Nati sotto una stella

di ElenaNJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Regole Roundrobin ***
Capitolo 2: *** τρέλα (Follia) ***
Capitolo 3: *** Mai più solo (Kanon di Gemini) ***
Capitolo 4: *** La scelta di Marin (Marin/Castalia dell'Aquila) ***
Capitolo 5: *** La figlia del ghiaccio (Camus) ***
Capitolo 6: *** Tornerò in un raggio di sole (Aiolia/Ioria del Leone) ***
Capitolo 7: *** Rossi come il sangue (DeathMask) ***
Capitolo 8: *** Le inesorabili lancette del tempo (Dohko della Bilancia) ***
Capitolo 9: *** 9. L' uomo e il guerriero (Saga di Gemini) ***
Capitolo 10: *** La rosa più bella ***



Capitolo 1
*** Regole Roundrobin ***


Roundrobin ispirata da una discussione nel forum sugli OOC più assurdi (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8746567&p=7) e continuata in un topic apposito!

Come reagirebbe un Cavaliere (o un God, o un Marine, o uno Spectre) all'idea di diventare padre (o una Sacerdotessa all'idea di diventare madre)?

Continuerebbe a vivere da guerriero rinunciando a farsi una famiglia, appenderebbe l'armatura al chiodo per vivere quest'importantissima esperienza o cercherebbe di far convivere le due cose, conscio del rischio di rendere orfano il figlio o, peggio ancora, della possibilità di metterlo in pericolo?

Quali domande potrebbe porsi, e quali potrebbero essere le alternative?

REGOLE :

Si può scegliere come protagonista il personaggio che si vuole ed impostare la vicenda come meglio si crede a livello di trama*, ma l'obiettivo è quello di restare il più possibile IC, quindi vi prego di:

  • Evitare di rendere assurdamente mielosi o isterici personaggi che nel manga e nell'anime originale non lo sono;
  • Evitare le MPREG (cioè l'uomo incinto) perchè nel canon non è previsto (almeno finora XD);
  • Evitare il bashing gratuito di personaggi non amati;
  • Evitare il più possibile di inserire nuovi personaggi con ruoli importantissimi (leggasi: "Mary-Sue" e "Gary-Stu"); a tal proposito, preciso che la madre o il padre del pupo può anche essere un personaggio originale ed avere un ruolo nella vicenda, così come il pupo stesso, ma non diventarne il protagonista assoluto.
  • Evitare di rendere la storia un pretesto per far copulare allegramente la vostra coppia preferita, etero, yaoi o yuri che sia (intendo dare rating arancione a questa roundrobin).

Una particolare raccomandazione, infine, vorrei farla per le questioni aborto/violenza sessuale: assoluta libertà per quanto riguarda l'inserire queste tematiche nella trama, ma vi scongiuro, se decidete di farlo, di usare la massima sensibilità possibile.

Per una questione di ordine, inoltre, prego di scrivere nel titolo di quale personaggio intendete parlare, così che il lettore, casomai la raccolta diventasse grande (me lo auguro), possa scegliersi tranquillamente le storie dei suoi personaggi preferiti! ^^


Partecipate numerosi!

 
ElenaNJ


Edit 09.12.2009:

* Si possono usare personaggi e situazioni ispirate ad altre fanfic; prego soltanto di fare in modo che il racconto sia comprensibile anche senza leggere l'altra storia (e se il lavoro non è vostro, di citare la fic e l'autore cui vi siete ispirati: penso sia il minimo!).

Un grazie a Martyx1988 per aver posto la domanda!


Edit 01.09.2011:

* Si possono utilizzare anche personaggi già "presi" o più di un personaggio.

Importante: Se a qualcuno venisse in mente un titolo migliore e possibilmente in italiano per la roundrobin, suggerisca pure! ^_^


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Capitolo 2
*** τρέλα (Follia) ***


Hai trovato un baco su EFP, per questa non vedi il testo della storia.

Segnala il problema cliccando qui.
Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
La storia con indirizzo 'stories/El/ElenaNJ/438458.txt' non e' visibile.

L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 3
*** Mai più solo (Kanon di Gemini) ***


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Si tratta di un form per violazioni del regolamento, ma copiate pure quanto scritto in grassetto nella casella.
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L'amministrazione provvedera' a fare il possibile per sistemare.
Grazie in anticipo per la preziosa collaborazione.

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Capitolo 4
*** La scelta di Marin (Marin/Castalia dell'Aquila) ***


la scelta di marin La Sacerdotessa si passò il dorso della mano guantata sugli occhi e sulle labbra, fissando con vago disgusto la pozza giallastra e maleodorante ai suoi piedi.
Bevve un sorso d’acqua dalla bisaccia in pelle, la risputò e con un sospiro si rimise la maschera sul volto. Un forte capogiro le fece quasi perdere l'equilibrio e lei pensò con rabbia che non poteva indulgere oltre nelle proprie debolezze: giù nell'Arena c’erano degli allievi da addestrare ed il tramonto era ancora lontano.
- Affronta la realtà. Questo non è soltanto un malessere passeggero, e lo sai bene.
La voce era giunta improvvisa ed inaspettata da un punto elevato sopra le sue spalle.
Irritata nel constatare per l’ennesima volta quanto i suoi sensi si fossero affievoliti negli ultimi tempi, Marin, Cavaliere d'Argento dell'Aquila, si voltò.
Dalla cima di un'enorme architrave in rovina, Shaina, Cavaliere d'Argento dell'Ofiuco, la stava osservando da chissà quanto tempo, le lunghe gambe accavallate ed il mento appoggiato su una mano ricoperta di cuoio e metallo. Se il tono della sua voce fosse stato quello arrogante e strafottente con cui un tempo era solita rivolgerle la parola, Marin non avrebbe esitato a risponderle per le rime, o forse avrebbe cercato di evitare la discussione con eleganza, di provocarla con mirato sarcasmo facendo leva sui punti che sapeva più sensibili, proprio come un'aquila che sa sempre, per istinto e per esperienza, come ghermire anche la più pericolosa delle prede.
Ma aveva soltanto detto la verità, e né nelle sue parole né nel suo tono di voce c'era la minima traccia di malevolenza.
Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra di Marin.
Era quantomeno ironico, questo doveva ammetterlo.
Come molti altri al Grande Tempio, aveva sempre pensato che un giorno sarebbe stata proprio Shaina a cacciarsi in un guaio simile: Shaina, dal carattere impetuoso e passionale; Shaina, che non esitava ad infrangere le regole se queste erano d'impedimento a ciò che le suggeriva l’istinto; Shaina, che per una persona amata era disposta a tutto, anche a perdere il proprio onore o la propria vita… non certo Marin, la saggia Marin additata da tutti come esempio d'integrità e responsabilità, l'imperturbabile Marin capace, in ogni situazione, di pensare con chiarezza e compiere la scelta più onorevole e giusta per un Cavaliere.
- Il padre è chi immagino, giusto?.

