Toilet Conversations

di almostred
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I.Looks ***
Capitolo 2: *** II. Attraction ***
Capitolo 3: *** III.Lists ***
Capitolo 4: *** IV.What are you thinking about? ***
Capitolo 5: *** V.Names ***



Capitolo 1
*** I.Looks ***


I.Looks Quanto tempo è che non pubblico qualcosa su EFP? Due anni forse. Un bel mucchio di tempo.
Molte cose sono cambiate, ma la mia passione per la scrittura è sempre lì.
Questa storia sancisce diverse cose: in primis il mio ritorno sulle scene (XD), e poi il mio ingresso sul panorama delle originali e del femslash.
Questo capitolo è il primo di cinque.
Beh, che altro dire, spero vi piaccia.
NB. Ogni riferimento a cose, fatti o persone reali è puramente casuale.(Ho sempre desiderato dirlo XD) Viene tutto dal mio cervellino. Tranne forse il bagno. Se dovessi immaginare un bagno di sicuro non ne immaginerei uno così crappy xD
Recensioni=*amore*

Enjoy.


I. Looks


La prima volta che mi rivolse la parola fu davanti al lavandino del bagno della scuola.
Io avevo appena finito di lavarmi le mani e stavo tentando di asciugarmele su un po' di carta igienica fregata nel cubicolo water più vicino. Lei entrò casualmente e, appoggiandosi al muro di fronte a me, estrasse il cellulare della tasca, iniziando a scrivere chissà quale messaggio a chissà quale dei suoi numerosi ragazzi.
Non che fosse una facile, o cos'altro, semplicemente, era molto richiesta.
E riuscivo benissimo a capirne il motivo.
Le scoccai uno sguardo di sottecchi.
Più di uno sguardo a dire il vero.
Diciamo che la fissai in modo molto poco nascosto per un minuto buono, il tempo che ci volle ai miei occhi per essere un minimo soddisfatti. Lei alzò per un secondo lo sguardo dal cellulare. Colta in fragrante.
Io posai il mio sguardo sulla carta, ormai ridotta a pezzetti mollicci, con cui avrei dovuto pulire le mie mani dai germi.
Certo, pensai. Come se in questa scuola ci fosse qualcosa che funzionasse.
Sbuffai pesantemente, cercando di pulirmi le mani, ora coperte di minuscoli pallini di carta appiccicosa, sul retro dei jeans.
-In questa scuola non si sprecano neanche a comprare uno stupido rotolo di Scottex eh?
Fu un po' uno shock, sentirla rivolgersi direttamente a me.
Non che non ci avessi mai parlato prima. Ma quello era successo tanto tempo fa. Quasi tre anni prima. Quando pensavo ancora che fosse una ragazzina montata; quando non ero ancora stata illuminata dalla splendida visione di Shane McCutcheon che bacia Carmen De la Pica Morales in uno studio di registrazione.
Dicono che nella vita ci siano dei momenti in cui la senti che prende una svolta diversa. Momenti in cui capisci all'improvviso qualcosa, qualcosa che era sempre stato lì, ma non eri mai riuscito a captare completamente. Li chiamano momenti Eureka. Vorrei avere uno di questi momenti soltanto per saltare fuori dalla vasca da bagno e andare in giro per la casa urlando “EUREKA!!”.
In realtà io un momento Eureka l'avevo avuto. Solamente che era rimasto un po' sospeso nel limbo, come una cosa fittizia, non reale, come una delle mie storie. E' stato il momento, o meglio il processo, con cui ho capito che non sarei mai potuta stare con un essere dotato di sospetti aggeggi penzolanti nella zona inguinale. Semplicemente non ne ero capace.
-Uh, già. Che scuola del cazzo.
Non avevo neanche pensato la risposta che subito quella era scivolata dalle mie labbra. Quando il mio cervello si metteva in stand-by e lasciava fare alla lingua, quella diventava piuttosto sciolta in quanto a linguaggio. E ovviamente anche in quanto ad altre cose. Ma questa, come dicono nelle più snervanti delle fiabe, è un’altra storia.
Lei mi fissò per mezzo secondo, quasi incerta, poi, riposto il cellulare in tasca, avanzò di un passo.
-Perché?
La sua voce era ferma e decisa.
Sapevo esattamente a cosa alludeva, ma non avevo alcuna intenzione di renderle il gioco più facile.
-Perché questa è una scuola del cazzo?
Lei sbuffò di nuovo e si tolse un ricciolo di capelli biondo scuro da davanti agli occhi. I suoi capelli mi attiravano incredibilmente. Penso fosse la cosa che più mi piacesse di lei. I suoi stupendi capelli fra il biondo e il castano,lunghi e con ricci definiti. Soprattutto, mi piaceva il modo in cui li spostava su una sola spalla, lasciando scoperto un lato del collo. Mi faceva impazzire.
-Perché mi fissi in continuazione?
Le mie sopracciglia scattarono verso l'alto in una perfetta simulazione di sorpresa.
Stare nel gruppo di teatro per due anni di fila mi aveva insegnato qualcosa, dopotutto.
-Chi, io? E perché dovrei fissarti, scusa?
-E' quello che mi chiedo anch'io.
-Ti sarai sbagliata. Io non ti fisso.
Lei incrociò le braccia al petto. Oh.
In quel momento programmai di erigere un altarino e sacrificare qualche bue (figurine di Harry Potter) a qualche dio nerd, per aver inventato le camice scollate.
-Non sono stupida, sai. Lo vedo. Mi guardi in continuazione. E voglio sapere perché.
-Se tu noti che io ti guardo in continuazione, significa che anche tu mi guardi in continuazione. Quindi ti rigiro la domanda: perché mi guardi in continuazione?
Lei arrossì leggermente, ma non abbandonò la sua espressione combattiva.
Era bello vederla arrossire. Specialmente per qualcosa detto da me. Feci un mezzo sorriso.
-Non dire stupidaggini. Io non ti guardo in continuazione. Però sento il tuo sguardo su di me. E mi dà fastidio.
-Ah sì? Pensavo ti piacesse stare al centro dell'attenzione
-Non senza un motivo. E comunque tu non mi conosci.
-Quindi ammetti che ti piace stare al centro dell'attenzione.
-Quindi ammetti di guardarmi in continuazione.
Aveva un'aria quasi trionfale mentre lo diceva. Mi ricordò di quando schiacciava e faceva punto, e con quella stessa espressione sul viso veniva poi a battere le nostre mani tese verso di lei. Era sempre una cosa ottima averla nella propria squadra, in allenamento. Le sue schiacciate erano potentissime.
Io mi appoggiai leggermente con la schiena al muro dietro di me, rilassando i muscoli tesi del collo e delle spalle. Poi sorrisi misteriosamente alla ragazza davanti a me. Oh no, non avrebbe vinto.
-Chi ti ha detto che guardo te?
Lei rimase un po' spiazzata dalla domanda, ma si riprese quasi subito.
-Lo so e basta.
-Potrei anche star guardando qualcun altro nel tuo gruppo.
-No, io sento il tuo sguardo su di me ogni volta che esco dalla mia dannata classe. Anche quando sono da sola. Specialmente, quando sono da sola.
Non avevo idea di come riuscisse a far sembrare un semplice sguardo come la cosa più sconcia che io avessi mai fatto. E sexy. Sconcia e sexy.
Io feci spallucce. Passo?
-Non capisco perché insisti con questa storia.
-Senti, se una persona mi fissa ogni volta che entro nel suo campo visivo, a me interessa almeno sapere il perché. Parli male di me? Non m'interessa. Parli bene di me? Non m'interessa. Voglio solo sapere il perché. Il resto non ha importanza.
La guardai ammirata e anche un po' sorpresa. La ragazzina presuntuosa con la mania del comando era cresciuta. Però si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Eppure la risposta ancora una volta mi sfuggì dalle labbra prima che potessi pensarla adeguatamente.
-Non parlo male di te.
Lei fece un ghignetto di vittoria.
-Quindi, ammetti di fissarmi ogni volta che puoi?
Recuperai la mia aria zen più in fretta che potei. Questa volta non si poteva non rispondere.
Scrollai le spalle ancora una volta.
-A che gioco stai giocando?
Lei aggrottò le sopracciglia.
-In che senso scusa?
-Hai intenzione di sputtanarmi davanti alle tue amiche, o peggio, di fronte a tutta la scuola?
Lei assunse un'espressione fra lo stupito e l'oltraggiato.
-Lo sai che non lo farei mai.
-No, non lo so.
Lei si morse le labbra e poi diede una scrollatina di spalle, guardandomi con l'aria colpevole di una bambina che è stata sorpresa a mangiare la Nutella dal barattolo con il dito.
-Ok, forse lo farei. Ma non prima di aver saputo il perché.
La guardai intensamente negli occhi. Il primo round stava per finire, il gong stava per suonare, e ognuno sarebbe tornato nel proprio angolo a bere un po' d'acqua, a leccarsi le ferite e a escogitare nuove mosse per atterrare l'avversario. Le era sempre piaciuto il wrestling.
Mi sporsi leggermente verso di lei, non abbastanza perché i nostri nasi si toccassero, ma abbastanza perché il mio fiato caldo sfiorasse il suo orecchio. La sentii rabbrividire quasi impercettibilmente. Feci un mezzo sorriso.
-Metti in moto il cervellino, bella, non ci possono poi essere molte ragioni, non credi?
Iniziai a camminare verso la porta, ma la sua mano sul braccio mi fermò. Era la prima volta che mi toccava, da quelle battute di mano di tre anni prima. Riuscii a reprimere un brivido, ma la sensazione fu comunque forte. Ero incredibilmente consapevole della sua mano sulla mia pelle.
Il suo sguardo era quasi ipnotico. Non riuscivo a distogliere gli occhi.
-A che gioco stai giocando tu?
La sua espressione imbarazzata e allo stesso tempo ferma. Era una delle poche persone che conoscevo che riusciva ad apparire forte e decisa con le guance rosse. Il timbro della sua voce si era leggermente alzato, rispetto al tono sommesso che aveva adottato per tutta la durata della nostra conversazione. Non mi era mai sembrata così bella come in quel momento.
Sorrisi cripticamente.
Adoro avvolgermi di quell'alone di mistero che inevitabilmente scompare una volta conosciuta la mia personalità. Per questo, quando posso, sfrutto un po' dell'aura di suspense che rimane, data dai miei capelli biondicci e dallo sguardo castano chiaro sempre un po' diretto verso un qualcosa d’indefinito in lontananza. E' uno sguardo profondo, se visto dall'ottica di una persona che non li ha mai visti ridere. Una volta una ragazza mi disse che dopo aver visto i miei occhi ridere le era impossibile guardarli ancora senza sorridere almeno per un secondo. Pensai fosse uno dei complimenti più belli che mi avrebbe mai potuto fare.
Ma l'aria misteriosa resterà sempre il mio pallino.
Mi liberai gentilmente della sua mano e mi scostai un ciuffo di capelli dal viso.
-Forse non sto giocando.
Non rimasi lì ad aspettare la sua risposta o a vedere la sua espressione.
Uscii velocemente dal bagno e raggiunsi la classe in un batter d'occhio. Sapevo che mi stava osservando. Sapevo che non sarebbe finita lì. Avevo attirato la sua attenzione.
Mentre chiudevo la porta della classe e mi sedevo al mio posto, un sorrisetto si fece strada lentamente sul mie labbra.
Il gioco era appena iniziato.
Dopotutto, mi era sempre piaciuto stare al centro dell'attenzione.

