primo
PREFAZIONE
Lei
non voleva staccarsi dalla stretta di quelle braccia forti e ferme,
non sopportava l'idea di separarsi dalla sicurezza che le infondevano
in quei tremendi attimi di puro terrore.
Si
sentiva come un condannato a morte nei pressi del patibolo...
d'altronde, la loro situazione non era poi del tutto differente...
-Vai
ora, il tempo ha la bizzarra abitudine di correre veloce come una
fotone, passerà soltanto un attimo e saremo di nuovo insieme-
Le
sue mani strinsero le sue, tradendo un piccolo tremito d'incertezza
che lui si affrettò a nascondere con un sorriso, prima di
lasciarla
definitivamente andare.
UNA
CADUTA ACCIDENTALE
L'autunno
aveva la vanitosa abitudine di trasformare tutto quello che toccava
in oro e calore: così aveva fatto con gli alberi della foresta
di
Ellesméra, la luce che filtrava tra le vivaci chiome ed il
sottobosco.
Tutto
sapeva di coccole davanti al caminetto acceso e di caldarroste,
tranne l'aria che già aveva assunto l'irritante gelo
dell'inverno.
Una
foglia giallo crema si staccò da un ramo di tiglio, cadendo
lungo
una spirale regolare fino a quando una lama cremisi non ne deviò
la
traiettoria.
Eragon
ritrasse di scatto Zar'roc prima di piombare rapidamente in avanti
nello sferrare un affondo al nulla.
Eseguì
un falso sguadembro, mentre si voltava e concludeva la piroetta con
un fendente, tendendo ogni nervo per non farsi trainare in avanti
dalla forza del colpo e dal peso della spada.
“Potresti
ritenerti soddisfatto, sono ore che non fai altro che allenarti...
potrebbe bastare non trovi? Dai, sali sulla mia groppa e godiamoci
questo stupendo pomeriggio”
“Battuto,
sempre battuto! Sempre sconfitto! Come potrei mai essere un buon
cavaliere se non riesco a tener testa a Vanir?!!”
Sottolineò la frase con un altro tiro di scherma,
mentre Saphira abbandonava il capo tra le zampe anteriori, affondando
il mento tra le foglie secche e guardando sconsolata il proprio
cavaliere che continuava la sua battaglia immaginaria con maggior
impeto.
Il ragazzo si cimentò nell'ennesimo affondo,
battendo
il piede destro a terra; ma il terreno cedette sotto le suole di
cuoio dei suoi morbidi stivali ed Eragon si ritrovò con la gamba
destra completamente affondata nel terreno, piombando scompostamente
tra le foglie.
“Ti
sta bene, così impari ad ignorare i miei consigli... tutto a
posto?”
Chiese la dragonessa, mentre una leggera sfumatura di
preoccupazione le tingeva i pensieri ed Eragon traeva la gamba fuori
dal buco con cautela, serrando i denti per una fitta di dolore.
Provò a flettere il ginocchio e la caviglia,
prima di
rialzarsi e muovere qualche incerto passo di prova.
“Nulla
di rotto, per fortuna! Solo una sgradevole sorpresa...”
“Spero
solo non ti capiti in battaglia, pensa che maledetta sfortuna... a
meno che il nemico non muoia dal ridere...”
Eragon si lasciò sfuggire una fragorosa risata,
mentre
gettava le braccia attorno al collo di Saphira.
“Certo
che è veramente strana come cosa...”
Borbottò il cavaliere tornando sui propri passi e
chinandosi per sbirciare dentro il buco.
-Brisingr!-
La sua mano si ricoprì di fiamme ed Eragon
introdusse
quella torcia improvvisata all'interno dell'apertura.
Non riuscì ad avere una visuale migliore, in
quanto le
tenebre sembravano racchiudere le fiamme in una piccola sfera di luce
che gli circondava la mano non andando oltre.
-Ehii!-
Gridò dentro il buco e l'eco della sua voce gli
ritornò
con un timbro inquietante, come se un'arcana creatura stesse
rispondendo al suo richiamo.
“Wow!
Sentito Saphira? Là sotto ci dovrebbero essere degli spazi
giganteschi!”
