Andrea di Loop (/viewuser.php?uid=39715)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Andrea
Andrea
Capitolo I
Andrea s'è perso per i boschi di
Trento, con una ciocca di capelli neri in mano. Si guarda intorno, e
non riconosce gli alberi, tutti brutti e scuri, tutti a lutto. Povero
Andrea, che ha un magone in gola e non vuole piangere, perché ha
promesso che non piangerà, che sarà forte.
Glielo aveva detto che forse non
sarebbe tornato. Gli aveva raccomandato di nascondersi, di mettere
via provviste, di proteggere la vecchia madre che ormai non vedeva
più. Poi s'era tagliato un riccio scuro, uno di quelli più belli
che gli cadevano sulla fronte come ad accarezzarla, e glielo aveva
dato.
Ricordati di me, per piacere.
Poi gli aveva appoggiato un bacio sulla
bocca, aveva stretto al collo la camicia allacciando l'ultimo
bottone, e col tascapane a pendere su un fianco si era chiuso la
porta alle spalle. Senza girarsi, perchè non ce l'avrebbe fatta a
resistere, lo sapeva, non ce l'avrebbe fatta e avrebbe mandato tutto
alla malora, avrebbe lanciato il berretto e il tascapane e si sarebbe
chiuso con Andrea dentro casa per sempre.
Così Andrea gli aveva
guardato le spalle per l'ultima volta.
E quando alla moglie era
arrivata quella lettera, che diceva che lui era morto, ch'era
disperso e quant'altro sui monti di Trento, Andrea aveva fatto
fagotto ed era partito. Era morta ormai la vecchia mamma, e non c'era
più nulla da perdere.
Andrea non si poteva far
capace di aver perso anche l'amore, che proprio non era possibile il
mondo ti crollasse addosso a quella maniera, e così era partito per
cercarlo, avesse dovuto ribaltare tutte le montagne di Trento fino in
Francia, e far pianura delle Alpi.
E adesso Andrea non lo sa
se uscirà da quei boschi, ma non ha paura di questo. Lo troverà, ne
è sicuro. E' li da qualche parte.
La guerra è arrivata come
una peste, e ha falciato le teste di tutti i giovani contadini.
Andrea non l'avevano preso perché è cagionevole di salute, e la
tosse non lo lascia mai. Ma quanti ce n'erano di ragazzi che manco
vent'anni e già li buttavano nelle trincee, senza spiegargli neppure
come tenere in mano un fucile.
I campi sono uno
spettacolo pietoso: senza chi li lavora, si sono abbruttiti e
addormentati, e le donne e i bambini non sanno manco da che parte
cominciare. I vecchi piangono giorno e notte la loro infermità e i
figli che non rivedranno, e la morte che vive con loro e che non se
li vuole portare.
Il paese di Andrea era
bello, sereno. C'era tanta gente, si mangiava bene. Poi tutto s'è
sfasciato, e ormai nessuno riconosce più le vecchie strade.
E mentre si rigira tra i
boschi, cerca di ricordarsi com'era il suo viso, ma i tratti tornano
sfocati, confusi. Gli occhi si annebbiano e perdono le sfumature:
sono solo celesti, di un celeste bellissimo che non riesce a
ricordarsi. Si ricorda che sono celesti perché in paese era famoso
per i suoi begli occhi. Occhi francesi, come sua madre, morta
giovane, ancora bella.
La mamma di Andrea bella
non l'era mai stata. La vecchiaia non s'era, perciò, portata via
nulla, e dunque non era stata crudele. Aveva solo marcato quei
contorni rozzi di contadina del sud, che al paese non piacevano a
nessuno.
Andrea con gli occhi neri
e la pelle bianca s'era sempre distinto dagli altri ragazzi,
biondicci e bruciati dal sole. S'era sempre distinto anche fra le
ragazze, che un po' lo disprezzavano e un po' lo cercavano con finto
disinteresse e una forzata noia. E qualche volta Andrea si divertiva
pure a prenderle in giro, le ragazze del paese, a sfotterle un po',
corteggiandone qualcuna particolarmente bella e particolarmente
vanesia e poi umiliandola davanti a quanta più gente possibile.
