A fairytale gone bad

di Arial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una poesia anche per te ***
Capitolo 2: *** Smoke on the water ***
Capitolo 3: *** Don't go back ***
Capitolo 4: *** Homeward Angel ***
Capitolo 5: *** Shot in the Back of the Head ***
Capitolo 6: *** Whole lotta love ***
Capitolo 7: *** I'm not ok ***
Capitolo 8: *** Never be the same ***



Capitolo 1
*** Una poesia anche per te ***


Note: Allora, questa è una storia moooolto lunga, ma già tutta completa




Note: Allora, questa è una storia moooolto lunga, ma già tutta completa. Sarà composta in totale da otto capitoli, che posterò al ritmo di un paio per settimana… Insomma, non soffrirete come i lettori di Dark Shines XD

Avrete già notato il titolo del capitolo in italiano. Beh, il merito è di Vahly e del suo splendido fanmix. Ha scelto canzoni perfette per questa storia e ho deciso di utilizzare alcune tracce per i nomi dei capitoli! <3 Questo è il link al suo lavoro, ma vi consiglio di aspettare a scaricarlo: è dannatamente spoiler XD

La ringrazio anche per le sue splendide art, spoiler solo su questo capitolo. Le trovate qui, qui e qui!

Ah, cos’avrei fatto senza di te? <3

Mi raccomando, fatemi sapere ^^
Ne approfitto per postarvi anche il bellissimo header di Fleur. Grazie Bro <3




 

 

 

 

Lascio scorrere la lama lungo la linea del suo collo. Mi attardo a seguirne i contorni, a saggiarne la consistenza. È svenuto, non opporrà alcuna resistenza. Non che l’essere cosciente avrebbe fatto qualche differenza per lui. Quando si è accorto che ero proprio io - il suo Sammy - a colpirlo, ha smesso di lottare.

Carezzo i corti capelli sulla sua tempia, la mia mano descrive cerchi sempre più ampi. Mi concentro sul suo respiro regolare, sul calore che emana. Sarebbe così facile adesso, è talmente indifeso da disgustarmi. La mia stretta si fa più forte, alcune ciocche mi restano fra le dita. Gli spingo la testa contro l’altare, esponendo ancora di più la delicata pelle della sua gola. Un debole lamento gli sfugge dalle labbra; solleva impercettibilmente le palpebre, poi punta gli occhi su di me. Sono un verde mare di dolore e tradimento, sofferenza e shock, però non c’è alcuna traccia di odio.

-“Cosa cazzo devo fare per spingerti ad odiarmi Dean?” sibilo a pochi centimetri dal suo viso.

Non gli do il tempo di rispondere, affondo il pugnale. La lama non incontra alcuna resistenza: trancia via carne, tendini, arterie; mi fermo solo quando raggiungo la colonna vertebrale. Gli occhi di Dean adesso sono vitrei, ciechi. Mi dispiace quasi che non possa vedermi in questo momento: un sorriso a distendermi le labbra, il suo sangue ancora caldo sui miei vestiti. Il. Suo. Sangue.

La mente mi si schiarisce di colpo. La consapevolezza di quanto fatto mi colpisce, violenta: ho ucciso mio fratello, ho ucciso Dean.

Stringo al petto il suo corpo esanime; gli tengo la testa sollevata, mentre sussurro incessantemente le mie scuse. Come se potesse sentirmi, come se potessero cambiare qualcosa…

Un palmo si posa sulla mia spalla; è gelido, posso sentirlo anche attraverso il leggero tessuto della camicia, ma sono le parole che l’uomo pronuncia a ghiacciarmi l’anima: -“Hai fatto quello che dovevi, Sam. Tuo fratello era un ostacolo, una zavorra. Ora sei libero di seguire il tuo destino.

No, non è vero. Io non volevo, non Dean.

Abbraccio più forte Dean, nascondendo il viso contro di lui. La mano mi artiglia con avidità; le dita tracciano profondi solchi nella mia carne, mi costringono a voltarmi. Un viso luminosissimo e perfetto mi squadra dalla testa ai piedi, gli occhi piantati nei miei sono ricolmi d’odio. Le iridi sono di un verde intenso ed ombreggiate da lunghe ciglia scure, anche la forma mi è familiare: sono gli occhi di mio fratello!

-“Beh, ti chiedevi come sarebbero stati questi occhi pieni di odio… direi che ti ho accontentato, no?” chiede, beffardo.

Abbasso lo sguardo su Dean ed osservo le sue orbite orribilmente vuote, due buie finestre attraverso le quali mi sembra quasi di scorgere il cervello… Sento un urlo nascermi dalle profondità dei polmoni, la sua forza mi lacera la gola ed in quel momento mi sveglio.

Ho il respiro affannato, sono madido di sudore.

La stanza è immersa nell’oscurità, ma cerco comunque di distinguere il profilo di Dean. È stupido, ma ho bisogno di sapere che sta bene.

È davvero troppo buio per vederlo da qui, con qualche difficoltà mi libero dalle lenzuola e mi metto in piedi: devo controllare. Mi chino su mio fratello, il cuore che mi martella contro le costole. Dean è vivo, respira. Il suo petto però si solleva e si riabbassa troppo velocemente; si agita e mormora di continuo: non sono l’unico ad avere incubi ricorrenti. Sono mesi che Dean va avanti così: i ricordi dell’Inferno lo perseguitano ancora a quasi un anno di distanza. Il punto però è che i suoi, per quanto spiacevoli, sono soltanto sogni, i miei hanno invece la brutta abitudine di avverarsi… Arriverei davvero al punto di fargli del male? Dentro di me so che non è così, che non lo farei mai, non me la sento di rischiare però. Ho preso la mia decisione da tempo. Mi sono lasciato questi giorni per dirgli addio, poi smetterò di avere un fratello.

Se Dean fosse a conoscenza del mio piano me ne darebbe di santa ragione, ma lui non ne sa nulla; inoltre, onestamente, dove ci hanno portato finora le sue scelte? Lui è finito all’Inferno e io ho quasi perso la mia anima nel tentativo di vendicarlo. Certo, probabilmente allontanarmi da lui segnerà la mia definitiva condanna, ma di sicuro eviterò che faccia altre cazzate: Dean ha già sacrificato troppo per me, non gli permetterò di rinunciare ad altro. Mio fratello è la persona che più di tutte merita un lieto fine e al mio fianco non potrebbe mai averne uno. Nel mio futuro vedo soltanto fiamme e sangue, ma non sarà così anche per lui. Se il prezzo da pagare per saperlo al sicuro è perderlo, sono disposto ad accettarlo.

-“Sam?” chiede, incerto.

Ha gli occhi semichiusi, la voce impastata. Improvvisamente mi ricorda un bambino e mio malgrado mi ritrovo a sorridere: -“Mi era sembrato di sentire un rumore, ma è tutto ok. Torna a dormire, Dean.”

-“Mmh… ok.”

Appoggia nuovamente la testa sul cuscino e torno a sedermi sul mio letto.

Continuo ad osservarlo. È vero, ci sono momenti in cui Dean sembra un mocciosetto, ma mio fratello non ha mai posseduto quel tipo di innocenza. Non da quando lo ricordo io, non da quando Azazel è entrato nelle nostre vite. Mi torna in mente una conversazione che abbiamo avuto qualche anno fa; gli dissi che mi sarebbe piaciuto riavere la mia innocenza, lui rispose che avrebbe tanto voluto fosse così. Non gli passò neppure per la mente di desiderare una cosa del genere per se stesso: non puoi combattere il male e restare puro, lo sappiamo entrambi. Ora però ho la possibilità di fargli questo regalo, di cancellare una vita fatta di incubi e dargli un nuovo inizio: niente caccia, niente patti, niente Inferno, niente Apocalisse e… niente Sam.

Sento le prime lacrime scendermi lungo le guance e decido di abbandonarmi a qualche minuto di disperazione, ormai non tornerò indietro.

 

* * *

 

-“Buongiorno, raggio di sole” grido, spalancando la finestra.

-“Saaam” piagnucola Dean, indignato. Poi solleva le coperte sopra la testa, deciso a riaddormentarsi.

-“Dean, sono le otto passate e c’è un enorme torta sul tavolo... vuoi che la mangi da solo?”

Le lenzuola si abbassano, di poco: -“C’è davvero la torta?” chiede mio fratello, speranzoso.

Annuisco: -“Anche il caffè.”

Dean si mette seduto e mi riserva uno sguardo sospettoso. Come biasimarlo? Con quello che è successo negli ultimi tempi è già tanto che non creda che voglia avvelenarlo…

-“C’è qualcosa che devi dirmi, Sam?” domanda, con la bocca piena.

-“Ti ho comprato la colazione, non mi sono offerto di fare il bucato o lavarti l’Impala” ribatto, seccato. Devo continuare con la mia messinscena ancora un altro po’, non posso rischiare che Dean capisca qualcosa.

Scrolla le spalle e torna a concentrarsi sulla colazione. Ha vuotato la sua tazza di caffè, mi restano una manciata di minuti prima che si renda conto che c’è qualcosa che non va.

-“Ehi, Dean, grazie…” incomincio, consapevole di non avere né il tempo né le capacità di spiegargli tutto.

Solleva un sopracciglio: -“Di cosa?”

-“Di tutto quanto, sai…”

-“Che cazzo hai fatto, Sam?”

Il suo tono è rabbioso, ma vi avverto una sottile vena di paura.

Si alza di scatto e le gambe gli cedono, si sostiene al tavolo per non cadere. Scuote la testa, come a schiarirsela, mentre i miei occhi si posano sul suo caffè: -“Rimettiti seduto, Dean” mormoro.

Dean mi guarda, sbalordito: -“Mi hai drogato

Provo a sfiorargli il braccio, ma lui si ritrae.

-“Lasciami spiegare…”

-“Cosa vorresti spiegare, Sam?” chiede, pacato. Poi mi guarda negli occhi: dolore, tradimento, disperazione, vi ritrovo tutte le emozioni che avevo imparato a cogliere così bene nei miei sogni. In genere questa scena è il preludio di un’altra; faccio un passo indietro, sicuro di stare per fargli del male…

Dean finisce a terra, mi chino per aiutarlo.

-“E così te ne stai andando?”

-“No, Dean. Sei tu che stai per lasciarmi.”

Si sforza di sorridermi: -“Credi che questa scenetta mi abbia convinto che tu sia malvagio? Che ti abbandonerei per avermi rovinato un caffè?

-“Se avessi scelto la torta, l’avresti fatto” ribatto.

L’afferro al di sotto delle braccia e lo rimetto in piedi, poi lo distendo sul letto.

Dean prova a sedersi, ma lo tengo giù.

-“Ascoltami, Dean, so che non mi abbandoneresti mai ed è proprio questo il problema. Non puoi restare con me, è troppo pericoloso. Posso provare a proteggerti dai demoni, da Lilith, ma presto o tardi il mostro che c’è in me verrà fuori… non posso proteggerti da me stesso, Dean.

Mio fratello cerca di protestare, gli poggio una mano sulle labbra: -“Ssshh, sta tranquillo. Ho pensato a tutto: sarà come se non ci fossimo mai conosciuti, potrai finalmente vivere la tua vita, Dean.

Gli occhi di Dean sono quasi chiusi, ma continua a lottare per restare sveglio: “Sam, ascoltami… ti prego” dice con voce impastata, una mano a ghermirmi il polso.

Ricaccio indietro le lacrime, concentrandomi sul viso di mio fratello: voglio assimilarne ogni più piccolo dettaglio.

-“Ricordi quando mi dicesti che da piccolo avresti voluto essere un vigile del fuoco, Dean? Ho pensato fosse il lavoro più adatto a te: continueresti a salvare le persone, inoltre dicono che le donne li adorino…

La presa di Dean si fa più debole. Adesso le lacrime mi rigano le guance, i singhiozzi minacciano di sopraffarmi; c’è un’altra cosa che devo dirgli: -“Sai, ho pensato anche ad un nome per te… Che ne pensi di James? James Dean, come l’attore… Ti piace?”

Dean non risponde, si è addormentato.

