei stesso”
“Uhm...."

Gli occhi di quell’uomo, aiutati da delle sottili lenti quadrate osservarono insieme a quelli della cliente l’ago contento nella tondo boccetta di vetro. Pareva veramente aver perso la testa; acquistava velocità, rallentava improvvisamente, si muoveva su e giù,restando fermo a malapena, come fuori di senno. Sayuri non aveva idea di che cosa potesse trattarsi: possedeva quel log pose sin dall’inizio del suo viaggio e mai, mai quello si era rotto o aveva assunto comportamenti del genere.

“Non c’è che dire, signorina” proferì sollevato il padrone, alzando gli occhi su di lei “Lei è stata molto fortunata ad arrivare fino qui”
“Non riesco a seguirla. Il mio log pose è rotto?” domandò confusa.
“Io non lo definirei rotto, visto che questo non è nemmeno un log pose vero” le rispose.

La confusione le colpì una parte qualunque del petto. Ebbe timore a chiederlo, ma si fece coraggio per sapere cosa il negoziante intendesse dire con il fatto che il suo log pose non era vero.

“E’ molto semplice: vedete, l’ago contenuto nella boccetta dei log pose è fatto di un materiale speciale che riesce a captare gli influssi che i minerali delle numerose isole emettono. Nella Grand Line, la quantità di questi è sette volte maggiore rispetto ai altri mari che si trovano al dì fuori della Reverse Mountain, quindi il solo strumento che permette ai viaggiatori di non perdersi o di non finire alla deriva è proprio il log pose. Ora, venendo al vostro, ho notato che l’ago è leggermente più spesso rispetto alla norma ed è stato questo a farmi sospettare della falsità dello strumento. Se questo non è del giusto peso o è fatto con un altro materiale diverso da quello previsto per la costruzione, non può funzionare correttamente”
“Vuol dire che impazzisce?” azzardò Sayuri nel cogliere i punti salienti di tale spiegazione
“E’ una delle conseguenze” annuì il padrone del negozio “Vedete, il metallo con cui si costruisce l’ago di un log pose è un particolare ferro allo stato puro che possiede delle peculiarità che gli permettono di captare l’influsso dei minerali presenti nell’oceano e sulle isole, e quindi di stabilire con loro un collegamento. Questa proprietà è presente solo in codesto tipo di metallo, qualsiasi altro ferro priva di essa è inutile”

Man mano che l’anziano negoziante proseguiva,una nota di panico cresceva con divorante fame dentro la ragazza. Le gambe le tremavano a ogni parola che il cervello recepiva e rielaborava mentre la conclusione che le avrebbe dato conferma di quel timore incontrollabile, si avvicinava con passo danzante.

“Lei mi sta dicendo che..questo non è il mio log pose?”
“Beh, mia cara, se non lo ha cambiato, temo che sia stato manomesso o addirittura sostituito con un altro”

Se non avesse appoggiato le mano sul banco sarebbe caduta a terra come un peso morto. Le parole “manomesso” e “sostituito” rimbombarono all’unisono nella sua scatola cranica, richiamando a galla dettagli di quel suo viaggio fino a quel momento ritenuti insignificanti. Alla partenza, quand’era ancora sulla Moby Dick, lo aveva sempre portato con sé e inoltre si sarebbe accorta subito del cambiamento di rotta visto che fino a Shanbody l’aveva organizzata lei su carta. In quel frangente il commerciante stava aggiungendo anche che il metallo con cui era stato costruito il suo log pose era di qualità resistente perciò era naturale che non si fosse accorta subito dell’inganno: pareva aver funzionato correttamente fino all’arcipelago, ma poi, forse per la minor presenza di minerali in zona, questo aveva incassato quel calo perdendo il suo ultimo briciolo di stabilità. Era stata fortunata, tremendamente fortunata a non finire in chissà quale altro posto, ma fatto stava, che ancora non capiva come fosse stato possibile quello scambio o manomissione.
Se l’aveva sempre tenuto con sé, com’era possibile che fosse stato sostituito? Si sarebbe accorta se qualcuno l’avesse seguita o avesse cercato di derubarla.

No...rifletti, Sayuri. La risposta c’è, deve essere da qualche parte..

Mossa dall’agitazione, iniziò a rivangare nel passato, scandagliandolo centimetro per centimetro senza tralasciare nulla che all’apparenza fosse futile e vuoto. Fu solo quando tornò a poco dopo l’inizio del suo viaggio che il viso le si impallidì a tal punto da colpire perfino il commerciante.

“Oh, Mio Dio....” sussurrò con occhi spalancati.
“Signorina, si sente bene?”

Era incredula a quello che lei stessa stava formulando mentalmente ma quell’episodio, quel particolare episodio che ora stava ricostruendo con tanta minuziosità, le appariva sotto una nuova luce rivelatoria. Ricordava bene il suo primo approdo, era salita in stanza senza neppure scendere per cenare. Aveva lavorato fino a tardi per ottenere un percorso rapido e agevole che la conducesse a Shabondy nel minor tempo possibile e tra la fatica e il cercare di non farsi colpire dal dolore, era crollata sulla scrivania per risvegliarsi la mattina successiva stesa sul letto e con le coperte a scaldarla. Non ci aveva mai dato peso, perché ricordava ben poco di quella notte tanto che quello strano buco di memoria l’aveva attribuito alla stanchezza, auto-convincendosi che in una qualche maniera era riuscita a raggiungere il letto.

E invece non era così.
Lei si era addormentata alla scrivania, ora lo rammentava bene, non poteva essersi spostata di sua iniziativa e peraltro..il log pose in quell’occasione l’aveva tolto, ma se l’era sempre tenuto vicino alle cartine. Più dettagli risalivano in superficie, più tutto il suo corpo andava incontro a quella frenesia che la portò a essere vittima di un panico tanto grande da paralizzarla. Poteva trattarsi di un incidente che l’aveva vista sbattere, di qualunque altra ipotesi possibile, ma alla fine collegò quanto rimembrato alla sola risposta che prepotentemente cercava di respingere - seppur vera - e pensò a quella persona che più le stava facendo battere il cuore per la paura.

“E’ stato lui...è stato lui..” mormorò sconvolta.
“Signorina, di chi parlate?” domandò preoccupato l’anziano.

Una delle mani con cui si reggeva al banco, venne tolta per poi essere appoggiata alla base del collo. Doveva calmarsi ma anche quella semplice azione le risultava impossibile; perfino la sua pelle si era raffreddata a quella scoperta. I tanti e sofferti passi compiuti in avanti erano stati disintegrati in un solo colpo e lei, rispedita così indietro senza neppure aver la possibilità di replicare.

Ace era in mare, al di fuori dei territori di loro padre. Stava cercando Teach e probabilmente era addirittura più avanti di lei.
Con uno sforzo immane, bloccò sul nascere il passato da cui era scaturita la sua situazione attuale e si riscosse quanto bastava per farle recuperare la parola.

“Signore, non è che avrebbe una cartina raffigurante le isole presenti nei dintorni del territorio di Alabasta?” domandò infine.
“Del regno di Alabasta? Certo, aspetti un momento..” e prese a frugare sotto il bancone.

Alabasta era un continente desertico dove regnava la monarchia e l’acqua veniva considerata più preziosa dell’oro, ma non era quello che a Sayuri interessava; nelle sue vicinanze ,più a nord, vi era l’isola invernale di Drum, l’esatto opposto di quel torrido e afoso regno. Tra i bluff e le false piste, aveva scoperto che Teach era passato proprio su quell’isola e che ne avesse cacciato il sovrano. Dubitava fortemente che fosse ancora là, ma il numero di correnti che esse presentava - ovvero due - era il solo aiuto che le poteva permettere di guadagnare terreno. Non appena il negoziante stese sul tavolo l’enorme pergamena geografica, la ragazza la unì insieme a una delle sue mappe tirate fuori dallo zaino e molto velocemente, ricostruì l’ipotetico percorso che le due correnti partenti da Drum andavano a creare con le altre isole. Procedendo con l’indice puntato sulla carta, vide che entrambe erano piuttosto in sincronia, vicine fra di loro, ma comunque inutili: erano buone per navigare, con venti favorevoli, ma di certo simili elementi non le potevano dire quale stesse utilizzando Teach o Ace per spostarsi.

“Mi scusi, sa se per caso in queste zone ci sono stati dei avvistamenti di pirati o dei saccheggi?” domandò indicando col dito la zona da lei contrassegnata.

Era la sua ultima possibilità. Se mai l’ex compagno era riuscito nell’intento di mettere insieme una ciurma, non era detto che non avesse già iniziato a razziare in giro.

“Saccheggi? Si, figliola: ultimamente su quest’isola e su altre si stanno trasferendo molte persone che prima abitavano in questo arcipelago” e puntò coi occhi il secondo territorio marcato dalla giovane cliente “Da quello che ho sentito dire, sembra che una banda di pirati stia creando scompiglio nei villaggi di quella zona. Nessuno sa chi sia, pare possa trattarsi di nuove leve, ma quel che è peggio, è che la Marina al momento è indaffarata a Enies Lobby per poter andare a controllare” spiegò con una nota di rammarico al riguardo.

Si vociferava che qualcuno avesse infranto l’invulnerabilità dell’isola giudiziaria, ma Sayuri era stata ed era ancora così presa dalla propria missione che ignorava che il fautore di tale atto fosse l’adorato fratellino di Ace, Rufy. Con maggior agitazione osservò quel gruppo di isole vicine fra di loro; erano sette, quasi tutte della stessa dimensione e Teach poteva trovarsi su una di esse.

“Per favore, signore, lei non avrebbe un eternal pose di una di queste isole? Uno che mi permetta di approdare su tutte, se fosse possibile” chiese con tono supplichevole.
“Come? Io...”
“La prego, è importante!” esclamò.

Gli occhi cominciarono a bruciarle, ma come per molte altre cose non ci badò: non appena percepì sul proprio palmo il legno dell’oggetto, alternato al vetrino tondo incastonato dentro d’esso, lo strinse e corse fuori insieme a tutto quello che aveva verso il porto, rischiando anche di andare a sbattere contro i passanti.

Per favore.....per favore, fa che non gli sia successo nulla!!

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Capitolo 52
*** Too late. ***


 Eccomi buona sera a tutti!vi starete chiedendo quando finirà questa fict,perché tempo fa dissi che l’avrei terminata intorno ai 50 capitoli.Beh,ho sbagliato calcoli.Inizialmente il finale che ho ora in mente non centrava nulla con le due alternative già da me pensate ma su cui ero insicura e quindi,volendo continuare su questa terza via,la storia continuerà per ancora un bel po’!contenti?spero di si!i fatti svoltisi nel manga non mi sono piaciuti quindi io farò di testa mia,almeno per un pò!
 
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Gaara the best:ciao tesoro!il tuo essere estasiata mi rende felice come una pasqua anche se i momenti sono quelli che sono.Una bella rissa fra compagni serviva per mettere le carte in tavola anche se alcuni risvolti hanno lasciato molti sorpresi,tipo le reazioni di Ace.E le sorprese non sono finite…
 
Killy:oh,ma chi abbiamo qui?una nuova arrivata!ti sei sparata in una settimana tutta la mia fict?complimenti!che dire,mi fanno sempre molto felice gli apprezzamenti,specie quelli per Don e Satch:il medico-cecchino sta riscuotendo successo a tutto spiano e a Satch(buon’anima!)sono contenta di aver potuto dare un immagine personale,sempre basandomi su quelle pochissime volte che si è visto(una in realtà).Akiko poi è la tenerezza fatta a persona,la tipica adolescente bimba col faccino sempre illuminato da grosso occhioni e Maya..beh,lei è la degna rivale di Don.Non sarai capitata nel momento più felice ma sei comunque la benvenuta cara!
 
happylight:olà cara!Don ha dato il meglio di sé nello scorso capitolo,solo lui poteva permettersi di prendere a cazzotti Ace per ovvi motivi.Il moro ha riscosso sorpresa ed effettivamente in molti avrebbero cercato di farlo ragionare perché se ne è uscito con frasi che mai si sognerebbe di dire ma che ha detto perché come si sa è orgoglioso come non si sa cosa.E’ uno zuccone,ma è preoccupato per Sayuri e per questo ha fatto quel che ha fatto.L’amore fa fare un sacco di cose sciocche,Maya dice la sua davanti a un bel bicchierino:unica volta in cui lei e il medico-cecchino non litigano,devo ancora pensare a che cosa farne di questi due,però sono contenta di averli messi sotto questa luce più amichevole ma forse era per l’alcool,anzi no,molto probabilmente era per l’alcool.Si,è una situazione assai ingarbugliata e a brevissimo lo diverrà ancora di più.
 
neff:ciao cara!si Ace in qualche modo lo si adora anche se a volte vengono messi ben evidenza i suoi difetti,cosa che Don è riuscito a fare prendendolo a cazzotti.Trattare un personaggio non mio è sempre un po’ difficile,perché lo si vorrebbe centrare su come il vero autore lo ha creato(senza ovviamente farci distrarre da dettagli fisici come schiena spalle…*o*).Specie poi lui che è un personaggio secondario in One piece,a parte la saga di Impel Down e Marineford.Grazie ancora per gli apprezzamenti,è sempre una gioia sapere che il proprio lavoro piace!
 
angela90:carissima!si si,io ci vedo bene Zoro e Don andare d’accordo.Il secondo come si sa,le donne non le sopporta molto ma Yu-chan è l’eccezione perché è come direbbe lui “accettabile”.Il fatto che Ace e lui si siano picchiati è perché si,sono amici da tempo e per Don è il migliore che abbia mai trovato e francamente gli dà fastidio che Ace si comporti come un’idiota,però anche lui ha le sue ragioni visto che ha paura che Sayuri trovi Teach.Il rosso è tornato,non direttamente purtroppo e non certo per festeggiare e fare casino fino all’alba,anche se la cosa non sarebbe dispiaciuta a nessuno penso.Sulla questione dell’intreccio tra i vari personaggi rischio di fare confusione ma purtroppo mi serve e nel caso non si capisca,chiedi pure,son qui apposta!
 
maya90:amorino mio!come vedi,la testa dura di Ace respinge perfino la dura scazzottata avuta col medico-cecchino.Il fatto che il moro sia comunque partito ha fatto sentire Don un po’ debole per via della promessa fatta all’amica e Maya capisce che il non infierire è l’arma migliore per non far degenerare la situazione.Devo però correggere una cosa,forse non l’ho spiegata bene nello scorso capitolo e chiedo scusa:Sayuri non è diretta ad Alabasta,ha preso in considerazione quella zona perché da quelle parti c’è anche Drum,l’isola dove Teach ha fatto le prime scorribande.Basandosi sulle due correnti e vedendo che sono quasi parallele,ha calcolato il punto che meglio coincideva coi tempi di navigazione ed è saltato fuori che….ok,mi fermo se no ti rovino il pezzo qui sotto.E’ una faticaccia,anche perché il tempo è quello che è quindi chiedo scusa per incomprensioni,errori e via dicendo.E poi come ho detto sopra,non è ancora finita quindi ci sarà ancora un bel po’ da fare!

 
giulio91:ehilà!piaciuta la scazzottata?ogni tanto occorre che due maschi si accapiglino!all’inizio,la versione originale(le due perché ero indecisa) concludeva la mia fict sulla cinquantina di capitoli ma visto che ho deciso di dilungarmi,ci vorrà ancora un po’ di tempo.Adesso poi sto cercando di gestire più cose insieme proprio perché la situazione diventerà molto più movimentata di adesso,quindi spero solo di non fare casino e di rendervi tutti felici!
 
Chibi Hunter:ma ciao cara!di tempo ne è passato ed entrambi i protagonisti sono partiti per la medesima meta.Per una volta è stato bello poter descrivere i due medici senza battibecchi intorno,la conversazione civile ci voleva e con davanti tutta una serie di bottiglie vedi come diventano più umani(più Don che Maya,visto che lui è un ruvidone!).Ace si è stato freddo ma preferisce farsi vedere così piuttosto che dire apertamente quello che sente.Gli rode essersela presa così con la sua dolce ragazza ma d’altro canto ha la testa di coccio questo bel fiammifero e comunque vada,fa sempre le cose a modo suo.Ti lascio immaginare la faccia di lei poi quando ha scoperto che lui è dove non dovrebbe essere.Ora,devo correggerti un attimo:la tappa di Yu-chan non è Alabasta o Drum ma un’altra.Per tutte le spiegazioni c’è il capitolo oppure leggi quel che ho scritto a Maya90.Non l’ho specificato nello scorso cap perché volevo bilanciare le spiegazioni,gomenasai!
 
tre88:ciao!si il rhum fa male,se poi un medico lo beve la cosa è un po’ strana ma di certo non si  può togliere l’alcool a un pirata e se il pirata in questione è Don,meglio non andargli a dire di smettere perché non reagirebbe molto bene.E poi quando beve,dopo i primi venti bicchieri diventa più umano.Su Maya meglio non dire nulla perché anche lei sull’argomento diventa un pochettino permalosetta.A Shankino ho dato la particina già messa in One piece(peccato non averla vista,sigh!);non penso che il rosso sappia di Ace,non ne sono sicura,quel che so con certezza è che deve essere venuto a conoscenza del tradimento di Teach se si è presentato da Barbabianca.Volelva avvertirlo della pericolosità di quell’uomo e di come le sue intenzioni avrebbero potuto in qualche modo coinvolgerlo.Difatti mirava ai pirati con alte taglia per ingraziarsi il governo (Tu brutto../hs=((“£cc).Ace ha sostituito il log pose di Sayuri con uno manomesso e adesso Yu-chan sta navigando tutta disperata per il mare per trovarlo(povera la mia duccia).Mi duole farlo ma sono costretta a farla soffrire..
 
 

Era arrivata all’isola di Banaro in fretta e furia consumando tutte le sue forze. Quando quel commerciante le aveva spiegato che il suo log pose era un falso, un oggetto sostituito in quel caso, tutto il suo universo le era caduto addosso con forza inaudita, più volte ripiegatosi su sé stesso. Le aveva detto che, in qualche modo, lo strumento era stato cambiato al fine di allontanarla da una determinata corrente; non era stato affatto necessario ripeterglielo una seconda volta, perché Sayuri aveva già capito che la sua presenza in quel posto era stata voluta da qualcuno intenzionato a depistarla fin dall’inizio e temeva anche di sapere chi fosse. Era stata fortunata, le aveva detto l’anziano, perché poteva anche finire sperduta chissà dove ma sinceramente a lei non era importato nient’altro dopo che aveva scoperto quell’inganno.
 
Dalle poche notizie raccolte, aveva ricavato una via che intrecciava le correnti di Drum e di Alabasta, fino a farle sboccare in un zona molto distante da dov’era, abitata solo da un gruppo di isole vicine fra loro. Isole dove parevano esserci dei problemi.
 
Le dita tremanti che reggevano il piccolo scatolino di legno su cui era incastonata la bolla lasciarono che questo scivolasse via e che toccasse terra per rompersi al primo contatto con essa. Nel percepire i suoi dubbi concretizzarsi, era scappata dal negozio e corsa al porto con già in mano un eternal pose impostato sulla meta che doveva raggiungere per poi prendere il largo, con la disperazione trasformata in un elegante orologio dove le lancette procedevano a velocità superiore.
Non si era fermata sulle altre isole ne per rifornirsi o per nutrirsi adeguatamente, era troppo spaventata da quel che avrebbe trovato o visto. Le veniva quasi da piangere mentre attraversava la spiaggia di Banaro: a quanto aveva sentito dire, le isole che componevano quell’arcipelago erano state attaccate da una banda di pirati sconosciuta e benché potesse esserci una possibilità su un milione che si trattasse proprio di lui, era sicura che dietro a quei attacchi ci fosso proprio chi lei pensava. Ci aveva impiegato quasi una settimana intera ad arrivare lì, un tempo incredibilmente stretto se si prendeva in considerazione il punto da cui era partita. Teneva gli occhi fissi in avanti, con i pugni serrati attorno ai sai, chiedendo alle proprie gambe di andare ancora più veloce. L’aria era pungente come tanti piccoli puntaspilli e non faceva che alimentare la sua ansia. Serrò le proprie palpebre, lasciando che due lacrime cristalline le rigassero le guance e continuò a correre senza mai dischiuderle,senza mai ascoltare il proprio cuore dolerle.
 
Perché mi ha fatto questo? Perché mi hai ingannata, Ace?!
 
Il caos regnava dentro di lei senza incontrare alcuna opposizione. Quella faccenda era scoppiata unicamente per causa sua: Satch era morto perché aveva scorto il vero volto di Teach, era morto per proteggerla. Lei aveva chiesto, supplicato in ginocchio il padre affinché la lasciasse risolvere la situazione e nonostante da prima si fosse mostrato contrario, lei aveva insistito, ottenendo alla fine il suo consenso.
Aveva litigato duramente con Ace per questo perché in quanto comandante della seconda divisione, il crimine era stato commesso da un suo sottoposto e non poteva permettere che un altro suo compagno pagasse con la vita, in special modo se quel compagno era lei, ma la castana aveva replicato che il frutto del diavolo rubato era sotto la sua custodia e che la sua incertezza se tenerlo o meno, sul cosa farne, era costata la vita a un amico; si sentiva colpevole quanto il traditore, ma la vera ragione per cui aveva tanto insistito affinché mandassero lei, stava nel potere che quel frutto poteva generare se ingerito da una persona. Il frutto Dark Dark era considerato il più devastante e il più crudele della categoria dei Rogia, capace di inibire i poteri degli altri frutti. Si era sentita morire quando aveva letto quelle righe; la predizione della sibilla fattale più di un anno fa rischiava di avverarsi se lei non interveniva immediatamente.
 
Non le era importato di essere odiata da Ace e non le importava tutt’ora purchè lui fosse lontano miglia e miglia da quel mostro. Come poteva spiegargli che lei aveva visto il suo futuro e che in esso c’era la morte? Preferiva essere odiata che il sapere morta la persona più cara che aveva al mondo e questo lo aveva ben spiegato a Don.
Non le era importato di che cosa fosse capace Barbanera, ne che cosa sarebbe capitato se lui l’avesse scoperta a pedinarlo; voleva risolvere la questione di persona, loro due a confronto e capire il perché di quel gesto.
Se c’era qualcuno che doveva pagare era lei, non Ace. Era il solo modo che aveva per evitare che il male più grande di tutti la invadesse, che si scatenasse qualcosa di addirittura troppo grande per essere fermato da una singola persona, anche per un uomo come Barbabianca.
 
 
 

“Mio Dio...”
 
Nel vedere il paese o quel poco che ne era rimasto, Sayuri bloccò la sua corsa sfrenata per procedere con passo più lento; era orribilmente silenzioso, quella devastazione che le si presentava era diversa da tutte quelle viste sino ad ora. L’enorme spiazzo dove un tempo la gente si godeva la quotidianità della vita era come stato risucchiato da un buco nero dalle dimensioni gigantesche per poi essere risputato completamente, smistato in grossi mucchi di legno, cemento e altri materiali edili che un tempo erano confortevoli case. Perfino alcune rocce di Banaro, a tipica forma di banana, erano cadute; altre si erano salvate o erano rimaste leggermente inclinate. Nessuno al mondo era tanto forte da riuscire a buttare giù montagne intere eppure se Sayuri ci pensava bene, poteva rispondere fin troppo bene a quella domanda indiretta.
Inspirò, cercando di mantenere il cuore caldo e la mente fresca: tutti gli elementi che le occorrevano erano lì a portata di mano, si trattava solo di metterli insieme. Toccandosi con la propria mano la tempia pulsante - i sai li aveva rinfoderati per mancanza di ostilità - liberò un altro po’ di anidride carbonica mentre pian piano metteva quei piccoli pezzi al loro posto, fino a creare il puzzle completo che le occorreva. I suoi passi erano lenti, cosicchè potesse guardare ogni spazio in tutte le sue angolazioni e raccogliere anche il più piccolo particolare che la poteva aiutare.
Nel procedere, spostò rapidamente la propria attenzione su un rumore proveniente lì vicino; a una decina di metri da lei, in mezzo ad alcune assi di legno, si stava movendo qualcosa, una piccola sagoma scura dalla forma indefinita.
 
“Allora c’è ancora qualcuno” mormorò fra sé e sé.
 
Cercando di non compiere rumori, si incamminò verso quella macchia che pian piano stava assumendo sembianze umane. Ridusse la distanza di qualche altro metro ma nell’urtare un piccolo sasso, questa si voltò di scattò e vedendola, impaurita, corse via.
 
“No, aspetti! Per favore, devo chiederle una cosa!”
 
Prese a inseguirla, cercando di non perderla di vista. Aveva bisogno di sapere cosa fosse successo al paese. Corse per qualche minuto, attraversando le macerie e una piccola parte di radura sopravissuta al disastro, fino a giungere in un’altra spiaggia dove al posto della fine e calda sabbia c’erano ciottoli di pietra e alghe trasportate dalla corrente. L’occhio di Bianco Giglio colse l’immediata presenza di tre navi da trasporto pronte a salpare; tutte affiancavano un pontile dove un lungo corteo di persone aspettava di poter salire a bordo e così allontanarsi definitivamente dal posto. La loro casa era andata distrutta e la paura di doversela nuovamente vedere coi pirati superava il loro desiderio di ricostruire quanto perso e di riprendere a vivere come se niente di quel che era capitato fosse successo. Nel rallentare la sua andatura e infine fermarsi, la castana si avvicinò all’individuo fermatosi per riprendere fiato: non era che una bambina, uno scricciolo dai buffi capelli ondulati color paglia sbiadito, con indosso un vestito a quadrettini bianchi e rossi. Pareva stringere qualcosa fra le mani ma essendo girata di schiena, Sayuri non potè vedere di che cosa si trattasse.
 
“Per favore, non scappare. Voglio soltanto parlarti” le chiese con gentilezza prima che questa decidesse di scappare nuovamente.
 
La bimba sporse con fare tremante la testa all’indietro, guardando con i suoi tondi occhioni nocciolati quell’estranea che le stava chiedendo soltanto qualche minuto del suo tempo. Girandosi completamente verso di lei, svelò agli occhi pietrificati della ragazza ciò che tanto gelosamente stava tenendo stretto fra le braccia: era un bel cappello arancione da cowboy, adornato con una collana di perline rosse cucite attorno alla falda, dove al centro spiccavano due medaglioni su cui erano disegnati una faccina sorridente e una triste. Anche se impolverato, Sayuri avrebbe riconosciuto quel cappello anche fra mille.
 
No...non può....non è...
 
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi e dovette  inginocchiarsi davanti alla bimba con tutta la compostezza che riuscì a chiamare a sé per non tradirsi nei movimenti e soprattutto, per non farla ulteriormente spaventare.
 
“Come ti chiami piccolina?” le domandò dolcemente.
“I...Iku” le rispose con voce un po’ disorientata e bassa.
“Piacere Iku, io sono Sayuri” si presentò sorridendole “Potresti raccontarmi che cos’è successo sulla tua isola, per favore?
 
Mantenere il controllo era una cosa che le era sempre riuscita fin troppo bene, un qualcosa che molte volte le era stato invidiato ma in quel momento, avrebbe dato l’impossibile per poter essere sola; l’ondata di quel straziante sentimento che si era autoproclamato sovrano su tutti gli altri, stava tentando di soggiogarla con la stessa forza di una rivolta da parte dei rivoluzionari. Resisti ancora, si disse. Doveva resistere un altro po’; doveva ascoltare la piccola Iku che ora si stava apprenstando a parlarle, seppur con non poca titubanza.
 
Se solo avesse potuto distogliere la visuale da quel cappello...
 
“Due giorni fa sono arrivati dei pirati e hanno saccheggiato il nostro paese. Abbiamo provato a difenderci, ma erano troppo forti e uno di loro continuava a far uscire dalle sue mani uno strano fumo nero” raccontò lei intrecciando le dita rosee “Quel fumo ha risucchiato tante persone, prendeva tutto quello che gli capitava e allora siamo scappati via...”
 
Un fumo nero che risucchia tutto...
Era Barbanera. Era lui senz’altro e a giudicare dalla prima parte del racconto, non si è fatto scrupoli a mangiarsi il frutto...
 
Non aveva perso tempo, a quanto sembrava era riuscito a reclutare diversi compagni sufficienti a comporre una piccola ciurma. Il fumo nero a cui alludeva la piccina era sicuramente l’oscurità scaturita dal frutto del diavolo Dark Dark. Al sol pensare a quella parola, dei freddi brividi percorsero in lungo e in largo la sua schiena, calcando la mano sulla spina dorsale. Nei incubi che recentemente l’avevano presa di mira, quella era sempre, costantemente presente, ogni volta con una forma diversa dalla precedente ma con l’uguale freddezza e cattiveria con cui era nata.
 
“Tesoro, adesso devo chiederti una cosa molto importante” le disse con più affaticamento nella voce “Quel bel cappello che hai in mano appartiene a una persona a me molto cara. Per caso...anche lui si trovava qui?”
 
Poteva averlo perso in qualunque occasione, qualunque! Non era per forza detto che l’avesse smarrito durante un scontro. Si stava arrampicando sugli specchi e non era da lei cercare di perdersi in supposizioni vaghe e mal costruite ma in quel frangente non era disposta ad accettare nulla che fosse mortale per il suo cuore: voleva sentirsi dire che Ace stava bene, che fosse il più lontano possibile da lì. Voleva sentirsi dire di tutto, tranne che fosse riuscito a trovare Barbanera, ma quando vide la bambina annuire, le sue futili e sciocche speranze si ruppero tutte all’unisono.
 
“Hanno combattuto. Io e mio fratello li abbiamo visti” le disse.
 
Come un grosso martello soleva colpire una esile lastra di ferro per appiattirla ulteriormente, Sayuri avvertì le proprie membra venir schiacciate al suono di quelle parole ma trovò quel briciolo di forza rimasto per respingere il desiderio di focalizzare nella propria mente quel momento che tante volte l’aveva avvisata.
 
“Il signore di questo cappello era davvero forte, però..quell’altro era molto cattivo; ha usato quel fumo nero contro e poi..poi c’è stata una grande esplosione”
 
Dardi acuminati le si conficcarono a tradimento nella schiena, spaccandole la cassa toracica e trapassando di netto il muscolo cardiaco quanto bastava per toglierle l’aria: non era che un illusione creata dalla sua stessa paura, ma il disgustoso sibilo della lama che penetrava nella carne per bucarla e privarla sino all’ultima goccia il sangue, le frullava in testa provocandole un forte senso di nausea.
 
“Che..che cos’è successo dopo?” domandò flebilmente.
 
Le parole le erano uscite senza che lei lo volesse.Non era pronta a sentire la risposta, voleva andare via ma il corpo le stava imponendo di subire quanto l’aspettava. Ancora si illudeva che Ace fosse sepolto sotto le macerie o che magari si trovasse su una di quelle navi, ferito gravemente ma vivo, abbastanza vicino da poter essere raggiunto. Cercò in Iku una piccolissima stilla, qualcosa che la aiutasse a non perdersi ma nella bimba non c’era nulla se non la tristezza di aver perso la propria casa.
 
“L’uomo del fumo nero lo ha portato via” le disse infine molto piano.
 
Al posto dei dardi arrivò un ascia che la tagliò in due. L’organo che la teneva in vita si disperse sul pavimento. Vide nell’uccidersi, nel flagellarsi, nell’avvelenarsi col cianuro, nello scuoiarsi viva e addirittura nell’essere torturata fino alla pazzia niente di così orribile da farle desiderare la morte. Non erano niente in confronto a quello che si era appena sentita dire, assolutamente niente. Non erano niente in confronto a come si stava sentendo. Il bruciore agli occhi divenne così forte da offuscarle la vista quasi subito, le unghie serrate nei pugni picchiettavano la sua pelle fino a tagliarla e mancava pochissimo perchè si strappasse a morsi il labbro inferiore. Piangere. Almeno quello glielo dovevano concedere, almeno quella possibilità di sfogarsi dovevano dargliela; tanta era la violenza con cui la bocca le tremava, ma quelle lacrime agognate si limitavano a far percepire la loro presenza e a rimanere dov’erano, perché non ancora mature.
 
“Iku..” balbettò sopprimendo i singhiozzi dietro a un sorriso forzato “Non è che potrei a-avere quel cappello?”
“Ecco, io...”
“Per favore” chiese con voce rotta e testa china.
 
Non aveva neppure il coraggio di guardare quel bel accessorio che Ace portava fieramente sulla sua testa e che teneva con tanta gelosia. Doveva fare veramente pietà, ma non le importava più di tanto visto che era in procinto di spegnersi come il tramonto, con la sola differenza che non sarebbe sorta per inaugurare il nuovo giorno. Liberò le dita, scoprendole insanguinate sulla punta, esattamente come i palmi e non le nascose seppur la piccola dai capelli biondicci le guardava con nota terrorizzata: non poteva capire il perché di quel male o di quelle lacrime ma recependo lo stato in cui la ragazza si trovava, allungò le braccina quanto bastava per metterle nelle mani il cappello da lei raccolto, col pensiero che potesse più servire a lei che a sé stessa.
 
“Tieni”
 
Provò a risponderle ma non ne aveva la forza: potè solo afferrare con dita malferme il cappello e stringerselo al petto, bagnandolo con qualche stilla di acqua salata che ora scendeva a spicchi dai quei suoi occhi nascosti dietro la frangia.
 
"Ma come? Mangi soltanto quello?”
“Mi chiamo Portuguese D.Ace. Il piacere è tutto mio”
“E tu? Ce l’hai un sogno?”

Singhiozzò rumorosamente, coi polmoni troppo carichi di aria e i battiti incontrollabili. Aveva male là dove stringeva il cappello del moro e l’affondare i denti nel labbro inferiore non servì a concentrare il dolore da un’altra parte perché quello che la stava invadendo e uccidendo non aveva eguali.
 
“Tu stai piangendo...”
“Dimmi che cosa ti fa male, Sayuri. Dimmi che cosa ti fa stare così male”
 
Il tremore le investì le spalle, i fianchi e le gambe quanto bastava per farla sedere sui talloni mentre tirava sul col naso ed espirava pesantemente.
 
“Signorina..?”
 
Lei gemette, serrò le mascelle e le dischiuse per provare a far fuoriuscire un qualche suono; nel fallire, altre lacrime scesero. Il caldo che le stava bruciando le vie respiratorie,le vene, tutto quello che la costituiva e che ora stava crollando era insopportabile; non aveva niente a che fare con il fuoco che Ace esercitava su di lei, non c’era nulla di avvolgente e protettivo in quel bruciore.
 
“Vuoi che smetta, Sayuri?”
 
I ricordi la istigarono a una violenza tale che cominciò a prendere a pugni il terreno.
 
“Te lo dissi anche a Yukiryu, ricordi? Mi sentirei mortalmente in colpa se tu stessi male”
 
A ogni frammento di quella voce tanto vivace, picchiava il terreno sassoso senza preoccuparsi di farsi ancor più male. Scorticarsi le nocche della mano e farle insanguinare fino ad arrivare all’osso e rischiare di romperlo non pareva essere importante. La rabbia che ora faceva da sorella gemella al dolore le animava l’arto donandole vita propria benché lei fosse ancora cosciente del suo corpo e delle sue azioni ma non le importava, non aveva altro modo che quello per far espellere quello che si agitava dentro di lei. E intanto le lacrime scendevano, impegnandosi del suo ringhio disperato.
 
“Sayuri, che cosa ci fai qui fuori? Stai bene?”
“Meriti di vivere più di molte persone che non sanno cosa sia la comprensione”
“Ti fidi di me, vero?”
“Ti amo, sciocchina”
 
Nel colpire un ultima volta il terreno facendo sprofondare il pugno, volle cacciare un urlo così forte da far volare via i gabbiani in cerca di cibo ma non ci riuscì; urlo si, ma dentro di sé, con tanta forza da distruggere la sua anima o quel che ne restava. Esternamente rimase con la bocca aperta, pietrificata e boccheggiante, con la morte che si espandeva velocemente in ogni suo arto. Buttò fuori lacrime enormi che pensava di aver esaurito, bagnò la propria pelle di quella disperazione che già la rendeva rossa e ansimante per lo sforzo. Stringeva quel cappello come se le fornisse la credenza che Ace fosse lì mentre invece non c’era. Ace non c’era, non era lì, ed era come se tutto quello che aveva di lui fosse volato via, insieme a quelle frasi dette tanto tempo dietro, ma che erano sempre riuscite a scaldarla.
 
“Signorina..?” la chiamò ancora la bambina compiendo un passo in avanti verso di lei.
 
La voce di Iku era sottile, abbastanza udibile ma vana se le orecchie di chi ascoltava non recepivano più nulla di quello che si veniva a creare all’esterno. I colori furono i primi ad andarsene; si raggrupparono, rimpicciolendo a tal punto da sparire e lasciando solo un ammasso di linee mobili. Il continuo pulsare delle tempie pesò sui suoi occhi, che subito persero vigore fino a diventare vitrei; la gola, secca e logorata, assottigliò la sua sensibilità ai limiti estremi, tanto che anche un semplice sospiro di ossigeno poteva danneggiarla. Le gambe già molli si addormentarono ancor di più e lentamente si presero la pancia, il torace, le spalle,fino a raggiungere la cima del suo corpo, inibendo la sua poca mobilità.
 
“Signorina, che cos’ha?” domandò la piccola più preoccupata.
 
Le braccia ricaddero ai lati, con le mani appena dischiuse e il cappello che teneva a sé con tanta forza, rotolò sofficemente sulle sue gambe per poi fermare la sua discesa sulla spiaggia spigolosa e umida. Iku la guardava ma lei non la vedeva ne la sentiva. Gli ultimi respiri furono affannosi, pesanti e non appena anch’essi esaurirono l’energia rimasta, si spezzarono in un gemito strozzato. Il rumore delle onde si era appiattito, il vento eclissato e la luce del sole non era altro che un insieme di fasci bianchi che divennero scuri non appena le pupille smisero definitivamente di raccogliere quanto l’esterno cercava di dare. Esausta, fu inghiottita da un grande buca che subito qualcuno si premurò di chiudere e mentre anche l’ultimo spicchio di spirito veniva chiuso dentro quello scavo senza aver modo di liberarsi, il suo corpo cadeva a terra, privo di sensi, sotto gli occhi terrorizzati della bambina che subito andò a chiamare aiuto per quella ragazza appena svenuta.
 
 
 

Ti-tling..
 
Il freddo e il buio non erano benamati se messi insieme. Offrivano una panoramica diversa da quella che il cielo azzurro e caldi raggi del sole dispensavano quando non erano coperti da nuvole cariche di pioggia. Dava l’impressione di essere chiusi in uno stanzino, magari in una cantina umida dove la candela si era spenta da tempo e l’acqua aveva imbottito così tanto le pareti da farle ripiegare come fossero carta bagnata.
 
Ma quel posto non era una cantina stretta e quelle pareti  erano tutto tranne che molli. Sentiva l’umidità, gli penetrava nelle ossa, facendogliele arrugginire come fossero fatte di metallo. Alla minima ripresa di coscienza, Ace aveva mal gradito quella sensazione e aveva cercato di richiamare a sé il fuoco per scaldarsi e diventare un tutt’uno con esso ma tale era stata la sorpresa nel sentire le proprie dita rimanere solide anziché trasformarsi in piccole lingue di fuoco, che un battito rilasciato involontariamente tradì il suo tentativo di mascherare lo spavento per quella rivelazione. Il potere fatto suo da tanto tempo ora non rispondeva al suo comando,seppur debole: riprovò, ma nel capire che quelle non sarebbero comparse, sciolse le dita dal pugno che aveva chiuso con tanta fatica, lasciando che quel cigolio metallico si accompagnasse a una fitta fisica che non trovò voce se non nella sua mente.
Quella piccola presa che aveva su di sé, bastò per fargli percepire il proprio corpo costretto in una posizione immobile, con la schiena appoggiata ad una parete liscia, terribilmente gelata e con le braccia tirate verso l’alto, ai lati opposti. Era troppo stanco per pensare o anche solo per aprire gli occhi e il peso che avvertiva su differenti parti di sé, alimentate anche da una strana stretta e da un odore di ferro pungente, invogliavano le briciole del suo io appena scosso di riaddormentarsi e sperare che quello fosse solo frutto di una allucinazione dovuta per le troppe batoste prese.
 
Chissà perché quelle era sicuro che esistessero...forse perché erano state talmente tanto forti da frantumargli l’orgoglio e farlo così finire in un tugurio che nemmeno vedeva; chiunque fosse riuscito in un’impresa del genere, lui non ne ricordava il volto o il nome al momento. Percepiva solo un nodo allo stomaco molto amaro, nient’altro.
 
Cos’era successo? In sostanza, quella domanda racchiudeva tutte le altre che derivavano da essa ma Ace era troppo stanco e anche un po’ spaventato senza il suo fuoco. Che fosse per lo smarrimento temporaneo,il suo cuore cominciò a pompare più sangue del solito, a reagire a ciò che lo circondava, venendone influenzato sempre di più e per quanto il moro non lo desse a vedere fisicamente, dentro di sé non sapeva come calmarsi. Il suo fuoco si era estinto e l’ignoranza sul dove fosse non l’aiutava a comprendere cosa ci facesse lì, il perché e soprattutto il come, però..fra i tanti vuoti dettati dall’ansia, luccicò una sola, piccola e incresciosa sicurezza, che lo spinse a tornare incosciente come prima.
 
Era solo.

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Capitolo 53
*** Udienza al palazzo di Pietra Blu. ***


 Eccomi,son qui per voi!dopo la batosta dello scorso capitolo(la vostra tristezza mi ha quasi allagato la camera) siamo pronti a proseguire.Abbiamo qui un grande ritorno,che non si vedeva da oltre venti e passa capitoli.Chi è?qualcuno lo immagina?eh eh,vi lascio alla lettura così lo scoprirete!

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happylight:amorino!non posso darti che ragione,lo scorso capitolo ha lasciato questa specie di nodo alla gola che ti lascia per come dire,in sospeso.Grazie per il tuo voler abbracciare la mia Yu-chan,in questo momento ne avrebbe un disperato bisogno e ancor più grazie per il tuo voler far saltare in denti al mangia crostate:ogni minaccia riferita a lui è più che accettata!Ace ha fatto di testa sua,figurarsi se lui ascolta qualcuno quando è deciso a fare una cosa.Sul seguito non anticipo nulla:questo capitolo darà la traccia e indicherà la nuova tappa che si vede nel prossimo capitolo!

angela90:ciao cara!alla fine è successo,ci ho girato intorno e con grande dispiacere,è arrivata la mazzata finale.Sto seriamente pensando di autoflagellarmi per quello che sto scrivendo.La bimba ha detto quel che ha visto incurante di che cosa stesse provocando in Sayuri e Ace ora è finito di Impel Down,nulla che non fosse già successo(e che cacchio,se lo dico così però mi riviene il magone…).Posso dire o ipotizzare che il momento sad ora si verrà ad alleggerire dato che entreremo in una parte viva,per così dire ma non anticipo nulla perché qui sotto c’è tutto quello che ti serve sapere!

neff:olà!capitolo triste lo scorso,lo so,posso dire di aver provato il tuo stesso nodo alla gola mentre correggevo e postavo.Grazie per le scene perfette(me si commuove);il cappello di Ace mi piaceva troppo per svanire nel nulla.Non farmi ripensare ai quei eventi tragici che mi hanno fatto veramente versare lacrime amare,perché se no ricado in depressione e maledico in ogni lingua chi conosco io!già mi odio per quello che sto facendo alla mia pupilla e devo ancora pensare al finale perfetto.Sigh,l’ispirazione non mi sta venendo in aiuto ma per quello c’ tempo.Pensiamo al presente ora!

Chibi Hunter:amora!il culmine della tristezza è stato raggiunto!si si,la particina dove Yu-chan stringe il cappello è un po’ il fulcro dell’ultima parte;sono sadica nel farle questo ma credimi è meglio così perché se decidevo di seguire una delle possibili due linee scelte,mi mandavate tutti al diavolo.Qui farà la sua comparsa un personaggio già saltato fuori in precedenza ma molto importante per lo sviluppo della storia,spero ti piaccia!

tre88:tesoro!oh,una tua frase nella recensione mi tornerà utile!non so ancora bene come o se la metterò perché sono indecisa,però la terrò buona visto che sarebbe logica come reazione nella fict!non ci ho pensato molto su Iku,però il tuo ragionamento è azzeccato:gli adulti a volte esitano,i bimbi dicono la verità perché non sanno ancora bene cosa possono scatenare,nel caso di Sayuri,l’apocalisse.Sul destino di Ace mi cucio la bocca,se mi metto a spiattellare rovinerei la sorpresa,ti pare?la parte poi di Ace è stata una dei miei attimi deliranti:praticamente a volte vengo illuminata e allora scrivo cose mai pensate(il passato di Sayuri e altri sono un chiaro esempio).Spero che anche per quello che ho in mente mi venga in aiuto la luce rivelatrice(pregherò i santi dei pirati,magari mi ascolteranno).

Killy:eccola qui,come stai?è un susseguirsi di capitoli tristi .Ace ha fatto di testa sua,come sempre del resto ed ha finito per mettersi in un pasticcio ancor più grande di quello creato.Su Sayuri….povera la mia duccia!sono crudele,crudelissima!il ricordarlo mentre stringe il suo cappello l’ha portata oltre il limite,fino a farla cadere.Volevo che provasse il dolore in una maniera diversa rispetto a quello provato alla morte di Satch e sinceramente penso che questo sia ancora più devastante dato che anche qui non è riuscita a impedire il disastro.Non è stato esattamente un periodo felice questo ma spero che da qui in avanti la situazione,che diventerà un po’ più ,movimentata,sia di tuo gradimento.

MBCharcoal:Marta-chan!la tua ira ha quasi forato lo schermo del mio computer quando ho letto la tua recensione.Ero anche convinta che volessi strangolarmi ma poi abbiamo chiarito fortunatamente.Il tuo augurare il cagotto perenne a chi sappiamo noi è sempre commuovente,da forza a quel che è capitato.Bellissimo e toccatissimo il capitolo…che commozione!si beh,la tua reazione è perfettamente normale ma non temere Marta-chan!abbi fiducia in me,l’autrice dai colpi di testa deliranti e tutto andrà bene!(forse…….)
 



Diverse settimane dall’attacco all’isola di Banaro, venne pubblicato sui giornali di ogni continente una notizia che fece accapponare la pelle non soltanto alla gente comune ma anche a quei pirati che rientravano a far parte della schiera delle dieci supernove.

Da qualche tempo la Marina aveva diminuito drasticamente il proprio raggio d’azione e il numero di imprese stesse nei territori che prima pululavano di uomini in uniforme in cerca di filibustieri da sbattere al fresco; l’arcipelago Shabondy per esempio era deserto, non c’era traccia di plotoni o vice ammiragli che ne rastrellassero le zone più infime. La gente non era così stupida da non capire che qualcosa stava bollendo in pentola, che quella strana quiete era da interpretare come segno di un imminente tempesta che presto avrebbe assunto le fattezze di una guerra disastrosa priva di indenni. Le isole dove si trovavano le fortezze militari si erano spopolate in un soffio, le correnti marine più frequenti, tenute sott’occhio da avamposti strategici, ora erano pulite e libere.In poche parole, il personale di ogni ufficio, centrale o base, era stato ridotto al minimo. Indubbiamente c’era qualcosa che la Marina stava preparando in tutto silenzio, qualcosa di molto grosso la cui segretezza era di vitale importanza per la sua stessa riuscita e fino al momento propizio,tale progetto doveva rimanere nascosto tra le mura di Marineford, fra bocche complici e autorevoli.
Ma la tensione era alta e le pareti fremevano dalla voglia di lanciare, di urlare la loro sfida con euforia calda e assetata e contenerla stava diventando più difficile di quanto si presentasse; da tempo un avvenimento di quelle proporzioni non prendeva vita e ora che finalmente questo era capitato fra le mani di chi lo sperava, era giusto, secondo le persone che muovevano i fili della vicenda, che il resto del mondo ne fosse un pieno spettatore, perchè comprendesse e sostenesse a pieno le cause che stavano dietro a tale manovra.

Per questo le alte sfere,meglio conosciute come i rappresentati del Governo Mondiale, avevano deciso di attendere il momento più opportuno per scuoterlo a dovere e dunque prepararlo a quanto verbalmente stava venendo organizzato fra le sacre mura della giustizia: tempo un’altra manciata di giorni e venne pubblicata la notizia che Portuguese D.Ace, il comandante della seconda flotta di Barbabianca, detto Pugno di Fuoco, era stato condannato a morte e che la sua esecuzione sarebbe avvenuta in pubblico proprio a Marineford. La data era stata fissata per il ventisette di Settembre.

Anche chi già di per sé aveva un nome sudò freddo a tale notizia perché non ci voleva poi un genio a capire come Barbabianca avrebbe reagito davanti al destino imposto a uno dei suoi amati figli. Significava guerra, guerra aperta, una guerra contro tutti. Il braccio del governo aveva lanciato il pesante guanto di sfida al suo nemico più antico e lui lo avrebbe sicuramente raccolto, presentandosi a Marineford seguito da tutti coloro che avrebbero ritenuta giusta la sua causa. Poteva un uomo come il Re dei Mari rischiare di perdere tutto quanto per la vita di un singolo figlio? La lama della sua grande alabarda avrebbe tranciato di netto il collo di chi mai avesse osato porgli quella domanda. Il Bianco amava i suoi figli, uno per uno, perché parte della sua famiglia e le alte sfere puntavano appunto a sfruttare quel legame per costringerlo a venire fuori. Significava guerra si, ma la posta in gioco non era una semplice vittoria che fra qualche secolo sarebbe apparsa nei libri di storia: entrare in conflitto con Barbabianca poneva sul suo piatto della bilancia lo stesso dominio di pace che le terre sotto la sua giurisdizione godevano, le assi di quei anni che ancora reggevano il vecchio regno da cui alcuni traevano esempio, la vita di uomini che avevano deciso di seguirlo per rispetto e ammirazione....e la sorte dell’uomo che Sayuri amava tanto e a cui non aveva potuto chiedere scusa.

Quello sarebbe stato ricordato come “l’Incidente” ma alla fin fine, la cicatrice che esso avrebbe lasciato non sarebbe stata tanto diversa da quelle battaglie emerse volontariamente per testare la forza e anche la testardaggine di entrambe le parti.
 
 


“E’ inammissibile!!”

Il vocione tuonante del solo presente nella stanza,fece tremare le solide colonne cementate nel pavimento. Jimbe ansimò per la rabbia, digrignando le zanne e stringendo le mani palmate cercando di placare la rabbia crescente. Doveva contenersi ma troppa era l’indignazione che quel pezzo di carta, con le sue poche righe piene di svolazzi, aveva suscitato in lui. Camminava su e giù nella sala principale del palazzo di Pietra Blu da così tanto tempo che il rumore dei suoi zoccoli di legno si era aggiunto al lieve borbottio delle bolle che galleggiavano al di fuori dell’edificio. Leggeva e rileggeva quella chiamata giuntagli da poco come se non riuscisse a capirne i caratteri quando invece sin dalla prima lettura, aveva compreso cosa avessero in mente di fare quelli della marina. Inutile dire che la questione lo stava mandando letteralmente su tutte le furie, abbastanza da fargli perdere le staffe come solo un uomo-pesce sapeva fare.

“Come osano pensare..con quale coraggio..!” sibilò disgustato.

L’elegante veste rossa dai risvolti neri svolazzava a ogni suo movimento nascondendo l’enorme corpo dalla pelle azzurrognola, tempestata in più parti - special modo le tempie - da venature verdastre e terribilmente pulsanti. Le curiose sopraciglia arrotolate erano contratte, basse, perfettamente in linea col suo umore instabile, vicino all’esplodere con la stessa potenza della sua più potente mossa di karate. Tutto di lui era un continuo spruzzo di segnali che identificavano un sempre più alto livello di irascibilità; tralasciando motivi diplomatici e il grande rispetto per Barbabianca, Jimbe era infuriato perché il condannato a morte era Ace, un suo amico, una persona con cui più di una volta aveva scambiato volentieri quattro chiacchiere nonostante l’inizio burrascoso. L’aver letto il suo nome l’aveva scioccato e lo scoprire a chi fosse dovuta la sua cattura l’aveva spiazzato ulteriormente, alimentando sentimenti incontrollabili, identici in tutto e per tutto a una colata di lava che lentamente scivolava giù per la pianura, anche se ancora si sentiva esplodere come un vulcano mai spento. Era adirato, perché non immaginava che l’incoscienza di quei uomini che si proclamavano i servitori della giustizia raggiungesse livelli così intoccabili; un motivo ancor più buono per ribadire che la sua carica nella flotta dei sette era stata volutamente accettata per poter tener d’occhio proprio quelle figure che con tanta sconsideratezza mandavano a combattere l’intera forza militare in nome del bene che doveva sopraffare il male.

Era inevitabile, un’epoca non poteva non essere priva di uno scontro epico che infliggesse la sua ferita sul mondo, oramai simili avvenimenti erano vicini ad essere considerati delle tradizioni, con la sola differenza che queste non avevano una data precisa.
Esistevano al fine di dar sfondo a opinioni contrastanti che non potevano trovare voce dietro a dei banchi o su fogli che a lungo andare sarebbero ingialliti dietro una teca polverosa e per quanti risvolti macabri, violenti e irrecuperabili come le vite delle persone poste in mezzo, queste venivano comunque create con una facilità sorprendente che non lasciava spazio a motivazioni profonde o dettagli, a detta dei capi, insignificanti: lì si parlava soltanto di dimostrare chi era più forte. Tante volte la pelle della terra e la superficie del mare erano state squarciate e un segno in più non avrebbe fatto alcuna differenza. Chi riteneva giusto o sbagliato questo conflitto, trovava ugual opinione nell’affermare che uno scontro del genere mai si sarebbe potuto fermare.

Eppure c’era chi ancora lottava per fermare quella catastrofe, chi sperava e non si era ancora arreso all’evidenza per quanta grande questa fosse....

“Maestro Jimbe”

Un uomo pesce aveva aperto di soppiatto la porta ed era entrato senza aspettare una sua risposta.

“Che cosa c’è?” domandò cercando di appiattire i suoi nervi.
“Ecco..” cercò di spiegare mentre lanciava occhiate dietro di sé e all’occupante della sala “Qui c’è un umana che..ehi,ehi! Non puoi entrare senza permesso!!”

La porta della sala principale venne totalmente spalancata: la guardia che stava davanti ad essa venne ignorata mentre cercava di far tornare al suo posto l’ospite, ma quella aveva troppa urgenza di parlare con il cavaliere del mare per poter aspettare comodamente nel corridoio. Jimbe sollevò un sopraciglio in segno di stupore e rimase fermò dov’era ad osservare la persona appena entrata e che ora lo guardava dritto nei occhi. Era una ragazza, sui vent’anni, con occhi color cioccolato e capelli castani un po’ arruffati, che si agitavano a destra e a sinistra per via del passo affrettato; con più fermezza nel andatura, questa avanzò verso di lui col viso arrossato e gli abiti impolverati, tagliuzzati in alcune parti come la pelle delle braccia e delle gambe. Il suo essere poco presentabile era dovuto al lungo viaggio compiuto senza soste per arrivare lì da lui ma nonostante la terribile spossatezza, riusciva ancora a dar mostra della propria sinuosità nei movimenti, benché questi fossero lenti e forzati.

“Perdonate l’intrusione, sommo Jimbe, ma ho urgente bisogno di parlarvi” ansimò col torace che ritmicamente si abbassava e si alzava veloce come il cuore di un topolino. Nemmeno tenere un mano su di esso serviva a regolarizzarle il respiro.

Lo squalo balena assottigliò le tonde pupille per poi inarcare le zanne sporgenti quanto bastava per intensificare il suo sforzo di concentrazione: quel viso non gli era nuovo ma non ricordava dove già l’avesse incontrata.
“Chi sei?” le chiese con voce profonda.

La castana inspirò ed espirò prima di rispondere.Si chinò leggermente in avanti e abbassò la testa in segno di rispetto.

“Il mio nome è Sayuri, sono un membro della ciurma di Barbabianca, della seconda flotta, per essere precisa. Sono qui per chiedere il vostro aiuto, e quindi le chiedo un po’ del vostro tempo per potermi ascoltare” chiese.
Sayuri?

Nel sondare i propri ricordi, l’uomo pesce dalla capigliatura nera e riccioluta rimembrò quel nome e lo allegò a un episodio capitato qualche anno addietro: la ragazza faceva parte della vecchia ciurma che guidava Ace poco prima di unirsi al vecchio e se non errava, era la stessa persona di cui ogni tanto il moro parlava oltre al fratellino col cappello di paglia. Evidentemente doveva essere venuta a conoscenza dei recenti avvenimenti; d’altro canto, era impossibile non sapere quanto si stava venendo a creare ma quel che più l’uomo pesce si stava chiedendo con tanta insistenza non era il come questa fosse riuscita ad arrivare fino a lì, ma come mai un membro della ciurma del vecchio fosse così lontano da casa, con un imminente battaglia che stava per scatenarsi sulle loro teste.

“Lasciaci” ordinò poi all’allievo rimasto in disparte.
“Come volete”

La guardia richiuse la porta della sala senza neppure far sentire il rumore della serratura che scattava. Sayuri potè tirare un grosso sospiro di sollievo ora che era riuscita ad ottenere l’attenzione del Cavaliere del Mare ma era così presa a regolarizzare il suo battito cardiaco, che dovette limitarsi a farlo mentalmente. Per arrivare all’isola degli uomini pesce aveva dovuto dare a fondo a tutte le sue energie e improvvisare sui mezzi: si era risvegliata su una di quelle navi mercantili salpate da Banaro e dopo aver raggiunto l’isola più vicina con una scialuppa, si era procurata un log pose e un eternal pose per Shanbody senza neppure fermarsi a riposare. Sapeva di avere un aspetto orribile, così come sapeva che pur di arrivare nel minor tempo possibile, aveva consumato buona parte degli integratori datile da Don e prosciugato la sua borraccia ma non si era mai fermata; agitata com’era, durante il viaggio aveva affrontato alcuni nemici senza combattere con la dovuta serietà, arrivando anche a procurarsi ferite che solitamente si risparmiava di ottenere. Si era trascurata, lo stava facendo tutt’ora ma come si poteva chiederle di calmarsi nello stato emotivo in cui si trovava? La tensione e la disperazione per come le cose si stavano sviluppando muovevano le sue gambe al posto dei muscoli: troppo forte era il desiderio di raggiungere l’isola degli uomini pesce ma non certo per mirarne le bellezze, anche se a dir poco che incantevoli.
Le era bastato apprendere che ci cercava,si trovava nel palazzo di pietra blu e subito aveva ripreso la sua marcia ignorando occhiate e sguardi malevoli da parte degli abitanti del posto. L’edificio in questione era una sorta di sede costruita da Fisher Tiger in persona, sacro e accessibile a pochissimi e portava il nome di Pietra Blu perché la sala grande, insieme alle altre aree dell’edificio - tutto il palazzo insomma - era stato costruito interamente con una particolare pietra color blu scuro i cui pochi giacimenti erano presenti solamente nei abissi più profondi dell’oceano. Ulteriomente, il palazzo era conosciuto per via della sala acquamarina, la stessa dove ora Sayuri si trovava; il suo essere così famosa tra gli esseri che abitavano il mare,stava nel possedere un soffitto fatto interamente di quella gemma. L’azzurro abbagliante illuminava l’intera area anche di notte fonda, bloccandola in un mattino perenne abbellito da flebili raggi celesti che ballavano liberamente sul pavimento. Come a voler rendere poi quella struttura un vero e proprio paradiso marino, l’esterno d’essa offriva come giardino una magnifica e colorata barriera corallina.

Incurante di quello spettacolo, Bianco Giglio era entrato di prepotenza in quel tempio senza mostrare il benché minimo rispetto per la sua sacralità e se ne dispiaceva, ma non aveva potuto fare altrimenti: Jimbe era l’unico contatto tra Barbabianca e la Marina su cui potesse contare e anche se non lo conosceva così bene come Ace, era certa di poter fare affidamento su di lui come alleato.

“Le porgo ancora le mie scuse per essere entrata senza il suo esplicito permesso” cominciò chinando la testa una seconda volta “Ma temevo di non potervi trovare, se fossi stata ad attendervi dietro la porta”
“Non è niente di grave” le disse “Ti manda il vecchio Barbabianca?”
“No, mio padre non sa che mi trovo da voi e vorrei che non glielo riferiste”

Le sopraciglia chiare e attorcigliate dell’uomo pesce si alzarono a quella richiesta alquanto strana ma dalla sua bocca zannuta non uscì un perché o una domanda che esigesse una spiegazione al riguardo, non subito per lo meno. L’avrebbe pretesa perché non era il genere di persona - uomo pesce nel suo caso - che accettava di aiutare senza una dovuta motivazione dietro, fatta eccezione per alcune volte, come in quel momento. Gli bastò osservare come quella ragazza lo stesse guardando senza battere ciglio, in cerca di un suo consenso invisibile e con una preoccupazione tale da brillare come tante piccole stelle. La sola certezza che il Cavaliere del Mare potè cogliere senza ombra di dubbio, era l’autenticità di quest’ultima, che non chiedeva altro che un ascoltatore capace di capire cosa stesse provando.
Le sue palpebre calarono cupamente nel vedere la pirata guardare quel pezzo di carta che stringeva nella mano palmata e che ancora trasudava di tutta la sfrontatezza dei propri mittenti.

“Sono venuta a conoscenza delle ultime novità solo di recente e dubito fermamente che mio padre se ne starà con le mani in mano. Lei lo conosce meglio di me, non permetterebbe mai che uno di noi perda la vita e io, in qualità di membro della sua ciurma, sono pronta a seguirlo in guerra” spiegò con fiato ritrovato.
“Allora perché vuoi rimanere nascosta?” le domandò lo squalo balena incrociando le braccia “Perché ti trovi qui anziché sulla Moby Dick?”

Non poteva continuare quel discorso se prima non veniva a conoscenza sul che cosa lei volesse o quanto meno, perché ella non fosse dal padre. Era al corrente dell’omicidio del comandante della quarta flotta e chi fosse stato a macchiarsi di tale crimine ma non si sarebbe mai aspettato che quel bastardo andasse a offrire la testa di un pirata famoso, del suo ex comandante per giunta, solamente per guadagnarsi maggiori possibilità di entrare nella cerchia di cui lui stesso faceva parte ma per motivi sicuramente diversi dai suoi. Una simile decisione avrebbe richiesto tempo ma Barbanera - come ora quello preferiva farsi chiamare - aveva portato un regalino troppo ghiotto perché il governo lo lasciasse marcire in una cella buia e non c’era neppure stato bisogno del consenso dei altri sei membri perché questo sostituisse seduta stante Crocodile, altra persona poco affidabile. La flotta dei sette non era che un gruppetto ristretto di pirati dalle taglie altissime a cui il Governo Mondiale aveva concesso l’autorizzazione di continuare i loro traffici in cambio di una quota personale del loro “lavoro” e della loro presenza durante riunioni estremamente importanti in qualità di piccolo organo creato dalle alte sfere, che così facendo usurfruivano delle loro abilità combattive.

Anche in quel caso, era stata richiesta la loro presenza, ma Jimbe ancora non aveva dato risposta e non perché indeciso: era ben intenzionato a rispondere personalmente agli emissari. Sayuri leggeva tale proposito soltanto nel vedere come quel piccolo pezzo di carta bianco veniva stritolato nel grosso palmo azzurro dell’uomo pesce ed era proprio a quello che voleva arrivare e ben conscia di non poter ottenere nulla fintanto che rimaneva zitta o occultava le sue motivazioni, si aprì davanti al Cavaliere del Mare come se fosse davanti a tutta una serie di giudici severi la cui valutazione le avrebbe permesso o no di passare alla prova successiva.

“Voglio fermare questa guerra, sommo Jimbe” rivelò serrando le mani “Voglio rimediare a un mio errore e non è tornando da mio padre che lo risolverò. Se Teach è arrivato dove si trova ora, è perché a dargli la possibilità ambita sono stata io; volevo evitare che accadesse una cosa orribile a una persona a me cara, ero così concentrata su quell’unica preoccupazione, che non sono stata in grado di vedere quel che mi stava davanti agli occhi”

Quelle parole le bruciavano ancora dentro la gola, vive, come tanti tizzoni ardenti dispersi in ogni angolo che potevano riempire. Mandarle giù non era mai facile per quante volte lei l’avesse già fatto: per qualche ragione, abituarsi era pressoché impossibile, ma forse ciò derivava dal fatto che il dolore poteva essere espresso in pi potenze, tutte diverse fra di loro nonostante l’esito comune. Per l’ennesima volta, le ricacciò giù dove dovevano stare con una risolutezza che i giorni scorsi le era venuta a mancare e proseguì con in mano i propri ricordi frammentati.

“Un mio amico è morto per proteggermi e la persona che amo più di tutte mi ha ingannato per la stessa ragione. Sento di dover prendere in mano questa situazione più di chiunque altro, e il solo modo che ho è quello di mostrare a tutti il vero pericolo che sta dietro a questo imminente conflitto”
“Di quale pericolo stai parlando?” la interruppe subito lo squalo balena.

Si era lasciato trascinare dal parlare della ragazza,che subito era scattato sull’attenti nel sentire quella parte che implicava un’ulteriore problema. Ebbe modo, nel farla proseguire, di comprendere dei risvolti che nessuno, fino al momento opportuno, avrebbe preso o anche solo tenuto in considerazione. La spiegazione che ora gli stava venendo data non aveva prove fondate se non dei presentimenti così intensi da essere quasi solidi. Lui, Barbanera, aveva consegnato Ace Pugno di Fuoco al Governo Mondiale perché era un pirata famoso e lui, al contrario di molti, nemmeno possedeva una taglia sulla propria testa: non si conosceva nulla sul suo riguardo se non che era stato abbastanza in gamba da portare ai rappresentanti della giustizia il comandante della seconda flotta di Barbabianca. Con quel lasciapassare da cento e passa milioni di berry, non c’era stato molto su cui discutere e il nuovo flottaro si era subito andato a sedere attorno al tavolo d’elite. L’idea iniziale era quelle di una nuova leva desiderosa di fare strada a spese degli altri ma Teach non era e non si sarebbe mai considerato come uno di quei bambocci materialisti che infettavano gli oceani: non era come lo si vedeva esternamente o come lo si aveva sempre giudicato...lui era molto di più.

E fino a quel momento,nessuno aveva visto la sua reale faccia. Nessuno, salvo forse Satch.

Era stato capace di ferire Shanks il Rosso quando ancora non disponeva del potere e questo lasciava intendere che già allora era un fuoriclasse. Nessuno poteva dire quanto realmente fosse mostruoso, ma quel poco intuito da Sayuri, le era bastato per provare paura per i suoi compagni, per suo padre e per Ace; una paura così grande da farla star male ogni qualvolta che ripensava al nome dell’ex compagno. Anche se non era a conoscenza di ciò che l’imperatore rosso aveva riferito al suo capitano, quel che aveva le bastava per non prendere la situazione sottogamba. Parlò ancora e Jimbe non fece che irrigidire le pupille e i muscoli del collo per quanto stava recependo; man mano che si giungeva alla fine di un punto per poi passarne a un altro, il Cavaliere del Mare comprese con sempre maggior certezza non soltanto il vero che stava nelle sue parole ma anche le ragioni che ricoprivano la richiesta per la quale era venuta.

“La prego di credermi, sommo Jimbe” mormorò portandosi la mano sinistra, chiusa in un pugno, al petto “Lei è il solo a cui io adesso possa rivolgermi: voglio salvare Ace più di qualsiasi altra cosa”
“E sei venuta fino a qui per chiedermi di portarti a Marineford, non è così?

Dalla bocca appena screpolata della ragazza sfuggì un sussulto che la costrinse a stringere le dita già raggruppate nel pugno stretto in petto. Si scontrò immediatamente con la severità che gli occhi dalle sopraciglia attorcigliate di Jimbe le stavano trasmettendo e in essi lesse quel che bastava a farle intendere, che aveva capito dove lei aveva voluto arrivare. Sostenne quell’ondata autorevole con la sua,intrisa di stupore, per l’essere stata privata di quella parte a cui stava cercando di arrivare il più velocemente possibile ma non cercò di deviare ne di negare per prendere altro tempo: di quello non ce ne era e quindi annuendo lentamente rispose:

“Si, voglio che lei mi porti a Marineford con sè”

Anche se l’aveva potuta soltanto guardare da una discreta distanza, su quella lettera accartocciata nella grossa mano del Cavaliere del Mare, l’inchiostro era servito per imprimere e trasmettere un messaggio che grossolanamente bianco giglio aveva compreso. Davanti a lei, numerose porte si stavano chiudendo velocemente e le poche rimanenti presto avrebbero seguito l’esempio delle altre; la scelta era ardua seppur l’obbiettivo fosse ben chiaro e lei, soppressa da così tanto pensare e provare,non sapeva da dove iniziare. Sentiva solo di dover fare quello che più la stava schiacciando e non poteva rimanere lì,indecisa su cosa fosse meglio fare o no: avrebbe ricorso alle vie ancora transitabili e se questo non fosse bastato, si sarebbe inventata qualcos’altro ma non si sarebbe arresa, non fintanto che poteva ancora raggiungere Ace e riportarlo dove meritava di stare ovvero con la sua famiglia. Il vigore che le aveva ridato forza nei occhi venne accolto dall’uomo-pesce e anche apprezzato, seppur non potesse nascondere lo sconcerto per quella risposta. Lo scendere a compromessi non era un atteggiamento che si potesse definire piratesco e un pirata,nella sede della giustizia assoluta, poteva difendersi quanto un leprottino in una gabbia di leoni a digiuno.

“E’ fuori discussione, Sayuri” non potè che dire compiendo dei passi lateralmente “Il tuo sarebbe solo uno spreco di tempo, nessuno in quell’edificio ti darebbe ascolto e finiresti nelle medesime condizioni di Ace se non peggio”
“Ma se non provo come posso saperlo?” gli domandò.
“Pensi seriamente che si lascerebbero scappare l’opportunità di affrontare il Re dei Mari?” la bloccò voltandosi verso di lei “Pensi che staranno ascoltare una pirata?” le domandò ancora una volta prima di riprendere “La sede della Marina è stata edificata con lo scopo di condannare e giustiziare i criminali senza mostrare la benchè minima compassione per loro. Il volere far fuori Ace lì invece che a Impel Down è la prova che sono pronti a sfidare il più potente dei potenti pur di difendere e tenere alto il loro buon nome. Non dico che tu non sia armata di buone intenzioni ma se forse convinta che la tua sola opinione possa rovesciare il progetto che loro attendono di realizzare da tutta una vita?”

Distruggere le speranze e la volontà di una persona non era quel che si poteva dire una giusta azione ma da parte sua Jimbe voleva evitare che una vita come quella della giovane venisse scartata senza neppure essere presa in considerazione. Severità a parte, quella non era che la cruda verità e il cavaliere del mare non poteva tergiversare al fine di non sconvolgere la ospite. Soltanto lei stessa sapeva cosa la animasse tanto, lui poteva al massimo leggere quei segni fisici che le deturpavano il corpo come il pallore, i tagli e i vestiti malandati per non parlare poi dell’arto sinistro, ridotto a un livido abnorme che necessitava di una fasciatura. L’ematoma arrivava quasi a sfiorarle il gomito e lei premeva l’arto contro al petto con forza, mossa dall’istinto.
Quel gesto lo compiva per farsi coraggio, indipendentemente dalla situazione.

E mentre approfondiva quella stretta, gli zoccoli di legno duro del maestro di karate diffondevano un rumore secco lì attorno, alternato dal borbottare delle bolle che si divertivano a fare a gara per arrivare in superficie fuori dalle vetrate spesse ed elaborate della sala. Il palazzo di Pietra Blu, coi suoi specchi e i pavimenti dove il riflesso delle onde creava divertenti sfumature, pareva così lontano dalla terra e del reale pericolo che vi era ai suoi piani; creava e maneggiava la tentazione di voler rimanere lì anziché tornare laddove i rumori erano troppo chiari e l’odore della povere da sparo inquinava i polmoni.Le sue stanze, protette da tonnellate di acqua salata, riducevano il tutto a un suono ovattato, molto simile ad un debole pugno dato su di un banco e il panorama esterno, così diverso dal cielo e dal sole, allettava l’idea di una permanenza più lunga, eterna. Donava il desiderio di volersi rifugiare, di allontanarsi da dolori a cui il cuore era stato esposto per troppo tempo, ma Sayuri non voleva allontanarsi o fuggire da quanto le stava crollando addosso. Anche se era quanto di più sofferente ci fosse al mondo, ne era troppo attaccata per poterne fare a meno e perderlo sarebbe equivalso a una morte ben peggiore di quella che tutti cercavano di rimandare giorno dopo giorno.

“Sayuri” tornò a parlare Jimbe riavvicinandosi alla giovane “Apprezzo che tu abbia fatto tanta strad....”

Non potè finire ma non perché lei avesse replicato o si fosse abbandonata a una delle tante emozioni che ultimamente la governavano con facilità. Il controllo ormai l’aveva ripreso e non era sua intenzione piangere. A detta sua, non esisteva più niente che potesse farla cadere ancor più in basso di quanto già non si trovasse, se non la prospettiva che nemmeno si azzardava a sfiorare con le dita della mente. Con movimento fluido, aveva estratto uno dei suo sai,guardandolo per qualche attimo e per poi puntarlo contro il membro della flotta dei sette non come segno di minaccia ma perché quello lo guardasse e lo ammirasse in tutte le sue angolazioni, insieme ai fiori impressi sulla sua pelle e che anch’essi pretendevano di esser guardati con egual intensità.

“Questi sai, rappresentano la strada che ho scelto. Il vessillo che servo, i miei ideali. La ciurma con cui condivido questo viaggio, la mia famiglia. I gigli, la mia promessa. Ciò che ho è il tesoro che chiunque possiede, ma che pochi sanno di avere ed io non voglio rinunciarci solo perché qualcun altro ha deciso così” mormorò coi capelli cadutile davanti “E’ mio, è prezioso per me. Se venissi meno a quanto sento, allora non sarei meritevole ne di brandire queste armi, ne tanto meno di essere quello che sono”

Si era scelta una strada tortuosa, incerta, difficile e ostacolata da persone che la ritenevano una criminale meritevole della forca ma questo non le era mai importato; aveva appena deciso di andare da sola, di tentare la sorte con le sue sole forze nonostante potesse ugualmente scegliere di ritornare alla Moby Dick e affrontare insieme alla sua famiglia la grande a guerra a cui non avrebbero mancato di partecipare; già che c’era, si sarebbe fatta anche dare una spiegazione da Don sul perché avesse lasciato andare Ace benché lei avesse riposto la sua totale fiducia in lui ma niente di tutto questo, al momento, necessitava di una risposta perché confidava nella certezza che i suoi fratelli già si stavano movendo e che Don avesse fatto quanto gli era stato chiesto gentilmente. Non dubitava che ci avesse provato ma non dubitava neppure del fatto che la cocciutaggine di Ace fosse capace di raggiungere vette invalicabili da un comune umano.

Sennò...come avrebbe fatto a trascinarla sulla sua nave quel giorno?
A ogni ricordo di Ace, percepiva qualcosa di potente crescere in lei, una sorta di vento che,man mano le immagini si sovraffollavano, diveniva più forte e burrascoso,pronto per essere rilasciato. Poteva essere l’haki o il semplice ma indissolvibile desiderio di volerlo vedere il prima possibile, non ne era certa; sapeva soltanto che questo si ingigantiva a tal punto da riempirle gli occhi e il cavaliere del mare, davanti a quella volontà, si convinse sul fatto che qualunque sua replica o azione al fine di farla demordere dalla sua richiesta, sarebbe stata del tutto vana.

“Sei davvero decisa a venire con me?” le domandò a meno di un metro di distanza.
“Si”
“E suppongo tu voglia tenere all’oscuro il tuo capitano” aggiunse lui incrociando le braccia coperte dalla tunica svolazzante.
“E’ esatto” continuò la pirata senza desistere a livello visivo.
“....” Jimbe emise un sonoro sospiro che andò a frammentarsi fra le enormi zanne bianche che gli riempivano la bocca “Sei una persona davvero testarda Sayuri”
“Oserei dire lo stesso di lei, sommo Jimbe, visto che ha poche possibilità in più rispetto a me di convincere la marina a lasciar perdere questa guerra” replicò abbozzando l’immancabile sorriso dolce.
“Osa pure, mia cara” le acconsentì qualcuno.

La nuova voce proruppe nella sala acquamarina come un evento inaspettato ma del tutto privo di presentazioni. Da un angolo indistinto della sala, fece capolino un oggetto legnoso, lungo e arrotondato sulla sommità; emetteva un suono secco ogni qualvolta avanzasse, accompagnato da un lento e impercettibile strascicare di passi anziani che stavano a nemmeno a un metro da esso. Gli occhi color cioccolato della ragazza si slargarono di qualche millimetro nel riconoscere quella pelle scura e quelle sopraciglia bianche e straordinariamente lunghe che spezzavano a metà i piccoli occhi di quell’uomo pesce incredibilmente in là con l’età.
La veste era identica a quella di allora, l’espressione sul viso rugoso appena più rilassata dell’ultima volta che l’aveva visto.

“Ma lei è..” tentò di dire la giovane.
“Non farti ingannare: apparentemente Jimbe è ponderato, ma credimi, figliola, basta davvero poco per fargli perdere le staffe” le disse il pesce martello elargendo un ampio sorriso.
“Maestro” il membro della flotta dei sette richiamò la sua attenzione con tono onorato “Come mai vi trovate qui?”
“Niente di particolare, ero solo molto curioso di sapere chi fosse venuto a farci visita” rispose quello passando a guardare lo squalo balena “E sinceramente non credevo che fossi proprio tu. Comunque, sono felice di rivederti, sembri diventata più forte di allora”le disse.

Diventata più forte? No, in tutta sincerità non si sentiva affatto più forte. Se lo fosse stata probabilmente niente di tutto quello sarebbe mai accaduto.

“Credo che la sua sia soltanto un impressione..” sussurrò mestamente Bianco Giglio calando le emozioni dietro a un sorriso appena marcato.

Il pesce martello raccolse la risposta ma senza replicarci sopra e ripassò a guardare il cavaliere del mare con la piccola mano stretta attorno la sommità del suo fidato bastone.

“Se sei intenzionato a partire per Marineford, sarà meglio che tu ti avvii il prima possibile amico mio. Le acque cominciano a ribellarsi e fra poco saranno ingestibili” gli consigliò avanzando a piccoli passetti verso di lui ”Mi occuperò io dell’isola fino al tuo ritorno e vedrò di avvisare le creature marine che si trovano nei pressi di Shabondy”
“La ringrazio” rispose.

Non era così sciocco da non sapere che cosa stesse succedendo ultimamente su in superficie, d’altronde i giornali venivano pubblicati pur per qualcosa. Appena l’allarme era stato lanciato, l’isola degli uomini pesce si era mobilitata per proteggere i propri confini e l’anziano pesce martello aveva fatto quanto era in suo potere per evitare che la Marina ingigantisse la cosa ma purtroppo, lui non era che uno sconosciuto ai loro occhi; solamente Jimbe teneva dei contatti con l’organo militare, che a sua volta era in stretto collegamento con quello politico e pertanto non poteva che contare su di lui, anche se temeva per la sua incolumità ben conoscendo le motivazioni che lo stavano spingendo a lasciare la sua terra; il suo carattere era propenso a perdere facilmente la pazienza quando trovava dei grossi ostacoli che non ne volevano sapere di spostarsi. La sua sola scelta era la fiducia e quella mai gliela avrebbe negata; se si sentiva nel giusto, non vedeva ragione per cui doverlo fermare. Inoltre, a dargli man forte ci sarebbe stata quella giovane e lei, che fosse per la nobiltà d’animo già vista o per altro, pareva non essere disposta a rimanere lì.

Portala con te, Jimbe. Sono sicuro che non te ne pentirai.  

Ci aveva sempre sperato di poterla nuovamente incontrare, magari in una circostanza diversa ma ora il suo posto non era lì. Sbagliava nel dire che non era forte, ormai era in grado di riconoscere i deboli e i presuntuosi a occhi chiusi e per tanto sapeva che quella che aveva davanti non apparteneva a nessuna delle due categorie.

“Il sole è ancora alto” affermò avviandosi verso l’uscita della sala “Approfittatene prima che cali la notte”
“Certo. Sayuri, seguimi”
“Eccomi”
“Un momento, figliola” la fermò nuovamente l’anziano “Prendi questo”

Tiratosi in avanti con l’aiuto dell’appoggio legnoso, il maestro aveva estratto dalla propria veste marrone un vasetto di vetro piuttosto largo ma ugualmente tascabile: al suo interno era contenuto una sorta di intruglio cremoso color verde acqua, ben chiuso dal coperchio sigillato con lo spago.

“E’ un antico rimedio usato per disinfettare e pulire le ferite” le spiegò porgendoglielo fra le mani “Se il tuo amico è ferito, questo dovrebbe alleviargli il dolore e farlo stare un po’ meglio”

Con quell’ultima spiegazione aveva appena ammesso di essere rimasto nell’ombra ad ascoltare tutta la conversazione avuta sino alla sua comparsa ma di fare storie sulla privacy non era da Sayuri, non con quello che il pesce martello stava facendo per lei: si era presentato e le aveva offerto il proprio aiuto senza che lei chiedesse nulla. Addolcita da quel gesto, ritrasse le braccia e strinse la boccetta a sé per poi fissarla intensamente, già conscia su chi l’avrebbe utilizzata.

“Siete davvero gentile. La ringrazio moltissimo” disse chinando la testa.
“Mi ringrazierai quando tornerai a farci visita” le disse.

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Capitolo 54
*** Appello alla giustizia (prima parte). ***


 Buonasera!chiedo scusa sin da ora ma non sono riuscita a rispondere alle vostre recensioni,questa volta proprio non ce l’ho fatta,gomenasai!prometto di recuperare la prossima volta!lascio un veloce e speciale ringraziamento ad Akemichan,nuova arrivata!grazie per i tuoi accorgimenti cara,vedrò di stare più attenta,anche se alcuni errori continuano a scapparmi!si,all’inizio la storia è un po’ povera ma pian piano,visto che ho continuato,l’ho arricchita!

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Non aveva idea di quello che stava facendo. Non aveva proprio la benché minima idea in che cosa si stesse andando a cacciare, ma anche se ne avesse avuto la piena consapevolezza, Sayuri di certo non avrebbe cambiato opinione al riguardo. Ignorava apertamente il fatto di stare andando con Jimbe verso Marineford, dopo che era riuscita a convincerlo a portarla con lui, e ignorava ancor di più il fatto che stesse andando di sua volontà verso l’unica certezza che in quell’istante aveva nella vita. Ignorava tutto ciò che poteva nuocere alla sua vita, ma lo faceva unicamente non perché non fosse a conoscenza della natura delle sue azioni, bensì perché al momento, le era molto più a cuore la sorte del suo comandante. I suoi incubi alla fine si erano concretizzati: nel sentirsi dire quanto era accaduto a Banaro, era sprofondata nelle viscere di un antro così chiuso che perfino la voce del suo subconscio era stata omessa quando aveva tentato di urlare per il dolore, per l’essere arrivata troppo tardi. La tragedia, sino a quel momento evitata, ora stava venendo solleticata da forze che si sarebbero date sicuramente battaglia, il tutto in uno scenario di fumo, polvere da sparo e sangue.

Per tutto il tragitto, Sayuri non aveva proferito parola: se osava, temeva che il suo cuore l’avrebbe tradita e in quel momento non poteva certamente scoppiare a piangere, non davanti a coloro che tenevano ben salda la corda che era stata legata al collo di Ace. Un solo strattone e poi tutto sarebbe finito. Il Cavaliere del Mare aveva accolto il suo silenzio e il suo sguardo irremovibile che pretendeva di essere ascoltato: quando quella ragazza gli si era presentata davanti, non aveva fatto altro che chiedergli il permesso di venire con lui, come se già sapesse cosa stava per capitare. La conosceva soltanto di vista, ma nel parlarci, aveva intravisto qualcosa agitarsi in lei, qualcosa simile alla calma, alla disperazione e alla determinazione che ancora la stava aiutando a reggersi in piedi. Soffriva, ma si teneva tutto dentro e lo faceva unicamente per non accasciarsi a terra e dunque gettare la spugna. Non conosceva la reale natura del legame tra lei e Ace, ma il percepire quel senso di colpa che la ricopriva interamente come una coperta di metallo e il non comprendere la ragione di tale presenza, lo avevano spinto a rifiutare inizialmente: in tutta franchezza, neppure lui era sicuro di poter scuotere a dovere le teste del governo mondiale, autorità militari comprese e il vedere perire un altro figlio di Barbabianca così, senza che questo potesse difendersi, di certo avrebbe mandato il vecchio ancor più sulle furie. L’inflessibilità a Marineford era sinonimo di giustizia, insieme a molti altri termini e per tanto, i pirati erano condannati ancor prima di arrivarci.

Jimbe aumentò velocità man mano che la costa si faceva vicina: erano in viaggio da circa due giorni e non si erano mai fermati una sola volta. Per un uomo pesce, attraversare grandi distanze non era un problema, ne tanto meno l’avere un passeggero sopra la schiena. Fino a quel momento, la sola parte difficile da superare era stata l’allontanamento da Marijoa; trovandosi molto vicino all’isola degli uomini pesce - praticamente ci stava sopra -, essa ospitava gli altri membri della flotta dei sette in attesa della chiamata definitiva.
Sinceramente non aveva senso farli venire prima a Marineford e poi spostarli nella terra santa degli astri della saggezza, ma, data l’impellente necessità di dare una esauriente risposta alla chiamata, il Cavaliere del Mare evitò di lamentarsi di quella pratica tanto scomoda. A brevissimo lo attendeva molto peggio: la Marina aveva una sua concezione mentale sul come la faccenda doveva svolgersi ma lui era ben propenso ad esporre la sua e in quella stanza ogni presente, anche i muri, lo avrebbero ascoltato. Drastica o meno, la situazione poteva ancora precipitare e forse, anzi, con molta probabilità, più di quanto loro avessero previsto. Una guerra non era di certo un evento calcolato e contenuto, ma nonostante il concetto fosse più che impresso nella storia, a questo non si voleva porre rimedio, perché alla fin fine, una guerra era il solo modo che si aveva per mettere le carte correttamente in tavola.

Cavalcando una delle onde, lo squalo balena scivolò sulla spiaggia con estrema grazia senza neppure emettere il benché minimo rumore. La zona scelta per lo sbarco si trovava al dì fuori della cittadella militare, perfetta per evitare che la giovane che ora ne guardava la cima, con rinnovata convinzione di essere realmente lì, non venisse scoperta. Non subito almeno.

“Prendi questo, Sayuri” le disse porgendole un mantello nero col cappuccio “In questo modo potrai attraversare le strade senza problemi "Quando saremo dentro la sede, lascia parla me prima e rimanimi vicina” continuò dandole indicazioni spicce ma salienti.

Lei annuì e prese il soprabito fra le mani. Fino al momento opportuno sarebbe rimasta in silenzio.

“Sommo Jimbe, siete realmente certo che gli altri componenti della flotta dei sette si trovino ancora a Marijoa?” domandò poi nel sistemarsi accuratamente l’indumento.
“Ne sono sicuro ma questo non esclude nulla di quanto ci aspetta: la tua taglia parla per te e con tutti i marine presenti per l’esecuzione, una rissa è sconsigliata”

Strinse i lembi della propria tunica rossa, scrollando così facendo l’acqua che appesantiva i suoi abiti e i ricci raccolti goffamente in una coda afflosciata. Già da dove si trovavano, potevano udire il suono delle miriadi di camminate affrettate che si confondevano fra le strade, insieme a voci e altri suoni che comunemente sarebbero stati indistinguibili, come per esempio le ruote dei cannoni che venivano spinti in avanti. La spiaggetta nascosta dalle rocce, con la sua minuscola manciata di sabbia che scopriva il sentiero verso l’epicentro di quei suoni, era paragonabile al ciglio del sovrano di tutti i burroni. Una volta saltati dentro, non si poteva più tornare indietro.
Con un ultima occhiata al cielo azzurro, prima di porgere le iridi color cioccolato sulle alte e spesse mura che si intravvedevano da lì, Sayuri allacciò l’ultimo dei pochi bottoni del suo mantello nero per poi affiancarsi al membro della flotta dei sette.

“Io desidero soltanto che mi ascoltino, sommo Jimbe: sia per il bene di mio padre, dei miei fratelli, che per il loro” pronunciò infine coprendosi la testa col cappuccio.
E soprattutto, per quello di Ace.

Il viso rispecchiava il suo stato emotivo con una perfezione a dir poco che terrificante: devastato, vicino all’essere totalmente e completamente distrutto. La pelle era sbiadita, violacea su quell’arto sinistro che ora era nascosto dal mantello; i lineamenti erano divenuti più marcati, con tanto di guance leggermente incavate e gli occhi, i suoi bei occhi che a fatica rimanevano illuminati, appesantiti da tutto.
Si avvicinava ad essere un fantasma, ma la differenza era che in lei ancora batteva una piccola convinzione, una stilla di vita e fino a quando questa avrebbe resistito, il cedere si sarebbe tenuto alla larga. Poteva farle male il corpo, poteva vomitare e piangere tutte le volte che lo desiderava, ma la verità era, che in quello stato, non riusciva a fare nulla se non aggrapparsi come una pazza a quella minuscola, scintillante speranza che le infiammava l’anima e che la incitava a combattere per quello che tanto a lungo aveva cercato e infine ottenuto. Nel mirare il suo viso un ultima volta prima che questo venisse celato dal cappuccio, il flottaro scorse quel desiderio di lotta come l’ennesimo dardo scoccato da un arco ormai sul punto di rompersi. Non era importante che fosse malconcio e che dopo non avrebbe più potuto sferrare altri colpi; nella sua ultima azione avrebbe impresso quell’amalgamato che ancora la sosteneva, per poi colpire l’avversario dove più le doleva e infine disgregarsi senza che nessuno gli desse peso.
Fu questa l’impressione che l’uomo pesce formulò e stampò nella sua mente. Smuovendo le zanne, intrappolò la parte di lui che ancora criticava la sua decisione e volse risoluto il capoccione azzurro verso la loro meta.

“Bene, andiamo”
 



Le guardie addette al controllo del portone principale della cittadina avevano il compito di vigilare sull’entrata e di impedire il passaggio a chiunque potesse intralciare i lavori che si svolgevano al suo interno. Nello scorgere il Cavaliere del Mare risalire il tratto di strada che, da interminabili ore fissavano come rigidi statue viventi, avvisarono subito le camere interne prima che questo potesse chiedere il permesso di passare e gli aprirono la via, ponendosi di lato e abbassando la testa in segno di rispetto. Con il viso guardingo, le zanne sporgenti e quelle singolari sopracciglia arrotolate ora piegate all’ingiù, per calcare maggiormente la sua serietà, Jimbe procedette imperterrito verso il Quartier Generale, facendo risuonare i suoi sandali di legno sulle dure lastre di pietra bianca e grigia della strada. Al suo fianco, Sayuri camminava disinvolta, ma con gli occhi rivolti al grande edificio posto in rilievo rispetto agli altri sottostanti: erano in basso, ma poteva ugualmente vedere con chiarezza la mastodontica bandiera bianca con sopra il simbolo della forza militare sventolare sopra l’ultimo dei quattro tetti rossi che dividevano la struttura.
Nel percorrere la salita si fecero strada fra marine e carpentieri tutti diligentemente divisi a fare il loro lavoro. I porti erano nascosti dalle mura e a malapena si intravedevano gli alberi maestri di alcune ammiraglie. C’erano tante scale, troppe forse: Marineford stessa era un suddividersi di piani e man mano che si saliva, questi si restringevano e andavano a ingigantire la panoramica sull’oceano. Panoramica che, però, non piacque alla ragazza: serrò le dita nel soffermarsi su quell’ampia impalcatura di legno che ora vedeva fin troppo bene e che si affacciava completamente sul vasto oceano. La baia era cinta da grosse mura circolari, molto più solide di quelle viste sulla terra ferma. Al di sotto del patibolo, diversi uomini si stavano accertando che quest’ultimo fosse ben robusto e preparato per quello che sarebbe accaduto fra poche settimane.

Lei nemmeno si ricordava quante fossero. Due forse, ma sicuramente erano poche, un’insulsa manciata di giorni che sarebbe trascorsa con lentezza tale da far desiderare la data stabilita con impazienza irrefrenabile. Sussultò, perché nel tornare a guardare la cima della costruzione, ci vide Ace inginocchiato, con le mani dietro la schiena, tenute unite da delle manette incatenate al pavimento e col volto irriconoscibile. Distolse velocemente la visuale e tornò a guardare davanti a sé come se nulla fosse; non voleva ne vedere ne immaginare niente che potesse appartenere ad un ipotetico futuro, era già dura dover far star zitta la pressione che cresceva in lei per la smisurata presenza di nemici lì attorno. Con tutti i marine che stava sorpassando,chiunque avrebbe mostrato un po’ di incertezza nel mantenere una fermezza di spirito; una camminata troppo rigida, mani tremolanti, voce sottile...piccoli gesti traditori. Quel brulicare di persone vestite di bianco e blu richiamava l’immagine di un grosso formicaio e lei, sola, si vedeva come la cavalletta che nonostante le sue dimensioni, non poteva vincere contro la forza numerica delle avversarie. Jimbe aveva avuto ragione nel dire che scatenare una rissa lì sarebbe stato inopportuno, ma lei non era una sciocca, meno che mai una sprovveduta: la sua fermezza d’animo l’avrebbe aiutata a farsi valere in quella stanza,senza che sfociasse in atti di ribellione davanti alle massime autorità. Con essa, si sarebbe impegnata per far aprire loro gli occhi su come le cose stavano realmente andando e verso quale prospettiva il mondo si stava avvicinando ma soprattutto, questa l’avrebbe aiutata a non perdere la speranza di riabbracciare il suo Ace. Non era l’essere nel cuore di Marineford a spaventarla o il fatto che a breve si sarebbe trovata faccia a faccia con i suoi pezzi grossi: ciò di cui lei aveva paura, era semplicemente di perderlo. Se lo perdeva, se succedeva davvero, tutto quello che lui le aveva donato anche soltanto sorridendole, si sarebbe dissolto. Compresa la voglia di vivere.

“Ci siamo. Sei pronta, Sayuri?”

Infine le scale erano terminate. La cima della cittadella era un enorme piazza che presentava soltanto l’edificio che racchiudeva il Quartier Generale. Occupava un quarto dell’isola ma era così grande che si credeva che invece arrivasse a inghiottirne la metà. Di strada ne avevano fatta parecchia e chiunque, arrivato lì si sarebbe seduto per riprendere fiato e raffreddare i muscoli delle gambe data la salita appena fatta, ma i nuovi arrivati avevano bisogno di tutt’altro: Jimbe non era certamente il tipo che chiedeva una pausa per una salituccia come quella e Sayuri era concentrata su tutt’altro per risentire dello sforzo fatto dalle proprie gambe, se così si poteva chiamare..

Superarono una sfarzosa fontana e si fermarono ai piedi dell’entrata, una porta larga sopra cui era stata appesa una grossa targa avente una scritta marchiata a fuoco, ripassata con pesanti caratteri neri.

“Giustizia ad ogni costo” lesse a bassa voce la ragazza guardando quelle scritte con un che di tetro nei occhi.

I marine che stavano di guardia avevano ripiegato le loro lance e aperto il varco. Jimbe non si mosse sino a quando non fu certo che la giovane in sua compagnia fosse pronta. Non nascondeva la curiosità di volerle vedere nuovamente gli occhi ma quel mantello faceva fin troppo bene il suo lavoro e le lasciava scoperta solo la parte bassa della faccia. La osservò compiere due passi in avanti e affiancarlo, sicura ad entrare.

“Andiamo” gli disse poi lei “La staranno aspettando”
In un attimo le ante della porta si spalancarono e senza proferire ulteriori parole, varcarono la soglia senza voltarsi quando queste si richiusero alle loro spalle.
 
 


In tutta la sua vita non si era mai domandata come fosse l’interno del Quartier Generale della Marina; era una domanda superflua, visto che nessun pirata sano di mente sarebbe andato personalmente a verificare come fosse per solo scopo turistico, ma se mai qualcuno un giorno glielo avesse chiesto, lei sicuramente non sarebbe stata impreparata. Il lunghi e ampi corridoi dalle pareti adornate di quadri, porte e oggetti il cui valore ai suoi occhi era trascurabile, conferivano all’ambiente uno stile sfarzoso, ma molto controllato, data la severità del posto. Jimbe e lei erano stati accolti da un messaggero ed ora stavano venendo condotti alla Sala dei Discorsi, situata nell’ala ovest dell’edificio.

“Ben arrivato, maestro Jimbe: vi prego di seguirmi, il grande ammiraglio Sengoku vi attende” gli aveva detto elegantemente e sbrigativo.

I loro passi picchiettavano sul pavimento ma non producevano eco o rumori assordanti:nonostante tutto lì apparisse ben curato e ospitale, non si cercava altro che nascondere la mano fredda e inflessibile della giustizia, una mano che aveva mozzato il respiro a così tanti colli che oramai non si potevano più contare sulle dita delle mani. Che fosse quell’agghiacciante silenzio a sospenderle il cuore tra la salvezza e il vuoto, questo Sayuri non lo sapeva: il mantello la proteggeva dall’essere attaccata, ma avrebbe sortito il suo effetto ancora per poco e quando anche l’ultimo secondo si sarebbe consumato, non avrebbe potuto fare altro che sostenersi verbalmente. Guardava poco più lontano dei suoi piedi, senza mostrare troppo interessamento all’arredamento di quell’ala. Si immaginava che il corridoio fosse stretto e col soffitto alto ma niente di particolare. Istintivamente strinse l’elsa dei suoi sai - l’indumento le copriva buona parte del corpo - sperando di percepire quel calore che sempre l’aveva accompagnata nelle sue battaglie.

Un tempo suo nonno aveva servito la marina; alla sera, dopo i suoi allenamenti, per farla addormentare, le raccontava le sue avventure per mare, ma non si soffermava tanto sull’azione: sostanzialmente, si premurava di descrivere quei avversari con cui aveva combattuto moltissime volte, condiviso l’onore e...si, di tanto in tanto anche qualche bella bevuta di sakè. Strano a dirsi, ma pareva essere nato un’insolita amicizia carica di rivalità. Quando percepì le sue dita infuse del calore che cercava, il suo corpo smise di dolerle e il suo animo si acquietò.

Ti chiedo di sostenermi un altro pochino, nonno, solo un altro po’.

Pregava e chiedeva che le infondesse il suo coraggio mentre il panorama cambiava e diventava più monotono e fine: le pareti, il pavimento e il soffitto, avevano perso i loro colori, diventando totalmente bianchi, con qualche ornamento color ora qua e là. Benchè non guardasse, la lucentezza che la vernice imprimeva ai muri era abbastanza intensa da emettere una sorta di bagliore che difficilmente poteva essere ignorato. Nel camminare su un tappeto rosso comparso misteriosamente sotto ai loro piedi, Sayuri avvertì la presenza della meta farsi sempre più vicina e automaticamente la sua mente vagò sui suoi compagni. Si rese conto solo in quel momento che erano incredibilmente distanti: Don, Bonz, Marco, Jozu, Vista, suo padre....tutti loro erano lontani, così come lo era Ace, rinchiuso a Impel Down: lei sola si trovava in prima linea - per ora - e dipendeva unicamente da lei evitare che scoppiasse una guerra, perché si, era una guerra quella che volevano ingaggiare. Una lotta fra due potenze da sempre nemiche, unite non in una piccola battaglia, non una scaramuccia combattuta in mare aperto, ma un conflitto epico che nella storia sarebbe apparso come una cicatrice su un tessuto non più immacolato e privo di imperfezioni come lo era in origine.
Difficilmente con la forza avrebbe ottenuto qualcosa quind, il suo unico tentativo era per l’appunto parlare civilmente con chi si prodigava a seguire le linee della corretta via. Al suo fianco, Jimbe non tralasciava alcun segno di tensione ma soltanto una voglia matta di sapere cosa diavolo pensavano di ottenere quei idioti scatenando l’ira di Barbabianca e data la situazione, aveva tutte le ragioni per esigere chiarimenti al riguardo.
Non dovette attendere molto prima che la porta davanti cui si erano fermati per pochi attimi si aprisse insieme a un profondo “Avanti” proveniente all’interno di essa. Il messaggero che li aveva accompagnati si era già premurato di presentare il Cavaliere del Mare e la sua accompagnatrice e non appena questi furono entrati, esso si eclissò dietro la porta molto velocemente, quasi non volendo rimanere lì un solo secondo di più.

Ci siamo....

Sayuri si costrinse ad alzare gli occhi anche se ancora nutriva forti dubbi al riguardo. Ebbe modo di vedere delle lunghe tende blu che coprivano le pareti laterali della stanza, terminanti non appena questa assumeva una rientranza circolare, come un balcone al coperto. C’erano delle colonne bianche, ne vedeva moltissime da dov’era, tutte poste in semi-circolo, come fossero sbarre per quell’enorme finestra da cui filtrava la brezza marina trasportata dal vento. Dopo quella generale visione della stanza, si concentrò su quel bel tavolo rotondo che la fece deglutire: vi erano in pochi attorno ad esso, alcuni nemmeno seduti ma ugualmente presenti.

Il grande ammiraglio Sengoku, detto il Misericordioso, sedeva con la sua divisa piena di decori proprio davanti a loro, con la schiena perfettamente appoggiata alla poltrona, le braccia conserte e gli occhi velati di fermezza ben aperta da dietro quelle sue lenti dalla montatura tonda e spessa. Sopra la sua testa vi era un gabbiano con le ali piegate a “V” così fermo che sembrava essere impagliato. Alla sua destra stava la consigliera Tsuru, il vice ammiraglio che l’accompagnava sempre in riunioni come quelle: era un’anziana signora dai corti capelli bianchi raccolti in una coda, di modo che i pendenti smeraldini agli orecchi fossero in mostra. Vedere anche soltanto quelle due autorità in carne e ossa avrebbe fatto scattare chiunque sull’attenti con un semplice schiocco di dita. Come i pirati avevano le loro leggende, anche la Marina vantava persone il cui nome bastava per non aggiungere altro. Sengoku era uno stratega di primo ordine, un uomo devoto alla giustizia e nonostante Sayuri fosse ben nascosta sotto il mantello nero, si sentì, in qualche modo, scoperta davanti a lui. Si distolse da quella sensazione sempre più vicina ad assomigliare alla paura e cercò di capire chi altro ci fosse nella sala.

L’ultima figura presente al tavolo era distanziata dal grande ammiraglio e dalla consigliera; se ne stava sul lato sinistro, con le braccia e le gambe incrociate. Il capo leggermente abbassato metteva in bella mostra soltanto il cappellino bianco posto sulla testa ma una panoramica più ampia, permise alla ragazza di comprendere che la terza persona presente lì dentro era l’ammiraglio Akainu.

Il Cane Rosso....

Il pronunciare mentalmente il soprannome dato a quell’uomo, le diede un forte senso di sbigottimento. Quello era un altro individuo di cui aveva sentito parlare e che ora poteva vedere realmente; l’osservarne la figura impassibile, avvolta nel suo elegante e impeccabile vestito scarlatto, seminascosto dal mantello bianco poggiato sulle spalle, fece tirar fuori ricordi su di lui legati alle sue prime visite in alcune basi della Marina nel mare meridionale. Gli archivi di quei edifici militari erano stracolmi di documenti riguardanti missioni svolte oltre la Grand Line; nel rovistare aveva scovato almeno una decina di fascicoli colmi di rapporti tutti puntigliosamente compilati e dichiarati chiusi da un timbro rosso raffigurante un cane inquietante accanto alla scritta “Missione compiuta con successo”
La cosa che più l’aveva lasciata allibita era il numero di persone soccorse: dopo aver fatto una piccola statistica, disgustata, aveva abbandonato tutto quanto ed era scappata prima che le guardie la scoprissero. E pensare, che veniva reputato un marine tremendamente carismatico nel suo ambiente...

Forse un po’ troppo per i miei gusti.

Evitò di prolungarsi inutilmente e calando le palpebre, le riaprì nuovamente per concentrarsi sul centro quando, all’ultimo momento, notò qualcosa sul fondo della sala. Era un divano, lungo e coi cuscini di velluto morbido, su cui stavano due persone: la prima occupava interamente il sofà e pareva esserci bellamente sdraiato. Dalla sua posizione, Bianco Giglio poteva soltanto vedergli il busto e le braccia incrociate dietro la nuca nera e ricca. Dormiva profondamente, con gli occhi nascosti dietro una mascherina verdognola e neppure il vicino, per quanto rumore stesse facendo con la bocca, riusciva a svegliarlo.
Se pensava che vedere un esponente della Marina dormire placidamente nel corso di una riunione fosse bislacco e incredibilmente impossibile, quello che osservò dopo smentì quella sua piccola convinzione emersa pochi attimi dietro. Nello spazio vuoto lasciato, c’era l’ultimo dei marine presenti nella sala; era anziano ma con una corporatura ben tenuta e muscolosa, con capelli corti e barbetta grigia: esattamente come il collega, non sembrava in alcun modo interessato all’incontro che stava per iniziare, ma, anziché dormire, stava deliziando il proprio palato con gustose ciambelle colorate, ricoperte di confetti. La scatola che teneva sulle gambe mostrava il contenuto già per metà svuotato e il restante stava venendo divorato in un sol boccone da quell’uomo che nemmeno si prendeva la briga di masticare.

Sayuri aguzzò la vista per meglio vedere quel marine, ma, come era successo con quello precedente, non lo seppe neppure riconoscere. In ogni caso,doveva essere una persona importante se si trovava lì e se si permetteva di ignorare le occhiatacce del grande ammiraglio Sengoku, che non faceva altro che ripetergli con quest’ultime “Piantala di ingozzarti di ciambelle e presta attenzione!”
Non appena quest’ultimo ebbe finito l’intimazione mentale, tutta la sua attenzione si ripose sul Cavaliere del Mare, rimasto in piedi dov’era insieme a lei.

“Benarrivato, Jimbe. Mi fa piacere che tu sia qui” lo accolse cordialmente il grande ammiraglio.
“E’ un mio dovere” rimandò l’uomo pesce.
“Immagino tu sappia il perché ti abbia mandato la lettera di convocazione” tagliò corto, puntando i gomiti sul tavolo nella medesima posizione della consigliera “Quindi possiamo sorvolare sulle ragioni e passare al punto che più ci interessa” concluse poggiando il mento sulle dita intrecciate.

Aveva già provveduto a spiegare tutto quello che fungeva da introduzione nella lettera dato che il ripetersi era una cosa dispendiosa di tempo e parole ed era per tale ragione, che adesso non vi erano ostacoli a impedirgli di arrivare diritto al punto della questione. Jimbe non ne fu sorpreso, il grande ammiraglio Sengoku detestava le sorprese e il suo modo d’agire impediva che queste potessero emergere. Fintanto che la situazione era sotto il suo controllo, tutto doveva andare tassativamente come diceva lui.

“Mi sembra più che giusto” assentì l’uomo pesce “Sono qui per darle la risposta alla lettera che mi ha mandato e le posso dire che su tutta questa faccenda, io sono decisamente contrario” affermò poi senza alcun’ombra di dubbio.

Le parole trasmesse con tanta convinzione non furono sufficienti a smuovere il Misericordioso e la stessa cosa valse per la consigliera e il Cane Rosso, il quale aveva appena alzato la testa mostrando due occhi arcigni.

“Dovreste sapere bene cosa comporta” continuò Jimbe alludendo alla loro decisione “Non stiamo parlando di un pirata qualunque ma di un uomo diverso da chiunque altro e voi non potete di certo negare l’evidenza visto che vi siete addirittura scontrato con lui”

Il “Voi” era rivolto unicamente a Sengoku. Tutti e due i suoi occhi erano puntati sull’uomo la cui barba era elegantemente intrecciata da tanti elastici. Lo guardò cercando di scorgere nella sua impassibilità una traccia di interesse, una briciola di stupore su cui far leva con tutta la sua voce. Lo squalo balena era relativamente calmo, ma non escludeva la possibilità che la sua pazienza potesse svanire in un sol colpo come una nuvola di fumo.

“Anche solo ricordando quei scontri...” riprese “Dovreste aver ben capito che la sua potenza si distanzia da qualunque altra e che una guerra come quella che voi avete deciso di rendere pubblica, non favorirà nessuno e non sto parlando soltanto delle vite umane che questo scontro coinvolgerà direttamente ma anche di tutte le altre che dipendono dagli equilibri sui cui si regge quest’era. Il mondo non è ancora pronto a....”
“A che cosa, Jimbe? Non sarebbe pronto a un’altra guerra?”

Akainu lo interruppe brutalmente, scoprendo interamente il viso marcato e duro che l’aveva contraddistinto in diverse occasioni. Anche nelle movenze sapeva far accapponare la pelle anche a chi non lo conosceva e anche in quel preciso istante, seppe suscitare tale effetto.

“Non c’è bisogno del suo consenso o di quello delle nazioni alleate per decidere se combattere il Bianco, un conflitto in più o in meno non fa alcuna differenza: non è il mondo che andrà in guerra, ma la Marina. Il mondo di cui tu parli rimarrà a guardare e acclamerà il vincitore come ha sempre fatto e come farà in futuro”
“Potrebbe anche non esserci un vincitore” replicò il Cavaliere del Mare serrando i pugni.
“Non lo sapremo fino a quel momento” affermò con spregiudicata sicurezza “Il Re dei Mari non si tirerà indietro per salvare la vita a uno dei suoi sciocchi figli”

Era a dir poco scioccante: il Cane Rosso parlava con una tale naturalezza da far raggelare il sangue nelle vene. C’era qualcosa in quell’uomo di così sbagliato, nonostante fosse nel cosiddetto giusto, che fece mordere le labbra alla giovane per il suono ostico di quelle frasi così maledettamente sprezzanti. L’insieme di quei tratti fisici, unito alla voce, a quei occhi, le dava la sgradevole sensazione di trovarsi davanti a un avversario mai affrontato sino ad ora. Un uomo così saldamente credente nella sua fede da pietrificarla.
Tsuru sospirò movendo di poco la testa mentre Sengoku rimase sulle sue, imperscrutabile in ogni suo centimetro, con il gabbiano sulla testa che si stava aggiustando le penne dell’ala destra. Tuttavia, nonostante la sua silenziosità verbale, bastò una schiacciante occhiata rivolta all’ammiraglio per far intendere che le sue uscite non erano gradite, seppur non del tutto errate.

“Akainu, taci, lo sai che a Sengoku non piace essere interrotto” lo rimbeccò una voce divertita alle sue spalle.

Il vecchio seduto sul divano contrastò quei occhi di lava dura del Cane Rosso con un sorriso incredibilmente ampio, quasi inquietate. Pareva essersi finalmente deciso a prendere parte con il cervello alla riunione, ma forse ciò era dovuto alla mancanza di quei zuccherosi dolci finiti in un batter d’occhio: difatti, non appena la scatola sulle sue ginocchia vuota venne sostituita con una tutta piena, subito questo tornò a riempirsi la bocca felice come una pasqua, con il collega lì dietro che dormiva in tutta tranquillità..o almeno così sembrava fare.
Per la seconda volta, Sayuri si concentrò per tentare di identificare quella persona ma non ci riuscì. Eppure...c’era qualcosa di familiare in lui, non tanto nell’aspetto - difficile da vedere da dove si trovava -, ma più che altro, per il comportamento. La specie di tic che le stava picchiettando il cervello non era abbastanza forte per far sì che lei ricordasse, ma nonostante questo stesse provando in tutti i modi ad attirare la sua attenzione, la voce del grande ammiraglio fu ben più potente di questo e lo sopresse cosicchè tutta l’attenzione fosse rivolta esclusivamente a lui.

“Jimbe, tu parli di equilibri, di persone e so che ad essi è collegata la pace ma dimentichi che a garantire quest’ultima siamo noi, non Barbabianca” riprese l'occhialuto.

Il Cavaliere del Mare fu sul punto di replicare nuovamente ma le due iridi metalliche di quell’uomo lo seppero zittire immediatamente.

”Noi abbiamo il compito di tutelare la sicurezza dei cittadini e di soffocare qualunque, ripeto, qualunque azione bellica che vada contro la loro salvaguardia” spiegò facendo calare un ombra nera sul suo viso “La pirateria è una minaccia in continuo aumento e non possiamo essere in alcun modo indulgenti nei confronti di nessuno, ne ammirare chi ha il coraggio di sfidarci apertamente. A prescindere da chi o che cosa sia Barbabianca, egli è e rimarrà un pericoloso pirata fino alla fine dei suoi giorni e pertanto riceverà il giusto trattamento che quelli come lui meritano” concluse gelidamente.

E a quelli come lui, sottointese, non viene data altro che la disfatta totale.

“E che mi dice delle conseguenze?!” abbaiò l’uomo pesce nel far cozzare le proprie zanne.
“Drastiche, ma inevitabili” rispose laconico quello tornando ad appoggiarsi contro lo schienale della poltrona “Una guerra comporta sempre dei cambiamenti, qualunque sia il suo esito e che siano lievi o meno, a questo ci penserà la politica”

Fu con la conclusione di quel discorso che entrambi gli ospiti compresero che la loro presenza in quella stanza era a dir poco che superficiale. Agli individui che sedevano attorno a quell’ampio tavolo non occorreva la risposta chiesta nella lettera di convocazione, ma un pretesto per esporre sinteticamente quello che gli alleati dovevano capire, memorizzare e far loro. Le motivazioni di Jimbe erano scontate e la sua rabbia per l’essere stato così facilmente respinto, lo facevano sentire più impotente che mai, come fosse in una gabbia o lontano dal suo adorato mare. Quell’eccessiva fiducia nelle capacità della marina permetteva già di pianificare e progettare un futuro dove l’impronta della giustizia avrebbe lasciato un chiaro segno della sua infallibilità in quell’era contraria ai suoi ideali. Il marcio sarebbe stato estirpato, il rotto sostituito da un nuovo e più efficiente sistema. Con una nuova luce alle sue spalle, la giustizia avrebbe rinnovato la sua popolarità, suscitato la gioia dei suoi seguaci, l’entusiasmo dei suoi fedeli e la paura nei suoi nemici.

Certe convinzioni aleggiavano in quei corridoi da quando questi erano stati eretti e saltavano fuori al sol percepire un’aria diversa dalla solita. A far sì che queste tornassero alla ribalta, erano perlopiù bocche troppo presuntuose il cui unico campo di battaglia frequentato, era quello racchiuso fra le quattro e spesse mura di qualche palazzo protetto da almeno un centinaio di uomini armati.
Seppur il grande ammiraglio Sengoku puntasse alla realizzazione di quei obbiettivi, la sola differenza che lo distanziava da burocrati troppo altezzosi per sporcarsi le mani, era che prima di pensare al futuro si concentrava sul presente: con una guerra alle porte,starsene in panciolle a crogiolare in sogni pieni di fortuna era da idioti e lo si era ancor di più se si pensava di ottenere una vittoria facile contro l’uomo denominato Re dei Mari. Diversamente dalle lotte passate, contava sul fatto che l’anzianità avesse fatto parte del suo lavoro con la dovuta adeguatezza: l’era dei pirati inaugurata da Gol D.Roger oscurava la presenza della Marina nonostante fosse la sua nemica per eccellenza e con la venuta di nuove leve, baluardi viventi come Barbabianca rappresentavano un punto significativo per quelle acque incontrollabili e il governo mondiale voleva, anzi pretendeva, che tutto quel andirivieni di gentaglia cessasse. Colpire un imperatore di quel calibro e riuscire a farlo cadere, avrebbe portato la svolta tanto ricercata e con Portuguese D.Ace come esca, la venuta del Bianco era più che sicura.

Il Misericordioso sapeva bene come giocare le sue carte e non per niente era sempre stato ritenuto un abilissimo stratega fino ai tempi dell’accademia e per quanto suonasse sbagliato alle orecchie dei due viaggiatori, ciò che aveva appena detto non era nulla che fuoriuscisse dai suoi principi: era un marine e serviva con devozione la giustizia.

“Se questa è la vostra opinione..” ringhiò lo squalo balena coi pugni che tremavano per la rabbia e la calma ridotta a un sottilissimo filo “Allora non vedo nessun’altra ragione per cui rimanere qui”
“Ti ricordo che se se varcherai quella soglia sarà come se ti fossi rifiutato di collaborare con noi e di conseguenza, il tuo titolo di membro ufficiale della flotta dei sette ti verrà revocato fino a tempo indeterminato” gli ricordò Tsuru, come a volergli evitare una grana del genere.

L’anziana donna poteva anche risparmiarsi di informarlo di tale notizia; a Jimbe ormai importava ben poco di quella nomina e molti elementi estetici del suo viso bastavano per cogliere il succo di quel che stava pensando. Era stanco di sentirsi ripetere tutte quelle storie rimpastate nelle maniere più disparate e non esitò a rispondere a quell’avviso fattogli. Se la conversazione doveva chiudersi voleva almeno avere l’ultima parola.

“Per quanto mi riguarda, ne posso fare anche...!”
“Un momento, per favore!”

La corrente ostile alzata dal membro della flotta dei sette era sul punto di abbattersi come un tifone all’apice della sua potenza; la sua forza attrattiva si sarebbe scagliata sulla terra insieme all’acqua raccolta se a fermarlo non fosse stato un braccio emerso orizzontalmente per bloccare l’ormai evidente disapprovo di Jimbe, già in procinto di voltarsi verso la porta. Il Cavaliere del Mare seppe subito dove indirizzare i propri occhi allarmati ma si astenne dal pronunciare il nome della ragazza, anche se probabilmente da lì a pochissimo si sarebbe scoperta da sola.

“Se il sommo Jimbe non ha null’altro da aggiungere, con il suo permesso ed il vostro, desidererei prendere la parola” chiese lei avanzando di due passi verso il tavolo.

In men che non si dica, l’attenzione dei presenti si riversò tutta su di lei e la tensione derivante da essa, la fece inspirare con non pochi tremori davanti a quella gente, sua nemica sin dal suo primo assalto come pirata. Calmarsi era l’unica soluzione plausibile di cui disponeva visto che tutte le altre le aveva lasciate fuori da quell’edificio non appena la porta d’entrata si era chiusa alle sue spalle. Non c’era modo per lei di fuggire o tirarsi indietro e il trovarsi nella tana dei leoni, non fece che rafforzare quella verità. Una strana forza magnetica la spingeva avanti, inchiodandole i piedi al pavimento, come per dirle che quello era il suo posto e anche che la sua era una causa persa in partenza, nonostante l’essere arrivata lì, fosse già molto. Si, era vero: se neppure Jimbe era riuscito a dissuaderli o quanto meno,a ripensarci sul piano d’attacco, che cosa poteva mai fare lei, che poi era un pirata al servizio di Barbabianca?
Quel che si prospettava non era per niente facile ma il rimembrare quel patibolo, con Ace incatenatoci sopra, le faceva male quanto il vederlo mezzo morente e sanguinante in una cella umida, in attesa della sentenza finale. Erano pensieri ricorrenti, di una frequenza spaventosa, che la colpivano addirittura fisicamente: anche in quel momento di attesa vide il pavimento girare vorticosamente, ma subito questo tornò immobile, lasciandole solamente la gola secca, i polmoni in fiamme e il cuore preda di battiti troppo forti per poterne reggere il ritmo.
Spossatezza o meno, la sua resistenza stava terribilmente vacillando ma il suono della voce ferma e severa di Sengoku le riempì le orecchie quanto bastava per farla tornare totalmente in sé.

“Prima di chiedere la parola si è soliti presentarsi” le disse.
“Ha perfettamente ragione, le chiedo scusa” detto ciò, si sfilò il cappuccio nero di dosso, scoprendo così il suo volto davanti ai marine che mostrarono visi diversamente impressionati “Il mio nome è Sayuri, signori, e faccio parte della ciurma capitanata dall’imperatore Barbabianca. Sono qui davanti a voi unicamente per parlavi quindi, vi chiedo la gentilezza di prestarmi la vostra attenzione e di ascoltarmi”

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Capitolo 55
*** Appello alla giustizia (seconda parte) ***


Buonasera,eccomi!abbiamo lasciato Sayuri sul punto di prendere la parola davanti al grande ammiraglio Sengoku.Ce la farà a dire quello che pensa?chi può saperlo,andiamo a vedere.Ovviamente dopo aver detto grazie a tutti voi si intende!

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MBCharcoal:Marta-chan!!!lo so,sono terribile,vi lascio così e voi dite subito “ma no!!”.E’ terribile ma io ci godo a torturarvi anche se a dire la verità mi rodo nell’aspettare una settimana prima di postare il nuovo capitolo.Spero che il tuo augurio per il cagotto perenne funzioni su entrambi nel manga,se mai succederà allora aprirò una scatola di coriandoli e mi strafogherò di cioccolato inneggiando alla danza della vittoria .Prima o poi creperanno con tutte le maledizioni che gli lanciamo!va beh,come si dice,la speranza è l’ultima a morire.

angela90:ola my dear!si,siamo a Marineford(e tutti fanno “oohh”).Scatenare una rissa lì non è proprio opportuno,io manco mi sarei mossa dal mio letto,comunque,prima di degenerare,posso dire che si,l’odio per Akainu è più che condiviso e per quanto riguarda Aokiji e Garp,loro sono la boccata d’ossigeno in mezzo a tutto quel trambusto.Non mi dispiacerebbe provare le sue ciambelle,tutte colorate con i zuccherini…prima o poi mi toglierò questo sfizio.

13este:ciaoooo!!un’altra che odia Akainu(cara ti adoro).Si,so di aver interrotto proprio nel momento catartico e mi spiace ma come sempre vi ho portato la seconda parte e spero che ti piaccia!

TopazSunset:oh mio dio cara,sei risorta!!(ti credevo perduta ormai)quando ho visto il tuo aggiornamento non ci credevo e poi il vedere la tua recensione..che bello sentirti!la tua eccitazione per il sapere che cosa succederà mi commuove sempre:purtroppo si è saltato fuori anche il cane rosso(quando mai l’ho messo..) e su di lui mi tengo a freno nel dire cosa che potrebbero venire richiamate dall’ordine pubblico(gli lancia comunque uno sguardo assassino).Vedrai che cosa ho preparato qui!

tre88:olà!no,non ti scusare per il ritardo(che ritardo poi?).Sulla tua domanda non so che rispondere perché ancora non ci ho pensato;forse no ma chissà,magari vengo colta dall’ispirazione.Si si,hai indovinato su Garp e Aokiji,sono loro quelli che se ne sbattono delle riunioni(sono dei grandi quando si comportano così!);ho sempre adorato vedere Garp mangiare dolcetti vari e l’altro ammiraglio dormire beatamente ma non posso dire la stessa cosa per la presenza dell’altro innominabile che meriterebbe di essere mazzolato fino all’inverosimile.(le spuntano le corna per la rabbia…).Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento!

Chibi Hunter:ciao amora!eh si,siamo in una zona ostica,alleggerita pochino dalle ciambelle di Garp (lui non potevo non metterlo, è sempre un grande.Anch’io voglio mangiare una di quella ciambelle).Quanto all’odiato,non posso che darti ragione,tutte me lo avete fatto notare.Stupido lavoro dal muso arcigno…l’odiarlo è un eufemismo ma qui cara penso che odierai più qualcun altro.

happylight:ciao dolce!grazie per gli auguri!un anno e sono ancora qui,non mi sembra vero!sono felice di aver riunito una schiera di fan intorno alla mia storia e magari per l’occasione potevo revisionare i capitoli scorsi per sistemarli ma non ci sono riuscita.Chissà,forse dopo questa mi cimenterò con un’altra storia anche se non credo,prima mi premurerò di finire questa e di farlo in grande.Penso che il fermarsi sui punti salienti sia un capriccio di tutte noi autrici che,come Oda-sensei,amiamo tenere alta la suspance.Ed ecco qui il nostro cane rosso,altra personcina meritevole di linciaggio(eh lo so cara come ti senti.Lo so molto bene e lo sanno tutte le fan di Ace).Lui dice le cose come stanno punto e basta (anche Don lo fa ma è più stiloso).Gli altri due poi che se ne fregano sono proprio Garp e Aokiji(uno mangia e l’altro dorme).Grazie poi per trovare questa parte intrigante:spero allora che questa ti faccia impazzire.

giulio91:oi,eccoti qua!siamo nel pieno della tensione come hai notato e solo le ciambelle di Garp e il sonnellino di Aokiji rendono comica per un lato questa spinosa situazione.Fai bene a scavare una buca e seppellirti,fammi spazio che così vengo anch’io perché sinceramente io sarei già collassata con tanta gente lì pronta a farmi il pelo e il contro pelo.Mandiamo avanti Yu-chan che forse se la cava meglio!

Killy:tesoro,ciao!mi sono interrotta sul più bello perché mi occorreva il giusto punto di stacco per poi riprendere e terminare questa riunione al meglio delle possibilità.Sulle descrizioni io ci sto molto,mi piacciono perché adoro trattare da vicino gli stati d’animo delle persone e i luoghi,mi ci trovo bene.Il cane rosso fa paura soltanto a guardarlo quindi mi sono concentrata su quei elementi che lo contraddistinguono per quello che è (schifoso lavoso guerra fondario!).Ora tocca a Sayuri a parlare,vedrai che cosa ho preparato!
 
 

Nell’attimo in cui Sayuri si sfilò il cappuccio, mostrando così a tutti i presenti il proprio viso, la grande stella comunemente conosciuta come sole uscì da dietro una piccola nuova bianca e soffice con cui malvolentieri aveva giocato sino a quel momento. Un leggero chiarore inondò la stanza, filtrando fra le colonne di marmo color panna che adornavano la grande finestra sul fondo e riflettendosi sulla superficie liscia di quel tavolo circolare abbellito con preziose rifiniture. L’impatto di pura stupefazione fu freddo, sufficiente a congelare il tempo per una manciata di secondi,un lasso più che generoso, forse troppo per una reazione di quel genere ma la ragazza ne fu grata perché così potè continuare senza che nessuno la interrompesse.

“So bene che la parola di un pirata all’interno di Marineford vale ben poco ma so anche, che questa stanza è stata costruita affinchè il diritto alla parola venisse dato a tutti quanti, fuorilegge compresi, e che la loro opinione fosse considerata egualmente a quella degli altri. Io sono qui, signori, per fare appello a questo diritto e per chiedervi di riflettere sull’avvenire di questa guerra ma desidererei esporvi quanto ho da dirvi da un altro punto di vista” terminò per poi aggiungere “Un punto di vista che si ricollega strettamente a voi”

Appena pronunciata l’ultima sillaba, Sayuri chiuse ermeticamente la bocca e si aggrappò all’elsa dei suoi sai prima che gli avversari non le concedessero il tempo di farlo. Ebbe il timore di venire attaccata da entrambi i lati, di ricevere per prima il giusto trattamento che spettava a quelli come lei ma il non sentire rumori sospetti e il non vedere nulla di anomalo venirle addosso, allentò la presa sulle sue armi.Erano ancora lì, tutti seduti: il grande ammiraglio Sengoku, il vice ammiraglio Tsuru, l'ammiraglio Akainu - che la guardava con disgusto - e perfino gli altri due in fondo. Fu la fragorosa e sguaiata risata proveniente dal divano posto vicino all’ampia finestra che le fece alzare le sopraciglia in segno di incomprensione: a ridere era proprio quel marine che per tutto il tempo si era dedicato alla degustazione delle sue ciambelle e che adesso si era concesso un secondo per guardarla dritta nei occhi, mantenendo un sorriso divertito dietro alla barbetta grigia e ispida.

“Garp, dacci un taglio” grugnì Sengoku nello scoccargli un’occhiataccia.
Garp? Lui è…Monkey D.Garp?

La rivelazione la lasciò sconcertata. Le sembrò impossibile non essere stata capace di riconoscere quell’uomo di cui Ace le aveva parlato. Nel confrontare la descrizione fatta dal ragazzo con l’aspetto fisico davanti ai propri occhi, la castana non trovò nessun elemento fuori posto: tutto combaciava alla perfezione. L’enorme sorriso a quarantadue denti che sfoggiava in tutta la sua ampiezza, si slargava ancor di più quando questo voleva ridere come ora stava facendo, rompendo il silenzio con una risata poderosa quanto i terribili pugni che sferrava contro i pirati più cocciuti.

“Ah ah ah! Non fare il permaloso, Sengoku!” lo rimproverò a sua volta quello per poi tornare a guardarla con occhi infervorati e un ancora più largo sorriso spavaldo “Questa ragazza ha fatto tanta strada per venirci a parlare, che ti costa starla a sentire?”

La noncuranza con cui stava agendo a braccetto era sempre stata motivo di esasperazione per l’amico e superiore Sengoku. Parlare a vuoto o con un soldato il cui quoziente intellettivo superava a malapena le dimensioni di un arachide avrebbe prodotto risultati decisamente più soddisfacenti; almeno così le ammiraglie nuove di zecca evitavano di finire in fondo al mare perché usate come arma di distruzione contro i nemici quando qualcuno si dimenticava di averne una tutta sua e con la polena a forma di cane per giunta. L’umore del grande ammiraglio era tutto un fascio di nervi contorti che avevano deciso di rintanarsi tutti nella sua grande mano che stava letteralmente stritolando un’innocente matita sul punto di essere ridotta in tante briciole. Il modo di fare di quel pazzo trovava sempre la maniera di farlo imbestialire, specie se lui parlava e quello se ne stava tutto tranquillo a mangiare biscotti o robe simili.

E Aokiji dormiva pure! Tra i due non sapeva proprio contro chi doveva urlare ma stando ai ultimi giorni passati, di sgolarsi non era il caso e visto che Garp era sveglio e che si era anche degnato di interrompere il suo ingozzamento, potè facilmente concentrarsi sul vero problema, che non solo non si era concluso ma pareva starsi per ingigantire ulteriormente. Aveva provveduto a sedare Jimbe su ogni fronte dato che già si era figurato quel discorso più e più volte ma in tutte le previsioni fatte non rientrava di certo la presenza di un esponente della ciurma di Barbabianca.
Che l’avesse mandata il vecchio Barbabianca?

No, impossibile. Si disse sistemando con la punta dell’indice gli occhiali  Non è il genere di capitano che manda così in avanscoperta un proprio subordinato. Non lui.

C’era un solo modo perché il quadro della situazione gli sembrasse più sensato e completo e quel modo era concedere la parola alla ragazza, anche se la sua conoscenza riguardo le funzioni che reggevano quella sala l’aveva lasciato molto perplesso.

“D’accordo. Hai il permesso di parlare” le concesse intrecciando le dita delle mani poggiate sul bordo del tavolo.

Sayuri nel recepire il consenso, chinò busto e testa in segno di ringraziamento, senza sporgersi troppo o movendosi ulteriormente.

“La ringrazio, grande ammiraglio” disse una volta raddrizzatasi “L’onorevole Jimbe vi ha già spiegato i rischi che questo conflitto comporterebbe: non si tratta soltanto di una guerra tra due forme di potere opposte ma di qualcosa che coinvolgerà indirettamente terre e isole fino a questo momento vissute in armonia. Per loro Barbabianca rappresenta la pace così come per altri lo siete voi. L’organizzazione territoriale e gli equilibri che fungono da assi di sostegno per il mondo verranno radicalmente cambiate, questo lo so perfettamente, ma al di là di ciò, c’è una persona che approfitterà di questa serie di eventi per emergere dall’ombra dentro cui si è sempre nascosta, la stessa che vi ha offerto la possibilità di dichiarare guerra a mio padre e che voi avete eletto come membro della flotta dei sette: sto parlando di Marshall D.Teach”

Il suono di quel nome fu uno stridere di mille oggetti sovrapposti, tutti fatti di metallo, che si contorcevano fra di loro producendo rumori così raccapriccianti da essere terribili per l’udito. Per il Cavaliere del Mare fu automatico far cozzare le zanne fra di loro a tal nome. Tra le molte cose che Sayuri aveva appreso, vi stava che il furto del frutto del diavolo non era avvenuto per caso: quello non era stato che il primo passo verso il compimento di un grande e redditizio progetto, per non dire mostruoso. Teach non era il tipo di persona che mollava una ciurma per andarsi a schierare con la Marina. Evidentemente anche da ella voleva qualcosa ed era quella la sola ragione per cui aveva risparmiato Ace: consegnando il comandante della seconda flotta si era comprato la fiducia di quest’ultima e anche il titolo di nuovo membro di quel piccolo gruppo di pirati al servizio del governo, titolo che gli avrebbe concesso non pochi vantaggi.

“Non è quello che appare” continuò lei aprendo le braccia, consapevole delle proprie certezze “Ha un obbiettivo da realizzare e posso assicurarvi che una persona del genere non entrerebbe mai in affari con la Marina se non per tornaconto personale. Vuole qualcosa e quando l’avrà ottenuta, non si farà problemi a voltarvi le spalle. Sfrutterà la carica che gli avete concesso per agire con maggiore libertà, non si fermerà fino a quando non conseguirà quel che si è prefissato e se ci riuscirà, niente lo potrà più ostacolare”

Si stava ancora organizzando, ne era sicura. Lui aveva atteso apposta e grazie alla “protezione della Marina”, si stava preparando in tutta calma per poi procedere al passo successivo: la guerra che si stava per scatenare, di cui lui ne aveva pesantemente contribuito la nascita, gli avrebbe concesso di disfarsi di un ingente numero di scocciatori che sicuramente in un futuro prossimo alla realizzazione, lo avrebbero braccato recandogli pesanti fastidi. La giustizia e la pirateria sarebbero state troppo occupate a darsi battaglia per guardarsi alle spalle e lui, approfittando di tutto il polverone sollevatosi da entrambe le parti, si sarebbe allontanato dallo scenario principale quanto bastava per gettarvisi al momento più opportuno, così da imporre il suo nome su quello che un tempo era stato il suo capitano.

Poteva una persona arrivare a tanto,ad approfittare senza alcun rimorso di coscienza di così tanta gente? Tanta gente che poi era stata sua amica e anche una famiglia?
Ma certo che poteva se la persona in questione era stata addirittura capace di uccidere un proprio fratello.

Teach, il vero Teach, quello che nessuno conosceva e mai visto, poteva fare di tutto ed era quel non sapere a spaventare bianco giglio: la vita del suo capitano ,dei suoi fratelli e amici...nessuno si sarebbe tirato indietro, anche se l’ordine era quello di prepararsi a morire. Poi c’era Ace ma più teneva la sua coscienza lontana dai pensieri di cui egli era il protagonista, meno quel magone l’avrebbe rivoltata per il solo gusto di verificare quanto ancora poteva soffrirci su.

“Per favore, io vi chiedo soltanto di rifletterci con cautela, grande ammiraglio” chiese a mani giunte “Lui conta su questa guerra per poter agire senza essere indisturbato. Se potessimo...”
“Trovare un accordo? Risolvere il tutto con un paio di trattative pacifiche? E questo che vuoi chiedere?”

La voce non era quella di Sengoku e nemmeno dei altri membri presenti e che ora avevano alzato le sopraciglia spalancando occhi e bocca in diverse angolazioni,tutte ricalcanti però il medesimo stupore. Il grande ammiraglio guardò brevemente di lato,senza neppure muovere la testa, per poi tornare meccanicamente a guardare davanti a sè. Garp digrignò i denti per poi far calare mestamente le palpebre sperando che quel che aveva appena sentito fosse stato solo frutto della sua immaginazione ma se Aokiji si era disturbato ad alzare parte della mascherina per mostrare il suo occhio leggermente incredulo, allora quella non poteva che essere la dura realtà.
Disorientata, Sayuri si guardò ai lati senza però scorgere nulla e fu solo quando concentrò la propria visuale sul bel tavolo, che finalmente scorse qualcosa di nuovo, che prima non aveva notato, seppur non esageratamente piccolo: alla sinistra del Misericordioso stava un grosso lumacofono con folti e lunghi baffi che ricadevano pesantemente sulla stoffa del morbido cuscino rosso su cui era stato appoggiato. I lineamenti stretti e ossuti di Tsuru si irrigidirono nel far guizzare i piccoli occhi su quell’oggetto che ora muoveva le antenne visive a destra e a sinistra per sintonizzarsi ancora meglio.

“E’ evidente..” riprese quello “Che il tuo saper esporre i fatti con attenta minuziosità ti fa onore ma questo non toglie che sei una pirata e che la tua singola volontà, non troverà assolutamente appoggio ne in questa stanza, ne in tutta Marineford” la rimproverò.

Escluso un leggero e sospettoso fruscio da parte delle lunghe tende blu che coprivano i muri alle spalle dei neo arrivati, quella voce  era ben conosciuta da chi frequentava quei ambienti così altolocati. Jimbe era uno di questi; coprì il suo deglutire a fatica e puntò il muso sul lumacofono sveglio e coi occhietti aperti a mezzaluna. Dalla sua entrata nella flotta dei sette, aveva udito quella voce anziana ma solennemente irremovibile soltanto una volta e quella era la seconda. Dietro al dichiarare guerra a Barbabianca, a muovere i fili e ad imporre quel che era il bene, c’erano loro e nell’accostarsi velocemente alla giovane, cercò di imprimerle con la forza del pensiero ciò che lei ancora non era riuscita a realizzare; non seppe dire come, ma l’avvertire lo sfrusciare della veste dell’uomo pesce sul suo braccio - seppur coperto - permise a Sayuri di recepire quanto l’amico stava cercando di trasmetterle; l’ulteriore scambio di sguardi sconcertati confermò il tutto.

Anche se non li vedeva, stava parlando direttamente con i cinque astri della saggezza, i comandanti supremi del Governo Mondiale.

“E nonostante sapessi questo..” proseguì la voce “Sei venuta per chiederci di fermare questa guerra”
“In questa sala chiunque, che sia marine, pirata o persona comune ha il diritto di parlare, di porre domande e di esigere le dovute rispose, me compresa, signore” rispose, incredula di essere riuscita in un azione tanto difficile “Io sono venuta qui per avvertirvi dell’imminente pericolo, non mi sono soffermata sul conflitto fra il mio capitano e la Marina”
“Ma intendevi arrivarci comunque” replicò l’anziano, sicuro delle sue parole “Hai solo utilizzato la via più lunga per trovare i giusti agganci sui cui far leva e hai portato a galla la questione poco per volta”

Il lumacofono si muoveva in sincronia con la voce, trasmetteva suoni e quante più intenzioni si nascondessero dietro a quelle parole: lenta e priva di falle, la voce dell’anziana autorità si accingeva a mettere Sayuri con le spalle al muro e schiacciarla da tutti gli angoli con quello stesso bene che non ammetteva alcuna forma di imperfezione. Dal canto suo, lei a fatica riusciva a tenersi a galla, tentennava pericolosamente.

“Penso di parlare a nomi di tutti i miei colleghi se affermo che la tua presenza qui non è stata pianificata da Barbabianca. Che cosa ti ha realmente spinto a venire fin qui senza che il tuo capitano te lo ordinasse?”

Il coraggio emerso per rispondere alla somma autorità si incrinò. Esitò a proseguire su quel ponte malandato e traballante ma una sola occhiata alla meta, tanto vicina quanto lontana, l’aiutò a riprendere da dove si era interrotta.

“La mia coscienza, signore” rispose dopo aver preso un bel respiro “Ho commesso un errore e sono qui per rimediare”
“Cercando di impedire una guerra? E' un’intenzione tanto nobile quanto insensata” intervenne un secondo astro.
“E’ insensato impedire che delle vite vengano stroncate per dei falsi ideali?” rimandò lei.

Con quella replica ferma e dai risvolti accusatori,cadde per l’ennesima volta il silenzio. La giovane sapeva di essersi appena addentrata in una zona ancora più pericolosa di quella in cui si era trovata cui fino a quel momento; gli argomenti erano puntigliosi e anche i più semplici divenivano così complicati da lasciar poco spazio a domande inutili. Perfino il nome nella sua banalità si perdeva nei intricati passi che ne seguivano la spiegazione. Non vi era ragione che i comandanti supremi la lasciassero parlare perché sempre avrebbero trovato un modo per tamponarla e infine farla fermare del tutto  e lei,seppur già di suo rigida per l’ansia, non era disposta a rimanere zitta mentre quei vecchi presuntuosi dalle lunghe e cespugliose barbe approfittavano e forse, dentro di loro,deridevano chi serviva il nome a cui loro erano più vicini o, con ancor più vigore, i pirati come lei, suo padre, Ace e tutti i suoi fratelli.
Si era chiusa la porta alle spalle ancor prima che mettesse piede in quella stanza, non esisteva alcuna possibilità che le cose si aggiustassero automaticamente ma, indipendentemente da quanto quella situazione potesse degenerare ancor di più, la ragazza non desiderò trovarsi da nessun’altra parte. Lì era e lì sarebbe restata e quando vide gli occhietti tondi e la bocca violastra del lumacofono assumere una piega molto irritata, si preparò a ricevere il colpo....

“Ideali falsi?” ripetè il primo “Per te la pace sarebbe un ideale falso?”
“Non intendevo dire..”
“Ragazzina, tu hai idea di che cosa sia la giustizia?” pose con forza senza lasciarle il tempo di spiegarsi meglio.

Zittita, non osò neppure rispondere.

“Sin dalla sua creazione il Governo Mondiale si prodiga per diffondere e sostenere la verità assoluta e la giustizia, rappresentata dalla Marina, è stata creata affinchè ne fosse il braccio esecutore contro il caos che è nato insieme al mondo. Per sottomettere esso ci vuole ordine e per ottenere l’ordine servono leggi” si interruppe per riprendere fiato “E per far rispettare le leggi, occorrono persone che siano disposte a servire la giustizia e a morire per essa. Chiunque decida di schierarsi dalla nostra parte, dalla parte del giusto” e si premurò che quella parte fosse ben messa in evidenza “Deve essere consapevole cosa comporti”

Il solo sentire le parole “Verità” e “Assoluta” insieme, le diede una rivoltante sensazione all’altezza dello stomaco, che risalì fino alla trachea con tutta l’intenzione di fuoriuscire da lei sottoforma di cibo indigesto. Loro erano i rappresentanti del bene, almeno così aveva sentito dire ma allora perché..perchè le loro parole erano così sbagliate alle sue orecchie?

“Fin da quando il mondo esiste, esso è sempre stato segnato da epoche differenti ma tutte aventi lo stesso indomito caos che ne ha macchiato l’immagine, un caos che anche tu, mia cara, stai contribuendo a far crescere” puntualizzò un terzo “Noi sediamo all’apice del Governo Mondiale da molto tempo e dobbiamo prendere decisioni che garantiscano la sicurezza della gente e la stabilità degli assi generali. Proteggere questi significa permettere alla gente di condurre una vita senza paure”

Perché quel discorso le sembrava così assurdo?

“Se posso chiedere” si fece nuovamente avanti la giovane “La gente a cui voi alludete è la stessa che avete messo a tacere e successivamente fatto sparire perché non d’accordo con la vostra politica?”

L’impertinenza mostrata le costò profonde occhiate di alterazione da parte del Cane Rosso. La guardava e non trovava altro modo per definirla se non ripugnante. Una pirata a Marineford senza essere legata equivaleva ad un oltraggio, ad un che di inammissibile se poi questa si permetteva pure di parlare senza tenere bassa la testa. Mani e ginocchia erano calde, tese, mancava poco che formicolassero sufficientemente per farlo scattare e soltanto quando avrebbe inferto la giusta risposta a quella ragazzina, il prurito si sarebbe dissolto. Il vice ammiraglio Tsuru dovette ammettere che quella giovincella non si stava lasciando intimorire tanto facilmente nonostante ne avesse notato i sudori freddi e anche quella testa calda di Garp si trovò d’accordo, con più enfasi rispetto la collega, ma indubbiamente d’accordo.
Avrebbe pagato a peso d’oro per vedere la faccia di anche solo uno dei astri perché era certissimo che stessero ricorrendo a tutta quella poca pazienza di cui erano disposti. I comandanti supremi non amavano essere contraddetti e sicuramente non si sarebbero sprecati cercando di far cadere la ragazza ma qualcosa dentro di lui, gli stava dicendo che quel discorso non era entrato nel vivo, che c’era ancora molto da vedere.
Voleva ridere come un matto ma Sengoku lo stava praticamente seppellendo sotto chili e chili di occhiatacce quindi, dovette limitarsi a un gesto mentale.

Eppure, ha un che di familiare.

C’era qualcosa di stranamente attrattivo in quella fanciulla. Non era tanto per l’aspetto ma quanto per il suo modo di parlare, i suoi gesti.

Bah! Forse tutto questo zucchero mi sta dando alla testa!  Se ne uscì senza rimuginarci.

Scosse la testa per liberarsi di quei assurdi dubbi e incrociò le gambe intanto che uno dei astri proseguiva in quel discorso prossimo all’esplosione.

“Sacrifici sofferti ma dovuti” rispose quello tutto composto “Chi non si accontenta di quello che ha pretende di scoprire lati del nostro tempo che possono ferire più di quanto facciano le armi comuni. Le varie epoche passate ci hanno lasciato pezzi di loro che abbiamo il compito di tenere al sicuro da occhi indiscreti, occhi che minano la realizzazione della pace, ideale che molti voglio vedere concretizzato e in cui molti sperano di poter vivere” e con questo sottolineò in particolar modo che non era falso come lei poco prima aveva osato affermare.
“La gente” sottolineò bene quell’ultima parte “Sogna da sempre di poter vivere un lungo e sano periodo senza guerre e noi stiamo cercando di poterglielo offrire il più velocemente possibile ma è evidente, che fintanto che avremo a che fare con rivoluzioni e pirati” il lumacofono non mancò di guardarla malissimo “Questo progetto dovrà continuare ad attendere”

Akainu annuì e sorrise compiaciuto, senza mostrare i propri occhi occultati dietro il piccolo cappellino bianco. Il grande ammiraglio si limitò ad espirare profondamente e a chiudere gli occhi in attesa dell’atto finale.

“Ma confidiamo” e parlò a nome dei suoi colleghi “Che questa guerra possa finalmente porre la pietra fondante a favore del progetto che da tanto aspettiamo di realizzare, quindi, mia cara, stupida e sciocca pirata, qualunque idea tu ti sia messa in testa per convincerci del contrario, sappi che venendo qui hai solo gettato via la tua vita”

In quel momento la nuvoletta che prima si divertiva a coprire il sole egoisticamente, tornò alla carica e nascose il globo giallo dietro di sé, mangiando i suoi raggi per evitare che scappassero fuori. Calarono le ombre nella sala e con esse una freddura cementata,ruvida e molto dura, che impresse le parole appena pronunciate addirittura sul pavimento. Volarono delle colombe ma il battito delle loro ali si disperse nel vuoto, senza neppure essere udito, esattamente come le intenzioni di Sayuri, derise e scacciate via come portatrici di peste o lebbra. Loro avevano già deciso che cosa fare, avevano già scelto come la vita di Ace sarebbe stata utilizzata, come quella guerra sarebbe dovuta essere guardata...ogni possibile accorgimento era già stato programmato. Deciso dietro un tavolo, magari lo stesso tavolo che ora lei fissava senza alcun motivo in particolare nel mentre raccoglieva la sua opinione al riguardo.
Le tende alle spalle di lei e Jimbe sfrusciarono nuovamente mosse da qualcosa di troppo solido perché potesse essere semplice vento. Aveva ascoltato le loro parole, le loro motivazioni e nel trarre conclusioni che poi non erano altresì che il frutto di anni e anni di sospetto contro quel governo tanto rigoroso, potè finalmente dire che le cose non le erano mai state tanto chiare.

“Se permettete una parola...” e si avvicinò rapidamente al tavolo “Devo dire che dopo tutto anche voi avete scelto la via più lunga per arrivare a dirmi che non ve ne interessa nulla di quanto vi ho detto. Ma non importa" disse "Se questa è la mentalità di chi sta al vertice del Governo Mondiale, allora ho ben poco in cui sperare”
“Con questo cosa intendi dire?”

Il sibilo del primo dei comandanti supremi espresse tutta l’irritazione venuta a galla con un battito di ciglia.

“Intendo dire, che vi state prodigando per qualcosa che non vedrete mai avverarsi” rispose lei coi pugni serrati “La pace non esiste”
“Come osi..!” si infervorò quello.
“Vi date tanto da fare per realizzare qualcosa che è sinonimo di perfezione ma come potete anche solo pensare di poterci riuscire se voi stessi non siete perfetti? Neppure io, anche se la desiderassi con tutta me stessa, non la potrei ottenere, perché è qualcosa che non appartiene e mai apparterrà al mondo”
“Sciochezze!” esplose il lumacofono slargando la bocca in tutta la sua ampiezza “La pace è realizzabile!”
“Sbagliate, perché la pace a cui voi alludete..!” si sovrappose, battendo i palmi delle mani sul tavolo “E’ un regime dettato dalla vostra arroganza e supportato dall’ignoranza della gente a cui bendate volontariamente gli occhi!” affermò con severità mai tirata fuori “Parlate di pace ma forse dimenticate che alla sua base sta anche la verità, cosa che voi omettete, che tendete a far sparire per nascondere le vostre stesse paure o per evitare che quanto costruito fino a questo momento non si incrini ancor di più. Sono i mezzi che utilizzate, le vostre stesse parole ad essere false e le nascondete dietro a un concetto che non vedrà mai la luce”

Non era del tutto certa di quello che stava facendo ma non voleva interrompersi. Continue scariche di adrenalina la riscaldavano, esplodevano dentro di lei come tante piccole palle di cannone a contatto con la superficie nemica; voleva poter dire tante cose fino a quel momento, cose lette e memorizzate, fatti che macchiavano l’immagine che la Marina cercava di tener pulita con pubblicità e azioni strategiche puntate al fine di risollevare gli animi umani. L’organo militare e il Governo Mondiale erano coalizzati fin dal principio ma era ben risaputo che fosse quest’ultimo a impartire gli ordini e la Marina, da bravo braccio ubbidiente, doveva eseguire. Si parlava di decisioni che solo i fermi di cuore potevano impartire, persone la cui coscienza era volta troppo in avanti per soffermarsi su un futuro diverso da quello pensato in continuazione, ordini che non ammettevano repliche o discussioni che fossero. Tutto in nome della giustizia, una giustizia che doveva degnamente rappresentare un bene che ormai lei aveva rinunciato a conoscere...
Ma perché la gente diceva che una cosa era bene e l’altra male?
Quante volte quella domanda le aveva fatto abbassare il capo dubbiosa come ora? Agli occhi comuni pareva essere così semplice: la Marina, il Governo Mondiale e la pirateria esistevano appositamente perché questi nomi avessero forma. Da uno nasceva l’altro, indipendentemente dall’ordine. La gente vedeva nel bene tutto quello che c’era di positivo al mondo ed egual ragionamento lo faceva con il male ma allora veniva da domandarsi..se il Governo Mondiale era il bene, perché per diverse persone, lei compresa, le sue azioni rappresentavano quello che lei era ai loro occhi?

L’elementarità di quel quesito era capace di mettere in difficoltà anche l’adulto più sapiente ma a Sayuri era sufficiente guardare il mondo, il suo mondo, in tutte le angolazioni, le gioie i dolori e i sacrifici per capire che lei non stava da nessuna parte in particolare se non dalla propria. Non c’erano dei simboli a cui quei due concetti nati insieme ma contrastanti potessero rifarsi, ognuno vedeva il mondo in una maniera e tale maniera era unica nel suo genere, non poteva essere uguale a quella di un altro. Simile si ma identica no.

“Io so perfettamente quale sia il mio ruolo..” riprese annuendo ad occhi chiusi “E so altrettanto bene quale sia il vostro ma la differenza fra di noi, è che io ritengo che la pace non esiste per come la vorremmo. Ci sono solo dei momenti...” mormorò ricordando con certo sollievo l’autore di quelle parole “Piccoli momenti che vanno vissuti pienamente, come se ogni secondo fosse l’ultimo. Forse uno di questi durerà più a lungo rispetto ai altri ma inevitabilmente finirà e nuove vicissitudini si faranno avanti ed è proprio grazie a queste nuove ondate che la gente può continuare a sperare, perché l’essere imperfetti ci permette di avere dei sogni nostri e sognare ci rende liberi e vivi”

Era il solo dono che nessuna legge, uomo o calamità potesse negare. La sola motivazione che poteva tirar su dalla polvere un viso piangente, il desiderio che non aveva limiti o forme per essere rubato. Potevano anche non dirlo a voce, ometterlo, tergiversare nelle maniere più impensabili che esistessero ma Sayuri era sicura che i cinque astri della saggezza avessero più paura dei sogni che dei uomini che volevano realizzarli. Per questo volevano distruggerli, esattamente come stavano facendo con il suo, attentando ai suoi tesori, portandole via Ace.....

“Sogni, eh? Dovevamo immaginarcelo che appartenessi a quella schiera” sbuffò arrogantemente il secondo astro “Dei poveri sciocchi che si divertono a scorrazzare per i mari e a prendere in giro la giustizia”
“Non c’è nessuna giustizia da offendere, solo dei vecchi precetti inadatti a reggere quest’era e se devo dire tutta la mia sincera opinione, voi non siete altro che dei ignobili...!!”
“Fuoco”

BANG!!!

Il fruscio passeggero di quelle tende blu si era trasformato in un movimento secco e veloce. La stoffa era stata tirata ai lati e diverse canne di fucile color cenere erano spuntate dal nulla. Una di queste era fumante, segno che aveva appena sparato; il colpo era partito in direzione della ragazza ma l’aveva colpita soltanto di striscio per la mira presa con troppa rapidità e noncuranza.

“Ahi!” Sayuri gemette e strinse con la mano la parte del braccio sfiorato, bruciante e lievemente sfregata. Il mantello l’aveva protetta a sufficienza.
“Sengoku!!” ruggì Jimbe affiancando la ragazza.
“Questo è il primo e ultimo avvertimento che vi do” li avvisò austero il grande ammiraglio alzandosi in piedi “Arrendetevi!”

Da oltre le tende fuoriuscirono una ventina di marine tutti ben armati che lì circondarono immediatamente, caricando in sincronia le loro armi mentre gli avversarsi facevano altrettanto: il Cavaliere del Mare scaldò il propri pugni palmati e Bianco Giglio fece fuoriuscire le sue braccia da sotto il mantello, armate di sai.
Guardie come quelle erano cosa da poco conto ma il vero problema stava davanti a loro e da come esso li stava sqaudrando, deciso a non lasciarli andare via, capirono di essere veramente nei guai. Il Misericordioso era perfettamente immobile, calmo fisicamente ma pronto a scattare con la mente. Non occorse che Akainu, Garp o gli altri presenti dessero il loro contributo personale per sedare quei due pirati perché era illogico pensare che quel particolare momento non rientrasse a far parte di una sua strategia elaborata anticipatamente e avente come base tutte le possibili reazioni che sarebbero potute emergere da quell’incontro.

