Aoki yasei wo daite

di _Garnet915_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness ***
Capitolo 2: *** Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now ***
Capitolo 3: *** Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming… ***
Capitolo 4: *** Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for… ***
Capitolo 5: *** Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter ***
Capitolo 6: *** Intermezzo ~ Burning eyes ***
Capitolo 7: *** Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises ***
Capitolo 8: *** Intermezzo ~ Cold heart ***
Capitolo 9: *** Aoki yasei no mama de ~ Free to do just as we please ***
Capitolo 10: *** Yowasa made zenbu miserareru kiseki ~ Showing everything, even weakness, it's a miracle ***
Capitolo 11: *** Intermezzo ~ Dearly Beloved ***
Capitolo 12: *** Kono basho ga sagashiteta ore no iru basho ~ I'm here at the place I'd been searching for ***
Capitolo 13: *** Kuraki kouya tsukinukete ~ Breaking trough the dark wild lands ***
Capitolo 14: *** Intermezzo ~ Grieved minstrel ***
Capitolo 15: *** Ima dare no sashizu mo ukenai ~ We won’t accept what anyone tells us ***



Capitolo 1
*** Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness ***


Questa storia trae spunto da una mia vicenda personale, che sto ancora vivendo. E'dedicata a me stessa, a tutte le persone che hanno un problema simile al mio e anche più grave (ne esistono a bizzeffe, purtroppo...). Perchè la strada per la guarigione non è impossibile. Ma lunga. Forza e coraggio a tutti!



1. Taiya ga kyou mo kurayami ni noborou ~ Today the sun still rises in the darkness

Se c’era una cosa che aveva sempre odiato erano i mezzi voti. Non significavano nulla per lei. Era sempre stata la sua filosofia: le cose erano o bianche o nere; le vie di mezzo, i grigi non esistevano. E per questo, quel voto non le andava proprio giù.


Al di là del fatto che aveva impiegato la bellezza di tre ore il pomeriggio prima per studiarsi quei dannati concetti che capiva poco, ma che almeno si sforzava di capire; aveva studiato rinunciando a farsi un bel giro per il quartiere di Harajuku assieme alle sue migliori amiche.


Per cosa, poi?


Per un cinque e mezzo?


Non riusciva a digerire quel voto. Era a metà tra la sufficienza e l’insufficienza: non era insufficiente, ma nemmeno sufficiente. Quanto le dava sui nervi quella situazione. L’unica cosa che un po’ la consolava era che fisica non era una materia per lei importante. Certo, cercava di conviverci pacificamente, ma alla fine le importava accaparrarsi solo un sei striminzito alla fine del trimestre.


“C’eri quasi, Higurashi, alla sufficienza. Peccato; la prossima volta andrà meglio, vedrai”


Come no, vecchia strega.


Sapeva benissimo che fingeva: sapeva che la sua professoressa era a conoscenza del suo odio sviscerato per la fisica. E, di conseguenza, aveva scartato l’opzione “Vediamo_se_almeno_prova_a_studiarla” – come la chiamava Kagome.


Non aveva nemmeno voglia di stare ad ascoltare la spiegazione seguente. Chi se ne fregava di alcuni stupidi europei che formulavano leggi? E che, per di più, avevano nomi strani come Ohm o chicchessia. Passò il resto della lezione osservando distrattamente la sua agenda aperta sopra il libro di fisica e ben nascosta dall’astuccio. Sfogliava alcune pagine: in molte di quelle c’erano attaccate foto scattate di nascosto al suo compagno di classe Hojo, per il quale aveva una cotta tremenda.


Quante volte fantasticava su di lui, di come doveva essere avere un appuntamento con lui, pranzare con lui sulla terrazza della scuola di nascosto, marinare insieme un giorno la scuola e andarsene lontano da Tokyo… Osaka, Sapporo, Yokohama, Saitama, Fukuoka… le sue fantasie erano tanto stupide quanto banali, ma erano pur sempre fantasie di una ragazza di prima liceo, del tipo una serata al cinema in una sala mezza vuota con lei aggrovigliata al braccio di lui, una cena ad un ristorante, una passeggiata in un parco, un giro per negozi…


Sì, Kagome, svegliati! Ti sei già dichiarata a lui… un bel rifiuto è stato il risultato, ricordi?


Sfogliò l’agenda fino ad arrivare a quel fatidico giorno; sfogliò lentamente solo per non farsi sentire da quella logorroica prof di fisica; se, al suo posto, ci fosse stato quell’addormentato del professore di storia, sarebbe già arrivata alla pagina interessata.


Alzò un attimo lo sguardo dall’agenda, smettendo di sfogliare, giusto per vedere se la prof aveva notato qualcosa: la quarantenne era voltata verso la lavagna, intenta a scrivere qualche formula strana accompagnata da qualche sgorbio esemplificativo che la prof azzardava chiamare disegno.


Via libera!


Ci arrivò pian piano… 23 maggio… quella data era impressa nella sua mente come se fosse stata marchiata a fuoco.


Sull’agenda aveva scritto solo una cosa:


“GIORNATA DA DIMENTICARE”


Scritta in blu con contorno nero e, tutt’intorno, delle faccine tristi. E, proprio sotto, una stupida caricatura di Hojo, che indossava solo un paio di boxer ridicoli con scritto tante volte “Sono il ragazzo più coglione dell’universo”, teneva in mano diverse bottiglie di alcol e diceva “Bevo, bevo! E quando bevo faccio il deficiente! Oggi ho fatto il deficiente! Se non di più!!”. Una cosa del tutto assurda. Dopo quel rifiuto, aveva bisogno di sfogarsi; e, tutto quello che era riuscita a fare, era quel disegno scemo del ragazzo. Eppure, rivedendolo a mente lucida qualche giorno dopo il 23, si sentì stupida. E si rese conto che, nonostante l’esito negativo della sua dichiarazione, Hojo continuava a piacerle. Forse un po’ meno di prima…


Amore a senso unico… quanto sono stupida

Non fece nemmeno in tempo a pensarlo, che la campanella redentrice decretò la fine delle lezioni.


Sono sopravvissuta… grazie signore!


Kagome raccattò la sua roba, mettendola alla rinfusa nella sua cartella marrone scuro con mosse velocissime. Aveva una gran voglia di uscire da lì! Si voltò per vedere se, due file indietro, la sua migliore amica Sango fosse pronta.


“Ehi, Kagome!” disse avvicinandosi con un’aria da “Spero_di_non_fare_danni”


“Va tutto bene?” si riferiva, ovviamente, all’interrogazione di fisica non andata molto bene. Sapeva che l’amica, per quanto odiasse la fisica, cercava di studiarla un minimo. E l’avrebbe aiutata volentieri se non fosse per il fatto che anche lei riusciva a prendere appena la sufficienza. Era l’unica materia che aveva appena sufficiente. Nelle altre aveva voti come 8 o 9. Voti che Kagome ogni volta sognava di avere, dal momento che – fisica a parte – tutti i professori l’avevano praticamente targata come “L’alunna del 7”. Tutti, nessuno escluso.


“Ma sì” disse sorridendo


“Non che me ne importi molto alla fine. Fisica è pur sempre fisica. Siamo ancora a novembre. C’è tempo prima che il trimestre si concluda, stai tranquilla! Recupererò in qualche modo, giusto per averla vinta su quella strega che gode nel darmi l’insufficienza, vedrai!”


Sango non ribattè, sapeva molto bene che la sua amica, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscita a fare quanto detto.


Almeno spero!


“E Kikyo?” chiese Sango della loro amica


“Se l’è già svignata. Oggi deve andare dritta al tempio a lavorare; mio nonno le ha chiesto di andar lì prima, perché ha tutta una serie di faccende da sbrigare. Mamma non può, Sota figuriamoci, io ho il corso di recupero serale dopo un pomeriggio di studio esaltante in biblioteca, quindi rimaneva lei. Del resto, io non so nemmeno come abbia potuto accettare un lavoro come quello di aiuto al sacerdote del tempio. E’ un lavoro noioso e sempre uguale, io non potrei mai resistere!”


“Ci credo!” incalzò Sango mentre le due si avviarono fuori dall’aula e, quindi dall’edificio scolastico.


“Tu ci vivi vicino al tempio!”


“Come se mi piacesse!” e tacque un attimo.


Le due amiche si fermarono di fronte all’ingresso della scuola.


“Domani non ci sarò, Sango” disse Kagome prima di congedarsi dall’amica per andare in biblioteca mentre l’altra aveva un incontro ravvicinato del terzo tipo con sua madre e il nuovo fidanzato.


“Ospedale?” disse anticipandola Sango


Kagome non disse niente, si limitò a fare un cenno con il capo. “Controlli. I soliti.” Biascicò “Prelievi, trasfusioni, visite…. Niente di nuovo né di eccitante! Solo che mia madre poteva dirmelo un po’ prima di questa visita fissata praticamente all’ultimo. L’ho saputo solo ieri pomeriggio. Non sai che rabbia mi è montata quando quella stupida mi ha detto


Oh cara, ora che ci penso. Settimana scorsa mi hanno telefonato dall’ospedale. Domani hai una visita di controllo. La solita. Salti scuola, non ne sei felice?


E che cosa dovevo dirle? Sì, mammina, come no! L’idea di stare in una sala ad annoiarmi per tipo 5-6 ore mi alletta alla grande!! Avevo una voglia tremenda di farla a fettine! Per davvero credimi!” continuò


“E’ per il tuo bene, però” disse Sango e la scherzò dandole una carezza in testa.


Gesto che, nonostante l’intento ludico, riuscì a calmare Kagome.


“Dai, vado. Altrimenti chi la sente poi mia madre e il suo nuovo amichetto” diede un bacio sulla guancia all’amica, si voltò e se ne andò.





Se c’era una cosa che la faceva sentire stranamente bene era stare immersa nella folla, nell’ora di punta e in pieno centro urbano.


Sentire i respiri, i profumi, i mormorii della gente tutta assorbita dalla loro quotidianità… la rasserenava. Le faceva ricordare che, almeno per qualcuno, una quotidianità scansita sempre dalle stesse – rassicuranti, odiose, soffocanti, piacevoli… - azioni esisteva ancora.


E lei?


Lei non l’aveva?


Beh, sì… aveva tutto il diritto di vivere la sua vita tranquillamente, come aveva sempre fatto. Per carità, nessuno glielo aveva impedito!


Ma certo, potrai continuare la tua solita vita


Le avevano detto questo dopotutto.


Eppure, da quando aveva varcato quella soglia… da quando era tornata a casa… sentiva che qualcosa era diverso, terribilmente diverso. Come una piccola macchia scura in un angolo di un acquarello dai delicati toni pastello. Non da un fastidio tremendo alla vista. Eppure c’è. L’occhio attento dell’artista che lo ha dipinto lo sa, sa che è lì. E per quanti complimenti la gente possa fargli sulla beltà dell’opera in sé… lui non sarà mai soddisfatto fino a quando non troverà il modo di togliere quella macchiolina senza rovinare quanto di bello c’è già nell’opera.


Allo stesso modo la sua vita.


L’acquarello era la sua vita – anche se non bella e perfetta – con i suoi alti e bassi


La gente comune era l’insieme di complimenti e critiche di chi osserva l’acquarello.


Ma lei… lei era l’occhio attento dell’artista. L’occhio segnato dall’esperienza delle pennellate che hanno portato alla formazione del quadro ma che non è riuscito ad evitare quella macchia. E ora vedeva quella macchia come un peso, un peso insostenibile. Sapeva che non era indelebile, eppure dava fastidio. Parecchio fastidio.


Si fece largo tra due persone che procedevano troppo lentamente per i suoi gusti, accelerando il passo.


Anche se non doveva andare a scuola l’indomani, voleva passare un pomeriggio in biblioteca per studiare un po’ in pace, soprattutto dopo l’insufficienza di fisica presa quel giorno. A casa non riusciva mai a studiare in pace. O c’era il nonno che le faceva sbrigare commissioni qua e la – non le dispiacevano, ma la distraevano – o c’era suo fratello di dieci anni che voleva la merenda oppure qualche altro capriccio tipico di un bambino della su età. A volte c’era sua madre, una donna sui quarant’anni, tutta d’un pezzo ma un po’ ansiosa riguardo i suoi due figli che le stava con il fiato sul collo quando non era al lavoro. E poi c’erano i vari assistenti per il tempio di suo nonno che facevano sempre un gran baccano…

Il tempio Higurashi era sempre un gran via vai di persone; già lei non era il massimo della concentrazione, se poi si ritrovava a studiare in un campo minato vivente allora si capiva perché Kagome facesse fatica in alcune materie.


Camminava distratta, puntando l’occhio ogni tanto su vetrine già viste, vetrine in allestimento, tutte con oggetti che desiderava o che, magari, già aveva. Ad un certo punto, la sua attenzione fu catturata da un negozio che non aveva mai visto prima.


Era piccolo, situato tra un negozio di scarpe ed uno di bigiotteria.


“Strano” si disse “non l’ho mai notato. Eppure in questi altri negozi con Sango e Kikyo vengo spesso”


Si avvicinò alla vetrata e da lì ne spiò l’interno: era un negozio piccolo dall’aria confortevole, simile alle piccole baite disperse in montagna. Su scaffaletti di legno stavano impilati libri di ogni generi, mentre su tavoli di legno tirati a lucido erano esposti pupazzetti, portachiavi, bigliettini fatti a mano e vari oggetti di cartoleria adatti come idee regalo. In alcuni scatoloni erano ordinatamente infilati dei poster arrotolati a tubo; in vetrina, poi, erano esposte alcune cornici per foto, cuscini e pupazzi dall’aria “dolce”.


Kagome si sentì improvvisamente attirata da tutta quella “carinoseria” che non aveva mai visto prima ed entrò; l’aria del locale era dolcemente riscaldata e resa profumata da alcune boccettine che ogni tanto rilasciavano una fragranza di vaniglia nell’aria. Kagome si innamorò a prima pelle di quel negozio pieno di oggetti carini e, silenziosamente, quasi fosse impegnata in un rito religioso di estrema importanza, iniziò a girare tra tavoli e scaffali, osservando con cura tutto quello che c’era in vendita. Ne osservava forme, colori, cuciture, grandezze… era rimasta come estasiata.


La sua attenzione, durante il giro, fu catturata da una serie di pupazzi a forma di angioletto esposti vicino alla cassa; erano tantissimi, con diverso taglio di capelli, colore degli occhi, fantasia del vestito e colore di quest’ultimo. Con un dito passò uno ad uno i loro visini tondi; era talmente concentrata in quell’attività che non si accorse che qualcuno la osservava.


“Posso aiutarti?” disse una giovane voce maschile.


Kagome trasalì un poco a quella domanda, rapita da quella sorta di giochetto che la divertiva; alzò lo sguardo e si accorse di avere addosso lo sguardo di un ragazzo. Aveva all’incirca due anni in più di lei, in apparenza, lunghi capelli neri e due occhi intensi color ambra. Indossava una felpa blu scura un po’ sgualcita abbinata ad un paio di jeans neri dalle gambe un po’ troppo larghe per lui.


Kagome rimase affascinata all’istante da quel giovane; non sapeva cosa dire. E il ragazzo lo colse.


Fece un sorrisetto che, però, non aveva nulla di ironico o scherzoso.


“Ti piacciono gli angioletti? Sai che questi sono particolari?”


“Eh?” si lasciò sfuggire sorpresa


Il ragazzo non si stupì della sua reazione e continuò


“Ognuno di questo ha un proprio nome, con relativo significato e peculiarità. Ad esempio c’è “Amaryllis”, questo angioletto maschio con i capelli biondi, il cui nome significa fresco, brillante ed è adatto per le persone brillanti ma anche per tutte quelle che hanno bisogno di una spinta in più per cavarsela in situazioni particolarmente importanti, come un esame scolastico o un colloquio di lavoro… per i tipi che hanno bisogno di un supporto morale extra, diciamo!” e rise.


