A New Cullen

di Louve Vanessa Wolfe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We cry ***
Capitolo 2: *** Lost ***
Capitolo 3: *** Yellow ***
Capitolo 4: *** Read my mind ***
Capitolo 5: *** Delivery ***
Capitolo 6: *** Glycerine ***
Capitolo 7: *** High school never ends ***
Capitolo 8: *** Paparazzi ***
Capitolo 9: *** What a wonderful world ***
Capitolo 10: *** Heaven ***
Capitolo 11: *** Dance Dance ***
Capitolo 12: *** Mad about you ***
Capitolo 13: *** Fields of gold ***
Capitolo 14: *** Over my Head ***
Capitolo 15: *** Why does it always rain on me? / When a love falls ***
Capitolo 16: *** This is the life ***
Capitolo 17: *** Life in technicolor ***



Capitolo 1
*** We cry ***


Pioveva. Piangeva anche il cielo. Almeno non ero l'unica, pensai. La bara di mia madre veniva calata lentamente nella terra umida. Attorno molte figure indistinte, di gente vestita di nero, sembravano partecipare ad una triste scena da telefilm. Chi piangeva sul serio, chi faceva finta, chi nemmeno ci provava. Mia madre, l'unica persona che aveva contato davvero nella mia vita, era morta. Come si faceva a continuare a vivere se, a soli 17 anni, veniva a mancare il sostegno di una figura materna? Il sacerdote, con un cenno, mi chiese se volessi fare un breve discorso in onore della donna che aveva riempito la mia vita. Feci cenno di no con la testa ed abbassai lo sguardo. Parole. Sarebbero state solo parole buttate al vento, che sarebbero scivolate sulla pelle di quella gente come la pioggia. Notai una ragazza, bassina, i capelli erano corti. Un caschetto sbarazzino. Aveva una bellezza estasiante anche se un po' troppo perfetta per sembrare vera. Accanto a lei un giovane uomo, di 20 anni o forse meno, capelli biondi. Si assomigliavano per pochi elementi: il pallore della loro carnagione, delle evidenti occhiaie violacee e la bellezza. Distolsi lo sguardo. Sentivo una strana tranquillità mescolarsi al dolore. La breve cerimonia terminò. Dopo aver salutato i presenti, con dei brevi cenni e dei 'grazie' sussurrati mi incamminai verso l'Audi. "Elisabeth" mi sentì chiamare. "Sì?" chiese tentando di non mostrare il mio fastidio. Volevo rimanere da sola, era troppo chiedere di vivere il mio dolore in completa solitudine? "Piacere, sono Alice Marie Brandon Cullen Hale". La ragazza sulla quale prima si erano fermate le mie riflessioni mi porse educatamente la mano. E chi sei la regina d'Inghiletrra?, pensai. Risposi solamente: "Elisabeth Brandon, piacere di conoscerla" e le afferrai leggermente la mano. Era ghiacciata, sembrava pietra. Staccai immediatamente la mia. Lei se ne accorse ma non ne fece parola. "Jasper Hale" disse il ragazzo, ma non mi porse la mano. Aveva un'aria allarmata, come se tentasse di non pensare a qualcosa. "Vorrei parlarti" esordì la ragazza. "Può farlo anche qui" disse mantenendo le distanze. "Preferirei in un luogo asciutto" disse. "Ti faremo strada con la nostra macchina, pernottiamo in un hotel a pochi kilometri da qui" disse lui in tono cortese. "Esattamente di cosa dovremmo parlare?" chiesi. Non volevo di certo spettegolare davanti a thè e pasticcini, non ero in vena. "Del tuo futuro piccola" disse lei. Piccola? Piccola? Ma se lei poteva avere la mia età. Scossi la testa. "Non ce ne andremo finchè non riusciremo a spiegarti la situazione" disse lei, come intuendo i miei pensieri. "Perfetto" dissi in tono sarcastico "vi seguo" e salì sull'auto non degnandoli di uno sguardo. Li seguì per la strada. La pioggia mi permetteva poco di vedere, mentre la ragazzina ed il suo compagno guidavano senza problemi. Perchè avevo deciso di seguirli? Insomma cosa ne sapevano loro del mio futuro? In quel momento sarei dovuta essere a casa mia, a piangere e a cercare di rimettere in piedi la mia vita. Invece, sempre vittima della mia maledetta curiosità avevo deciso di seguirli. L'auto si bloccò dinanzi ad un hotel bellissimo. Un edificio in stile vittoriano, era gigantesco. Si avventurarono verso il parcheggio ed io li imitai, tentando nel frattempo di ricacciare le grosse lacrime che mi rigavano il volto. Parcheggia senza difficoltà ed uscì. Mi resi conto solo allora di non avere l'ombrello, sicuramente era a casa vicino all'entrata. Jasper mi fece cenno di utilizzare il suo. Accettai solo per non risultare sgarbata. Entrammo e quando fummo dentro, all'asciutto, Alice mi precedette dirigendosi verso una sala da thè molto graziosa. L'aria era riempita dalle note di un paio di violini, l'arredamento era nei toni del panna e su ogni tavolo un mazzo di rose rosse nella sua semplice eleganza faceva da centro tavola. "Prendi qualcosa?" mi chiese lei quando ci fummo seduti. "No, grazie" risposi. "Bene, come ti ho detto vorrei parlare del tuo futuro" iniziò. Il ragazzo mi fissava come se cercasse di leggere le mie emozioni. Mi sentìi leggermente infastidita, ma mi rimproverai di essere sempre così sospettosa. "Sì" fu l'unica risposta sensata che riuscì a dare. "Devi sapere che io sono una tua lontana zia". "Cosa? Davvero? Non ti ho mai vista" dissi io rimanendo leggermente scioccata dalla recente notizia. Mia zia? Era sicuramente una mia coetanea, feci velocemente una rivisitazione mentale del mio albero genealogico a partire da mia nonna. "Sì, non sono mai stata in questa zona" disse lei frugando in una borsa. Mi porse dei documenti. "Questi qui dovrebbero parlare chiaramente". Lessi la prova inconfutabile della nostra parentela. "E con questo?" chiesi restituendole i documenti. "Con questo siccome sei ancora minorenne, ed essendo la tua unica parente in vita, sono io a dovermi occupare di te" spiegò lei guardandomi soddisfatta. "Aspetta, mia madre non aveva fratelli, tanto meno sorelle" "Infatti sono una tua lontana parente" disse lei spazientita. "Perfetto, ma credo di riuscire a cavarmela da sola" dissi tentando di alzarmi. Il ragazzo mi pose delicatamente una mano sul braccio, io lo alzai, impaurita da quel contatto freddo che era riuscito a penetrare nonostante il cappotto. "Ascolta, per favore" mi disse in tono calmo. Mi risedetti guardandoli impaurita. Cosa volevano? Erano piombati da un momento all'altro nella mia vita, non sembravano per niente umani e per di più volevano impormi la loro presenza. "E' la legge che me lo impone Elisabeth, e dobbiamo ubbidire" Iniziava a starmi seriamente antipatica. "Spiegate, per favore" dissi pizzicandomi con l'indice ed il pollice il ponte del naso. Ero esausta, non chiudevo occhio da due giorni. Da quando mia madre era rimasta vittima di quell'incidente che le era costato la vita. "Verrai a vivere con noi, abitiamo a Forks, nello stato di Washington. Assieme a noi ci sono altri componenti: Carlisle ed Esme -i nostri genitori- ed i miei due fratelli Edward ed Emmett" spiegò con fare materno, doveva essersi accorta della mia stanchezza ed arrendevolezza. "Io... non so cosa dire" disse. Ed era vero, ogni ragionamento razionale sembrava esser scivolato via assieme alle lacrime. "Basta un semplice 'sì'" disse lei e mi porse un foglio. Non lessi nemmeno e firmai, per quel che mi interessava potevano spedirmi ovunque. Non avevo più una vita, il dolore l'aveva risucchiata. Dissi addio alla mia libertà. "Bene, ora se non ti dispiace dovremmo andare a casa tua. Domani partiamo" disse lei soddisfatta. "Ok" dissi e mi diressi fuori dalla sala. Mi dispiaceva, eccome.

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Capitolo 2
*** Lost ***


La strada scorreva silenziosa sotto ai miei occhi. Sembrava che la macchina viaggiasse sul velluto. Eravamo atterrati da poco. All'areoporto eravamo stati accolti da un uomo. Bello, bellissimo. Alto, dalla carnagione pallida, uno sguardo tranquillo ed una voce calda. Era lui il padre dei miei due guardiani. Carlisle Cullen. Dottore Carlisle Cullen, mi corressi. Non riuscivo ancora a credere a come fossi stata così arrendevole nei confronti di quei due estranei. Mi ero lasciata convincere da quei documenti e dal mio cuore. Perchè infondo avevo bisogno di qualcuno che si prendesse cura di me. Ci fermammo dopo aver percorso un sentiero immerso nella foresta. Guardavo il mondo attorno a me con sguardo vitreo. L'auto si bloccò e Jasper si accostò delicatamente al mio sportello e lo aprì. Un gesto d'altri tempi diretto a farmi sentire lusingata, ma che non attecchì nel mio animo arido. Mi sentivo svuotata, persa. E lo ero, mi ero persa per il sentiero della vita. La mia unica guida non c'era più. Sulla soglia dell'abitazione quattro figure ci aspettavano impazienti. Carlisle poggiò una mano sulla mia spalla. Da quando eravamo partiti mi ero chiusa in un ostinato mutismo, mentre sull'aereo Alice mi aveva costretto a parlarle delle mie abitudini, delle mie amicizie e di tutto il resto. Ci avvicinammo alle quattro figure, restai allibita di fronte alla loro bellezza. "Elisabeth, ti presento il resto della famiglia" iniziò Carlisle "Esme, mia moglie" Una giovane donna con il viso a cuore e i capelli color caramello mi venne incontro abbracciandomi quasi impercettibilmente. Non era grassa ma aveva delle curve al posto giusto che le davano un'aria materna e dolce. "Benvenuta Elisabeth" mi sussurrò. "Grazie" sussurrai. Mi ricordava mia madre, una stretta al cuore e poi mi voltai verso un ragazzo enorme. Aveva dei boccoli neri che ricadevano composti sulla fronte. Era un ammasso di muscoli, metteva timore eppure conferiva un senso di sicurezza che mi fece calmare. "Lui" continuò Carlisle "è mio figlio Emmett" Emmett? Che razza di nome. "Ciao bellezza" mi disse e mi porse la mano destra. Era talmente grande che la mia ci sprofondò dentro. Anche lui era freddo. Rabbrividii a quel contatto. "Scusa" mi sussurrò. Si scusava perchè era freddo? Erano totalmente fuori, tutti quanti a partire da quella tappa che mi aveva scaraventata in quel buco nell'oceano. Un ragazzo rise, una risata gentile. Mi voltai verso la fonte di quel suono e lo vidi. Minuto rispetto ad Emmett, pochi muscoli, alto. Aveva dei capelli rossicci, no non rossicci - color bronzo- che gli incorniciavano il volto delicato. "Scusami, io sono Edward" disse ed evitò di porgermi la mano. Ne fui felice. "Puoi chiamarlo Em se non ti piace Emmett" aggiunse poi accennando con il capo al fratello. Rimasi di sasso. "E come fai a..." iniziai a dire. "ho visto l'espressione stralunata che hai fatto quando te lo hanno presentato" si giustificò. "Ehi" intervenne Emmett piccato "ragazzina che ha il mio nome che non va?" "Nulla, ma Em è più bello. Emmett è da nonno" mi scusai. Tutti iniziarono a ridere mentre lui mi fece una linguaccia e si voltò dall'altra parte. "Bene, Elisabeth lei è Bella" Carlisle mi indirizzò verso una ragazza. Bassa, con i capelli e gli occhi color cioccolato. Lei fece un passo avanti, sembrava molto attenta a ciò che faceva e a dove metteva i piedi. "Ciao" sussurrò timida. Presi la sua mano con la mia. Era piacevolmente calda. "Bene, ora che abbiamo fatto le presentazioni possiamo andare dentro" disse Carlisle. Esme si voltò verso di me con una luce negli occhi. "Ho preparato qualcosa da mangiare, ti piace il pollo?" mi chiese. Sembrava una bambina davanti ad un giocattolo bellissimo. "Si, mi piace" dissi lasciandomi portare dalle sue braccia. Era forte per essere così minuta. "Perfetto, e poi ci sono anche delle patate ed ho preparato dei muffin al cioccolato..." "Grazie signora Cullen" dissi "ma solo il pollo andava già bene. Non doveva prendersi questo fastidio" Si bloccò. Oddio, cosa avevo detto di male? "Non chiamarmi signora Cullen, va bene Esme. E per me non è un fastidio. E' bello avere qualcuno di cui prendersi cura" Con quell'esercito di figli non aveva qualcuno di cui prendersi cura? Mi portò in sala da pranzo. "Vuoi rinfrescarti prima o cenare?" mi chiese di nuovo. Troppe attenzioni. "Cenare, muoio di fame" dissi non badando alle parole. Emmett rise e si sedette accanto a me. Lo guardai un po', poi mi concentrai sul piatto che mi era stato portato. "Scusate, ma io devo andare a lavoro. Avrei voluto prendere il giorno libero per darti il benvenuto in altro modo purtroppo in ospedale hanno bisogno di me, ma mi rifarò domani promesso" mi disse Carlisle infilandosi il cappotto. "Si figuri..." "Carlisle" "Figurati Carlisle, grazie per tutto" dissi. "Anche io andrei, Bella deve ritornare a casa" disse il ragazzo con i capelli rossi. "Edward" mi ricordò lui. Ma come faceva? "Sei un libro aperto Elisabeth, arrivederci". Mi sorrise ed uscì seguito dalla sua ragazza che mi salutò con un timido gesto della mano. "Lei non vive qui?" chiesi rivolta ad Alice. Lei e Jasper erano rimasti immobili e silenziosi per tutto quel tempo. "No, è la ragazza di Edward. Vive a Forks" spiegò Alice tranquilla "e non sono fuori di testa" aggiunse insolente. La guardai sbarrando gli occhi. Poi scossi la testa sorridendo. "Oh si che lo sei" le dissi. Emmett ridacchiò. "Mpf, va bene... questo è il prezzo da pagare quando si fa del bene" disse lei, ma mi sorrise. Finii il pollo e le patate, mangiai mezzo muffin anche se Esme mi aveva offerto un vassoio che ne conteneva circa 30. "Io ho finito" dissi e mi alzai per mettere i piatti nel lavandino. "No" fece lei bloccandomi "faccio io, tu non devi fare nulla. Intesi?" "Intesi" sussurrai risedendomi. "Alice..." sussurrò Jasper in maniera quasi impercettibile. "Oh, sì" disse lei, come se si fosse appena ricordata di una cosa molto importante. "Noi usciamo, Esme vieni con noi?" chiese. "Io non saprei..." iniziò a dire quella titubante. "Tranquilla ci sono io con lei, andate. Ti mostro la casa?" mi chiese Emmett. "Ok" dissi. Mi faceva uno strano effetto guardarlo negli occhi. Sentìì la sua mano cingermi un fianco, ma stavolta preparata al contatto non rabbrividii. "Andiamo a fare una passeggiata" disse Alice "comportatevi bene" ci ammonì. "Torneremo tra qualche ora" mi rassicurò Esme. Io annuì. Uscirono lasciandomi da sola con Emmett. Erano tutti fuori mi dissi, poi mi voltai verso il unico interlocutore. "Andiamo, Em?" gli chiesi.