Con una ragazza non c'era
mai stato davvero, e non aveva intenzione di starci. Nuda, aveva
visto solo sua sorella da bambino, e niente di quei pezzi di pelle
l'aveva turbato.
A casa lo sapevano Erminia
e la mamma, ma non ne parlavano mai. Passerà, pensava la mamma.
Guai, pensava Erminia.
Poi Erminia s'era sposata
ma di casa non se n'era voluta andare, e con la scusa che il padre
era morto oramai da tempo, aveva convinto quel citrullo del marito ad
abitare nella vecchia casa, che tanto Andrea se ne andrà presto,
diceva, e con la mamma chi rimane? Non si può lasciarla sola, è
vecchia, non ce la fa.
E Andrea lo guardava di
sottecchi quel ragazzone muscoloso che s'era presa la sorella, non
gli piaceva. Era bruto, volgare, ignorante. Non era colpa sua e va
bene, ma erano mica finiti, i ragazzi al paese? Era bello, un bel
pezzo di giovane. Uno che a guardarlo ti viene voglia di
accarezzargli il collo, di togliergli la camicia tirata sui bicipiti
fino a volersi strappare. Lo doveva riconoscere, Andrea, che averlo
fra le cosce era una tentazione troppo grande per qualunque ragazza.
E qualche volta – non
spesso, neanche di rado però – lo guardava farsi il bagno. Si
spogliava d'un colpo, buttando tutto a terra, e s'immergeva senza
pietà le carni nella vasca bollente. Allora diventava tutto rosso, e
faceva grossi sospiri per il vapore che gli toglieva l'aria. Andrea,
da dietro le assi del muro costruito alla bene e meglio, faceva il
più piano possibile mentre quell'omaccione cominciava a toccarsi
nell'acqua, con il braccio striato di peli biondi che si muoveva in
acqua a un ritmo costante, lento abbastanza da far salire la febbre
ad Andrea.
Di notte sentiva i rumori
dalla camera da letto della sorella – nonostante si trovasse
dall'altra parte della casa – , sentiva i rantoli furiosi del
cognato che si abbattevano violenti sulle pareti, e con gli occhi
chiusi, qualche volta che aveva voglia, si portava una mano fra le
gambe e seguendo il ritmo di quei portentosi ruggiti, immaginava di
stare al posto della sorella, con le cosce strette ai fianchi lisci
del giovane contadino.
Continuava a disprezzarlo,
nonostante questo. Riconoscendo però che, tra tanti difetti, c'era
anche un grosso pregio.
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Capitolo 2 *** II ***
II
II
Bambini, Erminia non poté averli. Ci
soffrì tanto, ma più di tutti ci soffrì la vecchia madre, che se
era campata così tanto, non era altro che per vedere le belle
faccine dei suoi nipoti. E, con Andrea che era in quel modo,
non si faceva certo illusioni: la sua famiglia finiva lì, non ci
sarebbero state altre generazioni.
Pazienza,
pensò, e si convinse che fosse volere di Dio. Così, poté
sopportare con meno sofferenza quegli ultimi anni che le rimanevano,
inchiodata alla sua sedia vicino al focolare.
Andrea
pure ci rimase male, all'idea di non vedere bambini per casa. Un poco
però, e non lo disse mai ad anima viva, un po' per orgoglio, ma
soprattutto per non far dispiacere alla sorella, che con tutto che
litigavano da quand'erano nati, le voleva un bene dell'anima.
Erminia
soltanto aveva provato, una volta, a parlargli. Quand'era già
sposata, e da un po' aveva scoperto che Andrea spiava il marito nella
vasca da bagno, un giorno ch'erano soli lo prese in disparte e gli
parlò, vaga, di una sua amica che spesso chiedeva notizie di lui.
"E
chi sarebbe?"
"Oh,
non la conosci. Devo dirle che non t'interessa?"
