Brevi foglie d'estate

di Manuel Lanhart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1-Bugie ***
Capitolo 2: *** Cap.2-Rimorso ***
Capitolo 3: *** Cap.3-La gioia del mattino ***
Capitolo 4: *** Cap.4-Introspezioni ***
Capitolo 5: *** Cap.5-Natura di mago ***
Capitolo 6: *** Cap.6 - Apologia di Harry ***



Capitolo 1
*** Cap.1-Bugie ***


Un ragazzo avanzava curvo lungo le stradine deserte di Private Drive, passando oltre la porta con un quattro inciso sopra e gettandovi un’occhiata distratta. Voci e risa fluttuavano mischiate dalla finestra aperta alla fresca brezza della sera.
Quando calava il sole finiva la tortura della sete, lasciando il posto all’agonia notturna degli incubi. L’adolescente dalla faccia coperta di barba mal rasa e pochi brufoli poco si curava dei sogni, per quanto orribili potessero essere, tanto la realtà era peggio. Magari avesse potuto restare per sempre impigliato nella rete di irrealtà che instancabilmente il suo cervello tesseva!
Avanzando nel fresco venticello della sera, il ragazzo fischiava sommessamente melodie –carole- quanto mai fuori luogo in quel quartiere ben curato, in quell’estate così torrida. Era la metà di luglio, e il caldo era soffocante. Quelle carole, le cantava Sirius il natale precedente, felice che non dovesse trascorrere le vacanze solo in compagnia di un elfo svitato e di una madre che continuava a sputare veleno da un quadro a pian terreno. Hermy sarebbe inorridita a quel che il ragazzo pensava dell’elfo, Ron avrebbe riso ripensando alla signora puro sangue di Grimmauld Place, già da qualche settimana in compagnia del figlio nell’aldilà. Inutile, nemmeno il sarcasmo più nero distoglieva il giovane dal rattristarsi.
Un momento davvero bello era stato quando, all’arrivo dell’Espresso al binario, la sua Avanguardia quasi al completo aveva incusso timore nei suoi zii e nel suo cuginastro, con la minaccia di venire di persona a controllare la situazione, se Harry veniva trattato male o non si faceva sentire per più di tre giorni. Ma lui, in fondo, preferiva la compagnia di sé stesso che quella degli altri, dovevano capirlo che non era più un bambino da quando sapeva la verità. Del resto, non aveva sempre sospettato, nella parte più remota del cuore, che la sua vita si sarebbe conclusa ad un’età prematura o che avrebbe vissuto sempre…da diverso? E dopo gli avvenimenti dell’Ufficio Misteri, l’aura di differenza-santità, avrebbe detto Malfoy- si era accresciuta parallelamente alla fiducia che su di lui veniva nutrita sempre più dalla comunità magica. Bello, il destino, quando aveva bisogno di essere creduto, aveva dovuto convincere una giornalista svitata a dargli il giusto spazio per un’intervista, e adesso che voleva essere lasciato in pace –“diamine”! Aveva fatto fin troppo, ora voleva riflettere.
Sempre fischiettando canzoni fuori stagione, Harry si ravvivò i capelli, e raggiunto il parco, o meglio quella sezione di verde e altalene che il cugino e la sua banda non avevano distrutto per qualche motivo oscuro, si sedette e prese a dondolarsi distrattamente. Era ormai tradizione assodata che i suoi ultimi giorni di anno scolastico su a Hogwarts fossero parecchio movimentati per cause che potevano essere riassunte nelle dita di una mano: Voldemort, Mangiamorte, Male all’opera. E nel giro di pochi attimi, di un breve movimento di bacchetta, di parole urlate e raggi colorati lanciati, cambiava il senso di una vita, a meno che questa non venisse privata anche della più intima…ragion d’essere.
Sirius.
E pronunciare quel nome con lenti movimenti delle labbra senza che alcun suono fuoriuscisse dalla bocca, era il dolore fatto persona. Col piede scavava la terra alla base della giostra, dove già i piedi di mille bambini, felici, scalpitavano di fare anche loro un giro, come segnando il suolo di un marchio che era l’essenza stessa della gioia. Il cigolio della catena fece sobbalzare Harry: ogni rumore attutito, lontano, sinistro, era per lui il tremolio dell’anima: cosa poteva essere? Il respiro di un dissennatore? I passi strascicati di un mago oscuro? O solo Codaliscia che era venuto a portarlo dal beneamato padrone?
“Via”!
Si disse, era il momento di smetterla di fantasticare. Aveva sofferto fin troppo in quei giorni, era il momento di guardare avanti, anche se verso un futuro più vuoto, altrimenti il quinto anno sarebbe apparso una gita alla Tana, in confronto a quello che l’avrebbe aspettato, se non si fosse sforzato di vivere. C’erano gli amici, c’erano i Weasley, c’era Silente e la fiducia che una scuola e una comunità magica riponevano in lui…
“C’è voluto un anno per convincerli! Figurarsi se qualcuno ancora stenta a credere al ritorno di Voldemort. Cosa pretendono? Di vederlo bussare alla porta delle loro case, come fece con i miei genitori?”
La smorfia di disgusto che gli deformò i bei lineamenti del viso attrasse l’attenzione di una ragazza che già da qualche minuto l’osservava, nascosta dietro una siepe. Naturalmente, come tutti nel quartiere, sapeva bene chi aveva davanti, e del resto l’aveva visto più e più volte, durante quell’estate, camminare a testa bassa lungo i viali della zona, sempre da solo, sempre un’espressione corrucciata, mai un sorriso. Lei conosceva pure il cugino, Dumbly o Dursley o qualcosa del genere: non esisteva essere più disgustoso sulla faccia di Londra. La semplice fantasticheria di venire sfiorata da quel suino la fece rabbrividire.
Per l’ennesima volta fu tentata di avvicinarsi a Harry, ma finora non aveva trovato coraggio sufficiente per farsi avanti. Non le importava delle voci che sarebbero girate, ma quel ragazzo era…strano. E forse per questo intrigante.
- Puoi venire avanti, sai?
Quelle parole la colpirono come i coltelli di un giocoliere del circo. Rimase interdetta, per poi percorrere a passi lenti uno stretto passaggio tra le siepi. L’aria fresca della sere fece frusciare alcune fronde contro i suoi jeans bianchi.
- Parlavi con me?
Harry aveva smesso di dondolarsi e si era alzato andandole incontro. Un sorriso lo illuminava, cambiando notevolmente il suo aspetto.
- Non vedo nessun altro - disse. - Comunque ti ho vista da un pezzo...
Lei arrossì suo malgrado, sentendosi quanto mai ridicola. -Ehm…è che…non so, pensavo di disturbarti…- aggiunse in fretta, -Eri immerso in profonde riflessioni, credo.- Come balla non suonava così male, dopo tutto.
- Non preoccuparti- la rassicurò Harry accentuando il sorriso. -Io sono Harry Potter, lieto di conoscerti-. La ragazza gli strinse la mano. -Io sono Lily…Lily Smith. Che ho detto?-, domandò sorpresa, avendo visto l’altro sobbalzare e diventare pallido.
- N-niente, niente, scusami! Quel nome…il tuo nome mi ricorda una persona cara.
- Ah, beh, - disse Lily sollevata - non è un nome raro, poi.
“Che figura!, pensò Harry aggiungendo un’imprecazione poco elegante. Accidenti alla mia timidezza!”
Era meglio passare ad altro. - Sei da sola qui?
- Si. Sai, a casa non c’è niente da fare, e i miei amici sono tutti in vacanza. Per ingannare il tempo ogni tanto vengo a fare una passeggiata. “Questa è la serata delle bugie, vero, Lily?”
- Ti andrebbe di farmi compagnia? - osò Harry, intimidito ma in fondo rincuorato. D’incanto, la voglia di stare solo era svanita. La ragazza non era niente male! Si soffermò a guardale gli occhi azzurri, su cui ricadevano capelli rossi. “Chissà che ne direbbe Ron…” Era alta quasi quanto lui e dal fisico atletico. Probabilmente praticava qualche sport.
Harry attese un cenno d’assenso da Lily e si spostò cedendole il passaggio; la seguì fino ad una panchina semidivelta dal divertimento sregolato di Dursley e della sua banda, e si sedette accanto a lei.
Dopo pochi, imbarazzanti attimi di silenzio, Lily disse:
- Sei nuovo di qui? “Brava, brava, continua così”.
- Oh no, ci vivo da quando sono nato…ma i miei parenti…diciamo, prima d’ora non mi facevano uscire spesso.
- Ti capisco. Anche i miei genitori sono tipi apprensivi. “Lily, non andare lì”, “Lily non andare là”, “Lily, prendi i voti e fatti suora e stattene a casa”! - Con suo grande piacere, Harry rise, e fu proprio un bel ridere, secondo lei.
Un grillo cominciò a cantare alla sera, su un ramo sopra di loro, mentre la brezza aumentava piacevolmente. Harry non potè non notare che come lui, anche Lily aveva una massa di capelli ribelli, impossibili da tenere ordinati. E il colore, poi, ricordava quello del sole al tramonto. Ops! Si accorse di starla fissando da un pezzo.
Lei non si era accorta di niente, o almeno sembrava. - Dove vivi?
- Private Drive numero 4 - rispose lui con prontezza, come se stesse recitando una formula usuale. - Non lontano dal parco.
- Si, ho capito. Io invece vivo dalla parte opposta, in Albion Avenue… - lasciò la frase in sospeso perché un rametto al suolo si era spezzato in un punto imprecisato attorno alla giostre, spezzato da qualcuno. - …un agglomerato di case chic, popolate da uomini chic e mogli altrettanto chic, fiere del loro giardinetto, l’unica occupazione decente della loro vita.
- Un ritratto fedele della mia adorata zietta, Petunia, se aggiungi anche l’hobby di origliare il vicinato. - Tuttavia Harry, pur sentendo il riso argentino della ragazza, non gioì, perché pensava ai segreti della zia e alle domande che dall’estate precedente che avrebbe voluto rivolgerle.
- …e mio padre invece…Harry, mi stai ascoltando?.
- Eh si scusa! Questa volta ad aver distratto il ragazzo fu un risolino mal represso, che era echeggiato al di là della staccionata di confine del parco. Riportò l’attenzione su Lily.
- Mio padre è un giornalista, lavora per il Sun, e si occupa di economia, mia madre invece, da degna abitante di questi luoghi, - disse in tono pomposo, - fa la casalinga, e non è capace nemmeno di gestire una casa. Immagino che se avessi avuto dei fratelli o delle sorelle, sarebbe fuggita alla nostra nascita!
- I miei genitori sono morti in un incidente stradale quando io ero ancora neonato, e gli unici parenti che mi erano rimasti sono i Dursley; mi hanno affidato a loro subito dopo la loro morte. “Non posso che mentire Lily, mi spiace”. Fu sul punto di toccarsi per istinto la cicatrice, nascosta da una ciocca fuori posto, ma si bloccò.
- Mi spiace, Harry, non potevo saperlo. - Il suo imbarazzo parve sincero, e lui gliene fu grato. Occorreva di nuovo cambiare argomento. Ci mancava poco che gli chiedesse dove studiava! Glielo avrebbe chiesto di certo, ma in quel momento era meglio evitare.
- Domani potremo incontrarci e conoscerci meglio, ti va? - chiese lui con un tono più supplichevole di quanto si fosse aspettato.
Lily fu spiazzata li per lì dalla domanda, ma alla fine annuì. - Credo che tu abbia ragione, altrimenti i miei s’arrabbiano di brutto. “Ti ho già annoiato?”
- Sono stato davvero bene con te, mi sembri molto simpatica, - Harry cercò di recuperare le redini della situazione, per cancellare l’immagine di scortesia che si era appena creato. Non si era mai pentito come in quell’istante di essere mago. “Spero di non averla offesa…” - Anche per me è ora di rincasare, o zia Petunia mi sottoporrà alla Corte Suprema - aggiunse in una pessima imitazione di Lily. “Che idiota!”
Si alzarono e raggiunsero l’ingresso del parco. Nessuno si vedeva da una parte e dall’altra della strada.
- Ti posso accompagnare, Lily?
- Oh, non preoccuparti, grazie! - esclamò raggiante. Il suo umore migliorò, e ciò non sfuggì a Harry. - E’ stato un piacere, mister Potter - gli strinse la man come un ufficiale dell’esercito, dopodichè si baciarono sulle guance.
- Anche per me…Domani qui alle dieci?
Lei finse di pensarci un attimo, nonostante le fosse chiara la risposta. - Nessun problema! A domani, ‘notte.
Harry la osservò finchè non ebbe svoltato l’angolo in fondo ad una ripida discesa, e ancora interrogandosi su come avrebbe fatto l’indomani a intavolare una conversazione con lei senza svelare i propri segreti, si voltò ringhiando:
- Potete venire fuori, razza d’idioti! - La mano corse subito alla bacchetta tenuta nella tasca posteriore dei pantaloni.
Un coro di risate divenne sempre più distinto via via che Dudley e il resto della combriccola sbucarono da una catasta di legna e copertoni abbandonati che erano stati gettati non lontano da dove Harry si era intrattenuto con Lily.
- Che c’è? Hai un’amichetta adesso, Harry caro? - disse sarcastico il cugino.
- Va via, maiale troppo cresciuto!
- ”Posso accompagnarti?”
- ”Sono stato bene con te”
- Ho detto che dovete tacere! L’urlo non sortì alcun effetto.
- Si, state zitti voi - convenne Dudley gridando ai ragazzi che avevano parlato. - Me la sbrigo io con lui, non preoccupatevi. Ci vediamo domani da te, Harold, d’accordo?
Un ragazzo basso e tarchiato con un paio di enormi occhiali da sole sulla testa annuì a quella che sembrava più un’intimazione che una domanda, mentre si allontanava con gli altri raggiungendo le biciclette.
- E ora a noi due, Potter!
- Che diavolo vuoi? Non hai malmenato abbastanza bambini da soddisfare i tuoi istinti primordiali, cugino?
- Non potrei mai stancarmi di prendermela con te, anche se c’è di meglio con cui sporcarsi le mani - sorrise in un modo che inquietò Harry.
- Allora, chi era quella?
- Un’amica. Ma cosa t’importa? - disse l’altro cominciando a spazientirsi, le mani ancora poggiate sulle bacchetta. La pressione della punta sulle dita quasi lo rassicurò, ben sapendo comunque che gli era proibiti fare incantesimi in quell’anonima strada inglese.
- Il fatto che parli con qualcuno all’infuori di me, mamma e papà, è un evento da segnare in rosso sul calendario, e - concluse fissandolo negli occhi verdi - tu lo sai bene.
Una fitta di rabbia e rimorso attanagliò lo stomaco di Harry: si, conosceva bene la solitudine, ci aveva familiarizzato negli ultimi mesi, soprattutto in Giugno, dopo la chiusura estiva della scuola, anche se aveva fatto di tutto per non far notare al cugino il peso di quanto doveva sopportare.
- Stanotte hai intenzione di continuare a chiacchierare nel sonno?
- Che vuoi dire? - mentì Harry, prevedendo già la risposta dell’odiato parente e incamminandosi in direzione di casa: litigare con lui era l’ultimo dei suoi desideri, per rovinare quella minima parvenza di serenità che Lily era riuscita a trasmettergli. Voleva tornare al numero quattro di Private Drive allegro, una volta tanto.
- L’anno scorso quel Diggory, ora un certo Sirius…credo proprio che se i tuoi amichetti muoiono uno dopo l’altro - disse Dudley tallonandolo. - Rimarrai solo soletto pure nella tua stramba scuola.
- Sempre meglio che essere destinati a vendere trapani per tutta la vita, giusto, cugino? - ironizzò Harry guardandolo in faccia e poi riprendendo a camminare.
- Sempre meglio che continuare a strisciare soli da perdenti, stupido, sempre meglio che piangere ogni notte come un matto, perché nel tuo mondo succedono cose assurde e tu ne sei spesso al centro. Chissà come mai, però la cosa non mi stupisce.
Harry si fermò, dandogli le spalle. - Non esagerare adesso. - Le parole vennero scandite lentamente.
- Immagino che tirerai la bacchetta, dato che non sei capace di…
Non terminò la frase perché un pugno di Harry sulla bocca glielo impedì. Dudley perse l’equilibrio e cadde sull’asfalto; un rivolo di sangue gli uscì dal labbro inferiore, bagnò il mento e gocciolò a terra quando lui tentò di rialzarsi prontamente. Afferrò il mago per il collo, lo sollevò di pochi centimetri dal suolo mostrando una forza incredibile e lo lasciò andare di colpo, mandandolo a seguire il suo esempio: Harry atterrò sulle ginocchia, ma non voleva mostrarsi debole. Tornò a fronteggiare Dudley, i cui centimetri erano più abbondanti sia in altezza che in larghezza, e imprecando gli sputò in volto.
Lo stupore trattenne il cugino per una manciata di secondi, prima che cercasse di colpire Harry con un pugno anche se invano, perché quello aveva estratto la bacchetta. Vedere la sottile asta di legno puntata contro di lui fu un avvertimento sufficiente.
- C’era da a-aspettarselo, codardo - balbettò. - Non sai difenderti a mani nude.
“Non voglio sfogarmi su di te, non te lo meriti.” - Va al diavolo, Dursley, stammi alla larga, o ti ritroverai con un piede che ti penzola dalla pancia.
Lasciando il cugino con un’espressione allibita e spaventata, Harry riprese il suo percorso.