“Mmmm...
scansati, allargherò di più il buco così potremo
affacciarci
entrambi”
Saphira assestò una zampata decisa al terreno, ma
la
sua forza si rilevò eccessiva.
Un cupo boato li circondò mentre il terriccio si
muoveva sotto i loro piedi creando una depressione gigantesca.
Eragon saltò d'istinto in arcione mentre la
dragonessa
spiccava il volo un attimo prima che il terreno si spalancasse in
una voragine spaventosa, inghiottendo ogni cosa, perfino gli immensi
alberi.
Sotto le azzurre ali del drago, la terra si stava
comportando come un torrente in piena che si gettasse dentro la gola
spalancata di una mostruosa bestia assetata.
Poi l'arsura del colosso si placò ed il bosco
arrestò
la precipitosa implosione, fermandosi in bilico ai bordi di una
voragine circolare di qualche decina di metri di diametro.
Drago e cavaliere stavano sospesi nel mezzo di quella
devastazione, guardando sbigottiti le tenebrose viscere della terra
che si stavano donando ai loro sguardi, invitandoli con voce suadente
ad entrare in quelle vastità inimmaginabili.
“Il
buon senso mi dice di volare al più presto lontano da qui,
eppure...”
“...vorresti
dare un'occhiata, vero?”
“Già,
piccolo mio. E so che anche tu hai questo folle desiderio.”
“Scendiamo
allora”
Saphira ebbe un attimo di esitazione, prima di annuire
con se stessa e cominciare a planare nel pozzo, sentendosi sempre
più
minuscola ed insignificante man mano che le pareti rocciose li
circondavano.
Poteva avvertire il timore riverenziale di Eragon da
come le serrava le gambe sul dorso, ne avvertiva la meraviglia dal
respiro che gli usciva a fiotti dalla gola, mentre la luce del giorno
si tramutava in una lama fredda di diamanti nel buio odorante di
muschio e ruggine.
Ruggine?
“Saphira!
Alla tua sinistra!”
“Cosa...
mio Dio...”
I due si ritrovarono a volare nei pressi di un pilastro
metallico mastodontico, le cui giunture che ne assemblavano i pezzi
erano tenute unite da bulloni grandi come Saphira.
Appena i loro occhi si furono abituati maggiormente alla
scarsa illuminazione, drago e cavaliere poterono scorgere una miriade
di altre colonne metalliche, che si allacciavano le une alle altre
tramite un'ordinata ragnatela di archi rampanti.
La forza emanata da quelle opere colossali era resa
assai più sinistra dalla ruggine che le stava divorando.
“Questa caverna non è naturale, chi
avrà mai
potuto costruire una cosa del genere, nemmeno i nani e gli elfi sono
capaci di farlo.”
“Tutto
sembra molto antico...”
Osservò Saphira fiutando l'aria
“...troppo...”
Continuarono a scendere per un tempo indefinito, mentre
la luce del giorno si faceva sempre più fioca, costringendo
Eragon
ad invocare magicamente il fuoco per rischiarare il cammino.
Atterrarono su una montagnola instabile di terra ed
alberi divelti, o meglio, su ciò che era diventata la radura
nella
quale Eragon si stava allenando con la spada.
Discesero quel mucchio di terriccio fino a raggiungere
il fondo del pozzo.
“Guarda
Eragon! C'è una galleria più avanti!”
“Forza,
andiamo a vedere... ora che siamo qua, tanto vale dare
un'occhiata”
Man mano che si avvicinavano a quella macchia di buio
più oscura, Eragon avvertì uno stano formicolio alla
nuca, mentre
il timore lo induceva a sguainare Zar'roc per tenerla protesa avanti
a sé.
Entrarono infine nel tunnel e subito gli spazi ristretti
del corridoio cancellarono la sensazione di schiacciamento che la
profondità del pozzo aveva suscitato in loro.
Avanzarono per parecchi metri prima che il cordone di
roccia si interrompesse bruscamente, abbandonandoli nell'abbraccio
disorientante che ha il buio quando nasconde la vastità di un
ambiente ipogeo.
