A New Cullen di Louve Vanessa Wolfe (/viewuser.php?uid=79278)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We cry ***
Capitolo 2: *** Lost ***
Capitolo 3: *** Yellow ***
Capitolo 4: *** Read my mind ***
Capitolo 5: *** Delivery ***
Capitolo 6: *** Glycerine ***
Capitolo 7: *** High school never ends ***
Capitolo 8: *** Paparazzi ***
Capitolo 9: *** What a wonderful world ***
Capitolo 10: *** Heaven ***
Capitolo 11: *** Dance Dance ***
Capitolo 12: *** Mad about you ***
Capitolo 13: *** Fields of gold ***
Capitolo 14: *** Over my Head ***
Capitolo 15: *** Why does it always rain on me? / When a love falls ***
Capitolo 16: *** This is the life ***
Capitolo 17: *** Life in technicolor ***
Capitolo 1 *** We cry ***
Pioveva. Piangeva anche il cielo. Almeno non ero l'unica, pensai.
La bara di mia madre veniva calata lentamente nella terra umida. Attorno molte figure indistinte, di gente vestita di nero, sembravano partecipare ad una triste scena da telefilm. Chi piangeva sul serio, chi faceva finta, chi nemmeno ci provava.
Mia madre, l'unica persona che aveva contato davvero nella mia vita, era morta. Come si faceva a continuare a vivere se, a soli 17 anni, veniva a mancare il sostegno di una figura materna?
Il sacerdote, con un cenno, mi chiese se volessi fare un breve discorso in onore della donna che aveva riempito la mia vita.
Feci cenno di no con la testa ed abbassai lo sguardo. Parole. Sarebbero state solo parole buttate al vento, che sarebbero scivolate sulla pelle di quella gente come la pioggia. Notai una ragazza, bassina, i capelli erano corti. Un caschetto sbarazzino. Aveva una bellezza estasiante anche se un po' troppo perfetta per sembrare vera. Accanto a lei un giovane uomo, di 20 anni o forse meno, capelli biondi.
Si assomigliavano per pochi elementi: il pallore della loro carnagione, delle evidenti occhiaie violacee e la bellezza.
Distolsi lo sguardo. Sentivo una strana tranquillità mescolarsi al dolore.
La breve cerimonia terminò. Dopo aver salutato i presenti, con dei brevi cenni e dei 'grazie' sussurrati mi incamminai verso l'Audi.
"Elisabeth" mi sentì chiamare.
"Sì?" chiese tentando di non mostrare il mio fastidio. Volevo rimanere da sola, era troppo chiedere di vivere il mio dolore in completa solitudine?
"Piacere, sono Alice Marie Brandon Cullen Hale".
La ragazza sulla quale prima si erano fermate le mie riflessioni mi porse educatamente la mano.
E chi sei la regina d'Inghiletrra?, pensai. Risposi solamente:
"Elisabeth Brandon, piacere di conoscerla" e le afferrai leggermente la mano.
Era ghiacciata, sembrava pietra. Staccai immediatamente la mia. Lei se ne accorse ma non ne fece parola.
"Jasper Hale" disse il ragazzo, ma non mi porse la mano. Aveva un'aria allarmata, come se tentasse di non pensare a qualcosa.
"Vorrei parlarti" esordì la ragazza.
"Può farlo anche qui" disse mantenendo le distanze.
"Preferirei in un luogo asciutto" disse.
"Ti faremo strada con la nostra macchina, pernottiamo in un hotel a pochi kilometri da qui" disse lui in tono cortese.
"Esattamente di cosa dovremmo parlare?" chiesi. Non volevo di certo spettegolare davanti a thè e pasticcini, non ero in vena.
"Del tuo futuro piccola" disse lei. Piccola? Piccola? Ma se lei poteva avere la mia età. Scossi la testa.
"Non ce ne andremo finchè non riusciremo a spiegarti la situazione" disse lei, come intuendo i miei pensieri.
"Perfetto" dissi in tono sarcastico "vi seguo" e salì sull'auto non degnandoli di uno sguardo.
Li seguì per la strada. La pioggia mi permetteva poco di vedere, mentre la ragazzina ed il suo compagno guidavano senza problemi.
Perchè avevo deciso di seguirli? Insomma cosa ne sapevano loro del mio futuro? In quel momento sarei dovuta essere a casa mia, a piangere e a cercare di rimettere in piedi la mia vita.
Invece, sempre vittima della mia maledetta curiosità avevo deciso di seguirli.