[coming up:
II.Attraction]

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Capitolo 2
*** II. Attraction ***


II.Attraction Grazie a tutt* quell* che hanno commentato :D
Sono contenta che la storia vi piaccia (:
Enjoy.



II. Attraction


La seconda volta che mi rivolse la parola, stavo seriamente considerando la possibilità di possedere poteri psichici.
Ero appoggiata al termosifone, in fondo al bagno, non per un reale bisogno di caldo, ma più che altro per una questione di comodità. Se dovevo cazzeggiare tanto valeva stare comodi.
A parte il fatto che il dannato termosifone era uno di quelli vecchio stile, non di quelli piatti moderni, e stavo tutto fuorché comoda. Sempre meglio di stare in piedi come una cretina, comunque.
Era stata tutta la mattina in mezzo ai miei pensieri. S'infiltrava, saltellando da un pensiero all’altro come se fosse in un vecchio videogioco di Super Mario Bros. Grazie a dio non somigliava minimamente a quel nano baffuto di Super Mario. Però faceva più o meno la stessa cosa. Conquistava punti raccogliendo tutti i brandelli di pensieri e di ricordi che avevo di lei, e prendeva a calci ogni altro concetto che cercava di entrare, per esempio il perché la Rivoluzione Industriale si sviluppò prima in Inghilterra che negli altri paesi. Non che me ne fregasse qualcosa della Rivoluzione Industriale. Ma mio cervello assimilava automaticamente ormai, allenato da anni di studio più o meno continuo.
Eppure, nonostante tutto l’allenamento, niente riusciva a sconfiggere la maledetta ragazza saltellante nella mia testa.
Con quei pensieri, lei principalmente, mi appoggiai al suddetto termosifone, e fu con gli stessi pensieri, ancora fluttuanti fra le mie sinapsi, che vidi lei in persona- e no, non saltellava- entrare nel bagno con l’aria più tranquilla del mondo.
Spalancai gli occhi.
Questa non l’avevo proprio vista arrivare.
Forse avevo davvero iniziato a sviluppare poteri psichici. Anche se non riuscivo bene a capire che tipo di potere era. Controllo della mente?  Premonizione?
Lei alzò gli occhi verso il fondo del bagno e incrociò il mio sguardo.
Mi affrettai a distogliere gli occhi, fingendo di essere incredibilmente e improvvisamente interessata a certi graffiti vecchi probabilmente di alcune decine d’anni sulla parete.

Anna, Maria e Ludovika amike x smpr

V.V.U.K.E.U.M.D.I.B.X.S.
Desiderai che la gente avesse un po’ di fantasia nell’imbrattare i bagni.
Se proprio devi imbrattarli, pensai, allora fallo con una frase decente, non con una stupida sigla che perfino il vincitore di una gara nazionale di acronimi avrebbe problemi a decifrare, o, ancora peggio, con uno stupido inno ad una amicizia eterna con delle persone che in un paio d’anni non si ricorderanno neanche della tua esistenza.
Avrei voluto che la gente crescesse a volte.
E che lei non si stesse avvicinando, in quel momento.
Non mi sentivo pronta per il secondo round. Non avevo esattamente avuto una giornata tranquilla. Ciò significava che avrei dovuto improvvisare. Perfetto. Che lo spettacolo abbia inizio. O il match. Ma queste erano quisquilie.
Mi scostai di lato, facendole un po’ di spazio.
Lei appoggiò la schiena al termosifone ed estrasse il suo onnipresente cellulare. Iniziai a trovarlo piuttosto snervante.
Io feci un sospiro, e rivolsi la testa all’indietro, appoggiando la nuca al vetro dietro di me e chiudendo gli occhi per qualche minuto. Per qualche minuto, appunto, perché sapevo che lei mi stava guardando di sottecchi. Socchiusi pigramente gli occhi e la guardai. Lei si affrettò a distogliere lo sguardo, riportandolo sul telefono.
Lottai per non far affiorare un sorriso alle labbra. Era curiosa. Quello era certamente un buon segno. Ci sono infiniti proverbi sulla curiosità. La troppa curiosità spinge l'uccello nella rete. La curiosità uccise il gatto. La curiosità è donna. Tutte hanno in comune una cosa: la curiosità è pericolosa. E in quel caso essa era allegramente dalla mia parte.
Riaprii gli occhi, raddrizzandomi, e infilai le mani nelle tasche. Odiavo quando le mie mani stavano senza fare nulla. Mi dava una strana sensazione di vuoto.
-Sai, io ho un ragazzo.
In quel momento, l’unica cosa che mi venne in mente, fu un grandissimo, incredibilmente sarcastico duh?! alla Cordelia Chase.
Che cosa pensava, che fosse una novità per me? Che trasalissi dalla sorpresa?
Ammetto di non capire il genere femminile, certe volte. E dire che ci sono pure dentro. Figuriamoci i ragazzi. Immagino che loro non ne abbiano neanche la più pallida idea. Poveri diavoli.
-Oh davvero? Ed io che credevo che quel ragazzo che stavi baciando in centro fosse tuo cugino!
Lei mi lanciò uno sguardo inceneritore.
-Non c’era alcun bisogno di essere sarcastici.
Scrollai le spalle.
-E’ che non capisco dove vuoi andare a parare.
Il suo sguardo si spostò sul muro, leggendo fra i graffiti senza in realtà vederli.
-Ho riflettuto e…ho capito. E…- la vidi alzare lo sguardo con aria risoluta. – Ed io non sono in quel modo.
Sollevai le sopracciglia. La ragazza era una sorpresa continua quel giorno.
Mi chiesi come sarebbe andata a finire quella conversazione.
-E quale modo sarebbe scusa?
-Io non sono…Cioè, tu non…- Arrossì lievemente e distolse lo sguardo, che si andò a posare per l’ennesima volta sui graffiti ultracervellotici di turno.
Aggrottai la fronte, aspettando che continuasse. Strano. Non mi aspettavo s'imbarazzasse per così poco. Doveva aver perso un po’ della sua faccia tosta. Peccato. Era uno di quei lati di lei che odiavo e trovavo allo stesso tempo estremamente accattivanti.
Inspirò profondamente.
-Tu non mi piaci.  
Non feci una piega.
-Nemmeno tu.
Ed era vero. Non mi piaceva. Non nel senso classico del termine.
Ero solo straordinariamente attratta da lei. Magneticamente attratta da lei.
Strabuzzò gli occhi, volgendo improvvisamente tutta la sua formosa figura verso di me. Non era minimamente grassa o grossa, ma era provvista di tutte quelle deliziose rotondità che molte delle ragazze che conosco disprezzano e cercano di appianare. Pensate quello che volete, ma due fianchi ben torniti sono molto meglio di una taglia trentasei. E comunque, tutto il suo corpo era tonico e in forma, allenato da anni di pallavolo. Tutto si poteva dire di lei, ma non che fosse brutta o ridicola. Decisamente no.
Ma la sua espressione in quel momento mi fece venire un incredibile voglia di scoppiarle  a ridere in faccia. Avrei tanto voluto possedere una macchina fotografica per poterle fare una foto e poi prenderla in giro a vita. Quello sì che sarebbe stato divertente.
-Che cosa!??!!
-Non ci parliamo da anni. Non ti conosco. Perché dovresti piacermi?
La mia risposta tranquilla e pacata ebbe il potere di farle raccogliere la mascella da terra.
Era però ancora un po’ spaesata . La immaginai come Alice nel Paese delle Meraviglie che, caduta nella tana del Bianconiglio, si guarda intorno chiedendosi dov’è finita.
Non preoccuparti Alice, ti farò da guida in questo Pese Meraviglioso, non hai da tormentarti se resti con il Cappellaio Matto. O meglio, la Cappellaia Matta. Ma quelle poi sono interpretazioni.
-Ma…Ma allora…Perché diavolo continui a guardarmi?!
Oh. Quello era un invito.
-Mi piace guardarti.
La osservai arrossire, con un irritante sorrisetto sulle labbra.
Sapevo che questo l’avrebbe mandata in tilt.
E’ il tipo di cose che manda perfino me in tilt.
E’ il tipo di cose che ti fanno sciogliere se dette con uno sguardo e un sorriso sincero. Una cosa incredibilmente romantica.
Ma è anche il tipo di cose che ti fanno irritare e avvampare contemporaneamente in modo incredibile, se dette con un sorrisetto ambiguo e uno sguardo ammiccante negli occhi.
Non era tempo di usare il primo metodo. Non ancora.
Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare.
Cercai il suo sguardo, ma era sfuggente. Guardava dappertutto fuorché verso di me. I suoi occhi si soffermarono per mezzo secondo perfino sui vecchi orinatoi a muro risalenti a quando il bagno apparteneva ai maschietti. Questo era il livello a cui era giunta pur di non guardarmi. Inspiegabilmente, trovai la cosa estremamente divertente.
Si sforzò di ritrovare la calma. E la sua stronzaggine. Ma ormai il guscio era rotto.
-Quello…Quello che dici non ha alcun senso.
Era il momento. Era IL momento.
Un sorriso malizioso affiorò alle mie labbra.
Mi girai verso di lei, in modo che fossimo a fronte a fronte.
Era ora di vedere se Alice era disposta a scendere nei meandri della tana del Bianconiglio.
-Io penso…- Approfittai del suo smarrimento per estrarre le mani dalle tasche e le posarle sui suoi fianchi. Una scarica di elettricità salì dalle punte delle mie dita fino al mio cervello.
La spinsi leggermente verso il muro dietro di lei e mentre la spingevo, continuai a parlare.
-…Che tu abbia bisogno di una veloce lezione sulla differenza fra amore, se si può chiamare tale, e attrazione.
Lei non oppose alcuna resistenza. La sorpresa e l’incredulità per quello che stava accadendo la rendevano incapace di far niente. I suoi occhi erano dilatati, la bocca socchiusa.
Quando fu con le spalle al muro, in tutti i sensi aggiungerei, appoggiai la mano destra sulla parete, proprio accanto al punto in cui c’era la sua testa, mentre l’altra mano la tenni sul suo fianco, e accorciai la distanza fra noi, fino a essere a pochi centimetri dal suo viso. Sentii il suo respiro accelerare lievemente.
-Attrazione, è quella cosa che stai provando in questo momento. E’ il cuore che aumenta i battiti, il respiro che accelera, la temperatura che si alza, la sudorazione che aumenta. E’ qualcosa difficile da combattere, impossibile da sopprimere.
Allontanai il mio viso di qualche centimetro e le sorrisi, ammiccando.
-Quindi, come vedi, l’attrazione non sempre presuppone l’amore. E’ l’amore che presuppone l’attrazione.
Staccai la mano sinistra dal muro e la feci scivolare gentilmente sul lato scoperto del suo collo.
Percepii un brivido da parte sua nello stesso momento in cui un brivido esattamente uguale mi scendeva lungo la schiena.
Mi staccai da lei definitivamente, e feci un passo indietro.
Sorrisi alle sue guance rosse e alla sua espressione sgomenta, e le feci un occhiolino.
-Pensaci la prossima volta.
La guardai per un altro secondo.
Però, come primo tentativo di seduzione della mia vita non era andato affatto male.
Avrei pagato per avere il potere di leggerle la mente in quel momento.
Chissà se ad Alice era piaciuto il primo impatto con il Paese delle Meraviglie.
Girai i tacchi e uscii dal bagno senza dire un'altra parola.
Ghignai fra me e me.
Iniziavo seriamente ad adorare le uscite a effetto.


