The Ultimate Weapon

di fflover89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** ULTIMO ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


“Premetto che questa è la mia prima fan-fiction, ispirata a final fantasy 9 che a mio parere è uno dei più belli per quanto riguarda la storia per intero e i personaggi. Spero che vi piaccia e vi appassioni quanto ha appassionato me a scriverla. Non siate troppo rudi nei commenti, che aspetto numerosi e ai quali risponderò personalmente! Buona lettura!”














Alla fine del gioco, siamo rimasti alla bellissima scena dell’abbraccio dei due innamorati Gidan e Daga, che dopo più di due anni (“versione personale” N.d.A.) sono riusciti finalmente ad incontrarsi. Nel frattempo, e negli anni successivi cosa è successo? Vivi purtroppo è morto pochi mesi dopo la fine della loro avventura all’Albero di Lifa. Il potere magico del maghetto, purché in vita da quasi sette anni, si esaurì nell’evocare una potentissima magia che coinvolse un intero frammento dell’universo contro la malvagia entità Trivia. La magia venne battezzata Apocalisse, per l’enorme esplosione generatasi. Benché fosse riuscito tramite uno strano esperimento a costruire dei suoi cloni, che vennero battezzati i “nipotini” di Vivi, egli ora è sepolto vicino alla tomba del numero 64 e i suoi compagni gli hanno fatto un gran funerale. Il villaggio dei maghi neri ormai è diventato quasi una città grazie alle conoscenze magiche e le capacità tecnologiche avanzatissime degli Jenoma. Mikoto, ormai ritenuta la sorella di Gidan sta cercando di tirar fuori il carattere nascosto dei suoi simili, certa che dentro di loro si nasconda un po’ della simpatia del “fratello”. A proposito di Gidan, dopo il suo ritorno ad Alexandria, non poté sposarsi con Daga: la classe nobiliare del continente -invidiosa del fatto che la regina amasse un comune ladro- scoprì un vecchio cavillo legale, secondo cui la regina poteva si sposare un ragazzo dal sangue non nobile, ma solo se egli ha raggiunto i venti anni di età, e poiché non di famiglia reale – o di classe borghese- non poteva essere dichiarato re. Fermo restando che ad Alexandria il fatto che i due erano stati regolarmente proclamati marito e moglie a Conde Petit non era per niente riconosciuto. Steiner però, che conosceva meglio di loro la legge, nominò Gidan “Reggente ufficiale del trono reale”: in pratica i due non erano sposati ufficialmente, ma era concesso loro stare insieme. Il cavaliere, con suo grande onore, è stato nominato comandante in seconda dell’esercito di Alexandria, con poteri decisionali secondi solo a quelli della regina. Insieme a Beatrix ha cercato e ucciso i restanti mostri della nebbia che infestavano i continenti, e adesso continuano tutti e due a servire fedelmente la loro regina. Dopo l’increscioso episodio verificatosi, Garnet cominciò una lunga battaglia con la classe nobiliare, che premeva per avere più controllo sulle scelte della giovane regina, finché non si fosse sposata. Forse perché il lungo viaggio e l’incontro con Gidan l’avevano cambiata radicalmente, ma ormai preferiva vivere la sua vita a corte come se fosse una normale ragazza cui era stata data una grande responsabilità, da affrontare con dedizione e con il sorriso sulle labbra. Gidan comunque, anche lui scontento dell’accaduto, passava sempre più tempo fra i suoi compagni Tantarus che con la fidanzata, anche se andava a trovarla appena gli era possibile. Anche i vecchi ladri gentiluomini, sono cambiati: il Granduca Cid oltre a rendere i più talentuosi del gruppo attori stabili e controfigure, spesso inviava i nuovi membri della banda alle ricerche dei tanti tesori sparsi per il mondo, grazie all’aiuto delle abilità paranormali dei Chocobo, ormai divenuti numerosi grazie all’assenza della nebbia che favoriva le nidiate. Eiko, adottata dal Granduca Cid e dalla moglie Hilda, veniva oltremodo soffocata dalle attenzioni e dall’affetto dei genitori adottivi, che non avendo avuto figli naturali, cercavano di proteggerla in ogni modo come se fosse davvero figlia loro. La ragazzina riesce comunque a cavarsela da sola come al solito, e spesso senza il consenso dei genitori si reca nell’antico villaggio di Madain Sairi divenuto grazie ai finanziamenti di Lindblum e Alexandria un enorme centro di restauro, mirato a far tornare il paesello diroccato una grande meta di pellegrinaggio per gli aspiranti maghi e sciamani.
Freija e il suo amato Flatrey sono finalmente riusciti a rimettersi insieme, grazie alle lunghe terapie per la memoria affrontate con disciplina dal draghiere. I due ora reggono il nuovo regno di Burmecia-Cleyra per conto del piccolo principe Puck, unico rimasto della famiglia regale. I superstiti delle due città, accantonarono gli antichi diverbi e s’impegnarono a costruire una nuova patria, poiché Burmecia era ormai irrecuperabile, e veniva usata addirittura come cava per i lavori.
Amarant e Lanì vennero nominati da Daga “Agenti speciali della Corona”, e li mandò in ispezione in giro per il mondo, per prevenire in tempo nuove minacce sconosciute. Quina e Quera, al passo con i tempi crearono una vera scuola di cucina a Lindblum, chiamata: “Scola deli Qu, per imparà l’arte der magnà”. Una delle loro più importanti ricerche, pare sia quella di combinare insieme i due piatti più odiati nell’arte culinaria di Gaya: i sottaceti di erba Ghisal, e le Rane della palude di Qu…
I vari luoghi dove risiedeva la nebbia, come la Grotta di ghiaccio e la foresta del male, sono andati completamente distrutti: al loro posto ora sono presenti dei laghi, e nuovi terreni fertili. L’antico Albero di Lifa è scomparso subito dopo l’ultimo attacco che le radici tentarono di fare al cuore dell’albero, dove si trovavano Gidan e Kuja morente. Poco prima che le radici colpissero i due, Kuja lanciò un incantesimo verso la struttura che rappresentava il centro dell’albero, che cedette di colpo e l’intera struttura di Lifa implose, coinvolgendo gran parte del territorio circostante: il buco nero risucchiò il villaggio di Conde Petit e le vallate vicine, e il violento tsunami creato dal vortice magico, per poco non investì l’isola di Madain Sairi. Gidan, seppur con una brutta ferita alla testa si ritrovò poco al di fuori del raggio d’azione del turbinio di forze. Non capì mai come si potesse trovare così lontano in così poco tempo. Riuscì a vedere ciò che il “fratello” aveva combinato, poi svenne. Quando si risvegliò al villaggio dei maghi neri, Mikoto gli rivelò che era stato in coma per dieci mesi, e solo con l’intervento combinato dei maghi e dei jenoma, erano riusciti a disintossicarlo dalla enorme quantità di energia malefica che aveva infettato il suo corpo. Al posto dell’Albero di Lifa, ora esiste una profondissima voragine circolare, e sulla superficie sono venute alla luce decine di migliaia di formazioni cristalline, di diverse grandezze. Il mondo di cristallo manifestatosi nel mondo terreno, era riuscito grazie al potere dei ricordi a contenere il cataclisma. Al centro di questa voragine si trova un cristallo molto grande, nero, permeato da una forte aura maligna. Gli sciamani nel tentativo di capire se esso rappresenta i ricordi delle azioni malvagie del passato, oppure se si tratta di qualcosa di molto peggiore, chiesero aiuto a Eiko. Il problema però andava affrontato anche con gli altri membri della squadra: mandò lettere a Freija e ad Amarant, e grazie al mogu-net anche a Gidan e Daga. In poche settimane, il gruppo di amici, si diresse ad Alexandria, in occasione dell’anniversario della fine del cosiddetto “Conflitto della nebbia”. Ma prima c’era la parata da fare.
















“OOOOK, forse questa introduzione può risultare alquanto noiosa, ma serve assai per capire il seguito della storia, e serve a me per non mettere ad ogni riga spiegazioni varie che rischiano di rompere il ritmo del racconto…dunque appuntamento al prossimo VERO capitolo che posterò tra qualche giorno!”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La parata prevedeva che tutti i paesi, o comunque tutti quelli che avevano contribuito alla pace, dovevano riunirsi alla gran piazza del castello di Alexandria, facendo sfilare davanti alla regina in persona gruppi di soldati, o di sacerdoti (se si trattava di un paese in recupero), in semplici e veloci esibizioni programmate. I Tantarus, per esempio, ad ogni occasione del genere impostavano un discorso che coinvolgesse gli spettatori: era Gidan a interpretarlo, spesso cambiandolo o improvvisandolo. Conoscendo l’affetto che il popolo nutriva per il gruppetto di ladri gentiluomini, iniziava sempre con:

«FINALMENTE!!! I TANTARUS SONO TORNATI!!!»

Benché Daga ripetesse ogni anno di non far sembrare la parata solo un esposizione militare, ogni anno erano sempre di più i membri degli eserciti alleati, e sempre di più la festa assumeva il carattere serio e fiero dei soldati. Anche per questo invitava il gruppo del fidanzato.

Era giunto il gran giorno. Da fuori città venivano carrozze, nuove vetture su quattro ruote (già divenute uno status-symbol) ed i classici idrovolanti da Lindblum, alcuni  erano arrivati persino via mare. Tutti i partecipanti, si ripassavano nervosamente i movimenti di marcia e di saluto. I nobili venuti da Toleno, che non vedevano l’ora che la parata iniziasse, facevano un gran rumore muovendosi senza sosta cercando un posto a sedere che fosse il più vicino possibile ai due steccati messi in parallelo per consentire il passaggio delle truppe. Chi non aveva così tanti soldi per le prime file, ed infatti erano due terzi degli spettatori, si accontentava di sedersi sugli altissimi spalti di legno, il che garantiva una visione spettacolare della parata. Il corridoio creato dai due steccati era stato posto al centro della piazza, dividendola in due semicerchi esatti; la sfilata iniziava dal portone del castello da dove i partecipanti uscivano, e finiva in fondo alla piazza, dove lo schieramento si biforcava in due tangenti quasi verticali, mostrandosi tutto di fronte alla regina seduta proprio li davanti. Era pomeriggio inoltrato, e già incominciava a scurire.

Un rapido squillo di trombe fece il silenzio sulla piazza. Poco dopo la tonante voce di Steiner, che non aveva certo bisogno di un megafono, proclamò:

«Cittadine, e cittadini di Alexandria e dintorni! Siamo oggi qui riuniti, di fronte alla nostra amatissima regina, Garnet Til Alexandros, per festeggiare il quarto anniversario della fine del tremendo Conflitto della Nebbia. Per celebrare la gloria dei vincitori, e per ricordare i valorosi caduti, ora vedrete in questa pubblica piazza, sfilare i corpi dei valorosi regni che tanto valorosamente hanno combattuto, e che tanto valorosame…»

Dagli spalti si udì una voce che urlò:

«Cavaliè, e scorcia un po’!» seguito da un coro di risa. Evidentemente tutti pensavano lo stesso. Steiner si fece paonazzo per la rabbia e per la vergogna. In mente gli vennero, un enorme miscuglio di improperi e insulti in latino che era pronto a sciorinare, quando una bianca mano guantata gli si posò sulla spalla. Il cavaliere si girò, e vide la regina che con un bel sorriso, si portava il megafono alla bocca, e quasi spuntando di nascosto dalla grossa sagoma del Generale disse con voce divertita:

«Quello che il buon Steiner intendeva dire, è che vi sarà presentato un bellissimo spettacolo, mai visto prima: che la festa inizi!» terminò ridendo. Il pubblico urlò di gioia, e si innalzò spontaneo il coro:

“Garnet! Garnet! Garnet!” facendo arrossire vistosamente Daga che si coprì il viso col ventaglio aperto.

Steiner distrutto, concluse andandosene a testa bassa:

«Che entrino i partecipanti…»

Il portone del castello si aprì con un gran rumore e da dentro, in un abito rosso fuoco con una bellissima lancia posta fra la mano e l’ascella, uscì Freija accompagnata da Flatrey, pure lui elegantissimo, che rappresentavano lo scarso gruppo di soldati del regno di Burmecia-Cleyra. I militari a passo cadenzato e impettiti, erano veramente belli da vedere: erano divisi in due gruppi da cinquanta, e a separarli erano due ufficiali con i vecchi vessilli di Burmecia prima, e di Cleyra poi –in realtà la presenza dello stendardo della vecchia città dell’albero era solo ufficiosa, visto che un vero corpo armato non l’aveva mai avuto- . Una volta di fronte alla regina, i due draghieri si fecero passare i due vessilli e li impugnarono insieme, segno della nuova unione dei due antichi regni.

A seguire entrarono insieme i custodi delle biblioteche di Daguerreo e le sacerdotesse di Cleyra. Arrivato da Garnet, il sacerdote più alto in carica donava, come ogni anno, un antico libro-romanzo alla regina, che ne era appassionata.

Seguirono i guardiani dei confini di Toleno e di Dali, che seppur pochi erano stati richiesti a viva forza dagli abitanti delle due cittadine, per essere rappresentati alla festa: il responsabile delle vetture Berqumea, rappresentando il più alto in carica si inchinò di fronte alla regina.

Successivamente fecero il loro ingresso in piazza il folto schieramento dell’esercito di Lindblum, che diviso in centurie di diverso tipo, sfoggiava la sua tradizione millenaria nell’arte militare. A capo dello schieramento, che dovette schierarsi su due file tanto erano numerosi, vi erano il Granduca Cid, la moglie Hilda, e la contessina Eiko, che vestita di un appariscente vestito rosa e con una acconciatura stile Padmè di “Star Wars”, si inchinò vergognandosi di fronte all’amica, che chinandosi sul trono incontrò il suo sguardo e gli fece l’occhiolino per tranquillizzarla.

Poi fecero il loro ingresso i padroni di casa: il corpo dei Plutò era molto più numeroso che in passato, e i primi nove membri erano diventati i capitani di altrettanti reggimenti; ovviamente a capo del gruppo vi era il Generale Adalberto Steiner che marciava, rigido nella sua armatura da parata costellata di medaglie al merito, impacciato per il peso che portava indosso. Facendo il suo classico saluto alla regina, quest’ultima gli sussurrò:

«Scusa!» e che ci crediate o no, fece anche spuntare un pezzetto della sua lingua dalle labbra. Steiner per poco non cadde per terra.

Mentre l’ultimo gruppo si incamminava fuori dalla piazza, incominciò ad innalzarsi del fumo bianco parecchio denso. In poco tempo non si vide più nulla. Mormorii dubbiosi si sentirono dagli spalti. Improvvisamente si sentì un grosso rumore di eliche: dei fasci di luce illuminarono il fumo che brillò di una luce particolarmente forte. Il rumore si fece più forte. Qualcuno dagli spalti ebbe l’intuito di alzare lo sguardo e urlando qualcosa indicò il cielo, e tutti si misero a guardare verso il punto indicato: il nuovo Scenalante Primavista stava lentamente discendendo, abbassandosi il più possibile senza però atterrare. Dal fondo dello scafo, si sentì il rumore di una scaletta metallica che veniva abbassata e che si ritirava. Poi, con un grosso rombo di motori a vapore, l’idrovolante si sollevò rapidamente, diradando la nebbia finta. Una volta dissipata, al centro della piazza, comparve quasi per magia Gidan che reggendo in mano un megafono di metallo, e la sua daga nell’altra, sorrideva smargiasso di fronte al suo pubblico, che esplose di grida, specialmente femminili che erano venute solo per lui. Daga cercò di mantenere la sua compostezza, rotta solo dai pochi segni di allegria precedenti, e si limitò a mostrare una faccia meravigliata. Dopo aver aspettato che le voci calassero, Gidan iniziò a parlare:

«Eh, si è veramente bellissimo essere qui, in questa bella piazza, in questa grande… no,no, aspetta un secondo, manca qualcosa… ah, si: FINALMENTE!» e il fragore del pubblico riprese, scandendo con Gidan il suo motto iniziale:

«I TANTARUS, SONO TORNATI AD ALEXANDRRRIAAA!!!»

Le urla del pubblico si sentirono in tutta Alexandria. Anche i nobili erano entusiasti e eccitati dalla semplice entrata in scena del Tantarus.

«Ebbene si, siamo finalmente qui nella città dove tutto è iniziato: la città dove il sottoscritto e i suoi compari hanno rapito la qui presente principessa Garnet, anzi pardon, Regina Garnet.» ormai non era più un mistero, la voce si era sparsa e più volte il Granduca Cid ammise di essere stato lui ad organizzare la cosa.

«Ma non è solo la città della regina.» continuò Gidan carichissimo. «E’ anche la città dove migliaia, e migliaia dei fan di Gidan più volte gli hanno dimostrato il proprio affetto: i fan che sono saltati in piedi due anni fa quando sono ritornato dalla mia regina; i fan che continuano a seguire il sottoscritto nei suoi spettacoli teatrali; i fan, che tra un po’ diventeranno concittadini, perché tra un anno sarò Re!»

Il popolo fece un applauso lunghissimo, ritmando il nome del loro futuro sovrano. I nobili si guardavano imbarazzati l’un l’altro, toccati nel loro punto debole. Poi Gidan si avvicinò al trono di Daga che lo guardava sognante e emozionata, e continuò:

«Sarò Re assieme alla più bella ragazza del mondo e insieme, renderemo Alexandria la città più bella al mondo! Sempre se lei mi vuole…»

Daga non si trattenne più, balzò in piedi contravvenendo alla regola e corse ad abbracciare Gidan. Il pubblico andò in delirio a quella scena, proprio come due anni prima. Dopo essersi divisi, Gidan chiese:

« Quando si mangia?»   

 

“Spero che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative… giuro che i prossimi saranno più interessanti e divertenti!

 

p.s: se c’è qualcuno che leggendo il testo, abbia riconosciuto una citazione dal mondo della WWE (sperando che i copyright non mi scannino!!) me lo scriva nei commenti. Sono curioso di sapere se avete scoperto di chi è…”    

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***



 
Se a Gidan quattro anni prima avessero detto che avrebbe fatto parte di un banchetto di gala in mezzo alla “créme della créme” del continente, sicuramente non ci avrebbe creduto. Invece eccolo li, al tavolo centrale, seduto vicino alla regina Garnet e al resto della combriccola che aveva salvato il mondo. E che banchetto: la regina non ha voluto far partecipare né Quina né Amarant alla parata proprio per questo. Il cacciatore di taglie, era stato in pratica obbligato dalla cuoca a cacciare “le mejo bestie der monno” e ai membri migliori della sua scuola aveva concesso di aiutarla ai reali fornelli. Le portate si suddividevano in antipasti di diverso genere, tre primi, due secondi, dolci, e ovviamente vino a fiumi.

Man mano che la cena andava avanti, al tavolo della regina arrivavano gli altri amici, tranne Quina che aveva ancora da cucinare. Era parecchio che non si vedevano:
  «Ehi, cavaliere, come butta?» fece il vocione di Amarant a Steiner.
  «Oh, il mio gladiatore preferito! Che dici, dopo la cena ce li facciamo un paio di round come digestivo?» gli rispose scherzando Steiner, mettendosi in posa di combattimento. I due spesso si ritrovavano nelle scuderie per allenarsi al combattimento, cercando di migliorarsi l’un l’altro imparando tecniche nuove derivate dalla loro esperienza. Abbracciandosi alle spalle si sedettero a tavola chiacchierando come vecchi commilitoni.
  «Già faresti meglio a ricominciare ad allenarti Steiner. Inizi a mettere peso.» tutti si girano a mirare la bellissima Beatrix che si stava avvicinando alle spalle del generale. La donna più affascinante del regno era sempre ritenuta Garnet, ma la shogun rivaleggiava parecchio in bellezza con la regina. Non fosse stato per la lunga benda che aveva sull’occhio che le copriva sempre una parte del viso, forse sarebbe diventata più famosa come bellezza che come guerriera impareggiabile. Anche in passato riceveva forti avance dai cavalieri dei regni vicini, che immancabilmente ricevevano il due di picche. E anche il due di spade.
  «Già, chissà in che modo l’hai scoperto…» disse Gidan ammiccando.
  «Sai Gidan non è un caso che spesso non si facciano trovare a palazzo la sera…» incalzò Daga, sul punto di scoppiare a ridere. I due guerrieri si imbarazzarono in maniera diversa. Beatrix semplicemente trattenendo con una smorfia ogni commento, e Steiner facendo i suoi soliti tre saltelli urlando:
  «GRRR!!! Guarda come hai fatto diventare la mia principessina a forza di frequentarla, bandito! Ha perduto tutta la sua delicatezza!»
  «Ehi, che centro io stavolta?!»
Daga non si trattenne più, e iniziò a ridere con le lacrime agli occhi. Mentre Amarant cercava anche lui di entrare in discussione, sebbene non fosse molto incline agli scherzi, Gidan ne approfittò per osservare la fidanzata mentre si sbellicava dalle risa: possibile che un simile angelo fosse capitato proprio a lui, praticamente l’ultimo dei ladruncoli? E lui che fa per ricambiare il dono datogli dalla dea bendata? Se ne sta lontano tantissimo tempo, per le più diverse cause. Il fatto stesso che l’indomani mattina doveva partire per un recupero di un antico manufatto che si trovava in fondo al mare lo mandava in bestia. Oh, ma aveva ancora altre quattro ore per stare con lei, faceva meglio a godersele.
Si mise di fianco a Garnet, nel suo impacciante vestito rosa, Eiko che dovette litigare parecchio con la ampia gonna prima di riuscire a sedersi. Vedendo il Tantarus guardare sognante l’amica, strillò ingelosita:
  «Gidan Tribal! Non si saluta più? Dov’è finita la rinomata galanteria dei ladri gentiluomini? »
  «Oh, scusa granduchessina Eiko» gli disse dandogli un leggero bacio sulla mano «Ma ero impegnato a prendere in giro il samurai. Allora che succede a Lindblum di bello? »
  «Papà è all’opera di un nuovo Hilda Garde ed io lo sto aiutando insieme ad Oltania. Sai cominciano a piacermi questi affari volanti. Ah, mi ha detto di riferirti, che vicino allo Scenalante troverai il nuovo modello della moto RGPX-400. L’ho pilotata io, ti assicuro che è fantastica. E sono diventata brava a guidare!»
  «Posso confermarlo, ha fatto certe giravolte da far invidia a un pilota professionista arrugginito!» disse il nuovo arrivato. Era Flatrey, che fu salutato da tutti, tranne da Beatrix, che quasi non si girò. La shogun si vergognava di quello che aveva fatto a Burmecia. Si riteneva infatti responsabile dell’ulteriore dramma che Freija, di cui era diventata amica, aveva avuto rincontrandolo: se non avesse invaso ciecamente Burmecia e Cleyra, forse le cose fra loro due sarebbero andate diversamente. 
  «E se lo ricorda lui, statene certi.» disse quest’ultima.
L’atmosfera sembrò presto più quella di una chiassosa cena di gruppo, che di un incontro di rappresentanza. Daga improvvisamente si ricordò di una cosa da fare. Detestava rompere l’atmosfera divertente che si stava creando anche nel resto della sala, ma doveva farlo. Si alzò e fece tintinnare il bicchiere di cristallo battendolo con il coltello. Si fece silenzio, che fu interrotto dalle parole della regina:
  «Signori nobili, e non, eroi del Conflitto della Nebbia: in quest’occasione come altre, abbiamo celebrato coloro che hanno combattuto e vinto in questa guerra. Consentitemi di proporre un brindisi per i caduti che purtroppo meritavano un posto qui con noi in questa sala. La loro morte è per noi motivo di tristezza e di rammarico, ma senza il loro contributo, da soli non avremmo mai raggiunto la pace. Consentitemi di proporre un brindisi, ai caduti vittoriosi! » bevve Daga per prima, e a seguire tutti gli altri, che si alzarono in piedi e fecero spontaneamente un commosso applauso. Beatrix non volle alzarsi, ma fu in pratica costretta da Freija.
 In quel momento Gidan prese dal fagotto che portava sempre con sé un vecchio cappello arancione a punta con alcune cuciture sul cono, e con una fascia rossa alla base: il cappello di Vivi. Tutti i membri del gruppo misero le loro mani sul vecchio tessuto, e cercarono tutti un ricordo del loro amico, da condividere con gli altri. Parlo Steiner per primo:
  «Ricordate quando il signor Vivi partecipò alla sagra della caccia a Lindblum?»
  «Sì, e di quando mi bruciò il cappuccio bianco? A momenti bruciavo anch’io…» disse Daga.
  «Quante gliene dicevo io allora? Però mi voleva sempre bene.» fece Eiko triste.
  «Ne voleva a tutti Eiko. Ricordate cosa mi rispose quando gli chiesi se voleva continuare il viaggio a Burmecia? Non credevo che un bambino così piccolo fosse così maturo» chiese la draghiera.
  «Beh posso ricordarmelo solo io, gli altri non c’erano. » precisò Gidan «Diamine però, c’eravamo tutti quando lanciò quell’Apocalisse a Trivia. »
  «Continuo ancora a non credere come potesse un corpo così piccolo avere un simile potere.» parlò per la prima volta Amarant.
  «Spettacolare. E di quando…» continuando così.
La cena riprese normalmente, e pian piano il velo di tristezza che il ricordo del loro compagno scomparso aveva suscitato sparì dal volto dei nostri eroi che parlarono dei diversi fatti e problemi che avevano dalle loro parti. Quando arrivò la banda musicale dei Tantarus che suonò tutto il suo repertorio, la cena finì.
 


 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Purtroppo, nonostante la buona impressione che fece l’arte culinaria di Quina, per quanto fossero buoni, quei piatti a Gidan rimanevano ancora sullo stomaco. Dopo la cena, infatti, molti altri si alzarono per consumare una minima parte di quello che avevano mangiato. A Garnet, invece, andò di indugiare in una cosa che non faceva da quando era bambina. Faceva un gran caldo stranamente: si levò la grande gonna e parte della sopraveste, si tolse le bellissime scarpe con tacco basso, le lunghe calze bianche e si mise a camminare a piedi nudi sull’orlo della fontana costruita due anni prima sul retro del castello. La pietra granitica bagnata e gli schizzi della fontana, la facevano sentire come se camminasse sotto la pioggia. Il continuo gioco di non perdere l’equilibrio la divertiva come in passato. Ricordò che un paio di volte ci cadde dentro, e Brahne, che aveva visto l’accaduto, si precipitò di corsa alla vecchia fontana temendo che la bambina annegasse. E lei invece si era già alzata e se la rideva allegramente. Sotto il chiaror di luna, in quelle poche vesti e in quella posizione da dipinto, Garnet oltre che bella e sensuale sembrava davvero in pace con se stessa, non obbligata dalle rigide vesti e dalle regole dettate dall’etichetta che non aveva mai apprezzato. A un certo punto arrivò Gidan: anche lui si era tolto il gilet di pelle, il foulard bianco, e il grande fodero. Quando Daga lo vide anche lui, così mezzo svestito gli disse:
   «Pensavo fossi io a soffrire il caldo, con quello strascico!»
   «C’è parecchia umidità. Oggi davvero non si respira!» rispose avvicinandosi.
Gidan sorridendo cominciò ad accarezzare con i dorsi delle dita la gamba di Garnet. Poi disse:
   «Sai, era parecchio tempo che non ti vedevo… così.»
   «Avevo voglia di distrarmi dopo tutti quei ricordi. E poi sai che rimarrò sempre la stessa. So che ti piaccio anche per questo.»
Gidan spostò il braccio sotto le ginocchia di Garnet posò il piede sull’orlo della vasca e se la prese in braccio. Guardandola con dolcezza, se la baciò.
Non era certo la prima volta che i due si baciavano, ma stavolta avvertirono entrambi una sensazione diversa. Poi cominciò a camminare, sempre tenendola in braccio. E mentre camminava, parlava con Daga, perché così amava chiamarla quando erano da soli o con i compagni.
   «E’ da tanto che non stiamo così… vicini.» iniziò il ragazzo.
   «Beh, è vero. Sono passati quasi quattro mesi.»
   «Sì, ma non intendevo precisamente quello. Sai, bisognerebbe stare più tempo insieme…» Garnet cominciò ad intuire.
   «Mi piacerebbe…»
   «Anche adesso siamo vicini. Molto vicini.» e Gidan cominciò a dirigersi verso il porticato che conduceva alle camere regali. Aveva cambiato tono di voce.
   «Sei veramente sicuro? Possono passare altri mesi dal rivedersi, lo sai anche tu…che non possiamo diventare Re e Regina, se non al tuo ventesimo compleanno!»
Lei invece sembrava leggermente tesa. Continuò Gidan, senza fermarsi.
«Io una volta ho sentito di un lontano regno, dove era tradizione: prima che i due regnanti si sposassero… Era un rito che portava fortuna.»
   «Non era la stessa cosa… e poi se succedesse qualcosa… di imprevisto?»
   «Sono pronto ad affrontare il rischio. E poi non farei mai nulla, se tu non fossi d’accordo.»
   «Ma…»
Erano arrivati alla camera della Regina.
   «D’altronde è anche una cosa… simbolicamente giusta.»
   «Sì, non dico…»
Una volta entrati nella stanza da letto regale, Daga si persuase.
 
Li risvegliò il classico bussare alla porta. Non era possibile stare per un po’ di tempo da soli, che qualcuno veniva a disturbare. In realtà erano passate almeno otto ore dalla fine della cena, ed erano le sette e mezzo di mattina, orario in cui di solito la Regina di Alexandria era già sveglia. Si alzarono quasi lentamente, per non perdere la calma e non far troppo rumore. Quando Gidan si mise le galosce, si sentì oltre la porta:
   «Regina, siete sveglia?» chiese la voce di Beatrix.
Consapevole di non essere presentabile, Garnet disse quasi urlando:
   «Beatrix, per favore aspettate qualche secondo!» chiedendosi poi perché non le aveva detto di andarsene. Gidan mise in moto la sua mente allenata e gli venne un’idea prendendo il corpetto con maniche di Daga:
   «Stai ferma, e piega le braccia in verticale perpendicolarmente alle spalle. Un po’ più avanti… ecco così. Adesso al mio tre, aprile di scatto orizzontalmente più veloce che puoi.» Gidan cominciò a far roteare il vestito intorno alle braccia alzandolo sopra la testa di Garnet, lo prese alla base (uno…), poi lo tirò giù per il corpo (due…), e appena si vide la testa della regina uscire dall’apertura del collo disse:
   «Tre, allunga le braccia!»
E Daga si ritrovò vestita senza nemmeno troppe sgualciture. Ma le venne un dubbio:
   «Dove hai imparato a farlo? E soprattutto… con chi?»
   «Ehm… ti ricordi quel tizio a Lindblum che tre mesi fa interpretava cinque personaggi diversi cambiandosi continuamente costume in pochissimi secondi? Ero stato scelto come suo aiutante…» rispose Gidan non senza imbarazzo. La ragazza non sembrava del tutto convinta, ma doveva prima occuparsi della shogun. Prima di aprire la porta, vide il ragazzo che aiutandosi con la coda si era arrampicato sopra il letto a baldacchino nascondendosi. Daga nella confusione non aveva pensato al fatto che forse gli ospiti e gli amici, vedendoli sparire entrambi con poco tempo di distanza, avrebbero potuto trarre ovvie conclusioni. Giuste che fossero, non era il caso che si sapessero troppo.
Daga aprì la porta e simulando uno sbadiglio disse:
   «Buongiorno Beatrix! Oggi non riuscivo a svegliarmi. Ieri è stata una serata… pesante.»
Piccolo doppio senso involontario? Ma allora aveva ragione Steiner!
   «Buongiorno Regina Garnet. La deve esser stata seriamente, per essere andata a dormire con il vestito da cerimonia.» osservò la shogun entrando.
Garnet le dava questa libertà, e non era così intelligente dal proibire alla soldatessa di entrare con una scusa qualsiasi.
«Spero che siate riuscita a convincere i nostri amici di non farsi vedere solo in occasione delle parate di pace e nei compleanni. È pur vero che hanno impegni nei loro paesi…» e lì si fermo per osservare il letto, che di certo non poteva sembrare quello di una regina che si era coricata da sola dopo una serata di gala. Poi guardò il baldacchino, e vide una strana protuberanza pelosa che rientrava all’interno del montante di legno: una coda. Garnet cercò di inventarsi una spiegazione decente ma Beatrix le sorrise e disse:
   «Non è certo a me, che devi dar conto di come… e con chi passi le nottate. So come ti senti: è una sensazione davvero speciale passare la notte con la persona che si ama. E sono contenta per te, come se fossi una mia sorella.»
Beatrix e Garnet erano praticamente amiche, non era la prima volta che parlavano di uomini, e di certe cose. Con un misto d’imbarazzo e commozione, che aveva sempre quando le dava del tu, Garnet riuscì solo a rispondere:
   «Grazie, Beatrix.»
 
Chiusa la porta, Garnet  si voltò indietro e vide Gidan seduto sulla finestra aperta a metà che si stava riavvolgendo i capelli nel codino. Aveva finito di vestirsi. Vedendo la sua ragazza investita dalla luce del sole in quella veste candida, gli venne in mente una canzone che aveva sentito una volta in teatro che gli era piaciuta molto, e attaccò:
 
“Metti anche tu la veste bianca
E schiudi l'uscio al tuo candor!
Ove non sei la luce manca;
Ove tu sei nasce l'amor!”

 
Quando finì gli disse:
   «Salve, Regina.» con la miglior voce d’attore impostato possibile.
   «Di solito i cavalieri si trovano a cavallo di chocobo, o di destrieri, non di una finestra.» precisò Daga per non arrossire. Poi continuò, più seria: «Sei sicuro di quel che fai? Andare alla ricerca di un artefatto in fondo al mare, nel posto dove c’era il passaggio per l’altro mondo?»
   «Il pericolo è parte del mio mestiere cara.» fece smargiasso «Te l’ho spiegato, credo che quell’arma stia meglio qui al castello o in mani dei Tantarus che in quelle di qualche pazzo con manie di conquista. E poi quando mi metto in testa qualcosa…»
   «… è difficile farti cambiare idea lo so. L’ho imparato quando mi hai abbandonata per due anni per andare a salvare tuo “fratello” Kuja. Io non ti ho rimproverato per quel gesto, e non te ne rimprovererò altri. Ma cerca di capire. Dopo questa notte, può passare altro tempo, prima di rivederci!»
   «Farò il prima possibile. Il mio compito è solo la discesa e la localizzazione dell’arma prima di tirarla su. Il lavoro difficile lo faranno gli altri ragazzi. » mentì Gidan. In realtà, il suo compito era di trovare la spada e di riportarla in superficie, tutto da solo.
   «In meno di un mese starò di nuovo qui con te.»
Poi si guardò per un attimo alle spalle e aggiunse:
   «E poi lo sai: io ritornerò sempre. Questo, è il mio posto in cui ritornare.» e si lanciò dalla finestra. Daga corse poco preoccupata alla finestra, abituata a ben altre acrobazie pericolose del ragazzo, in tempo per vedere il nuovo prototipo di moto-volante che guidato da Blank aveva raccolto con precisione Gidan. Solo il rosso la salutò con la mano, prima di sparire entrambi in una nuvola di vapore acqueo.
Quando furono spariti all’orizzonte Garnet disse con gli occhi lucidi:
   «Ed io starò qui, ad aspettarti.»
 
I passi metallici ritmati presenti nel corridoio a quell’ora indicavano solo una cosa: il comandante Steiner, benché diventato un alto graduato ispezionava le ali del palazzo come un qualsiasi soldato Plutò. Passata la stanza della regina, tornò indietro (“ma continuano ad aggiungere stanze in questo corridoio?” pensò.) e bussò rumorosamente alla porta giusta:
   «Regina Garnet, posso entrare?»
   «Un attimo, Steiner!» rispose stavolta Garnet. Il letto era veramente in uno stato pietoso. Non era assolutamente presentabile al cavaliere, che fra tutti era meglio che non sapesse dell’evoluzione del rapporto tra i due giovani. Daga decise di usare una sua vecchia magia per risolvere il problema: concentrandosi, una luce dorata inondò le coperte e i lenzuoli e diverse piccole ali d’angelo apparvero sui loro bordi. La regina con i movimenti delle mani, li spiegò, li rimise nell’ordine in cui dovevano essere messi sul materasso e poi con un rapido movimento, fece rientrare il tutto al suo posto. Soddisfatta del proprio lavoro, pensò:
   «Mi chiedo perché in battaglia, lasciavamo che fosse Eiko a preoccuparsi delle magie bianche… vieni Steiner, puoi entrare adesso!»
Rigido nel saluto militare, disse impettito:
   «Buongiorno Regina Garnet! Grande serata ieri sera! Siete poi riuscita a raggiungere un accordo con i nostri comuni amici?»
   «Si Steiner, per favorire la ricostruzione di Burmecia dovremmo aggiungere altre vetture Berqumea per favorire i trasporti di materiali. Ma per far questo, abbiamo bisogno di braccia forti. I tuoi Plutò sono disponibili?»
    «Le squadre di ricostruzione e di restauro sono pronte a partire a mio comando.»
   «Mi fido del tuo giudizio, Steiner.»
Era una frase che ripeteva spesso, giusto per sentirne la risposta.
   «Giudizio! Una qualità che certo non mi manca! Beh, ora torno al lavoro, con permesso!»
Stava per ripartire, quando allungò il braccio e diede una lettera alla regina:
   «Quasi dimenticavo! La principessina Eiko mi ha pregato di farvi pervenire questa!» Mentre i passi di Steiner si allontanavano, Daga iniziò a leggere la lettera.
Una volta finita di leggere, una espressione preoccupata accigliò il suo volto.
 
Mentre scendevano dalla moto per dirigersi verso lo Scenalante, Blank che camminava dietro Gidan notò una strana macchia scura sul collo di lui. Con tono malizioso chiese:
   «Notte movimentata?»
   «Senti…» iniziò Gidan.
   «Sto solo dicendo che dovresti dire a Daga di fare con…»
   «Stai zitto.» lo interruppe Gidan girandosi con aria ferma. Ma mentre rigirava la testa, Blank notò un sorrisetto malizioso sul volto dell’amico.
 
 
 
 
 
 




"oooook, chiedo scusa agli appassionati di lirica (magari esisteranno ancora...) per la mia citazione da 'l'aurora di bianco vestita' di Leoncavallo, la quale credo che sia più che appropriata in quel momento. Sono particolarmente soddisfatto per la riuscita di questo capitolo, e spero che continuerete a seguirla! Ne approfitto per ringraziare baby91, l'unica al momento, a supportarmi. E voialtri che cribbio aspettate? Sbrigatevi, se non volete arrivarvi a casa Batista e The Undertaker a casa (si vede che sono fissato, vero?) ;D!!!Alla prossimaaaaaaa!!!!"

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


“Salve a tutti i fan-fiction-finalfantasinari di efp!!! Dopo questo pessimo neologismo, direi che è ora di passare al capitolo 4!!! Buona lettura!"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La bellissima nave volante blu scura volava radente sulla superficie marina pure lei blu scura. Era talmente veloce e silenziosa che si confondeva con le acque al di sotto, e i gabbiani ci si posavano sopra, attratti dalla forma che ricordava vagamente la loro. Gidan la guidava tramite delle lunghe leve ricurve che finivano con dei pomelli, uno per mano. La sensibilità e la manovrabilità dell’idrovolante erano quasi impossibili da governare per una persona normale. La prima volta che Gidan si mise ai comandi, quando dovettero fuggire dalla distruzione di Branbal e dal collasso di Tera, sentì che l’Invincible gli trasmise una strana sensazione di familiarità che mai aveva provato guidando altri idrovolanti. Evidentemente la macchina era stata costruita per i Jenoma, e poiché Gidan era un Jenoma, la sapeva guidare con maestria invidiabile. Questa volta però pareva distratto, perso nei suoi pensieri. Blank stava appoggiato a una delle pareti della sala di pilotaggio, e osservando l’amico notò la sua aria malinconica e si rese conto che da quando si era svegliato dal coma magico in cui era caduto, spesso lo trovava con lo sguardo perso nel nulla. Le prime volte era senza dubbio una conseguenza del risveglio dal lungo sonno e dall’inattività del cervello, pensava, ma ormai erano passati quasi due anni. Blank, che conosceva Gidan e sapeva con chi aveva passato la notte di qualche giorno prima, gli chiese:
   «Ehi, sei ancora con noi?» ma non ottenne risposta. Cambiò domanda: «Cos’è sei ancora offeso per prima? Lo sai come sono fatto, troppi cambi d’idrovolanti mi danno ai nervi, per non dire allo stomaco. È ovvio che diventi scorbutico.»
   «Ti pare che me la prenda per una battutaccia? So bene il tuo rapporto con questi affari volanti. La verità è che…» sospirò «Forse non avrei dovuto accettare questa spedizione. E forse non avremo dovuto… farlo poco prima di una missione.»
   «Beh, dovrebbe essere stimolante no?» cercò di sdrammatizzare Blank.
   «Ah sì figurati! Mi sento ancora la carica addosso! » esclamò Gidan riscossosi dal torpore. Ma la ventata di allegria passò sul suo volto, manco fosse una nuvola passeggera:
   «Sono distratto, continuo a pensare solo a lei. Non sono abbastanza concentrato per trovare questa spada del cavolo.»
   «Gidan, che potevamo fare scusa? Se fosse stato solo per la richiesta esplicita del Granduca, ti avremmo lasciato ancora qualche giorno con Daga. In questo luogo ci sono troppi vortici di natura magica e i chocobo hanno paura a passarci. Ecco perché ci servono la tua percezione in materia, e l’esperienza del tuo Choco. Il punto preciso lo abbiamo già individuato. Sei tu che poi dovrai calarti giù e prenderla. Si tratta di passare vicinissimi alla Frattura e solo tu hai l’abilità per farcela.» replicò Blank.
Gidan rimase in silenzio ancora per un po’.
   «Sì forse hai ragione. Una missione pericolosa come questa, potrà distrarmi. E poi più tempo sto qui a lavorare, meno sento le lamentele di Daga! Sta sempre a dirmi, è pericoloso, chi sa che pensano i nobili se ci vedono in strada, ho cose importanti da fare, bla bla bla. Ma Dovresti vederla quando sta con me: le vedo in faccia quel sorriso di quando si tagliò i capelli ad Alexandria, quella timidezza di quando mi è atterrata con il sedere in faccia sul Cargoship, oppure di quella volta quando…»
Se Blank non lo fermava, quello era capace di raccontargli tutte le espressioni fatte da Daga in tutti e quattro i CD di F.F. IX:
   «Sìsìsì, ho capito, va bene. Non appena finiremo con questa ricerca e saremo passati a dare l’artefatto a Mikoto, ti depositerò sul balcone della regina. Vuoi anche una rosa da metterti in bocca, cavaliere senza macchia e senza paura?» disse sprezzante.
   «Ah, quello è e resterà sempre il vecchio Steiner!»
   «Certo, certo… attento all’iceberg!»
Dopo altri due minuti di slalom tra i ghiacciai, prima che a Gidan venne in mente di alzarsi di quota- distrazione che volete farci…- arrivarono proprio sopra il punto dove tre anni prima sorgeva l’Isola Splendente.
 