“Puntate!” ordinò il capo delle guardie.

I subordinati obbedirono ma ancor prima che potessero toccare il grilletto, la metà di loro venne brutalmente sbalzata via da un poderoso destro da parte dello squalo balena. Gli uomini colpiti volarono in ogni direzione, aprendo così un varco verso l’unica uscita disponibile.

“Sayuri, scappa, li fermo io!!”
“Ma non la posso lasciare da solo!” obbiettò lei.
“VAI!” tuonò sbattendo i marine rimanenti.

La oscurò con la sua mole massiccia per permetterle di guadagnare altro tempo. Non c’era il tempo di pensare, la ragazza doveva prendere una decisione in fretta ma l’unica cosa che voleva era rimanere col membro della flotta dei sette; nutriva fiducia nelle sue abilità combattive ma era insperabile che potesse farcela da solo. Il solo sentire la voce del Cane Rosso farsi più crudele, accompagnata dal rumore strisciante che le gambe della sua poltrona produssero, la allarmò doppiamente. Afferrò con forza la manica della veste del flottaro ma nuovamente questo rifiutò ogni altra possibilità che andasse al dì fuori di quella prestabilita.

“Ti ho detto di andartene, Sayuri, scappa!!”

Per tutta risposta lei tentò di replicare ma un’altra occhiata da parte di Jimbe la fece tacere. A malincuore, ruotò su stessa e raggiunse la porta per poi spalancarla e gettarsi in una corsa sfrenata lungo tutto il corridoio. Appena le ante furono aperte si piegò in avanti per iniziare a correre ma ancor prima che potesse anche solo mettere un piede fuori da quella sala, accadde qualcosa.
Per quei pochi secondi antecedenti al suo svenimento, tutto quello che vide fu uno strano fascio di luce giallo venirle addosso e colpirla ancor prima che lei si rendesse conto di che cosa stava succedendo. Il dolore le esplose nel corpo come una bomba, fu rapido e devastante: ebbe la sensazione di essere stata trapassata da parte a parte da qualcosa di leggero ma con un’affilatezza tale da non poter appartenere a una comune spada. Quel misterioso lampo le colpì il petto e la attraversò interamente, sbalzandola all’indietro e facendola cadere malamente sul pavimento come una bambola senza fili, priva di sensi e con le armi lontane.

“Sayuri!!” lo squalo balena si immobilizzò nel vedere la ragazza a terra. Non l’aveva neppure sentita gridare.
“Ohi, ohi..forse lo colpita troppo forte”

Con il bel completo giallo a righe e il mantello bianco comodamente appoggiato sopra le sue spalle, l’ammiraglio Kizaru fece capolino nella sala sistemandosi con cura gli occhiali da sole.
“Pensavi davvero che non ci fossimo organizzati, Jimbe?” gli domandò Akainu a poco meno di un metro di distanza.
“Voi...” ringhiò aguzzando le zanne sporgenti.
“E’ evidente che sei troppo agitato” constatò il grande ammiraglio facendo il giro del tavolo, facendo scricchiolare le nocche delle sue mani “Sarebbe meglio che ti prendessi un po’ di tempo per calmarti”

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Capitolo 56
*** Aiuto inaspettato. ***


Buonasera,rieccoci al nostro appuntamento settimanale!dunque,abbiamo lasciato Sayuri alle prese coi marine ma non è andata esattamente come sperava,anzi è stato un fiasco colossale.Che le sarà successo?qui lo scoprirete e insieme,verrete a conoscenza di un’ultima cosa appartenente al passato di Sayuri.Un ultimo avviso:per le vacanze di natale interromperò e probabilmente riprenderò dopo capodanno,sempre sperando che gennaio non mi porti via troppo tempo coi esami;vi avvertirò,non preoccupatevi e sempre da parte mia cercherò di fare il possibile per aggiornare con regolarità.

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maya90:ma ciao cara!!!!!!il vedere le tue recensioni mi rende felicissima!allora,che ti posso dire,Marineford farebbe un po’ paura a chiunque e certa gente dentro lo confermerebbe.Si,stranamente Akainu ha carisma ma forse perché è uno dei punti forti della marina,ciò nonostante è crudele,si si.Sayuri ha tirato fuori il caratterino ma non è andata egregiamente(puccia!!!!!la mamma viene salvarti!) e per quanto riguarda la tua richiesta…sai che proprio non è ho idea?il conto mi è sfuggito ma chissà,forse ai settanti cinque-ottanta riesco a fermarmi(non finirò mai…).Però non si va a Marineford.La saga sarà quella di Impel Down,ritoccata personalmente.

angela90:tesoro ma ciao!visto?il grande Garp si contraddistingue sempre dalla massa,sempre!e Aokiji bello sbragato sul divano ronfa e ogni tanto sbircia da sotto la mascherina per vedere se la situazione degenera o meno.Sengoku è un tipo ne giusto ne sbagliato:penso che dei pochi giusti rientri anche lui,tuttavia la salda fede alla giustizia a volte lo mette sotto una luce non cattivissima come qualcun altro ma odiabile diciamo.Certo,il trovarsi una pirata davanti,a Marineford è un attimo sconcertato visto che tutta la marina è lì.Il tentativo della mia duccia ha fatto acqua  ma ora….sta a vedere!

giulio91:olà!Yu-chan vedo che ti è piaciuta,peccato che non sia riuscita a finire la frase.I cinque innominabili mi stanno sull’anima anche se non proprio come il lavoso e il mangia crostate a tradimento ma anche qui si sono fatti odiare(maledetti,vi faccio secchi entrambi!).Ti sei incuriosito sul perché Garp veda in Sayuri qualcosa di familiare,eh?ora vedrai…

Chibi Hunter:ciao amora!dai,non mettere il broncio per aver troncato così di netto:per cause di forza maggiore,dovevo pur tenere alta la suspance.A parte Garp che prende la cosa sul ridere il resto è un disastro completo che dovrebbe finire nella pattumiera.Si,le cinque mummie imbalsamate ficcano il loro naso ovunque e non si fanno mai i cavoli loro.Continuo a pregare in una loro morte,e che accidenti non sono più giovani,c’avranno 80 anni suonati!!.Persone come loro sono volubili nell’orgoglio,vai a toccargli le cose e vedi come scattano in piedi.Chiunque altro lo sa ma non dice nullanon disperarti per la mia piccina,sta bene è in mani sicure!

happylight:carissima!la mia Yu-chan è scesa nell’arena dei leoni.Su Shiki non faccio commenti perché come tu hai già fatto notare,si è fatto un viaggetto a Impel Down di sola andata.Le ciambelle di Garp le vorrei provare pure io,ne ho viste di diverse ma non le ho mai assaggiate,però scommetto che devono essere buonissime!se me ne procuro qualcuna te le mando,cosi mi dici!avrei voluto mettere una platea piena di spettatori  per il discorso di Yu-chan,una mega folla..peccato invece che i presenti non fossero molto bendisposti e che già avesse pianificato come far finire il discorso.Ho voluto mostrare questo loro lato freddo perché penso che essendo loro il nemico dei pirati da cui noi siamo schierati,meritino di essere delineati su questo profilo e poi,possiamo anche dirlo,qualcuno non è essenzialmente un santo e sappiamo bene chi…e tutte puntarono il dito sul cane rosso.Si,la pace penso che bene o male sia qualcosa che nel profondo si desidera per poter avere anche dei momenti tranquilla ma mi risulta impossibile ottenerla con tutto questo caos.Anche il governo alla fine vincesse alla fine ci sarebbe sempre qualcuno che si opporrebbe e si ricomincerebbe un nuovo ciclo.Di pure che sono crudele e un pochino me lo merito per interrompere nel momento clu ma considera questo capitolo come il mio perdono,qui sono sicura che troverai qualcosa di interessante.

tre88:ciao!!vedo con piacere che Garp è piaciuto a tutti,lui con le sue ciambelle e la risata che fa snervare l’ammiraglio Sengoku.Il fatto che non ingrassi penso lo si possa attribuire al fatto che si tiene sempre in forma tra una scorribanda e l’altra.Sayuri nel discorso ricorda le parole che Ace le ha detto a Wintry Realm quando dice di voler fare l’egoista ma nessuno la vuole stare a sentire fino in fondo:i cinque astri odioso non sopportano di venire rimproverati da una ragazza e che per di più dice cose azzeccate,sai come sono fatti i tipi destramente orgogliosi(passa Ace perché lui l’adoro).Sengoku è ligio alla giustizia,Kizaru è strano non sono mai riuscita bene a inquadrarlo e Akainu……”brandisce l’ascia di guerra”.Su lui non spreco fiato e non lo spreco tantomeno per l’altro odioso mangia crostate traditore e assassino..

Killy:ciao cara!Garp e Sengoku inscenano il loro teatrino per rendere comica la situazione.Yu-chan si fa valere ma purtroppo non sortisce l’effetto sperato e finisce per essere colpita dall’ammiraglio fatta di luce.Correggere qui e là il discorso è stato un po’ difficile ma sono contenta che sia piaciuto a tutti.Le tue molte domande sulla sorte di Sayuri mi onorano:chissà cosa sarebbe successo se a Impel Down ci fosse finita lei e fosse sempre stata lei a essere mandata al patibolo.Una guerra per una fanciulla..cacchio doveva venirmi prima in mente ma pazienza,continuiamo su questa lunghezza d’onda!spero che questo capitolo ti piaccia.
 




Nell’avvertire il proprio corpo venire colpito e trapassato da quella strana luce che nemmeno aveva avuto il tempo di evitare, Sayuri si era sentita sollevare da terra e subito il soffitto bianco che aveva potuto mirare per pochissimi attimi era divenuto nero insieme alla sala, ai marine e a tutto ciò che al momento dell’impatto la circondava; ogni senso e percezione si era dissolto come la sua coscienza e il suo corpo, entrambi annullati da una forza sconosciuta. Era logico che dopo quell’attacco improvviso, non avesse udito le urla disgustate di Jimbe, così come non aveva udito i suoi pugni, la voce adirata di Sengoku e di come il piccolo caos creatosi fosse stato sedato senza l’intervento di un intero battaglione.
Non c’era stato modo di pensare o di agire: tutto si era svolto così rapidamente che neppure lei se ne era capacitata. Aveva la sensazione di levitare nel vuoto, di aspettare qualcosa che la facesse uscire da quel posto - se tale poteva definirsi - , dove ogni secondo si disperdeva dietro l’altro esattamente come le domande che a fatica era riuscita a formulare. Dove l’avevano portata? Che cos’era capitato al sommo Jimbe? Come il tempo, anch’esse erano ignote. C’erano stati dei brevi momenti, pezzi di sè in cui era sveglia o almeno così le pareva, solo che questi erano così corti che nemmeno poteva dargli una forma. La sola certezza che la convinceva che questi fossero esistiti gliela forniva il proprio corpo, che ora le sembrava di non avere, tuttavia, il dolore su di esso era abbastanza vivo da farle tenere bene a mente di averlo.

Rimembrò voci astratte e sbrigative, il freddo che la pelle del suo viso aveva provato nel venire premuto a terra forzatamente, il sapore metallico del sangue che ancora le impregnava la bocca e perfino la fetida umidità che le si era attaccata addosso senza chiedere il permesso. Con ogni probabilità tutte quelle sensazioni si ricollegavano a uno o più interrogatori impostile per spingerla a confessare il piano d’attacco di Barbabianca o più semplicemente, un qualche straccio di informazione che poteva giocare a vantaggio dei militari. Forse era andata realmente così ma rimaneva comunque difficile poterlo dire perché lì, in quella dimensione silenziosa e incredibilmente estesa, lei continuava a fluttuare come un palloncino in alto nel cielo, cullato da correnti a volte dolci e a volte burrascose: qualunque fosse la sua meta aveva poca importanza dato che la sua stessa curiosità per ciò era spessa quanto un filo d’erba.
Ma improvvisamente, qualcosa cambiò: le parve di galleggiare ancora ma verso il basso stavolta. Man mano che scendeva, riacquistava la sensibilità persa, tornando a vivere e a far uso dei cinque sensi. Quando poi finalmente riuscì a dischiudere le palpebre, capì di essere ancora viva.

Si trovava in una stanza, tenuta in penombra dalle persiane tirate che lasciavano filtrare solo fini raggi solari arancioni piuttosto deboli ma sufficienti a mostrare il resto dell’ambiente ordinato. Con lo sguardo rivolto verso il basso, la ragazza notò il tatami color prato tappezzare tutto il pavimento, dando così all’abitacolo un tipico tocco orientale. Con un piccolo sforzo, spostò la testa e subito le saltarono all’occhio una grande libreria e un armadio di pregevole fattura posti alla parete che le stava di fronte. La scrivania che distava a malapena un metro da lei era grande e spaziosa; su di essa spiccava una lampada ad olio spenta, affiancata da un pila ordinata di fogli e un insolito copricapo a forma di testa di cane, almeno così le sembrava dalla forma. Doveva ancora abituarsi alla semioscurità del posto. Nell’osservare con occhi ancora assonnati quel luogo dalle dimensioni modeste, la mente di Bianco Giglio, ora un po’ più sveglia, giunse alla sola e possibile conclusione esistente: si trovava nell’ufficio personale di un’ufficiale della Marina, probabilmente con un grado piuttosto elevato.

Non devo perdere la calma. Si disse.

Espirò profondamente e celò sotto le palpebre le iridi color cioccolato. Nel schiuderle, notò un dettaglio della scrivania che prima le era sfuggito: vicino alla pila di fogli, proprio al bordo del mobilio, vi erano i suoi sai e ai suoi piedi, il resto della sua roba. Non seppe dire se fosse una fortuna o una stranezza che le sue armi si trovassero a così breve distanza da lei ma di certo non volle sprecare l’occasione capitatale: tentò di muovere sia le braccia che le gambe ancora intorpidite ma a malapena riuscì a svegliare i suoi muscoli. Qualcosa la bloccava e non era solamente la stanchezza; fu nel concentrare la sua attenzione su i suoi arti che vide i propri polsi imprigionati da un paio di manette e nell’ avvertire il freddo avvolgerle anche le caviglie, non le occorse molto per comprendere che anche lì era stata legata.

Ma di che cosa mi stupisco?  Si chiese abbandonando la testa di lato Sono una pirata.

Quasi se ne era dimenticata. Era una fuorilegge e in quella stanza, legata da capo a collo,era una prigioniera. Una prigioniera a cui tuttavia erano state medicate le ferite e per di più deposta su una comoda poltrona rossa dall’alto schienale che la nascondeva interamente. Percepiva solo ora le fasciature bendarle le parti del corpo ferite. Che cosa significava?

“Ti sei svegliata”

Ampi passi avevano accompagnato una voce poderosa emersa dal nulla; solo quando l’ufficiale le passò di fianco per prendere la sedia dietro la scrivania e infine sedersi di fronte a lei che lo vide. Benché la barba corta e i capelli grigi lo facessero apparire anziano, la corporatura muscolosa e ben allenata lasciavano intendere che l’età non aveva intaccato la sua forza fisica. D’altro canto, il vice ammiraglio Monkey D.Garp, chiamato anche “il Pugno” o “l’Eroe” era un marine fuori dal comune e in qualche modo doveva pur tenere alta la reputazione ottenuta grazie ai anni trascorsi a dare la caccia a masdanieri come l’ormai defunto Re dei Pirati.

“Sai chi sono?” le domandò poggiando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le dita cosicchè da poterci appoggiare il mento.
“Si, il vice ammiraglio Garp” rispose meccanicamente per poi aggiungere “Lei è il nonno adottivo di Ace”

Il Pugno alzò le sopraciglia sorpreso, sgranando gli occhi ma senza aprir bocca. Nel guardare quella ragazza, lesse nei suoi occhi un messaggio che gli stava praticamente risparmiando tempo prezioso e molte domande che in un contesto appena un po’ diverso da quello, sicuramente le avrebbe posto.

So ogni cosa. Gli stava dicendo col pensiero.

La prima ipotesi che Sayuri aveva formulato per spiegare la sua presenza in quella stanza era riguardante le informazioni che poteva elargire su Barbabianca ma piuttosto che parlare - se mai avesse avuto qualcosa da dire - era disposta a sopportare ogni forma di tortura in silenzio. Nessun dolore fisico avrebbe mai potuto eguagliare o addirittura superare quello che le stava letteralmente massacrando l’anima. Non aveva paura di quel che le sarebbe successo ma in quel volto tirato e solcato dalle rughe che poi era quello di Garp, non si nascondeva l’intenzione appena pensata. Leggeva solamente un forte desiderio di parlare.

“Per essere così giovane hai mostrato un maturità che solo alla mia età si riesce ad ottenere, nemmeno con tanta esperienza alle spalle. Devo dirtelo, le hai davvero cantate a quei cinque, ah ah!!!” scoppiò in un’ampia risata che lasciò perplessa la giovane.

Incredibile ma vero, si stava complimentando con lei.

“Hai avuto fegato a venire di persona a Marineford per patteggiare con le alte sfere ma avresti dovuto saperlo fin dall’inizio che ne il tuo sforzo, ne le tue parole sarebbero state prese in considerazione” continuò riassumendo un tono più serio e calmo.
“Era un mio diritto provare a rimediare a una mia colpa signore”
“Offrire la tua vita in cambio di quella di mio nipote è il tuo modo di rimediare?”
“Proprio perché è la mia vita posso scegliere che cosa farne e come utilizzarla” mormorò Sayuri con un sorriso stanco e gli occhi nascosti dalla frangia “Mi appartiene e se devo esporre tutte le ragioni vice ammiraglio Garp, non avrò alcun rimpianto a sacrificarmi se questo servirà a salvare la vita di chi mi sta a cuore”

Non aveva mai parlato di proporre uno scambio ma era evidente che pur di salvare la vita a Pugno di fuoco,era disposta anche a prendere decisioni estreme. Rispondere che la vita del ragazzo di cui era follemente innamorata valeva più di qualunque altro tesoro per lei, poteva essere scontato per chi ben conosceva quel suo sentimento ma di certo a orecchie estranee sarebbe stato diverso. Forse, anzi no, sotto ogni probabilità per la Marina, Ace non era che l’esca perfetta per attirare un pesce ancor più grosso e sicuramente la guerra che si sarebbe venuta a creare avrebbe contribuito alla creazione di un nuovo periodo ancor più pericoloso in quell’era piratesca ma la molla che avrebbe fatto scattare questo meccanismo, avrebbe portato con sé anche qualcos’altro di ben più orribile e inarrestabile. Se solo non fosse stata legata, se solo quelle persone l’avessero ascoltata con la dovuta attenzione anziché attaccarla per difendere il loro ruolo nel mondo, avrebbe potuto far capire che tutte le vicende che avrebbero contribuito alla venuta di questa nuova ondata, non sarebbero state altro che semplice, insulse e minuscole pedine di un piano ancora più grande e non appartenente a loro.

Ma che cosa sto pensando? Loro mi hanno ascoltata.. Pensò sorridendo con rammarico.

Era vero. L’avevano ascoltata e anche fino in fondo ma davanti alla giustizia, l’amore era vano, inutile, molto facile a essere ignorato e distrutto perché reputato fatto con la stessa materia dei sogni.

“Dimmi, ti ha mandato Barbabianca?” le domandò poi l’uomo per avere conferma di quel che aveva detto la volta scorsa.
“No”
“Uhm..” Garp si raddrizzò e appoggiò la schiena alla sedia, incrociando braccia e gambe “Dal tuo tono immagino che tu non voglia parlare molto” dedusse.
“Vice ammiraglio, glielo ripeto: sono venuta qui per cercare di rimediare ad un mio errore. Non ho null’altro da aggiungere e anche se avessi delle informazioni riguardanti mio padre, di certo non le direi a un marine”

Il Pugno annuì abbassando per qualche secondo gli occhi. Da come aveva parlato in precedenza davanti a Sengoku e agli altri, era fin troppo evidente che quella giovane fosse venuta al Quartier Generale di propria iniziativa. Il vecchio Newgate non si sarebbe mai azzardato a mandare così in avanscoperta uno dei suoi figli e da come lei aveva più volte risposto alla stessa domanda, non c’era ombra di dubbio che qualunque fosse la ragione fondante del suo gesto, doveva essere veramente valida per farla agire senza il consenso del capitano. Ce ne voleva per fronteggiare a parole delle persone come i cinque astri della saggezza e mandarli al diavolo dandogli degli ignobili. Era rimasto impressionato da tanta determinazione ma lo era stato ancor di più nel vedere le sue armi: nel toccarle, nell’osservarle aveva avuto l’impressione di rivivere scene passate, seppellite sotto una mole inqualificabile di ricordi.
Seppur incredibile, aveva visto e vedeva ancora in quella pirata, una persona a cui da tempo non pensava più ma che avrebbe voluto rincontrare. Non era stato frutto della sua immaginazione, anche il solo ascoltarla aveva suscitato in lui uno strano senso di familiarità ma non l’aveva ricollegato immediatamente a quanto era emerso dopo; l’ammirare quei pugnali sai, il rigirarli più volte nelle sue mani incredule, gli aveva dato la conferma che quella ragazza che più volte aveva osservato mentre dormiva sulla sua poltrona, non era una persona qualunque. Il riprendere nuovamente quelle armi in mano,gli diede un fortissimo senso di nostalgia, senso che prolungò il suo silenzio per altri secondi prima di riprendere a parlare.

“Chi ti ha dato queste armi?” domandò poi.
“Come dice?”
“Queste armi” ripetè alzandole “Chi te le ha date?”
“Mio nonno, signore. Sono un suo ricordo” rispose lei.

Garp sorrise soddisfatto. Aveva appena ottenuto la conferma di ciò che aveva supposto.

“Posso chiedere il perché del suo interessamento?” gli domandò Sayuri.
Il vice ammiraglio alzò gli occhi verso di lei. Il non leggere alcun segno di timore nel suo viso gli fece comprendere che ella non lo temeva ne aveva paura di lui. Nessuno dei suoi colleghi era a conoscenza che la prigioniera si trovasse nella sua stanza: solamente Koby e Helmeppo ne erano al corrente ed, essendo i suoi subordinati più fedeli nonché vecchi amici dell’altro suo nipote Rufy, era sicuro al 100% che mai avrebbero aperto bocca, anche perché se così non fosse stato, li aspettava una bella attraversata a nuoto fino alla Reverse Mountain.
Posò sulla scrivania i pugnali della ragazza che,ancora confusa, attendeva una sua risposta. Benchè esteticamente fosse spossata e pallida, i suoi occhi color cioccolato non tradivano la determinazione che ancora resisteva sotto forma di piccola scintilla luminescente.

“Devi sapere che..” riprese lui “Tu mi ricordi molto un vecchio amico che non vedo da quasi più di vent’anni. Il tuo modo di parlare e le tue concezioni sono simili alle sue e quando ho visto le tue armi ne ho avuta la piena conferma. Questi pugnali sono unici al mondo, non ne esistono altri uguali.”

Dall’alto della sua calma, Sayuri era allibita: il comprendere che il vice ammiraglio Garp, detto l’Eroe, potesse aver conosciuto suo nonno la stava spiazzando. Non era certo perché esisteva quella minuscola possibilità che si trattasse di un’altra persona ma la sicurezza del vecchio stava bucando ogni incertezza. Era a conoscenza che il suo adorato nonno in passato fosse stato un marine ma non le aveva mai rivelato a quale schieramento appartenesse o il grado. Fu insolito ma nel tenere a mente il soprannome e anche il viso del vice ammiraglio Garp, diverse parole legate a ricordi riguardanti il parente cominciarono a farsi risentire; tentavano di inviarle un messaggio su uno dei racconti che il nonno le narrava quand’era piccola, un racconto con allegata una foto dai bordi ingialliti che ancora non rammentava piuttosto bene...

“Bianco Giglio” riprese il vice ammiraglio piegandosi nuovamente in avanti “Come si chiama tuo nonno?”

No, non poteva essere un errore. Man mano che la foto, tenuta stretta mentalmente, si riempiva di colori e forme, quello specifico ricordo si apprestava a sbocciare con maggior velocità. Quando poi quel piccolo quadrato di carta colorato assunse la totale completezza, il respiro quasi le venne a meno.

“Aron” boccheggiò sgranando gli occhi “E lei è..l’eroico testone che rifiutava continuamente la promozione”

Stavolta fu Garp ad allargare lo sguardo, tanto che uno dei sai rischiò di cadergli dalle mani; quella di lei non era stata una domanda ma bensì un’affermazione. Ci fu un attimo di silenzio, seguito poi dall’incredula risata dell’uomo che in sincronia cominciò a battere il palmo della propria mano sul ginocchio.

“Ah ah ah!! Incredibile, è da un vita che non me lo sentivo dire!! Ah ah ah ah!!!” esclamò con le lacrime ai occhi “Dimmi, come se la passa quella volpe?!”

L’improvviso scoppio di felicità si bloccò quando questo andò a scontrarsi con il triste rabbuio comparso sul volto della ragazza, leggermente chino in avanti e con la visuale oculare nuovamente nascosta.

“Capisco..” mormorò laconico lui calmandosi “D’altronde, tutti prima o poi arrivano al capolinea. Era il più anziano di noi, perfino di Barbabianca: spero solo che abbia trascorso un pensionamento felice. Nonostante fosse un buon uomo non è mai riuscito a mettere su famiglia, senza contare che da quanto ne so, non ha mai tenuto i contatti con i parenti”
“Le posso assicurare che se ne è andato col sorriso sulle labbra” mormorò la giovane sempre col viso parzialmente coperto dai capelli.

Il suo nonno..
Le mancava così tanto..
Era stato l’unico a non essere indifferente, a non provare rabbia per quel qualcosa di cui in realtà non aveva colpa. Un bambino per quanto piccolo impara piuttosto alla svelta a comprendere il perché la gente lo tratta in una maniera precisa se gli si svela la ragione e benché lei a grandi linee avesse capito che cosa rappresentasse per quel villaggio, non era mai stata capace di far suoi tali sentimenti. Questi le scivolavano addosso con irruenza, la colpivano come tanti sassi e lei non poteva respingerli perché debole o rispondere ai torti. Era solo una bambina che non sapeva dove andare o il motivo della sua esistenza in quel mondo ma lui l’aveva raccolta senza esitazione e se ne era preso cura fino alla fine. Il legame che lo univa alla Marina non le era mai stato chiaro del tutto perché non aveva mai osato chiedergli i particolari della sua vita ma il semplice fatto che il vice ammiraglio Garp l’avesse conosciuto di persona, le fece brillare gli occhi per lo stupore. Non aveva idea che il tanto adorato tutore fosse stato un ammiraglio abbastanza valente da essere ad un passo dalla carica di grande ammiraglio. Il Pugno glielo svelò senza troppi preamboli, insieme ad altre piccole notizie che le permise di costruire una cornice sufficientemente grande per contenere il dipinto che poi non era altresì che suo nonno, di cui ora sapeva qualcosa di più.

“Bene, direi che queste posso anche togliertele” affermò frugando nella tasca interna dei pantaloni per poi estrarne una piccola chiave metallica.
Sayuri lo guardò ancor più sconcertata “Vuole davvero togliermi le catene?”
“Non vedo motivi per cui tu debba tenerle e inoltre abbiamo poco tempo. Ciambella?” e le porse una scatola rosa aperta piena di zuccherose e colorate delizie tonde.
“Ah..ecco io..” non trovava le parole mentre percepiva mani e polsi più leggeri.
“Ti suggerisco di provare quelle alla crema” continuò spingendo più in avanti la scatola.
“La..ringrazio” e timidamente prese il dolce suggerito.

Se doveva essere sincera un po’ d’appetito lo aveva. Quando poi si rese conto di aver una grande sete, il vice ammiraglio Garp le porse una tazza fumante di tè bollente e lì pensò seriamente che le avesse letto nel pensiero.

“Ti stai chiedendo il perché di questo trattamento, vero?” le domandò poi lui con la tazza a pochi centimetri dalla bocca.

Sayuri annuì.
Il Pugno sorseggiò la bevanda lentamente per poi sospirare pesantemente.

“E’ giusto ma prima rispondi a una mia domanda” poggiò temporaneamente la tazzina sul tavolo, vicino alla teiera bianca “In che rapporti sei con mio nipote?”

Quella era sicuramente una domanda che nessun altro marine le avrebbe posto. Automaticamente si irrigidì e spostò in basso a destra i suoi bei occhi marroni, corrucciando le piccole labbra. In che rapporti era con Ace? Fra le miriadi di emozioni e sensazioni provate,aveva solamente un modo conciso per poterle unite tutte cosicchè nessuna di loro perdesse il proprio significato. In quel mastodontico edificio, il suo cuore non aveva voce in capitolo su quanto si apprestava a verificarsi e il fatto che avesse taciuto sui suoi sentimenti era unicamente per proteggerli, per evitare che quelle “alte sfere” non li prendessero in giro sino a distruggerli. Erano troppo preziosi per lei e non avrebbe mai permesso a nessuno di toccarli con cattive intenzioni, ma se quell’uomo ci teneva tanto a sapere che cosa provasse per Pugno di Fuoco, non se ne sarebbe stata zitta.
Non voleva esitare o mentire: il chiudere per l’ennesima volta gli occhi, l’aiuto a raccogliere quanto ancora si celava in quella parte della sua vita dove la felicità aveva toccato un apice tanto alto da infrangerlo, cercandone ancora uno più soddisfacente. Ace era il solo in grado di farla tentennare, per il resto lei se la cavava egregiamente ma quando lui entrava in gioco e la guardava con quelle iridi nere profonde, pareva disarmarla con un lentezza pienamente assicurativa, dolce, unicamente per lei. Si perdeva e non ci provava nemmeno a resistere perché era conscia che il moro non l’avrebbe abbandonata; non l’aveva mai fatto e ora era lei che non voleva lasciarlo solo in chissà quale posto buio e chiuso. Inondata dalla spinta che quell’agglomerato di sensazioni raccolte da ogni parte del suo animo non ancora disintegrato, scoprì lo sguardo, raddrizzando la testa davanti al vice ammiraglio.

“Lo amo” affermò stringendo i pugni.

Il pronunciare quelle due semplici paroline o il pensare a che cosa fossero capaci di suscitare a livello fisico tali sentimenti, l’aveva sempre fatta arrossire. Anche ora era sicura che le sue guance stessero rafforzando quell’affermazione ma dal profondo di sé, non avrebbe fatto nulla per mascherare quanto sentiva.
Era una vera e propria fortuna che Garp avesse appoggiato sul tavolo la tazzina da tè e che avesse fatto altrettanto con quella che la ragazza gli aveva restituito perché c’era mancato pochissimo che le braccia gli cadessero per terra insieme alla mascella. L’evitare quella reazione lo salvò dall’alzarsi in piedi come una furia e sbraitare animatamente ma ci riuscì solamente perché nel guardare diritto nei occhi quella giovane che sedeva sulla sua poltrona, lesse una sincerità pronta a qualunque sacrificio pur di dimostrare che quanto detto non era una menzogna.

Sei proprio disperata, ragazza mia.

Da tempo non vedeva uno sguardo di quello stampo ma non dovette stupirsi più di tanto visto che quella giovane era la nipote di un uomo capace di far inabissare interi galeoni con il solo uso dell’haki. Ancora gli sembrava così assurdo e benché lei non glielo avesse detto, era certo che tra il vecchio amico e quella giovane non ci fossero dei legami di sangue. Motivi duri e veritieri glielo stavano confermando ma al di là di quanto un legame di sangue potesse confermare, Garp non aveva dubbi sul fatto che ella avesse ripreso molto da Aron; ne sapeva poco e la stragrande di quel suo sapere ridotto lo aveva appreso dai rapporti stilati e finiti nelle sue mani.
C’era molto che voleva domandarle e solo Dio sapeva quanto desiderava avere un po’ più di tempo ma come lui stesso si era detto più volte,non ce ne era. Il tramonto stava consumando il suo spazio giornaliero molto in fretta e lui non poteva lasciarsi andare su deliri incontrollabili riguardanti il fatto che quello scellerato del nipote non soltanto stava per essere giustiziato ma che per giunta, avesse fatto perdere la testa alla nipote di Aron, un uomo che praticamente poteva distruggere una nave col solo sguardo!

Non a caso, oltre all’essere conosciuto come “il Buono”, il suo secondo soprannome era “il Soppressore” e lui aveva più volte testato la potenza dell’ambizione del superiore. Per non parlare dei cazzotti...

Ti ammazzerei con le mie stesse mani se non fossi già agli arresti Ace!!  

Per la rabbia i denti gli divennero esattamente come quelli di uno squalo.
Avrebbe dovuto comprendere fin dal principio che quella testa calda non avrebbe seguito la strada su cui lui lo aveva indirizzato insieme a Rufy e ancora si malediva per l’essere stato dall’altro capo del mondo anziché a dieci metri dalla costa di Foosha per evitare che quello se ne andasse per i cavoli suoi. La tragedia poi si era raddoppiata quando quell’altra scimmietta di gomma - quale suo nipote più piccolo - era a sua volta partito con l’intenzione di diventare il Re dei Pirati. Quanta ingratitudine, aveva pensato più e più volte quando si era trovato col naso incollato ai manifesti dei ricercati, dove per l’appunto spiccavano in prima linea quelli dei due ragazzi ma mai, mai aveva nascosto l’orgoglio che l’animava per il saperli forti esattamente come aveva sempre desiderato fin dalla loro nascita.
Santa miseria erano pur sempre i suoi nipoti e su quello non ci pioveva!

Per loro voleva il meglio, il che equivaleva a un’esistenza che tenesse all’oscuro le loro origini, in special modo quelle di Ace. A Rufy non aveva mai detto nulla su chi fosse il padre o la madre - fino a Water seven - ma Ace..per lui la situazione era molto diversa purtroppo. Ponendo delle domande aveva ricevuto a sua volta delle risposte che presto o tardi gli sarebbero arrivate comunque e quell’essere coscienzioso sulle proprie origini l’aveva reso quel che era: un bambino carico di rabbia. I suoi sfoghi al riguardo avevano fatto impazzire Dadan ma non poteva certamente andare lì e dirgli di farsene una ragione, non così brutalmente: metà di quella rabbia era data dall’incomprensione che alcune domande, sorte da quella poca conoscenza di sé, avevano fatto emergere automaticamente e soltanto crescendo avrebbe potuto rispondersi da solo. Non avrebbe avuto alcun senso dirgli quelle cose fin dal principio perché le avrebbe respinte tutte quante senza alcuna esitazione.
Garp non aveva mai fatto polemiche - non sempre - sul come Ace reagisse al sol sentire il nome del padre biologico ma quel che al momento gli saltava più all’occhio non era tanto il passato ma la sfrenata curiosità che per forza maggiore era costretto a cancellare per far posto a questioni ben più urgenti. Insomma, come diavolo faceva quella ragazza a sapere che lui era il nonno di Ace? Che glielo avesse detto Aron? No,era da escludere. A meno che non fosse stato Ace....

“Nah, è impossibile!” sbottò grattandosi la nuca “E’ decisamente impossibile!”

Figurarsi se il nipote andava a raccontare di chi era figlio senza cercare di tagliare la testa a qualcuno!

“Signor Garp?” Sayuri non riusciva a capire che cosa stesse succedendo all’uomo davanti a lei.
“Ignorami” le suggerì nel far svolazzare la sua mano a destra e a sinistra “Non è nulla di importante. Ora veniamo a noi” tornò serio.

Bianco Giglio annuì debolmente e cercò di mettersi ancor più dritta su quella poltrona dal soffice cuscino rosso.

“Ace verrà giustiziato domani alle tre del pomeriggio” disse “Ed è certo che Barbabianca verrà accompagnato da tutti i suoi alleati. Se vuoi fare qualcosa, penso tu debba agire questa notte stessa”

Non capiva. Forse non era ancora del tutto sveglia o peggio ancora le avevano dato così tante botte che ora il suo cervello non stava funzionando correttamente. Il sapere che Ace sarebbe stato giustiziato l’indomani le aveva di netto ghiacciato il sangue; era rimasta priva di sensi per più di una settimana? A stento ci credeva ma con le torture inflitte dai marine era già molto che la testa non le dolesse fino alla rottura definitiva. Le mancò l’aria, come se una grossa parte di lei le fosse stata tolta al sol sapere quella notizia. La mano che prima stava usando per massaggiarsi il polso ancora dolente venne portata alla base del collo, proprio dove l’ossigeno si era spezzato bruscamente.

“Domani..?” mormorò.
“Si, ma non devi preoccuparti. E’ già tutto pronto per la tua partenza” affermò il vice ammiraglio alzandosi dalla sedia per andare verso l’enorme armadio.
“La mia partenza?” le era difficile a seguire il filo del suo discorso.

Rimase con la bocca dischiusa quando l’uomo tornò vicino a lei e le porse una divisa bianca con tanto di mantello. Notò subito i decori in oro e rosso ma quel che più la stupì fu una parrucca bionda posta in cima ai panni. Il raccogliere quei elementi la fece arrivare laddove Garp stava puntando sin dall’inizio della loro conversazione e lì, lo stupore che le aveva annebbiato la mente divenne sconcerto totale. L’alzare la testa di scatto verso di lui e ricevere l’occhiata d’intesa che stava dando risposta affermativa a tutti i suoi dubbi, le aprì quello spiraglio inaspettato che tanto a lungo aveva cercato. A fatica riusciva a credere di essere lì, in quella realtà che fino a quel momento le era stata contraria su tutto; non c’era stata una spiaggia su cui potersi sedere senza che le avversità la assalissero. I pochi aiuti ricevuti erano svaniti insieme alle sue buone intenzioni; pregava con tutto il cuore che al sommo Jimbe non fosse successo nulla ma non era da escludere che il grande ammiraglio Sengoku lo avesse rinchiuso da qualche parte per farlo calmare a dovere. Una persona meno forte sicuramente si sarebbe lasciata sopraffare da tutta quella avversità ma lei invece aveva continuato ad andare avanti, incurante d’ogni ostacolo.

Tutto perché lei lo sentiva vivere, perché non era ancora così lontano e la bruciatura che aveva sul collo non faceva altro che darle la conferma di tutto quello che voleva sapere. Era lì, calda come la prima volta che la sua pelle era stata toccata da quel particolare fuoco, vivo e indelebile.
Le era stata ridonata la speranza, il vice ammiraglio Garp le stava offrendo il suo aiuto ma ancora non aveva compreso il piano da lui ideato e ancor più importante, la motivazione. C’era qualcos’altro al dì là della parentela con Ace, qualcosa che a quanto pareva la riguardava personalmente...

“Al molo numero quattro è ancorata un’ammiraglia con sopra una trentina dei miei uomini. Data la situazione le navi della Marina non possono in alcun modo lasciare Marineford, se non con un permesso speciale. Permesso...” e sfilò dalla tasca interna della giacca “Che deve possedere il timbro di un autorità riconosciuta dal Governo Mondiale, come il sottoscritto”

Sventolò la lettera bianca un paio di volte prima di porgerla a Sayuri. Non c’era nulla di particolare che rivelasse la destinazione di quel documento ma il semplicissimo fatto che quella lettera concedesse a chi la possedeva di lasciare il quartier generale, l’aiutò ad afferare meglio il punto dove l’uomo detto il Pugno voleva andare a parare: se mai avesse deciso di lasciarla andare non le avrebbe di certo dato quel permesso, ne tanto meno la divisa che teneva sulle ginocchia o una nave pronta alla partenza. Voleva mandarla in un posto preciso, dove convergeva un loro comune desiderio e il realizzarlo, le tolse ogni dubbio dalla mente. Non glielo aveva detto direttamente ma i segnali che l’anziano le stava dando lasciavano fin troppo intendere che era pronto anche a rischiare la propria posizione per salvare il nipote dalla pubblica esecuzione. Stringendo appena la carta fra le mani,si decise ad aprir bocca, vogliosa di colmare quelle lacune che si erano create in lei e che pretendevano di essere tappate a dovere.

“Signor Garp, mi dica perché” gli chiese alzandosi in piedi.
“Uh?”
“Sta mettendo in pericolo la sua stessa vita per aiutarmi e so con certezza che il voler salvare la vita ad Ace non è la sola ragione che la sta spingendo ad agire su questa via quindi per favore, mi dica il perché”

Non poteva sapere cosa ci fosse dietro. Lei non era al corrente di tutta  la storia di suo nonno come lo era invece Monkey D.Garp; quel poco che aveva le era sempre bastato perché mai si era permessa di indagare nel passato di quel gentile uomo che l’aveva presa con sé. Aveva sempre tenuto con cura i ricordi di lui,i momenti passati insieme, i sorrisi regalati e in tutta sincerità mai aveva creduto di scoprire qualcosa in più;per quanto quel pizzico di curiosità le stesse puntellando la coscienza, non era nulla di così forte da superare l’incisività della domanda posta all’uomo dalla massiccia corporatura, che la osservava come incerto sulle parole da utilizzare.

“Devo un favore a tuo nonno da molto tempo. Un favore che non sono mai riuscito a restituire, tutto qui” le disse infine.

Nel leggere la verità in quelle piccole iridi metalliche e serie, Sayuri tappò ogni sua emozione in gola prima che potesse divenire un insieme continuo di parole. Aveva imparato da tempo che osservare con attenzione una persona era molto più efficace che assillarla di domande sulla propria vita, pertanto trovò più che adatto un silenzio consenziente.

Grazie signor Garp.

Sorrise. Per la prima volta da tanto,riuscì a sorridere con onestà, esattamente come quand’era sulla Moby Dick prima che quel caos cominciasse. Fu strano poter esternare quel sentimento senza alcuno sforzo ma fu immensamente grata al vice ammiraglio per esserci riuscito. Da parte sua, egli aveva recepito il messaggio e l’aveva accolto benevolmente ma senza mostrarlo verbalmente.

“Non sarà facile” riprese affacciandosi verso la finestra per poi aprire di qualche centimetro le persiane per sbirciare l’esterno “Impel Down non è una prigione qualunque: il solo modo sicuro per entrarci è da prigioniero. La lettera che ti ho dato è un avviso di ispezione al prigioniero prima che venga prelevato dalla sua cella e condotto qui. Oltre a questo, il tuo principale compito sarà quello di parlare a Jimbe e di convincerlo a partecipare alla guerra come membro della flotta dei sette. Posso farti entrare ma ad uscire e a scappare dovrai pensarci unicamente tu. Se verrai scoperta non potrai più far niente”
“Lo so bene” mormorò la ragazza stringendo a sé gli abiti e la lettera “Ma se non tento è come se dichiarassi la mia resa”

Voltandosi nuovamente verso di lei, l’Eroe non potè che darle ragione. Si, non c’era che dire: assomigliava ad Aron per l’importanza che dava ai principi, alla determinazione con cui li difendeva e anche alla bontà che elargiva quando un innocente perdeva la sua casa o la sua famiglia. Su quello non ci pioveva. Difendere quello in cui si crede: quante volte l’aveva visto in azione tenendo alta quella convinzione....
La compostezza e la gentilezza poi erano prerogative sue che aveva alzato e racchiuso attorno a sé stessa per non cadere alle prime difficoltà e per guardare il mondo con più prospettive. Ignorava come l’avesse cresciuta ma non c’era ombra di dubbio che il risultato fosse a dir poco eccellente.
Con un’ultima occhiata verso l’esterno si voltò in direzione della porta,per poi fermarsi ad un passo da essa.

“Nell’angolo c’è un piccolo bagno che puoi usare per cambiarti. La nave salpa fra quaranta minuti; fino ad allora, resta qui”
 
 



Biro-biro....biro-biro!

“Tsk! Dannato lumacofono!”

Per colpa di quel rumorino assordante e ripetitivo, Don mollò un calcio alla cassapanca che stava nel mezzo del suo cammino, finendo per far scricchiolare le ossicina  delle dita dei suoi piedi.

“Ahia! Maledetto mobile del...!” e si lasciò andare a tutta una seria di imprecazioni molto vistose.

I nervi erano sul punto di esplodere, i muscoli quasi al limite della resistenza psicologica: quando lo stress si trovava oltre la soglia del limite stabilito, il fisico ne risentiva pesantemente e benché lui fosse un uomo avente una resistenza degna di nota, adesso era più che mai vicino a infrangere la linea dell’irrascibilità. I motivi? Il solo pensarli gli faceva venir voglia di calciare qualcos’altro.
Viaggiavano da molto e l’indomani sarebbero arrivati alla meta, Marineford.
Doveva stare calmo, respirare ma per la prima volta in vita sua, il self-control lo aveva letteralmente lasciato a piedi e dall’alto di quella sua tanto decantata passività, non sapeva più dove sbattere la testa per fermare che il sangue nelle bene gli bollisse ancora. Una guerra contro la Marina non era esattamente una semplice e minuscola battaglia fra due squadrette ma un conflitto vero e proprio, uno di quelli che rari, che facevano la storia, così grosso da non poter essere insabbiato come uno scandalo poco fruttuoso. E il protagonista era il suo migliore amico....

Biro-biro..biro-biro..

“Un momento, un momento! E che accidenti!”

Anche il solo fruscio delle foglie lo avrebbe imbestialito. Oramai ogni rumore o movimento che stonasse col suo amore riceveva una benedizione di bestemmie che neppure l’acqua santa sarebbe stata capace di cancellare.
A grandi passi arrivò alla sua scrivania e frugò fra fogli lasciati volutamente lì sopra fino ad estrarne il mezzo di comunicazione. Non aveva idea di chi fosse e nemmeno gli interessava perché per tutto il giorno era rimasto con quell’aggeggio in mano a ricevere e trasmettere posizioni in quanto sostituto del comandante della seconda flotta. Solo la parte più remota di lui era a conoscenza di quanto avrebbe imprecato non appena avrebbe alzato la cornetta; voleva soltanto far riposare le sue stanche membra per almeno mezz’ora, non chiedeva poi troppo. Quel breve lasso di tempo l’avrebbe aiutato a tirarsi insieme, sapeva di doversi solo sedere, chiudere gli occhi per ricaricarsi e mandare a quel paese chiunque avesse avuto il coraggio di chiamarlo dopo ore e ore passate a sentire miriadi di voci spacca timpani: difatti, si era ben coricato sulla seggiola nell’angolo poco prima che quel dannato lumacone suonasse, facendogli quasi sbattere la testa contro lo spigolo del muro.
Preso nella propria mano l’oggetto colorato, schiacciò il pulsante che apriva la comunicazione e se lo portò alla giusta distanza perché si potesse sentire quel che diceva.

“Qui Don” sbuffò senza nascondere l’irritazione “Chiunque sia, spero che...”
“Don sono io, Sayuri”

La mano con cui stava strofinando il berretto contro il cuoio capelluto si bloccò, pietrificata come la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati per l’aver udito quella voce a cui le sue orecchie non erano più abituate.

“Sayuri!” boccheggiò con voce troppo alta “Che diavolo..ma dove diamine sei?! E' da una vita che sto cercando di mettermi in contatto con te!!”

Nascose sotto l’incavolatura il proprio sollievo nel sapere la compagna ancora viva. A momenti il lumacofono rischiò di sfuggirgli dalle mani.

“Per favore Don, abbassa la voce o qualcuno mi sentirà” gli chiese in una sorta di sussurro.

Il medico-cecchino irrigidì la lingua e mise in allerta il suo sensore del sospetto nel valutare il tono utilizzato dalla ragazza: era relativamente basso, timoroso nel farsi sentire.

“Di che stai parlando? Mi spieghi dove cavolo ti trovi??”
“A Marineford”
“Che cos..!!!” a momenti rischiava di lanciare un acuto troppo alto per gli standard richiesti da Bianco Giglio.
“Non ho tempo di spiegarti tutto. Ora ti chiedo solo di ascoltarmi attentamente e di riferire quanto ti dirò al capitano”

Era agitata e questo bastò a far intendere ulteriormente al medico-cecchino che la castana si trovava in un posto molto ben sorvegliato e che nonostante la sicurezza dentro cui era avvolta, non c’era il tempo per perdersi in futili domande salutari e conciliatrici. Nonostante il sangue gli fosse schizzato fuori dalle vene, Don inspirò dal naso per poi espirare profondamente dalla bocca, espellendo il 95% della sua improvvisa agitazione e riacquistando quell’intramontabile controllo di sé che andava a farsi benedire soltanto quando mancava di fare il suo sonnellino pomeridiano.

“Se servirà a farmi capire un decimo di quello che hai in mente, allora spara” sbuffò con fare altrettanto sbrigativo.

Spalancando le orecchie al massimo, il medico-cecchino lasciò che fiumi di parole veloci e concise entrassero dentro di lui per poi venire immagazzinate dal cervello attivo da più di settantadue ore. Ciò che stava ascoltando aveva dell’assurdo, dell’inconcepibile, che nessuno avrebbe mai preso in considerazione. E dire che loro stavano per andare in guerra contro l’intera Marina!
Continuò ad ascoltare, seduto alla scrivania, seguendo passo dopo passo quanto Sayuri gli spiegava con sempre più enfasi e fretta, quasi fosse sul punto di essere scoperta. La tensione era palpabile, trasudava dalla sua voce, accompagnata da un grinta tanto onorevole quanto suicida. Non poteva essere un’altra persona perché ci aveva fatto il callo a quanto la ragazza a modo suo potesse essere testarda e irremovibile e in quel preciso momento, nell’esporre il progetto stilato con una velocità e una sinteticità che avrebbe lasciato chiunque a bocca aperta, ne ebbe un ulteriore conferma.

“Ti è tutto chiaro?” gli domandò alla fine.
“Si, e devo dire che sei ancora più pazza del nostro capitano e di Ace messi insieme” sibilò “Hai almeno una vaga idea di quello che ti aspetta a Impel Down?” proseguì senza scomporsi ma col sangue in procinto di esplodere nuovamente.
“No, per questo ci vado” gli rispose lei “Non devi preoccuparti per me, mi farò aiutare dal sommo Jimbe, so che anche lui si trova là”
“Questa si che si chiama fiducia in sé stessi” ironizzò movendo la testa a destra e a sinistra.

Da un po’ non gli riusciva essere sé stesso e forse ciò era dovuto al pesante vuoto che si era creato a causa dell’assenza di Sayuri e Ace ma nel profondo della sua coscienziosità, Don sapeva che quello strano fastidio,che nemmeno i rimedi da lui creati erano riusciti a far sparire, era dovuto a una sua impotenza nei confronti di quelle due persone con cui aveva condiviso momenti molto importanti. Aveva deciso di spalleggiare la ragazza anche se non era del tutto convinto che il suo modo d’agire fosse sensato, di tener d’occhio Ace affinchè non facesse i cavoli suoi ma aveva fallito perché incapace di trovare una più che giusta motivazione che potesse fermare la disperazione di quella testa calda.
Non era stato in grado ad avvertirla, nemmeno i suoi cento e passa tentativi per far rinsavire Ace erano stati sufficienti e dopo un periodo di silenzio..la notizia era arrivata. A grandi caratteri, sfacciata, su tutti i fogli di carta reperibili al mondo. Shanks il Rosso ci aveva preso, altrochè se ci aveva preso! Quel singolo scontro con Teach gli aveva aperto gli occhi su un futuro inquietante, dai risvolti terrificanti, un che di così grande da avere le stessa potenza devastante dell’inizio della pirateria. Ora era troppo tardi per pensare al passato, troppo tardi per scuse, spiegazioni o qualunque altra forma verbale esistente al mondo: poteva dirle che era stata una scellerata ad andare di persona al Quartier Generale della Marina e che lo era ancor di più per quello che si stava accingendo a fare ma con che razza di coraggio le avrebbe urlato tutte quelle cose senza neppure tener conto di quella sua mancanza di responsabilità?
Il non essere riuscito ad avvisare Sayuri per questioni tecniche l’aveva portato a rimanere sveglio per intere notti,diviso in più parti a lui incomprensibili: era facile da capire, entrambi cercavano di salvare la vita dell’altro a discapito della loro,dando prova di essere ambedue degli sconsiderati a sua detta. Due sconsiderati follemente innamorati, aveva aggiunto Maya in una di quelle nottate passate con una buona, vecchia e sana bottiglia di rhum. In quei frangenti la capo infermiera era stata per così dire “clemente” nei suoi confronti - ancora sospettava in un qualche ricatto - ma forse era perché dopo venti bicchierini, chiunque diveniva più accondiscendente col prossimo.

“Don” richiamò lei la sua attenzione “Ti prego, riferisci tutto al capitano il prima possibile e fa che cambi il piano d’azione”
“Sarà dura..”
“Fallo e basta” sentenziò irremovibilmente “Don....” riprese con più morbidezza “Mi fido di te. Ora devo andare”
“No, aspetta un momen..!”

Troppo tardi. La bocca e gli occhietti del lumacofono si erano chiusi ermeticamente, dichiarando conclusa la comunicazione.

“Che accidenti!” sbottò uscendo a passo affrettato dalla propria cabina “Quella santa quando ci mette è peggio di Ace! Sta a vedere che alla fine di questa storia mi toccherà fare il prete al loro matrimonio!”

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Capitolo 57
*** Un salto di vent'anni. L'ammiraglio Aron. ***


Buon pomeriggio!bene,siamo arrivati all’ultimo capitolo prima della pausa natalizia.Riprenderò a Gennaio,il primo mercoledì della settimana(sperando che il periodo pre-esami non mi uccida).Mi spiace lasciarvi ma non voglio interrompermi più avanti e questo capitolo è lo stacco perfetto prima dell’inizio dell’ultima saga della fict.Se siete curiosi di conoscere meglio il nonno di Sayuri,questo capitolo è dedicato principalmente a lui!Vi auguro buon natale e felice anno nuovo!grazie ancora per seguire la mia fict!

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happylight:uh,ma ciao cara!!se vai dal vecchio Garp per estorcergli le ciambelle,portane qualcuna anche a me.L’infiltrazione a Impel Down non è cosa da poco,insomma non è esattamente come andare al luna park ma insomma,c’è da salvar il fidanzato,non si può mica restare in panciolle,no?ora che la ragazza ha ingranato la marcia non si ferma più.Non è che ha fatto tanta strada solo per sentirle e prenderle(porra anche lei…).Ti auguro buon natale!
 
angela90:ciao amora!Garp rientra nella schiera “accettabili”,come personaggi è molto simpatico anche se stravedo molto di più per il nipote,comunque è vero che Sayuri e Ace in un certo senso sono legati e qui dirò due o tre cosette in più che chiariranno ancor di più l’immagine di Aron.Ora si va a Impel Down,meta prestabilita e mia ultima saga.Don poverino gli farò venire l’esaurimento(ma fargli fare il prete non sarebbe male..).Goditi le vacanze!
 
giulio91:buonasera!wii,sono contenta che lo scorso capitolo abbia riscosso così tanta sorpresa.Si si,il nonnino di Sayuri era un superiore di Garp e qui lo si conoscerà un pochettino meglio.Quanto al seguito,ho preso un po’ di questo un po’ di quello,ci ho fatto un bel mischiotto ma lo vedete a gennaio,almeno farà iniziare la saga dal punto di partenza.Buone feste e grazie ancora!
 
Chibi Hunter:ciao carissima!sono contenta che ti sia piaciuta la scena con Garp,si si il nostro mangia ciambelle preferito lo conosceva e qui lo si vedrà meglio.Lo sclero sul fatto che Ace abbia fatto perdere la testa alla nipote dell’ex superiore meritava di essere messa perchè lo adoro quando va su di giri.Lo strozzerebbe se non fosse già agli arresti ma da bravo nonno si limita a permettere alla ragazza una possibilità per salvarlo.So che sei curiosa ma stacco qui per fare iniziare la saga senza interruzioni.Spero comunque che quest’ultimo capitolo ti piaccia!Buon natale cara!

maya90:oh la mia adorata maya!travestirsi e andare a Impel Down come nulla fosse è si rischioso ma dimmi,per Ace tu non faresti lo stesso?sul debito che ha,qui svelerò l’ultimo tassello che compone Sayuri e il legame col nonno e cosa lui ha fatto.Don povera anima dovevo farlo tornare,se lo trascuro troppo poi non va bene,anche se gli avrò fatto picchiare le ginocchia su ogni mobile della Moby Dick,speriamo non ce l’abbia a morte con me.Mi auguro che questo capitolo ti lasci di sasso,a Gennaio riprenderò con la saga di Impel Down(è la principale e l’ultima) sperando di non dovermi interrompere.Buon natale!

13este:olà!non parlare di crisi di nervi davanti a Don perché potrebbe guardarti tanto male da farti raggomitolare nell’angolo.Lasciamolo tranquillo lui.Eh,il nonnino di Yu-chan era forte,se dava le batoste a Garp come lui fa coi nipoti doveva saperci fare,no?qui svelerò tutto quel che c’è da sapere su di lui e spero che piaccia!Mi spiace interrompere ma un attimo di tregua mi serve e devo prepararmi anche per gli esami di Gennaio,sperando di non doversi interrompere bruscamente.

tre 88:ciao cara!hai centrato il punto,Garp non è affatto maturo:è testardo,cocciuto,istintivo,non fa mai un cavolo di quello che gli si di…(il vecchio arriva alle spalle dell’autrice).Dicevamo che è come i nipoti (però loro sono ancora ragazzi,di cui uno poi è così carino che gli perdoniamo due o tre stupidaggini,ma lui è adulto e con tanto di barba grigia!).L’autrice scappa dalle palle di cannone che gli arrivano addosso…Allora(ha scampato il pericolo)le ciambelle di Garp sono una curiosità su tutti i fronti ma non vedrai mai la mia Yu-chan mangiarne a vagonate.Su Don poverino non sorvoliamo perché l’averlo fatto sballottare fra i mobili è già stato troppo..però con il vestito da prete lo vedrei bene e come fa le prediche lui non le fa nessuno!detto ciò buona lettura e buon natale!

Killy:ciao!!tirato il sospiro di sollievo per il sapere Yu-chan da Garp invece che da Ace?spero di si.Se lo avesse fra le mani,Garp si lo strozzerebbe Ace.Da piccoli e tutt’ora lo fa dannare insieme a Rufy ma sotto sotto è contento che i suoi ragazzi siano diventati forti.E ora si parte verso Impel Down e prima di farvi leggere questa saga mi becco la pausa.Stacco qui così almeno la saga la posto interamente altrimenti non avrebbe senso interromperla a metà o prima..o sul punto saliente!buon natale!
 


Non c’era ombra di dubbio che la guerra tra la Marina e Barbabianca sarebbe stata ricordata come un evento grande quanto la cattura di Gol D.Roger.
Avvenimenti del genere nascevano per essere ricordati, nel bene o nel male, perché andassero a far parte della storia, la stessa che il Governo Mondiale si premurava di costruire, preservare e in alcuni punti salienti, anche omettere. L’immagine che esso doveva mostrare, spalleggiata poi dalla Marina, doveva essere impeccabile, bianca come un lenzuolo ma una simile perfezione non era che - e lo era tutt’ora - un vago sogno e quel tenore politico, che ancora stava cercando di rimanere in piedi in ogni maniera possibile, era stato più volte messo a dura prova da eventi molto minacciosi per la sua incolumità.
Per la stragande, si trattava di episodi che ancora oggi persistevano, nulla che col tempo non avessero imparato a conoscere come le proprie tasche e niente di così difficile da polverizzare. E’ vero, c’erano state delle eccezioni tremendamente fastidiose, primo in assoluto Gol D.Roger, poi Barbabianca e Shiki il Leone Dorato, addirittura soprannominati i dominatori dei mari.

E che dire dei rivoluzionari e del loro capo Dragon!
Tutta una schiera di nemici contro cui puntare il dito e contro cui avevano combattuto e combattevano con ogni mezzo esistente. Contro i pirati, la strategia era piuttosto ripetitiva ma coi rivoluzionari bisognava ingegnarsi ed evitare che si inoltrassero troppo in linee dai cui potessero trarre vantaggio. Si poteva davvero dire molto su Governo Mondiale, primo in eccellenza che la sua fedina non era così ben pulita come voleva far sembrare ma la gente era cieca, non per propria volontà ma perché le alte sfere sapevano come gestire la situazione in ogni sua sfumatura. Detta così, pareva che fossero loro i cattivi ma la verità era che per proteggere tutti, qualcuno andava sacrificato e se quel qualcuno era un pirata, un rivoluzionario o tutto un popolo che trovava disgustosi e ingiusti i suoi metodi, nessuno lo avrebbe rimpianto, anche perché bastava sostituire alcuni particolari della faccenda in questione e in un batter d’occhio, il resto del mondo non aveva null’altro da fare che annuire con piena approvazione.
Sotto quel simbolo conosciuto anche dai pesci, si erano unite centosettanta nazioni, i cui capi dovevano essere pronti a rispondere se interpellati. Una coalizione gigantesca, tutta devota al motto “Giustizia ad ogni costo”, che si avvaleva di un’organizzazione che aveva per l’appunto il compito di difendere la pace in nome di quel credo: la Marina. A lei spettava svolgere il lavoro e aveva sempre avuto la mano libera su come agire per fermare l’infetto fenomeno della pirateria.

Questo prima di quello scandalo.
Per la prima volta in assoluto, da quando era stato creato, il Governo Mondiale era stato colpito all’interno, dove infiltrarsi tanto a fondo era impossibile anche per dei potenziali suicidi. Tradito dal braccio giustiziero su cui tanto contava e ferito a tal punto da far vivere l’odio per l’eternità. Forse la parola più adatta era umiliato, preso in giro come un qualunque sprovveduto e il solo ricordare che cosa esso aveva scatenato, bastava a mandare in bestia quei vecchietti dalla faccia tanto composta. Il loro atto di omissione era stato spiazzato, reso nudo per quello che era, lasciando che la verità,quella vera,fosse vista da tutti. Ovviamente poi si erano adoperati al fine di modificare quanto saltato fuori e infatti solo pochissimi all’interno della Marina, erano a conoscenza dei fatti per quello che erano: per essere specifici, quelli al corrente di ciò erano il grande ammiraglio Sengoku e il vice ammiraglio Garp ma da uomini razionali quali erano, si erano rifiutati a credere alla maggior parte di quelle rivelazione farcite a dovere dai giornali per ordine dei cinque astri: conoscevano Aron da così tanto che nemmeno la più grossa delle panzane al suo riguardo avrebbe fatto cambiare loro opinione.

Aron...
Cavolo, al Pugno venne da ridere. Seppur a notevole distanza da allora, quel nome l’aveva saputo scuotere a tal punto da indurlo a pensare che il suo vecchio amico e superiore non se ne fosse andato come pensava ma purtroppo, il parlare faccia a faccia con quella ragazza, gli aveva dato conferma che per lui, il cammino era finito. L’amarezza che bagnava i ricordi legati a quell’ultimo periodo, prima dell’inizio dell’inaspettata era della pirateria, gli inondò la bocca come se avesse bevuto un’intera bottiglia di ferro liquido. La felicità di poter pronunciare quel nome ancora una volta si era dissolta al sol rimembrare quanto c’era dietro ad esso. Erano sensi di colpa quelli che stavano tornando a galla, rimorsi indelebili per il non essere riuscito a imporsi come amico e dunque aiutare un uomo che aveva varcato l’uscita col sorriso sulle labbra e senza alcun ripensamento. Era rimasto a guardare perché ordinatogli proprio da lui, perché quella era la sua volontà e nonostante i diversi tentativi iniziali per dissuaderlo - e che poi avevano comportato da parte dell’altro una sonora mazzata d’haki sulla testa - solamente alla fine si era zittito, accettando la sua decisione seppur molto a malincuore.
Aron non era un marine qualsiasi ma il marine che gli aveva salvato la vita e a cui lui non era riuscito a restituire il favore, una persona in grado di cogliere la differenza fra uno scontro ad armi pari e una sanguinolenta carneficina.
Sapeva quando bisognava fermarsi e dove offrire il proprio aiuto, questo lo contraddistingueva in ogni sua azione ed era per tale ragione che era sempre stato rispettato e ammirato. Senza contare poi il buon cuore che emergeva davanti ai bambini........

“Per la miseria che disastro..” sbottò Garp passandosi più volte la mano sui capelli neri.

Davanti a lui si stagliava un ampissima zona circolare completamente rasa al suolo. Dove prima sorgeva uno dei solari e tranquilli paesini dell’isola di Babeya, ora non vi erano che detriti, case aperte come scatole di sardine e un densissimo odore di polvere da sparo condensato ad un altro su cui era preferibile sorvolare. C’era stato un arrembaggio, da parte dei cosidetti pirati cattivi: erano sbarcati nel cuore della notte e i cittadini, colti di sorpresa, non avevano potuto dare l’allarme. L’ammiraglia era arrivata il più in fretta possibile ed erano riusciti a catturare gli invasori prima che si allontanassero troppo dalla costa. L’idea di attaccare il paesino più vicino all’oceano era parsa una buona idea, specie per sfuggire rapidamente alla Marina ma un conto era pensarlo e un altro metterlo in pratica. Ora li stavano portando alla fortezza più vicina per metterli in cella ma la nave dell’ammiraglio Aron - con in aggiunta l’inbucato Garp - aveva raggiunto l’isola per verificare le condizioni del posto.

“Ci sono andati giù pesante” borbottò nuovamente il Pugno poggiando le mani ai fianchi e camminando per un paio di metri “Tu che dici, Aron?..Aron? Dove diavolo..??”

Il Soppressore si era allontanato per dare un’occhiata più approfondita a quel che restava di quel piccolo paese. Il leggero venticello mattutino stava spazzando via i pochi residui di fumo nero e muoveva il fondo del suo lungo e ampio mantello bianco sollevandolo di poco dal terreno. Gli occhi verdastri ruotavano silenziosamente a destra e a sinistra, nella continua ricerca di un qualche movimento, un segno di vita che lo distraesse dal sospirare nel vedere tanta violenza riversata su una singola e indifesa zona. Non c’era che dire, si erano sfogati per benino. Non osava immaginare che cosa ne fosse stato degli abitanti ma disarmati com’era, non era poi così difficile immaginarselo.

Tu-tlug!
Alcune macerie caddero dai cumuli e rotolarono per terra. Aron si voltò subito verso la direzione del rumore così velocemente che il codino che teneva rinchiusi i sui capelli ramati, dai riflessi fortemente ancor più scuri del colore naturale, si mosse. Fermò la sua camminata e puntò la visuale su una vecchia casa totalmente aperta, di cui si vedevano perfino i due piani. A quella lieve caduta di ciottoli era seguita una serie affrettata di passettini piuttosto udibili e l’inoltrarsi tra i resti di quella costruzione lo portò a scoprire due gemellini corvini,un maschio e una femmina, impolverati, con vestiti troppo leggeri per quella stagione rigida e terribilmente spaventati a morte.

“Oh, ma allora c’è qualcuno qui” disse inginocchiandosi davanti ai bambini, sorridendo con contentezza.

Per tutta risposta, la bambina si aggrappò con forza alla maglia del fratello e ci affondò la faccia, mentre quest’ultimo prese a guardarlo tra lo spaventato e il determinato, con le mani munite di un lungo bastone di legno.

“E’ bello vedere che vuoi proteggere la tua sorellina, ti fa molto onore ma sta tranquillo, sono andati via” li rassicurò intenerito e calmo.

Era perfettamente normale che avesse paura, d’altronde lui era un estraneo ma Aron non aveva fretta e volendo offrire il suo aiuto, era anche disposto ad aspettare purchè quel piccolo si convincesse che non era come quei uomini crudeli che avevano invaso casa sua.
Dopo quei primi minuti di silenzio, la tensione gli liberò le rigide braccia e, anche se ancora incerto, il bimbo non oppose resistenza quando si ritrovò le piccole mani racchiuse da quelle grandi e appena abbronzate del marine, che con movimento rassicurante aveva preso il bastone per appoggiarlo a terra. Non pareva avere cattive intenzioni e lentamente il piccolo se ne convinse con più vigore,insieme alla sorellina tremante, che aveva avuto il coraggio di scoprire metà del suo faccino lacrimante per poterlo vedere in faccia. Tutti i suoi bei capelli neri erano spettinati e appiccicati alle guance, per non parlare del braccio sinistro: se lo teneva con forza, cercando di nascondere quell’enorme livido che le ricopriva tutto il gomito. A prima vista sembrava rotto e anche il fratelllo era ferito: un lungo taglio si era inoltrato nella capigliatura corta e scura che ora riluceva pericolosamente.

“Scommetto che avete un bel po’ di fame” riprese dopo un po’, elargendo un nuovo sorriso “Volete venire a pranzare con me? Il cuoco che ho a bordo cucina piatti da leccarsi i baffi”

Il sol sentire parla di cibo fece brontolare i pancini vuoti dei due bambini, che arrossirono all’istante per quella reazione involontaria.

“Eh eh, lo prendo per un si allora”
“Ammiraglio Aron!”

Un suo sottoposto lo chiamò con voce affannata e balbettante. Lo stava cercando e solamente quando egli si fu alzato da dov’era che il marine riuscì a trovarlo e dunque raggiungerlo.

“Signore..pant..” ansimò una volta al suo cospetto.
“Che cosa è successo, sergente?”
“Gli abitanti del villaggio, signore..” cominciò riprendendo a respirare con normalità “Li abbiamo trovati. Si sono rifugiati in una delle grotte vicino alla spiaggia ovest”
“Quanti sono?”
“Una ventina, signore. Li stiamo portando vicino alla nave”
“Molto bene”

Si sfilò il voluminoso mantello decorato e coprì i piccoli ai suoi piedi, per poi prenderli in braccio senza alcuno sforzo.

“Non erano sicuramente pronti a uno scontro diretto ma non è da escludere che qui attorno ci siano altri posti dove nascondersi” riprese “Manda un quarto dei nostri uomini a perlustrare la zona e il resto del villaggio e assicurati che non tralascino alcun centimetro. Se ci sono altri superstiti portateli alla spiaggia e fateli visitare dal medico, tutti quanti. Se doveste trovare dei cadaveri, date loro una degna sepoltura”
“Si, signore”
“Come siamo messi a scorte di cibo?” domandò nuovamente.
“E’ sufficiente per un mese, signore” rispose prontamente il sergente.
“Molto bene, assicurati che ne venga scaricata la metà”
“C..Come?” il marine a momenti rischiò di strozzarsi con la saliva “Signore, non credo che....”

Il suo tentativo di spiegare che le razioni aventi nel magazzino bastavano per il ritorno diretto a Marineford che stavano intraprendendo prima che venisse segnalata quell’emergenza, fallì miseramente nel mentre l’ammiraglio lo superava con in braccio i due piccoli ben avvolti nel mantello.

“Non è bene che due bambini come voi prendano freddo. Adesso tutto quello che vi serve è una visita, un pasto caldo e anche una bella dormita. Penserò io a trovare i vostri genitori”

Tornò alla nave col sergente a pochi passi da lui che tentava invano di parlargli e di introdurre la notizia arrivata poco prima del suo accompagnamento. Il solo fatto di aver sentito dal vivo la voce del grande ammiraglio Kong l’aveva fatto scattare sull’attenti come se si fosse trovato la canna di un fucile puntata alla tempia; reazione più che comprensibile se si era appena stati promossi e dunque si cercava quanto meno di rendere omaggio alla premiazione data ma lui era nuovo sulla nave dell’ammiraglio Aron e il conoscere soltanto a voce il superiore non era sufficiente per dire di conoscerlo a fondo.
Comodamente seduto su un albero sradicato, Garp osservava quel novellino cercare di attirare l’attenzione dell’amico e sghignazzò sommessamente quando lo vide girarsi di 180 gradi verso il subordinato.

“Potrei sapere dove sta il problema, sergente?” domandò tranquillamente.
“Signore, ecco..” si dovette fermare per trovare le parole giuste “E’ arrivata una comunicazione da parte del grande ammiraglio Kong. Chiede la vostra presenza a Marineford il più presto possibile: pare che Gol D.Roger si sia fatto vivo”

Da tempo, quella che era considerata una delle più acuminate spine che infieriva sul fianco della Marina e, di conseguenza, in quello del Governo Mondiale, non si faceva sentire. Dopo un ultimo scontro pareva essersi dissolto nel nulla, nascostosi da qualche parte per recuperare il fiato. Se c’era una cosa in cui Roger era insuperabile, era il saper sparire nel nulla come per magia, neanche fosse capace di infilare la sua preziosa Oro Jackson in un cilindro magico grande quanto un’isola. Il fatto che se ne fossero rintracciati gli spostamenti e che fosse stato localizzato in una zona non molto lontana dal quartier generale della Marina aveva dell’incredibile: in pratica, una occasione da cogliere al volo prima che quel pirata levasse le ancora e se ne volasse chissà dove nel nuovo mondo.

“Dunque quel moccioso si è fatto risentire, eh?” mormorò “Beh, per questa volta temo che non se ne farà nulla”
“Cosa? Ma..Ma, ammiraglio..!”
“Sempre il solito!” sogghignò il Pugno sbattendosi il palmo della mano sulla fronte.

Non c’era niente di cui stupirsi. Lo conosceva bene ormai, il diventare marine insieme a lui lo aveva aiutato a comprendere che razza di uomo fosse quell’ammiraglio chiamato “il Soppressore” per il mostruoso haki capace di affondare le navi con un unico battito di ciglia. Un potere di tutto rispetto, che l’aveva sempre fatto spalancare gli occhi fuori dalle orbite ma niente di così eccezionale se paragonato all’altro nomignolo con cui il più anziano dei suoi amici era stato battezzato: ”il Buono”
Quel titolo l’aveva sempre detenuto sin dalla giovinezza, nulla l’aveva macchiato o cambiato e ogni qualvolta vedeva l’amico mostrare quel lato di sé, che l’aveva reso così amato dalla gente, non poteva fare a meno di pensare che quella sua ideologia tanto semplice quanto giusta, fosse ritenuta un fastidio dai cinque astri della saggezza.
Un fastidio in realtà più vicino a una minaccia se le orecchie non l’avevano ingannato..

“Ammiraglio Aron, per favore, ragioni” lo supplicò il subordinato parandoglisi davanti “Il grande ammiraglio Kong ha richiesto la vostra esplicita presenza. Se è per i civili che è preoccupato, possiamo mandare un supporto che si occupi di loro”
“Il supporto a cui lei allude sergente, ci impiegherebbe almeno tre giorni ad arrivare. Se anche decidessi di partire, cosa le fa credere che altri pirati non decidano di venire qua?”
“Io capisco cosa lei mi stia dicendo signore, ma il nostro compito è quello di fermare i pirati proprio perché simili incidenti non accadano” replicò con più arroganza.
“E’ uno dei tanti, sergente, non l’unico” fu la degna affermazione di lui.

In quel momento gli occhi smeraldini del buono brillarono di luce propria e trapassarono da parte a parte il subordinato con una tale fulmineità che all’uomo mancò il fiato e le forze per reggersi in piedi. Si dovette sedere a terra e prendersi la testa fra le mani per evitare che il pavimento lo inghiottisse.

“Sergente” sospirò con un po’ più di morbidezza nel tono “Ammiro il suo essere ligio al dovere, ma non dimentichi che la divisa che indossa non la autorizza solamente a dare la caccia ai pirati o a qualsiasi altro ricercato, ma la sollecita a prendere le difese di chi non può” gli ricordò “Come possiamo pretendere che la gente riponga la sua fiducia in noi se nemmeno offriamo ad essa l’aiuto di cui necessita?”

Frastornato e con il cervello ridotto a una poltiglia  gelatinosa, il neo arrivato riuscì ad alzare il capo e a guardare in faccia l’ammiraglio prima che riprendesse la sua camminata verso la passerella della nave. Gli uomini lì attorno che già si stavano dando da fare per aiutare i civili appena soccorsi, gli lanciarono tutta una serie di occhiatacce rimproveranti e questo lo riportò a chinare la testa in segno di pentimento. Lui era nuovo ma quel soldati no e fin da subito aveva imparato a conoscere, a rispettare, addirittura ad ammirare la linea di condotta dell’ammiraglio Aron. Monkey D.Garp, a vederli tutti coalizzati per dar man forte silenziosa al loro superiore, scoppiò definitivamente a ridere quanto bastava per farlo finire con le gambe all’aria.

“Non pensavo che ti facessi così tanto ridere” disse poi il ramato, giuntogli davanti dopo aver affidato al secondo medico di bordo i due bambini dandogli esplicite indicazioni.
“Ah ah ah! Che ti devo dire, non me lo aspettavo!” esclamò rimettendosi seduto e con una mano sulla pancia per tentare di contenersi “E’strano che tu ci sia andato così pesante con quello lì, hai addirittura usato l’haki. Non ti pare di aver esagerato un pochettino?”
“Garp, ti vorrei ricordare che tu lanci palle di cannone con le mani nude come fossero biglie e che così facendo distruggi tutte le navi a tua disposizione, comprese quelle dei tuoi colleghi” lo rimbeccò.

Ricordava fin troppo ben il segno delle nocche che Tsuru aveva lasciato sulla guancia dell’amico dopo che questo aveva fatto affondare la sua ammiraglia con una manovra di sua invenzione. Ci aveva speso anche una bella risata ai danni del vice.

“Quisquiglie” ribattè quello noncurante “Almeno così i carpentieri hanno lo stipendio assicurato, ah ah ah!!”
“Allora devo sentirmi onorato se io e i miei uomini non ci troviamo ancora a navigare sulle scialuppe di salvataggio” rise l’amico abbonandogliela.

Era stata una sorpresa alquanto spiazzante trovarselo nella camera degli ospiti con quel suo ampio sorriso a trentadue denti che già sott’intendeva che voleva farsi un bel viaggetto, ma anche lì era tutta questione di abitudine, visto che uno dei passatempi preferito dell’Eroe o Pugno che sia, oltre a mangiare ciambelle di tutti i colori, era proprio imbucarsi nelle missioni altrui o scroccare passaggi visto che la sua di nave era perennemente in riparazione.

“Kong si arrabbierà parecchio con te” gli disse poi poggiando i gomiti alle ginocchia.
“Si tratta di una semplice posticipazione. Quando mi sarò assicurato che tutti questi civili siano stati portati al sicuro, allora mi metterò alla sua ricerca. Se vuoi, tu sei liberissimo di andare”
“Nah! Non penso che succederà il finimondo se ritardiamo la caccia. Possiamo anche concedergli un giorno o due di vantaggio”
“E’il tuo modo per dire che preferisci crogiolare al sole anziché fare il tuo dovere, vero?”

Il Pugno si irrigidì di colpo e diverse goccioline imbarazzanti fecero capolino dietro la sua nuca nera e corta. Colpito e affondato.

“La tua presenza non mi da fastidio” riprese Aron “Ma se non vai ad aiutare i miei uomini fra tre secondi esatti, inizierò a prendere a pugni quella tua zucca vuota” mise in chiaro poi con un bel sorriso stampato in faccia.
“Esagerato..”
“E non potrai più mangiare i tuoi adorati dolci per il resto della tua permanenza sulla mia nave”

Ok, quello era veramente un colpo basso.

“Non lo farai”
“Ne sei sicuro, Garp?”

No, non lo era affatto e tale insicurezza aumentò le goccioline sulla sua nuca. Con quell’ultimo avviso, l’ammiraglio si era aggiudicato il secondo punto e di conseguenza, la sua vittoria.

“Vado ad accertarmi delle condizioni dei piccoli e anche quella dei paesani. Tu pensa a svuotare la stiva della nave e non provare a sgraffignare qualcosa”
“Si, papà” borbottò mentre andava a rimboccarsi le maniche.

Quello e tanti altri episodi, ricostruivano la vita che sosteneva quando Aron si trovava lì insieme a lui, Sengoku e ad altri che ancora si accingevano a fare il loro dovere di marine. Lo aveva sempre osservato con scrupolosa attenzione quando si imbucava sulla sua nave e più volte si era interrogato come fosse possibile che un uomo del genere fosse tenuto costantemente sotto controllo dalle alte sfere. Inizialmente la cosa aveva suscitato non poco sospetto in lui e successivamente, il seguire le riunioni senza assopirsi come suo solito, gli aveva permesso di vederci chiaro: i cinque astri della saggezza avevano puntato gli occhi su di lui come potenziale successore del grande ammiraglio Kong, insieme a Sengoku. Un titolo che avrebbe fatto saltare di gioia chiunque visto l’enorme balzo di gerarchia, ma dietro a quella dorata prospettiva di salire di grado e dunque di toccare l’apice del braccio esecutore della giustizia, c’era un secondo fine molto ben più architettato e losco. Un fine che era stato nutrito dal comportamento di Aron su certe questioni e leggi ai suoi occhi fortemente insensate.
Il Buono agiva come meglio credeva, ponendo altre priorità al dì sopra di quelle che gli erano state imposte e questo era sempre stata la ragione fondante per cui lui e il vice ammiraglio Akainu non erano mai andati d’amore e d’accordo. Il perché il vertice del Governo Mondiale avesse deciso di prenderlo in considerazione stava nella popolarità che si era guadagnato dalla gente: un’immagine degna di fiducia, ricalcante un uomo forte e saggio, perfetto per rinnovare il prestigio della Marina. Ma nemmeno il Misericordioso non era da meno; la sua abilità innata di creare strategie vincenti gli permetteva di manipolare la situazione, portandola a suo vantaggio, senza contare che anch’egli era una punta di diamante non ignorabile. Quello a cui miravano i saggi risedenti a Marijoa, era ottenere più consenso fra la gente, far si che questa fosse totalmente dalla loro parte e quale modo migliore se non quello di accattivarsi tale simpatia, se non eleggendo come nuovo grande ammiraglio il loro eroe preferito?

Covavano quel progetto da tempo affinchè governanti e governati venissero accontentati, ma l’improvviso avvento di un altro e, ancor più straordinario fatto a loro favore, aveva interrotto il lavoro, portandoli ad agire su un piano diverso, con ancora più velocità e frenesia. L’avvenimento risaliva a poco più di vent’anni prima e il mondo intero lo ricordava bene tuttora perché in quell’occasione, il Re dei Pirati fu giustiziato nella sua città natale.
Gol D.Roger era stato catturato dalla Marina e subito mandato alla forca senza venir processato.

Chiunque rammentava bene quella data e cosa poi avesse scatenato ma come ogni evento storico si rispetti, anch’esso era pieno di risvolti ignoti e oscuri, risvolti che se uniti, portavano alla realizzazione di un evento secondario che poi era stato volutamente truccato e dimenticato.

L’evento...che aveva segnato la cancellazione di Aron dal mondo.

La base militare di Rogue Town possedeva dei sotterranei antichi quanto la città stessa, ampi ma con celle quasi sempre vuote. I cinque focolai illuminavano il corridoio quanto bastava per non inciampare nelle irregolarità del pavimento. Non c’erano guardie o lumacamere che monitorassero la situazione. L’unico prigioniero riposava senza il bisogno che qualcuno lo tenesse d’occhio. In lontananza si udirono dei passi: qualcuno stava scendendo le scale. Che fosse un soldato? No, l’ultimo si era fatto vedere all’incirca dieci minuti prima. La camminata udita si fece più pesante e calcata e terminò quando una figura dai tratti sfocati si sedette con le gambe incrociate davanti all’unica cella occupata, illuminandola col fuocherello preso in prestito dal muro.

“Hai un aspetto più orribile del solito, Roger” proferì quella figura, suscitando così il sorriso arrogante che non tardò a comparire sotto i baffi neri del prigioniero.
“Gentile come sempre, eh, Aron?”
Il Re dei Pirati si alzò dal fondo del suo alloggio per sedersi a pochi centimetri dalle sbarre che lo separavano dal marine. Nel suo silenzio, lo osservò sfilare dall’interno del cappotto un paio di grossi bicchieri di vetro accompagnati da una bottiglia trasparente, contenente un liquido verdastro.

“Tè verde” ghignò il prigioniero “E il buon vecchio sake dov’è finito?”
“Niente alcolici per i malati” proferì l’altro versando la bevanda nei bicchieri “Se ci tieni a dare il via alla nuova era è il caso che tu lo faccia da vivo. O, per caso, vuoi morire prima del dovuto?”

Un ragionamento che non faceva una grinza si ritrovò a pensare il moro agguantando il bicchiere offertogli. Le bevande dolciastre non avevano nulla a vedere coi tanti liquori sorseggiati e assaporati in precedenza ma la frescura che placò quell’afa interna che lo stava accaldando come se avesse la febbre, gli fece godere a pieno la bevanda, tanto da dimezzare il contenuto del bicchiere. Ogni forma di sollievo era ben accetta ma mai vi si sarebbe aggrappato con la speranza di poter scappar via anche perché, il trovarsi nelle prigioni di Rogue Town, la sua città d'origine, era stata una sua scelta. Scelta premeditata e valutata più e più volte anche se Aron era portato a pensare che quello fosse l’ultimo capriccio del Re dei Pirati per far sì che i presenti alla sua esecuzione non scordassero le sue parole. Non ci era voluto molto a capire che quel moccioso stesse macchinando qualcosa ma dall’alto della sua posizione, il Buono non si sarebbe di certo intromesso e di questo Roger ne era grato, per tal motivo sapeva che rivolgersi a lui era la cosa più giusta da fare.

“Ho bisogno che tu mi faccia un favore” gli disse il re poggiando il bicchiere al dì fuori delle sbarre.
“Se si tratta della piccola Rouge e del tuo erede so già tutto” lo anticipò laconico lui “E mi offende il fatto che tu mi abbia fatto venire qui, convinto che pensassi che quella santa donna fosse improvvisamente ingrassata”

A quel punto il moro si abbandonò a una risata divertita, che riempì tutte le altre celle vuote. Non c’era modo di nascondere nulla a quell’uomo ma almeno così gli aveva evitato inutili complicazioni, anche se non avrebbe avuto problemi a spiegarsi in caso contrario.

“Roger, sai come la penso riguardo quella stupida legge ma non posso aiutarti, non come vorresti” mormorò tetro Aron “Mi tengono d’occhio e l’ultima cosa che voglio è un neonato sulla coscienza”

Il Re dei Pirati ricambiò la serietà trasmessagli, facendo calare un velo scuro sul suo sorriso, ancor più occultato dai lunghi e sporgenti baffi neri. Avrebbe dovuto saperlo ma aveva deciso comunque di tentare: da diverso tempo i cinque astri della saggezza stavano spendendo il loro tempo a torchiare l’uomo e Roger aveva motivo di credere che fosse per quella rivalità rispettabile che si era creata fra lui e l’altro, elevatasi a tal punto da farli diventare quasi amici. Il Buono amava la giustizia ma odiava le insulsità rifilate sotto il suo nome, come per esempio l’eccessivo e sempre più costante uso della forza per qualsiasi situazione. Perfino lui, il re che stava sulla bocca di tutti, poteva confermare tale veridicità non essendo un maniaco della guerra. Le loro battaglie non erano mai state degli sprechi di compagni o munizioni ma scontri che fra cent’anni sarebbe diventati sicuramente leggenda, un’invidia per le generazioni di allora. A ripensarci ora, Roger provò un po’di nostalgia: non c’era modo più sano per sentirsi vivo di fare quello che l’istinto dettava e in quello Aron non l’aveva mai deluso.

“(Forse perché non aveva null’altro per sentirsi tale)” pensò con un po’ di rammarico.

Si poteva dire tanto e poco su quell’uomo che era venuto a portargli l’ultimo saluto; strano che fosse, Roger era a conoscenza di quanto gli era occorso per chiedere quel che da tempo progettava e non aveva mai dubitato dell’aiuto di Aron, nonostante fosse un marine. Dio solo sapeva quanto avesse protestato quando Kong aveva apposto la sua firma su quella maledettissima pergamena che sanciva la condanna definitiva a tutti quei bambini e quanto si fosse arrabbiato per la ragione di tale decisione, ancor più vile da parte dei cosiddetti operatori della pace..
A momenti aveva quasi giurato di sentire le sue proteste riecheggiare in tutta la rotta maggiore.

“Lo so che non puoi” riprese il moro prendendo la bottiglia e il bicchiere “Per questo volevo chiederti di parlarne a Garp”
L’ammiraglio col codino alzò un sopracciglio molto accigliato “Fammi capire, tu mi hai fatto venire fino a qui per farti da tramite?”
“E’ perché sei più ragionevole di lui” si giustificò ridacchiando mentre si versava ancora un po’di tè.
Il marine sospiro “E’ ovvio che lo sia, altrimenti non sarei un suo superiore”

E dire che a quel testone ne erano arrivate di promozioni, tutte quante rispedite al mittente ma il Pugno preferiva star lì dov’era, a demolire le navi altrui invece di accaparrarsi un ufficio più grande.

“Farà storie” boffocchiò nell’abbozzare un sorriso mentre si accingeva a bere “Ma non penso si tirerà indietro, quindi preparati a sentirle su, perché come minimo ti manderà al diavolo cinque secondi prima dell’esecuzione”
“Ah ah ah! Non è un prob..COUGHT!!”

La risata carnosa del Re dei Pirati si ruppe in una tosse tagliente che lo spinse a incurvare di più la schiena e a far ciondolare la testa come se l’osso del collo fosse misteriosamente svanito. La mano scura usata per tamponare la bocca si sporcò di sangue non appena l’uomo la ritrasse per riprendere fiato.

“E’ peggio di quanto pensassi” sospirò Aron tetro nel porgergli un fazzoletto con cui ripulirsi.

Sapeva della sua malattia. Quella era la seconda ragione per cui si era consegnato spontaneamente alla Marina senza elargire una spiegazione in particolare. Ovviamente la vicenda era stata truccata per far puntare i riflettori sulla Marina, colei che aveva catturato il temutissimo Re dei Pirati e sul Governo Mondiale, deciso a rinnovare la sua efficacia in ogni settore. Pochi erano a conoscenza della malattia che da tempo aveva colpito Roger: secondo Crocus, l’aveva contratta ancor prima che il suo viaggio fosse giunto a termine ma al momento aveva udito solo voci, molto riservate al riguardo perché appartenenti soltanto alla ciurma dell’uomo. Incurabile, così aveva sentito dire; l’aveva potuta ritardare ma niente di più.

“Meglio morire sul patibolo mentre si esorta la gente a inseguire i propri sogni che andarsene a colpi di tosse, vero?” ironizzo l’uomo bevendo ancora.
Roger tossì un ultima volta prima di rispondere “Mi conosci bene tu”
“Gli anni passati a massacrarci sono serviti a qualcosa, anche se ho avuto più a che fare con Barbabianca che con te”
"Vero.." disse nell'asciugarsi completamente la bocca “Sei sicuro di non volerti prendere cura tu di mio figlio? So che hai un debole per i bambini, specie per le femmine” fece Roger.

Non si aspettava un ripensamento ma non gli sarebbe dispiaciuto concedere una piccola gioia a quell’uomo che sempre aveva avuto un metro diverso per ogni situazione paratagli davanti. E difatti, nel vederlo ridere sommessamente, comprese che la sua risposta non sarebbe stata differente da quella data precedentemente.

“Si, è vero..” ammise “Non mi sarebbe dispiaciuto avere una figlioletta ma ormai è tardi per pensarci. Non devi preoccuparti, ti assicuro che il pargolo e tua moglie saranno al sicuro, penserò a tutto io” dichiarò alzandosi da terra.

Lasciando lì la bottiglia mezza piena, si avviò alle scale, riponendo la fiaccola presa in prestito sul muro.

“E’ stato un piacere essere tuo avversario, Aron” lo salutò il Re dei Pirati con il bicchiere levato in alto.
“Eh eh..” sorrise l'altro nel girarsi un’ultima volta “Lo stesso vale per me”
 
 

“COSA DOVREI FARE IO???”
“Hai capito bene”

Gli occhi di Monkey D.Garp erano così fuori dalle orbite che a momenti rischiavano di cadere a terra per l’essersi troppo sporti. La mascella era aperta oltre il limite consentito, contorta in un ringhio all’ingiù che esprimeva tutta la sconcertazione per quello che l’uomo dai occhi verdi gli aveva appena riferito.

“Scordatelo, Aron!” sbraitò il pugno col naso incollato a quello del collega “Mi rifiuto!!”
“Garp, se mi ha ascoltato con attenzione, avrai di certo capito che la mia non è una richiesta ma un ordine in tutto e per tutto” replicò calmissimo.
“Che cos..?! Non ne hai l’autorità!!”
“Fino a prova contraria sono un tuo superiore o preferisci che ti sbatta fuori dalla Marina?”

Il vice ammiraglio rimase con l’indice alzato e la bocca spalancata, incapace di replicare o di emettere un suono significativo. Il suo sgolarsi aveva fatto tremare le pareti di quella sala appartata, lontana da occhi e voci indiscrete ma ancora non si sentiva pienamente svuotato e tutto perché Aron - per non ammettere che ci fosse già riuscito - lo stava mettendo con le spalle al muro.
Occuparsi del figlio di Roger! Assurdo, perché diavolo doveva pensarci lui?! Non era Aron quello che adorava i bambini?!?

Non che la cosa lo disgustasse, solamente non gli andava a genio il modo in cui fosse stato appena incastrato. Il ricatto rimaneva pur sempre una strategia subdola!
Era perfettamente al corrente della situazione ma non era il solo: le alte sfere avevano fra le mani notizie vaghe al riguardo. Non conoscevano il volto della donna o il suo nome ma dato che Roger aveva trascorso gli ultimi mesi prima della cattura nella zona antecedente la Red Mountain, l’indagine era estesa in tutta la zona.La legge riguardante i discendenti dei pirati era stata approvata con l’assoluta maggioranza e sarebbe stata resa pubblica dopo l’esecuzione del Re dei Pirati, con la speranza che entro quella data fosse stata localizzata l’isola dove il ricercato aveva passato l’ultimo periodo della sua vita.

“Garp” mormorò poi Aron nel sedersi su una poltrona con fare stanco “Sai bene perché te lo sto chiedendo, come io so bene che anche tu non approvi le ultime misure acconsentite da Kong”

L’occhio grigio del Pugno scivolò dal profilo dell’amico al pavimento di marmo bianco lucido, sul quale riusciva a vedere i contorni della sua testa anche seppur molto sfocati. Il riconoscere il tono dell’ammiraglio, quel tono che lasciava intendere molte altre affermazioni, placò il suo istinto e lo fece sospirare molto pesantemente, con quei due ciuffi neri che gli ricadevano in mezzo al viso. Le cose stavano mutando fin troppo velocemente, addirittura contro corrente e senza che ciascuno di loro ne cogliesse la ragione. Aron aveva compreso di essere in una posizione tremendamente delicata ma l’attuale noncuranza che mostrava su tale argomento lasciava tutti, sottoposti compresi, molto stupiti, perché chiunque altro al suo posto, sarebbe stato ben attento alle proprie azioni.
La verità era che dopo quanto ascoltato in quella sala insieme ai colleghi, dopo aver più volte espresso la sua opinione e ribadito più volte che era un’autentica esagerazione, un vero e proprio atto disumano, decidere così alla leggera che cosa farne di quella possibile futura generazione piratesca, aveva preferito non dire più una sola parola. Se ne era uscito senza proferire spiegazioni o opinioni al riguardo avendo già detto la sua, tornandosene sulla sua ammiraglia. Ricordava ancora le sue parole quando casualmente aveva udito un gruppetto di soldati semplici parlottare di quel progetto.


“Ne avreste il coraggio? Avreste il coraggio di portare via dalla propria famiglia un neonato e di decidere della sua sorte? Avreste davvero il coraggio di togliere la vita a una creatura che non ha alcun diritto di scelta solo perché qualcuno ve lo ha ordinato? Ci riuscireste anche se si trattasse di vostro figlio? Rispondetemi!!!”

Nessun essere umano aveva il diritto di imporsi su un suo simile. Scontrarsi coi pirati era differente perché se essi avevano commesso azioni peccaminose,smisuratamente al dì fuori della norma umana, allora era giusto che questi imparassero la lezione. Ma uccidere dei bambini in fasce solo per evitare che generazioni future seguissero le orme di quelle vecchie..quello era inaccettabile e ciò che più faceva arrabbiare Aron era che chi l’aveva deciso non poteva essere toccato. Altri sarebbero andati a rincorrere i loro sogni, a prescindere che fossero imparentati con chi ancora girava a piede libero o che fossero nuove leve senza un preciso passato alle spalle ma questo era irrilevante alle orecchie delle alte sfere, troppo prese dalle loro aspettative pianificate per vederne delle altre che senza ombra di dubbio si sarebbero fatte vive molto presto.

“Immagino di non avere scelta” brontolò infine Garp incrociando le braccia “Uff..e va bene, hai vinto tu”
“Non fare quella faccia scocciata. Sono sicuro che sarai un buon nonno e poi non devi preoccuparti” gli disse “Tu pensa solo ad assistere Rouge al parto e a metterli al sicuro, al resto ci penserò io personalmente”

Con “resto” il Pugno si figurò a grandi linee quel che Aron intendeva e non nascose la propria curiosità. C’era qualcosa nell’atteggiamento dell’amico che in qualche modo lo stava lasciando sospeso nella grossa bolla dell’incertezza. Bolla che scoppiò quando l’amico se ne uscì con quella frase...

“Sai, Garp, penso che me ne andrò in pensione”

Rischiò di volar giù dalla poltrona su cui si era seduto. Il mancato tonfo risparmiò a tutta la stanza e ai candelabri di tremare come sotto attacco di un vicinissimo terremoto.

“Tu..che cosa???” ansimò mettendosi in ginocchio.
“E’ da molto che ci penso” confessò tutto contento appoggiandosi comodamente allo schienale delle sua “Pensavo di ritirarmi su un’isoletta tranquilla e di vivere i miei ultimi giorni in una bella casetta vicino al mare. Potrei finalmente avere un po’ di tempo per coltivare dei fiori...”
“CHE DIAVOLO STAI FARNETICANDO?!?”

La mano destra del vice ammiraglio andò a stringere con forza il colletto del vestito del superiore, tirandolo in piedi senza che questo facesse leva con le gambe.

"Per favore Garp, lasciami" gli chiese.
"LO FARO'SOLO QUANDO SARO' CERTO CHE TU NON ABBIA DEFINITIVAMENTE PERSO IL SENSO DELLA RAGIONE!" tuonò quello "PENSIONE? AVRAI VOGLIA DI SCHERZARE, SPERO!!"

I getti di vapore che fuoriuscivano furentemente dalle narici di Garp erano identici agli sbuffi delle locomotive ma nemmeno la sua rinnovata arrabbiatura per quell’uscita spaventò o mise in allarme il collega, che ora lo guardava con occhi socchiusi, del tutto tranquillo. Voleva urlagliene così tante da spaccargli i timpani ma il sentire la propria testa venire compressa da un invisibile macigno di dieci tonnellate, che subito lo fece finire con la faccia spiaccicata a terra, lo allontanò da quell’intenzione. L’haki di Aron sapeva affondare navi con un solo sguardo, atterrare lui era ancor più facile del semplice applaudire.

E ci era andato anche leggero! Ormai era un vero esperto nel riconoscere una leggera pacca da un’autentica bastonata intrisa di pura ambizione essendo lui il malcapitato.

"Se avessi avuto voglia di scherzare, avrei scelto un momento migliore di questo"

Guardò l'amico immaginando come le sue iridi grigiastre si stessero sciogliendo per l'indicibilità appena uscita dalla sua bocca. Non poteva dargli torto; se anche Sengoku fosse stato lì avrebbe reagito come il Pugno.
 
“Io sono stanco, Garp” gli disse allontanandosi da lui “Roger scatenerà un pandemonio colossale e non penso di potergli tenere testa come ho fatto nei anni passati. Sono vecchio ormai..” mormorò “E mi sento sottile, troppo per la verità. Anche se rimanessi potrei al massimo lottare per un paio di anni ma non lo farei con lo stesso spirito. I tempi stanno cambiano Garp. Gli uomini stanno cambiando. Io ho fatto la mia parte e sono soddisfatto”


Non aveva senso prolungare la propria permanenza dove poi non si sarebbe più potuto fare nulla. Da tempo ci pensava, non ricordava di preciso quando aveva iniziato ma sicuramente da molto. L’essere osservato in ogni sua mossa come fosse un animale prossimo ad indossare uno stretto e scomodo guinzaglio non lo toccava più di tanto e l’essere venuto a conoscenza del favore che Roger aveva bisogno, gli aveva dato la motivazione decisiva per mandare definitivamente al diavolo chi sapeva lui,senza contare che così facendo avrebbe aiutato la piccola Rouge. Pareva non vedere le terribili conseguenze che lo attendevano, cosa che invece Garp si stava già prefigurando con l’egual velocità di una gazzella in procinto di scappare da un intero branco di leoni a digiuno. Quel che lo attendeva era ben peggiore di un congedo forzato o di un licenziamento in tronco; Aron si stava auto-esiliando con le sue stesse mani e ne era felice perché sentiva di aver fatto tutto nella vita anche se molti aspetti riguardante d’essa e il suo sogno, erano stati profondamente delusi dal comportamento di alcuni individui.

Era stanco, l’aveva detto. Era stanco e solo ora Garp lo vedeva ma dire addio a un amico in quella maniera, stando a guardare, senza poter far nulla aldilà di quanto chiesto, era qualcosa che lo stava facendo imbestialire come poche volte. Il replicare non sarebbe servito a nulla se non a riempirgli la testa di tanti bei fumanti bernoccoli.

“Uff..la fai facile tu ma dovrò sorbirmi io il mazzo di Sengoku quando lo verrà a sapere” brontolò guardandolo storto.
“Puoi sempre dirgli che ora ha la carica di grande ammiraglio assicurata, non sei obbligato a spiegargli tutta la faccenda” ridacchiò mentre si accingeva ad uscire dalla porta.
“Potresti dirmi anche "ciao", no?” lo rimbeccò il pugno “Che diavolo, non ci vedremo più!”
“Tu detesti gli addii” gli ricordò voltandosi verso il corridoio “E anche io”
“Quindi?” incalzò il vice.
“Quindi..” cincischiò pensieroso lui “Penso che potremo finirla qui. Abbi cura del piccolo, di Rouge e già che ci sei, salutami anche tuo figlio”
“Non hai nient’altro da aggiungere?”

Non si capacitava di come Aron potesse prendere tutto ciò alla leggera. Per diamine, anche lui il più delle volte tralasciava affari importanti per andarsene da tutt’altra parte, ma in quel preciso momento l’amico stava tirando fuori un’assurdità che aveva superato nettamente tutte le sue trovate. Forse faceva finta di niente proprio perché odiava gli addii come aveva replicato pochi secondi prima e probabilmente chiunque sarebbe stato propenso a pensarla in quel verso: invece di lunghi silenzi, interrotti da frasi corte con la sola funzione di allungare la durata del tempo prima che questo scadesse, Aron aveva scelto di prenderla allegramente, senza ritornare più volte sull’argomento. Non avrebbe più indossato la divisa che si era guadagnato,ne combattuto o difeso i suoi valori: si sarebbe privato di quel vestito dentro cui aveva costruito la sua identità, lasciandosi trascinare via dagli eventi, guardandoli come un semplice spettatore.

“Si, una cosa ce l’avrei” gli confessò girandosi verso di lui “Che non ti venga in mente di far di quella creatura un marine”
“Se deve crescere sotto il mio tetto si atterrà alle mie regole” stabilì l’altro, riprendendosi dal blocco subito per l’essere stato scoperto su quell’intenzione.
“Questo spiega perché tuo figlio sia un rivoluzionario” sghignazzò lui salutandolo con la mano mentre era di spalle e uscendo così dalla stanza “Dovresti smetterla di atteggiarti a uomo serio: sei completamente negato” aggiunse poi.

Garp brontolò qualcosa di incomprensibile ma chiuse ermeticamente la bocca contornata dalla barbetta nera nel guardare,senza sbattere le palpebre, la porta spalancata mentre i passi dell’ammiraglio si facevano sempre più lontani e inudibili. Li ascoltò attentamente uno per uno, lasciando che la consapevolezza di quel momento lo invadesse e gli confermasse che quel che era successo era vero.
Chiuse gli occhi e rilassò pugni e braccia nello stesso istante, lasciando che il silenzio tornasse a governare in quell’ala privata del quartier generale di Marineford.


“Addio...amico mio”

A una settimana da quella conversazione, Roger fu giustiziato e contemporaneamente, Aron sparì dalla circolazione.
La notizia al momento rimase segreta, ben altro aveva avuto la priorità e i mesi seguiti a quell’esecuzione storica, furono tutto tranne che tranquilli: dopo aver lasciato trascorrere qualche giorno, la Marina aveva reso pubblica la legge riguardante la sorte designata ai figli dei pirati e i diversi plotoni, che stavano esplorando il mare meridionale, erano giunti ne pressi delle terre di Arasu, con la piena conferma che la compagna del Re dei Pirati vivesse in una delle sue isole rientrarti.
Fra di esse spiccava Batterilla, patria di Rouge e luogo dove Roger aveva trascorso in tutta pace l’ultimo periodo della sua vita. La notizia che i soldati avessero ricevuto il compito di sequestrare ogni donna sospetta incinta era dilagata come peste, ma inspiegabilmente, sull’isola era arrivata una sola nave, ripartita dopo aver eseguito un controllo accurato.
Per tutti i mesi che occorsero alla donna per ritardare di quanto serviva la gravidanza, di marine se ne videro pochissimi e Garp non ci mise molto a ricollegare il fatto a una qualche strategia attuata da Aron. Nascosto da qualche parte, stava proteggendo lui, Rouge, il neonato e tutti coloro che rientravano strettamente nella faccenda, perfino i suoi subordinati, attirandosi addosso la sempre più crescente ira del Governo Mondiale. Doveva essere semplice trovare una donna, ma, quando realizzarono che questa ormai era ben lontana dalle loro mani, seppero subito a chi attribuire la colpa, perché si trattava dello stesso uomo che aveva sparso in giro documenti riguardanti la spontanea resa del Re dei Pirati davanti alla Marina. Era Aron e non ci fu bisogno di prove o conferme per esserne. Con quei atti imperdonabili, l’immagine cristallina del Governo Mondiale era andata a incrinarsi non poco; la gente aveva distolto gli occhi e l’ammirazione da essa, nelle città aleggiava la confusione e tra le domande più frequenti vi era quella che chiedeva ripetutamente che fine avesse fatto l’ammiraglio del popolo. L’elezione di Sengoku aveva riscosso non poche insoddisfazioni.

Dov’è l’ammiraglio Aron? Perchè non si fa più vedere?

La gente pretendeva di sapere e la risposta arrivò ancor prima che questa alzasse il tono della propria voce: davanti alle centosettanta nazioni che costruivano uno dei perni portanti del mondo, Aron venne accusato di alto tradimento per tutta una serie di reati che prevedevano l’ergastolo a Impel Down o ancor peggiore, la decapitazione immediata e siccome il suddetto era pressoché introvabile, le massime autorità del Governo Mondiale avevano scavalcato in un sol colpo l’assemblea generale, umiliandolo con il massimo delle loro possibilità e riducendolo a un comune e odiato criminale della peggior specie. Guidarono i diplomatici al loro servizio per cancellare quanto diffuso e sostituirlo con quanto era stato deciso: nel giro di qualche anno, l’ammiraglio venne completamente dimenticato, ma forse..era più corretto dire, che chi aveva le redini del gioco, aveva preteso il silenzio assoluto su tale argomento.

Da parte sua, Garp rastrellò i diversi mari precedenti la rotta maggiore mentre si assicurava che il piccolo Ace stesse bene ma, dopo tanti tentativi malriusciti, fu costretto a smettere. Esprimendo la sua volontà, l’ex ammiraglio aveva varcato quella soglia senza un briciolo di esitazione pur sapendo che non avrebbe più potuto riscattarsi dal fango dentro cui era stato spedito e senza che lui, Garp, potesse pagare il piccolo debito nei suoi confronti.

“Beh, amico mio...” boffocchiò versandosi del tè nella tazza e buttando un occhio fuori dalla finestra del suo ufficio “Adesso siamo finalmente pari”
 
 

“Da questa parte, ispettrice Katya. La nave è pronta a partire”

Un soldato dell’equipaggio scelto la stava accompagnando verso il molo dove l’ammiraglia era stata ormeggiata e preparata adeguatamente per il viaggio. Era la sola presente in quel piccolo porto e i motivi derivanti a ciò erano attribuibili al fatto che quella partenza non era del tutto prevista.

Inizialmente Sayuri era stata tutta un fascio di nervi ingestibile: l’indossare quella divisa e il mascherarsi gli occhi con delle lenti a contatto azzurre e i capelli con una parrucca bionda acconciata in un elegante chignon le era sembrato assurdo e il livello di incredulità era nettamente aumentato quando il soldato che ora la stava scortando, le si era rivolto con perfetta naturalezza, scambiandola per la donna di cui aveva preso il posto.
Nel guardarsi allo specchio, nell’ufficio del vice ammiraglio Garp, era rimasta paralizzata per una buona manciata di minuti. Non c’era traccia della pirata che si era presentata ai massimi esponenti della Marina. Nel tentativo si sistemarsi la falsa capigliatura si era resa conto che quel travestimento non soltanto le dava l'età di una donna adulta ma la rendeva identica alla madre, con la differenza che lei era più giovane.
Non è questo il momento per distrarsi, si era detta scuotendo la testa. Con accuratezza si era assicurata che la divisa non mostrasse le fasciature poste sul suo corpo e che queste non si allentassero in caso di movimenti bruschi. Inoltre si era data una veloce ripulita e perlomeno aveva assunto un aspetto più decente, senza un viso eccessivamente bianco o affaticato.

Il risultato era buono, divenuto eccellente quando il soldato l’aveva accompagnata senza accorgersi di nulla. Era stato tutto molto sbrigativo,improvviso e quel che necessitava di riflessioni più accurate doveva rimandarlo a quando sarebbe stata sola nella sua cabina, sperando che la tensione e tutto l’insieme di emozioni che stavano facendo festa in lei non la uccidessero.
Raggiunta la nave salì sul ponte principale, sgombrò e in perfetto ordine, dove alcuni uomini stavano spiegando e issandola la pesante ancora.

“Quanto tempo ci impiegheremo a raggiungere Impel Down?” domandò con quanta più professionalità poteva.
“Tre ore, ispettrice” rispose prontamente la recluta “Arriveremo per le nove”
“Molto bene”

Appena la passerella fu ritirata e il resto dei preparativi concluso, fu istintivo per lei raggiungere la parte estrema del ponte e puntare gli occhi su quell’orizzonte dove il tramonto stava facendo felicemente capolino con tutti i suoi colori.

Sto venendo a prenderti, Ace. Resisti.

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Capitolo 58
*** Impel Down. Comincia la discesa. ***


Buon pomeriggio, sono tornata!!! Avevo promesso che sarei tornata il primo mercoledì di Gennaio e infatti eccomi qua. Ora, prima di lasciarvi al capitolo, vorrei dire un paio di cosette: allora, la prima è che essendo la mia fict personale, nel senso che molte parti della trama originale si sono state messe e altre no, in quest’ultima saga, ho modificato qualcosina, tipo i tempi per far combaciare il tutto con la mia storia. Spero che comunque sia di vostro gradimento e l’ho detto magari per i nuovi arrivati, non si sa mai. Seconda cosa, questo è un periodo pesante, infatti settimana prossima inizio a fare gli esami e nel caso non vedeste l’aggiornamento, dovrete pazientare qualche giorno, comunque io mi metterò di impegno per postare con regolarità, anche perché questa fict è il mio solo respiro al momento. Ah,un’ ultimissima cosa, poi vi lascio: ho cominciato a revisionare i vecchi capitoli, cercando di correggerli:fino ad ora solo quattro, anche qui ci vorrà un pochettino. Inoltre, le risposte alle vostre recensione le ho tutte inviate col nuovo sistema EFP ma se qualcuno preferisce ricevere le risposte al vecchio modo, me lo faccia sapere. Bene, ho detto tutto adesso. Iniziamo!!

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Ogni pirata esistente conosceva bene la fama di Impel Down, così bene che viveva sempre con quel piccolo terrore di finirci per le azioni commesse. Si trattava della prigione più grande mai esistita, la cui impenetrabilità era spessa quanto la rigidità del Governo Mondiale. Costruita come una spirale all’incontrario, presentava sei piani tutti differenti fra di loro, che pululavano d’ogni genere di guardie o creature capaci di sedare mortalmente qualunque detenuto osasse alzare le mani o pensasse a tale intenzione e, in aggiunta, dotata di un sistema di luma-camere che video-sorvegliava scrupolosamente ogni centimetro assegnato. Se anche un solo prigioniero fosse riuscito miracolosamente a raggiungere il ponte esterno, questo non avrebbe comunque avuto modo di fuggire da lì; la prigione era stata costruita nel bel mezzo di una fascia di bonaccia piena di Seaking. Tra l’essere torturato fino all’esasperazione o il venire masticato più e più volte c’era solo l’imbarazzato della scelta. L’intera progettazione di quel carcere era stata attuata al fine che ogni singola parte d’esso andasse a favore della Marina, a partire dalla sua stessa posizione in mare: non c’entrava soltanto la presenza dei mostri marini, Impel Down, insieme a Enies Lobby e Marineford, era stata eretta in quella fascia affinchè fosse collegata alle altre due strutture da un particolare sistema di correnti che le univano tutti e tre. Era impossibile raggiungere la prigione, solamente le navi della Marina erano in grado di solcare quella zona e inoltre, le correnti che creavano quel triangolo circolare non potevano portare a nessun’altro luogo che non fosse l’isola giudiziaria o il Quartier Generale della giustizia. Ci si poteva immettere ma poi si era destinati a finire in uno di quei tre posti, volente o nolente.

E questo non era che il preludio. Il peggio doveva ancora arrivare…

Uscita dalla cabina e con la testa rivolta all’insù, Sayuri, alias Katya, rimase abasita nel guardare la mastodontica porta della giustizia in procinto di aprirsi. Un’intera montagna fatta d’acciaio su cui era impresso un enorme gabbiano blu, il simbolo della Marina. Un’opera che lasciava a bocca aperta chiunque, lei compresa. Quando essa era chiusa, tutta la serie di correnti veniva stoppata in quel preciso punto ma bastava che una di queste fosse aperta e per ripristinare il percorso marittimo in tutta tranquillità.

La sera oramai era calata e quella porta così abnorme assomigliava ad un orribile muro nero invalicabile. Tutto lì attorno era scuro e tetro e lo scrutare l’orizzonte non le avrebbe fatto trovare una sola scintilla di quel tramonto che a lungo aveva ammirato prima di rintanarsi nella propria cabina. L’osservare quella porta, lo scandagliarne i pochi contorni non fece altro che alimentare la spontanea convinzione che non ci fosse niente di più nero al mondo. Era come se anch’essa la stesse guardando, con occhi molto guardinghi e sospettosi….

“Attenti, le guardie ci stanno aprendo le porte” avvisò un soldato.

Il primo rumore che si udì fu il mare che scivolava all’interno dell’apertura venutasi a creare fra le due ante metalliche. Questa aumentò ma mano che le ante raggiungevano l’ampiezza adeguata per far passare la nave, in sincronia a un cigolio profondo, molto lento e privo di fastidiosi stridii. Ricevuto il permesso, l’ammiraglia si inoltrò nell’apertura, lasciandosi alle spalle la vastità dell’oceano appena percorsa.
Sayuri dovette deglutire il più silenziosamente possibile e trattenersi dal voltare la testa mentre la sola entrata e uscita da Impel Down veniva chiusa.

Sono dentro  pensava ritmicamente Sono dentro…

Cercò di sciogliere le spalle per allentare la tensione che rendeva come corde di violino i suoi poveri muscoli ma la vista di quella decina di corazzate disposte circolarmente attorno alle mura di cinta bastò per impietrirla nuovamente. Riprese appena in tempo il controllo della mascella prima che questa le cadesse ingiù; la Marina doveva tenerci veramente molto alla riuscita dell’esecuzione del suo comandante se addirittura avevano fatto circondare l’intera prigione dalle più grosse navi a loro disposizione. Tra gli spiragli visibili, la falsa ispettrice adocchiò il ponte d’entrata con sopra lo stemma del posto al momento indecifrabile per via della lontananza.

Dieci corazzate armate di tutto punto, guardie scelte addestrate a sopprimere qualunque atto di ribellione, bestie infernali mangiatrici di uomini…non sarà facile Ricapitolò mentalmente E non devo dimenticarmi del direttore.

L’elemento più pericoloso che potesse esserci in quell’inferno artificiale era proprio chi lo gestiva ovvero il direttore Magellan, meglio conosciuto come l’uomo più terribile di tutta Impel Down. Con lui non doveva stare attenta ma attentissima. Se si trovava lì nei panni di falso ispettore anziché da futuro incarcerato come tutti quelli che passavano di lì, lo doveva unicamente al vice-ammiraglio Garp e al debito che aveva con suo nonno.
Per tutte quelle tre ore di viaggio aveva organizzato mentalmente ogni passo di quel suo piano tirato insieme più con l’utilizzo dell’istinto che della ragione ma almeno i passaggi fondamentali li aveva trasmessi tutti quanti a Don prima di dover attaccare.
Tutto ciò che lei doveva fare era giungere al piano dove Ace era tenuto prigioniero almeno una ventina di minuti prima che lo scorta lo venisse a prendere e liberarlo; si sarebbe fatta aiutare da Jimbe e in quanto a Magellan ci avrebbe pensato lei stessa - se la situazione l’avesse richiesto -  ma per far fronte ai marines e al resto del personale che, poco ma sicuro le sarebbe arrivato addosso a blocchi, necessitava assolutamente di aiuto, aiuto che già sperava arrivasse in tempo. Si trattava di approfittare dell’arrivo della scorta, aspettare che la porta si aprisse, sferrare un attacco a sorpresa e svignarsela prima che il Quartier Generale verificasse di persona il perché del ritardo.

No, non sarà per nulla facile.  Pensò nuovamente scendendo dalla passerella e incamminandosi verso l’entrata.

E che diamine, quello era pur sempre il carcere più temuto al mondo, una sorta di cassaforte extralarge dal contenuto intoccabile che lei si stava preparando a espugnare sotto mentite spoglie. Quando si era ammirata allo specchio per verificare se il travestimento coprisse adeguatamente il tutto a stento si era riconosciuta: tralasciando gli occhi celesti e i capelli dorati, la divisa da ispettrice le conferiva un’aria molto più adulta e matura, annullando quei tratti di fanciullezza seppur non del tutto spariti. Non possedeva particolari decori; il colore predominante era il bianco, esclusa la camicia e la cravatta di due tonalità di blu diverse. Per il restante era identica alla divisa che i diplomatici indossavano, solo che al posto dei pantaloni c’era una gonna lunga fino a metà coscia, scarpe con poco tacco e ovviamente un mantello ampio e caldo con cui ripararsi dal freddo, sua unica funzione dopo l’aspetto estetico e simbolico che conferiva al possessore.

“Ispettrice Katya”

Giunta all’entrata, una donna coi lunghi capelli biondi mossi e con grandi occhiali da sole la richiamò dal suo pensare,scattando sull’attenti.

“Il mio nome è Domino, vice capo delle guardie di Impel Down. Le dò il benvenuto” l’accolse.
“La ringrazio e perdonate l’ora. Data l’attuale situazione mi è stato possibile lasciare Marineford solamente di pomeriggio”
“E’ più che comprensibile” l’appoggiò la donna “Prego, da questa parte. Il vice direttore sarà subito da lei” e si dispose lateralmente lasciandola passare.

E il primo impatto era stato superato. Tutto il nervosismo accumulato si era appiattito non appena la sua voce era riuscita in modo straordinario a rispondere al saluto della donna. Doveva parlare lo stretto indispensabile ed era stato un autentico miracolo che le corde vocali non si fossero accapigliate fra di loro rendendola muta. Nell’affiancare l’ufficiale, continuava a ripetersi di star tranquilla con la stessa velocità con cui si doveva pronunciare uno scioglilingua ma tenendo conto del luogo e della ragione per cui si trovava lì, era seriamente difficile comportarsi con nonchalance. Travestimento a parte, rimaneva pur sempre una pirata nella più grande e orribile prigione mai esistita. E non bisognava dimenticare il Quartier Generale della Marina…

Mancava soltanto Ennies Lobby e aveva completato il giro turistico delle mete meno desiderate di tutta la pirateria.

“Potrei sapere per quale motivo il direttore non si trova qui?” domandò nel mettere da parte quei suoi deliranti pensieri e tentando di apparire quel pochino contrariata.
“Ci deve scusare ma vede, abbiamo ricevuto una visita dell’ultimo minuto: la signorina Boa Hancock ha fatto una piccola deviazione dal percorso di Marineford con l’esplicita richiesta di vedere il prigioniero e al momento il direttore Magellan è in sua compagnia”
Boa Hancock è qui?

Quella si che era una novità.
Era convinta che l’imperatrice serpente si trovasse a Marijoa insieme ai altri componenti della flotta dei sette, Jimbe escluso. C’era da chiedersi il perché di quella visita ma Sayuri era troppo presa a non farsi scoprire per pensarci e da quanto era riuscita a fare al momento, la copertura stava funzionando egregiamente. Domino la fece accomodare in una saletta che veniva utilizzata per far attendere gli ospiti in una agiatezza ben più decente rispetto a quella destinata ai carcerati: c’era perfino un tavolino con dei biscotti sopra.

“Il vice direttore Hannyabal sta arrivando. La prego, si metta pure seduta se lo desidera, non la faremo aspettare molto”
Cogliendo il suo annuire, la donna dalla chioma ondulata chiuse la porta della stanza lasciandola così da sola.
A quel punto avrebbe potuto anche gettarsi pesantemente su quel bel divanetto verde che stava attaccato alla parete ma lo scorgere immediatamente una luma-camera nell’angolo in alto a destra, la fece desistere da tale tentazione, spingendola a scegliere l’opzione di sedersi con compostezza. Le tre ore passate sull’ammiraglia avevano giovato al suo povero corpo, restituendole una buona percentuale del vigore necessario ma nulla poteva cancellare il fatto che a livello dei polmoni la ferita infertale dall’ammiraglio Kizaru ogni tanto le provocava una leggera fitta di dolore. La fasciatura teneva perfettamente ma era preferibile non esibirsi in movimenti troppo bruschi,non al momento almeno.

Teniamo a mente anche questo allora. 

Sospirò mentalmente stropicciandosi lo spazio che separava le due sopraciglia.
Una cosa in più o in meno ormai non faceva alcuna differenza. A forza di trastullarsi con tutto quel che c’era di pericoloso in quella faccenda, non aveva più rivolto l’attenzione a Ace. Si, quello che stava facendo era unicamente per lui ma il muro di eventi creatosi l’aveva distratta dal pensare a lui come la persona che più amava a quel mondo, a come fosse la loro vita prima dell’uccisione di Satch, a come fossero prima di litigare come mai era capitato da quando si conoscevano….

Erano stati uno più stupido dell’altra ma lei colpevolizzava più sé stessa per avergli detto, seppur non direttamente, di essere un debole. La freddezza di quelle parole, congelate a quella dannata notte, si erano ammassate nella sua anima, sbriciolandola in tante parti che stavano praticamente facendo a pugni per tornare ad essere una sola entità. Il pensare costantemente a quella missione di salvataggio l’aveva distratta dal pensare a che cosa lui rappresentasse nella sua vita e solo in quel frangente, sentì il proprio cuore dolerle come un tempo.

Desiderò vederlo immediatamente, di verificare quanto male fosse conciato e fare tutto il possibile per alleviare la sofferenza che in origine sarebbe spettata a lei.
Voleva che la guardasse, che le sorridesse, che pronunciasse il suo nome e che anche solo con un semplice tocco delle dita, le dicesse che non stava sognando.
Voleva poterne accarezzare il fuoco, restituirgli il vigore perso per ammirarlo in tutta la su forza, voleva avere una buona ragione per piangere e per chiedere scusa di tutto quello che aveva fatto.
Voleva vedere Ace, voleva vederlo subito, prima di impazzire per quello che il proprio cuore aveva provveduto a tacere per troppi giorni.

Lo voglio vedere..lo voglio vedere…per favore, lo voglio vedere adesso!!   Supplicò mentalmente con la parte superiore del viso ancora nascosta dalle dita della mano che ancora le stropicciavano la pelle.

Sei piani li separavano, una distanza relativamente minuscola se si teneva conto che fino a quel momento le possibilità di rivederlo erano state pressoché inesistenti. Le sue gambe fremevano di andare ma tutto quello che  potè fare, fu di staccare la propria schiena dai morbidi cuscini del sofà e poggiare le mani attorno alle ginocchia, stringendole quanto bastava per calmarle.

Calma Sayuri, stai calma…

Per quanto ingiusto nei confronti di quel sentimento che faceva parte della sua linfa vitale, fece appello a tutta la tranquillità accumulata sino a quel frangente, alzando lo sguardo giusto in tempo per vedere la porta aprirsi; ne entrò un uomo dalla tonda pancia, avente indosso un copricapo da faraone verde e giallo. Al posto delle sopraciglia possedeva due corna allungate lateralmente e dietro la schiena gli spuntavano due insolite ali nere da pipistrello, accompagnate da un fodero di stoffa che conteneva con alte probabilità la sua arma. Con viso truce e sinistro, impugnava un lungo e affilato forcone di ferro che pareva portarsi sempre addietro.

“Miss Katya, buonasera!” esclamò stando ben sull’attenti “Sono il dirett..cioè, il vice direttore Hannyabal, al suo servizio” si corresse velocemente.
“Molto lieta”
“Il direttore mi manda a dirle che gli dispiace non poterle dare il benvenuto di persona ma si è dovuto trattenere più tempo in bagno per i suoi soliti problemi intestinali” spiegò annuendo “Ha mangiato più pesante del sol..no, cioè , volevo dire che al momento è con la stupenda principessa serpente” al sol pensiero le guance gli si tinsero di un bel rosso e la larga bocca si piegò in un sorriso ebete.
“Capisco. Perdoni la mia fretta ma vorrei procedere con la visita il prima possibile”asserì lei con decisione e alzandosi in piedi “Le dispiace?”
Hannyabal si irrigidì per qualche secondo prima di sciogliere le proprie spalle e rispondere con prontezza “No no, nessun problema!”

Nonostante avesse mostrato un lieve impaccio, quell’uomo dall’aspetto tanto bizzarro era molto più forte di quel che le sue braccine esili davano a vedere. D’altro canto, doveva esserci senz’altro una buona ragione per cui fosse addirittura vice direttore e Sayuri nell’osservarlo, non avrebbe messo in dubbio quanto pensava e credeva. Sottovalutare un nemico basandosi solamente sul suo aspetto era un errore a dir poco che madornale. In attesa, continuò a tenerlo d’occhio mentre questo estraeva dalla tasca dei pantaloni verde scuro -unico indumento indosso- un lumacofono, avviando all’istante la comunicazione che subito venne accolta.

“Direttore Magellan, sono Hannyabal. L’ispettrice è arrivata”
“Bene. Passamela”

Il lumacofono trasmise una voce profonda e molto roca, minacciosa sotto ogni aspetto.

“Miss Katya, a lei” il vice direttore le porse il mezzo di comunicazione che subito lei si apprestò a portare vicino alla bocca.
“Sono l’ispettrice Katya. E’ un piacere conoscerla signor Magellan”si presentò la ragazza.
“Il piacere è tutto mio. Sono desolato di non potervi raggiungere ma al momento sono impegnato a scortare la signorina Hancock al livello sei. Sono stato informato delle vostre intenzioni e della ragione della vostra visita. Hannyabal sarà ben felice di accompagnarla”
“La ringrazio ma penso di poter svolgere quanto mi è stato incaricato senza alcun problema”

Poco prima che partisse, il vice ammiraglio Garp l’aveva nuovamente raggiunta nel suo ufficio e le aveva fornito delle veloci indicazioni sul come presentarsi davanti alle autorità di Impel Down. In poche parole, come ispettrice le era stato affidato il falso compito di convincere Jimbe a rispondere al titolo che ricopriva e a partecipare così alla guerra contro Barbabianca. In caso di fallimento, lo squalo balena sarebbe rimasto lì e lei si sarebbe unita alla scorta che sarebbe venuta a prendere Ace per portarlo al Quartier Generale. Ovviamente le cose si sarebbero svolte molto diversamente ma per la riuscita del suo piano doveva andare da sola, senza nessuno che la accompagnasse e siccome l’ascensore al momento era occupato, avrebbe fatto la strada a piedi, rimanendo così nei piani stabiliti. Non poteva anticipare i tempi perché, poco ma sicuro, il capitano e tutti i suoi fratelli erano ancora in viaggio e non sarebbero arrivati prima di domattina. Fino ad allora se la sarebbe dovuta cavare in solitario, non vi era nessuno che la potesse aiutare adesso ma il sapere di essere nello stesso edificio in cui si trovava Ace, le stava dando tutta la sicurezza di cui aveva bisogno per gestire ogni dialogo e dunque risultare credibile.

“Non offendetevi ma questa è la prima volta che vengo a Impel Down e mi piacerebbe poterla visitare a modo mio. Ho molto tempo a disposizione e posso cavarmela egregiamente, sempre che per voi questa mia scelta non sia un problema”

Mentalmente, pregò che non lo fosse.

“No, affatto” rispose poi il lumacofono mimando i movimenti della bocca di Magellan “Se preferite fare da sola non nulla da obbiettare. Hannyabal, consegnale il necessario”ordinò poi al subordinato.
“Subito!”

Con prontezza il vice direttore porse a Sayuri alcuni indispensabili oggetti che sicuramente le avrebbero fatto comodo; una mascherina bianca molto spessa con un elastico, le cui estremità erano legate agli angoli d’essa e una fialetta di vetro rinforzato grande quanto la sua mano che conteneva un liquido verde fosforescente. Fu facile per Bianco Giglio identificarlo come l’antidoto contro il veleno mortale del direttore e il solo stringerlo fra le sue dita rafforzò la sua determinazione quanto bastava perché si reggesse in piedi da sola. Girare per Impel Down senza era come camminare nel buio in una casa sconosciuta: la pericolosità di Magellan stava nel frutto Vele Vele che gli aveva conferito l’intoccabilità in tutto e per tutto. Ogni oggetto che sfiorava, che si trattasse di cibo metallo, pietra o umani, si infettava del suo veleno e marciva nel giro di pochi secondi. Era di un concentrato corrosivo altamente mortale, tanto che i suoi fluidi nel livello quattro si espandevano molto rapidamente se il possessore decideva di farne uso. Ecco il perché della mascherina.
La dose che subito si premurò di mettere nella tasca interna della giacca bastava per una persona sola ed era efficace una volta soltanto, quindi avrebbe dovuto farne uso con estrema attenzione, al momento più opportuno.

“Miss Katya” parlò poi Magellan “Ora devo proseguire con il giro. Nel caso vi occorra qualcosa, rivolgetevi pure alle guardie dei vari livelli”
“Lo farò. Grazie per la disponibilità”
“Dovere”

Il lumacofono chiuse gli occhi e la bocca, ritirandosi di qualche millimetro nel suo guscio colorato.

“Miss Katya venga, le mostro le scale per il livello uno”

Hannyabal tenne aperta la porta facendola passare, per poi condurla lungo tutto il restante corridoio dove vi era il grosso ascensore opportunamente protetto da grosse sbarre e ulteriormente sorvegliato da un paio di guardie. Sayuri gli gettò un’occhiata fugace, riversando successivamente tutta la sua concentrazione sul muro di fondo che presentava un’apertura a campana con sopra il cartello “Livello uno” e una freccetta rossa che indicava verso il basso.

“Questa è l’entrata?”
“Si, Miss. Da qui scenderete all’inferno scarlatto e a seguire vi ritroverete  in quello delle bestie, il livello due. Ogni piano è stato progettato unicamente con lo scopo di impedire la fuga di qualsiasi prigioniero. Sono sicuro che non rimarrete delusa dalla mia prig…a-ehm! Dalla prigione del direttore Magellan!” si corresse velocemente.
“Questo spetta me deciderlo” proferì laconica nel superarlo.

Il guardare quel corridoio che era stato scavato verso il basso accentuò un che di emozionante nel suo torace. L’ansia stava iniziando nuovamente a riemergere ma al posto della paura per la propria incolumità, vi era qualcosa di grossolanamente simile alla speranza. Era impensabile riuscire a evocare della positività in un posto deprimente e angosciante come quello ma il muovere i piedi e l’indirizzarli dove poi avrebbe potuto sorridere con tutta la sua felicità, le diede l’ultima e decisiva carica d’energia che le occorreva per stringere al meglio lo zaino nascosto sotto il mantello e iniziare così la sua discesa in quei inferni tanto diversi fra loro ma accomunati dallo stesso obbiettivo.

Va bene. Iniziamo.
 
 


Livello due.
L’inferno delle bestie.

Il secondo livello di Impel Down era conosciuto come l’inferno delle bestie  per via delle sue guardie uniche nel loro genere: si trattava di bestie infernali, tra cui rientravano oltre che una sfilza di animali stranissimi e assai aggressivi, perfino un enorme Basilisco che amava si nascondeva fra le impalcature del soffitto, una Sfinge grande quanto un galeone a guardia dell’entrata del livello tre - la più grande e visibile - e le Manticore, simili ad essa con la sola differenza che nel loro corpo di leone, la testa aveva fattezze molto più umane.
Queste e molte altre giravano liberamente fra i corridoi di quel nido di pietre composto di gabbie robuste dove i prigionieri preferivano marcire piuttosto che farsi spolpare e infine pappare da quei mostri. Annusavano il terreno e guardavano coi loro occhietti apparentemente ebeti e roteanti ogni angolo in cerca di qualcosa da mangiare, borbottando anche parole apprese dai condannati che ogni tanto si perdevano in discorsi sognanti riguardanti cibi che mai più avrebbero assaggiato.

“Sono ancora lì?” domandò una voce tenuta bassissima.

A scatti e tremendamente terrorizzata, una testa fece capolino da una piccola rientranza fra due pareti  adiacenti a un muro identico a quello dentro cui si stavano nascondendo: con la stessa velocità della luce,l a testa dalla lunga chioma mossa e blu guardò a destra, a sinistra, in alto e in basso per poi tirarsi indietro e prendere un grosso respiro con la mano destra premuta sul cuore.

“Allora?” incalzò il compagno di prima.
“Per il momento se ne sono andati” rispose egli “Dobbiamo approfittarne per tornare al livello uno prima che arrivi Magellan..”
“Che?? Non se ne parla! Io devo andare a prendere Ace!!” urlò una terza persona.
“Shhhhhhhh!!!!! Taci idiota, vuoi farci scoprire???” all’unisono, i due tapparono la bocca allo sconsiderato che rischiava di farli scoprire.

Stavolta a sbirciare fuori dall’angolo per vedere se qualcuno li avesse uditi fu Mr 3, un uomo magro, occhialuto, con i capelli acconciati di modo tale che creassero in cima alla testa un grande numero tre, appartenuto alla famigerata organizzazione Baroque Works.

“Fiuu..ce la siamo vista brutta. Quelle Manticore potevano sentirci..”

Appoggiò con stanchezza la schiena alla parete e si lasciò scivolare verso il basso, accanto a Buggy, il secondo carcerato il cui aspetto estetico saltava subito all’occhio per quello strano e tondo naso rosso che gli aveva conferito l’appellativo di “il Clown”.
Era stato un autentico miracolo mandato dalla provvidenza divina il fatto che quest’ultimo pirata non fosse stato registrato come possessore di un frutto del diavolo e il mettere piede fuori dalla cella senza le fastidiose manette di algamatolite addosso, era stata una sensazione così stupenda che solo l’aria fresca dell’esterno avrebbe potuto superarla. Si era fatto un’idea su che cosa lo separava dalla tanto agognata libertà ma di certo nel suo programma già pensato, stilato e ricontrollato cinque volte, non era incluso il moccioso che per tre mesi abbondanti l’aveva costretto a viaggiare di isola in isola su una zattera di provvidenza, con tutti i suoi poveri arti, mani testa e piedi esclusi, persi chissà dove. Dar la caccia a Rufy per poterlo affettare coi suoi coltelli era stata la sua ragione di vita prima di finire a Impel Down per un madornale errore di calcolo mentre cercava un tesoro dalle dimensioni apocalittiche e ora che finalmente l’aveva scovato doveva scrollarselo di dosso prima che questo trascinasse lui e il nuovo alleato nelle viscere di quell’inferno fatto su misura per l’uomo.

“Sei forse impazzito??” sclerò con voce piattissima togliendo la mano dalla bocca del ragazzo “Se quelle bestiacce ci scoprono è la fine!”
“Shishishi! Tu ti preoccupi troppo Buggy!” ridacchiò Rufy senza far caso al proprio tono di voce “Basta non farsi vedere,no?”
“Basta non farsi vedere….grrrrrrrr!!!!” al sol vedere quel sorriso a trentadue denti, le tempie del Clown si gonfiarono a tal punto che dalle sue orecchie fuoriuscirono due getti di vapore caldissimi. “Tu e quello stramaledetto rosso! Ecco che cosa detesto di voi due, il vostro insensato essere positivi in ogni situazione!! Ma almeno hai capito di trovarti nella prigione più pericolosa di tutto il mondo????” sibilò nel troneggiare sul ragazzo di gomma con la bocca identica in tutto e per tutto a quella di uno squalo assassino.
“Certo, è qui che tengono Ace” rispose il pirata mantenendo quel suo enorme sorriso mentre si sistemava con cura il cappello di paglia in testa.
Secondo me invece non l’ha capito… Pensò Mr 3 demoralizzato e con tante belle goccioline di sudore che gli tempestavano la nuca.

Il vederlo sorridere con noncuranza era sinonimo che tutta la serie di pericoli che quel carcere poteva offrire con la stessa facilità con cui si regalavano caramelle ai bambini, non lo stava toccando minimamente come invece stava facendo con lui e Buggy.
Dal canto suo, il pirata dalla lunga chioma blu a stento si tratteneva dallo strangolare quel maledetto moccioso di gomma ma solo perché se lo avesse fatto, come minimo quelle bestiacce infernali li avrebbero trovati e allora tanti saluti all’unica chance concessagli per fuggire da quel postaccio. Quel suo gettarsi a capofitto nel pericolo gli ricordava troppo quel maledetto rosso che puntualmente l’aveva sempre trascinato con sé senza mai interpellarlo.

Di che ti preoccupi Buggy? Sei un uomo puzzle, non ti possono fare niente.  Gli aveva sempre detto ridacchiando come un pazzo.

E di chi era la colpa se era diventato un uomo puzzle? Sua ovviamente, perché quello invece di farsi i sacrosanti fatti suoi doveva impicciarsi di quelli dei altri con la stessa grazia di un tifone!
Quante volte glielo aveva rinfacciato ma lui manco l’aveva ascoltato, proprio come ora stava facendo quel fastidioso moccioso di gomma!

“Oi, Mr 3..” bisbigliò io Clown al compagno “Se stiamo con Cappello di Paglia è sicuro che finiremo per non uscire mai più di qui. Dobbiamo levarcelo di torno” sentenziò mentre il diretto interessato eseguiva dei piegamenti sulle ginocchia.
“Sono d’accordo. L’entrata per il livello tre è a sinistra mentre le scale per il livello uno sono a destra. Non dovrebbe essere difficile raggiungerle” annuì l’ex membro della Baroque Works.
“Già, specie se tutte le guardie daranno la caccia a lui e non a noi, eh eh” sogghignando malignamente come solo lui sapeva fare.
“Yosh, sono pronto! Allora, andiamo?” domandò impaziente Rufy.
“Certo. Tu vai avanti, noi ti copriamo le spalle” gli rispose l’occhialuto, appoggiato dal Clown.
“Ok, grazie ragazzi!”

Non sospettando minimamente che quei due lo stavano usando come diversivo per potersi dirigere al primo piano indisturbati, il ragazzino si gettò in una corsa sfrenata lungo tutto il corridoio.

Che allocco!  Pensarono Buggy e Mr 3 stringendosi la mano a vicenda.

Si assicurarono che fosse sufficientemente lontano prima di uscire a loro volta dal nascondiglio.

“Sbrighiamoci prima che quel babbeo si accorga della nostra as..”

Come se fosse appena stato trafitto da dei paletti di ghiaccio, la frase gli rimase a metà gola, finendo per trasformarsi in un brivido che colpì tutta la sua schiena. Qualcosa gli era appena scivolato sulla testa e stava colando lateralmente sulla sua faccia che subito si contrasse in una smorfia di disgusto.

“Bleah! Ma che roba è?!” esclamò disgustato.

Nel ripulirsi velocemente la faccia, Buggy notò che quella cosa viscidosa che gli era colata addosso era incredibilmente calda e densa, trasparente e con strane bollicine. Ad un primo confronto pareva essere saliva.

“Che razza di schif….Mr 3, che diavolo ti prende ora?”

Galdino - che poi era il reale nome di Mr 3 - stava guardando con gli occhi fuori dalle orbite e la mascella totalmente aperta quanto bastava per farle toccare terra, qualcosa che stava sopra le loro teste, balbettando sillabe fra di loro sconnesse.

“Il Ba…Ba……Ba…..Ba…”
“Ba che cos..?”

Il secondo carcerato alzò il capo verso il punto tanto fissato dal compagno e nel giro di mezzo secondo, assunse la sua stessa, identica espressione.
Accucciato in alto e con la testa sporgente, stava un enorme mostro verde, con ali bianche e piumate, apparentemente incastrate fra le solidissime impalcature del soffitto; i tondi occhietti pazzi giravano in continuazione e insieme alla lingua biforcuta e sibilante, che danzava come una piccola onda, conferiva a quel mostro dal becco zannuto sbavante tutto quello che serviva per far intendere che era estremamente affamato e che i due sfortunati adocchiati stavano per diventare il suo spuntino notturno.

“IL BASILISCOOOOO!!! CAPPELLO DI PAGLIA, ASPETTACI!!!!!!” urlarono con le braccia alzate al vento e correndo all’impazzata lasciandosi dietro un polverone alto due metri.

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Capitolo 59
*** Avanza la notte. Disordini sui piani. ***


Buonasera, continua la saga di Impel Down! Rufy e Sayuri avanzano lungo la prigione per salvare Ace ma senza la sapere la presenza reciproca. Intanto, Buggy e Mr3 si disperano, cercando di scappare via prima che la situazione degeneri! Come proseguirà il tutto? Basta leggere per sapere!

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La stazione di sorveglianza si trovava al piano d’entrata di Impel Down, situata in una piccola torretta privata che per via del suo particolare utilizzo, fungeva da nodo centrale d’ogni comunicazione presente nel carcere; tappezzata di schermi, tutti di uguale dimensione, rimaneva attiva ventiquattro ore su ventiquattro, monitorando tramite le luma-camere la situazione di ogni piano, escluso il quinto e intercettando messaggi esterni con tanta rapidità da non far mai trovare il personale impreparato. Metà della grande e impeccabile sicurezza del posto era da attribuire ad essa, l’occhio artificiale che vedeva e sentiva tutto grazie ai dispositivi posti sotto il suo comando.
Appena pochi minuti prima che il vice direttore Hannyabal arrivasse, le guardie addette al monitoraggio notturno avevano appena segnalato l’ennesimo spostamento dei fuggitivi, inquadrati per qualche secondo dai dispositivi visivi prima di sparire nuovamente in qualche angolo dove questi non arrivavano, per poi ricomparire prontamente nel corridoio principale.

“Che notizie dal livello due?” domandò il vice direttore avvicinandosi ai monitor impugnando saldamente l’inseparabile falcone “Siete riusciti a identificarli?”
“Si, signore. Due di loro sono nostri prigionieri” rispose affermativamente una delle due guardie sfogliando la lista sotto mano “Il primo è Buggy il Clown. A quanto pare possiede dei poteri derivanti da un frutto del diavolo di cui non eravamo a conoscenza”
“Questo spiegherebbe la riuscita della sua fuga dalla cella..” mugugnò Hannyabal inarcando le corna “Va avanti”
“Il secondo carcerato invece è un detenuto del livello due: Galdino, soprannominato Mr 3, ex membro della Baroque Works” proseguì il subordinato.
“E il terzo?”

La guardia a quel momento esitò e cercò sostegno nel compagno che ignorò il suo appello e si concentrò sui numerosi schermi davanti a lui.

“Allora?”
“Ehm..vice direttore, non si tratta di un prigioniero ma di un esterno” confessò  cercando di trovare le parole giuste.
“……Come?” Hannyabal sbattè esattamente due volte gli occhi prima di contrarre i muscoli della sua faccia in quell’espressione ebete che poi era la sua quando non capiva cosa gli era appena stato detto.
“Si tratta di Monkey D.Rufy” continuò la guardia porgendo il manifesto del ricercato al vice direttore “E’ una delle nuove leve della pirateria, quello che ha messo in ginocchio l’isola di Ennies Lobby” 

Al capo in seconda quasi uscirono gli occhi dalle orbite nel vedere i numerosi zeri pendere sulla testa di quello che era un ragazzino. Il viso gli si imperlò immediatamente di sudore e nel vedere lo stesso individuo correre lungo tutto il corridoio, aprirsi la via fra Manticore e ippopotami divoratori di uomini, la lingua gli fuoriuscì dalla bocca tutta seghettata nell’appurare che quello non era uno scherzo come aveva creduto per quei pochi secondi. Era del tutto impossibile che una persona, un pirata per specificare, potesse entrare a Impel Down in uno stato diverso da quello di prigioniero e a confermare quella verità c’erano così tante ragioni che ci si poteva scrivere un libro. Quello che però al momento non si spiegava, forse in netta minoranza rispetto a ciò, era la motivazione che aveva spinto una nuova leva da ben trecento milioni di berry a cimentarsi in tale azione. Anni e anni di esperienza non servivano di certo a capire che i pirati in libertà facevano di tutto pur di tenersi alla larga dal re dei carceri, quello era un concetto così semplice che non aveva certo bisogno di ore di studio. Allora perché mai quel moccioso invece stava andando contro tutte le logiche di base facendo di testa sua??? E in un momento del genere poi!
Non potendo mettersi le mani nei capelli, Hannyabal prese a tirarsi i due ciuffi laterali che fuoriuscivano dal suo copricapo faraonico.

Accidenti, questa non ci voleva proprio! In un momento delicato come questo..ma dov’è il direttore Magellan? Se il Quartier Generale della Marina venisse a sapere che Cappello di Paglia è riuscito a penetrare a Impel Down come minimo se la prenderebbero…se la prenderebbero proprio con lui!

A quel pensiero i suoi occhi si illuminarono di luce rinata, divina per lui, a cui subito affiancò la sfrenata immaginazione guidata dallo spirito ambizioso che sempre gli faceva scappare qualche parolina di troppo. Lì non c’era un solo secondo fa perdere!

“Dove sono diretti?” domandò poi acquistando la dovuta serietà.
“All’entrata del livello tre ma non c’è da preoccuparsi. Fintanto che la Sfinge è di guardia non potranno passare in alcun modo” rispose prontamente la guardia inquadrando su un altro schermo l’entrata per il terzo piano - un enorme buco nel pavimento - ai cui piedi stava, comodamente seduto con le zampe anteriori incrociate, un enorme leone dalla pelliccia violastra e dalla folta criniera bianca.
“C’è da preoccuparsi eccome! Un pirata da trecento milioni di berry è riuscito a entrare a Impel Down senza che noi non ce ne accorgessimo! Una cosa simile non è mai capitata nella storia di questa prigione!!” tuonò, tenendo ben in disparte il caso di Shiki il Leone Dorato.

I due addetti alla sicurezza sobbalzarono per il tono alto tirato fuori dal superiore. Erano rimasti sbalorditi da quell’improvviso scatto di serietà; il vedere emergere nel vice direttore quella fermezza di spirito che gli aveva sempre permesso di imporsi sui criminali con il massimo rispetto per la giustizia, meritava tutto il loro rispetto, insieme al resto del personale carcerario. Non vi era persona più ligia al suo dovere di lui in quel posto, oltre al direttore Magellan ovviamente.

“Avvertite Saldeath e ditegli di raggruppare tutti i blugori del livello tre in prossimità dell’entrata e assicuratevi che anche quelli del livello uno lo raggiungano. Se è lì che si stanno dirigendo quei tre furfanti, allora gli daremo un benvenuto che non scorderanno per il resto della loro vita!”
“Si signore, mi metto subito in contatto col capo dei carcerieri” si affrettò l’uomo alla sua destra.
“E mandate qualcuno a bloccare le uscite per il livello uno e due. Non dobbiamo in alcun modo permettergli di sfuggirci da sotto il naso!” sentenziò battendo con forza la base del suo forcone a terra.
“Incredibile, non avevo mai visto il vice direttore Hannyabal così deciso” bisbigliò la guardia al compagno mentre eseguivano gli ordini impartiti.
“E’ vero” concordò l’altro.
“Bando alle ciance, muovetevi!” ordinò “Qui non c’è in gioco soltanto l’onore e il buon nome di Impel Down ma anche la mia promozione a direttore! Per la carriera del signor Magellan non c’è più speranza, tutto quello che possiamo fare è assicurarci che la mia promozione non venga fatta sfumare da quel piratuncolo presuntuoso! La poltrona di Magellan mi spetta di diritto!”

Tutto il rispetto e l’ammirazione suscitata per le belle parole antecedenti a quell’uscita, che mostravano il vero aspetto morale di Hannyabal, caddero miseramente in rovina. Che fosse di natura ambiziosa era risaputo ma non era poi un segreto così grande il suo desiderio di far sloggiare Magellan dalla posizione di direttore, dato che il più delle volte - come in quel caso - era lui stesso a tradirsi. I due uomini in divisa caddero clamorosamente a terra con le gambe all’aria nell’apprendere le reali intenzioni del loro superiore e non mancarono di lanciargli un’occhiata dalle sfumature rimproveranti, ben visibili dietro ai occhiali da sole stortati a causa della caduta.

“Vice direttore..” borbottarono entrambi.

Il sentirsi chiamare a quel modo bastò per far scendere Hannyabal dalle nuvole del futuro prospero da lui sognato.

“Ops..non dovevo dirlo!” e si tappò la bocca con tutte e due le mani.
 


Livello due.
L'inferno delle bestie.

I corridoi di quel piano infernale erano molto silenziosi.
Da tempo i carcerati avevano imparato a tener chiusa lo bocca per via delle fameliche guardie che girovagavano liberamente; anche il più piccolo respiro che esprimesse obbiezioni per come venivano trattati si era del tutto inabissato dopo che alcuni di loro avevano sperimentato di prima persona che cosa significasse ricevere le personali cure di quei mostri. Le spesse sbarre delle celle erano la sola protezione che li dividesse dalle torture, nessuno tentava più di metter piede fuori da quelle gabbie di pietra e ferro: ritrovarsi in quei corridoi, soli e con mille occhi e lingue sogghignanti pronti a divorarli, era un qualcosa che superava di gran lunga il battesimo d’entrata che soleva svolgersi nelle tiepide acque dell’inferno. Acque che bollivano a cento gradi per l’esattezza.
Le guardie di rado ci passavano perché talvolta il poco raziocinio di quelle bestie si offuscava, impendendogli così di riconoscere i padroni dal cibo. Il solo modo che si aveva per acquietarle era fargli capire chi aveva il coltello dalla parte del manico e Magellan in questo era il massimo esperto, tanto che quando passava per l’inferno delle bestie, nessuna di queste, perfino il Basilisco, si azzardava a toccarlo. Ma il direttore non era lì al momento e questo non aiutava Sayuri a capire il perché alcune Manticore fossero a terra prive di sensi e coi nasi sanguinanti.

Ma che cosa è successo?

Ad ogni passo saltavano fuori nuovi corpi, tutti ridotti nel medesimo stato. Erano come state sbaragliate da qualcosa provenuto dalla sua stessa direzione ma in tutta sincerità non riusciva a immaginarsi chi o cosa fosse stato capace di tale azione. Senza rallentare la propria andatura, proseguì lungo tutto il percorso principale, guardando con molta attenzione i diversi punti che lasciavano ben vedere chiari segni di lotta.

Quelle Manticore avevano lividi e bernoccoli su tutta la testa, proprio come se fossero state prese a pugni e a calci. Chi può aver fatto una cosa del genere?

Il sol vedere sveglie alcune di quelle creature e il notare il loro allontanamento prima che si avvicinasse troppo, le diede un ulteriore segnale di quello che già stava sospettando: qualcosa che non quadrava. Le bestie infernali non scappavano di fronte a una potenziale vittima, ricordava molto bene l’esperienza di Gungle River seppur lontana. Quelle dovevano aver ricevuto una bella lezioncina se ora non osavano neppure avvicinarsi a lei. Forse le botte ricevute avevano permesso ad esse di riconoscerla come un membro della Marina, anche se falsa, comunque ciò giocò a suo favore; meno combatteva, più energie avrebbe  sperperato in seguito, anche se la faccenda non la stava tranquillizzando del tutto. A giudicare dai segni e anche dai corpi svenuti delle creature, il qualcosa che le aveva sconfitte pareva essersi diretto verso l’entrata principale del livello tre.
Chi mai scenderebbe di sua spontanea volontà in tutta quella serie di inferni esclusa lei?

Benchè il piano fosse avvolto dal suo solito imperscrutabile silenzio tenebroso, indubbiamente il sospetto ormai aveva assunto uno forma che non era più così trascurabile. Qualunque fosse la natura del qualcosa appena passato e il suo obbiettivo, questo lei non lo poteva sapere ma l’intuire che volesse passare dalla porta principale - per così dire - anziché prendere il sentiero alternativo che le era stato suggerito e che era scrupolosamente utilizzato dalle guardie, lasciò ben intendere che il pericolo non era cosa che lo o la spaventava, figurarsi un salto nel vuoto; da quel che aveva capito, l’entrata per il terzo piano era un enorme bocca circolare scavata nella roccia, dove i condannati per l’appunto vi venivano gettati dentro.
Siccome era altamente improbabile che all’arrivo di quella discesa senza paracadute ci fosse un materasso pronto ad ammorbidire la loro caduta, la ragazza aveva subito optato per la via alternativa appena un pochettino più lunga forse ma sicuramente meno spacca ossa.  

Tra le molte stranezze spiccava poi il fatto che non era stata informata della attuale situazione; non aveva udito sirene al livello uno o qualunque altro segnale che potesse mettere in agitazione Impel Down. Non era convinta che quanto osservato fosse solo lo sfogo di qualche bestia più nervosa del solito, percepiva dell’umanità, come se nell’aria fosse rimasta una minuscola traccia dell’essenza del qualcosa che aveva messo al tappeto i vari mostri. Accelerò il passo nello scorgere con la coda dell’occhio un paio di zampe lunghe e secche spuntare da dietro l’angolo, completamente inermi come il resto del cadavere avvolto nell’ombra. Poteva trattarsi anche di altro e lo sperava ma il sol posare le iridi falsamente celesti su quei artigli, le riportò alla mente il momento peggiore vissuto a Giungle River.
Non appena fu sicura di essere abbondantemente lontana, potè riprendere a respirare, lasciando che il cervello l’aiutasse a completare quanto iniziato ma dovette nuovamente rimandare l’atto per osservare quanto stava capitando a diversi metri più in là.

Un folto gruppo di masse tonde e azzurre stava attraversando in tutta fretta e piuttosto rumorosamente il suo stesso corridoio, dirigendosi a gran fretta verso destra, dove il muro copriva quanto si desiderava vedere.

Sembrano…Blugori.