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Capitolo 3
*** Yellow ***




"Ma non ti piace proprio Emmett?" mi chiese.
Sorrisi.
"Mi dispiace, a me i diminutivi non piacciono, ma Emmett proprio non mi va giù come nome" dissi con un'alzata di spalle.
"No figurati, Elisabeth" disse salendo le scale, poi si bloccò di colpo e si voltò verso di me con il risultato che andai a sbattere contro di lui dato che avevo lo sguardo fisso a terra "ma... se ti chiamassi Lily? E' troppo lungo Elisabeth" propose.
"Cos'è una battaglia di diminutivi?" chiesi. Mi sentivo un po' nervosa dato che ero da sola con uno sconosciuto, ma volevo dare una parvenza di tranquillità, nonostante tutto.
"Bè io ti chiamo Lily" disse risoluto.
"No, perchè poi inizierebbero ad usarlo tutti..." dissi decisa. Non odiavo davvero i diminutivi, ma mia madre mi chiamava Lily ed avevo deciso che sarebbe rimasta una sua prerogativa.
"Allora lo userò solo io. Sarai Lily, solo per me. La mia Lily" mi disse. Un magnifico sorriso gli illuminò il volto sino ad arrivare agli occhi. Color caramello, sembravano contenere oro liquido. Assomigliava ad un bambino. Sentii una dolce morsa attanagliarmi lo stomaco, dovuta sia alla visione di quel sorriso sia al ricordo di mia madre ancora fresco nella memoria. La mia Lily, quante volte mi aveva chiamato così. Mi si inumidirono gli occhi ed abbassai il volto cercando di nascondere il mio dolore.
Lui sembrò accorgersene.
"Ho detto qualcosa che non..." chiese preoccupato.
Portai una mano avanti, la poggiai sul suo petto. Ghiaccio. Ecco cosa sentii.
"Sono un po' stanca" mi giustificai.
Mi fissò con uno sguardo quasi paterno, come se avesse più di diciotto o diciannove anni, poi prese la mia mano, posata sul suo petto e me la pose sul ventre.
"Ti accompagno in camera tua, il giro turistico può aspettare, va bene?" chiese.
Annuì esausta.
Troppi avvenimenti. La mia vita era cambiata in un batter d'occhio.
Non riuscivo neanche a distinguere il mobilio, era tutto uguale per me. Arrivammo in una stanza da letto, ma non ricordavo nemmeno come ci fossimo giunti.
"Buonanotte Lily" mi disse.
"Elisabeth" lo corressi, ma caddi sul letto e mi addormentai all'istante, cullata dal suono della risata di Emmett.
Volevo proprio dormire, perdermi nei miei sogni - o incubi -
Un raggio di sole mi colpì in pieno volto. Solitario, era riuscito caparbiamente ad entrare dalle delicate tendine lilla socchiuse. Mi portai istintivamente una mano sugli occhi e mi voltai ritrovandomi a pancia in giù. Mi riaddormentai svegliandomi poco dopo. Notai una radiosveglia di fronte a me, su di uno scaffale. Le 10.30. Realizzai di non trovarmi a casa mia e così gli avvenimenti delle giornate precedenti capitombolarono nella mia mente, veloci. Mi agitai e caddi dal letto con un tonfo sordo.
Era un letto singolo ed io ero abituata a dormire in uno matrimoniale.
La porta si aprì silenziosamente e notai Alice, che mi fissava dubbiosa.
"Qualcosa non va?" chiese. Mi tolsi un lembro di lenzuolo dalla fronte e la fissai. Dovevo sembrare molto buffa perchè le scappò un sorriso.
"Letto singolo, ci farò l'abitudine" dissi scrollando le spalle. Sopraggiunse anche Emmett che iniziò a sghignazzare.
Lo fissai e poi mi alzai barcollando.
"Sto bene, sul serio" dissi guardandoli dritti negli occhi.
"Em, vai a prendere la colazione di Elisabeth giù?" chiese Alice. Quello annuì e dopo avermi fatto una linguaccia sparì.
Alice mi sorrise e poi si sedette sul letto, arrivandoci con una grazia devastante.
"Dormito bene?" chiese lisciando le coperte con il palmo della mano destra.
"Benissimo" dissi affiancandola sul letto.
"Ne sono felice" disse. Fummo interrotte dalla prepotente figura di Emmett che entrò in camera come un fulmine.
"Potresti almeno controllarti" lo rimproverò Alice. Io non avevo la più pallida idea di che cosa stessero parlando.
"Na!" disse lui scuotendo il capo "tra un po' saprà tutto" e mi scompigliò i capelli, già arruffati, con la mano.
Nell'altra notai un vassoio strabordante di croissants fumanti. Il loro odore mi mandò in estasi.
Emmett me ne porse uno, dopo averlo preso con un tovagliolino.
"Scommetto che il tuo preferito è al cioccolato" mi disse abbagliandomi di nuovo con il suo sorriso da bambino.
"Indovinato Em" disse e lo presi.
"Me lo ricorderò" disse Alice "Ora io vado giù, devo preparare alcune cose..." e sparì.
"Posso rimanere con te?" mi chiese Emmett "finchè non finisci di fare colazione"
Non resistetti ed annuì.
"Come mai?" chiesi curiosa.
"Semplice, giù Alice è in fibrillazione perchè stasera daremo una piccola festa per il tuo arrivo, inter nos" puntualizzò dopo aver notato la mia faccia inorridita al termine festa. Non ero una tipa da feste.
"Capisco" dissi mordendo il cornetto.
"Edward è da Bella, Carlisle a lavoro, Esme a fare compere per stasera e Jasper... "
"Jasper?" chiesi.
"Fuori, gli piace la natura sai..."
"Ah wow... quindi sono un rimpiazzo. Ok" dissi
"No, non volevo dire questo" disse lui quasi innervosendosi.
"Fa nulla Em, ma ora vorrei fare una doccia. Che vuoi fare, reggere il sapone?" chiesi ridendo.
La mia prima battuta dal funerale, al solo ricordo mi rabbuiai nuovamente.
"Sei bella, ancora di più quando ridi" mi disse, ma poi si accorse di aver detto troppo e si alzò immediatamente.
Uscì lasciandomi da sola con il mio rossore sulle gote.

{Ragà, grazie per il suggerimento! Effettivamente così è molto più chiaro... continuate a recensire!}


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Capitolo 4
*** Read my mind ***


Quel giorno, sarei dovuta andare assieme ad Edward ed Alice a Forks. Dovevo iscrivermi a scuola, cosa che non potevo evitare, anche se la sola idea di tornare a contatto con adolescenti gioviali mi faceva orrore. Avevo trascorso delle belle giornate, sì, ma il ricordo di mia madre non poteva essere sicuramente cancellato da qualche festicciola o risata tra coetanei.
"Ti troverai bene, ci saremo noi con te" disse Edward sussurrando.
Mi voltai di scatto, non lo avevo sentito entrare in auto.
"Scusa, non era mia intenzione spaventarti" disse subito mettendo a moto.
"No, figurati" mi guardai intorno, notando l'assenza di Alice.
"Non verrà, ha avuto un contrattempo con Jasper" rispose lui, sembrava nervoso o confuso. Era difficile decifrare le emozioni sul suo volto, tanto meno capire cosa gli passava per la mente cosa che a lui, a quanto pareva, riusciva bene.
Iniziò a piovere, Edward sterzò e percorse il fangoso sentiero che ci avrebbe portato sulla strada per la minuscola cittadina.
Non feci altre domande, di certo il tono di voce di Edward non incoraggiava alla conversazione.
"Mi piace parlare, invece" mi disse con un sorriso. Sembrava non prestare molta attenzione alla guida, procedevamo a velocità sostenuta eppure l'auto manteneva un assetto perfetto sul cemento bagnato.
"Dì un po' Edward... leggi nel pensiero?" chiesi scherzando. Mi voltai verso di lui, per studiarne l'espressione. C'era qualcosa in lui, in tutti i Cullen ad esser sincera, che mi incuteva timore eppure i loro volti, i loro modi gentili e le loro parole mostravano tutt'altro.
Il volto si contrasse prima in una smorfia confusa, poi si rilassò leggermente. Tirò un sospiro e poi parlò.
"Cosa te lo fa credere?" chiese. Le labbra sottili eppur carnose si curvarono in un sorriso.
"Bè, rispondi alle mie domande..." dissi con ovvietà.
"Non dovrei farlo?" chiese lui, voleva prendermi in giro.
"Rispondi a domande che pongo a me stessa, nella mia mente, questo non dovresti farlo" lo incastrai.
"Quindi?" chiese lui fingendosi confuso.
"Quindi o sei un esperto della mente femminile, cosa che molti uomini ti invidierebbero, oppure leggi nel pensiero" spiegai.
"Per quale delle due possibilità propendi?" chiese, serio questa volta.
"Per la prima, la seconda è troppo surreale. Che razza di domande!"sbottai.
Si rilassò leggermente e poi svoltò a destra.
"Arrivati" disse piano. La scuola pullulava di ragazzi e ragazze che compilavano moduli d'iscrizione in vista dell'anno nuovo che sarebbe iniziato dopo una settimana.
Scesi dall'auto dopo che Edward mi ebbe aperto la portiera. Ci dirigemmo a passi svelti verso un piccolo prefabbricato, evidentemente la segreteria. Ringrazia il cielo per avermi donato Edward altrimenti, da sola, mi sarei già persa.
"Prego" mi disse.
"Vedi?" mi bloccai "Leggi nella mente" dissi sorpresa. Lui sorrise e mi aprì la porta.
"Prego" mi sussurrò, facendomi cenno di entrare.
"Grazie" gli sussurraì in risposta "Buongiorno!" dissi entrando nella saletta umida e calda.
"Buongiorno" disse Edward. Il suo tono di voce era all'improvviso diverso, mieloso. Non mi piaceva.
"Buongiorno cari, come posso aiutarvi?" chiese una donna. Anche se era seduta, si notava benissimo che era bassa e tarchiata.
I crespi capelli rossi, poco curati, erano raccolti in uno pseudo-chignon. Un insulso maglioncino di cotone e dio solo sa quale materiale acrilico le copriva il busto, mettendo in risalto i rotolini di grasso. Aveva un paio di occhiali da vista posati sul naso, cosa che le dava un'aria sciatta ed antipatica.
Edward si voltò e mi sorrise.
Alzai le spalle.
"Dovrei aiutare la signorina ad iscriversi" disse Edward, il suo tono era dolce e, allo stesso tempo, tagliente.
"Come scusi?" chiese quella imbambolata.
"Dovrei iscrivermi all'ultimo anno" dissi frettolosamente, molto probabilmente se Edward avesse aperto nuovamente bocca sarebbe morta stecchita, e addio iscrizione.
"Ah, si, bè. Non è possibile"
"Come scusi?" chiedemmo io ed Edward all'unisono.
"L'ultimo anno è al completo" disse lei "mi dispiace sul serio" continuò. Si rivolgeva esclusivamente ad Edward, la cosa mi irritò non poco, infondo ero io a necessitare di quella stupida iscrizione.
"Tutte le classi sono al completo, mi dispiace" si scusò.
"Ma..." tentai di protestare, ma Edward mi posò una mano sullo stomaco.
"Dice la verità" disse con aria truce.
"Puoi sempre iscriverti alla scuola che è nella riserva" disse la donna con una luce negli occhi. Evidentemente era contenta di aver trovato la soluzione.
"Quale riserva?" chiesi.
"Quella dei Quileute, a La Push" spiegò lei.
Edward si irrigidì come se fosse fosse fatto di marmo.
Lo guardai e lui mi restituì lo sguardo.

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Capitolo 5
*** Delivery ***


L'auto viaggiava a velocità sostenuta sull'asfalto irregolare. Edward, chiuso in un mutismo a mio parere a dir poco esagerato, fissava la strada anche se non sembrava concentrato sulla guida.
"Non esagero" disse con voce dura, non muovendosi - tuttavia - di un solo centimetro.
"Come fai?" chiesi con voce tremante. Ero impaurita ma incuriosita allo stesso tempo.
"Cosa?" chiese sempre serio.
"A sapere quello che penso" sbottai arrabbiata "tu sai quello che penso, sempre".
Non ero convinta nemmeno io delle mie parole, eppure ero in un vicolo cieco. Non riuscivo a capire come facesse e, anche se mi sforzavo molto, non mi cimentavo in spiegazioni troppo articolate o surreali.
"Non so quello che pensi. Scendi" disse. Frenò di colpo. Eravamo a casa Cullen.
Tolsi immediatamente la cintura e saltai giù dall'auto sbattendo la pesante portiera argentata.
Bussai con forza. Aprì Esme che, come se fosse già a conoscenza di tutto, mi disse:
"Troveremo una soluzione, tranquilla".
Mi sedetti sul divano senza togliere il giacchino ed incrociando le braccia.
Emmett mi passò un braccio attorno alle spalle, cosa che mi fece sobbalzare.
"Lo sappiamo che Edward ha un caratteraccio, tranquilla. Non è colpa tua!" disse ridendo. Si concentrò sulla partita di rugby.
Edward entrò in casa, tranquillo. Mi si avvicinò e si sedette accanto a me, dopo aver lanciato un'occhiata di fuoco al fratello.
"Mi dispiace, non volevo essere sgarbato. Mi perdoni?" mi chiese. Aveva uno sguardo che avrebbe sciolto metà Alaska. Mi feci forza e mi voltai verso Esme.
"Come facevi a sapere..." inizia a chiedere.
"Lo avevamo intuito" disse Alice facendo la sua entrata teatrale, seguita come sempre da Jasper.
La guardai, torva. In quella casa intuivano tutto? I miei pensieri, i miei stati d'animo, gli eventi.
"Non essere arrabbiata, ti prego" disse Esme. Sembrava sul punto di piangere.
"Non sono arrabbiata" dissi cambiando espressione. Ero solo nervosa, triste, sconsolata.
"Lo sei solo con Edward, e fai bene" disse Emmett.
Edward ringhiò. Sobbalzai. Era un suono gutturale, animalesco, orripilante, agghiacciante. Non
riuscivo a trovare altri aggettivi.
Emmett ringhiò di rimando, a quel punto mi alzai terrorizzata dal divano.
Esme mi accolse tra le sue braccia, impedendomi di cadere -seduta- sul pavimento.
"Che.. cosa..." chiesi tremante.
"Shh, tranquillizzati" mi disse Esme, come a cullarmi.
"Smettetela tutti e due" disse Alice imperiosa. Jasper aveva assunto una posizione disumana, sembrava un leone pronto a colpire.
I due si risvegliarono come da uno stato di trans. Per pochi attimi mi erano parsi degli animali, feroci e selvaggi.
Mi staccai da Esme, iniziando a sentire freddo.
"Bisognerà chiamare Carlisle, dobbiamo spiegare tutto o sarà sempre più difficile" disse Edward, recuperando il tono pacato si sempre. Si alzò per dirigersi verso il telefono e mi passo accanto.
Io mi scostai, tremante. Lui mi guardò addolorato.
Ero confusa e terrorizzata. Mi accasciai a terra strisciando contro il muro. Guardai i presenti uno ad uno, loro mi fissavano dispiaciuti, incuriositi...
"Carlisle, sono Edward, pensiamo che sia giunto il momento di informare Elisabeth..." disse Edward sussurrando le parole quasi impercettibilmente.
Riappoggiò la cornetta sull'apparecchio telefonico e si mise in piedi al centro della stanza.

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Capitolo 6
*** Glycerine ***


6° Capitolo: Glycerine

Morsi il cuscino, mentre le lacrime scendevano abbondanti offuscandomi la vista.
Avevo paura, ero triste, come se il mondo mi fosse crollato addosso. Vampiri. Erano dei vampiri, vivevo in una casa con esseri assetati di sangue, che credevo vivessero solo nelle storie di Anne Riece. Mostri.
Mi voltai tremante, scossa dai singhiozzi. Non riuscivo a crederci.
Sperai che fosse tutto un incubo, uno di quei brutti sogni che ti fanno svegliare con le lacrime e gli occhi appiccicaticci. Speravo di aver sognato la morte di mia madre ed i Cullen accogliermi nella loro grande casa degli orrori. Avrei voluto risvegliarmi nella stanza della mia casa, sotto le coperte calde e profumate, tra le braccia della donna che avevo amato ed adorato. Una voragine mi si aprì nel petto. Sapevo che le mie erano solo speculazioni.
Le parole di Alice e Carlisle mi vorticavano in mente:

'Siamo vampiri, ma non beviamo sangue umano'

'Siamo eterni ed indistruttibili, ma tecnicamente morti'

'Sono la sorella di tua nonna, una tua prozia'


Bloccai i singhiozzi non appena sentii bussare alla porta della stanza.
"Chi è?" chiesi in un sussurro.
"Em" disse la voce profonda e calma del ragazzo.
"Em, per favore.." dissi. Volevo rimanere da sola, ero confusa. Per il troppo piangere avevo anche mal di testa. Non volevo chiaccherare con un 'vampiro'.
"Ti chiedo di farmi entrare, per favore" mi scongiurò sconsolato.
Rimasi in silenzio. La porta cigolò leggermente ed Emmett entrò. Non mi si avvicinò, accese una piccola abat-jour ed aspettò che portassi il mio sguardo su di lui per parlare.
"Io volevo chiederti di non essere dura con noi, non siamo stati noi a volere questo" spiegò come soppesando le parole ed i gesti. Non voleva spaventarmi. Questa sua accortezza mi scaldò il cuore. Non riuscivo ad avere paura di lui, gli altri Cullen mi incutevano un certo timore, quasi reverenziale, mentre lui... Non riuscì a finire il pensiero che subito risposi:
"E' stato Carlisle a trasformarvi, è stato lui a volere questo" dissi con voce rotta. Sentivo come se mi avessero dato dei colpi sulla testa, gli occhi erano gonfi e la voce roca.
"Sì, ma lo ha fatto per salvarci. Darci un'altra possibilità" disse lui scusandosi.
"Siediti" gli dissi. Avevo bruciore di stomaco ed iniziavo a sudare. Lui si sedette alla punta del letto e mi fissò portando le mani sulle ginocchia.
"Hai paura?" mi chiese. Nei suoi occhi leggevo malinconia e paura.
"Anche" dissi "io... non so cos'ho" spiegai.
"Rimarrai a vivere qui? E' bello sentire un cuore che batte in piena notte, avvertire il calore della tua presenza" disse guardando di fronte a se. Sembrava quasi a disagio ad esprimere i suoi pensieri.
"Grazie, ma sai... non capita sempre di venire a contatto con dei vampiri" dissi, in un tentativo macabro di fare umorismo.
"Già" annuì assorto.
"Em" sussurrai "Hai mai ucciso qualcuno?". Era un dubbio che mi viaggiava nella mente dal primo momento in cui ero venuta a conoscenza della loro natura. Non mi importava degli altri, ma di lui.
Mi guardò con i meravigliosi occhi dorati spalancati.
"Per favore, rispondimi" lo supplicai.
"Sì, due volte" sussurrò. Il cuore sprofondò. Lui, così dolce e simpatico, non poteva davvero aver ucciso qualcuno. Sapevo che con me non lo avrebbe mai fatto, aveva avuto diverse occasioni e non aveva mai dato segnali di squilibrio.
"Non ho paura di te" dissi sincera.
Si voltò verso di me con sguardo interrogativo.
"Davvero?" chiese speranzoso.
"Te lo giuro, tu non puoi essere cattivo" dissi. Mi stavo aprendo, mi stavo lasciando andare. Non potevo colpevolizzarli per la loro natura, si impegnavano per essere migliori. Per non essere pericolosi.
Sorrise. I suoi occhi si illuminarono. Mi alzai mettendomi in ginocchio.
"Anche se sono un ghiacciolo, mi abbracci?" mi chiese allargando le enormi braccia.
Soppesai la situazione e poi mi accucciai tra le sue braccia e mi addormentai, inalando il suo profumo.