Intorno al posto individuato come il nascondiglio del tesoro sommerso, nuotavano alcune persone in una strana tuta coprente e ignifuga, e certi in groppa di alcuni chocobo blu. L’Invincible si fermò pochi metri prima del gruppo di sommozzatori e tramite una rampa, Gidan comandò al suo Choco con un paio di tocchi di talloni di entrare nel freddo oceano. Nonostante anche lui indossasse la tuta che era collegata tramite un tubo di sicurezza alla nave più vicina, appena entrò nell’acqua, sentì la bassa temperatura del mare e rabbrividì. Tuttavia il chocobo dorato si diresse con buona velocità dai suoi simili. Uno di questi pennuti era cavalcato da Antinood un nuovo membro dei Tantarus, un ragazzo dall’aria intelligente:
   «Signore, i nostri Chocobo hanno individuato quasi con certezza il luogo dove si trova la spada sommersa, cioè sul crinale est della Frattura, ma hanno paura a immergersi a più di una certa profondità con questa temperatura. Tra l’altro sta arrivando una tempesta, e ciò complica le cose.»
   «Riposo, soldato…» gli disse Gidan con aria quasi infastidita. «Ma che mi dai del “signore”? Non siamo mica nell’esercito! Comunque non preoccupatevi, da questo momento ci penso io. Ah, senti potresti farmi un favore?»
   «Certamente signor Gidan!» rispose il ragazzo facendo il saluto militare. Sarà stato intelligente, ma gli venne voglia di affogarlo.
   «Degli altri ragazzi non mi fido molto, conoscendoli aprirebbero la lettera prima di consegnarla. Se dovesse… capitarmi qualcosa di imprevisto, potresti consegnare questa lettera alla regina Garnet di Alexandria?»
   «Certamente. Ma non preoccupatevi signore.» lo rassicurò mostrandogli la fune «Il mio compito è garantire la vostra sicurezza: uno strattone se trovate il tesoro, due strattoni se vi trovate impigliato o incastrato, tre se vedete goccioline di condensa sul visore del casco, segno che l’aria sta finendo. La nuova tecnologia del vapore, ha fatto passi da gigante vero?»
   «Certo. Mi fido di te, Antinood.» gli disse Gidan dandogli la lettera chiusa con il bollo dei Tantarus (ovvero un tesoro aperto con due pale incrociate).
Chiudendosi il casco provò subito una strana sensazione di oppressione, ma quando cominciò a sentire un lieve sibilo dovuto all’aria che entrava, si rassicurò. Fatto ciò si avvicinò sempre di più nel punto indicatogli dal suo Choco e quando gli sentì fare:
   «K-KUEHHH!!!» tirò le redini e il chocobo s’inabissò nuotando come un pesce. Il blu ora ricordava molto la tonalità di quel lago fastidioso che era a Branbal. Forse aveva una composizione particolare per via della vicinanza con ciò che restava di Tera.
Erano passati due minuti e ancora non riusciva a vedere il fondo. La scomparsa dell’isola aveva naturalmente causato un abbassamento del fondo marino, ma si preoccupò giacché ancora non si vedeva. Poi la vide: la Frattura era un’apertura stretta e irregolare, con i bordi slabbrati, proprio come una brutta ferita. Dall’interno di essa risplendevano ancora i riflessi violacei che tempo prima illuminavano l’Isola Splendente. Ogni tanto usciva anche qualche zampillo magico e la luce abbagliante dava l’impressione di trovarsi ancora in superficie. Gidan sapeva di essere immune a questa luce vorticosa, poiché l’aveva attraversata per entrare in Tera, ma più che altro si preoccupò dell’attività magica che la Frattura aveva: poteva essere capace di sciogliergli lo scafandro come fosse stato burro. Ecco un altro motivo per spingerlo a sbrigarsi: cercò di spingere Choco il più vicino possibile al fondale, ma il pennuto a un certo punto si rifiutò, spaventato com’era dalle energie che lo permeavano. Gidan da quando si era risvegliato dal coma, riusciva a percepire in situazioni simili con discreta precisione due fonti magiche diverse, di distinguerne la provenienza e l’entità. Essendo poi la luce della Frattura un’entità familiare, l’individuazione dell’arma magica doveva essere semplice. Smontò dal chocobo e iniziò a nuotare a delfino. Girandosi indietro per vedere circa a che profondità era, notò Choco che stava risalendo. Sbuffando,continuò a nuotare, e arrivato ormai sulla superficie deformata, chiuse gli occhi e si concentrò: mentre lo faceva la realtà circostante gli si manifestò per quello che realmente era: la luce viola gli appariva tremolante e pulsava come se fosse una cosa viva; i lapilli magici che la Frattura emetteva avevano una scia, e un’aura del tutto diversa, rossa: erano pezzi del pianeta Tera che senza il flusso delle anime si stava lentamente disintegrando. Poi ad un certo punto, scostato da dove si trovava, notò un puntino blu nel fondo scuro dell’oceano. Avvicinandosi, notò una strana forza che lo permeava e lo attraeva, come una falena. Aprendo gli occhi vide che un’incrostazione ghiacciata aveva inglobato totalmente la spada, e all’interno s’intuiva la sua inconfondibile sagoma che risplendeva anch’essa. La tuta iniziava a bruciargli e le gocce di condensa a cui doveva stare attento erano comparse sul lunotto. Doveva aver nuotato per più tempo di quello che pensava. Non potendo certo fare un lavoro certosino, decise di staccare la spada dal fondo, con tutta l’incrostazione di ghiaccio. Estrasse quindi dal fodero la daga con cui era riuscito a sconfiggere Garland e Kuja, e vide che il piccolo globo al centro di essa reagiva alla luce emanata dalla spada più grande. Senza pensare al perché, Gidan infilò bene la lama fino all’elsa nel fondo ghiacciato e cominciò a far leva. Mentre lo faceva senti arrivargli in faccia le piccole gocce di condensa, segno che l’aria all’interno, con la bassa temperatura circostante si stava velocemente trasformando in ghiaccio. Il contrasto fra il freddo e il calore insopportabile della tuta, lo facevano lacrimare dal dolore. Ma non tirò il cavo di sicurezza, non lo guardò neppure. Continuò invece a far leva anche con le gambe, e in un colpo solo la lastra si staccò dal fondo, lasciando la sua impronta sulla roccia e sulla sabbia. Prendendola al volo per non essere trascinata dalla corrente, il giovane Jenoma strattonò una volta sola la fune, che cominciò subito a tirarlo in alto. Evidentemente i compagni avevano iniziato a preoccuparsi. Mentre intravedeva la luce del sole e le navi che lo aspettavano, guardò la spada e notò un’incisione al centro della lama blu scura, in caratteri comuni. C’era scritto:
Ultima.                                   
                                        
                                 
 
 
 
 
 
 
"Come penso abbiate intuito, in questo capitolo inizia a delinearsi il motivo per cui ho chiamato la fan-fic "Ultimate Weapon". Nella mia storia infatti, le armi più potenti dei personaggi non sono ancora state trovate tutte, ed infatti da qui andrà a delinearsi tutta la storia. Oddio, in effetti per essere precisi era meglio chiamarla 'Ultimate WeaponS' ma chiedo la clemenza della corte... ed ora una piccola parentesi per rispondere ai commenti:
baby91: ti ringrazio tantissimo per gli auguri di natale, che ricambio anche a tutti voi lettori, anche futuri. Nei prossimi capitoli dirò il contenuto della lettera, che anticipo, non è scritta da Eiko.
psiker: bè, devo dire che non credo di meritarmi tanti complimenti. Comunque sappi che la mia profonda conoscenza del gioco, è dovuta ad averlo ricominciato almeno 26 volte (nn esagero, le ho contate.) e finito almeno quattro! Spero di meritarmi altrettanti apprezzamenti anche nei prossimi capitoli!
p.s: scusate la differenza dei caratteri di scrittura da capitolo a capitolo, ma evidentemente non ho ben chiaro come funziona "nvu".
CIRICIAO GENTEEEEE!!!!!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


"Rieccomi, in quello che sarà l'ultimo capitolo del 2009!! Bè diciamo che ve ne ho fatte vedere di cose in quest'anno, ma questo nuovo sarà ancora più spettacolare!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Di nuovo a bordo, Gidan divenne più taciturno di prima: guardava continuamente la spada, e cercava di capire perché lo attraesse così tanto. Aveva lasciato la guida dell’Invincible in automatico, ed era seduto in un angolo a studiarla. Era veramente affascinante: non era molto lunga per essere una spada a due mani, sembrava persino che fosse stata ideata per essere usata anche a mano singola; l’elsa era di una robusta pietra nera, forse basaltica, e come paramano aveva uno strano motivo dorato che si diramava simile a raggi del sole che si attorcigliano; il colore della lama larga era difficile da definire: era blu, simile ai riflessi che il mare faceva agli iceberg, nella loro parte sommersa, ma era permeata anzi quasi balenata da una sfumatura verde chiara; le lettere della parola “Ultima” erano fatte di un comunissimo mithril, un metallo tanto ottimo quanto facile da trovare, che forse stonava un po’ con la ricercatezza degli altri minerali usati per fabbricarla. La superficie era fresca, ma solo a toccarla si aveva la certezza che fosse più dura del permafrost. Per quanto fosse attraente, comprese che si trattava semplicemente di un’antichissima spada, che magari non era neanche affilata. Si fece prestare un vecchio fodero da Blank e ce la infilò dentro, e la pelle calzò il metallo come un guanto. Se la mise in spalla.
L’Invincible arrivò a Madain Sairi in serata. Il vecchio villaggio degli sciamani era illuminato da diverse luci arancioni: visto da lontano sembrava un grosso albero di natale. Le impalcature per il restauro erano dappertutto, e si potevano notare pezzi di nuovi edifici che erano stati pazientemente ricostruiti mattone su mattone. Sotto uno di questi ruderi era stato trovato un condotto sotterraneo pieno di graffiti e pitture, formule sciamaniche antichissime, e lunghissimi affreschi che raccontavano la storia del villaggio, dalla scoperta dell’antico monile, per interrompersi improvvisamente con la sua distruzione. Quel posto era il più visitato dagli operai in pausa, e il preferito dagli aspiranti maghi e sciamani che non potevano chiedere di meglio per i loro apprendistati. Era lì a dirigere i lavori di traduzione Eiko, che benché avesse solo dieci anni non ancora compiuti sapeva farsi ben rispettare, abituata a dare ordini ai suoi moguri. Gidan andò dritto al suo banco di lavoro: aveva degli occhiali in montatura dorata, con delle piccole lenti ovali, del tutto uguali a quelli del dottor Totto e sopra il suo abituale abito giallo e rosa, indossava un grembiule grigio di polveri. Era seduta inginocchiata su una sedia, e stava scrivendo sul tavolo disordinato di utensili e sassi una qualche traduzione. Quando arrivò Gidan smise tutto, posò occhiali e lapis, e gli saltò addosso abbracciandoselo e ridendo allegramente. Ufficialmente, il suo “principe a cavallo della cometa” stava con Daga, ma chi non poteva permetterle di spupazzarselo un po’ quando l’amica non c’era? Gidan, come al solito, non si scompose, anzi ricambiò l’abbraccio con la bambina alla quale voleva comunque bene. Posandola giù disse:
   «Ora ti riconosco! In quel satin rosa con quella pettinatura stranissima e quei modi da principessina, non sembravi neppure tu!»
  «Ah, Gidan, sapessi quanto ha insistito papà per farmi sembrare come era la mamma da piccola. Però è un ingiustizia! Tu non eri mica vestito elegante! Sembravi il solito ladruncolo… anche se io ero veramente degna di un cavaliere ♥…»
Sì, Gidan sentì chiaramente anche il cuoricino alla fine della frase. Ma stavolta sorvolò. Tornò serio e chiese:
  «Lei è qui?»
  «Uffi!! E io che pensavo che eri venuto a trovarmi!» fece Eiko risentita. «Va bene, va bene, te la chiamo. È arrivata poco fa. Mikoto!». E dal buio uscì una longilinea forma femminile, con i capelli a caschetto biondi, occhi di un azzurro glaciale, e una coda anche lei bionda. Indossava una strana uniforme bianca con delle rifiniture rosse, che le lasciavano scoperte il ventre e che risaltavano le lunghe gambe. Mikoto era stranamente più alta di Gidan, nonostante tutti i jenoma erano alti quanto lui.
Sorrise a vedere il “fratello” come ormai lei lo chiamava, ma i suoi occhi non mostravano alcun sentimento. Benché si sforzasse di trasmettere qualche emozione, le rimaneva difficile, giacché la sua razza quasi non le provava. Parlò infatti con una voce molto fredda, quasi distaccata:
   «Sono contenta di rivederti: quanto tempo è passato, sei mesi forse?»
Colpito nel vivo, Gidan calò la testa sul petto incapace di rispondere all’ennesimo rimprovero simile che poco tempo prima gli avevano rivolto praticamente tutti. Possibile che tutte le persone che amava gli rimproverassero questo fatto? E possibile che lui le respingesse via in una maniera fra l’involontario e il volontario? Mikoto sorrise di nuovo, e questa volta sembrò quasi comprensiva:
   «Non importa, so che hai tanto da fare. Che cos’hai da farmi vedere?». Il ladro si riscosse sguainò la spada dalla fodera, e gliela porse con ambo le mani sulla lama. Mikoto la prese per l’elsa, e la maneggiò roteandola per analizzarle l’equilibrio e il calibro con una maestria che meravigliò Gidan.
   «Hai trovato davvero un’arma curiosa, fratello.» riprese la giovane Jenoma. «Da quello che riesco a comprendere, è che è stata fabbricata a Tera. Parecchio tempo fa anche. I caratteri con cui è scritto “ultima” lo tradiscono: ricordano delle vecchie scritte risalenti al primo tentativo di attivare il flusso delle anime, all’ingresso di Branbal. Ecco perché sono in “comune”.»
  «Da quando sei archeologa?»
  «La nostra razza è molto longeva: mi dai della sorellina ma credo di avere qualche decennio più di te.»
Ecco perché è così scorbutica pensò malignamente.
   «Questa spada ha il potere sia di catalizzare, che di utilizzare e amplificare il potere del suo proprietario. Ha natura magica non c’è dubbio.» aggiunse Mikoto.
   «L’ho notato quando l’ho trovata. Emanava un’aura del tutto diversa da quella circostante. Chi può mai averla messa lì? Ho appurato dal ghiaccio che la incapsulava che era stata posta su uno dei margini della vecchia isola. Chi può essere uscito da Tera, e poi ritornato dentro?»
   «Sempre se, è tornato dentro. Garland una volta mi disse che passare da Tera a Gaya in antichità era molto più semplice. Ecco perché ad un certo punto pose i quattro specchi per sigillarne l’entrata. Può anche darsi che non sia ritornato a Tera. Non c’era granché da vedere. Branbal era in declino al tempo. E poi…»
Gidan quasi non badò più alle parole della “sorella”. Aveva lo sguardo fisso sulla spada, che con le sue sfumature continuava ad attrarlo.
   «Cerca di non farci molto affidamento.» disse Mikoto notandolo. «In quest’arma percepisco un potere molto simile a quello del cristallo nero. Devi portarla là, all’Abisso dei Cristalli e vedere che succede. È l’unica cosa che possiamo fare per capire cos’è quel cristallo e cosa c’è all’interno.»
Gidan si riprese la spada, la squadrò un ultima volta e la rimise a posto.
   «La userò solo se necessario. Non preoccuparti. Senti Eiko, si è fatta una certa ora: non si cena in questo posto?» esclamò cambiando discorso. Dopo cena, andò a riposarsi ripromettendosi di controllare quel misterioso cristallo il giorno dopo. E cercare di non farsi di nuovo attrarre dalla spada.
 
Gidan arrivò all’Abisso dei Cristalli nella tarda mattinata seguente. Dopo il collasso di Iifa, non era più tornato in quel posto, nonostante si fosse ripromesso di farlo. Anche se quel posto gli rammentava brutti ricordi -la morte di Kuja e la sua caduta in coma- egli si stupì nel trovarlo bello. E bello lo era davvero: la conca semisferica era ripidissima sui fianchi, per poi raddolcirsi sul fondo che aveva la classica struttura di un cratere; visti dall’alto, i cristalli sembravano ricoprire come un manto brillante tutta la sua superficie. Esso brillava di una luce violacea, ma non in maniera intensa e inquietante come la Frattura dell’Isola Splendente. Era quasi un riflesso che ogni tanto illuminava i fianchi della conca. Cercando di non perdere ulteriore tempo, Gidan si assicurò la spada sulle spalle e iniziò con cautela a calarsi sul crinale roccioso. Con sua sorpresa notò che ogni tanto dai fianchi quasi verticali spuntavano degli speroni di roccia orizzontali a intervalli regolari. Saltare da uno all’altro era davvero semplice. Evidentemente erano stati posti per favorire la discesa dei sorveglianti.
  «E poi come risalgono?» si chiese Gidan ormai in fondo.
Di nuovo rimase meravigliato dallo spettacolo che gli si prestava davanti. I cristalli erano conficcati in terra, ed erano molto alti. Per fare un paragone, erano poco più alti di Amarant, e la loro larghezza variava con la forma. Certi avevano una forma cubica con una punta in fine. Altri sembravano dei diamanti giganti. Da alcuni dei più grandi crescevano lateralmente degli spuntoni affilatissimi, come fossero dei rami. Guardando la mappa che si era fatto dare da Mikoto, il Tantarus notò il cristallo misterioso che era quasi al centro del cratere ed era leggermente lontano dagli altri, che di solito erano molto ravvicinati, quasi a formare una foresta. Avvicinandosi notò con la sua nuova abilità di percepire la presenza di aure magiche diverse, che tra tutte le auree dei cristalli, una spiccava per la sua forza e che aveva un carattere più malvagio. Più si avvicinava più quest’aura s’ingrandiva. Gidan non guardò più la posizione sulla mappa, ormai si faceva guidare unicamente dall’energia. Girando a destra e poi a sinistra finalmente vide il cristallo nero.
Davanti a lui vi era una scena raccapricciante: un soldato, un capitano a giudicare dall’uniforme, era sollevato ad almeno un metro e mezzo da terra da una luce nera che usciva dal cristallo, e si dibatteva cercando di sfuggire al suo influsso malefico. Aveva la bocca spalancata, in un urlo muto. Girando di scatto la testa vide Gidan, e gli tese la mano in segno di aiuto. Il ladro, ripresosi dallo spavento, scattò verso l’uomo e caricò l’incantesimo più veloce ma improvvisamente la mano si ritrasse. Il volto dell’uomo assunse un ghigno che era completamente diverso dall’espressione disperata che aveva prima. Cessò di dibattersi e lentamente la luce che prima lo stava permeando, lo depositò delicatamente a terra. Il soldato atterrò in piedi sul terreno polveroso, e inspirando la luce che era intorno a lui, la sua pelle cambiò dal rosa al grigiastro. Gli occhi dal marrone divennero blu scuro. Quando parlò, la sua voce era sia quella del soldato, sia la voce della creatura maligna che Gidan aveva incontrato anni prima in frammento distorto dell’esistenza e che aveva sconfitto insieme agli altri:
   «Salve ragazzo… ti avevo detto che sarei tornato…»
Il volto di Gidan si fece serio di colpo. In un attimo era passato dall’essere il solito Gidan romanticone e spiritoso, ad essere l’abile combattente Tantarus. Sfoderò le daghe e si mise in posa.
   «Trivia…» disse.
 
 
 
 
 
 
"Bè direi che con questo finale ho messo delle ottime basi per l'anno venturo non credete? Buon anno nuovo a tutti, e che i vostri sogni possano realizzarsi!! Mai abbattersi, e mai arrendersi ci insegna questo gioco!! E questa è la massima, poichè io ho detto così!!! Ripeto il mio invito a commentare i capitoli!! Non vorrete mica vedervi arrivare a casa "Lo squadrone più potente dei fumetti" composto da: Arale, Broly, Ichigo Hollow, Lucci di One Piece, Thor e il maggiore Armstrong!!

                            

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


"Buon anno a tutte le centinaia e centinaia di fan di THE ALEX fflover89!! Dopo il finale a sorpresa dello scorso capitolo, preparatevi a altre sorprese!!"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’uomo che prima era il capitano addetto alla sorveglianza del posto, si scricchiolò le ossa. Trivia si era impossessato del suo corpo e ora lo stava rimirando. Poi quasi stesse parlando tra se e se, disse:
   «Sai, i corpi di questi semplici umani sono molto facili da manipolare. Non hanno di certo la resistenza magica di un Jenoma, o di uno sciamano. Ma una volta che hanno liberato la loro ira, diventano immensamente potenti. E tu, che hai sacrificato due anni della tua vita per salvare il tuo simile che aveva devastato il mondo, per dimostrare agli umani che esiste sempre la possibilità di perdonare… sei veramente un ingenuo. Mi chiedo perché il vecchio Garland volesse farti diventare il suo nuovo dio della morte.»
Gidan non prestò attenzione a ciò che quella cosagli diceva. Mettendosi in guardia gli chiese:
   «Che cosa vuoi? Perché ti sei impossessato del corpo di quel soldato?»
   «Ancora t’interessi di loro. Ti preoccupi di quello che ho fatto a quest’… uomo.» calcando con disgusto la parola "uomo". «In questo momento ho dimostrato parte della mia tesi. L’oscurità alberga nei cuori di qualunque essere vivente. E agendo sull’ira, io posso far diventare il più debole degli uomini, un potente strumento ai miei ordini.»
   «Noi non siamo degli oggetti! Pensavo ti fosti accorto di quanto fossero sbagliate le tue teorie, quando ti abbiamo sconfitto quattro anni fa!»
   «Oh, adesso ti eguagli addirittura a loro. Sappi però Gidan Tribal, che il tuo corpo di Jenoma è molto diverso dagli altri. Tu sei stato creato (sì, è un diminutivo, ma è così) per scatenare un potere derivato dall’ira, che neanche Kuja poteva sognare. Quando distrusse Tera ci andò vicino. Invece tutto quel potere che si era risvegliato in lui all’improvviso, non fece altro che accelerare il processo mortale che Garland aveva installato nel suo corpo.»
Gidan iniziò a comprendere.
   «Stai parlando della “Trance”?»
   «Sì, se così vogliamo chiamarla. Come ben sai, essa scaturisce quando l’odio per il tuo avversario dopo i colpi che hai ricevuto, e sommata alla rabbia del momento, esplode in un potente spirito bellicoso cambiandoti anche fisicamente. Ho notato che durante il nostro combattimento anche i tuoi compagni entravano in “Trance” e le loro capacità erano a dir poco decuplicate, anche se per poco tempo. A differenza di Kuja, che avendo un animo malvagio riusciva a mantenerla a lungo. Diversamente da lui, tu hai la resistenza fisica per poterla raggiungere. Un’ira che si manifesta in un cambiamento fisico a lungo termine… sai, credo che il tuo corpo incominci ad interessarmi.» sorrise quasi malizioso Trivia.
Gidan capì subito lo scopo del nemico. Voleva prendere il controllo indiretto del suo corpo quando era in “Trance” per poi usarlo per i suoi scopi, controllandolo dal corpo del soldato, più debole Non poteva sopportare il pensiero, anzi nemmeno, l’idea di poter essere usato contro i suoi amici, figuriamoci contro Daga. Balzando avanti attaccò Trivia, che parò immediatamente con la spada del soldato, rimanendo impassibile.
   «Perché ti reprimi, ragazzo? Forse perché hai paura di far del male a quest’uomo? Cosa sarà mai la vita di un soldato, in confronto a quello che io posso fare al mondo intero? Se mi uccidi, forse mi sarà difficile trovare un nuovo corpo da controllare…»
Gidan rise a quella scarsa equivalenza. Gli venne in mente un vecchio concetto di filosofia e glielo espose:
   «“Io sono te, come tu sei me, e siamo tutti insieme la stessa cosa”!» e continuò l’attacco. I colpi del soldato posseduto erano sferrati con una forza e una velocità che erano impossibili per una persona normale. Gidan cominciò presto a passare alla difensiva. Trivia continuava a martellare le daghe dell’avversario, mostrando una tenacia incredibile: con un colpo spedì il Tantarus addosso ad un cristallo, e poi colpì con un calcio che lo troncò di netto. Gidan rotolò nella polvere cercando di stabilizzare la caduta e si rialzò cominciando a riprendere fiato.
   «Tutto qua? Dov’è finita quella forza che hai dimostrato quattro anni fa per salvare il mondo?» ghignò il malvagio
Gidan espirò, unì le else delle lame, fece un salto, e una strana aura gialla lo circondò. Trivia si mise in difesa in attesa di una sua mossa, ma con sua sorpresa, lo vide correre dall’altra parte ad una velocità incredibile. Allora cominciò ad inseguirlo, ma a mano a mano che si avvicinava, vide che il Tantarus preparava un incantesimo. Quando lo lanciò, lo parò prontamente ma subito dopo un lampo accecante gli balenò all’altezza degli occhi. Urlando più per l’ira, che per il dolore, cominciò a colpire alla ceca con la spada. Gidan si nascose di nuovo, e si tastò il braccio destro. Guardandolo notò una ferita non grave ma abbastanza fastidiosa che gli sanguinava. Quando rialzò lo sguardo vide Trivia che prendendolo per la gola, lo sollevò e lo sbatté sulla superficie di un altro cristallo:
   «Credi di essere furbo, ad usare le tue scarse tecniche da ladro per fuggire? Strano, ora ti trovi con le spalle al muro.» disse Trivia, minacciandolo con la spada puntata al petto.
Gidan sorrise di nuovo smargiasso, con la sua classica espressione furba e intelligente. Spostando la mano verso destra prese uno spuntone, e lo piantò nella spalla del soldato posseduto. Con un urlo, si strappò rapidamente il cristallo facendo uscire del sangue scuro e affondò verso il fianco scoperto di Gidan, che si piegò. Sorrise, pensando di averlo battuto, ma si accorse che la sua spada non aveva colpito il ladro. Vide invece che la lama era stata presasotto il braccio di Gidan, che cominciò ad illuminarsi di una luce rossastra. La luce ricoprì interamente il corpo del ladro, che anche fisicamente cominciò a cambiare: i muscoli divennero più grossi, le mani e le spalle si ricoprirono di una pelliccia scarlatta, e anche le vesti cambiarono: gli stivali divennero degli schinieri intarsiati, la cintura da cuoio diventò di latta, e il gilet divenne una giacca; i capelli si ramificarono e fecero saltare il nastro che reggeva il codino e divennero rossi anche quelli. Gli occhi si aprirono e da azzurri color del cielo, divennero rossi come il rame.
Gidan era entrato in Trance.
Sollevò quasi con naturalezza la spada di Trivia, che istintivamente ci si aggrappò con più forza. Poi girando su se stesso lo lanciò a terra. Gidan batté il pugno sul terreno e rapidamente un lampo saettò al livello del suolo, per poi rialzarsi e diventare simile a un globo che colpendo Trivia, sollevò un’ondadi pura energia simile ad uno tsunami. Un enorme polverone circondò l’area, e quando il malvagio essere si rialzò dolorante non vide più Gidan, né sentì più la sua forza spirituale. Tutto ciò che era rimasto di lui erano degli strani caratteri incisi sul terreno dove era passato l’incantesimo.
   «Non puoi continuare a fuggire ragazzo. Devi fermarmi, giusto?»
   «Non ho intenzione di uccidere il tuo corpo.» disse la voce lontana di Gidan.
Non riuscendo a localizzarla con l’udito - il tuono doveva avere rovinato i timpani del suo organismo ospite- continuò a parlargli.
«Sai ragazzo, quando mi sono manifestato nel Mondo del nulla, pensavo che creare un universo senza il cristallo originale, potesse essere una soluzione per fare un mondo senza vita. Ma dov’è la soddisfazione di poter regnare un mondo senza sudditi, non trovi? Quando mi avete sconfitto, ho capito tutto: se avessi distrutto il cristallo, avrei distrutto anche me. Ecco perché racchiusi la mia essenza in uno dei cristalli vicini, sperando di poter tornare nel passato. Successe però una cosa insperata.»
Mentre parlava, Gidan cercava di calmare il suo stato di “Trance”. Non poteva uccidere quell’uomo, ma se non era trasformato non era in grado di contrastarlo; sembrava non esserci soluzione. I cristalli intorno a lui contenevano energia pura, che poteva danneggiare l’oscurità dell’entità maligna. Ma come poterla usare? Spezzare un intero cristallo volontariamente e usarlo come catalizzatore era quasi impossibile: essi erano molto duri, e poco dopo si dissolvevano. Come fare dunque?
  «Il mondo di cristallo, riuscì a fermare grazie al potere dei ricordi la deflagrazione che l’albero di Iifa aveva innestato e che probabilmente avrebbe risucchiato tutto in quell’abisso di morte. Poco dopo pensai che i cristalli non avessero più la forza di rimanere in questo mondo, ma accadde un altro fatto insperato: si conficcarono nel terreno, che stranamente cominciò a mantenerli stabili. Tuttora non mi spiego come sia accaduto. Poi aspettai. Aspettai che uno di voi umani fosse troppo stupido ad avvicinarsi al mio cristallo, che resi volontariamente nero, per prendere possesso del suo corpo. Ed è stato parecchio facile: immagini un graduato costretto a passare una settimana da solo in un posto del genere? Anche il più tranquillo avrebbe iniziato a covare rabbia e paura. Poi arrivasti tu. Sai una cosa, ragazzo? Se non vuoi partecipare con me alla mia opera di distruzione, troverò qualcun altro che lo farà. Quella ragazza che era con te, come si chiamava… ah, si la chiamavi Daga.»
Gidan sbarrò gli occhi e si volse rapidamente verso il nemico, che gli dava le spalle.
   «Se non riuscirò a controllare il tuo corpo, vorrà dire che mi occuperò io di lei. E sarà un grande piacere farlo…indirettamente.» sibilò.
   «NO!» urlò comparendo rapido alle sue spalle e colpendolo con un gran calcio volante. Rientrando senza neanche volerlo volontariamente subito in Trance, trascinato dalla furia lanciò una palla di energia contro il nemico che esplodendo al contatto, lo fece continuare a volare stordito verso un cristallo molto grande. Quando Trivia ci si schiantò contro, Gidan brandì la spada che aveva sulla schiena: l’arma reclamava e chiedeva di essere usata dopo secoli di inattività, e il tantarus la assecondò. L’elsa si permeò di parte della sua energia, e tutta la lama si macchiò del colore della Trance: la scagliò come una lancia contro il corpo del soldato, che infilzato non riusciva a muoversi. L’energia del cristallo cominciò a fuoriuscire da esso; Gidan corse rapido ad impugnare l’elsa e si concentrò per far confluire l’energia dei ricordi dentro la lama, e quindi nel corpo del soldato, dove si trovava Trivia. Forse questo poteva salvarlo, pensava. Trivia però, con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca cominciò a ridere.
   «Cosa c’è di così divertente?!» urlò Gidan, che non riusciva a contenere l’energia furente della trasformazione.
   «Io so due cose che non sai: la prima è che sei molto prevedibile. La seconda è che questa spada è mia. E non farebbe nulla contro di me se anche io la tocco.»
Ed era vero. Per quanto si sforzasse, l’energia del cristallo stava scemando, e il cristallo iniziava a dissiparsi. L’arma non rispondeva al suo comando come aveva fatto prima, quando si era impadronita di un po’ della sua energia.
   «Ah, e ne so una terza. Pensi che avrei potuto governare il mondo, con un misero corpo come questo, e con un piccolo ladruncolo come burattino? Oh, ma adesso ne ho uno nuovo proprio qui davanti a me: giovane, forte… e molto arrabbiato.»
Gidan terrorizzato, si ricordò immediatamente degli avvertimenti di Mikoto. Si era lasciato ingannare, era caduto con tutte le scarpe nel tranello fattogli. Cercò di lasciare l’elsa della lama ma Trivia gli prese il braccio all’altezza della ferita e cominciò a stringere immobilizzandolo. Il corpo del soldato s’illuminò di nuovo di una luce blu, che investì quella rossa di Gidan. La luce entrò nella ferita e cominciò ad avere delle allucinazioni: vide improvvisamente tutti i suoi ricordi, passati, presenti, insieme ad alcuni futuri, che furono oscurati da una sostanza nera. Man mano che avanzava, perdeva sempre più coscienza di se stesso. Gli rimase solo un ricordo, a cui si aggrappò selvaggiamente: il ricordo di una bellissima fanciulla dai capelli neri che lo abbracciava sotto delle lenzuola bianche. Anche questo ricordo scomparve.
Poi, il nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
"Bè se non ricevo il premio per la critica su questo capitolo, vuol dire che è tutto un magna magna... tengo a precisare che il passo filosofico che Gidan dice a Trivia, è in realtà un pezzo tradotto dalla canzone 'I am the walrus' dei Beatles'. Anche questa mi pare più che azzeccata. Ringrazio tutti coloro che hanno continuato a seguirmi pazientemente, e coloro che hanno semplicemente letto i primi tre capitoli e hanno rinunciato per chissà quali motivi: a costoro dico di pubblicare i propri commenti e recensioni, dimodochè posso capire le loro sicuramente giuste ragioni. Prego solo usare un linguaggio non volgare e offensivo.
Detto ciò vi saluto!!
IF YA SMEEEEEEEEEEELLL!!!! WHAT THE ALEX, IS, COOKING!!!"

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


"Salute a voi, fedeli discepoli del final fantasy 9 (e anche altri, perchè no?) e fedeli seguitori del sottoscritto, il vostro “THE ALEX” fflover89. Aspettando di capire in quale carattere pubblicherà questo capitolo il programma nvu o il sito ( a stò punto nn sò a chi dare la colpa...), vi invito alla lettura di questo nuovo capitolo!"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Carissima Daga,
          Ti chiedo di scusarmi per non essere presente alla tua bella festa: mi sarebbe piaciuto venire, ma Eiko aveva bisogno del mio aiuto a Madain Sairi, i cui lavori di restauro procedono a gonfie vele. Il motivo per cui t’invio questa mia, è a causa delle condizioni di Gidan. Come penso tu sappia, quattro anni orsono alla fine della vostra lotta contro il male, il tuo ragazzo (non arrossire, tanto so che è così!) è caduto in coma magico per quasi due anni. Quando si svegliò, non ho potuto trattenerlo dal correre da te, ma non è di questo di cui devo parlarti: dalle analisi che ho fatto dei campioni del suo sangue, ho notato che il coma è stato causato da una sorta di gas che si è intromesso nel corpo di Gidan. Grazie ai nostri poteri combinati siamo riusciti a non farlo diffondere ulteriormente. Ma dopo un po’ di tempo, ho visto che il gas ricompariva! L’ultimo campione di sangue che ho in mio possesso ha evidenziato questo cambiamento. Fisicamente lui è rimasto uguale, anzi sembra che l’esperienza lo abbia reso in qualche maniera più forte. Non credo che il gas possa avere effetto anche su di te, anche se non ho controllato liquidi diversi dal sangue e dalla saliva… tutto quello che ti chiedo, però è di stare attenta. Il suo corpo potrebbe essere debole contro certe entità che adoperano controlli telepatici. So che sei una specialista nella magia sciamanica. Se puoi proteggerlo in qualche modo fallo. Non ho voluto chiederlo a Eiko perché è ancora troppo giovane per sapere usare bene certe magie. Se riuscissi a leggere questa lettera prima della partenza di Gidan te ne sarei grata. Altrimenti aspetta il suo ritorno. Mi dispiace dirtelo, ma dopo il recupero della spada deve venire qua nel continente esterno per un problema. Salutandoti, spero tu riesca a scusarmi.
                                                                       Mikoto.”
Ricevendo questa lettera Daga si preoccupò non poco: conosceva bene il rischio che il suo amato correva. Ricordava il controllo mentale che Kuja aveva esercito sulla madre. Anche se parziale, l’aveva mutata in una dominatrice assetata di potere. Si ricordò anche delle parole che Gidan in un momento di grande crisi esistenziale a Tera gli aveva rivolto:
   «Sono solo un recipiente vuoto…»
Passarono giorni, e settimane. Daga cominciava a stufarsi di quell’attesa. Però sapeva in cuor suo, che il suo ragazzo sarebbe tornato presto, e che sarebbe stato tutto per lei almeno per sei mesi. Nel frattempo Daga s’impegnava nell’organizzare la costruzione di nuovi quartieri per le classi basse. Fondi purtroppo non cene erano e di certo non poteva chiederne ai regni alleati che ne erano poveri, proprio come il suo: quindi le venne in mente a Daga un’idea: chiedere ai Tantarus di mettere all’asta alcuni dei loro bottini.
Come il proverbiale cacio sui maccheroni, il giorno stesso, Gidan tornò ad Alexandria. Daga sentì il portone dell’androne che si apriva, e che sbatteva fragorosamente sulle pareti. Sentendosi il cuore in gola, si precipitò giù per le scale, pronta a riabbracciare il suo innamorato, che non vedeva da quasi un mese. Giunta nell’androne vide la familiare figura di Gidan incappucciata e ricoperta da un mantello nero, con una spada lunga fissata alla schiena da una cinghia. Sembrava avere un’aria stanca, era piuttosto pallido. Si abbracciarono, e rimasero così per qualche secondo. Posandola a terra le disse senza togliersi il cappuccio:
   «Sono tornato, Garnet. Finalmente.» aveva una voce un po’ più profonda del solito, notò.
   «Spero che i Tantarus non ti diano altre missioni così pericolose: non sai quanto fossi in pensiero per te!»
Gidan sembrò un po’ interdetto, come se non sapesse che cosa dire:
   «Mi dispiace che tu ti sia preoccupata, Garnet. Farò in modo che non ci disturbino più: parola di Gidan.» e fece per baciarla. Daga si avvicinò e sfiorando la sua bocca gli disse:
   «Sì… peccato che tu non sia Gidan!». Daga prese da sotto la gonna, la sua vecchia asta “pinna di balena” e lo colpì in pieno stomaco: prima di scendere le scale, lo aveva visto coprirsi con circospezione la testa con il cappuccio, ma non ci fece caso. Ma poi le venne la prova definitiva: la stava chiamando Garnet. Era sicura che fosse in realtà qualcun altro, un misero tentativo di qualche manigoldo per spillarle dei soldi forse. Ma la sua presenza era troppo imponente, troppo diversa da un essere umano. Piegandosi dal dolore Gidan, anzi l’uomo che aveva le sue sembianze, prese un altro vigoroso colpo sul mento, un altro sulla testa, e poi uno spettacolare calcio che lo fece volare via, facendogli perdere il mantello e il cappuccio che gli coprivano il volto. Invece di schiantarsi sul muro, cosa che sicuramente si sarebbe verificata, si fermò a mezz’aria e si riprese, strofinandosi la bocca sanguinante col dorso della mano.
   «Sei poco documentato: solo in rarissimi casi lui mi chiama con il mio nome! Se volevi tentare di imitarlo hai fallito miseramente!»
   «Non pensavo che il vostro rapporto fosse così avanzato… e particolare.» disse colui che aveva le sembianze di Gidan. Improvvisamente arrivò Beatrix che vedendo l’essere sospeso a mezz’aria e la sua regina in posa da combattimento, sguainò la spada e chiese:
   «Chi è costui, maestà? Vi ha fatto del male?»
   «No, ma… sembra Gidan, ma allo stesso tempo non è lui!» rispose Daga spaventata più per quello che aveva fatto, che per quello che stava vedendo.
   «Beh, sembra sia inutile continuare a fingere, Regina Garnet.» disse l’individuo con una voce che era sia quella di Gidan, ma contemporaneamente era anche quella di un altro «E’ evidente che io non sia Gidan. O meglio, sono Gidan, fisicamente parlando. Mi avete già visto da qualche parte, ricordate? Andiamo, Regina Garnet, non ditemi che ancora non avete capito chi sono?!»
Daga fece appello alla sua memoria: chi poteva essere qualcuno così potente da assumere un’identità così simile a un’altra persona? Scartò a priori gli Epitaph, quel mostro di Oeilvert che creava copie di chi aveva di fronte. Quelli non volavano. No, la sua presenza emanava un’aura malvagia che un doppione, o un semplice mago con il dono della metamorfosi non poteva avere.
   «…Trivia?» quasi mormorò Daga. L’interpellato fece un elegante inchino, quasi a complimentare l’intelligenza della ragazza.
   «Ma perché assumere le sembianze di Gidan! Cosa gli hai fatto? Dov’è lui?» gli urlò, convinta che il vecchio nemico la stesse ingannando.
  «Assumere le sembianze? Non guadagnerei nulla nell’assumere le sembianze di un altro, senza averne il potere. E questo corpo ha un immenso potere… ed io me ne sono impossessato!» sibilò Trivia. Daga assunse un’espressione disperata. La piccola parte di mondo che l’era rimasta, gli era istantaneamente crollata addosso.
   «No… non è possibile. Gidan! Gidan, rispondimi! Rispondimi!» disse con la voce rotta dalla rabbia e dalla paura.
Sentiva una profonda tristezza, e un profondo rancore dentro di se, ma non riusciva a piangere. Cadde in ginocchio, con il mondo che le crollava intorno e la lasciava isolata. Il castello, Beatrix… tutto sparito.
La riscosse l’orrenda risata che Trivia gli fece:
   «Patetici esseri mortali… provare dei sentimenti così controllabili come l’ira… o l’amore. Vi ho offerto la possibilità di vivere in un mondo privo di sentimenti e di paura, ma voi avete voluto continuare a credere nei vostri, come li chiamate, valori. Grazie a questo corpo, non mi accontenterò di distruggere il vostro mondo: creerò un nuovo Mondo dei Ricordi, nel quale instaurerò le memorie del mio nuovo dominio! Ovviamente dopo aver ucciso tutte le creature presenti su questo pianeta. E ho già in mente qualche idea. Ma prima… ho intenzione di vendicarmi di coloro che mi hanno impartito il dolore della sconfitta… per la prima volta dopo millenni!»
Il corpo di Gidan mutò di colore: i capelli divennero blu, gli occhi color del ghiaccio, la pelle di un pallore mortale; i vestiti assunsero una forma e uno stile irriconoscibile dai classici abiti da ladro che Gidan usava indossare: un completo simile a un’uniforme da soldato gli cinse il corpo, dei guanti ferrati con foggia di drago gli comparvero sulle mani, e degli stivali decorati con disegni mostruosi gli si allungavano fino alle ginocchia. La spada volò da terra e cinse dalla il fianco di Trivia, e la cinghia, divenne un’ elegante cintola di pelle scura. In quelle vesti e in quei colori, il dio della morte e del nulla era molto più simile al suo vecchio io che all’organismo ospite. Vedendo quel successivo cambiamento nel corpo di Gidan, le cadde la clava di mano. Trivia ghignando allungò il braccio nella sua direzione, e caricò l’incantesimo. Beatrix che stava ancora ferma, decise di entrare in azione, ma non poteva coinvolgere la regina nell’imminente combattimento.
   «Maestà, scappi! Presto!» gli urlò. Ma Daga era come paralizzata. Trivia stava lentamente caricando il suo attacco allungando, pensando, la sua sofferenza.
   «Mia Regina!»
Garnet continuava a rimanere immobile, con le guancie rigate dalle lacrime.
   «Daga!» urlò più forte la shogun. All’urlo del suo soprannome, Garnet si riscosse e iniziò a correre verso il portone, ma era troppo lenta. Trivia decise di colpirla alle spalle, e un raggio nero partì dalla sua mano. Con un rapido movimento, Beatrix s’interpose tra l’attacco e la schiena della regina, e parò il colpo che esplose sulla sua armatura.
   «Maestà, scappi. Mi occupo io di lui!» gli disse la donna. Poggiò la mano sulla lama, che venne circondata da dei cerchi di energia che si raggrupparono in un punto unico: la magia venne scagliata a velocità incredibile contro Trivia che si illuminò improvvisamente e si schiantò contro la parete, facendo tremare le stanze vicine. Non dandogli tempo di riprendersi Beatrix saltò contro il nemico e affondò dei colpi ma Trivia riusciva abilmente a schivarli e a deviarli con le mani. Innervosendosi, Beatrix fece illuminare di rosso fuoco la sua “Save the Queen” e colpì: delle enormi forme circolari partirono dalla spada, lasciando profondi solchi sui muri e sui pavimenti di marmo. Trivia non si muoveva. Era riuscito a fermare con ambo le mani l’attacco, lasciando stupefatta Beatrix, che venne colpita da una forte esplosione di energia che la scagliò lontano. Il nemico non si era nemmeno mosso.
Rialzandosi dolorante, vide Trivia che ancora a mezz’aria disse:
   «Non mi sembra questo, né il momento né il luogo per la mia vendetta. Sarò io a dare le regole per il nostro prossimo incontro. Se volete fermarmi, venite all’Abisso dei cristalli… avrò una bella sorpresa per voi. Sempre che non siate… impegnati.» e semplicemente scomparve.
La shogun, cercò di riprendere fiato e si alzò da terra zoppicando. Aveva tutto il vestito bruciacchiato, e una brutta scottatura sulla spalla. Il cling clang dell’armatura di Steiner si avvicinò più ritmato che mai, e aiutò a sollevare la sua dama.
   «Beatrix, perdonate il ritardo! Appena ho visto la principessa correre per i corridoi del castello con quell’espressione sul volto, ho capito che c’era qualcosa che non andava! Dov’è quel brigante?» disse il cavaliere, imputando a Gidan la colpa forse di un qualche litigio.
   «Steiner…» disse Daga che ancora scioccata, era rientrata nel salone appoggiata allo stipite del portone «Quello non era Gidan: era Trivia. Trivia ha preso controllo del suo corpo.»
   «Cosa?! Ma è orribile! Come può essere accaduto! Gidan non è così stupido da farsi manipolare! Trivia l’abbiamo sconfitto insieme.»
   «Non del tutto. Non del tutto…» si lamentò la regina. Sembrava un’altra persona.
 a Beatrix la lettera di Mikoto. Poi ricominciò a parlare, con il mento che gli tremava. Porse la lettera a Steiner.
   «Me lo aveva promesso… in un mese sarebbe tornato da me. E lui è tornato. Non doveva essere così…» mormorò fra se «Perché? Perché a lui… non avrei dovuto colpirlo. Se avesse coinvolto anche me nel suo controllo mentale, forse adesso sarei ancora con lui…»
   «Non lo dica nemmeno per sogno, principessa: Gidan non avrebbe voluto vedervi dire cose del genere.» Steiner parlava del suo ragazzo al passato, come se fosse una persona morta da tempo.
   «Può darsi… ma ormai…» e non riuscì a continuare. Piangeva con compostezza, senza un lamento, un singhiozzo. S’incamminò a lenti passi verso le scale e verso la sua camera. I due cavalieri rimasero intontiti a guardare la loro Regina senza pronunciare verbo. Non l’avevano mai vista così, neanche quando era diventata muta per il trauma ricevuto dalla distruzione di Alexandria. Dopo aver udito lo schianto della porta, e il rumore di una serratura che veniva chiusa, i due sentirono i ritmati singhiozzi del pianto di Daga.
 
 
 
  «Steiner, dobbiamo fare qualcosa.» disse la shogun dirigendosi nel cortile dove aveva già radunato la sua guardia personale e i plutò di Steiner.
  «Ma perché hai radunato solo pochi soldati? Quel maledetto lì spazzerà via!»
  «Dobbiamo mantenere il controllo della situazione all’esterno e all’interno della città. Se Trivia ha intenzione di scatenarsi, ci saranno distruzione e morte. La città dovrà essere evacuata… di nuovo. L’esercito allarmerebbe la popolazione. Se si capisse che la regina non è in grado di regnare scatterebbe la rivoluzione. E allora ci sarebbero morti. Come quel giorno.»
Steiner ricordava con spavento l’orrore della distruzione di Alexandria da parte di Bahamuth prima, e da Garland poi. Ricordava come combatté con una forza pari a un ercole contro i terribili nebbiosauri, troncando loro le zampe e mozzandogli la testa. La nebbia annebbiava i suoi sensi, e persino le magie sacre di Beatrix sembravano inefficaci. Cercava di salvare i cittadini, ma molti crollavano in un sonno mortale per la nebbia espirata da quei mostri, mentre il sangue quasi inzuppava il terreno. Non voleva che risuccedesse.
  «Se altro non possiamo fare per la nostra città…»
  «La regina Garnet ora è sola. Noi dobbiamo pensare alla città per lei.»
E nello stesso momento guardò la finestra della stanza reale, sperando che rimanesse chiusa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Povera Daga... devo dire che mi è presa a male solo al scriverla questa scena... purtroppo la nostra regina preferita è proprio sfortunata. Ma vedrete che avrà una delle più grandi fortune che possano capitare, e che sarà lei la chiave (no, non avete sbagliato prodotto della square...) della situazione. Ri-invio il mio invito a commentare, fatemi sapere i vostri pareri e i vostri consigli, e per carità, per favore lo chiedo, commentate se qualcosa non vi è del tutto chiara. Ciriciaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaao a tutti!!!!”

