Espada - La Morte in dieci, facili lezioni

di Gan_HOPE326
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stark - La Solitudine ***
Capitolo 2: *** Barragan - La Vecchiaia ***



Capitolo 1
*** Stark - La Solitudine ***


Buongiorno a tutti, umani, hollow, shinigami e arrancar! Questa è la prima one-shot di una raccolta di dieci destinate ad esplorare le caratteristiche dei mitici Espada, che tutti noi amiamo e ammiriamo. Le idee alla base sono nate per essere realizzate in forma di vignette, ma poi la mancanza di tempo e gli impegni vari mi hanno impedito di disegnarle. Quindi, ho pensato, anziché buttar via tutto, meglio riadattarle un po’ e farne dieci one-shot comiche da pubblicare in raccolta. Ed eccomi qua… ogni shot rappresenta un Espada, cominciando da Stark, per poi andare a salire di numero. Questa raccolta è destinata ad essere letta da chi segue il manga giapponese: per gli altri contiene spoiler e battute che risulteranno incomprensibili. Se non seguite il manga, pussate via! Andate a leggervelo tutto e poi tornate XD! Ultime ciance: se volete apprezzare al meglio i titoli dei capitoli, scaricate e installate il font Koenigsberger Gotisc. Lo trovate facilmente, su Google; è quello dei numeri tatuati sugli Espada.

Bene, fine delle chiacchiere. Si comincia! Leggete e recensite!

 

Gan_Hope326 presenta…

 

Espada: la Morte in dieci, facili lezioni

 

Lezione n° 1

 

Il bar era vuoto e triste. Solo la musica stonata di un disco jazz, che il giradischi di origini preistoriche riproduceva a volume basso e con suoni distorti, impediva che cadesse in un deprimente silenzio.

L’uomo sollevò il bicchiere di birra, bevve un sorso.

Sospirò.

-         Io la odio, la solitudine… - disse.

 

Stark, la Solitudine

 

-         Ciao!

L’uomo si voltò. La ragazza era giovane e decisamente carina. Una biondina dalla corporatura minuta, con occhi azzurri grandi e vivaci, i capelli tagliati a caschetto che le carezzavano la base del collo, il sorriso accattivante. Indossava un ardito abito da sera, due strisce di stoffa che si incrociavano sul suo ombelico e coprivano appena i capezzoli di quelle che si intuiva bene fossero, con tutto il rispetto, due tette da favola. Si avvicinò con naturalezza e chiese, con una bella voce squillante:

-         Che dici, posso sedermi qui accanto?

L’uomo fece spallucce e accennò a uno sgabello. La ragazza lo prese come un sì e si sedette. Poggiò i gomiti sul tavolo, poggiò il mento sulle palme delle mani, piantò gli occhi addosso all’uomo.

-         Ci presentiamo? – disse.

Di nuovo, l’uomo rispose con un gesto vago, ruotando una mano lentamente nell’aria.

-         Fantastico! Io sono Janet. E tu, ti chiami…

-         Stark. – disse laconico l’altro. Prese un altro sorso di birra.

-         Stark. Carino. E raccontami, dai, Stark, cosa fai nella vita, a parte frequentare questo bar?

-         Beh…

L’uomo sembrò cercare le parole giuste. Janet attendeva, fiduciosa.

-         Combatto fino alla morte con cieca fedeltà affinché il mio padrone possa diventare il signore e dominatore assoluto di questo universo.

La ragazza parve restarci un po’ male. Non doveva essere quello che si aspettava.

-         Oh, beh, immagino che sia un lavoro come un altro. – concluse infine – E quantomeno sembra che debba essere ben pagato.

-         Pagato? – fece Stark, dubbioso.

Cadde il silenzio. Il disco era finito, girava a vuoto sul piatto producendo solo fruscii incoerenti. Stark prese un altro sorso di birra.

-         Che sete! – esclamò Janet.

Stark prese un altro sorso di birra.