Angolino dell'autrice!!!

Ringrazio chi ha inserito la mia FF tra le preferite, le seguite e anche chi ha solo dato una lettura! Per me significa molto! Grazie anche a chi lascia i commenti!!!
Spero che la storia vi interessi sempre di più... Grazie ancora! <3

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Capitolo 7
*** High school never ends ***


7° Capitolo: High School Never Ends

Sono solo un mucchio di adolescenti. Tranquilla, vivi in un covo di vampiri cosa vuoi che sia un insulso liceo, di un'insulsa riverva, con degli insulsi pellerossa? Questo era quello che mi ripetevo da quella mattina alle sette, quando Emmett mi aveva portato la colazione.

L'iscrizione era stata fatta via fax da Carlisle, cosa che mi aveva alquanto impressionato. Edward si era fatto perdonare regalandomi una BMW, m3, nera con tanto di navigatore satellitare con voce di George Clooney. Almeno sarei arrivata alla riserva, sana e salva. Oltre che in compagnia di George. Sorrisi tra me e me. La convivenza era diventata un po' più ostica, non parlavo molto tranne che con Emmett che era la mia nuova luce, il mio nuovo sole. Ero crollata in uno strano limbo, Carlisle pensava potesse trattarsi di una leggera forma di depressione dovuta alla morte di mia madre, al trasloco e alla mia scoperta.

Mi addentrai nella riserva e riuscii ad arrivare alla piccola scuola in legno affacciata sul mare. Andai un po' in giro cercando un parcheggio, mentre gli sguardi meravigliati ed invidiosi dei ragazzi mi trafiggevano. Se avevo imparato qualcosa, in quelle due settimane, era comportarmi con classe. Del resto convivendo con esseri perfetti non poteva essere altrimenti.
Arrendendomi all'idea della mancanza di un parcheggio decente, accostai accanto ad un marciapiede ed abbassai il finestrino.
Scostai leggermente gli occhiali da sole, portandomeli sul naso.
"Ehy, ragazzino" dissi ad un giovane indiano. Era smilzo eppure si intravedevano i primi cenni di muscolatura, poteva avere 14 o 15 anni al massimo. Decisi di esagerare e gliene diedi 16.
Quello si voltò verso di me, come lusingato dal fatto che lo avessi scelto tra quella piccola folla. Ero la novità, quella diversa. Si sentiva una sorta di eletto, forse.
"Dici a me?" chiese.
"Sì, stammi a sentire..." lasciai la frase in sospeso, facendogli intendere che volevo che mi dicesse il suo nome.
"Seth" disse lui, sempre emozionato.
"Seth, non c'è un parcheggio?" chiesi guardandomi inutilmente intorno.
"Ehm, qui a scuola no. Però se svolti li a destra" e mi fece segno con la mano "c'è uno spiazzo!"
Mi guardai attorno, individuando lo spiazzo appena dietro ad un vicolo.
"Grazie" dissi e gli sorrisi, lui rispose al sorriso e rimase a fissarmi - o meglio a fissare l'auto - sino a quando non svoltai.
Parcheggiai senza problemi, dato che sembrava che la macchina precedesse i miei movimenti e presi lo zaino con i vari libri, quaderni e penne che Alice aveva insistito a volermi regalare.
Erano penne che costavano 50$ ciascuna. Era stato praticamente inutile cercare di dissuaderla dall'idea, diceva che dovevo comunque distinguermi e che avevo una classe innata essendo sua nipote. Per non parlare degli innumerevoli vestiti con i quali aveva riempito il mio armadio.
Mi diressi verso l'entrata non degnando di uno sguardo i ragazzi che mi guardavano curiosi e le ragazze che mi fissavano invidiose. Ero stata abbastanza popolare un tempo, quando mia madre era in vita, e seppur con il dolore nel cuore ero pronta a riprendermi la mia vita.
Entrai nella segreteria, che aveva le dimensioni di uno sgabuzzino di casa Cullen e mi appoggiai al bancone. Lessi il cartellino sul tavolo con il nome dell'impiegato, Sam Uley.
"Buongiorno. Signor Uley, sono Elisabeth Cullen" mi presentai.
"'Giorno signorina, qui c'è il suo orario" disse e mi porse un foglio con l'orario settimanale.
"Grazie" dissi scorgendolo velocemente non riuscendo, tuttavia, a leggere qualcosa.
"Non le do una cartina perchè c'è una sola aula per materia, non può confondersi. E' una scuola  a grandezza di bambola" spiegò. Mi sorrise per congedarmi e io, compreso il messaggio, tolsi il disturbo.

Lessi l'orario. Prima ora: letteratura.
Iniziai a percorrere un corridoio e trovai le classi. Erano 8, o 9, ciascuna con il nome della materia stampato sulla porta.
Ogni nome aveva un colore diverso. Letteratura era scritto a lettere blu.
Entrai. La stanza era composta da 11 elementi, che immaginai seguissero le mie stesse lezioni. Notai un posto vuoto accanto ad un ragazzo, anche se a dire il vero ero l'unica ragazza.
Era alto, muscoloso e sembrava arrabbiato. La classica carnagione scura dei Quileute gli conferiva un'aria ancora più cupa. Mi diressi verso il banco vuoto con fare tranquillo. Non appena mi avvicinai lo vidi spostare i suoi libri sul banco vuoto.
"Questo posto è occupato" mi disse e mi fissò con sguardo dispettoso.
"Davvero e da chi?" dissi alzando un sopracciglio.
"Da un bellisimo ragazzo Quileute" disse indicandosi.
I suoi compagni iniziarono a sghignazzare. Mi guardai intorno, erano tutti molto simili tra loro per fisico e altezza.
Parlai: "Bè allora questo 'bellissimo ragazzo quileute' deve essere molto piccolo, perchè tu lo copri tutto" dissi incrociando le braccia.
I ragazzi iniziarono a ridere, mentre il 'bellissimo' divenne rosso per la rabbia.
"Fregato, Paul" disse un ragazzo alla mia destra.
"Zitto, Jake" sputò il bellissimo.
Presi i suoi libri e li gettai pesantemente sul banco occupato da lui. Mi sedetti al tavolo, finalmente vuoto e tirai fuori le mie cose.
Al suono della campanella, ripresi in mano il mio orario e lessi: Biologia.
Uscii fuori, in corridoio e mi diressi verso un'aula sulla quale porta la scritta BIOLOGIA campeggiava a lettere arancioni.
"Buon..." dissi entrando. L'aula era semivuota c'era solo un ragazzino, che riconobbi come quello che mi aveva gentilmente dato l'informazione per il parcheggio.
"Buongiorno" mi disse lui sorridendo. I denti bianchi spiccavano sulla carnagione scura.
"Ciao, Seth?" chiesi avvicinandomi a lui. Mi sedetti accanto al suo banco e appoggiai le mie cose.
"Esatto, tu sei?" mi chiese.
"Elisabeth"dissi.
"Bene, piacere di conoscerti Elisabeth. Ti aspettavano tutti quanti" disse.
Risi, lo sapevo già.
"Tu non mi aspettavi?" chiesi col chiaro intento di metterlo in difficoltà.
"Sì, ma preferisco non renderti la vita impossibile" spiegò. Un altro gruppetto di ragazzini entrò.
"Oddio" esclamai sottovoce "ma siete tutti così piccoli?" chiesi notando che l'età dei miei compagni era calata vistosamente rispetto all'ora precedente.
"Ehi, piccoli a chi? Abbiamo 15 anni!" disse lui piccato "e poi non ci crederai, ma questo corso a cui partecipiamo solo noi sei, è un corso avanzato" lanciò uno sguardo al mio orario ed allungò la mano.
"Posso?" chiese.
Gli porsi l'orario e lui lo lesse.
"Abbiamo tutte le materie insieme, ad eccezione di..." disse
"Letteratura" completai.
"Hai già conosciuto i miei amici?" mi chiese con un sorriso. Prese l'orario e lo infilò nel quaderno.
"Sì, mi dispiace per te"
"Per cosa?"
"Del fatto che siano tuoi amici, sono così... irritanti!" dissi sincera. Infondo ero libera di esprimere le mie idee.
"No, bisogna conoscerli e poi fanno così perchè... bè..." balbettò.
"Perchè?" chiesi.
"Niente, stronzate" disse. In quel momento il professore entrò ponendo fine alle nostre divagazioni. La giornata si trascinò sino all'ora del pranzo.

Divisi con Seth le restanti ore di lezione e poi ci dirigemmo verso la mensa. Aveva delle dimensioni davvero ridotte. Scovai un tavolo vuoto.
"Io, perchè..." iniziò a dire Seth "Non ti siedi con me ed i miei amici?"
"No, grazie" dissi notando che i suoi amici erano i miei compagni di classe per letteratura.
"Ma..." disse lui.
"Vai Seth, non sei mica il mio angelo custode! Vai a cazzeggiare, te lo meriti mi hai sopportata per un'intera giornata!" lo invogliai. Con un'alzata di spalle sussurrò un consenso e si avviò verso il tavolo con i suoi amici.
Mi sedetti, posai il succo di frutta che era il mio unico sostentamento e presi l'ipod. Era stato di mia madre e avevo voluto tenere tutte le sue canzoni.
Infilai le cuffie ed appoggia la testa sul muro, chiudendo gli occhi. La canzone partì.

Dopo poco mi sentii toccare il braccio. Fu un contatto bollente contro la mia pelle scoperta.
Saltai  a sedere e tolsi di scatto le cuffie. Un ragazzo, che molto probabilmente era nella classe di letteratura, mi fissava dall'alto.
"Ciao, ti senti bene?" mi chiese dubbioso.
"Benissimo, mai stata meglio" dissi altera. I ragazzi di quella classe mi stavano tutti sui 'cosiddetti'.
"Ok, va bene. Piacere, siamo a letteratura insieme, mi chiamo Jacob Black" disse porgendomi l'enorme mano abbronzata.
"Io no" dissi maleducatamente, incrociando le braccia.
Quello mi fissò, poi chiuse gli occhi e sorrise. Cercava, forse, di raccogliere la pazienza?
"Va bene, volevo avvisarti che ci hanno detto che tutte le lezioni pomeridiane di letteratura sono state sospese. Non hai sentito per via delle cuffiette".
Mi porse un foglietto.
"Così, vedi che non dico bugie" disse.
Sul foglietto c'era l'avviso con la firma del preside e il timbro della scuola.
"Grazie". Mi alzai, feci un cenno di saluto a Seth seduto al tavolo dal quale era venuto Jacob e me ne andai. Non vedevo l'ora di andare a casa, fare una doccia e stare un po' con Emmett.



Angolino dell'autrice!

Non smetterò mai di ringraziere colore che seguono la mia ff!!! Grazie per averla inserita tra le preferite e le seguite! Grazie perchè recensite (più o meno) puntualmente!!!
Spero che continui ad entusiasmarvi o per lo meno ad incuriosirvi! xoxo

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Capitolo 8
*** Paparazzi ***