L'auto si bloccò dinanzi ad un hotel bellissimo. Un edificio in stile vittoriano, era gigantesco. Si avventurarono verso il parcheggio ed io li imitai, tentando nel frattempo di ricacciare le grosse lacrime che mi rigavano il volto. Parcheggia senza difficoltà ed uscì. Mi resi conto solo allora di non avere l'ombrello, sicuramente era a casa vicino all'entrata.
Jasper mi fece cenno di utilizzare il suo. Accettai solo per non risultare sgarbata.
Entrammo e quando fummo dentro, all'asciutto, Alice mi precedette dirigendosi verso una sala da thè molto graziosa. L'aria era riempita dalle note di un paio di violini, l'arredamento era nei toni del panna e su ogni tavolo un mazzo di rose rosse nella sua semplice eleganza faceva da centro tavola.
"Prendi qualcosa?" mi chiese lei quando ci fummo seduti.
"No, grazie" risposi.
"Bene, come ti ho detto vorrei parlare del tuo futuro" iniziò. Il ragazzo mi fissava come se cercasse di leggere le mie emozioni. Mi sentìi leggermente infastidita, ma mi rimproverai di essere sempre così sospettosa.
"Sì" fu l'unica risposta sensata che riuscì a dare.
"Devi sapere che io sono una tua lontana zia".
"Cosa? Davvero? Non ti ho mai vista" dissi io rimanendo leggermente scioccata dalla recente notizia.
Mia zia? Era sicuramente una mia coetanea, feci velocemente una rivisitazione mentale del mio albero genealogico a partire da mia nonna.
"Sì, non sono mai stata in questa zona" disse lei frugando in una borsa.
Mi porse dei documenti. "Questi qui dovrebbero parlare chiaramente".
Lessi la prova inconfutabile della nostra parentela.
"E con questo?" chiesi restituendole i documenti.
"Con questo siccome sei ancora minorenne, ed essendo la tua unica parente in vita, sono io a dovermi occupare di te" spiegò lei guardandomi soddisfatta.
"Aspetta, mia madre non aveva fratelli, tanto meno sorelle"
"Infatti sono una tua lontana parente" disse lei spazientita.
"Perfetto, ma credo di riuscire a cavarmela da sola" dissi tentando di alzarmi.
Il ragazzo mi pose delicatamente una mano sul braccio, io lo alzai, impaurita da quel contatto freddo che era riuscito a penetrare nonostante il cappotto.
"Ascolta, per favore" mi disse in tono calmo.
Mi risedetti guardandoli impaurita. Cosa volevano? Erano piombati da un momento all'altro nella mia vita, non sembravano per niente umani e per di più volevano impormi la loro presenza.
"E' la legge che me lo impone Elisabeth, e dobbiamo ubbidire"
Iniziava a starmi seriamente antipatica.
"Spiegate, per favore" dissi pizzicandomi con l'indice ed il pollice il ponte del naso.
Ero esausta, non chiudevo occhio da due giorni. Da quando mia madre era rimasta vittima di quell'incidente che le era costato la vita.
"Verrai a vivere con noi, abitiamo a Forks, nello stato di Washington. Assieme a noi ci sono altri componenti: Carlisle ed Esme -i nostri genitori- ed i miei due fratelli Edward ed Emmett" spiegò con fare materno, doveva essersi accorta della mia stanchezza ed arrendevolezza.
"Io... non so cosa dire" disse. Ed era vero, ogni ragionamento razionale sembrava esser scivolato via assieme alle lacrime.
"Basta un semplice 'sì'" disse lei e mi porse un foglio.
Non lessi nemmeno e firmai, per quel che mi interessava potevano spedirmi ovunque. Non avevo più una vita, il dolore l'aveva risucchiata.
Dissi addio alla mia libertà.
"Bene, ora se non ti dispiace dovremmo andare a casa tua. Domani partiamo" disse lei soddisfatta.
"Ok" dissi e mi diressi fuori dalla sala. Mi dispiaceva, eccome. |
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Capitolo 2 *** Lost ***
La strada scorreva silenziosa sotto ai miei occhi. Sembrava che la macchina viaggiasse sul velluto.
Eravamo atterrati da poco. All'areoporto eravamo stati accolti da un uomo. Bello, bellissimo. Alto, dalla carnagione pallida, uno sguardo tranquillo ed una voce calda. Era lui il padre dei miei due guardiani. Carlisle Cullen. Dottore Carlisle Cullen, mi corressi. Non riuscivo ancora a credere a come fossi stata così arrendevole nei confronti di quei due estranei. Mi ero lasciata convincere da quei documenti e dal mio cuore. Perchè infondo avevo bisogno di qualcuno che si prendesse cura di me.