“Fermo
Eragon! Torniamo indietro prima di smarrirci, potremo vagare nel buio
senza ritrovare la via d'uscita per sempre!”
“Hai
ragione Saphira, è meglio andarcene, mi sento come un intruso...
questo luogo non ci appartiene...”
Prima di obbedire al consiglio della compagna, Eragon
azzardò un passo di troppo.
Un discreto “bip” lo indusse ad abbassare lo
sguardo
sul proprio stivale che stava poggiando su una serie di cerchi
luminosi concentrici che si espandevano sempre di più fino ad
infrangersi contro quelle che dovevano essere le pareti della
caverna.
Una fredda luce bianca li investì dall'alto
mentre, confusi e accecati, entrambi si preparavano a combattere contro
non
so quale entità.
Quando finalmente furono nuovamente in grado di vedere,
nessun nemico stava minacciando la loro incolumità.
Eragon si lasciò sfuggire Zar'roc dalle dita
tremanti,
per poi cadere in ginocchio mentre il rumore metallico della spada,
che cozzava contro il levigato pavimento quadrettato, sembrava un
tuono nel silenzio del luogo.
Nonostante la sua forza, Saphira gli si era
acquattò al
fianco, mentre gli occhi di zaffiro divoravano la meraviglia di
ciò
che li circondava.
Ogni cosa là dentro era artificiale, a partire
dalla
luce che mai avrebbe potuto essere quella del giorno o il frutto di
lanterne.
Attorno a loro si sviluppava un ambiente semisferico,
alle cui pareti si distribuivano piani e piani di terrazze che
circondavano file ordinate di pilastri dalla larghezza di circa un
uomo ed altezza di due metri scarsi.
Le
strutture tubolari erano completamente ricoperte di polvere, che si
era depositata sulle superfici come se queste fossero state spalmate
di colla, colmando ogni
fessura
od angolo, come se fosse appena nevicato in abbondanza.
-Santi numi....-
Si lasciò scappare Eragon.
“Dove
siamo? Non ho mai visto nulla del genere...”
La dragonessa si stava avvicinando a quelle strane
strutture cilindriche, spinta da una morbosa curiosità.
Con delicatezza sfiorò la polvere con la punta
della
coda.
Come un quinta teatrale, la copertura millenaria perse
la sua aderenza alla superficie, precipitando di colpo al suolo e
rivelando la vera entità dei cilindri.
Saphira si lasciò sfuggire un bizzarro verso
gutturale
mentre indietreggiava di un passo, allarmata dalla vista dell'orrendo
contenuto del cilindro di vetro.
Si trattava di un cadavere, rannicchiato in posizione
fetale ed immerso in un misterioso liquido bluastro; come gli insetti
affogati nell'alcool dentro i vasi della bottega di Angela
l'erborista.
Il corpo era circondato da innumerevoli cavi ancorati
alla pelle tramite delle placche circolari, che si andavano ad
ammassare specialmente attorno alla calotta cranica; mentre un tubo
si collegava ad una sorta di museruola che nascondeva la quasi
totalità del muso della bizzarra creatura.
“Siamo
in una cripta... queste sono tombe!”
“Cos'è
questo essere? Sembrerebbe un drago...”
“Ma
anche un uomo...”
Eragon si avvicinò al sarcofago accanto e la
polvere
svelò la presenza di un cadavere dalle scaglie verdi, ne
seguì uno
color rame, un altro bianco... tutti sembravano lessati dal liquido
nel quale erano immersi, tanto che i loro tratti erano deformati in
modo grottesco.
“Non
riesco a capire, non si hanno mai avute notizie di simili creature
nei tempi antichi...”
Disse il cavaliere, continuando a svelare il contenuto
di una tomba dietro l'altra.
Di colpo si fermò, scrutando con interesse
l'interno di
un flacone che conteneva un corpo intatto, tanto che l'essere che vi
era racchiuso sembrava stesse dormendo.
Era una creatura minuta, ricoperta di scaglie argentee
ed altre nere che ne striavano il corpo come il manto di una tigre.