8° Capitolo: Paparazzi

Parcheggiai l'auto e lasciai lo zaino in auto. Non avevamo avuto compiti per il giorno dopo, quindi non ne avrei avuto bisogno. La porta si aprì. Esme comparse sulla soglia, bellissima come sempre. Pronta ad accogliermi. Sembrava una protagonista di quelle pubblicità che mostrano le famiglie felici, dove la mamma cucina con un filo di perle al collo e le unghie curate.
"Elisabeth" disse con la sua voce melodiosa.
"Esme, ciao" la salutai "Alice vi ha già detto tutto?" chiesi, sicuramente Alice aveva 'visto' in anticipo il mio ritorno.
"Sì, mi ha avvisato subito così ho avuto il tempo di prepararti il pranzo, dato che hai bevuto solo un succo di frutta" spiegò facendomi segno di entrare.
"Non dovevi Esme! Avrei mangiato qualcosa fuori" dissi togliendo il giubbotto.
Lei lo prese e lo appese all'attaccapanni che si trovava accanto alla porta.
"Non se ne parla nemmeno! Chissà quante cose poco salutari usano" disse scuotendo la testa.
"Ok, va bene" dissi senza convinzione. Se le piaceva ammazzarsi di lavoro, non ci potevo fare nulla.
Mi diressi in salotto e vi trovai Emmett stravaccato , con grazia, sul divano.
"Em, non sei andato a scuola?" chiesi affiancandolo. Gli posai un bacio sulla mandibola e poi lo guardai in faccia. Lui mi fissò con lo sguardo scuro. Lo stomaco fece due giravolte. Quello era un brutto segno, voleva dire che doveva mangiare.
"Emmett perchè non sei andato a caccia?" chiesi arrabbiata.
"Perchè ci andrò stanotte" disse lui sbuffando, odiava quando lo sgridavo.
"Visto che non sei andato a scuola potevi andarci stamattina, non credi?" dissi alzandomi. Standomi vicino soffriva, e lo sapevo bene. Avevo del sangue fresco nelle vene e lui riusciva a sentirne l'odore.
"Ho 90 anni e mi lascio sgridare da una diciassettenne!" esclamò lui spegnendo la televisione "ai miei tempi non era così!" disse scuotendo la testa.
"Ai tuoi tempi?" chiesi "Ai tuoi tempi, mio caro, non ti sei mai trovato a dover sgridare un vampiro assetato di sangue" dissi con ovvietà.
Emmett iniziò a ridere, Esme si affacciò dalla cucina e disse:
"Elisabeth ha ragione Em, ed è una settantenne che te lo dice ora! Litz vieni a mangiare?" chiese poi, mentre Emmett continuava a sbellicarsi dalle risate.
"Em, perchè non vai a caccia mentre pranzo? Per favore, così dopo facciamo un giro" lo supplicai.
Lui mi fissò. "Dovrei essere io quello che incanta con lo sguardo, tu come fai?" mi chiese accarezzandomi il collo.
"E' mia nipote, è perfetta" disse Alice scendendo dalle scale sulle note di una danza che conosceva solo lei.
"Toglile quella mano dal collo, Em" disse Jasper seguendo Alice.
"Non le farei mai del male" disse Emmett piccato "è stato solo..." tentò di dire, ma poi mi fissò e si diresse verso la porta.
"Torno tra un'ora Lily, e voi due non rompete" disse rivolto ad Alice e Jasper.
Mi sedetti a tavola un po' agitata, Emmett voleva dire qualcosa ma non ci era riuscito. Affondai la forchetta nel pasticcio di patate ed iniziai a mangiare. Perchè non erano andati a scuola?
"Non possiamo uscire con il sole" disse Edward entrando. Mi posò una mano sulla spalla. Sobbalzai.
Appoggiai la forchetta nel piatto e lo guardai.
"Allora è vero che vi sciogliete!" esclamai.
"No" sbuffò lui "Brilliamo" spiegò.
"Brillate?" chiesi stupefatta. I vampiri NON brillavano.
"Si invece" disse. Si accostò alla finestra e fece si che il suo braccio fosse colpito dalla luce del sole. Quello iniziò a brillare come ricoperto da porporina.
"Cavolo" dissi sussurrando. Non sapevo cosa pensare, era una cosa così buffa.
"Per te lo è, per noi è un deterrente. Non siamo propriamente liberi" spiegò risedendosi. Esme si sedette accanto a me.
"Mangia Litz, oppure si raffredderà" disse riportandomi la forchetta in mano.
"Va bene" dissi riprendendo a mangiare. Quindi non uscite perchè vi prenderebbero in giro? Chiesi mentalmente ad Edward.
"Prenderci in giro?" chiese lui "Causeremmo incidenti stradali a catena" disse.
Che stupida, giusto.
"Non sei stupida, anzi, non riesco ancora a spiegarmi come tu sia ancora qui con noi. Saresti dovuta scappare dalla paura" disse, come parlando a se stesso.
"Perchè non ce lo spieghi?" chiese Jasper. Sembrava volesse studiare ogni mio movimento, ogni mia reazione.
"Io... insomma..." dissi. "Edward, la tua ragazza... lo sa?" chiesi poi.
"Si, certo. Nel suo caso la situazione è diversa però" disse.
"Perchè?" chiesi. Ma in pochi secondi capii. E se Edward avesse voglia di bere il suo sangue? Lasciai che la forchetta mi scivolasse dalle mani, andando a sbattere contro il piatto di porcellana. Mi alzai si scatto.
"Insomma, la smettete? Fate a gara per spaventarla?" chiese Esme arrabbiata.
"Siediti cara" aggiunse rivolta a me, con il solito tono materno.
"Edward" mugolai, ero sull'orlo delle lacrime. Pensavo si sapesse controllare.
"Io mi controllo, il suo sangue ha un profumo delizioso, in particolar modo per me. Però siamo troppo civilizzati e lei è tutta la mia vita" aggiunse infine.
Mi risedetti. Infondo anche Emmett aveva ucciso, e per ben due volte. Con lui non avevo avuto la stessa reazione.
"Calmati, sta' tranquilla. Bella ha accettato senza problemi la nostra natura, pensavo che lei fosse un caso isolato, ma evidentemente mi sbagliavo. Anche tu lo hai fatto, anche se con un po' più di lucidità" spiegò. Sembrava un medico, uno psicologo. Ma ciò che serviva a me era uno psichiatra.
"Ok, va bene. Basta con le rivelazioni!" disse Alice prendendo la parola. Mi alzai, non avevo molta fame.
"Grazie Esme, sei una cuoca straordinaria!" la ringraziai, mi diressi verso la porta. Alice mi si pose davanti.
"Ho comprato degli abiti nuovi, per te" mi disse con una luce folle negli occhi.
"Ma se siamo andate l'altro giorno a fare shopping insieme!" dissi strabuzzando gli occhi.
"Si ma a Port Angeles c'era un tempaccio assurdo quindi... ne ho approfittato!" disse saltellando "Vieni a vederli? Ti staranno benissimo!" mi supplicò.
"Certo che vengo" dissi. Infondo amavo gli abiti ed Alice lo sapeva perfettamente. Per di più ero in un periodo della mia vita in cui cercavo di non concentrarmi molto sui miei sentimenti dedicandomi a frivolezze e cose simili. Non volevo riportare a galla la tristezza ed il dolore.
"Vieni Jasper, ci serve il parere di un uomo" disse lei. E prese il marito per il braccio destro. Lui sorrise e poi mi chiese: "Ti da fastidio?".
"No, figurati" dissi alzando le spalle. E li seguii su per le scale.
Entrammo nell'immensa camera da letto di Alice e Jasper. Un'infinità di buste colorate erano posate sul letto. Alice tirò fuori abiti e scarpe. Ne prese uno blu, dal taglio sportivo, e me lo porse.
"Vai li" disse ed indicò un paravento nell'angolo destro. Io ci andai e iniziai a spogliarmi.
"Queste scarpe saranno perfette" disse e mi porse un paio di ballerine in ciniglia con la suola in cuoio.
"Sono bellissime Alice" dissi ammirando le scarpe.
"Lo sapevo che ti sarebbero piaciute, l'ho visto" aggiunse battendo le mani come una bambina.
Uscii fuori dall'angolino ed andai di fronte a Jasper.
"Bellissima" esclamò lui, con il suo solito tono pacato. Mi portai di fronte allo specchio ed ammirai la mia figura.
"Non lo dici per farmi contenta, vero?" chiesi "altrimenti chiederò ad Edward di leggere nella tua mente" lo minacciai.
"Non mento" disse lui alzandosi. Andò vicino alla finestra e l'aprì.
Emmett entrò con un balzo. Mi guardò ed esclamò:
"Che schianto".
"Visto che sei bellissima?" chiese Alice "Esme e Bella non si lasciano mai aiutare, tu invece sei la modella perfetta" continuò a dire.
"Non si lasciano toccare perchè le torturi" disse Emmett ridendo.
"Non le torturo!" disse Alice piccata "le aiuto ad instaurare un rapporto migliore con la loro immagine" spiegò.
"Usciamo?" chiese Emmett rivolto a me.
"Così?" chiesi io indicando il vestitino. Avevo in mente una passeggiata nei boschi, e quello non era certamente l'abbigliamento più indicato.
"Prendo la macchina!" disse Emmett sorridendo "ti porto fuori a cena!" esclamò.
"Sono solo le quattro del pomeriggio" dissi.
"Meglio avremo più tempo, per una serata fuori devi indossare altro!" disse Alice sprizzando gioia da tutti i pori della pelle di porcellana.
"Io vado a fare una doccia" disse Emmett "Ci metterete ore".
"Jasper tu rimani?" chiese Alice. Non era una domanda, ma un ordine.
"Certo amore" disse lui sorridendo "Avanti Litz, prova questo" mi disse porgendomi un abito nero.
"Che bello" ammisi.
"Si, e credo che ti starà benissimo Alice non sbaglia un colpo" disse lui. Sparii nel mio angolino pronta a provare quella meraviglia.

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Capitolo 9
*** What a wonderful world ***


9° Capitolo: What A Wonderful word

Scesi le scale lentamente. Emmett sedeva sull'ultimo scalino dandomi le spalle. Non appena lo raggiunsi si alzò, mi afferrò con un solo braccio e mi sollevò, risparmiandomi la fatica di scendere l'ultimo scalino.
"Bellissima" mi sussurrò con voce roca. Rabbrividii sia per il freddo che per l'emozione. Alice aveva raccolto i miei capelli in una coda di cavallo, con il risultato che i boccoli castani mi sfioravano le spalle. Il vestito nero, scelto da Jasper, mi stava a pennello. Un paio di decolletè nere ed una pochette, anch'essa nera, in pelle completavano l'opera.
"Grazie" sussurrai io senza voce.
Alice scese le scale e si fermò davanti a me.
"Non è bellissima?" chiese ai presenti.
"Certo che è bellissima" disse Emmett. Mi sentivo a disagio ad essere fissata così, in special modo da lui.
Carlisle ed Esme ci raggiunsero dalla sala da pranzo.
"Litz, piccola, sei uno splendore" disse Esme emozionata. Si comportava davvero come una mamma certe volte. Era andata in brodo di giuggiole anche quella mattina, per via del mio primo giorno di scuola. Risi.
"Grazie, ma ora basta con i complimenti per favore!" dissi arrossendo.
"Perfetto" disse Carlisle. Mi appoggiò un braccio sulla schiena nuda, rabbrividii a quel contatto.
"Certo!" esclamò Alice. Corse verso la sua camera e tornò pochi secondi dopo con un giubbottino di pelle.
"Tieni" mi disse porgendomelo "sapevo  che avresti avuto freddo, specie con lui accanto" aggiunse facendo cenno ad Emmett. Rimasi impietrita da tanta velocità, evidentemente era un altro dei loro 'doni vampireschi'. Mi ripresi.
"Grazie" dissi. Infilai il giacchino, aiutata da Emmett.
Carlisle riprese a parlare, dato che era stato interrotto da Alice.
"Riportala a casa per le undici, domani deve andare a scuola" disse rivolto ad Emmett.
"L'una" controbattè lui guardando il dottore in cagnesco.
Il padre ed il fidanzato che litigano per il coprifuoco. Mi imbarazzai. Avevo pensato ad Emmett come al mio ragazzo.
"Mezzanotte" disse Esme.
"Mezzanotte?" chiese Emmett incredulo.
"Em" dissi posando una mano sul suo petto. Sapevo di riuscire a calmarlo con quel semplice gesto.
"Ok" disse lui, mi cinse nuovamente i fianchi e ci dirigemmo verso la porta.
"Ciao a tutti" salutai io.
"'Sera" disse lui.
L'aria frizzante della sera mi investì, facendomi sentire piena di forze.
Emmett mi accompagnò sino ad una macchina. Era nera, elegante. Mai vista. Lui, evidentemente, notò il mio sguardo dubbioso e disse:
"E' di Carlisle, ce l'ha prestata" disse.
"Potevamo prendere George" dissi alludendo alla mia auto.
"No, sono troppo geloso" disse lui con un sorriso abbagliante, ed aprì lo sportello per farmi salire in auto. Lo richiuse dolcemente e si avviò verso il sedile del guidatore.
"Come fai ad essere geloso di una voce?" chiesi "Non oso pensare come ti comporteresti se avessi una ragazza" scherzai.
Mise in moto ed in breve tempo ci ritrovammo in autostrada.
Decisi di rompere il silenzio.
"Dove mi porti?" chiesi.
Lui mi guardò. Come Edward non osservava molto la strada mentre era alla guida. La sua attenzione era inversamente proporzionale alla velocità, l'auto viaggiava come se l'asfalto fosse cosparso d'olio.
"Metti la cintura per favore, quello indistruttibile sono io qui". Allungò un bracciò per afferrare la cintura, mi mossi ed inavvertitamente la sua mano gelida sfiorò il mio seno destro.
Arrossii immediatamente, mentre lui con uno scatto ritrasse la mano. Era imbarazzato.
"Scusa, non l'ho fatto di proposito" si scusò.
"No, figurati" dissi in un soffio. Agganciai la cintura, senza aggiungere altro.
"Ti porto in un ristorante davvero carino, si trova a Seattle" spiegò, rispondendo alla mia domanda.
"Non vorrai andare davvero sino a Seattle?" chiesi
"Non ti va? Sei stanca?" mi chiese allarmato "Non riesco a ricordare come funzioni per gli umani" continuò scuotendo la testa.
"No, non lo sono" dissi io immediatamente "Però, insomma, non ti scoccia andare sino a Seattle dato che tu nemmeno mangi?" chiesi.
"No, Lily" rispose "Le persone compiono dei gesti per il semplice piacere di farli, lo sai?" mi canzonò.
"Antipatico" sbuffai.
Lui sorrise.
"Poi" continuò.
"Poi?" chiesi.
"Ti porterò in un luogo abbastanza carino, ma per ora non ti dico nulla" terminò.
"Come no? Dai per favore! Dai, dai, dai, dai, dai, dai!" iniziai a frignare.
Lui mi guardò e scosse la testa.
"A volte credo che più che l'amico con te, io, debba fare il padre".
"Io non ce l'ho mai avuto un padre" dissi seria. Mi ritornò in mente mia madre. Io ero li a divertirmi, mentre lei era a kilometri di distanza, sotto la terra umida. Voltai la testa verso il finestrino.
"Piangi?" mi chiese Emmett accostando. Eravamo arrivati a Seattle.
"No" dissi con voce spezzata. Le lacrime iniziarono a scendere. Fortunatamente il trucco reggeva.
"Ti ci porto anche ora, se vuoi! Non piangere, volevo fosse una sorpresa ma..." disse Emmett avvicinandosi a me.
Io mi voltai, constatando che se mi fossi mossa leggermente le nostre labbra si sarebbero sfiorate.
"No, scusami. Sono una stupida" dissi io "Non è per il posto...Insomma perchè piango in continuazione?" chiesi a me stessa.
"Perchè io dico una stronzata dopo l'altra" disse lui con un sorriso. Riusciva a ridere sempre, la sua allegria era contagiosa e -nel mio caso- era come una medicina. Mi strappò un sorriso.
"Sei bellissima, lo sai?" mi chiese con tono dolce. Il mio cuore accellerò.
"Merito di Alice" sussurrai. Sentivo il mio fiato caldo toccare la sua pelle gelida e ritornare verso me.
"Non credo" disse lui. Mi baciò. Io non risposi.
Lui si staccò.
"Sai di buono" mi disse con un sorriso.
Certo -pensai- per lui ero un succulento bocconcino.
"Non in quel senso" rettificò intuendo il mio pensiero. Si allontanò e facendo pressione sul pulsante della cintura di sicurezza mi liberò da quella piccola prigione. Scese dall'auto ed aprì il mio sportello, permettendomi di scendere.
Il ristorante che avevamo di fronte aveva un design retrò. Sembrava un locale francese del primo dopoguerra.
Emmett, cavallerescamente, entrò prima di me nel locale e poi mi fece cennò di precederlo.
L'arredamento del locale era delizioso. Entrare li dentro fu come fare un tuffo nel passato.
"E' bellissimo qui" dissi guardandomi attorno. Era semi vuoto.
Una signora grassa, dall'aria snob, era seduta ad un tavolo in compagnia di quello che immaginai fosse suo marito, che al contrario di lei era smilzo.
Ad un altro tavolo, una signora -molto elegante- sedeva in stato di evidente agitazione.
Che stesse aspettando il suo amante? Desiderai che ci fosse Edward con noi, per poter leggere i pensieri della donna.
"Comè poso aiutòrvi, signori?" chiese un cameriere con accento francese.
"Un tavolo per due, appartato" disse Emmett.
"Ma sciertamonte" disse quello e ci condusse in una sala ampia, che però aveva un'aria intima.
Emmett mi fece accomodare e poi raggiunse il suo posto. Il cameriere ci diede i menù e ci lasciò da soli.