Poi si interruppe e la fissò alcuni istanti in volto. Poi, con lo sguardo, tornò ai pupazzetti esposti e, con le mani, iniziò a rovistare delicatamente per cercarne uno in particolare e, quando lo trovò, lo nascose un attimo tra i palmi delle mani, quasi a volerglielo mostrare “a sorpresa”.


“Dammi la tua mano”


Kagome la porse aperta, con il palmo rivolto verso l’alto, senza esitare.


Il commesso lasciò cadere un angioletto femmina con lunghi capelli neri, due occhi castani e un vestito a fiori color azzurro pastello. Kagome diede un’occhiata fugace al cartellino esplicativo cucito vicino al fianco sinistro del pupazzino.


“Alcina” lesse


Il ragazzo sorrise.


“Che cosa significa?”


“Continua a leggere”


Abbassò timidamente lo sguardo verso il cartellino quasi in segno di obbedienza e iniziò a leggere a voce alta:


“Alcina. Significato: di forte mentalità. Dedicato non soltanto alle persone forti che credono nei loro ideali, ma anche a quelle che stanno affrontando un momento particolarmente delicato o difficile della loro vita e hanno bisogno di una fonte di forza. Alcina è un portafortuna perfetto per chi sta affrontando un grosso cambiamento nella sua vita e non riesce a trovare da sé la forza sufficiente per reagire.”


Rimase di stucco.


Sembrava proprio l’aiuto che cercava lei. Ma come aveva fatto quell’estraneo a indovinare così, al primo tentativo?


“E’ adatto a te?” le domandò.


La ragazza proprio non sapeva come rispondere.


“Sai, ti assomiglia molto di viso. Capelli corvini e lunghi, occhi castani… e poi, se quel vestito fosse della tua misura ti starebbe anche bene, sai?” continuò lui.


“Lo compro!” disse Kagome senza esitare, senza sapere perché.


“Ok” e sorrise ancora “sono 480 yen”


Costa pure pochissimo, cavolo!


“Vuoi un pacchettino?”


“No grazie, lo metto subito all’opera! Lo metto nel mio zaino!” e così fece dopo aver pagato.


“Arrivederci! E grazie per l’acquisto”


“Arrivederci a lei” e uscì.


Come la porta del negozio fu richiusa dietro di lei, Kagome iniziò a correre veloce, veloce come non aveva mai fatto. Quell’incontro fugace l’aveva elettrizzata; quel ragazzo, i suoi occhi, il suo sguardo, il suo profumo reso dolce dalla vaniglia, quella voce così calda, quel senso dell’umorismo e quella pazienza infinita… tutti quegli elementi erano entrati in lei, nel suo sangue, riscaldandola completamente.


Le serviva proprio, dal momento che, fino a qualche minuto prima, tra fisica, la prof zitella, la madre che non avvisa mai in tempo, l’ospedale e tutto il resto si sentiva a terra.


Si fermò, con il fiatone, soltanto quando giunse all’entrata della biblioteca.


Tirò fuori il cellulare dalla tasca.


Lì le regole erano rigide.


Silenzio. Niente cibo. Cellulari spenti.


Ma prima di spegnerlo, mandò velocemente un messaggio alle sue amiche Sango e Kikyo, anche se sapeva bene che una era in piena lotta “familiare-sindacale” – come lei la chiamava – e l’altra era sotto le infinite torture e richieste di un povero vecchietto che non riusciva a tirare avanti da solo un tempio scintoista. Avrebbero entrambe risposto in serata.


“Ma voi ve la ricordate la frase iniziale di quella canzone là, quella del duetto di un ragazzo e di una ragazza? Ma sì, la canzone dell’estate scorsa! Oggi il sole continua a splendere nell’oscurità, diceva! Oggi come oggi, queste parole mi sembrano così vere! Vi Voglio Bene. Kagome”




Nota dell’autrice: ecco il primo capitolo di questa mia storia nata assolutamente per caso qualche mese fa. Inizialmente volevo farla ruotare sulla canzone cantata da Kappei Yamaguchi e Satsuki Yukino (rispettivamente, i doppiatori giapponesi di Inuyasha e Kagome), cioè intitolando ogni capitolo come un verso di essa e trarne spunto circa i contenuti del relativo capitolo. Ma non solo quello. Ma un’esperienza personale che risale ad aprile-maggio 2007 mi ha portata alla stesura del primo capitolo di quanto vedete. E ora la canzone c’entrerà… in un altro senso.^_^ Ah, una curiosità sugli angioletti! La storia dei pupazzetti, dei nomi, ecc… l’ho inventata io. I nomi citati, però, esistono davvero. Sono entrambi nomi greci e significano davvero quanto ho scritto. Bene, mi raccomando commentate!

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Capitolo 2
*** Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now ***


2. Ima me o sorasanai de ikou ~ There’s no turning away as we go now


Novantasette.


Novantotto.


Novantanove.


Cento.


“Ehi, Kagome!”


Aveva appena finito la lunga scalinata che portava al tempio e c’era già qualcuno che la chiamava.


Non è un tempio, questo, è un formicaio umano!


Cambiò umore, però, non appena vide che a parlare era stata l’altra sua migliore amica, Kikyo.


La ragazza portava i suoi lunghi capelli corvini raccolti in un’alta coda di cavallo impedendo ai suoi capelli solitamente ribelli di coprirle il viso che appariva stremato. Erano ormai le sette e mezzo, il suo turno doveva essere già finito da un pezzo. Eppure indossava ancora il kimono bianco e rosso da miko, che era solita portare durante il lavoro al tempio.


“Ehi!” disse Kagome


“Sei ancora in servizio?” continuò


“No, ho appena finito! Se mi aspetti un attimo che vado a cambiarmi, poi scambiamo due paroline circa il messaggio euforico di questo pomeriggio!” e sorrise





Kagome stringeva in mano il pupazzino che aveva comprato quel pomeriggio; seduta sui gradoni del tempio, mentre aspettava Kikyo continuava a fissare l’angelo vestito d’azzurro.


“Allora?” domandò improvvisamente una voce alle sue spalle. Kikyo – era lei che aveva parlato – si sedette accanto all’amica, ansiosa di ricevere una risposta.


“Ecco… sì… vedi questo?” domandò Kagome porgendo il pupazzo all’amica


“Ho scoperto un nuovo negozio in centro. E’ piccolo, ma molto carino. E poi il commesso che ci lavora è davvero carino! Devi proprio vederlo! Ha i capelli neri e gli occhi marroni! Ma no, che, dico, non sono marroni! Sembrano più chiari, più… più… più simile al colore dell’ambra, ecco! Ti giuro era stupendo! E non è finita qui!” e tutta trafelata tirò fuori dallo zaino l’angioletto che aveva acquistato quel pomeriggio, tenendolo tra le mani tremolanti per l’agitazione.


“Ecco, guarda, guarda! Leggi la targhetta che c’è dietro al vestito! Il nome! Il significato! E’ perfetto per me! E, ti sembrerà incredibile, quel ragazzo me l’ha dato non appena mi ha visto in faccia. Ha detto che mi assomiglia molto di viso! E poi, guarda, la descrizione! Sembra azzeccatissima! Fatta apposta per me! E poi, e poi…”


“Frena, frena! O finirai con il morire soffocata!” la canzonò Kikyo, sorridendo. Osservò l’angioletto per alcuni secondi e poi, quando lo ridiede all’amica le propose di andare assieme in quel negozietto l’indomani.


“Ma io domani devo andare in ospedale… quella cretina di mia madre mi ha avvisata proprio all’ultimo di questa visita!”


“E’ successo qualcosa?” domando Kikyo, preoccupata Kagome sospirò


“Non lo so, onestamente… Lo spero… Anche se continuo ad inveire contro mia madre affinché lei mi dica sempre e subito la verità non c’è verso di fargliela capire e va a finire ogni volta allo stesso modo… mi avvisano i medici… poi torno a casa… e litigo con lei”


Già…


Come l’ultima volta…





“Ma perché non mi hai avvisata neanche questa volta, eh?! Chi cazzo sei per farlo?!”


“Sono tua madre!! E scusami tanto se voglio proteggerti!”


“Cosa?! … Ma allora tu… non hai proprio capito niente! Non è così che mi aiuti, porca puttana!!”






L’ultima volta si era arrabbiata sul serio… però sua madre se l’era cercata…


Si portò le ginocchia al petto e abbasso il viso non appena sentì che alcune lacrime iniziavano a pungerle il viso.


Non voleva piangere.


Dannazione, non voleva!


E, soprattutto, non voleva piangere di fronte a qualcuno!


Nemmeno di fronte alla sua migliore amica…


“Dannazione…” farfugliò…


“Ehi, ehi!” disse Kikyo


“Che fai? Lo sai bene che non devi nasconderti mentre piangi, almeno non davanti a me! Lo sai, no? Mmmh?”


“Non… non ce la faccio” singhiozzò a malapena Kagome


“Ogni giorno… ogni maledetto giorno è uno sforzo continuo per non piangere! Io… io… rivoglio… … … la mia… … vecchia vita! Non voglio andare ancora in ospedale, voglio… voglio andare a scuola… stare tra i miei compagni… sentirmi normale… non… non ce la faccio… io… io domani vado in ospedale… chiedo il consenso informato…”


Riprese fiato, come se avesse corso per chissà quanti chilometri


“e lo brucio… giuro su Buddha, su Dio, su chi cavolo vuoi… ma lo brucio…” e iniziò a singhiozzare più forte.


“Non dirlo nemmeno per ridere!” disse a gran voce Kikyo


“Che stupidaggini vai dicendo?! Vuoi buttare all’aria tutto quanto?! Hai fatto tanti sacrifici in questi ultimi quattro mesi, non dirmi che vuoi farla finita così?! Non è da te Kagome!”


La ragazza alzò il viso, irritata


“Vuoi andar tu al posto mio?! Vuoi?! Eh?! Se vuoi te lo cedo ben volentieri!!! Il fatto che io sia forte non c’entra un cazzo!! Che ne sai te?! Che ne sai!?” urlò


“No, infatti, io non ne so niente!” disse ferma Kikyo.


“Però… lo sai… lo sai benissimo che se si potesse… … io andrei al tuo posto! Lo sai! Ma purtroppo non è possibile… e ti giuro” alcune lacrime iniziarono a fare capolinea tra gli occhi di Kikyo “ti giuro… … che… … mi fa star male il non poter fare molto per te… lo sai…”


Kagome rimase colpita dalla dolce fermezza dell’amica e si limitò a sussurrare un “scusa”


Kikyo, in tutta risposta, la abbracciò



“Non devi scusarti… Sei l’ultima persona che deve chiedermi scusa…”





Guardò il display del suo telefonino.


Le 22.30


Il giorno dopo doveva essere in ospedale alle 7.


Il che voleva dire partire da casa alle 6, almeno.


Doveva dormire. Ma non aveva un briciolo di sonno.


L’idea di una visita extra la terrorizzava.


In genere, cerchiamo di far venire i nostri pazienti il meno possibile…


Le parole del medico le risuonarono in testa.


Certo, lì erano tutti molto scrupolosi. E gentili.


Non ti tenevano nascosto niente, anche se eri minorenne. Se avevi almeno 12 anni riferivano tutto ai genitori in tua presenza.


Di quello non ci si poteva affatto lamentare.

Erano leali


“Almeno quello”


Si mise a sedere sul letto e poggiò la schiena contro il muro.


Accidenti… mi fa ancora male…


Sempre con il cellulare in mano, scrisse in fretta un messaggio:


“Mi dispiace ancora per oggi. Non so che mi è preso… non dovevo dirti delle cattiverie simili… mi dispiace…”


Rubrica…


Kikyo…


Invio...



Si sentiva a terra per come aveva trattato la sua amica.


Si sentiva uno schifo…


Cambiò posizione, perché la sua schiena dolorante reclamava pietà.


Sbuffò mentre si mise a pancia in giù.


Un’altra cosa che le dava fastidio era quel mal di schiena del cavolo che le impediva di star seduta in una posizione qualunque per più di cinque minuti di fila…


I suoi occhi esplorarono la sua stanza, illuminata soltanto da un debole raggio lunare che faceva capolino dalla finestra posta proprio accanto al letto. Posò lo sguardo sul comodino, sulla sua sveglia rosa puntata per le cinque e mezzo, sul suo armadio, sulla sua scrivania e sulle mille cianfrusaglie che la rendevano un vero campo da battaglia, i suoi poster, la sua cartella…


La sua cartella?!


L’angioletto!!


Le venne in mente quasi fosse stato un flash.


Dopo averlo fatto vedere a Kikyo, aveva posto Alcina con cura nella sua cartella.


Si alzò di scatto dal letto noncurante delle fitte che la attanagliavano, si diresse verso la cartella e, dopo averla svuotata, ripescò il pupazzetto dal suo astuccio.


Rilesse le poche righe di accompagnamento…


“Di forte mentalità.”


Lei?

“ persone forti che credono nei loro ideali”


Sul serio?


“ è un portafortuna perfetto per chi sta affrontando un grosso cambiamento nella sua vita e non riesce a trovare da sé la forza sufficiente per reagire.”


Poteva farcela?


Deglutì.


Quel pupazzetto le assomigliava molto…


Già…


Ma c’era una cosa… Una cosa che la rendeva diversa da lei…


Si diresse verso lo specchio vicino all’armadio, stringendo forte a sé l’angioletto.


Nonostante avesse la vista offuscata dalle lacrime riusciva a vedere il suo riflesso…


Aveva gli occhi marroni… Come lei…


Aveva lunghi capelli neri… Come lei… un tempo


Osservò la sua testa


Poi gettò uno sguardo fugace alla parrucca che giaceva su una testa di polistirolo adagiata sul suo comò di legno… Ecco… quella era la differenza tra lei e quella "Kagome in miniatura"…


Si strofinò con violenza gli occhi per impedire a sé stessa di piangere ancora una volta…





“Non preoccuparti, Kagome… A questo punto, non puoi tornare indietro. Non devi… Io sarò sempre dalla tua parte, lo sai… Ti voglio bene amica mia…”


Lesse, commossa, il messaggio.


Le sembrò così strano stupirsi per un semplice messaggio così colmo d’affetto…


Sapeva benissimo che sia Kikyo che Sango erano dalla sua parte…


E che l’avrebbero sempre sostenuta…


Eppure, ogni volta che le ragazze esternavano tutto il loro affetto per lei, le veniva una stretta al cuore…


Sapeva quanto fosse fortunata ad avere due amiche così…


E lei le ripagava con la peggior moneta possibile…


Perché non poteva fare altro…


Da quando si era ammalata…



Nota dell'autrice: uhm... è da un anno che non aggiornavo questa storia! Rieccomi! ^^" Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ci ho messo davvero tanto a scriverlo non tanto perchè non sapessi cosa scrivere quanto perchè non sapevo come scrivere. Il problema che ha Kagome mi tocca in prima persona, ho il suo stesso "problema" (se così lo vogliamo chiamare) e so cosa significa vedere la propria vita stravolta. Questo capitolo ha dei toni più seri del precedente e, man mano che procederò, si faranno sempre più seri ^^" Si capirà con esattezza cos'ha Kagome, cos'è quella moneta con cui ripaga le sue amiche e chi è quel ragazzo (tanto lo so che avete già capito chi è! ^^") e quale sarà il suo ruolo! Siccome nemmeno io sono ancora "fuori", scrivere certe cose mi pesa. Quindi chiedo venia in anticipo se ci metterò del tempo! Però voi, nel frattempo, commentate! Ci tengo davvero molto a questa storia! Grazie mille!

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Capitolo 3
*** Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming… ***


3. Me no mae ni yami ga oshiyosete kitemo ~ Although the darkness before us keeps coming…


Ultimi giorni di maggio. Lezione di educazione fisica per le sezioni terza e quarta del primo anno.


I ragazzi erano in cortile a disputare una partita di calcio. Le ragazze, invece, erano rimaste in palestra per una partita di pallavolo.


Il che significava che anche lui era fuori.


Sospirò sollevata.


Non voleva vederlo.