Lo stringo un’ultima volta, continuando a sussurrare: -“Ti chiami James, ti chiami James…”

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Capitolo 2
*** Smoke on the water ***


-“James, sta attento

 

 

 

 

-“James, sta attento!”

Le voce di Ron mi giunge attutita, quasi soffocata dal fumo spesso ed acre che ha invaso l’edificio. Il suo tentativo, però, è sufficiente ad avvertirmi del pericolo: mi getto sotto un’arcata e porto le mani alla testa, aspettando che termini la  pioggia di intonaco e calcinacci.

-“Stai bene?” grida dopo un po’.

-“Alla grande” ribatto, ironico. “Tu resta dove sei, amico, ché con quest’ultimo colpo di fortuna il pavimento ce lo siamo giocato.”

-“Già, per questo ci avevano detto di aspettare i rinforzi…” incomincia.

Ecco, questo sì che mi è d’aiuto.

Esco dal mio riparo, dirigendomi verso la stanza alla fine del corridoio. Non c’è tempo da perdere: c’è un motivo per cui ho disobbedito agli ordini ed ha smesso di piangere cinque minuti fa.

Ti prego, tieni duro. Sto arrivando.

-“James, portalo fuori più in fretta che puoi, qui sta crollando tutto!”

Un altro consiglio illuminante…

Avanzo tenendomi sempre lungo il muro, dove le assi sono più solide. Scricchiolano inquietantemente, ma dovrebbero reggere. Devono.

Nella nursery tiro un sospiro di sollievo: la culla è circondata dalle fiamme, ma lei e il suo occupante sono ancora illesi.

Faccio un passo in avanti. Un brivido mi percorre la schiena, mentre lancio uno sguardo allarmato al soffitto. Piccole lingue di fuoco lambiscono il lampadario e la carta da parati un tempo azzurra, ma non era questo che mi aspettavo di vedere. Già, e cosa? La fatina dei pompieri?

Scuoto la testa, imponendomi di restare concentrato. Mi chino sul bambino, poggiando l’orecchio contro le sue labbra. Merda, non respira più.

Gli spingo delicatamente la testa all’indietro e gli apro la bocca, cercando di liberare le vie respiratorie. Poi comincio la rianimazione. Lo prendo fra le braccia, voltandolo verso il pavimento. Do quattro rapidi colpetti fra le sue scapole, lo rigiro e poggiandolo contro le gambe, faccio lo stesso al livello del diaframma. Vengo ricompensato da un acuto strillo, seguito da urla indignate. Direi che i suoi polmoni sono di nuovo perfettamente in funzione.

-“Bravo, campione. Pronto per l’ultimo sforzo?” gli domando.

Qualcosa nella mia voce deve tranquillizzarlo, perché smette di singhiozzare.

Lo porto al petto, nascondendolo, per quanto possibile, contro la tuta ignifuga.

Ripercorro la strada a ritroso, ma arrivato al salone, sono costretto a fermarmi: il pavimento ha definitivamente ceduto. Siamo fottuti.

-“Ron, il bambino sta bene, ma…”

-“Già. Resisti, John e Chris stanno arrivando con delle pertiche.

-“Pertiche? Vuoi che faccia il funambolo a sei metri d’altezza con un neonato fra le braccia?” grido, sconvolto.

-“Beh, potresti lanciarmelo, ma non sono mai stato bravo come ricevitore” risponde, tranquillo.

Sto per ribattere qualcosa, quando parte del soffitto crolla, solo per essere immediatamente inghiottita nell’inferno sottostante.

Passano altri minuti. Il legno sotto le mie scarpe comincia a sfrigolare, l’aria si fa più densa. Dove cazzo sono quei due?

-“Sempre contrario a quel lancio?” chiedo, combattendo la nausea.

-“Tieni duro, ragazzo. Presto ti tireremo fuori.”

-“Oh, che dolce, sei preoccupato per me…” dico, stuzzicandolo.

-“Mi preoccupa che il fuoco bruci il tuo culo, prima che possa prenderlo a calci!”

-“Già” sospiro, lasciandomi scivolare a terra, dove l’aria è più respirabile. “Sei ancora con me, piccolo?” sussurro poi al fagotto stretto contro di me.

Ha nuovamente perso conoscenza, ma respira ancora. Grazie a Dio, non so se riuscirei a rianimarlo in queste condizioni.

-“Ron, sbrigati!”urlo, ormai in preda alla disperazione.

-“Tranquilla, principessa. I cavalieri sono arrivati.”

John?!

-“Alla buon ora, coglioni!”

-“Aurora non aveva questa boccaccia” sbuffa Chris, spingendo le tavole verso di me.

-“Chi?!

-“Zitto e muoviti a fissarle a qualcosa, James. Dopo potrai farti una cultura sui film Disney” taglia corto Ron.

Mi do una rapida occhiata in giro, ma non c’è niente che possa fare al caso mio. Niente che non sia divorato dalle fiamme, almeno.

-“Qui non c’è niente, Ron. Vi toccherà tenerle ferme voi. Non fatemi cadere di sotto, tornerei a perseguitarvi” concludo, minaccioso.

Poggio un piede sulla tavola. Comincio a saggiarne la resistenza, esitante: -“Reggerà il mio peso, vero, ragazzi?”

-“Se hai smesso di strafogarti di panini nella pausa pranzo, sì! Datti una mossa, idiota, che qui sta per andare tutto a puttane” ringhia John.

Chiudo per un attimo gli occhi e mi sposto del tutto sul legno scricchiolante. Cerco di mantenere il baricentro basso e di guardare esclusivamente davanti a me. Sembra davvero di essere sulla soglia dell’Inferno: un abisso in costante attività che vomita fuoco, fiamme e volute di fumo nauseabondo.

Qualche altro passo e il respiro viene a mancarmi. Una crisi di tosse mi costringe ad inginocchiarmi. Provo a trattenerla, ma si trasforma ben presto in spasmi incontrollabili. Mi si chiude la gola, mentre osservo sgomento le oscillazioni della tavola. Si spaccherà…

-“James, non fermarti. Manca pochissimo, figliolo” mi incoraggia Ron.

Mi rimetto in piedi e avanzo un altro po’. È vero, fra poco potrò consegnare loro il piccolo.

-“Sta pronto a prend…”

Il legno cede con uno schiocco sonoro, inghiottendomi la gamba sinistra in una tagliola di schegge e frammenti incandescenti. Il dolore resta però al livello dell’inconscio, sopraffatto dal cieco terrore che mi assale alla totale perdita dell’equilibrio. Mi getto in avanti, facendo da scudo al bambino con le braccia. Atterro pesantemente sulla tavola, che miracolosamente tiene.

-“Tirateci verso di voi” grido, mentre il mio mondo comincia a sfumare nel grigio…

-“James, James resta sveglio! Una volta raggiunto il bordo, l’asse si inclinerà e dovrai tenerti… Mi hai capito, ragazzo?

Fanno scivolare la tavola in avanti. Provo a ghermirla con un braccio, ma la mia presa è debole.

La gamba oscilla nel vuoto, una sorta di pendolo sincronizzato con gli spostamenti del legno. Peccato che i suoi dong risuonino forte e chiaro nelle mie tempie e che al minimo movimento scariche e fitte mi risalgano lungo il corpo. Uno scossone improvviso e tutto oscilla sul suo asse. E dire che ho sempre evitato persino le montagne russe…

Mi gira la testa, vomito. Tremo con violenza, forse sono già in shock, ma la morsa con cui stringo il piccolo non viene mai meno. È l’unica cosa su cui riesca ancora a concentrarmi.

Sento le voci concitate dei ragazzi, mi sfugge il senso delle loro parole però. È qualcosa di simile a “tienilo” o “tieniti”, poi qualcuno urla “adesso”.

Un rumore assordante, dopodiché la tavola si inclina e la forza di gravità comincia a trascinarmi velocemente verso il basso. Chiudo gli occhi, cercando di tenere fuori le fiamme più a lungo possibile, quando la mia caduta si arresta, di colpo.

Vengo sbalzato in avanti e colpisco il muro con forza.

-“Ce l’ho. Tieni duro, Aurora, poi ti porto al ballo” dice una voce sopra di me.

Sollevo lo sguardo, confuso. Chris?

Cazzo, pensavo di essere fottuto stavolta…

Due paia di braccia mi tirano su in tutta fretta. Per poi distendermi sul pavimento sporco.

-“Sei ancora con noi, James?” chiede Ron.

Non riesco a metterli a fuoco, un sordo ronzio mi trapana il cervello. Sto per perdere conoscenza.

-“Mi sa che vi toccherà portarmi in braccio fuori dal castello…” blatero.

La risposta di Chris è l’ultima cosa che sento prima di sprofondare nel buio: -“Io di certo non lo bacio, ragazzi.”

 

* * *

 

Un forte odore di disinfettante permea l’aria, mascherando almeno in parte qualcosa di più dolce e sgradevole: il tanfo della malattia, quello del sangue e delle sostanze chimiche che si usano qui. Sono in ospedale.

Provo ad aprire gli occhi, ma sento le palpebre pesanti. Cerco di sollevarmi, ma riesco soltanto a spostare di pochissimo la mano lungo il ruvido lenzuolo. Il mio gesto, però, attira l’attenzione di qualcuno. Delle dita mi stringono il braccio appena al di sopra del polso. Sono calde e si spostano con lentezza sulla mia pelle, descrivendo piccoli cerchi. Sono rassicuranti.

So a chi appartengono. Mi lascio andare contro il guanciale, improvvisamente tranquillo.

-“Non farmi mai più prendere un simile spavento, altrimenti...

Al suono della sua voce il cuore mi si ferma per un attimo, come a darsi una spinta per la corsa sfrenata che intraprende subito dopo. Chi diavolo ha parlato?

Spalanco gli occhi, in preda al panico, finché questi si posano su Lucy. Ovviamente, era stata lei a parlare. Chi mi aspettavo di trovare al mio capezzale, se non la mia ragazza?

-“Ssshh, calmati, James. L’infermiera sta arrivando con dell’altra morfina.

Annuisco stancamente.

-“Altrimenti cosa?” chiedo poi con un ghigno.

Lucy mi sorride di rimando: -“Ne parliamo dopo, non posso minacciarti in queste condizioni.”

Esplodo in un sonoro sbadiglio: -“Quindi mi converrebbe più spesso… ehm, come sono finito qui?” chiedo, cercando di colmare il buco nei miei ricordi.

Avverto un leggero pizzico al braccio.  Abbasso lo sguardo e vedo l’infermiera armeggiare con una flebo. Quando è arrivata?

Vi inietta qualcosa, poi si china su di me: -“Non era lei che ti aspettavi di vedere, vero, Dean?” mi sussurra all’orecchio.

Dean, e chi sarebbe? E chi altri avrei dovuto aspettarmi?

L’osservo interrogativo, ma la stanza ha già cominciato a girare. Dev’essere l’effetto della morfina comunque, adesso mi pare addirittura che i suoi occhi siano bianchi…

Quando mi risveglio, la qualità della luce è cambiata. Entra dalla finestra in tenui raggi rossastri, respinti con forza dalle ombre che si allungano intorno a me. La camera è ormai quasi completamente buia.

Sono solo. L’unico suono è il costante bip dei monitor cardiaci, che fa da contrappunto al mio respiro affrettato.

Mi guardo in giro, cercando di scorgere qualcosa, convinto che ci sia una minaccia in agguato.

-“Già, sarà probabilmente il babau” mi dico, cercando di allentare la tensione e di razionalizzare questo terrore insensato. La mia voce però peggiora soltanto le cose, aumentando il mio stato d’allerta. Mi sembra di sentire le mie grida, distorte dal dolore e dalla paura; la mia risata, piena di sdegno e derisione, sadica, animalesca.

Le prime gocce di sudore mi imperlano la fronte, mentre altre mi scivolano gelide lungo la schiena.

Mi tiro su, facendo leva sulle braccia. Le lenzuola sono madide. Una patina acquosa mi ricopre la pelle, che il tramonto tinge di riflessi purpurei. Non è sangue, nonostante ne abbia il colore… e l’odore. Non è sangue, non è sangue.