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Capitolo 2
*** Cap.2-Rimorso ***


I lampioni gettavano una luce giallastra sui marciapiedi, lungo i quali l’ombra di un ragazzo molto arrabbiato incedeva ad una velocità più alta di quella con cui di solito si passeggia tranquillamente, le sere d’estate. Del resto, aveva i suoi buoni motivi per essere seccato: l’appuntamento con una ragazza carina era andato abbastanza pietosamente e si era concluso in modo ancor peggiore, poi un certo suo amato parente vi aveva messo lo zampino provocando una lite che avrebbe preferito evitare e dalla quale si era allontanato come un vigliacco.
“Mettetemi uno specchio davanti e giuro che mi prenderò a pugni, tanto mi detesto in questo momento.” Temeva che prima o poi Dudley lo avrebbe preso in giro riguardo Sirius, sebbene non potesse fare nulla per sfuggire agli incubi e non parlare nel sonno. Quasi ogni notte, la consueta sinfonia: porte, sfere di cristallo, occhi rossi che lo fissavano dall’ombra, bacchette spezzate, urla di disperazione. Come avrebbe potuto tacere pur avendo gli occhi chiusi, immerso in sogni che gli perpetuavano il dolore dei giorni? E di certo il nome…quel nome gli era sfuggito di labbra più e più volte, un’invocazione ad orecchie sorde, ormai non più capaci di sentire. Se avesse saputo, Dudley, cosa voleva dire aver affrontato molti orrori in soli sedici anni di vita, avrebbe perso molto peso al semplice pensiero! Ciò provocò una risata amara di Harry, che si stava dirigendo verso la casa degli zii adottivi. Ne aveva abbastanza per quella sera di tutto e di tutti; sperava che i parenti almeno si degnassero di lasciarlo in pace.
Un corridore spericolato per poco non lo fece ruzzolare: Dudley, che gli era sfrecciato accanto pedalando sulla bici nuova.
<< Ti fa bene alla ciccia, comunque>>, sussurrò il ragazzo, e si riassestò gli occhiali rotondi scivolati di sbieco.
Il resto del tragitto non fu disturbato da incontri o eventi sgraditi, e presto Harry raggiunse la porta di una casa che in quei quindici anni era stata una prigione. Dudley era già rincasato: la bici giaceva sull’erba del giardino accanto al tosaerba di zio Vernon, mezzo quasi dimenticato lasciato lì, sotto il cielo pieno di stelle, per la classica noncuranza di Dudley. “Se il suo cervello avesse abbastanza estensione, credo non potrebbe comunque arrivare a comprendere l’idea di garage. E poi, pretende di essere rispettato.”
Noia e ultimi strascichi di rabbia furono ciò che Petunia notò negli occhi del figlio della sorella, quando questi sbattè la porta alle spalle e posò le chiavi su un tavolino nell’ingresso.
- Volevi accamparti fuori, moccioso? - chiese lei agitando l’indice destro come un maestria delle elementari.
- No, solo rassicurarmi che tuo figlio ritrovasse la strada di casa.
- Non parlare così di Dudley, non permetterti nemmeno, stupido ingrato. Non hai ancora capito cosa significhi sostenere il peso della tua anormalità nella più assoluta segretezza? O credi che ci piaccia tenere te e la tua inutile bestia sotto il nostro tetto?
Lo sproloquio della zia accompagnò Harry fino in cucina, dove lo aspettavano pomodori rinsecchiti e una mozzarella grande quanto uno zellino. Si sedette e accese il televisore, ascoltando distrattamente le notizie del telegiornale. Parlavano di una rapina a una banca di Manchester e di turbolenze più violente del solito a nord della penisola britannica. Poi una giornalista lasciò la linea a un inviato sportivo. Non avendo il benché minimo interesse per gli sport, fatta eccezione per il quiddich, il ragazzo terminò il pasto frugalissimo e stava imboccando le scale per andare in camera sua, quando zio Vernon lo chiamò dal salotto. Uno strano e sgradevole stridio proveniva da quella stanza.
Ad Harry bastò varcare la soglie per scoprire l’origine di quel rumore…
- Gufi! - urlò Vernon. - Ancora questi dannati uccellacci. Questo pennuto, l’ho trovato privo di sensi sul davanzale della finestra!
Harry ebbe un moto di pena vedendo il gufo che veniva sbatacchiato a testa in giù dall’insopportabile parente, quindi fece per afferrarlo, ma l’altro glielo impedì. - Chi ti è che ti scrive? I tuoi…assurdi amici? - Prese fiato un istante tra una parola e l’altra alla ricerca di un aggettivo adatto a ferire il nipote, sebbene la sua provocazione fosse vacua, alle orecchie di Harry.
- Se mi dai il tempo e la possibilità di leggerla, forse potrò risponderti.
- Oh, mio caro, non credere di gabbarmi per l’ennesima volta. Mi hai preso in giro da quando sei nato, ma non sono un idiota.
“Ne dubito…” Evidentemente, era ancora vivo il ricordo di quella sera memorabile in cui tanti gufi erano entrati a precipizio in casa e il giovane studente di Hogwarts aveva ricevuto l’avviso di un imminente processo da parte del Ministero della Magia. E per completare l’opera, l’ultima busta recapitata in Private Drive era una Strillettera che, come si sarebbe appreso mesi dopo, era stata indirizzata da Silente in persona a Petunia, ammonendola a non lasciare che il nipote abbandonasse la casa. Il flusso di pensieri provocò un’ondata di nostalgia per la quale Harry odio ancor di più trovarsi lì in quel momento. Anche Azkaban sembrava un villaggio turistico al confronto.
- Cosa credi? Di sentire di nuovo una voce strillare? Dammi quella lettera - disse in tono perentorio. - Cominciava ad averne davvero abbastanza, non ne poteva più. - Prima prome…posa quell’aggeggio, metti via quella bacchetta! Posala, ho detto! Il colorito rossastro dello zio fu un principio di appagamento, ma non sufficiente. - Persone più importanti e influenti di te non si abbasserebbero a mandarti una lettera una seconda volta. Dammi-quella-lettera. - La fronte aggrottata, la mascella serrata del nipote, e la punta di quell’odioso legnetto che aveva preso a sprizzare scintille, spinsero Vernon a cedere.
- Finalmente… - Harry non riuscì a celare curiosità e gioia. Era da una settimana che non riceveva nulla da nessuno.
Ma la felicità durò pochissimo: appena la busta venne aperta, divenne di un rosso carminio, si sollevò a mezz’aria, emanando fumo e ringhiando in faccia a Harry.
- Sei impazzito! - esclamò la lettera. - Non hai capito un tubo! Cosa ti salta in mente di stare così tardi fuori di casa!
- Io, ehm…
-…Il solo proteggerti qui, in pieno mondo babbano, ci costa immense fatiche, per non parlare dei continui avvertimenti di Silente, che ci farebbe pendere da una delle torri di Hogwarts, se dovesse succederti qualcosa. Tu-sai-chi è di nuovo in circolazione, aiutato da numerosi, ripugnanti traditori del buon sangue di mago, e tu vai a fare il cascamorto con la prima che passa! Sei costantemente protetto, Harry, non dimenticarlo, ma non approfittarne.
I gridi cessarono proprio quando Vernon afferrò furioso la lettera, che tacque e si bruciò nelle sue mani. Harry non rise vedendolo fuggire verso il rubinetto più vicino, preda di un senso di colpa lancinante. Conosceva il proprietario della voce, il professor Moody, che insieme a pochi, fidati collaboratori, tra cui un altro insegnante, Remus Lupin, si avvicendavano nella protezione di Harry per tutta la durata delle vacanze estive, su esplicito ordine del preside. Il ragazzo sapeva che lo osservavano ovunque andasse, nascosti dai mantelli dell’invisibilità, ma ormai si era abituato alla loro presenza. Non pensava ci fosse qualcosa di male a parlare con una ragazza. D’altronde, come non accorgersi di un eventuale pericolo? I Dissennatori cancellavano il calore intorno annunciando con chiarezza la loro presenza; i Mangiamorte non potevano superare indenni il campo difensivo posto attorno ad Harry e costituito dalla sua Avanguardia se non ingaggiando un duello magico e di altre creature, il ragazzo non aveva avuto affatto sentore. Però erano idee più che sciocche, se ne rendeva conto, come non poteva ignorare che correva pericoli giorno e notte e il nemico si sarebbe avvalso di espedienti a lui sconosciuti, pur di eliminarlo. Se tuttavia da una parte provava un certo rimorso, dall’altro non si pentiva di aver parlato con Lily: digeriva a malapena la sfuriata della Strillettera! Non erano stati ragazzi anche i suoi protettori, o avevano trascorso l’estate in cattività come lui? “Non penso affatto! Loro non capiranno mai come ci si sente ad essere Harry Potter, non desidereranno mai quanto me di non essere mai esistiti, non sopporterebbero di vivere con questa ansia perenne che mi uccide!”
Aveva voglia di piangere, ma di nuovo l’orgoglio non fece versare alcuna lacrima agli occhi verdi del ragazzo. Anche Sirius era fuggito dalla sua casa, rispondendo sì alla necessità di soccorrere colui di cui era il padrino, ma anche assaporando quella libertà sconosciuta, tra le vecchie mura di Grimmauld Place. Ed era morto. Eppure il contesto era differente, al Ministero si era recato Voldemort in persona, ma lì, lì a Private Drive, dove un’antica magia creata con sangue di madre – Lily – permeava la dimora dei Dursley ed era l’estrema difesa sul ragazzo, lui non poteva fare la stessa fine. Non doveva. Non avrebbe permesso che il sacrificio di Sirius divenisse inutile. E allora perché non te ne stai tranquillo in casa, invece di gironzolare come un trovatello? Si, in fondo nessuna prova certa gli garantiva l’assoluta incolumità. La sua vita aveva assunto una piega verso direzioni imprevedibili, dense di pericoli, e non occorreva che lui aumentasse la dose. Aveva ragione, il vecchio Moody. Tenere gli occhi aperti, gli aveva raccomandato, e così avrebbe continuato a fare. Domani non sarebbe andato all’appuntamento con Lily.