 [Coming up:
III. Lists]

 

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Capitolo 3
*** III.Lists ***


III.Lists Grazie a tutti per le recensioni <3
Grazie alla mia beta mystofthestars( su livejournal) :D
Enjoy!



III. Lists


La terza volta che mi rivolse la parola, fu un po’ come trovarsi in una dimensione alternativa, dove tutto era possibile. Stavo uscendo dal bagno in tutta tranquillità, quando vidi lei venire nella mia direzione a passo svelto. Non feci neanche in tempo a salutarla, che lei mi afferrò per un braccio e mi trascinò ancora una volta nel bagno. Chiuse la porta a chiave dietro di lei – continuo a trovare assurdo che i nostri bagni abbiano una serratura e non la carta igienica – e poi si voltò verso di me.
-Dobbiamo parlare.
Io le offrii un sorrisetto storto.
-Non pensavo fossimo già allo stadio della nostra relazione in cui tu mi trascini in bagno per “parlare”
Lei ignorò la mia battuta e mi puntò un dito contro.
Avrebbe potuto avere almeno la decenza di arrossire. Non era molto divertente, altrimenti.
-Non sono attratta da te.
Io la guardai, fingendo una falsissima sorpresa.
-Ok, onestamente, non mi aspettavo che tu volessi davvero parlare.
Mi tirò un pugno sul braccio.
Da quando era così in confidenza da iniziare a picchiarmi? In fondo era solo la terza volte che mi rivolgeva la parola, dopo anni. Ah, questi ragazzi di oggi.
Ammetto però che quella me l’ero proprio andata a cercare.
-Potresti essere seria per mezzo secondo?
Portai una mano dietro la nuca e scompigliai i miei capelli corti. Mi piaceva moltissimo farlo da quando li avevo tagliati. Mi rilassava far passare le dita fra i ciuffi irregolari senza avere la benché minima cura di non scompigliarli.
-Ok.
-Io non sono attratta da te. E non m'interessa se tu pensi il contrario.
-Ah no?
-No. E ho anche una lista di ragioni per cui non posso assolutamente esserlo.
Estrasse dalla tasca un foglio di quaderno a quadretti spiegazzato e ripiegato in due parti.
Le mie sopracciglia scattarono in alto.
Questa era nuova.
Per qualche strana ragione la trovavo una cosa incredibilmente carina. E, anche se era contro i miei interessi, continuavo a considerarla una cosa adorabile.
-Una lista eh?
Lottai per trattenere un sorriso, ma apparentemente feci un buon lavoro, poiché lei mi lanciò uno sguardo irritato. In realtà non avevo intenzione di prenderla in giro. Non in quel momento, almeno.
Sorridevo perché anch'io adoravo le liste. Facevo liste in continuazione.
Liste dei libri, liste dei telefilm, liste delle storie, liste degli amici, liste delle cose da fare, liste delle cose da non fare, liste di obiettivi,  liste di pro e contro. Una marea di liste. Ironicamente, l’unica lista che non facevo mai era la lista della spesa.
Si schiarì la voce.
Poi mi guardò di sottecchi e iniziò a leggere.
-Lista Di Motivi Per Cui Non Posso Assolutamente Essere Attratta Da Puntini Puntini.
Scoppia a ridere.
Avrei voluto farla incorniciare quella lista. E non l’avevo ancora neanche letta.
-Puntini Puntini?
Lei arrossì.
-Beh, mica potevo scrivere il tuo nome no? Se l’avesse letto qualcuno…
Scossi la testa, ridacchiando.
Puntini Puntini. Quella ragazza era sempre più fantastica.
Lei sbuffò in una perfetta espressione alla “whatever”.
-Uno. Sei una ragazza.
Alzai gli occhi al cielo.
Questa era davvero banale.
Davvero davvero banale.
E anche un colpo basso.
-Oh andiamo, non ti sembra un po’ troppo ovvio? Che cosa pensavi che fossi, un elefante?
-Ma è vero. Sei una ragazza. Ed io non sono attratta dalle ragazze.
Le agitai un dito davanti agli occhi e le feci un occhiolino.
-C’è sempre una prima volta.
Lei incollò gli occhi al foglio, cercando di non far salire il rossore alle guance.
-Due. Non sei abbastanza bella.
Che stronza.
Questo era peggiore di un colpo basso, era un dito in un occhio.
Assunsi un’espressione risentita e incrociai le braccia al petto.
Non ero vanitosa- almeno, non poi tanto- ma non sopportavo quando la gente giudicava dalle apparenze. Era una cosa che detestavo.
-Hey, senti un po’, solo perché non sono bella quanto te, non significa che non sia abbastanza bella. Ognuno di noi ha una bellezza diversa. E si chiama fascino, grazie tante. Con cui l’attrazione non c’entra un emerito cavolo.
Lei mi scrutò un secondo per vedere se me l’ero davvero presa, poi si scostò un ricciolo da davanti agli occhi.
-Forse hai ragione. Comunque, tu non saresti il mio tipo.
-Ah no? E quale sarebbe il tuo tipo?
-Capelli corti, altezza media, che mi faccia ridere, che abbia carattere, che sia dolce, che mi affascini…
Io le sorrisi trionfante, facendo il segno della vittoria con le dita, cioè due dita alzate a formare una V, per i profani che manchino di una conoscenza così fondamentale.
Il segno della vittoria. Non pensavo ci fosse qualcosa di più nerd al mondo. A parte forse il saluto dei Vulcaniani di Star Treck. Ma ci ero affezionata. La maggior parte delle mie foto da piccola aveva il mio segno della vittoria immortalato per sempre, come ricordo della mia fissa per i Pokemon. Semplicemente avevo fatto del segno della vittoria una filosofia di vita.
Ecco, forse filosofia è una parola grossa.
In fondo, avevo appena dodici anni.
Lei arrossì furiosamente e si affretto a specificare.
-E che sia un ragazzo. Ovviamente. Comunque: Tre. Ti vesti troppo country.
No, questa, proprio non me la meritavo.
-Io non mi vesto country! Solo perché ho una fissa per le camicie a quadretti e a righe non significa che mi vesto country. Io mi vesto all’americana. T-shirt con sopra camicia. Oppure maglietta a maniche lunghe con sopra t-shirt. Jeans. Onnipresente kefiah e Converse colorate.  
Che la ragazza s'informasse.
Ma insomma. Il mio stile era più che cool.
Era shiny.  Probabilmente non secondo i canoni d’alta moda, ma non mi pare che lei vestisse d’alta moda. Andiamo, alla signorina piaceva il wrestling!
Lei rise alla mia espressione indignata.
Nonostante le offese al mio amor proprio, fu bello vederla ridere.
Mi piace far ridere le persone. Portare quel po’ di risate quotidiane che servono per sopravvivere alla giornata. E’ edificante. Trasmettere un po’ del mio entusiasmo, rendersi utili.
Farla sorridere fu un traguardo. Significava che si sentiva a suo agio con me.
Finsi di mettere il broncio per qualche secondo. Poi un sorriso storto affiorò alle mie labbra.
-E comunque, neanche l’abbigliamento conta come fattore di attrazione.
Lei sbuffò.
-Quattro. Ho un ragazzo.
-Questo non cambia proprio niente. Lo sapevi che l’uomo per natura è poligamo?
-Cinque. Non sono lesbica.
-A me pare proprio che tu ti stia arrampicando sugli specchi.
Lei mi incenerì con lo sguardo.
-Ma Santo Dio non ti va bene niente!
-Ogni scusa che tu adduci per negare l’evidenza non mi và bene. Dammi qua.
Le strappai il foglio di mano, allontanandomi dalla sua portata.
Non avevo mai visto la sua scrittura. Era…carina.
Ok, no, era abbastanza incomprensibile in realtà – non che la mia fosse poi meglio- però la trovavo quasi…soffice.
Forse mi stavo ammalando. Non era normale quello che stavo pensando.
Dov’era finito tutto il cinismo misterioso degli ultimi due giorni?
Cos’era quella stupida valanga di aggettivi cretini come carino, adorabile, e, il peggio del peggio, soffice? Diamine. Sperai non fosse quello che pensavo che fosse.
Mi concentrai sul pezzo di carta stropicciato che avevo in mano e trovai un'interessante sorpresa scarabocchiata alla fine del foglio, sbarrata da diverse linee ma ancora leggibile.

