Can I save You? di _Pulse_ (/viewuser.php?uid=71330)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah!!!
XD
Scusate lo sclero U.U
Questa… cosa
xD che leggerete fra poco, è il frutto di un mio sogno.
Sì,
questo è il sogno che ho fatto questa notte. Lo so, faccio
sogni strani e ormai
tutti lo sanno, ma che ci posso fare? xD
Premetto che i Jonas Brothers non
sono proprio il mio gruppo preferito, però come
dire… non potevo cambiare il
mio sogno! È uscito così e così me lo
devo tenere xD
Spero che questa cosa vi piaccia
almeno un po’ e vi avviso che non sarà fra le mie
priorità, quindi potrebbe
passare anche tantissimo tempo prima di un nuovo aggiornamento u.u
Ho altre 3 ff - ufficiali, poi ci
sono anche tutte quelle non ufficiali che si scrivono nel frattempo *-*
- da
finire e da scrivere! E inoltre sono una ragazza impegnata u.u xD
Concludo ringraziando tutti
quelli che da sempre, sempre, sempre mi sostengono. Chi vuol capire, ha
capito
*___* Grazie!
PS: Buona lettura! ;D Vostra, _Pulse_
Can I save You?
Capitolo
1
Mi guardai intorno e suonai a
quel maledetto campanello, con una fifa blu di essere catturata.
«Arianna,
sei qui per…», mormorò
una voce flebile nell’apparecchio, aprendomi il portone.
Certo che quella Fiore
era proprio strana.
Entrai
nell’edificio e feci di
corsa le scale, fino a trovarmi davanti quella ragazza
dall’aspetto fragile,
esile, i capelli castano scuro ricci e corti fino alle orecchie, gli
occhi neri
e la pelle caffèlatte. Quando mi guardava sembrava che
sapesse tutto di me, e
mi metteva un po’ in ansia.
«Vieni»,
disse indicandomi di
entrare, anche se da dentro provenivano rumori strani, come se qualcuno
picchiasse contro una porta per liberarsi.
«Non farci caso», mosse la mano,
dirigendosi nella piccola cucina, da dove proveniva quel rumore.
Sbattè un
pugno contro il legno chiaro di una porticina e in risposta qualcuno
spinse per
aprirla, lei la bloccò sorridendomi.
Io,
ancora sulla soglia, pensai
che proprio io dovevo finire in quel casino colossale. Proprio io.
Perché? Che
avevo fatto di male per meritarmi tutto quello?
Ero finita in un mondo parallelo
con una mia amica, mio padre e i miei due zii, perché mia
madre, giornalista,
aveva visto scomparire di fronte ai suoi occhi quella ragazza mezza
pazza, che
al tempo era una bambina di soli cinque anni, di nome Fiore. Da quel
giorno
aveva iniziato a fare strani esperimenti sui mondi paralleli e aveva
avuto la
magnifica idea di trasportarci tutti lì, esclusa lei.
Ora dovevo scegliere se lasciarmi
aiutare da una pazza che sembrava buona, dopotutto, ed una vecchia maga
di quel
mondo che aveva la casa divisa in passaggi segreti e cunicoli
sotterranei che
per mia grandissima sfortuna avevo già avuto modo di
visitare, rischiando anche
la pelle.
E inoltre, non era certo finita
qui, dovevo liberare mio padre, mio zio Dario e mio zio Manuel dal
carcere in
cui erano rinchiusi perché sospettati di aver trovato un
modo alternativo per
tornare a casa. Era infatti abitudine del luogo non tornare
più nell’altro
mondo, perché senza abitanti questo sarebbe scomparso.
Ma io volevo tornare a casa, non
mi importava se avevo tutto il paese contro e che mi cercassero
dovunque, con a
capo quei strani tizi che si facevano chiamare Jonas Brothers.
Non li avevo mai sentiti in
vita mia, ma dovevano essere abbastanza famosi, visto che erano un
po’ i capi
dei cortei per la mia cattura.
Quel
qualcuno nascosto dietro la
porticina riuscii a liberarsi e scoppiò a ridere guardando
la mia faccia mezza
sconvolta, mentre Fiore si sistemava un ciuffo dietro
l’orecchio, arrossendo
d’imbarazzo.
«Ti
presento… Alessandro, il mio
ragazzo», disse piano, indicandolo.
Era in soli boxer con fantasia
natalizia anche se non era affatto Natale, un fisico scolpito, la pelle
caffèlatte come quella di Fiore , gli occhi verdi e i
capelli rasati sulla
testa.
«Piacere»,
mi disse stringendomi
la mano, sorridendo. «Si vergognava a farmi
vedere…», mi spiegò sussurrandomi
all’orecchio.
«Ahm…
capisco», annuii,
corrugando la fronte e seguendolo in cucina.
«Finalmente
sei arrivata!», mi
gridò Loruama, abbracciandomi di slancio.
«Scusa
il ritardo, ho solo
rischiato la vita un paio di volte oggi!»
«Oh,
figurati!», ridacchiò
tornando a guardare fuori dalla finestra: si stava svolgendo un nuovo
corteo, a
cui capo come al solito c’erano i Jonas Brothers. Se ci
avessero scoperte pure
lì sarebbe stata la fine…
«Dovrebbe
essere questo il
palazzo!», gridò qualcuno nel corteo, fermandosi
lì di fronte.
«Loru,
non farti vedere,
mannaggia!», dissi io, tirandola dentro, ma era ormai troppo
tardi. Un coro si
era levato dalla strada e pian piano erano entrati tutti
nell’edificio: li
sentivo salire le scale come un branco di tori imbufaliti.
«Ary,
vai al mare, vai al mare!»,
mi gridò Loru prima che venisse buttata giù la
porta dell’appartamento.
«Che
cosa?! È tu?!»
«Non
ti preoccupare per me! Ora
vai!», mi spinse con violenza e finii nella porticina nella
quale si era
nascosto Alessandro al mio arrivo.
Ci caddi dentro e finii in un
cunicolo nel quale dovevo camminare a carponi, talmente era stretto.
Non ne potevo più di passaggi
segreti, ne avevo la nausea!
Vidi
una luce alla fine del
tunnel e, distratta, non mi ero resa conto che il terreno duro era
diventato
improvvisamente scivoloso. Caddi con la pancia e gridando scivolai
giù a
velocità sostenuta, come negli scivoli d’acqua,
verso la luce, fino a cadere in
mezzo a salvagenti, braccioli, palle gonfiabili e paperelle di gomma:
almeno
era stato un atterraggio morbido!
Dovevo
essere all’interno di una
cabina sulla spiaggia, visto gli accessori su cui ero caduta, e sentivo
anche
gli schiamazzi dei bambini all’esterno. Tentai di
disincastrarmi da un
bracciolo che mi si era infilato nella caviglia e da quel paio di
salvagenti
che mi stringevano in vita.
«Ma
porca…», biascicai, quando la
porta della cabina si aprì violentemente e per un attimo
venni accecata dalla
luce del sole, poi riuscii a distinguere tre figure conosciute di
fronte a me.
«Oh no, ancora voi!», mi lagnai.
Com’era possibile essere così sfigati?!
«Guarda
guarda chi abbiamo
trovato!», esultò la cheerleader, con tanto di
divisa rossa e rosa e pom-pom
fucsia, dai capelli biondi.
«Ci
si rivede!», mi salutò con un
sogghigno quella mora.
«Che
bella sorpresa che ci hai
fatto, venendo tu da noi! Ci hai risparmiato pure la fatica di venirti
a
cercare!», disse invece la rossa, prendendomi per un braccio
e tirandomi verso
di loro, che mi placcarono in una morsa d’acciaio.
«Avete
visto? Che culo!», gridai,
tentando di divincolarmi. «Ragazze, non sapevo foste anche
giocatrici di rugby!
Avete imparato dai vostri compagni di college? Allora le cheerleader
non fanno
solo quello che si dice che facciano ai giocatori!»
«Fai
poco la spiritosa! Non
abbiamo voglia di scherzare!», mi strapparono di dosso i
braccioli e i vari
salvagenti, facendomi un favore.
«L’altra
volta ci sei sfuggita
per un soffio, ma questa volta ti porteremo dai Jonas e come ricompensa
diventeremo le loro ragazze!»
«E
gli faremo togliere
quell’anello della purezza!», ridacchiarono
eccitate, saltellando e dandosi i
cinque.
Ma perché erano capitate proprio
a me quelle oche esagitate?
Mi
trascinarono per un bel tocco
di spiaggia, il sole stava calando all’orizzonte, e in
prossimità degli scogli
vidi i tre fratelli Jonas camminare verso di noi con sguardo
compiaciuto.
«Ragazze,
è il nostro momento!»,
gridò la biondina, lasciandomi libero il braccio per
sistemarsi i capelli sulla
testa.
«Che
idiota», biascicai prima di
tirare i capelli ricci a quella rossa, facendola gridare, e di mettere
K.O. la
mora con uno sgambetto a tradimento.
Dopodiché cominciai a correre
dalla parte opposta dei Jonas, che dopo aver gridato qualche insulto
alle tre
inutili oche cheerleader, iniziarono l’inseguimento.
Mi
faceva male tutto, arrivai sulla
cima dello scoglio e mi guardai intorno: alla mia sinistra
c’erano due dei
Jonas (E il terzo?), dietro di me solo roccia impossibile da scalare,
di fronte
a me il mare che brillava al tramonto e quando mi girai verso la mia
destra
vidi il terzo Jonas, il più piccolo e con i capelli ricci.
«Buh!»,
mi sorrise facendomi
spaventare. La roccia sotto il mio piede cedette e caddi in acqua, il
ragazzo
tentò di prendermi la mano, ma con l’unico
risultato di cadere con me.
Aprii
gli occhi sott’acqua e lo
vidi nuotare velocemente verso di me, io mi lasciai scappare qualche
bolla
preziosa di ossigeno e tornai in superficie, per poi tentare di
scappare dalla
parte opposta, ma mi scontrai contro l’altro Jonas, il
più grande.
Il mezzano era rimasto sullo
scoglio: magari aveva paura che i suoi capelli perfettamente piastrati
si
rovinassero. Sicuramente.
«No,
lasciatemi!», gridai
dimenandomi, ma mi avevano bloccata ormai.
«Stai
ferma, non ti faremo del
male!», gridò il più piccolo.
«Non
m’importa! Nessuno può
impedirmi di tornare a casa! Io voglio tornare nel mio mondo, voglio
liberare
mio papà e i miei zii! Voglio tornare a casa!»,
gridai con tutto il fiato che
avevo, ma mi coprirono la bocca con la mano e mi trascinarono verso
riva.
Una
volta usciti dall’acqua,
ancora placcata da i due Jonas, il terzo si avvicinò e
passò due asciugamani ai
fratelli.
«Tante
grazie!», gridai, fuori di
me.
«Non
iniziare a lagnarti! Vieni
qui con me!», gridò il più piccolo,
attirandomi a sé e avvolgendomi nel suo
asciugamano con lui. Rimasi piacevolmente sorpresa da quel gesto e mi
arresi al
fatto che ormai non mi restava altro da fare che seguirli e scoprire
che cosa
volevano da me.
«Ora
vieni a casa con noi», disse
il piastrato, prima di girarsi e di guidare il gruppo.
Risentii
le voci stridule delle
tre cheerleader dietro di noi e sbuffai infastidita, contemporaneamente
al
ragazzo che mi teneva abbracciata a sé.
Lo guardai sorridendo e arrossii
notando anche il suo di sorriso, così girai subito il viso
dalla parte opposta.
«Io
sono Nick, comunque», mi
sussurrò all’orecchio.
«E
io… io sono Arianna.»
«Onorato
di sapere finalmente il
tuo nome, causa di tutte le nostre ricerche»,
ridacchiò.
«Vorrei
poter dire lo stesso, ma
non sono affatto onorata di sapere il tuo, causa di tutte le mie fughe
e di
tutti i miei guai», sogghignai.
«Amoriiiiiiiii!
Aspettaticiiiiii!», gridarono le oche dietro di noi; il
maggiore si girò e gli
fece segno di andarsene, io ridacchiai.
«Lui
è Kevin. Invece l’altro è
Joe», mi spiegò Nick.
«Te
l’ho chiesto?»
«Vedi
di non fare troppo l’acida,
siamo sulla stessa barca tutti quanti!»
«Ah
davvero?»
«Sì,
davvero. Quindi vedi di
collaborare.»
Sbuffai
brontolante e non dissi
più niente fino a quando non arrivammo a casa loro, una
villetta a picco sul mare,
nascosta da palme ed altri tipi di vegetazione.
Mi fecero entrare e riuscii solo
a notare il grande salotto immacolato con immense vetrate che
mostravano il
mare al tramonto e l’immensa cucina, prima che Nick mi
accompagnasse in camera
mia: una grande stanza con letto a baldacchino, un televisore al plasma
alla parete,
un armadio gigante, un bagno con tanto di idromassaggio e una finestra
dalla
quale si vedeva la città illuminata.
«Ora
stai qui buona, ci vediamo
dopo», mi disse, guardandomi negli occhi, tenendo la maniglia
della porta.
Sospirò e si massaggiò la fronte con una mano:
«Devo chiuderti a chiave?»
Sollevai
le spalle, infilando le
mani nelle tasche dei jeans e abbassando lo sguardo.
Abbassò lo sguardo anche lui e
chiuse la porta; io rimasi in ascolto, ma non sentii nessuna chiave
girare.
Sorrisi e mi gettai sul letto, le braccia dietro la testa.
«Beh,
poteva andare peggio»,
sospirai girandomi e chiudendo gli occhi, addormentandomi subito.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Ciao
a tutti! ^-^
Finalmente, dopo due mesi, ce
l’ho fatta a scrivere il secondo capitolo! Scusatemi per la
lentezza, ma
sapevate che questa ff non era una mia priorità e poi io
sono una ragazza
impegnata assai u.u
Comunque, ce l’ho fatta n.n Spero
che questo capitolo vi piaccia come il primo o anche di più,
dai!
È stato difficile scrivere questo
capitolo perché questo non è stato un sogno, ho
dovuto spremere un po’ le
meningi ma non penso sia venuto male!
Bene, ho detto tutto, me ne vado.
Ci vediamo a fondo pagina per i ringraziamenti! A dopo, buona lettura!
;D
Vostra, _Pulse_
____________________________________________
Capitolo
2
Dovetti
sbattere più volte le
palpebre per abituarmi alla luce del sole che entrava dalla finestra.
Mi guardai intorno e sul comodino
vidi la radiosveglia che confermava che era ormai l’alba; mi
stiracchiai e mi
stropicciai gli occhi per diversi istanti, fin quando non sentii dei
rumori al
piano inferiore, dove probabilmente dovevano esserci i miei cari
coinquilini.
Mi
tirai su a sedere e un fascio
di luce mi accecò gli occhi, facendoli lacrimare. Da quelle
lacrime del tutto
spontanee se ne susseguirono altre quando mi resi conto che ero una
specie di
prigioniera, sola e con troppe responsabilità sulle spalle.
Sarei riuscita a riacquistare la
mia libertà, a ritrovare la mia amica, a liberare i miei
parenti dal carcere e
a ritornare a casa sani e salvi?
Chissà
ora dov’era finita
Loruama. Quando ero scappata dalla casa di Fiore l’avevo
lasciata lì, in pasto
al corteo che ci inseguiva ormai da settimane.
Mi sentii tremendamente in colpa
e un senso di solitudine mi si attanagliò al cuore:
perché doveva capitare a me
una cosa del genere? Perché proprio io?
Voglio tornare a casa…
Voglio la mia mamma, il mio papà, i miei zii…
Voglio la mia amica…
Voglio la mia libertà.
Mi
passai le mani fresche sulle
guance e tirai su col naso, poi corsi alla porta e ci sbattei contro.
Sbigottita provai e riprovai ad aprila, ma… era chiusa a
chiave. Era chiusa a
chiave!
Quel Nick mi aveva presa in giro
la sera prima! Perché mi aveva chiuso a chiave lì
dentro?!
«Ehi!»,
cominciai a gridare,
tempestando la porta di calci e di pugni. «Che qualcuno mi
venga ad aprire
subito! EHI!»
Smisi
di fare rumore e sentì il
rumore assordante del silenzio, solo qualche gabbiano volava nel cielo
riproducendo il suo verso.
Mi accasciai a terra e mi strinsi
le gambe al petto, incominciando di nuovo a singhiozzare, la testa
appoggiata
alla porta.
Perché nessuno veniva ad aprirmi,
volevano lasciarmi lì per quanto tempo ancora?
“Piccola, perché
piangi? La mamma è qui con te”
“Ho paura, tanta paura.”
“La paura esiste solo se non si ha nulla per cui lottare;
allora sì,
che bisogna averne.”
Le
parole di mia madre fecero
breccia nella mia memoria e pensai che non c’era nulla di
più veritiero. Stare
lì a piangere dunque non serviva a niente ed avere paura
nemmeno, perché io
avevo tantissime cose ancora per cui combattere e, finché le
avessi avute,
nessuno mi avrebbe fermata.
Mi
alzai e feci un giro per la
stanza, guardandomi intorno. Andai alla finestra e tentai di aprirla,
ma era
chiusa a chiave anche quella e inoltre sarebbe stato impossibile
calarsi giù in
quanto era altissimo e io soffrivo di vertigini.
Dovevo trovare un altro modo per
evadere, ma così a prima vista non c’erano molti.
Eppure… doveva esserci! Non
potevo e non volevo restare lì per sempre!
Sospirai
e mi massaggiai le
tempie, in cerca di una soluzione, quando mi venne in mente che se non
volevano
che morissi di fame prima o poi mi avrebbero dovuto portare qualcosa da
mangiare: in quel momento avrei potuto assestargli un bel calcione e
cercare di
fuggire.
Sfregai
le mani l’una contro l’altra
e mi gettai di nuovo sul letto sfatto, sul quale mi rotolai come facevo
da
bambina. L’occhio mi cadde sul comodino, sul quale era
appoggiato il
telecomando che doveva essere per forza del televisore al plasma appeso
alla
parete.
Lo
presi e accesi lo schermo, che
si sintonizzò subito sul telegiornale. Mi soffermai a
seguire il servizio e mi
si bloccò il respiro quando vidi inquadrati i miei zii e mio
padre in una
cella, i visi sciupati ma gli occhi brillanti che richiamavano solo
giustizia e
voglia di libertà. Poi fecero vedere anche Loruama, in
un’aula di tribunale e
condannata a scontare una pena a tempo indeterminato per avermi aiutata
a
fuggire.
Strinsi
i pugni dalla rabbia e
trattenni un grido, quando anche la mia immagine passò sullo
schermo accanto
alla signorina che parlava sorridente, dicendo che ero la ricercata
numero uno
delle forze dell’ordine come se fosse la cosa più
normale del mondo, per poi
passare tranquillamente ad un servizio sui cani.
Come
mai mi ricordava un
telegiornale che c’era anche nell’altro mondo? Bah.
Spensi
il tv e andai all’armadio,
incuriosita. Aprii le ante chiare e finii dentro una grande stanza,
ricoperta
di abiti su tre pareti e al centro c’era un grande specchio
su cui ammirarsi
fino alla nausea.
Non ero mai stata una ragazza
attenta al proprio look, mi piaceva vestirmi bene ma se non ne avevo
voglia
mettevo le prime cose che capitavano nell’armadio e il fatto
che la gente
parlasse bene o male di me non mi interessava.
Feci
scorrere le dita sugli
abiti, da semplici jeans e magliette a vestiti da sera quasi
principeschi. Ne
presi uno verde e tanto per passare il tempo me lo infilai e mi guardai
allo
specchio, chiedendomi se mai potessi essere io quella lì.
Stavo
per togliermelo quando
sentii la porta della camera mia aprirsi e mi precipitai fuori dal
guardaroba,
trovandomi di fronte ad un Nick che rimase a bocca aperta vedendomi.
«B-Buongiorno»,
balbettò.
«Buongiorno»,
dissi stizzita,
portandomi le braccia al petto e fissando un punto sulla mia sinistra,
indifferente,
anche se sentivo le gote bruciarmi. Possibile che dovessi farmi beccare
con
quel vestito addosso?!
«Sei…
come dire… bellissima.»
Lo
guardai con la coda
dell’occhio e mi morsi un mezzo sorriso, ma tornai subito a
fare l’offesa:
«Che ci fai qui?»
«Sono
venuto a portarti la
colazione.»
A
quella parola mi si
illuminarono gli occhi e corsi da lui, gli rubai il vassoio dalle mani
e mi
misi seduta sul letto, mangiando avidamente una ciambella ricoperta di
zucchero
a velo. Era dalla mattina precedente che non mettevo niente sotto i
denti,
anche per colpa loro!
«Avevi
fame?», ridacchiò.
Io
non gli risposi, anzi gli
diedi ancora di più le spalle e bevvi tutto d’un
sorso la spremuta d’arancia,
per poi tuffarmi su una fetta biscottata con la marmellata ai mirtilli.
«Ehi,
che hai? Sei arrabbiata con
me?»
«Potrebbe
essere», bofonchiai a
bocca piena, rischiando per altro di strozzarmi.
«Ma…
Che cos’ho fatto?!»
Sgranai
gli occhi e li strinsi
all’istante, girandomi verso di lui minacciosa:
«Che cosa hai fatto? Che cosa
hai fatto?!» Mi alzai e marciai verso di lui, fino ad
arrivargli ad un palmo
dal viso, un’espressione dura ed irremovibile.
«Mi hai presa in giro! Ieri sera
non mi avevi chiusa a chiave, stamattina mi sveglio e puff, chiusa qui
dentro!
A che gioco stai giocando, me lo spieghi?!»
«Non
ti ho chiuso io a chiave, te
lo giuro», sospirò passandosi una mano sulla
fronte.
«E
chi è stato, di grazia?»
«Joe,
mio fratello. Non si fidava
a lasciarti così libera, questa notte ha preso le chiavi
e…», alzò una mano e
di scatto mi irrigidii, lui mi sorrise rassicurante e mi
pulì un angolo della
bocca, sporco di zucchero a velo, con un dito.
Rimasi
per diversi secondi
immobile dopo quel gesto, spiazzata e in tremendo imbarazzo, tanto che
mi
sentivo rossa come un peperone non solo in faccia, ma dalla testa ai
piedi.
Lui ridacchiò – doveva trovarmi
divertente – e poi mi prese per mano e aprì la
porta, portandomi con sé. Però,
almeno quella volta, ebbi la forza di fermarmi e di guardarlo
accigliata:
insomma, ero ancora arrabbiata con lui!
«Dove
mi stai portando?»
«Vorrei
farti capire che siamo
tutti nella stessa barca e che non vogliamo farti del male, ma che
semplicemente ci servi.»
«Vi
servo?
Cos’è, mi volete sfruttare per uno dei vostri
loschi
piani?!»
«Oh!»,
sbuffò scuotendo la testa
– quegli adorabili ricci lo seguirono. «Non
intendevo dire quello! E non siamo
dei mafiosi, per la cronaca!»
«Scusami
tanto se sono ancora
arrabbiata con te per avermi chiusa là dentro come una
prigioniera!»
«Ti
ho già detto che non sono
stato io, ma mio fratello!»
«Tuo
fratello è comunque una
parte di te!»
Si
fece di colpo serio: «Sei
figlia unica?»
«No»,
abbassai il capo, un velo
di malinconia negli occhi. «Mio fratello è stato
spedito qui con me, la mia
amica e il resto della famiglia che conosci già.»
«E
ora dov’è?»
«Da
qualche parte in questo mondo
parallelo, non ho fatto in tempo a trovarlo ancora», feci una
smorfia e lo
sorpassai.
Lui
mi raggiunse, mi affiancò in
un silenzio alquanto imbarazzante e mi scortò fino ad una
sala nella quale
c’erano fior di macchinari supertecnologici e alcuni
scienziati in camice
bianco che stavano facendo degli esperimenti.
«Ehi
fratello!», agitò la mano
quello che doveva essere Kevin. Ci avvicinammo e scambiò una
lunga occhiata con
Nick, come se si stessero parlando con il pensiero, poi si
soffermò a guardare
me con attenzione e sollevò il sopracciglio: «Come
mai sei vestita così?»
Mi
guardai e borbottai stirandomi
il vestito che non avevo nemmeno avuto il tempo di togliere, per una
cosa o per
un’altra, sulle gambe, poi sollevai lo sguardo incontrando
quello divertito di
Nick.
«Stai
molto bene comunque»,
sorrise cordiale. «Ah, non mi sono nemmeno presentato
decentemente: io sono
Kevin, piacere!», mi stese la mano e io la strinsi,
borbottando il mio nome.
«Che
stavi facendo?», chiese
Nick.
«Uh,
le ricerche stanno andando
avanti. Molto lentamente, ma stanno andando avanti. Prima sono riusciti
pure a
trasportare una mela nell’altra dimensione! O
almeno… si presuppone. Sai, non sono
solo due le dimensioni, ce ne possono essere anche infinite altre
e…»
«Cioè,
voi state tentando di
trovare un modo di tornare alla nostra dimensione con la
tecnologia?», chiesi
sbigottita.
«Sì,
esatto. Anche noi vogliamo
ritornare a casa», mi rispose Nick con uno sguardo
tutt’altro che bugiardo.
«Ma…
ma non è contro il
regolamento? È per questo che voi mi cercavate, per non
farmi tornare a casa!»
«No,
noi…», balbettò Kevin,
passandosi una mano sul collo.
«Diciamo
che facciamo il doppio
gioco», disse una voce alle nostre spalle: Joe ci stava
vendendo incontro con
le mani in tasca e con il suo sorrisetto strafottente e allo stesso
tempo molto
sexy.
__________________________________________
Ringrazio:
nes95:
Ah no cara, per i sogni strani sai che ci sono anch’io ora
xD
Grazie mille per la recensione,
alla prossima! ^-^
Utopy:
Uuuh, tu ci sei sempre comunque e dovunque! Tu sei una vera
fedele *-*
Sììì, solo certi sogni possono
essere di mia competenza! xD Con i Jonas, tra l’altro! Si sa
che preferisco
fare sogni con altri protagonisti, ma chissà cosa mi
è preso quella volta: avrò
mangiato pesante, sicuro! xD
Fa uno strano effetto anche a me,
a dirti la verità. Non so come cavolo potrebbero comportarsi
questi tizi, però
dai sono avvantaggiata perché è tutto quasi
surreale xD
Se piace a te, sai che non può
andare meglio di così per la sottoscritta! Sono
supercontenta che ti piaccia,
assai! *-*
Grazie Alessandruccia mia, ti
voglio tantissimo bene!! Luv yaaa ©
svampy1996:
Sono contenta che ti piaccia e spero che ti piaccia
anche questo capitolo ^-^
Per favore, non chiamarmi
“scrittrice sempina”! xD Grazie milleeeee.
Alla prossima, bacio, ciao!
music__dreamer:
No, stai pur certa che non lo sei! xD
Spero che questo “continuo” ti
sia piaciuto e sono contenta che questa versione dei Jonas ti piaccia
^-^
Grazie per la recensione, alla
prossima! Bacio.
Per
le recensioni allo scorso
capitolo! Grazie, voi non sapete quanto mi hanno fatto piacere!
Soprattutto
sapendo che non era nulla di particolare quel capitolo, in quanto
confuso e
molto… particolare, come chi l’ha scritto xD
Grazie grazie grazie! *-*
Ringrazio tantissimo anche chi ha
messo questa ff fra le preferite e le seguite, davvero non me
l’aspettavo!
Al prossimo capitolo, speriamo
presto xD Con affetto, vostra
_Pulse_
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Buon
pomeriggio a tutti! ^-^
Ho
cercato di fare in fretta e il risultato è stato un mese
d’anticipo rispetto
all’altra volta. Mi sembra un buon risultato, non
lamentiamoci! XD
Spero
che questo capitolo vi piaccia, a me sinceramente parlando piace u.u Ma
non
meniamocela troppo, ci sono cose più importanti da
fare… Come i ringraziamenti!
*-*
Ringrazio
davvero di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:
miusic__dreamer: Grazie mille! Che la storia ti
piaccia e che tu l’abbia
giudicata “bella ed intrigante” sono strafelice,
davvero! Soprattutto perché è
nato tutto da un sogno, si può? xD Beh, sono contenta ^-^
Grazie davvero, alla
prossima!
P.S.
Visto, ho aggiornato prima! XD
Tappina_5_S:
Grazie mille! *-* Spero che questo capitolo ti abbia tolto un
po’ di dubbi e
abbia risposto ad alcune delle tue domande xD Ma ci sono ancora
taaaante cose
da scoprire, i colpi di scena non finiscono qui! Continua a seguire,
ciao!
nes95:
Grazie mille per i complimenti, mi rendono davvero felice e sono
contenta che
ti piaccia questa mia “trasformazione” dei Jonas
Brothers ( Oddio, sto scrivendo
una storia su di loroooooo XD ) Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto e che
la tua curiosità sia stata in parte soddisfatta xD Scommetto
che il tuo
preferito è Nick, ho qualche sospetto xD Beh, spero ti sia
piaciuto anche in
questo! È molto carino, in effetti *-* Grazie ancora!
svampy1996:
Grazie mille! ;D Sia per la recensione e i complimenti, sia per non
chiamarmi
più in quel modo xD
Ovviamente
non posso ringraziare anche chi ha letto solamente fin ora e chi ha
messo
questa ff fra le preferite e le seguite! ;D
Alla
prossima, vostra _Pulse_
P.S.:
Buona lettura! :D
_______________________________________________
Capitolo
3
«Il
doppio
gioco?», chiesi
confusa.
«Non
crederai davvero che
vogliamo stare qui per sempre! Noi vogliamo tornare a casa, dalla
nostra
famiglia, dalle nostre fans!», allargò le braccia
per poi infilare quello
destro con nonchalance fra le mie spalle.
Nick
a quel gesto si irrigidì, ma
non disse nulla, semplicemente si fece più serio e composto,
negli occhi una
scintilla di fuoco che non riuscii a decifrare.
«E
allora io che c’entro, posso
saperlo?», sbottai liberandomi e mettendomi a braccia
incrociate.
«Abbiamo
fatto delle ricerche su
di te e su come sei finita qui e abbiamo scoperto che non è
stato affatto come
le altre volte: tu non sei arrivata qui per caso, sei stata mandata.
E se è stato così, ci deve
essere per forza un modo per tornare; qualcuno ti farà
tornare, prima o poi!»
«Che…
che cosa? Io… io non ci sto
capendo niente…», mormorai disorientata,
portandomi le mani sulla testa che
iniziava a girarmi vorticosamente a causa di una serie di infinite
immagini che
si accavallarono l’una sull’altra producendo
soltanto altra confusione.
«Scusate», balbettai con gli
occhi lucidi prima di correre via, verso la mia stanza al piano
superiore.
La
raggiunsi e mi chiusi la porta
alle spalle, poi corsi nel guardaroba e quasi mi strappai di dosso
quell’odioso
vestito. Mi rinfilai i miei amati jeans e una maglietta larga e tornai
nella
camera da letto, dove mi soffermai alla finestra a guardare il mare
azzurro brillare
sotto i raggi del sole.
Istintivamente
mi portai una mano
sul petto e sentii la catenina che mi aveva regalato mia madre
all’età di sei
anni, sfiorai il ciondolo di vetro a forma di stella con le dita e
sospirai
sentendo di nuovo quel grande vuoto che si apriva come una voragine
all’interno
del mio cuore per la mancanza delle persone che amavo.
“Che cos’è
questo, mamma?”, chiesi incuriosita guardando il ciondolo
che mi aveva appena legato al collo.
“Non è un ciondolo qualunque piccola, è
speciale. E dovrai averne
massima cura, ok?”
“Speciale?”, la guardai con gli occhi brillanti
pieni di curiosità; lei
mi passò una mano fra i capelli biondi e mi fece un sorriso
dolce.
“Speciale come te, amore.”
Che
fosse quel ciondolo
la causa
e la soluzione di tutti i miei problemi?
Eppure non aveva nulla di
particolare… No, no, era impossibile che fosse quella la
chiave per tornare
nell’altro mondo.
«Ehi.»
Sobbalzai
e mi girai, stringendo
nella mano la stella che rifletteva i raggi del sole sul pavimento
chiaro.
Nick, che sorrideva gentilmente, si avvicinò e mi
aprì la finestra: respirai
profondamente l’aria di salsedine mentre il sole mi baciava
il viso, sentendomi
un po’ più libera.
Ero sempre stata una bambina
curiosa e attiva, restare in casa in giornate belle come quelle era per
me
inaccettabile, ma non potevo fare come volevo io, visto che ero l’ospite.
«Scusa
per prima», mormorò
dispiaciuto, affiancandomi; io non risposi, lo guardai soltanto con la
coda
dell’occhio, rapita dalla sua espressione quasi sofferente:
forse non ero
l’unica a soffrire di nostalgia di casa.
«Non avevamo il diritto di fare
ricerche su di te e non dovevamo dirti tutto così, non deve
essere facile per
te… Non oso immaginare come tu ti possa sentire, davvero. Mi
dispiace.»
«Mi
sento come un animale in
gabbia, perso, solo, abbandonato a sé stesso; come un
piccolo allontanato dalla
propria mamma, indifeso e che deve imparare a camminare con le proprie
gambe
per sopravvivere», risposi con lo sguardo perso.
«Vorrei solo… Che cosa sperate
di ottenere, da me?»
«Fratellino!»
La porta si
spalancò alle nostre spalle e spaventati ci voltammo
contemporaneamente,
trovandoci di fronte a Joe che sogghignava con le mani sui fianchi.
«Sì?»,
chiese Nick.
«Ho
una sete terribile, andresti
a prendermi un bicchier d’acqua?», gli fece gli
occhi dolci, avvicinandosi
ancora un po’ a me.
«Che
cosa?! Perché non te lo vai
a prendere tu?», sbottò.
«Ok,
il mio non è stato un bel
tentativo; te lo dirò in un altro modo: puoi lasciami da
solo con lei, devo parlarle»,
sollevò il sopracciglio, facendogli segno di andare.
Avrei
tanto voluto sputare fuori
qualcosa di acido per mandarlo via, per far sì che Nick
almeno rimanesse,
perché di restare da sola con quello non ne avevo la minima
intenzione: mi
metteva a disagio e mi trattava come se fossi una cosa, nemmeno una
persona con
dei sentimenti e delle emozioni. Nick invece era dolce, sensibile, mi
faceva
sentire bene; era il “poliziotto buono” della
situazione… Tutta un’altra cosa.
«Se
permetti, ci stavo parlando
prima –»
«Oh
su, non fare il difficile! È
questione di un secondo, intanto vammi a prendere
l’acqua!»
Nick
grugnì qualcosa e uscì dalla
stanza sbattendosi la porta alle spalle; in quel momento Joe
sospirò e si
avvicinò a me, corrugando la fronte alla visione della
finestra aperta. Si
tastò le tasche e fece un cenno con la testa, sorridendo:
«Mi
ha fregato le chiavi per
aprirti», mormorò.
«A
quanto pare lui ha un minimo
d’umanità», gli risposi, anche se non
era stata una domanda la sua. «Sono anche
io una persona, cosa credi? Non puoi chiudermi qui dentro come ti pare
e
piace!»
«Questa
è casa mia, faccio quello
che voglio.»
«Allora
fammi uscire; poi puoi
fare quello che vuoi.»
«Oh
no», si avvicinò tanto da
sentire il suo respiro sul viso, malizioso. «Tu ci servi
più di quanto tu possa
credere, sai?»
«Come
te lo devo dire che non
sono un oggetto?!», gli gridai in faccia; lui si
allontanò, quasi compiaciuto.
«Hai
proprio un bel caratterino,
lo sai?»
«Lo prendo come un
complimento.
Allora, per cosa vi dovrei “servire”?»,
feci segno delle virgolette con le
dita.
«Come
ho detto prima… vorremmo
solo tenerti con noi e verificare che tu non te ne vada, sei
l’unica oltre a
Fiore che ha o a cui è stata data la capacità di
fare questi viaggi
dimensionali… Non possiamo permetterti di andartene,
perché senza di te… noi
saremmo bloccati qui. Per sempre.»
«Io…
io non ho nessuna capacità!
Sono stata mandata qui, è vero, ma adesso sono
sola!», gridai voltandomi e
rivelando per la seconda volta la parte debole di me. «I miei
zii, mio padre e
la mia amica sono finiti in carcere per colpa mia, per
difendermi…»
«Per difenderti»,
sottolineò con tanto d’occhi, come se dovesse
essere scontato. «E ti sei mai chiesta il
perché?»
Completamente
spiazzata,
boccheggiai diversi istanti per trovare una risposta adatta, senza
risultato.
Abbassai il capo e mi morsi il labbro inferiore, le lacrime che mi
pizzicavano
gli occhi. Che fossi davvero speciale come affettuosamente aveva sempre
detto
mia madre?
«Joe!»,
tuonò la voce che ormai
definivo quasi un salvavita: quella di Nick. Sollevai lo sguardo e lo
vidi
sulla porta, l’espressione contratta, e non potei non
lasciarmi scappare un
piccolo sorriso: forse non ero proprio da sola in quella casa, forse un
alleato
ce l’avevo.
«Ti
ho portato la tua acqua»,
continuò porgendogli il bicchiere e prendendomi per un
braccio, attirandomi a
sé come per rassicurarmi.
«Grazie»,
biascicò Joe con una
smorfia.
Nick
mi fece l’occhiolino e mi
portò con lui fuori dalla stanza. Quella volta non feci
domande, solo mi
lasciai portare e lo seguii, in uno stato di sicurezza che da molto
tempo non
provavo.
La
sicurezza delle braccia della
mia mamma; la sicurezza di quelle forti di mio papà che mi
facevano volare in
alto nelle giornate limpide d’estate, su un prato ricoperto
di fiori; la
sicurezza dei sorrisi innocenti di mio fratello, dei giochi
spensierati; la
sicurezza delle risate delle mie amiche; la sicurezza di un piccolo
mondo che
avevo fatto mio e che ora non c’era più.
Rimasi
parecchio sorpresa quando
mi accorsi che quel tour per l’enorme villa si stava per
concludere di fronte
alla porta d’ingresso, quella dalla quale ero entrata ma non
ero ancora uscita.
La guardai con malinconia, poi
posai lo sguardo sul viso di Nick, così dolce e sereno.
I nostri occhi si incontrarono e
mi sorrise, facendo un cenno verso di essa con la testa:
«Ti
va di uscire?»
Poggiai
le mani sui fianchi e gli
sorrisi di rimando, la testa sulla spalla: «Mi stupisco della
stupidità delle
tue domande, davvero.»
***
«Aspetta,
non
correre!», gridò
Nick ridendo e cercando di starmi dietro.
La
sabbia sulla riva era calda e
bagnata, sulla quale lasciavo una lunga fila di impronte durante la mia
folle
corsa a piedi nudi per sentire il vento fra i capelli e il profumo
della
libertà: un profumo quasi esilarante, grazie al quale il mio
umore aveva
decisamente cambiato direzione dal disorientamento e la tristezza di
quella
mattina.
Riuscì
a raggiungermi e mi prese
per la spalla, mi girò e si appoggiò anche
all’altra con la mano, respirando
affannosamente, ma con un’espressione divertita sul viso
metà illuminato dal
sole che stava tramontando, sprofondando nel mare.
«Grazie»,
mormorai abbassando lo
sguardo.
«Di
cosa?»
«Di
avermi portata qui, all’aria
aperta. Non sai quanto mi ha fatto bene.»
«Sono
contento», mi posò una mano
sulla guancia, delicato come se fossi un fiore. «Anche io
avevo bisogno di
uscire un po’, in questo periodo ti abbiamo sempre dato la
caccia senza sosta.»
«Divertente!»,
gli tirai un pugno
sulla spalla e risimo, iniziando a camminare l’uno accanto
all’altra.
«Perché… perché avete
cercato
proprio me, invece di chiedere aiuto a Fiore?», chiesi
incuriosita.
«Perché
lei è un po’… fuori di
testa, se hai notato.»
«Sì,
in effetti», ridacchiai. «Ma
ne sa sicuramente più di me.»
«Sì,
ma solo perché lei utilizza
il suo dono da quando è una bambina.»
«Siete
così convinti che anche io
abbia questo dono?»,
mi imbronciai.
«Vi sbagliate, io sono una ragazza normalissima.»
«A
volte la diversità non è una
cosa brutta, sai?»
Mi
fermai di colpo e strinsi i
pugni lungo i fianchi, lui fece ancora qualche passo e poi si
girò, guardandomi
con il suo sorrisetto angelico.
«Come…
Io…», balbettai, «Posso salvarvi?»
«Sta
a te deciderlo, sta a te
scoprire se davvero possiedi questa capacità… Sta
tutto a te», mi strinse le
mani e mi baciò sulla fronte, facendomi arrossire di botto.
«Ora…
ora è meglio se torniamo, o
verremo ricercati tutti e due dagli altri due Jonas»,
ridacchiò, prendendomi
per mano e riconducendomi verso la villa.
«No»,
posi resistenza puntando i
piedi nella sabbia, tirandolo dalla mia parte. «Ti prego no,
non voglio tornare
là dentro.»
Non voglio tornare in
cattività.
«Ary…
L’aria per te è una droga,
ne vuoi sempre di più!»
Mi ha chiamata Ary…
«Sì,
proprio così! Ti prego, non
voglio tornare! Restiamo qui ancora un po’, cinque
minuti!» Mi guardò severo e
tentennò, guardando un po’ la villa sopra la
scogliera e un po’ me. Io gli feci
gli occhi dolci: «Ti supplico», miagolai, e lui non
poté resistere.
«Solo
cinque minuti, ok?»
Annuii
felice e finimmo seduti
sulla sabbia tiepida, a parlare del più e del meno e delle
nostre vite. Per
molto più tempo di cinque insulsi minuti.
Scoprii che lui, insieme ai suoi
fratelli, nell’altro mondo formavano una band – i
Jonas Brothers per l’appunto
– in cui lui cantava e suonava chitarra, batteria e
pianoforte.
Si era anche ridicolosamente
indignato quando gli avevo confessato di non averli mai sentiti, ma poi
si era
sciolto in una risata che mi aveva come rasserenato l’animo.
«Ti
manca casa tua?», fu una mia
domanda a bruciapelo.
«Tu
non sai quanto… Mi manca la
mia famiglia, mi manca la mia vita… E mi manca pure quella
peste del mio
fratellino», sorrise amaro.
«Un
altro?», sollevai le
sopracciglia, sorpresa.
«Sì,
siamo in quattro. Frankie è
il più piccolo ed è il Bonus Jonas;
lui è rimasto a casa, per fortuna.»
«Anche
a me manca tanto mio
fratello», mi strinsi le gambe al petto. «E lui
è qui, da qualche parte… Chissà
come sta, che cosa sta facendo, con chi
è…»
«Lo
troverai», mi avvolse un
braccio intorno alle spalle, appoggiando la testa alla mia.
«Come
fai ad esserne così
sicuro?»
«Tuo fratello è comunque una parte
di te»,
sussurrò le mie stesse
parole, facendomi sorridere e sollevare lo sguardo. «Ora
dobbiamo davvero
andare. Chissà che si mangia stasera per cena; Carmen
è una cuoca eccezionale.»
Mi porse una mano e io la presi, tirandomi su.
«Buon
appetito», sospirai un po’
giù di morale.
«Guarda
che mangi anche tu con
noi.»
A
quelle parole mi si
illuminarono gli occhi: «Davvero?!»
«Davvero»,
mi sorrise. Mi lasciai
andare ad un grido di gioia pura e tornai a quella che forse
– forse – un
giorno avrei potuto pure chiamare casa,
con un po’ di voglia in più.
E
le nostre mani non si
separarono mai durante quel tragitto, rimasero sempre l’una
dentro l’altra.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Entrai nella stanza poco illuminata e, con il cuore che batteva
all’impazzata nel petto, mi guardai intorno, cercando di
visualizzare ciò che mi circondava, quando improvvisamente
si accese una candela e sobbalzai
alla visione di quel volto sfregiato ed invecchiato, quasi terrificante.
«Buongiorno»,
sghignazzò venendomi incontro. «Ti stavo
aspettando.»
«Davvero?»
«Sì,
davvero. Prego, accomodati.»
Mi
avvicinai con cautela e mi misi seduta al tavolo rotondo, di fronte
a lei, che iniziò a mescolare un mazzo di grosse carte come
se nulla fosse,
canticchiando una vecchia canzone in una lingua a me sconosciuta.
«Dimmi»,
incominciò. «Per quale motivo sei venuta
qui?»
«Io…
io volevo sapere se lei conosce un modo per tornare
nell’altro mondo.»
Arrestò
quel movimento meccanico delle mani e sollevò lentamente lo
sguardo sul mio viso, con una smorfia maligna che non mi
rassicurò per niente,
anzi mi fece venire i brividi.
«E
tu vorresti saperlo perché vuoi tornare a casa?»
«Sì»,
deglutii.
«Uhm»,
iniziò a sghignazzare, sempre più forte, fino a
quando non tornò
seria: «E credi che se io lo sapessi, sarei qui?
E… mettiamo caso che forse io
lo sappia, lo direi a te? Sei solo una ragazzina.»
Rimasi
in silenzio e la osservai mentre posava le carte e le leggeva
parlando ancora in quella lingua strana. Una carta dopo
l’altra, la sua
espressione si faceva sempre più sorpresa e allo stesso
tempo gioiosa e
spaventata. Quando le carte finirono, alzò di nuovo lo
sguardo e fece un
sorrisetto:
«Infondo,
pur essendo una ragazzina, sei pur sempre… speciale.»
A
quel termine sobbalzai e sentii la porta dalla quale ero entrata
richiudersi di colpo, i passi pesanti qualcuno si stavano avvicinando,
trascinando con sé delle catene. Un brivido di paura mi
attraversò la spina
dorsale e seguii la voce della mia coscienza che mi continua a ripetere
che
dovevo scappare da lì.
Mi
alzai in fretta dalla sedia e uscii da una porta secondaria,
più
piccola e stretta, correndo più veloce che potevo,
allontanandomi da quei passi
e dalle grida stridule della vecchia.
Perché tutto d’un tratto volevano prendermi?
Perché aveva detto che ero
speciale? Perché…
perché io?
Mi
svegliai di colpo e mi
ritrovai seduta sul letto, la fronte imperlata di sudore.
Che spavento.
Quel
ricordo mi era tornato alla
mente a mo’ di sogno e non potevo dire che era stato bello.
Da quel giorno non avevo più
visto quella strana veggente dalla quale ero riuscita a fuggire,
ma… avevo come
l’impressione che lei non si fosse mai dimenticata di me,
anzi.
Mi
accorsi di un leggero fastidio
agli occhi e mi resi conto che le finestre erano spalancate,
permettendo alla
luce del sole e al profumo di mare di invadere la stanza.
«Ma
chi…», bofonchiai accecata,
cercando di guardarmi intorno. Un rumore mi fece voltare
improvvisamente verso
la scrivania e la mia espressione da sorpresa passò ad
imbarazzata, fino ad
arrivare ad una furiosa: «Nicholas Jerry Jonas!»,
gridai con tutto il fiato che
avevo in gola, scattando all’inseguimento.
Quante volte gli avevo detto di
non intrufolarsi in camera mia?!
«Non
cercare di scappare! Ti
prenderò, prima
poi!»
«Nah,
non credo!», mi provocò
ridacchiando, ma il sorriso gli svanì presto dalle labbra
perché aumentai la
velocità della mia corsa e mi lanciai verso di lui,
riuscendo ad aggrapparmi
alla sua schiena.
«Ah-ah!
Te l’avevo detto che ti
avrei preso!», gridai vittoriosa, alzando i pugni in aria.
Nick mi lasciò le gambe e caddi
con il culo a terra; trattenni il respiro e poi lanciai un urlo di
dolore che
fece pure volare via i gabbiani appostati sulla costa lì
intorno.
«Oddio,
scusa! Non l’ho fatto a
posta!», disse seriamente dispiaciuto, inginocchiandosi di
fronte a me. «È
tutto ok?»
«Ti
sembra che vada tutto ok,
razza di… Ah, lasciamo perdere! Ahia, che dolore»,
piagnucolai.
«Se
vuoi ti faccio un
massaggio!», disse Joe, spuntato alle mie spalle, con quel
sorrisetto
fastidioso sulle labbra che ormai avevo imparato ad accettare e anche
quasi a farmi
piacere. Quasi.
«Fottiti»,
dissi facendogli gli
occhi dolci; lui piegò il capo in avanti, in un mezzo
inchino, e mi sorrise
salutandomi con la mano.
«Ehi,
tutto bene?», chiese Kevin
sporgendosi in corridoio dalla sua camera.
«Arriva
l’altro sveglione»,
bofonchiai. «Sì, tutto benissimo!»,
alzai il pollice in aria.
«Ok,
mi fa piacere!», mi rispose
sorridente, per poi richiudersi la porta alle spalle, sollevato.
Sono finita fra un branco di decerebrati.
Forse l’unico che si salva è
Nick…
Lo
guardai sorridendo e mi diede
una mano ad alzarmi, lo sguardo dolce ed amichevole.
Era
passato un bel po’ di tempo
da quando mi avevano catturata e fatta prigioniera nella loro villa,
avevo
imparato a conoscerli e ad apprezzarne ogni pregio ed ogni difetto.
Certo, c’erano sempre le nostre
belle litigate, soprattutto quando fuori il sole e il mare mi
chiamavano e non
potevo uscire, costretta a rimanere nei laboratori a seguire gli
esperimenti,
anche se non ci capivo un fico secco.
Per fortuna Nick era sempre al
mio fianco e passavo il tempo chiacchierando e giocando con lui,
esattamente
come due bambini, creando più danni che altro.
Si era formato un legame
abbastanza forte fra di noi, quasi da sembrare… Insomma,
stavo bene al suo
fianco, mi sentivo come estranea a tutto ciò che stava
succedendo, alla realtà
in cui vivevamo, ma… poteva essere davvero qualcosa di
più di semplice
amicizia?
«A
che cosa stai pensando?», mi
chiese guardandomi dritto negli occhi; un brivido mi percorse la
schiena e
guardai le mie mani strette ancora nelle sue, arrossendo
d’imbarazzo.
«A
niente in particolare», feci
spallucce. «Anzi, ad una cosa sì: la colazione! Ho
una fame da lupi, colpa
della tua stupida corsa. E adesso mi fa pure male il sedere!»
«Non
ti preoccupare, ti porto io!»,
gridò sollevandomi da terra, prendendomi alla sprovvista,
ridendo. Non ebbi nemmeno il
tempo di oppormi che iniziò a scendere le scale cautamente:
un passo sbagliato
ed eravamo morti entrambi!
Sollevai
il viso verso il suo e
lo osservai attentamente, senza badare al sorriso che pian piano si
impadronì
delle mie labbra. Dopotutto Nick non era nemmeno brutto,
anzi… era proprio un
bel ragazzo.
«Oggi
ti perdi molto nei tuoi
pensieri, sai?»
Scossi
la testa e lo guardai,
rendendomi conto di avere già i piedi a terra ma di essere
ancora appiccicata a
lui, con le braccia allacciate dietro il suo collo. Mi fece un
sorrisetto e le
staccai subito, allontanandomi e maledicendomi.
Mi
misi seduta al tavolo e presi
un cornetto caldo dal vassoio che Carmen, la cuoca dei ragazzi, aveva
appena
servito; lo pucciai anche nel caffèlatte e Nick si mise al
mio fianco, puntando
il suo sguardo su di me, a causa del quale rischiai di strozzarmi.
«Perché
mi guardi così? Mi sento
osservata», bofonchiai con la bocca ancora mezza piena.
«Sei
proprio una bambina»,
ridacchiò scuotendo la testa. Mi imbronciai e non lo degnai
più della mia
attenzione, anche se mi sentivo a disagio con i suoi occhi su di me.
«Bambina!»,
gridò Joe saltando gli ultimi scalini e sedendosi di
fronte a me, le braccia incrociate sul tavolo. «Sei
pronta?»
«Pronta
per cosa?», corrugai la
fronte.
«Oh-oh,
non gliel’hai detto!»,
sghignazzò indicando Nick, che sbuffò.
«Dirmi
cosa?»
«Che
adesso vai a parlare con
Fiore a proposito del dono.»
«Che
cosa?! Perché me lo dite
solo ora?!», sgranai gli occhi.
«Doveva
dirtelo Nick», se ne lavò
le mani, sollevando lo sguardo verso il soffitto. Mi voltai verso il
“colpevole” e lo guardai severamente:
«Perché
non me l’ha detto?! E di
che cosa dovrei parlare con Fiore?! Sai che io…»
«Insomma,
bando alla ciance!», mi
interruppe il maggiore dei due. «Devi sbrigarti,
sai?»
Quanto lo odiavo quando faceva
così!
Sbattei
i pugni sul tavolo e mi
alzai, ringhiando un «Va bene». Corsi su in camera
mia e mi chiusi dentro per
cambiarmi.
Chissà
perché Nick non mi aveva
detto niente. E soprattutto, chissà perché
volevano che parlassi con Fiore.
Erano così sicuri che avessi quel
dono, perché?! Io mi sentivo normale e non avevo mai vissuto
momenti in cui mi
ero accorta di avere poteri sovrannaturali.
Se non sapevo io
di avere qualcosa di diverso, perché loro
sì? Forse… forse volevano proprio
che capissi cosa ci fosse dentro di me, parlando con Fiore.
Scesi
di nuovo di sotto in
pinocchietti e maglietta verde acqua, le mie All Star nere e consumate
ai
piedi, e trovai Nick seduto sul divano, che sembrava mi stesse
aspettando, lo
sguardo rivolto al pavimento come se la tv accesa di fronte a lui
proprio non
esistesse.
«Possiamo
andare», dissi lugubre
e lui si risvegliò dall’ipnosi in cui era caduto.
«Buon
viaggio, piccioncini», ci
salutò con la mano Joe, sfarfallando le ciglia.
«Ma…
ma come, solo io e lui? Tu
non vieni?», chiesi.
«Certo
che no! Forza, andate.»
Sbuffai
e raggiunsi con passo
strascicato Nick che teneva aperta la porta con la mano.
Sospirò quando gli passai accanto
in silenzio e poi mi raggiunse all’auto senza tettuccio,
mettendosi al posto di
guida.
Mise in moto e io mi appoggiai
alla portiera con le braccia, il viso baciato dal sole caldo del
mattino e i
capelli arruffati dal vento profumato di salsedine.
«Sei
arrabbiata?», mi chiese.
«No»,
bofonchiai.
«Ok,
sei arrabbiata», sospirò.
Mi
girai verso di lui, saltando
sul sedile, e lo guardai intensamente, fino a quando non
ricambiò lo sguardo e
un’improvvisa ondata di calore mi avvolse il viso
«Voglio
sapere… perché»,
mormorai. «Perché non me l’hai detto
prima?»
«Mi
sono dimenticato», disse fra
i denti, tanto che riuscii a stento a capirlo. Strinsi gli occhi e mi
avvicinai
al suo viso con espressione minacciosa:
«Non
ci credo nemmeno un po’. Tu
non ti saresti mai dimenticato una cosa del genere! Perché
non me l’hai detto
prima, Nick?»
Non
rispose e tamburellò
distrattamente le dita sul volante, poi accese la radio e
canticchiò una
canzone, facendomi venire i nervi; infatti gli voltai le spalle e non
gli
rivolsi più la parola per il resto del tragitto - anche se
non era molto semplice, cercando di distrarmi
guardando la strada, la distesa infinita di blu che si mescolava
all’azzurro
del cielo limpido, i gabbiani che sorvolavano la spiaggia.
Non
facevo altro che
pensare a
lui, alle sue parole, al suo modo di fare… Mi ero
affezionata, non potevo
negarlo, ma dovevo ancora essere in grado di tenergli il muso per
più di dieci
minuti! Sentivo un peso nel petto, forse sensi di colpa per come mi
stavo
comportando…
Infondo… sono arrabbiata
perché non mi ha voluto dire perché non me
l’ha detto prima; è davvero così
importante, che io lo sappia?
Forse
mi stavo comportando
esattamente come una bambina cocciuta e viziata, cosa che non ero
veramente, e
dovevo lasciar correre. Ma solo all’idea che mi stesse
nascondendo qualcosa mi
venivano i nervi!
Dopo tutti i discorsi che avevamo
fatto, le passeggiate notturne sulla spiaggia senza farci scoprire da
Joe e
Kevin, le confessioni, i momenti a ridere e a scherzare…
Perché lui non si
confidava con me, in quel momento? Che cosa mi stava nascondendo di
così
segreto, tanto da non potermelo dire?
«Siamo
arrivati», disse fermando
la macchina di fronte al palazzo che ricordavo bene: quello di Fiore.
Quella
ragazza era strana, sì, ma
mai come prima la sentivo vicina; perché un conto era non
essere dentro alla
faccenda, vederla da fuori, ma una volta dentro… era tutta
un’altra cosa.
Lei, sicuramente aveva dei
poteri, possedeva quel dono, e a causa di esso mia mamma si era fatta
travolgere, tanto da accantonare il lavoro che aveva sempre desiderato
fare –
la giornalista – e si era messa alla ricerca di un meccanismo
per fare quei
viaggi dimensionali, come aveva visto fare proprio da Fiore, allora
solo una
bambina.
Si era messa d’impegno e aveva
creato una specie di marchingegno che doveva trasportare
nell’altra dimensione,
ma qualcosa era andato storto quando lo aveva acceso e, io e le persone
che
c’erano nella stanza – tranne mamma –
eravamo spariti nel nulla, ritrovandoci
poi in quel mondo parallelo.
Ora,
dovevo chiedere a chi ne
sapeva più di me. Possibile che io potessi avere quella
facoltà? E che per
salvare le persone a me care le avessi portate lì quando il
macchinario era
scoppiato?
Quella era un’ipotesi che mi era
balenata in mente qualche giorno prima, ma non ne avevo fatta parola
con
nessuno, neppure con Nick. In effetti, anche io avevo i miei segreti da
questo
punto di vista.
«Allora?»,
mi chiese, visto che
non accennavo a voler suonare al citofono di fronte ai miei occhi.
«Fiore
non sarà contenta di
vederti», risposi e feci spallucce, avvicinando il dito al
bottoncino, ma non
feci in tempo a premerlo che Alessandro, il ragazzo di Fiore
– quella volta
vestito – uscì dal portone e ci
squadrò, una smorfia in viso, come se non ci
volesse, anche se ero quasi certa che era la presenza di Nick che non
riusciva
a mandare giù.
«Oh,
ciao», salutai muovendo la
mano, un sorriso nervoso sul viso. Non mi piaceva il modo con cui
guardava il
mio accompagnatore, proprio per niente. Dovevo fare qualcosa!
«Lui viene in pace!», lo indicai
stando in equilibrio su una gamba sola.
Nick
e Alessandro mi guardarono
corrugando la fronte e strappai un sorriso al primo, che
abbassò il capo e
trattenne una risata.
«Vi
stavamo aspettando,
comunque», disse Alessandro, indicandoci di entrare. Noi ci
guardammo e lo
seguimmo senza fare ulteriori domande, per paura che ci sbranasse vivi.
Una
volta di fronte alla
porta
dell’appartamento di Fiore, aprì la porta e mi
lasciò passare, poi bloccò la
strada a Nick con il suo stesso corpo: era un armadio e sembrava anche
molto
minaccioso, con quell’espressione sul viso.
«Te
lo scordi, tu non entri,
Jonas», gli sibilò in faccia.
Nick
mi
guardò e sollevò le mani,
sospirando; io, preoccupata, stesi una mano verso di lui con la bocca
dischiusa
come per dire qualcosa, ma Alessandro chiuse la porta e il silenzio mi
avvolse,
tanto da farmi venire i brividi.
Ero
da sola. Di nuovo.
«Arianna.»
Mi
voltai di scatto all’udire il
mi nome e vidi Fiore seduta sulla sua poltrona, le gambe strette al
petto e lo
sguardo vacuo.
Mi avvicinai in pensiero per lei
e le posai una mano sul braccio, inginocchiandomi al suo fianco.
«Ehi,
tutto bene?», le chiesi.
«Non
pensavo venissi con lui»,
tremolò. «Ma poi vi ho visti.»
Sa anche vedere il futuro?
mi chiesi impressionata, mentre
stiracchiavo un falso sorriso per rassicurarla.
«Non
ti preoccupare per lui,
siamo amici.»
«Amici?»,
sgranò gli occhi. «Davvero?»
«Sì,
davvero», annuii. «Certo,
gli altri due non fanno un cervello intero, però
Nick… Nick ha qualcosa di
speciale.»
«Che
strano sorriso che hai»,
ridacchiò riprendendo vita, gli occhi di nuovo luminosi.
«Sembra che tu ti sia
presa una cotta, sai?»
«Ma
che stai blaterando?!»,
arrossii e tolsi la mano dal suo braccio, circondandomi il petto come
per
difendermi.
«Provare
dei sentimenti è bello»,
mi incoraggiò, prendendomi le spalle. «Ma non sei
qui per parlare di questo,
vero?»
«Era
proprio quello che stavo
pensando», mormorai.
«Sei
qui per il tuo dono, vero?»,
sorrise dolcemente.
«Anche
tu?! Possibile che tutti
sappiano e io no?! Io… Io non ho quel dono!
Non lo voglio!», gridai con le lacrime che mi pizzicavano gli
occhi.
«Rinneghi
la tua stessa natura?»,
mi chiese delusa. «Sai… forse perché io
ho questo potere da quando sono piccola
e ho imparato a vederne gli effetti positivi, ma anche tu puoi, se lo
vuoi.
Tutti noi siamo speciali a modo nostro, su questo non
c’è dubbio; tu sei
speciale in questo
modo e non puoi
rinnegarlo.»
«Ma
io… io non sono capace di
fare quello che fai tu!»