Del resto, erano appena passati pochi giorni da quando lui le diede un due di picche senza pensarci due volte. Sapeva di non avere molte possibilità, con Hojo, però voleva togliersi quel peso dal petto. E, inoltre, si aspettava di esser trattata dignitosamente.


E invece no.


Il ragazzo, alla dichiarazione di Kagome, rispose con aria di sufficienza:


“Ah, no… si vabbè… però, mi spiace, ma tu non m’interessi manco un po’”


Ci era rimasta veramente di sasso.


Ok, d’accordo non era il suo tipo.


Ma lei era pur sempre un essere umano e si aspettava di essere trattata come tale! In fondo non le sembrava di pretendere molto! Non bisognava essere per forza Shokotan o chissà quale celebrità che mostrava ai quattro venti tette e culo per avere un po’ di occhi puntati addosso!


E poi… Hojo si mostrava sempre così gentile e carino con tutte le ragazze… anche con lei lo era stato. L’aveva vista in corridoio con un pacco assurdo di fotocopie in mano e si era offerto di portarle al posto suo


"Una ragazza non dovrebbe portare certi pesi tutta sola"


Le aveva detto in quel pomeriggio di metà aprile… Con il suo sorriso che… che… che l’ammaliò nel giro di tre secondi. E che nel giro di due settimane la fece innamorare perdutamente di lui. Amava il suo sorriso… il suo sguardo gentile… e poi, le sembrava un tipo così simpatico ed altruista… lo vedeva sempre ridere in compagnia dei suoi amici… aiutava chi aveva bisogno con i compiti… sembrava un ragazzo perfetto…


Ma le andò male.


Probabilmente era solo il classico ragazzo con la puzza sotto il naso o magari celava il suo vero “io” sotto una maschera. Non le importava, però, al momento sapere il motivo del suo comportamento. Voleva pensare a sé stessa e a risollevarsi il morale. Potevano chiamarla pure egoista, non le sarebbe importato proprio niente.


Ripensava ad Hojo mentre era seduta su una panchina con la sua squadra ad aspettare il suo turno per giocare. Né Kikyo né Sango erano in squadra con lei e, tra le sue compagne di squadra, non c’era nessuna con la quale voleva parlare un po’. L’unico argomento che aveva in mente e sul quale avrebbe anche speso ore e ore era “Hojo_è_un_verme”. E voleva parlarne soltanto con loro due…


Beh, non era l’unico argomento che aveva in mente…


Una fitta acuta alla schiena la distrasse per un momento dai suoi pensieri.


Ecco, appunto…


L’altro problema che aveva era di tipo fisico: erano ormai tre settimane che un tremendo mal di schiena non la lasciava in pace. Il dottore aveva ripetuto più volte che era una sciatica e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Tempo due settimane e sarebbe passato. Peccato, però, che di settimane ne erano passate già tre. Il dolore non diminuiva, anzi. Con i giorni, si fece più intenso: prima sentiva una fitta ogni tanto nella parte bassa della schiena, poi delle fitte sempre più forti alla gamba destra, poi a quella sinistra…


E da pochi giorni ormai sentiva fitte a tutte e due le gambe e alla parte bassa della schiena. Erano tre settimane che assumeva un farmaco derivante dalla morfina, su suggerimento del medico. L’aveva rassicurata che un po’ di morfina sarebbe stata sufficiente. E invece, niente. Anzi, ormai era totalmente assuefatta da quel farmaco e la morfina non le faceva più nulla: il suo fisico si era ampiamente abituato a quella sostanza…


Senza contare che i dolori erano più acuti quando stava ferma… e qual è il periodo della giornata in cui si sta fermi per più tempo?


Esatto…


La notte…


Ormai erano quindici giorni che non dormiva… prima si addormentava, si svegliava e si riaddormentava dopo due ore passate a camminare per la casa… ora nemmeno quello serviva più.


La notte ormai era fatta per leggere libri di vario genere per passare il tempo.


Ad esempio, aveva letto “Noi, I ragazzi dello zoo di Berlino” in due sere appena. E, nonostante quel libro le fosse piaciuto davvero tanto, la morfina le aveva fatto dimenticare completamente la trama, il susseguirsi degli eventi, i nomi dei personaggi… insomma tutto.


Stesso discorso con i libricini della Yoshimoto, che amava alla follia. Leggeva e poi dimenticava.


Le sembrava di non concludere assolutamente nulla.


Ma non le importava…


Almeno, passava il tempo…


Sempre allo stesso modo… con la flebile luce della lampada sul comodino accesa, un bicchiere d’acqua e gli antidolorifici – da cui ormai dipendeva – sempre a portata di mano, un libro aperto… ecco, le bastava quello. Si accoccolava sul letto in posizioni sempre diverse non appena la schiena o le gambe si ribellavano e chiedevano pietà, avvolta dalla penombra della sua stanza…


Ogni tanto, le sembrava di saltare pagine intere del libro di turno.


Poi scopriva che, in realtà, le aveva lette ma con la mente altrove…


Del resto… fare la stessa cosa tutte le sere per tre settimane… dopo un po’ ti stufa, è ovvio… ma è brutto quando non puoi fare altro…


Era l’unico modo che aveva per affrontare il dolore da sola… per affrontare la solitudine notturna.


Perché, per quanto famiglia e amici potessero starle vicini, lei era l’unica che doveva veramente combattere.


E resistere.


Non poteva dare troppa preoccupazione alle persone attorno a lei.


Ognuno ha la sua vita.


Anche io ce l’ho.


E non posso dipendere in eterno dagli altri.



Se lo ripeteva spesso… ogni volta che, nel cuore della notte, le balenava in testa l’idea di chiamare sua madre oppure Sango, o ancora Kikyo…


Perché privare anche loro del sonno…?


Non basto io, come nottambula?



Anche se non dormiva, puntava sempre la sveglia del suo cellulare per le sei.


Le sei segnavano la fine della solitudine notturna.


Suo nonno si alzava e iniziava a rassettare il giardino, il tempio e il negozietto ad esso associato.


Anche sua madre era mattiniera. E si recava sempre in camera di Kagome, per vedere se la figlia aveva chiuso occhio almeno per un’oretta.


Ma la scena era sempre quella…


Trovava la figlia distesa sul letto, intenta a leggere distrattamente l’ennesimo libro e, accanto a lei, trovava l’ennesima scatola di antidolorifici mezza vuota.


Dovrò andare ancora in farmacia…


Kagome era, ogni volta, così distratta e allo stesso tempo stanca che non si accorgeva mai di sua madre…


La donna rimaneva sulla soglia ad osservare la figlia rannicchiata e dolorante che, ancora una volta, aveva passato la notte da sola…


E l’unica cosa che riusciva a dire era:


“Su, Kagome-chan… è ora di alzarsi…”


E la figlia… la guardava con quegli occhi stanchi e cerchiati e le sorrideva flebile.


Poi si alzava e si rintanava in bagno, dove rimaneva almeno mezz’ora a truccarsi pesantemente per nascondere le profonde occhiaie che aveva. Indossava l’uniforme, si spazzolava i capelli e via… senza nemmeno mangiare. Non aveva mai fame. L’appetito era l’ultima cosa a cui pensava…


Era sempre stanca…


Molto stanca…


Inoltre era nervosa…


Nervosa…


Molto nervosa…


La mancanza di sonno la rendeva facilmente irritabile.


Almeno a scuola cercava di calmarsi: lì non era a casa sua, c’erano regole precise da rispettare. E non voleva essere spedita in presidenza perché aveva alzato la voce. Evitava come la peste le persone che le stavano sulle scatole, parlava il meno possibile persino con Sango e Kikyo…


Le invidio, cazzo…


Se una persona non le stava sulle scatole, la invidiava.


La vedeva con il suo bel visino rilassato e riposato.


E si incazzava.


Perché io non posso dormire e tu sì?!


Ma non poteva certo urlare a Kikyo e Sango che le invidiava, non poteva implorarle di smettere di dormire così come faceva lei e imbottirsi di farmaci fino all’assuefazione totale. Non poteva certo chiedere loro di rincoglionirsi con lei.


Nessuno poteva fare quello che faceva lei.


E nessuno l’avrebbe nemmeno voluto.


E si sentiva sola


Anche se era in mezzo alla gente…


Anche se non era rintanata in camera sua a leggere libri che avrebbe dimenticato…


Anche se non era in fase di solitudine notturna…


Si sentiva sola…


Era sola…


Nessuno poteva capire il dolore fisico e psicologico che provava. La gente poteva soltanto darle una pacca sulla spalla e dirle “Vedrai passerà” oppure fare promesse da marinaio come “chiamami anche nel cuore della notte… io risponderò!”


Come no…


Siete tutti un’orda di stronzi e pensate sempre e soltanto ai cazzi vostri! Vi limitate a dirmi che tutto passerà e intanto voi siete lì senza problemi in testa e io sono qui che affogo nella merda!



Da una parte, sapere di avere qualcuno accanto la rasserenava.


Ma, dall’altra, essere consolata da persone che non potevano capirla serviva soltanto ad aumentare la sua smisurata rabbia.


In giro si tratteneva ma a casa esplodeva.


Mandava al diavolo suo nonno e sua madre, ignorava categoricamente suo fratello Sota e si rifiutava di ascoltare i loro consigli.


Più volte sua madre aveva tentato di convincerla a tornare dal medico, ma lei rifiutava categoricamente…


“Tesoro, ormai le due settimane dette dal medico sono passate! Torniamo da lui, ti prego! Saprà cosa dirci! Io… io non ce la faccio più a vederti ridotta in questo stato!”


“Ah… è così…? Tu… tu vuoi tornare dal dottore… perché tu non sopporti più questa situazione………? …… ma chi sei? Chi cazzo sei tu per dirmi questo?! Chi cazzo sei, eh?! EH?!! CHI SEI?!?!?! Non sei tu che stai vivendo questa situazione, sono io!! E tu vuoi portarmi dal medico perché sei te che non ce la fai più?! Non è che lo fai per me! Lo fai per te! Sei una stronza!! Una stronza egoista del cazzo!! Ecco cosa sei, maledetta!!!!”


Quelle, ormai, erano le uniche parole che si rivolgevano.


Ti prego, andiamo dal dottore, non ce la faccio più… da una parte.


Stronza, non mi capisci, chi sei te… dall’altra.


Kagome sapeva di aver bisogno degli altri.


Ne aveva un disperato bisogno.


Però fino a quando avrebbe resistito non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno. Non le importava un fico secco se, per gli altri, lei era al capolinea… lei, semplicemente, non la vedeva così…


Posso resistere ancora…


Si ripeteva sempre


Posso ancora farcela…


Devo…


Devo…



Non appena si chiudeva nella sua stanza tornata da scuola, ingoiava una manciata di antidolorifici, scoppiava in un pianto liberatorio senza curarsi degli altri che potevano sentirla e si preoccupavano per lei, poi si ricomponeva, studiava, chiacchierava un poco con le sue amiche fino a quando non si innervosiva, cenava e poi si chiudeva nuovamente in camera sua, pronta ad affrontare l’ennesima notte da sola…


Sempre quella routine infernale... …


“Higurashi!”


Una sua compagna di classe la fece uscire dai suoi pensieri. “dai, su, tocca alla nostra squadra!”


Si alzò con non poca fatica per colpa del dolore che, quella mattina, si faceva sentire più del solito e raggiunse sul campo le sue compagne di squadra.


Si posizionò in seconda linea come stabilito in precedenza e attese il fischio d’inizio della professoressa.


Fiiiiii


Quel fischio la stordì.


E la cosa le parve strana.


Nessuna delle ragazze lì presenti era rimasta infastidita da quel rumore. Soltanto lei.


Possibile?


Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che la palla, servita dalle avversarie, era diretta proprio verso di lei. Quando se ne accorse era troppo tardi: vide il pallone arrivarle davanti e cadere proprio ai suoi piedi.


Punto per le avversarie.


“Ehi, Higurashi! Che ti prende? Sta più attenta la prossima volta!” la incitò una sua compagna.


Sango da bordo campo e Kikyo nella squadra avversaria osservarono l’amica preoccupata.


Quel giorno era ancora più strana del solito.


Non aveva aperto bocca per tutta la mattinata se non per dire “buongiorno ragazze” appena arrivata.


Di solito si barcamenava al suo posto perché la schiena le faceva male e voleva a tutti i costi cambiare posizione. Quella mattina, invece, era rimasta ferma e immobile nella stessa posa: schiena eretta, testa abbassata e pugni chiusi.


All’inizio le due ragazze pensarono che, finalmente, il dolore le stava concedendo un po’ di tregua.


Ma capirono di sbagliarsi non appena videro i suoi occhi rossi e gonfi. Notarono addirittura una sottilissima striscia nera sotto il suo occhio destro: si era persino truccata male.


“Palla!”


La squadra di Kikyo servì e stavolta Kagome cercò di non distrarsi.


Il servizio, ancora una volta, era rivolto a lei.


Si fece trovare pronta e si gettò sulla palla.


“Presa! Brava Higurashi!”


Kagome era riusciva a recuperare la palla. La schiacciatrice, poi, riuscì a fare punto.


Ce l’ho fatta! L’ho presa!


Fece per rialzarsi…


Una fitta acutissima glielo impedì.


Riprovò ma non ci riuscì.


Si spaventò…


Non riusciva nemmeno a muoversi!


Era lì, stesa sul campo prona e il suo corpo non era più in grado di ricevere ed eseguire gli ordini dettati dalla testa.


Alzati!


Alzati!



Non ci riusciva…


Il suo corpo sentiva soltanto dolore.


Era come impazzito, tremava per la paura e non capiva più niente.


La sua vista iniziò ad offuscarsi, la sua testa a girare…


Sentiva delle voci lontane chiamarla disperatamente:


Kagome!! Ehi Kagome!! Cos’hai?


Kagome-chan! Kagome-chan! Riprenditi!! Alzati!!


Higurashi!! Higurashi!!


Kagome!!



Il buio.


Il silenzio.


E poi più nulla…





Si svegliò di colpo sudata e terrorizzata.


Ancora.


Aveva ancora sognato di quel periodo…


Prese in mano il cellulare e osservò di nuovo l’ora.


1.30


Beh, aveva dormito un po’… almeno questo.


Si alzò dal letto e aprì la finestra per cambiare un po’ aria.


L’aria fredda di novembre sul viso l’aiutò a rilassarsi.


Richiuse la finestra velocemente cinque minuti dopo e si mise a sedere sul letto.


Ogni volta che doveva andare in ospedale aveva quel sogno.


E’ normale… hai paura di tornare indietro e rivivere il dolore


Le aveva detto il suo psicologo quando le confessò di sognare sempre la stessa cosa.


Il passato è passato, è vero.


Non passava più notti insonni, è vero.


Però il dolore c’era ancora.


Era un dolore diverso.


E forse addirittura peggiore.


Aprì il cassettino del comodino e tirò fuori un pacchetto rettangolare bianco e oro.


Contò quante ne erano rimaste al suo interno.


Solo due, cazzo…


Lo ripose con cura nel cassetto e poi tirò fuori la sua vera ancora di salvezza…


Era perfettamente pulita.


La scrutò un po’ come per accertarsi che fosse ancora lì.


Poi ripose anche quella e chiuse il cassetto.


Si rifugiò sotto le coperte.


Chiodo scaccia chiodo…


Si era detta quando iniziò.


Ma questo non lo aveva mai detto a nessuno.