Lista Di Ragioni Per Cui Potrebbe Esserci Una Remotissima Probabilità Che Io Sia Attratta Da Puntini Puntini.

Mi girai verso di lei con un sorrisetto malizioso.
Cercò di riprendersi il foglio, le guance arrossate. Io lo spostai nella mano sinistra, tenendolo lontano da lei.
-Non mi avevi menzionato quest’altra lista, che è molto più interessante.
Lei arrossì ancora di più.
-Perché non ha senso, visto che non esiste neanche la remotissima probabilità che io sia attratta da te.
Io scossi la testa, con l’espressione di disapprovazione della maestra che ascolta gli scolari sparare corbellerie alle interrogazioni.
Era ora di dimostrarle la mia bravura in fatto di liste.
La fissai un secondo negli occhi e le feci un occhiolino.
-Vediamo un po’ di fare anche questa. Non è giusto scrivere soltanto i contro. Anche i pro meritano una chance.
Estrassi una penna dalla tasca posteriore dei jeans – non posso fare a meno di portarmi una penna dietro ovunque vada, chi lo sa cosa potrebbe succedere- e, appoggiato il foglio sul muro, aggiunsi velocemente alcuni punti alla nuova lista.
Lei mi lasciò fare, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro, cercando di non guardarmi. Operazione che non le stava riuscendo particolarmente bene, se posso aggiungere.
Non che mi stessi lamentando, era più un gongolare all’interno.
Dopo qualche minuto le restituii il foglio.
Lei lo prese con aria circospetta, come se fosse una bomba a orologeria pronta a scoppiare.
Sollevai le sopracciglia, e con la mano le feci segno di leggerlo.
-Uno. Puntini Puntini è una ragazza.
Sorrisi alla sua espressione confusa.
-Questa è la prima ragione perché sei attratta da me. Pensaci. Se io fossi un ragazzo, non mi guarderesti due volte.
-Questo non è affatto-
Sbuffai e le posai una mano sul braccio.
-Vai avanti per favore.
Mi guardò indecisa, poi posò di nuovo gli occhi sul foglio.
-Due. E’ intelligente.
Certe cose dovevano essere dette chiare e tonde. Non c’era tempo per la modestia.
-Tre. E’ esattamente il mio tipo e anche una gran-
Alzò gli occhi e mi guardò, incredula per quello che avevo scritto.
Non pensavo si potesse arrossire così tanto per una cosa così semplice.
Mi avvicinai a lei, prendendole il foglio dalle mani e mettendomelo in tasca.
Le scostai un ciuffo ribelle dal viso in una gentile carezza.
I suoi occhi erano fissi su di me. Non si muoveva. Non faceva assolutamente niente.
Sentii che tratteneva il respiro.
Cercai di non farmi distrarre dai suoi occhi, ma era difficile distogliere lo sguardo. Lei, completamente in mio potere, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Potrà sembrare ridicolo da dire ora, ma non mi capitavano molto spesso momenti del genere.
Specialmente non in un bagno della scuola con la ragazza per cui, ormai era ovvio, mi ero presa una tremenda cotta. Non che fosse stata intenzionale la cosa. Anzi. Non l’avevo minimamente programmato. Non pensavo che si sarebbe mai degnata di confrontarmi a proposito dei miei lunghi sguardi di apprezzamento. Non pensavo saremmo arrivate a questo punto, in questo momento, a così poca distanza l’una dall’altra. Una distanza che continuava a ridursi ed io non riuscivo a fermarmi, troppo assorbita dai suoi occhi che dicevano una sola cosa: più vicino, più vicino.
La mia mente era completamente svuotata. C’era solo un pensiero che girava solitario come una di quelle balle di fieno nelle città abbandonate dei vecchi film western.
Non era lei a essere in mio potere. Ero io a essere completamente alla sua mercé.
E la cosa non mi dispiaceva neanche lontanamente tanto quanto avrebbe dovuto.
-... baciatrice…
Sussurrò lei, un soffio caldo sulle mie labbra.
La vidi chiudere gli occhi, mentre la mia mano sinistra si posava sul suo fianco.
Era così vicina. Così vicina.
Un rumore improvviso di nocche contro il legno della porta ci fece sobbalzare e allontanarci l’una dall’altra.
-Volete aprire questa porta? Non ci siete solo voi in questa scuola, chiunque voi siate!
Sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. Qualcosa va sempre storto quando tutto sta procedendo magnificamente per qualche minuto. Non sia mai che la signora fortuna si fermi a bussare – o a impedire a qualcuno di bussare, in questo caso- alla mia porta.  
Se c’era una cosa che odiavo, era essere interrotta sul più bello.
Lei si passò una mano fra i capelli, rilasciando un grosso sospiro.
Mi guardò intensamente negli occhi.
-Si, un attimo, ora apro!
Nonostante quando aveva risposto, non diede alcun segno di volersi muovere.
La sua voce era un po’ roca, come se non avesse parlato per molto tempo.
Si schiarì leggermente la gola e, finalmente, abbassò gli occhi.
-Beh, io dovrei andare…I miei compagni si staranno chiedendo dove sono finita.
I miei di compagni probabilmente non avevano nemmeno notato la mia prolungata assenza. O se l’avevano notato, avranno pensato che ero caduta nella tazza, o qualcosa del genere.
Ho questa tendenza al terreno. E loro non sono esattamente i compagni più affettuosi del mondo.
Annuii piano, mostrando di capire il suo bisogno di spazio.
Le sorrisi. Semplicemente un sorriso. Genuino. Vero. Caldo.
Lei rispose al mio sorriso con uno più piccolo, ma ugualmente luminoso.
Chinò il capo e si volse verso la porta, iniziando a camminare.
Io mi appoggiai al muro, non staccandole gli occhi di dosso.
C’era qualcosa di affascinante nel vedere le persone andarsene. Affascinante, e un po’ triste.
Affascinante perché speravo sempre che la persona che stavo guardando percepisse il mio sguardo e si girasse con un sorriso. Triste perché non succedeva mai.
Sarebbe veramente una cosa da fiaba se ora lei si girasse e mi sorridesse, pensai.
Ma quella era la vita vera. E cose come quelle non succedevano mai.
Difatti lei non si girò e mi sorrise. Non era così banale.
Si fermò con la mano sulla maniglia, incerta su cosa fare.
Poi si girò e fece una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettata.
E battere i miei film mentali era qualcosa che avrebbe davvero meritato un oscar.
In due passi fu di nuovo così vicina che riuscivo contarne le chiarissime lentiggini sul naso.
Mi baciò le labbra velocemente. Mi baciò. Lei, signorina-Non sono assolutamente attratta da te-, mi baciò. Non fu niente di particolare, appena un leggero sfiorare di labbra, un castissimo bacio a stampo. Una promessa. Sapevo che era una promessa.
E lo sapevo dallo sguardo che mi lanciò un secondo prima di girarsi e andarsene.
Uno sguardo incerto, un po’ confuso, ma che conteneva una promessa di qualcosa di più. Una conferma che ciò che era successo negli ultimi tre giorni, i tre giorni più assurdi della mia vita, non sarebbe stato dimenticato in un cassetto o gettato in un cestino della carta straccia.
Girò la chiave nella serratura e, aperta la porta, scivolò fuori.
Io mi appoggiai con una mano a una delle porte sgangherate di uno dei cubicoli, e mi lasciai andare a un lungo sospiro. Mi sfiorai le labbra con due dita, ancora incredula.
La mia vita, così a lungo rimasta sotto il mio controllo, mi era sfuggita di mano.
Ma la cosa che mi spaventava di più, era che mi piaceva. Mi piaceva non avere il controllo di niente. Era inebriante.
-Stai bene?
Alzai gli occhi alla domanda fattami da una delle mie compagne di classe, appena entrata nel bagno.
Annuii lentamente. Poi ridacchiai, scuotendo la testa.
-Si sto bene. No. Sto più che bene. Sto benissimo.
La ragazza alzò le sopracciglia, incerta.
-Sei sicura?
Io mi avviai verso la porta del bagno, ancora ridacchiando fra me e me.
-Certo. Ho solo avuto la conversazione più strana della mia vita.
A quanto pareva Alice stava imparando in fretta le regole del gioco.
Fu solo allora che mi accorsi che il foglio stropicciato con le due liste non era più nella mia tasca.