-         Già, che sete! Se solo avessi qualcosa da bere… - continuò lei.

Stark prese un altro sorso di birra.

-         Voglio dire, se qualcuno mi offrisse da bere, sarebbe una cosa molto carina, eh?

-         Oh, scusa. Sono proprio un cafone. – fece l’altro, senza particolare convinzione.

Le allungò il proprio bicchiere.

-         Ecco, prendi pure. Ma non più di un paio di sorsi.

Janet sgranò gli occhi. Biascicò un “non importa” e si voltò a guardare in avanti, oltre il bancone.

Si chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Estrasse uno specchietto dalla borsetta e diede un’occhiata veloce per verificare che il rossetto non fosse sbavato. Nello specchietto vide per un attimo il suo interlocutore, e osservò un particolare curioso. Qualcosa di appeso al suo collo; una collana che sembrava fatta di denti, denti appuntiti, da belva feroce.

-         Carino quel pendaglio. Mi piace l’etnico. L’hai comprato in quel negozio new age che c’è qua vicino, o…

-         Non l’ho comprato. E’ parte del mio corpo.

Janet rise un po’ forzatamente, cercando di convincersi che quella doveva essere solo una battuta. Allungò la mano per prendere il ciondolo e osservarlo meglio, ma quando fu all’altezza del petto dell’uomo si sentì confusa, non riuscendo a trovare il suo torace dove si aspettava. Guardò meglio e lanciò un urlo. La sua mano entrava dritta nel petto di Stark, in un buco rotondo dai margini netti.

-         Che… cosa… è…? – balbettò, impressionata.

-         Oh, quello. Beh, è successo quando ho perso il cuore.

Janet ritirò lentamente la mano e abbassò gli occhi. Pensò che fosse molto indelicato domandargli come diavolo facesse a sopravvivere senza cuore; già era stata una gaffe fargli notare quella invalidità con cui doveva essere estremamente difficile convivere. Sicuramente era stato salvato da qualche miracolosa operazione. Dopotutto, oggigiorno la chirurgia fa miracoli.

Decise di cambiare bruscamente argomento cercando di vivacizzare la serata e rompere il ghiaccio una volta per tutte. Prese un respiro profondo e si buttò.

-         Senti, Stark, la notte è ancora giovane, e questo bar… - fece una risatina - …beh, non è poi così vivace. Quindi che ne dici di uscire, andare da qualche altra parte e folleggiare un po’? Eh? Yuu-huu!

Il suo gridolino di entusiasmo non suscitò effetti particolari. Stark continuò, con assoluta noncuranza, a bere dal suo bicchiere di birra. Janet lo fissava, con un sorriso speranzoso.

Stark smise di bere.

Posò il bicchiere.

Restò qualche secondo in silenzio.

-         Splendido. – disse piatto – Ci sto.

Dentro la testa di Janet, ottantamila tifosi alla finale dei Mondiali si alzarono in piedi esultando per il gol della vittoria.

-         Devo solo avvisare Lilynette che farò tardi.

L’arbitro fischiò e annullò il gol. Tifosi zittiti. Janet assunse un’espressione corrucciata.

-         E chi sarebbe questa Lilynette? – domandò, gelida.

-         La mia compagna.

Oh, bene. Bravo il signor bevo-la-birra-da-solo-sono-un-gran-figo-rimorchiatemi-forza.

-         Stasera dovevamo allenarci alla fusione.

Fusione?

-         Insomma, sai? Quando due si toccano, e poi i loro corpi si uniscono, ed è come se diventassero una cosa sola?

Oh, “fusione”. La chiamano così, adesso.

-         Hai presente?

-         Ne ho sentito parlare. – sibilò la ragazza.

-         Ecco. A me scoccerebbe pure, ma Lilynette continua a seccarmi… ‘dai, proviamo la fusione!’, ‘Oggi dobbiamo fare pratica con la fusione!’. Una rottura.