«Solo
perché ancora non ci credi:
finché non l’accetterai e non vedrai questa cosa
come un bene, non funzionerà
mai.»
«Quindi…
tutto quello che devo
fare è crederci?
E poi? Cosa succede,
come devo fare… io…», mi portai le mani
sulla testa, che iniziava a girarmi
dalla confusione.
«L’importante
è che tu ci credi,
sì. Non posso sapere cosa succederà,
perché è una cosa che sentirai solo tu.
Capirai tutto quando avverrà.»
«E
quando? Quando?!»
«Quando
lo vorrai tu», mi fece un
sorriso e poi si alzò dalla poltrona e si
incamminò verso la cucina con passi
così leggeri che sembrava danzasse.
Quella ragazza era davvero
stranissima, ma non potevo non credere alle sue parole.
Quello che mi preoccupa, però,
è la pratica, mi
mordicchiai il
labbro e sospirai.
Ce la
farò. Ce la farò, devo tornare a casa! E devo
aiutare i Jonas.
Li devo salvare, perché io… io se voglio, posso.
Mi
alzai da terra, convinta dei miei pensieri, e salutai distrattamente
Fiore, dirigendomi alla porta, che
spalancai facendo quasi cadere Alessandro che ci era appoggiato,
facendo
ridacchiare Nick, al quale si illuminarono gli occhi appena mi vide.
«Tutto
a posto?», mi chiese.
«Sì,
penso di sì. Andiamo. Ciao
Alessandro, grazie.»
«Non
c’è di che», bofonchiò e
ritornò all’interno, dalla sua Fiore.
«Quel
bestione iniziava a farmi
paura, non faceva altro che fissarmi come se volesse uccidermi!
Menomale che
sei arrivata», disse rincuorato, avvolgendomi le spalle con
un braccio e
colpendo leggermente la mia testa con la sua. «A te
com’è andata con Fiore?
Avete parlato?»
«Sì»,
annuii, investita dall’aria
calda all’esterno del palazzo.
«Non
mi racconti?», corrugò la
fronte, fermandosi e guardandomi salire sull’auto
parcheggiata lì di fronte.
«Che
cosa devo raccontarti? Non
ci siamo dette nulla di particolare.»
«Ok,
ho capito», sbuffò e si mise
al posto di guida, sbattendo la portiera. «La tua
è solo una ripicca, perché io
non ti ho detto il motivo per il quale non ti ho avvisata prima di
questo
incontro, vero?»
«Potrebbe
essere», incrociai le
braccia al petto e guardai di lato, offesa. Lui scosse la testa,
arrendevole, e
diede gas, senza proferire più parola.
Girammo
un po’ per il paese in
silenzio, forse voleva farmi godere ancora un po’
dell’aria aperta, ma quando
mi accorsi che stava prendendo la strada che portava al paese accanto,
mi
preoccupai e ruppi il silenzio glaciale – nonostante fosse
estate – che si era
creato fra noi.
«Dove
stiamo andando?», chiesi
deglutendo di fronte alla sua espressione dura e concentrata.
«Sfruttiamo
già che siamo fuori e
andiamo a cercare tuo fratello, ti va? O sei così arrabbiata
con me da non
voler neppure –»
Lo abbracciai di slancio,
stringendolo fortissimo e nascondendo il viso contro il suo petto; si
interruppe e sorrise, avvolgendomi la schiena con un braccio.
«Penso
che la tua risposta sia:
“Andiamo”», mormorò aumentando
la velocità, spingendosi contro il vento.
***
Il
suo gesto mi aveva
molto
sorpresa, non me lo sarei mai aspettata, soprattutto dopo il mio
comportamento
tutt’altro che carino nei suoi confronti.
Me l’ero presa come una bambina e
lui, nonostante ciò, mi aveva fatto comunque il bellissimo
regalo di andare a
cercare il mio caro fratellino.
Il
tentativo era stato vano,
perché non l’avevamo trovato da nessuna parte e
chiedendo nessuno l’aveva mai
visto, però quel gesto non me lo sarei scordata facilmente.
«Lo
troveremo, vedrai», mi
sussurrò all’orecchio, massaggiandomi la spalla.
Gli sorrisi e lo ringraziai con
lo sguardo, per poi riappoggiarmi alla sua spalla con gli occhi fissi
sul cielo
del tramonto.
«Fiore
mi ha fatto capire che ho qualcosa,
dentro di me», ripresi il
discorso, titubante. Quella volta non sollevai lo sguardo su di lui,
continuai
a guardare il mare. «Mi ha detto che funzionerà
solo se ci credo, cosa che ora…
non mi riesce molto bene.»
«E
io non voglio che tu impari ad
usare il tuo potere», confessò, stringendomi un
po’ di più al suo fianco. Sorpresa
alzai il viso e lo guardai con un enorme punto interrogativo stampato
in
faccia.
«Non ti avevo avvisata di
quest’incontro con Fiore perché…
perché la verità è che non voglio che
impari
ad usare il tuo potere.»
«Ma…
ma perché? Io non capisco…
Tu e i tuoi fratelli state facendo di tutto per cercare di tornare a
casa!»
«Sì,
però… non voglio che sia
grazie a te, perché tu potresti anche imparare a fare questi
viaggi
dimensionali e potresti… lasciarci qui»,
abbassò il capo, la sua voce che si
assottigliava ad ogni parola. «E non voglio che accada, non
voglio che tu… mi
lasci.»
«Io…
Io non lo farei mai! Se
davvero imparassi ad usare il mio dono, lo utilizzerei anche per
portare a casa
voi, non sono così egoista!»
Ci
guardammo negli occhi e Nick
annuì, mi passò una mano sulla guancia, delicato,
e si avvicinò al mio viso.
«Me
lo prometti?», sussurrò.
Il
sole continuava a
tramontare
lasciando il cielo in una sfumatura rossastra e chiusi gli occhi, anche
se un
po’ agitata per quello che immaginavo stesse per succedere.
«Te
lo prometto.»
Quando
però le sue labbra si
posarono leggere sulle mie il mio cuore volò alto, libero,
come i gabbiani nel
cielo; sereno, anzi forse addirittura… felice.
Te lo prometto.
___________________________________________
Buongiorno!
:)
Sono
ancora viva, ebbene sì u.u
Questo
capitolo è uno dei miei preferiti! *-* Spero sia piaciuto
anche a voi, fatemi
sapere che ne pensate e scusate la lentezza con cui posto questa ff, ma
sono un
bel po’ incasinata in questo periodo xD
Ringrazio
chi ha recensito lo scorso capitolo:
Tappina_5_S:
Sono molto contenta della tua curiosità, è il mio
intento! ;D Il rapporto con
Ary e Nick… vedremo come si svilupperà, intanto
si sono baciati! Joe Mr.Serio
mi piace xD Anche se non è proprio così e in
questo capitolo te ne sarai
accorta xD
Spero ti
sia piaciuto! Alla prossima, bacio!
miusic__dreamer: Grazie *-* Sono felicissima
che a qualcuno piaccia sul
serio questa storia che non avrei mai immaginato di scrivere xD Bene,
mi sento
realizzata! :D
Joe è
strano? Sì, non sapendo come farlo l’ho fatto un
po’ strano, ma non gli piace
Ary, stai tranquilla u.u (All’inizio volevo fare che piaceva
a tutti e due, ma
poi ho cambiato idea xD Quindi avevi intuito giusto!)
Bella la
perla di saggezza, sono pienamente d’accordo con te! *-*
Grazie!
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto abbastanza da farmi perdonare
il
tempo trascorso! :) Alla prossima, baci!
nes95: No,
in effetti non mi piacciono granché >///< E il
migliore fra tutti è Nick,
sia musicalmente che fisicamente xD
Sono
contenta che ti sia piaciuto! Anche questo capitolo in tenerezza non
scherza!
Spero sia stato di tuo gradimento come il precedente!
A
presto, bacio!
Ringrazio
anche chi legge soltanto e chi ha messo questa storia fra le seguite,
le
preferite e le ricordate! ;D
Alla
prossima! Con affetto vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Buongiorno
a tutti! ^-^
È passato un bel po’ dall’ultimo
aggiornamento… Sono imperdonabile, ma scusatemi lo stesso!
>/////////<
Questo periodo è un po’ incasinato, tanto che
spero vivamente che questo
capitolo ne sia valsa la pena di aspettare così a lungo!
La canzone che ho usato (una
riga, alla fine xD) in questo capitolo è Black
keys, dei Jonas Brothers.
Ringrazio di cuore nes95
e miusic__dreamer
per le
recensioni allo scorso capitolo, spero che vi sia piaciuto e che mi
perdonerete
per questo mio mostruoso ritardo! >///<
Grazie mille anche a chi legge
soltanto! :)
Buona lettura :D Alla prossima,
vostra
_Pulse_
_____________________________________________
Capitolo
5
Nick
mi ha baciata! Ho baciato Nick! Ci siamo baciati!
Scalciai
nel letto, il viso nel
cuscino, con una strana euforia che mi circolava nelle vene nonostante
il
tentativo fallito di ritrovare mio fratello.
Rizzai
seduta e mi portai le mani
sulla nuca, sotto i capelli, con degli sgradevoli brividi che mi
percorrevano
la schiena.
Non avevo trovato mio fratello e
lo stavo per dimenticare colta dalla sorpresa di quel bacio; stavo per
dimenticarmi che lui era ancora lì da qualche parte per
quello stupido scontro
di labbra!
Alcune
lacrime mi punsero gli
occhi e lasciai che si raccogliessero liberamente sulle lenzuola
sfatte, mentre
la mia mente viaggiavano in ricordi che sembravano appartenere ad
un’altra
epoca. Il tempo lì o passava troppo in fretta o non passava
mai; non riuscivo a
sentirmi in simbiosi con me stessa, volevo tornare a casa.
Bussarono
alla porta e al
pensiero che potesse essere Nick mi alzai di scatto e corsi in bagno,
mi tolsi
i vestiti e mi gettai sotto il getto ghiacciato dell’acqua,
stringendo i denti
e gli occhi.
«Ary!»,
gridò proprio Nick,
avvicinandosi alla porta chiusa del bagno.
«Sono
in doccia!», dissi con voce
nasale, ma non se ne accorse.
«Oh.
È pronta la cena.»
«Non
ho molta fame.»
«Ehi…
è successo qualcosa?»
«No,
non è successo niente»,
dissi con un tono di voce in meno, chiudendo gli occhi
all’acqua ora tiepida
che mi accarezzava. «Sono solo stanca.»
«Ok,
va bene», annuì, lo sguardo
basso.
Sentii
i suoi passi allontanarsi
e la porta della camera chiudersi alle sue spalle, poi silenzio. Un
silenzio
angosciante che mi fece singhiozzare e scivolare con la schiena lungo
le
piastrelle fredde, rannicchiandomi con le gambe strette al petto, una
ferita
che bruciava nel petto.
Non avrei voluto trattarlo così, non
dopo la bellissima giornata che avevamo passato insieme e quello che
era
successo, ma il mio umore era andato a finire sotto terra.
Chissà
dov’era finito il mio
fratellino. Chissà se davvero anch’io, come Fiore,
possedevo il dono di
viaggiare da un mondo all’altro. Chissà se
l’avrei mai capito. Chissà se sarei
mai riuscita a tornare a casa.
Tutto
quello che mi aveva detto
quella strana ragazza dai poteri paranormali mi aveva confusa,
disorientata, mi
aveva fatto chiedere chi fossi davvero io e che cosa potessi davvero
fare.
Possibile che fossi anch’io come
lei?
Ero
stanca, stanca di tutto, ma
non potevo tirarmi indietro, non ancora. Fin quando non avrei trovato
una
soluzione.
I
quesiti senza risposta nella
mia testa erano troppi, non riuscivo a concentrarmi e a pensare, forse
quello
che mi ci voleva era proprio un po’ di sano cibo sotto i
denti e un po’ di
relax.
Beh, già che ci sono mi faccia la
doccia.
***
«Che
ci fai tu qui, avevi detto
che…», disse Joe, guardandomi negli occhi e nello
stesso tempo indicando Nick,
che diventò paonazzo in volto a causa di un mio sguardo
dolce forse troppo
prolungato.
Fu una reazione che però mi fece
sorridere e prima o poi l’avrei ringraziato, ne avevo davvero
bisogno.
«Il
mio stomaco ha iniziato a
brontolare contro la mia volontà», alzai le spalle
e li raggiunsi al tavolo,
sedendomi accanto a Kevin, di fronte agli altri due. «E non
ho potuto
resistere. Che si mangia di buono?»
«In
realtà…», Joe guardò i suoi
fratelli e poi tornò su di me: «Abbiamo
già
mangiato.»
«C-come»,
balbettai, incredula.
«Non è possibile… Io ho fame! Ho fame,
ho fame, HO FAME!»
«Ahm…
Ok, aspetta, vado a parlare
con Carmen!», disse Nick preoccupato che io potessi avere una
crisi isterica in
piena regola, ma appena si alzò la cuoca si
presentò di fronte a noi con un
vassoio sul quale c’erano quattro coppe di vetro stracolme di
gelato di tutti i
gusti.
«Questo
è il paradiso», mormorai
unendo le mani sul petto, gli occhi brillanti.
«Lo
so», sorrise raggiante
Carmen, posando il vassoio al centro del tavolo; distribuì
le coppe, stando
attenta a dare a Nick la sua – anche lui aveva il suo gelato
personale, senza
zucchero a causa della sua malattia: il diabete. Io ovviamente lo avevo
scoperto con una figuraccia: lo avevo quasi costretto a fare una gara a
chi
mangiava più marshmallow in due minuti, fino a quando non
aveva sputato il
rospo e mi ero sentita invadere dalla vergogna, mentre lui se la
rideva.
«E
ora, tutti in coro: Grazie,
Carmen!», disse
indicandoci.
«Grazie Carmen!»,
ripetemmo sorridenti, prima di tuffarci su quello
che era il mio dolce preferito.
«Allora,
com’è andata oggi? Ci
avete messo tanto!», disse Joe. Ovviamente non poteva non
tacere fino a quando
il mio gelato non fosse evaporato magicamente dalla tazza! Doveva per
forza
rovinare anche quel momento di pace apparente!
«È
andata bene», disse Nick senza
sollevare lo sguardo. Che stesse fuggendo dal mio?
«E…
Che cosa vi siete dette?»,
chiese direttamente a me quella volta.
«Niente
di ché», sollevai le
spalle.
«Ma…
ma come! Siete andati lì per
nulla?! Non è che ci state nascondendo qualcosa?»,
sollevò il sopracciglio e ci
guardò, quel sorrisetto malizioso sulle labbra.
«Oh, ho indovinato! Siete
proprio due piccioncini!»
«Ma
che cosa vai blaterando?!»,
gridai rossa in viso, proprio come Nick che aveva alzato il viso,
rischiando
per altro di strozzarsi all’affermazione del fratello. I
nostri occhi si
incontrarono e saremmo diventati pure viola, se avessimo potuto.
«Questo
conferma pienamente le
mie teorie!», gridò indicandoci, ridendo
sguaiatamente. «Quando vi sposerete?»
«Ma
perché non vai in quel
posticino che conosci tanto bene?!», gridai ad occhi
sgranati, alzandomi di
scatto e uscendo fuori in giardino, nella veranda all’aperto
delimitata da
tanti cespugli di fiori banchi e profumati.
Mi
misi seduta su uno dei
divanetti bianchi e mi strinsi le braccia al petto, portando i piedi
sul
tavolino.
La luna era splendente nel cielo
punteggiato di stelle e alle mie orecchie arrivava il rumore delle onde
che si
infrangevano sulle rocce degli scogli, nel solito profumo di salsedine
che mi
faceva girare la testa talmente mi piaceva.
«Levati
quel broncio, sei
brutta.»
Mi
voltai, sorpresa, e vidi Nick
appoggiato allo stipite della porta vetrata, un sorriso dolce sulle
labbra. Si
avvicinò e sospirò mettendosi a sedere di fianco
a me, tanto da toccarmi la
spalla con la sua. Un brivido mi percorse la spina dorsale a quel
contatto e
l’immagine di quel bacio mi riempì la testa,
così concentrai la mia attenzione
su qualcos’altro: le mie scarpe.
«Non
devi badare a quello che
dice Joe, sai com’è fatto»,
sollevò le spalle. «Non prendertela.»
«Non
me la sono presa.» Il suo
sguardo mi fece roteare gli occhi al cielo, arrendevole: «Ok,
va bene! Ma… Insomma,
quello che è successo oggi… Non siamo obbligati a
dirglielo, ecco. Deve
imparare a farsi i fatti suoi!»
«Con
questo sono d’accordo con
te. A proposito di quello che è successo
oggi…», si passò una mano sulla nuca,
imbarazzato. «Mi dispiace se ti ha dato fastidio, dopo non
hai più detto una
parola e…»
«Non
mi ha dato fastidio!»,
sobbalzai portando le mani sulle sue, guardandolo dritto negli occhi,
ignorando
il mio viso che andava a fuoco. «Mi ha solo…
sorpresa.»
«Quindi
non sei arrabbiata con
me?»
«No!
No, che non lo sono», mi
sciolsi in un sorriso. «Sono solo… stanca,
è la parola giusta. Voglio tornare a
casa, Nick. E voglio vedere mio padre, i miei zii, la mia
amica…»
«Mi
dispiace», mormorò
attirandomi a sé. Mi donò un bacio sulla tempia e
io mi appoggiai alla sua
spalla, accoccolandomi in quel calore e in quella sensazione
rassicurante.
Possibile che riuscisse a farmi sentire così bene con
così poco?
«Ragazzi!»,
gridò Joe uscendo in
veranda, fermandosi appena ci vide abbracciati in quel modo. Non mi
feci
impressionare dalla sua espressione e guardai quello che reggeva fra le
mani:
sembravano inviti.
«Che
cosa sono?», gli chiesi
indicando i cartoncini colorati.
«Oh.
Ci hanno invitati ad una
festa in maschera che ci sarà domani sera! Ci
andiamo?» Aveva il viso
raggiante, sembrava un bambino!
«Chi
l’ha organizzata?», chiese
Nick sospettoso: avrei pagato oro per sapere che cosa gli passava per
la testa
in quel momento!
«Ahm…
Le tre ragazze che…»
«Le
tre cheerleader!», gridai
terrorizzata, mettendomi le mani nei capelli. «Oddio, ragazzi
buona fortuna!»
«No,
tu vieni con noi!», urlò
Nick e mi strinse forte la mano, attirandomi a sé.
Lo guardai sorpresa e capì che
quella frase non era solo ciò che sembrava, era…
un invito esplicito ad andare
con lui.
Sorrisi e automaticamente accettai.
***
«Se
una di quelle tre oche pensa
solo lontanamente di avvicinarsi a Nick, la faccio fuori. Non me ne
fotte
niente che la festa l’hanno organizzata loro!» Mi
guardai e sbuffai. «Questo
vestito è uno strazio! Perché ho deciso di
metterlo, accidenti!? Ah sì, perché
Nick mi ha detto che gli piaceva. Ok, sono cotta come una pera.
Cacchio!», mi
presi i capelli stirati fra le mani e mi lasciai cogliere
dall’ansia.
Ero
parecchio agitata e alla mia
sanità mentale non faceva bene, senza contare il rischio di
sembrare più pazza
di Fiore se andavo avanti così!
«Ary,
con chi stai parlando?»
Sgranai
gli occhi e mi girai
verso Nick, spuntato magicamente al mio fianco, che mi guardava
divertito
mentre si versava da bere in un bicchiere. Un lampo d’ira mi
attraversò gli
occhi e lui arretrò spaventato, così io scoppiai
a ridere.
«Con
nessuno», mossi la mano come
se dovessi scacciare una mosca e tornai a fissare il basso, guardando
il mio
accompagnatore con la coda dell’occhio: indossava un elegante
completo azzurro,
una camicia bianca – come le scarpe – e un papillon
nero. Era davvero bello.
Io
invece sembravo una bambola
mal riuscita con quel vestito vaporoso addosso, simile a quelli delle
principesse, i capelli lisci e gli occhi truccati di verde chiaro.
«Sono
ridicola», sbuffai
stringendo nervosamente la stoffa della gonna. «Semplicemente
ridicola.»
«Ma
che cosa stai dicendo?», si
avvicinò e i nostri corpi si sfiorarono, riuscendo a farmi
diventare bordeaux
con fin troppa facilità; ma ciò nonostante
sollevai il viso verso il suo ed
incontrai un sorriso capace di squagliarmi come un cubetto di ghiaccio
al sole.
«Sei stupenda.»
«Grazie,
anche tu», balbettai;
lui ridacchiò e guardò verso la pista da ballo,
dove i suoi fratelli si stavano
scatenando con le ragazze, anche se le tre cheerleader li controllavano
da
lontano, verdi di gelosia.
«Tu
non vai?», gli chiesi
incuriosita.
«Solo
se mi concedi questo ballo»,
sorrise e mi porse la mano.
Era
appena partito un lento,
manco a farlo apposta, e si erano create solo coppie. Nick voleva
veramente
fare coppia con
me?!
«Non
so ballare», scossi la
testa. «Sono super scoordinata, è meglio di no
davvero.»
«Io
sono messo peggio di te,
scommetti?» Mi guardò con quegli occhi capaci di
sedurre chiunque e dovetti
accettare. Lo presi per mano e mi lasciai trascinare in pista.
Goffamente
mi posò una mano sulla
schiena e con l’altra avvolse la mia, portandosela al petto:
il suo cuore
batteva velocissimo, tanto che mi sorpresi e mi chiesi se davvero anche
lui
provava ciò che provavo io nei suoi confronti.
Stretta fra le sue braccia mi
sentivo protetta, era una sensazione unica, che non avevo mai provato
in vita
mia, e avrei tanto voluto che non finisse mai.
Finii per ascoltare i battiti del
suo cuore, quello era il ritmo che sentivo. Non c’era
più nessun’altro per me,
eravamo solo noi due, immersi in quei movimenti leggeri, quasi
impercettibili,
ma rilassanti.
«Ary»,
sussurrò al mio orecchio,
interrompendo il silenzio che si era creato, quella stranissima
sensazione di tranquillità
che si era fatta spazio dentro di me. La sua voce era musica, ormai.
«Uhm?»
«Credo
di non averti mai
ringraziata come si deve, in tutto questo tempo.»
«Ringraziata?
E per quale motivo
tu dovresti ringraziarmi? Sono io semmai che –»
Posò un dito sulle mie labbra e
le accarezzò, poi mi sorrise:
«Nonostante
il nostro incontro
abbastanza brusco, nonostante il nostro comportamento da guardie
iniziale, da
quando sei arrivata non ti sei mai arresa, sei rimasta con noi e sei
riuscita a
farci sorridere di nuovo, dopo troppo tempo. E… e sei
riuscita pure a farmi
battere il cuore in questo modo…»
«Oh
Nick», soffiai; lui spostò
delicatamente la frangia che mi sfiorava il viso e si
avvicinò lentamente, già
sapevo che cosa sarebbe successo e lo desideravo con tutta me stessa,
ma venne
interrotto bruscamente da Joe, che aprì le braccia ed
euforico ci strinse a sé,
cantando a squarciagola.
«Ma
tu sei ubriaco!», gridò Nick,
tentando di liberarci.
«Ma
che cosa dici, fratellino!»,
singhiozzò e si coprì la bocca, prima di
scoppiare sguaiatamente a ridere.
«Vado
a metterlo al sicuro,
arrivo subito», mi disse, sorridendomi dolcemente. Io annuii
e, quando sparì
sulle scale, raggiunsi il tavolo delle bibite: tutto quel
“ballare” mi aveva
fatto venire sete!
Mentre
mi dissetavo, una ragazza
minuta, i capelli lunghi e neri sulle spalle e con un vestitino rosso
addosso,
mi si avvicinò e incominciò a fissarmi con i suoi
occhi belli ma capaci di
mettermi altrettanto in soggezione. Io tentai di ignorarla, ma era
davvero
difficile!
Come se mi avesse letto nel
pensiero sogghignò e si concentrò sulle bottiglie
di fronte a sé, indecisa su cosa
bere.
«Tu
sei l’amica
di Nick?», chiese ad un certo punto, facendomi spaventare.
«Sì,
sono… sono una sua amica,
perché?»
«Niente,
così», sogghignò.
«Carino, dai.»
Che cosa cavolo vuole, questa?!
berciai nella mia testa. Stava
iniziando ad innervosirmi e avrei scommesso che quella ragazza, ora che
la
guardavo bene, aveva qualcosa di familiare.
«Forse
un po’ troppo possessivo
nei tuoi confronti, no?», alzò gli occhi,
meditabonda. «Insomma… Sono certa che
se tu gli chiedessi di andare a trovare i tuoi parenti in prigione ti
direbbe
di no.»
Avevo
gli occhi sbarrati,
incredula, e il fiato mozzato, il cuore che batteva lentamente, come il
tempo
che sembrava essersi fermato.
Chi era quella ragazza e perché
mi ricordava qualcuno? Che cosa voleva? Perché sapeva tutte
quelle cose che,
ora che ci facevo caso, erano davvero così…
realmente spiazzanti?
«E
poi… Chissà se quello che ti
dice è vero o se è solo un modo per non farti
andare via e per farti
collaborare con loro con più facilità. Che ne
sai, potrebbe essere tutto
un’enorme bugia costruita alla perfezione per trovare il modo
di tornare
nell’altra realtà, sfruttarti e poi scaricarti
alla prima occasione.» Ridacchiò
coprendosi la bocca e mi guardò negli occhi: ebbi la piena
conferma che quella
ragazza mi era familiare, ma non riuscivo ad inquadrarla. «Io
non mi fiderei
troppo, se fossi in te», sussurrò prima di
sorridermi e di tornare da dov’era
venuta.
Non
riuscivo più a capire niente,
una grande confusione si era appropriata della mia mente, oltre alla
fastidiosa
morsa che mi aveva intrappolato il cuore all’insinuazione che
tutto quello,
persino il nostro bacio, fosse stata una bugia per farmi collaborare,
per
rendermi più docile.
Nick non mi sembrava affatto il
tipo di ragazzo che avrebbe potuto fare una cosa del genere,
però… però eravamo
in un mondo parallelo dal quale anche loro tentavano di fuggire ad ogni
costo,
avrebbero potuto benissimo fare tutto questo…
Che quella ragazza avesse
ragione? Che fosse stata tutta una bugia, una farsa? Che quello che
sentivo,
quello che credevo di sentire, fosse nato a causa di un inganno? Che il
mio
cuore battesse per una persona così egoista ed
approfittatrice, come mi aveva
fatto intuire quella ragazza? Dovevo ancora fidarmi di loro?
Per scoprirlo c’era solo una cosa
da fare, anche se avevo già il cuore a pezzi e le lacrime
che premevano per
tagliarmi il viso.
Camminai
lentamente verso Nick,
appresso al Joe brillo con Kevin, e attirai la sua attenzione
prendendolo per
il braccio e stringendo, guardandolo fisso negli occhi, nonostante mi
sentissi
morire.
«Ary,
che è successo? Perché hai
quella faccia? Ti senti male?», chiese preoccupato
sfiorandomi la guancia con
la mano, ma io la allontanai bruscamente.
«Voglio
andare a trovare i miei
parenti e la mia amica in prigione», sibilai con voce roca, a
causa del magone
che mi si era formato in gola, lottando contro le lacrime, il viso
serio.
«Che
cosa? Adesso?» Sembrava…
nervoso. Che fosse davvero così, come aveva detto quella
ragazza misteriosa?
Che volessero solo sfruttarmi a proprio piacimento?
«Ha
qualche importanza? Voglio
andarci.»
«Ary,
non mi sembra il caso. Tu
–»
«Allora…
allora è proprio vero!
Volete solo sfruttarmi! È solo una bugia, è
sempre solo stata una bugia, una
montatura! Dio, mi fate schifo! Soprattutto tu, Nick! Mi hai illusa, io
ho
abboccato all’amo come una stolta e ora chi è a
pagarne le conseguenze, eh?!
Io, io, IO! Sei… sei… IO TI ODIO!»,
gridai senza mai prendere fiato fra una
frase e l’altra, senza badare al fatto che tutti ci stessero
guardando,
compresa quella ragazza che ora sogghignava, compiaciuta; senza badare
alle
lacrime che portavano via il trucco dagli occhi e lo spargevano sul
viso; senza
badare alla mia gola che faceva male, che bruciava come il mio cuore
ormai
ridotto a brandelli.
Nick,
scioccato, provò a parlare,
ma io corsi via: non volevo ascoltare altro da lui, non volevo sentire
altre
bugie; non volevo nemmeno più vederlo. Avrei voluto non
conoscerlo. Avrei
voluto non essermi innamorata di lui.
Uscii
dalla casa, ignorando le
sue grida e quelle dell’altro Jonas lucido, scesi in strada e
corsi
all’impazzata, nonostante la gola in fiamme.
Scoprii la mia meta, dove le mie
gambe mi stavano portando, solo a metà della corsa: dovevo
andare da mio padre,
dai miei zii, dalla mia amica; avevo bisogno di loro più di
ogni altra cosa,
non mi importava se qualcuno me l’avesse impedito, avrei
almeno lottato.
Per
essere una sera come tante
altre c’erano molte auto nelle strade. Io correvo, impacciata
da quel vestito,
cercando di seminare Nick che non era per niente intenzionato a
lasciarmi
andare via.
Per
forza, gli servo ancora!, gridai
di rabbia nella mia testa,
chiudendo gli occhi. In quella frazione di secondo rischiai di farmi
investire:
per fortuna l’automobilista frenò in tempo, ma
nessuno mi tolse una bella
suonata di clacson.
Continuai
a correre fra le luci
dei negozi e dei lampioni, sotto il cielo punteggiato di stelle e poco
illuminato dalla luna, il vento che mi scompigliava i capelli, fino a
quando
non vidi stagliarsi di fronte a me il palazzone che era stato
trasformato in un
carcere per i Ribelli al Mondo.
Chi voleva davvero stare lì, solo
i deboli, gli arrendevoli! Io, noi non facevamo parte di quella
categoria,
avrei preferito la morte!
«Ary,
fermati!», gridò Nick alle
mie spalle. Si stava avvicinando, non potevo rallentare!
«Cattureranno anche
te!»
Che ci provino!
Entrai
nell’edificio e la ragazza
che stava dietro al bancone alzò la testa, sorpresa. Mi
guardò quel tanto che
bastò per riconoscermi e per dare l’allarme, io
iniziai a correre verso i piani
alti, dove sapevo esserci le celle dei Ribelli più
pericolosi, tra cui proprio
mio padre e i miei zii.
Sentivo qualcuno correre dietro
di me, anzi più di una persona dal rumore dei passi,
così aumentai la velocità,
senza pensare alle gambe che mi dolevano tanto da togliermi il fiato.
Arrivai
alla fine della rampa e
mi trovai di fronte ad una grossa guardia, probabilmente era stata
avvisata,
che tentò di afferrarmi fra le braccia, ma io gli passai
sotto le gambe e perse
l’equilibrio, cadendo addosso al suo compagno che mi stava
alle calcagna.
Bene, due sono stati eliminati!
esultai. Mai come allora mi stavo
sentendo libera, libera davvero.
Vidi
Nick, affaticato ma che per
nulla al mondo si sarebbe arreso, che scavalcò le guardie e
mi venne incontro,
gridando di fermarmi; al contrario io ripresi a correre verso il mio
traguardo
che si faceva sempre più vicino.
«Arianna,
bambina mia!», gridò
qualcuno alle mie spalle. Mi girai: avrei riconosciuto quella voce fra
un
milione!
«Papà!»
Lo
vidi con le mani strette
intorno alle sbarre di ferro, il volto stanco, ma la solita voglia di
combattere e di tornare a casa negli occhi. Dietro di lui
c’erano zio Dario e
zio Manuel, nella cella accanto invece c’era Loruama,
parecchio pallida.
«Che
ci fai qui, devi andartene!»,
disse preoccupato, gli occhi pieni d’ansia. «Ti
cattureranno!»
«Che
lo facciano, papà»,
sussurrai inginocchiandomi a terra, di fronte a loro, e prendendoli
tutti per
mano. «Sempre meglio stare con voi che con
–»
«Ary!»,
gridò Nick correndomi
incontro con il fiatone.
Alle
sue spalle vidi la ragazza
della festa che mi aveva detto quelle cose che mi avevano
“aperto gli occhi” e
per una frazione di secondo vidi il suo vero aspetto, come se la figura
della
ragazza giovane e carina fosse un ologramma difettoso: era la vecchia
veggente
che aveva cercato di imprigionarmi quando le avevo chiesto aiuto per
tornare
nell’altro mondo.
In
quel momento tutto si fece dolorosamente
chiaro e vidi tutto a rallentatore: Nick che mi correva incontro
preoccupato,
stendendo una mano, gridandomi qualcosa che non riuscivo più
a sentire; la
ragazza/vecchia che si fermava a scoppiava a ridere sguaiatamente
perché aveva
avuto una mezza vittoria; mio padre che mi parlava e io non riuscivo a
capirlo.
Improvvisamente
un cerchio scuro
intorno a me e alle persone che mi stavano toccando, si strinse,
tagliando
fuori tutti gli altri, fino a quando proprio questo cerchio scuro non
mi
risucchiò otturandomi le orecchie e bloccandomi il respiro.
E nel buio più assoluto, persi i
sensi.
Sometimes
a fight is better black and
white
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Buonasera! :)
Credo che sia arrivato anche il
momento di aggiornare, no? xD Mi faccio sempre attendere come una
dannata, ma
abbiate pietà di me! n.n
Allora, la canzone che ho usato
in questo capitolo è ancora Black keys,
degli stessi Jonas.
Ringraziamenti veloci
velocissimi, visto l’ora, a chi ha recensito lo scorso
capitolo:
miusic__dreamer :
Sono contenta che ti piaccia così tanto, da riuscire
a sopportare i miei deplorevoli ritardi! :D Vedremo che
succederà fra Nick e
Ary… E soprattutto, che è successo ora che Ary ha
perso i sensi! Grazie mille,
alla prossima e buona lettura! ;)
nes95
: Uhm… vedrai che cos’è accaduto xD
Sono felice che ti
piaccia! :) Alla prossima, un bacio e buona lettura!
svampy1996
: No che non ti odio! xD Spero che questo ti piaccia! Buona
lettura!
Ringrazio
anche chi ha
letto
soltanto!
Ora vi lascio alla lettura,
godetevelo! ;D
Alla prossima, un bacio! Vostra,
_Pulse_
____________________________________
Capitolo
6
Sentii
un dolore acuto
alla
schiena dopo un tonfo e gemetti, cercando di aprire gli occhi, ma le
palpebre
sembravano incollate l’una con l’altra come se
avessi dormito per chissà quanto.
A proposito, non sapevo né dove
mi trovavo né che giorno era.
Sentii
un rumore di chiavi
tintinnare in una ciotolina di vetro non molto lontano, poi dei passi
lenti e
poi un po’ più veloci, fin quando non si accese la
luce e qualcuno bisbigliò
qualcosa prendendomi per la nuca e sollevandomi cautamente.
«Piccola
mia, piccola mia»,
riuscii solo a capire fra le mezze frasi. Non riuscivo a capire niente,
talmente ero rintronata.
Quella voce però, quella voce era
troppo impressa nella mia mente per non riconoscerla
all’istante.
Con
un sospiro mormorai: «Mamma,
mamma sei tu?» Provai ancora ad aprire gli occhi e quella
volta ci riuscii,
anche se vedevo sfuocato.
«Sì,
amore, sì, sono io», rispose
con un accento di felicità nella voce, mentre mi accarezzava
le guance. «Ti fa
male qualcosa, riesci ad alzarti?»
«Sì,
io… Mi fa male la schiena»,
tossicchiai e cercai di alzarmi, nonostante la testa compressa in un
cerchio
fastidioso e la vista appannata che pian piano si stava schiarendo,
dandomi la
possibilità di capire dove fossi caduta.
«Accidenti, in tutti i posti che
c’erano, proprio sulle scale?», mugugnai e con
l’aiuto di mamma riuscii a
mettermi in piedi.
Caracollai,
sempre sostenuta,
fino al divano, sul quale mi sdraiai senza energie. Non avevo fame,
né sete,
eppure volevo colmare un vuoto che mi si era formato
all’altezza del petto. La
mia testa era leggera, fin troppo: era una strana sensazione.
«Piccola,
stai bene?», mi chiese
mamma, comparendo con un bicchiere d’acqua in mano, che mi
porse e io rifiutai
con un cenno del capo.
«Non
so, è tutto… confuso.»
«Forse
è meglio se vai a dormire,
domani mattina ti sarà tutto più chiaro
e… starai meglio e potrai chiedermi
tutto quello che vuoi. Non ci separeremo mai più, mai
più.»
E
con quelle ultime parole di
sottofondo mi addormentai, anche se quel vuoto che percepivo non aveva
nessuna
intenzione di farmi crollare definitivamente nel mondo dei sogni.
Fu
un sonno leggero, agitato, ma
mi riposai abbastanza da riuscire a riordinare le idee. Infatti, il
mattino
seguente, mi svegliai nel mio letto, quello di casa mia, e ricordai in
un
baleno tutto ciò che era successo. E con la stessa
velocità, mille
interrogativi si sovrapposero l’uno sull’altro
nella mia testa.
Avevo
vissuto un arco di tempo in
un mondo parallelo, insieme ad una ragazza di nome Fiore che aveva il
potere di
andare e venire da questo all’altro mondo, cercando di
scappare dai fratelli
Jonas, che alla fine mi avevano catturata.
I miei parenti e la mia amica
erano finiti in prigione per colpa mia, fuggiaschi, e io in una villa
megagalattica con quei tre svampiti.
Mi ero affezionata a loro, ad uno
in particolare, e l’ultima sera, quella della festa in
maschera, avevo espresso
il desiderio di rivedere i miei cari; avevo litigato con Nick ed ero
scappata.
Una volta di nuovo con mio padre, i miei zii e Loruama, tutto si era
dissolto,
risucchiandoci un buco nero. Dopodiché mi ero svegliata
sulle scale di casa
mia, confusa e con la testa che scoppiava.
Dov’erano
i miei parenti, dov’era
Loruama? Stavano bene? Ero stata proprio io a farci tornare nel mondo
“normale”? Quanto tempo era passato, quanto tempo
eravamo rimasti via? E i
Jonas Brothers?
Nick?
Aggiunsi con un groppo in gola e le lacrime agli occhi.
Sentii
dei passi leggeri e scorsi
una figura dietro la porta che timidamente si affacciò, con
un vassoio fra le
mani.
«Buongiorno,
bambina.»
«Mamma»,
sussultai e schizzai
seduta sul letto, preoccupata. «Dove sono papà,
zio Manuel e zio Dario? E dov’è
Loruama? E… e Davide? Dove sono tutti, stanno bene? Che
cos’è successo
veramente? Sono stata io a…? È assurdo, mamma!
Mamma, mamma…» Ormai piangevo e
singhiozzavo, mia madre lasciò il vassoio infondo al letto e
mi strinse a sé,
accarezzandomi i capelli sulla testa.
«Piccola,
stai tranquilla. Papà e
gli zii stanno tutti bene, anche Loruama. Tuo fratello invece
è tornato molto
tempo prima di te», mi sfiorò la guancia con le
dita e mi accorsi delle lacrime
che invadevano anche i suoi occhi. «Tu e tuo fratello siete
esseri speciali,
sei stata proprio tu a portare tutti in salvo e ora non ci lasceremo
mai più.»
«Mai più»,
mormorai, gli occhi grandi e preoccupati. Un nodo in gola
si strinse tanto da non farmi quasi respirare, mi aggrappai alla sua
maglia e
soffocai il dolore contro la sua spalla.
Nick…
***
She walks away
The colours fade to gray
Every precious moment now a waste
«Per
quanto
tempo ancora pensi di
startene lì impalato?»
Guardò
con la coda dell’occhio
Joe e non si degnò nemmeno di rispondergli,
continuò ad osservare in silenzio
il cielo ancora scuro dopo il temporale, tanto che il fratello scosse
la testa
rassegnato e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
Non
poteva credere che lo avesse
fatto davvero, che se ne fosse andata. Anche prima di quello, non
poteva
credere che lei davvero avesse quel potere.
A quel punto non sapeva più cosa
pensare. Era stata tutta una bugia? Quello che si erano sempre detti,
il loro
bacio, le loro promesse di stare insieme… Era tutto finto?
Che lei avesse
sempre saputo utilizzare quel dono e gliel’avesse tenuto
nascosto? A che scopo?
Ary non era quel genere di ragazza, non l’avrebbe mai fatto
soffrire di
proposito, ma… il dolore che provava dentro in quel momento
lo rendeva cieco,
sordo e molto, molto incline a dubitare su tutto, persino su cose che
il giorno
prima avrebbe dato per certe, quasi scontate talmente ci credeva.
Sospirò
afflitto e abbassò lo
sguardo, stringendo i pugni.
Sarebbe mai tornata? Perché lo
aveva fatto, perché li aveva lasciati lì? Non gli
aveva nemmeno dato una
spiegazione logica…
Alzò
lo sguardo e vide un
arcobaleno nascere dalle nuvole. Si fermò ad osservarlo, ma
non ci trovò niente
di particolare. Se lei fosse stata al suo fianco sarebbe stato diverso,
completamente diverso.
And a perfect rainbow
never seemed so dull
***
Scesi
di sotto, ancora
un po’
rintronata e con gli occhi gonfi di pianto, e in salotto vidi mio
padre,
intento a leggere il giornale, svaccato sulla poltrona.
«Papà»,
mormorai e quando mi vide
sorrise. Mi lanciai fra le sue braccia e lo strinsi forte, inspirando a
pieni
polmoni il suo profumo. «Come stai?»
«Tutto
bene, bambina. E tu?»
«Sì»,
tirai su col naso e
accennai un sorriso.
«Oh,
finalmente ce l’hai fatta!»
Al
suono di quella voce mi girai
e vidi il mio piccolo fratellino appoggiato allo stipite della porta,
che
sorrideva sghembo. Mi coprii la bocca con le mani e mi precipitai da
lui, lo
strinsi forte a me e lo riempii di baci: mi era mancato così
tanto!
«Davide,
Davide, Davide…»
«Sì,
so come mi chiamo!»,
ridacchiò e mi guardò negli occhi. «Mi
sei mancata tanto, sai?»
«Anche
tu! E mi sono preoccupata
tantissimo per te quando eravamo là! Come… come
hai scoperto di avere questo
potere?»
Scrollò
le spalle. «Volevo
tornare a casa con tutte le mie forze e puff, mi sono trovato in camera
mia»,
spiegò e tornò a sorridermi, guardandomi con i
suoi occhi verdi-castani. «E tu?»
Deglutii,
chiudendo gli occhi. Il
colpo si era fatto sentire di nuovo. La consapevolezza di essere
scappata da
Nick e dagli altri senza che loro avessero fatto niente di male mi
ferì per
l’ennesima volta e dovetti lottare per non cedere di nuovo
alle lacrime. Mi
sentivo male, malissimo… Per come mi ero comportata, per
come lo avevo lasciato
e soprattutto perché non avevo mantenuto la promessa che gli
avevo fatto.
«Se davvero imparassi ad usare il mio dono, lo utilizzerei
anche per
portare a casa voi, non sono così egoista!»
«Me lo prometti?»
«Te lo prometto.»
«Tutto bene?», mi chiese
accigliato.
«Sì»,
balbettai e per non farlo
preoccupare gli sorrisi, seppure debolmente.
Uscii
di casa e mi
fermai in
veranda. Scivolai seduta sul dondolo lì accanto e mi coprii
il viso con le
mani, incominciando a piangere in silenzio.
L’avrei rivisto? Avevo una voglia
matta di stringerlo, di baciarlo, di vivere ancora con lui quei momenti
che mi
facevano sentire speciale ed amata per quello che ero, semplicemente me
stessa.
Già mi mancava da impazzire… E stavo male,
sapendolo da qualche altra parte,
magari ferito dal mio comportamento. Non potevo stare tranquilla,
sapendo di
farlo soffrire, mi sentivo uno schifo.
Ma
d’altronde, che cosa potevo
fare? Mamma era stata chiara, per nessun motivo al mondo sarei dovuta
tornare
nell’altra dimensione, era troppo rischioso… Non
aveva lasciato tornare Davide,
che sembrava persino più abile di me! Non voleva perderci
ancora ed era
comprensibile, ma io… io ero disposta a perdere
ciò che avevo trovato?
Alzai
il viso e guardai il cielo
scuro, da post-temporale, in mezzo al quale spiccava una striscia curva
composta da sette colori: un arcobaleno.
And a perfect rainbow
never seemed so dull
***
Scesi
dalla bici con un
sospiro e
mi piegai per legarla col lucchetto al portabici di metallo, accanto
alle
altre.
Mamma
aveva detto che non potevo
perdere tempo, dovevo tornare a scuola e riprendere da dove avevo
lasciato o
non sarei più riuscita a recuperare. L’aspettativa
di tornare al mio banco, fra
quelle quattro mura grigie, non mi entusiasmava, ma non potevo fare
altrimenti.
Da qualche parte dovevo pur ricominciare, no?
“La vita va avanti,
piccola”, mi aveva
sussurrato la sera prima,
con un sorriso, prima di spegnere la luce e di chiudersi la porta della
mia
camera alle spalle.
La vita va avanti, ma come posso chiamarla
vita, con questo peso che mi
comprime il cuore?
«Ary!»
Voltai
il viso verso quella voce
sorpresa e rimasi senza fiato quando ritrovai gli occhi nocciola di
Alessandra,
la mia migliore amica. Teneva saldamente fra le mani il manubrio della
propria
bici e aveva lo sguardo incatenato al mio, spiazzato e allo stesso
tempo
malinconico. La lasciò cadere con un tonfo e mi corse fra le
braccia, mi
strinse tanto forte da togliermi il respiro, ma poi si
staccò bruscamente e mi
guardò severa, cancellando le lacrime che le avevano rigato
le guance.
«Spero
che il tuo viaggio in
Inghilterra sia stato istruttivo», disse cercando di
dimostrarsi decisa, ma la
voce le tremava. Tirò su col naso, senza distogliere gli
occhi colmi di lacrime
dai miei.
Era
quella la scusa che aveva
usato mamma per coprire il mio viaggio che in realtà era
stato in un mondo
parallelo. Ero stata via parecchi mesi, ma la mia Ale non era per
niente
cambiata: i soliti capelli color mogano, il visetto chiaro e il
piercing al
labbro. Solo ora che ci pensavo, mi rendevo conto che mi era mancato
davvero
tantissimo…
«Perché
qui è stata la merda che
più merda non si può»,
continuò senza darmi la possibilità di
intervenire. Le
lacrime ripresero a tracciarle il viso: «Te ne sei sparita un
giorno, senza
dirmi niente, senza salutarmi. Sei stata via mesi e non un messaggio,
non
un’e-mail, non una telefonata… Niente di niente!
Ti rendi conto di come mi sono
sentita?! Abbandonata, tradita, ferita… Sono stata un sacco
male per colpa tua.
Perché… perché non mi hai detto
niente?», singhiozzò e tirò su col naso.
Abbassai
lo sguardo. Ero stata in
grado di fare del male a così tante persone…
«Mi dispiace, mi dispiace davvero
tanto», mormorai.
«È
tutto quello che hai da dire?»,
chiese sbigottita. Io annuii, stringendomi nelle spalle.
«Non
te la caverai così, Arianna»,
mi minacciò, puntandomi il dito contro. «Ma mi sei
mancata da morire e proprio
non ce la faccio ad essere arrabbiata con te.» Mi
lanciò le braccia intorno al
collo e mi strinse, nascondendo il viso contro i miei capelli.
«Anche
tu mi sei mancata tanto»,
dissi con un fil di voce e gli occhi lucidi.
La
campanella suonò e dovettimo
entrare nell’edificio. Mi voltai verso il cielo livido e un
rombo di tuono fece
vibrare i vetri delle porte finestre, poi raggiunsi Ale nel corridoio
già
deserto.
Sometimes a fight is better
black and
white
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Buonaseraaaaaa
:)
Come vedete, sono sopravvissuta
anche questa volta xD E questo capitolo è uno dei miei
preferiti, dico sul
serio! *-* Mi piace come l’ho scritto e le cose che accadono
xD
Ma non vi ruberò altro tempo, so
che siete tutti curiosi di sapere che cos’è
successo alla nostra Ary che sì,
ahimè o forse per fortuna, è tornata a casa. Sta
di fatto che Nick le manca
assai, chissà se riuscirà a raggiungerlo di
nuovo, anche se questo volesse dire
disubbidire alla sua mamma ç.ç
La canzone che ho usato in questo
capitolo è… *rullo di tamburi*… Before
the storm, di Nick Jonas
& Miley Cyrus! Uhm, chi conosce questa canzone
(penso tutte, se siete vere fan dei Jonas xD) può
già aspettarsi qualcosina da
questo capitolo… xD
Passo ai ringraziamenti per le
persone che hanno recensito lo scorso capitolo!
miusic__dreamer
: Carissima! *-* Sono contentissima che questa
storia ti piaccia tanto da toglierti le parole! Uhm, vedrai in questo
capitolo
che cosa accadrà! xD Grazie mille, spero ti piaccia anche
questo! :)
svampy1996
: Cosa sono le zanzare tigri che riducono in queste condizioni
i neuroni? O.O xDD Sto scherzando! xDD Insomma, sono molto cattiva e
vedrai in
questo capitolo… n.n Spero ti piaccia, baci!
nes95
: Dai, ho fatto presto questa volta! xD Spero che la tua
curiosità sia stata in parte soddisfatta e che ti sia
piaciuto questo capitolo!
Un bacio!
Ringrazio
anche chi ha
solo
letto, ci vediamo alla prossima!
Vostra,
_Pulse_
__________________________________
Capitolo
7
«Sai
oggi che
fai?», mi chiese
Ale con lo sguardo acceso di una bambina. Ciò che era,
infondo.
«Cerco
di recuperare tutte le
spiegazioni che ho perso?», domandai sarcastica. Non ero
affatto in vena di
scherzare, tantomeno per gli indovinelli. Mi sentivo
così… persa, vuota, bugiarda.
Soprattutto bugiarda.
Come avevo potuto fare una cosa
del genere a Nick? A lui, proprio lui che era sempre stato
così carino con me,
dolce, tanto da farmi…
«No»,
mi rimbeccò lei,
punzecchiandomi il braccio. «Vieni a casa mia e mi racconti
tutto quanto, per
filo e per segno!»
Deglutii
rumorosamente, mentre mi
scervellavo per trovare una scusa. Sospirai. Perché perdevo
tempo? Tanto quando
lei decideva una cosa nessuno, tantomeno io, era in grado di farle
cambiare
idea.
«Ok», balbettai.
«Fantastico!»,
batté le mani di
fronte al viso, saltellando, e io scossi la testa, rassegnata,
benché avessi un
sorriso appena accennato sulle labbra.
La
campanella decretò la fine
dell’intervallo e dovettimo tornare in classe.
Nonostante le tre ore mancanti al
termine della giornata scolastica fossero matematica e chimica,
passarono in
fretta. Troppo in fretta, ora che sapevo cosa mi aspettava uscita da
lì.
Le
prime tre ore, al contrario,
erano passate lentamente, così lentamente da sembrare
un’agonia.
Avevo passato la maggior parte
del tempo a guardare fuori dalla finestra il temporale che si abbatteva
sul
giardino, rapita da quello spettacolo della natura, mentre la mia mente
viaggiava su terreni tortuosi che sapevo non avrei dovuto percorrere,
ma che
erano inevitabili, al momento.
Il
pensiero di Nick, ancora
nell’altra dimensione, deluso e forse persino ferito dal mio
ignobile
comportamento, mi faceva stare male come niente prima
d’allora. Era una fitta
al cuore ogni ricordo, ogni immagine di lui: il suo sorriso, i suoi
occhi, il
sapore delle sue labbra… Una fitta al cuore tanto dolorosa
da farmi venire le
lacrime agli occhi.
Dubitavo
che Ale non si fosse
accorta del mio pessimo umore, ma non aveva detto niente, forse per non
inferire. Ma era anche probabile che non se ne fosse accorta, se mi
costringeva
a passare un intero pomeriggio con lei quando avrei soltanto voluto
nascondermi
sotto le coperte del mio letto. Da sola. O forse, cosa ancora
più probabile, se
n’era accorta così bene che aveva pensato che un
po’ di svago con lei sarebbe
stata la cosa migliore per distrarmi, per tirarmi su di morale.
Non
potei non sorridere a quel
pensiero.
La mia Ale, la mia tenera e dolce
Ale… Quanto le volevo bene lo sapeva solo il cielo,
però… come potevo raccontarle tutto quanto, per filo e per
segno? Ciò che si
aspettava, ossia un viaggio d’istruzione in Inghilterra,
non era la verità e io, purtroppo, non ero capace di
mentire. Non ne ero mai
stata capace, men che meno con lei.
Si
prospettava un lungo,
lunghissimo pomeriggio.
***
Lasciammo
le bici nel
piccolo
giardino ed entrammo in casa, lei in testa. In salotto vidi subito
Edoardo, suo
fratello, tutto intento a guardare una partita di calcio alla tv.
«Ciao»,
lo salutò Ale con un
sorriso.
Lui
ricambiò
e si rivolse a me,
salutandomi con un semplice cenno di capo. Io, lì per
lì, rimasi interdetta,
poi mi diedi uno schiaffo mentale e sollevai la mano, agitandola
debolmente.
Non feci in tempo a fare altro: Ale mi aveva già presa per
il polso e
strattonata verso la dispensa.
Non
mi mollò un attimo, come se
volesse marcare un proprio territorio, nemmeno quando entrò
nella piccola
stanza per prendere una bottiglia di succo alla pesca e una confezione
di
patatine con gli orsetti: le sue preferite.
Non
mi lasciò andare nemmeno
quando, dal bagno, sbucò sua madre, che rimase piuttosto
sorpresa vedendomi. Ma
in un attimo l’incertezza scomparì e un sorriso
carico d’affetto le illuminò il
viso.
«Arianna!», esclamò, facendo un
passo verso di me e posandomi una mano sulla guancia. «Quanto
tempo! Com’è
andata in Inghilterra?»
«B-bene»,
balbettai, annuendo con
la testa e sforzando un sorriso.
«Sono
contenta che tu sia
tornata, Ale ha sofferto molto la tua mancanza»,
annuì compassionevole e Ale
strinse in denti, prima di sbottare:
«Ora
dobbiamo
andare, abbiamo un
sacco di cose da fare» e trascinarmi in camera sua, al piano
superiore.
Mi
misi timidamente seduta sul
letto che una volta era di Edo e l’occhio mi cadde sul pc
appoggiato sul
cuscino, già accesso.
Passai le dita sulla tastiera e
andai a cercare su Google delle informazioni sui Jonas Brothers. Appena
il
motore di ricerca mostrò alcune loro foto, mi si strinse il
cuore.
Nick…
Joe…
Kevin…
Nick…
«Ale,
tu… tu li conosci i Jonas
Brothers?», le chiesi.
«Sì,
li conosco», rispose atona. «Ma
non mi piacciono nemmeno un po’. Non è il mio
genere.»
«Mmh,
capisco.»
Cliccai su uno dei collegamenti,
sul quale c’era scritto: “Ritiro per i
Jonas”. Iniziai a leggere l’articolo e
capii che avevano piazzato ai fan la scusa del “ritiro dalla
scena musicale”.
Da quando erano spariti nessuno li aveva più visti
né sentiti.
Sospirai
tristemente. Per
forza, sono in una dimensione parallela…
«Ma
adesso pare che si siano
ritirati», aggiunse sbrigativa, poco dopo che io ebbi finito
di leggere
l’articolo.
La
guardai intenta ad aprire la
bottiglia di succo di frutta, concentrata, come se fosse una bomba ad
orologeria pronta ad esplodere.
«Hai sofferto davvero così tanto la
mia mancanza?», chiesi con un fil di voce. Non ero certa di
voler sapere la
risposta, ma ormai…
Si
voltò di scatto e mi guardò
truce, prima di sibilare: «No, figurati. Ho fatto i salti di
gioia, quando
quella che dovrebbe essere la mia
migliore amica è
sparita e non si è fatta sentire per mesi! Mesi!
Ero davvero… felicissima.» Ormai
la sua voce era spezzata e anche se aveva il viso arrossato dalla
rabbia, calde
lacrime le rigavano le guance e il labbro le tremava, anche sotto i
denti che
tentavano di frenarlo.
Mi
alzai e la raggiunsi,
l’abbracciai di lato e respirai profondamente fra i suoi
capelli. Lei si voltò
e ricambiò l’abbraccio: all’inizio
rischiò persino di soffocarmi, ma poi si
lasciò andare ai singhiozzi e allentò la presa.
«Non
sai quello che mi hai fatto
passare», biascicò. «Non so
perché tu l’abbia fatto, se
c’è un motivo serio o
no… qualunque sia, io voglio saperlo. Ti prego, Ary,
dimmelo. Rischio di
impazzire, io –»
«Shhhh,
shhhh, basta piangere»,
le sussurrai nonostante il nodo in gola, massaggiandole la schiena.
«Io… C’è un
motivo, se non ti ho detto niente.»
«Quale,
ti prego, dimmelo.» Mi
guardò negli occhi e tirò su col naso. Come
potevo farle così male? Mi sentivo
uno schifo, una pessima persona.
«Forse
è meglio se ti siedi,
potrebbe essere… scioccante.»
Ale
mi guardò preoccupata, ma
obbedì e si mise seduta sul letto. Io la raggiunsi e si
sistemò con la testa
sulla mia spalla, come se stesse per ascoltare una favola. Per molti
versi,
però, quella non era affatto una favola.
«È…
complicato da spiegare»,
dissi passandomi una mano sul viso, senza sapere da dove cominciare.
«Così
complicato?», sussurrò. La sua voce era ancora
nasale.
«Sì»,
sospirai. «Vedi, io… io non
sono andata in Inghilterra.»
Quanto era sbagliato? Quanto era
assurdo?
«Che
cosa?», soffiò, gli occhi
sgranati dallo stupore. «Dove… dove sei sparita,
allora?!»
Chiusi
gli occhi, in modo tale da
non vedere la sua espressione quando avrebbe sentito quelle assurde
parole: «In
una dimensione parallela alla nostra. È lì, che
sono sparita.»
Calò
il silenzio e non ebbi il
coraggio di aprire gli occhi, almeno fino a quando Ale non
incominciò a ridere
nervosamente, mentre altre lacrime le solcavano il volto.
«Non
scherzare, ti prego», disse.
«È una cosa seria… Questo non
può essere vero… Perché
menti?!»
«Ti
giuro che non ti sto mentendo»,
risposi, a voce sempre più bassa, i pugni stretti sulle
ginocchia. «È la
verità.»
Ale
non ebbe più la forza per
rispondere, era traumatizzata e soprattutto si sentiva presa in giro.
Presa in
giro dalla propria migliore amica, come se non fosse stato abbastanza
tutto
quello che aveva passato.
Mi
alzai e andai verso la porta,
a testa bassa. Una volta sulla soglia, la guardai con la coda
dell’occhio e la
vidi con le mani sul viso e le gambe strette al petto. Mi si strinse il
cuore
nel petto ed uscii definitivamente dalla sua camera.
Scesi
le scale e quando raggiunsi
il salotto notai che Edo era ancora seduto lì sul divano. La
partita non era ancora
finita, erano gli ultimi minuti.
«Ehi,
va tutto bene?», mi chiese,
preoccupato, accennando il movimento d’alzarsi.
Io attraversai il salotto a
grandi falcate, tenendo il viso basso, e solo quando fui alla porta si
alzò e
mi rincorse, prendendomi per un polso per fermarmi.
«Hai
litigato con Ale? Hai una
faccia… stravolta.»
Stravolta.
Solo
stravolta? In confronto a come mi sentivo davvero,
quell’aggettivo era un complimento.
Lo guardai negli occhi e lo vidi
sfuocato, sentore delle lacrime che mi invadevano gli occhi.
Perché, perché a me? Perché quel
dono – faticavo così tanto a chiamarlo tale
– dovevo averlo proprio io? Che
cosa avevo fatto di male? Era… assurdo. E portava solo un
sacco di guai.
L’amore per Nick, il litigio con
Ale… Poi, quale altra sofferenza mi sarebbe toccata?
«Ary?»
Edo
mi scrollò dai miei pensieri
confusi, scossi la testa arricciando le labbra e mi liberai dalla sua
stretta,
poi corsi in giardino, mi misi il cappuccio sulla testa, saltai sulla
mia bici
e iniziai a pedalare sotto la pioggia che, nonostante fosse diventata
fine
rispetto a quella mattina, mi bagnò il viso. Acqua di cielo
e lacrime.
Pedalavo
più forte che potevo, le
gambe che facevano male e la testa stracolma di pensieri. Avevo perso
la strada
di casa, non sapevo dove stavo andando, ma non m’importava.
Volevo andare via,
volevo andare via da lì…
E
avvenne.
Non
capii subito ciò che
successe. Anzi, non lo capii proprio. Avevo solo afferrato che stava
accadendo.
Di nuovo.
Per prima cosa persi l’udito. Mi
trovai sorda e pochissimo tempo dopo la vista mi si offuscò,
insieme al tatto.
Sapevo di essere seduta sulla bici, di impugnarne il manubrio e di
essere
colpita dalle leggere gocce di pioggia, ma non riuscivo più
a sentirle.
Iniziai a preoccuparmi, ma quelle
sensazioni orribili, quando incominciai a sentirmi persa nel nero, non
furono
niente. Venni risucchiata dalla strada e quello che successe dopo lo
realizzai
veramente solo quando vidi il disastro che avevo combinato.