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Capitolo 4
*** IV.What are you thinking about? ***


IV.What Are You Thinking About? Salve! Mi scuso con tutti se il fatto del foglietto "scomparso" vi aveva indotto a credere un qualche intoppo di trama XD In realtà era solo un modo carino per far finire il capitolo, constatando che Lei non è poi così ingenua come sembra XD Questa storia non ha un granchè di plot, lo ammetto, ma l'ho scritta proprio per questo, per leggere una volta tanto una storia senza preoccuparsi di qualche svolta assurda che faccia capovolgere le situazioni. E' questa anche la ragione per la quale la storia ha solo 5 capitoli. Più lunga avrebbe sicuramente annoiato. Spero di non avervi deluso troppo :)
Comunque, ATTENZIONE perchè questo capitolo ha un amount of fluff assurdo. Potrebbe causare mal di stomaco ai più intolleranti XD
E Grazie moltissimo a tutti per le recensioni, sono contentissima che ciò che scrivo piaccia a qualcuno a parte me XD

Other than that,
Enjoy.



IV. What’re you thinking about?


La quarta volta che mi rivolse la parola, aveva il leggendario stramaledetto cellulare in mano.
Entrai nel bagno e lei era già lì, appoggiata al termosifone, una mano in tasca, l’altra a reggere l’oggetto dei miei precedenti improperi. I capelli erano più ricci del solito, forse a causa dell’umidità. Effettivamente, quel giorno la scuola mi sembrava un ambiente più idoneo ai pinguini che a noi poveri alunni. Oltre che di noia e di attacco cardiaco da interrogazione ora c’era un altro rischio che attentava alla nostra vita: congelamento. Mi chiedevo sempre più spesso se quella fosse una scuola o un campo di concentramento.
Lei alzò gli occhi non appena mi sentì entrare. Sollevò il cellulare verso di me con sguardo seccato.
-Ci credi che mi ha lasciato prima lui?
Sul viso aveva un espressione così fortemente indignata che mi fece venir voglia di scoppiare a ridere. Fortunatamente riuscii a trattenermi. Avevo la sensazione che non le sarebbe piaciuto molto essere derisa.
Mi avvicinai a lei sorridendo, e poggiai le mani sul termosifone ai lati del suo corpo, in modo da trovarmi di fronte a lei, leggermente inclinata in avanti, ne troppo vicina, ne troppo lontana.
-Ah sì?
-Già! Gli stavo per mandare un messaggio per chiedergli di vederci così potevo lasciarlo e all’improvviso mi arriva un suo messaggio dicendo che ha incontrato un'altra e che è finita.
Ti rendi conto, cosa ha osato fare?
Sembrava veramente seccata di essere stata mollata. O battuta sul tempo nel mollare, comunque.
Io non mi lamentavo. Avevo appena ricevuto un ottima notizia. Non pensavo sarebbe successo tanto presto. Annuii, fingendo sdegno in una maniera che avrei potuto chiamare quasi caricaturale.
-Già, come ha osato mollarti per primo!?
Lei inclinò il capo e assottigliò gli occhi.
-Mi stai prendendo in giro per caso?
Io feci finta di pensarci per qualche secondo.
-No, perché mai?
Lei mi tirò uno schiaffetto sul braccio, ma c’era un sorriso sulle sue labbra.
-Andiamo, davvero pensi che io stessi pensando al tuo grazie-a-dio-ex ragazzo?
Davvero.
Quel ragazzo mi era passato di mente il secondo stesso in cui lei aveva detto che l’aveva lasciata.
Mi aveva solamente fatto un favore il ragazzino.
Lei ripose il cellulare nella tasca e iniziò a giocare con la mia kefiah.
Quel giorno ne portavo una gialla e nera. A casa ne avevo qualcosa come sei o sette, tutte di colori diversi. A scuola ero famosa per me le mie kefie. Tutti mi chiedevano dove riuscivo a trovarle.
Io dicevo loro ogni volta che se gliel’avessi detto dopo avrei dovuto ucciderli.
Chissà come, suonava molto meglio di una risposta sensata con indirizzo e nome del negozio.
Mi lanciò un sguardo birichino.
-A che cosa stavi pensando, allora?
-Scommetto che non riesci ad indovinarlo.
Io le strizzai un occhio e lei sollevò un sopracciglio.
-Io invece scommetto di si.
Normalmente non ero una persona particolarmente appassionata di scommesse. Preferivo evitare, anche quando ero sicura di vincere, perché nel momento stesso in cui facevo la scommessa non ero più sicura di niente. Almeno avevo la garanzia che non avrei mai giocato d’azzardo.
Ma questa volta era diverso. Era impossibile che indovinasse a cosa stavo pensando.
Neanche io sapevo bene cosa passava per quella mia testa matta. Era come se stessi pensando così tante cose contemporaneamente da non riuscirne a capire bene neanche una.
-Facciamo così, se indovini, ti do un bacio. Se non indovini, sei tu a baciare me.
Lei rise.
-Ma non ha alcun senso. In entrambi i casi vinciamo, no?
Scrollai le spalle e le indirizzai un sorrisetto malizioso.
-Quello era lo scopo.
Rise ancora.
-Ok. Ci sto. Secondo me, stai pensando a quanto io sia affascinante oggi.
Si passò una mano fra i capelli, spostandoli dal collo e poggiandoli sulla spalla sinistra con aria da diva.
-Ti sei appena tuffata nell’oceano con un pedalò arancione e blu.
Lei aggrottò le sopracciglia.
-Che vorresti insinuare, scusa?
Feci finta di non sapere di cosa stava parlando.
Una ragazza deve pur vendicarsi in qualche modo.
Mi fece un smorfia, assottigliando gli occhi.
-Ti stai vendicando per quello che ho detto l’altra volta, vero?
Io le cacciai la lingua.
Lei rise e mi tirò un pugno sulla spalla.
Mi chiedevo quando avrebbe smesso di picchiarmi o se sarebbe diventata un abitudine.
Non che mi desse poi così fastidio. Anzi, a dirla tutta, mi piaceva.
Ero sempre stata il tipo da pugni e schiaffi scherzosi. Ci avevo messo del tempo a capire che abbracciare e baciare le persone funzionava molto meglio che prenderle a pugni, pur scherzosi.
Ma l’importante era esserci riusciti, no?
-Ok, te lo concedo per stavolta. Allora stai pensando… Che vuoi chiedermi di uscire.
Le feci un occhiolino.
-Fuochino.
Lei inclinò il capo da un lato e mi guardò con aria maliziosa.
Finalmente era tornata libera da tutte quelle false inibizioni da ragazza timida.
Lei era tutto, fuorché timida.
-Stai pensando che vuoi baciarmi.
Il mio sorriso si fece più morbido mentre sollevavo una mano e le sistemavo un ricciolo dietro l’orecchio.
-Quello lo penso sempre.
Un leggero rossore le salì alle gote, ma i suoi occhi rimasero fermi. Fissi nei miei, per un intero minuto.  
Batté le ciglia e il suo sguardo tornò a vagabondare sulla mia figura, senza fermarsi su un punto fisso in particolare. Le sue dita giocavano con i fili della mia sciarpa alternativa. Sorrise.
-Va bene, mi arrendo. Ma prima di sottomettermi a una pena a cui –ahimè - davvero vorrei sfuggire -ma non lo faccio perché una scommessa è una scommessa- voglio sapere cosa stai pensando.
Il mio sguardo si spostò sul vetro della finestra dietro di lei, fissando distrattamente il cielo blu brillante e le nuvole bianche e soffici. Guardare il cielo è sempre stato uno dei miei passatempi preferiti. Alzare gli occhi e vedere una trapunta così blu mi ha sempre fatto spuntare un sorriso sulle labbra. Mi chiedo sempre: Come faccio ad essere triste se c’è un cielo così fantasticamente blu?
-Sto pensando che tre anni fa mi stavi decisamente antipatica.
Lei arricciò il naso.
-Perché?
-Beh, eri più brava, più bella e infinitamente più popolare di me.  E anche più arrogante. E ora siamo qui, così, e stiamo avendo una conversazione pacifica dotata di senso logico. Devo ammettere che mi sembra quasi di vivere un’altra vita.
Mi sorrise con aria compiaciuta e annuì.
Ma io non avevo ancora finito. Anzi, non avevo neanche cominciato.
-Sto pensando che non mi sono mai successe così tante cose importanti in uno stupido squallido bagno senza carta igienica. Probabilmente sarà l’unico bagno che ricorderò in tutta la mia vita.
E sto pensando che ho voglia di baciarti sul naso, di portarti ad un concerto, di conoscerti meglio fino a sapere il nome che davi alla tua barbie quando avevi quattro anni, di tenerti per mano, di farmi battere a bowling anche se detesto perdere, di dividere i popcorn al cinema, di dedicarti playlists e di scriverti il messaggio della buonanotte. Insomma di fare tutte quelle cose stupide che ho sempre preso in giro. E non ho la minima idea di quando sia successo tutto questo. Non riesco a capire quando sia avvenuto questo cambiamento, perché io non me ne sono accorta. E la cosa più assurda in tutto questo è che non mi interessa. Quando, come e perché questo sia successo non mi interessa minimamente, perché io mi sento bene nell’ora, nel qui, in questo stupido bagno con te.
E questo è tutto ciò che conta in questo momento.
Non avevo mai dato voce a così tanti dei miei pensieri. Eppure ora erano lì, suoni tremolanti nell’aria, e non pensieri che si sovrapponevano nella mia testa.
Era quasi liberatorio.
Arrossii e spostai finalmente lo sguardo su di lei.
C’era uno sguardo di sorpresa nei suoi occhi.
Poi un largo sorriso.
-Vieni qui.
Le sue mani si intrufolarono nei miei capelli, scompigliando le ciocche corte, mentre mi attirava a se. Il suo naso sfiorò il mio, e poi furono le sue labbra a sfiorare le mie.
Spostai le miei mani sui suoi fianchi e la attirai a me, mentre lei approfondiva il bacio.
Inutile cercare di descrivere un bacio. Ci ho provato molte volte, ma ogni volta escono sempre una marea di cliché o descrizioni sdolcinate, usate così tante volte da far venire la nausea.
Sono fermamente convinta che non si possa descrivere un bacio, perché in ogni caso non gli si renderebbe abbastanza giustizia. In questo caso, era ancora più impossibile da descrivere. Perché io non riuscivo a pensare. Il mio cervello si era fermato. Era in sciopero. Non connetteva più. Semplicemente, i pensieri avevano smesso di saltare su e giù, non c’era più niente. Tutto quello che percepivo era ciò che miei sensi sentivano. Il suo corpo sotto le mie mani, le sue labbra sulle mie, i suoi capelli che solleticavano le mie guance.
E non mi serviva altro. Per la prima volta io ero nel momento. Non facevo nient’altro che essere nel momento. Forse è questo che qualche vecchio latino ammuffito aveva voluto dire con Carpe diem. No, non oggi pesce. Cogli l’attimo.
Le sue mani scesero sui miei fianchi, mentre le mie salivano al suo viso.
La sentii sorridere contro le mie labbra.
Mi staccai leggermente da lei, appoggiando la mia fronte alla sua.
-Perché ridi?
Lei estrasse il pennarello dalla tasca dei miei jeans ridacchiando.
-Ti porti davvero sempre qualcosa per scrivere eh.
Nascosi il viso nell’incavo fra la sua spalla e il suo collo, ridendo.
-Sì, qualche problema?
Mi scompigliò i capelli ancora di più e mi baciò la guancia.
-Hey! Fai il solletico così! E comunque, no, certo che no! Anzi, mi hai dato una bella idea.
Mi allontanai quel tanto che bastava per guardarla in faccia e la guardai curiosamente.
-Cosa hai in mente?
Mi fece un occhiolino, e avvicinatasi alla parete di legno del cubicolo più vicino, scrisse qualcosa con il pennarello nero. Quando fece un passo indietro e potei vedere cosa aveva scritto, scoppiai a ridere.