Marin chinò il capo, la testa che le martellava e la nausea, quella maledetta nausea che ormai non le dava pace da quasi due mesi, che tornava già a farsi sentire nonostante il suo stomaco fosse ormai vuoto e protestasse con dolorose contrazioni.
Era stata una follia.
La follia di una notte in cui due esseri, consapevoli di trovarsi con ogni probabilità vicini alla fine delle proprie esistenze, avevano desiderato soltanto sentirsi vivi ed un po' meno soli.
Era successo in fretta ed in modo del tutto naturale, e lei non aveva provato l’imbarazzo che sempre aveva immaginato di sentire nella remota eventualità di trovarsi, un giorno, in una simile situazione, la sensazione di vergogna che, aveva sempre ritenuto, l'avrebbe aiutata a frenarsi e tornare in sé quel tanto che sarebbe bastato ad evitare l'irreparabile.
E invece non aveva provato alcun imbarazzo, né tanto meno sensi di colpa al pensiero di infrangere una delle regole, non scritte ma osservate in silenzio dai più, di un Cavaliere: anzi, per la verità non aveva proprio pensato a nulla, forse per la prima volta in vita sua.
Non aveva pensato mentre quelle braccia forti si stringevano attorno al suo corpo con una tenerezza che non avrebbe mai immaginato.
Non aveva pensato mentre la sua maschera di Sacerdotessa cadeva a terra, un lieve tintinnio metallico sul marmo che era durato solo un momento.
Non aveva pensato all’onore ed alla Guerra Sacra, a come l’avrebbero giudicata gli altri Cavalieri e la stessa Dea Atena se solo avessero saputo, al suo ruolo di combattente, di Maestro e di guida in seno al Santuario.
Non aveva pensato a nulla che andasse oltre quel momento, oltre quelle sensazioni per lei del tutto nuove, eccitanti e sconosciute, invitanti come un frutto proibito ma al contempo familiari come se da sempre avessero fatto parte di lei.
In quell’abbraccio appassionato ed impetuoso, per la prima volta in vita sua, si era permessa di essere soltanto una donna, senza sentirsene limitata come a volte le era accaduto durante l'addestramento e come spesso le accadeva in battaglia.
Non aveva desiderato essere un uomo, non aveva desiderato che le sue braccia fossero più forti ed il suo fisico più possente: si era sentita bella, femminile e desiderabile sotto il suo tocco, ed era stato come rinascere, come ritrovare una parte di sé perduta per lungo tempo.
Più tardi, con il respiro di lui che le solleticava il collo mentre, addormentato, la stringeva ancora a sé, si era addirittura sorpresa a sognare un altro tipo di vita… una vita in cui ogni giorno e per sempre potesse essere soltanto una donna di nome Marin.
Il mattino dopo era partita.
In cerca della sorella di Seiya, gli aveva detto, una cosa che aveva in mente di fare da tempo.
Era vero, e lui lo sapeva... mesi prima aveva persino intercesso presso Atena perché le concedesse il permesso di lasciare il Santuario per quelle indagini, ma qualcosa nel suo atteggiamento le aveva fatto comprendere che, in realtà, aveva intuito che il suo desiderio era più che altro quello di allontanarsi da lui, almeno per un po’.
Mentre si rivestiva in silenzio dandogli le spalle, una vocina maligna dentro di lei le aveva sussurrato che sarebbe stato inutile: la Guerra Sacra era ormai alle porte e, con ogni probabilità, lui, lei, Seiya e tutti i loro compagni sarebbero presto morti sul campo di battaglia.
Tanto valeva continuare a godere del presente senza troppi pensieri e complicazioni inutili finché era possibile... o no?
Lo aveva guardato dritto negli occhi con l'intima speranza, per la prima volta in vita sua, che la risposta alle sue domande venisse da qualcun altro, che qualcun altro prendesse l'iniziativa al posto suo.
Ma lui non aveva detto una parola, non l'aveva fermata mentre si ricopriva il viso con la maschera.
Era rimasto in assoluto silenzio, immobile su quell'enorme scalinata candida che mai le era sembrata tanto interminabile a guardarla sparire oltre le gole ripide ed aspre che portavano al villaggio di Rodorio, mentre il cielo si rischiarava ad Est ed un vento caldo giocava con le pieghe del suo lungo mantello candido.
Poco prima di inoltrarsi fra le rupi scoscese, per la prima volta in vita sua, Marin aveva fermato i propri passi e si era voltata indietro con la sensazione di lasciare, forse per sempre, qualcosa di prezioso ed insostituibile in un luogo da cui stava partendo. Ancora per un attimo, ricordò, aveva sperato in qualcosa che, a tutt'oggi, non avrebbe saputo definire.
Poi lui le aveva voltato le spalle e si era incamminato nella direzione opposta alla sua, senza mai guardarsi indietro, il passo lento ma deciso, il portamento fiero ed elegante di sempre, ed il momento era passato.
Era corsa via imponendosi di pensare solo alla missione che si era prefissa e si era fermata solo quando l'aria nei polmoni aveva iniziato a bruciare così tanto che si era quasi sentita morire ed il Grande Tempio non era stato del tutto nascosto alla sua vista.
Era stata via molto tempo, più di quanto in realtà fosse necessario.
Era stato in quel periodo che aveva iniziato a star male la mattina, ma l'idea di aspettare un bambino, sebbene vi avesse fantasticato su qualche volta mentre, accampata all'aperto, osservava le stelle in attesa di addormentarsi del sonno vigile proprio dei Cavalieri, non l'aveva presa neppure in considerazione.
Qualche volta aveva pensato a lui, chiedendosi il significato di ciò che c'era stato fra di loro e non approdando a risposta alcuna. Più volte aveva invece pensato alla Guerra Sacra, domandandosi se avesse fatto davvero bene a partire proprio in quel momento e sentendosi in colpa perché ancora non si era decisa a portare a compimento la sua ricerca.
A volte, la solita vocina malvagia le aveva chiesto, con spietato sarcasmo, se per caso non si stesse solo nascondendo in attesa che qualcuno la venisse a cercare come una patetica bimba desiderosa d'attenzioni, se non stesse solo fuggendo dai suoi doveri, dalla realtà, dai suoi stessi sentimenti e dalle decisioni che, si rendeva conto, avrebbe dovuto prima o poi comunque prendere.
Aveva passato ore insonni con lo sguardo volto al cielo stellato, desiderando che le mille ragioni con cui aveva cercato di metterla a tacere, ognuna valida e vera, fossero molto, molto più salde, e aspettando il sorgere del sole per poter impiegare le proprie energie nella sua ricerca, per tornare ad essere l’efficiente e razionale Marin di sempre.
Alla fine, contro ogni previsione, aveva davvero rintracciato Seika ed era tornata ad Atene con lei, sotto un sole nero che, per qualche ragione, l'aveva angosciata come non mai.
Aveva trovato il Santuario devastato, la grande scalinata di marmo distrutta dalla furia di un qualche colpo dalla potenza inimmaginabile, la colossale statua di Atena che da secoli troneggiava sulle Dodici Case svanita nel nulla.
I pochi Cavalieri rimasti, Shaina ed un pugno sparuto di Cavalieri di Bronzo, erano in assetto da battaglia, pronti a tutto.
Non aveva chiesto di lui: sapeva, dentro di sé, che di certo era già partito all'attacco, fedele al giuramento di proteggere la sua Dea e l'umanità a lei tanto cara ad ogni costo, fedele a se stesso.
Di certo non aveva esitato un momento e, se anche solo per un attimo aveva pensato a lei, aveva stretto i pugni, abbassato il capo ed affrettato il passo, come era suo dovere.
Non era più tornato.
Per un momento, poco prima che il sole si oscurasse del tutto e la terra calasse in quel silenzio innaturale il cui solo ricordo le gelava il sangue nelle vene, le era parso di sentire il suo Cosmo dirle addio da una lontananza infinita, quasi da un altro mondo.