I buoni propositi, invece, durarono meno del previsto.
Sdraiato nella sua stanza ad ascoltare musica, Harry aveva già pensato a quali bugie dire all’amica, se gli avesse fatto domande troppo dirette, cosa più che probabile. Smorzatosi il rimorso – anche se una vocina malvagia gli rideva allegramente nella testa, ultimo ago di pentimento -, lui aveva dato al gufo da bere e da mangiare attingendo alle scorte di Edvige, che, svolazzando nella camera, di tanto in tanto lo beccava per la colpa commessa contro la sua gabbia. L’uccello giunto con la Strillettera era ripartito tornando al mittente, mentre Harry aveva ignorato i lamenti di Vernon e le poco graziose parole della zia nei suoi confronti, e si era coricato dopo aver sistemato gli indumenti diurni nell’armadio e averne tirato fuori un pigiama a strisce bianche e azzurre. Il Cd delle Sorelle Stravagarie prestatogli da Neville riempiva la stanza di note che disturbavano lievemente i suoi pensieri e il verso della civetta.
Harry era deciso a rimediare alla figuraccia di poche ore prima con Lily. Voleva apparirle simpatico, elegante e gentile. Ringraziava vivamente Hermione di essere sua amica, poiché si sarebbe ispirato a tutte le esperienze condivise per cercare di assumere un atteggiamento carino nei confronti della nuova conoscente. Ad ogni modo, la mente del ragazzo continuava ad essere attratto dalla bellezza di Lily, più che dall’effetto che avrebbe avuto su di lei; non aveva visto Babbana più carina in vita sua, e quella sensazione di calore allo stomaco gli toglieva il fiato. Aveva provato qualcosa di simile con Cho, eppure il ricordo di Cedric, la timidezza e i litigi avevano smorzato ciò che provava fino a rasentare l’indifferenza.
Nulla gl’importava se anche lei piano piano lo stava dimenticando divertendosi con qualcun altro. Una cosa era certa: Cho non era mica a lutto per Cedric, e si stava dando più che da fare con gli altri studenti…Harry si pentì di quel pensiero. Il primo bacio, lo aveva dato proprio a lei, e nemmeno la rabbia più intensa avrebbe cancellato la densità di quelle emozioni sconosciute. E magari nel corso del successivo anno scolastico i rapporti sarebbero potuti diventare più amichevoli.
Con Lily, invece, era stato diverso. Non la conosceva, non l’aveva mai vista in passato, e subito un’intensa pulsione lo aveva costretto ad avvicinarsi a lei al parco. In realtà, non l’aveva notata da una pezzo, quando le aveva rivolto la parola, ma il suo sguardo si era posato su di lei, e lui…non aveva indugiato, insomma. Sembrava molto alla mano, senza quella puzza sotto il naso che molte ragazze della sua età avevano rendendosi antipatiche e insopportabili. Era stata più sciolta di lui, che invece era già imbranato di suo e poi si era sentito maggiormente a disagio notando la banda del cugino. Sarebbe andato all’appuntamento anche strisciando, checché ne pensasse l’Avanguardia. Di giorno andare giro era più sicuro che dopo il tramonto, e inoltre teneva la bacchetta sempre con sé.
Rassicurato, Harry si girò su un fianco osservando la luna, che illuminava debolmente la stanza filtrando attraverso la finestra aperta. La temperatura adesso era ragionevole, quella notte sarebbe stato possibile riposare. Pigiando il tasto rosso di un telecomando, Harry spense l’ hifi e ascoltò il lieve ronzio del cd che smetteva di suonare. Si sentiva strano, e d’improvviso debole. La stanchezza piombò di colpo e lente, le emozioni negative del giorno svanivano lasciando il posto ad una serenità gradita. Le palpebre si chiusero sull’argenteo bagliore lunare, ed Harry si addormentò in brevi istanti. Il sogno tornò, e fu lugubre come le altre volte. Lui si trovava in un vecchio maniero, che doveva essere stato abbandonato da tempo, come si evinceva dai lenzuoli sudici poggiati sui mobili non portati via e dallo stato pietoso di porte, pavimento e mura. C’erano anche delle scale, in fondo ad un corridoio molto stretto, e per salirle Harry superò alcune stanze ai suoi lati dall’uscio sbarrato, e spinse i battenti che stavano di fronte a lui separandolo dai gradini.
Uno dopo l’altro, prese a percorrerli perdendo persino il conto di quanti ne aveva oltrepassati, prima di fermarsi nel pianerottolo del quarto piano, dove la scala terminava. Lì l’edificio appariva più sinistro e buio delle altre stanze, perché non c’erano finestre. Un’unica porta, incredibilmente piccola, si apriva su uno sgabuzzino, in cui Harry entrò abbassando il capo. Avvertì un sensazione di vertigine e dovette appoggiarsi alle pareti per non cadere. Non c’era nulla d’interessante da vedere, se non manici di scopa spezzati, sedie rovesciate e un telo che ricopriva qualcosa dalla forma sferica.
Spinto dalla curiosità, Harry lo sollevò e rimase impietrito innanzi alla testa di Sirius che gli sogghignava roteando gli occhi. Disse anche una frase che il ragazzo non riuscì a comprendere, e poi scomparve. Il telo ricadde sul pavimento, e le sue pieghe s’incresparono, come se una corrente d’aria stesse soffiando. Harry fuggì, per nulla desideroso di conoscere quali sorprese vi si celassero sotto, e ritornò al pian terreno, dove era stato acceso il fuoco di un camino che non aveva notato. Vicino alle fiamme, una poltrona gli dava le spalle. Si potevano scorgere solo i piedi di chi stava seduto, piedi nudi e graffiato in più punti. Le ferite stavano sanguinando, ma sembrava che l’uomo – perché i piedi erano di un uomo – seduto non sec ne curasse affatto, intento ad avvicinare un oggetto alle labbra. “Una tazza, o una pipa, spero.”
- Sei venuto di nuovo, Harry?
Quelle parole non furono comprese. “Io non sono mai stato qui.” - Chi sei? - domandò esitante.
- Suvvia, Harry, ti sei dimenticato di me? Ci siamo visti poche settimane fa, ma forse posso aiutarti a ricordare… Il ragazzo udì una lunga serie di sibili che riconobbe essere il Serpentese. Anche lui, suo malgrado, lo parlava. E ovviamente i suoi sospetti vennero confermati. Un orribile serpente acciambellato ai piedi della poltrona scivolava verso di lui, e tra i suoi sibili sommessi Harry poteva distinguere oscure minacce di strangolamento, e morte. Il padrone dell’animale aveva si stava alzando, ma il ragazzo non ebbe il coraggio di fronteggiare Voldemort, e preso da una paura immensa si precipitò alla porta d’ingresso spalancandola, e correndo via nella notte.