Nell’aguzzare la vista, comprese che quelli erano veramente dei Blugori. La gente li conosceva come i guerrieri del mare dalla natura misteriosa, celata sotto il lungo mantello azzurro e blu che li copriva interamente, con un bel teschio nero cucito a livello del viso. Correvano spintonandosi a vicenda, facendo cozzare le loro asce senza minimamente preoccuparsi di finire tagliuzzati.

E’ molto strano. Sono certa di averli visti fare la ronda nel livello uno, non dovrebbero trovarsi qui. A meno che..

Non era un caso, non poteva esserlo. Quei guardiani muti si stavano dirigendo in tutta fretta proprio all’entrata del livello tre, come fossero richiamati dal padrone. Avvicinandosi con passo ben composto, facendo attenzione alle luma-camere presenti e il ritrovarsi a guardare quella specie di onda blu avente grosse e affilate lame sporgenti, le fece notare anche la presenza di alcuni uomini ben armati di fucile. Si stavano organizzando velocemente sul da farsi e quando uno di loro notò la sua presenza, le si avvicinò stando bene sull’attenti.

“Potrei sapere dove si stanno dirigendo tutti questi Blugori?” domandò pacata senza lasciare il tempo a quest’ultimo di presentarsi.
“Oh, miss Katya. Non dovete preoccuparvi, abbiamo tutto sotto controllo”
“Che cos’è successo?”
“Un evasione: due carcerati del livello uno e due sono riusciti a eludere la sorveglianza e a scendere fino qui. Ora pare si trovino al livello tre” spiegò molto velocemente questo, tralasciando le verità più importanti.

Il vice direttore Hannyabal era stato categorico al riguardo.

“Se mai doveste incontrare miss Katya, limitatevi a informarla sulla fuga di due possibili evasori, in qualunque caso non menzionate Cappello di Paglia. Lo cattureremo prima che si accorga della sua presenza, mostrando la piena efficienza di Impel Down e le mie qualità di futuro direttore, ah ah ah ah!!.....Ops, non dovevo dirlo!”

Piccoli sproloqui a parte, gli ordini di Hannyabal non si dovevano discutere. Il direttore Magellan era ancora impegnato con Boa Hancock e nonostante l’avessero avvertito, quello non aveva ascoltato una sola parola di quanto riferito e se avessero avuto modo di vedere di prima persona il perché di quelle decisione, anche loro avrebbero lasciato perdere tutti gli ordini.
Con più sicurezza, la guardia spiegò il resto della situazione e anche se la falsa ispettrice fece cenno di aver capito ciò, nel riprendere la sua camminata, lasciandosi alle spalle tutti quei Blugori, comprese definitivamente che quanto sospettava aveva basi più che fondate. Poteva negarlo con le parole ma i gesti fisici lo tradivano su tutti i fronti e Sayuri, capace di cogliere anche il più piccolo cambiamento caratteriale delle persone, aveva raccolto ogni briciola di quello che l’uomo invece aveva voluto occultare.

E’ evidente che c’è dell’altro; se i prigionieri erano stati rinchiusi ai primi due livelli, teoricamente non sarebbero riusciti a battere tutte queste bestie infernali, inoltre..se davvero si tratta di prigionieri, non avrebbero motivo di scendere ai piani inferiori. No…ci deve essere per forza dell’altro.

Era impensabile che due prigionieri volessero scendere di loro spontanea volontà nelle viscere della struttura anziché salire. Qualunque cosa stesse realmente accadendo, pareva non voler far cessare il piccolo disordine creato, anzi, si stava addirittura prodigando per espanderlo sempre di più. Un ironica coincidenza…e poco più di un giorno prima che Ace venisse giustiziato.

No. Non può essere una coincidenza  Pensò nel giungere finalmente alle scale per il livello tre.

La sentiva forte, troppo per essere un caso. La sicurezza dei suoi pensieri aveva preso forma solida e si era unita a tutte le altre sue attuali certezze che ruotavano tutte insieme in tondo. Il cuore non le batteva forte, era calma, tuttavia non poteva non ignorare gli altri dubbi che ancora le martellavano la testa. Qualcuno stava cercando di mettere a soqquadro il carcere e si stava dirigendo in gran fretta verso il basso. Ma chi? Quella era la domanda portante che reggeva tutte le altre. Se colmava tale quesito, il resto sarebbe emerso da sé ma per ottenere la risposta, non aveva che un modo: proseguire.
 


Livello tre.
L’inferno della fame.

“A…A…..Acquaaaaaa……datemi dell’acquaaaaaa”
“D..Datela anche a meeeeee….”

I poveri Buggy e Mr3 si stavano trascinando a fatica nello sconfinato livello tre, un immenso deserto così caldo da far evaporare i liquidi interni del corpo umano. Le varie celle se guardate da lontano, apparivano come delle piccole oasi cadute in rovina, dove non cresceva neppure l’ombra di un filo d’erba. Oltre a quell’afa insopportabile, generata da un meccanismo che riproduceva i medesimi effetti del sole, i prigionieri erano condannati a morire di fame e quindi a subire una lenta tortura senza fine. Ulteriormente,la maggiore calura era data dal fatto che al dì sotto d’esso, vi era la fornace di Impel Down, il livello quattro, ancora più caldo, tanto da far apparire il deserto della morte un luogo fresco e pieno d’ossigeno.
Dopo la rovinosa caduta avuta insieme a Cappello di Paglia e a quella stramaledettisma Sfinge rincitrullita, le cui zampate avevano contribuito a far crollare il pavimento, i fuggitivi si erano separati dal pirata da trecento milioni di berry, lasciandolo solo contro tutti i Blugori e Saldeath che, molto amorevolmente, aveva preparato appositamente per loro un comitato d’accoglienza da far accapponare la pelle a dovere.
Come fossero riusciti anche quella volta a scamparla non ne avevano idea ma fintanto che la fortuna girava dalla loro, non c’era motivo per cui rifiutarla.

“Aaaahh..questo caldo mi sta uccidendo..” ansimò il povero Galdino “Di questo passo mi scioglierò..”

Il suo essere un uomo cera in un territorio così arido e cocente, rappresentava il più grande svantaggio contro cui potesse trovarsi. Al posto del sudore grondavano grosse gocce di cera bianca e mancava tanto così che anche la parte inferiore del corpo prendesse e si staccasse per poi liquefarsi nella sabbia.

“Non mollare Mr3. Un altro sforzo e saremo lontani da quei bestioni” gli fece coraggio il Clown ormai anche lui prossimo a far strisciare la propria lingua sul terreno.

Mossi solo dal loro desiderio di un pò d’ombra, salirono una corta rampa di scale di pietra per poi accasciarsi sul pavimento coperto da  mezzo soffitto. Avevano corso disperatamente coi occhi così fuori dalla cavità oculare che a momenti avevano creduto di non poterli più far tornare alla normalità. In quel frangente, Buggy aveva ringraziato più e più volte tutte le divinità risiedenti nell’alto dei cieli per l’avergli dato la possibilità di diventare un uomo puzzle, altrimenti sarebbe stato ridotto a un colabrodo sin dai primi colpi d’ascia di quei bestioni. La sola nota positiva che ogni tanto lo distraeva dall’aver perso l’occasione di conquistare tutti i tesori del mare.

Distrutti, si girarono a pancia in su, con braccia e gambe allargate e i polmoni raggrinziti, ignorando i rumori in lontananza e anche i resti scheletrici di quei prigionieri che ci avevano lasciato la pelle sotto quel falso sole.

“Anf…anf..maledetto Cappello di Paglia..trascinarci giù in questo postaccio….” ringhiò Buggy affilando le pupille e slargando le labbra colorate “Adesso ci toccherà attraversare l’intero deserto per trovare l’uscita!”
L’enfasi messa nelle parole non riusciva a sortire l’effetto sperato a causa del timbro di voce pesantemente compromesso dall’ambiente ostile.
“Forse non è necessario” riprese fiato Mr3 issandosi sulla parete e poggiandosi con la schiena “Se non ricordo male..anf..nel livello quattro c’è un corridoio che porta direttamente al livello uno”
Buggy deglutì rumorosamente “Il livello quattro? Ma lì..non c’è Magellan?!”

Lo stare sul medesimo piano dell’uomo più temibile di tutta la prigione rendeva la prospettiva di farsi mangiare da un branco di piragna, dieci volte più bella di quanto potesse già sembrare a un inguaribile ottimista.
Magellan era sinonimo di morte lenta e inevitabile e francamente stargli lontano era l’idea più saggia da prendere, però..era anche pur vero che non potevano tornare indietro e rischiare di farsi prendere a cazzotti dai Blugori, senza contare poi che Cappello di Paglia avrebbe potuto notarli e nuovamente trascinarli ancora più in basso.

“Sei sicuro che ci sia veramente questo corridoio?” si accertò il Clown.
“S….Sicurissimo” rispose con affanno Mr3.
“Uhm…è rischioso” borbottò il compagno pensandoci attentamente “Ma se è il modo più sicuro che abbiamo per tornare su di sopra, allora facciamolo! Andiamo al livello quattro!” sentenziò.
“Che???” Mr 3 saltò scattò sulle proprie gambe senza neppure sapere come avesse fatto “Io lo dicevo per scherzo, non possiamo andare ancora più in basso, finiremo per liquefarci nel veleno di quel pazzo!!”starnazzò coi occhi fuori dagli occhiali.
“Che credi, lo so!” esclamò a sua volta il compagno “Ma riflettici: in questo momento tutta Impel Down ha i riflettori puntati su Cappello di Paglia e sicuramente quel  bastardo velenoso darà più peso a lui che a noi due. Si tratta solo di non farsi vedere dalle luma-camere e da qualsiasi altra cosa che possa ridurci in poltiglia”
“Più facile a dirsi che a farsi” mugugnò l’ex membro della Baroque Works “Groan, avrei fatto meglio a rimanere nella mia cella..”

Ci era stato trascinato a forza lì, nemmeno l’aveva chiesto! Oramai si era rassegnato all’idea di passare i restanti anni della sua vita in prigione e sinceramente si era anche abituato alla sua cella e a tutti quelli con cui la condivideva.

“Animo Mr3!” esultò Buggy alzando le braccia in segno di vittoria “ Usciremo da questo inferno e torneremo ad essere liberi, ah ah ah ah ah!!! A proposito….” Fermò la sua risata per porre la sua domanda “Dov’è l’entrata per il livello quattro?”
“Ma che vuoi che ne sappia io?!?”
“Che cosa?!? Non lo sai?!?” tuonò il Clown “Mi spieghi perché mi hai detto che c’è un corridoio che potrebbe riportarci in superficie se manco sai dov’è????”
“Non te la prendere con me! Io non ci sono mai andato al livello quattro, ho solo sentito le guardie mentre ne parlavano!!” si giustificò.

Il puro ed estasiante attimo di folle folle speranza si trasformò istantaneamente in uno deprimente e dallo spirito combattivo sepolto sotto chili e chili di terra. Era stato un azzardo bello che buono quello di esultare come delle pasque, tralasciando il fatto di trovarsi in un deserto vastissimo, sconosciuto e con una temperatura che si aggirava intorno ai 45 gradi ma la felice visione di quella grande porta che riconduceva alla libertà di essere un pirata con tanto di cappello e sciabola, aveva eccitato forse un po’ troppo il Clown da vistoso naso rosso che ora si era afflosciato a terra con tanti lacrimoni a colargli dai occhi.

“Sai che significa questo?” piagnucolò tra un misto di delusione e rabbia.
“Uh…temo di saperlo” rispose Galdino con tono più melodrammatico.

Per riuscire a seminare alcune guardie intestardite a voler testare le loro armi sulle loro zucche già malridotte, i due in un primo momento si erano rifugiati nelle vicinanze di alcune rovine e lì, erano stati richiamati dall’inneggiante “Un-deux-trois!” di qualcuno che Galdino conosceva fin troppo bene. Un tipo del genere non si dimenticava neppure con il lavaggio del cervello. Era bastato raccontare che quell’impiastro di gomma si trovava proprio lì per far muovere quel ambiguo cigno dalle labbra strette, colorate di rosso e dai occhi coperti di un pesante mascara verde scuro in suo soccorso e nel mentre quello avanzava a passo di danza verso l’amico bisognoso di aiuto, loro se l’erano data a gambe levate prima di venire nuovamente scoperti.
A giudicare dai grossi botti in lontananza, evidentemente la caccia all’invasore era ancora aperta e se Bon Clay, alias Mr2, si era unito a Cappello di Paglia, era altamente probabile che stessero sbaragliando tutta la concorrenza per aprirsi la strada verso l’entrata del livello quattro. Entrata che forse quello strano uomo danzante conosceva.

“Sigh, dobbiamo tornare laggiù!!”
 


“Accidenti, ma questo posto è enorme! Come faccio a trovare l’uscita?!”

Da almeno trenta minuti abbondanti, Rufy continuava a salire e a scendere da gradinate rovinate e insabbiate senza riuscire però a trovare la strada corretta. La calura di quel posto era a dir poco insopportabile ma perlomeno si era liberato di quei fastidiosi guardiani. Ignorava completamente che qualcuno ancora si stesse aggirando in cerca di qualcosa -possibilmente vivo- da colpire e sbudellare e continuava a correre col prezioso cappello di paglia a battergli dolcemente sulla schiena.
La vivre card di Ace, quel minuscolo pezzettino di carta rimasto ancora intero, indicava verso il basso e questo era bastato al ragazzo di gomma per intuire che il fratello maggiore non si trovava sul suo stesso piano. Non c’era un solo minuto da perdere: quelli della Marina prima o poi sarebbero venuti a prenderlo e lui doveva impedirlo, anche se la sua presenza era già stata identificata.

“Eh? Ma qui io non ci sono già passato?”

Frenò la sua corsa, sollevando un polverone di sabbia coi suoi sottili infradito. Si guardò in giro con un mano immersa nei corti e scompigliati capelli neri, cercando di ricordare quale strada avesse preso ma lì era tutto così uguale che nemmeno rammentava da quale parte fosse arrivato.

“Aaah! E adesso dove vado?” si domandò guardando in ogni direzione consentita,anche in alto.

Stette a picchiettare il piede sul pavimento per diversi secondi quando tutto ad un tratto, il silenzio venne sostituto da un suono molto singolare, nuovo alle orecchie del ragazzo.

Clok…clok….

“Uh? Ma che è?”

Era pesante come suono, lento e regolare ma bastò per far alzare i pugni a Rufy quando poi la fonte di tale rumore gli si materializzò davanti in tutta la sua mostruosa grandezza: era il triplo di lui, con due strane sporgenze appuntite ai lati delle teste e un paio d’occhietti gialli tondi e piccolissimi che lo stavano fissando con insistenza. Appena questo compì un altro passo avanti, l’ombra che lo avvolgeva si dissolse in un solo istante, mostrando un manto bianco maculato da bizzarre macchie verdastre, un enorme anello giallastro appeso alle narici del naso colante e un espressione alquanto stupida dipinta sul muso.

“Eh? Una mucca?”

La strana creatura si reggeva su due zampe, brandendo in uno dei zoccoli anteriori una pesante mazza che trascinava senza alcuna fatica. Unico indumento indossante, era un gonnellino rosso scuro scucito e rovinato in più punti, legato a livello della vita.

“Accipicchia!” esclamò con le stelle al posto dei occhi “Non avevo mai visto una mucca così gr…EHI!!”

Con scatto felino, l’enorme bovino era scatto in avanti con l’intento di frantumare la sua testa. Rufy si spostò velocemente e continuò a balzare all’indietro evitando quei colpi tanto potenti da sbriciolare le poche lastre di pavimento presenti. Nonostante la possente mole era velocissimo, abbastanza da sfiorargli le punte dei capelli.

“D’accordo, l’hai voluto tu! Gomu Gomu no…Pistol!”

Caricando il braccio destro, lo allungò in avanti fino a colpire il pieno muso della bestia. Questa scivolò all’indietro ma rimase in piedi, con la testa all’indietro per l’urto subito.
Bastò un niente a farlo raddrizzare e con occhi  arcigni, si preparò nuovamente ad attaccare l’avversario, ruggendo poderosamente.

“Tch! Questa mucca è resistente!”

Rufy si preparò nuovamente a ricevere la bestia che ora stava correndo verso di lui con le zampe anteriori ben alzate, tenendo alta la mazza. Deciso a sistemarlo definitivamente, il ragazzo si preparò a caricare un altro pugno ma il sentire le proprie spalle picchiettare contro il muro, gli fece girare spontaneamente la testa per farlo accorgere di aver indietreggiato un po’ troppo. Si lanciò a terra, rotolando di lato ed evitando ancora una volta il colpo del mostro, che subito tornò all’attacco con occhi ancora più luminosi. Così preso a cercare di prendere il ragazzino, così accecato dall’euforia di tritare le ossa alla nuova vittima, nemmeno si accorse di quella figura roteante che stava sopraggiungendo sul luogo dello scontro.

“Okama Kempo: Memoire de ce ciel d’hiver!”

Senza neppure avere il tempo di girarsi, la creatura venne colpita violentemente alla guancia da un calcio piatto, sollevata e sbattuta contro il muro che subito finì in mille macerie.

“Ma che…” seppur avesse tenuto gli occhi aperti tutto il tempo, Cappello di Paglia non aveva la benché minima idea di che cosa fosse successo.
“Mugi-chan, sono qua!!!!”

Dalla polvere non ancora del tutto diramata dall’aria, saltò fuori la stessa ombra che aveva colpito e mandato K.O la bestia armata di mazza. Nel scoprire l’identità del nuovo arrivato, sua vecchissima e carissima conoscenza, il sorriso di Rufy si allargò così tanto che rischiò di staccarsi dal resto della bocca ma non ci badò più di tanto perché subito corse incontro a quella persona con occhi straripanti di lacrime per la felicità.

“Bon-chan, sei vivo!”

Mr2 slargò le braccia fino a stritolare l’amico che da tantissimo tempo non vedeva.
Era rimasto incredulo alle parole di quello strano tizio dal prorompente naso rosso e di Mr3. Già era stata una bella sorpresa rivedere l’ex compagno sul suo stesso piano ma mai si sarebbe aspettato addirittura di scoprire che anche Mugi-chan si trovasse lì. Seppur quella notizia erano stata pronunciata da bocche sconosciute e anche antipatiche nel caso di Galdino, il suo cuore di okama lo aveva esortato a crederci e alla fine, il suo cercare in lungo e in largo fra quelle rovine, lo aveva portato al risultato sperato.

“Non sai quanto sono felice di vederti, Mugi-chan!” trillò Mr 2 allentando la presa “Ma mi spieghi che cosa ci fai qui? E dove sono i tuoi amici? Ho girato un bel po’ prima di trovarti e non li ho visti da nessuna parte”
“E’ una storia lunga Bon-chan ma adesso mi serve che tu mi aiuti ad arrivare ai piani inferiori di questo posto! Devo salvare Ace!”
“Ace? Pugno di Fuoco??” domandò allibito l’okama “Quello che sta per essere giustiziato???”
“Si, è mio fratello maggiore!”
"Eh?! Sul serio?!?"

Ce ne erano di cose che voleva sapere e sicuramente prima o poi gliele avrebbe chieste perché sinceramente l’ex membro della Baroque Works non aveva idea di come spiegarsi la miracolosa infiltrazione di Mugi-chan senza il supporto dei suoi compagni. Avrebbe voluto chiederlo subito ma quello non era ne il momento ne il luogo più adatto per mettersi a chiacchierare: Mr2 leggeva nei occhi dell’amico la fretta di proseguire e in nome dell’amicizia che li legava, niente gli avrebbe impedito di offrire il proprio aiuto. Un valore sacro come l’amicizia non necessitava di delucidazioni, troppi perché o motivazioni complesse ma solo di reciproca fiducia e Bon-chan, anche se in passato si era visto combattere contro la ciurma di Mugi-chan, non aveva esitato a difenderli nel momento del bisogno. Senza altro da aggiungere, fece subito cenno al ragazzo di gomma di seguirlo verso l’ubicazione dell’entrata per il livello quattro prima che qualcuno li individuasse.

“Se la Marina vuole giustiziare tuo fratello, sicuramente l’avranno rinchiuso nel livello più basso della struttura!”
“L’importante è arrivare prima di loro!”
“Non ti preoccupare, conosco la strada ma dovremo fare attenzione; se hanno sguinzagliato le bestie demoniache evidentemente  vogliono fare di tutto per impedirci di passare”
“Bestie demoniache?”
“Sono creature che hanno ingerito dei particolari Zoo Zoo in modalità risvegliata. So che sono incredibilmente resistenti: anche il Minotauro che ho atterrato poco fa a momenti dovrebbe riprendersi”
“Minota..che? Io ero convinto che fosse una mucca gigante!”
 


Il vento notturno era favorevole ma piuttosto pigro, la corrente forte e decisamente capricciosa. Due elementi fondamentali per una navigazione avente una meta programmata ma che a quanto pare non volevano venire in soccorso dei viaggiatori.
Le vele erano sufficientemente gonfie per muovere la nave ma data la poca stabilità dell’aria, gli uomini attivi sul ponte continuavano sempre a volgere uno sguardo speranzoso verso l’orizzonte solcato dal buio della notte. Navigavano senza alcuna luce che li illuminasse ma solo per evitare che qualcuno li scoprisse. La corrente li trascinava ma al grande timone della Moby Dick c’era sempre qualcuno pronto a correggere la traiettoria nel caso questa li avesse portati fuori rotta. Al momento  era il turno del comandante adamantino, amichevolmente spalleggiato da Bonz e dalla piccola Akiko che aveva deciso di godere della brezza notturna per rimanere ben sveglia, nonostante non fosse un problema per lei non dormire.

La piccola era accucciata ai piedi della balaustra, con un golf pesante che le copriva tutta la divisa, le gambe raccolte in petto e gli occhi lilla fissi in avanti. Ad ogni folata di vento si stringeva nell’indumento con più vigore ma senza mai muoversi dal punto scelto. Arricciava il nasino ogni tanto ma quello era il massimo movimento fisico visto che era troppo incantata a scrutare il buio per aprire la bocca e parlare. Non ci voleva molto a capire che cose le stesse frullando la testa e chi fosse la protagonista di tali pensieri.

“Non devi star lì a penarti Akiko: lei è in gamba” la rassicurò il cuoco-cannoniere avvicinandosi.
“Bonz ha ragione: Sayuri sa quel che fa” concordò il comandante della terza flotta.

La piccola infermiera dalle ciocche colorate abbassò il mento per poi riporre la propria attenzione sulle ginocchia, corrucciando la boccuccia e alitando su esse per scaldarle. Da quando la sorellona era partita, era sempre stata molto taciturna, sintomo che preferiva confidare in lei piuttosto che mostrarsi agitata e preoccupata. Stava in silenzio, però nel profondo non poteva mettere a tacere l’ansia che le mordeva l’anima: quando tutti loro avevano saputo che Ace era stato catturato e consegnato alla Marina per mano di Teach, aveva strappato di mano il giornale a Vista per leggere di persona quell’orribile verità. Non si era parlato di Sayuri, ne di nessun’altro prigioniero, solamente di Ace, cosa di per sé già terribilmente grave.
Fu istintivo pensare alla peggiore delle ipotesi ma la corvina si era rifiutata apertamente di crederci ed era rimasta a pregare che non fosse vero fino a quando il lumacofono di Don non aveva emesso una richiesta di comunicazione.

Lì, tutte le intenzioni di Barbabianca e dei suoi figli, erano state stravolte, completamente ribaltate.
Sayuri era viva, in qualche modo si stava dirigendo a Impel Down partendo direttamente da Marineford. Il solo sentire pronunciare quel nome era bastato per pretendere di capire come accidenti fosse riuscita a fuggire da quel posto pululante di marine ma di risposte non ce ne erano state, il tempo concessole era stato sufficiente solo per spiegare che cosa avesse in mente e che ruolo dovessero rivestire loro in tutto ciò.

“Dirigerci a Impel Down invece che a Marineford?”
“Ma che ha in mente?”

La sala grande era un rumorio incontenibile di voci di sottofondo cariche di diverse tonalità, tutte in qualche modo armoniche fra di loro. Don era appena entrato a perdifiato nell’enorme stanza spiegando ai presenti e al padre la vicenda: il vecchio Barbabianca aveva inspirato avidamente l’aria, aprendo i suoi occhi quanto bastava per farli trasudare di emozione.

“Ha detto che si sarebbe occupata di liberare Ace e di aprire la porta della giustizia. Tutto quello che dobbiamo fare noi è arrivare prima del convoglio che porterà Ace al Quartier Generale della Marina e sbarazzarci delle possibili corazzate messe di guardie alla prigione” aveva spiegato il medico-cecchino molto sinteticamente.

Considerata la distanza fra la prigione e Marineford, la nave scorta sarebbe arrivata per le nove di mattina del giorno dopo. Dove loro si trovavano, il sole era già tramontato e al momento, gli alleati si stavano radunando nel punto stabilito dal padre, per poi convergere direttamente sull’obbiettivo prestabilito. Il fatto che quelli volessero giustiziare il suo amato figliolo proprio sul patibolo del Quartier Generale del cuore della sede principale della giustizia, era indice che Sengoku non voleva sprecare la sola occasione che aveva, di rivederlo dopo decenni passati a leggere rapporti sui suoi più recenti avvistamenti.
Il Misericordioso sapeva bene come preparare la sua parte di scacchiera e se quel che il figlio aveva detto era corretto, molto probabilmente le richieste di una ragazza sul fermare quella guerra, non lo avevano toccato minimamente. Non aveva prove sul fatto che la figlia fosse andata lì con quell’intenzione ma a quanto pareva, era comunque riuscita a partire per Impel Down senza essere una prigioniera; di per sé aveva dell’incredibile ma se dietro a quella specie di miracolo, c’era chi pensava lui, allora non vi era motivo per cui stupirsi più di tanto.

“Marco, quanto dista Impel Down da qui?” domandò il vecchio Newgate.
“Quasi il doppio del tragitto per Marineford” rispose la fenice.
“Molto bene. Se partiamo ora e imbocchiamo la corrente giusta, possiamo ridurre i tempi di andata” affermò raddrizzandosi sulla poltrona “Don, Vista, Jozu” chiamò poi “Cercate di mettervi in contatto con tutti gli alleati che hanno risposto alla nostra chiamata e passatemeli. Spiegherò personalmente che cosa voglio fare. Tutti gli altri ultimino i preparativi!”

Con voce risoluta, il più anziano degli imperatori impartì il da farsi agli uomini che avevano deciso di seguirlo fino alla fine. Anche Maya era presente e insieme alla sua equipe partì alla volta dei suoi doveri, seguita da lei, la più piccola fra tutte ma anche quella più desiderosa di contribuire. Le sale operatorie andavano pulite e rese assolutamente sterili, i medicinali e le bende dovevano essere a portata di mano e sopratutto presenti in grande quantità. Non doveva mancare nulla.
Il capitano aveva deciso che sarebbero andati a Impel Down per aiutare Yu-chan e così sarebbe stato fatto. Il suo cuore di padre non avrebbe mai permesso che una figlia dovesse lottare da sola per salvare un fratello e la fatica fatta per arrivare sino a quel punto non poteva essere bellamente messa da parte solo perché il grande ammiraglio lo attendeva a braccia aperte nel suo regno. Si, c’era chi dubitava di questa scelta ma che fosse alla prigione più temuta del mondo, al Quartier Generale della Marina o sulla luna, un conflitto ci sarebbe comunque stato.

“Siamo in ritardo sulla tabella di marcia” grugnò Jozu,corrucciando il viso.
“E’ comprensibile. Anche se stiamo navigando al massimo delle nostre possibilità, le condizioni atmosferiche non sono a nostro favore” si aggiunse Marco salendo i gradini “Inoltre, dobbiamo tener conto che Impel Down non era la nostra meta iniziale”
“Altre notizie di Sayuri?” domandò Bonz.
Il biondo scosse la testa “No, non ancora. Don ha detto che si sarebbe fatta sentire lei ma che non avremmo dovuto metterci in comunicazione per nessuna ragione. Non le si può dare torto visto dove si trova”
“Questo è vero ma rimane comunque il problema che non arriveremo in tempo” puntualizzò l’altro comandante.

La distanza era grande, il tempo stretto. Anche se si fossero messi a remare tutti insieme non sarebbe cambiato nulla. Le ore rimaste a disposizione erano poco più di dieci ma nelle loro mani scivolavano via come acqua sui vetri, senza nemmeno provare a rimanere su di esse. L’attesa era frustrante per ragioni più che lampanti, da cui derivavano le loro mosse e anche se non lo davano a vedere, la preoccupazione per la sorella, sola a Impel Down, contro tutta una schiera di mostri degni di tener testa alla peggior feccia del mondo, li stava mandando su di giri.

“Ce la farà”

La sottile voce di Akiko irruppe nel loro conversare senza nessuna pretesa. La si udì semplicemente come un affermazione spoglia ma al coltempo ricca di tutto quello che occorreva per credere che i timori galleggianti sulle loro teste potessero essere sostituiti da qualcosa di più redditizio.

“Yu-chan ce la farà sicuramente” ripetè lei più decisa “Sono sicura che salverà Ace e resisterà fino al nostro arrivo. Lei è non è il tipo che si fa mettere i piedi in testa tanto facilmente, è molto più forte di quelle brutte bestiacce”

La sfrenata fiducia di Akiko nei confronti della sorellona era bastato per far sorridere i presenti. L’adorabilità della loro piccola mascotte era una carica di energia positiva che avrebbe risvegliato anche un morto e il vedere quei occhioni fissare l’orizzonte con così tanta decisione, diede una marcia in più allo spirito combattivo dei pirati. Akiko era tremendamente affezionata a Sayuri, proprio come fosse una sorella maggiore in tutto e per tutto e ogni giorno passato a vederne il letto vuoto, non aveva fatto altro che esortare la piccola infermiera a credere in lei, nella sua forza e nell’amore che nutriva per Ace. Le si sarebbe aggrappata alla vita pur di farla restare se solo quella volta fosse stata sveglia, le avrebbe chiesto di rimanere ma anche se si fosse messa a piangere, non era sicura che lei l’avrebbe accontentata. Satch era morto e la castana ne era rimasta troppo toccata, troppo coinvolta per non fare nulla. Da quella ferita ancora aperta se ne erano generate delle altre, profonde e sanguinanti a tal punto da rattristare la Moby Dick stessa. Anche se ne avessero sanate alcune, l’originale sarebbe rimasta ugualmente, facendo assaporare il suo amaro retrogusto come fosse sempre la prima volta. Il tempo non l’avrebbe allargata ma nemmeno chiusa. Alleggerita forse ma ogni qualvolta la si sarebbe ripresa fra le mani, il volto di Satch avrebbe automaticamente risvegliato il sentimento di vendetta verso l’uomo una volta loro compagno. Il solo pensiero faceva male a tutti quanti loro ma per Sayuri, che l’aveva visto proprio scivolare via senza poterlo aiutare, era qualcosa di devastante, che non avrebbe mai mancato di farle notare la sua impotenza davanti alla morte. Non si potevano salvare tutti ma niente impediva alla gente di provarci: bisognava impuntarsi e Sayuri lo aveva fatto, esattamente come quando Ace prendeva una decisione per poi partire senza il benché minimo ripensamento. Akiko doveva solo credere che lei potesse fare l’impossibile, doveva solo credere che Yu-chan fosse più forte di quello che dava a vedere, doveva solo credere in quella realtà che era autentica quanto l’amore che la sua sorellona provava per il moro.

Se smetteva o vacillava per i troppi dubbi, non avrebbe più rivisto il dolce viso di Yu-chan ne quello viso e furbo di Ace.
E i presenti, di certo non avrebbero messo parola su questo.

“Hai ragione” Marco le si inginocchiò di fianco, accarezzandole la testolina colorata “La nostra sorellina sa come farsi rispettare”

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Capitolo 60
*** L'inferno ardente. La supremazia di Magellan. ***


Buon mercoledì a tutti voi, ecco il sessantesimo capitolo! Mi auguro che la saga di Impel Down stia piacendo a tutti voi;in caso contrario siete liberi di esprimere la vostra opinione al riguardo. Mando un immenso “Grazie” a tutti voi che seguite, recensite o che leggete soltanto, il vostro apprezzamento per la mia fict mi rende felicissima!

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La stanza datale per potersi riposare fino all’arrivo di Marineford non aveva nulla che la aggradasse: era di una semplicità grottesca, con colori penosi e i mobili….del tutto privi di eleganza! Come si erano permessi di affermare che quella era la migliore cabina della nave? Tanto valeva che l’avessero fatta accomodare nel ripostiglio delle scope!

Bleah, nessuno senso del gusto e della raffinatezza. Il solo guardare l’arredamento le disgustava gli occhi. Non c’era neppure uno specchio! Roba da non credere…

Sbuffando infastidita, Boa Hancock scrollò i lunghi e setosi capelli neri, sedendosi molto regalmente su uno dei due divanetti messi a sua disposizione. Accavallando poi le flessuose gambe scoperte, volse i bei occhi azzurri verso l’oblò, dove poteva vedere la sagoma di Impel Down rimpicciolirsi sempre di più. Bastò poco perché il suo malumore per la sistemazione indecente si canalizzasse verso qualcosa per cui il suo cuore mancò di battere.

Il mio Rufy…se soltanto avessi potuto fare di più…

Sospirò con fare innamorato, lasciando che le guance le si imporporassero di quel rossore tipico di chi era davanti al primo amore. Da altezzosa e affascinante imperatrice serpente quale era, faceva tutto quello che più le aggradava perché nessuno mai la avrebbe rimproverata fintanto che i cuori di chi le stava intorno erano stregati dalla sua bellezza. Tutto le veniva dato, tutto le veniva concesso e tutto le veniva perdonato perché lei era bellissima ma quando si trattava di Rufy, del suo adoratissimo Rufy, la sovrana dell’isola delle donne irrimediabilmente perdeva quella sua facciata da principessa dal cuore di ghiaccio e si trasformava in una adolescente delirante, piena di sogni e immaginazioni che bucavano lo schermo della comicità. Aveva fatto del ragazzo di gomma il centro del suo universo, ponendolo al dì sopra di tutto e visto che non conosceva nulla riguardo l’amore, se non che non poteva fare a meno di esserne influenzata, scambiava semplici atti d’amicizia per pure e travolgenti dichiarazioni d’amore.

Santo cielo, era rimasta così scioccata quando lui, poco prima che l’ascensore si chiudesse, le aveva detto di amarla, anche se in realtà l’aveva solo ringraziata. L’emozione era stata così forte da farla svenire fra le braccia del vice ammiraglio Momonga.

“Mi ama, mi ama, mi ama!!” esclamò lasciandosi cadere sul divano con le braccia incrociate al petto e le dita serrate attorno alle spalle “Ora finalmente so che il mio amore è più forte di quello delle sue compagne!”

Continuò a lasciarsi trasportare da tutta una serie di fantasticherie romantiche piene di cuoricini, campane, e luci scintillanti che rappresentavano l’intensità del suo amore per quel ragazzo che aveva avuto il coraggio di picchiare un drago celeste senza starci a pensare troppo. Lo scoprire che viaggiava addirittura con due donne l’aveva ferita ma dopo quella dichiarazione – che in realtà non era una dichiarazione- era tornata a fantasticare su come la sua vita sarebbe stata con accanto l’uomo dei suoi sogni. Il ripensare poi a quando aveva pronunciato il suo nome correttamente, le bastò per toccare i cancelli del paradiso con un dito.

“Mi ha preso per mano e ha detto il mio nome..” vaneggiò stringendosi ancor di più nelle spalle “Mi ha detto che mi ama, che mi ama!” ripetè “Come sono felice!!”

Toc-toc!

“Miss Hancock? Va tutto bene?”

Un paio di guardie avevano aperto la porta dopo aver bussato, incuriosite da quello che stava succedendo nella stanza, del tutto incuranti della reazione alquanto indispettita della principessa serpente.

“Voi!” tuonò quest’ultima con occhi lunatici “Come vi permettere di entrare qui dentro senza il mio esplicito permesso?!”
“Ci scusi ma vede noi..!”

Dopo aver fatto un bel salto all’indietro, i due marine cercarono di spiegare che si erano fatti avanti senza alcuna intenzione di volerla disturbare ma evidentemente l’esperienza di essere diventati delle statue di pietra e il viaggio verso Impel Down, non erano stati sufficienti a far inculcare nelle loro testoline che l’avvenente donna non andava in alcun modo infastidita se non era lei a porre delle specifiche richieste. E difatti……

“Mero Mero Merrow!”

Con le braccia tese in avanti e le mani congiunte a mò di cuore, Hancock pietrificò seduta stante i marine sull’uscio della porta che poi richiuse alle sue spalle davanti agli sguardi ebeti, impauriti e anche innamorati del restante equipaggio.

“Scocciatori..interrompermi sul più bello delle mie contemplazioni! Meriterebbero tutti di essere gettati in pasto alle bestie!” la si sentì strillare dall’interno.
“E’ crudele! Ma anche bellissima!” se ne uscirono i marine coi occhi a forma di cuore.
 



Scale per il livello quattro.

Qualcosa non andava.
C’era sicuramente qualcosa che non andava.
A metà di quel corridoio a spirale tenuto in uno stato di semioscurità, aveva sentito distintamente una sirena propagarsi in lungo e in largo come un suono continuo e interminabile.
Non appena quel segnale acustico si era espanso a dovere nelle sue orecchie, aveva interrotto il suo camminare, irrigidendo tutti i muscoli su cui stava facendo più leva. Un dubbio l’aveva fatta rabbrividire, provocandole dei sudori freddi ai lati delle guance : che l’avessero scoperta? No, era impossibile. A giudicare da tutti i botti ovattati che udiva in lontananza, stava succedendo qualcosa al quarto piano e lei non era ancora arrivata là. Anzichè ripartire immediatamente, stette ad ascoltare con le orecchie ben tese il susseguirsi di quei rumori fievoli per via della distanza posta: dopo quei primi secondi di vuoto, colse i frettolosi passi delle guardie presenti sul livello verso cui era diretta, tonfi a cui non sapeva attribuire la causa e molto altro ancora, amalgamarsi come un miscuglio disomogeneo.
Era un susseguirsi continuo, inarrestabile  e lei, nell’aprire gli occhi, rimase ancora ferma su quel gradino e col viso rivolto verso il basso, esitante. Conscia di non poter sprecare un solo granello di quel tempo racchiuso nella grande clessidra che si stava svuotando con sempre più rapidità, strinse i pugni e riprese a percorrere le restanti scale, dove la calura era più intensa che mai. L’ampio mantello bianco svolazzava senza mai toccare la superficie pietrosa dei gradini e il suono dei passi calcati delle scarpe datele insieme alla divisa, rimbalzava seccamente fra le pareti alte e solidissime aventi un soffitto interamente invisibile per via del buio che lo copriva. 

Affrettata grazie all’adrenalina immessa nelle gambe, Sayuri percorse tutto ad un fiato i metri restanti che la separavano dall’inferno dal piano e non appena fu giunta a destinazione, quell’insopportabile afa già avvertita in precedenza e che possedeva la capacità di ridurre al minimo l’ossigeno, la investì con lo stesso effetto di una corrente gelidissima. Il brusco cambiamento le fece accapponare la pelle quanto bastava da farle stringere le spalle: pareva di stare in un’autentica e gigantesca fornace nel pieno della sua accensione, con l’intero fondo brulicante di fiamme altissime e mortali, paragonabili a lingue rosse e biforcute che solleticavano lo spesso pavimento che univa le varie celle poste a piramide.

E’ incredibile. A suo confronto, il livello tre non è niente.

Col dorso della mano si asciugò la fronte da alcune perline di sudore già manifestatesi per il caldo. Per far respirare il proprio collo allentò il nodo alla cravatta ma potè godere soltanto di un sollievo temporaneo: il desiderio di togliersi quei abiti stretti, o quanto meno il mantello e la giacca, era incalzante quanto l’insopportabilità dell’ambiente ma il pensare a perché doveva tenerseli addosso, le bastò per porre nell’angolo tale tentazione. Non era il momento di distrarsi ne di cimentarsi in un’innocente passeggiata; come si era più volte ripetuta in precedenza, l’importanza di non suscitare alcun comportamento sospetto davanti alle luma-camere, alle guardie o qualsiasi altra cosa che potesse osservarla con occhi umani o animali, veniva prima di tutto. Camminò con disinvoltura, ostentando una tranquillità che avrebbe fatto cadere la mascella a chiunque. Ogni tanto volgeva l’occhio a destra o a sinistra, cercando di farsi un’idea generale di dove le luma-camere fossero state piazzate: al momento non ne aveva viste molte ma era sicura che queste fossero state disposte seguendo uno schema ben preciso e che soltanto nel livello cinque non ve ne fosse traccia, per motivi ancora sconosciuti.

Ovviamente, prima di poter raggiungere quel piano, doveva attraversare tutta la fornace e di conseguenza passare davanti all’uomo che teneva le redini dell’intera struttura: il direttore Magellan.
Il sol pensare a quell’uomo le fece portare automaticamente la mano sopra la tasca della giacca, dove teneva per l’appunto l’antidoto contro il suo veleno.

Ho solo una dose a disposizione e dunque una sola occasione. Non la posso in alcun modo sprecare.

La copertura inscenata dipendeva unicamente dal suo comportamento. Non era stato così facile fingersi un’altra dopo aver passato tre ore su di una nave a cercare di concentrarsi su più cose per non dover pensare all’unica fra quelle capace di rompere la sua ponderatezza. Ogni passo che compiva era un passo verso Ace; lui era lì sotto, lo sentiva e quello che lei chiedeva con tanto insistenza era di poterlo vedere. Era un bisogno impellente e acuto il suo, si era resa conto di non poter più mettere da parte o soffocare i suoi sentimenti perché il farlo la faceva star male sia fisicamente che moralmente. Ma non poteva esternare nulla di quello che provava, non poteva permetterselo: era giunta sin lì quando pensava di non avere più speranze, era stata aiutata, salvata e guidata affinchè riuscisse laddove altri non potevano. L’amarezza che la stava attorcigliando come una catena dall’aura grigiastra non ne voleva sapere di spezzarsi ma lo faceva unicamente per il suo bene, seppur mezzi rudi. Doveva resistere un altro po’, sopportare quella situazione soffocante al meglio delle sue capacità: oltre a lei, Ace, il capitano e tutti i suoi fratelli, anche chi l’aveva aiutata sarebbe stato coinvolto e tra questi rientrava il vice ammiraglio Garp, il nonno del ragazzo. Mai avrebbe permesso che un vecchio amico del suo caro nonno pagasse per un suo fallimento.

A forza di inoltrarsi nei meandri della sua mente, era arrivata nei pressi di una zona di celle dove da quanto vedeva, c’era stata una gran bella lotta: guardie vestite con abiti pesanti e armati di forconi tappezzavano il pavimento del ponte che portava ad un altro blocco. Erano tutte a terra, svenute, con gli occhi rivoltati all’insù.

Santo cielo, chi può…

Si era inginocchiata vicino ad un di esse quando, tutto ad un tratto, la sentì.
Una voce. Nuova, squillante e combattiva, che si stava manifestando energicamente a poca distanza da dove lei sostava. Non la conosceva ma il lasciare che questa si addentrasse nelle suo udito, la spinse ad alzare la testa di scatto e a spostarla appena sulla sinistra, dove c’erano tanti altri ponti simili a quello sopra cui stava, e dislivelli dove le celle erano sigillate. Fu su uno di quei ponti assomiglianti a serpenti di pietra che notò un burrascoso movimento.

“Gomu Gomu no...Gatling!”
“Okama Kempo: Swan Arabesque!”

Strane fruste spesse color carne venivano fatte ondeggiare così velocemente da creare molteplici effetti illusori che bastavano a disarmare i poveri uomini incapace di arrestare l’invasione. Nel vedere quel polverone avanzare, Sayuri prese a correre con gli occhi puntati sempre su di esso. Con un balzo, raggiunse il percorso che prima guardava dal basso, per poi  salire ancora più in alto ma anziché proseguire lungo la via principale, si voltò su sé stessa per poi inoltrarsi nei corridoi nascosti alle sue spalle. Doveva in qualche modo stoppare l’avanzata di quella persona - non poteva essere null’altro- anticiparla e verificare personalmente chi fosse ma senza che le luma-camere la inquadrassero; a ogni angolo si fermava per controllare che il passaggio non fosse sotto sorveglianza e non potendo stordirle, si limitava a passare oltre quando queste guardavano da un’altra parte. Accucciata a terra cercava di farsi piccola quanto bastava per sparire nel muro ma il vaporoso mantello si stava rivelando un tantino ingombrante in quella situazione e dato che tenerlo in mano sarebbe risultato ancor più scomodo e che lo zaino che esso copriva non era sufficientemente grande per contenerlo, dovette cambiare direzione.

Questo caldo è veramente insopportabile.

Dovette nuovamente asciugarsi la fronte con il dorso della mano. Gli abiti stavano diventando sempre più stretti e il suo viso arrossato continuava a divenire sempre più lucido. Era già molto che quel caldo non le avesse fatto brutti scherzi alla testa, una simile afa era dannatamente pericolosa, specie se poi si aggiungevano le esalazioni velenose del direttore Magellan; le temperature alte solevano espandere qualunque odore e il fuoco che alimentava tutto l’inferno ardente non faceva eccezione. Non era una coincidenza che quell’uomo avesse posto il suo ufficio proprio lì.

A proposito di Magellan….dov’era?

Boa Hancock non si trovava più a Impel Down, aveva sentito distintamente il meccanismo dell’ascensore risalire verso l’alto mentre scendeva. Lo spazio utilizzato per il passaggio del mezzo attraversava tutta la prigione dal mezzo, quindi era logico i corridoi che portavano ai vari piani affiancassero quell’enorme vuoto cilindrico smisuratamente allungato.
Guardò con circospezione la zona visibile ai suoi occhi ma non vide traccia di quell’uomo. Per quanto la sua assenza le sollevasse un grosso peso dal torace, non poteva non ammettere che il non sapere di preciso dove fosse la intimorisse. Se realmente si trovava su quel piano, doveva sbrigarsi e attirare l’attenzione dell’invasore prima che lui la precedesse. Sgusciò fuori dal suo nascondiglio provvisorio e si affacciò verso il ponte che aveva superato. Con la coda dell’occhio, sorvolò sulle guardie e si concentrò su chi stava creando scompiglio.
Nel primo riconobbe un prigioniero per via della divisa a righe bianche e nere: combatteva ballando, rimanendo ben vicino al secondo e supportandolo al meglio delle sue possibilità. Non appena la ragazza spostò la visuale su di esso, sussultò di puro stupore , slargando le palpebre. Tornò interamente con le spalle al muro, tenendo la mano sinistra sopra il cuore mentre udiva i due combattere con grinta inesauribile.

Assomiglia….

Ripreso fiato, allontanò dal proprio viso due ciocche bionde dalle proprie guance. Sporse nuovamente e con lentezza la testa verso l’esterno, sino a rincontrare la figura di prima: si trattava di un ragazzo- un diciassettenne per la precisione- indossante  abiti molto leggeri, con corti e scompigliati capelli neri e un bel cappello di paglia che gli ricadeva sulla schiena. Fu proprio quel semplice copricapo a imprimerle, a rafforzare il sospetto già insito in lei, sospetto che subito si ingigantì nel vedere le braccia del ragazzo allungarsi insieme alle gambe e spiccare il volo librandosi in aria.

Ha allungato il suo corpo come se fosse di gomma e quel cappello di paglia…no, non ci sono dubbi, quello deve essere Rufy!

Automaticamente le sue gambe scattarono come stimolate da un ultrasuono potente e autoritario. Rapida, si portò ancora più avanti, in cerca di un buon punto da usare come copertura prima che altri carcerieri arrivassero. La sola occasione in cui aveva visto il fratellino di Ace era stato quando questo le aveva mostrato tutto felice il manifesto di un ricercato su cui era appena stata messa una taglia di trenta milioni di berry. Ricordava bene la felicità del moro quando aveva mostrato quel foglio al padre, il suo sorriso era splendente quanto il sole nel pieno dell’estate. Le aveva raccontato molto di quella piccola peste di gomma, tante caratteristiche che potevano ben essere riassunte con aggettivi essenziali e qualità davvero bislacche. Un giorno sicuramente si sarebbero rincontrati, Ace aveva sempre creduto fermamente che il fratellino, con tutta la sua buona testardaggine, sarebbe riuscito a farsi un nome nel mondo dei pirati e considerati gli ultimi fatti recenti, lui e la sua ciurma ora erano molto tenuti d’occhio dal Governo Mondiale.
Nonostante la curiosità di Bianco Giglio di voler conoscere di persona il ragazzo, ella non si sarebbe mai sognata di poterlo incontrare in quella circostanza. Ciò la lasciava alquanto stupefatta perché nonostante la notizia dell’esecuzione di Ace fosse stata pubblicata in prima pagina su ogni quotidiano esistente al mondo, la presenza di Rufy nella prigione più pericolosa esistente al mondo aveva dell’incredibile non soltanto perché era riuscito nell’impresa di oltrepassare le sue porte senza essere un futuro prigioniero ma anche per un particolare che solo in quel momento Sayuri notò.

E’ veramente strano, non riesco a vedere la sua ciurma da nessuna parte e sui piani inferiori non ve ne era traccia. E se fosse qui da solo? No, è impossibile, non sarebbe mai riuscito a entrare qui dentro senza aiuto. Ma allora…come può aver fatto?

Ci riflettè attentamente ma non riuscì in alcun modo a rispondersi. Era a dir poco impensabile che il ragazzo di gomma non avesse una propria ciurma al suo comando, tuttavia la ragazza non vedeva nessun’altro lì oltre le guardie e il prigioniero alleato. A stento ci credeva ma se realmente Rufy si trovava lì da solo, era scontato conoscere la ragione dato che era uguale alla sua. Doveva essere capitato per forza qualcosa ai suoi amici se essi non erano con lui ma per quel genere di spiegazioni purtroppo non ve ne era il tempo: questo stava continuando ad esaurirsi e man mano lei si faceva più vicina a Ace, più le mura che la separavano da lui si inspessivano. Con le sue sole forze poteva arrivare sino ad un certo punto e lo stesso discorso valeva per Rufy, in special modo per lui, che correva guidato dall’istintivo desiderio di salvare il fratello maggiore senza essere a conoscenza di che cosa Impel Down fosse realmente capace. Magellan non era ancora sceso in campo ma di per certo era già a conoscenza di quanto stava succedendo e non gli sarebbe occorso molto prima di presentarsi per porre fine a quel putiferio fastidioso. Occorreva che Rufy prendesse atto di quali terribili poteri quell’uomo fosse padrone prima che si ritrovasse con l’intero corpo inutilizzabile e siccome entrambi si trovavano sulla medesima barca, era bene che lei facesse tutto il possibile per essere d’aiuto al ragazzo prima che si facesse male.
 



“Da questa parte, Mugi-chan!”

Uno a uno, gli ostacoli che si ponevano con prepotenza sulla sua strada venivano tutti rimossi forzatamente, senza rappresentare una minaccia consistente. Erano molti, determinati, ma Rufy lo era di più. Quando ad Amazon Lily aveva scoperto che il suo fratellone era prossimo alla condanna a morte, aveva cambiato seduta stante tutti i suoi propositi di far ritorno all’arcipelago Shanbody: ovunque fossero i suoi compagni sicuramente se la sarebbero cavata perché da buon capitano e amico quale era, mai avrebbe messo in discussione le loro capacità. Erano forti ma se solo ripensava a quel momento, a quando quel maledetto tizio della flotta dei sette li aveva allontanati l’uno dall’altro, gli veniva una tale rabbia per non essere riuscito a proteggerli, che subito i loro volti sorridenti sfilavano nella sua mente troppo velocemente per essere afferrati. Quella era stata la loro prima sconfitta dopo una lunga serie di vittorie faticosamente aggiudicate e se Ace fosse stato lì, sicuramente lo avrebbe rimproverato per il non esserli andati cercare subito anziché preoccuparsi per lui.

Lo conosceva bene il suo fratellone, non gli piaceva che qualcuno, specie lui, si preoccupasse per la sua sorte; aveva la sua vita come lui aveva la sua ma questo non significava che lui non dovesse fare tutto il possibile per salvarlo. Anche se un giorno si fossero rivisti come rivali, nessuna battaglia avrebbe fatto loro dimenticare che prima di essere pirati, avversari o capitani, erano fratelli.

“Bon-chan, quanto manca all’uscita?”
“Non molto, dobbiamo sol….”
“Fermi, non vi muovete!”

Ad un incrocio, un nuovo gruppo di uomini armati di tutto punto fece la loro entrata in scena.

“Ahi, ahi! Mugi-chan, quei fucili sparano reti di algamatolite!” lo avvertì l’okama rialzando la guardia.
“Non importa, abbatterò anche questi e andrò da Ace!” replicò lui.

Detto ciò, si gettò su di loro.

“Svelti, aprite il fuoco!”

Le sette guardie armate puntarono verso l’invasore le loro armi, cariche di speciali proiettili che poi altri sì non erano che reti fatte con la pietra per eccellenza che tutti coloro che possedevano abilità derivanti dai frutti del diavolo, detestavano come quanto l’acqua nel naso. Cappello di Paglia si stava già preparando a disfarsi anche di questi ma ancor prima di caricare il colpo, qualcuno lo precedette.

“Recall of ambition! Wind Liberator!”

Quello che apparve come un vortice orizzontale, inghiottì gli uomini con una violenza tale da inghiottirli e subito scaraventarli dì sotto. La corrente era stata così dirompente e fulminea che a quelli non era neppure stato concesso il tempo di sbigottirsi. Rufy si era giusto arrestato ad un paio di metri prima di essere anch’esso investito da quello strano vento.

“Uh? Che succede? Da dove è venuto quel vento?” si domandò
“Da questa parte, Rufy”

Qualcuno lo stava chiamando. Girò la testa in tutte le direzioni, sino a notare poco più avanti un mezzo busto femminile, nascosto dietro ad un angolo, che gli stava facendo cenno di venire più vicino.

“Per favore, sbrigatevi a venir qui” gli disse, facendo cenno di sbrigarsi “Tra poco arriveranno nuove guardie ed è bene che non ci vedano”
 



Ai piedi delle scale che portavano a livello cinque, le guardie sopravissute si erano riunite attorno a una sorta di tenda quadrata, scura, con colori dai toni inquietanti quasi quanto chi vi stava dentro. Il sudore che colava dalla pelle di quei comuni esseri umani era carico per metà di panico per ciò che occhi e orecchie li stavano rendendo partecipi. La tensione creatasi lì attorno stava facendo loro stringere i forconi con così tanta forza che a breve quel metallo si sarebbe piegato come un fuscello ma in verità, chiunque fosse stato al loro posto, avrebbe reagito in egual modo. Nell’oscurità di quel rettangolo di stoffa, gli occhi di Magellan brillavano come due ametiste cariche di un così tale terrore che il solo guardarli avrebbe fatto supplicare pietà qualunque prigioniero di Impel Down. La rabbia cresceva, gli inondava le pupille, animandole di una luce violastra, l’identico colore che assumeva il suo veleno quando decideva di farlo fuoriuscire dal suo enorme corpo. Perfino il suo stesso respiro si era intriso di svariate sostanze chimiche altamente corrosive che, vista l’incontenibilità del suo stato emotivo, rischiavano di sciogliere la tenda; tuttavia al momento, un simile accorgimento aveva poca importanza se uno sfrontato pirata aveva avuto la faccia tosta di entrare nella sua prigione e di metterla a soqquadro per giunta.

Precedentemente non aveva potuto occuparsi di persona di tale faccenda e anche al momento era impossibilitato per via di quel potere che per sua sfortuna finiva per creargli dei seri problemi anche con il cibo ma man mano che il personale della stazione di sorveglianza lo informava su ogni singolo spostamento dell’intruso, il veleno che si era sostituito al sangue, andava a pomparlo in una maniera così assurda, che con una sola boccata d’aria, sciolse il riparo di stoffa dentro cui si nascondeva, mostrando così il suo aspetto demoniaco agli uomini che stavano ai suoi ordini.

“Che notizie?” rantolò nell’ergersi in piedi.
“Abbiamo…abbiamo perso il contatto con le unita sei, sette e otto. A quanto sembra Cappello di Paglia si sta dirigendo qui ma le luma-camere hanno individuato altri due fuggitivi nella zona ovest del livello” lo informò un agente.
“La zona ovest? Vorranno fuggire evitando di doversi battere con tutto il battaglione” disse fra sé e sé “Contattate Hannyabal e ditegli di bloccare l’entrata delle scale per il livello uno, è probabile che sia quello il loro obbiettivo”
“Si, signore!”
“Che mi dite di loro? Mi auguro che li abbiate identificati”
“Certamente” scattò ancora l’agente cercando di non inciampare nelle sue stesse parole“Sono due detenuti dei livelli uno e due. Sembra che abbiano aiutato Cappello di paglia ad arrivare fino a qui. Inoltre, ci hanno appena informato della presenza di un terzo detenuto insieme all’intruso ma di quello non siamo ancora riusciti a reperirne l’identità”

Il sopraciglio folto e destro di Magellan si inarcò ma senza che null’altro cambiasse nella sua attuale espressione già profondamente contrariata. Non era la prima volta che qualcuno tentava di fuggire da Impel Down ma per la maggior parte si trattava di pirati che tentavano di tramortire i carcerieri mentre questi abbassavano la guardia per qualche secondo. Che quei prigionieri fossero alleati o meno di quel pirata, ciò non era rilevante: non ammetteva l’entrata di futili domande secondarie, sedare quella incresciosa onda nemica il prima possibile era la sola priorità di tutta la prigione. Nulla di così difficile per lui, la cui potenza era paragonabile solo alla sua credenza nella giustizia. 

Con passi piccoli cominciò a sporgersi in avanti rispetto ai subordinati, imboccando la via principale che portava nel centro dell’inferno ardente.

“Avvertite tutte le unita rimaste di bloccare l’entrata principale del livello quattro e mettetemi in contatto con Sady-chan: le sue guardie demoniache penseranno a sistemare il disordine creato nei primi due piani. Saldeath si occuperà del terzo”
“E per quanto riguarda….?” al pover uomo quasi cadde il forcone per la paura che lo sguardo del direttore iniettò nel suo sangue.
“A Cappello di Paglia ci penserò io. Personalmente” sibilò avanzando mentre tutto il corpo ribolliva di fumi tossici.
 



Vi era tranquillità ora che gli spari erano cessati e il vociare della guardie si era estinto. Solo il borbottio e il crepitare delle fiamme soleva farsi sentire ma tale suono non era preoccupante alle orecchie di quei tre che si erano rifugiati in un buco fatto di mattoni da dove potevano tener d’occhio la via principale senza essere visti. L’attimo di sgomento nel vedere una marine era stato prontamente annullato nell’istante in cui Sayuri aveva mostrato un oggetto contenuto nel suo zaino che subito aveva fermato l’intenzione di Rufy di volerla abbattere. Non si era mai separata dal cappello di Ace, cimelio prezioso non solo per il proprietario ma anche per lei, che desiderava poterglielo restituire. Delle molte vicende che servivano per far avere un’idea al ragazzo di gomma in quale situazione entrambi si trovassero, il 90% d’esse era stato volutamente tagliato fuori. Non vi era il tempo per partire dal principio e pertanto Sayuri si era limitata a presentarsi come un’amica che aveva il suo stesso obbiettivo da concretizzare.
Togliendo quel che le era capitato fino ad approdare a Impel Down, il suo racconto poteva apparire spoglio e forse traballante ma l’avere un attimo di respiro stava facendo sì che il suo parlare fosse ricco a sufficienza da far annuire il fratellino di Ace e il suo amico con la faccia tutta truccata. Poteva darsi che l’aver trovato un alleato così inaspettato avesse per così dire, posto una calma temporanea al suo stato emotivo: era felice, contenta, perché la speranza tempo addietro ridotta un sottile filo ora si stava ingrossando ancor di più.

Ma c’era ancora molto da fare. Quello scendere senza farsi notare non poteva ancora dirsi una battaglia; solo quando anch’ella si sarebbe mostrata a Impel Down nelle sue autentiche vesti si sarebbe potuto dare il via a una vera e propria lotta per la sopravivenza; fino ad allora, era necessario che tutto procedesse come da stabilito, liscio come la superficie di uno specchio. Ma a volte bastava poco perché quella lastra splendente e fragile si deformasse o peggio, si rompesse; una parola, una domanda, una semplice curiosità innocente scaturita senza un motivo chiave…

“Quindi tu saresti un’amica di Ace, giusto?” aveva ripetuto Rufy con occhi luccicanti “Davvero?”
“..Si” mormorò “Si..anche”

Si era guardata le punta delle dita mentre rispondeva. Dopo un così lungo e interminabile periodo durato forse addirittura millenni, Sayuri era stata vittima di quel particolare calore che sempre le colorava la morbida pelle delle guance e che solamente una persona al mondo era in grado di suscitare. Talvolta Ace si divertiva a farla arrossire, gli piaceva da matti metterla in difficoltà e lei finiva sempre per accontentarlo; in quelle occasioni perdeva il controllo delle sue reazioni  ma se doveva essere sincera non le dispiaceva perché il vedere Ace sorridere era sempre una gioia per lei. A malincuore mise da parte quel piccolo respiro di felicità e tornò alla questione principale che verteva su tutto. Volgendo un’ultima occhiata fugace alla strada fuori per vedere se ci fossero altre guardie in giro, la falsa ispettrice nuovamente si rivolse a Cappello di Paglia e a Mr2.

“Non so di preciso quanto tempo abbiamo a disposizione prima che altre guardie vengano a setacciare la zona, quindi sarà opportuno tenere bassa la voce” suggerì lei.
“Ok, Yucci-chan!” esclamò Rufy.
“Ha detto di tenere bassa la voce, Mugi-chan!” lo rimproverò Bon-clay strillando pianissimo.

Sorridendo per quella storpiatura al suo nome, la giovane riprese nuovamente in mano il filo del discorso.

“So che la scorta verrà a prendere Ace alle nove del mattino e che al momento è rinchiuso nel livello più basso della struttura, il livello sei” cominciò “Si tratta di un piano speciale dove vengono tenuti ergastolani, personaggi pericolosamente nocivi per il Governo Mondiale o nel caso di Ace, i condannati a morte”

Pochi erano a conoscenza di quel piano, anzi, per la precisione nessuno che fosse un pirata aveva idea che ci fosse un piano ancor più orribile del quinto. Lei, vista la sua copertura, era stata ben informata dal vice amiraglio Garp al riguardo. Jimbe era stato messo nella stessa cella di Ace e come avrebbe trovato il cavaliere del mare, avrebbe trovato anche il ragazzo.

“Uhm..ne avevo sentito parlare ma non pensavo esistesse davvero” disse Bon Clay col mento fra le dita “Però c’è un problema: non abbiamo la chiave della sua cella e senza non possiamo portarlo fuori”
“A questo credo di poterci pensare io, però prima di dedicarcene, occorrerà andare via dal livello quattro” rispose la ragazza scostandosi una ciocca dal viso. Quella parrucca iniziava ad essere davvero fastidiosa e tutto quel caldo non l’aiutava di certo a star fresca.
“Non c’è problema! Io e Bon-chan stavamo giusto andando verso l’uscita. Vieni con noi!” propose raggiante il ragazzo di gomma.
“…..Mi dispiace Rufy ma non posso, non ora al momento” rispose malinconicamente.

Era costretta a dirgli di no e le dispiaceva realmente ma come gli aveva detto, non era ancora il momento di scoprirsi per lei.

“Ti prego, non prendertela; ho bisogno che credano che sia un ispettrice fino all’ultimo. E’ la sola maniera che ho per far guadagnare un po’ più di tempo a mio padre e ai miei fratelli, perché arrivino in tempo” aggiunse.

Sentiva che tutti quanti loro erano in viaggio e che stavano facendo del loro meglio per arrivare a Impel Down il prima possibile ma fino ad allora spettava a lei il compito di far sì che Ace restasse lì perché sapeva, sapeva fin troppo bene che se avesse permesso alla Marina di portarglielo via, non lo avrebbe più rivisto. Aveva spiegato a Rufy che Barbabianca stava arrivando e la notizia era bastata per far saltare in aria l’okama, che aveva finito per sbattere la crapa contro il soffitto, con tanto di occhi fuori dalle orbite. Il fratellino di Ace invece si era limitato a inclinare prima a destra e poi a sinistra la testa come a cercare di ricordare chi fosse il suddetto appena citato.

“Barbabianca?” l’espressione di pura ignoranza sul suo viso rispecchiava alla perfezione l’enorme lacuna su tale figura ma poi, come illuminato da un ricordo rivelante aveva aggiunto “Ah si: quello che vuole diventare Re dei Pirati al mio posto!”

Non seppe bene dirselo ma a quella affermazione, non era riuscita a trattenere un sorriso. Forse era il vederlo così sicuro di sé ma non ne era del tutto certa: il viso di Rufy era un continuo spruzzo di felicità, il solo guardarlo la invogliava di ridere come lui, era qualcosa di..bislacco ma incredibilmente irresistibile. Ti trascinava, ecco il termine giusto. Aveva qualcosa che colpiva sin dal primo incontro, qualcosa che forse molti scambiavano per stupidaggine a causa di alcune sue uscite non molto brillanti, però era innegabile che possedesse un che di speciale; una sorta di forza interiore che esprimeva con assoluta naturalezza, senza sforzo, come parte di sé. Era incredibilmente diverso da Ace, non c’era modo di poterlo accomunare se non per il grande appettito e la sconsideratezza. In realtà si assomigliavano per molti aspetti ma Rufy possedeva qualcosa che il più grande, per quanto importante per lei, non aveva, quasi un potere differente da ogni altra forza esistente al mondo ma di che cosa si trattasse, Sayuri non riusciva a comprenderne la natura, semplice all’apparenza ma così intricata che non sarebbe bastato un giorno per descriverla.

Prima ancora che potesse aggiungere altro, la ragazza dovette accucciarsi al meglio delle sue possibilità insieme ai nuovi amici per evitare che le guardie li vedessero o quanto meno li sentissero. In sincronia, fecero sporgere di poco le loro teste per vedere gli uomini armati di tutto punto attraversare la zona in fretta e furia e correre dalla porta opposta rispetto a dove si trovava la porta per il livello cinque.

Si stanno muovendo più velocemente del previsto. E’ probabile che Magellan voglia far chiudere ogni via per impedire a Rufy e Bon Clay di fuggire. Di questo passo non impiegheranno molto a trovarci.

Era nuovamente l’ora di mettersi in marcia e non c’era bisogno che guardasse un orologio per sapere che le lancette correvano veloci a ogni suo passo, tuttavia…il pericolo più grande che Impel Down poteva offrire era terribilmente vicino e a differenza sua, Rufy non aveva una copertura che lo proteggesse. Guardò con occhi preoccupati quel ragazzino tanto volenteroso e automaticamente la sua mano andò a toccare la tasca della giacca, dove era nascosta la soluzione al problema.

E’ la cosa giusta da fare, in questo frangente quello più scoperto è lui. Si disse annuendo mentalmente “Rufy” lo chiamò poi “Prendi questo”
“Uh?”

Il moretto si vide afferrare dolcemente il polso, tirarlo in avanti senza alcun strattone per poi sentire porsi nel palmo della mano qualcosa di liscio e grande abbastanza per stare comodamente nel suo arto. Nel guardare in basso, vide una fialetta con dentro dello strano liquido verdastro.

“Che cos’è?”
“E’ un antidoto” rispose lei “Il direttore Magellan sfrutta i poteri del frutto Vele Vele ed è praticamente impossibile colpirlo senza rimanere contagiati dalle sostanze fuoriuscenti del suo corpo. A quanto pare, questo…” e indico con l’indice la fialetta che Rufy teneva in mano “E’ la sola arma che si possa utilizzare contro di lui: se te lo inietti prima del combattimento, potrai colpirlo senza risentire del veleno. Purtroppo non conosco la durata di tale effetto, quindi ti consiglio di essere molto veloce”

Senza una ragione precisa, l’umidità del posto divenne ancora più pesante, come fosse un cattivo presagio. Stava arrivando qualcosa di davvero orribile e non ci sarebbe stato nessun nascondiglio abbastanza sicuro per loro tre.

“Coraggio, andate” li incitò sempre a bassa voce “Io cercherò di trattenere un po’ il direttore”
“Si ma tu? Non ha un’altra fiala?” le domandò Bon Clay.
“Oh, io non ne ho bisogno” rispose la falsa ispettrice sorridendo “Posso cavarmela anche senza. Preferisco che lo abbia lui”

Non era del tutto vero che senza l’antidoto se la sarebbe cavata come aveva affermato ma non avrebbe permesso in alcun modo che Rufy venisse fermato o ferito. Lei dalla sua parte aveva l’haki e in una qualche maniera poteva destreggiarsi contro chi possedeva un frutto del diavolo ma il fratellino di Ace…lei non sapeva nulla di lui, non aveva idea di che cosa fosse capace e quali fossero le sue capacità se escludeva il sapersi allungare a dismisura. Sul fatto che fosse forte non aveva alcun dubbio, non sarebbe stato tanto sciocca da sottovalutarlo ma temeva seriamente che contro una persona come Magellan, Rufy potesse non uscirne vivo. Aveva questa brutta sensazione che rimbombava senza sosta nella sua cassa toracica e se essa si fosse avverata come tutte le precedenti, esattamente come era accaduto a Banaro, allora non poteva rimaner lì e lasciare che il direttore di Impel Down distruggesse tutta quella volontà in un sol colpo.
Per quanto potesse risultare insolito quella premura nei confronti di un sconosciuto, Sayuri non avrebbe esitato a offrire il proprio aiuto anche se non fosse stato il fratello di Ace: agli occhi di Pugno di Fuoco, lui era l’adorabile scimmietta combina guai che finiva sempre per cacciarsi in qualche pasticcio e che puntualmente lui- Ace per l’appunto- salvava prima che una tigre del bosco se la pappasse. Lo stesso fratellino che aveva protetto a discapito della sua vita per evitare che Barbanera se lo portasse via. Ovviamente quella parte, ne lei ne Rufy la conoscevano, però la castana aveva il sentore che il moro avesse affrontato quel traditore non certo per futili ragioni. No, si parlava di ragioni che erano state fonti di rabbia, freddezza, dolore…tutti sentimenti in grado di fai calare sui suoi occhi color cioccolato un velo lucido e malinconico. Le si erano lanciati addosso così tante volte che ora nemmeno era più sicura se quelli fossero lì o lontani. In una qualche maniera, la forza che le occorreva era sempre emersa quando anche credeva di non potersi più rimettersi in piedi e adesso, il rendersi conto di essere arrivata così vicino ad Ace, la stava sollecitando ad alzare la testa e a non farsi più avvolgere da alcuna emozione o sentimento negativo per il suo cuore.

Lei lo voleva vedere il fuoco, voleva vederlo nuovamente acceso, vivo, con tutte le sue luci calde e solari.
Voleva vederlo scoppiettare di felicità, ardere come pieno di quell’orgoglio che non si vergognava a nascondere.
Voleva sentirlo, voleva toccarlo senza aver paura che questo la scottasse…voleva riaverlo indietro più di qualsiasi altra cosa al mondo ma come poteva renderlo felice se permetteva che una delle ragioni della sua vita rischiasse così pericolosamente la vita?

Prima o poi avrebbero incontrato Magellan, era inevitabile essendo tutta la prigione il suo regno. La calura non faceva che divenire sempre più insopportabile, il vapore sbuffava dalle fiamme e appannava i loro polmoni bisognosi di aria fresca e sana. Non potevano rimanere su quel piano in eterno, Ace li stava aspettando, tutti e due.

“E’ meglio se adesso ci dividiamo” bisbigliò lei alzandosi di qualche centimetro “Io proverò a intrattenere il direttore per qualche minuto, voi approfittatene e dirigetevi al livello cinque. Cercherò….”

Era già pronta ad alzarsi completamente quando tutto ad un tratto si sentì tirare verso il basso. Senza capire la ragione, si ritrovò nuovamente in ginocchio con il faccione megasorridente  di Rufy davanti e la sua mano stretta attorno alla sua. Non ebbe il tempo di chiedere un come o un che cosa, sentì solo qualcosa scivolarle nel palmo e nel vederci dentro la stessa fiala data al ragazzo solo pochi attimi prima, bastò per farle alzare nuovamente il viso verso quello di Rufy, tutto illuminato da quel incrollabile sorriso.

“Ma Rufy…”
“Shishishi! Tienilo tu” si limitò a dire spingendo la mano verso di lei.
“Mugi-chan, sei matto?!? Senza quello come farai a difenderti dal veleno di Magellan??” starnazzò Mr2 sbracciandosi.
“Tranquillo, mi inventerò qualcosa” ridacchiò “Yucci-chan ne ha più bisogno. Se venisse scoperta sarebbe un bel guaio”

Rideva. Rideva come se non sapesse assolutamente niente. Rideva mentre Bon Clay cercava di trovare una minima ragione logica per quel comportamento e lei, con ancora la fiala in mano, era confusa; gli aveva spiegato chi era Magellan a grandi linee ma a lui non pareva importare. Aveva messo da parte i suoi dubbi e gli aveva regalato l’antidoto perché non voleva che gli capitasse qualcosa ma lui aveva rifiutato, dicendo che ne aveva più bisogno lei. Per un attimo, era stato come se quei suoi grandi occhi neri avessero letto dentro la sua mente, no, dentro il suo cuore e avessero compreso cosa la assillava più di tutto, cosa provasse realmente per il suo fratellone. L’avevano disarmata, ecco cosa avevano fatto; in una maniera diversa da quella di Ace ma il risultato era praticamente lo stesso. Il percepire l’energia di quel sorriso inondarla come le folgoranti luci del primo mattino le aveva tolto la parola e la capacità di domandarsi il perché.

Come poteva una persona all’apparenza così semplice sapersi imprimere con tanta forza nell’animo delle persone?

Se l’avesse conosciuto prima, magari in un occasione meno tragica, la prima cosa che le sarebbe saltata all’occhio, era che come persona, Rufy non spiccava di intelligenza.
Non sapeva cucinare, non possedeva una mira infallibile, non era capace di curare una persona come medico, non sapeva come costruire una nave ne come destreggiarsi con le spade.
Non aveva idea di quale fosse il modo più corretto di navigare, non sapeva suonare il piano ne tanto meno era un appassionato di storia; era solo un ragazzo con un sogno da realizzare, molto ingenuo e tonto, con tanta voglia di visitare il mondo incurante di ogni pericolo.
Questo era ciò che più saltava all’occhio del suo buffo aspetto ma non certo quello più profondo, quello che l’aveva reso così carismatico e benvoluto da tutta la gente che aveva conosciuto sino ad ora: Rufy non sarà stato  capace di fare tutte le cose che i suoi compagni invece eseguivano con passione e normale routine ma possedeva un’intelligenza tutta sua ed era quel suo particolare modo di riflettere, quel suo considerare priorità i veri tesori dell’uomo, che faceva di lui una persona fuori dal comune. Ispirava un’innata fiducia, le persone che incontravano la sua faccia sorridente finivano per aiutarlo perché contagiati da quel sorriso incurante di ogni pericolo e anche Sayuri, alla fine, era rientrata in quella schiera: Rufy l’aveva coinvolta, trascinando nel suo mondo frenetico dove tutto era assurdamente pazzesco. Come di preciso non sapeva dirlo ma non se ne sarebbe tirata fuori perché altrimenti, così facendo, sarebbe equivalso ad abbandonarlo e lei non ne aveva alcuna intenzione.

No. Non posso lasciarlo solo!
Senza curarsi di essere vista, uscì fuori allo scoperto, cercando di raggiungere Cappello di Paglia, già diversi metri più avanti di lei accompagnato dal fedele Bon-chan.
 



Livello quattro.
Scale per l’inferno scarlatto.

“E adesso che si fa?”
“Non lo so, pensavo avessi un piano”
“Io? Guarda che potresti pensare anche tu! Se siamo qui è per merito mio!”

Correndo su e giù come dei matti per tutta quella fornace senza neppure avere il benché minimo senso dell’orientamento, Buggy e Mr3 erano riusciti miracolosamente a trovare la porta per le scale del livello uno. Purtroppo la loro gioia si era esaurita di colpo quando avevano scorto il vice-direttore Hannyabal a farci la guardia con almeno un decina di subordinati.

“Era troppo bello che tutte le guardie stessero addosso a Cappello di Paglia” borbottò Galdino.
“Non farne una tragedia. Guarda bene” sogghignò il Clown “Sono dieci guardie semplici e quel mammalucco del vice-direttore è sicuramente una mezza calzetta. Guarda che faccia”

Sotto di loro, Hannyabal non faceva che sbadigliare vistosamente, borbottando qualcosa di incomprensibile agli occhi dei suoi uomini. Per un attimo il suo viso si era contratto in una smorfia risoluta contornata da un sorrisino dalle sfumature maliziose ma a quella parte il Clown non ci aveva badato, troppo preso a spiegare a Mr3 in che modo avrebbero agito.

“Hai capito? Noi li cogliamo di sorpresa, tu con la cera blocchi i loro piedi e io li spedisco a nanna con la mia speciale palla di cannone alla Buggy!”
“D’accordo, mi hai convinto. Facciamolo!”

Si strinsero la mano, onorando l’alleanza stipulata poco prima al livello due.

“Ce la faremo, compare!”
“Puoi scommetterci!”

Con un balzo acrobatico, atterrarono proprio davanti al plotone di guardia; con le mani già impastate di cera, Mr3 era pronto a bloccare ogni sorta di movimento che non fosse il suo o quello di Buggy ma proprio come esse, finì per rimanere a bocca aperta e con tanti punti interrogativi che gli lampeggiavano sulla testa : tutti gli uomini in divisa, anziché tentare di fermali, si erano inspiegabilmente messi da parte, lasciando scoperta la porta delle scale già ben spalancata e con lo stesso Hannyabal che li invitava col braccio a passare.

“Salve! Prego, se volete salire al livello uno, passate pure da questa parte!” esclamò cordiale quello con un sorriso grande quanto una casa.
 



Livello quattro.
Zona centrale.

Fumo..fumo viola. No, una nebbia. Una nebbia violastra, densa, che si estendeva ovunque, penetrando nei angoli, facendosi strada con il suo solo potere corrosivo. La vista di Sayuri non vedeva null’altro da almeno una quarantina di minuti e ringraziava il cielo di non essere a terra in uno stato incosciente prossimo alla morte. Teneva premuta sulla faccia la mascherina bianca datale insieme all’antidoto che aveva riposto nella tasca della gonna invece che nella giacca; correva, si fermava, guardandosi intorno agitata, cercando di scorgere delle ombre familiari ma il miasma di Magellan era spesso, troppo denso perché la comune vista si facesse strada in esso. Sentiva che Rufy era lì da qualche parte, con Magellan. Il direttore non avrebbe avuto motivo di rilasciare liberamente il proprio respiro velenoso se non per impedire la fuga al ragazzo.
Avanzava alla cieca ma più proseguiva verso l’interno- sperava fosse quello- l’aria diveniva sempre più scura, mortalmente più forte. Le fiamme del posto stavano contribuendo ad allargare il raggio d’azione del veleno e a lungo andare tutto il piano ne sarebbe stato invaso.

Che guaio, non riesco a…..

Nel scegliere l’unica direzione visibile, la testa le vorticò pericolosamente, tanto che dovette appoggiarsi con le spalle al muro per non cadere a terra.

Oh no, la maschera non è più sufficiente..!

Percepiva anomali brividi punzecchiarle la pelle delle gambe e per qualche frangente la vista le si era sdoppiata.
Benchè continuasse a tener schiacciata la mascherina sul naso e la bocca, il miasma di Magellan stava superando le barricate fornite dall’oggetto. Nel suo cercare il fratellino di Ace doveva essere giunta in un’area troppo infetta e se non si sbrigava ad uscire, rischiava di venire irrimediabilmente contagiata. Anche se aveva con sé l’antidoto, non aveva alcuna intenzione di usarlo: lo doveva dare unicamente a Rufy, era lui quello che ne aveva più bisogno. Serrando la mano sulla mascherina con più, proseguì il tragitto quando…………

“GWHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!”

Quell’urlo agghiacciante la pietrificò sul posto.
Il respiro, mozzatole all’improvviso, raggelò i suoi muscoli: c’era mancato poco perché la presa sulla mascherina si allentasse. Quasi avesse paura di guardarsi le spalle: fece voltare la sua testa solo parzialmente ma poi, spinta dall’ aver riconosciuto il padrone di tale grido, si girò di scatto sollevando il bel mantello bianco, iniziando a correre all’impazzata. Avanzò rapidamente, incurante di dove stesse andando, basandosi solo sull’ipotetica direzione da dove era provenuto l’urlo.
Incredibilmente, fuoriuscì da quella nebbia maligna, per andare a  sbattere con il proprio stomaco contro la ringhiera di ferro. Si affacciò subito verso il basso e lì, la mascherina le scivolò definitivamente dalla mano. Aveva trovato Rufy ma era arrivata troppo tardi: stava sotto diversi ponti dal suo, vicino alle fiamme, interamente coperto del veleno di Magellan, simile nell’aspetto ad una gelatina appiccicosa e fumante. Era a terra, coi occhi rivoltati all’insù, in mezzo a quel corridoio circondato dai fuochi che alimentavano la fornace e con il direttore a pochi metri da lui.

“RUFY!!!” non riuscì a trattenersi dall’urlare il suo nome.
“La tua corsa finisce qui, Cappello di Paglia” sentenziò il direttore troneggiando sul pirata.

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Capitolo 61
*** L'inferno di ghiaccio. Deviazione d'emergenza. ***


Buonasera, eccomi! Scusate la fretta ma sono un pochino presa, passo subito a dirvi la sola cosa che vi occorre per una parte del capitolo: comparirà Ivankov, non è un segreto, ma siccome ho visto diverse versioni di lui, cioè sul suo modo di parlare, alla fine ho deciso di adottarne uno, quello che mi pareva il più vicino alla sua personalità: praticamente al posto della “R” nelle sue frasi, ho messo la “V”. Se fate fatica a leggere, basta dirmelo,così lo risistemo e anche nel prossimo provvederò a farlo parlare correttamente (anche se lui normale non lo è affatto )

Un grazie a tutti quanti, stavolta non riesco a mettere i preferiti, i seguiti e le ricordate, chiedo scusa! Buona lettura!

 


“Accidenti a voi due! Perchè diavolo non avete fatto come richiesto?!”

Il vice direttore Hannyabal detestava quando non gli si dava retta.
Era una delle cose che più mal sopportava a quel mondo: in ogni “No” che gli veniva rifilato vedeva una mancanza di rispetto  che puntualmente colpiva il suo animo ambizioso nel pieno centro. Quando poi ad andargli contro erano due prigionieri a cui addirittura aveva appositamente aperto la porta per la superficie, non c’era storia che tenesse: quei due, invece di accettare in silenzio il suo atto di pura generosità - calcolata ovviamente -, avevano preferito buttarsi a capofitto su di lui con la spavalda convinzione di poterlo riempire di botte.

E che diamine! Era stato gentile, che ci voleva perché le cose andassero nel verso giusto?!
Il mondo girava proprio al contrario…

“Tu…maled..etto!” rantolò uno dei due carcerati, legato come un salame da corde strettissime “Non sei…debole…!”

Sbuffando con quella sua bocca color prugna, Hannyabal lanciò un’occhiataccia rimproverante a Buggy e Mr3, immobilizzati a terra e con tanti di quei lividi d’aver reso le loro povere facce due mini mongolfiere. Si erano enormemente illusi che in due, quell’essere dalla grandezza doppia rispetto a un comune essere umano, non avrebbe potuto far nulla per fermarli e invece per lui era stato sufficiente soltanto far roteare il suo inseparabile forcone per dar prova dell’esatto contrario. Se vi era una cosa che meglio conosceva del suo stesso lavoro, era il sapere che le occasioni andavano colte al volo prima che volassero via o fossero acchiappate da qualcun altro: si sognava il posto di direttore tutte le sante notti e non mancava mai di battibeccare con Magellan al riguardo. Dato il disordine creato da Cappello di Paglia, come poteva non approfittare di tale fatto per mettere in cattiva luce il superiore?

Non vi era dubbio che lo osannasse come un dio e che lo rispettasse come uomo per il tenere perfettamente in ordine la prigione nonostante le venti ore che trascorreva in bagno ma quando il fato ti veniva in contro con tanta spontaneità non lo si poteva di certo rifiutare e lui, da bravo vice direttore quale era, mai si sarebbe permesso di voltare le spalle al suo radioso futuro: si trattava solamente di aprire le braccia e tenderle verso la luce paradisiaca della promozione fresca di annuncio. Luce che però si era divertita a prenderlo in giro fino all’ultimo momento, prima di svanire insieme all’immaginario trono scintillante verso cui il poveretto si stava dirigendo a grande velocità, sogghignando un “A-ah! Te l’ho fatta!”

Tutta colpa di questi due idioti!!  Pensò serrando la mascella con diversi segni d’arrabbiatura che stavano coprendo le tempie parzialmente nascote dal copricapo “Portateli via. Penserò io stesso a condurli al livello cinque!” ordinò al plotone sotto il suo comando.

La  sua unica consolazione a quello smacco mal digerito, raddoppiatasi poi quand’era stato informato che Magellan aveva definitivamente posto fine alla minaccia del pirata di gomma, stava nello spedire quei due a rinfrescarsi le idee per il resto dei loro miserabili giorni, nell’inferno di ghiaccio. Le guardie portarono via i carcerati senza aspettarlo: bastava guardarlo in faccia per capire che era perso in uno dei suoi monologhi interiori a sfondo delirante.

“Che rabbia!” sbuffò grattandosi la nuca “A lui vanno tutte le glorie e a me solo rogne! Quando sarò direttore gliele farò pagare tutte!” asserì stringendo i pugni.
“Uhn, che caldo….”

L’umore grigio dell’uomo si incrinò nuovamente ma anzichè precipitare verso il mero fondo verso cui era prossimo, risalì così in fretta da fargli luccicare gli occhi per la gioia. Era davvero una voce femminile quella che aveva appena sentito? Schizzò con la testa verso l’angolo in fondo da cui aveva udito quel suono tanto dolce e affaticato, per poi veder arrivare una bellissima fanciulla ancheggiante, dai corti capelli arancioni, occhi nocciolati e con forme fisiche che avrebbero fatto srotolare chilometri e chilometri di lingue maschili.

“Che schianto!! Proprio il mio tipo!” ululò Hannyabal dimenticando di correggersi.

Il troppo bel vedere gli annebbiò la mente su domande che solitamente erano ritenute primarie per un identificazione generale ma era più che risaputo che una bella donna aveva la facoltà di ridurre in pappa il cervello degli uomini, anche se si trattava di individui dallo spirito forte. Era una delle leggi della natura e la reazione del vice direttore ne ricalcava tutti i dettagli: la slanciata siluette della giovane donna non aveva nulla da invidiare, forse era addirittura troppo abbondante a livello del seno, incredibilmente prosperoso per un giro vita così sottile ma in cuor suo il capo in seconda di Impel Down non si sarebbe mai azzardato a pensare una cosa simile dato che i suoi occhi erano incollati ipnoticamente proprio lì.

“Uhn, che caldo insopportabile..” ansimò quella col viso rosso e gli occhi velati per la temperatura elevata. Sembrava sul punto di svenire.
“Posso esserle utile, signorina?” cinguettò lui sfregandosi le mani.
“Uh? Oh si..”

La ragazza alzò la testa verso di lui senza perdere quell’espressione annebbiata e stravolta per via della calura, mostrando tutto il collo scoperto che la maglia a righe bianche e nere lasciava ben in vista insieme a qualcosa per cui il vice direttore rischiò di perdere gli occhi. Quel leggero indumento aderiva al suo corpo come una seconda pelle per via di quel sudore che ogni tanto si insinuava tra le pieghe della squallida e scucita divisa carceraria, mettendo in risalto quelle curve che l’uomo dalle sporgenti corna non mancava di degnare d’attenzione.

“Fa così caldo qui..che non si riesce a respirare” sospirò la ragazza, afferrando con sensualità la scollatura della maglia per tirarla in avanti “Sono così sudata..” continuò poi guardandolo ”Non è che mi aiuteresti a spogliarmi?” gli domandò infine blandendolo con fare innocente.
“CERTO CHE SIIII!!!” abbaiò quello col sangue fuoriuscente dal naso e gli occhi trasformatisi in due cuoricini rosa pulsanti.

La luce menefreghista di prima a quanto pareva era stata sostituita da una più benevola e misericordiosa nei confronti della sua povera anima, cosa che il povero uomo non avrebbe mancato di ringraziare. Il vice direttore dal bizzarro copricapo faraonico era talmente accecato da tutti quei cuori rossi inneggianti l’amore, che se qualcuno o qualcosa al momento avesse cercato di richiamare la sua attenzione, molto probabilmente avrebbe fatto prima a rivolgersi al muro. Ancora un po’ e avrebbe spiccato il volo con quelle aluccie da pipistrello che aveva sulla schiena ma ignorava che dietro a quel volto così angelico e arrossato, ce ne fosse un altro decisamente meno sensuale, che proprio in quel preciso momento, stava solo aspettando che lui si girasse per potergli  così dare la giusta mazzata che l’avrebbe spedito nel mondo dei sogni.
 


Livello quattro.
Ufficio del direttore Magellan.

Il grande e tondo orologio appeso in cima alla parete frontale a quella dove era situato il sontuoso trono del direttore non faceva che ticchettare fastidiosamente in tutta la stanza. Incastonato in una cornice colorata d’oro e dal disegno piuttosto raffinato, il disco sopra cui erano segnati i numeri veniva solcato ripetutamente dalle lancette dal suono a malapena udibile, tuttavia insolitamente irritante per le orecchie della falsa ispettrice Katya, ora seduta su un divanetto schiacciato diagonalmente nell’angolo della stanza. Lo guardava con insistenza e sotto quei suoi finti occhi cerulei, non nascondeva che l’incalzante preoccupazione: era l’una e un quarto di notte e le lancette non facevano che andare avanti senza rallentare o accelerare. Mancavano otto ore prima che Ace venisse tirato fuori dalla cella per essere consegnato alla scorta e a ricor di logica, lei aveva ancora parecchio tempo se teneva conto del fatto che sino a quel momento, non era stata scoperta e che era addirittura giunta al quarto piano. La speranza di non vedere insorgere la temibile guerra che, come minimo sarebbe stata ricordata da tutti come una sanguinosa battaglia fra due fazioni opposte, era visibilmente accesa ma per la prima volta, da quando si trovava a Impel Down, l’animo di Bianco Giglio, calato sotto mentite spoglie, non era rivolto a Ace, bensì al fratellino di quest’ultimo.

Rufy era stato un evento del tutto inaspettato, qualcosa che l’aveva lasciata a bocca aperta. Quel ragazzino esile e dal buffo cappello di paglia si era introdotto a Impel Down senza che nessuno se ne accorgesse, senza la sua preziosissima ciurma, facendosi largo in tutti i piani senza preoccuparsi dei pericoli che essi offrivano. Tutto ciò l’aveva lasciata perplessa ma mai quanto il carattere di quest’ultimo, semplice e disarmante allo stesso tempo; ancora aveva in mente quell’enorme sorriso incancellabile e il solo ricordare quei pochi minuti passati insieme per decidere di andare insieme a prendere Ace, le stavano mettendo in  bocca un amaro dispiacere per il non essere riuscita a convincerlo a prendere l’antidoto.

“Ma Rufy..”
“Shishishi! Tienilo tu”
“Mugi-chan, sei matto?!? Senza quello come farai a difenderti dal veleno di Magellan??”
“Tranquillo, mi inventerò qualcosa. Yucci-chan ne ha più bisogno. Se venisse scoperta sarebbe un bel guaio”

Chiuse gli occhi nel mentre stringeva tra i pugni i lembi della gonna corta.

Oh Rufy..

L’ansia che la attanagliava sulla sorte del fratellino di Ace non facevano che triplicare la sua attuale impotenza. Nel cercarlo dopo che questo si era nuovamente gettato alla ricerca dell’entrata del livello cinque, si era persa nel miasma di Magellan, così denso da rendere difficoltoso il solo volerne uscire. Aveva girato con fare traballante per minuti interi senza scorgere alcuna ombra umana, si era esposta a tal punto da rischiare di venire infettata; la maschera l’aveva protetta ma, seppur conscia che questa non era in grado di resistere ai fluidi più corrosivi del direttore, aveva comunque deciso di andare avanti, sperando che Magellan non avesse trovato il ragazzo di gomma. Ancora non aveva avuto occasione di vederlo personalmente ma le notizie fornite erano bastate perché si facesse una chiara idea di chi tenesse fra le proprie mani le redini di Impel Down. Nel riconoscere in quell’intruso il fratellino di Ace, Sayuri aveva realizzato che per nessuna ragione al mondo egli avrebbe dovuto cercare lo scontro diretto con quell’uomo velenoso sotto tutti i punti di vista. Non si trattava di una questione fisica ma del fatto che il capo della prigione non si poteva toccare senza venire contaminati dalle sostanze tossiche di cui era divenuto padrone. Il suo potere era veramente terribile e se mai si fosse scontrata con lui, avrebbe potuto fare ricorso al suo haki per poterlo battere; ovviamente, l’antidoto le avrebbe assicurato un ulteriore ed efficace protezione ma aveva preferito fin dal principio regalarlo al ragazzo di gomma, molto più vulnerabile rispetto a lei. Il suo era stato un gesto dettato pensato senza alcuna esitazione, non voleva che Rufy si ferisse mortalmente e perdesse la possibilità di salvare suo fratello. La fatica che aveva fatto per essere penetrato lì dentro senza neppure essere visto non doveva essere stata poca e il vederlo fermato contro la sua volontà, aveva spinto quella parte caritatevole di lei a venire in suo aiuto, esortata dalla simpatia innata che egli aveva saputo infonderlele. Una specie di vena affettiva molto simile a quella che provava nei confronti di Akiko, forse in una modalità diversa ma di uguale intensità.

Purtroppo però non ce l’aveva fatta ad arrivare in tempo e di questo se ne dispiaceva così tanto da non poter far a meno di provare un forte senso di colpa: Cappello di Paglia aveva reagito incoscientemente nel prendere sottogamba quell’essere ma sinceramente, anche lei avrebbe dovuto essere più convincente; si era lasciata bloccare da quella faccia sorridente senza capire i propri pensieri, senza focalizzarli verso la realtà che stava vivendo, concedendo così troppo vantaggio al ragazzo. Tutt’ora era intenta in quel processo che non faceva altro che liquefarsi dalle sue mani ma il risultato non cambiava, anche se si sforzava con più determinazione: Rufy aveva qualcosa che entrava negli animi della gente, ci rimaneva come un’incognita e la spingeva  ad azioni talmente folli che solo in sua compagnia avrebbero compiuto. Parte di quella follia di cui lui era l’assoluto portatore l’aveva condotto fino a lì ma come lei stessa aveva notato più e più volte, da solo non poteva farcela ad arrivare in fondo ad Impel Down e lo stesso concetto valeva per lei: otto ore erano moltissime per arrivare al livello sei ed Ace non sarebbe scappato di certo se lei avesse tardato per prima andare ad aiutare il suo fratellino. L’averlo visto sfilare davanti ai suoi occhi, completamente ricoperto di veleno, trascinato su una lastra di ferro, avente come ultima meta l’inferno di ghiaccio…come poteva abbandonarlo? Se Ace fosse stato al suo posto se lo sarebbe andato riprendere sicuramente, anche a costo di rimetterci gli arti.

Lo devo raggiungere.  Pensò risoluta lanciando un’occhiata verso l’enorme portone  Devo assolutamente raggiungerlo e iniettargli il siero prima che il veleno di Magellan penetri troppo in profondità.

Non avrebbe perso tempo se il direttore non l’avesse fermata per una veloce chiacchierata dato che non l’aveva accolta doverosamente all’entrata. Ancorato al bagno per i problemi intestinali che il frutto del diavolo gli aveva fornito come sgradevole conseguenza oltre all’incapacità di nuotare, quell’uomo dalla nera divisa d’alto ufficiale, aveva dimostrato di possedere un lato incredibilmente elastico oltre a quello indiscutibilmente implacabile che gli aveva permesso di sconfiggere Rufy. Lato  molto ben celato dietro al suo aspetto esteriore, demoniaco in tutti i sensi, con tanto di faccia spaventosa, contornata da denti aguzzi e pitture azzurre sotto gli occhi, corna nere e una folta barba nera perfettamente pettinata.  Anch’egli possedeva due aluccie come il vice-direttore ma queste, per ovvi motivi di stazza, erano più grandi di quelle del subordinato.
Preferiva di gran lunga i luoghi tenebrosi a quelli pieni di luce e questo spiegava perché il suo ufficio fosse situato così in basso e le luci al momento fossero fiocche.

Tanto era concentrata sulla porta che Sayuri quasi sobbalzò nel sentire l’acqua del bagno scorrere; aveva fissato quella superficie legnosa per troppo tempo, col desiderio che questa si spalancasse con la sola forza del pensiero e il vedere la possente figura di Magellan concretizzarsi davanti ai suoi occhi, le fece raddrizzare  la schiena in men che non si dica.

Calma, stai tranquilla….Si disse cercando di mostrarsi rilassata e per nulla turbata di quanto era stata spettatrice.
“Miss Katya, sono veramente felice di incontrarla”
“E’ un piacere conoscerla, signor Magellan” rispose a egual tono lei.
“Spero che il disordine creato da quel pirata non le abbia rovinato il giro. Impel Down merita di essere ammirata e visitata in tutta calma” continuò egli andandosi a sedere sul proprio trono dai morbidi e vellutati cuscini.
“Affatto. Mi dica, quanto resisterà Cappello di Paglia prima che il veleno da lei iniettatogli compia il suo lavoro?” domandò mostrando una nota di interesse ma nascondendo i possibili sentimenti “Ho potuto constatare che la dose che gli ha riversato contro, era incredibilmente alta”

Più informazioni riusciva a cogliere sulla salute del ragazzo, meglio avrebbe valutato la situazione e deciso quale fosse la maniera più sicura per agire. Altra lacuna poi, era l’assenza di Bon Clay: secondo alcune guardie, non era ancora stato catturato. Dove poteva essere finito? Era impensabile che avesse lasciato solo il suo amico ma non aveva idee al momento che le dessero un cenno di risposta.

“Cappello di Paglia ha poco meno un giorno di un giorno di vita” proruppe Magellan intrecciando le dita su suo ampio e ben ordinato bancone “Questa è la punizione per chi osa sfidare Impel Down o la screditi”

Il suo essere freddamente lapidario bastò per non indagare ulteriormente. Con occhi molto attenti, la giovane osservò con minuzia sfuggente le fasce alle braccia dell’uomo, decori simboleggianti il rango che deteneva all’interno della struttura. Aveva il potere di decidere sulla vita delle persone perché dentro il suo regno queste non erano che rifiuti della società, meritevoli solo di torture per quello che avevano provocato all’esterno. Non c’erano pietà, compassioni o principi che implicassero la dolcezza, solo una ferrea disciplina e un’organizzazione che quell’uomo tanto terribile manteneva impeccabilmente. Si veniva privato di ogni cosa e più tempo si trascorreva lì dentro, più il desiderio di morire e farla finita diveniva così impellente, che i custodi del posto si premuravano di tenere lontano affinchè i carcerati soffrissero senza mai giungere oltre quella linea di non ritorno.

Un inferno senza fine..

Toc-toc!

“Avanti”

Il consistente picchiettio alla porta cessò non appena il portone dell’ufficio venne aperto parzialmente: entrarono due detenuti, con le mani incatenate dietro la schiena e i visi molto avviliti. Elementi curiosi, che subito vennero notati dalla pirata, furono il naso rosso e tondo del primo detenuto, identico a quello di un clown e un’acconciatura a forma di tre afflosciato sulla testa del secondo. Dietro ai due, si presentò il vice direttore Hannyabal, con in mano le catene con cui erano legati i prigionieri.

“Hannyabal, e questi chi sarebbero?” domandò Magellan squadrando i fuorilegge, per poi guardare il subordinato in cerca dell’immediata risposta.
“Gli evasi del livello uno e due. Hanno tentato di risalire in superficie ma io e i miei uomini li abbiamo bloccati”
“Bene, sistemali dove più ti aggrada, basta che non li veda più” sentenziò il direttore nel mentre sbuffava vistose nuvole di miasma violaceo. “Con il pandemonio scatenato da Capello di Paglia, è di vitale importanza ristabilire l’ordine prima dell’arrivo della scorta” detto ciò si voltò verso la ragazza che sedeva sul divano “Miss Katya, le porgo ancora una volta le mie scuse a nome di tutta Impel Down” aggiunse con riverenza.
“Signor Magellan, non mi trovo qui per esprimere giudizi” affermò laconicamente lei “La mia presenza qui sta nel cercare di far ragionare il Cavaliere del Mare Jimbe, nient’altro”

Quel copione aveva preso vita in lei come una seconda identità, piccola al confronto di quella reale ma pur sempre utilissima vista la pantomina ancora reggente. Dietro alla parrucca bionda e gli occhi azzurri, che la rendevano terribilmente simile a quella donna appartenuta al suo passato, la vera lei era sveglia, coscienziosa di così tanti fatti e pericoli da far scoppiare la testa di qualcun altro. Il tempo scorreva con andazzo sempre più incalzante ma era solo un’impressione dettata dallo stress: in realtà, quello stava procedendo con la solita andatura ma quando si aveva fretta era solito credere che questo si velocizzasse a tal punto da venire considerato insopportabilmente ostico.
Non poteva rimanere nell’ufficio ancora a lungo se le condizioni di Rufy erano gravi come Magellan le aveva riferito: doveva andarsene subito, inventarsi una scusa basata sulla presunta missione affidatale dal Quartier Generale. Fu nel riflettere con tanta trepidazione che volse casualmente una veloce ma fortuita occhiata al vice direttore: in quel frangente, Magellan si stava stropicciando gli occhi con la schiena ben appoggiata al trono e per ciò non poteva vedere il proprio vice alzare il pollice all’insù, sorridere e poi trasformare, con un solo tocco di mano, la sua faccia in una molto più umana, valorizzata da rossetto e fard appariscenti, che fino a quel momento aveva visto indosso solo a una persona….

Bon Clay!

Il cuore di Sayuri saltò gioioso nel vederlo sano e salvo. L’okama le fece l’occhiolino e subito riassunse le fattezze di Hannyabal, per poi sparire dietro la porta con un consistente mazzo di chiavi nella tasca dei vaporosi pantaloni. Inutili sarebbero state le domande poste a sé stessa per comprendere il perché avesse fatto ricorso alle sue abilità Mimo Mimo per sostituirsi al vice direttore: già conosceva la ragione e non c’era bisogno che si mettesse a pensare a dove lui stesse andando. Sperava solo di poterlo raggiungere in fretta cosicchè da aiutarlo nella ricerca, sempre che Magellan non avesse intenzione di tenerla lì per il resto della notte…
 


Livello cinque.
L’inferno di ghiaccio.

Il penultimo livello di Impel Down, ospitava detenuti la cui taglia superava i cento milioni di berry. Immenso come l’inferno della fame, questo presentava temperature bassissime, glaciali, tanto che le luma-camere lì non funzionavano. Al posto d’esse vi erano stati messi dei famelici lupi con occhi iniettati di sangue, capaci anche di sbranare bestie grandi quanto un basilisco adulto. Lì i detenuti non necessitavano di frustate o delle classiche violenze impartite ai piani superiori: il quinto piano li uccideva con il freddo o coi mortali morsi dei lupi. Il cibo dato si congelava ancor prima che venisse toccato, il sole non esisteva e a volte, insolite tormente si divertivano ad abbattersi contro le gabbie ferrose  già ricoperte da rilucenti e azzurrognole lastre di ghiaccio.
Praticamente lì non vi era traccia del calore che invece si riscuoteva in abbondanza al piano precedente.

I normali secondini evitavano di metterci a piede per il semplice fatto che i loro sostituti, in quanto selvaggi, erano capaci di attaccare in branco in base a schemi che il più delle volte riuscivano a far breccia nelle loro difese; un grande bello svantaggio per Bon Clay, che doveva cercare il suo Mugi-chan senza avere rompiscatole fra i piedi. Sistemato l’autentico Hannyabal con l’infallibile trucco della seduzione femminile, gli aveva sottratto i vestiti, recuperato quei due voltagabbana di Buggy e Mr3 e direttosi al piano ghiacciato con il sangue che rischiava di fuoriuscirgli dalle orecchie per l’impazienza. Purtroppo, nel trovarsi davanti alla porta del quinto livello della struttura, aveva scoperto che il vice direttore Hannyabal, quello vero, soleva recarsi lì per temprare il suo fisico e tale addestramento, prevedeva l’esclusione dei abiti pesanti.

“E…E….E…ETCIUU!!”
“Ah! B-Ben ti sta, almeno così siamo pari!”
“M-M-M-M-M-M-Mamma..s-s-si g-g-g-g-gela!”

La pesante porta fatta di ferro, legno chiodi e cardini, si era appena chiusa alle loro spalle, lasciando i tre davanti alle insidie dell’inferno di ghiaccio. La pelle delle braccia e delle gambe, per non dire del povero e scoperto torace di Bon Clay, erano diventate così rosse che il solo guardarle faceva male. Un altro po’ di tempo al freddo e sarebbero stati identici in tutto e per tutto a dei ghiaccioli formato extragigante, considerata la totale assenza di negozi d’abiti pesanti nei dintorni; se si aggiungeva poi il fatto che i lupi avevano già fiutato l’odore di carne fresca e che si stavano apprestando a raggiungere l’entrata, non c’era proprio modo di vedere la scappatoia a cui Buggy e Galdino si affidavano quasi sempre da quando erano fuggiti dalle loro celle.

“Bene ragazzi, andiamo! Le celle sono da quella parte” affermò Mr2 iniziando ad arrancare nella neve.
“Andare dove?! Qui è tutto coperto di neve e come se non fosse sufficiente, ci sono interi branchi di lupi pronti a sbranarci!!” squittì Mr3 che già si stava guardando intorno con una velocità tale che pareva avere più teste sullo stesso collo.
“Come dove??” starnazzò l’okama volteggiando su di sé “Ma da Mugi-chan naturalmente! Magellan l’ha infettato col suo veleno!”
“Colpa sua! Solo uno scemo come lui è capace di caricare a testa bassa contro quel mostro senza pensare alle conseguenze” replicò Buggy spiaccicandogli il naso rosso in faccia “Se l’è cercata!”
“Che se la sia cercata o meno noi dobbiamo aiutarlo, è nostro amico!!!!” esclamò sovrastando i due e mettendoli nell’angolo “Lui farebbe lo stesso per noi!!!!”

Il rimorso che provava per l’aver lasciato Mugi-chan da solo lo stava divorando come un verme faceva dentro a una mela. Aveva avuto una paura indescrivibile nel vedere di prima persona il potere del capo della prigione, così tanta da fargli tremare le gambe danzanti. Era scappato via, ululando che gli dispiaceva ma era bastato che il plotone incaricato di portare via il suo amico sfilasse vicino al buco dentro cui si era rifugiato, per far ardere in lui il riscatto e il desiderio di andare in soccorso all’amico. Le chiavi ce le aveva, tutto quello che doveva fare era trovare la giusta cella, prendere Mugi-chan e poi scovare lui; oltre ad aiutare il suo carissimo amico, la seconda ragione portante che l’aveva spinto a scendere ai piani inferiori, stava nel trovare un uomo considerato una leggenda vivente nelle terre degli okama, il regino di tutti loro, la cui esistenza da molto tempo pareva essere svanita nel nulla e che ora più che mai faceva al caso suo.
Nonostante avesse visto molto chiaramente il suo nome sbarrato sulla lista dei prigionieri, Bon Clay era convinto che una persona come il grande Ivankov, l’uomo dei miracoli, non potesse essere morto per il freddo troppo assiderante. Avrebbe curato lui Mugi-chan e, da quanto stava constatando, i suoi due compagni non avevano la benché minima intenzione di accompagnarlo, troppo presi a confabulare fra di loro: parlavano di passare dalla porta e qualcos’altro che non riusciva ben a tradurre ma l’improvvisa comparsa di una decina di lupi magri e terribilmente affamati,c ambiò radicalmente le loro proposte iniziali, costringendoli a gettarsi in una corsa frenetica che in pochi istanti, fece loro perdere il senso dell’orientamento.

“Mugi-chan, aspettami!!” urlò Bon Clay scansando le bocche zannute delle bestie “Sto arrivando!!!”
 


Con il continuo favore della notte, la Moby Dick proseguiva nel suo viaggio facendo attenzione alle eventuali navi della Marina appostate nei paraggi. Tutte le luci erano spente, il cambio guardia per il timone era regolare e al momento tutto seguiva il giusto andazzo. Il reparto infermieristico era pressoché vuoto, silenzioso quanto il deserto durante la notte; tutte le infermiere si trovavano nella stanza del babbo a tenere sotto controllo la sua salute, esclusa Akiko, ostinatamente ancorata sul ponte con gli occhi fissi sull’orizzonte e Maya, le cui mani non facevano che lucidare bisturi in continuazione quasi fosse un automa. Il leggero odore di disinfettante le impregnava le narici, non c’era pavimento del suo regno che non fosse stato pulito e lucidato; lavorare o tenere le mani occupate era sempre stato un toccasana per lei poiché riteneva che perdersi troppo nei propri pensieri poteva essere dannoso, specie se nei paraggi c’era un fastidioso medico-cecchino pronto a sputtanarti. Il rastrellare da sola ogni stanza del reparto fino a farla diventare linda come uno specchio le serviva come riscaldamento per il grande assalto che in meno di dieci ore si sarebbe tenuto un po’ ovunque sulla nave. Non essendo in prima linea come gli altri, doveva rendere al meglio nella sua postazione; in qualità di autorità medica, avrebbe messo a disposizione tutte le sue conoscenze mediche e la sua tenacia se queste avrebbero contribuito alla loro vittoria.

Il ruolo che rivestiva sulla Moby Dick non prevedeva che si esponesse come i suoi compagni, altrimenti nessuno l’avrebbe potuta sostituire. Le sue abilità combattive non potevano essere paragonate a quelle di Don o dei altri; il linea massima, sarebbe stata capace di atterrare un solo pirata se armata di bisturi ma dubitava fortemente di  poter combattere come un’esperta contro soldati o mostri marini, anche se con le budella di questi ultimi non aveva problemi. Il coraggio non le mancava ma mai si sarebbe permessa di caricare contro nemici al dì fuori della sua portata: una simile sciocchezza avrebbe visto i suoi compagni difenderla magari in un momento cruciale e a fare il peso morto non ci teneva dato che poteva incombere nel grande rischio che già le stava facendo storcere la bocca truccata.

Sei in debito con me, donna.

Permettere a quel troglodita di salvarla gli avrebbe concesso di rinfacciarglielo tutta la vita, lasciando che a quella vicenda subentrassero argomenti che già l’immaginario medico rompiscatole creatosi nella sua testa, le stava elencando con l’uguale tono sfrontato e anche mezzo addormentato dell’originale.

Ma stattene un po’ zitto!  Sbottò mentalmente con le sopraciglia contratte.

E posò sul banco il bisturi con gesto seccato, incrociando le braccia sotto il seno e sbuffando quanto bastava perché un ciuffo della frangia viola si sollevasse. L’ostilità fra lei e quel particolare membro  della seconda flotta era fin troppo riconosciuta considerando che le loro liti erano sempre vicine a far saltare in aria il ponte principale della nave. Sinceramente, ora che meglio rivangava a quei ricordi, dovette ammettere che quei momenti di accapigliamento adesso li rimpiangeva. Non era il caso di litigare o di provocare qualcuno solo per un capriccio umorale ma quelle ore di pre-guerra la stavano veramente esasperando. Aveva bisogno di sentirsi attiva, di correre su e giù per i corridoi, di provare la stessa emozione che la invadeva quando teneva in mano un cuore pulsante che doveva essere rimesso al suo posto prima che il paziente spirasse. Era perfettamente normale essere tesi e da tempo aveva imparato a controllare quell’aspetto caratteriale di sé stessa non essendo più un’apprendista alle prime armi; spettava a lei dirigere le sue subordinate, spettava a lei coordinare gli interventi e le procedure mediche e fintanto che portava quella divisa, niente l’avrebbe tolta da tale incarico.

Avanti Maya, forza e coraggio! Questa non è la prima scorribanda fra pirati a cui partecipi.  Si disse annuendo con la testa.
“Che fai, ti dai ragione da sola?” le domandò una voce maschile alle spalle.

Il delicato sorriso della donna si incurvò bruscamente all’ingiù nel riconoscere il padrone di tale tono. Anche i bei occhi scarlatti si socchiusero accentuando la visibile scocciatura ma nel voltarsi con perfetta disinvolutura, mostrò a quell’antipatico tutta la sua bellezza naturale, rivolgendosi a lui come sempre aveva fatto da quando conosceva il suo brutto e maleducato grugno.

“Sai che è buona educazione bussare prima di entrare?” lo rimbeccò poggiando il fondoschiena al lettino dietro di lei.
“Se lo avessi fatto mi avresti lasciato entrare?” le rimandò ben tenendo a mente la sacralità del reparto infermieristico della donna.
“Uhm…” si picchiettò l’indice sul labbro guardando all’insù “Forse, se tu mi avessi chiamata col mio nome”
“Donna, non esagerare: io non sono Sayuri, sono gentile fino ad un certo punto”
“Oh, tu saresti gentile? Non me ne sono mai accorta” lo canzonò lei.

Quel veloce scambio di battutine non era nulla di che ma stava sollevando l’animo di Maya esattamente come lei sperava. Tenendo bene a mente quanto sarebbe successo fra poche ore, tutto era ben accetto per allentare il nervosismo, appiattirlo a sufficienza per respirare senza pesi sullo stomaco. Era curioso che Don poi si trovasse proprio lì dato che conosceva le regole del suo reparto a menadito: nessuno si era mai azzardato ad andare contro di esse perché tutti quanti sapevano bene che la rigida capo-infermiera diventava intrattabile quando si calpestavano i suoi confini e fra tutti,  lui era il primo che si teneva alla larga per non dover sprecare parole con lei, che già l’aveva più volte scritto sulla sua lista nera. Ma adesso era lì. Perchè? Cosa diavolo l’aveva spinto a osare tanto?
Nella mente della donna dai capelli viola balenò un’idea. Che anche lui stesse cercando il litigio-scaccia pressione?

No, mi rifiuto di crederlo.

A momenti rischiò di farsi scappare una risata che come minimo le avrebbe abbonato un’occhiata ancor più strana da parte del medico-cecchino. Le era assurdo vederla in quella prospettiva ma non essendo una persona superficiale e meglio ancora, avendo ben addocchiato i sentimenti del medico-cecchino riguardo la faccenda, era più propensa a pensare che anche lui stesse cercando, come dire, di fuggire temporaneamente da quel groviglio ingarbugliato per poi affrontarlo senza complicazioni irrisolte.
Per quanto odioso,maleducato,insopportabile e via dicendo, anche Don, come lei, era un umano ma non essendo quel genere di essere amante della compassione, soleva dilettarsi in bisticci di vari sfondi per scacciare i cattivi pensieri e dunque sentirsi soddisfatto. Una cosa su cui lei, per il solo gusto di vederlo sbuffare imbestialito, mai avrebbe ceduto, nonostante la possibilità di fare uno strappo alla regola per darsi al bere come due spugne senz’acqua da mesi. Litigare era il loro modo di conversare, discutere più che altro e ad entrambi andava bene così perché quello stile rispecchiava al meglio le loro personalità. Certo, ogni tanto era bene che qualche passante si munisse di caschetto di protezione per l’incolumità della propria salute ma in quel preciso istante, anche se si fossero messi a parlottare, non sarebbero riusciti a pieno nel loro intento. Maya, per quanta nonchalance mostrasse, era seriamente preoccupata e non c’era modo per lei di far inabissare tale stato, di cancellarlo o anche solo di metterlo da parte: era un po’ come un chiodo ed in esso vi era tutto quel che c’era per indirizzare la sua mente alla ragazza il cui letto ogni sera era guardato dalla piccola Akiko con occhi smarriti.

Finirò per sembrare una stupida..Pensò rilassando i muscoli del collo e mettendosi ben in piedi.

Dall’alto della sua posizione poteva anche decidere indossare una perfetta maschera incarnante il controllo ma conoscendosi alla perfezione, sapeva esattamente che cosa le occorreva. Seguita dai occhi di Don, l’avvenente donna si diresse verso una mensola tenuta nell’angolo insieme a un piccolo fornelletto usato per i rimedi più bislacchi.

“Ti va un caffè?” gli domandò tenendo ben in mostra il sacchettino con dentro la povere per fare la bevanda.
“Vuoi avvelenarmi?”
“Per carità, Don” sospirò lei “Se davvero mirassi alla tua vita, cercherei un espediente più divertente” replicò lei riempiendo la moca.

 Fu così che si ritrovarono a bere caffè nella sala operatoria numero sei.

“Avanti, parla” tagliò corto l’uomo ponendo fine al silenzio.
“Pensavo volessi berti il caffè in pace”
“Se avessi voluto me ne sarei andato ma siccome tu sembri decisa a chiedermi qualcosa, preferisco togliermi il dente adesso che agonizzare per il resto della vita quindi, vedi di vuotare il sacco alla svelta”

La capo-infermiera sbattè le lunghe ciglia un paio di volte prima di sospirare e allontanare il calore fumante dalla propria tazza. Eh no, la gentilezza quell’uomo proprio non la conosceva…

“Ti sei sentito meglio dopo che hai parlato con Sayuri?” gli domandò girando la testa verso di lui. “Non abbiamo avuto suo notizie per molto tempo..”
“Guarda che non stiamo parlando di una lattante ma di una pirata grande e vaccinata che è pienamente cosciente delle sue azioni” tagliò corto quello portandosi la tazza blu alle labbra.
“Quindi non sei preoccupato per lei?”
“Non ho detto questo”
“Tenti di coprire i tuoi sensi di colpa con la tua proverbiale indifferenza?”
“Io non sono indifferente e non ho sensi di colpa, donna” mise in chiaro con voce piatta “C’è un motivo per cui stiamo andando a Impel Down e non a Marineford e questo mi basta per non dover farmi prendere da stupide ansie”

Non si stava riferendo a Ace, non principalmente. Dietro a tutta la matassa stava la fantomatica fiducia riposta tempo addietro, a cui lui ancora voleva essere fedele, esattamente come se quel tacito patto fra amici fosse stato stipulato appena ieri. Se lo sentiva nelle ossa, nei muscoli e anche nei neuroni del cervello: la santa stava bene e si stava impegnando al massimo per andare a liberare quell’altro irresponsabile che poi era il loro comandante. Il bisogno di stare ore e ore attaccato al lumacofono, sperando che questa richiamasse era superfluo; chi la conosceva non aveva di che preoccuparsi viste le sue capacità. C’era troppo da perdere perché una persona come lei si arrendesse alla prima difficoltà: per quanto differenti nel carattere, nelle concezioni ideologiche, lei e Ace possedevano lo stesso livello di testardaggine, molto difficile da placare. Si manifestava in vie disuguali ed era indubbio che il moro ne facesse un più ampio utilizzo rispetto alla ragazza, ponderata e amante delle vie pacifiche ma sebbene ella prediligesse quella via meno istintiva, Don non poteva non ammettere che un po’ era rimasto in pensiero: cavolo, si trattava pur sempre di una sua amica e nel leggere di Ace imprigionato, prossimo alla morte, gli aveva fatto saltare il berretto in aria.

Non aveva osato minimamente immaginare la reazione della ragazza a quella notizia e si era astenuto dal chiederle come stesse: il saperla viva era stato sufficiente per fargli capire che non si era arresa, che aveva deciso di fare di testa sua e di dare a fondo all’ultimo briciolo di energia in corpo pur di non farsi sovrastare da quel dolore a lui non completamente comprensibile. Voleva salvare Ace, come tutti loro, e Dio solo sapeva di quali mezzi quella pazza innamorata si sarebbe servita…
Sperava solo che non facesse ricorso a quella sua diabolica trovata..

L’alzare gli occhi verso il soffitto fu interpretato da Maya come una piccola nota rivolta al solo essere appartenente al genere femminile degno delle sua attenzione. Don era un brontolone di prima categoria ma per le persone perspicaci come lei, capire che cosa si nascondesse sotto quei borbottii era un divertimento senza fine. Purtroppo il risultato era grossolano per via della complessità con cui quel uomo era stato fatto ma non ci voleva poi molto per arrivare alla lampante deduzione che il medico-cecchino, nel profondo di sé, in quella parte remota e assolutamente sconosciuta del suo animo, era un pochino in pena per la sorte dei suoi compagni .In fondo, uno di loro stava per essere giustiziato e non si poteva certo rimanere lì e alzare le spallucce come se non ciò non fosse degno di attenzione.

“Che hai da fissarmi così languidamente?” le domandò lui notando quel suo sospettoso cambiamento.

Stava tramando qualcosa. Maya stava sostenendo il viso con una della mani delicatamente appoggiata al mento e quei suoi profondi occhi color rubino, erano come persi in una qualche contemplazione mistica, con la bocca appena dischiusa. Che fosse ubriaca? No, impossibile. Il colore del viso era perfettamente perlaceo, non c’erano chiazze rosse e calde al livello delle guance. Inoltre, avrebbe percepito il profumo dei liquori lontano un miglio ed era sicuro che la capo-infermiera non ne tenesse di nascosti.

“Dillo che sei preoccupato” mormorò lei abbozzando un leggerissimo sorriso.
“Sei insistente oltre che isterica” borbottò lui sorseggiando un altro pò di caffè.
“Non è un crimine se ti aprì un po’. Sii gentile o perlomeno, sforzati”
“Non dovresti calarti in ruoli che non sai di poter gestire, specie quello della buona samaritana” ironizzò con svogliatezza. Quell’accidente di caffè invece di svegliarlo lo stava facendo addormentare..

Maya non faceva che osservarlo corrucciando la bocca prima a destra e poi a sinistra, come per cercare di continuare la sua incalzante opera. Coi occhi metà chiusi sembrava assonnata o annoiata visto che non si stavano scannando al meglio delle loro possibilità ma non poteva pretendere chissà cosa, nessuno dei due era in piena forma. Sicuramente avrebbero recuperato una volta che quel fattaccio si fosse concluso, magari grazie a un piccola sciocchezzuola, tempistica per far sì che le danze si riaprissero in grande stile.
Peccato che non fosse ancora tempo per far quanto pensato, anzi, non era tempo di nulla che avesse una natura felice. Era in ansia? Certo. Il suo leggero sospirare in momenti calcolati e che non implicassero sguardi interrogativi stava tentennando e il fatto di essere stata colta in flagrante dal suo arcinemico, le aveva fatto guadagnare tutta una serie di domande che prima avevano visto lei nei panni dell’inquisitrice.

“Invece che chiedermi se sono preda di assurdi sensi di colpa dovresti prenderti un attimo per ricomporti” sbuffò l’uomo poggiando la tazza.
“E’ il tuo modo per dirmi che ho bisogno di riposare?”
“Lo sai che non sopporto le persone in pena, meno che mai se la persona in questione sei tu”
“Potremmo sempre trovare qualcosa per far passare il tempo” propose la capo-infermiera stiracchiandosi vistosamente,mettendo in risalto la provocante scollatura  della divisa color confetto.
“Si può fare” acconsentì - stranamente- lui “Ma escludi il bere. Siamo in servizio”
“Quindi saresti anche disposto a lasciarti andare ad almeno tre ore di sesso sfrenato prima di darci dentro coi combattimenti?” gli domandò come se nulla fosse riordinandosi i capelli dietro la schiena.
“Solo se sono io a tenere il bastone del comando” stabilì il compagno.
“No”
“Allora riempimi altre dieci tazze di questa brodaglia” ordinò lui per nulla toccato.

Buttare lì una proposta del genere non faceva parte di una macchinazione ben precisa o almeno….così sembrava. Maya non agiva mai senza avere uno schema specifico in testa e se talvolta era a corto di idee, l’ingegnarsi era sempre una sfida ben accetta.

“Anche se avessi il coltello dalla parte del manico…” cominciò lei nell’assottigliare gli occhi e le morbide labbra “Scommetto che ti rifiuteresti perché dovresti farlo con me”
“Noto con piacere il tuo cervello da segnali di vita” ghignò il medico-cecchino scoccandogli uno sguardo vittorioso.
“E io noto che il tuo essere stronzo si affina ogni giorno di più” fu il rimando di lei.
 
A finirla così, quasi amichevolmente, non era affatto divertente, in particolare se poi ad aggiudicarsi il punto della vittoria era il medico-cecchino. Una volta poteva starci se si aveva passato la notte a scolarsi litri e litri di alcool ma due erano già un’esagerazione.

“Sembra proprio che io abbia visto giusto fin dall’inizio..” mormorò poi lei poggiando la tazza sul bancone posto vicino al fornelletto.
“Vedi di dar…”

La tazza che ancora reggeva in mano rischiò di scivolargli via dalla mano. Venne strattonato per il colletto della maglietta e tempo tre secondi, si ritrovò le labbra di Maya incollate alle sue, in uno di quei baci strabordanti di passione, che solo le donne di quel calibro erano capaci di donare. Uno di quei gesti che ti permettevano solo di strabuzzare gli occhi e di non fare null’altro data la loro brevità.

“Eh, già…esattamente come immaginavo” sogghignò lei una volta staccatasi “Non sei per nulla gentile e questo tuo saporaccio ne è la prova”

Non gli concesse di ribattere o di guardarla male perché se ne andò via leccandosi la bocca, ancheggiando pienamente soddisfatta per l’essersi aggiudicata quel round. Con la tazza ancora in mano, il medico-cecchino rimase per qualche secondo a guardare l’uscita, poi spostò la visuale sulla tazza, l’avvicinò al suo naso per odorarla e nuovamente tornò a fissare l’apertura rettangolare da cui la donna era passata.

L’ammazzo. Giuro che prima o poi l’ammazzo quella donna” e buttò il resto del caffè nella spazzatura, convinto che quella l’avesse veramente drogato.
 


Impel Down.
Livello cinque. L’inferno di ghiaccio.

“Rufy!Bon Clay! Riuscite a sentirmi?!”

Avvolta fino alla bocca dal lungo e svolazzante mantello bianco, Sayuri affondava i piedi nella neve di quel paesaggio invernale con le ginocchia che tremavano non poco per l’acuminato freddo. Benchè fosse coperta dall’indumento pesante e stesse portando calzature più idonee per attraversare un ambiente rigido come quello, la temperatura era così rigida da trapassare la stoffa dei suoi abiti, arrivando ad atrofizzarle le giunture. Anche il solo avanzare cominciava a farle male: il piegare le gambe era una costrizione che a breve sarebbe diventata insopportabile, come il bruciare ai occhi per via delle folate di vento che si divertivano ad accecarla. Quasi un’ora dopo aver visto Mr2, nei panni del vice-direttore Hannyabal, era uscita dall’ufficio del direttore e senza nessun’altra deviazione, aveva raggiunto il quinto livello; l’obbiettivo era trovare Rufy e pertanto si era diretta immediatamente verso le celle ma nel controllarle tutte, non vi aveva trovato il ragazzino di gomma, ne tantomeno il suo danzante amico.
Tuttavia, come a volerle dare una mano, la fortuna le aveva fatto trovare a poca distanza dei curiosi segni di trascinamento insieme a quelle che erano orme e, avendoci anche trovato delle gocce di sangue, la ragazza si era decisa a seguire tale scia convinta che l’avrebbe portata dove voleva.

Purtroppo lì ogni cosa era sfavorevole a chi si prodigava per salvare la vita a un ricercato e neo prigioniero, anche per lei che ancora non era stata scoperta: la neve dentro cui stava arrancando mutava come le foglie in autunno ed era bastata una piccola nevicata per rendere la sua unica pista ancor più labile e invisibile di quanto già non fosse in alcuni tratti. A lungo andare, si ritrovò a fissare quel manto immacolato e brillante assolutamente privo di ogni sporcizia, senza avere una pallida idea di dove andare ma poi….poi udì qualcosa di completamente diverso dall’eco che l’aveva accompagnata.

“Cosa mai….?”
Poco lontano da dov’era,si sentiva  l’abbaiare dei lupi. Era debole ma molteplice da quanto riusciva a cogliere. Scuotendo la testa, Bianco Giglio cercò di ascoltare con più concentrazione: parevano essere in molti, vicini fra di loro, presi a ringhiare e forse ad attaccare qualcosa..o qualcuno.

“Oh no!”

Al pensiero di chi potessero essere le vittime designate, iniziò a correre cercando di non inciampare o scivolare dentro quella massa dalla consistenza ingannevole. Attraversò mezza distesa di quella che più si avvinava essere una pianura molto ridotta, superando anche qualche pino che per puro miracolo non era ancora del tutto congelato. Risalita una piccola sporgenza, scrutò i dintorni assottigliando le pupille come per allungare il proprio raggio visivo, guardando scrupolosamente intorno, senza lasciare spazi e nel cogliere delle piccole macchie nere circondate da altre simili, saltò giù, riprendendo a correre.

Cercate di resistere, sto arrivando!

Appena quelle macchie assunsero una forma più umana, Sayuri si preparò ad estrarre i sai e a fronteggiare i lupi prima che decidessero di azzannare i malcapitati che ora vedeva con fin troppa nitidezza. Era già pronta a far leva sulle caviglie per darsi la giusta spinta quando, tutto ad un tratto, percepì qualcosa di nuovo: vi erano dei elementi aggiuntisi senza che preavviso e l’accorgersi in tempo della loro presenza le impedì di subire la stessa sorte delle bestie che al momento stavano guardando i nuovi arrivati con i musi attoniti.

“Death…Wink!!”

Come colpiti da una strada onda d’urto, i restanti lupi ancora coscienti furono sbalzati via e fatti cadere diversi metri più in avanti.

“Con questi dovremmo averli sistemati tutti” disse il primo guardandosi ben intorno.
“Almeno pev un po’ non ci davanno fastidio” aggiunse il secondo “Ova, vediamo questi povevetti..”
“Fermatevi!”

Rapidamente Sayuri si pose davanti a quei due sconosciuti come una linea divisoria, di modo da non potergli permettere di avanzare verso i due amici a cui al momento dava la schiena. Tenendo le braccia ben in alto, cercò di scorgere i volti che si celavano dietro quei due ampi mantelli marroni aventi un lungo cappuccio sopra la testa ma per quanto si sforzò, le fu impossibile scoprirne l’identità. Di uno dei due vedeva solamente un paio di labbra enormi viola, sporgenti per via della testa grande il doppio del corpo.

“Una marine?”
“Y….Y..Yucci-chan…” rantolò Rufy.

Sentitasi chiamare, la ragazza si voltò per potersi inginocchiare vicino al ragazzo di gomma.

“Santo cielo..” la pirata non potè non portarsi una mano alla bocca.

Vedere le condizioni in cui si trovava le chiusero il cuore in una morsa dolorosa. La salute del fratellino di Ace versava in condizioni che erano indescrivibili: stava male, respirava a fatica e gran parte del suo corpo era ricoperto da quel miscuglio violaceo e velenoso dall’odore pungente che già si era prodigato a penetrare nei suoi organi e nei vari tessuti muscolari col fine di indebolirli e infine farli collassare.

“Tieni duro Rufy, ho qui con me l’antidoto” gli disse trafelata trafficando nella tasca per estrarre poi la fialetta e inserirla nella apposita siringa.
“B-Bon-chan…lui..” cercava di chiedere come stesse l’amico vicino a lui, svenuto per i morsi e per il glaciale freddo.
“Non preoccuparti, penserò io a voi due. Adesso cerca solo di rilassarti, andrà tutto bene” lo rassicurò ammorbidendo la voce per far rilassare il ragazzo.

Assicuratasi che la fiala fosse ben inserita nella siringa, la castana si accinse a prendere il braccio di Cappello di Paglia per cercarne la vena. Se l’antidoto era potente come sperava, sicuramente si sarebbe salvato ma ancor prima che potesse afferrare l’arto del pirata di gomma, il suo polso venne fermato da una mano dei due sconosciuti, rimasti a guardare fino in quel momento.

“Per favore, mi lasci fare, io…”
“Non sevvivebbe a nulla. Le sue condizioni sono già tvoppo cvitiche pevchè lo si possa cuvave con il semplice antidoto” le spiegò l’incappucciato dalla testa grossa.

A quella notizia, il viso di lei impallidì bruscamente, arrivando a confondersi perfino con la neve che li circondava su tutti i fronti.

“Morirà a breve se non facciamo qualcosa. E anche questo qui ha bisogno di essere curato, i lupi non ci sono andati leggeri” asserì il secondo verificando le condizioni di Mr2.

Seppur con la vista terribilente offuscata, Rufy guardò l’okama a terra, ormai in pieno assideramento. L’istinto mosse il suo braccio verso il piede di quel misterioso tizio vicino a lui e a Yucci-chan e quella sua debole stretta, riuscì a richiamarne l’attenzione.

“Rufy!” Sayuri era incredula davanti al gesto del ragazzo, non avrebbe pensato che potesse ancora muoversi.
“Bon-chan…..s..salva…salvalo…è..è venuto...q-qui per aiutar..mi” ansimò al limite delle sue capacità.

Il suo preoccuparsi per l’amico che per sé stesso lasciò nuovamente abasita la ragazza. Il modo d’agire di Rufy era veramente qualcosa che sfuggiva alla logica umana seppur tale concetto ricalcava un semplicità tanto elementare. Era disposto a morire pur di non perdere quanto di più caro aveva a quel mondo; compiva  gesti che non tutti avrebbero avuto il coraggio di fare. Nella sua ingenuità voleva che tutti coloro che facevano parte del suo mondo fossero sempre felici e semmai qualcosa avesse minacciato tale felicità, lui l’avrebbe combattuta fino allo stremo delle sue forze. Era quella volontà di proteggere i suoi tesori che lo teneva aggrappato alla vita, che l’aveva spinto a prendere a testate la gabbia della cella per cercare di uscire ed era sempre quella a scatenare quell’ambizione tanto rara quanto potente di cui pareva ancora non avere il completo controllo.

“Non temeve, siete in buone mani!” assicurò lo strano individuo slargando la sua bocca in un sorriso disumanamente ampio. “Covaggio Inazuma, povtiamoli nel nostro pavadiso, Heehaw!”

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 62
*** La cura ormonale di Rufy e l'altro inferno. ***


Salve a tutti, ecco che vi porto come sempre il nuovo capitolo della fict! Sono entrati in scena anche Ivankov e Inazuma e la vicenda si fa più accesa che mai. Cosa accadrà? A voi l’onore di scoprirlo!

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L’inferno di ghiaccio non era famoso solamente per essere un luogo altamente inospitale, abitato da famelici lupi aventi corpi magri e ossuti. Vi era un’altra ragione, misteriosa quasi, perché lasciava perplessi gli stessi secondini: capitava che a volte, alcuni prigionieri svanissero nel nulla e che non venissero più ritrovati. Quell’enigma aleggiava in tutti i piani e nessuno aveva idea di come ciò potesse accadere. La spiegazione più razionale che avevano attribuito per il livello cinque, era che i lupi si fossero premurati di divorarne anche le ossa ma la verità era ben lontana dall’essere scoperta. Proprio perché le visite delle guardie lì erano estremamente rare e il livello era molto ampio, nessuno sospettava che tra esso e il piano portante di Impel Down, il sesto, ci fossero dei cunicoli collegati fra di loro di modo tale da creare così un sottolivello invisibile a qualunque sistema di sicurezza della prigione. Erano tante grotte quadrate, scavate e modellate da mani possedenti i poteri di un frutto del diavolo, capaci di unire le diverse aree attraverso tutta una rete di canali modellata con precisione e attenzione. Il mistero dei prigionieri che svanivano nel nulla, allegato a molti altri inspiegabili, lì trovava la sola e autentica risposta, che prendeva il nome di livello 5.5, ribattezzato la New Gay Land.

Attrezzato con comodità permesse in pochissime stanze addette alle massime autorità di Impel Down e fornito di cibo e bevande in abbondanza, rubate dalle scorte blindate dei altri piani, l’altro inferno era il piccolo paradiso nascosto per tutti i gay, dove il divertimento e le risate stavano all’ordine del giorno. Il sapere di trovarsi nella prigione più temuta di tutto il mondo non era che un ricordo pesantemente annebbiato dall’alcool e dai bagordi consumati ogni giorno. Non esistevano rigidi canoni di divisione fra uomini e donne, li si inneggiava la gay way tutti insieme, uniti sotto il coro trascinatore del leader fondatore della colonia, che ogni giorno era il protagonista indiscusso dei spettacoli che si tenevano per mantenere alto lo spirito festivo. Era stato lui a fondare il livello 5.5, insieme a un fido compagno con cui era stato rinchiuso con l’accusa di essere un rivoluzionario al servizio del ricercato più pericoloso del mondo. Il suo nome sulla lista dei prigionieri era sbarrato da molto tempo e il personale militare non si era preso la briga di cercarlo come gli altri scomparsi. Un prigioniero in meno a cui pensare non poteva che essere una soddisfazione ma Emporio Ivankov, il regino degli okama ed eccentrico sostenitore del movimento rivoluzionario, era troppo sveglio per morire congelato o farsi mangiare  su due piedi.
Figurarsi se una persona così smisuratamente sicura di sé, poteva farsi prendere dal panico e lasciarsi condizionare da fattori esterni; certo, era finito a Impel Down ma il suo spirito non ne aveva risentito, anzi, lo scoprire tutti quei canali collegati fra loro e il fondare il giardino dei prigionieri lo aveva animato con ancor più ardore, tanto che alcuni volontari - e altri meno - si erano lasciati avvolgere dal suo carisma, permettendo di trasformarli, a volte anche fisicamente, dando forma più consona ai loro desideri. Molti nell’ascoltare ma anche nel vedere in prima persona di che cosa egli fosse capace, gli avevano chiesto perché fosse lì e non avesse tentato la fuga dati i suoi grandi poteri. La ragione c’era eccome - lui stesso l’aveva spiegata sul palco, col microfono in mano e i riflettori puntati addosso - ma come per tutti i grandi piani, bisognava sempre seguire le procedure passo dopo passo. La fretta nel suo operato non portava mai a nulla di buono, bisognava lavorarci lentamente e con minuziosità, come se si stesse modellando un piatto d’oro pieno di decori piccolissimi e molto delicati.

La schiera dei rivoluzionari lavorava diversamente da quella dei pirati. L’essere tattici e il lavorare nell’ombra, addirittura fra le file del nemico era qualcosa che i pirati non sarebbero mai stati in grado di fare. Vi era il carisma indubbiamente ma il movimento capeggiato da Monkey D.Dragon aveva ingaggiato e ingaggiava tutt’ora un battaglia diretta contro il Governo Mondiale, la cui pazienza ormai era ridotta ad una lastra sottile e facile all’irritazione. Una battaglia silenziosa, non ancora del tutto matura, non sufficientemente per essere chiamata guerra. Fintanto che la situazione rimaneva su di un piano stabile, Ivankov sarebbe rimasto in attesa, sempre pronto al benché minimo cambiamento nonostante la sua mobilità fosse molto limitata: confidava in un segno rivelatore, un qualcosa che avrebbe scosso le sue membra di regino cosi tanto da farlo saltare in aria e spiaccicare così contro il soffitto.

Quel giorno si era rivelato estremamente più interessante degli altri: uno dei canali segreti era collegato alla stazione di sorveglianza, dove i suoi pasticcini - così chiamava i seguaci - avevano installato una loro personale luma-camera, che permetteva a tutti loro di assistere alle quotidiane attività di Impel Down. Durante quelle ore si erano divertiti a osservare l’incursione di un curioso ragazzino con un simpatico cappello di paglia, arrivando addirittura a fare il tifo per lui vista la sua inarrestabile ostinazione mostrata nello scendere lungo i piani. Purtroppo Magellan ne aveva fermato la corsa e lui, nella sua quotidiana ronda, aveva raccolto e salvato il suddetto, il suo amico danzante e anche la falsa marine accorsa all’ultimo minuto, senza sapere che razza di dono gli era capitato fra le mani.
 



“A questo bisogna disinfettare le ferite e mettere i punti. Il freddo ha irrigidito i muscoli e la circolazione sanguigna, credo che una semplice coperta di lana non basterà a farlo star meglio”
“Molto bene Inazuma. Pensaci tu, del vesto me ne occupo io”

Bon Clay era steso su un giaciglio di paglia provvisorio, svenuto e con la pelle del torace terribilmente rossa e tagliata per via dello semi-sbranamento provocato dai lupi. Al suo fianco, uno stravagante uomo dai seri lineamenti stava diagnosticando il suo malessere con molta professionalità, osservando ogni parte del suo colpo da dietro  un paio di occhiali dalla grossa montatura bianca. Inazuma - l’okama che stava assistendo Mr2 - lasciò che il suo impenetrabile viso vagasse sul corpo del povero malandato ancora per qualche istante, dopodiché alzò il suo braccio e ne afferrò molto delicatamente il polso, tastandolo in cerca del battito cardiaco. Il trovarlo, lo spinse a girare la testa ed annuire al compagno che stava un po’ più il là rispetto a lui.

Seduta sui talloni, Sayuri era rimasta ad osservare entrambi come affascinata: in tutta sincerità, non aveva mai visto in vita sua persone così…colorate.
Una sorta di magnetismo l’aveva esortata a studiare quei due individui con innata curiosità, stupendosi di ogni particolare su cui i suoi occhi ricadevano: per primo aveva osservato quello chiamato Inazuma - se non errava -, cogliendone subito la imperscrutabilità facciale, segnata da una singolare cicatrice a forma di saetta nella parte alta della fronte, proprio nel mezzo. Vestiva con un lungo e pesante cappotto ma la stravaganza stava nella divisione dei colori: da una metà era completamente bianco mentre dall’altra era interamente arancione ed il fatto strano era che quella divisione coinvolgeva anche i capelli e i pantaloni poco visibili. Sempre con una mano sul polso di Bon Clay, teneva l’altro braccio piegato, con un elegante bicchiere di vino nel palmo della mano.
L’eccentricità rappresentava il fulcro da cui si slargavano le loro caratteristiche principali e non vi era dubbio che fossero diversi dai altri comuni esseri umani ma il semplice fatto che avessero offerto il loro aiuto senza chiedere niente, era bastato perché altri pensieri non sovraccaricassero la sua testolina in ragionamenti logici, che poi avrebbe trovato inutili quasi quanto le argomentazioni.

Purtroppo, tale bislaccheria fu subito messa da parte per via di qualcosa avente una priorità incancellabile: vicina a Rufy, Sayuri lo guardava con occhi preoccupati e con diversi groppi in gola tutti ammassati fra di loro. Era steso a pancia in su, coi arti immobilizzati, incredibilmente cosciente nonostante la sua salute si stesse sgretolando come una casa in rovina. L’essere sveglio era un vero miracolo ma un simile sforzo, per quanto ammirevole, non sarebbe servito a salvargli la vita. La ragazza desiderava poter fare qualcosa per aiutarlo, anche soltanto stringergli la mano per alleggerire almeno di un decimo quell’agonia ma ora le era impossibile toccarlo; data la profonda estensione del veleno, anche la pelle che non era ricoperta da quel viscidume violastro fumante poteva comunque essere fonte di contagio e ciò vietava puramente qualsiasi contatto fisico. Il fratellino di Ace digrignava con la bocca serrata, soffocava i ringhi che se non fosse stato per la sua resistenza, si sarebbero trasformati in urla agghiaccianti. Il veleno di Magellan era qualcosa di straziante, che non si poteva descrivere a parole; al sol vedere la sua letalità, a come poteva ridurre in fin di vita una persona, la saliva accumulata in bocca divenne così amara che Sayuri per mandarla giù, dovette voltarsi e strizzare le palpebre nel mentre ricacciava giù quel disgustoso sapore. Spalancò le sue due iridi falsamente celesti solo per chinarsi più in avanti nel percepire l’agonia di Rufy divenire ancora più grande, permettendo così alla preoccupazione di dipingersi con più enfasi sul suo viso.

“Gh…uhg….whaaa..!!”
“Cerca di tenere duro ancora un po’, Rufy” gli fece forza la ragazza ”Signor Ivankov” si rivolse poi all’altro presente “Mi dica, si può fare qualcosa?”

All’altro capo di Cappello di Paglia, Emporio Ivankov, stava studiando il fisico del ragazzo di gomma con occhi assottigliati a tal punto che le pupille sparivano dietro a quelle lunghe e foltissime ciglia nere. Il regino degli okama aveva mosso più di una volta l’enorme testa sproporzionata a destra e a sinistra, facendo ondeggiare la sua capigliatura riccia e lilla, sopra cui vi era una graziosa corona colorata senza mai parlare.

“E’ come immaginavo..” borbottò quello guardando il ragazzo col mento poggiato nell’incavo fra il pollice e l’indice della mano “E’ molto gvave. Il veleno di Magellan è addivittuva penetvato nelle ossa. Di questo passo cavo mio, ti vestevanno poco più di cinque ove di vita”

L’apparente torace esile si alzava e si abbassava in preda a una febbre indomabile. Cappello di Paglia strabuzzava i bulbi oculari annaspando l’aria insistentemente e cercando di muoversi, di liberarsi dalle catene con cui era stato legato. Non vi era stata altra maniera per tenerlo fermo; benché fosse in condizioni pietose, aveva avuto la forza di trascinarsi con la sola testa per almeno due metri prima che lei e i nuovi arrivati lo fermassero. Ancora adesso si agitava, muoveva la testa corvina con ostinazione e la tirava in avanti cercando di allungarla ma senza riuscirci.

“A..Ace!” rantolò “Devo..d-devo and..re da Ace! Ha..bis..bisogno di m-me!”

Quelle semplici parole si rifletterono negli animi dei due okama come un richiamo decisamente testardo, lodevole ma in quello di Sayuri l’effetto fu molto più emotivo. Dovette portarsi una mano a livello della bocca per ricacciare indietro un sospiro carico di tristezza: capiva perfettamente il volere del ragazzo, capiva cosa lo spingesse a insistere con tanta incuranza  per sé stesso. Aveva più volte ripetuto il nome del fratello e in alternanza aveva supplicato che Bon-chan venisse salvato per quello che aveva fatto per lui. L’amico era al sicuro ma Ace no: lui era ancora là sotto, all’ultimo piano di Impel Down, l’inferno eterno. Era ancora là, incatenato al muro e prossimo all’esecuzione pubblica, tutte cose che alle orecchie di lui e di Sayuri suonavano sgradevoli: fornivano e creavano una visione orribile e ingiusta, differente da quella solare che sempre accompagnava il sorriso di Pugno di Fuoco. Pensare a Ace a quando ancora si trovava sulla Moby Dick era impossibile per la pirata. Al momento i suoi ricordi o meglio, tutti i frammenti di quelli che teoricamente prendevano il nome di ricordi, era raccolti e rinchiusi in una parte di lei al momento inaccessibile. Per quanto belli le facevano male e non se la sentiva di prenderli in mano adesso. Seppur pieni di quella gioia mai provata, non poteva mettersi lì, a ricomporli e buttarvici dentro scordandosi così del presente.

“A..Ace…!”

All’ennesimo richiamo, Bianco Giglio cedette definitivamente a quella punta di disperazione che la stava punzecchiando con rinnovate energie. Non sopportava di vederlo in quello stato, impotente e con il viso del fratello maggiore che gli ronzava in testa esattamente come stava capitando a lei. Puntando bene i palmi a terra, alzò prepotentemente la testa verso l’individuo che stava all’altro fianco di Rufy, mostrando lineamenti carichi di veemenza ma anche contornati da una vena rotta paragonabile ad un pianto liberatorio.

“Glielo chiedo molto umilmente, signor Ivankov” supplicò lei con voce solenne e calma, per poi prostrarsi del tutto a terra, con la fronte che toccava il freddo pavimento di pietra “La prego, la scongiuro, lo aiuti a guarire! Deve esserci una qualche maniera per poterlo salvare, mi rifiuto di credere che non esista alcuna speranza!”

Non accettava che il suo cammino si interrompesse proprio in quel punto, a pochi passi da quella persona che fin da bambino non ci aveva mai pensato due volte prima di tirarlo fuori dai guai. Sayuri era a conoscenza di molti scorci del loro passato ma non aveva mai chiesto nulla che scavasse ulteriormente in quel rapporto fra fratelli tanto profondo quanto bello. Si trattava di un legame speciale, che apparteneva solamente a loro due soltanto e proprio perché era così importante, che non voleva che andasse perso.

“Rufy ha fatto molta strada per arrivare fino a qui e non sarebbe giusto lasciarlo al suo destino, non lo merita. Io..” esitò per una frazione di secondo, socchiudendo gli occhi in un attimo di raccoglimento “Io non lo conosco da molto, ho solo sentito parlare di lui e forse non sono la persona più adatta per porre una simile richiesta, però..” e qui i sui occhi tornarono in vita, scontrandosi con quelli dell’okama “Vogliamo entrambi bene a una persona per la quale saremmo anche disposte a morire. Potrà non contare ma io mi fido di lui come se fosse mio amico da sempre e se questo ha una qualche importanza, allora mi aiuti a salvarlo!”

Non sapeva bene perché…….ma Rufy l’aveva colpita. Le aveva dato una scossa così potente da farla risvegliare da un torpore dentro cui era assopita da molto tempo. Nemmeno se ne era accorta di starci e quel ragazzo dal corpo di gomma, inconsapevolmente, l’aveva spinta poderosamente verso quello spirito che l’aveva sempre animata durante i combattimenti, in ogni momento della sua vita.

“Per favore” ripetè flebilmente “Lo aiuti a guarire”

A quel punto Emporio Ivankov si levò in piedi, mostrando così interamente il suo corpo visibilmente più minuto rispetto alla enorme testa vaporosa: benché ci fosse una sostanziale differenza di dimensioni, gli arti del regino erano comunque robusti e vigorosi, esattamente come il torace, sopra cui spiccava un curioso simbolo. I vestiti di pelle fucsia, ampiamente scollati, erano accompagnati da stivali e guanti della medesima consistenza e colore, con tanto di calze e mantello a rete. Sorrise, scoprendo una dentatura bianchissima avente come cornice delle carnose labbra viola pesantemente truccate. Fu solo un pensiero vago quello di Sayuri ma se mai Don lo avesse visto ancheggiare e muoversi ambiguamente come ora stava facendo, come minimo il medico-cecchino gli avrebbe puntato il fucile alla tempia intimandogli di porrsi a una distanza di sicurezza di almeno mille metri da lui. Se poi gli faceva l’occhiolino, era certa che l’amico lo avrebbe ucciso con tutto quello che gli sarebbe capitato fra le mani, cucchiai inclusi.

“Solitamente i contagiati muoiono nel givo di qualche ova e ovviamente la movte è sempve dolovosa” proferì lui incrociando le braccia “Ma tu, mio sfovtunato amico, hai ancova la fovza di vesisteve e di pveoccupavti di una vita che non è la tua”

L’insistenza di Rufy nel continuare a cercare aiuto per il suo amico Bon chan e nel cercare di tirarsi avanti per andare a salvare Ace, non era una semplice cocciutaggine che si spegneva alla prima difficoltà e Ivankov lo aveva percepito.

“Il veleno è  penetvato tvoppo in pvofondità pevchè lo si possa debellave con un comune antidoto. Qui è necessavia un cuva vadicale” sentenziò.
“Una cura radicale?” ripetè la ragazza.
“Si. Pevchè un male sia sconfitto, deve esseve estivpato dalla vadice e con i miei potevi, l’impossibile diventa possibile, tuttavia..” lì, il suo sguardo si indurì insieme alla voce “Un simile pvocesso non è indolove, ne tanto meno sicuvo”

Emporio Ivankov non era conosciuto soltanto come il regino dell’isola di Momoiro: egli era un rivoluzionario che aveva salvato intere nazioni grazie ai poteri di cui era depositario.”Il Miracoloso”, ecco come l’avevano definito le persone salvate. L’okama aveva mangiato il frutto del diavolo Ormo Ormo e grazie ad esso, era diventato un vero e proprio ingegnere del corpo umano, le cui pratiche surclassavano di gran lunga quelle di un comune medico di paese: poteva modificare il sesso delle persone - il che spiegava perché nella sua colonia ci fossero anche delle donne - la temperatura, la crescita corporea e addirittura le emozioni. Si trattava di un’abilità davvero unica, perfetta per colui che si prodigava ad aiutare gli altri a cercare la retta via, anche se talvolta la trasformazione in uomo o donna inizialmente non era ben accetta…
Bon Clay era a conoscenza degli immensi poteri del Miracoloso, per tale ragione aveva accompagnato Rufy fino a lì, oltre al volerlo aiutare. Sayuri, che era estranea a tutto ciò, comprese soltanto che il rivoluzionario disponeva di un metodo di guarigione ma che tale rimedio, era altamente pericoloso: quei grandi occhi dipinti non tralasciavano alcuna scherzosità e sembrava che la parte più importante di quella possibile via d’uscita dovesse ancora arrivare, accompagnata da note dolenti e drastiche.

“Che cosa intende dire che il processo non è sicuro?” domandò lei tesa.
“Non è che il pvocesso non sia sicuvo, al contvavio! Gli ovmoni che inietto nel paziente sono efficaci al 100%, pevfettamente capaci di cancellave qualsiasi malattia ma solo chi possiede una volontà vevamente fovte può guavive completamente”
“Mi perdoni ma ancora non riesco a seguirla” ammise Sayuri “Lei prima ha accennato al fatto che questo processo non è indolore”
“Pvecisamente” affermò l’okama prendendo fra le braccia la lastra di ferro su cui era appoggiato Rufy “Stiamo pavlando di una opevazione a livello ovmonale che distvuggevà e vigeneverà allo stesso tempo il covpo del paziente. Una operazione che può duvave più di tve giorni”
“Che cosa?” sussurrò la ragazza “Così tanto?”
“Si, mia cava fanciullina” le confermò facendole cenno di seguirla “Non avvai pensato che un tvattamento così complesso si svolgesse in poco tempo, vevo?”

In verità l’aveva pensato eccome.
Tre giorni? No..era assurdo. Si era sentita così sollevata nell’apprendere che c’era una speranza di salvezza per Rufy ma che questa si prolungasse addirittura più di un giorno, aveva fatto crollare in lei ogni impalcatura appena eretta. Ancora una volta si ritrovò a dover fare una scelta veramente difficile e in cuor suo non voleva star lì a pensare chi fosse più importante, perché salvare una vita significava lasciar morire l’altra. Camminando di fianco a Ivankov, con gli occhi un po’ rivolti in avanti per non inciampare e un po’ verso Rufy, che stava soffrendo con maggiore visibilità, percepì il proprio io impotente, in balia di onde troppo alte perché lei ci potesse nuotare. Per quanto il desiderio fosse forte, lei non aveva voce in capitolo su quella scelta perché il solo che aveva diritto a dire “si” o “no” era unicamente il fratellino di Ace. Doveva mettere da parte i suoi sentimenti al riguardo, lasciare che fosse il ragazzo di gomma a decidere e così fece; silenziosamente, rilassò i muscoli e i tendini tesi, giusto in tempo per vedere la meta raggiunta da lei e il regino.