Caddi
su un divano leggermente
duro sotto il mio peso, mentre la bici ancora in corsa andava a
schiantarsi
contro le portefinestre che davano sul piccolo terrazzo, frantumandole
in mille
schegge.
Rimasi immobile per diversi
secondi, gli occhi sgranati, e solo quando sentii qualcuno tossicchiare
mi
voltai di scatto e sobbalzai trovandomi di fronte al naso il viso di
Alessandro.
Ecco perché il divano mi sembrava
duro!
In pratica mi ero seduta in
braccio a lui, sbigottito. Mi alzai impacciata e mi sistemai la felpa
bagnata
addosso, avvampando sulle guance.
«Ciao»,
lo salutai con un
movimento della mano.
«Ciao»,
ricambiò lui, poi
aggrottò le sopracciglia: «Che ci fai tu
qui?»
Un
momento, se lui era
Alessandro, ci doveva per forza essere anche Fiore e se c’era
Fiore… Mi guardai
intorno ed impallidii, quando capii che era proprio casa sua. Ero
tornata nel
mondo parallelo!
«Arianna!»,
esclamò una voce
flebile, ma che riconobbi subito.
Fiore, pelle caffèlatte, occhi
neri e leggermente spiritati, ricci castani scompigliati sulla testa,
era sulla
soglia e anche lei era sorpresa, ma non quanto Alessandro.
«Che ci fai tu qui?»
«Già,
che ci faccio io qui?!»,
gridai come un’isterica, infilandomi le mani fra i capelli
umidi. «CHE COSA
CAVOLO CI FACCIO IO QUI?!»
«Calmati,
Arianna, calmati»,
cercò di tranquillizzarmi, facendomi sedere sul divano,
spostando le gambe di
Alessandro.
«Come
faccio a calmarmi?! COME?!»
Fiore
sospirò e guardò il suo
compagno con sguardo compassionevole: dovevo proprio sembrare una pazza
disperata.
«Potresti preparare della camomilla?»
***
Ormai
la mia bici era da buttare:
una ruota era completamente storta e una gomma era andata a causa del
vetro
delle portefinestre.
Come l’avrei spiegato a mamma?
Non potevo dirle che ero tornata nella dimensione parallela, sarebbe
andata su
tutte le furie…
Sconfortata,
infilai le mani in
tasca e guardai i miei piedi andare uno davanti all’altro in
sequenza, fino a
quando non mi accorsi di essere di fronte alla villa dei fratelli Jonas.
Il nodo in gola si fece più
stretto e le lacrime punsero i miei occhi. Le ricacciai indietro e
respirai
profondamente, autoconvincendomi che sarebbe andato tutto bene. Avanzai
di un
passo, ma proprio in quel momento la porta di casa si aprì e
la mia codardia mi
fece nascondere dietro un cespuglio di rose bianche.
Mi
mancò il fiato, quando vidi
proprio Nick uscire in veranda e sedersi sul dondolo, gli occhi spenti.
Vedendolo così triste, il cuore mi fece così male
da farmi pensare che nel giro
di tre secondi sarei morta d’infarto.
Sarei
corsa di lui, l’avrei
abbracciato, stretto tanto forte da soffocarlo, baciarlo fino a farlo
lamentare… l’avrei fatto, se la cheerleader dai
capelli rossi non avesse fatto
una corsettina per entrare nel giardino della villa e con un gridolino
non si
fosse lanciata fra le braccia di Nick, che a malapena
l’afferrarono e la
strinsero senza convinzione.
All’ennesima
lametta nel cuore
decisi che non potevo guardare oltre, per questo mi voltai e mi tirai
le gambe
al petto, incominciando a respirare velocemente, come se mi mancasse
l’aria, e
le lacrime scorrevano liberamente sul mio volto.
Rincominciò
a piovere.
Alzai il viso verso il cielo
livido, lasciando che la pioggia mi asciugasse le lacrime, poi tutto
tornò ad
essere buio.
Standing out in the
rain,
need to know if it's over
'cause I will leave you alone
Caddi
con un tonfo in un
luogo
buio e quando tentai di rimettermi in piedi inciampai e mi ritrovai di
nuovo
per terra, peggiorando la situazione. Rimasi ferma immobile, sdraiata
su cose
davvero scomode, dicendomi che se avessi abituato la vista al buio
sarebbe
stato meglio per tutti, me in primis.
Fuori
la pioggia inumidiva il
terreno e batteva sul tetto che avevo sopra la testa. C’era
odore di legno e di
vecchio e c’erano degli spifferi di luce, sparsi in
quell’ambiente che sembrava
rettangolare.
All’improvviso,
l’immagine di
Nick che abbracciava quell’odiosa smorfiosetta mi
riempì la mente e un
singhiozzo mi scappò dalle labbra, mentre gli occhi si
inumidivano per
l’ennesima volta.
Bastava così poco, per farmi
crollare?
Iniziai
ad abituarmi all’oscurità
e, dato che gli attrezzi che si trovavano sulle mensole degli scaffali
erano
per lo più da giardinaggio, capii di essere nel ripostiglio
sul retro di casa
mia.
Mi alzai, stando attenta a dove
mettevo i piedi, e raggiunsi quella che, a memoria, doveva essere la
porta.
Provai ad aprirla, ma, ovviamente, era chiusa. Appoggiai la fronte al
legno e
lo colpì con un pugno, poi con un altro, e un altro ancora,
fin quando non mi
sentii cadere in avanti e venni afferrata al volo da due paia di
braccia esili
che a malapena riuscirono a tenermi su.
«Ary!»,
disse faticosamente
Davide, lasciandomi cadere a terra dolcemente. Lo ringraziai
mentalmente,
perché il mio atterraggio disastroso, quello morale, era
già avvenuto.
Sfinito, si mise a sedere di fianco
a me, mentre la pioggia ci bagnava.
«Che
ci facevi nel ripostiglio?»,
mi chiese tutto d’un tratto.
«Storia
lunga», tirai su col
naso.
«Ho
tempo.»
Lo
guardai, inclinando la testa
verso di lui, e ricambiai il sorriso che per un attimo mi fece sentire,
se non
bene, meglio.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Buonasera! :)
Sono ancora viva e finalmente
ecco a voi il nuovo capitolo.
Sono particolarmente soddisfatta,
mi piace molto. Spero che sia così anche per voi! ;)
La canzone che ho usato è Inseparable,
dei Jonas Brothers, poiché la trovavo particolarmente
azzeccata. (Capirete perché u.u).
Ringrazio chi ha recensito lo
scorso capitolo, ossia nes95, Tappina_5_S,
miusic__dreamer
e wolfgirl92.
Grazie mille, sono contenta che questa storia vi piaccia e scusatemi se
vi
faccio sempre aspettare un’infinità di tempo :(
Al prossimo capitolo! Buona
lettura!
Vostra,
_Pulse_
______________________________________
Capitolo
8
Quella
mattina il cielo
era
nuovamente ricoperto dalle nuvole.
L’osservai oltre il finestrino
dell’auto di mamma, che mi stava accompagnando a scuola, e
sospirai.
Ciò
che era successo il giorno
prima ancora mi tormentava, quella notte avevo dormito davvero poco e
le
occhiaie sotto i miei occhi ne erano il segnale evidente.
Vedere Nick con quella smorfiosa…
Davvero potevo credere che tra noi potesse nascere qualcosa? Io ero una
ragazza
normalissima – anzi, piuttosto strana, visto il mio potere
– lui una star… Come
potevo essere stata così sciocca da illudermi in tal modo?
«A
che cosa stai pensando?», mi
chiese mamma, con lo sguardo concentrato sulla strada.
«A
niente in particolare»,
sfiatai e abbassai lo sguardo.
«Mmh.»
Aveva capito che mentivo,
ma la discussione finì lì.
«Mi vuoi spiegare dov’è finita la
tua bici?»
«Io…
non lo so… È probabile che
me l’abbiano rubata.» Annuii, più che
altro per convincere anche me stessa.
«Rubata?»
Indignata, iniziò a mormorare fra
sé, ma io non mi concentrai ad ascoltarla, avevo altro a cui
pensare.
Ancor
prima del mio ritorno
fugace nella dimensione parallela avevo avuto quella
“discussione” – se così
poteva essere chiamata – con Ale e non osavo immaginare oggi
come si sarebbe
comportata.
Mi avrebbe ignorata? Avrebbe
fatto finta di niente, come se non le avessi mai rivelato nulla? O
avrebbe
chiesto ulteriori delucidazioni?
«Come
torni, oggi pomeriggio?» Mi
distrasse ancora una volta mamma. «Io non penso di riuscire a
venirti a
prendere, ho un sacco di lavoro arretrato al giornale
e…»
«Non
ti preoccupare, una
camminata non ha mai fatto male a nessuno.»
«Stai
attenta.»
«Sì.»
Al massimo, se
fossi in serio pericolo, potrei sempre catapultarmi
nell’altra dimensione…
L’auto
si fermò a ridosso del
marciapiede, di fronte alla piazzola prima dell’entrata della
scuola, e feci un
respiro profondo prima di scendere all’aria fresca. Si
prospettava un’altra
dura giornata.
Chiusi
la portiera dopo aver
salutato mamma con poca enfasi, ma stiracchiando un sorriso per non
farla
preoccupare ulteriormente, e lei si sporse sul sedile del passeggero,
tirando
giù il finestrino.
Mi lanciò un’occhiata d’intesa e
sussurrò: «Mi raccomando.»
Annuii,
sbigottita, e mi
incamminai a passo svelto verso l’entrata.
Pian piano rallentai,
ricordandomi a cosa sarei andata incontro di lì a poco. Mai,
prima d’ora, Ale
mi aveva fatto paura.
Avevo terrore di vedere ancora
nei suoi occhi la delusione, la rabbia, la frustrazione, la
tristezza…
Soprattutto la tristezza. Avevo sempre odiato con ogni fibra del mio
corpo le
persone che la facevano soffrire, l’avevo sempre protetta a
spada tratta, ma
come potevo proteggerla da me stessa?
Forse sparire dalla sua vita
sarebbe stata la cosa migliore, ma come potevo farlo? Non ero tanto
altruista,
purtroppo tenevo a lei e non potevo lasciarla andare.
Raggiunsi
l’angolo del piazzale
riservato alle bici e mi accorsi che la bici di Ale non c’era
ancora: ero
arrivata parecchio in anticipo, in effetti.
Mi misi seduta sulle grandi
radici della quercia lì accanto e appoggiai la schiena alla
corteccia, perdendomi
nei miei pensieri.
Il
giorno prima, dopo essermi
trovata catapultata nel salotto di Fiore, avevamo parlato un
po’, di fronte ad
una tazza di camomilla.
«Perché,
perché Fiore?», mormorai, gli occhi bassi e la
tazza
contenente il liquido chiaro e fumante avvolta dalle mani.
«Non
c’è un motivo», sollevò le
spalle, come se nulla fosse. «Bisogna
solo imparare a conviverci e apprezzarne gli aspetti
positivi.»
«Aspetti
positivi? Non esistono, aspetti positivi!», sbraitai.
Fiore
accennò un sorrisetto e mi strinse le mani nelle sue, mi
guardò
negli occhi e mi disse: «Tu puoi fare tanto. Noi possiamo
fare tanto. Pensa a
tutte le persone che abitano di qua, che sono state risucchiate dalla
loro vita
e catapultate in quest’altra… hanno perso tutto,
ogni cosa. Noi, invece…
possiamo decidere quando e come vogliamo di tornare.»
«Che
senso… che senso ha?!» Le lacrime rigavano per
l’ennesima volta il
mio viso. «Che senso ha avere questo dono, quando non lo
possiamo usare?!
Perché non hai mai portato questa gente nell’altra
dimensione, se lo puoi fare?»
Le
mie parole la fecero ammutolire e sfuggì al mio sguardo duro
ed
indagatore.
«È una completa fregatura», sibilai.
«No,
non lo è», ribatté.
«È più complicato di quanto tu possa
credere.»
«Spiegamelo,
allora!»
«Vedi…
le persone che spariscono nell’altra dimensione e che vengono
catapultate qui… o ricominciano la loro vita, creano nuovi
legami, si
affezionano, iniziano ad abitare qui… oppure desiderano
tornare a casa con
tutte le loro forze», sospirò.
«D’altra parte, le persone nel mondo
“normale”
che sono a conoscenza di questo mondo sono poche e se non ne sono a
conoscenza…
beh, i loro familiari non possono tornare.»
«In…
in che senso?» La testa iniziava a girarmi per il
sovraccarico
d’informazioni.
«Nel
senso che bisogna essere a conoscenza di questa dimensione, per
far tornare le persone che ci sono finite dentro. È una
specie di… requisito.»
«E
allora… bisognerebbe informare tutte le persone possibili
nel mondo
“normale”!»
Fiore
sollevò il sopracciglio e arricciò il naso.
Rimasimo in silenzio
per diversi secondi, a guardarci negli occhi, e capii da me
l’assurdità del mio
pensiero: chi avrebbe creduto ad una cosa del genere?
L’esempio lampante era
Ale, la quale, quando aveva sentito quell’assurda storia
uscire dalla mia
bocca, si era rifiutata di crederci. E poi, anche se per caso qualcuno
ci
avesse creduto, c’erano davvero tante persone in quella
dimensione…
«Oh»,
sospirai afflitta.
Mi chiesi se la famiglia dei Jonas Brothers sapesse davvero dove
fossero o quella scusa – il ritorno dal mondo musicale
– fosse puramente di
schermo, per non fare scalpore con la loro scomparsa e non far
impazzire le
fan.
«Adesso
che cosa dovrei fare, dunque?», le chiesi e sperai sul serio
che mi desse una risposta, ma lei scrollò semplicemente le
spalle e si alzò dal
tavolo, levandomi la tazza di camomilla vuota dalle mani.
«Sta
a te scegliere», rispose, quando fu in cucina.
«Tu
che cos’hai scelto, quando è toccato a
te?»
Fiore
non rispose, almeno non con le parole: si voltò verso
Alessandro,
che seguiva la nostra conversazione senza farsi notare, il viso
nascosto dietro
il giornale, e gli passò una mano sulla testa rasata.
Lei aveva deciso di rimanere in quella dimensione per lui…
Non mi
chiesi perché Alessandro non potesse tornare a casa,
rischiava di diventare
ancora più complicato di quello che era già.
«Ora
devo andare», dissi e schizzai verso la porta.
«Scusatemi ancora
per il disastro», soffiai prima di lasciarmi
quell’appartamento alle spalle e
dirigermi verso ciò che forse, un remoto giorno, mi avrebbe
anche convinta a
fare una pazzia come quella che aveva fatto Fiore.
L’amore.
Interruppi il flusso dei miei
pensieri e mi portai le mani sul viso, a nasconderlo da tutti e da
tutto,
mentre un solo potente interrogativo mi rendeva la vita impossibile:
qual era
la cosa migliore da fare?
Io volevo aiutare Nick, Joe e
Kevin, gliel’avevo promesso, ma portando loro a casa, quante
persone mi
avrebbero chiesto di fare lo stesso con loro? Sarebbe incominciato un
circolo
vizioso e io non ero in grado di gestire quella situazione,
figuriamoci…
Un
brivido mi attraversò la
schiena e cercai di riportare alla mente una sensazione di
tranquillità che
scacciasse via tutta quell’ansia, quella tensione che rendeva
i miei nervi a
fior di pelle, ma tutto ciò che mi venne in mente fu il
pomeriggio precedente,
passato con mio fratello a discutere di quello a cui eravamo condannati.
Aveva cinque anni in meno di me,
era talmente sveglio, così perspicace… parlare
con lui era quasi come parlare
con un adulto, un adulto con la semplice chiarezza che solo i bambini
hanno.
Bagnati come pulcini, ci rifugiammo nel
ripostiglio buio, illuminato
solo dalla luce chiara che proveniva dall’esterno.
«Mi
racconti che cos’è successo, quando siamo stati
catapultati
nell’altra dimensione?», gli chiesi.
«Non
so nemmeno io perché ci siamo trovati divisi, se
è questo che ti
chiedi», rispose, stringendosi il collo fra le spalle.
«L’“atterraggio” mi da
ancora qualche problema, ma sembra che a te vada ancora
peggio», ridacchiò,
divertito dalla mia inabilità con il dono.
«È solo una questione di allenamento»,
mi spiegò. «Sì, mi alleno, ma
mamma ovviamente non lo sa», rispose ai miei occhi sgranati.
«Da
quanto…?», balbettai, incredula.
«Sono
riuscito a tornare di qua circa tre giorni dopo
l’esperimento.
Non l’ho nemmeno fatto apposta, lo desideravo con
così tanta intensità, che…»
«Anche
io l’ho desiderato con tutta me stessa, ma non è
successo
niente!» Che cos’erano quei favoritismi?!
«Non
ne so il motivo», si giustificò. «Forse
credevi che non era
possibile che tu potessi avere questo potere. Non hai mai creduto al
soprannaturale, prima, giusto?»
Ricordai
i primi tempi nell’altra dimensione e soprattutto i giorni
passati nei laboratori della casa dei Jonas Brothers, a guardare per
ore
scienziati che si scervellavano su un qualcosa che andava ben oltre la
loro
“scienza esatta”: non mi era nemmeno mai passata
per l’anticamera del cervello
l’idea che fossi capace di fare qualcosa del genere, fin
quando non mi erano
sorti i primi dubbi…
Feci una smorfia.
«Magari
è questo. Magari non funzioni ancora bene perché
non ci credi,
perché sei ostile a questo dono. Potrebbe essere, nulla
è impossibile, ora come
ora.»
«Già,
forse», commentai con stizza. «Fiore, la ragazza
dalla quale è
partito tutto – tra cui la follia di mamma per queste cose
– mi ha detto che
solo le persone, non dotate ovviamente, che hanno delle persone care
che
conoscono l’altra dimensione possono tornare. Tu ne sai
qualcosa di più?»
Improvvisamente,
il suo viso sereno si trasformò in una maschera di
rigidità, pallido come un lenzuolo. Stavo per chiedergli se
si sentisse male,
quando mi fece un segno con la mano e tirò su col naso,
aprendo la bocca.
«Sì, ne so qualcosa», disse con la voce
spezzata dai singhiozzi.
«Che
cos’è successo?», soffiai, preoccupata,
e lo affiancai per
avvolgergli le spalle con un braccio. Lui si appoggiò a me.
«Sono
stato con un signore anziano, nei primi tre giorni… quando
sono
riuscito a tornare di qua per la prima volta, poi sono tornato da
lui… credevo
di poterlo portare con me, volevo farlo tornare a casa, ma…
tutto stava andando
bene, ma ad un certo punto, nel buio, l’ho perso: la sua mano
si è divisa dalla
mia ed è… sparito. Lui non aveva famiglia, era un
vecchio anziano solo e l’ho
capito solo dopo, pagando per il mio errore, ciò che ti ha
detto Fiore.»
«Oh,
Davide…», mormorai e lo strinsi forte a me.
«Mi dispiace tanto.»
«Sono
sicuro, o almeno spero, che lui non sia arrabbiato con me: lo
facevo in fin di bene e…»
«Sono
sicura che ha apprezzato il tuo sforzo, il tuo entusiasmo…
ci hai
provato.»
«Già.
Credi in questo dono, Ary, o sarà un vero peccato.»
Che
avesse ragione il
mio caro
fratellino che, nonostante l’errore, non si era mai rifiutato
di riporre
fiducia in quel potere? Non lo sapevo.
E non sapevo nemmeno se la
famiglia dei Jonas fosse realmente a conoscenza della dimensione
parallela.
Prima di fare qualsiasi cosa,
decisi che la cosa migliore era almeno dire la verità alle
persone a loro care.
Non mi importava che mi avessero creduta o meno, loro dovevano saperlo.
Mi
accorsi che non era rimasto
nessuno nel piazzale. Com’era possibile, ero arrivata in
netto anticipo e ora
ero in ritardo? Non avevo nemmeno sentito suonare la campanella!
Presi lo zainetto che avevo
abbandonato accanto alle radici e quando sollevai lo sguardo mi resi
conto che
non ero proprio da sola: Ale aveva ancora il manubrio della bici fra le
mani e
mi guardava negli occhi, immobile.
E così, il momento della verità
era arrivato.
In
silenzio attaccò il lucchetto
della bici al portabici e poi, quando si risollevò e
incontrò di nuovo il mio
sguardo, disse: «Siamo in ritardo», e poi si
avviò all’interno.
«Pensavo
peggio», sospirai e la
seguii a testa bassa all’interno dell’edificio.
***
Mi
voltai per
l’ennesima volta
verso la finestra, nonostante la professoressa di storia mi avesse
già
rimproverata una volta. Perché si ostinava a volere proprio
la mia
attenzione?!
Sinceramente, avevo altro a cui
pensare e non badai molto a quello scarno rimprovero. Dunque, tornai a
fissare
il giardino fuori dal vetro, perdendomi fra i miei mille e
più confusi
pensieri.
Ci
rimasi, a trastullarmi per
cercare soluzioni a problemi fin troppo complicati, senza alcun
risultato
apparente, fino a quando qualcuno non mi punzecchiò la
spalla. Con mi grande
sorpresa, era Ale, la mia compagna di banco.
Mi
guardò con occhi grandi e
lucidi e deglutì, prima di dire: «Ti credo. Per
quanto sia impossibile, assurdo
e oltre ogni limite della tua fervida immaginazione… io ti
credo.»
«Non
me lo sono immaginato»,
cercai di ribattere, ma lei mi parlò sopra.
«Ti
ho sempre creduta, non vedo
perché adesso non dovrei farlo. Ci ho pensato molto e non
sono proprio riuscita
a trovare un motivo logico o almeno plausibile per cui tu debba
mentirmi,
quindi…», accennò un sorriso che mi
riscaldò il cuore.
Non
ebbi il tempo di rispondere,
poiché la prof sbatté la mano sulla cattedra e
chiamò i nostri nomi,
ordinandoci di fare silenzio.
Ale
si avvicinò a me con la sedia
e mi sussurrò all’orecchio:
«Però mi devi spiegare tutto nei minimi
particolari.»
Strappò un foglio dal
raccoglitore di matematica e me lo porse, con un sorriso sornione
stampato in
faccia. Roteai gli occhi al cielo e ridacchiai, prendendo una penna e
incominciando a scrivere tutta la storia, dall’inizio fino a
quella che
sembrava la fine.
Passammo
quasi tutta l’ora a
discutere, nero su bianco, del mio viaggio nell’altra
dimensione e anche se
ancora arricciava il naso, mi credeva sul serio e sembrava persino
curiosa.
Quando arrivammo al punto in cui
citai i Jonas Brothers, sgranò gli occhi e gridò:
«Non ci credo!», rischiando
di farsi sbattere fuori dall’aula con una nota sul registro.
Mi
rubò la penna di mano e
scrisse velocemente:
Quindi loro non si sono ritirati?!
Sono finiti in un’altra dimensione?!
Così
pare.
Passarono diversi secondi,
durante i quali mi osservò attentamente in viso per cogliere
ogni segno di
anomalia, e quando parve accontentarsi, come se gli avessi mostrato una
cosa
ovvia, fece un sorrisetto malizioso e riprese a scrivere:
Trovo che sia un vero
peccato che non
si siano ritirati, ma… sputa il rospo! Chi ti piace dei
tre???
Deglutii rumorosamente, paonazza,
e scossi la testa. Era inutile negare, visto la violenta reazione con
la quale
avevo risposto, ma almeno ci avevo provato. Mi tirò un
pizzicotto sul braccio e
fui costretta a rispondere, a malincuore.
Nick.
Nicholas Jerry
Jonas.
Il suo sguardo si illuminò di
gioia, o forse di sadica curiosità, e scrisse:
Brava la mia Ary, quello
è il migliore
dei tre, secondo me. Sia sul piano musicale che su quello
fisico-caratteriale.
Mica
non li seguivi?
Scrissi,
incuriosita e
allo
stesso tempo divertita. Fu lei ad arrossire quella volta.
Stiamo parlando di TE,
non di me!
Dunque, dunque… raccontami tutto!
Aspettare
la fine della lezione? Mi sta andando in cancrena la mano.
Oh,
sei una lagna!
La guardai e risi sottovoce,
insieme a lei.
You know when the sun
forgets to shine,
I'll be there to hold you through the night
We'll be runnin' so fast, we can fly tonight
And even when we're miles and miles apart,
you'll still be holdin' all of my heart
I promise it will never be dark
I know… we're inseparable
Le
raccontai tutto:
dalla mia
cattura, alla convivenza con i tre Jonas, alla promessa fatta a Nick,
al nostro
bacio… alla mia fuga e al mio ritorno nel mondo
“normale”. E infine, anche del
ritorno nella dimensione parallela dello scorso pomeriggio.
«Che
cosa?!», urlò con voce
strozzata e gli occhi spalancati. «Ieri pomeriggio, mentre
stavi tornando a
casa, ti sei catapultata nell’altra dimensione?!»
«Shhh,
abbassa la voce!», la
rimproverai, guardandomi intorno.
Eravamo
sedute nel
giardino,
sotto il grande albero dove mi ero messa a meditare pure quella mattina.
«Sì,
è successo. Ancora non so controllarmi
molto bene e infatti la mia bici si è… distrutta
è dir poco», bofonchiai, infastidita.
«Non
ci posso credere. Ary, ti
rendi conto che è assurdo?!»
«Sì,
lo so», sbuffai. «Ma non
posso farci niente, sono nata con questo dono!»
«Già»,
rimuginò, il labbro
corrucciato. «Ritornando al tuo bel Nick… come ha
potuto farti una cosa del
genere?! Io non ho mai visto quella cheerleader dai capelli rossi, ma
mi sta
già antipatica! È smorfiosa?»
«Non
puoi capire quanto.»
«La
odio! Devi fare subito
qualcosa, non puoi startene nelle mani in mano! E poi, non devi mica
mantenere
la promessa che hai fatto?»
«È…
è più complicato di quanto
credi, Ale.»
«Cioè?»
«Per
riuscire a farli tornare a
casa devo essere sicura che i loro familiari sappiano
dell’esistenza di questa
dimensione parallela. Finché non ne saranno a conoscenza
rischierei di…
perderli per strada», rabbrividì al solo pensiero.
«E
allora dov’è il problema? Dove
abitano questi qui?»
«A…
a Hollywood, ma… che cos’hai
in mente?»
«Andiamo
a trovare la famiglia
Jonas, ovviamente!»
Il
suo sguardo brillante avrebbe dovuto incoraggiarmi, ma non fece altro
che mettermi ancora più in ansia.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
«No,
no, no. Me lo sento,
sarà un disastro», sussurrai, nascosta dietro un
albero poco distante dal cancello in ferro battuto
dell’immensa villa dei Jonas Brothers.
Ale,
accanto a me, mi spinse, irritata. «La vuoi smettere di
essere così pessimista? Devi almeno provarci, fallo per
Nick!»
Possibile
che avesse sempre ragione?
«Ok», feci un respiro profondo. «Siamo
sempre in tempo a tornare indietro, sai?»
«Per
favore!», sbuffò e mi trascinò con
sé fino al cancello, al quale si appoggiò per
guardare all’interno.
«Hai intenzione di restare imbambolata lì per
molto? Tra un po’ fa notte, dai!», mi
gridò, indicandomi il pulsante con il quale citofonare.
Deglutii
e pigiai il pulsante, guardando nervosamente le due telecamere che
sovrastavano il cancello e la terza che avevo di fronte.
Calma, Ary, calma. Non
può succederti niente.
Ero fottutamente nervosa, non sarei riuscita a spiccicar parola di quel
passo!
«Chi
è?», rispose una voce di donna un po’
gracchiante, dall’altra parte del citofono.
Probabilmente mi stava guardando grazie a quella telecamera, ma io non
potevo vedere lei.
«Ehm…
salve, mi chiamo Arianna e sono un’amica di… di
Nick, Joe e Kevin.»
Ci
fu un attimo di silenzio e poi la voce gracchiante disse:
«Non ti conosco, vattene.»
«Signora,
signora la prego, aspetti!» Feci un respiro profondo,
riordinando le idee. «Lei non mi conosce, è vero,
ma le posso giurare che io conosco i suoi figli e
so…»
«Rob,
c’è una ragazza che si ostina a dire di conoscere
i miei piccoli», sentii dire dalla donna che doveva essere
proprio la madre dei Jonas; un’altra voce, da uomo, rispose:
«Vuoi che la mandi via?»
Non udii alcuna risposta e pensai: chi
tace acconsente…
Infatti, qualche minuto dopo, un omaccione dalla carnagione scura, alto
e muscoloso, una specie di armadio, quello che identificai come Rob,
uscì dalla porta e camminò a passo svelto sul
vialetto, poi uscì dal cancello prendendoci per le magliette
e dicendoci di andarcene o sarebbero stati guai grossi.
«Ehi,
metti giù le mani!», gridò Ale,
scalciando e dimenandosi, fino a quando non riuscì a toccare
il suolo con i piedi.
Si voltò verso il bodyguard, fulminandolo con lo sguardo, e
gli puntò un dito sul petto, con un’aria che
doveva sembrare minacciosa. Beh, io mi sarei spaventata, ma lui non
so…
«Senti
un po’, se siamo qui c’è un motivo e non
è carino mandarci via così! Vorremmo solo parlare
con i genitori dei Jonas e –»
«Non
è possibile», disse lui impassibile.
«Questo
lo dici tu!», gridò. «Noi sappiamo
tutto, che i Jonas non si sono ritirati, ma che sono
scomparsi!»
Rob, a quelle parole, si irrigidì e sperai che anche la
madre dei ragazzi avesse sentito tutto. La mia amica ci stava dando
dentro!
«E la mia amica», mi indicò,
«potrebbe sapere dove sono! Quindi, se potessimo entrare un
attimo solo per spiegarvi come stanno le cose… Non ti
preoccupare, non siamo né fans né giornaliste,
ok?! Siamo qui solo per aiutarvi! Giusto, Ary?» Io la fissai
sbalordita. «Giusto, ARY?!»
«Ah,
sì! Sì, sì!», annuii.
L’armadio
esitò ancora un po’, ma la voce gracchiante disse,
dal citofono: «Lasciale entrare, Rob.»
Lui
ci scrutò severamente e ci puntò le dita tozze
contro, assottigliando gli occhi: «Se è una presa
in giro la pagherete cara.»
Io deglutii, spaventata; Ale invece sollevò il naso
all’insù, fiera, e mi prese per mano trascinandomi
dentro l’enorme giardino di casa Jonas.
Appena
entrammo in casa ci guardammo intorno, sbalordite. Era immensa, quella
casa! Sembrava una reggia!
«Wow», squittì Ale. Io non ebbi la forza
di fiatare.
Poco
prima di entrare nell’ampio salotto, vidi un ragazzino,
appoggiato al corrimano delle scale che portavano al piano superiore,
che sbirciava nella nostra direzione senza farsi notare.
I nostri sguardi si incrociarono per un istante e mi dissi che non
poteva essere nessun altro a parte Frankie, il fratellino
più piccolo di Nick, Joe e Kevin.
Accennai un sorriso amaro, capendo perfettamente come si dovesse
sentire visto che anche io avevo passato mesi senza sapere nulla di mio
fratello. Lui distolse lo sguardo e si strinse nel suo stesso abbraccio.
«Accomodatevi»,
disse la donna, la madre dei Jonas, già seduta su una
poltrona di pelle bianca.
Sia
io che Ale annuimmo e ci mettemmo sedute vicine sul divano, strette per
farci forza a vicenda, mentre Rob stava alle nostre spalle, sulla
soglia del salotto, con le braccia incrociate e il viso corrucciato.
Metteva soggezione.
«Come
fate a sapere che sono scomparsi?», chiese grevemente.
Ale
mi tirò uno schiaffettino sul braccio, ad informarmi che ero
io che dovevo parlare. E non aveva tutti i torti, dopotutto…
ero io quella con i superpoteri!
«Io…
io li ho conosciuti, so dove sono», balbettai e alle mie
parole la donna si sporse in avanti, gli occhi sgranati.
«Dove!?
Dimmi dove sono!», gridò.
Chiusi
gli occhi, stringendo i denti. «In una… dimensione
parallela.»
Calò
un silenzio che mi fece rabbrividire dalla testa ai piedi, tanto che
non osai immediatamente aprire gli occhi.
Passarono diversi secondi, ma nulla mutò, fino a quando non
sentii uno strepitio di gabbiani e il tipico rumore delle onde che si
infrangevano sugli scogli.
Aprii di scatto di gli occhi, trovandomi seduta su uno scoglio, con le
gambe a penzoloni sopra il mare. Sgranai gli occhi, mentre la testa
iniziava a girarmi a causa dell’altezza, e poi, con cautela,
mi tirai indietro, in modo da essere completamente sulla terra ferma.
Poi, dopo essermi calmata un attimo, mi guardai intorno e poco lontano
da lì, su un precipizio a picco sul mare, nascosta dalla
vegetazione, scorsi la villa dei Jonas in cui avevo trascorso
settimane, nell’altra dimensione.
«Oh
no, mi sono catapultata qui un’altra volta!»,
sbraitai, alzandomi in piedi e portandomi le mani nei capelli.
«Ma porca miseria, non ho desiderato di scomparire! O forse
sì, ma… uffa!»
Sbuffai pesantemente, calciando un sassolino che rotolò
sullo scoglio e cadde giù, nel mare.
«Devo… devo tornare indietro, ho lasciato Ale
là da sola!»
Ora, ciò che mi preoccupava maggiormente era lei, che per la
prima volta mi aveva vista scomparire.
«EHI!
ARY!»
Mi
pietrificai sul posto, quando udii la voce di Joe chiamare il mio nome.
Mi voltai e, coprendomi gli occhi con un braccio per non venire
accecata dal sole del primo pomeriggio, lo vidi appoggiato al parapetto
della terrazza che dava proprio sugli scogli: aveva gli occhi e la
bocca spalancati, incredulo di vedermi lì.
Non feci in tempo a dire e/o a fare niente che con una corsetta
rientrò nella villa. Era andato ad avvisare qualcuno?
Sgranai
gli occhi, pensando a Nick, e mi portai le mani sulle tempie.
«Dai, dai, dai! Devo andarmene da qui!»
E per la prima volta ci riuscii a comando.
Mi
ritrovai immersa nell’acqua di una piscina, da quello che
potevo vedere. Salii in superficie e, scostandomi i capelli bagnati dal
viso, vidi Ale, la mamma dei Jonas e Rob sul bordo della piscina, con
gli occhi sgranati e delle facce che più sconvolte di
così non potevano essere.
«A-A-Ary,
s-s-stai bene?», mi chiese Ale, porgendomi timidamente una
mano.
«Sì,
più o meno», tossii, sputacchiando un
po’ d’acqua al sapore di cloro ed afferrando la
mano che mi aveva offerto.
Uscii fuori dalla vasca e mi strizzai i capelli e la maglietta,
fradici. Come aveva detti mio fratello, avevo ancora molto da imparare
sugli “atterraggi”!
«Che
cosa diamine è successo?», chiese la signora
Jonas, guardandomi.
«Ecco…
diciamo che sono andata nell’altra dimensione»,
spiegai, senza sollevare lo sguardo dal bordo della maglietta che stavo
ancora stringendo fra le mani.
«È…
è assurdo!», gridò e Ale
annuì. Da che parte stava?!
«Lo
so», sospirai. «Fin troppo bene, ma non
è stata una mia scelta avere questo potere.»
«Ed
è stata una scelta dei miei figli, finire in
un’altra dimensione?!»
«No,
assolutamente no. Per quanto riguarda l’andata non so niente,
non conosco il motivo per il quale si viene teletrasportati di
là… però so come farli tornare
indietro.»
«Tutto
questo è illogico», si portò le dita
sulle tempie, lasciandosi cadere su uno sdraio dietro di sé.
«Però ti ho anche vista sparire nel mio salotto e
ricomparire dopo alcuni minuti nella mia piscina… quindi, ci
crederò. Se questo serve a riavere i miei
figli…» Aveva gli occhi lucidi, preoccupata come
solo una mamma poteva essere.
Chissà se anche la mia aveva sofferto in quel modo, quando
io e Davide eravamo finiti nell’altra dimensione…
«Questo
basta», sorrisi.
***
«Beh,
non è
andata tanto male», mi sussurrò Ale.
«No»,
mugugnai, guardandomi intorno con circospezione.
Tutti, nel treno, mi lanciavano occhiate curiose: ero ancora bagnata
dopo il tuffo in piscina.
«Ma
quindi basta che qualcuno creda a questa cosa della dimensione
parallela e può tornare indietro?»
«Non
hai capito un cavolo, come al solito», sospirai.
«Io posso far tornare di qua Nick, Joe e Kevin, a patto che
qualcuno in questa dimensione sappia e creda alla dimensione parallela.
Ora che loro madre ci crede, dovrei riuscirci.»
«E
se avessi provato a portarli di qua senza che loro madre ci
credesse?», chiese, incuriosita.
Io
chiusi gli occhi, portando lo sguardo fuori dal finestrino.
«Li avrei persi.»
Per sempre.
***
«Nick,
Nick,
Nick!», gridò Joe, il fiato corto dopo aver fatto
un’intera scalinata di corsa.
«Che
hai?», gli chiese annoiato, senza distogliere lo sguardo
dalla tv, stravaccato sul divano.
«Io…
Sullo scoglio… Ary!»
A
quel nome Nick si voltò di scatto e Joe gli
indicò di seguirlo.
Salirono di corsa nella camera del mezzano e si sporsero sulla terrazza
che dava sugli scogli.
«Allora?»,
chiese Nick, con un leggero fiatone.
«Dov’è? Io non vedo nessuno!»
«Era…
era là, te lo posso giurare!», gridò,
indicando uno scoglio un po’ più in basso.
«Non so dove sia finita!»
«Non
importa», biascicò e rientrò dentro.
«Fratello…»
Nick, richiamato, si voltò verso di lui.
«Mi dispiace.»
«Anche
a me, anche a me.»
«Dove
vai?», gli domandò ancora Joe.
«A
preparami: ho un appuntamento con Charlotte», rispose con una
smorfia sul viso e si sbattè la porta alle spalle.
_________________________________________
Ciao
a tutti! :)
È passata un’infinità dal mio ultimo
aggiornamento o.o Un po' per la mia pigrizia, un po' per le vacanze...
Insomma, spero mi perdoniate ;) E che perdoniate anche la
“cortezza” di questo capitolo xD Beh, quello che
conta è che vi sia piaciuto *-*
Ho una bella notizia da darvi. Durante questo periodo in cui sono
sparita non ho pettinato le bambole, bensì ho scritto dei
capitoli di questa storia! :D Quindi, essendo già pronti, ci
metterò poco a postare. Siete felici? *-* Però,
si da il caso che sia in vacanza e quindi fino a inizio settembre non
so se avrò di nuovo internet -.- Beh, sicuramente a
settembre avrete un nuovo capitolo! ;)
Bene, detto questo, non mi resta che ringraziare chi, diligentemente,
ha lasciato una recensione allo scorso capitolo:
miusic__dreamer
: Ciao! Mi fa davvero piacere che questa storia ti piaccia tanto da
aspettare ogni morte di papa xD Inseparable era davvero perfetta per
quelle due e piace molto anche a me! :) Spero che questo capitolo sia
stato di tuo gradimento! Grazie, alla
prossima, baci! *-*
nes95
: No, non è morta la rossa xD Mi dispiace ahahah xDD Il mio
fratellino *-* Nick in questo capitolo è tornato, spero ti
sia piaciuto! Grazie e alla prossima! :)
Grazie
mille anche a chi ha letto
soltanto! :)
Alla prossima! Vostra,
_Pulse_
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
«Aspetta
un
attimo», mi interruppe Ale, portando davanti alla bocca piena
una mano. Nell’altra aveva la mela verde che stava mangiando.
«Ripetimi un’altra volta il piano.»
«Non
c’è nessun piano, Ale!» Lasciai
ciondolare le braccia lungo i fianchi, sospirando pesantemente.
Era
la decima volta che le spiegavo quello che stavamo per fare. Mio
fratello, seduto sulla poltrona in salotto, se la rideva sotto i baffi:
ci sarebbe stato da divertirsi.
«Devo
imparare a fare questi benedetti atterraggi, no? Quindi, adesso mi
voglio esercitare», spiegai di nuovo. «Io mi
trasporterò nell’altra dimensione e tu sarai il
mio punto di riferimento per il mio ritorno.»
Ale diede un altro morso alla mela, guardandomi con attenzione. Io
roteai gli occhi al cielo.
«Ciò
vuol dire che io penserò intensamente a te quando
dovrò tornare indietro e tu non dovrai far altro che
startene qui, buona buona. Hai capito?»
«Ah!»,
sorrise, dandomi una pacca sulla spalla. «Perché
non l’hai detto subito?» Saltellò verso
il divano e si mise seduta di fronte alla tv. «Ti aspetto
qui. E ora forza, al lavoro!»
Ancora
scioccata, scossi il capo per riprendermi. Poi mi misi seduta di fronte
a Davide e ad Ale e mi concentrai.
Poiché non volevo assolutamente incontrare i Jonas durante i
miei allenamenti, pensai intensamente ad un luogo della dimensione
parallela in cui non li avrei mai incrociati. Mi venne subito in mente
casa di Fiore, ma avevo già disturbato troppe volte, non mi
sembrava il caso. Dunque, l’unico posto che mi venne in mente
fu la spiaggia.
Incrociai le dita e, esattamente com’era successo quella
volta a casa della signora Jonas, non mi accorsi nemmeno di essermi
trasportata fino a quando non sentii il terreno più molle
sotto i piedi, il vento profumato di salsedine scompigliarmi i capelli
e il rumore delle onde che levigavano la riva.
Aprii
gli occhi e rimasi ad osservare, con il cuore stuzzicato da
piccolissimi aghi di malinconia, la spiaggia. Era un luogo pieno di
ricordi, quello… ricordi di me e di Nick. Era il nostro
luogo, quello in cui ci eravamo trovati per la prima volta, in
circostanze non proprio piacevoli, e in cui poi ci eravamo scoperti, in
cui avevamo sorriso, riso, in cui eravamo rimasti in silenzio ad
osservare il mare, il sole tramontare, le stelle, la luna brillare
sull’acqua… il luogo in cui, ne ero quasi certa,
avevo capito che ciò che provavo per lui era molto di
più che semplice affetto.
Ricordai
la sera in cui mi avevano catturata, il modo in cui mi aveva avvolta
nell’asciugamano con sé; ricordai il pomeriggio in
cui mi aveva fatta “evadere” per la prima volta
dalla villa, il tempo che, chiacchierando di fronte al tramonto, era
volato via; ricordai il nostro primo bacio…
Chiusi
gli occhi alle lacrime, pensando che ora Nick aveva a che fare con la
cheerleader dai capelli rossi, e mi concentrai sui miei allenamenti.
L’andata non era più un problema, da quanto avevo
potuto notare, era il ritorno che ancora non andava bene…
Feci
qualche passo sulla riva, stando attenta a non bagnarmi le scarpe con
l’acqua salata, riflettendo per cercare di capire quale fosse
il mio errore. Forse Fiore avrebbe potuto darmi una mano, ma non potevo
sempre appoggiarmi sull’aiuto degli altri… per una
volta, visto che il dono era solo mio in me, dovevo farcela da sola.
Mi
voltai a guardare il sole infuocato calare dietro il mare ed accennai
un sorriso, poi strinsi i pugni lungo i fianchi e…
***
Nick
non voleva vederla di nuovo,
non ne poteva più della sua vocetta fastidiosa e della sua
parlantina…
Non ne poteva più nemmeno di fingere che andasse tutto bene
di fronte ai suoi fratelli, anche se loro lo avevano capito subito che
quei tentativi erano patetici.
Non si può mentire ad un fratello.
Fece
qualche passo sulla scogliera e il flusso dei suoi pensieri
accarezzò, come sempre, la sua figura e i ricordi, belli
quanto dolorosi, che si portava dietro. Non l’aveva
dimenticata e dubitava che l’avrebbe fatto tanto presto.
Il tentativo di Joe di fargliela dimenticare, facendolo uscire con
Charlotte, era un’assurdità, ma aveva apprezzato
il gesto; nonostante questo, però, non era ancora riuscito a
levarsela dalla testa.
In quel momento non voleva avere nulla a che fare con le ragazze,
perché che senso aveva, se il suo cuore se l’era
già preso lei?
Alzò
lo sguardo verso il tramonto e con la coda dell’occhio vide
una ragazza camminare sulla riva, lo sguardo basso sui propri piedi e
le mani nelle tasche dei jeans.
Strinse le palpebre, cercando di focalizzarla meglio anche se il suo
cuore l’aveva già riconosciuta e per questo aveva
iniziato a scalpitare nella cassa toracica. Lei alzò il capo
per osservare il tramonto e riuscì a vedere perfettamente il
suo viso: era lei, non c’erano dubbi.
Aveva l’accenno di un sorriso sulle labbra. Era il
più bello che avesse mai visto e pensò che era
quello che voleva, solamente quello, e nessuna ragazza a parte lei
gliel’avrebbe potuto offrire.
Ma
non era possibile, no… Il tempo di chiudere gli occhi per un
attimo, ed era già sparita.
Sorrise
amaramente e si strinse il setto nasale fra le dita. Quella spiaggia,
in cui avevano vissuto i momenti migliori di loro, doveva averlo
suggestionato tanto da fargliela apparire come un miraggio.
***
Per
non cadere cercai un appiglio,
ma mi trovai solamente sommersa sotto diverse scatolette e pacchetti.
Non fu difficile capire che mi trovavo nella dispensa.
Ale era di fronte a me, con una mano ancora sull’interruttore
della luce e l’altra sollevata in aria, in direzione di un
pacchetto di patatine.
«Cavolo…
che tempismo», ridacchiò, stiracchiando un sorriso
nervoso.
Mi
costrinsi a restare calma e feci tanti respiri profondi, ad occhi
chiusi. Poi, dopo aver cacciato Ale, mi misi a sistemare le cose che
avevo fatto cadere. Una volta finito, tornai in salotto, di fronte a
Davide che tratteneva a stento le risate. La mia migliore amica
sembrava dispiaciuta.
«Mi
dispiace», mugugnò, senza sollevare lo sguardo.
«Voglio
riprovare», risposi seccamente, stringendomi le braccia al
petto.
«Forse
sarebbe meglio, questa volta, se prendessi come punto di riferimento un
qualcosa di… immobile», consigliò
Davide.
Non
era affatto una cattiva idea. Di certo, se avessi scelto qualcosa che
non poteva muoversi, a meno che non venisse spostato, sarebbe stato
fermo in qualsiasi caso ed io non avrei rischiato nuovamente di finire
nei posti frequentati da Ale. E menomale che era andata soltanto in
dispensa… chissà se fosse andata in bagno!
Mi
portai istintivamente una mano al collo e sfiorai il ciondolo a forma
di stella che mi aveva regalato mamma quando io ero ancora una bambina.
Avevo scoperto che non era lui che mi permetteva di andare da una
dimensione all’altra, ma uno scopo doveva pur avercelo, no?
Glielo avevo appena trovato.
Mi tolsi la catenina e posai il ciondolo al centro del tappeto,
esattamente ai miei piedi, poi feci un cenno di saluto alla mia
migliore amica e a mio fratello e quando riaprii gli occhi mi trovai di
nuovo sulla spiaggia.
Ci
stavo prendendo la mano e, infatti, dopo le prime volte in cui mi ero
sentita frastornata e con le orecchie ovattate dopo ogni viaggio
dimensionale, non sentivo niente.
Mi ci stavo abituando e non era poi così spiacevole,
dopotutto, sapere di avere a propria disposizione un’altra
dimensione, se non ancora di più, in cui potersi rifugiare.
Delle
urla stridule ed irritanti mi fecero voltare verso la scogliera che
comunicava direttamente con la spiaggia e mi si bloccò il
respiro: Nick era lì, a pochi metri da me, e stava
aspettando la cheerleader rossa, che gli stava correndo incontro
gridando.
Mi si spezzò il cuore, invece, quando lei gli
gettò le braccia intorno al collo e lo abbracciò.
Dalla mia posizione, lui mi dava le spalle e non riuscivo a vedere
bene, ma solo all’eventualità che si stessero
baciando…
Le lacrime mi punsero gli occhi e non potei impedire ad una di esse di
scivolare lentamente sulla mia guancia.
Nick
faceva bene, faceva più che bene a comportarsi in quel modo,
visto come mi ero comportata io, ma non riuscivo ad accettarlo.
Il cuore mi bruciava e le lacrime di dolore e tristezza si
trasformarono ben presto in lacrime di rabbia.
***
«Uh-uh!
Amorino! Sono
qui!»
Nick
sospirò rassegnato e si girò verso Charlotte che
gli correva incontro. Non fece in tempo a dire niente che lei gli
gettò le braccia intorno al collo e lo abbracciò,
lasciandolo stupefatto.
«Scusa
se ti ho fatto aspettare», gli sussurrò e
avvicinò il viso al suo, ma Nick serrò le labbra
e, prendendola per le spalle, l’allontanò.
Non poteva farlo, non ci riusciva.
Charlotte
lo guardò un po’ delusa, ma non disse niente. Si
limitò soltanto a prendergli la mano e a farlo voltare verso
la spiaggia: aveva voglia di fare una passeggiata.
Poco
distante da loro, vide una ragazza che aveva sicuramente già
visto. Anche Nick si soffermò a guardarla, ma la sua
reazione fu del tutto diversa dalla sua: era incredulo, felice e allo
stesso tempo sembrava addolorato. Non riusciva a capire quale fosse
l’emozione dominante e fu in quel preciso istante che
ricordò chi fosse quella ragazza: era quella che si
presupponeva avesse il potere di viaggiare fra le due dimensioni,
quella che Nick e i suoi fratelli avevano tanto cercato e che alla fine
avevano catturato.
Ma perché allora era lì e Nick aveva reagito in
quel modo?
«Va
tutto bene, amorino?», gli chiese, accarezzandogli il dorso
della mano, ma lui non le prestò nemmeno un briciolo della
propria attenzione.
Nick
scosse il capo. Era già la seconda volta che la immaginava,
qualcosa non andava.
Chiuse gli occhi per scacciare via la sua immagine, ma quando li
riaprì la vide ancora: era sempre lì, con i pugni
stretti lungo i fianchi, le labbra arricciate e gli occhi lucidi.
Charlotte,
furibonda, lo strattonò con violenza per portare il suo
sguardo su di sé, ma facendo così
l’allontanò ancora di più. Infatti, la
fulminò con gli occhi e ringhiò:
«Lasciami in pace!», per poi andare incontro a
quella ragazza.
Ad
ogni passo la vedeva avvicinarsi e ancora non ci credeva che fosse
davvero lei. Aveva paura che una volta di fronte a lei scomparisse nel
nulla, così la sua camminata svelta divenne una corsa e per
accertarsi che non fosse solo frutto della propria immaginazione
l’abbracciò, stringendola fortissimo al petto.
La sentì irrigidirsi fra le sue braccia, la sentì
singhiozzare e piangere contro il suo petto e una voragine gli
divorò il cuore, dimentico di tutto ciò che aveva
sofferto per lei. Perché stava piangendo?
«Ary»,
sussurrò.
Le accarezzò le guance, spazzando via le lacrime, e vedere i
suoi occhi sofferenti fu peggio di una coltellata al cuore.
Lei
scosse con insistenza il capo e lo spintonò via da
sé, poi gli tirò uno schiaffo abbastanza forte da
fargli voltare il capo.
Non sapeva se se lo meritava o meno, ma lui incassò il colpo.
«Scusa»,
biascicò subito lei, dispiaciuta, ed iniziò a
camminare velocemente costeggiando la riva.
Nick
la inseguì: non poteva lasciarla andare via ancora.
«Ary! Ary, aspetta!»
Le prese il polso e la costrinse a girarsi.
«Che
cosa vuoi, che cosa vuoi ancora da me?!», gridò
con tutta la voce che aveva, cercando di liberarsi dalla sua stretta.
«Non abbiamo più niente da dirci, tu mi hai
rimpiazzata con la prima che hai trovato!»
«Che
cosa? No!», gridò Nick a sua volta, rosso in viso.
«E poi tu sei la prima ad essere scappata e ad avermi
lasciato qui!»
«Sì,
l’ho fatto e ho sbagliato, ma come vedi sono tornata
perché io ti ho fatto una promessa e io le promesse le
mantengo sempre.»
Rimasero ad osservarsi in silenzio, per qualche istante. Ary si
asciugò le lacrime con il dorso della mano e tirò
su col naso.
«Ora
lasciami, per favore», lo supplicò con un fil di
voce e lui obbedì, liberandole il polso.
Ary
chiuse gli occhi e senza nemmeno rendersene conto si trovò
nel salotto di casa sua, nell’altra dimensione, proprio
accanto al ciondolo. Cadde in ginocchio sul tappeto e con il volto fra
le mani scoppiò in un pianto disperato, di fronte ad Ale e a
Davide che in un primo momento non seppero assolutamente cosa fare, ma
che subito dopo la raggiunsero e le rimasero vicino fin quando anche
l’ultima lacrima fu versata.
I could pick up all your tears,
throw ‘em in your backseat
Leave without a second glance
Somehow I'm to blame
for this never-ending racetrack you call life
Nick
rimase immobile come
l’aveva lasciato prima di scomparire nel nulla, poi si
incamminò a passo spedito verso la villa che condivideva con
i propri fratelli.
In quel momento avrebbe voluto sparire anche lui, rifugiarsi in luogo
in cui riflettere senza essere disturbato, ma si sarebbe dovuto
accontentare della sua stanza.
«Amorino,
dove vai?», chiese Charlotte, correndogli dietro.
Gli prese una mano, preoccupata, ma lui si liberò
immediatamente dalla sua stretta e la guardò in cagnesco.
Non era da lui comportarsi in quel modo, ma voleva solo essere lasciato
in pace.
«Senti,
Charlotte. Mi dispiace tanto, ma io non ti amo e non credo
potrà mai nascere qualcosa fra di noi. Io non avrei voluto
illuderti, questa è stata un’idea di mio fratello
e preferirei che non ci vedessimo più: il mio cuore
appartiene a…»
«A
quella ragazza?», gli chiese con una smorfia sul viso.
«Sì,
esattamente. Mi dispiace, Charlotte…»
«Non
importa, stai tranquillo», mormorò e si
voltò.
Nick
rimase ad osservarla mentre si allontanava da lui, poi
abbassò lo sguardo e riprese a camminare sulla spiaggia.
Il mare aveva inghiottito anche l’ultimo spicchio di sole.
***
La
luce chiara della luna entrava
nella stanza e illuminava parte del letto.
Seduta sul davanzale della finestra, la osservavo e mi chiedevo per
quale stupido motivo mi ero comportata in quel modo, quella sera. Gli
avevo persino tirato uno schiaffo e poi avevo avuto il coraggio di
scappare via, proprio come una codarda.
Mi sentivo un’emerita stupida e, inoltre, non riuscivo
nemmeno ad essere arrabbiata con lui per aver frequentato la
cheerleader dai capelli rossi subito dopo la mia scomparsa.
L’avevo già perdonato perché sapevo che
la maggior parte della colpa ce l’avevo io, essendo ritornata
nella dimensione normale senza di loro.
Forse, l’unica cosa che mi bruciava era che avesse creduto
che io non avrei mantenuto la promessa. Aveva così poca
fiducia in me?
Sentii
la porta della mia stanza aprirsi, ma non mi voltai per vedere chi
fosse.
«Tesoro…»
La
voce di mamma mi arrivò alle orecchie e mi passai una mano
sul viso per cancellare i segni delle lacrime che, per
l’ennesima volta, mi avevano rigato il volto.
«Sei
sicura di non voler nulla da mangiare?», mi chiese,
premurosa.
«Sono
a posto così, grazie», risposi, cercando di non
far notare la mia voce nasale, ma lei se ne accorse comunque e si
chiuse la porta alle spalle, raggiungendomi alla finestra.
«Che
cos’è successo, piccola?» Mi
accarezzò docilmente i capelli e io posai la testa
nell’incavo della sua spalla, senza distogliere lo sguardo
dalla luna.
«Una
cosa che non sarebbe dovuta succedere», risposi.
Sorrise
divertita. «Ti sei innamorata?»
«Forse.»
«E
lui lo sa?»
«Non
lo so… cioè, io non gliel’ho mai detto
esplicitamente…»
«E
che cosa stai aspettando?»
Mi fece sollevare il viso per guardarmi negli occhi e sorrise,
accarezzandomi le guance. «Se per te è
così importante devi provarci, perché se non lo
fai corri il rischio di pentirtene per tutta la
vita…»
«È
complicato, mamma… siamo troppo
distanti…»
«Nessuna
distanza può spezzare il legame che l’amore
costruisce fra due persone…»
«Credi
davvero che dovrei dirglielo?», mugugnai, gli occhi bassi e
le guance infuocate.
«Assolutamente
sì», ridacchiò e mi stampò
un bacio sulla fronte. «Però ora è il
momento di dormire. Buonanotte, tesoro.»
«Buonanotte,
mamma. E grazie», bisbigliai con l’accenno di un
sorriso ad incurvarmi le labbra.
Lei
ricambiò ed uscì dalla stanza, chiudendosi con
delicatezza la porta alle spalle.
Scesi
dal davanzale, arraffai il cellulare sul comodino e mi misi seduta sul
letto.
Mi mordicchiai le labbra, chiedendomi se quello che stavo per fare
fosse la cosa giusta, e decisi che una volta tanto dovevo dare ascolto
al mio cuore.
Ho deciso, torno di
là.
Inviai il messaggio ad Ale e mentre mi stavo togliendo la catenina con
il ciondolo dal collo mi arrivò la sua risposta.
Che cosa?! Tu sei
completamente
impazzita!
Tua
madre non vuole
che
vai di là e se
dovesse
scoprirti… Ah, fai
quello
che ti pare, testa
dura.
Stai attenta.
Un soffio di vento entrò nella stanza vuota e
scostò dalla finestra la tenda di stoffa leggera.
Un raggio di luna fece brillare il ciondolo a forma di stella
abbandonato sul letto.
Turn right, into my arms
Turn right, you won't be alone
You might fall off this track sometimes
Hope to see you at the finish line
___________________________________________________
Buongiorno
a tutti! :)
Di nuovo a casa, internet 24 ore su 24, direi che posso postare!
;) Vi lascio però con la suspance, eh? xD
Chissà che cosa succederà ora che Ary
è tornata di là, da Nick... Si scuserà
per la litigata e lo schiaffo di quel pomeriggio? E, soprattutto, gli
dirà che tiene davvero a lui? Bah, chissà u-u
La canzone che ho usato in questo capitolo è la bellissima Turn
right, ovviamente dei Jonas
Brothers, e vi confesso che è una delle mie preferite, se
non proprio la mia prediletta :)
Ringrazio
di cuore chi ha recensito
lo scorso capitolo. Cioè miusic__dreamer
xD Santissima ragazza, sei l'unica su cui io mi possa appoggiare qui?!
xD Vabbè, meglio pochi ma buoni si suol dire u.u Sto
scherzandoooooo, so che chi non recensisce è solo timido u.u
:D
Comunque, bando alle ciance, ti devo dei ringraziamenti! Ci sei rimasta
un po' male quando Nick ha detto di avere un appuntamento con
Charlotte? Beh, adesso come sei rimasta? xD Sono proprio curiosa! *-*
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che io abbia
aggiornato abbastanza presto xD Ciao, alla prossima e grazie ancora! :)
Ringrazio
anche chi ha letto
soltanto! :)
P.S.
A tutte quelle che odiano la
rossa: è un po' antipatica, questo è
vero, ma poverina! xDD
Alla
prossima! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Quando
aprii gli occhi vidi subito il riflesso della luna brillare sulla
superficie dell’acqua, la stessa luna che avevo guardato fino
a poco prima dalla finestra delle mia cameretta nell’altra
dimensione.
Il mare sospirava lentamente e feci un respiro profondo prima di
incamminarmi verso la villa dei Jonas.
Attraversai
la scogliera e la fitta vegetazione che nascondeva quella fantastica
abitazione sul promontorio, poi, finalmente, sbucai nel giardinetto,
delimitato da cespugli di rose bianche, in cui si trovava la veranda
all’aperto. Era uno dei miei posti preferiti, quello.
Delle torce piantate nel terreno creavano un’atmosfera tutta
particolare, il profumo dei fiori si mescolava a quello iodato
dell’oceano e gli unici suoni che si udivano erano il frinire
delle cicale e i dolci sbuffi delle onde.
Seduto
su uno dei quattro divanetti bianchi che circondavano, insieme ad uno
sdraio, un tavolino di legno e dal ripiano in vetro, vidi Nick.
Il cuore mi schizzò in gola ed iniziò a battere
fortissimo, tanto che ebbi paura che riuscisse a sentirlo.
Volevo
avvicinarmi, ero andata lì per quello dopotutto, per parlare
con lui, per scusarmi e per chiarire, ma i miei muscoli non volevano
collaborare. Fu lui, dopo qualche minuto, ad accorgersi della mia
presenza.
«Ary»,
mormorò, fissandomi incredulo.
Si alzò e fece qualche passo verso di me. Solo allora
riuscii a muovermi e diminuii la distanza fra noi, salendo sul rialzo
fatto d’assi di legno.
Lo
guardai in viso, sollevando di poco il capo, e un velo impercettibile
di lacrime mi inumidì gli occhi.
«Ciao, Nick», sussurrai. Lui aprì la
bocca per dire qualcos’altro, ma io non glielo permisi,
posandogli un dito sulle labbra.