-         Oh, poveretto. – commentò sarcastica Janet – E sicuramente questa Lilynette è più giovane e carina di me, vero?

-         Più carina, non direi. – disse Stark, senza fare una piega – Giovane, per forza…

Prese, di nuovo, un sorso della sua birra.

-         Dimostra undici anni.

Fu come un’esplosione.

-         ECCO! LO SAPEVO! – ruggì inferocita Janet – PERCHE’ OVVIAMENTE, OVVIAMENTE, QUANDO UN UOMO COMINCIA A PIACERMI, E’ NATURALE CHE DEBBA ESSERE UN DANNATISSIMO PERVERTITO!

-         Ma io… - provò ad obiettare Stark.

-         ED IO CHE PENSAVO CHE TU FOSSI CARINO! E ANCHE CHE ASSOMIGLIASSI UN POCHINO A VIGGO MORTENSEN! LA VERITA’ E’ CHE SEI UN PORCO! VOI UOMINI SIETE TUTTI DEI PORCI!

-         Però non volevo dire…

-         E NON TROVERO’ MAI NESSUNO, E VIVRO’ SEMPRE DA SOLA, E MORIRO’ POVERA VECCHIA E BRUTTA CIRCONDATA DA GATTI PUZZOLENTI IN UNA CATAPECCHIA COME UNA MISERA ZITELLA! BOO-HOO-HOO!

La ragazza scappò via, in lacrime, tenendosi il volto fra le mani. Stark rimase immobile, senza il tempo di reagire, gli occhi sgranati, una mano inutilmente levata a mezz’aria, a cercare di puntualizzare che forse c’era stato un piccolo equivoco. I singhiozzi di Janet sparirono in lontananza.

Stark abbassò la mano.

Riprese il bicchiere di birra.

Con un ultimo, lunghissimo sorso, lo finì.

Sospirò, ancora.

-         Davvero… – mormorò – Io la odio, la solitudine…

 

Fine

 

Nota: questa è l’unica delle shot che, al momento, potete anche vedere sotto forma di vignetta (in inglese, però). Ecco qui il link:

http://ganhope326.deviantart.com/art/Stark-the-Loneliness-132564555

 

Alla prossima!

 

 

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Capitolo 2
*** Barragan - La Vecchiaia ***


Lezione n° 2

 

Sono un Arrancar fortunato.

Muovendo il suo primo passo nell’ala del castello di Las Noches in cui avrebbe preso servizio, Dodecabròn non riusciva a pensare ad altro che a questo. La fortuna lo aveva baciato. La sua trasformazione era riuscita perfettamente; da semplice Adjucha era riuscito a diventare un Arrancar completo, ragionevolmente forte e tutto sommato abbastanza piacente. La sera precedente era riuscito persino a farsi dare il numero di cellulare di Sun Sun – ragazza intrigante, lo facevano impazzire quegli occhi da orientale. E adesso eccolo, pronto a iniziare il suo nuovo lavoro; alla tenera età di cinque giorni e tredici ore, già diventava una fracciòn del grande Barragan, la segunda Espada. Ad un posto migliore non poteva aspirare, visto e considerato che la primera, Stark, non si teneva intorno nessuno a parte la mocciosetta coi capelli verdi. Era un ottimo trampolino di lancio. Una carriera brillante lo aspettava, ne era certo. Pieno di entusiasmo, Dodecabròn prese un respiro profondo, spinse l’ultima porta, quella della sala del trono di sua maestà Barragan Luisenbarn, ed entrò, a testa alta.

-      Arrancar treinta y siete, Dodecabròn a rapporto, signore! – esclamò, saltando sull’attenti.

Sua maestà Barragan Luisenbarn, sul trono dove dormiva con la testa che cadeva sul petto, ebbe un momentaneo sussulto, quindi riprese il suo russare irregolare e catarroso. Intorno a lui, diversi Arrancar ciondolavano oziosamente qua e là.

-      Ah ‘bbelli! – esclamò uno di loro, un ciccione con una maschera zannuta calcata in testa – C’avemo quello novo.