Andrea
s'era fatto rosso. Lo sa, aveva pensato. E da quando? Come ha fatto?
Mi ha visto guardare il marito?
"Non
ti devi preoccupare. Se non t'interessa, ci sarà un motivo, il
Signore non sbaglia mai." Lo aveva guardato un po' mesta, e
aveva tirato un gran sospiro.
"Ma
quale Signore. Ci fosse stato, un Signore, sarei bello che sposato e
c'avrei pure i figli."
Erminia
s'adombrò un poco, ma cercò di non badarci. "Non dire così.
Non sta bene."
Andrea
la capiva, la sorella, ma il fastidio era più forte, e le voltò le
spalle. E, per tutta la giornata, pensò al matrimonio, ai figli, al
cognato e alla guerra. Pensò che forse si doveva sposare, e in
qualche modo avrebbe risolto, con quella cosa.
Al
paese non era l'unico, dopotutto: si capiva, certi erano proprio
palesi. Talmente palesi che avevano trasformato le povere mogli in
degli uomini, quegli uomini che loro non erano. Almeno su questo,
Andrea poteva andare fiero: lui non voleva farsi mettere sotto. Non
sempre, per lo meno.
E lo
sognava, l'amore, come lo sognano tutti.
Si
immaginava gli uomini del sud, scuri e forti, e gli austriaci
delicati color paglia, belli come ragazze. Si immaginava i fianchi
stretti e la pelle di latte, gli occhi profondi, le belle bocche. E
le mani, le mani che non l'avevano mai accarezzato, e le sue stesse
mani, che mai avevano carezzato, e i letti sfatti che non avrebbe mai
visto. Ci pensava, ed era triste e si consolava al contempo. Che,
sapeva con mesta certezza, quello era l'unico modo che aveva per
essere un poco felice.
Poi
arrivarono dei soldati in licenza, e il paese cambiò colore.
Per un
po' tutto fu più vivibile, e la fame non sembrava più così nera;
quei giovanotti dalle facce straniere portarono viveri in quantità,
strani oggetti e tanta allegria, colle loro grasse risate gutturali e
le guance rosse sempre piene di birra. Dove la trovassero, rimase per
tutti un mistero.
Nessuno
aveva capito bene da dove venissero quei ragazzi: il più vecchio
aveva si e no ventisette anni, alto e biondo, e gli altri, che
sembravano i suoi fratelli minori, andavano dai venticinque ai
diciotto.
Tutti
gioviali, simpatici, con strampalati accenti presi chissà da dove,
tutti gentili e cordiali, pazzi per quelle solide bellezze montanare
che sorridevano fingendo una timidezza che non avevano mai neppure
conosciuto, e che con tutti i mezzi a loro disposizione, si sarebbero
fatte sposare.
Tutti
biondi, rubicondi e nordici, tutti tranne uno, che aveva i capelli
neri raccolti in grossi boccoli che gli cadevano sul viso: aveva due
occhi di un celeste mai visto, come pezzi di cielo, incorniciati
dalle sopracciglia arcuate e scure, e dalle belle ciglia delicate.
Qualcuno
disse che era francese: aveva la faccia da sassone. Qualcun'altro
suppose che fosse un figlio bastardo di una italiana e un qualche
soldato di quegli accidenti di paesi oltreoceano, ma aveva una faccia
troppo bella per essere frutto di un peccato così vergognoso, e così
lo chiamavano quello francese,
perché a nessuno disse mai il suo nome.
Andrea
lo vide un giorno, mentre andava a prendere l'acqua al pozzo. Aveva
sentito dei soldati in paese, ma del tutto privo di speranze, il suo
unico desiderio era poterli vedere da vicino, e poterli sognare
qualche volta, col benestare di Dio e di Erminia. Così, almeno,
poteva lasciare in pace quel povero del cognato, che a stargli
accanto cominciava a sentirsi un poco a disagio.