Abbiamo scoperto perché in questo bagno manca sempre la carta igienica.
E’ stato provato che questa mancanza migliora i rapporti interpersonali.
Perciò, lunga vita alla non-esistente carta igienica!

La abbracciai da dietro, mentre lei rideva ancora guardando la scritta.
Finalmente in quel bagno qualcuno aveva scritto una frase memorabile.
Avrebbero dovuto inserirla in qualche libro di aforismi.
Ero sicura che diverse centinaia di ragazze e ragazzi avrebbero approvato.
Insomma, pensai, guarda a che livello di miglioramento ha portato noi, la mancanza di carta. Va bene, forse non era proprio quello il motivo scatenante di tutto, ma era stata senz’altro necessaria a dare quella spintarella iniziale.
Forse avrei dovuto smetterla di cercare di far funzionare correttamente il cervello con lei intorno.
Era una causa totalmente persa.
Si girò fra le mie braccia e mi sorrise.
-Sai, nessuno mi ha mai detto cose così carine. Beh, a dir la verità, neanche così strane, ma è proprio per questo motivo che mi piaci. Riesci sempre a sorprendermi.
-Beh, non vorrei vantarmi, ma…modestamente.
Mi piaceva questa atmosfera giocosa, sempre sul filo di “O ti picchio o ti bacio”.
Soffiò sul ciuffo di capelli che sostava in modo snervante davanti ai suoi occhi.
Io risi. Era così carina.
Le spostai il ciuffo incriminato dietro l’orecchio e la baciai nuovamente.
In quel esatto momento sentii la campanella suonare, il suono attutito dalla porta chiusa.
Lei si tirò indietro e vidi che un leggero broncio adornava le sue belle labbra.
Avete mai sentito il modo di dire “Salvati dalla campanella”?
Credetemi, sono più numerose le volte in cui la campanella rovina il divertimento, che le volte in cui salva qualcuno. O forse è soltanto la mia proverbiale sfortuna a mettersi in mezzo ogni volta.
-Dovrei andare…
Misi il broncio anch’io, mentre lei si liberava gentilmente dalla mia stretta.
Le presi le mani e la attirai a me ancora una volta.
La baciai, giocando con le sue dita. Lei liberò le sue mani e mi tirò giù verso di lei prendendomi per il colletto della camicia, rendendo il bacio più profondo e acceso di quanto avevo immaginato.
Circa un minuto dopo, o forse diverse anni luce, interruppe il bacio, ma non diede segno di volersi muovere dalle mie braccia. Aveva gli occhi chiusi e un sorriso appagato le graziava quelle labbra che non mi sarei mai stancata di baciare.
Avevo il fiato corto, un po’ per il mirabolante bacio appena sperimentato, un po’ per la visione che avevo davanti.
-Esci con me stasera.
Lei aprì gli occhi e mi guardò intensamente.
-Ok. Ora però lasciami andare, altrimenti non riesco più ad uscire di qui.
La liberai facendole fare una giravolta. Rise, scuotendo la testa, e uscì dal bagno.
Io mi appoggiai allo stipite della porta e la guardai rientrare in classe.
Mi lanciò uno sguardo birichino un attimo prima di chiudere la porta.
Non sapevo cosa mi stava facendo. Alice non si era solamente ambienta bene e in fretta; era diventata la Regina del Paese delle Meraviglie, spodestando qualsiasi altra regina che avrebbe potuto esserci prima. E il Cappellaio Matto era stato completamente stregato da lei.
Mi passai una mano fra i ciuffi biondi scomposti e mi avviai verso la mia classe, per una noiosissima, nonché assolutamente incomprensibile, ora di Fisica.
Sprofondai le mani in tasca e attaccai a fischiettare il motivetto orecchiabile di Love is in the Air.
Un’altra giornata di scuola in cui non sarei riuscita a pensare ad altro.