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Capitolo 3
*** Cap.3-La gioia del mattino ***


Harry si risvegliò di soprassalto. Si guardo intorno recuperando un minimo di lucidità. Era mattino: i raggi del sole rischiaravano l’intera stanza, e a giudicare dal caldo, doveva essere una certa ora. Lui grondava di sudore, e si trovava avvolto come una mummia tra le lenzuola, mentre il cuscino era finito a terra. Il sogno, o meglio l’incubo rimaneva lucido nella sua mente, e lo stava ripercorrendo ancora, quando scese giù a fare colazione, lavato e vestito impeccabilmente per l’appuntamento.
Valutando che era proprio il caso di riferire il sogno a Moody, Harry si ripropose di farlo quella sera, dopo che gli zii e il cugino sarebbero andati a letto. Voldemort stava agendo di nuovo, ne era certo, ed era entusiasta, per non dire eccitato per una novità molto positiva, altrimenti la cicatrice non avrebbe bruciato tanto. Il ragazzo sperava solo che la gioia del nemico si placasse e non gli procurasse dolorose fitte nel corso di quella giornata. Non poteva permettersi un passo falso con l’amica, o i suoi numerosi segreti sarebbero andati svelati.
Quella casa doveva essere l’antica residenza di Voldemort, che probabilmente usava ancora come rifugio, quando non si recava altrove a seminare morte e dolore. E il serpente, Nagini, aveva risvegliato sensazioni terribilmente familiari in Harry, poiché già una volta aveva vissuto, pur solo pochi minuti, nel corpo di quel rettile attaccando una delle persone a lui più care al mondo, e una traccia latente di tale esperienza era rimasta nel suo animo risvegliandosi di tanto in tanto. Ma l’aspetto più brutto del sogno era stato vedere la testa di Sirius. Anche se non era la prima volta che gli capitava di sognarla, Harry tuttavia credeva che non ci si sarebbe mai abituato, e chissà per quanto sarebbero continuati quei sogni.
Recandosi in cucina, il giovane mago non trovò nessuno…Che fosse troppo tardi e i Dursley fossero usciti per qualche commissione? “Non può essere, mi pare che l’orologio in salotto segnasse le nove”. Allora si accorse di un biglietto piegato dentro una tazza vuota.
“Esclusivamente e consuetamente per colpa tua, ingrato, anormale, orrido nipote, abbiamo accompagnato tuo zio in ospedale perché le bruciature hanno assunto una sfumatura verdastra e si mettono a ridere! Che diranno i dottori e i vicini? Santo cielo che brutta figura che brutta figura! Giuro che se si tratta di un’infezione inguaribile normalmente casa nostra sarà solo un ricordo per te, un ricordo che rimpiangerai amaramente chiedendo l’elemosina per strada!” Petunia.
“P.s. Arrangiati tu con la colazione. Non meriteresti nemmeno quella. Ringrazia il preside della tua scuola che sei ancora con noi. Bada”
Per Harry non fu necessario leggere nuovamente il messaggio, anzi lo stracciò e lo buttò nella pattumiera ridendo come un folle. Le parole di zia Petunia avrebbero fatto un figurone da Strillettera, al castello, e Harry si ritrovò a desiderare i suoi amici. Ora che la tristezza si era un pochino smorzata, la felicità e la nostalgia tornavano a farsi vive, nel suo animo. Sospirando, tirò fuori dal frigo una bottiglia piena di latte, e da una credenza fin troppo ordinata un pacco di cereali stantii: i parenti non si affrettavano a rifornirsi dei cibi preferiti del nipote, mentre per Dudley riempivano ¾ del carrello! Colmata la tazza, Harry si sedette e mangiò di gusto, dato che era dal pranzo del giorno precedente che non si nutriva a dovere. Preferì non accendere il televisore perché voleva godersi appieno il silenzio. Una volta tanto non aveva nessuno intorno a intimargli di fare qualcosa o di sparire. Aveva la casa per sé, la mattina per sé, e un bella ragazza la cui conoscenza doveva approfondire. Il pomeriggio tutto sarebbe potuto tornare alla normalità, ma poco importava al giovane mago. La colazione venne consumata in fretta, e nella foga di posare tazza e cucchiaio nel lavandino, diverse gocce di latte erano cadute sulla tovaglia linda del tavolo…un altro conto in più da pagare con l’amata zia. Harry torno di sopra, si risistemò per bene dopo aver lavato i denti, prese la bacchetta dal comodino e si diresse verso l’ingresso. L’orologio segnava le nove e trentacinque.

Il parco si stava affollando di ragazzi e bambini abbastanza chiassosi che talvolta erano disturbati dagli scherzi stupidi dei bulletti più grandi, tra cui quel mattino figurava una…grassa e porcina assenza. Sorridendo, Harry provò a calmarsi. Stava per perdere la pazienza: Lily era in ritardo di venti minuti e ancora non emergeva dall’altro lato della strada. “Benvenuto nel mondo femminile, Potter, e questo è niente!” La camicia aperta sulla T-Shirt e i jeans ben tenuti dalla cintura, Harry camminava avanti e indietro sul marciapiede all’ingresso del parco. Ogni ragazza che vedeva da lontano suscitava la sua speranza, ma inutilmente. Il sole picchiava forte e non fu affatto strano se lui cominciò a sudare. Finalmente, trascorso un altro quarto d’ora, Lily, provenendo dalla direzione da cui Harry l’aveva vista andare via la sera prima, gli venne incontro con un radioso sorriso che lo fece tremare, anche se solo per pochi istanti.
- Ciao Harry! - disse baciandolo sulle guance. - Come va?
- Ciao Lily, va tutto bene, grazie! - e non seppe cosa aggiungere…
- Perdona il mio ritardo, ma mio padre ha voluto che gli rileggessi quattro articoli noiosissimi! Sai, sono la sua lettrice di fiducia.
- Ah, capisco - annuì Harry, non capendo se ridere o essere serio. Comunque una cosa era certa: non gli importava più del ritardo, e si era scocciato di tutta quella confusione. - Ti andrebbe di fare una passeggiata e - proseguì sottovoce - allontanarci da questo manicomio? I due, dunque, s’incamminarono per la via, costeggiata da alberi e fermate dell’autobus fino all’incrocio con una larga piazza, dove un chiosco stava facendo affari d’oro con limonate e bibite fresche. Parlando allegramente, e soprattutto sentendo l’opprimente peso dell’imbarazzo alleggerirsi parecchio, Harry era al settimo cielo. Lily era davvero simpatica, ricca d’interessi, e a quanto si vedeva, timida come lui.
- Allora, Harry, dove studi?
Un campanello d’allarme trillò nella testa del mago. - Frequento il liceo Santa Barbara di Canterbury, e sono all’ultimo anno - tirò fuori la risposta di emergenza.
- Oh, allora questa è un’estate che dovresti goderti fino in fondo, prima della corsa agli esami, no?
- Si…si, certo! Sto cercando di rilassarmi il più possibile senza pensare troppo alla scuola.
- Mi sembri comunque un tipo abbastanza sveglio…
“Abbastanza?? Che vuoi dire?”
-… e scommetto che a scuola sei bravo!
Piton, Trasfigurazione, Divinazione furono solo alcuni dei pensieri che come nubi improvvise offuscarono la felicità di Harry. - Diciamo che me la cavo, anche se non ho voti eccezionali.
- E hai deciso quale strada intraprendere dopo il liceo? - chiese Lilly interessata.
“Auror!” - Sono indeciso…si vedrà - rispose evasivo.
- Fai il misterioso, eh? Vedremo se non ti farò sputare il rospo, tesoro!
Harry arrossì e si voltò dall’altra parte per non essere scoperto. Finora stava andando tutto liscio, no? Quando tornò a guardarla, quasi si scontrò col suo naso. Lily aveva avvicinato la faccia a pochi centimetri da lui, e delicatamente gli aveva spostato una ciocca… “Maledizione!”
- Hai una cicatrice a forma di saetta. Come te la sei fatta?
- Da piccolo, mi sono bruciato con una candela e mi è rimasto questo segno. “Maledizione, perché mi sono girato, perché?”
- Chissà che dolore! - proruppe lei riportandolo alla realtà.
- Non lo ricordo bene, ero solo un bambino. Hai sete? Vuoi bere qualcosa?
- D’accordo.
Al chiosco aspettarono cinque minuti per essere serviti da un banconista stanco e sgarbato. Posò i bicchieri così forte sul bancone, che per poco non rovesciò loro addosso le due Sprite. Pagarono, presero le lattine e si sedettero sui gradini di una chiesa al lato sud della piazza, immersa in una piacevole ombra. Approfittando di un momento di distrazione di lei, che stava osservando le guglie della chiesa, Harry nascose di nuovo la cicatrice e riprese il discorso:
- Frequenti l’istituto d’arte, mi hai detto. Sarai brava a disegnare - e si pentì ancora una volta di aver parlato. Entusiasta, Lily disse: - Si, sono piuttosto abile nel disegno dal vero e nei ritratti. Sta a vedere… Da uno zaino che portava a tracolla, estrasse un blocco di fogli e una matita, si alzò, e si posizionò di fronte a lui. - Non ti muovere.
- No, Lily, non devi disturbarti, siedi…
- Scccch!
Harry ammutolì all’istante e fu rapito dall’espressione concentrata della ragazza. Cercando di non muoversi e avendo il presentimento che gli avrebbe ritratto anche la saetta sulla fronte, non si trattenne da indugiare con lo sguardo sulle sue forme, quando lei a intervalli regolari disegnava quanto aveva osservato distogliendo gli occhi dal suo viso. La canottiera attillata le metteva in risalto il fisico atletico, mentre lo spettacolo dei suoi capelli gli venne negato da una bandana con cui Lily lasciava scoperte solo le orecchie. Adesso si era seduta a gambe incrociate accennando un lieve sorriso, raccomandandogli di non muoversi. I minuti trascorrevano e talvolta dei passanti si fermavano a guardare il disegno nascente di Lily. L’espressione stupita dei loro volti faceva presagire qualcosa di buono. Harry aveva trovato una posizione stabile e non si sarebbe mosso nemmeno sotto l’effetto di un terremoto. Desiderava che il ritratto no finisse mai, che i suoi occhi potessero perdersi nel verde dello sguardo di Lily, ma venne infine il momento in cui la magia ebbe fine.
- Tadaaaà! Tieni, che ne dici?
Harry osservò stupefatto un’ immagine fedelissima di se stesso…era come guardarsi un uno specchio di carta. I capelli fuori posto, gli occhiali, la grandezza della labbra: ogni particolare rimandava perfettamente al vero. - Come mai gli occhi sono rivolti verso il basso?
- Come? - disse lei posando fogli e matita nello zaino e accomodandosi sul gradino, accanto a lui. - Ah, ti ho voluto ritrarre mentre mi guardavi sotto la canottiera… - spiegò con quel tono accademico di cui si era servita durante il loro primo incontro.
I consueti arrossamenti in zona orecchie di Ron sarebbero impalliditi se paragonati al volto paonazzo di Harry. Improvvisamente la lingua si era bloccata, e qualunque scusa cercasse di formulare, gli era impossibile dirla. Lei intanto rideva a crepapelle dandogli continue pacche sulla schiena. Quando riuscì a riprendersi, disse:
- Su, su, non ti preoccupare. Stavo solo scherzando, mica ti ho voluto ridicolizzare!Oddio, sei troppo buffo con quella faccia! - e riprese a ridere. “Gli piaccio, gli piaccio!”
“Ce l’hai fatta, Harry, complimenti. Hai un futuro brillante in fatto di ragazze. Sei un imbecille supremo!” - Lily, mi spiace… - la guardò supplichevole. - Non so cosa dire.
- Ti ho detto che non c’è nulla di cui preoccuparti. Anzi dovresti preoccuparti se facessi il contrario - lo rassicurò lei.
Poi divenne seria. - A essere sincera, Harry, ieri sera non era la prima volta che ti spiavo. E’ da un po’ che hai attirato la mia attenzione andando al parco.
Lui non avrebbe mai saputo esprimere in un inglese sufficientemente comprensibile quanto le era grato per aver cambiato argomento. - Non avevi nessun problema a farti avanti. - L’imbarazzo sembrava passato.
- Si, invece. Avevi un’aria tanto triste, assente, che non volevo disturbare il tuo silenzio. E questo si è ripetuto ogni giorno, almeno da quando ti osservo.
Lui non rispose, la testa china sul ritratto. - Non voglio che tu riveli nulla riguardo la tua vita privata. Ci conosciamo appena. Non ho il diritto di ficcare il naso nei tuoi problemi. Sono solo stato incuriosita da questo. - “E dal tuo fascino così strano.” - Non capita tanto spesso di vedere da queste parti ragazzi abbastanza profondi da provare delle emozioni.
Harry prima guardò lei, poi la piazza piena di gente e macchine parcheggiate. - Non ho passato proprio un bel periodo, e sto cercando di superarlo, ma capita che i pensieri vaghino e riportino alla luce cose spiacevoli. E poi è difficile trovare persone non indifferenti in giro, che si fermano alle emozioni altrui. Persone come te. - Le poggiò una mano sulla spalla.
- Sei un giorno ti andasse di parlarne con qualcuno, beh, avresti un paio di orecchie disposte ad ascoltarti - Si alzò, lui restò a fissarla - Ma vieni, dai! Ti sei imbambolato? Andiamo in giro, non rattristiamoci in questa bella giornata! Perché non ti alzi? - lo provocò con un sorriso sardonico. - Ancora intento all’esplorazione? - Quanto sei scema, Lily - disse Harry, per nulla divertito. - Comunque, si, andiamo. Ho un posto dove potremo stare tranquilli, tu e io.
- E dove proseguire le esplorazioni anatomiche! Fermo, scherzo! - esclamò quando Harry le diede un pizzicotto sul braccio, e scappò tanto in fretta da costringere Harry a inseguirla di gran carriera, per non perderla di vista. - Se ti prendo, t’ammazzo, lo giuro sui Dursley! - Questo sì che è promettere mari e monti! - lo canzonò lei voltandosi a una notevole distanza. - Sono terrorizzata, Potter! Ti sento alitarmi sul collo! Harry pensò a una parola non buona da rivolgere a una nuova amica. -Ma che fai? Corsa campestre? - - Si, hai indovinato! E sono una campionessa, modestia a parte! Dai, prendimi.
Correndo a perdifiato, Harry accorciò la distanza, sebbene né la temperatura elevata né la bibita appena bevuta gli fossero favorevoli alla “caccia”. Si accorse che il luogo in cui avrebbe desiderato portarla e che era nella seconda traversa sulla destra della strada che attraversava da nord a sud la piazza, era ormai alle loro spalle. Lily lo stava portando altrove. I passanti si facevano da parte lanciando loro rimproveri ad alta voce, e persino una banda di cani randagi prese a tallonare Harry abbaiando a più non posso e incutendogli un certo timore.
- Lily, sono esausto! - Di certo la vita estiva del mago non riguardava allenamenti sulle lunghe distanze. “E nemmeno sulle brevi. Sto per rimettere l’anima, se non si ferma!” - Lily, ascoltami!
La ragazza era svoltata a sinistra e non si vedeva più. Dopo che anche Harry ebbe raggiunto la via, lei continuava a non vedersi.
- Ma dove sei finita? chiese lui a vuoto fermandosi un istante per poi ripartire immediatamente sull’eco dei cani vicini. Mosse solo una decina di passi, che venne strattonato a forza dentro un portone. Gli occhiali rotondi messi di sbieco rivelavano la figura di Lily. - Ti sembra divertente? Quei cani stavano per spolparmi…-
- Bum! Esagerato. Guarda, hanno tirato dritto. Harry sbirciò dallo stipite di uno dei battenti la coda dell’ultimo cane che trotterellava oltre a dove si erano nascosti.
- Certo che sei troppo buffo, Harry, troppo buffo! Mai visto un ragazzo della tua età così impacciato nella corsa!
- Guarda che io sono Cerca…ehm niente! - Cerca…cosa?
- Cerca…squadra! Si, cerco una squadra che sappia apprezzare le mie qualità di calciatore.
Di colpo, l’espressione interessata di Lily, che lui adorava, si distese nei lineamenti del volto della ragazza, sudato e pallido. La stanchezza era evidente persino in lei.
- Dici sul serio? Non ci credo. Lui si finse offeso. <> - Allora, sai che ti dico? Mettiamo alla prova la tua presunta bravura. Io sono abbastanza brava a calcio, e dopodomani io e i miei amici di scuola abbiamo intenzione di organizzare una partita. Ti andrebbe di unirti a noi? “Se non eri scemo tu, Harry mio, stamattina il sole non sorgeva.” - Vediamo, se i miei parenti mi lasciano libero, volentieri - rispose ostentando sicurezza. - Sono curioso di vederti all’opera, tesoro. Lei inarcò le sopracciglia. - “Tesoro”? Dico, a te manca qualche rotella, Harry. Con chi credi di parlare? Con la tua ragazza?
“Questa è proprio pazza.” – Scusa - disse Harry meravigliato. - Ma che c’è di male?
Lily parve risvegliarsi da un sogno. - Eh? No, scusa, scusa, ero soprappensiero. - Comunque - proseguì nel solito tono - ti accorgerai se sono uno schiappa come te o no, Pottie. Vieni, usciamo.