Ci fermammo dopo aver percorso un sentiero immerso nella foresta. Guardavo il mondo attorno a me con sguardo vitreo. L'auto si bloccò e Jasper si accostò delicatamente al mio sportello e lo aprì.
Un gesto d'altri tempi diretto a farmi sentire lusingata, ma che non attecchì nel mio animo arido.
Mi sentivo svuotata, persa. E lo ero, mi ero persa per il sentiero della vita. La mia unica guida non c'era più.
Sulla soglia dell'abitazione quattro figure ci aspettavano impazienti.
Carlisle poggiò una mano sulla mia spalla. Da quando eravamo partiti mi ero chiusa in un ostinato mutismo, mentre sull'aereo Alice mi aveva costretto a parlarle delle mie abitudini, delle mie amicizie e di tutto il resto.
Ci avvicinammo alle quattro figure, restai allibita di fronte alla loro bellezza.
"Elisabeth, ti presento il resto della famiglia" iniziò Carlisle "Esme, mia moglie"
Una giovane donna con il viso a cuore e i capelli color caramello mi venne incontro abbracciandomi quasi impercettibilmente. Non era grassa ma aveva delle curve al posto giusto che le davano un'aria materna e dolce.
"Benvenuta Elisabeth" mi sussurrò.
"Grazie" sussurrai. Mi ricordava mia madre, una stretta al cuore e poi mi voltai verso un ragazzo enorme. Aveva dei boccoli neri che ricadevano composti sulla fronte. Era un ammasso di muscoli, metteva timore eppure conferiva un senso di sicurezza che mi fece calmare.
"Lui" continuò Carlisle "è mio figlio Emmett"
Emmett? Che razza di nome.
"Ciao bellezza" mi disse e mi porse la mano destra. Era talmente grande che la mia ci sprofondò dentro. Anche lui era freddo. Rabbrividii a quel contatto.
"Scusa" mi sussurrò.
Si scusava perchè era freddo? Erano totalmente fuori, tutti quanti a partire da quella tappa che mi aveva scaraventata in quel buco nell'oceano.
Un ragazzo rise, una risata gentile. Mi voltai verso la fonte di quel suono e lo vidi. Minuto rispetto ad Emmett, pochi muscoli, alto. Aveva dei capelli rossicci, no non rossicci - color bronzo- che gli incorniciavano il volto delicato.
"Scusami, io sono Edward" disse ed evitò di porgermi la mano. Ne fui felice. "Puoi chiamarlo Em se non ti piace Emmett" aggiunse poi accennando con il capo al fratello.
Rimasi di sasso.
"E come fai a..." iniziai a dire.
"ho visto l'espressione stralunata che hai fatto quando te lo hanno presentato" si giustificò.
"Ehi" intervenne Emmett piccato "ragazzina che ha il mio nome che non va?"
"Nulla, ma Em è più bello. Emmett è da nonno" mi scusai.
Tutti iniziarono a ridere mentre lui mi fece una linguaccia e si voltò dall'altra parte.
"Bene, Elisabeth lei è Bella" Carlisle mi indirizzò verso una ragazza. Bassa, con i capelli e gli occhi color cioccolato. Lei fece un passo avanti, sembrava molto attenta a ciò che faceva e a dove metteva i piedi.
"Ciao" sussurrò timida. Presi la sua mano con la mia. Era piacevolmente calda.
"Bene, ora che abbiamo fatto le presentazioni possiamo andare dentro" disse Carlisle.
Esme si voltò verso di me con una luce negli occhi.
"Ho preparato qualcosa da mangiare, ti piace il pollo?" mi chiese. Sembrava una bambina davanti ad un giocattolo bellissimo.
"Si, mi piace" dissi lasciandomi portare dalle sue braccia. Era forte per essere così minuta.
"Perfetto, e poi ci sono anche delle patate ed ho preparato dei muffin al cioccolato..."
"Grazie signora Cullen" dissi "ma solo il pollo andava già bene. Non doveva prendersi questo fastidio"
Si bloccò. Oddio, cosa avevo detto di male?
"Non chiamarmi signora Cullen, va bene Esme. E per me non è un fastidio. E' bello avere qualcuno di cui prendersi cura"
Con quell'esercito di figli non aveva qualcuno di cui prendersi cura?
Mi portò in sala da pranzo.
"Vuoi rinfrescarti prima o cenare?" mi chiese di nuovo. Troppe attenzioni.
"Cenare, muoio di fame" dissi non badando alle parole. Emmett rise e si sedette accanto a me.
Lo guardai un po', poi mi concentrai sul piatto che mi era stato portato.