«Mi dispiace per lo schiaffo e per come mi sono comportata
oggi, non so cosa mi sia preso… o, meglio, lo so e mi
dispiace anche per questo: non avrei dovuto lasciarvi qui in quel modo,
ma non ho mai smesso di pensare a voi, non ho mai pensato di non
mantenere la mia promessa e il fatto che tu abbia creduto che me ne
fossi andata per sempre, senza di voi, mi ha ferita… a parte
il fatto che sei uscito con quella cheerleader da strapazzo…
ma questo non ha molta importanza, dopotutto io non sono nessuno per
decidere chi tu debba frequentare e –»
Quella
volta fu Nick ad impedirmi di parlare e lo fece posando le labbra sulle
mie, stringendomi fortissimo a sé, tanto che per un momento
pensai di soffocare.
Lentamente la sua stretta si allentò e mi
accarezzò i fianchi, continuando a muovere delicatamente le
labbra sulle mie.
Sorpresa e anche un po’ imbarazzata, ma se non altro al
settimo cielo, ricambiai il bacio. Infilai una mano fra i suoi riccioli
e sorrisi, respirando tutto il suo profumo. Mi era mancato tanto.
«Non
farlo mai più. Non farlo mai più, ti
prego», sussurrò ad occhi chiusi, posando la
fronte contro la mia e prendendomi il viso fra le mani.
«Che
cosa?», chiesi, sbigottita.
«Non
sparire mai più così, non so se reggerei ancora
il colpo.»
«Non
lo farò più, promesso», sorrisi.
Passeggiando
sulla sabbia fresca a piedi nudi, sotto il chiarore della luna, le
nostre mani unite ci facevano avvicinare e allontanare come se stessimo
danzando.
Ciò che sentivo dentro era indescrivibile, ero felice al suo
fianco e per una volta avevo fatto bene a dare un po’ di
fiducia al mio cuore. Mi appuntai mentalmente che appena tornata a casa
dovevo ringraziare mamma, perché anche lei aveva la sua
parte di merito.
Però, solo all’idea di tornare
nell’altro mondo mi veniva la nausea. Non volevo lasciarlo,
mai più.
«Io
non ho mai smesso di avere fiducia in te», esordì
Nick, facendomi perdere il filo dei miei pensieri.
Lo guardai in viso e lui sorrise, continuando: «Non ho mai
smesso di credere che tu un giorno saresti tornata e che avresti
mantenuto la tua promessa.»
«E
allora perché… perché sei uscito con
quella?», chiesi accigliata, riferendomi alla cheerleader dai
capelli rossi.
«Charlotte?»,
ridacchiò. «Io non c’entro nulla,
è stata tutta un’idea di Joe.»
«Dovevo
sospettarlo», scossi il capo, divertita.
«È
stato lui ad organizzarmi tutti gli appuntamenti con lei, credeva che
in questo modo ti avrei dimenticata… ma si
sbagliava.» Mi attirò a sé e mi
cullò nel suo abbraccio, con le labbra posate sui miei
capelli. «Con lei non è mai successo
niente.»
Tracciai
linee immaginarie sul suo petto, mordendomi un sorriso. «Lo
spero per te, Nicholas Jerry Jonas.»
Ci
mettemmo seduti sulla sabbia, stretti l’uno nelle braccia
dell’altra, a guardare il mare di fronte a noi.
Era come vivere un sogno.
«Ora
tocca a te», disse Nick. «Come mai sei sparita, la
sera della festa in maschera?»
Ricordai
quella sera e una smorfia mi si dipinse sul viso.
«Quando tu hai accompagnato via Joe ubriaco, io sono andata a
prendermi da bere e in quel momento una ragazza si è
avvicinata a me e ha iniziato a dire cose strane… mi ha
stuzzicata e io sono cascata in pieno nella sua trappola.»
Abbassai lo sguardo, vergognandomi della mia stessa
stupidità.
«Che
cosa ti ha detto?», mi chiese lui, corrugando la fronte.
«Mi
ha insinuato un dubbio: mi ha chiesto se tu non fossi troppo possessivo
nei miei confronti e se ci fosse un altro motivo dietro… mi
ha detto che era certa che se io ti avessi chiesto di andare a trovare
i miei parenti in prigione, tu mi avresti risposto di no. E, in
effetti, tu mi hai detto proprio di no…»
«Ary»,
sospirò e mi strinse un po’ più forte a
sé.
«Per
questo io ho fatto quella scenata e ti ho detto
che…»
«Ary,
io non volevo che tu non vedessi i tuoi parenti… anzi, ti
avrei portato io stesso a trovarli e li avrei anche fatti uscire da
lì, in un modo o nell’altro, ma sai… la
gente si fida di noi, crede che vogliamo restare qui per sempre, crede
che ti abbiamo catturata per impedirti di usare il tuo
potere… sarebbe stato complicato liberarli senza dare
nell’occhio, ma ti assicuro che io, Joe e Kevin stavamo
già organizzando un piano e quella sera te ne avrei
parlato…»
Mi raccontò tutto d’un fiato, perdendosi lui
stesso nel racconto e gesticolando con lo sguardo rivolto verso il
mare. Quando finalmente si voltò verso di me
trovò un sorriso commosso ad attenderlo. Ero stata
così stupida…
«Quella
volta ti ho detto che ti odio», ripresi da dove avevo
lasciato, già rossa in viso. «Invece credo proprio
di essermi innamorata di te.»
Nick
socchiuse le labbra, sorpreso dalla mia confessione, poi sorrise in un
modo dolcissimo e mi prese per la nuca, attirandomi a sé. Mi
baciò sulle labbra e il mio cuore perse un battito.
«Anche
io mi sono innamorato di te. Quasi subito a dire la
verità», mi rispose, stando vicinissimo al mio
viso col suo, tanto che sentivo il suo respiro mescolarsi al mio.
Boccheggiai,
presa alla sprovvista. Era riuscito a tenermelo nascosto
così a lungo e io non avevo mai capito veramente i suoi
sentimenti? Ero cieca, oltre che stupida.
«Senza
parole?», ridacchiò.
«Io…
io non so cosa dire», balbettai.
«Allora
non dire niente», mormorò prima di rimpegnare le
sue labbra con le mie.
Posai
le mani sul suo petto, allontanandolo un poco. «Aspetta,
aspetta.»
«Che
cosa c’è?», mi domandò,
incuriosito.
«Non
ho finito di raccontarti.»
Corrugò la fronte, ma non intervenne e mi lasciò
continuare di mia spontanea volontà: «Quando stavo
per tornare nell’altra dimensione, quella sera, ho visto chi
era veramente quella ragazza. Hai… hai mai sentito parlare
di una vecchia veggente che pare abbia anche lei questo dono?»
«Sì,
eccome se ne ho sentito parlare. Ma perché ha fatto tutto
questo?»
«Vedi,
io… prima che noi ci incontrassimo, sentendo parlare di
questa donna mi sono voluta informare e le ho chiesto aiuto…
lei ha detto che ero speciale e voleva catturarmi, non so per quale
motivo… Però sono riuscita a scappare e da quel
giorno non l’ho più vista, eccetto quella sera.
Credo che l’abbia fatto per accertarsi che io abbia il
dono… Non so come abbia fatto, ma mi ha stimolata a tal
punto da crederci e…»
«E
sei riuscita a trasportarti di là»,
annuì, pensieroso.
«Hai
rivisto la tua famiglia?», mi chiese ancora, dopo qualche
secondo di silenzio.
«Sì…
mia madre andrebbe su tutte le furie se sapesse che sono tornata di
qua.» Mi strinsi ancora di più a lui,
incominciando ad avere freddo.
«E
tuo fratello?»
«Oh,
lui sta benone. Era già a casa, quando mi sono trasportata
di là… Anche lui ha questo dono e lo sa
utilizzare addirittura meglio di me», gli spiegai. Osservai
la sua espressione sbalordita e sorrisi.
«E sai chi ho visto, anche?»
«Chi?»,
domandò a bassa voce, gli occhi tristi che fissavano il mare.
Avvicinai
le labbra al suo orecchio e sussurrai: «Vostro
fratello.»
Sobbalzò
e mi prese le spalle fra le mani, guardandomi intensamente negli occhi.
«Frankie? Tu hai visto Frankie?»
«Sì»,
ridacchiai. «E anche vostra madre e la vostra super guardia
del corpo…»
«Tu…
mia madre e Rob?»
«Sì,
mi pare si chiamasse così… è un
armadio! Stava per buttarci fuori senza riguardi, ma Ale si
è impuntata ed è riuscita a farci incontrare
vostra madre. Ah, Ale è la mia migliore amica.»
«Tu
hai visto mia madre, mio fratello e Rob!», gridò
ancora – non aveva ascoltato nemmeno una parola di quello che
avevo detto – e mi strinse fortissimo al suo petto.
«Come stanno? Raccontami tutto!»
«Stanno
tutti bene… certo, sentono tutti la vostra mancanza e vostra
madre è molto triste, però stanno
bene… Gli ho raccontato di questa dimensione parallela e,
anche se all’inizio erano un po’ scettici, dopo
avermi visto scomparire in salotto e ricomparire in piscina ci hanno
creduto… È stato quando Joe mi ha
vista.»
Nick
ricordò quel pomeriggio e spalancò gli occhi.
«Allora Joe non mentiva, eri davvero
qui…»
«Perché
avrebbe mentirti in quel modo? Nemmeno Joe è così
insensibile…»
Ci
guardammo negli occhi e ridemmo, prima di abbracciarci e di baciarci di
nuovo.
Poco
dopo, nella camera di Nick, non avevamo smesso di fare ciò
che facevamo in spiaggia.
Mi baciava sulla bocca senza più nessun timore ormai,
andavamo a briglia sciolta e cademmo sul letto, io sopra di lui.
Mi sentivo andare a fuoco e, allo stesso tempo, ogni volta che le sue
mani mi sfioravano sentivo mille brividi percorrermi la schiena.
Gli
accarezzavo i capelli con una mano e con l’altra gli sfioravo
il collo, inebriandomi del suo profumo, quando realizzai che il tempo
che potevo passare con lui stava per scadere.
Non potevo assolutamente trattenermi in quella dimensione fino al
giorno dopo perché se mia madre mi avesse scoperta sarebbero
stati dolori e, sempre per non farmi scoprire, dovevo scendere dal mio
letto, fare colazione e andare a scuola.
Non volevo assolutamente tornare a casa, volevo solo stare con Nick in
quel momento e mi si spezzava il cuore ogni qualvolta aprivo un occhio
e vedevo sulla sveglia i minuti che passavano.
Se
fossimo entrambi nell’altra dimensione sarebbe tutto
più facile… pensai
e qualche istante dopo Nick mugugnò sotto di me.
«Che
cos’hai?», gli chiesi, preoccupata. Il suo pallore
non era affatto rassicurante.
«Improvvisamente…
non mi sento tanto bene», biascicò. «E
ho qualcosa sotto la schiena che…» Si
sollevò di un poco e si levò da sotto la schiena
un ciondolo a forma di stella. Me lo porse, mentre faceva respiri
profondi per controllare quella nausea improvvisa.
«Oh,
è solo il mio ciondolo», dissi, portando subito la
mia attenzione su di lui.
Poi corrugai la fronte, confusa. Ero sicura di aver lasciato il mio
ciondolo sul mio letto, prima di andare nella dimensione in cui si
trovava Nick, quindi…
Mi
alzai di scatto e mi guardai intorno. Nick fece lo stesso, mettendosi
seduto sul bordo del letto ed ancorando i piedi a terra, e se la sua
espressione era di confusione allo stato puro, io ero incredula e
sconcertata.
«Dove
siamo?», mi domandò.
«Nella
mia camera!»
Un
silenzio tombale ci avvolse e mi costrinsi a rimanere calma. Chiusi la
finestra, che avevo lasciato aperta, e poi lo guardai con le mani fra i
capelli.
«Siamo…
siamo nell’altra dimensione?», mi chiese ancora, la
voce tremante.
«Scusami
Nick, mi dispiace, io non l’ho fatto
volontariamente… ancora devo prenderci la mano e mi sono
distratta un momento… Forse la nausea è un
effetto collaterale del viaggio dimensionale.»
Quella
scoperta non lo tranquillizzò. Si alzò dal letto,
barcollando, e si avvicinò a me. Lessi nei suoi occhi
l’indecisione e forse anche un po’ di
preoccupazione.
«Devo…
devo tornare di là, da Joe e Kevin. Devi riportarmi
nell’altra dimensione.»
Lanciai
un’occhiata alla mia sveglia sul comodino e sospirai,
annuendo. Non potevo dirgli di no, era stata colpa mia infondo se
l’avevo trasportato in quella dimensione senza preavviso,
anche se questo mi sarebbe costato un altro po’ di tempo da
poter dedicare al sonno.
Lo
presi per mano e gli sorrisi rassicurante.
«Chiudi gli occhi», sussurrai e un momento dopo i
nostri piedi affondavano nella sabbia e il vento ci scompigliava i
capelli.
Di nuovo in spiaggia.
Rimasi
qualche istante a guardare Nick, ancora ad occhi chiusi, e, chiedendomi
come potessi essere stata tanto sciocca da non accorgermi prima di
ciò che provavamo l’uno verso l’altro,
gli diedi un bacio.
«Ora puoi aprire gli occhi», dissi sulle sue
labbra.
Lui
mi strinse a sé e mi sorrise lievemente.
«Resta qui con me ancora un po’»,
mormorò, accarezzandomi la guancia e guardandomi negli
occhi.
Aveva
uno sguardo così dolce e caldo, come potevo dirgli di no?
E poi ero stanca. Quel giorno mi ero allenata parecchio, avevo fatto di
qua e di là fra le due dimensioni diverse volte e solo
adesso sentivo sulle spalle tutta la stanchezza di quei viaggi. Un
po’ di riposo non mi avrebbe fatto male.
«Ok,
solo per un po’.»
Solo
per il sorriso che mi rivolse sarei rimasta per tutta la vita.
Qualche ora dopo…
Mi svegliai accarezzata dal sole dell’alba e da
un’arietta frizzante che mi fece venire la pelle
d’oca.
Aprii gli occhi e, steso al mio fianco con un braccio che mi stringeva
a sé, vidi Nick che ancora dormiva beatamente.
Sorrisi, accarezzando con lo sguardo il suo profilo. Ma la
consapevolezza che, nonostante mi sentissi al posto giusto al momento
giusto, quello non fosse il posto in cui dovevo essere in quel momento
mi fece schizzare seduta sulla sabbia.
L’acqua
del mare che brillava sotto i raggi del sole mi accecò e mi
coprii il viso con un braccio.
Non potevo sparire senza avvisare Nick, quindi, visto che non avevo
né foglio né penna, gattonai verso la riva.
Una volta finito di lasciare il mio messaggio, chiusi gli occhi e
quando li riaprii di fronte a me vidi solo una piccola fessura dalla
quale entrava un po’ di luce
nell’oscurità più totale.
Tastai intorno a me per qualche secondo e capii di essermi catapultata
nel mio armadio.
***
Nick
si svegliò e si accorse subito che al suo fianco lei non
c’era più. Ancora mezzo addormentato si mise
seduto sulla sabbia e difese i propri occhi dalla luce del sole
facendosi ombra con un braccio.
Rimase
diversi istanti ad osservare il mare di fronte a sé, poi con
un sospiro rassegnato si alzò e solo allora notò
ciò che c’era scritto sulla riva, pericolosamente
vicino a dove si stavano infrangendo le onde.
Non sono
sparita di nuovo, io mantengo sempre le mie promesse.
Ora devo andare a scuola, torno stasera. Riuscirai a resistere? :D
Ary
Quando
un’onda cancellò quelle parole, Nick sorrideva.
***
«Lo
sapevo. Io lo sapevo che si sarebbe cacciata nei guai»,
borbottò Ale, appoggiata alla propria bicicletta, rivolta
verso gli enormi cancelli della scuola per poter scorgere in ogni
momento la figura della sua migliore amica. «Dove cacchio
è finita!?»
Un
paio di ragazzi si voltarono verso di lei, accigliati, chiedendosi come
mai stesse parlando da sola, e lei li trucidò con lo sguardo.
Non era proprio giornata.
***
Scesi
di corsa dall’auto, mettendomi in bocca ciò che
rimaneva della brioche preconfezionata che avevo sgraffignato dal
tavolo della cucina, e salutai goffamente mia madre, poi corsi
all’interno del giardino della scuola.
Vidi
subito Ale, appoggiata alla propria bicicletta e con
un’espressione furente sul volto.
La raggiunsi e non riuscii nemmeno a salutarla decentemente, fra la
brioche che molto probabilmente mi si era incastrata
nell’esofago per la fretta, il fiato che mi mancava per la
corsa, la stanchezza che avevo accumulato a causa di quel via vai fra
le due dimensioni e le poche ore di sonno.
«Mi
hai fatto prendere un infarto!», gridò,
stringendomi in un forte abbraccio.
Mi guardò in viso, prendendomi le spalle fra le mani.
«Ma stai bene? Hai una faccia…»
La
rassicurai con un leggero movimento del capo e un mezzo sorriso, poi il
suono della campanella ci fece correre nella nostra aula.
Alla prima ora avevamo storia e io posai la testa sopra il banco mentre
prendevo appunti su quello che spiegava il professore.
Vedevo
Ale che ogni tanto gettava un’occhiata nella mia direzione,
indecisa se chiedermi o no che cosa fosse successo quella notte, ma
alla fine non mi domandò niente e ne fui molto lieta: non
avevo voglia, ma soprattutto la forza, di raccontare.
Osservai
il foglio su cui stavo scrivendo e mi accorsi che ormai avevo iniziato
a scarabocchiare. In ognuno di quegli scarabocchi, però,
c’era il suo nome infilato da qualche parte.
Sorrisi e poi chiusi gli occhi.
***
Ale,
del tutto disinteressata alla lezione di storia, si voltò
nuovamente verso la propria magica migliore amica e la
scoprì a dormire come un angioletto con la testa sul braccio
e la penna ancora fra le dita.
Gliela levò, intenerita, e l’occhio le cadde sulla
pagina di quaderno su cui stava prendendo appunti. Sorrise nello
scorgere il nome di Nick e ancora di più quando lo rese la
causa principale del sorriso dolce che in quel momento regnava sulle
labbra di Ary.
La sua amica era felice
grazie a lui e lei non poteva che essere altrettanto contenta e
ringraziarlo.
___________________________________________________
Ciao a tutti! :)
Questo è l'ultimo capitolo che posto prima della mia
partenza per l'Inghilterra *-* Mi dispiace per voi, ma per due
settimane non vedrete questi personaggi :( Beh, ne avete superate di
peggiori, potete resiste for two weeks! xD Fate le brave, mi raccomando
u.u
Questo capitolo, fin'ora, è uno dei miei preferiti! Mi piace
davvero tanto, soprattutto perché le cose fra Ary e Nick si
sono sistemate e sono davvero due piccioncini teneri *.*
Però, povera
Ary, non può continuamente fare avanti e indietro, non
riesce a reggere! :( Per cui, chissà ora che cosa
succederà u-u
Mentre
vi scervellate e aspettate di leggere il prossimo capitolo per
scoprirlo, lasciate una recensione e ditemi, oltre se il capitolo vi
è piaciuto o meno, che cosa secondo voi accadrà! ;D
Ringrazio
di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo:
music__dreamer :
Ciao! :) Sono come al solito contentissima *-* Joe ci ha provato, per
amore del suo fratellino, ma ha decisamente sbagliato metodo xD Nick ha
reagito d'istinto con Charlotte, poverina :( Ma sì, tra Nick
e Ary si è sistemato tutto! *-*
Grazie mille per i complimenti. Il mio modo di scrivere che migliora?
o.o Beh, grazie comunque xD Spero di aver aggiornato presto! :D Alla
prossima, ciao!
nes65
: Sì, mi piace lasciare la suspance, ma non sono cattiva e
non credevo foste così malfidenti xD Vi avevo detto che ne
avevo un paio già pronti, quindi è inutile
scaldarsi tanto u.u Spero di aver aggiornato presto e che ti sia
piaciuto! Grazie :D
E
ringrazio anche chi ha letto soltanto! :)
Un bacio, alla prossima!
Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Okay, avete tutto il
diritto di
essere infuriate con me. Avevo detto due settimane e invece ne sono
passate il
doppio. Mi dispiace tantissimo, ma proprio non ho avuto tempo, la
scuola
soffoca ç__ç
Ringrazio di cuore music__dreamer
e nes95
<3
La canzone che ho usato è Fly with
me
dei Jonas *.*
Spero che questo capitolo sia di
vostro gradimento!
Buona lettura ;)
____________________________________________
Capitolo
12
Maybe you were just
afraid,
knowing you were miles away
from the place where you needed to be
And that's right here with me
«Oh,
accidenti», sbuffai e mi
misi la mano sinistra fra i capelli. Se avessi avuto libera anche la
destra le
avrei messe entrambe, ma con quella tenevo il compito di matematica che
il
professore mi aveva appena riconsegnato.
«E adesso come lo recupero questo
votaccio?»
«Non
ce ne sarà bisogno», disse
Ale, sventolando una mano. Io la guardai allibita.
«Sì», continuò,
«tanto
scommetto che entro questa settimana assisterò al tuo
funerale e, completamente
vestita di nero, mi toccherà pure parlare di te di fronte a
tutti e fare finta
di piangere come una fontana.»
«Grazie
tante», biascicai, anche
se un secondo dopo ero tornata a guardarla con il sorriso.
«È bello che ti
preoccupi così tanto per me.»
«Non
devi affatto ringraziarmi,
mi viene naturale», mi abbagliò con uno dei suoi
sorrisi a trentadue denti e mi
strappò il compito dalla mano per poterlo osservare mentre
io slegavo le bici.
«Sono sicura che tua madre ti
ucciderà, ma sono ancora indecisa se lo farà per
il tuo disastroso andamento
scolastico oppure perché fai la doppia vita, andando
continuamente nell’altra
dimensione per stare con il tuo Nick, quando sai benissimo che lei non
vuole.»
«Quante
storie», sbuffai. «Me
l’ha detto lei che “Nessuna
distanza può
spezzare il legame che l’amore costruisce fra due
persone”!»
«Credo
che cambierebbe idea, se
sapesse che la persona di cui ti sei innamorata in questo momento
è nell’altra
dimensione!»
«E
io che cosa ci posso fare?»,
sbottai, tirandomi su e guardandola negli occhi con determinazione.
«Dimmelo,
che devo fare?»
«Perché
non lo riporti di qua e
la fai finita, no? Era quello che volevano anche loro, dopotutto!
Tornare in
questa dimensione! È per questo che ti avevano catturata, se
non ricordo male.»
«Sì,
noi…», scossi il capo con
violenza e montai sulla mia bici. «Stiamo escogitando un
piano per farli
tornare di qua.»
«Sì,
immagino…», roteò gli occhi
al cielo. «Il piano A si intitola: “Smack smack
smack” e quello B: “Smack Nick
ti amo smack”. Quello che invece escogiterete oggi si
intitolerà: “Smack anche
io ti amo Ary smack”.»
«Ah!
Ma la smetti di prendermi in
giro?!», gridai e lei ricambiò il mio sguardo
adirato, salendo sulla propria
bici. Poi scoppiammo a ridere insieme.
«Sul
serio, Ary… C’è bisogno di
escogitare un piano per trasportarli di qua?», mi
domandò in tono più serio una
volta uscite dalla scuola e dirette entrambe verso casa.
«No,
in realtà… non c’è bisogno
di un vero e proprio piano», sospirai sconsolata.
«Il fatto è che loro hanno
sempre fatto il doppio gioco, la gente si fida di loro e se
sparissero…»
«Confessa,
dai», mi esortò. «L’ho
capito da un pezzo che il problema non sono loro, ma tu. Per quale
motivo non
vuoi riportarli a casa?»
«Io…
io voglio portarli a casa!»,
ribattei, con gli occhi spalancati. «Gliel’ho
promesso e lo farò, prima o poi.
Però… devo fare una scelta, prima.»
«Che
tipo di scelta?», sollevò il
sopracciglio, incuriosita.
«È…
una scelta che riguarda chi
ha il dono, come me. Devo scegliere se voglio usarlo e come lo voglio
fare. Per
esempio, Fiore ha deciso di restare nell’altra dimensione
perché si è
innamorata…»
«Tu
non puoi trasferirti
nell’altra dimensione per
sempre!»,
urlò agitata, tanto che rischiò di schiantarsi
contro il fianco di un’auto
parcheggiata a ridosso del marciapiede.
«Non
è quello che voglio fare,
infatti! Devo trovare un modo per portare Nick, Joe e Kevin di qua e
allo
stesso tempo trovare una soluzione anche per tutte quelle persone che
vorrebbero tornare a vivere in questa dimensione. Non posso portare
solo loro e
fregarmene, non riuscirei più a dormire la notte sapendo di
aver fatto un atto
tanto egoistico…»
Ale
rimase in silenzio per
qualche minuto e quando mi voltai a guardarla vidi un piccolo sorriso,
ma che
dava l’idea di essere ben consapevole, ad illuminarle il
volto.
Non dovetti nemmeno chiederle che
cosa stesse a significare, lei aveva notato il mio sguardo e per questo
disse: «Me
lo sarei dovuto aspettare, da te.»
Ridacchiai
e tornai a guardare la
strada, quando lei disse ancora: «Quindi non li trasporterai
di qua fino a
quando non avrai trovato un metodo per
“accontentare” anche tutti gli altri
abitanti dell’altra dimensione, ho capito bene?»
«Esatto.»
«E
fino a quel momento
continuerai a fare avanti e indietro trascurando lo studio e,
soprattutto,
trascurando me?»
Mi
fermai di fronte a casa mia e
la obbligai a fermarsi a sua volta. Le gettai le braccia al collo e la
strinsi
fortissimo, affondando il viso fra i suoi capelli.
«Non volevo darti l’opportunità
per essere smielata», disse con la voce un po’
tremante, segno che si stava per
commuovere. «Però, ecco… passi tutto il
tuo tempo libero di là e io ti vedo
solo a scuola… Mi sento giusto un pochino
trascurata.»
La
guardai negli occhi e le
accarezzai le guance, sorridendole. «In quanto a questo, mi
è venuta in mente
un’idea. Ora, però, aiutami a sopravvivere alla
furia di mamma.»
***
«Beh…
pensavo peggio», sfiatai,
distrutta, una volta chiusa in camera mia.
Ale
si gettò sul mio letto a
pancia in giù e annuì con la testa, senza
più forze anche lei.
Era
stata una dura battaglia, ma
ce la eravamo cavata dicendo che in quel periodo il programma di tutte
le
materie era impegnativo e non riuscivo proprio a seguire il passo. Io
mi
impegnavo, ma non ce la facevo! Ale, per arrestare un po’
della sua ira, aveva
persino promesso che mi avrebbe tenuta lei sott’occhio e mi
avrebbe aiutata a
studiare, matematica in primis.
Strano perché ero sempre stata
io, fra le due, quella che se la cavava meglio in matematica.
La
mia non era pigrizia, ma non
riuscivo davvero a trovare tempo fra i viaggi dimensionali e quando per
casi
fortuiti lo trovavo non riuscivo a concentrarmi a causa di tutti i
problemi che
sentivo gravarmi sulle spalle e a cui non riuscivo a dare delle
soluzioni.
Altro che matematica!
Bussarono
alla porta e io, ancora
appoggiata ad essa con la schiena, sobbalzai. Poi l’aprii e
mi trovai di fronte
a mio fratello, che con espressione frustrata mi porgeva dei giornalini
dalla
copertina patinata, tipicamente da ragazze.
«Per
quanto tempo ancora dovrò
andare a comprarli?», mi chiese, gli occhi che imploravano
pietà per la sua
mascolinità che lentamente svaniva ogni volta che pagava e
l’edicolante lo
osservava con cipiglio perplesso.
«Ancora
per un po’, mi dispiace»,
risposi sorridendo e dandogli delle pacche sulla spalla, invitandolo ad
entrare.
«Ciao
Davide», lo salutò Ale
sventolando la mano, rivenuta dopo quella sua fase di coma.
Lui rispose con un cenno del capo
e si gettò al suo fianco, mentre io ero intenta a sfogliare
velocemente i giornalini.
«Ah,
qual era l’idea a cui
accennavi prima?», mi domandò Ale, aggrottando la
fronte.
«Ah,
sì!», mi illuminai. «Pensavo
che qualche volta potresti venire con me nell’altra
dimensione, così magari
conosceresti anche Nick, Joe e Kevin…» Per me non
erano i Jonas
Brothers, ma solo Nick, Joe e
Kevin, come li avevo
conosciuti, come li avevo odiati e come ora gli volevo bene.
La
mia migliore amica in un primo
momento mi guardò preoccupata. Poi un sorriso si fece spazio
sul suo viso e
annuì, anche se ancora un po’ incerta.
«Non
ti abbandono mica! Fidati di
me!», risi.
Una
volta che tutto fu pronto per
quel viaggio, mi infilai lo zaino sulle spalle e mi tolsi il ciondolo a
forma
di stella dal collo. Lo misi sul letto, in modo tale da avere comunque
un atterraggio
morbido.
Ale mandò un messaggio a sua
madre per avvertirla che stava da me a fare i compiti – che
non avrebbe fatto
nemmeno lei quella volta – e che sarebbe tornata
all’ora di cena.
«Okay,
noi andiamo», dissi a
Davide e presi la mano di Ale nella mia. La guardai negli occhi, con un
sorriso
incoraggiante sulle labbra, poi sparimmo.
Quando
mio fratello rimase da
solo nella stanza sentì qualcosa pungolargli il petto. Era
una sensazione
strana che non gli faceva pensare a nulla di buono, come un brutto
presentimento.
Si grattò il capo, ma non li
venne in mente nulla di preoccupante. Così
scrollò le spalle e scese in salotto
per guardare un po’ di tv spazzatura.
***
Ale
si tappò
la bocca con una
mano e si lasciò cadere culo a terra sulla sabbia. Proprio
come era successo a
Nick, il viaggio dimensionale le aveva causato non pochi problemi di
nausea.
«Fai
respiri profondi», la
incoraggiai, guardandola negli occhi. Era pallida come un lenzuolo.
«Inspira.
Espira. Inspira. Espira. Va meglio?» Lei annuì e
mi tirò un pugno sul braccio.
«Ahi!», gridai. «Perché
l’hai
fatto?»
«Potevi
avvisarmi prima!», sbottò
e io risi. In un modo o nell’altro riusciva sempre a farmi
ridere, la mia
migliore amica.
«Comunque»,
sospirò e, una volta
ripresasi del tutto, si tirò su. «Dove siamo,
precisamente?»
«In
spiaggia», le spiegai e
attesi qualche minuto per lasciare che si meravigliasse da sola della
bellezza
di quel luogo. Poi, le indicai con un dito la sommità del
promontorio sugli
scogli e dissi: «In mezzo a quella specie di foresta si trova
la villa dei
Jonas Brothers, la mia seconda casa. Andiamo.»
La
portai con me attraverso la
fitta vegetazione, conoscendo ormai quella strada a memoria, e una
volta nei
giardino dei Jonas feci una corsettina intorno alla casa per
raggiungere la
veranda all’aperto sul retro: ero sicura che ci avrei trovato
Nick.
Come
avevo immaginato, lo vidi
seduto su un divanetto bianco con un bicchiere di succo di frutta fra
le mani.
Sdraiato sullo sdraio c’era Joe, in costume da bagno e con
degli occhiali da
sole quadrati e dalla montatura colorata sul viso, che prendeva il sole
mentre
chiacchierava con il fratello minore.
Joe
mi vide per primo, ma io gli
feci segno di stare zitto portandomi l’indice di fronte alle
labbra, e con
passo felpato raggiunsi le spalle di Nick. Posai le mani sui suoi occhi
e,
sorridendo, storpiai la mia voce per sussurrargli
all’orecchio: «Chi è?»
«Ary!»,
rispose a colpo sicuro e
si liberò per girarsi, prendermi per la nuca e ad attirarmi
in un bacio che,
come al solito, mi fece scoppiare il cuore.
«Oh,
quanto siete sdolcinati!
Nick, stai attento, che tu hai già il diabete!»,
commentò scherzosamente Joe,
mettendosi gli occhiali da sole sulla testa e tirandosi su.
«Molto
divertente», rispose il
fratello con una smorfia, ma si dimenticò subito di lui e
tornò a sorridermi,
stringendomi in un abbraccio e facendomi sedere sulle sue ginocchia.
«E
tu chi sei?», chiese Joe
all’improvviso, con il sopracciglio inarcato, fissando un
punto fra i cespugli
di rose bianche.
Accidenti,
mi ero dimenticata
della mia migliore amica!
Mi stava guardando con un
espressione alquanto infastidita, le mani sui fianchi.
«Oh!»,
esclamai dispiaciuta,
chiedendole perdono con gli occhi. «Lei è
Alessandra, la mia migliore amica»,
la presentai ai due.
Nick
sorrise. «E così ho l’onore
di conoscere la famosa Ale! Ary mi ha parlato tanto di te. Io sono
Nick,
piacere», le disse e si alzò per stringerle la
mano, visto che nel frattempo
lei si era avvicinata.
«Il
piacere è tutto mio!», gli
rispose solare. «Ti assicuro che anche a me ha parlato di te.
Fino alla nausea!
“Nick di qua, Nick di
là…”.»
Entrambi
mi guardarono e
ridacchiarono: ero diventata rossa come un peperone! Mi appuntai
mentalmente
che avrei dovuto fargliela pagare per avermi messa così in
imbarazzo di fronte
a lui.
«Io
invece sono Joe», si presentò
l’altro, sorridendo malizioso e sfiorandole la mano con le
labbra invece di
stringerla. «Incantato.»
«Ahm…
sì», Ale annuì, guardandomi
preoccupata. Le avevo parlato anche di lui e del suo
“normale” comportamento
con le ragazze, ma non credeva che dicessi sul serio!
Io mi coprii la bocca con la mano
per trattenere le risate. Forse non sarebbe servito vendicarmi: quello
era già
abbastanza!
«Kevin
invece dov’è?», chiesi,
cambiando argomento.
«È
andato dentro a prendere
qualcosa da mangiare…», disse Nick, quando il
fratello più grande sbucò dalle
porte vetrate con la merenda.
Presentai
anche a lui la mia
migliore amica e rimasimo per un po’ a chiacchierare tutti
insieme.
Ero contentissima, perché
nonostante Ale si fosse inserita da poco nel gruppo si trovava bene con
loro,
li trovava tutti simpatici e avevo anche notato che rispondeva per le
rime alle
battutine di Joe, tanto che anche lui ne era rimasto colpito.
Avevo il forte presentimento che
quei due…
Nick
mi distrasse dai miei
pensieri prendendomi la mano. Lo guardai e mi incantai alla visione del
suo
stupendo e dolce sorriso. Per questo lo seguii in casa senza fiatare,
completamente
sotto il suo controllo, manco mi avesse ipnotizzata. Non avevo nemmeno
sentito
la scusa che aveva usato per spiegare il nostro allontanamento
improvviso.
Mi
abbracciò nei pressi della
cucina e mi baciò quando mi fece appoggiare con la schiena
all’isola, mentre
incastrava le dita fra i miei capelli e mi sfiorava la pelle del collo
con le
dita.
Con le mani sul suo petto riuscii
a sentire il suo cuore battere a velocità elevata, proprio
come il mio che
sembrava voler prendere il volo.
Era
talmente strano… Tutte le
volte che mi baciava, che mi accarezzava, ma anche solo mi sfiorava,
sentivo i
brividi e non erano poi così tanto spiacevoli.
Avevo capito ormai da tempo che
ciò che provavo verso di lui andava oltre al semplice
affetto, che mi ero
innamorata nel vero senso del termine, ma non avevo mai avuto il
coraggio di
dirgli che lo amavo. Eppure erano solo due paroline…
semplici e al contempo
terribilmente difficili da pronunciare.
Ci
eravamo conosciuti e ci
eravamo innamorati l’uno dell’altro in quella
dimensione, quella a cui non
appartenevamo del tutto, dove tutto sembrava surreale. Una volta
tornati di là,
insieme, saremmo riusciti a continuare e a far germogliare ancora di
più il
nostro sentimento?
Quando ero lontana da lui, quando
tutti i problemi e le preoccupazioni erano al centro dei miei pensieri
e non mi
davano pace, avevo pensato tanto anche a quello e, sinceramente, non
ero
riuscita a darmi una risposta.
Nella dimensione dalla quale
provenivamo loro avevano un’altra vita, erano i Jonas
Brothers, una band tanto
famosa nel mondo nella musica quanto nel mondo dei mass-media.
La relazione fra me e Nick
sarebbe potuta durare anche in quella vita?
«A
che cosa stai pensando?»,
mormorò sulle mie labbra, accarezzandomi le guance con i
pollici.
«A
niente… Niente», sorrisi
allacciandogli le braccia intorno al collo.
Perché, sì, bastava un nonnulla, per
farmi tornare il buonumore e farmi scivolare addosso ogni ansia: un suo
sguardo, un suo sorriso, una sua risata, una sua carezza, un suo
bacio… e tutto
passava.
Mi
bastava stare con lui
per
sentirmi forte, invincibile, capace di saltare e spiccare il
volo.
It's you and me forever
You and me right now
That'd be alright
We're chasing stars to lose our shadow
Peter Pan and Wendy turned out fine
So won't you fly with me
«Mi
sei
mancata», mi sussurrò,
accarezzandomi il viso.
Lo
guardai negli occhi,
divertita. «Ma ci siamo visti ieri sera.»
«Mi
sei mancata comunque.»
Abbassò lo sguardo e capii che avrebbe voluto dire
qualcos’altro, magari
avrebbe detto ciò che aspettavo con ansia e che speravo
aspettasse a dire,
ossia quando li avrei portati a casa… Forse,
chissà.
Infatti non ebbe il tempo di
aggiungere altro perché sia Joe che Ale sbucarono in cucina
e si guardarono con
un sorrisetto strafottente e un sopracciglio inarcato prima di dire:
«I soliti
due piccioncini!»
«Perché,
non si può stare un
attimo da soli?», ribatté Nick piccato, con
un’espressione che non ammetteva
repliche.
Chissà, forse quello che voleva
dirmi era davvero importante, tanto da infastidirsi in quel modo.
Joe
gli fece il verso, come al
solito lui era la diva a cui nessuno poteva mettere i piedi in testa, e
si
voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti sul
viso: «Amore mio
bello, dove l’hai messo il nuovo numero del mio
magazine?», mi domandò
sfarfallando le ciglia.
«Nello
zaino», balbettai, presa
in contropiede.
«Okay,
grazie!», squittì proprio
come una ragazza e prese Ale per le spalle per ricondurla fuori, dove
l’avrebbe
rimpinzata per bene di gossip e, soprattutto, le avrebbe spiegato
minuziosamente perché le band citate sul suddetto magazine
erano peggiori in
confronto a loro.
E io che a volte ancora mi
sorprendevo di quanto potesse essere megalomane! Dovevo arrendermi
all’evidenza: Joe non sarebbe mai cambiato. E forse non era
poi così terribile.
Riportai
la mia attenzione su
Nick e sorrisi, rigirandomi fra le dita un suo ricciolino.
«Dov’eravamo
rimasti?»
Lui
sorrise e posò la fronte
sulla mia, allacciando le braccia intorno alla mia vita.
«All’incirca qui.» E
mi baciò.
***
«Sai,
questi
Jonas non sono tanto
male», esordì Ale, infilandosi le mani in tasca e
abbassando il capo per non
mostrarmi il sorriso che le si era dipinto sul volto.
«No,
affatto», risposi,
imitandola guardando i miei piedi affondare nella sabbia.
Il
sole stava tramontando nel
mare, donandogli quella luce arancione/dorata che mi piaceva tanto, ed
era ora
di tornare a casa. Avevamo già salutato i Nick, Joe e Kevin
e gli avevamo
promesso che saremmo tornate presto: io, sicuramente, avrei trovato il
modo per
passare buona parte del week-end con loro.
«Joe
è single, vero?», mi domandò
con nonchalance e io scoppiai a ridere. Lei, rossa come un peperone, mi
spintonò. «Che hai da ridere!? Non ho detto che mi
piace! Ti ho solo chiesto se
è single per titolo informativo!»
«Se,
certo!», annuì, ancora divertita
dal suo comportamento, e le presi la mano. «Tanto ormai
gliel’abbiamo promesso
che saresti tornata anche tu, poche scuse.»
Lei
sbuffò e roteò gli occhi al
cielo. «Okay, forse un pochino
mi
piace.»
«Brava
la mia Ale», le arruffai i
capelli con una mano. «Ora torniamo di là, che ne
dici?»
«Va
bene», mi sorrise e in un
attimo sparimmo.
***
Davide
spalancò gli occhi, in
preda al panico.
Aveva passato ore a pensare a che
cosa fosse dovuta la terribile sensazione che provava in mezzo al
petto, come uno
stato di ansia perenne, e finalmente era riuscito a capire.
Ale… Nessuno della sua famiglia
era a conoscenza della dimensione parallela, quindi se sua sorella
l’avesse
fatta tornare di qua probabilmente…
Si
alzò dal divano, colto da una
nausea improvvisa, e salì due a due le scale che portavano
al piano di sopra
sotto lo sguardo preoccupato di sua madre.
Si chiuse in bagno e si piegò sul
water, socchiudendo gli occhi lucidi e dai quali iniziarono a sgorgare
le prime
lacrime.
Perché,
perché non gli era venuto
in mente prima?! Non poteva, non poteva accadere un’altra
volta e proprio ad
Ale… No, no, no! Non voleva perdere chissà dove
anche lei!
Avrebbe
potuto andare nell’altra
dimensione per avvertire Ary e far sì che non la
trasportasse in alcun modo, ma
non avrebbe saputo dove andare a cercarla, poiché non
conosceva la zona
“d’azione” dei Jonas. Inoltre era quasi
l’ora di cena e sarebbero dovute
tornare a momenti.
Sperò con tutte le sue forze che
almeno sua sorella si ricordasse appena in tempo di quello che la sua
amica
rischiava, perché altrimenti… sarebbe stata la
fine.
***
Atterrai
nella mia
camera,
proprio nei pressi del mio ciondolo a forma di stella. Ale, invece,
cadde sul
letto, con la faccia fra i miei pupazzi.
«Ehi,
tutto okay?», le chiesi, aiutandola
a girarsi. «Hai ancora la nausea?»
Il
suo colorito verdognolo parlò
per lei. La presi sotto braccio e la accompagnai in bagno, ma lo trovai
occupato. Bussai e sentii la voce di Davide rispondermi.
«Davide,
sbrigati, Ale… !» Non mi
fece nemmeno finire la frase: spalancò la porta e
guardò sia me che la mia
migliore amica con gli occhi leggermente gonfi e rossi, come se avesse
appena
pianto, e poi ci gettò le braccia al collo in un abbraccio
che rischiò di
soffocarmi.
«Davide…
Davide, che ti prende?»,
sussurrai con la voce smorzata.
Lui
si staccò e mi guardò
severamente, tanto che mi fece sentire in colpa già da quel
momento. Ale si
fece spazio fra noi, mentre ancora ci lanciavamo quegli sguardi
intensi, e nel
bagno si piegò con la faccia nel cesso.
Due viaggi dimensionali nello
stesso giorno su di lei non avevano proprio un bell’effetto.
«Mi
spieghi che cosa c’è che non
va?», domandai con più cautela a mio fratello.
Stavo iniziando seriamente a
preoccuparmi.
«Ho
avuto una paura tremenda!»,
strillò, di nuovo sull’orlo del pianto.
«Hai rischiato come una cretina
portando Ale con te nell’altra dimensione, lo sai?! Hai
rischiato di perderla
chissà dove riportandola qui! Te ne eri dimenticata, proprio
come me!»
Spalancai
la bocca. Non ci avevo
nemmeno pensato! Avevo portato Ale nell’altra dimensione e
l’avevo riportata a
casa senza nemmeno pensare che nessuno della sua famiglia era a
conoscenza
della dimensione parallela, quesito necessario per riuscire a tornare
senza
perdersi, appunto, chissà dove.
Ma allora perché era riuscita a
tornare, nonostante tutto? Per
fortuna.
«Oh
Dio mio», mi scappò un
singhiozzo e mi tappai la bocca con una mano per soffocarne degli
altri, mentre
le lacrime iniziavano a rigarmi il viso. Solo ora mi ero resa conto del
rischio
che avevo corso. Avevo rischiato di perdere la mia migliore amica.
Ale,
che aveva ascoltato tutto e
che intanto si era alzata e si era sciacquata la bocca,
barcollò da me e mi
avvolse le braccia intorno alla schiena.
«Oddio
Ale, scusa. Scusa, scusa,
scusa», farfugliai, aggrappandomi a lei con tutte le mie
forze.
«Shhh,
smettila di piangere. Sono
ancora qui, no?», mi sorrise, anche se glielo leggevo negli
occhi che anche lei
stava lottando con la paura in quel momento, proprio come me.
«L’importante è
che non mi è successo niente e che sono qui.»
«Già…»,
sospirò Davide, tirando
su col naso e passandosi una mano sul viso. «Ora
però mi chiedo… perché è
riuscita a tornare ugualmente?»
«Beh»,
ridacchiò la diretta
interessata. «Dopotutto voi siete un po’ la mia
seconda famiglia, no?»
La
avvolsi in un nuovo abbraccio e aggiunsi a noi anche mio fratello.
Rimanemmo uniti per un momento che sembrò eterno, cullandoci
l’un l’altro. Poi
mamma ci chiamò: la cena era in tavola.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Scusate il mio
deplorevole
ritardo °-°
Questa volta sono proprio imperdonabile, sono passati due mesi e mezzo
dal mio ultimo aggiornamento!
Ma so che voi siete buone e clementi e mi perdonerete *-* Anche
perché mi sono data da fare, questi ultimi due giorni, e vi
ho sfornato questo nuovo capitolo!
Spero davvero che i miei sforzi siano serviti e che vi piaccia :D
Ringrazio di cuore music__dreamer,
che non manca mai *-* Dovrò farti un monumento xD
E ora vi lascio :) Buona lettura!
Capitolo
13
«E
se non fosse strettamente
necessario che una persona della famiglia sappia dei viaggi
dimensionali?»,
esordii all’improvviso, facendo sobbalzare Ale nel suo letto,
sopra al mio. Si
era addormentata e con la mia esclamazione l’avevo fatta
spaventare.
Quella
sera, dopo ciò che avevamo
rischiato, non me l’ero proprio sentita di stare lontana da
lei, così ero
andata a casa sua a dormire. Però, nonostante la stanchezza,
non ero riuscita a
chiudere occhio: continuavo a pensare a perché Ale fosse
riuscita a tornare e
forse ero arrivata ad una conclusione più o meno plausibile.
«Eh?»,
mi chiese con la voce rauca
ed assonnata.
Mi
levai frettolosamente le
coperte di dosso e salii le scalette laterali che portavano al suo
letto, su
cui mi misi seduta, al suo fianco.
«Ma sì, è ovvio! Sono quasi certa
che sia per questo motivo che tu sia riuscita a tornare!»
«Ti
prego… non urlare e,
soprattutto, spiegami tutto da capo che non ho capito
niente», sbadigliò.
La
presi per le spalle e la
scrollai, con un sorriso estasiato sul viso. «Tu sei riuscita
a tornare
nonostante nessuno della tua famiglia sapesse dei viaggi dimensionali,
no?» Lei
annuì. «Quindi, pensavo… E se bastasse
solo una persona che sappia degli
spostamenti fra dimensioni? Mio fratello sapeva che tu saresti andata
nell’altra dimensione e che saresti tornata con me, per
questo non è successo
nulla di spiacevole. Certo, la mia è solo una teoria e
dovrei parlarne con
Fiore, ma… potrebbe essere la soluzione al problema che mi
pongo da settimane!»
Portai
lo sguardo, acceso di
eccitazione, sulla sua faccia gonfia di sonno e mi resi conto che
parlare con
lei alle due di notte era inutile: sarebbe stato più
produttivo discutere con
un muro.
«Ne
parliamo domani, dai», le
sussurrai e le passai una mano fra i capelli. Si rilassò in
un attimo, come
avevo previsto, e chiuse gli occhi, di nuovo nel mondo dei sogni.
Quanto
volevo bene alla mia
migliore amica lo sapeva solo Dio.
***
«Mi
raccomando, divertitevi
ragazze», urlò mamma dal vialetto di casa,
sventolando una mano nella nostra
direzione.
«Sì,
e non ti preoccupare troppo!
Ciao Davide!» Salutammo anche lui e poi ci avviammo verso la
fermata
dell’autobus.
Una
normalissima giornata al
mare, io e Ale. O almeno lo sarebbe stata, se avessimo preso veramente
l’autobus. La verità è che non ci
salimmo mai, usammo un altro metodo per
andare in spiaggia: il mio.
Riaprimmo
gli occhi e ci
ritrovammo comodamente sedute sui divanetti nel giardino della villa
dei Jonas
Brothers. Niente capitomboli, niente nausea, nulla di nulla.
«Ary,
sei migliorata davvero»,
constatò Ale al mio fianco, stupita.
«Oh,
ti ringrazio per la stima
che mi riservi», ridacchiai.
Mi voltai verso di lei e vidi che
si era già alzata e si era affacciata nel salotto.
«RAGAZZI!»,
gridò.
Non
ricevendo alcuna risposta,
entrammo in casa. Ci guardammo un po’ attorno, nel salotto e
in cucina, ma erano
deserte.
Ebbi un guizzo nello stomaco al
pensiero che potesse essergli successo qualcosa. In ansia, corsi su per
le
scale, con Ale che a stento riusciva a seguirmi.
«Ary,
rallenta! Non riesco a
starti dietro!», mi implorò col fiato grosso, ma
io non la ascoltai nemmeno: il
mio cervello era completamente andato in tilt.
Li
cercammo nei diversi bagni,
nello studio di registrazione, nelle loro camere.
«Dividiamoci: io vado a vedere in
quella di Nick, tu vai in quella di Joe», le dissi.
«Poi ci incontriamo in
quella di Kevin»
Mi
fece il segno d’ok con le dita
e corse verso la camera del piastrato, indicata da me. Io non fui da
meno e mi
diressi verso quella di Nick.
Vi entrai e rimasi subito
stordita dal suo profumo: era dovunque. Camminai fra le sue cose
facendo
attenzione, come se fosse un luogo pieno di insidie. Accarezzai il
bordo della
scrivania, la testata del letto, poi andai alla finestra.
«AAAAAAAAAAAAAAH!»
Mi
voltai di scatto udendo il
grido di Ale e nello stesso momento sentii un altro urlo alle mie
spalle, più
lontano, accompagnato da delle risate. Mi girai e guardai fuori dalla
finestra,
ma non vidi niente.
Sollevai il sopracciglio. «Me lo
sarò sognata quest’ultimo», mi dissi e
raggiunsi la mia amica.
«Che
cos’è successo?», gridai
guardandola, nel bel mezzo della camera di Joe.
«Lo
hanno rapito, lo hanno
rapito!», urlò disperata, con le mani sulla testa.
«Guarda, hanno messo a
soqquadro la camera, cercavano qualcosa!»
Io
ero allibita, ma presto mi
venne da ridere. «Ale… Ale, calmati, non lo hanno
rapito, almeno non credo.»
«Cosa?»
«Vedi,
la sua camera è sempre
così. È un disordinato cronico.»
La
sua espressione passò da disperata
a vergognosa, per poi diventare vagamente presuntuosa. Si strinse le
braccia al
petto e puntò il naso all’insù:
«Lo sapevo», sbottò.
«Sì,
certo», risi ed uscii dalla
stanza scuotendo il capo.
Qualche
secondo dopo la sentii
zampettare alle mie spalle ed affiancarmi. Andammo a vedere se erano
nella
stanza di Kevin, ma fu un altro buco nell’acqua.
C’era un solo posto che ancora
mancava e preferivo andarci da sola, visto che Ale non ne era a
conoscenza, per
questo le dissi che andavo a controllare ancora di sotto,
nell’altro giardino.
«Okay,
allora io cerco nelle
stanze in cui non abbiamo ancora guardato», mi disse.
Feci
le scale due a due e
controllai sul serio il giardino dall’altra parte della
villa, invano. Così
scesi ancora, nel piano sotterraneo, e raggiunsi il laboratorio. Sulla
soglia
della porta vidi tanti ometti con i camici bianchi provare a mandare
nell’altro
mondo i soliti oggetti, fare esperimenti e controllare i risultati su
enormi
computers, ma di Nick, Joe e Kevin nessuna traccia.
Tornai in salotto ancora più
preoccupata: dove si erano cacciati, quei cretini?
«ARY!»,
gridò Ale dal piano
superiore ed io mi affrettai per raggiungerla. «Forse ho
trovato qualcosa!»
Aprì una porticina che dava su
delle altre scale. C’era vento, questo voleva dire soltanto
una cosa: quel
passaggio portava al tetto.
«YA-UUUUUUUUUUUUUH!»
Ci
guardammo in faccia e,
spaventate, gridammo: «Joe!»
Corremmo su per le scale e
raggiungemmo il tetto. La luce del sole per un attimo ci
abbagliò, rendendoci
cieche, ma appena ci abituammo vedemmo i tre sguazzare felici e
contenti nella
piscina.
Sul piccolo trampolino c’era
Kevin, che in un batter d’occhio si buttò
giù e ci schizzò da capo a piedi.
«Li
ammazzo, giuro che li ammazzo»,
borbottò Ale, scrollandosi come un cane.
Trattenni
una risata fra le
labbra: dovevo ancora fare la ramanzina a quegli screanzati.
«Ragazzi!», gridai per attirare
la loro attenzione e ci riuscii, perché mi trovai addosso
sei occhi scuri.
«Ary!»,
esclamò sorpreso Nick,
con i ricci che gli si appiccicavano alle guance e al collo. Era
infinitamente
dolce.
«Vi
abbiamo cercato per tutta la
casa, ci avete fatto prendere un colpo! La prossima volta avvisate,
mettete un
post-it in cucina, sul televisore, qualsiasi cosa! “Siamo
nella piscina sul
tetto!”, insomma, sono solo cinque parole, non è
poi così impegna–» Qualcosa di
morbido e bagnato mi tappò la bocca e mi resi conto solo
dopo qualche secondo
che quelle erano le labbra di Nick, che intanto era uscito dalla
piscina e si
era avvicinato a me.
Il
cuore mi schizzò nelle tempie,
assordandomi. Le mani bagnate di Nick mi sfiorarono il viso per
infilarsi fra i
miei capelli e lo allontanai di scatto.
«Sei tutto bagnato, scemo!»,
gridai.
«Ormai
siamo tutte bagnate anche noi, che
te frega!», gridò Ale, ridendo.
«Beh,
dopotutto non ha torto…»
Incrociai gli occhi ammiccanti di Nick e mi spalmai su di lui,
riprendendo da
dove ci eravamo interrotti.
Passammo
tutta la giornata con
loro, restammo un po’ in piscina, poi decidemmo di andare in
spiaggia. Era una
bellissima giornata, era un peccato passarla immersi
nell’acqua al cloro,
invece che nell’acqua di mare!
Io
e Ale avevamo tutte le
intenzioni del mondo di passare una tranquilla giornata al mare ed
eravamo
state accontentate più o meno in tutto: avevamo preso il
sole, avevamo provato
a fare il castello di sabbia più grande del mondo, avevamo
giocato a calcio e a
pallavolo sulla sabbia… Quando avevamo chiesto di andare a
fare il bagno, però,
c’era stata una persona che si era rifiutata.
«No,
ve lo potete pure scordare!
Il sale mi rovina i capelli!»
Una persona a caso, proprio.
«E
dai, Joe!», sbuffai.
«Sei
proprio una checca!», gridò
Ale, imbronciandosi. Ma non sapeva quello che aveva appena causato.
Joe
si alzò, rosso di rabbia, e
la travolse. Caddero sulla sabbia e fecero una specie di lotta,
insultandosi
tanto che Nick mi coprì le orecchie per non farmi sentire,
come se fossi una
bambina piccola. Lo scacciai, ma a quel punto Ale e Joe probabilmente
avevano
finito il loro vocabolario di parolacce e si limitavano a guardarsi in
modo
truce negli occhi. Ad un certo punto parvero rabbonirsi e furono a
tanto così
dal baciarsi, ma Ale all’ultimo si era spostata e si era
alzata.
«Non
ho più voglia di fare il
bagno, vai tu Ary», mi disse sventolando una mano nella mia
direzione.
La
guardai con gli occhi
sgranati, poi guardai Nick e scrollai le spalle, scuotendo il capo. Mi
sciolsi
i capelli che per giocare avevo legato sulla nuca e mi avvicinai alla
riva per
sentire l’acqua: era perfetta, né troppo fredda
né troppo calda.
Entrai in acqua e mi immersi
chiudendo gli occhi, poi pian piano li aprii e mi guardai intorno. Solo
allora
mi accorsi di Nick, proprio alle mie spalle: i suoi riccioli
galleggiavano
nell’acqua e mi sorrideva, trattenendo l’aria
dentro le guance.
Lo
guardai negli occhi, mi
avvicinai e sentii un brivido correre veloce su per la schiena quando
mi attirò
a sé prendendomi per i fianchi. Mi aggrappai con le gambe
alla sua vita e gli
strinsi le braccia intorno al collo, i nostri sguardi si incrociarono
di nuovo
e ci volle veramente poco perché le nostre labbra si
unissero.
Lo
sentivo ovunque, non c’era un
centimetro di pelle non ricoperta dai brividi che lui mi provocava.
Sentii la sua mano scivolare dal
viso al collo, dal collo alla spalla, percorrere tutto il braccio ed
arrivare
alla mia mano; intrecciò le dita alle mie e la
portò all’altezza dei nostri
visi, poi iniziò a nuotare verso l’alto,
probabilmente senza più fiato. Ora che
ci pensavo, anche io ero rimasta senza.
In
superficie prendemmo due
lunghi respiri, per poi guardarci negli occhi e sorriderci,
riavvicinandoci
l’uno all’altra.
Mi strinse forte fra le sue
braccia magre e io ricambiai, sorridendo felice.
Ci
spostammo verso la riva, in
modo tale da poter stare seduti nell’acqua bassa.
«Mi
hai fatto proprio una bella
sorpresa, vendo a trovarmi oggi», disse, accarezzandomi un
fianco. «Grazie.»
«Non
devi ringraziarmi. Io sono
la prima a voler venire», sorrisi. «E poi oggi non
sono venuta solo per te.»
«Ah
sì? E per chi altro?», mi
domandò incuriosito.
«Devo
parlare con Fiore, forse ho
scoperto una cosa che cambierà le vite a molte persone che
sono state
catapultate qui.»
Nick
rimase in silenzio per
qualche secondo, poi sorrise. Non chiese altro, in compenso disse:
«Dopo ti
accompagno, se vuoi.»
«Mi
farebbe molto piacere.»
Mi
prese per i fianchi e mi fece
un po’ di solletico, ridendo divertito.
«Oddio, oddio, il solletico no!»
Sapeva quanto lo soffrivo, era scorretto da parte sua.
Si fermò per un momento e mi
guardò negli occhi in modo languido. Eravamo stretti, io
sulle sue gambe, i
visi a pochi centimetri di distanza.
«Ary,
io ti devo dire una cosa»,
mormorò fissando le mie labbra.
«Di
che si tratta?»
«Io…
io ti…»
Due
urli striduli ci fecero
sobbalzare dallo spavento, interrompendo Nick.
«Siete
sempre a fare i
piccioncini voi due, eh, non vi smentite mai!»,
gridò Ale, ridendo
sguaiatamente accanto a Joe.
«Avete
fatto pace, voi due?»,
berciai infastidita. Nick non disse niente, sembrava soltanto afflitto.
«Sì!
E si da' il caso che abbia
convinto Joe a fare questo stupido bagno!» Lo prese per il
braccio e lo strinse
con forza, trascinandoselo dietro, verso l’acqua alta.
Joe
ci guardò e in labiale disse:
«Adoro questa ragazza», facendo alcune fra le sue
espressioni più famose da
pervertito.
«Tanto
non ci puoi fare niente di
che!», gli ricordò Nick, sfoggiando
l’anello che aveva al dito, identico a
quello dei due fratelli.
Joe annuì sconsolato, ma poi
scrollò le spalle e non fece in tempo a dire o a fare altro
che venne
scaraventato in acqua.
Io
gli davo le spalle e il mio
sguardo, infatti, ebbe tutto il tempo di indugiare su
quell’anello. Un anello
di castità.
Me ne avevano parlato una sera,
quando ancora non sapevo del mio dono. Anzi, ero stata proprio io a
chiedergli
che cosa stessero a significare quegli anelli che tutti e tre portavano
a un
dito della mano destra.
«È
l’anello della purezza», mi
avevano detto e mi avevano spiegato che essendo cristiani la fede per
loro era
molto importante e avevano deciso di rimanere vergini fino al
matrimonio.
Nonostante la mia espressione
neutrale e comprensiva, sotto sotto ne ero rimasta sconvolta: non era
da tutti,
soprattutto da dei ragazzi dai sedici ai vent’anni, pensare
una cosa del
genere.
In
quel momento ci pensai
seriamente per la prima volta e mi arrabbiai. Non so precisamente
perché,
dopotutto rispettavo la decisione di Nick e degli altri, ma pensare che
se
avessi voluto concedermi a lui, lui mi avrebbe allontanata mi faceva
saltare i
nervi. Non che io volessi concedermi a lui, però
ecco…
«Ary?
Posso sapere a che cosa
stai pensando?»
Scossi il capo con insistenza,
per allontanare tutti quei pensieri, ed incontrai il suo sguardo
sbarazzino,
ancora da bambino.
«Sei tutta rossa!»
«Non
è vero!», squittii e gli
schizzai il viso.
«Questa
me la paghi», disse e mi
fece cadere in acqua.
***
Charlotte
abbassò il capo mentre
la sua amica bionda continuava a scattare foto.
«Finalmente
quei tre capiranno
che con noi non si scherza. Con queste foto potremo ricattarli! Si
tengono
tutta per loro quella strega e la lasciano andare liberamente di qua e
di là.