La nausea mi assale. Mi gira la testa, ma non posso distendermi, non in questa pozza rossa. Vorrei lanciarmi fuori dal letto, ma ho una gamba in trazione. Sono confinato qui, da solo…

Un allarme comincia a suonare, ossessivo. Qualche istante e la porta si spalanca. Un infermiere fa il suo ingresso,  illuminando la stanza.

I suoi occhi si posano su di me e mi ritraggo istintivamente.

-“Tutto bene, signore?” mi chiede con cautela.

Scuoto la testa, insicuro su come proseguire. Osservo con attenzione le mie mani, ma sono immacolate.

“Non potrai mai lavare via il loro sangue, Dean.”

-“Cosa?” domando, sgomento.

-“Le ho chiesto se le occorre qualcosa, signore. Non potrò darle altra morfina nella prossime ore, però.”

Mi lascio sfuggire un piccolo sospiro di sollievo: una frattura dall’aspetto per nulla rassicurante, morfina e chissà che altro schifo ed ecco spiegato tutto. Il sonno della ragione genera i mostri, no? Fortunatamente ci pensa la luce elettrica a dissiparli.

-“Non ho bisogno di niente” lo tranquillizzo. “Solo un incubo, ma non diciamolo in giro” concludo, sorridendo.

-“Il suo segreto è al sicuro. Anche perché dovrei passare sul corpo di una dozzina di infermiere, pronte a difenderlo.

Sollevo un sopracciglio, interrogativo.

-“Non lo sa ancora? È la star del nostro reparto, il pompiere eroe. Infatti credevo che la sua fidanzata non avrebbe mai lasciato il territorio incustodito” dice con una punta di invidia. “Ma forse ha pensato che in certe condizioni…

-“Spero non sia andata a comprare una cintura di castità” sussurro, con una smorfia.

Scoppiamo a ridere insieme, come due vecchi amici.

Si avvicina ai macchinari, mettendo a tacere l’allarme. Studia i vari tracciati, analizzandone l’andamento. La sua espressione muta radicalmente; adesso è attento, professionale: -“Qui abbiamo avuto un bel picco” mormora. “Anche la saturazione dell’ossigeno nel sangue era molto alta.”

-“L’incubo di cui le parlavo” ribatto, a disagio.

-“Sì, certo. Si tratta di una reazione più che normale, considerando lo stress cui è stato sottoposto. Se sentisse il bisogno di parlarne con qualcuno, in quest’ospedale ci sono medici più che qualificati…

Vuole che parli con uno strizzacervelli?

-“Non ne sento il bisogno, grazie” lo interrompo, brusco. “Mi scusi, sono un po’ stanco…”

Stavolta il suo sorriso è decisamente forzato: -“Capisco. Buona notte.”

Fa scattare gli interruttori; per qualche secondo la sua sagoma risalta sulla soglia contro il corridoio illuminato, poi si chiude l’uscio alle spalle e la mia camera ripiomba nell’oscurità.

Poggio la testa sul cuscino umidiccio e mi impongo di chiudere gli occhi. È tutto ok. Sono al sicuro.

Mentre scivolo nuovamente nel sonno, mi sembra di risentire l’odore del sangue e lo stridore delle grida, pronti a stringermi nel loro sudicio abbraccio.

 

 

 

Note: Grazie mille per il commento, Jo <3 Spero ti piaccia anche questo capitolo con James!

Il prossimo aggiornamento sarà fra una settimana, perché starò via qualche giorno. Ci sentiamo. Mi raccomando, fatemi sapere ^^

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Capitolo 3
*** Don't go back ***


Mi sveglio di soprassalto







Mi sveglio di soprassalto. Un incubo, il solito.

Mi volto istintivamente verso l’altra parte della stanza, ma non c’è niente. Questa è una singola e lui è a chilometri di distanza, ignaro persino della mia esistenza.

Credevo che questo avrebbe reso le cose più facili, ma mi sbagliavo. Immaginare che lui abbia una sua vita, da cui io sarò sempre escluso è dura; sapere che non ricorda nulla di me, però, è decisamente peggio: mio fratello è vivo, ma Dean non esiste più.

James Ford non è segretamente innamorato di una Chevy del ’67, non sa come uccidere un wendigo e probabilmente ignora pure cosa sia. James Ford non sa di aver amato Sam Winchester più di qualsiasi altra cosa al mondo e, grazie a Dio, neppure di essere finito all’Inferno per questo. Anche se probabilmente sarebbe più corretto dire grazie al dio, penso amaramente…

C’ho messo mesi a rintracciare il Trickster e quando l’ho finalmente incontrato, non è stato difficile convincerlo ad acconsentire. Ha detto di non essere il genio della lampada, ma ha esaudito senza fiatare il mio unico desiderio, donare a Dean una vita ex novo. Ha cancellato i suoi ricordi, fornendogliene di nuovi; ha addirittura fatto in modo che gli angeli non potessero trovarlo, imprimendo un sigillo sotto la sua pelle. Quando gli ho chiesto quale fosse il trucco, ha risposto che per una volta non ce n’erano: Dean non sarebbe finito a fare lo spogliarellista o lo spacciatore di droga, non avrebbe finito per chiamarsi Dick o’Cock o cazzate simili. Ha soltanto preteso di apporre un’unica, imprescindibile, clausola al nostro accordo: che il processo fosse irreversibile. E io ho accettato.

Quando gli ho consegnato mio fratello, mi ha sorriso e mi ha detto che presto avrei imparato la mia lezione. Si è chiesto quanti mesi ci sarebbero voluti, prima che tornassi sui miei passi; quanto infelice sarebbe dovuta divenire la mia esistenza, per supplicarlo di rimettere tutto a posto.

Sono rimasto in silenzio e lui è scomparso, portando Dean con sé.

Sette mesi dopo, sono ancora qui. Certo, la mia vita è miserabile in modi che neppure la perversa mente del Trickster avrebbe potuto immaginare, ma Dean è salvo, al sicuro. Cos’è il mio sacrificio, confrontato coi suoi quarant’anni all’Inferno? Cos’è rispetto alla prospettiva di perderlo per sempre e per mano mia?

Il telefono comincia a suonare. È una sorta di messaggio cosmico: smettila di piangerti addosso.

L’afferro al terzo squillo: -“Sì?” domando, completamente sveglio.

-“Sam, abbiamo un problema…” incomincia Ruby. “Dean.”

Quell’unica sillaba aleggia per qualche istante nell’aria, poi mi riscuoto: -“Gli è successo qualcosa?”

-“Non credo, non lo so. Lilith è nella sua stessa città, con gran parte del seguito…

-“Cosa? Che cazzo ci fa Lilith in quel buco di Joliet?!

-“Un sigillo?” tenta Ruby. “Senti, Sam, per quanto ne so potrebbe anche…

-“No, non dirlo” l’ammonisco. “Nessuno oltre me, te e il Trickster lo sa. Non è possibile.”

-“Dove sei? Fra quanto puoi essere qui?” chiede, pratica.

-“Mi dispiace, Ruby, no. È personale, è Dean… me la cavo da solo.”

-“Personale?! È la fottuta Apocalisse, Sam. Non esiste personale.”

-“Ci sentiamo” dico, riagganciando.

Una manciata di minuti e sono sulla strada, polverizzando i limiti di velocità e spingendo al massimo l’Impala: -“Forza piccola” l’incoraggio, “presto lo rivedremo.”

Stringo il volante in una morsa ferrea, sforzandomi di capire come diavolo ha fatto Dean a mettersi nei casini anche adesso.

Ti prego, ti prego Dean, cerca di essere ancora vivo per quando arriverò lì.

 

* * *

 

Parcheggio sulle strisce, lasciando il motore in folle e rispondendo con un gestaccio alle proteste dei passanti. Mi lancio dentro l’imponente caserma in muratura rossa, sperando di trovarlo ancora lì.

Non saprei dove cercarlo, altrimenti. E se l’avessero trasferito? Se avesse già finito il turno?

-“Mi scusi, sto cercando James Ford” dico, rivolto ad una volontaria.

-“Come, non ha saputo?” incomincia la ragazza.

Sento il mio cuore rallentare, mentre una morsa gelida mi serra il petto: sono arrivato troppo tardi. Non avrei mai dovuto lasciarlo solo, non così. Impreparato, indifeso…

-“Oh mio Dio! Mi scusi, signore. James sta bene, è soltanto in licenza. Riprenderà fra una settimana…” grida, scattando in piedi.

-“Cosa?” domando in un sussurro.

-“La prego, si sieda. È pallidissimo. Sono un’idiota…”

Mi guida verso una panca, poi mi ci spinge su.

-“Vuole un bicchiere d’acqua?” chiede, in preda al panico.

Scuoto la testa e mi sforzo di sorriderle: -“No, grazie.”

-“Resti qui, vado a chiamarle uno della sua squadra a cui potrà chiedere informazioni” dice, allontanandosi.

Dopo pochi minuti, compare un energumeno in canotta, pantaloni gialli e bretelle.

-“Salve, sono Ronald Schultz” si presenta, porgendomi una mano con cui probabilmente macina sassi.

-“Sam Wesson.”

Rispondo alla sua stretta e gli faccio posto accanto a me.

Si siede con una grazia che non mi sarei mai aspettato da un individuo di quella stazza. Poi, in tutta calma, mi chiede chi diavolo sia e che voglio da James. Nel suo sguardo non è difficile leggere l’affetto che lo lega a mio fratello, il suo desiderio di proteggerlo. Un moto di invidia mi rivolta lo stomaco: quest’uomo fa ora parte della vita di Dean, ha preso il mio posto accanto a lui. Sono felice che Dean abbia intorno persone che lo amano, era quello che volevo, ma…

-“Allora?” mi incalza.

-“Eravamo compagni di scuola, ma ci siamo persi di vista. So che lavora qui ed essendo in città, ho pensato di fargli visita.

Semplice e verosimile.

-“Capisco. Deve scusarmi, in genere non sono così chioccia, ma è dalla notte dell’incendio che di tanto in tanto qualche giornalista viene a farci delle domande.

-“La notte dell’incendio?”

Ron mi sorride: -“Dimenticavo che lei non è di queste parti… Un paio di mesi fa, c’è stato un rogo piuttosto esteso nella parte orientale della città, ha coinvolto varie abitazioni. In una di queste è rimasto intrappolato un bambino, James si è gettato fra le fiamme, salvandogli la vita.

Nel suo tono riesco a cogliere un orgoglio profondo, sporcato però da una leggera sfumatura di disapprovazione. Mi ritrovo, mio malgrado, costretto ad empatizzare: Dean non è un partner facile, per la metà del tempo stai lì ad aspettare che commetta l’ennesima incoscienza.

-“Sembra proprio da lui” incomincio, rispondendo al suo sorriso. “Non capisco perché i giornali siano ancora interessati a questa storia però. Sarà eroica, ma…”

-“Ma alla gente degli eroi non interessa, almeno finché non cadono” conclude, mesto.

-“Cosa vuole dire?”

Fa un mezzo sospiro: -“Vede, James è rimasto ferito durante l’intervento. Si è rotto la gamba sinistra in più punti; ha inoltre inalato una gran quantità di fumo. Insomma, se l’è vista brutta. È rimasto più di tre settimane in ospedale, quando ne è uscito era diverso, trasformato…

-“In che senso?”

-“Il dipartimento l’ha proposto per un’onorificenza, ma lui ha rifiutato. Ha allontanato tutti, compresi noi. E ha lasciato la sua fidanzata, dopo che avevano deciso di convivere. Fra una settimana scadrà la sua licenza e non sono sicuro che vorrà tornare…

Una sirena comincia a suonare e Ronald si alza.

-“James abita al 53 di Barker Avenue. La zona lungo il fiume, non avrà difficoltà a trovarla. Chissà, magari un vecchio amico gli instillerà un po’ di buon senso. Arrivederci, Sam.”

-“Arrivederci, Ronald. Grazie di tutto.”

Lascio l’edificio decisamente inquieto. Che cazzo sta succedendo a Dean?