Harry e Lily stavano seduti all’ombra di un arco, in uno stretta stradina laterale, incassata fra due isolati. Un numero cospicuo di piccole finestre sovrastavano l’arco, ed erano sbarrate da assi di legno: un vecchio deposito non più in uso. Harry era arrivato a penetrarvi, avendo scoperto una accesso anch’esso ostruito, in modo da non lasciar passare estranei, ma qualcun altro aveva preceduto il giovane mago e aveva aperto un passaggio sufficientemente largo. Tuttavia Harry non aveva parlato a Lily di quel posto, pur trovandosi a meno di un metro dall’ingresso, e non l’aveva fatto perché voleva che quello restasse, al momento, il suo rifugio, e di nessun altro. Ci si era nascosto molte volte, per piangere la morte di Sirius o semplicemente per stare lontano da Private Drive numero quattro, la sola casa della Terra che voleva evitare e la sola in cui era obbligato a rimanere d’estate, quando probabilmente gli altri studenti di Hogwarts andavano in vacanza con la famiglia – i loro genitori – divertendosi da matti. Aveva condotto Lily sotto l’arco non soltanto per trovare il giusto silenzio, ma anche per trovare l’occasione giusta per realizzare esattamente ciò che gli stava succedendo. Aveva una nuova, simpatica amica, e carina, era stato colto in fallo mentre la osserva con troppa attenzione e aveva racimolato l’ennesima figuraccia da libro delle barzellette. Si ritrovò persino a ringraziare la Strillettera per essersi bruciata sulle mani dello zio, stornando la seccatura rappresentata da quei tre strambi Babbani, in particolar modo dal cugino, lasciandolo in pace, quel mattino della fine di luglio. Non gli importava niente di niente, adesso. Voleva dedicare tutte le sue attenzioni all’amica, magari cercando di guadagnare quei punti perduti in modo così tragicomico. I due avevano trovato posto a sedere su altrettante panche abbandonate, sudice, ma in fondo comode, e si stavano ristorando nella gradevole ombra. La discussione procedeva animata.
- Sai, Harry, non ti credevo così simpatico. Vederti la sera seduto da solo ti rendeva…strano. Mi sembravi un tipo chiuso e insofferente alla compagnia, invece noto che sei un ragazzo dolce, e aperto. E dallo sguardo attento. - Sogghignò.
- Lily, ascoltami, ti prego di farmi finire senza ridere. Dai! Ora va meglio. Prima non mi sono limitato a stare fermo mentre mi ritraevi, perché sei troppo bella da non poter essere guardata. Mi spiace, è la prima volta che mi succede una cosa del genere. “Forse perché è la prima amica all’infuori di Hermione, senza dubbio la prima che mi conosce per quel che non sono nel mio mondo, un ragazzo normale.” - Non te la sei presa, e di questo ti ringrazio, ma voglio che non ti faccia un’idea sbagliata di me. Lily sbuffò. - Su, Harry, l’ho capito. Non torturarti più il cervello.
Dapprima lui fu senza parole, poi la ringraziò ancora, e passò alla descrizione di una giornata-tipo in casa Dursley. Lily lo ascoltava assorta, non mancava di porre domande intelligenti, soprattutto riguardo il tempo libero dell’amico. Poi gli chiese se aveva amici che stavano fuori città.
E allora Harry s’infervorò. - Oh, si! Sono legato specialmente a due persone, che mi mancano perché non ci vediamo da tempo. Sono un ragazzo e una ragazza: lui, Ron, ha la mia età e vive con la sua numerosa famiglia, figurati che sono otto figli… Lei si chiama Hermione, quindicenne pure lei, è la più intelligente e brava a scuola tra noi, e se non ci fosse stata lei, avrei preso un sacco di brutti voti in più!
- Il solito scansafatiche…- commentòLily
- Faccio finta di non aver sentito - la rimbeccò lui. - Anno per anno, abbiamo legato sempre di più, visto che abbiamo affrontato numerose esperienze insieme. E sono loro le persone a cui voglio più bene.
- E’ una cosa bella incontrare veri amici tra i banchi di scuola - osservò Lily, lo sguardo assente, come era già accaduto in quell’androne. - Dicono che sia a scuola che incontriamo gli amici migliori, ma alle volte non penso che sia vero. - Lo fissò. - Almeno per quanto mi riguarda. - Siamo diversi, Lily, siamo tutti diversi, gli uni dagli altri. Non puoi pretendere di trovare altri simili a te in tutto, e spesso capita di non essere compresi.
- Lo so, lo so. Mi riferivo a una mia storia, l’ultima che ho avuto. Lui era il mio migliore amico, e ci conoscevamo già da dodici anni. Si può dire che siamo cresciuti insieme. E poi, un bel giorno mi chiese se volevo diventare la sua ragazza.
- E’ stata una cosa carina, no? - Vedi, Harry, era come un fratello. Mi ero tanto abituata a vederlo in questo modo, che dare una svolta al nostro rapporto era allo stesso tempo affascinante e rischioso. Affascinante perché stavo benissimo insieme a lui, e lui con me; rischioso perché c’era l’eventualità di rovinare un’amicizia di vecchia data, se le cose si fossero messe male tra noi, da fidanzati.
- Però sono le incognite di un rapporto.
- Purtroppo hai ragione. Se potessimo prevdere il futuro… “Oh, per questo c’è la Cooman! O Fiorenzo, al limite.” -…eviteremmo tante di quelle stupidaggini. Ma alla fine mi dissi che era inutile lambiccarsi il cervello senza provare, senza vivere, e allora mi feci avanti. E funzionò. - Lasciò andare la mente a vecchi ricordi, come si notava dallo sguardo perso e lontano, e sorrise amaramente.
Harry aveva visto solo Hermione e Cho sorridere in questo modo. La cosa lo rattristò un po’.
- La nostra storia durò quattro mesi, e terminò prima della fine dell’anno scolastico. Mi sa che non sei il solo, qui, ad aver preso votacci - proseguì Lily, e gli strinse la mano. - Se non sono indiscreto, posso chiederti perché è finita? “Alla faccia della discrezione, Pottie!” - Lui era cambiato di colpo, ed era divenuto ben altra persona da quella che conoscevo io, che avevo visto come un fratello sin da bambina. Anche questo devi considerare, Harry: le cose vanno in una determinata direzione, e poi ne seguono all’improvviso un’altra. Indietro però non si torna, e adesso lui è un estraneo che mi guarda distrattamente, quando c’incontriamo, o finge addirittura di non conoscermi.
Harry preferì non curiosare oltre, anche perché lei si manteneva volutamente vaga. Preferì invece dire, imitando lo stile di lei: - Eccoci a fare certi discorsi di nuovo, Lily. Lambicchiamoci ancora, dai!
Lei inarcò un sopracciglio. - Sei scemo te l’avevo già detto? - Con tutti i complimenti che mi fai, mi sarà sfuggito! - E’ per questo motivo che ho reagito in quel modo quando mi hai detto “tesoro”. Ho ripensato a quei momenti. Scusa, comunque”.
- Non preoccuparti!
Erano trascorse quasi due ore da quando si erano visti al parco, e con molta probabilità, gli adorati parenti erano rincasati, a meno che le ferite dello zio non stessero ridendo ancora…Harry non voleva lasciare l’arco per nulla al mondo. E la discussione aveva preso una piega interessante.
- E tu? Struggimenti amorosi recenti?
- No, e nemmeno passati. - Non voleva raccontarle del primo bacio ad Hogwarts (ovvero il Liceo di Santa Barbara), né delle chiacchierate con Cho su un ragazzo morto, nelle locande di Hogsmeade (ovvero un villaggio turistico).
- Cosa? Non hai mai avuto una ragazza?
- E che c’è di male? - scattò lui.
Lily colse solo ora il senso della sua ultima domanda. - Cioè…un ragazzo carino come te dovrebbe spopolare a scuola e fuori. E poi…ecco…emani un certo ascino! “Scioccaimpudentepazza!”
Ad Harry si seccò la bocca. Sopraggiunse al solito quel senso di impotenza e incapacità di parlare, anche se avrebbe voluto dire tante cose. - Grazie. - Esitò. - Nemmeno tu scherzi in fatto di bellezza e penso di averti già dimostrato che lo credo davvero - aggiunse malizioso. - Sempre lì la testa, voi maschi. Pensate solo a una cosa. - Perché, voi ragazze no, invece? - Per voi è impossibile scoprire cosa pensiamo realmente. Siete troppo ottusi, e vi limitate alle apparenze. Noi andiamo molto più oltre. Harry pensò a ragazze come la Parkinson, la concubina di Malfoy, e dissentì da quanto credeva l’amica. - Per me ti rinchiudi dentro schemi troppo rigidi. E continuarono a battibeccare a lungo.