Qualche sguardo si alzò pigramente a controllare; due Arrancar fecero carta-forbici-sasso e alla fine uno di loro, con in testa invece quello che sembrava il teschio di una tigre, cominciò a trascinarsi in direzione del nuovo arrivato.

Dodecabròn attese, il petto gonfio d’orgoglio.

Sono davvero un Arrancar fortunato.

 

Barragan, la Vecchiaia

 

-      Ben arrivato. – sospirò l’Arrancar – Io sono Ggio Vega. Ggio si scrive con due “G”, cerca di ricordartelo. E tu hai detto che ti chiami…?

-      Dodecabròn, signore! – fece l’altro, scattando sull’attenti.

-      Dode… cabròn? – domandò Ggio, dubbioso.

-      Sissignore, signore! Per gli amici solo Cabròn, signore!

Cabròn: s.m. (1) Caprone, becco

-      Ascolta, Dodecabròn… tu l’hai seguito il corso accelerato post-nascita di spagnolo, vero?

-      Certo, signore! Ero il migliore del mio corso, signore! Tutti gli altri si distraevano durante le lezioni e stavano a sfogliare i dizionari per cercare le parolacce, signore!

Restò pensieroso per un attimo.

-      A dire il vero – disse infine – sono stati proprio loro a darmi quel soprannome, signore!

(2) (fam.) cornuto

(3) (volg.) stronzo, bastardo

-      Non stento a crederlo, Cabròn. – concluse Ggio, poggiandogli una mano sul capo e sorridendo paterno – Non stento a crederlo.

Camminarono un po’ in silenzio, Ggio che faceva strada, Dodecabròn che lo seguiva come un fedele cagnolino.

-      A ben pensarci, signore, – chiese ad un certo punto quest’ultimo – perché il signor Aizen desidera che noi impariamo lo spagnolo?

-      Oh, non ne sono sicuro. – rispose svogliatamente l’altro – Ma credo che sia una di quelle teorie da “Manuale del manager perfetto”… I suoni dello spagnolo sarebbero particolarmente adatti per dare agli uomini uno spirito di costruttiva motivazione e dedizione alla causa, o qualcosa del genere. Ti è chiaro?

-      Olé, signore! – esclamò sorridente Dodecabròn.

Ggio Vega lo fissò stravolto per un istante.

-      A quanto pare con qualcuno funziona pure. – concluse, scuotendo la testa.

Giunsero a un angolo della vasta sala. Uno degli Arrancar, con addosso un elmetto che poteva benissimo venire dalla testa di qualche supereroe uscito da un filmetto giapponese di serie B, era affaccendato a strofinare tra loro due grossi quadrati di stoffa bianca in una tinozza.

-      Ora ti presento i tuoi nuovi colleghi. – disse Ggio – Lui è Findore Carias.

-      Posso chiederle cosa sta facendo, signore? – domandò Dodecabròn, fremente di emozione.

-      Lavo i pannoloni. – rispose seccamente Findore.

Un momento di silenzio.

-      Prego, signore…?

-      Lavo i pannoloni! Lavo i pannoloni di sua maestà! Ed è inutile che tu stia qui intorno a curiosare, novellino, non ti rivelerò certo la mia ricetta segreta per la miscela di sapone capace di sbiancare anche le macchie di urina più stantie!

Dodecabròn tese una mano per puntualizzare che della suddetta ricetta non gliene importava un fico secco, signore, ma Ggio lo trattenne:

-      Devi capire, Cabròn, - e qui risatina sommessa di tutti i presenti – che essendo un nuovo arrivato devi fare gavetta. All’inizio sperimenterai dei compiti… un pochino più ingrati; ma vedrai che col tempo la tua esperienza aumenterà e ti verranno assegnati anche incarichi di alto prestigio e responsabilità come quello di Findore.

-      Oh. Certo, signore. – commentò stravolto Dodecabròn.