Questo comportamento non è per niente da lui: Dean è un combattente, maledizione! Ha ripreso a cacciare non appena tornato dall’Inferno e adesso una gamba rotta e qualche bruciatura l’hanno messo al tappeto? Non è possibile, dev’esserci qualcosa sotto.

Accartoccio la multa che un poliziotto troppo solerte mi ha fatto trovare sul parabrezza e ingrano la prima, chiedendomi distrattamente come farò a spiegare a James Ford che siamo fratelli e acchiappa fantasmi…

 

 

 

 

Note: I miei due neuroni buoni sono crepati per il freddo, mi spiace. Vabbé, vediamo di rispondere almeno in maniera coerente ai vostri commenti! XD

Grazie mille a tutte, davvero. La mia scrittura va a periodi ed ultimamente mi sento una capra ignorante: voi siete un’iniezione d’ottimismo! <3

Dal prossimo capitolo comincerà l’interazione fra Sam e “James”; quest’ultimo invece era un non particolarmente ispirato momento di passaggio, mi spiace. Fatemi sapere ^^

PS: Come titolo ho scelto “don’t go back” e basta, nonostante la canzone scelta da Vahly fosse “don’t go back to Rockville”… Non mi denunciare, bella XD

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Capitolo 4
*** Homeward Angel ***


Il 53 di Barker Avenue è un condominio dall’aria tutto sommato rispettabile

 

 

 

 

Il 53 di Barker Avenue è un condominio dall’aria tutto sommato rispettabile. Una facciata un po’ vecchiotta, qualche aiuola ben tenuta e un alberello solitario, sotto cui è parcheggiata una splendida Harley.

Ho provato il suo citofono più volte, Dean non è in casa. Mi poggio contro la portiera dell’Impala, aspettando che torni.

Tamburello con le dita sul cofano a ritmo di una canzone immaginaria, chiedendomi come sarebbe più giusto comportarsi. Per ora potrei limitarmi a tenerlo d’occhio, assicurandomi che Lilith e i suoi si tengano alla larga. Non c’è bisogno di rovinargli la vita, trascinandolo di nuovo in questo schifo. Magari Dean è davvero solo depresso, capita a tutti, non c’è bisogno dei demoni…

Lo vedo arrivare da lontano. Inizialmente è solo una sagoma indistinta, che mi sfugge non appena esce dal pallido alone dei lampioni. Poi man mano riesco a distinguerlo con sempre maggiore chiarezza. Non ci credo: indossa una tuta da jogging e tiene fissato un ipod sul braccio, roba da sfotterlo nei secoli dei secoli. Nonostante il tutore alla gamba sinistra, il suo passo è bilanciato e il suo ritmo costante. Direi che è quasi del tutto guarito.

Mi sposto dietro la macchina, per evitare che mi veda.

È ormai al portone, quando un tizio sbucato dal nulla lo atterra. Tutto accade in una manciata di secondi: l’uomo lo colpisce con un pugno al volto e Dean, sbilanciato, cade. L’impatto con l’asfalto è violento, picchia la testa. Il suo aggressore si prepara a sferrargli un calcio, ma Dean è più veloce e gliene assesta uno sulla gamba d’appoggio. Mi sembra di sentire sin da qui il rumore del ginocchio che si rompe, ma l’uomo non fa una piega: è un fottutissimo demone.

Attraverso la strada in un lampo, sperando che basti la mia fama a farlo scappare: non posso usare i miei poteri davanti a Dean. Per una volta, la fortuna è dalla mia: una semplice occhiata e quel demone da niente si dà alla fuga. Resisto alla tentazione di inseguirlo per farlo a pezzi e mi chino su mio fratello: -“Tutto bene, amico?” chiedo, porgendogli la mano.

-“Sono stato meglio” ribatte, rimettendosi in piedi.

Faccio un rapido esame delle sue condizioni: ha un occhio pesto ed è probabile che domani non potrà neppure aprirlo, perde sangue da un taglio non troppo profondo alla tempia sinistra ed ha qualche escoriazione sul viso. Poteva andare decisamente peggio.

Dean non sembra essere molto d’accordo, si porta una mano alla testa e fa una piccola smorfia: -“Quel coglione, provare a rapinare uno che fa jogging…” mormora, arrabbiato. “Ehi…”

-“Sam.”

-“Sam, io sono James. Che ne dici se ti offro da bere per sdebitarmi? Ho un paio di casse di birra e qualche bottiglia avanzata dall’ultima festa. Giuro che in genere non mi faccio pestare per invitare sconosciuti a casa” conclude con un sorriso.

Uno simile mi tende immediatamente le labbra: -“Certo, James. Giuro che non salvo i ragazzi per poi farmi invitare a casa loro” rispondo, incapace di rifiutare.

-“Touché” commenta, prendendo le chiavi e facendomi strada lungo le scale. Si ferma dopo cinque impervie rampe: -“I primi tempi era una tortura” dice, indicandosi la gamba.

-“Niente ascensore, eh?”

-“Il bello dei vecchi palazzi… Scusa il caos, mi sto dando al bricolage. Dopo un paio di bicchieri non dovresti farci più caso, comunque” assicura, facendomi posto sulla soglia.

Lì lo zerbino recita “welcome to the jungle”, direi che certe cose non cambiano proprio mai.

L’ingresso dà su un ampio open space, in cui è racchiusa tutta la zona living. L’arredamento è moderno e funzionale, ma non asettico. I colori caldi delle superfici e del mobilio, che sfumano in morbide gradazioni che vanno dal rosso, all’arancio, al marrone; il tocco retrò fornito da uno splendido giradischi e da qualche vecchio poster; tutto concorre a dare l’idea di un ambiente caldo ed accogliente, vissuto. Questa è una casa, casa sua…

-“Sei ancora con me, Sam?”

-“Eh? Sì, certo. Mi davo un’occhiata in giro, bell’appartamento!

-“Grazie, allora non ti spiacerà se vi lascio da soli, mentre mi sistemo la faccia… Quello è il bar, lì c’è il giradischi: fa come se fossi a casa tua.”

Lascia la stanza, togliendomi d’impaccio. È la prima volta che provo una sensazione simile in sua presenza; nonostante la sua cordialità, per questo Dean io sono un estraneo e non riesco ad accettarlo: guardarlo negli occhi e non scorgervi quella scintilla d’amore che li ha sempre illuminati; nascondergli la mia identità, consapevole che se sapesse, darebbe fuori di matto…

Il mobile bar è decisamente poco fornito, segno che almeno con l’alcol ha smesso.

Ha solo della tequila, acqua tonica e una bottiglia di preparato per cocktail: margarita.

Dispongo il tutto su un basso tavolino davanti al divano, poi prendo del sale, dei bicchieri e del ghiaccio. Ci vorrebbe un lime…

-“Margarita, eh? Vuoi farmi ubriacare per svaligiarmi casa?” domanda da sopra la mia spalla.

Non l’ho sentito arrivare, sa ancora muoversi.

-“Scoperto. Ti va bene il drink?” chiedo, porgendoglielo.

-“Certo.”

Prende posto sul divano. Ha fatto una doccia, i suoi capelli sono bagnati e li asciuga distrattamente con un asciugamano. Li porta più lunghi del solito, ora che è libero dalla disciplina militare di John Winchester. Chissà, forse ha sempre desiderato farlo.

Ha un piccolo cerotto sulla fronte. L’occhio destro ha già cominciato a gonfiarsi, è pesto e quasi completamente chiuso. Sul viso gli si è dipinto un vasto ematoma violaceo, che evidenzia il pallore della sua pelle: Dean non sta bene come avevo creduto finora.

Si china sul tavolino e afferra una piccola custodia rigida. Ne estrae un paio d’occhiali dalla montatura nera, poi li inforca.

-“Porti gli occhiali!” esclamo, allibito.

-“È forse illegale?” chiede, bevendo un sorso di tequila.

-“Ma non li avevi prima” insisto.

-“Ho le lenti a contatto di solito. Insomma, Sam, non hai mai visto nessuno con gli occhiali?

No, non è possibile: Dean non è mai stato miope, l’avrei saputo. Che altro avrà alterato quel figlio di puttana?

Continuo ad osservarlo, scioccato, e Dean comincia a mostrare i primi segni di disagio: -“Allora, Sam, non sei una faccia nota, cosa ti porta in città?”

-“Mio fratello abita qui” rispondo il più sinceramente possibile.

Il suo sguardo si addolcisce: -“Come si chiama tuo fratello?”

-“Dean.”

Impallidisce visibilmente e versa parte del drink. Poi si ritrae, come se l’avessi colpito.

-“Tutto bene, James?” domando, sconcertato.

-“Sì, certo. Come mai non sei con lui?”

Sembra una curiosità innocente, ma il significato è chiaro: vuole che me ne vada.

-“È meglio che gli stia alla larga” dico, guardandolo negli occhi.

-“Non capisco, è tuo fratello, come puoi dire certe cose?”

Ci siamo, Dean e il suo senso della famiglia partono all’attacco. Se sapesse davvero quello di cui parla…

-“Diciamo soltanto che non sarebbe così contento di vedermi, gli procuro solo casini.”

-“Già, hai proprio la faccia del piantagrane tu” commenta, sarcastico. Butta giù il suo margarita in un colpo solo: -“Questo era per tuo fratello. Vediamo quanti ci toccherà scolarcene, per risolvere i nostri problemi, Sammy.

La bottiglia si svuota ad una velocità allarmante. Verso le due, giace dimenticata su un pavimento disseminato di patatine e snack di vario tipo. Siamo entrambi brilli e Dean sta ridendo! Ride come non faceva da anni, da prima dell’Inferno, da prima del patto e io non posso fare altro che guardarlo a bocca aperta, estasiato. E se poi pensa che ci stia provando, beh, sarà imbarazzante, ma poco importa…

-“Ok, sono fatto” annuncia Dean, dopo l’ennesimo brindisi. “Un altro bicchiere e non riuscirei neppure ad arrivare al letto.”

-“Probabile” ribatto, solo parzialmente lucido.

-“Siccome non mi andrebbe che ti rompessi il collo sulle mie scale, se vuoi, puoi prenderti il divano per stanotte. Sempre che non ti faccia troppo schifo il tuo vomito…

-“Ehi, non ho vomitato!” comincio, indignato. Provo a mettermi in piedi, ma ricado scompostamente all’indietro.

-“Peggio per te allora, almeno prima era roba della casa” dice, riprendendo a ridere. “Vado a prenderti delle coperte e un cuscino.”

Poggio la testa contro la morbida imbottitura e chiudo gli occhi, cercando di tenere fuori tutti quei colori: l’appartamento di Dean è passato da caldo a psichedelico, con l’aumentare del livello d’alcol nel mio sangue. Poi sento le mani di mio fratello che mi guidano verso il cuscino e che mi stringono addosso delle coperte. Dean lascia la stanza.

Mi addormento con un sorriso sulle labbra: per la prima volta dopo mesi dormiamo di nuovo sotto lo stesso tetto.

 

 

 

 

Note: Siccome la storia è già scritta, sarebbe crudele farvi aspettare troppo per l’aggiornamento. Ah, com’è grande e generoso il mio cuore! *se la canta e se la suona XD*

Grazie mille per i commenti <3

Credo tu abbia ragione, Francesca: ogni tanto non fa male occuparsi anche di Sam… *il suo io da Deangirl è traumatizzato da una tale affermazione O_O*

Alla prossima ^^

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Capitolo 5
*** Shot in the Back of the Head ***


Gli occhi di Dean sono vitrei, spenti

 

 

 

 

 

Gli occhi di Dean sono vitrei, spenti. Giace scomposto sull’altare di pietra, una marionetta a cui hanno tagliato i fili. E sono stato proprio io a reciderli, come un’implacabile parca.

-“Non te lo saresti mai aspettato, vero, Dean? Stavi sempre a ripetermi che potevo vincere il male dentro di me… Beh, ti sbagliavi, non potevo” concludo, sfiorandogli le labbra sporche di sangue. La sua pelle è gelida, più simile al marmo che alla carne. Non c’è niente di artistico nella sua morte però: è solo un altro corpo senz’anima che si disfa lentamente. Disgustoso, vile, patetico.