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


"Oook, ve lo concedo, il precedente capitolo non è stato gran che, ma credo che questo sia meglio realizzato e che apra nuovi interrogativi sulla figura di Trivia. A proposito, da ora in avanti i capitoli saranno divisi in due parti: una dove narro le vicende di Daga e company, e una dove illustro i movimenti del malvagio Trivia. A più tardi, e mi raccomando continuate a commentare!"
 








Mikoto iniziava a preoccuparsi: dopo aver controllato il cristallo misterioso, Gidan doveva tornare a Madain Sairi a fare “rapporto”, ma erano passati già due giorni. Eiko pensava che avesse risolto facilmente la cosa, che evidentemente non aveva altro da riferire e che era tornato ad Alexandria alla chetichella per stare con Daga. La Jenoma non la pensava così: aveva uno strano presentimento, e di solito non sbagliava.  Con una scusa si allontanò dal villaggio degli sciamani e si diresse all’Abisso dei Cristalli. Mentre discendeva il crinale, non vide il cristallo nero e ciò aumentò la sua preoccupazione; scesa sulla superficie vide alcuni cristalli spezzati, e i segni degli incantesimi di Gidan, insieme a qualche sporadica macchia di sangue fresco sul terreno.                                            “Che diamine è successo qui?” si chiese. Un semplice controllo in una zona deserta, eccetto qualche insetto, non poteva certo spiegare i resti di un combattimento di quel genere. Mentre cercava altri indizi, vide un soldato a terra: era il capitano che mensilmente veniva mandato da Lindblum a sorvegliare la zona. Era privo di conoscenza, ma vivo. Ritenendo che fosse l’unico in grado di spiegarle ciò che era successo, Mikoto impose le mani e fece un incantesimo curativo. Eiko l’aveva iniziata alla magia, ma non era ancora pratica, soprattutto se era sotto pressione. Ma il potenziale lo aveva. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, il soldato si svegliò aprendo lentamente le palpebre. Con un filo di voce disse:
   «Sono in paradiso?»
   «No, soldato. Una sciagura si è abbattuta su di te: sei fortunato a essere vivo.»
Guardandosi intorno, il soldato riuscì a rizzare la schiena.
   «Avrei dovuto capirlo. Gli angeli hanno le ali.» rispose indicando la Jenoma, che non accorgendosi subito del complimento, rispose con un semplice:
  «Beh…grazie. Ricordi cosa ti è successo?»
  «Non riesco a capire… ero qui per sorvegliare questo posto, stavo facendo la solita ronda, quando passai davanti a un cristallo tutto nero, a cui non aveva mai fatto caso. All’improvviso, una voce nella mia testa…» disse toccandosi la fronte dolorante «… mi diceva di avvicinarmi, che mi avrebbe fatto un regalo. Non capivo… poi uscì un fumo densissimo che iniziò a circondarmi, non riuscivo più a muovermi. Volevo urlare, ma la bocca non produceva suono. Poi venne un ragazzo, biondo con la coda. Appena mi vide, si mosse per aiutarmi… poi non ricordo altro.»
Mikoto non riusciva a crederci: dentro il cristallo si nascondeva un’entità viva, un parassita per di più. Nella sua testa provò un misto di forte ansia e di preoccupazione allo stesso tempo: era questa l’emozione chiamata paura?
Le sue teorie erano andate riccamente a farsi benedire. Dopo un attimo di concentrazione, il capitano ricominciò a parlare, e pregò che non le dicesse quello che pensava:
   «Mi pare di ricordare altri frammenti, come in un sogno. Vedevo che stavo combattendo contro quel ragazzo, il mio corpo non era più controllato da me. Parlava con un'altra voce con parole non mie. Poi… ho visto il ragazzo trasformarsi e colpirmi con una lunga spada. Ricominciai a sentire delle sensazioni, come se la mia anima venisse…messa da parte, e quel fumo che entrava in una ferita che il ragazzo aveva sul braccio…»
   «E poi?!» lo incalzò lei «Dov’è andato?»
   «Non lo so, giuro… prima di svenire, lo vidi che rideva.»
Mikoto cadde in ginocchio, e capì: quell’entità aveva usato il corpo del povero soldato per impossessarsi di quello del fratello in Trance, che era evidentemente il suo vero obiettivo. E capì anche che quelle chiazze nere nel sangue di Gidan analizzato tempo prima, provenivano dalla stessa entità che ora lo possedeva, come per preparare l’organismo ospite alla sua venuta. Le venne in mente un’ unica “persona” che aveva il potere per farlo. Il fratello le parlò diverse volte di Trivia e del suo piano. Improvvisamente, un turbinio di emozioni l’assalì, tristezza, risentimento, paura, angoscia, amore fraterno. Non riuscì a controllare tutte: lanciò un lungo grido disperato per sfogarsi. Si sentì quasi meglio dopo. Rialzandosi, notò incastrata nella maglia del soldato una scheggia lunga un paio di centimetri, che emetteva una luce blu e verde. Prendendola, la Jenoma capì che aveva in mano una preziosissima scheggia dell’ “Ultima” così come l’aveva giustamente battezzata il fratello. Se avesse pensato prima a raccogliere un campione della lama magica, forse ora Trivia non sarebbe rinato dentro il corpo di Gidan. Aiutò il capitano a rimettersi in piedi, che afferrandole il fianco e la spalla, le fece male:
   «Non ti preoccupare, non ti faccio cadere. Non c’è bisogno di stringere così forte.»
  «Non sto stringendo!» fece sorpreso e risentito il soldato.
Le venne un dubbio: chiese al soldato porgendogli la sua spada:
   «Prova a piegarla.»
   «Provare a piegarla?» ripeté incredulo. Al segno di assenso di Mikoto, con una certa curiosità brandì l’arma dall’elsa e dalla punta, e iniziò a spingere da ambo i lati. La lama si piegò istantaneamente con un forte stridore e il capitano sgranò gli occhi colpito dalla sua forza.
   «Giuro che stamattina non piegavo le sbarre.» riuscì a dire mentre con altrettanta facilità la ripiegava.
Mikoto si fece cupa: se un semplice uomo riceveva un incremento di forza simile dalla presenza di Trivia nel suo organismo, chissà Gidan come poteva essere diventato più potente ai suoi comandi.
 
Dall’altra parte dell’oceano, precisamente sopra Lindblum, ritto sopra un enorme drago-zombie stava Trivia: guardava sorridendo la florida città della tecnologia, la città che ospitò il gioiello ancestrale e che ora da i suoi natali alla piccola Eiko. La vendetta verso coloro che lo avevano sconfitto doveva iniziare da qui, pensò.
   «Lindblum… la sede del Granducato dei Fabool. E se questa memoria non m’inganna, sede anche della Sagra della caccia. Potrei cancellarla dalla faccia di Gaia con una semplice mossa…» disse allungando la mano verso la metropoli sottostante, sognando di distruggerla semplicemente stringendo le dita «Oppure potrei raccogliere qualche anima meritevole… dopo aver ucciso le altre, ovvio. Ma entrambe queste opzioni non mi allettano…»
   «Posso chiederti che stai facendo?» fece una voce femminile alle sue spalle. Dire che Trivia si spaventò è dir poco: con un movimento piuttosto comico fece per voltarsi e rischiò anche di cadere, reprimendo un’imprecazione:
   «Porc… venire dietro le spalle in quel modo! Non si fa!» ma appena resosi conto della figuraccia fatta, dicendo una frase assolutamente non da lui, quasi pentendosi di essersi impadronito di un personaggio spiritoso, si rivolse con un più composto:
   «Ma bene! Un corno sulla testa, e delle piccole ali sulle spalle: sei senza dubbio Eiko!»
Eiko aveva la bocca spalancata: ignorando la bestiale cavalcatura, quello che si trovava dinanzi era senz’altro Gidan. Non era lui, però, assolutamente:
   «Ma come gran duchessina? Non mi avete riconosciuto? L’ammirazione che provate per questo corpo è davvero forte!»
Sforzandosi di non arrossire e di mantenere la magia che la teneva in volo, pensò rapidamente: non poteva essere Kuja e neanche Garland che non aveva motivo di tornare nel corpo di Gidan. Anche se distorta, riconobbe la paurosa voce della creatura malvagia:
   «Tu sei… Trivia! Brutto pallidone pelato! Non ti avevamo ficcato quelle tue parlantine sulla rinascita del mondo del nulla su per il tuo…»
   «Sì, lo avete fatto…» interruppe l’insulto «Ma come vedi sono tornato, nel corpo del tuo Gidan. E ora dammi un buon motivo per non distruggere te, e questa patetica città.»
Per tutta risposta Eiko prese il suo flauto ed eseguì una rapidissima successione di note, ma apparentemente non successe nulla. Approfittando di quello che pensava fosse un fallimento della piccola sciamana, Trivia lanciò un violento Thundaga che invece di dirigersi verso di lei, curvò indietro verso la città, per poi infrangersi magicamente come vetro, su una barriera invisibile. Eiko sorrideva:
   «Ora la città è difesa da uno scudo antimagico che assorbe e difende ogni tipo di attacco. Inoltre, è in grado di respingere come un muro di roccia qualsiasi persona indesiderata tenti di avvicinarsi. È una vecchia magia invocativa, usata tramite dei catalizzatori artificiali. Uno a zero, cattivone!»
Con una smorfia di rabbia Trivia sibilò:
   «Credo che non potrò fare tutto da solo… penso che avrò bisogno di…» ma prima di completare la frase, il drago si alzò improvvisamente e volò verso nord, lasciando perplessa e con le lacrime agli occhi la piccola sciamana, che ancora non riusciva a credere a quel che aveva visto.                                                                                                                                                                                                                             








"Niente male questa suddivisione, nevvero? 'A me, me piace' come diceva uno...e ora spazio alle risposte!!:
psyker: come ho ammesso all'inizio è un capitolo che non entusiasma neanche me, ma l'ho scritto un pò forzatamente, perchè non avevo altre idee di come farlo incontrare con Garnet e gli altri. Ovviamente ti ringrazio per la sincerità. e spero che questo ti abbia soddisfatto di più. Bravo inoltre a capire le tecniche di Beatrix (altro sospiro di sollievo, credevo non si capissero...), e a intuire la presenza di Hades... devo dire però che la tua analisi su Trivia, mi lascia alquanto perplesso perchè ho controllato anche nella versione inglese, ne Kuja ne Garlan ne tantomeno Trivia stesso dicono la natura del boss finale. Trivia si presenta (così com'è nel gioco, ho controllato i dialoghi) come l'oscurità eterna che vuole creare un mondo privo di vita e quindi privo della paura della morte, senza il mondo di cristallo, e si riferisce a Kuja solo accusandogli di voler distruggere l'origine di ogni cosa per aver ceduto alla paura della morte. L'intento di Trivia è quindi quasi "benevolo" ovvero eliminare l'esistenza della paura della morte, benchè voglia eliminare anche la 'voglia di vivere'. Aggiunge anche che la vita è inutile se prima o poi si intraprende la via della distruzione e che quindi è meglio non esistere affatto. Il desiderio dei mortali, dice, è quello di ritornare al nulla ma Gidan si rifiuta di accettare la sua teoria e lo sfida in nome dei ricordi e dichiaran-do che la paura non lo fermerà. Prima di morire Trivia dice: 'Perchè respingete la mia risposta?è così forte la vostra voglia di vivere?Non è ancora finita!Io rinascerò sempre perchè, se c'è vita c'è anche la MORTE!!'. Poi Gidan va da kuja eccetera... ci sono diverse scuole di pensiero sulla vera natura di Trivia che nel gioco non viene a malapena accennata. Io l'ho interpretato come una semidivinità della morte che si è manifestata quando Kuja ha cercato di distruggere il mondo di cristallo. Che sia stato creato dal male che Garland ha infuso in Kuja e Gidan, è una possibilità ma mi sembra piuttosto strana, dato che Gidan è buono e Kuja solo spaventato dalla morte. Tutto qua. Scusa per la lunghezza!!
baby91:Hai ragione e con il tuo consiglio stò cercando di non far diventare scontato i dialoghi, che nn sono il mio forte...  ah la frase dell'animale nn è male ottima scelta. Ultimamente è diventato un pò cattivello però... alla prossima!!
CIAUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Erano passati dieci giorni da quando Daga era entrata nella sua stanza dopo lo scontro con Gidan posseduto da Trivia. Da allora non era uscita, e non aveva aperto la porta a nessuno. Non riusciva a mangiare, e a malapena beveva l’acqua dei rubinetti del bagno contiguo, senza la quale sarebbe morta da un pezzo. In realtà a tenerla in vita e in forze era principalmente la magia bianca che gli scorreva nelle vene, la stessa che usava per far recuperare periodicamente un po’ di forze a un compagno. Se qualcuno l’avesse vista, l’avrebbe a malapena riconosciuta: aveva ancora indosso gli abiti regali, che erano sgualciti e rovinati; gli occhi erano rossi dal pianto, e circondati da profonde occhiaie per le lunghe ore di veglia e il viso rigato dalle tante lacrime che ormai non le sgorgavano più; i capelli lunghi sciolti erano ridotti male a tal punto che sembravano grigi. Fuori dalla stanza della regina, Beatrix era seduta per terra con vicino l’ennesimo tentativo di farla mangiare, e dopo ore di attesa si era addormentata appoggiata al muro. Alle richieste sue e di Steiner, che erano entrambi preoccupatissimi più per la salute mentale che di quella fisica di Garnet, rispondeva con un rauco    “Per favore, lasciatemi stare”. Infatti Daga, più che nel corpo, era distrutta nello spirito: aveva perduto probabilmente per sempre l’unico uomo che aveva mai amato, e non perché era morto, ma perché era stato posseduto da un essere malvagio che lo avrebbe costretto a uccidere i suoi amici e lei stessa, e a fare chissà quali altre nefandezze. Non poteva essere così. Non doveva essere così: avrebbe preferito morire per la sua stessa mano, che per quella del suo Gidan. Con questo pensiero in testa, si alzò febbrilmente dal letto su cui giaceva da ore e si diresse verso la finestra, e vide con sorpresa che era aperta. Era la prima volta che pensava di metter fine alla sua vita con il suicidio. Non ci aveva pensato quando la sua Alexandria era stata distrutta, né quando dovette aspettare per due anni il ritorno del suo uomo. Allora però aveva la sicurezza, anzi la certezza che Gidan sarebbe arrivato a consolarla. Non poteva sopportare un’altra perdita così grave. Cominciò lentamente ad alzare la gamba dolorante sull’orlo della finestra, quando venne interrotta da una figura volante dai capelli blu che conosceva benissimo:
   «Ferma Daga! Non farlo! Non farlo, ti prego!» gli urlò Eiko spaventatissima, cercando di fermarla con le mani. Ma nella sua ferma decisione, la gamba di Daga continuò a muoversi, e scavalcò l'orlo.
   «Non, farlo.» ripeté con fermezza la ragazzina. La regina abbassò la gamba e poi con lo sguardo fisso a terra disse:
   «Perché non dovrei? Mia madre è morta. I genitori che non sapevo di avere sono scomparsi che neanche mi ricordo di loro. La mia città, che ho giurato di governare con responsabilità, rischiava di scomparire nel tentativo di proteggerla. E adesso Gidan è lontano da me contro la nostra volontà e non è più in se. Non ho più motivo per voler vivere.»
   «Non puoi buttare via la tua vita in questo modo. Non è quello che avrebbe detto anche Gidan?»
   «Ma io…» iniziò Daga.
   «E che diamine!» sbottò Eiko improvvisamente «Smettila di pensare solo a te stessa! Pensa alle conseguenze che il tuo gesto causerebbe: Beatrix, e Steiner soprattutto sarebbero disperati, e il tuo regno andrebbe in fumo. E non pensi anche a noi? A noi, che ti vogliamo un bene che neanche immagini, brutta testarda che non sei altro? E poi credi di essere la sola a voler bene a Gidan? Tutti noi per due anni abbiamo pregato e sperato insieme che tornasse, anche se non ci credevamo, e tu che fai? T’isoli dal mondo cantando quella cazzo di canzone a ruota, evitandoci. Trivia non è invincibile e allora, porco Ifrit, deve esserci un modo per aiutarlo! Mikoto ha trovato un frammento di quella fottuta spada, e la sta analizzando e con quello avremo almeno un indizio! Almeno moriremo nel tentativo, se sarà stato inutile!»
Daga era sbalordita: non aveva mai visto Eiko così arrabbiata e imprecare in quel modo. Ma aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Poi la vide indicare la porta oltre le sue spalle dicendole:
   «Adesso tu ti rivesti, ti fai stra-bella, e chiami a raccolta tutti gli altri. Non vorrai costringermi a usare le maniere forti!» il che era parecchio rischioso: una volta stavano duellando per gioco, e nel tentativo di bloccarla in una mossa di sottomissione, per poco non le ruppe una gamba.
Quando il chiavistello scattò qualche minuto dopo, aprendo la porta, Beatrix si riscosse e balzò in piedi. La regina si era vestita con il suo vecchio abito da battaglia che aveva modificato tempo addietro per non farlo sciupare. Era un po’ pallida e si reggeva alla porta per via dell’improvvisa debolezza che l’aveva colpita. Era viva, comunque, e soprattutto abbozzava un sorriso.
   «Beatrix, amica mia, mi dispiace di averti fatto tanto preoccupare. Ora sto molto meglio. Ho deciso che dobbiamo aiutare Gidan: chiama il moguri Artemisio e spedisci delle lettere in cui spieghi la situazione ai moguri distaccati di Lindblum, Burmecia-Cleyra e al campo dei mercenari di Madain Sairi e che le diano a Amarant, Freija, e ai Tantarus. Inoltre, ordina alle truppe di tenersi pronte e a tutto, non sappiamo cosa Trivia abbia in mente. Ah, un’altra cosa: avrei un leggero languore…» ordinò.
La shogun non riuscì a dirle nulla di quello che avrebbe voluto dirle. Era troppo felice. Si portò il pugno chiuso al petto e sull’attenti, disse:
   «Agli ordini, maestà. Faccio venire Quina.»
Quando la cuoca si vide chiamare, fu contentissima di aver ritrovato i favori del regale stomaco di Daga, che per dieci giorni aveva rifiutato le sue pietanze. Prese un foglietto su cui aveva appuntato delle ricette e le illustrò alla ragazza.
   «Dovete ripijiavve presto dar digiuno reggì, senza però esaggerà, sinò ristate male. Comincerei con quarcosa de leggero: un ber piatto de pasta ar ragù de Zacmal!»
   «All’anima!» esclamò la regina.
   «In bianco però!» precisò la Qu «E poi ve preparo ‘na bella dieta ricostitutiva pe’ favve riprenne ‘e forze. Ve farò fà un bell’insieme de formaggi e de verdure. Eppoi, armeno un sottaceto d’erba Ghisal ar giorno, che è n’sacco nutriente.»
   «No, i sottaceti no…» fece sconsolata.
Nonostante il suo odio per i sottaceti, in capo a due settimane si riprese totalmente, senza nemmeno ingrassare. Intanto Amarant, Freija, e Blank erano arrivati e aspettavano impazienti l’ordine di iniziare a muoversi. Daga arrivò accompagnata da Eiko e iniziò:
   «Tutti noi, una volta o l’altra siamo stati salvati da Gidan: ci ha risollevato nei momenti difficili, ci ha convinto ad andare avanti anche quando sembrava impossibile, e si è sacrificato per noi. Adesso siamo noi a doverlo salvare da Trivia che si è impossessato del suo corpo. E possiamo approfittare di un grosso vantaggio: lui non si aspetta un nostro movimento preventivo, anche se ci ha praticamente invitato a farlo. È evidente che ha intenzione di vendicarsi prima di noi tutti e poi di avviare il suo piano di distruzione. Dobbiamo salvare Gidan, e sconfiggere quel maledetto una volta per tutte. Siete tutti con me?»
E tutti appoggiarono le loro mani su quella della regina: quella sottile di Freija, quella enorme di Amarant, quella fasciata di Blank, e quelle ferrate di Steiner e Beatrix insieme con quella di Eiko.
   «No, non siamo ancora tutti.» disse pensando all’unica persona del gruppo che mancava «Chiudete gli occhi, e pensate ad una piccola mano da bambino in un guanto rosso posata sopra la nostra.»
E tutti nella loro immaginazione videro il piccolo Vivi alzarsi sulle punte dei piedi e appoggiare la sua mano su quelle degli altri.
   «Adesso siamo tutti. Ora però c’è un piccolo dettaglio: sono due anni che non picchiamo qualche mostro. Dobbiamo riprendere ad allenarci. Qualche idea?»
   «Ultimamente sopra la grotta di Ghizamaluk, cominciano ad esserci un po’ troppi Grand Dragon: andiamo a fargli visita?» propose Freija.
   «Ottimo. Tutti alla grotta di Ghizamaluk!» fece entusiasta Daga.
E il party, dopo due anni, ritornò all’avventura.

A Toleno intanto, in una delle ville che davano sul canale, avveniva una scena che più da ambiente nobiliare sembrava da campo di battaglia: un ragazzo ed una donna se le stavano dando di santa ragione in “singolar tenzone alla spada” per dirla in termini, appunto, nobili. Quando quel ragazzo bussò alla porta della “dama solitaria” la donna, che discendeva da generazioni e generazioni di forti guerrieri e abili strateghi, si mise a ridere per la sfida lanciatagli. Non rise più quando semplicemente sguainando la spada blu dai riflessi verdi, il guerriero la sbalzò indietro di cinque metri.
   «Non sei una persona qualunque, vero?» chiese lei rialzandosi.
   «Sei perspicace, donna Lilyth. Sono qui per proporti un affare: duellerai con me per farmi capire se sarai capace di adempierlo. Se ti ucciderò… beh, troverò qualcuno di migliore che possa farlo.» le rispose Trivia.
Ferita nell’orgoglio, la nobildonna sfilò i capelli neri ondosi dalla coda, e si tolse il velo rivelando un volto bellissimo. Sfilandosi la gonna e il soprabito, rimase in un top sbracciato scuro, con una gonna che gli arrivava sopra le ginocchia che andava congiungendosi ad un piccolo strascico sul fondoschiena, dove primeggiava il simbolo di una rosa che perdeva un petalo. Era perfetta nelle forme e nella muscolatura che era presente ma non esagerata; l’unica cosa che stonava nella sua figura, era una lunga cicatrice che le partiva poco sopra il petto e che le scorreva fin sulla spalla destra, passando sul collo. Lo sfregio non era profondo, evidentemente era una ferita di striscio. Prese da sopra al camino la sua spada dalla lama nera e disse:
   «Migliore di me? Sai, esiste solo una persona che mi abbia mai battuto. Ora serve un diverso padrone, e dubito che troverai un combattente migliore della sottoscritta.
   «Dimostramelo allora.» e le fece il classico cenno con la mano di farsi sotto.
Lilyth scattò, e colpì con violenza l’Ultima dell’avversario, che fu investita da saette scure che distrussero l’arredamento circostante, facendo cadere e andare in frantumi il grandissimo e pesante lampadario nobiliare poco lontano da loro. Trivia incassò il colpo sorridendo:
   «Dovrai far meglio di così per meritarti il mio incarico.»
Per tutta risposta, la donna iniziò a mulinare con la spada, alternando schivate acrobatiche e attacchi micidiali. La sua tecnica sembrava una danza per quanto era elegante, e i suoi colpi erano spesso contornati dalla magia nera, cosa alquanto rara per un umana. Lei incassava e deviava non senza fatica i colpi ricevuti, ma ogni volta che lo faceva, ripartiva con più veemenza all’attacco. Dopo un lungo contrasto, entrambi balzarono indietro, e dalla lama di Lilyth partì uno “Shock”! Aspettandoselo Trivia castò un “Flare”, e i due attacchi si annullarono a vicenda generando una fragorosa esplosione che per poco non fece crollare il piano superiore. Lilyth ripartì subito all’attacco, ma venne sorpresa dal secondo incantesimo dell’entità malvagia: dalla sua mano partì un globo nero, circondato da stranissime forme bluastre che investì in pieno l’avversaria che tramortita finì a terra. Tentò di rialzarsi, ma si vide puntata alla gola la “Ultima” di Trivia che le disse:
   «Complimenti. Sei la prima ad aver resistito al mio incantesimo “Darkto”. Credo che te lo insegnerò. Ti sei rivelata più che degna per il mio incarico: ho bisogno che qualcuno comandi un mio battaglione, per distogliere le attenzioni del mio nemico, mentre io preparerò il mio piano.»
   «E tu chiedi a me, Lilyth, di farti da semplice diversivo?» le chiese sprezzante alzandosi. Trivia la prese rapidamente per la gola e sollevandola la sbatté ad una parete vicina, mantenendola al livello del suo sguardo furente:
   «Ti consiglio di non fare l’arrogante con me, donna. Non farmi cedere ai desideri che questo mio corpo può avere nel vedere una bellezza del tuo genere inerme, e sottomessa al mio controllo.» la minacciò con voce sibilante, sfiorandogli con un dito la cicatrice per tutta la sua lunghezza, partendo dalla spalla.
   «Sarai ben ricompensata, e se vincerai, ti metterò a capo del regno di Alexandria, che potrai amministrare come vorrai, dopo averne ucciso la regina.»
Anche ritrovandosi in quella posizione, Lilyth drizzò le orecchie.
   «E nel contempo, ti aiuterò a vendicarti di colei che ti ha procurato questo sfregio, e che ha ingiustamente preso il posto di shogun di Alexandria al tuo posto.»
   «Mia sorella?» chiese incredula.   

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


I piani di Daga e compagnia, furono bloccati dal richiamo di Eiko da parte di Cid, che avendo scoperto l’utilizzo dell’incantesimo difensivo della città che solo lui e la figlia potevano attivare in casi di estrema emergenza e dopo aver intercettato la lettera indirizzata ai Tantarus, ordinò anche alla regina di Alexandria che fossero messi sotto scorta all’interno del castello. Nel frattempo organizzò l’esercito, preparò le difese all’interno dei tre borghi e incaricò la sua guardia personale di andare a cercare Trivia. Inutili furono i tentativi di Eiko di convincerlo:
   «Papà, per favore, lasciami tornare a Madain Sairi! Lì c’è l’unico indizio che abbiamo per capire che natura ha quella maledetta spada, e per liberare Gidan!»
   «Non ho intenzione di farti di nuovo coinvolgere in questo genere di cose, buri.» le rispose il granduca che ancora non aveva perso i versi da rana e scaraburi «La situazione può diventare ancora più buripericolosa di quanto fosse con Kuja. Quel Trivia non ha a suo aiuto gli spiriti dell’invocazione, o potenti idrovolanti distruttori, e tu stessa mi hai detto che sta cercando aiuto. Non credo abbia intenzione di rivolgersi ai maghi neri, ma devo preparare la città a un possibile buriattacco di un’armata nemica. E non posso KEROpermettere che tu e Garnet ne rimaniate coinvolti.»
   «Ma si tratta di Gidan, papà!» urlò disperata.
   «Lo so, bambina mia, e capisco quanto sia importante per te e per Garnet, kerò. Lui ha salvato il mondo, ma ora rischia di distruggerlo» cambiò tono Cid «Ma cerca di capire la situazione: tua madre ed io non possiamo avere figli. L’avere avuto te è una benedizione che non aspettavamo, e tu sei la mia unica erede. Dubito poi che Garnet voglia buritrovarsi un altro partito per garantirsi la successione. È per questo che vi tengo in sicurezza. Se morireste, i regni di Lindblum e Alexandria ricominceranno le antiche guerre per la supremazia del continente. Solo i nostri fondatori, Cid I e Alexandros II riuscirono a fermarle.»
   «Allora è solo questo che t’interessa? Hai paura che noi due non diventeremo quello che tu, hai deciso per noi, e cioè solo delle sforna - eredi. Chi pensi di essere per decidere delle nostre vite?».
   «Non parlarmi così Eiko! Ricordati che sono tuo padre!» la sgridò cercando di soffocare un “buri”.
   «E ricordati che io non sono tua figlia!» rispose Eiko uscendo sbattendo la porta.
Quando tornò in camera sua dove la aspettava Daga, si buttò di peso sul letto, e sprofondò il viso nel cuscino, senza pronunciare parola.
   «Non ha acconsentito a lasciarci provare, vero?» chiese.
   «No.»
   «Bisogna anche capirlo però. Il pericolo c’è, ma non possiamo stare qui senza far nulla. E poi non è mica detto che quel murale che hai scoperto nei sotterranei di Madain Sairi parli proprio di quella spada. Hai tradotto a malapena qualche frase qua e là!»
   «Daga, è l’unico documento che parla delle “armi finali” prima che il villaggio venisse distrutto! E se per caso quella spada ne facesse parte?»
   «Non so che dirti. E poi l’idea che queste armi di cui hai letto a Daguerreo siano le stesse che tuo padre aveva per caso fatto recuperare dai Tantarus, mi pare impossibile. Può essere solo una leggenda. E perché si chiamano armi “finali” a proposito?»
   «Perché secondo le storie, le armi prodotte da quel fabbro, grazie al loro potere erano in grado di far finire le guerre. E poi tra “finale” e Ultima qualche connessione c’è no? I risultati delle analisi di Mikoto saranno pronti fra qualche ora.»
   «Mah!» esclamò «Purtroppo però siamo bloccati qui, e i ragazzi si sono rifiutati di mandare i loro battaglioni a tuo padre se non ci siamo anche noi a cercare Trivia.»
   «Gidan si sarebbe travestito da guardia per venire a rapirci, ti ricordi?»
   «Come posso dimenticarmelo?» fece Daga abbassando il capo. I ricordi felici che aveva del ragazzo, ora la intristivano terribilmente. Eiko tutto a un tratto la guardò con l’occhiata di chi ha avuto un’idea strafica.
   «Mi è venuta un’idea…» incominciò.
   «Non ci pensare neanche.» bloccò Daga intuendola «Se tuo padre ci becca travestite da guardie, è la volta buona che ci rinchiude a vita.»
   «Non siamo mica noi a doverci travestire!» esclamò divertita. E allora Daga capì.
Scese la sera sul castello di Lindblum. Tutti dormivano sonni tranquilli, tranne le due sentinelle che erano state messe di picchetto dinanzi alla stanza di Eiko e di Daga. A un certo da punto si sentì la voce spaventata di Garnet:
   «Aiuto! Per favore, accorrete! Eiko sta male!» diceva.
I soldati riscossisi dalla noia e dal sonno che cominciava a calare sulle loro palpebre, aprirono la porta e si fiondarono dentro.
   «Cos’è accaduto, maestà?» chiese zelante la guardia più bassa.
   «Non lo so! Stavamo chiacchierando quando a un certo punto è caduta a terra!» rispose quasi piangendo. La ragazzina giaceva a terra, con indosso il camice da notte. Garnet non si era ancora svestita.
   «Bisogna sollevarla sul letto. E poi chiamare un dottore.» fece quello più alto.
   «Vado io!» si propose la regina, e s’incamminò verso la porta. Le due guardie si chinarono verso il corpicino immobile della gran duchessina, quando caddero improvvisamente a terra, addormentati. Eiko si alzò immediatamente togliendosi dal viso tutto il trucco che si era messo per sembrare pallida.
   «“Morfeo” perfettamente eseguito, Daga! E ottima interpretazione!» si complimentò.
   «Modestamente… avere un fidanzato attore servirà pur a qualcosa! Ora, bisogna spogliarli e rinchiuderli in quell’armadio. Gidan ricordo che fece così.»
Spogliati i soldati, furono spostati di peso dentro il capiente armadio e i vestiti furono appallottolati. Poi Eiko impose le mani sopra di essi, e iniziarono a lievitare lentamente: indicando la finestra, l’involucro partì a razzo e si diresse verso l’entrata del castello ai piedi di due persone.
   «Che spavento comparen!» esclamò Marcus vedendosi arrivare quasi addosso i vestiti.
   «Quella Eiko ci sa fare. Una volta gliel’ho visto fare su se stessa. Era più veloce di una moto! Ed ora, iniziamo l’operazione nome in codice “Pronto soccorso”!» disse Blank.
Indossati velocemente i vestiti, entrarono con calma all’interno del castello, non visti dalla guardia. Un superiore si stava dirigendo verso di loro.
   «Ehi, voi due! Perché siete entrati senza farvi riconoscere?»
   «Siamo stati chiamati da una sentinella per accorrere dalla granduchessina Eiko, che pare abbia avuto un malore. Non è stato dato l’allarme perché sembra sia una cosa da nulla, e si sa quanto la bambina ci tenga a non far spaventare il granduca per niente.» mentì Blank.
   «E quello alla porta non vi ha fatto identificare?» insistette l’ufficiale.
   «Ehm… veramente dormiva della grossa. Abbiamo una certa fretta, e non potevamo certo svegliarlo e fare tutte le pratiche del riconoscimento!» rispose stavolta Marcus. Il piantone era stato effettivamente messo a dormire con un po’ di erba sonnina messa all’interno del suo caffè.
   «Garantisco io per voi due! Andate presto dalla granduchessina!» ordinò l’ufficiale.
   «Signorsì!» salutarono i due Tantarus.
I due si precipitarono per le scale e notarono che fortunatamente c’erano poche persone all’interno del castello quella sera. Le due ragazze erano riuscite a non far trapelare alcun rumore del finto malore di Eiko. Entrarono all’interno della stanza senza pensarci e videro le due ragazze intente a mettersi i vestiti da combattimento.
   «Porc…!» si fece scappare Blank. Non tanto per Eiko ma Daga era sempre la donna più bella di Alexandria!
   «Acc…!» fece eco Marcus.
Le due si girarono di scatto e reprimendo uno strillo, lanciarono un pettine a Blank, che venne preso in testa. Marcus, capendo che non era il caso di aspettare altri lanci pericolosi, chiuse la porta.
   «Tutto bene, comparen?»
   «Sì… da quello che ho visto, capisco perché Gidan si è innamorato di Daga!» esclamò Blank eccitato.
La porta si aprì qualche minuto dopo. I due Tantarus entrarono quasi di soppiatto, vergognandosi della brutta figura fatta poco prima.
   «Che cosa avete visto?!» chiese con gli occhi sbarrati dalla rabbia Eiko.
   «Dai Eiko, non c’è bisogno di…» cercò di calmarla Daga.
   «No! Io voglio sapere cosa hanno visto di me! L’unico che ha diritto di vedermi senza veli è mio padre (e Gidan, in caso…)!»
   «Ehm… mezza schiena tua, e una natica di Daga.» cercò di mentire Blank, che si prese una gomitata nello stomaco da parte di Marcus. Pensando che fosse un tentativo di far tornare il compare alla ragione Daga si complimentò:
   «Bravo Marcus. Adesso, come pensate di farci uscire?»
   «Veramenten, io afere visto anche ein se…» ma si beccò un calcio volante dalla regina che lo interruppe.
   «Invece di pensare alle nostre nudità, vi spiace dirci come usciamo da qui?» ripeté Daga tutta rossa.
   «C’è un condotto di emergenza che parte da questa sala e da quella del granduca, che porta al…porto. È dietro l’armadio.» illustrò Blank.
Tutti tentarono di spostare il mobile, che non si mosse di un centimetro. Pensavano che fosse il peso dei due soldati chiusi all’interno, ma mentre Daga cercava di riflettere, batté casualmente con il piede due volte su una singola mattonella, che scese verso il basso. L’armadio si girò di novanta gradi, lasciando intravedere il passaggio segreto, ben illuminato. I Tantarus andarono avanti dopo aver lasciato i vestiti, ed Eiko e Daga cercarono di scrivere una lettera al granduca per tranquillizzarlo:
 
“Caro papà, siamo stati ‘rapiti’ dai Tantarus. Sei pregato di non venire a cercarci, e di preparare ugualmente l’esercito. Noi dobbiamo salvare Gidan. Ti vogliamo bene.
 
                                                 Garnet, Eiko.”
 
E poi entrambe si diressero verso il passaggio. Con altri due colpi di piede a una mattonella, il passaggio si chiuse. Le due seguirono il lungo corridoio correndo, sempre guardando avanti. Al porto era ancorata una nave del regno di Alexandria, con il simbolo della rosa.
   «Beatrix…» disse Daga ringraziando mentalmente la shogun.
   «Bella idea quella dei piccioni portalettere! Non vi ritenevo così in gamba con gli uccelli!» disse Blank con naturalezza, senza pensare al palese doppio senso. Daga lo incenerì con lo sguardo.
   «Era l’unico modo di comunicarvi il nostro piano. Fosse stato per voi, avreste fatto man bassa di tutti i tesori del castello.» spiegò Eiko, che non colse il pieno significato della frase del ladro.
   «Presto! Il bozz aspettaren dentro naven! Doppiamo partire presto!» li avvertì Marcus facendo cenno di salire il ponte.
   «Ah, principessine. Avete ancora abbisogno di aiuto dai Tantarrus, ah?» fece l’enorme figura di Kalò.
   «Sì, per favore. Solo noi possiamo salvare Gidan.»
   «Non ho mica chiesto pirchì! Pure io vogglio salvallo, ah. Amunimmo, picciotti?» chiese ai due già ai comandi.
   «Volentieri. Dove, donzelle?»
Le due ci pensarono un attimo. Eiko indicò una prima destinazione:
   «Potremmo andare al villaggio dei maghi a prendere Mikoto. Lei è l’unica ad aver in parte capito la natura insolita di quella spada.»
   «Forse invece è meglio andare a Madain Sairi. È un luogo più riparato dove possiamo nascondere la nave. Poi devo finire di tradurre il murale.»
   «Concordo con Daga. Almeno sanno dove siamo.» consigliò Blank.
   «Va bene. A Madain Sairi, allora!» terminò Eiko alzandosi. La nave partì con un forte rumore e virò verso sud a tutto vapore, verso il villaggio degli sciamani.








"Eeheheheheheheh, devo dire che in questo capitolo mi sono un po’ scatenato. Non ho inserito la sezione con Trivia perché era troppo lunga: difatti il prossimo capitolo sarà incentrato più su di lui, e all'ingresso di un nuovo personaggio secondario (che la square mi perdoni...)!! Qualcosa da ridire? Ed ora spazio alle risposte!
psyker: ringrazio per i complimenti, soprattutto per quanto riguarda le scene descrittive dei combattimenti, che essendo difficili da rendere verosimili un pò come le scene di sesso, fa molto piacere ricevere apprezzamenti a riguardo. Il nuovo personaggio è ottimo senza dubbio: in questo momento sto ideando il suo combattimento contro Beatrix, che ho intenzione di fare lungo e con finale a sorpresa!
CIAO, ALEXMANIAAACS!!! (avete presente gli hulkmaniacs, i fan di Hulk Ho-gan? No? Vabbè uguale...)

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



Intanto, nel continente dimenticato, Trivia stava scrutando il terreno alla ricerca di qualcosa. Era già un’ora che scrutava quella piccola area alla ricerca di quel qualcosa. Forse era il caso di lasciare stare, erano passati troppi anni, e la città poteva essere benissimo stata distrutta dall’erosione. Quando fece per andarsene calpestò un sasso di una forma e di un tipo totalmente differente dalle altre. Tento di prenderlo, ma era incastrato a terra. Cominciò a scavare, e vide che non era una pietra: era la punta di una costruzione, un monumento forse. Sorrise malignamente, e lievitò a qualche metro dal terreno. Le erbacce ricoprivano tutto il paesaggio, tranne una zona intorno a quella punta che descriveva un cerchio. Concentrandosi, allungò la mano verso la zona circolare, e il terreno iniziò a tremare. La roccia viva si spaccò in due lungo il diametro del cerchio, e cominciò a sbriciolarsi; alla fine dell’incantesimo, Trivia vide una cosa che non si aspettava: il sasso non era un angolo di edificio, era la punta di un obelisco che sovrastava un disco di pietra, enorme, e si stupì nel vederlo. Si ricordava che in quel posto vi era un’antica città di guerrieri, non una strana costruzione che sembrava una piazza. Di solito però, le piazze avevano i palazzi intorno, invece questa no. Scese a terra e alla base dell’obelisco vide una scritta in caratteri antichi:

 “Sotto questo sigillo di pietra, giace la città di Zerxex, potente signore della guerra. Il sigillo fu posto dal nostro popolo dopo averlo sconfitto decenni fa, per non permetterne la rinascita, e per evitare possibili pratiche negromantiche sui loro morti. Per le sue azioni gli è stata negata la morte così come la vita: quindi, visitatore, stanne alla larga perché qui sotto giace un demone che può avventarsi su qualunque incauto.”                                                                                 

Il resto era stato distrutto, ma quello che c’era scritto era abbastanza. Sguainò l’Ultima e si mise davanti all’obelisco: vibrò un colpo nell’aria, e l’obelisco cadde rovinosamente troncato di netto alla base. Sotto di esso vi era una gemma da cui scaturiva un enorme potere, un potere che Trivia non poteva non riconoscere: il flusso delle anime. Ma non era presente nella maniera e nel tipo dell’Albero di Lifa, oppure di Branbal: il gioiello, semplicemente controllava il flusso all’interno della città sigillata. Era questo che l’iscrizione intendeva con “evitare possibili pratiche negromantiche” e “negata la morte così come la vita”. Cos’era, però, una misera gemma, in confronto ad una spada che era stata creata per manipolare a piacimento del proprietario qualsiasi anima che passasse sotto il suo controllo? Trivia alzò la spada, si concentrò, e nel cielo nubi scure cominciarono a creare un vortice, dal cui centro cominciavano a scoppiare fulmini e lampi.
   «Fiorente città di Zerzex, risorgi al comando di Trivia, dio della morte. Risorgi ai miei ordini, e vendicati dei mortali che ti hanno confinato per sempre dal mondo dei vivi e dei trapassati!»
Al termine dell’incantesimo, un fulmine colpì in pieno la punta dell’Ultima e il suo colore da blu, passo al viola e forme amebiche verdi cominciarono ad avvilupparla e a permearla. Le forme avevano occhi e bocche, e urlavano per il loro dolore, allo stesso tempo contente perché avrebbero presto finito di provarlo. L’entità malvagia conficcò la spada all’interno della gemma, che da verde divenne blu e le forme spettrali incominciarono a entrare all’interno. Il fulmine continuava a colpire l’elsa della spada saldamente tenuta da Trivia, che sorrideva malvagio per il successo del suo disegno. L’afflusso degli spettri si fece sempre più potente, quando urlò:
   «Sì… e ora, ancora una volta al mio richiamo… RISORGI!»
Girò poi la spada mettendola per orizzontale spaccando in quattro parti il cristallo: le spaccature continuarono per tutta l’area del disco di pietra. Quando Trivia estrasse la spada, il disco si disintegrò e le sue ceneri si dispersero nel vento. Improvvisamente divenne tutto calmo: le nuvole turbolente erano scomparse, e il fulmine magico non c’era più. Abbassando lo sguardo, persino lui fu meravigliato della spettacolare veduta: un’intera città scavata nella roccia, anche se non molto grande, si sviluppava in diversi strati, collegati tra loro da gradinate. Ogni livello a partire dal più basso diventava più piccolo, fino a raggiungere il primo, posto al centro della città: l’ultimo strato aveva in mezzo un imponente grattacielo spezzato a metà. All’interno si poteva ancora vedere la struttura del palazzo reale di Zerxex, il temibile signore della guerra che stava incominciando a capire il funzionamento del flusso delle anime, quando poi venne sconfitto e la sua anima e quelle dei suoi guerrieri furono confinati all’interno della città stessa, forse da coloro che avevano costruito il misterioso santuario di Oilvert, poco vicino. Trivia aveva conoscenza del fatto che quando ci fu il primo di fusione di Tera con Gaya, nonostante fosse fallito, certe zone del pianeta blu erano state trasferite nel pianeta rosso. Evidentemente questa città sigillata era anch'egli un rimasuglio della vecchia civiltà di Tera. Trivia scese alla base del palazzo, e di fronte a lui vide il portone distrutto da un pesante oggetto, probabilmente un ariete. L’interno non era messo meglio: molti piani erano stati distrutti come da un terremoto, e il terreno era cosparso di macerie irregolari di pavimenti decorati e statue monche. L’obiettivo di Trivia non era all’interno del palazzo, ma sotto. Ricordava bene ciò che era successo: i sacerdoti concessero alla popolazione della città sconfitta di creare un sepolcro per il loro re, e rifiutandosi di unirsi a loro come schiavi, si offrirono allo stesso incantesimo del loro capo e sovrano, rimanendo vivi, ma diventando di fatto morti. Con la telecinesi spostò le macerie in un angolo estremo dell’enorme atrio principale, ri-scoprendo così il suolo dopo molto tempo. Chiuse gli occhi, e usò la capacità di Gidan di riconoscere le auree magiche. Quel corpo diventava sempre più utile. Riconobbe immediatamente la magia che teneva al sicuro il corpo del re, defunto millenni prima. Creando un’apertura nel pavimento, discese nel livello segreto, che conteneva i resti dei precedenti sovrani. Se non fossero stati già consumati dal tempo, forse avrebbe potuto resuscitare anche loro. Al centro della cripta, vi era un sarcofago poggiato su una specie di altare, su cui vi era la figura scolpita del re, che teneva con tutte e due le mani, la sua scimitarra. La statua era il perfetto catalizzatore per la sua prossima magia: mise la punta dell’Ultima a contatto della lama impugnata dalla statua, e cominciò ad iniettarvi dentro l’ultima anima che quel fulmine gli aveva donato, la più forte. L’anima non trovò impedimenti a rientrare nel corpo mummificato del re, che venne distrutto e rigenerato all’interno della statua, per avere una forma più giovane. La statua cominciò a tremare, e delle crepe iniziarono a formarsi sulla sua superficie. Come un gargoyle, dalla struttura di pietra cominciò a fuoriuscire una forma di carne e sangue. Il re si liberò in fretta dalla sua prigione, urlando al cielo la sua rinascita. Poi assunse un’espressione indecifrabile, un misto fra incertezza e incredulità.
   «Re Zerxex, ti ricordi di me? Forse in questo corpo non mi riconoscerai, ma un tempo ero conosciuto come Trivia.»
Solo a quel nome il guerriero girò la testa ad osservarlo. Provò a parlare, ma non uscì suono dalla sua bocca.
   «Non preoccuparti se non riesci a pronunciare parola, è l’effetto della scomposizione del tuo corpo. Ho dovuto farlo, se no saresti rinato come un orrido zombie, e non è certo questo che mi serve. La tua forza e il tuo popolo, mi servirà per adempiere la mia vendetta.» lo tranquillizzò Trivia.
   «E alla mia…non pensi…signore delle tenebre?» rispose con voce flebile.
   «Avrai anche quella. Coloro che ti hanno fatto questo incantesimo, hanno privato te il tuo popolo del sonno eterno, ma ormai non sono più di questo mondo. I loro diretti discendenti furono gli sciamani, che anche loro scomparvero. Gli unici rimasti della loro stirpe sono ora a capo delle più importanti nazioni di Gaya. E io ho bisogno di te, per farle cadere a pezzi.»
A quelle parole, l’istinto di guerra del signore della guerra iniziò di nuovo a pervadere il suo cervello. Un ghigno prese forma sul suo volto coperto da una folta barba intrecciata.
   «Avrai i servigi del mio popolo… i migliori guerrieri mai esistiti.» proclamò il re.
   «Allora esegui il tuo urlo di guerra. Io posso ridare loro le anime, ma non posso risvegliarle senza il loro permesso…» mentì Trivia.
Zerxex allora salì le scale che portavano al balcone del suo palazzo, e vide la sua città, parzialmente distrutta, senza anima viva. Il ricordo della sofferenza patita per tanto tempo, e della sconfitta subita gli fecero una rabbia incontenibile, che sfociò nel suo lungo urlo di guerra, antico di generazioni:

                                               “Alalaaaaaì!!!”  