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Capitolo 5
*** V.Names ***


V.Names

Ed eccomi arrivata alle fine di questa storia. Grazie a tutti quelli che si sono fermati a commentare - I love you SO much guys <3<3- e anche quelli che hanno solo letto :D
Se fossi stata una brava grafica o avessi saputo disegnare, probabilmente avrei fatto un piccolo banner/disegno per corredare la storia, per evocare meglio le immagini che cerco di descrivere, ma visto che non lo sono, ho paura che vi dovrete accontentare delle mie piccole malandate descrizioni :) 
Un grazie gigantesco a tutti :)
Spero che questo capitolo non vi deluda (:
Enjoy

V. Names

La quinta volta che mi rivolse la parola in quel bagno…Beh, in realtà non fu proprio un rivolgermi la parola, ma più un rivolgermi le labbra, ecco.
Io ero appoggiata con la schiena al lavandino, scrivendo un messaggio -Sì, possiedo un cellulare anch’io- a una mia amica su quanto fossero belli i pomeriggi di pioggia quando si aveva la casa libera. Davvero niente male vi posso assicurare. Se capite cosa intendo.
Alzai lo sguardo quando sentii la porta del bagno scricchiolare sui suoi cardini.
Un sorriso birichino si dipinse sul mio viso alla vista di lei che chiudeva la porta appoggiandovisi con la schiena, un sorriso uguale al mio sul volto.
Non perse tempo.
Non era mai stata il tipo da perdersi in chiacchiere, del resto.
Il mio “Hey” venne soffocato rapidamente dalle sue labbra, mentre lei mi spingeva indietro, il bordo del lavandino che mi premeva contro la parte bassa della schiena.
Si era rivelata molto esigente, la signorina, in fatto di make out sessions.
Non sembrava importarle il fatto che avrebbe potuto entrare qualcuno ad ogni minuto e coglierci con le mani nel sacco. O da un'altra parte.
Lungi da me dal lamentarmi. Soltanto un pazzo si sarebbe lamentato di una cosa del genere.
La mia unica preoccupazione era che poi non si chiedesse come diavolo avesse fatto una foto nostra compromettente a finire su Facebook. Certo, non era ancora successo, ma ero assolutamente convinta che, continuando così, sarebbe stata solo una questione di tempo.  
Devo ammettere che una nostra foto compromettente l’avrei messa io stessa su Facebook, solo per vedere il tipo di commenti che la gente avrebbe fatto.
Per mia sfortuna, la Gossip-Girl-mania aveva contagiato anche me.
Sorrisi contro le sue labbra, e mi staccai leggermente da lei.
-Sai, penso che, per essere nuova in questo genere di cose, tu sia decisamente un allieva talentuosa e soprattutto molto entusiasta. Oh e dimenticavo, intraprendente. Dimentico sempre Intraprendente.
Però sai, ho come la sensazione che tu non potresti mai e poi mai fare l’agente segreto, bellissima Alice.
Lei rise e, prendendomi per una mano, mi trascinò in fondo al bagno, in un angolo fra la parete del cubicolo in legno e il muro con la finestra che dava sulla collina.
-Lo so, lo so, potrebbe entrare chiunque, bla bla bla. Però questo non può aspettare, capisci, è da stamattina che voglio darti una lezione per il tiro che mi hai giocato sabato. Non si fanno quelle foto a tradimento.
Inutile dire che il nostro appuntamento era andato benone.
Certo, all’inizio era stato un po’ strano, e avevo fatto le mie solite figuracce, come suonare al citofono sbagliato, o inciampare in continuazione. Ma la parte migliore era quando si era messo a piovere. Avevamo fatto una corsa fino a casa mia, ma eravamo lo stesso bagnate fradice. Proprio in quel momento le avevo scattato una foto a tradimento, e mi ero assolutamente rifiutata di cancellarla.
Scossi la testa, fingendo rassegnazione, mentre lei, spalle al muro, mi attirava verso di sé prendendomi dall’orlo dei miei jeans sfasciati.
-Tanto sei sempre bellissima, e lo sai.
Lei sorrise maliziosamente, a pochi centimetri dalle mie labbra.
-Mmmh, lo so. Però mi piace sentirtelo dire.
La baciai, mettendo persino più impegno del solito nel farla rimanere senza fiato.
Anzi, nel farci rimanere senza fiato.
Lei mi assecondò allegramente, facendo vagare le sue mani fra i miei capelli.
Sapeva che mi faceva impazzire quando lo faceva.
Le miei mani, fino a quel momento appoggiate al muro, si posarono sui suoi fianchi, e, trovato l’orlo della sua maglietta, ci si infilarono leggermente sotto, sfiorando la sua pelle chiara.
La sentii sobbalzare un po’, e mi scostai un secondo, incerta.
Sorrise e mi scostò un ciuffo dalla fronte, rassicurandomi.
-Hai le mani fredde.
Io risi, sospirando intimamente di sollievo. Non sapevo se mi ero spinta troppo in là.
In fondo, eravamo pur sempre a scuola. Ed eravamo insieme solo da pochi giorni.
-Vieni qui.
Mi baciò le labbra, e rimise le mie mani sui suoi fianchi, appena sotto la maglietta.
La nostra lotta silenziosa riprese, ma aveva perso l’impeto dell’istinto, e acquisito una dolcezza che rallentava i movimenti e allungava gli istanti. Non riuscivo a decidere se preferissi la prima o la seconda modalità. Entrambi facevano provare al mio stomaco la strana sensazione di un’assenza di gravità.
Mi rifiutavo categoricamente di chiamarle farfalle. Non capisco dove sia tutto questo romanticismo nelle farfalle allo stomaco. Cioè, pensate che sia sul serio una cosa piacevole avere delle vere farfalle nello stomaco? Grazie a Dio non ho mai avuto il piacere di provare, ma sono sicura che non sia proprio una bella sensazione. 
-Forse dovremmo davvero pensare all’eventualità  che a qualcuno venga il bisogno di venire in bagno, sai?
Riuscii a mormorare fra un bacio e l’altro.
In realtà non mi importava assolutamente un fico secco di essere scoperta a baciare una ragazza in quel bagno sgangherato, e di conseguenza di venire outed al resto della scuola. Perché mi sarebbe dovuto importare, del resto? Non avevo mai dato molto peso l’opinione della gente. E poi, tempo qualche anno e sarei stata fuori da quello squallido posto. Quello che mi preoccupava, era come l’avrebbe presa lei. Non sapevo fino a che punto era disposta a spingersi. Non sapevo se fosse sicura di quello che stava facendo o meno. Meglio fare le cose con calma, e farla prima abituare all’idea di avere una ragazza.
Cosa che le stava riuscendo piuttosto bene, a quanto stavo sperimentando.
-Mmmh, no.
Io ridacchiai contro le sue labbra, accarezzandole una guancia.
-E basi questa affermazione su quale presupposto?
Lei alzò gli occhi al cielo.
-Il presupposto che ti sto baciando, e se qualcuno interrompe sarò veramente inviperita. Te inclusa, signorina-io-non-uso-parole-più-corte-di-dieci-caratteri.
Ridacchiai ancora più forte ma non risposi niente, mentre lei mi attirava sulle sue labbra tirandomi per la sciarpa viola – subtext color anyone?- che indossavo quel giorno.
Immaginate la scena. Io, lei, strette in un angolo del bagno, un bacio mozzafiato a unirci, le mie mani sotto la sua maglietta, le sue fra i miei capelli.  Scena perfetta, e decisamente inequivocabile.
Capite bene, era troppo bello per essere vero.
Quello scenario idilliaco venne infatti sfortunatamente e crudelmente rotto dall’esclamazione soffocata più originale del mondo.
-Oh Mio Dio!
La suddetta esclamazione soffocata ebbe il potere di farci quasi prendere un infarto.
Sobbalzammo entrambe e ci separammo istantaneamente l’una dall’altra.
E fu lì che dalle labbra della mia ragazza- non riesco davvero a stancarmi di ripeterlo, lamiaragazzalamiaragazzalamiaragazzalamiaragazza- uscì l’esclamazione più cliché di tutto il mondo del cinema, un’esclamazione che, da parte mia, ho sempre adorato.
-Non è come sembra!
Cercate di capirmi, un’appassionata di cinema e tv come me, cresciuta a pane e Buffy, con una spruzzata di Friends e altre commediole varie, e con la segreta ambizione di dire un giorno cose come: Presto taxi, segua quella macchina!, non avrebbe potuto fare altrimenti.
Scoppiai a ridere sonoramente.
Sul serio? Non è come sembra?
Lei mi guardò seccata. Alzò gli occhi al cielo, ma vidi un mezzo sorriso affiorarle sulle labbra.
Spostai finalmente il mio sguardo sulla ragione dell’interruzione del nostro idilliaco momento, e riconobbi in lei una delle amiche della mia ragazza.
Aveva uno sguardo sbalordito sul volto, e spostava freneticamente gli occhi da me, all’adorabile fanciulla imbronciata al mio fianco.
Io continuai a ridere, ormai quasi piegata in due.
Non riuscivo a smettere. L’assurdità di tutta la situazione mi aveva sopraffatto.
Penso che il motivo per cui fanno male gli addominali della pancia dopo aver riso tanto, è perché stanno lavorando parecchio. Una volta elaborai la teoria secondo cui se fossi riuscita a ridere un tot di minuti al giorno forse avrei potuto fare a meno di andare il palestra. Peccato che quando proposi la teoria a mia madre, lei non fece altro che scoppiare a ridermi in faccia.
-Ok- sospirò lei – E’ esattamente come sembra. Ma posso spiegarti, Sere, davvero.