Prima ancora di poter provare tristezza, rabbia, senso di privazione o qualunque altra cosa, aveva visto Seika crollare in ginocchio accanto a lei ed era cominciata l’ultima battaglia.
Non avrebbe mai scordato le lacrime di dolore e di sollievo sui volti dei suoi compagni e di quella ragazza che avrebbe potuto benissimo essere lei in un'altra vita quando tutto era finito e la luce del sole era tornata, finalmente, ad inondare la terra.
Non le era mai parsa così abbagliante come dopo tutta quell’oscurità e la vita, quella che in così tanti avevano sacrificato anche per lei, non le era mai parsa tanto bella e preziosa, splendente proprio come quei raggi dorati, degna di essere vissuta con speranza ogni giorno, attimo per attimo, fino in fondo.
Non era mai stata una persona incline alle lacrime ma quel giorno, ricordò, sotto la maschera d’argento incrinata, esse avevano bagnato anche il suo viso.
- Cosa intendi fare adesso, Marin?
Shaina aveva lasciato il suo seggio improvvisato e le si era avvicinata in assoluto silenzio, proprio come il cobra simbolo della sua costellazione.
Marin scosse il capo. Non ne aveva idea. Non ne aveva davvero idea.
Fino a qualche giorno prima, aveva continuato con ostinazione ad attribuire tutti i suoi malesseri alla stanchezza, rifiutandosi di prendere in considerazione l'ovvio e ignorando i tanti segnali che il suo stesso corpo continuava a lanciarle senza sosta, giorno dopo giorno.
Dopotutto, continuava a ripetersi, non faceva altro che lavorare dall’alba al tramonto, addestrando nuovi aspiranti Cavalieri, ricostruendo ciò che era andato distrutto, sobbarcandosi missioni ai quattro angoli del globo per controllare la situazione nelle varie scuole di addestramento del Santuario. Non c’era da stupirsi che si sentisse sempre esausta tanto da crollare addormentata con la testa sul tavolo subito dopo aver mangiato; non c’era da stupirsi che ogni giorno avesse la nausea per il nervosismo; non c’era da stupirsi che avesse saltato ben due cicli di seguito e che in un paio di occasioni, messa particolarmente sotto sforzo, fosse stata addirittura lì lì per svenire.
In realtà, nel più profondo del suo essere, era sempre stata consapevole che stava solo continuando a fuggire, proprio come il giorno della sua partenza, nella sciocca speranza che qualche assurdo, impossibile miracolo ponesse fine ai suoi guai e dissolvesse il sottile, insidioso senso di colpa che, da quando era partita per quel viaggio, non l'aveva mai lasciata.
Se lui fosse tornato, avrebbe potuto chiedergli consiglio, chiarire una volta per tutte cosa erano l’uno per l’altra, cosa significava ciò che avevano fatto insieme… ed allora, lo sentiva, avrebbe saputo prendere una decisione chiara e risoluta, e l’avrebbe portata fino in fondo sopportandone ogni conseguenza con coraggio, come sempre aveva saputo fare nella vita… fino a quel momento, che aveva messo in discussione tutto ciò che lei era stata ed aveva creduto sino ad allora.
Per qualche ragione le tornarono alla mente le parole che Kiki, qualche giorno prima, le aveva sussurrato mentre esaminava la sua armatura d’argento, ormai senza un solo graffio sulla superficie scintillante e brunita.
- Una volta, Mur mi disse che le armature sono come le persone. Col tempo i danni che subiscono sembrano scomparire, ma in realtà soltanto lo strato superficiale appare intatto. Nel profondo, la cicatrice, la reminiscenza del colpo subito, rimane. E anche dopo la riparazione, una corazza non torna mai più ad essere la stessa di prima: migliore o peggiore che diventi, comunque cambia. L’unica vera differenza con le persone, forse, è che un’armatura, una volta morta, può ancora risorgere, anche se a prezzo di un grande sacrificio. Chi la indossa no… non torna più, qualunque cosa si faccia e nonostante tutto ciò che saremmo disposti a sacrificare.
Marin trasalì quando Shaina le posò una mano sulla spalla.
- Vai a riposare un po’. Pensaci su. Ai tuoi allievi baderò io.
- Non sono invalida. – protestò Marin, per la verità in maniera abbastanza fiacca.
Shaina rise gettando indietro la testa. Forse le erano tornate in mente le accese divergenze d’opinione che avevano avuto sui rispettivi metodi d’insegnamento all’epoca dell’addestramento di Cassios e Seiya. Erano passati solo pochi anni, ma le sembrava fosse trascorsa un’intera vita da allora.
- Non ti preoccupare. Non esagererò... o almeno ci proverò.
- Quanti di voi se ne sono accorti? - chiese Marin dopo qualche attimo, dando voce a ciò che più la preoccupava.
- Solo io, credo. Gli altri sono uomini - Shaina scrollò le spalle come se quella frase bastasse a spiegare tutto – Stai tranquilla, non ne parlerò con nessuno. Sono affari tuoi, in fondo.
Le voltò le spalle con un cenno di saluto e si incamminò verso l’Arena, sistemandosi le protezioni che le ricoprivano gli avambracci.
- Shaina! – la chiamò Marin, stupita di ciò che stava per chiederle.
- Cosa c’è? – la Sacerdotessa dell’Ofiuco si fermò senza voltarsi.
- Mi consideri un’ipocrita?
Marin trattenne il fiato.
Fin dai tempi dell’addestramento aveva sempre dichiarato con profonda convinzione che sarebbe stata per tutta la vita una Sacerdotessa Guerriero e che non avrebbe mai avuto figli, meno che mai da un altro Cavaliere.
Per lei, un Sacro Guerriero, uomo o donna che fosse, che decidesse di metter su famiglia senza rinunciare all’armatura era, senza mezzi termini, folle, egoista ed irresponsabile.
Un Cavaliere era un soldato e, in definitiva, un assassino per vocazione.
Bastava avere anche solo una vaga morale ed un briciolo di senso pratico per rendersi conto che mettere al mondo un figlio nelle loro condizioni era una pazzia.
Un Cavaliere avrebbe potuto perdere la vita in battaglia in qualunque momento.
Un Cavaliere avrebbe dovuto anteporre a tutto, anche alle persone amate, persino ad un figlio, la salvezza di Atena e dell’umanità intera.
Per un Cavaliere, ogni legame era un’arma a doppio taglio, difficile da mantenere nel tempo, soprattutto se l'oggetto di quel legame era una persona qualunque, incapace di difendersi.
Una famiglia era una cosa a cui in tutta coscienza bisognava rinunciare, una volta deciso di indossare una sacra armatura.
- Vuoi la verità? – Shaina si voltò.
Marin assentì.
- Non l’ho mai pensato, nemmeno quando eravamo rivali. E se devo dirla tutta, un po’ ti invidio... Ti auguro ogni bene, qualunque cosa tu decida.
Le fece un rapido cenno di saluto con la mano, senza dare a vedere di aver sentito il “grazie” che Marin le aveva sussurrato a fior di labbra e si incamminò a passo deciso verso l'Arena.
Libera per la prima volta da mesi da doveri d’ogni sorta, la Sacerdotessa dell'Aquila accarezzò per qualche breve istante l’idea di tornare davvero a casa ed infilarsi sotto le coperte, o magari d’impugnare ago e filo e mettersi ad adattare la montagna di vestiti che da giorni giacevano abbandonati sul suo giaciglio e che ormai non poteva più indossare, dato che tiravano da tutte le parti e, almeno ai suoi occhi, le davano l'aspetto di un insaccato.
Si passò una mano sul ventre, stupita che solamente Shaina si fosse accorta delle sue condizioni. Forse non era ancora così prominente da non lasciare adito a dubbi, considerò, ma le bastava guardarsi allo specchio la mattina per accorgersi che la sua figura non era già più quella agile e snella di cui, pur senza vantarsene, era sempre andata tanto fiera: oltre al girovita ed ai fianchi, persino il seno aveva cominciato ad ingrossarsi e ad appesantirsi.
Anche in quel momento era teso, i capezzoli dolorosamente sensibili sotto le protezioni metalliche che, da qualche giorno, erano per lei più una tortura che una difesa.