Erano arrivati nel fondo di una caverna, con una rientranza a forma di igloo incavata nella roccia e una porta costruita interamente con legno duro e spesso, fissata con cardini e chiodi grossi. Sulla superficie d’essa, sporgeva uno spioncino rettangolare. Sotto richiesta di Invankov, Sayuri la aprì, scoprendone l’interno semi buio e spoglio; il solo oggetto presente era un tavolo inclinato con pesanti e grigie catene ai piedi. Immediatamente, l’okama vi depose sopra Rufy e lo privò della camicia, per poi legarlo con quelle costrizioni  al fine di immobilizzarlo. Il pirata se ne era rimasto in silenzio nel vano tentativo di accumulare quel poco ossigeno che gli occorreva per continuare a resistere ma il suo affondare le unghie nei pugni e altri segni fisici ben evidenti, lasciavano intendere che oramai si trovava al limite della sopportazione. Bisognava agire in fretta e lo scambio di sguardi complici da parte di Sayuri e Ivankov, sollecitò quest’ultimo a prendere la parola e a spiegare al diretto interessato il procedimento.

“Tutto dipende da te, vagazzo mio” gli disse accostandosi al tavolo “Immettevò nel tuo covpo dei speciali ovmoni cuvativi che agivanno sul tuo sistema immunitavio. Savà un pvocesso lento e dolovoso” lo avvisò fermamente “Il tvattamento distvuggevà e vicostvuirà le pavti del tuo covpo fino a quando questo non savà guavito ma tieni a mente…” e alzò l’indice, avvicinando così il suo faccione a quello di Rufy “Che gli ovmoni che sto per impiantavti sono molto potenti e che il pvocesso velocizzevà il visanamento del tuo covpo a tal punto da detvavti divevsi anni di vita, ovviamente se sopvavvivevai. In caso contvavio, mio cavo, questa savà la tua tomba”

Da quanto aveva capito, se fosse riuscito a sopravvivere a ciò, Rufy sarebbe guarito ma la sua durata vitale ne avrebbe risentito, arrivando a perdere addirittura una discreta quantità d’anni: Ivankov tentò di approssimare una giusta cifra e se ne uscì con almeno dieci anni circa. L’alternativa era logica quanto spaventosa e Sayuri, schiacciata contro la parete, non fece altro che rimanere silenziosamente in attesa della decisione del fratellino di Ace. Già sapeva come egli avrebbe reagito, quindi non si sprecò a congiungere le mani: c’era in ballo qualcosa di troppo prezioso perché ci si potesse arrendere e in poco tempo, Bianco Giglio aveva già inquadrato il carattere del ragazzo di gomma. Il suo essere semplice e ingenuo scopriva lati della sua personalità che non si coglievano subito e talvolta, quando tutti decidevano per una strada, lui imboccava immediatamente l’opposta. Benchè la giovane fosse cosciente cosa questo avrebbe risposto, l’aria le venne comunque a mancare quando udì la voce di Rufy infrangere il silenzio e farle aprire gli occhi per uno dei più grandi stupori mai provati.

“N..Non mi..i-interes..sa..fallo!”

Con le mani strette in petto, la giovane artigliò i denti nel labbro, inspirando come per far entrare a passi controllati quelle parole. Contò tre secondi prima di rilasciare l’anidride carbonica accumulata e far così ricadere le braccia lungo i fianchi. Anche se avesse guardato in alto per poi far cadere la testa verso il basso non sarebbe cambiato nulla: lei si sarebbe trovata ancora lì, in quella grotta umida e poco illuminata, con il fratellino di Ace in fin di vita e un rivoluzionario acclamatore e portatore della gay way.
Immaginare anche solo un campo fiorito non era che una labile illusione imposta egoisticamente dal proprio subconscio e Sayuri di distrarsi con simili opzioni non ne aveva alcuna voglia. Chiudere e aprire gli occhi su di un mondo, per catapultarsi poi in un buio dove i suoni e gli odori della realtà abbandonata danzavano all’unisono, non era come svegliarsi la mattina del giorno dopo. Lì l’alba, il tramonto o la notte non esistevano, oramai la concezione temporale era andata perduta in quei piani dove l’inferno era stato ideato a seconda delle malsane idee dei suoi creatori. Peccato che quel discorso non valesse per lei e Cappello di Paglia: l’alba portava il mattino che loro stavano disperatamente cercando di anticipare e anche se quella era ancora lontana, prima o poi sarebbe arrivata.

“Ok vagazzo, se sei deciso, allova pvepavati” affermò Ivankov.

Colta la volontà del paziente, il regino si raddrizzò e alzò le mani inguantate:in un batter d’occhio le estremità delle sue dita si affilarono, diventando così delle punte solide.

“Fanciullina, è meglio se esci. Questa stanza rimavvà in isolamento pev un bel po’” le consigliò lui prima di cominciare.
“D’accordo” acconsenti lei.
“Y…Yucci-c-chan..”

Sul ciglio dell’uscita, la pirata si voltò subito in direzione di Rufy. Senza che le chiedesse di venirgli vicino, lei lo raggiunse come se ne avesse udito il pensiero e allungò le mani per prendere il cappello di paglia che ancora lui portava e che ora con fare tremante le stava porgendo.

“Rufy..”
“Di…..s-solito lo d-do a Nami..ma adesso l-lei non c’è..” le disse con voce sofferente “Me lo t-tieni tu?”

Quel cappello di paglia non aveva nulla di speciale a prima vista. Non c’erano particolari ornamenti o pietre preziose fra le cuciture, solo una fascetta rossa attorno alla falda, niente di più. Di cappelli come quelli ce ne erano a bizzeffe e molte persone ne avrebbero preferito dei altri più elaborati, magari con sgargianti colori o forme insolite, eppure..quel semplice accessorio, rappresentava una promessa molto importante fatta tanti anni addietro. Una promessa che viveva e combatteva per essere portata a compimento, una promessa che voleva avere una storia piena di viaggi e avventure così belle da sembrare inventate, quasi fosse una favola infinita piena di magie e combattimenti epici. Un racconto fantastico, non ancora terminato, bloccato in una falla nera e rossa dove la vita di una persona cara al protagonista stava per essere gettata via con uno scopo spiacevole agli occhi di quest’ultimo.
Non era un patto fatto fra un bambino e un uomo sognatore ma qualcosa che sanciva una sfida tutt’ora aperta e a cui l’attuale custode del cappello stava tenendo testa magnificamente, con un spirito invidiabile. Ora però quel bambino ormai ragazzo aveva dovuto fermarsi per affrontare l’ennesima prova postagli davanti e non voleva che quel suo prezioso cappello si scucisse. Per tale ragione, aveva deciso di affidarlo ad un’amica appena conosciuta ma di cui già si fidava ciecamente. Sayuri era quell’amica e Rufy era quel ragazzo dal cuore innocente quanto quello di un bambino: i loro amici non c’erano, potevano contare solo sulle loro forze e su quell’alleanza sancita senza troppi preamboli. Non era al corrente del valore affettivo racchiuso in quell’oggetto ma se il ragazzo di gomma le aveva chiesto di tenerlo al sicuro, di rifiutare non se ne parlava: il toccare con le proprie dita quei fili di paglia intrecciati fra di loro mentre si premurava accuratamente di non distogliere i propri occhi da quelli grandi e neri di Rufy, le elettrificò il torace, dandole una scarica piacevole che con un potere a lei sconosciuto, appianò il suo spirito tanto da farla sorridere.

“Certo”
 



Bianco Giglio non riusciva a rilassarsi.
Benchè la morbidezza di quel divanetto rosso fosse a dir poco che soporifera, la rigidità dei suoi muscoli in quell’istante sapeva rendere spigoloso anche il cuscino più soffice del mondo. Inutile star a elencare come si sentisse perché oramai per lei era difficile pensare o concentrarsi a qualcosa di più leggero: tanto finiva sempre per tornare al punto di partenza con sempre più ansia addosso. Nessuno l’avrebbe biasimata vista la faccenda, era perfettamente comprensibile; chiunque altro si sarebbe trovato nel suo medesimo stato, francamente era impossibile rimanere impassibili e freddi come delle statue. Pericolo a parte, ora poteva godere di un attimo di respiro in quell’oasi festosa e inaspettata ma nonostante tutti si stessero divertendo, Ivankov compreso, lei, per quanto si stesse sforzando, non riusciva a rilassarsi decentemente.

“Covaggio pasticcini miei, tutti insieme, Heehaw!”

Sull’elegante palco pieno di luci scintillanti, il regino di Momoiro danzava e sculettava insieme ad un paio di ballerini con collant tiratissimi. Indubbiamente, se mai Don si fosse ritrovato lì in mezzo, avrebbe compiuto uno sterminio di massa col solo uso del suo fidato bisturi. La musica allegra e le risate tentavano di strappare la componente della seconda flotta dalla realtà fittizia dentro cui era imprigionata per farla salire sulla nuvola che l’avrebbe condotta nel paradiso delle distrazioni ma fintanto che i suoi occhi color cioccolato erano ancorati su quel cappello non suo, niente sarebbe stato capace di distrarla. Mentre tutti ballavano, festeggiavano, bevevano in compagnia e si lasciavano andare ad una gioia sfrenata, lei osservava quel cappello arancione dalla falda adornata di palline rosse, ripassando con l’indice i contorni della medaglia con la faccina triste che stava al centro della collana scarlatta. Dalla prima volta che lo aveva visto non era riuscita a capire che cosa rappresentasse di specifico quel piccolo stemma insieme all’altro gemello sorridente: per quanto ne sapeva, potevano essere benissimo due semplici oggettini usati al fine di rendere quel accessorio ancor più bello e curioso. Le palline rosse cucite attorno alla falda erano identiche a quelle della collana che Ace portava sempre al collo: differivano solamente per la dimensione. La polvere l’aveva imbrattato ma lei lo aveva ripulito con amore, lustrando le medagliette abbastanza da distinguere la sua ombra senza che questa assumesse strane forme. Era come nuovo, Ace ne aveva avuto sempre molta cura e lei nel volerglielo restituire, desiderava porgerglielo senza che questo fosse strappato in alcuni punti o impolverato. Stringerne la stoffa non le faceva male, non percepiva nulla di nuovo. Il vuoto creato dai ricordi caduti in pezzi era vivo e pulsante ma non stava istigando la vocina maligna a ferirla come invece era solita fare quando la sua anima vacillava: semplicemente non vi era una ragione a lei sconosciuta e lo starle a  ripetere cose già dette, non avrebbe avuto alcun senso.

Guardare quel cappello senza indirizzargli un particolare pensiero o una dedica, le stava risultando più facile che osservarlo ripensando a fatti e frasi passate che le avevano piangere lacrime così amare da farla svenire. In un qualche modo, le sue difese emotive si erano attrezzate per evitare che  risentisse di quel particolare dolore ma oramai non aveva più nulla temere: certo, era sempre preoccupata, in pena per le condizioni del ragazzo che non vedeva da tantissimo tempo ma l’essere cosciente che lui si trovasse proprio sotto ai suoi piedi, aveva ulteriormente rafforzato la sua speranza. In cuor suo, nemmeno voleva immaginare come avrebbe reagito quando l’avrebbe visto, anzi, se l’avrebbe visto….
Quel “se” tanto dolente, le fece volgere la testa verso l’altro cappello che teneva in grembo, quello che Rufy le aveva affidato. Nell’osservarne la falda, ci vide impresso il volto mega sorridente del ragazzo che rideva con tutta la sua vivacità innata.

“Rufy….mi domando se stia andando tutto bene” si chiese accarezzando il secondo cappello lasciatole.

L’aveva lasciato poco prima di sentirlo urlare con disumanità. Tornare indietro era stato inutile visto che il regino, una volta uscito, aveva chiuso a chiave la porta con tanto di catene. La voce del ragazzo di gomma si era prolungata per tutta la caverna, immessasi nei corridoi con la stessa irruenza di un fiume in piena per poi attenuarsi ed infine svanire: le prime urla di dolore le avevano pietrificato gola e polmoni in uno solo colpo, come se la stessa sofferenza di Rufy, la sola esternazione, l’avesse trapassata da parte a parte con l’egual rapidità di un affondo di spada.  Era rimasta immobile quando quella sensazione l’aveva pervasa senza alcun preavviso: poteva esistere veramente un dolore fisico talmente potente, così agghiacciante da risultare indescrivibile?
Dolorosamente, la risposta non poteva che essere positiva, poiché lei era stata testimone della spiegazione di Emporio Ivankov. Solo un gran desiderio di vita, una volontà d’acciaio poteva far fronte a una sofferenza di quel peso: quando si discuteva di ciò, i muscoli o il cervello divenivano inutili, quasi un peso: volontà era sinonimo di determinazione, lo specchio dello spirito umano. Le parole cariche d’essa sapevano sempre come colpire orecchie ascoltatrici e trascinare anche chi prima era contrario: la si figurava in molte maniere, spesso come una corrente travolgente carica di adrenalina ma a volte questa era così grande che ti spingeva in alto, oltre cielo, nello spazio dove regnava il mare di stelle da sempre guardato e mai esplorato.

Vedere la gente attratta da una parlantina equivaleva esercitare una minuscola forza di potere sulle loro coscienze ma quando si era in grado di esternarla, di farla provare sulla pelle dei altri, quel potere si decuplicava. Bastava uno sguardo d’acciaio, una lama intrisa di tutto il proprio ardore e la volontà - o spirito vitale, dipendeva da come lo si vedeva -, si liberava dalla propria gabbia per uscire e volare in alto fino a toccare le nuvole. La prima volta che lei aveva manifestato il suo haki, si era ritrovata a percepire il mondo sotto un'altra luce, un senso a cui tutt’ora trovava difficoltoso attribuire un significato. Era….come nascosto, ecco: attraverso la meditazione, aveva scoperto riconoscere quel lato invisibile della realtà a volte creduto inesistente. Lo aveva esplorato, imparato ad apprezzarlo, trovandoci una fonte ideale per concentrarsi e isolarsi quando lo riteneva necessario; la sua potenza derivava dal suo spirito e lei si era sempre impegnata per far sì che questo non vacillasse. Molti erano stati gli ostacoli affrontati e superati, l’emarginare il proprio passato dietro a centinaia di barriere era un esempio ma sinceramente non aveva mai raggiunto quella pienezza a cui aveva ambito fin da piccola. Appena superava un traguardo doveva passarne ad un altro, per non rimanere indietro, per non cadere laddove  più temeva. A rifletterci sopra, molte cose erano cambiate, più di quante lei pensasse: non ci aveva mai fatto caso, se ne era accorta solamente quando nella sua vita erano subentrati dei amici, una famiglia, Ace…
Lì, tornò a guardare il cappello da cowboy e lo strinse con la stessa delicatezza che si soleva mostrare quando si reggeva fra le mani un oggetto di cristallo, pericolosamente fragile e facile da rompere. Si portò perfino le ginocchia al petto, posando lateralmente il cappello di paglia di Rufy, poggiando il mento nell’incavo fra di esse. Il riaffiorare del primo incontro con Barbabianca le fece chiudere gli occhi sommessamente: la differenza era stata a dir poco che abissale, non aveva avuto e non aveva tutt’ora alcuna possibilità di batterlo perché in sé quella persona aveva più esperienza di lei, più potere e anche fra altri cento anni le cose molto probabilmente sarebbero rimaste tali.

Provare sulla propria pelle la potenza del Re dei Mari le aveva aperto gli occhi: era stato allora, era stato quel giorno che aveva deciso di puntare a una meta molto più ambiziosa, una meta difficile ma necessaria se voleva proteggere i suoi cari. Realizzare di non essere più sola ma di combattere insieme a qualcuno e per qualcosa, le aveva permesso di vedere un traguardo totalmente e radicalmente differente dai precedenti, dove il migliorarsi non era più un fine rivolto unicamente a sé stessa. Anche Rufy adesso si stava battendo per migliorare, per sopravvivere e continuare nella sua corsa contro il tempo per salvare Ace ma come lei ben vedeva, questo – il tempo - era assai tiranno nei loro confronti. Le lancette del grande orologio che stava proprio in cima al palco, indicavano che a breve il sole sarebbe sorto.

E’ già così tardi?

Sussultò, accoccolandosi ancor di più sul divano mentre la musica cominciava finalmente a diminuire di volume. Il chiasso non le aveva dato fastidio più di tanto ma la stanchezza si era fatta leggermente sentire in quelle ore di riposo: la testa era come imprigionata in un cerchio e ogni tanto gli occhi decidevano di chiudersi per conto loro, senza nemmeno interpellarla. Avrebbe potuto dormire su quel comodo e morbidoso sofà, sdraiarsi e far riposare le sue stanche membra come giustamente meritava; esausta com’era, il fracasso non l’avrebbe minimamente toccata ma seppur quella tentazione fosse stata decisamente invitante, l’aveva respinta con molta gentilezza. L’essere animata da una preoccupazione che si diramava in più parti la rasserenava quanto il dormire su un letto di chiodi.  Non poteva aspettare o men che meno indugiare: a breve la scorta sarebbe venuta a prendere Ace e anche se confidava nei suoi compagni e in suo padre, di mezzo c’erano dei fattori temporali che ponevano lei e il suo progetto in svantaggio, che ponevano lei sola, contro tutta Impel Down.

E poi…..voleva vederlo. Non riusciva più a resistere e già per questo stava chiedendo scusa a Rufy, che doveva lasciar solo. Sentiva che da lì a poco sarebbe scoppiata se non avesse costretto le gambe ad alzarsi. Dando un’ultima occhiata nostalgica al cappello di Ace prima di riporlo nello zaino, si alzò con decisione e si fece strada fra i vari okama festeggianti.

“Glielo potrebbe dare appena si sveglia, per favore? Vorrei che lo desse a Rufy” chiese a Inazuma porgendogli il cappello di paglia.

Il rivoluzionario dal formidabile potere Zac Zac stava accudendo Bon-Clay, bendato e profondamente addormentato in un sonno ristoratore.

“Vai già via?” le domandò l’uomo senza far trasparire nulla da dietro i suoi occhiali.
“Si” gli rispose “Devo andare a prendere una persona”
“Se è la stessa che il ragazzo di gomma cerca di salvare, forse dovresti aspettarlo”
“Vorrei...” mormorò rammaricata “Ma non mi è possibile. La prego, porga i miei ringraziamenti anche al signor Ivankov non appena termina il suo spettacolo”
“Lo farò ma sono sicuro che ci rivedremo molto presto”
“Lo spero”

Abbandonando definitivamente la presa dal copricapo e nel compiere un piccolo inchino in segno di gratitudine per tutto quello che avevano fatto per loro, si diresse a grande velocità lungo il corridoio roccioso, lasciandosi dietro il cuore del sottolivello 5.5.
 



L’intera caverna rimbombava di urla agonizzanti. Perfino i lupi al dì fuori dei rifugio, nel percepirne quell’eco, si erano allontanati con la cosa fra le gambe. Sembrava assurdo ma la paura che erano soliti esercitare, ora pareva aver posto loro nelle condizioni di coloro che scappavano poco prima di essere sbranati dalle loro fauci: evidentemente quelle urla disumane erano troppo anche per loro, che godevano maciullare la carne viva fino a romperne l’osso. Rufy strepitava a più non posso, sgolandosi e dimenandosi spasmodicamente nella semioscurità della rientranza chiusa, facendo stridere la catene che lo imprigionavano come unghie sulla lavagna. Sentirlo faceva accapponare la pelle e Sayuri, che era arrivata proprio a una decina di metri dal buco dentro cui il ragazzo era tenuto, si strinse in un abbraccio istintivo nel sentire tale rumore rizzarle le vertebre della spina dorsale.

“WHAAAAAAAAAAHHHH!!!!!!”

La pesante porta di legno conteneva tutta una serie di visioni che solo lo spioncino incastonato in essa poteva svelare in parte. Era terribile, straziante nella maniera più assoluta. Avrebbe perfino spaventato Magellan ma l’unica presente lì era Sayuri e non poteva andare via di getto senza prima aver rivolto la parola al fratellino di Ace. Con passi ben calcati, si accostò alla porta e vi si inginocchiò con entrambi le mani premute contro il legno.

“Rufy, io sto andando da Ace” cominciò certa che la potesse sentire “So che mi hai affidato il tuo cappello e non devi preoccuparti per questo: l’ho consegnato nelle mani del tuo amico Bon Clay, ne avrà cura lui. So che non è una giustificazione, ti avevo promesso che l’avrei tenuto io ma vedi…” lì  si interruppe, esitando nel proseguire “Fra poco verranno a prendere Ace. E’ quasi giorno ormai, non sono rimaste molte ore a disposizione e io so, che se non arriverò in tempo, non lo rivedrò mai più. Non potrò più stargli vicino, ne navigare con lui, ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per me……ne potrò chiedergli scusa per una cattiveria che gli ho detto”

Guardò verso il basso, lasciando andar oltre l’ennesimo grido di dolore del ragazzo.

“E’ stata tutta colpa mia Rufy. Se tuo fratello è prigioniero qua dentro è perché non sono stata in grado di vedere quello che avevo davanti ai miei occhi…” deglutì, mandando giù un pesante groppo formatosi “Ho perso un amico in questa faccenda, un amico molto caro, che per proteggermi ha messo la mia vita prima della sua. E’ stato orribile”

Vedere Satch e non saperlo più in quel mondo. Rammentare il tempo passato insieme e accorgersi che questo non muterà mai ne andrà avanti… Questo le faceva male. Tante lacrime erano state versate per il compagno caduto così ingiustamente, tanta rabbia era stata provata nei confronti del suo assassino, tanto dolore aveva provato lei per l’essersi accorta di essere inutile davanti al corso della vita. L’armonia si era spezzata come il gambo di un fiore davanti alla recisione, non c’era stato modo di riparare nulla poiché resuscitare un morto non faceva parte delle abilità umane. Satch se ne era andato via per sempre e la sua anima, spirata con brutalità, dilaniata da mani amiche non aveva ancora trovato un posto tranquillo dove riposare per l’eternità.

“A volte il suo viso mi appare senza che io ci pensi. E ‘ sempre vicino a me e ogni volta che il suo nome riecheggia nella mia testa non posso che sentirmi in colpa” confessò mestamente “Desideravo occuparmi di questa faccenda personalmente, volevo a tutti i costi rimediare ma non è stato così e quanto mi circondava, quanto pensavo di tener stretto nelle mie mani…” mormorò guardandosi i palmi aperti “E’ scivolato via senza che potessi fare qualcosa” concluse per poi stopparsi ancora.

Da tanto non apriva la propria anima frammentata e a malapena presentabile.

“Sono debole Rufy….più debole di quanto pensassi e me ne vergogno. Sono debole e sono qui soltanto perché sono veramente disperata”

Aprì gli occhi con le ciglia imperlate di minuscole gocce cristalline per quei cocci ancora distrutti ma il cui contenuto non era andato perso come solitamente si credeva.

“Vorrei aspettarti. Vorrei davvero poterti aspettare, accertarmi che tu esca da qui più forte di prima ma non posso perché tu e io siamo venuti qui per la stessa persona e per essa potremmo morire di dolore se la perdessimo” continuò flebilmente.

Per un attimo le grida diminuirono di intensità, quasi fossero trattenute. Bianco Giglio alzò di scatto la testa e fece per chiamarlo ma il sentirlo rantolare le diede conferma che il ragazzo stava ancora lottando. Era certa, sicura, che lui stesse udendo ogni sua singola parola ma il risponderle per forza di cose, gli era impossibile. L’aggrapparsi all’infanzia passata col suo fratellone, il suo volere portarlo fuori da quel posto umido e freddo lo stava esortando a stringere i denti, a resistere al trattamento dei ormoni curativi con tutte le sue energie. Lo voce di Yucci-chan - come la chiamava lui - benchè bassa era udibile, ogni sua frase entrava nella sua testa, imprimendosi come tatuaggi fatti col fuoco.

“Rufy” la sentì dire poi nuovamente ma senza la velatura rotta ad avvolgerle la voce “Io adesso vado al livello sei a prendere Ace. So che il trattamento del signor Ivankov può durare diversi giorni ma io confido che la tua voglia di vivere ti aiuti a uscire da questa stanza prima che qualcosa possa andare storto. Farò il possibile perché tuo fratello rimanga qui ma ho bisogno del tuo aiuto: non posso farcela da sola, non questa volta” ammise annuendo “Quindi, ti chiedo di fare in fretta se puoi. Per favore”

Con quell’ultima supplica, la ragazza si alzò in piedi, staccandosi dalla porta. Non stette ad aspettare un risposta o un qualsiasi altro segno. Nel suo animo covava la sicurezza che Rufy avrebbe abbattuto quella porta e si sarebbe precipitato all’ultimo piano di Impel Down per raggiungere Ace ma fino ad allora, la vita di Pugno di Fuoco era tutta nelle sue mani.

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Capitolo 63
*** L'inferno eterno. Destinazione raggiunta. ***


Salve a tutti e ben ritrovati! Bando ai convenevoli e vi lascio subito al capitolo, che spero apprezzerete come sempre ^^! Siamo finalmente giunti all'ultimo piano di Impel Down, dove si inizieranno a vedere i primi risvolti a favore dei nostri eroi! Buona lettura a tutti quanti, ma prima, i dovuti ringraziamenti!

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Le scale a spirale che separavano il quinto livello dal sesto erano interminabili, le più lunghe di tutta Impel Down.
A ogni passo Sayuri si inoltrava in quell’oscurità austera e distaccata dal resto del mondo che presto le si sarebbe totalmente presentata nell’inferno eterno. Quel piano non aveva nulla di speciale, non c’erano fiamme, bestie, o ghiacciai a dominarlo; solo gabbie con dentro criminali così pericolosi che la giustizia ne aveva trasfigurato il volto per l’orrore che sapevano suscitare. La tentazione di correre era forte ma i lumacofoni appiccicati sulle mura della colonna portante controllavano imperterriti il passaggio senza mostrare il benché minimo cedimento e nella loro costante vigilanza, stavano imponendo alla giovane una camminata discretamente veloce e disinvolta. Il tempo stava per scadere, quasi tutta la sabbia della grande clessidra era scesa e in lontananza poteva udire lo scivolare delle catene che sostenevano l’ascensore. Stava scendendo ma nessun rumore da esso prodotto risultava essere più forte e doloroso del suo cuore: batteva all’impazzata, picchiava contro la cassa toracica dandosi continue spinte e con fare incalzante, stava svegliando tutte le parti del suo corpo fino a quel momento rimaste paralizzate.

Se ne accorse quando, nello scorgere l’enorme portone d’acciaio, rischiò di cadere a terra: velocemente appoggiò una mano contro il muro è annaspò l’aria faticosamente. Dovette perfino piegarsi con la schiena tanto l’ossigeno le venne a mancare. Era al limite: la ferita al torace bruciava sotto le bende e il digiuno sino a quel momento stato zitto, ora si stava facendo sentire con molta prepotenza. La pressione le aveva prosciugato le energie vitali come una sanguisuga affamata e l’ulteriore preoccupazione per Rufy e Ace non aveva fatto altro che privarla di quelle poche riserve accumulate. La sua salute era stata paziente, le aveva dato corda perché consapevole che la ragazza comunque avrebbe ignorato i suoi messaggi ma anche lei aveva raggiunto i suoi confini e ora si era lasciata cadere, permettendo ai malesseri di agire e dunque sfiancarla. Il trascurarsi era un aspetto di lei che più volte era emerso in determinate situazioni e questo era uno di quei difetti che la penalizzavano: andava bene preoccuparsi per chi si trovava in una situazione sfavorevole ma Sayuri tendeva a mettere da parte sé stessa per concentrarsi al 100% su chi necessitava di aiuto e clamorosamente finiva per trovarsi a terra come uno straccio sporco e usato.
Era cosciente di quella sua tendenza a “dimenticarsi” ma quando si parlava di salvare da morte certa una delle persone più care che si aveva al mondo ed evitare lo scoppio di un conflitto apocalittico, tutto il resto, salute compresa, poteva anche andare a farsi benedire. Fintanto che il desiderio di vedere Ace rimaneva al centro dei suoi pensieri, null’altro l’avrebbe distratta: lo vedeva splendere come una fiaccola sulla via del riscatto,abbagliante quanto il suo sorriso nel pieno dell’estate.

Sceso anche l’ultimo gradino, levò la testa in alto per ammirare in tutta la sua completezza, l’enorme porta le cui maniglie erano imbrigliate da un lucchetto grande quanto il direttore Magellan: non esisteva modo per toglierlo, a Sayuri non occorreva certo pensarci su visto che avrebbe fatto ricorso alla porticina posta nell’angolo in basso: si trattava di una porta nella porta per farla breve, utilizzata dalle guardie - le rare guardie specifichiamo - per entrare e uscire dall’ultimo piano senza che i prigionieri tentassero di sfondare la barriera di metallo posta. Dato che Magellan stava utilizzando l’ascensore per scendere senza passare da essa, Sayuri non si curò di chiuderla a chiave una volta entrata. La certezza che di guardie lì non ce ne fossero aveva mosso la sua mano con fare sicuro, permettendole di avanzare in quello che era l’inferno eterno. Inoltre, presto sarebbe arrivato anche Rufy e il suo aiuto avrebbe facilitato la fuga. Almeno così pregava.
 


E così..questo è il livello sei.

Non era che un enorme sotterraneo abbellito con gabbie e celle di svariate forme e dimensioni quello che osservava. Le mattonelle di pietra che costruivano le solidissime pareti erano di un blu scuro così intenso che pareva intriso di un catrame tanto denso da oscurare qualsiasi luce, rendendo il posto freddo e lontano da qualsiasi forma di vita vicina al sole. Chiodi e quintali di acciaio penetravano nel pavimento come aghi sulla pelle, rinchiudendo persone e creature condannate all’ergastolo che attendevano la morte con trepidazione. Catene enormi penzolavano da un soffitto invisibile, come avvoltoi di metallo che ogni tanto si scontravano, producendo una serie di tintinnii che nel giro di pochi secondi svanivano senza essere ricordati.

Nell’avanzare con l’esitazione a punzecchiarle il cuore, ignorò i richiami volgari e vogliosi dei prigionieri che ne avevano notato la presenta: spingevano le mani fuori dalle celle come morti di fame, digrignando viscidamente  parole poco lusinghiere e rassicuranti. Il leggero fruscio del suo lungo mantello bianco veniva completamente coperto da tutta quella serie di vociare fastidioso che,poco ma sicuro, avrebbe fatto perdere le staffe a qualcuno. Battevano i piedi, si dimenavano come appena tornati in vita ma nessuna fonte di rumore da essi prodotta era più insistente del suo povero cuore martellante. Camminava, dritta, davanti a sé, sicura che lui  fosse là, relegato in fondo: poteva figurarlo, immaginarlo centinaia di volte, ma già sapeva che vederlo in carne e ossa sarebbe stata una visione ancor più dura da sopportare. Difatti, quando finalmente arrivò davanti all’ultima gabbia del piano, fu colta da dei freddi brividi che la tartassarono non appena scorse i primi e grossolani angoli: la cella che ora stava guardando con occhi liquidi era quadrata, cementata da pietre uguali a quelle del sotterraneo: le spesse sbarre verticali si incrociavano a quelle orizzontali, lasciando intravedere l’interno della cavità a quadrati regolari.
Con le mani malferme e raccolte a preghiera nel petto, la ragazza compì due piccoli passi, osservando l’interno da uno dei tanti riquadri che le sbarre incrociate creavano. Partendo dall’ombra più grossa, riconobbe nel prigioniero incatenato alla parete destra Jimbe: nonostante facesse parte della flotta dei sette, l’insubordinazione mostrata gli era costata lo stesso trattamento riservato ai prigionieri di Impel Down. La pelle azzurrognola era tappezzata di taglie e lividi, asciutta e malconcia proprio come la sua elegante veste rossa e nera, ora impolverata. Era seduto a terra, con la testa leggermente china in avanti e gli occhi chiusi in uno stato di meditazione. Non sembrava essersi accorto della sua presenza, così come l’altro ospite della cella.

Oh..Oh, mio Dio…..

Non riuscì neppure a pronunciare mentalmente il suo nome: tentennò col pensiero tanto era shoccata e sussultò nel percepire la propria circolazione sanguigna bloccarsi bruscamente. Nella loro piccolezza, i frammenti dei suoi ricordi brillarono con la stessa intensità dell’arcobaleno, tornando a risuonare sottoforma di cori paradisiaci e soavi intorno a quella piccola fiammella appena nata che scalciava come un bimbo. Pensò a un sogno, il più bello mai fatto, e, al tempo stesso, al più brutto della sua vita, ma quella visione straziante, dannatamente reale, placò tale tentazione ancor prima che potesse sfiorarle la mente, lasciando che allungasse le mani tremolanti fino alle sbarre, per poi stringerle e avvicinarsi col resto del corpo. Un groppo in gola le fece mordere il labbro inferiore tirandolo con prepotenza; il vederlo lì, non nei suoi sogni o nelle sue illusioni, l’aveva come alleggerita, perché si resa conto di essere arrivata in tempo, di essere arrivata prima che lo portassero via nuovamente, ma ogni fibra di felicità emersa con tanta spontaneità si spezzò irrimediabilmente nel guardarne le terribili condizioni in cui versava: era seduto, con le gambe incrociate e le braccia tenute alzate ai lati in una posizione scomoda anche solo alla vista. Polsi e caviglie erano avvinghiati a catene e a manette così strette da tagliare la pelle fino a farla sanguinare. Perfino la vita gli avevano legato, come convinti che potesse scappare via facendo leva su di essa. L’angoscia e la pena per il vederlo ridotto a quella maniera, non fecero che alimentare la sua frustrazione; raspò l’aria incapace di porsi controllo, tranciandola con ampie falciate per appianare la calura delle guance e il moto di incomprensibili sensazioni che si stavano accavallando nel suo animo.

“Ace…”  sussurrò lei, riuscendo finalmente a pronunciare il suo nome con la stessa delicatezza di una nota prodotta da un violino.

Strinse con più vigore le sbarre d’acciaio senza però riuscirle ad abbracciarle interamente.

L’aveva trovato. Dopo tanto tempo, l’aveva trovato.
Per quelle ultime settimane aveva combattuto contro la parte di sé stessa reincarnante il sovrano di tutti i dolori, respingendo ogni suo incubo e sotterfugio avente l’obbiettivo di farla crollare. Era stanca, quella lotta interiore era stata estenuante: ogni momento difficile era stato una prova, tutto il suo tragitto fino all’inferno eterno era stato un susseguirsi di prove dure e impossibili. Le tremavano le ginocchia per l’emozione e dovette aggrapparsi con più forza alle sbarre per evitare di cadere mentre gli occhi celati dietro ad un falso azzurro, solcavano quel ragazzo la cui mancanza in lei l’aveva fatta star a dir poco che male. Lo vedeva, col torace sanguinante, dove le costole erano fin troppo visibili nonostante la sua mole non fosse diminuita. Le mani penzolavano inermi e la testa, volta in avanti, non dava alcun cenno di vita.

No, non poteva continuare a guardarlo senza far niente. Non le piaceva quanto i suoi occhi le stavano mostrando, per niente. Il mondo al dì là dello specchio stava riflettendo l’esatto contrario di quello che lei desiderava: il sangue copriva il sorriso pestifero svanito nelle sue profondità, l’orgoglio gettato nella povere era stato ridotto in schiavitù e lo spirito diviso in molteplici parti tutte diversissime fra di loro. L’Ace che cercava era sparpagliato ovunque: il suo corpo era lì, ma interiormente era disperso. Voleva allungare le mani e toccare quei frammenti per poterli rimettere insieme, così da riavere il ragazzo che quel giorno tanto lontano ma ben impresso nel suo cuore, le aveva rivolto la parola. Imponendosi di smettere di tremare, fece scivolare fuori dalla divisa uno dei suoi sai e ne avvicinò la punta alla serratura della cella: questa era abbastanza grande per essere scassinata dalla lama di una delle sue armi, doveva solo avere pazienza. In fondo, l’aveva già fatto per entrare nelle basi della Marina prima di incontrare i pirati di picche….

“Chi diavolo sei? Che cosa vuoi?”

Svegliatosi dal suo stato di meditazione, Jimbe le ringhiò minacciosamente nel vederla armeggiare con l’entrata della cella. Sayuri non badò alla sua domanda, era perfettamente logico che non la riconoscesse: camuffata com’era, aveva saputo ingannare chiunque a Impel Down ma a breve la divisa da ispettrice non le sarebbe più servita. Se Don aveva riferito a Barbabianca quanto lei gli aveva dettato, a breve quella storia sarebbe finita ma ancora non poteva dirsi totalmente fuori pericolo; il padre e i suoi fratelli non erano ancora arrivati e benché quel ritardo fosse prevedibile per via di molti fattori conosciuti, Bianco Giglio pregò giungessero quanto prima possibile a destinazione poichè non era certa che lei, Jimbe e Rufy ce l’avrebbero fatta a trasportare Ace e nel frattempo combattere contro il personale di Impel Down e i marine appostati al dì fuori di questa. Temeva l’irreparabile, vi erano stati e vi erano ancora quei attimi dove aveva paura che i soccorsi non sarebbero arrivati ma ora che Ace era così vicino a lei, a pochissimi passi di distanza, non era intenzionata a pensare al peggio: avrebbe fatto tutto il possibile per portare fuori di lì il ragazzo, ma purtroppo per lei, prima di fare ciò doveva occuparsi di chi invece era venuto per portarlo al patibolo….

“Ispettrice Katya, vedo che siete già qui”

Magellan, il terribile direttore di Impel Down, era alle sue spalle con una piccolo gruppo di soldati e Domino al suo fianco. Alla ragazza non sfuggirono le manette di algamatolite che la donna dai folti capelli biondi teneva in mano. Riponendo velocemente il sai dentro gli indumenti, Sayuri si voltò con disinvoltura verso di lui: inquadrò subito il direttore, vestito impeccabilmente con la sua divisa nera, i denti aguzzi ben in vista e le enormi ali di pipistrello attaccate alla schiena. L’aspetto diabolico era sufficiente per incutere paura in chi già lo aveva visto all’opera, ma Bianco Giglio al momento non temeva la sua presenza: quando le si era presentata la possibilità di infiltrarsi nella prigione più temuta dei mari non se ne era stata a rimuginare sulla moltitudine dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare ma a come arrivare da Ace prima che diventasse irraggiungibile per chiunque lo conoscesse.

Quando il direttore sorpassò alcuni suoi subordinati, lei gli andò incontro, distanziandosi dalla cella.

“Spero che la mia prigione sia stata di vostro gradimento e che siate riuscita a far ragionare il Cavaliere del Mare” le disse con riverenza e ben disposto.
“Assolutamente. Quanto al mio compito diplomatico, ho fiducia nel fatto che sarà lui stesso a venirmi incontro” gli rispose lasciandoselo alle spalle.

Con un sorriso compiaciuto, Magellan lasciò che la soddisfazione gli scaldasse l’orgoglio. Il buon nome di Impel Down e la sua reputazione di direttore erano state messe a dura prova da Cappello di Paglia e se c’era una cosa più terribile dell’avere un infiltrato nel proprio dominio, era un pessimo giudizio da parte di un ispettore della Marina. L’inflessibilità era il loro marchio e non potevano permettere che si sporcasse, sarebbe stato un guaio…..e sicuramente quell’idiota di Hannyabal l’avrebbe preso in giro mirando come al solito alla sua poltrona. Chissà poi dove si era andato a cacciare…
Bah, prima o poi sarebbe saltato fuori…

“Mi fa piacere che si sia trovata bene. Prima di procedere col prelievo del detenuto, vorrei informarla che poco fa abbiamo ricevuto una comunicazione dalla scorta: tarderà di una decina di minuti. Pare che il mare sia piuttosto mosso oggi”
“Un ritardo? Non c’è problema”

Quella notizia le riaprì le vie respiratorie. Anche se il direttore aveva chiaramente parlato di imprevisti marittimi, Sayuri era certa che in quel ritardo ci fosse lo zampino di suo padre. Si stava muovendo, stavano arrivando, e tale era la felicità nell’apprenderlo da farle addirittura sentire lo scafo della Moby dick infrangersi sulle onde, inabissarsi per non farsi vedere dai nemici e sbucare fuori all’improvviso lasciando tutti quanti a bocca aperta. Se davvero le cose stavano così, non poteva permettere la Marina la spuntasse tanto facilmente, non poteva permettere che Ace le venisse portato via una seconda volta..
Jimbe nel vedere Magellan arrivare a poco più di un passo dalla cella, poggiò il suo sguardo sia su lui che ai carcerieri alle sue spalle. Senza degnare di uno solo sguardo lo squalo-balena, l’uomo velenoso agguantò il mazzo di chiavi tenuto nella tasca del cappotto, scartandone alcune per poi impugnare quella corretta e avvinandosi di un altro passo alla cella per poterla aprire.

“Anche se la nave della Marina incaricata del trasferimento di custodia non è ancora arrivata, procederemo come da prassi” affermò convinto quello per poi guardare il prigioniero che stava schiacciato contro la parete “Bene, Portuguese D.Ace, la tua permanenza qui è finita. E’ arrivato il momento di…”

SBAM!!

Quello schianto e le urla dei suoi subordinati interruppero il suo discorso, che subito si irrigidì, voltandosi di scatto. Era stato un suono ovattato, seguito da altri tutti identici, sparpagliatisi qua e là nei angoli del livello sei. Abasito, Magellan vide Domino a terra, priva di sensi come tutti gli altri, attorno all’unica persona rimasta sveglia, la sola che poter aver compiuto un atto del genere.

“Ispettrice Katya, che cosa significa tutto questo?!” ringhio l’uomo.
“E’ molto semplice, signor Magellan” cominciò lei arrotolando le maniche della giacca “Significa che la mia presenza qui non è stata richiesta dalla Marina e che pertanto, non le posso permettere di portar via il mio comandante”

Il brutto muso barbuto del direttore si impietrì, indurendosi come quando doveva castigare di persona i prigionieri, gli stessi che ora stavano raschiando le mura delle loro celle in cerca di una inesistente via, consapevoli della reazione di quell’uomo: difatti dalla sua pelle ma anche dal cappotto, dalle braccia, in ogni parte del corpo insomma, grosse perle violastre sgorgarono da nulla, gocciolando a terra e fumando per l’azione corrosiva emessa.

“Un’impostore..” mormorò con voce roca, facendosi ancor più grande di quanto già non fosse “Devo dire che queste ultime ore sono state ricche di sorprese veramente sgradite. Prima Cappello di Paglia e ora una pirata di Barbabianca. A quanto pare, Pugno di Fuoco ha dei parenti e dei amici davvero stupidi se pensano di poterlo salvare con tanta presunzione”
“Lei è libero di giudicarci come meglio crede” affermò lei “Ciò non toglie che adesso tocchi a me agire” con un colpo secco, la giovane si allentò la cravatta “E le posso assicurare che non ho alcuna intenzione di retrocedere”

Lasciò cadere a terra una piccola siringa bianca, che rimbalzò una sola volta prima di rotolare per qualche centimetro e fermarsi. La fialetta inserita nella rientranza era vuota, l’antidoto adesso circolava nel suo corpo e molto probabilmente già si stava prodigando a immunizzarla. Subito, seguirono anche il mantello e lo zaino nascosto sotto. Risparmiando sui convenevoli, Magellan lasciò che tutto il veleno contenuto all’interno del suo corpo lo ricoprisse interamente ma non si limitò solamente a quello: accumulò sulla sua schiena una sostanziosa quantità del suo veleno, per poi slargarla e farla salire in alto, sino a deformarsi in un’idra agghiacciante, viva e con occhi piccolissimi. Tutto il corpo di quella bestia emetteva gas brucianti per gli occhi e non appena ruggì, i prigionieri si spaventarono ancor di più. Eppure, nonostante fosse già di per sé mostruosa, il suo padrone chiamò a raccolta altre due gemelle, poco più piccole ma con la stessa ferocia della maggiore.

“Quando avrò finito con te non potrai far nulla se non aspettare la tua morte” sentenziò l’uomo lasciando che le sue idre si sporgessero in avanti, ansimando con le loro bocche colanti “Sfuggire al mio veleno è impossibile”
“Su questo non ho dubbi” disse la ragazza estraendo i sai “E visto che il suo potere è tanto temibile, non vedo ragioni per cui io non debba combatterlo con la mia nuova tecnica”
 


“Toglietevi dalla mia strada!!”

Le guardie poste alla difesa delle scale del livello sei per quanto numerose non riuscivano in alcun modo a fermare l’avanzata di quei tre singoli individui che si stavano aprendo la strada senza troppa fatica. Quella cerchia ristretta di personale era arrivata lì da appena una decina di minuti per ordine del direttore e in tutta franchezza non avevano sospettato minimamente che dall’inferno di ghiaccio potesse uscire qualcosa, men che meno Capello di Paglia, ritenuto spacciato visto il suo incontro con Magellan.
Rufy si sentiva straboccare di energie come non mai; il trattamento di cura intensiva a cui era stato sottoposto da Ivankov aveva donato nuovo vigore ai suoi arti e ai suoi muscoli, espellendo tutto il veleno e la stanchezza assorbiti durante lo scontro al quarto livello. Gli affamatissimi lupi del livello cinque erano stati i primi a testare la sua ritrovata grinta, finendo per l’essere buttati a terra carta pesta. Seguito dal regino degli okama e da Inazuma, il ragazzo di gomma scattò ancor più avanti nel vedere altri nemici pararsi davanti.

“Dobbiamo accelevave il passo! Sicuvamente Magellan stavà andando a pvendeve Ace-boy pev consegnavlo alla scovta!” esclamò Ivankov prima di lanciare un potentissimo Death Wink contro gli uomini ancora coscienti alle loro spalle.

Stringendo i pugni, Cappello di Paglia spinse le sue gambe ad aumentare velocità; le scale a spirare che lo dividevano dall’ultimo livello erano lunghissime e interminabili. Nella mano destra teneva la vivrecard di Ace, ridotta ormai ad un misero angolo di foglio: stava ancora indicando verso il basso e ciò significava che doveva trovarsi ancora lì, ma se realmente Magellan lo stava andando a prendere o era già arrivato a destinazione, non doveva perdere tempo.

“Vi ho detto di togliervi dalla mia strada!!”

Caricando il braccio all’indietro, lo allungò in avanti colpendo un numero considerevole di soldati ma una fortissima scossa stoppò il suo colpo. I nemici persero l’equilibrio senza capire che cosa fosse successo mentre i due rivoluzionari e Rufy riuscirono ad appoggiarsi in tempo contro la parete della colonna portante.

“Che cos’è stato?” domandò Inazuma.
“Uhm..pvoveniva dal piano di sotto” mugugnò Ivankov “Si divebbe che qualcuno sia avvivato pvima di noi”
“E’ sicuramente Yucci-chan!” asserì convinto il pirata di gomma nel riprendere la sua corsa.

Lei era scesa prima di lui e forse adesso si stava scontrando contro quell’uomo velenoso. Quelle continue scosse ne erano la prova, glielo diceva il suo istinto, come sempre del resto. Nonostante le scale vibrassero con irregolatezza, Cappello di Paglia ricominciò a correre come un forsennato, buttando giù ogni guardia che gli si parava davanti senza preoccuparsi troppo.

“ACE!!!”
 


Livello sei.
L' inferno eterno.

Jimbe era allibito.
Non aveva parole per descrivere quanto aveva visto e se i suoi occhi non ne fossero stati testimoni, sicuramente non ci avrebbe mai creduto. Magellan era un uomo intoccabile e inflessibile, conosciuto per quel suo carattere che non ammetteva repliche o modificazioni ai suoi ordini. Decideva lui come agire e talvolta le sue parole erano più letali del suo stesso veleno. Un solo tocco incosciente e chiunque sarebbe morto con così tanta lentezza, da avere il tempo di rimpiangere ogni singola azione cattiva commessa in vita, anche un semplice furtarello. Combatterlo era sinonimo di suicidio e nonostante la sua incontestabile forza, anche lui si sarebbe concesso un attimo di riflessione prima di scegliere se era gusto o meno affrontarlo, ma il sentire la sua voce gridare di dolore e il vederlo affondare nelle pareti e nel pavimento, stavano alimentando in lui la confusione più totale. Era riuscito a seguire tutta la scena anche se ogni tanto le due figure principali svanivano in qualche nuvola di polvere: per la prima volta il livello sei era divenuto teatro di un combattimento che ne aveva deturpato l’aspetto con numerose macerie. Alcune celle erano state scoperchiate e i prigionieri dentro d’esse disciolti nel veleno del direttore o soffocati dal suo miasma. Tutto quel pandemonio aveva perfino oscurato le luma-camere ma non il suo stupore per una cosa tanto inverosimile: chiunque fosse in realtà quell’ispettrice, non era venuta lì per parlargli, ne per consegnare Ace alla Marina. La sua voce gli era familiare ma non ricordava dove di preciso l’avesse sentita; al momento, era molto più concentrato a cercar di far mente locale di quanto era stato spettatore.

Il percepire quell’ingente quantità di haki lo aveva sorpreso, ma il vederlo essere plasmato in quella forma così indicibile aveva bloccato ogni suo ragionamento. Conosceva l’ambizione e sapeva che essa poteva manifestarsi in molti modi ma mai fino a quel momento aveva visto una forma del genere. Qualunque cosa fosse di preciso, il potere della falsa ispettrice si era rivelato molto più fatale del frutto del diavolo Vele Vele, così tanto che il direttore era caduto sotto ai suoi occhi e a quelli dei altri detenuti: appena a destra della loro cella, si era aperta una voragine circolare, piena di incrinature e lui era lì, al centro d’essa, ricoperto dal suo stesso veleno, lo stesso che sgorgava dalla sua bocca zannuta. Era privo di conoscenza e con gli occhi aperti, rivoltati all’insù. Decisamente un visione unica quanto un’arma ancestrale.
Con solo la testa movibile, il Cavaliere del Mare osservò l’impostore avvicinarsi a Domino, chinarsi e infine prenderle le chiavi. Velocemente si riavvicinò alla cella e dopo aver scartato le chiavi sbagliate, aprì la piccola porticina di sbarre per poi correre subito da lui per liberarlo dalle catene.

“Non abbiamo molto tempo, sommo Jimbe. Gli addetti alla sorveglianza potrebbero mandare giù qualcuno a verificare se qui sia tutto in ordine” affermò trafelata mentre armeggiava con le lingue di metallo attorcigliate attorno ai polsi dell’uomo pesce.

Quella voce….si, l’aveva già sentita  da qualche parte, ne era più che sicuro. Ma dove?

“Prima dimmi chi sei” ordinò lui.

Immediatamente le dita di lei si fermarono. Nel smettere di guardarlo, abbassò di poco la testa, portando la mano dietro la nuca. Jimbe sgranò gli occhi nel vedere l’acconciatura bionda venir via, lasciando che una cascata di capelli castani ne prendesse il posto e non era ancora finita: facendo attenzione a non accecarsi, la ragazza si tolse le lenti cerulee mostrando così i suoi veri occhi color cioccolato.

“Sayuri?!”  

Gli sembrò assurdo rivedere quella giovane. Dopo quanto accaduto a Marineford, lui era stato deportato a Impel Down affinchè si calmasse e la fortuna aveva voluto metterlo nella stessa cella di Ace, ma lei…come faceva ad essere lì? Come era riuscita a fuggire da Marineford e ad infiltrarsi nella prigione? Più si poneva domande e più il tutto gli sembrava sempre più incredibile.

“Sayuri, come hai..?”
“Perdonatemi, ma al momento non posso spiegarvi nulla. Fidatemi di me, sommo Jimbe”

Riprese a destreggiarsi con le imbrigliature che gli bloccavano le mani e non appena queste furono libere, staccò dal mazzo di chiavi quella che le occorreva, lasciando il resto al flottaro affinchè si liberasse da solo. Immediatamente, la sua concentrazione passò sull’altro prigioniero e per un solo istante, le sue gambe divennero di pietra; l’incredulità per essergli così vicino stava ancora consumando il suo effetto ma voleva essere sicura che quanto stesse vedendo non fosse frutto di un suo sogno o di un inganno della sua mente.

“A…Ace?”

Si inginocchiò con estrema lentezza mentre pronunciava il suo nome. Nonostante i rombi prodotti dal suo combattimento contro Magellan, il ragazzo non aveva e non stava dando segni di vita, cosa che preoccupò maggiormente la ragazza nel sentirlo respirare affannosamente. Le iridi tremanti andarono a posarsi sul torace scoperto che continuava ad alzarsi e ad abbassarsi con troppa velocità per poter essere considerata un’andatura normale. Decise allora di verificare se gli occhi la stavano ingannando oppure no: timidamente e con le labbra serrate, allungò il braccio sino ad arrivare a sfiorare con la propria mano una delle guance lentigginose, semicoperte dai capelli. La tentazione di chiudere gli occhi o di distogliere lo sguardo era  forte quanto la sua cautela nello sporgere l’arto. Il timore ansiosamente attendeva dietro l’angolo, pronto a insinuarsi nella parte più profonda di lei non appena ella avesse toccato il vuoto o il freddo del muro scuro. Aspettava come una belva in agguato, con un ghigno sadico dipinto sulla bocca ma al momento di colpire, questo si dissolse come cenere al vento. Il contatto che Sayuri temeva di non trovare era proprio lì: le punta delle sue dite toccarono la pelle del viso del ragazzo sollevando in alto il suo animo fino a farle rianimare un sorriso commosso; perfino le sue iridi risplendettero ma tutto fu subito oscurato da qualcosa che fece emergere nella pirata una preoccupazione ben più forte della precendente. Nello sfiorargli la pelle con il più delicato dei tocchi, sbarrò gli occhi, piegando di pochi centimetri indietro le dita.

Ha la febbre alta!

Quel respirare annaspante, il corpo ridotto a uno straccio, ferito e solcato da rivoli spessi e scarlatti…..stava soffrendo senza aver modo di difendersi. Tremava per gli spasmi come un piccolo animaletto soffocato da un bufera di neve gelida e priva di sentimenti. Stava male e Sayuri non attese ulteriormente per fare qualcosa; con un paio di giri di chiave, fece scattare la serratura delle prime catene, liberandogli subito le caviglie segnate. Stette per passare ai polsi quando tutto ad un tratto le sue mani furono fermate da quelle palmate del Cavaliere del Mare.

“Sommo Jimbe..”
“Non è una buona idea, Sayuri. Queste catene trattengono i poteri del frutto del diavolo. Senza non potresti neppure toccarlo” le spiegò lui sciogliendo la presa “Ace ha la febbre alta e in queste condizioni il potere Foco Foco gli avrà sicuramente portato la temperatura corporea alle stelle”
“Allora che cosa suggerisce di fare? la linea delle luma-camere potrebbe venire ripristinata in qualunque momento e le guardie sicuramente si saranno già insospettite del ritardo del direttore”

Il pericolo che un secondo plotone scendesse a verificare il perché le comunicazioni non rispondevano ai segnali era estremamente alto. Poteva arrivare subito, a quanto pareva Magellan aveva posto delle guardie che sorvegliassero le scale, ma lei aveva avuto la fortuna di arrivarci senza incontrare nessuno, soltanto che ora la faccenda era ben diversa. Sayuri sperava ancora in Rufy, ma il tempo stringeva e il suo capitano non era ancora arrivato.

Come se già questa situazione non fosse grave.. Pensò accarezzando ancora una volta il viso di Ace.

I capelli neri gli ricadevano in avanti con qualche ciuffo ondulato. A parte quei tremiti involontari, Ace era distante anni luce da quella cella, in un mondo di cui neppure lui sapeva l’esistenza. Chissà dove sei, si chiedeva Bianco Giglio senza interrompere quel piccolo contatto. Forse anche lui a volte se lo era chiesto quando era lei a sparire in uno dei suoi mondi per evitare che qualcosa la ferisse però questa volta non c’era un abbraccio dentro cui rifugiarsi o una fortezza dove barricarsi aspettando che il pericolo passasse. Non c’era nulla di tutto ciò che aveva saputo stupirla fino alle lacrime, solo un lungo sentiero spinoso che aveva percorso fino alla fine riempiendosi le gambe di orribili graffi. Ma andava bene, non c’era niente di cui preoccuparsi: era arrivata in fondo, trovando la cella che poche volte aveva tentato di immaginare nella sua mente e ciò era bastato per ricomporre quel suo animo di fanciulla che aveva sempre conservato una parte di quella triste bimba coi fiori in mano. Era..si era felice, non c’era altro modo per dirlo. Felice a tal punto da voler piangere perché tale era stata l’emozione nel poterlo toccare, da far sparire in lei quella punta di rabbia per le tante cose fatte. Se mai avesse potuto incatenare i suoi occhi a quelli color pece di lui, forse un po’ vacui per le sue condizioni, lo avrebbe guardato con fare rimproverante e magari gli avrebbe dato uno schiaffo qualora lui le avesse domandato cosa diavolo le fosse saltato in testa. Sarebbe stata un scena indimenticabile: la dolce Sayuri che schiaffeggia il suo fidanzato. Oh si, poco ma sicuro, avrebbe lasciato stupito molte persone….

Forse lo avrebbe fatto se fosse stato realmente sveglio. Prima avrebbe cercato di trattenersi e poi, al sicuro sulla nave, lo avrebbe affrontato in una maniera del tutto diversa dal suo carattere, consentendo la nascita di un nuovo aspetto mai emerso fino a quel momento. Ma lei non era così ed troppo innamorata di quel testone di fuoco per poterlo odiare: anche se lo avesse colpito per fargli capire la sciocchezza del suo gesto, si sarebbe resa comunque conto che lui era lì e avrebbe finito per piangere con le braccia legate attorno al suo collo. Non poteva odiare chi l’aveva salvata da sé stessa e pertanto non poteva provare qualcosa al dì fuori di un sentimento felice dato che il fine di riaverlo l’aveva ottenuto.

“Sayuri, usa queste” Jimbe le si affiancò meglio e le porse le manette di algamatolite di Domino, insieme al mantello e allo zaino lasciata a terra prima “E’ il solo modo che abbiamo per trasportarlo” disse intercettando l’angoscia di lei.

Non c’era altro da fare o meglio, non vi era altro lì che potesse bloccare i poteri di Ace. Lo squalo-balena liberò il primo polso del ragazzo e subito la pirata lo rinchiuse con la manetta lasciando che si appoggiasse su di lei; cercò di tenere più sciolta che potè la stretta ferrea di quell’arnese, i suoi polsi erano già visibilmente arrossati e tagliati. Non appena anche l’ultima serratura venne fatta scattare, il corpo di Ace si lasciò andare completamente su Sayuri, che lo abbracciò interamente per poi farlo girare delicatamente cosicchè appoggiasse la testa sul suo petto, con le gambe beatamente distese.

Guarda come sei ridotto....

La gola di lei si chiuse nel guardare finalmente quel volto contornato da tante simpatiche lentiggini. Percepì il moto di commozione salirle fino ai occhi, spingendoli a socchiudersi per contenere il bruciore, tamponando così anche la bocca sul punto di balbettare. La solarità che aveva sempre segnato il viso del ragazzo ora aveva lasciato il posto a lineamenti stanchi e sudati, scossi da tremiti febbricianti. Il respiro caldo e ansimante si infrangeva per tutta la cella senza riuscire ad essere fermato e la sua pesantezza era paragonabile a quella delle palpebre che gli coprivano gli occhi neri. Sarebbero bastate anche poche manciate d’acqua salata sulla fronte per farlo sentire meglio, ma di quella Sayuri non ne aveva; il corpo di Ace bruciava, avvertiva la sua pelle scottarle le dita e le altri parti a stretto contatto con esso ma nonostante il fastidio, lei lo tenette a sé come per paura che le scivolasse dalle mani.

Sta tranquillo, andrà tutto bene. Ti porteremo a casa. Pensò, poggiando la guancia in prossimità della sua fronte, con le iridi occultate.

A contatto con essa, la sua pelle pareva fredda come il mattino della prima neve.

E’ caldissimo….

Bruciava, incapace di fermarsi, inconsapevole dove fosse e che cosa lo circondasse. Era come si era detta: Ace era disperso, spettava a lei cercare di farlo tornare dove sicuramente sarebbe stato meglio, ma si augurava con tutto il cuore che anche il solo abbracciarlo alleviasse un pò del suo dolore.
Tenendolo con solo un braccio, gli scostò dal viso alcuni ciuffi, sfiorandogli la fronte con l’identica leggerezza di una piuma. Lo aveva già fatto in passato, e non negò tutt’ora che la cosa le fosse dispiaciuta. La vita del ragazzo che amava era nuovamente nelle sue mani, fra le sue braccia, dove lei lo proteggeva con fare materno ma carico dell’affetto di una ragazza innamorata.

Si…andrà tutto bene. Vedrai… Si ripetè nel sorridere amorevolmente.

Cercò di intingere i suoi tocchi di tutto il conforto che poteva donargli in quel frangente. Il peso di lui era irrilevante, non percepiva alcuno sforzo nel suo braccio e fintanto che non avrebbe sentito il bisogno di sostenerlo con entrambi gli arti, lo avrebbe rasserenato al meglio delle sue possibilità. Purtroppo, il guardare con nota dolorosa quelle ferite aperte e sporche, che non soltanto ne deturpavano l'aspetto ma le stavano macchiando i vestiti, bastò perché agisse con più concretezza e Jimbe parve intuire il suo pensiero. Afferrò con le mani palmate il suo zaino, lo aprì e ne estrasse la boccetta chiusa con lo spago datole dal maestro al tempio di Pietra Blu.

“Dobbiamo disinfettargli le ferite prima che le sue condizioni peggiorino. Questo dovrebbe funzionare”
“Possiamo usare il mantello per procurarci delle fasciature provvisorie” aggiunse lei.

Facendo attenzione, il flottaro prese a strappare vari lembi del mantello bianco per farci delle bende ma appena si accinse a svitare la boccetta, qualcosa fece alzare la sua testa e quella di Sayuri immediatamente: d'istinto, la ragazza tornò a sorreggere Ace con due braccia. Da poco lontano, si era udito un violento colpo, come se qualcosa di estremamente pesante fosse appena stato sfondato. Qualcosa come la porta del livello sei….

Fulmineo, il Cavaliere del Mare uscì dalla cella, ponendosi davanti all’entrata. Chiunque stesse arrivando lo avrebbe affrontato e siccome Magellan era ancora fuori combattimento, poteva trattarsi di Hannyabal o del plotone sceso a controllare. Le braccia di Sayuri accentuarono appena l’abbraccio che aveva su di Ace ma senza mai smettere di guardare fra le sbarre della cella. Non si sentì ancora niente e non era certa di voler udire qualcosa che l’avrebbe irrigidita da capo a collo, ma davanti a una prospettiva ce ne era un’altra ben più speranzosa e portatrice di aiuti. Subito vi si aggrappò e solo quando udì quel particolare urlo e il correre all’impazzata di quel qualcuno, la cui voce l’aveva memorizzata istantaneamente, slargò un sorriso grande a sufficienza da far rilassare suoi polmoni quanto bastava per lasciarla respirare.

“ACE!!!!!!!!!”
“Rufy….Sommo Jimbe, non attacchi, è Rufy, il fratello di Ace!” lo avvertì prima che il flottaro caricasse “Rufy, siamo qua!”
 


Stazione di sorveglianza.

Le guardie poste al controllo delle apparecchiature erano in piena fase di “stiratura degli arti” quando le luma-camere del livello sei, tutto ad un tratto, si erano spente. Non una ma tutte quante, una coincidenza troppo strana per essere definita tale.

“Allora, ci sei riuscito?” domandò la prima guardia.
“Non ancora” rispose il secondo continuando ad armeggiare  coi tasti
“Provo a contattare il direttore, dovrebbe trovarsi lì”

Il secondo di guardia afferrò il prezioso lumacofono adornato con il tipico cappellino da secondino ma nel far partire la chiamata, non ricevette altro che un lungo silenzio come risposta. Tentò di nuovo e provò anche a chiamare il vice delle guardie, ma anch’ella pareva essersi volatilizzata. Eppure la linea non era occupata, cosa poteva essere successo?

“Tutto inutile!” sbottò il compagno alzandosi di getto dalla sedia “Non c’è modo di ripristinare il collegamento con l’ultimo piano, i monitor sono morti!”
“Continua a provare, basta anche solo una luma-camera” insistette l’altro “Purtroppo anche le comunicazioni sembrano avere qualche problema: il direttore e Domino non mi rispondono”

Accigliati, i due si scambiarono una lunga occhiata di intesa prima di agire con sveltezza. Vi erano troppe stranezze perché si potesse valutare quell’interruzione come un inceppamento improvviso. Solo nell’inferno eterno l’occhio vigile di Impel Down si era chiuso e considerando che quel grande occhio di cui loro stessi facevano parte non aveva mai accennato ad alcun minimo segno di stanchezza, era impensabile che si fosse addormentato di botto. Si, era decisamente impensabile ed era proprio da quella impensabilità che emergeva un sospetto ancor più grande: fra tutti i possibili momenti, il buio elettronico aveva scelto di calare proprio quando la custodia di Portuguese D.Ace stava per essere passata alla scorta della Marina. L’ammiraglia incaricata di quel delicato compito non era ancora arrivata per via di un leggero ritardo, nulla che potesse influenzare l’operazione nella sua complessità, ma al momento il condannato a morte si trovava ancora nella sua cella e non potevano permettere che qualcos’altro rischiasse di mandare all’aria il buon nome della prigione.

“Rimani qui, io vado ad avvisare il vice direttore Hannyabal” lo avvertì il primo uscendo dalla stanza.

Solo lui poteva fare qualcosa….il problema era che nessuno sapeva che il poverastro era stato legato, imbavagliato e lasciato solo con i suoi boxer a righe bianche e blu in uno sgabuzzino e con almeno cinque bernoccoli in testa.
 


Livello sei.
L’inferno eterno.

“Ace? Ace, come stai? Mi senti?!”
“E’ inutile, Rufy. Non riesce a sentire nessuno di noi”

Cappello di Paglia era in ginocchio davanti al fratello maggiore, con le mani poggiate a terra perché potesse sporgersi adeguatamente in avanti. Non faceva altro che chiamarlo, cercando in lui un segno di vita più attivo oltre al respirare, ma le condizioni del comandante della seconda flotta di Barbabianca erano così precarie da imprigionare il ragazzo in una gabbia dove i suoni non avevano il permesso di entrare. Si sperava che stesse dormendo ma anche in quello stato era comunque tormentato dalla febbre e dalle ferite. Fortunatamente Jimbe aveva provveduto a utilizzare il rimedio del maestro, ma anche se ora il respiro era meno rauco, Ace tremava ancora, col corpo invaso da un calore che a Sayuri faceva i brividi tanto non le piaceva; percepiva la sua brutalità consumare quanto di sano era rimasto nel ragazzo, divorandolo con ingordigia e distruggendolo dall’interno laddove lei non poteva arrivare. Si stava ingarbugliando la mente con tante di quelle richieste che neppure sapeva indirizzarle: era cosciente che tutte avessero come argomento principale il pirata che stava svenuto fra le sue braccia, ma era proprio perché lo stava abbracciando con tutta protezione di cui capace, che si sentiva esattamente come sul punto di star male per un attacco di cuore.

Faceva veramente male vederlo così malridotto ma una minuscola parte di lei in quell’istante era concentrata a guardare Rufy incredula: il fratellino di Ace era come nuovo. Saltava e correva  con tanta di quella energia in corpo che quasi non si controllava. Non vi era più traccia di quel male che poche ore prima l’aveva investito e quel che più sorprendeva, era il fatto che la sua volontà lo aveva rimesso in piedi quasi subito se si teneva conto che il trattamento dei ormoni curativi si prolungava più di un giorno. La sua voglia di vivere era così intensa da permettergli di infrangere le soglie di quei limiti già disumani e di stravolgerli completamente.

E’ veramente straordinario.  Non potè non pensare.

Quasi rischiava di non uscire più da tutta quella serie di osservazioni implicanti sentimenti d’ogni genere se il filo non fosse stato interrotto da quel dirompente e riecheggiante rumore proveniente da una parte indistinta del piano.

“Uhi…questo doveva esseve l’ascensove” affermò Ivankov mettendosi le mani sui fianchi “A quanto pave, quelli dei piani supeviovi ci devono avev scopevto”

E difatti, una delle luma-camere si era ripresa dal disorientamento antecedente e li stava guardando con le antenne ben diritte e la boccuccia mezza aperta. Un Death Wink da parte del regino di Momoiro la mise nuovamente a nanna insieme alle altre.

“Vogliono bloccarci qua sotto. Anche senza Magellan sarà difficile uscire” proruppe Inazuma.
“Vevo, ma almeno gvazie alla fanciullina, non dovvemo  pveoccupavci di lui” fece Ivankov avanzando verso Rufy e Sayuri “Ma pvima, diamo un’occhiatina a questo povevetto”

Il ragazzo di gomma e i rivoluzionari erano rimasti totalmente e letteralmente di sasso quando avevano scorto e infine, visto per intero, l’enorme figura del direttore di Impel Down a pancia in su, schiacciato al pavimento, sconfitto, e sul punto di affogare nel suo stesso veleno. Il sapere come ciò fosse stato possibile stava sulla punta delle loro lingue, ma considerata la piega che stava assumendo la faccenda, le risposte dovevano attendere. Spostarlo in una delle celle rimaste intere era stata una manovra molto cauta e almeno quel problema l’avevano risolto, tuttavia c’era bisogno di un posto sicuro per radunare chi era rimasto indietro, come il coraggioso Bon-Clay e anche per organizzarsi sul piano d’attacco. Benchè la minaccia più grande fosse stata messa fuori gioco, c’erano comunque guardie armate di algamatolite, Blugori, guardiani demoniaci e bestie infernali da affrontare e andare allo sbaraglio non era una mossa saggia.

“Ace-boy è messo maluccio” decretò l’okama dalla capigliatura lilla “E’ tvoppo debilitato pev camminave: dovvemo povtavlo in bavella”
“Non puoi curarlo come ha fatto con me, Iva-chan?” gli domandò Rufy.
“Cevto che si, Cappelluccio, ma gli ovmoni cuvativi vaviano di pevsona in pevsona e inoltve tuo fvatello dovvebbe vimanere fevmo duvante il tvattamento. Il minimo sbalzo potvebbe compvometteve la cuva”

Anche se si trattava di un processo radicalmente diverso da quello che Rufy aveva subito, implicava condizioni che per il bene dello stesso Ace andavano seguite alla lettera. Si sarebbe limitato a una pulizia delle ferite ma per il resto avrebbero dovuto attendere un momento più tranquillo.

“Dobbiamo affrettarci a tornare al livello 5.5” affermò Inazuma tenendo le mani trasformate in forbici “Le guardie potrebbero arrivare da un momento all’altro”
“Concordo” si unì Jimbe “Occorrerà studiare la situazione molto attentamente, specie se vogliamo evitare inutili intoppi..”
“Oh, ma per quello, se volete, posso pensarci io”

La voce che si era aggiunta al discorso non apparteneva a nessuno dei presenti. Era nuova, profonda e benché udita soltanto una volta, la depravazione che la impregnava era arrivata forte e chiaro alle loro orecchie. Il Cavaliere del Mare l’aveva già sentita più volte da quando era stato rinchiuso e pertanto non faticò a indirizzare i suoi occhi verso la cella che stava di fronte alla loro. Rufy, uscito insieme a Sayuri, lasciò che l’amica sostenesse il fratello per andare a controllare chi il flottaro stesse guardando. Rintanato nel fondo scuro della sua celle, il losco individuo avanzò verso le sbarre senza mostrare particolari segni di riconoscimento, a parte quella risata inspiegabilmente soddisfatta. Nel buio di quel rettangolo balenò uno scintillio d’orato che si rivelò poi essere un enorme uncino che ricopriva addirittura tutta la mano del carcerato, ammanettato sia alle caviglie che ai polsi. Il vedere quel particolare oggetto risvegliò nella memoria di Cappello di Paglia ricordi indelebili riguardo una battaglia che lo aveva visto sfiorare per la prima volta la morte; ammutolì per la rabbia nel riconoscere definitivamente quell’alto uomo dal viso grigiastro avente sfumature violastre, segnato a metà da una marcata sutura, larga e sottile quando il ghigno che ampliò il sadismo nei suoi occhi.

“E’ da molto tempo che non ci vediamo, Cappello di Paglia”
“Crocodile!” ruggì il ragazzo.
Crocodile? Non pensavo che anche lui si trovasse qui…

Poche erano le informazioni che Sayuri aveva su di lui, tutte si riducevano al suo appartenere alla flotta dei sette. Era stato, per così dire, spodestato per atti illegali e il vuoto creato da lui in quella cerchia ristretta aveva per diverso tempo occupato le riunioni fra gli elementi di spicco della Marina, fra cui gli stessi flottari. Bastò un semplice sguardo per capire che un uomo del genere covava un carattere subdolo e implacabile quanto le sabbie di cui era il domatore per eccellenza ma la sua fama di potere lo aveva portato a incontrare la sconfitta che lo aveva relegato lì, in quel dimenticatoio, dove arrendersi era il solo modo di sopravivere. Bianco Giglio era all’oscuro dei suoi piani e delle sue intenzioni, ma da come lui e Rufy si stavano guardando, era evidente che dovevano essersi già incontrati in passato e probabilmente anche scontrati. Che fosse stato il fratellino di Ace a distruggere i suoi progetti di conquista? Il cuore di lei le stava dicendo di “Si”, ma sinceramente non comprendeva perché l’ex flottaro avesse richiamato l’attenzione su di sé. Le sue parole lasciavano intendere un aiuto da parte sua, ma prima di saltare a conclusioni affrettate, occorreva ragionare e lasciare che l’uomo esponesse quanto deteneva nel suo cervello.

Rufy, dal canto suo, non faceva che guardarlo in cagnesco, supportato da Jimbe a pochi passi dietro di lui.

“Si direbbe proprio che la faccenda qui sia diventata parecchio interessante” ricominciò quello accarezzando con la mano libera l’uncino “Le voci sulla tua infiltrazione erano vere: non pensavo tu fossi tanto avventato da rischiare la pelle per un condannato a morte, ma d’altronde..” sogghignò “Soccorrere i deboli è la tua passione, no?”
“Taci e non insultare Ace!”

Crocodile rise malignamente, senza preoccuparsi del peso delle sue parole.

“Che vuoi, Crocodile?” si fece avanti il Cavaliere del Mare.
“Che voglio, Jimbe? Ma offrire il mio aiuto, naturalmente” rispose con naturalezza “E’ evidente che siete in minoranza e una alleanza potrebbe fare comodo ad entrambi”
“Scordatelo! Il tuo aiuto io non lo voglio!” tuonò Rufy coi denti stretti “Tu hai fatto del male a Bibi!”
“E’ vero, ma è acqua passata, il suo regno ormai non mi interessa più” dichiarò con noncuranza “Tornando a noi, ti suggerisco di riflettere su quello che ti sto proponendo: se ancora non ti fosse chiaro, ti trovi nel fondo di Impel Down e fuori di qui ci sono marine a sufficienza per sbaragliarti, se non contiamo il personale della prigione. Con tutto il trambusto che hai creato, la Marina potrebbe anche decidere di spostare la guerra qui, pur di giustiziare tuo fratello, e dubito fortemente che in cinque possiate farcela. Conterei anche Pugno di Fuoco, ma al momento non mi sembra in grado di combattere” e guardò il suddetto incrociando per un attimo lo sguardo di Sayuri “Io posso velocizzare la vostra uscita” riprendette subito “In cambio, esigo solo la mia libertà e se mi verrà data, anche la possibilità di affrontare Barbabianca. Sta a te decidere, Cappello di Paglia” asserì guardando poi l’ex avversario.

L’offerta posta non era facile da accettare, non per Rufy che detestava quell’uomo per aver fatto soffrire una sua amica. Sayuri dalla sua posizione, non poteva comprendere come si fossero svolti i fatti, ma l’odio che l’amico stava facendo saettare contro il sabbioso parlava forte e chiaro: quell’uomo non meritava di venir lasciato libero. Eppure…era pur sempre vero che un aiuto in più non avrebbe guastato e il suo potere poteva tornar utile per disfarsi di porte o nemici troppo insistenti. Però rimaneva il fatto che lui avesse esplicitamente espresso la richiesta di poter affrontare Barbabianca, cosa su cui sarebbe stata ben disposta anche a spendere qualche parola. No, non ci si poteva fidare completamente quell’uomo, ma quanto aveva proposto era ragionevole e sinceramente loro non si trovavano nella posizione di rifiutare una mano generosa. Beh, non proprio generosa.

Solo Rufy poteva scegliere al riguardo ma a giudicare da come teneva serrati i pugni, la sua risposta non poteva essere certamente positiva. Era sul punto di aprire la bocca con l’intenzione di chiudere quel discorso malvoluto ma Invakov si fece avanti, fermandolo sul nascere.

“Povtiamolo con noi, Cappelluccio di Paglia” gli disse il regino.
“Che?!? Non se ne parla, questo..!!” cercò di ribattere.
“Pensevò io a lui” replicò velocemente.
“Ivankov..” ringhiò l’ex flottaro.

Il viso di Crocodile si indurì in una smorfia apertamente disgustata nel vedere quell’enorme faccia truccata e sorridente squadrarlo dall’alto. Da come il carcerato lo stava fulminando con intenzioni omicida, era lampante supporre che il regino facesse parte di un episodio itinerante alla sua vita prima dell’ingresso in prigione.

“Vi conoscete?” domandò il Cavaliere del Mare.
“Di vista” sibilò il carcerato.
“Io divei più che di vista” lo corresse l’okama per poi guardare il ragazzo di gomma “Non devi pveoccupavti, Cappelluccio, tevvò io d’occhio questo bvicconcello” garantì.
“Tu vedi di starmi lontano” ordinò l’uomo guardandolo storto.
“Non sei nella posizione pev dave ovdini, Cvoco-boy” gli disse lui movendo l’indice inguantato a destra e a sinitra “Ti vicovdo che io conosco il tuo segvetuccio…”
“Tu…!”

Incredibile, ma vero, per la prima volta l’espressione di Crocodile si deturpò per l’orrido: una vena dalle terrificanti sfumature gli attraversò la pelle e il regino dei okama capì di averlo colpito nel vivo. L’aveva legato al suo polso con un ricatto personale e sapeva che quello era il solo modo per tenerlo a bada visto che il segreto da lui tirato in ballo pareva scottare parecchio nell’orgoglio di quell’uomo dai capelli neri tirati all’indietro.

“Se lo tieni d’occhio tu, allora va bene” decretò Cappello di Paglia tornando da Ace e Sayuri.
“Se sicuro, Rufy?” domandò Jimbe “Non è una persona raccomandabile”
“Non c’è problema. Se Iva-chan ha detto che lo terrà d’occhio, non c’è nulla di cui preoccuparsi” rispose con sorriso sornione.
“Molto bene. Inazuma, libeva Cvoco-boy” chiese il regino “Penso voglia disfavsi di quella disgustosa divisa da cavcevato”

Il rivoluzionario dai poteri Zac Zac fece quanto richiesto e aprì la cella dell’ex flottaro, sciogliendolo anche dalle catene.

“Se non c’è altvo, possiamo andave” affermò l’Okama mettendosi in testa alla coda.
“Perfetto!”

Rufy si caricò in spalla Ace, affiancato da Jimbe e Sayuri. Quest’ultima era su punto di alzarsi quando improvvisamente, qualcosa le bloccò le gambe.

Tu-tump!

“Ugh!”
“Sayuri? Qualcosa non va?”

Le ossa che componevano la sua spalla destra si erano appena frantumate in tante scheggie. Il dolore ricalcava quella sensazione e anche se essa era ancora intera, vi era comunque qualcosa che l’aveva spinta istintivamente a reggersi quella particolare parte di sé: il fulcro di quell’improvvisa agonia sorta da nulla partiva dall’interno delle sue ossa, vi era come un parassita che stava scavando a sufficienza per indebolirne la durezza di modo tale che la bianca superficie di esse si riempisse di fratture e suoni raccapriccianti. Sbiancò per il colpo e il polmoni si raggrinzirono temporaneamente prima di permetterle di prendersi un lungo e profondo respiro.

Uhg! Avrei dovuto aspettarmelo…

“Yucci-chan, che cos’hai?” domandò Rufy un po’ preoccupato.
“N…No, non è niente, state tranquilli. E’ solo un crampo, nulla di cui allarmarsi” rispose mettendosi in piedi come se nulla fosse “Sto bene”
“Sei sicura?” indagò il Cavaliere del Mare. Il pallore improvviso non era sfuggito al suo occhio.
“Oh, si” sorrise dolcemente “Davvero, non è niente. Coraggio, adesso andiamo” 

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Capitolo 64
*** La risalita della speranza, la discesa del male. ***


Buonasera! Da qui in poi dovrò aggiornare di sera perché per il resto della giornata sono bloccata in università e mi è letteralmente impossibile postare prima. Vorrei dare un accenno di quel che capiterà qua dentro ma preferisco lasciare tutte le sorprese a voi. Ho ristretto le dimensioni del carattere perchè questo capitolo è risultato più lunghetto del solito. Buona lettura!

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Com’era possibile che tutto ciò potesse essere accaduto? Com’era possibile che a Impel Down si fosse venuta a creare una situazione del genere, come?

Chiederselo non avrebbe risolto nulla ma chi era riuscito a sopravvivere non aveva altro per la testa. Si domandava in continuazione il come, ma anche il perché, eppure di risposte non ne trovava. Anche solo guardando quel macello, le guardie aveva realizzato che la situazione all’interno della prigione più grande e temuta del mondo stava per essere completamente ribaltata da cima a fondo. Non era mai capitato che tanto disordine riuscisse ad emergere fra quelle solide mura controllate costantemente ventiquattro ore su ventiquattro e forse era per tale ragione che lo stupore li aveva paralizzati a quel modo. Neppure l’acido del serpente più velenoso al mondo sarebbe stato capace di una tale impresa. Tutto aveva avuto inizio quando la stazione di sorveglianza era riuscita a ripristinare il collegamento con il livello sei; anche con una sola lumacamera a disposizione, erano comunque stati in grado di vedere quanto bastava per lanciare l’allarme: Cappello di Paglia era vivo, fuori dal livello cinque e in compagnia di altri detenuti tra cui addirittura Pugno di Fuoco. Domino e le guardie erano state sconfitte ma la sorpresa più grande l’aveva fornita Magellan, rinchiuso in una cella, in una condizione fisica a prima vista allarmante. Lì, i fucili e gli occhiali da sole, corredi standard dell’uniforme, erano scivolati a terra come se improvvisamente gli uomini fossero stati fatti di sapone.

Era stato sconfitto, il direttore era stato battuto.

Quella disgrazia avrebbe segnato Impel Down per tutta la sua esistenza; la colonna portante su cui si ergeva era stata piegata dal volere di un altro. Lo shock si era sparso per tutto il piano d’entrata come un nuvola grigia nebbiosa che inghiottiva quel che incontrava segnandolo permanentemente e, nel fare il suo giro indisturbata, quella si era insediata nel corpo di tutti. Per la fortuna del personale c’era ancora Hannyabal dalla loro; una volta trovato, slegato e vestito, il vice direttore aveva immediatamente preso in mano la situazione con una serietà che avrebbe fatto concorrenza a Magellan stesso.
In un battito di ciglia, le forze della prigione erano state schierate con impeccabilità e maestria, pronte a iniziare la loro battaglia quasi fossero i pezzi di un enorme scacchiera umana. La fortezza della giustizia doveva contenere il terrore che i suoi ospiti potevano sprigionare se lasciati liberi e quando si trattava di proteggere chi confidava nell’efficienza della giustizia, il vice direttore meritava ogni genere di lode perché pur di mantenere alto quel baluardo che poi era Impel Down, era disposto a farsi massacrare dai nemici pur di non farli uscire. L’aspetto fisico e alcuni suoi tratti demenziali talvolta coprivano eccessivamente questo suo lato battagliero ma quando le cose si complicavano, quell’uomo dal sontuoso copricapo da faraone sfoderava tutta la grinta necessaria, mettendosi in prima linea per sistemare quanto sfatto.

Purtroppo i problemi che si stavano verificando all’interno non erano che l’inizio, forse il male minore di quello che aveva deciso di giungere con l’alba. In quel frangente, i raggi del sole avevano portato una chiamata da parte di una nave della Marina, che attendeva solo che qualcuno aprisse le porte della giustizia per poter così passare. Si era subito pensato alla scorta per Portuguese D.Ace ma i bei fasci solari, solitamente considerati portatori di buone giornate, pareva averli fortemente ingannati; gioiosi, i soldati avevano aperto le porte della giustizia e abbassato il ponte per far entrare l’ammiraglia ma anziché vedere dei uomini in bianco ligi al loro dovere, si erano visti arrivare addosso qualcosa di nuovo, mai visto e per tanto inquietante. Spire nere e sinuose come corde si erano erte in quella macchia di azzurro cielo appena visibile, abbattendosi con la stessa scivolosità di mille tentacoli e sventrando l’entrata senza alcuno sforzo, arrivando a inoltrarsi anche nelle cavità oculari dei presenti. Le pallottole dei fucili erano state inghiottite, i vigilanti trascinati e seppelliti sotto il pavimento roccioso e i sopravissuti avevano assistito al risputo di tutto ciò che quella strana colonna nera aveva mangiato. Non ne avevano capito la presenza e sinceramente anche ora non se ne capacitavano.

“Non c’è niente di cui aver paura, siamo dalla vostra parte!”

Ai piedi quell’ombra informe erano apparsi cinque uomini, tutti diversi fra di loro. Colui che aveva parlato dai altri si era distinto dalla sua ciurma per l’avere metà corpo immerso in quell’oscurità dove la sua risata trovava un fortissimo appoggio. Diceva di essere dalla loro parte ma che senso aveva allora aggredirli con tanta ferocia?
Il pontile era disseminato di guardie appena tornate da un luogo a loro inconcepibile, dove la gravità era forse dieci volte superiore alla media; l’enorme grata acuminata era stata spazzata via dopo che quella…cosa era penetrata da sotto e nonostante tutte le loro difese, quella era riuscita comunque ad entrare. Dai suoi movimenti pareva essere una fiamma nera ma non vi era traccia di quei particolati bagliori cangianti che si manifestavano per tener alta la sua vitalità: toccava le pelli con la stesse delicatezza del vento ma quello non era altresì che un puro inganno per annebbiare la vista sul suo reale effetto. Essa prendeva, piegava, contorceva, accartocciava e distruggeva tutto ciò che le si parava davanti, senza fare alcun tipo di distinzione.

Si slargava in lungo e in largo esattamente come la risata del suo padrone, seguito dai suoi compagni senza preoccuparsi di ciò che avrebbe comportato la sua azione. Francamente l’interessarsi alle conseguenze delle proprie azioni non gli era mai importato; per lui era sufficiente ottenere quanto progettato e data la sua attuale posizione, poteva accedere alla prigione di Impel Down senza che qualcuno cercasse di ucciderlo. Che avvertissero pure il Quartier Generale! Tanto non avrebbero fatto un granchè vista l’eminente guerra contro il vecchio.
Con quella baraonda ben’assortita prossima all’esplosione, si sarebbe liberato di un discreto numero di scocciatori!
Chissà, magari se sbrigava velocemente le sue faccende…..poteva arrivare giusto in tempo per salutare un ultima volta quell’uomo ormai finito.
 



Livello 5.5
L'altro inferno.

Tutti i pasticcini dell’altro inferno erano riuniti nella sala delle danze insieme al regino e al resto delle persone sceso al livello sei. Il loro mormorio era paragonabile ad un collettivo ronzio di api e mosconi, tutto concentrato su quella figura che era stata depositata sul divanetto e curata con accanto il ragazzo dal cappello di paglia, portato lì solo diverse ore prima.
Rufy, dopo essere accorso a vedere come stava Bon-chan, postumo dalla cura di Ivankov, si era concentrato su Ace, ancora svenuto e con un febbrone da cavallo. Se ne stava accovacciato vicinissimo al divano, con le mani strette sul suo bordo morbidoso e la linea della bocca leggermente piegata all’ingiù. Le candide bende coprivano l’angosciante vista delle ferite del moro, che praticamente non avevano risparmiato nemmeno un centimetro della sua pelle, ormai impossibile da definire sana: il respiro meno rantolante aiutò ad alleviare la tensione per le sue condizioni ancora gravi, ma il restante rimaneva comunque più che preoccupante. Necessitava di un posto tranquillo, di un letto caldo e di tutte le premure che solo un ambiente silenzioso e lontano da ogni sorta di schiamazzo poteva offrire. Adesso che era lui quello che doveva essere curato, Rufy voleva fare tutto ciò che era possibile per difenderlo e come per prima cosa, lo avrebbe portato via da quell’orribile prigione. Yucci-chan aveva spiegato che il tizio che stava a cuore al suo fratellone, Barbabianca, sarebbe venuto a dar man forte per consentire a tutti loro di scappare e tutto ciò che dovevano fare era aprire le porte che bloccavano il passaggio; per il resto, sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Chissà dove si è cacciata Yucci-chan..Si domandò per poi guardarsi intorno.

Da una decina di minuti era sparita e non accennava a tornare, il che era molto strano visto che fino a quel momento non si era mai allontanata da Ace.

Magari è andata in bagno a fare la cacca.

Certe sue uscite sarebbero state premiate coi portentosi cazzotti di Nami, ma fintanto che queste rimanevano chiuse nella sua testolina, nessuno poteva dirgli o fargli qualcosa.
Tornò a concentrarsi su Ace, sperando che aprisse gli occhi ma questo continuava a rimanere intrappolato in un sonno costrittore dalla durata incerta. Non vederlo sveglio intaccava la sua determinazione, stritolandogli l’anima di fratellino che possedeva: tra i due, Ace era il più forte, il più veloce e anche quello che meno si cacciava nei guai. Non c’era mai stata occasione per lui di batterlo, il suo fratellone era sempre stato un passo avanti a lui, ma soltanto per poterlo aiutarsi a rialzare. Da piccolo, il riuscire a eguagliarlo, era l’obbiettivo messo a pari merito insieme a quello di imparare a utilizzare i poteri del frutto Gom Gom: se riusciva a raggiungerli, poi sicuramente sarebbe potuto partire per diventare il Re dei Pirati, ma fintanto che era ancora un bambino doveva allenarsi…e incassare i pugni del nonno quando ogni volta lo rimproverava che da grande sarebbe diventato un marine, consenziente o meno. In tutte quelle occasioni, in ogni attimo, Ace era sempre stato con lui, inseparabili proprio come due fratelli, perché come Rufy aveva bisogno di lui, anche Ace non poteva fare a meno di lui, per non perdere la voglia di vivere.

A quel tempo non capiva perché a volte si rabbuiasse e si rifiutasse di parlare anche con lui, ma aveva imparato a starsene buono quando ciò accadeva, soltanto che un bel giorno era venuto a conoscenza di quella cosa che Ace tanto odiava e lui, il suo fratellone, nel sentirsi domandare se fosse vero o no, gli aveva mollato un pugno in faccia e se ne era andato via; l’aveva inseguito, continuando a chiamarlo perché si fermasse, ma lui anziché rallentare, aveva aumentato il passo distanziandolo ulteriormente. Il poi a malapena lo ricordava: non rammentava di essere scivolato nel fiume e di essere stato trascinato per metri interminabili, sballottato fra rocce tanto appuntite da tagliare la sua pelle di gomma, così come non rammentava che Ace l’aveva tirato fuori quando mancava pochissimo perché i polmoni gli si riempissero completamente d’acqua.
Vi erano delle strane macchie opache e frammentate nella sua testa - immagini in realtà - ma di esse non era mai riuscito a cogliere il significato. Anche lì, era all’oscuro che da quel brutto episodio del fiume si era ammalato a tal punto da rimanere a letto per dieci giorni; sapeva solo che dopo aver perso l’equilibrio, un fastidiosissimo caldo lo aveva invaso a tal punto da fargli male come non mai. Lì tutte le sue ossa si erano come sciolte e seppur fosse stata soltanto un impressione, il dolore comunque era stato più che reale; ma quell’agonia era stata alleggerita dalla presenza del suo fratellone, rimasto al suo capezzale per tutto il tempo con il cuore in gola. Non lo ricordava in quelle macchie sbiadite, ma ne aveva percepito la presenza e questo era stato sufficiente per fargli dire “Scusami” al suo risveglio.

Sentiva di aver ferito Ace e per evitare che i suoi occhi si incupissero nuovamente, aveva deciso di tenere la bocca chiusa su tale questione: se Ace non voleva parlarne, lui non ne avrebbe parlato e così aveva fatto per quei anni successivi. E poi..sinceramente, se l’argomento fosse saltato nuovamente fuori, Rufy non ci avrebbe dato peso. Certo, avere come padre il Re dei Pirati doveva essere fenomenale, ma se ciò minava il sorriso del suo fratellone, allora se ne sarebbe dimenticato anche a costo di rompersi la testa.
Ace aveva sempre detestato quella parte di sé, non era mai riuscito a piacersela e per quanto diventasse aggressivo quando qualcuno parlava male di quell’uomo, Rufy sapeva che in realtà il suo fratellone era una persona buona: poteva arrabbiarsi, diventare scontroso, urlare e sfasciare tutto quello che gli capitava a tiro quand’era di cattivo umore, ma durante tutti quei anni passati assieme, Cappello di Paglia non aveva mai visto così malridotto suo fratello. Era stato battuto e francamente gli riusciva difficile crederlo, perché insomma…Ace era forte.

“A che cosa stai pensando, Rufy?” gli domandò Jimbe. Da troppo lo vedeva assorto.
“Il tizio che ha battuto Ace, Barbanera..” cominciò il più giovane senza staccare gli occhi di dosso dal parente “Era un suo compagno, giusto?”
Il Cavaliere del Mare lasciò che i suoi occhi vagassero per qualche istante sul ragazzo prima di tornare a fissare l’amico “Si, era un suo sottoposto. Da quanto so, ha ucciso il comandante della quarta flotta e gli ha rubato un frutto del diavolo da lui ritrovato. Un simile crimine sulla nave del vecchio Barbabianca solitamente viene punito in modo esemplare e lui, essendo scappato, ha peggiorato solo la situazione: Ace, in quanto suo superiore, è partito per stanarlo e punirlo ma non pensavo..” e lo squalo balena irrigidì le proprie zanne “Che quel bastardo fosse tanto potente da mandare in carcere uno come Ace. E dire che lui è arrivato ad un passo dal farmi fuori la prima volta che ci siamo incontrati”
“E’ perché sei amico di Ace che sei finito in prigione anche tu?”
“Si può dire di si. Sono in debito con Barbabianca e quando ho saputo di questa eminente guerra, ho cercato di fare qualcosa ma purtroppo non è andata come speravo”

Quell’ormai passato colloquio bruciava come una ferita appena aperta e più di una volta, in quella cella buia e silenziosa, aveva tenuta alta la speranza nonostante le prospettive alquanto negative: come la scorta sarebbe arrivata a prendere il suo amico, anche le altre ammiraglie di guardia se ne sarebbero andate, ma lui fino a quel momento aveva sempre nutrito una forte fiducia. Indipendentemente da quanto piccola o grande che fosse, non aveva mai smesso di credere nella possibilità che qualcosa sarebbe accaduto, che qualcuno avrebbe avuto il coraggio di sfidare la pericolosità di Impel Down o che fosse riuscito a far volgere quell’orribile storia a favore dei pirati. L’assenza delle catene addosso aveva reso quell’illusione più concreta ma il restante ancora aspettava di essere materializzato e ciò sarebbe successo solo quando tutti quanti loro i si sarebbero messi in salvo. Fino ad allora, niente poteva dirsi ancora sicuro.

“Che cosa ti aspettavi di ottenere con i tuoi ringhi, Jimbe? Un atto di pietà forse?” lo derise Crocodile arrivando alle loro spalle.

La divisa da carcerato era stata sostituita con un competo scuro molto elegante, con tanto di cappotto col pellicciotto e foulard verde. Seppur fosse un uomo senza scrupoli, non gli si poteva negare il buon gusto per il vestire ma il sorriso beffardo e spregiudicato che stava rifilando al flottaro e al pirata che l’aveva sbattuto in prigione, ommetteva quel particolare estetico.

“Per uno che conosce come le proprie tasche gli alti esponenti della Marina, ti sei lasciato trasportare un po’ troppo dall’istinto” lo rimproverò con voce odiosa “Eppure sai benissimo che quando a quelli capita una ghiotta occasione fra le mani ne approfittano subito. Anche se dicono di essere diversi da noi, sotto sotto sono convinto che siano fatti della nostra stessa pasta, con la sola differenza che si divertono a sbandierare ai quattro venti le loro insulse gesta di pace, uh uh uh!”
“Taci!” sibilò il Cavaliere del Mare fulminandolo.
“La verità fa male, eh Jimbe?” lo canzonò.

Non c’era che dire, Crocodile era una persona davvero odiabile. Gestiva gli argomenti con una maestria tale da far salire il nervoso a chi, anche con uno solo sguardo, aveva saputo inquadrarlo: in verità non stava dicendo nulla di falso o di nuovo ma quella sua consapevolezza, il rinfacciarla così spudoratamente a quei pseudo-alleati, lo poneva come uno spettatore divertito da tutto il loro accanimento. In un certo qual modo era divertente vederli scorrazzare e darsi tanta pena per una sola persona: anche se pure lui rientrava in tale schiera, le motivazioni che lo muovevano non erano certo compassionevoli.

“Non è il caso che ti scaldi come me, Jimbe. Io sono dalla vostra parte” disse masticando un po’ di quel grosso sigaro che si stava fumando.
“Ed è propvio pevche stai dalla nostva pavte che ti conviene fave il bravo, Cvoco-boy” lo rimbeccò Invankov affiancandolo con le braccia conserte.

Il sabbioso storse la dentatura arrotolando il prezioso sigaro in una smorfia nervosa. Il dover sopportare quella faccia ambigua, truccata e disgustosamente sorridente stava facendo crescere in lui l’irrefrenabile desiderio di alzare il suo prezioso uncino e di infilzarlo in quella testona di okama che Ivankov si ritrovava, ma disgraziatamente quel bastardo sapeva,Dio, se sapeva!
Seppur molto contrario, tacque, evitando di scontrarsi accuratamente con i grossi occhioni del regino.

“Mugi-chan!” Bon Clay sopraggiunse e continuando a volteggiare ininterrottamente per via dei ormoni iniettatigli da Ivankov, raggiunse l’amico “Siamo tutti pronti per andare!”
“Grande! Allora….ehi, ma..Yucci-chan non è ancora tornata?”

Era strano che non la si vedesse. I presenti e il regino si guardarono con complicità e finirono per alzare le spalle in segno di negazione; non avevano idea di dove si fosse andata a ficcare la fanciullina e a quanto pareva, non lo sapevano neppure Jimbe e Crocodile.

“Vado a cercarla. Bon-chan, Jimbe, rimanete vicini al mio fratellone!”
“D’accordo. Ti aspettiamo all’entrata!” esclamò il cigno.
 



“Anf…….anf……”

Il corridoio in cui era andata a sedersi era piccolo e stretto, probabilmente a fondo chiuso, utilizzato per mettere alcune casse di cibo che i rifugiati rubavano dai vari piani grazie ai cunicoli nascosti in ogni piano. Il respiro di lei era un continuo ansimare di nuvolette umide, cariche di calore paragonabile al peso che la opprimeva. Seppur la parete contro cui era appoggiata fosse fredda, quel piccolo conforto che aveva trovato nello schiacciarci contro la testa si era dissolto in una manciata di secondi scarsi. Era già molto che questa non le stesse scoppiando ma a prendere il suo posto vi era tutta la parte destra del suo corpo, contratta in un dolore fisico tanto grande da irrigidirle i muscoli come pieni di artrite. La sensibilità stava oscillando come la sua vita, appannata per quello sforzo eccessivo di cui solo pochi minuti prima aveva risentito. Col braccio sinistro ancora cosciente, si teneva il petto stringendo la canotta bianca a maniche corte di quel nuovo completo datole per muoversi con più agilità, come per trattenere un blocco cresciuto in lei e che a breve avrebbe rilasciato la sua essenza nei vasi sanguigni di lei, inquinandole anche l’altra metà fisica rimasta in piedi.

Piantando gli occhi semichiusi sull’arto apparentemente morto, tentò di muovere le dita abbandonate a terra insieme alla gamba distesa con tutta la sua concentrazione ma non ottenne alcun successo. Potè solo piegare la gamba sinistra e portarsi la mano stretta in petto sulla spalla opposta: lasciò ricadere indietro la testa col viso sudato, alzando e abbassando il torace anch’esso lievemente lucido per quanto si stava scatenando nel suo corpo.

Avrei dovuto immaginarlo che non sarebbe stata una buona idea far uso della tecnica partendo da un livello di potenza già alto… Pensò nel guardare il soffitto pietroso.

Chiuse gli occhi, concedendosi il lusso di beneficiare di quel minuscolo sollievo. Avrebbe voluto rimanere con Ace e sperare che si svegliasse, ma come il corpo aveva iniziato a mandarle forti segnali, per lei era stato istintivo trovare un buco per non farsi vedere ridotta in quelle condizioni. Lasciatasi scivolare a terra, percepiva tutta sé stessa stordita, come se l’avessero atterrata bruscamente e presa a pugni senza sosta. Benchè paralizzata da una sola parte, i sensi erano perfettamente attivi; ogni fibra del suo corpo era sveglia ma immobile, inchiodata al pavimento di carne che la componeva. Non vi era stupore in Sayuri, già consapevole che una simile conseguenza presto a tardi si sarebbe manifestata ed era molto meglio che le fosse capitato ora anziché in battaglia; non avrebbe potuto proteggere Ace adeguatamente se durante il trasporto avesse accusato i sintomi di adesso. Ora che aveva potuto finalmente riabbracciarlo, non lo avrebbe lasciato andare via ne tantomeno se lo sarebbe fatto sottrarre senza combattere. L’importanza di una persona altrui superava nettamente quella per sé stessi e soltanto rendendosi conto di come quella persona incideva nella propria vita, si poteva arrivare ad essere coscienti di forze e risorse mai sperimentate. Ci si sentiva in grado di fare cose fino a quel momento mai pensate e in tutta sincerità, era straordinario il fatto che Sayuri fosse arrivata addirittura nella più grande prigione del mondo. E tutto perché lei era innamorata e fino a quel momento, era stato Ace a proteggerla; la sua schiena l’aveva riparata da qualunque cosa potesse anche solo graffiarla, sempre, qualora qualcosa di cattivo la volesse sfiorare.

Il raccogliere quei flaskback e riviverli mentre godeva del sollievo di tenere gli occhi nascosti al mondo, fece sprofondare Bianco Giglio in un via vai memonico dove lei era la spettatrice di sé stessa. Stava sul ciglio di quella strada senza andata e senza ritorno, nel mezzo insomma e si vedeva sfilare quanto l’incontro con Ace le aveva donato. Il fuoco l’aveva vista e si era avvicinato come una bestia mansueta, un comportamento innaturale per uno spirito indomito. L’aveva osservata con curiosità, conosciuta nella simpatia e infine perso in un qualcosa più grande di lui ma che ugualmente sentiva di dover difendere. Sayuri aveva sempre visto Ace immerso in fiamme cremisi così rosse e rare da risplendere come rubini ed era una visione dove c’era sempre qualcosa di nuovo da cercare e scoprire. Ma ora quel bel fuoco era ridotto a delle piccole fiammelle giallastre, non era lo stesso che le aveva lambito la pelle con tanta passionalità tempo addietro e lei nonostante tenesse quei piccoli lumini a forma di goccia nelle proprie mani,non sapeva come curarli. Si vedeva come una bimba avente un piccolo uccellino azzurro che necessitava d’aiuto ma il suo pigolare la mandava in panico a tal punto che non poteva far altro che continuare a guardarlo come per sperare che l’aiuto le venisse da cielo. Per quanto l’aiuto fosse un che di benaccetto, Sayuri non voleva rimanere lì ad aspettare che questo le cadesse fra le mani o le si presentasse come la soluzione di tutti i suoi problemi. Se lei poteva far qualcosa lo avrebbe fatto….ma rimaneva il problema che metà del suo fisico la pensasse al contrario.

Con sforzo disumano, spinse la testa in avanti coprendo la parte superiore del viso coi le lunghe ciocche castane, finalmente libere dall’oppressione della parrucca bionda. A poco meno di un metro da lei scorse lo zaino dove vi erano riposti i suoi effetti personali ma tale era la spossatezza, che anche solo il sollevare il braccio buono si rivelò un dramma; rilasciò cadere l’arto a terra con il palmo rivolto all’insù, ansimando per quello sforzo apparentemente superfluo. Nemmeno riusciva a staccarsi dalla parete. Accaldata e spaesata, sembrava come sotto l’effetto di un droga tanto pesante da renderle lucidi gli occhi e la pelle umida per la pressione interna.

“Yucci-chan! Yucci-chan, dove ti sei cacciata?!”

La squillante voce di Rufy le rimbombò nelle orecchie insieme alla sua frettolosa corsa sempre più forte e vicina.

“Yucci-chan!” esclamò poi quello trovandola “Eccoti! Ma…ti senti bene?”

Seppur il fratellino di Ace non fosse un’aquila su molti argomenti, si accorgeva subito se un suo amico stava male e in quel momento, Yucci-chan - come la chiamava lui -, non pareva essere del tutto in forma. Le si accovacciò di fianco aspettando una sua risposta, ciondolando con la testa sia a destra che a sinistra.

“Yucci-chan, che cos’hai?” le domandò ancora cercando di scorgerle il viso.
“Oh, Rufy..sei tu” mormorò finalmente lei “Ti chiedo scusa, mi sono addormentata. Siamo..siamo pronti?”
“U-Uh! Ci stanno aspettando tutti all’entrata del livello 5.5. Iva-chan ha detto che dovremo puntare direttamente a tutte le uscite dei piani ma non dovremo avere problemi seri: grazie a te, quel tizio velenoso non ci starà più addosso!” esclamò contento.
“Non è….necessario che ti complimenti” continuò lei flebile abbozzando un sorriso “Sono riuscita a batterlo soltanto perché..perchè mi sono iniettata l’antidoto in corpo, per questo l’ho potuto toccare..senza essere contagiata” deglutì per poi finire “Però…non sono sicura che rimarrà p-privo di sensi per tutto il tempo che ci serve. Dovremo raggiungere l’entrata il..più velocemente possibile”

Cercava di calibrare il proprio respirare a seconda delle parole che doveva utilizzare ma l’azione le stava costando più energie di quanto pensasse e Rufy, benché la vedesse messa non tanto bene, sorrideva con tutta l’allegria che gli scorreva in corpo per il fatto che quell’omone vestito di nero aveva ricevuto una batosta coi fiocchi.

“Rimane il fatto che l’hai sistemato per bene e che adesso non ci darà più fastidio! Ma,tu......” e tornò a osservarla coi grandi e tondi occhi indagatori “Sei proprio sicura di stare bene?”

Anche un cieco sarebbe arrivato alla conclusione che la giovane pirata non poteva essere semplicemente stanca.

“Certamente” sorrise per poi miracolosamente sollevare il capo, azione che le costò molto “E’ solo un po’ di debolezza c….causata dallo scontro con il direttore, nulla di grave”
“Uhm…”

Rufy dava l’aria di non essere molto convinto.
La semplicità nascosta dietro la sua espressione ebete era molto più intensa di qualunque altro atto fondato sul ragionamento: sapeva vedere cosa gli stava davanti senza scendere nello specifico e molte volte quel suo cogliere con fare lampante quanto alcuni ignorava portava a conseguenze davvero bislacche, il più delle volte pericolose se visti con occhi meno improntati alla’avventura. Ma Cappello di Paglia adorava gettarsi nel pericolo, perché solo lì c’era il brivido dell’esplorazione; era in grado di capire le persone in un modo tutto suo e anche ora si stava accorgendo che la nuova amica pareva avere qualche problema. D’altro canto, quella comprensione era reciproca per la giovane, che cercava di non far trapelare nulla nel suo sguardo mentre manteneva il contatto con quello grande del fratellino di Ace. Rompere tale legame l’avrebbe penalizzata e ciò avrebbe significato ammettere quel che stava cercando di non dare a vedere ma non poteva rimanere lì ad agonizzare in eterno: dovevano andare e visto che lei non riusciva a raggiungere il suo zaino….

 “Rufy…mi servirebbe il tuo aiuto” disse con molta calma “Potresti gentilmente passarmi lo zaino…che sta vicino a te?”
“Uh? Questo qui?” domandò Cappello di Paglia prendendo il suddetto oggetto fra le  mani.
“Si” rispose mentre cercava di tirarsi su “Dentro c’è…un piccolo astuccino di pelle marrone” incespicò momentaneamente con la saliva prima di proseguire “Per favore…appoggiala a terra vicino alla mia mano”

Senza chiedere, il ragazzo di gomma fece quanto richiesto, per poi ritirare le braccia e poggiare i pugni stretti sulle gambe. Sedeva suoi talloni, col bel cappello di paglia sopra i corti e scompigliati capelli corvini.
Muovendo la mano sinistra, Sayuri tirò un po’ più a sé il regalo datole da Don e ne slacciò i legacci per poi srotolarlo completamente. Mosse le dita per afferrare la piccola siringa bianca e inserirvi nella parte superiore una delle due fialette rosse. Appena strinse il mezzo medico con abbastanza fermezza da azzerare il rischio che questo le scivolasse dalla mano, piegò il braccio e lo alzò in modo tale da portare il pugno d’esso alla base del collo.

Perdonami, Don, ma non posso fare altrimenti….

Il fratellino di Ace nel vederla conficcarsi la punta della siringa nella pelle senza alcuna esitazione non spiaccicò una sola: la vide stropicciare le palpebre e serrare la mascella per sopportare quei cinque secondi necessari alla sua ripresa. Irrigidita, aveva trattenuto anche il fiato ma come si sfilò l’oggetto cilindrico dal collo, poggiò la nuca contro la parete espirando velocemente.

“Yucci-chan?”

Il ragazzo di gomma non ricevette una risposta vocale. Non appena le dita di Sayuri sciolsero la presa sulla siringa, ella strabuzzò gli occhi per quella potentissima scarica di adrenalina che le stava rinvigorendo il corpo. I numerosi muscoli e vasi sanguigni che componevano la parte destra di lei, rimasta gelidamente paralizzata per l’uso accelerato della sua tecnica, ripresero vita non appena il ricostituente di Don si aggiunse con prepotenza nelle cellule che giravano libere nel suo corpo. Come caffè bollente, questo scivolò nei vasi sanguigni riscaldando il sangue e rendendolo nuovamente liquido e provò lo stesso effetto su tutto ciò che doveva essere rimesso in moto per riequilibrare la salute della ragazza. Non appena anche la trachea fu rigonfiata, la ragazza boccheggiò inarcando la schiena per quella bellissima sensazione. Il poter respirare senza tentennamenti le parve una vera e propria manna del cielo e si felicitò ancor di più quando mosse la mano destra per portarsela alla fronte.

Non c’è che dire, è un medico eccezionale.

Don se ne sarebbe anche vantato ma sicuramente per prima cosa le avrebbe rimproverato l’utilizzo di quei ricostituenti. D’accordo, lui stesso glieli aveva consegnati ma si era altamente premurato di elencarle le possibili conseguenze che le sue medicine potevano innescare. Non ne avrebbe mai fatto uso se non fosse stata costretta a velocizzare i tempi con Magellan: la sua vittoria contro quell’uomo era stata schiacciante ma il merito andava per la maggior parte all’antidoto che l’aveva immunizzata, tuttavia, non conoscendone la durata, aveva dovuto rimboccarsi le maniche per bene e sfoderare l’artiglieria pesante prima che il sesto piano ospitasse tutto il personale di Impel Down. Da quanto ricordava, il ricostituente agiva in base alle condizioni del paziente, quindi, visto che ora era perfino riuscita a mettersi in piedi senza alcun problema, era evidente che avesse già fatto effetto.
Compì anche un paio di piegamenti sulle ginocchia per accertarsene e si stupì una ulteriormente di come quel medicinale le avesse donato nuovo vigore in meno di cinque minuti. Non si era mai sentita così bene fisicamente e di questo ne sorrise con sempre più evidente sollievo, ma senza dimenticarsi che quello era un effetto temporaneo e che come esaurito, il suo corpo sarebbe tornato alle condizioni originali.

Don ha detto chiaramente che questo medicinale inibisce alcune terminazioni nervose, tra cui quella del dolore. In una situazione del genere, combattere sarebbe rischioso ma purtroppo non ho altra scelta. Dovrò stare attenta a come mi muovo.

Le ferite già presenti nel suo corpo le avevano provocato sino a quel momento dei fastidi trascurabili ma lo scontro con il direttore l’aveva vista portarsi una mano al torace per il bruciore provocato. Il calcio dell’ammiraglio Kizaru era stata un’esperienza che preferiva non ripetere e il trattenere una simile ferita, benché curata, le costava un impegno non poco trascurabile. Tra tutti era stata l’ultima ad agire ma ora sarebbe scesa in prima linea per portare Ace in salvo; contava sul fatto che il suo corpo non le avrebbe dato rilevanti problemi - almeno così sperava - e che tutte quelle alleanze più che benvenute riducessero i tempi. La sua unica preoccupazione stava nell’arrivo del padre: pregava che fosse arrivato o che fosse riuscito ad affondare la scorta venuta a prendere il moro prima che questa potesse chiedere aiuto. Il misterioso ritardo l’aveva attribuito subito lui, al padre, ai suoi compagni giunti da lontano per dare man forte.

“Sono pronta, Rufy” disse rivolgendosi al ragazzo, nel sistemarsi lo zainetto in spalla “Adesso possiamo anche andare”
“Bene!” squittì lui.

Si incamminarono con passo affrettato verso l’entrata del livello 5.5, attraversando la sala dello spettacolo e un altro paio di cunicoli più grandi di quello dentro cui Sayuri si era rintanata momentaneamente. Il vociare in lontananza dei prigionieri fece loro aumentare il passo fino a scorgerne le ombre colorate. Stavano aspettando soltanto loro due per dare inizio alla grande fuga ma nonostante la prospettiva di lasciare finalmente quel posto tanto terrificante, Bianco Giglio per qualche ragione, non si sentiva tranquilla. Una specie di scossa elettrica le aveva trapassato il sistema nervoso,come a volerla avvertire di qualcosa di imminente. L’imparare ad ascoltare l’inascoltabile e a percepire le piccolezze dell’ambiente circostante le tornava sempre utile quando voleva essere sicura di poter agire indisturbata; il segnale dapprima era un labile richiamo che diveniva più forte man mano che lei si avvicinava alla fonte. Una volta giunta nel luogo prestabilito, quello moriva e la lasciava sola ad affrontare qualcosa che lei ovviamente non conosceva. Le prove variavano ma tutte erano accomunate dal fatto di volerla spronare ad agire in maniera diversa da quella tradizionale. La chiamavano, le lasciavano pezzi incompleti e poi si ripresentavano all’ultimo per complimentarsi. Loriam era ancora un’esperienza palpabile ma il ricordo amaro di ciò che aveva scaturito sapeva fin troppo bene come farle piangere sangue e il fatto di star riprovando le uguali sensazioni di allora, le diede una seconda scossa così forte che interruppe la sua corsa.

Guardò in alto istintivamente scontrandosi con la parete scavata a mani nude. C’era qualcosa che non la convinceva, qualcosa che le stava scombussolando l’animo a sufficienza da farla rivangare indietro nel tempo. Corridoi legnosi subentrarono a quelli di pietra, portando con sé deboli lumini e scale scricchiolanti. Il profumo del sale marino coprì l’umidità e in men che non si dica, Bianco Giglio si ritrovò nei corridoi della grande Moby Dick, in piedi e con il frutto Dark Dark fra le mani, avvolto nel suo lenzuolo.
A dispetto dall’ultima volta, da quel candido telo si diramavano strane vampate di fumo nerissimo che ricadevano a terra come serpenti e strisciavano lungo il pavimento penetrando fra le fessure delle tavole e mangiando le pareti verticali.

No, non di nuovo….

Lasciò cadere a terra le carte e lo stesso frutto,ridotto a una poltiglia molliccia e disgustosa. Cercò di allontanarsi ma quei spessi lacci scuri le afferrarono le gambe, facendola cadere a terra. Subito questi le afferrarono le braccia, balzandole addosso affamante e annerendole la vista, ma come ella sbattè gli occhi, concentrandosi su dove realmente era, ritornò al corridoio del livello 5.5, con Rufy che le stava a dieci centimetri di distanza.

“Whaa! Rufy!” sobbalzò.
“Yucci-chan, perché ti sei fermata? Che succede?” domandò.
“Oh..nulla” rispose riprendendosi “Perdonami, mi sono distratta” aggiunse sorridendo “Non capiterà più”
“Ok, dai andiamo!!”

E ripresero a correre, senza conoscere di specifico che cosa stesse venendo incontro a tutti quanti loro….

E se….no. Non può trovarsi qui..mi sarò sbagliata.

Anche se si stava spremendo le meningi al fine di formulare tutta una serie di preghiere che cacciassero via ogni altro male, per un breve istante a Sayuri parve di sentire la voce di Satch in lontananza che le diceva di fare molta attenzione.




Mattina. Vento favorevole, corrente regolare e sole alto. Condizioni più che perfette per navigare ma forse non adatte per una battaglia.
Solitamente si immagina un cielo grigio, pieno di pioggia e tuoni pronti a scatenarsi non appena le forze schierate iniziano a guardarsi in quel silenzio antecedente al primo colpo di cannone. Al posto di una cristallina distesa d’acqua salata, c’è un vero e proprio scontrarsi di onde furibonde, calcate da un vento capriccioso che le alimenta tutte quante incuriosito dal vedere chi sarà l’ultima a rimanere in piedi. Da lì si sarebbe aggiunti gli spari, lo scintillio delle lami che si spingevano a vicenda e tutta una serie di fenomeni creati dai poteri del frutto del diavolo. I pezzi grossi della Marina ne erano dei possessori, i tre ammiragli da soli costituivano un muro invalicabile altamente mortale. Quello sarebbe stato un quadro perfetto per una guerra ma di aspettare che il tempo cambiasse per rendere magistrale la loro entrata in scena non se ne parlava. Tanto li avrebbe lasciato comunque a bocca aperta….

“Vista, che mi dici?”

Dal ponte principale, Marco teneva alzata la testa verso gli ultimi rami dell’albero maestro, dove il comandante della quinta flotta, col suo cannocchiale, stava dando un’occhiata all’orizzonte, dove finalmente si riusciva a scorgere qualcosa che non fosse solo un altro tratto di oceano.

“A ore dodici” disse a gran voce sempre tenendo alto il cannocchiale “E’ proprio davanti a noi e..un momento…” si bloccò per una frazione di secondo. Si strofinò col dorso della mano entrambi gli occhi, per poi poggiare quello destro nuovamente sul mezzo di visione.
“Che succede?” domandò Bonz.
“La porta della giustizia..” cercò di dire il quinto comandante “E’ aperta!”
“Sei sicuro?” gli chiese Jozu.
“Si. E’ talmente grande che fra po’ dovreste riuscire a vederla bene anche voi” fece di rimando lui.
“Sarà sicuramente per la scorta” affermò il medico-cecchino affiancando la fenice “Da Impel Down a Marineford ci sono tre ore di viaggio,quindi l’ora del prelevamento doveva essere stata fissata per le nove”

L’orario era lo stesso che Sayuri gli aveva detto insieme a tutte le altre informazioni al riguardo. Quanto riferito si stava rivelando corretto, ora bisognava solo passare all’azione, la parte che richiedeva più impegno e sudore.

“Dobbiamo approfittarne. Se li cogliamo di sorpresa avremo un vantaggio iniziale e considerato il nostro numero ristretto, penso proprio che lasciarselo scappare non sarebbe una buona idea” suppose Don.
“Cercheranno di bloccare l’accesso all’entrata convergendo sul punto di incrocio. Dovremo essere rapidi ad affondarle” aggiunse il comandante della terza flotta incrociando le braccia “Senza contare che dovremo anche concentrarci sul portone principale”
“Non credo sarà necessario"  Vista balzò giù dall’albero maestro per poi atterrare con eleganza vicino ai suoi compagni  “Sembra che all’entrata ci siano dei problemi”
“Di che genere?” indagò Bonz avvicinandosi.
“Non ne ho idea” rispose l’uomo dai folti e arricciati baffi “Ho usato le lenti speciali per l’ingrandimento ma sono riuscito a scorgere soltanto del disordine sul ponte e alcune macerie appartenenti al portone”
“E le navi della Marina?”
“Ferme sull’attenti. Se c’è veramente scompiglio dentro la prigione evidentemente il personale vorrà occuparsene senza l’interferenza dei soldati” ipotizzò il medico-cecchino.
“Ma se teniamo conto di quanto ci ha detto Vista, il problema non proviene dall’interno ma da l’esterno. Se fosse Sayuri anche i soldati si muoverebbero e invece….” continuò Marco.
“Sono ancora tutti in posizione” terminò Don.

L’occhiata complice che si scambiarono lasciò intendere fin troppo bene il seguito: qualunque cosa fosse arrivata a Impel Down, era tutto tranne la scorta venuta a prendere il loro compagno e a quanto pareva, si era inoltrata nella struttura. Si concessero qualche minuto di silenzio per pensare a un che di sensato ad attribuire a quanto avevano raccolto.
La Moby Dick viaggiava con regolarità e grazie all’ancora abbondante distanza che la separava dalla prigione, ora più simile a un puntino nero di media grandezza, era ancora fuori portata dalla visuale del nemico. Con tutti gli uomini riuniti sul ponte principale, Edward Newgate sedeva sulla poltrona con la schiena ritta e la fedele alabarda in mano: non vi erano flebo o macchinari che monitorassero la salute lì attorno. L’equipe infermieristico  si trovava sotto coperta ad esclusione di Maya e di un paio delle sue collaboratrici che lo stavano affiancando. Le vistose cicatrici, trofei ottenuti quasi mortalmente, spiccavano alla luce del sole come a volerlo sfidare. Non c’era un solo centimetro di quell’uomo imponente con la guardia bassa, perfino i bianchi baffi a mezzaluna erano perfettamente tirati all’insù.

Piegandosi leggermente in avanti si alzò dal suo soffice trono, facendosi largo fra i suoi figli, fino a dirigersi verso la polena. L’enorme cappotto bianco oscillava a destra e a sinistra mosso dal vento, che aiutava la nave dalla curiosa polena a forma di balena a muoversi con più velocità verso il luogo prestabilito per lo scontro. Non sarebbe stata una guerra mastodontica come si era prefissato, ne ci sarebbe stato quel furbastro di Sengoku a guidare la Marina ma c’era ugualmente un figlio da recuperare, anzi due, e anche se si fosse trattato di una scaramuccia di poco conto, si sarebbe ugualmente presentato. Un padre non abbandona mai i figli nel momento del bisogno e, nonostante non fosse il parente effettivo di tutti quei uomini che attendevano un suo ordine, lui si sentiva tale e quel sentimento gli era sufficiente per brandire la sua arma e farla roteare contro chi meritava la sentenza. Tutta quella situazione era nata per un orrido crimine che aveva portato conseguenze tanto gravi da spingere la figlia ad assumersi una responsabilità dettata da una promessa fatta alla vittima. Non aveva colpa e il ricordare le sue parole, lo stato in cui era quella notte, sapeva ancora incupirlo come se la morte stessa si dipingesse senza permesso sul suo volto. Il seguito era sfociato nella maniera peggiore possibile tanto che Ace per la rabbia aveva disintegrato un quarto della nave.
Assottigliare i piccoli occhi solcati da evidenti rughe, lo aiutò a focalizzare quella minuscola macchiolina nera che presto avrebbe assunto una forma più stabile, dei colori, e tutto ciò che poteva rendere vivo un luogo abitato. Quella notte era scivolata via dalle sue mani come acqua e per quanto avesse serrato le proprie dita al fine di trattenerla, questa era comunque riuscita ad averla vinta. Non c’era stato modo di fermare Ace dopo la partenza di Sayuri e benché avesse imparato a conoscerlo in quei pochi anni, era consapevole che la sua prima preoccupazione era trovare la ragazza e riportarla a casa. Non era così vecchio da non cogliere l’affetto che c’era fra di loro e il dispiacere di averli visti litigare superava di gran lunga molti colpi subiti nel largo di tutti quei anni passati in mare.

Ma ora era tempo che l’amaro sciolto in bocca sparisse definitivamente. Il devastare la più grande prigione mai esistita era un prezzo più che ragionevole se serviva a riunire tutta la sua famiglia: non c’era luogo, persona o mezzo che teneva se la posta in gioco era strettamente personale e, detto in tutta franchezza, Barbabianca non era certamente il tipo di persona che si preoccupava di salvaguardare gli edifici appartenenti alla Marina.
“Preparatevi a rivestire la Moby Dick figlioli, ci immergiamo!”
 



Livello quattro.
L’inferno ardente.

“Gomu Gomu no….!!”
“Karate dei uomini pesce….!!”
“Sables..!!”
“Death….!!”

Il compatto gruppo di guardie pronti a contrastarli con fucili lancia rete venne letteralmente sollevato e scaraventato in parti differenti dello spesso ponte sopra cui si erano riuniti. Le fiamme e il fumo venivano sfidati e sconfitti senza che essi opponessero resistenza. Il nemico cadeva come carta stracciata e le lumacamere, allibite, registravano quel caos e lo trasmettevano ai pannelli che altrettanta gente stava osservando con uguale sconcerto.

L’inferno ardente tremava come non mai e presto lo sarebbero stati anche i restanti: i prigionieri, capeggiati da pochi elementi di spicco, brulicavano veloci e chiassosi in cerca della porta che li avrebbe condotti più in alto.

“Via, toglietevi!!”

Rufy era in testa, affiancato da Jimbe e Crocodile. La combinazione dei loro attacchi era implacabile quanto quella di Ivankov, che coi suoi Death Wink si stava assicurando che i sopravissuti non tentassero nuovamente di mettere loro i bastoni fra le ruote. Bon Clay, pienamente ripresosi, colpiva come un trottola vagante chi gli capitava attorno e Inazuma stava dando spettacolo delle sue abilità di uomo-forbice. I pasticcini della New Gay Land erano divisi in diversi gruppi con il centrale, ben più compatto dei altri, nel mezzo del loro raggio; al suo interno vi era Ace, trasportato in barella e con Sayuri che si assicurava che nessuno lo prendesse di mira. Correvano come dei forsennati, brandendo armi e colpendo gli inquisitori di Impel Down senza mai indietreggiare nonostante il loro numero fosse molto considerevole.

“Recall of Ambition: Lightning Lunge! (richiamo dell’ambizione:affondo fulmineo)”

Sparendo dalla vista dei pochi oppositori rimasti, Sayuri avanzò rapidamente verso di loro come fosse un’ombra dalla forma astratta, fino a colpirli tutti quanti con una lama diretta e tanto veloce da sembrare un fascio dalle sfumature azzurrognole. Ritirò velocemente il braccio e tornò nelle vicinanze del gruppo dove vi era anche Rufy, corso per verificare se tutto andasse bene; stava facendo avanti indietro per evitare che la coda del gruppo non fosse troppo scoperta.

“Tutto bene, Yucci-chan?” domando senza alcun segno di affanno.
“Si. Dovremmo essere vicini alle scale per il terzo livello..”
“Ecco, ci siamo!”

Fra l’esultanza di alcuni fuggitivi, a diversi metri di distanza comparve la sagoma dell’enorme portone tanto cercato. Lasciandosi indietro uomini agonizzanti, si lanciarono verso la prima uscita con ancor più impeto ma prima ancora di poter varcare quella soglia, dovettero fermarsi. Il portone era spalancato ma le scale non si vedevano: erano come occultate da qualcosa di ancora più scuro della penombra del posto, qualcosa che possedeva voci umane, urla più che altro.

“Che sta succedendo?” domandò Jimbe insospettito.
“E lo chiedi a me?” borbottò Crocodile dall’alto di una sporgenza creata dai detriti del ponte.
“Mi sa che non siamo soli..” disse Ivankov preparandosi a sfoderare il suo micidiale occhiolino.
“Ehi, perché ci siamo fermati?!” protestò Cappello di Paglia raggiungendo le fila davanti.

Quasi a volergli rispondere, il fumo denso quanto quello di una ciminiera sputò fuori il vice direttore Hannyabal, sanguinante e con l’elegante abito ormai da buttare. Le alucce nere erano malconce e strappate, il sontuoso copricapo rovinato in più parti…in sostanza, non era rimasto molto di integro a parte il suo spirito combattivo.

“Ma…Ma quello è il vice direttore!” esclamarono alcuni.

Senza neppure notare l’ingente presenza di tutti quei detenuti, Hannyabal si aggrappò alla sua arma piantata al terreno e, a stento, si rimise in piedi.

“Questa…… è la possente fortezza dell’inferno“ rantolò puntando gli occhietti rossi contro quel muro ondeggiante che aveva inghiottito le scale “Se anche solo un suo mattone dovesse venire smosso, il terrore si propagherebbe per il mondo e la vita di milioni di innocenti verrebbe messa in pericolo. Per questo motivo..!!” allargò braccia e gambe, ponendosi davanti all’entrata quasi volesse apparire insormontabile “Io non….!!”
“Vedi darci un taglio!”

L’insistenza di Hannyabal venne messa a tacere non appena un enorme piede emerso da quel fumo nero, gli si impiantò sulla faccia, sbattendolo poi a terra con tutto il peso restante di un fisico dalle dimensioni ancora ignote.

“Le tue inutili ciance su questo posto non interessano a nessuno, men che meno a me, zehahahahaha!!”

Un bocca larga e sdentata fece capolino fra le spire color pece e nel protrarsi avanti per schiacciare ancor di più il vice direttore, lasciò che l’intero corpo venisse mostrato alla luce rossa del quarto livello. Fedele come un animale addestrato, l’oscurità che lo avvolgeva - perché era oscurità - si rintanò alle sue spalle, sgonfiandosi da tutte quelle guardie indigeste che aveva schiacciato e sbatacchiato senza alcun ritegno, ma rimanendo sempre in compagnia di quella risata insolita e sgradevole alle orecchie di qualche presente. Solo quelle quattro figure tutte differenti fra loro, a partire da quel tipo smilzo e bianco quanto il gesso, sembravano trovarsi perfettamente a loro agio con lui ma ciò era giustificato dal fatto che essi componevano la sua ciurma. Al contrario, tra i fuggitivi sbigottiti, c’era chi quel volto lo conosceva a tal punto da provare un forte disgusto a livello della pancia.

“Ma guarda un po’, sembra che abbia interrotto qualcosa, zehahahaha!!” esclamò sorpreso di vedere tutta quella cricca ben assortita.

Non era cambiato, non c’era nulla di nuovo in lui, a parte il lungo cappotto nero slacciato, gli anelli alle dita, diverse collane al collo e una bottiglia infilata nella fascia color ocra. Marshall D.Teach era identico a quando stava sulla Moby Dick ma l’opinione su di lui era mutata come un cielo prima della tempesta e la sua venuta lì considerata imprevedibile quanto malvoluta.

“Teach, che diavolo sei venuto a fare qui?!” ruggì il Cavaliere del Mare serrando le mani palmate “No..forse dovrei Barbanera. E’ così che adesso ti fai chiamare così, no?”
Barbanera?!

Qualcosa in Rufy si smosse bruscamente. I ricordi di quando aveva incontrato Ace ad Alabasta avamparono esattamente come le fiamme del fratello: gli aveva raccontato di star cercando un traditore e se solo avesse saputo che quel tizio era lo stesso che con tanta convinzione aveva affermato che l’era dei sogni non era finita come molti affermavano, e che Skypea esisteva, quel giorno forse non sarebbe partito subito per visitare il cielo di persona. Rammentava quelle parole perché esprimevano il suo stesso credo, la stessa passione che si imprimeva in tutto quello che si voleva realizzare, possibile o impossibile che fosse. Ma lui era l’uomo a cui Ace dava la caccia, lo stesso che lo aveva spedito a Impel Down per agevolare la sua entrata nella flotta dei sette, lo stesso che aveva ucciso un compagno per proseguire su quel cammino che troppo a lungo aveva aspettato di percorrere. Lo stesso che ora stava guardando con odio ribollente e nervi traboccanti dalle sue magre braccia.
Era venuto a conoscenza dei fatti ad Amazon Lily e il sentire nuovamente quel nome l’aveva spiazzato. Ace non poteva essere stato sconfitto ma quel giornale aveva dato prova del contrario e anche se il riunire la sua ciurma fino a quel momento era stato il suo obbiettivo primario, aveva deciso seduta stante di agire per salvare il fratello, pur sapendo che questo non glielo avrebbe perdonato. Se c’era una cosa che Ace detestava era il venire aiutato o ancor peggio salvato ma a Rufy francamente non interessava null’altro che fosse la sua vita e avrebbe dato la sua pur di riavere indietro il suo fratellone. Anche vedersela in prima persona contro il farabutto che lo aveva conciato in quella maniera.

“Barbanera….” sibilò avvicinandosi.
“Eh?” sentitosi chiamare, l’uomo abbassò il faccione scuro e barbuto.
“Tu sei Barbanera?!” domandò infine guardandolo dritto nei occhi.

Squadrando quel ragazzino, Teach slargò la bocca bruna, riconoscendo in lui l’obbiettivo scelto e mancato per la sua scalata programmata.

“Questa poi..non mi sarei mai aspettato di rincontrarti qui, Cappello di Paglia” disse incrociando le braccia “Dimmi, l’hai poi trovata l’isola nel cielo?!”

Nonostante ne avesse sentito parlare, non aveva mai visto il reale volto del fratellino del suo ex comandante e ovviamente, non avrebbe mai pensato che fosse lo stesso ragazzo incontrato su quell’isoletta piena di stupidi pirati materialisti. La curiosità con cui era tinta quella domanda era sincera, ma al ragazzo di gomma non importò rispondere visto che al momento le sue intenzioni erano ben diverse dal mettersi seduto e iniziare a raccontare l’avventura vissuta a Skypea.

“Zehahaha! Sai, Cappello di Paglia, le tue ultime imprese hanno scosso parecchio il Governo Mondiale e quelli per ricompensarti ti hanno appioppato una gran bella taglia” continuò lui guardandolo dall’alto al basso “Taglia che avrei incassato con piacere se a venirti a difendere non fosse stato tuo fratello.”
“Gh…!” i lineamenti facciali di Rufy divennero così sottili da cancellare ogni trancia di bontà dal suo viso.
“Per il suo gesto eroico avresti dovuto onorare la sua tomba in eterno ma vedo che hai fatto di meglio!” esclamò per poi portare l’occhio sulla barella occupata dal suo ex comandante, coperto dai pasticcini “Ti sei introdotto qui dentro, lo hai tolto dalla sua cella e ora ti stai accingendo a portarlo fuori. Notevole per un microbo, zehahahaha!!!” si complimentò.

Finito di abbandonarsi alle risate, lasciò che i suoi piccoli occhietti neri vagassero su quel gruppo bizzarro, tra cui spiccava perfino l’ex membro della flotta dei sette di cui aveva preso il posto. Li squadrò uno a uno, immaginando senza troppa fatica di che cosa potessero essere capaci ma la sua attenzione era tutta focalizzata su Monkey D.Rufy, giovane leva con una taglia tanto abbondante da fargli guadagnare ancor più credito. Venendo lì non si era certo sognato di trovare un folto gruppetto nel pieno di un azione fuggitiva ma a detta sua, la fortuna lo aveva baciato ancor una volta. Pugno di Fuoco giaceva in uno stato di incoscienza profondo e i restanti erano solo dei poveracci inutili in confronto a lui; si, l’eccitazione stava istigando le sue mani ad afferrare quella ghiotta opportunità che sicuramente lo avrebbe giovato a tempo debito. Lo sprecare non era sua abitudine, il tempo di attesa era stato così lungo che la sua brama di potere gli avrebbe fatto raccogliere anche la più piccola briciola di pane.

“Ti è andata bene, Cappello di Paglia” riprese “Ace a quanto pare mi stava cercando da tempo e se non fosse stato per lui, molto probabilmente quello condannato a morte saresti stato tu, zehahahaha!!”

A quel punto la sopportazione si ruppe definitivamente. La già sottile pazienza di Rufy si disperse con la stessa velocità di un battito di farfalla e nell’istante in cui picchiò a terra il pugno destro, tutta la sua pelle divenne lucida e rossastra, producendo un calore tale da essere vero e proprio vapore.

“E allora perché…” ringhiò accumulando più sangue nelle gambe e pompandolo nel corpo “NON PROVI ADESSO AD UCCIDERMI??”

Senza esitazione, puntò il palmo sinistro in avanti per prendere la mira, caricando il destro al fianco, col solo desiderio di arrecare lo stesso dolore che quel maledetto aveva inferto ad Ace.

“Gomu Gomu no…!”
“Fermati, Rufy!”

Sparito per pochi secondi, il Jet Pistol di Cappello di Paglia fu stroncato dalla presa di Jimbe, che velocemente aveva afferrato le braccia del ragazzo interrompendo così il suo attacco.

“Lasciami andare, Jimbe, lasciami!!” urlò dimenandosi come un forsennato.
“Non posso e lo sai. Non è per questo che se qui!” esclamò “Sei venuto per salvare Ace e siamo a metà dell’opera, quindi calmati” gli chiese “Comprendo i tuoi sentimenti ma se adesso cercassi di batterti con lui perderemmo tempo e di quello purtroppo non ne abbiamo a sufficienza”
“Ma..”

L’improvviso moto di rabbia  stava ancora annebbiando la mente del pirata da trecento milioni di berry.
Era furente, una reazione ben più che comprensiva da parte sua ma come il Cavaliere del Mare aveva detto, bisognava rispettare le priorità ed Ace non poteva in alcun modo aspettare, non con tutta la fatica che lui aveva fatto per arrivare sino a lì, non con tutta la fatica spesa per guarire a tempo di record ma sebbene Rufy fosse cosciente di tutto questo, avesse a cuore la salute del suo fratellone più della sua, non poteva in alcun modo accantonare quanto adesso stava provando per quel bastardo. Percepiva tutto sé stesso bruciare per la rabbia, insisteva per imporsi su quell’uomo che ora guardava tutti quanti loro con intenzioni poco rassicuranti, ma
Jimbe lo tratteneva fin troppo fermamente e anche se traboccanti e come vasi d’acqua, i suoi occhi necessitavano di un appoggio fisico pari a quello di un pugno scatenato dal Gear Second che ancora teneva attivo.

“Cerca di controllarti, così fai solo il suo gioco” insistette il flottaro.
“Non mi importa, ha fatto male ad Ace, NON LO PERDONO!!!” ruggì.
“Nessuno ti chiede di farlo, Rufy” disse una voce ponderata e perfettamente controllata.

Piccoli e regolari passi ruppero la tensione creatasi, facendosi largo fra la gente chiusa a mò di guscio per l’intoppo. Come un fiore al contatto del sole, i pasticcini di Ivankov si aprirono a sufficienza da far passare la più shoccata dei presenti; Sayuri avanzò con calma quasi innaturale sino a Jimbe, affiancandolo per qualche istante prima di porsi davanti a lui e mostrarsi a quell’uomo che aveva cercato di fermare invano. Quel breve istante di pietrificazione dovuto alla comparsa di quella risata unica e facilmente riconoscibile si era esaurito come un fuoco d’artificio scagliato in cielo, lasciando che il silenzio colorasse la tela lievemente rosata - che poi era il viso - di Bianco Giglio.
Colto da un nuovo attacco di sorpresa, Barbanera allargò ancor di più il suo faccione, spalancando gli occhi come per cercare di verificare se questi gli stessero mostrando il vero o meno. Strabuzzarli come fossero stracci servì  a fargli vedere tanti puntini colorati ma non a cancellare la figura femminile che stava immobile davanti a lui senza fissare un punto preciso.

“Ma bene..” sogghignò Teach “Ci sei anche tu, Yu-chan”

Non stette a esternare pensieri al riguardo, troppi pretendevano di essere chiariti e francamente non era certo che la sua vecchia compagna avesse risposto a tutte quante.

“Rufy, Jimbe” li chiamò da davanti lei “Proseguite. A lui ci penso io”
“Che?? Non scherzare, Yucci-chan, devi venire con noi!!” ribattè Cappello di Paglia ancora tenuto fermo da Jimbe.
“Sayuri, non è il momento per i colpi di testa. Quest’individuo è molto pericoloso!” la rimproverò il flottaro.
“Lo so bene. Il mio non è un colpo di testa ma un’opportunità per permettervi di fuggire, sommo Jimbe” replicò senza alcuna forma di scomponimento “Escluso lei, Rufy, il signor Ivankov e Crocodile possiedono abilità derivanti dai frutti del diavolo e questo li squalifica già in partenza”
“Che intendi dire?” domandò l’uomo dall’uncino, serrando fra i denti il suo sigaro.
“Intendo dire, che lui ha il potere rendervi dei comuni uomini e di colpirvi liberamente. E’ così che è riuscito a sconfiggere Ace, privandolo del fuoco” spiegò senza smettere di guardare davanti a sé.

La sua spiegazione non faceva una grinza. Il comandante della seconda flotta di Barbabianca possedeva un Rogia e i Rogia offrivano l’intangibilità ai loro possessori, vantaggio assai utile in battaglia. Era impensabile che un pirata del calibro di Ace fosse stato messo al tappeto da un novellino ma il punto era che Barbanera era tutto tranne che un novellino: la sua forza risiedeva nel corpo, terrificante quanto il Dark Dark a lungo sognato.

“Lui ci vuole uccidere e lo farà a meno che non trovi qualcosa di più interessante e non possiamo di certo fermarci tutti qua ad affrontarlo, quindi, la soluzione migliore è che me la veda io con lui” concluse solenne lei.

Non c’era un’altra scelta. Lei, come il Cavaliere del Mare, non possedeva delle abilità risalenti ad un frutto del diavolo e quindi non incombeva nel rischio di essere risucchiata dal vortice oscuro di Teach, tuttavia il pericolo rimaneva comunque gigantesco e non poteva permettere in alcun modo che  qualcun altro rimanesse lì.
Da parte sua, Rufy avrebbe voluto insistere fino a quando la sua crapa non l’avesse spuntata ma il vedere come i pugni serrati di Yucci-chan stavano tremando, bastò perché comprendesse che quella battaglia non era sua, seppur anch’egli rientrasse nella cerchia di coloro che avevano più che una ragione valida per sistemare a dovere quell’essere tanto disgustoso. Attenuata la rabbia, disattivò il Gear Second, rilassando braccia e gambe abbastanza perché convincessero Jimbe a lasciarlo andare.

“Rufy, che cosa..?” tentò di chiedere il Cavaliere del Mare.
“Va bene così. Proseguiamo”
“Eh?! Ma sei sicuro, Mugi-chan?” gli domandò Mr2 affiancandosi a lui.

Perfino Ivankov, Inazuma e lo stesso Jimbe, per non parlare poi dei pasticcini della New Gay Land, rimasero esterrefatti.

“Si” rispose sistemandosi sulla testa il prezioso cappello di paglia “Andiamo avanti”

Nessuno osò domandarglielo un’altra volta perché Cappello di Paglia si era già incamminato verso la porta, senza correre o senza degnare di uno solo sguardo chi gli stava davanti. Uno a uno, i componenti di quella scorta improvvisata lo seguirono, sotto gli occhi di Barbanera e della sua ciurma, che con grande sorpresa si avviò nei meandri del quarti livello dopo che il capitano ebbe deciso di rimanere lì a giocare un pochino con la sua vecchia amica.

“Andate pure avanti, vi raggiungo più tardi. Io e Yu-chan abbiamo tante cose di cui parlare” aveva detto sogghignando.

Nel mentre tutti passavano, Cappello di Paglia si fermò per guardare dritto nei occhi Barbanera, come a volergli far male soltanto con la forza dell’odio. Se non fosse stato per il Cavaliere del Mare, che richiamò la sua attenzione sul ciglio della porta, sarebbe rimasto a fissarlo per chissà quanto altro tempo.

“Rufy, prendi questo”

Il ragazzo di gomma era in procinto di andarsene quando, nel sentirsi chiamare, si girò giusto in tempo per prendere al volo uno zaino che Sayuri gli aveva lanciato. Incrociò lo sguardo di Yucci-chan senza che ci fosse il bisogno di cercare chi glielo avesse lanciato, poiché lei era la sola rimasta, escluso il nemico.

“Contiene una cosa che sono sicura ad Ace farà piacere riavere” disse, per poi aggiungere “Per favore, prenditene cura”

Ricordandosi bene il contenuto dello zaino, Rufy annui col capo e sistematosi in spalla il piccolo bagaglio appena ricevuto, roteò su sé stesso pronto a percorrere la lunga scalinata che l’avrebbe portato al livello tre. Non riuscì neppure ad avviarsi a queste, che subito un’enorme ombra a forma di pugno gravò su di lui: Teach aveva alzato il braccio, pronto a colpirlo approfittando dell’apice della sua sciocca distrazione ma, prima che potesse arrivare anche soltanto a sfiorare i capelli del ragazzo, Sayuri scattò in avanti e con un balzò si fiondò su Barbanera, atterrandolo e puntandogli la lama di uno dei suoi sai alla gola.

“Rufy, vai!” lo incitò nel vederlo ancora lì fermo.
“D’accordo, grazie!”

Cappello di Paglia corse via portandosi a presso lo zaino, finendo per sparire completamente nella spirale di scalini da cui si udivano i passi frettolosi dei fuggitivi. Picchiettarono a lungo ma poi, quando anch’essi smisero di riecheggiare fra le pareti, tutto tacque. Ogni cosa tornò alla normalità: il rumore creato, il caos e lo scompiglio sollevatosi si spostarono più in alto, lasciando sola e isolata la principessa dei gigli. Sola con il mostro.

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Capitolo 65
*** Faccia a faccia / Divine Recall. ***


Buonasera, eccomi qua con il nuovo capitolo. Siamo entrati in una parte saliente che forse alcuni non si aspettavano. Da qui in poi ci saranno vari combattimenti, quindi mi auguro di averli resi abbastanza bene e di aver tralasciato stupidi errori. In questo caos mi scuso ma tornando a casa alla sera quasi tutti i giorni, mi sto impegnando un po’ qua e là e quando trovo dei buchetti liberi ne approfitto. Se non capite qualcosa delle descrizioni, chiedete pure, sarò felice di chiarire. Scusate se non ho messo perferiti e vari ma proprio quelli stavolta non sono riusciti a metterli. Ringrazio comunque tutti quanti per seguire la mia storia!
 
 



Livello due.
L’inferno delle bestie.

Le grosse Manticore dalle facce ebeti vagavano a gruppi annusando l’aria e il pavimento in cerca di quel leggerissimo odore che loro avevano subito ricollegato ad un possibile pranzetto. Era sottile quanto lo spago, ma comunque percepibile in zona, quindi bastava semplicemente continuare a cercare fino a quando la fonte non sarebbe saltata fuori, ma nonostante l’olfatto ultra sviluppato, quelle Manticore un po’ stupidotte nemmeno si erano accorte che una parte del pavimento, di un inconsueto biancastro, ben differente dal blu scuro ordinario, era lievemente rigonfia. Benchè non sospettassero che sotto quella minuscola cupola di cera ci fossero Buggy il Clown e Mr 3, quelle bestie simili a leoni ci giravano continuamente intorno, fiutando quella minuscola scia che girava lì in tondo prendendole volutamente in giro.

“Buggy, che facciamo? Qui sotto si inizia a morire di caldo” bisbigliò l’uomo di cera.
“Lo so, ma fino a quando quelle bestiacce non avranno sloggiato, le scale del primo livello possiamo anche scordarcele”

Si trovavano a poco di più dieci metri dalla rampa con sopra la targa in pietra su cui era scritto “Per l’inferno scarlatto”, ma, eventi di forza maggiore avevano imposto ad entrambi di interrompere la loro corsa sfrenata e improvvisare un nascondiglio di emergenza prima di diventare dei possibili spezzatini.

“Maledizione!” sbottò il Clown sbirciando da sotto la piccolissima apertura che permetteva il passaggio dell’ossigeno “Con tutta la fatica che abbiamo fatto per tornare qua…..”

Dire che era stato un puro miracolo l’essere scampati dai affamatissimi lupi dell’inferno di ghiaccio non era che un efufemismo. A forza di correre e nascondersi da ogni pericolo che poteva arrecarono loro danno, Buggy e Galdino erano arrivati allo stremo delle forze, con tanto di piante dei piedi gonfie. La parte più difficile era stata attraversare il terzo piano, stipato di Blugori e bestie demoniache cappeggiate dall’inflessibile e alquanto provocante Sady-chan. In tutta onestà, ancora non avevano elaborato un piano decente per riuscire ad andarsene definitivamente, per il momento era sufficiente fare un passettino alla volta perché in un posto come quello, pretendere troppo era fin decisamente fuori discussione. Però, se fossero riusciti quanto meno a raggiungere quelle tanto agognate scale, sarebbe già stato un altro salto di qualità da aggiungere a tutti quelli compiuti sino adesso….

“E andiamo…andate via, sloggiate, evaporate!!” strillò col povero Mr 3 che non ce la faceva più a rimanere con la pancia stesa sul pavimento duro e scomodo.
 



Livello quattro.
L’inferno ardente.

Il bollire e il crepitare della fornace posta alla base del piano era ovattato benché la calura, i fumi e i vapori che emetteva fossero così intensi da far ammuffire i bronchi. Urlavano impazzite, danzavano irrequiete, contorcendosi con una rabbia ben più grande di quella per l’essere state relegate esattamente come i detenuti, ora liberi di andarsene al contrario di loro.
Le minuscole scintille arancioni si confondevano nelle vampate di fumo grigio, che ogni tanto venivano eruttate e l’eco delle scale, lontane dall’essere percorse da passi frenetici e veloci, si era esaurito non appena anche l’ultima voce umana fu scomparsa.
Era vuoto ora, l’inferno ardente, come mai lo era stato. Gabbie aperte, guardie incapaci recuperare i sensi…..la cittadella di pietra e ferro, che si diramava in ponti e piani come fosse una piramide dalla punta quadrata, aveva perso la propria voce nell’istante in cui i prigionieri erano riusciti a imporre la loro supremazia. Solo due persone si opponevano al suo silenzio tombale contornato da rombi, un numero veramente inconsistente per un piano così ampio, ma più che sufficiente per far desiderare a qualunque e ipotizzabile estraneo di essere in un altro posto, anche più in basso. Palpare l’aria era impossibile, ma captarne la tensione era facile visto che si inoltrava come un virus orale e scendeva fino ad appesantire il muscolo cardiaco e a farlo battere con più insistenza.

Teach era a terra, a pochi metri dal portone spalancato e con Sayuri sopra che lo teneva sotto tiro con uno dei suoi sai puntati alla gola. Era stata veramente rapida, praticamente aveva percepito le sue intenzioni dal solo movimento del braccio e lui, considerata la sua costituzione smisuratamente corpulenta, non era stato in grado di scansarsi. Benchè gli arti superiori fossero liberi come le gambe, non era tanto avventato da scagliarsi contro la ragazza, non ancora almeno. Al momento, era lei ad avere il pugnale dalla parte del manico e non avrebbe scommesso un solo berry sul suo fallimento nello squarciargli la carne. A giudicare da come si era fiondata su di lui, le possibilità che gli tagliasse la testa superavano i cento senza troppi problemi, ma lui non se ne stava preoccupando, anzi: quei suoi piccoli occhi tondi stavano scoprendo da tutti i teli dorati la sfrenata sorpresa che in qualunque altro vigliacco si sarebbe tradotta in paura. Ovviamente, lui non era uno qualunque.

“Zeh, te lo devo dire, Yu-chan, non pens..uh!”

Stoppato bruscamente, percepì una violenta paralisi alla gola, in aggiunta a un formicolio piuttosto difficile da trascurare.

“Taci” disse nel far aderire la punta del suo pugnale contro la pelle scura di lui “Non hai alcun diritto di parlare”

Gli era balzato addosso come un felino al culmine della sua caccia. Per qualche istante, la sua figura era svanita dalla visuale del nuovo membro della flotta dei sette e il ritrovarsela così vicina non gli aveva permesso di difendersi o di respingere il suo assalto. L’impatto era stato tale da farlo cadere all’indietro, senza neppure concedergli il tempo di poggiare la mano per sostenersi ed ora era lì, a terra, con la schiena schiacciata contro il pavimento rovente del livello ardente e il collo tenuto in ostaggio dalla lama ricolma d’haki della castana.

“Non è questo il modo di salutare un vecchio amico, Yu-chan” la rimproverò ridacchiando con lo sguardo “Non è da te essere maled…”

Un tintinnio altamente pericoloso lo interruppe nuovamente, senza alcuna delicatezza o avviso, lasciando che percepisse di sua iniziativa la ancor più vicina la lama del sai, intento a punzecchiargli il collo appena sotto la giugulare.

“Ti ho detto di tacere” ripetè lei “Il suono della tua voce mi da fastidio”

La vena che il suo tono aveva assunto era ansimante, come se stesse cercando di trattenersi, ma senza comunque nasconderne grandemente la novità. Con le minuscole iridi oscure, Barbanera guardò come quei dolci e sottili lineamenti si fossero tanto induriti da sfigurarsi per lui.

Lui, la causa primaria, colui che aveva innescato quel macchinario dal meccanismo complesso e dal prodotto semplice, era testimone di qualcosa di veramente raro, unico se si poteva definire. Vedere una persona arrabbiata non era nulla di eclatante o stupefacente, ma tutto cambiava se ad essere animata da tale ferocia era una persona insospettabile, a cui quel sentimento non poteva venire imposto forzatamente: per la prima volta, gli occhi color cioccolato di Bianco Giglio, illuminati da sfumature candide e pacifiche come il suo animo, scintillavano in preda ad una fiamma così grande e imperiosa da poter essere vista anche da lontano. Sayuri era arrabbiata, lo era per davvero, tanto che la furia, oltre che uscire dal suo stesso corpo, le aveva reso la mano impugnante il sai rossa come il sangue.
Vi era un tornado in lei che aveva spazzato via come una tempesta di sabbia la sua ponderatezza, la sua tranquillità e l’innata dolcezza, sotterrandoli, lasciando emergere quella personalità mai esistita nel suo animo innocente, ma che tanti avevano creduto di vedere per via della sua indesiderata natura. Avvertiva tutta sé stessa come un continuo gonfiarsi e la crescente calura che l’accompagnava la stava scombussolando come fosse ubriaca fradicia, con la sola differenza di essere perfettamente lucida, tanto da avere una visione doppiamente chiara di quello le stava attorno.