"Scusate, ma io devo andare a lavoro. Avrei voluto prendere il giorno libero per darti il benvenuto in altro modo purtroppo in ospedale hanno bisogno di me, ma mi rifarò domani promesso" mi disse Carlisle infilandosi il cappotto.
"Si figuri..."
"Carlisle"
"Figurati Carlisle, grazie per tutto" dissi.
"Anche io andrei, Bella deve ritornare a casa" disse il ragazzo con i capelli rossi.
"Edward" mi ricordò lui. Ma come faceva?
"Sei un libro aperto Elisabeth, arrivederci". Mi sorrise ed uscì seguito dalla sua ragazza che mi salutò con un timido gesto della mano.
"Lei non vive qui?" chiesi rivolta ad Alice. Lei e Jasper erano rimasti immobili e silenziosi per tutto quel tempo.
"No, è la ragazza di Edward. Vive a Forks" spiegò Alice tranquilla "e non sono fuori di testa" aggiunse insolente.
La guardai sbarrando gli occhi. Poi scossi la testa sorridendo.
"Oh si che lo sei" le dissi. Emmett ridacchiò.
"Mpf, va bene... questo è il prezzo da pagare quando si fa del bene" disse lei, ma mi sorrise.
Finii il pollo e le patate, mangiai mezzo muffin anche se Esme mi aveva offerto un vassoio che ne conteneva circa 30.
"Io ho finito" dissi e mi alzai per mettere i piatti nel lavandino.
"No" fece lei bloccandomi "faccio io, tu non devi fare nulla. Intesi?"
"Intesi" sussurrai risedendomi.
"Alice..." sussurrò Jasper in maniera quasi impercettibile.
"Oh, sì" disse lei, come se si fosse appena ricordata di una cosa molto importante.
"Noi usciamo, Esme vieni con noi?" chiese.
"Io non saprei..." iniziò a dire quella titubante.
"Tranquilla ci sono io con lei, andate. Ti mostro la casa?" mi chiese Emmett.
"Ok" dissi. Mi faceva uno strano effetto guardarlo negli occhi. Sentìì la sua mano cingermi un fianco, ma stavolta preparata al contatto non rabbrividii.
"Andiamo a fare una passeggiata" disse Alice "comportatevi bene" ci ammonì.
"Torneremo tra qualche ora" mi rassicurò Esme. Io annuì.
Uscirono lasciandomi da sola con Emmett.
Erano tutti fuori mi dissi, poi mi voltai verso il unico interlocutore.
"Andiamo, Em?" gli chiesi.
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Capitolo 3 *** Yellow ***
"Ma
non ti piace proprio Emmett?" mi chiese.
Sorrisi.
"Mi
dispiace, a me i diminutivi non piacciono, ma Emmett proprio non mi va
giù come nome" dissi con un'alzata di spalle.
"No
figurati, Elisabeth" disse salendo le scale, poi si bloccò
di colpo e si voltò verso di me con il risultato che andai a
sbattere contro di lui dato che avevo lo sguardo fisso a terra "ma...
se ti chiamassi Lily? E' troppo lungo Elisabeth" propose.
"Cos'è
una battaglia di diminutivi?" chiesi. Mi sentivo un po' nervosa dato
che ero da sola con uno sconosciuto, ma volevo dare una parvenza di
tranquillità, nonostante tutto.
"Bè
io ti chiamo Lily" disse risoluto.
"No,
perchè poi inizierebbero ad usarlo tutti..." dissi decisa.
Non odiavo davvero i diminutivi, ma mia madre mi chiamava Lily ed avevo
deciso che sarebbe rimasta una sua prerogativa.
"Allora
lo userò solo io. Sarai Lily, solo per me. La mia Lily" mi
disse. Un magnifico sorriso gli illuminò il volto sino ad
arrivare agli occhi. Color caramello, sembravano contenere oro liquido.
Assomigliava ad un bambino. Sentii una dolce morsa attanagliarmi lo
stomaco, dovuta sia alla visione di quel sorriso sia al ricordo di mia
madre ancora fresco nella memoria. La mia Lily, quante volte mi aveva
chiamato così. Mi si inumidirono gli occhi ed abbassai il
volto cercando di nascondere il mio dolore.
Lui
sembrò accorgersene.
"Ho
detto qualcosa che non..." chiese preoccupato.
Portai
una mano avanti, la poggiai sul suo petto. Ghiaccio. Ecco cosa sentii.
"Sono
un po' stanca" mi giustificai.
Mi
fissò con uno sguardo quasi paterno, come se avesse
più di diciotto o diciannove anni, poi prese la mia mano,
posata sul suo petto e me la pose sul ventre.