Asciugo con un gesto rabbioso le lacrime che mi rigano il viso. Non devo piangere, non ce n’è motivo.

Un braccio mi cinge la vita, possessivo. Mi costringe a voltarmi, affinché i miei occhi affondino nei suoi. Sono sempre gli stessi: verdi, intensi, luminosi, quelli di Dean. Questa volta però mi riservano uno sguardo di muta supplica, una preghiera disperata.

-“Avresti potuto evitare tutto questo, Sam” comincia l’uomo, mesto. “Senza di te era felice, al sicuro. Dovrai per sempre continuare a rovinargli la vita?

Scuoto la testa, incapace di giustificarmi. Mi afferra i capelli e li strattona con forza: -“Ecco, guarda cosa hai fatto a tuo fratello” grida, gettandomi contro di lui.

Un dolce odore di decomposizione mi invade le narici, mi ricorda vagamente quello della frutta marcia. Anche visivamente l’effetto è molto simile, grazie a sottili strati d’epidermide che gonfiatisi, trasudano un denso liquido scuro…

A svegliarmi stavolta non sono le mie stesse urla, ma violenti conati di vomito. Poggio una mano a terra e svuoto lo stomaco sul pavimento. Torno a distendermi sul divano, nonostante la pozza schifosa a pochi centimetri dalla mia faccia. Non sarei comunque riuscito ad alzarmi, i miei muscoli sono ridotti ad una poltiglia tremante. Una viscida patina di sudore mi ricopre, mentre le ultime lacrime mi scendono lungo il viso. Cosa ho fatto? Non sarei mai dovuto tornare.

Mi rimetto in piedi, in silenzio. Arrivato alla porta, però, esito: posso continuare a proteggerlo anche da lontano, posso illudermi che entrambi staremo meglio soli, ma la verità è che ho bisogno di Dean e lui di me.

“Dovrai per sempre continuare a rovinargli la vita?”

È così? Dean è in pericolo al mio fianco, sono io la vera minaccia?

Afferro la maniglia con rabbia, deciso ad andarmene, quando Dean comincia a gridare. È un suono straziante, raggelante e per un attimo resto pietrificato. Poi le sue urla riprendono più alte di prima e mi slancio verso di lui.

-“DEAN!”

Sfondo la porta, che resta divelta sui cardini. La stanza è buia, ma intravedo la sagoma di Dean che lotta per districarsi dalle coperte. Ci riesce, raggiunge una piccola abat-jour sul comodino e dà luce all’ambiente. Poi punta su di me due occhi dilatati dal terrore e dalla rabbia: -“Che cazzo ti dice il cervello, coglione?!

Sta bene. È pallido e tremante, leggermente sudato: ha avuto un incubo…

-“Ti ho sentito gridare e…”

-“E hai pensato che mi stessero squartando e quindi non potevi perdere tempo ad abbassare una fottuta maniglia?” chiede, infuriato. “Grazie mille, mio eroe” conclude, sarcastico.

Si rimette in piedi e lascia la camera senza degnarmi di uno sguardo.

Lo seguo in soggiorno.

-“Senti, mi dispiace, ok? Ripagherò la porta… e la tappezzeria” aggiungo, notando il suo sguardo fisso sulla macchia di vomito.

Si passa una mano sulla faccia, in un gesto così familiare da farmi male.

-“Tranquillo e scusa per il coglione, sono abituato a risvegli più soft” dice, sorridendo stancamente. “Ti prendo qualcosa per pulire, così puoi tornare a letto.”

-“Grazie” mormoro, in mancanza di meglio.

Torna con uno strofinaccio imbevuto di detersivo e un secchio d’acqua: -“Forza Cinderella” mi incoraggia, porgendomeli.

-“Conosci le fiabe?” chiedo, esterrefatto.

Scoppia a ridere: -“Non suona molto virile, eh? I miei colleghi hanno pensato di colmare le mie lacune sull’argomento, durante la mia convalescenza: sono un fiero possessore di tutti i dvd della Disney adesso” conclude, ironico.

Mi passa accanto e mentre lo fa, la sua risata si trasforma in un sorriso malinconico. No, Dean non è affatto felice.

Mi chino sul pavimento e comincio a lavarlo. Dean riempie un bicchiere d’acqua al lavandino, si appoggia contro il frigo e ne manda giù qualche sorso sovrappensiero.

-“Ecco fatto!” esclamo, dopo qualche minuto.

-“Perfetto, tutti a nanna allora!” ghigna.

Estrae un flacone da un cassetto e si lascia cadere un paio di compresse nella mano, le inghiotte con le ultime gocce d’acqua.

Lo guardo qualche istante in cagnesco, di certo quelle non erano aspirine.

-“Cosa?” domanda, sulla difensiva.

-“Che diavolo sono queste?” grido, strappandogli il contenitore dalle dita. “Sonniferi, De…” mi zittisco immediatamente, ma ormai il danno è fatto…

-“Credo sia meglio che tu te ne vada” dichiara Dean, gelido.

Inutile discutere: -“Buona fortuna, James. Sul serio” dico dalla soglia.

-“Certo, anche a te, Sam” ribatte, senza neppure voltarsi.

Mi chiudo la porta alle spalle, uscendo nuovamente dalla vita di Dean.

 

 

 

Note: Grazie a voi ragazze, siete fantastiche <3

Alla fine la storia è già scritta, France, gli aggiornamenti non mi pesano per nulla. Devo solo scegliere il titolo fra le canzoni di Vahly e convertire il testo in html: anche una pigra come me ci riesce XD
A presto ^^

 

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Capitolo 6
*** Whole lotta love ***


Sam lascia il mio appartamento, chiudendosi la porta alle spalle

 

 

 

Sam lascia il mio appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.

Mi poggio contro la parete e porto le mani alla fronte, cominciando a massaggiarla con rapidi movimenti circolari. Chiudo gli occhi, combattendo una momentanea vertigine.

Non bastavano gli incubi, il mio buon samaritano doveva anche rivelarsi uno psicopatico.

Mi trascino fino al letto e mi ci butto a faccia in giù. Affondo il viso nel cuscino e lo ritraggo con un sibilo. Forse dovrei metterci del ghiaccio o una bistecca su quest’occhio, come nei film.

Mi giro su un fianco, sperando che le pillole facciano effetto alla svelta. Ho bisogno di dormire, sono esausto.

Avverto un lieve fruscio, come di deboli passi o di parole sussurrate a mezza voce. È arrivata.

Allungo il braccio a tentoni, fino ad incontrare l’interruttore dell’abat-jour. Illumino la stanza, sentendomi immediatamente più leggero. Dovrebbero vedermi adesso gli uomini del dipartimento: l’intrepido James Ford si lancia nelle case in fiamme, ma ha paura di dormire al buio… Colpisco la lampada con rabbia, ritrovandomi nuovamente nell’oscurità.

Scoppio a ridere. Certo che c’è davvero da andarne fieri: non solo cacasotto, pure coglione.

“Non devi avere paura del buio, Dean.

Ed eccone un’altra da aggiungere alla lista: matto come un cavallo.

Il materasso cigola e si abbassa, come se qualcuno si fosse disteso al mio fianco. Sento le sue dita sul collo, mi sfiorano la pelle, gelide e delicate. Passano a carezzarmi il volto, evitando però con cura la zona tumefatta.

Porto le ginocchia al petto e mi avvolgo più strettamente nella coperta.

-“Ti prego, lasciami in pace. Lo so che non esisti” sussurro.

“No? Questo non è forse reale, Dean?” chiede allegra, schiaffeggiandomi.

Resto in silenzio.

“Oh, Dean, non fare così. Sai che amo la tua voce! Non vorrai che diventi di nuovo cattiva

Mi stringe in un abbraccio, modellando il suo corpo contro il mio. Le sue mani percorrono il mio petto, veloci, minacciose. Serro la mascella, preparandomi al dolore. Mi bacia invece la schiena, seguendo con le labbra la linea dei muscoli.

-“Che cosa vuoi?” domando, stanco di combattere.

“Voglio che tu lo accetti, Dean!”

-“Cosa?”

“Che non devi temere il buio, perché il buio è già dentro di te

Detto questo, scompare.

Le palpebre mi si fanno di colpo pesanti; l’ansia, la paura, l’angoscia tutto svanisce. Prima che me ne renda conto, sono profondamente addormentato.

Vengo svegliato dal telefono che squilla. Mi porto la cornetta all’orecchio e un uomo mi chiede se abbia mai riflettuto sui potenziali rischi che corre il mio portfolio azionario.

-“Non l’avevo mai fatto, amico. Ti ringrazio per avermi aperto gli occhi” dico, riagganciando.

Il led dello stereo segna le 9.15, sembra che io sia stato una delle prime chiamate dell’aspirante broker.

-“Il solito culo” commento, alzandomi.

Ho un cerchio alla testa, ma la tequila non è stata devastante come al solito. Mando giù un paio d’aspirine e mi butto sotto la doccia. L’acqua bollente allenta almeno in parte la tensione nei miei muscoli. Chiudo gli occhi e punto la faccia contro il getto, godendo dell’immediata sensazione di benessere. Vorrei restare qui tutto il giorno, senza pormi domande, senza pensare. Tranquillo, in pace. Peccato che la caldaia la pensi diversamente: un fischio improvviso e l’acqua diventa freddissima.

Mi stringo nell’accappatoio e vado a vestirmi, deciso a non congelare definitivamente. Mi siedo sul letto e osservo sconsolato la porta della camera: chi si credeva di essere quel tipo, l’incredibile Hulk? Dovrei ripararla e chiamare un tecnico per lo scaldabagno: a Lucy verrebbe un colpo vedendo la casa in queste condizioni…

Al diavolo! Infilo il giubbotto, afferro il casco e le chiavi e lascio l’appartamento: voglio correre e la mia piccola è qui proprio per questo.

-“Non è vero, tesoro?” le domando, sfiorando la lucida carrozzeria.

Attraverso il ponte sul fiume, per poi imboccare la statale per Chicago. Ci siamo soltanto io, la mia moto e chilometri di strada liscia e deserta: il paradiso, penso ironico, canticchiando “highway to hell”.

Quando parcheggio nuovamente davanti al palazzo, il sole è già calato da un pezzo e i lampioni sono tutti illuminati. Mi sgranchisco la schiena e faccio schioccare le giunture indolenzite. Sono distrutto, ma da tempo non mi sentivo tanto bene. Trascino leggermente la gamba sinistra, che ormai è un sordo dolore. Poco male, massimo due giorni e tornerà a posto. Niente potrà rovinarmi questa serata…

Le scale sono buie, persino le luci di emergenza sfarfallano. Scuoto la testa, infastidito: pago un botto di condominio e l’impianto elettrico sembra opera di un amish. Per non parlare della pulizia! Non sono esattamente un fan delle Martha Stewart di questo mondo, ma evitare almeno che l’androne puzzi di uova marce…

Sospiro ed entro in casa, dove viene assestato il colpo di grazia al mio buonumore: -“Lucy, che ci fai qui?!” esclamo, sorpreso.

Non risponde nulla, non sembra neppure essersi accorta della mia presenza. Mi avvicino di qualche passo, ma lei continua a volgermi le spalle.

-“È finita, lo sai…” incomincio,  poi la stangata finale: -“Perché umiliarti ulteriormente?” chiedo, crudele. Non posso permettere che capisca quanto ci stia male, quanto mi manca. Lei è stata cristallina in merito: se Lucy fosse rimasta nella mia vita, l’avrebbe uccisa…

-“E così hai preso sul serio il mio avvertimento, che carino!” dice, ridacchiando.

Di cosa sta parlando?

Uno schianto improvviso e la porta d’ingresso viene divelta. Su di essa troneggia il ragazzo di ieri. Ha il fiatone, uno sguardo da invasato ed impugna un lungo coltello. Era davvero uno psicopatico.

-“Ehi, amico, cosa vuoi fare con quello? Perché non lo metti via prima che qualcuno si faccia male?