Non possono fare nulla contro di noi, abbiamo finalmente le prove e a
meno che
non vogliano passare dei guai seri, dovranno sottostare a noi. Non ho
ragione?»
«Fottutamente.
Sei diabolica»,
disse la mora, sorridendo malefica.
«Che
cos’hai, Charlotte? Non ti
ho mai sentita così silenziosa», sbottò
la bionda, vagando su di lei col suo
sguardo indagatore.
«Niente»,
mormorò la rossa.
La verità era che non avrebbe
voluto fare nulla a Nick, anche se l’aveva cacciata
preferendo quella ragazza.
Avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, avrebbe dovuto fare lei
stessa quelle
foto per poi ricattarlo a tornare con lei, ma… no, non era
giusto, il suo cuore
le diceva che tutto era dannatamente sbagliato.
Sentì
dei passi alle sue spalle,
si voltò e fece appena in tempo a vedere un viso sfigurato,
pieno di rughe e
con un ghigno terrificante al posto della bocca, prima di cadere nel
buio più
totale.
***
«Uhm,
uhm…» Guardai Fiore
gironzolare per il salotto a piedi nudi, le braccia strette al
petto. Nick era
seduto al mio fianco – quella volta Alessandro lo aveva
lasciato entrare – e mi
teneva la mano.
«Non ci avevo mai pensato!»,
esclamò alla fine Fiore, voltandosi verso di me e sorridendo
sorniona.
«Quindi
siamo punto a capo»,
sbuffai, reggendomi la testa con una mano. «Speravo che
almeno tu potessi darmi
qualche consiglio, potessi fare qualche ipotesi…»
«Potresti
fare qualche
esperimento», mi mise la pulce nell’orecchio,
facendo un saltello indietro,
come se si fosse spaventata del suo stesso suggerimento.
«E
rischiare l’incolumità di una
persona che non c’entra nulla? No, grazie», esclusi
l’opzione a priori.
«E
cosa intendi fare, allora?»
«Niente»,
mugugnai. «È tutto
troppo complicato per me, non so più che
cosa…»
«Se
non vuoi nemmeno tentare,
porta a casa solo i bei culetti dei tuoi amichetti», disse
sprezzante
Alessandro, seduto sul divano.
«Che
cosa vorresti dire, che tu
rischieresti la vita di una persona così?», lo
guardai allibita, mentre il mio
tono di voce continuava ad alzarsi. «La mia è solo
un’ipotesi, non sono affatto
sicura che…»
«Sì!
Sì, ne rischierei una, se
fosse utile a salvarne tantissime altre!»
Si alzò dal divano, si piazzò di
fronte a me e sbattè una mano sul tavolo, fissandomi serio
negli occhi. «Mi
offro come cavia.»
Sia
il mio respiro, che quello di
Fiore, si spezzarono.
«No!»,
gridò lei, disperata. «No,
no, no! Tu non ti muovi da qui, è troppo pericoloso! Tutti,
ma non tu! Io ti
amo troppo per lasciarti fare una cosa del genere!» Lo
abbracciò, ma Alessandro
la scostò da sé quasi bruscamente.
«Stai
lontana, Fiore. Ormai ho
deciso, voglio che tu provi a portarmi di là.»
«Ma…»,
provai a ribattere.
«Niente
ma», mi interruppe sul
nascere. «Se l’esperimento va a buon fine avremo la
conferma che ci si può
spostare senza che la propria famiglia sappia necessariamente di questa
dimensione e moltissime
persone potranno tornare a casa!»
«E
se non andasse a buon fine?»,
gli domandò Nick.
Sorrise
dolcemente. «Mi sarò
sacrificato per una buona causa.»
***
Sospirai
ancora una volta,
immersa in tutti i miei dubbi.
Ero fra le braccia di Nick, lui
mi accarezzava i capelli e insieme guardavamo le stelle, sdraiati sulla
sabbia,
cullati dal respiro del mare, delle onde che si schiantavano a riva e
sugli
scogli, eppure non riuscivo a rilassarmi.
«Che
cos’hai?», mi chiese in un
sussurro, posandomi un bacio sulla tempia.
«Sono
stanca», mentii.
«Quindi
l’esperimento che dovrai
fare con Alessandro non ti preoccupa per niente.»
«Okay»,
sbuffai sorridendo.
L’aveva capito subito che gli avevo detto una balla.
«Sono preoccupata, molto
preoccupata. Vorrei soltanto portarvi a casa e non pensarci
più, ma…»
«Sei
troppo buona, Ary.» Mi
guardò languido negli occhi e mi sorrise, stampandomi un
lieve bacio sulle
labbra.
«Se
tu fossi stato al mio posto
sono certa che saresti nella mia stessa situazione, non sei
così menefreghista.»
«Già…»
Ma era evidente che non
aveva ascoltato neanche una parola di quello che avevo detto.
Mi
baciò di nuovo, questa volta
con più passione, rotolandomi sopra. Mi accarezzò
i fianchi, intrufolando le
mani sotto la mia maglietta, ed io andai a fuoco.
Come quella mattina, lo sentivo
dovunque. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto e non
sepevo più cosa
fare: il mio corpo si comportava in un modo strano, lo sentivo
avvilupparsi
sempre di più a quello di Nick, e avevo iniziato persino a
sospirare,
nonostante mi stesse soltanto baciando il collo.
I pensieri che la mia mente aveva
partorito quella mattina, vedendo il suo anello della purezza,
tornarono ad
ossessionarmi e… ero così sicura di non voler
concedermi a lui? Infondo lo
amavo. Lo amavo…
Gli
infilai una mano fra i capelli
e li tirai dolcemente per fargli sollevare il capo. Quando i nostri
visi furono
ad un palmo l’uno dall’altro mi resi conto di
quanto entrambi avessimo il
fiatone.
Nick mi guardava come se avesse
fatto qualcosa che non doveva fare inconsapevolmente, confuso.
«Dovevi
dirmi qualcosa,
stamattina. Cosa?»
Nick
boccheggiò, preso alla
sprovvista. «Io… io volevo solo dirti…
t–»
«ARY!»,
gridò Ale, correndo verso
di noi con un atletico Joe al seguito.
Io
e Nick ci affrettammo per
sistemarci e quando Ale e Joe furono di fronte a noi fu come se non
fosse
successo nulla.
«Andiamo?
Dobbiamo essere di
nuovo a casa fra poco, l'autobus di ritorno è quasi
arrivato», disse
controllando l’orologio che aveva al polso.
«Giusto,
sì, andiamo», annuii col
capo.
Mi alzai e mi pulii un po’ i vestiti dalla sabbia, Nick mi
aiutò
strofinandomi un polpaccio e capii solo quando incrociai i suoi occhi
malinconici che avrebbe davvero voluto dirmi quella cosa.
Così attesi, senza
dire niente.
«Torna
presto», sfiatò sfuggendo al mio sguardo.
Non era ciò che aveva l’intenzione di dirmi, ma
lasciai
perdere.
«Certo
che torno presto», risposi
con un tenue sorriso.
«Pronta?», domandai ad Ale. Lei
guardò Joe, che le strizzò l’occhio, e
fece di sì con la testa.
«Buonanotte
ragazzi, a presto!»,
li salutai agitando una mano e Ale strinse forte gli occhi.
Quando
li riaprì eravamo sedute
sulla panchina della fermata dell’autobus e questo era appena
ripartito.
Sorrise e mi avvolse le spalle
con un braccio. «Sì, la mia amica è
diventata proprio brava. Ti fermi a dormire
da me?»
«No»,
risposi con voce flebile,
alzandomi e rivolgendo lo sguardo alla luna. «Ho bisogno di
stare un po’ da
sola, questa notte.»
Ale
mi guardò con la fronte
corrugata, senza capire che cosa avessi, poi mi raggiunse accennando
una
corsetta.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Okay, è
passato tantissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, ma ho scritto
appena ho potuto, davvero D:
Spero che mi perdonerete e che il capitolo vi piaccia ;)
Ringrazio __PleaseStay
che ha lasciato una recensione allo scorso capitolo. Grazie davvero :D
E prego le altre lettrici di questa FF di tornare e di lasciare qualche
commento, perchè siete voi a stimolarmi di più!
*-* (Quindi più recensioni = meno tempo a scrivere ed
aggiornare! xDD)
Grazie comunque anche a chi ha letto soltanto ;)
Buona lettura!
:D
Capitolo
14
Sospirai
ancora una volta e mi
tirai qualche pugnetto sulla fronte, parlando a bassa voce tra me e me:
«Che
cosa devo fare, che cosa devo fare, che cosa devo fare?»
Non
ne avevo proprio la più
pallida idea, la mia testa era un pallone pieno di inutile, leggera
aria e sulle mie
spalle gravavano responsabilità e scelte troppo pesanti, che
forse non ero in grado di
sostenere.
Chi ero io per poter decidere ed influire così tanto sulle
vite di
quelle persone che per sfortuna o cos’altro, erano finite in
quella dimensione
parallela? Era davvero mio compito aiutarle tutte? Forse avrei avuto
davvero
meno rompicapi se avessi riportato a casa solo le persone che mi
interessavano,
ma la mia coscienza non avrebbe retto al pensiero di aver lasciato
indietro
tutte le altre, non sarei mai stata capace di fregarmene
così.
O forse dovevo fare come aveva
fatto Fiore, decidere da che parte stare definitivamente, senza
possibilità di
ritorno e senza aiutare nessuno? Un’altra scelta…
la mia famiglia e la mia vita
o Nick e l’amore che provavo per lui.
Tornai
a picchiettarmi le nocche
sulla fronte, con gli occhi lucidi dalla stanchezza e dalla morsa
d’acciaio che
mi attanagliava il cuore.
Alle
mie spalle qualcuno aprì la
porta e un fascio di luce proveniente dal corridoio
attraversò la stanza, fino
ad arrivare a me. Vidi mia madre in controluce, che mi sorrideva
dolcemente.
«Che ci fai ancora sveglia?», mi
chiese piano, socchiudendo la porta ed avvicinandosi a me. Si mise
seduta al
mio fianco sul davanzale della finestra e mi osservò, mentre
io avevo lo
sguardo rivolto verso la luna che brillava per metà nel
cielo scuro.
«Non
riesco a dormire», risposi,
sospirando stancamente. «Ho mille pensieri che mi vorticano
in testa.»
Lei
sorrise comprensiva. «Si
tratta di quel famoso ragazzo?»
Pensai
a Nick, l’altro rompicapo.
Persino lui mi dava da pensare, facendo sempre di tutto per dirmi
quella cosa e
non riuscendoci mai, puntualmente.
Mi chiedevo in continuazione che
cosa avesse di così importante da dirmi, per la quale stava
male quando non
riusciva nel suo intento. A dirla tutta iniziavo anche a preoccuparmi,
ma non
tanto come mi preoccupava il fatto che Alessandro volesse fare da cavia
per
l’esperimento che avrebbe dato fondamento – o quasi
– alla mia teoria.
«Tesoro…»,
richiamò la mia
attenzione e mi accarezzò docilmente i capelli con una mano.
«Scusa»,
dissi subito, incrociato
il suo sguardo.
«Non
hai nulla di cui scusarti,
capita quando si è innamorati», mi sorrise.
«L’importante è fare chiarezza
dentro di sé e capire ciò che si vuole davvero,
qual è la cosa giusta da fare.»
«Fosse
facile, capire qual è la
cosa giusta da fare…», sospirai.
«C’è
chi è convinto che la
razionalità sia tutto, che con essa si giunga sempre alla
soluzione giusta, ma
io penso che ascoltare il cuore, agire d’istinto, sia sempre
la cosa migliore.
Fai quello che ti senti, senza pensarci troppo. Io ho sempre fatto
così.»
«E
se poi non è la cosa giusta?»,
domandai, mordicchiandomi il labbro.
Mamma
scrollò le spalle e mi
attirò in un abbraccio. «Avevi le stesse
probabilità di fallire utilizzando la
ragione.»
***
Mi
presi un po’ di tempo per
riflettere, esattamente quattro giorni.
Non andai a trovare Nick e gli altri
per ben quattro giorni, mi concentrai sulla mia vita, in particolar
modo sulla
scuola - per quanto potesse ancora servire, visto che c’erano
molte probabilità
che perdessi l’anno - ed aspettai che il mio cuore e il mio
istinto facessero
la decisione al posto mio, comunicandomela in seguito. O almeno,
così avevo
sperato che avvenisse, ma il quarto giorno di silenzio mi dissi che
avevo
sicuramente sbagliato qualcosa, oppure non era così
automatico come mi aveva
detto mamma, così… istintivo, prendere una
decisione.
Ale
era stata testimone oculare
di tutto quello che avevo fatto in quei giorni e alla fine, proprio
come me,
decise di darci un taglio, dicendomi: «Allora, hai deciso
cosa fare sì o no?»
Sarà
stato il suo tono di voce,
la sua espressione un po’ spazientita e un po’ in
ansia, la mia pazienza che
era giunta al limite, ma fu allora che sentii la voce del mio istinto
rispondere per me: «Sì, tenterò
l’esperimento con Alessandro.»
La
mia migliore amica quasi non
si strozzò col suo succo di frutta, sorpresa quanto me. Poi,
dopo essersi
ripresa, disse: «Cosa stiamo aspettando, andiamo!»
«No»,
risposi grevemente. «Io
vado, tu no.»
«Che
cosa?», balbettò, incredula.
«Stai scherzando, vero?»
«No,
Ale. Io… preferisco fare
questa cosa da sola, andare là da sola, fare quello che devo
fare, provarci e…
Mi dispiace.»
Ale
tentennò, indecisa se urlarmi
contro oppure incoraggiarmi. Quella situazione era così
strana, nessuno sapeva
cosa fare, eravamo tutti guidati dall’istinto. Il suo, le
disse di sedersi al
mio fianco e di abbracciarmi forte, dandomi leggere pacche sulla
schiena e
dicendomi: «Vedrai, andrà tutto bene, ce la puoi
fare.»
Così
partii, mi trasferii
nell’altra dimensione, col cuore ancora in tumulto per quella
decisione
affidata alla sorte, con l’intenzione di avvisare Alessandro
della mia
decisione e di recuperare tutto il materiale necessario per farlo
conoscere
almeno in parte a mio fratello, nell’altro mondo.
Appena arrivata, però, sentii
nell’aria che qualcosa era successo. Con passo nervoso entrai
nell’enorme villa
dei Jonas Brothers e vidi tutto capovolto, come se fosse entrato in
casa un
gruppo di elefanti africani. Non provai nemmeno a cercare i tre
fratelli quella
volta, ero certa che non ci fossero, anche se quando sentii delle voci
provenire dal piano sotterraneo – il laboratorio –
una folle speranza nacque
dentro me, tanto da farmi rimanere lì nel bel mezzo del
salotto messo a
soqquadro come una statua di marmo.
Due
uomini che non avevo mai visto,
barbuti e piuttosto muscolosi, finirono la rampa di scale e mi videro.
Subito
mi corsero incontro, urlandosi a vicenda che non dovevo scappargli, ed
io
fuggii via come una scheggia, senza pensarci due volte, con la paura
che mi
faceva scoppiare il cuore nel petto e mi spingeva a correre come avevo
fatto
poche volte nella mia vita.
Mi
inoltrai nel bosco che
nascondeva la villa dei Jonas, sperando di seminarli, ma caddi
più e più volte
inciampando sulle radici degli alberi. L’ultima volta mi feci
parecchio male ad
un ginocchio e intanto i due uomini si avvicinavano sempre di
più. Ero
spacciata: la ragione mi diceva che dovevo alzarmi e correre ancora, il
cuore
scosso dalla paura non era altrettanto incoraggiante e mi faceva
pensare che
ormai ero nelle loro mani; l’istinto, invece, mi urlava a
gran voce che io
avevo un vantaggio che loro non potevano avere: il mio dono. Fu allora
che
scoprii che potevo viaggiare non solo da una dimensione
all’altra, ma anche
teletrasportarmi da un luogo all’altro nello stesso mondo.
I
due uomini, ad un passo da me e
pronti ad afferrarmi, mi videro scomparire di fronte ai loro occhi.
Col
respiro mozzato e il cuore
che mi rimbombava nelle orecchie li sentii litigare furiosamente, al
sicuro
dietro lo spesso tronco di albero poco distante. A parte la serie di
insulti che si rivolsero, capii che avrebbero dovuto catturarmi per
portarmi da
una certa vecchia, che aveva promesso a chiunque mi avesse trovata il
viaggio
di ritorno nell’altra dimensione.
Realizzai immediatamente chi fosse la vecchia
in questione e strinsi i pugni sulle ginocchia, pensando che quella
bugiarda
stava ingannando tutti: lei non aveva il potere di viaggiare fra le
dimensioni,
voleva solo impossessarsene e per farlo non le dispiaceva affatto
imbrogliare e
sfruttare quella povera gente che avrebbe fatto di tutto per tornare a
casa.
Tutte
quelle cose, avrei voluto
dirle ai miei due inseguitori, ma preferii non rischiare e con la mia
nuovissima conoscenza chiusi gli occhi e mi concentrai per
teletrasportarmi a
casa di Fiore: lei avrebbe saputo spiegarmi sicuramente di
più su tutto quello
che era potuto essere successo durante la mia assenza.
Sentii
un grande vuoto allo
stomaco quando riaprii gli occhi, nel salotto di casa sua, e vidi tutto
sotto
sopra proprio come nella villa dei Jonas. Affinai l’udito per
scoprire se ci
fosse qualcuno, ma quella volta sembrava proprio non esserci nessuno.
Che fosse successo qualcosa anche
a lei?
Mi
portai le mani nei capelli,
con gli occhi lucidi dalla disperazione, e mi raggomitolai su me
stessa, con le
spalle al muro.
Iniziai a piangere come una
bambina, sentendomi sola e sperduta, terrorizzata che potesse essere
accaduto
qualcosa ai miei amici e a Nick. Il mio cuore fece una capriola,
pensando a lui,
e dovetti tapparmi la bocca per soffocare un singhiozzo: nonostante non
ci
fosse nessuno, avevo una tremenda paura.
La
mia paura si rivelò fondata,
dopotutto, perché presto sentii dei rumori provenienti dalla
cucina. Provai ad
alzarmi e a scappare, ma il ginocchio a cui mi ero fatta male cedette,
facendomi ruzzolare di nuovo a terra.
«Arianna.
Arianna, ti sei fatta
male?», bisbigliò una voce che riconobbi subito,
con mio grande sollievo.
«Alessandro,
stai bene… dov’è
Fiore? Che cos’è successo? Perché la
casa dei Jonas è a soqquadro? Dove sono
loro?»
Il
ragazzo mi sorrise caldamente
e si chinò su di me per sollevarmi, con un braccio intorno
alla mia schiena ed
uno sotto le mie gambe piegate. «Una domanda alla volta,
okay?»
«Dove
stiamo andando?»
«Al
rifugio d’emergenza. È troppo
pericoloso restare qui, potrebbero tornare.»
«Chi?
Chi potrebbe tornare?»
«Tutti
quelli che si sono bevuti
il bel discorsetto di quella vecchiaccia maledetta»,
biascicò con rabbia ed
aprì una botola che non avevo mai notato sotto il tavolo
della cucina. «Mi
dispiace, ma devo lasciarti andare. Non aver paura, pensa che sia uno
di quei
tubi di plastica dei McDonald’s.»
Lo
guardai senza capire e quando
afferrai ciò che avrebbe fatto era troppo tardi: non riuscii
ad aggrapparmi a
nulla e caddi nel tunnel buio nel quale mi aveva lasciata cadere. Mi
trattenni
dal gridare, anche se ne avevo tutte le ragioni, e
l’atterraggio non fu da
meno, perché caddi col sedere sulla sabbia, facendomi un
male cane.
Fiore
mi venne subito incontro,
con quei suoi occhi vacui e un’espressione preoccupata in
volto. «Arianna»,
parlò a bassa voce - a malapena riuscivo a sentirla -
chinandosi su di me. «Che
ci fai tu qui?»
Non ebbi il tempo materiale per
rispondere, sia io che lei sentimmo qualcuno scendere dallo stesso tubo
e ci
spostammo in fretta e furia, per paura che ci venisse addosso.
Ale
atterrò coi piedi,
perfettamente coordinato e con un sorriso stampato sulle labbra. Lo
odiai: lui
lo aveva già fatto, sapeva a cosa andava incontro, se almeno
mi avesse
avvisata!
Fiore
si rivolse subito a lui,
con un tono quasi di rimprovero: «Che ci fa lei
qui?»
«L’ho
trovata nel nostro salotto,
che piangeva e con un ginocchio messo male; non potevo lasciarla
lì, con quella
banda di scemi in giro! Se l’avessero trovata
l’avrebbero sicuramente portata
dalla vecchiaccia!»
La
ragazza svampita lo guardò,
quella volta con gli occhi intrisi d’amore, e mi
accarezzò i capelli sulla
testa. «Ora va tutto bene, sei al sicuro qui.»
«Ah,
ho portato altre provviste»,
esordì Alessandro, togliendosi dalle spalle uno zaino che
doveva essere davvero
pesante. Si allontanò dal tubo e da noi ed io lo seguii con
lo sguardo, potendo
per la prima volta vedere in che posto fossi finita.
Era
una grotta, nulla di più e
nulla di meno, e se facevo attenzione potevo sentire il respiro del
mare al di
là della parete di fronte a me. In alto c’era una
piccola fessura che faceva
entrare la luce del sole e un po’ di aria profumata di
salsedine e sulle pareti
di roccia grezza erano state incavate delle piccole nicchie usate come
dispense
per i viveri oppure gli oggetti essenziali.
In mezzo alla caverna c’era una
piccola catasta di legnetti e rami che accesi facevano da
riscaldamento,
posizionati vicino ad essa c’erano due sacchi a pelo.
Riportai
il mio sguardo su
Alessandro e lo vidi avvicinarsi con una cassetta dei medicinali in
mano. Si
chinò di fronte a me e mi tirò su il tessuto dei
jeans fino al ginocchio,
scoprendo la sbucciatura che mi ero fatta cadendo a terra. Ne rimasi
sorpresa,
perché non me n’ero nemmeno accorta: in confronto
alla botta che aveva ricevuto
non era niente. Me la disinfettò con cura, poi mi avvolse
una garza intorno al
ginocchio e rimirò la sua opera con sguardo soddisfatto:
«Penso che possa andar
bene.»
«È
perfetto, grazie», sorrisi
ringraziandolo. «Ora potete rispondere alle mie
domande?»
Fiore
guardò il compagno e lui
alzò le spalle, ridacchiando.
***
La
vecchia strega che aveva
tentato di imprigionarmi per rubarmi i poteri e che poi aveva anche
cercato di
separarmi da Nick, era tornata alla carica con un nuovo piano:
sbandierare a
tutti la mia relazione con Nick, grazie a delle foto che da quello che
si era
venuto a sapere erano state scattate dalle tre cheerleader, ormai sotto
il suo
controllo; con quelle aveva fatto un bel discorso in piazza, di fronte
a tutto
il popolo, dicendo che l’unica cosa che mi interessava era
portare a casa i
Jonas e che loro non erano affatto i paladini di quella
città, ma i primi che
tramavano alle loro spalle per fuggire dalla seconda dimensione.
Così aveva
offerto come ricompensa per la mia cattura il viaggio di ritorno
nell’altra
dimensione, nonostante non avesse la possibilità di
offrirlo: ma non era un
problema, a lei bastava soltanto ricevere ciò che voleva,
ossia il mio potere.
I Jonas, invece, erano stati sequestrati e portati nella sua
casa-labirinto,
piena di insidie e di pericoli, ma non si sapeva nulla di
più sulle loro
condizioni.
Quando
Fiore aveva finito di
raccontarmi tutta la storia, mi ero rinchiusa in me stessa, nel mio
silenzio,
nel mio dolore.
Se non fossi stata via così tanto
tempo, se avessi deciso prima… tutto quello non sarebbe
successo.
Mi
sentivo infinitamente in colpa
e dopo mesi e mesi il mio odio verso il mio potere, quello che avevo
combattuto
a lungo prima di vederne il lato positivo, era tornato. Ma solo per un
attimo:
sapevo che grazie al mio dono avevo potuto conoscere Nick ed
innamorarmi di lui
e sapevo anche che proprio grazie ad esso ora potevo anche salvarlo.
Sdraiata
accanto alla parete di
roccia nuda e fredda dalla quale riuscivo a sentire le onde
infrangersi, avevo
pensato molto e quando Fiore si avvicinò a me per porgermi
un bicchiere d’acqua,
mi voltai e lo accettai volentieri, tracannandolo tutto in un sorso
solo.
Poi, parlai: «Sono venuta da
questa parte perché ho preso la mia decisione. Forse ci ho
messo un po’, ma ho
deciso di tentare con l’esperimento, se Alessandro
è ancora d’accordo.»
Il
sorriso di Fiore lentamente
svanì, mentre impallidiva. Alessandro, invece, ebbe la
reazione opposta: era
contento che avessi preso quella decisione, non vedeva l’ora
di provare a
viaggiare tra dimensioni.
«Però
forse è meglio se
rimandiamo tutto a domani, adesso è tardi e tu sei stanca
morta…», obbiettò
però, osservando il mio viso sciupato.
«Non
c’è un minuto da perdere»,
risposi, decisa ad andare fino in fondo alla questione. «E io
sto bene, non ti
preoccupare. Adesso vieni qui, ho bisogno di farti qualche domanda, in
modo
tale che mio fratello possa…»
«A
questo proposito, ci ho già pensato»,
disse e tirò fuori dal suo zaino due o tre fogli che
più che scritti sembravano
scarabocchiati. «Ho già scritto la mia biografia,
mi sono portato avanti»,
sorrise smagliante.
Presi
quei fogli fra le mani e
sorrisi quasi commossa. «Il tempo di darli a mio fratello e
di farglieli
studiare e torno. Tieniti pronto», lo salutai e sparii sotto
i suoi occhi.
L’atterraggio
nel mio mondo fu
piuttosto barcollante. Forse ero davvero stanca come aveva detto
Alessandro, ma
non c’era tempo per riposare, dovevamo provare a dimostrare
che c’era un modo
semplice per far tornare buona parte della gente nella propria
dimensione e poi
correre a salvare Nick, Joe e Kevin.
Entrai
in casa e salutai mia
madre che stava preparando la cena, mettendocela tutta per apparire
normale.
Che io ci riuscii o meno, non lo avrei mai saputo, perché mi
lasciò andare
comunque.
Corsi su per le scale, facendo
parecchia fatica con il ginocchio che mi tirava e mi doleva, e mi
catapultai in
camera di mio fratello.
«Oh,
finalmente sei tornata!», mi
gridò sottovoce, per non farsi sentire. «Ma che
cosa… Ary, che cos’hai? Sembri
stravolta!»
Feci
in tempo a dargli la
biografia di Alessandro, poi, travolta da un mix di stanchezza e di
turbamento
per tutto ciò che era successo, scoppiai a piangere.
Davide
mi fece sdraiare sul
letto, accanto a lui, ed aspettò che mi calmassi, piuttosto
imbarazzato. Quando
smisi di piangere, esausta, lo notai mentre sforzava gli occhi per
leggere la
scrittura incomprensibile di Alessandro ed accennai un sorriso. Lui non
si
accorse del mio sguardo, allora io abbassai le palpebre, dicendomi che
avrei
dormito solo per qualche minuto, fino a quando Davide non avrebbe
finito di
“conoscere” Alessandro, e mi addormentai.
Quando
però mi svegliai era già
quasi l’alba. Mio fratello dormiva beatamente al mio fianco,
tutto scoperto,
con una gamba ed un braccio su di me e la bocca aperta in un leggero
russare.
Probabilmente
mi aveva fatto bene
dormire così tanto, però avevamo perso un sacco
di tempo utile a fare l’esperimento
e a portare in salvo Nick e gli altri. Per questo mi infuriai ed inveii
contro
di lui, spingendolo e buttandolo giù dal letto.
Davide cadde sul pavimento con un
tonfo sordo e si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno
spaventato. Mi
vide ancora sul letto, con gli occhi ridotti a due fessure, e
capì subito
quello che doveva essere successo.
«È
così che ringrazi tuo
fratello, che ha soltanto agito per il tuo bene? Eri stravolta,
Ary…», disse
con la voce ancora un po’ roca, mentre si passava le mani sul
viso per
svegliarsi.
«Grazie
mille per il pensiero.
Ora muoviamoci», lo esortai e non gli permisi di ricadere sul
letto, lo presi
per la maglietta del pigiama e lo trascinai al piano inferiore senza
fare il
minimo rumore: papà e mamma dormivano ancora e non dovevamo
svegliarli.
«Ma
davvero vuoi fare ora
l’esperimento? Mamma e papà si sveglieranno a
momenti e tu… dovresti farti una
doccia, sai?»
Lo
guardai malissimo, mentre
iniziavo a riempire uno zaino con il minimo indispensabile e alcune
cibarie. «Tu
forse non hai capito la gravità della situazione: Nick e gli
altri sono stati
rapiti da una vecchia megera che vuole assolutamente il mio potere e
per farlo
ha anche mentito ad un intero popolo, che ora mi dà la
caccia. Dobbiamo fare
l’esperimento il più presto possibile, far
sì che la gente creda a me offrendo
loro una reale possibilità di ritorno; solo così
riusciremo a liberarli!»
Davide
abbassò il capo ed annuì.
Andò a prendere la biografia di Alessandro ed io lo seguii
in camera sua. La
ripassò velocemente, mentre io mi davo una rapida lavata e
mi cambiavo, poi ci
preparammo per dare il via al nostro esperimento.
«Aspettami
a casa, io mi
teletrasporterò qui», dissi, di nuovo colpita dal
nervosismo. «Vedrai, Alessandro
ti starà simpatico.»
Davide
sorrise, capendo che stavo
cercando di tranquillizzare prima di tutto me stessa, e mi avvolse un
braccio
intorno alle spalle, sussurrandomi: «Andrà tutto
bene.»
Io
ricambiai e lo strinsi forte,
con le lacrime agli occhi. E se non fosse andato tutto bene?
Scacciai
dalla testa quei
pensieri, lo salutai e mi teletrasportai nella caverna che faceva da
rifugio a
Fiore ed Alessandro. Li trovai già svegli, stretti di fronte
ai carboni ardenti
del fuocherello. Vedendoli mi si strinse il cuore: sembrava che si
stessero
dicendo addio…
«Oh,
finalmente sei arrivata»,
esclamò Alessandro, non negandomi uno dei suoi sorrisi.
«Scusami,
mi sono addormentata»,
risposi in imbarazzo. «Tu sei pronto?»
«Eccome!»
Guardò Fiore, accanto a
lui, che non lo sembrava affatto, e le sorrise rassicurante, poi le
baciò la
fronte. «Tornerò amore, te lo prometto.»
La
ragazza non gli rispose, ma
gli strinse forte le braccia con le mani, implorandogli silenziosamente
di non
farlo. Alla fine però lo lasciò andare,
sconfitta, ed Alessandro mi venne
incontro con uno zaino simile al mio sulle spalle, mi prese la mano e
disse: «Andiamo.»
Tentennai,
non più così sicura di
volerlo fare, ma quando chiusi gli occhi nemmeno me ne accorsi di
essermi
teletrasportata nel mio mondo. Rimasi in silenzio e con gli occhi
chiusi per
diversi minuti e sentendo altrettanto silenzio iniziai a tremare e
calde
lacrime mi tracciarono il viso.
«Ary…»
Sobbalzai udendo la voce di mio
fratello e appena vidi la sua espressione dispiaciuta capii che
Alessandro non
era arrivato con me. Il cuore mi scoppiò nel petto e non
feci nulla per
trattenere i singhiozzi di puro dolore.
Non
ce l’avevo fatta, la mia
teoria non era stata confermata dall’esperimento, Alessandro
era finito chissà
dove… Fiore mi avrebbe odiata. Anche se io mi odiavo
già, perché oltre aver
perso l’opportunità di dimostrare a tutta quella
gente che c’era un modo più
semplice per tornare indietro e quindi salvare Nick, Joe e Kevin dalle
grinfie
di quella vecchia, avevo perso un amico.
Sentii
due mani afferrarmi per le
braccia e sbattermi contro quella che sembrava proprio roccia nuda.
Aprii gli
occhi per una frazione di secondo e vidi Fiore, che piangeva e mi
urlava in
faccia, poi all’ennesimo colpo alla schiena che ricevetti se
ne unì uno alla
testa, che mi fece perdere i sensi e sprofondare nel buio.
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo
15
Aprii
lentamente gli occhi e
dovetti sforzarli parecchio prima che riuscissi a mettere bene a fuoco
ciò che
mi circondava.
Mi faceva malissimo la testa, su
cui mi portai una mano, e avevo anche diversi dolori alla schiena.
Pian
piano gli ultimi ricordi che
avevo mi tornarono alla mente e mi si inumidirono subito gli occhi,
ripensando
ad Alessandro.
Perché aveva voluto rischiare in
quel modo la sua vita? Perché io gliel’avevo
permesso?
Mi
sedetti sulla sabbia e posai
la schiena contro la roccia nuda alle mie spalle. Ascoltai il silenzio
della
grotta, concentrandomi sul respiro del mare che veniva da fuori, ed
alzai gli
occhi verso la fessura che faceva filtrare all’interno la
luce rosata del
tramonto e attraverso la quale si poteva vedere uno scorcio di cielo.
Non
mi preoccupai per l’assenza
di Fiore, probabilmente mi odiava ancora e non voleva vedermi.
Piuttosto,
cercai di trovare un’uscita, visto che era evidente che non
si poteva usare il
tunnel.
Sperando che Fiore non si
offendesse, nel frattempo misi qualcosa sotto i denti attingendo dalle
loro
provviste.
Alla
fine trovai uno stretto
passaggio, nascosto dietro una delle nicchie della grotta, dal quale
uscii
gattonando. Mi ritrovai proprio al di là della parete, di
fronte al mare
illuminato dalla palla infuocata che vi stava affondando.
Mi tolsi le scarpe e camminai in
riva al mare, pucciando i piedi nell’acqua. Riflettei su
quello che potevo
ancora fare e tutto sommato non vidi altre alternative alla folle idea
di
intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia strega per almeno
tentare di
salvare Nick, Joe e Kevin.
***
Ale
percorse il vialetto con
passo svelto e bussò alla porta. La mamma di Ary le
andò ad aprire e dalla sua
espressione lugubre capì subito che la sua migliore amica
doveva aver fatto
qualche enorme cazzata, come andare nell’altra dimensione e
rimanerci.
L’aveva subito sospettato, quando
non l’aveva vista a scuola quel giorno e il fatto che non
sapesse nemmeno come
fosse andato l’esperimento con Alessandro non la
tranquillizzava per niente.
Entrò
in casa e vide Davide
seduto sul divano, col viso sciupato e gli occhi rossi: aveva pianto,
forse
confessando tutto alla madre.
«Se
stai cercando Arianna», disse
la donna, dopo aver chiuso la porta di casa, «stai sprecando
il tuo tempo: qui
non c’è.»
«Dov’è?»,
chiese con voce
tremante.
«Nell’altra
dimensione. È là da
stamattina da quello che ho capito. Non ha fatto altro che andarci per
tutto
questo tempo, nonostante le avessi detto di non andarci
più!», strillò su tutte
le furie, ma poi scoppiò in un pianto colmo di dolore che
fece star male la
ragazza, che cercò lo sguardo del ragazzino, altrettanto
ferito.
Davide
però trovò la forza per
schiarirsi la voce e dirle: «L’esperimento che
abbiamo tentato è andato male:
Alessandro non è arrivato qui con lei e… quando
l’ha capito se n’è subito
andata, piangendo. Da allora non l’ho più
vista.»
«Cosa
credi che abbia intenzione
di fare?», mormorò, preoccupatissima.
«Non
ha più niente da tentare,
l’unica cosa che può ancora provare a fare
è salvare i Jonas da sola e con le
sue forze. Secondo me è questo che farà. Ma non
può farcela, non contro quella
strega…»
«Dobbiamo
andare da lei, allora!»,
gridò Ale, con le lacrime agli occhi. Perché
Davide era ancora lì? Perché non
era già andato a fermarla?
La
risposta le arrivò subito
dopo, dalla madre dei due fratelli, che la guardò
terrorizzata ed adirata: «No!»,
urlò. «No, no, no! Non perderò anche
Davide! Non andrà nell’altra dimensione!»
«E
con questo lei sta dicendo che
ha intenzione di abbandonare sua figlia?!»,
ribatté Ale, facendola ammutolire,
mentre il suo volto si accartocciava dalla sofferenza. «So
che ha paura e che
non vuole che i suoi figli si facciano del male, ma… so
anche che non
lascerebbe mai Ary da sola. Loro hanno dei doni, possono salvare tanta
gente,
ma… deve lasciarglielo fare e adesso deve permettere a
Davide di portarci da
lei.»
«Portarci?»,
mormorò il
ragazzino, confuso. «Non avrai intenzione di venire anche tu,
vero?»
«Stai
scherzando? Certo che
vengo! È la mia migliore amica!»
La
donna guardò prima l’uno, poi
l’altra e disse: «Vengo anche io. Non
lascerò soli i miei figli, per nulla al
mondo.»
***
Ricordavo
bene la prima volta in
cui ero entrata nella casa di quella megera e durante la mia breve
permanenza
avevo visto parecchie cose. Ritrovai uno dei vari passaggi segreti che
permettevano di entrare ed appena fui dentro provai una strana
sensazione: era
normale sentirsi in trappola, ma all’idea che me la fossi
andata a cercare mi
sentivo super in trappola.
Camminai
con cautela lungo i
corridoi semibui, facendo scorrere la mano sulle pareti.
C’era fin troppo
silenzio e i miei passi di conseguenza mi sembravano fin troppo
rumorosi.
Pensai che quella vecchia avrebbe
potuto benissimo avere delle segrete sotterranee dove poter tenere i
prigionieri. Dovevo assolutamente raggiungerle, se c’erano.
L’ultimo
passo che feci produsse
un rumore strano sul pavimento, come una specie di
“click”. Sollevai il piede
destro e vidi un piccolo bottone, che avevo inavvertitamente
schiacciato.
Chiusi gli occhi, respirando pesantemente, ma non accadde nulla intorno
a me:
nessuna botola, né trappola di alcun tipo, nessun allarme.
Nonostante tutto incominciai a
camminare più veloce, col cuore che mi rimbombava nelle
orecchie.
Girai
l’angolo e trasalii quando
mi scontrai contro qualcuno. Alzai il viso e vidi Charlotte, la
cheerleader dai
capelli rossi. Ci scrutammo in silenzio, entrambe sorprese, senza
sapere cosa
fare.
«Beh?»,
domandai in un sussurro.
Lei
fece una smorfia e si portò i
capelli su un’unica spalla. «Devi andartene da qui,
sei stata piuttosto stupida
a venire da sola.»
«Non…
non hai intenzione di
catturarmi?», chiesi, scioccata. Non aveva mai avuto
un’opportunità del genere,
perché se la stava facendo scappare? Perché mi
stava dando la possibilità di
andarmene? La sua espressione assorta ed arrendevole mi
spiegò tutto, o quasi.
«Dimmi soltanto dov’è Nick»,
mormorai, azzardandomi a sfiorarle una mano, con sguardo
compassionevole.
«Non
posso», rispose trattenendo
le lacrime. «Ora vattene, fai presto! Prima
che…»
«Charlotte!
Charlotte, ma che…?!»
Entrambe ci girammo verso la fine
del corridoio e sobbalzammo vedendo la cheerleader bionda e quella mora.
«Stupida»,
mi ringhiò contro la
rossa e mi tirò uno schiaffo, poi mi spinse indicandomi la
strada che dovevo
prendere per sfuggire alle due cattive della situazione.
Le
gettai un ultimo sguardo e la
ringraziai mentalmente prima di correre via.
Non ero arrabbiata per quello
schiaffo, infondo potevo capirla – anche lei era veramente
innamorata di Nick –
e poi l’aveva fatto per non esporsi troppo di fronte alle sue
due amiche: che
cosa avrebbero detto, se mi avesse lasciata scappare senza nemmeno
toccarmi?
Andai
nella direzione indicatami
da Charlotte, sentendo dietro di me i passi e le voci delle tre che mi
rincorrevano. Corsi più veloce che potei, ma ad un certo
punto fui costretta a
rallentare a causa di un bivio. Mi guardai alle spalle, alla ricerca
dello
sguardo di Charlotte, ma non lo trovai abbastanza in fretta, quindi
andai a
caso: svoltai a destra e in lontananza sentii la sua voce gridare un
“No!”, ma
ormai era troppo tardi: aprii la porta che si stagliava di fronte ed
andai a
sbattere contro un ragazzo alto e grasso, un armadio, col viso
deformato e
delle catene ai piedi.
Provai a fuggire, ma lui ci mise
poco o niente a sollevarmi da terra e a caricarmi sulla sua spalla,
nonostante
mi dimenassi con tutte le mie forze.
Le
cheerleader ci raggiunsero e
si congratularono con lo scagnozzo prediletto della vecchia, poi mi
azzittirono
imbavagliandomi e mi portarono nella sala principale della casa, quella
che
sembrava proprio una sala del trono.
Appena vidi la vecchia alzarsi e
venirci incontro con lo sguardo acceso di folle felicità, mi
venne il
voltastomaco. Ordinò con la sua voce stridula di togliermi
la bandana dalla
bocca e al suo scagnozzo di lasciarmi andare.
Caddi a terra ai suoi piedi e mi
feci ancora male al ginocchio, ma non mi tirai di certo indietro quando
dovetti
sollevare il viso per poterla guardare con odio e disprezzo.
«Sapevo
che prima o poi saresti
venuta a salvare i tuoi amichetti», mi disse, iniziando a
ridere sguaiatamente,
in un modo a dir poco insopportabile. «Ed ora eccoti qua! Non
ti preoccupare
per loro, stanno benone!»
«Devi
lasciarli andare»,
ringhiai. «È me che vuoi, no? Loro che cosa
c’entrano?»
«Oh,
bambina… non si sa mai a
cosa potrebbero servirmi. Ma ora basta parlare, mettiamoci subito al
lavoro! Al
laboratorio!»
L’armadio
al comando della sua padrona
mi ricaricò sulla sua spalla e mi portò nel
laboratorio, appunto, al seguito
della vecchia e delle tre cheerleader. Charlotte voltò il
capo e per un momento
brevissimo i nostri sguardi si incontrarono.
Una
volta nel laboratorio, mi
fecero sedere su una specie di sedia elettrica per farmi degli
esperimenti ed
estrapolare dal mio corpo il mio dono. Mi attaccarono alla sedia con
delle
speciali manette e sulla testa mi infilarono un casco che prese subito
aderenza
alla mia fronte, come una ventosa.
«Ora
tutto quello che devi fare è
desiderare di andartene da qui», sogghignò la
vecchia.
«Non
ho paura, non farò proprio
nulla per aiutarti», risposi stringendo i denti.
«Oh,
vedrai che lo farai, lo
farai…» Diede un comando a un paio di scienziati,
tra cui ne riconobbi alcuni
che prima erano stati gli scienziati dei Jonas, e quasi immediatamente
venni
tramortita da delle scosse, ma resistetti.
«Non
molli, eh? Allora mi sa
proprio che ci toccherà aumentare la
carica…»
Lo
fecero, lo fecero eccome e
quella volta gridai fino alla sfinimento. Il dolore era così
forte che anche se
non volevo agevolarla in alcun modo, avevo iniziato a desiderare di
teletrasportarmi via da lì, via da quella sofferenza. Lo
feci del tutto
inconsciamente, anzi era come se la mia mente avesse agito per la sua
difesa, e
me ne accorsi soltanto perché i computer degli scienziati
avevano iniziato ad
impazzire sotto i loro occhi sconcertati.
«Che
cosa sta succedendo?! Perché
fanno così?! Fate qualcosa!», gridò la
vecchia megera, gettandomi occhiate
spaventate.
Allora
capii: i computer non
erano in grado di reggere la potenza del mio dono, impazzivano ed
esplodevano,
quindi… se volevano che mostrassi loro tutte le mie
capacità, perché non farlo?
Strinsi
i pugni e pensai più
intensamente che potei di teletrasportarmi in camera mia, a casa.
Ottenni il
risultato sperato, infatti i computer andarono tutti in palla e poco
dopo si
spensero, non dando più segnali di vita; così
accadde anche al macchinario che
mi dava la scossa. Quando essa cessò, mi accasciai sulla
sedia, stremata, e
piansi, piansi senza un motivo ben preciso.
«Ah,
siete degli incapaci!»,
inveì la vecchia contro gli scienziati. «E lei,
portatela assieme ai suoi amici
a schiarirsi la mente! Non abbiamo affatto finito qui!» Mi
guardò con astio e
se andò.
Uno
scienziato mi liberò dalla
sedia elettrica e mi infilò ai polsi un altro strano tipo di
manette, che mi arrossarono la pelle. Poi il solito scagnozzo
mi caricò sulla sua spalla e
con passi lenti e pesanti mi portò via. Prima di uscire dal
laboratorio
incontrai lo sguardo di Charlotte, quasi in lacrime, che
abbassò subito il
viso, come mortificata.
Avrei voluto dirle che non era
colpa sua, che non lo era affatto, ma i miei occhi si chiusero senza
che nemmeno
potessi rendermene conto.
***
Aprii
gli occhi lentamente, con
estrema fatica nonostante il luogo buio in cui mi trovavo, svegliata da
tenere
carezze sui capelli.
Con un verso lamentoso – il
dolore provocato dalle scosse e da tutto il resto si faceva sentire ora
più che
mai – portai una mano su quella che mi accarezzava i capelli
e ne accarezzai il
dorso con il pollice, cercando di capire di chi fosse.
«Ary…
Ary, sei sveglia?»
Il
mio cuore sobbalzò all’udire
la sua voce. «Nick…», soffiai,
incredula.
Mi
voltai sul materasso duro su
cui ero sdraiata e guardai il suo viso sciupato sopra al mio, glielo
presi fra
le mani – coi polsi ancora incatenati – e lo
accarezzai, mentre calde lacrime
che scivolavano sulle guance. Avevo avuto così paura per
lui, ero stata così in
pensiero… ed ora eravamo insieme, anche se in una cella. La
mia felicità in
quel momento era troppo forte da sostenere, tanto che avevo bisogno di
piangere.
«Sono
qui, sono qui», mi sussurrò
per cercare di calmarmi, accarezzandomi ancora i capelli.
Mi baciò, prima con
soffici baci a fior di labbra, poi approfondendo sempre di
più, tanto da farci
mancare il respiro.
Avrei
voluto che non smettesse
mai, ma a causa della mia debolezza fu costretto a scostarsi e a
lasciarmi
riposare.
«Che cosa ti hanno fatto, amore
mio», sussurrò sulla mia pelle, mentre continuava
a coccolarmi con i suoi baci.
Rabbrividii,
non solo per ciò che
mi faceva provare sul lato fisico, ma perché era la prima
volta che mi chiamava
in quel modo. Io ero il suo amore…
Mi
strinsi a lui e caddi di nuovo
addormentata sotto le sue carezze, col cuore sinceramente
più leggero ora che
avevo la certezza che stesse bene e fosse al mio fianco.
Quando mi svegliai di nuovo,
lui
era ancora al mio fianco, ma quella volta era seduto sul bordo del
letto, che
mi dava le spalle e parlava con Joe e Kevin. (C’erano anche
loro, non li avevo
proprio notati prima). Discutevano su come avrebbero potuto uscire da
lì, ma
non sembravano molto ottimisti.
Toccai
la schiena di Nick e lui
si voltò, sorridendomi dolcemente.
«Ciao»,
mi sussurrò, baciandomi a
stampo sulle labbra.
Avevo
così tanta voglia di lui, dei suoi baci, che molto
goffamente portai le mani unite dalle manette dietro la sua nuca per
trattenerlo lì, ad un soffio dalle mie labbra, che
accarezzava con le sue
mentre parlavamo, facendomi scorrere mille piacevoli scosse lungo tutto
il
corpo.
«Vi
porterò fuori da qui»,
mormorai a fatica, socchiudendo gli occhi.
«E
come pensi di fare?»
«Col
mio dono… ho scoperto che
posso teletrasportami anche da un luogo all’altro nella
stessa dimensione.
Guarda, ti faccio vedere…» Provai a
teletrasportarmi dall’altra parte della
piccola cella, ma appena ci provai le manette che avevo ai polsi mi
diedero la
scossa, impedendomelo.
«Ary,
Ary stai bene?», mi chiese
Nick preoccupato, accarezzandomi il viso stropicciato in una smorfia di
dolore.
«Sì»,
gracchiai. «È pazzesco che
sia riuscita a trovare un metodo per fermare il dono… Sono
completamente
inutile così.»
«Non
fa niente, amore», sorrise. «Vedrai
che troveremo un modo per uscire da qui.»
«Già,
non disperare», disse
Kevin, sporgendosi dal suo letto, sopra al nostro.
«Io
mi dispero eccome, invece. È
da cinque giorni che non mi faccio una doccia, ho i capelli che sono un
disastro!», piagnucolò invece Joe, rannicchiato su
una piccola branda attaccata
alla parete.
Arricciai
le labbra e trattenni
una risata divertita. «È bello rivedervi ragazzi,
mi siete mancati.»
Riuscii a
strappare un sorriso persino al disperato Joe.
Qualche
minuto dopo sentimmo la
parte inferiore della porta aprirsi, da cui una delle cheerleader fece
passare
un paio di vassoi con la nostra cena, o pranzo – avevo perso
la concezione del
tempo.
Non
mangiai molto, solo un po’ di
pane, ma in compenso bevvi tantissimo. Con lo stomaco pieno
d’acqua tornai
sdraiata sul letto e chiusi gli occhi, chiedendo che ore fossero.
«Penso
sia notte, perché fa più
freddo», mi rispose Nick.
«Sì,
in effetti è un po’ più
fresco…», constatai con sguardo malizioso e lui
capì al volo che volevo che
qualcuno mi riscaldasse, così si sdraiò quasi
sopra di me e mi strinse forte,
iniziando a baciarmi il viso.
«Ecco,
ora quei due fanno i
piccioncini e ciao», brontolò Joe.
«Girati
e dormi», lo rimproverò
Kevin, quella volta dalla nostra parte. Joe eseguì,
borbottando qualcosa di
incomprensibile.
Non
passò molto tempo prima che
gli altri due Jonas si addormentassero ed intorno a noi calasse il
silenzio. Io
e Nick ci guardammo negli occhi per diversi istanti ed ero certa che
entrambi
sentivamo la sensazione di avere il cuore gonfio e sazio, anche se
l’amore non
ci bastava mai.
Improvvisamente
Nick si fece più
serio, quasi inquieto, e smise di accarezzarmi i capelli con la mano.
«C’è
qualcosa che non va?», gli
chiesi a bassa voce, per far sì che Joe e Kevin non si
svegliassero.
«No,
io… Ti amo, Ary.»
Il
mio cuore scoppiò nella cassa
toracica. Che cosa aveva detto?
La mia espressione incredula lo
fece ridere a bassa voce, contro la pelle del mio collo, dove
lasciò anche
soffici baci.
«Era
questo che volevo dirti da
un po’, non riuscendoci mai. Dovevamo proprio essere
imprigionati per avere un
po’ di silenzio e di tranquillità»,
ridacchiò ancora, poi mi guardò negli occhi
e continuò: «Però non pensavo di
sconvolgerti tanto…»
«Io,
ecco… non me l’aspettavo,
tutto qui», balbettai arrossendo, col buio dalla mia parte.
Notai
l’espressione un po’ delusa
di Nick e sorrisi, prendendogli il viso fra le mani ed avvicinandolo al
mio, ad
un soffio dalle mie labbra, per poter fondere i miei occhi con i suoi.
«Ti amo anche io, Nick. Tu non
puoi immaginare quanto.»
Lui
socchiuse gli occhi colmi di
dolcezza e di amore e mi baciò stringendomi forte a lui.
Come
era già capitato altre
volte, lo sentii ovunque e pensai che l’unica cosa che volevo
veramente era
sentirlo mio in tutti i sensi, ma…
Cercai la sua mano destra e
sfiorai il suo anello della purezza, lui mi strinse le dita nelle sue e
si
sollevò per guardarmi in viso. Evitai il suo sguardo,
chiudendo gli occhi e
girando il volto dall’altra parte.
«A
che cosa stai pensando, Ary?»,
mi chiese con tono pacato.
«Tu…
tu non vorresti… insomma…»
«Fare
l’amore con te?» Mi prese
il mento fra le dita e mi costrinse a guardarlo negli occhi: sorrideva
dolcemente, tutto sul suo viso esprimeva una dolcezza infinita, tanto
che mi
sentii piccola e stupida in confronto a lui.
«Scusami»,
dissi subito, come per
rimediare alla mia stupidità. «Ti sarò
sembrata così… superficiale. Non voglio
sembrarti quel tipo di ragazza, ma io… io ti sento, ti amo
e…»
Mi
azzittì portando un dito sulle
mie labbra. «È la cosa che voglio di
più al mondo», sussurrò. «Tu
sei ciò che voglio di più al mondo.»
«E
allora perché non…?», lasciai
in sospeso la frase, in imbarazzo, e gli presi la mano destra fra le
mie.
«Non
posso, Ary…», sospirò.
«Quando
tutto sarà finito e saremo di nuovo nella nostra dimensione
ci sposeremo e…»
«Frena,
frena, frena», lo fermai
posando le mani sul suo petto, con gli occhi sgranati. «Sono
troppo giovane per
sposarmi, ho appena diciott’anni, tu diciannove!
Non è un po’… presto?!»
Nick
tentennò e si lasciò cadere
sdraiato al mio fianco. Rimase in silenzio a guardare la rete del letto
sopra
al nostro, con sguardo assorto e la fronte leggermente increspata.
Io
mi voltai verso di lui,
addirittura gli salii sopra per guardarlo negli occhi, e gli accarezzai
un
ricciolo che gli cadeva sulla fronte.
«Io ti amo davvero, Nick. Farei
di tutto per te, forse pensandoci bene potrei anche fare la pazzia di
sposarti,
perché non voglio in nessun modo rischiare di perderti.
Scusa se sono stata
troppo brusca prima, ma forse io non ho così tanta fede come
te.»
All’improvviso
ricambiò lo
sguardo e si avventò sulle mie labbra.
***
Charlotte,
seduta vicina alle sue
due inseparabili amiche, guardava la vecchia strega fare avanti e
indietro di
fronte a loro, che sbraitava contro quegli “scienziati da
strapazzo”, come li
chiamava lei.
«La
prossima volta non deve
accadere nulla di tutto questo, ci siamo capiti bene?!»
Charlotte
rabbrividì a quelle
parole. Ci sarebbe stata un’altra volta? Avrebbe dovuto
assistere mentre
torturavano ancora una volta quella povera ragazza?
Era
vero, lei le aveva rubato
l’amore della sua vita – Nick – ma non
poteva davvero sopportare tutto quello.
Inoltre, sapeva che anche Nick l’amava, quei due erano fatti
apposta per stare
insieme… perché doveva distruggere la loro
felicità, quando lei non ne avrebbe
tratto un bel nulla? Nick non l’amava, non
l’avrebbe mai amata… e l’unica cosa
che poteva fare era preservare la sua felicità, far
sì che almeno lui fosse
felice, per quanto fosse difficile e doloroso.
Cause I'd rather just be
alone
If I know that I can't have you
Doveva
fare qualcosa,
assolutamente. Ma che cosa?
Un
flash le attraversò la mente,
facendole ricordare il nascondiglio in cui la vecchia teneva tutte le
chiavi
delle celle sotterranee. Non sarebbe stato facile prenderle, ma almeno
ci
avrebbe provato, lo avrebbe fatto per Nick.
Per quanto riguardava le chiavi
delle strane manette che avevano messo alla ragazza, sapeva che erano
gli
scienziati ad averle. Sarebbe stato molto più facile
ottenere quelle: sarebbe
bastato ricordare agli scienziati che erano stati amici dei Jonas
Brothers e
punzecchiare i loro sensi di colpa verso quella povera ragazza che
stavano
torturando inutilmente sotto i folli ordini di quella pazza.
«A
che cosa stai pensando,
Charlotte?», le domandò la cheerleader bionda.
La
rossa osservò le sue due
amiche ed accennò un sorriso, pensando alla loro fortissima
amicizia: era certa
che non l’avrebbero abbandonata, se gli avesse spiegato il
suo piano.
I know I was such a fool
But I can't live without you
***
Davide
si mise nel centro esatto
del salotto, circondato da Ale, mamma e papà –
anche lui aveva voluto
aggregarsi alla campagna di salvataggio – e fece un respiro
profondo.
«Siete
pronti?», chiese.
Loro
annuirono e posarono le mani
sulle sue braccia per essere teletrasportati con lui
nell’altra dimensione, ma
proprio un momento prima di partire qualcuno suonò al
campanello.
Mamma
lasciò giù il suo zaino da
campeggio ed andò ad aprire, chiedendo chi fosse. Si
trovò di fronte una ragazza
ed un ragazzo: la prima la riconobbe subito, era la bambina che aveva
visto
scomparire di fronte ai suoi occhi la prima volta e che aveva dato vita
alla
sua passione quasi ossessione per quel fenomeno così anomalo.
«Salve
signora», la salutò con un
sorriso cauto sulle labbra, sistemandosi i capelli corti dietro le
orecchie. «Lei
è la madre di Arianna, vero?»
«Sì,
ma… non è qui», balbettò.
«Già,
lo immaginavo», mormorò,
abbassando il capo, dispiaciuta.
Davide
raggiunse la madre e
guardò il ragazzo accanto alla giovane. Lo indicò
a bocca aperta e il ragazzo
dalla pelle caffèlatte sorrise in modo solare.
«Tu
devi essere Davide, vero?»,
gli chiese, ridacchiando. «Somigli molto a tua
sorella.»
«A-Alessandro?»
_______________________________________
Tadada-dàààn
xD
Spero di non avervi fatto aspettare troppo e che il capitolo vi sia
piaciuto (:
Ci sono un po' di cose in sospeso, spero che me ne parliate un po' con
delle recensioni! ** Sono impaziente di sentire le vostre opinioni ;)
La canzone che ho usato è Can’t have you,
dei Jonas Brothers e... credo di aver detto tutto xD
Ringrazio di cuore music__dreamer che
ha lasciato una recensione allo scorso capitolo e ringrazio anche tutti
quelli che hanno soltanto letto (:
Alla prossima!! Vostra,
_Pulse_
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Okay, sono decisamente
imperdonabile e me ne rendo conto. Lo scorso capitolo l'ho pubblicato
il 30/04/2011 e sono passati nove mesi, il tempo di sfornare
un bambino ._. Però non sono diventata mamma, quindi non ho
scusanti. Mi dispiace davvero molto per questo mio ritardo, soprattutto
mi dispiace per le persone che seguivano questa storia e che appena
vedranno l'aggiornamento - se lo vedranno - saranno piuttosto
sconcertate e magari non si ricorderanno più di che cosa
parla questa storia. Li capirei, visto che la mia memoria è
come quella di un criceto! XD
Che cosa dire di
più... spero che sia ancora qualcuno a seguire questa FF e,
caschi il mondo, mi sono convinta a finirla definitivamente,
perchè è andata fin troppo per le lunghe con le
mie deplorevoli pause e ora posso dirlo che non ho altre storie al
momento a cui pensare (che siano mie priorità). Siete
contenti? :)
Ora basta con le chiacchiere, vi lascio al capitolo :) Spero vi
piaccia!
Buona lettura!!
____________________________
Capitolo
16
Quei
muri di mattoni scuri
dovevano essere spessi almeno qualche metro, ma c’erano
spifferi ovunque e da
lontano riuscivo persino a sentire gli strepitii dei gabbiani.
Furono quelli a svegliarmi quella
mattina e appena voltai il viso incontrai a pochi millimetri di
distanza quello
di Nick, sereno.
Rimasi lì ad accarezzarlo con lo
sguardo, poi il mio stomaco brontolò rumorosamente e spinta
dalla fame mi
costrinsi ad alzarmi, spostando il suo braccio appoggiato al mio ventre.
Mi
avvicinai alla porta della
nostra cella e controllai se ci avessero già portato la
colazione. Me lo
aspettavo pure? Dopotutto non era un albergo a cinque stelle.
Sbuffai sonoramente, portandomi
le mani sulla pancia, e stavo per scivolare seduta per terra, quando lo
spioncino si aprì, permettendomi di vedere
l’esterno attraverso le sbarre.
Avvicinai il viso e trasalii quando vidi quello deformato dello
scagnozzo della
megera di fronte al mio.
Caddi
a terra come se mi avessero
spinta, ma non riuscii a smettere di guardare quegli occhi neri come la
pece,
infossati tra le sopracciglia folte e chiare e gli zigomi pronunciati.
C’era qualcosa di infinitamente
triste in quello sguardo e presto la paura svanì, facendomi
capire che io e lui
eravamo nella stessa identica situazione: due prigionieri della vecchia
megera.
Mi
alzai di nuovo e come mi
avvicinai alle sbarre il gigante si allontanò, mentre un
lampo di terrore gli
illuminava lo sguardo.
«Non avere paura, non voglio
farti del male», sussurrai. «Da quanto tempo quella
vecchia ti comanda a
bacchetta?».
Lui
non rispose ed io sospirai,
accennando un sorriso. «Ho capito, sei un tipo
silenzioso…».
Attraverso
le sbarre notai la
spessa catena che gli intrappolava i piedi e gli impediva di muoversi
velocemente. Avrei voluto aiutarlo, ma come? Erano troppo grandi e
resistenti e
io non avevo nulla con cui provare a spezzarle.
Ciononostante mi sedetti per
terra, sollevai dall’interno lo sportellino che veniva
utilizzato per passarci
da mangiare ed allungai una mano verso la caviglia del gigante
silenzioso.