Non voleva condividere con altri la sua salvezza…


Nota dell'autrice: le mie mani tremano ancora, come quando ero in fase di stesura del capitolo. E' arrivato in fretta questo capitolo: a dire il vero, non vedevo l'ora di scrivere questo pezzo. Un pò perchè è molto importante per la storia in sè e un pò perchè, ancora oggi, è per me doloroso ricordare quella fase della mia vita e volevo scrivere tutto quanto e "liberarmene" il prima possibile. Mettere nero su bianco è stato difficilissimo, volevo scrivere qualcosa di più ma poi non ce l'ho fatta. Beh, poi ho subito trovato un'idea per sistemare il seguito del sogno, quindi tutto a posto ^_^ Spero vi sia piaciuto anche questo, se lo trovate un pò confuso... pardon! Ah... e perdonate il linguaggio scurrile di Kagome! ^^" A dirla tutta in quel periodo io ero addirittura peggio! Mi sono molto limitata! XD

L'autrice risponde ai commenti:
ryanforever: ti ringrazio per il commento! :) Effettivamente sì, è molto difficile per me scrivere cose del genere... però, vabbè, ho scelto io di scrivere! ^^" Ah, sul ragazzo... hai fatto centro! :)
KaDe: Wow, ho fatto centro su qualcuno che non ama le Inuyasha x Kagome! ^^ Ne sono proprio contenta! Spero continuerai a seguirmi! Ah: dal tuo profilo ho trovato il messaggio no-profit :) Se non ti spiace, l'ho inserito anche nel mio! ^^
roro: sono proprio contenta che la storia ti stia piacendo! Davanti al tuo commento (come per tutti gli altri) mi sono sciolta! ^^ Leggere recensioni positive su una storia tanto importante per me significa davvero molto! Grazie!
Vorrei ringraziare anche Djibril83, Inu_Kagghy, Kagome_chan89, Aurora, Lou Asakura che hanno commentato il primo capitolo l'anno scorso! ^^ Volevo ringraziarvi nel capitolo precedente ma mi sono dimenticata! Chiedo venia!

Beh, al prossimo capitolo! ^_^

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Capitolo 4
*** Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for… ***


4. Toki o koe tsunaida te zutto hanasazu ni hashirou ~ Somewhere, there’s the glittering of the sun we’re longing for…


“Kagome! Kagome”


Sua madre?


Aprì pigramente gli occhi, li sfregò e poi allungò il braccio verso il comodino per cercare a tastoni il suo telefonino.


Le 5.30


Oh no… è già ora…


Sempre la stessa storia. La sera prima si addormentava tardi, aveva sempre lo stesso incubo e si svegliava più volte nel cuore della notte.


Quindi, come ogni mattina in cui doveva andare in ospedale, era già di cattivo umore, stanca e spossata.


Si alzò, raccattò i vestiti che aveva preparato la sera prima, la parrucca e si chiuse in bagno.


Si lavò con acqua rigorosamente fredda per svegliarsi.


Si vestì e poi spazzolò con cura la parrucca.


Spruzzò del lucidante per capelli e poi, con un gesto che ormai era diventato parte delle sue abitudini, la indossò e la sistemò meglio sulla testa con l’aiuto della spazzola.


… … …


Quando fu pronta, si osservò qualche istante davanti allo specchio.


In apparenza, era sempre la stessa.


Sembrava sempre lei…


Aveva anche scelto la parrucca dello stesso colore e dello stesso taglio dei suoi capelli.


Il sembrare come prima…


Era quello ciò che la aiutava di più a tirare avanti ogni singolo, dannato giorno…


Beh, allo stesso tempo era la cosa che la inibiva di più e la faceva soffrire molto…


Sembrava…


Sembrava non era


Lei voleva essere come prima non sembrare come prima…


Ma l’idea che ci sarebbero voluti anni per tornare normale… ancora non le andava giù…


Dopo più di sei mesi…


La sua mente aveva ormai compreso ed accettato la realtà.


Il problema era il suo cuore…


Il suo cuore… aveva la netta sensazione che avrebbe anche compreso più in là… ma accettare tutto quello… oh, no, quello non l’avrebbe mai fatto…


“Dai, Kagome, sbrigati! Non voglio trovare traffico!”


Sospirò.


Ancora una volta sua madre parlò per sé.


Sentitela… io, io, io…


Ma vattene al diavolo, strega…






Quando riaprì gli occhi si trovava in un letto d’ospedale.


Cosa…? Dove… sono…?


Provò ad alzarsi ma, ancora una volta, non c’era riuscita. Quella maledetta agonia era ancora lì con lei e le impediva ogni sorta di movimento.


“Kagome!!”


Fu l’unica cosa che aveva sentito prima di svenire.


E la prima non appena si svegliò.


Nonostante fosse intontita e ancora confusa, riconobbe la voce di sua madre.


Si voltò nella direzione da cui aveva sentito la voce e vide la figura di sua madre al capezzale del suo letto.


Teneva un fazzoletto stretto tra le mani.


Probabilmente per asciugarsi quelle lacrime…


Kagome si accorse subito che la donna aveva gli occhi rossi e le guance rigate.


“Mamma…?”


Sussurrò appena


“dove… dove siamo?”


Non disse nient’altro.


Soltanto a parlare si era stancata e le era venuto il fiatone.


Non era più abituata a parlare tanto e il suo corpo non riusciva a reggere contemporaneamente il dolore e lo sforzo che comportava il parlare.


Era ridotta da sbatter via.


Lo sapeva bene.


“Siamo in ospedale, Kagome…” singhiozzò la donna


“questa mattina ho ricevuto una telefonata dalla tua scuola.”


Respirò profondamente per prender fiato


“mi avevano detto che eri svenuta durante la lezione di ginnastica e che ti hanno lasciata in infermeria per tutta la mattinata… la dottoressa della scuola pensava fossi svenuta per un calo di zuccheri o per mancanza di sonno… ma tu… non ti sei mai svegliata…”


Singhiozzi.


“la scuola ha chiamato me… e poi il pronto soccorso per sapere con precisione cosa fare… e hanno risposto prontamente di portarti lì per fare alcuni esami… dopo che ho spiegato loro dei tuoi dolori alla schiena e alle gambe, i medici ti hanno fatto degli esami del sangue, una risonanza magnetica e una tac…”


Caspita… tutto questo mentre ero svenuta…


Ma…



“Quanto ho dormito?”


Non volle sapere l’esito di tutti quegli esami.


Non ancora.


Aveva paura…


Per farle addirittura una risonanza magnetica e una tac…


C’era qualcosa che non andava…


“Due giorni interi, tesoro… sapessi quanto ero preoccupata! E tuo fratello e tuo nonno! Oh… appena potevano si fiondavano qui e la sera chiamavano ogni ora per sapere se c’erano stati dei cambiamenti! Per non parlare di Sango e Kikyo…! Hai davvero delle amiche dal cuore d’oro! Sono state qui tutto ieri e tutto questo pomeriggio!”


Ancora singhiozzi.


La donna non disse altro.


Kagome capì al volo il perché.


Glielo leggeva in faccia.


E nemmeno lei avrebbe voluto sapere.


Tanto, non appena sapranno che mi sono svegliata, i medici verranno qui e mi diranno cosa succede…


Aspetto loro.


Non mi va di subirmi la scenetta smielata da mia madre…



Provò ad alzarsi…


Niente.


Non ci riusciva…


Non sentiva più alcuna parte del suo corpo dai fianchi in giù.


Però il dolore…


Quello lo sentiva bene.


Lo sentiva ancora…





Non sappiamo bene che cos’hai.


Tramite la risonanza magnetica, abbiamo trovato due masse nei punti D9 e L4 della colonna vertebrale
(i punti D9 e L4 corrispondono, più o meno, a un punto della zona toracica e lombare della colonna. NdA) che, all’interno delle vertebre, fasciano e stringono i nervi passanti. E’ per questo che, in apparenza, il tuo dolore sembra sciatica. In realtà ci sono queste masse.


E vanno tolte.


Altrimenti rischi la paralisi.


Il semplice fatto che tu non riesca ad alzarti non è un buon segno…


Domani incontrerai l’anestesista e ti faremo fare una lastra al torace
(in genere la effettuano per inquadrare la zona toracica e serve durante l’operazione al chirurgo per evitare possibili edemi o infezioni polmonari. NdA).


Poi, dopodomani, procederemo con un’operazione alla schiena…


Il buio notturno nascondeva il suo viso.


Un’operazione…


Nascondeva le sue lacrime.


Quella notte non chiuse occhio, come al solito…


Ma non lesse alcun libro…


La sua mente rievocò più e più volte le parole che il neurochirurgo le aveva rivolto.


Il suo corpo tremava.


I suoi occhi bruciavano.


Le sue labbra erano inumidite per colpa delle lacrime.


Tutto quello era sintetizzabile con un’unica parola…


Paura…





Era sempre stata in buona salute.


Poche volte stava male.


Inoltre, aveva sempre avuto una soglia del dolore elevatissima.


Quindi, ancora non si capacitò che tutto quello stava accadendo proprio a lei…


L’unica cosa che era riuscita a combinare, da quando si era svegliata, fu sollevarsi facendo forza sulle braccia e mettersi a sedere. Per sdraiarsi di nuovo, però, aveva bisogno di aiuto: la schiena le faceva troppo male per farlo da sola. Le gambe, poi, erano pezzi di legno. Non riusciva a muoverle. Per alzarsi dal letto aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno e, se voleva andare da qualche parte, o muoveva giusto due passi o utilizzava una sedia a rotelle.


Piuttosto che usare la sedia a rotelle preferisco marcire in questo letto.


Era notte fonda.


Sua madre era tornata a casa.


Avrebbe voluto chiamare le infermiere con il campanello, ma era posto troppo lontano per raggiungerlo stando seduti sul letto senza muoversi di un centimetro.


Era costretta a passare un’altra notte in bianco.


Sempre nella stessa posizione.


Moriva di sonno.


Ma non riusciva a dormire.


Un po’ era il dolore.


Un po’ era la paura.


Un po’ la sua compagna di stanza che russava come un trombone.


L’amara consolazione che ricavava da quella situazione era che quella vecchietta troppo rumorosa sarebbe stata dimessa il giorno dopo.


Lei stessa gliel’aveva detto mentre parlava di tutta la sua vita.


E da giovane non avevo tutte le distrazioni dei giovani d’oggi, non sapevo cosa fossero la televisione e il telefono; mio marito è morto in guerra lasciandomi senza figli; e ho passato tutto il resto della mia vita da sola… e qui mi hanno operato per un’ernia al disco… e mi dimettono domani… e ma tu cos’hai? Quanti anni ahi? Cosa, 16?! Povera, così giovane e già sei in ospedale!


Bla… bla… bla…



Le solite frasi fatte delle donne ultrasettantenni.


Ormai le sapeva a memoria.


Con tutte le anziane che si recano, ogni giorno, al tempio!


Le sentiva sempre quando chiacchieravano tra loro in cima alle scale o quando parlavano con suo nonno.


Sospirò.


Osservò la donna.


Ormai era talmente abituata al buio da riuscire a distinguere benissimo gli oggetti avvolti dalla penombra.


Vedeva la sagoma dell’anziana: era sdraiata supina.


Il suo petto si alzava e si abbassava lievemente.


E russava.


Dannata stronza…


Voleva dormire un po’.


Ma in quella posizione era scomoda.


Senza contare tutto il resto dei suoi problemi…


Operazione…


Operazione…


Operazione!!



L’unica cosa che riuscì a fare…


L’unica…


Fu piangere


Pianse, cercando non farsi sentire dalla donna, per tutta la notte…





Due giorni dopo.


Il giorno dell’operazione.


Era la fine di tutto quell’inferno.


O l’inizio di un inferno ben peggiore?


Ormai non faceva altro che arrovellarsi con quel pensiero.


Tuttavia, contro ogni sua aspettativa, l’agitazione svanì nel momento in cui arrivò l’infermiera per darle i tranquillanti (in genere, prima di portarti in sala operatoria, ti danno dei tranquillanti per rilassarti e prepararti meglio all’anestesia. NdA).


Finalmente…


Dopo tre settimane potrò tornare a dormire…


Anche se è un sonno forzato… almeno dormirò un po’…


Quello che verrà dopo…


Beh.. a quello ci penserò più avanti.



L’infermiera arrivò seguita a ruota dall’anestesista e dagli assistenti del chirurgo.


Venne fatta sdraiare sul suo letto, sbloccarono le rotelle di quest’ultimo e venne portata in sala operatoria.


Lì dentro faceva freddo.


Molto freddo.


Iniziò a tremare.


Non seppe bene se era per il freddo o per la paura che l’assalì improvvisamente.


Aveva un nodo strettissimo allo stomaco.


Ma ormai non poteva più tirarsi indietro.


“Signorina…”


La chiamò l’anestesista, un giovane sui trent’anni.


“so che qui dentro fa freddo”


Ah, tremo così vistosamente?


“però tra poco non sentirai più nulla”


Spiegò con tono pacato.


E poi prese un polso di Kagome senza dirle niente e, in pochi secondi, gli legò attorno un laccio emostatico, lo tastò alla ricerca di una vena e poi, trovata, ci infilò un’ago-canula.


Ahi! Questo fa male!


Sussultò appena.


L’anestesista se ne accorse.


Sorrise.


“So che fa male. Ora è tutto a posto. Da questo catetere venoso ti introdurremo l’anestesia per addormentarti.”


Stronzo…


Si arrabbiò anche con lui.


Era troppo calmo per i suoi gusti.


Per lei, che in quelle settimane aveva dimenticato ogni sorta di sentimento al di fuori della rabbia e della stanchezza.


L’anestesista, poi, intrappolò l’indice destro di Kagome in un misuratore di pressione (lo usano per tenere sotto costante controllo la pressione e non solo, ma non ricordo bene a cos’altro servisse… NdA)


“Ora… Respira profondamente”


Sentì bruciare all’altezza del polso con il catetere.


L’anestesia.


Non ci riusciva.


Era terrorizzata.


Iniziò a sudare freddo.


Sentì una mano accarezzarle la fronte.


Apparteneva ad una delle assistenti del chirurgo che l’avrebbe operata.


Era un tocco gentile.


Non riusciva a vederla, ma intuiva da quel semplice gesto che le stava sorridendo. Quella cosa, chissà come, la tranquillizzò un pò.


Andrà… tutto… bene…


Iniziò a respirare profondamente e lentamente.


Brava… continua così… respira…


Respira…


Non sentì altro.





Quando riaprì gli occhi le sembrava che fosse passato solo un secondo da quando li aveva chiusi.


Era completamente rimbambita.


Guardò il soffitto con non poca fatica.


Era color bianco panna.


Non era grigio chiaro come quello della sala operatoria…


Allora era fuori?


Sospirò.


Riusciva a respirare.


Mosse gli occhi.


Riusciva a fare anche quello.


Provò a muovere le dita delle mani.


Riuscì ancora.


“Dove…?”


Era in grado di parlare…


Una delle infermiere si era accorta del suo risveglio.


“Ben svegliata” disse sorridendo


“l’operazione si è conclusa mezz’ora fa. Ti hanno appena portata su in reparto e ora ti stiamo riportando in camera tua.”


Disse l’altra infermiera.


“Hai dormito per ben otto ore di cui sei di intervento!” (non odiatemi… altra nota: in genere il chirurgo che opera arriva in sala operatoria e trova già tutto pronto, paziente addormentato, valori di pressione, battito cardiaco già monitorati e così via. Poi, ora che richiudono una volta finito e aspettano che il paziente si svegli ce ne vuole di tempo… Ok, ora ho finito con le note! ^^ NdA)


Era viva… ce l’aveva fatta…


Era viva…



“Tutto… bene… l'operazione…?”


Riusciva a parlare!


Era viva!!


Dopo tanto tempo, riscoprì un sentimento diverso dalla rabbia: sollievo


In camera c’erano sua madre, Sota, suo nonno, Kikyo e Sango ad aspettarla.


Erano tutti così sollevati nel vederla già sveglia…


E lei era così contenta di poterli vedere ancora…


E ancora…





L’attesa per l’esito della biopsia “per stabilire cosa siano esattamente quelle masse” si fece attendere molto a lungo.


Kagome non nascondeva la sua agitazione.


Era inutile farlo.


Era in ospedale, seguita da neurochirurghi e fisioterapisti che monitoravano la sua schiena e le sue capacità motorie, sottoposta ogni giorno a esami del sangue e a risonanze magnetiche ogni dieci.


Tutto quel via vai inconcludente la stancava.


Non lo nascondeva.


Non si nascondeva più.


Non pretendeva che gli altri la capissero.