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Capitolo 4
*** Cap.4-Introspezioni ***


Il tramonto estivo picchiava di ultimi raggi le finestre di Private Drive, alcune delle quali aperte, altre chiuse al fresco interno dell’aria condizionata. Pochi passanti si affrettavano a raggiungere la loro casa, mentre solo un ragazzo indugiava fuori, sdraiato sotto un cespuglio, nascosto allo sguardo degli altri. Si trovava nella stessa condizione in cui aveva trascorso quell’estate, almeno sino a una settimana prima, ovvero in solitudine, la mente persa tra pensieri dolci e ricordi indesiderati. Nemmeno le frasi vuote e sconnesse dei parenti potevano disturbare le riflessioni del ragazzo, che a volte sospirava, a volte invece gemeva, e una lacrima gli bagnava la guancia, riflettendo la luce della sera imminente. I L’amica che Harry aveva conosciuto al parco, Lily, era una ragazza speciale, ben diversa dalle solite oche chiacchierone che aveva incontrato ad Hogwarts (Pansy, Lavanda, Calì, e la lista sarebbe potuta continuare). Non che i ragazzi fossero da meno, in fondo! Ogni qualvolta l’argomento di cui ciarlare corrispondeva a un adolescente con la cicatrice sulla fronte, gli occhiali rotondi, e un’insolita predisposizione per i guai, allora entrambi i sessi contribuivano allo stesso modo a quella fiumana di dicerie false e stupide che rendevano la vita quotidiana di Harry a scuola parecchio nervosa. Comunque il ragazzo scacciò quel pensiero e tornò a concentrarsi su Lily e sui momenti vissuti insieme negli ultimi giorni. Legavano sempre di più, e cominciavano a fidarsi l’uno dell’altra, sebbene l’accrescersi dell’amicizia facesse aumentare pure il senso di rimorso di Harry. Nascondere i suoi segreti diveniva via via più difficile, ed era certo che non avrebbe potuto celarli a lungo. Una mossa sbagliata, un passo falso e le conseguenze sarebbero state pericolose. Con il mago più terribile di tutti i tempi alle costole, non c’era da stare tranquilli, e lo stesso rapporto con Lily era mal visto da Moody e da coloro che erano incaricati da Silente della protezione di Harry sino al suo ritorno a scuola. Ma il giovane mago non aveva badato ai moniti continui, poiché non credeva ci fosse nulla di male nell’apportare variazioni alla vita in casa Dursley: più ne stava lontano, meno avvertiva il peso dei ricordi. Stare tra quella mura, nel buio della sua stanza, non faceva che risvegliare ricordi su ricordi, i quali poi proseguivano sotto la veste di sogni. Quando invece era con Lily, era riusciva, seppur per poche ore, a distrarsi da tutto quello, e ad assaporare la gioia di stare insieme a qualcuno che temeva di aver dimenticato. Era stata una novità gradita e mai sperata.
Lui e Lily erano stati dappertutto, a fare compere, a pranzo e a cena fuori, di nuovo al parco, quasi ogni sera. A lui piaceva com’era cominciata la loro amicizia, e sperava che avrebbe proseguito allo stesso modo. Lei mostrava lati nuovi del suo carattere di volta in volta, e quando le battute e gli scherzi reciproci finivano, lasciavano il posto a discorsi più seri. Quasi per magia, si ritrovavano a parlare del loro passato, lei sinceramente – Harry così credeva - , lui non tanto, ma nonostante condisse le esperienze personali di bugie e storielle inventate di sana pianta, il succo di quanto aveva rappresentato per lui la sua vita fino a quel momento, non lo aveva mai alterato. Su un punto però era onesto: i tormenti costituiti dagli zii e dal porcino, un argomento di cui ridevano spesso. E poi c’erano i dolori e la malinconia di ciascuno dei ragazzi. Delusioni, occasioni non colte al volo, rimpianti erano tutte esperienze che avevano in comune. Inoltre Harry aveva scoperto che sotto sotto anche Lily era timida, anche se non come lui: le battute, le prese in giro…erano uno schermo per coprire la paura e l’insicurezza.
Alzandosi dal suo rifugio ed entrando in casa, Harry salì in camera, non avendo fame né voglia di cenare con gli altri. Voleva distendersi un po’ prima di uscire e recarsi al parco con l’amica, cosa che non sarebbe affatto piaciuta all’Avanguardia! Raggiunto il letto, si tolse le scarpe, posò gli occhiali sul comodino assieme alla bacchetta, e si sdraiò. Chiuse gli occhi, assaporando la pace di un silenzio non disturbato dal traffico. Sirius. Potente, incontrastabile, il flusso di emozioni tornò a scorrere come pece bollente nel suo animo. Il dolore e la frustrazione erano aumentati anziché diminuiti, perché andavano sommandosi alla serenità e alla felicità che Lily riusciva a comunicargli. Era un contrasto insanabile, una lotta interna all’io che né lo scorrere dei giorni né l’indifferenza avrebbero potuto cancellare. Lui, Harry, doveva fare qualcosa, dal momento che non poteva continuare ancora a lungo a sentirsi così…diviso. Doveva trovare la soluzione per unificare se stesso, eliminare le lacerazioni. Solo una parola lampeggiava nella mente…verità. Devo dirle la verità. Era una delle mosse più stupide da compiere, lo sapeva bene, ma se avesse fondato sulla menzogna il rapporto con la nuova amica, allora per cosa aveva lottato? Lui, che era cresciuto anzitempo, affrontando orrori che nessuno dei suoi coetanei aveva mai immaginato, che si era scontrato con Voldemort diverse volte, riuscendo poi miracolosamente a raccontare ciò che aveva visto, che aveva sopportato, lui non aveva forse patito in nome della verità? Non aveva sentito un peso dentro, quando tutti si rifiutavano di prestargli fede? Non avrebbe urlato al mondo che Voldemort era risorto dalle ceneri, pronto ad instaurare una seconda era del terrore? Se nascondeva questo a Lily, passava dalla parte del torto. Eppure, lei era babbana, estranea al male che imperversava nel mondo magico; non sarebbe servito a nulla rivelargli ciò che era in realtà, un mago. Sarebbe andato solo contro di lui il parlare apertamente, confessare la sua vera natura, e probabilmente Lily si sarebbe allontanata, spaventata da ciò che lui era. Per non parlare poi del rischio che gli eventi della magia giungessero alle impreparate orecchie babbane, e quel sottile velo di coesistenza si sarebbe dissolto in modo definitivo.
I rischi erano tanti, ma la voglia di provare una vera amicizia era forte: nulla poteva distogliere Harry dal rinunciare ad avere un punto di riferimento al di fuori di Hogwarts, al di fuori del suo mondo. “Sirius, tu che faresti al mio posto? Oseresti anche in questa circostanza? Oh, se solo potessi rispondermi.” Una guancia bagnò la federa del cuscino, e il mago si addormentò.

Gli alberi che si stagliavano ai lati di Albion Avenue fremevano quasi impercettibilmente al fresco serale. Lily avanzava a passi lenti sul marciapiede, percorrendo più piano che poteva la distanza che la separava dal parco, il luogo del primo incontro, il luogo dove lo aveva conosciuto. Non era affatto piacevole essersi resa conto che nel quartiere si vociferava su lei ed Harry, e per quanto davanti agli occhi dell’amico si sforzasse di apparire forte e sprezzante dell’opinione altrui, in realtà non era così. Era un’immatura, questa era la sua unica certezza. Non era in grado di fregarsene di tutto e di tutti in nome di ciò che provava per Harry. La parte più razionale della mente le suggeriva di aspettare, di saggiare, prima di lasciarsi prendere da ciò che provava. Non voleva soffrire di nuovo a causa di un ragazzo, essendo da poco uscita da una storia importante, da un’amicizia che si era ostinata a tramutare in amore rimettendoci colui a cui era più legata. Ma era anche vero che non voleva indossare una cintura di castità, tormentandosi nei ricordi. In fondo, il suo ex l’aveva abbandonata senza tanti riguardi, come se crescere insieme fosse stato un accidente, anziché una fortuna dell’esistenza. Perché dunque lei doveva costringersi a rimpiangerlo invece di allargare i propri orizzonti? Harry era ben diverso dai molti altri mocciosi idioti della sua età. Lei non era riuscita a scoprire molto sul suo passato, e si era sempre scontrata con una parete impossibile da valicare, che racchiudeva i ricordi dell’amico. Temeva comunque che le stesse volutamente celando qualcosa, ma cosa lei non sapeva affatto immaginarlo. Che poteva aver visto di tanto terribile, un ragazzo come lui? Forse la prematura perdita dei genitori lo aveva reso introverso, ma checché lui ne potesse pensare, questo velo di mistero non faceva che accrescere il suo fascino. L’aria da brava persona, gli occhiali rotondi, l’espressione spesso assente erano tutti elementi tipici di un secchione delle superiori, timido e senza amici. Questo però non si addiceva ad Harry. Lui…era molto di più, e lei non riusciva a capirci un tubo. Lily non si era mai trovata alle prese con una situazione del genere, e preferiva andarci cauta.
Come sospettava, e nel suo cuore immaginava, lui le aveva mostrato di volta in volta sfaccettature sempre nuove del suo carattere. Al lato spiritoso si contrapponeva quello serio, al lato gioioso si accompagnava una malinconia che talvolta prorompeva nell’animo dell’amico, che diveniva all’improvviso freddo e distaccato. Al ragazzo imbranato e tenero si affiancava un giovane uomo maturo e sensibile, l’aspetto di Harry più amato da Lily. E spinta dal desiderio di scoprire ancora un po’ l’amico, si era incamminata quella sera tralasciando gli altri impegni, e dedicandosi a lui.
Era come un puzzle che lei completava con pazienza tessera dopo tessera, stando accanto ad Harry, assaporandolo a piccoli morsi. Anche se non voleva illudersi, non avrebbe finto di fronte a sé stessa. Non ignorava, ne si sarebbe sforzata in futuro d’ignorare quell’interesse nei confronti di lui che cresceva poco per volta, e si accentuava quando lei gli stava lontana, chiusa nella sua stanza, persa in riflessioni più profonde del suo solito. Le ultime settimane erano state le migliori di quell’estate, per lei. Non aveva fatto nulla di eccezionale, nelle squallide strade di quel quartiere di periferia, e proprio questa era stata la magia più grande dell’amicizia di Harry: vedere con occhi diversi l’ordinario. Il parco sarebbe stato degno della residenza della regina, o l’arco nel vicolo sarebbe stato benissimo l’ingresso di una cattedrale, se c’era Harry a renderlo tale con la sua semplice presenza.
Un’atmosfera sconosciuta, di cui Lily si era subito inebriata, nasceva con Harry, non si poteva negare. E lei desiderava approfondirla man mano, per constatare se davvero l’irrazionalità costituita dai sentimenti l’avrebbe spinta a farsi avanti.