“Tu non hai idea di come io mi senta in questo momento” sibilò con voce rantolante e profonda “Non ne hai idea, ma saprai sicuramente perché mi senta così…”

Tutta una serie di ricordi stavano sfilando nella sua mente con una carica tale da rendere il suo tono ancor più basso, ma prossimo alla rottura per quel sentimento secondario che stava accompagnando il disgusto di aver incrociato così bruscamente quel volto, arrivando a cancellare il piccolo particolare che tutti gli arti di lui – testa esclusa - fossero liberi. Ma quello non si muoveva e non perché provasse paura o fosse rimasto sbigottito dalla reazione della più giovane, al contrario: in una qualche maniera, si sentiva soddisfatto di essere riuscito in una tale impresa. Ogni uomo aveva il suo diavolo, ma quello della piccola Yu-chan non l’aveva mai visto nessuno, ne tantomeno, se ne erano scorte le ali. Barbanera aveva sempre impiegato il tempo a nutrire in silenzio il suo, per tal motivo non se ne era mai interessato…fino a quel momento.
Nel suo piccolo, aveva compreso di essere il primo a vedere quel nuovo lato della ragazza, quei occhi così splendidamente ricolmi di pura avversione e voleva vedere fin dove esso si fosse espanso e se l’avesse mutata a tal punto da far sparire ogni traccia di quel sorriso generoso che aveva sempre rivolto cordialmente a tutti, perfino a lui.

“Zeh, non lo fatico affatto”

Quella sua risposta indesiderata gli costò un gemito di dolore per via dell’ulteriore pressione che la nuova ondata di haki gli diede con la leggerezza di un pesante martello. Il contatto diretto con l’ambizione lo stordì per pochissimi secondi, cosicchè gli occhi gli si appannassero sull’espressione ancor più irritata della ragazza, contornata da iridi schiarite, pupille ridotte a fessure e ombre nere che le oscuravano i tratti facciali, rendendola una persona ancor più diversa dalla Sayuri originale.

“Immagino che le mie vedute sul mondo non siano grandi come le tue” riprese lei, scandendo le parole una per una “E immagino anche, che le mie parole ti faranno ridere, ma voglio che tu mi ascolti molto attentamente, perché non concederò ripetizioni”

Non era mai stata una persona pretenziosa e quel poco che aveva era andato a costruire il suo piccolo e lucente mondo dentro cui viveva e si sentiva felice.

“Ti credevo un brav’uomo, un amico, parte della famiglia. Stavi sulla nave di nostro padre da molto più tempo di me e nel conoscerti, ho pensato che non avendo tu particolari ambizioni, ti piacesse stare dov’eri, perché ti trovavi bene lì, con tutti noi. Ma non era così” mormorò alzando di poco il capo “Tu eri alla ricerca di un particolare tesoro e sei salito sulla Moby Dick unicamente per avere più possibilità di trovarlo, non ho forse ragione?”

Essendo una domanda retorica non necessitava di una risposta dall’uomo e anche se quest’ultimo gliel’avesse voluta dare, un’altra sferzata d’haki avrebbe preso di mira la sua testa come fosse un punching ball.

“La tua è stata un’azione ben calcolata, non un gesto d’invidia o un insulso capriccio sfociato per incontrollabile istinto” affermò duramente e col tono che oscillava fra il ringhiare e la rottura emotiva “Tu sapevi cosa volevi, perché lo stavi cercando ancor prima di unirti alla ciurma di Barbabianca, ma, da bravo calcolatore quale tu sei, hai pensato che, stando in mare avresti aumentato le tue possibilità, che su una nave potente e con un ampio raggio d’azione, la tua ricerca sarebbe stata più facile” continuò con un crescendo tonale “Hai lasciato che gli eventi girassero a tuo favore e alla fine…” e affievolì la voce arrivando a quella parte “Sei riuscito a ottenere quel che più desideravi e proprio perché l’avevi ottenuto, non sentivi più il bisogno di restare, non dopo la maniera con cui ti sei procurato quanto ti occorreva”

Il piccolo mondo di Sayuri era più importante del mondo stesso che l’aveva vista nascere.
Quel minuscolo concentrato di vita era racchiuso nella Moby Dick, con tutte le persone che lei amava dal più profondo del suo cuore e a cui si sentiva legata a tal punto da essere  una famiglia in tutto e per tutto. Non c’era più la stanzetta spoglia, il pozzo pieno di ragni o i bambini che si divertivano a lanciarle i sassi ma amici, tanti amici, tanti fratelli, così tanti da farla piangere per la felicità. Un simile tesoro valeva più di qualunque altro forziere pieno di gioielli e i ricordi, che cadevano come una scintillante cascata di lapislazzuli e perline dorate, rimanevano interi, conservando ogni attimo senza far uscire nemmeno una goccia di quei sentimenti che li rendevano vivi. Il paesaggio colorato, pieni di fiori, nuvole, soli d’ogni forma e dimensioni, stelle e lucciole di fuoco danzanti la incantavano, ballavano intorno a lei incitando il suo nome, invogliandola a venire verso quelle persone che conosceva bene quanto sé stessa. Ma tutto il suo paradiso, cresciuto e curato con premurosità, aveva iniziato ad appassire non appena ci aveva portato dentro quello strano frutto color lilla e dai motivi concentrici. Ancor prima di comprenderne la pericolosità, la bolla che racchiudeva il suo mondo si era spaccata, facendone uscire sangue umano. Il sangue di un amico troppo lontano per essere chiamato. Sotto i suoi occhi, il piccolo mondo era appassito, ridotto infine a un mucchio di cenere nera fastidiosa al tatto.

Il ricrearlo esattamente come prima era un atto che andava oltre le sue capacità, al momento nient’altro avrebbe potuto sostituirlo, non fintanto che quanto mancava le sfuggiva in continuazione.
Le sue mani vibravano, tutto il lei era un continuo crescere di qualcosa di così potente che in qualunque altra situazione se ne sarebbe tenuta lontana, ma la differenza era che al momento era cosciente di cosa fosse e di cosa lei in particolare volesse esprimere, per tale motivo lasciava che questo le scorresse liberamente lungo tutto il corpo.

A quel punto, la lama del sai si inspessì di nuova ambizione, facendo nuovamente affondare il nemico nel pavimento.

“Vorrei credere che la tua sia stata una farsa, che tu abbia inscenato di essere nostro amico per tutto questo tempo e che ci abbia ingannato come un qualunque altro approfittatore, ma so che non è così..” ansimò con un che di spezzato nella voce “Non è così, perché tu non ci hai raggirato come semplici pedine: per te, noi eravamo realmente dei compagni, degli amici e, probabilmente, se non avessi trovato quel che cercavi, te ne saresti fatto una ragione, ma così non è stato ed è questo il motivo per cui siamo qui” a quel punto si chinò verso il suo faccione scuro per cercare di imprimere al meglio quanto fuoriusciva dal suo fisico “Se la tua fosse stata gelosia, la vicenda si sarebbe rivelata molto più semplice e forse meno dolorosa di quanto lo sia stata nella realtà, ma proprio perché non lo è, che ti rende ancora più meschino di un comune assassino ed è per questo…” continuò mostrando un viso tanto amaro quanto arrabbiato “Che non posso credere che tu abbia avuto il coraggio di uccidere il povero Satch, senza neppure provare il benché minimo rimorso!!!”

Urlò quell’ultima parte con le lacrime alla gola. Lo stringere troppo l’affilato pugnale le aveva perforato la pelle fra gli incavi delle dita, permettendo che piccole striscioline di sangue gocciolassero sulla pelle abbronzata del pirata ancora tenuto sotto tiro. Perline lucide e azzurrine si infransero sulle guance lievemente arrossate della giovane, tremante per quella rabbia più vicina ad essere una delusione irreparabile che si era fatta strada dopo tanto pensare.

“Io ne ho passate molte, Teach” rantolò rigandosi completamente le guance di lacrime “Molte per cui sarebbe valsa la pena prendersela con il mondo, ma tu..” ringhiò con lo sguardo completamente sfigurato per l’odio “Tu sei il primo che è riuscito a farmi provare una rabbia tanto grande, a farmi arrabbiare in questo modo, e tutto per uno stupido, dannato frutto del diavolo. Per un maledetto frutto, tu hai preso la vita di Satch come se questa non avesse importanza, ci hai voltato le spalle come se fossimo superflui e hai perfino usato Ace per assicurarti un posto nella flotta dei sette. Non ho fatto tanta strada per ritrovarmi a mani vuote, adesso voglio sentirtelo dire..” e lo guardò con un lampo nei occhi che avrebbe terrorizzato anche il più grande dei Seaking “Perché ci hai traditi, Teach?? PERCHE’?!?!?”

Le stille d’acqua salate tonde sobbalzarono via dal suo viso e ricaddero su quello barbuto dell’ex compagno. La prima rabbia era sempre la più grande, la più devastante; i sentimenti in quell’occasione erano incontrollabili, così come le parole e i gesti…tutto veniva amplificato al massimo delle possibilità perché questa risuonasse come un eco fortissimo e tempestoso. Sayuri era delusa da Teach e avrebbe preferito che egli fosse un subdolo ingannatore che un amico; la colpa e il dolore forse sarebbero stati meno mortali, ma la lama oramai era penetrata troppo a fondo perché si potesse togliere e lei in testa non vedeva altro che il braccio mozzato del povero Satch con la sua voce ridotta a un flebile sussurro portato via dalla notte.

Aveva pensato di poter agire come era sempre stata consona fare, di poterci parlare facendo leva su quanto avevano condiviso come compagni, ma nonostante avesse compreso che la situazione non fosse soltanto più grande di lei ma anche triplicemente complessa, questa comunque si era rivelata ancor più inaspettata. Tutta l’ansia sino a quel momento era stata focalizzata principalmente su di Ace, sulle sue condizioni e su come garantirne la sicurezza fino all’uscita ma tutto era cambiato nell’istante in cui lui aveva fatto la sua comparsa, sistemando a dovere Hannyabal. Il sentire la sua risata inoltrarsi nei timpani, il vederlo comparire dal nulla insieme alla sua nuova ciurma…qualcosa in lei si era aperto: una faglia enorme, gigantesca, di dimensioni sconosciute al suo animo. Spalancatasi senza che lei avesse avuto il tempo di impedirne la crescita, aveva permesso che anche un solo sguardo risvegliasse quello stesso sentimento che ora la stava aiutando a tenerlo ancorato per terra. Sapeva bene che lui aveva gli arti liberi e che molto probabilmente l’haki infertogli aveva un effetto temporaneo, ma aveva imposto una pretesa e voleva ottenere una risposta.

Non le importava di venire presa in giro, derisa o insultata; ciò che non sopportava e che voleva a tutti i costi imprimere nella mente dell’ex compagno, era la sua inaccettabilità per quella completa e totale assenza di dispiacere per aver tolto la vita a un proprio compagno senza alcuna esitazione, per un frutto di cui lei era l’originale proprietaria. Voleva che ne prendesse atto, voleva che non si dimenticasse le sue parole, ma era perfettamente conscia che il suo solo viso arrabbiato non avrebbe sortito l’effetto sperato.

E difatti, lo scrosciare della risata di Teach confermò quelle sue piccole certezze come se lui stesso le avesse letto nel pensiero.

“Zehahaha! Pensavo fosse inutile visto tutto il tuo bel discorso, ma se ci tieni, ti accontenterò” affermò malignamente lui.

Bianco Giglio fece in tempo a compiere un salto mortale all’indietro prima che l’oscurità evocata silenziosamente alle sue spalle la catturasse. Stupidamente non si era resa conto di aver alleggerito la presa su di lui. Posta la dovuta distanza di sicurezza, osservò, con la guardia alzata, Teach rialzarsi.

“La questione è molto semplice, Yu-chan” cominciò mentre faceva leva sulle ginocchia per raddrizzarsi “Io ho un sogno da realizzare. Ho aspettato per moltissimo tempo, da ancor prima che tu nascessi, probabilmente, e ora che possiedo finalmente il potere di cui necessitavo, non ho intenzione di rimandare ancora. Si, è vero, ho ucciso Satch, e questo è un crimine imperdonabile che deve essere pagato con l’uguale moneta, ma non avevo scelta” si giustificò con una punta microscopica di serietà  “Non avevo scelta” ripetè “Tu avevi il frutto che mi occorreva e lui mi ha scoperto: non potevo permettere che la mia sola e unica occasione sfumasse”
“E deduco che se ci fossi stata io al suo posto, l’esito della faccenda non sarebbe stata diverso”
“Beh, amica mia, non potevo rischiare..” sogghignò “E tu non mi sembravi neppure molto interessata al tesoro che possedevi”

Inizialmente aveva pensato di sottrarglielo con l’inganno e di sparire nell’ombra, ma subito il suo progetto di partenza aveva richiesto modifiche rapide e bisognose: nello stringere il primo contatto con la ragazza, aveva percepito in lei qualcosa da cui stare alla larga, come se in quell’istante la compagna avesse intravisto un che di così raccapricciante in lui da farla dubitare. Il rimuginare nella stiva con tutti i suoi fogli, lo aveva indotto a scegliere l’unica opzione plausibile e vista la persona con cui aveva a che fare, il suo ringraziamento sarebbe stato rapido e indolore. Ma, nuovamente, tutto il suo piano aveva dovuto subire un ulteriore modifica, presa con molta istintività  quando aveva trovato sul luogo dell’incontro Satch al posto di Sayuri, ma, scambio a parte di persone, la fortuna anche lì lo aveva assistito costantemente, come se non avesse mai smesso di benedirlo. Era stata grazie a tutto quella serie di eventi che all’alba del giorno dopo, si era potuto trovare un posticino appartato dove divorare tranquillamente il Dark Dark, provando ad ogni morso un senso di appagamento incommensurabile. Successivamente era fuggito in fretta e furia prima che qualcuno di sua conoscenza venisse a fargli visita e non potendo rimanere nel nuovo mondo, aveva fatto ritorno nella prima parte della Gran Line. Composta la ciurma, il prossimo obbiettivo stabilito era l’accattivarsi la simpatia del governo portandogli pirati con alte taglie. Nella flotta dei sette c’era un posto vacante che attendeva solo un nuovo membro che lo riempisse, un occasione più che perfetta, resa a dir poco che sublime quando il comandante Ace, anzi, ex comandante, venne a fargli visita con la seria intenzione di punirlo per il reato commesso. Il seguito era venuto su da sé, senza che lui dovesse muovere un solo dito, e così sarebbe stato per tutta la durata della guerra, ma a quanto pareva, non tutte le sue previsioni avevano raggiunto il fine prestabilito, dato che Sayuri e tutta quella cricca di personaggi ben assortiti, non era compresa.

Ammirare il rancore trasudare da ogni poro di quella fanciulla dai capelli castani per lui equivaleva ad ingigantire la sua vittoria e non poteva darle torto, ma ciò non escludeva che lei si basasse su fatti pertinenti a una visione limitata a sua detta, la stessa che influenzava irrimediabilmente tutti coloro che divenivano figli di Barbabianca. Il suo machiavellico progetto, il cui sogno ne rappresentava il cuore pulsante, aveva sviluppato una scorza tanto dura quanto la sua resistenza fisica ed era sopravissuto a quella alienazione sino al momento della liberazione definitiva.

“E’ naturale che tu mi odi, Yu-chan, lo capisco, ma prova soltanto a guardare la realtà da questa prospettiva: quanto pensi possa vivere Barbabianca? Uno? Due anni? Anche se campasse fino ai cento, il trono dei pirati, l’One Piece stesso, non lo vedrebbe comunque. Vecchio e malato com’è, non sarebbe capace di uscire da una battaglia indenne, ma tutti voi vi date tanto da fare per tenere alto il suo nome” si interruppe per poi riprendere “Compreso Ace”

Si era fermato nuovamente per bearsi dell’espressione visiva assunta da Sayuri: puro shock. Vedeva il vero delle sue parole riflesso nei suoi occhi.

“Difendere l’orgoglio del vecchio gli è costato il suo e blaterare stupidaggini come renderlo il Re dei Pirati, gli ha fatto perdere la possibilità di unirsi alla mia ciurma e assicurarsi un posto sicuro per il futuro, ma tu, Yu-chan..” e la guardò molto attentamente “Tu sei diversa da Ace. Sei molto più giudiziosa e intelligente, senza contare che sei arrivata fino a qui senza essere aiutata dai tuoi compagni. Un elemento prezioso come te vale a peso d’oro e aggiungiamo pure che sei molto graziosa. Capisco bene perché il comandante ti fosse tanto affezionato, zehahaha!!”
No…no, non lo sai affatto.

Fu il solo pensiero che riuscì a formulare mentre a stento sopportava Teach prendere in giro tutte le persone a lei care e anche l’amore che provava per il moro. Essere un sognatore puro non lo autorizzava a criticare o a deridere qualcosa che per gli altri aveva valore, specie se questo era un sentimento grande e dolce come l’amare con tutto il cuore una persona diversa da sé stessi.

“Tu sai che sto dicendo la verità, quindi non fare lo stesso errore di Ace e di tutti gli altri tuoi fratelli” a quel punto le tese la mano piena di anelli e bracciali “Unisciti alla mia ciurma, Sayuri”

A quel punto il discorso potè dirsi definitivamente chiuso. La rigidità degli strati muscolari che componevano il corpo di Bianco Giglio si sciolse come appena messa a bagno. L’espirare profondamente servì a sgonfiarla come se il resto del peso rimastole dentro fosse evaporato e a rinvigorirle i polmoni giusto il necessario per dire quelle due paroline che stavano rimbombando nella sua anima ora tornata lucida e calma, ma con sempre quella punta di disgusto sempre in allerta.

“Unirmi alla tua ciurma…” mormorò lei, come se l’offerta data fosse di gran lunga la cosa più ridicola mai sentita “Una simile indecenza, non la voglio prendere neppure in considerazione”

Si asciugò il viso dalle lacrime gettandole malamente a terra.
Ci voleva veramente un bel coraggio per farle una simile proposta, dopo quello che aveva spudoratamente detto senza peli sulla lingua. Il sorriso di Teach non si spense, anzi si allargò appena nel mentre riabbassava la mano tesa, coi occhi aventi due piccoli cerchi concentrici neri stretti al posto della piccola e larga pupilla.

“Credo proprio che se mai Ace dovesse riuscire a scamparla, dovrà trovarsi una nuova navigatrice” sogghignò dando sfoggio al suo reale e depravato viso “E’ davvero un peccato, Yu-chan: morire così giovane per un capitano così vecchio... un vero spreco. Tu e Ace non siete poi così diversi”
“Di tutta la tua parlata, è l'unica parte su cui mi trovi d'accordo” rispose scrollando le spalle e riassettando la guardia.

L’oscurità alle spalle di Barbanera crebbe fino ad assumere le fattezze di un vortice consistente e denso. Le mani, le cui braccia erano aperte come per abbracciare qualcuno, si smaterializzarono e dalle sue dita ossute, coperte da anelli sopra cui erano incastonate tutta una serie di pietre lavorate, fluirono piccole striscioline nere, sottili come il fumo che emanava un fiammifero. Eccolo, il vero Teach, quello che Satch indubbiamente aveva visto pochi istanti prima di morire. Era lui a tenere l’oscurità al guinzaglio non il contrario. La sola malvagità era sufficiente perché questa stesse quieta e obbedisse a ogni suo ordine. Tutto il lui suscitava timore, una paura veramente agghiacciante, non c’era un solo centimetro del suo essere che non esprimesse una sensazione diversa.
Lo stringere con più determinazione le lame ereditate dal nonno la spinse a tener alta la testa davanti a quell’uomo che ora aveva voglia di giocare con lei e verificare quanto sarebbe resistita prima di finire nelle sue fauci. Sarebbe dovuta scappare da un individuo così imponente e cattivo, ma era proprio perchè aveva ancora paura che non voleva andarsene. Se scappava, permettendo alla paura di insidiarsi dentro di lei, non avrebbe più avuto il coraggio di affrontare le prove di ogni giorno, di affrontare quella specie di maledizione ricaduta su di lei e su tutta la sua famiglia. Come Satch e Ace prima di lei, lo avrebbe combattuto senza sprecare colpi ma dato il nemico, senza tergiversare. Approfittare dell’effetto del ricostituente in corpo e sfoderare la sua tecnica, sfruttando il fattore sorpresa era una strategia azzardata, ma, probabilmente, l’unica adatta che rispondesse alle sue esigenze.

Perdonami, Don, perdonatemi tutti quanti. Pensò amaramente So bene di non poterlo battere, ma lasciarlo andare senza che comprenda la natura del suo reato, sarebbe imperdonabile quanto la perdita di Satch e io non lo sopporterei.

L’orgoglio di fanciulla e amica non le avrebbe concesso sonni tranquilli se avesse deciso di proseguire con gli altri. Il suo posto era lì e non voleva essere da nessun’altra parte.

“Non ti permetterò in alcun modo di andare oltre” dichiarò richiamando l’haki ai sai “E non permetterò che il tuo desiderio veda la luce. Quello non è un sogno, ma solo atto spietato ed egoistico che si fa strada senza guardare in faccia a nessuno: è troppo malvagio perché lo si consideri come tale, troppo macchiato del sangue di un amico per essere giustificato. Se davvero vuoi passare, allora dovrai prima vedertela con me e sappi..” gli disse più che mai determinata “Che non ti lascerò uscire da questa prigione fino a quando non avrai pagato per quello che hai fatto”
“Ma davvero? Allora vieni, piccolina, vieni” la invitò lui, avanzando arcignamente “Verifichiamo se ci sai fare più di Satch e Ace”
 



Livello tre.
L’inferno della fame.

“Avanti, tesorini miei, fermateli!”

Coi vaporosi capelli arancioni che le coprivano gli occhi, la bella Sady-chan stava mandando alla carica con tutta l’autorità di cui era padrona, i suoi adorabili cucciolotti, che poi non erano altro che le guardie demoniache sotto il suo comando. Oltre al Minotauro, già ben conosciuto da Rufy e Bon Clay, al gruppo si erano uniti la Minozebra, un essere all’apparenza molto buffo ma che diventava estremamente violenta se le si guardava troppo la chioma lilla, il Minokoala, anch’esso aggressivo nonostante l’espressione ebete ed infine il Minoceronte, la guardia demoniaca detta “Riservata” per via del suo comportamento solitario. Munite di armi pesantissime e tutte dotate dei poteri del frutto Zoo Zoo modalità “risvegliata”, queste si erano piazzate all’inferno della fame insieme alla loro padrona, in attesa che lo scompiglio arrivasse fra le loro braccia cosìcche da castigarlo in quella particolare maniera che faceva eccitare la donna a tal punto da essere colta da brividi estasiati.

Il seducente capo dei torturatori ancheggiò pericolosamente verso i primi fuggitivi facendo schioccare la sua preziosa frusta e mostrando quanto il suo abito di pelle rosa lasciava a vedere.

“Dove pensate di andare?!”

La donna fece roteare la frusta un paio di volte per poi lasciare che questa si abbattesse contro il primo gruppetto di ribelli che ingenui avevano puntato su di lei perché convinti che fosse tanto gracile quanto bella. Pessima idea.

“Solo perché siete arrivati fino a qui non significa che potete fare quello che vi pare e piace!” decretò mandando alla carica il Minokoala e la Minozebra.
“Eccoli che arrivano!” Bon Clay alzò una gamba per piegarla a “V” e si mise in posizione d’attacco con accanto Rufy.
“Sarà meglio liberarcene subito” suggerì Inazuma “Queste guardie sono piuttosto veloci a riprendersi”

Di qualunque cosa fossero capaci a Cappello di paglia non importava, così come non importava a Jimbe o a Crocodile, quando unirono nuovamente le loro tecniche per sbaragliarli senza neppure interrompere la loro corsa sfrenata per le scale. Sotto le stridule grida di Sady-chan, la cui ira crebbe in un battito di ciglia, l’assalto proseguì senza sosta. Le dune di sabbia vennero spazzate via insieme ai Blugori richiamati dal loro capo, il piccolo ma spietato Saldeath, le rovine poste in mezzo al cammino furono ridotte in macerie ancora più decadenti....
Non c’era nulla che li potesse fermare ma lei non ci stava a vedere i suoi cuccioli battuti da quei ambigui tipi e che questi facessero i loro comodi. Uguale cose valeva per Saldeath ma come l’avvenente donna, per quanti fossero i loro sforzi per fermarli, tutti si rivelarono completamente vani. Agguantando la frusta fra le dita, cercò di colpire altri okama, ma Ivankov si mise in mezzo, mutando il suo corpo muscoloso e quadrato in uno più slanciato, morbido e così femminile da far provare invidia alla stessa torturatrice.

“Ivankov, sei una donna?!” strillò lei “Che razza di regino sei?!”
“Cappelluccio di Paglia, pvosegui puve” disse l'okama facendo l’occhiolino al ragazzo “Sistemo questa pvesuntuosa e sono subito da te”
“Ok, Iva-chan, noi andiamo avanti!”

Il pirata di gomma si affrettò subito ad affiancare il gruppetto che si occupava di proteggere Ace mentre il regino di Momorio dava spettacolo con salti mortali e acrobazie di vario genere, facendo leva sull’agilità femminile che gli ormoni iniettatisi gli avevano conferito. Era di vitale importanza che suo fratello non rimanesse scoperto ed era sempre più grato a tutti quanti - escluso Crocodile - dell’aiuto che gli stavano dando. Trasportato in barella e medicato al meglio delle attuali possibilità, Ace era ancora privo di sensi e sinceramente era un bene perché, indubbiamente, avrebbe preteso di combattere anche con gli arti fratturati. Rufy ne era sicuro perché pure lui avrebbe agito in quel modo: erano fatti della stessa pasta, anzi dello stesso istinto, lo stesso con cui avrebbe picchiato volentieri il tizio che aveva spedito il suo fratellone in quel postaccio. Ancora non se ne capacitava, Ace non poteva realmente aver perso contro quel tipo, ma, stando ai fatti, questa volta era stato lui ad avere la peggio.

“Che cosa ti prende, Rufy?” gli domandò Jimbe nel vederlo silenzioso esattamente come al livello 5.5.
“…Quel Barbanera” disse “E’ forte?”

A quella domanda il Cavaliere del Mare arrotolò le sopracciglia già graziosamente arricciate, guardando per quei tre secondi netti il pirata di gomma dritto nei occhi.

“Non saprei dirti di preciso” gli rispose poi, tornando a guardare dritto “So solo che è molto pericoloso” per poi aggiungere “Non avremmo dovuto lasciare sola Sayuri”
Sinceramente se non fosse stato impegnato a trattenere il fratellino di Ace, avrebbe cercato di imporsi di più sulla scelta della ragazza.
“Non preoccuparti, ha detto che ci raggiungerà. E’ una in gamba” affermò Cappello di Paglia.
“Non lo metto in dubbio, ma resto dell’idea che non avrebbe dovuto fermarsi. Non combattere al massimo della propria forma fisica è molto avventato”

Rufy sapeva bene cosa l’uomo pesce intendesse dire. L’aveva vista, osservata da vicino mentre si iniettava quella strana sostanza rossa in corpo per stare meglio, ma dirle o chiederle il perché lo stesse facendo non avrebbe avuto alcun senso. Yucci-chan aveva fatto tanta strada per arrivare da Ace, come lui del resto, e il sapere questo gli era stato sufficiente per non star lì a rimuginare su altre possibili ragioni: lei voleva sinceramente bene a Ace, ma la preoccupazione di Jimbe era estremamente palpabile e la sua cieca convinzione riguardo al fatto che lei sarebbe tornata come promesso, poteva comunque incrinarsi come qualsiasi altro fragile specchio. Sayuri aveva già dovuto vedersela con Magellan, ma il suo brillante successo aveva prodotto un contraccolpo abbastanza poderoso da indebolirla e anche se non possedeva prove per dimostrarlo, la sua momentanea assenza al livello 5.5 diceva tutto.

“Se ha detto che ci raggiungerà, ci raggiungerà!” asserì convinto il ragazzo calcandosi meglio il capello di paglia “Lo farà sicuramente!”

E fino ad allora si sarebbe preso cura di Ace anche per lei.
 



Livello quattro.
L’inferno ardente.

“Black Hole!!”

Nello sferrare il primo colpo, Marshall D.Teach diede inizio allo scontro.
Colpendo il terreno con violenza decisa, dal gomito ingiù  il suo braccio divenne nero e dalla mano fuoriuscì tutto un fiume scuro che fece tremare il quarto piano di Impel Down esattamente come l’isola di Banaro. Ondeggiava avanti con apparente inconsistenza, esattamente come un’ombra, ma risucchiava tutto con la stessa ingordigia delle sabbie mobili e quando meno la vittima se lo aspettava, questa scattava in avanti o da qualunque direzione reputabile adatta per sorprenderla. Proprio come fece in quel preciso istante.
L’oscurità si alzò per mettersi ritta e lanciarsi contro la ragazza con spire artiglianti, che tentarono subito di prenderla. Veloce, lei scattò sulla destra e balzò in aria per puntare i piedi al muro e compiere un salto all’indietro. Ruotò su sé stessa per poi salire più in alto che potè e non appena giunse in cima alle celle, incrociò le braccia al petto, trattenendo il respiro e concentrandosi su un unico punto del corpo.

“Kaishi! (trad: Iniziazione)”

Allo scoccare dell’ultima sillaba, una quantità discutibile di haki fu richiamata da Sayuri ed espansa lungo le sue gambe come tante puntine da disegno a contatto con la pelle fredda. Tralasciando quel pungente formicolio, il successivo scatto della ragazza, per evitare l’oscurità che l’aveva raggiunta, fu così veloce da farla volare. Tornò sul ponte principale e corse così velocemente che i piedi sembravano non toccare terra. Dalla punta d’essi fino alle cosce, il peso corporeo si era come volatilizzato ma ciò non era che la prima parte di quella cerimonia che poi era il suo asso nella manica e se voleva arrivare in fondo, non doveva farsi catturare dall’oscurità di Teach che continuava a serpeggiare lungo il pavimento cercando di fermarla.

“Sei veloce” si complimentò lui, slargando le mani per ingigantire il vortice alle sue spalle “Vediamo quanto sai correre..”

Scaraventando un altro micidiale pugno al terreno, una nuova ondata nera si abbattè su quella già presente e il fiume in piena divenne ancor più incontrollabile. Il potere sprigionato dal frutto Dark Dark colò giù e inglobò alcune delle lingue di fuoco guizzanti nelle vicinanze, insieme a delle gabbie d’acciaio grandi quanto tre scialuppe di salvataggio messe insieme, sospese nel vuoto per i detenuti più indisciplinati del settore.

“A te, Yu-chan!”

Puntando l’indice verso di lei, l’oscurità le si parò davanti sputando fuori dal suo rigonfiamento le fiamme e la gabbia ingerita.

Oh no, devo saltare!

Piegandosi sulle ginocchia, fece leva sull’ambizione accumulata e trattenuta nelle gambe e compì un balzo spettacolare, evitando così di venire investita. Ormai la concentrazione dell’haki sui solo arti inferiori era abbastanza stabile, il timore che questa le sfuggisse era sventato e ciò significava che poteva passare oltre. L’iniziazione non l’aveva mai preoccupata tanto più di tanto, l’aveva sempre superata senza troppi problemi nonostante il semplice atto di richiamare l’haki fosse impegnativo; si era sottoposta ad un allenamento molto intensivo per migliorare sia le prestazioni fisiche e psichiche perché era consapevole che nonostante l’ambizione fosse una carta che sapeva ben sfruttare, poteva essere ulteriormente incrementata. Lei apparteneva alla tipologia più comune dell’haki, quello dell’attacco, capace di potenziare la forza, la velocità e la letalità dei propri colpi, ma per diventare ancora più forte di quanto già il mondo la conoscesse, Sayuri aveva deciso di sforare dai suoi schermi, puntando a creare una variante del suo personale stile, qualcosa che combinasse le arti marziali e l’ambizione di modo tale da raggiungere un livello ancora più alto.

Qualcosa che desse la prova concreta che era cambiata e di aver trovato uno scopo nella vita...
Qualcosa che le desse la possibilità di combattere contro i possessori del frutto del diavolo e di sconfiggerli…
Qualcosa che proteggesse al meglio la sua famiglia e il suo amore..

Alla fine, il debutto di questa sua nuova tecnica era stato largamente anticipato, ma indubbiamente non poteva sedersi e riflettere se quel che stava facendo era corretto: Impel Down era il palcoscenico dove giustizia e libertà stavano dando spettacolo e anche se non era paragonabile a quello di Marineford, Sayuri si sarebbe comunque esibita in tutto il suo splendido valore come fedele pirata di Barbabianca. Godeva del vantaggio di non possedere abilità derivanti da un frutto del diavolo, ma l’oscurità di cui era padrone Barbanera costituiva sempre un problema, poiché era un grande buco nero capace di risucchiare anche la vita umana. Se gli avesse offerto la possibilità di catturarla, non ci sarebbe più stato nulla da fare.

In caduta libera, incrociò nuovamente le braccia al petto, chiuse gli occhi e rilassò i battiti del proprio cuore come se stesse per immergersi senza tener conto di come Teach avesse alzato il palmo della mano, innalzando così il flusso nero per poterle sferrare un attacco alle spalle.

“Kaisan! (trad: Scioglimento)”

Preparato il fisico per l’ulteriore peso dello spirito vitale, questo accolse la nuova ambizione nella sua parte superiore, irrobustendole i muscoli della braccia esattamente proprio come aveva fatto con quelli delle gambe. Con un leggero espiro, anche quelle catene furono tolte dal groviglio, lasciando ancor più movimento e spazio al gran finale che cominciava a essere finalmente visibile: nel dischiudere le palpebre, Bianco Giglio percepì il pericolo alle sue spalle e, sfilando uno dei sai da sotto la maglia, impregnò la lama metallica di una tenue luce azzurra che distorse l’aria intorno alla ragazza, tranciando via parte dell’oscurità con un secco fendente. Fu un attacco più incisivo del solito, ma, tornata a terra, Sayuri si ritrovò proprio davanti all’uomo che per tutto quel tempo l’aveva osservata cercando di capire il meccanismo della sua straregia.
Dal combattimento a distanza si passò a quello ravvicinato, uno spettacolo che vide lo stile ampiamente grottesco dell’uomo contro quello fine e sinuoso della più giovane, ma anche solo ammirando il tutto con un occhio, era ben evidente che la mastodontica forza del pirata dalla cespugliosa barba bastava per rendere i suoi colpi possenti e pesanti quanto le zampe di un mammuth, e Sayuri, nonostante l’haki incorporato, ne stava risentendo.

“Zehahahaha! Che cosa c’è, Yu-chan? Non riesci a colpirmi?”

Si divertiva a prenderla in giro, a vedere il dolore suo viso, contratto in smorfie molto facili da riconoscere. Faceva male, davvero molto male e anche il solo difendersi si stava rivelando arduo ma non poteva continuare su quella linea e lei lo sapeva bene: se gli permetteva di proseguire con quella prepotenza, sicuramente sarebbe finita spinta in un angolo da cui probabilmente non sarebbe più uscita.

Se non porto la situazione a mio vantaggio, rischio di non liberarmi più.

Prendere l’iniziativa e passare al contrattacco era solo questione di determinazione e francamente Sayuri ne aveva dimostrata più che a sufficienza nell’ultimo periodo, ma l’avere così vicino Teach, il sentire quei suoi occhietti sadici premere contro il suo animo, la stava come bloccando per il brusco cambiamento avvenuto in lui. La luce della depravazione, del irresistibile e sfrenato desiderio di concretizzare il suo sogno avevano trasformato perfino la fisicità facciale di quell’uomo, maneggiandone i tratti e roportandoli allo stato originale, quello che più si addiceva a lui; la sua sola risata esprimeva quell’appena risorta disumanità e Sayuri nel suo proteggersi, la percepì vicina, sibilante e biforcuta proprio come una lingua malevola. Quasi la stesse guardando, la ragazza si abbassò in tempo per evitare un pugno in faccia, mirando così al torace completamente scoperto.

Adesso!

Aprendo il suo assalto con il quarto plenilunio, attaccò Teach con tutta la sua conoscenza delle arti marziali in suo possesso, appresa fin dalla tenera età; tartassò il suo ampio torace con pugni, calci e rotazioni inferte da diverse angolazioni, dando prova della grazia e del suo stile, ma i successivi secondi al suo contrattacco, la videro spalancare gli occhi nell’avvertire i propri colpi inutili: seppur avesse dalla sua l’haki, al solo toccare quel corpo cinque volte più grande del suo, ogni suo colpo rimbalzò via senza neppure lasciare il segno.

Era allibita, a tal punto da non essere in grado di esprimere il suo stato emotivo anche solo mentalmente. Il Kaisan, lo scioglimento delle catene, si stava rivelando insufficiente per perforare la corazza di muscoli e grasso che costituivano il corpo di Teach. I bagliori azzurri che ogni tanto le circondavano gli arti come fossero sottili bracciali d’aria, visibili soltanto a una distanza ravvicinata, simboleggiavano l’ambizione accumulata e che stava tutt’ora raccogliendo dentro di sé. La tratteneva e al tempo stesso preparava il suo fisico a sopportare un ulteriore peso; combattere e al tempo stesso concentrarsi su due fronti era pressoché un’impresa a dir poco che faticosa ma assolutamente necessaria per lei, considerato il fatto che la sua attuale potenza non era abbastanza incisiva. Se non fosse atterrata proprio davanti a lui, avrebbe sicuramente tenuto una distanza molto più sicura, evitando di utilizzare la preziosa ambizione che addirittura stava rilucendo esternamente. Poteva impegnarsi a colpire, a fracassare quel torace per il resto della vita, Teach non avrebbe opposto resistenza visto che i suoi attacchi nemmeno gli stavano facendo il solletico.

Serrando la mascella, giunse alla sola opzione possibile: allontanarsi e terminare l’opera iniziata.
Riuscendo a deviare un destro di lui, si accorse all’ultimo del sinistro diretto che le stava per arrivare all’altezza del cuore.

Cos..?!
SBAM!

Le nocche di Teach si frantumarono sulla sua spalla e la lanciarono lateralmente contro la parete che stava a poco più di dieci metri da lui. Schiantandosi malamente contro il muro, i polmoni le si ristrinsero tanto da farle mancare il fiato sul colpo; finì seduta con le gambe piegate e una mano stretta alla parte ferita, stringendo i denti per la forte botta. Il solo cercare disperatamente di tenere la testa ritta abbastanza da non perdere di vista l’avversario era uno sforzo sovraumano con la nuca che aveva risentito del contatto con il muro.

Uhg! Sono riuscita soltanto a non farmi colpire al cuore, ma è come se mi avesse rotto la spalla in tanti pezzi. Com’è possibile..?

Non ce l’aveva fatta a scansarsi completamente e quindi la sua sola possibilità era stata quella di salvaguardare gli organi vitali e mettere in gioco qualcosa di meno importante.
Un colpo deviato solitamente non arrecava danni così evidenti ma con Teach le normali regole venivamo radicalmente cambiate; la sua forza sovraumana avrebbe comunque maciullato qualsiasi cosa gli si fosse parata davanti e l'avere in circolo un ricostituente che aveva come effetto collaterale l'inibizione del dolore non era esattamente quella che si poteva definire fortuna se si rischiava di combattere con un arto frantumato in più scheggie. L’aver evitato quel diretto le aveva salvato il cuore dall’esplosione e il muovere debolmente la spalla la sollevò da quel timore sorto non appena aveva inziato a volare all'indietro. Stordita, schiarì la sua vista e puntò le iridi color cioccolato su di lui, in procinto di approfittare della sua vulnerabilità per schiacciarla definitivamente; il vortice alle sue spalle chiamò a raccolta l’oscurità che aveva vagato libera nei diversi angoli di quella parte di inferno ardente, solo spettatore del loro combattimento.

“Zehahahaha!! Hai evitato che ti colpissi in petto, complimenti!” si congratulò “Sei veloce, ma non puoi scappare dal buio eterno. Se c’è una cosa di cui questo mondo non si libererà mai, sono proprio le tenebre!”

Il potere Dark Dark alle sue spalle si ingigantì a tal punto da assumere le perfette fattezze di un’onda anomala pronta a devastare tutto ciò che si sarebbe sovrapposto al suo cammino. Il raggio d’azione era troppo ampio, neppure con l’ambizione sarebbe stata abbastanza veloce da mettersi in salvo. Il suo avversario non era tanto stupido da risucchiare l’intero piano, avrebbe rischiato troppo, per questo aveva sempre mantenuto un certo controllo del suo potere

“Anf……..anf……”

Ansimando quell’ossigeno negatole per qualche attimo, Sayuri ingoiò la saliva e squadrò quanto stava per venirle addosso come per lanciare nuovamente il guanto di sfida.

Scappare…….io ho smesso di farlo da molti anni. Pensavo che fosse sufficiente non guardare indietro per dimenticare, che bastasse non pensarci.

Illudersi non significava cancellare la paura ma nasconderla sotto tonnellate di cose belle e felici e immaginare che niente di quanto vissuto sia successo. Perché angosciarsi col dolore se si poteva metterlo da parte e vivere facendo finta che non esistesse? Ma perché è più semplice scappare che affrontare le proprie paure.

Ci ho creduto un po’…ma sono cresciuta adesso, non sono più la bambina impaurita di tanto tempo fa. Ho smesso di scappare e di piangere: voglio vivere….   

Guardò Teach con tutta la decisione in suo possesso. 

......e voglio combattere contro di te e sconfiggerti con le mie stesse mani!
“Kaiho…. (trad: Liberazione)” mormorò ristringendo le braccia al petto e chiudendo gli occhi.

Nel mentre l’oscurità si rovesciava verso il basso, i battiti cardiaci di lei rallentarono nuovamente, portandola stavolta in uno spazio isolante dove il solo rumore presente era il suo regolare respiro. Al solo immergersi in quell’antro freddo e profondo come gli abissi dell’oceano, i muscoli le si sciolsero e fluttuò come se la gravità lì non esistesse. Vide l’azzurro nello dischiudere le palpebre, un azzurro a lei familiare, con sfumature chiare e minuscole scintille luminose giocare e saltare come gocce d’acqua rugiada. Un colore simile non apparteneva al mare, era fin troppo chiaro. Lei ne era certa, perché quel particolare azzurro che ora si stava attorcigliando su sé stesso era il colore della sua ambizione: non si trattava di aria invisibile, ma qualcosa che perfino gli occhi umani potevano vedere. Era reale, più di quanto le leggende raccontassero, viva e pulsante proprio come un organo, una persona.
C’erano molti modi per materializzarla, molti modi per far sì che il possessore venisse rispettato ma a Sayuri non era mai piaciuto imporsi, non tirannicamente o senza motivo. Se poteva evitava, ma come aveva pensato poco prima di isolarsi, lei voleva battere Teach a tutti i costi. Suonava come un capriccio dettato dal suo orgoglio e forse era così, perchè anche se caratterialmente diversi, lei, come Ace, non si arrendeva alla prima montagna che le si parava davanti.

Adesso era lui a dover essere salvato e lei non si sarebbe tirata indietro ne voltata davanti a quel buio tanto oscuro e terrificante di cui cominciava a sentire la pressante stretta. L’abbracciarlo, il toccargli la pelle rovente, il vederlo così…indifeso, l’aveva esortata a dargli tutto il conforto che al momento poteva offrirgli, per alleviare il dolore, l’umiliazione, ogni cosa che aveva minato e distrutto Ace. Voleva ancora stringerlo e sentirsi ricambiata ma era un desiderio troppo lontano al momento e la sola maniera concessale per vederne l’immagine intera, era quello di proteggerlo.
Non era certa di poterlo ottenere, ne di poter anche solo pensare di uscire indenne dall’inferno ardente ma la voglia di vivere, trovata e apprezzata dopo tanto cercare, non le avrebbe consentito di cedere così due piedi.

E in quel preciso momento, quando l’oscurità di Teach la inghiottì interamente, questa le ordinò di alzarsi e combattere.
 



Marshall D.Teach rideva sguaiatamente nell’osservare compiaciuto il suo potere riversarsi su quel piano eccessivamente afoso. Il fiume gorgogliante da lui creato procedeva lentamente ora che l’unico ostacolo era stato rimosso. Dubitava che sotto di essa Yu-chan potesse resistere o ancor meno respirare, la gravità assorbiva ogni cosa, come un grande buco nero insaziabile. Peccato che quell’afa rimanesse! D’altronde, le fiamme lì erano alte e lui si trovava ancora nella prima metà del livello quattro. La pellaccia abbronzata e resa ancor più scura dai peli che gli tappezzavano il torace e la pancia sudava abbondantemente e passarsi più e più volte il dorso della mano sulla fronte non serviva a nulla se non a fargli provare ancor più caldo. Era meglio se si sbrigava a scendere dai suoi sottoposti e verificare se all’inferno eterno ci fosse gente reclutabile.
Fece per avanzare quando tutto ad un tratto udì qualcosa di molto strano e stoppò immediatamente la sua camminata per l’estrema vicinanza di quel suono; era una pulsazione, forte e risuonante in un punto ben preciso di quel raggio dentro cui era compreso.

Senza un particolare pensiero, guidato dall’istinto, puntò gli occhi verso quella parete dove pochi minuti prima vi aveva scaraventato Yu-chan, rimasta a terra e in procinto di essere dissolta e lì, vide qualcosa di anomalo a quello che solitamente era solito guardare quando il suo potere era attivo: vi era un rigonfiamento nella sua oscurità, un globo sferico che stranamente stava pulsando, emettendo bagliori soffusi tendenti all’azzurro.

“Zeh, e adesso che succede?”

Avanzò verso quella sfericità assottigliando le palpebre cercando di scorgerne l’interno ma l’avvicinarsi troppo e soprattutto l’allungare la mano per toccare quel rigonfiamento coperto dalla sua oscurità fu una mossa sbagliata, grave quanto quella di ignorare quell’insolito senso di tiraggio del suo corpo.
Nell’attimo in cui le sue dita si congiunsero al nero pece, il bagliore azzurro divenne così incandescente da perforare l’involucro sferico; una mano adulta grande quanto tre messe insieme, gli afferrò la spalla, poggiando il palmo su parte del suo addome e stringendoglielo con forza.

“Ch…..GWHAAAAAAA!!!! BRUCIA, BRUCIA!!!”

Da sotto quel palmo azzurrino fuoriuscì del fumo grigio contornato dall’odore di carne bruciata. Non era come toccare il fuoco o la lava; per Teach, possessore di un frutto del diavolo, quella misteriosa mano faceva molto più male di qualsiasi altra arma rovente esistente al mondo, perché essa era fatta puramente di ambizione.
Dovette ustionarsi anche le mani per liberarsi. Cadde all’indietro, contorcendosi come se quell’arto lo stesse ancora tenendo, sorreggendosi la parte d’addome colpito e guardando con ira il rigonfiamento che ora si stava aprendo in due come un uovo.

La bocca violastra e sdentata rimase semiaperta nel vedere Sayuri viva e vegeta, ma lo sbigottimento maggiore stava in quello che stava alle sue spalle: era come..un fantasma, azzurro, con le fattezze di una donna dai lunghi capelli fluenti lasciati al vento, indossante un elmo in testa, simile a quello di una dea. Il viso era finissimo, etero, e le dita sottili, accompagnate da slanciate braccia. Solo fino ai fianchi aveva assunto una forma fisica, il resto era disperso come aria cristallina, la stessa che emanava e che la aiutava risplendere come una gemma. Era troppo irreale per appartenere a quel mondo e gli occhi..
Nel solo istante in cui Bianco Giglio aprì i suoi anche quella figura cangiante alle sue spalle, pulsante e con le mani incrociate davanti alla giovane come per proteggerla, dischiuse le palpebre, mostrando solo due iridi bianche, totalmente prive di pupille.

“Heavenly Ascent: Divine Recall (trad: Ascensione celestiale: richiamo divino)”

Al pronunciare il nome ultimo della sua tecnica,lo spirito alle spalle di Sayuri spalancò completamente i proprio occhi e trapassò quelli di Barbanera come per avvisarlo. L’oscurità ai piedi della ragazza si diramò all’istante; essendo una manifestazione del potere del frutto del diavolo non poteva rimanere troppo vicina all’ambizione a cui era altamente allergica e inoltre, Teach si era accorto che, anche prima di vedere questa nuova trovata era a una distanza piuttosto ridotta dal punto in cui aveva lanciato l’ex compagna. Ancora a terra e con le mani puntante all’indietro, Barbanera, riscosso dal vederla ancora intera, finì per guardare proprio la giovane che, anche se in maniera molto più flebile, era irradiata di quei bagliori carichi di spirito vitale.

“Preparati a essere giudicato, Teach” lo avvisò piegandosi leggermente in avanti "La tua ora sta per scoccare”

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Capitolo 66
*** Handbreadth Court. ***


Buonasera, eccomi qua! Abbiamo lasciato Sayuri al quarto piano con il mangia crostate a tradimento e per l’occasione, ha sfoderato la sua nuova tecnica. Ce la farà a battere il traditore? Leggete e scopritelo da voi!! Mi scuso nel caso ci siano eventuali errori ma questa settimana è stata ancora più massacrante della precedente.

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“Sparate! Dannazione, cercate di colpirli allo scafo!”

L’odore di polvere da sparo si era espanso sui ponti delle corazzate militari sotto forma di una leggerissima nebbiolina dannosa per i bronchi. I cannoni sparavano a ripetizione verso quella grande nave pirata emersa oltre la porta della giustizia senza neppure lasciare intravvedere la propria ombra; la Moby Dick era scivolata sott’acqua senza emettere il benché più piccolo sibilo, comparendo da nulla e trovandosi successivamente un posto strategico per evitare che la corrente la trascinasse via. Il grande blocco d’acciaio sopra cui era stato marchiato il simbolo della Marina si era aperto per far passare la presunta scorta per il condannato a morte ma invece, da essa era fuoriuscita qualcosa che non soltanto aveva portato devastazione ma che nel suo operato, aveva finito per provocare ingenti danni al pannello principale collegato alla porta e al sistema audio-visivo di tutta Impel Down.

Le navi della Marina risentivano dell’effetto trascinante della corrente quasi fosse un enorme magnete ma l’addestramento accademico e le molte giornate passate sotto temporali, cercando di far rimanere in piedi una nave quasi prossima a colare a picco, avevano dato i loro frutti. Sfruttare i punti ciechi della corrente per ottenere la giusta stabilità e guadagnare così una mira meno traballante, era sicuramente una strategia molto ben elaborata e facile da impiegare se si andava ad aggiungere anche la grande esperienza accumulata in mare. La fortuna poi aveva voluto ricompensare le guardie navali ponendo quei punti ciechi proprio davanti all’entrata principale della prigione.

“Dannazione, neanche a farlo apposta!” sbuffò Don calcandosi il cappello in testa con il cugino a fianco a lui.

L’acqua stava diventando decisamente irrequieta e i pirati di Barbabianca dovevano trovare una soluzione per avvicinarsi senza farsi buttare fuori dalla corrente; l’essere riusciti ad affondare una delle navi e ridurne una prossima alla medesima fine grazie all’effetto sorpresa, era stato il loro primo e ultimo assalto massiccio prima che si ritrovassero a combattere a una distanza piuttosto larga da coprire. Il medico-cecchino della seconda flotta, insieme ad altri pochi tiratori, era il solo al momento che avesse da fare: sparare ai marine che tentavano di utilizzare i cannoni si stava rivelando molto difficile a causa delle condizioni ambientali e benché lui fosse un professionista, avrebbe gradito che tutto quel movimento cessasse prima che il suo stomaco ne risentisse.
Marco aveva tentato di avvicinarsi sfruttando il potere del suo mistico Zoo Zoo modello fenice, ma perfino lui, uno dei migliori della ciurma, si era visto costretto a desistere: lo schieramento militare era terribilmente compatto e la loro offensiva avrebbe reso difficoltoso il suo avvicinarsi, senza contare poi che possedevano proiettili speciali con tanto di reti d’algamatolite come sorpresa. Se fosse stato catturato da una di queste, nessuno sarebbe più riuscito a recuperarlo. Bonz, con la sua fida mazza, stava rispedendo al mittente le palle di cannone con la stessa esperienza di un lanciatore veterano e il restante dell’ampio equipaggio non era da meno: se da vicino non potevano attaccare, ciò non significava che non se la sapessero cavare da lontano. Da almeno una buona cinquantina di minuti stavano procedendo su quella linea senza riuscire a trovare uno sbocco, ma soltanto dopo essere stati scossi da qualcosa di totalmente diverso, che i pirati di Barbabianca si immobilizzarono per qualche istante.

“Cessate il fuoco!”

Anche i marine si erano accorti di quella presenza assolutamente nuova. Aveva accarezzato la chiglia di alcune delle loro navi con irruenza contenuta ma solo per accettarsi di essere notata.

“Marco, hai sentito?” domandò Don guardando il compagno di spalle.
“Si” gli rispose la Fenice guardandosi in giro senza far muovere la testa.

Un’altra “carezza” alla chiglia della Moby Dick attirò ancor di più l’attenzione di Edward Newgate, in piedi sulla polena della nave con l’alabarda ben stretta in mano, sempre in prima linea, seguito dai suoi amati figli. La sua sola e imponente presenza accompagnata dal ghignante sorriso, molto accentuato sotto i grandi baffi bianchi a mezzaluna, era stata sufficiente a far deglutire i nemici, timorosi di trovarsi la lama del Re dei Mari a una distanza troppo ravvicinata. Incontrarlo o, ancor di più, scontrarsi con lui era una sorta di privilegio irripetibile; lui stesso rappresentava un pilastro dell’epoca che aveva favorito la pirateria, ma per quanto si potesse raccontare di lui, una battaglia non era certamente il momento più adatto per rimanere a bocca aperta davanti a una leggenda vivente.
Non con quello che stava per arrivare….

“Guraguraguragura!” rise il più vecchio degli imperatori osservando l’acqua infrangersi “A quanto pare non siamo soli!”

L’acqua salata dell’oceano ballò con più ingovernabilità; non c’era modo di farla smettere ed era un miracolo che le navi non si stessero schiantassero contro la prigione o la porta della giustizia.
Benchè avessero smesso di bombardarsi a vicenda, questa aveva preso vita grazie a qualcosa che da molti anni si aggirava nei fondali freddi e scuri; ombre bluastre e deformi cominciarono a vedersi con sempre più frequenza e man mano che salivano, andavano a ingigantirsi, assumendo forme alquanto terrificanti grazie a quelle tonde sfere giallognole che poi non erano altro che i loro occhi. Il minuscolo grammo di silenzio temporaneo che aveva appiattito ancor di più le vele già sgonfie per la totale assenza di vento, era stato prontamente sostituito da tutta una serie di colonne e colline d’acqua dalle dimensioni più disparate che spuntarono dalla superficie liquida e rompendola come fosse una tela.

“Ehi, ehi! Che diavolo succede?!” domandarono alcuni colti dallo spavento.

Il susseguirsi di innalzamenti acquei terminò quando dalla punta di quelle formazioni fuoriuscirono teste e corpi squamosi e riluttanti.
Di contarli non ce ne fu la capacità da entrambe le parti, troppo prese a guardare i nuovi arrivati, subito considerati e giudicati come la cosa più indesiderata di quel mondo: erano tutti mostri marini di grossa taglia, carnivori e per nulla socievoli. Ce ne erano di ogni tipo e colore: serpenti bluastri con la pelle viscida e disgustosa come la loro bava, Seaking dalla bocca straripante di zanne affilatissime e con creste e corpo di colori e combinazioni inimmaginabili e tante bestiacce dal nome impronunciabile o sconosciuto, ma che comunque lì non erano benaccette. Coi loro occhietti dorati, scarlatti o neri che fossero, si accorsero subito della presenza di tutti quei piccoli e appetitosi bocconcini che grattavano con le unghie i ponti sopra cui sostavano: ce ne erano a sufficienza per tutti loro, ma essendo delle bestie irrazionali, non vedevano di buon occhio la spartizione poiché nemmeno avevano idea di che cosa fosse. Per loro, si trattava solo di una corsa a chi distruggeva per primo la nave e si pappava l’equipaggio .

“Eh eh, direi che siamo nei guai” rise il comandante della quinta flotta sfoderando entrambe le sue spade mentre guardava tutta quella schiera di mostri marini “Questi hanno tutta l’intenzione di spolparci vivi”
“Nella merda, vorrai dire” lo corresse Don caricando sino all’ultimo proiettile il suo prezioso fucile “Che accidenti, avremmo dovuto aspettarcelo! Con tutto il casino che abbiamo fatto, era ovvio che ce li saremmo tirati addosso”

Il doversela vedere contro quei disgustosi animalacci del malaugurio non fece altro che incrementare il fascio di nervi del medico-cecchino e non era il solo: il comandante adamantino della terza flotta pareva non aver gradito affatto quell’intrusione e i tratti inspessiti del suo viso ne erano la prova, ma Jozu - si sapeva - preferiva il silenzio alle parole e quindi stette al suo posto, trasformando l’intero braccio destro in puro e durissimo diamante.

“Saranno duri da buttare giù: a occhio, questi sono ancora più grandi di quelli dell’isola delle perle” disse Bonz sistemandosi gli occhiali sul naso.

Pochi in quel momento riuscirono a reggere l’emozione e a non farsi travolgere dalle conseguenze che quella visione paurosa stava offrendo: insomma, ritrovarsi a Impel Down, la prigione più grande e terribile del mondo, contro una schiera di navi nemiche che non avevano alcuna intenzione di spostarsi dall’unica entrata e, in aggiunta, con un branco di bestie carnivore grosse quanto montagne, pronte a prendersi il pranzo, non era esattamente quella che si poteva definire normale routine. Alcuni erano indietreggiati coi occhi pieni di minuscole venature rossastre e la bocca secca, altri si erano paralizzati sul colpo nel vedere abomini così disumanamente enormi. I pochi restanti, fra cui i comandanti e alcuni sottoposti dalla pellaccia dura, fissarono dritti nei occhi i nuovi arrivati, pensando a quanto la loro presenza fosse poco gradita. Visto l’alto rischio di essere trascinati via dalla corrente, era molto importante che il passaggio per l’entrata principale fosse sgombro, almeno per farci passare la nave di modo da accostarla al ponte della prigione, ma questo attualmente era impossibile e se tenevano pure conto del fatto che i marine presenti potevano chiamare i rinforzi da Marineford, di cincischiare come degli idioti non era proprio il caso.

Uno dei serpenti marini emise un suono acutissimo che fece rabbrividire tutti quanti per l’alto fastidio ai timpani.
La bestia dai occhi scarlatti puntò la sua lingua biforcuta e la cresta verdastra contro la Moby Dick, proprio dove l’imperatore stava.

“Papà, fa attenzione!” lo avvisarono alcuni dei figli.
“Guraguragura!” Edward Newgate scoppiò a ridere fragorosamente nel mentre quello faceva ciondolare la sua testa pericolosamente “Se è del cibo che cerchi, bestiaccia, sappi che qui non lo troverai” gli disse il vecchio guardandolo con quel suo immancabile e arrogante sorriso.

Ignaro del contenuto di quella parole, il serpente marino spalancò la bocca dai denti affilatissimi e si scagliò contro la polena con tutta l’intenzione di mangiarsela. Troppo tardi si accorse del suo errore anzi, nemmeno ebbe il tempo di prenderne coscienza: Barbabianca aveva interrotto la sua corsa sfoderando un pugno intriso del potere Gura Gura ingerito anni addietro e con l’alabarda intrisa di haki, tranciò di netto la testa della bestia, lasciando che la carcassa cadesse in acqua e ci galleggiasse.

Inevitabilmente, l’uccisione di un loro simile, richiamò l’attenzione di alcune delle creature. Le restanti avevano preferito puntare sulle navi della Marina.

“Uhm…”
“Che c’è, cugino?” il vedere Don con lo sguardo assorto sull’acqua anziché concentrato sui mostri, destò in Bonz interesse.
“Il corpo di quella bestiaccia..” cominciò con il mento poggiato fra l’incavo del pollice e dell’indice “Sta galleggiando”
“Si e allora?” domandò lui senza capire.
“Se abbattiamo questi intrusi, potremmo usare le loro carcasse per spostarci sull’acqua” arrivò Marco.
“E arrivare così al ponte” aggiunse Vista.
“Non dimentichiamoci della Marina. Affondando le loro navi, non ci daranno più fastidio” ricordò Jozu.

In sostanza, quella era la strategia formulata dalla mente del temporaneo comandante della seconda flotta. I corpi dei mostri marini erano troppo grandi per risentire del loro singolo peso e, viscidume a parte, sarebbero giunti a destinazione esattamente come volevano. Abbattere delle bestie primitive era tutt’altra cosa che vedersela con esseri pensanti e capaci di partorire una strategia che li invogliasse a imprecare in ogni lingua, ma non bisognava comunque sottovalutarle visto che loro di nave ne avevano una sola. Gli alleati erano impegnati a tener d’occhio il tragitto principale che collegava Impel Down a Marineford e considerando che tutta la Marina – ma proprio tutta - era stata schierata al Quartier Generale, era impensabile che alcuni avessero mancato l’appello lanciato dal grande ammiraglio Sengoku. Immobile sulla polena e con la lama dell’alabarda sporca di un vischioso liquido verdastro, Barbabianca cercò di guardare oltre i mostri marini e le corazzate militari senza riuscirci: al dì là di quel muro di metallo, carne e giustizia, c’erano due dei suoi figli e ciò fece calare un leggerissimo velo scuro che accentuò i suoi lineamenti rugosi e stanchi a causa del tempo avanzato; di teste calde ne aveva incontrate parecchie e conoscendo il temperamento di entrambi, era sicuro che fossero vivi e che stessero risalendo in superficie. Ma c’era comunque qualcosa che lo stava turbando profondamente, che in qualche modo lo stava preoccupando non poco. Il battito del suo cuore gli arrecava un fastidio insolito ma non era per le sue condizioni fisiche: il non sapere con certezza che cosa fosse, aumentò il sentimento a carico dei figli mancanti all’appello.

“Tutti quanti, preparatevi!!” esclamò con voce poderosa “Apriamoci la strada per il ponte principale!!”
 



Livello quattro.
L’inferno ardente.

Il Dark Dark della tipologia Rogia apparteneva a quella minuscola schiera d’elite che comprendeva i frutti del diavolo di cui si era sentito solo nominare il nome, frutti che offrivano poteri così stupefacenti da chiedersi se fossero realmente reali: i Paramisha erano considerati i più comuni perché le possibilità di trovarli erano maggiori rispetto ai Zoo Zoo, particolari e ambiguamente collegati al mondo animale, e ai Rogia, i più rari e potenti.
Nessuno sapeva quanti fossero di preciso o da dove venissero ma era innegabile che offrissero delle abilità sbalorditive ai comuni occhi umani, eppure in quella gerarchia tanto semplice quanto vasta, vi era quel gruppetto che comprendeva una categoria senza nome, dove al suo interno c’erano frutti mistici con poteri tanto antichi quanto impensabili: Marco per esempio possedeva lo Zoo Zoo modello fenice che gli permetteva di rigenerarsi dopo ogni attacco e il suo vecchio capitano era in grado di scatenare maremoti e terremoti con la sola forza di un pugno. Se doveva dire la sua, Teach era sempre stato piuttosto invidioso di quei poteri così vistosi - e infatti qualche pensiero invidioso l'aveva fatto - ma gli era sempre bastato pensare a quanto grandi sarebbero state le sue imprese non appena fosse entrato in possesso del Dark Dark.
Quel frutto era stato creato appositamente per lui, se ne era convinto fin dalla prima volta che aveva letto la descrizione trovata in una enciclopedia piena di muffa e prossima allo sgretolamento: il suo potere poteva annullare qualsiasi altro e rendere immuni e tangibili i proprietari, inghiottire ogni cosa senza che questa opponesse resistenza. Si, possedere un frutto del diavolo anzi, il frutto del diavolo, era qualcosa di così appagante da dargli la piacevole sensazione di essere addirittura onnipotente.

Tuttavia, per quanto speciale e distruttivo fosse, un frutto del diavolo rimaneva pur sempre un frutto del diavolo e oltre all’acqua di mare, a cui era diventato allergico, doveva fare particolarmente attenzione all’haki. L’ambizione era un bel problemuccio serio da spulciare, perchè tale forza poteva neutralizzare le abilità magiche dei frutti del diavolo e rendere così i possessori vulnerabili come un tempo e lui disgraziatamente non faceva eccezione. Seppur si trattasse di un effetto temporaneo, il dolore fisico che si provocava variava a seconda della persona e dal suo stesso desiderio di vita: l’ambizione era un potere unico, qualcosa che affilava gli occhi e rendeva profonda la voce. Non tutti l’avevano anzi, solo un certo numero limitato di persone erano capaci di lavorare sul proprio spirito e trasformarlo in una gemma luccicante dai bagliori intensivi quanti quelli del sole e Sayuri rientrava fra quel gruppo ristretto.

“Divine Recall: Opening Sentence! (trad: richiamo divino: apertura della sentenza)”
“Dark Claws! (trad:artigli oscuri)”

Teach avvolse le sue mani abbronzate col fumo nero che fuoriusciva dalla sua schiena per poi inguantarle e renderle di qualche centimetro più grandi, con le dita affilate come rasoi. La parte di torace bruciacchiata, coperta dalla camicia rossa lasciata appositamente sbottonata, pulsava accaldata e pizzicava come se tantissimi schizzi d’olio bollente stessero facendo il tiro al bersaglio col suo corpo ma non era nulla su cui poteva concentrarsi visto che al momento era impegnato su tutt’altro fronte. 

Con quella sua assurda tecnica puramente fatta d’haki, Yu-chan aveva portato il combattimento ad un livello più intenso e lungo rispetto ai precedenti che lui aveva, per così dire, “intavolato” con Satch e Ace: al primo non aveva lasciato il tempo di capire cosa stesse per accadergli e per quanto riguardava a il suo ex comandante, la sua unica pecca era stato l’avere nel sangue quel fuoco di cui aveva sempre fatto un ampio utilizzo.
Ma con la piccola fanciullina dei gigli il discorso era radicalmente diverso: il sentire quelle due mani spiritiche raschiare via l’oscurità, tagliarla come fosse carta lo stava spingendo a una difesa tutta basata sulla sua resistenza fisica, altro piccolo vantaggio che gli aveva permesso di coprire la mancata intangibilità dei Rogia. Combattevano vicinissimi con tutta una serie di mosse e contromosse dove la pece dell’oscurità e l’azzurro dell’ambizione della sua avversaria cozzavano all’unisono producendo scintille inumane. Al contrario di lui, che al momento di movimento ne stava compiendo ben poco, la castana balzava da un muro all’altro, compiendo balzi acrobatici per poi comparire a pochi centimetri dal suo viso e cominciare a eseguire tutta una sfilza di arti marziali combinati fra di loro che parevano non avere fine, arrivandogli a ustionargli la pellaccia e condannandolo a un dolore fisico non trascurabile.
A dispetto di quanto sentisse, quello era il più eccitante scontro che Teach avesse mai ingaggiato da quando aveva lasciato il tetto di Barbabianca.

Respingere Sayuri era alquanto fastidioso per via della sua creazione che non mancava addirittura di guardarlo con occhi pungenti e accusatori, uguali a quelli di una maestosa e severa regina che si apprestava a punire chi osava minacciare la sua terra.
Era come se avesse vita propria: lo attaccava e impediva che si avvicinasse troppo alla ragazza, muovendosi con una volontà stacca da quella della sua creatrice.  Riusciva a captare in anticipo le sue intenzioni, a unirsi con la ragazza negli attacchi per renderli triplicemente devastanti, come fossero una cosa sola. Il bruciare che percepiva era appena più flebile di quello che tempo addietro gli aveva inferto Ace, ma la differenza stava che quella manifestazione assolutamente fuori dalla norma di spirito vitale lo stava toccando con un’incisività che a lungo andare si sarebbe approfondita.

“Non c’è che dire, Yu-chan. Hai proprio dato vita a una bella diavoleria!” esclamò deviando i suoi pugni e lanciandole le braccia in alto “Ero sicuro che non mi avresti deluso!”

La castana vide il montante destro di lui avvicinarsi pericolosamente alla bocca del suo stomaco ma fece in tempo a chiamare in suo soccorso il Divine Recall perché questo intervenisse tempestivamente a proteggerla. A quella strettissima vicinanza con l’ambizione cristallina, le nocche di Barbanera cominciarono a fumare ma nonostante l’atroce dolore che gli stava fondendo le mani, l’uomo spinse con forza mostruosa in avanti fino a disarmare anche la tecnica di Sayuri.

Bianco Giglio balzò all’indietro e si distanziò da lui prima che potesse colpirla.

E’ incredibile! Ha resistito a un contatto diretto con l’haki. Ma di che cos….?

Gemette per qualche istante nel sentire le sue mani umane tremare per quello sfondamento violento: all’ultimo aveva cercato di bloccarlo anche con l’ausilio della sua forza fisica ma era stato del tutto inutile. E dire che lo spirito da lei chiamato lo aveva anche afferrato per le spalle, ma l’unica cosa che aveva un po’ risentito del suo potere era il giaccone nero che l’uomo indossava sopra la camicia.

Non posso continuare ad attaccarlo in questo modo, spreco soltanto tempo prezioso e purtroppo per me non posso tenere attivo il Divine Recall ancora a lungo…

Interruppe per la seconda volta il flusso nei suoi pensieri per non dover cadere a terra.
Le gambe, insieme alle braccia, erano state colte da dolorosi spasmi interni che ben delineavano il limite da lei raggiunto e soprattutto il quasi esaurimento del ricostituente. Lo serrare la mascella e il non accorgersi delle venature verdastre contornarle uno dei due arti superiori che stava stringendo come se questo stesse per staccarsi dal corpo non la distolsero dalle terribili fitte a cui la testa, insieme ad altre parti, stava facendo da bersaglio. Tutto il suo cranio sembrava in procinto di volersi spaccare dall’interno e lei era ben conscia che ciò non era solo che l’inizio: la medicina di Don stava esaurendo il suo effetto e lei non poteva dilungarsi più di quanto già stesse facendo.

La concentrazione fisica e psichica la stava distruggendo. Avvertiva il peso trattenuto farsi incalzante e la sua resistenza assottigliarsi velocemente, con gli arti che cominciavano a dolergli seriamente. Poteva contrastare il potere di Teach, ma ciò le imponeva una distanza ravvicinata e per il resto, il suo non era che un continuo evitare i colpi diretti: era fin troppo conscia che le sue intenzioni erano quelle di farla cadere a terra per poi non farla più rialzare. Tutto il quarto piano era coperto di macerie e fiamme capricciose permessesi di salire su alcuni dei ponti più bassi per farli loro: la calura aumentava in continuazione tanto da appannare gli occhi affaticati della povera ragazza, alla disperata ricerca di un solo grammo di ossigeno sano e fresco ma senza smettere di guardare l’avversario e il suo volto deturpato da un paio di striscioline scarlatte.
Cercò in lui la stessa stanchezza che percepiva su sé stessa, ma in cuor suo sapeva di non poter trovare una corrispondenza tanto positiva: anche se stava inghiottendo l’aria ad ampie respirazioni, l’oscurità del Dark Dark continuava a fuoriuscire dal suo corpo e di questo passo non ci avrebbe messo molto a inghiottire il ponte sopra cui stavano combattendo. In quel suo riflettere sfrenato, comprese che non avrebbe avuto altre occasioni per attaccarlo, doveva approfittarne prima che i muscoli le si strappassero e gli organi interni si afflosciassero come le viscere mollicce e appiccicaticce di un Seaking.

Se lo attaccassi direttamente potrebbe intercettare le mie mosse e difendersi. Pensò cercando di sopprimere lo stridio che le stava E io non posso permettermi il lusso di colpi vuoti.

Analizzò tutte le opzioni a sua disposizione, rendendosi conto di essere spaventata dalla possibile prospettiva del fallimento. Fino a quel momento, il Divine Recall aveva dimostrato di essere una arma anti-Rogia pressoché efficace. Le grida di Teach non potevano essere certo false ma lui non era come Ace, Marco, Jozu o chiunque altro suo conoscente con un potere derivante da un frutto del diavolo: lui era diverso, più malvagio e depravato rispetto a molti altri pirati dal viso truce. Il suo voler concretizzare il proprio sogno non conosceva limiti ne vite umane tanto preziose: credeva nell’irrealizzabile, sfidava leggi che stavano alla base del mondo da ancor prima che lei nascesse e molto altro ancora: tutto perché lui era diverso e si considerava tale ma era proprio quella sua diversità ad essere una minaccia nuova e terrificante. Qualcosa nel suo volto lo rendeva tanto maligno da non poter essere ignorato e chi aveva avuto l’onore di conoscerlo come amico, non avrebbe potuto non notarne il vistoso cambiamento.

Quell’apparente faccione bonario c’era, era realmente esistito ed esisteva tutt’ora. Non era una maschera montata e curata nei suoi dettagli, no: quello era un aspetto di Teach che si poteva addirittura definire pacifico, ma il suo vero io…..oh, quello non aveva parole. La sola certezza che si aveva era che il frutto Dark Dark era perfetto per lui, come fosse stato creato appositamente perché non appartenesse a nessun’altro.
Faceva paura anche a lei, a Sayuri. Avvertire finalmente l’inquietudine e il timore assumere un aspetto concreto l’aveva scioccata perché vedere dal vivo un puro sognatore agire con tanta depravazione nel sangue, mostrarsi per il demonio quale era, non poteva che essere una sgradevole sorpresa, ma per il male che aveva commesso alla sua famiglia, per rispettare la promessa fatta al povero Satch, lei avrebbe fatto della paura una forza in più, la spinta verso il grande salto. Ci stava mettendo l’anima in quello scontro e avrebbe continuato a infondere ogni attacco di essa se ciò le avrebbe concesso di fargli comprendere quanta sia grande la sua delusione.

Lo devi…fermare prin..ci..pessa….fermalo.

Le sue parole….
Le ultime parole di Satch…
La sua ultima richiesta..la ricordava molto bene ora.

Te l’ho promesso, Satch, e manterrò la mia promessa!

Aprendo le braccia lateralmente, Barbanera scagliò l’oscurità verso di lei.
Sayuri scattò in avanti seguita subito dallo spirito della donna con l’elmo, lanciandosi verso Teach come fosse un fulmine azzurro. Sorprenderlo era l’unica via al momento più sicura e su cui i suoi rapidi ragionamenti avevano trovato ampia approvazione, ma sfortunatamente per lei, il suo corpo cominciava ad essere contrario alle sue decisioni.
E infatti….

“Ugh!”
No, non adesso!

Uno spasmo più forte dei altri le percorse tutto il corpo, calcando la sua impronta dalla punta delle dita dei piedi per poi salire al costato, tartassarle la spina dorsale e infine esplodere nel cervello. Barcollando, diminuì la sua andatura e subito si ritrovò intrappolata in una specie di cilindro dalle mura altissime dove l’oscurità girava come una spirava verso il soffitto.

“Accidenti…non riesco a vedere niente...Whaaa!!”

Improvvisamente qualcosa le aveva colpito la schiena, facendola finire a carponi. Un’immediata calura le invase la schiena, più precisamente laddove la pelle era stata colpita con tanta forza da strappare un lembo della sua maglietta.

“Cos….?”

Neppure si era rimessa completamente in piedi che nuovamente si trovò con le ginocchia puntate a terra, col dolore stavolta rivolto alla bocca dello stomaco.

“Zehahaha!! Vediamo adesso come te la cavi, Yu-chan!” la sfidò l’ex compagno aldilà della struttura da lui creata.

Sedendosi sui talloni, si guardò la mano con cui aveva stretto il ventre per cercare di limitare la sua sofferenza fisica: era macchiata di sangue, del suo sangue, quello che stava rilucendo sul taglio lasciatole da una delle fruste nere che giocavano a nascondino nella torre dentro cui era imprigionata. Lei, che voleva cogliere l’avversario di sorpresa, ora si ritrovava ad essere disorientata e con la testa che continuava a mandarle allarmati messaggi. Fermati, le diceva ma questa non obbediva: sentiva di potercela fare, ma il vedere i lineamenti delle sue mani sdoppiarsi e sfocarsi, realizzò che non le rimaneva molto tempo e che aveva energia a sufficienza per un solo unico e decisivo attacco, quello finale. Anche i tratti dello spirito si erano leggermente affievoliti: ogni fibra della sua testa le doleva terribilmente e quella sofferenza le aveva impedito di percepire l’attacco di quelle spire spesse e appuntite. Quegli squarci caldi e scarlatti bruciavano come se le stessero corrodendo la pelle ed era ad un passo dal superare la sottilissima linea del mondo reale per entrare in quello incosciente dove solo neppure il pensiero le era concesso. Era inutile poggiare le tempie al palmo della mano, nessuno dei sollievi che poteva inventarsi avrebbe funzionato: la sua sola scelta era farla finita prima che anche l’ultimo briciolo di ragionevolezza svanisse con lei.

Un colpo…

Sfoderò i sai con lentezza scrutando con iridi tremolanti quei angoli che le risultavano più bui. Le bastava un segnale, qualcosa che si muovesse e che fosse visibile ai suoi occhi ma che soprattutto, le si manifestasse prima che la già insistente ansia le facesse battere il cuore più di quanto la sua tecnica già stesse facendo.

Cercò, cercò, cercò….eccolo!

Balzò su quel movimento antiorario scorto per un solo istante e lo tranciò dal basso verso l’alto aprendo così la torre che la teneva prigioniera: intercettando la mano di Barbanera protendersi verso il suo collo, si allontanò e compì un salto tanto grande da arrivare a levitare.

“Un solo colpo..!” ringhiò strizzando gli occhi.

Teach dovette coprirsi gli occhi per quell’accecante luce azzurra irradiata di pura ambizione riscoperta: nonostante la distanza fosse giusta, la fonte che stava espandendo tutto quell’haki risuonò come echi angelici e ciò non potè che dargli fastidio. Solo nello sbirciare da un minuscolo spazio fra i due avambracci, vide un gigantesco palmo tre volte grande la sua testa avventarsi su di lui come se fosse una mano divina evocata dal cielo.

“Cosa diav..?!” biascicò nel mentre raggruppava forzatamente il suo potere per respingere quello che gli stava per arrivare addosso.
“E' LA TUA FINE, TEACH” gli urlò la ragazza “DIVINE RECALL: HANDBREADTH COURT!!! (trad:palmo giudiziale)”

La luce divenne più intensa che mai. La mano simboleggiante la sentenza finale di quel giudizio non umano andò ad abbattersi contro il viso scuro e barbuto di Teach, rimasto accecato e paralizzato dall’effetto risonante che questa aveva esercitato su di lui.br />
“GWHAAAAAAAAAAAA!!!!!”
Ce l’avrebbe anche fatta a scansarsi se solo si fosse accorto prima della velocità inaudita con cui quell’attacco l’aveva raggiunto ma non essendoci riuscito, finì in balia di qualcosa che gli diede la sgradevole sensazione di venir accartocciato e fatto esplodere in mille pezzettini, spingendolo a strepitare fino a rompersi le corde vocali.
 



Livello uno.
L’inferno scarlatto.

“Ma perchè..perchè, perchè, perchè, PERCHE’????”

La sfortuna non poteva essergli tanto avversa, era inconcepibile che fosse tanto crudele nei confronti di un umano a cui aveva beneficiato tutta una serie di miracoli salvifici.
Accidenti! Fra tutti i momenti più opportuni, l’amata fortuna tanto pregata, scongiurata e supplicata in ginocchio, adesso aveva lasciato lui, Buggy il Clown solo, insieme a tutti i prigionieri che aveva liberato da una mezzoretta per assicurarsi una copertura più sicura e già che c’era, anche un pubblico che lo osannasse come un messia. Quando si possedevano le chiavi delle celle e perlopiù, si era un detenuto risalito direttamente dal quinto livello, la stima e il rispetto crescevano vertiginosamente, toccando il picco senza neppure spingerlo. Con l’affiatata collaborazione di Mr3 era tornato all’inizio ma con una sostanziale differenza: ora poteva veramente auspicare a riavere la sua libertà.

Si erano persino messi a ballare quei due tanto erano felici del sempre più vicino traguardo, ma prima che la gioia potesse assumere le forme del tanto immaginato portone d’entrate, il povero capitano dal naso tondo e rosso si era ritrovato a imprecare e al tempo stesso a piangere per la tremenda ingiustizia riservatagli. La situazione era pressoché identica a quella vissuta nel livello due: loro, braccati da un nemico visibilmente più numeroso e vorace. Invece di trovarsi sotto un riparo di cera, si erano imboscati in un angolo del piano e con il potere di Galdino avevano bloccato ogni entrata; inoltre, anziché essere in due, ora erano almeno una ventina, un numero sufficiente per un piccolo assalto….peccato solo che i Blugori che si erano sostituiti alle bestie infernali del secondo piano li superavano di almeno il doppio ed erano tutti armati di simpatiche asce e mazze spacca-teste. Poteva andare peggio di così? Non c’era da escluderlo ma era preferibile non pensarci.

“Capitano Buggy, cosa facciamo?” gli chiese uno.
“I Blugori non demordono e di questo passo rischiamo che ci prendano!”
“Se non facciamo qualcosa arriveranno a sfondare i muri di cera del fratello Galdino!”

Se quella manica di fuorilegge era disperata, il pirata dal naso tondo e rosso era completamente perso e stritolato dal panico che lo stava assalendo per il non saper come sbrogliare quella situazione.

Dannazione! Ma perché deve andare tutto storto proprio ora che siamo ad un passo dalla libertà?? PERCHE’????

Farfugliò parole incomprensibili e finì per inveire contro la parete costruita dal socio, dando prova che la sua sanità mentale era andata ufficialmente a farsi benedire. Non era bastato dover scappare da un branco di lupi affamatissimi su dei trampoli, non era bastato dover evitare di farsi vedere da Magellan, così come non era bastato strisciare sotto la sabbia per evitare le bestie demoniache e correre come un pazzo su per le scale che conducevano al primo piano prima che quelle schifose Manticore facessero di lui e dell’altro dei spezzatini di carne; niente di quanto fatto era bastato se ora si ritrovava nuovamente in trappola e con la prospettiva di non vedere più la luce del giorno!

E intanto quelli alle sue spalle credevano stesse dando prova del suo grande coraggio di capitano impavido e incurante della morte!

“E’ incredibile!” diceva uno.
“Guardate con che ardore maledice i Blugori!”
“E’ veramente degno di diventare il Re dei Pirati!”
“Capitano Buggy, ti seguiremo fino alla morte!”
Questi devono avere dei seri problemi alla testa…Pensò Mr3, nel guardare il compagno continuare a inveire senza sosta contro il muro di cera.

Stavano rasentando il fondo ed erano i soli ad esserne consapevoli visto che i restanti idioti erano smisuratamente fiduciosi sul fatto che il loro nuovo leader, affiancato dalla spalla destra - lui per l’appunto -, li avrebbero portati fuori da quell’inferno in groppa ad un cavallo alato. La mancanza d’ossigeno lì sotto doveva aver compromesso le capacità cerebrali di chiunque e visto che lì materia grigia scarseggiava in abbondanza, di certo il processo era stato pressochè rapidissimo.
Il lagnarsi e lo strapparsi i capelli non avrebbero fatto altro che renderli ancora più patetici ma non potendo controllarsi davanti ad almeno una decina di fauci affamate, il delirare rientrava perfettamente nella norma. Combattere a mani nude contro quei mostri era improponibile , fra loro e quei bestioni vestiti di blu c’era non c’era paragone, ma non potevano di certo rimanere lì fino a quando le ragnatele non avrebbero ricoperto i loro corpi decomposti per il troppo aspettare.

Non è giusto!!!  Pigolò mentalmente Buggy con le lacrime ai occhi  Io volevo solo impossessarmi di tutti i tesori del mondo, non chiedevo poi molto!!

Voleva il miracolo, voleva che la grande e dorata mano della fortuna gli aprisse la via verso il radioso sentiero della pirateria, dove al traguardo c’era così tanto oro da far venire la nausea. Voleva crogiolarsi in un mare di monete e gioielli fino a morirci dentro, mica lasciare la pelle in quel postaccio solo perché era stato tanto sfortunato da finire in un avamposto segreto della Marina anziché in uno dei nascondigli di un pirata dal grandioso bottino!

Le tempie pulsanti e la muscolatura rigida erano sul punto di scoppiare e quando ebbe finito di leggere tutta la lista mentale su cui aveva annotato le azioni compiute sino a quel momento, alzò la testa di scatto con tanto di braccia all’aria urlando:

“ADESSO BASTA, VOGLIO USCIRE DA QUI!!! SE AL TRE NON VI SIETE LEVATI DI MEZZO, VI PRENDO TUTTI A SCUDISCIATE!!!!”

Quei tre secondi passarono come se fossero fusi in uno e all’ultimo, si udì un botto tanto grande da far sgretolare la cera posta alla difesa del loro angolo. Urlando, i prigionieri finirono contro il muro insieme al polverone sollevato.

“Coff, coff! Che diav….??”

La testa volante del neo capitano era stata la prima a riprendersi dopo quel botto ma il vedere davanti a sé quattro Blugori, uno sovrapposto all’altro, gli fece spalancare tanto gli occhi che rischiò di incappare nel pericolo di perderli come era successo tempo addietro coi suoi arti.

“Pazzesco! Capitano Buggy, tutti i Blugori sono stati messi fuori combattimento!” lo informò un sottoposto scampato al volo.
“Che???” anche Mr3 si era unito al suo sbigottimento.

Il corridoio era coperto di enormi corpi dalle vesti blu e dove ogni tanto spiccavano lame affilate e chiodi appartenenti alle mazze cadute a terra. Erano veramente stati messi K.O e a far sì che la sua preghiera urlata fosse esaudita era stato….

“C-C-CAPPELLO DI PAGLIA?!?? SEI VIVO???” a momenti rischiò di strozzarsi con la saliva e Galdino con lui, che nel frattempo aveva riconosciuto il suo ex capo e Jimbe, il Cavaliere del Mare.
“Uh? Ragazzi, che bello! state bene!” esclamò il ragazzo di gomma nel vederli.

Nel ricevere quelle parole dette con così tanta sincerità, con una spontaneità insita soltanto in un cuore innocente, i due pirati si sentirono trafiggere il petto da tutta quella purità senza che fosse loro concesso il tentativo di schivarle.

“Maledetto, ci hai fatto male!!” gracchiarono nel sentire la gioia della voce di Rufy toccarli nel vivo.

La sua ingenuità e il non sapere cosa in passato questi avevano tramato alle sue spalle alla fine li aveva puniti senza che Rufy stesso ne fosse consapevole.

“A-ah! Eccovi qua, maledetti traditori!!”

Come se le frecciatine di sincero sollievo da parte di Cappello di Paglia non fossero state sufficienti, Bon Clay rincarò la dose con tutta una serie di calci rotanti sulle loro facce per l’averli abbandonati nell’inferno di ghiaccio.

“E anche questi sono sistemati” sentenziò Ivankov nell’assicurarsi che tutti i Blugori fossero belli che addormentati.
“Sarà meglio procedere” aggiunse Inazuma.
“Mr3, dimmi che anche tu stai vedendo un gruppo di pervertiti con le calze a rete” biascicò Buggy con la faccia gonfia di schiaffi.
“Si” gli rispose lui con il viso ridotto nelle medesime condizioni “Tranquillo, li vedo…”
“Pervertiti a chi?!” il cigno rinato cominciò a tartassarli nuovamente, con attorno la folla dei prigionieri liberati da Buggy che lo intimava di lasciare in pace il loro leader.

Così presi a darsele, soltanto Rufy, Jimbe, Crocodile, Invakov e Inazuma udirono una scossa proveniente dall’ultimo piano rimasto da raggiungere, quello d’entrata. Era difficile dire di che cosa si trattasse; indubbiamente la fonte non poteva essere interna dato che loro lì non ci erano ancora arrivati e, se tenevano conto che quasi tutto il personale di Impel Down se lo erano lasciato alle spalle, la risposta poteva essere solo una: Barbabianca.
Sul viso di Crocodile si dipinse un ghigno sadico che catturò l’attenzione del regino e lo esortò a scoccargli una delle sue occhiate accigliate come per ricordargli di tenere al guinzaglio quel bell’uncino dorato che aveva al posto della mano.

“Il vecchio se la starà vedendo con le corazzate che sono state poste a guardia della prigione. Raggiungiamo l’entrata e cerchiamo di aprirci un varco, dobbiamo portare Ace sulla Moby Dick il prima possibile” disse il Cavaliere del Mare affiancando gli okama che si stavano premurando che Pugno di Fuoco non venisse sballottato troppo.

Il flottaro aveva perfettamente ragione: doveva far salire Ace sulla nave dell’imperatore a tutti i costi, quella era la loro priorità. Portarcelo equivaleva a porre fine al conflitto. Al momento la zona rossa comprendeva le mura interne  di Impel Down e sapevano che ingrandirla non era il caso, senza contare che il tempo era contro di loro e che le corazzate potevano anche aver già chiesto rinforzi al Quartier Generale: in tre ore poteva succedere di tutto. Di qualunque entità fosse la battaglia che si stava svolgendo sopra di loro, presto ne avrebbero preso parte e sinceramente nessuno avrebbe preferito rimanere lì o tornare nella propria cella, non con l’occasione di solcare nuovamente i mari a portata di mano.

“Le scale pev il piano d’entvata sono poco più avanti” disse Ivankov smuovendo dalla vaporosa testa la sua grande e sfarzosa corona “Sbvighiamoci”

Alla testa dei suoi adorati pasticcini, il regino di Momoiro fece ripartire tutto il gruppo sempre tenendo sotto torchio Crocodile. Le scosse provenienti da sopra si stavano facendo sempre più frequenti ma Jimbe nel soffermarsi sulla porta appena sorpassata,  percepì l’eco di un tremendo boato proveniente da sotto i suoi piedi. Avvertire il pavimento tremare era una buona cosa, ciò stava a significare che Sayuri era ancora viva ma nulla di più: tutto il resto era sconosciuto, enigmatico e quanto più si allontanavano da quel piano, più il dubbio nell’uomo pesce cresceva.

“Sta bene, ne sono sicuro” affermò Rufy interrompendo così il suo pensare “Yucci-chan è in gamba”
“Lo so, Rufy. Tutti i membri della ciurma di Barbabianca sanno il fatto loro” rispose lui.
Peccato però che anche quel bastardo facesse parte della ciurma del vecchio….

Per quanto si fosse cercato di dimostrare a quell’uomo che senza moralità non si poteva vivere nel mondo, Teach fino a quel momento l’aveva spuntata egregiamente e la sua non era stata solamente fortuna. Perché si trovasse a Impel Down invece che a Marineford insieme ai altri componenti della flotta dei sette rimaneva un mistero, ma ciò non voleva dire che la sua presenza fosse stata spostata in secondo piano: rimaneva ugualmente la causa fondante di quella guerra, guerra che forse non si sarebbe scatenata se tutto fosse andato bene. Inoltre, nessuno di loro sarebbe arrivato lì se Sayuri non si fosse appositamente fermata per combattere contro di lui: per quante obbiezioni la sua scelta avesse fatto insorgere, era innegabile che se qualcuno non fosse rimasto a intrattenerlo, nessuno di loro si troverebbe ad un passo dall’uscita. Avrebbe voluto essere più ottimista come il fratellino di Ace e in verità ora il suo umore era più calmo e accettabile rispetto a qualche giorno prima, ma ciò non toglieva che fosse ugualmente un po’ in ansia per quella ragazza.

Raggiuncici presto, Sayuri.
 



Livello quattro.
L'inferno ardente.

“Uh……dov...?”

Faceva caldo.
Faceva incredibilmente caldo, così tanto che voleva strapparsi perfino la pelle dal corpo. La vista della ragazza ora era completamente sfocata, i colori si mischiavano l’uno all’altro senza permetterle di definire bene la forma delle mura, del pavimento e di tutto ciò che la circondava. Senza sapere bene come era finita contro una parete, rannicchiata in un angolo e con gli arti completamente devastati per la stanchezza. Era più morta che viva, il palmo giudiziale del Divine Recall l’aveva svuotata e tutta la sua potenza si era schiantata contro il faccione di Teach, esercitando una pressione così elevata da far appiattire quel suo grosso naso ingobbato e poco estetico. Ma anche lei ne aveva risentito: il contraccolpo era stato veramente duro e al momento dell’esplosione era stata sbalzata via. Fra le molte cose che continuavano a girarle intorno come fumi indistinti, riconosceva soltanto l’eco delle urla di Teach che dilagavano nel mentre la tonnellata d’haki da lei inferta si faceva strada nella sua bocca e nelle cavità oculari per distruggerlo. Al momento dell’impatto ambizione e oscurità si erano mischiate, creando un vortice dai colori binari che aveva colpito il soffitto con tanta incisione da lasciarci l’impronta.

Muscoli, viscere, vasi sanguigni..tutto si accingeva a spegnersi ora che quanto trattenuto era stato lanciato fuori. La ragazza si stava spegnendo, come una candela ormai arrivata a consumare gli ultimi lembi di cera bianca rimasta. Si sarebbe lasciata volentieri cadere in un sonno profondo; il solo sbattere le ciglia e l’ansimare erano azioni pressoché insostenibili. Poteva impegnarsi ma di volontà non ne aveva più, era troppo stanca, più di quando aveva affrontato il direttore Magellan; i polmoni le si stavano riempiendo di fumo e a breve anche quel microscopico barlume di lucidità appena riacchiappato dal nulla sarebbe svanito. Se avesse potuto si sarebbe lasciata rapire dalle fiamme di quel piano ma non essendo quelle a cui si era abituata, preferì resistere e tentare di ricongiungersi coi compagni lasciati andare avanti.

La tasca…devo….

Si sarebbe spaventata se si fosse vista allo specchio. Capelli in aria e pallore a parte, le bende sotto la maglietta e la maglietta stessa si erano impregnate del sangue fuoriuscito dalla ferita riapertasi dopo tutta quella serie di movimenti bruschi. Mugugnò nel sentire l’acuminata fitta di dolore prenderle il petto proprio in quella zona ma, trattenendo il respiro con i denti infilzati nelle labbra, riuscì a infilare la mano nella tasca dei pantaloni prima che lo sforzo le facesse ricadere la testa di lato coi occhi chiusi. Non avrebbe più avuto la possibilità di muoversi se non avesse fatto ricorso all’ultimo ricostituente di Don e seppur sull’orlo dell’annebbiamento totale, non aveva affatto dimenticato che Teach si trovava sul suo stesso piano e che la sua ciurma sarebbe potuta tornare da un momento all’altro. Ovunque fosse, sperò che ci rimanesse e ancor meglio, che non fosse cosciente.

Affondò le dita nella tasca in cerca della siringa col vetrino incorporato ma nel non trovarcela, la poca lucentezza rimasta nei suoi occhi sbiadì, lasciando che la paura li colorasse.

No….ma dov’è? Non è possibile, non…non posso averla persa!

Quello fu il primo pensiero non tanto balbettato che riuscì a formulare nonostante la smisurata spossatezza. Frugò ancora ma finì solo per boccheggiare più velocemente e col cuore leggermente su di giri per quella scoperta: non poteva crederci, la siringa con il ricostituente…le era caduta!
In una qualche maniera le era scivolata via durante il combattimento ed ora era dispersa chissà dove. Forse, era addirittura rotolata giù nelle fiamme..

No…calma, Sayuri..c-calma. Non farti…prendere dal panico..

La castana gemette per la sofferenza fisica e psichica ormai regnanti dentro di lei; si girò sul fianco, trovandosi a guardare il lungo ponte su cui sostava con l’ansia che si innalzava dentro di lei nonostante le preghiere. Le fiamme al di sotto dei ponti si erano fatte più alte, permettendo all’afa e alla temperatura di salire notevolmente, rendendo il pavimento sopra cui sostava ancor più insopportabile, tanto che se non si fosse mossa le se si sarebbero bruciati i vestiti. Fu in quel momento, quando stette per abbandonare nuovamente la tempia contro il muro, che la sua pupilla si scontrò con un piccolo bagliore rosso proveniente a circa una decina di metri da lei. A stento già respirava ma nel cogliere quella lucina scarlatta, l’aria le si stoppò in gola come fosse un groppo indigeribile.

La siringa era là, a dieci metri di distanza da lei e benché la sua vista stesse dando gli ultimi, Bianco Giglio giurò che l’agognato rimedio di cui aveva disperatamente bisogno fosse intero.
Doveva recuperarla, senza non avrebbe più potuto muoversi e ne prese consapevolezza quando le gambe cominciarono ad appiattirsi lentamente. Puntò i piedi verso il basso e con la parte destra del corpo totalmente appoggiata al muro, si tirò su facendo strisciare la sua pelle contro i mattoni di quel minuscolo arco sotto cui si era riparata. Tenendosi l’addome sanguinante, barcollò a destra e a sinistra il più velocemente possibile verso quel riflesso rossiccio. Ogni passo era un agonia, sembrava che le sue ossa fossero sul punto di ripiegarsi su sé stesse, come una struttura mal costruita alla base ma, imponendosi di non desistere, continuò a mettere un piede dopo l’altro fino a quando non fu abbastanza vicina da accasciarsi sulle ginocchia per cogliere il rimedio medico.

Solo…solo un altro sforzo..

Anche se non vicinissima si piegò in avanti allungando il braccio e tendendo la mano insanguinata verso l’oggetto ma, anziché stringere fra le sue dita tremanti il vetrino della fialetta, successe una cosa a cui neppure lei seppe darsi spiegazione. Avendo focalizzato la sua attenzione sulla siringa perduta, non si era minimamente accorta di quel ringhio ansimante e carico di rabbia che l’aveva osservata uscire dal suo nascondiglio: a grandi passi si era avvicinato e, senza che lei se ne accorgesse, avanzò fino ad arrivare a sbatterle la pianta del suo piede contro la guancia, schiacciandola a terra con la stessa irruenza che prima lei gli aveva riservato.

“Peccato, Yu-chan, ti è andata male, zehahahaha!!!!!”

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Capitolo 67
*** Farò di lui il Re dei Pirati. ***


Buonasera a tutti voi. Continua la battaglia di Impel Down che, con l’arrivo dei pirati di Barbabianca si fa ancora più movimentata. Buona lettura a tutti quanti, vi mando un sincero ringraziamento!!

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Non se ne capacitava.
Non se ne capacitava assolutamente. Com’era possibile che avesse fallito?

Lo aveva colpito in pieno viso, con tutta la sua potenza, convinta di averlo ferito a sufficienza da farlo rimanere disorientato quanto bastava da non poter alzare un dito per le prossime ore, convinta di averlo sconfitto.
E invece…invece adesso era lei quella a terra, con il suo piede che la schiacciava contro il bollente pavimento dell’inferno ardente, cercando di trasformare le sue ossa in briciole e la bocca intrisa di sangue dall’amaro gusto metallico.

C…Come….?
“Lo devo ammettere, Yu-chan, lo devo proprio ammettere!” ringhiò sadicamente “Sei riuscita a farmi un gran male, questa tua nuova trovata merita tutta la mia ammirazione, ma purtroppo per te, non è bastata a uccidermi come speravi!!!”

Sollevò il piede solo per poterle dare un calcio al viso e gettarla contro la parete dietro cui si era rifugiata.
Al momento dell’impatto non aveva avuto neppure la forza di gridare, quel calcio era stato di un’atrocità tale da frantumarle le ossa e anche se fortunatamente queste erano ancora intere, il sangue che le bagnò il volto bastò a farle diventare la vista rossa e liquida. La ricerca già disperata d’aria si intensificò quando percepì i propri polmoni ripiegarsi ma nemmeno riuscì a rannicchiarsi o a tenersi la gola tanto era debole: Teach al contrario pareva essere in forze, adirato per come lei gli aveva conciato la faccia, solcata da spesse strisce scarlatte e da un paio di tagli bisognosi di punti. Gli aveva fatto tremendamente male ricevere quel palmo in pieno viso, un male talmente allucinante che a momenti aveva temuto seriamente di non ritrovarselo più: la sua testa rimbombava come se tutto un coro di campane stessero suonando a meno di mezzo metro dalle sue orecchie e una tale sensazione non era delle più apprezzate. Era pronto ad ammetterlo, lo stava facendo tutt’ora, senza minimamente vergognarsi: tanta volontà era da ammirare e meritava di essere premiata, ma per come era riuscita a ferirlo, Marshall D.Teach ora voleva divertirsi pesantemente con la vita dell’ex compagna, a cui continuava a rivolgere il pesante respiro. Non era nei suoi piani iniziali, ma visto che la sua ciurma non avrebbe mosso un dito senza un suo specifico ordine, perché negarsi qualche minuto in più?

Avresti dovuto accettare la mia offerta, le avrebbe detto, ma anche se gli avesse nuovamente proposto l’affare, Yu-chan non avrebbe cambiato idea. Era visibilmente troppo attaccata al vecchio e in particolar modo ad Ace per staccarsene e questo era veramente un peccato visto che non aveva senso servire un vecchio prossimo alla morte. Glielo avrebbe chiesto nuovamente ma dopo essersi beccato tutta quella ambizione, il suo essere sadico si era rinvigorito e indurito quanto bastava da farlo trasudare di rabbia per come lei l’aveva conciato. Mentre si avvicinava, con le dita ricoperte di anelli ora chiuse per formare i pugni, Sayuri cercò di rialzarsi o quanto meno di puntare i gomiti a terra: il suo stupore per ciò che stava avvenendo non aveva eguali, ogni fibra del suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi mentali.

P..Perchè non ha funzionato? Non è possibile che io abbia sbagliato…

Se lo stava chiedendo in continuazione, senza tregua: era certa di averlo colpito, di aver spinto e urlato per farlo sprofondare giù fra le fiamme, ma il seguito di quell’impatto era ancora avvolto nella fitta nebbia dei suoi addormentati ricordi. L’esplosione era stata fortissima ed entrambi erano stati scaraventati via ma fatto stava che quella ad averne più risentito era stata lei. Questo se lo ricordava bene, ma se successivamente era accaduto dell’altro, lei ancora non riusciva a focalizzarlo. Perduti i sai e anche le energie, Sayuri assomigliava sia fisicamente che mentalmente a una bambola vuota, dai occhi rotti e coi vestiti lacerati: la sua graziosità era svanita, non era rimasto nulla in lei di ordinato o composto, perfino i suoi lunghi e bei capelli erano disordinati. Echeggiava in lei un male che qualunque altra persona non sarebbe riuscita a sopportare, tuttavia si impose di rialzarsi ancora una volta prima che il pericolo, rappresentato da Barbanera, la raggiungesse.

Fece appello ai suoi arti, ad ogni parte del suo corpo, ma come era capitato in quell’angolo remoto del livello 5.5, la paralisi iniziò a farsi strada velocemente, stavolta agguantandole l’addome: nonostante avesse eseguito tutte le fasi per utilizzare correttamente il Divine Recall, questo comunque non le aveva impedito di provare i terribili effetti collaterali che la sua arma implicava. Il benessere infuso dal ricostituente di Don ormai era solo un lontanissimo ricordo, così come i suoi avvertimenti al riguardo; non avrebbe dovuto eseguire quella tecnica una seconda volta, anzi, non avrebbe proprio dovuto farne uso, ma la situazione aveva assunto una linea tutta in discesa troppo ripida perché non si prendessero dei provvedimenti. Una linea che ancora stava precipitando a velocità sempre più elevata poiché essa non rappresentava altro che la sua vita…..

“Già te ne vai, Yu-chan?” canzonandola, la voltò a pancia in su col piede, per poi bloccarla a terra con esso, comprimendole il torace “Suvvia, non abbiamo nemmeno iniziato a divertirci!”

Non stava facendo pressione sul suo corpo ma sopportare il peso di quel solo arto era un’impresa immensamente ardua, specie con le vie respiratorie già compromesse e la testa tempestata di fitte acute che bastavano per inchiodarla a terra.

“Si direbbe che la tua nuova trovata sortisca dei seri effetti collaterali su di te e immagino anche…” e qui il suo ghignò si assottigliò di più “Che tu abbia bisogno di questo per ricaricarti”

Gli occhi semichiusi e quasi spenti di lei si spalancarono inorriditi nel riconoscere la bianca siringa con incorporato il ricostituente che solo pochi attimi prima aveva cercato di recuperare: Teach la teneva in bella vista fra le sue dita tozze, cosicchè fosse ben visibile all’ancor più pallida Sayuri.

“No!” rantolò vedendolo stringere l’oggetto nel pugno.

Crash!

Il rumore del vetrino rotto e della plastica compressa ridusse la grandezza delle sue pupille e spaccò il crepitare delle fiamme imponendosi come unico suono esistente sul livello quattro.
Gocce scarlatte scivolarono via dal palmo chiuso di Barbanera per infrangersi ed evaporare non appena ebbero toccato il pavimento pietroso di quell’inferno dalle temperatura mortalmente elevate. Fu come se il cervello della castana si fosse spento definitivamente nel sentire quel piccolissimo rumore: il solo rimedio a sua disposizione ora era perduto, come il suo futuro. Nello scorgere la pelle del grottesco viso dell’ex compagno, parzialmente bruciacchiato su di un lato, comprese maggiormente che con il suo attacco aveva scatenato in lui un profondissimo e desiderabile senso di vendetta che avrebbe consumato molto lentamente. Anche se stava cercando di spingere via con le mani quell’enorme piede che premeva sul suo torace, gli occhi color cioccolato di lei erano piantati a guardare le ombre e i quasi inesistenti effetti color luce che contornavano la sadica figura facciale di Teach: solo in quelle minuscole iridi nere balenava una punta di bagliore giallognolo ma esso non era che la prova inconfutabile dell’incredibile forza di quella malvagità che scorreva come argento vivo nelle vene del pirata, che la squadrava con fare assolutamente vincente.

“Ugh..!” tentò ancora di liberarsi ma senza alcun successo. Ogni volta tornava ad appoggiare la nuca contro il rovente pavimento, sempre più sfinita.
“Zehahaha! Tutta questa grinta, tutto questo potere è sprecato in una che vuole fare di un vecchio il Re dei Pirati!” esclamò nel mentre si divertiva a osservare il suo debole dimenarsi “Avresti dovuto accettare la mia offerta invece che scegliere di morire come ha fatto Ace: ora non saresti qui e nemmeno lui se aveste deciso con più intelligenza. Ma entrambi avete preferito rimanere fedeli a Barbarbianca, condannando il resto della vostra esistenza a una causa già persa. Te l’avevo già detto prima, Yu-chan....” lì premette la pianta del piede ancor di più sull’addome della ragazza, che gemette per il dolore “Quel vecchio non durerà mai abbastanza per sfiorare o anche solo vedere il trono del Re dei Pirati e tutti voi, te, Ace, e i tuoi fratelli, per quanti sforzi compiate non riuscirete mai a farcelo sedere sopra, ZEHAHAHAHAHA!!!!”

Per lui quella visione era la pura verità che molti si ostinavano a non vedere. Coprivano l’età e l’indebolimento fisico del Re dei Mari con la sua forza e il suo carisma, prodigandosi per tenere alto il suo buon nome, lottando e ponendo tutta la loro fiducia nelle sue grandi mani di pirata che si atteggiava a padre di ogni suo sottoposto.

Ridicolo, assolutamente ridicolo!

Considerare tutti i componenti della sua ciurma dei figli! Solo a un vecchio pazzo e malato come lui poteva venire in mente! Come molti, si era dovuto accontentare della medaglia d’argento nonostante fosse arrivato molto vicino a sfiorare con la sua alabarda la testa del defunto Re dei Pirati ma per quanto grande fosse la sua fama, per quanto al momento veniva consideratola, sarebbe stato comunque ricordato si come il nemico per eccellenza di Gol D.Roger, ma anche per uno dei tanti che non era riuscito ad accaparrarsi il titolo più valente della pirateria. Che senso aveva trattare i propri membri della ciurma come fossero carne della sua carne? Il solo pensarci era nauseante. Vedere tutte quelle ciurme allearsi sotto il suo nome, tutta quella gente che poteva andarsene per conto proprio nel mondo….che senso aveva mettere da parte i propri obbiettivi e servire una persona che ti aveva umiliato?

Più che pirati erano un branco di pecore belanti e ripetitive, decisamente odiabili come chi preferiva attaccarsi a quello che vedeva anziché credere anche nelle leggende più bislacche.
Una persona che smerciava i sogni per denaro o che li lasciava cadere nell’oblio per andare a costruirne uno più grande non più suo, era indegna di andarsene in giro a sventolare la bandiera nera con le ossa incrociate e i suoi ex compagni, per quanto potenti e armati di intenzioni nobili, non erano così diversi visto che sarebbero addirittura morti per il più vecchio dei quattro imperatori.
Non li odiava, ma il vederli prodigarsi con tanta fatica, lo faceva ridere….

Adesso tocca a me, si era detto quando aveva dato il primissimo morso al frutto Dark Dark. Questa è la mia era, aveva aggiunto poi nel godere della vista di quei fasci neri di cui da quel momento in poi sarebbe stato l’indiscusso padrone.

Non uno sbarbatello troppo attaccato all’oro.
Non una nuova leva dal futuro promettente.
Non Barbabianca.
Lui.

Questa è la mia era!  Pensò per l’ennesima volta col torace gonfio.

Scoppiò a ridere, lasciando che la sua particolare risata sottomettesse la pirata che già teneva a terra. Si era dilungato troppo prima nello spiegare le sue semplici opinioni e non lo avrebbe fatto una seconda volta, anche perché odiava ripetersi, ma nello far scorrere la sua risata, questa fu interrotta dalla sottile voce che lui stesso teneva sotto il suo piede.

“Dimmi, Teach..che cosa….cosa ti fa pensare che io…voglia rendere proprio Barbabianca il Re dei Pirati?” gli domandò flebilmente.

Barbanera abbassò il crapone per guardare in faccia la ragazza, visibilmente provata, che ancora stava affondando le dita sulle sue scarpe. A giudicare da quella leggerissima pressione fastidiosa che gli stava arrivando a toccare il polpaccio, era evidente che la giovane stesse cercando di richiamare nuovamente a sé lo spirito vitale. Uno sforzo del tutto inutile considerando quant’era pietosa a livello estetico. Voleva ancora combattere e di questo Marshall D.Teach se ne compiacque visto che anch’egli voleva divertirsi per bene; slargando il suo sorriso, sollevò il piede solo per calciarla via.Colpita allo stomaco, la ragazza volò letteralmente per qualche metro, atterrando malamente sul fianco, con la pelle terribilmente arrossata e livida sia sulla schiena che sul viso.
Il perché l’avesse lasciata andare pareva essere assurdo ma d’altro canto, la motivazione le sarebbe sfuggita di mano se non avesse colto i tratti di quel tipico sorriso che non era ancora stato soddisfatto pienamente: tenerla sottomessa e picchiarla senza che lei opponesse resistenza non era la stessa cosa che combatterla fino alla fine e Teach, a quanto pareva, adorava vedere i suoi avversari consumarsi fino all’osso prima di cadere.

“Questa è bella: un membro della ciurma del vecchio che non vuole far sedere il capitano sul trono più grande di tutti, zehahahaha!!!” per la notizia sconcertante, scoppiò nuovamente a ridere, tenendosi la pancia scoperta.

Il sangue raggrumato sul suo faccione tornò a rilucere assieme ai tagli aperti sulla sommità della fronte ma nel dischiudere gli occhi per puntarli nuovamente sull’avversaria, la risata si spense prima di quanto pensasse: seppur fra di loro ci fosse una rilevante distanza, l’enorme uomo dalla ispida barba corvina non potè non notare quel piccolissimo e appena intravedibile filo di fermezza che cercava di mettersi in risalto sui lineamenti femminili e imbrattati della più piccola, impegnata ad alzarsi nonostante ad ostacolarla ci fosse il forte tremore del suo corpo e il dolore delle molte ferite.

“E’ scontato che io…ammiri e rispetti quell’uomo e..e che lo consideri come fosse veramente mio…anf… padre” mormorò nel raccogliere le braccia al petto per poi spingerle verso il basso “Ci…Ci ama a dispetto di quello che siamo...ci rende felici, ma..per quanta riconoscenza io p-possa provare nei suoi confronti..uhg.…non è lui che voglio far d-diventare il Re dei Pirati”

Non l’aveva mai cancellata. Non l’aveva mai dimenticata quella promessa che aveva fatto più di un anno fa. Il suo valore non aveva prezzo e per quanto gli eventi fossero mutati, le sue parole si erano conservate perfettamente nel suo cuore e pronunciarle ogni volta faceva emergere sulle sue labbra un dolce sorriso. Anche ora, nel poggiare le nocche contro il pavimento insieme alla fronte nel mentre alzava a grande fatica il busto, con le gambe raccolte e i piedi puntati a terra, quella corta frase riecheggiava in lei con lo stesso suono di mille e soavi campane dorate che la esortavano a scoprire quelle quasi inesistenti energie rimaste ancora vive dentro il suo corpo.

“Gli sono grata..questo è certo, ma io..io ho giurato fedeltà a-ad un altro capitano…. molto tempo prima di salire sulla Mob..COUGHT!!”

Un violento colpo di tosse le fece vomitare una grossa quantità di sangue, costringendola a tornare a carponi, con la pelle provata da quelle pietre terribilmente roventi e il taglio al ventre sempre più bruciante.

“Zeh, se ti riferisci ad Ace, temo che la tua sia una perdita di tempo” le disse con voce gracchiante “Sai meglio di me quanto sia grande il suo desiderio di porlo all’apice di quest’era: ha lasciato perdere la sua corsa quando si è fatto tatuare la schiena, non potresti mai dissuaderlo!”

Il lungo osservare di Teach sulla Moby Dick rispecchiava la buona e semplice verità che ora le stava rifilando sotto forma di arma demolitrice: Ace era sempre stato deciso a fare di Barbabianca il pirata la cui era sarebbe stata sempre ricordata anche dopo un intero millennio costellato di altrettante periodi pirateschi; delle molte ragioni che lo avevano spinto a riconoscere la forza di quell’uomo, ve ne era una tacita, segreta, che solo lui, l’imperatore e lei conoscevano. Ci aveva sempre attribuito molta importanza nonostante fosse restio a parlarne, ma quell’uomo dai bizzarri baffi bianchi a mezzaluna aveva completamente sfasciato in poco più di due secondi ogni suo dubbio e timore, fregandosene anch’egli della motivazione che aveva spinto il suo nuovo figlio a parlargli con tanta serietà. Da quel momento, Pugno di Fuoco aveva cambiato rotta - per così dire - e tutti i suoi compagni, lei compresa, l’avevano seguito.

“Cought!…Non mi è mai passato per la mente…di dissuaderlo” confessò continuando a tirarsi su “E’ solo che c-come te…io….voglio realizzare il mio sogno” rivelò finalmente seduta e col capo leggermente alzato “Forse non….non sarò forte c-come lui o…o nostro padre ma sai..anf…in compenso..” sorrise “Ho…tanta voglia di vivere”

Vivere..
Si diceva che fosse un dono meraviglioso e che la nascita di una persona ne raggiungesse l’apice massimo dello splendore. Su questa parte Sayuri non poteva dirsi d’accordo se si prendeva in considerazione il fatto che a lei era stata riservato un trattamento non riflettente la felicità, ma ciò non significava che per il resto della sua esistenza non potesse esserlo.

“E… proprio perché v-voglio vivere così tanto, che…anf…che non ti lascerò d-distruggere il mio….di sogno” ansimò puntando i palmi a terra, cercando di tirarsi in piedi completamente “Anche se… dovessi metterci tutta la vita, non smetterò di credere che sia possibile..anf” dovette nuovamente fermarsi e sostenersi al meglio nel mentre il sangue le impregnava i vestiti, scivolandole lungo le gambe “E non smetterò mai…di…di pensare di potercela fare”

Finalmente in piedi, anche se con le gambe ad “X” e pericolosamente traballanti, Sayuri ora poteva guardare un po’ meglio il suo avversario. Non aveva idea di quanto potesse resistere ancora, il suo corpo si stava deteriorando velocemente e più movimenti compiva, ancor più veloce quel processo si sarebbe compiuto. Già si stava sforzando di non perdere la lucidità ma il continuo gocciolare del suo corpo aveva creato ai suoi piedi una spaventosa pozza scarlatta che si stava allargando sempre di più. Lo scioglimento del Divine Recall stava recidendo non soltanto i suoi vasi sanguigni ma anche la pelle e i muscoli, rendendo doloroso ogni suo movimento. Dire che era ridotta male era decisamente un eufemismo: un cadavere malmenato e ricoperto di lividi era la sola cosa che quasi le si potesse avvicinare a livello estetico. La sola differenza era che lei non era ancora passata a miglior vita e, zoppicando un po’ a destra e a sinistra, si avvicinò a Teach con la mano destra stretta in un pugno.

“Farò di Ace il Re dei Pirati ” rantolò con gli occhi ricolmi di ambizione “Che a te piaccia…anf…. o no”

Ci teneva veramente vedere il ragazzo raggiungere l’apice perché quella sarebbe stata anche la prova che lei era cambiata, che finalmente aveva trovato qualcosa di così straordinariamente indescrivibile da non poterci rinunciare. Forse il suo sogno non si sarebbe realizzato, probabilmente avrebbe dovuto attendere perché non si sarebbe mai permessa di ostacolare quello di Ace: avrebbe pazientato ma anche se fosse stata costretta ad aspettare cent’anni, alla fine ci sarebbe riuscita. Non importava quanto ancora doveva lottare o se ad ostacolarla c’erano loschi individui come Teach: avrebbe realizzato il suo più grande desiderio anche a costo di rimetterci la vita. Lo spirito vitale di lei andò a scontrarsi con lo sfrenato e malsano desiderio omicida di Barbanera.
Era grande nonostante il suo aspetto fisico mostrasse il contrario, così grande da competere contro qualunque ostacolo gli si fosse parato davanti, esattamente come un sogno da difendere e realizzare. Per quanto quello di Sayuri fosse un corpo piccolo, l’ambizione insita in esso era maturata grazie a tutta quella serie di eventi che l’avevano spinta a sorridere, a far sua la felicità trovata e questo l’ex compagno non poteva capirlo; non poteva capire che cosa aveva spinto la ragazza a puntare a quel sogno ma indubbiamente, comprendeva che pur di realizzarlo, era disposta a mettersi in gioco in tutto e per tutto. E la cosa lo fece gioire sia interiormente che esteriormente.

“Zeh, questo lo vedremo” sibilò avanzando verso di lei affiancato da lingue nere
 



Due colpi di fucile in un unico sparo e una sonora mazzata dagli echi metallici.
Quella sincronia procedeva sin da quando era cominciata la lotta contro i mostri marini e la parallela avanzata verso il portone d’entrata di Impel Down. Don stava dando prova della sua grande abilità di cecchino centrando al primo colpo le pupille di quelle bestiacce squamose che tentavano in continuazione di sradicare i diversi alberi maestri della Moby Dick; in seguito, Bonz e Jozu li sedavano pesantemente colpendoli al cranio, rendendoli più che incoscienti. Le lame delle spade sibilavano e producevano stridii e scintille che si scontravano con il fumo e la cenere infuocata dei colpi di cannone sparati dalle corazzate, anch’esse impegnate sui due fronti.

“Eccolo!!”

Dal ponte della grande nave dalla polena a forma di balena, un sostanzioso gruppetto era saltato sulla carcassa del serpente marino abbattuto dall’imperatore; la viscida carcassa di quest’ultimo era più che sufficiente a sopportare il peso di tutti gli uomini che ci erano saliti sopra la stabilità fosse diversa da quella offerta dalla loro nave. Il comandante della terza flotta e il cuoco-cannoniere atterrarono morbidamente su di esso, pronti a sistemare il prossimo per cercare di farlo cadere nel punto giusto: a quanto pareva quelle bestiacce non si volevano degnare di morire nel punto da loro deciso e questo implicava per loro ulteriore fatica. Di buono c’era che nemmeno la Marina se la stava vedendo egregiamente; le navi che erano state prese di mira dalle bocche zannute dei mostri si erano gettate in una lotta estrema per non finire trascinate nei ghiacciati abissi marini. Resistevano nonostante tutto e per sfortuna dei pirati, non si degnavano di spostarsi di mezzo millimetro da quella tanto agognata entrata.

“Dannazione!” sbottò Marco leggermente irritato “ Se solo riuscissi a raggiungere le navi nemiche potrei sgomberare il campo”
“Saremmo già al portone d’entrata se questi mostri si decidessero a cadere dove vogliamo noi” brontolò in aggiunta Don.
“Attenti, ne sta arrivando un altro!” li avvertì Vista.

Dall’acqua emerse quella che all’apparenza sembrò essere una mongolfiera rossa ma un’occhiata più accurata, mostrò che il nuovo arrivato non era che un pesce palla gigante col corpo ricoperto di scaglie rosse dai luminosi riflessi arancioni, che rilucevano sotto la luce del sole cocente. Le minuscole pinne bianche non erano fatte per spostarsi, così come quella che stava dietro la cresta gialla, piegata  e con ciuffi di diverse angolazioni.

“Ma che è?” domandò qualcuno.

Il nuovo arrivato girava su sé stesso come la ruota di un mulino, fissando il vuoto perenne con suoi occhietti piccoli e del tutto assenti. Boccheggiava, arricciando le gonfie labbra rosate che neppure riusciva a chiudere bene tanto erano grosse. Pareva innocuo e non proprio sveglio, ma non appena il suo corpo rossiccio si riempì di aculei appuntiti, bianchi, e grandi a sufficienza da perforare la carcassa del serpente marino su cui tutti loro stavano, l’indifferenza si trasformò in panico. Panico che aumentò quando la rotazione di quest’ultimo aumentò vertiginosamente, smuovendo il mare già agitando.

“Ci viene addosso!!” urlarono altri.

Gocce di sudore costellarono le tempie della Fenice, avente le braccia trasformate in due grandi ali infuocate, dove l’azzurro e l’oro si univano per rendere ancor più vivo l’abbagliante calore che le fiammelle producevano. Il comandante adamantino lo raggiunse, tramutando totalmente il suo corpo col potere che il frutto della tipologia Rogia, il Diamond Diamond, in suo possesso, gli aveva conferito.

“Se quel coso trancia il serpente a dovere lo farà affondare” mormorò il medico-cecchino.
“Idee?” domandò sbrigativo il comandante delle terza flotta.
“Visti quei aculei, propongo di sventrarlo dall’interno” suggerì il comandante della prima flotta.
“Accordato”

Deciso il metodo con cui avrebbero steso quel pesciaccio, tutti e tre scattarono contemporaneamente, con la strategia d’attacco ben stampata in testa. Tra di loro le parole talvolta erano superflue, i fatti erano dieci volte più veloci e incisivi, senza contare che improvvisare si rivelava sempre una carta vincente contro simili avversari. Librandosi  in volo, Marco afferrò coi propri artigli le spalle del medico-cecchino, lanciandolo nella bocca del pesce palla e, senza neppure dargli il tempo di rendersi conto di quel che stava per succedergli, utilizzò le sue gambe, trasformate in artigli, per accecarlo.

“Tenetevi pronti!” esclamò ritraendosi.

Privato della vista, il mostro iniziò a dimenarsi come se fosse fuori dall’acqua.
Non appena fu abbastanza vicino, Jozu tese le mani in avanti e lo bloccò facendo leva sulla sua grande mole fisica, supportata da una raffica di pallottole e palle di cannone da parte dei altri pirati presenti. Il restante era impegnato a tirar giù una di quelle bisce nere coi rubini al posto dei occhi e quelli che invece puntavano alla Moby Dick se la stavano vedendo con il capitano e i restanti di guardia: bastava che il passaggio fosse aperto anche solo per un quarto e poi il resto sarebbe venuto da sé. Barbabianca non sarebbe rimasto ancora a lungo sulla polena a tagliare teste per passare il tempo ma fino a quel momento, difendere la loro sola nave a disposizione richiedeva tutta la sua attenzione e visto che i suoi figli lì sotto se la stavano cavando egregiamente, non avrebbe interferito.
Il pesce palla appuntito cercò di tranciare le carni del serpente marino ma Jozu glielo stava impedendo e a lungo andare, cominciò a rallentare fino a fermarsi del tutto, quando, improvvisamente, il suo dorso venne squarciato e aperto in due: da quell’apertura ne uscì il medico-cecchino della seconda flotta, seguito da un getto di sangue incredibilmente denso e scuro, che zampillò in aria come fosse la fontana più grande del mondo dopo quella di Water Seven. In men che non si dica, l’odiosa creatura marina smise di muoversi e i suoi occhi si rivoltarono all’insù, completamente bianchi e vitrei: i compagni si sarebbe congratulati con il sostituto di Ace, ma l’essere ricoperto da cima a fondo dalla melma verdastra contenuta nelle viscere di quel mostro, tenne alla larga tutti quanti.

“Sia ben chiaro: se dobbiamo ripetere la manovra, ci vai tu” sentenziò lui adocchiando con fare assassino la Fenice.

Dovette strizzare il suo adorato berretto almeno quattro volte prima di espellere definitivamente ogni residuo di quella poltiglia calda e gelatinosa dentro cui era stato immerso fino al collo.
Desiderò una lavata come mai in vita sua e senza neppure chiederlo a voce, lui e i presenti furono investiti dall’onda provocata dal sordo tonfo del serpente contro cui i loro altri compagni se l’erano vista. Ma non erano i soli ad aver ottenuto una vittoria: anche la Marina si era appena disfatta di un Seaking, il solo rimasto di quella cozzaglia emersa poco gradita.

“Ehi, c’è l’abbiamo fatta, possiamo passare!” esclamarono alcuni pirati sbracciando le armi.
“Non esultate” li fermò Vista seriamente “Abbiamo ancora da sistemare quei marine”

Le allegre voci si zittirono all’istante. Le navi avversarie ora erano otto, i mostri marini erano riusciti ad affondarne una e a renderne un’altra quasi del tutto impraticabile, ma per loro sfortuna quelle erano laterali anziché centrali, il che lasciava ben a vedere quanto ancora il ponte d’entrata di Impel Down fosse coperto dal resto della scorta, già pronta a sparare contro di loro e a far uso della via composta dai cadaveri dei mostri emersi.

“Uhm….facendo un rapido calcolo, saranno sicuramente più di trecento marine” disse Bonz risistemandosi al meglio la mazza sulla spalla.
“Teniamo conto anche che ci sono dei vice ammiragli con dei poteri derivanti dai frutti del diavolo” aggiunse il cugino.
“Come se fossimo dei principianti..” mormorò Marco con ghigno battagliero stampato in faccia “Sarà meglio che una parte di noi rimanga a proteggere la nave: se c’è la affondano sarà difficile ritirarsi a nuoto”
“Già, pensa ai poveretti che dovranno portarsi in spalla Jozu” scherzò Don sogghignando.

Per tutta risposta, il suddetto gli lanciò un’occhiata omicida, che lasciò ben intendere che se mai la loro nave fosse affondata, sarebbe spettato  a lui l’onore di caricarselo in groppa.

“Scherzo, scherzo” replicò il medico-cecchino sbuffando.
Certe volte è più permaloso di me..

Con quel nuovo campo di battaglia galleggiante, il più anziano degli imperatori compì un salto giù dalla polena imbracciando la sua preziosa alabarda e col sontuoso cappotto a coprirgli le spalle. Raggiunse immediatamente la testa del gruppo, osservato anche dai lontani marine pietrificatisi nel vedere quella leggenda vivente avanzare in tutta tranquillità fra suoi uomini, portandosi a presso il vessillo sotto cui aveva formato un impero tanto grande quanto invidiato. Seppur di mostri non ce ne fossero più, non era detto che altri sarebbero arrivati: l’odore del sangue ne avrebbe attirati di nuovi e il rumore, le grida e gli spari che a breve si sarebbero lanciati addossi, avrebbero esercitato una forza magnetica tale da far trasformare la loro missione di salvataggio in un vero e proprio scontro militare dalla proporzioni bibliche. E nemmeno si trovavano a Marineford….

“Guraguraguragura!!! Bene, figlioli, è arrivato il momento di andare a riprendere i vostri fratelli!”

I cori di entrambi le parti si librarono in aria come uno tsunami inarrestabile, arrivando a dissipare le poche nuvole presenti. Bastarono poche parole per vedere i pirati di Barbabianca gettarsi verso i marine  caricanti dalla parte opposta, calpestando le squamose pelli variopinte dei mostri marini sconfitti, con le rispettive autorità incoraggiare l’azione.

“NON ABBIATE PIETA’ PER LORO PERCHE’ VOI NON NE RICEVERETE! UOMINI..” Edward Newgate puntò l’alabarda contro il centro delle navi della Marina “ABBATTIAMO IMPEL DOWN!!”
 



Piano d’entrata.

Le ore si erano sostituite ai minuti ma l’infernale salita per raggiungere la porta che per la stragrande maggior parte dei detenuti si era ridotta ad una residua visione di libertà ,ora era finalmente conclusa. Al solo scorgere quei intensi raggi solari scaldare e illuminare l’angusto postaccio sempre rimasto in penombra, i prigionieri si eccitarono come scolaretti all’ultimo giorno di scuola. Le guardie lì erano state più che sistemate e non c’era neppure bisogno di andare a manomettere la stazione di sorveglianza visto che la spettacolare e inaspettata entrata in scena di Barbanera aveva fatto saltare tutto il sistema delle apparecchiature, compreso quelle della porta della giustizia. Ma la battaglia, quella vera, stava proprio al dì fuori di quella tanto agognata  entrata sfondata. Fu Buggy a darne la prova: come si gettò verso la luce del sole, venne colpito da un palla di cannone che lo lanciò all’indietro per farlo sbattere contro la parete opposta all’uscita, scomponendolo in più parti.

“Ma guarda, il vecchio è venuto veramente” sogghignò Crocodile masticando fra i denti i fumanti sigari “La cosa si fa decisamente interessante”
“Già, e lo diventevà ancov di più quando svelevò a tutti il tuo segveto” gli si affiancò Ivankov.

Il sabbioso non mancò di guardarlo con occhi storti prima di riprendere a marciare con le braccia trasformate in sabbia verso l’uscita.

“Fate attenzione. La Marina è qui fuori, a difesa del ponte” li avvertì Inazuma adocchiando l’esterno “Stanno cercando di impedire a Barbabianca di avanzare”
“Visto che non si sono accorti della nostra presenza,  possiamo sfruttare l’effetto sorpresa e disarmare le loro navi” propose Jimbe.
“Se c’è da picchiare, farò fuori tutti!” asserì decisissimo Rufy, per poi guardare il fratellone “Hai sentito, Ace? Fra pochissimo usciamo!!”

Gli parlava come se lui fosse sveglio, anche se ovviamente Pugno di Fuoco non lo era.
La gioia per l’essere tornato in superficie era intensa quanto il desiderio di rivedere il sorriso beffardo del più grande ma prima di arrivare a quel momento dove sicuramente si sarebbe anche preso un bel pugno in testa, doveva aspettare dato che quei insopportabili marine parevano non volerli lasciar andare.
Mancava poco, ma mentre tutto il resto del gruppo avanzava a gran passo, Cappello di Paglia rimase fermo, come pietrificato sul colpo, ritrovandosi a guardare il corridoio da cui erano provenuti, con l’ascensore sulla sinistra completamente sigillato.

“Rufy? Che c’è?”

Il Cavaliere del Mare raggiunse il ragazzo di gomma, fermatosi senza una ragione particolare a lui conosciuta.

“Rufy?” lo chiamò ancora.

Dal viso stanco del più giovane, una goccia di sudore scivolò giù dalla tempia, contornandone gli zigomi per poi infrangersi a terra non appena questa raggiunse il mento.

“Yucci-chan non torna”

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Capitolo 68
*** Ritorno all'inferno ardente. ***


(Compare armata di scudo e caschetto di sicurezza). Buonasera. Premetto che forse, a giudicare da come stanno andando le cose per la protagonista, qualcuno vorrà come minimo martellarmi la testa fino a rinsavire e probabilmente in questo capitolo fornirò un ulteriore ragione per ciò, quindi, se volete, siete liberi di urlarmi contro, avete il mio permesso, tranne per i pacchi bomba. Vi lascio al capitolo, un bacione a tutti (corre a nascondersi nel bunker)

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“Yucci-chan non torna”

Rufy aveva interrotto la sua sfrenata corsa per guardarsi indietro e vedere se da quel corridoio semi oscuro provenissero altri passi oltre ai loro: stava cominciando seriamente a preoccuparsi e la morsa che gli attanagliava tutto il torace non cessava di premere con insistenza su di lui. Sayuri non li aveva ancora raggiunti. Era passato tanto tempo, troppo e lui non poteva più ignorare o far finta di niente. La cieca fiducia riposta nella ragazza appena conosciuta ma subito amica non stava vacillando, tuttavia, ora che tutti loro erano giunti nei pressi dell’uscita, lei sola mancava all’appello.
Il perché tardasse tanto forse non era poi quel così grande mistero: come Jimbe gli aveva detto, quel Barbanera era molto forte, tremendamente forte se era stato capace di consegnare Ace nella mani della Marina, ma se Sayuri aveva deciso di rimanere, era perché sentiva di potercela fare a competere contro quel farabutto, almeno così lui aveva pensato. Era in gamba, Rufy l’aveva intuito fin da subito, per tale motivo aveva rispettato la sua decisione, proseguendo coi altri, sicurissimo che si sarebbe tornata prestissimo. Se c’era una cosa in cui Cappello di Paglia era insuperabile, oltre all’attitudine di cacciarsi nei guai e al mastodontico appetito, era proprio il saper riconoscere una persona vera da quelle che fingevano anche a sé stesse. La gente, tutti gli individui, a modo loro, erano speciali  per una qualità in particolare che sapevano mettere in risalto ma lui, aldilà della bravura, era in grado di capire fin dal primo sguardo chi gli andava a genio. Bastava pochissimo: una frase, un’occhiata o anche una curiosa capigliatura afro appartenente a uno scheletro musicista appassionato di musica e biancheria femminile.

 Non si doveva dimostrare proprio nulla, lui stesso non aveva mai posto domande del tipo “Cosa sai fare di preciso?” visto che non ne conosceva il significato base. Nah! Simili baggianate nemmeno gli passavano per l’anticamera del cervello.

Si era sempre incuriosito nel vedere la gente d’altre isole: per lui equivaleva a farsi altri amici, non c’erano mai stati doppi fini. Nel proseguire il suo viaggio si era ritrovato circondato da una ciurma bizzarra, fortissima e variopinta con tanto di nave coloratissima munita perfino di un enorme acquario per pesci. Certo, ora i suoi amici non erano lì per aiutarlo, ma presto lui sarebbe andato a cercarli personalmente, non appena avrebbe portato il suo fratellone in salvo e assicurandosi che nessun altro tentasse di ucciderlo. Non esisteva tesoro più grande che la salvaguardia dei suoi amici per lui ma anche la famiglia, che poi era Ace, contava estremamente e non avrebbe mai avuto il cuore di far finta che la sua cattura non fosse avvenuta. Ora che poi finalmente c’e l’aveva fatta a raggiungerlo, a farlo uscire dalla sua cella - con diversi aiuti inaspettati - non vedeva l’ora che di poterlo rivedere sveglio, lontano da quell’infernale prigione…

Ma Yucci-chan ancora non si vedeva.
Perché non tornava?

Vicini, gli echi della battaglia si stavano facendo sempre più forti. Gli occhi del ragazzo dai scompigliati capelli corvini erano sbarrati da diversi minuti sul corto corridoio appena attraversato, con la linea della bocca lievemente piegata all’ingiù. Se ne stava muto ma dentro di sé continuava a convincersi che lei sarebbe arrivata se avesse continuato a fissare il corridoio. Eppure una minuscola parte della sua coscienza lo stava avvertendo riguardo a qualcosa’altro ed era proprio quel qualcos’altro che aveva alimentato il dubbio a tal punto da farlo fermare. Era come se dentro di lui si fosse creato una specie di nodo indissolubile e più questo cresceva, più l’impazienza del ragazzo aumentava, ormai votata a pensare che la castana fosse nei guai.

“Dannazione, che botta…” brontolò Buggy massaggiandosi la testa nel mentre ricomponeva i suoi arti “Chi è quel bastardo che si è permesso di colpirmi con una palla di cannone?!?!?!”
“Buggy, Buggy! Abbiamo un problema!” esclamò Mr3 aiutandolo a rimettersi in piedi.
“Che prob…?”

Il poveretto sbiancò così tanto da diventare pallido come le statue di cera che Galdino riusciva a creare col suo potere. Non era stato scaraventato tanto lontano dal principale - unico semmai - portone d’entrata, pertanto, anche se l’avesse voluto, non avrebbe potuto non vedere cosa fuori stava succedendo.

Noooooo…..no, no, no, nooooooooooooo!!! Questo è un incubo!!!!!!  Pensò con le lacrime ai occhi.

Istantaneamente le sue braccia caddero a terra, spezzettate in tanti quadratini di carne. Quanto avrebbe voluto che tutto quanto fosse stato un brutto scherzo! Un grande e ben macchinato scherzo ma pur sempre uno scherzo, una cosa non vera, falsa insomma! E invece per sua sfortuna, gli occhi non lo stavano affatto ingannando su quel panorama: marine da una parte, cadaveri di mostri marini dall’altra e ciliegina sulla torta, i pirati di Barbabianca e lo stesso imperatore che stavano cercando di entrare nella prigione senza preoccuparsi di lanciare i nemici in mare. Altro che incubo…quella era l’apocalisse!

“Quello è Barbabianca!” esclamò shoccato uno dei prigionieri del livello uno.
“E’ incredibile! E’ davvero venuto a recuperare Pugno di Fuoco!”
“Che occasione per il nostro capitano Buggy! Se lo sconfiggesse, il suo nome entrerebbe nella leggenda!”

E mentre quelle manica di pazzi svitati confabulavano su come il loro nuovo leader, mandato dalla divina provvidenza, potesse stupirli, il povero pirata dal naso rosso si trovò sull’orlo dell’infarto seduta stante. Conosceva bene la fama di quel pirata avendo fatto parte in passato della ciurma di Roger, ma da quando aveva intrapreso la carriera di capitano, non si era mai sognato di attirarsi le sue ire. Quell’uomo non era certo il più potente del mondo per nulla e francamente, meno guai aveva con lui e meno anni della sua vita avrebbe perduto. Purtroppo, senza neppure avere il tempo di riprendersi, venne accerchiato dai suoi nuovi seguaci ansiosi di apprendere quale piano avesse in mente, lasciando momentaneamente da parte il fatto che il loro scopo iniziale era quello di darsela a gambe levate prima che quell’unica e imperdibile occasione svanisse.
Improvvisamente, una lampadina si accese sopra la testa del neomessia.

Scappare, ecco la soluzione!

Non c’è altra scelta! Se voglio uscire da questo buco prima che la Marina, Barbabianca o qualsiasi altra calamità naturale attenti alla mia vita, devo inventarmi qualcosa!!

Con miliardi di goccioline di sudore disperato in faccia, il Clown spremette tutte le sue meningi fino a ridurle ad un ammasso stropicciato di tessuti asciutti, ottenendo la soluzione al suo problema: se si doveva scappare, bisognava disporre di una nave e dato che rubarla a Barbabianca era una pessima idea, la scelta ricadeva automaticamente su una delle corazzate appartenenti alla Marina. I soldati erano troppo impegnati a combattere o a cercare una qualche alternativa per comunicare col Quartier Generale, quindi non avrebbero prestato tanta attenzione a loro: bisognava cogliere soltanto l’attimo giusto, andare dritti verso la porta e poi via! Di nuovo libero di cercare tutti i tesori del mondo! 

Tutto stava nel non farsi notare, nel passare inosservati e Buggy il Clown, modestamente, pur di svignarsela da Impel Down si sarebbe anche reso invisibile alla vista umana pur di mettere le mani su un timone e volare lontano dalle cannoniere nemiche.

“Buggy, come agiamo? Questi pensano seriamente che ci batteremo contro Barbabianca!” sibilò mr3 agitatissimo.
“Tranquillo amico mio, ho già un piano” gli assicurò lui con il sorriso strafottente, ampiamente marcato dalle labbra truccate di rosso “Tutto quello che dobbiamo far…EEEEEEEHHH!!!!”

Senza neppure aver il tempo di spiegare sinteticamente il suo progetto, il pagliaccio venne afferrato per la maglia e tirato all’indietro dal lungo e gommoso braccio di Rufy, che lo fece atterrare proprio al suo fianco.

“Che diavolo vuoi Cappello di Paglia?!” sbraitò lui una volta rimessosi in piedi.
“Ho bisogno del tuo aiuto, Buggy” disse tirandoselo vicino, con il braccio attorcigliato attorno al suo collo “Devi venire con me al livello quattro”
“CHE???????” a momenti tutti i denti del pirata dal naso rosso rischiarono di saltar fuori dalla bocca come petardi.
“Rufy, che intenzioni hai?” domandò Jimbe visibilmente teso.
“Yucci-chan non è ancora tornata” gli fece notare guardandolo in faccia “Devo andare a riprenderla, non posso andarmene senza di lei. E’ un amica di Ace!”
“Questo lo so ma non puoi tornare laggiù, non tu. Possiedi un frutto del diavolo e contro Barbanera non potresti fare niente” gli ricordò il Cavaliere del Mare con la serietà dipinta sul faccione azzurrognolo.

Al ragazzo di gomma non occorrevano altre delucidazioni sull’argomento: il tono tagliente di cui Sayuri aveva fatto sfoggio per esortarli a lasciarla sola contro quel mostro era bastato a convincerlo. Tuttavia, la faccenda adesso era visibilmente diversa e lui, protraendosi in avanti, con la bocca stretta fra i denti, non esitò a elargire la sua opinione al riguardo.

“E allora?! Questo non centra nulla! Yucci-chan ha bisogno di aiuto!”
“Non posso darti torto ma…”

Amaramente, il Cavaliere del Mare fu costretto a fermarsi, posando gli occhi a terra per poi sospirare sconfitto: Rufy stava bellamente ignorando il pericolo che Barbanera incarnava per la sua incolumità. Da come lo guardava era impensabile poterlo smuovere da quanto aveva davanti: passava sopra a tutti quei elementi generali che la gente solitamente prendeva in considerazione e colpiva col suo pugno ciò che più gli pareva storto e sbagliato. Era sconsiderato quanto suo fratello, non stava minimamente tenendo conto della possibilità di poter finire nelle medesime condizioni del fratello, ma anche se lui si fosse messo a spiegargli il tutto nei minimi dettagli, anche se avesse trovato una più che convincente spiegazione, non sarebbe comunque riuscito a fermare quel pirata tanto giovane quanto ostinato. D’altro canto, come si poteva dargli torto? Sayuri ci stava impiegando veramente tanto ad arrivare e loro non potevano aspettare in eterno. Considerata la prolungata assenza di comunicazioni, era probabile che il Misericordioso avesse già provveduto a mandare qualcuno e anche se ciò non fosse accaduto, niente escludeva l’eventualità che una delle corazzate là fuori fosse riuscita a trasmettere via radio una richiesta d’aiuto immediata. In tal caso, ogni secondo valeva quanto un grammo d’oro e se ne sprecavano anche solo uno, presto avrebbero potuto anche ritrovarsi a combattere contro tutto l’esercito della Marina, ammiragli e grande ammiraglio compreso.

“Mugi-chan, hai visto? Lì fuori c’è Barbabianca!” esclamò Bon Clay. Vederlo in carne e ossa faceva più effetto che pronunciarne solo il nome “E’ incredibile, non…Mugi-chan che fai?”

Avvicinatosi molto velocemente e con sempre Buggy sotto braccio, Rufy depose fra le mani dell’amico okama lo zaino datogli da Sayuri.

“Tienilo tu fino a quando non torno e bada tu ad Ace per me insieme a Jimbe” gli chiese.
“Cosa? Ma dove vuoi andare adesso? Dobbiamo uscire prima che questo posto ci cada addosso!”

Allibito, Mr2 non comprese il perché quel cambio repentino nel loro programma. Che cosa voleva fare il suo adorato amico di gomma?

“Devo andare a prendere Yucci-chan. Per favore Bon-chan, porta Ace dai suoi amici”

Visibilmente shoccato e con la bocca truccata semi aperta, il cigno rimase senza parole per qualche istante prima che il buon nome dell’amicizia che vi era fra lui e Rufy lo ridestasse con la stessa delicatezza di una sveglia strillante.

“Consideralo già sulla nave” gli disse alzando il pollice all’insù e sfoggiando l’ampissimo e bianchissimo sorriso.

Abbozzando un grande sorriso, Cappello di Paglia si avvicinò al fratello, riparato dai dolcini di Ivankov che attendevano solamente l’ordine di quest’ultimo per andare avanti.

“Vado a prendere Yucci-chan, fratellone. Torno subito” gli disse.

Senza attendere la risposta che – già sapeva – non gli sarebbe arrivata, il pirata si voltò in direzione del fondo del corridoio.

“Cappelluccio di Paglia, dove stai andando?” questa volta fu il regino degli okama a chiederglielo.
“Non posso andare via senza Yucci-chan. Voi andate avanti e portate Ace dai suoi amici.  E tu non fare strani scherzi!” esclamò guardando con ostilità Crocodile, intento ad assaporare il dolce profumo scaturito dai suoi sigari.

L’ex membro della flotta dei sette non mancò di rivolgergli un’occhiata silenziosa di poco interesse per poi tornare ai suoi pensieri, dimenticandosi velocemente di quella pulce gommosa. Immancabilmente, Rufy gli scoccò l’ennesima smorfia di disapprovazione; anche se il suo contributo era stato essenziale per sbaragliare le difese di Impel Down, quello rimaneva e sarebbe sempre rimasto un uomo infido che aveva arrecato tanto dolore al popolo di Bibi e a Bibi stessa. Non lo avrebbe mai liberato se Ivankov non gli avesse assicurato la sua totale inattività nel compiere gesta poco consone alla situazione; in quel preciso momento, il regino dalle grosse e sporgenti labbra violastre stava cercando di fermare il suo nuovo amichetto, ma quello aveva preso a camminare in direzione opposta rispetto alla loro, portandosi a presso quel maleducato e ridicolo pagliaccio che non faceva altro che dimenarsi più di un pesce fuor d’acqua.

“Cappelluccio, vicovdati che sei appena guavito!” gli fece notare parandosi davanti a lui come fosse un muro “Anche se adesso ti senti bene, non è detto che la cuva a base di ovmoni si sia conclusa. La tua vapida vipvesa è cevtamente dovuta alla tua volontà, ma ci sono buone possibilità che il tuo fisico non si sia del tutto vistabilito!”

Scosse il vaporoso testone facendo ondeggiare la permanente color lilla avvicinandola alla minuta testa del pirata, come per voler apparire ancor più grosso di quanto non fosse già. La cura ormonale di cui parlava era un processo lungo, doloroso e solo chi realmente voleva vivere la poteva superare e guarire: Rufy aveva dimostrato uno spirito vitale tanto sconfinato da fare finire lui, Emporio Ivankov, contro al muro per ben due volte, vista che la sorpresa era raddoppiata quando poi era saltato fuori che il ragazzo era figlio del pericoloso rivoluzionario Dragon, suo amico e capo!
Lasciando da parte quel legame di parentela sbucato fuori dal nulla, quel testone non aveva ancora compreso che il suo corpo a livello generale non era ancora del tutto stabile e non gli interessava tutt’ora: la prova stava che nei suoi occhi non c’era il benché minimo segno di esitazione. A essere sinceri, di quella non ce ne era mai stata da quando aveva messo piede dentro Impel Down.

“Mettitelo bene in testa, Cappelluccio di Paglia!” esclamò puntandogli contro il dito inguantato “Fino a questo momento è stata una passeggiata ma se tovni giù ad affvontave quel bvutto ceffo, è sicuvo che non veggerai il confvonto! A quanto pave, il suo poteve può inibive quelli di chiunque altvo abbia mangiato i fvutti del diavolo!”
“E che me ne importa?! Nemmeno Yucci-chan ce la farà se non vado ad aiutarla!” replicò insistentemente ”Io non lascio indietro nessuno! Andiamo Buggy!” e riprese la sua strada con il pirata sempre sotto braccio.
“Eh?! Cosa?! No, no, no, no, no! Non se ne parla nemmeno! Maledetto moccioso di gomma, mollami, ti ho detto di mollarmi!!!!” strillò quello agitando le braccia e le gambe al vento.

Il fratello minore di Pugno di Fuoco non sentiva ragioni. Prese a camminare ad ampie falcate verso le scale per il livello uno, spedito, senza risentire dell’opposizione fisica che Buggy stava facendo puntando i piedi e starnazzando insulti su insulti affinchè si decidesse di mollargli il collo.

“Maledetto moccioso di paglia! Mollami, TI HO DETTO DI MOLL…!!”

KABOOM!!!!

Si udì un’ altra esplosione, stavolta molto più vicina a loro. L’entrata già bella che sfondata venne allargata di almeno due metri, scoperchiando quasi tutto il muro che si affacciava all’esterno e sollevando sia cenere che polvere allo stesso tempo in grosse e tossiche nubi grigiastre piuttosto dense. Disorientato, il gruppo di prigionieri si ritrasse con visi contorti per via di quest’ultimi incastrati in gola: volarono le domande e fra il cercare una risposta da una parte e lo stare in piedi dall’altra, alcune ombre astratte fecero capolino nel polverone ancora alto che non si decideva a svanire del tutto.

“Bonz, prima di distruggere un’entrata già bella che aperta, assicurati di prendere una mira decente. A momenti rischiavamo di finire spappolati contro il muro” borbottò Don fuoriuscendo dalla nube col viso e gli abiti piuttosto impolverati “Il viaggetto turistico nelle disgustose viscere di quel pesce palla mi è stato sufficiente”
“Volevi entrare e ti ho accontentato. Smettila di fare il brontolone” il secondo a mostrarsi fu proprio il cuoco-cannoniere, armato dell’inseparabile mazza e munito dei preziosissimi occhiali da vista.

Un mormorio crescente si fece largo non appena altri due personaggi, conosciuti principalmente per i loro poteri e il rango detenuto nella ciurma di Barbabianca, mostrarono i loro visi ai carcerati. Marco avanzò con quel suo passo scazzato, ritraendo le ali e trasformandole in due braccia umane affiancato da Jozu, il quale ritrasse il potere del frutto del diavolo cosicchè il suo corpo tornasse alla normalità. Il comandante della prima e terza flotta apparvero come due entità shoccanti per gli occhi dei detenuti, la cui conoscenza su di essi era molto vaga, ma sufficiente perché li guardassero con i groppi alla gola. Quando si parlava dei pirati del Re dei Mari, era impossibile non definirli “l’Elite della pirateria”: individui come loro erano ritenuti inumani. Gli altri loro compagni, capitano compreso, si trovavano praticamente sotto l’entrata a sistemare quei marine testardi la cui presa non accennava a diminuire neppure con le mazzate più incisive del loro arsenale. Non ci fu il tempo di chiedersi come mai ci fosse quella specie di comitato d’accoglienza: gli occhi rapaci della Fenice individuarono Pugno di Fuoco all’istante e non appena si avvicinò insieme ai compagni, chi si era premurato di trasportarlo si fece da parte velocemente.

“Resisti amico, siamo venuti a prenderti” gli disse Marco. Per il biondo fu pressoché impossibile non notare le condizioni pietose del compagno.
“Don, che ci dici?”domandò Bonz.

Il medico-cecchino si era affiancato alla barella prima di chiunque altro, sondando le ferite dell’amico e le fasciature d’emergenza fattegli. Lasciò col fiato sospeso i suoi compagni per qualche secondo prima di alzare la testa munita dell’inseparabile berretto di lana grigia e guardarli in faccia con le profonde occhiaie che gli contornavano gli occhi.

“Dobbiamo portarlo in sala operatoria. Anche se ha le manette di algamatolite la temperatura del suo corpo può aumentare e inoltre queste ferite vanno immediatamente curate. C’è la seria possibilità che le più profonde abbiano fatto infezione” rispose infine.

Le cure mediche provvisorie avevano tenuto Ace lontano dal peggio ma se non riceveva immediatamente un soccorso definitivo la sua salute rischiava di compromettersi irreparabilmente. Inoltre, al dì fuori di Impel Down, la battaglia stava subentrando in livelli veramente massacranti e non c’era garanzia che la loro resistenza durasse in eterno: prima portavano Ace al sicuro, prima avrebbero levato l’ancora. Sarebbero balzati immediatamente all’uscita se il comandante della prima flotta non si fosse guardato meglio attorno, accorgendosi di una mancanza fondamentale per la loro ciurma: tra quei visi nuovi, non riuscì a scorgere chi i suoi occhi cerulei cercavano e la cosa lo allarmò non poco perché teoricamente la loro sorellina avrebbe dovuto trovarsi praticamente accanto ad Ace. Ma invece non c’era traccia di lei.

“Sayuri? Sayuri, sei qua?”chiamò “Sayuri, rispondimi!”

Agitò la testa dalla curiosa capigliatura bionda a destra e a sinistra, scandagliando ogni centimetro della zona, col risultato di non scorgere la sua sagoma da nessuna parte. Neppure dall’alto ebbe risvolti positivi.

“ Io qua non la vedo” disse il cuoco-cannoniere dal basso.
“Dove sarà?”
“Marco, Jozu, che cosa succede?”

Dal’esterno, la voce di Barbabianca si fece sentire forte e chiara. Non fu necessario che i suoi figli si affacciassero per rispondergli perché egli, con un gran balzo raggiunse la loro stessa posizione, accompagnato da altri componenti della ciurma, sotto l’indescrivibile e pietrificato sguardo dei fuggitivi dalle divise bianche e nere. Buggy il Clown a momenti temette sul serio di rimetterci il naso e anche qualcosa di prezioso nel vedere da così vicino l’uomo contro cui il suo ex capitano aveva combattuto così tante volte da aver perso il conto. Il Re dei Mari non necessitava di presentazioni, la sua sola figura davanti al buco sostituitosi al portone principale della prigione bastò a non porre domande aggiuntive: nessuno avrebbe avuto il coraggio di rivolgergli la parola, la sua imponenza fisica aveva il potere di immobilizzare chiunque gli fosse vicino.
Quando poi avanzò insieme alla preziosa alabarda, il gruppo di Impel Down arretrò senza mai togliergli di dosso. Crocodile avrebbe colto l’occasione al volo se soltanto Ivankov non fosse stato lì al suo fianco con l’immancabile Inazuma. Pensare che la cosa gli rodesse non era che un eufemismo ma d’altro canto, doveva pur difendere quelli che erano conosciuti come “Affari personali”: se quel regino da strapazzo avesse aperto anche solo un millimetro di quella sua boccaccia larga, si sarebbe trovato ad affrontare una situazione che, al sol pensiero, gli fece contorcere il viso per il disgusto.

“Non fave quella faccia, Cvoco-Boy” lo rimproverò il rivoluzionario “Pensa al tuo segveto..”
“E tu pensa a far tacere la tua parlantina” replicò quello voltandosi verso l’uscita.