Sorrido, cercando di blandirlo, ma non è con me che ce l’ha: -“Allontanati subito da lui, puttana!” urla, scattando in avanti con l’arma alzata.

Mi frappongo tra loro, facendo da scudo a Lucy. Lei si stringe contro di me, avvinghiandomi braccia e gambe. Merda, non sarò d’aiuto a nessuno così!

Sam si ferma immediatamente e indietreggia di qualche passo.

-“Non fargli del male” implora, abbassando il coltello.

Non capisco, che cazzo succede? Questo qui si comporta come se fosse Lucy la minaccia!

-“Tranquillo, Sammy, se avessi voluto ucciderlo, sarebbe già morto. Sono mesi che ci divertiamo, vero, Dean?”

No, non ci posso credere. La sua voce… è la donna dei miei sogni, è sempre stata lei...

Fa un gesto con la mano e scaglia Sam attraverso la stanza. Il suo volo termina contro la parete attrezzata, che si infrange sotto il suo peso. Viene sepolto da una valanga di legno, vetro e libri vari.

Che diavolo…

-“Oh, ma come ti sei irrigidito! Scommettiamo che con un bel bacio passa tutto?

Mi afferra la testa e mi costringe a voltarmi. I suoi occhi sono completamente bianchi, le pupille scomparse. Non è umana. Non è Lucy.

-“Chi cazzo sei?”

-“Lucy?” domanda, sorridente.

-“Non credo. Senza offesa, tesoro, ma lei non si veste come una puttana e non puzza come una fogna” ribatto, imitando il suo sorriso.

-“Vedo che non hai perso quella linguaccia insieme a tutto il resto.”

Perché tutti si comportano come se mi conoscessero?

La sua presa si rafforza, non riesco a spingerla via. Finirà per incrinarmi una costola o peggio. Come può essere tanto forte?

Mi cedono le gambe, finisco in ginocchio. All’impatto col pavimento un grido strozzato mi sfugge dalle labbra. E poi il fisioterapista mi diceva di fare attenzione alla moto…

-“Questa scena non ti è familiare, Sam? Ah, quanti ricordi!” esclama, estasiata.

Il ragazzo non si è ancora ripreso, mi sembra svenuto. Lucy gli si avvicina, squadrandolo avidamente.

-“Ehi, aspetta, mi sembrava ci fosse dell’attrazione fra di noi” dico, sperando di riguadagnarmi la sua attenzione. Funziona: torna indietro e si china su di me.

-“Sempre il solito, vero, Dean?” incomincia, scuotendo la testa. “Va bene, non mi va più di giocare per stasera: sta fermo e presto vi lascerò andare. Tutti e tre” assicura, poggiando le sue labbra sulle mie.

Un bacio? Tanto casino per un fottutissimo bacio? Ne ho viste di donne disperate, ma questa le batte tutte… Mi prende il volto fra le mani, attirandomi ancora di più a sé. Le mie labbra si schiudono al tocco leggero della sua lingua. Si insinua nella mia bocca, muovendosi dapprima lentamente, poi con sempre maggiore trasporto. Chiudo gli occhi, fingendo che sia Lucy, nonostante abbia il sapore ferroso del sangue. Un’immagine comincia a farsi strada nella mia mente. È indistinta e sfuocata, ma assume velocemente chiarezza. È lei ad alimentarla, infondendole consistenza e forza, dandole vita. La figura prende corpo sullo schermo delle mie palpebre chiuse. Non si tratta di un essere umano: è una creatura bellissima, perfetta, ammantata di una splendente aura di luce. Comincia a parlare in una lingua che non conosco; afferro soltanto il mio nome, disseminato fra sillabe dal suono ricco e musicale.

“Tutto chiaro, James?” chiede alla fine.

Annuisco, vagamente intontito.

“Bene, ci rivedremo presto. Dal vivo spero conclude, sorridendo.

Scompare e mi trovo nuovamente fra le braccia di Lucy. Ha smesso di baciarmi. Adesso mi osserva, incuriosita e apparentemente soddisfatta.

-“Magari il mio lavoro fosse sempre così piacevole!” mormora, asciugandomi il viso.

Stavo piangendo, perché? Provo una sensazione sgradevole, un peso alla bocca dello stomaco…

-“Beh, salutami Sam quando si sveglia” dichiara contenta.

Getta poi la testa all’indietro, vomitando volute di denso fumo nero. Lucy crolla a terra, esanime. Mi avvicino a lei, chiamandola per nome. Non accenna a svegliarsi, ma il suo battito è forte e regolare. Resto immobile al suo fianco, insicuro su come comportarmi. Comincio a carezzarle i capelli, lasciando vagare lo sguardo nel vuoto. Cosa devo fare, che ne sarà della mia vita? Posso provare a rimetterne insieme i pezzi… magari con Lucy al mio fianco?

Una mano mi si posa sulla spalla, Sam: -“Tranquillo, si riprenderà” dice, in un vano tentativo di incoraggiamento.

-“E se ricorderà la metà di quanto è successo, avrà bisogno di uno psichiatra per il resto dei suoi giorni…”

-“Tu no?” domanda serissimo.

Scoppio a ridere: -“Io non ero bilanciato neppure prima, amico.”

-“Già, ma forse questo è un bene” commenta, mesto.

Non so perché, ma qualcosa nel suo tono mi mette in allarme: -“Che vuoi dire?” chiedo.

-“Non posso spiegarti molto adesso, ma sei in pericolo: devi venire con me.”

Scuoto la testa, divertito: -“Come no. Mi dispiace, Taxi Driver, ma a ‘sto giro passo: trovati un’altra fanciulla da salvare!”

-“Scusami, Dean, non mi lasci scelta.”

-“Che…”

L’ultima cosa che vedo prima di sprofondare nel buio, è il suo pugno che cala sulla mia testa.

 

 

 

Note: Grazie a tutte, davvero. Da una parte mi dispiace quasi postare così velocemente, perché da un paio di settimane non riesco a scrivere neppure le cartoline e continuare ad aggiornare ‘sta storia mi faceva sentire almeno un po’ “attiva”. Per favore, non fatemi rinchiudere XD

Un bacione ^^

 

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Capitolo 7
*** I'm not ok ***


Mi sveglio di colpo con un dolore lancinante alla testa

 

 

 

Mi sveglio di colpo con un dolore lancinante alla testa. Sento il sapore del mio sangue sulle labbra, i muscoli delle spalle indolenziti e contratti.

Socchiudo leggermente le palpebre, solo per serrarle subito dopo: ho gli occhi a pezzi. La fioca luce della stanza è sufficiente a ferirli, mi bruciano e non riesco a mettere a fuoco nulla. Merda, indosso ancora le lenti a contatto. Perché non le ho tolte prima?

Provo a portare una mano al volto, ma il braccio si solleva di pochissimo: sono legato al letto. Cazzo, Sam…

Do un paio di strattoni sperimentali, guadagnandomi soltanto dei sicuri lividi intorno al polso. Non credo abbia usato delle corde, ma cinghie di cuoio: più difficili da sciogliere e meno abrasive.

-“Figlio di puttana” mormoro.

-“Non è l’offesa migliore da farmi, credimi.”

Mi volto di scatto in direzione della sua voce. È sempre stato qui? Che diavolo vuole da me?

-“Oh, non c’è problema: ho un vocabolario molto fornito cui attingere, credimi” ribatto con astio.

-“Ne ho un’esperienza di prima mano” dice, un sorriso evidente nella sua voce.

Dà luce alla stanza.

-“Cazzo, spegnila!” grido, nascondendo il viso nel cuscino.

Si precipita al mio fianco: -“Cos’hai che non va?” chiede, preoccupato.

-“Vuoi che cominci con la lista?” rispondo, rabbioso. “Sono le fottute lenti a contatto. Ovviamente, non hai pensato di togliermele, dopo avermi spaccato la faccia e incatenato al tavolo delle torture.

-“È un letto e non ho alcuna intenzione di torturarti. Sta fermo, lascia che ti aiuti.”

Si inginocchia al mio fianco e le estrae con estrema delicatezza.

-“Sono secchi e arrossati, serve del collirio?”

Scuoto la testa: -“Lacrime artificiali. Ne avevo un flaconcino nella giacca di pelle.

Annuisce: -“Ok, aspetta qui.”

-“E dove vuoi che vada?!

Ritorna in un attimo. Si china su di me e versa alcune gocce per occhio. Li batto un paio di volte, sentendomi immediatamente meglio.

Si siede sul letto, mantenendo però una certa distanza.

-“Serve altro?”

-“Vuoi slegarmi?” domando, blando.

-“Non posso.”

Prendo un lungo respiro, imponendomi di mantenere la calma: -“Ascolta, Sam, hai buone intenzioni, l’ho capito, ma non ho bisogno del tuo aiuto. Lasciami andare.”

È come parlare ad un muro: -“No, hai visto cos’è successo prima: non posso lasciarti solo.”

-“Quello che ho visto prima sono i danni che hai fatto al mio appartamento, per il resto non mi sei stato di molto aiuto…”

Assottiglia le labbra in una smorfia di rabbia e impotenza. Mi riserva uno sguardo combattuto, ma si rialza.

-“Ehi, dove cazzo vai? Non puoi tenermi qui” urlo, cercando di mettermi seduto.

-“Ti farai soltanto del male, Dean.”

-“Non chiamarmi così, pezzo di merda! Chi cazzo ti credi di essere?!

-“Sono tuo fratello.”

Non c’è traccia di dubbio nel suo tono. Ne è sicuro, assolutamente certo. In che razza di casino mi sono cacciato?

-“Oh, il momento dell’agnizione… I nostri ti avevano dato via perché completamente pazzo?”

-“Non mi credi e va bene, lo accetto. Ma noi siamo fratelli e tu devi…”

-“Io devo pisciare” dico, interrompendolo.

Questa volta è lui a restare senza parole: -“Co-cosa?” incomincia, balbettando.

-“Devo pisciare, slegami. O vuoi tenermelo, mentre prendo la mira in un barattolo? Sarebbe sconveniente per due fratelli…”

Scuote la testa: -“Mi dispiace, dovrai trattenerla.”

-“Di cosa hai paura, amico? Sarà già un miracolo se arriverò al bagno… Farò il bravo, promesso” confermo con un sorriso.

Allenta le cinghie, poco convinto: -“Non fare scherzi, ti farò del male se costretto.”

-“Me ne sono accorto” ribatto, massaggiandomi i polsi.

Mi rimetto in piedi e la stanza oscilla per qualche secondo. Mi afferra per il gomito, sostenendo gran parte del mio peso: -“Non. Mi. Toccare” scandisco lentamente, non appena passa la nausea.

Lascia scivolare via la mano: -“Hai cinque minuti” mi ricorda, mentre chiudo la porta alle mie spalle.

Sospiro, poggiandomi contro il legno mezzo marcio. Ovviamente, niente finestre: da qui non si esce. Una zaffata di urina e umido mi invade le narici. Separo i lembi di una vecchia tenda mezzo ammuffita, dando un’occhiata nella doccia. Non c’è nulla. Sarà psicopatico, ma almeno non mi ha portato al Bates Motel. È solo uno dei tanti alberghetti ad ore frequentati da prostitute e commessi viaggiatori. Chi mi troverà mai in questo posto dimenticato da Dio?

Faccio scorrere l’acqua nel lavandino, bagnandomi mani e viso. Devo riflettere, pensare: ci dev’essere un modo per uscire da questa situazione. Sam crede che siamo fratelli, non si spingerebbe troppo in là; io d’altra parte…

Guarda, James…”

Porto le mani alla testa, invasa da una serie di immagini e flash.

“Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi e non guardarti indietro. Ora, Dean, vai!”

Chi è quest’uomo? E il bambino? Comincio a correre, inseguito dalle fiamme che si chiudono intorno a noi…

“Dean, quando torna papà? È via da giorni…”

“Ha una consegna da fare, lo sai. Non ti stai divertendo col tuo fratellone?

Fratellone? No, non è possibile…

Annuisce, ma mi punta addosso due occhioni colmi di lacrime, stringendomi il petto in una morsa dolorosa.