E nemmeno lo voleva.


Si sarebbe infuriata se qualcuno le avesse detto, con tono serafico:


Oh, ma io ti capisco!


Mandava al diavolo la gente che glielo diceva nella sua immaginazione.


Figurarsi nella realtà!


Da un lato si sentiva sola…


Ancora…


Perché nessuno poteva capirla.


Ma, dall’altro lato, non lo era.


Tutti i giorni era circondata da molta gente: i suoi familiari, le sue migliori amiche, i suoi compagni di classe, persino alcuni suoi professori. E quelli che non riuscivano ad andare a trovarla le telefonavano. Il suo cellulare squillò come non mai in quelle tre settimane di attesa.


E quelle attenzioni la distraevano un po’.


E la prepararono psicologicamente a quello che sarebbe successo dopo.





“l’esito è chiaro, signorina…”


Kagome deglutì agitata.


Allora?! Medico del cavolo, sbrigati, che cosa aspetti?!?! Parla, parla!!


Rabdomiosarcoma…


“Scusi… rabdo… che…?”


“Rabdomiosarcoma…”


“…?”


“E’ un tumore…


In quel preciso istante, il mondo le crollò addosso.


Ma quel medico non se ne accorse.


“quelle due masse che ti abbiamo tolto tre settimane fa non sono altro che metastasi. Non sappiamo bene quale sia il primario e purtroppo… anche volendo, noi non siamo specializzati in oncologia.”


Stava per piangere.


Era come se il tempo si fosse congelato e non volesse saperne di tornare a scorrere.


“abbiamo già provveduto a portare una copia di tutti i tuoi esami all’INT – istituto nazionale dei tumori. Domani verrai trasferita lì e verrai curata…”


Non sapeva cos’altro dire.


Le porse la mano.


“In bocca al lupo signorina…”





“Kagome!”


Ancora sua madre.


“Ora ti addormenti anche in macchina? Su, dai, siamo arrivate in istituto!”


Si stropicciò pigramente gli occhi.


Aveva dormito?


Aveva ancora sognato di quel periodo…


Che fantasia che ho con i sogni… sogno sempre le solite cose…


Sbuffò.


Erano passati cinque mesi da quando era in cura in istituto.


Si era un po’ capacitata di tutta quella situazione assurda.


Ma continuava ad aggrapparsi alla speranza che un giorno tutto sarebbe tornato come prima.





Toc toc…


“Inuyasha. La colazione è pronta. Su preparati e scendi. Oggi è il tuo primo giorno di scuola! Non vorrai mancare, vero?” disse una fioca voce femminile.


In una stanza, in una zona qualunque di Tokyo, in una casa qualunque…


Qualcun altro si stava preparando a cambiare vita.


E anche lui desiderava che le cose tornassero come una volta.


“Sì… scendo subito…”


Inuyasha Taisho.


Sedici anni.


Dopo un brusco cambiamento di vita, si preparò.


Iniziava il giorno zero


Nota dell'autrice: bene... ho completato il racconto pre-storia di Kagome... O_O Ora sapete che cos'ha. E non ho voluto usare troppe descrizioni o giri di parole. E non ho nemmeno voluto usare punti di vista diversi dal suo. Del resto, è la storia di Kagome, tutti quei casini succedono a lei e a me interessava focalizzare l'attenzione sul suo punto di vista (che, poi, sarebbe il mio). Inoltre, inizia a fare capolino anche Inuyasha finalmente! ^^" Finora mi ero concentrata solo su Kagome, però nella fic c'è anche lui! ^_^ Diciamo che la vera storia deve ancora iniziare... queste sono le basi!! Ah... mi dispiace di aver inserito tutte quelle note mediche! :( Ad alcuni possono sembrare cose scontate però, a scuola, quando raccontavo ai miei compagni (che volevano sapere proprio tutto) quasi nessuno capiva perchè mi avessere fatto una lastra al torace e così via... Ho preso alcune precauzioni! Se vi hanno dato fastidio, chiedo perdono! *fugge via* Al prossimo capitolo! *rifugge via*


L'autrice risponde ai commenti:

KaDe: sono davvero contenta che ti stia piacendo la storia!! ^///^ Non sai quanto mi renda entusiasta sapere che la mia storia piace!!

roro: in adorazione? Addirittura? *_* Ti adoro! Sono una ruffiana, lo so! xD Scherzi a parte, le recensioni lunghe non mi seccano, anzi!! Analizza, analizza pure quanto ti pare e piace!! *_* Mi farai contenta!

ryanforever: grazie!! Sono proprio contenta di esser riuscita nel mio intento: trasmettere ed emozionare! Spero continuerai a seguirmi! ^_^

mel_nutella: allora, avevi indovinato che tipo di problema ha Kagome? :) Mi fa piacere sapere che i flashback non sono stati elementi di confusione! Era uno dei miei timori maggiori! Grazie!! *_*

Only_a_Illusion: eh eh, una parte "lieta" ci sarà senz'altro! Non so ancora se renderla lieto fine o meno... si vedrà man mano che scrivo!

Ringrazio anche chi legge soltanto senza recensire! Grazie, grazie davvero! (questi ringraziamenti, ovviamente, non vi autorizzano a non recensire! XD)

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Capitolo 5
*** Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter ***


ATTENZIONE! Prima di leggere il capitolo, leggete le note introduttive sottostanti!
Dunque, in questo capitolo si intravede Kagome in istituto! Prima di tutto, sappiate che, in Italia, l'istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori (abbrevviato I.N.T.) esiste per davvero, ha sede a Milano ed è, in barba alle cliniche private stile Veronesi, uno dei centri più importanti per la cura dei tumori a livello mondiale. Io l'ho inserito nel contesto della storia, non so se esiste veramente in Giappone un istituto oncologico con lo stesso nome! Sappiate che non l'ho inventato di sana pianta!
Inoltre, nel capitolo, viene accennato il funzionamento delle visite in ambulatorio: carte verdi, rosa, ecc... Per non rompere le scatole durante la lettura, vi spiego brevemente qui come funziona il tutto. Quando si arriva in ambulatorio, si ha con sè: tessera sanitaria regionale, impegnative per visita, emocromo ed altri esami firmati dai medici dell'istituto e recanti il timbro ufficiale dell'ospedale, tessera di esenzione (è una tessera che viene rilasciata a chi ha l'invalidità civile e che esenta dal pagamento del ticket per i trattamenti sanitari) e foglio rosa (foglio lasciato durante la visita precedente dal medico che ti ha visitato con su segnato cosa dovrai fare alla prossima visita, una sorta di promemoria). Ok, arrivi e prendi il numero per fare la fila all'accettazione, che inizia alle otto del mattino. Con l'accettazione, si ufficializza che il paziente si è presentato, gli si restituisce foglio rosa e gli si consegna un foglio identico a quello rosa, di colore verde: entrambi andranno consegnati durante la visita. Terminata l'accettazione, si aspetta di essere chiamati per l'emocromo e poi per la visita, dove fisseranno poi l'appuntamento successivo e daranno un altro foglio rosa per la volta dopo!
Ah, ultima cosa: vengono menzionati i bambini in ambulatorio. Questo perchè io mi riferisco all'ambulatorio pediatrico e al reparto di pediatria (per ovvie ragioni di età di Kagome!) E spesso i genitori portano doni come pasticcini e dolci ai medici e agli infermieri! Ovviamente, i pasticcini migliori, nella realtà, sono quelli che porto io! xD Ok, scusate il disturbo! XD Ci vediamo in fondo per le mie solite note!
5. Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter


Correva.


Almeno così non sento freddo.


Era in ritardo il primo giorno di scuola. Come se gliene importasse più di tanto. Ci andava perché aveva fatto un patto con quell’uomo. Ancora due anni da sopportare. E poi sarebbe stato completamente libero.


Andare a scuola era un peso per lui. E non voleva rendere il tutto ancora più pesante arrivando in ritardo il primo giorno. Non gli andava di sentire le lamentele dei professori. In diciassette anni era bastato quell’uomo a fargli venire un’ulcera solo sentendo le parole “lamentela” e “rimprovero”.


Arrivò alla stazione con il fiatone.


Ma giusto in tempo per prendere il treno, che era appena arrivato.


Pigiandosi contro alcune persone riuscì a salire sul mezzo poco prima che le porte si chiudessero.


Bleah… Che schifo.


Odiava stare in mezzo a tanta gente.


Se poi erano tutti schiacciati come sardine la situazione era davvero insopportabile.


In quel momento si chiese come aveva fatto sua madre a sopportare la vita in quella città così caotica per tanto tempo.


Madre…





Erano le sette.


L’ambulatorio era ancora vuoto. Come al solito, erano arrivate per prime. Sua madre andò a prendere il numero per l’accettazione mentre Kagome si sedette al solito posto d’attesa: nell’angolo. Adorava stare contro due muri: se aveva sonno poteva sistemarsi per bene e appisolarsi un po’ mentre aspettava la solita, nauseante, visita.


A dirla tutta, era riuscita a dormire soltanto una volta, dopo che il liquido di contrasto iniettatole per un esame (più precisamente, una tac! Io mi addormentavo sempre per colpa del contrasto usato! ^^” NdA) l’aveva rimbambita parecchio. Le altre volte, per quanto sonno avesse, non si addormentava mai. Ogni volta aveva paura che la visita medica le riservasse qualche sorpresa sgradita. Le era successo più volte, infatti, di essere stata ricoverata dall’ambulatorio in reparto per alcuni effetti collaterali legati alla terapia, come innalzamento o abbassamento improvviso di valori del sangue che richiedevano terapie particolari e così via…


E poi c’era la paura della possibilità di sentire quelle parole…


Quelle parole…


La tormentavano giorno e notte, spesso passava le notti in bianco per la paura. Prendeva addirittura dei sonniferi, senza farsi vedere da nessuno, per dormire un po’. Non voleva di nuovo vivere in preda al nervosismo perché non dormiva la notte. Tre settimane le erano bastate ed avanzate.


Quando sua madre si sedette accanto a lei, Kagome la scrutò mentre sistemava, tutta concentrata, foglio rosa per le visite, impegnative, tessere di esenzione, numero...


Era tesa.


Lo leggeva nei suoi occhi.


Sua madre non era come lei, era un libro aperto.


Capiva benissimo quando sua madre stava bene, quando era triste o preoccupata.


Quel giorno era tesa.


E non voleva dirle il perché.


Ti odio quando fai così, maledetta stronza.


“Kagome!”


Due voci all’unisono la chiamarono.


Le riconobbe ancor prima di guardare in faccia chi l’aveva chiamata.


E quelle voci la sollevarono.


“Mai-san! Kae-san!” e sorrise.


Erano le due infermiere dell’ambulatorio. Due persone straordinarie. Kagome le adorava.


Mai-san era una donna sui quarant’anni, media statura, carnagione olivastra con occhi e capelli scuri. Kae-san, invece, era alta, bionda e di chiara carnagione. Senza contare che era alta il doppio di Mai. Come spesso cantilenavano, loro due assieme formavano l’articolo “il”.


Erano due persone con un gran cuore, amavano il loro lavoro e lo si poteva constatare con una semplice occhiata. L’unico momento che Kagome passava volentieri in ospedale era quello del prelievo: per lei non era una semplice pratica da due minuti, ma un rituale – che poteva durare anche mezz’ora – durante il quale parlava con Kae e Mai di come andasse a scuola, con gli amici… Non perdevano mai l’occasione per spettegolare un po’ sulle persone che venivano lì in ambulatorio e che Kagome notava spesso.


“Ma… quella donna lì… grassa, brutta, con i capelli ricci che vedo spesso…”

“La menosa, intendi?”

“Mai!”

“Eh ma è vero, Kae! Tanto lo pensi anche te!”

“Lo so, però dai!”

“Veramente, anche secondo me è una menosa incredibile!!”



Ma quello che la ragazza si divertiva di più a fare con loro due era prendere in giro i medici.


“Oh, Kagome! Tu ieri ti sei persa la scenata del dottor Tanaka appena arrivato!”

“Ha fiutato di nuovo l’odore dei pasticcini portati da qualcuno?”

“Certo! E non solo! Ha iniziato a litigarseli!”

“Fatemi indovinare! Con la dottoressa Oda?”

“Esatto!! E poi…”



E così via.


Per Kagome, parlare con loro rappresentava una sorta di svago. Voleva trovare la forza di ridere un po’ anche in quel posto. Kae e Mai l’avevano capito sin dalla prima volta che la videro.


A qualcuno poteva sembrare strano, ridere in un posto del genere.


Ma per molti, ridere era l’unica cosa che li aiutava a tirare avanti.


Per Kagome non si trattava di semplici risate: per lei ridere, mostrarsi allegra era una forma di difesa dagli altri.


Non voleva assolutamente che qualcuno riuscisse a capire cosa provasse.


Non voleva che la gente scoprisse che sotto l’apparenza di una ragazza allegra, si celava una persona dal cuore lacerato.


Non voleva attirare troppa attenzione su di sé.


Non voleva la pietà altrui.


Non voleva sentire frasi del tipo “Oh, poverina” in nessun caso.


Era abilissima nel celare i suoi sentimenti.


Anche con Kae e Mai era la stessa cosa, sebbene la ragazza si fosse affezionata sul serio a loro.


Anzi, proprio perché si era affezionata non voleva né la loro pietà né che loro scoprissero il suo cuore sporco e lacero e rimanere deluse della scoperta.


“Ciao, Kagome! Ci vediamo dopo in infermeria!” disse Kae


“Adesso ce ne andiamo a prendere un caffè prima di aprire l’infermeria e il day-hospital! Altrimenti ci addormentiamo in faccia ai pazienti!” esclamò Mai, serafica.


Kagome rise.





“Quindi tua madre non ti ha detto niente del motivo di questa visita?” disse Mai, senza nascondere un filo di rassegnazione nel tono della voce, mentre procedeva con il prelievo tramite cvc.


“Già…” sospirò la ragazza.


Non era la prima volta che si lamentava con le infermiere. Pur sapendo che loro non potevano farci niente.


“Voi… per caso voi sapete perché mi è stata fissata questa visita extra?” sussurrò d’un fiato, facendo ben attenzione a nascondere la paura che l’attanagliava.


“… No, mi dispiace… noi infermieri, in generale, non sappiamo mai più del dovuto. Dovrai aspettare la visita medica per saperlo” affermò sconsolata Mai


Kagome sospirò


“Grazie lo stesso, Mai-san”





Altri due minuti di corsa e sarebbe arrivato.


Spero solo di non dover correre così tutte le mattine, maledizione.


Corse come un pazzo fino a quando l’edificio del liceo A. non fu ben visibile.


Vedeva alunni entrare.


Meno male, la campanella non è ancora suonata!


E rallentò il passo.





Erano le undici.


L’ambulatorio si era ormai riempito da un bel pezzo; le urla dei bambini che giocavano o che piangevano perché non volevano fare un prelievo o essere attaccati alla macchina per le terapie riecheggiava per tutta la sala d’attesa. Anche i genitori non erano da meno. Tutti riuniti in gruppetti, parlavano prima delle condizioni di salute dei loro figli, giusto due secondi, per poi cambiare completamente argomento. E, mentre la gente era lì, le visite erano iniziate ormai da un’ora e, poco alla volta, gli studi dei medici diventarono un via vai di pazienti, infermieri e tecnici di altri reparti.


Anche sua madre era in mezzo a tutto quel caos, tutta intenta a parlottare con due donne.


Lei no.


Non voleva partecipare a tutto quel caos, non voleva.


Vedere il dolore dipinto sui loro occhi… lo stesso dolore che lei sentiva ma che non voleva esprimere…


Le faceva ricordare in che razza di posto fosse.


Non voleva concentrarsi sull’ospedale.


O il suo cuore non avrebbe retto, mostrando a tutti le ferite che si era causato in quei mesi.