La sera stessa, la nave di Alexandria approdò sull’isola. I passeggeri sbarcarono e si diressero al villaggio degli sciamani. La nave sarebbe stata spostata poi da Kalò all’interno dell’apertura che dava sul mare, dove Gidan raccontò il passo del “Diario di un viaggio” di Ipsen a Daga quattro anni prima. Appena entrati nel villaggio, videro Mikoto che correva verso di loro.
   «Finalmente siete arrivati. Ho nuove notizie riguardo l’Ultima.» disse trafelata.
   «Dicci Mikoto.» fece Daga incuriosita.
   «Ho controllato a Daguerreo se il nome di quell’arma compariva da qualche parte, ma non ho trovato nulla. Analizzando la scheggia, ho scoperto che è basata sulla manipolazione del flusso delle anime e in antichità solo un nome, che è presente anche in quel murale, può aver fabbricato un’arma del genere. Era sacerdote di Esto Gaza, e il soprannome che aveva, se non mi sbaglio lo dovreste conoscere.»
Tutti si ricordarono improvvisamente, di una persona di cui avevano sentito parlare come un essere unico nel suo genere, in grado di eseguire delle saldature speciali. Lo cercarono per tutta Gaia ma non lo trovarono. Solo nel Mondo dei Ricordi, dopo aver sfidato e sconfitto una mostruosa creatura, riuscirono a incontrarlo.
   «Il nome è Hades, il fabbro fantomatico.»







"Beh, direi che i pezzi stiano cominciando a rimettersi a posto, non è così? Nel creare il personaggio di Zerxex (anche lui secondario, non preoccupatevi è l'ultimo) mi sono ispirato ai combattenti del film 'La mummia 2', gli ho dato il nome modificato di un famoso re persiano, e gli ho fatto urlare l'urlo di guerra greco-macedone: bell'intruglio, vero? Ed ora passo ad una piccola spiegazione per le persone che non conoscono Hades: il personaggio è un boss finale del gioco che si trova nel Mondo dei ricordi, dove Quina ha la visione di nuotare nel mare. Se cliccate ripetutamente 'X' e vi infilate in un'isenatura a destra dello scenario, vi comparirà la nuvoletta '?'. Una volta cliccatoci sopra, riceverete la sfida di Hades, e una volta battutolo (impresa non semplice) vi fabbricherà molti oggetti utili. Poichè anche su questo personaggio si sa molto poco, ho voluto creare IO la sua storia. Alla prossima, commentate numerosi!! Ed ora passo alle risposte:       

psyker: bè, spero che questa "azione" di Trivia abbia rispettato le tue aspettative! Beh devo dire che quella sequenza è una di quelle di cui vado più fiero: l'ho scritta di getto ridendo io stesso mentre la facevo! Blank e Marcus poi, sono spettacolari. Se riuscirò, metterò anche un pezzetto con i fratelli Piddu, Poddu, e Puddu!"


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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


“IT’S TIME TO PLAY THE GAAAAAAAMEE!!! (in questo caso ff9) Un ciriciao a tutti i lettori che pazientemente leggono e commentano la mia opera. Devo con dispiacere comunicarvi che a causa di problemi saluto-familiari non riuscirò a postare con la stessa costanza i capitoli, per cui vi raccomando lo stesso di aver pazienza, forse sgarrerò di qualche giorno. Detto ciò vi lascio a questo capitolo, parecchio discorsivo e parecchio importante!!"
 






   «Ehi un attimo, fermi tutti.» disse Blank alzando ambo le mani davanti il viso.
   «Ricapitolando, quel Trivia, che molto probabilmente è una sorta di divinità maligna, quando lo avete sconfitto nel Mondo dei Cristalli, o come si chiamava, prima di esplodere è riuscito in un qualche modo a mettere una sorta di campione del suo, diciamo, sangue nel corpo di Gidan perché forse aveva già in mente di poter riuscire a impossessarsi del suo corpo ma Kuja quando vi ha tirato fuori da quel pasticcio gli ha rotto le uova nel paniere: giusto?»
   «Giusto, e sarà almeno la terza volta che te lo rispieghiamo.» rispose Freija scocciata.
   «E fin qui siamo d’accordo, ma allora come ha fatto a sopravvivere a quella batosta che gli avete dato e all’esplosione, che è già tanto che non abbia distrutto il cristallo originale, che Kuja voleva usare per fottere l’intero universo?»
   «Eravamo in un’altra dimensione ti ricordo. Evidentemente lo abbiamo sottovalutato. Proprio perché è sopravvissuto, dimostra che non era una semplice entità maligna che stava aspettando il momento in cui manifestarsi. Forse non è un dio del male, altrimenti dubito che fossimo riusciti quasi a ucciderlo: può essere un dio minore.»
   «Minore o maggiore che sia, quel bastardo si è impossessato del mio amico, e dobbiamo fermarlo.»
   «E come pensate di farlo?» chiese dal nulla come al solito Amarant «Gidan quando era in trance era praticamente invincibile, e Garnet stessa ha affermato che nonostante con dei colori diversi, il suo corpo aveva le sembianze di quella trasformazione. Sommato al potere che ha Trivia… fatevi un po’ i vostri conti…»
   «Senza contare la spada. Quando ho interrogato quel soldato che per poco tempo è stato “l’ospite” di Trivia, si è ricordato senza dubbio alcuno, che quando venne colpito dall’Ultima, lo sentì dire “questa spada è mia”. Ecco perché quando la analizzai per la prima volta, capii che aveva una natura insolita e dissi a Gidan di non usarla. Ma evidentemente, provocato da quel maledetto, non è riuscito a bloccare l’impeto della Trance e lo ha colpito.» aggiunse Mikoto «Siccome la spada è incentrata sul controllo del flusso delle anime, ed è al comando di Trivia, Gidan si è visto impossessare il corpo tramite l’Ultima che aveva in mano, e il sangue corrotto che scorreva nelle sue vene ha fatto da catalizzatore.»
Dopo quest’ultima affermazione calò il silenzio. Fu rotto da Quina che entrando nella stanza con un panino con la mortadella in mano, disse:
   «Scusateme, ma se stà spada è stata fatta da stò Hadese pè stò Trivia, ma nun sarebbe ‘na bona idea chiedeje se magari è proprio quella che ‘o fa controllà Gidan?»
   «Non penso sia possibile. Il libro che parla di lui risale ad almeno trecento anni fa. E poi se non sbaglio, dopo che vi ha saldato quelle due o tre cose, può essere scomparso da questo mondo con il collasso del Mondo dei ricordi.»
Calò di nuovo il silenzio, pesantemente. Questa volta fu bloccato dal trambusto della corsa di Eiko per le scale:
   «Presto! Ho finito di tradurre quel murale sulle “armi finali”! Venite con me!»
Il gruppo si precipitò per il condotto sotterraneo che scorreva linearmente per qualche centinaio di metri: ambo i lati erano tappezzati di spettacolari affreschi, murali, immagini e formule, molto simili al muro dell’invocazione quasi del tutto conservati. Sul soffitto erano state fissate delle lampade a olio dai minatori di Fossil Roo che davano un’aria molto suggestiva alle figure colorate. Scendendo nel condotto, Eiko fece uscire gli ultimi operai che stavano restaurando parte delle pareti, e si diresse verso il murale incriminato: era una placca di roccia calcarea del tutto diversa dalle pareti del condotto, in rilievo su una parte preesistente degli affreschi che narravano della storia di uno spirito dell’evocazione. Era illuminato da due torce fissate alla base e a metà della sua altezza, e davanti a esso era posto un tavolaccio di legno con uno sgabello dinanzi, lo stesso su cui Eiko lavorava da qualche tempo, quando venne a trovarla Gidan per farle vedere la spada. Sembrava già passato un secolo. Sopra di esso vi erano diversi fogli scarabocchiati e un lapis consunto.
   «La prima parte che sono riuscita a tradurre recitava: “Queste armi sono molto potenti, per cui chiedo ai saggi sacerdoti di Madain Sairi di ritrovarle perché non cadano in mani sbagliate” e poi “…sull’isola splendente”, “un’altra si trova sull’altopiano vicino al santuario di Oilvert”, “su una piccola isola al largo del deserto Chiera”. Quando lo lessi, chiesi subito a papà di occuparsene, che chiese ai Tantarus di recuperarle… se avessi trovato più tempo per tradurla, forse tutto questo non sarebbe successo.» disse diventando improvvisamente triste.
   «Non potevi saperlo Eiko. La colpa non è tua. Semmai, la colpa è di Trivia.» la consolò Daga. I ruoli si erano invertiti rispetto a qualche giorno prima, e adesso ogni traccia della sua depressione era scomparsa.
   «Il murale dice: “Io Hades, figlio e sacerdote di Esto Gaza, pieno conoscitore del flusso delle anime, signore delle arti della magia e del combattimento, fabbro per professione, ai sacerdoti di Madain Sairi, e a chiunque altro legga questa iscrizione. Ho applicato questa lastra in un momento in cui la mia presenza fisica, forse non sarebbe stata accettata in questo luogo, e spero che serva a qualcosa. Nella mia vita, ho costruito diverse armi dal grande potenziale: nessuno al mondo ha maggior conoscenza nel combinare i metalli migliori e il potere della magia meglio di me. La mia fama divenne molto grande anche in questo campo, tanto che fui soprannominato e riconosciuto come il “fabbro fantomatico”. Mai, mi sono curato del perché o da chi fossero usate queste armi, se era per vincere una guerra, o per una semplice esposizione. Ma ogni volta non cercavo di creare un semplice strumento di battaglia, ma un oggetto che amplificasse le capacità del possessore. Ora però una mia arma, ha rischiato di causare un danno immane. Queste armi sono molto potenti, per cui chiedo ai saggi sacerdoti di Madain Sairi di ritrovarle, poiché non oso pensare a cosa possa succedere se cadessero in mani sbagliate. Ho inabissato un’asta nel basso fondale del continente della nebbia; un’altra si trova vicino al santuario di Oilvert, e una spada su una piccola isola al largo del deserto Chiera. È dall’Ultima cui voglio cautelarvi: io stesso l’ho posta sull’isola splendente, incastonata nel ghiaccio che la ricopre, affinché nessuno possa usarla o recuperarla. Il suo potere ora come ora, non è pericoloso, ma deve assolutamente essere al sicuro dai maligni, poiché da un maligno è stata impugnata. Tu che leggi, maligno o no, se trovi questa spada, distruggila se puoi, poiché non darà altro che dolore sia a te sia agli altri”. S’interrompe poi improvvisamente con un lungo taglio. Non so se volesse scrivere altro sulle sue creazioni, che per comodità chiamo “armi finali”, o sull’Ultima, ma ormai è un dato di fatto che la spada è stata creata da lui.»
   «Tu non ci hai sentiti mentre parlavamo di sopra: come facciamo a rintracciarlo? Quell’essere può essere morto per quanto ne sappiamo, e se è vivo, potremmo non trovarlo mai. Solo quel moguri nella palude dei Qu sapeva qualcosa sulla sua esistenza.»
   «Con il corno. Vi ricordate che posso usare il corno per connettermi al piano degli elementi e degli spiriti? Se è un’entità così potente, forse può trovarsi li.»
Tutti guardarono la piccola sciamana attoniti e sbalorditi: purché parecchio remota, ora esisteva la possibilità di trovare colui che aveva fabbricato quella spada.
   «Ehi, che avete da guardare così? Forza tutti al muro dell’invocazione!»

Il santuario a cielo aperto era davvero spettacolare: illuminate dalla luce del tardo pomeriggio, le forme mostruose sembravano quasi muoversi nel gioco d’ombre che veniva a crearsi. Ogni giorno Eiko veniva a pregare il nonno e gli spiriti ivi rappresentati che spesso gli rispondevano. La sciamana s’inginocchiò nel luogo dove era solita invocare gli spiriti, e si concentrò. Poi pronunciò la formula più classica per evocare uno spirito. Di solito si faceva a mente, ma per un’entità che forse neanche esisteva, era meglio dirla a voce alta. Così iniziò:
   «Sacerdote di Esto Gaza, fabbro fantomatico Hades rispondi al mio richiamo.»
I presenti aspettarono trepidanti qualche secondo, ma l’unica cosa che si sentì era il rumoreggiare del mare. Eiko riprovò, aggiungendo qualche parola:
   «Sacerdote di Esto Gaza, fabbro fantomatico Hades rispondi al richiamo di Eiko, sciamana di Madain Sairi.»
Ma ancora non avvenne nulla. Fu sul punto di alzarsi sconsolata, quando sulla sua piccola spalla si posò la mano di Daga e gli tese la mano. La bambina la prese tra le sue e ripeterono insieme l’evocazione, e ogni parola riecheggiava tra il muro circolare:
   «Sacerdote di Esto Gaza, fabbro fantomatico Hades rispondi al richiamo di Eiko e di Sarah, sciamane di Madain Sairi.»
Stavolta dalla volta a cielo aperto entrò un piccolo mulinello di sabbia, che torcendosi su se stesso arrivò fin sulla terra. Pian piano s’ingrandì raggiungendo l’altezza di un uomo. A un certo punto il piccolo vortice si fermò lasciando un fitto manto di sabbia nell’aria. Non si riusciva a vedere a un palmo dal naso, e le due invocatrici aspettarono con ansia un segno della presenza della semidivinità, che si manifestò con dei…colpi di tosse?! Esattamente. Quando la nuvola si diradò, videro una persona seduta sull’interno di uno scudo rettangolare che lievitava a mezz’aria che si metteva la mano dinanzi alla bocca, muovendosi convulsamente per la polvere andatagli di traverso. Dopo essersi ripreso, fece un sorriso smargiasso e disse semplicemente:
   «Stavate parlando di me?»

Era notte. O almeno sembrava. Dinanzi a lui si presentava un paesaggio scuro, spoglio di qualsiasi rilievo o albero, illuminato da strani bagliori blu. Si rese conto di essere inginocchiato e di avere le mani sollevate in alto, e provando a muoverle le sentì pesantissime: notò anche una parte stessa di quell’ambiente che gli bloccava le mani come delle manette e che un’altra protuberanza lo teneva fermo alla cintola. Si sentiva stordito, come sotto l’influsso di qualche erba tossica. Si scosse dal volto i capelli biondi e chiese più a se stesso:
   «…dove mi trovo?»
«In questo momento, nel tuo stesso cervello Gidan Tribal.» echeggiò una voce. Dinanzi a lui prese forma una splendente figura bianca dall’aspetto umano che teneva le braccia conserte: intorno alla testa priva di capelli e di peli, girava ritmicamente una specie di grossa aureola ricoperta di caratteri blu fluorescenti. Dello stesso colore erano delle strane forme mostruose simili a braccia che gli uscivano dalle spalle.
   «…Trivia. Ora ricordo. Hai preso possesso del mio corpo!» si riscosse il Tantarus.
   «Già e ti devo ringraziare. Ora posso usare un corpo in perenne stato di Trance senza il benché minimo rischio che tu possa riprendertelo. Perfetto per la mia vendetta.»
   «E allora perché vedo sia me stesso, che te?» chiese sarcastico.
   «Diciamo che una minima parvenza di te mi serve per mantenere la stabilità fisico-psichica del tuo corpo. Non che sia importante, in questo stato sei praticamente invincibile: gli incantesimi hanno scarso effetto, e le lame infliggono pochissimi danni.»
   «Già, devo dire che è anche per questo che continuo a far colpo sulle belle donne!» disse orgoglioso come se niente fosse.
   «Si, continua a fare lo spiritoso. Tanto non serve a nulla.»
   «Sbaglio, o invece vedo una vena del mio carattere che si è insinuata in te? Ho sentito come hai risposto a Eiko quando ti ha colto di sorpresa. Dubito che stessi fingendo.»
   «Tsk.» fu la risposta.
   «E il fatto che continui a prendere informazioni dalla mia mente? Tipo andare a cercare Lylith, che non sapevo neanche esistesse per annetterla al tuo esercito? Tu non hai mai visto Beatrix. Come fai a conoscerla? E poi, perdonami ma solamente uno con la mia passione per le donne, può andare a cercare una guerriera per la sua vendetta. E che donna, oserei dire!» fischiò Gidan.
   «Smettila! I tuoi pensieri mi sono… insopportabili.» sbottò.
   «A-ah! Allora ce l’hai un punto debole!» rispose canzonatorio.
La figura splendente per tutta risposta volse di scatto il capo in un gesto stizza. Calò il silenzio.
   «Sai, mi sono sempre chiesto dopo averti incontrato, come sia possibile che una creatura così…spettacolare come te, sia il dio del nulla e della morte.» riprese Gidan.
Trivia non pronunciò parola.
   «Dubito che fossi stato sempre così. Cos’eri? Un ragazzo, un uomo, un ricco aristocratico, o magari una bella ragazza prorompente…»
   «Nulla di tutto questo.» rispose mascherando un sorriso, il primo sincero che gli si formava sul volto da tanto tempo, che non mancò di attirare l’attenzione del Tantarus.
   «Eri buono un tempo. Una persona che si sforzava per sembrare il migliore dei suoi simili, che erano tutti uguali e che non mostravano sentimento. Ma tu per qualche motivo eri nato diversamente. Poi chissà cosa ti è successo: genitori uccisi da un ladro, un amore infelice, una violenza… oppure semplicemente paura. Ricordo ancora cosa mi dissi sostenendo che solo la morte può fermare la paura della morte: “L’ansia porta alla paura: la paura conduce all’ira, l’ira all’odio; L’odio conduce alla sofferenza”. Io penso che la tua voglia di togliere la vita di Gaia, non fosse per invidia della vita stessa, come voleva Kuja, ma per semplicemente liberarci da tale paura. Quasi un intento…benevolo, per quanto distruttivo. E secondo me, nella paura che ti ha condotto a quel passo, diventare il dio dell’oscurità qualcosa ancora dentro di te pensava: “Non posso permettere ad altri di provare paura”. Ma fu li che la malvagità ti soverchiò.  Non volevi salvare il mondo dalla paura della morte, come facemmo noi: volevi diventare la morte stessa. Il fatto che non sembri proprio un dio malvagio, o una creatura maligna, vuol dire che eri una persona priva di anima, ma che incredibilmente provava sentimenti, cosa del tutto estranea alla sua razza.»
Fu lì che Trivia si girò, fulminando con lo sguardo il suo prigioniero, che senza nemmeno conoscerlo e solamente attingendo i suoi ricordi tramite il legame parassitario che li legava, lo stava lentamente psicanalizzando. Senza paura, Gidan continuò:
   «Eri un jenoma. Un jenoma che non accettava la sua natura di recipiente per altre anime. Dunque hai studiato quel flusso che controllava la vita di quel pianeta. Pensavi che forse controllandolo tu, avresti salvato il tuo popolo dalla sua natura, evitando la morte di un mondo parallelo che altra colpa non aveva se non quella di essere più fortunato. Ma ancora c’è quell’elemento che ti ha convinto a passare al lato del male, il tuo lato oscuro. E non ci metterò molto a trovarlo.»
   «È ammirevole la tua inventiva. Ma per alcuni versi hai ragione. Non potevo sopportare la natura che il mio popolo aveva, solo per il folle progetto di altri: non potevamo combattere una battaglia che non era la nostra. Su due cose, però, ti sbagli: non ero un jenoma, e non sono mai stato buono. E te lo dimostrerò, rendendo questo mondo una massa a mia immagine e somiglianza!»
E lentamente sparì, allo stesso modo in cui era apparso, lasciando un amaro in bocca a Gidan che ritrovandosi da solo, ricadde lentamente nel sonno che non gli permetteva di attingere alla sua coscienza.
   «…non è vero…» riuscì solamente a dire. E giurò che sarebbe riuscito di più a scoprire il passato della semidivinità, al punto di farlo cedere.











"ahahahaahahah!! Pensavate che non avessi messo la parte con Trivia, vero? Beh, sono riuscito persino a rimetterci Gidan! Vorrei precisare anche un paio di cosette: il deserto Chiera che citano Hades ed Eiko, altro non è che il nome del deserto con i mulinelli di sabbia dov'è la reggia di Kuja. La frase che invece può risultare ai più attenti un detto di Yoda di Star Wars, in realtà è una frase detta realmente da Trivia nella versione inglese del titolo, chissà perchè non tradotto in quello italiano. Ed è stata questa frase ad avermi ispirato il dialogo finale. Commentate numerosi e alla prossima!!
psyker: uhmm... Trivia ha qualcosa in mente, certo, ma non nella maniera in cui pensi... vedrai, vedrai. Ottimo il riconoscimento della struttura cittadina che ho fatto involontariamente uguale al purgatorio dantesco. Sarà che sono molto appassionato della "Commedia"... che devo dire poi, complimenti per aver sconfitto Hades alla prima botta (anche io, ma magari qualcuno nn lo sapeva che c'era, quindi...)!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


"Un saluto alle centinaia e centinaia (magari....) di fan di THE ALEX fflover89! Vi lascio senza troppi fronzoli a questo capitolo, che è uno dei miei preferiti."







Tutti i presenti guardarono il fabbro fantomatico con sguardi attoniti: persino Amarant era sorpreso. L’uomo, perché essenzialmente a un uomo di mezza età sembrava, si passò la mano sulla barba incolta e inarcò un sopracciglio, assumendo un espressione riflessiva:
   «Mi sembra di avervi già visto…» disse con voce profonda «Sbaglio, o siete quel gruppo di personaggi che me le ha cuccate nel Luogo dei Ricordi?»
I ragazzi si guardarono quasi imbarazzati l’un l’altro. In effetti, erano stati loro i primi ad attaccarlo senza una ben precisa ragione.
   «Dovrei ringraziarvi. Mi avete liberato dalla forma demoniaca che m’imprigionava.»
   «Imprigionava?» chiese Eiko.
   «Sì, piccola invocatrice. Ma penso sia meglio parlarne con calma. È una storia lunga.»
Tornati a casa di Eiko, si misero a sedere al tavolo di marmo bianco nella sala da pranzo, e Hades si mise a capotavola. Quina per l’occasione prese dalla cantina che gli avevano prestato i moguri, le bottiglie di birra per le grandi occasioni e la servì al fabbro, che ne fu entusiasta:
   «Ah, una birra così erano esattamente quattrocentoventi anni che non la bevevo: mi avevano invitato a benedire l’apertura di un locale. Sul serio, non avete idea della sofferenza che ho patito per tutti quegli anni. Il pensiero anche di condividere il piacere di una birra con altre persone, mi era impossibile.»
   «Perché ti ritrovavi in quella forma?»
   «Perché ho compiuto, diciamo un patto col diavolo. Da quello che ho ascoltato, avete anche voi dei problemi con Trivia, giusto?»
   «Come “ascoltato”?!» fece Blank più risentito che sorpreso.
   «Oh, voi non sapete che ho il dono della telepatia a lungo raggio. Dopo essere sfuggito all’esplosione del mondo dei ricordi, avevo intenzione di trovare Trivia. Inizialmente pensai che voi lo aveste sconfitto, ma diciamo qualche mese dopo ho percepito la sua presenza anche se molto confusamente. Ho certi conti in sospeso con lui, così mi misi in meditazione per trovarlo, ma non ci riuscii per molto tempo. Evidentemente aveva assunto una forma non fisica, e non lo riuscivo a localizzare con precisione. Decisi quindi di collegarmi a tutte le menti del pianeta e cercare di ridurre la mia telepatia alla reazione della parola “Trivia”. Ma prima riavvertii con certezza la sua presenza in un corpo fisico,e mi precipitai a trovarlo. Una volta lì, misteriosamente non trovai nessuno. Riprovai a percepire la sua aura, ma quel maledetto deve essere riuscito a occultarla in qualche modo. Poi qualche tempo fa, ho capito che era ricomparso dai vostri discorsi, e mi mossi immediatamente, cercando un modo per presentarmi, sapete non è cosa di tutti i giorni trovarsi davanti a un essere in grado di carpire i vostri discorsi. Captando la vostra evocazione, mi sono fiondato. Ho sentito che mi avete chiamato per tre volte: dico, datemi il tempo di arrivare! Sono sì, una semidivinità ma non ho mica il dono della binguità!»
   «Semmai ubiquità.» lo corresse Daga.
   «Ecco, quella roba lì.» tagliò Hades.
   «Stavi dicendo di avere dei conti in sospeso con Trivia. Strano, da quanto ci risulta hai costruito per lui un’arma che lo ha aiutato ad impossessarsi di un nostro amico.» fece duro Amarant. Per quanto non avesse il mostruoso aspetto di quattro anni prima, non riusciva a farselo piacere.
   «È vero, uomo salamandra. Trivia ed io eravamo… amici. Ma lasciatemi spiegare. Quasi cinquecento anni fa, io ero riuscito a comprendere la natura dell’Isola Splendente, in altre parole come il punto di contatto tra Gaia e Tera, e il flusso delle anime. Mi ci volle mezzo secolo quasi, tramite l’arte magica, a entrare in Tera, approfittando di un momento di debolezza del flusso stesso. Davanti a me vidi una civiltà in decadenza, i cittadini che non si potevano ancora considerare jenoma erano colpiti da una sorta di epidemia ma ancora resistevano. Vicino al mio punto di “atterraggio” trovai un tizio che sembrava essere un sacerdote della città: egli m’illustrò una sua teoria secondo cui lo sfruttamento del flusso delle anime per ripopolare Branbal fosse una stupidaggine, e che se qualcuno se ne fosse appropriato incautamente avrebbe distrutto sia Gaia che Tera.
   “Chi ad esempio?” gli chiesi.
   “Il Dio oscuro della galassia. Ha diversi nomi, ma qui è conosciuto con il nome di Chaos. Una volta che individua il flusso delle anime di un pianeta, ne estirpa la fonte e poi usa le anime come esercito personale. E capirai che un mondo come il nostro, è esposto per la sua attività innaturale.”
Dire che ero stupefatto è poco: mai avrei pensato dopo anni, e anni di studio che il flusso delle anime fosse una cosa così manovrabile. E mi sorpresi soprattuto perché a dirmelo, era stato un semplice sacerdote che all’aspetto sembrava molto più giovane di me. Mi raccontò di come la sua civiltà perì inesorabilmente dopo l’enorme opulenza. Mi descrisse con dovizia di particolari che l’epidemia altra non era che la trasformazione del popolo di Tera da persone a semplici recipienti per altre anime. Era questo che non riusciva a comprendere. E parlammo, poi, di diverse cose: di filosofia, di astronomia, di arti magiche, di teologia. Su quest’ultimo argomento, mi disse che esisteva anche una dea della luce, che si contrapponeva a Chaos. In teoria i due dovevano mettere in equilibrio l’universo, ma il dio dell’oscurità era affamato di potere, e spesso nascevano delle guerre.
   “Ma chi sei tu?” gli chiesi infine.
   “Il mio nome è Trivia, e ho sognato la dea della luce che mi ha rivelato l’intenzione di Chaos di invadere il nostro mondo. Mi ha promesso che se l’avessi aiutata, mi avrebbe reso un semidio, cioè un essere dagli enormi poteri, inattaccabile dalla vecchiaia ma mortale per mano di spada. Se mi aiuti, forse la darà anche a te. Anche te desideri un potere del genere, vero?”
Mi sembrava di sognare ad occhi aperti: per anni avevo temuto la morte, il non poter più dedicarmi ai miei studi, l’idea stessa di perdere il potere che con fatica avevo raggiunto mi terrorizzava. Aggiungerne altro sarebbe stato un miracolo per me. Sicuro che la mia decisione fosse per una buona causa, acconsentii.
   “Prima di tutto dobbiamo potenziare le nostre abilità, per raggiungere almeno in termini di poteri la forza delle semidivinità. So che tu fabbrichi delle armi che amplificano il potere di chi le usa. Il mio potere al momento è più alto del tuo, ma posso rimediare.”
Avvicinò i palmi aperti delle mani all’altezza del mio viso e sentii il mio corpo ribollire di energia. Guardandomi nel riflesso delle pareti di cristallo, capii che Trivia mi aveva riportato indietro di almeno trent’anni rendendomi doppiamente più forte. Il dono che mi fece, invece, fu l’inizio della caduta.
   “Ti ho riportato a un’età più giovane per fabbricare due spade: ecco la mia idea…”
Non gli chiesi come facesse a sapere che per parecchio tempo prima di diventare sacerdote di Esto Gaza, avevo fabbricato armi, non mi sembrò importante. La mia conoscenza in campo, e la sua diedero vita a due spade molto diverse nell’aspetto ma che si basavano entrambe sul flusso delle anime: la mia, che mi avete visto usare contro di voi, aveva il potere di indebolire le anime, e la sua quello di controllarle. Il piano era questo: poiché Chaos era una divinità ed era immortale, dovevamo agire sul suo corpo, che era composto dalle stesse anime che trafugava; dovevamo prima indebolirlo e poi controllare il suo flusso, di modo che ogni anima sarebbe tornata al suo proprietario, vivo o morto. Le due armi amplificavano enormemente il nostro potere, forse troppo. Per questo motivo, all’insaputa del mio compare, misi all’interno delle else travestite da semplici decorazioni, dei globi di controllo che “spengevano” a mio comando le spade rendendole dei semplici pezzi di ferro. Lo feci pensando all’evenienza della nostra sconfitta, cosicché il dio non avrebbe potuto usarle per se.
Dopo settimane di allenamenti, riuscimmo a raggiungere lo spazio profondo tra il piano degli elementi e quello reale, dove si trovava Chaos. Lo vedemmo, e per poco non ci prese un colpo: era talmente mostruoso ed enorme, che fatico a ricordarlo con precisione. Lo affrontammo, e miracolosamente riuscimmo a stordirlo. Cominciai il processo di trasferimento, quando quel vigliacco di Trivia mi trafisse alle spalle. Ricordo ancora ciò che mi sibilò all’orecchio:
   “Grazie per avermi aiutato. Senza di te, non sarei mai diventato il nuovo dio dell’oscurità!”
Quel bastardo mi aveva usato non per fini di giustizia divina, ma per la sua brama di sangue e di potere. La spada che avevo creato per lui, lo aveva aiutato a raggiungere lo stato semidivino a cui anelava, e ormai era in simbiosi con essa. Dopo aver preso anche la mia, iniziò da solo il processo di trasferimento ma anziché dirigerlo verso l’esterno, lo indirizzò verso di se. Rideva, il maledetto. Rideva perché avrebbe potuto governare l’universo con il suo potere, e con le mie creazioni uccidere la dea della luce, ammesso che esista. Dovevo fare assolutamente qualcosa, ma ero sfinito sia per il combattimento, sia per la ferita che Trivia mi aveva inferto. Mi ricordai improvvisamente dei globi di emergenza. Dovevo agire in fretta: il corpo di Chaos si stava trasferendo a quello di quel malvagio, e si stava trasformando in una creatura se possibile peggiore di come lo era il precedente dio dell’oscurità. Attivai i meccanismi. Il flusso si fermò improvvisamente, e uscì copioso da lui provocando delle esplosioni nel suo corpo, che divenne più bianco e più piccolo, cioè la forma che conoscete anche voi.
   “Cosa hai fatto?! Che cosa hai fattooo?!” urlava nel dolore. Sembrava persino spaventato.
Per salvarsi si aprì un varco nella struttura spazio temporale della zona e sparì. Stavo per morire, quando sentì la voce di Chaos:
   “Anche se mosso da un sentimento di giustizia, mi hai salvato dall’annichilimento. Ti offrirò qualunque cosa vorrai, a patto che tu nasconda in luogo inaccessibile la spada di quel tipo. La tua puoi tenertela, per quel che mi riguarda.”
In quel momento l’attaccamento alla vita e il rancore soverchiarono il mio raziocinio e risposi:
   “Dio dell’oscurità, donami la semidivinità, poiché solo così potrò vivere, e vendicare l’affronto subito!”
   “Nulla di più semplice…” lo sentii dire. Anche se non riuscivo a vederlo, capii che sorrideva mentre lo diceva.
Mi svegliai sull’Isola Splendente e decisi di seppellire lì la spada. Ma prima incisi sulla lama la parola “Ultima” giurando di non fabbricare più nessun arma. Lo scrissi in caratteri che ricordassero il luogo in cui era stata saldata, in modo che magari poteva dare qualche indizio ai posteri.»
Si fermò e bevve un lungo sorso di birra, tirando un lungo sospiro: evidentemente stava raggiungendo il punto clou del racconto.
   «Una volta fatto mi diressi qui, a Madain Sairi, per apportare un incisione sui graffiti che fosse da mio testamento. Ipocritamente pensai che indicando il posto dove fossero le mie armi, i sacerdoti di Madain Sairi una volta trovate le mettessero al sicuro, ma evidentemente non fecero in tempo a farlo. Lasciai anche un monito per chiunque fosse andato alla ricerca dell’Ultima di non farlo. Suppongo deve essere andato parzialmente distrutto, altrimenti non sarei qui. Comunque, dopo averlo fatto, fui contattato telepaticamente dal dio, che mi disse:
   “Hai compiuto bene i tuoi servigi Hades. Anche se non credo ti dispiaccia che ti prenda sotto il mio servizio…”
Ero terrorizzato: provai un dolore inimmaginabile ovunque, come se il mio corpo venisse smembrato e ricomposto. Mi ero trasformato in una creatura orribile, ma con poteri eccezionali. Chaos mi aveva punito, dandomi ugualmente ciò che desideravo. Mentre nel mio ultimo barlume di ragione, fuggivo dal piano elementale nel tentativo di non sfogare la mia ira su Gaia, avvertii di nuovo la voce di Chaos:
   “Ti ho reso l’immortalità dallo scorrere del tempo, ma la mortalità per ferita. Rimarrai così, finché qualcuno ti sconfiggerà. Ma non credo sia possibile senza ucciderti.”
…ero condannato.»
Il fabbro fantomatico chinò il capo e tremò di disperazione e di rabbia, e di risentimento. Sbatté il pugno sul tavolo, che quasi non si ruppe e mormorò sconsolato:
   «Per la mia brama di potere e la mia stoltezza, ho coinvolto persone che all’epoca non esistevano nemmeno. Mi dispiace…mi dispiace…»










"Beh, se con questo capitolo nn mi danno almeno il premio della critica... Direi che sono riuscito a chiudere 'il cerchio' riguardante le origini di Trivia e del fabbro fantomatico Hades che, ripeto, ho inventato di mia sana pianta tentando di renderli verosi mili. Un ringraziamento particolare a psyker, che con un suo commento mi ha evitato un piccolo errore di plot. Commentate, e IF YA SMMEEEEEEEEEEEEEEELLL!!!! WHAT THE ALEX IS COOKING!!
psyker: son sicuro che il nome fosse Sara, ci ho messo l'"h" perchè faceva un pò più carino. Spero che per il momento la natura di Trivia ti sia ormai chiara, poichè non era un jenoma prima e certamente non lo è adesso. Per Amarant e Quina, ti preannuncio che il prossimo capitolo sarà parecchio incentrato sul primo. Alla prossima!!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


"FINALMENTE, THE ALEX E' TORNATO SU E.F.P!!! Prego ringraziare e scusare contemporaneamente tutti coloro che seguono e commentano questa fic per il grosso ritardo: ormai i problemi sono parzialmente risolti, ed ora ho la testa per rimettermi a scrivere. Ed ora, passiamo al nuovo (finalmente!) capitolo!!!"









Dopo il lungo racconto di Hades, nessuno osava muoversi o a proferire parola. L’equilibrio della situazione si ruppe quando Amarant si alzò dicendo:
   «Bene, direi che non ho più bisogno di ascoltarlo.»
   «Non mi credi forse?» gli fece il fabbro alzandosi anch’egli.
   «È proprio perché ti credo che non voglio ascoltarti ancora. Mi rifiuto di avere a che fare con colui che di fatto ha contribuito a condannare il mio amico al controllo fisico e mentale, da parte di un bastardo che hai aiutato a diventare la più grossa minaccia che questo mondo abbia mai conosciuto. Siccome dubito che voi non abbiate remore nel farvi comandare da uno come lui, me ne vado io.»
   «Come sarebbe te ne vai?» chiese Steiner incredulo.
   «Sì, me ne vado. Troverò io il modo di liberare Gidan da Trivia. Inizialmente il piano della regina non era male: trovarlo, e cercare di sconfiggerlo per tirar fuori quell’ammasso di letame dal suo corpo. Io la mia arma finale se servirà ce l’ho, le “Unghie Runiche”, e sapete che so usarle.»
   «Alt. Sai usarle?» chiese Hades.
   «Sì, perché? Qualche problema?»
   «No, anzi. Il fatto è che le mie armi possono essere usate alla piena efficienza solo da chi ne ha chiesta la forgiatura. Forse tu ne sei un discendente. Di quell’arma ne esiste una seconda in una città del continente dimenticato che per quanto ne so è sparita. Non puoi sfidare Trivia da solo con un’arma incompleta. E poi, saresti in grado di colpire quasi a morte un uomo, un amico che ha fatto di tutto per salvare la tua vita e quella degli altri?»
   «Mi hai appena detto come fare. Sono un mercenario che ha conosciuto a malapena i genitori e dubito di discendere da un personaggio che ti ha chiesto di forgiargli un’arma. Ho già combattuto contro Gidan, non avrò remore a farlo ancora e ho i miei uomini. Se voi non ci riuscite, dubito che troveremo qualcuno migliore, e più disposto di noi a farlo. Ora, se non vi dispiace…» e prese la porta, facendo un mezzo cenno del capo. Il silenzio gravò di nuovo nella stanza per diverso tempo, prima che Daga si riscosse:
   «No, dico, avete intenzione di farlo andare via così? Siamo compagni diamine!»
   «Non lo siamo mai stati Daga. Si è unito al nostro gruppo solo per soddisfare la sua sete di battaglie e per capire il perché Gidan non lo avesse ucciso: non è mai stata sua intenzione quella di salvare il mondo.» disse Freija che fu la prima a cercare di avvicinarsi all’uomo salamandra, provando quasi una sorta di affinità per lui.
   «Non ci credo Freija. Proprio tu parli di egoismo: dopo tutto quello che è successo a Burmecia e a Cleyra, potevi benissimo andartene e cercare Flatrey, invece sei rimasta con noi. Per cos’altro se non per il desiderio di giustizia? Gidan, non hai mai costretto nessuno a seguirlo. Lo seguivamo perché tutti avevamo lo stesso desiderio. Poi ognuno aveva la sua causa personale. Anche Amarant l’ha. E non me ne importa di ciò che pensate di lui. Io lo raggiungo.»
Daga letteralmente fuggì dalla stanza, lasciando basiti e perplessi i presenti, che si accorsero di stare perdendo, dopo tutto quel tempo il sentimento di gruppo che li permeava quando viaggiavano insieme per Gaya quattro anni prima. Raggiunse Amarant che con un sacco sulla spalla stava per uscire dal villaggio. Al primo richiamo della ragazza non si girò. Si girò solo quando la sentì proprio dietro di lei.
   «Cosa vuoi, principessa?»
   «Dove hai intenzione di andare?»
   «Gentile da parte tua chiedermelo. Pensavo t’interessasse solo di Gidan.» le disse sarcastico.
   «Dove hai intenzione di andare?» richiese ignorandolo.
   «Qui vicino ho raggruppato un gruppo di amici mercenari e cacciatori di taglie: c’è anche Lanì con loro. Per il momento studierò con loro le mosse di Trivia. Poi decideremo come muoversi.» le rispose ricominciando a camminare.
   «Non puoi andartene così. Non puoi.»
   «E chi può impedirmelo?»
   «Io posso impedirtelo.» rispose allungando il passo e sbarrandogli il passaggio, alzando la testa in alto per fissarlo con aria di sfida. Non era certo in grado di fermarla: cosa poteva fare una maga bianca contro una macchina da morte qual era lui? Poteva ucciderla in cento modi diversi, e in altrettanti senza neanche che se ne accorgesse. Ma Amarant non mosse muscolo. Disse solo, quasi accusatorio:
   «Spostati, principessa.»
   «Primo, non chiamarmi né principessa né regina. Secondo, non ho intenzione di muovermi. A meno che tu non mi spieghi il perché vuoi andartene.»
   «Penso di essere stato chiaro.»
   «Forse, ma io non ti credo. Non è solo perché non vuoi sentire i saggi consigli di Hades, vero?»
Colpito nel segno Amarant alzò la testa a fissare il cielo. Riabbassò il testone sul petto, scuotendo i rasta rossi fuoco. Poi chiese, con tono totalmente diverso da prima:
   «Ti dispiace se ci sediamo?» mettendosi seduto sulla nuda terra con le gambe incrociate. Daga, inizialmente perplessa si sedette al suo fianco distendendo lateralmente le gambe, come faceva di solito.
«Da quanto ci conosciamo noi due?» iniziò improvvisamente Amarant. Mai gli aveva fatto una domanda simile.
   «Direi quattro anni. Forse tre considerando quanto poco ci siamo visti.»
   «E che razza d’uomo pensi che sia? A parte un uomo salamandra, ovvio.»
   «Tu sei un uomo…forte. Che ama combattere. Che però ha scoperto che il solo combattere può toglierti tutti gli altri piaceri della vita.»
   «Come chiacchierare con una ragazza.» rispose. Amarant lo stava a dir poco sorprendendo: mai lo aveva ritenuto così sensibile nel considerare come “cosa piacevole” il parlare con una ragazza, che risultava nel suo largo gruppo di “esseri deboli”.
   «Anzi, con la ragazza del mio amico: colui che mi ha aperto gli occhi.» si corresse.
   «E allora perché non fai felice la ragazza del tuo amico, e la aiuti a liberarlo da Trivia poiché è troppo debole per farcela?» le rispose provando il suo tipico “sguardo da cerbiatta”.
   «Sinceramente, mai in tutti i miei viaggi ho conosciuto una così bella donna che non sia debole.» rispose notandoli non senza una mezza nota d’incertezza. Daga si sorprese ad arrossire lievemente, e tirò un pugno sul braccio grosso quanto lei dell’amico.
   «Scemo! Che fai, approfitti della situazione?» ridendo.
   «Ahio!» fece Amarant girandosi risentito.
   «Non vorrai farmi credere che ti ho fatto male…»
   «Beh, no. Diciamo che mi hai sorpreso. Visto? È proprio per questo che non posso partecipare alla vostra battaglia: io con voi sto bene. E non me la sento di affrontare un’avventura del genere contro un nostro comune amico, con delle persone che ho imparato ad apprezzare.»
   «Dato che hai imparato ad apprezzarci, sai bene che ti apprezziamo anche noi.»
   «Perché avreste bisogno di me? Siete abbastanza forti da cavarvela da soli. Inoltre non sono Gidan, che voleva e sapeva come salvare tutti. Qualche anno fa forse non mi avresti dato un pugno sul braccio.»
   «E forse qualche anno fa non mi avresti detto una cosa così carina.» ribatté Daga.
Amarant si alzò e anche lei.
   «Io ho bisogno di pensare… devo decidere se dopo aver scoperto gli altri piaceri della vita, posso decidere di avere una vita normale. E forse questa sfida mi aiuterà a deciderla. Devo decidere da quale parte stare.»
   «E quale, per Odino?!» fece scocciata del suo girare intorno al soggetto.
   «Quella dell’eroe buono altruista, o quella dell’aiutante burbero attaccabrighe che viene soppiantato dall’eroe buono. Forse sono egoista. Ma saprò come muovermi. Se saprò qualcosa, ve la invierò immantinente.»
«Noi siamo qui. E ti accoglieremo a braccia aperte se vorrai tornare.» e per la prima volta lo vide sorridere di gioia, di piacere di vivere. Le poche volte che lo vedeva sorridere, era solo quando vedeva un suo Rising Sun colpire in pieno un punto vitale dell’avversario.
   «Grazie Daga. Ciao.» gli porse la mano. Quando Daga la prese con la sua, gli venne improvviso l’impulso di avvicinarla alle labbra e di darle un leggero bacio sul dorso. Non capì perché lo avesse fatto. Poi pensò e disse:
   «Troppo tempo con Gidan e Steiner mi hanno addolcito. Anche baciamano sono diventato.» e fece per allontanarsi.
   «Stai attento! E ricordati che ti vogliamo bene!» si alzò un lieve vento che rumoreggiando fece sparire pian piano la figura gigante dell’uomo salamandra. Gli sembrò quasi di sentire da lontano un “anche io”, ma forse si sbagliava.