Le mani dai pollici opponibili sembravano quelle di una
fanciulla, se non fosse stato per gli affilati artigli, chiaramente
visibili nonostante l'ombra proiettata dalle ali dalle membrane
candide maculate di nero, che la creatura teneva avvolte attorno al
corpo come una coperta.
Il muso era in tutto e per tutto dragonesco, e la
serenità che emanava fece avere avere ad Eragon un tuffo al
cuore.
“Vieni
Saphira! Qua c'è un corpo intatto!”
Trotterellando, la dragonessa gli fu subito al fianco.
“È...è
bellissima...”
Si lasciò
sfuggire,
mentre una gigantesca valanga di confusione e struggente malinconia
si riversava da lei dentro la mente del cavaliere.
“Guarda
un po' che stano, cos'è quella macchia che ha al bordo
dell'occhio
destro?”
“A
me sembra un fiore dai petali chiusi...”
“Un
momento, vi sono delle bolle che escono dalla cosa che porta sul
muso!”
Eragon
osservò con
più attenzione e dovette ammettere che Saphira aveva visto
giusto:
le bolle d'aria erano piccolissime e si susseguivano lungo un sottile
filo.
Il ragazzo si fece
ancor più vicino, appoggiando entrambi i palmi al vero e
spiaccicando il volto contro la fredda superficie trasparente per
osservare con più attenzione.
Un altro acuto
“bip”
risuonò nell'immobilità del luogo.
Eragon vide la forma
guizzante di una scarica elettrica attraversare il corpo della
creatura.
Il torace del
rettile si mosse mentre la maschera che ne copriva il muso eruttava
un torrente gorgogliante di bolle.
Il cavaliere non
potette fare altro che assistere affascinato alla scena, mentre il
cilindro andava lentamente svuotandosi del liquido bluastro.
“Stupido
ragazzo! Stai indietro!”
Fu Saphira a
staccarlo a forza dal vetro per poi proteggerlo con il proprio corpo
mentre sibilava minacciosamente alla cappa di vetro che si stava
aprendo, lasciando sul fondo il corpo abbandonato della piccola
creatura.
“Resta
qui”
La dragonessa si
avvicinò con cautela allungando esitante un artiglio, come se
toccare quella cosa le facesse ribrezzo.
Con uno strattone
sgraziato sciolse il corpo dalla posizione rannicchiata, rivelandone
l'ampiezza sproporzionata dell'apertura alare e l'eccessiva lunghezza
della coda affusolata.
Il torace si alzava
e si abbassava al ritmo costante e profondo della respirazione della
dormiente.
“Dannazione,
è viva!”
S'inalberò
Saphira,
sbuffando fumo in ogni dove, mentre con un ringhio alzava la zampa
artigliata per assestare un colpo alla creatura.
“Saphira,
ferma! Cosa stai facendo?”
“Eragon,
questa... questa... cosa appartiene ad un tempo remoto, non sappiamo
cosa accadrebbe se si dovesse risvegliare ora, in questa epoca.
Dobbiamo ucciderla!”
Eragon
poteva avvertire chiaramente il senso d'urgenza della compagna, il
terrore e la determinazione; ciò lo disgustava, in quanto
trovava
impossibile che quella cosuccia indifesa e delicata potesse essere
malvagia.
Trasmise le sue
emozioni alla dragonessa, e questa barcollò confusa
nell'avvertire
il rancore ed il rimprovero dei quali si erano tinte.
I due si fissarono,
scambiandosi mentalmente stoccate ed affondi nel tentativo di far
prevalere le proprie intenzioni su quelle dell'altro...
“Sei
cocciuto!”
Saphira
lasciò così
cadere la propria protesta, sapendo quanto fosse inutile persuadere
il ragazzo ad agire saggiamente, ogni qual volta si lasciasse
prendere dai sentimentalismi.
Sperava soltanto che
lui non stesse commettendo un gigantesco errore, mentre sollevava da
terra quell'ibrido incosciente e le montava in groppa.
Lui si era aspettato
di toccare un qualche cosa di freddo e bagnato, ma lo strano liquido
non aveva lasciato alcuna traccia di sé.
“Torniamo
a casa, ora”
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