“Vieni qui, Sammy. Che ne dici di guardare di nuovo i Robot Spaziali stasera? Oppure le Tartarughe Ninja, così vediamo come prendono a calci Shredder

“Ok, ma voglio guardare Thundercats!”

Thundercats ripeto, con una smorfia. “E gatti combattenti siano, piccolo.

-“Ti prego, basta, basta!” grido, disperato.

“Devi sapere quello che ti ha fatto tuo fratello…”  riprende, suadente.

La porta si spalanca e il mio salvatore accorre in soccorso: -“Dean! Dean, che diavolo succede?” chiede, sollevandomi da terra.

-“Tu!” sibilo a pochi centimetri dalla sua faccia. “Come hai potuto…”

Lascio la frase in sospeso, decidendo che trovo decisamente più soddisfacente prendere a cazzotti quella sua brutta faccia da culo. Non si aspettava una reazione simile, basta un pugno a mandarlo al tappeto.

Prova immediatamente a rialzarsi, ma non gliene do l’occasione: calo una scarpa sul suo viso, schiacciandolo contro le mattonelle sporche.

-“Dean, aspetta…” prova debolmente.

La sua voce alimenta soltanto la mia rabbia: -“Sta. Zitto. Figlio. Di. Puttana” dico, puntualizzando ogni parola con un calcio. Non credo sia mai arrivato alla fine della frase: giace incosciente ai miei piedi; un rivolo di sangue gli gocciola dalle labbra parzialmente dischiuse, il volto un arcobaleno di viola e blu. L’afferro per la camicia e comincio a trascinarlo nell’altra stanza. Lo sposto sul letto, stringendogli i polsi nelle cinghie che aveva usato per me. Il karma è una puttana, vero, Sammy?

-“Svegliati presto, fratellino” sussurro, spostandogli una ciocca di capelli dalla fronte. “Hai tante cose da spiegarmi…”







 

Note: Di giorno Ammaniti, di notte fanwriter, Brokendream XD

Grazie mille per lo splendido complimento, bella! <3 Ringrazio anche France e Jo per il tentato incoraggiamento, ma qui la situazione è drammatica: una mia amica mi ha passato un sito folle per farmi passare il blocco e io ho scritto di Lucifero che guarda soap argentine… si va di male in peggio O_O

Scusate l’attesa: fra i regali, le feste e la febbre alta mi si sono bruciati i neuroni e ho dimenticato di aggiornare!

Spero abbiate trascorso uno splendido Natale, intanto vi auguro un bell’anno nuovo! <3

A giorni vi posto anche l’ultimo capitolo! Un bacione ^^

 

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Capitolo 8
*** Never be the same ***


Il dolore mi raggiunge prima che mi svegli completamente: un acuto e tormentoso pulsare, illuminato da bianche comete che sembrano infrangersi sulle mie palpebre ancora chiuse

Il dolore mi raggiunge prima che mi svegli completamente: un acuto e tormentoso pulsare, illuminato da bianche comete che sembrano infrangersi sulle mie palpebre ancora chiuse. Qualcuno ha pensato bene di usarmi come punching ball… Merda, è stato Dean!

Quanto tempo sono rimasto così? Dove sarà finito ora?

Mi sollevo leggermente e non riesco più a contrastare la nausea. Cerco di spostare la testa di lato, ma le cinghie sono troppo strette: rischio di soffocare nel mio stesso vomito, come Bon Scott degli AC/DC. Chissà che Dean alla fine non sia almeno fiero del modo in cui sono morto…

Sento i lacci allentarsi. Una mano mi afferra per i capelli e mi trascina oltre il bordo del letto, dove continuo a svuotarmi lo stomaco in violenti conati.

-“Non dovresti bere così tanto, Sam: mi sono ubriacato solo a sentirne la puzza” mormora, disgustato.

È acido, distaccato, ma io riesco soltanto a pensare che non mi ha abbandonato. Non importa perché, Dean è rimasto.

Mi lascia andare e ricado all’indietro contro le coperte ormai lerce.

-“Sei… sei ancora qui…” incomincio, riprendendo fiato.

-“Non per molto” taglia corto lui.

Prende una sedia e la posiziona ai piedi del letto: -“Ti ascolto” dice, sedendosi.

Non capisco, perché il suo atteggiamento è così diverso? Mi crede adesso?

-“Cos’è successo nel bagno?” chiedo.

Scuote la testa: -“Le domande le faccio io. Allora, Sam, dimmi di tuo fratello” mi incoraggia, glaciale. “Tanto, se ti lascerai sfuggire qualcosa di troppo, potrai sempre ricorrere al tuo hocus pocus

Le sue parole sono un pugno nello stomaco: Dean sa e mi odia per questo. Qualsiasi cosa dica o faccia, non cambierà idea. Il suo sguardo non tradisce sofferenza o rancore, ma disprezzo. Ha riservato occhiate più compassionevoli ai mostri che cacciamo…

-“Cosa ricordi?” domando, ricacciando indietro le lacrime.

Questa volta risponde: -“Non molto: un incendio, noi da piccoli in un motel… Basta così.”

Annuisco, poi gli racconto per sommi capi la nostra vita: -“Nostra madre morì la notte dell’incendio, fu uccisa da un demone. Papà ci ha cresciuti come soldati, addestrandoci a cacciare queste creature. Quando è morto, siamo rimasti solo noi due…

-“Fino a quando non hai deciso di sbarazzarti anche di me” commenta. “Sei proprio un tipo attaccato alla famiglia tu” continua, sprezzante.

Chiudo gli occhi, imponendomi di non lasciarmi ferire: non è Dean a parlare, non il vero lui almeno. Non sa niente, non può capire…

-“Dovevo proteggerti, con me eri in pericolo. Ho preso la decisione migliore per entrambi.

-“E perché sei tornato allora? Volevi osservarmi nel mio piccolo paradiso suburbano? Giocare a fare Dio da lontano non ti soddisfaceva più?” domanda, calmo. Si rialza, dandomi le spalle. Trema da capo a piedi. Tiene le braccia abbandonate lungo il corpo, i pugni serrati. Questo sarebbe stato il preludio ad una scazzottata con il vecchio Dean, da James invece non so cosa aspettarmi.

-“Dean…”

-“Sta zitto e ascoltami bene: io non ho fratelli e non ne ho mai avuti. Non so cos’ho fatto per meritarmi una cosa simile, ma non sono un giocattolino che puoi lasciare e riprendere a tuo piacimento. Ti voglio fuori dalla mia vita.”

Afferra la giacca e si avvia alla porta. Non posso lasciarlo andare via, non così: -“Aspetta, Dean!”

-“Fra qualche ora chiamerò la reception per farti aiutare. Ti beccherai qualche occhiataccia: non dovresti andare a letto coi ragazzi appena conosciuti. Evita almeno di farti ammanettare in futuro, Sammy”conclude, abbassando la maniglia.

-“Che cazzo c’è di male in quello che ho fatto?” esplodo. “Volevo darti una vita felice, sicura. Per una sola, fottutissima, volta volevo essere io a prendermi cura di te!

Dà un calcio alla porta, richiudendola e spaccando in due il sottile rivestimento di plastica. Si lancia sul letto, incurante del vomito e della puzza, e si china su di me. Il suo viso è a pochi millimetri dal mio, le nostre labbra quasi si sfiorano: -“Fottermi il cervello per poi abbandonarmi a me stesso, questo lo chiami prendersi cura di qualcuno? Dovrei forse ringraziarti?! Io non ti avrei mai fatto una cosa del genere…” sibila, furente.

-“Tu hai fatto di peggio, brutto bastardo!” grido, incapace di trattenermi.

-“Sì? Peccato che grazie a te non lo ricordi neppure…” ribatte, colpendo il muro alla mia sinistra.

-“Dean!”

La voce improvvisa fa trasalire entrambi. Mio fratello mi stringe la spalla, frapponendosi istintivamente fra me e la possibile minaccia. Merda, è Castiel. Avrei quasi preferito un demone…

-“Ecco, ci mancava solo l’ispettore del fisco” esclama Dean. “Buono o cattivo?” sussurra poi, in modo che lo senta soltanto io.

-“Buono” rispondo, con una certa dose di sicurezza.

Dean scioglie una delle cinghie e si rialza, senza mai dare le spalle all’angelo.

-“Che diavolo vuoi da me?” domanda.

Castiel inclina leggermente la testa, perplesso: -“Cosa ti è successo? C’è qualcosa di diverso in te…”

-“Oh, che acume…” incomincia Dean. “Chiedilo ad Hannibal Lecter qui.”

Si poggia contro il muro, mentre io continuo a liberarmi.

L’attenzione dell’angelo si sposta su di me: -“Avevi detto di non sapere dove fosse tuo fratello.”

-“Credo abbia mentito, amico. Il nostro Sammy non è un tipetto affidabile…” si intromette Dean, rivolgendomi un ghigno antipatico. È fortunato che non abbia la forza di pestarlo…

-“Lo sospettavo, per questo non ho mai smesso di tenerlo d’occhio” dichiara l’altro, tranquillo. Come se lo stalking fosse totalmente normale.

-“Ma avete tutti delle perversioni voyeuristiche?” chiede Dean, confondendo ancora di più Castiel. Credo sia tempo di mettere in chiaro le cose una volta per tutte: -“Mi sono rivolto al Trickster, che ha cancellato i ricordi di Dean e gli ha dato una nuova vita. Non riuscivi a trovarlo, perché gli ha anche disegnato un sigillo protettivo sotto la pelle.

-“Chi ha inciso cosa sotto la mia pelle?!” grida mio fratello, vagamente isterico. E non sa ancora praticamente nulla…

-“Come hai potuto farlo? Dean ha un destino da portare a termine!”

Già, come se non lo sapessi: -“Magari proprio per questo sarebbe stato utile proteggerlo, Castiel. Non mi sembra che tu e il tuo stormo abbiate fatto un lavoro così eccezionale finora.

-“Tu e il tuo falso dio ne avete svolto uno fantastico invece” scatta furioso, indicando il viso di Dean, ancora pieno di lividi.

-“Ok, basta così, piantatela di parlare di me come se non fossi presente” sbotta Dean. Si passa una mano fra i capelli e prende un lungo sospiro, alla ricerca delle parole più adatte. “Senti, Castiel, mi dispiace, ma mi sembra evidente che qualsiasi destino avesse Dean, io non c’entro nulla. Io sono James: ho un lavoro, una casa e forse ancora una ragazza… Tienimi fuori da questa storia.

L’angelo scuote la testa: -“Non è possibile. Devi impedire l’Apocalisse, Dean.”

Bravo, Castiel, geniale. Come era prevedibile, Dean scoppia a ridergli in faccia: -“Un attimo, corro a prendere la mia armatura. E io che pensavo che Sam fosse quello squilibrato… E tu chi saresti, Cas, la mia guida in impermeabile beige?

-“Cosa” intervengo.

-“Eh?”

-“Cosa saresti. Castiel non è umano.”

-“È anche lui un demone?” chiede Dean. È solo curioso, non prevenuto. Anni di pregiudizi completamente scomparsi. Chissà, forse James potrebbe accettare anche me, penso con tristezza.

-“Prova di nuovo” lo incoraggia con un mezzo sorriso. Spalanca poi le sue ali, di cui riusciamo ad intravedere solo l’ombra che si allarga sulle pareti.

-“Sei un angelo” mormora Dean, esterrefatto.

-“Questa volta ti sei convinto più in fretta” commenta Castiel. Ha assunto un’aria un po’ triste, malinconica. Gli manca il vecchio Dean?

Gli si avvicina. Dean cerca di ritrarsi, ma è già con le spalle al muro.

-“Che hai intenzione di fare?” domando, mettendomi fra loro.

-“Farlo tornare quello di prima.”

Un enorme peso mi scivola di dosso: Dean sarà nuovamente in grado di difendersi. Saprà riconoscere ed affrontare un demone; tornerà ad essere un cacciatore, addestrato, pronto, capace. Perderà l’innocenza di James, ma anche la sua vulnerabilità. Sarà al sicuro, per quanto possibile.