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Capitolo 5
*** Cap.5-Natura di mago ***


- Ascoltami, Lily, e cerca di non interrompermi, perché parlare mi è difficile in questo momento.
Ci conosciamo da un mese ormai, e in questo breve tempo abbiamo condiviso tante cose che prima non avevo mai provato. Ridere, parlare, scherzare…tutto assume un sapore diverso quando sono con te, e caspita! Ne sono troppo felice. Magari certi discorsi possono sembrarti strani, e magari mi prenderai in giro, tra poco, ma non ha più senso tirarsi indietro. Ci ho pensato a lungo, più di quanto tu possa immaginare, ci ho pensato giorno e notte, accanto a te o immerso nella consueta solitudine. Sono stato lacerato dal rimorso e dal dubbio di non essermi comportato onestamente nei tuoi confronti, mentre tu sei sempre stata sincera, o almeno spero! Sei entrata nella mia vita cambiando radicalmente il sapore dell’estate. Sai, ogni anno per me si ripete la tortura dei Dursley, e allora desidero la scuola come non mai, desidero lasciarmi alle spalle quello che le vacanze non riescono a dare ad un adolescente come me, la voglia di divertirsi, stare con gli amici, fare un mucchio di esperienze. E invece non provo niente di tutto questo. Sono accompagnato da una sventura costante che mi ha segnato fin dalla nascita. Vedi la cicatrice? Ha forma di saetta, e sono noto a molti a causa sua, o meglio a causa di chi me l’ha procurata. Quanto sto per rivelarti deve restare un segreto, se tieni a me, se mi hai voluto del bene. Non ti obbligo a rimanermi amica dopo che avrò finito di parlare, anche se spero il contrario.
Io non sono un ragazzo normale, nel senso che possiedo capacità ignorate da persone “normali” come te, persone che vengono definite Babbani. Io sono un mago… no, no, non ridere. Non mago nel senso di prestigiatore, un mago sul serio, in carne e ossa! Sono capace di fare magie, da comuni incantesimi a fatture più potenti a seconda dei casi, mentre sono una frana nel preparare pozioni. Aspetta, ecco, questa è una bacchetta magica. Sembra un giocattolo, vero? Eppure funziona, è lo strumento con cui facciamo le magie. Noto sconcerto nei tuoi occhi, ma ti prego di aspettare prima di farti una qualsiasi idea. Frequento un istituto di Magia e Stregoneria, Hogwarts, per giovani maghi e fattucchiere. Lì studiamo per un ciclo di sette anni…è una scuola stupenda, e vi ho trascorso alcune tra le esperienze più forti della mia vita e dovrò tornarvi il primo giorno di settembre, per intraprendere il penultimo anno.
Sei buffissima, Lily! E’ la stessa faccia che feci io quando un omone di tre metri venne a trovarmi, rivelando quale fosse la mia vera natura, natura di mago. Essere mago, io! Un comune ragazzino di undici anni, timido, introverso, schernito di continuo da un cugino ben più forte di me. Io possedere dei poteri, essere diverso da tutte quelle persone che mi circondavano e rendevano un inferno piatto la mia vita? Era vero, accidenti, era la cosa più bella che potesse capitarmi, e da allora sono cambiato indelebilmente e non tornerei indietro per tutto l’oro del mondo, nemmeno per l’oblio del male che mi è stato recato nel tempo. Quell’omone, Hagrid, custode di Hogwarts, è un mio caro amico, mi ha spiegato la verità riguardo la morte dei miei genitori, James e Lily Potter. Capisci perché sono saltato su in quel modo, quando ci siamo presentati? Non li ho mai conosciuti, ma ne ho sempre sentito splendidamente parlare. Dicono che assomigli a loro più di quanto immagini, e che col tempo me ne renderò conto sempre più conto, per quanto io stesso ignori quasi tutto su di loro.
Io non sono un ragazzo normale, anche se talvolta vorrei esserlo, anche se mi sforzo di esserlo o sono costretto a farlo. Questa cicatrice mi è stata inferta da colui che al giorno d’oggi è considerato uno dei maghi più potenti della terra, lord Voldemort. Anche lui ha studiato a Hogwarts, cinquant’anni fa, e accecato dal desiderio di essere immortale, ha dannato anima e corpo alla ricerca di quest’obiettivo mostruoso per un comune mortale. O forse mi sbaglio: lui non è un uomo qualunque, ormai non si può qualificare più sotto nessun nome. Una sera a seguito del tradimento di un uomo vile e spregevole che era sempre intorno ai miei genitori, un falso amico, Voldemort è entrato in casa loro e li ha uccisi, prima papà e poi la mamma, che ha esalato l’ultimo respiro per difendermi. Grazie al suo gesto d’amore estremo, sono stato in grado, io, neonato di fronte al signore oscuro, di respingere la maledizione mortale che aveva scagliato su di me rimandandogliela addosso. Allora il suo corpo è stato quasi annientato e ha trovato rifugio in Albania, dove viveva sottoforma di parassita sfruttando gli altri organismi pur di sopravvivere, accecato dall’odio nei miei confronti. Il corpo era adesso per lui la meta primaria, più importante della stessa immortalità. Da quando ho iniziato gli studi ad Hogwarts, ha cercato in tutti i modi di eliminarmi, ma grazie all’aiuto degli amici e al volere del fato sono sfuggito alla morte diverse volte, riuscendo a tardare il ritorno di chi già in passato stava per impadronirsi definitivamente del mondo magico. L’anno scorso, Voldemort è tornato di nuovo ed era a un passo da raggiungere il proposito di distruggermi. Ha ucciso un ragazzo sotto i miei occhi, e creando una pozione potentissima ha riacquisito forma umana servendosi pure del mio sangue. Quei momenti, li ho impressi nella memoria: come potrei dimenticarli, come dimenticare il fatto che poco tempo fa si è fatto ancora vivo cercando d’impedire una profezia, secondo cui io morirò per sua mano o lui per la mia? Non credere che sia stato facile reggere il peso di tutto questo.
Sai cosa pensava di me il mondo dei maghi? Che fossi un pazzo visionario in cerca di fama che andava in giro blaterando di un pericolo che tutti volevano dimenticare. E invece ho lottato anche per questo: impedire che la verità restasse sconosciuta a tutti, evitare che l’indifferenza fosse la causa della nostra stessa fine. Ho gridato ai quattro venti che dovevamo allearci innanzi ad una minaccia comune, e alla fine sono stato ascoltato. Se non fosse stato per Ron e per Hermione, e per Albus Silente, un mago potentissimo preside della scuola, non saprei dire se sarei ancora vivo e vegeto. Mi hanno sostenuto senza cedere mai, e soprattutto dandomi la fiducia necessaria ad affrontare Voldemort. Avevo anche un padrino, amico dei miei genitori, Sirius Black. Mi ha trasmesso la presenza di un padre e l’affetto di una madre, e oramai non mi resta che compiangerlo, perché è morto, quasi due mesi fa, nel tentativo di salvarmi. Perdere lui è stato come provare il dolore della perdita dei miei genitori, un dolore che non avevo mai provato appieno. Sono cresciuto col vuoto della famiglia, e ora che avevo trovato qualcuno da amare, mi è stato sottratto solo ed esclusivamente a causa di Voldemort! A dire il vero, attribuisco a me la responsabilità della morte di Sirius, ma questa è una cosa di cui non parlare ora.
Lily, non riuscirai a capire fino in fondo cosa vuol dire essere Harry Potter e probabilmente non lo saprò mai neanch’io, però sei stata un faro per me, in questa solitudine. Ho deciso di dirti la verità in nome di un rispetto e di una sincerità che io stesso ho sempre voluto dalla vita. Non mi sembrava corretto volerti bene e mentirti, anche se i miei segreti andrebbero tenuti nascosti per ovvie ragioni, e di sicuro ora comincerai a guardarmi con occhi diversi. Sono felice di averti conosciuto. In poco tempo hai saputo donarmi emozioni straordinarie e le ho assaporate con una foga maggiore, visto che adesso corro il rischio di perderti. Sono stato anch’io ingiusto con te, perché facendo questi discorsi ti ho esposto a situazioni in cui non c’entri; ho esitato a lungo, prima di decidermi a parlartene, e in cuor mio penso d’aver fatto la scelta giusta. Sta a te decidere sei vuoi continuare quest’amicizia.

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Capitolo 6
*** Cap.6 - Apologia di Harry ***