A parte sua madre quando era ancora troppo piccola per ricordarsene bene, non aveva visto molte donne incinte nella sua vita e, come tutte le sue compagne, non era certo esperta di maternità, parti e primipare, ma sapeva che dal terzo, massimo quarto mese in avanti, una gravidanza diventava evidente a chiunque, e non si poteva più tornare indietro senza rischiare una tragedia.
Sì, si disse, doveva prendere una decisione, ed al più presto.
Sotto il sole caldo ed abbagliante del pomeriggio greco, si diresse dalla prima volta da quando era tornata dal suo viaggio al cimitero del Santuario.
All'ingresso Jabu dell'Unicorno, quasi irriconoscibile con indosso dei semplici abiti da lavoro laceri e sporchi di terra e le braccia cariche d'attrezzi di ogni tipo, la salutò con un cenno deferente del capo ed un'espressione perplessa dipinta sul viso.
Lei ricambiò con un sorriso divertito da dietro la maschera.
La prima volta che l'aveva incontrato, ricordò, non le aveva fatto una buona impressione: le era sembrato solo un ragazzino arrogante, esibizionista e pasticcione, dal carattere a suo parere troppo immaturo per un Sacro Guerriero, ma col tempo aveva avuto modo di cambiare idea su di lui.
Forse non era e non sarebbe mai diventato il più forte, intelligente o amabile fra i Cavalieri, ma in fondo aveva un buon cuore: dover dare alle fiamme le tombe dei guerrieri che avevano combattuto per Atena e per la giustizia nei secoli, seppure atto necessario ed inevitabile per impedire l'attacco da parte di altri Spettri, ricordò, lo aveva turbato nel profondo.
Non lo aveva mai visto all'opera di persona, ma come tutti al Santuario era al corrente che, ormai da mesi, espiava quella che considerava una colpa ed una grave mancanza di rispetto verso i compagni caduti lavorando con impegno per riportare il camposanto ai fasti passati.
Marin si guardò intorno e poté osservare i risultati del suo costante ed indefesso impegno.
Fatto salvo per qualche sparuta macchia di vegetazione bruciata, ogni traccia del vasto incendio e dell’immane devastazione subita da quel luogo era ormai scomparsa.
Persino i fiori avevano ricominciato a sbocciare accanto alle semplici lapidi in pietra, nuove e più antiche, che costellavano il terreno a vista d'occhio. Cespugli di ginestre, viole ed anemoni dai vivaci colori costellavano il prato ed ondeggiavano alla lieve brezza pomeridiana.
Al centro, il sobrio e disadorno mausoleo a pianta ottagonale che Atena aveva voluto erigere qualche anno prima per i suoi Cavalieri d'Oro caduti nella prima battaglia delle Dodici Case spiccava col suo candore contro il limpido cielo primaverile.
Si diresse a passi sicuri verso quella tomba che si era sempre rifiutata di visitare perché le pareva del tutto inutile visto che era vuota e, ammise a malincuore, perché in fondo non voleva davvero rassegnarsi all'idea che lui non ci fosse più, che quello splendido uomo che per così tanto tempo aveva conosciuto e rispettato come amico e Cavaliere non sarebbe mai più tornato, con la sua presenza imponente ma allo stesso tempo discreta e rasserenante, la sua voce virile, allegra e cordiale, la sua decisione e la sua dolcezza, le sue tante insicurezze di semplice essere umano nascoste sotto la scorza granitica di un eroe senza paura.
Ancora adesso una parte di lei rifiutava di crederci: lui e la morte, per quanto la riguardava, erano due cose agli antipodi e, con ogni probabilità, lo sarebbero sempre stati.
Si sedette tra i fiori con un sospiro e si odiò perché ancora, nel profondo, sperava in un impossibile miracolo.
Durante l’addestramento le avevano insegnato che i Cavalieri erano le persone più vicine alla divinità e che, a volte, in particolari condizioni, potevano essi stessi compiere veri e propri prodigi.
Era vero, lei ne era stata più volte testimone... ma i miracoli del tipo che aveva in mente erano fuori dalla portata di qualunque Cavaliere, per quanto potente fosse, e anche questo lo sapeva bene.
Neppure Atena, che era una divinità in tutto e per tutto, poteva richiamare in vita i morti.
Ancora non riusciva a capacitarsi del senso di vuoto che avvertiva al solo pensiero che lui se ne fosse andato per sempre, e se ne stupiva.
Era sempre stata una persona decisa, indipendente, a tratti persino fredda e spietata.
Aveva perso molti dei suoi amici, allievi e compagni d’addestramento negli ultimi anni, e non sempre era stata solo una spettatrice impotente: alcuni di essi li aveva mandati di persona incontro ai pericoli ed alla morte, altri li aveva addirittura uccisi con le proprie mani… per nessuno di loro, però, l’estremo addio era stato tanto doloroso, la rassegnazione un amaro premio tanto arduo da ottenere.
Con nessuno di loro aveva mai provato lo stesso senso di familiarità.
A nessuno di loro aveva permesso di toccarla a quel modo.
Di nessuno di loro portava in grembo il figlio.
Si guardò intorno e, constatato che il luogo era deserto, posò la maschera a terra.
Sollevò la testa e si godette il soffio lieve del vento sulla pelle nuda del viso.
Lo aveva amato?
Voleva quel bambino?
Non sapeva cosa rispondersi, ed era strano per lei esitare quando le alternative erano solo due: il sì o il no.
Una grossa nuvola coprì il sole e, per un momento, la sua mente tornò indietro al giorno della battaglia.
Si distese sull’erba e fissò il cielo, che però non era scuro e senza speranza come quel giorno, e cercò di pensare con lucidità, senza cedere al senso di spossatezza e languore che di nuovo la stava pervadendo.
Lei era un Cavaliere d'Argento e ne era fiera. Nonostante le avversità, le sofferenze ed i dubbi degli ultimi tempi, nonostante le fantasticherie ed i tanti sacrifici, desiderava rimanerlo per il resto della sua esistenza.
Non voleva rinunciare all'armatura, ai suoi compagni ed alla sua dea per nulla al mondo: farlo sarebbe stato un po' come rinnegare se stessa, la sua vita e tutto ciò in cui aveva sempre creduto: piuttosto avrebbe preferito la morte.
Si girò su un fianco e rabbrividì nonostante l'aria non fosse per nulla fredda.Trattenne un altro conato e le vennero le lacrime agli occhi.
Odiava sentirsi così debole, odiava la nausea, il continuo senso di stanchezza che permeava ogni suo muscolo e quel suo corpo che continuava ad ingrossarsi giorno dopo giorno facendola sentire goffa, sgraziata ed inutile; odiava dover dipendere dagli altri, cosa che, lo sapeva, col progredire della gravidanza sarebbe stata costretta a fare ogni giorno di più; odiava sentire così tanto la mancanza di quell'uomo che era stato la sola causa di tutti i suoi guai e che quel ventre per lei già rigonfio in modo insopportabile le ricordava in ogni momento... e odiava se stessa quando pensava così di lui, che aveva dato persino la vita perché ogni creatura sulla Terra, lei compresa e forse soprattutto, potesse continuare a vivere libera in un mondo pieno di luce e colori e che, se avesse avuto altra scelta, avrebbe di certo desiderato esserle accanto in un momento così delicato.
Sbuffò spazientita. Da quando in qua sentiva così tanto il bisogno di un uomo al suo fianco?
Poteva cavarsela benissimo da sola, in qualunque situazione.
Non era più una ragazzina, e tutto si poteva dire di lei tranne che fosse una fanciulla indifesa bisognosa di un Cavalier servente che la tirasse fuori dai guai e la proteggesse dal mondo.
Non aveva certo paura dei sacrifici né tanto meno del dolore fisico che l'avrebbero aspettata se, per ipotesi, avesse deciso di dare alla luce il frutto di quella relazione.
Era una donna forte, libera, sicura.