L’amica si appoggiò pesantemente al termosifone, provata dalla visione di qualche minuto prima.
-Cielo, Claudia, hai davvero una buona ragione per essere qui, con lei, addirittura, facendo..beh, ciò che stavate facendo?
Io mi ricomposi, schiarendomi la gola. Lanciai un occhiata a Claudia.
Non mostrava segni di nervosismo o di paura, sembrava solo leggermente seccata che la sua amica la stesse prendendo così melodrammaticamente.
Eccola lì la mia ragazza. Sapevo che c’era qualche altra ragione se mi piaceva, oltre al fatto di essere smokin’ hot. Non sono mica così superficiale, io.
-Hai ragione, non c’è molto da spiegare. Lei è la mia ragazza. Tutto chiaro ora? Se hai qualcosa in contrario, puoi anche andartene, ma per favore, evita di fare altri commenti del genere.
Sentii la sua mano afferrare fermamente la mia. La strinsi.
Non pensavo che potesse sorprendermi più di quanto avesse già fatto. Eppure c’era riuscita.
Mi aveva lasciato completamente senza parole. Nemmeno io avrei saputo dirlo meglio.
La sua voce decisa ebbe il potere di smuovere qualcosa nella sua amica, che ebbe la decenza di arrossire e balbettare qualche frase di scusa.
-Hai ragione, mi dispiace, mi hai solo leggermente preso di sorpresa. Emh, era per lei che volevi lasciare Luca?
Solamente il fatto che l’ex-ragazzo si chiamasse Luca –no, non avevo mai sentito il suo nome prima- mi fece venir voglia di scoppiare a ridere di nuovo. Perché andiamo, Luca era gay no?
Per fortuna riuscii a trattenermi. Nella mia testa lampeggiava un gigantesco LOL al neon viola, con accanto alcune faccine come XDXDXD. Non per niente mi vantavo di essere una nerd.
L’espressione di Lei si ammorbidì e le sue labbra si sciolsero in un sorriso.
-Si, è pazzesco vero? Ed è successo tutto qui, sai? In questo bagno!
Effettivamente la nostra storia è una di quelle da raccontare ai posteri. Ancora fatico a crederci.
-Ma quindi, tu sei…?
-Lesbica? Non lo so. So che lei mi piace e  voglio starci insieme . Potete chiamarmi come vi pare. Finché sono la sua ragazza, tutti i nomi vanno bene. Del resto, sono solo nomi. Che importanza hanno? E poi, lo sai che io mi diverto a sentire la gente parlar male di me…
Le misi un braccio intorno alla vita e lei mi schiocco un bacio sulla guancia.
Vidi Serena sorridere, un po’ imbarazzata,e distogliere lo sguardo.
-Beh, allora io vi lascio. Non preoccupatevi, il vostro segreto è al sicuro con me.
Io alzai le sopracciglia.
Chi ha detto che era un segreto?
-Chi ha detto che era un segreto? Non hai capito quello che ho detto prima? Non mi interessa cosa pensa la gente. Perché dovrebbe essere un segreto?
Adoro quando anticipa i miei pensieri.
Risi e la baciai leggermente sulle labbra, non potendo contenere l’entusiasmo.
Serena ci guardò un po’ meravigliata, ma, tutto sommato, contenta. Ero davvero sorpresa da quanto bene fossero andate le cose. Che dico, non bene, meravigliosamente.
-Oh Mio Dio!
Sapevate già che sarebbe successo vero?
Io e Claudia non ci prendemmo neanche la pena di sobbalzare, stavolta. Ci limitammo, a staccarci leggermente, ed alzare gli occhi al cielo.
La nuova arrivata era una mia compagna di classe questa volta.
-Sam, cosa stai facendo???!
Io sospirai. Quanto dovevamo rendere più ovvia la situazione più di quanto già non lo fosse?
-Cosa ti sembra stia facendo?
Claudia, divertita, mi baciò di nuovo per scandalizzare CompagnadiClasse#1.
Fu in quel momento che mi ricordai di una cosa importante.
La mia compagna di classe non andava mai in giro da sola.
-Oh Mio Dio!-
Avete sentito quel rumore? Era il mio punto di sopportazione che veniva investito da un treno.
Se avessi sentito un altro banalissimo “Oh Mio Dio” sarei probabilmente scoppiata. Non sapevo bene se a ridere o a urlare, forze un misto, ma non ce la facevo davvero più. Insomma, pensai, un po’ di dannata fantasia se proprio dovete esclamare no?
La mia ragazza dovette accorgersene, perché si rivolse velocemente alla sua amica.
-Puoi fare tu le spiegazioni, Sere?
L’amica scrollò le spalle e annuì, mentre CompagnadiClasse#1 e #2 ci guardavano, ancora senza parole. Non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse da rimanere così senza parole. Non ci avevano mica sorpreso a fare sesso nello stanzino delle scope. Quello avrei potuto capirlo.
-Ma dove state andando?
Claudia mi prese per un braccio e mi trascinò via dall’angoletto, verso la porta del bagno, il più velocemente possibile. Mi piaceva quando prendeva il comando. Era ancora più bella del solito.
Sentii vagamente Serena che parlava alle mie compagne di classe:
-Allora, forse prima volete sedervi, che ne dite? Mi pare che i posti non manchino qui…
Una volta fuori dal bagno ci guardammo.
Lo scoppiare a ridere fu solo il passo conseguentemente successivo.
Avevo appena assistito ad una scena da commedia americana. No, di più, avevo appena vissuto una scena da commedia americana. La mia vita non avrebbe potuto andare meglio.
In meno di dieci minuti avevo fatto coming out a tre persone, e inoltre gli avevo presentato la mia nuova ragazza. Potevo calcolare facilmente che per la ricreazione, non si sarebbe parlato d’altro per la scuola. In quel momento però, il corridoio era vuoto, e c’eravamo solo io e Lei.
La guardai intensamente negli occhi, godendomi il suo sorriso.
-Sei fantastica, lo sai?
Lei inclinò la testa, e poi mi diede un bacio sul naso.
-Anche tu.
Era tutto così surreale. Io, Lei, la scuola, le nostre compagne. Solo il suo tocco era reale. Era tutto ciò che i miei sensi riuscivano a percepire come vero.
Questo era l’effetto che lei mi faceva. Oltre a farmi spuntare un sorriso spontaneamente ogni volta che intravedevo anche solo un ciuffo dei suoi capelli mentre girava l’angolo.
Sulle mie labbra affiorò un sorriso canzonatorio, mentre mi appoggiavo al muro dietro di me, ridacchiando, e ripensando all’espressione delle nostre visitatrici inaspettate.
-Ma hai visto la loro espressione?
Scoppiò a ridere. Mi prese la mano e mi tirò dietro di lei mentre iniziava a camminare verso la classe. Nella scuola chiamavamo quel corridoio Il Corso, perché era sempre pieno di gente che andava e veniva, bidelli che chiacchieravano con alunni e professori, e in generale, alunni che scappavano dall’affollamento delle loro classi per trovare un po’ di calma interiore nel passeggiare lungo il corridoio. Non vi illudete, non era successo nessun miracolo perché il passaggio fosse libero. A quanto pare era in corso uno sciopero del personale quel giorno.
-Posso venirti a trovare in classe qualche volta?
Per quanto mi riguardava, lei avrebbe potuto anche trasferircisi. Ma forse questo avrebbe tolto tutto il divertimento nei nostri incontri al bagno.
-Ogni volta che vuoi. Anche se, devo dire che il bagno sarà sempre il mio posto preferito.
-E posso fregarti il Kinder Delice?
-Eh no, mi dispiace ma il Kinder Delice è mio. Non se ne parla.
-E’ proprio vero che la cavalleria è morta eh!
La conversazione diventò più stupida di secondo in secondo, ma era questo il bello; lo stare insieme senza complicazioni, facendo discorsi stupidi e totalmente senza senso.
Avevo sempre pensato che le favole fossero stupidaggini. Insomma, chi crede più nel fantomatico Principe Azzurro? Io, se prima avevo qualche dubbio, di certo avevo smesso di crederci dal momento in cui avevo visto Xena in televisione. Ricordo di aver pensato che il Principe Azzurro non era neanche lontanamente “forte” come Xena, la Principessa Guerriera.
Come vedete, a dieci anni, avevo già capito tutto della vita. No, le favole non esistono, però è bello quando la vita ti fa credere che, forse, qualcosa può andare come nelle favole. Che forse non sarà per sempre, ma chi ha bisogno del per sempre, in fondo? Nessuno di noi vivrà per sempre. Abbiamo solo bisogno di credere nel per sempre. Ma tutto ciò che serve a noi è l’ora, l’oggi, il presente.
La mia ragazza voleva che intitolassi questa storia Toilet Smoochies, perché da quel momento, quel bagno fu per la maggior parte la nostra base per quello scopo.
Ma io le ho detto chiaro e tondo che avevo una dignità da mantenere, e che Toilet Conversations sarebbe stato di sicuro un nome più adatto. Fa un po’ ridere, ma è il nome perfetto per una fiaba moderna e surreale come questa, una fiaba che non è una fiaba, che magari non ha neanche un inizio da fiaba, che magari non ha né principesse, né principi, né streghe e nemmeno castelli scintillanti. Questa fiaba ha solo un bagno sgangherato, per di più senza carta igienica, una protagonista lunatica e nerd, e l’altra narcisista e sfacciata, però forse l’happy end riusciamo a inserircelo alla fine.
Che non è un per sempre, ma è comunque un vissero felici e contenti.
E io non ci sputerei mica sopra.

The End.


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