Tornata in sala da pranzo sentì un forte vociare. Quina diceva una cosa sbracciandosi, Freija cercava di confermare la sua opinione alzando la sua voce squittente, Steiner sovrastava tutti con il suo vocione ma nessuno gli dava retta, Blank invece stava zitto con la mano sul volto con l’aria di chi è stufo di sentire troppe urla, e persino Eiko si stava sgolando. Si tappò le orecchie per il troppo rumore e cercò ingenuamente di fermare il discorso con un:
   «Scusate…»
Nessuno l’aveva neanche notata, tranne forse Hades che cercò di far calare il tono. Non riuscendoci, Daga riprovò un po’ più forte:
   «Scusate!»
Ma dopo l’ulteriore insuccesso, gli montò una rabbia tale che inconsciamente urlò la frase che Gidan gli insegnò tempo addietro:
   «TACETE, MALEDETTI BASTARDI!»
“Misteriosamente” calò il silenzio e tutti guardarono l’elegante e impeccabile figura della regina di Alexandria stupefatti e con gli occhi sgranati, soprattutto Steiner e Freija che non si sarebbero mai aspettate un’espressione da taverna mal frequentata in bocca ad una ragazza d’alto rango.
  «E che c’è?! Mica siamo alla camera della politica di Lindblum! Che succede?» chiese ancora rossa per l’urlo.
   «Succede che Hades dice che non dobbiamo combattere noi contro Trivia.» rispose Blank.
   «Veramente, ho detto che non dovete combattere contro Gidan posseduto che è diverso!» precisò il fabbro fantomatico.
   «Ma mi faccia la cortesia!»
   «Boni! Non ricominciate! Vorrei avere una spiegazione Hades, e il primo che emette un suono troppo forte dalla propria ugola, si becca un “novox”!» minacciò Daga.
   «Il fatto, è che voi tutti avete combattuto insieme a Gidan, vi siete coperti le spalle a vicenda, vi siete curati l’un l’altro. Non potete combatterlo come fosse un nemico. E dovrete ferirlo quasi a morte per togliere Trivia dal suo corpo» fece laconico «Ci vorrebbe qualcun altro che sia potente almeno quanto voi che lo indebolisca a dovere: poi voialtri dovrete combattere contro Trivia che ricordiamoci, molto probabilmente diventerà ancora più forte se non gli sottraiamo l’Ultima. E dovete farlo con le mie armi.»
   «E chi? L’unico che forse aveva poche remore nel colpire Gidan era Amarant, e ora se n’è andato.»
   «Scusatemi, ma in linea di massima io non avrei problemi: ho combattuto e sconfitto più di due volte Gidan, e non ho mai combattuto proprio al suo fianco.» disse Beatrix.
   «Io conosco Flatrey che potrebbe combattere. Anche se lo conosce abbastanza bene, non credo che si tiri indietro da una sfida. Ultimamente sta diventando ancora più forte di me.» propose Freija.
   «Io invece pretendo di partecipare alla battaglia! Se non lo salvo io Gidan chi lo salva? Siccome Daga non può andarci, devo andarci io per il suo bene!» fece entusiasta Eiko.
«È troppo pericoloso anche per te Eiko: è meglio che tu sia al sicuro finché non lo battiamo.»
   «Uffi! Questo è razzismo!»
   «Scusate, a cosa è dovuto questo improvviso entusiasmo nell’andare a picchiare il mio ragazzo?» fece Garnet piccata.  
   «In effetti…» commentò Hades, sul punto di mettersi a ridere. Dopo un altro po’ di chiacchiere alla rinfusa, si giunse a una decisione, detta da Hades:
   «Allora è deciso: ci divideremo in due gruppi: il primo composto da Beatrix, Flatrey,  e la maestra di Quina andranno a combattere Trivia insieme a me, e cercheranno di trovare un modo per sconfiggerlo; voialtri intanto dovreste andare a recuperare le mie altre armi che ho saldato: ho analizzato i vostri stili, e penso che ce ne siano altre tre o quattro che possono essere trovate.»
   «Sbaglio, o hai detto che le armi che creavi erano su ordinazione di una persona e che in pratica solo quella persona era in grado di usarla perché amplificava il suo potere, eccetera eccetera?» si intromise Blank.
   «Ho già in mente un idea non preoccupatevi. Forza, preparatevi a partire.»
   «Un momento!» echeggiò improvvisamente una voce femminile. Era Mikoto che teneva dietro la schiena un oggetto non molto identificabile:
   «Anch’io so combattere: mio fratello mi ha insegnato parte della sua scherma, e ho anche una certa bravura nella magia.»
   «Lieto che tu voglia partecipare: ma sarà difficile trovare un’arma anche per te.»
   «Ho la daga Orichalcon di mio fratello. E per le magie, mi sono permesso di modificare una tua vecchia creazione…»
Mosse il braccio da dietro la schiena, e rivelò l’asta Chaos di Zeus di Vivi, con una rottura su parte della capocchia, che era stata sostituita con applicazioni tecnologiche Jenoma e dei maghi neri. Guardandola con un misto di nostalgia e di curiosità, il fabbro acconsentì a non modificarla ulteriormente.
   «Alcune credo che le abbiamo già: la “Pinna di balena” di Daga, la “Laguna rock” di Steiner, e il “Flauto d’angelo” di Eiko.» elencò la draghiera.
   «E siete riusciti a usarle?» chiese meravigliato Hades.
   «Sì, abbastanza. Ci ha consentito di eseguire qualche magia che non sapevamo.» ricordò Eiko.
   «Solo qualche magia!? Allora non avete idea di quello che possono realmente fare queste armi!»
   «Scusatemi un secondo, vado a prendere una boccata d’aria non mi sento bene…» disse all’improvviso Daga, che fu subito seguita da Beatrix. In effetti, dopo aver lanciato quell’urlo aveva incominciato a diventare pallida e a parlare sempre meno forte. Forse erano i postumi del lungo digiuno. Hades non se ne avvenne e continuò il suo discorso.
   «Però in parte siete riusciti ad utilizzarle… bene ho deciso, renderò le armi degli strumenti al vostro servizio: mi servono delle gocce del vostro sangue; ricordatelo anche a Daga quando starà meglio. In quelle armi, mettevo delle gemme in cui inserivo una goccia di sangue del compratore che doveva usarle in modo che la spada, o l’asta reagisse solo al suo comando.»
   «Buona idea, così posso farle un analisi. Meglio sapere in anticipo se Daga può o meno sostenere una battaglia del genere.» pensò Mikoto.
   «Forza, andate a trovare le armi! Io intanto fabbricherò le altre gemme!» esclamò il fabbro entusiasta, togliendosi il soprabito e restando con una maglietta nera.
 








"Niente male vero? Una parte un pò introspettiva, specialmente sui personaggi poco importanti, ci stà sempre bene soprattutto con Amarant uno dei miei preferiti. Come avete visto, ho detto che alcune delle armi finali dei personaggi sono state trovate, salvo quella di Freija, Amarant, Quina ed ovviamente Gidan. A questo punto chiarisco il fatto che l'Ultima Weapon che adesso è in mano di Trivia l'ho ideata "fondendola" con l'Excalibur 2, l'arma finale segreta di Steiner che è quasi impossibile da ottenere, poichè bisogna raggiungere mi sembra in diciotto ore un certo posto nel quarto cd e una volta battuto un boss la si trova. E poichè ho letto che la descrizione recita "Forgiata in un'altro mondo", mi ha fatto venire l'idea per la fabbricazione di Hades. Ripeto, l'Ultima Weapon (che per adesso chiamo solo Ultima) adesso ha una forma simile all'Excalibur 2. Successivamente... ve lo dico dopo. Continuate a commentare, poichè i vostri commenti e incoraggiamenti più che mai mi servono in questo momento. Passiamo alle risposte:
psyker: no, non stavo aspettando che commentassi, diciamo che senza un tuo commento forse non mi sarei sbrigato a pubblicare questo capitolo... ops! l'ho detto! Comunque, devo essere sincero, non ho assolutamente pensato al mondo greco per l'ideazione della dea della luce e del dio dell'oscurità: li ho semplicemente 'importati' da Final Fantasy Dissidia. Se comparirà la dea della luce? Devo prima decidere che finale adottare. Non posso dire altro!
CIAAAUUUUUUUUU!!!!"

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


"Dunque, credo di essere riuscito a riprendere il normale svolgimento della fan-fic, che si stà avviando verso la parte conclusiva. Questo è un capitolo di passaggio, ma piuttosto importante. Eccolo a voi!"
 









La più facile da trovare delle armi finali, fu quella di Quina come, infatti, disse Hades: la “gnam-forchetta” era stata forgiata per uno dei più grandi Qu mai esistiti, che oltre ad essere un grande cuoco, gastronomo, ed eminente biologo, fu quello che scoprì come apprendere le potenti magie blu divorando le fiere per il mondo, e che ruolo del Qu non era solo insegnare e imparare “l’arte der magnà” ma anche quella di proteggere il suo clan. La gnam-forchetta era conosciuta come “arma finale” perché pose fine all’eterna diatriba all’interno dei Clan su quale fosse l’arma più versatile e utile a un Qu da usare sia per combattere che per mangiare. L’arma pare che sia stata ereditata di generazione in generazione finché non venne sbadatamente persa in viaggio da Quan, il “nonno” di Vivi. Fu Quera a trovarla molto tempo dopo nel fogliame della palude e fu fiera di consegnarla alla discepola:
   «Quina st’arma è la Gnam-forchetta, er forchettone utilizzato da li mejo maestri Qu, che dice che po’ inforchettà qualsiasi cosa. Io nun sò in grado de usalla, per cui t’a cedo.»
Il forchettone, era veramente qualcosa di fantastico: era lungo come un qualunque forchettone utilizzato da Quina in passato, e aveva sulla base del lungo manico una gemma color rubino che splendeva ardentemente; le tre punte che costituivano l’arma sembravano più l’artiglio di una qualche creatura mostruosa che delle semplici appendici per infilzare una porzione di cibo; erano gialli e leggermente seghettati, ma stranamente provando anche forza a strofinarci sopra un dito, esso non tagliava. Anche se all'apparenza non aveva la classica forma ricurva della posata, era stata fabbricata in modo da poter raccogliere qualsiasi cosa e di non farla cascare se non ributtandola nel piatto capovolgendola. Ma la cosa migliore, era che non trasmetteva il benché minimo calore alla mano e che portando alla bocca una pietanza che stava cuocendo, riusciva a far sentire alla papilla gustativa il perfetto grado di cottura senza correr rischio di scottarsi, effetto che magicamente spariva una volta servita la pietanza a tavola. Almeno così disse Hades.
   «Grazzie signora maè! Sarà orgojiosa de me, ce po’ giurà!» ringraziò Quina come al solito.
   «’O so già, fijia mia. Portala a stò fabbro, che io c’ò da preparamme pè annà via.» le disse girandosi per non mostrarle gli occhioni inumiditi.

Più difficile fu trovare la lancia per Freija che si trovava nell’altopiano roccioso a ovest di Oilvert. Hades raccontò che venne a sapere che fu murata, poiché il successore dell’acquirente (che non era suo figlio) aveva rischiato di distruggere la sua città, tanto l’arma era ingovernabile. Infatti, il fabbro ricordò che sull’arma era solito applicare una gemma in cui era stata messa una goccia del sangue del destinatario, a cui veniva imposto un incantesimo che la rendeva ingovernabile se qualcun altro provava a usarla. L’arma era annoverata tra le “finali” perché il leggendario re draghiere che la usava, uccise con quella un folle drago che aveva la rara capacità di parlare, e che si spacciava di essere nient’altro che il figlio illegittimo di Bahamuth, il re dei draghi. Gli sciamani di Madain Sairi scoprirono che il potente drago ne era altamente scontento, e che chiese al più potente uccisore di draghi, persone che solitamente odiava, di farlo fuori donando a lui e a chiunque altro volesse diventare draghiere la possibilità di usare le tecniche speciali “Drakonik” le stesse che usava anche Freija. Poiché la sicurezza che effettivamente la bestia non fosse il vero figlio del re dei draghi non c’era, si pensò di fabbricare una lancia usando i baffi di un potente drago nero serpentino di nome Kokusho, che era rimasto imbattuto per tutta la sua vita. Quando un giorno morì relativamente giovane per una strana malattia (la leggenda narra che fu avvelenato dal drago folle, forse perché sospettava che era Kokusho il vero figlio di Bahamuth), gli tagliarono i “baffi”, termine riduttivo per indicare quelle lunghe protuberanze che sono il punto più importante per un drago di quella specie. Tramite essi la fiera tastava l’aria, traeva energia dall’etere per i suoi incantesimi, oppure le usava come semplice arma opzionale. Anche se non erano dello stesso materiale delle classiche scaglie che ricoprivano tutto il corpo, saldarle e fonderle per creare un’arma era ugualmente difficile soprattutto per la grande energia che contenevano che rischiava di essere dissipata. Le leggende non narrano dettagliatamente come il re uccise il drago impazzito, ma l’unica cosa che si sa riguardo alla lancia è che era in grado di fendere il cielo allo stesso modo di come fendeva la terra. Così l’asta venne giustamente chiamata “Baffo di drago”.
Freija prese in prestito un chocobo rosso dai Tantarus, e venne accompagnata da Flatrey sul posto, poiché non era ancora pratica nel cavalcarlo.
   «Sicura che non vuoi che la cerchi io?»
   «No Flatrey. Se queste armi hanno delle caratteristiche che contano sulla “personalità” di chi le impugna, devo dimostrare di essere in grado di impugnarla. Suona strano riferito a un oggetto, ma sai che adoro questo genere di cose. Augurami buona fortuna.»
   «Buona fortuna, e stai attenta.» le disse baciandola. La draghiera cavalcò il chocobo fin sul ripiano medio dell’altura, alla ricerca di un indizio, ma sapeva che non sarebbe stato facile: solo Choco aveva la capacità paranormale di trovare i tesori nascosti, e in alcuni casi riusciva a trovarli in corrispondenza di alcune bolle sulla superficie marina (stranamente assenti nel caso dell’Ultima) o di spaccature o di crepe sul terreno, non facili da individuare in quella terra secca e riarsa dal sole. Freija aveva in mano un grosso peperoncino rosso bordeaux (“Questo è francese…!” N.d.A.), giustamente definito pepe mortale, che veniva usato dai cavalieri di chocobo, per aumentare la potenza della beccata del pennuto. Improvvisamente da una fenditura stretta e lunga, la draghiera percepì la tipica aura di un drago nelle vicinanze. Intuì che in realtà si trattasse della lancia, ancora permeata del potere del drago nero, e diede il “pepe mortale” al pennuto, come gli venne detto, che lanciando un forte stridio si avventò contro la parete beccando come un mitragliatore in punti diversi la frattura ad una velocità incredibile. Non aspettandosi uno scatto del genere, Freija scivolò dalla sella e nonostante gli sballottamenti riuscì a tenersi a una delle briglie. Ripresasi dalla caduta, dovette reprimere un’imprecazione, che di certo poco si addiceva alla sua figura, perché rimase meravigliata da ciò che vide: dinanzi a lei si stagliava un’enorme scultura di un drago serpentino con due lunghi baffi nell’atto di scagliarsi contro un nemico. La statua era stata scavata direttamente nella roccia, ed era ancora parzialmente ricoperto di pittura nera e rossa sui fianchi: era alta almeno otto metri, ma la sua posizione aggrovigliata ingannava sulla sua reale lunghezza; la bocca stretta e lunga era aperta, e sulla testa aveva due enormi corni che andavano all’indietro, e sulla nuca aveva delle strane formazioni fatte di ferro, da cui partivano delle spine a forma di dente di squalo che seguivano tutta la sua lunghezza. Freija guardò in alto e notò che i due lunghi baffi appena sotto le narici, ogni tanto emettevano un piccolo bagliore. Forse era quello il posto dove era stata nascosta la lancia. Fece un salto con l’intenzione di atterrare sopra alla testa, ma una volta giunta all’altezza della bocca aperta, dall’interno delle fauci risalì un forte bagliore verso l’esterno. Capendo immediatamente la situa-zione, Freija ebbe solo il tempo di esclamare:
   «Oh, mannaggia.» prima di essere colpita da una forte esplosione magica che la fece ricadere a terra. Nonostante la forte luce emessa, l’incantesimo di difesa non gli procurò molti danni, salvo qualche bruciatura nel vestito: Freija era abituata a colpi ben più forti. Riatterrando in posizione felina, cominciò a immaginare una possibile scalata della statua, quando all’improvviso sentì una voce possente:
   «Chi osa entrare nel santuario dedicato a Kokusho, drago della notte, e al suo tesoro?»
La draghiera rimase stupefatta. Aveva sentito si di allucinazioni uditive da qualche credente un po’ spiritato, ma questo era ridicolo. Infatti non rispose.
   «Riconosco che sei una persona che usa le tecniche della mia stirpe…» disse la voce.
Bene, le cose erano due: o quel luogo era infestato, oppure stava cominciando a impazzire. Però c’era solo un modo per provare la prima opzione:
   «Sì, sono una draghiera.» rispose molto dubbiosa, quasi come se dubitasse di essere ascoltata. Invece la voce continuò:
   «Il meccanismo di difesa della mia statua non ha sortito danno su di te, segno che sei discendente di coloro che hanno costruito questo santuario in mio onore… sei qui per la mia lancia, vero?»
   «Sì, o potente. Ho bisogno del baffo di drago per…»
   «Non ho bisogno di spiegazioni: conosco le tue ragioni, Freija di Burmecia, e so che te e il tuo popolo avete passato delle sofferenze indicibili, di cui mi rattristo. Ma so che hai riguadagnato la felicità, e ciò ti rende degna di impugnare la mia lancia.»
Dalla testa del drago la luce irradiata dai baffi divenne più intensa e accecò Freija che dovette coprirsi gli occhi con la mano. Quando la luce cessò, dinanzi a se vide il leggendario “Baffo di Drago”: l’asta era formata da un motivo elicoidale viola intrecciato che andava a confluire nella punta della lancia, e all’inizio di essa vi era una gemma scura a forma di artiglio di drago, dove ancora turbinava la goccia di sangue del re draghiere; all’altra estremità della lancia vi era stata applicata una decorazione a forma di testa di drago arancione a bocca chiusa, dove i baffi neri andavano ad unirsi alla punta, nera anch’essa; non era né pesante né leggera, ed era perfettamente bilanciata nonostante il peso presente ad una sola estremità. Freija alzò gli occhi verso la statua, ma vide che misteriosamente era scomparsa. Riguardando la sua nuova arma, si diresse determinata alla sua cavalcatura che la aspettava.

Qualche chilometro più in basso (caso strano che non si fossero incontrati), un piccolo idrovolante classe Cargoship lasciò due dei suoi passeggeri vicino al vecchio tempio del vento. Amarant l’uomo salamandra e Lanì la bella cacciatrice scrutarono insieme l’orizzonte a caccia di un indizio.
   «Certo, andare a cercare una città scomparsa… proprio ciò che avevo in mente di fare nel fine settimana!» esclamò la donna armata di tomahawk.
   «Dobbiamo trovare quell’arma, se è così potente come quel fabbro disse. E non ci riuscirei da solo. E poi, meglio stare lontani da quel gruppo di mercenari puzzolenti no?»
   «Ho nostalgia della mia bella tenda!» continuò lamentosa.
   «Non serve per forza una tenda, per le cose che faremo più tardi…» le disse facendo una risata dall’alto valore significativo (“seeeh!!” N.d.A.) strofinandogli il naso con il suo. A quel gesto la cacciatrice fece un sorriso ammiccante e gli diede un bacio a fior di labbra alquanto sensuale. Il gigantesco omone, e la bella amazzone… sembrava quasi una favola. Era vero invece, da quando aveva cambiato testa e da quando Lanì si era pentita delle sue malefatte di Madain Sairi, si scoprirono innamorati e decisero insieme di fondare il campo dei “mercenari” poco lì vicino, che era composto da altri cacciatori di taglie senza passato desiderosi di un tetto stabile, e di alcuni mostri dei dintorni dai caratteri umanoidi come Gnoll, Troll eccetera. Cingendole i fianchi con mezzo avambraccio, resistendo con molta difficoltà a non far scivolare la mano più in basso, s’incamminarono a nord, l’unico posto dove poteva “nascondersi” una città. Raggiunsero la città di Zerxex e ne rimasero alquanto meravigliati: una città a strati costruita nella roccia era uno spettacolo invidiabile. Decisero di separarsi e di cercare in due zone diverse nei primi due livelli, intorno al grande palazzo spezzato a metà senza però chiedersi perché anni prima quella città non ci fosse proprio. Lanì cercava nei pochi edifici rimasti del secondo livello alla ricerca di quello che poteva sembrare un museo, un’armeria, magari una tomba: ma non trovò nulla del genere. Ogni tanto usava la sua arma per scavare nei ciottoli che ricoprivano la strada. La cosa strana in quella città, è che non c’era traccia di alcun essere vivente, umano o animale, nemmeno uno scheletro. Era come se la vita all’interno di quel posto non fosse mai esistita, nonostante le grandiose strutture diroccate che stavano vedendo. Cercò per diversi minuti ma non trovò nulla, anzi si accorse di essersi allontanata troppo. Fece per tornare indietro quando con la coda dell’occhio notò una persona e trasalì: anche se i vestiti e il colore dei capelli erano diversi, vide da lontano Gidan che dandogli le spalle camminava chino anche lui alla ricerca di qualcosa. Aveva sentito da Amarant ciò che era successo all’amico, e ora non riusciva a credere di avere poco lontano da se un semidio della morte. Pensò di dover fare qualcosa, tentare di attaccarlo e di richiamare Amarant per farsi aiutare. Chiamarlo adesso era impossibile, ri-schiava o di farsi sentire o di perdere di vista Trivia. Pian piano cominciò allora ad avvicinarsi senza fare il benché minimo rumore, difatti vide il nemico continuare a camminare incurante del pericolo. Lanì prese lentamente la tomahawk dalla schiena e la strinse con ambo le mani; allungò il passo e fece un silenzioso salto in lungo, caricando all’indietro l’arma per il colpo. Nei pochissimi secondi che la separavano dal bersaglio, vide che non era una persona vera, ma un’immagine riflessa che svanì quasi a comando: difatti vide il vero Trivia più vicino di dove si trovava l’illusione, stavolta di fronte a lei. Cercò di modificare la traiettoria scartando di lato il corpo ma un lacerante dolore alla spalla sinistra la bloccò in volo.
   «Sei meno sventata di quanto sembri, bella cacciatrice: il mio colpo era diretto al cuore. Pensavi davvero che non avessi avvertito la vostra presenza?»
Dalla mano aperta di Trivia partiva un raggio nero a forma di lama stretto e lungo che trapassava Lanì da parte a parte poco sopra il seno. La decisione di cambiare posizione l’aveva salvata dalla morte istantanea. Il dolore e lo spavento non le facevano pronunciare parola. Pensò di mollare a terra la tomahawk sperando che il rumore richiamasse il compagno, poco prima di perdere i sensi.
Amarant poteva ritenersi fortunato: trovò l’arma finale all’interno di uno scrigno vicino ad una cripta vicino al grande palazzo. L’arma era parecchio simile a quelle che aveva indossato in passato: un guanto di materiale simile al cuoio borchiato con sopra tre lame lunghe e leggermente ricurve; a differenza delle altre, le lame erano appoggiate al contrario sul dorso del guanto, e alla base delle nocche vi era un meccanismo collegato al palmo che tramite una leggera pressione, capì, faceva scattare le lame alla loro posizione di attacco. Ingegnoso, davvero. Il guanto era azzurro, le lame grigie scure metallizzato, e il piccolo meccanismo tendente al nero. Se lo infilò senza neanche pensarci e si alzò cercando con lo sguardo Lanì ma non la trovò. “Che stupida, si è allontanata troppo” pensò. Mentre girovagava, sentì un forte tonfo provenire dalla sua destra. Girandosi, vide la sua donna a mezz’aria infilzata da Trivia, e sembrava senza vita.
   «Laniiiiiiiiì!!!» urlò disperato e spaventato. Inquadrò Gidan posseduto nel suo raggio di azione, e gli corse incontro estraendo dalle tasche due “Rising Sun” che lanciò contemporaneamente. Il nemico se ne accorse, cessò l’incantesimo che teneva sospesa la cacciatrice e fece uno spettacolare salto mortale all’indietro evitando le lame da lancio che esplosero al suolo. Iniziò a volare sopra il palazzo mozzo di Zerxex e vi diresse contro l’Ultima: improvvisamente alla base del rudere comparve un cerchio magico cosparso di lettere misteriose; il suolo cominciò a tremare e il palazzo iniziò a staccarsi dal suolo. Amarant in quel momento si sentì diviso in due: colpire di nuovo Trivia con altri due “Rising Sun” mentre era impegnato a completare l’incantesimo cedendo al sentimento di vendetta, oppure recuperare Lanì e scappare del terremoto che poteva tranquillamente far cedere i livelli della città. Vedendola distesa a terra sanguinante e pallida gli fece decidere la seconda scelta. Con un gran balzo arrivò nel posto dove era svenuta, la prese con ambo le braccia e iniziò a correre il più velocemente possibile, evitando i crolli di porzioni di edifici e le voragini che incominciavano a crearsi nel terreno. Uscì dalla città appena in tempo per vedere l’intero palazzo di Zerxex lievitare sopra la città circondato da una forma blu-verde trasparente che terminava in un puntino rotondo, che identificò come Trivia. Il rudere venne poi inglobato da una specie di buco nero e sparì insieme a colui che l’aveva invocato. Poi rivolse lo sguardo a Lanì: la ferita sanguinava copiosamente, e intorno ad essa cominciavano a spuntare sulla pelle delle ramificazioni nere. Non occorreva essere uno sciamano per capire che era una sorta di veleno, e se che se si fosse diffuso ulteriormente sarebbe morta. Temendolo, castò un “Chakra” ma non sortì alcun effetto. Quel giorno poi erano usciti dal campo senza antidoti ne panacee, perché non pensavano che sarebbero servite. Lanì cominciò a impallidire mortalmente e non riprendeva conoscenza. Amarant si fece prendere dal panico, cosa che mai gli era successa neanche nelle battaglie più pericolose e da un forte senso d’impotenza per non poter aiutare la sua donna. Disperato, batté il pugno armato dalla nuova arma sul terreno, che venne irradiato da una luce bianca, liberando una densa polvere nera. Dal terreno riarso cominciarono a spuntare parecchi fili d’erba e non si avvertiva più il potere dell’oscurità nei dintorni di quella terra, che era stata letteralmente risanata. Dunque era quello il potere del secondo pezzo delle “Unghie runiche”. Gli venne in mente un’idea. Appoggiò la mano sopra la ferita e recitò:
   «Potente arma, se sono davvero discendente del tuo antico padrone, aiutami: dammi il potere di salvare questa donna, perché è l’unica che abbia mai amato, e chi mi abbia amato. Ti prego!» e castò nuovamente “Chakra”.
Lanì venne illuminata da una luce azzurra, e le ramificazioni nere sparirono lenta-mente e l’emorragia cessò quasi immediatamente. Il pallore mortale svanì e Lanì cominciò a riprendere conoscenza, riaprendo gli occhi.
   «Lanì, Lanì, mi senti? Mi riconosci?» le chiese ansioso sul punto di mettersi a piangere per la contentezza.
   «Amarant…» pronunciò piano.
Dovette trattenersi dall’abbracciarla per il timore di farle male, e frugò nella sacca alla ricerca di una qualsiasi cosa che non facesse infettare la ferita ancora aperta, e trovò una vecchia erba medica. Le tolse la sciarpa e la usò come fasciatura legandola con un nodo. Mentre frugava, si rese conto di avere il “moguflauto”, quello con cui i ragazzi chiamavano i moguri: soffiò forte nello strumento che emise la melodia che era abituatissimo a sentire. Dopo qualche secondo arrivò a razzo Moguo.
   «Che vuoi, kupò?»
   «Per favore, aiutaci: a sud di qui, c’è un idrovolante Cargoship che ci sta aspettando. Digli di precipitarsi a nord fino a che non vedono una città non segnata sulla mappa e di preparare una stanza medica.»
«Ok, kupò!» e ripartì a razzo.
E riguardando la sua Lanì che lo fissava con uno sguardo che contava più di diecimila parole, Amarant capì perché Gidan era così fissato nel voler salvare le persone.

Mentre Trivia stava ponendo sopra l’Abisso dei cristalli il palazzo di Zerxex, sentì un forte mal di testa e poi una voce che conosceva bene quanto la sua:
   «Perché continui a fuggire? Cos’è, non vuoi più liberarti di noi?»
   «Sta zitto, Gidan Tribal.» rispose a voce alta.  










"Sono fissato con Amarant, vero? Bè ho sempre pensato che lui e Lanì facessero una bella coppia. Specialmente con una donna del genere... dunque non preoccupatevi dei nomi nuovi o roba simile, sono solo passeggeri. Il nome 'Kokusho' mi è venuto in mente sfogliando un vecchio album delle carte magic, ho detto tutto... e che carta! Al prossimo capitolo, e vi preannuncio che ci sarà una grande e bellissima sorpresa!!! E ora via alle risposte!
Psyker: a veloce recensione, risposta veloce! Il personaggio è ben studiato, proprio per non renderlo “escluso ai più”.
Ricordate: se volete essere il migliore in una cosa, (woo!) bisogna battere il migliore di quella cosa!"

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Il fabbro fantomatico era all’opera da ore ormai per fabbricare da pietre semplicissime gemme scintillanti: le prese dal suo borsone, e v’inserì dentro ad ognuna delle gocce di sangue per ogni membro del gruppo, recitando una formula magica per ognuna.
   «Freija, draghiera di Burmecia, possa il tuo sangue risplendere nello smeraldo, pietra sacra ai draghi; Eiko, evocatrice di Madain Sairi, possa il tuo sangue risplendere nella pietra lunare, pietra sacra a tutti gli spiriti; Steiner, prode cavaliere di Alexandria, possa il tuo sangue risplendere nel diamante, poiché esso rappresenta determinazione e fortezza; Quina, cuoca combattente del clan dei Qu, possa il tuo sangue risplendere nell’ametista, pietra che ingloba tutti gli altri colori; Garnet, o Daga, o come caspita ti chiami, possa il tuo sangue… a proposito, dove sei?» esclamò mentre prendeva una granata.
   «COSA?!? NON DIRAI SUL SERIO?!» si sentì urlare da fuori Beatrix.
Tutti raggiunsero le due donne: una stava seduta a terra in un atteggiamento sorpreso e incerto con la bocca aperta e tremante di stupore. L’altra stava in piedi rossa con un sorriso fra la felicità e l’imbarazzo.
   «Cosa diamine era quell’urlo? Principessa, cosa è successo?» chiese Steiner più spaventato di tutti. Daga andò a bersi un sorso d’acqua prima di rispondere a voce bassissima:
   «S… in …nta…»
   «Come?!» chiesero tutti all’unisono. Si schiarì la voce e ripeté:
   «Ragazzi, fareste meglio a reggervi… sono incinta!» disse un'espressione fra la divertita e l'imbarazzata.
La prima reazione generale fu il silenzio di tomba, rotto solo dal “cra-cra” di un corvo di passaggio. Poi si scatenarono le più diverse reazioni: Steiner crollò di colpo con un gran frastuono di metallo, Blank calò la testa all’indietro e cominciò a ridere di gusto, Quina rimase a bocca più aperta del solito con il linguone penzoloni che ondeggiava lievemente, Freija non sembrava aver capito appieno e muoveva convulsamente la bocca senza emettere suono, Mikoto sorrise aprendo la bocca a trentadue denti forse per la prima volta in vita sua al solo pensiero di diventare zia, Eiko si mise a piangere e le gettò le braccia al collo. Solo Hades rimase impassibile:
   «Ok, auguri e figli maschi, potresti ora darmi il tuo sangue?» fece privo di entusiasmo porgendogli la gemma rossa.
   «Ahò, e fatte ‘na bella manica de ca…» incominciò Quina.
   «…avoli tua.» terminò Blank ripresosi «Non dicevi di dover andare a modellare quelle pietre?» gli disse Blank indicandogli con gli occhi la porta.
   «Va bene, va bene, basta che poi mi dia il suo sangue. Mi ci vorranno ore per applicarle alle armi! Senza contare la temperatura di fusione e di fissione…» fece Hades continuando a fare i suoi calcoli parlando da solo andandosene.
Garnet fu subissata di congratulazioni e di domande, senza che neanche riuscì a rispondere come si deve. Beatrix e Steiner rimanevano a terra, l’uno svenuto l’altra pietrificata. Quando il cavaliere si riprese, la shogun gli disse:
   «Credo che non riusciremmo più a fermare i nobili a non farli sposare  dopo questa notizia. Non che io voglia farlo. E tu?»
Beatrix si aspettò la solita risposta negativa ogni volta che parlava di quel “brigante” ma invece Steiner si alzò di scatto corse dalla regina spostando dal suo passaggio gli altri come una palla da bowling sui birilli, e strinse la strinse scoppiando nel suo classico pianto isterico:
   «UOHOHOHOHOOOOO!!! LA MIA PRINCIPESSIIINA ASPETTA UN BAMBINOOUHOHOHOOOO!!!»
   «Gh…Steiner… mi… mi stai... strozz...ando...» fece senza fiato la regina che venne mollata di scatto.
   «Ma allora ciò vuol dire che non potrai partecipare alla battaglia! Se ti succedesse qualcosa…»
   «Lo so. Ricordiamoci che se Gidan ha contagiato me, il bambino potrebbe essere soggetto al controllo di Trivia. Mi dispiace, ma non posso proprio rischiare.» poi si accasciò su una sedia con il braccio sul viso, indecisa se piangere di contentezza o di disperazione «Mamma mia…» riuscì solo a dire.

Bang,bang,bang. Il fabbro colpiva con i suoi strumenti di precisione i minerali che si modellavano appositamente per essere applicate nelle loro armi: a forma di spunzone, di sfera, di anello, di lettera dell’alfabeto le scolpiva. Il calore, anche se minore di quando doveva fondere il ferro, lo faceva sudare copiosamente soprattutto per il lavoro certosino misto a quello di forza bruta che era costretto a fare; ogni tanto quando doveva raffreddare violentemente il minerale scolpito, soffiava al suo interno dalla bocca una spire magica piena di colori brillanti: era la sua impronta, ovvero ciò che permetteva all’arma di avere una coscienza quasi, e di comportarsi di conseguenza agli ordini del padrone. La maglietta nera che indossava lo proteggeva dalle schegge di minerale infuocato che ogni tanto spruzzavano dalle pietre. Una volta finito di scolpirle, passò alle armi finali: riprenderle in mano gli fece venire in mente davvero tanti ricordi. Ricordi di quando gli facevano i più sinceri complimenti per la passione che aveva messo per realizzarle, oppure delle critiche più numerose quando qualcosa non funzionava, critiche che lui era più che lieto di mettere a tacere. Decenni e decenni di fabbricazione, di fama e di gloria gli erano stati spazzati via da un essere malvagio e da una sua stessa creazione. Per questo ce la mise tutta nel dare a quei ragazzi immensamente più giovani di lui, delle armi che riuscissero in ciò che non aveva fatto addietro. Bang,bang,bang, colpì più forte nella parte riscaldata dalla fiamma violenta e concentrata che gli partiva dal dito indice per saldare la gemma all’arma. Ci mise relativamente poco, meno di ventiquattro ore per completare tutte le opere di saldamento. Non aveva perso la mano, ma era sfinito.
Nel frattempo il primo gruppo, Mikoto, Beatrix, Flatrey e Quera, era partito verso l’Abisso per fermare i nuovi movimenti di Trivia. Mikoto, disse di non avere bisogno di cambiamenti di sorta all’arma di Vivi, asserendo che le modifiche che aveva apportato personalmente allo scettro, le consentivano di utilizzarlo a pieno potere, anche se la sua perizia con la magia non era certo quella del mago nero. I ragazzi presero per la prima volta dopo tanto tempo le armi che li avevano aiutati a sconfiggere Kuja e Trivia stesso, e sentivano nelle mani un’enorme potere, non provato precedentemente.
   «Ho apportato nelle pietre un sistema di trasformazione» spiegò Hades «Che vi consentirà di eseguire una “Trance controllata”: le vostre sembianze e i vostri poteri cambieranno e vi renderanno più forti, ma a differenza della Trance vera e propria non sarete soverchiati dalla rabbia e dall’ira, ovvero strumenti che Trivia può usare a suo vantaggio. Concentrandovi sulle gemme entrerete in questo stato che io definisco “Super Trance”; dopo averne usato i poteri, che comunque non sono perenni anche se più lunghi della trasformazione classica, sarete in grado di usare un attacco speciale che vi permetterà di usare il pieno potere dell’arma. Dopo averlo usato tornerete normali, quindi fate attenzione. Andiamo in uno spazio vuoto, così potrete provarli.»
Il gruppo si dispose a cerchio fuori da Madain Sairi in distanza di sicurezza, e attivarono le loro armi: tutti assunsero le loro sembianze di quando erano in Trance, ma erano investiti invece che da luci diverse.
   «In linea di massima, le vostre armi sono ora sono in grado di evocare uno spirito legato all’arma che risponderà ai vostri comandi: farà il suo attacco più potente e poi scomparirà, proprio come uno spirito dell’invocazione. Provate.» esortò Hades.
Provò Quina per prima: dalla sua arma partì un flusso di acqua che incontrando il pavimento, fece creare dal nulla un grande lago di un liquido simile a quello marino ma stranamente denso: aveva sentito dire infatti che certe zone d’acqua avevano una tale concentrazione di sale, che i corpi umani non potevano immergervisi. Umani no, ma animali sì. Quina capì subito cosa sarebbe comparso da quelle acque, e consigliò ai compagni:
   «Meglio che se spostamo…»
   «Tranquilli, questi spiriti si attivano a vostro comando, non si avventeranno contro di voi. Guardate dentro.»
Tutti si chinarono dentro e rimasero strabiliati da ciò che videro: all’interno del liquido, vi era un enorme mostro simile a un polpo con la testa da calamaro che scrutava con il suo occhio nero la superficie.
   «Scommetto, che er mio antenato se l’è magnato bollito con un po’ de paprika cò tanto de pomodorini di contorno!» esclamò Quina passandosi la linguona sulle labbra.
   «Già, si dice che questo leviatano inghiottisse qualsiasi nave gli passasse vicino. Costruii la forchetta per quel Qu proprio per questo. Steiner tocca a te!»
L’evocazione del mostro sparì com’era apparsa e il cavaliere si mise al centro del campo. Alzò la spada in cielo e dietro di lui presero forma dei pezzi di armatura orientale: elmo, guanti, busto e spallacci, gambali, e una spada lunga e stretta, affilatissima. Lo spirito simile a un samurai fece un elegante inchino al cavaliere che rimandò educatamente iniziando a parlarci:
   «Potente spirito cavaliere, ti ringrazio di essere venuto in aiuto di questo pavido guerriero, che ha bisogno del tuo aiuto per unire il suo umile gladio a…» e lo spirito muoveva la testa e gesticolava come se gli rispondesse.
   «Costui, è il samurai Genji, fondatore della linea armature Genji famosa in tutto il mondo! Mi chiese di fabbricargli una spada orientale, ma ancora non ne capisco il perché, dato che ne aveva una di fattura ottima…Freija, prego.»
La draghiera avanzò tranquillamente, guardando stranita la figura spettrale che parlava con Steiner di bushido e di galateo. Si concentrò e poi mise la lancia in posizione orizzontale, in perfetta linea con il braccio esile: dalla figura a forma di testa di drago, più precisamente dalla bocca, uscì un fumo nero che si compattò nella figura mostruosa di Kokusho, che aveva già visto qualche giorno prima.
   «Dunque, qui la cosa è un po’ più lunga: questo drago è…» iniziò Hades.
   «Già lo conosco, grazie. Abbiamo avuto… maniera di incontrarci.» lo fermò la draghiera.
   «Ah, bene. Allora l’ultima è Eiko… ma dov’è a proposito?»
Garnet che stava osservando l’esibizione, guardò in alto, e vide un essere bianco indecifrabile volare verso sud cavalcando una piccola tempesta di neve «È quello lo spirito dell’arma?» chiese.
   «Sì. Si chiama Rovharzzat: si diceva fosse il signore delle tempeste di neve. Il flauto lo usava un’antica seguace di Shiva per richiamarlo a se. E credo che Eiko lo stia usando per raggiungere gli altri.»
Mentre Eiko spariva alla vista, videro all’orizzonte apparire Beatrix che trafelata stava correndo verso di loro:
   «Steiner! Dobbiamo subito tornare al continente della nebbia!»
   «Cosa è successo?» chiese il cavaliere interrompendo l’evocazione.
   «Mi è arrivata una lettera di Artemisio prima che arrivassimo da Trivia: un esercito di mostri sta per marciare verso la porta drago terrestre di Lindblum. Pare siano arrivati dal mare. Maestà, ho bisogno del vostro permesso per mettere in campo l’esercito.»
   «Il permesso devi chiederlo a Steiner, è lui il comandante dell’esercito. L’esercito dovrebbe essere comunque pronto, giusto? Comunque sbrigatevi: Trivia deve aver intuito che stavamo tutti qui oltremare. Non abbiamo un idrovolante veloce, se avessimo usato l’Invicible per venire avremmo dato troppo nell’occhio. La nave è troppo lenta, ma è l’unico mezzo che abbiamo.»
   «No, fermi. Non avrò il dono dell’ubiquità, ma posso raggiungere un posto molto velocemente. Ditemi dove dovete andare, e vi ci porterò in un attimo. Salite sullo scudo.» propose Hades facendo comparire il suo originale scudo rettangolare su cui era salito.
   «Raggiungete prima Alexandria, che è più vicina e preparate le truppe in una posizione che possa bloccare l’avanzata nemica; nel frattempo andate da Cid e avvertitelo del pericolo, di modo che riesca a organizzare le sue truppe. Se occorre, portate il Red Rose: servirà per il trasporto.»
   «Agli ordini, maestà!» salutarono i due militari, prima che Hades sparì in una spire di sabbia che turbinando partì verso Alexandria.

Quera, Flatrey, e Mikoto rimasero a qualche chilometro dall’Abisso dei cristalli a discutere della situazione: la strategia inizialmente consisteva nell’intrattenere Trivia, e poi aspettare l’arrivo di Hades che aveva un piano per esorcizzare Gidan, e vedere se il semidio sopravviveva; in caso positivo, sarebbero intervenuti gli altri ragazzi a dargli manforte. Beatrix però era stata raggiunta dal moguri del sentiero di Conde Petit che lo avvertiva tramite lettera di un’invasione da parte di certi mostri al regno di Lindblum e quindi dovette precipitarsi con Steiner dal granduca Cid. Ma andare a sfidare Gidan posseduto in tre, comportava più rischi: Beatrix poi era senza subbio la più capace e potente, e senza di lei avevano poche possibilità di combatterlo ad armi pari. Che fare dunque?
   «Andiamo dritti a morte certa. In tre siamo troppo pochi. Dobbiamo tornare indietro e fare un’altra strategia.» disse Flatrey laconico.
   «Ma allora, chi ce và a combattece cò Trivia? L’unici che nun hanno combattuto cò Gidan, simo noi e Beatrice!» si lamentò la “maé”.
   «Un’arma finale l’abbiamo, ma non so se basta. Ho avuto poche occasioni di usarla…» disse Mikoto osservando il suo scettro.
Ma prima che la Qu riaprisse bocca, gli arrivò addosso una sferzata di aria gelida: si sentì un lontano ruggito avvicinarsi e l’aria divenne più intensa; il terreno dinanzi a loro cominciò a ricoprirsi di un leggero strato di brina, nonostante facesse piuttosto caldo. Dal cielo discese come per magia un’enorme tigre bianca con gli occhi verdi smeraldo fumanti vapore, le zampe artigliate ricoperte da enormi cristalli di neve, le fauci con denti blu ghiaccio respiranti lo stesso vento che la faceva volare. E in groppa a questa creatura spaventosa, vi era Eiko con gli occhi spiritati. Quando scese, si scosse i capelli ed esclamò:
   «Woo!!» esclamò cominciando ad accarezzare il bestione che incredibilmente cominciò ad emettere delle profonde fusa, strusciando l’enorme musone sul torace della bambina.
   «Ehi, buono! Fai il solletico!»
I tre guerrieri erano stupefatti: già vedere una creatura felina volante sconosciuta al loro mondo volare in quel modo a terra, e fare le fusa come un qualsiasi gatto era insolito: ma che sopra di essa ci fosse Eiko era incredibile. Mikoto riuscì a chiedere:
   «Ehm… cos’è quel… gattone?»
   «Si chiama Rovy! Il nome forse era un altro e più lungo, ma a me piace di più questo! Piace anche a te, vero?» chiese all’enorme animale accarezzandolo. «Non mi va di stare con le mani in mano! Ho visto Beatrix tornare indietro, e senza di lei non potete farcela. Almeno potrò aiutarvi con le magie bianche! E poi se servirà, scatenerò la potenza del mio Rovy!» e a sentire il suo nome, la fiera emise un profondo ruggito, che sembrava di più quello di una pantera, prima di tramutarsi un una spire di neve e rientrare nel flauto di Eiko.
   «Beh, adesso sì che va bene! E poi, 'o sapete come se dice dalle parti mia?» chiese Quera.
   «No, come?»
   «“Chi va a Roma, perde ‘a portrona!”»