Così
aveva fatto tutta una via tortuosa per passare dove quei ragazzi
s'erano accapati: e ecco che gli comparvero davanti agli occhi quei
ragazzoni stupendi che superavano il metro e ottanta a oltranza. Lo
stupì che immediatamente gli fecero cenno d'avvicinarsi, e più di
tutto che parlassero un buon italiano seppur levigato da accenti
stranieri.
Quello
che subito lo aveva salutato si chiamava Hans. Aveva dei bei capelli
mossi e troppi denti in bocca. Gli chiese : a calcio, ci sai giocare?
E Andrea, che di che cosa fosse il calcio, aveva una idea neanche
troppo chiara, preso dall'entusiasmo rispose di si con un sorriso
troppo grande.
Hans
disse che volevano fare una partita, ma gli mancava uno per fare
squadre pari. Subito lo mise nell'altra squadra, con capitano il
ragazzo che non assomigliava agli altri soldati, e subito si misero a
giocare.
Andrea
era veloce, non ci mise troppo a ingranare, e giù che la partita si
fece bella tesa, e arrivarono a due ore dopo sudati fradici ancora
uno a uno. Le porte improvvisate si spostavano sempre di qua e di là,
e capire se un goal era valido non era cosa semplice. I soldati, poi,
combattivi per mestiere, erano capacissimi di arrivare alle mani per
un punto sospetto.
Ad
un certo punto Andrea si trovò col pallone incollato al piede ad
attraversate il campo. Cinque secondi o forse meno e ecco che tutti
gli erano addosso: i suoi che cercavano di scansare gli avversari, e
gli avversari che rispondevano poco cordialmente.
Non
si rese nemmeno conto, di come finì addosso al ragazzo coi capelli
neri: tutto quello che vide furono i ricci che ballavano al vento, e
gli occhi sorpresi del soldato che aveva fatto male i conti.
Presero
entrambi una botta pesante, e ruzzolarono a terra per un po', che
trovandosi in montagna, il terreno era tutto inclinato.
Il
soldato frenò la caduta, e la sua schiena protestò a lungo per
questo, trovandosi sotto al ragazzo, che un po' intontito, ci mise un
po' a riprendersi.
Andrea,
messa a fuoco la situazione, si rese conto che aveva sotto un
giovanotto che tutt'al più poteva avere vent'anni, sudato e
ansimante, e in due secondi inscenò un mezzo svenimento causato
dalle botte prese nella caduta, e non riuscendo a reggersi bene si
abbandonò sopra il petto del soldato.
Che,
contro ogni aspettativa, rilassò i muscoli sotto di Andrea e chiuse
gli occhi. E non ci poteva credere, Andrea, a quello che era
successo: il soldato aveva accomodato le gambe e s'era disteso senza
problemi, aderendo per tutta la lunghezza del corpo a quello
d'Andrea, ormai confuso e stordito davvero.
Poco
durò, perché i ragazzi erano corsi a vedere se i due erano ancora
vivi o se s'erano sfracellati su qualche roccia, e il soldato dovette
tirarsi subito via, guardando tristemente Andrea.
Riuscì
giusto a bisbigliargli mi chiamo
Stephan abbastanza
vicino da lasciare che Andrea percepisse un poco il suo odore, prima
che gli altri soldati li rimettessero in sesto annunciando la cena.
Note
dell'autrice
Dunque,
facciamo innanzitutto qualche ringraziamento: a Cry,
per essere stata la prima a lasciare una recensione, sperando che
anche questo capitolo sia stato piacevole da leggere; a Love,
per averla inserita tra le storie seguite.
Poi.
Vorrei precisare che questa storia non ha alcuna pretesa di
attendibilità storica. E neanche è mia intenzione bestemmiare su
una splendida canzone di un grandissimo cantautore italiano. Andrea
è un esperimento – più o meno riuscito, ai lettori il giudizio –
di scrittura.
Spero
che chi la leggerà avrà la bontà di darmi suggerimenti e magari di
criticare la trama, lo stile, i personaggi. Ovviamente, i complimenti
fanno piacere ma le critiche sono molto più utili.
Al
prossimo capitolo : )
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