Come era solita fare, se ne stava nel suo angolo, con le cuffie nelle orecchie che sparavano musica a tutto volume per coprire il rumore dell’ambulatorio…


Hontou ni taisetsu na mono igai subete sutete (It would be nice if we could put away and throw out)

shimaetara ii no ni ne (everything except what really mattered)

genjitsu wa tada zankoku de (but reality is just cruel.)


Sonna toki itsu datte (In such times,)

me o tojireba (I see you laughing)

waratteru kimi ga iru (whenever I close my eyes)


Mentre si lasciava cullare da quella musica malinconica, scribacchiava un po’ sul suo quaderno di matematica, intenzionata a portarsi un po’ avanti con i compiti del giorno dopo.


Si sentiva come isolata da quel posto. La musica era l’unico sottofondo che sentiva e che voleva sentire. C’era solo lei in quel mondo ovattato. Non c’erano medici, né infermieri, né tantomeno macchine per la chemio e terapie di vario genere.


Solo io…


A riportarla nel mondo reale, però, fu sua madre che, tutta agitata, la chiamò scrollandola per le spalle.


“Kagome! Su, Kagome, forza! Ci hanno chiamato per la visita, sbrigati!”


E la vide raccattare con foga la cartelletta e tutti i documenti del caso, ancora più agitata.


Brutta strega.


“Chi ci ha chiamato?”


“La dottoressa Yamashita. Ora sbrigati!” disse sua madre mentre camminava a passo svelto verso lo studio medico, senza neanche guardare in faccia la figlia.


Oh, no!


Kagome non sopportava quella donna.


Aya Yamashita, quarant’anni, segni particolari: era una gran fifona ed eccessivamente scrupolosa. Se vedeva anche una minuscola macchia in una radiografia, subito si spaventava e mandava il paziente in questione a fare ulteriori esami per accettarsi che quella cosa non fosse niente di preoccupante.


Kagome entrò a passo lento, saluto la dottoressa con un cenno del capo e si mise a sedere su una sedia posta di fronte alla scrivania del medico. Sua madre si posizionò dietro di lei.


“Ciao, Kagome!” disse la Yamashita, sorridendo


“come stai?”


Secondo te come dovrei stare se sono qui, idiota?


“Sarò onesta” iniziò con tono seccato e senza perder tempo


“Fino a due giorni fa stavo bene, ma poi mia madre mi ha informata di questa visita extra senza nemmeno dirmi il motivo per il quale ora sono qui! Mi ha soltanto detto che era una visita come le altre, ma non sono così stupida da crederci visto che la mia solita visita era fissata per dopodomani”


E si zittì.


Sua madre non aveva battuto ciglio mentre la figlia parlava, si era solo limitata a posare una delle sue mani su una spalla della figlia che, prontamente, la ragazza scostò con una scrollata violenta.


“Voglio sapere perché sono qui.”


La dottoressa sospirò.


Si era raccomandata con quella donna di dire tutta la verità alla figlia; l’aveva fatto più volte, ma non c’era niente da fare. La madre teneva la verità nascosta alla figlia per proteggerla dalle sue stesse paure, era chiaro come il sole, ma non si accorgeva che così danneggiava la propria figlia invece che preservarla.


“Settimana scorsa hai avuto la visita dalla fisioterapista, giusto?”


“sì…” rispose la ragazza non nascondendo la sua confusione.


Che c’entra la fisioterapista? E’ per colpa sua se mi hanno chiamata qui? Parla, insomma!!


“Beh, ecco, ci ha fatto arrivare una sua relazione completa sulla scorsa visita.”


Si interruppe un attimo


“Non è per niente una bella relazione, lo sai?”


Kagome rimase di stucco


“Beh… sì… non mi aveva trovata benissimo… me l’ha detto. E mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi e…”


“E poi hai fatto anche la risonanza magnetica di controllo alla schiena” la interruppe la Yamashita.


“Sì…” rispose


“Anche la fisioterapista ha voluto una copia del referto. Noi, dal punto di vista oncologico, abbiamo notato una situazione stabile. Per lei, invece, quel referto descriveva una situazione disastrosa. Ha notato, dalle immagini, che due vertebre della schiena, quelle toccate durante l’operazione, risultano saldate tra loro. E non è una bella cosa questa”


“E’… è per questo che, la scorsa settimana, se le toccava la schiena, mia figlia sentiva dolore? E’ per questo che non riesce a camminare ancora benissimo?” chiese la madre, visibilmente preoccupata


Cosa…?


“Come le ho già detto al telefono… sì, la fisioterapista l’ha trovata parecchio conciata, per dirla in gergo semplice.”


Come…?


“Ma… ma… anche dalla risonanza precedente le vertebre risultavano saldate! Io non… non capisco quale sia il problema!!”


Che significa…?


“In questo periodo devi esserti sforzata troppo, Kagome. Abbiamo deciso di chiamarti qui due giorni prima soltanto per dirti questo. Volevo dirtelo di persona, però io dopodomani non sono di turno qui, ma in reparto. Avendo parlato io con la fisioterapista, abbiamo ritenuto opportuno che fossi io a parlarti e, già che c’eravamo, ti abbiamo fatto i soliti controlli. Quelli vanno bene, l’emocromo è stabile, ti sei ripresa bene dalla terapia di settimana scorsa.”


Che… cosa… significa…?


“Il problema, per ora, è la schiena. Non puoi fare troppi sforzi”


Le sue mani iniziarono a tremare.


“Tua madre mi ha informata che, a inizio dicembre, avrai una gita di cinque giorni con la scuola a Osaka”


Che… diavolo… c’entra, ora…?


La dottoressa sospirò, dispiaciuta.


“Mi dispiace dirtelo, ma nelle tue attuali condizioni la gita è uno sforzo troppo grosso.”








“… Non potrai parteciparvi…”


!!


Un minuto di silenzio.


Due minuti di silenzio.


La madre di Kagome non aveva detto una sola parola, la dottoressa osservava Kagome che, con i pugni chiusi e tremanti, tratteneva a stento le lacrime.


Erano lacrime di dolore?


Erano lacrime di rabbia?


Erano lacrime di sconforto?


Kagome ormai era talmente abile nel celare i suoi sentimenti che nessuno avrebbe potuto mai capirla del tutto.


Nessuno


Nemmeno chi era nella sua stessa situazione…





In macchina non aveva aperto bocca, a tavola per il pranzo era muta come un pesce, ignorava il cellulare posto accanto a lei che continuava a vibrare ogni volta che riceveva un sms o una chiamata. Si limitava ad osservare lo schermo quando si illuminava e a leggere il destinatario, poi tornava con lo sguardo fisso sul suo piatto.


Si sentiva vuota.


Possibile…


Possibile…


Possibile… che… non possa più fare niente?



Aveva da poco consegnato a scuola l’iscrizione per la gita e già progettava con Sango e Kikyo quello che avrebbero fatto e non fatto in quei giorni.


Contava felice sulla punta delle dita le settimane e i giorni che ancora la separavano dalla partenza.


Si sentiva normale mentre faceva progetti, immaginava, discuteva e parlava con le sue amiche circa la gita.


Si sentiva normale, come tutti…


Ma io non sono normale…


Cercava di dimenticarlo.


Ma ogni volta c’era qualcuno che le schiaffava la realtà in faccia, violentemente e senza esitare.


Odiava la sua vita.


Voleva semplicemente essere come gli altri.


Si sforzava di apparire normale, serena.


Ma c’era sempre qualcuno pronto a vanificare i suoi sforzi.


A cosa serve… a cosa serve sforzare di contenere tutta la propria rabbia e il proprio dolore fino a farsi mancare il respiro se poi non ottengo niente?


Però se provo ad esternare ciò che provo, qualcuno si incazza e mi dice “no, non devi pensare così! Non devi dire così!”


Io…


Io…


Io…


Cosa devo fare…?


Come devo comportarmi?


Come cazzo devo comportarmi?!?!



Si alzò di scatto da tavola, cacciando fuori un urlo liberatorio.


Un urlo carico di disperazione.


Un messaggio di aiuto.


“Kagome!!” sua madre e suo nonno si spaventarono


“Kagome, cosa c’è?” suo nonno


“Kagome! Kagome!” sua madre


Lasciatemi…


“Kagome, per favore…”


Lasciatemi… stare…


“Kagome, non fare così!”


Lasciatemi stare!!!


Urlò di nuovo.


“Andate a fanculo!!”


E uscì di casa senza prendere nemmeno il cellulare e il cappotto, sbattendo forte la porta e percorrendo ad una velocità impressionante i gradini in discesa.


Una fitta alla schiena.


“Non devi fare sforzi”


Un’altra ancora


“non puoi andare in gita”


Si fermò, una volta terminati i gradini, per prendere fiato e per calmarsi.


Tutto il suo corpo tremava impazzito, i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime, la vista era annebbiata, le orecchie, come tappate, fischiavano.


“Kagome!”


La ragazza non sentì nemmeno le voci che la chiamavano e tenne lo sguardo fisso a terra.


Si sentì prendere per le braccia.


Alzò il viso per vedere chi diavolo le stava rompendo le scatole e, a malapena, riconobbe Kikyo.


La sua amica si stava recando al tempio per lavorare.


La sua amica normale…


La sua amica che poteva fare tutto…


Anche andare in gita e sforzarsi quanto vuole.


La ragazza, in uno scatto d’ira, la spintonò via, urlando ancora con tutto il fiato che aveva in gola.


“K-Kagome!” Kikyo non l’aveva mai vista così e non sapeva proprio come affrontarla.


“Vattene al diavolo!!” urlò.


“Andatevene tutti al diavolo!”


E corse via





Perse la cognizione del tempo.


Incurante del freddo pungente che le pizzicava la pelle sotto il tessuto della sua maglia, aveva girato a zonzo per il centro per tutto il pomeriggio, senza nemmeno pensare a dove metteva i piedi e a dove fosse diretta.


Aveva assolutamente bisogno di calmarsi.


Camminare un po’ con la testa altrove l’aiutava. Era sempre stato un ottimo modo per calmarsi.


Quando la vista iniziò ad essere più nitida e le lacrime scomparse, decise di riconnettersi con il mondo reale.


Si fermò su un cavalcavia per prendere una boccata d’aria e osservare un po’ le macchine che sfrecciavano veloci sotto i suoi piedi, provando ad immaginare dove fossero dirette.


Tutti…


Tutti hanno la loro vita…


Tutti hanno degli alti e dei bassi…


Ma nonostante tutto… la loro è una vita normale…


La vita che voglio io…


Normale…



Era immersa nei suoi pensieri mentre lasciava che il vento le accarezzasse, con le sue fredde dita, il viso e i capelli, spettinandoli.


Osservò un attimo il suo orologio da polso, per prendere coscienza almeno di che ore fossero.


Le sei…


Tornò a guardare le macchine.


Era stata in giro davvero tanto.


Quattro ore come minimo le aveva passate.


Chissà la mamma e il nonno come saranno preoccupati…


E Sota si sarà spaventato non trovandomi a casa?


E Kikyo?


E Sango?


Si saranno preoccupate vedendo che non rispondevo al cellulare?


E Kikyo soprattutto… l’ho trattata male.











Forse mi conviene tornare…


Tornare… a casa…



“Ehi…”


Un flebile sussurro.


“Ehi…”


Ancora.


Si girò di scatto ma non vide nessuno.


“Cosa…?”


“Ehi!”


Eh?


“Alcina!”


Sobbalzò.


Quel nome…


Quel pupazzetto…


Quel ragazzo dai capelli corvini!


Kagome, sorpresa, trovò davanti a sé il ragazzo dell’altro giorno, avvolto in un cappotto marrone chiaro.


“Ehilà!” sorrise e poi la scrutò velocemente


“Ma come! Siamo a novembre e tu giri senza cappotto? Cavoli, complimenti, ne hai di resistenza, Alcina!”


La ragazza rimase senza parole.


In tutta Tokyo… incredibile… in tutta la città… ho incontrato proprio lui!


“Ehiii! Terra chiama Alcina! Terra chiama Alcina! Rispondi!” canzonò il ragazzo, vedendo che Kagome non rispondeva.


La ragazza abbozzò un sorriso per risposta.


“Cavoli” disse con tono più calmo


“Che occhi rossi e gonfi che hai!”


Sorrise


“Cos’è successo? Giornata storta?”


Kagome non aprì bocca.


Non voleva aprirsi con nessuno e, nonostante gli facesse piacere vederlo, non voleva parlare nemmeno con lui. Era come se le parole le morissero in gola, ancor prima di uscirle dalla bocca.


“Beh… a tutti può capitare! Pensa, a me oggi, in negozio, hanno comunicato che dovranno dimezzarmi lo stipendio perché le spese da sostenere per il proprietario sono troppe ed ora sono costretto a trovarmi un altro lavoro oltre a quello, altrimenti a fine mese non potrò pagare l’affitto!”


Perché?


Perché mi parli dei tuoi problemi se nemmeno mi conosci? Io non riuscirei a fare lo stesso…



Il ragazzo intuì che Kagome non era dell’umore adatto per parlare con uno sconosciuto.


Osservò le sue guance pallide per l’aria fredda.


Si sfilò il cappotto e lo pose dolcemente sulle sue spalle.


“Eh? Cosa?” ripeté lei.


“Te lo lascio. Se non ti copri ti prenderai un malanno!”


“Ma... no… dai…”


“Insisto! Me lo ridarai la prossima volta! Così magari riuscirai a dirmi altro, oltre a Eh? Cosa? Ma! E mi dirai il tuo nome! Ciao Alcina!”


E corse via senza nemmeno dare a Kagome il tempo per reagire.


Quando non riuscì più a vederlo, si infilò per bene il cappotto e si strinse nelle sue stesse braccia per infondersi un po’ di calore.


Riusciva anche a sentire il leggero profumo del ragazzo sul colletto del cappotto.


Senza dire niente, si incamminò piano verso casa.





98


99


100



Contò i gradini, come era solita fare.


Arrivò alla soglia di casa e lì si fermo un attimo.


Devo… scusarmi…


Aprì piano la porta.


“Sono… sono a casa!” riuscì a dire.


Non fece in tempo a finire la frase, che si trovò tra le braccia di sua madre e di suo nonno che urlavano dalla gioia, contenti e sollevati che fosse tornata a casa.


Sentiva anche le voci di suo fratello, di Kikyo e di Sango che urlavano di gioia, quasi non fossero capaci a trattenersi.


Mi hanno aspettata tutti…


Terminati i convenevoli, Kagome venne accompagnata in salotto e fatta sedere.


Sua madre la sentiva fredda e si fece in quattro per scaldarla: pigiama in pile bello pesante, una cioccolata e una coperta. Suo nonno e suo fratello le chiedevano cosa avesse fatto, che nessuno era arrabbiato con lei, che, nonostante fossero tutti preoccupatissimi per lei, sapevano che fosse una ragazza con la testa a posto, che aveva solo bisogno di sfogarsi un po’ e che, alla fine sarebbe tornata a casa. Kikyo e Sango non parlavano, ma la fissavano sorridenti.


“Tutti… tutti… mi avete aspettata? Nonostante… il mio comportamento…?” sussurrò appena


I suoi occhi erano secchi, non una lacrima li bagnava.


Quelle le aveva già piante tutte mentre era in giro.


Si sentiva circondata d’affetto.


E lei si sentiva un’ipocrita, a mantenere il suo cuore sporco e lacero nascosto a tutti.


Ma non voleva perdere quell’ondata di affetto a causa delle sue ferite, del suo animo.


Cacciò di nuovo tutti i suoi pensieri dentro di sé, decidendo di comportarsi come al solito.


Perché non poteva fare altro…





Il giorno dopo, come tutte le mattine, trovò ai piedi degli scalini del tempio Kikyo e Sango per andare a scuola insieme a loro.


Durante la passeggiata da casa a scuola, nessuna delle due citò quanto accaduto il pomeriggio precedente.


“Sai, Kagome, ieri nella nostra classe è arrivato un nuovo studente!” esclamò Sango


“Davvero?! E com’è? Carino? Alza un po’ la media pietosa dei maschi della nostra scuola?”