Visto il momento, era preferibile approfittare del caos per procurarsi un mezzo e fuggire.
Al seguito del suo personale plotone, Buggy stava andando in iperventilazione con tanto di quei infarti a cui era scampato miracolosamente in precedenza; gli mancava letteralmente il fiato ed era sul punto di scomporsi in tanti minuscoli cubetti poiché lo sciogliersi non rientrava a far parte dei suoi poteri. In lui vi era il panico totale, un panico grande quanto il caos che aveva creato il mondo intero. Nella sua lunga vita se l’era sempre cavata, sempre, e anche adesso, che era riuscito addirittura a liberarsi dalla morsa di Cappello di Paglia, corso via senza nemmeno vedere chi fosse entrato, era portato nuovamente a pensare che la buona, vecchia e sana provvidenza non avesse mai smesso di tenerlo nella sua lista dei privilegiati. Peccato solo che lo sfuggire da un determinato pericolo comportasse doverne affrontare un altro e forse egli avrebbe fatto meglio a farsi trascinare dal moccioso di gomma, almeno così non si sarebbe ritrovato a dover stringere le gambe per evitare di farsela sotto.
Da parte sua, il padre di tutti quei pirati, in quel preciso istante, non aveva attenzioni che per il figlio privo di coscienza sulla barella d’emergenza: guardandolo, non potè non celare al resto del mondo quelle sue iride dai contorni sbiaditi, mentre fuori le esplosioni continuavano incessantemente a scontrarsi col vuoto. Inginocchiarsi o chiedere perdono per ciò che il figlio aveva subito pur di difendere il suo nome, non era sufficientemente grande per coprire il peso che strinse le malate viscere dell’uomo dai folti baffi bianchi a mezzaluna, ma senza ombra di dubbio, non se ne sarebbe andato da quel buco d’inferno senza lasciare il suo segno.  Prendere uno dei suoi figli equivaleva a doversela vedere con il restante della famiglia e quando ciò avveniva, Edward Newgate diveniva implacabile come i maremoti a cui dava vita. Non esisteva modo per fermarlo, solo lui, se mosso da una ragione più grande del suo istinto, poteva porsi freno.

“Marco, Jozu..” chiamò a sé i comandanti, sempre rimanendo in ginocchio davanti a Ace “Dov’è Sayuri?”

Si era accorto istantaneamente dell’assenza della figlia: il torace pieno di cicatrici pulsava violentemente per lo sforzo e non appena il dolore si accentuò, strinse la pesante arma con la base puntata sul pavimento. Una brutta sensazione proveniente dal passato stava ingigantendo la lacuna appena creata; cercava di parlargli con voce umana, di esprimere il pensiero in parole, di avvertirlo, e lui, nonostante avesse percepito solo echi indistinti dal profondo di sé, intuì, anzi, sentì chiaramente che ciò non era nuovo o estraneo a tutti loro. Era familiare….

“Non ne abbiamo idea, papà” rispose l’adamantino movendo la testa in segno di negazione.
“E’ impensabile che abbia lasciato Ace solo” nel librarsi in volo non aveva trovato alcuna traccia di lei “Deve essere successo qualcosa”
“Infatti” a quel punto sopraggiunse il Cavaliere del Mare, che si fece largo fra i detenuti per mostrarsi al vecchio amico pirata.
Ma guarda, quasi mi dimenticavo che c’era anche il sushi ambulante..  Pensò Don intento a ricaricare il suo prezioso fucile.
“Jimbe, mi fa piacere vederti intero” disse Barbabianca accennando ad uno dei suoi immancabili ghigni “Dimmi, sai dov’è mia figlia?”

Il muso azzurrognolo del flottaro, già per natura apparentemente arcigno, si inspessì non appena le grosse zanne laterali che sporgevano dalla bocca si irrigidirono come non mai. Dire la verità in momenti del genere era sempre un atto coraggioso quanto doloroso, ma tergiversare o mentire era ancora peggio, figurarsi stare del tutto zitto. Lui, che era stato testimone, non poteva negare a sé stesso quanto si stesse verificando a diversi piani sotto di loro ma il sapere,  l’essere perfettamente cosciente della volontà di quella ragazza, stava rendendo il suo compito ancora più pesante e ingrato.

“Jimbe..” l’imperatore aveva notato il suo incupimento “Dov’è mia figlia?”
“….Si è fermata al quarto piano per affrontare Teach”

Cadde il silenzio dopo che il l’uomo pesce ebbe pronunciato quelle poche ma concise parole.
Ecco, la verità era uscita: loro l’avevano chiesta e lui gliel’aveva data seppur questa non fosse bella. Se lo aspettavano, ne avevano avuto il sospetto non vedendo la sorellina, ma il solo sentire quella minuscola realtà invaderli e perforarli da parte a parte, li rese consapevoli che a quella loro non erano affatto pronti. Improvvisamente tutto divenne grigio, proprio come se la peggiore delle notizie fosse arrivata e avesse addirittura congelato il tempo e fatto dissolvere i colori: perfino gli echi delle esplosioni, le voci dei pirati e dei marine sparirono nell’ombra, cancellati come fossero tratti leggeri di matita. C’era solo quel nome che riecheggiava: suonava come campane stonate e maledette in un giorno di pioggia dove i bei ricordi non erano ammessi. Rivedere le memorie sfilare così apertamente, sentirsele addosso come una fredda coperta invernale, con quella risata particolare in sottofondo, mutò i visi dei pochi presenti capaci di dare un volto a quel nome, quel nome che non consideravano più amico, fratello o compagno. Dalle braccia di Marco le fiammelle azzurrognole tornarlo a zampillare su diverse parti del corpo e le braccia del comandante adamantino rilucettero di un baglio argenteo opaco, lisciandosi alla vista. Anche Bonz, il bonaccione, cambiò espressione, aprendo i suoi occhi nel mentre lo shock lo invasava da capo a collo.

“Ha detto…Teach?” mormorò il cuoco-cannoniere. Quasi la mazza gli cadde dalle mani.
“Quel bastardo..” Jozu non potè tenerselo per sé.
“Che diavolo è venuto a fare qui?” sibilò Marco assottigliando gli occhi.

Quante volte si erano chiesti il perché? Quante? Troppe e mai non c’era stata risposta. I giorni successivi alla scomparsa di Satch erano stati burrascosi quanto il cielo grigio e carico di cattivi auspici che li aveva accompagnati. Lo ricordavano bene, così come ricordavano il mare mosso e lo Striker di Ace che rapidamente si allontanava dalla Moby Dick. Se ne era andato per vendicare la buona anima del comandante della quarta flotta, furente come non lo si era mai visto ma non era stato il solo: la dolce sorellina lo aveva anticipato e quella parte di storia era troppo personale perché potessero metterci parola. Accanto a Pugno di Fuoco, il Re dei Mari ottenebrò il suo viso rendendolo invisibile ai presenti, nascondendo addirittura i suoi stessi pensieri, cosa che i suoi figli invece non si premurarono di fare: Don con gesto fulmineo, aveva afferrato Jimbe per la veste, cercando di tirarlo ad una giusta altezza per poterlo vedere senza dover alzare la propria testa.

“Con chi è giù Sayuri?” scandì le parole con una veemenza affannosamente controllata.

Scherzare su un simile argomento non era per nulla divertente e Don, nello stringere la stoffa rossa dell’elegante veste del flottaro, aveva l’immagine di quel bastardo stampata nell’anticamera del cervello con tanto di dettagli riluttanti. Intanto fuori, la battaglia proseguiva senza sosta ma la Marina si era accorta della presenza del Bianco all’interno dell’apertura creatasi a Impel Down, insieme ai detenuti che si stavano adoperando per uscire da lì. Le navi poste a guardia della prigione resistevano benché alcune di esse fossero pesantemente provate ma non demordevano, esattamente come i loro avversari: i mastodontici cadaveri dei mostri marini bloccavano un tratto del mare, vanificando l’effetto della corrente tuttavia le acque, già arrabbiate per ragioni incomprensibili all’uomo, non facevano altro che abbattersi con tutta la loro ferocia contro ogni cosa solida presente nel loro raggio d’azione. Regnava il caos in mezzo al mare, tutto concentrato in unico punto che a momenti sarebbe potuto collassare su sé stesso.

“L’abbiamo incrociato al quarto piano” cominciò a raccontare il Cavaliere del Mare senza farsi spaventare dal medico-cecchino “Non ho idea del perché sia qui, ma non ci avrebbe lasciato passare se non fosse stato per lei. E’ rimasta indietro unicamente per permetterci di proseguire”
Tipico di lei. Pensò il padre con nota rammaricata per la notizia ricevuta.

Non c’era di che meravigliarsi dopotutto: Sayuri non metteva mai sé stessa prima dei altri, non ne aveva il coraggio e mai sarebbe stato così. La figlia dava senza chiedere, non sopportava che qualcuno fosse in difficoltà e bastava poco perché tendesse la sua mano a chi l’aveva cercata anche solo con il pensiero. Era buona lei, dolce, tanto forte quanto fragile e lui aveva visto fin troppo bene quel suo ultimo aspetto: poteva celare molte cose sotto il suo sorriso ma non tutte, compresa la perdita di un caro amico proprio davanti ai propri occhi. Le ragioni per cui non era tornata a casa e per cui si era spinta a tal punto erano le stesse che l’avevano esortata a partire quella volta: aveva troppo da perdere e in quel frangente non esisteva nulla di più importante che la vita del suo comandante. Se di mezzo c’era qualcosa di tanto prezioso come la vita di Ace poi, era inevitabile che la sua tendenza a trascurarsi saltasse fuori come i funghi in primavera:  stava nella sua indole e quando questa si manifestava, l’istinto aveva la meglio sulla ragione.

“Nessun altro si è fermato con lei?” chiese il medico-cecchino.
Jimbe scosse la testa “Rufy è sceso pochi minuti fa a prenderla”
“Rufy? Il fratellino di Ace è qui?” domandò Bonz stupito.
“Che sia suo fratello o l’amante segreto, se è in possesso di un frutto dei diavolo è bello che spacciato” affermò Don seccamente.

Nel mollare la prese sulla veste rossa si issò meglio il fucile in spalle, aprendosi la strada verso le scale per il livello uno. L’ascensore era stato bloccato e mettersi a ripararlo equivaleva a perdere prezioso tempo, cosa che loro non avevano assolutamente.

Quella scellerata! Stai a vedere che ha fatto quel che penso!

Ci scommetteva il cappello, il fucile e la sua laurea in medicina che quella sconsiderata aveva fatto ricorso alla sua nuova invenzione, cavolo se ci scommetteva! Eppure era stato più che esauriente nella spiegazione: le aveva detto o no che quei medicinali doveva utilizzarli sono in casi di estrema emergenza o, meglio ancora, in punto di morte?

Ho parlato al vento!! Figurarsi se qualcuno sta a sentire quello dico, manco fossero tutti sordi!!!

Pensò ciò automaticamente ma nel suo correre lungo tutto il corridoio, dovette correggersi immediatamente: non era vero che aveva parlato al vento, a differenza di Ace, la santa le orecchie le teneva ben aperte quando si parlava di prudenza ma la verità era che l’avversario in questione non era un piratuncolo qualunque: non poteva essere affrontato con leggerezza e tenendo conto di chi fosse, che cosa ci fosse dietro, era facile capire perché la ragazza avesse scelto di intraprendere il sentiero più difficile anziché evitare l’ostacolo. Sayuri per molti aspetti poteva essere vista come l’esatto opposto di Ace, una che chiedeva e pensava prima di agire. Non c’era nulla che la identificasse come una persona impulsiva e scellerata benché, a detta del medico-cecchino, quei risultassero molto simili, esclusi i caratteri abissalmente diversi come il Sole e la Luna. Eppure…bisognava tener conto che la castana non era come tutte le altre: lei era innamorata, innamorata sinceramente del suo migliore amico, non semplicemente attratta da un puro desiderio fisico. Innamorata nel vero senso della parola e Don, brontolii a parte, sapeva che amore e follia andavano bene a braccetto quando si verificavano situazioni come quella: era una catena continua di eventi all’apparenza molto semplici ma carichi di un dinamismo esplosivo. Le azioni di uno avevano il fine di proteggere l’altro, così era per Ace e Sayuri, che fino a quel momento avevano fatto di tutto perché entrambi non corressero rischi - ovviamente senza che l’uno sapesse dell’altra -.

Lei non aveva omesso la sua preoccupazione, lui invece aveva cercato di occultarla col suo orgoglio della malora – preso poi a pugni - ma fatto stava che alla fine Don si era ritrovato in mezzo con il ruolo del “Buon amico che cerca di cavare un ragno dal buco”, volente o no.
Non ci teneva a inghiottire nuovamente l’amaro scaturito dalla sconfitta subita nell’ultimo confronto con Ace, per questo si lanciò giù lungo le scale, con Marco trasformato in fenice, in procinto di afferrarlo per le spalle al fine di arrivare in tempo.

Dobbiamo arrivare in tempo!
 


“AAAAAAAAHHHHH!!!”

SBAM!

Un tonfo. L’ennesimo per essere precisi. Crepe e solchi spaccavano i muri dividendoli in più parti. Respiri rochi e affannati si succedevano dopo violenti colpi, scivolando via nel dimenticatoio. Perline rosse fatte di sangue rilucevano e bruciavano come la cenere sulle ferite, infrangendosi al suolo o guizzando in aria come fossero pesci. Quella catena si stava ripetendo senza includere alcuna novità da quando il duello nell’inferno ardente aveva deciso di prolungarsi e di divenire ancor più aspro. Lo smisurato potere del Dark Dark non accennava a risparmiare nulla di quanto incontrava: risucchiava perfino le macerie oltre alle fiamme che rendevano afoso quel piano, ma niente pareva soddisfarlo se non quella piccola stilla si ribellione che si stava dibattendo con tutte le sue energie per sfuggirgli. La vita di Sayuri era come una calamità per l’oscurità di Barbanera: la vedeva come una farfalla dalle piccole ali colorate, affannata per l’evitare di finire in una delle ragnatele nere da lui tessute. Svolazzava rapida, battendo le aluccie senza mai concedersi una pausa, senza mai guardarsi indietro e lui la seguiva, divertito, paziente in quel gioco dove lui deteneva il controllo assoluto. Invece di catturarla subito voleva vederla dimenarsi mentre la sbatteva da una parte all’altra con una facilità mostruosa dopo che lei invano cercava di colpirlo.

Anche adesso l’aveva appena atterrata ma già subito la ragazza stava facendo appello ai residui fisici ancora attivi in lei per potersi nuovamente alzare, col sangue che colava da ogni parte del suo corpo. Non accettava di finire a terra ma per quanto fosse nobile la sua volontà, davanti a tanto potere, lei non appariva più grande di un granello di polvere.

“Cought, cought!!”
“Zehahahaha!! Che cosa ti succede Yu-chan, non ce la fai più? Avanti, perché non mi fai vedere ancora una volta quella tua bella tecnica? Dai…” la esortò “Fammela vedere!!”

Appena scaraventata a terra, la ragazza dovette gettarsi sulla sinistra per non farsi catturare dall’oscurità strisciatale incontro. Velocemente si alzò in piedi e incespicando nei movimenti  – sempre più dolorosi - si allontanò, scattando a destra e a sinistra senza dar troppo peso ai continui segnali che il suo cervello riceveva dal corpo. Le arti marziali erano le sole rimaste nel suo arsenale: i sai purtroppo li aveva persi nello sferrare il palmo giudiziale e per sua sfortuna, si trovavano proprio alle spalle di Teach. Quanto all’haki….a malapena ce la faceva a correre, figurarsi richiamare l’ambizione.

Non posso allontanarmi troppo, rischio di finire in un angolo. Devo avanzare!

Fece per tornare sui suoi passi ma nel vedere il passaggio completamente coperto dall’oscurità, non potè fare altro che arrampicarsi più in alto. Saltando in verticale, si aggrappò a una sporgenza, cercando di tirarsi su prima che la coltre nera la raggiungesse.

“A-Avanti!” rantolò “Un…Un piccolo s-sforzo…!”

Doveva solo darsi una spinta, una piccolissima spinta ma, al culmine dell’azione, qualcosa andò storto. Si percepì diversa, strana..molle ad essere più specifici e in un qual senso, era proprio così: aveva obbligato i suoi muscoli ad aiutarla ma questi, proprio, nel momento del bisogno, se ne erano lavati le mani, abbandonandola. Si erano spenti, completamente afflosciati, trascinandosi a presso anche il resto. Avvertì le sue braccia perdere la presa sul muro e in un istante, la sporgenza su cui cercava di issarsi, si allontanò, spingendosi più in alto.

No….non sta succedendo…non sta succedendo per davvero.

Per quanto semplice da vedere e da capire, lei ugualmente non riuscì a farsene una ragione. Perché proprio adesso? Perché le forze l’avevano abbandonata senza preavviso? Perché l’avevano lasciata sola proprio quando doveva difendere se stessa e il suo sogno?
L’oscurità la catturò immediatamente, allacciandosi alla sua vita e bloccandole gli arti  per impedire che si muovesse. Ci provò a dimenarsi nel mentre quella la trascinava senza fretta verso il suo padrone, ma i calci e i pugni che voleva dare si stavano realizzando soltanto nella sua mente: nella realtà nemmeno riusciva a muovere un dito. Martoriata peggio di un animale prossimo al macello, aveva esaurito tutte le sue forze, ogni singola cellula che sino a quel momento l’aveva tenuta in piedi. E pensare….che Teach si era perfino trattenuto.

Figurarsi se aveva dato libero sfogo a tutto il suo potere. No….lei l’aveva capito fin da subito, fin da quando quella lotta le si era rivoltata contro: Teach non aveva mai vissuto quello scontro come se fosse tale, per lui ciò era equivalso ad un gioco dove lo scopo stava nel divertirsi a stuzzicare l’avversario fino allo sfinimento, assestandogli poi l’unico colpo vincente. Con lei aveva insistito unicamente perché fra Satch, a cui praticamente non aveva dato respiro per via del tempo, e Ace, era quella con cui si era intrattenuto di più. Poteva farsi anche colpire, il suo corpo di sicuro non ne avrebbe risentito essendo anormale per natura. Lasciava che gli altri si esibissero in tutti i loro repertori, per saggiarne le abilità e verificare se meritassero di proseguire o meno. Non c’era mai stato un solo momento in cui l’avesse presa con serietà, non gli importava cosa lei pensasse o facesse: era lui che decideva lo svolgersi del gioco e la sua conclusione.

“Si direbbe che tu non abbia più energie, Yu-chan”

L’ oscurità che la bloccava si raccolse fino a stringerle soltanto il polso sinistro, sollevandola da terra mentre il restante andava a ricongiunsi con Barbanera. Quando tutta la materia scomparve, il nero che le attorcigliava il polso si solidificò, lasciando posto alla mano dell’uomo; sarebbe dovuta affondare nella massa nera come le macerie del posto e le guardie prima di lei ma essendo il suo avversario più coriaceo, Teach ci teneva a volerla finire con un tocco personale, per tale ragione si era limitato ad attirarla a sé.

“Dopo tutte le tue belle parole sul voler fare di Ace il Re dei Pirati pensavo avessi qualcos’altro da mostrarmi. Ci tenevo a rivedere quel tuo giochetto con l’haki, una diavoleria ben congeniata la tua, nulla da dire al riguardo”

Tenendola ben alzata da terra la potè vedere interamente, senza alcun angolo scoperto. Stette per dire altro ma i suoi occhi calarono per caso sul braccio che teneva in ostaggio: il non comprendere che cosa si fosse formato su di esso, permise all’interesse di farsi avanti, alimentando il suo fare guardingo nel mentre si accorgeva che quella strana cosa non riguardava il singolo arto.

“Che cos’è?” pareva averlo domandato più a lei che a sé stesso.
“Niente….che.. n-non fosse previsto” mormorò la ragazza col viso occultato dalla lunga e scompigliata chioma.
“Uh?”

Era perfettamente normale che il suo corpo risentisse dei molteplici effetti collaterali della sua tecnica, per non parlare poi dei medicinali di Don, la quali forse le avevano permesso di combattere più a lungo.

Non pensavo….che il riutilizzo forzato dell’haki potesse incidere così tanto…

L’essere andata oltre al palmo giudiziale le era costato più di quanto pensasse, per non parlare poi di quelle energie che avrebbe potuto spendere meglio in una fuga. Sotto i capelli, il viso di Sayuri trasparì una certezza fiocca, dalla vista semichiusa e dall’aspetto macabro e irriconoscibile, ma pur sempre cosciente di che cosa la circondasse. Non vedeva ma percepiva perfettamente ogni parte di sé pulsare con maggior vigore: l’intero braccio destro era ricoperto da venature spessissime come radici, quasi volessero uscire da sotto la pelle. Purtroppo quella ramificazione non si era estesa soltanto all’arto ma le aveva ricoperto parzialmente il fianco destro, metà torace, arrivando al il collo e toccando la guancia destra giusto quel che serviva per poi fermarsi a sfiorare la base dell’occhio. Era solo questione di minuti prima che anche il resto del corpo si aggregasse e lei non se ne sarebbe mai resa conto se non ci fossero state quelle pulsioni, unico segnale che ancora distingueva dato che non aveva la padronanza dei suoi muscoli.

“Vedi T..Teach, il Divine Recall…è..anf…molto potente. Si tratta di una t-tecnica…che..uhf…ho creato appositamente per…per te” spiegò tra un ansimo e l’altro “Ma è pericolosa…molto p-pericolosa anche…cough!...Per chi la…usa. Il..minimo errore di…d-distrazione è f-fatale ma a-anche….” Si fermò per respirare il dovuto ossigeno “Anche se la…l-la si e-esegue corret….correttamente… è impossibile non..pant..risentire..dei suoi effetti”

Esistevano tecniche al mondo la cui sola creazione richiedeva anni prima di vedere la luce. Altre, addirittura secoli per essere perfezionate. Dietro a tanta dedizione vi era sempre una ragione che spronava la persona quando questa si trovava sul punto di cedere ma Sayuri, benché ne avesse avute diverse, non era mai stata capace di creare qualcosa di veramente unico e che la facesse sentire realizzata: ciò che aveva imparato glielo aveva trasmesso il suo nonno ed era un patrimonio che lei stessa aveva personalizzato con aggiunte rivelatesi efficaci. Ne era sempre andata orgogliosa ma recentemente si era messa a pensare, che quello che aveva non bastava per difendere ciò che aveva conquistato. Si era vista allo specchio e nel suo riflesso, aveva intravisto una persona debole, che aveva ancora tanta strada da fare ma con dei amici pronti a sostenerla quando fosse stata giù di morale ed era stata quella differenza, il vedersi circondata da così tanta gente, che l’aveva spronata a cambiare atteggiamento. Bisognava rischiare, mettersi in gioco in tutto e per tutto, senza pensare alle conseguenze, ponendo l’intelletto in un angolo. Tesori come l’amicizia e l’amore non meritavano alcun limite e tenendo sempre a mente questo, allenandosi coi volti di tutti loro scolpiti nella sua mente, la principessa dei gigli infine era riuscita a creare qualcosa che rappresentasse tutta sé stessa, tutta la sua determinazione e i suoi ideali.

Fintanto che c’era solo lei non poteva ambire a nulla, nemmeno alle ali a cui alludeva il parente che dal cielo l’osservava ma il pensare a qualcun altro, il farsi abbracciare da un calore che non fosse soltanto il suo o quello di una coperta, avevano aperto le porte del suo cuore, dissolto le barriere dietro cui soleva rifugiarsi, distrutto le sue fortezze interiori, esortandola a tendere la mano e ad aprirsi senza temere la paura di venire rifiutata per la sua natura, a sorridere..nonostante la crudità della realtà futura dentro stava per essere fatta sprofondare.

Riesci a vederle nonno? Riesci a vedere le mie ali? Penso di aver finalmente compreso le tue parole. Tu..miravi a questo, vero? Volevi…che capissi, che trovassi…il mio posto nel mondo. Sono contenta, però adesso…..il mio corpo non si muove.

Ali con piume fatte d’aria, dalle sfumature trasparenti coi bordi azzurri e lucenti come la neve sotto il sole, che si disperdevano nel vento come petali fioriti nel primo giorno di primavera. Piume che volavano in alto, portate in posti lontani. Segretamente, nel suo cuore di bambina, le aveva sempre desiderate così, le sue ali: le pagine di quel libro pieno di illustrazioni riguardanti quei esseri assolutamente canditi l’aveva incantata fin da subito e da allora non se ne era più liberata. Le voleva anche lei, le grandi ali bianche dei angeli, per volare via, lontano da quell’isola che le aveva arrecato tanta sofferenza. Ma come appena nate con l’evocazione del Divine Recall, queste si erano spezzate, lasciando cadere le piume a terra come accadeva inevitabilmente alle foglie degli alberi in autunno.  E fra poco, sarebbe toccato a lei…….

“Zehahaha, sei una stupida Yu-chan” la schernì Barbanera “Ti sei data tanto da fare solo per potermi battere! Non che ne sia onorato, ma dimmi po’..” e se la portò più vicino di modo tale che i loro occhi si incrociassero “Ce l’avresti avuto veramente il coraggio di uccidermi, eh?”
“Uhg…..!” l’ennesima fitta le strappò un mugugnò doloroso.
“Ti ho osservata molto a lungo amica mia, come ho fatto con tutti gli altri, e credimi se ti dico che non hai e non avrai mai la forza di finire definitivamente un tuo nemico. Sei troppo accondiscendente..” le disse malignamente strizzandole il polso “Troppo buona e troppo pacifica”
“Anf…anf…..cought, COUGHT!!” tossì colta dai violenti spassi, contraendo i lineamenti del viso contratti in una smorfia di dolore acuta.
Non…..Non ci riesco. Il mio corpo……..il mio corpo non si muove più.

Avrebbe voluto divincolarsi, allontanarsi da quell’essere ma il solo movimento ancora concessole era quello della testa, seppur molto minimo. Quel maledetto non accentuava la stretta, non la mollava e Sayuri nella sua fisicità era inanimata; non poteva opporsi a quel dominio contrastandolo con la forza, di quella non ne aveva più.  Poteva ancora udire i suoni e vedere per quanto anche quelle capacità stessero evaporando ma era tutto così confuso da risultare un miscuglio disomogeneo. Pareva che le parole di lui le stessero narcotizzando il cervello, la testa le vorticò con più velocità che rischiò di svenire per l’insopportabilità.

“Tu sei forte, hai un buon cervello, eppure ti ostini a cercare la soluzione di ogni problema con la via pacifica, ma pensi forse che in un mondo come questo, bastino delle belle parole per fermare un’ondata come la pirateria?” le domandò nuovamente “Quest’era è piena di stupidi che credono soltanto in ciò che vedono, che snobbano le leggende, i sogni, e questa gente io la considero feccia, Yu-chan” le disse chiaramente “Un uomo senza un sogno non è niente e di certo non permetterò che ad arrivare all’apice di questa sia un realista. Ho atteso a lungo, riposto le mie speranze in questa occasione e in questo potere, la mia ascesa sarà incontrastata! Questa è la mia era..” ripetè afferrandola per il collo “E LA FARO’ SPROFONDARE NELLE TENEBRE PIU’ OSCURE!”

Piegando il braccio all’indietro scaraventò la ragazza a terra, aprendo una voragine mastodontica ai suoi piedi, spingendo l’avversario al suo interno, nel mezzo della pietra e dell’acciaio ora divisi. L’impatto con il pavimento fece urlare tutte le ossa che componevano la spina dorsale di lei, dalla cui bocca fuoriuscì così tanto sangue da arrivare a macchiare il viso dell’ex compagno. Avrebbe dovuto urlare, senza trattenersi, ma la violenza arrivatale addosso, quell’ultimo colpo, era stato tanto incisivo da farle perdere i sensi. Non poteva più combattere e Teach, inginocchiato sopra di lei e con la mano saldata attorno al suo collo pulsante, aveva la strada spianata verso la vittoria.

“E’ da quando ti ho vista con il mio frutto che ho pensato di ucciderti velocemente” le confessò nonostante lei fosse svenuta “Ma sai….” Sogghignò con una luce depravata nei occhi “Le cose si gustano di più se fatte lentamente, zehahahahaha!”

Ovviamente, lei non potè rispondere o ribellarsi.
A quel punto, le dita scure del traditore cominciarono a premere con più vigore sulla pelle di lei, irrigidendosi e schiacciandole il collo con sempre più energia, percependo sotto la sua stretta, le pulsazioni di lei agitarsi per la mancanza d’aria. Quando poi vide il viso della ragazza risentire della sua presa, ampliò il sorriso a cui mancavano dei pezzi, incurvando l’enorme bocca al massimo della sua espansione.

“Addio, Yu….”
“FERMATI!!!”

Ciò che seguì a quell’ordine, stordì l’uomo abbastanza da fargli ammorbidire la presa che aveva sul collo della ragazza. Era come se una sferzata d’aria carica di pressione gli fosse rimbombata addosso con tanta forza da scuoterlo dall’interno, comprimendogli gli organi. Risuonò dentro di lui, scombussolandolo quanto serviva da fargli affondare il faccione dal naso gobbo nella mano libera nel mentre l’altra allentava la presa sulla povera malcapitata.

“Chi diav….?!”

Ringhiando per quello stordimento improvviso, puntò i suoi occhietti sulla destra, notando la presenza di un nuovo personaggio visto in quello stesso giorno, quasi il destino ce lo avesse messo apposta.

“Cappello di Paglia…” sibilò. 

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Capitolo 69
*** Al di là della porta / Finalmente fuori. ***


Buon mercoledì! E siamo arrivati, finalmente siamo arrivati alla fine della saga di Impel Down e in generale della guerra per salvare il collo al caro Ace, questo, ebbene si, è l’ultimo capitolo di Impel Down! Siamo quasi alla fine della storia, mancano meno di 10 capitoli (escluso questo, sette se vogliamo essere precisi. Spero di non sbagliarmi, sono un po’ fusa ultimamente). Mi auguro che non ci siano errori, l’ho controllato alla velocità della luce per scarsità di tempo (ancora, se ce ne sono, chiedo perdono, appena posso li tolgo). Vi lascio alla lettura!

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Se non avesse attivato il Gear Second a metà percorso, Rufy non sarebbe arrivato così velocemente al livello quattro. Il suo nuovo stile di lotta era un Power Booster di prima categoria, creato grazie alla mutazione della circolazione sanguigna.
Soltanto lui poteva adoperare una simile tecnica in quanto il suo corpo, ossa e organi compresi, era fatti di gomma: velocità e forza salivano smisuratamente, la pelle diveniva rossa, lucida ed emetteva vapori corporei mai visti prima, riuscendo addirittura ingigantire i diversi arti . Per quanto ciò fosse incredibile, non si poteva dire che modificare il flusso sanguigno e gonfiare le proprie ossa come dei palloni formato gigante fosse una mossa saggia, anche per un ragazzo di gomma; vi erano degli effetti collaterali alquanto problematici ma non esisteva nulla di più devastante per un capitano come lui, che perdere sotto i propri occhi i suoi compagni, uno per uno. Quella volta a Shanbody non ce l’aveva fatta a proteggerli ma confidava nel fatto che una volta portato in salvo Ace, tutto si sarebbe sistemato: li avrebbe cercati, riuniti e una volta tornati all’arcipelago, sarebbero partiti alla volta dell’isola degli uomini pesce. Sapeva che loro stavano bene, i suoi amici erano in gamba ma adesso Rufy non poteva pensare a loro per quanto fossero importanti: salvare suo fratello era una priorità indiscutibile e francamente non avrebbe mai pensato di trovare così tante persone disposte ad aiutarlo. Ma come era stata grande la sorpresa nel venire circondato da tutta una serie di alleati unici nel loro genere, altrettanto grande era stato il disgusto nel vedere la faccia del bastardo che aveva spedito il suo fratellone in prigione.

“Cappello di Paglia…” Barbanera lo guardò dritto nei occhi “Come mai sei tornato giù? Non dovevi forse portare tuo fratello in salvo?”

Il pirata da trecento milioni di berry serrò ancor di più la mascella e i pugni, avanzando con il corpo rossiccio e fumante e mostrando due occhi così carichi di furia da elettrificare la calura circostante, agitata come un fiume in piena. L’allegria e la giocosità si erano estinti nell’istante in cui aveva intravisto per la seconda volta la sagoma di quell’uomo, ex subordinato di suo fratello: i muscoli tesi e carichi parevano sul punto di esplodere ma non certo per gli effetti sprigionati dal Gear Second. No, Rufy avvertiva tutto sé stesso come un vulcano in eruzione esattamente come quando si trovava davanti a un individuo che proprio non gli andavano a genio, che si divertiva  a fare del male ai altri come fosse in gioco. Ne aveva visti molti e tutti quanti erano stati sconfitti ma quello lì, quel Barbanera, aveva osato troppo.

“Che cosa hai fatto….” ringhiò nel vedere l’amica a terra, in quelle condizioni e con la mano di quell’essere attorno al suo collo “CHE COSA HAI FATTO A YUCCI-CHAN?!”

La sua voce rimbombò per tutto il piano, con le pupille talmente assottigliate a tal punto da essere ridotte a due punti sbiaditi. Sayuri non si muoveva, non aveva gli occhi aperti e la vista del suo corpo immobile, tenuto crudelmente ancorato a terra da lui, stava mandando in bestia il ragazzo di gomma ancor più di prima, il cui sangue continuava ad essere pompato nelle gambe e nella braccia. Rufy non conosceva niente di lui ma sapere che Ace era stato sconfitto e mandato lì per mano sua, vedere Yucci-chan in quello stato pietoso e sentire lui riderci sopra come se la vita di quella che era una sua ex compagna non avesse alcun peso, lo stava decisamente portando a superare ogni limite di sopportazione inimmaginabile ed era vero: a Barbanera la vita di lei non interessava più, le aveva concesso un minimo di attenzione perché era riuscito a incuriosirlo con la sua nuova diavoleria, ma era scontato che la vittoria andasse a suo favore: percepiva distintamente l’astio del fratellino di Ace riversarsi addosso a lui e a ciò il suo sangue reagì automaticamente, come eccitato.
Sotto i suoi polpastrelli tozzi, il battito cardiaco di Sayuri era semi spento, quieto ma ancora presente. Reggeva il suo collo, morbido e caldo, esattamente come se lo era immaginato quella notte, nella stiva, dove aveva ripreso in mano le preziose informazioni rilette più e più volte. Saziare quel piccolo desiderio era stato un impulso istintivo, portato dall’occasione creatasi appositamente per lui, occasione che non aveva mancato di cogliere al volo e che avrebbe soddisfatto con gioia se ad interromperlo non fosse arrivato Cappello di Paglia.

“Zeh, abbiamo solo avuto una piccola discussione, niente di che” confessò nel mentre rideva con la sua dentatura spaccata “Ho semplicemente proposto alla cara Yu-chan di venire con me, ma lei non ne ha voluto sapere e così…….zehahahahaha!!!!”

Quell’insopportabile risata aveva già scavato a fondo nell’animo di Rufy tanto da venire odiata più di qualsiasi altro nemico affrontato. A quel punto le vampate di vapore emesse dal suo corpo raggiunsero il culmine dell’emissione, esplodendo non appena il ragazzo battè il pugno a terra com’era solito fare quanto attivava la tecnica.

“Che cosa stai…?” Teach incurvò le labbra, stoppando la sua risata.
“Gomu Gomu no….JET PISTOL!!”

Sparendo all’improvviso, Cappello di Paglia si materializzò a pochi metri da Barbanera, colpendolo e scaraventandolo via da Sayuri con una potenza tale che fu perfino sollevato dal pavimento nonostante la mastodontica mole. La sua corsa si interruppe solo grazie alla parete opposta, a cui si addentrò a tal punto da sbriciolarne i solidissimi mattoni.

“WHAAAAAAHHH!!!! CHE MALE, CHE MALE!!!”

Teach agognò a terra con la testa sanguinante fra le mani, agitandosi e contorcendosi per il colpo arrivatogli addosso. Quel Jet Pistol furioso era stato completamente diverso dai suoi precedenti, triplicemente più devastante, che perfino un cieco ne avrebbe percepito l’intensità: ci era stato immesso tutto l’haki del re che il ragazzo, con la sua rabbia, aveva saputo riversare sull’avversario ma di ciò lui era completamente all’oscuro. Non conosceva ancora il potere che da poco si era risvegliato all’interno del suo animo ma il traditore, le cui ossa craniche si stavano comprimendo una sopra l’altra, aveva avvertito quell’ambizione già da prima, quando si era manifestata sotto forma di semplice vento. Non aveva minimamente calcolato che quella pulce possedesse una volontà tanto forte.

“Yucci-chan!”

Tornando a terra, ma con il Gear Second sempre attivo, Rufy raggiunse l’amica, tirandola fuori dalla buca.

“Yucci-chan, mi senti? Yucci-chan!”

Le scrollò le spalle, le diede anche dei leggeri schiaffetti ma ad ogni suo richiamo non ricevette altro che il silenzio. Sayuri era conciata così male che in teoria ogni movimento brusco a suo carico le sarebbe stato fatale. Non c’era un solo centimetro di lei che fosse stato risparmiato: gli abiti mostravano chiazze scure e dense per via delle innumerevoli ferite che le avevano lacerato la pelle rimaste, rimanendo aperte a sufficienza da appiccicarsi ai tessuti come colla. Ematomi vistosi segnavano il suo corpo indelebilmente, rovinandolo con colori disgustosi, che solo la pazienza e delle ottime cure mediche avrebbero potuto far sparire. Faceva male il solo guardarla e poi…c’era quella ramificazione che le avvolgeva il braccio destro, tanto strana quanto inquietante per come risaliva parte del collo e le arrivava a metà viso: questa continuava ad espandersi lentamente, arrivando a coprirle anche quasi tutto il costato. C’era altro, molto altro, ma Rufy non ci badò visto che non sapeva cosa fossero di preciso tutti quei mali. Gli bastò soltanto vedere la fatica, il dolore e tutto lo sforzo che Yucci-chan aveva impiegato per tenere a bada quel bastardo per rendersi conto di quanto stesse soffrendo. Era un corpo vuoto, senza cuore o anima, un guscio lasciato da parte, freddo e immobile…

Così immobile da sembrare senza respiro.
Il collo stretto sino a quel momento era rosso, coi segni delle dita diBarbanera ben marcati. La sua mano era il doppio, forse il triplo d’esso, per questo alcuni di quei segni erano visibili anche poco oltre la base del sostegno della testa, ma ciò passò in secondo piano quando Cappello di Paglia avvertì in lei un microscopico sospiro esalato dalle labbra appena semichiuse: respirava, era viva.
Il solo percepire quel minuscolo lembo di ossigeno ammorbidì i suoi lineamenti di ragazzino non ancora del tutto adulto, esorcizzando qualche briciola di quella rabbia riapparsa con tanta rapidità che purtroppo tornò quasi immediatamente a far parte dell’agglomerato in generale: Barbanera si era rialzato da terra, con le braccia aperte e l’oscurità nuovamente al suo fianco o meglio alle sue spalle. Cosa potesse essere di preciso quel fumo nero, al giovane pirata non interessava, per questo non stette ad aspettare che lo attaccasse e scattò in aria sulla destra, pronto a colpirlo nuovamente.

“Gomu Gomu no…Jet..!”
“Kurouzu! (trad: vortice oscuro)”

Era sul punto di scagliare il suo Jet Pistol, di mandarlo a terra esattamente come prima, quando improvvisamente si sentì trascinare verso di lui, come attratto da un forza magnetica: dalla mano del nemico si era venuto a creare un vortice dalle lunghe spirali  e questo aveva risucchiato Rufy senza che potesse opporsi. Finì per ritrovarsi con il magro busto stretto fra le dita della grande mano di quest’ultimo, che non appena ebbe ridato forma al suo arto lo sbattè a terra con disumanità, spaccando nuovamente il pavimento. Il ragazzo di gomma ci affondò dentro, esattamente come Sayuri prima di lui, ma senza perdere conoscenza. Affondò, provando per la prima volta quel dolore che non era più in grado di provare da quando aveva ingerito il frutto del mare Gom Gom: essendo diventato di gomma, pugni e calci nemmeno li avvertiva, soltanto attacchi che potevano lacerargli la pelle o ustionargliela gli nuocevano. Eppure in quel frangente urlò nell’avvertire il dolore frantumargli la testa e dovette tenersela come Teach si era tenuto la sua dopo che lui l’aveva spedito contro il muro.
Com’era possibile che avesse accusato un colpo del genere? Riscossosi, saltò sui talloni e balzò all’indietro nel mentre il suo corpo tornava ad essere padrone della speciale elasticità donatagli dal frutto.
Una fitta alla tempia e una strana sensazione di bagnato sul suo viso, accompagnata da un forte odore metallico, lo spinse a premersi la mano su metà d’esso.

“Sangue..?”

La mano ritratta ne era completamente macchiata e nel mezzo di quella scoperta, non seppe darsi la giusta spiegazione al riguardo.

“Zehahahahaha!! La tua faccia è identica a quella di uno che non ha capito che cosa sia successo, vero Cappello di Paglia?” rise Teach “Anche tuo fratello aveva la stessa espressione quando l’ho colpito”
“Che cosa?!”

Non c’era menzogna nelle sue parole. Quel che il pirata da trecento milioni di berry si ritrovò ad ascoltare era la pura e semplice verità, verità che aveva permesso a quel bastardo di acquisire una posizione più prestigiosa a spese dell’ex comandante.

“Già lo sai Cappello di Paglia, contro di me i poteri dei frutti del diavolo non funzionano: rendo tutti coloro che li possiedono vulnerabili ed è grazie a questa abilità che sono riuscito a battere tuo fratello. L’oscurità non ha niente a che vedere coi elementi di questo mondo, è in grado di avvolgere e risucchiare tutto ciò che la circonda, che si tratti di fuoco, lame, pugni…non fa alcuna differenza! Non c’è arma o tecnica che la possa contrastare!”

Risentire come fosse riuscito a sconfiggere il suo vecchio superiore non fece altro che agitare l’ira del giovane. Se a parole non era stato convinto, le leggere pulsazioni alla tempia, residuo del colpo assestatogli, furono sufficienti a fargliela pensare diversamente: non aveva potuto allungarsi o compiere qualunque altra azione che solitamente eseguiva senza alcuna fatica. Si era percepito diverso da solito, più pesante: dire o esprimere concretamente che cosa avesse provato nel possedere, anche solo per pochi secondi, un corpo comune, esattamente come quand’era bambino prima di mangiare il frutto del diavolo Gom Gom, non gli fu facile perché ancora non riusciva a capacitarsene.
Dal canto suo, Marshall D.Teach godette, ampiamente soddisfatto. L’oscurità, il potere offertogli dal Dark Dark, per quanto ormai non possedesse più alcun segreto, ai suoi piccoli e tondi occhi malefici rappresentava una continua novità: l’essersi liberato dalle invisibili catene dell’oppressione aveva permesso che la sua insana ascesa si riversasse su chiunque finisse in mezzo al suo cammino. Tuttavia, nella sua spavalda e sadica sicurezza, vi era una falla scoperta, non contaminata: quel moccioso aveva mostrato di possedere più  haki di quanto si immaginasse, anche se la sua era stata molto probabilmente una manifestazione impulsiva. Pieno di sorprese, esattamente come sperava che fosse quando aveva deciso che lui e i tanti berry pendenti sulla sua testa sarebbero divenuti il suo obbiettivo – anche se i fatti non si erano svolti come lui aveva programmato - ecco che la fortuna veniva ad offrirgli una seconda occasione per accrescere il suo prestigio. Ma perché non divertirsi anche con lui prima di porre fine alla commedia?

“E sai, Cappello di Paglia…” riprese “ Tutta la mia riconoscenza io la devo unicamente a Yu-chan. E’ stata lei a portarmi il frutto che cercavo”

Sogghignò così malignamente da far risplendere le sue pupille, di scintille appuntite e giallastre nel mentre anche le sue spalle si alzavano e abbassavano ritmicamente. Rufy mozzò il suo respiro a quella affermazione, aprendo i suoi occhi esattamente come quando aveva sentito Jimbe pronunciare il nome con cui ora quel bastardo soleva farsi chiamare.

“Lo aveva trovato per caso, senza neppure desiderarlo, e ho subito pensato di sottrarglielo. Ma poi un guastafeste ha deciso di mettermi i bastoni fra le ruote, cercando di fare l’eroe……” il ricordare come aveva massacrato Satch gli provocò dei brividi estasianti lungo tutta la schiena “A quel punto sono dovuto scappare e non mi sarei affatto stupito se fossi stato inseguito da lei: Stando sulla nave di Barbabianca ho imparato a conoscere tutti quanti, lei inclusa, e sensibile com’è, mi ero immaginato che volesse redimersi dalla sua colpa. Ma invece…” continuò a raccontare “A venire da me è stato tuo fratello, così deciso a farmela pagare e così stupido da affrontarmi senza sapere a che cosa stava incontro, zehahahahaha!!”

Ancora una volta, l’istinto di Cappello di Paglia reagì a quella risata. Scattò in avanti ma a Barbanera bastò utilizzare il vortice oscuro una seconda volta per catturarlo esattamente come aveva fatto prima; oltre al busto, stavolta riuscì anche a imprigionargli le braccia, come fosse legato con delle corde. L’omone se lo portò più vicino, come fosse un pupazzo, di modo da poter meglio osservare il sentimento che animava il volto del pirata, il cui dimenarsi non era neppure paragonabile a un solletico.

“Ugh..” Rufy non potè non gemere a quella morsa che stava comprimendo le sue ossa non più elastiche. Imprigionato a quella maniera, poteva muovere solo le gambe.
“Insisti a volermi attaccare, proprio come Ace. Non hai ancora capito che ho a mia disposizione il potere definitivo? Qualunque cosa tu faccia, non potrai mai sfuggire all’oscurità ne distruggerla” gli disse stringendogli ancor di più il busto “E la stessa cosa vale anche per chi invece non possiede abilità particolari date dai frutti del diavolo..” aggiunse lanciando un’occhiata al corpo inerme di Sayuri.
 “Grrr…uhg.!!” a forza di ringhiare fra i denti, di guardare quel maledetto con tutto l’astio che aveva in corpo, dal profondo del suo stesso io, risalì come una corrente in continua espansione, che gonfiò il petto del ragazzo a dismisura il petto, arrivando alla gola e liberandogliela da ogni intoppo.

Crebbe senza fermarsi, come una nuvola carica di fulmini selvaggi e violentissimi e quando il negativo che gli stava consumando le viscere raggiunse il limite, Rufy esplose definitivamente.

“E ALLORA?! SAI CHE ME NE IMPORTA QUALE POTERE TU ABBIA! TI SCONFIGGERO’ LO STESSO!!”

Gli urlò in faccia, espellendo tutto quello che si era trattenuto dentro e che stava minando i preziosi ricordi di quando da bambino passava le sue giornate con suo fratello. Quelle memorie erano troppo importanti perché svanissero a causa di estraneo, non poteva in alcun modo sopportarlo e fu proprio quel vastissimo e incontrollabile desiderio di proteggere quanto di più caro aveva di Ace – oltre che a Ace stesso – che permise a un fatto accaduto poco prima di ripetersi.

Successe senza che lui lo desiderasse, senza che ne fosse cosciente: per due secondi, il tempo si congelò, portando con sé suoni, echi e perfino il crepitare delle fiamme: poi, senza alcun preavviso, ecco che il vento che aveva colpito inizialmente Barbanera si ripresentò, più impetuoso di prima, più inciso, tanto da indurlo a lasciare la sua preda per non dover finire nuovamente contro il muro. Finì per rotolare all’indietro, con le vistose collane di perline bianche e lilla strizzargli il grasso collo e il cappotto nero rovinato in più punti.

“Ancora..?” sibilò con le mani premute nuovamente sulla testa.

Non occorreva molto per arrivare alla conclusione che, seppur non fosse ancora capace di controllarlo, quel ragazzino  possedesse uno spirito vitale  più potente di quanto gliene si potesse abbonare. La sola ragione per cui al momento stava riuscendo a farne uso era ricollegabile alla rabbia, un sentimento tanto incisivo da risvegliare qualunque forza dormiente. Le tempie di Barbanera ricominciarono a pulsare insieme ai già lamentosi muscoli. L’haki era una delle armi più insidiose e complicate che esistessero al mondo nonostante fosse semplice come concetto teorico. Ricollegato a tre tipologie basi, si trattava di una forza che poteva rendere una grande volontà affilata e solida come la più pregiata delle spade: chi riusciva a farne un uso corretto lo utilizzo poteva non pochi vantaggi, darle una forma propria e lui, in qualità di possessore di un potere derivante dal frutto dei diavolo, sfortunatamente ne risentiva maggiormente: aveva già dovuto vedersela con la tecnica di Yu-chan, composta di purissima ambizione, e francamente combatterci contro non era stata del tutto una passeggiata. Per quanto la sua resistenza superasse le innumerevoli soglie a cui molti si fermavano, era stato impossibile mostrarsi insofferenti davanti a quello spirito che gli aveva perfino lasciato una bruciatura semivisibile su parte del torace, come lo era tutt’ora: i fasci di carne e nervi che componevano il suo corpo parevano aver perso una parte della loro elasticità, lasciandogli addosso un fastidioso bruciore la cui scia era così familiare che seppe subito a chi attribuirla.

Quella piccola intrigante…

Era stata lei, Sayuri. La sua ambizione gli scorreva in corpo, era riuscita a lasciargli un ulteriore segno del suo passaggio: in una qualche maniera, l’effetto risonante dei suoi attacchi, sommato al palmo giudiziale era riuscito a superare la materia grassa del suo corpo e a raggiungere la muscolatura e l’impalcatura ossea. Benchè lo scoppio fosse stato tardivo, si era comunque verificato e il percepirlo addosso come una serie di puntine da disegno sotto la piante dei piedi non era una sensazione tanto piacevole se poi si incombeva nel rischio di un progressivo aumento. La percepiva, oh se la percepiva, così come percepiva la forza interiore di quel moccioso fracassargli i neuroni del capoccione riccioluto e colante di sangue…..

 “A quanto pare la tua volontà non è come quella di Yu-chan..” ansimò posando i palmi sulle ginocchia e rimettendosi in piedi “Non c’è che dire, sei davvero un tipo pieno di sorprese, Cappello di Paglia. Non credevo che il tuo spirito vitale fosse tanto potente”

Al sol vedere l’oscurità ripresentarsi, Rufy saltò all’indietro, tornando vicino a Sayuri. Urgeva trovare una soluzione, subito. Quel fumo nero non faceva che tornare ogni volta che quel bastardo si rimetteva in piedi e lui non era tanto avventato da combattere con un amica ferita gravemente sul campo di battaglia: in fondo, se era tornato indietro era unicamente per riprenderla. Tra le poche opzioni a sua disposizione, il fratellino di Pugno di Fuoco scelse la sola fattibile, anche se non incline al suo carattere impulsivo e battagliero: fuggire.
La sola parola gli balenò in testa senza doverci neppure pensare. Parallelamente alla rabbia che ancora gli circolava in corpo, ritagliò uno spazio vuoto dove questa non aveva libero accesso. L’angolo della razionalità, ecco il nome: si, Rufy a quel termine risultava incompatibile, quasi ci fosse allergico, ma la gente tendeva a trascurare il fatto che il ragazzo possedesse un tipo diverso di intelligenza e quando questa si mostrava in tutta la sua semplicità, l’opinione al riguardo di quel buffo ragazzo col cappello di paglia mutava radicalmente. Ora, al centro di questo angolo, c’era l’immagine ben nitida di Yucci-chan, stesa a terra proprio come la stava guardando in quello stesso frangente, solo che in sottofondo poteva avvertire tutto ciò che gli aveva detto prima che decidesse di fermarsi al quarto piano.

“Coraggio, andate. Io cercherò di trattenere un po’ il direttore”
“Fra poco verranno a prendere Ace. E’ quasi giorno ormai, non sono rimaste molte ore a disposizione e io so, che se non arriverò in tempo, non lo rivedrò mai più. Non potrò più stargli vicino, ne navigare con lui, ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per me……ne potrò chiedergli scusa per una cattiveria che gli ho detto”
“Per favore, prenditene cura”

Scappare equivaleva a comportarsi da vigliacchi, da persone incapaci di affrontare la realtà e Rufy piuttosto che farlo era disposto a combattere anche senza braccia e gambe. Ma capitava che i nemici fossero più forti, che la vita in gioco non fosse soltanto la sua e in quel preciso istante, Sayuri necessitava di un medico, perché troppo grave per essere ignorata ulteriormente. La sua immobilità era preoccupante e più la guardava, più cresceva l’agitazione del pirata di gomma che, senza alcuna esitazione, se la caricò sulle spalle, cominciando a correre seguendo la direzione da cui era provenuto.

“Dove pensate di andare?” sputando sangue da un angolo della bocca, Barbanera tese la mano destra verso il vuoto “Kurouzu!”

Il vortice oscuro del pirata non ci impiegò molto a fermare la corsa frenetica di Rufy. Catturato, venne sollevato in aria e trascinato velocemente verso il centro delle spire nere.

“Acc….!!”

Liberarsi da quella forza d’attrazione era pressoché impossibile. Sapendo ciò, Cappello di Paglia fece la prima cosa pensata in tutta fretta: lasciò cadere Sayuri e si preparò ad attaccare l’avversario con uno dei suoi colpi più forti. Se lo colpiva prima di lui, non c’era rischio che perdesse il potere Gom Gom…...almeno così pensò.

“Gomu Gomu no…Jet Bazooka!!”

Al momento dell’impatto, si colpirono a vicenda. Rufy col Jet Bazooka lo prese per il torace e Teach, che intercettando la mossa dell’avversario si era preparato a riceverlo, aveva sfoderato un devastante destro che aveva riversato alla bocca dello stomaco del ragazzo. Vennero scaraventati via entrambi, con un boato che appianò le fiamme rimaste e sollevò così un consistente polverone. Per quanto incisivi fossero stati i loro pugni, il primo a raddrizzarsi fu l’omone, finito solamente in ginocchio. Purtroppo per Rufy, il suo attacco non era stato sufficientemente potente per allontanarlo quanto sperava, anche perché lo spirito vitale che l’aveva animato fino a quel momento pareva essere nettamente diminuito. Giaceva a terra, tenendosi lo stomaco dolorante e sentendolo contorcersi sotto le sue stesse dita. L’ondata di sangue che vomitò dalla bocca fu incontrollabile, al momento perfino la sua vista divenne scarlatta, frammentandosi in più parti. Un solo pugno non poteva fare tanto male ma quell’uomo possedeva una forza tale da sbriciolare un corpo robusto anche con il semplice dito indice: Rufy era resistente ma senza la sua spropositata elasticità, la sopportazione fisica diveniva una realtà ancora più estenuante. Vedendo in piedi il nemico, si accinse a ricomporsi ma potè soltanto sedersi sui talloni, con la fronte a pieno contatto col pavimento rovente: strizzando le pupille per l’ossigeno mancante ai suoi polmoni, ricordò le parole di Ivankov prima che tornasse indietro…

“Anche se adesso ti senti bene, non è detto che la cuva a base di ovmoni si sia conclusa. La tua vapida vipvesa è cevtamente dovuta alla tua volontà, ma ci sono buone possibilità che il tuo fisico non si sia del tutto vistabilito!”

Il regino di Momoiro non parlava mai a sproposito e quando lo aveva avvisato si era premurato di farlo con il massimo della serietà: lo aveva messo in guardia ma Rufy era partito in quarta senza tener conto di quanto la sua salute fosse precaria e adesso si ritrovava a guardare dal basso l’avversario, pronto a dargli il colpo di grazia col pugno ben alzato.

“A quanto pare Ace dovrà seppellire anche te oltre che la sua adorata fidanzata. E' un vero peccato, quasi mi dispiace...." sogghignò preparandosi poi a colpirlo "E’ la tua fine, Cap..!”

BANG!

Lo sparo che interruppe Barbanera fu tanto potente da far tacere ogni altra forma di rumore. Uno preciso e ben assestato colpo di fucile aveva raggiunto e trapassato la mano scura del traditore, lasciando al suo passaggio un buco di modeste dimensioni. Il dolore per la carne e i tendini lacerati fu immediato, tanto che il pirata dalla capigliatura riccia tamponò la mano ferita con quella sana, rivolgendo i suoi piccoli occhietti alla figura semi-inginocchiata a terra che lo teneva sotto tiro, con la canna dell’arma ancora fumante.
 
“Tu…” ringhiò affilando le pupille.
“Proiettili di sette centimetri con polvere da sparo mischiata ad algamatolite e rivestiti con lo stesso minerale. Una mia creazione” spiegò Don col ghigno alzato quanto la stessa arma.

Era stato il medico-cecchino a sparargli, dopo essere stato lanciato da Marco che invece era atterrato di fianco a Sayuri, caricandosela delicatamente sulle spalle dopo aver constatato con occhi pietrificati che era sul punto non di farcela più a respirare. Non era mancata l’occhiataccia di puro odio rivolta a Teach ma da bravo comandante quale era, la Fenice si occupò della priorità più urgente….anche se il vedere l’assassino di Satch non lo stava affatto aiutando a mantenere il sangue freddo. Il saperlo lì aveva ghiacciato il sangue a tutti quanti, compreso a suo padre, a cui era occorsa tutta la calma esistente sul pianeta per ordinare a lui e a Don di limitarsi soltanto a un recupero veloce e indenne. Anche se la sua mente era in procinto di far passare tutti i momenti antecedenti alla loro presenza a Impel Down, Marco li scacciò via prima di dilungarsi troppo, cosa che ne lui e l’amico potevano permettersi; c’era fin troppo da fare per far scoppiare l’ennesima miccia e se poi ci si aggiungeva la Marina, la situazione non poteva che peggiorare.
A volte scegliere era veramente difficile perché combattuti dalla ragione e dall’onore, due qualità risiedenti in ambiti assai differenti. Marco era un uomo ponderato, molto fermo, devoto al suo capitano, che solitamente agiva senza perdere la testa e impedendo che un sentimento troppo coinvolgente lo dominasse in un momento inappropriato. Lo scegliere implicava sempre pro e contro e in quel momento lasciare andare Teach equivaleva praticamente a dargliela vinta: per quanto ciò scottasse, la Fenice avrebbe rispettato gli ordini del padre, poiché questi rispecchiavano la sua opinione ma non poteva negare a sé stessa che prima o poi quel maledetto avrebbe ricevuto una punizione degna del suo crimine.

Sistemandosi meglio l’amica sulle spalle, pensò che ella fosse rimasta lì non soltanto per permettere al fratellino di Ace e a Ace stesso di fuggire: quel omicidio la toccava molto più di quanto lo facesse con loro e Marco non fece fatica a pensare a quanto avesse dato in quel combattimento che purtroppo l’aveva designata fin dall’inizio come la perdente.

“Sei stata bravissima Sayuri, adesso ce ne andiamo” le disse sperando che potesse sentirlo “Don!”

Il biondo richiamò l’amico, alzatosi dalla sua postazione per affiancare Rufy, che a fatica aveva alzato il busto senza mai smettere di ansimare e fulminare con gli occhi Barbanera.

“Tanto perché tu lo sappia, stronzo” lo avvisò il medico-cecchino “Ho qui con me abbastanza proiettili sufficienti a ridurti ad un colabrodo e non penso che ti farà piacere avere come cervello un ammasso di poltiglia gelatinoso” gli disse “Sempre che le troppe crostate ingurgitate non te lo abbiano già fatto collassare”

Un solo passo falso e avrebbe iniziato a crivellarlo di colpi. Don non scherzava e Teach per quanto lo avesse sempre detestato, non era così stupido da dimenticarsi della sua dannata mira. Avendo dato direttive precise alla sua ciurma, questa non poteva trovarsi in nessun’altro posto che non fosse l’entrata del livello sei, dove loro appunto si erano fermati per aspettarlo, esattamente come lui aveva detto.

“Zeh, guarda chi si rivede…”

Con quelle due aggiunte la riunione di famiglia andava a ingrandirsi sempre di più.
Dovette sogghignare per reprimere l’enorme fastidio provocatogli dalla ferita. Una grossa chiazza scura si era formata ai suoi piedi e dalla mano: i rivoli scarlatti continuavano a gocciolare, inoltrandosi fra le dita della mano buona che fungeva da tampone. La polvere da sparo mischiata alla algamatolite era esplosa al momento dell’impatto, lasciando che l’effetto della pietra durasse più a lungo e che quindi lui patisse maggiormente il dolore: la poverina giallastra gli stava imbrattando tutta la mano insieme al sangue, impedendo all’oscurità di porvi rimedio.

“Io non ho idea di cosa tu ci faccia qui ma so per certo che la tua non è una visita di cortesia, come non lo è la nostra” cominciò l’ex compagno di flotta con sempre la canna puntata alla testa del grassone “Ora, visto i nostri diversi obbiettivi, suggerisco di andare per la propria strada e di concludere qui la faccenda, anche se il vedere la tua faccia mi fa venir voglia di premere ancora il grilletto”

Era impossibile che fosse a conoscenza del loro piano quindi, la ragione per cui quella palla di lardo si trovasse a Impel Down doveva essere per forza un’altra. Francamente a nessuno dei suoi ex compagni interessava conoscere la natura dei suoi piani e se Dio glielo avesse permesso, Don avrebbe dato fondo a tutti i proiettili a sua disposizione per rendere totalmente autentiche le sue minacce. La canna del fucile era perfettamente immobile come le mani di lui, prive di qualsiasi forma di tremolio esistente, perfino le sue pupille scure non traballavano. Un solo passo falso e quello dannato lardoso sdentato si sarebbe ritrovato il corpo pieno di buchi. I proiettili all’algamatolite li aveva realizzati appositamente per combattere contro chi possedeva i frutti del diavolo: immaginando che fra alcuni vice ammiragli della Marina fossero muniti di capacità particolari, il sostituto di Ace era corso ai ripari per impedire che quei poteri divenissero un problema.

Tuttavia, in quella situazione, il medico-cecchino, i cui lineamenti facciali erano contornati da non poche goccioline di sudore, reputò saggio non rischiare: era sicuro che l’amica avesse utilizzato il Divine Recall oltre i limiti consentiti ma il vedere quel farabutto in piedi, anche se un po’ fiacco, gli aveva raggelato tutta la spina dorsale fin dal primo istante. Com’era possibile che fosse sopravissuto a quel genere di attacco?
Non notare quella bruciatura parzialmente visibile al torace era impossibile e a giudicare dalla dimensione, non poteva che essere stata la castana.

E’ impossibile che Sayuri abbia fallito, lo escludo. Non avrebbe potuto infliggergli una simile ferita senza utilizzare il Divine Recall e se ha sfondato il limite massimo di sopportazione come io penso, questo bastardo non dovrebbe nemmeno essere cosciente. Ma di che cacchio è fatto?

Come minimo il palmo giudiziale avrebbe dovuto fargli esplodere gli organi interni, comprimerli e farli scoppiare in concatenazione provocando un emorragia interna praticamente irreparabile. E invece….niente. Quello era vivo e si reggeva perfino in piedi. Don nel suo pensare assiduamente non seppe che guardare l’evidenza come se fosse la cosa più shoccante mai capitatagli davanti.

Questo bastardo è peggio di quanto pensassimo.

La disumanità di Teach a quanto pareva non si limitava soltanto alla morale ma spaziava perfino al suo lato fisico: evidentemente nascondeva più assi nella manica di quanto i suoi vecchi alleati potessero immaginare e la cosa non lo rallegrò affatto.

“Odio ripetermi due volte: ti consiglio di darmi la tua risposta, non ho tutto il santo giorno” disse accentuando la presa sull’impugnatura della propria arma.
Dovevano andare, non poteva sprecare un solo secondo di più. Si erano intrattenuti fin troppo nel livello ardente e lo stesso valeva per l’avversario, i cui affari erano stati temporaneamente messi da parte più a lungo del previsto.

“Zehahaha…..” ridacchiò il traditore “Strano ma vero, sono d’accordo con te, Don” nel dirlo, ritirò l’oscurità aleggiante alle sue spalle “Per quanto mi riguarda, ho un paio di cosette da sbrigare ai piani bassi e ci terrei a concludere il tutto prima che la Marina arrivi a ficcare il naso”
“Curioso, non sei dalla loro parte ora?” lo canzonò il medico-cecchino, senza mai abbassare il fucile.
“Diciamo che servono alla causa” gli rispose Teach riagguantando il cappotto per poi sistemarselo sulle spalle.

Il suo obbiettivo era tanto semplice quanto immenso ma il suo operato si trovava ancora agli inizi, alla ricerca dei mezzi mancanti senza dei quali non sarebbe potuto passare alla fase successiva. L’appena acquistata posizione nella flotta dei sette era stata studiata da tempo, pianificata così come tutte le altre future intenzioni….niente era stato lasciato al caso. Della sua apparente stupidità in quel progetto non ve ne era traccia, perché egli proprio non poteva essere definito uno sprovveduto o quanto meno un’idiota. Marshall D.Teach era sempre stato un uomo alquanto scrupoloso e lo sarebbe sempre stato ma stavolta, non avrebbe dovuto nascondere le sue doti, il suo potere e la sua reale natura di pirata sognatore.

“Presto tutti quanti sarete testimoni della realizzazione di un grande sogno” sentenziò nel dare loro le spalle “Un’era grandiosa come la pirateria merita di ricevere il meglio da chi vive per i sogni, questa corsa da qui in avanti si farà ancor più emozionante e alla fine chissà…” lì, voltò la testa verso Marco e Don “Vedremo compiersi qualcosa di così grandioso che non si ripeterà mai più”
“Qualunque cosa sia..” replicò Marco trasformandosi completamente in una fenice “Tu di certo non vivrai a lungo per vedere il risultato”
“Nessuno di noi ha dimenticato quello che hai fatto a Satch. Sei e rimarrai sempre colpevole di un omicidio” aggiunse il medico-cecchino sistemandosi sulla schiena il fucile per far passare il braccio di Rufy attorno alle sue spalle “Una sudicia feccia”

Gli avrebbero dato la caccia, anche se fossero occorsi interi anni, forse tutti quelli a loro disposizione. Lo avrebbero stano e punito, facendogli rimpiangere ogni suo atto e imprimendogli fino alla morte il significato di “tradimento”:  solo allora l’anima del comandante della quarta flotta avrebbe riposato con un po’ più di serenità. Lasciarlo andare significava permettergli di compiere un altro passo nella realizzazione del suo progetto e la cosa di certo non poteva compiacere nessuno se non lui: se il suo realizzare un sogno includeva il non guardare in faccia neppure chi ti era stato amico per tanto tempo, non poteva altro che essere un incubo depravato senza alcuna via d’uscita.

“Zehahaha…questo si vedrà” mormorò con un luccichio insano nei occhi mentre se ne andava “Questo si vedrà, ZEHAHAHAHAHAHA!!!!”




“Dannazione, sparate ai corpi dei mostri! Dobbiamo impedirgli di tornare alla nave!”
“Vice ammiraglio, non riuscivamo a mantenere il controllo della nave! Le correnti ci stanno spingendo fuori dalla porta!”
“Avete ricevuto risposta dal Quartier Generale?!”
“UCCIDETE BARBABIANCA!”

La battaglia aveva raggiunto il suo culmine più aspro. Le navi della Marina erano inguardabili: di quelle ne erano rimaste soltanto tre, che ancora resistevano seppur le loro fiancate avessero risentito dei ultimi attacchi. I pirati di Barbabianca avevano dimostrato di saper fare bene il loro mestiere ma anche nel loro schieramento erano risultati diversi feriti. La Moby Dick, imponente in tutto e per tutto, veniva spinta con forza verso la porta della giustizia, rimasta aperta sino a quel momento, senza che nessuno dall’interno provasse a chiuderla. A lungo il timone della grande nave di Edward Newgate era stato impugnato perché questo obbligasse la nave a rimanere in un determinato punto ma, con la comparsa di un nuovo gruppetto di simpatici mostri marini e l’accanimento del mare, la situazione era precipitata drasticamente, a tal punto da sfuggire alla gestione di entrambe le parti in combattimento. Tutto si era ridotto ad un continuo infierire l’uno sull’altro senza fine: senza mai piegarsi, Barbabianca era rimasto più indietro di tutti al fine di proteggere il sentiero costruito coi cadavere dei diversi Seaking abbattuti precedentemente. Visibilmente scoperto e provato dai colpi subiti, non accennava a retrocedere o ad abbassare il capo: l’orgoglio di imperatore e il cuore di padre lo stavano spronando a brandire l’alabarda con tanta irruenza da far risuonare il cielo al punto di dividerlo. Tossiva sangue e respirava rocamente, col torace che si abbassava e si alzava veloce quanto il cuore di un topolino, ma gli era sufficiente guardare quella rientranza nella prigione per rispedire le palle di cannone al mittente.

I soldati stavano facendo di tutto per farlo cadere in acqua: miravano alle carcasse colorate e piene di scaglie appuntite  dei mostri di modo da allargarne i solchi, sminuzzandoli e farli così inabissare con lui, ma era un lavoro dispendioso e di certo il Re dei Mari non si sarebbe messo seduto per permettere che quelli facessero i loro comodi.

“Guraguragura! Moscerini insolenti, con chi pensate di avere a che fare?”

Facendo sfoggio del suo presuntuoso sorriso, appena coperto dai baffi bianchi, respinse le cinque palle di cannone che gli stavano arrivando addosso, lasciando che le esplosioni destinate a lui distruggessero una delle navi restanti. Se fosse servito avrebbe continuato in eterno, dopotutto…quella era la vita che si era scelto e nessuna avversità, per quanto grande o macchinata che fosse, lo avrebbe fatto desistere o addirittura distrutto.

“Io sono Barbabianca!” esclamò espandendo l’haki del re, il suo haki, attraverso la voce “Non pensate di potermi sconfiggere con del semplice acciaio!!”

Figurarsi se della ferraglia poteva metterlo in ginocchio. Ferirlo forse ma impedirgli di lottare sicuramente no. Il suo imponente corpo ospitava cicatrici su cui si erano venute a costruire autentiche leggende, tutte mostranti la stessa spavalderia e la totale assenza di paura, la cui audacia scartava qualsiasi tipo di scudo o armature che solitamente venivano impiegate in battaglia per proteggere il fisico da eventuali colpi. Di quelle chincaglierie lui non sapeva cosa farsene: a lui bastava la sua preziosa alabarda, i suoi figli e il grande cappotto bianco che lasciava intravvedere il torace segnato dai molti scontri. Cappotto con sopra il vessillo conosciuto in tutto il mondo, la cui grandezza non sarebbe mai stata seconda a nessuno. Alle maglie o a qualsiasi indumento superiore, ci era sempre stato “allergico”; nessuno dei suoi figli lo aveva mai visto con qualcosa addosso che non fosse diverso dai pantaloni, dalla bandana nera in testa e dall’elegante cappotto poggiato sulle spalle..

“Ehi!! Vedo il comandante Marco!!”

Uno dei uomini della Moby Dick era salito sulla vedetta e nello scorgere una curiosa luce azzurra e giallastra piuttosto deforme per via della distanza, e che per giunta si stava avvicinando pericolosamente a loro, ne aveva subito annunciato la presenza.

“Che?! Sei sicuro?!” gli domandò Vista dal ponte.
“Si, è lui! E ha con sé Sayuri!!” esclamò col sorriso sulle labbra mentre allungava il cannocchiale al massimo delle possibilità “Vedo anche Don!!”
“E Mugi-chan?! E’ con loro, vero?!” Bon Clay nel suo girare all’impazzata aveva dato calci a chiunque si fosse avvicinato a Ace, ora al sicuro sulla Moby Dick, sotto le cure di Maya e delle altre infermiere.
“Si! Si, c’è anche lui!” gli diede conferma la vedetta.
“Oh, Cappelluccio ce l’ha fatta a tovnare” sospirò Ivankov
“GNFFFFF!!!!!!! QUALCUNO MI SPIEGA COME CAVOLO FA QUELLO A SCAMPARLA SEMPRE????” sbraitò Buggy con Mr3 accanto “MA CHE HA, NOVE VITE?!”

Sotto gli occhi fiduciosi e sollevati del padre, la Fenice dalle lucenti fiamme azzurre e dorate volò a tutta velocità verso la nave. Don, insieme a Rufy, non essendo in grado di farsi spuntare le ali, fu costretto a dover far buon utilizzo delle sue gambe prima che i bombardamenti riuscissero a raggiungerlo; nonostante ogni singola cellula del suo corpo urlasse di dolore, il fratellino di Ace aveva risalito tutti i piani che lo separavano dall’uscita e, insieme al medico-cecchino, ora stava correndo a perdifiato verso la nave dalla curiosa polena a forma di balena bianca.

“Spiegate le vele e puntate verso la porta!” ordinò Barbianca una volta risalito anch’egli sulla nave.
“Impeditegli di uscire, cercate di colpire le vele!” urlò uno dei vice ammiragli ancora in vita.

Bastò che la presa sul timone si allentasse perché la Moby Dick venisse trascinata automaticamente verso l’uscita. Non ci fu bisogno neppure di indirizzarla, bastò semplicemente lasciarla andare. Le corazzate restanti della Marina si gettarono immeditamente al loro inseguimento continuando a sparare, nel tentativo di bucare le loro vele, ma gli sbalzi della corrente e l’agitazione del mare non favorirono la loro mira, che portò a vuoto ogni loro tentativo. I raggi irradianti del sole baciarono il ponte della nave pirata non appena questa portò fuori il muso dall’inferno in terra: la vista dell’oceano aperto suscitò la gioia e le urla euforiche dei fuorilegge ma tanta allegria fu dolorosamente stroncata sul nascere: i pochi seri che non si erano lasciati trasportare evidenziarono un problema ancor più pericoloso delle due corazzate che cercavano di raggiungerli.

“Dobbiamo trovare il modo di cambiare rotta” sibilò Marco una volta riassunte sembianze totalmente umane e lasciata Sayuri in mani sicure “Questa corrente collega Impel Down a Marineford e a Ennies Lobby: se ci lasciamo condurre, è probabile che finiremo in uno dei due posti, probabilmente il Quartier Generale”
“Già,  ma come si fa? Che io sappia non ci sono sbocchi che ci possano permettere di….”

L’aggiunta di Vista si interruppe bruscamente: aveva scorto qualcosa che gli aveva irrigidito la mascella e fatto spalancare di non poco gli occhi. Non si trattava della Marina, la cui distanza dalla Moby Dick era abbastanza consistente, ma di qualcosa che stava molto più vicino a loro e che a breve si sarebbe concretizzata con molta irruenza……

“Aggrappatevi a qualcosa” biascicò nel rinfoderare velocemente le spade.
“Che?” grugnì Jozu.
“Aggrappatevi a qualcosa, presto!” esclamò andando a legarsi la vita con una cima.
“Ma che diavolo ti..?”

Solamente voltandosi, gli altri compresero il suo allarmismo: il loro capitano aveva appena frantumato l’aria con uno dei suoi colpi speciali e il successivo rombo che fece tremare la chiglia della Moby Dick accompagnò la venuta di una gigantesca onda anomala che oscurò addirittura il sole. Slargando le sue braccia gommose, Rufy legò Bon-chan, Ivankov, Inazuma, Buggy e Mr3 all’albero maestro insieme a tutti gli altri detenuti, annodando le braccia in modo da non farle sciogliere. Jimbe gli si affiancò immediatamente mentre Crocodile preferì affidarsi a sè stesso e al suo uncino. Gli uomini di Barbabianca si avvinghiarono a qualunque cosa potesse tenerli ancorati alla nave, dalle balaustre alle stesse cannoniere. La soluzione improntata dal padre era tanto suicida quanto ragionevole, per non dire l’unica a loro disposizione se dovevano eclissarsi alla velocità della luce: utilizzando la spinta di un’onda anomala e cavalcandola, si sarebbero allontanati da Impel Down e liberatisi dalla costrizione che la corrente marina imponeva a tutti i viaggiatori che la solcavano. Già detta a parole suonava assurda ma messa in pratica……..oh, era assolutamente indescrivibile, in particolar modo la parte in cui avrebbero dovuto domare la loro mastodontica nave mentre questa viaggiava su di un’onda che al minimo spiraglio concessogli, li avrebbe fatti capottare.

“ECCOLA CHE ARRIVA!!” avvisò Vista.
“ODDIO, MORIREMO! STAVOLTA MORIREMO PER DAVVERO!!!!!!!!!!!!!!!!” ululò Buggy con i suoi seguaci in sottofondo che lo supplicavano di salvare la vita a tutti quanti loro. Mr3 era già svenuto.
“TENETEVI FORTE!!!” urlò Don togliendosi il berretto per ficcarselo nel giacchetto.

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Capitolo 70
*** Resoconto post-guerra. ***


Buonasera e buon mercoledì a tutti! Altra settimana, altro aggiornamento: la battaglia è finita, Ace è vivo ( per la gioia di tutte le sue fan) e i pirati di Barbabianca e compagnia bella hanno fregato la Marina e il Governo Mondiale. Possiamo tirare un bel sospiro si sollievo. Vi lascio subito al capitolo, sperando che sia tutti in ordine (il tempo è quello che è e nel mio piccolo faccio il possibile). Buona lettura!

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Nuovo Mondo.
Isola sconosciuta.

Al quarantesimo boccale di birra alzato, Shanks il Rosso dovette puntare i gomiti sulle ginocchia e prendersi la testa scarlatta per contenere il lievissimo capogiro insorto per l’effetto dell’alcool. I festeggiamenti stavano proseguendo da così tanti giorni che ormai se ne aveva perso il conto ma per gli uomini della Red Force, simili bagordi erano un toccasana per l’anima. L’imperatore si concesse una pausa da quel bere, giusto per non avere più problemi di stomaco di quanti ne avrebbe avuto nel dopo sbornia, e si appartò un attimo sulla spiaggia, sotto le fronde di una palma.

“Credevo non l’avresti più mollata quella bottiglia” silenzioso come un’ombra, Benn Beckman raggiunse il suo capitano, appoggiando la propria schiena contro la stessa palma di Shanks, ma di sponda. A lato delle labbra, teneva l’immancabile sigaretta accesa che alternava ogni tanto a dei sottili stuzzicadenti.
“E’ una festa, bere è d’obbligo” gli disse Shanks con occhi lucidi e il solito sorriso amichevole stampato sul viso abbronzato.
“Come lo è il doverti portare a letto tutte le volte che ti ubriachi come una spugna” replicò sogghignante il vice abbassando gli occhi su di lui “Giusto perché tu lo sappia, farti da balia e rimboccarti le coperte non è decisamente la mia aspirazione”
“Ah si? E che cosa sarebbe allora? Fare il predicone? Ah ah ah ah!!!”

Era evidente che l’alcool aveva fatto andare fuori di testa il Rosso e di questo il vice ne era sicuro poiché aveva imparato a convivere coi suoi toni allegri sin da quando aveva deciso di imbarcarsi con lui. Aspirando la nicotina, dischiuse le labbra quel quanto serviva per rilasciare una leggere e agrodolce spirale di fumo che si disperdette alla luce del sole.
Era andata bene, più che bene se adesso si stavano alla pazza gioia. Francamente una situazione del genere sarebbe potuta generare, avere dei risvolti perpetui e nonostante l’effetto inebriante della birra, Shanks il Rosso era certo che questi fantomatici retroscena, almeno una piccola parte rispetto a quelli calcolati, sarebbero stati covati in silenzio fino a nuovo ordine. In fondo un conflitto c’era stato ma la vittoria da parte dei pirati di Barbabianca era stata così schiacciante che non si poteva non festeggiare. Senza contare che poi, la loro particina l’avevano avuta…

“Non penso di aver mai visto Kaidoh così furente” borbottò dopo un po’ l’imperatore “Direi che non ha preso bene la nostra interferenza”
“Puoi forse biasimarlo? E’ da un vita che aspetta di tagliare la testa al vecchio e noi siamo arrivati giusto in tempo per rispedirlo a casa”
“Già, siamo stati proprio dei cattivoni..” ridacchiò il Rosso appoggiando la nuca contro la palma “Ma se non altro, per un po’ di tempo se ne starà buono dov’è”
“Pensi lo stesso della Marina, vero?”

Shanks sbuffò, sollevando alcuni dei lunghi ciuffi che ogni tanto gli ricoprivano gli occhi.

“Mi sa che i vegliardi di Marijoa non l’hanno presa tanto bene e neppure il Misericordioso” sogghignò, per poi parlare con più tranquillità, contornata da un filo di quella fermezza sempre presente nonostante le tonnellate di liquori ingeriti “Avranno il loro bel tram tram da gestire ma l’importante è che Ace sia al sicuro e che questa storia, almeno per ora, sia finita”

Dubitava che un evento, per quanto ridimensionato dal progetto precedente, potesse venire catalogato e archiviato come una qualunque scartofia. Da una battaglia fuoriusciva sempre qualcosa per cui ci si doveva preoccupare e Shanks il Rosso sapeva, come a sua volta lo sapeva il buon vecchio Benn Beckman, che da lì in poi qualcosa sarebbe cambiato radicalmente e che il futuro della pirateria, si sarebbe indurito più di quanto già adesso non fosse. All’imperatore non occorreva svegliare tutti i neuroni del suo cervello per rendersi conto di ciò ma per il momento, visto il buon esito della vicenda, tanto valeva ributtarsi nei bagordi fino a nuovo ordine del capitano e poiché il capitano lì era lui, i festeggiamenti, per la gioia dei suoi compagni, sarebbe proseguiti ancora un po’.

“Godiamoceli a fondo questi festeggiamenti, Benn” disse nell’alzarsi in piedi col mantello nero che gli copriva il braccio mancante “Forse simili baldorie non si ripeteranno più tanto spesso”
“Forse. Basterà fare i pirati meglio del solito, no?” e si accese un’altra sigaretta spegnendo quella consumata con la suola della scarpa.
 


Rotta Maggiore.
Amazon Lily.

“Sniff….sob, sob!”
“Oh suvvia, mia cara! Che cosa sono tutte queste lacrime?”

Appartata nella sua lussuosa stanza reale, Boa Hancock stava piangendo con affranto, stringendo al petto uno dei suoi cuscini e mordendosi la manica della camicia di seta. La principessa serpente non faceva altro che rotolarsi nel letto mischiando rabbia a disperazione per quello che aveva letto sul giornale portatole dalle sue fedeli servitrici Kuja e che ora l’anziana Nyon stava leggendo scrupolosamente seduta in cima al suo bastone.

“Dovresti essere felice! Si è appena evitata una carneficina e la tua decisione di rispondere alla chiamata del Governo Mondiale ha salvato l’equilibrio della nostra isola, per non parlare poi…”
“Taci, vecchia!” strillò l’imperatrice alzandosi in piedi “ Che cosa vuoi che me ne importi del mio titolo e di quel che vuole fare il Governo Mondiale? Ti professi una donna di mondo e invece non capisci nulla! Come puoi non comprendere il mio dolore?!”

Si lasciò andare con grazia sul soffice materasso, coi capelli setosi sparpagliati e tante lacrimucce a contornarle le lunghe e fini ciglia nere incornicianti i suoi luminescenti occhi color acquamarina. Nessuna delle sue fedeli seguaci poteva comprendere il suo stato emotivo, neppure quella vecchia stolta che per giunta aveva osato varcare i confini del regno delle Amazzoni. Le sue guance rosse, i sospiri e l’espressione assente lasciavano ben intendere verso quale persona i suoi pensieri fossero rivolti e nessuno poteva immaginare quanto avrebbe voluto poter aiutare il suo amato, così come nessuno poteva intuire senza spiegazioni o indizi, la ragione per la quale ora la sola donna all’interno della flotta dei sette fosse così piena di rancore e tristezza a tal punto da versare lacrime piene d’amore.
Dal canto suo, la vecchia Nyon aveva ben compreso il perché di quell’isterismo e non se ne meravigliò essendo anche lei stata innamorata, come tutte le altre imperatrici del posto, ma la differenza fra lei e l’attuale sovrana dell’isola Kuja, era che la giovane non conosceva nulla dell’amore e per quanto i suoi sentimenti rispecchiassero la purezza, prendeva ogni minuscolo gesto e lo enfatizzava fino all’esasperazione, convincendosi di cose che non stavano ne in cielo ne in terra.

“Se non ti spieghi, mi cara, come pretendi che io capisca cosa tu abbia?” le chiese “Rufy ce l’ha fatta, ha salvato suo fratello e non è stato catturato dalla Marina….”
“Ma io non ero lì con lui!!” strillò nuovamente l’imperatrice  alzandosi il viso dal cuscino “Non avrei dovuto lasciarlo solo, sapevo che sarebbe accaduto qualcosa di terribile e adesso non so neppure dove sia. Il mio Rufy……” pigolò coi occhi lucidissimi.
“Hancock, ti vuoi spiegare meglio?”

A quel punto l’avvenente donna strappò dalle mani dell’anziana il giornale, lo accartocciò fino a trovarci la notizia che l’aveva ridotta in quello stato e la sbattè sul naso della vecchia.

“Guarda!”

Ripreso i fogli, l’anziana iniziò a leggere: la parte relativa all’assalto interno ordito da Cappello di Paglia era già stata letta ma nel rivederla con più attenzione e tenendo conto dell’intensità rabbiosa di Hancock, non le fu difficile individuare la fonte di tale sfogo, poiché in aggiunta all’articolo era stata inserita una foto; dopotutto, se l’era detto prima, l’amore della principessa serpente era puro…..ma anche molto ingenuo vista la assai inesistente conoscenza sull’argomento

“Questa sgualdrina..” sibilò l’imperatrice rabbuiata puntando il dito contro la foto di Sayuri “Ha plagiato Rufy, ne sono sicura! Non ha resistito al suo fascino! Lo ha aiutato solo per farsi bella ai suoi occhi, per avere il suo cuore!!”
“Hancock…”
“Come può solo pensare di entrare nelle grazie del mio Rufy?! Chi si crede di essere?! Non è neppure bella, è mediocre!” starnazzò diventando ancora più rossa “Una racchia in confronto a me!”
“Hancock, cerca di calmarti..” lei disse l’anziana.
“Se pensa che mi farò da parte, si sbaglia di grosso! Il mio amore per Rufy non ha eguali, farei di tutto per lui!!”
“Hancock….”
“Oh no…” improvvisamente la principessa serpente rabbrividì, sbiancando in un solo colpo “E se…e se lui se ne fosse innamorato? Se la considerasse più bella di me? Nooo!!”
“Hancock, non saltare a conclusioni troppo affrettate!” esclamò la vecchia Nyon riuscendo finalmente ad attirare la sua attenzione “Magari non è come pensi tu”
“Ah no? E come dovrebbe essere?! Le prove sono qui sul giornale! Questa insulsa ragazzetta ha approfittato della mia assenza per sottrarmi il mio futuro marito e adesso chissà cosa starà facendo!” sbottò per poi tornare angustiata e con la manica della camicia incastrata fra i denti “Il mio Rufy….” pigolò “Se fossi rimasta con lui a quest’ora staremmo finalmente insieme e invece…” singhiozzò “Invece lui è con quella ragazza e forse in questo momento si staranno giurando amore eterno! L’ha plagiato a tal punto che ora sicuramente le starà dicendo dolcissime frasi d’amore…”

Boa Hancock era ufficialmente uscita fuori di senno. Non faceva che sognarsi il suo Rufy, in compagnia di quella ruba uomini a tradimento, convinta che lei volesse portarglielo via. Si dimenava nel letto facendo capricci, aggrottando le labbra per la frustrazione e non riuscendo a capire come quella fosse riuscita a conquistare il suo uomo. Non fece altro che ripetersi che tutto ciò era opera di un sortilegio ma fra la rabbia e l’indignazione, vi stava quella punta di timore che la stava inducendo a credere che Rufy si fosse realmente innamorato di lei.

“Lo sapevo!” piagnucolò ancora portandosi le mani alle guance “Dovevo andare con lui, dovevo rimanergli vicino e proteggere il nostro amore!”
“Non dire sciocchezze. Se non avessi risposto all’appello della Marina, avresti perso ogni pregio concessoti dal titolo che ti è stato affidato dal Governo Mondiale, senza contare che poi la nostra patria ne avrebbe risentito” la rimproverò l’anziana.
“Perdere i miei pregi? Se proprio una vecchia stolta….”

In men che non si dica, la principessa serpente riassunse la sua facciata normale, con tono leggero misto al seducente. Rise soavemente, ricomponendosi all’istante e mostrando la maliziosa bellezza a cui nessun uomo poteva sfuggire

“Anche se avessi rifiutato, non avrei perso proprio nulla. Escluso il mio amato Rufy, non esiste uomo, donna o animale che respinga le mie scelte. Io posso fare tutto quello che voglio, nessuno oserà mai rimproverarmi e questo perché io sono…” si scrollò i lunghi capelli “ E sarà sempre..” e dischiuse gli occhi “La più bella di tutte”
La povera anziana sospirò sconsolata, muovendo il capo in segno di negazione “Non c’è proprio niente da fare con te…” mormorò nel mentre la vedeva aggredire la foto di quella pirata, riducendola in mille pezzettini.
 


Mare settentrionale.
Isola di Foosha.

“Avanti ragazzi, su i calici! Dobbiamo festeggiare!!”
“Si!!!!!
“Portare qui altra birra!!”

Il Partys Bar era invaso da un’euforia incontenibile. Il minuscolo ristorante gestito dalla gentile Makino era sempre stato un locale molto ben apprezzato dai cittadini e dagli stranieri: le feste ospitate rispecchiavano sempre un’allegria contagiosa, ma quella che era venutasi a creare, stava letteralmente surclassando tutte le precedenti, sia per durata che per intensità. Tutta Foosha si era riunita sotto quel piccolo tetto per festeggiare un autentico miracolo e francamente nessuno avrebbe avuto il coraggio di andare lì a dire ai presenti di abbassare il volume, neppure quel brontolone del sindaco: dopo mezz’ora passata a cercare di fermare quei festeggiamenti, qualcuno aveva avuto la decenza di ficcargli una bottiglia di vodka in bocca e di farlo ubriacare quanto bastava perché si mettesse a ballare sul tavolo agitando due vassoi d’alluminio.

“Makino, dammene un altro”
“Dadan, prenditi un attimo di respiro”
“Dammene un altro e basta!”

La gentile proprietaria del Partys Bar sospirò col sorriso sulle labbra, versando quanto chiesto nel bicchiere della sua cliente. Dadan era una donna burbera e corpulenta, con una faccia solcata dalle rughe e contornata dall’espressione corrucciata ma nonostante al momento apparisse contrariata, stava esternando la sua felicità trangugiando valanghe di rhum: se avesse avuto fra le mani quello scellerato di Ace gli avrebbe tartassato la testa fino a rompergliela e già che c’era, avrebbe riservato quattro o cinque schiaffoni a quell’altro pazzo di suo figlio.  

“Se mi capitano fra le mani, li fiocino entrambi!” borbottò buttando giù il rhum e storcendo la bocca “Quello sconsiderato di Ace….mai che ragioni prima di agire e Rufy!” esclamò “Quei due prima o poi finiranno veramente per farsi ammazzare!”
“Suvvia Dadan, l’importante è che stiano bene e che se la siano cavata” sorrise la più giovane pulendo alcuni boccali “Sono sicura che in questo momento sono insieme a festeggiare, quindi può stare tranquilla”
“Ti sembro preoccupata?”
“No, affatto” ridacchiò lei.
“Sgrunt!”

Makino inclinò la testa sulla destra, guardando la donna borbottare silenziosamente mentre giocherellava con la collana di perle al collo. Anche se non l’avrebbe mai ammesso verbalmente, Dadan era veramente sollevata che i due ragazzi stessero bene. Erano come i suoi figli sebbene fra di loro non ci fosse alcun legame: li aveva visti crescere e partire, considerando la loro scelta di libertà come la più giusta per le loro vite. Ricordare quando aveva preso in braccio per la prima volta Ace, allora un fagottino con pochi ciuffetti neri sulla testa, la riportò indietro nei anni; se pensava che poi si era aggiunto Rufy, ebbe la sensazione che fosse passata un’eternità da quando quei due mocciosi erano piombati in casa sua senza alcun preavviso ma non se ne era mai lamentata, non troppo. Garp poteva dire quello che voleva ma lei aveva sempre saputo che quelle due teste calde non avrebbero mai intrapreso la carriera di soldato; l’idea di dover ridimensionare la loro libertà era qualcosa di inaccettabile ed entrambi non volevano impedimenti di alcun genere nella realizzazione dei loro sogni.

Quando torneranno a casa faremo i conti. E se non tornano, li vado a cercare e li ribalto da capo a piede!  Decise sbattendo con forza il bicchiere sul bancone.
 


Vista da fuori Marineford non sembrava furente e sul punto di esplodere come lo erano alcune persone che, confinate dentro le sue mura da non pochi giorni, stavano esprimendo a gran voce il loro disappunto sulla faccenda; pareva silenziosa, imponente come sempre, con il suo velo nebbioso d’austeritàad avvolgerne i confini e a nasconderli all’umanità intera. Ma l’apparenza, si sapeva, ingannava quasi sempre e in quell’occasione, non stava facendo alcuna eccezione: ogni corridoio, stanza o piazza interna era invasa da mormorii, alcuni controllati altri isterici. Nessun comportamento era ponderato o distinto, la situazione aveva e stava tutt’ora spingendo chiunque a parlare tanto, forse troppo. E che dire delle aree esterne del Quartier Generale! Parole e frasi non avevano freno, si dilagavano con lo stesso meccanismo della peste nera e la gente non faceva che alimentarne i fuochi, elogiando e criticando i loro favoriti. Alla fine era successo quello che tutti meno si aspettavano: i pirati avevano risposto alla provocazione della Marina e per ripicca, avevano distrutto l’edificio che rappresentava la rigidità e la giustizia di cui i politici e i soldati si erano fatti portatori fin dall’alba dei tempi: Impel Down era caduta e con essa il piano per attirare Barbabianca e scatenare la guerra che avrebbe riscritto nuovamente la storia.

Pugno di Fuoco era nuovamente libero, lontano dalle lance previste per la sua decapitazione e per la Marina e per il Governo Mondiale non vi era rabbia più grande dell’aver perso così miseramente senza combattere al massimo delle loro forze, rabbia per l’essersi fatti prendere in giro così apertamente non solo dall’imperatore ma anche da chi non centrava per niente in quella faccenda, come Monkey D.Rufy, il fratello minore del condannato a morte, Emporio Ivankov, influente rivoluzionario creduto morto nell’inferno di ghiaccio e molti altri personaggi, classificati come feccia lasciata a marcire a Impel Down proprio per non inquinare il mondo con la loro presenza. Su ogni bocca presente a Marineford viaggiavano notizie riguardo a quei individui che i cinque astri della saggezza esigevano tassativamente di vedere morti e più se ne parlava, più il tormento cresceva. Tutto l’immacolato edificio, coi suoi quadri e i busti in marmo lucido, era un vortice di ostilità e incomprensione e Dio solo sapeva come fosse la situazione nella terra santa di Marijoa.

Solo il Salone degli Eroi era “sicuro”; lì c’era sempre silenzio, come fosse uno spazio lontano da quel mondo di chiacchiere e voci assordanti, il che spiegava il perché il vice ammiraglio Garp ci andasse sempre per starsene tranquillo. La sala era situata alla sommità del edificio del Quartier Generale, in pratica era la cupola che nessuno riusciva a vedere per via dei tetti rossi che la proteggevano. Esternamente era rivestita di un giallo color oro molto scintillante, che risplendeva non appena i raggi del sole la colpivano; all’interno, le mura marmoree, di un bianco perennemente lucido, si congiungevano fra di loro creando archi di diverse dimensioni. Il pavimento, fatto dello stesso materiale delle mura, era coperto da un sontuoso tappeto rosso che si slargava fino al centro della stanza, dove vi era la grande statua d’oro massiccio raffigurante il simbolo della Marina. Un oggettino che avrebbe fatto gola a molti se solo alla sua guardia non ci fossero state le più alte cariche militari. Quadri dalle cornici minuziosamente elaborate riempivano le pareti, tutti seguenti un ordine cronologico, studiato appositamente perché i volti che avevano meritato un posto lì dentro raccontassero le loro gesta, di come avessero servito la Giustizia  attraverso le armi o gli oggetti di valore esposti ordinatamente sotto la cornice di ciascuno di essi oppure riposti comodamente su morbidi tessuti rossi e lasciati in bella mostra nei punti più strategici della stanza.
Indiscutibilmente, il Salone degli Eroi non poteva essere paragonato in alcuna maniera a un comune e volgare museo di città: si parlava di una stanza millenaria, un reliquario che esisteva dagli albori della Marina e gli uomini, i cui ritratti erano stati appesi lì dentro, avevano scritto la storia dell’organo militare, di modo che venissero ricordati per l’eternità.

Il Pugno era affezionato a quella stanza ma non tanto per i volti seri e imperscrutabili che vi risiedevano, ma proprio per il pacifico silenzio che sapeva sempre di trovare a sua disposizione quando la marea si alzava ed era tempo di squagliarsela prima di sentire l’ennesima ramanzina di Sengoku. Non faticò a immaginarsi l’amico cercarlo per tutta Marineford come un forsennato ma a lui le riunioni diplomatiche non erano mai piaciute, figurarsi stilare e compilare inutili rapporti che nessuno poi avrebbe più letto. La sua scrivania - quella che non faceva vedere a nessuno- oramai era annegata sotto tutti i fogli e le scartofie mai degnate di un singolo sguardo. Perfino Koby e Helmeppo non si sprecavano più a riferirgli i messaggi del Misericordioso. Non importava se la faccenda in questione fosse una scaramuccia o una catena di bombe  prossima all’esplosione: il Pugno entrava in scena quando meglio gli aggradava. Quel giorno, a distanza di tre settimane dall’accaduto, avrebbe anche potuto dare una mano al grande ammiraglio, ma aveva preferito rinchiudersi nel salone, dove dalla finestra in fondo un leggero venticello stava facendo danzare le tende rosse.

Con i gomiti appoggiati sulle ginocchia incrociate, le mani penzolanti nel vuoto creatosi da esse e uno sguardo misto tra il perso e il serio, Garp se ne stava seduto a fissare uno di quei grandi quadri senza sbattere le palpebre. Un gesto alquanto strano da parte sua poiché, in quasi vent’anni, benché fosse venuto più di una volta nel reliquiario, non aveva mai dedicato un po’ del suo tempo ai volti delle precedenti autorità. Eppure oggi era diverso: era venuto lì si per evitare le scartofie, ma anche per affrontare un pezzo del suo passato che per tutto quel tempo lo aveva aspettato dove lui lo aveva lasciato. Il quadro che guardava con tanta insistenza  non avrebbe dovuto trovarsi appeso al muro, anzi, non sarebbe dovuto proprio esistere: non gli era stato destinato un posto ne tantomeno una cornice degna della persona che raffigurava, ma il Pugno e il Misericordioso avevano provveduto a dare ascolto alla loro coscienza anziché obbedire a quell’ordine esagerato ed era stato così, che anche l’ammiraglio Aron, aveva ottenuto un posto nel Salone degli Eroi. All’insaputa dei cinque astri della saggezza ovviamente.

“Non c’è che dire, amico mio: ci hai proprio fatto un bel tiro!” si congratulò lui per poi scoppiare a ridere fragorosamente, con una bottiglia di sakè ai piedi e una coppetta per versarcelo dentro “Degno di te, ah ah ah ah ah!!!” aggiunse nel mentre si versava il liquore.

Dire che fosse rimasto di sasso era un eufemismo, perché l’Eroe stentava ancora a credere a quanto scoperto nell’ultimo periodo. A forza di ridere era quasi caduto dalla sua poltrona ma francamente non gliene importava perché la cosa lo rendeva talmente felice da mandare tutto il resto in secondo piano, compresa la sua reputazione di leggendario marine.

“Scusa se non sono mai venuto a trovarti” disse poi placando le risate per poter respirare con più regolarità “Ma rivangare nel passato non è il mio hobby preferito, lo sai no?”

Gli parlava come se il quadro lo stesse a sentire. Sicuramente quello gli avrebbe dato ragione per poi aggiungere che la sua specialità stava nell’affondare le navi altrui.
A Garp sembrò proprio di sentire il leggero cipiglio di rimprovero da parte di quello che oramai era un ricordo, forte indubbiamente ma pur sempre un ricordo. Nei bei tempi andati, Aron era l’unico fra tutti ad aver impedito al Pugno di mandare la sua ammiraglia a fare compagnia alle altre nel cimitero delle navi, il che lo rendeva ancor più incredibile di quanto non fosse già per l’affrontare quotidianamente un pirata come Barbabianca o per l’essere il marine che rispondeva alle lacrime della gente tendendo loro la mano che cercavano con tanta disperazione. Se la Marina voleva rispetto se la doveva guadagnare laddove c’era bisogno di aiuto; i pirati rappresentavano un bel problema ma non l’unico e questo l’aveva ripetuto molte volte. Rammentato l’accaduto all’isola di Babeya e la lezione esemplare che l’amico aveva impartito al nuovo sergente, Garp scoppiò a ridere, per poi buttare giù in un sol colpo una sostanziosa quantità di sakè. Il liquore scese giù lungo la sua gola prima ghiacciandola, poi mandandola su di giri con un afa impellente che stuzzicò quasi subito la tentazione di Garp di bersi un altro sorsetto senza troppi problemi.

Bevande come quello sortivano l’effetto dell’acqua quando ci si trovava in mezzo nel deserto da almeno cinque mesi: invogliavano il desiderio, lasciavano un buco a livello del torace così grande che arrivava addirittura a far male se non soddisfatto immediatamente. Il sakè era paradisiaco, ce ne erano tantissimi tipi, tutti con la loro specifica lavorazione, coi loro ingredienti, imbottigliati con differenti tecniche per preservarne l’aroma speziato……..
Aveva il potere innato di allietare gli animi e renderli leggeri come un piuma ma come ogni buon liquore, era saggio, da parte di chi lo beveva, conservare un minimo di responsabilità prima di finire a testa in giù nel terreno. E pertanto il vice ammiraglio, stoppò la sua bevuta prima di perdere il controllo e mettersi a fare qualcosa per cui Sengoku lo avrebbe buttato fuori dalla finestra se lo avesse visto.

“Oi, non guardarmi con quella faccia!” sbottò il Pugno incrociando le braccia e guardando storto il quadro dopo aver poggiato a terra il calice “Guarda che ho avuto molto da fare! Sono pur sempre un vice ammiraglio!”
Certo, quando ti fa comodogli rispose il dipinto….o almeno così pensava gli avrebbe risposto  Non sei cambiato per niente Garp, sei identico a quando ti ho conosciuto. Spero tu non abbia fatto impazzire Sengoku”  continuò poi quella dopo una piccola pausa, prendendo addirittura l’iniziativa.
“Ah ah ah ah!! Non più di tanto!” scoppiò a ridere lui.

Se da una parte il Pugno era un marine più che rispettato, dall’altra era un’ inguaribile fonte di stress per chi gli stava accanto. Il carisma che lo circondava era alimentato certamente dai ferrei principi dentro cui riversava i suoi colpi ma anche dalla sua bislaccheria, qualità che ogni tanto soleva stuzzicare le tempie del Misericordioso al punto da riempirle di pulsazioni alquanto nervose. Ogni uomo era venuto al mondo con uno stampo diverso e Garp sicuramente era una delle persone più particolari che esistessero: si potevano dire molte cose al suo riguardo ma non che fosse un cattivo marine. Lo conosceva bene il suo dovere e non mancava mai di onorare la divisa che portava. Rappresentava una colonna portante per la Marina, uno dei “grandi” che avevano fatto la storia ma la gente, a forza di guardare l’immagine, tendeva a dimenticare che dietro d’essa c’era pur sempre un uomo, un essere umano con emozioni e legami e questi ultimi, che fossero saldi o effimeri, esercitavano sempre la loro influenza su coloro che li tenevano in considerazione: Garp non faceva eccezione e la vicenda capitata gli aveva legato le mani, lasciando libere soltanto quelle di soldato fedele alla bandiera della giustizia. Ace non era realmente suo nipote ma il bene che gli voleva era pressoché identico a quello che provava per Rufy. Essendo lui un burbero di natura, non si lasciava mai andare a sdolcinatezze e se capitava che ogni tanto allentasse la presa, si premurava che accadesse quando i nipoti o dormivano oppure erano lontani miglia e miglia.

Era orgoglioso di loro, entrambi erano diventati forti esattamente come aveva sempre sognato, ma non gli era mai andato giù il fatto che questi avessero intrapreso la strada della pirateria anziché obbedirgli. Si infuriava come un matto ogni qualvolta ci ripensava, portando le sue reazioni al limite delle possibilità umane soltanto per non far calare quell’espressione cupa e pensierosa che soleva dipingersi ogni tanto sul suo viso quando la sua pazzia non si faceva sentire. Se l’era ripetuto più volte, avrebbe dovuto rimanere nei paraggi delle coste di Foosha e impedire che quei due prendessero il largo ma anche se li avesse legati al letto, Ace e Rufy avrebbero fatto comunque di testa loro: anche se non di sangue, quei due si comportavano esattamente come fossero fratelli in tutto e per tutto. Avevano le loro somiglianze e differenze, ma fin da piccoli avevano sempre fatto tutto insieme e forse era proprio per non rovinare il loro affiatamento, perché non venisse scaricato su di loro il peso del sangue paterno, che aveva deciso fin dal principio di volerli nella Marina a tutti i costi. Perché non fosse costretto a dover porre fine alla loro libertà così brutalmente come invece era quasi successo con Ace……….

“Ne sei sollevato, vero?”
“Uh?”
“Che Ace sia stato tratto in salvo. Non c’è bisogno che tu faccia finta con me, la parte da uomo serio non ti è mai calzata a pennello e mi pare di avertelo già detto”
“E’ da più di dieci anni che non ci sentiamo e invece che goderci la conversazione, mi fai la predica?”
“Me lo devi, visto che quello che è stato ad aspettare sono io”
“……Touche” grugnì il vice ammiraglio storcendo la bocca.

Stavolta si era messo con le mani nel sacco da solo.
La grande goccia d’acqua sbucata da dietro la sua nuca si ingigantì nel ricevere l’ennesimo colpo di vittoria da parte dell’ex ammiraglio e negare l’evidenza non servì proprio a nulla: certo che era felice che Ace fosse stato tratto in salvo! Ne era più che felice, anche se quella canaglia lo aveva fatto disperare più volte fin da piccolo e successivamente da quando aveva intrapreso la carriera da pirata. La cosa che lo aveva lasciato letteralmente senza voce, era stato il leggere anche il nome di Rufy nel primo e corto rapporto stilato dalle guardie di Impel Down sopravvissute. Non osava neppure mettersi a pensare a come diavolo avesse fatto quell’altro scalmanato ad entrare nella prigione senza farsi subito beccare ma tanto ormai il guaio era stato bello che combinato e tirare giù il suo studio e tutti quelli presenti nel raggio di cento miglia a suon di urlate era fuori discussione. Ace era fuori pericolo, Rufy era con lui, questo contava. Ma com’era certo su tale affermazione, era altrettanto sicuro che parte di quel salvataggio non lo doveva attribuire soltanto Barbabianca o alla manica improvvisata di ribelli tirata fuori dalla prigione….

“Ho conosciuto tua nipote” confessò Garp portando il discorso ad un livello ancor più personale “Le ho dato una mano ad entrare a Impel Down dopo che ne ha dette quattro a cinque astri della saggezza.”
Lo so, da qua sopra riesco a vedere tutto” gli disse. Si interruppe per qualche istante, come a voler caricare la voce della giusta quantità di nostalgia  “Non pensavo sarebbe arrivata a tanto ma sono contento…”
“Che abbia quasi rischiato di farsi ammazzare?” domandò Garp alzando un sopraciglio grigio.
“No, non questo……”

Anche se il Pugno si fosse sforzato, avrebbe comunque compreso metà dei sentimenti che Aron nutriva per quella fanciulla. La vita del Buono era sempre stata dedita alla giustizia, alla realizzazione di un equilibrio non perfetto ma dove si potesse vivere senza che pericoli troppo grandi incombessero sulla vita dei altri, ma tutto quello a cui lui aveva sempre auspicato si era rivelato molto piccolo di fronte alle esigenze delle alte sfere, convinte che ogni azione volta allo sradicamento totale del male fosse giustificata. Più di una volta si era chiesto se non stesse combattendo per una campagna pubblicitaria a basso costo, ma la gente bisognosa di aiuto lo aveva sempre distratto sulla risposta e irrimediabilmente, aveva finito per dimenticarsene. Poi, con la decisione di andarsene in pensione, non si era più dovuto affannarsi al riguardo: la conosceva già la risposta, l’aveva sempre avuta fra le mani ma l’insicurezza gli aveva sempre impedito di arrivarci. Era stanco e quei suoi occhi smeraldini avevano visto troppo perché combattesse contro un’era come quella scatenata da quel pazzo di Roger ma, per quanto fosse stato contento della vita vissuta, era accaduto qualcosa che aveva dato un’ultima e decisiva svolta alla sua esistenza: con le sue stesse mani, aveva raccolto e preso con sé una di quelle creaturine odiate per il loro sangue, ripudiata dalla nascita, soffocata da ogni genere di male, ma miracolosamente uscita incolume da tutto quello che le era stato fatto.
Era una bambina, piccola e graziosa, con due occhi stupendi ma anche tanto impauriti. Una bimba dolce e carina che aveva completato la sua vita nel modo sempre sognato ma mai realizzato.
Era tanto gentile e cara la sua Sayuri, l’aveva sempre osservata, protetta con lo sguardo, desiderando per lei la stessa felicità che talvolta ai altri non bastava. Poteva ottenerla ma prima di ciò doveva rispondere alle sue stesse domande e solo maturando e crescendo avrebbe compreso le parole lasciatele come testamento. Sebbene quel dialogo fosse più vicino ad un illusione, al Pugno pareva veramente di avvertire la nostalgia del vecchio amico fluire nei colori del suo dipinto, riversarsi sulla sua pelle come un calore flebile ma sempre piacevole e fu contento per lui. Immaginò che stesse sorridendo nel sapere che la sua protetta era cresciuta bene e sicuramente si era fatto anche delle grasse risate per come aveva mandato a benedire quelle vecchie mummie che a malapena si reggevano in piedi. C’erano tante domande che frullavano nel cervello di Garp, così tante da fargli girare la testa ma, essendo la loro chiacchierata una mera creazione del suo subconscio, non era sicuro che quella magia creatasi con tanta spontaneità sarebbe durata ancora a lungo. Ciò significava, che rivangare nel passato era fuori discussione e che il sakè portato doveva essere bevuto per qualcosa di molto più attuale.

“I primi giorni non parlava, era così spaventata…credeva volessi portarla in prigione perché le avevo detto che ero stato un marine” confessò lui.

Al vice ammiraglio sfuggì un sorrisetto intenerito nel figurarsi quella ragazza almeno quindici anni più piccola e tremolante quanto un pulcino fradicio. Doveva averne passate tante, forse troppe……

“Non mi sono mai pentito della mia scelta, Garp e se mi fosse concessa una seconda opportunità, non cambierei nulla di ciò che ho fatto. Forse, se davvero mi fosse permesso, chiederei un altro po’ di tempo, così, per stare ancor un po’ con lei. Dopotutto era ancora una bambina quando l'ho lasciata….”

Come Ace e Rufy, Sayuri era la figlia di una persona considerata fastidiosa e inutile per il mondo e gli atteggiamenti verso quelle creature, nelle cui vene scorreva sangue maledetto, salvo qualche eccezione, erano tutt’altro che rosei. Ace ne sapeva qualcosa. Non ci voleva chissà chi per arrivare alla conclusione che quella ragazza fosse stata adottata dall’ex marine e quali fossero le sue origini, chiunque avesse bene a mente la vita del Soppressore, sapeva che, in quanto a famiglia, i contatti con essa erano stati perduti molti anni addietro e che il suo desiderio di avere anche solo una figlia, era così forte che non avrebbe esitato a riporre l’uniforme in una cassapanca. La pirata la cui taglia era salita vertiginosamente dopo le sue ultime imprese rappresentava il centro dei pensieri per Aron, centro che lui vegliava in continuazione con il suo sguardo vigile e mai stanco.

“Non avertene a male, da quanto ho visto è venuta su più che bene. E’ una ragazza con la testa sulle spalle, che sa quello che vuole”
Come i tuoi nipoti”
“Tsk, non scherzare! Quelli al posto della testa hanno due zucche vuote. Mai una volta che mi abbiano dato retta!” brontolò lui incrociando le braccia.
“Come qualcuno di mia conoscenza” sghignazzò l’ex ammiraglio.

Di nuovo touche. Possibile che perfino contro il fantasma del suo amico non fosse capace di aggiudicarsi l’ultima parola? Che accidenti, solo con lui succedeva! D’accordo, lo doveva ammettere: in fatto di testardaggine, lui non era secondo a nessuno e i nipoti indubbiamente avevano preso da lui. Ma questo non significava che dovessero prendere il mare senza il suo esplicito consenso! Un minimo di riconoscimento per quello che aveva fatto per loro l’avrebbe gradito!

Non essere severo" lo rimbeccò l’altro come se gli avesse letto nel pensiero Anche se agivi pensando al loro bene, non potevi obbligarli a fare qualcosa che non volevano”
“Certo che potevo!” replicò versando in malo modo altro sakè nel calice.
Vuoi che ti ripeta che come esempio di serietà lasci alquanto a desiderare?”
“L’hai già fatto” brontolò il Pugno buttando giù il liquore.

Tanto, anche se avesse avuto la possibilità di “attaccarlo” coi giusti mezzi, la figura imbarazzante sarebbe spettata solo a lui. Preferì berci sopra, almeno così forse il giorno dopo non avrebbe ricordato tutti i dettagli di quella strana conversazione. Si versò dell’altro sakè fino ad arrivare quasi a farlo fuoriuscire dal calice. Il profumo inebriante degli aromi con cui era stato prodotto accarezzò il suo olfatto a tal punto che subito fece assaporare nuovamente al suo palato la bevanda, dove le papille gustative saltarono al sol venir inondate da quel sapore indefinito ma stranamente goloso. Beh, non c’era nulla da dire: il sakè del mare settentrionale sapeva come rendere allegri gli uomini, era uno dei motivi per cui teneva sempre una bottiglia di scorta nell’armadio dell’ufficio. Certi piaceri della vita andavano assaporati lentamente, seppur i più dolci fossero anche i più nocivi: fumo e alcool non erano esattamente i segreti per una vita sana e lunga ma essendo creazioni perfette per uomini imperfetti, nessuno si permetteva di bandirli poiché a volte, fuggire dalla realtà, anche solo per qualche secondo, era un po’ il desiderio di tutti.

Le gocce del sakè settentrionale imperlavano la barbetta grigiastra del Pugno avente ancora il mento alzato, intento a finire quanto versatosi in un solo colpo. Lui non aveva bisogno di fuggire, non lo faceva mai e mai lo avrebbe fatto: una bontà come i liquori andavano consumati solo per festeggiare qualcosa, non certo per dimenticare, ma l’effetto inebriante che questi creavano coi loro profumi, la sbronza e il mal di testa che ne seguivano, erano così devastanti da non permettere all’ubriaco di concentrarsi su null’altro che non fosse il vomitare fuori ogni litro di quanto ingerito. Eppure, le prospettive che già si stagliavano all’orizzonte non erano delle più pacifiche: il rosso avrebbe tinto le albe, le scorribande agitato i mari più di quanto non fossero già e molto altro ancora. Il caos si sarebbe ingigantito e il vice ammiraglio conosciuto anche come l’Eroe, avrebbe dovuto prepararsi a tempi duri……bui per essere precisi.

A quanto pareva, le parole della nipote di Aron non erano state vane e ripensare a quanto aveva detto, gli fece piegare le sopracciglia in un’espressione alquanto pensierosa. Quel Barbanera si era rivelato più sveglio e subdolo di quanto desse a vedere: tutti i detenuti del livello sei, escluse alcune eccezioni, sfortunatamente le peggiori, erano stati fatti fuori e il direttore Magellan, già ferito in precedenza, era ricoverato in terapia intensiva  nell’ospedale del Quartier Generale della Marina, insieme a molti dei suoi subordinati. L’inferno eterno era stato ridotto ad un bagno di sangue pieno di carcasse irriconoscibili, sminuzzate con tanta furia da credere che fossero state delle bestie mostruose e in parte era vero: un simile spettacolo, tanto macabro, era dovuto a mani dalle fattezze si umane ma dall’indole priva anche della più piccola forma di rimorso. Erano stati avvertiti ma logicamente i più alti esponenti della Marina, insieme ai cinque astri della saggezza, avevano preferito tener conto delle loro scelte anziché dar retta a una pirata, specie se imparentata, anche se non per linee di sangue, con l’uomo che vent’anni addietro li aveva screditati…

“Le hanno alzato la taglia, a tua nipote intendo” riprese con voce roca e piatta “E indovina chi ha già chiesto l’autorizzazione per la sua cattura”

Non ricevette risposta dalla voce che stava nella sua testa e che al momento stava dando vita al quadro che continuava a guardare ostinatamente. Se Aron si fosse trovato lì in carne ed ossa, Garp avrebbe visto il suo viso oscurarsi, percependone lo spirito vitale indurirsi e affilarsi come se fosse prossimo alla sua ultima battaglia. Con Akainu non aveva mai avuto buoni rapporti, l’abisso che li separava era il più grande che fosse mai esistito al mondo. Il Cane Rosso a quei tempi rivestiva la carica di vice ammiraglio, posizione ottenuta grazie al potere del frutto del diavolo Magma Magma e all’innato e freddo carisma che avevano fatto di lui una figura rispettata ma al tempo stesso anche molto temuta. La perfetta nemesi del Buono, il lato oscuro della moneta in poche parole. Sakazuki – questo era il suo vero nome - era sempre stato particolarmente attratto dalla carica che Aron ricopriva e le numerose missioni compiute facevano tutte parte di un progetto che come meta finale prevedeva la promozione. Era ambizioso, terribilmente ambizioso e non sopportava che un perbenista, un uomo accondiscendente come lui fosse stato addirittura scelto come possibile successore di Kong. Lui, nelle cui vene scorreva la lava bollente, il cui attaccamento alla giustizia non aveva pari, non poteva accettare di sottostare agli ordini di un simile uomo, la cui condotta d’azione era troppo morbida per i suoi standard. Gli appariva come un reato nei confronti dell’ordine ma poi, con la dipartita del superiore e la sua scomunica, si era andata a creare l’occasione che da tempo cercava di creare e di rendere perfetta per immettersi senza problemi; quel giorno, da lui ritenuto epico per la sua carriera, nel guardare il tramonto, aveva sorriso con una malignità trionfale che raddoppiò ulteriormente non appena gli fu porto fra le mani il titolo di ammiraglio.

Ancora oggi Garp sbuffava per la fretta con cui i suoi capi decidevano il da farsi: non mancava poi di osservare le stravaganze dei suoi superiori, escluso Aokiji, l'unico che gli andasse a genio. Akainu amava lo sfarzo, l’ordine e tutto ciò che c’era di regale e rosso al mondo. La sobrietà nelle sue stanze non esisteva: ogni oggetto, dalla federa del letto alle penne sulla scrivania erano di pregiata fattura, tutti rasentante l’esagerazione. Lì predominava il rosso, gli altri colori erano banditi, esclusi quelli dei bei bonsai che amava curare personalmente.
E che dire di Kizaru!  Una volta gli era capitato di dare una sbirciata alla sua stanza e praticamente la mascella gli si era staccata dal resto della faccia nel vedere l’assurdità che ci regnava dentro: sapeva che l’ammiraglio detenente il potere del frutto del diavolo Light Light aveva una passione per gli orologi…ma arrivare a tappezzarne l’intera stanza era a dir poco che esagerato! In quell’unica occasione, aveva visto i più grandi e i più impensabili orologi che fossero mai esistiti sulla faccia della terra, una collezione unica ma anche tanto bislacca per i diversi modelli appesi alle pareti color giallo canarino: si era dileguato prima che il ticchettio gli distruggesse i timpani. Come accidenti faceva Borsalino a dormire con tutto quel rumore?
Al sol ricordare quei infernali aggeggi, si scompigliò la zazzera grigia freneticamente: i tempi erano veramente cambiati, peccato che le persone rimanessero le stesse o peggio, diventassero ancor più infide. Akainu dopo aver ricevuto la carica di ammiraglio se l’era stretta con forza al petto, indurendo la sua scorza ancor di più. Anche se esteriormente non lo dava a vedere, era una guerrafondaio in piena regola e ne andava orgoglioso: se la giustizia doveva prevalere, prevaleva, punto e basta.

Non c’è vittoria senza sacrificio. Amava ripetere con nonchalance.

Per quanta nobiltà potesse rispecchiare una frase, il Cane Rosso nel suo agire ne aveva distrutto ogni bellezza. Era freddo, spietato e Garp era fin troppo consapevole, che Sakazuki avrebbe dato la caccia alla nipote di Aron con la sola intenzione di fare a lei ciò che in passato non aveva mai potuto fare al parente: anche a costo di metterci tutta la vita, di impiegare ogni mezzo a sua disposizione, l’avrebbe stanata e uccisa senza neppure sprecarsi di portarla al patibolo di Marineford.

“E’ partito immediatamente per Marijoa senza dare spiegazioni a nessuno, anche se a giudicare da come ha ridotto il suo ufficio, penso che tutti abbiano capito la ragione di questo suo impellente desiderio di viaggiare”
“Si, e immagino che in questo momento sia al cospetto dei comandanti supremi in attesa del loro consenso”
“Suppongo di si” rispose il Pugno poggiando il gomito sul ginocchio, affondando la guancia rugosa nel palmo per poi emettere un sbuffo “E stai pur certo che anche se non glielo danno adesso, glielo daranno prestissimo. Tempo che le acque si calmino abbastanza”
Non ho dubbi al riguardo”

La priorità al momento era ricostruire la prigione e impedire che la stampa venisse a conoscenza di dettagli piccanti e sconvenienti. Tutte le missioni erano state sospese fino a tempo indeterminato ma era illogico non pensare che i cinque astri della saggezza, nel mentre si premuravano di alleggerire quel terribile colpo subito, non stessero già stilando la lista dei ricercati la cui presenza era divenuta insopportabile ai loro occhi: l’incidente di Impel Down rappresentava un’onta imperdonabile e i responsabili avrebbero pagato a caro prezzo la loro insolenza. Le poche registrazioni recuperate dalle luma-camere e tutta la documentazione rinvenuta avevano fornito un resoconto abbastanza soddisfacente da far incupire i visi degli anziani tanto da assottigliare i loro occhi e le loro lingue. Riguardo al nipote più giovane, l’ Eroe aveva taciuto ma per Sayuri la questione si era svolta diversamente: era stato sufficiente inserire il tarlo nel giusto orecchio e voilà! Ora tutto il mondo sapeva che Bianco Giglio era nientemeno che la nipote di Aron.

Certo che tu la bocca non la sai proprio tener chiusa, vero Garp?” Aron lo rimproverò senza troppa cattiveria, alzando quell’immaginario sopracciglio rosso ramato.
“Ah ah ah ah! Avresti dovuto vedere la faccia di Sengoku, era veramente impagabile, ah ah ah!!” esplose il Pugno rischiando di volare all’indietro “Finchè non gliel’ ho detto io, ci è rimasto a rimuginarci sopra per interi giorni, quasi gli è venuto un infarto!”
“Togli pure il quasi, glielo hai fatto venire sul serio” lo corresse una voce femminile.

Sul ciglio della porta e in vesti non ufficiali, il vice ammiraglio Tsuru scivolò nel Salone degli Eroi con la stessa eleganza dell’acqua quando si lasciava afflosciare sulla spiaggia: silenziosa e impercettibile.

“Oi, Tsuru!” la salutò amichevolmente il collega alzando il calice “Vieni a brindare con noi!”
“Invece di cincischiare come sempre, sarebbe utile che anche tu ti mettessi al lavoro. E poi mi spieghi per quale ragione dovrei brindare con te?” gli domandò lei avanzando verso l’interno della stanza.
“Generazioni future!” esclamò Garp tirando fuori dalla giacca un secondo calice “Mi stavo complimentando con Aron per il successo della sua nipotina!”
“Ah si?” un leggero sorriso solcò il viso provato dall’avanzare degli anni della fida consigliera del Misericordioso “Beh, ha di che andare orgoglioso” disse inaspettatamente.

Mettendo da parte le carte che si era portata a presso, fece emergere dalla tasca dei pantaloni un foglio giallognolo, ripiegato su più parti: una volta aperto completamente, lo guardò come addolcita, osservando il volto della graziosa pirata sulla cui testa ora pendeva una sostanziosa taglia di duecentottanta  milioni di berry.  

“E’ molto graziosa, ha un viso davvero dolce. Possiede la sua stessa tenacia, anche se sono convinta che quando è venuta da noi per trattare fosse più mossa dall’amore che dal volerci fare la predica”
“Uh? E da che cosa avresti capito che è innamorata?” le domandò Garp.
Tsuru scosse la testa debolmente, sospirando con un accenno di esasperazione “Tu sei un uomo, certe questioni non ti sarebbero chiare nemmeno con il più semplice degli schermi” borbottò lei “Mi chiedo poi, se sia una coincidenza il fatto che si sia innamorata proprio di Ace”

Come Garp e Sengoku, anche lei era a conoscenza dei reali fatti accaduti e quindi non le era occorso molto fare due più due.

“Chissà, forse qualcuno dall’alto avrà favorito il loro incontro” ipotizzò con fare innocente il Pugno.
Non sono io quello che ha cercato di condizionare i propri nipoti”
“Ha intenzione di rinfacciarmelo per il resto dei miei giorni?” brontolò l’uomo guardando male il quadro.
“No, non preoccuparti. Che sia stato il caso o meno, sono sicuro che Ace si prenderà cura di lei e che farà il possibile per farle rimanere il sorriso sulle labbra. Mi basta questo per stare in pace”

All’ampissimo sorriso a quarantadue denti di Garp si unì quello più moderato e femminile di Tsuru. Per quanto fosse assurdo, anche lei riuscì a sentire la voce di Aron, come se l’immaginazione creata dalla mente del collegata emettesse un influsso che colpiva chiunque entrasse nel Salone degli Eroi. Uno luogo immune dallo spazio, cristallino ed eterno come le tombe di ghiaccio, dove passato, presente e futuro confluivano senza danneggiare la tela temporale. Descritta così sembrava porla su un piedistallo intoccabile ma purtroppo, per chi ne era cosciente, c’era qualcosa che poteva minare la stabilità d’essa e l’anziana Tsuru, ne era l’amara portatrice. Non avrebbe voluto rovinare quel piccolo attimo di respiro ma da brava vice ammiraglio quale era, doveva svolgere il suo lavoro. Come se Aron avesse intuito da sé l’incupimento della vecchia amica, benché fosse una semplice voce immaginaria orchestrata dall’illusione risiedente nella nostalgia dei loro animi, questo decise di farsi da parte, rintanandosi nel silenzio della sua muta cornice.
Arricciando le labbra più di una volta, la consigliera attirò nuovamente l’attenzione su di sé, porgendo all’amico una spessa cartellina blu con fogli appena freschi di stampa.

“Che cos’è?” domandò Garp.
“Il fascicolo di Impel Down: gli investigatori ce lo hanno appena mandato. E’ la versione più completa che ci sia stata pervenuta fino ad ora”

Bastò una semplice sfogliata perché il Pugno chiudesse di botto il plico straripante di carta. Lo scorgere alcune delle foto allegate oscurò il suo viso, lasciando che la mente arrivasse da sola a comprendere il perché tutti gli scatti immortalassero carcasse fatte a pezzi oppure maciullate fino all’osso.

“Si è saputo qualcosa di lui? Lo spostamento più recente, la rotta intrapresa..” chiese lui fissando imperterrito il fascicolo, incerto se leggerlo o meno.
“No. E’ scomparso prima che i soccorsi arrivassero e francamente non ho idea di come abbia fatto. Non c’era modo di lasciare la prigione senza passare dalla porta della giustizia e immettersi nella principale corrente marina”
“Ma fatto sta che Barbanera si è volatilizzato nel nulla” affermò Garp sfogliando i fogli poggiati nel mezzo delle gambe “E che con lui siano anche svaniti i peggiori elementi del livello sei” proseguì nel leggere gli unici nomi assenti al massacro.

Il continuare a leggere i numerosi rapporti redatti, tutti uniti e collegati fra loro, fecero crescere nel Pugno un inquietudine non poco trascurabile. Quel nuovo reclutato aveva dato spettacolo, non soltanto non rispondendo all’appello generale della Marina ma addirittura presentandosi a Impel Down e compiendo un genocidio in piena regola. Il livello sei, l’inferno eterno, era riservato ai nemici del Governo mondiale, i criminali più spietati e spaventosi che il mondo avesse mai conosciuto e lui, li aveva trucidati uno a uno, con l’aiuto della sua ciurma, lasciando fuori quei pochi elementi che invece avevano suscitato in lui sufficiente simpatia da guadagnarsi un posto nella sua banda. Vedere come il piano era stato ridotto gli fece venire la nausea e dovette capovolgere la foto per non dover vomitare: di stermini ne aveva visti ma quello……quello non aveva nulla a che vedere, nulla che potesse ricollegarsi alle capacità umane. 

D’altro canto, detenuti come Shiryu della Pioggia, San Juan Wolf, Abalo Pizarro, Vasco Shot e Catalina Devon non appartenevano alla specie umana e la loro sviscerata depravazione doveva aver più che convinto Barbanera ad arruolarli.

“Dunque è per questo che volevi entrare nella flotta dei sette, eh? Ti servivamo solo per arrivare senza fatica a Impel Down…” digrignò fra i denti il vice ammiraglio stringendo i fogli.

Quel tipo non gli era piaciuto fin dall’inizio e non solo perché aveva portato come merce di scambio uno dei suoi nipoti ma proprio perché c’era qualcosa in lui che ispirava sospetto. Quell’essere sapeva il fatto suo e l’essersi fatto raccontare parecchie cose al riguardo da Ace quand’era in prigione, rese ancor più profondo il suo timore nei confronti di quel futuro radicalmente mutato. Immediatamente le parole di Sayuri rimbombarono nella sua testa, testimoniando la pura e semplice verità che quel giorno molti avevano volutamente ignorato.

“Non è quello che appare” continuò lei aprendo le braccia, consapevole delle proprie certezze “Ha un obbiettivo da realizzare  e posso assicurarvi che una persona del genere non entrerebbe mai in affari con la Marina se non per tornaconto personale. Vuole qualcosa e quando l’avrà ottenuta, non si farà problemi a voltarvi le spalle. Sfrutterà la carica che gli avete concesso per agire con maggiore libertà, non si fermerà fino a quando non conseguirà quel che si è prefissato e se ci riuscirà, niente lo potrà più ostacolare”

Erano stati avvertiti. Erano stati avvertiti e loro non avevano ascoltato una sola parola, col risultato di dover insabbiare tutti quei cadaveri come se non fossero mai esistiti, una cosa in cui oramai erano imbattibili. Di ciò se ne occupavano gli ispettori ma a Garp comunque la cosa non andò giù e probabilmente anche Sengoku era del medesimo parere; quando i cinque astri della saggezza prendevano di loro volontà l’iniziativa c’era ben poco di cui stare sereni.

“Ci aspettano tempi duri, Tsuru” affermò mestamente il Pugno guardando per l’ultima volta il quadro di Aron ma senza sentirne la voce “Dobbiamo tenerci pronti a tutto”

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Capitolo 71
*** Ridestarsi. ***


Salve a tutti! Vi lascio subito al capitolo, non voglio tenervi sulle spine. Come al solito, ringrazio tutti voi per leggere e apprezzare la mia fict! Buona lettura, ragazzi!

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E’ strano, veramente strano.
Per una ragione che continua a sfuggirgli, ha la sensazione che ci sia qualcosa di insolito, di diverso.

Non sa spiegarselo, ma avverte che l’ambiente circostante è cambiato e non di poco. L’umidità è svanita e il freddo con essa, come se fosse nuovamente in grado di controllare la propria temperatura corporea.
Ci prova, mentalmente prova a richiamare il fuoco, lo stesso che non ha mai smesso ostinatamente di evocare ma questo, per l’ennesima volta, non compare. Non sente alcuna parte di sé avvolta da quel calore di cui a malapena ricorda l’entità, percepisce la sua pelle come quella di un qualunque altro essere umano e ciò lo avvilisce ancora di più. La confusione lo stordisce, sa di essere debole e l’aprire gli occhi si rivela come sempre un’impresa ardua, difficile quanto scalare una montagna senza l’uso delle gambe. Vuole alzare la testa, anche se non è propriamente cosciente, ma questa, a ogni suo più piccolo tentativo, non fa che aumentare il proprio vorticare, obbligandolo a tornare giù, dove sta quella strana morbidezza accogliente il suo capo. Non c’è niente che gli impedisca di scoprire il mondo che si cela al dì là delle sue palpebre ma un peso invisibile calca sulle sue membra, senza lasciargli fare quello che desidera, senza permettergli di scoprire perché avverta tutto sé stesso così rilassato sul piano fisico. E’ impotente, lo sente ma non è legato o costretto in alcuna posizione scomoda. E’ al sicuro, lontano dal ferro, dal sangue, dai cannoni e dai fendenti di una guerra cruenta, la stessa guerra scatenatasi nel profondo del suo petto in precedenza.
E’ lontano da tutto ciò, ma ancora non lo sa: il calore vicino ad assomigliare a quello prodotto dalle coperte non lascia che la sua mente arrivi a toccare le tante domande che vuole porsi. Non sente le fruste d’algamatolite infierire sulla schiena, non sente l’acqua bollente cadergli addosso come un continuo battesimo di pentimento, ne sente le grigie catene stritolargli polsi fini a tagliarli. Non sente dolore. Può riposare senza temere gli avvenimenti futuri, accoccolarsi fra le lenzuola e dormire fino a quando ne avrebbe avuto voglia ma tutto questo non gli è sufficiente, perché le domande sovrastano il suo sonno che, irremovibilmente, continua a fargli tenere gli occhi chiusi.
 Non lo lasciano in pace, lo tormentano, portandolo a vagare su uno dei ricordi più labili in suo possesso. E’ recente, ma terribilmente sbiadito; un disegno rovinato e sbiadito dall’acqua. La scia d’esso è appena percettibile, sfuggente ma a lui basta per esserne attratto seduta stante.

“Cos’è…?”

Il suono della sua voce si fa largo nel vuoto, aprendo un piccolo varco nella sua coscienza. Cerca di acchiappare quei lembi di cui nemmeno conosce l’origine, le cui fattezze si avvicinano a quelle di vivaci farfalle color arcobaleno. Li vuole prendere, cerca di allungare le mani ma, per quanto vicino, non ci riesce. E’ una sensazione semplice, quel tepore non ha nulla di particolare per essere considerato anormale ma nella sua semplicità è speciale: lui quel piacevole e minuscolo calore non lo poteva creare seppur fosse l’indiscusso forgiatore del fuoco. Non è un calore che può venir creato per puro capriccio; scalda perché mosso da un sentimento nato da un animo di cui lui al momento non ricorda il nome. Non ne sente la voce ne vede i lineamenti, può solo sforzarsi di ricordare quella piacevole sensazione scaturente e la presenza d’esso invoglia la sua mente a destarsi ancor di più: solo un abbraccio sincero può arrivare a farlo sentire così bene con sé stesso, ne è sicuro, e l’esserci rimasto invischiato non fa che aumentarne l’indissolubile certezza. Però…chi era stato tanto gentile da dargli conforto? Vuole assolutamente ricordare, almeno il nome, se lo impone, ma la spossatezza è grande, troppo perché possa ribellarsi.

“Che succede?”

Qualcosa non va.
Improvvisamente la dimensione dentro cui sosta si incrina in più parti. Succede come quando si rompe un specchio: va in mille pezzi e i cocci diventano così piccoli da parer polvere. Il silenzio inizia a sciogliersi, suoni ovattati e colori mischiati fra loro si impegnano a creare un immagine, il primo contatto con l’esterno. Sembra magia ma in realtà i suoi occhi vengono come richiamati da un segnale in particolare che ha deposto da parte il peso invisibile che troneggiava sulle sue palpebre.


“Presto Susan, porta altre bende e acqua ossigenata! Ruka, il respiratore!”
“Subito, Maya!”

Maya? Ah già, la capo infermiera…..
La sua voce è autoritaria e trafelata. Perché tutto quell’affanno?
Volta la testa ma nel cogliere delle macchie astratte e colorate non scorge ancora nulla di definitivo, niente che fosse abbastanza chiaro da essere identificato senza alcuno sbaglio. Eppure nel suono di quelle parole avverte un ansia che subito influenza anche lui: Maya parla, percepisce le voci delle altre infermiere, i loro passi affrettati ruotare intorno ad un piccolo spazio. Vuole vederci meglio e, come se qualcuno lo avesse sentito, ecco che i suoi occhi si aprono un pochettino di più e le macchie sfocate cominciano a risultare più accettabili. L’ondulare dei capelli violacei di Maya è la prima cosa che coglie di nitido; seguono il rosa confetto delle divise, la luce bianca di una qualche lampada artificiale e…

Si ferma. Ha notato qualcosa e crede di aver visto male. Si dice che non può essere, lo pensa intensamente ma il raggelarsi del suo sangue annulla la sua piccola e debole convinzione, buttandola giù come un castello di carte. No, si dice ancora, mi devo essere sbagliato.

“Merda!”

Riconosce quella voce al primo colpo, il suo digrignare è unico, indistinguibile. E’ come se lo chiamasse e lui, nel sentire la sua burberità, si volta nuovamente e lo vede con più lucidità: è proprio lui, è proprio Don. E quello che credeva di aver visto male invece è la pura verità, la stessa che per dispetto si stava schiarendo del tutto affinchè lui vedesse tutto in prima linea….

“Don, i parametri stanno calando pericolosamente, non c’è quasi più polso!”
“Lo so, lo so, LO SO! E’ questa fottuta ramificazione! Ha invaso almeno più del 60% del suo corpo e non riesco a fermarne l’avanzata!!” esclamò infervorato “Dannazione! Gli anestetici non servono a niente!”
"Lasciate che me ne occupi io: vediamo se si può fave qualcosa pev questa gvaziosa fanciullina”

Quella terza voce è nuova, non la conosce. Intontito, nota che la sua testa di quest’ultimo è tre volte più grande del corpo.
C’è tanta confusione, tanta tensione, tante medicine di cui lui non conosce gli effetti ma il cui forte e acre profumo gli impedisce di non storcere il naso. Vuole ancora muovere la testa ma questa è ferma dov’è, si rifiuta di essere sollevata o posta in una posizione scomoda e così, punta gli occhi su quel tavolo, dove c’è una quarta persona oltre a quelle contate. E’ sdraiata supina, prova un dolore visibilmente atroce, così agghiacciante da far rabbrividire perfino chi le sta attorno. Si aggrappa al poco ossigeno che riesce a catturare, geme e nonostante abbia vicino tre persone che cercano di aiutarla, soffre sempre di più . E’ ferita, terribilmente ferita, descriverla è raccapricciante: ci provano a calmarla, a rincuorarla ma le loro voci non sortiscono alcun effetto su di lei e la linea della sua vita non fa che assottigliarsi sempre di più, affogando dentro quel rosso dal pungente odore metallico.

“Le devo iniettave dei ovmoni” afferma lo strano tipo osservando da vicino la poverina “Il suo intevo appavato fisico è tvoppo compvomesso, gli ovgani sono stati sottoposti a uno sfovzo vevamente abnovme e ova non viescono a viprendeve la giusta velocità, cuove compveso”

In quel momento, anche l’ultimo appanno svanisce. Sa di essere sveglio ma il suo corpo ancora non gli obbedisce: questo è addormentato ma la sua mente è sveglia, fin troppo, perché nello scrutare quella piccola figura sofferente, ci riconosce un volto che per molte notti ha rincorso senza mai raggiungere, un volto che aveva intravisto al dì la delle sbarre, guardarlo con le lacrime agli occhi. Lacrime per lui, solo per lui, sincere, che gli avevano fatto detestare la sua incapacità, la sua stessa debolezza. Il solo volto che avrebbe voluto vedere dal vivo, che avrebbe afferrato e stretto senza temere che gli scivolasse via dalle mani. Il solo capace di placare l’ira della sua origine, il solo capace di regalargli il tepore che lui aveva ricevuto, che sapeva di aver ricevuto in un momento che ancora gli sfuggiva.

“Sa..Sayuri?! Sei…?”

E’ lei, non ha dubbi.
La riconoscerebbe fra mille ma nel non vederla sorridere si incupisce, sgranando gli occhi e storcendo la bocca semiaperta in una smorfia divisa fra la preoccupazione e lo sconcerto. E’ lei, sta soffrendo e il perché agita il suo stato d’animo. Sta male e se sapesse la ragione ne morirebbe ma lui, inconsciamente, se lo domanda tramite l’istinto mosso dalle emozioni nascenti. Perché è ferita a quel modo? Che cosa le è successo? Cosa è capitato?

Vede Maya che le schiaccia il respiratore sul viso, ci sono bende impregnate di sangue in un angolo e lui ha paura perché teme fortemente che quello sia il suo.

“Sayuri, che cos’ hai? Che ti è successo?!”

La sua bocca si muove ma da essa non esce neppure una sillaba strozzata.

“Gh…..wha…aaa…!!” i suoi gemiti divengono più effimeri ma il dolore rimane, incisivo su tutta la linea.
“Deve stave pevfettamente fevma, altrimenti la cuva finivà pev danneggiave il suo fisico e peggiovave la situazione” dice ancora quello strano tipo.

La complicità della capo infermiera e del medico-cecchino lo portano a guardare dei legacci di pelle usati in caso di emergenza. Non la vorranno veramente legare? Sembra non esserci scelta e nonostante lui cerchi di urlare di non farlo, i due medici si assicurano che l’amica non si muova nel bel mezzo dell’operazione. Appare inutile quella precauzione, il contorcerci di lei è quasi del tutto spento ma loro la bloccano ugualmente, perché sanno che dopo tornerà a dimenarsi per l’atrocità fisica che le pervaderà il corpo come centinaia di lame bollenti. Vuole alzarsi Ace, pretende, ordina a sé stesso di alzarsi e fermarli: vederla in quelle condizioni non gli piace per niente, gli fa crescere la rabbia di cui nemmeno ricorda il sapore.

“Fermi! Non vedete che le state facendo male?!”

Ha urlato ma la sua voce misteriosamente è diminuita di tonalità. Ci riprova nuovamente ma dalle sue labbra non esce alcun mormorio o sibilo. E’ invisibile e come se non basta…ecco che la stanchezza ritorna. E’ ora di riposare, gli dice questa con tono materno, ma lui si ribella e tenta di allungare il braccio verso.

“Muoviti…dannazione, muoviti!”

Può agitarsi e strepitare quanto gli pare, nessuno lo sente. Può dimenarsi, ma appena il peso della spossatezza torna a premere sulle sue ossa doloranti, ecco che anche lui contrae i denti ed emette una smorfia di dolore. La sofficità delle coperte e la comodità del morbido cuscino conciliano il sonno che subito fa tornare il mondo che fino in quel momento ha guardato, totalmente bianco: i colori si sciolgono, le voci cadono ed ecco che il buio avanza. E’ ora di riposare, sente di nuovo e benché questa volta non tema il risveglio, non vuole addormentarsi, non prima di aver visto gli occhi color cioccolato di Sayuri tornare a vivere giusto quel poco per tranquillizzarlo sulla sua sorte.

“Muoviti….dai, muoviti..”

Il suo ordine evapora, ormai tutto il suo io è completamente sprofondato nelle viscere di qualche antro da cui non uscirà subito. Le palpebre si chiudono e lui cade giù, lentamente, come se il suo corpo fosse una piuma, finendo per atterrare dolcemente da qualche parte, in un posto indistinto e sconosciuto. Vuole ancora provare, ma stavolta la stanchezza non glielo permette e fa in modo che riposi senza nessun’altro genere di intervallo.

“Muoviti…………..”
 



Ace aprì di colpo gli occhi, rizzandosi come punto dalla lama di un coltello. Stacco la schiena dal materasso come a volerci scappare ma l’impeto con cui si era riscosso fu bloccato ancora prima che riuscisse a muovere il bacino: ancor prima di capire dove fosse, si sentì tirato indietro, finendo ad affondare nuovamente la nuca in un cuscino imbottito di piume.

“Calma amico, non avere fretta” gli disse una voce vicina a lui.

Pugno di Fuoco strabuzzò un paio di volte gli occhi prima di aprirli lentamente: l’impatto con la luminosità del posto più il rimbalzo appena effettuato lo immobilizzarono giusto il tempo che gli occorreva per abituarsi: una volta ridestato meglio e muovendosi con più calma, rivolse lo sguardo verso la figura seduta malamente sulla sedia di fianco al suo letto e lì, sgranò la propria visuale percependo la gola farsi immediatamente secca.

“Don…?”
“In carne e ossa. Bentornato nel mondo dei vivi Ace, mi fa piacere vederti finalmente sveglio” gli rispose quello abbozzando un simpatico ghigno sollevato.

Quello che Ace stava fissando con incredulità era proprio il suo amico. Il medico-cecchino se ne stava goffamente seduto con la schiena afflosciata sulla sedia, con braccia e gambe conserte, più propenso a farsi una bella dormita che assicurarsi della salute del suo paziente. Nessuno lo avrebbe biasimato se si fosse addormentato in piedi, così come nessuno si sarebbe permesso di criticare tutti i medici e le infermiere il cui lavoro in quei giorni di fuoco era stato a dir poco che massacrante; combattendo poi su due fronti, l’ex dei pirati di picche aveva riposato ancor meno dei altri colleghi. Non vedeva un letto vuoto da troppe ore e a lungo andare, il suo aspetto ne aveva risentito di quella mancanza: il leggero strato di barba che gli contornava il mento, parte delle guance e le appena visibili bassette si era molto inspessito, dando mostra che non toccava un rasoio da diverso tempo. Le tipiche e singolari occhiaie che gli inspessivano gli occhi si erano fatte più marcate e profonde, di un nero mischiato al viola, che continuava ad approfondirsi man mano che il sonno veniva puntualmente rimandato più in là. Era esausto, con le sue ossa indolenzite, le palpebre brucianti e gli abiti spiegazzati, ma lui non si lamentò di tutto ciò perché ci era già fin troppo abituato.
Ace lo vide come sempre, scazzato in tutto il suo essere e forse, appena un po’ più pessimista del solito, pronto a mandare tutto all’aria se gli fosse stato concesso di cadere su un materasso. Nel muovere il braccio destro, udì un tintinnio che lo spinse subito ad alzare lentamente il polso per poi vederselo ammanettato.

“Che cos…?” cercò di formulare una frase a senso compiuto ma la lingua era ancora consistentemente impastata.
“E’ una precauzione” gli spiegò l’amico “Considerato il febbrone da cavallo che avevi, abbiamo dovuto tenerti ammanettato per tutto il tempo: la temperatura del tuo corpo è aumentata esponenzialmente a causa del potere del frutto Foco Foco e viste le tue condizioni, senza manette avresti incendiato ogni cosa nel raggio di almeno cento metri”

La catena d’algamatolite la cui sommità racchiudeva il polso destro di Ace era inchiodata a terra con una lastra dello stesso metallo, grande quanto un quaderno e per tenere a bada Ace era più che sufficiente poiché questo stava in convalescenza. Guardandosi visibilmente stupefatto, notò che tutte le ferite, i tagli e le contusioni raccolte dal suo corpo durante il soggiorno a Impel Down, erano state accuratamente medicate: il suo torace era coperto dalle bende, così come le mani, parte delle braccia, delle gambe e anche alla fronte dove le fasciature arrivavano a inoltrarsi fra i capelli neri, scompigliati e puliti dal sangue. Le punte delle dita e le guance lentigginose erano le sole parti che Ace percepiva libere dalle medicazioni, come poche altre, quali la parte estrema dei piedi, le spalle e il collo ma essendo ancora leggermente in balia della spossatezza da cui era stato posseduto, Ace non riusciva ancora a rendersi conto delle molte cose che lo circondavano, delle molte cose accadute. Si poneva domande o meglio, cercava di arrivare a quella deduzione che, al sol vedere Don, si era messa a saltellargli sulla punta della lingua, desiderosa di uscire e di far si che la sua coscienza ne prendesse pienamente atto.

Si guardò i palmi delle mani pensando di leggerci la risposta, per poi voltarli all’insù rimanendo con la bocca socchiusa e le iridi nere totalmente allibite: pensare di aver sognato d’essere stato imprigionato a Impel Down gli era impossibile, non avrebbe saputo spiegarsi in che altro modo fosse finito per assomigliare a una mummia. Lui c’era stato seppur la nebbia dentro cui era rimasto svenuto l’avesse tenuto all’oscuro di molti avvenimenti: la mancata padronanza del suo elemento gli aveva fatto conoscere il freddo, il dolore e l’impotenza davanti alla giustizia che lui aveva rifiutato da bambino. Si era spaventato nel non scorgere le lingue infuocate che ogni tanto si divertiva a evocare per gioco, sentendosi soggiogare dalla solitudine per poi finire definitivamente a terra,  schiacciato dalla vergogna di cui la propria coscienza lo aveva reso partecipe. Se doveva forzatamente esistere un motivo per cui lui e il fuoco stavano bene insieme, era perché entrambi erano liberi e incontrollabili per natura. Il vento li portava dove volevano loro e nella sua indomabilità Ace aveva finito per essere il più grande e vivace incendio che avesse mai bruciato il mondo.
Ma come ogni incendio, anche il più imperioso alla fine era destinato a spegnersi e lui, a lungo andare, aveva dimenticato quel particolare, finendo per essere dominato, o meglio, calpestato addirittura da mani un tempo amiche.

Teach l’aveva sconfitto e portato lì. Inizialmente nemmeno ricordava cosa fosse capitato, ne aveva prese così tante che il solo ricordo apparteneva a quelle botte, ma ora la luce del giorno lo aveva finalmente svegliato e nella sua incredulità, nel guardarsi in giro, nel sentirsi semi sdraiato su un morbido letto e soprattutto nel sapersi fuori dalla prigione, la deduzione che fremeva sull’estremità della sua lingua arrivò a punzecchiargli il cervello con la stesse velocità di un fulmine.

“Sono….vivo” mormorò incredulo, lasciando ricadere le mani sulle coperte.
“Ovvio. Se non lo fossi non ti starei ne parlando ne osservando” replicò il medico-cecchino alzandosi e dando una bella stiracchiata a tutte le sue giunture “Dopo averti recuperato ce la siamo filata prima che la Marina ci venisse addosso. Non è stato facile, abbiamo dovuto stravolgere tutti i nostri piani iniziali ma alla fine è andata decisamente meglio di quanto pensassimo. Al momento le comunicazioni con l’esterno sono limitate ma alcuni alleati ci hanno informati che Marineford è in pieno subbuglio. Vista come la faccenda si è messa per loro, avranno un bel da fare ma anche se ci stessero cercando, dubito che riuscirebbero a scovarci: Rock Spire non l’ha mai trovata nessuno” riassunse velocemente.

Rock Spire era uno dei nascondigli di Barbabianca, il più grande per la precisione, e per questo, il più difficile da scovare.
La Marina era certa della sua esistenza nonostante le poche voci relative la descrivessero come una leggenda visto che i rapporti stilati straripavano di descrizioni fantasiose che gli scribi si erano inventati al momento per riempire le righe. Apparentemente, da lontano, era un insieme di scogli appuntiti, enormemente simili a ghiacciai e fitti come dei cespugli di rovi. In molti lo scambiavano per un nido di Seaking dalla cresta rossa, i più pericolosi e feroci, ed era grazie a tale credenza che la copertura fino a quel momento aveva retto alla perfezione, assicurando il pieno godimento di quella pace meritata dopo quella battaglia estenuante. I fiumiciattoli di acqua salata ospitavano correnti capricciose e poco inclini a essere domate; tutte quante erano inaccessibili, tutte tranne una, la sola che si doveva percorrere obbligatoriamente per arrivare alla cittadella scavata nella roccia e che al momento ospitava la Moby Dick con tutto l’equipaggio. Fornita egualmente come una vera e propria cittadina, con tanto di porto e altre robe, si affacciava sul mare per poter trarre profitto dai raggi del sole senza incombere nel rischio che la Marina li scoprisse. Così incredibilmente distaccato dal resto del mondo, era il solo straccia di terra in mezzo alla gigantesca pozzanghera d’acqua salata chiamata oceano. Prima di vedere un’isola o uno scoglio differente da esso, occorrevano almeno tre giorni abbondanti di navigazione o forse di più, molto dipendeva dalle condizioni climatiche.
Diverse volte Marco aveva citato quel rifugio ma mai ci erano andati prima d’ora: evitavano, se possibile, di rifugiarsi proprio lì perché preferivano tenerlo come ultima risorsa nel caso gli altri loro nascondigli non fossero accessibili.

Ace non aveva parole, non sapeva cosa dire. Sono vivo, si ripeteva, sono vivo. Le emozioni erano come bloccate, a malapena le parole riuscivano a esprimere gli stracci di pensieri che riusciva a formulare. Erano venuti a prenderlo, erano venuti a salvarlo prima che la morte calasse su di lui sotto forma di lame acuminate. Il cuore pulsava freneticamente, i polmoni si riempivano d’ossigeno, il sangue scorreva nelle vene…niente di tutto ciò e molto altro ancora era stato dilaniato sotto l’ordine di qualcuno: ne un illusione o un sogno potevano minimamente essere tanto reali e sconvolgenti ed era quella sua piccola certezza che divise la sua mente come appena colpita da un lampo. Rivide quelle immagini, la stanza dove era rimasto e dove aveva potuto vedere l’indaffararsi della gente sotto i suoi occhi, senza che il suo corpo reagisse ai ordini impartiti. Fu una successione rapidissima, incontrollabile ma lineare: strisce di ricordi riaffiorarono nella sua mente e sfilarono dinanzi alle sue pupille come una pellicola impazzita. Sfrecciavano senza fermarsi ma a Ace, che aveva già vissuto quel momento, bastò che questi sfiorassero la sua coscienza ormai destata del tutto per scattare seduto e far tintinnare così la catena d’algamatolite che teneva addormentati i suoi poteri.

“Stanno tutti quanti bene?” pose quella domanda con una serietà tale che avrebbe bucato le spessi pareti di Marineford se non fosse stato per il tono ancora un pochino flebile.
“Abbastanza: papà ha riportato diverse ferite, accumulando un bel po’ di stanchezza fisica ma a quello ci sta già pensando la donna e le sue collaboratrici. Alcuni stanno riposando in infermeria, altri sono in piedi, abbiamo perfino raccolto un gruppetto di ribelli che ti ha scortato fuori dalla prigione. A questo proposito, ci terrei a farti sapere che…”
“E lei?” lo bloccò Pugno di Fuoco “Lei dov’è?” chiese guardandolo con occhi tetri.