Mi volto verso di lui e il sorriso mi muore sulle labbra: Dean è sconvolto, terrorizzato. Che gli prende?

-“No! Stammi lontano.”

-“È necessario” dichiara Castiel, pratico.

Una parte di me è prontissima a fargli eco, ma non posso: -“Dean…” incomincio, cercando di capirci qualcosa.

-“Hai intenzione di aiutarlo?” chiede, tradito. Il suo sguardo non lascia adito a dubbi: è convinto che non mi schiererò al suo fianco.

-“No, voglio soltanto capire. Qual è il problema?”

-“Non voglio morire” mormora.

Adesso sono io quello scioccato: -“Nessuno qui vuole farti del male, Dean.”

Sorride, rassegnato: -“Io non sono Dean e quando lui tornerà, scomparirò. Sarà come se non fossi mai esistito.”

Funziona davvero così? Questa parte di lui si dissolverà?

-“Cas…”

L’angelo mi spinge contro il letto, tenendomi inchiodato lì coi suoi poteri: -“Fermati, figlio di puttana” grido, tentando di rimettermi in piedi.

Sfiora con una mano il viso di Dean, che lo spinge via: -“Ti ho detto di starmi lontano, pezzo di merda!”

Le prime lacrime gli rigano le guance, prontamente asciugate dall’angelo: -“Non ti accadrà nulla, James” lo rassicura, gentile. “Qualsiasi nome tu porti, non cambia ciò che sei. Non cancellerò i ricordi di questa vita, te lo prometto.

Dean annuisce, incerto.

-“Chiudi gli occhi adesso.”

Obbedisce. Trattengo il fiato, mentre il palmo aperto di Castiel si posa sulla sua fronte. I tratti di Dean si contraggono immediatamente in una smorfia di sconforto, un debole lamento gli sfugge dalle labbra.

-“Castiel?” provo. Niente.

Passano i secondi, adesso Dean sta chiaramente soffrendo. Inspira dalla bocca in respiri sempre più brevi e laboriosi. Sta soffocando. Comincia a perdere sangue dal naso. Tenta di scacciare via l’angelo, ma i suoi sforzi non sono sufficienti. Le gambe gli cedono, ma Castiel l’afferra prima che cada. Lo ucciderà…

-“Lascialo andare! Cazzo, vuoi ammazzarlo?” grido in preda al panico.

Non mi degna di uno sguardo, la sua attenzione è tutta per Dean. Cristo, non so che fare: -“Ti prego, smettila” lo scongiuro.

Dean solleva le palpebre. Riesco ad intravedere solo il bianco degli occhi, rovesciati all’indietro. Poi schiude leggermente le labbra, scoprendo i denti candidi. È il ritratto della follia: un sorriso incantevole su un volto del tutto privo d’espressione. Alza la testa, fronteggiando Castiel: -“I buoni consigli andrebbero ascoltati, fratello” sussurra, al suo indirizzo. “Non posso permetterti di fargli del male. Non ancora.”

È lui, l’uomo del mio sogno! La sua voce non è umana, è ricca di toni e sfumature impossibili da conciliare: dolce, suadente, orgogliosa, autoritaria, lasciva. Solleva una mano e fiamme nere divampano intorno a lui, circondando velocemente anche Castiel. Avvolgono entrambi come un’impenetrabile muraglia, che i poteri di Castiel non riescono ad attraversare. Ormai libero, mi slancio su di loro, gridando il nome di mio fratello. Il fuoco mi respinge, senza però bruciarmi. Lo sento scivolare sulla mia pelle, freddo e delicato come la seta.

“Non è ancora il tuo momento, Sammy.

Che cazzo significa?

Le fiamme si diradano, per poi spegnersi del tutto. Dean è in ginocchio. Mi chino su di lui: -“Stai bene?”

-“Alla grande” è la pronta risposta.

Già, peccato che gli tremi la voce, e non solo.

-“Stai per farmi a pezzi?” chiedo per sdrammatizzare.

Scuote la testa: -“Non ricordo un cazzo, Sam. Non sono il tuo Dean…”

Idiota, sarai sempre il mio Dean.

Vorrei prendermela con Castiel, ma sembra sia quello messo peggio. È immobile, lo sguardo fisso e vuoto: -“Che diavolo è successo? E chi era quel tizio?”

Le mie parole lo riscuotono: -“Belial” risponde, laconico.

-“Illuminante” ironizza Dean.

Io invece non riesco neppure a ribattere. Merda, l’ignoranza è decisamente un bene.

-“Belial è uno dei quattro re dell’Inferno, il più potente. È il braccio destro di Lucifero, comanda ottanta legioni…

-“Abbiamo finito con la lezione di catechismo?” domanda Dean, rialzandosi. “Che vuole da me e perché il tuo abracadabra non ha funzionato?”

-“Non so. Niente di buono, comunque. Mi ha impedito di rimetterti a posto, il resto era un semplice avvertimento.

-“Un non provarci più, altrimenti gli friggo il cervello? Direi che il messaggio è arrivato forte e chiaro…

-“Cosa puoi fare?” dico, interrompendolo.

Castiel abbassa lo sguardo: -“Io non molto. Avete visto quant’è forte, ed è ancora imprigionato all’Inferno. Soltanto uno dei sette arcangeli potrebbe affrontarlo e Michael sarebbe l’unico a vincerlo…

-“Ma sei un suo fan o cosa, Cas? Piantala!” esclama Dean. “Che devo fare?”

-“Venire con me, qui saresti in pericolo.”

No! Non posso permettere che Dean finisca nelle mani degli angeli: lo userebbero per i loro scopi e una volta finito… Sono quasi certo che Castiel tenga a lui, ma non è poi tanto in alto nella catena alimentare; inoltre, non affiderei a nessun altro la vita di mio fratello: -“No, no! Lui non va da nessuna parte!”

-“Non è a te che l’ho chiesto. Non ti sembra di aver già scelto abbastanza per Dean?

-“Dean?” chiedo, guardandolo negli occhi.

Distoglie immediatamente i suoi, indeciso. Imbarazzato? Ti prego, non andartene di nuovo.

-“Potrei ridarti la tua vecchia vita, cancellando questi ultimi giorni. Sarebbe tutto esattamente come prima.”

-“Potresti davvero?” domanda, tentato.

Il sorriso dell’angelo si allarga: -“Certo. Non è questo che meriti” conclude, fissandomi.

Ha ragione, è così: Dean non merita tutto questo, non l’ha mai fatto. Un fratello con sangue di demone, una madre morta troppo presto, un padre impazzito per il dolore, chi li sceglierebbe? Non posso vincere contro la sua offerta: sicurezza, serenità. Pace. Io stesso non ci penserei due volte… Dopotutto, per James io non sono niente.

-“No, sarebbe una menzogna” mormora Dean.

-“Lo era anche prima e volevi andartene ugualmente. Cosa c’è di sbagliato in una bugia che ti rende felice?” continua l’angelo, persuasivo.

-“Questo era prima di sapere che devo impedire l’Apocalisse! Ho bisogno di essere pronto, preparato…”

-“Non è così” dice, poggiandogli una mano sulla spalla. “Fidati di me, Dean.”

Scuote la testa: -“Preferisco restare con Sam.”

Un sorriso mi affiora sulle labbra: mio fratello ha scelto me! Mi sbagliavo su James, è schizzato esattamente quanto Dean… Beh, poco importa: -“Hai sentito cos’ha detto” esclamo, consapevole di essere la precisa rappresentazione del ragazzo primitivo e possessivo: Dean è tutto quello che ho.

Castiel non si volta neppure: -“La scelta è solo tua, per il momento” precisa. “Quanto a te: niente trucchi, niente sparizioni, niente di niente; altrimenti, a costo di lobotomizzarlo, farò in modo che Dean non ricordi nulla di te. Chiaro?”

-“Cristallino.”

L’angelo annuisce e scompare. Sono di nuovo solo con Dean.

-“Simpatico, eh?” scoppia a ridere, nervoso.

-“Non sai quanto… Dean, perché sei rimasto?”

-“Vuoi che me ne vada?” chiede, ironico.

-“Ma no, diamoci ancora qualche giorno” ribatto sulla stessa linea. “È  che vorrei capire cosa ti ha fatto cambiare idea.”

Non ci ripenserai, vero?

-“Non lo so. Tu sei l’unico che sembra preoccuparsi davvero di me, nonostante il tuo modo da brividi di dimostrarlo… e c’è il modo in cui mi guardi. È probabilmente la cosa meno virile che abbia mai detto in vita mia, ma mi sento al sicuro con te…” si interrompe, impacciato.

Oh merda, è arrossito? Lo prenderei per il culo, se non fosse così dannatamente adorabile; inoltre, è forse la cosa più dolce mai uscita dalla sua bocca… Non so cosa rispondere.

-“Sam, promettimi una cosa” comincia, nuovamente serio.

-“Cosa?”

-“Niente più bugie o segreti. Devo potermi fidare almeno di te.”

-“Certo” mi impegno, prima di riflettere sulle conseguenze. “Te lo prometto.”

-“Bene, allora usciamo di qui, prima che ci spuntino le ovaie” dice, avviandosi alla porta.

Già, niente momenti da femminucce. Vero, Dean?

Alla reception risponde con un’alzata di spalle alle insinuazioni di un ometto di mezz’età. Questa mi è decisamente nuova; la sua reazione nel parcheggio, invece: -“Wow, è splendida!” sussurra, sfiorando la carrozzeria con un’ammirazione quasi religiosa. “È un’Impala, vero?”

-“Del’67. Vuoi guidarla?” chiedo, porgendogli le chiavi.

-“No, sono a pezzi e non posso rischiare di farle del male. Vero, tesoro?”

Ci manca che la baci: -“Vi lascio da soli, se preferite” propongo, trattenendo un sorriso.

-“Eretico” sbuffa, sprofondando nel sedile.

Scivolo nel posto di guida, a disagio. È raro essere al volante con Dean nei paraggi, a meno che lui non sia ferito, sbronzo o troppo apatico persino per la sua piccola. La norma negli ultimi mesi della nostra convivenza. L’Inferno aveva lasciato un’impronta indelebile su di lui e sul nostro rapporto, perché rigettarlo nello stato in cui era? Dovrei dirgli delle anime che ha torturato, di Alastair e del sigillo? Preoccuparlo con la storia dei miei poteri, degli incontri con Ruby e del sangue di demone? No. Ho tutto sotto controllo, mi basta soltanto proteggerlo. Rientrerà in questo mondo, ma alle mie condizioni. James non mi conosce e questo giocherà a mio favore: non si accorgerà di nulla. Mi dispiace, Dean, ma non posso perderti. Non di nuovo…

L’ auto è troppo silenziosa: -“Allora, vuoi imparare a riconoscere la presenza di un demone?” incomincio, cercando di rompere il ghiaccio.

Non risponde nulla: -“Dea…”

Sì è addormentato. Ha mezza faccia affondata nell’imbottitura di pelle, la bocca aperta, le gambe rannicchiate sul sedile… Mi sfilo il giubbino e gliel’avvolgo addosso, attento a non svegliarlo.

Sorrido. Poco importa se dovremo affrontare Inferno e Paradiso, adesso è davvero tutto perfetto.

 

 

 

Note: Grazie mille per il commento, Gaia. Già, Dean è proprio tornato… povero Sam XD

Questo è il capitolo di cui sono meno orgogliosa, avevo una scadenza addosso e dovevo chiudere. Spero non si veda, troppo. La storia ha un finale abbastanza aperto, perché vorrei trasformarla in una “serie”: i fratelli a caccia con un Dean novellino e Sam nel ruolo di tutor oscuro. Poi dovrei rivelarvi pure i piani di Belial per i bros… Per ora, comunque, non se ne parla: devo completare Dark Shines T_T

Ah, restando in tema… è proprio in Dark Shines che Lucifero guarda la soap argentina O_O

*scappa via prima di essere torturata*

Mi auguro che la storia vi sia piaciuta, fatemi sapere ^^

Ah, ne approfitto per ringraziare ancora Vahly e per fare gli auguri di buon anno a tutte voi. Un bacione <3

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