“Altroché! E’ davvero un ragazzo fantastico! Ha i capelli neri, lunghi e i capelli color ambra! E’ davvero fantastico!”


“Scusa, Sango… ma tu un ragazzo già ce l’hai! Ti ricordi? Miroku, state insieme da un anno e mezzo!” si intromise Kikyo


“Eeeeeh! Suvvia, il fatto che io sia fidanzata non vuol dire che non posso guardare gli altri ragazzi!”


“ehm…” Kagome si schiarì la voce


“Quello che Kikyo intende dire… è che tu che già hai un pesce che ha abboccato all’amo devi lasciare gli altri pesciolini dell’acquario a noi! Giusto?”


“Giusto!”


E scoppiarono tutte e tre a ridere.





Liceo A., aula della quarta classe del primo anno.


Mancano dieci minuti al suono della campana.


Kagome, entrando, viene subito attratta da una persona.


“Ah, Kagome! Guarda, il nuovo studente è quello!” disse Sango, indicando nella direzione verso la quale Kagome stava già guardando.


Non ci credo…


Non ci credo…


Non ci credo!



Era lui! Era proprio lui!


I capelli corvini, gli occhi color dell’ambra.


Seduto al suo posto, in disparte, con lo sguardo abbassato sul banco.


Kagome l’avrebbe conosciuto tra mille.


Il ragazzo di ieri!! Il ragazzo del negozio e del cappotto!!


Nota dell'autrice: *puff* ce ne ho messo, eh? ^^" Però mentre stendevo questo capitolo mi sono venute in mente un sacco di idee per la storia ed ero troppo presa a inserirle nella storia per continuare questo capitolo! XD E non vedo l'ora di mettere tutto nero su bianco! Dunque, vi do ufficialmente il benvenuto nel mondo "Psicanalizziamo Kagome Higurashi versione Aoki"! XD In questo capitolo Kagome potrà sembrare parecchio ambigua, che si fa problemi per niente... ma, giuro, tutto quello che ho scritto ha un filo logico, che svelerò pian piano! E ora che entrerà in scena anche Inuyasha... aggiungerò misteri su misteri! ^_^ Poi, che dire... ah, i nomi delle infermiere, "Mai" e "Kae" non sono stati scelti per caso, ma rispecchiano la personalità dei modelli a cui mi sono ispirata! Ma questo discorso si spiegherà più avanti! ^^ Insomma, continuo ad aggiungere misteri! Aspettate che mi metta a psicanalizzare Inuyasha e poi saremo a posto! XD Ah, mi ero dimenticata una cosa nelle note iniziali: nel capitolo viene menzionato il "cvc": questa sigla sta per "catetere venoso centrale". Per spiegarvi cos'è vi rimando a questa pagina, dove c'è una spiegazione molto semplice! :D Bene! Mi scuso se il capitolo non vi piace! ;__; Università permettendo, spero di pubblicare il prossimo entro due settimane!


L'autrice risponde ai commenti!

ryanforever: eheheh, ora che Inuyasha è comparso, una cosa è certa... iniziano i casini! XD
roro: sei la prima persona che si commuove per qualcosa che ho scritto *-* Uuuh, grazie, grazie! E, per quanto riguarda Kikyo... sai, neanche io amo molto questo personaggio però non sopporto proprio chi le affibbia tutte le caratteristiche negative esistenti su questo mondo! ._.
KaDe: meno male, le note non hanno infastidito! ^^" Temevo il contrario, sai? Comunque, ora che c'è anche Inu, l'autrice si divertirà un mondo! XD *risata malefica* eheheh!
Kagome19: ciao!! Evviva, una nuova lettrice! Anche te ti sei commossa! *-* Ragazzi, così farete commuovere anche me! Piangiamo tutti insieme, sigh sigh! ;_; Ehm, ok, scherzi a parte... spero continuerai a seguirmi! ^_^
mel_nutella: deduci bene su Inuyasha! ^_^ Anche lui avrà i suoi grattacapi! Sono proprio contenta che sia riuscita a farti immedesimare nel personaggio di Kagome! Il mio obiettivo è proprio quello di portare voi lettori dal punto di vista dei personaggi! Grazie, grazie per i commenti!!


In generale, grazie davvero di cuore! Le vostre recensioni mi fanno letteralmente sciogliere! *_* Grazie!! E grazie anche a chi legge soltanto! Ormai ogni capitolo è stato letto più 150 volte e le letture continuano ad aumentare! Grazie di cuore! Tengo davvero tanto a questa storia e sono proprio contenta che vi stia piacendo! Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!!

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Capitolo 6
*** Intermezzo ~ Burning eyes ***


Intermezzo ~ Burning eyes


Avevo cinque anni quando quel maledetto figlio di puttana ti spedì all’altro mondo.


Ricordo ancora i tuoi occhi pieni di paura.


Pure i suoi, ricordo.


Erano di ghiaccio.


Non è cambiato per niente, in tredici anni, lo sai?


Così come l’odio che io nutro per lui non è mutato.


Però, porca puttana…


Ho un debito nei suoi confronti.


E devo pagarlo, in qualche modo.


Mah…


Neanche in un modo qualunque.


Lui ha sempre dettato legge.


E continua a farlo, nonostante non gliene fotta un assoluto cazzo di me.


Hai un debito e decido io come devi saldarlo.





Pezzo di merda.



Ormai è l’unico pensiero con più di una parola che riesco a formulare nei suoi confronti.


Pezzo di merda te e pure quell’altro.


Ecco, sì, anche questo.


Però questo non è rivolto solo a lui. Ma anche a quell’altro.


Quell’altro, che è davvero il figlio di una puttana.


Nei suoi occhi ho sempre visto disgusto.


Disprezzo.


Odio.


Ecco, cazzo: in questo ci assomigliamo.


E la cosa mi irrita.


Cerco di non pensarci quando mi infilo a letto con l’ennesima puttana di turno.


Cerco di non pensarci quando mi ritrovo pure gli uomini nel letto.


Trattengo i conati di vomito tutte le sere, cazzo.


Perché…


Ancora due anni e poi sarò finalmente libero.


E sai quale sarà la prima cosa che farò?


Ammazzare quei due coglioni.


Voglio togliere personalmente, ad entrambi, quello sguardo da stronzi che hanno.





No, loro non sono come me…


Io non sono come loro…


Loro vogliono trascinarmi nel fango…


Non voglio finirci, nella loro merda…


Non voglio…






Voglio vedere sul volto di quel bastardo dipingersi, almeno una volta nella sua fottutissima vita, un’espressione di terrore. Cazzo, non so quanto pagherei.





Bruciano…


Bruciano da morire…


Da quando l’ho vista…


I miei occhi non resistono…






Mi attrae con una forza disarmante.


Ma allo stesso tempo mi disgusta…


I suoi occhi…


I suoi occhi sono…



Nota dell'autrice: se vi aspettavate il capitolo nuovo.... fregati ahahahah XD No, dai scherzo!! Ehm, su dai, posate quei sassi!! °°; Ok, adesso smetto di fare la scema... dunque! Questo è il primo di una serie di intermezzi. Qui è abbastanza evidente che il protagonista è Inuyasha. Lui sarà il protagonista della maggior parte degli intermezzi, anche se non l'unico... vedrete, vedrete... Se non ci avete capito niente, della psiche di Inuyasha, del suo passato, ecc... beh, sono riuscita nel mio intento ^^ Adoro inserire misteri su misteri e risolverne poco per volta, aggiungendone altri poi. Onestamente, non so quanto durerà Aoki - non poco, questo è certo - perchè continuano a venirmi idee in testa e non so quali e come realizzare. So solo cosa accadrà a Kagome (e lì darò il meglio della mia cattiveria!), spero solo di riuscire a continuare a scrivere! Se ci riesco è solo grazie alla gente che legge (anche il quinto capitolo è stato stra-letto!) e che recensisce! A tal proposito... su, dai, commentate! La gente che ha aggiunto la storia tra i preferiti (e siete tanti!), chi legge... suuu! *fa gli occhi dolci*. Vabbè, questa volta non riesco a stare seria... questo intermezzo mi ha esaltata troppo XD E' venuto come volevo e spero vi piaccia! Al prossimo capitolo! ^_^


L'autrice risponde ai commenti:
Kagome19: grazie mille! :) Sono davvero contenta che ti piaccia! E (e non lo dico per peccare di presunzione!)... sì, ci vuole parecchio fegato per scrivere tutto questo. Non sai quante volte sono stata tentata di non concludere Aoki e cestinarla... Ma, alla fine, ci tengo troppo!
ryanforever: eh eh... ora Inuyasha è nella sua classe, sì! E io mi sfrego le mani, perchè il bello deve ancora iniziare! Spero ti piaccia anche l'idea dell'intermezzo!
Mel_Nutella: grazie, grazie, grazie! ^///^ Eh eh, effettivamente sono stata cattivella con Kikyo ma non ho scelto lei al posto di Sango a caso, vedrai! ^^ Sono proprio contenta che ti piaccia! *__* Mi sciolgo!! Grazie!!

Al solito, ringrazio chi legge, chi aggiunge Aoki tra i suoi favoriti e chi recensisce! Continuate a supportarmi per favore, voi lettori siete il mio unico e costante supporto! Grazie mille! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises ***


6. Kotoba ni wa shinai yakusoku ga aru sa ~ Without words, there are promises.


Sei tu…


Sei proprio tu!



Non capiva bene il perché, ma il suo cuore iniziò a martellarle in petto. Eppure non era affatto il tipo di persona che si lasciava attrarre così facilmente da qualcuno.


Voleva avvicinarsi e parlare con lui ma la campana che decretava l’inizio delle lezioni la bloccò.


Accidenti!


Pensò delusa.


Devo decidermi ad arrivare prima a scuola! E convincere anche quelle due ad uscire di casa un po’ prima, uffi!!





Prima ora.


Lezione di letteratura inglese.


Entra il professore.


In piedi!


Inchino!


Seduti!



La solita solfa.


Kagome rovistò pigramente nella cartella per tirare fuori il libro di letteratura e il libretto delle giustificazioni, ma fu fermata dalla voce del professore.


“Higurashi.”


Tuonò. La ragazza sobbalzò sulla sedia per lo spavento.


“Durante la pausa pranzo vai in presidenza.”


Eh? La presidenza?


Gettò un’occhiata sul libretto bianco bordato di blu che la ragazza aveva appena tirato fuori dalla borsa


“e lascia stare la giustificazione, è sempre quella, no?


“Sì, professore” sibilò appena, la rabbia che iniziava a montarle in corpo.


Stronzo.


Odiava quando un professore o qualunque altra persona al di fuori della sua famiglia e dell’ospedale parlava come se nulla fosse della sua situazione.


Un conto era se a parlarne erano le sue migliori amiche.


Un altro era se chi parlava era un adulto sui trent’anni, acido e scapolo che non sapeva dove fosse di casa la pedagogia e che se ne fregava dei suoi alunni, ritenendo tutti i sedicenni degli ammassi di idioti senza un briciolo di cervello.


Fa il professore perché non sapeva cos’altro fare! Che fallito!


Erano voci che giravano nell’istituto.


Non aveva mai dato credito a quelle voci.


Non le erano mai interessati i pettegolezzi e se ne guardava bene dall’ascoltarli.


Da quando poi lei era diventato l’oggetto principale delle voci maligne della scuola i pettegolezzi erano qualcosa a cui era tremendamente allergica.


Cercava di evitarli come la peste.


Ma ovunque lei andasse si sentiva sempre osservata in malo modo.


Sentiva le ragazze bisbigliare tra loro e ridacchiare.


Una volta si chiuse in bagno un’ora intera, saltando una lezione di fisica, in preda ad una crisi di nervi.


Ma nemmeno lì poteva stare in pace.


Aveva origliato la conversazione tra tre ragazze del secondo anno.


Ehi, avete saputo di Higurashi?


Quella del primo anno che due mesi fa è svenuta in palestra?


Sì, proprio lei! A quanto pare, quando è tornata a scuola, è andata dritta in presidenza e ha preteso dal preside un trattamento di favore per gli esami di fine trimestre!


Dici sul serio?!


Sì! Ci sono delle ragazze del terzo anno pronte a testimoniare! L’hanno sentita dal corridoio mentre gridava come un’ossessa!


Ma dai!



E giù risate malefiche.


Kagome aveva ascoltato tutta la conversazione rannicchiata sul pavimento di uno dei bagni, nel quale si era prontamente chiusa a chiave.


Aspettò che se ne fossero andate per uscire dal suo nascondiglio e sciacquarsi la faccia.


Era nervosa.


Perché?


Chi ha messo in giro queste stronzate?



Le sue mani iniziarono a tremare.


Troie…


Troie…


Troie!



Batté una mano chiusa a pugno contro uno specchio con violenza, incrinando la sottile lastra di vetro.


Si controllò la mano.


Il suo palmo era attraversato da un lungo graffio dal quale usciva un po’ di sangue.


La sua mano pulsava.


Anzi, no.


Formicolava.


Ma non sentiva minimamente dolore.


Al contrario.


Quel formicolio la inebriava, offuscandole la mente.


Per un istante, quella sensazione aveva sovrastato il nervosismo e il dolore che sgorgava dal suo cuore lacerato.


Si leccò la mano, anche se non bastò. Ovviamente.


Prima di andare in infermeria, rimase ferma, immobile ancora per qualche secondo, con lo sguardo fisso sul sangue che le sporcava di rosso la mano.


Fisicamente era lì.


Mentalmente era come se fosse altrove.


La morte è serena. La vita è più difficile...





Uff…


Tirò su bene le maniche della divisa.


Per nasconderli.


Si piegò per rimettere a posto il libretto e, nel farlo, il suo sguardo si posò sul nuovo studente.


Era nella fila accanto alla sua.


Aveva lo sguardo abbassato sul libro di letteratura.


Stava scarabocchiando sulle pagine.


Era così concentrato che Kagome non capiva se stesse prendendo appunti o disegnando per i fatti suoi.


L’unica cosa che capiva...


Mi sembra diverso…


Diverso dalle scorse volte.


Il suo volto…


I suoi occhi…


Mi sembrano più spenti...






Scrollò le spalle.


Mah, magari è solo una mia impressione!


Sguardo spento o no, rimane pur sempre un bel ragazzo!



E arrossì a quel pensiero prima di voltarsi verso il proprio libro di letteratura.


Dorian Gray che impazziva richiamò la sua attenzione.


Sarà una lunga mattinata…


...


Durante le ore di letteratura inglese e di sociologia Kagome non fece altro che gettare sguardi in continuazione sul nuovo arrivato. Era come ipnotizzata. Più i minuti passati ad osservarlo aumentavano, più lei veniva rapita da quel viso, dagli occhi ambrati e dai capelli corvini che splendevano grazie alla luce solare che illuminava e riscaldava l’aula.


Lui, però, non si muoveva mai. Fatta eccezione per il cambio dell’ora, sfruttata soltanto per far cambio di libri, il ragazzo rimaneva come congelato.


O come se il tempo fosse congelato.


Come se lui fosse in una stanza vuota, dove nemmeno l’eco lontano delle spiegazioni del professore arrivava.


C’era soltanto lui.


Chissà dove volano i suoi pensieri


Si trovò a pensare più volte.


La curiosità la stava lentamente attanagliando.


Se ne fregava di Dorian Gray e del modello della famiglia secondo Parsons.


...


La campana fermò il professore di sociologia e Kagome tirò un sospiro di sollievo.


Iniziava uno dei suoi momenti preferiti: la ricreazione.


Non aveva la benché minima intenzione di sprecarla.


Voleva andare da quel ragazzo.


Salutarlo.


Scrutare i suoi occhi.


Conoscerlo.


Capirlo.



Lui era riuscito per ben due volte a leggerle dentro con la stessa facilità impiegata per alzare un dito verso il cielo.


Ora tocca a me.


Sbatté sulla superficie del banco la pila di quaderni e libri e la ripose ordinatamente nella cartella.


Si voltò verso il banco del ragazzo e, con disappunto, notò che non c’era.