Ma forse non abbastanza per quello, le sussurrò la solita vocina, altrimenti non avrebbe avuto così tanti dubbi ed idee contrastanti che le ronzavano per la testa, non avrebbe aspettato mesi solo per prendere in considerazione la questione ed in quel momento non sarebbe stata sdraiata in un prato a farsi tante domande inutili tornando sempre al punto di partenza senza aver risolto nulla.
Si sentiva pronta per essere una madre?
Ridacchiò. Quel termine, riferito ad una come lei, era davvero fuori posto.
Si sentiva tutto tranne che materna, con quella sua maschera di metallo sul viso, l'armatura, un corpo e una mente addestrati a colpire ed uccidere in migliaia di modi diversi.
Già... sapeva davvero tutto su come togliere la vita a un uomo in un istante, ma quasi nulla su come generare, crescere e proteggere un bambino giorno dopo giorno.
Un'altra volta, senza che lo potesse impedire, il flusso dei suoi pensieri tornò al passato ed a lui.
Lo rivide appoggiato ad un'enorme colonna marmorea, le braccia incrociate sul petto ampio mentre la osservava fasciare il braccio di un Seiya ancora molto bambino e dal viso imbronciato, al ritmo di un rimprovero per la sua sventatezza ad ogni giro di benda.
Quel giorno, ricordò, le aveva detto con un sorriso che sarebbe stata un'ottima madre.
Lei aveva riso di cuore a quell'uscita, e dopo qualche attimo anche lui era scoppiato a ridere, chiedendosi ad alta voce cosa potessero saperne, in effetti, due come loro, sull'essere dei genitori.
Negli ultimi tempi aveva ripensato spesso a quella frase, non più tanto convinta che quella volta lui avesse davvero inteso scherzare... ma forse era soltanto per la piega che avevano preso gli eventi.
Forse era soltanto perché, in fondo, voleva persuadersi di avere la sua approvazione e che, se solo lo avesse voluto, sarebbe stata all'altezza di quel compito quanto una donna qualunque.
Ripensò al suo allievo.
Lo aveva cresciuto da sola per sei lunghi anni, senza chiedere aiuto a nessuno e senza particolari difficoltà; tutto sommato poteva affermare di aver fatto un buon lavoro, ma lui non era di sicuro un neonato quando le era stato affidato... e soprattutto non era suo figlio.
Non lo aveva partorito, nutrito come una madre, non lo aveva visto muovere i primi passi, non gli aveva insegnato a parlare, non aveva giocato con lui. Non era una stupida: sapeva che, con ogni probabilità, il legame che l'avrebbe unita ad un ipotetico figlio sarebbe stato molto diverso da quello che aveva stretto negli anni con il suo amato allievo, per quanto anch'esso fosse intenso ed a tratti quasi viscerale.
Sarebbe stato diverso come il legame che l'aveva unita all'uomo con cui l'aveva concepito era stato diverso da quello che l'aveva unita agli altri suoi compagni.
E l'avrebbe resa debole, vulnerabile.
Cosa avrebbe fatto se, a causa sua, quel bambino innocente si fosse trovato in pericolo come era successo a Seika il giorno dell'Eclissi, con lei nello stesso stato di Seiya, impotente mentre un dio sadico si divertiva a torturarlo col solo scopo di far soffrire un po' di più un odiato nemico?
E se invece si fosse trovata nella posizione di Aiolos, costretto a scegliere tra la fedeltà alla sua Dea e l'amore per un essere nelle cui vene scorreva il suo stesso sangue?
L'elenco di quegli inquietanti interrogativi era ancora lungo e, ad essere sincera, non aveva la più pallida idea di quali risposte darsi.
Il dovere, per lei, sino ad allora aveva sempre coinciso con i suoi desideri, ma si rendeva conto che, una volta partorito quel figlio, le cose sarebbero cambiate in maniera radicale, per sempre.
Si rimise supina, stiracchiò le braccia e le incrociò dietro la testa. In alto, il vento stava spingendo via la grossa nube che aveva coperto il sole.
Forse le sue idee di ragazzina erano ancora le più sensate: avrebbe dovuto rinunciare all'idea di avere quel bambino, continuare ad essere una guerriera senza legami e radici.
Sarebbe stato più semplice, e forse sarebbe stato meglio anche per quella creatura: che vita avrebbe potuto avere senza un padre, con una madre come lei ed in un mondo così crudele come quello in cui aveva scelto di vivere e che mai, lo sapeva, sarebbe stata capace di rinnegare?
Eppure, per qualche ragione, non riusciva a convincersene del tutto.
Perché?
Afferrò la maschera, la sollevò in alto di fronte a sé e fissò lo sguardo sul riflesso del suo volto. Come sempre da qualche giorno a quella parte, sapeva di conoscere già la risposta alla propria domanda, e sapeva che esitava a darsela solo perché, pur nella sua semplicità, la sconvolgeva.
Quel bambino non ancora nato era tutto ciò che rimaneva di lui.
Era parte di lei.
Non voleva perderlo.
Poteva essere irresponsabile, folle ed egoista anche solo a pensarlo ma, si rese conto, voleva farlo nascere, tenerlo fra le braccia, crescerlo, vedere nei suoi tratti e nei suoi atteggiamenti qualcosa di colui che era stato suo padre e, perché no, anche qualcosa di sé... sapere che, in qualche modo, come tanti altri esseri umani nel corso dei secoli, anche lei aveva lanciato la sua sfida all'eternità mettendo al mondo un essere col suo sangue che le sarebbe sopravvissuto.
Sopra di lei, un raggio di sole fece capolino tra le nubi.
Chiuse gli occhi, ne assaporò il tepore sulla pelle ed immaginò che in quel calore ed in quella luce una parte di lui stesse cercando di comunicarle qualcosa.
Sorrise.
Era calzante. Più che in pace a vegliare su di lei in un ipotetico e lontano “Paradiso dei Cavalieri” o impegnato a rinascere in un nuovo ciclo di reincarnazioni, più che disperso chissà dove nell'Universo come polvere di stelle o soltanto scomparso per sempre, preferiva immaginarlo come parte di quella grande, calda stella che da sempre vigilava sul mondo, che gli donava luce e calore e ne alimentava la vita, quel sole che la sua stessa scintilla vitale aveva contribuito a far risplendere di nuovo, più ardente e luminoso che mai.
Si passò la mano sul ventre e sussultò nel sentirne provenire un leggero battito che si ripeté dopo pochi istanti. Riaprì gli occhi e seppe di aver fatto la sua scelta.
Si alzò, più leggera ed in forze, serena come non lo era da mesi.
Fissò ancora lo sguardo nel sole per qualche istante prima di rimettersi la maschera sul viso ed incamminarsi verso le stanze della sua dea, i pugni stretti, il passo deciso.
Oltrepassò i cancelli del cimitero, le semplici, basse case di pietra assegnate a soldati e Cavalieri di rango inferiore e l'Arena dei combattimenti, dalla quale, come al solito, provenivano grida, boati ed incitamenti, e cominciò a salire la grande scalinata di pietra.
Anch'essa, come tutto il complesso del Tempio, mostrava ancora evidenti le profonde ferite lasciate dalla guerra. Ripensò alle parole di Kiki, e si chiese se sarebbe mai più tornata ad essere la stessa.
Attraversò le Dodici Case dello Zodiaco rendendo un silenzioso omaggio alla memoria dei suoi custodi e, giunta davanti alle Sale del Grande Sacerdote, si voltò indietro.
La salita era stata lunga, ma non interminabile come le era parsa la discesa il giorno della sua partenza. Sotto di lei, intorno a lei, c'era tutto il suo mondo: anni ed anni della sua vita, i suoi compagni, i suoi ricordi. Tutto. 
Gli voltò le spalle ed entrò, senza esitazioni.
C'erano fresco ed ombra all'interno, un'atmosfera al di fuori del tempo.
Un brivido le fece accapponare la pelle e i suoi occhi impiegarono qualche istante per abituarsi alla semioscurità.
In fondo alla grande sala, su un soppalco circondato da maestose colonne, Atena era seduta sul suo trono di pietra, regale, bellissima e distante, una vaga tristezza dipinta sul volto giovanissimo eppure senza età.
Marin avanzò verso di lei e, a tre passi dal trono, si piegò su un ginocchio e abbassò il capo.
- Grande Atena, ho qualcosa d'importante da comunicarvi.