"Ti
accompagno in camera tua, il giro turistico può aspettare,
va bene?" chiese.
Annuì
esausta.
Troppi
avvenimenti. La mia vita era cambiata in un batter d'occhio.
Non
riuscivo neanche a distinguere il mobilio, era tutto uguale per me.
Arrivammo in una stanza da letto, ma non ricordavo nemmeno come ci
fossimo giunti.
"Buonanotte
Lily" mi disse.
"Elisabeth"
lo corressi, ma caddi sul letto e mi addormentai all'istante, cullata
dal suono della risata di Emmett.
Volevo
proprio dormire, perdermi nei miei sogni - o incubi -
Un
raggio di sole mi colpì in pieno volto. Solitario, era
riuscito caparbiamente ad entrare dalle delicate tendine lilla
socchiuse. Mi portai istintivamente una mano sugli occhi e mi voltai
ritrovandomi a pancia in giù. Mi riaddormentai svegliandomi
poco dopo. Notai una radiosveglia di fronte a me, su di uno scaffale.
Le 10.30. Realizzai di non trovarmi a casa mia e così gli
avvenimenti delle giornate precedenti capitombolarono nella mia mente,
veloci. Mi agitai e caddi dal letto con un tonfo sordo.
Era
un letto singolo ed io ero abituata a dormire in uno matrimoniale.
La
porta si aprì silenziosamente e notai Alice, che mi fissava
dubbiosa.
"Qualcosa
non va?" chiese. Mi tolsi un lembro di lenzuolo dalla fronte e la
fissai. Dovevo sembrare molto buffa perchè le
scappò un sorriso.
"Letto
singolo, ci farò l'abitudine" dissi scrollando le spalle.
Sopraggiunse anche Emmett che iniziò a sghignazzare.
Lo
fissai e poi mi alzai barcollando.
"Sto
bene, sul serio" dissi guardandoli dritti negli occhi.
"Em,
vai a prendere la colazione di Elisabeth giù?" chiese Alice.
Quello annuì e dopo avermi fatto una linguaccia
sparì.
Alice
mi sorrise e poi si sedette sul letto, arrivandoci con una grazia
devastante.
"Dormito
bene?" chiese lisciando le coperte con il palmo della mano destra.
"Benissimo"
dissi affiancandola sul letto.
"Ne
sono felice" disse. Fummo interrotte dalla prepotente figura di Emmett
che entrò in camera come un fulmine.
"Potresti
almeno controllarti" lo rimproverò Alice. Io non avevo la
più pallida idea di che cosa stessero parlando.
"Na!"
disse lui scuotendo il capo "tra un po' saprà tutto" e mi
scompigliò i capelli, già arruffati, con la mano.
Nell'altra
notai un vassoio strabordante di croissants fumanti. Il loro odore mi
mandò in estasi.
Emmett
me ne porse uno, dopo averlo preso con un tovagliolino.
"Scommetto
che il tuo preferito è al cioccolato" mi disse abbagliandomi
di nuovo con il suo sorriso da bambino.
"Indovinato
Em" disse e lo presi.
"Me
lo ricorderò" disse Alice "Ora io vado giù, devo
preparare alcune cose..." e sparì.
"Posso
rimanere con te?" mi chiese Emmett "finchè non finisci di
fare colazione"
Non
resistetti ed annuì.
"Come
mai?" chiesi curiosa.
"Semplice,
giù Alice è in fibrillazione perchè
stasera daremo una piccola festa per il tuo arrivo, inter nos"
puntualizzò dopo aver notato la mia faccia inorridita al
termine festa. Non ero una tipa da feste.
"Capisco"
dissi mordendo il cornetto.
"Edward
è da Bella, Carlisle a lavoro, Esme a fare compere per
stasera e Jasper... "
"Jasper?"
chiesi.
"Fuori,
gli piace la natura sai..."
"Ah
wow... quindi sono un rimpiazzo. Ok" dissi
"No,
non volevo dire questo" disse lui quasi innervosendosi.
"Fa
nulla Em, ma ora vorrei fare una doccia. Che vuoi fare, reggere il
sapone?" chiesi ridendo.
La
mia prima battuta dal funerale, al solo ricordo mi rabbuiai nuovamente.
"Sei
bella, ancora di più quando ridi" mi disse, ma poi si
accorse di aver detto troppo e si alzò immediatamente.
Uscì
lasciandomi da sola con il mio rossore sulle gote.
{Ragà, grazie per il suggerimento! Effettivamente
così è molto più chiaro... continuate
a recensire!}
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