Non era che non gli importasse della condizione del padre, anzi: il saperlo vivo, come tutti gli altri, sollevò dal suo torace parte del peso piombatogli addosso. La scelta di portare sulla sua schiena il vessillo del Re dei Mari aveva cambiato la sua vita, i suoi ideali, ribaltandoli di punto in bianco dopo che con un solo “Si” aveva accettato la sua proposta. Tornare a navigare con la sua ciurma, come se l’incontro con quell’uomo non fosse mai avvenuto era impossibile: la sconfitta non sarebbe magicamente sparita il giorno dopo, ne lavata via con un’altra avventura. Sarebbe sempre stata presente, come una macchia indelebile, deturpando il suo orgoglio ma ricordandogli al tempo stesso che esisteva qualcuno più forte di lui. Era quella la sua vita adesso e la sorte di chi gli stava accanto aveva sempre un posto primario dentro di lui: Marco, Jozu, Vista, Don, Bonz e anche Satch, seppur egli non ci fosse più….. tutti loro, con il capitano dai prorompenti baffi a mezzaluna, avevano arricchito la sua esistenza a tal punto da essere grato al giorno in cui era stato battuto. Era bello e brutto, non poteva scegliere di stare su una sola sponda e il sentirsi così male con sé stesso, fece capire ad Ace che l’affetto per tutte quelle persone era così grande da non poter essere misurato.
Però, in quel suo grande e sincero affetto, vi stava uno spazio ritagliato dalla massa, rimasto silenziosamente accanto a lui durante la prigionia. Uno spazio riempito dall’amore che covava nei confronti di Sayuri. Temeva le parole del medico-cecchino ma pretendeva di sapere che cosa fosse successo, perché era fin troppo logico che il suo salvataggio non avesse implicato la semplicità e il silenzio creatosi dalla sua domanda, pareva incredibilmente combaciare con quello dentro cui si soleva aspettare prima di essere portato al patibolo; i secondi concessi a Don per sedersi e sbuffare con tutta la sua naturalezza, inspessirono i suoi battiti cardiaci, irrigidendogli i muscoli rilassati quanto bastava da fargli avvinghiare istintivamente con le dita le lenzuola.

“Non ti piacerà” lo avvisò l’amico incrociando le braccia.
“Preferisco saperlo da te che da qualcun altro”
“………………………..”
“Don..”
“Ace, senti…”
“Dimmelo!”
“E’ in coma”

Lo stritolare le coperte con tanta foga finì per l’essere un inutile azione. Avrebbe potuto anche andarsi a legare all’albero maestro della nave, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza. Non c’era appiglio che potesse salvarlo o buco abbastanza grande dentro cui sparire. Arrivare a inibire le proprie emozioni era qualcosa che Ace non sapeva fare, che nessun essere vivente era capace di fare: poteva ignorarle, usare la rabbia per coprire la frustrazione, ma non far finta che queste non lo ferissero. A volte si voleva essere in un altro posto, credere che fosse tutta una messinscena, uno scherzo, ma l’accorgersi che quanto ci circondava si fermava, colorandosi di grigio fino a diventare pura cenere, bastava ad ancorare i propri piedi lì, dove si aveva giurato di essere forti.
Aveva chiesto a Don di dirgli la verità perché non voleva avere strane sorprese, non voleva udire da nessun’altra voce come stesse Sayuri ma, nonostante sospettasse che le sue parole non sarebbero state felici, aveva deciso comunque di appellarsi al suo coraggio e chiedere.

E ora la paura scorreva nelle sue vene senza controllo, focalizzandosi attorno a quel volto dal candido sorriso che lei gli aveva sempre rivolto con particolare privilegio. Il sangue nelle sue vene iniziò a dibattersi furiosamente cercando di forarne le pareti ma potè limitarsi soltanto a fargli impazzire il cuore, portandolo ad un’esasperazione dolorosa che si intensificò non appena ella comparve nella sua mente, così, come l’aveva sempre vista, dolcissima, mentre entrambi giocherellavano con le loro dita. Uno dei tanti momenti che avevano vissuto nel pieno della tranquillità senza che niente li disturbasse: a loro era sempre bastato pochissimo per guardarsi con il vento alle spalle che soffiava verso il rosso orizzonte e quel poco Ace lo custodiva gelosamente, lo custodiva tutt’ora nel suo egoismo votato ad avere di più di quanto la vita già desse. Dietro a un grande incendio vi sta sempre una causa che, piccola o grande che sia, rimane comunque l’artefice di quel divampare inarrestabile ed Ace, come si era dimostrato tantissime volte, era il più immenso e ribelle di questi incendi, ma solo perché le cause che lo portavano a ingigantirsi in continuazione non erano frivole o sciocche come il denaro o il singolo concetto di potere.
Tutto ciò che riguardava Barbabianca lo spingeva ad avanzare con orgoglio contro ogni cosa proclamatasi nemica di quel nome: le sue convinzioni alimentavano la distruttività, il bagliore delle sue fiamme ne accresceva il potere e lo sfrenato attaccamento alla libertà rinvigoriva di spirito guerriero ogni suo colpo. Era spregiudicatamente orgoglioso e testardo, lo specchio immacolato del suo carattere: ricavava forza dal dovere e dai legami, la cui influenza su di lui lo portavano a camminare a testa alta oppure a soffrire nel caso uno di questi fosse perito. Al momento, del maestoso incendio quale era lui, non c’era traccia: le fiamme, sue fedeli servitrici, si erano ripiegate su sé stesse da prima slegandosi dal loro calore, per poi scomparire senza lasciare traccia. L’incendio si era spento di propria iniziativa, senza che l’acqua facesse nulla, senza che niente interferisse. Il suo cuore aveva smesso di battere non appena l’affetto per quella persona che contraccambiava i suoi sentimenti gli era stato strappato dalle mani con violenza. Sayuri gli era stata tolta così, a bruciapelo e seppur non se ne fosse veramente andata, Ace si sentì comunque come se ella adesso fosse veramente morta.

“Che…? No, non può essere…” le dita ammorbidite non ebbero neppure la forza di tornare a stringere i lembi delle lenzuola tanto erano paralizzate "Non scherzare, non....."

Sperò di aver sentito male ma l’irremovibilità dei occhi di Don non lasciò a vedere altro se non la risposta espressa a parole. Sayuri era veramente nello stato descritto dall’amico: in coma.
Improvvisamente, tornò in possesso delle proprie mani, riuscendo a imprigionarci nuovamente le lenzuola. Le dita divennero bollenti quanto una giornata passata al freddo e senza guanti, caldissime, come ubriache, arrossandosi ma senza esplodere come di consuetudine quand’egli non riusciva a controllarsi.

“Voglio vederla”
“Te lo sconsiglio”
“Voglio vederla!” ripetè Pugno di Fuoco con più forza e la testa china.
“Ti faresti solo del male” replicò il medico-cecchino pacatamente.
“Per questo penso sia un po’ troppo tardi”

Pretendeva forse che rimanesse impassibile dopo una notizia del genere? Saperla in una condizione tanto critica bastava per farlo saltare fuori dal letto ma come mosse il braccio, l’effetto della algamatolite con coi era stata costruita la catena si manifestò, rendendolo ancor più innocuo di un cucciolo nei primi giorni di vita. L’effetto della pietra incideva pesantemente sul suo fisico ma Ace non demorse e provò a liberarsi con l’altro braccio, cercando qualcosa che facesse scattare la serratura: tentò in ogni maniera a sua disposizione ma alla fine a fermarlo fu lo stesso Don, che interruppe il suo inutile strattonare afferrandogli senza sforzo il polso libero.

“Non la romperesti neppure a morsi e lo sai, quindi ora fammi il piacere di stenderti e di aprire le orecchie, perché non ho ancora finito: ci sono diverse cose di cui sei all’oscuro e io non ho intenzione di alzare il mio regale didietro fino a quando non te le avrò spiattellate tutte. E’ giusto che tu sappia, senza contare che comunque verresti a sapere ogni cosa poiché il posto è quello che è e le voci circolano”

Lo aveva detto lui stesso, preferiva sapere i fatti da lui che da chiunque altro. La schiettezza del suo migliore amico gli era parsa subito l’unica soluzione plausibile, la sola via percorribile su cui non avrebbe trovato dei segreti. Necessitava della verità per quanto il primo assaggio non fosse stato dei migliori e, pur sospettando che il seguito sarebbe stato ancora peggio, smise di strattonare la catena per lasciare che il medico cecchino proseguisse nel suo racconto.

Tutto partiva da Sayuri: il loro piano iniziale di andare a Marineford per gettare ai piedi di Sengoku il guanto di sfida era mutato alla sua chiamata, alle sue richieste. Si era diretta al Quartier Generale per patteggiare, finendo solo per essere presa a sassate e chiusa in una cella ma, in una qualche maniera a loro ancora sconosciuta, era riuscita a fuggire e a giungere a Impel Down senza essere una prigioniera. Inspiegabilmente a Ace venne in mente il brutto muso del vecchio Garp ma lasciò che quella emersione spontanea da parte della sua mente scivolasse via. Permise che altro si imprimesse per bene nella sua memoria, ogni dettaglio e passo compiuto dalla ragazza e dai suoi amici: vi era un vuoto abissale in quelle ore notturne, Don ci sorvolò sopra con qualche accenno ma senza scavare nel profondo poiché ogni comunicazione era stata vietata per mantenere integra la copertura della compagna. Il successivo arrivo alla prigione poi, si era rivelato talmente movimentato che era occorso più del previsto per poter sfondare le linee nemiche: per il recupero vero e proprio si dovevano porgere i ringraziamenti ad alcuni prigionieri cappeggiati da uno strano tizio dal naso rosso – ora imboscato da qualche parte di Rock Spire nel vano tentativo di andarsene –, a un certo pirata dal corpo di gomma di cui non disse nulla per il volerlo tenere come gran finale e a un altro gruppo di strani e ambigui individui guidati da un…..bleah, il solo pensiero era rivoltante.
D’accordo che il mondo era bello perché vario ma certe cose – e le chiamava cose perché non trovava altro modo di definirle – non stavano ne in cielo ne in terra e il disgusto nauseante emergente dal suo stomaco parlava da solo. Il detestare le donne non lo aveva mai spinto a dormire con il fucile accanto a sé o con un coltello nascosto sotto il cuscino ma come si diceva, c’è sempre una prima volta per tutto.
Forse era perché se ne andavano in giro conciati a quella maniera che erano stati rinchiusi a Impel Down: il solo guardarli avrebbe fatto spirare l’anima a chiunque. Fortuna che lui aveva uno spirito forte ma anche in quel caso, preferì non approfondire nulla che potesse minare la salute mentale del compagno.
Concluso quel riassunto riunente battaglie, sbudellamenti di mostri marini, massacri ai danni della Marina e incontri ravvicinati con canaglie e esseri umanamente inclassificabili – ma rivelatisi validi alleati -, arrivò la parte peggiore…….

“Don, ancora non mi hai detto come si è ridotta in quello stato” chiese Ace calmo ma non nascondendo la punta di impazienza che colpì il medico-cecchino proprio dove voleva.

Snobbare il lavoro narrativo dell'amico non era nelle sue intenzioni, al contrario: come aveva parlato di loro e del padre, le nere iridi di Ace si erano destate di colpo, mostrando al meglio quanto fosse preoccupato per le sorti della ciurma. L’uomo col berretto di lana lo aveva rassicurato più volte ma il sollievo datogli da quella notizia stava per rompersi al suolo e la cosa non poteva di certo dargli piacere: non appena avrebbe pronunciato quel nome capace di risvegliare sensazioni disgustose sia all’udito che alla vista, la piccola sconfitta incassata sarebbe tornata immediatamente a dolere. Al solo pensiero si incupì, ritirando la testa e permettendo che un’ombra scura gli coprisse la parte superiore del viso. Un simile cambiamento comportamentale, un così repentino oscuramento dei propri tratti si era già manifestato non troppo tempo indietro.

“Lui era là, Ace” mormorò Don seriamente“Era a Impel Down”

Non aveva detto il nome, ne fornito un indizio sul suo aspetto, ma la sua sottile ostilità, così tagliente e fredda, non poteva riferirsi a un comune nemico proveniente dall’esterno. Quel “Lui”, era riferito a chi aveva tradito, a chi si era divertito alle loro spalle e come i pesanti e stanchi occhi dell’ex vice dei pirati di picche si scontrarono con gli occhi completamente sgranati e boccheggianti di Ace, lo smacco ricevuto si riaprì all’istante.

“Come sarebbe a dire che era a Impel Down? Don, che  diavolo stai dicendo?! E’ impossibile!” ruggì il moro.
“Se fosse impossibile non l’avrei di certo visto coi miei occhi e neppure Marco” replicò lui portando la visuale sul pavimento legnoso.

Il comandante della seconda flotta sentì distintamente il suo corpo ribollire. Il fuoco che cercava di richiamare si limitava ad accumularsi insistentemente sotto la sua pelle ma senza mai trasformarla. Sarebbe esploso se l’algamatolite non glielo avesse impedito: avrebbe ridotto Rock Spire in cenere, sciogliendo la pietra come burro sotto il sole cocente e nessuno lo avrebbe fermato se quel rifugio non fosse stato abitato. Era un bene che fosse legato ma la furia dipinta sul suo volto lasciò intendere che la tranquillità creatasi era andata a farsi benedire e che difficilmente ci sarebbe stato un argomento capace di sedarlo a dovere; ora i pezzi del puzzle stavano incominciando a incastrarsi a regola d’arte. Ace collegò quei pochi frammenti a sua disposizione senza stare a rifletterci, con getto istintivo, arrivando a coniare una così impellente ira che il solo sguardo avrebbe ucciso il primo malcapitato. Era sufficiente lasciare che la fantasia aggiungesse le fiamme rosse dai guizzi giallastri e arancioni perché a quel ritratto di pura esplosione d’ira venisse dato l’ultimo tocco di perfezione. L’emozione era paragonabile alla rabbia che si provava quando si assisteva a una ingiustizia senza che vi si potesse avere voce in capitolo: si era impotenti e quel che si voleva gridare rimaneva confinato dentro le pareti della propria coscienza. Le mani pizzicavano frementi di poter sfogare quanto stava portando il corpo e la mente oltre il limite della sopportazione; Don non faticò a immaginare cosa Ace stesse pensando ne a quanto gli sarebbe stato facile sbaragliare l’intero esercito della Marina se armato di quel sentimento. Il gelido brivido che gli salì lungo la colonna vertebrale lo avvertì soltanto della metà di un decimo di quanto in Pugno di fuoco si stava scatenando e sarebbe stato bene che facesse chiarezza in quei pochi punti non ovvi della faccenda, prima che l’amico fraintendesse un particolare che invece poteva rivelarsi fatidico su molti aspetti.

“E’ arrivato prima di noi. Non avevamo idea che fosse lì o del perché e la cosa ci ha decisamente presi alla sprovvista; appena entrati a Impel Down abbiamo scoperto la sua presenza ma, data la situazione, saremmo passati oltre se Sayuri non fosse rimasta indietro a trattenerlo”

Non appena quella parole, testimonianti la verità, toccarono il pensiero creato antecedentemente, dandogli una forma ancor più concreta di quanto già non pesasse sul suo orgoglio, Ace si sentì veramente sprofondare. Raggiunto l’apice della rabbia avrebbe dovuto esplodere in una maniera indicibile, coi polmoni gonfi e i tendini più tesi delle corde di violino ma, anziché dare fuori di sé nel superare quel punto di non ritorno….si spense. Fu come se il suo rancore non avesse trovato sbocco nonostante l’irritazione suscitata dalla verità, come sei tutte le sue energie appena ritrovate si fossero volatilizzate appositamente per lasciarlo lì, come un guscio vuoto privo di emozioni. Eppure lui di emozioni, di sentimenti più che altro, ne stava provando fin troppi e il suo corpo, non sapendo a quale rispondere, agì lentamente: per qualche istante, anch’esse strepitarono come aveva fatto la loro sorella ira poco prima ma a lungo andare, caddero a terra con lo stesso fragore di uno specchio e si disperdettero qua e là senza più farsi sentire. Automaticamente, tornò a guardare verso il basso, con l’osso del collo afflosciato, inspiegabilmente molle e la trachea dolente per l’ossigeno ridotto a minuscoli puntaspilli invisibili.
Se lo aspettava, l’aveva immaginato, ma non pensava realmente che fosse accaduto……

Ti chiedo soltanto di fidarti di me, nient’altro.

Se quella notte fosse stato più ragionevole, magari nessuno dei due si sarebbe ritrovato in un letto. Magari, niente di tutto quello che si era venuto a preparare si sarebbe manifestato, insomma…sarebbe andata diversamente se lui le avesse dato ciò di cui lei più necessitava al momento: un appoggio, il suo appoggio.
Sayuri non aveva chiesto altro ma il sangue di Satch e il folle sogno di Teach avevano macchiato la sua vista a tal punto da arrivare a ferire una delle persone più care che aveva al mondo, allontanandola nella maniera di cui lei aveva sempre avuto tanta paura.

“Hai tutte le ragioni del mondo per reagire così e se vuoi dopo ti porto in magazzino così potrai sfasciare tutto quello che vuoi in caso ti venga un attacco isterico” gli disse Don, deducendo il succo dei suoi pensieri “Nessuno di noi ti biasimerebbe: l’ha ridotta male, ma credimi Ace, se avessimo potuto, non lo avremmo di certo lasciato fuggire una seconda volta”

A volte si pensa che le parole non siano sufficienti, per questo si pretende che queste vengano immediatamente succedute da fatti concreti, per dare prova del proprio coraggio o per mantenere una promessa, ma quanto stava venendo raccontato apparteneva al passato e per tanto, di dimostrazioni pratiche non se ne potevano avere, tuttavia, la fermezza con cui il medico-cecchino stava minuziosamente spiegando ogni singolo avvenimento accaduto durante il suo stato di incoscienza, mise in mostra quanto il mancato desiderio di regolare i conti con Teach fosse incommensurabile. In qualunque altra occasione, che non avesse implicato il salvataggio di vite amiche, tutta la ciurma di Barbabianca, alleati compresi, sarebbe saltata addosso a quel bastardo giusto per ricordargli che uccidere un proprio fratello non era un crimine sui cui si poteva sorvolare, specie se poi il suddetto aveva utilizzato un altro suo compagno come merce di scambio per entrare nella flotta dei sette e quasi strangolato la ragazza di quest’ultimo. In qualunque altra occasione, avrebbero fatto prevalere la giustizia del loro capitano ma a Impel Down, la precedenza di salvarlo e di fuggire prima che la situazione peggiorasse irreversibilmente, aveva posto in secondo piano tutto quanto, perfino un quella palla di lardo.

Pugno di Fuoco poteva arrabbiarsi, ne aveva tutte le ragioni, sia per le azioni commesse dall’ex sottoposto che per la vergognosa sconfitta subita ma giustamente anche i suoi compagni avevano il diritto di provare il suo stesso astio e il comprenderlo, lo acquietò un po’.

“Lo so....” mormorò rilassando i muscoli “Scusami”
“Tranquillo” Don vi passò sopra come se niente fosse “Quell’assatanata dai capelli viola fa di peggio”

Volle continuare ma a giudicare lo stato emotivo in cui Ace era sprofondato, non se la sentì di rincarare la dose, anche se lui stesso glielo aveva chiesto. Il peggio gliel’aveva detto e dal suo punto di vista, non vi era null’altro che potesse distruggerlo psicologicamente come il sapere che la propria ragazza era imprigionata in un profondo stato comatoso. Preferì tacere e sorvolare ma la fortuna volle che ci fosse qualcosa che potesse risollevare l’animo di Pugno di Fuoco, anche se prima di arrivare allo stadio della felicità sarebbe dovuto passare attraverso quello dell’incredulità e dello sfogo esasperato. Ci aveva tentato prima a parlargliene, ma il suo cocciuto comandante lo aveva tamponato bruscamente per chiedere altro e lui, nel suo stropicciarsi per l’ennesima volta le palpebre, si grattò il cuoio capelluto con sopra il berretto di lana, sospirando al pensiero di come Ace avrebbe reagito sapendo che oltre ai già citati prigionieri, a capeggiare il suo salvataggio vi era stato anche……….

SBADABAM!!

“ACEEEEE!!!!!”

La porta della stanza venne letteralmente sfondata, lasciando che al suo interno vi si intrufolasse una specie di fulmine bianco e rosso: questo si gettò letteralmente sul moro, atterrandogli sopra l’addome con la stessa grazia di un sacco per le patate.

“Coff, coff! Che diav…Rufy?!?”
“Ciao fratellone!” lo saluto il ragazzo di gomma sfoggiando un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava all’altro.
“Cosa accidenti….?!” non riuscendo a spiccicare una sola frase corretta, finì per guardare il compagno
“Stavo cercando di dirtelo prima che fra i tuoi salvatori improvvisati c’è anche lui, ma tu non mi hai fatto finire…” borbottò il medico-cecchino.

Pugno di Fuoco guardò prima Rufy, poi Don e poi nuovamente il fratellino coi occhi che rischiavano di uscirgli dalle orbite e la mascella sul punto di rompersi. No. No, no, doveva essere uno scherzo, insomma…Rufy non poteva..avrebbe dovuto trovarsi miglia e miglia distante da lì, con i suoi compagni su chissà quale isola, non lì!!! Non che non gli facesse piacere rivedere il suo fratellino ma lui…come diavolo aveva fatto ad arrivare lì??

“Che bello, finalmente ti sei svegliato!” esultò il minore “Tutte le volte che sono venuto a trovarti, continuavi a dormire. Ho provato anche a metterti sotto il naso un cosciotto di carne ma neppure quello ha funzionato!”
“Vero” confermò il compagno. Lui e l’assatanata dai capelli viola avevano fatto a turno per riportarlo nella sua stanza tirandolo per l’orecchio. E dire che lui era uno dei feriti più gravi….

Teoricamente avrebbe dovuto trovarsi nella sua stanza, a letto e invece stava saltellando come un grillo senza essere per nulla provato dalle ferite.

“Rufy…” pronunciò nuovamente Ace “Cosa ci fai qua?” a momenti rischiò di strozzarsi con la saliva per la sorpresa.
“Uh? Come che ci faccio qua?” ripetè quello come se non avesse capito la domanda “Sono venuto a salvarti! Non potevo di certo lasciare che tu morissi, no? Me lo avevi promesso!” gli ricordò con le ginocchia incrociate e le braccia dritte che affondavano nel mezzo d’esse.

Come dimenticare quella promessa….
Lo aveva giurato, lo rammentava bene, ma comunque non era quello il punto. Suo fratello minore non avrebbe mai dovuto trovarsi lì per nessuna ragione e vedere da distanza ravvicinata la moltitudine di bende che lo ricoprivano – praticamente tutto il corpo, esclusa la testa sbarazzina – rese cosciente il maggiore dei numerosi pericoli che quella testaccia di gomma aveva incontrato per venirlo a prendere.
Rufy sorrideva tutto felice senza minimamente spostarsi da sopra Ace ma, ancor prima che questo potesse arrivare a mollargli uno sbuffo in testa, qualcuno lo precedette sul tempo, afferrando il più piccolo per un orecchio.

“ Tu sei decisamente un paziente impossibile” proferì Maya tirandolo giù per il letto con uno strattone “E questo non è un parco giochi dove si può correre su e giù a piacimento” aggiunse saldando ulteriormente le sue dita laccate di smalto sul lobo del fratello di Ace.

Senza neppure essere anticipata dal tipico rumore prodotto dai tacchi alti, la capo infermiera era scivolata nella stanza e apparsa ai presenti con l’immancabile divisa rosa confetto e gli stivali leopardati. Notando poi che il paziente di quella stanza aveva ripreso i sensi, i lineamenti femminili del suo viso si ammorbidirono, sciogliendosi in un’espressione più tranquilla.

“Oh, Ace! Ti sei svegliato. Come ti senti?” gli domandò lei.
“Meglio, grazie” rispose un po’ scombussolato.
“Mi fa piacere” sospirò sollevata. L’avrebbe abbracciato volentieri ma preferì rimandare a quando le sue ferite si sarebbero rimarginate del tutto.

Anche nella donna vi erano segni di inequivocabile stanchezza: tanto per cominciare, i lunghi e ondulati capelli viola, sempre lasciati sciolti, erano riuniti in una coda bassa. Le labbra scarlatte avevano perso lucentezza, così come la pelle, un poco sbiadita sia per la frenetica attività senza soste, sia per il mancato trucco che era solita portare. Nessuno che fosse in possesso di competenze mediche aveva trovato pace e anche chi non sapeva distingue un polmone da un fegato aveva contribuito al meglio delle sue possibilità. Benchè ora il reparto infermieristico di Rock Spire fosse silenzioso, appena qualche giorno addietro era ridotto peggio di un supermercato nel pieno delle feste natalizie. La ressa si era sparpagliata qua e là per riprendere fiato ora che il ciclone aveva deciso finalmente di spostarsi e dissolversi ma Maya, Don e altri medici, stavano ancora lavorando poiché le condizioni di salute dei feriti non si curavano da sole.

Passando il lobo dell’orecchio di Rufy a Don, si avvicinò al letto del moro per poi inginocchiarsi e toccargli la fronte, eseguendo tutta una serie di piccoli controlli generali quali la tassazione del polso, la corretta respirazione e via dicendo. Come sempre fu molto scrupolosa e Ace, nell’incrociare per una frazione di secondo i suoi occhi color rubino, oltre al sollievo di vederlo finalmente cosciente, notò fra le pagliuzze più scure delle sue iridi, un guizzo color sangue tanto forte da essere vivo. Pugno di Fuoco seppe interpretarlo all’istante, poiché esso cercava di capire se fosse al corrente della attuale situazione. Maya non voleva essere severa ne aveva intenzione di rimproverarlo, perché consapevole di non rientrare nella faccenda scattata fra lui e Sayuri. Lesse nel ragazzo la confusione, lo stupore per essere vivo, la sorpresa nel vedere che tutti loro erano venuti unicamente per lui ma anche il dispiacere per quei gesti che avevano fatto si che fra lui e la ragazza emergesse una muraglia così spessa ed alta da non avere alcuno sbocco per entrambi. Lei, col suo occhio femminile, scrutava in profondità ciò che i maschi si limitavano a sfiorare e si rincuorò per ciò che colse in Ace; almeno così non avrebbe dovuto prenderlo a mazzate più del necessario. Poteva esprimere una propria opinione al riguardo, indirizzarlo se fosse stato necessario ma non avendo voce in capitolo, si limitò a un mentale atto di solidarietà, trasmesso con un gesto visivo.

Lo so che ti senti in colpa e so che ti è difficile accettare che quanto è accaduto è dipeso dalle tue scelte. Gli disse lei con occhi dolci e compassionevoli. Non lo ammetteresti mai per puro orgoglio, ma so che sei felice di tutto questo, solo che ancora non te ne sei reso conto.

Era sufficiente che capisse questo per ottenere le risposte che Ace ancora cercava, seppur non ne fosse totalmente consapevole. Maya voleva che riprendesse fra le mani quel valore tanto prezioso che lui aveva sempre amato e difeso, lo stesso che al momento sembrava invisibile; sapeva che il ragazzo aveva tutte le carte in regola per ottenere quanto già era suo ma doveva arrivarci da solo.

Siamo una famiglia, Ace. Disparata ma pur sempre una famiglia e se ricorderai questo, capirai perché abbiamo messo in gioco le nostre vite. E’ scontato che se lei fosse stata al posto tuo non avresti guardato in faccia nessuno pur di salvarla. La ami, no?

Al sorriso maliziosamente incurvato della capo infermiera rispose lo sguardo sbarrato di Pugno di fuoco, come se avesse recepito gli ultimi pensieri di ella.

“Bene, i tuoi parametri sono stabili e la febbre è scesa del tutto” affermò poi lei verbalmente finendo la visita “Con questo non dico che puoi scorrazzare in giro come se niente fosse, ne che puoi abbuffarti come un animale. Sei in convalescenza e ciò significa che le tue ferite possono riaprirsi e la salute incombere in una ricaduta. Se provi a mettere un piede fuori da questa porta, sappi che berrai acqua per il resto della tua vita e questo vale anche per te Rufy, sono stata chiara?” stabilì troneggiando sui due fratelli con la stessa minacciosità che solo un boia armato di scure sapeva sprigionare.

Non ci fu bisogno di rispondere perché l’aura rossiccia che fluiva attorno alla donna, insieme alle corna sbucate da sotto i capelli e gli occhi ridotti a due luccichii inquietanti, esigette dai due malati un semplice e rapido cenno positivo con la testa.

E poi dicono che le donne sono creature delicate che vanno trattate con gentilezza. Vorrei sapere chi è l’imbecille che ha messo in giro questa panzana..  Borbottò mentalmente Don guardando la scena rimanendo al sicuro nel suo angolino.

Più che gentilezza, a quella donna sarebbe occorsa una camicia di forza e a lui un parrucchino: a forza di grattarsi la nuca rischiava di diventare pelato nel mezzo e avrebbe finito per assomigliare a un prete. Esclusi i pidocchi, perché almeno il tempo di darsi una lavata l’aveva sempre trovato, quel continuo grattarsi l’aveva attribuito istantaneamente al molteplice stress accumulato fino a quel momento…e anche all’estrema vicinanza con quella assatanata indossante lo stretto asciugamano rosa che lei cocciutamente chiamava divisa.

Ha poi il coraggio di affermare che la sua è eleganza…

Meglio se lasciava perdere. Se non ci pensava, evitava di perdere i capelli e dunque di farsi un buco sulla testa: c’era ancora un sacco da fare e le notizie fresche di stampa non lo aiutavano di certo a stare in piedi. Per quanto Rock Spire fosse isolata, un giornale lo si riusciva sempre a recuperare. Se nutriva ancora dei minuscoli dubbi sul fatto che Sayuri fosse andata realmente a Marineford per patteggiare, le prime pagine del giornale smentivano ogni sospetto al riguardo, con tanto di capi d’accusa e una nuova e fresca taglia da duecentottanta milioni di berry, insieme poi ai altri colpevoli. Non si poteva certo dire che la sua fosse stata una visita di cortesia e del tutto passabile…….

No di certo. Ha solo mandato a quel paese i cinque astri della saggezza e dato degli incompetenti ai più altri esponenti della Marina. Una cosa che si fa tutti i giorni.

Dovette impiegare tutto il suo buonsenso per non esplodere in uno sfogo esasperante. Dio! Ma tra tutti i momenti possibili, perchè la santa decideva di alzare la voce, quando lui non c’era per riprendere il tutto con un luma-camera?!

Sbuffò pesantemente, socchiudendo gli occhi. Beh..la fritta ormai era fatta e lo star lì a cincischiare in preda ad isterismi mentali non era il caso, non con la donna in agguato. Il lavoro chiamava ed era giunto il momento di andare a vedere se gli altri pazienti fossero sufficientemente in forze per essere sbattuti fuori dal letto.

“Va bene, è ora di lasciare riposare il malato. Avanti moccioso, si torna in camera” brontolò il medico-cecchino afferrando per l’avambraccio Rufy.
“Che??? Noooo, io voglio stare qua con Ace!” si lamentò quello cercando di divincolarsi.
“Magari quando i punti di sutura non ti salteranno più. Tienilo un momento, donna” e lo lasciò nuovamente a Maya cosicchè potesse avvicinarsi a Ace.

Gli raccomandò rapidamente di fare il bravo e altre robette varie su cui non voleva soffermarsi visto che esse implicavano tempo e spiegazioni aventi frasi articolate con alto rischio di sonnolenza ma, nel raddrizzarsi, fece scivolare nella mano del comandante un minuscolo e sottilissimo oggetto di metallo che Ace nascose dopo aver udito un’ultima aggiunta silenziosa.

“Reparto infermieristico della Moby Dick, ultima stanza del terzo corridoio. Puoi scioglierle i legacci, ma niente di più: se dovesse sputare sangue, falle la respirazione artificiale ma in caso aggravato, usa il lumacofono sul comodino. Vedi di non fare casini” gli aveva detto.

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Capitolo 72
*** Open your eyes. ***


Buonasera a tutti quanti! Siamo arrivati ad un altro momento cruciale, quello che, immagino, stavate aspettando tutti quanti! Ora, escluso questo, e incluso l’extra mancano esattamente quattro capitoli alla fine della fict, quattro! A stento ci credo…non ho mai scritto così tanto in vita mia. Beh, che posso dire? I saluti ve lì farò alla fine, adesso godetevi questa prima particina di AcexSayuri ^^.

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Quando il tramonto calava su Rock spire, la roccia bagnata dei grandi spuntoni che emergeva dalle profondità marine si ricopriva di pagliuzze dorate, risplendendo a contatto con la luce soffusa del sole rosso.
Lo specchio dorato che ballava sulla superficie dell’acqua emetteva bagliori delicati, emananti un’atmosfera diversa da quella tempestosa del mezzogiorno. Indubbiamente, il tramonto era l’istante del giorno dove il calore si acquietava, andando a sfocarsi appositamente per infilarsi sotto le coperte notturne. Per quell’unica ora al giorno, i fasci che dipartivano dall’orizzonte mutavano dall’oro al rubino, variando, di tanto in tanto, con sfumature rosee e grigie, nel caso alcune nuvolette col latte stessero passeggiando pigramente nel cielo. In sostanza, uno spettacolo di luci calde da assaporare in tutto il suo splendore.

Perfino il sorriso smagliante della polena della Moby Dick era uno scintillio continuo. Era come se finalmente la grande balena fosse tornata a sorridere, così tanto da piangere per la gioia. Debolmente, i raggi solari filtravano da ogni finestra e oblò lasciato aperto, arrivando anche in quei corridoi che solitamente necessitavano di un lumino ancor prima delle luci serali. Il giallo opaco si rifletteva sul pavimento legnoso, che scricchiolava ritmicamente sotto i passi di Ace, privi di fretta, rivolti ad una meta precisa e senza che eventuali rompiscatole gli puntassero un forcone contro, per la troppa calma con cui si stava muovendo. Non c’era nessuno a bordo della Moby Dick, tutti quanti si erano sistemati negli alloggi di Rock Spire, svuotando le stive e portandosi dietro pochi effetti personali. Alle riparazioni ci si avrebbe pensato più in là, quelle potevano aspettare, ma Ace non sarebbe stato capace di attendere un solo secondo di più: il suo fisico pretendeva ancora parecchio riposo, ma lui non lo stava a sentire, poiché di dolore fisico non ve ne era traccia. Proseguiva imperterrito, senza modificare la propria andatura, con la chiave lasciatagli da Don nel fondo della tasca dei pantaloni. Al moro non premeva sapere il perché di quel gesto da parte del medico-cecchino, ne di qualunque altra azione a suo favore: in quel frangente, ogni cosa era stata volutamente posta in secondo piano, al giorno dopo, se proprio doveva fissare una data, ma, nonostante le ore a sua disposizione fossero meno di ventiquattro, a lui erano comunque sufficienti. Non gli occorreva correre o cercare nei angoli più disparati di quell’ammasso di scogli per orientarsi: lui già sapeva, ne era sicuro, che lei fosse là, esattamente dove aveva pensato sin dall’inizio.   

Le ombre semi oscure e il pallore dei fasci solari si diluivano a vicenda, non appena lui tagliava il tutto col suo passaggio. Di tutte le parti del suo corpo, il viso era sempre stato quello che non veniva mai illuminato, seppur al momento non portasse il suo cappello preferito. Scivolò lungo i corridoi della sua casa galleggiante con la stessa silenziosità di un fantasma e quando fu davanti alla porta che fungeva da ultima barriera al raggiungimento della sua destinazione, si concesse solo pochi secondi per mordersi il labbro inferiore, prima di girare il pomello e liberare i polmoni con un lungo sospiro.
La camera era di modeste dimensioni, un locale comune, ordinato, pulito, e con un piccolo bagno sulla parete di fronte, poco lontano dalla porta appena aperta.
Guardò a destra e a sinistra con noncuranza, ma rimanendo sul ciglio d’essa, per verificare che fosse tutto a posto; dalla finestra aperta il tramonto stava completando il suo quotidiano spettacolo, con appena un cenno di vento solleticante le spesse tende di cotone tirate ai lati. Arieggiata e immersa in una soffusa luce dorata dalle sfumature arancioni, la camera era addormentata in un silenzio maestoso, come se le fosse stato fatto un incantesimo apposito per indurre le persone a pensare che dovevano trovarsi da tutt’altra parte. Se Ace non fosse stato cosciente di quanto successo, la sua mente lo avrebbe indotto ad auto-convincersi che quella era stata semplicemente una giornata come tante altre, passata a servire Barbabianca, a navigare in lungo e in largo coi gabbiani che si divertivano a fare le giravolte in mezzo alle vele della nave, a camminare su terre mai visitare e ad andare avanti con le proprie scelte strette in petto.
Il sol pensiero gli fece sorridere il cuore: ne sarebbe stato maledettamente felice, se soltanto quanto capitatogli davanti agli occhi non lo avesse tenuto ben ancorato a dove doveva stare. Guardò quell’oggetto colorato di sua proprietà come fosse un cimelio creduto perso o buttato via perché orribilmente brutto, ma che puntualmente tornava apposta per suscitare il tormento, esattamente come ora stava facendo il suo zaino con dipinto sopra un motivo ad anguria, posto ai piedi del letto. Il vederlo lo stupì, e finì per alzare di poco le sopraciglia, nel mentre quel pizzico di stupore l’aiutava a realizzare che non uno, ma due dei suoi accessori preferiti fossero lì e non in chissà quale discarica, insieme alle macerie dell’isola di Banaro: appoggiato sopra lo zaino, c’era il suo cappello arancione, con tutti i decori da lui aggiunti in quegli anni, pulito e senza neppure una scucitura. Vederlo lì, l’aiutò a capire che l’inganno da lui archittetato era stato scoperto prima della pubblicazione della sua condanna a morte, ma, d’altro canto, non doveva poi esserne tanto stupito: lei non sarebbe mai tornata alla Moby Dick, non dopo aver scoperto che lui le aveva scambiato il log pose, non con quel farabutto in giro….

Nemmeno lui lo avrebbe fatto. Figurarsi se tornava alla nave senza aver portato a termine la propria missione. Figurarsi…se lasciava che la sua Sayuri finisse fra le sudice mani di quel schifoso bastardo. Senza neppure girarsi e con un debole giro di chiave, chiuse la porta, per poi avanzare di qualche passo fino a inginocchiarsi davanti ad essi. Osservò il suo zaino nel più assoluto dei silenzi, senza un pensiero o una parola, come se fosse la prima volta che lo vedeva. Lo fissò con le iridi ridotte a due semplici cerchi neri, privi di sfumature luminose: lo osservò con fare ipnotizzato, perdendosi fra le strisce scure e il verde base della stoffa, ignorando la consapevolezza di dover guardare più in alto. Perdersi in piccolezze materiali era un metodo inutile per rimandare il momento decisivo, che si trattasse di semplici bagagli oppure di tonnellate d’oro massiccio. Ace, a quel punto, avrebbe potuto trovarsi fra le mani anche il tanto famigerato One Piece, ma non lo avrebbe degnato della giusta attenzione, non con la mente inchiodata su un pensiero fisso, la cui priorità aveva un peso non poco consistente per la sua coscienza. Tardare per paura, poi, non era nel suo stile, non era affatto il tipo che aspettava o mostrava esitazione, non Ace Pugno di Fuoco, il formidabile comandante della seconda flotta di Barbabianca: il prolungare l’attesa non faceva che a inspessire un’agonia che, probabilmente, se affrontata subito, poteva durare massimo dieci secondi, ma quando Ace raccolse finalmente il coraggio per muovere la testa, realizzò che a lui dieci secondi non sarebbero stati sufficienti. Alzò il capo scompigliato e corvino un po’ più in alto, fino a guardare il letto e, nel raddrizzarsi, gli parve che il pavimento sotto ai suoi piedi fosse misteriosamente svanito.

Non cadde a terra, rimase dritto e fermo, anche se i polmoni gli si accartocciarono come se un’immane pressione li avesse appena compressi. Nel venire lì si era preparato o almeno aveva cercato di figurarsi quel momento al meglio delle sue possibilità. Don non gli aveva dato certo la chiave solo per liberarsi dalle manette e farsi una doccia: lo conosceva come se fossero nati insieme, ogni sua espressione, per il medico-cecchino, equivaleva a uno stato emotivo particolare. Se fosse stato lì, probabilmente avrebbe riconosciuto anche a occhi chiusi la devastazione dipintasi sul viso del moro, il dolore, la sofferenza non rivolta a sé stesso, e ne avrebbe percepito l’intensità a tal punto che sarebbe arrivato a pensare che simili nomi non fossero sufficienti per descrivere lo stato di Ace. E intanto, lui si arrampicava sugli specchi, cercava di non crollare, seppur le impalcature del suo carattere stessero già crollando come tanti castelli di sabbia. Il non sbattere le palpebre lo portò a provare un forte pizzicore alle pupille, che si accentuò non appena emise un nuvoletta invisibile e accaldata di ossigeno trattenuto per troppo a lungo.

Era lì.
Sayuri era davanti ai suoi occhi, esattamente nel medesimo stato in cui Don l’aveva descritta.

Il letto era ad una piazza e mezza, con morbide coperte azzurre che arrivavano appena al di sotto della vita del seno della ragazza. Giaceva mezza seduta con le braccia piegate ai lati e i polsi imprigionati da stretti legacci per tenerla ferma. Le mani, appena dischiuse, erano perfettamente immobili, molli e senza vita. I lunghi capelli castani si disperdevano sul cuscino con morbidezza, espandendo un dolce profumo alla vaniglia percepibile soltanto da molto vicino. Ogni tanto il vento li smuoveva come minuscole onde, giocando a schiarirli oppure illuminando i fini lineamenti dei viso di lei, profondamente addormentata come il resto del corpo, in attesa di chissà quale segnale…

Si diceva che niente al mondo fosse più angoscioso e freddo dei abissi marini; erano i cimiteri di molte navi, rifugi per creature che alla luce del sole non sapevano come vivere. C’era una credenza, una specie di favola che i pescatori si divertivano a raccontare ai bambini, ma Ace non la ricordava molto bene: parlava di strani esseri dalle fattezze simili a piccoli stelle, che inducevano gli audaci a scendere ancor più in basso di quanto il loro fisico permettesse. Se Sayuri fosse stata una di quei strani esseri o se anche solo la sua anima fosse stata imprigionata laggiù, il moro avrebbe tentato fino alla fine dei suoi giorni pur di riprendersela, ma visto e considerato che lui, contro l’acqua, non poteva vincere, si sarebbe semplicemente lasciato andare giù, cosicchè lei non fosse costretta a patire la solitudine per l’eternità. Ma il punto era che Sayuri non si trovava in fondo al mare o ai confini del mondo: era davanti a lui, imprigionata in uno stato catatonico e dunque più lontana di quanto fosse stato lui.
L’impotenza fece inginocchiare Ace come se metà delle sue gambe fossero state tranciate di netto. Quella stanza, per quanto fosse accogliente, non aveva nulla di diverso dal patibolo a cui era stato destinato; l’impotenza che stava provando era la stessa. Lì, dove le sue mani e tutto ciò che gli apparteneva, salvo forse la disperazione, non potevano risollevarlo.

“Brutta stupida…” mormorò lui, nel serrare le sue mani attorno ai lembi di coperta sporgenti “Guarda come ti sei andata a conciare…”

Aveva scorto solo minuscoli frammenti di quel quadro che poi era la ragazza e solo quelli erano già stati sufficienti a fargli chinare la testa con una facilità tale da risultare incredula. Pugno di Fuoco era famoso per essere estremamente orgoglioso e poteva ben fare concorrenza con il capitano Barbabianca: neppure da morti avrebbero accennato ad abbassare il capo, sarebbero stati capaci di morire in piedi, in tutta la loro fierezza. Ma in certe battaglie, dove il potere Foco Foco non aveva voce in capitolo, così come la forza fisica, la velocità e tutto il resto, contava soltanto l’animo e i puri sentimenti, elementi che stavano piegando Ace senza alcuno sforzo. Tornò a guardarla, soffermandosi a lungo sulle lunghe ciglia scure di quell’unico occhio non coperto, osservando poi gli angoli della bocca rosea, appena dischiusa verso il basso, e tutti i delicati lineamenti che si incrociavano fra di loro per formare quel volto che veniva guardato con lo stesso incanto che si provava nel ritrovarsi davanti una creatura dal fascino inspiegabilmente irresistibile. Nel leggere singolarmente i dolci tratti facciali della ragazza, per poi unirli come un puzzle, Ace vi scorse la spossatezza e anche il dolore che pareva starle dando ancora fastidio. Le sopraciglia non erano rilassate com’era di consuetudine quando si dormiva: erano appena un po’ piegate, gemelle in tutto e per tutto alle sottili linee delle palpebre, che lasciavano presagire la fatica del riposo. Il respiro ogni tanto si appesantiva, esattamente come quando si era vittime di un febbre altissima e indubbiamente, anche quella posizione a lungo andare scomoda, non le stava giovando ma, dietro a ciò, doveva esserci una ragione medica più che valida, che lui, per mancata conoscenza medicinale, non poteva immaginare su due piedi.
Attratto da quelle minuscole perline trasparenti che le scendevano lungo il viso, passando fra l’incavo dei occhi e poi sulle guance come fossero lacrime, Ace vide sulla fronte della giovane una morbida pezza d’acqua fresca. La bacinella con cui più volte quel piccolo asciugamano era stato bagnato stava sulla cassapanca affiancante il letto, sopra cui c’era anche un’altra ciotola metallica, piena di bende sporche di sangue che il ragazzo non mancò di guardare con smorfia amara, insieme a un respiratore utilizzato di recente e al lumacofono menzionato dal medico-cecchino, da usare in caso d’emergenza.

In quel breve attimo di silenzio, rotto soltanto dal suo pesante espiro, buttò fuori parte della sua stupidità per l’arroganza impressa nelle ultime azioni compiute, prima che le conseguenze calassero su di lui senza lasciargli alcuna via di scampo. Certo che la mano non gli tremasse, afferrò i lembi delle lenzuola con le punte delle dita, scoprendo il restante gradualmente, lasciando che i raggi impolverati del tramonto accentuassero ancor di più la debole luminosità dei contorni fisici di lei, vestiti di bende spesse quanto il cotone. Nel loro essere candite, le fasciature rovinavano quel quadro tanto tenero quanto dolce, dando in bella mostra le ferite e tutto ciò che esse comportavano; seppur fossero celate con maestria medica, agli occhi di Pugno di Fuoco, erano più che visibili. Le sapeva profonde, gravi, rosse e angoscianti, su quel corpo ridotto alla più flebile delle fragilità; gli permettevano di immaginare cosa avesse patito per raggiungerlo, quanti ostacoli avesse dovuto affrontare tutta sola e quanti colpi aveva incassato senza emettere alcun gemito. Aveva anteposto la sua incolumità a qualsiasi altra cosa la riguardasse strettamente, ne era certo: inevitabilmente Sayuri, anche se lei stessa ne era consapevole, finiva col trascurarsi, tanto si faceva assalire dalla preoccupazione. Come l’orgoglio si accendeva in lui, ardendo e devastando più di un incendio, lei agiva mettendo da parte la sua vita, concentrandosi su chi o cosa necessitasse del suo aiuto, tendendo la mano senza esitazione; ora che non vi era più una ragione o un qualcosa per cui valesse la pena consumarsi fino a diventare cenere, tutto si era spento, ingrigito, perdendo così vigore e valore. L’orgoglio del fuoco era vivo, ma piatto, debole e opaco, completamente diverso da prima che le catene riuscissero a intrappolarlo.

Ferito per la sconfitta.
Amareggiato  per la vergogna.
Sofferente per chi aveva rischiato la vita per lui.

“Maledizione, maledizione..!” imprecò disperatamente, mettendosi le mani nei capelli “Maledizione!”

Se non poneva rimedio a quella situazione alla svelta sarebbe impazzito, ma nessuno dei poteri in suo possesso, poteva destare la sua ragazza e questo gli stava facendo letteralmente perdere la testa. Non sapeva cosa pensare e quando stette per cedere, fece la sola cosa che il suo istinto gli dettò e che Don gli aveva concesso di fare: allungò le mani sul materasso e iniziò a sciogliere i legacci che tenevano fermi i polsi di lei, stendendoli con molta cautela. Era sul punto di toglierle anche la rigida imbragatura di cuoio che le bloccava la vita, ma preferì fermasi lì, poiché non era saggio liberarla totalmente nel pieno della cura; dovette fermarsi alle cordicelle, che ripose sulla cassapanca sempre facendo attenzione ai suoi movimenti. Dio solo sapeva quante ne avrebbe sentite su da Maya quando lo avrebbe scoperto, ma, francamente, non gliene importava un fico secco delle sue prediche o di quanto avesse sbagliato a saltare giù dal letto, ignorando le sue condizioni. Avrebbe dovuto capire il suo stato emotivo e probabilmente se fosse stata lì non gli avrebbe negato un piccolo cenno di ragione, ma in quel preciso istante, la sola cosa che premeva a Portuguese D.Ace era che la mano che tanto stringeva, sui cui poi fece appoggiare la propria fronte, per coprire gli occhi brucianti per le lacrime, si muovesse, che desse un minuscolo ma visibile cenno di vita.

“Accidenti a te, Sayuri. Ma che diavolo ti è saltato in testa?” mormorò rottamente e con rancore visibilmente rivolto a sé stesso “Affrontarlo da sola..”

Cosa le era venuto in mente? Combattere contro quel lurido bastardo da sola….
Non c’era mai stata l’ombra di una possibile vittoria per lei. Lui aveva perfino evocato il Dai Enkai Entei pur di schiacciarlo a terra, ma aveva finito per essere inglobato in quella sfera oscura e tartassato dalla pressione fino allo sfinimento. Ricordarlo non gli fece bene all’orgoglio, ma l’aver pensato di essere più forte di Sayuri, di certo, non gli aveva e non gli faceva tutt’ora guadagnare punti: forse in fatto di forza fisica la superava, ma quanto a doti riflessive, quali la pazienza, lei era cento passi più avanti rispetto lui.
Voleva prenderla in braccio, toccarla, ma la paura di romperla, fermava ogni sua intenzione nascente, bloccandolo al semplice contatto fra mani. Sayuri era così fragile in quel momento, indifesa….amorevolmente assopita e tenera quanto un pulcino raggomitolato nel suo nido, ma con sempre la graziosità e l’incanto di un cigno in procinto di spiccare il volo.
Se soltanto non ci fossero state quelle maledette bende……..

Ogni volta che guardava ne scopriva altre, non finivano mai; era quasi convinto che si mostrassero a gradi puramente per rendere la sua visita ancora più straziante e disgraziatamente ci stavano riuscendo piuttosto bene. Alzando di poco la visuale, le osservò facendo scorrere con molta attenzione le sue pupille su tutto il corpo di lei. Le fasciature partivano dalla punta dei piedi e proseguivano lungo le ginocchia; la gamba sinistra era scoperta dal quel punto in poi, mentre la destra proseguiva su per i pantaloncini viola scuro, intrecciandosi con le fasciature che le stringevano l’addome nascosto dalla maglietta senza maniche col fondo a sbuffo. Il braccio sinistro, mano esclusa, era il solo arto totalmente privo d’esse, ma la stessa cosa non si poteva dire per il secondo, curato fino a sfiorare la spalla appena scoperta. La sola medicazione che non fosse unita alle altre era quella della testa, dove Ace non potè non alzare il proprio di capo, soffermandocisi con occhi ancor più liquidi: le bende le fasciavano tutto il collo e appena un po’ più sotto ad esso, incrociandosi sotto il mento e congiungendosi dietro la base della nuca. Nel suo scrutare scrupolosamente, il moro non mancò di notare il grande cerotto latteo su cui aveva già posto l’occhio in precedenza; questo copriva parzialmente la parte destra del viso della giovane, lasciando libera una minuscola parte della guancia, che lui sfiorò con l’indice, senza il timore che lei si dissolvesse come polvere al vento.
Mosse il dito avanti e indietro più di una volta, con la guancia premuta sull’avambraccio, ma poi scelse di toccare con leggerezza il collo col proprio palmo della mano. Nel suo piccolo, voleva sperare che quel gesto le desse un pò di sollievo, in qualunque dimensione lei si trovasse. Lasciare che si immergesse in un illusione dove la brutalità emersa nell’ultimo periodo non esistesse, era un desiderio che, per quanto Ace desiderò realizzare, non poteva avverarsi. Altrettanto forte era il voler non farsi vedere da nessuno ridotto a quel modo: in fondo, era un uomo, un pirata, e per nulla al mondo avrebbe fatto la figura del moccioso che si lasciava prendere dal panico per delle banalità.

Ma chi prendo in giro….Sospirò mentalmente, tornando a far combaciare la fronte con il dorso della mano della castana.

Se davvero era un uomo come aveva appena affermato, perché diavolo gli veniva da piangere? Era fin troppo cosciente che cosa fosse quel bruciore arrivato a fargli strizzare le palpebre, tanto da inumidirgli le ciglia, e sapeva altrettanto bene che il minuscolo calore liquido che stava per colare giù, lungo le sue guance, sarebbe stato un semplice, ma pur sempre evidente pianto.

“Sono un’idiota. Un grande idiota” affermò con la mano di lei sempre avvolta nella sua “Quello che dovrebbe essere semplice da capire, io lo trovo assurdo e finisco per rendere la cosa più complicata di quanto sia realmente. Forse è perché a parte me, te e papà, nessuno sa che io sono il figlio del Re dei Pirati..”

Se ci fosse stato qualcun altro al posto suo, la Marina non lo avrebbe trattato con tanti riguardi. Senz’ombra di dubbio, se a essere catturato fosse stato Marco o Jozu, per esempio, un tipo come Sengoku il Misericordioso avrebbe organizzato qualcosa per cui la sua grande abilità di stratega venisse nuovamente riconosciuta, ma sicuramente nulla di così sfarzoso; non che loro non fossero pirati degni di nota, ma si sa, di figli del Re dei Pirati ce n’era uno solo e quello era lui. A lui era stato destinato il patibolo reale di Marineford, l’intera presenza del corpo militare coi suoi più alti esponenti e gli occhi di ogni singolo essere vivente che avrebbe ricordato quella guerra come uno scontro epico contro il più anziano dei quattro imperatori. Non centrava quasi niente il fatto che fosse un potente e pericoloso pirata, non centravano nulla le gesta compiute nel corso della sua carriera. Loro sapevano – Il Misericordioso e quel vecchio pazzo del nonno – chi lui fosse realmente e l’essere stato servito su un piatto d’argento, non li aveva lasciati indifferenti.

“Tu lo sapevi, non da sempre, ma lo sapevi e mi hai sempre considerato un persona estranea a quello che il mio sangue dice” riprese deglutendo amaramente “Ammetto che la cosa al momento mi ha lasciato spiazzato. Anche quando l’ho confessato a papà non sapevo come prendere le sue risate”

Il ricordo di quelle risate lo fece sorridere nostalgicamente. Aveva scelto spontaneamente di rivelare la sua reale identità al capitano e quello aveva preso la sua confessione come fosse una bazzecola di peso irrilevante. Lui, che era stato il più grande rivale del suo padre biologico, ci aveva riso sopra e lo aveva fatto perché proprio non gliene importava una mazza e ad Ace erano occorsi diversi secondi prima di rendersi conto della sua reazione. Non ci aveva creduto che Barbabianca potesse prendere la questione con così tanta leggerezza, ma la verità era che lui considerava i legami di sangue con un metro diverso dal suo, per questo non si era fatto tanti problemi a dirgli come la pensava al riguardo. In quel momento, il peso del passato che grava nei angoli remoti di lui si era alleggerito, non scomparso, ma diventato meno spigoloso e fastidioso, abbastanza da venir coperto con quella sua nuova parte di vita. Aveva provato sollievo, felicità, dandosi dello scemo per quanto fosse stato ridicolo. Barbabianca aveva posto sulle sue origini il suo simbolo, accettandolo come tutti gli altri suoi figli ed Ace aveva messo a disposizione del Bianco la sua lealtà, la sua forza, portando il cognome della madre come per rafforzare il suo distacco dal vero padre. A lui andava bene, la sua vita non doveva essere per forza ricollegata a quella dell’ex Re dei Pirati, per questo si era lasciato alle spalle ciò che più lo infastidiva per prendere posto nella ciurma del Re dei mari come comandante della sua seconda flotta.

Non gliene importava niente fintanto che cuore e mente li rivolgeva all’incoronazione di Barbabianca, non gliene importava niente fintanto che stava su quella nave, non gliene importava niente fintanto che combatteva le battaglie con tutti i suoi fratelli, non gliene importava niente fintanto che poteva ridere e festeggiare con quella che era stata la terza benedizione della sua vita. La prima era indubbiamente sua madre, la seconda, Rufy: entrambi gli avevano fornito una ragione in più per stare al mondo, una ragione più che valida da rendere sopportabili le dicerie della gente, a volte troppo gonfiate dalla loro stessa ignoranza.

Ad Ace non importava....ma agli occhi di Sayuri, niente di quanto diceva o pensava poteva essere l’effettivo riflesso della verità: quella notte l’aveva raccolta prima che precipitasse troppo a fondo nel suo stesso dolore e nel mentre gli confessava tutto, una morsa indefinibile gli aveva attanagliato lo stomaco: lei non centrava nulla con la pirateria, ci era stata gettata ancor prima che nascesse e, esattamente come una barchetta in mezzo ad un oceano nebbioso, aveva tirato avanti per paura di affondare e non risalire più. A Ace non importava, se l’era ripetuto sempre….ma gli importava l’opinione che Sayuri aveva su di lui, le sue impressioni e non c’era paura più grande dell’essere allontanato proprio dalla ragazza. Una semplice confessione o, nel suo caso, un scoperta casuale poteva mutare addirittura un intero rapporto d’amicizia e trasformarlo in qualcosa per cui poi si avrebbe provato rimpianto per tutta la vita: c’era questa possibilità, c’era sempre stata, perennemente accompagnata da un forte timore incastrato in gola. In fondo, quando si era il figlio di un demonio - così la gente amava definirlo - non ci poteva che aspettare questo e peggio, e Ace lo aveva imparato bene: quando si è il soggetto di tali calugne o di qualcosa strettamente collegabile ad esso, ricordare le smorfie di disgusto, le voci arrabbiate e tutta una serie di comportamenti che emergevano quando si parlava di Gol D.Roger, era facile quanto imparare a parlare. Lo aiutava a intercettare il colpo, a prepararsi a incassarlo adeguatamente senza che gli facesse male più del dovuto. Diceva che non gli importava…ma invece aveva passato molti anni a cercare di prevedere le fitte al cuore che il nome del Re dei Pirati scatenavano in lui.

“Essere il figlio del Re dei Pirati non è sufficiente a renderti diverso ai miei occhi e mai lo sarà”

Strabuzzò gli occhi nel sentire quelle parole già ascoltate in passato, con l’uguale dolcezza di allora risvegliarsi e salire fino a raggiungergli la mente.

“Io mi sono innamorata di Portoguese D.Ace, non di Gol D.Roger. Mi sono innamorata del capitano dei pirati di picche, del secondo comandante della flotta di Barbabianca, non del figlio del Re dei Pirati. Non mi risulta che esista un Gol D.Ace, senza contare che un simile cognome non è molto bello da sentire. Non mi importa sapere quali reati abbia commesso questo Re dei Pirati perché io conosco te, non lui. A te ho giurato fedeltà, non a lui. Amo te e te solo seguirò fino alla morte, e poi....le lentiggini ti donano molto più dei baffi”

C’era una ragione più che valida se quella notte era stata diversa dalle altre. In effetti, c’era sempre stato qualcosa per cui valesse la pena non soffermarsi sul passato, solo che Ace aveva la tendenza a dimenticarsene e il percepire la castana vicina a lui nello spirito, fece stringere le sue dita ancor più delicatamente quelle di lei, sorridendo e mordendosi il labbro inferiore senza mai alzare la testa.

“E’ strano, non so perché..” disse con le spalle singhiozzanti e la voce rotta “Ma mi viene da piangere se penso a quello che avete fatto e non…” dovette tirare su col naso “E non riesco a smettere per la felicità!” esclamò di colpo mentre quelle stesse lacrime di cui da bambino si vergognava tanto straripavano dai suoi occhi “Non pensavo…che sarei stato tanto grato di questa vita e vorrei che tu potessi ascoltarmi, vorrei che tu fossi sveglia anche solo per rimproverarmi!” singhiozzò serrando la mascella “Spiegami come cavolo faccio a chiederti scusa se tu non ti svegli!!” urlò.

Poteva essere il famoso Pugno di Fuoco, capace di distruggere intere flotte con una sola vampata rovente.
Poteva essere il comandante della seconda flotta di Barbabianca.
Poteva essere uno dei pirati più forti e temuti che si fossero mai visti dall’inizio dell’era della pirateria.
Poteva essere tutto questo, ma di certo, Ace non poteva non essere umano e come tale, reprimere i propri sentimenti. Nessuno metteva in discussione la sua forza, ma, in fondo, egli rimaneva pur sempre un ragazzo, un moccioso in confronto a certi veterani. E, a dispetto dell’apparenza, era abbastanza fragile da versare lacrime per chi amava. Sfogati pure se ti va, gli avrebbero detto i suoi compagni, ne hai tutto il diritto.

Svegliati. Chiese con più enfasi Dannazione, svegliati, Sayuri.

Era sul punto di impazzire tanto si sentiva inerme. Non poteva più sopportare di vederla addormentata, senza che lei gli sorridesse. Era come se quanto realizzato fino a quel momento fosse inutile: la sua felicità non la poteva risvegliare, il suo rinnovato attaccamento alla vita e a quanto essa conteneva non era sufficiente perché il sonno di lei si interrompesse. Sbatterci contro le poche briciole di orgoglio era utile quanto lanciare dei sassolini contro le alte mura di Marineford e cercare di abbatterle col fuoco era ancora più vano. A malapena riusciva a creare una fiammella sulla punta dell’indice; affondare le unghie nei palmi cercando di far salire la temperatura del proprio corpo fu solo uno spreco di tempo, ma l’unica maniera consentitagli per scaricare la frustrazione senza distruggere l’abitacolo. Non c’erano catene a imbrigliargli i polsi e a schiacciarlo contro una fredda e umida cella di prigione, solo tanta impotenza emotiva nel vedere la persona tanto amata in quello stato di sonno perenne. Il padrone delle fiamme era a terra, sconfitto, con le mani rosse e le fiamme ridotte ad un labile ricordo dai colori sfocati.

“U….Uh…gh…”

Improvvisamente, il silenzio disturbato solo dai suoi continui pensieri fu interrotto da qualcosa che spezzò addirittura lo frusciare del vento fra le tende. Ace alzò la testa di scatto, puntando il viso su quello della castana, visibilmente cambiato.

“Sayuri…?”

Anche se impercettibilmente, le sopraciglia si erano aggrottate ancora di più, insieme ad alcuni dei lineamenti facciali. Il moro lo avrebbe preso per uno sbaglio se soltanto non avesse scorto per una seconda volta dei tremiti involontari. Tra quei piccolissimi movimenti, sentì il suo respiro farsi più pesante, quasi rocco, per poi tramutarsi in un leggero tossicchio.
Ace alzò il busto per osservarla da più vicino, percependo la mano che ancora stringeva, accentuare la presa. Che si stesse svegliando?

“Sayuri? Sayuri, sei…?”
 “COUGHT!”

Stava per sperare che lei aprisse gli occhi, ma quel violentissimo colpo di tosse ruppe l’illusione allarmandolo. La ragazza tossì ancora, con brutalità, arrivando a sputare sangue.

“No! Sayuri, no! Calma, va tutto bene!”

La castana prese ad agitarsi immediatamente, un po’ per il dolore riemerso e per quanto stava patendo. La pezza d’acqua fresca scivolò giù dalla sua fronte e le macchioline scarlatte colarono dalle sue labbra per calcare le linee del viso, scendendo così lungo il collo. Con ottimi riflessi, Ace riuscì ad afferrarle i polsi prima che questi sgusciassero via, portandoli sopra la testa di lei e tenendoli con una mano sola.
La cinta di cuoio stretta in vita la bloccava, impedendo che anche le gambe si divincolassero con troppo slancio, ma rimaneva comunque il fatto che non riusciva a respirare adeguatamente.

Dannazione!

Con le vene di lei che pulsavano da sotto la carne e rimbalzavano contro le sue dita, Ace decise ancora una volta di lasciarsi guidare dall’istinto, che lo condusse ad alzare con la mano libera il mento di lei, per poi far combaciare le sue labbra con quelle della castana; sarebbe stato più saggio se l’avesse girata sul fianco per impedire al sangue di ostruire la gola, ma legata com’era, non c’era altra via che la respirazione artificiale, senza contare che poi, sciogliere l’imbrigliatura, avrebbe solo peggiorato le cose. Avvertì il sapore metallico del sangue scendergli giù per la trachea, ma non ci badò e continuò a mandarle tutto l’ossigeno di cui i suoi polmoni disponevano, interrompendo la respirazione artificiale solo per sputare fuori dalla bocca un po’ del liquido scarlatto ingerito.

Era disgustoso, orribilmente caldo, ma continuò puramente per cancellare quel male sgorgato prepotentemente e a lungo andare, neppure si accorse di aver sciolto la presa  suoi polsi di lei per portare la mano dietro la nuca castana e alzarla dal cuscino. Se in quel momento si fosse reso conto di quello che stava facendo, forse si sarebbe fermato, ma non appena aveva toccato le labbra di Sayuri, ci era voluto molto poco perché il cervello si staccasse dal resto del corpo; si lasciò inebriare da ogni sensazione smarrita, assaporando la dolcezza di quel bacio che pian piano stava risvegliando e ricongiungendo i frammenti del loro legame, rottisi per quella brutta litigata. Per quanto con il solo ricordo una persona o un sensazione potesse sopravvivere, niente poteva superare il contatto diretto ed Ace nel baciare la sua ragazza, si lasciò trascinare dall’ondata di pura calma che era solito provare quando lei gli faceva compagnia.
Realizzò che tutto questo gli era mancato terribilmente e nel approfondire quel contatto, insinuando le dita fra i suoi capelli, sperò di sentire la sua voce cristallina, limpida come la superficie dell’acqua, di percepire quei suoi tocchi tanto leggeri da risultare paragonabili a delicati petali di fiore. Voleva sentirla così vicina da sapere senz’ombra di dubbio che fosse sua e di nessun’altro, come il suo potere di portare gli incendi lungo il mare. Senza di lei le sue fiamme perdevano colore e intensità, perdevano vita e si sa, una fiamma senza vita, è destinata a spegnersi ancor prima di nascere. Non si rese conto che il metallico sapore del sangue era scomparso e che la sua respirazione bocca a bocca si era venuta a trasformare in un bacio vero e proprio: si lasciò trasportare ancor più lontano, permettendo alla spirale di ingrandirsi, ma a ridestarlo, ci pensò qualcosa per cui lui subito tornò in quella stanza dove il tramonto aveva consumato quasi del tutto il suo momento di gloria: in un punto non ben definito della sua testa, avvertì distintamente delle dita toccargli alcune ciocche corvine e accarezzarle come per verificare che fossero vere.
Percependo ciò, Ace aprì gli occhi, incrociando un soffuso spicchio color cioccolato dalle sfumature disperse e confuse, che lo guardarono con fare indebolito.

“A….A-Ace..”
 



Un’altra sera era calata al rifugio roccioso; già prossima a diventare una notte a tutti gli effetti, il silenzio tombale che si respirava, lasciava presagire che quelle sarebbero state altre ore di pura tranquillità. Decisamente una buona notizia per gli uomini della ciurma.

La stanza dove Barbabianca riposava era identica a quella presente sulla Moby Dick, appena un po’ più grande e con più macchinari attorno al letto, dove il Re dei Mari stava semiseduto con gli occhi rivolti alla grande finestra spalancata. Era inutile star lì a descrivere come stesse, poiché in egli non c’era novità che i suoi figli avessero già riscontrato: era stabile, sveglio, ma necessitava di riposo e il suo corpo, per questo, non poteva sottrarsi alle flebo e agli anestetici che la capo infermiera gli aveva rigorosamente prescritto. Le ferite erano state prontamente medicate, il sangue perso, restituito, niente era stato tralasciato o trascurato; era tornato come nuovo, sempre con la vecchiaia a pesargli sulle ossa, ma vivo, appena un po’ più affannato del solito. La grande giacca ornata di decori rossi e dorati, con cucito dietro l’immancabile vessillo era perfettamente appoggiata alle sue spalle, incapace di staccarsi da esse o anche solo di allontanarsi. I morbidi cuscini ammucchiati all’estremità del letto gli permettevano di sedere comodamente senza che i suoi muscoli si sforzassero, con le coperte ripiegate sul fondo e le diverse flebo attaccate a specifiche parti del corpo.

Le mal sopportava da quando le sue cure ne avevano richiesto l’uso e se le sarebbe già strappate, se Maya non fosse stata tanto intransigente: quella donna aveva l’argento vivo al posto del sangue ed era uno dei validi motivi per cui era a capo dell’equipe infermieristico, aventi il compito di sostenere la sua salute. Il fatto poi che fosse tremendamente bella, come tutte le altre sue subordinate, era puramente casuale. L’essere tutto intubato non gli piaceva, mica era un vegetale o una cavia di laboratorio! Se ne sarebbe infischiato, ma poiché far arrabbiare una donna oberata di lavoro e visibilmente distrutta, era una mossa molto, ma MOLTO rischiosa, per quell’unica volta non aveva fatto storie, nemmeno quando lei gli aveva confiscato tutto il sakè.
Il leggero bip da parte delle macchine si alternava ritmicamente al suo respiro, rilassato e libero da ogni forma di ostruzione che poteva renderlo rauco o tossicchiante. La comodità del letto lasciava che ogni fatica o dolore svanisse, compreso il fastidio provocato dalle bende fascianti alcune parti del suo fisico e il paesaggio al di fuori della finestra ispirava una tranquillità così soprannaturale che, se non fosse stato per alcuni e leggerissimi sospiri ventosi, avrebbe distaccato chiunque dalla realtà. Seduto sul bracciolo della poltrona e la debole luce della stanza a illuminare il tutto, Marco leggeva con occhi semichiusi il giornale più recente arrivato a Rock Spire. In realtà era vecchio di due giorni, ma indubbiamente, anche se avesse avuto fra le mani quello nuovo, i contenuti non sarebbero stati tanto diversi visto che le notizie erano identiche a quelle dei giorni precedenti. Afferrando con la punta delle dita l’estremità della carta ruvida, stava sfogliando le pagine piene di articoli, farcite di immagini, interviste e scoop che i giornalisti erano riusciti a strappare alle autorità, spostando le pupille cerulee sui punti che più gli interessavano e accavallando di tanto in tanto le gambe.

“Allora, Marco, cosa ne pensi?” gli domandò il padre.

La Fenice abbassò il giornale per concedersi un attimo di riflessione. C’erano molti argomenti che meritavano di essere discussi, ma erano così tanti che il solo trovare un buon punto di partenza era piuttosto arduo. Dall’alto della sua posizione di comandante della prima flotta, Marco si ritrovò incerto sulla sua risposta, perché non poteva negare a sé stesso di essere sorpresa: tralasciando quanto sapevano al riguardo delle conseguenze delle guerra, i suoi occhi erano ricaduti su un particolare che riguardava strettamente un membro della sua famiglia, la cui esistenza ora non sarebbe più stata tanto trascurata dal Governo ed era proprio lì che il suo capitano aveva voluto che la sua attenzione ricadesse. L’essersi soffermato a lungo su quella pagina intera, indeciso se essere impressionato o perplesso, aveva fornito a Barbabianca una buona ragione per ghignare beffardamente.

“E’ una bella sorpresa” rispose infine, piegando i fogli e riponendoli sul cuscino della poltrona.
“Guraguragura! Decisamente…” sogghignò il più anziano.
“Lo sapevi già, vero, papà?”

Il ridacchiare sotto i baffi dell’uomo, diede conferma al giovane uomo dalla curiosa capigliatura ad ananas la risposta alla sua domanda. Lo conosceva bene il suo capitano, come il palmo della propria mano e il vedere distintamente quell’espressione trionfante, ma priva di ogni traccia di stupore, aveva consentito alla Fenice di giungere alla lampante deduzione che lui fosse al corrente di tutto ciò ancora prima di loro e del Governo Mondiale stesso.

“Ce ne sono tante di armi a questo mondo, Marco, ma saprei riconoscere le lame che hanno avuto il coraggio di ferirmi anche a occhi chiusi” gli rivelò, per poi guardare un paio delle sue più grosse cicatrici che spiccavano sull’ampio torace in piena riabilitazione.

L’anzianità lo aveva privato di molte forze, ma non quelle itineranti alla memoria: certi avvenimenti non venivano gettati con tanta noncuranza nel dimenticatoio e Barbabianca non era certo un uomo che dimenticava su due piedi gli individui che avevano meritato il suo riconoscimento, i suoi pugni e anche la sua risata. Tutti i suoi figli potevano arrivare a comprendere che quando il loro capitano parlava con nostalgia, lo faceva nel massimo rispetto di quella persona, godendo di quei ricordi come fossero oro colato. Le cicatrici sul suo corpo, le lacerazioni biancastre e lisce che ogni tanto venivano nascoste dai cerotti, detenevano parti della vita del Re dei Mari che sarebbero svanite soltanto alla sua morte. E tra quelle parti, le più numerose e indelebili, si celava il volto di una persona scomparsa molti anni addietro e che ogni tanto diveniva oggetto dell’interesse dell’imperatore, che soleva riflettere sopra tali pensieri guardando il mare o il cielo, come in quel preciso istante. Benchè suo grande e ostico avversario, l’individuo la cui faccia ora ronzava in testa all’anziano pirata era accompagnata da tutta una serie di sensazioni che rendevano la sua immagine per nulla spigolosa, dura o aspra. Il venticello che si disperdeva nel cielo dalle striature bluastre, tendenti al nero, rafforzarono l’azione di Edward Newgate nell’ampliare quel ricordo a tutte le esperienze vissute, fino a riavercele nuovamente in mano, come scritte su carta. Era solo un immagine proiettata dalla sua mente, desiderata, ma, consapevole che non ci fosse nulla fra le sue mani, l’imperatore sospirò profondamente e con percettibile.

Restando a guardare il padre per qualche secondo, Marco riagguantò il giornale, spiegazzando le pagine velocemente, fino a ritrovare l’articolo letto solo qualche minuto addietro per poi ricominciare a leggerlo sin dall’inizio.

Continua l’assemblea generale indetta dai cinque astri della saggezza nella terra santa di Marijoa. A diverse settimane dall’incidente del ventisette settembre, la situazione è tutt’ora calda e instabile, con pochi sbocchi rispetto a quelli prefissati. Le autorità della Marina hanno convocato i diversi regnanti dei paesi che sottostanno al giuramento di fedeltà alla bandiera del Governo Mondiale per prendere bene in mano la situazione e da più di una settimana, sono impegnate con quest’ultimi e con gli anziani saggi, nella gestione di affari burocrati la cui progettazione e messa in atto non è ancora stata decisa. Nonostante l’impegno per il riassetto dell’asse politico-militare, la Marina si sta contemporaneamente occupando della ricostruzione di Impel Down, dando prova della sua incrollabile efficienza di cui è….

Il biondo interruppe la propria lettura per soffocare un risolino. Anche trovandosi nella disastro più totale, la Marina e il Governo Mondiale non perdevano l’occasione di mettere in evidenzia la loro magistrale prontezza nell’afferrare al volo la situazione. Farsi pubblicità era la sola scelta a loro disposizione per ridimensionare l’entità del danno, e il fatto che ai giornalisti fossero state concesse interviste con gli ambasciatori, era l’ulteriore prova che quelle piccolezze rientravano a far parte di una qualche pianificazione, avente il puro scopo di tenersi ben stretta la fiducia del popolo: era sufficiente dar loro ciò che volevano e la Marina l’aveva fatto…in parte.
I risvolti più cruenti e l’imbarazzo per essere stati così umiliati erano stati sigillati dentro le salde mura del Quartier Generale e non c’era bisogno di essere intelligenti per capire che esistevano fatti che le autorità preferivano tenere per loro, considerate utili nonostante la loro pericolosità. I pirati di Barbabianca avevano poche idee al riguardo, idee che al momento per ragioni più che plausibili avevano messo da parte per godersi il meritato riposo, ma era innegabile che quei fatti al momento occultati, si sarebbero presentati con non poca grazie in futuro. Anche la Marina aveva preferito schedare il tutto e tacere, trovando più saggio concentrare la propria attenzione sui responsabili della quasi totale distruzione della prigione più temibile al mondo: seppur il Re dei Mari e tutti i suoi figli avesse contribuito pesantemente all’opera, il merito di quel disastro era stato attribuito ad un discreto gruppo di individui la cui lista dei reati era tanto lunga da far accapponare la pelle.

Edward Newgate non aveva risparmiato le risate nel leggere i nomi e anche tutt’ora sotto i suoi prorompenti baffi bianchi, vi stava quel ghigno trionfante e carico di soddisfazione. In principio, il comandante della prima flotta non aveva capito cosa ci fosse di tanto interessante in quel giornale che già non conoscesse o avesse previsto, ma dopo averlo letto e focalizzato la parte che il padre voleva fargli notare, la lacuna in lui era scomparsa definitivamente.

Da un rapporto giuntoci per generosa concessione del maresciallo Ayatazu, oltre ai vari ricercati già resi noti, è stata riscontrata la presenza di Sayuri Bianco Giglio, della seconda flotta di Barbabianca. Rimane ancora un mistero come sia riuscita a fuggire dalla cella d'isolamento dentro cui era confinata, ma ciò che gli investigatori hanno scoperto, è la sua parentela con l’ex ammiraglio Aron, detto il Buono, accusato di alto tradimento per l’insubordinazione mostrata nei confronti degli ordini impartiti dai propri superiori e per la divulgazione di documenti raccontanti falsità.

L’articolo continuava su una panoramica tutt’altro che positiva  di quell’uomo - il cui unico reato aveva oscurato totalmente gli atti eroici e generosi rivolti al popolo -, per poi passare direttamente sulla nipote, ovvero Sayuri. 

La sconcertante scoperta di questo legame fra la ricercata e l’ex ammiraglio, ha portato le autorità a prendere con maggior considerazione la pirata sottostante gli ordini di Barbabianca, la cui testa ora vale ben duecentottanta milioni di berry. Fino a questo momento, la sua identità si era limitata alla più che sicura provenienza dal Mare Meridionale, ma, oltre a ciò, non si è mai avuto nulla al riguardo che potesse essere sufficiente per tracciare un profilo completo. Come a voler emulare le gesta del parente, la ragazza è colpevole di aver mancato di rispetto alle alte sfere, accusando sia loro che le autorità militari di incompetenza…

Marco stavolta non riuscì a trattenere una smorfia divertita. Sebbene avesse già letto quelle righe pochi secondi addietro, non potè non trovare divertente il fatto che la sorellina si fosse messa a rimproverare apertamente le persone più in vista e potenti del Governo come fossero dei lattanti. Decisamente un comportamento più che insolito conoscendo la sua indole tranquilla e pacifica..

Questa poi: la nostra principessina che alza la voce. Ci siamo persi proprio un gran bello spettacolo.

Vedere Sayuri arrabbiarsi era un’impresa reputata assolutamente inesistente. Lei e la rabbia non stavano sullo stesso piano visto l’alto grado di incompatibilità e a tutti loro ciò piaceva, perché la ragazza era relativamente serena, ma sempre pronta a dimostrare il suo valore quando la situazione lo richiedeva. Eppure era successo: anche Sayuri, la loro gentile sorellina, aveva perso la pazienza, arrivando ad alterarsi a tal punto da esprimere un quanto giusto disprezzo per quei uomini le cui ragioni miravano alla distruzione delle loro vite e ciò lasciava ampio spazio all’immaginazione perché quel particolare momento venisse ipotizzato in tutte le salse possibili.

“Da quel che c’è scritto qui, pare che questo tizio abbia creato non pochi grattacapi poco prima di dimettersi dalla carica di ammiraglio” affermò la Fenice riassumendo mentalmente quanto appena letto “Lo conoscevi bene, papà?” gli domandò poi abbassando il giornale.

Il capitano volse i suoi occhi verso il centro della stanza muovendo appena la testa, ma indugiò ancora un attimo prima di parlare. Aron, sebbene fosse stato un avversario, era rimasto nei suoi ricordi con un grande punto interrogativo sulla testa. Darsi tanta pensa per capire che cosa passasse nella testa di un marine era un’assurdità bella e buona ma Edward Newgate non faceva mai nulla senza una buona ragione e l’ex ammiraglio contro cui aveva combattuto così tante volte quante quelle di Garp contro Roger, era una motivazione più che sufficiente per impegnare la propria mente in supposizioni e ipotesi costruttive.

“Un uomo come quello..”cominciò guardando poi il biondo “Non sparisce nel nulla solo per evitare di essere catturato dalla Marina. Che lo diffamino pure se vogliono!” esclamò divertito “Gente come lui non si dimentica nemmeno da morti e di certo non saranno quattro sciocchezzuole diffuse malamente a fare di lui un fuorilegge, guraguraguragura!!!”

Avrebbe volentieri brindato con un bel boccale di sakè, ma essendo sotto medicinali e con una capo infermiera prossima all’esplosione neurologica, Barbabianca rinviò il tutto a una data che non implicasse rimproveri o robe del genere. La presenza del comandante della prima flotta nella sua stanza poi era stata appositamente calcolata perché gli ordini di Maya non venissero trasgrediti e, anche se non aveva mai temuto il giudizio dei altri, preferì rispettare gli ordini impartiti dalla donna.

Abbandonando il collo sui soffici cuscini, distese i tendini di quest’ultimi, afflosciando anche i propri ricordi di modo che scivolassero via, lenti come la marea. L’aveva sospettato fin dall’inizio: nel momento in cui aveva scorto quelle lame, era come stato colto da un flashback sfuggente come i fulmini a ciel sereno: come aveva affermato prima, era perfettamente in grado di riconoscere e distinguere le armi che erano state in grado di ferirlo in modo grave nel corso dei suoi lunghi anni di pirata e quei sai, erano responsabili di due delle sue cicatrici più grosse, ma d’altro canto, Aron non era mai stato quello che si poteva definire un novellino. Il tempo dove le loro ambizioni cozzavano l’una fra l’altra come fossero solide, scintillando e producendo colori invisibili, dove il mare si infuriava per come veniva scosso, era lontanissimo ormai, quasi irraggiungibile, ma Barbabianca ricordava così bene quei momenti, che preferì lasciarli immutati, deposti nella loro cornice: non appartenevano al presente e toccarli con mano pesante li avrebbe soltanto danneggiati, per non parlare poi della nostalgia che indubbiamente pian pianino si sarebbe fatta strada dentro il suo animo. Pareva strano, inverosimile soffermarsi così tanto su una persona che in passato aveva combattuto per sbatterti in galera, ma forse ciò era dovuto al fatto che l’avere la nipote di quest’ultimo sotto la propria ala, aveva permesso ai vecchi tempi di trascinarlo al largo e di lasciarcelo giusto quanto serviva perché ricordasse un altro po’.
Sayuri era diversa da Aron, benché ci fossero delle accomunanze caratteriali: era una ragazza molto buona, ingenua nella sua sincerità, il cui legame col vecchio marine era qualcosa di così indistruttibile che neppure le più schifose menzogne a suo carico avrebbero potuto intaccarlo. La loro storia rappresentava un tesoro preziosissimo per la ragazza e violarlo sarebbe equivalso a ferirla. Nessuno, neppure lui, che era il suo capitano, aveva diritto di chiedere qualcosa che avrebbe potuto riaprire solchi curati con tanta fatica.

Sono sicuro che ti stai facendo delle grasse risate, ovunque tu sia adesso.. Ghignò con sfrontatezza.

Se lo immaginava ridere fino all’infarto per come la nipote aveva mandato al diavolo le “Illustre alte sfere” del Governo Mondiale. Sotto sotto, anche lei era sconsiderata, seppur anteponesse la ragione all’istinto e questa prerogativa, poco ma sicuro, l’aveva ereditata dal nonno.

“Marco, dimmi, come sta Sayuri?” chiese poi.

Il biondo, rimasto in silenzio, scosse la testa debolmente, con un che di cupezza nell'espressione facciale.

“E’ stabile, ma non si è ancora svegliata” gli rispose “Maya suppone che sia questione di giorni, giusto il tempo necessario che occorre al suo corpo di riprendere a funzionare correttamente, ma si tratta solo di ipotesi” spiegò mesto per poi aggiungere “Potrebbe volerci più del previsto: trattandosi di un coma, è difficile dirlo...”
“Capisco……” Barbabianca espirò profondamente, sciogliendo ancor di più i propri muscoli.

Un sottile velo scuro ottenebrò il volto del più anziano degli imperatori, velo che arrivò a toccarlo anche emotivamente.
Un uomo come lui, potente sotto tutti gli aspetti, stimato, rispettato, amato e odiato allo stesso tempo..Barbabianca era tutto questo è molto altro ma la gente conosceva soltanto la facciata esterna, la fama che si era creata, non certo la parte interna, molto più umana di quanto si pensasse. Chiamava e considerava figli tutti i componenti della sua ciurma, alleati compresi, per una ragione che, per quanto chiara, era ritenuta una sciocchezza, una strana usanza che il pirata aveva inventato per rafforzare il valore e l’unione della ciurma. Se solo quelle persone avessero avuto l’occasione di passare anche solo un’ora sul ponte della Moby Dick, ogni forma di scetticismo sarebbe evaporata istantaneamente, ma non si trattava di dover dar prova del reale e saldissimo legame affettivo che univa l’imperatore ai suoi uomini: lì si stava semplicemente parlando della sorte di una figlia che ancora non era stata dichiarata del tutto fuori pericolo e ciò bastava per rabbuiare un padre come lui, la cui famiglia non aveva prezzo.

“Glielo chiedo per favore, padre: mi affidi l’incarico di trovare Teach”

Non aveva potuto fermarla o impedirle di andare, anche se si era fermamente opposto alla sua decisione. La brutta sensazione che gli aveva puntellato il petto…. lei l’aveva percepita più viva e nitida, dandole maggior consapevolezza del proprio gesto. Chissà cosa aveva realmente visto…
Più volte se l’era domandato, ma dopo tanto pensare, era giunto alla conclusione che la figlia avesse compiuto solo un paio di passi in più rispetto a lui e che la promessa fatta al povero Satch, le avesse consentito di scorgere quel pericolo abbastanza da farle apprendere, che la faccenda andava trattata con la massima delicatezza. Ma tutto aveva preso una piega così storta e irreparabile che, anche se adesso era tutto finito, l’ombra dell’amarezza, le ceneri e i resti di quanto accaduto aleggiavano sopra di loro come una nuvola tossica e pareva essere proprio quella a tenere addormentata la figlia, la sola mancante all’appello.
Senza, Rock Spire, la Moby Dick, tutto l’ambiente che li proteggeva dall’occhio curioso del mondo, sarebbe rimasto impigliato nella grigia attesa per un tempo incalcolabile.

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Capitolo 73
*** Everything. ***


Salve, buonasera! Distrutta, vi porto la seconda parte del chiarimento fra Ace e Sayuri (beh, il chiarimento vero e proprio sta qui, prima necessitavo di creare la giusta suspance eh eh….) Beh, buona lettura e grazie di cuore a tutti i lettori! Piccola noticina: volevo mettere il link della canzone che ho scelto come soundtrack per questo capitolo ma non ci sono riuscita -_- (devo ancora imparare): Everything dei Lifehouse (E’ anche il titolo del capitolo, eh eh). E’ quella che meglio esprimeva i sentimenti dei due ragazzi. Spero vi piaccia!

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EVERYTHING (LIFEHOUSE).

 
Deglutendo rumorosamente, Sayuri annaspò l’ossigeno con foga, incespicando nel tentativo di risucchiarlo per gonfiare i polmoni e favorire così una respirazione normale.
L’espansione improvvisa della gola bruciò, come se dei residui di cenere bollente fossero venuti a contatto con le umidi pareti di quest’ultima: durò poco e diminuì di intensità nel giro di qualche secondo ma senza sparire del tutto. I muscoli, quei pochi svegliatisi, le formicolarono come per far sentire le loro stridule voci protestanti, indolenzite più fisicamente che moralmente.

Non fu un risveglio totale ma non lo si potè neppure reputare parziale; la maggior parte del suo corpo era ancora incatenato dagli effetti benefici e inibitori delle medicine, aventi il fine di ridarle le forze perdute, così come le bende, il cui compito era nascondere quelle orrende ferite che la imbruttivano. Non c’era mai stata occasione, mai una volta, che avesse provato tanto dolore fisico e la sola vista, bastava per convincersene.
Era stato tutto così improvviso che nemmeno aveva avuto il tempo di realizzarlo, ma ciò era semplicemente dovuto al fatto che fino a quell’istante, lei, era rimasta così lontana da non percepire nulla attorno a sé, niente di niente. Non si sarebbe neppure resa conto di star respirando se ad un certo punto il semplice atto di raccogliere l’ossigeno non le fosse stato negato: era come se le fosse stata cacciata dell’acqua nella gola e lei, nella sua costretta immobilità, non aveva potuto far altro che dimenarsi e tossire. Da lì si era fatto tutto così confuso da impedirle di comprendere o anche solo di cogliere un grammo di ciò che le era successo: la sua sola certezza era che l’assenza d’aria si era fatta così incalzante da accartocciarle la gola ma, ad un certo punto, quasi sopraffatta dallo spavento, da quello strano incubo pieno di male fisico che la stava sballottando con la stessa noncuranza con cui si tratta una vecchia bambola di pezza, qualcosa l'aveva tratta in salvo. L’ossigeno era improvvisamente tornato e, aggrappandosene con avidità, era riuscita anche ad emergere un poco da dove fino a quel momento era stata immersa: quanto inibito tornò a pesare sul suo corpo e sul suo animo, compresa la spossatezza, il fastidio ai arti…tutto quanto. Tutto ciò che prima non aveva potuto sentire, perché troppo addormentata per essere svegliata dai soli sensi, ora aveva iniziato a percepirlo, insieme a quella strana sensazione al livello della labbra….
L’essere toccata con tanta leggerezza, in quel preciso punto non le era nuovo, affatto, ma il ricordo d’esso era così labile che soltanto la piacevolezza del provarlo l’aveva rassicurata. In tanta delicatezza, fattasi poi più forte, proprio per ridarle quell’aria tanto agognata, percepì una sensazione di umido ma anche di un che così dolce da risultare inimitabile: un tepore gentile…umano.
Non riaffiorarono dei ricordi, non tornò null’altro se non un minimo di coscienza e quel minuscolo briciolo di forza riesumato a fatica: poco a poco, riuscì a percepirlo più intenso, vicino, tanto da arrivare anche a differenziarne il sapore e lì, la sua mano, si mosse da sola, toccando qualcosa di sottile e soffice.

Non aveva compreso che fosse in un letto, bendata e medicata.
Non aveva compreso di essere stata addormentata per tre settimane senza mai dare un singolo cenno di miglioramento e che il minimo movimento brusco poteva nuocerle.
Non aveva compreso chi ci fosse lì accanto a lei, chi le avesse fatto la respirazione bocca a bocca, trasformatasi poi in quel semplice e affettivo gesto chiamato bacio.
Non aveva ne comprendeva tutt’ora cosa stesse succedendo, ma aveva comunque afferrato dolcemente quei ciuffi comunemente chiamati capelli, aprendo lentamente il solo occhio a sua disposizione e finendo per farsi completamente avvolgere dalla morbidità di quelle labbra che stavano accarezzando con tanta delicatezza le sue. Poteva una cosa così semplice essere tanto bella?

“A….A-Ace..”

Da semplici aloni dai colori liquefatti, le immagini si ricomposero tanto velocemente da permetterle di vedere gli scuri del ragazzo guardarla con incredulità. Il braccio alzato le ricadde lateralmente alla testa, senza più muoversi da lì nel mentre il formicolare dei muscoli si estendeva al bacino per poi prenderle anche le gambe.
Sentì male in una parte indistinta e gemette, chiudendo gli occhi istintivamente. Non essendo ancora del tutto in sé, il fisico le stava inviando continui segnali di modo tale da inchiodarla saldamente alla realtà ma a farlo concretamente, vi era già qualcosa che per lungo tempo la ragazza stessa aveva rincorso senza mai riuscire a raggiungere.

“Tranquilla, Sayuri. Non ti devi sforzare”

La voce di Ace era così carica di apprensione, che ella, seppur non nella sua forma migliore, vi percepì una titubanza malcelata. Non le sfuggì neppure quel minuscolo tremore dietro la nuca, che l’aiutò a comprendere che era la mano del ragazzo a tenerle sollevata la testa.

Che cosa c’è che non va, Ace?

Avrebbe voluto chiederglielo ma la voce, come per il restante, era ancora assopita. I sensi che l’avrebbero dovuta aiutare a realizzare quanto accaduto, dove fosse e tutto il resto, erano tutti convogliati sul viso del moro, il solo punto che riusciva a guardare e da cui non poteva staccarsi.

Perché sembrava così triste e allo stesso tempo sollevato?
Se lo chiedeva, senza riuscire a rispondersi, eppure sapeva che la risposta c’era, proprio dentro di lei, solo che al momento questa non si voleva far acchiappare. Non aveva consapevolezza, non era a conoscenza di niente, neppure di ciò che più la riguardava strettamente e più si sforzava, più il suo respiro e la spossatezza le appesantivano la testa, quasi si fosse drogata con gli intrugli più disparati che le erano capitati sotto le mani ma, nonostante in lei fosse forte quell’assurda sensazione uguale in tutto e per tutto allo scioglimento osseo, il suo occhio continuava ad essere incatenato a quelli neri e profondi di Ace, emananti un che di aperto, mai visto.

Perché mi guardi così?

Era confusa, disorientata e anche spaventata per quel senso di costrizione che avvertiva su di sé, più forte su alcune parti specifiche del corpo: la fascia di cuoio le bloccava la vita, sotto le bende avvertiva le ferite bruciarle e tirarle la pelle come contesa da due parti: i muscoli, i tendini e tutto quel che componeva il suo corpo e che per qualche attimo aveva creduto tanto assente da essere morto, stava vivendo. Quel formicolio svanito in un sol soffio al suo risveglio, adesso si trovava nuovamente lì; le percezioni che coglieva a tocchi erano così diverse dalle solite che non potè fare a meno di guardarsi in giro spaesata, ridicolmente ridotta a una marionetta senza fili che, per quanto aggiustata con amore, rimaneva inservibile. Tentò di muoversi, provò a smuovere le spalle ma, anziché ricevere lo sperato movimento, fu colpita da altre fitte e per questo gemette ancora. A malapena riusciva a muovere le dita...

Chissà com’era riuscita ad arrivare ad afferrare le ciocche del moro…

Il respiro cominciò ad aumentarle vertiginosamente, insieme al calore fuoriuscente dalle medicazioni: strizzò l’occhio e, dopo aver azzannato le labbra coi denti, le rilasciò per boccheggiare, accaldata perfino dall’interno. Non le piaceva quell’impotenza corporea, ne quell’insieme di fitte che la colpivano ogni qualvolta provasse a spostarsi, specie se poi al momento la ragione di quello stato si divertiva a scivolarle via dalle mani. Aveva paura ma Ace era lì, accanto a lei e si stava prodigando perché stesse meglio, passandole un panno umido d’acqua fresca, da prima sulla fronte, poi alle guance, facendo sempre molta attenzione e con l’altra mano occupata a tenerle sollevata la testa.

“Non sforzarti” ripetè in un flebile mormorio ”Non farlo…”

Suonava quasi come una supplica e quel minuscolo e non nuovo tremore da parte della mano che la stava sostenendo, insinuatosi anche nella voce, tolse quel “Quasi” immediatamente.
Anziché vedere un bel fuoco scoppiettante, Sayuri scorgeva una fiammella molto indebolita, come se ci avessero gettato gradualmente dell’acqua addosso proprio per farle patire a fondo l’umiliazione subita. Ma quale umiliazione poi? Per quale ragione Ace dovrebbe sentirsi umiliato?
Non capiva il perché di quella frustrazione, la sua mente si rifiutava di ridarle la memoria e vedere Ace così preoccupato per lei, come sul punto di crollare, le strinse dolorosamente il cuore: percepire poi le punte delle sue dita accarezzarle la guancia appena arrossata le provocò un buco allo stomaco di indefinibile consistenza. Ignorava molte cose, molti fatti che l’avevano vista compiere azioni tanto incredibili quanto pericolose, ma non era in grado di cogliere in alcun modo cosa il ragazzo stesse cercando di trattenere con tanta forza. Nemmeno poteva sollevare la mano per sfiorargli la guancia lentigginosa com’era solita fare tanto era inerme; le sarebbe bastato anche arrivare al dorso della mano, per poterlo sentire ancora più vicino, per trovare quella piccola traccia che l’avrebbe messa sulla buona strada ….
Fu allora, che se ne accorse: vide qualcosa che prima le era sfuggito, vide spiccare sulla fronte di lui una consistente fasciatura. Credette di sbagliare ma, sbattendo con molta cautela le lunghe ciglia nere, ebbe conferma che quella medicazione era reale. Per tutto quel tempo si era premurata di rimanere nascosta, invisibile, insieme alle altre, quasi desiderosa di mostrarsi solo ad un particolare momento culminante.

Cosa…?

L’occhio le si aggrottò.
Le vedeva chiaramente, benché Ace indossasse una camicia a maniche corte slacciata; da quella piccola apertura  intravide una parte del suo torace completamente fasciato e chissà per quale motivo, si figurò senza troppi problemi altre ferite e altre bende appositamente applicate per farlo stare meglio. Se prima si era poste tante domande sul “Come” o sul “Perché” ora, pian pianino, qualcosa in lei si mosse abbastanza velocemente da aprire uno spiraglio in quella nebulosa di ricordi disordinatamente mischiati fra loro: la vista interiore divenne si disfò d’ogni ombra e sfumatura astratta e, ad ogni aumentare del suo battito cardiaco, quei minuscoli frammenti cangianti scattarono come impazziti, senza alcun controllo. Sayuri finì per essere spettatrice di un così rapido e assurdo spettacolo che alla fine, quando tutto fu tornato al suo posto, rimase senza fiato. Le aveva sempre avute lei le risposte alle domande che si era posta con tanta ansia, insieme ai mezzi.

Rievocò quel momento saliente e terribilmente freddo che aveva tranciato nettamente la tranquillità della sua vita piratesca.
Rievocò parole dalle mille tonalità rispecchianti sentimenti d’ogni genere.
Rievocò scelte dovute e sofferenti.
Rievocò un dolore fisico e mentale che l’aveva portata quasi a morte certa.
Rievocò ancora, continuò a rammentare ogni singolo dettaglio di quelle vicende che l’avevano resa tanto disperata e determinata da farla combattere incessantemente, senza sosta.

Non c’era bisogno che forzasse la sua mente a mostrarle di più, perché quella aveva deciso di fare per conto suo e la debolezza che la teneva ferma sul materasso – coi dovuti supporti medici prescritti – la costringeva proprio a guardare senza poter mettere voce in capitolo in tutto ciò. Se l’avesse fatto, se non si fosse sentita tanto male e stanca, forse avrebbe finalmente mostrato quel lato di sé identificato coi termini “Indignazione” o “Rabbia” e il mittente, sarebbe stato proprio quel ragazzo stante in piedi al suo fianco. Se la sarebbe meritata una strigliata, eccome se la sarebbe meritata…….ma tanto lei non sarebbe riuscita ad urlargli dietro. Certamente, se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato tanto memorabile da essere ricordato ed etichettato come “Possibile segnale della fine del mondo”, ma, poiché i ricordi erano tornati ad essere un tutt’uno in lei, la poverina non potè fare altro che tirarsi il labbro inferiore coi denti, trattenendo istantaneamente il bruciore ai occhi.

Tu..

Adesso rammentava, rammentava così bene da non riuscire a credere di essere lì, che lui fosse lì. La sua fatica era stato premiata, la sua resistenza lodata e la ricompensa per l’aver salvaguardato l’incolumità di quella vita a lei tanto cara, consisteva proprio nel vederla così vicina a sé, abbastanza da avvertirne perfino le sensazioni, perfettamente palpabili al tatto. Aveva rischiato di perderlo per sempre, di non vederlo mai più. Aveva seriamente temuto di non poter più toccare o sentire su di sé il calore delle fiamme di Ace e il convivere con questa prospettiva, avvicinatasi pericolosamente a sfiorare la realtà, era stata si la sua molla di reazione ma anche la più grande paura mai avuto in vita sua. Con un groppo in gola e gli occhi lucidissimi, accarezzò quel minuscolo ritaglio di passato dove finalmente aveva potuto stringere Ace a sé senza temere che questo fosse l’ennesima illusione proiettata da lei stessa. Le emozioni le si accavallarono a piramide, sopraffandola come le lacrime sgorganti dalla parte scoperta del viso.
Finalmente aveva ricordato e, con tutti i pezzi a portata di mano, affondò ancor di più i denti nel labbro, per imprigionare quel moto cresciuto al livello del torace prima che esplodesse esternamente.

“Sayuri, cosa….?”
“Mi…Mi hai….” mormorò rottamente lei “Mi hai ingannato”

Era come se stesse trattenendo a stento una forza racchiusa dentro un globo d’aria calda e densa, abbastanza consistente da gonfiarle il petto e liquefarla l’iride stanca e sbiadita del solo occhio aperto. Non seppe dire altro, ma era indubbio che quella strana sfera dentro di lei stesse risuonando di rimprovero e di quei sentimenti che l’avrebbero mossa per infliggere uno schiaffo al ragazzo. Se ne avesse avuta la forza, forse gliel’avrebbe dato sul serio…….

Al sentire quella frase Ace chiuse gli occhi mestamente, ma annuì senza alcuno indugio, riscoprendo le pupille nere.
L’aveva ammesso, lo aveva fatto: non poteva negare di aver compiuto quanto si era prefissato, quanto era in suo potere per impedire che la sua ragazza trovasse quel bastardo prima di lui. Evitò accuratamente di rispolverare l’ultimo dialogo avuto con lei, di toccare qualunque ramo derivante dalla faccenda principale: voleva estraniarsi, se possibile, ma, per quanto lo desiderasse, sapeva che scappare dai problemi non era mai una scelta saggia e lui, in tutta la sua vita, non era mai scappato. Al massimo caricava a testa bassa fino a farsi tanto male alla testa da ritrovarsela ricoperta di bernoccoli e in quel campo, era il professionista per eccellenza, seguita da altre cappocce di sua conoscenza. Ma, di andare dritto senza guardare chi gli stesse davanti, non gli pareva proprio il caso in quel momento, anche perché non avrebbe avuto il coraggio di abbassare o distogliere lo sguardo anche di solo mezzo millimetro dal viso della castana. 

Lei, d’altro canto, dopo aver passato lunghissimi secondi a guardarlo in cerca della sua risposta, spostò la testa di lato, lasciando che i capelli le coprissero il viso.
La scomodità di quella posizione stava cominciando a diventare alquanto fastidiosa, abbastanza da farla mugugnare ulteriormente insieme al suo corpo: la gola tornò a bruciarle, le ferite a tirarle la pelle e il respiro farsi affilato come lame di rasoio, arrivando a tossicchiare un po’ di sangue sul cuscino.

“Stai calma, non ti agitare”

In men che non si dica, Ace le passò il braccio attorno alle spalle, scongiurando il pericolo che si strozzasse. Di entità diversa dal precedente sfogo, questo si consumò molto in fretta ma lasciò comunque intontita la paziente quanto serviva perché appoggiasse la testa contro il torace del ragazzo.

“Anf…A-Ace….”
“Sono qua”

Aveva soltanto pronunciato il suo nome ma era come se la sua fosse stata una preghiera, una richiesta incompleta: il percepire la vicinanza del corpo di Ace si era fusa allo stordimento fisico, appianando la sua inquietudine. Era straordinario quanto il suono di un cuore vivo, dal battito potente, potesse essere così piacevole all’udito. Quante volte si era lasciata cullare da quel suono avente la capacità di isolare ogni sua male? Troppe, ma non abbastanza da stufarsene. Era parte del suo rifugio, il suo posto speciale dove potevano entrare soltanto lui e lei. Un posto pieno di meraviglie tutte per loro, fatti di sguardi, sorrisi, semplici sfioramenti….e tanto altro ancora che dovevano scoprire e provare insieme. Niente a che vedere con le fortezze da lei create nel corso del tempo.

“Sono qua” ripetè il moro tranquillizzandola ulteriormente “Non avere paura. Ci sono io”

Il vederla in quelle condizioni equivaleva ad un ulteriore senso di colpa per Pugno di Fuoco, che, nel porre gli occhi su quella spessa e costrittiva cinta di cuoio marrone, volle compiere un ulteriore rimedio; visto che i lacci ai polsi erano stati sciolti, non ritenne opportuno che la castana dovesse sopportare ulteriormente l’immobilità: riappoggiandola delicatamente sul materasso, portò le mani verso la vita, slacciandogliela dalla fascia protettiva senza troppa fatica. Fatto ciò, riprese fra le mani il corpo della ragazza, ma solo per accostarlo verso la parete e, salendo a sua volta sul letto, si sdraiò di fianco a lei, nascondendola subito fra le sue braccia, senza ricevere alcuna forma di opposizione. Aveva quasi dimenticato cosa significasse averla così vicino e dovette imporsi non poche volte di stringere la presa: una statuina di porcellana già rovinata da diverse incrinature avrebbe posseduto più stabilità rispetto a Sayuri e lui doveva stare attento, in qualità di causa primaria del suo malessere. Don, nel raccontargli i fatti, era stato scrupolosamente coerente, permettendogli di compiere ogni sorta di collegamento che gli permettesse di ricostruire i fatti senza errori; se solo si soffermava a che cosa servissero quelle bende, cosa nascondessero, la voragine creatasi nel suo petto si ingigantiva a tal punto da inglobarlo interamente.

“Non era mia intenzione depistarti” le disse concentrandosi nuovamente sul suo viso.
“Ma lo hai fatto comunque” mormorò flebilmente lei.
“Perché tu non mi hai lasciato altra scelta” fu la pronta replica del ragazzo.
“No…non è vero..” gli disse la ragazza muovendo appena la testa “Potevi fidarti di me….”

Fidarsi..... 
Alla fine tutte le strade portavano al muro con sopra scritta quella parola che lui aveva sempre ben apprezzato e che rafforzava ogni legame intrecciato con tutti i componenti della ciurma di Barbabianca, capitano compreso. Non era poi così difficile; in fondo, una volta instaurata un’amicizia, le incombenze delle presentazioni e delle prime impressioni svanivano in un solo colpo e, senza neppure rendersene conto, si aveva qualcun altro con cui ridere, scherzare o combattere..
Ad Ace piaceva essere circondato da amici e gli piaceva ancor di più trovarne altri, non era mai stato un problema considerato il suo carattere vivace e il viso tempestato di simpatiche lentiggini; tra quei visi che ormai erano ben impressi nella sua memoria, rientrava anche la ragazza che ora guardava nel mentre si stava impegnando a trovare le parole giuste per spiegare le motivazioni delle sue gesta.
Incespicò per qualche istante prima di aprire bocca: le sfumature dell’occhio color cioccolato di lei erano tanto effimere da risultare impercettibili quanto la polvere: sarebbe bastato privarle del colore per rendere quell’unico spiraglio aperto sul mondo completamente latteo e vuoto.

“Hai ragione: potevo” mormorò “Ma se non l’ho fatto, è perché avevo le tue stesse ragioni”

Anche se di pochissimo, la ragazza sobbalzò e il respirare le si mozzò come rotto da uno spavento. Si ritrovò nuovamente incatenata ai profondi occhi neri di Ace, il cui magnetismo le negarono di guardare da tutt’altra parte nel mentre lui si metteva seduto, facendo leva sui palmi delle mani posti lateralmente alla testa di lei.

“Pensavi che non l’avessi capito? Pensavi che non mi sarei reso conto della tua preoccupazione nei miei confronti?” le domandò osservandola con molta attenzione “Sei sempre stata brava a celare quel che non vuoi far vedere agli altri, ma ho imparato a conoscerti bene Sayuri e so, che se hai chiesto a papà di affidarti la missione, non era soltanto per rintracciare Teach ma per impedire a chiunque altro di gettarsi in quella missione, in special modo a me”

Era così facile da capire che la castana a quelle prime parole si sentì totalmente scoperta. Anche se avesse avuto la facoltà di agire, non sarebbe stata in grado di contrastare la forza che la teneva bloccata emotivamente. Più scrutava quelle pozze nere, come in cerca di qualche venatura particolare, più si sentiva sprofondare. Ace era arrivato a cogliere quella verità lampante che la cieca rabbia e l’istinto avevano provveduto ad occultare con maestria e il ritrovarsela davanti, il comprendere quanto fossero semplici le motivazioni contenute in essa, gli avevano aperto gli occhi abbastanza per capire la ragione nascosta che aveva contribuito ad aprire una faglia fra lui e lei.

“Ace…”
“Ti sentivi in colpa per quello che era accaduto a Satch. Gli hai fatto una promessa, non è così?” le domandò retoricamente “E’ per quello che hai insistito tanto, oltre al fatto che eri venuta a conoscenza di una particolare abilità del potere Dark Dark”

Pugno di Fuoco aveva colpito nel segno e se ne rese conto nel leggere lo smarrimento che caratterizzava i lineamenti stanchi di lei. Sussultava impercettibilmente, stoppando quelle delicate boccate d’ossigeno come a voler lasciar passare il colpo che lui stava tendendo appositamente ad alleggerire, per non darle l’impressione di essere aggredita. Non ne aveva alcuna intenzione, ma voleva che la ragazza comprendesse che lui sapeva ogni cosa, comprese le sue deduzioni.

“Immagino sia riuscito a dirtelo prima che morisse. E immagino anche…” riprese nel sollevare il busto per chinarsi appena su di lei “Che sia stata la sua rivelazione al riguardo ad averti intestardito sul volere andare da sola”

La finestra era stata chiusa, le tende leggermente tirate perché nella stanza filtrassero pochi raggi opachi e argentei. Come il tramonto si era spento, la sera era subentrata e in un battito di ciglia, la notte calata. Col suo fare spettrale, il silenzio si era steso su Rock Spire come una grande coperta dall’effetto soporifero, occultando le fiaccole e le luci usate per render vivo ogni angolo, perfino lo sgabuzzino delle scope. Solo quel minuscolo lumino ad olio era sopravissuto, racchiuso in una bolla di vetro dalla base ferrosa; nella sua piccolezza ogni tanto si agitava, cercando di scendere dal frammento di cera sopra cui era legata, senza catene o corde da bruciare. Guizzava come un pesciolino fuor d’acqua, ma la poca luce che emanava era pressoché sufficiente a mostrare all’occhio color cioccolato di Sayuri ciò che con tanto incanto fissava: lo sfumato bagliore giallo opaco si rifletteva sul viso di Ace creando dei contrasti con la sua pelle così insoliti da oscurargli parti del viso. Il fatto poi che la stesse sovrastando, mise un po’ in suggestione la castana ma non così tanto da provare paura: litigio e ferite a parte, era e sarebbe rimasta innamorata di lui anche se il mondo si fosse piegato su sé stesso.

Ed era per amore – in parte – che si era imposta fermamente di combattere con tutte le sue forze come mai aveva fatto in vita sua.
Se prima era perfettamente capace di dare una corretta definizione di dolore, ora a quella corrente doveva aggiungerci quella appresa a Impel Down, dove aveva rischiato l’autodistruzione fisica. Forse era per l’essere finalmente sveglia o, più semplicemente, la vicinanza di Ace, ma fatto stava, che in lei si stava manifestando un effetto simile a quello dell’adrenalina pura: minuscole scariche elettriche iniziarono a punzecchiarle i fasci muscolari e le membra non del tutto ripresesi. Il battito del cuore si accentuò e al percepire quei curiosi impulsi elettrici rinsavirla, mosse con un tremolio le dita delle mani. Provò fastidio, come se le sue ossa si fossero ricoperte di strati atrofizzati e la pelle irrigidita per il fretto a tal punto da ferirsi al più piccolo movimento: non fu che l’ennesima prova di quanto avesse pagato per il suo azzardo, ma non si rimproverò nulla poiché di quelle azioni non provava alcun rimpianto. Se poteva guardare Ace nei occhi, percepire i suoi tocchi e averlo così vicino, era soltanto perché non aveva gettato la spugna e non si era lasciata andare nello sconforto. Purtroppo però, quest’ultimo alla fine ce l’aveva fatta a prenderla definitivamente: le era rimasto aggrappato come un pesante fardello e adesso, proprio perché era riuscito a penetrare così a fondo grazie a ricordi ritrovati, che l’amarezza andò a impregnarli la bocca del suo orribile sapore, contagiandole anche gli occhi e costringendoli a bruciare per ogni grammo di quella lotta subita silenziosamente.
Ace avrebbe ripreso a parlare se soltanto la fiocca luce della candela non gli avesse permesso di vedere quella disarmante espressione colma di tristezza dipinta sul volto della castana.

“Sayuri, ma che….?”
“Mi….Mi….Mi dispiace..” biascicò con voce tremolante. Le labbra le tremavano violentemente per la fatica di contenersi e, come a volersi difendere, piegò le gambe e chiuse gli occhi appesantiti dalle lacrime.
Il moro pensò di averle detto qualcosa di indirettamente doloroso e tentò subito di rimediare “Guarda che non ti sto rimproverando…” le disse con voce morbida.
“Non…Non è per una cosa che hai detto..” gli mormorò dischiudendo parzialmente le palpebre “E’ solo che..i-io….” non riuscì a finire e si raggomitolò sul fianco sinistro, col viso colmo di lacrime.

Quel forte sentimento così disgustosamente amaro era riuscito a interrompere il loro contatto visivo, a distruggere quel minuscolo incanto e a spingerla verso quello che lei voleva evitare di fare. Non voleva farsi vedere in quello stato pietoso, non voleva far pensare a Ace che fosse una persona così facile da ferire e ancor meno, dare l’impressione che gli stesse mancando di rispetto e, ulteriormente, che stesse cercando una scappatoia da quelle parole veritiere. Il peso delle colpe attribuitesi la stava schiacciando con insistenza e le bastava sfogliare quell’album pieno di vicende, che poi era la sua mente, per accorgersi che dopotutto, anche lei, aveva commesso passi sbagliati, come ad esempio non spiegare ad Ace e al padre cosa ci fosse scritto sul foglio datole da Satch poco prima di morire. Si sentiva così dispiaciuta per tante cose, troppe forse perché fosse la sola ad affrontarle, ma il semplice fatto di esserci invischiata tutt’ora le impediva di guardare il ragazzo in faccia, nonostante lo desiderasse. Strinse ancora di più le braccia al petto, affondandole nella maglietta bianca dallo sfondo sbuffo che dava l’impressione di essere grande più di tre taglie rispetto la sua corporatura.

“Io…. la volevo mantenere” singhiozzò poi con qualche ciuffo che le copriva il viso “Volevo veramente mantenere la promessa che ho fatto a Satch….volevo anche che tutto tornasse alla normalità, che…” esitò “Che niente di quello che temevo a-accadesse. Volevo sistemare tutto, a-anche se..” le scappò un singulto “Sapevo che n-non era possibile; è…è successo tutto così in fretta che..che ho quasi fosse solo un brutto incubo. Ma mi sono sbagliata” e si lasciò scappare un sorriso mestissimo “Mi sono sbagliata e..ho rischiato di perderti”

Si ritrovò nuovamente a nascondere la testa nel petto fasciato di Ace, scostatosi appositamente per tornare a bracciarla come stava facendo poco prima di iniziare il suo discorso, con la mano posta dietro la nuca di lei, in modo da farla sentire ancora più al sicuro. Non voleva che piangesse ma sapeva che ciò era inevitabile e d’altro canto, preferiva che affrontassero l’argomento su quella linea anziché urlarsi addosso fino a far marcire il legno per la brutalità delle loro parole: quell’unica volta ad Ace era bastata per capire la sua impulsività e gli errori scaturiti da essa. Errori dalle intenzioni nobili, ma pur sempre errori. Era cosciente di quel che aveva fatto, così come lo era lei: entrambi si erano presi le loro responsabilità, entrambi avevano sbagliato per fare del giusto nei confronti dell’altro e alla fine, ecco che si trovavano lì, di nuovo insieme, dopo tanta lontananza. Pugno di Fuoco percepiva la resistenza di lei vibrare sulla propria pelle, mischiarsi a quel leggero tepore scaturito dall’esile corpo che voleva celare al mondo. Lui sapeva, aveva sempre saputo della cieca fiducia che Sayuri nutriva nei suoi confronti e in un primo momento, dopo quella sfuriata, aveva seriamente preso in considerazione la possibilità che lei non lo ritenesse all’altezza, proprio come gli aveva detto, che non fosse abbastanza forte da sistemare per bene un traditore, suo subordinato per giusta. Il solo pensiero gli fece aggrottare le sopraciglia per aver avuto il coraggio di arrivare a quella stupida formulazione.
Come cavolo aveva potuto pensare che Sayuri potesse avere una così bassa opinione di lui? Forse quel vecchiaccio di Garp, quand’era bambino, aveva ragione nel dirgli che era troppo avventato nel saltare alle conclusioni.

In un modo o nell’altro riesce quasi sempre a spuntarla. Pensò con nota scocciata.

Il “Quasi” l’aveva aggiunto proprio perché non era riuscito a raccattare lui e Rufy il giorno in cui avevano imboccato la strada della pirateria. E almeno così avevano pareggiato i conti.
Tornando a concentrarsi su cose serie, abbassò gli occhi per vedere Sayuri: pareva spaesata, confusa nei sui stessi pensieri, perfino timorosa sul fatto che lui fosse veramente reale nonostante le più che concrete prove, che tutto quello fosse vero e non frutto di una mera illusione. Gli sarebbe piaciuto fermare il tempo a quella precisa ora della notte, perché potessero stare così molto più a lungo di quanto la notte fosse solita a concedere ma era ben conscio che come l’alba sarebbe arrivata, un nuovo giorno, il suo primo giorno di prigioniero liberato e salvato dall’esecuzione, sarebbe arrivato e se c’era una cosa che stava sopra ogni altra che lui voleva sistemare, prima che il sole facesse capolino fra le onde, era poter ripristinare il suo rapporto con la ragazza. Lei si era sempre fidata di lui, ma ciò che la poneva su un piano diverso da tutti quanti loro, era l’aver visto Satch morire davanti ai occhi, senza poterlo aiutare come chiunque altro avrebbe voluto. Non centrava la sfortuna o il volere di chissà quale astro, era successo e Sayuri ne era stata toccata con così tanta violenza da agire di istinto, mossa da tutto un’insieme di paure che voleva sventare per non dover far cadere la Moby Dick in un dolore perpetuo. E lui, l’aveva aggredita col suo fottuto orgoglio senza capire a fondo la sua ragione, lasciandola sola nella paura…..

“Ma sono qui adesso” le disse prendendole il viso fra le mani “E non andrò da nessun’altra parte”

La castana arrossi nel percepire i pollici di lui asciugarle le guance dalle lacrime. La pelle le si accaldò come tutte le volte, quando Ace riusciva a metterla con le spalle al muro, e la cosa la paralizzò, perché con quelle poche parole sembrava aver appena cancellato ogni residuo del loro contrasto. Poteva essere così facile? Era sufficiente così poco perché lui le sorridesse?
Le bastò allungare la mano sul suo viso, accarezzarlo come era solita fare lei, solleticando con i polpastrelli le buffe lentiggini del moro per realizzare nuovamente che tutto quello le era mancato e la vicinanza dei loro corpi accentuò quel ritrovamento con più enfasi.

“Non…Non pensare che non sia arrabbiata con te” mormorò abbassando per un attimo la testa.
“Lo sei?” le domandò.

Perché glielo chiedeva? Certo che lo era…..no?

“Non…dovrei?” l’incertezza nella sua voce tradì la sua risposta.

Ebbe l’impressione di starsi arrampicando sugli specchi. Come lei aveva le sue colpe, lui giustamente aveva le sue e, teoricamente, il caso avrebbe previsto che entrambi discutessero amabilmente dei loro sbagli per rimediare. Eppure… lei non sembrava sinceramente arrabbiata con lui, affatto. Dispiaciuta, affranta e anche delusa da sé stessa per aver fallito nel mantenere la promessa, questo si, ma arrabbiata con Ace…perché le risultava così impossibile?

“Sono arrabbiata, Ace” ripetè cercando di essere più convincente “Mi…mi hai comunque ingannata”
“Lo so e sei libera di rimproverarmi se vuoi” le disse inoltrando le dita nei suoi lunghi capelli per poi alzarle il mento, costringendola a tornare a guardarlo “Sfogati, fai quello che ti senti, ma non trattenere niente e soprattutto “ e la guardò con molta fermezza, tanto da far scalpitare il cuore di lei “Non andare dove non ti posso vedere”
Non scappare ancora…

Anche lui l’aveva sperimentato la paura, una paura così grande e incalzante a tal punto da lasciarlo sperduto addirittura in sé stesso. Non aveva mai provato nulla di così forte e sinceramente, il non poterla combattere com’era solito fare con marine o pirati, l’aveva scoraggiato. Eppure ci era riuscito, l’aveva fronteggiata, offrendosi come capro espiatorio senza alcuna esitazione, benché certo che non avrebbe mai ricoperto il ruolo dello sconfitto e dell’umiliato. Fatto purtroppo per lui, avvenuto realmente.
Come le ebbe dato il permesso, gli occhi color cioccolato di Sayuri ricominciarono a bruciale e altre lacrime le rigarono il viso, simili a piccoli diamanti, con la differenza che questi erano salati e liquidi.

Non ci riesco……non ci riesco…

Ci poteva provare con tutta sé stessa, impegnarsi se lo desiderava, ma nessuna delle parole dette avrebbe assunto un particolare significato: portare rancore a Ace sarebbe sempre rimasta un’impresa irrealizzabile per lei e negare l’evidenza serviva solo a rafforzare quello che voleva nascondere. Aveva perso il controllo di sé, lo sentiva chiaramente, ma nel percepire quel calore bagnato inondarle il viso, insieme al rossore per come Ace la stava fissando, si lasciò andare ancora di più, abbracciando il ragazzo con tutta la forza in suo possesso. Pianse silenziosamente, con il viso di lui affondato nel suo collo e le sue dita inoltrate nei capelli accuratamente lavati e puliti da Maya. Liberò la felicità, la tristezza, la commozione, si beò del calore corporeo del moro, della reciprocità del suo abbraccio e perfino dei suoi ciuffi neri che le solleticavano una minuscola parte di spalla scoperta dalle bende, di ogni elemento, anche del più insignificante, che stava rendendo quell’istante il più desiderato di tutta la sua esistenza. Ignorò il forte bruciore ai occhi, il fastidio osseo e le sue ferite; annullò ogni dolore per aprire spessi spiragli di luce nella sua anima, rimasta al buio troppo a lungo, lanciandola all’apice di quella gioia così incommensurabile, dove niente di brutto o freddo poteva sortire effetto.

“Ti amo, Ace”

Le parole le uscirono senza che ci pensasse su, impregnate della più pura e disarmante delle sincerità umane: le aveva sempre pensate, dette in altri modi, ma non era mai stata così diretta, non in quel campo dove inciampava con regolatezza quasi cadente. Amava Ace e sentiva di doverglielo dire, cosicchè anche lui si tranquillizzasse nel ricordare con che timore e tristezza l’aveva guardata prima che i ricordi riaffiorassero nella sua mente. Non dubitava che poi, anche lui stesse lasciando fuori l’orgoglio e tutto quello che gli impediva di essere ancora più sé stesso, poiché il fatto di essere vivo, di essere stato salvato, che la sua vita fosse così cara ai suoi fratelli, lo stava rendendo così felice da fargli venire voglia di urlare “Grazie” a tutto il mondo, con tutta la sua enfasi e la disperazione di cui disponeva .
Col viso accaldato e arrossato, Sayuri si staccò appena dalla sua spalla per scorgere le labbra sorridenti di lui prima che queste si appoggiassero alle sue e la trascinassero in uno stato confusionale così piacevole da farle chiudere gli occhi. Dopo quel microscopico attimo di stupore, rispose con dolcezza, trovando in quel contatto il giusto collante per risaldare quanto si era rotto: il riprendere possesso di quelle magiche sensazioni completò il suo ritorno nel mondo dei vivi e fu talmente gradevole, da sollecitarla ad accarezzare nuovamente con le proprie mani il viso di Ace, insieme a qualche ciocca corvina che gli ricadeva in avanti. Fra loro due, l’abisso creatosi si era allargato a tal punto da modificare irreversibilmente qualche aspetto del mondo che conoscevano, sin dalla loro nascita: la maggior parte di essi sarebbe cambiata, la loro gravità purtroppo aveva squarciato così a fondo l’esterno da non riuscire a porvi rimedio, a ripristinare la situazione com’era prima, ma, anche se il cielo fosse diventato rosa e pieno di pallini colorati, il legame fra lui e lei sarebbe rimasto illeso: sarebbero cresciuti, maturati, ma senza l’affetto mutasse.

Si sarebbe soltanto accresciuto.

Per un istante, Sayuri credette di essersi appena capovolta, spostata, e in un certo qual senso era così: si ritrovò sdraiata sulla schiena e con Ace a cavalcioni su di lei. Le ginocchia del ragazzo le bloccavano senza insistenza il bacino ma non ci fece caso fino a quando non avvertì la mano di lui inoltrarsi sotto la maglietta e sfiorarle il ventre bendato. Come aprì gli occhi, Ace si fermò, ricambiando lo sguardo ma senza spostarsi da dov’era: temette di vedere nella castana l’esitazione con il rossore a imporporarle le guance, lo stesso che avrebbe indotto chiunque a pensare che non se la sentisse, ma, come Ace aveva già detto, conosceva fin troppo bene la ragazza: aveva imparato a cogliere e a tradurre ogni suo particolare cambiamento emotivo senza indagare troppo a fondo. Ma ciò nonostante, il suo conoscerla così profondamente, non lo autorizzava ad agire senza prima ascoltare la sua opinione.

“Non sei obbligata solo per farmi piacere” le disse cogliendo la lucidità dei suoi occhi.

Per rispetto della sua persona e dei suoi sentimenti, Pugno di Fuoco si era posto molti paletti emotivi appositamente per non cadere in azioni che avrebbero potuto ferirla. Ogni qualvolta l’aveva avuta particolarmente vicino o che riceveva uno dei suoi sorrisi, si era sempre dovuto premurare di mantenere il controllo, per starle accanto come un buon amico. Ma tutto era cambiato non appena lei aveva aperto le porte della sua fortezza, correndo a cercarlo, sfogandosi fino a farsi sorreggere da lui, che non aveva esitato a farle mancare l’appoggio che tanto silenziosamente cercava. Da quella notte, i singulti si erano dispersi: perfino il suo astio nei confronti di quell’uomo si era attenuato, ma soltanto perché lei gli aveva confessato di non essersi innamorata del figlio del Re dei Pirati, ma del comandante della seconda flotta di Barbabianca. Uno a uno, i paletti erano stati rimossi e il confine svelato; adesso ne mancava soltanto uno perché fra di loro non ci fossero più barriere…

Quel allontanamento, la prigionia e la freddezza delle catene, avevano lavorato al fine di tenerlo incatenato lì fino al momento dell’esecuzione ma, inconsapevolmente, avevano allentato il duro terreno che tratteneva quell’ultima sua imposizione: aggrapparsi al pensiero della ragazza fino allo svenimento era stata l’unica cosa, parallela al non voler vedere suo padre e tutta la sua famiglia accettare il guanto di sfida della Marina, a farlo rimanere sveglio, a resistere all’umidità e a non pensare al perché non potesse evocare il fuoco. Sul punto di crollare, aveva immaginato di non risvegliarsi mai più  e, effettivamente, era una prospettiva migliore dell’essere costretto a vedere dall’alto del patibolo giudiziale tutte le persone a lui più care, combattere per portarlo via; ma così non era stato, così non era avvenuto e l’essere stato salvato, il rendersi conto di essere al sicuro, lo stava ancora stupendo e lasciando incredulo.
Incespicando, la castana guardò prima in basso poi nuovamente Ace, indecisa sulle parole da utilizzare. Considerato quello che stavano per fare, era preferibile fermarsi prima di iniziare se non si era del tutto sicuri ma il punto era che la ragazza non si sentiva tanto imbarazzata sul da farsi. Lo era un pochino, per essere onesti, ma niente avrebbe superato l’interrogatorio di Maya e Akiko se queste l’avessero scoperta nel momento meno opportuno….

“No..non è per questo” mormorò.
“E allora che cosa c’è?” le domandò senza capire.
“Ecco, il fatto è che…” e si indicò nel mentre tornava a guardarlo in faccia “Sono piena di bende. Mi…mi sento un po’ ridicola così; sembro una mummia…” spiegò infine completamente bordò.

Se lei non era capace di controllare il rossore quando lui scherzosamente la metteva con le spalle al muro per godere di quel suo faccino grazioso, lui non era e mai sarebbe stato capace di rimanere impassibile davanti a certe sue risposte, che nella loro semplicità,  riuscivano sempre a colpirlo e a farlo sorridere.

“Sei proprio una sciocchina” le disse ridendo “Ti fai tanti problemi per le cose più stupide. Se non l’avessi notato, anch’io sono bendato quasi da capo a collo”

Sfiorandole la punta del naso col suo, ebbe il sentore che la sua temperatura corporea fosse salita. Certo, le fasciature forse potevano risultare un po’ un impedimento per quello che coprivano e Dio solo sapeva cosa sarebbe successo se la capo infermiera li avesse colti in flagrante, considerato il fatto che lui teoricamente doveva essere incatenato al letto e lei pure, ma in stato comatoso. La prospettiva non era delle più rosee ma francamente, Ace mise da parte quella possibilità senza troppi preamboli, esattamente come il restante al momento, non considerato di primaria importanza.
Tutto quello che voleva, tutto quello di cui aveva bisogno era unicamente Sayuri e in sincerità non poteva figurarsi un momento migliore di quello. Però, per quanto la faccenda delle bende fosse ridicola, gli occhi scuri di Pugno di Fuoco ricaddero sul alcune di queste: quelle del viso e del collo. Nel mirarle, le sue labbra si incurvarono leggermente, con un che di cupezza a contornarle: tra e tante ferite curate e pulite, ebbe come il sentore che sotto quelle medicazioni ci fosse qualcosa di più e disgraziatamente, lui sapeva bene che cosa queste nascondessero, che tipo di male non volessero mostrare fino alla completa guarigione ma, nonostante ne fosse al corrente, allungò la mano verso il collo di lei, finendo però per incontrare quella di Sayuri, il cui tremore nei occhi riflettè l’intuizione colta.

“Fammi vedere” le chiese calmo.
“Ace, scusami, ma preferisco..”
“Va tutto bene. Fammi vedere”

Spostandole delicatamente la mano, le tolse con delicatezza il cerotto che le copriva l’occhio: fece piano e una volta tolto del tutto, vide con sollievo che vi erano solo dei minuscoli graffietti rossicci. La ragazza riuscì ad aprire l’occhio e anche a sbatterlo un paio di volte per mettere a fuoco la vista; benchè questo rimanesse appena un po’ più chiuso dell’altro, Ace se ne rallegrò, ma subito focalizzò la sua concentrazione sul restante. Nel sentire le dita di lui srotolarle le garze, Sayuri trattenne il fiato, abbassando lo sguardo in basso a destra, per poi chiuderlo definitivamente quando percepì la propria pelle a contatto con l’aria. Il moro non trovò nulla di nuovo, ma quel che vide mise a dura prova il suo spirito battagliero al momento assopito: c’era un livido, un enorme livido violaceo dalle sfumature nerastre che ingabbiava il collo della ragazza, dove si potevano perfino distinguere i segni delle dita appartenenti alla persona che le aveva lasciate. Occorse poca immaginazione e Pugno di Fuoco si impegnò perché la loro riappacificazione non venisse incrinata dal pensiero di quel fottuto traditore, scampato per ben due volte dalle loro mani.  

“Ti fa male?” le domandò poi.
“No. Sta tranquillo, non sento niente”

Anche se non propriamente sicuro, Ace le sfiorò il collo con le dita, suscitando in lei dei brividi percettibili. Fece piano, senza fretta, in cerca di quel qualcosa che trovò dopo poco cercare e per cui si chinò fino a sfiorarlo con le labbra. Sorrise, come se si fosse appena aggiudicato una vittoria schiacciante: era ancora lì, la fiammella regalatale sottoforma di bruciatura era ancora lì, precisa a come gliel’aveva lasciata quando avevano approdato a Kaluka e se ne compiacque, perché era come se la prigionia di Impel Down non fosse riuscito a sottometterlo del tutto.

“Ti fidi di me, vero?” le sussurrò con le labbra sorridenti vicinissime a quel liscio segno.
“Certo” gli rispose. Anche in quella notte piena di confessioni gliel’ aveva domandato.
“Anche se a volte sono testardo, orgoglioso, impulsivo, ingordo e via dicendo?” aggiunse con una nota innocente e pestifera alzando il viso per osservare la sua reazione.

A quell’uscita, lei rispose con uno dei più bei e dolci sorrisi che potesse elargire: era incredibile come Ace mischiasse la fermezza di uomo alla vivacità innata del bambino insita in lui: era decisamente una delle peculiarità che più amava di lui. Le piaceva così tanto da non poter non fare a meno di rimanere contagiata dalla sua allegria e di regalargli tutti i sorrisi che lui sicuramente raccoglieva e custodiva dentro come fossero dei tesori preziosi.

“Mi fiderò sempre di te, Ace. Sempre”

E a quel punto, il piccolo lumino arancione svanì senza lasciare alcuna traccia.

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Capitolo 74
*** Facciamo festa!! ***



Buonasera! Sono un po’ di fretta oggi, quindi vi lascio subito al capitolo. Chiedo scusa per non aver messo i ringraziamenti per i preferiti e via dicendo, ho avuto giusto il tempo di controllare che tutto fosse a posto (se ci sono errori, provvederò a sistemare la cosa, gomenasai). Buona lettura ragazzi!


Mancavano pochissimi minuti all’alba e per la prima volta, da quando i pirati erano arrivati a Rock Spire, l’intero rifugio era caduto in un sonno pieno di russate differenti da parte di quest’ultimi, addormentati un po’ dappertutto. Gli stracci sporchi della settimana avrebbe avuto decisamente più decoro.
Non che mancassero delle comode stanze dove riposare o, ancor meno, dei morbidi e caldi letti, ma il fatto era che tutti stavano aspettando che amici e compagni feriti si riprendessero, per poter così festeggiare la straordinaria vincita contro la Marina. Dormire a casaccio era l’ultima delle loro preoccupazioni; non era un segreto che in particolar modo stessero aspettando Ace, così da potergli frizionare la testa e soffocarlo di amorevoli strizzate per l’essere di nuovo con loro, ma era altrettanto innegabile che volessero sapere se Yu-chan si fosse svegliata, se le condizioni di papà si fossero stabilizzate e tante altre notizie che al momento stavano sigillate dietro la porta del reparto infermieristico. Maya e nessuna delle sue subordinate aveva spifferato mezza parola al riguardo; considerato l’esagerato impegno sulle loro spalle, l’essere ligie al loro codice e l’appena raggiunto meritato riposo, gli uomini della ciurma avevano pensato bene di lasciare respirare la capo infermiera prima che decidesse di affettarli tutti quanti col bisturi.
Se perfino Don si era astenuto dal punzecchiarla, significava che l’umore della donna si era assottigliato a tal punto, che sarebbe bastato un niente per scatenare la iena già ben sveglia dentro al animo, pronta a saltare addosso al primo malcapitato per sbranarlo a dovere. Nonostante la prospettiva di essere ampiamente rimproverata dalla donna, Akiko aveva comunque deciso di cimentarsi in un piccolo atto di ribellione progettato da tempo. Con la superiora che finalmente riposava nella sua stanza e le ballerine rosa in mano, la piccola infermierina aveva lasciato in punta di piedi gli alloggi infermieristici di Rock Spire per dirigersi verso quelli della Moby Dick, ancorata proprio al di fuori della cittadella scavata nella roccia. Uscire fu una vera impresa, perché al minimo scricchiolio legnoso, trasaliva e si voltava come se stesse per ritrovarsi una delle infermiere più anziane o, peggio ancora, Maya in persona, davanti a sé e col viso struccato.

C-Calma, Akiko! Non ci si deve spaventare per ogni rumorino! Si disse dopo aver quasi rischiato di saltare in aria per un rubinetto non del tutto chiuso.

Spalancò la bocca per espirare profondamente nel mentre si teneva con la mano libera il cuore impazzito. Così agitata, temeva che ogni oggetto inanimato, porte comprese, prendesse vita e si mettesse a urlare fino a farla scoprire. Ci mancava solo che adesso le flebo o addirittura le tende si mettessero a fare le spie…
Accertatasi che intorno a lei ci fosse il silenzio, fece roteare i bei occhi color ametista due volte prima di riprendere la sua uscita silenziosa. Svoltati due corridoi, poggiò le piante dei piedi a terra, considerando passata la “Zona rossa”.
Con passo meno quatto, ma pur sempre impercettibile come il battito d’ali di una farfalla, la ragazzina percorse memonicamente il tragitto restante, indossando ad un certo punto le ballerine, sicura che non ci fosse più bisogno di tenerle in mano. Gli uomini della ciurma avevano il sonno fin troppo pesante e a giudicare da come se la russavano alla stragrande, nemmeno si sarebbero accorti di un imminente attacco di meteoriti provenienti dallo spazio. Lasciatasi alle spalle l’enorme abitacolo dall’esterno roccioso, ma dall’interno comodo quanto un morbido cuscino imbottito di piume, Akiko si raddrizzò il cappellino, scrollandosi le ciocche colorate e mosse che le incorniciavano il grazioso visino a forma di cuore. Dinanzi a lei, la Moby Dick veniva baciata dal sole mattutino in tutta la sua grandezza: le bastava semplicemente scendere le scale, percorrere il pontile, salire sulla passerella e poi puntare all’ultima stanza del terzo corridoio del reparto infermieristico.

Le bastavano pochi passi…e avrebbe finalmente rivisto Yu-chan. Il saperlo, le mise un agitazione addosso tanto forte da farle stringere il petto a tal punto da sciupare la divisa color confetto, spingendola a corrucciare le labbra.

Da quanto non vedeva quella che oramai considerava una sorella maggiore? Da quanto? Certamente troppo perché lei potesse dare corda alla sua stessa pazienza. Akiko era agitata, scombussolata, e anche affaticata dal lavoro svolto, ma il pensiero di vedere la castana l’aveva spronata a non cedere, a compiere il suo lavoro anche con le mani doloranti e gli occhi bruciacchianti. Lei, che nonostante fosse molto più dotata di una comune apprendista, non aveva potuto mettere naso nei reparti privati, dove ad un certo punto, anche a Maya e a Don era stato negato l’accesso. In quell’ala di Rock Spire, attrezzata e fornita d’ogni genere di apparecchiature mediche, erano passati i feriti più gravi, compresi Ace, papà e Sayuri. Ricordava che quest’ultima ci aveva impiegato di più ad uscire: era rimasta appositamente ad aspettarla fino alla fine, con il dispiacevole risultato di venire chiamata per occuparsi di altri pazienti.
Quanto a Ace…….tanto non l’avrebbe scampata! Gli avrebbe fatto una ramanzina grande come il mondo, fino a fargli diventare le orecchie nere!
No, no! Non gli avrebbe dato possibilità di svignarsela o di svicolare dall’argomento, ma a lui avrebbe pensato successivamente: ora, la sua unica preoccupazione, era Sayuri. Ci aveva provato a estorcere delle informazioni, qualcosa che le facesse intuire il suo attuale stato fisico, ma dai colleghi più anziani non aveva ricevuto che il silenzio e, a forza di ottenere tacite e vuote risposte, si era stufata di domandare a destra e a manca. Scostando una ciocca color celeste, calcò i passi verso la Moby Dick, arricciando e stringendo le labbra, col magro petto in fuori, senza mai farsi incantare dall’esitazione: filò dritta sulla passerella, rischiando di inciampare per la troppa rigidità nelle gambe.

Uf….ci manca solo che mi sbucci un ginocchio e rovini le calze..

Sbuffò sconsolatamente, rendendosi conto di essere conciata peggio di quanto pensasse: doveva sciogliersi, sia fisicamente che psicologicamente, ma il ritmo giornaliero inculcato fino al midollo osseo, la esortava a reagire automaticamente allo scattare di una precisa ora, quasi rappresentasse un delitto mancare a tale appuntamento; con la tanto agognata occasione di vedere la sua sorellona fra le mani, non poteva presentarsi sotto le sembianze di un automa inciampante. Non con tutto quello che aveva accumulato dentro di sé e che, senz’ombra di dubbio, sarebbe scoppiato una volta varcata la soglia della sua stanza….
Traballante sui primi passi, riprese a camminare fino a inoltrarsi nei corridoi legnosi. Faceva impressione camminarci senza incontrare qualcuno, aleggiava quel classico senso di abbandono, mischiato alla freddezza dovuta alla mancanza di luce e vita: Akiko si guardò a destra e a sinistra come a voler controllare che tutto fosse al proprio posto e, assicuratasi che non vi fosse diverso, aumentò di poco il proprio passo, con il cuoricino sempre più in escandescenza.

C’erano così tante cose che voleva dire a Yu-chan, così tante che anche adesso si stava scervellando per trovare un buon punto per cominciare, nonostante non faticasse a immaginare la ragazza posta in uno stato di coma profondo. Maya non le aveva rivelato nulla al riguardo, ma lei non era diventata una sua apprendista per caso: da brava e intelligente infermiera quale era, aveva preso in considerazione tutti i casi svolti dalla mentore, rivisitando memonicamente le procedure, le cure mediche e anche la durata dell’intervento. Il cervellino della corvina era simile ad un archivio che, per quanto fosse ancora in fase di costruzione, era già più che ben avviato. Sapeva riconoscere perfettamente una cellula staminale da una primitiva, non c’era medicinale sulla nave di cui lei non conoscesse gli effetti e i giusti dosaggi, così come non esisteva libro che lei non avesse sfogliato per approfondire le sue nozioni anatomiche. Akiko ogni tanto si agitava, combinava qualche guaio, utilizzava il suo faccino corrucciato per averla vinta e quando gonfiava le sue guanciottine, pareva un minuscola mongolfiera colorata, tanto carina da suscitare tenerezza, ma se si parlava della propria carriera medica, la bambina dai grandi occhioni lilla era più che in grado di reggere lo stress professionistico quasi al livello di un medico laureato. Maya era orgogliosa di lei, proprio come una madre, ma era conscia del fatto che, essendo ancora piccola, non poteva superare i limiti della sua età e, anche se ciò poteva far sentire avvilita la sua apprendista, la donna doveva porle i giusti limiti. Lo faceva unicamente per il suo bene, affinchè comprendesse che, pretendere prima del dovuto, è sempre un azzardo molto rischioso.
Se in quel preciso momento Akiko avesse saputo in che razza di situazione stava per cacciarsi, probabilmente se ne sarebbe rimasta buona buonina in camera sua, sotto le coperte a dormire come un ghiro appallottolato nella tana, ma, tanto era presa dal desiderio di vedere la sorellona, che neppure dei campanacci l’avrebbero ridestata.
 



Pelle.
E’ la prima cosa che percepiscono corpo e mente una volta svegli.
Calore.
Succede alla pelle ed è così rilassante al tatto, da addolcire l’amaro e l’aspro dei giorni passati.
Felicità.
Non la si tocca con le mani, non la si afferra con la prepotenza, ne la si sfiora con dei velluti sottili come il vento. Se ne viene contagiati e inebriati, indipendentemente dalla scelta, sempre volta al sole per paragonarne la luminosità.

Uniti o no in ordine crescente, questi tre elementi destarono comunque Ace, non appena qualche tiepido raggio solare fece capolino fra le tende semichiuse della stanza. Le chiazze solari tappezzavano lo scuro pavimento di legno, creando nei angoli un po’ in penombra quel leggerissimo semibuio mattutino tipico di un ambiente chiuso, i cui padroni volevano far durare ancora un po’. Assonnato, il moro tenne chiusi gli occhi, ma increspò le sue labbra sapendo quale fosse la fonte di quella piacevole sensazione, visto che stava proprio accanto a lui. La teneva vicina a sé, con l’ausilio di un solo braccio e il percepirne la presenza, sciolse i suoi muscoli da quella preoccupazione che neppure sapeva di avere: i suoi polpastrelli stavano toccando quella pelle morbida e calda come a volerne confermare l’esistenza, e l’assenza dei vestiti, rese quel contatto ancor più diverso di tutti i precedenti avuti, seppur la ruvidità delle bende stesse sfigurando quell’immagine tanto innocente nel suo insieme. Le avvertiva distintamente e se ne rincuorò: per un solo istante, aveva creduto veramente di aver sognato, che quanto accaduto in realtà fosse stato solo frutto della sua immaginazione, l’ultima finestra di felicità dentro cui abbandonarsi prima di venire gettato sul patibolo per assistere alla realtà di cui lui era stato l’arteficie. Benchè fosse stata una labile visione, essa era riuscita a incupirlo emotivamente, con il timore che quello sognato fosse stata veramente un illusione. Ma poi, l'aveva avvertito: quel senso di benessere che non sentiva da tanto, quell’essenza pacifica che quando gli era vicino appianava ogni cosa, purificandolo con il più semplice dei gesti….

Troppo bello per essere reale, ma troppo concreto per essere una futile immaginazione.

A quel punto Ace, dischiuse lentamente gli occhi: appena le sue pupille si adattarono alla soffusa luce, primo elemento cui esse si erano scontrate, spostò di appena qualche centimetro la testa, allargando il sorriso dipinto sulle sue labbra. Per quanto le illusioni fossero considerate belle, perché vi si poteva trovare tutto quello che si desiderava, perfino gli oggetti più stravaganti e impensabili, la realtà rimaneva e sarebbe pur sempre rimasta diversa da esse per il semplice fatto che appena si voleva toccare la meraviglia posta davanti ai propri occhi, questa non svaniva nel nulla: le si rincorreva, a volte per poco o per tutta la vita e, ulteriormente, si differenziavano dai sogni per essere più labili, senza un valore simbolico a fondarle, senza una promessa o un’aspirazione che facesse da impalcatura. Non era mai una buona cosa perdersi nelle illusioni, ma Ace, al momento, era troppo attratto dalla realtà che stava guardando con tanta serenità, per rimuginare se stesse immaginando o meno: era fin troppo certo, che quella stanza, quei raggi e quel letto  fossero puramente reali. Che lei fosse puramente reale.

Sayuri dormiva di fianco a lui, con la mano appoggiata sul suo torace e la guancia premuta laddove batteva il suo cuore. I lunghissimi capelli erano sparsi sulle sue nude spalle, con alcuni ciuffi cadenti in avanti, mentre il restante era sparpagliato dietro la schiena; con la frangia un po’ arruffata, le guance di un leggero rossore e il respiro appena percettibile, stringeva con l’altra mano, incastrata fra di lei e le costole di lui, il lenzuolo con cui si era coperta dal petto in giù. Assopita placidamente in un sonno molto più ristoratore di quello passato, dormiva avvolta nella morbidezza del letto. Ace la teneva vicina a sé grazie al braccio con cui le cingeva la schiena e che le circondava le spalle, senza arrecarle fastidio; si era accucciata in quell’incavo senza più muoversi ed Ace non se ne era lamentato. Essendo più piccola di lui – in fatto d’altezza – la cosa non gli creava alcuna problema, anzi: una delle cose che tanto amava quando stava con lei, era poterla abbracciare senza che nessuno rompesse la loro intimità. E ogni qualvolta che si erano ritrovati soli, con le mani intrecciate o gli occhi di uno persi in quelli dell’altra, non era mai riuscito a non pensare che quella ragazza tanto graziosa e dolce fosse sua, tutta sua.
Se si voleva una cosa bisognava alzarsi e andarla a prendere, non aspettare che tutto ti piombasse dal cielo e Pugno di Fuoco aveva sempre ottenuto tutto quello che possedeva grazie alla sua tenacia e all’immancabile testardaggine, dura abbastanza da far concorrenza al granito: nel suo egoismo, anche se non lo dava a vedere per puro orgoglio, aveva sempre voluto Sayuri tutta per sé, ma non come trofeo – quello mai –, ma, più che altro, per come lei lo trattava.
C’era qualcosa nel suo modo di fare, nella sua gentilezza, che l’aveva spinto a vederla diversamente, a desiderare qualcosa di più della semplice amicizia. Non che con gli altri non si trovasse bene, però...il suo affetto lo faceva sentire così umano da fargli scordare le sue origini, ritenute addirittura demoniache.
Scostando delicatamente il braccio e appoggiandole la testa sul soffice cuscino, Ace si distese di fianco, attirandola a sé, ma senza stringerla prepotentemente. In fondo, era in piena convalescenza, così come lo era lui.
Fu così strano, insolito. Anche il solo accarezzarle la guancia con il palmo risultò completamente diverso dalle altre volte, eppure non era niente che non avesse già provato. Bastava poco perché si trovassero, ma la scorsa notte era stata differente, per motivi che il ragazzo preferì tenere buoni per sé: i loro vestiti erano stati lasciati ai piedi del letto, la rabbia e le paure chiarite e poi sbattute fuori dalla porta. Per quell’unica volta, forse per poco, il tempo si era stoppato e, a quel primo contatto senza barriere, fisico e travolgente, era cambiato tutto. Dopo aver passato così tanto tempo lontano da casa, le ferite dell’anima erano state sciacquate e medicate con premura, per poi essere rimosse da un tiepida corrente che aveva spazzato via anche i residui più ostici. Ogni elemento di quella brutta faccenda si era dissipato e l’accarezzare il volto dormiente di Sayuri, evitando di guardarne il collo, non fece che rafforzare in lui la convinzione di essere nel solo posto dove si sentiva desiderato per quello che era e non per ciò che rappresentava.

Sono a casa.

Un leggero mugugno insonnolito da parte della castana lo fece sorridere ancor di più, nel notare poi che ella era arrossita. Come esortato da quelle guance rossicce, Ace si avvicinò ancor di più al suo volto e lei, come se tutto facesse parte di una reazione a catena, aprì gli occhi.

“Ben svegliata” le disse dandole un tenue bacio sulle labbra.
“Buongiorno..” sorrise lei.

Sbattè un paio di volte le palpebre per adattarle alla luminosità della stanza, compiendo un piccolo sbadiglio. Il realizzare che fosse mattino le riportò alla mente ogni singolo fatto accaduto nelle ultime ore, escluse quelle passate a dormire; arrossì più di quanto il suo corpo umano potesse fare e vedere Ace guardarla, indeciso fra l’essere divertito e intenerito, le paralizzò la gola. Era successo: si, loro, insomma…..era successo e il prenderne coscienza più di quando avesse deciso di non avere rimpianti, le fece battere il cuore così forte da farlo scoppiare come un palloncino. Poi però si ricordò di quella cosa e subito incavò la testa nelle spalle.

“Sayuri, cosa c’è?”

Allarmato da quella reazione, Ace l’aveva abbracciata, cercando i suoi occhi e, nel trovarli abbassati, si preoccupò. Le sue condizioni fisiche non erano delle migliori, le erano concessi pochissimi movimenti e solo da sdraiata o semiseduta. Temette di aver fatto qualcosa che a lei non andasse, di averla scottata inavvertitamente – non era da escludere – o peggio, di averle fatto inavvertitamente del male, ma poi, notò come cercava di non far vedere il collo e subito arrivò alla fonte della sua inquietudine.

“Aspetta un secondo: ecco….”

Senza neppure che lei glielo chiedesse, le bende che il giorno prima fasciavano il collo di lei comparvero magicamente nella mano di Ace: fu questione di secondi e queste tornarono a nascondere la parte segnata dal livido, come se non fossero mai state tolte.

“Grazie, Ace”

L’importanza di tenere nascosta quella parte di sé significava tanto e Pugno di Fuoco l’aveva capito fin dall’inizio: non era tanto per lei, ma per chi poteva vedere e intuire chi fosse stato a lasciarle quell’enorme segno violaceo. Era arrivato così vicino a prendersi la sua vita che nemmeno se ne era accorta e, ad un certo punto, quando tutto era diventato buio, aveva percepito l’ossigeno venirgli meno, lasciando che un dolore lancinante al collo la pervadesse come tanti puntaspilli, accompagnato da una risata sguaiata e senza controllo. Ace, benché fosse calmo, stava già alimentando la fornace del suo orgoglio, dove le fiamme avvampavano alte e gonfie di forza distruttiva. La potenza del suo fuoco era ben conosciuta ed ella s’accresceva maggiormente se si impregnava di emozioni accavallanti e molto influenti: si finiva in una spirale dove ogni tentativo di uscire si bruciava con la stessa rapidità dei polmoni. Il comandante della seconda flotta di Barbabianca sapeva far valere se stesso e le fiamme di cui era padrone senza neppure esibire la metà della metà del suo repertorio,  ma in quel momento, non voleva posare la propria mente e il proprio istinto su visi o ragioni che lo avrebbero fatto solo rabbuiare: non c’era più bisogno di combattere, per ora almeno, e infierire con un corpo martoriato avrebbe solo peggiorato la situazione. Ne aveva preso coscienza e Sayuri con lui, altrimenti non sarebbe tornata a guardarlo intensamente con i suoi occhi color cioccolato, accarezzandogli le guance con quel suo particolare tocco. Farli incatenare con i suoi, profondi e neri come pochi, significava perdersi in sfumature cangianti visibili soltanto a chi sapeva osservare dietro le apparenze: una persona non era quello che era per come si presentava al primo impatto. C’era chi sosteneva il contrario, ma poi, non appena quei piccoli dettagli latenti emergevano, che si trattasse di un’abitudine alimentare o di un vizio di famiglia, ecco che l’opinione base mutava, pian pianino, a volte parzialmente o forse addirittura radicalmente. L’opinione di Pugno di Fuoco per la sua navigatrice non era cambiata, si era allargata a tal punto da ritrovarsi fra le mani un quadro che avrebbe fissato volentieri per gran parte del suo tempo: conteneva tutta una storia dove lui ci si rispecchiava per alcuni versi, ma presentava anche quel qualcosa che lentamente aveva desiderato a possedere. Adesso che l’aveva, gli sembrava che tutto fosse tornato al suo posto, che perfino la luce del sole si fosse fatta più chiara tanto l’ordine era tornato al suo equilibrio. E lui non poteva altro se non quello.

“Senti un po’, mi è venuta un’idea” le disse sollevandosi appena, usando l’avambraccio come appoggio.
“Dimmi”
“Visto e considerato che è da un bel po’ che non tocchiamo del cibo decente e che dormono ancora tutti, che ne dici se vado a prendere la colazione, torno qua, e passiamo la giornata a letto?”

Entrambi erano convalescenti, non potevano ancora scorrazzare liberamente e saltellare qua e là come se non fosse successo nulla, quindi, secondo il ragionamento brillante del moro, tanto valeva prendere il buono di quella “Prigionia” e trarne dei fruttuosi vantaggi.