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Disclaimer: fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Saint Seiya", creato da e (c) Masami Kurumada.
Tutti i diritti per questi personaggi sono (c) Masami Kurumada, Toei Animation e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o permesso da parte loro.
Siccome questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!

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Capitolo 5
*** La figlia del ghiaccio (Camus) ***


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Capitolo 6
*** Tornerò in un raggio di sole (Aiolia/Ioria del Leone) ***


- E ora tutti insieme, coraggio!
- Noi abbatteremo il Muro per i valorosi Cavalieri di Bronzo!
- Per la giustizia sulla Terra!
- Perché regni la pace!
- Senza alcun indugio…
- Con la forza e la tenacia del nostro spirito e del nostro Cosmo, che brucerà per espandersi fino al limite estremo! Atena, mostraci un raggio di luce, rischiara quest'oscurità!
Aiolos del Sagittario incoccò la freccia e tese all’indietro il braccio.
Nemmeno il minimo sforzo traspariva dal suo viso mentre l'arco si tendeva ad un angolo quasi impossibile.
Solo un osservatore molto attento o uno che lo conoscesse molto a fondo avrebbe potuto intuire la fatica e l'enorme tensione nervosa che si celava dietro quel gesto così fluido nell'impercettibile tremolio del suo braccio, nello sguardo concentrato sotto le sopracciglia aggrottate e nella minuscola goccia di sudore che dalla tempia gli stava scendendo verso il mento.
Per un istante gli angoli della sua bocca si incurvarono verso l’alto e, per un tempo altrettanto breve, Aiolia del Leone si chiese se stesse pensando anche lui che mancare un bersaglio così grande e vicino come il Muro del Pianto sarebbe stata un’impresa ancor più incredibile che aprirvi un varco persino per il più scarso degli arcieri, figurarsi per uno la cui abilità aveva del sovrumano.
Ma quello era suo fratello, un uomo ostinato, risoluto, puntiglioso fino alla pignoleria ed a volte molto severo, ma anche onesto, amabile, generoso fino all’estremo e capace, sempre, di mettere tutto se stesso in ciò che faceva, anche nelle cose di poco conto. Sì… quello era proprio il fratello che aveva tanto amato e, ahimè, anche odiato come nessun altro per gran parte della sua vita.
Quando era riapparso il suo cuore aveva mancato un battito e si era riempito del misto di affetto, rimpianto ed amarezza che negli anni gli era diventato familiare ogni volta che pensava a lui.
Gli era venuto incontro, imponente e maestoso proprio come lo ricordava dai suoi anni d’infanzia, l’espressione imperscrutabile e, per un momento, si era chiesto se lo avrebbe preso a schiaffi per la sua imperdonabile mancanza di fiducia in lui o se gli avrebbe arruffato i capelli come faceva sempre quando era ancora un bambino che lo osservava adorante mentre si allenava con l’arco.
Alla fine gli aveva teso la mano, un gesto che da sempre aveva riservato soltanto a coloro che considerava suoi pari e degni di stima.
Aiolia l’aveva stretta forte, trattenendo lacrime di commozione e sollievo quando lui gli aveva detto di essere orgoglioso di lui e del suo valore, col groppo in gola nel rivedere il suo sorriso dopo tanti anni e nel rendersi conto di quanto gli era mancato, di quanto aveva avuto bisogno di quel gesto e di quelle parole.
Non c’erano stati abbracci, non c’era stato il tempo per dirsi altro e non ce ne sarebbe stato nemmeno dopo, ma nonostante ciò si era sentito in pace con se stesso, sereno come se tutto fosse stato detto e fatto, come se avessero avuto tutto il tempo del mondo a loro disposizione.
Aveva chiamato Mu, Milo e Shaka e per primo aveva seguito Aiolos, poi aveva esortato Seiya ed i suoi amici a lasciare quel luogo.
Non c'era stata paura nel suo cuore, in quel momento, nessun rimpianto.
Come Cavaliere d'Oro aveva sempre saputo che sacrificare la sua vita, se ce ne fosse stato bisogno, sarebbe stato un suo preciso dovere, ed era deciso a compierlo senza esitazioni.
- È tutto nelle tue mani, Seiya! – aveva raccomandato a quel ragazzo che aveva sempre considerato una specie di scapestrato fratello minore, con l’intima speranza che per lui il distacco non sarebbe stato doloroso quanto lo era stato il suo da Aiolos.
Aveva guardato suo fratello, in piedi accanto a lui, la freccia pronta fra le mani.
- A voi, giovani Cavalieri della Speranza che fin qui siete giunti, dono la cura...
- E la salvezza di Atena! – aveva aggiunto.
Non era stato il solo, e sentire le voci dei suoi compagni confluire in quel grido lo aveva commosso nel profondo: era forse la prima volta in cui tutti loro erano davvero uniti, al di là del passato e di tutte le loro differenze.
Quel grido era stato il loro testamento, la loro eredità, il loro addio… qualcosa di definitivo.
Finalmente i quattro ragazzi si erano mossi e, mentre li oltrepassavano in lacrime, Aiolia aveva rivolto loro un ultimo sorriso, con la speranza di riuscire a trasmettergli forza, coraggio e serenità.
Lo schiocco della corda che veniva rilasciata lo distolse da quei pensieri.
Come quando era bambino, la freccia partì sibilando implacabile verso il suo obiettivo, guidata dal Cosmo di Aiolos e da quello dei suoi dieci compagni.
Aiolia si unì a loro, consapevole che in quel momento stava adempiendo alla missione della sua vita, che non doveva vacillare. Non l’avrebbe fatto.
Chiuse gli occhi e, mentre il tempo pareva dilatarsi oltre le leggi della natura, il suo ultimo pensiero fu per lei.
Oltre a suo fratello, a Seiya ed alla Dea cui aveva giurato eterna fedeltà, era stata l’unica persona per lui davvero importante.
Tra i tanti compagni di un tempo, era stata la sola a rimanergli vicino anche nel periodo buio dopo la scomparsa di suo fratello, la sola a non chiamare mai Aiolos “traditore”, la sola a non guardarlo mai dall’alto in basso, a non rifiutare di condividere con lui  anche solo un sorso dalla borraccia o lo stesso campo d’addestramento… la sola, tra tanti ragazzi che avevano affermato di stimare ed ammirare suo fratello, ad attenderlo sotto la pioggia nel giorno più brutto della sua vita ed a posare un fiore sulla soglia della Nona Casa.
Ripensò all’ultima volta in cui l’aveva vista, a quella sera in cui la ragione aveva finalmente ceduto agli istinti nell’infinita battaglia che combatteva ormai da anni contro se stesso.
Ricordò il suo volto, più femminile e delicato di quanto si fosse aspettato, i suoi occhi luminosi, la morbidezza dei suoi capelli ed il calore vellutato della sua pelle.
Non avrebbe dovuto toccarla così, non avrebbe dovuto baciare le sue labbra… dentro di sé lo sapeva: era un Cavaliere d’Oro ed il solo posto che l’avrebbe sempre atteso era un campo di battaglia.
Un uomo come lui, il cui destino era segnato, cosa avrebbe mai potuto offrire ad una donna, oltre a un cuore spezzato?
Eppure, proprio perché forse non avrebbe mai visto il domani per cui stava lottando, proprio perché sapeva che la sua vita era effimera come le scintille che si accendevano sulla sua armatura d’oro, proprio perché quei legami che prima o poi tutti gli uomini della sua età finivano per stringere gli erano preclusi, non era riuscito ad impedirsi di abbandonarsi fra le sue braccia, di stringerla sé come se lui fosse stato un naufrago e lei il solo appiglio che gli consentisse di rimanere a galla durante una terribile tempesta.
Forse era davvero così… era stato solo grazie a lei, solo per lei che non era mai sprofondato nella disperazione più totale in tutti quegli anni, solo per lei che, pur senza temere la morte, non si era mai gettato di proposito tra le sue fauci, solo per lei che aveva sempre saputo fugare ogni dubbio e trasformare la paura in coraggio.
Anche adesso che la morte gli era così prossima, anche adesso che il calore cominciava a farsi insopportabile nonostante la protezione dell’armatura, una parte irrazionale di lui fantasticava di tornare sotto il sole di Atene e di starle accanto per sempre, di costruire insieme un impossibile futuro.
Un focolare, una vita pacifica. Il peso di un bambino sulle ginocchia.
Sono uno sciocco, pensò, uno sciocco ed un irresponsabile.
La sua mente tornò a quella mattina, lontana ormai mesi ma nitida nei suoi ricordi, quando si era svegliato dopo il sonno più profondo e ristoratore che avesse mai fatto. Lei era ancora addormentata e lui, un po’ per passare il tempo, un po’ per imprimersi meglio nella memoria ogni più piccolo dettaglio del suo volto, si era sollevato sui gomiti e si era messo ad osservarla mentre dormiva.
Ad un certo punto le aveva passato un braccio attorno alla vita ed era stato allora che lo aveva avvertito: c'era qualcosa di diverso nella sua aura, come una minuscola scintilla vitale. Incuriosito, si era concentrato su di essa, si era teso fino a sfiorarla.
Non c'era stata alcuna reazione, non aveva avvertito alcuna coscienza o personalità: quella era una vita appena agli inizi, che si limitava a crescere a poco a poco, come avvolta in un profondo sonno.
E aveva capito.
Un bambino.
Un enorme stupore, un’incontenibile gioia, il più gelido terrore, l’orgoglio virile più sconsiderato, l’ansia più frenetica… migliaia di sensazioni lo avevano attraversato tutte assieme in tutte le loro massime gradazioni d’intensità a quel pensiero, tanto da lasciarlo del tutto inebetito.
Mio figlio.
Quando il suo cervello aveva ripreso a funzionare, aveva iniziato a vagliare ogni possibile ipotesi ed eventualità, o almeno a provarci.
Era stata forse la prima volta in cui aveva rimpianto di non aver appreso meglio da suo fratello quell’arte a suo dire tanto utile in battaglia e nella vita di tutti i giorni: lui si era sempre gettato a capofitto in ogni cosa senza ragionarci sopra più di tanto, convinto che l’importante fosse dare sempre il massimo di sé, proprio come un leone che si getta nella mischia.
Anche quella, a guardar bene, era stata una conseguenza di quel lato impulsivo e passionale del suo carattere.
Devo dirglielo?
Come reagirà?
Cosa faremo?
Mille pensieri, mille ipotesi gli avevano attraversato la mente, mille interrogativi gli si erano posti tutti assieme in un guazzabuglio più intricato del Labirinto di Cnosso di cui gli avevano raccontato da bambino.
Non era pronto per una cosa del genere… diamine, la sua stessa scelta di vita escludeva il doversi preparare ad una simile eventualità.