-      O come quello di Poe, laggiù, Responsabile al Semolino e alle Mele Cotte.

Un Arrancar gigantesco fece un cenno di saluto, alzando un momento lo sguardo da un pentolone fumante di dimensioni proporzionate alle sue.

-      O di Avirama, Direttore Amministrativo del Settore Intrattenimento.

L’Arrancar indicato non si voltò nemmeno, troppo indaffarato, seduto a un tavolino carico di cartelle del Bingo, mazzi da briscola e un computer con cui stava scaricando da internet registrazioni di vecchie puntate di “OK il prezzo è giusto”.

-      O di quel ciccione con la faccia da idiota e le zanne da elefante, Segretario con Delega alle Spugnature e alle Piaghe da Decubito.

-      Lui come si chiama, signore? – riuscì finalmente a dire Dodecabròn.

Ggio lo guardò stranito.

-      Il ciccione. Qual è il suo vero nome, signore?

-      Non ce l’ha, un nome. L’autore del manga è stato troppo pigro per darglielo. Ho sentito dire che nell’anime l’hanno detto, ma sinceramente sono un Arrancar troppo adulto e troppo occupato per guardare i cartoni animati.

-      Ma dovrete pure chiamarlo in qualche modo! – esclamò Dodecabròn, e poi:

-      Signore! – aggiunse.

-      Certo. Lo chiamiamo Ciccione con la Faccia da Idiota e le Zanne da Elefante.

-      Non è troppo lungo e offensivo, signore? Perché non qualcos’altro, signore? Come… Mario, signore?

Ggio Vega sospirò e non rispose nemmeno.

-      Mi pare buono, signore. Proviamo! Mario! Ehi, tu! Mario!

-      COME MI HAI CHIAMATO?!? – urlò il ciccione con la faccia da idiota (che adesso era anche piuttosto alterata) e le zanne da elefante – PROVA A RIPETERLO! RIPETILO, SE HAI IL CORAGGIO!!

-      Ma… Mario… - balbettò Dodecabròn.

-      ALLORA VUOI MORIRE! VUOI PROPRIO MORIRE! TI ACCONTENTO SUBITO! – mise mano alla spada – CALPESTA…

-      Calmati, Ciccione con la Faccia da Idiota e le Zanne da Elefante. – disse Ggio, posandogli una mano sul braccio e riaccompagnando la sua spada nel fodero – Il ragazzo è nuovo e inesperto.

-      Oh. – fece l’altro – Va bene.

Puntò un dito su Dodecabròn:

-      Stavolta ti è andata bene, pivello. Ma d’ora in poi pulisciti la bocca, chiaro?

-      Chiaro. – soffiò Dodecabròn con un filo di voce.

Poi si rivolse a Ggio:

-      E… qual è il suo lavoro, signore?

-      Prega di non scoprirlo mai. – rispose l’altro, cupo.

Dodecabròn decise che era meglio non indagare oltre. Cominciava ormai a pensare di essere finito in un covo di folli e maniaci omicidi. Ma tutto sommato, rifletté, sarebbe anche potuta andare peggio. Ad esempio, sarebbe potuto finire in un covo di folli, maniaci omicidi e depravati. Aveva appena concluso questa rassicurante riflessione quando un uomo muscoloso, dalla voce flautata e vestito di abiti merlettati e svolazzanti, gli posò la mano sulla spalla. Palpandola con sensualità.

-      Ciao, ragazzo. – trillò – Io sono Charlotte, piacere di conoscerti. Spero che andremo d’accordo, io e te, tesoro. Qui c’è davvero poca gente di buon gusto capace di apprezzare la vera bellezza, ma tu sei diverso, te lo leggo negli occhi. Allora teniamoci in contatto, d’accordo? Fa sempre piacere avere dei bei colleghi come te. Ciao!

L’ammasso di muscoli e distorta femminilità si allontanò. Dodecabròn, nel tentativo di cancellare quell’immagine orrenda dalla sua vista e dalla sua mente, si dovette limitare a stropicciarsi forte gli occhi, non avendo dell’acido muriatico da versarci a portata di mano.