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Capitolo 10
*** Heaven ***


10° Capitolo: Heaven

Terminata la cena, Emmett mi portò in una piccola radura illuminata solo dalla luna.
L'aria fresca scompigliava i suoi riccioli donandogli un'eleganza distratta che difficilmente qualcun altro avrebbe potuto eguagliare.
Fece si che le mie spalle si sovrapponessero al suo petto.
"Ti piace?" mi sussurrò.
"E' così calmo" dissi emozionata. Delle lucciole svolazzavano su alcuni cespugli di more. Sembrava una scena da favola.
"E' il mio posto preferito, lo conosce solo Edward -sai per via dei miei pensieri- ma non ci è mai venuto. Ne sono geloso" spiegò sempre con voce roca.
"Come mai proprio a me questo onore?" chiesi. Ero lusingata da un simile riguardo.
"Perchè..." iniziò a dire. Mi voltò verso di lui e mi baciò e stavolta risposi, soggiogata dalla sua dolcezza, dalla sua bellezza e dalla magia di quel luogo.
Si staccò e mi condusse accanto ad un albero, si sedette sulle radici e mi pose su di lui. Mi abbandonai trovando posto tra le sua gambe. Mi cinse con le braccia nerborute ed io sovrapposi le mie mani alle sue. Non percepivo nemmeno il freddo del suo corpo tant'era l'emozione.
"Credi che..." iniziai.
"Shh, questa sera rimarrà un caso isolato. Un caso abbastanza piacevole" disse lui.
"Niente conseguenze, niente domande, niente" continuai, sollevata.
"Un piccolo punto di razionalità" disse.
"Al centro del mio caos" conclusi.
Rimanemmo in silenzio ad ammirare la luna. Mi inebriai del suo dolce profumo.
"Em" sussurrai, come per paura di spezzare un incantesimo.
"Dimmi" disse lui appoggiando la testa al tronco e chiudendo gli occhi.
"Hai davvero 90 anni?" chiesi scettica.
Sbottò in una piccola risata, ma si ricompose all'istante.
"Già" rispose.
"Che schifo ho baciato un vecchio" dissi. Scherzavo, ma effettivamente era una cosa strana - per non usare altri termini come innaturale.
Rise.
"Non ti è piaciuto?" chiese. Lo sentii ridere mentre mi baciava la tempia sinistra.
"Sì, ero solo curiosa e..." mi bloccai "meravigliata".
"Dovrei andare in carcere" disse.
"Come se non fossi capace di evadere" dissi io.
"Giusto, c'è altro che ti interessa conoscere?" chiese iniziando ad accarezzarmi le braccia con le punte delle dita.
Rabbrividii di piacere. Abbandonai la mia testa su di lui.
"Andate davvero a scuola? Per sempre?" chiesi.
"Sì" ammise.
"Trovarvi un hobby?" chiesi io. Lui rise.
"Lo chiederemo a Carlisle, non vuoi conoscere altro?" chiese poi.
"La tua storia" sussurrai.
Accostò il suo volto al mio e pose le sue labbra sul mio orecchio ed iniziò a parlare.
"Erano gli anni '30, non ricordo bene l'anno perchè divenendo vampiri i ricordi umani divengono poco più che pensieri sfumati" iniziò.
Lo interruppi "Quindi se io diventassi una vampira, non ricorderei questa serata magnifica?"
Si bloccò.
"No, almeno credo. Vorresti davvero diventare una di noi?" mi chiese.
Non risposi. Lui iniziò di nuovo ad accarezzarmi.
"Solo se avessi un motivo valido" dissi. Ed era la verità.
"Un motivo del tipo?" chiese lui passando all'altro orecchio.
"Un motivo come l'amore, Em" dissi "quello vero. Ma continua la tua storia, voglio sapere tutto su di te"
"A cosa devo questo interesse?" chiese lui sghignazzando.
"Al fatto che ti voglio bene" dissi. Mi bloccai. Non avevo mai detto a nessuno, tranne che a mia madre, 'ti voglio bene'. Andava contro i miei canoni comportamentali. Preferivo mostrare il mio affetto con un gesto e non a parole.
"Ne sono lusingato, sul serio" disse, poi riprese notando un leggero imbarazzo da parte mia "Per ritornare alla mia storia... vivevo in Tennessee, da solo. I miei erano morti in un incendio qualche anno prima. Avevo diciannove anni, ero un uomo per l'epoca. Un giorno andai a caccia ed un orso ebbe la meglio su di me. Mi portarono in ospedale, da Carlisle. Ero in fin di vita, ma lui ebbe pietà di me e mi salvò" disse.
Smisi di respirare, pensare a lui -morente- su di un insulso lettino d'ospedale mi aveva fatto male.
"Mi vampirizzò e mi diede per spacciato dinanzi agli altri. Mi portò in obitorio e mi tenne lì per i tre giorni di trasformazione. Solo lui era libero di accedervi, quindi ero al sicuro"
"Tre giorni? Ci vuole tanto per diventare un vampiro?" chiesi.
"Sì. E' una trasformazione talmente dolorosa che ti porta a preferire la morte" disse.
"Come si - uccide - un vampiro?" chiesi titubante.
"Bisogna bruciarlo" disse.
"Capito" dissi. Mi voltai e riuscii ad abbracciarlo, lui fece lo stesso con me.
"L'orso, quello che ti ha aggredito, lo hai mai ucciso?" chiesi.
"No, grazie a lui sono forte ed eterno" disse sorridendo.
Risi.
"Se non fosse stato per i vampiri, adesso sarei da sola" dissi.
"Già, non ci saremmo mai incontrati..." continuò lui.
"Credi nel destino?" chiesi.
"Molto" rispose.
"Allora mettiamola così: è stato il destino a volere che noi ci incontrassimo" dissi sorridendo.
"E l'orso" disse Emmett ridendo.
"L'orso?" chiesi strabuzzando gli occhi.
"Sì, lo ha voluto anche l'orso" disse Emmett.
"Sei un folle" risi.
"Dobbiamo andare via, altrimenti Carlisle interferirà nuovamente con il destino e mi farà fuori" disse.
"Non ne sarebbe capace, è così buono" dissi. Mi alzai tendendo la mano ad Emmett, che l'afferrò e si alzò.
Ritrovammo l'auto e mi fece accomodare, poi occupò il posto di guida e partì.
"Grazie Em" dissi.
"Quando vuoi" disse lui.
"Em?" chiesi.
"Dimmi Lily" disse lui, sempre con il sorriso sulle labbra.
"Stamattina, stavi per dire qualcosa ma poi ti sei interrotto..." dissi.
Smise di respirare, comprendendo all'istante di cosa parlavo.
"Lo vuoi sapere davvero? Non ti piacerà!" disse.
"Non mi piacciono molte cose, eppure le accetto"
"La sera in cui ti abbiamo confessato di essere vampiri, Edward ha ringhiato, ricordi?" mi chiese.
"Certo" dissi. Non avrei mai dimenticato la paura di quei minuti.
"Mi ha ringhiato contro perchè, ho immaginato, anche se per poco, di..." si fermò. Sembrava disgustato da se stesso.
"Di?" chiesi. Ero certa di cosa, ma volevo sentirlo uscire dalle sue labbra.
"Di affondare i denti nel tuo collo, il tuo sangue era così... profumato" ammise.
Silenzio. Solo il mio respiro calmo lo interrompeva ritmicamente.
"Parla, te ne supplico! Dì che mi odi, ne hai tutto il diritto" disse in preda al panico.
"Non ti odio" dissi. E come avrei potuto?
"Come no?" chiese lui confuso.
"E' una sorta di complimento, quello che mi hai fatto, un complimento abbastanza inusuale ma ugualmente lusinghiero" dissi.
Sbottò in una risata nervosa.
"Non devi nascondere il tuo disappunto" disse.
"L'ho forse nascosto quando ho saputo cos'eravate?" chiesi.
"No" ammise.
"E allora è inutile che mi dici di non mentire, perchè non mento mai" conclusi seria.
Arrivammo a casa Cullen e scendemmo dall'auto. Io esausta, mentre Emmett in forma smagliante.
La porta fu aperta da Carlisle.
"Buonasera ragazzi" disse lui.
"Buonasera" dissi io con voce stanca.
"L'ho riaccompagnata a casa a mezzanotte in punto, l'ora dei vampiri" scherzò Emmett. Carlisle sorrise e noi entrammo in casa.
"Io vado a dormire" dissi "Ciao Esme" salutai non appena la vidi sbucare dalla cucina. Aveva le mani ricoperte di farina. Le osservai e lei se ne accorse.
"Preparo la tua colazione" disse lei.
Sorrisi. "Grazie".
"E' un piacere" disse lei.
Mi diressi su per le scale.
"Buonanotte a tutti" dissi,  poi mi bloccai e mi voltai verso Carlisle.
"Carlisle" lo chiamai.
"Si?" mi chiese lui con la solita espressione cordiale sul volto.
"Grazie" dissi.
"Per cosa?" chiese.
"Per aver interferito con il destino" dissi e mi avviai verso la mia camera.

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Capitolo 11
*** Dance Dance ***


11° Capitolo: Dance, dance

Un leggero vento, fresco e profumato, mi solleticò il volto. Mi voltai e sentii una risata dispettosa.
"Em" sussurrai sveglia guardandolo dritto negli occhi "che stavi facendo?" chiesi.
"Ti svegliavo" disse lui. Mi porse una brioche calda e sparì giù per le scale. Addentai la brioche fiondandomi fuori dal letto, erano le sette e mezza. Finii in fretta il dolcetto ed entrai in bagno. L'incantesimo di bellezza della sera prima era terminato, lasciando come segni del suo passaggio un po' di ombretto grigio e qualche brillantino sparso sulle mie gote. Sciacquai il viso ed i denti e poi mi abbandonai al getto potente della doccia.
Uscii dal bagno con un asciugamano in testa, a mo di turbante, e l'accappatoio. Spalancai la porta della cabina armadio, notando che Alice aveva dato il meglio di se stessa. Un solo problema ora mi tormentava: non sapevo cosa mettere!
"Alice, aiutami, salvami!" urlai. Quella accorse in un secondo, col volto preoccupato, non capendo il perchè delle mie urla.
"Non sa cosa mettere" disse Edward camminando annoiato davanti alla porta spalancata.
Emmett, che si era fiondato assieme ad Alice, mi guardò con disappunto e disse:
"Pensavo fosse una cosa grave!"
Io ed Alice lo guardammo in cagnesco ed esclamammo all'unisono:
"Ma è una cosa grave!"
Poi Alice si voltò verso i due guardoni e disse: "Sparite mia nipote è in crisi ed io sono in fase creativa!" e sbattè la porta in faccia ai due vampiri.
"Allora?" chiesi io. Per me era davvero una situazione seria, dovevo essere perfetta per far capire di che pasta ero fatta a quella banda di delinquenti indiani.
"Tesoro, che stile ti interessa?" mi chiese Alice.
"Semplice ma ricercato, raffinato ma casual!" dissi con fare esperto.
Alice si buttò nella cabina armadio e ne uscì poco dopo con un paio di pantaloni neri, delle ballerine  in vernice, sempre nere, ed un maglioncino a righe bianche e blu. Nel frattempo pescai due capi di intimo dai cassetti del mio comodino.
"Metti questi" disse. Poi andò in bagno e prese una trousse stracolma di trucchi e dopo aver posto un asciugamano sul mio maglioncino, per non farlo macchiare, iniziò ad armeggiare con cipria e lucidalabbra.
Mi alzai soddisfatta del risultato.
"Io ti adoro" dissi abbracciandola.
"Anche io ti adoro, finalmente qualcuno che comprende la mia arte!" disse quella sospirando sollevata.
Scesi per le scale alla velocità della luce. Emmett, a tradimento, mi prese prima che potessi poggiare il piede sul pavimento e mi baciò. Di fronte a tutti.
Io rimasi immobile, rossa per via dell'imbarazzo.
"Sei tu che mi tenti" disse lui scrollando le spalle.
"Emmett McCartey Cullen" sibilò Alice infuriata "le rovini il trucco!".
Emmett sbuffò ripoggiandomi a terra. Esme venne verso di noi emozionata, come sempre quando mi accadeva qualcosa e sospirò: "voi due?"
"Noi due cosa?" disse Emmett "Vai Lily o farai tardi, ed Esme calmati, per favore"
"Si infatti è meglio che vada" dissi io guardando l'orologio.
Corsi verso la porta, salutando Carlisle che era seduto sul divano a guardare il notiziario.
Uscire fuori mi fece bene, persi il colorito in più conquistato con il bacio di Emmett e riuscii a razionalizzare la situazione.
Misi in moto e partii a tutta birra verso La Push. Feci un'entrata teatrale nello spiazzo dinanzi alla scuola sgommando. Erano le nove, ed i ritardi erano mal tollerati specie nella mia situazione di 'viso pallido'.
Scesi correndo dall'auto e raggiunsi l'edificio. Con un salto mi ritrovai sulle scalette di legno della scuola appena in tempo per lo squillo della campanella. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi verso l'aula di matematica. Stavolta le lettere erano rosse.
"Cià Seth" dissi senza fiato entrando e constantando, con sollievo, che il professore ancora non c'era.
"Ciao Beth" disse lui. Un altro soprannome? Perfetto, tra qualche giorno avrei avuto una crisi d'identità con i fiocchi.
"Seth e Beth, sembra una pubblicità" dissi io tirando fuori i miei libri.
"Siamo una coppia perfetta, o quasi..." disse lui con una smorfia.
"Quel quasi a cosa lo devo?" chiesi atona e sottovoce, dato che il professore era entrato.
"Quasi al fatto che se non passo il prossimo compito di biologia o mi suicido o mi ammazza mia madre, qundi addio coppia perfetta".
"Vuoi una mano?" chiesi io. I suoi occhi si illuminarono.
"Tu? Davvero? Mi aiuteresti?" chiese.
"Certo" dissi io "non c'è problema, ci vediamo oggi pomeriggio?" chiesi sbrigativa.
"Si, si... ma dove?" chiese lui.
"A casa tua non si può? Durante la pausa potrei chiamare da me e vedere se è possibile" iniziai a dire.
Lui si fermò.
"Sai non so se posso venire dalle tue parti" sussurrò arrossendo.
"A no? E come mai?" chiesi io. Ma il professore iniziò a spiegare e quindi chiudemmo la discussione lì.

"Vieni da me" dissi io "tranquillo"
"Ok, va bene. Chissene degli altri... c'è la mia vita in gioco!" disse lui "ma la prossima volta facciamo da me perchè non voglio romperti".
"Tranquillo, non rompi mai" sorrisi. Mi diressi verso la mia aula di letteratura mentre lui aveva un'ora libera.
"Prepara un piccolo programma di ciò che ci serve ripetere, lo devo fare anche io questo compito" gli feci l'occhiolino ed entrai nella sala delle torture.
Stavolta il bellissimo non fece commenti, quindi mi sedetti tranquilla ignorando -letteralmente- i miei compagni di classe.
La lezione trascorse tranquilla. Al suono della campanella, mentre riponevo le mie cose nella borsa, sentii i ragazzi parlare. Inziò quello che si era presentato in mensa il giorno prima. Jacob.
"Perfetto una F in biologia, ora posso considerarmi morto" borbottò.
Il bellissimo, Paul, lo guardò con aria truce.
"Se non prendo almeno B alla prossima interrogazione posso considerarmi bocciato" mugugnò. Uscirono dall'aula e io li seguii poco dopo dirigendomi verso la palestra.
"Allora" disse Seth vedendomi "tutto ok? A letteratura, intendo"
"Certo" dissi io con un sorriso.
"E allora perchè sei così seria?" mi chiese mentre eravamo seduti su un muretto ignorando palesemente le richieste del nostro professore di applicarci.
"Non sono sempre seria" dissi io. Ma aveva ragione, vedevo la mia espressione preoccupata, quando mi specchiavo in una superficie.
"Sì che lo sei" disse lui "ma se non ti va di parlarne fa nulla"
"Ok" sussurrai.
"Come mai ti sei trasferita da queste parti?" chiese poi.
Ammutolii all'istante.
"Ops, credo sia per lo stesso motivo che ti rende così seria" disse lui imbarazzato.
"Mia madre è morta, Alice è una mia parente e quindi sono venuta a stare da lei. Punto, stop, fine della storia" spiegai dura. Poi mi voltai verso di lui con un sorriso amaro.
"E' inutile che io ti dica che mi dispiace, vero?" chiese lui.
"Credo proprio di si" dissi io.
"Manca poco all'ora di pranzo, andiamo?" chiese Seth serio.
Ci dirigemmo verso la mensa, Seth mi guardò di nuovo con la classica espressione da 'mangi con me ed i miei amici terribilmente irritanti?'.
Scossi la testa.
"Vado in macchina, anticipo qualche compito" dissi io e mi diressi verso l'uscita.
Arrivata alla porta mi scontrai contro una superficie dura e bollente. Mi spaventai e feci un salto indietro.
Mi ritrovai di fronte Paul. Doveva aver appena finito di fumare, perchè la puzza di nicotina era molto forte.
"Che puzza!" esclamammo insieme.
Io lo guardai fisso e lui strabuzzò gli occhi, rendendosi conto di aver sparato qualcosa di grosso.
Senza considerare il fatto che avevo addosso il profumo dei vampiri, l'odore migliore che io avessi mai sentito in vita mia e in qualche mia probabile vita precendente.
Si scostò e si diresse verso la mensa.
Io continuai a dirigermi verso l'auto. Quanto lo detestavo, ed eravamo solo al secondo giorno di scuola, e non osavo immaginare a che livelli sarebbe arrivato il mio odio entro giugno.
Entrai in auto ed accesi l'aria condizionata. Presi il libro di matematica ed iniziai ad eseguire gli esercizi. Presi poi il libro di chimica ma lo lasciai subito, mi sarei fatta aiutare da Carlisle, era un medico o no? Ci doveva saper fare per forza con quelle provette del piccolo chimico.
Sentii bussare al vetro del finestrino alla mia destra.
Vidi Seth con un sorriso a 32 denti stampato in volto ed un cartoccio tra le mani.
Abbassai la sicura permettendogli di entrare.
"Ti ho portato il pranzo" disse. Sorrisi.
"Non ho fame, sul serio" scossi la testa. Era testardo eppure mi faceva una strana tenerezza. Risvegliava il mio lato materno.
"Un succo di frutta? E' all'albicocca. Ho visto che hai preso quello ieri" cercò di invogliarmi.
"Ok, il succo non lo rifiuto" acconsentii io.
"Bene, posso rimanere?" chiese poi.
"I tuoi amici ti stanno stretti?" chiesi io. Conficcai la cannuccia nella patina argentata del brick.
"No, cioè... anche. Ho bisogno di un piccolo sostegno morale" ammise poi.
Prese una polpetta di carne dal cartoccio e iniziò a mangiarla.
"Dimmi Seth" dissi io.
"Sono strani. Molto strani. Parlano di cose che non capisco, si fanno chiamare i protettori" disse.
"O che modestia, sono imparentati con Madre Teresa di Calcutta?" chiesi sarcastica.
Lui rise. Aveva una risata da bambino. Anche il suo viso era ancora infantile, cosa che faceva a pugni con il suo fisico sviluppato.
"Fanno serate in spiaggia, alle quali partecipano solo loro e..." disse titubante.
"E..." lo invogliai io.
"Stanno fuori per intere notti" disse "ed il giorno dopo sono stanchi come stracci" concluse.
"Ok, è meglio che non ti spieghi cosa penso che facciano in 'quelle notti'" dissi io ridendo.
Avevo appoggiato la testa al volante.
"Sono cambiati uno alla volta, lentamente" disse con sguardo truce. Era arrivato a mangiare la quinta polpetta, cosa impressionante dato che ognuna era grande quanto il mio polso.
"Se ne mangi un'altra scoppi" dissi io rialzandomi.
"No, ho una fame da lupi in questo periodo" disse lui. Alzai le sopracciglia incredula.
"Beth" disse poi dopo un breve istante di silenzio.
"Ehi" dissi io.
"Non voglio essere il prossimo" disse serio. Sembrava sul punto di piangere.
Provai uno strano slancio e gli accarezzai il volto.
"Prometto che se diventerai un rompipalle ignorante e spavaldo ti prenderò a pugni finchè non ritornerai normale" dissi scherzando. Anzi, non scherzavo affatto.
"Giuralo" disse "sulle polpette di carne".
"Le polpette?" chiesi io scioccata. Prima l'orso, ora le polpette.
"Si, la prima cosa che mi è venuta in mente" si giustificò scrollando le spalle.
"Ok, sulle polpette di carne" dissi io e posi la mano destra in alto a mo di giuramento.
"Andiamo, abbiamo due bellissime ore di Storia che ci attendono" disse lui sarcastico scendendo dall'auto.
"Wow" dissi senza entusiasmo e lo seguii.