«Avvicinati
un pochino, non ci
arrivo», dissi con la voce smorzata dallo sforzo.
Il
gigante mi capì e si sedette
anche lui, provocando un tonfo e facendo tremare il pavimento per
qualche
secondo. Gettai uno sguardo alle mie spalle, per controllare se Nick e
gli
altri si fossero svegliati, e quando mi accertai che stessero ancora
dormendo
tornai a concentrarmi sulle catene.
Mi accorsi che esse, proprio come
le mie, erano collegate a dei microchip che al segnale di chi li
controllava
inviavano delle scosse elettriche a tutto il corpo, tramortendolo.
Provai a forzare l’ultimo anello,
quello legato alla tenaglia che aveva intorno alla caviglia, ma non ero
abbastanza
forte. Allora provai a sfregare la catenella che univa le mie manette
sul ferro
delle catene, ma non servì a nulla, oltre che a farmi
sanguinare un polso per
l’attrito delle manette sulla pelle.
Il
gigante mi aveva fissata
continuamente durante tutti i miei inutili tentativi, sorpreso dalla
mia
tenacia e dal mio desiderio di voler aiutare colui che mi aveva
catturata,
perciò quando si accorse della mia sofferenza mi
fermò, posando una delle sue
grandi mani sulle mie, e mi rivolse un sorriso deformato. Poi
provò a
sbriciolare fra le dita una mia manetta, ma erano troppo grandi e goffe
e le
ritrasse, per paura di farmi male.
«Ary…
Ary, ma che stai facendo?!»,
gridò Nick alle mie spalle, caracollando giù dal
letto e prendendomi per le braccia, spaventato come non
l’avevo mai visto. «Sei impazzita? Quel mostro
potrebbe…»
«Non
è un mostro!», ribattei
subito, guardandolo truce. «Lui è buono,
è solo costretto ad eseguire gli
ordini della vecchia per non prendere la scossa! È
imprigionato anche lui qui
da chissà quanto tempo… Se mai dovessimo farcela
ad uscire da qui, aiuteremo anche
lui a fuggire».
Nick
mi guardò sconcertato, come
se fossi diventata pazza tutto d’un tratto, e aprì
la bocca per dire qualcosa,
ma un rumore attirò la nostra attenzione.
«Ho
come la sensazione che
uscirete da qui prima di quanto possiate immaginare»,
sussurrò una voce oltre
la porta della cella.
Nick
strinse gli occhi per
distinguere il volto in controluce che si intravedeva dietro le sbarre
nello
spioncino della porta ed esclamò:
«Charlotte!».
La
cheerleader dai capelli rossi
accennò un sorriso e gli rivolse uno sguardo colmo di
malinconia, poi armeggiò
con il mazzo di chiavi che aveva tra le mani e quando trovò
quella giusta la
infilò nella serratura e riuscì ad aprire la
pesante porta blindata, facendo
entrare un fascio di luce nella cella immersa
nell’oscurità.
«Ci
siamo anche noi!», salutarono
con segno di vittoria le altre due cheerleader, quella mora e quella
bionda,
sorridendo.
Quella sì che era una sorpresa. Scambiando uno sguardo con
Charlotte, però, capii che il merito era soltanto suo. La
ringraziai col
pensiero e lei parve intuire, perché scrollò le
spalle e fece cenno di
muoversi.
«Prima
o poi si accorgeranno
dell’assenza delle chiavi e… e allora
sarà un bel guaio», disse con una
smorfia.
Nick
svegliò in fretta e furia i
suoi fratelli, che ancora insonnoliti non riuscirono a capire bene
ciò che
stava succedendo. Nel frattempo la cheerleader dai capelli rossi mi
attirò a sé
ed infilò una chiave nelle mie manette, che scattarono e
caddero a terra.
Finalmente libera.
Mi
massaggiai i polsi indolenziti
e sollevai il capo per ringraziarla, quando sentii le sue
braccia stringermi in
un abbraccio più che inaspettato.
Con le labbra premute sul mio
orecchio, sussurrò: «Porta in salvo Nick, costi
quel che costi. Fai questo e ti
sarò riconoscente per il resto della vita. Noi staremo qui e
distrarremo la
vecchia e i suoi scagnozzi, gli indicheremo la direzione sbagliata. E
se non
dovesse bastare… ci inventeremo qualcosa».
Tirò fuori dal taschino della divisa
da cheerleader un foglietto piegato in quattro e piuttosto consumato e
me lo
porse. «Questa è la piantina con la via
più veloce per uscire da questo
labirinto».
Fece
per girarsi ed uscire dalla
cella per far finta di dare l’allarme, ma io le presi un
polso e la fermai. «Non
posso permettere che vi accada qualcosa di male, venite con noi, vi
teletrasporterò tutte fuori di qui in un attimo».
La
cheerleader dai capelli biondi
(la mora era impegnata a trovare la chiave giusta tra le dozzine
presenti in
quel mazzo per liberare il gigante dalle catene) mi guardò
con un sorrisetto
malinconico.
«Se potesse essere così semplice!
Non chiedermi come abbia fatto quella vecchiaccia, ma tutto il
labirinto è
anti-dono. Non te n’eri accorta prima?».
Sgranai
gli occhi, incredula, e
provai a teletrasportarmi, ma sentii una specie di resistenza, come se
fossi
intrappolata in una bolla. Non era molto forte, probabilmente la
vecchia megera
aveva una carenza di potere, proprio come ce l’avevo io a
causa della
stanchezza e della fame. Se solo fossi stata nel pieno delle mie
forze… ero
certa che sarei riuscita a distruggerla, quell’insulsa
barriera magica!
«Ma
allora le manette…?», provai
a formulare una domanda, ma Charlotte mi anticipò nella
risposta:
«Erano solo per impedirti di
usare il dono nel caso fossi riuscita a scappare dal
labirinto».
«Ehm…
ragazze, credo che ci
abbiano scoperte», balbettò la cheerleader mora,
che finalmente era riuscita a
liberare il gigante ma in compenso aveva visto in fondo al corridoio un
paio di
scagnozzi della vecchia correre verso di loro.
«Presto,
scappate!», urlò
Charlotte, spingendoci verso la direzione da prendere.
Vidi
Nick intrattenersi un
momento in più con lei, per abbracciarla stretta e
sussurrarle qualcosa
all’orecchio, poi mi raggiunse e mi prese la mano, mentre ci
lasciavamo alle
spalle le tre cheerleader e il mio amico gigante.
Non avrei mai voluto
abbandonarli, lasciarli a combattere da soli per la nostra salvezza, ma
le parole
di Charlotte mi rimbombavano nella testa e sapevo che mi avrebbe odiata
per il
resto dell’eternità, se non fossi riuscita ad
esaudire nemmeno quel suo
desiderio: salvare Nick.
***
«Dove
siamo?», domandò la madre
di Arianna, sollevandosi da terra e pulendosi i jeans dalla sabbia.
Il
mare
luccicava e sul promontorio poco distante da loro, in mezzo ad una
fitta
vegetazione, la banda al completo vide la villa dei Jonas.
«Non
troveremmo nessuno»,
decretò Fiore, iniziando ad incamminarsi verso un sentiero
che portava alla
strada. «Andiamo in paese, ne capiremo di più
quando saremo là!».
Camminarono
per un bel po’ e
quando arrivarono nella piazza principale era ormai mattino inoltrato.
Le
persone, proprio come se fosse
una giornata normale, camminavano tranquillamente per strada, facevano
colazione sedute nei bar, entravano nei negozi, andavano a lavorare,
dimentichi
che quella non era la dimensione a cui appartenevano veramente. Fu
quella
considerazione a spiazzare la madre di Ary, che si sbalordì
non poco pensando al
facile adattamento dell’essere umano, alla sua
capacità di riprendere in mano
la propria vita e di incominciare tutto da capo, senza lasciarsi
andare,
costruendo e circondandosi con ciò che lo faceva sentire a
casa, in modo da
riprodurre al meglio le proprie abitudini.
Davide
e Alessandra, rimasti
indietro, si fermarono a fissare il palco che doveva essere stato
allestito
qualche giorno prima ma non ancora smontato, e lessero lo striscione
appeso
storto sopra di esso: “JONAS BROTHERS TRADITORI!”.
Ale rabbrividì. Davide invece, si
chinò e raccolse da terra uno dei tantissimi volantini che
tappezzavano le
mattonelle di pietra e le facciate degli edifici di tutta la piazza.
«Leggi
qui», disse all’amica
della sorella, passandoglielo.
Ale
lesse a voce alta: «I Jonas
Brothers hanno sempre fatto il doppio gioco, vi hanno ingannati
facendovi
credere di lottare per la vostra stessa causa, quando invece pensavano
soltanto
ai loro interessi!». Guardò la foto che era stata
stampata accanto a quelle
parole: Nick, Joe e Kevin sulla spiaggia, mentre giocavano con lei ed
Ary a
pallavolo. Rabbrividì di nuovo, poi continuò:
«È giusto lasciarli impuniti per
questo tradimento? Se pensate che non lo sia, cercate e catturate la
fuggiasca
col dono! Coloro che la consegneranno viva riceveranno in cambio il
viaggio di
ritorno per l’altra dimensione!». Quell'ultima
frase era scritta in caratteri
cubitali ed affianco ad essa c’era un primo piano di Ary,
sorridente e con i
capelli scompigliati dal vento.
«Che
strega senza cuore…», sputò
tra i denti Davide, per poi fermare un passante, un signore anziano e
dall’aspetto burbero. «Mi scusi, signore, lei sa
qualcosa di più su questa…
“caccia alla fuggiasca col dono”?».
L’uomo
lo guardò di traverso e
borbottò: «Non perdete il vostro tempo
inutilmente: la ragazza è stata già
catturata, anzi sembra che lei stessa si sia consegnata per liberare i
fratelli
Jonas. Che sciocca! Se voleva tanto consegnarsi, poteva almeno fare un
gesto
caritatevole e dare la possibilità a qualcuno di ricevere la
ricompensa! In
questo modo nessuno potrà tornare nell’altra
dimensione!».
Davide
fece una smorfia,
stringendo il volantino nel pugno chiuso. «Nessuno sarebbe
potuto tornare
nell’altra dimensione, in ogni caso. Era tutta una bufala per
farsi consegnare
la ragazza!».
Fiore
intervenne per sedare la
rabbia del ragazzino, mentre l’anziano lo guardava sbalordito
e una piccola
folla si era riunita intorno a loro, iniziando a mormorare.
«È
davvero così?», domandò un
uomo che teneva in braccio il suo bambino. «Quella vecchia ci
ha presi tutti in
giro?».
«Certo!
Lei non ha il dono, non
avrebbe potuto trasportare nessuno dall’altra parte! E
nemmeno ora che se ne
impossesserà facendo del male a mia sorella, che ha cercato
di salvare quegli
innocenti che voi considerate traditori… Nemmeno ora lei vi
aiuterà! Lo
utilizzerà solo per trasportare se stessa!».
«Davide,
ora basta», gli sussurrò
Fiore all’orecchio, abbracciandolo.
«No,
no!», urlò il ragazzino,
divincolandosi. Riuscì a liberarsi dalla sua stretta e corse
sopra il palchetto
di travi, urlando ancora più forte per farsi sentire da
tutta la folla
presente. «È arrivato il momento di dire le cose
come stanno! È vero, i Jonas
volevano trovare un modo scientifico per tornare nell’altra
dimensione, ma non
l’hanno trovato nemmeno grazie all’aiuto di mia
sorella, la quale stando con
loro, come una normalissima ragazza della sua età, si
è affezionata a loro e,
beh, sì… si è anche innamorata di uno
di loro. Quando ha scoperto questo suo
dono avrebbe potuto benissimo fare quello che le diceva il cuore, ossia
di
portare a casa il ragazzo di cui si era innamorata e i suoi fratelli, e
fregarsene di tutti voi! Ma non l’ha fatto! Non
l’ha fatto, perché lei voleva
trovare un modo per esaudire il desiderio di più persone
possibili, quello di
tornare a casa nell’altra dimensione; perché lei
è buona… Ma sapete cosa vi
dico?! Forse avrebbe fatto meglio a fregarsene, visto ciò
che siete stati in
grado di fare!». Era rosso di rabbia e le lacrime gli
pungevano gli occhi, ma
non aveva nessuna intenzione di smettere.
«Oh,
tesoro…», mormorò sua madre
sotto al palco, posandosi una mano sul cuore. Suo marito le sorrise e
le
avvolse un braccio intorno alle spalle. Dovevano solo essere orgogliosi
dei
loro ragazzi.
«Quella
vecchiaccia vi ha
sfruttati per la sua sete di potere e di chissà
cos’altro, per andare e tornare
da questa all’altra dimensione a suo piacimento, e voi avete
abboccato come dei
pesci all’amo, mandando mia sorella fra le sue grinfie! Ma
potete rimediare!
Insieme,
possiamo rimediare! Andando a combattere contro quella vecchia e i
suoi scagnozzi che, proprio come voi poco fa, credono che verranno
ricompensati
eseguendo tutti i suoi folli ordini! Possiamo farcela, dobbiamo
farcela!»
Ale
guardò il fratellino della
sua Ary e si disse che lei sarebbe stata così orgogliosa di
lui… Era stato
sorprendente e da solo era riuscito a farsi ascoltare da un centinaio
di
persone e a portarsele dalla sua parte. Non aveva mai visto qualcuno di
più
straordinario.
Davide,
quando l’ira scemò, si
curvò sulle spalle, stremato, ma sorrise cercando lo sguardo
di Fiore: ora
toccava a lei condurli dalla vecchia per chiudere i conti.
***
Gettai
un altro rapido sguardo
alla mappa, correndo all’impazzata tenendo per mano Nick e
facendo da guida a
Joe e Kevin dietro di noi, pregando ad ogni curva di non imbatterci
negli
scagnozzi della vecchia, o sarebbero stati guai seri.
«Di
qua!», gridai e svoltai
rapidamente a sinistra.
Le
mie preghiere non furono
ascoltate, perché infondo al corridoio vidi degli uomini che
ci correvano
incontro e non potevamo di certo tornare indietro, rischiando di
trovarci
intrappolati o ancora più disorientati nel labirinto.
«Che
si fa?», mi domandò Nick
mentre gli scagnozzi si avvicinavano sempre più in fretta e
non c’era tempo per
pensare.
«Non
ne ho idea!», strillai e
presa dal panico schiacciai il pulsante che vidi a terra,
d’istinto.
Nick
mi guardò negli occhi e
strinse ancora più forte la mia mano nella sua, prima che
entrambi iniziassimo a
scivolare lungo un tunnel che ci portò in un’altra
sala illuminata da piccole
torce appese alla parete che, per nostra sfortuna, era un vicolo cieco.
«Merda»,
biascicai.
Provai
a calmarmi per riflettere
lucidamente, mentre sentivo gli uomini sopra le nostre teste
bisticciare su chi
per primo avrebbe dovuto scendere nel tunnel. Non ci riuscii e
l’unica cosa che
potei fare fu aggrapparmi con le braccia al collo di Nick, che
ricambiò la
stretta affondando il viso fra i miei capelli.
«Stanotte…»,
mi sussurrò ed io
ebbi una stretta al cuore, ripensando alla magnifica notte che avevamo
passato
insieme, sesso o meno.
«Lo
so», mormorai. «Qualsiasi
cosa accada, ricordati che ti amo».
«Anche
tu».
I
primi due uomini uscirono dal
tunnel e ci guardarono sogghignando.
«Ehm…
mi dispiace interrompere i
vostri addii, piccioncini, ma è scaduto il tempo»,
balbettò Joe, arretrando fino
al muro alle nostre spalle. Per puro caso spostò un mattone
e si aprì un’altra
botola, che lo fece scivolare in tondo per un po’, fino a
quando non sentimmo
più le sue grida.
In
compenso, sentii nell’aria che
saliva dal nuovo tunnel un odore inconfondibile: profumo di mare.
C’eravamo,
quella era l’uscita, la via per la salvezza, ma non potevo
lasciare che quegli
uomini ci seguissero anche fuori. Alla fine decisi che li avrei
intrattenuti
per un po’, dando il tempo a Nick, Joe e Kevin di
allontanarsi, poi li avrei
raggiunti e una volta fuori avrei potuto utilizzare il mio potere per
fuggire
definitivamente.
«Nick,
Kevin, andate!», gridai
prima di avventarmi su uno dei due uomini, che cadde
sull’altro. Quello che non
riuscii a prevedere fu un terzo scagnozzo che uscì dal
tunnel mentre ero ancora
a terra e tentavo di alzarmi ed afferrò Nick per il braccio
proprio un momento
prima che si lanciasse nel tunnel.
«Dove
credi di andare tu?!
Potresti sempre tornarci utile per qualche ricatto!»,
gridò l’uomo stringendo
Nick fra le braccia muscolose e puntandogli qualcosa sul fianco.
Cos’era?
Ebbi
l’onore di scoprirlo poco
dopo, quando lo stesso affare mi pizzicò una gamba e una
scossa elettrica mi
percosse da capo a piedi. Iniziavo ad odiare
l’elettricità e chiunque l’avesse
inventata.
«Lascialo
andare», biascicai
mentre uno degli scagnozzi mi tirava su da terra con
facilità, mi stringeva un
braccio intorno al collo per non farmi muovere e mi portava di fronte a
Nick,
intrappolato come me. «È me che volete, no? Lui
che cosa c’entra…».
«Oh,
come sei altruista
signorinella…».
«Non
ti preoccupare per me, amore»,
sussurrò Nick con un lieve sorriso sulle labbra.
«Stai
zitto, tu!», gridò lo
scagnozzo che lo aveva in pugno e lasciandolo andare gli
riserbò una scarica
elettrica che lo fece accasciare a terra svenuto.
«Come
hai osato, brutto…».
La
mia
rabbia era incontenibile e me ne accorsi grazie alla forza che mi
circolò nelle
vene ancora più velocemente
dell’elettricità e al fatto che il mio
corpo sussultò con dei
tremiti, come se non riuscisse più a contenerla.
L’uomo che mi teneva stretta capì che qualcosa di
grosso stava per
accadere e mi lasciò andare per rifugiarsi da qualche parte,
ma io sollevai una
mano in aria e sul soffitto si aprì un varco scuro che come
un grande
aspirapolvere risucchiò i due uomini. Si sarebbe portato via
anche Nick, se io
non mi fossi gettata su di lui e non avessi chiuso la mano in tempo.
Quando
tutto fu passato, guardai
il soffitto per qualche secondo, respirando affannosamente. Non potevo
crederci. Avevo aperto davvero un buco nero, spedendo quei due uomini
in chissà
quale dimensione? Un brivido di paura mi scosse e mi guardai i palmi
delle
mani, poi un rumore fece guizzare il mio sguardo verso
l’altra parte della
stanza: il terzo uomo, dalla cui espressione terrorizzata potevo
dedurre che
aveva visto tutto, mi guardò ed implorò
pietà, unendo le mani di fronte al viso
a mo’ di preghiera e piagnucolando.
«Stai
zitto e vattene», sbuffai
senza forze. Lui non se lo fece ripetere due volte.
Mi
voltai verso Nick e gli
accarezzai il viso, implorandolo di svegliarsi. Posai la fronte sulla
sua e una
lacrima mi scivolò sulla guancia, per poi cadere sulla sua.
«Ary?».
Aprii
gli occhi di scatto ed
incontrai i suoi, che mi sorrisero dolcemente. «Oh, Nick,
stai bene! Menomale,
ho avuto tanta paura…».
Lui
si lasciò stringere senza
lamentarsi della posizione scomoda a cui lo costringevo e mi
accarezzò la
guancia per calmarmi.
«Sto bene, tranquilla. Ma…
cos’è
successo? Dove sono finiti gli scagnozzi?».
Ripensai
al buco nero che avevo
creato. Forse non era il caso che glielo raccontassi, faceva paura
persino a me
aver scoperto di avere anche quella capacità! E sinceramente
speravo di non
doverla sfruttare mai più.
Sorrisi nervosamente. «Gli ho
fatto così tanta paura che sono scappati con la coda fra le
gambe».
Lui
accennò una risata, ma glielo
lessi negli occhi che sentire quella bugia lo aveva ferito.
Gli posai un bacio sulle labbra e
mormorai: «Ne parliamo un’altra volta con
più calma, okay? Adesso raggiungiamo
Joe e Kevin».
Nick
annuì e si lasciò aiutare a
rialzarsi, poi scivolammo lungo il tunnel che portava alla spiaggia.
***
Fiore
aveva condotto alla
spiaggia tutti quanti, compresa la folla che si era convinta
dell’innocenza dei
Jonas Brothers e dell’inganno della vecchia megera. Secondo
lei da lì era molto
più semplice entrare di nascosto nella sua casa-labirinto,
attraverso uno dei
diversi passaggi segreti di cui solo lei sapeva l’esistenza.
Ad
un certo punto Ale rimase
indietro, attirata dalla bellezza del mare che luccicava sotto i raggi
del sole
come se fosse tempestato di diamanti.
Pensò alle giornate trascorse su quella
stessa spiaggia con i fratelli Jonas e la sua migliore amica,
pensò a quante ne
aveva combinate con Joe per rendere la vita impossibile a quei due
“piccioncini” e pensò semplicemente a
Joe, al suo sguardo, al suo sorrisetto
provocatorio e malizioso, a tutte le sue menate per i suoi capelli
perfetti… Ne
sentiva una tremenda mancanza ed era così in pena per lui
che… sì, le parve di
sentire la sua voce che la chiamava.
Sorrise amareggiata, dicendosi
che era impossibile che fosse lì, ma quando la
sentì di nuovo si costrinse a
girarsi, col cuore in gola, e vide Joe correre a perdifiato verso di
lei, con
Kevin alle spalle che non riusciva a tenere il suo ritmo.
«Joe…»,
mormorò non credendo ai
suoi occhi. Quando si convinse che lui non era soltanto frutto della
sua
immaginazione sorrise raggiante e urlò ancora più
forte il suo nome,
correndogli incontro.
La
folla si voltò a guardare e lo
stesso fecero Fiore, il suo compagno Alessandro, Davide e i suoi
genitori. Il
ragazzino in particolare fece per correre verso di loro per avere
notizie di
sua sorella, ma Alessandro lo fermò posandogli una mano
sulla spalla e
sorridendo.
«Lasciagli
un attimo di privacy,
ne hanno bisogno».
Ale
si gettò fra le sue braccia e
lo strinse fortissimo, tanto che Joe dovette pregarla di lasciarlo
andare
perché era stremato.
«Sono così felice di vedere che
stai bene…», soffiò Ale prendendogli il
viso fra le mani e guardandolo
intensamente negli occhi.
Joe
sorrise malizioso. «Allora ce
l’ho fatta a conquistarti… Peccato che per
l’occasione abbia i capelli ridotti
in questo stato…».
«Chissene
frega dei tuoi capelli».
Ale lo baciò impetuosamente sulle labbra, non dandogli
nemmeno il tempo di
realizzare ciò che stava succedendo, e sentì
mille farfalline invaderle lo
stomaco.
Nel
frattempo Kevin, che aveva
deciso di lasciarli un po’ da soli, si era avvicinato al
nutrito gruppo poco
lontano da loro e alle mille domande di Davide rispose raccontando in
breve tutto
ciò che era capitato loro nelle ultime quarantotto ore.
«Ma
adesso dove sono Ary e Nick?»,
chiese ancora il ragazzino, preoccupato.
Kevin
abbassò lo sguardo. «Ary ha
provato a distrarre gli scagnozzi della vecchia per farci fuggire, ma
penso che
non ci sia riuscita molto bene e Nick… credo sia rimasto con
lei».
«Che
cosa ci facciamo ancora qui?
Dobbiamo andare a dargli una mano!», urlò
Alessandro.
Nonostante quei tre Jonas da
strapazzo non gli fossero mai andati a genio non poteva permettere che
gli scagnozzi
della vecchia facessero del male ad Arianna!
«Mostraci
il tunnel con cui siete
riusciti ad arrivare qui», disse Fiore al maggiore dei
fratelli, che annuì e li
guidò lungo la spiaggia.
Quando
furono nei pressi del
punto esatto, quasi dal nulla videro qualcuno cadere nel vuoto per
qualche
metro, per poi atterrare sulla sabbia. La stessa sorte toccò
ad una ragazza,
che appena toccò il suolo con il fondoschiena
lanciò un urlo, mettendosi a
piagnucolare: «Non ne posso più di questi tunnel
che ti fanno finire sempre col
culo a terra!».
Appena
sentì quella voce, Davide
si fece spazio fra la folla e corse come un pazzo fino a lei,
scomparendo e
ricomparendo ad ogni dieci metri. Stava usando il teletrasporto per
avvantaggiarsi nella corsa e fare più in fretta!
Alla fine comparve a pochi
centimetri dal viso della ragazza e con le lacrime agli occhi,
nonostante
avesse le labbra arricciate a causa di una risata di gioia che stava
tentando
di trattenere, le gettò le braccia al collo pronunciando il
suo nome: «Ary».
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17
Vidi
mio fratello corrermi incontro a scatti, sparendo ogni tanto, e quando
me lo trovai a pochi centimetri dal viso riuscii a scorgere il riflesso
dei miei occhi nei suoi, ora più che mai, grazie a quella
luce intensa, dorati. Erano però anche lucidi di lacrime.
Sentii le sue braccia avvolgermi il collo all’improvviso e
rimasi per qualche secondo confusa e spaesata. Che ci faceva lui
lì?
La sorpresa più grande però fu vedere anche Ale,
la mia migliore amica, e dietro di lei i miei genitori.
«Ma
cosa… Posso sapere che cavolo ci fate tutti voi
qui?», chiesi con gli occhi sgranati, dando qualche pacchetta
distratta sulla schiena di mio fratello, che mi stava quasi soffocando.
«Siamo
venuti a tirarti fuori dai guai, signorina!»,
strillò mia madre. Ciononostante, avevo come la sensazione
che una volta risolto quell’enorme casino – se mai
ci fossimo riusciti – ne avrei avuti ben altri di
guai… proprio con lei! Mi aspettava la punizione
più spregevole che la sua mente potesse procreare.
Però sorrisi, felice di vederli e di sapere che erano
accorsi per me, solo per me. Mi sentii anche maledettamente in colpa
per averli fatti preoccupare e spaventare, ma fu solo un attimo
passeggero, anche perché dietro di loro scorsi la figura di
Fiore.
«Fiore»,
balbettai, sorpresa di vedere anche lei. Lei non osò alzare
lo sguardo ed intuii che forse era dispiaciuta per come si era
comportata con me l’ultima volta che ci eravamo viste.
«Fiore io non sono arrabbiata con te, davvero… Sei
tu quella che dovrebbe esserlo, perché io
ho…».
«Cosa?»,
domandò Alessandro, spuntando da dietro una piccola folla.
Aveva un sorriso solare sul viso e lì per lì
credetti di avere le allucinazioni, ma quando si avvicinò a
me e mi prese per le braccia per aiutarmi ad alzarmi dalla sabbia
sentii la consistenza del suo corpo muscoloso e col fiato mozzato in
gola, euforica, gli gettai le braccia al collo gridando.
«Oh
mio Dio, allora sei vivo! Non ti sei perso in nessuna altra dimensione!
Ma allora… perché non eri con me?»,
domandai frastornata, guardandolo negli occhi.
Lui
ridacchiò. «Credo che sia successo
perché…».
«Mi
dispiace interrompere il vostro felice raduno, ma credo che dovrete
prestarmi un po’ d’attenzione».
I
miei occhi lampeggiarono di rabbia vedendo la vecchia megera che a
causa della sua bassa statura faticava a tenere sotto controllo
Charlotte, che si dimenava furiosamente nonostante la vecchiaccia
avesse una mano fra i suoi capelli rossi e il pugnale nascosto nel
bastone che usava per aiutarsi a camminare puntato al suo petto.
«Stai
ferma, sciacquetta!», gracchiò la vecchia e con
uno strattone la fece cadere a carponi sulla sabbia, provocandole un
taglio sullo zigomo con il pugnale. «Oh, perdonami cara, non
era mia intenzione».
Charlotte
digrignò i denti, nonostante le lacrime che le scorrevano
sul viso, e un po’ del suo sangue prese a gocciolarle dal
mento.
«Lasciala
andare», urlai piena di rabbia, avanzando di un passo.
«Come,
scusa? Non ci penso minimamente! Vi ha aiutati a fuggire e deve
pagarmela, in qualche modo!».
«Se
io dovessi fartela pagare per tutto ciò che hai fatto a me,
alla mia famiglia e ai miei amici avrei già dovuto mandarti
all’oltretomba!», sbraitai rossa di rabbia e non mi
accorsi nemmeno di svanire e ricomparire di fronte a tutti, talmente
tanto era il potere che mi circolava nelle vene. Feci ben attenzione a
non aprire i palmi delle mani, perché dalle mie nuovissime
conoscenze sapevo che potevo liberare il mio potere creando buchi neri
e non era decisamente il caso, di fronte a tutta quella gente.
La
vecchia iniziò a ridere, guardandomi come se fossi la cosa
più divertente che avesse mai visto. «Attenta,
bambina, o rischierai di perderti tu stessa in chissà quali
dimensioni».
«Odio
darle ragione, ma è così», disse Fiore
comparsa magicamente al mio fianco. Portò le mani sulle mie
spalle e mi sussurrò all’orecchio: «Se
non ti calmi rischi davvero di autodistruggerti».
Provai
a calmarmi e ci misi un bel po’, a causa di quella rabbia
cieca che riuscivo a malapena a controllare. Forse era proprio quello
l’intento di quella vecchiaccia, farmi arrabbiare
così tanto da portarmi all’autodistruzione.
«Lascia
fare a me», mi bisbigliò ancora Fiore, prima di
avviarsi a passo deciso verso la vecchia.
«Fiore»,
esclamò la vecchia con uno strano tono di voce, mentre
indeboliva lentamente la presa sui capelli di Charlotte.
«Come sei cresciuta…».
«Risparmiati,
mamma».
Gran
parte delle persone intorno a me trattennero il respiro, sorprese dalla
notizia, e persino io lo feci, sentendo un brivido di gelo corrermi su
per la schiena. Fiore era la figlia di quella vecchia megera? Non
potevo crederci, ma solo in quel modo mi accorsi che molti tasselli del
puzzle riuscivano a trovare il loro posto. Per esempio, riuscii a
rispondere ad una delle domande che mi erano sempre vorticate nella
testa: se anche Fiore possedeva il dono di viaggiare tra le dimensioni,
perché la vecchia non aveva mai tentato di rubarlo a lei?
Perché infondo era pur sempre sua figlia e doveva volerle
ancora bene.
Per
avere ulteriori delucidazioni su tutta la storia non dovetti aspettare
molto, fu la stessa Fiore a raccontare tutto quanto.
«È
ora di farla finita con questa storia, mamma. Non posso sopportare che
tu faccia del male ad altre persone innocenti, solo perché
vorresti tornare giovane e riavere indietro il tuo dono e
perché non riesci ad accettare la mia decisione di stare in
questa dimensione con la persona che amo».
Mi
voltai verso Alessandro, ma lui non ricambiò lo sguardo,
fisso sulla sua fidanzata.
«Lo
sapevi perfettamente che con l’arrivo della vecchiaia il dono
sarebbe lentamente diminuito», riprese Fiore, iniziando a
camminare avanti e indietro di fronte a sua madre. «Ma tu hai
anticipato le cose, utilizzandolo in maniera così
spropositata quando eri giovane e viaggiavi per tutte le dimensioni,
cercandone sempre di nuove. Ammiravo la tua voglia di conoscenza,
sapevi sempre tutto e ogni volta che potevi andavi a trovare le
popolazioni delle altre dimensioni, fino a quando papà
è morto».
A
quelle parole la vecchia trasalì, portandosi una mano sulla
fronte. Sembrava che quell’excursus nel suo passato la stesse
facendo rabbonire, ma non mi sarei calmata fino a quando non
l’avrei vista indifesa e lontana dalle persone che amavo.
«Quando
è successo hai capito quanto poco tempo fossi stata
realmente con lui in vent’anni di matrimonio, quanto poco
conoscessi lui e me, la tua stessa figlia. Ma a quel tempo io ero
già grande, avevo badato a mio padre fino a quando sul letto
di morte mi salutò e mi disse di dirti che ti amava
nonostante tutto, e da quel momento in poi mi sono allontanata da te,
iniziando ad odiare il tuo stile di vita. Tu hai sempre abusato del tuo
potere e hai accorciato i tempi della sua scomparsa, provocandoti anche
una grave malattia che ti sta portando via…».
Fiore si fermò di fronte alla vecchia e si
inginocchiò sulla sabbia per poterla guardare negli occhi.
«Io ho ereditato i tuoi stessi enormi poteri e vorresti che
facessi la tua stessa vita? Tutto quello che hai passato e che hai
dovuto patire… non ti è servito a nulla, allora?
Io ho trovato l’amore, qui, e non intendo lasciarlo. Tu
avresti dovuto fare lo stesso. Se tu l’avessi
fatto… a questo punto non saresti qui, ad un passo
dalla…».
La
vecchia alzò una mano per schiaffeggiarla, ma Fiore
sparì e altrettanto velocemente comparve a qualche metro di
distanza, gli occhi ardenti ancora fissi nei suoi.
«Pensi
di riavere il dono strappandolo ad un’altra persona? Questa
tua ossessione ti ha davvero accecata. Dovresti sapere che questi
trucchetti non funzionano, che ogni dono è unico e non lo si
può rubare. Devi metterti il cuore in pace, preserva da
altri inutili fatiche il tuo corpo stanco…».
La
vecchia parve davvero lasciarsi andare alle lacrime e dar ascolto alla
figlia perduta, ma all’ultimo momento la rabbia le
attraversò come un lampo le iridi scure e urlò
con tutta la voce che aveva, fissandomi dritta negli occhi:
«Consegnami il tuo dono, stupida ragazzina! Tu non
l’hai mai voluto, l’ho visto nei tuoi occhi la
prima volta che ci siamo viste! Non lo meriti!». Strinse
ancora con più forza i capelli di Charlotte, che gemette, e
le puntò in modo ancora più pericoloso il pugnale
del suo bastone al petto. «Consegnati, o vedrai morire la tua
amichetta!».
Guardai
Charlotte negli occhi e lei mi guardò implorante, ma scosse
il capo lentamente, rivolgendomi un mezzo sorriso. Avrebbe preferito
morire, piuttosto che vedere quella vecchia megera realizzare il suo
piano malvagio, ma io non l’avrei mai abbandonata, non una
seconda volta.
Così,
contro tutte le persone che provarono ad ostacolarmi durante il mio
breve tragitto, camminai verso la vecchia, che mi guardò
cercando di leggermi negli occhi la mia prossima mossa per provare ad
ingannarla.
«Prometti
di lasciarla andare, se mi consegno a te?», le domandai in
tono pacato. «Tanto, da quello che ho capito, non riuscirai
mai a rubarmi il dono, per quanto tu lo desideri esso
rimarrà sempre dentro di me e forse c’è
qualcosa che non sai: io ho imparato a volere il mio dono, adesso ne
riconosco i lati positivi e non lo rifiuterei per nulla al
mondo».
La
vecchia mi guardò in cagnesco e berciò:
«Certo, ragazzina, libererò la tua amica se ti
consegni a me».
«Bene»,
risposi e sospirai, poi allungai lentamente i polsi verso di lei,
sperando che Davide avesse intuito il mio piano quando
l’avevo guardato negli occhi prima di andare dalla megera.
La
vecchia, sorpresa dal mio comportamento fin troppo arrendevole, ci mise
un po’ a fidarsi, ma quando lo fece per mettermi un nuovo
paio di manette anti-dono lasciò andare Charlotte, che cadde
sulla sabbia, sfinita.
Adesso!
pensai con tutte le mie forze e vidi mio fratello comparire al mio
fianco per teletrasportare lontano da lì Charlotte. Sorrisi
pensando di averla fatta franca, ma quando mi voltai per trovare il
viso della vecchia la vidi mentre sollevava il suo bastone col pugnale.
Pensai che mio fratello sarebbe stato colpito alla schiena, ma non ebbi
i riflessi tanto pronti per fare qualcosa.
All’improvviso vidi Davide cadere di lato e uno schizzo di
sangue mi colpì il volto. Chiusi gli occhi e quando li
riaprii, colmi di lacrime, vidi Charlotte inginocchiata al mio fianco,
con il pugnale della vecchia conficcato in mezzo al petto.
«Stupida»,
mi disse con un fil di voce, prima di sorridermi e di chiudere gli
occhi, cadendo di nuovo sulla sabbia.
«NO!»,
gridai e senza nemmeno accorgermene aprii entrambi i pugni, facendo
fuoriuscire un flusso impressionante di energia, che si
accumulò e creò un varco grande il doppio di
quello che avevo creato la prima volta.
Questo iniziò a risucchiare più cose possibili,
si alzò un gran polverone e molte persone si gettarono a
terra per non finire nel buco nero.
«No,
Arianna, chiudilo subito!», gridò Fiore,
affiancandomi e prendendomi le mani.
Davide,
spaventato a morte, allungò una mano verso Charlotte, che
continuava a perdere sangue, e in un batter d’occhio
sparirono nel nulla. Sperai che avessimo pensato la stessa cosa.
«Non…
non ci riesco!», gridai disperata, mentre i primi scagnozzi
della vecchia megera venivano risucchiati nel vortice e scomparivano.
Fiore
provò a chiudermi i palmi delle mani, ma venne sbalzata
indietro da una forza a me sconosciuta e la guardai sentendomi la
persona più impotente e stupida del mondo, perché
non saper controllare la propria forza è la peggiore
impotenza.
La
vecchia megera intanto si era aggrappata ad una roccia della scogliera
e guardava il buco nero atterrita e allo stesso tempo affascinata da
tutta quella potenza dirompente.
Pensai
che dovevo fare assolutamente qualcosa, ma cosa?
«Ary!».
Mi
voltai all’udire la voce di Nick, anche lui aggrappato ad una
roccia insieme ai suoi fratelli, ma nel suo sguardo non vidi nemmeno un
briciolo di paura, né nessun altro sentimento che potesse
dimostrare il disprezzo che pensavo provasse nei miei confronti vedendo
tutto quello che stavo facendo. Vidi solo amore e ripensai ai momenti
belli passati insieme a lui, finché una strana calma non
iniziò a sedare la mia rabbia e il mio dolore per
ciò che la vecchia aveva fatto a Charlotte.
L’amore, come avevo già avuto modo di appurare,
era la miglior cura esistente nell’universo e non avrei mai
smesso di scoprirlo.
Infatti
il buco nero si chiuse lentamente e col fiato spezzato caddi a terra,
esausta. Sentii parecchie voci intorno a me, non vidi più il
sole alto nel cielo accecarmi mentre roteavo gli occhi in una ricerca
frenetica e sentivo il cuore battermi sempre più lentamente
nel petto.
Era una mia sensazione, o quel potere che avevo fatto scivolare fuori
dalle mie mani creando quel buco nero si era portato via parte della
mia vita? Fu quello il mio ultimo inquietante pensiero, prima che il
buio avvolgesse tutto quanto.
***
Quando
riaprii gli occhi, non sapevo che giorno fosse. Avevo le palpebre
così pesanti e mi sentivo ancora così debole che
pensai che avrei potuto dormire ancora per un anno intero.
Voltai
lentamente il capo per guardarmi intorno e mi accorsi che in quella che
aveva tutto l’aspetto di una camera d’ospedale non
ero sola. Seduto accanto alla finestra, con lo sguardo perso oltre il
vetro, c’era Nick. Il sole gli accarezzava dolcemente il viso
e le palpebre socchiuse e la luce ambrata che lo rendeva se possibile
ancora più bello mi fece intuire che era l’alba.
Nonostante non fosse un tipo mattiniero, lui era lì, per me,
a combattere contro il sonno.
«Amore»,
mormorai, non riconoscendo subito la mia voce graffiata.
Lui
si voltò di scatto, sorpreso di sentire la mia voce, ma nei
suoi occhi vidi una luce di gioia pura.
Gli sorrisi dolcemente, mentre lui faceva lo stesso e trasportava la
sedia su cui era stato seduto fino ad allora accanto al mio letto.
«Ehi»,
sussurrò, prendendomi una mano fra le sue e portandosela
alle labbra per accarezzarla con un bacio. «Hai gli occhi
spenti, forse è meglio se ti riposi ancora un
po’».
«No,
sto bene», mentii e fui felice di farlo, perché
vederlo era l’unica cosa in grado di farmi sentire meglio
veramente. «Anzi, credo di aver dormito fin troppo».
«Solo
quattro giorni».
«Solo?
Wow», arricciai le labbra in una risata. «E tu?
Sembra che non dormi da settimane, hai un aspetto orribile».
«Oh,
grazie mille», rispose chinando il capo in un mezzo inchino.
Anche lui, alla fine, non avrebbe voluto che tornassi a dormire: glielo
leggevo in faccia.
«Gli
altri stanno tutti bene?», domandai, cercando di ricordare
tutti i dettagli della “battaglia finale”, da
quando avevo deciso di intrufolarmi nella casa-labirinto della vecchia
megera fino a quando il buio più totale mi aveva avvolta.
«Sì,
erano solo tutti molto preoccupati per te».
«E…
e Charlotte?». Ricordai la sensazione terrificante che avevo
provato quando avevo sentito il suo sangue schizzarmi in faccia, come
se quella pugnalata al petto l’avessi presa io, e
d’istinto mi portai una mano sul viso, trovandolo pulito.
Nick
mi prese quella stessa mano ed indugiò per qualche secondo,
evitando il mio sguardo. Alla fine, mormorò: «Si
riprenderà». Io però capii subito che
la sua era una bugia, una bugia che probabilmente si ripeteva da giorni
per non accettare il fatto che, no, non si sarebbe ripresa.
Con
le lacrime agli occhi, sussurrai: «Voglio andare da
lei».
***
Entrai
nella sua camera d’ospedale e guardai il macchinario al suo
fianco che mostrava il suo elettrocardiogramma. I battiti del suo cuore
erano lenti, tanto lenti da farmi stare col fiato sospeso ogni volta,
fino a quando non giungeva quello successivo.
Aveva anche una mascherina posata sul viso, che l’aiutava ad
incamerare l’ossigeno nei polmoni.
But you don't know what you got 'til
it's gone
And you don't know what it's like to feel so low
Mi
avvicinai al suo letto, avvolta nel mio accappatoio verde pallido, e mi
sedetti sulla sedia al suo capezzale.
La guardai e mi chiesi se stesse dormendo. Aveva
un’espressione neutra sul viso e i capelli rossi le
ricadevano sulle spalle e sul cuscino candido.
Mi dissi che, nonostante il mio fratellino avesse avuto la mia stessa
idea trasportandola il prima possibile all’ospedale, non era
bastato a salvarla.
I medici dicevano che il suo fisico non avrebbe retto ancora per molto,
che la ferita che le era stata inflitta era troppo profonda e fin
troppo vicina al cuore, e che, come se non bastasse, quel
pugnale era impregnato di magia nera che, come un veleno – lo
stesso che aveva corroso l’anima della vecchia megera nel
corso degli anni a causa della sua ossessione per il dono, –
aveva iniziato a circolarle nelle vene portandola lentamente alla morte.
Le
lacrime mi punsero gli occhi e il naso incominciò a
pizzicarmi, così alzai il viso verso l’alto per
non farle sfuggire alle ciglia.
«Arianna…».
La sua voce flebile mi giunse incredibilmente alle orecchie ed abbassai
il capo di scatto, guardandola negli occhi. Stava sorridendo
lievemente, come se non avesse neppure la forza per farlo ma ci volesse
provare comunque. Ed ero certa che quel mezzo sorriso non
l’avrei mai dimenticato, perché era il
più bello che avessi mai visto, perché era vero,
perché era quello di una persona che combatteva contro il
dolore e tuttavia era serena.
And every time you smile or laugh you glow
You don't even know, no, no
You don't even know
«Charlotte»,
mormorai e non riuscii più a trattenere le lacrime, che
silenziose mi solcarono le guance.
Sollevando
una mano, con estrema fatica, si tolse la mascherina dal viso, anche a
costo di rantolare mentre parlava.
«Mi fa piacere vederti».
Nelle sue parole percepii un significato nascosto: sembrava che avesse
lottato contro quel veleno solo per vedere me.
«Anche
io sono felice di vederti», accennai un sorriso e le strinsi
una mano nelle mie. «Volevo ringraziarti per tutto quello che
hai fatto per me. Mi hai aiutata nella casa-labirinto, hai salvato mio
fratello… Ma soprattutto, grazie per tutto quello che hai
fatto per Nick».
Charlotte
guardò il soffitto. «Non ho fatto nulla di
così speciale». Venne travolta da un attacco di
tosse e il suo corpo tremò, tanto che la pregai di non
affaticarsi e di rimettersi la mascherina, ma lei scosse lievemente il
capo e si riprese. «Per amore si fa di tutto,
sai?».
«Sì,
lo so».
«Allora
ricordati quello che ti ho detto: proteggi Nick da tutto e da tutti,
amalo più che puoi… o ti aspetterò
all’inferno».
Scossi
il capo con tenacia e mi alzai dalla sedia per avvicinarmi ancora un
po’ di più al suo viso, che accarezzai con la
punta delle dita tremanti. «Tu non andrai
all’inferno, Charlotte. E tu… tu ti riprenderai,
sì…».
Lei
mi sorrise e nel suo sguardo lessi una punta di gratitudine. Mi stava
ringraziando per averle detto quella bugia.
So I'll wait 'til kingdom come
All the highs and lows are gone
A little bit longer and I'll be fine
I’ll be fine…
Charlotte
chiuse lentamente gli occhi, non ascoltando le mie suppliche, e quando
mi arresi sentii il macchinario accanto a lei suonare ininterrottamente
una nota acuta che mi perforò i timpani e mi fece sanguinare
il cuore.
Mi spostai lentamente dal suo viso, presi un lembo del lenzuolo che
l’avvolgeva e glielo coprii. Ma prima rimasi ad osservare
ancora una volta quel sorriso che le incurvava leggermente le labbra
all’insù.
Uscii
dalla sua stanza e trovai subito lo sguardo di Nick, lo ricambiai per
un momento e poi andai dalla cheerleader bionda e da quella mora, che
sedute su delle sedie proprio lì di fronte si abbracciavano
e piangevano.
Mi unii al loro abbraccio, sentendomi unita a loro più che
mai, e ripetei più volte un «Mi
dispiace» che non avrebbe di certo cambiato le cose.
Charlotte era andata e nessuno avrebbe potuto farla tornare indietro.
***
Mentre
camminavo accanto a Nick, stretta al suo braccio, per tornare nella mia
stanza, scorsi le figure di Fiore e di Alessandro infondo al corridoio.
Lo pregai di accompagnarmi da loro e la ragazza, appena mi vide, mi
strinse in un forte abbraccio.
«Sono
felice che tu stia bene», mi sussurrò con le
labbra premute sul mio orecchio. Poi si scostò per guardarmi
in viso e con un’espressione che non riuscii bene a decifrare
mi accarezzò un ciuffo di capelli, tirandomelo di fronte al
viso per farmelo vedere: era bianco, completamente bianco.
«Che…
che cos’è?», balbettai spaventata,
toccandomi i ricci che mi cadevano sulle spalle e trovandoli ancora
tutti del biondo scuro che riconoscevo.
«Il
potere che abbiamo è definito un dono per le grandi
possibilità che ci offre, ma bisogna stare attenti a come lo
si usa, o potrebbe ritorcersi contro di noi». Fiore mi fece
l’occhiolino.
Le
sue parole mi fecero tornare alla mente la sensazione terrificante che
avevo provato quando avevo esagerato col mio potere, creando
quell’enorme buco nero sulla spiaggia, e non ero riuscita
più a controllarmi: avevo pensato che parte della mia vita
fosse fuoriuscita dal mio corpo e ora, guardando quel ciuffo di capelli
bianchi, me ne convinsi del tutto.
«Hai
ancora molto da imparare», mi disse ancora, accarezzandomi il
mento con fare materno. Poi si voltò verso il suo fidanzato
e si lasciò abbracciare, guardando oltre il vetro che
mostrava l’interno di un'altra camera d’ospedale.
Ebbi
paura a scoprire chi vi fosse all’interno, paura che vi fosse
finito per colpa mia, ma quando vidi l’anziana donna stesa
sotto un manto di coperte candide provai un tuffo al cuore. Aveva perso
le sembianze con cui l’avevo sempre vista, ma la riconobbi
subito: la vecchia megera. Osservandola, giunsi alla conclusione che
ora era semplicemente l’anziana madre di Fiore, che aveva
perso ogni voglia di combattere e che alla fine aveva accettato il suo
destino, donando un po’ di pace al suo cuore e alla sua anima.
Aveva i capelli bianchi proprio come il mio ciuffo, il viso stanco e di
un colore smorto, cosparso di rughe, e le sue mani erano nodose e prive
di forza.
«Il
veleno della sua ossessione si è radicato troppo
profondamente nel suo cuore per permetterle di guarire, ma sono felice
di vedere che è tornata quella di sempre e che abbia trovato
un po’ di pace», disse Fiore, lo sguardo vacuo
puntato su di lei. «In questa donna anziana, brutta e senza
più forze rivedo la donna giovane, bella e piena di energie
che era mia madre».
La ragazza si voltò improvvisamente verso di me e mi prese
le mani nelle sue: «E devo ringraziare solo te per questo. Se
tu… tu non avessi tentato il tutto e per tutto con lei,
rischiando così tanto, non avrebbe mai capito quanto la vita
sia breve e quanto poco permetta alle persone malvagie di sentirsi bene
con se stesse. Sei stata molto coraggiosa, Arianna».
«Io
non ho fatto niente», biascicai, rifiutando i suoi
ringraziamenti. «Ma sono felice di essere stata
d’aiuto, in qualche modo».
Guardai Nick al mio fianco e gli sorrisi lievemente. «Sono
stanca».
Lui
mi posò un delicato bacio sulla testa.
«Andiamo».
Salutai
Fiore e Alessandro con un gesto della mano e mi lasciai condurre da
Nick fino alla mia stanza, al cui interno trovai i miei genitori, mio
fratello e la mia migliore amica, che mi sorrisero e mi accolsero con
baci e abbracci.
Mi stesi sul letto, davvero stremata, e gli sorrisi ascoltandoli
parlare, contagiata dalla loro allegria, fino a quando non mi ricordai
che avevo dormito per quattro giorni e chissà che
cos’era successo nell’altra dimensione.
«Ale,
ma i tuoi genitori non saranno preoccupati per te?», domandai
stropicciandomi gli occhi con una mano.
La
mia migliore amica ridacchiò e disse: «Mia madre
crede che io sia a casa tua per aiutarti a studiare», poi
guardò mio fratello, che mi sorrise.
«Non
ti preoccupare, siamo già tornati nell’altra
dimensione prima che tu ti svegliassi».
«Davvero?
E come avete fatto?».
«Grazie
ai fratelli di Nick», rispose Davide.
Guardai
Nick ad occhi sgranati e mi accorsi che in effetti non avevo ancora
visto Joe e Kevin.
«Loro
sono andati a casa da mamma e papà», mi rispose
Nick, come se mi avesse letto nel pensiero. «Ma da quello che
so volevano subito tornare qui per aspettare che ti
svegliassi».
«E
tu… tu non sei andato con loro?», chiesi.
«Ci
ho provato a convincerlo, ma non si è voluto schiodare da
questa stanza per tutti i quattro giorni del tuo sonno
profondo», disse Davide, ridacchiando. «Comunque,
grazie a Joe e Kevin che sapevano di Ale, di mamma e di papà
qui, sono riuscito a portar avanti e indietro anche loro, per non
creare sospetti, soprattutto nel caso della famiglia di Ale».
La
mia migliore amica mi sorrise. «È stato brutto
tornare a casa senza di te, ma ora che ti sei svegliata
possiamo…».
«No»,
la interruppi e mi guardò sbalordita. «Voglio
prima parlare con le persone che vivono qui e spiegare ciò
che ho intenzione di fare per aiutarli a tornare nell’altra
dimensione, se vogliono».
I
miei genitori, abbracciati, si scambiarono uno sguardo dolce ed intriso
di orgoglio e mi sorrisero.
***
Fui
dimessa dall’ospedale il giorno seguente, a pomeriggio
inoltrato. Per il momento non avevo intenzione di tornare
nell’altra dimensione, ma avevo spinto tutti quanti a
tornarci con mio fratello, perché avevo bisogno di stare un
po’ da sola per riflettere e prepararmi per ciò
che sarebbe avvenuto nei giorni successivi: il funerale di Charlotte e
la conferenza che era stata indetta per me, esclusivamente per me,
nella quale avrei spiegato la mia idea per aiutare tutte le persone che
desideravano tornare nella loro dimensione.
Dopo
vari tentativi e persino un piccolo screzio con mia madre, riuscii a
convincere i miei genitori a tornare nell’altra dimensione e
con Ale non fu particolarmente difficile, anche perché
doveva per forza per non farsi dar per dispersa dalla sua famiglia, ma
mi aveva costretta ad un compromesso: sarebbe venuta a trovarmi tutti i
giorni che avrei passato lì.
L’unico
che non riuscii proprio a convincere ad andarsene fu Nick, che aveva
deciso che sarebbe rimasto al mio fianco, in quella dimensione, fino a
quando non mi sarei sentita pronta a tornare. Avevo provato a
dissuaderlo con ogni mezzo, avevo persino provato ad inscenare una
litigata, ma lui mi aveva bellamente ignorata ed aveva passato tutta la
sera a sistemare la loro villa che quando era stata invasa dalla
popolazione del paese, istigata dalla vecchia megera, aveva messo a
soqquadro tutto quanto.
Nel
frattempo io mi ero chiusa in quella che era stata da sempre la mia
camera a sbollire la rabbia che non provavo, ma vi ero stata poco tempo
perché senza nemmeno farlo apposta mi ero teletrasportata in
spiaggia, quella stessa spiaggia che aveva fatto da sfondo a molte
delle avventure vissute in quella dimensione.
Mi ero seduta sulla sabbia, stretta nel mio stesso abbraccio a causa
del vento freddo che spirava dal mare ed alludeva
all’avvicinarsi dell’inverno, e guardando la luna
mi ero chiesta perché fosse così ostinato a voler
stare con me invece di tornare dalla sua famiglia, la cosa che
desiderava da sempre. La risposta più plausibile che riuscii
a trovare fu che era pazzo, pazzo d’amore, e che
probabilmente anche io mi sarei comportata allo stesso modo.
Sorridevo
ancora, quando sentii i passi di qualcuno sugli scogli alle mie spalle,
che circondavano quella piccola spiaggia come se fosse una bellezza di
dominio privato. Non mi girai, sapevo chi era quel qualcuno.
Poco dopo, infatti, sentii le sue braccia cingermi dolcemente da
dietro, facendomi appoggiare la schiena al suo petto. Sollevai il viso
ed incontrai il suo, bello come sempre.
«Ti
sei spaventato, quando non mi hai visto in camera?», gli
domandai a bassa voce, come se potessi davvero rompere il magico
equilibrio che da millenni spingeva il mare ad infrangere le sue onde
sulla riva.
Nick
sorrise divertito e negò con un cenno del capo.
«Ormai mi sono abituato e so che non andresti da nessuna
parte, senza di me».
«Ah
sì? E come fai ad esserne così sicuro?».
Scrollò
leggermente le spalle. «Mi ami».
L’aveva
detto con una semplicità spiazzante, tanto che anche io ne
rimasi vagamente sorpresa, ma poi sorrisi e mi girai fra le sue
braccia, per guardarlo dritto negli occhi.
«Devo proprio proclamarti vincitore, questa volta»,
mormorai prendendogli il mento fra le dita ed avvicinandomi alle sue
labbra.
Nick
socchiuse gli occhi e mi accarezzò le spalle, le braccia,
fino a giungere ai miei fianchi. «Uhm? Solo questa
volta?».
La sua bocca era ad un soffio dalla mia e sentii i brividi –
e non erano brividi di freddo – quando parlò e le
sue labbra sfiorarono inavvertitamente le mie.
«Lo
sai che hai vinto tutto ciò che potevi di me.
Cos’altro vuoi, oltre al mio cuore?».
«Voglio
che mi sposi».
L’aveva
sussurrato così piano che era quasi impossibile distinguere
le parole le une dalle altre, ma io le sentii forte e chiaro, come se
le avesse gridate, e il mio cuore ne risentì scalpitando
all’interno del mio petto.
«Vuoi
davvero unirti in matrimonio, una cosa così importante, con
una ragazza dai poteri sovrannaturali?». Lui annuì
solennemente col capo.
Sollevai un sopracciglio e sparai la cavolata più stupida
che mi venne in mente, giusto per sdrammatizzare: «Non hai
paura di finire risucchiato in un buco nero? Nemmeno un
po’?».
Nick
ridacchiò e quella volta negò scrollando la
testa. «Starò attento a non farti mai
arrabbiare».
Risi
anche io ed abbassai gli occhi, tracciando con le dita disegni
invisibili sul suo maglioncino.
«E va bene», sospirai e sentii un grosso peso
sfumare dal mio petto, svanito.
«È
un sì?», domandò con gli occhi
improvvisamente più brillanti.
Mi
fece così tanta tenerezza che gli accarezzai i riccioli
sulla testa, ridendo ancora. «Sì, è un
sì!».
Nick
non mi diede nemmeno il tempo di capire quello che voleva fare e mi si
gettò addosso, baciandomi sulle labbra come non aveva mai
fatto prima. La sua gioia era incontenibile e mi sentii felice in un
modo alquanto smisurato: era bastato quel semplice sì a
farlo così contento! Se lo avessi saputo prima, non avrei
aspettato tanto a dirglielo.
Presi
com’eravamo, ci sbilanciammo e cademmo entrambi sulla sabbia,
io sotto di lui. Mentre i granelli che con la loro polvere si erano
sollevati all’impatto ricadevano su di noi, ci guardammo in
viso e ridemmo a crepapelle delle nostre smorfie.
Quando ci calmammo, gli posai le mani sul petto e dissi con finto tono
di rimprovero: «Però mi aspettavo una proposta
degna del tuo nome, Nicholas Jerry Jonas! Non ti sei nemmeno
inginocchiato, né mi hai dato un anello! Davvero, non me lo
sarei mai aspettata da te».
Nick
mi pizzicò il naso fra i denti, facendomi aprire la bocca
sbalordita, e sorrise sbarazzino dicendo: «Non sapevo che te
l’avrei chiesto stasera, in questo modo, né
immaginavo che tu avresti mai accettato! Sono… sono
così felice…».
«Lo
vedo», risposi ridendo, avvolgendogli le braccia intorno al
collo e attirandolo di nuovo a me.
«E
tu? Tu non sei felice?», mi chiese, sfuggendo alle mie labbra.
«Ma
certo che sono felice, che domande! E ora baciami, o rischi di finire
risucchiato in un buco nero ancor prima delle nozze!».
Nick
sorrise e non se lo fece ripetere due volte.
____________________________________
Ciao a tutti! Questa volta ho fatto
davvero in fretta frettissima (15 giorni esatti u.u), avete visto come
sono brava?! :D
Credo che sia uno dei miei capitoli preferiti, perchè le
cose capitate qui sono tantissime e c'è l'imbarazzo della
scelta per quanto riguarda le emozioni! Prima la tensione per la
"battaglia finale", poi la tenerezza dell'incontro tra Nick e Ary dopo
il risveglio di quest'ultima, poi ancora la tristezza per la morte di
Charlotte e la malinconia per la storia e la fine che farà
la madre di Fiore, per poi concludere con la proposta ufficiosa
di matrimonio!
Beh, non devo neanche dirlo che non vedo l'ora di sapere che cosa ne
pensate voi! Sperando ovviamente di veder ricomparire le persone che
seguivano con passione questa storia :) A proposito, ringrazio anche ___Unbroken,
una nuova lettrice che ha commentato lo scorso capitolo *-*
La canzone che ho usato in questo capitolo è A
little bit longer, dei Jonas :)
E detto questo, credo di aver detto tutto ;)
Ciao, alla prossima!
Vostra, _Pulse_
P.S. (Qualcosa dovevo pur
dimenticare xD) Se volete avere qualche chicca in più su
questa FF o anche sulle altre, potete andare a guardare la mia pagina
su Facebook, che si trova a questo link: http://www.facebook.com/pages/_Pulse_-EFP/155262114566704
:)
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Eccomi qui, puntuale
come un orologio svizzero! :D Come avevo preannunciato sulla mia
pagina FB,
solo per voi un nuovo capitolo, uno degli ultimi. Ormai siamo agli
sgoccioli, non ci posso credere! Dopo tutto questo tempo in cui mi sono
fatta dannare, finalmente questa FF giungerà al termine.
Spero solo che qualcuno rimanga fino alla fine ;)
Bene, non mi resta che ringraziare coloro che leggeranno e colei che ha
recensito lo scorso capitolo, ___Unbroken - Grazie mille! :) -
ed augurarvi buona lettura! :3
____________________________________
Capitolo 18
I
giorni si susseguirono in fretta uno dietro l’altro, ricchi
d’avvenimenti e di emozioni, tanto che passai la peggiore
settimana della mia vita. Almeno per quanto riguardava il sonno. Avevo
dormito per quattro giorni interi, dopo la “battaglia
finale” con la vecchia megera, e le preoccupazioni per quello
che mi aspettava al risveglio mi rendevano difficile addormentarmi.
Delle volte era capitato che mi svegliassi nel cuore della notte e
nemmeno il respiro né i battiti regolari del cuore di Nick,
stretto al mio fianco, riuscivano a tranquillizzarmi.
Così mi alzavo e, seduta all’isola della cucina,
con una tazza di thè caldo di fronte al viso, restavo a
riflettere e a scarabocchiare sui post-it, per esempio, le parole che
avrei potuto usare alla mia conferenza.