Di nuovo quella sensazione: di nuovo si svegliò legato a quelle strane forme amebiche nere che gli bloccavano le mani. Ora però sapeva dove si trovava:
   «Trivia? Dove sei?» chiese.
   «Dovunque…» rispose la voce del semidio. Questa volta comparve sotto forma del suo organismo ospite. Anche se rivedeva se stesso, Gidan fece fatica a riconoscersi: aveva la pelle incredibilmente cinerea, gli occhi erano di un verde spettrale, i capelli di un blu pallido, inoltre sembravano più alto e robusto; i vestiti non erano assolutamente rassomiglianti i suoi: sembrava di più a una di quelle divise da gala, con decorazioni di cattivo gusto, il tutto tendente al blu o al nero, solo i guanti a foggia mostruosa erano più sul grigio. Gli schinieri erano decorati con figure di serpente, e alla cintola pendeva l’Ultima nel suo colore cangiante dal blu mare al verde. Lo sguardo non era aperto e scoppiettante di vita, semmai era socchiuso e ripieno di…morte.
   «Non ho un bell’aspetto in effetti…» disse il Tantarus, cercando di non cedere al disgusto che gli provocava la vista di ciò che era diventato.
   «Non sei mai stato meglio, in realtà. Mi stupisce trovarti ancora vivo.»
   «Se non muori tu difficile… non morirò finché non capirò chi sei…»
   «Hai capito già abbastanza, Gidan Tribal.» disse Trivia, cominciando a voltargli le spalle, non volendo sentire una nuova analisi del ragazzo.
   «Sai, in tutto questo tempo ho…sognato. Anzi, forse ricordato. Il sogno si blocca quando ti svegli. Ho ricordato parte di ciò che sei stato. E ciò che hai intenzione di fare. Davvero vuoi sostituirti al dio del male, ammesso che esista?»
   «Fidati, esiste. È anche per colpa sua se Gaya ha rischiato la morte. Se Garland avesse compreso prima il potere dei ricordi, non sarei arrivato a questo.»
   «Garland? E che c’entra adesso Garland?»
   «Lui doveva amministrare il flusso delle anime, e diventare il nuovo padrone di Tera, dopo la sua rinascita. Quando nacque, gli fu dato il compito di trovare il modo di salvare Tera. Iniziò quindi il processo di trasferimento delle anime. Gli ci vollero più di cinquant‘anni e un fallimento che rischiò la catastrofe, per capire che era troppo lento. Fu allora che comprese la natura dei ricordi. Peccato che non riuscisse a capire che si trovavano in una dimensione totalmente diversa, a differenza di Gaya. Alterandoli, era possibile cambiare la Storia dell’universo. Ebbe lo strano impulso di confidarmelo, decidendo invece di accelerare il flusso delle anime su Gaya scatenando una guerra, utilizzando te e Kuja come “angeli della morte”. Forse è questo che mi rese diverso dai miei simili addormentati e in attesa: acquisii una coscienza. Capii che se non potevo far desistere Garland, dovevo manipolare il flusso delle anime che voleva usare a sfavore dei Jenoma semplicemente diventando… colui che le manovra. Pensai che questo potere mi avrebbe permesso di arrivare persino al Mondo di cristallo… ci andai così vicino…»
   «Al prezzo della tua umanità? E poi, cosa avresti fatto una volta controllato il flusso? O i ricordi?»
Trivia non rispose: la sua ricerca del dio oscuro, lo avrebbe fatto diventare come lui. Potente, immortale. Un dio, appunto. E poi? Che cosa sarebbe stato della vera gente di Tera che aspettava il momento? E quelle povere marionette senza anima? Perché mosse i passi verso quella ricerca che ben si allontanava dalla soluzione? Non seppe rispondersi.
   «Tu non volevi diventare un dio: lo volevi sul serio uccidere, insieme ad Hades. Intento nobile: distruggere la malvagità dell’universo alla radice. Ma poi il desiderio di potere ti ha soverchiato. Ed ora che ce l’hai? Che cosa intendi fare? Creare un mondo privo di tutto? O un mondo che ti ricordi che razza di uomo potevi diventare, avendone avuta la forza?»
   «Forse entrambe le cose… o forse nessuna delle due. Se l’universo perirà, morirò anch’io con esso. Se non perirà… diventerò più forte della morte e della vita stessa: deciderò IO dell’universo stesso! Deciderò IO cosa fare di questa patetica cosa che voi chiamate vita! Sarò IO a decidere…»
  «Per te stesso?» lo bloccò Gidan. E mentre lo sfidava, capì a quale rischio incombeva Gaia: o essere distrutta insieme all’universo e ai suoi ricordi, oppure rinascere in un mondo privo di ricordi, di vita… e di morte. Si aspettava che Trivia lo insultasse, che lo colpisse, che gli desse una morte lenta e dolorosa, ma mai si sarebbe aspettato quel che vide: il semidio lo guardò con uno sguardo che Gidan riconobbe come il suo. Lo sguardo di quando pensava di aver perso Daga, lo stesso che aveva quando si vide rivelare d’improvviso le sue origini, lo stesso di quando era risoluto nel combattere, lo stesso di quando si quando si esaltava nel fare uno spettacolare salto acrobatico: uno sguardo umano. Poi scomparve. E Gidan non svenne, né si addormentò. Rimase sveglio e notò che le catene magiche che lo tenevano fermo, iniziavano ad indebolirsi.

Trivia si svegliò da quell’attimo di sonno che gli era preso. L’ulteriore discorso che aveva avuto con Gidan, lo rese più risoluto nel suo disegno. Si alzò da quello che doveva essere uno dei troni del palazzo di Zerxex e discese un pezzo di scale, che davano al vuoto: aveva eliminato le restanti rovine dei piani del grattacielo, e aveva forato il fondo, e al di sotto di quello si vedeva l’abisso dei cristalli in tutta la sua bellezza: diresse la spada contro di essi e proclamò, più a se stesso che al mondo:
   «Per tutti coloro che hanno avuto paura della morte… per tutti coloro che hanno tentato di ostacolarmi…e per te, Garland, che hai evitato sempre questa soluzione… è giunto, il MOMENTO!!»
Dalla punta di ogni cristallo, cominciarono a fuoriuscire dei raggi color dell’arcobaleno, che torcendosi su se stessi andavano a confluire in un unico punto: la luce al loro interno cominciava a svanire, e lentamente divennero grigi. Dal punto di congiunzione, presero forma i contorni del Cristallo Originale, ma di un colore diverso, tendente al nero. Nero, come quello in cui Trivia era rimasto imprigionato. E lentamente si stava creando. Pensò di completare immediatamente l’opera, ma capì che aveva un’altra cosa da fare: vendicarsi. Dall’ampio muro vetrato che aveva dinanzi a se, vide un gruppetto di quattro persone rimanere sbalordite da ciò che vedevano. Ringuainò la spada, e decise di far andare avanti l’incantesimo per conto suo. Volò contro la vetrata, e rompendone una buona parte, arrivò all’esterno. Lentamente si diresse a terra, con le braccia leggermente divaricate: i quattro che aveva dinanzi a se si misero in posizione di combattimento. Improvvisamente, il pensiero di vendetta non era più il principale per lui. Decise comunque di combattere e di ucciderli: gli sareb-bero serviti in altro modo. Allargò all’indietro le braccia, chinò leggermente la schiena, e dalle mani partirono delle lame magiche viola, lunghe un metro ciascuna.
   «Fatevi sotto!» disse.









"Bella come sorpresa eh? Dico che sinceramente ci voleva per smuovere un pò la situazione. Dunque, dall'ultimo discorso si capisce che Trivia stà perdendo il suo controllo su Gidan. Cosa vorrà dire? E riuscirà il nuovo quartetto a sopravvivere all'imminente scontro? Al prossimo capitolo, e aspetto i vostri commenti!"

Psyker: bè come penso tu abbia capito, do molta cura ai dettagli… e poi sì, la “baffo di drago” si trova effettivamente li. Ho deciso di descriverla il meglio possibile, per mettere in chiaro la sua vera potenza. Poi senti, ho sempre trovato naturale Amarant e Lanì, anche perché sono praticamente tutti e due uomini. Ti immagini Freija con Amarant?! Pensa cosa potrebbe uscirne fuori! Altro che fan fiction! Sono contento che ti piaccia il personaggio di Trivia, ho preferito renderlo carismatico e non mellifluo come Kuja proprio per differenziarlo. Alla prossima!




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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


"Vi dò di nuovo il benvenuto all'ennesimo capitolo di "The Ultimate Weapon"!! Ultimamente stò notando che stanno diventando parecchi coloro che leggono il mio lavoro, e di questo vi sono immensamente grato, considerando che non avevo poi così grandi aspettative di seguito per una storia su final fantasy 9, che purtroppo è fra i meno conosciuti. Vi ringrazio per la costanza e per i commenti (anche se non numerosi come vorrei)!! Aprofitto per dirvi che siamo alle fasi conclusive della fan-fiction, ma che ci vorrà ancora un pò di tempo per vederne il finale. A più tardi!"










Erano diverse ore che Lylith aspettava seduta su una sedia di legno con le gambe nude accavallate, dondolando pigramente con la punta delle dita del piede sinistro il sandalo slacciato. Detestava aspettare. Quella vecchia nave, di certo non appartenente a nessuna dei regni del continente della nebbia, non era a vapore ma a vela, e andava avanti solo con l’aiuto del capriccioso vento marino. Il vento, che quando veniva mandava forti raffiche che scombussolavano un po’ la sua capigliatura corvina, era intermittente e quindi ci misero più del doppio del tempo per arrivare a destinazione. La nave, che le dissero era un galeone, era a capo di una flotta di dieci di più piccola stazza, ognuna però piena dello stesso tipo di passeggeri: mostri della nebbia. Fu uno scherzo per Trivia ricrearne un poco mentre capiva come estrarre il potere dei ricordi dai Cristalli dove esisteva prima l’albero di Lifa. C’erano nebbiosauri, guerrieri zombie armati fino ai denti, goblin di diverso tipo e altri ancora. Ma il maggior pericolo veniva dal cielo: un piccolo stormo di Silver Dragon seguiva le navi a distanza in attesa di piombare contro il nemico. Vestita di un abito che ricordava vagamente quello della sorella salvo per i colori, in quel semplice abito e in quell’atteggiamento la guerriera rendeva un trono una qualsiasi sedia in cui si sedeva. Un goblin mago, una delle poche razze all’interno dell’equipaggio che parlavano il linguaggio umano anzi-ché solo capirlo, si avvicinò lentamente alla donna chiedendo con la classica vocetta gracchiante:
   «Mia signora, il vento non sembra voglia mantenersi costante. Rischiamo di far guadagnare tempo al nemico. Non sarebbe meglio salire in sella ai draghi, e attaccare la città dal cielo?»
   «Un attacco dall’alto… è invece proprio da quello che dobbiamo guardarci: Lindblum possiede un’enorme flotta di idrovolanti che ci distruggerebbe facilmente, come fece quattro anni fa all’albero di Lifa. Inoltre la città stessa è ancora difesa da quella barriera che la rende inattaccabile. Dobbiamo sbarcare al largo della porta drago-terrestre e invadere la città dall’interno.» rispose Lylith senza degnare di uno sguardo la creatura «In quanto alla lentezza potrebbe farci gioco, l’attesa snerva anche i nemici: solo che siamo noi ad attaccare. E se proprio avete fretta…»
Alzò la mano in alto senza cambiare posizione, e il vento si fece più forte: i loro turbinii erano illuminati di una luce verde che colpivano ripetutamente le vele mantenendole spiegate. La nave accelerò bruscamente e molti mostri caddero all’indietro sorpresi dall’aumento di velocità. Solo Lylith era saldamente ferma come se niente fosse, continuando a giocare con il sandalo. Dopo qualche minuto, uno zombie di vedetta urlò:
   «Siamo in vista della costa Tiuanda!»
La guerriera si allacciò stretto entrambi i sandali, prese da un fagotto due lunghe placche di ferro e le assicurò ai lacci delle calzature e dietro i polpacci, facendoli diventare degli schinieri aperti. Applicò sulla spalla destra un grosso spallaccio di ferro, con una leggera punta alla fine, e al piccolo gancio che era presente sulla schiena inserì la sua spada nera e rossa. Nei capelli inserì un diadema d’acciaio che li teneva fermi. Da donna sensuale e annoiata, divenne improvvisamente la donna combattente ed ebbra di sete di vendetta e di sangue.
   «Prepararsi a sbarcare! Cominciate a montare le catapulte!» ordinò.

Dinanzi all’enorme portone di legno e ferro conosciuto come porta drago-terrestre di Lindblum, fervevano i preparativi per l’imminente battaglia: il portone principale era stato rinforzato da ulteriori lastre di metallo e di legno inchiodate, mentre la piccola porticina era aperta e da essa uscivano e entravano soldati con uniformi diverse. La difesa della porta era relativamente semplice: un’enorme palizzata di legno era posta a semicerchio di fronte ad essa, collegandosi direttamente col fianco della montagna montata a tempo di record. Meno a tempo di record fu posto il cancello, che altro non era che una piccola zona del perimetro che veniva sollevata dal tiraggio di due macchine a vapore tramite delle corde; la porta non era visibile dall’esterno, e a sorvegliare la pianura di fronte vi erano delle torrette in acciaio, rimediate da alcuni idrovolanti da guerra. Da lì si aveva la visione di tutto l’altopiano Lunoras, con in fondo la grotta di Ghizamaluk ormai sigillata, e la palude dei Qu poco vicino. Beatrix e Steiner, insieme al granduca, erano sicuri che il nemico avrebbe attaccato da lì. Il porto, o porta drago-marina, era uno spazio troppo piccolo perché permetta a diverse navi di approdare a Lindblum senza essere facilmente colpite da semplici frecce incendiare. Cid cercò di mantenere tutto il folto schieramento in buona parte all’interno della parete di legno difensiva, lasciando un certo numero di soldati all’esterno ovvero nove centurie Plutò con a capo Togehen, Weimall e gli altri, insieme con altre cento soldatesse di Beatrix, (che aspettava insieme ad altre quattro centurie  all’interno della palizzata), e ad alcuni soldati semplici di Burmecia in modo da far credere che fosse stato davvero colto di sorpresa. Erano quindi più di un migliaio di uomini all’esterno più un numero molto più grande imprecisato all’interno. Non si sapeva quanti fossero i nemici, che il moguri identificò solo come “mostri della nebbia”. Era mattina, qualche minuto dopo l’alba: il sole iniziava a irrorare la terra bagnata di condensa e di gocce di brina rivelando il paesaggio. All’orizzonte cominciarono ad apparire i membri del gruppo di Lylith. Sembrava un gruppo numeroso: avanzavano lentamente, sicuri di quello che facevano, nonostante una carica frontale li avrebbe sicuramente messi in forte vantaggio. Appena furono in vista, il cancello di legno della difesa si aprì e cominciarono a uscire a dispiegarsi sul terreno intere falangi dell’esercito alleato. Alla vista del nemico il gruppo mostruoso iniziò ad accelerare il passo. Consci che lo scontro frontale sarebbe stato inevitabile, gli uomini di Alexandria e di Lindblum accelerarono anch’essi il passo, preparandosi all’impatto con gli scudi e le lance. Beatrix osservava la situazione da sopra la palizzata insieme alle torrette di avvistamento trepidante. La strategia imponeva che dopo lo scontro frontale e la bagarre iniziale, che parte delle retrovie si spostassero verso l’esterno così che, dopo che l’avanguardia avesse lentamente ripiegato, potessero attaccare entrambi al fianco del nemico. Più numeroso non voleva dire più forte, e spostare rapidamente masse di esseri mostruosi doveva essere alquanto difficile. Pian piano i due eserciti si avvicinarono aumentando sempre di più il passo. L’attesa si fece sfiancante: i contendenti erano a qualche decina di metri l’uno dall’altro… venti metri…quindici… dieci… l’esercito di Lylith si fermò improvvisamente mentre i soldati umani continuarono a camminare, spinti dall’impeto. Beatrix intuì che non era cosa buona e guardò intorno al campo di battaglia: improvvisamente da parte opposta al mare, cioè dal fiume vide arrivare delle sagome argentee e grigie volanti.
   «Attenti!» riuscì solo a urlare con tutte le sue forze, ma forse non fu ascoltata. Un folto gruppo di draghi volò rasoterra con gli artigli aperti sbaragliando decine e decine di soldati in pratica indifesi. Mentre i restanti cercarono di riassestare le fila e di mandare messaggi alle retrovie di non procedere con la manovra, i mostri caricarono. Sotto la spinta improvvisa del nemico e dell’attacco improvviso dei draghi che stavano già virando all’indietro per colpire ancora, l’esercito alleato indietreggiò visibilmente. Beatrix non perse tempo e ordinò alle sue soldatesse dabbasso:
   «Salite su! Preparate dei gruppi da dieci e lanciate ad alternanza dei “fira” e dei “blizzara” contro i draghi prima che colpiscano! E voi, sulle torrette, datevi da fare! Dovete dare respiro alle truppe di terra!»
Da dentro lo steccato più di venti soldatesse di Alexandria si misero dieci in ginocchio con solo la testa e le mani sporgenti di fuori la palizzata, e venti a preparare le successive magie. I Silver Dragon e gli Zombie Dragon si prepararono a colpire nuovamente, ma a qualche metro da terra, la shogun ordinò:
   «Lanciate!»
Ed improvvisamente lo stormo mortale venne investito da palle di fuoco di media grandezza che impattando contro i nemici li sbalzarono indietro, creando una gran confusione in cielo: i mostri a terra, non vedendo arrivare l’aiuto dal cielo, rimasero interdetti e ciò permise agli uomini rimasti di riorganizzarsi, ma questi ormai erano stati quasi dimezzati. Era ora di lanciare i rinforzi prematuramente: lo schieramento nemico, più numeroso di quello che si pensava, stava quasi aggirando quello alleato.
   «Steiner! Vai immediatamente in carica! Do a te il comando: stai attento!» si raccomandò la shogun.
   «Sì, mia Beatrix!» salutò il cavaliere chiudendosi il suo nuovo elmo a visiera.
Beatrix cercò di reprimere un sorriso al “mia” del “suo” Steiner e con un cenno del braccio diede ordini alle soldatesse di lanciare le magie d’elemento ghiaccio: le lastre trapassarono di netto i draghi rimasti, e l’improvvisa aria gelida li fece perdere di quota. Improvvisamente i mostri che avevano iniziato ad aggirare il primo gruppo, avvenendosi della carica di quello di Steiner cambiarono direzione: erano quasi pronti a saltargli addosso, ma una forte esplosione gli fece cambiare lo sguardo verso l’alto. Le torrette a cannone di Lindblum cominciarono a mitragliare dritto sul nemico che ormai allo sbando fu falciato dalla carica del generale, ormai già in vista del primo gruppo. Lo stormo dei draghi stava battendo la ritirata verso il mare, e Beatrix decise di mettergli il sale sulla coda grazie ai mostri che aveva addestrato e migliorato personalmente: ordinò alle soldatesse di montare sui Gryfon, mentre lei montava su uno stupendo Drago Rosso del Vulcano Gulgu. La bestia sentendo l’odore dei suoi simili impuri, scalpitava per entrare in gioco. Mentre si levava in volo, la shogun pensò guardando in basso:
   «Non pensavo fosse così semplice…meglio non abbassare la guardia.»

Intanto Lylith osservava la situazione dalla spiaggia, dove erano attraccati, dall’alto del pennone del galeone con in mano il suo cannocchiale. Non pensava che quella povera difesa di legno potesse essere così ben equipaggiata. Però di una cosa adesso era certa: a parte le torrette e forse qualche mago, adesso era completamente sguarnita. I draghi ritirandosi stavano eseguendo una traiettoria involontariamente buona. Era il momento di intervenire.
   «Portate la mia cavalcatura. E preparate i Silver Dragon rimasti.»
Alle sue spalle risuonarono dei passi pesanti, seguiti da altri e da altri ancora che si fermarono. La persona che era in prima fila, forse il capo dei nuovi venuti, si avvicinò alla donna e chiese:
   «Immagino che dobbiamo prendere anche noi le nostre…cavalcature.» fece la sua voce spettrale.
   «Non voglio vedere nessun soldato di Alexandria o di Lindblum rimasto in piedi quando guarderò in basso.» disse increspando le labbra carnose di un sorrisetto maligno.
   «Sì, mia signora.»

Steiner intanto aveva raggiunto il primo gruppo, e i feriti cominciarono ad essere assistiti dai soldati di Lindblum che li curarono con pozioni e quant’altro.
   «AD GLADIOS! Riprendete le armi! Rimandiamo questi mostri dall’inferno da dove sono sbucati!» urlò seguito dalle grida dei commilitoni. Mentre molti avanzarono spinti dall’entusiasmo dell’apparente ritirata delle fiere, non si avvidero di quello che avevano di fronte e vi sbatterono contro. O meglio, ciò che avevano di fronte li fece sbalzare via. Steiner, e Beatrix già in volo, rimasero attoniti da ciò che videro: vi erano centinaia e centinaia di uomini vestiti di uno strano abito nero con drappi e cinture, armati di lance e scimitarre. I loro occhi erano rossi ed erano talmente immobili da sembrare degli spettri. Dietro di loro vi erano almeno una quindicina di Zacmal, più grandi del solito, che portavano sulla loro schiena una doppia sella di pelli e legno dove un guerriero guidava la bestia, e un’altro tirava con una balestra. Il surreale silenzio fu rotto solo dall’urlo di un guerriero che aveva in testa una bandana blu scura:

                                                 “Alalaaaaaaaìì!!!”

La carica dei nuovi arrivati era impietosa e inarrestabile. Anche se quasi dello stesso numero dei difensori, le truppe di Zerxex riuscivano ad avere un vantaggio sul campo rendendo indecifrabili i loro spostamenti, perfezionati da decenni di battaglie e di conquiste. Beatrix vide ciò che stava succedendo e virò insieme con le altre per colpire rasoterra il nemico come avevano fatto i Silver Dragon in precedenza. Mentre si dirigeva a tutta velocità nella mischia, una delle cavallerizze della retrovia segnalò l’arrivo dello stormo nemico che stava andando a impattare proprio contro di loro. Beatrix notò che alla testa dello schieramento di draghi c’era un Amdusias, l’unicorno nero con quattro ali da pipistrello che, aveva sentito dai racconti di Steiner, abitava nel Pandemonium di Tera. Intuendo che quasi sicuramente a comandarlo ci fosse uno dei comandanti dell’esercito indirizzò il suo Drago Rosso contro di lui. Il nemico se ne avvide e sguainò la spada nera e rossa. Beatrix sguainò la sua Save The Queen e si mise in posizione per poi abbassare di netto la spada per troncare una delle ali del mostruoso cavallo: vide l’avversario fare lo stesso movimento ed erano a qualche metro di distanza. Una volta arrivati a mezzo metro entrambe fecero per abbassare la spada ma si guardarono negli occhi come capita sempre prima di combattere con qualcuno. Beatrix lo fece per centinaia di volte, senza mai mostrare né risentimento né pietà verso l’imminente vittima, prima di incontrare Gidan e Freija. Adesso aveva sicuramente imparato a controllare i suoi sentimenti ma accadde una cosa che ogni buon soldato spera che non succeda: riconoscere qualcuno nello schieramento nemico; le due donne si guardarono negli occhi e per il secondo che passarono immobili mentre le due fiere si scartavano di lato, riuscirono solo a dire:
   «Beatrix?»
   «Lylith?»

Nel Continente Esterno intanto si combatteva una battaglia che certo non era meno cruenta. Quera era a terra sfinita, Mikoto era stata sbalzata via dopo aver lanciato l’ennesima magia che non aveva sortito effetto ed Eiko cercava di mantenere la barriera difensiva che aveva dato a ognuno di loro. Flatrey era in piedi ma si reggeva a malapena. Si lanciò in avanti preparandosi a colpire di nuovo: Trivia evitò due colpi e parò con entrambe le lame magiche, il terzo. Scambiò alcuni colpi con il draghiere che però non riuscì a sostenerli e si beccò una brutta ferita di striscio su tutto il braccio.
   «Non potete cavarvela: senza di me… senza Gidan non riuscite a far nulla!» schernì Trivia, evitando di pronunciare una frase alquanto compromettente.
Eiko eseguì un veloce Energira sul Burmesiano e fronteggiò il malvagio, serissima in volto.
   «Ah, granduchessina… sono proprio curioso di vedere cosa sa fare una bambina come te: dubito che senza i tuoi spiriti dell’invocazione tu sia in grado di sostenere uno scontro. E non credo ti lascerò abbastanza spazio per evocarli…»
La piccola sciamana gonfiò le guancie arrabbiata. Non sopportava che le fosse data della bambina: aveva dieci anni e ormai andava per gli undici! Prese il suo flauto e cominciò a eseguire una lenta melodia. La rieseguì un po’ più velocemente, poi ancora fino a quando non divenne un rapido arpeggio. Dal terreno spuntò una spira di vento glaciale che salì in alto. Sul quel piccolo spicchio di terra cominciò a nevicare fortissimo e dopo pochi secondi vi erano già diversi centimetri di neve. Persino il semidio era incantato dalla singolare luce simile all’azzurro che emanava e rimase immobile, non riuscendo ad approfittarne. La neve improvvisamente iniziò a tremolare ed Eiko riprese con la melodia: dal manto innevato prese vita una forma dalle fattezze di un animale che iniziò a muovere alcuni passi. Cominciò poi a scrollarsi la neve di dosso: sotto di essa vi era la tigre siberiana che ringhiando fece uscire dalla sua bocca una fitta nebbiolina.
   «Oh, vedo che hai evocato roba rara… per tale disturbo dovrò impegnarmi.»
Lentamente colui che aveva le sembianze di Gidan ritrasse entrambe le lame magiche ed estrasse dal fodero l’Ultima che rifletté della sua particolarissima luce. Il silenzio fu spezzato dall’improvviso acuto di Eiko, che cominciò ad intonare quasi danzando una veloce e trascinante melodia: a ritmo di essa, la fiera colpiva con i suoi artigli Trivia che rispondeva parando e colpendo con la sua spada. Il combattimento anche se insolito era spettacolare, e Rovy sembrava reggere bene il confronto dell’uomo armato. Saltando indietro lanciò dalla bocca un colpo ghiacciato che nulla aveva da invidiare alla “Polvere di diamante” di Shiva. Il semidio provò a evitarlo ma fu investito quasi in pieno e scartò via di lato. Non era fisicamente danneggiato, ma sentiva il corpo come se fosse assiderato. Riprendendo il controllo volando, vide che la tigre gigante si dirigeva cavalcando a mezz’aria verso di lui. Questa volta però Trivia pensò ad una differente strategia: mentre il felino si preparava a dilaniarlo con le zanne lui lo scavalcò letteralmente e si preparò a colpire con la spada la ragazzina mentre suonava, con l’intento di fermarla. Ma dirigendosi verso di lei, notò una insistente ombra su di lui prima di sentire un fortissimo colpo che lo scaraventò a terra. Rialzandosi vide sparire ciò che l’aveva colpito: UNA ZUCCA?!
   «Pe’ preparà ‘na zuccona de’ Halloween, prendere ‘na zuccona gialla, togliece la porpa per facce la pasta a pranzo e al posto suo mettece ‘na caldela. L’effetto sarà… esplosivo!» disse entusiasta Quera per il successo del suo “zuccone”. Trivia era ancora stordito ma abbastanza accorto da avvedersi della lancia che era stata tirata da altezza vertiginosa da Flatrey che impattando col terreno lo fece letteralmente saltare in aria. Protettosi con il corpo, Trivia vide arrivare verso di se a velocità incredibile dei colpi di Fira e di Blizzara che come dei proiettili si dirigevano verso di lui: era Mikoto che faceva partire dai globi che aveva sullo scettro dei velocissimi colpi magici. Il semidio provò a deviarli mulinando la spada che si arroventava e diventava gelida ogni volta che defletteva una magia. Provando dolore alla mano, passò la spada all’altra ma venne investito dal basso da un’enorme spunzone di ghiaccio e successivamente da una esplosione di fuoco, sempre lanciati dalla Jenoma. Mentre cadeva a terra, li vide avventarsi su di lui, decisi a finirlo. Rialzandosi di scatto piantò la spada nel terreno e da essa partirono tantissimi raggi di luce blu che colpendo i nemici provocarono fortissime esplosioni: la “Luminaria” di Trivia li aveva praticamente sconfitti. Si avvicinò per dar loro il colpo di grazia, ma da lontano vide due nuovi arrivati: il primo era uno strano tipo seduto su uno scudo fluttuante; la seconda la riconobbe Eiko prima di venire soccorsa dal suo gattone:
   «…Daga?»
 









"Vi prego di perdonarmi, non sono mai stato molto in grado di descrivere scene di guerra come queste, e di ciò ringrazio alcuni miei amici che forse non leggeranno mai il frutto dei loro aiuti. Le due sorelle si sono rincontrate, e il primo gruppo le stà prendendo, ma è scesa in campo (ogni allusione è involuta...) Daga. Cosa l'ha spinta ad entrare in battaglia? E riusciranno nel loro intento? Tutto nel prossimo capitolo!! IF YA SMEEEELL!! WHAT THE ALEX IS COOKING!!!
psyker: giocare sulla personalizzazione di Trivia? Far leva su questo per liberare Gidan? Vedrai, vedrai...

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


"Un veloce saluto, solo per far presente la mia gratitudine a coloro che hanno aggiunto tra le preferite e tra le seguite il mio racconto, rispettivamente Linali San, Thaleron e baby 91 psyker e Ventus. Concludo lasciandovi a questo corposo capitolo!"
 













Era passata quasi mezzora da quando i suoi amici erano partiti per andare incontro al malvagio Trivia nel tentativo di indebolirlo, per poi aspettare l’arrivo di Hades che lo avrebbe esorcizzato dal corpo di Gidan. Daga era ancora imbambolata dopo che con l’aiuto di Beatrix aveva compreso di essere incinta. Lei incinta. Tale pensiero la spaventava, la entusiasmava, ma la intristiva allo stesso tempo. Pensare che quel figlio suo e di Gidan, rischiasse di non avere il padre se qualcosa fosse andato storto nel piano del fabbro fantomatico. Avrebbe dovuto partecipare alla battaglia, non farsi convincere da Beatrix e da Steiner a non combattere. Ma d’altronde se Trivia una volta battuto, avesse cercato di impossessarsi del suo di corpo, o peggio del feto del bambino? Non riusciva a star calma. Era nervosa oltre l’inverosimile e Hades, che era in meditazione e in diretto contatto telepatico con Mikoto, Eiko, Flatrey e Quera, certamente non gli dava compagnia adeguata.
   «Come sta andando?» chiese inginocchiandosi verso il fabbro seduto con le gambe conserte, concentratissimo e con gli occhi chiusi. Infatti, non gli rispose.
   «Ehm…Hades?» richiese educata.
   «Eh?» aprì improvvisamente gli occhi «Scusa, ero molto concentrato. Sei preoccupata vero?»
   «…sì. Ma non per loro: sono dei duri, sopravvivranno; è per Gidan che ho paura. Se non riuscissimo a eliminare Trivia dal suo corpo, potrebbe morire. E non lascerebbe solo me da sola…» disse malinconica guardandosi la pancia che era già un po’ gonfia.
   «Allora, questa volta sarò più chiaro: questa scheggia dell’Ultima» disse mostrandole il preziosissimo frammento recuperato da Mikoto «può essere la chiave di tutto. Dal piccolo foro creatosi sulla spada uscirà anche se invisibile ad occhio umano, parte della presenza di Trivia e dell’incantesimo che lo fa stare in simbiosi con essa e con Gidan. E se è costretto ad usarla per attaccare, il processo sarà inevitabilmente più rapido. Poi interverrò io.»
   «E tu… lo ucciderai? Non sarai anche tu troppo coinvolto emotivamente? Dopotutto, non è lui che ti ha fatto passare secoli in una forma demoniaca in completa solitudine dopo averti ingannato?»
Hades non rispose subito. Effettivamente capì che la regina aveva ragione.
   «È vero. Chi altri potrebbe farlo? Oddio, può esserci un metodo molto più sicuro per esorcizzare Gidan…»
Garnet drizzò le orecchie, ignorando per un attimo il fatto che non gliene aveva parlato prima:
   «Quale?!»
   «Ma non sarò io a farlo: dovrai farlo tu. Sei sicura di volere ascoltare?»
Prima che rispondesse, rientrò dentro Blank, che non se la sentì di entrare in battaglia poiché non poteva certo competere con il potere e la preparazione degli amici. In mano aveva una lettera.
   «Avrei dovuto dartela prima Garnet. Gidan l’ha data a un nostro uomo, Antinood, prima di immergersi a cercare l’Ultima. Faresti meglio a leggerla. Ha espressamente chiesto di fartela leggere solo se gli fosse successo qualcosa. Purtroppo abbiamo saputo tardi quello che era successo. Ed io mene sono ricordato altrettanto tardi.»
   «Me la vuoi dare o no questa lettera?» chiese tendendo la mano impaziente. Una volta presa in mano, ne lesse il contenuto a voce alta, ma quasi subito gli divenne rotta per l'emozione:

“Daga amata,
 
        Ho scritto questa lettera di modo che tu possa essere la prima a sapere di un mio probabile incidente in questi mari gelidi in cui ho accettato stupidamente di condurre questa missione di recupero. Ho capito solo qualche giorno fa, dopo che mi sono svegliato la mattina dopo che avevamo fatto l’amore quanto in realtà io tenga a te. Il nostro rapporto non deve esser tenuto così tanto a rischio per la mia fame di avventura. Ma se leggi questa lettera, evidentemente mi deve essere successo qualcosa di più o meno grave; devo confessarti una cosa che non ti ho mai detto, ma che forse già sai: sono stato in coma magico, si, ma solo per un anno. Ho preferito aspettarne un altro non solo per riprendermi, ma per un pensiero che ora mi fa vergogna solo a ripensarci: avevo paura che tu non mi volessi più. Quando mi hai abbracciato quel pomeriggio dopo la sorpresa che ti avevo fatto, e quando abbiamo dormito insieme quella sera, avevo davvero voglia di farti provare la mia riconoscenza in senso “stretto”.  Non l'ho fatto: avevo ancora  paura di perderti, perdere ciò che avevo con così poca fatica ottenuto ma che quasi stavo perdendo di nuovo. Ecco perché ho aspettato tanto per chiederti di baciarci, di stare più tempo assieme. E forse anche per questo accetto queste missioni. Ma ora, sono più che sicuro che ciò che ci lega è l’amore vero, quello classico delle favole, quello romantico dei poeti, quello anche sensuale dei romanzi piccanti. E questa sarà l’ultima missione che farò, giuro. D’ora in poi penserò solo al mio ruolo di ragazzo e di marito (sì hai letto bene e mi sento una merda a chiederti di sposarmi tramite lettera). Non intendo una semplice incoronazione, ma una vera cerimonia di nozze, con tanto di anello. E ora non ho dubbi se tu mi vorrai o no. Ti chiedo solo di starmi vicino nella mia malattia e nella mia gua-rigione, perché per più di un anno ho sentito la tua mancanza quanto più ne avessi bisogno, e non voglio riprovarla. E di non abbandonare la speranza, anche se fossi grave. C’è sempre speranza. Vorrei scriverti altre mille parole, ma il foglio è corto, quindi completo solo con questa, forse ovvia ma mai più vera frase:

                                                                                               Ti amo, Daga.
 
                  Tuo, Gidan.”
 
Il silenzio era rotto dai leggeri singulti del quasi silenzioso pianto che aveva colto la regina, colpita dalle parole del ragazzo, che forse mai sarebbe riuscito a dirgliele a voce. Ora però non aveva più dubbi:
   «Hades, voglio provarci. Dimmi cosa devo fare.» disse più risoluta dopo essersi ripresa.
   «Il legame che li lega, è sicuramente stabilito dalla spada che ha in pugno, ma dovrebbe essere formato da una sorta di contatto sub-coscienzale tra le due parti: se il cervello di Gidan ha resistito al possesso di Trivia, allora è ancora vivo dentro di lui. E se, come credo, grazie al buco che c’è sull’Ultima sta perdendo tale contatto, una emozione forte può fargli riprendere momentaneamente possesso del suo corpo. L’emozione di cui parlo… è vederti. L’amore che prova per te è molto forte, è sicuro che succederà qualcosa. E allora dovrai colpirlo con un’arma che uccida Trivia, ma che non ferirebbe Gidan.»
   «Un’arma…sua?» capì.
   «Esatto. Quando sono passato ad Alexandria per posare Beatrix e Steiner, ne ho approfittato per prendere una cosa…»
Prese dalla sacca che aveva vicino al suo scudo un oggetto dall’aspetto consunto. Un’arma semplicissima, acquistabile dal più povero negozio d’armi, ma che per lei e per il Tantarus aveva un significato importantissimo: la daga di Gidan. Quando Garnet la prese in mano, venne assalita dai ricordi: ricordi di quando la vedeva usare in battaglia, ricordo di quando prese ispirazione per cambiare nome e di quando fece il radicale gesto di tagliarsi i capelli, cosa che aveva fatto solo altre due volte in quegli anni. Si commosse di nuovo, vedendola, e cominciò persino ad accarezzarla, come un essere vivente a lei caro.
   «Se a quest’arma applicassi la granata dove hai versato il sangue, può essere veramente la cosa che possa colpire al cuore Gidan, in tutti e due i sensi. Io verrò con te, e ti metterò in condizione di poterlo fare. So che non è una richiesta facile: colpire il proprio amato…»
   «Appunto perché lo amo che devo farlo: lui si sarebbe ucciso per me. Non so se avrà mai il coraggio di colpirmi, ma io devo mostrarlo sia a me stessa…che a lui. Così capirà che certe scelte sono in grado di prenderle da sola. E che non ho perduto la speranza, neanche in questa situazione.» rispose. Poi si alzò in piedi e disse:
   «Verrò con te, Hades.»
E sul volto del fabbro fantomatico apparve un sorriso quasi maligno, elettrizzato da quella nuova sfida.

Vedere Daga in quel posto in quel momento fu sicuramente una sorpresa per tutti. Ma l’attenzione di Trivia era rivolta solo alla persona che aveva a fianco: quell’uomo di mezza età con uno strano vestito rigido bianco con dei colori etnici e dei piccoli pendagli, seduto su uno strano scudo rettangolare, da cui scese per prenderlo in mano. Si avvicinò a Trivia, con sorriso smargiasso mentre il semidio non si muoveva interdetto.
   «Beh, Trivia, ti trovo bene. Devo dire, però, che il tempo è stato più generoso più con me, che con te!»
Trivia sobbalzò:
   «…Hades?! Non è possibile! Io ti avevo colpito! Ti avevo colpito ma… ora ricordo: mi hai interrotto dal mio intento! Stavo quasi per farcela!»
   «Fare cosa? Diventare il dio dell’oscurità a spese mie, e di tutto l’universo? Hai già messo in pericolo questo pianeta e quest’angolo di realtà una volta, e non ti permetterò di rifarlo. È un peccato che tu abbia rimosso il globo di sicurezza: sarei stato curioso di sapere cosa sarebbe successo se lo avessi attivato.»
   «Non l’ho solo tolto: l’ho distrutto. Ora quest’arma è perfetta sotto ogni aspetto. A proposito la tua dov’è?»
   «Che sbadato! L’ho dimenticata!» fece Hades fingendo l’aria di chi si è scordato una cosa importante a casa «Ma in compenso ho portato questa.» fece alzando il suo scudo.
   «Folle! Cosa può fare un misero scudo contro la mia spada suprema?!» disse avventandosi su esso. Appena il fabbro alzò il braccio, lo scudo cambiò forma dopo che la sferetta al suo centro si era illuminata, diventando più piccolo e più spesso, bloccando il colpo di Trivia, permeandosi della luce bluastra dell’Ultima.
   «Nessuno pensa mai alla difesa quando mi chiede di forgiargli un’arma. Se fossero esistiti fabbricanti di scudi un po’ meno bravi di me, le mie opere non sarebbero state conosciute come “armi finali”!» disse scostando la spada. Trivia provò ancora, ma dovunque indirizzava il colpo e indifferentemente se di punta o di taglio, lo scudo del fabbro cambiava forma parandolo, facendogli perdere l’equilibrio. E Hades si muoveva in circolo, senza perdere apparentemente terreno dall’assalto del semidio e ciò sembrò apparentemente sfiancarlo.
   «Tutto a posto?» chiese il fabbro schernendo l’avversario.
   «Non potrai nasconderti per sempre dai miei colpi! E senza la tua spada, non puoi nulla contro la mia!» urlò indirizzando un rapidissimo diretto che si infranse contro lo scudo ad una velocità e con una forza tale che il terreno si mosse per un secondo sollevando polveri. Il globo centrale da nero era diventato del colore dell’Ultima e cominciò a emettere una forte luce prima di una possente esplosione che seppur piccola di dimensioni scaraventò Trivia lontano mettendolo al tappeto. Mentre tentava di mettersi nervosamente appoggiato sugli avambracci, vide il globo diventare di nuovo scuro, e lo scudo trasformarsi nella Soul Eater di Hades, la spada che aveva messo non poco in difficoltà i nostri eroi.
   «Chi ti dice che non l’ho presa?» disse caricandola all’indietro. Poi si guardò intorno e ordinò:
   «Ragazzi ho bisogno di copertura!»
Intuendo che stava caricando il suo colpo più potente, Trivia gli corse incontro, senza pensarci due volte. Improvvisamente venne placcato da Quera, ma la maè venne sbalzata via dalla sua irruenza, nonostante lo avesse rallentato.
   «“Concentrando il potere nella spada…”» recitò Hades.
Mentre correva, il malvagio vide la Qu lanciare un incantesimo difensivo al fabbro che fu ricoperto da una sfera e da un quadrato dandogli una “difesa totale”, ma Trivia  non se ne avvenne.
   «Uno…» cominciò a contare il fabbro mentre la sua spada ebbe un sussulto.
Si avvicinava sempre di più: erano una cinquantina di metri ma quei pochi secondi durarono un’eternità. Mentre correva, vide sul terreno dinanzi a se formarsi il disegno del muso di un drago dentro un cerchio. Flatrey lo controllava con ambo le mani e cominciando ad unirle, dal cerchio cominciarono ad uscire la forma magica delle mandibole del drago, in atto di inghiottire la preda. Trivia fece uno spettacolare salto in avanti aiutandosi con il volo, lisciando le mortali fauci e fu preso solo di striscio, e ciò contribuì a farlo ulteriormente rallentare.
   «Due…» continuò a contare il fabbro. La spada fu avvolta da delle folgori e da una leggera “nebbia”.
Mancavano appena venti metri e Trivia continuava a fissare davanti. Ciò non lo fece accorgere dell’enorme roccia a forma di gufo con sopra uno spettacolare lupo bianco e blu che era spuntata di fianco a lui. Eiko evocò “Ira sismica”, la più rapida evocazione che riuscì a chiamare poiché non si era ancora ripresa dal colpo precedente. L’enorme pugno venne scartato all’ultimo minuto da Trivia che comunque rotolò di lato, allungando di fatto il tratto di terreno che lo separava di Hades. Questa volta evitò di correre e cominciò a volare in linea retta, quando vide il cielo sopra di lui farsi nero e il terreno vibrare. L’aria stessa intorno a lui era instabile e lo costrinse a fermarsi; il terreno si frantumò sotto i suoi piedi e venne inghiottito dal pezzo di cielo che si era letteralmente distaccato dal resto. La forma cubica evocò dallo spazio un pezzo seppur piccolo di universo, che scontrandosi con gli elementi di Gaia sprigionò un’enorme energia che fece spostare di qualche centimetro l’intero pianeta nell’etere che miracolosamente non perse il proprio assetto;     le conseguenze invece erano visi-bilissime: i Cristalli sprigionavano incontrollatamente energia per evitare l’estinzione di tutte le vite; i vulcani del continente Isolato si riattivarono eruttando fiumi di lava che arrivarono fino in mare; nel continente dimenticato diversi tsunami provocati dai terremoti, investirono l’arcipelago Salvage sommergendo diverse isole, salvo il Chocogolfo e l’Isola di Daguerreo; nel continente della nebbia gli effetti furono minori, ma non meno notabili: a Toleno spuntò un sole quasi pomeridiano, nella dimenticata Burmecia cessò di piovere, e la nuova capitale Burmecia-Cleyra vide il vecchio vortice di sabbia che proteggeva il distrutto albero di Cleyra riattivarsi senza motivo. Nel campo di battaglia davanti alla Porta Drago Terrestre, il cielo divenne quasi viola, e cominciò a lanciare sull’orda mostruosa, evitando misteriosamente gli uomini, una pioggia di pietre incandescenti. Mikoto teneva con entrambe le mani il “Chaos di Zeus” che fu di Vivi, concentratissima e in preda ad ogni dolore impossibile per l’immenso costo che le costava mantenere “l’Apocalisse” che stava lanciando. Anche se invisibile dall’interno, Trivia era colpito da ogni tipo di magia e di energia possibile. La giovane Jenoma, sentiva la sua anima in subbuglio e la sensazione, benché gli sanguinasse il naso e sudava freddo, le piaceva. Le quattro gemme sullo scettro turbinavano vorticosamente, fin quando si fermarono e il globo nero si disintegrò in una bolla luminosa. Il semidio malvagio non si vedeva.
   «Tre…» contò ugualmente Hades. La spada cambiava colore dallo scarlatto al verde, all’arancione al viola. Di Trivia però neanche l’ombra. Fino a che, quando la luce si ridusse collassando su se stessa, tutti videro fuoriuscire da essa un piccolo globo verdognolo:
   «Non è possibile…» riuscì a dire Mikoto prima di accasciarsi a terra priva di forze.
   «È Trivia! Ha eretto una barriera con la spada!» indicò Eiko.
Il corpo posseduto di Gidan era intatto, solo i vestiti di pessimo gusto erano strappati e bruciacchiati. Trivia caricò il colpo, proprio mentre Hades fece:
   «Ci sono! “Maledizione”!» e colpì. I colpi delle due spade andarono entrambe a segno, scatenando un turbinio di luci e colori spettrali e spettacolari. L’incantesimo di Quera venne disintegrato come se nulla fosse. Il silenzio regnò per diversi secondi, senza che nessuno dei due desse segni di vita da oltre il polverone che si era levato dal terreno sconvolto anch’esso dalla battaglia. Improvvisamente da una parte, uscì Hades, che saltava indietro tenendosi il braccio sulla spalla da dove fuoriusciva sangue. Trivia provò a sferrare il colpo di grazia con volto beffardo ma Hades sparì lasciandolo interdetto. Un secondo dopo ricomparve portando con sé Garnet, che con la daga di Gidan in mano colpì in pieno Trivia! Il suono che si levò sembrava il cozzare di un martello su un ferro arroventato più che di una lama su un corpo umano. Trivia giaceva sdraiato a terra, e Daga era in ginocchio di fronte a lui, Hades non riusciva a muoversi per il dolore alla spalla.
   «Non ci sono riuscita…non ho colpito il cuore!» dichiarò la regina.
Difatti il semidio si alzò improvvisamente da terra e brandì l’arma contro Daga che non si parò nemmeno, consapevole della morte imminente. Ma non accadde nulla. Trivia rimase fermo con la lama a qualche centimetro dal corpo indifeso della ragazza e per quanto si sforzasse, non riusciva a muoversi. Dal suo braccio sinistro libero, comparve d’improvviso una leggera ferita di striscio che nessuno dei presenti era riuscito a infliggere. Dal nulla prese inspiegabilmente forma fra Trivia e Daga una sagoma umana che fermava con ambo le mani il braccio armato del malvagio cominciando a spingerlo verso l’alto, dandogli le spalle: la figura aveva delle galosce grigie, pantaloni larghi blu chiaro, una strana cintura con un lungo fodero vuoto, un gilet pure lui blu e sulle braccia scoperte, due singolari risvolti di camicia legati a due guanti di pelle grigio scuro. Aveva i capelli biondi a caschetto con un piccolo codino, gli occhi azzurri color del mare e una coda bionda oro: era Gidan. E parlò:
   «Daga! Colpisci! Colpisci al cuore!»
Daga era abbagliata da tale vista, non riusciva a muoversi per la sorpresa, ma solo a stringere di più l’elsa della daga. Poi disse:
   «Gidan…» ma Gidan quasi stesse compiendo uno sforzo inumano rispose, quasi impaziente:
   «Sì, sì, sono io! Colpiscilo! Non so quanto tempo riuscirò a tenerlo fermo! Solo tu hai il potere di colpirmi il cuore: è tuo!» urlò.
Quest’ultima frase la riscosse e con determinazione, affondò l’arma fino all’elsa nel petto immaginario del ragazzo, mentre da quello reale posseduto da Trivia si levò uno scintillio magico e cominciò a sanguinare copiosamente uno strano liquido nero. L’Ultima stava perdendo la sua luce cangiante e stava diventando pure lei nera. Trivia la lasciò cadere e urlò disperatamente. Dagli occhi sgranati e dalla bocca aperta uscì altissimo un raggio di luce blu che andò dritto al palazzo volante: dentro di esso s’intravedeva la figura originale di Trivia che si torceva di dolore, e man mano che scemava il corpo ritornava come era in realtà, vestiti compresi. Una volta che la miracolosa mutazione si compì, Gidan, perché ormai era veramente lui, chiuse gli occhi e cadde faccia avanti. Daga lo prese al volo lo mise sulle gambe rannicchiate e lo abbracciò inondandolo di lacrime di gioia chiamandolo ripetutamente. Tutti si avvicinarono febbrilmente, ma Gidan non si svegliava neanche schiaffeggiandolo. Daga pensò al classico bacio, ma sentì una mano che leggermente le sfiorava il sedere, ma non reagì. Vide il Tantarus avvicinare tremolante il braccio all’altezza della bocca, mettere la mano a coppa e dire flebilmente ma chiaro:
   «F-finalmente…G-gidan è…tornato…a…uh, dov’è che siamo?»