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Capitolo 12
*** Mad about you ***


Entrai in casa usando le mie chiavi, cosa strana dato che c'era sempre Esme ad attendermi. La casa era avvolta nel silenzio assoluto, solo il ticchettìo del pendolo spezzava la quiete.
"C'è nessuno?" chiesi a voce alta.
"Io" disse Emmett scendendo le scale.
Lasciai la borsa a terra e andai ad abbracciarlo.
"Ciao Em" dissi io.
"Che slancio!" disse lui ridendo. Mi baciò ed andai in paradiso.
Quando ci staccammo mi fece sedere sul divano e si diresse verso la cucina.
"Ma gli altri?" chiesi io accendendo la TV.
"A caccia, torneranno tra qualche giorno" disse lui. Sentivo rumori di pentole e piatti.
"Capito, quindi siamo da soli?" chiesi.
Uscì dalla cucina con un piatto colmo di carne ed una bottiglia di acqua assieme ad un bicchiere.
"Sì, penso l'abbiano fatto apposta". Posò il companatico sul tavolino e mi fece segno di servirmi.
"Esme ha lasciato una montagna di roba per i pasti, Alice ti ha già scelto i vestiti per questi giorni in cui non ci sarà..." iniziò a dire.
"Mi sherviva Carlisle" dissi a bocca piena.
"Per cosa?" chiese lui piegando la testa di lato. Poggiai il piatto sul tavolino e mi pulii la bocca con un tovagliolo.
"Compiti" dissi deglutendo "Chimica..."
"Posso aiutarti io, sono un vampiro... sono super intelligente" propose picchiettandosi la tempia destra con l'indice.
Io lo scrutai attentamente e poi dissi: "non si direbbe" e scoppiai a ridere.
Lui mi immobilizzò sul divano, incastrandomi. Non riuscivo a muovermi.
"Questo fa sempre parte dei tuoi poteri vampireschi?" chiesi io.
"Anche" fu la sua unica risposta ed iniziò a baciarmi il collo lentamente. I brividi percorrevano la mia  schiena in una sorta di gara di velocità. Sentivo il suo corpo premere leggermente sul mio, lo sentivo inalare il mio odore con ingordigia. Il mio battito iniziò ad accellerare, non avevo paura -non riuscivo a provarne in sua presenza- ero in estasi completamente abbandonata alla sua volontà. Divaricai le gambe e lui ci si infilò con delicatezza, ogni movimento era attento e calcolato.
"Em" sospirai senza forze.
"Mmm?" chiese lui con fare indifferente.
"Smettila, ti supplico" sussurrai affannata. I suoi movimenti erano sempre più decisi, mi aveva alzato il maglioncino ed ora mordicchiava il reggiseno.
"Non ci penso neanche" disse "Sono un vampiro, ma rimango pur sempre un uomo" disse e mi strappò il reggiseno.
Rimasi colpita da quella affermazione, significava che mi desiderava.
"Baciami" gli dissi "senza controllarti, senza aver paura di farmi male"
"Ti ucciderei" disse lui avvicinandosi alla mia bocca.
Mi buttai su di lui ed iniziai a baciarlo, lui rispose spingendo prepotentemente la sua lingua ghiacciata dentro la mia bocca. Mi staccai senza fiato, ansimante.
"Ci sai fare" disse lui poggiando il capo sul mio petto.
"Anche tu" dissi io in un soffio.
"Non sai quanto sia difficile per me non poter andare oltre" disse. Accarezzò le mie curve leggermente.
"Perchè no Emmett?" chiesi.
"Perchè il sesso, per noi vampiri, è troppo violento" spiegò "e poi il tuo sangue ha un forte ascendente su di me"
Mi fissò, timoroso di avermi spaventata.
"Com'è per voi umani?" chiese poi, curioso.
"Non l'ho mai fatto, non te lo so dire. Devo dire però, che baci molto meglio di tutti gli umani che io abbia mai baciato"
Sorrise.
"Em, oggi verrà un ragazzino della riserva, dobbiamo studiare. Può, vero?" chiesi titubante.
"Certo, i problemi saranno suoi" disse.
"E perchè dovrebbe avere problemi?" chiesi io scostando il capo.
Si mise a sedere e mi prese tra le sue braccia. Il mio reggiseno, mutilato, era ai piedi del divano.
"Sai come sono gli indiani, sempre timorosi..." disse lui sbrigativo.
"Allora, Henstein, mi aiuti con chimica?" gli chiesi.
"Certo, va a prendere i libri" disse e mi liberò dalla sua presa ferrea.
"Quindi... cosa ti serve?" mi chiese non appena ebbi aperto il libro e preso la matita.
"Semplice dobbiamo completare delle frasi" dissi io "solo che io non ci capisco molto"
"E vuoi che te le completi io?" chiese quello scettico.
"Esatto" dissi io
"Non è leale, lo sai?" chiese lui.
"Certo" risposi io "ma chissene... insomma... devo salvare le apparenze"
Lui rise e prese in mano il libro.
"Allora, vediamo un po' qua.." disse.

"Proust studiò numerosi composti minerali seguendo un metodo di indagine analogo a quello di...?" chiesi.
"Lavoisier" rispose lui in un secondo. Scrissi il nome con la mia calligrafia rotonda.
Lessi un'altra frase.
"In cosa consisteva il metodo sopra citato?" chiesi.
"Prima li scomponeva  negli elementi costitutivi e ne misurava le diverse quantità; poi faceva reagire..." continuò con la sua spiegazione impeccabilmente.
Erano davvero intelligenti i vampiri, prima dell'esame di maturità avrei dovuto farmi vampirizzare. Ricordai che La Push, essendo una riserva, aveva leggi a se stanti e che l'esame di maturità non era altro se non un test a crocette. Finimmo in pochissimo tempo circa 5 esercizi. Stavamo chiaccherando allegramente quando all'improvviso Emmett si bloccò.
"Credo che il tuo amichetto sia arrivato, e che non sia da solo" disse.
"Aspettavo solo lui" dissi io alzandomi. Emmett prese il reggiseno dal pavimento e lo fece sparire in un luogo indefinito.
Aprii la porta e mi ritrovai di fronte Seth ed una ragazza, che doveva essere sicuramente anche lei una Quileute.
"Ciao Beth" disse Seth imbarazzato "lei è mia sorella Leah. Leah-Elisabeth, Elisabeth- Leah" ci presentò.
La ragazza non mi porse la mano, ma sussurrò solo un acido "piacere". La guardai bene e poi mi rivolsi a Seth.
"Prego" dissi ed entrarono. Erano quasi intimoriti dalla casa, eppure mi sembrava tutto perfetto. La casa era bellissima, luminosa, in ordine e pulita.
"Prego Leah, accomodati" dissi io "Emmett-Leah e Seth, Leah e Seth-Emmett" presentai.
Emmett le sorrise impercettibilmente e poi si fece cadere sul divano pesantemente.
"Bene, Seth noi andiamo a studiare in sala da pranzo ti va?" chiesi io al mio amico. Era rimasto zitto ed immobile.
Annuì con troppa forza, fissando preoccupato Leah.
Leah si sedette sulla punta del divano ed iniziò a guardarsi intorno.
"Posso offrirti qualcosa?" chiesi io. Notai che aveva iniziato a guardare Emmett in cagnesco e che lui faceva lo stesso.
"No, grazie" disse dura.
"Ok" dissi io, presi Seth per un braccio e mi diressi verso la sala da pranzo.
"Scusa, sai mia sorella ha voluto accompagnarmi... mi ha dato un passaggio" iniziò a borbottare per scusarsi.
"No, figurati. Solo che... mi è sembrata un po' nervosa" dissi io portando dalla cucina una bottiglia di menta fresca.
"Leah è sempre così..." disse, poi abbassò il tono della voce "è stata lasciata dal suo ragazzo, Sam"
"Sam? Quello della segreteria?" chiesi io.
"Esatto" continuò. Bevve un sorso dal suo bicchiere e poi aggiunse "si è messo con nostra cugina, Emily"
Annuii dispiaciuta. Non doveva essere una bella cosa.
"Allora.." dissi io cambiando discorso "da dove partiamo?"
"Abbiamo un bel po' di cose da ripetere. Non ci basterà una sola lezione, ma se riesco a superare questo esame pensò di riuscire a diplomarmi entro l'anno come te"
Strabuzzai gli occhi.
"Cosa?" chiesi.
"Sì" disse lui ridacchiando. Ispirava tanta tenerezza.
"Da noi, a sedici anni ci si può già diplomare" spiegò con il sorriso sul volto.
"Ma tu ne hai quindici" dissi io scuotendo la testa.
"Sì, ma 16 li compio sabato. Per la cronaca sei invitata alla festa del mio compleanno e la tua unica risposa è sì" disse
"Ok, va bene cervellone. Iniziamo da?" chiesi.
"La fotosintesi" disse lui ed aprimmo i libri.
Passamo due ore e mezza a discutere di fotosintesi, radiazioni della luce e reazioni alle fasi luminose. Arrivati al concetto di ereditarietà, ovvero la sezione seguente, decidemmo di smettere e rimandammo alla lezione seguente. Seth riordinò le sue cose e ci dirigemmo in salotto dove Emmett e Leah erano nella stessa posizione in cui li avevamo lasciati, con l'unica variante che Emmett guardava a destra e Leah a sinistra.
"Abbiamo finito" disse Seth alla sorella.
"Perfetto" disse lei. Si alzò e si diresse verso la porta. "Grazie e buonasera" disse in tono neutro ed uscì.
"Sera" risposi io scioccata.
"Ehy, grazie per tutto quanto" disse Seth abbracciandomi "e scusala, è fuori di testa".
"Figurati!" dissi io "a domani" lo salutai.
"Sì, a domani" rispose. Aprì la porta e poi disse:
"Ciao Beth! Ciao Emmett!"
"Ciao Seth" rispose Emmett. La porta si chiuse.
"Ma si può sapere che vi è preso?" chiesi io abbracciando Emmett. Lui rispose all'abbraccio.
"Niente, la ragazzina era poco simpatica" disse lui ridendo.
"Seth invece è bravissimo" dissi io " e lei è così per via di pene d'amore"
"Lo so che Seth è un bravo ragazzo, si vede!" disse lui. Ma sembrava pensieroso, come se qualcosa che non potesse dire lo stesse facendo impensierire.
"Vado a fare una doccia, ho già sonno. La biologia fa male alla salute" dissi io sbadigliando.
"Posso dormire con te, stanotte?" chiese lui.
Io arrossii.
"C-Certo" risposi abbassando la testa.
"Non deve essere una forzatura, e non ti toccherò naturalmente" disse lui.
"Purtroppo" aggiunsi.
"Purtroppo" ripetè.

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Capitolo 13
*** Fields of gold ***


Ero tra le braccia di Emmett. Una coperta in lana rossa divideva il mio corpo caldo dal suo, freddo.
La luce azzurra e rosa dell'alba entrava dalla finestra, un leggero vento muoveva le tendine e faceva tintinnare le mie collane appese allo specchio.
"Sei già sveglia?" mi sussurrò Emmett.
"Già" dissi con voce roca.
"Sono solo le quattro e mezza, dormi" mi disse.
Rimasi in silenzio. Iniziò ad accarezzarmi le gambe, nude, con la punta delle dita. Sapeva che, facendo così, mi avrebbe convinta. Ma un pensiero mi balenava in mente dal pomeriggio prima.
"Em" sussurrai atona.
"Dimmi Lily" disse lui iniziando a baciarmi il collo. Rabbrividii.
Presi la sua mano e la spostai dalla mia coscia alle mie mutandine. Lo sentii stringere la mano a pugno.
"Faresti tutto per me?" gli chiesi.
"Tutto" concesse lui. La voce era dura e roca, cercava di trattenersi, ma poi sciolse il pugno ed iniziò ad accarezzarmi il basso ventre.
"Allora facciamolo" dissi io.
"Non farò sesso con te" disse lui. Pronunciò la frase contro voglia, riuscivo a sentirlo.
Mi voltai di scatto, sovrastandolo.
"Infatti ti ho chiesto di fare l'amore, non sesso" dissi quasi con le lacrime agli occhi. Lo volevo, lo volevo a tutti i costi. Era una cosa più forte di me. Avevo sete di lui e dovevo saziarla.
Mi prese per i fianchi con facilità, come se fossi fatta di polistirolo. Mi posò sul letto e senza una parola si alzò. Si tolse la maglietta e si slacciò i pantaloni, rimanendo in intimo. Mi beai della sua bellezza. I muscoli, perfetti, sembravano scolpiti nel marmo; la pelle era bianca ed allo stesso tempo luccicante, colpita dai flebili e pallidi raggi di sole che facevano capolino ed entravano, curiosi, dalla finestra.
"Ne sei sicura? Sarà pericoloso" mi chiese sicuro. Anche lui voleva, ma era preoccupato.
"Sì" sussurrai.
Si posò su di me senza, tuttavia, appoggiare il suo peso sul mio corpo.
Iniziò a baciarmi il collo, lentamente. Ogni bacio era un nuovo brivido, arrivò al petto e poi mi fece sedere. Mi sfilò la cannottiera e rimasi con solo gli slip addosso. Sorrise nel vedermi così, nuda.
"Sei bellissima" sussurrò.
"Tu sei bellissimo" controbattei. Alzò un sopracciglio divertito. Con la mano gelida inziò ad accarezzarmi i seni. Sussultai a quel contatto freddo, poi riprese a baciarmi con vigore. Mi fece stendere nuovamente e mi sfilò gli slip. I suoi baci passarono sul mio ventre per poi arrivare sempre più in basso. Sembrava tranquillo, ma la sua espressione era concentrata.
Ritornò su e sfilò i suoi di slip. Sentivo la sua presenza tra le mie gambe.
"Ne sei davvero certa?" mi chiese di nuovo. Un ultimo avvertimento, e poi avrebbe rischiato.
"Sicurissima" dissi prendendo il suo volto tra le mani.