-      E quello che razza di mansione svolge…? – chiese, e stavolta il “signore” gli morì in gola.

-      Ah, quello. Guarda, meglio se non lo sai. Dio, invecchiando la gente può diventare così perversa

Non c’era via d’uscita, capì improvvisamente Dodecabròn. Se quelli erano gli incarichi di alto prestigio e responsabilità, che cosa diavolo avrebbero fatto fare a lui?

-      Ora, Cabròn, veniamo alla tua mansione…

Oh Dio, oh Dio, oh Dio… cioè, oh Aizen, oh Aizen, oh Aizen…

-      Tu sarai…

Doveva scappare. Nascondersi. Uccidersi.

-      …l’Addetto all’Ascolto.

-      Uh? – fece Dodecabròn, improvvisamente illuminato dalla speranza.

-      In sostanza, a te tocca prestare ascolto a sua maestà. Qualunque cosa egli dica, tu penderai dalle sue labbra. Qualunque cosa, Cabròn. Ti è chiaro?

-      Chiarissimo, signore. – sospirò lui – Non sembra difficile, signore.

-      Certo. Non lo sembra. – concluse sottovoce Ggio, voltandosi preoccupato.

Un’ombra si era allungata su di loro. Un’ombra maestosa, imponente, maligna e fredda come quella della Morte stessa. Brividi gelidi colsero Ggio e Dodecabròn al solo soffio del reiatsu che si avvicinava.

-      Vostra… maestà… – balbettò Dodecabron, estasiato.

Barragan Luisenbarn osservò l’ultimo acquisto delle sue fracciòn dall’alto in basso, impassibile.

-      Vostra maestà, – disse Ggio, con voce appena più ferma dell’altro Arrancar – il nuovo Addetto all’Ascolto.

L’Espada annuì gravemente. Tacque per un istante lungo come l’eternità e il tempo che sembravano inchinarsi ai piedi stessi di quell’essere, ai suoi piedi. E infine disse:

-      Marmellata di donnole. – con voce tonante.

Ggio Vega già cercava di svignarsela alla chetichella. Dodecabròn, inesperto ed imprudente, ebbe invece un moto di curiosità:

-      Non ho capito, maestà…

-      Marmellata di donnole. – riprese Barragan – Me lo ricordo bene. Durante la guerra del ’15-’18, con le armate dei crucchi che premevano alle porte di Las Noches, e quel loro vigliacco alleato, quel tale Voldemort, che ci aveva costretti a barricarci dentro il castello buttandoci contro le sue dannate maledizioni Avada Kedavra, Abra Kadabra, Bibidi Babidi Bu e Trecuna Mecoides Trecorum Satis Dii. Allora non potevamo uscire, e avevamo finito il cibo. Perciò pensammo di uccidere una tartaruga e farci una zuppa. Ne avevamo trovata una che si chiamava Raffaello; ma era una tartaruga ninja, quella traditrice. Usò la tecnica della sostituzione e prima di rendermene conto avevo addentato la pancia di Grimmjow. Per questo ha quel buco. Quando alla fine riuscimmo a fare fuori l’immonda bestia per bollirla, io avevo già perso un occhio, e la nave era stata travolta dai flutti, la ciurma dispersa, tutto in rovina. Urlai la mia rabbia contro il mostro; e quello rise, bianco, tutto bianco, come se fosse stato lavato con Bio Presto, rise e si inabissò, dannata Moby Dick! Per mia fortuna riuscii ad approdare su un’isola dove trovai un re greco e i suoi compagni. Lui disse di chiamarsi Nessuno; comunque aveva un ottimo sapore. Presi la loro nave e salpai per Samarcanda, dove contavo di fare rifornimento di spezie e gemme da portare in patria; se fossi tornato con un carico di quelle preziosissime merci orientali mi avrebbero accolto come un eroe. Ma purtroppo le avevano finite tutte, perché erano stati attaccati e depredati dall’immondo pirata demoniaco Barbossa e la sua ciurma di dannati. Restavano loro solo una decina di barili di marmellata di ermellini. Allora io…

Dodecabròn, affascinato, alzò la mano:

-      Mi scusi, maestà, – intervenne – ma la marmellata non era di donnole…?