 





"Ehehehe, il nostro Gidan è sempre il solito non c'è che dire. Dunque, premetto che la scena della lettera (spero di non averla resa troppo melensa) mi è venuta a spunto seguendo un documentario su un soldato americano in guerra che mandava spesso lettere del genere a sua moglie, e che fortunatamente tornò sano e salvo. Vi saluto, e vi chiedo anticipatamente scusa per il ritardo della pubblicazione del prossimo capitolo, ma sono ad un punto morto e spero di riuscire a sbloccarmi in tempi "umani". E adesso passo alle risposte ai commenti!
Linali San: una nuova commentatrice!! ME HAPPY!! Ti ringrazio per il consiglio riguardante le scene di guerra che fortunatamente vedo che sono state apprezzate. Effettivamente avrei voluto scrivere qualcosa in più sulla battaglia, ma è già stato tanto che sia riuscito a creare una strategia militare verosimile!! Che dire inoltre, aspettavi la scesa in campo di Daga... beh, credo che più di così non poteva fare! Spero di ricevere ancora tuoi commenti!!!
Psyker: dimenticato di Lylith? Dopo tutta la fatica che ho fatto per descrivere l’incontro con Trivia?! Non sono mica masochista, yohohohohoh! La scelta dei mostri è stata piuttosto semplice, dopotutto cosa possono cavalcare due potentissime guerriere, se non tra i più forti mostri volanti del gioco? Sono particolarmente contento che ti piaccia lo scontro tra Trivia e Rovy, ho voluto rischiare un po’ mettendo una gigantesca tigre in combattimento con un’uomo armato. Sono contento che l’effetto piaccia!

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


“Ciancio alle bande!! Questo capitolo è molto lungo, quindi a dopo!!"
 




 






Dopo la singolare pioggia di pietre infuocate che letteralmente distrusse l’esercito dei mostri della nebbia, sul campo di battaglia rimanevano solo i due schieramenti umani. Gli enormi Zacmal erano inavvicinabili, per via della loro potenza animale e per via degli arcieri che montava in groppa, e con le loro zanne di bufalo sul volto sbaragliavano soldati su soldati. L’unico che riuscì un minimo a contrastarli era Steiner grazie alla sua esperienza, ma ormai era sfinito. E intanto Beatrix non si vedeva, e il suo stormo di Gryfon era fermo in volo senza sapere bene che fare. Davanti a lui comparve l’ennesimo Zacmal che colpì ripetutamente con le enormi corna, e il cavaliere che si proteggeva alla meglio. Se avesse avuto al suo fianco Vivi, sarebbe riuscito grazie all’aiuto della sua magia a eliminare direttamente gli arcieri che cercavano di colpirlo ogni volta che si avvicinava al volto della bestia. "Un momento" pensò. “Lanciano le frecce quando mi avvicino al volto?” Provò quindi a fare un movimento laterale per vedere fin dove arrivava la gittata degli arcieri. La bestia veniva girata a forza dal conducente che non riusciva a star dietro ai veloci spostamenti di Steiner, che con un ultimo scarto, balzò sull’animale e con un gran colpo, distrusse in mille pezzi la rudimentale sella di legno facendo cadere a terra i portantini e gli arcieri, che si videro cadere addosso la propria cavalcatura abbattuta dal secondo colpo del cavaliere. Ritto in piedi e inorgoglito della sua azione, passò all’attacco verso le prime linee, ma notò una cosa che aveva dell’incredibile: il loro capo, che aveva una muscolatura invidiabile, simile a quella di Amarant, avanzava lentamente nella battaglia, ignorando gli altri nemici che provavano a colpirlo. Ogni volta che lo faceva, infatti, egli li ribaltava con un abile mossa di combattimento, oppure deviava il colpo con una delle due scimitarre, ma non li uccideva. Muoveva il capo a destra e a sinistra, come se cercasse qualcosa. Sembrò averlo trovato, quando tenne fisso lo sguardo su Steiner e lo indicò con una delle sue due lame.
   «Questa è una sfida! L’accetto immantinente!» fece Steiner gasato avvicinandosi.
   «Sono Zerxex, signore della guerra e capo di questo esercito, il migliore che sia mai esistito.» si presentò il re.
   «È perché mai muovete guerra contro di noi?»
   «Perché anticamente gli avi dei vostri attuali sovrani ci hanno privato della morte, così come della vita. E per questo riceverete una punizione più dura della morte: la sconfitta per mano dell’invincibile armata del re della guerra, Zerxex!» esclamò, e sferrò l’attacco: i colpi del signore della guerra venivano inferti con una sapienza e con una precisione che difficilmente Steiner, non abituato a questo genere di corpo a corpo, riusciva a stargli dietro. D’improvviso gli vennero alla mente gli insegnamenti e gli allenamenti fatti insieme a Beatrix e soprattutto con Amarant e così riuscì a controbilanciare la contesa. Il combattimento era troppo frenetico per usare una qualche tecnica delle sue, tanto che durante un contrasto colpì con il guanto metallico una delle scimitarre nemiche che cadde a terra. Pensava di aver bilanciato lo scontro ma Zerxex gli diede un calcio con una violenza incredibile spedendolo lontano, e dalla mano fece partire una sfera bianca di pura energia che lo prese in pieno, rilasciando una forte esplosione magica. Se non fosse stata per l’armatura, lo avrebbe trapassato. Aveva già visto da qualche parte tale tecnica, ma non riusciva a ricordare dove, e usata da chi. Vide da sdraiato le sue truppe venire respinte e indietreggiare a vista d’occhio verso la staccionata di legno, verso la sicura sconfitta e lui non poteva far altro; due cariche da parte degli ultimi Zacmal rimasti l’avrebbero ridotta in frantumi. Vide il suo avversario guardarlo sprezzante e deluso per la veloce sconfitta di colui che credeva fosse un degno contendente. Ma improvvisamente il terreno tremò e si sentì un tonfo. Poi un altro. Un altro ancora più vicino. I colpi erano più sempre più vicini e il terreno vibrava ancor più forte, fin quando dal polverone sollevato dalla battaglia, uscì una figura gigantesca alta almeno sei metri e larga due, con la pelle verde i capelli blu: era vestito con delle cinghie azzurre con decorazioni dorate con dei pantaloni marrone, e aveva fissato al braccio una piccola ancora a due punte. Colpendo con quest’ultima, l’Hilghygas di Conde Petit sbaragliò le linee nemiche che subito presero a fronteggiarlo con gli Zacmal. Il gigante bloccò l’assalto fermando le due bestie con ambo le mani, quasi come se niente fosse. Non capacitandosene, gli arcieri su di essi cominciarono a colpirlo con delle frecce che non penetravano nella sua carne, ma gli sgusciavano via provocandogli dei fastidiosi graffi. Innervosito da ciò, circondò stringendo i colli dei due Zacmal con le braccia, e facendo leva sulle gambe li sollevò e li schiantò di schiena, sconfiggendoli. Lo schieramento di Zerxex era attonito e immobile dopo tale dimostrazione di forza. L’Hilghygas, fiero del suo “double suplex”, alzò il braccio enorme e fece un forte urlo di guerra e dal polverone cominciarono a spuntare delle enormi lame a forma di cinque punte, ma non si vedeva CHI le avesse lanciate. Improvvisamente camminando a grandi falcate, comparve una persona alta quasi due metri, con la pelle di una strana tonalità blu - bianca vestito anche lui con un corpetto di pelle, con barba e rasta rossi; nelle mani impugnava due guanti da guerra: il primo era composto da una placca a forma di rombo di color viola con una gemma blu dentro, e con uno spunzone sopra la nocca e l’altra, di colore azzurrino, aveva all’altezza delle nocche tre piccoli ingranaggi su cui erano installate altrettante gemme, che davano potere agli enormi artigli grigio metallizzati che partivano in avanti. Era Amarant, e a fianco aveva Lanì.
   «Facciamo vedere a questi vigliacchi, chi è che sa come si combatte!» esclamò.
Alla sua carica e quella della donna, seguirono centinaia e centinaia di Gnoll, certi ancora in modalità “Vanish”, e alcuni Vice che si muovevano velocemente per tutto il campo. In mezzo vi era anche qualche uomo, in particolare uno con quattro mani e la cresta rossa che teneva due accette e due spade. I mercenari dell’uomo salamandra combattevano egregiamente, e molti di essi si occuparono di far riprendere e curare le poche truppe di Lindblum ed Alexandria rimaste. I rimasti bloccavano e neutralizzavano le strategie nemiche, utilizzando metodi semplici quanto efficaci. Lo stesso Amarant camminava nella battaglia colpendo a destra e a manca andando a segno ogni volta, evitando i colpi. In poco tempo, i combattenti nemici si discostarono da lui, creando un passaggio verso il loro re. Quando questi lo vide disse:
   «Sembra che dopo tutto il mio retaggio, non sia andato perduto. Mi rattrista solamente non sapere da chi discendi di preciso.»
   «Discendere?» chiese. Per tutta risposta il re si tolse la bandana, l’enorme foulard e la sciarpa protettiva dal collo. Amarant allora capì: di fronte a lui si parava un uomo con una corporatura praticamente uguale alla sua, non fosse stato per una più regolata distribuzione dei muscoli e il colore della pelle umano non da “salamandra”; gli occhi erano quasi del tutto nascosti dai rasta grandi come i suoi ma nerissimi, con un pizzetto del tutto simile al suo sul mento esile a punta. Non fosse stato per i colori, e per qualche accessorio in più, si sarebbe pensato che di fronte al re ci fosse la sua immagine riflessa un po’ più giovane.
   «Vedo che hai anche l’arma appartenuta a mio zio… non mi stupisce vedertela in mano.» continuò il signore della guerra, quasi disinteressato dalla scoperta di quel suo pronipote.  
   «Chi siete voi?» riuscì solamente a chiedere Amarant che non voleva mostrarsi sorpreso.
   «Siamo… o meglio, eravamo, un gruppo di nomadi mercenari di antichissima generazione, che grazie ai nostri utilizzi sul campo di battaglia siamo riusciti ad evitare che regni ben più giovani cadessero nella prematura distruzione. Dalla nostra ricchezza accumulata, abbiamo creato una florida città lontano dal continente che ora chiamate della nebbia e quello esterno. Lì ci evolvemmo praticando arti diverse da quelle della guerra, e per la vita pacifica che eravamo riusciti a conquistare, pensammo di rinunciare al nostro ruolo di guerrieri. Fin quando ci fu chiesto di combattere contro un’emergente città sciamanica: intuii che volevano sterminarli per convalidare non so quale loro tesi, e che non era certo intenzione di quei pacifici maghi usare le loro conoscenze a scopo malvagio. Allora analizzai i segreti di coloro che mi avevano avanzato questa richiesta: capii che venivano da un altro mondo morente e che si affidavano al flusso delle anime per evitare la loro distruzione. Saremmo stati mercenari brutali per centenni, ma non avevo intenzione di far ripartire il mio popolo in guerra dopo anni di pace per sterminare una civiltà pacifica: ci rifiutammo e per punizione, ci gettarono una maledizione. Per millenni non siamo morti, ma neanche siamo stati vivi, le nostre anime confinate dentro la nostra città distrutta da quel popolo e dalle loro infernali macchine volanti. Ma se ora abbiamo possibilità di vendicarci dei loro discendenti… allora li abbatteremo!»
   «Non so chi ti abbia dato queste notizie, ma non ti permetterò di far loro altro male.» rispose smargiasso.
   «Allora forse ho trovato un degno avversario con cui combattere.» rispose Zerxex mettendosi in guardia. Amarant partì all’attacco, e subito si accorse della superiorità del nemico: riusciva, con abilità e grande intelligenza ad alternare l’uso di una scimitarra a tutte e due. Le “Unghie runiche” nere di Amarant erano troppo tozze per sostenere uno scontro con delle lame, e quindi le usò per difendersi e per provare degli affondi, ma per l’attacco usò principalmente le nuove grigio-azzurre e Zerxex se ne accorse: sembrava quasi che sapesse dove andava a colpire, raggirando e parando ogni volta il colpo. Ma l’uomo salamandra, seppur più giovane e meno esperto, aveva anche lui le sue strategie. Dopo un contrasto, deviò con la mano aperta una delle lame, e con un forte colpo dell’altra, la piantò a terra di punta. Il braccio che Amarant aveva intenzione di mozzare con i nuovi artigli, si mosse rapidissimamente venendo solo ferito e sferrò un forte pugno sul volto dell’avversario, che fu costretto a indietreggiare. Mentre si puliva il rivolo di sangue uscitogli dalla bocca, notò che gli artigli ancora sporchi del sangue nemico, rientravano da soli nella posizione d’origine sopra il dorso della mano, e per quanto cercava di attivare il meccanismo, esso non funzionava.
   «Sono anch’io discendente di quel sangue…e non penso che quell’arma possa farmi del male.» sogghignò il signore della guerra.
   «La faccenda si fa interessante…» disse Amarant senza perdersi d’animo assumendo una posa da pugile.

Intanto in una rientranza della montagna vicina, due donne si scrutavano l’un l’altra: l’una con i capelli castano chiarissimi con dei boccoli alla fine, sembrava sconcertata e meravigliata, quella con i capelli più ricci e neri invece lo era di meno, ma nei suoi occhi risplendeva la luce della vendetta.
   «Lylith? Sei davvero tu?» chiese Beatrix.
   «Esatto. Pensavi che fossi morta vero? Sapessi che espressione hai fatto: e dire che eri te la guerriera senza rimorsi né pietà!» disse maligna la sorella.
   «Non dire così, ormai non sono più come un tempo. Se avessi saputo che eri viva ti sarei venuta a cercare!»
   «Ti saresti preoccupata per me? Bugiarda!» urlò improvvisamente «Sei stata tu a infliggermi questa ferita! Sei stata tu ad accettare senza remore quell’incontro! Entrambe eravamo povere, non c’era bisogno di duellare per stabilire chi doveva diventare shogun! Perché non hai rifiutato!?»
   «…» Beatrix non sapeva cosa rispondere. Aveva preso parte a quella sfida all’ultimo sangue a soli 14 anni contro la sorella più grande di un anno per stabilire chi sarebbe succeduto la shogun di Alexandria, morta in battaglia improvvisamente senza nominare successori. Tale rango era molto importante, e molti nobili tentarono di salire la scala che avrebbe portato alla carica. Ma due famiglie importanti, una di Toleno e una di Lindblum, presero come protette le due sorelle e all’insaputa delle altre contendenti che erano già state sconfitte, vennero convinte a duellare con i volti coperti da un casco per decidere la nuova shogun. Ma non a tutte e due dissero chi era la propria avversaria.
   «Io non sapevo che eri te!» continuò la mora «Me ne sono resa conto quando ti avevo  sfregiato il volto aprendoti il casco! Avrei vinto se non fosse stato per il fatto che ti avevo riconosciuta: sono scappata! Cos’altro avrei dovuto fare, eh? Ma la cosa che più mi ha assillato in tutti questi anni, è sapere che nonostante tu abbia quasi ucciso tua sorella, hai commesso le più terribili atrocità senza remore! Adesso ti farò provare la vergogna e il rimorso che ho provato per tutti questi anni!»
   «Dunque è per questo che sei qui…» rispose a testa bassa «Sei venuta a rinvangarmi dei miei errori…mi avevano detto che ti avevo uccisa…che ti avevano fatto sparire…senza neanche una tomba dove implorare il tuo perdono…ho commesso sbagli imperdonabili per questo trauma. Ma io sono riuscita a superarli, tu no. E dunque è giunto il momento che ti convinca dell’errore della tua vendetta!» sguainò poi la Save the Queen. L’avversaria sguainò la sua spada, identica a quella della sorella se non fosse per i colori diversi: le stesse lame che simultaneamente sferrarono il colpo che pose fine alla contesa di anni prima. Beatrix perse l’uso di un occhio, Lylith uno sfregio poco sopra il seno, ma entrambe persero una cosa molto più importante: e per questo iniziarono a combattere. I loro movimenti erano esattamente uguali. Nessuna delle due riusciva a sovrastare l’altra, i colpi si succedevano eleganti e fluenti: il duello era spettacolare a vedersi, quasi come una danza, e la loro femminilità lo rendeva ancora più bello. Se Lylith, allora fosse riuscita a riconoscere da questi movimenti la sorella, e se quest’ultima avesse provato meno orgoglio, forse non si sarebbe arrivato a questo. Ma entrambe continuavano a colpirsi con le spade, quasi sfiorandosi con le mani. Dall’unico occhio lucido, Beatrix non riusciva a inquadrare come un nemico la sorella, mentre quest’ultima sembrava non avere problemi. Come non capirla? Ma sembrava che nel sangue, uguale al suo, gli scorresse una misteriosa forza oscura, che lei aveva rifiutato più volte accogliendo la magia bianca insieme alle sue micidiali tecniche. Entrambe eseguirono due “Estasi siderale” di seguito senza colpirsi, poi due “Tabula rasa” per poi ricominciare. Alla fine si scontrarono duramente, e rimasero ferme per diversi secondi interroppendo la danza. Poi entrambe lasciarono andare indietro una delle mani che teneva la spada e per un secondo si guardarono nuovamente negli occhi.

Zerxex non riusciva a crederci: nonostante il suo avversario non usasse più i pericolosissimi artigli armati, riuscì a colpirlo diverse volte, schivando ogni contrattacco. Amarant spesso chiudeva gli occhi, lasciandosi trasportare dagli spostamenti d’aria e dei rumori che l’avversario faceva ogni volta che sferrava un colpo. E ogni volta colpiva: al volto, al busto, alle lame nel tentativo di fargliele cadere. Dopo l’ennesimo colpo parato con ambo i palmi, Amarant eseguì un perfetto “drop kick” all’altezza del petto e ciò lo fece cadere a terra per la prima volta dall’inizio dello scontro. Il re però si alzò ridacchiando.
   «Niente male davvero… quelle armi sembrano esser fatte proprio per te. Vorrà dire che anch’io dovrò usare al meglio le mie.»
   «Che vuoi dire?» gli chiese.    
Per tutta risposta, prese dalla cintura un pezzetto di metallo rettangolare, poco più lungo dei manici delle sue scimitarre: lo applicò alla punta delle else di entrambe, e con un sonoro scatto, diventò un’arma a doppia lama, parecchio simile all’Organix di Gidan. Le fece roteare per qualche secondo sopra la testa per saggiarne il peso e la manovrabilità, per poi far cenno ad Amarant di farsi sotto. Questi provò di nuovo ad attivare gli unghioni ma vide che non c’era nulla da fare. Non poteva colpire direttamente il nemico con quelle, ma ciò gli fece venire in mente un’idea. Mentre la pensava, però, era già sotto l’assalto delle doppie lame di Zerxex: parava e schivava e contemporaneamente cercò più volte di colpire uno dei manici originali delle spade ma il re o li occupava con le mani e quando vedeva arrivare il colpo le passava sull’altra estremità, oppure spostava il peso dall’altro lato. Dopo un colpo non molto forte, Amarant saltò indietro facendo finta di incassarlo, e mentre vide il nemico in procinto anche lui di saltare, gli lanciò prima una lama “Wing Edge” che fu abilmente deviata, e poi si concentrò rapidamente su entrambe le armi come aveva fatto per salvare Lanì, e la prima finalmente si riattivò facendo scattare in avanti gli artigli che furono in-globati da una luce azzurra splendente. Mentre Zerxex spiccava il salto, Amarant sferrò un colpo a vuoto e tre lampi di luce a forma di lama andarono a colpire Zerxex che si parò. L’arma non resse l’urto e si divise di nuovo in due, e addirittura una delle due scimitarre venne disintegrata da uno degli attacchi. Approfittò dello stato d’incertezza del signore della guerra per concentrarsi sull’altro tirapugni da cui partì una freccia magica tutta nera che colpendolo in pieno lo fece atterrare sconfitto. Anche Amarant atterrò, e cominciò ad avvicinarsi.

   «Forza del cielo che sconfiggi gli impuri, dammi la forza!» recitò Beatrix.
   «Potere del nulla e della morte, esci dal tuo padrone e vieni a me!» recitò Lylith.
   «“SANCTA!!”» fece la prima.
   «“DARKTO!!”» fece la seconda.
Le due magie di elemento sacro e di elemento buio si scontrarono nello stesso mo-mento, vorticando l’una dentro l’altra senza sovrastarsi. Il potere magico delle due donne era quasi equivalente ed entrambe mantenevano con sforzo la potenza di quegli incantesimi, specialmente Lylith poiché non era una magia che aveva avuto modo di usare spesso. La luce di “Sancta” accendeva il buio del “Darkto” e il buio di “Darkto” occludeva la luce di “Sancta”: quando entrambi gli incantesimi scoppiarono, quasi stufi della loro infinita lotta, le due sorelle vennero sbalzate all’indietro. Si rialzarono a fatica e continuarono la loro danza della morte. Le loro movenze, seppur rassomiglianti ad una danza sensuale, erano al limite dell’impossibile ed entrambe rischiarono di soccombere; la loro tecnica era uguale, forse Beatrix era più forte perché era più allenata, ma Lylith era spinta da una forza incontenibile. Avanzarono così senza sopraffarsi per più di dieci minuti, ed entrambe piansero per lo sforzo fisico e spirituale. Improvvisamente nei movimenti perfetti e ritmici della danza, entrambe sbagliarono, scontrandosi l’un l’altra. Si rialzarono velocemente tentando entrambi un colpo di lato all’altezza del collo esattamente come fecero anni addietro, ma stavolta erano più vicine. Non ci sarebbero state ferite sopra il petto e occhi accecati: solo teste mozzate. Ma a pochi centimetri dall’obbiettivo entrambe si fermarono. Rimasero così per diversi secondi nel capire cosa fare, ansimando di fatica. Poi gettarono entrambe le spade. Parlò inaspettatamente Lylith per prima:
   «Perché non hai fermato il combattimento, sapendo che ero io?»
   «... volevo tentare di proteggerti. Per quanti anni quando vivevamo in strada mi hai protetto dai ladri, dai banditi, prima che venimmo separate e prese in cura da quei nobili? Quando mi dissero che eri tu, non ho potuto rifiutare di scontrarti: volevo che sconfiggendoti, entrambi avremmo potuto vivere come avevamo sempre sognato. Pensavo che anche te sapessi che ero io la tua avversaria. E che ci saremmo scontrate alla pari, senza ucciderci. Invece… l’incubo di quella lotta che mi è costata l’occhio mi ha infestato tante di quelle volte… ricordo tutti i colpi che m’infliggevi con rabbia, con decisione, coll’intento di uccidermi... per un attimo pensai che volevi vincermi per una stupida quanto inesistente gelosia. Sei sempre stata migliore di me, dopotutto ed eri più grande. Decisi di non voler morire per tua mano e attaccai: non ho mai visto il colpo ferirti. E poi mi dissero che eri morta. Adesso hai avuto il coraggio di fermarti, e di dare fiato alla bocca e non alle armi. La nostra abilità è pari: se continuiamo finiremo per distruggerci a vicenda. Basta con le vendette, basta col rancore. Basta guerre. Siamo state ingannate entrambe.»
Lylith abbassò l’arma lentamente, dopo aver tentato con ogni fibra del suo essere di non cedere alla sete di vendetta, che gli era stata amplificata dai discorsi di Trivia.         
   «Hai ragione.» disse alla fine decisa. La sua espressione divenne serena e fiera, uguale a quella della sorella castana «Non so lì sotto cosa stia succedendo, ma ordinerò di smobilitare immediatamente. Sarà più difficile convincere quello Zerxex.»
   «E chi sarebbe?» chiese Beatrix. Lylith glielo spiegò, tra la meraviglia e l’incertezza della sorella.
   «E Trivia avrebbe detto che Eiko e la regina Garnet sarebbero discendenti degli abitanti di Tera? Ma se il loro clan è stato sterminato da uno di loro!»
   «N-no, Trivia ha anche detto che stavate tentando di attivare una cosa chiamata “flusso delle anime” per non so quale obbiettivo.»
   «Non è affatto così. Scusami poi, non hai riconosciuto Trivia?»
   «In che senso?»
   «Non hai riconosciuto in lui le sembianze di un’altra persona?»
   «Non credo…»rispose dopo averci pensato un po’«Avrei dovuto?»
   «Mai sentito parlare di Gidan Tribal?» chiese quasi con ovvietà la shogun.
   «Sì, è l’eroe del “conflitto della nebbia”. Ma che centra?»
   «Forse è anche per questo che non ti hanno nominata shogun… adesso ti spiego.» e Beatrix attaccò con la spiegazione. Tranne qualche sporadica domanda, la bruna sentiva la rabbia montargli in corpo per l’ennesimo inganno subito. Ora ogni traccia di vendetta e di odio verso la sorella era sparito con la nuova notizia.
   «Cioè avrei servito un essere che vuole praticamente distruggere, anzi ridurre il mondo ad una massa simile a lui? Che gran figlio di puttana…»
   «Dobbiamo fermare questo casino. Chiamiamo le nostre cavalcature e sbrighiamoci. Insieme.»
E insieme le due shogun si diressero a fermare la battaglia.

Dopo che Amarant spiegò anche lui la verità su Trivia a Zerxex e dopo che l’aveva accusato di servire dei malvagi, Zerxex diede ai suoi soldati l’ordine di cessare le ostilità e di ascoltare le spiegazioni dell’uomo salamandra.
   «Stavamo per commettere un errore terribile. Stavamo per adempiere il compito che ere fa abbiamo rifiutato con riluttanza…se possiamo rimediare in qualche modo, ne saremo onorati. Chiediamo solo che dopo qualcuno ci faccia riposare in pace.»
   «Bene, abbiamo un patto. Dobbiamo partire per il continente esterno. Può esserci bisogno di voi lì. Ci serve un mezzo però…»
E improvvisamente sopra il campo di battaglia comparve una sagoma blu con un inquietante cerchio rosso simile ad un occhio sullo scafo: era l’Invicible guidato da Mikoto. Zerxex salì a bordo con Amarant e Beatrix montò con Lylith. Dopo un’iniziale sorpresa reciproca, i quattro si misero d’accordo con la jenoma a riguardo del prossimo assalto: l’ultimo.












"ooook, forse ho fatto finire tutto un pò troppo bene, ma ci ho davvero messo il cuore a trovare una spiegazione valida all'occhio bendato di Beatrix e a creare una motivazione plausibile, così come creare Lylith (il cui nome è preso dall'indiana navajos moglie di Tex Willer), e non ho avuto coraggio di far morire una delle due. Zerxex in teoria doveva servire in maniera un pò più pratica alla fine, ma non volevo mettere troppa carne al fuoco. Il suo ruolo però sarà determinante per il prossimo capitolo! Passo alle risposte!
Linali San: perchè non ce lo vedi neanche a mandare un bigliettino? A me invece Gidan è sempre parso il classico tipo che è o troppo esplicito senza andare al punto, oppure troppo seriamente in fatto di donne e non sa mai come regolarsi. Infatti ho voluto mettere quel finale quasi spiritoso per spezzare un po’ l'atmosfera seria che si era creata. Spero che questa lunga battaglia a due ti abbia soddisfatto! La prossima, se possibile, sarà ancora più strabiliante!!! Un bacio!
Psyker: vedo che finalmente i miei sforzi stiano cominciando a fruttare: ovviamente ho scelto delle magie non troppo potenti e facili da descrivere, specialmente per non sminuire il ruolo determinante di Garnet nella liberazione di Gidan. Forse questo capitolo è un po’ troppo precipitoso, ma vedrai il prossimo!
Un "WOO!!" a tutti!!

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


“Ladieeeees and gentlemann, vi lascio senza ulteriori aggiunte a questo ennesimo, importante capitolo… l’ultimo!











Gidan era stato posto in una sorta di enorme vasca di metallo verticale con un vetro trasparente, immerso in una sorta di liquido di cura e collegato a un respiratore, simile a quello dove si testavano e si controllavano i corpi e i valori dei jenoma che aveva visto a Branbal. Stavolta però si trovava al villaggio dei maghi neri, dove certe strutture tipiche di Tera erano state ricostruite dai nuovi venuti, seppur in dimensione ridotta, insieme ai maghi: e quel centro di cura era uno di questi. Mikoto non volle correre rischi: decise di togliere dal corpo del fratello ogni possibile traccia della presenza di Trivia, anche se forse l’incremento della forza era già avvenuto, com’era successo al soldato precedente impossessato dal semidio malvagio.
   «Sul serio, sto bene…» mugolò lui da dentro la maschera.
   «Questo lascialo decidere a me. Mancano ancora dieci minuti, poi potrai uscire.» rispose la sorella laconica leggendo su un macchinario i valori di reazione alla cura. Il Tantarus sbuffando creò un sacco di bolle che lo fecero quasi sparire alla vista dei presenti, cioè Daga, Eiko, Freija, Quina, Blank, Amarant, Steiner, Beatrix, Quera, Flatrey e alcuni maghi neri di vecchia conoscenza. Molti di loro non erano morti, quasi come se la totale scomparsa della nebbia e dell’albero di Lifa gli avesse giovato. I nuovi venuti, Lylith e Zerxex, aspettavano fuori dal villaggio. Gidan risultava in forma fisica e in salute perfetta: le tracce del vecchio coma magico erano scomparse del tutto, il sangue non presentava irregolarità, il corpo era incredibilmente più forte e con una nuova potenza magica non indifferente; soprattutto, il cervello non era danneggiato dal controllo di Trivia, anche Gidan se ricordava al massimo sprazzi di ciò che il suo corpo aveva fatto prima di essere riuscito a riprenderne il controllo. L’acqua curativa venne scaricata, e il Tantarus nudo all’interno chiese:
   «Potreste uscire grazie, così mi cambio?»
Tutti uscirono. Anche Garnet stava per farlo, ma il ragazzo la bloccò afferrandole il braccio e tirandosela a se. Erano passati sì e no tre mesi dall’ultima volta in cui si erano visti, ma per entrambi sembravano due o tre secoli. Si abbracciarono a lungo, senza parlare ne fiatare: solo Daga ogni tanto sussultava per evitare di piangere. Ma era abbastanza chiaro, e si vedeva, che Gidan non volesse fermarsi all’abbraccio. Cominciò a baciare voluttuosamente il collo della ragazza e tra un bacio e l’altro disse:
   «Potremo controllare se mi sono … completamente ristabilito…»
   «No…dai…non…» cercò di fermarlo Garnet, anche se gli sarebbe alquanto piaciuto continuare.
   «Oh, nessuno oserà entrare, sono molto perspicaci specie Beatrix. Sono ormai tre mesi che non stiamo insieme e vorrei recuperare…» oltre che con le labbra e con la lingua, Gidan passò all’azione con le sue mani da ladro, toccando in posti dove non poteva esserci nulla da rubare. Trattenendo un gemito che voleva dire l’esatto contrario, Daga continuò:
   «Sul serio…non possiamo…»
   «Cos’è non ti va?» disse Gidan, staccando la testa dal corpo di lei, che aveva iniziato a spogliare, quasi curioso.
   «No, mi andrebbe, solo che…»
   «E allora, diamoci dentro!» disse riprendendo le attività: sembrava perdere la testa al solo tastare le curve della ragazza. Quest’ultima però tentando di non sembrare né troppo rude né troppo accondiscendente, si staccò da lui dicendo tutto di un fiato:
   «Non ti sopporto quando fai così! Non è che non voglio farlo, un motivo c’è: sono incinta!»
Gidan si bloccò nei movimenti, e rimase così. Daga si girò di scatto, dandogli le spalle, e cercando di ricomporsi continuò a parlare:
   «È successo tutto così in fretta… me ne sono resa conto il giorno prima di venire a combattere contro di te… cioè, contro Trivia. Non sapevo davvero cosa pensare…»
Gidan rimaneva così: bloccato.
   «Ero felice, ma al contempo… non lo so… ancora non sapevo se era possibile liberarti da quel bruto senza ucciderti. Di solito quando succede una cosa così importante, uno ne discute, ma con te in quello stato…»
E Gidan rimaneva così: bloccato.
   «Speravo davvero che ti salvassi, non volevo neanche partecipare alla missione per paura che poteva succedere qualcosa al bambino. Se non mi avesse convinto Hades…» continuò Daga, senza freni pensando che il ragazzo volesse farla sfogare. In realtà Gidan rimaneva così: bloccato.
   «Potremo stare insieme sì…ma preferisco prima fare questa cosa. E voglio che tu rimanga al mio fianco.» e dicendo quest’ultima frase si voltò. E rimase interdetta: vide Gidan immobile, ancora nella posa in cui era mentre la teneva abbracciata, con la faccia pallida e gli occhi sgranati. Bloccato, appunto. Rimasero in silenzio per diverso tempo, sullo sfondo ripassò il corvo di prima facendo il suo solito “cra-cra”. Poi Daga si avvicinò:
   «Ehm…Gidan?» chiese. Ma rimaneva bloccato. Poi vedendo che l’angolo destro della sua bocca si piegava ritmicamente verso l’alto pensava stesse per dire qualcosa. Invece non disse nulla. Pensando che fosse caduto in una sorta di paralisi, lo toccò leggermente sulla spalla con la punta di un dito. E Gidan crollò a terra, facendo un rumore tutt’altro diverso da quello di un corpo caduto: ricordava di più l’armatura di Steiner.
   «C-c-c-chi è…i-i-l p-p-padr-re…?» chiese la sua voce, non lui di persona, che sembrava venisse dall’oltretomba.
   «Scemo!» le rispose solamente Daga dandogli un calcio all’inguine, facendolo d’improvviso risorgere. Dopo aver capito che per qualche tempo forse non ci sarebbe stata trippa per gatti, si fece spiegare dalla ragazza il perché e il percome. Non riusciva a crederci: lui, Gidan Tribal, ladro di media categoria, combattente niente male, jenoma destinato a distruggere il mondo, cosa che stava involontariamente per fare, idolo di migliaia e migliaia di fan in tutto il mondo stava per diventare…padre?! In linea di massima, un’altra creatura con il suo sangue e quello di Daga, avrebbe calcato Gaya e l’avrebbe visto crescere. L’avrebbe fatto crescere: gli avrebbe donato l’infanzia e i ricordi che lui non aveva mai avuto; gli avrebbe parlato di come aveva conosciuto la madre, e delle avventure che avevano fatto insieme, per metterlo a dormire la sera; gli avrebbe insegnato a cavalcare il chocobo, magari. È così che fanno i padri, no? Lui non lo sapeva. Qualche mese dopo, quasi sicuramente con il figlio già nato, avrebbe compiuto ventuno anni. E sarebbe divenuto re di una nazione. Non sarà stato troppo giovane per entrambe? Mentre cercava con fatica di alzarsi con la testa che gli girava all’inverosimile per tante domande, venne colpito in viso da un fagotto contenente i suoi vestiti.
«Forza, vèstiti così possiamo parlare tutti insieme. Abbiamo appuntamento nella casa di Mikoto. Non sei un bel vedere così messo, dopotutto…» cercò di sdrammatizzare Daga.
   «Quattro mesi fa non la pensasti così…» sorrise Gidan che ancora non aveva smaltito la carica di testosterone. Ma provvide Garnet a fargliela passare con un calcio volante. “Devono essere gli ormoni” pensò il jenoma, più morto che vivo.
Dopo qualche minuto, Gidan uscì dalla camera di cura e chiese a Daga di avviarsi: prima voleva indulgere in una cosa che non faceva da tanto tempo. Passò attraverso il villaggio dei maghi neri, composto da capanne di paglia e mattoni cotti ed edifici metallici di strane forme, ma la sua struttura base rimaneva la stessa. Passando oltre la locanda e a sinistra dell’officina “Gatto nero” arrivò al punto desiderato: la tomba di Vivi. Il cimitero era un piccolo campo spoglio in cui vi erano diverse stecche di legno che sormontavano i cumuli di terra dove erano sotterrati i maghi, con scritto il numero e la data di morte. Quella di Vivi era riconoscibilissima: era l’unica in cui era stato affisso oltre che la data di morte il nome, che ovviamente gli altri maghi non avevano, e inchiodato alla stecca di legno c’era il suo bastone magico. Era stato posto al centro del cimitero e nonostante i compagni non volessero che la tomba dell’amico fosse più lussuosa degli altri maghi, gli abitanti del villaggio la curavano in ogni particolarità, cambiandone i fiori e tenendo sempre un lume magico acceso sotto la “lapide” di legno. Una volta arrivato, Gidan si sedette vicino al cumulo di terra e cominciò a parlare mentalmente con il suo piccolo amico:
   «Ehi Vivi, eccomi di nuovo qua. Lo so, lo so, è passato quasi un anno dalla mia ultima visita, ma ci sono stati davvero tanti problemi. Forse tu già lo sai. Ma sono venuto a dirti che ora non mi farò più coinvolgere in problemi del genere: la mia continua ricerca di avventure mi ha precluso l’affetto delle persone a cui voglio bene, facendole soffrire. Ricordo quanto ti facesse soffrire il fatto che le persone intorno a te stessero male per le tragedie che gli succedevano, tragedie causate dalla tua gente, e ricordo quanto ti colpevolizzavi di ciò. Se fossi stato un minimo come te, forse adesso non mi ritroverei in questa situazione. Da un canto penso che se quella spada fosse rimasta sotto il mare per altri secoli forse nessuno se ne sarebbe accorto, e se Trivia si sarebbe ugualmente manifestato, non avrebbe avuto uno strumento di morte di quel genere in mano. E se fossi rimasto con Daga… non avrebbe affrontato la notizia di essere incinta da sola. Quando l’ho sentito dire dalle sue labbra sono rimasto pietrificato, tuttora non mi sento ancora ristabilito. È stata più questa notizia che rimanere sotto il controllo di Trivia ad avermi colpito. Ma ora che ci ragiono, ho capito che nessuna gioia più grande può avere un uomo di ricevere un figlio dalla donna che ama. Gli farò conoscere i tuoi “figli” sai? A proposito, stanno tutti bene si stanno già imprati-chendo nell’arte magica e ora ce l’hanno tantissimo con Mikoto e con Eiko per non avergli detto della rinascita di Trivia: dicono che avrebbero combattuto anche loro. In questo sono totalmente diversi da te. Non che siano precipitosi o attaccabrighe, forse hanno quella sicurezza nelle loro possibilità che a te, come a me mancava. Ma ora, credo che questa esperienza ci abbia cambiato in meglio. E stai sicuro che tutti pensiamo ancora a te, e ci manchi incredibilmente. Io forse ti avrò insegnato tanto, ma tu hai spinto me ad andare avanti, e per questo ti sarò sempre grato. Domani avrò una grande battaglia insieme a tutti gli altri, e spero sia l’ultima. Spero che ci sarai anche tu. Ciao Vivi.»
Si alzò e si terse gli occhi diventati lucidi, come ogni volta che veniva li. Poi si diresse verso il luogo dell’incontro.