Le cinque e mezzo. Emmett era a caccia. Doveva riprendersi un po' ed anche io avevo bisogno di calma.
Avvertivo un certo bruciore all'altezza dello stomaco, ma decisi di non farci caso.
Era stato il momento più bello di tutta la mia vita. Non avevo neanche un livido, a differenza delle mie coperte e dei miei cuscini che erano irreparabilmente distrutti. Mi alzai dal letto, piano, non volevo spezzare la magia di quel momento. Mi trovavo in uno strano stato di beatitudine, mi appoggiai sul muro, azzurro, e scivolai sino a terra con gli occhi chiusi cercando di ripercorrere con il pensiero quegli attimi fantastici. Il cellulare, sulla toletta, vibrò. Allungai il braccio e lo afferrai.
"Pronto?" chiesi in un sospiro.
"Elisabeth, grazie al cielo!" disse Alice dall'altra parte "Sei tutta intera?" mi chiese con voce preoccupata.
"Sì sì" dissi io. Doveva aver capito, o meglio visto, tutto quanto. Non provai vergogna, insomma alla fine non eravamo ne i primi ne gli ultimi a farlo.
"Lo sapevo che ci sarebbe riuscito" disse Alice felice, la sua voce era squillante ed infantile.
"Alice" chiesi io "lo sai solo tu, vero?"
"A dire il vero Edward mi ha letto nel pensiero ed ora sta bollendo di rabbia perchè lui non ci è mai riuscito con Bella" spiegò lei velocemente.
"Ah, capito" dissi io "Alice, ho bruciore allo stomaco..." le accennai.
"Era la prima volta?" mi chiese.
"Sì" dissi io.
"Allora è normale, tranquilla. Ti lascio, Jazz ha catturato un orso e sta per regalarmelo" disse lei contenta.
Sbottai in una risata e chiusi. Mi alzai ed entrai in bagno, abbandonandomi al getto caldo della doccia.


Allora, per prima cosa scusate il terribile ritardo! ù.ù Poi... Ash G... bene vedi io ho tolto l'imprinting in quanto sono contraria ad esso... non per altro e poi comporta inutili complicazioni che non sto qui a spiegare! Per quanto riguarda il triangolo amoroso bè, devi solo continuare a seguire la storia...

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Capitolo 14
*** Over my Head ***


Scesi in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. Previdente, come sempre, Esme aveva riempito la dispensa di ogni tipo di dolce fatto in casa. La sua avversione per il cibo pre-confezionato era ormai evidente, ed io l'accettavo senza problemi dato che era davvero un'ottima cuoca.
"Ehi"
La sua voce, matura e dolce, mi colse di sorpresa.
"Em" dissi io sorridendo "già di ritorno?"
"Certo, mi serviva solo un po' di aria fresca" disse lui con un'alzata di spalle.
"Non lo rifaremo" dissi io. Era un'affermazione.
"Perchè?" chiese lui allarmato "c'è qualcosa che... non ti è piaciuto?". Era scioccato, credeva forse che stessi mettendo in discussione la sua virilità? Era lontano anni luce, quella era un dato di fatto.
"Mi chiedi se non mi è piaciuto?" dissi io alzando il tono di voce di tre ottave "Emmett è stata la notte migliore della mia vita, sei una bomba assoluta e mi chiedi se non mi è piaciuto venire a letto con te?" brandivo un bicchiere pieno di succo di frutta.
"E allora perchè non lo vuoi fare più?" chiese lui sempre più confuso.
"Perchè per te è una sofferenza" dissi io triste.
"No che non lo è" disse lui "sinceramente mi è piaciuto, e parecchio anche" ammise.
"Io..." dissi. Mi trafisse con lo sguardo dorato, mi sentii sciogliere, annientare, svuotare. Nessun pensiero coerente mi attraversava la mente. Si avvicinò lentamente, come se stesse puntando una preda. Prese il bicchiere e con delicatezza lo posò sul lavello. Mi cinse i fianchi con le mani gelide ed abbassò la testa sino a portare la sua bocca sul mio orecchio.
Chiusi gli occhi e mi appoggiai a lui, dato che le gambe non riuscivano a reggermi.
"Stiamo litigando?" mi chiese in un sussurro.
"N-no" dissi io. Ero troppo confusa per poter dare un tono indignato alla voce.
"Bene, non mi piace litigare con te..." ammise lui. Il suo tono rimaneva roco e terribilmente provocante.
Iniziò a baciarmi il collo, lentamente. Non riuscivo a respirare per i brividi e l'emozione.
"Lo rifaremo?" mi chiese di nuovo, sempre sussurrando.
"Em" cercai di oppormi e di spostarlo, ma il solo risultato che ottenni fu di essere totalmente attaccata a lui.
"Ti ho chiesto" ripetè con voce più dura, anche se il tono rimaneva sempre roco "lo rifaremo?"
"Sì" sussurrai. Lui portò la sua bocca sulle mie labbra e mi baciò, per suggellare la promessa.
"Sei un bastardo" gli dissi non appena si staccò da me. Lui rispose con un ghigno e si allontanò.
"Buonagiornata, Lily" mi disse e si andò a buttare sul divano.
Presi un sacchetto e ci infilai dei Plum-cakes al cioccolato. Avrei fatto colazione in auto.
"Ma non vai mai a scuola?" gli chiesi io.
"No" fu la sua unica risposta "c'è un'intera settimana di sole a Forks, il miracolo del secolo, quindi posso guardare tutto il campionato in pace. Fatta eccezione per la notte" ammiccò.
Sorrisi. Era un incredibile ammaliatore, ma lo amavo. Mi bloccai. Lo amavo? Potevo davvero dire una cosa così importante? Presi lo zaino e mi diressi verso la porta, ringraziando che non ci fosse Edward in giro.
"Ciao Em" dissi io.
"Ciao amore" rispose lui.
Chiusi la porta e riascoltai mentalmente quel 'ciao amore'. Riaprii la porta e sbirciai dentro.
"Sc..." cercai di dire.
"Sì, ti ho chiamata amore... e ora vai altrimenti farai ritardo e non voglio che tu corra per strada, se dovesse accaderti qualcosa potrei dire addio alla vita eterna" disse lui cambiando canale.
"Carlisle non ti ammazzerebbe per qualche ammaccatura su di me" dissi io scuotendo la testa.
"No, ma mi suiciderei" disse lui.
Gli sorrisi e chiusi la porta.



Arrivai a scuola con calma, e nel 'mio' spiazzo trovai Seth che mi attendeva.
"Seth" lo salutai. Lui mi rispose con il suo solito sorriso da bambino.
"Che ci fai qui?" chiesi.
"Non posso andare in giro per La Push? Beth, è il mio territorio" disse lui ridendo.
"Intendevo dire" dissi io raccogliendo le idee "che non ti avevo mai visto da queste parti"
"Sono venuto ad aspettarti, ok?" ammise arrossendo.
"Ahia, Seth... che hanno combinato quei cretini?" chiesi io capendo subito che qualcosa non andava.
"No, dai niente" niente disse lui.
"Seth, cos'hai all'occhio?" chiesi io notando, solo allora, un livido.
"Niente, mi son scontrato contro la porta stamat..." cercò di dire "ahia!" urlò non appena lo toccai.
"Seth che cazzo è successo?" chiesi io arrabbiata.
"No... è che..." iniziò a balbettare lui. Riaprii l'auto e gli feci segno di entrare.
Lui seguì il mio ordine ed io andai a recuperare il mio posto alla guida.
"Con chi hai fatto a pugni?" chiesi io.
"Paul" disse lui in un sussurro. Sentii una bestia ruggire in me, lo sapevo che quel ragazzo avrebbe dato solo problemi.
"E perchè?" chiesi io. "Perchè?" chiesi nuovamente, con tono più alto, vedendo che non voleva rispondere.
"Perchè" inziò "no, niente, andiamo" disse cercando di alzarsi. Lo trattenni per la felpa.
"No, ora mi dici il perchè altrimenti ti pesto l'altro occhio tanto che le persone ti scambieranno per un orsetto lavatore" lo minacciai.
"Perchè sono venuto a casa tua, ieri, non volevano. Sam mi ha sgridato, ma Paul è passato alle maniere forti. Sam ha cercato di farlo ragionare e poi sono intervenuti, altrimenti non credo che sarei riuscito ad arrivare con le mie gambe stamattina a scuola" disse con voce stanca.
Sentimmo la campanella suonare. Ci dirigemmo verso l'ingresso.
"Seth, ci vediamo alla macchina a pranzo" dissi io "forse arriverò con cinque minuti di ritardo.. devo far vedere qualcosa al professore" mentii. Gli lanciai le chiavi dell'auto e sparii.  Quella mattina tutte e tre le mie ore di lezione erano di letteratura, tutte e tre le ore in compagnia di quei buffoni.
Entrai in classe con passo di marcia, non degnando di uno sguardo nessuno dei presenti. Dovevo avere un'aria strana dato che, invece, loro mi guardavano con aria interrogativa.
Le ore passarono velocemente. Vidi Seth, in lontananza, dirigersi verso l'auto ed io invece mi diressi verso la mensa.
Scovai il tavolo con i ragazzi e mi ci fermai.
Jacob, il ragazzo che mi aveva dato l'avviso qualche giorno prima alzò lo sguardo su di me.
"Hai bisogno di qualcosa?" mi chiese gentilmente.
Non gli risposi e portai il mio sguardo verso Paul.
"Tu" dissi io indicandolo "ti devo parlare"
"Tu devi parlarmi?" chiese lui scettico "e se io non volessi?" disse sarcastico.
"Non ti ho chiesto se ne hai voglia o meno" ribadii io "alza il culo ed esci fuori, ora" ordinai.
"Chi ti credi di essere?" chiese lui alzandosi di scatto. Non indietreggiai di un cm, rischiavo la pelle ogni secondo vivendo con dei vampiri, un ragazzino troppo cresciuto non mi faceva di certo paura.
"Elisabeth Brandon Cullen" dissi io "e non è poco, quindi ora nullità terrena seguimi"
"Altrimenti?" mi chiese.
"Paul, per favore. Vai" disse Jacob.
"C-cosa?" sputacchiò lui tremante di rabbia.
Iniziai a camminare verso l'uscita secondaria. Non volevo di certo farmi vedere da Seth.
Lui mi seguì contro voglia.
"Cazzo vuoi?" mi chiese incrociando le braccia.
"Perchè lo hai picchiato?" gli chiesi dura.
"Non sono affari tuoi, ci credevo che sarebbe venuto a piangere da te, ora si fa difendere da una femmina" disse lui, quasi in un monologo.
"Punto primo" dissi io "non sono una bestia, a differenza tua, quindi non chiamarmi femmina ma donna. Punto secondo sono affari miei e lo diventeranno del preside se non mi fornisci una spiegazione degna di questo nome. Punto terzo non ha pianto nessuno, al massimo piangerai tu tra un po' di tempo" dissi.
"A davvero? E perchè dovrei piangere, donna?" chiese sputando l'ultima parola.
"Perchè una cazzata del genere ti costa l'espulsione" dissi io.
"Non me ne frega niente della scuola" disse lui.
"Certo, figurarci se ad un decelebrato come te può interessare la scuola" dissi io sbottando in una risata isterica.
"Comunque sia, cosa vuoi fare? Andarlo a dire tutto al preside? Picchiarmi?" chiese sarcasticamente.
Non ci vidi più dalla rabbia e gli affibbiai un pugno sull'occhio destro.
Quello si gonfiò all'istante, lo vidi tremare di rabbia. L'occhio tuttavia tornò normale dopo poco.
"Cosa vuoi fare ora?" chiesi io usando la sua stessa domanda "picchiarmi?"
Voltai i tacchi e mi diressi verso la segreteria.

Non bussai nemmeno e la aprì con un gesto secco.
"Mi firmi due permessi d'uscita, uno per Elisabeth Cullen e l'altro per Seth Clearwater" dissi io.
"Non posso" disse Sam guardandomi duramente "non c'è nessun motivo serio che lo rende necessario" continuò senza mutare tono.
"Mi stia a sentire" dissi io "o mi firma quei due permessi oppure questo sarà il suo ultimo giorno di lavoro qui, intesi? So benissimo che lei non parla in merito alla rissa tra Paul Meraz e Seth e la cosa manderebbe in bestia non solo il preside ma tutta la riserva. Qui è un ambiente molto piccolo, lo sa meglio di me, le notizie passano di bocca in bocca" lo minacciai. Mi guardò male per un po' poi mi porse i due foglietti e me ne andai.
Raggiunsi l'auto dove Seth mi attendeva pazientemente.
"Ehi Beth, ho trovato un sacchetto con dei dolci ottimi e li ho mangiati tutti" disse lui arrossendo. Sembrava un bambino che chiedeva scusa alla mamma per aver rubato la cioccolata.
"Non ti preoccupare, erano per te" mentii e gli porsi il foglietto.
"Come hai fatto?" chiese sorridendo. Una smorfia di dolore si sostituì al suo sorriso non appena i muscoli dell'occhio si piegarono.
"Non sono affaracci tuoi Clearwater" dissi scherzando "Dove vuoi andare?" gli chiesi  sorridendo.
"Non lo so... dove vivevi prima?" mi chiese sorridendo.
"Seattle" dissi io.
"Andiamo a Seattle?" mi chiese sbirciando il contachilometri "c'è abbastanza benzina, e con questo bolide ci arriveremo prestissimo" disse eccitato.
"Vada per Seattle" dissi io e misi in moto.

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Capitolo 15
*** Why does it always rain on me? / When a love falls ***


La strada scorreva sotto le ruote, liscia e compatta. Seth guardava fuori dal finestrino, muto. Non riuscivo a credere a ciò che gli era capitato. Perchè non volevano che mi frequentasse? Insomma, non facevo niente di male e poi non era mica un delitto andare a casa di un viso pallido. Il volto di Paul non abbandonava la mia mente. Era stato così stupido e prepotente a prendersela con un ragazzino... Mi sentii fiera di me stessa per avergli tirato un pugno, anche se avrei voluto farlo assomigliare ad un panda mentre non sembrava aver subito grandi danni.  Anzi, sembrava non averne subiti affatto. Coglione. Non lo avrei mai perdonato. Seth era mio amico, un vero amico - forse il primo degno di questo appellativo che avessi mai trovato, ed era incapace di far del male ad una mosca figurarsi difendersi da un colosso del genere.
Avrei dovuto farmi insegnare da Emmett qualche mossa di pugilato o di karate... così per precauzione. Sorrisi all'idea.