-      MUORI, BASTARDO!

La mano alzata di Dodecabròn restò immobile. Il suo corpo venne segnato improvvisamente da una sottile riga rossa che lo divideva esattamente a metà, dalla testa all’inguine; e infine si divise in due, versando litri di sangue sul pavimento.

Barragan, ansante, sollevò la pesantissima ascia bipenne grondante sangue che stringeva tra le mani. Guardò l’ascia.

Il pavimento.

L’ascia di nuovo.

Una mosca che gli svolazzava intorno al naso.

Ancora il pavimento.

-      Che diamine è questa schifezza, Ggio? – disse, indicando il cadavere mutilato e floscio – Pulisci subito! Niente sciatteria nella mia sala del trono!

-      Sì, maestà. Ai suoi ordini, maestà.

Ggio Vega corse a prendere straccio e secchio, mentre Barragan si allontanava. Cominciando strofinare via il povero Dodecabròn dall’ammattonato di Las Noches, gli disse:

-      Allora, adesso l’hai capito, qual è il mio lavoro?

Ma nessuno rispose.

 

Fine (quasi)

 

-      Gli uomini sono tutti degli stronzi. – sentenziò Janet, bevendo la terza vodka della serata tutta d’un fiato.

-      A chi lo dici. – concluse Sun Sun, seduta accanto a lei – Ieri ho dato il mio numero di cellulare a un tipo carino, e quel bastardo ancora non si è nemmeno degnato di chiamarmi!

 

Fine (sul serio)

 

 

Seconda shot completata! Questa è stata arricchita molto rispetto all’idea originale della vignetta – spero che sia di vostro gradimento, io a scriverla mi sono divertito un mondo XD. Grazie a chi ha letto e a chi ha recensito!

@ Senboo: mi spiace, gli occhiali sono finiti, sono andati a ruba, abbiamo fatto il tutto esaurito e ora aspettiamo la ristampa. Se ti accontenti, per ora abbiamo gli orologi da polso a forma di sette nani. E comunque no, non ho piazzato cimici in camera tua, non sono mica L; è tutta pura e semplice coincidenza XD. Ma sai che è da tanto tempo che penso a scrivere qualcosa su Bleach? E in realtà questa raccolta sugli Espada la sto mettendo su un po’ all’improvvisata, è una cosa che scrivo tanto per rilassarmi e passare il tempo… la mia idea originaria era quella di una long-fiction drammatica ed epica su Bleach. Ce l’ho ancora in mente, ho tante idee separate ma non riesco a comporle. C’è anche il fatto che in questo periodo la mia vita ha subito ENORMI cambiamenti e sono un po’ scombussolato XD. Vediamo se riesco a farne qualcosa...

@ Evil_Katty: fan di Grimmjow, eh? Delle idee che ho al momento, quella per lui non è la migliore… ma magari quando la scriverò riuscirò a perfezionarla. Mi impegnerò al massimo XD.

@ Schwarzweis: lo so, lo so, il mio sogno di fare il fumettista è stato da lungo tempo frustrato XD. Me la cavo meglio come scrittore. Comunque, sono contento di aver risollevato il tuo interesse nel fandom di Bleach (vuoi un altro consiglio? Leggi “Zanpakuto” di Stateira, o “Trying to shut lidless eyes” di Helen Lance. Le ho entrambe tra i preferiti; niente IC né Mary Sue, solo storie belle e ben scritte).

E ai miei occhi guadagni punti anche tu in quanto fan di OP. Noi “nakama” siamo un’unica comunità, in tutto il mondo XD.

 

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