Un Cavaliere, ed a maggior ragione un Cavaliere d'Oro, era votato alla battaglia e, molto spesso, alla morte in giovane età: vivere tanto a lungo da poter generare e crescere dei figli era improbabile persino in epoche di relativa pace, ed in quel momento il Santuario era prossimo ad una Guerra Sacra.
Quando fosse scoppiata, lui avrebbe dovuto combattere in prima linea, e sopravvivere sarebbe stata un’impresa ardua se non addirittura impossibile.
A pensarci bene, anche lei quasi di sicuro sarebbe morta in battaglia: era un Cavaliere d’Argento, e non era certo il tipo da tirarsi indietro.
L’aveva guardata un’altra volta, le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e si era reso conto di non voler nemmeno pensare ad un’eventualità del genere: gli faceva male, in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
Era stato in quel momento che si era reso conto con una sconcertante chiarezza che avrebbe preferito morire mille volte e patire i più orribili tormenti per tutta l'eternità piuttosto che perderla, e che quel bambino, nonostante tutti i problemi, nonostante l'onore, nonostante la guerra, nonostante tutto, lui lo voleva.
C'erano nubi sopra di loro in quel momento, pesanti e scure come quelle che si addensavano sul loro futuro.
L'aveva stretta più forte, l'amaro in bocca al pensiero che, forse, in un prossimo futuro non avrebbe potuto difenderla dai nemici come in quel momento la stava proteggendo dal freddo.
Che forse sarebbe stato costretto ad abbandonare lei e quel bambino alla morte.
Erano pensieri indegni di un uomo nella sua posizione, lo sapeva... così come sapeva che l'avrebbe offesa a morte se li avesse condivisi con lei.
Il giorno in cui aveva indossato la maschera aveva rinunciato per sempre ad essere considerata una donna sul campo di battaglia: era stata una scelta consapevole e ponderata, di cui aveva sempre sopportato con coraggio tutte le conseguenze e di cui tuttora andava fiera.
E lui, sul campo di battaglia, non poteva fare differenze fra un compagno e l'altro: tutti erano importanti e tutti erano sacrificabili per il bene di Atena e dell'umanità.
Anche la donna che amava.
Anche suo figlio.
Un raggio di sole aveva fatto capolino all'improvviso fra le nubi.
Lei aveva aperto gli occhi e tutte le parole che Aiolia avrebbe voluto dirle si erano dissolte come il buio della notte. Non gli aveva sorriso, non lo aveva baciato né si era stretta a lui, ma nemmeno lo aveva colpito o aveva cercato di scostarsi.
Era rimasta a lungo immobile nel suo abbraccio, gli occhi fissi al cielo che andava pian piano rischiarandosi.
Forse, in quel momento, avrebbe dovuto parlarle... e aveva desiderato farlo con tutto se stesso: aveva desiderato rivelarle finalmente i suoi sentimenti, aveva desiderato chiederle cosa provasse per lui, aveva desiderato spiegarle cosa stava succedendo al suo corpo, decidere insieme il da farsi, rassicurarla...
Di cosa? Che mi prenderò le mie responsabilità? Che mi occuperò di lei e del bambino? Che starò loro accanto per sempre?
La nube aveva coperto nuovamente il sole.
Lei si era sciolta dal suo abbraccio, si era alzata ed aveva iniziato a rivestirsi in silenzio, dandogli le spalle.
Altrettanto in silenzio, lui aveva indossato abiti, armatura e mantello.
Il cuore aveva mancato un battito quando lei si era voltata a guardarlo, la maschera  stretta fra le mani, negli occhi una muta richiesta.
Avrebbe dato la vita, l'anima e l'onore per stringerla a sé ancora una volta... ma non ne aveva il diritto: vita, anima ed onore non gli appartenevano.
Non con una Guerra Sacra alle porte.
Non finché fosse stato il Cavaliere del Leone.
Alla fine, lei si era rimessa la maschera.
- Devo partire. Ho una missione da compiere e il tempo stringe.
Sapeva qual era la missione a cui si riferiva: era un compito che avrebbe potuto impegnarla per mesi, forse addirittura anni.
Per un attimo si era chiesto se lo stesse mettendo alla prova, ma aveva scartato subito quell'ipotesi: non era da lei ricorrere a simili sotterfugi.
Era molto più probabile che fosse scossa per quanto era accaduto e che volesse allontanarsi per un po' dalla fonte dei suoi turbamenti: da lui.
Aveva annuito in silenzio e l'aveva accompagnata alla scalinata, combattendo ad ogni passo l'impulso di stringerla a sé, di chiederle di non andarsene, di dare alla luce suo figlio ed essere la sua compagna, per sempre.
Se se ne fosse andata, forse non l'avrebbe rivista mai più.
Quel pensiero lo aveva subito assalito con la violenza di un pugno nello stomaco e aveva poi continuato a ronzargli in testa per quella che gli era parsa un'eternità, eppure nemmeno allora l'aveva fermata, nemmeno allora si era deciso a parlarle.
Se se ne fosse andata, forse sarebbe sopravvissuta alla Guerra e, anche se era indegno di un Cavaliere d'Oro desiderare la salvezza di una persona  in particolare quando tanti altri sarebbero morti, anche se era da vigliacco lasciarla andare così, inconsapevole delle proprie condizioni, anche se forse non avrebbe mai più avuto un'altra occasione per dirle che l'amava, anche se forse lei l'avrebbe odiato per tutto questo, aveva lasciato che partisse senza una parola, senza cercare di trattenerla.
Era stato difficile rimanere là, immobile in cima a quell'ampia scalinata di marmo, mentre poco per volta la sua figura si faceva sempre più lontana ed indistinta.
Era stato difficile resistere all'impulso di correrle dietro a perdifiato quando, per la prima volta da che lui ricordasse, si era fermata e si era voltata indietro.
–  Quando tutto questo sarà finito, tornerò da te... –  aveva sussurrato al vento che, piano piano, stava spazzando via le nubi – Sopravvivi, ti prego.
Una breve esitazione, poi le aveva voltato le spalle e si era incamminato nella direzione opposta alla sua, il cuore pesante e una tenue speranza nel petto.
Era stata l'ultima volta che l'aveva vista, l'ultima in cui si era permesso di pensare a lei, di desiderare una vita normale e una famiglia: finché fosse stato un Cavaliere d'Oro e finché un qualche Dio avesse continuato a minacciare la Terra, il suo unico pensiero e il suo solo dovere dovevano essere proteggere Atena e sconfiggere il nemico ad ogni costo... anche a costo di perdere tutto ciò a cui teneva, per sempre.
Ma ormai quella missione era terminata: aveva affidato tutto a Seiya ed ai suoi compagni ed era certo che la Dea a cui stava per sacrificare la vita non gli avrebbe portato rancore se ora la ragione che lo spingeva a bruciare il suo Cosmo fino al limite estremo non era la devozione per lei o il suo dovere di Cavaliere d'Oro ma l'amore per una semplice donna e per un bambino non ancora nato, per un figlio che non avrebbe mai potuto tenere in braccio.
Il calore si stava facendo insopportabile.
Tutto il suo corpo bruciava, fuori e dentro: ad ogni respiro gli sembrava d'introdurre fuoco nei polmoni, l'aria intorno a lui tremolava già tanto da impedirgli di vedere in viso i suoi compagni.
Presto sarebbero tutti svaniti nella luce dorata di un raggio di sole.
Strinse i denti. Ogni cellula del suo corpo gli gridava di smettere, di correre lontano da lì e di salvarsi la vita, ma se lo avesse fatto non ci sarebbero più state speranze, non ci sarebbe più stata vita: il sole si sarebbe oscurato per sempre ed il mondo si sarebbe trasformato in un buio e gelido sepolcro.
Lei sarebbe morta, per mano degli Spettri oppure di freddo e di fame.
Suo figlio non sarebbe mai nato.
No!
Non avrebbe lasciato che accadesse. Arse il suo Cosmo con una ferocia che non aveva mai saputo di possedere prima di allora. L'impulso atavico che spingeva persino gli animali a difendere il nido a costo della vita lo pervadeva in ogni fibra, lo spingeva oltre la sofferenza fisica, oltre la paura istintiva della propria fine: lui sarebbe morto, ma lei e suo figlio avrebbero avuto un futuro... dovevano avere un futuro, ad ogni costo!
All'improvviso il dolore cessò. Le sue narici si riempirono di un odore acre, dolciastro, come di gomma bruciata. Sollevò una mano: le dita erano carbonizzate, tanto che poteva vedere il bianco delle ossa ed era probabile che, sotto l'armatura, anche il resto del suo corpo fosse nelle stesse condizioni. Represse un conato e continuò, con rabbia, con intensità ancora maggiore.
La freccia si era conficcata nel muro, lo sentiva, eppure quelle ostinate pietre ancora non cedevano.
Fu colto da un violento capogiro e cadde in ginocchio.
La vista se ne stava andando, il tatto lo aveva abbandonato, ogni respiro era un tormento di fuoco. Era ormai allo stremo, e anche i Cosmi dei suoi compagni stavano svanendo a poco a poco, in un tumulto di rabbia e di speranza.
No, non deve finire così!
Chiuse gli occhi. Se gli fosse stato ancora possibile, avrebbe pianto.
Gli parve di fluttuare lontano, oltre quel luogo di sofferenza, fuori dal suo corpo straziato.
Sotto di lui le colonne candide del Grande Tempio, i luoghi della sua infanzia.
E lei. Saliva la scalinata delle Dodici Case, un braccio intorno alle spalle di una ragazza che pareva la sua gemella per quanto le somigliava.
Alla fine era tornata.
Provò una fitta di rimorso al pensiero che presto avrebbe provato di nuovo il dolore di perdere una persona cara, quel dolore che entrambi conoscevano così bene e che li aveva tanto avvicinati nell'infanzia.
E un giorno avrebbe scoperto di essere incinta... di un uomo che non le sarebbe mai potuto stare accanto, che si era ripromesso di tornare da lei e che lo desiderava con tutte le sue forze, ma che ora non aveva altra scelta se non morire e lasciarla sola ad affrontare quel che sarebbe venuto.
Era una donna forte, indipendente e  tenace, Aiolia lo sapeva: qualunque fosse stata la sua decisione, era sicuro che avrebbe trovato la forza di andare avanti... se solo lui fosse riuscito a far crollare quel maledetto muro!
Non poteva arrendersi, non poteva ancora permettersi di cedere alla morte.
Con uno sforzo immane, tornò indietro, si sollevò in piedi un'altra volta.
Bruciò tutto quel che rimaneva di sé, della sua vita.
Ci mise tutta l'anima, tutto l'amore, tutto il suo essere.
Per lei. Per suo figlio. Per un futuro in cui splendesse ancora la luce del sole.
Perché a coloro che amava ed anche a chi non conosceva e non avrebbe mai conosciuto fosse possibile vivere liberi e scegliere il proprio futuro.
Mentre tutto intorno a lui diventava d'un bianco abbagliante, udì uno schianto fragoroso. Poi, il silenzio più assoluto.
–  Addio... – sussurrò con un ultimo sorriso – Tornerò in un raggio di sole!