"A cosa pensi?" chiese Seth.
Sussultai.
"Di solito questa è una domanda che fanno le donne, Seth. Non avrai deciso di cambiare vita..." scherzai io. Non potevo di certo spiegargli che volevo prendere lezioni di auto difesa da un vampiro.
"No, tranquilla" sorrise lui "ero solo curioso" ammise "te l'ho già detto che sei sempre pensierosa, vero?" chiese.
"Sì" buttai giù in un sospiro. Mi bloccai.
"Me lo dirai mai il perchè?" mi chiese. Lo fissai.
"Non c'è un perchè... sono nata seria" dissi. No, il perchè c'era eccome e si chiamava 'vampiri'.
"Sei nata vecchia" sbuffò.
"Grazie" dissi io con tono offeso "ed io che ti sto facendo saltare delle preziose ore di scuola..." scossi la testa. Sbottai in una risata.
"Grazie per tutto" disse con tono dolce. Il suo tono, quello che risvegliava in me uno strano senso di protezione.
"E cosa?" chiesi io.
"Per aver picchiato Paul. E non fare quella faccia, ti ho vista. Per avermi fatto saltare altre noiose ore di lezione, per darmi ripetizioni di biologia gratis e per essere mia amica" disse.
Volevo piangere. Era così maledettamente dolce, carino. E come diavolo aveva fatto a vedere la scena di me e Paul?
"Figurati" dissi "quando vuoi, potrei farmi dare lezioni da Emmett in modo da diventare la tua guardia del corpo..."
Rise, con la sua risata infantile. "Emmett... è il tuo...?" chiese allusivo.
"Ragazzo" dissi io con un sorriso.
"State bene insieme... sembra il tipo giusto per te" disse. Sembrava sincero.
"Grazie, è perfetto... lo so" dissi in un sospiro.
"O no per favore non fare i sospiri da innamorata, mi fanno schifo" disse lui parandosi il volto con le mani.
"Quanto sei stupido da uno a dieci?" chiesi ridendo.
"Facciamo 7..." disse lui.
"Bè anche otto... insomma 2 perchè non capisci niente di biologia, 1 perchè mangi troppo e fa male mangiare nelle tue quantità..."
"E 5?" chiese divertito.
"5 perchè non ti ho mai visto in compagnia di una ragazza Seth Clearwater!" urlai scherzando.
"Bè certo... tu sei un uomo effettivamente..." scherzò annuendo.
"No! Ma... uffa non intendevo in quel modo..." dissi io.
"Sì... lo so! Intendevi dire che non mi vedi uscire con ragazze..." disse spazientito.
"Ecco, esatto. E non mi venire a dire che non ti filano perchè non ci credo..." dissi io.
"No, vedi non... insomma..." arrossì violentemente.
"aha!" dissi "ora parla... avanti Seth chi ti piace?"
"Nessuna è questo il problema..." disse lui, era serio.
"Ok... sai che ti dico? Vivi come ti pare e rimani libero... infondo hai 14 anni" dissi, sbagliai l'età apposta sapevo di farlo arrabbiare.
"Ne ho quasi 16" disse lui, puntualmente.
"Lo so sbruffone, cosa ti regalo per il compleanno?" chiesi allegra, eravamo quasi arrivati a Seattle.
"Niente. Mi hai dato già troppo" disse.
"No, un regalo te lo faccio per forza!" dissi, non avevo intenzione di cambiare idea. Se lo meritava un regalo, mi stavano tenendo a galla, lui ed Emmett, mi stavano salvando altrimenti sarei affogata in un oceano di dolore. La ferita causata dalla perdita di mia madre bruciava ancora ed solo in quel momento mi resi conto che tornare a Seattle non era stata una grande idea. Parcheggiai in corrispondenza della mia vecchia scuola.
"Regalami un sorriso" disse lui prendendomi il mento con la mano destra.
"Seth" dissi con voce rotta, mi fiondai tra le sue braccia. Singhiozzai per un po' finchè lui non disse:
"Beth, non piangere dai. Passerà. Nei momenti bui bisogna accendere la luce" scherzò.
Risi tra le lacrime, mi ritrassi e me le asciugai con le maniche della felpa.
"Che scemo che sei!" dissi.
"Dai" sorrise "scendiamo?"
Scendemmo dall'auto e lui si diresse verso un passante lasciandomi da sola come un babbea di fronte all'auto.
Lo vidi parlare e seguire alcune indicazioni, poi mi prese per mano e iniziò a condurmi.
"Ci sei mai stato a Seattle?" gli chiesi. Non avevo idea di dove volesse andare, ma lo seguii lo stesso.
"No" disse lui con semplicità.
"Ah, bene" sbuffai. Era matto, da legare.
Dopo cinque minuti di marcia e di occhiate stranite da parte della gente vidi il cancello del cimitero e il mio cuore mancò qualche battito.
"No, Seth, per favore" dissi io quasi in lacrime. Si bloccò di fronte ad un fioraio.
"No Beth, devi" disse lui scuotendo la testa. Estrasse dai jeans una banconota da cinque dollari e la porse all'uomo.
"Un mazzo di quelle" disse indicando delle rose bianche.
"Cosa devo?" chiesi io arrabbiata. Non poteva portarmi da mia madre senza il mio consenso, era terribilmente infantile ed immaturo. Mi bloccai. Forse l'immatura ero io, che avevo paura dei miei stessi ricordi.
"Devi fare pace con il tuo passato, altrimenti non troverai mai l'interruttore della luce" disse lui.
"Cosa? No, magari non ora... non ce la farei" dissi io.
Mi staccai pronta a ritornare indietro, ma lui mi afferrò per i fianchi  e mi ritrovai stretta a lui. Notai solo allora che era stranamente cresciuto nell'arco di due giorni...
"Come si chiamava tua madre, Beth?" mi chiese serio.
Il suo alito profumava di cioccolato.
"Marlene Brandon" dissi d'un fiato. Se dovevo farmi male tanto valeva andare fino in fondo.
"Mi ci porti da questa signora?" mi chiese. Sembrava adulto all'improvviso, determinato. Annuii ammutolita e gli presi la mano ed iniziai a guidarlo come lui aveva fatto con me.
Arrivammo dinanzi alla tomba di mia madre. Non c'era nessuno oltre noi ed il cielo grigio, pieno di nuvole minacciose. La pioggia iniziò a cadere, prima sottoforma di goccie poi più potente.
Seth mi porse il mazzo di fiori e mi fece cenno, con il capo, di dirigermi verso mia madre.

Con passo tremante avanzai verso la tomba. Avevo paura, paura di rivedere la sua foto lì sul marmo freddo e di ricordare i momenti felici passati insieme o le litigate che finivano sempre con un vasetto di gelato al cioccolato per fare pace.
Mi fissava sorridente dalla cornice. Il tempo per lei si era bloccato. Quella foto l'avevamo scattata quando eravamo andate in vacanza in Florida, solo un mese prima. Avevo voluto che venisse utilizzata per quell'occasione perchè mi ricordava il suo carattere allegra, felice, generosa... nonostante con lei la vita non lo fosse stata granchè.
Appoggiai il mazzo sulla terra umida, poi allungai la punta delle dita sino a sfiorare il vetro freddo della foto.
"Mamma" sussurrai tra le lacrime. Mi mancava. Eppure riuscivo a sentirmi rinvigorita, era come se in quel momento fosse li con me a dirmi di andare avanti senza pensare a lei. Lei si era sempre posta su un piano secondario rispetto a me, come se la mia vita fosse più importante della sua. Ma quella notte avrei voluto morire io al suo posto, per non doverla vedere in una bara, fredda, immobile. Morta. La pioggia continuava a cadere tempestando con le sue goccie di cristallo i fiori. Li posi appena sotto il marmo in modo che rimanessero al riparo.
Mi rialzai e feci dei passi indietro senza, tuttavia, voltarmi.
Sentii l'abbraccio di Seth accogliermi. Caldo, rassicurante.
Uscimmo dal cimitero in silenzio. Ero pronta a voltare pagina, ma non a gettar via il libro. Non potevo e non dovevo avvilirmi, mia madre non avrebbe voluto.
"Ora torniamo a casa, che ne dici?" chiese Seth con tono dolce.
"E la tua gita a Seattle?" chiesi io dispiaciuta.
"No, quella la rimandiamo alla prossima rissa" disse Seth con un mezzo sorriso.


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Capitolo 16
*** This is the life ***


Imboccai il vialetto di casa Cullen con il sorriso sulle labbra, un sorriso amaro ma pur sempre un sorriso. Tutto grazie a Seth, che in quel momento mi fissava dubbioso.
"Ti riaccompagno io a casa, dopo la lezione di biologia" dissi scendendo tranquillamente dall'auto, Emmett uscì di casa con la stessa espressione di Seth sul volto.
"Em" dissi con un sorriso, stavolta gioioso. Mi sentii riscaldare, come sempre quando ero in sua presenza.
"Lily, amore" disse lui venendomi incontro, mi baciò incurante della presenza del mio amico.
Mi staccai da lui con dolcezza e voltai verso Seth.
"Scendi, dobbiamo studiare..." urlai. Quel ragazzino stava diventando un vero lavativo.
"Ciao Emmett" disse quello.
"Ciao Seth!" sorrise Emmett "Hai fatto a pugni con la mia ragazza?" chiese notando il livido.
"No, ma la tua ragazza ha fatto a pugni con un mio compagno di scuola" ammise Seth.
Lo fulminai con lo sguardo.
"Cosa sentono le mie orecchie?" chiese Emmett voltandosi verso di me sorridente.
"Te lo racconto dopo!" dissi io e presi Seth per mano. Lo portai nuovamente in sala da pranzo.
"Cosa ti offro?" gli chiesi.
"Niente" disse lui con risolutezza. Ma non me la dava a bere, aveva fame in continuazione, forse era quella la causa della sua crescita improvvisa.
"Bugiardo..." dissi io ponendomi le mani sui fianchi. Emmett entrò sorridente e si sedette.
"Posso rimanere, vero?" chiese a me e Seth "le partite sono finite e quindi.. posso darvi una mano, sono bravo!" propose con un sorriso. Sembrava più bambino di Seth certe volte. Sorrisi.
"Certo, vero Seth?" chiesi io.
Seth annuì e poi il suo stomaco brontolò sonoramente.
"Ecco, visto che hai fame?" lo rimproverai.
Lui arrossì e poi ammise: "non è che avresti quei dolci che ho mangiato oggi?".
Presi il vassoio con i plum-cakes e glielo porsi, poi mi andai a sedere accanto ad Emmett. La lezione iniziò.

Dopo due ore volsi lo sguardo all'orologio e dissi "Seth, basta. Sono le sei, devo riportarti a casa" e mi alzai per riordinare un po'.
"Emmett, scusa posso chiederti una cosa?" chiese Seth intimorito. Effettivamente la stazza di Emmett poteva incutere un po' di timore.
"Certo spara ragazzo" disse lui sempre sorridente. Riposi i libri in borsa.
"Che partita guardavi?" chiese con una strana luce negli occhi.
"Lakers contro Tigers" disse Emmett.
"Io sono dei Lakers" disse Seth eccitandosi.
Emmett saltò su dalla sedia.
"Anche io, tu sei un grande ragazzino! Qua la mano" disse e prese la mano di Seth con relativa delicatezza, dato che se gliel'avesse presa con forza gliel'avrebbe frantumata.
"Quindi hai la TV via cavo?" chiese Seth emozionato.
"Certo! 90 canali di sport 24 ore su 24" disse Emmett orgoglioso come se stesse promuovendo i suoi personali canali televisivi.
"Fico" disse quello.
"Tu no?" chiese Emmett.
Seth scosse la testa dispiaciuto.
"I miei non se la possono permettere" disse. Sembrava sul punto di piangere per il dispiacere.
"E che problema c'è?" aggiunse Emmett gioioso, forse il suo cervello era davvero bloccato a 18 anni "vieni qui quando vuoi!".
"Certo" aggiunsi io, avere Seth in casa poteva solo farmi piacere e agli altri non sarebbe dispiaciuto certamente. Alice ed Esme non facevano altro che ripetermi di invitare amici, se ne avevo voglia.
"Dite davvero?" chiese quello emozionato almeno quanto Emmett.
"Sì, ovvio!" aggiunse Emmett "facciamo domani alle cinque? C'è Lakers contro Yankees!"
"Oddio! Certo, certo" disse Seth. Si spostarono in salotto discutendo di mosse e regole sportive a me ignote. Il telefono squillò ed io scivolai artisticamente sul linoleum per rispondere.
"Pronto?" risposi allegra.
"Sono Sam Uley, vorrei parlare con la signorina Elisabeth Brandon" disse la voce di Uley.
"Sono io" dissi con tono funereo. Cosa voleva?
"Per questa volta lascerò correre, ma la prossima volta avviserò i signori Clearwater ed il preside del suo operato. Non può prendere un sui compagno di scuola ed allontanarlo dalle lezioni"
Risi.
"Vuole minacciarmi? E cosa dirà al preside quando io gli mostrerò i due permessi firmati da lei? Mi creda signor Uley, non mi minacci, so fare di peggi" dissi e riattaccai. Sembrava di vivere in un romanzo.
"Qualcosa non va?" chiese Emmett preoccupato. Seth lo seguiva, il suo sguardo attento.
"Tutto perfetto " dissi io "andiamo Seth". Presi la felpa e le chiavi dell'auto e mi diressi verso la porta.
Seth ed Emmett si salutarono dandosi appuntamento per l'indomani. Seth entrò in auto ed io rimasi accanto ad Emmett, mi misi in punta di piedi raggiungendo a malapena il suo orecchio e sussurrai "Vai a caccia, ho intenzione di mantenere la mia promessa".


Angolino x me!
Scusate per il terribile ritardo! =) Spero che nonostante i ritardi che tenterò di eliminare la storia vi piaccia ancora!
Vorrei specificare che l'intromissione di Lily nel triangolo amoroso non implica necessariamente un suo coninvolgimento sentimentale... =)

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Capitolo 17
*** Life in technicolor ***


Sabato mattina, alle dieci Alice entrò in camera mia saltellando allegramente mentre Emmett seduto sul mio letto mi spiegava come aveva steso un orso la sera prima, mentre io mangiavo in pigiama.
"Litz, tesoro, siamo tornati stamattina, ho comprato dell'intimo delizioso mentre eravamo via, sicuramente vi servirà!" disse guardando allusiva prima me e poi Emmett.
"Io preferirei che non ci fosse" disse Emmett.
"Come sei sciocco, c'è più romanticismo" sbottò lei seccata.
"Alice, grazie" sorrisi io.
"Figurati, lascio la borsa qui" disse, poi si voltò minacciosamente verso Emmett e socchiuse gli occhi sibilando: "non li distruggere, ci tengo sono stupendi e sarebbe difficile far arrivare altri pezzi del genere". Detto questo se ne andò saltellando alla velocità della luce.
"E' un mostriciattolo" sussurrò Emmett guardando.
"Io la adoro" dissi io.
"Ti adoro anche io cara" urlò lei.
"Devi andare dai Clearwater stasera?" chiese Emmett dispiaciuto.
"Già" dissi io. Avrei voluto portarlo con me, ma se già a Seth creava problemi venire a stare da noi, non osavo immaginare fino a che punto la presenza di uno dei Cullen avrebbe potuto cacciarlo nei guai.
"A che ora torni? Non mi va che guidi di notte, insomma... e se ti aspettassi al confine di La Push?" chiese lui "in modo da tornare insieme".
Rimasi imbambolata fissando il suo viso perfetto.
"Come vuoi Em" dissi io, mi accostai a lui e lo abbraccia.
Lui mi spinse leggermente fino a quando non ci trovammo distesi su di me. Il suo corpo poggiato delicatamente sul mio.
Mi baciò leggermente, senza fretta. Un bacio lento, romantico. Da innamorati. Emmett aveva un grande autocontrollo, anche se ora aveva bisogno di andare a caccia più spesso.
Edward si accostò alla nostra porta. Sul suo viso nessuna parvenza di una qualunque espressione, era una maschera di ghiaccio.
"C'è al telefono Seth Clearwater" annunciò con voce monocorde e sparì.
"Sei uno stronzo Emmett" dissi io "mi hai baciato perchè sapevi che stava venendo"
"Quel ragazzo ha bisogno di aiuto, credimi" aggiunse lui "e comunque io ti bacio perchè ne ho un bisogno impellente"
Mi alzai e mi diressi verso il telefono del secondo piano.
"Pronto?" risposi.
"Ciao Beth!" mi salutò lui con la sua solita voce allegra "Stavo pensando... perchè non vieni a La Push? Andiamo in spiaggia, tutti gli altri sono fuori quindi staremmo un po' tranquilli dalle mie parti... una volta ogni tanto" spiegò velocemente.
"Ehm... ok" dissi presa in contropiede "aspetta un attimo in linea" dissi io.
Scesi le scale di corsa saltando gli ultimi tre gradini a piè pari e scivolando sino in salotto.
Esme ed Alice erano intente a seguire una delle miliardesime puntate di Beautiful, la soap opera eterna. Almeno loro l'avrebbero potuta seguire davvero per l'eternità.
"Esme" dissi lanciando un urletto.
"Dimmi cara" disse lei voltandosi verso di me. Carlisle entrò in quell'esatto momento.
"Seth potrebbe rimanere a pranzo da noi?" chiesi contenta.
"A dire il vero..." volse lo sguardo verso Carlisle ed io la imitai.
"Carlisle per favore" dissi io.
"Litz". O no, anche lui con i nomignoli.
"Carl" scherzai io.
"Noi non mangiamo" disse.
"O merda" sussurrai.
"Ma... potremmo fare un'eccezione per oggi" disse Alice. Amava avere ospiti.
La guardai speranzosa, poi mi rivolsi di nuovo a Carlisle, con sguardo innocente e supplichevole allo stesso tempo.
"E vada, Edward sarà da Bella ed io a lavoro. Jasper non credo si unirà" commentò.
"Ma noi potremmo mangiare una piccola bistecca al sangue" disse Alice battendo le mani come una scolaretta. Rimaneva comunque sia bellissima.
"Per me non ci sono problemi" disse Esme "finita la puntata mi metto all'opera" annuì.
"GRAZIE" urlai mi diressi verso le scale, ma poi ricordai un'altra cosa e tornai indietro.
"Carlisle, cosa si mette su un livido vecchio di un giorno?" chiesi.
"A cosa ti serve scusa?" chiese.
"Ti sei fatta male?" mi chiese Esme in preda al panico.
Sicuramente pensavano che Emmett mi avesse fatto del male.
"No!" esclamai io "non è per me, ma per Seth, ha fatto a pugni" spiegai. Loro mi guardarono sospettosi. Edward scese le scale con non-chalance infilando il cappotto.
"Dice la verità" sussurrò e poi sparì.
"Ti lascio la pomata sul tavolo" disse Carlisle "e tra parentesi, non crediamo che tu dica bugie, però ci preoccupiamo per la tua incolumità".
"OK" dissi io e tornai su al telefono.
Vi trovai Emmett che elencava nomi di giocatori a me ignoti.
"Emmett lascia il telefono" ordinai. Lui mi guardò con occhi supplichevoli.
"Ma stavamo..." cercò di dire.
Lo baciai. "Mi lasci il telefono, per favore?" chiesi.
"Ok" disse "ciao Seth, ci si vede oggi". Mi porse la cornetta.
"Seth" dissi riprendendo possesso del telefono "vengo a La Push, ma poi sei invitato a pranzo da me" spiegai.
"Ehm..." disse lui "ok!"
"Perfetto" dissi "sono lì tra mezz'ora".




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