“E’ un’idea molto bella” gli rispose lei sorridendo dolcemente “Ma temo non sia realizzabile” aggiunse con una noticina dispiaciuta “Non è il caso che ci trovino qui insieme, non pensi?” domandò incerta sull’utilizzo delle proprie parole.

Come al solito, Ace si era lasciato trasportare dalla felicità senza nemmeno guardare in faccia i pro e i contro della sua proposta. Proprio perché erano convalescenti, non potevano fare quello che volevano e, al di fuori di lui, nessun altro sapeva che Sayuri era uscita dal coma. Sicuramente necessitava di esami, accertamenti e di controlli che l’avrebbero costretta a letto, dove il riposo le sarebbe stato imposto, ma almeno quello non sarebbe stato un problema, poiché esso era ricercato dalla stessa paziente: i suoi lineamenti, il contorno dei occhi…tutto in lei rifletteva quella stanchezza che aspettava soltanto il giusto segnale per tornare alla carica. Ace la vedeva con tanta nitidezza, che non ebbe bisogno di immaginarsela: quando Sayuri dormiva profondamente, sembrava acquisire tratti inumani, la cui natura era introvabile: stavano lì, magari sull’angolo della bocca, fra le ciglia, nel suo finissimo respirare….. Per quanto si cercassero e li si vedessero, sfuggivano tanto rapidamente da portare a pensare che fossero solo giochi creati dalla propria mente, ma Pugno di Fuoco era sicuro che in quei frangenti, il suo cervello fosse così lucido da mostrargli solo la realtà per quello che era e a lui andava bene così, perché da essa non poteva ricevere niente di più bello.
E poi c’era Rufy: quasi si stava dimenticando che il suo fratellino era lì. Non era giusto lasciarlo solo e trascurarlo dopo la tanta fatica fatta: avevano così tante cose da dirsi, punti sui cui fare luce, ma anche molti argomenti che inevitabilmente avrebbero toccato per forza di cose e di cui lui stesso, volente o nolente, avrebbe dovuto comunque trattare per salvaguardare l’incolumità di quella pestifera scimmietta di gomma.

“Pazienza” mormorò per nulla deluso “Vorrà dire che mi accontenterò di te” aggiunse maliziosamente.

Si chinò quanto bastava perché i loro battiti cardiaci combaciassero e, giocherellando con un suo lungo ciuffo castano, la baciò con la mano intrecciata alla sua, posta sul cuscino.

“Ace..forse è meglio ricomporci..” tentò di dire, una volta separatisi “Potrebbe arrivare qualcuno”
“No, ancora un paio di minuti” brontolò lui, appoggiando la testa sul petto di lei “Non ho alcuna voglia di tornare nella mia stanza per essere di nuovo ammanettato”

Superato lo sbigottimento per dove Ace aveva deciso di sistemarsi, Sayuri si addolcì, arrivando ad accarezzare la testa corvina del moro, che subito si lasciò coccolare. Pareva un bambino incontentabile, ma vi era quel che di spiazzante e al tempo stesso di tenero nel suo comportamento, che era assolutamente impossibile da scacciare o ancor peggio, da rimproverare. In fondo, l’essere egoisticamente capriccioso di Ace non era un segreto per lei, ormai conosceva bene quel lato di lui che puntava sempre ad avere più di quel che riusciva ad ottenere, ma sapeva altrettanto bene che quel suo modo di fare aveva buone intenzioni, che ogni suo gesto non era fatto vanamente e di questo ne era felice, perché poi tra quelle ragioni fondanti rientrava lei, il che la faceva sentire molto privilegiata.

“Riflettendoci, è meglio se sparisca” si disse Pugno di Fuoco, sollevando il busto facendo leva sulle mani “Sarebbe un bel guaio se ci scoprissero. Pensa alla faccia di Akiko!” esclamò a pochi centimetri dal viso della ragazza “Se ci beccasse lei, minimo le si arresta la crescita”
“Oh, Ace, per favore, non….”

Era lì, sul punto di chiedergli di non mettere in mezzo la piccola infermierina, quando tutto ad un tratto si irrigidì di colpo. Erroneamente i suoi occhi si erano appena spostati lateralmente, spalancandosi subito a tal punto da ridurre le pupille a due puntini piccolissimi, a malapena distinguibili dal bianco. Il viso le si imporporò di tutta una serie di tonalità mai viste e conosciute, con vistose goccioline di sudore come ciliegina sulla torta.

“Sayuri, che stai…oh”

Il vederla così pietrificata dall’imbarazzo, l’aveva spinto a guardare lo stesso punto su al momento la ragazza non riusciva a distaccarsi. L’aveva detto per scherzo, senza pensarci, giusto per riderci su, ma non avrebbe mai pensato che le parole potesse avere così tanto potere da tramutarsi concretamente in fatti reali. La sua mascella rischiò di toccare terra parallelamente a quella di Akiko, ferma sul ciglio della porta e con un espressione altamente indecifrabile, in bilico fra lo shock e tutta una serie di traumi visivi che non avrebbe mai più scordato. Pugno di Fuoco sudò freddo, cosciente del fatto di trovarsi sopra Sayuri coi vestiti a terra e……beh, per farla breve, tutte le prove erano contro di lui.

“Buona, Akiko..” le sussurrò con sorriso tremolante “Buonina……” 

Se si metteva ad urlare, era la fine.

“Ae..i….voi….to….ve…ia..e….ar…..MAAAAAAAAAAAAAYAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
 



La polena era senz’altro il posto preferito di Rufy. Quando viaggiava sulla cara Going Merry, se ne stava sempre sdraiato sulla sua testa a guardare il mare o a schiacciare un pisolino. Nessuno poteva salirci escluso lui, ed ecco perché una volta si era arrabbiato con Zoro per l’essersi appisolato lì senza permesso. Anche con la Thousand Sunny il discorso era lo stesso: stare in groppa a quel leone simile ad un peluche, con la criniera a mò di girasole, gli piaceva da matti, si divertiva un mondo a scrutare l’orizzonte o a starsene in panciolle mentre i gabbiani ogni tanto si immettevano nella loro scia. Vedere di prima persona la grandezza della polena della Moby Dick e, soprattutto, scoprire che questa possedeva perfino la forma di una balena, gli aveva fatto brillare gli occhi per l’eccitazione, ma era rimasto deluso nel constatare che da quella posizione, per quanto spaziosissima, non avrebbe visto niente al di fuori delle rocce. Non volendo tornare in cabina - specie perché aveva appena “preso in prestito” dal primo frigorifero capitatogli fra le mani, una trentina di cosciotti di carne formato extralarge - si era guardato in giro fino ad alzare la testa, trovando nella vedetta il posto perfetto per divorare il suo spuntino. Starsene in camera per troppo tempo non faceva per lui, specie se poteva muoversi. Per quanto gli riguardava, ne aveva avute piene le scatole delle infermerie, al contrario di alcuni infortunati non ancora del tutto ripresi: fortuna che c’era Iva-chan a occuparsi di tutti loro. Non gli sarebbe dispiaciuto andare da Bon-chan ma pure lui necessitava di riposo, così come Jimbe, il cui fisico era stato martellato non poco a Impel Down. Sorvolò su quell’odioso coccodrillo, rintanato chissà dove, preferendo di gran lunga domandarsi dove fossero finiti Buggy e Mr3.

Boh, quelli sparivano e ricomparivano…prima o poi si sarebbero fatti vedere.
Poiché il suo stomaco aveva iniziato a brontolare rumorosamente, il ragazzo distolse subito l’attenzione da quei due, giusto per concentrarsi a salire sull’albero maestro, gettandosi come una fionda umana sulla cima d’esso.

Seduto su uno dei pennoni e con la piccola vedetta stipata di cosciotti di carne, Cappello di Paglia fissava l’oceano che si stagliava libero al di fuori dei confini di Rock Spire, col sole sufficientemente alto, contornato da qualche bianca nuvoletta. I piedi penzolavano nel vuoto ma anche se fosse caduto, non si sarebbe fatto di certo male: l’essere di gomma in quei casi era veramente utilissimo, gli permetteva di rimbalzare senza sentire il benché minimo dolore e, nei casi da lui preferiti, di riempirsi la bocca di più portate in solo colpo.

“A-ah! Eccoti, finalmente!” esclamò una voce a lui familiare.

Rufy girò la testa quanto bastava per vedere suo fratello raggiungerlo.

“Ace! Ti hanno fatto uscire, che bello!” squittì allegro con le guance colme di carne.
“Non esattamente” preferì sorvolare “Diciamo che avevo voglia di sgranchirmi le gambe.”

Finito di arrampicarsi, Pugno di Fuoco andò a sedersi vicino al fratellino, notando fin da subito la piccola refurtiva di cibarie imboscata.

Tipico di Rufy. Si ritrovò a pensare, sbuffando divertito.

Non poteva rimproverargli niente, visto che lui aveva il particolare vizio di svuotare le dispense di un ristorante per poi darsela a gambe senza pagare.

“Tieni!” 

Avuto giusto il tempo di girarsi, il moro si ritrovò col naso a due centimetri da uno dei cosciotti che Rufy molto allegramente gli stava porgendo.

“Grazie” vista la fame, non poteva rifiutare.
“Edc mobbo bavoriva! (trad: E’ molto saporita)” balbettò con la bocca piena, per poi ingoiare tutto il boccone “Ma la carne che prepara Sanji è insuperabile: i pranzi che prepara sono i migliori!!"

Ace non potè replicare perché aveva assaggiato la cucina del cuoco citato e francamente, doveva ammetterlo, le sue pietanze erano di una squisitezza unica, ma questo non sarebbe mai uscito dalla sua bocca; non perchè non lo volesse ammettere, ma Bonz sull’argomento era alquanto suscettibile e, indubbiamente, sarebbe stato capace di tenere il muso senza più cucinare per almeno tre settimane.
Il pensiero di vedere il povero cuoco-cannoniere raggomitolato nell’angolino della depressione gli avrebbe strappato una minuscola risata se soltanto non si fosse sovrapposto un altro pensiero sopra di esso: i compagni del suo fratellino…
Realizzò solo in quell’istante che Rufy era solo e la cosa lo preoccupò non poco: era pressoché impossibile che i suoi compagni non lo avessero seguito e ritenne assolutamente inesistente un possibile ammutinamento collettivo. Ma, allora, come aveva fatto ad entrare a Impel Down?

“Rufy..”
“Uh?” il minore si stava gustando il settimo pezzo di carne.
“Mi spieghi cos’è successo? Com’è che non sei con i tuoi compagni?”

Non capiva il perché di quella “Solitudine” e a giudicare da come la linea della bocca del più giovane si inclinò, immaginò che dietro dovesse esserci qualcosa di veramente grosso. Curioso di sapere, esorto il minore a narrargli l’accaduto e lui lo soddisfò: partendo dal loro arrivo a Shabondy, Rufy gli raccontò di come avevano conosciuto Kayme, una simpatica sirenetta, l’incontro con lo strano Duval – il cui volto era spiccicato al volantino di Sanji -, la visita all’arcipelago e di come tutto fosse degenerato per colpa di alcuni cacciatori che avevano rapito la loro nuova amica. A momenti Ace, rischiò di strozzarsi con la carne, quando il fratellino se ne uscì che aveva tirato un pugno ad un Drago Celeste: la sua nonchalance non aveva rivali, ma conoscendolo più di chiunque altro, non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto. Rufy non picchiava senza una valida ragione.

“Ha sparato ad un mio amico e ha perfino avuto il coraggio di ridere!” esclamò arrabbiatissimo “Che me ne importa se è un nobile!”

Come volevasi dimostrare, l’intuito di Pugno di Fuoco nei riguardi del fratello minore, ci azzeccò nuovamente: Rufy era totalmente incapace di trattenere i propri sentimenti o di mentire. A parte che era negato, trasfigurare la verità per lui significava tradire una parte di sé; non capiva il motivo per cui la gente ogni tanto preferisse tergiversare o sviare da un argomento. Se per una persona esisteva un ragione, per lui invece tutto sembrava ovvio e scontato, come se i problemi che gli altri si ponevano fossero inutili e incomprensibili davanti ai suoi occhi. Segretamente, Ace era sempre stato molto invidioso di quel particolare aspetto del fratello minore: poteva essere più forte, più veloce e più sveglio di lui su certe cose, però…la sua ingenuità non la sarebbe mai riuscita in alcun modo ad eguagliare o, addirittura, a superare. E questo perché Rufy era una persona pura, la cui semplicità non poteva essere influenzata da voci adulte, neppure da quelle più sagge. L’aveva trovato così strano inizialmente, così assurdo il suo modo di vedere le cose, da sembrargli la prima e unica cosa giusta incontrata sino a quel momento. Senza neppure rendersene conto, quella piccola e adorabile scimmietta di gomma lo aveva stregato col suo smisurato sorriso sornione, toccandolo così a fondo da fargli aprire il cuore spontaneamente. Decisamente un evento più unico che raro, visto che anche Garp aveva avuto qualche problemino al riguardo. Ascoltarlo mentre gli spiegava tutto eccitato quel che gli era capitato, fece tornare Pugno di Fuoco indietro nel tempo, a quando erano solo loro due, senza niente al di fuori dei loro sogni. La nostalgia gli addolcì il viso, scavando ancor di più in quei ricordi dove risiedeva la felicità che aveva impedito alla sua stessa rabbia di auto-avvelenarsi; dovette passarsi una mano sul viso per non scoppiare a ridere come un perfetto idiota.

“Uh? Fratellone? Ehi, fratellone? Sei sveglio o dormi?” Rufy allungò il collo cercando di guardargli il volto “ Fratellone? Ma mi….?”

SBONK!

Tempo due secondi e la testa di Rufy venne colpita da un poderoso pugno che rischiò quasi di fargli scivolare dalla mano l’ennesimo cosciotto.

“Ace, perché l’hai fatto?” si lamentò Cappello di Paglia senza provare dolore per il colpo.
“Perché te lo meriti, razza di idiota. Nessuno ti ha chiesto di venirmi a salvare: in qualità di capitano, avresti dovuto pensare prima ai tuoi compagni anziché a me” lo rimproverò.
“Si, ma io sono anche tuo fratello minore” replicò lui tenendosi la parte colpita.
“Peggio ancora! Sai che figura ci faccio a farmi salvare da te!” ribattè il più grande severamente.

Cappello di Paglia assunse un espressione accigliata, con tanto di bocca storta e sopracciglia aggrottate. Ma chi se ne importava se Ace faceva una figuraccia o meno! Che differenza faceva se, per una volta, a salvarlo era lui?
Quando il suo fratellone faceva così era veramente antipatico, voleva sempre fare tutto quanto da solo, senza l’aiuto di nessuno. Fu sul punto di dirglielo, giusto per non chiedere il discorso lì, ma nel sentire la propria testa venire scompigliata dalla calda mano di quest'ultimo, si bloccò istantaneamente, con la sua solita faccia da mezzo ebete e le parole ben ferme in gola.

“Grazie, Rufy” mormorò quello sorridendo con gratitudine.

Fin da piccoli, Ace l’aveva sempre e incondizionatamente battuto in ogni sfida. Era sempre riuscito a sconfiggerlo nonostante lui disponesse delle abilità del frutto del diavolo Gom Gom, anche quando non si trattava di una lotta a mani nude. L’aveva sempre avuta vinta lui, come adesso: vederlo elargire quel sorriso sghembo e carico di sincerità incenerì completamente la discussione, decretandolo vincitore, ma Rufy non se la prese: l’importante era che Ace fosse salvo, li con lui: solo questo contava.

“Shishishi! Di nulla, però il merito non è solo mio, mi hanno aiutato in tantissimi! Devi assolutamente conoscere Bon-chan e Iva-chan, sono troppo forti!” esclamò raggiante lui.
“Se lo dici tu ci credo, però, prima…c’è una cosa di cui ti devo parlare” disse il più grande “E voglio che tu mi ascolti attentamente” aggiunse.
“Uh? Va bene. Di che si tratta?”

Ace si era fatto incredibilmente serio e i suoi occhi straboccavano di una fermezza che molti avrebbero reputato eccessiva. Tuttavia, considerando ciò che stava per dire, Pugno di Fuoco ritenne più che opportuno prendere tutti i mezzi a sua disposizione e usarli al meglio delle sue capacità se voleva che il fratellino recepisse perfettamente quanto stava per dirgli. Nel lanciare un’occhiata rapida, quasi riluttante a tutte le bende che coprivano il corpo del minore, la pece che gli colorava le pupille si indurì, affilando la sfericità d’esse, di modo che la solennità del suo discorso risuonasse doppiamente: dopo aver scelto le giuste parole e preso un grosso respiro, si buttò senza guardarsi le spalle.

“Voglio che tu stia lontano da Barbanera” cominciò subito “Se è stato a Impel Down come mi hanno detto, allora saprai certamente che aspetto abbia e chi sia, quindi presta bene attenzione, Rufy” gli si avvicinò appena per mantener salda la presa sul più giovane “Se dovesse trovarsi nei paraggi o se per puro caso lo incontrassi, evita di scontrarti con lui. Voglio che tu gli stia il più lontano possibile, che scappi, se necessario, ma mai, in alcun caso, ti ci dovrai avvicinare o peggio, non devi permettere che sia lui ad avvicinarsi a te. Non è alla tua portata, ne tanto meno alla mia: possiamo dire… che al momento nessuno di noi lo è”

Quell’ultima affermazione gli costò più fatica del previsto, ma l’ingoiare l’amaro ricordo di come era stato battuto, umiliato e trascinato per i capelli fino alla sua cella, gli diede la forza di continuare.

“Non conosco le sue intenzioni, ma di sicuro non sono buone. Ho commesso lo stupidissimo errore di sottovalutarlo e non voglio che ci caschi anche tu, pertanto me lo devi promettere, Rufy” e lo guardò dritto nei occhi severamente “Stagli alla larga, non cercarlo. Dico sul serio”

Le ferite emotive erano tornate a bruciargli al sol pensare al viso di quel maledetto traditore e il fastidio disgraziatamente non era trascurabile.
Per il suo orgoglio...no, per la sua stessa vita, quella sconfitta era stata tanto chiara da aprirgli la mente su molte verità e fatti che prima non avrebbe neppure preso in considerazione: gli aveva rammentato che non era imbattibile, che anche lui, per quanto fosse potente, poteva essere piegato e i colpi di Teach erano stati devastanti abbastanza da rispolverare quel concetto ammuffito nella sua mente. Ora, partire nuovamente allo sbaraglio, caricare a testa bassa senza guardarsi le spalle o i fianchi, sarebbe stata un’azione decisamente avventata, come gettarsi in una fossa di leoni dopo essere stati immersi in una vasca piena di sangue ed Ace non ci teneva a ripercorrere passo dopo passo l’agonia che gli aveva attanagliato il fisico ma soprattutto il cuore. La sua sfrontatezza stava per esigere un prezzo superante il limite consentito, troppo caro per qualunque essere umano.
Nel guardare il fratello minore dritto nei occhi, il comandante della seconda flotta di Barbabianca non si sentì così giudizioso come in quel momento, ma non potè farne a meno, non con quella martellante tensione che gli premeva sul torace: la Marina aveva il suo bel da fare nel riassestare la facciata della giustizia e per un po’ tutti loro avrebbero beneficiato di un periodo tranquillo. Rock Spire era un posto sicuro, l’ideale per delle riabilitazioni complete e da quel poco che aveva potuto constatare, la loro permanenza lì si sarebbe protratta a lungo. Eppure non c’era da essere tranquilli, non del tutto e il saperlo lo rabbuiò ancor di più: lui era là fuori, ancora vivo, chissà dove, in attesa della prossima e fortuita occasione e niente escludeva la possibilità che quel bastardo stesse ancora mirando ai maggior ricercati sulla piazza per consegnarli al Governo Mondiale, con tanto di fiocco rosso in testa. A quanto pareva, la sua scalata era ancora agli inizi e una cospicua taglia gli avrebbe di certo fatto un gran comodo, come per esempio quella di suo fratello. Non se lo sarebbe mai perdonato se quello stronzo avesse preso di mira nuovamente Rufy e non si perdonava tutt’ora che una delle persone a lui più care si fosse invischiato in quella faccenda non appartenente alla sua vita di pirata; glielo aveva anche detto, ma lui si era difeso, citando quelle poche parole che sancivano il loro legame fraterno a prova di congiura nazionale. Ace sperò che il succo del discorso e la sua fermezza nel trasmetterlo si fossero ben radicati in Rufy e, fortunatamente, così era avvenuto.

“Shishishi! Non ti preoccupare, fratellone, non ho nessuna intenzione di cercarlo o peggio di farmi acchiappare” lo rassicurò con un sorriso ampissimo.
“Mi fa piacere sentirtelo dire” gli disse Ace molto sollevato “E poi, immagino tu abbia una ciurma da recuperare o mi sbaglio?”

Stranamente, Rufy incrociò le braccia, inclinando la testa a destra con dei bizzarri lineamenti che rispecchiavano l’indecisione, come se quello non fosse il suo obbiettivo primario. La sottile linea della bocca si incurvò, arricciandosi ai angoli nel mentre le piccole e nere pupille vagavano rivolte verso il cielo.

“Uhm………”
“Rufy, cosa c’è?” gli domandò alla fine il maggiore notando la sua incertezza.
“Stavo pensando….di andarmi ad allenare” buttò li come risposta.
Pugno di Fuoco lo guardò con fare stranito “Allenarti? Come mai questa decisione? Non vuoi andare a cercare i tuoi compagni?”

La scelta del fratellino risultò molto strana ma non abbastanza da riderci sopra. In origine, l’andare a recuperare i suoi amici, sarebbe stata la prima cosa da fare una volta ristabilitosi completamente, ma invece pareva proprio che questo non fosse la priorità per il minore e il moro dalle buffe lentiggini, lesse nella sua risposta, qualcosa di molto importante: Rufy stava mettendo le basi per qualcosa che non poteva essere realizzato nell’arco di un paio di settimane e vederlo incamminarsi su questa strada sconosciuta, anziché cercare di ricongiungersi con i suoi compagni, lo incuriosì subito.

“Non è che non voglia andarli a cercare: mi mancano, solo che adesso non mi sembra il momento giusto” cercò di spiegare, nel mentre prendeva fra le mani il cappello di paglia prestatogli da Shanks “Penso che nessuno di noi sia pronto per il nuovo mondo, non ancora almeno” continuò poi, rigirando l’accessorio e guardandolo senza un preciso pensiero in mente “Così ho pensato di andarmi ad allenare un po’: mi rafforzo, trovo i miei amici e poi ci vado”

Fino a poco tempo addietro, lui e la sua ciurma ne avevano viste di tutti i colori: si erano scontrati con dei uomini-pesce, sconfitto un organizzazione avente l’obbiettivo di rovesciare un’intera nazione, abbattuto chi si professava un Dio, distrutto un’isola giudiziaria e addirittura sbaragliato un esercito di zombie capitanati da un testa di porro ruba-ombre. Tutte avventure emozionanti, includenti pericoli che più di una volta erano arrivati vicinissimi a prendersi le loro vite, specie la sua, ma a Rufy ciò non era mai importato: la sua straripante curiosità per tutto quello che non conosceva l’aveva sempre esortato a scendere dalla nave come fosse il conquistatore di un nuovo territorio, incurante d’ogni cosa questo comportasse. Ma tutto quel bell’esplorare aveva subito una piega imprevista all’arcipelago Shabondy, dove la situazione era degenerata a tal punto da vanificare il loro impeccabile lavoro di squadra: lì - precisamente nei pressi del Grove dodici - la ciurma di Cappello di Paglia aveva registrato la sua prima, grande sconfitta e i membri d’essa, erano svaniti nel nulla, ognuno in posto diverso, lontano da tutto e da tutti. Ora che era tutto finito, che Ace era sano e salvo, Rufy sarebbe potuto benissimo andarli a cercare, ma aveva deciso di rimandare ulteriormente.
Perché? La risposta non era riuscita a coglierla immediatamente e mai l’avrebbe appresa, se non si fosse ritrovato in mezzo al casino creato a Impel Down. Ripercorrere mentalmente i passi fatti gli era stato utile e, tra un boccone e l’altro, si era deciso a intraprendere una strada del tutto nuova da quella prestabilita.

Nel suo piccolo, Cappello di Paglia aveva realizzato di non essere pronto per proseguire nel suo viaggio e probabilmente non lo erano neppure i suoi compagni: non sarebbe mai riuscito a liberare suo fratello con le sue sole forze, le difficoltà paratesi sul suo cammino erano state così grandi, così mostruose, che era riuscito a cavarsela per il roto della cuffia. Se non ci fosse stato Bon-chan a salvarlo, Ivan-chan a curarlo, Yucci-chan a permettere a lui e ai altri di proseguire, forse a quest’ora non si starebbe godendo la compagnia del fratello e il buon sapore dei cosciotti di carne rubati dal primo frigorifero finitogli sotto le mani. Non era abbastanza forte per combattere nel Nuovo Mondo, non lo era stato a sufficienza per salvare Ace con le sue sole forze. Come avrebbe protetto i suoi compagni e i loro sogni se non era all’altezza di ciò che lo aspettava in futuro?

Nel suo silenzio, Ace colse il desiderio del fratellino in tutte le sue sfumature e sorrise, perché in cuor suo, non si sarebbe aspettato una scelta tanto drastica ma saggia da parte sua: Rufy riusciva sempre a sorprenderlo, ma di ciò non dovette stupirsene, poiché lo conosceva fin da bambino. Magari non rispecchiava essenzialmente le doti del classico capitano, ma senz’ombra di dubbio, sapeva cos’era meglio per sé stesso e la sua ciurma. In quella scintilla di timore insista nei suoi occhi, vi stava l’irremovibilità della sua scelta e Pugno di Fuoco la scorse senza troppi problemi: quando Rufy decideva di fare una cosa, le speranze di fargli cambiare idea erano pressoché inesistenti.

“Hai già in mente un posto?” gli domandò il maggiore.
“Veramente no, ma pensavo di chiedere al vecchio Rayleigh. Jimbe si è offerto di accompagnarmi all’arcipelago Shabondy e con noi vengono anche Bon-chan, Iva-chan e il suo amico, l’uomo granchio!” esclamò alludendo per ultimo a Inazuma “Faranno un pezzo di strada con noi. Quanto ai miei amici, mi inventerò qualcosa per fargli sapere la mia decisione”
“Capisco…beh, allora immagino che per un po’ non avrò tue notizie. Vedi di non cacciarti in guai ancora più grossi, Rufy, e tieni a mente quel che ti ho detto” gli raccomandò.
“Sta tranquillo, non mi succederà niente: appena saremo pronti verremo anche noi nel nuovo mondo e vi batteremo!” esclamò ghignando con fare fiducioso.
“Questo lo stabiliremo sul campo di battaglia, fratellino” sogghignò di rimando Ace.

Si strinsero la mano come se avessero appena suggellato la loro futura sfida e a essere onesti, era così: benchè entrambi pirati, i due fratelli sottostavano a due bandiere diverse e, inevitabilmente, un giorno o l’altro si sarebbero dovuti scontrare per la conquista del trono del Re dei Pirati. Quando Ace aveva proposto a Rufy e a tutti i suoi compagni di entrare a far parte della ciurma di Barbabianca, aveva sperato un pochettino che il fratellino venisse con lui, per stare insieme, ma in fondo, andava bene anche così: far desistere quella scimmietta di gomma dal suo proposito di diventare il Re dei Pirati era sempre stata una missione impossibile, non ci era neppure riuscito quel vecchiastro di Garp! Essere marine comportava troppi limiti, compresa una divisa stretta e scomoda e, in tutta franchezza, anche se Rufy fosse realmente divenuto un marine, sarebbe stato veramente pessimo.

“Shishishi! Ah! Ace, come sta Yucci-chan? Sei andato a trovarla, vero?” gli domandò poi Cappello di Paglia ricordandosi di non aver ancora visto la nuova amica.
“Ah..” la domanda l’aveva colto di sprovvista “Si, si, sono andato a..vedere come stava. Sta benone..credo” mormorò incerto sull’ultima aggiunta.

Solitamente Pugno di Fuoco sapeva gestire qualunque situazione gli capitasse in mano, ma quella francamente, era, come dire, troppo “Compromettente” per la sua persona. I diversi goccioloni che puntellarono la sua nuca scivolarono già lungo la schiena bendata, trasmettendogli brividi freddi e timorosi, annunciatori in tutto e per tutto di un evento alquanto imbarazzante, che come minimo, gli avrebbe fatto desiderare il completo sprofondamento nelle sabbie mobili. Purtroppo per lui, se fosse stato tampinato e costretto ad un interrogatorio con tanto di lampada puntata in faccia, difficilmente sarebbe riuscito a scamparla e questa era una delle buone ragioni per cui era grato che il fratellino si fosse rifugiato in cima all’albero maestro della Moby Dick. Non osò neppure immaginare in quale maniera Maya e Akiko stessero tartassando Sayuri, il solo pensiero lo terrorizzò non poco....

Altro che terzo grado…le staranno facendo il processo del secolo.  Pensò con un nodo alla gola.

Quelle due messe insieme erano peggio di un branco di mastini affamati, digiunanti da almeno cinque giorni; si ritenne smisuratamente fortunato a non essere finito nelle loro grinfie. Se solo ripensava a quando aveva visto l’infermierina, il sangue rischiava di dargli alla testa per il troppo imbarazzo e disgraziatamente, il ben evidente velo di vergogna dipinto sulla sua faccia rifletteva esattamente il suo attuale stato d’animo. La corvina li aveva scoperti e, vanificando quei cinque secondi di preghiera, si era messa a urlare come un’ossessa, sgolandosi fino all’inverosimile. Calmarla era stato impossibile, così come lo era stato il tentativo di spiegare razionalmente l’accaduto: per salvarsi dalla sua furia e dalla scopa che aveva brandito, Ace si era dovuto gettare fuori dalla finestra con a presso i pantaloni, il cappello e lo zaino, rischiando di finire in acqua per giunta. Decisamente un bel rischio, ma niente in confronto a quello che gli sarebbe toccato, se avesse incrociato anche solo uno dei suoi compagni: teoricamente avrebbe dovuto trovarsi nella sua stanza, in convalescenza e, soprattutto, ammanettato al letto. Non certo a spasso e a riempirsi la pancia con dei cosciotti di carne prima di mezzogiorno!

“Fratellone, che ti prende? Hai una faccia strana”
“Tranquillo, Rufy, non è niente” minimizzò sorridendo con un tic nervoso.

Un’altra piccola serie di brividi gli tartassò la schiena: se lo trovavano era bello che spacciato.
Sapeva di aver infranto le regole, ma fondamentalmente, non c’era nulla di cui dovesse vergognarsi: lui e Sayuri stavano insieme ed era naturale che prima o poi facessero il grande passo. Dopo quanto passato, era nei loro diritti stare insieme e godersi la meritata privacy. Come difesa sarebbe stata accettabile…peccato solo che certi dettagli, per sua sfortuna molto evidenti, avessero potere a sufficienza da ridurre la sua giustificazione ad un inutile mucchietto di polvere. Quella notte aveva finito per farsi trasportare così velocemente dalle emozioni che non aveva minimamente riflettuto sul dopo e sulle conseguenze incluse. Rammentava poco del periodo di prigionia, vi erano frammenti sparpagliati qua e là che a malapena riusciva ad unire ma, fra la molteplice confusione, aveva realizzato non soltanto di essere solo e impotente: anche se piuttosto remotamente, in lui era sopravvissuto quel senso di pace da cui ormai dipendeva ciecamente era svanito. Lo aveva cercato con insistenza, fino ad accasciarsi inutilmente contro un muro a lui invisibile, pronto ad arrendersi all’evidenza, ma improvvisamente, quasi sul punto di cadere…gli era parso di sentirlo. Il suo tepore era debole, ma percettibile nella sua piccolezza; emanava un che di piacevole a cui Ace subito si era aggrappato, sperando con tutto sé stesso che non fosse una mera illusione. Aveva udito la sua voce rompere il freddo penetratogli fino le ossa, disciogliere gli intricati nodi dentro cui era stato bloccato e rassicurarlo quanto bastava perché dormisse con un po’ più di serenità: nonostante ciò fosse durato pochissimo, giusto una manciata di secondi rotti, al moro era stato comunque sufficiente per comprendere che la sua solitudine era finita. Era occorso così tanto perché potessero finalmente anche solo guardarsi nei occhi, che Pugno di fuoco nel vedere la castana aveva mandato tutto al diavolo, salute compresa. La falla apertasi fra di loro li aveva divisi per troppo tempo e se fosse successo l’irreparabile, non si sarebbero più potuti incontrare. Eppure.. lui si era messo in gioco, nonostante il pericolo: aveva posto sulla bilancia la sua stessa vita e tutto per non perderla, tutto perché potesse trovare una soluzione senza che Sayuri soffrisse più di quanto già avesse dovuto patire. Ma il peggio era successo e se adesso si trovava lì, con suo fratello, a guardare quel cielo sconfinato dove il vento soleva disperdersi, lo doveva in parte a lei.

Al sol pensiero di quello che poteva succedere nelle prossime ore, desiderò volare via e perdersi in quel mare intoccabile: Rock Spire per quanto grande, rimaneva pur sempre un rifugio, un’isola e pertanto le notizie impiegavano poco a diventare di dominio pubblico. Specie se poi Akiko offriva il suo degno contributo………

“SIETE SENZA RITEGNO!!! COME VI E’ SALTATO IN MENTE DI FARLO NELLE VOSTRE CONDIZIONI?!?! TU…TU ERI…INSOMMA…NON NEGARE L’EVIDENZA!! QUEI SUCCHIOTTI NON SONO CERTO OPERA MIA!!”

L’avvertire i propri timpani frantumarsi a quell’urlo seppe di dejavù. Era incredibile come la voce umana potesse raggiungere tonalità così alte e Akiko ne era la prova vivente: come esplodeva lei non c’era nessuno e se in tutta Rock Spire qualcuno non aveva ancora saputo di loro, adesso era informato quanto gli altri. Non faticò immaginarsi la piccoletta nei panni di inquisitore supremo, con una predica lunga un chilometro da sbattere in faccia a Sayuri, implicante tutta una serie di domande piccanti la cui esasperazione avrebbe portato la sua povera ragazza sull’orlo dell’infarto. Non volle neppure pensare cosa si stesse sorbendo la castana, specie se in aggiunta all’infermierina, entrava in gioco anche Maya, la cui presenza era altamente probabile: a quel punto, era impossibile definire l’andazzo del dialogo. E il suo turno doveva ancora arrivare…

Peggio di così non può andare. Pensò sconsolato, nel prendere atto di essere lui l’artefice di metà “Reato”.
“Ehi, fratellone”
“Si?”
Rufy lo guardò coi suoi grandi occhi a palla “Che cos’è un succhiotto? E’ buono da mangiare?”

Pugno di Fuoco rischiò di perdere l’equilibrio a quella domanda. A volte l’ingenuità di suo fratello era veramente assurda, specie con quelle ridicole ma incastranti uscite. Come diavolo faceva a spiegargli cos’era un succhiotto senza prima illustrargli il contesto generale? Tanto valeva che insegnasse l’alfabeto a un mulo! Almeno, di imbarazzo, non ce ne sarebbe stata l’ombra.

Forse era meglio se rimanevo in cella…Si disse mentalmente, nel mentre la vocina assillante di Rufy faceva da sottofondo ai suoi pensieri.
 



“AVANTI, RAGAZZI, FACCIAMONE UN ALTRO!!”

Più di mille calici di birra cozzarono all’unisono, nel mentre le grida riecheggiavano per l’intera piazza interna di Rock Spire. Assordanti, sembravano voler raggiungere la Luna, addirittura lo spazio profondo e chissà, magari ci sarebbero riuscite. Finalmente i pirati di Barbabianca potevano far festa e nessuno di loro si premurò di mantenersi calmo, ordinato o coi piedi per terra: dal loro arrivo al rifugio, non avevano agognato che quel momento, dove l’apice della gioia superava i limiti stabiliti in precedenza. La birra, le cibarie e tutto l’insieme della festa, avrebbero reso allegro anche il musone più ostinato del mondo, non c’era maniera di sfuggire a quell’ondata di puro divertimento.

“Su, pasticcini miei, tutti insieme, Heehaw!”

Emporio Ivankov, assieme ai suoi fedeli seguaci, stava ballando su un tavolo, esibendosi in movenze che, nella loro ambiguità, riscuotevano un successo tanto travolgente, da coinvolgere anche coloro che non rientravano nella schiera dei cosidetti “Convertiti”. A detta del regino, lo spettacolo avrebbe riscosso molto più successo, se fosse stato accompagnato da sfavillanti luci stroboscopiche, ma poiché il budget era quel che era, se ne sarebbe fatto a meno.

“Non posso credere che siamo salvi!”
“Mi ero rassegnato a passare il resto dei miei giorni chiuso in quella cella senza più vedere la luce del giorno!”
“Tre urrà per il capitano Buggy, il nostro salvatore!”

La peculiarità della piazza interna di Rock Spire stava nell’essere tanto grande da ospitare tutti i rifugiati senza farli sentire come delle sardine in scatola: stipati e senza ossigeno. L’ampio spazio, riempito con fiaccole appese alle pareti rocciose, tavoli stracolmi di cibarie e bevande, era un continuo vociare allegro e inesauribile, il cui raggio d’azione arrivava a coprire anche gli angoli poco considerati. Seduti in cerchio, con una montagna di cibo al centro e l’adorazione traboccante dai occhi, la piccola manica di evasi di Impel Down stava dando degno elogio al loro Messia - alias Buggy -, all’apice della sua sfacciataggine. Sghignazzava come se fosse appena stato eletto supremo dominatore di tutti i mondi.

“Capitano Buggy, lei è il nostro idolo!” esclamò uno, con le mani congiunte a preghiera.
“Il prossimo Re dei Pirati sarà sicuramente lei!”

Gli ex detenuti non facevano che ripetersi e Buggy il Clown stava letteralmente gongolando per la beltà delle loro parole come un perfetto idiota.

“Ah ah ah ah!! Grazie, grazie, siete troppo gentili” esclamò il pirata dal naso rosso seriamente commosso “Ma devo dire che non sarei mai riuscito a compiere una simile impresa senza il vostro sostegno!” esclamò sfoggiando una voce profonda e seria, giusto per rendere quel momento ancora più epico “Un capitano non è niente senza una ciurma pronta a seguirlo anche nella morte: quando si decide di inseguire i propri desideri, si deve essere pronti a tutto!” ed alzò il braccio con in mano un calice colmo di sakè.
“Quanta saggezza!” esclamarono i suoi nuovi subordinati, totalmente assuefatti dal suo discorso.

Al momento Buggy, benché fosse perfettamente cosciente di dove fosse, vicino a quale imperatore si trovasse, lasciò che la sua risata rimbombasse dentro quell’angolino della piazza senza minimamente preoccuparsi di attirare l’attenzione. Mai in vita sua si era sentito tanto potente e davanti a tutta quell’ammirazione, si lasciò trasportare dall’assurda ipotesi, che forse qualche divinità a lui sconosciuta lo voleva realmente rendere il Re dei Pirati: il sol pensiero slargò quella sua espressione ebete ancor di più, sotto gli occhi di un Mr3, ora finalmente rilassato, ma comunque in allerta, poiché gli risultava faticoso dimenticare che erano circondati dai pirati di Barbabianca e che anche il più piccolo colpo di testa li avrebbe visti guadagnare un bagnetto gratis nei gelidi abissi marini del posto.

“Un-deux-trois! Un-deux-trois! Okama waaaaaaaaaaaay!”
“Shishishi!! Bon-chan, sei il migliore!”

Completamente assorbito dalla festa, Rufy si stava divertendo come un pazzo insieme a Bon-chan, il cui braccio rimaneva costantemente attorcigliato al collo del pirata di gomma. Ogni tanto Ace, appena poteva, gettava un occhio al fratello, che già più di una volta l’aveva trascinato a viva forza in quella mischia venutasi a creare appositamente per festeggiare il suo ritorno in famiglia. Astenersi era letteralmente impossibile, specie poi per lui, che era la “Star” del momento: nel giro di due ore, era stato passato di mano in mano, abbracciato, stritolato e preso a legnate in testa da tutti i suoi compagni, felici di riaverlo lì….e anche alquanto curiosi su un certa cosetta urlata da una piccola infermiera dalle ciocche colorate, il cui brutto vizio di urlare ai quattro venti i fatti altrui era decisamente inopportuno per la sua persona. Per farla breve, l’interrogatorio subito prima dell’arrivo a Wintry Realm non era stato nulla in confronto a quello appena superato. Anche se fosse diventato piccolo quanto una formica, l’imbarazzo e la vergogna per certi commenti e uscite non sarebbe affatto scomparso per magia; nell’entrare nella piazza, non si era mai sentito così osservato e dovette nuovamente ringraziare il suo benamato cappello arancione per l’avergli occultato parte del deplorevole spettacolo dipinto sulla sua faccia.

Cosa dire poi di Sayuri, poverina…..
Lei era rimasta sino a quell’istante nelle grinfie di Maya e Akiko, che l’avevano dovuta trascinare forzatamente sulla sedia a rotelle per portarla in piazza. Il rossore dipinto sul suo viso era stato talmente vistoso da risplendere come una lampadina e le ulteriori occhiate da parte dei suoi fratelli non l’avevano aiutata a calmarsi, ma se non altro, quelli avevano avuto il buon gusto di non “infierire” pesantemente, come invece avevano fatto con lui. Al sol ricordo, Pugno di Fuoco si morse le labbra e mandò giù altra birra per poi riempirsi la bocca dei piatti a portata di tiro. Non voleva nemmeno immaginarsi le domande poste alla sua ragazza: quelle due arpie vestite di rosa erano capaci di tutto…

“Eccolo qua, il nostro conquistatore” ghignò Don, arrivandogli alle spalle.

A momenti Ace rischiò di strozzarsi, ma una provvidenziale pacca sulla schiena da parte del medico-cecchino lo salvò dal soffocamento.

“Vacci piano. Non vorrai morire dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per recuperarti” disse sedendosi con pesantezza sulla lunga panca di legno “Capisco che debba essere imbarazzante venire scoperti nel mentre ci si diverte con la propria ragazza, ma non lo ritengo un buon motivo per andare all’altro mondo strozzandosi con della carne. Se non erro, hai ancora un orgoglio da mantenere”
“Io non sono imbarazzato e non ho fatto nulla per cui debba esserlo” borbottò il moro, senza degnarlo di un solo sguardo “Ci siamo chiariti e le ho chiesto scusa. Punto e basta” benchè le sue parole esprimessero un determinato concetto, la sua faccia - ridotta a un indicibile colore – ne stava dicendo un altro.
“Certo, certo…. Immagino che le tue siano state scuse molto intense” replicò l’amico con nonchalance nel mentre si gustava la sua birra.

Ace cercò di rantolare qualche parola, arrivando anche ad alzare l’indice per ribattere, ma finì per abbassare la testa con fare sconsolato. Sulla sua testa gravano macigni grandi quanto delle montagne, tutti carichi di quell’imbarazzo di cui stava tutt’ora negando l’esistenza. Mai che nessuno si facesse i fatti suoi! Non era stato tanto per le domande, anzi, di quelle ce ne erano state pochissime; più che altro, la fonte primaria del suo disagio risiedeva nei commenti, nelle battutine e in tutta una serie di gesti il cui potere influente lo stava facendo sentire in colpa per quello che aveva fatto. Il rivedersele sfilare nella mente in ordine crescente gli fece affondare una mano nei capelli per poi scompigliarseli energicamente, con un tic nervoso alla tempia: ma che accidenti, non le era mica saltato addosso senza esplicito consenso! Eppure, tutti lo stava guardando come fosse un animale, dimenticatosi completamente che, fino a una settimana prima, era il condannato a morte dell’anno.
Il fatto che anche Don lo stesse amorevolmente sfottendo – cosa veramente rara, considerato il suo pressoché inesistente interesse nei riguardi della vita amorosa del suo comandante – non centrava proprio nulla con le ragioni su cui gli altri avevano fatto leva: lui, in qualità di medico, aveva imposto dei limiti alla visita concessa ad Ace e il suddetto, che avrebbe dovuto rimanere dentro codesti confini, come al solito, aveva fatto di testa sua. Morale della storia: dopo la “silenziosa” rivelazione di Akiko, la stramaledetta assatanata dai capelli viola col seno stipato, indossante quell’asciugamano rosa che lei chiamava “Divisa”, era arrivata vicinissima ad ottenere una seconda vittoria nei suoi confronti.

Al povero Pugno di Fuoco non occorsero chissà quali ragionamenti per arrivare a cogliere con logicità le motivazioni che stava spingendo il medico-cecchino a comportarsi in quel modo sorprendentemente più attivo del solito e, visto quanto aveva fatto per lui, non poteva dargli torto.

“Avresti fatto prima a massacrarmi di botte” borbottò Pugno di Fuoco incrociando le braccia e deponendole sul tavolo.
“Vero, ma non avrei provato la stessa soddisfazione di adesso” sogghignò bastardissimo lui. L’ottenere quel minuscolo pezzo di giustizia era bastato ad ammorbidirlo su tutta la questione e nel goderselo, mandò giù un lungo sorso della bevanda senza neppure prendere fiato “Vedila così, Ace” riprese dopo essersi pulito la bocca col dorso della mano “Tu almeno hai evitato la corte suprema” e indicò la capo infermiera.

Ace deglutì istantaneamente. Vista da quell’angolazione, la prospettiva cambiava di parecchio: non aveva mai testato di persona uno dei interrogatori di Maya, ma la reputazione della donna precedeva ogni possibile esperienza pratica a tal punto, da desiderare ogni possibile contatto con ella. Non perché non fosse simpatica, ma l’essere una donna matura, intelligente, e anche spietata nel suo campo, la rendeva abbastanza pericolosa da mettere in crisi qualunque uomo presente nella ciurma di Barbabianca. Non era un caso che fosse lei a cappeggiare le infermiere della nave..
Spostando di poco lo sguardo, il ragazzo vide Sayuri a pochi metri dalla donna, seduta su una panca. La sola cosa fuoriposto - e che purtroppo saltò subito ai suoi occhi - era quella sedia a rotelle che la affiancava e che aveva utilizzato per arrivare sino alla piazza. Quei pochi movimenti concessili dal suo corpo non erano sufficienti a farla stare in piedi e, per quanto lei ci avesse provato, il fisico non era ancora pronto a sostenersi da solo ne a farsi mostrare, spiegazione più che lampante per quella lunga gonna che le copriva le gambe. Precedentemente, gli era parso vederla parlare con il padre, ma quale fosse l’argomento, era un mistero....
Al momento, sembrava intenta a stabilire un contatto con la piccola infermierina seduta vicino a lei, ma che continuava a darle la schiena, mostrando a tutti le guanciotte gonfie, le braccia incrociate e la boccuccia stretta: tutti segni tipici del suo più che rinomato broncio.

“Akiko, per favore, non fare così” le chiese Sayuri, con l’innata calma di sempre.
“No! Io con te non ci parlo più! Sei cattiva!” affermò la più piccola, accentuando l’incrociamento delle braccia.

La castana sospirò, scostando le pieghe della gonna con fare silenzioso, per poi tornare a guardare quella testolina dalle ciocche variopinte che non accennava in alcuna maniera ad abbassare la sua muraglia di indifferenza. Quando si imbronciava era difficile farla desistere, specie nei primi minuti: praticamente tirava fuori una capoccia più dura del diamante e del marmo messi insieme e arrivava a trattenere il fiato per così tanto da diventare blu.

“Sei arrabbiata, lo capisco, hai le tue buoni ragioni per esserlo e mi dispiace di essere la causa di questo tuo disagio, ma non potevo fare altrimenti” le spiegò nuovamente senza alcun tono esasperante.
“Potevi restare! Ecco cosa potevi fare” sbottò lei di rimando “Te ne sei andata senza dirmi nulla!”

Era decisamente arrabbiata. Bianco giglio si ritrovò nuovamente a dover espirare l’anidride carbonica accumulata nel corpo. Akiko aveva ragione ad avercela con lei, non lo negava, solo che le era difficile comprendere a pieno la sua arrabbiatura: non era il genere di persona capace di portare rancore a lungo e se ogni tanto si stringeva più a sé, era per non voler mostrare i primi segni di cedimento morale. Se quella mattina era venuta di soppiatto nella sua cabina, sfuggendo ai ordini di Maya come aveva pensato, evidentemente l’ostilità nei suoi confronti non doveva essere così forte da mettere così facilmente da parte la preoccupazione che provava per lei; la ragione per cui adesso si era tanto incrementata, stava nel fatto che lei adesso era sveglia, cosciente, così come lo era il sentimento con cui Akiko stava costruendo in fretta e furia la sua resistenza.
Cosa poteva dirle oltre a ciò che voleva sentirsi dire? Molto altro, probabilmente, ma sapeva bene che oramai quella piccina, considerata da lei come una sorella minore, era sul punto di crollare: le spalle le tremavano troppo.

“Akiko….” la chiamò con fare materno.

Contando tre secondi giusti, Sayuri si ritrovò a sorridere dolcemente nell’accogliere fra le sue braccia l’infermierina giratasi così velocemente da rischiare di farla cadere dalla panca. Affondando il viso nel suo petto, la corvina si sciolse nel percepire la sua testa venire accarezzata dalla più grande.

“Non lo fare più” le ordinò quest’ultima, guardandola coi suoi grandi occhioni color ametista.
“Farò del mio meglio” le promise.
“No, non devi fare del tuo meglio: non lo devi fare più e basta!” replicò coi lacrimoni sul punto di rigarle le guance “Se lo fai ancora, non ti vorrò più bene!”
“Va bene, ma non piangere” cercò di rassicurarla con tono dolce “Siamo pur sempre a una festa, no?”

Non occorse molto prima che il faccino della tenera corvina tornasse gioioso e luccicante. Bastava dirle quello che voleva per farla tornare allegra e considerando anche la piccola rivincita ottenuta nella stanza degli interrogatori, la corvina, dopo quella promessa, si sentì come nuova: il repentino mutamento facciale e caratteriale la sollecitò a tornare la ragazzina di sempre, coi capelli appena un po’ più scompigliati ma allegrissima sotto ogni punto di vista. Contenersi era proibito, il peggior crimine che una festa di quelle dimensioni potesse contrarre.

Nessuno avrebbe seriamente avuto il coraggio di andare lì a porre il silenzio.
Nessuno avrebbe impedito a Bonz di esibirsi nella sua leggendaria “Danza delle padelle” insieme a dei okama vestiti di pelle rossa e gialla.
Nessuno avrebbe tentato di fermare Don, tutto impegnato a bere come una spugna e a lanciare ogni tanto borbotti poco carini rivolti alla capo infermiera, che a sua volta rispondeva con lo stesso livello d’alcol in corpo.
Nessuno avrebbe cercato di far rallentare Akiko nel mentre scarrozzava forsennatamente la sua sorellona in mezzo a quella folla delirante.
Nessuno avrebbe osato mettersi in mezzo alla sfida fra Ace e Rufy, i cui piatti serviti non facevano che ammucchiarsi ritmicamente sotto le risate dei presenti.
Nessuno avrebbe potuto interrompere tutti questo.

Dopo un lungo e orribile periodo, i pirati di Barbabianca stavano dando sfogo a tutta la loro personalità senza dare importanza ai limiti umani. Ne avevano tutto il diritto e l’anziano capitano, nel guardare tutti i suoi figli, bevve il suo sakè allegramente, ridendo con tanta forza da far tremare le pareti. Ovunque l’occhio gli ricadesse, vedeva quel che più allietava il suo stanco cuore: non esisteva medicina più efficace dei volti sorridenti dei suoi ragazzi. Vederli spensierati gli sanava il corpo e la mente come nessun’altra medicina artificiale avrebbe fatto. Non volle interromperli o trattenerli con chissà quale discorso; già li odiava di per sè, i sermoni – quasi quanto le maglie - quindi preferì godersi quella mega festa insieme a loro, lasciando fuori il restante. Per quella notte e per i giorni che sarebbero venuti, il tempo non sarebbe stato contato o calcolato: non gli si avrebbe fatto caso, così come non avrebbero fatto caso a quanto stava accadendo nel mondo esterno. Ogni tanto era giusto che le persone si ritagliassero un po’ di tempo dalla quotidianità, per staccare, insomma.
Forse non sarebbe stato per sempre e il tornare ad affrontare la realtà avrebbe comportato cambiamenti duri, alcuni addirittura inaspettati, chi poteva saperlo. Niente era eterno a quel mondo, salvo quelle poche eccezioni per cui valeva veramente la pena di lottare: un uomo come Edward Newgate, poteva ritenersi ampiamente soddisfatto di sé stesso, perché quelle eccezioni lui le aveva sempre avute vicino, intorno a lui, sperimentandole, ampliandole e arrivando a considerarle come i veri tesori della sua vita: si trattava di persone e valori, qualcosa che il più delle volte veniva considerato privo di importanza poiché queste non erano fatte d’oro o di gioielli.

Niente poteva affermare con certezza quel che attendeva i pirati di Barbabianca, niente escludeva che quanto stava venendo organizzato dal destino fosse semplice: nella maggior parte dei casi – per non dire sempre -, nulla veniva dato con tanta spontaneità. In un mondo come quello era difficile cavarsela senza sforzarsi, ma se si trattava di combattere per far si che quella grande famiglia sopravvivesse, allora nessuno di quella ciurma avrebbero esitato ad accettare la sfida.
Rialzarsi dalla polvere per lottare col solo scopo di ammirare l’alba del giorno dopo. Vivere per guadagnarsi quel futuro che sognavano e che dovevano realizzare: questa era la libertà che un pirata si sceglieva e questa era la libertà che tutti i componenti della ciurma di Edward Newgate avevano abbracciato nell’istante in cui avevano deciso di dare all’era della pirateria il nome dell’imperatore.

Che ci provino pure a fermarci. Pensò Barbabianca sorridendo sotto i prorompenti baffi Siamo soltanto all’inizio!

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Capitolo 75
*** Final/ I'll keep my promise. ***


Ci siamo, eccoci alla fine. Dopo oltre un anno, “Giglio di Picche” è giunto al termine (Dio, che tristezza, mi lascia un vuoto dentro impensabile). E’ strano ma sono soddisfatta di me stessa e non ho mancato di ringraziarvi tutti quanti: in fondo al capitolo, troverete i miei saluti, i ringraziamenti e una piccola sorpresa che posterò mercoledì prossimo. Godetevi l’ultimo e ufficiale capitolo di “Giglio di Picche!”
 
 
Mare Meridionale.
Quarantacinque gradi di latitudine e novantasette di longitudine.

Le coordinate indicavano la posizione di una piccola isola poco conosciuta, abitata da un modesto gruppo di persone che avevano edificato il loro villaggio, battezzandolo di loro proprietà. Non era famoso per i fiorenti commerci, le località turistiche o per qualsiasi altra particolarità  giudicata dai estranei estremamente curiosa e meritevole di essere conosciuta: non possedeva niente di tutto ciò. Quel piccolo lembo di terra era fin troppo banale. ma gli abitanti del posto andavano fieri del loro tenore di vita rasentante la tranquillità: a volte bastava veramente poco per rovinare qualcosa costruito con amore e pazienza e la gente di quell’isola sapeva bene cosa significassero quelle parole. Gli anziani lo ricordavano per l’averlo vissuto in prima persona ma, per grazia divina, il tempo aveva sanato tutte le ferite e, ulteriormente, per non instaurare la paura nei giovani, avevano provveduto a non lasciare trapelare nulla di quel spiacevole evento. Se qualcuno avesse chiesto, loro avrebbero risposto che ciò non era stato altro che una spiacevole conseguenza dovuta alla disgustosa pirateria, niente di più. Se cancellare un fatto era impossibile, dimenticarlo e andare avanti come se nulla fosse risultava più facile, specie se poi ci si convinceva che ogni particolare di quell’atrocità fosse morto con la negazione da parte dei testimoni.

Avevano agito a quel modo per il loro bene, per il bene dei loro bambini e per il bene stesso dell’isola e adesso, la pace era tornata a sedere sul suo legittimo trono, mettendo da parte ogni preoccupazione: il villaggio, coi suoi pochi negozi, viveva del lavoro dei abitanti, le cui giornate erano piene e, nella media, abbastanza produttive.

Con le mani occupate e i piccoli che giocavano a palla o a fare rincorrersi, nessuno si accorse di quella minuscola variante alla loro quotidianità: assuefatti dai loro doveri, non notarono una graziosa fanciulla indossante un bel abito giallo pallido camminare lungo la via principale. La sua presenza non venne minimamente calcolata, come invisibile ai occhi di tutti, addirittura a quelli delle stesse piante. Passeggiava con in mente un posto preciso, senza mostrare un particolare interesse per quel ambiente circostante che tempo addietro l’aveva disprezzata, esattamente come le persone dell’isola.
Oh si, lei era nata lì, ma nessuno avrebbe saputo riconoscerla poiché era stata data per morta. Camminava con la brezza solente ad alzarle appena l’orlo della gonna, lasciandosi alle spalle le abitazioni e le voci popolane per raggiungere l’estremità della zona civilizzata: non vi era molto, salvo qualche frutteto e una casetta grande abbastanza da farci vivere due persone. Questa era abbandonata da tanti anni, sprangata con assi marce e coperta d’edera fino al camino: nessuno vi ci era stabilito e la conseguente mancanza di cure, aveva permesso che una parte delle mura d’essa scoppiasse dall’interno, mostrando l’abitacolo pieno di polvere, ragnatele e detriti. Passandoci davanti, la viaggiatrice non degnò a quelle macerie alcuno sguardo, così come non mostrò la benché minima attrattiva nello scorgere un pozzo riempito appositamente di terra perché risultante inutilizzabile. Un tempo quelle semplici costruzioni avevano fatto tremare non poco il suo animo, spingendola a rinchiudersi dentro sé stessa fino a quando non sarebbe stata sicura che il pericolo fosse passato: era nata lì, ma non era stata amata, benvoluta o accettata. La bambina che ancora viveva dentro il suo cuore era stata odiata, ritenuta un mostro, un perfetto capro espiatorio su cui la gente aveva riversato la propria indignazione, l’odio, arrivando a trasmettere tale sentimento ai figli, i cui maltrattamenti nei suoi confronti non erano mai stati ritenuti una valida ragione per castigarli.

L’amaro scatenato dell’impotenza provata, unito al dolore per quelle ferite dilanianti, era stato così esasperante da perseguitarla anche dopo aver lasciato l’isola. Al posto del rancore vi era l’incomprensione per quel comportamento, incomprensione alla fine colmata e celata dietro una forza d’animo liberata grazie ad un piccolo gesto caritatevole rappresentante il suo solo attimo di felicità in quell’infanzia tanto buia. La piccola bambina indesiderata aveva sofferto, così come aveva sofferto la graziosa fanciulla che adesso si apprestava a inoltrarsi nel bosco, da cui tutti preferivano tenersi alla larga per via di una diceria che ancora, straordinariamente, si reggeva in piedi. Le folte chiome dei alberi impedivano alla maggior parte dei raggi solari di penetrare all’interno, rendendo l’ambiente semioscuro, silenzioso, con qualche chiazza luminosa filtrante dal fogliame. Circondata dal silenzioso frusciare dei alberi, la ragazza non più bambina percorse il sentiero apparentemente inesistente all’occhio umano ma perfettamente visibile nella sua mente, chiaro, come fosse una mappa scritta: a ogni passo il battito del suo cuore si inspessiva, alimentando l’emozione per il sapere la sua meta sempre più vicina. Rimanere impassibile era decisamente chiedere troppo, nessun essere umano poteva riuscire a omettere i propri sentimenti: mostrare indifferenza era il massimo concesso, ma rinnegare una parte di sé equivaleva a gettare al vento le poche qualità che distinguevano l’uomo dalla bestia.

Varcata l’uscita di quel lungo tunnel forestale, la luce del sole, unita a una sferzata ventosa che le sollevò i capelli, spinse la ragazza a coprirsi gli occhi con l’avambraccio: il cinguettio dei gabbiani le solleticò immeditatamente l’udito e nell’abbassare l’arto, lasciò che la sua vista si riabituasse a quel paesaggio rimasto conservato nella sua memoria come un monile prezioso.

Eccomi qua….

Non era cambiato nulla, tutto era al suo posto e di ciò lei ne fu grata. La scogliera, rivestita di un soffice prato verde, stava venendo accarezzata da alcune folate d’aria tiepida proveniente dal oceano , le cui onde solevano adagiarsi pigramente sulla spiaggia, dove ogni tanto qualche paguro si divertiva a zampettare e a scavare buche. Lì la civiltà non aveva messo piede, l’unica costruzione presente era una minuscola casa sigillata che, a differenza dell’ultima vista, era in perfette condizioni, addirittura priva d’edera. Il tettuccio rosso era sbiadito sui bordi, ma le mura dai mattoni biancastri avevano resistito fieramente a ogni capriccio della natura: indubbiamente, dentro dovevano essersi accumulati grossi gomitoli di polvere ma, per quanto il desiderio di andare a dare una sistemata fosse cresciuto abbastanza velocemente da farle prendere in considerazione quell’idea, Sayuri – poiché era questo il nome della ragazza – decise di focalizzare la propria concentrazione su quel ristretto spazio che dava sul mare, dove giacevano i suoi ricordi più importanti, i più significativi.

A meno di un metro da dove si era fermata, stava una lapide grigiastra di medie dimensioni, priva di nome, liscia e appena un po’ smussata sui angoli arrotondati. Non vi erano decori o fregi particolari, salvo dei fiori ai suoi piedi, piantati appositamente perché il defunto non ne sentisse la mancanza. Rappresentavano molto per lui ma anche per lei. I fusti possedevano diverse foglie arricciate di un bel verde chiaro, di cui alcune aperte verso l’esterno. L’estremità era rappresentata da una corona di petali bianchissimi dalle brillanti sfumature, sporgenti, che lasciavano spazio a una minuscola cavità dove facevano capolino i pistilli. Erano pochi, massimo cinque, ma all’apice della loro fioritura. Nell’inginocchiarsi lentamente, sollevando di poco la gonna, Sayuri li ammirò con un misto di dolcezza e sollievo nei occhi: erano stupendi, immacolati, come appena fioriti, esattamente come lei li aveva sempre visti. I più bei gigli che fossero mai esistiti, il cui paragone con altri esemplari era impensabile: lasciavano trasparire con nitidezza l’amore di colui che si era preso cura di loro, senza timore che questo risultasse troppo sfacciato, mostrando al sole quanto di bello possedevano. Nel far scorrere su ciascuno di essi il proprio sguardo, la castana infine guardò la muta lapide davanti a sé, sciogliendo le labbra in un sorriso nostalgico.

“Sono tornata, nonno” mormorò “Spero di non averti fatto aspettare troppo”

Al di fuori di Sayuri, nessuno era a conoscenza di quel posto, di quella casa e tanto meno di quella tomba.
Quella zona dell’isola rappresentava un’incognita che nessuno aveva mai avuto il coraggio di svelare ed era in quella sorta di isolamento, che la ragazza aveva iniziato ad aprirsi dopo tanto dolore. Lì la gente del villaggio non ci veniva, preferivano stare dov’erano, al sicuro, nelle vie che conoscevano bene quanto le loro tasche, dove il pericolo stava sotto la soglia dello zero.

“Immagino considererai la mia presenza qui alquanto strana sebbene tu l’avessi prevista. D’altro canto, mi ero ripromessa di non fare più ritorno: sai bene cosa rappresenti per me quest’isola ma vedi, il fatto è che…avevo davvero bisogno di vederti” mormorò chiudendo gli occhi per pochissimo “Mi manchi tantissimo”

Emanando un flebile sospiro, accarezzò la lapide col palmo della mano.
La piccola baia dove l’oceano si stagliava in lungo e in largo senza confini personificava l’inizio, il suo inizio, dove tutto era cominciato. Logicamente qualche intellettuale avrebbe corretto tale affermazioni, replicando che la sua vita fosse iniziata al momento della sua nascita, ma per quei cinque lunghi anni passati a soffrire, Sayuri era rimasta estranea a molte cose, compresa la sua stessa esistenza: le percosse, gli insulti, gli sguardi disgustati, le risate pungenti dei suoi coetanei…tutto ciò che poteva rendere un vero inferno la vita di un figlio della pirateria,  lei l’aveva provato sulla sua pelle e i segni lasciati erano andati a scolpirsi da prima sul suo fisico, poi nella mente, con calco indelebile. Prigioniera in quel limbo, era arrivata a meno di un passo dal vuoto emotivo, pronta a rinunciare alla sua vita perché convinta che così facendo, avrebbe giovato alla felicità di quella donna; seppur talvolta avesse sorriso, sicura di poter fare qualcosa di buono per lei, quelle fitte dolorose non avevano mai smesso di tormentarla. Soltanto in quell’angolino perduto, in quella specie di bolla dove la serenità aleggiava senza venir scalzata dal suo trono, Bianco Giglio, aveva cominciato a intravvedere il primo spiraglio di felicità. Non si trattava soltanto dell’ambiente, ma anche della presenza di quell’insolito signore che aveva deciso di prenderla con sé e di trattarla come fosse sangue del suo sangue.

“Temevo di non riuscire a mettere piede su quest’isola, ho cominciato ad emozionarmi non appena ho attraversato la Reverse Mountain. No, aspetta…” si corresse ritraendo la mano “Forse, è più corretto dire che ero spaventata. Anche se lo negassi fino alla fine dei miei giorni, ciò non cancellerebbe che cosa questa terra sia stata per me” proseguì.

Un leggero velo di malinconia calò sulle sue iridi color cioccolato, risvegliando la parte di lei che per diversi anni aveva tenuto segreta a tutti coloro che le si erano avvicinati. Il cuore le batteva forte, come se stesse per ricevere una risposta talmente importante da incidere sul suo futuro. Nel lungo viaggio compiuto per tornare alla sua patria, l’emozione dentro di lei era cresciuta man mano che la distanza s’assottigliava ma, una volta scorta in lontananza l’ombra dell’obbiettivo, gambe e braccia si erano irrigidite quanto bastava per farle venire il fiato corto. Aveva deciso di compiere quel viaggio per una ragione precisa e voleva arrivare in fondo con le sue sole forze: ne Ace ne nessun altro dei suoi fratelli l’aveva accompagnata, si trattava di qualcosa di strettamente personale, fra lei e il suo adorato nonno. Non era stata una scelta progettata da tempo, curata nei minimi dettagli e studiata appositamente perché venisse ad attuarsi in un preciso momento, al contrario: il desiderio di rivedere la tomba del nonno era stato un getto impulsivo, improvviso, potente a sufficienza da farle prendere un’imbarcazione decente e iniziare così la sua attraversata senza alcuna forma di ripensamento.
Un simile gesto non era da lei, ma poiché c’è sempre una prima volta per tutto, una decisione del genere non era risultata ai occhi del suo capitano così assurda e impensabile. Rivedere quella lapide, con i suoi fiori preferiti, tranquillizzò Sayuri, restituendole la consapevolezza di essere in un posto sicuro, dentro al primo ritaglio di felicità arrivatole incontro, permettendole così di sorridere, come se davanti a sé ci fosse in carne e ossa suo nonno, pronto ad ascoltarla come lei soleva fare quando lui le raccontava le sue storie. Il problema era che se lui non aveva mai avuto problemi a parlare, lei al momento si trovava nella confusione più totale, tanto da sistemarsi in continuazione i ciuffi castani dietro le orecchie.

“Eh eh, non so proprio da dove iniziare..” ridacchiò sommessamente “Ho così tante cose da dirti e da chiederti che non riesco a decidermi. Ho provato perfino a segnarmele, ma non sarebbe stata la stessa cosa una volta arrivata da te. No, credo proprio che sarebbe stato squallido..”

Dei molti argomenti che si stavano accalcando sulla punta della lingua, spintonandosi a vicenda, non sapeva quale scegliere per primo. Avrebbe potuto iniziare con una panoramica delle sue avventure, dei importanti incontri fatti e di come si erano concluse le ultime vicende che le avevano fatto guadagnare una taglia da capogiro; certamente, se fosse partita dal suo primo sbarco, ci avrebbe impiegato come minimo due giorni a raccontare tutto, se non di più. Benché non le sarebbe dispiaciuto raccontare ogni singolo avvenimento capitatole, in cuor suo capì che non poteva tergiversare seppur il tempo non fosse tiranno come a suo solito. Non si trattava di scegliere da quale argomento partire, ma di isolare il sentimento che più le premeva sul petto e di far leva su di esso per farsi coraggio e iniziare a parlare senza perdersi ulteriormente. Le pressoché impercettibili spintarelle del vento la stavano come esortando ad andare avanti mentre il cielo, nella sua limpidezza, diveniva un poco opaco, per via di alcuni stracci di nuvole passeggere. Esitante, doveva solo trovare il coraggio di prendere un bel respiro e tuffarsi, tutto qui.

“Sono tornata qua da te perché è il solo posto esistente al mondo, al di fuori di quello dentro cui vivo ora, dove posso essere me stessa. So che qui troverò sempre il tuo affetto e il tuo appoggio, in qualunque situazione io mi trovi, ma so altrettanto bene, che al di là di questi confini, ci sono troppi ricordi che mi impediscono di considerare quest’isola come un’effettiva casa. Perdonami se puoi, mi hai dato così tanto….” riuscì a dire nell’affondare i pugni nella gonna “E io non ti ho mai ringraziato per tutto quello che hai fatto per me”

Le braccia tese e gli occhi occultati sotto la frangia resero quella frase più sincera di quanto già non fosse e, come a volerla spronare a continuare, il vento tornò a solleticarle i capelli e il collo appena scoperto. I petali dei gigli ballarono fra di loro, sfrusciandosi a vicenda con tocchi leggerissimi, sbattendo con delicatezza contro la liscia pietra grigia della lapide.

“Ti devo molto e se sono arrivata dove sono adesso è per merito tuo: mi hai dato la forza per combattere, per credere in me stessa, mi hai indicato la strada ed io ho sempre cercato di non fuoriuscirne. Che cosa dovessi cercare esattamente non lo sapevo, però ero certa, che se avessi proseguito senza fare deviazioni, avrei trovato quello il sogno di cui tu mi parlavi”

Quella parola in passato per lei non aveva costituito niente, neppure sapeva cosa fosse. Era solo un insieme di sillabe privo di significato, vuoto, ma non appena il nonno lo citava, vedeva il suo volto illuminarsi di una gioia stupefacente, stanca, ma vivissima. Sebbene la sua mente di bambina allora imparasse precocemente, la felicità del nonno in quel momenti non era mai riuscita a capirla: se si voleva veramente vivere a quel mondo, cercare e realizzare un sogno era pressoché un richiamo irresistibile. Si trattava di qualcosa che poteva essere descritto con semplicità, ma lei allora non comprendeva comunque la sua reale importanza, i molti significati nascosti al suo interno: era solo una bambina a quel tempo, con troppo dolore addosso perché si convincesse subito della veridicità di quelle parole.

“A volte mi sentivo così sola….che avevo paura ad addormentarmi” confessò flebilmente “Ti volevo accanto e quando mi rendevo conto che tu non c’eri, l’angoscia mi assaliva a tal punto che non volevo far altro che piangere”

Il primo anno passato dopo la morte del parente adottivo era stato molto duro: non si stava parlando solamente degli allenamenti fatti per rafforzarsi, ma anche dei molti sentimenti affrontati da sola e gestiti al meglio delle sue possibilità. I cuscini inzuppati delle sue lacrime delle varie locande dove aveva alloggiato avrebbero potuto benissimo testimoniare quella versione: era stato difficile ma poi, rendendosi conto che niente le sarebbe piombato dal cielo così spontaneamente si era fatta coraggio, smettendo di aggrapparsi costantemente al ricordo del nonno. Se tutto quanto poteva ferirla, quel poco che aveva poteva renderla più forte dei suoi avversari, che fossero marine, pirati, mercenari o demoni radicati nel suo cuore. Non poteva trarre sostentamento dalle memorie come se queste fossero state l’effettiva realtà; quelle, per quanto belle e idilliache, rimanevano e sarebbero sempre rimaste delle mere illusioni. Doveva andare avanti, proseguire sulla strada che lui le aveva indirizzato e così aveva fatto, nonostante questa avesse fatto di tutto per ostacolarla: si era impegnata, aveva sigillato tutto ciò che la spaventava e la rendeva triste nell’angolo più remoto di sé, per poi proseguire senza mai mostrarsi caratterialmente diversa.

“Mi ero ripromessa che avrei fatto l’impossibile per diventare più forte, non volevo che ne il mio passato ne il mio sangue mi penalizzassero con così tanta pesantezza ma probabilmente, mi sono fatta influenzare senza che ne me accorgessi. Non avevo compreso a fondo i tuoi discorsi e me ne sono resa conto solo poco tempo fa: le ali che tanto mi piacevano e che tu decantavi….non le avrei mai potute vedere fintanto che mi limitavo a proteggere la mia vita, non è così?”
Volevi che mi aprissi, che mi fidassi di qualcun altro al di fuori di me stessa, vero nonno?

Le gote le si arrossarono quanto bastava perché la dolcezza dei suoi ricordi fosse sufficientemente visibile anche dall’esterno, permettendo al suo cuore di bearsi di quel momento così meraviglioso e unico al mondo: riuscì a percepire la presenza del parente con tanta nitidezza da permetterle di vederlo davanti a lei, esattamente come lo ricordava. In tutta sincerità, le notizie scoperte al suo riguardo non le interessavano minimamente: a dispetto di chi fosse stato in passato e di cosa avesse fatto, per lei, Aron sarebbe sempre rimasto l’anziano signore con cui aveva passato intere giornate a guardare il mare in silenzio, che le aveva insegnato a difendersi su sua esplicita richiesta, che le narrava le favole per farla addormentare e che la faceva dormire con lui se impaurita da un incubo o scossa per quelle sconvenienze notturne che più di una volta l’aveva vista corrucciare il faccino nel vedere il materasso bagnato.

Se ne era sempre vergognata e quando capitava, era sempre troppo tardi per porvi rimedio: la prima volta che le era successo, aveva temuto seriamente che lui la potesse picchiare e invece, in meno di mezz’ora, si era ritrovata nel lettone di quest’ultimo, con lui che la tranquillizzava, raccontandole dei simpatici aneddoti su un suo vecchio amico avente il vizio di affondare le navi, mangiare dolcetti nelle occasioni più disparate e di imbucarsi in missioni altrui senza richiedere l’autorizzazione. 
A quel particolare, le scappò uno sbuffo divertito: aveva avuto modo di conoscere l’ex collega di suo nonno e dovette ammettere che quell’uomo - che poi era il nonno di Ace e Rufy - era esattamente come le era sempre stato descritto: un marine pazzerello che alternava la serietà all’assurdità totale.
Sperò che non fosse stato scoperto per averla aiutata, non se lo sarebbe mai perdonata se fosse successo qualcosa al signor Garp: seppur si trattasse di un uomo grande e vaccinato, le leggi della Marina erano terribilmente severe riguardo i patteggiamenti coi pirati. Fu quella punta di timore nei confronti del nonno di Ace che la incupì a tal punto da far incrinare la serenità emersa con tanta spontaneità: l’ambiente attorno a lei era lussureggiante, immutato, eppure, nella sua mente, era dipinto con nuvole nere e minacciose, che si stagliavano lungo l’orizzonte, accompagnate da folate di vento burrascose, gelide, annuncianti una grande tempesta. Una tempesta pronta a inghiottire tutti loro e a farli cadere in ginocchio davanti all’avanzare delle tenebre più nere che si fossero mai viste. L’immaginarla le fece accapponare la pelle e lo scorgere il volto causante di quel caos le gravò sul cuore abbastanza da alimentare la sua ansia, accorciandole il fiato e pizzicandogli il collo appena guarito.

La sensazione di quelle dita scure che le strangolavano la pelle, bloccandole le vie respiratorie, sottomettendola contro la sua volontà, era a dir poco che raccapricciante, ma mai quanto la brutalità riversata sul povero Satch, la cui promessa ancora giaceva in bilico fra due sponde distantissime. Lo sfiorare il suo nome la scosse, lasciando che dalla sua bocca fuoriuscisse un singulto che subito tentò di inghiottire ma, nel realizzare che era da sola, tolse lentamente le mani dalle labbra, per farle ricadere in grembo, con la visuale bassa. Non temeva di essere giudicata o criticata, era venuta per rafforzarsi emotivamente e soltanto parlando per prima, soltanto aprendosi come aveva imparato a fare coi suoi amici, sarebbe riuscita a togliersi quel macigni dall’anima.

“Una volta mi dicesti, che i sentimenti che si provano nei confronti di una persona ti danno la certezza di essere viva. E’ impossibile mostrarsi freddi o privi di coscienza, nessun essere umano sarebbe capace di una cosa simile: io ho pianto e mi sento tutt’ora male per il non essere riuscita a impedire che un mio caro amico morisse”

Parlò con l’istinto, con le prime parole dettate da quella impellente necessità che tuttavia ancora non riusciva a farle alzare la testa. Da quel dolore aveva tratto una forza così straordinaria da permetterle di camminare e di lottare come mai fatto fino ad ora, ma esso aveva provveduto a lasciarle impressa quell’impotenza umana capace di vanificare ogni suo sforzo. Non era forte come alcuni avevano pensato, non era così in gamba come pareva aver dimostrato più volte ne si considerava all’altezza delle sue stesse aspettative e ciò la rattristava non poco: che ogni passo compiuto fosse stato solo un errore? Forse non tutti ma alcuni probabilmente si.
La verità era che aveva vissuto la stessa esperienza di Ace e ne era uscita alla stessa maniera: si era scontrata con un nemico più forte di lei, al di sopra, anzi, al di fuori di ogni scala gerarchica mai stilata, arrivando così vicina alla morte da vederne le porte.

Aveva perso ma era sopravissuta.
Teach era fuggito nuovamente ma Ace era tornato da lei.
La famiglia si era nuovamente riunita ma la promessa fatta giaceva ancora sospesa nel vuoto.

In sostanza, una vittoria a metà: se nella prima poteva immergersi fino a percepire le fiamme di cui aveva tanto sentito la mancanza, nella seconda non poteva fare a meno di provare un forte senso di incompletezza, di squallore.

“Non tornerà più da noi, non sorriderà più con noi, ne combatterà e mi fa male…sapere che è morto per un potere che io neppure volevo” mormorò con una nota di rancore nel mentre stringeva con le dita i lembi della gonna “Fa male” ripetè “E per quanto io continui a ripetermelo, questo dolore mi accompagnerà fino a quando non avrò esaudito il suo ultimo desiderio. Sarà sempre dentro di me, ci attingerò forza se necessario, ma non so se basterà, perché il sogno di quell’uomo è così spaventoso da risultare un incubo incontrastabile”

Dovette fermarsi un istante per controllare il bruciore ai occhi e i propri battiti cardiaci: affannarsi più del dovuto era inutile, lo sapeva, ma il suo corpo reagiva in simbiosi alle sue emozioni: se piangeva tremava, se scattava si irrigidiva…
Il fisico era lo specchio esteriore dell’anima e in quel momento, Sayuri, una persona sempre stata particolarmente attenta ai propri gesti e alle proprie parole, non si contenne ne ci provò. Scoperta sotto tutti i punti di vista, lasciò vedere alla lapide di suo nonno quanto covava dentro, come se avesse atteso quel preciso istante per lasciarsi andare.

“Ho riflettuto molto ultimamente” continuò intrecciando le dita “E considerata la decisione presa, la mia visita qui ha assunto ancor più importanza: se prima potevo contare sulla possibilità di tornare, adesso non potrò più farlo, non con quello che dobbiamo prepararci ad affrontare”

Molte volte, quando ancora non aveva raggiunto i sedici anni, si era lasciata accarezzare dal desiderio di prendere le sue cose e tornare in quella casetta ora ben chiusa per nascondersi sotto le coperte, sperando che fosse stato tutto un brutto incubo. Lo aveva desiderato, non lo negava e in quei momenti di crisi vissuti, la sua pelle e la sua anima erano stati lacerati a tal punto che non aveva potuto far altro, che creare nuove barriere emotive, nuove fortezze dentro cui porre il salvabile. Si vergognava un po’ al riguardo ed era una delle tante ragioni per cui ancora non trovava il coraggio di scoprire le sue iridi color cioccolato alla luce del sole, ma in cuor suo, non si sentì mai pronta come in quell’istante: dentro di lei si era formata come una strana sfera piena di calore, mischiata alla felicità, alla commozione, alla soddisfazione, all’orgoglio….tutte cose che non stavano facendo altro che ingrandirsi a dismisura, gonfiandole il petto di così tanta positività da risultare quasi irreale. Aveva preso la sua decisione e il volerla comunicare al nonno equivaleva a porre una svolta significativa alla sua vita: forse non sarebbe stata la notizia del secolo, ma per Sayuri contava estremamente, perché i risultati d’essa avrebbero sortito un effetto rilevante in futuro.

“Voglio diventare più forte, nonno” affermò decisa, con finalmente gli occhi puntati sulla tomba del parente e un sorriso determinato dalle labbra “Fino ad ora ho sempre cercato di migliorarmi, di essere più forte di qualunque ostacolo mi si parasse davanti, ma da tempo continuo a sentirmi non potente come vorrei e le ultime vicende mi hanno aperto ancor di più gli occhi: il mio livello attualmente….no” si corresse abbassando le pupille “ Io non sono all’altezza di misurarmi coi pirati che si nascondono nel nuovo mondo, men che meno con lui”

Il riemergere dal sonno dentro cui era stata tenuta forzatamente dalle sue gravi condizioni fisiche le aveva concesso di riflettere lucidamente sul proprio operato: per quanto fosse stata ammirata e lodata, restava il fatto che contro Teach aveva perso e che senza aiuto non ce l’avrebbe fatta a uscire viva dalla prigione. Tutti i suoi allenamenti, le sue fatiche e la sua determinazione…tutto quanto erano stato convogliato nel Divine Recall, tecnica che le era costata molto più di quanto un semplice osservatore potesse pensare, ma del tutto inefficace poiché il suo avversario era riuscito a resisterle e a restituirle quanto patito.

Il prenderne coscienza l’aveva distrutta: si era sentita così debole al suo confronto, così pateticamente inerme davanti ai suoi occhi, che non sarebbe stata in grado di sopportare il peso di quei occhietti soddisfatti una seconda volta. Amareggiata e umiliata, le forze che sempre le avevano permesso di vincere gli scontri si erano rivelati insufficienti, scarsissime a dispetto di quanto aveva previsto e Teach ci aveva pochissimo a mostrarle quell’abissale differenza: si era permesso di giocare con le vite delle persone a lei care con una facilità tanto disumana da lasciarsi alle spalle una scia di disgusto dal odore pungente, per poi calpestare brutalmente quanto gli era occorso senza la benché minima traccia di rimorso, includendo anche lei, come ulteriore dimostrazione della sua forza brutale.

“Voglio diventare più forte” ripetè sostenendo a testa alta i ricordi che le stavano facendo rivivere la sua sconfitta “Voglio realizzare il mio sogno. Non mi interessa se ci impiegherò tutta la vita, non mi importa quanti ostacoli si porranno sulla mia strada: io realizzerò il mio sogno anche se dovesse costarmi la vita e ci riuscirò” affermò con rinnovato vigore. “Ci riuscirò”
Quindi ti prego, se puoi, prestami la tua forza per un altro po’.
“A volte sarà doloroso…” mormorò per poi addolcire lo sguardo “Ma non sarò sola. Non lo sarò più, nonno: ho una famiglia adesso”

I gigli sfrusciarono nuovamente fra di loro, come a voler riprodurre una specie di risposta naturale alla sua affermazione. Pareva così assurdo che la bambina abitante insieme al vecchio marine fosse cambiata così tanto: stava addirittura sorridendo e il suo volto traspariva di una così grande felicità che, unita ai suoi lineamenti, divenne ancor più fine e dolce.

“E’ strana, numerosa, ma bellissima ed è lei che voglio proteggere” riprese “Tutto il mio mondo si concentra su questa nave piena di persone e se dovesse scomparire non avrei più la forza di vivere. Non c’è nessun legame di sangue ad unirci, ma non potrei mai desiderare dei altri fratelli, così……” si fermò un istante, con l’indice tamburellante sull’angolo del labbro e le guance appena arrossate “ Così come non potrei mai volere qualcun altro al di fuori di Ace”

Se nel piccolo mondo di Sayuri esisteva una persona sempre illuminata dal sole, quella era proprio Ace, il singolare ragazzo che l’aveva portata sulla sua nave e reclutata senza neppure farle una proposta quanto meno decente. A nessuno piaceva sentirsi dire quello che si doveva fare senza prima esprimere una propria opinione al riguardo, eppure lei, quella notte…. non era riuscita a opporsi al allegro sorriso del moro. Fu strano passare da una navigazione solitaria a una dove la privacy era ridotta sul filo del rasoio ma a ripensarci, la cosa riusciva ancora a farla sorridere genuinamente, con il rischio di farle venire i crampi allo stomaco: non si era mai abituata a tutte le stranezze dei suoi compagni, in special modo ai attacchi narcolettici di Ace, che il più delle volte l’avevano fatta preoccupare. Fosse stato soltanto quello, si sarebbe ben premurata di rimanergli accanto nel caso si addormentasse troppo vicino all’acqua, ma Ace….era a dir poco che straordinario: c’era qualcosa in lui che ardeva quanto il fuoco che creava e governava senza problemi, una sorta di fiamma interiore che splendeva vivacemente come appena nata. Per quanto invisibile ai occhi umani, la castana era riuscita a scorgerla: se ne stava ben in vista e con fare giocherellante, danzava su quel sorriso che contraddistingueva il ragazzo da chiunque altro.

Lo stesso che si accentuava grazie alle buffe lentiggini che gli tempestavano le guance.
Lo stesso che sapeva tingersi di arroganza e serietà quando qualcosa per lui prezioso rischiava di essere ferito.

Lei, che nemmeno riusciva a concepire l’importanza di avere dei amici, si era ritrovata scombussolata e confusa, con la mente e il cuore uniti, in combutta per tartassarla con l’immagine di Ace. Inspiegabilmente, si era ritrovata ad osservarlo anche nelle piccolezze, scoprendo che il proprio corpo e la propria anima reagivano a certe sue provocazioni: se ciò da una parte l’aveva spaventata, dall’altra le aveva aperto una specie di via per la libertà, la possibilità di aprirsi, ma la paura insita in lei non le aveva permesso che quanto desiderato potesse avverarsi subito.
Temeva l’impensabile, ne era terrorizzata, ma quando aveva gettato la spugna, distrutta da quel silenzio forzato e da quel dolore che non l’avrebbero mai lasciata in pace, lui era arrivato: aveva ascoltato ogni parola, raccolto una per una le sue lacrime e disfatto i suoi timori con un bellissimo bacio.L’aveva salvata da sé stessa.

“Ricomincerò da capo, come se fosse la prima volta, ma non ti devi preoccupare per me: adesso sto bene” inclinò la testa sulla destra nel mentre lo rassicurava “Questa volta so veramente quale scopo voglio raggiungere e mi impegnerò per arrivare fino in fondo. Non potrò più tornare a trovarti e di questo me ne rammarico..” mormorò dispiaciuta “Ma, in qualunque occasione, so che sarai con me e che mi sosterrai, ovunque tu ti trovi”
Anche se non ti vedrò, riuscirò sempre a sentirti..

In ogni momento, che si trovasse sotto il sole, la pioggia o sul punto di esalare l’ultimo respiro, Sayuri era sicura, che il nonno le sarebbe sempre rimasto a fianco nello spirito: l’aveva sempre percepito intorno a sé, quando a volte non sapeva cosa fare oppure quando si allenava, ricordando perfettamente i suoi consigli. Riallungando l’avambraccio, sfiorò delicatamente con la punta dei polpastrelli la pietra della tomba, cercando di memorizzare quel tocco nella sua mente insieme al lento scrosciare delle onde, il fruscio dei gigli, il cinguettio dei gabbiani….tutto. Ogni elemento di quel lembo di terra, dall’erba alle nuvole, aveva assunto un aspetto più radioso, quasi volesse congratularsi con la ragazza per i risultati ottenuti. L’attendeva un nuovo inizio: più duro, difficoltoso ma dopo aver fatto tanta strada, sarebbe stato sciocco da parte sua fermarsi o, peggio, tornare indietro.

Non le importava quanto avrebbe dovuto impegnarsi, se si sarebbe spezzata tutti gli arti per rafforzarsi, se avesse dovuto sputare sangue o subire prove talmente intricate da risultare impossibili.

“Manterrò la mia promessa, nonno: io..li proteggerò tutti quanti. Lì proteggerò e realizzerò il mio sogno”
Diventerò più forte per loro. Per lui.

Giurò sulla sua tomba con solennità, decisa a mantenere la parola data. Lasciò che nella sua mente quelle parole venissero scolpite sulla lapide grigia e pulita del parente, divenendo così incancellabili. Seppur realmente queste fossero rimaste confinate nella mente della ragazza, ella seppe comunque di averle depositate insieme a una minuscola parte di sé. Forse non avrebbe mai avuto il coraggio di chiamare quell’isola “Casa”, ma quel minuscolo angolo, immune all’odio del mondo, sarebbe sempre stato aperto per lei, lontano dalle battaglie che l’attendevano. Per quanto lo si negasse o si facesse finta di vederlo, il pericolo stava proprio davanti a tutti loro, senza premurarsi di nascondersi. Il male era giunto e presto la marea sarebbe mutata: ogni angolo della terra ne avrebbe risentito, il cielo si sarebbe tinto di un rosso mischiato al catrame, le più importanti istituzioni avrebbero incontrato la rovina e probabilmente qualcuno sarebbe caduto. Benché lei avesse contribuito a realizzare un autentico miracolo nel liberare Ace, senza che nessuno venisse coinvolto mortalmente, era ben conscia che un simile evento non si sarebbe mai ripetuto e tale sicurezza, derivava da due ragioni: la prima, era che non c’era guerra senza morti, la seconda, che i miracoli non esistevano. Nessuna entità divina aveva fatto sfoggio dei suoi poteri per aiutarli, niente che appartenesse al soprannaturale era venuto in loro aiuto: avevano combattuto fieramente senza mai indietreggiare, con le loro sole forze, arrivando a compiere l’impensabile, improvvisando a volte, ma senza mai abbassare la testa.

Dubitava fortemente che in futuro, un simile evento si sarebbe ripetuto, ma certamente Sayuri avrebbe fatto da scudo a chiunque suo compagno in difficoltà, difendendo suo padre, la sua bandiera ed Ace e poco a poco, avrebbe concretizzato il suo sogno, senza alcuna fretta.

“Per me è arrivata ora di andare, nonno. Mi stanno aspettando tutti” mormorò conscia del fatto che si fosse fatto tardi.

Prima di alzarsi e porgere gli ultimi saluti, volle dedicare nuovamente la sua attenzione sui fiori che abbellivano con modestia la tomba: sistemandosi un lunga ciocca dietro l’orecchio, controllò delicatamente che i gigli fossero sani e che i boccioli non ancora dischiusi non fossero stati beccati dai uccelli. Nel constatare con più sicurezza che  quei tesori erano pressoché intatti, scostò la mano dai petali, quando, d’uno tratto, scorse qualcosa che la stupì.

“Uh? Che cos’è?”

Con un sopraciglio alzato e la curiosità solleticata, allargò di pochissimo i fiori per cogliere al meglio quella stranezza che se ne stava nascosta fra i gambi d’essi. Era balzata subito all’occhio per l’essere di un colore completamente diverso dai gigli: un rosso acceso, facilmente distinguibile in mezzo al bianco. Quand’ebbe scostato anche l’ultima foglia, Sayuri scoprì che la stranezza che faceva capolino fra i suoi gigli non era altresì che….

“Un fiore di ibisco? Come ci è arrivato?” si domandò.

Sayuri non seppe contenere il proprio stupore: la piantina che vedeva, con solo un fiore a presso, cresceva prevalentemente in zone tropicali e quindi, era piuttosto difficile che se ne trovassero dei esemplari da quelle parti, se si considerava poi il fatto che la fascia calda si trovava più a sud rispetto a dove stava ora. Eppure questo era cresciuto proprio lì, in mezzo ai suoi gigli e con un secondo bocciolo prossimo all’apertura: i petali del fiore già aperto erano sottili e svolazzanti, di un rosso molto forte, con il gambo e le radici  resistenti. Non ce ne erano altri nei paraggi e la ragazza non seppe proprio spiegarsi come fosse stato possibile che un fiore del genere fosse cresciuto proprio lì. Pensò a un seme trasportato dal vento ma stranamente, non si sentì sicura della propria teoria.

Fece inoltrare la mano nel fogliame, cercando di sfiorare il fiore senza maligne intenzioni, ignara di una misteriosa figura venutasi a creare alle sue spalle. Presa da quella novità non percepì la sua presenza, non la riconobbe ma, anche se fosse riuscita ad avvertirla vicina a lei, non sarebbe stata in grado di darle un nome: apparteneva ad un passato non suo ma che per una ragione chiara sola a quell’entità, avente le fattezze di una splendida donna dai capelli rossicci e col volto pieno di lentiggini, era comparsa proprio lì, con un sorriso a incresparle le labbra. 
Come Sayuri si sentì sfiorare il tatuaggio disegnato dietro la sua spalla, riuscì a captare quella presenza rimasta in silenzio all’istante: quella che le stava delicatamente toccando la pelle era una mano umana, ma non percepì alcuna ostilità e il trovarsi lì, destò non poco stupore in lei. Purtroppo, come si girò per vedere chi fosse, fu investita da una folata d’aria  calda e profumata che le scompigliò i capelli, costringendola così a ripararsi gli occhi con le braccia.

" Grazie….."

Oltre al calore naturale, quel venticello rapido si portò dietro una manciata di petali bianchi e rossi; questi volarono via immediatamente, lontano, verso una nuova isola, accompagnati da quella voce mai udita prima. Quel sussurro gentile e appena udibile, che era sopraggiunto alle orecchie di Sayuri, non fu un’illusione o uno scherzo ordito dalla sua mente: in quel ringraziamento semplice aveva espresso una sincerità priva di macchie, ma lasciante un vuoto enigmatico nell’anima della principessa dei gigli. Quella voce le era nuova e probabilmente non avrebbe mai scoperto chi ne fosse la proprietaria, così come non sarebbe mai riuscita a spiegarsi perché quel vento così piacevole profumasse di fiori. In quel frangente, mentre si allontanava dalla tomba del nonno, Bianco Giglio ebbe l’impressione che il tepore percepito, possedesse qualcosa di tremendamente familiare, una vaga somiglianza suscitante il lei emozioni rasserenanti.

E considerando il fatto che tali emozioni emergevano solo in particolari occasioni, Sayuri non seppe darsi spiegazione per quell’avvenimento.




Aveva abbandonato la radura senza riuscire a darsi risposta, percorrendo i suoi stessi passi e senza che il paesino destasse in lei interesse. Era immersa nei suoi pensieri troppo a fondo per soffermarsi su altro ma, anche se la sua mente fosse stata sgombra da dubbi e pensieri,  ogni cosa al di fuori del minuscolo rifugio da lei tanto amato, non sarebbe stato capace di suscitare proprio nulla. Di ragioni ve ne erano, poche ma plausibili e poiché rifletterci sarebbe stata una perdita di tempo, Sayuri preferì focalizzare la propria concentrazione sul viaggio del ritorno.Con la visita al nonno, il suo cuore aveva trovato sollievo e il senso di completezza per ogni parola espressa davanti alla lapide si era fatto sentire subito, tanto da conferirle la forza che aveva chiesto al parente. Ogni centimetro di lei scalpitava come fosse un puledro appena nato e tanta era quell’apprezzata energia, che sorrise teneramente, pronta a tornare alla Moby Dick.
Incamminatasi lungo la bassa costa rocciosa, solitaria e con una vegetazione mediamente fitta, Sayuri stette per arrivare al punto dov’era approdata, quand’ecco, che a sorprenderla ulteriormente, fu la presenza di una persona a lei molto ben nota, che conosceva ma che non si aspettava di vedere lì.

“Ace..?”

Dischiudendo la bocca per pronunciare il suo nome, sbattè le palpebre un paio di volte nel mentre il comandante della seconda flotta di Barbabianca, seduto beatamente sul suo fidato Striker, alzava con l’indice il prezioso cappello arancione per guardarla con il suo immancabile sorriso sghembo.

“Ace, che cosa ci fai qua?” riuscì lei a domandargli, compiendo un paio di passi in avanti.
“Sono venuto a prenderti, che domande” le rispose compiendo un piccolo balzo dal suo veicolo nautico alla terra ferma.
“Oh, ma non ce n’era bisogno che ti scomodassi” gli disse “Potevo tranquillamente tornare per conto mio, come ho fatto per l’andata”

Teoricamente, Ace avrebbe dovuto trovarsi con Barbabianca nel nuovo mondo, insieme a tutti i suoi fratelli, non certo lì. Con ciò non voleva certo dire che le dispiacesse, anzi; vedere il moro la faceva sentire bene con sé stessa e il tutto migliorava se poteva osservare anche quel sorriso sbarazzino da piccola peste che metteva molto in evidenza il lato fanciullesco di lui, che ogni tanto soleva far saltare fuori involontariamente.

“Lo so che te la puoi cavare” le disse avvicinandosi quanto bastava perché potesse appoggiare le sue mani sopra le spalle di lei “Ma volevo assicurarmi che andasse tutto bene. Sai che non mi perdonerei se tu stessi male”

La castana sorrise, arrossando le gote.
Conosceva fin troppo bene il significato di quella frase; il sentirla ripetere le ricordava sempre che le premure di Ace nei suoi confronti erano qualcosa a cui non si sarebbe mai abituata. Fu solo per un istante ma il percepire i palmi del ragazzo sulla sua pelle, le riportò alla mente quel vento e la voce udita poco prima di lasciare la tomba del nonno.


E’ identico…

Gli occhi le si riempirono di stupore incantato. Non poteva sbagliarsi ma ugualmente non comprese cosa quel collegamento potesse significare.

“Sayuri, tutto bene?”
“Ah…….” si ridestò in fretta, tornando a sorridere “Si, si, certo. Scusami, mi sono incantata”

Poteva essere veramente una coincidenza? Chissà…..
Per quanto potesse rimuginarci sopra, la sola certezza che riusciva ad estrapolare dal suo pensare, era che quel tepore possedeva un che di materno e protettivo. Decisamente qualcosa capace di addolcire anche la più dura delle corazze emotive.

“Allora, sei pronta?” saltato sul suo Striker, Ace si era sistemato velocemente il cappello, per poi tendere la mano alla sua ragazza “Ci aspetta un bel viaggetto di ritorno”

Con la coda dell’occhio, la castana volse un ultimissimo sguardo a quel posto, ma senza rivolgergli un particolare pensiero: in fondo, escluso il suo personale rifugio, quell’isola non aveva mai assunto un particolare significato e mai ne avrebbe assunto uno.

“Si, sono pronta” mormorò nell’afferrare la mano del ragazzo “Andiamo”

Afferrata saldamente la vita di Ace, il fuoco scaturito dai piedi del ragazzo andò a convogliarsi nel motore, che subito mosse la barca a velocità inaudita. Lasciandosi una scia di onde alle spalle, lo Striker sfrecciò come una piccola saetta rossa verso la Reverse Mountain, quasi intenzionato ad attraversarla in un sol colpo, ma deciso in tutto e per tutto ad arrivare al nuovo mondo: li attendevano tante persone, tanti avversari e il resto della loro vita da percorrere insieme, chiara o buia che fosse.

Non era che il preludio quello: la meta era ancora molto lontana dall’essere raggiunta, così come lo erano le ambizioni e i sogni che li accompagnavano quasi fossero dei angeli custodi. C’era ancora tanto da fare, tanto da vedere e ognuno di loro avrebbe fatto l’impossibile per non perdersi nulla di quanto sarebbe capitato fra le loro mani. Nessuno di loro avrebbe rinunciato a vivere o a essere libero come i gabbiani che volavano alti nel cielo e di qualunque entità fossero stati gli ostacoli che si sarebbero venuti a creare, loro li avrebbero distrutti senza alcuna esitazione.

Andiamo avanti. Tutti insieme.

 
 





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Vorrei ringraziare tutti voi per aver letto, seguito e apprezzato la mia storia, nonostante ci siano ancora qua e là alcuni errori ortografici “^^.
E’ la prima volta che scrivo così tanto e non pensavo che così tante persone avrebbero seguito la mia storia, il che mi fa sentire molto onorata, visto che di storie con Ace, ultimamente, ce ne sono molte. E’ stato un lavoro lunghissimo e devo molto anche ad alcune lettrici che mi hanno sostenuto e che hanno preso in simpatia il mio Oc, Sayuri.

Ringrazio in particolare:
Yuki689, per avermi spronato a postare la mia fict (grazie amora, ti stritolerei di abbracci!!!!). Già che ci sono, metto con te Beatrix, ciao cara!!!!

MBCharcoal, alias la cara Marta-chan, amica su DA, dove siamo solite perderci in chiacchierate su spoiler e idee pazzerelle per le nostre storie. Sei sempre la più grande di tutte, lunga vita a KHO e a Golden Ed! Grazie anche per i tuoi disegni!!

Tre88, la prima a leggere e a recensire i miei capitoli. Grazie mille cara!!

Giulio91: il primo ragazzo che ha letto la mia fict. Grazie, sei stato gentilissimo a seguirmi!

Chibi-Hunter, altra socia su DA i cui lavori sono stupendi e molto apprezzati. Grazie gioia!

Valy-chan: lo so, lei non segue per motivi personali ma il fatto che apprezzi il mio personaggi e che ogni tanto riusciamo a scambiarci qualche bella battutina sulle nostre coppiette ( la BellexSanji è la coppia più romantica ed esilarante mai creata nel mondo di One piece).

TopazSunset: la tua storia mi ha sempre incantata e mi onora sapere che avresti voluto inserire anche Sayuri, ma pazienza, non si è potuto fare. Grazie tesoro!!

Maya90: so che ci sei tesoro, non ti ho ancora dato per dispersa! Un mega abbraccio dalla sottoscritta!

Ovviamente poi ci sono Angela90, happylight, Niki 96, Sachi Mitsuki, Gaara the Best e molti altri ancora.
A tutti quanti, dico grazie di cuore!

 Il prossimo mercoledì posterò un extra che ho appositamente preparato per tutti voi, mi auguro che sarete tutti li per leggerlo!

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Capitolo 76
*** Extra: Simple and Clean. ***


Ben ritrovati! Questo sarà il mio ultimo aggiornamento, giusto un capitolo che trovavo saggio mettere data la situazione e per chiudere in bellezza questa mia prima long fiction. Beh, cosa posso dire….godetevi il mio ultimo capitolo, ragazzi ^^!

 UTADA HIKARU: SIMPLE AND CLEAN.


Una volta all’anno cadeva una ricorrenza speciale, dove una o più persone stavano al centro dell’attenzione, venendo riempite di festeggiamenti e doni come fossero dei principi o dei re di ritorno da una grande battaglia vittoriosa. Quel giorno era tutto per loro non perché si celebravano onori o imprese, ma semplicemente perché si nasceva una sola volta nella vita e di conseguenza, di compleanno ce n’era uno solo.
Forse per la gente comune quel particolare momento dell’anno rappresentava un validissimo motivo per essere più allegri del solito, ma per Ace Pugno di Fuoco, quel giorno non era nulla per cui valesse la pena di sorridere. Ciò lo incupiva e la sua indifferenza col passare del tempo si era tanto affilata e indurita da rinchiudercelo dentro come fosse una bara indistruttibile, più dura e splendente del diamante, ma grigia quanto la cenere. Spessa fino all’inverosimile, quella sorta di protezione – se la si poteva chiamare tale - per lui era il rifugio dentro cui rimanere fino alla venuta del nuovo giorno, una specie di fortino costruito sopra l’albero più alto del bosco, la cui unica debolezza era l’essere vulnerabile al gelo del primo dell’anno.

Si, Portuguese D. Ace era nato il primo Gennaio, giorno dove tutti incondizionatamente festeggiavano tradizioni di cui forse solo gli più anziani ne ricordavano l’origine.

In quel periodo l’inverno era all’apice della sua venuta, nessuna forma di verde poteva fare a meno di afflosciarsi e spogliarsi della propria chioma. Perfino le foglie secche cadute in autunno ne risentivano: bastava un semplice tocco e subito si distruggevano in tanti pezzettini la cui importanza non avrebbe mai toccato l’animo di una persona.
Faceva freddo in quella stagione, incredibilmente freddo: la natura era letteralmente morta, il vento, tagliente quanto le lame di un rasoio, la neve tanto alta da arrivare fino alle ginocchia, ma se mai avesse potuto, Ace si sarebbe lasciato volentieri sotterrare dalla soffice coltre bianca che arrivava anche a sciogliere l’azzurro del cielo, fino a non sentire più il proprio corpo. Tutta la sua esistenza si ammassava lì e per forza di cose ci aveva a che fare nonostante preferisse di gran lunga andare oltre, ma poiché sapeva, proprio perché era cosciente della ragione per la quale quel giorno lo riguardava così tanto, che non poteva scappare. Proprio perché era consapevole, che i ricordi in quella data si ribellavano al suo controllo e lo tartassavano fino a fargli affondare la testa nelle mani. I sentimenti a cui era incapace di dare un nome si amalgamavano fra di loro, dentro di lui, ripetendo lo stesso meccanismo fino a farlo sembrare nauseante: non si era mai aspettato di vederci qualcosa che ispirasse felicità, dall’apice di quella spirale ripetitiva finiva sempre per sgorgare una freddezza così pungente da fargli ripudiare perfino quella poca simpatia nei confronti della bianca e ingenua neve.

In quell’occasione, quasi fosse inevitabile,  Ace si lasciava trascinare senza fatica, senza opporre resistenza, venendo sballottato qua è la come fosse una pezza di nessun conto. Si parlava della sua anima in quel caso: esternamente lui stava ad osservare un punto indistinto dell’oceano, su una rupe che gli evitasse di udire il vociare del villaggio vicino. A quel suono tanto fastidioso preferiva il fruscio del vento e il silenzioso eco delle onde, vitali toccasana per il suo spirito.
Non c’era specialità nel giorno del suo compleanno, solo un’immagine sfocata dove grossi petali di ibisco cadevano a terra uno dopo l’altro fino a far rimanere il gambo verde completamente nudo. Troppo amare erano le voci e le memorie che tornavano a galla e il solo modo che Ace aveva per combattere quelle ore era provare così tanta indifferenza nei confronti di tutto ciò che lo circondava, da arrivare ad allontanarsi anche da chi si preoccupava per lui.
 



Primo Gennaio.
Isola di Mairene, nuovo mondo. Ore 22.45.

Meno di due ore. Meno di due ore e quel giorno sarebbe finalmente finito.
Tra tutti i possibili momenti, il tempo aveva deciso di prendersela comoda proprio quel giorno, nemmeno avesse fatto le valigie e fosse andato in vacanza. E dire che quando ci si divertiva solitamente questo tendeva proprio a scivolare via, mentre quando si era nel bel mezzo di un tempesta o di una qualunque altra situazione per cui si sarebbe benvoluto essere da tutt’altra parte, non si faceva manco vedere o sentire.
In vent’anni, anzi, vent’uno, Ace non aveva mai capito come accidenti funzionasse questo benedetto tempo ne perché quei suoi pochi e conosciuti meccanismi collegati alla vita fossero tanto enigmatici da far girare le scatole ai uomini.

Chissà se fra i tanti scienziati della Marina ce n’era qualcuno che si occupasse di studiarlo assieme alle sue peculiarità…..

Ok, sto decisamente diventando pazzo. Decretò Pugno di Fuoco mentalmente.

Ci mancava solo che immaginasse un gruppetto di scienziati con camice bianco e grossi occhiali tondi, ben fermi davanti a una grossa lavagna nel mentre cercavano di confutare ipotesi incomprensibili.

La Moby Dick era approdata su quell’isola temperata circa una settimana e mezza fa, giusto in tempo per vedere gli abitanti impegnati nei preparativi per l’ultimo dell’anno. Essendo quello un territorio del Re dei Mari, la Marina non ci pensava minimamente a rompere le scatole, specie durante le feste, ma anche se fossero arrivati i marziani a invadere il mondo, l’umore di Ace non sarebbe mutato. Con cadenza regolare, l’uno Gennaio era arrivato e di conseguenza, Pugno di Fuoco aveva fatto eclissare sotto il bel cappello arancione il suo sorriso sghembo dai tratti tipicamente furbeschi ma anche se quella tanto odiata data era agli sgoccioli, il parassita del malessere non se ne era ancora andato: continuava a mangiarlo interiormente, di gusto, con una lentezza  esasperante e anche in quel caso, il pirata dalle guance lentigginose, sapeva il perché.

Aveva vuotato il sacco coi suoi fratelli, aveva confessato chi fosse il suo padre biologico.
Con tutta la ciurma riunita nella sala grande, proprio la sera antecedente al loro attracco a Mairene, aveva dato voce a quella ragione per cui provava una colpa tanto grande da risultare inspiegabile ai suoi compagni.
L’aveva detto, senza troppi giri di parole o fronzoli. L’aveva detto per poi andare nella sua stanza come se si fosse lasciato alle spalle una voragine dalle dimensioni sproporzionate.
Il ripensarci l’avrebbe dovuto istigare a prendere quel bicchierino pieno di liquore ambrato per lanciarlo contro il muro o a ingoiarlo tutto d’un fiato ma, come per i tentativi precedenti, questo si dissolse nell’oblio, lasciando che il semplice e vacuo osservare di lui continuasse ad essere l’attività di fine serata.

Da una rupe isolata dal resto del mondo era passato a una locanda con tanto di bar sfollato nella periferia del minuscolo paesino.
La folla stava ancora festeggiando in piazza il primo dell’anno e gli unici passanti che si intravvedevano dalle ante dell’entrata andavano verso il centro eccitati come bambini. Con fuori i lampioni accesi e dentro un oste baffuto piuttosto in là coi anni che riassettava le bottiglie di alcolici, Ace se ne stava seduto al bancone con gli avambracci incrociati e la testa appena china, coi occhi neri che guardavano i riflessi luccicanti del rhum non ancora toccato. Si trovava a terra da diversi giorni e non aveva dato sue notizie ai compagni, salvo un biglietto sui cui aveva scritto di non preoccuparsi e che sarebbe tornato prima della partenza. Ma il problema stava proprio nel tornare. Era fuggito dalle loro espressioni senza neppure vederle e non avrebbe biasimato la rabbia di alcuni dei alleati di Barbabianca se questi avessero deciso di affrontarlo pesantemente; non era certo un segreto che molti si fossero visti costretti a rinunciare al primo posto poiché già preso dal suo genitore e qualcuno si era così fatto assalire dalla sconfitta da non uscire più dal tunnel della vergogna. Benchè fosse stato cosciente di come le cose sarebbero andate non appena avesse rivelato quel particolare della sua vita che solo lui, il vecchio, Rufy, Sayuri, il suo capitano e gli alti esponenti della Marina conoscevano, Pugno di Fuoco aveva deciso di dire la verità una volta per tutte.

Non a tutti veniva destinato il patibolo di Marineford e dopo il suo soggiorno a Impel Down, seguito dal suo salvataggio, aveva avuto molto tempo per riflettere sul suo ruolo all’interno della ciurma di Barbabianca, scoprendo che quella parte di sé, accuratamente seppellita sotto interi di strati di felicità, non sarebbe mai scomparsa del tutto.

“Come mai quella faccia truce, ragazzo?” gli domandò l’oste guardandolo con la coda dell’occhio “Non dovresti essere a festeggiare coi tuoi amici?"

Nel suo sistemare ogni tanto aveva posato più volte lo sguardo su quell’unico e giovane cliente a cui aveva affittato una camera e che ancora non si era accinto a bere nemmeno un goccio di quello che aveva ordinato, trovando il suo comportamento alquanto inusuale considerata l’aria di festa che aleggiava nell’aria.

“Diciamo che per questa volta preferisco passare” gli rispose il moro laconico senza interrompere il suo osservare nel bicchiere.

In verità, aveva lasciato passare per tutti gli anni della sua vita, almeno quelli che ricordava e avrebbe continuato a farlo.
Dall’alto della sua età, l’oste della locanda era un tipo che con le sue esperienze poteva essere definito abbastanza saggio da non doversi stupire se un ragazzo, per dimenticare i problemi attuali, sceglieva di ubriacarsi con quello che c’era di più forte a portata di mano, tuttavia la natura delle angustie del suo cliente straniero parevano essere molto più profonde, totalmente al di fuori della sua portata e forse il consiglio sbagliato non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Poteva stare zitto, finirla lì e lasciare che il ragazzo continuasse a fare la bella statuina sullo sgabello…oppure poteva cercare di rompere quel suo silenzio emotivo prima che non riuscisse più ad uscirne, visto che pareva non essere in grado di trovare la via da sé.

“Se hai un problema non penso che quello ti faccia bene” gli disse indicando il rhum “Finisci solo per vomitare, avere il mal di testa e una nausea coi controfiocchi”
“E’ vero, ma è bravissimo a far dimenticare le brutte giornate” mormorò Ace inclinando la testa per vedere i minuscoli riflessi liquidi e dorati cambiare angolazione.
A me ne servirebbe come minimo un bastimento intero…..

Sarebbe stato disposto anche a sopportare tutti i dolori del mondo, perfino quelli femminili purchè la sua mente non gli facesse ricordare quanto c’era di marcio nel suo sangue.

“Meglio che tu non ci faccia troppo affidamento. Troppo fa male alla salute e non sarebbe bello che un giovane come te, a meno di trent’anni, si giocasse il fegato così stupidamente” tornò l’uomo.
“Allora lei dovrebbe cambiare mestiere visto quel che vende” replicò il moro, abbozzando un minuscolo cenno di sorriso senza però staccare gli occhi socchiusi dal bicchiere.
“Non ci penso manco morto: guadagno decisamente bene e quelli che vengono qui non hanno nulla da perdere al contrario di te”

Ace non aveva chiaro il perché stesse parlando con quell’uomo, ma il non provare ostilità o fastidio per l’essere stato interrotto nel bel mezzo della sua personale contemplazione rivolta al bicchiere, gli fece finalmente alzare le iridi nere su quell’individuo che stava al di là del bancone, avente qualche striscia biancastra solcante la capigliatura scura.
 
“Che le fa credere che io abbia qualcosa?”
“La tua stessa cupezza” gli rispose come se stesse aspettando proprio quella domanda “Uno non va mica in giro con la faccia da morto stampata in faccia per niente. Se fossi vuoto come il portafoglio di qualche furbastro di mia conoscenza, mi avresti già svuotato l’intera credenza” si fermò un attimo per squadrarlo con la testa inclinata su di un lato “Anche se tu non mi sembri avere l’aria di un accanito bevitore” aggiunse poi.

In un qual modo l’uomo ci aveva azzeccato: Ace non era certamente il tipo di persona che sdegnava un bel boccale di birra ma i liquori forti non lo avevano mai attirato particolarmente. Certo, il loro profumo era irresistibile, ipnotico, creato appositamente perché deliziasse i nasi sopraffini, ma in tutta franchezza il moro, fino a quel momento, non aveva avvertito alcuna attrazione per questi. Se da una parte poteva preservare la salute fisica - e di questo ne era contento - dall’altra non poteva fare a meno di chiedersi se quel senso inebriante che racchiudeva le mille fragranza con cui l’alcolico era stato prodotto, fosse così dolce e amaro allo stesso tempo, da arrivare a cancellare anche le memorie più ostiche. Gli sarebbe bastato anche un misero effetto temporaneo, giusto per guadagnare qualche ora di sano sonno e per allontanare di un altro po’ il tanto temuto ritorno alla nave. Se ci fosse stato un secondo Ace lì affianco a lui, quello dei altri trecentosessantaquattro giorni dell’anno, che proprio non degnava attenzione al primo Gennaio, come minimo gli avrebbe dato del codardo e del vile per l’essere scappato così vigliaccamente dai problemi. Le questioni erano fatte per essere risolte e lui, conosciutissimo per la sua testardaggine nel portare a termine quanto iniziato, davanti a quell’oste era tutto fuorché il comandante della seconda flotta di Barbabianca. Già era un miracolo che non si fosse verificata una pioggia di banane o pomodori, ma Ace sapeva che anche se quella giornata sarebbe passata, tra un altro anno l’avrebbe dovuta riaffrontare.

E inoltre…ora la sua identità non era più un segreto…..

Non sarà più come prima. Si ritrovò a pensare chiudendo gli occhi.

Era una consapevolezza che si era fatta strada di sua spontanea volontà, di cui lui aveva preso pienamente coscienza nel momento in cui si era alzato da tavola per dire quella cosa tanto importante. Ora non c’erano più misteri sulla sua figura, non c’era nient’altro, ma quel poco nascosto era sufficiente perché sulla Moby Dick gli sguardi cambiassero angolatura o espressione nei suoi confronti. E lui aveva paura di quei cambiamenti più della morte stessa. Non voleva che tutto ciò che lo circondava cambiasse, ma non era altrettanto giusto continuare a far finita di niente. La verità, per quanto giusta, aveva sempre un caro prezzo da pagare e Ace aveva messo in palio molto di quanto teneva; non poteva tornare indietro, ne tanto meno andare dai suoi compagni e dire che aveva scherzato solo per il gusto di vedere le loro facce shoccate. Come si era detto prima di accettare di essere un membro della ciurma del Re dei Mari, si poteva solo andare avanti.

Peccato, che il farlo in certi momenti fosse veramente difficile….

“Ragazzo” lo richiamò l’oste, fattosi più vicino “Non ho idea di che cosa ti ronzi in testa, ma se ci pensi troppo finisce solo che ti fai male con le tue stesse mani. Le risposte sono fatte per venire quando meno te lo aspetti. Rimuginare non serve a nulla, te lo dico io” gli consigliò lui.

Se si pensava troppo a una cosa e contemporaneamente alla sua soluzione si finiva con ritrovarsi le mani vuote. La gente poteva mettersi comoda, guardare il soffitto e scervellarsi quanto voleva ma anche se alla fine della lunga meditazione avesse trovato una plausibile spiegazione che colmasse la sua lacuna, dopo pochi minuti si sarebbe resa conto che invece avrebbe potuto rispondere in tutt’altra maniera. Quando si smette di pensare a qualcosa la mente tende a vagare un po’ per conto suo e senza nemmeno rendersene conto, ecco che la risposta compare, con le corte braccina svolazzanti prese a richiamare l’attenzione.
Sarebbe stato tutto molto logico se soltanto Ace, anziché intestardirsi sull’argomento, avesse provato a credere nell’esistenza di quella risposta che lui già era convinto di possedere. Forse la situazione sarebbe stata meno spigolosa e ostica, più visibile e accettabile.

“Spiacente capo, ma non devo aspettare che le risposte mi piovano dal cielo: io ce le ho già” gli disse alzandosi in piedi e calandosi meglio il cappello in testa.

Detto ciò, si diresse con le mani affondate nelle tasche verso le scale, sparendo dalla visuale del padrone di casa nel mentre si grattava la nuca mezza pelata.

Che tipo. Con quella faccia non mi stupirei affatto se fosse stato mollato dalla donna della sua vita. Pensò.

E se ne tornò a sistemare le ultime bottiglie di rhum rimaste fuori posto.




Salito al primo piano, andò dritto nella sua stanza e una volta dentro, chiuse la porta con la schiena, poggiando la nuca contro d’essa sospirando.

Meno di due ore. Meno di due ore e poi basta per un altro anno. Almeno così una parte di quel peso non l’avrebbe più sentita. Il pensiero di ciò gli fece stropicciare il viso con la mano.

La camera datagli era piccola, con solo una sedia, un tavolo schiacciato contro la parete di sinistra e un letto dalla parte opposta, affiancato da una finestra con le tende tirate che dava sulla strada.
I lampioni fuori emanavano così tanta luce che Ace non ebbe bisogno di accendere il candelabro: avvolto dal semibuio appena accennato da qualche riflesso opaco giallastro proveniente da di fuori, poggiò il cappello e la collana di perle rosse sul tavolo, dove vi era anche lo zaino riposto giorni prima. Velocemente si sfilò gli stivaletti e, abbandonandoli disordinatamente sul pavimento, sparì sotto le vaporose coperte fino ad acciambellarvisi come un gatto nel bel mezzo delle fusa. Non temeva di soffocare anche se teneva sotto la testa, la mancanza d’aria era l’ultimo dei suoi problemi: voleva dormire, chiudere gli occhi e cadere in uno di quei bei sonni dentro cui inconsapevolmente cascava quando veniva colpito da un attacco di narcolessia. Serrò le palpebre sperando che questo arrivasse, stringendo i pugni e allontanando tutto quello che tentava di infarcirgli la mente più del dovuto. I primi giorni li aveva passati ad allenarsi strenuamente senza utilizzare il fuoco: niente tecniche con le abilità derivanti dal frutto Foco Foco, solo sano esercizio fisico includente corse, flessioni, addominali e tutta una sessione di allenamenti straordinari che nemmeno duecento reclute della Marina avrebbero potuto sostenere. D’altro canto, quel vecchio pazzo del nonno aveva sempre voluto che lui e Rufy diventassero dei marine, motivo più che valido  - secondo i suoi sensati ragionamenti - per massacrarli fino allo sfinimento.

Aveva sentito l’impellente bisogno di impegnare il suo corpo in qualcosa che gli permettesse di scaricare la tensione, per questo si era rintanato nella zona selvaggia del territorio: una volta gettatosi anima e corpo in quell’allenamento spartano più del solito, riuscendo a sfogarsi adeguatamente, era sceso a Mairene prima che i festeggiamenti iniziassero e, senza porre un singolo sguardo ai balocchi che addobbavano le strade, si era nascosto nella locanda, in attesa dell’alba. Prima o poi sarebbe venuta, era inevitabile, ma per lui era sufficiente che scoccasse la mezzanotte; benché il clima lì fosse mite, il ragazzo percepì  il freddo dell’inverno atrofizzargli le giunture e le ossa, pungendogli i muscoli come tanti piccoli aghi. A Mairene non c’era traccia della neve ma Ace la sentì ugualmente dentro di sé ed era più fredda che mai, tanto che neppure l’aumentare la propria temperatura corporea riuscì a dissipare il gelo di cui era padrona.

Per quel genere di freddo, i cui brividi erano un crescente lento e fine quanto un requiem, occorreva qualcosa che non poteva essere forgiato da mani qualunque: occorreva calore, un speciale ed effimero calore che neppure le più soffici e morbide coperte del mondo sapevano sprigionare…..

Screek!

La porta venne aperta lentamente, con un leggero scricchiolio da parte dei cardini non oliati. Se fosse stato un ladro Ace se ne sarebbe accorto, così come se fosse stato l’oste della locanda. Ma quei passi silenziosi, che cercavano di fare il più piano possibile appositamente per non disturbarlo, disfattisti addirittura delle calzature, lui li conosceva bene e pertanto non gli fornirono un motivo per cui allarmarsi.

Sayuri, dopo aver chiuso la porta, si avvicinò al rigonfiamento umano che vedeva sbucare dal letto, immaginando senza alcuno sforzo chi ci fosse sotto e in quale condizione emotiva si trovasse. Lo aveva cercato senza alcuna fretta o preoccupazione e alla fine lo aveva trovato, guidata un po’ dal suo intuito e un po’ da quei fatti personali che le avevano permesso di conoscere il suo ragazzo in tutti i suoi aspetti.

“Ace?” lo chiamò piano lei “Ace, sei….?”

Non potè neppure finire di formulare la domanda, che un braccio di lui sbucò fuori dalle coperte, le afferrò il polso e la trascinò sotto la coltre di stoffe, come se il peso restante del corpo fosse identico a quello di un piumino. In meno di un istante si ritrovò stretta in un abbraccio molto forte, con le gambe attorcigliate a quelle di Ace e le sue braccia che premevano sulla schiena.

“Ace, che….?”

Momentaneamente sbigottita, sentì il viso di lui nascondersi nel suo petto e nel percepire quel lievissimo tremito, fece svanire ogni forma di sorpresa emersa: ricambiò subito l’abbraccio, portando una delle mani dietro la nuca corvina di lui e cercando di far sua una parte del malessere che avvertiva con tanto vigore toccarle la pelle.

“Oh, Ace…”
“Dicono che la verità faccia sentire meglio la gente, se detta al momento giusto. Io devo essere l’eccezione che conferma la regola perché mi sento un vero schifo” mormorò lui.

Schifo. Quelle era la parola più adatta che potesse meglio descrivere il suo stato d’animo: una sacca di melma putrefatta avrebbe avuto un aspetto decisamente migliore del suo io interiore e lui non voleva farsi vedere da nessuno conciato in quella maniera. Della sua Sayuri si fidava perché lei non lo avrebbe mai giudicato con freddezza; per tale ragione, sapeva che nel suo abbraccio avrebbe trovato la forza per esprimere i pensieri trattenuti dentro di sé fino a quell’istante.

“E’ perfettamente normale quando ci si mostra al mondo per quello che si è” gli disse lei “Per questo è più facile tenere per sé i propri segreti e continuare a ignorare che questi non esistano”

Lei lo sapeva bene, oh se lo sapeva bene.
Per molti anni aveva pensato di vivere ma invece aveva solo tirato avanti, cercando di godersi il dono ricevuto come meglio le era possibile, ricordandosi le belle parole del nonno. Aveva sempre saputo che il suo passato stava dietro l’angolo ma si era fatta forte apposta per difendersi, sicura di poterlo gestire. Ne era stata convinta, veramente, ma questo l’aveva colpita a tradimento con così tanta cattiveria da frantumare il vetro del suo specchio interiore, portandola a cadere in mille pezzi. E a raccoglierne i pezzi, a rimetterli insieme, era stato proprio Ace, la cui gentilezza e solarità le avevano permesso di scoprire lati di sé e sentimenti così profondi da farla sentire strana.

Aveva iniziato a cambiare, a vedere il ragazzo diversamente e a temere che il suo passato lo potesse allontanare da lei. Una paura molto diversa dalla morte si era fatta strada in lei e nuovamente sconvolta dai fatti, aveva finito per lasciarsi andare, liberando il male che racchiudeva dentro di sé e sperando che il ragazzo non la odiasse o cacciasse via. Ma lui non l’aveva odiata o cacciata via per l’aver aspettato così a lungo a dirgli la verità, affatto: nello scorgere più volte quell’anomalo riflesso blu guizzare nei suoi occhi color cioccolato, aveva realizzato che nel profondo quella ragazza nascondeva qualcosa la cui sola ombra sembrava abbastanza grande e inquietante da bloccarla ogni qualvolta fosse sul punto di compiere o di prendere una determinata decisione.
Non si aspettava che parlasse subito o che addirittura riuscisse a rivelargli tutto, in fondo il moro non lo avrebbe mai fatto, ma lei……..quella notte lo aveva colto di sorpresa: con le sue lacrime, la sua confessione……da lì in poi, si erano scoperti molto più simili di quanto entrambi cercassero di dare a vedere.

Avevano condiviso i loro più importanti segreti e ciascuno d’essi aveva finito per essere testimone di una seconda verità che per il bene dell’altro non avrebbe mai dovuto essere rivelata. Si capivano Ace e Sayuri, perché loro avevano scampato il patibolo che li attendeva fin dalla nascita.
Si assomigliavano, per questo Pugno di Fuoco non temeva sorprese da lei. Fra i tanti volti familiari aveva sperato un pochettino che fosse il suo a venirlo a trovare, perché era sicuro che le sue parole avrebbero ammansito il parassita del malessere per poi riuscire a districarlo da dove si era annidato.

“E’ comprensibile che tu sia indeciso se sentirti pentito o meno” continuò lei dolcemente nell’accarezzargli alcune ciocche nere “E’ come fare un salto nel vuoto: non sai quando arriverai, dove o in che modo….sai solo che non puoi più tornare indietro”
“Ma io non sono pentito, non così tanto almeno” replicò lui “E’ solo che odio questo giorno”
“Questo giorno..o te stesso?”
“Ah….” gli sfuggì un risolino quasi divertito “Chissà…”

Non aveva ricordi di quel periodo, era troppo piccolo perché la sua mente e i suoi occhi arrivassero a realizzare ciò che lo circondava, ma il sapere che sua madre aveva dato ogni singola energia per proteggerlo e che era morta per lo sfinimento durante il parto lo faceva sentire in colpa, perché non avrebbe mai potuto saldare quel debito, non avrebbe mai potuto dirle grazie di persona. Tenere da conto quell’unica vita che gli era stata donata con tanto amore in quel giorno pareva non essere sufficiente per Ace e Sayuri lo aveva capito, altrimenti non gli avrebbe rivolto la sua stessa domanda contro.

Teneva affondato il viso lentigginoso nel petto di lei, percependo il tempore del suo corpo arrivare a scaldarlo dove nessun’altro poteva arrivare. I battiti del suo cuore possedevano un che di rilassante e nell’accoccolarsi, Ace desiderò poter prolungare quell’istante a più non posso. Il sentirla ricambiare poi con amore quella dolce stretta gli permise di abbandonarsi ancor di più, inibendo buona parte del freddo insinuatosi dentro di lui. L’abbracciava tanto forte da farla scomparire, quasi non volesse farla vedere a nessun’altro ma in realtà era lui quello che non voleva mostrarsi: la debolezza di per sé era qualcosa che mal sopportava quanto la sconfitta e farsi sorprendere nel bel mezzo di essa era abbastanza umiliante da fargli pesare ogni suo errore commesso, perfino il più stupido. Non voleva essere così ma quel lato faceva parte del suo carattere e non se poteva liberare come fosse un oggetto rotto, rappresentava la rabbia mai scomparsa da lui. Una rabbia rivolta a tantissimi volti, il suo compreso.

Non intendeva far vedere tutto questo a nessuno: non voleva che si scoprisse quanto fosse maledettamente vulnerabile, debole…era già insopportabile doverci avere a che fare per resto della vita. Era per questo che nel sentire Sayuri entrare nella sua stanza e avvicinarsi al letto, l’aveva stretta a sé per poi non mollare più la presa. Non si trattava del fatto che fosse venuta a conoscenza del suo segreto prima dei altri, ma solo della pura e semplice dimostrazione che entrambi si prendevano cura l’uno dell’altra.

“Anche tu puoi venire da me: ti ascolterò ogni qualvolta tu ne abbia bisogno e ti sosterrò quando non saprai dove andare, te lo prometto”

Se quella notte di tanto tempo addietro era stata lei ad aver bisogno di lui, ora era proprio quel ragazzo tanto orgoglioso a necessitare di un forte appoggio che rendesse quell’ultima ora del primo Gennaio la meno dolente possibile. Anche se nel corso dei anni era maturato sia fisicamente che mentalmente, quel bambino carico di rabbia che picchiava coloro che sparlavano dell’ex Re dei Pirati, che non capiva se fosse giusto per lui stare lì, c’era ancora; viveva in Ace, era il suo spettro, lo stesso che ora stava trovando rifugio nelle braccia di una persona dolce e gentile quale era la castana.
Non avrebbe mai immaginato di innamorarsi di qualcosa che non fosse la bandiera nera ma era successo e la felicità scaturita lo stava spingendo ad aggrapparvisi con disperazione.

“Non devi essere così severo nei tuoi confronti” gli disse lei chiudendo gli occhi “Tu meriti di vivere, Ace. Ami troppo quello che hai conquistato per gettarlo via e so che lo rimpiangeresti per tutta la vita se scoprissi di non poter recuperare quanto ora ti appartiene. Lo dissi anche a me, ricordi?” gli domandò dolcemente “Mi dicesti che merito di vivere più di molte persone che non sanno cosa sia la comprensione. Questo discorso non è valido soltanto per me ma anche per te, non siamo diversi”

Il silenzio di lui valse come una tacita replica che lasciò intendere il dubbio su quell’ultima frase detta da lei. Lo avevano già affrontato quell’argomento ma la situazione era cambiata ed Ace, nel dire la verità a tutti i suoi compagni, si sentiva in una posizione ancor più lontana e angustiante rispetto a qualunque altro figlio di pirata. La sola cosa, anzi, persona, che ancora riusciva a non farlo isolare del tutto era Sayuri, la cui vicinanza era diventata peggio di una droga. Non poteva farne a meno, non quando rabbia e orgoglio si mischiavano a tal punto da creare una miscela così esplosiva da sfuggire al suo controllo: lui, che poteva diventare così aggressivo da ridurre in cenere ogni cosa anche col più piccolo gesto della mano non era in grado, si rifiutava categoricamente, di alzare le mani sulla sola persona che valesse la pena di proteggere oltre a Rufy.
Per il capitano il concetto era un po’ diverso: certo, era importante che in quanto suo sottoposto difendesse il suo onore, così come aiutasse i suoi compagni e li soccorresse in caso di bisogno, ma Rufy e Sayuri erano……..diversi.

Se in una battaglia qualunque Ace dava sempre e comunque il 100%, per loro due non avrebbe esitato a dare la vita.
Si sarebbe lanciato contro il nemico anche se fosse stato legato pur di fare qualcosa, ma in quel momento la battaglia scatenatasi dentro di lui era pressoché che muta: attendeva un epilogo o una continuazione di quanto interrotto e purtroppo il ragazzo, nel suo silenzio, non era in grado di fornire nessuna delle due possibilità.

Fu allora che lei si mosse: si spostò quanto bastava perché lo potesse vedere in viso o, quanto meno, ne scorgesse i lineamenti e nel farlo le loro labbra arrivarono involontariamente a sfiorarsi ed Ace a quel contatto ancor più ravvicinato fremette. Se l’era appena detto che Sayuri era peggio di una droga e quando si sollevò giusto quanto serviva a sovrastarla, per poi chinarsi e baciarla nel mentre tornava a stringerla, si ridiede un ulteriore conferma di quanto pensato. L’audacia e il coraggio che mostrava in battaglia non era mai presente in lei quando riusciva a metterla con le spalle al muro e ad Ace piaceva saperla nelle sue mani, perché gli permetteva di percepire il suo candore con più intensità, fino a farlo suo.

Godutosi il bacio e l’insieme di piacevolezze che da esso derivavano, si distaccò lentamente per poterla lasciar respirare, con le guance appena accaldate.

 “Ace….” mormorò lei “Tu ti fidi di me, vero?” gli domandò.
“Certo”
“E quindi ti andrebbe di venire con me in un posto?”

Se per posto intendeva la Moby Dick, non era certo di poterla accontentare e a quanto pareva, l’oscurità calata nella stanza non fu sufficiente a nascondere la sua cupezza: non lasciandosi sfuggire quell’incertezza da parte del ragazzo, la castana la castana alzò il braccio quanto serviva perché le dita delle sue mani toccassero i curiosi puntini neri che gli tempestavano la faccia.

“Ti prometto che andrà tutto bene” lo rassicurò “Permettimi di avvicinarmi a quel che ti fa star più male, permettimi di aiutarti come tu hai fatto con me. Non cadrai”
Stavolta sarò io a sostenerti.

Poteva murarsi vivo, sprofondare sotto quella stessa neve che percepiva scuotersi in lui ogni volta che quel giorno cadeva, isolarsi, devastare un intero continente con la forza degli incendi se lo desiderava, ma anche se fosse riuscito a rinchiudersi nella più impenetrabile delle fortezze, la voce della ragazza avrebbe sempre trovato un piccolo spiraglio dentro cui far breccia, sarebbe sempre riuscita a raggiungerlo per tendergli la mano. Poteva far finta di non sentirla, distogliere la testa per non incrociarne lo sguardo ma davanti all’unica persona che capiva e comprendeva le sue ragioni, non era certo di poter mantenere bel alzato il muro dell’indifferenza. Lei non aveva fretta, lo avrebbe aspettato di sua spontanea iniziativa se serviva ad aiutarlo, gli sarebbe venuto incontro in tutti i modi ma non lo avrebbe lasciato solo, come lui non aveva mai lasciata sola lei.

E lui, forse rassicurato dalla sua presenza, avrebbe allentato poco a poco la sua rigidità per poi afferrare quella mano tesa con tanta gentilezza.




Eccola là….

Il grande e scuro profilo della Moby Dick era più che visibile nonostante lui e Sayuri fossero ancora discretamente lontani dalla spiaggia. Pugno di Fuoco camminava di fianco alla ragazza, tenendole la mano. Non aveva mai avuto dubbi sul dove volesse portarlo e non appena erano usciti dalla locanda per imboccare il sentiero principale, il solo pensiero di quello che lo attendeva lo riluttò quanto bastava da rendere ogni suo passo dolente e terribilmente pesante.

Non era pronto, non si sentiva affatto preparato ad affrontare quanto già si stava prefigurando mentalmente e avrebbe voluto tornare indietro, chiudersi in quella stanza di periferia se solo la fiducia riposta in lei non fosse stata tanto candida e sincera da respingere anche il più piccolo dei ripensamenti.
La tentazione c’era da qualche parte ma la mano di Sayuri lo teneva lì, senza creare alcun senso di disagio, senza appesantire quanto Ace stesse già provando: a dire la verità il semplice contatto fra la sua mano e quella di lei lo stava facendo sentire un po’ più leggero e questo già di per sé era un sollievo.

Non appena la passerella gli si parò davanti ai occhi avvertì un buco allo stomaco, come se questa in realtà fosse la rampa di scale per il patibolo, con in alto il portone che l’avrebbe portato alla piattaforma giudiziaria: non vedere cosa ci fosse al di là di essa bastò per ottenebrare i suoi occhi. Parallelamente a quello strano buco formatosi, percepì le dita della castana risaldare la presa che esercitava sulla sua mano, sorridendogli come per dirgli di non preoccuparsi. La Moby Dick era completamente addormentata: le luci erano tutte spente, le vele ammainate e il ponte completamente deserto.

Saranno tutti a terra a festeggiare. Ipotizzò mentalmente lui nell’attraversarlo.

L’uno Gennaio non era ancora passato e siccome era festa per tutti, anche i pirati avevano il diritto di divertirsi fino a non sentire più i muscoli. Non c’era pericolo che venissero attaccati di sorpresa, Mairene era fin troppo sicura e la gente li nutriva un altissimo rispetto per Barbabianca. Andando sottocoperta, camminarono lungo uno dei molteplici corridoi che avevano imparato a percorrere memonicamente anche al buio, come in quel caso. Come all’esterno, non vi era alcun lumino che facesse da punto di riferimento ma la ragazza non ne aveva alcun bisogno: sapeva bene dove doversi fermare.

“Ecco, siamo arrivati” gli disse voltandosi verso di lui “Puoi aprire la porta se vuoi”

Avendo scordato temporaneamente su quale stanza quella desse, Ace non si premurò di chiederlo alla ragazza, indietreggiata di qualche passo. Spingendo coi palmi, apri le due grandi ante ma come alzò la testa, fu costretto a coprirsi gli occhi per la forte luce che lo investì.

“Ma che diav…?!”

POP! POP! POP!

Una serie a catene di coriandoli e stelle filanti vennero fatti esplodere nel momento in cui Ace aveva aperto la porta. Velocemente abituatosi alla luce, il ragazzo si ritrovò ricoperto di carta colorata dalla testa ai piedi e con tutti i suoi compagni che lo guardavano sorridenti.

“Sorpresa!”
“Ben arrivato, Ace!”
“Cominciavamo a credere che fossi finito addormentato in chissà quale buca!”
“Magari ci è finito sul serio. Fortuna che abbiamo mandato sorella Yu-chan a recuperarlo”

Ok, stava sognando.
Stava sicuramente sognando e la cosa l’aveva paralizzato a tal punto da non sapere se quel che vedeva gli piacesse oppure no. Realizzò solo dopo pochi secondi che tutto quello era vero e che tutta la ciurma era riunita lì, nella sala grande: scorse i tavoli stracolmi di cibi, barili pieni di birra e così tanta roba che come minimo i cuochi dovevano aver sfaticato per più di due giorni di fila.

“Guraguragura!! Non stare sul ciglio della porta, Ace!” esclamò Barbabianca con già in mano la sua immancabile bisaccia “Avanti, entra!!”

Da allibito si trasformò in un essere cosciente e con la ritrovata padronanza di sé stesso, finì per comprendere il perché di tutti quei addobbi. Riaffiorarono troppe cose, così tante da ammucchiarsi e bloccarsi malamente in un punto indistinto della sua mente, senza più scorrere. Temette la stessa sorte per il suo cuore, perché non riuscì a sentirne più i battiti frattanto che risuonavano parole maligne nei suoi confronti. Tutto questo stava dentro di lui e c’era abbastanza materiale che gli avrebbe fatto muovere i piedi verso l’uscita senza neppure guardarsi indietro: lui lo odiava il suo compleanno e per quanto quei addobbi fossero coloratissimi e i suoi compagni ridessero, come a voler testimoniare la non importanza di quei fatti da lui confessati, Ace sentì nuovamente la gelida morsa della neve infilzargli la carne.

“Sentite, ragazzi: vi ringrazio, ma…” tentò di dire.
“Ti prego: sei stai per dire una scemata, taci. Farai un piacere sia a noi che a te” lo bloccò Don togliendogli il cappello.

Interdetto, Ace si zittì seduta stante.

“Sai che ore sono?” gli domandò poi Marco.

Nel scuotere la testa, Vista sfilò dal suo taschino un orologio dorato con catenella e, aprendolo, lo mise davanti al viso di Ace perché potesse leggere l’ora.

“E’ mezzanotte” mormorò lui.
“Sbagliato. E’ mezzanotte e tre minuti” lo corresse il medico-cecchino sbuffando “Il che significa che non è più l’uno Gennaio ma il due e che quindi puoi smettere di tormentarti come una vedova appena lasciata dal marito”

Era vero.
Nel guardare meglio, notò che la lancetta più lunga era appena spostata di qualche millimetro rispetto la più piccola. L’uno Gennaio…era veramente finito.

“Avete aspettato fino adesso…per festeggiare?” mormorò.
“Si e no” gli rispose la Fenice avanzando verso di lui “Diciamo solo che non sarebbe stato giusto festeggiare un compleanno senza il festeggiato e visto che tu non ti accingevi a tornare, abbiamo mandato Sayuri a prenderti”

Compleanno? Festeggiato?

Anche se si spremette le meningi, Ace non riuscì a capire il filo del discorso e la sua faccia ebete diede mostra della sua grande e apparentemente incolmabile lacuna.

“Non credo di capire….”
“E ci credo, col cervello che ti ritrovi....” sbuffò nuovamente Don “Ok, testa vuota, te lo dirò nella maniera più semplice e concisa” e alzò l’indice della mano destra per poi piantarlo davanti agli occhi del moro “Noi non conosciamo il figlio del Re dei Pirati: non sappiamo chi sia, cosa faccia, che faccia abbia, sei sia vivo, bla bla bla…. Quello che ci interessa, ed è la ragione per cui siamo tutti riuniti qua, è che vogliamo festeggiare il ventunesimo compleanno del nostro comandante in seconda, che saresti tu, Portuguese D. Ace, Pugno di Fuoco, quindi vedi di far sparire quella faccia da rincretinito seduta stante se non vuoi che prenda quella tua testa bacata e la ficchi dentro un barile di birra fino a farti affogare”

Forse avrebbe dovuto veramente immergere la testa nella birra, almeno così avrebbe considerato tutto ciò come un’allucinazione dovuta per il troppo alcool ingerito, ma il sentirsi tirato in avanti, spinto in mezzo a quella folla che subito iniziò a prendergli la testa sotto le braccia per scompigliargli i capelli con le nocche, bastò per fargli comprendere che tutto quello era vero, che tutta quell’allegria e quell’enorme torta che arrivava quasi a toccare il soffitto era stata preparata unicamente per lui.

Gol D. Ace sulla Moby Dick non esisteva. I suoi compagni non avevano idea di chi fosse. A nessuno di loro premeva di sapere tutti i dettagli di questo fantomatico personaggio mai visto in faccia. A loro interessava di Portuguese D. Ace, del loro fratellino e volevano che capisse che quanto aveva detto quel giorno, per quanto fosse stato sconvolgente, non avrebbe comunque cambiato o mutato nemmeno di una virgola il loro legame. Quei secondi che erano succeduti alla sua confessione avevano permesso a tutti quanti loro di modellare a loro piacere quelle parole e di arrivare a comprendere quale peso quella verità rappresentasse per il moro. In sostanza, il peso di Ace era più grande del loro ma tutto si poteva risolvere se si era sulla nave di Barbabianca: tutti lì erano uguali, tutti lì erano figli di quel grande uomo che adesso rideva col cuore in mano.
Ace dovette solo ricordare questo, dovette solo ricordare quella semplice e piccola nozione di vita per riuscire finalmente a sorridere nel mentre tornava a nascondere gli occhi lucidi sotto il cappello recuperato.

Grazie, ragazzi….

Non avrebbe potuto dire o pensare altro.

“Ok, si è ufficialmente commosso!” esclamò Vista ai più lontani.
“Se si mette a piangere, giuro che do le dimissioni e lascio la seconda flotta” sentenziò Don.
“Sii accondiscendente per questa sera” gli disse il comandante adamantino con le enormi braccia incrociate “E’ il suo compleanno”
“Ma è proprio questo il problema, Jozu: lui non è proprio nato per essere accondiscendente” si aggiunse Maya “Se ci tieni tanto a dare le dimissioni, puoi sempre farlo. L’uscita è da quella parte” e indicò la porta.
“Nessuno ha chiesto la tua opinione, donna” replicò il medico-cecchino rispondendo alle scintille elettriche della capo infermiera con altre di uguale intensità.
“Su, su, non litigate” cercò di dividerli Bonz “Almeno stasera fate i bravi”

Vedere tutti quanti loro comportarsi come sempre diede al moro l’ulteriore prova che ci voleva ben altro che essere il figlio del Re dei Pirati per far cambiare di punto in bianco l’opinione di più persone nei propri riguardi. Odiare qualcuno significava odiare anche una parte di sé stessi ed Ace nel rivolgere il suo disprezzo al padre biologico, aveva finito per ripudiare una parte di sé, cosa che ai suoi compagni e al suo capitano era sembrata stupida e ingiusta.

Si, le sue reali origini non si sarebbero dissolte nel nulla o scomparse con quella notte di divertimento, ma perlomeno sarebbero state sostituite con delle nuove, con quelle che lui riconosceva effettivamente come sue: su quella nave e in tutto il mondo, lui sarebbe sempre stato conosciuto come Portuguese D. Ace alias Pugno di Fuoco, il comandante della seconda flotta di Barbabianca.

“Va bene, ragazzi” Marco fece passare il suo braccio intorno al collo del moro per tirarselo più vicino “Chi vuole essere il primo a tirare le orecchie al nostro festeggiato?”




Alla fine l’alba era arrivata e la Moby Dick era ridotta peggio di tre campi di battaglia messi assieme.
La sala grande era tutta un coro di ronfate e corpi addormentati nelle posizioni più disparate, con tanto di tavoli rovesciati e sedie rotte: i pirati di Barbabianca si erano scatenati con la stessa foga che mettevano nei combattimenti e i festeggiamenti si erano esauriti soltanto qualche minuto antecedente alla venuta del sole. Il cibo era stato trangugiato, le botti di birra svuotate fino all’ultima goccia e le risate consumate a tal punto da far finire a terra anche i più resistenti: vedere Jozu steso a terra con le braccia spalancate, la bocca aperta e con sopra al torace almeno cinque persone ammucchiate a mò di piramide era una visione tanto incredibile quanto tenera nel vedere Marco seduto al suo fianco con la piccola Akiko in braccio, che dormiva placidamente rannicchiata contro il suo petto. Seguivano altri esempi, tra cui di più semplici, come il capitano addormentato sulla sua poltrona, ma niente poteva superare l’insultarsi nel sonno di Don e Maya: e dire che con tutto il rhum che si erano scolati per vedere chi dei due crollava per primo, avrebbero dovuto dormire come angioletti anziché borbottare parole sconclusionate nel sonno. Ogni tanto era saltato fuori un “Adesso ti ammazzo sul serio” ma non c’era stata ragione di preoccuparsi più di tanto: prima di arrivare a brandire una qualunque arma quei due avrebbero dovuto come minimo impegnarsi a stare in piedi.

Ci avevano dato dentro come non mai e per fortuna i vari espedienti tirati fuori per animare quella notte non avevano implicato l’ausilio del ponte principale, anche se ad un certo punto qualcuno aveva optato per combinare qualcosa implicante l’esplosione dell’albero maestro. Grazie al cielo era stato risparmiato ed Ace ne era grato perché dopo tutto quel grandioso trambusto organizzato per lui, cinque minuti di silenzio accompagnati da una sana e fresca brezza mattutina erano assolutamente d’obbligo.
L’adrenalina in corpo gli impediva di andare a dormire, era ancora troppo eccitato per crollare a terra come un sacco di patate: avrebbe potuto spendere un po’ di quell’ ”Euforia ormonale” con qualche piegamento, ma prima di arrivare al ponte per riempirsi i polmoni del buon vecchio e sano ossigeno, il suo cammino si incrociò con la sola persona – escluso lui – che ancora non si era abbandonata al sonno.

“Com’è che sei ancora sveglia, Sayuri?”

La ragazza era seduta su una panca del corridoio, visibilmente assonnata, con le palpebre che sbattevano ripetutamente per esortare gli occhi a rimanere aperti e la schiena appoggiata al muro insieme alla nuca.

“Ero sicura che fossi ancora sveglio e così mi sono messa qua ad aspettarti” gli rispose lei sorridendogli con l’innata dolcezza di sempre.

Ace le si avvicinò fino ad arrivare a sedersi di fianco a lei. Strano ma vero, per tutta la serata era stato circondato dai suoi amici ma lei l’aveva vista poco più di tre volte.

“E come mai mi aspettavi?” domandò col sorriso sghembo e incuriosito.
“Eh eh, volevo darti il mio regalo. Non sono riuscita a dartelo durante la festa, così ho preferito attendere un momento più tranquillo, come questo”

Detto ciò, sfilò dalla tasca della gonna qualcosa che Ace non vide fino a quando non se lo ritrovò legato allo stesso polso su cui portava il log pose.
Rimase basito: era un braccialetto fatto di fili rossi e bianchi, come quello che lei stessa gli aveva regalato per la sua promozione e che disgraziatamente aveva perduto nello scontrarsi con Teach.

“Ho utilizzato dei fili più grossi e resistenti questa volta: l’effetto dovrebbe essere maggiore rispetto al precedente, spero possa proteggerti adeguatamente. Buon compleanno, Ace”

Pugno di Fuoco restò per qualche secondo a contemplare apertamente il regalo fattogli: tra gli accessori che si portava sempre dietro, il bracciale rosso e bianco era l’unico che fosse mancato all’appello. Doveva essersi strappato o bruciato, purtroppo non lo sapeva con certezza ma fatto stava, che quando si era accorto di non averlo più, aveva provato un forte dispiacere poiché quello era uno speciale portafortuna fatto e datogli dalla ragazza. Averne un secondo, più potente, lo avrebbe esortato a non commettere gli stessi errori del passato, a comportarsi con più attenzione nei riguardi non solo dei oggetti in suo possesso, ma anche di chi gli stava attorno.

“Grazie, Sayuri. Questo lo terrò più da conto” le disse.
“Figurati. Non nego che mi sarebbe piaciuto tirarti le orecchie, ma penso che tu ne abbia avuto a sufficienza per oggi” ridacchiò sommessamente lei.

Essere tirato per le orecchie da mille e passa uomini, di cui alcuni grossi quanto Barbabianca era stata un’esperienza che aveva sfiorato il rischio di lasciarlo senza padiglioni auricolari per il resto della vita. Le orecchie di Ace erano rosse e pulsanti, decisamente intolleranti ad un’altra tirata.

“Si, i miei lobi stanno chiedendo pietà” concordò “Però..” e si sporse un po’ avanti, verso di lei “Possiamo apportare una piccola modifica alla tradizione”

Riconoscendo quel sorriso tipicamente furbesco di lui, la castana percepì le proprie guance tingersi di un appena accentuato rosso nel mentre avvertiva tutta sé stessa con le spalle al muro.

“E..che genere di modifica vorresti apportare, se posso chiedere?” domandò lei guardandolo dritto nei occhi.
“Beh…è il mio compleanno, no?” chiese retoricamente nel scortarle dalla guancia un ciuffo “Quindi, mi è concesso di fare e chiedere ciò che voglio”

Avvicinatosi con molta gradualità baciò la ragazza senza che lei replicasse. Si beò in tutta tranquillità di quel contatto voluto dalla sua capricciosità ma non se ne vergognò minimamente e la strinse a sé tenendo alto quel suo sorriso da canaglia, alto come la bandiera che sventolava sul pennone. Era maledettamente felice, rinato da capo a piede e leggero come una nuvola: il fuoco scorreva di nuovo in lui, potente a tal punto da infiammare quanto fino a quel momento era rimasto assopito.
Lasciandola respirare, si trovarono coi volti vicini: il suo, sorridente e soddisfatto e quello di lei, arrossato e un po’ spaesato, ma profondamente rasserenato nel vedere il suo ragazzo finalmente tranquillo. Quella dolcezza premurosa arrivò da Ace come un fulmine a ciel sereno e non ci volle molto perché il suo voler salire sul ponte venisse rimandato a più tardi. Tutto ciò che gli occorreva l’aveva lì e non voleva stare da nessun’altra parte.

“Bene, uno è andato. Ne mancano venti” le soffiò sulle labbra.
“Immagino di non poter respingere la tua richiesta” mormorò lei sorridendo imbarazzata.
“Esatto” le disse chinandosi appena un po’ più in avanti “Li voglio tutti quanti, fino all’ultimo”

Trovatasi ad annegare in quelle pozze nere, Sayuri arrossì ancor di più, arrivando a far risplendere i suoi occhi di quella lucidità tipica di quando il viso reagisce ad emozioni intense. Poteva rifiutarsi, ma era come se l’essere capriccioso di Ace le tappasse la volontà di replicare e anche se questa fosse stata libera di dar voce alle sue opinione, sarebbe stata lei stessa a zittirla. Persa nei occhi del moro, finì per annuire senza rendersene conto e in un batter d’occhio, si trovò in braccio al ragazzo, in procinto di andare verso un’ala specifica della Moby Dick.

“A-Ace, che cosa fai? Mettimi giù”
“Uhm...no”
“Ma…ma Ace, posso camminare per conto mio” tentò di dire “Per favore, mettimi giù”
“Mi devi ancora venti baci, ricordi?” e la guardò con quel suo fare giocoso che la immobilizzò emotivamente “Quindi è escluso che ti lasci andare prima di essermi preso quanto richiesto”

Non ci fu modo per spuntarla: lei stessa aveva annuito e Ace da bravo giocatore quale era, aveva preso la palla al balzo ma andava bene così: vedere il suo ragazzo di buonumore compensava le mancate parole occultate dal suo arrossire perenne e quanto a lui, per quanto capriccioso o egoistico che fosse, non avrebbe mai fatto qualcosa che avrebbe potuto arrecarle dolore.
A dispetto dei pregi, dei difetti, del carattere e di tutti gli elementi che lo contraddistinguevano dai altri, Ace sarebbe sempre rimasto il ragazzo di cui lei si era innamorata e questo non sarebbe mai cambiato. Mai.

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