****

La Sacerdotessa si sollevò a sedere sul letto, dolorante ed intontita.
Si sentiva stanca come se avesse combattuto per tre giorni di fila e, in effetti, quella che si era appena consumata nella sua casupola era stata una vera e propria battaglia.
Guardò in basso. Stretto fra le sue braccia, avvolto in una coperta leggera e con la pancia piena di latte, il bambino si era addormentato, le mani minuscole strette a pugno sotto il mento, come in posizione di guardia.
Si deterse il sudore dalla fronte, indossò la maschera e si alzò, ignorando sia le fitte al basso ventre che le proteste della levatrice.
Spalancò la porta e guardò in alto.
Nel cielo limpido di Atene il sole brillava con forza.
Sollevò appena il bambino e gli scostò il panno dal viso.
Il piccolo si svegliò con un sonoro vagito e tese le braccia come per afferrare quella strana palla gialla sospesa nel cielo, poi cambiò idea e le tirò con forza una ciocca di capelli.
Un sorriso le increspò le labbra, unito a una strana malinconia: era il ritratto di suo padre, con quei riccioli castani, quella bocca dalla piega ostinata e quella prorompente voglia di vivere.
Era davvero tornato da lei, alla fine.
–  Lo vedi, Aiolia?
Un raggio di sole si tuffò fra i capelli del piccolo, come una carezza.
La sua carezza.


NdA:

1) le parole dei Cavalieri d'Oro che aprono questa one– shot, così come tutti i dialoghi diretti della parte iniziale sono tratte dall'episodio n. 139 della serie animata (n. 25 del Chapter Inferno) “Addio, Cavalieri d'Oro!”, corrispondente al n. 26 del manga.
2) Chiedo scusa per la lunga divagazione “fuori tema” Aiolos/Aiolia e Aiolos/Seiya… ma mi è sembrato plausibile che, in quel momento, oltre che alle persone amate che avrebbe lasciato, Aiolia pensasse anche al suo fratellone e al suo “fratellino” acquisito!
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –

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Capitolo 7
*** Rossi come il sangue (DeathMask) ***


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Capitolo 8
*** Le inesorabili lancette del tempo (Dohko della Bilancia) ***


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Capitolo 9
*** 9. L' uomo e il guerriero (Saga di Gemini) ***


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Capitolo 10
*** La rosa più bella ***


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