Era
la prima conferenza a cui partecipavo e mai, mai avrei pensato che
avrei vissuto quell’esperienza stando seduta ad un lungo
tavolo, con un microfono posizionato di fronte alla bocca e una marea
di giornalisti, cameraman e fotografi come spettatori.
Per fortuna a darmi un po’ di conforto, seduti ai miei
fianchi, c’erano Nick e Davide, mio fratello; accanto a lui,
inoltre, c’erano anche Fiore, che ne sapeva sicuramente
più di me e dava il suo contributo nelle spiegazioni
più dettagliate dei fenomeni, e Alessandro, che aveva
ottenuto quel posto di diritto perché era stata la mia prima
“cavia” per sperimentare l’efficacia
della mia teoria.
In più Alessandro, qualche giorno prima della conferenza, mi
aveva spiegato ciò che non era riuscito a dirmi quella volta
sulla spiaggia, scacciando definitivamente ogni mio dubbio sulla
fondatezza della mia teoria.
«Quando
abbiamo fatto l’esperimento, io non sono comparso al tuo
fianco ed entrambi, ovviamente, abbiamo creduto di aver fallito, ma in
realtà… ci eravamo solo separati durante il
teletrasporto. Ho il forte sospetto, anzi ne sono quasi sicuro, che
mentre ci teletrasportavamo io abbia pensato a casa mia, in Messico.
Desideravo davvero molto vedere un’ultima volta la mia
famiglia, assicurarmi che mia madre, mio nonno e le mie due sorelline
stessero bene, ed è proprio lì che mi sono
trovato, nel giardino di casa mia».
Dopo
quel racconto, capii che durante la fase di passaggio fra le due
dimensioni non era efficace solo la volontà di chi aveva il
dono, ma anche di chi veniva trasportato. Questa presa di coscienza
aveva risollevato in parte l’animo di mio fratello, il quale
si era sempre sentito colpevole di aver spedito in chissà
quale altra dimensione il signore anziano che lo aveva aiutato, e
inoltre aveva dato un grosso contributo alla gestione tecnica di quello
che sarebbe diventato, col tempo, un vero “aeroporto
dimensionale”.
Un
giornalista si alzò in piedi e prese la parola:
«Signorina, ci spieghi la sua idea più nei
dettagli».
Mi
schiarii la voce allontanandomi dal microfono ed annuii.
«Quello a cui ho pensato somiglia molto ad un aeroporto, solo
dimensionale. Prendiamo per esempio un ufficio, o comunque un luogo in
cui potrebbe essere possibile radunare tutte le persone che, secondo il
loro appuntamento, devono essere trasportate nell’altra
dimensione».
«Come
una specie di sala d’aspetto?», chiese
un’altra giornalista.
«Sì,
esatto!», esclamai. «Come dal medico, ognuno
aspetta il proprio turno e nel frattempo compila un modulo in cui si
richiedono i dati anagrafici e una piccola biografia, nulla di molto
approfondito. Questo servirà alle persone
nell’altra dimensione per prepararsi al loro arrivo ed
assicurarsi che tutto sia andato secondo i piani. Tutto qui. Ci ho
messo un po’ di tempo per capire che bastava solo questo, ma
alla fine ce l’ho fatta e spero che possa essere
d’aiuto a moltissime persone».
Da quando la notizia si era diffusa e ormai tutti ne parlavano, nelle
radio, nei TG e per strada, aveva scatenato un’eccitazione
generale, tanto che qualcuno stava già pensando di
accamparsi di fronte all’edificio che sarebbe poi diventata
la sede dell’aeroporto dimensionale per accaparrarsi i primi
posti.
Gli scettici di certo non mancarono, però la maggior parte
della popolazione reagì in maniera positiva, animati di
nuovo dalla speranza di poter tornare finalmente a casa.
Un’altra di quelle preoccupazioni che non mi permise di
dormire la notte fu il funerale di Charlotte, che avvenne qualche
giorno dopo la famosa conferenza. Anche in quella lunga notte insonne
mi ero ritrovata a scrivere sui post-it. Quella volta avevo
scarabocchiato poche parole che magari Charlotte, lassù da
qualche parte nel cielo, avrebbe ascoltato.
Nel
piccolo cimitero del paese, immerso nel verde, c’erano poche
persone. La mattinata era uggiosa e il vento freddo che spirava dal
mare mi faceva tremare, in piedi accanto a Nick, Joe, Kevin, Alessandra
e Davide, che non sarebbe mancato per nulla al mondo, visto che le
doveva la vita. Di fronte a noi si trovava la bara di Charlotte,
coronata da fiori colorati e rose rosse, che come le vidi mi fecero
ricordare il colore dei suoi capelli.
Le
sue due migliori amiche e compagne di vita, la cheerleader bionda e
quella mora, erano poco lontane da noi e per la prima volta le vidi
indossare dei vestiti normali, anche se a lutto.
Piansero
per tutta la durata della funzione, semplice ed essenziale, senza
fronzoli inutili. Piansero persino mentre dicevano qualche parola in
ricordo di Charlotte. E continuarono, inconsolabili, anche quando fu il
mio turno, per questo non seppi se le mie parole fossero state gradite
o meno.
«Charlotte…»,
incominciai a bassa voce, per poi rafforzarla man mano che parlavo e
scorrevo quei ridicoli post-it gialli che non avevo voluto lasciare a
casa. «Ricordo come fosse ieri la prima volta in cui la
incontrai, quando con le sue inseparabili amiche ha provato a
catturarmi. E per quanto io possa averla conosciuta, posso affermare
che credeva molto in tutto ciò che faceva, ci metteva il
cuore. Credo che abbia sempre messo il cuore in ogni cosa, anche quando
sapeva che avrebbe potuto rimetterci persino la vita. Si è
rivelata tardi ai miei occhi, era una persona davvero fantastica e
migliore di ciò che si poteva pensare e… non mi
dimenticherò mai di lei, mai, perché nonostante
il dolore ha provato a sorridere e questa è la
più grande lezione di vita che potesse mai donarmi. Dormi in
pace, Charlotte… te lo meriti».
Una
volta tornata alla villa dei Jonas, ero rimasta sotto tono per il resto
della giornata, lasciandomi andare più volte a quelle
lacrime che non ero riuscita a mostrare apertamente di fronte alla sua
bara, trovando ogni volta le braccia di Nick pronte ad accogliermi e a
consolarmi. In quegli istanti, stretta a lui, mi ero persino sentita in
colpa per essere lì con lui, quando al mio posto avrebbe
potuto esserci benissimo Charlotte, ma poi mi ero subito rimproverata
ripetendo dentro di me la promessa che le avevo fatto.
Due giorni dopo il funerale, nei quali ero riuscita a recuperare un
po’ di ore di sonno perduto, l’insonnia
tornò a colpire, ma quella volta per uno strano sogno dal
quale era nata una riflessione piuttosto profonda e a tratti
sorprendente, anche per me che in qualche modo le avevo dato il via
nella mia testa.
Avrei
voluto svegliare Nick per discuterne con lui, ma alla fine lasciai
perdere: era così bello quando dormiva, così
sereno, che mi dispiaceva fin troppo turbarlo.
Così feci come al solito, mi alzai e andai a farmi una tazza
di thè. Nel frattempo perfezionai la mia riflessione e mi
venne un’idea che al solo pensiero mi parve
un’assurdità, ma che, di pari passo con la
lancetta dei secondi che andava avanti sull’orologio, prese
forma e consistenza.
Finito
il thè andai a farmi una doccia e mi cambiai, scrissi un
bigliettino a Nick, lasciandolo sul cuscino accanto al suo, ed uscii di
casa insieme al sole che sorgeva nel cielo terso e roseo.
Decisi di camminare un po’ sugli scogli per sentire
l’aria fredda entrarmi nei vestiti e nei polmoni, poi presi
una scorciatoia per arrivare in paese, che, ancora addormentato, non
avevo mai sentito più silenzioso.
Raggiunsi
l’ospedale e avrei dovuto essere sorpresa di vedere Fiore a
quell’ora di mattina, ma per ovvie ragioni non lo ero. Lei
era una sorpresa continua, inutile stupirsi.
Era seduta su una sedia, di fronte alla camera di sua madre, e la
sensazione che provai vedendola non fu ottima: sembrava che le stesse
facendo da guardia, più che vegliare il suo sonno.
Provai ad immaginarmi una Fiore adolescente, sola al capezzale del
padre morente, e in parte capii quello che probabilmente stava provando
in quel momento.
Mi
avvicinai e le posai una mano sulla spalla. Lei sollevò il
capo e mi guardò negli occhi come se stesse scavando nella mia
anima, poi mi sorrise teneramente.
«Che
ci fai qui?».
Ebbi
come la sensazione che lo sapesse già, ma mi sedetti al suo
fianco e le raccontai l’idea che avevo partorito quella
notte. Mi ascoltò senza mai modificare quel sorriso tenero
che aveva sulle labbra e quando finii, mi passò una mano fra
i capelli.
«Per
me va bene. Credo che l’aiuterà molto».
«Okay,
allora… vieni con me?».
Fiore
si coprì la bocca in una risata silenziosa ed
annuì, seguendomi all’interno della camera di sua
madre.
Appena
la donna anziana mi vide, sobbalzò e il suo sguardo si fece
sospettoso. Lasciai correre e con calma mi sedetti accanto al suo
letto, fissando le varie coperte che la coprivano.
«Perché
sei qui, ragazzina?».
Sollevai
di scatto gli occhi ed incontrai le sue iridi grigiastre e prive di
vita. Mi chiesi se potesse vedermi, ma non ebbi tempo per appurarlo,
perché la mia lingua fu più veloce del mio
cervello a formulare la risposta: «Sono venuta a proporle una
cosa».
«Ossia?».
Mi
lasciai andare ad un breve sospiro e finalmente sputai fuori la
verità, quella che a Fiore non ero riuscita a dire e che
nemmeno io avevo del tutto accettato.
«La storia della sua vita mi ha colpita davvero e anche se la
razionalità mi diceva e tutt’ora mi sta dicendo di
non fare nulla per lei, il mio cuore è rattristato dai
motivi per cui lei è diventata quella che è ora e
so che ne risentirei, se non facessi qualcosa per lenire il suo dolore.
Quindi ho pensato che potrebbe scrivere la sua biografia, o qualcosa
del genere, in cui potrebbe descrivere tutte le dimensioni che ha
visitato, le esperienze che ha vissuto, per tutte le persone che
possiedono il dono. Sarebbe come una guida sulle diverse dimensioni e
tutta la sua preziosa conoscenza, i suoi studi, i suoi viaggi, non
andrebbero persi per sempre. Renderebbe un grande servizio a tutti
quelli… come noi», gettai uno sguardo a Fiore e la
vidi sorridere.
La
donna invece posò il capo sul cuscino e chiuse gli occhi,
come se ci stesse pensando. «Sono troppo debole e stanca,
neanche se volessi potrei…».
«A
questo ho già pensato: se lei non se la sente di scrivere
potremmo farlo io e Fiore; lei dovrebbe soltanto raccontare».
Allora
aprì di nuovo gli occhi e li fissò nei miei,
tanto che ne ebbi quasi soggezione. Guardando con attenzione,
però, vidi una lacrima sfuggire dall’angolo del
suo occhio destro e finire fra i suoi capelli candidi.
«Perché vuoi fare tutto questo per me? Io ho fatto
del male a tante persone innocenti, ho fatto del male anche a te e ai
tuoi amici, ho ucciso la tua amica…».
Pensai
a Charlotte e mi chiesi se da lassù mi stesse guardando con
aria di rimprovero oppure con un sorriso sulle labbra.
Alla fine sospirai e scrollai le spalle: «Portare rancore,
odiare, non serve a nulla, anzi fa male all’anima. E poi, se
devo dire tutta la verità, sono curiosa di sapere quali
altre dimensioni parallele esistono oltre a questa».
L’anziana
donna mi guardò con un sorrisino sulle labbra e mi
posò una mano sulla guancia, in una carezza che
probabilmente conteneva quell’unica parola che non sarebbe
mai riuscita a dirmi a voce: «Grazie».
«Oh»,
disse con voce ricca di entusiasmo, «credo che dovremmo
iniziare subito, se vuoi davvero che te le racconti tutte».
Con
la coda dell’occhio vidi Fiore che ridacchiava sommessamente
con una mano di fronte alla bocca, come se qualcosa nella mia
espressione la facesse divertire. Me l’avrebbe detto solo
qualche tempo dopo, quando finimmo di scrivere quei due volumi di
viaggi che sarebbero poi diventati i primi cimeli storici di quel
paesino e ormai l’anziana donna non c’era
più, che a quelle parole il mio viso aveva sprizzato gioia
da tutti i pori.
***
Tornai
a casa, alla villa dei Jonas, e la trovai silenziosa come
l’avevo lasciata. Di solito Nick era un tipo mattiniero e mi
stranii quando non lo vidi in cucina a prepararmi la sua colazione
speciale (succo d’arancia, tazza enorme di caffè
con un po’ di latte, toast con burro e marmellata, muffin ai
mirtilli o pancake con sciroppo d’acero) o seduto sul divano
a guardare il baseball alla TV e rimpiangendo il campionato degli
“unici ed inimitabili” NY Yankees.
A
proposito degli Yankees… Tempo prima mi aveva promesso che
appena saremmo tornati nell’altra dimensione mi avrebbe
portata a vedere una partita allo stadio.
Mi ricordai di quella buffa promessa con un sospiro arrendevole,
perché io odiavo il baseball ma non avevo avuto il coraggio
di dirglielo, per paura di ferire i suoi sentimenti.
Salii
le scale dopo essermi tolta le scarpe, per non far rumore, e sbirciai
nella sua camera, dove dormivo anche io da quando eravamo rimasti soli
in quell’enorme villa. Stava ancora dormendo, con la bocca
socchiusa e scoperto come al solito, incurante del sole che gli baciava
il viso.
Lo
raggiunsi camminando a quattro zampe sul letto e sorrisi quando mi
trovai di fronte al suo viso con il mio. Stavo per svegliarlo con un
bacio a fior di labbra, quando mi venne un’idea migliore: gli
avrei preparato la colazione e gliel’avrei portata a letto,
come aveva fatto lui dopo la notte che avevo passato insonne prima
della conferenza, nella quale l’avevo tenuto sveglio con me
giusto per poter parlare con qualcuno.
Scesi
dal letto con la stessa cautela con cui ero salita e zampettai di nuovo
al piano inferiore. Provai a copiare la sua colazione speciale, ma in
cucina non ero mai stata brava e non avevo abbastanza tempo. Inoltre,
per fare i muffin buoni come li faceva lui bisognava essere dotati
proprio di un dono, che purtroppo non era quello che possedevo io!
Così misi su un vassoio un bicchiere di succo
d’arancia, una tazza di caffèlatte, due fette di
toast imburrato e con la marmellata e una brioche preconfezionata che
trovai nell’armadio. Ero certa che mi avrebbe riso in faccia
per quell’ultima mia trovata, ma non mi importava: ero molto
orgogliosa della colazione speciale by Ary.
Stando
attenta a non far rovesciare tutto mentre facevo le scale, raggiunsi di
nuovo la camera e lo trovai ancora addormentato come un bambino. Posai
il vassoio sul suo comodino e mi sedetti al suo fianco, appoggiata al
suo petto, col viso a poca distanza dal suo.
Avvicinai la bocca al suo orecchio e sussurrai: «Derek
Jeter…?».
Nick
serrò le labbra in un sorriso e ancora nel sonno
mugugnò: «Nato il 26 giugno 1974, capitano dei New
York Yankees, ruolo interbase».
Sbalordita,
ma nemmeno troppo, non riuscii a trattenere una leggera risata.
«Non sono sicura di volere un marito ossessionato dal
baseball».
A
quelle parole Nick sembrò riprendersi e lentamente si
svegliò, strizzando le palpebre un paio di volte a causa del
sole che entrava dalla finestra. Misi una mano per fargli ombra e
finalmente fu in grado di aprire interamente gli occhi, incrociando
subito i miei.
«Buongiorno»,
esclamai con voce dolce. «Dormito bene?».
Lui
annuì col capo e si stiracchiò, poi si
tirò seduto con la schiena incurvata in avanti, la fronte
posata contro la mia. Mi guardò fisso negli occhi e mi
sentii quasi svanire, di fronte a tanta bellezza.
Si chinò e socchiuse gli occhi, mi diede un bacio sulle
labbra, soffermandosi in particolare sul mio labbro inferiore, e poi un
altro.
«Non
siamo ancora marito e moglie e già devo scegliere fra te e
il baseball?», mi domandò a bassa voce, ma con
tono divertito.
Entrambi
infatti scoppiammo a ridere.
«Guarda»,
dissi appena mi calmai, «ti ho preparato la
colazione!».
Lui
si voltò e mi guardò mentre prendevo il vassoio e
glielo mettevo sulle gambe, in mezzo a noi.
Come immaginavo, afferrò la brioche preconfezionata, ancora
nella sua plastica trasparente, e me la fece dondolare davanti al viso.
«E
questa?», chiese arricciando le labbra per non ridere.
«Lo
sai che sono un disastro in cucina! E poi non potevo di certo competere
con i tuoi muffin!».
«Questo
è vero», ammise e fece scoppiare la confezione con
una mano, facendomi spaventare.
Gli
tirai uno schiaffettino sul braccio. «Idiota!».
«Scusa
amore, vieni qui dai». Provò a prendermi per la
nuca ed attirarmi a sé per darmi un bacio, ma io mi spostai,
facendo la finta offesa con le braccia strette al petto.
Lui
dopo un po’ ci rinunciò, concentrando tutta la sua
attenzione sulla tazza di caffè, e come al solito fui io ad
andare da lui a ricercare le sue coccole. Non ce la facevo proprio a
fare l’arrabbiata con lui!
Così
mi sistemai accoccolata al suo fianco, con la testa posata
nell’incavo della sua spalla, e parlammo del più e
del meno, mentre lui faceva colazione e ogni tanto mi allungava una
fetta di pane tostato con burro e marmellata per farmi dare un morso.
«Come
mai prima mi hai chiamato con il nome del mio giocatore di baseball
preferito?», mi domandò ad un tratto, dopo aver
bevuto un sorso di succo d’arancia, che poi passò
a me.
«Prima
mi è tornata in mente la promessa che mi hai fatto, quella
che mi avresti portata a vedere una partita degli Yankees allo
stadio».
«Oh,
sì!», esclamò, improvvisamente animato
dalla gioia. «Non vedo l’ora, sarà
bellissimo tornare a vederli dopo tutto questo tempo!».
«Già…»,
balbettai con un sorrisino incerto. «Amore, io…
devo dirti una cosa».
«Che
cosa?». Mi guardò negli occhi e ancora una volta
mi si spezzò il cuore: non potevo davvero fargli questo, non
potevo dirgli che io odiavo il suo sport preferito.
«Preparati,
perché domani torniamo a casa, nell’altra
dimensione».
Nick
aprì la bocca, sorpreso, e tutto d’un tratto
iniziò a ridere come un matto, rischiando di rovesciarsi
addosso ciò che era avanzato della sua colazione.
Fui
felice di non avergli detto le parole che dovevo dirgli
originariamente, perché le sostitute che avevo pronunciato
senza nemmeno pensarci lo resero molto più contento e non
potevo volere di meglio.
***
«Hai
tutto?».
Entrai nella camera di Nick e rimasi senza fiato: era
così… vuota! Provai un moto di nostalgia,
nonostante non me ne fossi ancora andata, e probabilmente Nick stava
provando la stessa sensazione, perché si guardava intorno
quasi spaesato e con aria malinconica.
«Sì,
credo di aver preso tutto», rispose e si voltò
verso di me, accennandomi un sorriso.
Io
abbassai lo sguardo, come colpita dai sensi di colpa, anche se in quel
caso non avrei dovuto averne.
«Mi dispiace», sussurrai. «Prometto che
ci torneremo, che la useremo come casa di villeggiatura quando non
vorremo essere trovati da nessuno, dove ci rifugeremo quando ne avremo
voglia, dove…».
Nick
mi prese il viso fra le mani e mi costrinse a sollevarlo. Mi
posò un delicato bacio sulle labbra. «Amore, non
hai nulla di cui dispiacerti. Anche se qui mi mancherà, sono
contento di tornare a casa, soprattutto perché ci torno con
la cosa più importante, che non avrei mai trovato se non
fossi finito qui per chissà quale motivo».
Le
guance mi si infiammarono e lui ridacchiò, avvolgendomi un
braccio intorno alle spalle. «Forza, andiamo».
Dopo
esserci assicurati ancora una volta di aver chiuso
dall’interno tutte le porte e le finestre, raggiungemmo il
salotto, dove avevamo sistemato le valigie che sarebbero venute con noi
nell’altra dimensione.
«Pronto?»,
gli chiesi, prendendogli la mano nella mia. Lui la strinse forte ed
annuì.
«C’è un posto in particolare in casa tua
dove vorresti comparire?».
Ci
pensò su un attimo, poi sorrise. «Sì,
la mia…».
«Non
serve che tu me lo dica», lo interruppi. «Basta
solo che tu pensi intensamente a quel posto, okay?».
Sospirò
e chiuse gli occhi. «Okay».
«Allora
vado. Tre, due, uno…», e sparimmo.
Ricomparimmo
qualche secondo dopo e fui costretta a riaprire subito gli occhi a
causa di un frastuono che all’inizio non riuscii ad
identificare. Così mi coprii la testa e quando tutto parve
tornare tranquillo, mi guardai intorno: le nostre valigie non avevano
fatto proprio un bell’atterraggio ed erano sparse per tutta
la stanza, e non si trattava di una stanza comune, ma della camera da
letto di Nick. La riconobbi subito, nonostante non ci fossi mai stata.
Come feci? Semplice, grazie ai poster degli Yankees appesi alle pareti
e alle lettere delle fan, imballate in grosse scatole di plastica
trasparente ed indirizzate proprio a Nick dei Jonas Brothers.
Nella mia rapida ispezione, notai anche una cornice posata su una
mensola sopra la scrivania, dentro la quale c’era la foto di
una ragazza che avevo già visto, ma della quale non ricordai
subito il nome.
«Chi
è quella?», berciai subito, voltandomi verso Nick
che si era seduto sul letto, ancora un po’ scombussolato dal
teletrasporto. Su di lui aveva proprio un brutto effetto!
«Quella
chi?», mi chiese con una mano sulla fronte, confuso.
Acciuffai
il portafoto dalla mensola e quasi glielo spalmai sulla faccia.
«Questa!».
Nick
se l’allontanò dal viso e mi sorrise, anche se
glielo lessi negli occhi che era imbarazzato ed innervosito.
«È una mia cara amica, tutto
qui…».
«Tutto
qui? Sei sicuro? Guarda che a me non mi freghi, Nicholas Jerry
Jonas!».
«Te
lo giuro, amore, adesso è solo una mia cara
amica!».
Aggrottai
ancora di più le sopracciglia e mi avvicinai al suo viso,
guardandolo con i fulmini negli occhi. «Adesso?
Lo sapevo, è una tua ex! E perché hai ancora la
sua foto?!».
«Amore,
per favore, calmati!».
Improvvisamente
la porta della camera si aprì e tutta la famiglia Jonas al
completo, compreso un labrador beige, ci vide mezzi stesi sul letto,
mentre io gli puntavo al petto il portafoto.
Nick si alzò subito, dimenticandosi completamente di me e
della nostra prima discussione da fidanzati, e corse ad abbracciare i
suoi genitori e il suo fratellino Frankie, che non vedeva da un sacco
di tempo.
Addolcita
da quella scena commovente me ne dimenticai anche io e scoppiai a
ridere quando sentii il soprannome con cui lo chiamava sua madre:
«Nicky».
I suoi genitori mi guardarono come se fossi scema e allora, rossa
d’imbarazzo, mi ammutolii. Nick al contrario si
avvicinò a me, mi prese per mano e mi portò da
loro per presentarmi ufficialmente.
«Mamma,
papà, lei è Arianna, la ragazza che ha permesso a
tutti noi di tornare e la mia fidanzata».
A
sua madre brillarono gli occhi quando sentì quelle magiche
paroline e mi strinse in un forte abbraccio. «Noi ci siamo
già conosciute, ma permettimi di ringraziarti ancora una
volta per aver portato i miei piccoli a casa».
«Non
c’è di che signora Jonas, davvero»,
dissi, imbarazzata.
«Adesso
fai parte della famiglia, chiamami semplicemente Denise!».
«Oh,
okay», balbettai.
«Ah,
guarda come sei rossa!», gridò Joe prendendosi
gioco di me, ma invece di mandarlo a quel paese pensai a quanto mi
fosse mancato in quella settimana in cui non ci eravamo visti.
Solo allora mi resi conto che, davvero, loro erano diventati la mia
seconda famiglia.
***
Avevo
usato il cellulare di Joe per avvisare la mia famiglia del mio ritorno
a casa e gli avevo detto anche che sarei rimasta a cena a casa dei
Jonas.
In
quel frangente avevo scoperto che Ale e Joe ormai erano proprio una
coppietta, a causa di un sms che Ale aveva inviato al mezzano dei
fratelli Jonas e che io avevo letto. Per sbaglio, ovviamente.
Allora avevo iniziato a prenderlo in giro come lui faceva sempre con me
e Nick chiamandoci piccioncini, mentre correvo per la sua stanza per
non farmi acciuffare e leggevo ad alta voce, sotto gli occhi divertiti
di Nick che era dalla mia parte, tutti i messaggi sdolcinati che si
inviavano a vicenda. Questo mi aveva alquanto sorpresa,
perché Ale non era solita a quelle smancerie, e mi ero
promessa che gliene avrei dette tante anche a lei, appena
l’avrei rivista!
Per
farmi smettere, Joe si era fatto furbo e aveva detto: «Vuoi
sapere o no chi è quella ragazza nella foto con
Nick?».
Mi
ero immobilizzata sul posto e Nick aveva guardato il fratello
disperato, come se gli avesse appena infilzato un coltello nella
schiena, ma Joe scrollò le spalle con una faccia che parlava
da sé: «Non avevo scelta!».
«Sì,
certo che lo voglio sapere!», gridai, di nuovo rossa di
gelosia, e fu così che scoprii che la famosa ex di Nick era
niente popò di meno che Miley Cyrus, attrice per la Disney
nei panni di Hannah Montana e cantante. Ecco dove l’avevo
già vista!
«Sono
stati insieme due anni, più o meno», aveva ripreso
a raccontare Joe. «E quando si sono lasciati sono stati
così male tutti e due… pensa che si sono scritti
persino delle canzoni! Ma adesso è tutto passato, sono
ottimi amici, e credo che sia meglio non andare oltre, o il mio
fratellino potrebbe piangere!».
Joe era scappato via da camera sua, capendo di essere andato un
po’ troppo oltre nelle spiegazioni, e ci aveva lasciati soli.
L’imbarazzo
e la tensione che aleggiavano nell’aria si potevano tagliare
a fette e ci avvolgevano come una pesante coperta nella quale ci
eravamo incastrati.
Io per prima mi ero mossa e mi ero lasciata cadere seduta sul letto
alle mie spalle, con le mani sul viso che andava in fiamme.
«E
adesso che cosa ti prende?», mi aveva chiesto in tono dolce
Nick, sedendosi al mio fianco, una mano posata sulla mia nuca, che mi
accarezzava i capelli.
«Mi
dispiace tanto», avevo mugugnato, senza accennare a scoprirmi
il viso. «Non volevo farti soffrire facendoti
ricordare… Non so perché mi sono comportata
così, io non sono mai stata gelosa… solo
che…».
Nick
mi aveva preso le mani nelle sue e mi aveva guardato in viso,
trovandolo rosso come un peperone. Mi aveva sorriso e mi aveva posato
un bacio sulle labbra.
«Non ti preoccupare, quella storia è stata molto
importante, lo ammetto, ma ormai è andata, fa parte del
passato. Tu sei il mio presente e il mio futuro, non
c’è niente di più importante per
me».
Ecco,
lo odiavo quando faceva così, perché mi diceva
tante di quelle cose dolci che mi scioglievano come un cubetto di
ghiaccio al sole e io non sapevo affatto come rispondere.
Ciononostante, avevo replicato con poca voce: «Ti amo,
Nick».
Mi
aveva stretto nelle braccia e mi aveva cullata per un po’.
«Anche io, tanto. Ma promettimi di non fare più
queste scenate, prima con il portafoto in mano mi hai fatto davvero
paura, credevo che mi volessi colpire!».
Tutto
alla fine si era risolto con una risata, per fortuna, e dopo sua madre
venne a chiamarci, dicendoci che era pronta la cena.
Avevo
pensato che mi sarei sentita in imbarazzo a mangiare con la sua
famiglia, invece i suoi genitori mi fecero sentire subito a mio agio
e Joe fu un vero mago a riempire i vuoti di silenzio che ogni
tanto si creavano, raccontando le cose più assurde che
gli erano capitate nell’altra dimensione e, come al
solito, prendendo in giro me e Nick, raccontando nei particolari il
modo in cui ci eravamo conosciuti e le varie fasi del nostro
innamoramento.
Mentalmente, mi ero appuntata che avrei dovuto picchiarlo appena ne
avessi avuta la possibilità.
Quando
finimmo di cenare, i genitori dei Jonas Brothers mi chiesero se volevo
restare a dormire lì, perché era già
tardi e prendere il treno per tornare a casa era pericoloso, ma io
rifiutai gentilmente, dicendo che mi avevano già ospitato
abbastanza.
«Un
modo per tornare a casa lo troverò», dissi e gli
feci l’occhiolino.
Per
un momento i due non capirono, poi sua madre si ricordò del
bellissimo tuffo che avevo fatto nella loro piscina quando ero
scomparsa e ricomparsa, e scoppiò a ridere.
«Tesoro,
scusami, ma mi ero completamente dimenticata di questo tuo…
potere! Sei una ragazza così carina e
semplice…».
Chinai
leggermente il capo. «La ringrazio molto, è bello
sentirmi dire che sono normale».
«Va
bene, allora… buon viaggio», mi disse,
abbracciandomi. «Spero di rivederti presto, perché
con tutti gli impegni che i nostri piccoli avranno dopo che la notizia
del loro rientro sulla scena musicale si diffonderà non
penso che avranno molto tempo libero, ma ti prometto che Nicky te lo
controllerò io!».
Accennai
un mezzo sorriso, tra l’impacciato e il nervoso, e mi
congedai con la valigia che avevo portato con me dall’altra
dimensione.
Nick mi seguì a ruota per salutarmi meglio, con un
po’ di privacy, e
mi guardò mentre mi sedevo sul dondolo in veranda,
pensierosa e con un’ombra di tristezza negli occhi.
Si
sedette al mio fianco e non fece domande. Con le dita della mano
intrecciate alle mie sopra il suo ginocchio, aspettò
pazientemente che io parlassi.
«Più
di una volta mi sono chiesta come sarebbe stato, quando saremmo tornati
in questa dimensione. Mi chiedevo se sarebbe stato possibile continuare
qualcosa che era iniziato in un mondo parallelo e quasi surreale, se
anche nella realtà, soprattutto la tua realtà,
saremmo riusciti a stare ancora insieme e… ho la maledetta
paura che qualcosa fra di noi cambi. Insomma, tu hai la tua vita, la
tua carriera musicale a cui pensare, e hai sentito cos’ha
detto tua madre… Quando riprenderete a suonare in giro per
il mondo non avrete più tempo libero, noi ci vedremo poco
e…».
Nick
mi prese il viso fra le mani, fondendo i nostri sguardi.
«Ary, non hai nulla di cui temere. Noi ce la faremo. Ci siamo
sempre riusciti in un modo o nell’altro, abbiamo superato
difficoltà ben peggiori di quelle che ci attendono,
perché non dovremmo farcela?».
«Io…
io non lo so, ho paura di perderti…».
«Non
mi perderai mai, ti amo troppo per poter lasciarti andare
via».
Lo guardai negli occhi e a quelle parole parte di quella stupida paura
svanì, liberandomi da un peso sul petto.
«Ti amo, Ary, e non c’è nulla di
più forte di ciò che mi lega a te».
Sospirai
sollevata e gli gettai le braccia al collo, stringendolo forte a me.
Lui ridacchiò e mi posò un bacio sulla tempia e
uno sulla guancia, prima di cercare le mie labbra.
«Ci
sentiamo e ci vedremo presto», sussurrò.
«Okay.
Buona notte, Nicky».
Roteò
gli occhi verso il cielo, sentendo il soprannome con il quale avevo
iniziato a chiamarlo pure io a mo’ di presa in giro, ma poi
sorrise e disse anche lui: «Buona notte».
Posai
una mano sulla valigia al mio fianco e in pochi attimi sparii,
lasciandolo seduto nella veranda di casa sua.
***
Nick
alzò il viso per guardare la luna e le stelle e finalmente
si disse che era tornato a casa, ma ciò non lo rendeva
felice del tutto: sentiva che qualcosa, o meglio, qualcuno
gli mancava, senza il quale non avrebbe mai potuto sentirsi a casa
pienamente.
Così si aggrappò alle stesse parole che le aveva
detto poco prima per rassicurarla e pregò perché
lei non lo abbandonasse mai.
***
Ricomparii
in camera mia, dove caddi sul letto, e la valigia, invece, produsse un
tonfo sordo cadendo e rotolando sul pavimento.
Mi
tirai su seduta sul letto e mi portai le dita sulle labbra, sentendo
ancora il sapore di quelle di Nick, e sorrisi.
Dopo quello che mi aveva detto, il mio cuore si era rasserenato ed ero
certa che in un modo o nell’altra ce l’avremmo
fatta, avevamo dimostrato più volte che il nostro amore era
più forte di qualsiasi difficoltà e inoltre io lo
amavo troppo per permettere che qualcosa o qualcuno ci separasse.
Scesi
dal letto di corsa, ricordandomi della mia famiglia, e mi lanciai a
capofitto giù dalle scale, incontrando alla fine della rampa
mio fratello che probabilmente si era insospettito sentendo quel tonfo.
«Sei
tornata!», esclamò e mi si gettò fra le
braccia, facendomi barcollare. Poi mi trascinò in salotto,
dove trovai mia madre, mio padre e persino Alessandra, che fu la
seconda a saltarmi in braccio.
Risi,
felice di rivederli, ma qualcosa mi fece rimanere con l’amaro
in bocca. Per la mia completa felicità avevo bisogno di
altre persone e mi trovai a ridere facendo quella considerazione,
perché non avrei mai immaginato di dover ammettere che oltre
che di Nick necessitavo anche di Kevin e soprattutto di Joe!, colui che
avevo sempre detestato ma che alla fine si era rivelato uno dei miei
migliori amici.
Solo allora la mia famiglia sarebbe stata completa.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
Lentamente
ripresi in mano le redini della mia vita.
Tornai a scuola, nonostante le evidenti difficoltà che
dovevo affrontare per recuperare la parte del programma che avevo
perso, e promisi a me stessa che, scoppiasse la dimensione in cui mi
trovavo, avrei passato l’anno scolastico.
Tutte le volte che lo studio me lo permetteva tornavo
nell’altra dimensione per stare vicina alle persone che
attendevano per il loro ritorno a casa e per verificare come
procedevano i lavori per la costruzione dell’edificio che
sarebbe diventato l’aeroporto dimensionale, del quale ci
sarebbe stata l’inaugurazione tra poche settimane.
A
questo proposito mi resi conto che serviva uno spazio non solo per la
partenza, ma anche per l’atterraggio
nell’altra dimensione, quindi io e i miei genitori ci
impegnammo a cercare il posto adatto, fino a quando non decidemmo di
utilizzare la nostra cantina, nella quale iniziammo a fare una
ristrutturazione totale, creando anche un tunnel – proprio
ciò che odiavo – per far sbucare le persone
teletrasportate nella metropolitana, un luogo piuttosto affollato nel
quale nessuno si sarebbe mai accorto di nulla. Da lì, poi,
sarebbero tornati a casa da soli.
Sapevo
fin da subito che il lavoro da fare sarebbe stato tanto e molto
dispendioso d’energie, almeno fino a quando non mi fossi
abituata del tutto a teletrasportare molte persone per più
volte al giorno, ma non avevo paura e non mi sarei tirata indietro per
nessun motivo al mondo.
Oltre
a tutti questi impegni, feci di tutto per vedere più o meno
regolarmente Nick, il quale, assieme ai suoi fratelli, era stato quasi
rinchiuso nello studio di registrazione dalla sua casa discografica,
per scrivere le canzoni del nuovo album, che sarebbe uscito in
contemporanea al loro ritorno sulla scena musicale, fino ad allora
rimasto segreto.
Aveva davvero pochissimo tempo libero, come sua madre mi aveva
preannunciato, ma grazie al mio dono – che non mi era mai
sembrato così utile – riuscivo a passare un
po’ di tempo con lui quasi ogni sera, prima che si
addormentasse come un sasso con la testa sulla mia spalla, mentre ci
raccontavamo le nostre giornate.
Era
davvero dura tener fede a tutti gli impegni presi e non demoralizzarsi
vivendo una relazione così influenzata dal lavoro di Nick,
ma la mia determinazione era tanta e l’amore per Nick ancora
maggiore. Ci stavamo impegnando, anche opponendoci contro tutti coloro
che potevano ostacolarci, e ci stavamo riuscendo perfettamente.
Per esempio, quando Nick riuscì ad ottenere un giorno libero
dalla casa discografica non ci pensò due volte a passarlo
con me.
Arrivò
a casa mia quasi all’improvviso, senza nemmeno darmi il tempo
di capire cosa stesse succedendo mi avvicinò al viso due
biglietti e, prendendoli fra le mani, mi accorsi che –
purtroppo per me – non si era dimenticato della promessa
fatta.
«Due
biglietti per la partita degli Yankees», esclamai senza
troppa convinzione. Mi ripresi velocemente, per paura di veder
scomparire quel bellissimo sorriso dal suo volto, e provai a mostrarmi
al settimo cielo.
«Wow, è fantastico! Ma come hai fatto a trovarli,
avevo sentito che erano quasi finiti tutti!».
«Un
modo io lo trovo sempre», mi sussurrò
all’orecchio con tono suadente, facendomi avvampare.
«Che
cosa, tesoro?», mi domandò mia madre dal tavolo
della cucina, dove stava ricontrollando gli articoli che avrebbe
pubblicato sul giornale per cui lavorava.
«Vado
con Nick a vedere la partita degli Yankees!», gridai di
rimando, sperando ardentemente che non dicesse qualche cavolata che
avrebbe compromesso tutto.
Ovviamente, nessuno ascoltò le mie preghiere silenziose.
«Tesoro,
ma tu hai sempre detto che…».
«Che
non vedevo l’ora di andare a vedere gli Yankees con
Nick!», gridai più forte per sovrastare la sua
voce, girandomi e guardandola in modo eloquente.
«Oh
sì, puoi scommetterci», disse allora, per poi
tornare a guardare i propri scarabocchi, borbottando tra sé.
Mi
voltai di nuovo verso Nick e gli sorrisi smagliante. «Vado a
cambiarmi, ci metto due secondi. Aspettami qui».
Corsi
su in camera mia, mi misi le mani nei capelli e poi sospirai per
calmarmi: infondo avrei passato un’intera giornata con Nick,
non sarebbe stata poi la fine del mondo se da qualche altra parte o ad
una partita di baseball!
Mi
cambiai in fretta, arraffai la prima borsa che mi capitò
sotto il naso e la riempii con le cose essenziali, poi galoppai
giù dalle scale, sorridendo a Nick che mi aspettava seduto
sul divano.
Sperai che, una volta rimasta sola, mia madre non avesse rovinato
tutto, ma dalla sua espressione non riuscii a capirlo e continuai nella
mia farsa a fin di bene.
«Sono
pronta!».
Uscimmo
di casa e Nick mi aprì la portiera come un vero cavaliere,
io entrai in auto e lo vidi mentre faceva il giro per mettersi al posto
di guida. Nel frattempo guardai i biglietti che ancora stringevo in
mano e mi accorsi che aveva preso i posti migliori, a pochissimi metri
dal campo.
«Ti
saranno costati una fortuna», biascicai, guardandolo con la
coda dell’occhio.
«No,
io sono abbonato, ho lo sconto!».
«Oh…»,
mi portai una mano di fronte alla bocca e scoppiai a ridere.
«Certo, avrei dovuto immaginarlo».
In
quei mesi passare del tempo con lui era diventato così raro
che solo stare in auto insieme, a cantare a squarciagola le canzoni che
passavano alla radio, era già fantastico ai miei occhi.
Tanto che non pensai più a dove eravamo diretti e per un
po’ mi dimenticai del baseball, godendomi semplicemente quel
momento.
Quando
arrivammo, fu quasi uno shock. Quasi,
perché Nick non mi diede nemmeno il tempo per capire come mi
sentissi al solo pensiero che avrei dovuto fingere di divertirmi e di
capirci qualcosa: mi prese semplicemente per mano e mi
trascinò dentro lo stadio in cui si sarebbe svolto
l’incontro.
Mi fece sedere al mio posto e subito se ne andò per comprare
da bere e da mangiare, dicendomi che non aveva voglia di aspettare
l’omino dei panini, come lo chiamava lui. Così
rimasi sola, seduta così vicina al campo da sembrare di
esserci finita dentro e da aver paura che una palla da baseball mi
arrivasse dritta in faccia.
Sentii delle voci sotto di me e mi alzai per vedere come fosse
possibile, solo allora mi resi conto che eravamo proprio sopra la
panchina degli Yankees!
«Oh
mio Dio, altro che marito ossessionato! È pazzo,
è pazzo», dissi a mezza voce, sbalordita.
Quando
tornò con un paio di sandwich e due bibite, lo guardai fisso
negli occhi con la forte tentazione di dirgli in faccia quello che
avevo pensato, ma ancora una volta il suo sorriso mi impedì
di farlo.
Così gli presi dalle mani il mio panino e la mia lattina di
aranciata e scalai di un posto per farlo sedere.
La
partita ebbe inizio una decina di minuti dopo e quando Nick vide i
giocatori degli Yankees correre verso il diamante e posizionarsi, si
alzò in piedi ed iniziò ad incitarli. Io, rossa
di imbarazzo per le persone dietro di noi, lo presi per un braccio e
con la forza lo feci sedere di nuovo al suo posto.
Nick all’inizio mi guardò contrariato, poi
ridacchiò e mi strinse in un abbraccio inaspettato.
«Sono
così felice di essere qui con te…», mi
disse e mi prese il volto fra le mani per guardarmi negli occhi, poi
tirò fuori un cappellino dallo zainetto che si era portato
dietro. Feci solo in tempo a vederne il colore e il famosissimo simbolo
bianco in rilievo – le iniziali dei NY Yankees –
perché me lo mise subito in testa, per poi soffermarsi a
guardare come mi stava.
«Ti
dona! Il blu è il tuo colore!»,
esclamò, poi tutto felice si voltò a vedere la
sua squadra del cuore che, essendo fuori casa, aveva la
possibilità di attaccare per prima e quindi di giocare il
primo inning.
Durante
tutto il corso della partita, Nick si soffermò spesso a
spiegarmi tutto ciò che accadeva in campo ed ad elencarmi
ogni ruolo dei giocatori, anche se io non gli chiedevo mai niente.
Pian piano iniziai ad appassionarmi io stessa, a fargli le domande
più strane che mi venissero in mente, ma lui rispondeva
sempre sorridendo. Con il suo entusiasmo riuscì persino a
farmi pregare che gli avversari sbagliassero il tiro o venissero
eliminati e a farmi scattare in piedi come una molla insieme a lui
quando gli Yankees vincevano un inning.
Il suo era stato un vero e proprio miracolo: mai e poi mai avrei
pensato che sarebbe riuscito a farmi piacere il baseball!
Quando
la partita terminò, uscimmo dallo stadio ancora euforici per
la vittoria dei nostri
beniamini, ricordandoci ancora tutti i colpi che erano riusciti a fare,
tra cui ben quattro fuoricampo.
«Grazie
per essere venuta con me», disse Nick una volta seduto al
volante, con una mano sulle chiavi nel cruscotto e gli occhi fissi nei
miei. Stavo per rispondergli dicendo che era stato un piacere, che mi
ero divertita tantissimo, ma lui non mi lasciò nemmeno
iniziare e aggiunse: «Nonostante il baseball non ti
piaccia».
Sgranai
gli occhi ed ebbi paura che il mento mi fosse finito in grembo,
talmente tanta era stata la sorpresa. «E tu… tu
come fai a saperlo?», balbettai.
Nick
accennò un sorriso. «L’ho capito subito,
dalla prima volta in cui ne abbiamo parlato. Avrei voluto dirtelo, ma
tu recitavi così bene che mi sembrava un peccato
interromperti!».
Abbassai
lo sguardo, unendo le mani sulle gambe. «Mi
dispiace», mugugnai, davvero mortificata.
«È che a te il baseball piace così
tanto… non volevo farti rimanere male, così mi
sono detta che una piccola bugia a fin di bene non avrebbe fatto male a
nessuno, ma poi le cose mi sono sfuggite di mano
e…».
Nick
però si lasciò andare ad una leggera risata.
«Amore, non sono arrabbiato. L’ho capito subito che
non avevi cattive intenzioni e devo dire che mi sono anche divertito
guardandoti nei panni di una tifosa!».
«Pff,
simpaticone», gli tirai un pugnetto sulla spalla e risi anche
io. «So che me ne pentirò, ma… non ho
finto per tutto il tempo, oggi. Il baseball non è poi tanto
male, anzi… mi sono divertita davvero! E il merito
è tutto tuo».
Il
sorriso di Nick si allargò a dismisura e mi
attirò a sé per baciarmi sulle labbra.
«Allora per Natale regalo l’abbonamento anche a
te!».
«Non
ci provare, Nicholas Jerry Jonas!», gridai, col viso
paonazzo. Lui rise e rimase lì per un po’,
appoggiato con il mento alla mia spalla. Sentivo il suo respiro fra i
capelli, sulla pelle del collo, e pensai che lui era la cosa
più bella che mi fosse mai capitata.
«Resti
a cena da me?», gli domandai in un sussurro.
«Se
non sono di disturbo…».
«Questo
mai».
***
Il
Natale fu alle porte in modo quasi inaspettato, un po’
perché quei mesi impegnativi e difficili volarono e un
po’ perché il clima della cittadina in cui vivevo
e della villa Jonas sul promontorio a picco sul mare
nell’altra dimensione non mi facevano ricordare per nulla il
Natale, che dalla mia smisurata passione per i film lo collegavo sempre
a un clima rigido e alla neve.
La
mia famiglia fu invitata a casa dei Jonas per la cena della Vigilia di
Natale e in teoria sarebbe dovuta venire anche la famiglia di Ale, ma
alla fine venne soltanto lei perché gli altri avevano
già accettato di andare alla cena organizzata dai suoi
nonni, con cui la mia migliore amica non aveva proprio buoni rapporti
per un motivo che non avevo mai saputo.
Sta
di fatto che ci trovammo tutti ad Hollywood, nell’enorme
villa dei genitori di Nick, Joe e Kevin, e purtroppo venni a sapere che
i Jonas Brothers sarebbero arrivati leggermente in ritardo
perché si erano dovuti fermare più del previsto
allo studio di registrazione.
Seduta
in uno dei due bovindi presenti sulla facciata della villa, nella
speranza di vedere i fari della loro auto illuminare il vialetto fino
al garage, ancora mi chiedevo perché dovevano lavorare anche
la Vigilia di Natale. Mi era quasi inconcepibile.
Intanto
ascoltavo la musica con le cuffiette dell’mp3 nelle orecchie.
Mi piaceva lasciarmi cullare dalla voce di Nick quando lui non era con
me. Le canzoni in cui lui cantava da solo, quelle con un tono
più blues, mi piacevano di più, ma questo non
l’avrei mai detto agli altri due Jonas: si sarebbero offesi a
morte!
Nick era così trasparente per quanto riguardava le emozioni
e soprattutto nelle sue canzoni esse si potevano leggere come fossero
state scritte sotto ogni nota. Per esempio sapevo che tra le canzoni
che amavo di più ce n’era qualcuna che era stata
scritta e dedicata a suo tempo a delle ragazze che erano venute
evidentemente prima di me, ma non mi importava: ascoltare quelle
canzoni era un piacere, perché potevo guardare ed immergermi
direttamente nell’anima di Nick.
Ale
mi vide seduta lì da sola, con un’espressione
demoralizzata e triste sul viso, e corse a tirarmi su di morale. Non so
come sperasse di riuscirci, visto che strappandomi una cuffia
dall’orecchio aveva commesso un atto punibile con
l’abbandono in un’altra dimensione, ma si sarebbe
inventata sicuramente qualcosa.
«Su
col morale, è Natale!», mi strillò
nell’orecchio, per poi sedersi al mio fianco con un visetto
angelico che non la rappresentava per niente.
«Vorrei
soltanto che fossero già qui», borbottai.
«Anche
io, cosa credi! Solo che non faccio la depressa come te! Se Nick ti
vedesse così preferirebbe di gran lunga tornare in
studio!».
Riuscì
a farmi scappare una risata e mentalmente la ringraziai per questo.
Senza di lei come avrei fatto?
Sentii
il cellulare vibrarmi tra le dita e il cuore cominciò a
pomparmi più velocemente il sangue nelle vene, facendomi
quasi venire caldo.
«È
Nick?», mi domandò Ale. «Ti si sono
illuminati gli occhi all’improvviso!».
«Sì,
è lui», risposi raggiante. «Gli avevo
detto di farmi uno squillo quando era qua vicino».
«Bene,
allora è fatta! Finalmente si mangia!».
Come
faceva a pensare al cibo? Solo all’idea di vedere Nick a me
si era chiuso lo stomaco, già stracolmo di farfalline!
Ale
alitò sul vetro della finestra alle sue spalle e con il dito
disegnò un cuore, dentro il quale poi comparvero le luci dei
fari che avevo sperato di vedere fino a qualche minuto prima. Erano
arrivati!
Mi
alzai e di corsa raggiunsi la parte opposta del salotto, da cui potevo
vedere l’ingresso, stando attenta a non inciampare nel mio
vestito verde, lo stesso che avevo messo per gioco la prima volta che
mi ero ritrovata rinchiusa nella villa dei Jonas, che avevo indossato
alla festa organizzata da Charlotte e le altre due cheerleader e che
non avevo proprio potuto fare a meno di portare nella mia dimensione:
ormai ci ero fin troppo affezionata e sapevo che anche Nick vi era
legato, tanto che avevo pensato di indossarlo di nuovo per fargli una
sorpresa. Infondo sarebbe stato il nostro primo Natale
insieme… doveva essere speciale.
Sentii
i loro genitori accoglierli appena entrati, sentii anche Ale e mio
fratello salutarli, e infine sentii Nick che chiedeva: «Ma
Ary dov’è?».
Abbassai
lo sguardo, trovando molto interessanti le mie mani che tremavano
leggermente sui ricami floreali color argento del corpetto. Quando ebbi
la forza di risollevarlo, incontrai subito quello di Nick, che si
teneva con una mano alla parete, sulla soglia del salotto. Riconobbi
quella sua espressione vagamente stupita e finalmente sorrisi,
sistemandomi il ciuffo di capelli bianchi dietro l’orecchio.
Nick
mi venne vicino e mi prese le mani nelle sue fredde, portandosele sul
petto. Non aveva mai smesso di fissarmi negli occhi e pensai che se
avesse continuato così sarei morta entro la fine di quella
serata.
«Sei
bellissima», mi sussurrò, ancora un po’
spaesato.
Ridacchiai
e gli passai una mano fra i capelli ricci, scostandoglieli dalla
fronte. «Tu lo sei sempre, anche quando lavori
troppo».
«È
colpa tua se lavoro troppo, sai?».
«Mia?
Che cosa c’entro io?».
«Penso
sempre a te, in ogni minuto, in ogni secondo, e non riesco mai a
concentrarmi abbastanza. Dobbiamo sempre registrare una decina di volte
prima che venga bene».
Gli
posai l’indice sulla punta del naso e scossi il capo
lievemente. «Vorresti per caso che ti consoli?».
«No»,
appoggiò la fronte alla mia. «Io amo pensarti,
anche se questo va a discapito del mio lavoro… in un certo
senso».
Corrugai
la fronte. «Che cosa vuoi dire?».
«Lo
scoprirai quando uscirà il nuovo album».
Detto questo, finalmente mi baciò, posando le mani sulla mia
schiena e spingendomi contro il suo petto.
«Piccioncini,
quando siete pronti eh!», gridò Ale
dall’enorme cucina, dove si erano riuniti già
tutti per iniziare quella benedetta cena.
«Sarà
meglio andare», gli dissi ridacchiando, accarezzandogli le
labbra con due dita.
«Va
bene, ma dopo riprendiamo da dove siamo rimasti», mi
sussurrò all’orecchio, dandomi poi un bacio sul
collo.
La
cena andò benissimo, la mia famiglia e quella dei Jonas, per
quanto fossero diverse per stili di vita ed abitudini, avevano subito
fatto amicizia, tanto che per esempio mio fratello e Frankie, il
più giovane dei Jonas, non facevano altro che parlare e
discutere di videogiochi.
Dovetti anche fare i complimenti a Denise, perché non avevo
mai mangiato così bene in vita mia. Ovviamente questo non
glielo dissi davanti a tutti, perché sapevo che mia madre
altrimenti si sarebbe offesa a morte e, poverina, le avrei dato
ragione! Ma se io ero così imbranata in cucina, dovevo pur
aver preso da qualcuno…
Quando
finimmo di cenare, ci spostammo tutti in salotto ad aspettare la
mezzanotte per andare alla Messa di Natale.
Raggiunsi
Ale e Joe che si erano seduti sul tappeto, proprio accanto al grande
albero di Natale pieno di luci, e feci segno a Nick di mettersi vicino
a noi, ma lui mi sorrise e indicò la cucina con un cenno del
capo, dicendo: «Torno subito».
Sapevo
cosa doveva fare e, anche se un po’ riluttante, mi alzai per
seguirlo. Lo trovai seduto al tavolo, sparecchiato da una parte per
permettergli di fare più comodamente
quell’operazione che mi metteva sempre un sacco
d’ansia. Sua madre era seduta al suo fianco e sembrava
tranquilla quanto lui.
Mi avvicinai e gli posai una mano sulla spalla.
«Ehi,
c’è qualcosa che non va?», mi chiese,
vedendomi così pallida e preoccupata.
«No,
niente… voglio vedere».
Nick
accennò un sorriso divertito. «Non scherzare Ary,
non hai mai voluto vedere perché ti impressioni…
Guarda, anche adesso, sembra che tu debba svenire da un momento
all’altro e non ho ancora fatto niente!».
«Lo
so, ma… voglio superare questa cosa, perché,
insomma… fa parte della tua vita e voglio starti
vicino».
Con
la coda dell’occhio vidi sua madre sorridere addolcita con le
mani sulle labbra, poi si alzò e mi indicò il suo
posto.
«Lo lascio nelle tue mani, allora».
Annuii,
anche se stavo tremando.
Mi sedetti al suo fianco e guardai sua madre uscire dalla cucina,
lasciandoci soli. Posai lo sguardo sul macchinario elettronico che
serviva per controllare il livello glicemico nel sangue, il pungidito
e, nella scatoletta accanto, le siringhe con le dosi di insulina.
Mi portai una mano sulla fronte e lo guardai sconsolata.
«Dev’essere
orribile», mormorai con le lacrime agli occhi.
«Ma
no, non è vero», mi sorrise dolcemente e mi
passò una mano sulla guancia. «È solo
questione di abitudine. Adesso calmati».
Chiusi
gli occhi e respirai profondamente per calmarmi, poi mi concentrai di
nuovo sui vari strumenti di misurazione.
«Vai, sono pronta».
«Mi
prometti di non svenire?».
Annuii, anche se non ero del tutto sicura di riuscire a mantenere
quella promessa.
«Okay,
allora». Nick iniziò, avvicinando
l’indice al pungidito. «Per prima cosa devo
prendere una goccia di sangue». Lo guardai trattenendo il
fiato, ma durò davvero pochissimo e non mi fece vedere
nulla, quando posò quella goccia nel misuratore elettronico.
Dopo qualche secondo sullo schermo comparve un numero e Nick si sporse
verso di me per farmi vedere meglio.
«In
questo caso sono dentro la norma, non ho bisogno di fare
l’iniezione per adesso».
«Okay,
bene», risposi sollevata.
«Sarà
per la prossima volta, così imparerai a farmi
l’iniezione».
Mi
portai di nuovo la mano sulla fronte, sentendo la testa riempirsi
d’aria solo al pensiero. «Una cosa alla
volta».
Nick
ridacchiò e mi posò un bacio sulla fronte.
«Stavo scherzando, amore. Adesso, prendi
quell’agenda nera e la penna che hai di fianco al braccio e
scrivi quello che ti dico io».
Presi
fra le mani l’agendina e la osservai, sfogliandola
velocemente. Riconobbi subito la sua scrittura. Ogni giorno
c’erano scritti numeri simili a quello comparso sullo schermo
del macchinario.
Tolsi il tappo alla penna e in modo ordinato, copiando lo schema che
aveva usato il giorno precedente, annotai i risultati della glicemia
ottenuti e ciò che aveva mangiato in maniera particolare.
«Questo
serve per controllare i cambiamenti della glicemia e, nel caso ci
fossero cose strane, chiamare il diabetologo», mi
spiegò.
«Uhm,
capito».
«Perfetto.
Abbiamo finito, raggiungiamo gli altri».
«Di
già?», domandai stupita.
Lui
ridacchiò. «Di solito è
l’iniezione che porta via un po’ di tempo, ma se si
tratta solo di un controllo è molto veloce. Tu stai
bene?».
«Sì,
tutto a posto. E… grazie».
«E
di che cosa?». Sistemò tutto nella sua valigetta e
mi avvolse un braccio intorno alle spalle, portandomi in salotto dagli
altri.
Aspettammo
tutti insieme la mezzanotte, sfogliando valanghe di album fotografici
dei piccoli Jonas Brothers. Io e Ale fummo sul punto di scoppiare a
ridere o a piangere diverse volte: erano così teneri e dalle
facce simpatiche!
Nick, poi, era qualcosa di spettacolare. Non avevo mai visto un bambino
più bello di lui.
Rimasi
ad osservare una sua foto, doveva avere circa dieci anni, un
po’ più a lungo del previsto e tutti se ne
accorsero.
«Vuoi
voltare pagina o no?», mi domandò Joe, piuttosto
irritato: gli dava fastidio non essere al centro
dell’attenzione come al solito, a quel vanitoso!
«Sì,
io…».
Nick
rise intenerito e mi avvolse il collo con le braccia, baciandomi sui
capelli.
Un
flash mi colpì all’improvviso e sollevando lo
sguardo vidi il padre dei fratelli Jonas munito di macchina fotografica.
Alla mia espressione quasi sconvolta, rispose: «Dovremo pure
completare questo album! Fatene una migliore, quella di prima non credo
sia venuta… bene», ridacchiò ed io
avvampai.
Nick
accostò il viso al mio ed io mi sforzai di sorridere, ma
alla fine fui costretta a farlo perché mi fece il solletico
con la mano posata sul mio fianco. Mi accorsi che anche mentre ridevamo
insieme, minacciandoci con i cuscini del divano, il suo papà
aveva continuato a scattare foto. Ero proprio curiosa di vederle, a
quel punto.
Poi
toccò a Joe ed Ale, che si erano esibiti in un photoshoot di
boccacce, e pose davvero da oscar, e alla fine toccò a Kevin
e Danielle, i due sposini.
L’avevo conosciuta per la prima volta quella sera e a
malapena ci eravamo rivolte la parola, ma da come mi guardava sembrava
che trasudasse gratitudine da tutti i pori, come se le avessi salvato
la vita e fosse in eterno debito con me. Non riuscivo nemmeno
immaginare quanto avesse sofferto quando suo marito – come
suonava strano! – era scomparso e non sapevo se sapesse tutta
la verità, ma non c’era davvero bisogno che mi
ringraziasse e speravo di averglielo fatto capire con un sorriso.
«È
quasi mezzanotte, sarà meglio iniziare ad avviarci verso la
chiesa», disse la madre dei Jonas.
Nick
annuì e si alzò, trascinandomi su con
sé e guardandomi intensamente negli occhi per un attimo. Non
capii ciò che mi volesse dire, ma lo scoprii poco
più tardi, con enorme sorpresa e gioia.
«Prima
di andare, però, vorrei fare una cosa»,
dichiarò. Tutti rimasero sbigottiti a quelle parole e
calò un silenzio di tomba, tanto che mi parve di sentire in
maniera fin troppo forte il cuore battermi nella cassa toracica.
Nick si inginocchiò di fronte a me, tenendomi una mano nella
sua, e con l’altra tirò fuori dalla tasca della
giacca elegante un piccolo cofanetto di velluto blu.
«Arianna
McEagle», disse con voce incerta, anche lui emozionato, ma
sorridente.
Arrossii nel sentir pronunciare il mio cognome da lui – era
così strano! – e il cuore mi batté
ancora più forte nel petto, come se volesse fuggire per
tuffarsi di fianco a quello di Nick.
«Mi vuoi sposare?».
Credetti
di svenire, ma poi mi ricordai quella volta sulla spiaggia, quando per
la prima volta me lo aveva chiesto e io avevo accettato, e mi calmai.
Chiusi gli occhi, mentre un morbido sorriso mi incurvava le labbra
all’insù. Quando li riaprii, lucidi di lacrime, mi
inginocchiai di fronte a lui per incatenare perfettamente lo sguardo al
suo, lasciandolo un po’ sorpreso.
«Ne
sarei onorata», sussurrai, per poi gettargli le braccia al
collo e stringerlo forte.