Il pomeriggio di fine agosto era tutto nubi e pioggia scrosciante, e quella storia si ripeteva per il terzo giorno di fila, ormai. Di mattina un caldo incredibile, e dopo le tre, i primi tuoni si facevano sentire da lontano, portando entro le quattro acquazzoni invernali. Questa volta, le finestre di Private Drive erano sbarrate e zia Petunia doveva strizzare con rabbia i lembi di uno straccio da cucina, pur di non pensare a quello che facevano i vicini e che lei non poteva spiare. Vernon non era ancora tornato da lavoro, e il bello stava nel fatto che fra due giorni sarebbe entrato in ferie. Ma con quel tempo, passava la voglia di organizzare una qualunque uscita. Passando dai fornelli al salotto, Petunia diede una rapida occhiata al suo tesoro, assorto davanti ai cartoni animati, e si diresse di sopra cercando di sapere cosa stesse combinando l’anomalo. Era da troppo tempo chiuso in camera sua, silenzioso, e questo era alquanto preoccupante. Percorso a passi felpati il corridoio, la donna si accostò alla porta della stanza del nipote e origliò, ma non udì nulla, se non lievi fruscii, come se lui si stesse girando tra le lenzuola.
Era proprio strano: dormire in pieno pomeriggio e non dedicarsi a qualcosa di più nobile come leggere o cucire. Il pensiero le suscitò un risolino: Harry che faceva la calzetta, decisamente divertente! Temendo di essere stata scoperta, Petunia tornò di sotto, senza più curarsi del nipote, che invece aveva sentito persino i suoi più tenui respiri oltre la porta. La zia era delicata come una balenottera, alle volte, e ancora non si era accorta che il terzo scalino dall’alto scricchiolava se uno ci poggiava pesantemente il piede.
Dimenticandosi a sua volta della parente, il ragazzo si alzò dal letto e scostò le tende: la pioggia non accennava a diminuire, in perfetta sintonia col suo umore, né i tuoni avevano smesso di provocare vibrazione ai vetri, ma esplodevano di continuo gettando una luce accecante sulle strade deserte. E lui voleva uscire, voleva correre via da lì, smetter di sentire il peso opprimente di quelle pareti sul suo cuore, fuggire via e starsene per un po’ nel suo rifugio. Voleva scordare, ed essere ignorato, finché il primo settembre non fosse giunto di lì a poco cancellando il sapore di un’estate troppo dolce, troppo amara. Poteva starsene alla Tana, dove probabilmente avrebbe trovato pure Hermione, ma una volta tanto preferiva il buio dei ricordi alla gioia degli amici…magari in questo modo avrebbe potuto trovare la forza dentro di sé. Distolse lo sguardo dai vetri bagnati e cercò l’album di fotografie dei suoi, posato sul comodino. Saltò le prime pagine e passò direttamente alla sua preferita. James e Lily danzavano in un campo innevato sprofondando nella coltre bianca fino alle ginocchia, cadendo l’uno sull’altra e rotolando sotto i fiocchi che li ricoprivano quasi per intero. Poi il movimento riprendeva, come un repertorio monotono, come un movimento obbligato, eseguito senza uno scopo apparente, ma rimaneva la stessa espressione divertita sul volto dei suoi genitori, la neve continuava a cadere, e i passi della goffa danza non cambiavano. Si muovevano privi di un sentimento vero, cancellato nei colori sbiaditi di una vecchia fotografia, un amore vuoto che era destinato a mantenersi tale finchè Harry non avesse trovato il coraggio di strappare l’immagine. “Oh, ma che sciocchi pensieri!”
Eppure, in fondo anche lui si sentiva così, vuoto e depresso, deluso e amareggiato. Illuso.
Era questo il termine più adatto per descrivere la sua condizione in quel momento, in perfetta sintonia col tempo tetro di fuori. Decise che non ne poteva più di stare rinchiuso in camera sua, e si preparò ad uscire, nonostante fosse la casa meno adatta ad fare. Afferrò un impermeabile e un ombrello, disse alla zia che se ne stava andando senza tante spiegazioni, e si richiuse la porta alle spalle. Il vialetto e il giardino erano un pantano, e Dudley non si era nemmeno curato di posare in garage la bici, che giaceva nel fango a breve distanza da Harry. Da una parte e dall’altra della strada, non si vedeva anima viva. Evitando le pozzanghere più grandi, Harry prese la direzione del parco, e sebbene la sua mente fosse persa in una sorta di limbo dove nemmeno i pensieri esistevano, aveva chiara la destinazione. Un paio di fari fenderono la semioscurità, e avendo riconosciuto appena in tempo la vettura di Vernon, Harry si appiattì dietro un ramo: ci avrebbe pensato l’adorata mogliettina a rivelargli che l’anomalo era uscito con quel temporale, atto degno della sua follia di cui loro non avrebbero dovuto stupirsi oramai. Di certo, almeno in questo il giovane mago concordava con i parenti: aveva reso la loro vita molto movimentata negli ultimi anni, una volta scoperto chi era veramente, aveva spezzato la monotonia di una famigliola assurda e sciocca da cui lui voleva separarsi definitivamente. Non gl’importava se quello era l’unico posto al mondo sicuro, tanto prima o poi Voldemort avrebbe trovato il modo di stanarlo anche da quella casa; non sarebbero stati certo dei babbani a bloccarlo.
Ma è la magia dell’amore che ti protegge, l’estremo incanto di tua madre che ti ha salvato da molti pericoli. Se non credi in questo, in cosa credi allora? Parole…parole sussurrate tempo prima, da Silente forse, o da qualcuno a cui lui stava a cuore e che voleva accanto, invano.
Di nuovo pensieri incoerenti lo avevano assorbito. Doveva mantenere la calma.
Passando accanto al parco e svoltando a sinistra, Harry ritenne che un’occhiata distratta alla panchina dove aveva parlato con Lily per la prima volta fosse più che sufficiente. Vi avrebbe volentieri sputato, se questo non avesse comportato scavalcare la recinzione e sporcarsi fino alle cosce di terriccio malsano, e di sdegno. La stradina dove si trovava l’arco venne raggiunta ben presto, e il vecchio magazzino abbandonato infuse nel ragazzo la solita sensazione d’intimità e protezione ogniqualvolta Harry si recava lì. Il vento aveva trascinato nel vicolo spazzatura e cumuli di foglie strappate dai rami, che volteggiavano attorno ad Harry come a solennizzarne il passaggio. Raggiunta la zona d’asciutto sotto l’arco, lui chiuse l’ombrello e penetrò in una stretta apertura un tempo ostruita da assi di legno. Una rampa di scale scivolosa lo condusse di sopra, a quella che il ragazzo amava considerare la sua vera casa. Era una camera dalle pareti vicine, e si estendeva per oltre quattro metri, affollata qui e là da scatoloni che emanavano odore di muffa, stracci, bottiglie di birra vuote, segno di precedenti inquilini, e una coperta avvolta su una sedia. Queste due ultime cose, le aveva procurate Harry in persona, ed infatti vi si assise coprendosi sino al mento, poiché l’aria fredda entrava da numerosi spifferi. Il ragazzo mormorò poche parole e una luce si diffuse dalla punta della bacchetta gettando chiarore sul sudiciume di quel luogo. “ Ormai, sei qui di fronte a te stesso, Harry, non puoi fuggire da te. Spiegati.”
Il motivo per cui aveva sentito la necessità di allontanarsi da casa gli appariva semplice e pauroso allo stesso tempo: cercare una risposta a quello che era successo, cercare un alibi per colpe non commesse, costruirsi una difesa per assimilare quella delusione. Lily lo aveva lasciato di punto in bianco, dopo che si erano fidanzati. Lei, con sommo stupore di Harry, aveva accettato la natura di mago di quel ragazzo che gli piaceva tanto, era stata lei a proporre un cambiamento di rapporto che andava al di là della semplice amicizia, e lui aveva annuito entusiasta, senza riserve, onorato. Due settimane era durata quella situazione, dopo un mese di amicizia intensa, e poi Lily, come era entrata all’improvviso nella sua vita, così ne era uscita. Un giorno, poche parole…<>... parole che erano bastate a suscitare nuovamente tutti i vecchi fantasmi che avevano angustiato il ragazzo nella prima parte d’estate e che adesso tornavano a galla. In particolar modo, era la solitudine a ferirlo di più, ad accentuare quella differenza tra lui e gli altri, a isolarlo sempre di più da quel mondo in cui aveva tuttavia vissuto ininterrottamente durante i primi undici anni di vita e poi solo per le vacanze da quando frequentava Hogwarts.
<>, con esplicito riferimento al suo ex. <>, ed era andata via correndo, forse piangendo, ma nulla importava ad Harry, che era rimasto attonito, troppo stupito anche per ribattere, finché a passi lenti non era ritornato a casa sua, verso un vecchio stile di vita. E da quel momento erano cominciati i dubbi.
Chiedendosi a lungo se era lui l’errore della situazione, se era lui ad essere nato sbagliato, ad essere inadatto per il mondo babbano, aveva passato notti insonni, ma quegli interrogativi erano rimasti irrisolti. Eppure, per quanti cercasse di addossare la colpa esclusivamente a Lily, non sentiva un’ombra nell’anima? Non si accusava forse di non averle donato abbastanza, in quei gioiosi giorni d’estate? Non era cavo il cuore di Lily, che lo aveva trattato in modo simile?
Fino a quel momento della vita, Harry era venuto a conoscenza dei più disparati sentimenti, dalla passione alla gioia estrema, dall’odio all’amicizia, ma i patemi d’amore, gli erano sconosciuti, né avrebbe potuto immaginare, prima d’incontrare Lily, che fosse in grado di raggiungere livelli di profondità tanto elevati. Almeno lo credeva fino alla separazione da Lily, al suo ingiustificabile allontanamento, perché adesso cominciava a sospettare che l’amore fosse solo un’utopia dell’essere umano, che pur di non vedere gli orrori dell’esistenza, si rifugiava in sogni irrealizzabili. Questa delusione era per Harry molto più…umana di quella avuta per Cho. Forse perché in questa circostanza non era in ballo la magia(o non del tutto, se si considerava che probabilmente Lily, spaventata infine da ciò che Harry rappresentasse nel suo mondo, si era tirata indietro), forse perché lo reputava troppo bambino, forse perché era stata mossa da una sincera nostalgia nei confronti del suo precedente ragazzo, fatto stava che nulla poteva supportare un atteggiamento del genere.
Harry si alzò e da un buco del muro osservò la pioggia continuare ad inondare le strade deserte della città babbana, in un mondo a cui ora più che mai il giovane mago non sentiva di appartenere. Inutile fingere che presto o tardi avrebbe potuto trovarsi bene tra la gente babbana: lui era diverso, era “inconciliabile” per quelle persone che della magia ne sapevano tanto quanto lui ne sapeva dei costumi indiani. E sebbene Lily lo avesse fatto, temporaneamente, ricredere riguardo tutto ciò grazie a quello che era riuscita a trasmettergli, adesso Harry ne era convinto assolutamente, e desiderava con ardore avvertire la presenza solida e sicura delle mura di Hogwarts attorno a sé, ed essere circondato dai suoi veri amici. Lì era un esiliato, un nascosto – come d’altronde gli suggeriva quel lercio rifugio sconosciuto ai più, ma comunque un rifugio – e per trovare la sua pace e la sua realizzazione, si sarebbe dovuto limitare al mondo magico, e smettere d’illudersi dei babbani, tra i quali era un emarginato anche quando era ignaro dei suoi veri poteri. Era solo al momento; la compagnia di Lily era stato un miraggio di felicità.
<>, disse alla polvere e ai rifiuti accatastati. <>. Difesa, si, di quella Harry aveva bisogno: un alibi per salvaguardare la sua serenità, già a lungo minata con l’andare degli anni. Voleva sentirsi innocente e guardare avanti, pur consapevole che in quell’avanti quasi certamente erano riserbate ulteriori sofferenze. Finché Voldemort non spariva, egli era destinato a soffrire i più atroci tra i dolori.
“Oh, se mi togliessero Ron ed Hermione!In quel caso, sì che morirei”.
E ancora una volta il pensiero tornò a Sirius e a quello che per lui era stato: non solo un padrino, non solo una nuova casa, bensì anche una forma diversa di amore, che riuscisse in grande misura a compensare l’affetto mancato dei suoi genitori. Ma anche questo gli era stato negato, e lui, tra le sventure della sua giovane esistenza, aveva la colpa di essere Harry Potter. Questo nome significava una minaccia per molti nel mondo magico, ed era sgradito anche in quello babbano, punto e basta. E lui poteva amare, poteva sperare, poteva desiderare qualcuno che condividesse con lui le sue emozioni, ma sarebbe stato tutto vano.
Amare era tale confusione? E perché ad attimi felici, faceva seguire sempre i tormenti interiori? Per Harry, erano domande a cui non poteva, o forse non voleva rispondere. Comunque, una sentiero positivo lo intravedeva ai suoi piedi: aveva imparato ad amare, e aveva capito un po’ di più di se stesso. Questo gli sarebbe senz’altro servito per il futuro. Era cresciuto, e solo per ciò era grato a Lily. Lui assaporava ancora l’amaro, ed era piangendo che abbandonò l’arco, sicuro di essersi recato lì per l’ultima volta quell’estate, poiché la partenza era vicina, era piangendo quello che aveva perduto che ritornava nel vicolo bagnato. Il vento vi aveva trascinato foglie secche o verdi che, brevemente, avvolsero Harry mentre tornava a casa, e tornavano a rotolare lontano sparendo dalla sua vista e dalla sua estate. Si, Lily gli mancava e non riusciva ad odiarla, ma dentro ora era più ricco e avrebbe cercato col tempo di risolvere quegli enigmi che avevano fatto capolino nella sua vita. --------------------------- Note conclusive Spero che questa storia vi sia piaciuta e spero che commentiate, ci terrei molto! Ritengo giusto spendere delle ultime parole prima di congedarmi. Questa è la prima fanfiction che scrivo, e ho voluto trattare di un tema che mi affascina molto, il rapporto mondo magico/mondo babbano. La storia riguarda esclusivamente l’estate di Harry e gli accenni a Ron, Hermione, altri personaggi ed Hogawrts non hanno una funzione determinante, ma mi sono serviti a contestualizzare questo racconto nell’estate tra il quinto e il sesto anno di studio. Fa ovviamente eccezione Sirius, importante per capire la psicologia di Harry. Per qualunque altro chiarimento, sarò lieto di rispondere o nell’area commenti, o via email! Un grazie speciale a Thilwen: i tuoi commenti sono preziosissimi per me e il tuo apprezzamento costituisce uno stimolo a fare meglio e a scrivere sempre di più. Le tue parole mi emozionano come i tuoi lavori stupendi e ti sono grato dell’attenzione che mi presti. Un bacio immenso! Marco: Il tuo consiglio è giustissimo, segno che hai letto con grande azione le pagine di questo squinternato che sarei io. Il quinto capitolo sì, è una confessione a se stante e non volevo spezzarla inserendo altro. Spero almeno di aver reso l’idea, perché in questa parte è racchiuso uno dei significati più importanti di questo lavoro, significati completati in questo ultimo capitolo, che spero commenterai con altrettanto favore e spirito critico! Grazie! Elisabetta: Sono contento che ti sia piaciuta. Essendo la mia prima prova in questo campo ero un po’ impaurito, ma posso ritenermi soddisfatto!Attendo il tuo commento ai capitoli che ti restano! Spero che possiate dare un’occhiata agli altri miei lavori,ci terrei tantissimo. Ciò non vale per te, mia cara Thilwen, che li hai premurosamente letti, lasciandomi recensioni indimenticabili. Grazie ancora.

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