In casa di Mikoto c’era un piccolo tavolo ovale, tutto blu uguale alle pareti: il pavimento era di legno e di un colore indecifrabile, una sorta di verde palude. Non aveva effettivamente buon gusto, ma di questo i presenti non si preoccuparono.
   «Dunque, da quello che mi ricordo» cominciò Gidan «ogni tanto Trivia perdeva temporaneamente il controllo che aveva su di me: capitava come in un sogno, di trovarmi in una sorta di cella enorme tutta bluastra e di essere bloccato da delle maniglie. Poi lo vedevo. Cercavo inutilmente di indurlo all’errore, di far breccia nella sua coscienza riuscendo a riprendere il controllo. Fu allora che mi resi conto del suo legame con l’Ultima: in ultima analisi, lui è riuscito ad impossessarsi del mio corpo uno, per via della contaminazione che avevo nel sangue, due, per via dell’Ultima che avevo usato per trafiggerlo. L’arma è stata costruita per lui e per manipolare le anime: invece di infliggergli danno la spada gli ha dato linfa vitale e abbastanza potere da riuscire ad “entrare” nella mia testa e nel mio corpo, tramite un taglio che avevo sul braccio. Credo che gli sprazzi di coscienza che avevo, e l’ho sentito dire da Hades, erano dovuti alla scheggiatura che gli avevo fatto lanciandola contro Trivia. A parte questi, non ricordo nulla di ciò che facevo, mi capitava ogni tanto di vedere cosa avevo di fronte. L’ultima volta che lo vidi, mi sembrava di notare che le maniglie erano più deboli che prima, e non persi conoscenza. Mi concentrai e mi concentrai, fino a riottenere la vista e almeno la volontà delle mie azioni. E così ho visto Daga, e grazie a lei e a voi che mi sono liberato.» e dicendo questo gli prese la mano e lei ricambiò la presa guardandolo sorridente. I presenti cercarono di distogliere con un po’ d’imbarazzo lo sguardo dai due. L’unico problema è che rimasero a guardarsi sognanti per diverso tempo prima che Blank disse:
   «Ehi, innamorati, potreste scendere dalla luna e tornare con noi?»
   «Eh?! Ah, si scusate.» dissero entrambi contemporaneamente arrossendo. Se l’amico non fosse intervenuto, avrebbero incominciato a fare le fusa come i gatti. «Concludendo (!), ho capito una cosa: Trivia era un originario di Tera, uno di quelli che dormiva aspettando la fusione dei due pianeti. Per un qualche motivo però, lui non dormiva e per questo non aveva un’anima sua. Divenne aiutante di Garland quando questi capì il flusso delle anime e capì come usarlo per far rinascere Tera. Trivia però grazie ad alcuni appunti del chiamiamolo maestro, capì la natura dei ricordi che esistono nel mondo etereo che abbiamo visto anche noi, e che tramite esso si può arrivare all’origine di tutto: il Mondo di Cristallo. Nonostante pensasse di agire su questi ultimi per cambiare il passato e far rivivere la sua gente, Garland invece voleva continuare con la sua opera di distruzione su Gaya. E allora, pensò di manipolare il flusso delle anime alla radice di quello che pensava fosse la sciagura di Tera, un tale dio oscuro. Capì che i due mondi erano collegati dall’Isola Splendente, e quando arrivò Hades combatterono insieme contro Chaos con le loro armi basate sul flusso: poi Trivia comprese che voleva quel potere per sé e ciò lo trasformò nella creatura che conosciamo noi. Non comprendo perché fece questa scelta, ma ciò lo portò addi-rittura a pensare di essere il dio del nulla e della morte, e che questo ci avrebbe salvato. Se lo sconfiggiamo, porteremo a termine questa storia, insieme alla sua sofferenza.»
I presenti iniziarono un applauso spontaneo per il loro “leader”, quando con un gran baccano entrò in casa Hades:
   «Stavate parlando di me? No? Vabeh, uguale. Dunque Gidan, posso dire con orgoglio che ho rimodellato l’Ultima per il tuo utilizzo personale: ho utilizzato come catalizzatore il frammento della spada originale. Ormai è diversissima dall’arma che era un tempo. Le attrezzature dei maghi e dei jenoma sono ottime!»
   «Hai intenzione di usare ancora quell’arma?» chiese meravigliato Steiner.
   «Ma se a momenti è per colpa sua che hai rischiato di morire!» rincarò Eiko.
   «Buoni, buoni.» calmò le acque Hades «In realtà la presenza di Trivia, come il potere che la spada aveva di farlo diventare più forte e di manipolare il flusso delle anime, è completamente sparito. Ho usato il frammento di quella originale perché non vorrei che sdoppiandola abbia ridotto il suo potere.»
   «Sdoppiandola?!» saltò in piedi Gidan a sentire quel verbo. Le armi a doppia lama erano la sua passione seconda solo alle daghe, e ovviamente a Daga (“ok, questo gioco di parole potevo risparmiarmelo…” N.d.A.). Il fabbro fantomatico lo guidò verso il retro dell’officina Gatto Nero, dove i maghi neri e i jenoma più forti erano seduti sfiancati dal lavoro massacrante di 48 ore a cui il professionista della metallurgia li aveva sottoposti. Su un ripiano di pietra lavica vi era un telo bianco su cui sotto s’intravedeva la sagoma dell’arma doppia.
   «A te l’onore.» fece Hades con una punta di orgoglio.
Gidan sollevò il lenzuolo e rimase folgorato da ciò che vide. L’arma ricordava l’Ultima solo per il colore azzurro intenso, quasi blu, che avevano le due lame: erano più corte e più larghe di quelle della spada originale e sulle else vi erano applicate delle decorazioni dorate a forma di sole raggiante; il manico era di lunghezza perfetta e con forme ergonomiche fatte apposta per le dita e le mani del Tantarus; al centro delle decorazioni a forma di sole vi erano due sfere entrambe rosse: in una riluceva la granata che era stata applicata nella vecchia daga di Gidan e a cui venne legato il sangue di Garnet, e nell’altra il vecchio frammento dell’Ultima con il suo sangue. Quando la prese in mano, provò delle sensazioni totalmente diverse da quando aveva impugnato l’Ultima: era un misto di forza, di coraggio ma anche di gentilezza e amore.
   «Vi ho messo anche il sangue di Daga per via del vostro legame. Dice che non vuole potenziare la sua “Pinna di balena” perché sostiene che le basti il Sidereo che gli ho saldato quattro anni fa. Sono sicuro che te ne sarai accorto.»
   «Già… non vedo l’ora di usarla. Ah, vorrei cambiarle il nome.»
   «In?» chiese il fabbro.
   «In “Ultima Weapon”. Non è solamente la tua ultima creazione: è anche la più potente arma del mondo, non solo per la sua potenza ma perché insieme vi sono la mia forza e la mia gentilezza, e il coraggio e l’amore di Daga. E dubito che ci sia arma più potente.»
Hades assentì con la testa a quest’analisi del suo nuovo cliente. Finalmente quella sua ultima e potente creazione era in mano ad una persona pura e buona, con le migliori qualità che un guerriero possa avere.
   «Non vedo l’ora di provarla.» ripeté Gidan.

La mattinata seguente il gruppo si avviò verso l’abisso dei cristalli, dove sopra ancora lievitava il palazzo monco di Zerxex. Il re aveva deciso di accompagnarli poiché aveva intuito che le creazioni di Trivia non si basavano solo sui draghi e ai mostri della “nebbia”, e che molto probabilmente sarebbe riuscito a creare qualcosa di più potente, poiché gli aveva confidato che dopo aver ottenuto vendetta, avrebbe sparso morte e distruzione, con un nuovo esercito di mostri. Infatti ci prese: l’intero altopiano era ora popolato da migliaia di Behemoth e Thythan. Nonostante l’esercito di Zerxex contava intorno ai cinquemila uomini, gli enormi mostri erano parecchi di più. A guidare i nuovi alleati vi erano i nostri: Beatrix, Eiko, Amarant, Quina, Steiner, Freija, Daga, e di fronte a tutti Gidan con la sua Ultima Weapon. Lo schieramento umano si fermò di fronte a quello mostruoso. Da quest’ultimo uscì un Thythan un po’ più grosso degli altri e stranamente dorato che si avvicinò verso Gidan, che lo imitò: il mostro e il Tantarus erano vicinissimi, guardandosi e comunicando con un linguaggio molto più profondo di quello parlato. Dopo qualche secondo il Thythan sferrò il suo classico colpo verticale con l’enorme machete che impattando col nemico sollevò una nube di polvere. I mostri esultarono per il colpo andato a segno, ma i compagni di Gidan se la sghignazzavano: il ragazzo infatti aveva parato con una mano sola il colpo e teneva ferma l’arma grossa il triplo di lui, come se tenesse in mano un pezzo di pane. Con un veloce scattò la troncò in due e la scagliò contro il nemico trapassandolo, uccidendo diversi mostri che erano dietro. Con un’insieme di urla e versi terrificanti l’orda caricò e così anche gli uomini di Zerxex. Le tecniche dei guerrieri erano precisissime e sembravano non curarsi dei mostri ben più grandi di loro, ma ci voleva davvero parecchio tempo per ucciderli, e molti di loro caddero. Anche il gruppo dei nostri amici sentiva il peso di quell’attacco spropositato in massa e riuscirono a resistere solo grazie alle cure di Eiko e di Daga che non riuscivano ad evocare. L’unico che sembrava non avvertire fatica né tantomeno dolore, era Gidan: con le sue doppie lame falciava e deviava ogni colpo e ogni morso dei Thythan e dei Behemoth uccidendoli con colpi singoli e letali. Si muoveva rapidissimo saltando spesso sopra e sotto i nemici che tentavano inutilmente di colpirlo e aveva una faccia divertita come non mai. Da solo si stava lentamente creando un varco lasciandosi dietro i compagni. Quando se ne avvide, saltò sopra un gigante di ferro e facendo leva sulla testa fece un lunghissimo salto all’indietro salendo contemporaneamente di quota. Arrivato ad avere quasi completamente la vista del campo di battaglia urlò:
   «Ragazzi, a terra!»
Anche se riluttanti i soldati di Zerxex, Daga e gli altri si abbassarono a livello del suolo. Gidan piegò il braccio destro all’altezza dell’orecchio sinistro e strinse la mano caricando il colpo: la mano che teneva l’Ultima Weapon cominciò a ruotarla abilmente, finché la luce rossa dei due catalizzatori investì gli orli delle lame. Gidan rilasciò il braccio verso i nemici e dalla doppia spada partì un’enorme cerchio che impattando contro i mostri li immobilizzò: approfittando di questo, ricadde levitando verso di loro falciandoli ripetutamente in tutte le direzioni rilasciando le sue classiche esplosioni violacee, facendone strage. I pochi mostri che non erano stati uccisi dall’attacco vennero isolati ai lati del territorio verso il mare da Zerxex e i suoi uomini, lasciando un largo corridoio che andava dritto l’Abisso dei Cristalli. Gidan con le sue solite capriole atterrò spettacolarmente a terra alzando il pugno in segno di vittoria al di sopra della testa, piegandolo leggermente. Di fronte a lui c’erano Eiko e gli altri, che lo guardavano sbalorditi: persino Amarant era sorpreso dall’immenso potere dell’amico-rivale. Daga di fronte a tutti sorrideva gioiosa di fronte al miracoloso recupero del ragazzo e riuscì a dire solo una cosa che gli aveva detto altre massimo due volte:
   «…ti amo.»
   «Eh, lo so. Avanti, abbiamo un dio malvagio da prendere a calci nel sedere!» e cominciando a correre arrivarono insieme sotto il palazzo rudere che volteggiava minaccioso sui cristalli, che continuavano a trasmettere la loro energia all’interno della struttura, e stavano ormai per diventare tutti grigi. Improvvisamente cominciò a tremare e ad avvilupparsi del ormai conosciuto blu scuro di Trivia: la struttura fisica stessa di quella pietra e di quei mattoni, cambiò radicalmente ed assunse la mostruosa forma del semidio che pareva avesse perso le sembianze spettacolari e autoritarie di un tempo: le braccia conserte erano allargate con dei lunghi tentacoli che partivano dalle dita, quella sorta di aurora girevole era spezzata in più parti e formava un collare, le forme mostruose sembravano delle ali di pipistrello, il fisico quasi umano era sconvolto da profondi solchi simili a cicatrici; il volto che sembrava nobile aveva entrambi gli occhi sbarrati, e la bocca con denti da vampiro digrignava versi irriconoscibili. L’intero corpo enorme si stava lentamente scomponendo sotto i loro occhi, e al suo centro vi era il Cristallo Originale Oscuro, ormai prossimo al completamento. Poi parlò, ma la voce era irriconoscibile:
   «Creature mortali… ancora una volta siete riuscite a distogliermi dalla mia idea originale! Ma ora non potete far nulla! Tutti i cattivi ricordi verranno conglomerati qui dentro, e presto io ne farò parte e ricreerò il mondo senza vita né morte che desiderate! La luce non esisterà più, e il flusso delle anime verrà governato secondo ogni mio capriccio! Provate a distruggere questo cristallo nero se ne siete capaci!»
   «È scoperto: un paio di magie possono tranquillamente distruggerlo.» disse a voce bassa Amarant indicando la spettrale gemma.
   «Meglio di no. Anche se composto da energia negativa, è pur sempre una copia del cristallo originale: anche i brutti ricordi fanno parte del nostro presente. Se li cancelliamo rischiamo di far sparire tutto come minacciò Kuja, ricordate? È lui il nostro obiettivo, non facciamoci ingannare.» lo corresse Gidan.
   «Ah!» esclamò beffardo Trivia «Avanti allora! Anche se mi avete estromesso dal corpo di Gidan, ho comunque ottenuto un potere che supera molto quello di quattro anni fa! Ora IO sono la vera incarnazione del male dell’universo! E ora libererò la mia rabbia su di voi!»
   «’nvece, non farai gnente!» esclamò Quina attivando la “trance controllata”. Prese in mano la sua Gnamforchetta, e da essa evocò sotto il semidio, il suo kraken che con gli enormi tentacoli lo stritolò e lo mantenne fermo mentre con le ventose gli iniettava grosse quantità di veleno che lentamente paralizzava.
   «Non basta tenermi fermo, per bloccare la mia forza!» insistette cercando di liberarsi.
   «Ora adesso assaggerai la mia!» esclamò Freija entrandovi anche lei. Dalla sua lancia “Baffo di Drago” prese forma lo spettro del drago nero Kokusho, che lanciò un enorme getto magico simile a delle fiamme che colpirono in pieno Trivia che incassò duramente il colpo. Anche stavolta, il Cristallo Nero venne risparmiato dagli attacchi.
   «…neanche gli attacchi sacri possono farmi nulla! Come potete sconfiggermi?!» continuò nonostante il dolore il semidio, e sembrava stesse cominciando a liberarsi dalle enormi appendici del leviatano.
   «Gli attacchi sacri, eh… che ne dici di provare anche quelli di elemento buio?» disse Amarant trasformandosi lentamente come se fosse la cosa più facile del mondo. I suoi artigli scattarono in avanti, e mettendo le braccia a croce, dal suo corpo si liberò una tempesta di lame bianche e nere che si andarono a conficcare nel corpo imprigionato di Trivia. Quelle bianche esplosero, e quelle nere si diffusero a macchia al suo interno aumentando il processo di decomposizione. Questa volta avvertì il colpo.
   «Prima o poi mi libererò e proverete la vostra stessa medicina!»
   «Provaci, oscuro individuo!» esclamò Steiner. Sguainando la sua spada “Laguna Rock” venne ricoperto da una singolare armatura orientale e iniziò a correre. Dietro di lui apparve la sagoma trasparente del guerriero Genji, che sferrò un colpo da lontano, e poi altri, comandato dall’attacco del cavaliere. Da ogni sciabolata partivano dei colpi invisibili che sembrava non toccassero il nemico. Quando lo spettro chiuse la spada nel fodero, sul corpo di Trivia comparirono sette squarci a formare una stella da cui uscì un liquido simile al catrame. Questa volta il malvagio urlò di dolore.
   «Rovy! Attacca!» ordinò Eiko alla sua tigre illuminandosi di una luce gialla oro. Dalla bocca del felino fuoriuscì un fortissimo vento gelato che si compattò creando un’enorme “Blizzaga” che inglobò completamente l’enorme nemico. Disintegrandosi danneggiò ulteriormente la struttura molecolare di Trivia che ormai perdeva veri e propri pezzi di corpo: non era un bello spettacolo. Insieme a lui, anche il Cristallo Nero stava lentamente cedendo l’energia acquisita.
«Gli attacchi di un semplice spirito non possono farmi nulla!» mentì nuovamente.
«Ah no? Allora che ne dici di provarne l’attacco di due combinati insieme?» chiese Garnet beffarda entrando in quel bel costumino attillato. Dal cielo comparì improvvisamente un drago che sembrava di fatto la fusione del signore dei draghi Bahamuth, con Arka, l’eone meccanico. Le forme somigliavano di più a quelle del drago, ma era completamente ricoperto da placche metalliche con le singolari decorazioni del robot. Dai suoi occhi partirono due piccoli fari di luce che oltrepassarono il nemico e scrissero sul terreno un’enorme cerchio alchemico simile a quello dell’attacco di Arka: Neo-Bahamuth (così lo evocò la sciamana), spiegò le ali e si vedeva chiaramente che assorbiva parte dell’energia direttamente dal sole, e tale energia arrivava direttamente a conglomerarsi nella sua bocca. Vedendo tale spettacolo, Trivia provò un sentimento che non provava da secoli: fottuta paura. Il raggio partì e colpì in pieno il semidio e nello stesso momento il cerchio alchemico produsse la sua famosa esplosione rossa. Trivia quasi non si muoveva, il Cristallo nero stava sparendo, e quelli sottostanti stavano tornando alla normalità, ma occorreva il colpo di grazia. Gidan partì con l’azione concordata in precedenza: tutti si sarebbero elevati a diverse altezze per lanciarlo più meno dove si trovava la testa del semidio per ucciderlo. Ad iniziare il salto fu Quina che raccolse il Tantarus in piedi sul forchettone e prima di lanciarlo gli urlò:
   «Corcalo de botte!»
E arrivò più o meno alla base del corpo del nemico quando vide Steiner sorretto dal corpicino volante di Eiko che a fatica lo teneva:
   «Sarò sbrigativo, brigante: DIVIDI ET IMPERA!» gli disse spingendolo in alto, dopo che Gidan aveva fatto leva sulle sue mani messe a coppa. Eiko gli augurò buona fortuna dal basso. Arrivato più o meno alla “vita” di Trivia venne superato dall’immane salto di Freija che trasportava sulla schiena, con una forza muscolare invidiabile, l’enorme corpo di Amarant che staccatosi da lei diede la mano al compagno e gli disse insieme a Freija:
   «Finiscilo e torniamo a casa. Ho gente che mi aspetta.» e lo lanciò ancora più in alto. Arrivato all’altezza del petto di Trivia vide Daga, tenuta in volo da due ali d’angelo, che ben si confacevano alla sua figura.
   «Io ti ho aspettato, e tu sei arrivato. Vedi di atterrare sano e salvo: siamo in due ad aspettarti.»
Forse era meglio non ricordargli che stava per diventare padre. Il solo pensiero lo fece andare in paralisi come quella che lo colse il giorno prima. Ma prima di rendersene conto volò ancora, ma era ancora troppo in basso e stava ormai per ricadere giù. Quando pensava di aver fallito la manovra di gruppo, dai cristalli partì improvvisamente un faro abbagliante che inondò la sua figura e che lo oscurò alla vista dei presenti. In quella luce abbagliante vide delle scene familiari: vide se stesso reggere una manica di un vestito blu con un corpicino che era sul punto di cadere da un idrovolante in corsa; vide la stessa persona correre con gli occhi gialli sgranati per il villaggio dei maghi neri, suoi simili; lo vide poi spaventarsi dei suoi stessi poteri, e pensare al destino dei suoi simili e parlare con lui sul significato della sua vita. Alla fine di quel velocissimo caleidoscopio lo vide: ma non era un’immagine, un doppione, un miraggio. Era proprio Vivi quello che gli tendeva la mano. In quei due lunghi secondi prima che decidesse di prenderla, Gidan pensò che fossero passati anni ed era felice di passare di nuovo così tanto tempo con il suo piccolo grande amico. Lo sentì inspiegabilmente parlare:
   «H-hai visto c-che sono venuto?»
Dopo averla presa, e ne provò il tatto inconfondibilmente, il piccolo mago lo issò delicatamente in alto e tramite la sua spinta lo fece volare. Gidan fece tutto quello che poteva per muoversi verso di lui, per poterlo di nuovo toccare e portarlo con sé, ma non riusciva a spostarsi di un millimetro.
   «Io s-stò in cielo con il mio n-nonnino, n-non sono s-solo.» disse issando la testa, con uno volto che sembrava sorridere nella sua mancanza di tratti «Gidan, f-fa fuori quel brutto!»
Quando la grande luce scomparve, il Tantarus si trovò di fronte al viso devastato dai colpi di Trivia, che fece un ultimo collegamento neurale con il suo vecchio organismo ospite:
   «Non avevo…alcuna scelta.» disse sconsolato e rassegnato all’imminente sconfitta.
   «Io invece ho fatto una scelta: ma non la dirò certo a te!» risponde caricando il colpo. Colpì con entrambe le lame dall’alto verso il basso: l’Ultima Weapon rilasciò un lampo di energia che divise a metà l’intero corpo del semidio, che esplose in uno spettacolare fuoco d’artificio. Gidan riatterò a terra con due salti e altrettante capriole, e venne immediatamente assalito dagli abbracci di tutti gli amici; a fatica riuscì a chiedergli:
   «Avete visto qualcosa di strano?»
   «In che senso?» chiesero di rimando.
   «Quando sono stato investito dalla luce, cosa avete visto?»
   «Ti abbiamo visto inspiegabilmente volare più in alto quando pensavamo che stavi per perdere la spinta.» rispose Daga «Perché?»
   «No, nulla. Non riesco a spiegare cosa sia successo» mentì. Forse glielo avrebbe rivelato un giorno.
   «Forse i ricordi ti hanno voluto dare una mano!» esclamò Eiko.
   «Forse. Che ne dite di una “posa di vittoria”?»
E ancora una volta, la “Fanfara della vittoria” risuonò nelle orecchie dei vincitori.





“Piaciuto eh? A me invece è piaciuto così tanto… che ne scriverò un altro! Su, su non adiratevi, non avevo intenzione di far finire così banalmente la storia. Mi auguro dunque che mi seguiate anche nel prossimo capitolo, che posterò appena potrò! Niente anticipazioni, sorry!! Ed ora, passo alle risposte!

Psyker: come tu hai giustamente detto, forse ho fatto finire troppo velocemente la cosa, ma ho cercato di rendere un po’ di giustizia ad ambo i personaggi secondari. Entrambi sono stati ingannati da Trivia, e io avevo bisogno di una buona motivazione per immetterli anche in questo. Poi, per la super-mossa, beh forse mi sono un attimo trattenuto, ma credo che quella che ho messo in quest’ultimo ti piacerà di più! Mi aspetto una tua recensione!

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Capitolo 22
*** ULTIMO ***


I mesi passarono…

Gidan si ritrovava in trepidante attesa nei corridoi del palazzo, mentre aspettava il suo compare. L’ultima volta che tentò di fare quest’operazione da solo si rivelò un disastro: Garnet che si precipitò a fionda sul luogo, Steiner che correndo con quell’armatura rumorosa non faceva altro che aumentare il problema, e Beatrix che gli inveiva nonostante le sue patetiche scuse. Erano le otto in punto, la luce della luna che filtrava dalle finestre non sgarrava mai. A una di queste rimasta aperta, aveva fissato sul corto davanzale una corda con tanto di arpione fissato perfettamente. Pochi secondi dopo, con un grande sforzo Blank s’issò sul davanzale e chiese a voce bassa:
   «Dammi una mano no?»
   «Non vedi cos’ho nelle mie?» gli rispose mostrandogli il piccolo fagotto che teneva delicatamente con entrambe.
   «Ah, pensavo che dovessimo prelevarlo insieme, ma vedo che ti sei avvantaggiato con i tempi.»
   «Dopo un’ora e mezza quasi di osservazione e di ronda un momento favorevole lo trovi.»
   «Ma hai usato l’erba sonnina per caso?»
   «Fortunatamente non c’è stato bisogno. Adesso andiamo, procediamo con l’operazione.»
   «Nome in codice?» chiese Blank che era fissato con queste stupidate da spionaggio.
   «Chiamalo come vuoi.» gli rispose scocciato facendogli strada. Il piano era arrivare dall’altro lato del castello facendo un giro parecchio largo per seminare possibili sospetti e rumori che potevano tradire la loro presenza. Poiché Blank doveva avanzare per primo per dare il via libera, era lui quello che rischiava di più nella situazione, e non Gidan nonostante il suo prezioso carico. I due Tantarus erano vestiti con dei leggerissimi vestiti di seta e di cuoio, e non indossavano la benché minima decorazione di metallo. Indossavano incrociate sul petto, due cinture che contenevano diversi strumenti da scasso e due pugnali; sulle suole avevano delle imbottiture di lana così da assicurare il minor rumore possibile dei loro passi. Partì Blank per qualche passo fino al primo incrocio e girò a destra, vedendo se nessuno camminava verso la sua direzione: imboccò il corridoio e poco dopo fece capolino dal muro dando il segnale di via libera. Fecero così per altre quattro,cinque volte fino a che mentre faceva capolino, vide la figura di Steiner avvicinarsi a loro.
   «Sta arrivando il samurai!» esclamò terrorizzato «Che possiamo fare?»
   «Dobbiamo tornare indietro e aggirarlo. Di corsa però, non possiamo farci scoprire.» rispose risoluto. Tornarono indietro talmente velocemente da trovarsi alle spalle del cavaliere che camminava anche lui con lentezza.
   «Se gira a sinistra, siamo fregati!» disse Blank, sapendo che la loro destinazione era dalla parte dove il cavaliere sembrava stare per dirigersi.
   «Tutto regolare a destra! A sinistra ho già controllato, quindi dritto!» parlò Steiner a se stesso per ricordarsi i giri di ronda che aveva fatto precedentemente. I due ladri fecero un sonoro respiro di sollievo e talmente era la loro liberazione che si sedettero a terra per rifiatare. Gidan ne approfittò per sollevare un lembo del fagotto per vedere il contenuto.
   «Non è una meraviglia?» disse sorridendo.
   «Eh sì. Ora però andiamo, sennò rischiamo di non incrociare Daga.»
I due ripresero il cammino con la stessa formula e lo stesso andamento fino a che arrivarono alla porta dell’ufficio di Garnet, dove stava lavorando da ore. La sorpresa doveva scattare prontamente: quando si sentiva dall’interno lo stridere della sedia che veniva riposta sotto la scrivania, era segno che la regina si era alzata.
   «Che ora sarà?» chiese Blank agitato.
   «Saranno le otto e dieci. Siamo in anticipo di qualche minuto. Troppa fretta. Tieni pronto il doppione della chiave.» ordinò Gidan. Per tutta risposta il compare si diede una pacca sulla fronte dicendo:
   «Per la miseria! Mi sembrava di essermi scordato qualcosa!»
   «Se non avessi le mani occupate, ti strangolerei: mi spieghi come facciamo ad aprire questa porta senza il doppione?! Anche se non era perfetto, era l’unica garanzia che riuscivamo ad entrare senza far rumore!»
   «Il rumore lo stai facendo tu adesso, parla piano!» lo avvisò Blank cercando di abbassare ulteriormente il tono di voce «Dobbiamo usare gli arnesi classici.»
   «E come facciamo? Io ho in mano questo, tu devi scassinare e io devo controllare che non arrivi nessuno? Ti ricordo che se mi vedono scoppia un casino.»
   «Ma ‘sta sorpresa a Daga devi per forza farla entrando nel suo ufficio?»
   «Lei l’ha fatto molte volte quando stavo chiuso in camera io, e alla fine è sempre lei che si occupa delle faccende del matrimonio. Se glielo faccio vedere (non pensare a male) gli faccio un piacere. Ma devo aprire     questa porta, se mi esce trovandomi davanti è capace di farmi una ramanzina per il solo fatto di averla aspettata! Non le va che le stia esageratamente intorno. So com’è fatta. Forza allora, mano agli strumenti.»
Blank assentì e prese dalle due cinture alcuni accessori e li infilò nella serratura armeggiando cercando di non fare il benché minimo rumore. La tensione era palpabile, e il ragazzo dai capelli rosso fuoco sudava da ogni poro. Gidan invece era tranquillissimo e involontariamente si mise il fagotto sull’incavo tra la spalla e il collo tenendolo sempre con le mani e cominciò a mugugnare la canzone di Garnet. Passarono diversi secondi, poiché Blank poteva sì aprire la porta ma senza far rumore era quasi impossibile, difatti ci rinunciò e si mise di lato sconfortato.
   «Che diamine!» imprecò Gidan con un tono di voce un po’ più alto del dovuto. Infatti pochi secondi dopo si sentì all’interno la sedia spostarsi più velocemente del solito, e contemporaneamente si sentì uno strano urlo, acuto e ripetuto nell’aria.
   «Maledizione!» imprecò di nuovo. La porta si aprì di scatto, colpendo in pieno volto Blank che non aveva fatto in tempo a spostarsi. Daga fece una faccia apprensiva a sentire quel rumore assordante ma quando vide davanti a se il ragazzo, si mise le braccia conserte e assunse un’aria severa…da madre quasi.
   «Quante volte ti ho detto che non voglio che porti Alexander in giro di notte?»
   «Volevo farti una sorpresa: sono giorni che lavori ore e ore e poi ti prendi la briga di prenderlo e metterlo a dormire. Oggi volevo farlo io.»
   «Infatti, bel risultato!» rispose lei prendendo dalle braccia di Gidan il figlio di un mese che smise immediatamente di piangere facendo inevitabilmente ingelosire e innervosire il padre: possibile che appena si accorgeva di essersi svegliato tra le braccia di una persona che non era la madre, faceva tutto quel chiasso e poi magicamente tra le braccia di Garnet si zittiva? Ma ormai la frittata era fatta. Beatrix si era teletrasportata immediatamente seguita da Lylith (Daga non ebbe il coraggio di cacciarla via e la promosse shogun in seconda), il dottor Totto che stava lavorando all’interno con la regina tirò fuori il nasone curioso e da lontano si sentivano i metallici passi di Steiner.
   «Buoni ragazzi, non preoccupatevi: Gidan mi voleva fare una sorpresa ma evidentemente qualcuno gli ha rotto le uova nel paniere…» disse guardando il bimbo.
   «Maestà, capisco che anche lei vuole passare del tempo con il bambino, ma non è bene portarlo in giro a quest’ora, rischia di allarmare mezzo castello.» lo redarguì Beatrix.
   «Esatto Re Gidan: e poi sarebbe meglio che andaste anche voi a dormire, domani sarà un’importantissima giornata!» rincarò Lylith.
   «Allora, uno, non chiamatemi né maestà, né re perché ancora non lo sono. E anche quando lo sarò, non voglio che mi chiamate così. Due, Alex è il mio bambino e me lo porto dove voglio! Vero amooore di papà?!» e cominciò le classiche frasi col tono di voce da completo stupido che hanno tutte le persone quando si rivolgono al proprio figlio piccolo. Infatti Blank si dovette trattenere dal ridere, e lentamente si defilò.
  «A domani…sua maestà Gidan, re di Alexandria!» disse infine.

Il giorno dopo la piazza del castello era piena di gente, e molti altri si erano riversati nelle strade adiacenti. La vista spettacolare che Gidan aveva dalla finestra, invece che meravigliarlo lo fece rabbrividire: in pochi minuti di fronte a tutte quelle persone si sarebbe sposato a ventuno anni appena compiuti. Sentì bussare la porta, era Blank.
   «Che figurino sei! Neanche alle nostre opere più spettacolari ti ho mai visto così elegante!»
Effettivamente, Gidan era molto più elegante del solito: indossava un vestito intero, decorato con cinghie e alcuni smeraldi, verde scuro e a tratti rosso; calzava le sue galosce, che non c’era stato verso a convincerlo di fargliele cambiare, e una leggera mantellina che già non vedeva l’ora di togliersi. Era parecchio appariscente, ma faceva la sua figura vestito così.
   «Cos’è, cerchi una via per battertela?» cercò di sdrammatizzare il Tantarus.
   «Cosa dovrei fare secondo te?» gli chiese di rimando senza voltarsi.
   «In che senso?» richiese Blank.
   «Intendo dire, faccio bene a sposarmi? Sarò in grado di sorreggere tutto questo peso, la corona, e tutto il resto?»
   «Gidan, avessi io le possibilità che hai tu: stai per sposarti con una ragazza fantastica sotto tutti i punti di vista, senza contare il reddito e la stabilità finanziaria che ne consegue, hai un figlio da crescere che adori, hai il favore del popolo. Il peso verrà dopo, tu devi pensare ad essere felice. E in più hai un posto dove tornare, amico.»
Fu quest’ultima frase a riscuoterlo: lui la usava spesso per parlare di se stesso al passato, di quando cercava il suo luogo di origine, o meglio un posto dove tornare chiamato casa. E dopo averlo finalmente trovato, aveva rischiato di perderlo per via del primo pazzoide venuto. Ora però, più che mai ne aveva la certezza: quella era la sua casa, la sua famiglia, il suo posto dove far ritorno un giorno.
   «Ho un’idea: movimentiamo un po’ questo posto.» disse girandosi d’improvviso.
   «Sono tutto orecchi.»
E Gidan gli spiegò.

Lo spazio designato per la cerimonia era relativamente piccolo: un piccolo palco sopraelevato con due piccoli podi, il posto dei due sposi, e un piccolo leggio dinanzi ad essi. Alle loro spalle vi erano diverse sedie per i rappresentanti più importanti dei vari regni, e ovviamente tutti gli amici: Beatrix, Steiner, Amarant, Quina, Eiko, Freija, Flatrey, i Tantarus al gran completo e Hades che non volle perdersi il divertimento, dopo secoli di noia. Lylith, ormai redenta, non se la sentì di farsi vedere dalla classe nobiliare del continente per via della vicenda accaduta anni prima e quindi era in mezzo al pubblico; Zerxex e i suoi soldati si guadagnarono il perdono e il loro meritato riposo grazie ad un incantesimo di esorcizzazione congiunto di Eiko e Daga.
Garnet e Gidan dovevano uscire dal portone principale una dopo l’altro accompagnati ciascuno da un testimone, Blank per lui, Mikoto per lei. Mentre questi ultimi si avvicinavano ai lati dei due podi, la jenoma, mandò un bacio col dito al ladro che rimase di stucco. “La sorella del mio migliore amico? Interessante…” pensò. E ricambiò con un eloquente occhiolino.
Ad un segnale preciso il direttore d’orchestra attaccò con un pezzo tutto fiati e ottoni per l’entrata di Gidan che venne accolto dal solito applauso. Appena mise piede sul suo podio, il pubblico recitò automaticamente la sua frase:
   «FINALMENTE!! RE GIDAN E’ TORNATO A CASA!!»
Dovette sforzarsi per non commuoversi, ma rimase estasiato dall’entrata in piazza di Garnet: la regina era vestita con abito bianco, scollato e attillato e con una gonna decorata da una rosa bianca in vita che arrivava poco sopra i piedi, calzati da un paio di bellissimi sandali con tacco. Non indossava un velo sul volto, ma dal solito diadema che aveva in testa partiva un leggero strascico di media lunghezza che toccava appena terra. In quella pura semplicità, che risaltava comunque la sua persona, era più bella che mai. Il forte “ooh!” di meraviglia proveniente dal pubblico la fece visibilmente arrossire. Arrivati entrambi sui loro podi ravvicinati si guardarono, e si dovettero trattenere dall’abbracciarsi e baciarsi anzitempo. Gidan le disse a mezza voce:
   «Sei splendida: chi è il fortunato?»  
   «Scemo…»
   «Come “scemo”? Pure adesso che divento re?»
Entrò per ultimo dinanzi il leggio il funzionario regio incaricato di espletare la cerimonia: ovviamente, il dottor Totto. Fece cenno ai due giovani di salire sulle loro postazioni. Daga salì quasi tranquillamente, Gidan invece era sull’orlo del collasso: era pallido, sudava freddo, e non si sentiva le gambe. Difatti ci mise parecchio per salire sul podio, incespicando sugli ultimi due gradini. Una volta in cima inspirò ed espirò profondamente. Poi calò il silenzio. Nella testa di Gidan passarono un sacco di immagini di lui e di Daga durante le loro avventure, e Daga anche se riusciva a contenersi per abitudine, era se possibile più emozionata di lui. Totto parlò nello strumento simile ad un microfono che era messo sul leggio, posto dinanzi ad alcuni fogli contenenti il discorso della cerimonia nuziale:
«Cittadini e cittadine di Alexandria. Siamo riuniti oggi in questa piazza, per celebrare le nozze della Regina dei Territori Uniti di Alexandria, Garnet Til Alexandros XVII, eletta per volere del popolo e per discendenza regale, e dell’eroe del conflitto della nebbia, nominato in questa sede reggente della corona del Regno di Alexandria, Gidan Tribal. Quest’uomo e questa donna, anzi, questi due ragazzi hanno salvato il mondo confidando nell’aiuto reciproco e nel loro affetto, consci che i loro amici erano lì a supportarli in tutto.» aggiunse Totto che evidentemente aveva aggiunto del suo alla cerimonia «Ora, di fronte al popolo e per l’autorità conferitami dalla Regina di Alexandria, chiedo ai due di recitare la formula che li renderà marito e moglie.»
Iniziò Garnet, mettendo al dito del ragazzo un modesto anello d’oro, splendente come il sole:
   «Gidan Tribal, io Garnet Til Alexandros, giuro su quest’anello di esserti fedele e di amarti per tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.»
Gidan mise al dito della ragazza un anello identico e disse:
   «Garnet Til… Daga, io Gidan Tribal, giuro su quest’anello di esserti fedele e di amarti per tutti i giorni della mia vita, finché morte non ci separi.»
   «Ed ora, per suggellare l’unione, che i due sposi si bacino!» concluse entusiasta Totto.
   «Cosa?» chiese Gidan dal nulla parlando nel suo microfono. Totto un po’ imbarazzato ripeté:
   «Ed ora, che i due sposi si bacino!»
   «Cosa?» richiese. Totto non capiva. Lo aveva ripetuto forte e chiaro.
   «Ed ora, che i…» ripetè un po’ interdetto
   «COSA?» lo interruppe più forte. Daga intuì e si mise una mano sul volto:
   «Oddio, ora comincia col “cosa”…» disse a voce bassa. I due testimoni lo guardavano sorpresi.
   «Tu vuoi che ci baciamo, cosa? Dici a noi due che dobbiamo baciarci, cosa? Che dobbiamo suggellare la nostra unione, cosa?» Totto era basito e non proferiva parola. Il pubblico invece cominciava a scaldarsi e conoscendo le tipiche frasi ad effetto del Tantarus, che amava condividere con la gente, ripeté il “cosa” ogni volta che lo diceva. Staccò il microfono e continuò.
   «Sai che ti dico, cosa? Ho detto, sai che ti dico?» ormai il pubblico urlava automaticamente “cosa?” alla fine di ogni frase di Gidan, che educatamente ripeteva.
   «Ti dico che non c’è bisogno di un anello o di una cerimonia per siglare l’unione di due innamorati. Ho detto, che non c’è ne bisogno. Che non serve. Che è dannatamente inutile. Che non c’è bisogno, perché la nostra unione l’abbiamo suggellata nove mesi e mezzo fa!» il pubblico esplose. Daga invece di imbarazzarsi si mise a ridere, tanto ormai tutti sapevano del loro figlio, e tanto valeva godersi lo spettacolo improvvisato del ragazzo, anzi del marito.
   «Se proprio devo farlo lo farò. Ma prima voglio raccontarti una storia. Hai tempo, che ti racconti una storia? Avete tempo che vi racconto una storia?» chiese volgendo al pubblico, che innalzò un coro di “sì!”.
   «È la storia di un uomo chiamato Gidan Tribal. Un uomo che viveva di espedienti. Di espedienti. E che si unì ad una banda. Un giorno questa banda decise di andare ad Alexandria a rapire la principessa. Ho detto, per rapire la principessa. Perché ci era stato detto che qualcosa non andava. Allora l’ho rapita, l’abbiamo portata con noi. Abbiamo vissuto insieme un sacco di avventure. Ho detto che abbiamo vissuto un sacco di avventure. E abbiamo rotto il culo ad un sacco di bastardi! Ho detto, abbiamo rotto il culo ad un sacco di bastardi figli di puttana!» alla ripetizione il pubblico fece un boato di approvazione. Totto era stravolto, invece gli amici se la ridevano. Persino Steiner non sembrava scandalizzato dalla scenetta di Gidan.
   «Ma una volta mi sono fermato. Sì, mi sono fermato. E mi sono detto, Gidan chi te lo fa fare? Chi te lo fa fare? Servirà a qualcosa? È questo il tuo compito? Sei solo un guscio vuoto,che non importa a nessuno. E sapete chi mi riscosse dal torpore? Vi ho chiesto, sapete chi mi riscosse dal torpore? È stata questa bellezza di ragazza qui. Ho detto, questa bellezza di ragazza qui!» e dicendolo la trasse a se col braccio. Lei lo guardava sorridendo divertita non capendo bene dove volesse andare a parare.
   «Perché questa ragazza qui, mi ha fatto capire il mio ruolo in questo mondo. Mi ha fatto capire che avevo un posto dove tornare. Mi ha fatto capire che avevo un posto dove tornare. E sapete quando sono tornato? Due anni dopo. Ho detto, due cavolo di anni dopo. Dio! E perché? Perché ho voluto fare l’eroe, cosa? Ho voluto fare l’eroe!» ridicendo la parola magica, fece ricominciare il coro.
   «E qualche mese fa, cos’è successo? Qualche mese fa, ho fatto di nuovo l’eroe e sapete cos’è successo? È successo che stavo per morire. Stavo per schiattare. Stavo per lasciare questa valle di lacrime. Stavo per lasciare sola questa bella ragazza che sto abbracciando. Adesso voglio fare una promessa, a lei, a voi qui presente e alle migliaia, e migliaia! dei miei fan, che non farò mai più, e intendo MAI PIU’, azioni che possano compromettere la mia vita. E questa è la linea di massima, perché Gidan Tribal ha detto così! E sapete come la prometto? Così.» e la baciò. La tenne così per almeno dieci secondi  e ci mise tutto l’amore possibile e sentiva che nelle sue labbra e la sua lingua, c’era tutto l’amore possibile. Il pubblico riesplose, e applaudì con fischi e urla. Staccatosi dalle labbra dell’amata, Gidan si mise il pollice e il medio uniti in bocca e fischiò. Da lontano si sentì un lunghissimo “kueeeh” che man mano si avvicinava diventava più forte.
«Reggiti forte Daga, che tra poco si vola!» le disse.
La Regina, pur non capendo assicuro le braccia al collo di Gidan. Dopo poco arrivò Choco planando a velocità incredibile rasoterra. Il Tantarus si preparò e appena il chocobo si presentò dinanzi a lui, spiccò un breve salto in groppa al volatile, che s’innalzò verticalmente verso le nuvole.
Passarono pochi secondi, prima che Gidan si rese conto di stare oltrepassando le basse nuvolette dell’altopiano di Alexandria. Daga non aveva ancora staccato le braccia dalla presa, e per nulla l’avrebbe più fatto.
   «Hai visto che alla fine sono venuto a cavallo di chocobo?» le chiese ricordando la frase che lei disse mesi addietro.
   «Sei diventato anche poetico: cos’è, un altro effetto della presenza di Trivia?» chiese sarcastica.
   «Ma quando mai! Non ho mai scritto roba poetica, io!»
   «E questa “roba poetica”?» gli domandò estraendo dal seno una lettera col simbolo dei Tantarus, e la sventolò in faccia a Gidan: era     quella che l’aveva convinta a scendere in battaglia. Dopo un’iniziale occhiata interrogativa, il viso di Gidan cambiò in diverse tonalità del rosso: dal pompeiano all’arancio aragosta.
   «Ehm…beh…guh…» cercò di spiccicare parola.
   «Cosa?» fece Daga cercando di fregargli la frase. Non ricevendo risposta chiese.
   «E dove passeremo la luna di miele?»
   «Hai presente quel posto che sta al di là delle nuvole, dove non ci sono mostri (“non calcolate Ozma, please” N.d.A.), e dove solo i chocobo dorati possono entrare? Il moguri Mene mi ha detto che ha organizzato già tutto per la nostra permanenza.»
   «Il Chocoareoparco…niente male. Ma gli altri che abbiamo lasciato così? E Alexander come farà a stare da solo?»
   «Oh, il ragazzo se la caverà. E se l’idea ti piace, quando torneremo potremo dirgli che è in arrivo un po’ di compagnia…» disse sornione.
E a Daga, l’idea, piacque.












"Con grande soddisfazione, vi ringrazio tutti per l'interesse e per l'assiduità con cui ognuno di voi ha seguito il mio primo lavoro, aggiungendo questa storia fra le preferite e le seguite, e chi ha avuto tempo per lasciare un commento a cui ho praticamente risposto a tutti. La vostra partecipazione mi ha convinto a proseguire la pubblicazione di questa fan-fiction solo su questo sito, l'unico dove ricevo apprezzamenti sulle mie opere. è stato con grande coraggio che ho iniziato la pubblicazione di questa mia opera su un sito dedicato a fan-fic su ogni tipo di cosa e di videogioco, e con grande coraggio speravo di vederla fruttare considerando che parla di "final fantasy 9", che è purtroppo il meno seguito. Però al momento della pubblicazione di quest’ultimo capitolo, mai mi sarei aspettato quasi 30 recensioni tutte positive e spronanti e un seguito che devo dire è stato abbastanza costante. In quest’ultimo capitolo, non ho potuto resistere dal prendermi la liberà di inserire un’altro "tormentone" di un wrestler, Stone Cold Steve Austin, che spesso nei suoi discorsi ed interviste amava far ubriacare il proprio interlocutore dicendo spesso "cosa?" (what?). Poiché all'inizio misi una frase di The Rock, mi è sembrato logico concludere con un'altra presa dal mondo del wrestling, mia grande passione. L'ho scritto facendo un po’ all'inverso del final fantasy 9 originale, ovvero mettendo l'effetto sorpresa spiazzante all'inizio e mettere la cosa calma alla fine. Detto questo ringrazio chi ha messo questa mia storia fra le preferite:
Dill, Linali san, Thaleron
e tra le seguite:
baby91, Dill, Psyker, Ventus
Ed ora, per l'ultima volta passo alle risposte ai commenti, cercando di ringraziare tutti quelli che mi hanno supportato:
baby91: ti ringrazio particolarmente poiché sei stata la prima a commentare e a sostenermi con simpatia e attenzione, anche se poi sei improvvisamente sparita. Non facendotene una colpa, mi piacerebbe ricevere una tua recensione finale a cui ti risponderò personalmente.
psyker: anche a te devo sentitamente ringraziare per la costanza delle recensioni (intervallate da problemi di rete se ho ben capito) con cui mi proponevi le tue attente osservazioni sulla mia opera, il che mi ha gratificato non poco dato che l'ho scritta appositamente per gli appassionati del gioco quali noi siamo. E come quasi ogni capitolo, mi auguro di leggere una tua recensione anche a quest'ultimo capitolo a cui ti risponderò con una mail.
martykat96: beh, io e te ci conosciamo da un'altro diciamo "frangente", da cui siamo riusciti fortunatamente a staccarci. Mi ha fatto molto piacere rivederti qui su e.f.p. anche perché eri effettivamente l'unica che speravo di rivedere. Spero che tu non voglia fermarti dal continuare a pubblicare le tue storie su ff9, secondo le regole che ti ho consegnato. Mi aspetto un tuo commento, a cui ti risponderò al solito modo.
Linali San: ti ringrazio in special modo, perché i tuoi commenti incoraggianti mi sono capitati in un momento in cui vedevo poche recensioni e credevo di avere una sorta di "calo di pubblico". Mi auguro che la principessa ti abbia combinato quello che ti aspettavi! Aspetto un tuo commento finale, giusto per dirmi che ne pensi.
Dill: l'ultimo a commentare! Beh devo dire che la tua attenzione è più che giusta: l'azione corale l'ho ripresa da final fantasy 7 advent children, ed è stato un po’ uno sfogo verso quel ff che è da tutti considerato il migliore senza conoscere il 9. Ho voluto dimostrare che anche in questo caso, è possibile individuare un forte spirito di gruppo fra personaggi diversissimi. Per quanto riguarda le mie storie, per ora ho in cantiere un crossover, di cui ho già pubblicato un episodio d'anteprima. Perché non mi dici che ne pensi? Ovviamente ti risponderò tramite mail.
E A TUTTI, DI NUOVO, TANTE TANTE TANTE TANTE TANTE TANTE TANTE TANTE TANTE GRAZIE!!! E SI VI E' PIACIUTA QUESTA FAN-FICTION, "GIVE ME A "HELL YEAH!!!" (altra frase di Stone Cold...")!!!!!"
              
                      "The Alex" fflover89
 
                      



                                                 FINE.

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