Lui
incominciò a ridere, come quella prima volta, e le statue
dei nostri familiari ed amici finalmente si mossero, animati da una
gioia che scosse anche i loro cuori. Il padre di Nick
incominciò di nuovo a fare foto a raffica, girandoci intorno
come un vero e proprio paparazzo, Ale iniziò a lanciare
urletti d’eccitazione, Joe iniziò a gridare
perché Nick non l’aveva avvertito, mia madre
scoppiò a piangere come una fontana, mio padre provava a
consolarla e mio fratello ancora non sapeva bene cosa fare e si
guardava intorno spaesato.
Nick
mi prese il viso fra le mani e mi posò vari baci a stampo
sulle labbra, poi concentrò la sua attenzione sul cofanetto
che teneva in mano.
«Non hai nemmeno guardato l’anello»,
disse, mettendo su un falso broncio.
«Scusa,
ma pensavo ad altro in quel momento!», risposi, sentendo
anche io quella felicità incontenibile che spingeva in
qualche modo per fuoriuscire dal mio corpo: con una risata, un pianto,
un urlo, non importava. Optai comunque per la risata e Nick si
unì a me, contagiato.
Quando
ci calmammo abbastanza, aprì il cofanetto e me ne
mostrò il contenuto. Era un semplice anello
d’argento, con un diamante incastonato al centro, ed era
bellissimo proprio per questo.
Lo tirò fuori dalla custodia con cautela e me lo
infilò al dito, leggermente commosso.
«Oh
su, non fare così!», lo rimproverai dolcemente,
accarezzandogli le guance. «Nick, è meraviglioso.
Tu, sei meraviglioso. E ti amo più della mia stessa
vita».
Nick
non rispose, annuì soltanto con la testa, e capii che
ricambiava tutto ciò che avevo detto. Sapeva che se avrebbe
aperto bocca gli sarebbe scappato un singhiozzo, quindi aveva preferito
evitare. Lo accolsi tra le braccia e lo cullai, fino a che non si
sfogò un poco.
«Scusa»,
mi disse subito, spazzando via le lacrime dal viso. «Ma tu mi
fai proprio un brutto effetto».
«Ah,
è così?! Beh, posso sempre fare in tempo a
rimangiarmi tutto quello che ho –!». Mi
tappò la bocca con un bacio e tutti quelli intorno a noi si
misero ad applaudire, ora che l’entusiasmo era un
po’ scemato.
«Non
vorrei proprio fare la guastafeste», disse Denise con la voce
rotta dal pianto: anche lei, come mia madre, s’era lasciata
andare all’emotività. «Ma siamo in
ritardo per la Messa!».
Io
e Nick ci guardammo negli occhi per un istante e fu come vedere il
futuro: entrambi sapevamo esattamente che questo sarebbe stato un nuovo
inizio per noi e per quanto difficile potesse essere, noi ce
l’avremmo fatta sicuramente.
***
Conclusa
la Messa di Natale, ci ritrovammo tutti nel piazzale della chiesa, al
freddo della notte e coi visi illuminati solo dalle luminarie appese ai
lampioni che costeggiavano le strada.
Ci scambiammo tutti gli auguri, dandoci baci e abbracci e rabbrividendo
ogni volta che ci allontanavamo da un corpo caldo per passare ad un
altro.
Ale
fu l’ultima che incontrai e lei mi gettò le
braccia al collo, stringendomi fortissimo e tirandomi un po’
in disparte per parlare.
«Tu lo sapevi che te lo avrebbe chiesto, vero? Non dire di
no, perché sono sicura che tu non ti saresti mai comportata
con tanta tranquillità se non avessi saputo
nulla!».
«Okay,
lo ammetto», ridacchiai. «Me lo aveva
già chiesto, forse anche più di una
volta… ma l’ultima volta è stata dopo
il mio ricovero in ospedale, quando siamo rimasti soli nella villa dei
Jonas nell’altra dimensione».
«E
per quale assurdo motivo non mi hai detto niente?!»,
strillò a bassa voce, picchiandomi sul braccio.
Io
risi ancora. «Neanche Nick ha avvisato qualcuno,
perché te la prendi solo con me?».
«Perché
tu sei la mia migliore amica e credevo che una cosa del genere fosse
una di quelle da dire assolutamente fra migliori
amiche!»,
ribadì il concetto un paio di volte, facendomi roteare gli
occhi verso il cielo scuro.
«Okay,
mi dispiace infinitamente. Posso farmi perdonare in qualche
modo?».
I
suoi occhi si illuminarono all’improvviso.
«Sarò la damigella d’onore?».
«Certo».
Lanciò
un gridolino e mi gettò di nuovo le braccia al collo.
«Sei perdonata, allora!».
«Perfetto»,
dissi, divertita. «Allora torniamo dagli altri».
«No,
aspetta!», mi prese per il braccio e mi trascinò
di nuovo a sé. «Ti devo chiedere una
cosa!».
«Che
cosa?».
«Io,
ecco…Giusto per non fare figure di cacca, anche se credo di
averne già fatta una…».
Con
la fronte aggrottata, le presi le mani nelle mie e dissi con calma:
«Spiegati meglio Ale!».
«Vedi,
un paio di settimane fa, tipo… Joe ed io siamo usciti e
quando mi ha accompagnato a casa, sfruttando il fatto che in casa non
ci fossero i miei genitori, gli ho chiesto se voleva entrare, ma
lui…».
Un
sorriso più che divertito comparì sulle mie
labbra. «Ha… gentilmente
rifiutato?».
«Non
ridere Ary, ci sono rimasta veramente male! Ma non gli ho chiesto il
motivo: mi vergognavo troppo per quello che era successo. Quella sera
ho fatto delle ricerche e mi chiedevo se allora…».
Avevo
già capito dove voleva andare a parare, ma vederla in
difficoltà con quell’argomento in cui si era
sempre destreggiata alla grande era davvero uno spasso!
«Cosa?», domandai.
«Allora
è vera quella storia, che loro non…».
La guardai di traverso, fingendo ancora di non capire.
«Sì, loro non… Dai, hai capito! Per via
di quell’anello…».
«L’anello
della purezza, dici?».
Lei
mi guardò in modo eloquente e scoppiai definitivamente a
ridere.
«Quindi
è vero?!», esclamò a voce fin troppo
alta e con un tono che sembrava quasi scandalizzato. «Fino al
matrimonio loro non…».
Annuii
col capo, senza nemmeno immaginare come sarebbero andate a finire le
cose…
«Non
ci posso credere… Ma quindi tu e Nick ancora
non…!».
Il
mio viso perse immediatamente colore, nonostante facesse
così freddo da renderlo arrossato, e il sorriso che avevo
avuto fino a quel momento scomparve.
Le gettai in fretta una mano sulla bocca, per farla tacere, e i suoi
occhi si illuminarono ancora di più, tanto da potervi
leggere dentro: “E ora chi è che ride?!”
Si
liberò dalla mia stretta, sogghignò e disse:
«Secondo me è per questo che te lo sposi,
altroché. Così almeno potete
finalmente…!».
Rossa fino alle punte dei capelli, ma con sguardo severo, provai di
nuovo ad azzittirla contro la sua volontà, ma lei si
divincolò e mi lanciò uno sguardo di sfida.
«Non
mi guardare così, lo sai perfettamente che stai sparando un
sacco di cavolate!», sbottai. «Io ho detto di
sì a Nick perché lo amo e voglio passare tutta la
vita con lui, non di certo per quello che dici tu, sciocca!».
Ale
sollevò improvvisamente gli occhi ed ebbi un brutto
presentimento. Lentamente mi voltai e alle mie spalle c’era
proprio Nick, che mi sorrise dolcemente.
«T-tu…
da quanto sei qui?», balbettai.
«Quanto
basta», disse chinandosi sul mio viso, per posarmi un lieve
bacio sulle labbra.
Il
freddo sparì in un attimo, stretta fra le sue braccia, e non
avrei mai voluto farne a meno, ma Nick mi prese per mano e mi
portò dalle nostre famiglie.
«Andiamo,
tesoro?», mi domandò mia madre, guardando
dolcemente anche Nick. «Si sta facendo davvero tardi e ho
detto a Denise che saremmo molto felici se domani venissero loro a
pranzo da noi!».
«Stai
scherzando?». Ero praticamente sconvolta: mia madre e la
cucina erano proprio incompatibili!
«Certo
che no!».
«Allora
cucina papà, spero!».
Mia
madre mise su un broncio, facendo sorridere Nick, che mi
guardò: chissà, forse aveva notato qualche
somiglianza fra noi due.
Mio
padre avvolse un braccio intorno alle sue spalle e la strinse a
sé. «Se io sarò lo chef, tua madre
sarà il mio primo cuoco».
A quelle parole mamma si addolcì e distolsi lo sguardo: mi
faceva troppo strano vederli scambiarsi quelle smancerie!
Nick non sembrava avere quel tipo di problema e li guardava quasi al
settimo cielo. Avrei pagato oro per sapere a che cosa stesse pensando,
ma forse ce l’avevo davanti agli occhi la risposta: al futuro.
Le
nostre famiglie si salutarono ancora una volta ed io sussurrai a Nick
qualche parola nell’orecchio prima di baciarlo sulle labbra e
raggiungere i miei genitori, mio fratello e Ale.
Salimmo in auto e la mia migliore amica, seduta al mio fianco, mi
pizzicò il braccio.
«Vai
da Nick, dopo?», mi chiese a bassa voce.
Annuii, raggiante, e lei sbuffò afflosciandosi sul sedile.
«Quanto invidio te e il tuo –!».
«Perché,
Ale? Sono sicura che anche Joe prima o poi ti chiederà di
sposarlo!», disse mia madre, con le labbra arricciate in un
sorrisino.
Ale
avvampò, negando agitando le mani di fronte al petto.
«Non ci tengo a sposarmi così giovane!».
Sorrisi,
pensando che anche io la prima volta avevo reagito in quel modo ed ora
al dito portavo un anello di fidanzamento.
Una
volta accompagnata Ale, tornammo a casa anche noi. Ci augurammo la
buona notte e ognuno si rintanò nella propria stanza.
Sdraiata
sul mio letto, al buio e nel silenzio che regnava in tutta la casa,
continuai a guardare l’anello che portavo
all’anulare della mano sinistra fino a quando non fui sicura
che tutti stessero dormendo. Allora chiusi gli occhi.
Pochi secondi dopo, con espressione serena sul viso, mi strinsi alla
schiena di Nick, sotto alle coperte.
«Hai
fatto presto», mi sussurrò, voltandosi ed
abbracciandomi. «Meglio così, iniziavi
già a mancarmi».
Sorrisi,
soffocando una risata leggera sulla sua gola. «Io stento
ancora a credere che diventerò tua moglie».
Fissò
gli occhi nei miei e mi scostò il ciuffo di capelli bianchi
dalla fronte. «E perché mai?».
«Perché
mi vedo ancora troppo giovane… mai avrei immaginato di
sposarmi così presto. Tutti quelli che mi conoscono
penseranno che sarà un matrimonio riparatore, o dettato dal
fatto che tu sei famoso. Non so se riuscirò a
sopportarlo».
«Scommetto
invece che ci riuscirai benissimo, perché sai qual
è la verità». Dopo qualche secondo di
silenzio, ridacchiò.
«Perché
ridi?».
«Ti
immagini un marmocchio tutto nostro? Sarebbe uno spasso!».
«Nick,
per piacere, una cosa alla volta!», dissi scandalizzata,
portandomi due dita sugli occhi. Non eravamo ancora sposati e
già pensava ad un bambino! Era malato, decisamente.
«Piuttosto,
a quando le nozze?», domandai. «Dovremmo decidere
una data…».
Nick
si voltò a guardare il soffitto, facendomi posare la testa
sulla sua spalla. «Da quello che ho capito, dopo
l’uscita del nuovo CD ci sarà un periodo di
promozione, un paio di mesi, e poi un piccolo tour
mondiale…».
«Scusa,
ma come fa un tour mondiale ad essere piccolo?».
Lui
rise lievemente e mi posò un bacio sulle labbra.
«L’estate prossima? Verso giugno, magari,
così non è troppo caldo».
«Giugno…
Subito dopo gli esami? Riuscirò a stare a dietro alla
scuola, alla dimensione parallela, a te, al
matrimonio…».
«Se
vuoi possiamo anche posticipare, per me non…».
«No,
giugno mi piace come mese», risposi con un sorriso.
«E ce la farò, devo
farcela».
«Così
mi piaci», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Gli
presi il viso fra le mani ed annullai la distanza tra noi. Mentre mi
baciava fece scorrere la mano sul mio fianco, sfiorandomi la pelle e
provocandomi mille brividi, e raggiunse la mia mano sinistra, su cui
trovò l’anello che mi aveva regalato.
«Mi
sono riscattato dall’altra volta?», mi chiese,
posando la fronte contro la mia.
«Oh
sì, decisamente… hai fatto tutto proprio in stile
Nicholas Jerry Jonas».
Ci
sorridemmo e stretti in un abbraccio ci addormentammo.
_________________________________________
Ciao a tutti! :D
Beh, questo è un altro capitolo molto dolce e, come dire...
non si può non essere contenti per Nick e Ary, che stanno
per veder realizzato il loro sogno d'amore, nonostante le tante
difficoltà e il lavoro di Nick! *-* Sono proprio una bella
coppia, si completano!
Voi che ne pensate? Come al solito sono ansiosa di conoscere il vostro
giudizio, negativo o positivo che sia ;)
Ringrazio chi ha letto e commentato lo scorso capitolo, ossia ___Unbroken
e Chiare_skyscraper
:)
Al prossimo capitolo, che...
accidenti, è l'ultimo! D: Ma
in compenso sarà un po' più lunghetto :)
Allora ciao! Vostra, _Pulse_
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
Ogni
tanto ci avevo provato a teletrasportarmi dove si trovava Nick, ma
l’avevamo capito subito che era troppo difficile e rischioso:
uno, non sapevo mai dove andavo a finire perché non
conoscevo il luogo; due, prima o poi avrei finito per apparire
improvvisamente di fronte a qualcuno e non sarebbe stato bello.
Quindi avevo lasciato perdere, arrendendomi al fatto che dovevo stare
lontana da Nick per i mesi in cui i Jonas Brothers promuovevano il loro
nuovo album e suonavano ogni sera in una città diversa del
mondo.
Io potevo pure avere il dono del teletrasporto, anche fra dimensioni,
ma ero certa che Nick avesse visto molti più paesi di me nel
corso della sua carriera.
Comunque
questo allontanamento forzato non fu solo una sofferenza,
perché riuscii a concentrarmi di più sulla scuola
e la mia media magicamente si risollevò, tanto da darmi
qualche speranza di essere ammessa all’esame finale della
highschool. Inoltre, ebbi anche più motivazioni per aiutare
le persone nell’altra dimensione: in poche parole, per non
sentirmi troppo sola e non pensare a quanto mi mancasse, mi davo al
“volontariato” e trasportavo di qua e di
là la gente.
Le
cose sotto quel punto di vista andavano benissimo, perché
ormai io, mio fratello e Fiore ci avevamo preso l’abitudine e
portare la gente a casa non era più un problema per noi.
L’aeroporto dimensionale funzionava benissimo, gestito da
quelle persone che, vuoi perché lì si erano
rifatte una nuova vita o non avevano niente da spartire con
l’altra dimensione, non avevano intenzione di tornare a casa.
A
volte era persino capitato che qualcuno aspettasse di essere portato a
casa e poi una volta arrivato là si rendesse conto che non
c’era più niente di suo, che era stato cancellato
come se non fosse mai esistito, e per non causare altro dolore si
presentava a casa nostra e chiedeva di essere riportato
nell’altra dimensione.
La maggior parte delle volte il nostro lavoro andava a buon fine, ma
c’erano anche quei tristi casi che ogni volta ci facevano
cadere una pietra sul cuore.
Il
nostro era un servizio assolutamente gratuito, ma era ormai diventata
un’abitudine per i “trasportati” fare
un’offerta di qualsiasi genere all’aeroporto
– cesti di frutta, torte e pasticcini, denaro, case che
sarebbero rimaste inabitate, altre proprietà – che
poi venivano distribuite fra il comune del paesino e tutti i dipendenti
della grande struttura.
Per
me era arrivato ad essere un vero e proprio lavoro che a volte mi
impegnava fino alla sera tardi, e nonostante mi fossi sempre rifiutata
di ricevere un compenso dal comune del paesino in cui agivo, ma in cui
si erano riversate tantissime persone anche da altri paesi per
richiedere i moduli per tornare a casa, il sindaco in persona aveva
aperto un conto corrente a mio nome in banca, su cui depositava ogni
mese il mio “stipendio”.
Comunque,
in quei mesi che precedettero il giorno fatidico, la mia vita divenne
più abitudinaria e furono poche le cose che la sconvolsero,
come per esempio un ritorno improvviso ad Hollywood di Nick e dei suoi
fratelli a causa di un piccolo concerto organizzato a Los Angeles da
uno dei loro innumerevoli sponsor.
Fu
una serata che non avrei dimenticato facilmente, perché dopo
il concerto eravamo andati in un locale molto esclusivo per fare il
nostro “after party” e per la prima volta avevo
visto Joe ubriaco. Nick mi aveva detto che non succedeva spesso,
perché tutti e tre erano attenti a quelle cose, ma quando
accadeva… c’era da divertirsi. E come aveva
ragione! Joe aveva ballato sui tavoli, aveva rovesciato addosso ad Ale
un bicchiere ancora mezzo pieno e le aveva sparate grosse, tanto che
l’avremmo preso in giro per l’eternità.
La
seconda cosa che spezzò la calma piatta – e un
po’ malinconica – che avevo vissuto in quel
periodo, fu la scomparsa, seppur di soli due giorni, di Edoardo, il
fratello minore di Ale.
Accadde un giorno qualunque: uscì di casa per andare a
scuola e non vi ritornò per tutto il giorno. Non aveva
avvisato nessuno, i suoi genitori e sua sorella stettero in piedi tutta
la notte ad aspettarlo e quando all’alba non lo videro ancora
tornare, chiamarono la polizia per denunciarne la scomparsa.
La
mia migliore amica mi chiamò al cellulare alle cinque e
mezza del mattino, facendomi carambolare giù dal letto, e
non ci fu nemmeno bisogno di spiegarmi tutto quanto: in quattro e
quattr’otto la raggiunsi e rimasi con lei per tutto il tempo,
liberandomi dal suo abbraccio stritolatore solo una volta, per chiamare
Nick al cellulare ed avvisarlo dell’accaduto.
Sarebbe
dovuto passare un altro giorno perché Edoardo si facesse di
nuovo vivo a casa, in uno stato di shock e di semi-mutismo. Preoccupati
e spaventati da ciò che avrebbe potuto essergli accaduto, i
suoi genitori avrebbero voluto portarlo all’ospedale, ma lui
si rifiutò, dirigendosi in cucina, prendendo dalla credenza
un po’ di cose da mangiare e una bottiglia di Coca Cola e
rifugiandosi nella sua camera.
Non
aveva detto nulla a proposito della sua strana sparizione e non
sembrava intenzionato a parlarne, nemmeno con sua sorella, con cui si
era quasi sempre confidato. Avevano solo due anni di differenza e il
loro rapporto era sempre stato buono, ma il comportamento che ebbe
quella sera fu davvero incomprensibile, a me come a lei.
Ale aveva provato in tutti i modi a farlo aprire, rassicurandolo, ma
non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Io, che avevo seguito
tutto da dietro la porta, avevo sbirciato all’interno della
camera sentendo uno strano silenzio e avevo visto Ale alzarsi e
raggiungermi sconsolata e con i segni delle lacrime ancora sulle
guance. L’avevo consolata e prima di accompagnarla in cucina
incontrai per un attimo solo lo sguardo di Edo: sembrava
così impaurito, confuso e solo… Un’idea
mi aveva attraversato il cervello come un lampo a ciel sereno, ma
l’avevo subita catalogata come improbabile e non ci avevo
pensato oltre.
Se avessi fatto meglio a pensarci, se avessi almeno provato a parlare
con lui, l’avrei scoperto solo qualche mese dopo.
***
La
mattina del fatidico giorno, mi alzai dal letto con delle orribili
occhiaie sotto agli occhi: non avevo dormito tutta notte e quelli erano
i disastrosi risultati.
Scesi in salotto e trovai mia madre seduta sul divano, che accarezzava
con sguardo perso le rose color rosa pallido cucite sulla vita del mio
vestito da sposa. Mi appoggiai alla parete con la spalla, chiedendomi a
che cosa stesse pensando.
«Mi
ricordo come se fosse ieri il giorno in cui io e tuo padre ci siamo
sposati», disse all’improvviso, come se mi avesse
letto nel pensiero. Potei soltanto immaginare il sorriso commosso che
aveva sul viso, dato che mi dava le spalle.
«E adesso sei tu a doverti sposare… tesoro,
è passato così tanto tempo da
allora…».
«Ma
voi siete sempre rimasti gli stessi, nel bene e nel male».
Si
voltò e mi guardò negli occhi, sistemandosi gli
occhiali sul naso. Mi fece cenno di raggiungerla e mi sedetti sul
bracciolo del divano per stringerla in un abbraccio.
«Non piangere, mamma…».
«Ti
ho vista crescere sotto i miei occhi, sbocciare come un fiore, e sono
così orgogliosa di ciò che sei
diventata… amore, ho una cosa da darti».
La
guardai mentre si alzava e raggiungeva la cucina, prendeva una
scatoletta infiocchettata da sopra il tavolo e me la portava.
«Tutte le donne della mia famiglia l’hanno
indossata al loro matrimonio e ora tocca a te».
Aprii
la scatoletta con le mani un po’ tremanti e al suo interno
tolsi la carta velina un po’ ingiallita che conservava
gelosamente una collana di piccoli diamanti quadrati che univano
diamanti a goccia di diverse dimensioni, tra cui il più
grande si trovava al centro.
Il fiato mi si mozzò in gola e a stento riuscii a dire:
«È bellissima…».
Mia
madre si alzò e la tirò fuori dalla scatola. La
luce del sole del mattino si infranse nei diamanti e ne vidi i riflessi
sul suo viso. Si mise alle mie spalle e mi disse di sollevare i capelli
per mettermela al collo.
«Ma
sono ancora in pigiama, mamma…», provai ad
obbiettare, ma non me lo permise: «Voglio solo vedere come ti
sta».
Allora me l’allacciò al collo e posò le
mani sulle mie spalle per voltarmi ed osservarmi.
Una
lacrima le sfuggì dall’occhio destro.
«Oh tesoro…».
L’abbracciai
delicatamente e posai la guancia contro la sua, sentendomi davvero
felice di aver preso la scelta migliore, quella di sposare Nick.
Quando
mia madre si calmò, misi qualcosa sotto i denti e intanto
mio padre e mio fratello si svegliarono, raggiungendomi in cucina. Con
Davide avevo parlato pochissime volte del matrimonio, ma quella mattina
bastò uno sguardo per capire che era contento per me.
Poi
arrivò la parrucchiera, amica di mia madre, che mi avrebbe
acconciato i capelli per la funzione. Così fui costretta a
dedicarmi alla parte più noiosa di quella giornata: la
preparazione della sposa.
Dovetti indossare il mio abito e appena me lo vidi addosso, esattamente
come la prima volta in cui l’avevo provato, sentii mille
brividi corrermi sulla schiena.
Mentre
la parrucchiera si occupava dei miei capelli, mia madre ebbe
l’idea di farmi il trucco, ma per fortuna arrivò
Ale appena in tempo ad evitare il disastro.
La mia migliore amica era paradossalmente ancora più agitata
di me, ciononostante rese il mio viso perfetto, delicato e luminoso
come baciato dalla luna, e limando e lucidando le mie unghie, sempre un
po’ trascurate, le rese bellissime, facendo una semplice
french bianca e dipingendo dei piccoli fiori rosa chiaro sugli angoli.
Quando
finalmente uscii dal bagno, mio padre e mio fratello stentarono a
riconoscermi.
«Bocciolino,
sei bellissima», disse mio padre, anche lui con un
po’ di occhi lucidi, nel suo completo grigio così
elegante e così insolito per i miei occhi.
Abbassai
il capo, imbarazzata, e sussurrai dei ringraziamenti. Mio fratello
avrebbe voluto abbracciarmi, ma Ale glielo vietò
severamente, dicendogli che avrebbe
sicuramente rovinato la sua
opera d’arte. Allora Davide si limitò a sorridermi.
«Okay,
allora siamo pronti?», domandò mia madre,
porgendomi il bouquet.
La
guardai da capo a piedi e anche lei si accorse che era ancora in tuta
da ginnastica. Si portò le mani nei capelli e corse a
cambiarsi.
***
Nick
fu uno dei primi, insieme alla sua famiglia, ad arrivare
all’anonima chiesetta della cittadina in cui abitava la sua
futura sposa, dove avevano deciso di sposarsi, quel giorno addobbata
con un’infinità di fiori bianchi.
Pian
piano aveva visto la panchine riempirsi e aveva salutato più
parenti ed amici che poteva, poi, quando fu quasi l’ora, si
riservò un momento di solitudine per calmare il cuore che
gli batteva nel petto a velocità folle.
Si
rifugiò nella stanza in cui solitamente si preparavano il
prete e i chierichetti e si portò le mani sul viso.
Non
poteva fare a meno di essere agitato, anche se sposare Ary era la cosa
che desiderava di più al mondo. Erano entrambi
così giovani, avevano tutta la vita davanti e in quel
momento più che mai ebbe paura di non farcela, di non
riuscire a conciliare il suo amore per lei e ciò che sarebbe
venuto dopo la loro unione in matrimonio e la sua vita da musicista,
così frenetica e che lo portava assiduamente lontano da casa.
Forse aveva avuto ragione Ary, quella volta in cui gli aveva detto che
era troppo giovane per sposarsi. Forse sarebbe stato meglio annullare
tutto, rimandare tutti gli invitati a casa e rispedire indietro tutti
quei fiori dal profumo dolce.
Sentì
la maniglia della porta abbassarsi e Joe comparire sulla soglia. Il
chiacchiericcio di tutti gli invitati raggiunse le orecchie di Nick
insieme alle parole di suo fratello:
«Ale mi ha mandato un sms, dice che stanno
arrivando».
«Oh,
perfetto», mormorò Nick, lasciandosi andare ad un
tremito e ad un sospiro di nervosismo.
Joe
fece un sorrisino e raggiunse il fratello, appoggiandosi al muro al suo
fianco. «Ci stai ripensando, per caso?».
«No,
io… no, non credo…».
«È
solo la fifa pre-matrimonio. O hai paura che Ary scopra quello che
abbiamo fatto per il tuo addio al celibato?».
Nick
sogghignò. «Io
non ho fatto proprio niente, sei tu che dovresti aver paura che Ale lo
scopra».
Joe
diventò paonazzo. «Ero mezzo ubriaco, sai come
divento…».
«Ti
sembra una buona scusa? Ti sei messo a ballare sul cubo con una
spogliarellista! Io e Kevin non riuscivamo più a tirarti
giù!».
I
due fratelli si guardarono negli occhi per qualche secondo in silenzio,
poi scoppiarono a ridere contemporaneamente.
«Forza,
andiamo», disse Joe, dandogli una pacca di conforto sulla
schiena. «O vuoi che Ary arrivi prima di te
all’altare?».
Nick,
decisamente più tranquillo, seguì il fratello
maggiore e si sistemò di fronte all’altare, vicino
al prete che avrebbe recitato la funzione, con il quale,
nell’attesa, scambiò qualche parola.
Inoltre,
Nick adocchiò la madre e il fratello di Ary entrare in
chiesa e raggiungere i loro posti in prima fila, insieme ad Ale, che si
mise seduta accanto a Joe.
Quella che tra poco sarebbe diventata sua suocera gli sorrise raggiante
incrociando il suo sguardo, anche se aveva gli occhi già
umidi di lacrime. Nick ricambiò e finalmente un pesante
silenzio cadde su tutti i presenti, che si voltarono verso
l’entrata della chiesa.
***
Prima
di scendere dall’auto, osservai la facciata della chiesa che
da bambina avevo frequentato ogni domenica e nella quale ora mi sarei
sposata.
Sentii
i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e mi portai una mano
sul petto, percependo le pulsazioni appena sotto la pelle, come se
stesse spingendo per fare un buco e scappare via. Anche io avrei voluto
farlo, avrei voluto teletrasportarmi nell’altra dimensione ed
iniziare a correre sulla spiaggia, con i piedi nell’acqua del
mare e bagnandomi tutto il vestito, ma al solo pensiero che io e Nick
stavamo per unirci in quel legame così forte ed intimo,
scossi il capo e mi costrinsi a cacciar via tutta la paura.
Mio
padre aprì la portiera dell’auto e mi porse la
mano per aiutarmi a scendere. L’afferrai saldamente e
controllai che le rose sul mio vestito non si fossero spostate, poi
respirai profondamente ed iniziai a salire i gradini che portavano
all’entrata.
***
La
vide alla fine della navata, che camminava a braccetto con suo padre.
Rimase sempre più senza fiato man mano che si avvicinava,
mentre i particolari del suo vestito, del suo viso, dei suoi capelli,
diventavano più chiari.
Il corpetto color rosa pallido e ricamato finemente con temi floreali
metteva in risalto le sue forme equilibrate e la gonna di seta bianca,
con i drappeggi trasparenti fermati da piccole rose dello stesso color
rosa pallido, era semplicemente incantevole.
I capelli biondi erano raccolti in uno chignon, anche se qualche
ricciolo le ricadeva sulle spalle nude, ed erano adornati da piccole
roselline che richiamavano quelle sul suo vestito.
Infine, aveva un po’ di mascara sulle ciglia e un
po’ di ombretto sulle palpebre, che era un misto fra
l’argento e il rosa pallido che richiamava il colore del suo
vestito. Per il resto il suo viso era bello come al solito, anche se
più luminoso e vivo, nonostante il trucco acqua e sapone. Ma
non c’entrava nulla il trucco, perché quando Nick
le tolse il velo dal viso rimase ancora più incantato dalla
luce che aveva negli occhi: era felice, per quello era ancora
più bella.
In
quegli occhi Nick lesse le stesse sue paure, ma scorse anche la
certezza che il loro futuro non doveva incutergli alcun timore,
perché insieme avrebbero superato qualsiasi ostacolo.
Si sorrisero, trattenendosi per non scoppiare a ridere a causa della
loro stupidità, e si scambiarono poche parole colme
d’imbarazzo e d’amore, poi il prete
iniziò ufficialmente la celebrazione.
***
La
funzione era durata più di quanto mi aspettassi e avevo
dovuto sforzarmi parecchio per non sbadigliare quando ne sentivo la
necessità. Per fortuna al mio fianco c’era sempre
stato Nick: un solo sguardo e tutto poteva prendere una sfumatura
diversa, dall’emozionante al divertente.
Quando finalmente era arrivato il momento clou, ossia quello dello
scambio delle fedi e della promessa, tirai un sospiro di sollievo. Mio
fratello Davide aveva fatto da paggetto, attraversando la navata
centrale per portarci le fedi, e mi aveva fatto così tanta
tenerezza quando era arrossito che avrei voluto mollare tutto e correre
ad abbracciarlo.
Però alla fine mi ero trattenuta, perché mancava
ancora la parte più importante, quella del
«Sì, lo voglio», la parte che fece
scoppiare a piangere mia madre, la madre di Nick, Ale e persino Joe.
Era stata davvero dura non scoppiare a ridere nemmeno dopo aver visto
le sue lacrime, ma fortunatamente ce l’avevamo fatta giusto
il tempo necessario per sentir dire: «Ora può
baciare la sposa» e reprimere quella risata l’uno
sulle labbra dell’altro.
Uno scroscio d’applausi ci aveva accompagnati fino
all’esterno della chiesa e una volta fuori fummo inondati da
una pioggia di chicchi di riso che ci finirono tra i capelli e tra i
vestiti.
Il
fotografo che mio padre aveva ingaggiato ci girava intorno,
scontrandosi con la concorrenza: il padre di Nick, il quale aveva
voluto essere il fotografo d’eccezione per
quell’occasione.
Avremmo dovuto fare pure due album fotografici, come se i due matrimoni
che avevamo programmato non fossero stati abbastanza. Io e Nick,
infatti, avevamo deciso che il nostro matrimonio sarebbe stato
celebrato in due luoghi diversi: il primo nella nostra dimensione
d’appartenenza, il secondo nella dimensione nella quale ci
eravamo incontrati ed era nata la nostra storia, quella che ci aveva in
qualche modo adottati.
Il
tempo di andare al ristorante, mangiare e festeggiare ancora con i
nostri parenti e i nostri amici, e ci preparammo per andare
nell’altra dimensione.
Con noi sarebbero venute le persone strettamente necessarie,
perché non era necessario che tutti assistessero ad entrambe
le celebrazioni e poi perché avrebbe dovuto pensarci solo
Davide a riportarle indietro. Quindi vennero solo Kevin, Joe, Ale e
ovviamente mio fratello.
Con
delle scuse i diretti interessati si allontanarono dalla festa, con i
miei familiari come complici, e facendo attenzione a non farci vedere
ci teletrasportammo nell’altra dimensione, alla villa dei
Jonas.
Erano quasi le quattro del pomeriggio e fuori dalla villa
c’erano già due auto che attendevano il nostro
arrivo.
«Ci
vediamo là», disse Nick, prendendomi fra le
braccia e baciandomi in una specie di casquet.
Il cuore mi rimbombò nelle orecchie, pensando che ormai
eravamo marito e moglie, e ricambiai al bacio come se fosse stato il
primo.
«Forza
Nick, andiamo. Avrai tempo di spupazzartela durante la luna di
miele!», gridò Joe, trascinandoselo dietro
tirandolo per un braccio.
I
nostri sguardi non si separarono, nonostante il rossore che si era
impadronito delle nostre guance. Lo guardai uscire dalla porta, andare
all’auto ed allontanarsi lungo il sentiero nella fitta
vegetazione.
«Signorina,
lei è pronta?», domandò
l’uomo che evidentemente doveva essere il mio autista.
«Ahm…
sì, però dovrei chiederle un favore».
L’uomo
si accigliò, in attesa, ed io sorrisi.
Scesi
dall’auto ringraziando ancora una volta l’autista,
entrai nel cimitero e camminai tra le tombe, tenendo un po’
sollevato il vestito per non sporcarlo d’erba. Raggiunsi la
sua tomba e sorrisi amaramente, guardando la foto che la ritraeva bella
e felice, coi capelli rossi che le incorniciavano il viso chiaro.
«Ciao,
Charlotte», sussurrai con le lacrime agli occhi. Ma non
dovevo piangere, non potevo. Così tirai su col naso ed
accennai un altro sorriso.
«Probabilmente già lo sai, ma io e Nick ci stiamo
per sposare. Beh, tecnicamente siamo già sposati,
però nell’altra dimensione. Comunque…
volevo passare a dirtelo di persona e a salutarti… Ci
manchi, lo sai? Ogni tanto Nick ti pensa. Lui non lo
ammetterà mai, però io lo so che qualche volta lo
fa: i suoi occhi cambiano, si allontanano… Se hai tempo, da
lassù o da dove ti trovi adesso, potresti guardarci. Saresti
stata la prima invitata al matrimonio, anche se non so se tu saresti
venuta. Mi avrebbe fatto davvero piacere. Vorrei che tu… che
tu fossi ancora qui».
Tirai
di nuovo su col naso ed abbassai lo sguardo, incontrando i fiori del
mio bouquet. Non avrei dovuto farlo, ma lo feci comunque: li posai
sulla sua tomba, sicura che lei sarebbe stata la persona più
adatta a riceverli, perché se li meritava.
Dopo quella mia breve fermata,
l’autista mi portò fino alla chiesa del paesino e
rimasi scioccata quando vidi tutte le persone del posto riunite nelle
strade, nella piazza e di fronte alla chiesa: stavano aspettando solo
noi, perché tutti avrebbero voluto partecipare al
matrimonio, ma non era possibile stare tutti riuniti nella piccola
chiesa.
Salutai
con la mano tutti quelli che riuscivo a riconoscere nella folla,
sentendomi una vera principessa, e quando l’autista si
fermò e fece faticosamente il giro dell’auto per
venire ad aprirmi la portiera il boato che dall’interno avevo
sentito in modo solo attutito, mi colpì le orecchie,
facendomi temere per il mio povero udito. Ma c’era
così tanta gioia in quelle urla, così tanto
entusiasmo in quegli applausi e in quei fischi, che non potei fare
altro che sorridere imbarazzata e sollevare una mano per salutare
ancora la folla.
Strabiliante come fossi divenuta importante per loro, mentre nella mia
dimensione ero appena diventata “qualcuno” sposando
Nick Jonas dei Jonas Brothers.
Vidi
Alessandro, che avrebbe sostituito mio padre, farsi spazio tra la folla
per venire a prendermi e gli sorrisi raggiante.
«Wow, sei proprio sexy in giacca e cravatta!»,
dissi.
«Cosa?
Non sento niente!», gridò lui, porgendomi il
braccio. All’interno della chiesa era già iniziata
la musica di accompagnamento alla marcia nuziale.
«Te
lo dico dopo!».
Il
matrimonio si ripeté ancora una volta, ma fu bellissimo
vedere riunite tutte le persone che avevo conosciuto durante
l’avventura in quella dimensione parallela, che mi avevano
aiutata nei momenti difficili e che amavo.
C’erano
le due cheerleader amiche di Charlotte, c’erano Fiore e
Alessandro, c’era il sindaco (che qualche mese prima mi aveva
eletta cittadina onoraria), c’erano tutti i dipendenti
dell’aeroporto dimensionale, e c’era persino il
gigante buono che dopo la sconfitta della vecchia megera era diventato
il migliore amico di tutti i bambini del paese.
La
festa che i paesani ci avevano organizzato era completamente
all’aria aperta, nella piazza principale, dove
c’era un piccolo palco su cui suonava una band di musica
blues e persino una zona in parquet dove ballare. Ovviamente, io e Nick
dovettimo aprire le danze.
Non
mi ero mai divertita tanto in vita mia e il momento in assoluto
più bello fu quando Nick sorprese tutti e salì
sul palco, scambiando qualche parola con la band.
Con un cenno del capo mi invitò a seguirlo ed io, un
po’ impacciata a causa del vestito, mi aggrappai alle sue
mani per paura di inciampare. Nick mi sorresse come solo lui sapeva
fare e mi fece sedere accanto a lui sul lungo sgabello di fronte al
pianoforte.
Mi
guardò dolcemente e avvicinò la bocca al
microfono per sussurrare: «Solo per te, amore. Ti
amo».
Già
in quel momento avrei voluto scoppiare a piangere, ma mi trattenni per
tutta la durata della bellissima canzone che aveva scritto solo ed
esclusivamente per me. Finalmente anche io ne avevo una ed era la
più bella che avessi mai sentito: rappresentava il cuore di
Nick, la sua intera anima… e io ne facevo parte.
Uno
scroscio di applausi e di fischi ci investì quando anche le
ultime note si dispersero nel vento ed io gli gettai le braccia al
collo, stringendolo fortissimo a me.
«E
questa è solo una fra le tante che ho scritto per te, lo
sai», mormorò con le labbra premute sul mio
orecchio.
«Tu
sei pazzo, ma ti amo da morire Nick. Grazie, grazie di tutto».
Lui
rise e mi prese il volto fra le mani, poi mi baciò, facendo
aumentare di diversi decibel i suoni di gradimento prodotti dalla
folla.
La
festa durò ancora a lungo, tanto che quando la notte prese
il sopravvento sul giorno e la luna piena iniziò a brillare
nel cielo blu, quasi nessuno era già tornato a casa.
Da tradizione, noi ce saremmo dovuti andare per primi e così
facemmo, salutando con un cenno della mano Ale e Joe che si scatenavano
sulla pista da ballo, dando una pacca sulla spalla a Kevin e rivolgendo
sorrisi e ringraziamenti a chiunque incontrassimo sulla nostra via.
Nick corse ad aprirmi la portiera dell’auto bianca, sulla cui
cappotta c’era disegnato un cuore enorme, e mi fece salire;
poi raggiunse il posto di guida e partì alla volta della
villa dei Jonas, mentre io ancora mi intrattenevo a salutare tutti
quelli che potevo sporgendomi dal finestrino.
Lentamente
le luci e i suoni della festa si affievolirono alle nostre spalle e
rimanemmo soli. Guardai il profilo di Nick e sorrisi, portandomi un
dito alle labbra.
«Che
c’è?», mi domandò, contagiato
dalla mia ilarità.
«Niente,
stavo giusto realizzando che adesso siamo marito e moglie».
Un
po’ scettico, sollevò il sopracciglio.
«E ti fa ridere?».
«Non
rido perché lo trovo divertente, ma perché tutta
la gioia che ho dentro deve pure esternarsi in qualche modo!».
Nick
si limitò ad allargare ancora di più il suo
sorriso e a scuotere il capo.
Mi
accorsi che aveva preso il sentiero sbagliato e gli posai una mano sul
braccio per avvertirlo, ma non ebbi nemmeno il tempo di parlare,
perché lui disse subito: «Non ho sbagliato strada.
Fidati di me».
Interdetta,
unii le mani sulla gonna del vestito e rimasi in silenzio ad osservare
il suo viso tranquillo e sereno baciato dalla luce della luna, gli
occhi luminosi fissi sulla strada.
Prese
un sentiero leggermente in discesa, questo voleva dire che ci stavamo
avvicinando di più alla spiaggia. Ben presto tra la fitta
vegetazione vidi il profilo del mare che brillava e riuscii persino a
scorgere, strizzando gli occhi, il fianco di una casa, o di un capanno
da spiaggia, fatto di tegole chiare e porte vetrate.
Nick
parcheggiò meglio che poté, tirando anche il
freno a mano, e si voltò verso di me per dirmi qualcosa, ma
io lo precedetti: «Dove siamo?».
Lui
sorrise come se avessi detto la cosa più divertente del
mondo, poi scese dall’auto e fece il giro per aprirmi la
portiera. Quel giorno gli altri l’avevano fatto
così tante volte per me che avrei finito per abituarmici!
«Mademoiselle»,
disse porgendomi la mano, «se vuole
seguirmi…».
L’afferrai,
anche se non del tutto convinta, e camminai dietro di lui stando
attenta a dove mettevo i piedi. Per fortuna ad un certo punto, tra gli
arbusti e i cespugli in fiore, intravidi un sentiero composto da grosse
pietre posizionate a mo’ di scalini.
Raggiungemmo la struttura in legno immersa nella natura e senza nemmeno
darmi il tempo di capire, Nick mi prese in braccio e mi
portò all’interno della casa facendo scorrere una
delle portefinestre.
«Che…
che vuol dire tutto questo?», domandai quando mi
lasciò tornare con i piedi per terra, anche se ancora non
avevo sciolto la presa intorno al suo collo.
«Che
siamo arrivati a casa», rispose candidamente, ad un soffio
dalle mie labbra.
Mi
voltò verso il salotto e rimasi senza fiato: il pavimento e
parte delle pareti erano in legno, vi era un grande divano ad L color
del grano e di fronte ad esso, oltre allo schermo piatto della TV, vi
erano diverse finestre che davano sul mare che luccicava sotto i raggi
della luna.
«Mio
Dio, è… è magnifico».
«E
non hai ancora visto la camera da letto», sussurrò
ad un soffio dal mio orecchio. Sentii la faccia andarmi a fuoco
all’istante, anche a causa della malizia che avevo percepito
in quelle parole.
Mi
portò con sé al piano superiore e quando
arrivammo nella camera da letto pensai davvero di morire.
Amante com’ero della libertà, dell’aria
aperta e del mare, quella stanza era un mio sogno divenuto
realtà. L’unica parete che poteva definirsi tale
era quella a cui si appoggiava la testata in legno del letto
matrimoniale, per il resto erano tutti finestroni che facevano entrare
un sacco di luce e davano su una grande terrazza in legno che
probabilmente circondava tutto il secondo piano e dalla quale si poteva
godere di una vista fantastica sul mare, gli scogli e la spiaggia.
«Ma
non è tutto», disse, tirandomi fuori dallo stato
di trance in cui ero caduta. «Vieni, qui
c’è il posto che preferisco».
Tenendo
forte la sua mano lo seguii fuori, sulla terrazza, e rimasi incantata a
guardare il panorama fino a quando non mi strattonò un
po’ e mi costrinse a camminare. Raggiungemmo la parte opposta
della terrazza e ci fermammo sotto una tettoia: era un angolo protetto,
molto intimo, con una panca dai cuscini viola da un lato e di fronte la
splendida vista che era capace di affascinarmi ogni volta che vi posavo
lo sguardo.
«Allora,
che ne dici?».
Sollevai
gli occhi fino ad incrociare i suoi e non riuscii ad emanare alcun
suono. Lui mi rivolse un sorriso tenero e portò le mani ai
lati del mio viso, dove si preoccupò anche di asciugare una
lacrima di cui non mi ero nemmeno resa conto.
Mi spinse delicatamente verso la panca e mi fece sedere, poi si
inginocchiò di fronte a me, tenendomi le mani strette nelle
sue.
«Ricordi
quando mi hai detto che saremmo tornati alla villa quando avremmo
voluto non essere trovati da nessuno, quando avremmo voluto rifugiarci?
È stato in quel momento che mi è venuta in mente
l’idea per questa casa, una casa solo nostra, dove poter fare
davvero quelle cose, dove stare da soli, io e te».
«È
bellissima, Nicky», mormorai tirando su col naso.
«Ma come hai fatto?».
Lui
sorrise: si aspettava quella domanda. «Tuo fratello mi ha
dato una mano, anzi forse due… Ha fatto da tramite tra me e
l’architetto che abita qui e in questo modo io ho potuto
vedere gli schizzi della casa, fare delle modifiche dove le ritenevo
necessarie ed essere sempre aggiornato durante la costruzione. Avrei
voluto renderti partecipe, siccome è la nostra
casa, ma volevo anche che fosse una sorpresa… Spero solo di
aver fatto le scelte giuste».
Scossi
il capo e gli accarezzai i riccioli che gli ricadevano sulla fronte,
accennando un sorriso. «È dannatamente perfetta,
anche se…».
«Cosa?»,
mi domandò con gli occhi sgranati.
Ridacchiai
e mi avvicinai al suo viso, le labbra ad un soffio dalle sue.
«Ha bisogno soltanto di un po’ di
personalità di Nick e Arianna Jonas. E con questo non ti
autorizzo ad appendere i poster degli Yankees in salotto, sia
chiaro».
Nick
scoppiò a ridere e mi strinse in un abbraccio, posando la
fronte nell’incavo della mia spalla nuda.
«Ora che ci sei tu, sembra ancora più
bella», sussurrò.
Gli
posai un bacio fra i capelli e mi appoggiai alla sua testa, immergendo
gli occhi nel bagliore della luce lunare riflessa sul mare e
lasciandomi cullare dal respiro delle onde che si infrangevano a riva.
***
Mi
lasciai cadere seduta sul letto ed incrociai le gambe, nascoste dalla
gonna vaporosa del vestito da sposa. Mi portai le mani sulla nuca e con
un po’ di fatica sciolsi lo chignon che mi aveva tirato i
capelli per tutto il giorno. Chiusi gli occhi e sospirai sollevata
quando li sentii scivolarmi sulle spalle.
Nick,
che fino a quel momento mi aveva guardata appoggiato con una spalla
alla finestra scorrevole che dava sulla terrazza, si
avvicinò e si mise seduto dietro di me. Mi
accarezzò i capelli, raccogliendoli dietro le mie spalle, e
mi posò un bacio leggero sul collo.
«Sei
stanca?», mi domandò in un sussurro.
«Tutte
le persone normali sono stanche dopo il giorno del
matrimonio… noi ne abbiamo fatti due!».
«Già,
hai ragione», ridacchiò.
«Tu
non sei stanco?», gli domandai, voltandomi ed accarezzandogli
il mento con un dito.
«Un
po’», confessò ed iniziò a
togliermi le roselline dell’acconciatura dai capelli.
«Però potrei stare
sveglio a guardarti dormire
per tutta la notte, sei troppo bella».
Gli
sorrisi e mi accucciai contro di lui, il viso a pochi centimetri dal
suo. Aprii la bocca per dirgli qualcosa, ma me la scordai quando le
nostre labbra si sfiorarono involontariamente e i suoi occhi non
avevano alcuna intenzione di schiodarsi dai miei.
Pensai di morire, col cuore che mi batteva così forte nel
petto, ma non accadde nulla.
C’era silenzio, il silenzio del mare, del vento, della luna e
della natura che circondava la casa.
E
ora? mi domandai mentre un
brivido mi correva lungo la schiena.
Era
la nostra prima notte insieme da sposati, la prima notte della nostra
luna di miele, e mi ero immaginata molte volte come l’avremmo
trascorsa, ma in quel momento il mio cervello era diventato poltiglia
nel cranio e l’imbarazzo che mi avvolgeva dalla testa ai
piedi era quasi insopportabile.
Sapevo che quella sarebbe stata anche la prima volta di Nick, ma per i
maschi sembrava così semplice… io, io cosa avrei
dovuto fare?
«Ary?».
Improvvisamente
tornai a vedere i suoi occhi e sentii la mia faccia andare in fiamme.
«S-Sì?», balbettai, come una vera
deficiente.
Lui
sorrise amorevole. Realizzai ciò che stava per dire un
momento prima che aprisse bocca e gli posai un dito sulle labbra,
impedendogli di pronunciare quell’assurda frase. Erano mesi
che aspettavo quel momento, non potevo rimandare ancora solo
perché avevo… paura. (Paura di che, poi?)
Mi
alzai dal letto e gli diedi le spalle. Mi morsi le labbra, guardando il
soffitto bianco con gli occhi socchiusi, e mi dissi di calmarmi. Non
avevo di che temere, se c’era lui con me.
«Nick…»,
mormorai infine, senza girarmi.
Lui mi raggiunse, anche se notai qualche tentennamento. Gli porsi le
mani e quando afferrai le sue le guidai verso la cerniera del mio
corpetto.
Mentre la tirava giù lentamente, accostò il viso
al mio e mi baciò lo zigomo, la guancia e la mandibola.
Sentii
il vestito cadermi di dosso ed atterrare in maniera soffice sul
parquet. Rigida come un manico di scopa, feci attenzione a non pestarlo
e mi voltai verso Nick, coprendomi il seno con un braccio.
«Te
l’ho mai detto che sei adorabile quando
arrossisci?», mi sussurrò, gli occhi luminosi e
che trasudavano dolcezza.
«Più
o meno tutte le volte», risposi con un fil di voce. Mi
scostò il ciuffo di capelli bianchi dalla fronte e mi
avvolse in un abbraccio delicato, come se avesse paura di farmi male.
Io mi strinsi a lui con più forza e, prendendola dai
fianchi, gli tirai fuori dai pantaloni dello smoking la camicia bianca,
per poi infilare le mani sotto di essa e raggiungere la sua schiena.
Nick
indietreggiò un po’ alla volta e, anche se me
n’ero accorta, rimasi del tutto spiazzata quando si
lasciò cadere sul letto ed io finii sdraiata sopra di lui,
ad un palmo dal suo viso.
«Ciao»,
mi sussurrò con un sorrisino divertito, passandomi
nuovamente la mano fra i capelli per spostarseli dal viso.
Non
risposi, incantata dai suoi occhi, ma dopo qualche secondo iniziai a
sbottonargli la camicia, rendendomi miseramente conto di quanto le mie
mani stessero tremando.
«Ary,
ti amo, lo sai… ti amo oggi e ti amerò domani
allo stesso modo, non è obbligatorio, se vuoi
possiamo…».
«Shhh»,
avvicinai le labbra alle sue e le baciai. Nel frattempo finii di
slacciargli la camicia e lui se la tolse, sollevandosi un
po’, senza però interrompere quel bacio avido.
Mille
brividi mi attraversarono il corpo quando tornò con la
schiena sul materasso e il mio petto nudo aderì al suo, ma
fui certa che fosse capitata anche a lui la stessa cosa,
perché quando posò le mani sulla mia schiena non
erano più sicure come poco prima.
Ciononostante ci mise poco a riprendere il controllo di sé e
con una mossa delicata mi fece sdraiare sul letto, sotto di lui.
Mi guardò intensamente negli occhi ed io ricambiai lo
sguardo, per poi lasciarmi andare ad un sorriso. La tensione stava
scemando, la sentivo svanire pian piano, sostituita da un amore
profondo ed infinito che stava conquistando tutti i miei organi vitali.
Gli
passai una mano fra i capelli, invitandolo ad appoggiare la fronte alla
mia, e chiusi gli occhi respirando profondamente.
«Sarà bellissimo, già lo so»,
sussurrai. «Ti amo così tanto, come potrebbe non
essere bello?».
Nick
sorrise e mi accarezzò il naso col suo. «Sono del
tuo stesso parere».
«E
allora cosa stiamo aspettando ancora?».
Nick
mi baciò sulle labbra e con un mio piccolo aiuto
finì di spogliarsi, poi mi fece scivolare sotto le lenzuola
candide.
***
Mi
svegliai lentamente e trovai la stanza piacevolmente ombreggiata,
nonostante fossi certa che quella mattina il sole splendesse luminoso
nel cielo.
Mi girai nel letto e mi stiracchiai, prendendo lentamente possesso
delle mie articolazioni. Sospirai felice, socchiudendo di nuovo gli
occhi: non mi ero mai sentita così bene in vita mia e sapevo
perfettamente chi ringraziare.
Mi
voltai e vidi la sua parte di letto sfatta e vuota. Brontolai parole
incomprensibili persino a me, pensando che sarebbe stato davvero tutto
perfetto se lo avessi trovato al mio fianco al risveglio. Mi sovvenne
però anche l’unico motivo plausibile per cui si
era alzato – prepararmi e portarmi a letto la colazione
– e mi sciolsi in un sorriso, indecisa se tenergli il broncio
o meno.
«Oh
Nick», biascicai rotolandomi fra le lenzuola, senza riuscire
a spegnere quell’espressione felice che mi illuminava il
volto. Decisamente non gli avrei tenuto il broncio.
Alla
fine mi alzai dal letto e mi infilai la vestaglia di seta chiara che
trovai sulla cassapanca ai piedi del letto. Mi accorsi che mio abito da
sposa era stato appeso ad un ometto ed era appoggiato al paravento dai
temi marini nell’angolo della stanza. Lo accarezzai con la
punta delle dita e mi si bloccò il respiro quando pensai
alla collana che mi aveva dato mia madre, tanto che mi tastai il collo
alla sua ricerca. La vidi sulla piccola scrivania accanto alle porte
vetrate e sospirai sollevata, poi uscii in terrazza a respirare
l’aria salmastra e a godere della luce del sole che mi
riscaldò la pelle.
Mi
appoggiai alla ringhiera e guardai il mare, perdendo lo sguardo nelle
diverse tonalità del suo blu e lasciando che il vento mi
scompigliasse i capelli. Abbassai gli occhi ed incontrai
l’azzurro della piccola piscina rettangolare posta di fronte
al salotto e la cucina, fino a quando non vidi Nick uscire proprio
dalle porte vetrate della cucina con un vassoio tra le mani. Mi tirai
indietro per non fargli notare la mia ombra, ma proprio quando stava
per salire le scale di pietra che l’avrebbero riportato in
terrazza tornò indietro parlando tra sé.
Probabilmente si era dimenticato qualcosa. Decisi allora di andargli
incontro.
Scesi
le scale in fretta, a piedi nudi, e notai un altro angolo molto carino
che Nick la sera prima non mi aveva mostrato: proprio tra le porte
vetrate della cucina e la piscina vi era una tettoia, sotto la quale
c’erano due sedie a sdraio di legno e un tavolino, su cui
Nick aveva lasciato il vassoio con la nostra colazione.
Mi
sedetti su una sedia e come se nulla fosse presi un bicchiere di succo
d’arancia, visto che si era dimenticato proprio del
caffè. Sentii i passi di Nick alle mie spalle e quando si
arrestarono rimase in silenzio per qualche istante, mentre io sorridevo
di nascosto.
«Ary»,
esclamò infine, con un po’ di nervosismo nella
voce. «Io… pensavo che dormissi. Mi dispiace, non
avrei voluto che tu ti svegliassi da sola…».
A
quelle parole il mio sorriso si allargò e voltai il viso
verso di lui, trascinando l’altra sedia di fianco alla mia ed
invitandolo a sedersi con un cenno del capo.
Lui non si tirò indietro e, dopo aver messo le due tazze di
caffè sul vassoio, appoggiò i gomiti alle
ginocchia, sporto verso di me, guardingo.
Io posai il mio bicchiere di succo d’arancia ancora mezzo
pieno sul tavolino e gli cinsi il viso con le mani, accarezzandogli gli
zigomi con i pollici.
«Ti
amo», sussurrai prima di posargli un bacetto sulle labbra.
Lui
sorrise e rispose al bacio dandomene altri due, mentre con una mano mi
sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Tutto
bene?», mi domandò con gli occhi che gli
brillavano.
Chiusi
gli occhi e sospirai serenamente, la fronte contro la sua.
«Sì, tutto benissimo».
«Hai
dormito?».
«Oh
mio Dio, Nick, mi ricordi mia madre quando fai così.
Sì che ho dormito, come un pascià!».
«Mi
fa piacere», ridacchiò.
«Perché io, come ti avevo già detto,
non sono riuscito a chiudere occhio: sono rimasto tutta la notte a
guardarti dormire, talmente eri bella».
I suoi occhi erano ipnotici, non riuscivo a deviarli; non ci fu nulla
da fare nemmeno quando aggiunse: «Ho anche pensato e
ripensato a quello è successo ‘sta notte e, ti
giuro, pensavo di morire ogni volta…».
Ero
rossa come un peperone, sentivo la mia faccia andare letteralmente a
fuoco, ciononostante risposi: «L’ho provata anche
io, la sensazione di morire: ad ogni tuo bacio sulla pelle, ogni volta
che mi sfioravi, in ogni momento. Tu non sai quante volte ho sognato
questa notte, eppure… ciò che è
successo non è nemmeno lontanamente paragonabile a tutte le
mie fantasie».
Nick
premette le labbra contro le mie. «Ti amo da morire, lo sai
vero?».
«Sì,
lo so». Gli infilai le mani tra i capelli e ricambiai il
bacio.
Facemmo colazione
all’aperto, in quell’angolo di paradiso che sarebbe
diventato, ben presto, il mio preferito di tutta la casa. Ce la
prendemmo comoda, perché non avevamo orari da rispettare e
potevamo fare tutto quello che volevamo: per quindici giorni, il mondo
avrebbe dovuto seguire solo i nostri desideri.
Ci furono momenti in cui non smettevamo un attimo di parlare e le
nostre voci addirittura si sovrapponevano, in cui ridevamo fino a farci
venire mal di pancia, oppure momenti in cui il silenzio ci avvolgeva e,
mano nella mano, restavamo incantati a guardare il mare, la costa
rocciosa e le onde infrangersi sulla battigia.
All’incirca
all’ora di pranzo, quando avevamo ormai deciso di rifugiarci
di nuovo nella nostra camera e poi chissà, sentimmo il
campanello suonare.
Ci guardammo con tanto d’occhi, increduli, e Nick si diresse
alla porta, mentre io mi stringevo di più nella mia
vestaglia di seta.
Fu
una vera sorpresa per entrambi trovarci di fronte Davide, mio fratello,
perché sia io che Nick pensavamo che fosse già
tornato nell’altra dimensione con Joe, Kevin e Ale.
«Scusatemi
tanto ragazzi, non avrei mai voluto disturbarvi, ma… credo
ci sia un problema».
«Che
tipo di problema?», domandai dalla soglia della cucina,
preoccupata.
Davide
fece un passo di lato e dietro di lui scorsi la figura di un ragazzo
che avevo già visto. Quando lo riconobbi, provai un tuffo al
cuore e un’altra sensazione strana, come…
sì, come se avrei dovuto aspettarmelo.
«Edoardo»,
mormorai.
«Come?»,
Nick strabuzzò gli occhi. «Edoardo… il
fratello di Alessandra?».
Annuii
con un movimento lento del capo e mi strinsi al suo fianco, guardando
ancora una volta quel ragazzo dagli occhi verdi, nei quali lessi la
stessa paura, lo stesso abbandono e lo stesso rifiuto nei confronti
della sua natura che avevo provato anche io, esattamente come lui,
quando avevo scoperto di avere quello strano dono.
Sapevo
che la sua vita da quel giorno in poi sarebbe cambiata, ma sapevo anche
che questa poteva riservargli delle sorprese ed offrirgli delle
occasioni che, proprio com’era successo a me, potevano
renderla più bella.
The
end
____________________________________________
Oh, che tristezza
ç_ç
Buonasera! Questo capitolo lunghetto è, come
avete sicuramente notato e come già sapevate, l'ultimo!
Come vi è sembrato? :3
Pff, direte che sono perfida perchè ho lasciato una
questione in sospeso proprio sul finale, ma sapete... mi piace lasciare
un po' in sospeso... non si sa mai ;)
Spero davvero che vi sia piaciuto comunque.
Voglio ringraziare tutti, ma davvero tutti
quelli che hanno seguito questa FF nata da un sogno, presa come un
gioco e poi diventata sempre più importante col tempo :) Non
è molto impegnativa e la mia conoscenza dei Jonas
è pessima, ma diciamo che ne sono soddisfatta :)
Mi scuso ancora per gli enormi periodi di silenzio che vi ho fatti
patire, ma sono orgogliosa delle persone che ci sono sempre state con
recensioni o altro ;)
Quindi, che dire... Ad un'altra FF! :D
Ricordo che c'è la mia
pagina facebook (il link in
blu), dove potrete trovare me, ovviamente xD ma anche anteprime, news
sulle mie FF e molte cose che riguardano le mia fanfiction, tra cui
foto e video... *w*
Okay, mi dileguo u.u Baci a tutti!
Ary
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