Scattò in piedi e girò su se stessa diverse volte, scrutando con attenzione la classe: niente, non era lì.


Si sorprese della rapidità fulminea con la quale era scomparso.


Oh no... ma dov’è andato?


Sbuffò e fece per uscire dall’aula per cercarlo quando fu intercettata da Sango e Kikyo che le proposero il solito giro di cappuccino alla macchinetta. La ragazza adorava quel momento della giornata: adorava stare con le sue amiche mentre si beveva in santa pace un cappuccino bollente che la svegliasse un po’. Le piaceva fare la fila ed aspettare impaziente il suo turno. Adorava persino la macchina che non dava la quantità giusta di zucchero selezionata: o era troppo o era troppo poco. E quel poco o troppo di zucchero che c’era si fermava sempre alla schiuma, rendendo il liquido marroncino terribilmente amaro. Adorava tutto quello.


Le piaceva mostrarsi a scuola assieme alle sue amiche, come una persona normale, mentre faceva la fila, come una persona normale, per prendersi una dose di caffeina bollente che la tenesse sveglia, come una persona normale...


Come una persona normale...



Cercava sempre un po’ di normalità.


E, a scuola, quel momento era sempre fatto di una faticosa ricerca di normalità: si sentiva normale quando si comportava come tutti gli studenti.


Ma il tasto dolente si faceva sempre sentire.


Eccola, è lei...


Higurashi.


Ma sì, quella che era svenuta in palestra e che ha minacciato il preside per essere promossa.


Sì lei...


Proprio lei...


Quella che... quella che...



Sapeva benissimo che quello era il prezzo da pagare per stare lì e non a casa con sua madre che l’assillava con le sue domande ansiogene, quasi a voler trovare a tutti i costi un nuovo problema da segnalare ai medici.


Quando sentiva le persone dietro di lei bisbigliare rumorosamente per poi ridacchiare, sentiva il suo petto diventare sempre più pesante ogni singolo istante che passava, un groppo in gola che cercava in tutti i modi di salire ed esplodere violento. Ogni volta, era una lotta contro sé stessa per non cedere, per non mostrare il suo cuore ferito.


Non voleva mostrare a nessuno le sue ferite.


Non voleva mostrare quante fossero...


Né quanto fossero profonde...


Non voleva che qualcuno le sentisse pulsare come impazzite...


Non voleva che si notassero le macchie scure che sporcavano la sua anima.


Non voleva mostrare la vera sé stessa...


Non riteneva nessuno degno di una tale visione.


Inoltre mostrare quel suo lato, così diverso rispetto ad una persona qualunque, sarebbe servito solamente a marcare ulteriormente la linea di confine che separava lei da una uno qualunque.


Lei non voleva quello.


Lei voleva soltanto essere accettata.


Ma per esserlo, doveva pagare un prezzo molto alto.


...


Quella volta, accettò di malavoglia, stando però ben attenta a non mostrare alle sue migliori amiche quello che pensava in realtà.


Avrebbe voluto setacciare la scuola alla ricerca del ragazzo nuovo. Voleva di nuovo perdersi nei suoi occhi.


“Allora, Kagome, l’hai visto il nuovo alunno?” buttò lì Kikyo.


“Eh...? Sì...” biascicò distrattamente “l’ho notato”


“Solo notato?” incalzò Sango


“Hai passato tre ore, e dico tre, a continuare a fissarlo!” e ridacchiò nel vedere Kagome avvampare, scoperta nel raggio di due secondi.


“M-ma no... non è vero, dai...”


Si vergognava un po’. E non capiva il perché.


“Come no? Ti abbiamo vista benissimo da dietro! Ogni tre per due ti voltavi verso di lui!”


“Beh...” si intromise Kikyo


“come non capirla? Quel ragazzo è davvero bellissimo!” esclamò, sfoggiando un sorriso smagliante.


Oh no... tra tutte non lei, vi prego...


“Non dirmi che gli hai messo gli occhi addosso anche te!” stavolta Sango canzonò l’altra


Non avrei speranze...


Kikyo arrossì appena, ma il rossore era molto evidente, contrastava con la carnagione chiarissima, quasi pallida, della ragazza.


Kagome trasalì.


Speranze?


Perché... speranze?


Mica mi piace!


No... non mi piace... anche adesso... cosa volevo fare, andando a cercarlo? Sarei risultata patetica... “Ah, ciao, ti ricordi di me? Mi ha raccontato la favoletta della bambola e mi hai prestato la tua giacca l’altro giorno! Ti va di conoscerci meglio, mi hai colpita in poco tempo!” ... chi mi avrebbe creduto? Uno sconosciuto, per di più...


E poi... io...



Si rattristò.


Era così immersa nei suoi pensieri, nel ficcarsi in testa che la sua amica non era affatto una rivale per lei e, ammesso il caso in cui lo fosse stata, che non sarebbe stato un confronto ad armi pari da non accorgersi che erano arrivate alla fila della macchinetta.


“Kagome! Kagome!”


Trasalì di nuovo


“C-che c’è?”


“Cappuccino?”


Involontariamente, strinse con la mano destra il polso sinistro con forza.


Ora sì... che non posso essere me stessa...


“... sì”


...


“Tua madre mi ha informato ieri pomeriggio del tuo attuale stato di salute e della tua impossibilità a sostenere uno sforzo tanto grande quanto quello di una gita”


Il preside scrutò la ragazza, in piedi di fronte alla sua scrivania piena di scartoffie da compilare e di documenti da leggere e controfirmare. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso, continuando a fissarla con occhi attenti, senza far trapelare il suo dispiacere. Era pur sempre un essere umano anche lui, non poteva certo rimanere impassibile di fronte ad una alunna della sua scuola ammalata, con seri problemi fisici e che faceva di tutto per stare alla pari con i suoi compagni di classe.


Sospirò e, vedendo che la ragazza non rispondeva, decise di proseguire, anche per spezzare il silenzio velato dal nervosismo che era calato da troppi secondi tra loro due.


“non puoi venire ad Osaka...” disse d’un fiato.


A quell’affermazione, Kagome si irrigidì, ancora scossa per la cosa.


L’uomo non sapeva che pesci pigliare, poteva leggere chiaramente nei suoi occhi abbassati verso il pavimento dispiacere e disappunto per la situazione.


Sospirò ancora.


“Tuttavia, non sarai l’unica che rimarrà a casa da Osaka”


Eh?


Alzò la testa, sorpresa, lanciando uno sguardo interrogativo al preside.


“ci sono un paio di studenti di altri sezioni che non possono parteciparvi, chi per ragioni economiche e chi per altre ragioni. Per la settimana della gita pensavamo di organizzare delle ore di studio qui a scuola. Ovviamente, non sono obbligatorie però possono essere utili per voi studenti. Sarete supervisionati dai docenti che non andranno in viaggio d’istruzione e, stando a scuola, potreste occupare bene il vostro tempo, studiando senza distrarvi”


Che palle...


Su due piedi, quella proposta la innervosì.


Le tornò in mente la Yamashita, le sue parole del giorno prima e di quel suo sguardo dispiaciuto così finto... cosa gliene importava, a quella? Non era lei che aspettava con ansia quella gita. Non era lei che aveva l’occasione di svagarsi un po’ lontana da casa. Non era lei che si trovava miserabilmente con un piano rovinato...


Sono io quella che è rimasta fottuta, non tu, stronza di una Yamashita


Strinse forte i pugni per cercare di calmarsi.


Poi un lampo di genio. Forse aveva trovato un lato positivo insito nella proposta del preside


“le ore di studio...” sussurrò.


Erano le prime parole che uscivano dalla sua bocca da quando era lì dentro


“sarebbero... cioè... durerebbero come una normale lezione? Dalle otto alle tre?”


Dimmi di sì, dimmi di sì, ti prego, ti prego!


“Sì. Avrebbero la stessa durata delle lezioni normali” rispose il preside


Perfetto.


Aveva la scusa per starsene lontana da casa per un po’ lo stesso. Aveva deciso di andare in gita soprattutto per stare lontana da casa un po’ e cambiare aria. Ora che non era più possibile, l’unica cosa che le restava da fare era riuscire a stare a distanza da sua madre il più a lungo possibile.


Era un ragionamento che ancora faticava ad accettare, divorata com’era dal nervosismo e dalla tristezza, però su due piedi le sembrava una proposta accettabile.


...


Kikyo e Sango non avevano resistito.


Nonostante Kagome le abbia rassicurate e aveva chiesto loro di aspettarla in classe e non davanti alla porta della presidenza, come invece loro volevano, loro erano preoccupate. Sapevano benissimo quel che era successo a Kagome il giorno prima, in ospedale. Come sapevano della sfuriata che aveva fatto il pomeriggio – Kikyo in primis, aveva assaggiato la furia dell’amica.


“Non vi preoccupate, davvero. Di sicuro, il preside vorrà solo sapere come sto e dirmi che ha già saputo tutto da mia madre circa la gita!” aveva detto loro Kagome.


A preoccuparle non fu il tono di Kagome e nemmeno quello che avrebbe detto e sentito con il preside.


Era stato il suo sguardo a tradirla.


Quel suo sguardo lievemente perso nel vuoto.


Erano preoccupate per la reazione che avrebbe potuto avere. Non volevano che soffrisse da sole ed erano pronte a fornirle delle spalle su cui piangere e delle amiche che l’avrebbero ascoltata e consolata.


Consce del fatto che Kagome non si sarebbe mai aperta del tutto nemmeno con loro, non potevano fare altro che aspettare. Aspettare che finalmente l’amica si decidesse ad aprirsi del tutto con loro.


Ogni tanto guardavano verso la porta chiusa della presidenza, per poi scambiarsi uno sguardo pieno di preoccupazione. Infine, tornavano a guardare davanti a loro. Senza mai cambiare posizione, con le spalle incollate al muro. Il tutto per dei minuti che sembravano interminabili.


Arrivederci, signore.


Quando sentirono quelle parole, flebili, pronunciate dall’amica tornarono in sé e si scostarono dal muro.


Kagome uscì dalla presidenza con lo sguardo basso e, se non fosse stato per le voci delle loro amiche, non si sarebbe nemmeno accorta che erano lì, ansiose di sapere com’era andata.


“Kagome...” ebbero appena il coraggio di sussurrare assieme.


Le sentì, eppure non aveva il coraggio di alzare gli occhi e guardarle. Non sapeva come avrebbe reagito. In quel momento l’unica cosa che sentiva era rabbia... nervosismo... ed era pronta a scagliarlo su chiunque, persino su di loro


“Come... come...” non riuscirono ad andare oltre, vedendola sempre con il capo chino e i pugni chiusi che tremavano come foglie.


Respirò a fondo.


Calmati, calmati... non puoi sempre sfogarti su di loro. Non puoi... non potresti con nessuno...


Deglutì e finalmente alzò il viso, cercando di abbozzare con immensa fatica un sorrisino che potesse anche solo lontanamente definirsi tale e accontentarle con quello.


Respirò ancora, stavolta più velocemente, quasi per non farsi vedere.


“Ma niente...” fece qualche passo in avanti per non incrociare i loro sguardi.


Non vederle in faccia l’avrebbe aiutata a non perdere le staffe nel giro di pochi secondi.


“Non vado in gita... starò qui a scuola a studiare... mentre voi altri...”


No, non dirlo


“mentre voi altri...”


No, non ce la faccio!


La rabbia la stava accecando rapidamente e privando della ragione con altrettanta velocità.


Inspirò di nuovo, con la voce tremante.


“Oh Kagome... noi...” disse Sango lentamente, ma fu subito interrotta


“Ma no, dai. Cosa volete che sia? Io studierò mentre voi vi divertirete ad Osaka! Del resto io odio quella città, non ci volevo nemmeno andare!”


Era talmente nervosa che quelle parole le uscirono con una velocità impressionante.


Si incamminò velocemente, lontana dalla presidenza e da loro.


“Aspetta!!” fu Kikyo a parlare stavolta


“Dove vai?!”


Si fermò


“Vado a pranzare. Ho una fame da lupi.”


Si voltò verso di loro. Non seppe come, ma trovò il coraggio


“E vorrei mangiare da sola, scusatemi”


Detto questo, riprese a camminare velocemente.


...


In realtà, non aveva appetito.


Il suo stomaco era sottosopra, non era decisamente il caso di infilarci qualcosa che avrebbe sicuramente rigettato un minuto dopo. Inoltre, non era dell’umore giusto per mangiare.


Proprio come il giorno prima, aveva la vista annebbiata e non riusciva a vedere bene dove metteva i piedi.


Con quella poca lucidità che le era rimasta, prima che l’ira l’avesse divorata del tutto, cercò di trascinarsi in un posto tranquillo ed isolato, dove pochissimi erano soliti andare.


E lei era una dei pochissimi.


La terrazza della scuola.


Vi si recò, incurante delle persone che, come ogni giorno, si voltavano per scrutarla dall’alto al basso mentre lei passava, che parlottavano e ghignavano. Non se ne curò, non aveva nemmeno voglia di rispondere per le rime – come ogni tanto faceva – ma di picchiarli fino a fargli sputare sangue sì.


Quella fioca lucidità che ancora conservava, però, le suggerì di non dargli retta, di non fermarsi e scatenare un pestaggio o lei sarebbe passata dalla parte del torto e, cosa ben peggiore, avrebbe alimentato ulteriormente le voci su di lei che, dopo mesi, ancora scorrevano insistenti tra gli alunni, ben lungi dal diminuire.


Con passo pesante, salì le scale incurante della schiena che chiedeva pietà a causa dello sforzo fisico a cui era sottoposta. Fece tre rampe di scale senza mai fermarsi, quasi non le importasse nulla né della schiena né del cuore che le martellava in petto.


Non capiva se martellava per lo sforzo o per il dolore.


Forse per tutte e due.


Non si fermò un solo istante.


Si sentiva soffocare, il petto stretto in una morsa.


Quando arrivò sul pianerottolo che dava sul davanzale aprì con mano tremante la porta, la attraversò piano e la richiuse alle sue spalle con altrettanta lentezza per poi appoggiare le spalle contro di essa.


Chiuse gli occhi e inspirò profondamente mentre il freddo vento di novembre le pungeva il viso.


Rimase immobile, in quella posizione, per un momento che le pareva eterno.


Si mosse soltanto quando un brivido di freddo la scosse.


Fece qualche passo.


E si rese conto che c’era già qualcuno lì: aveva intravisto una sagoma.


Sembrava un ragazzo, seduto per terra con un blocco da disegno posato accanto a lui.


Uffa...


Sbuffò.


Ma ritirò subito dopo il suo sbuffo perché l’altra persona l’aveva sentita. E non solo. Lo ritirò perché aveva visto che quella persona era lui.


Non ci aveva messo moltissimo a riconoscerlo: capelli neri e lunghi. Poi, come si voltò, riconobbe il suo viso e i suoi occhi d’ambra. L’aveva rincorso con lo sguardo tutta la mattina ed ora era lì, davanti a lei, come una manna caduta dal cielo in un momento inaspettato.


Arrossì non appena vide che lui le stava sorridendo. Un sorriso appena accennato eppure colmo di gentilezza e di tranquillità. Ricambiò il sorriso con un moto spontaneo, quasi senza rendersene conto.


“Ti va di sederti qui vicino a me?” sussurrò appena.


Ci mise qualche secondo prima di realizzare la proposta del ragazzo, era ancora troppo sorpresa.


“Eh? D-dici a me?”


Rise.


“A chi altri sennò? Qui ci siamo solo io e te!”


E rise di nuovo.


Che figura...


Voleva sprofondare dalla vergogna.


Il ragazzo si spostò un po’ più a sinistra, quasi a volerle fare spazio, come se non ce ne fosse abbastanza per lei in quell’ampia terrazza. Voleva accertarsi che si sedesse accanto a lui.


Avanzò timidamente e si accomodò a pochi centimetri da lui, raccogliendo le ginocchia strette tra le braccia verso il petto.


Improvvisamente non sentiva più freddo. Il vento continuava a soffiare, gelido e insistente. Eppure non lo sentiva. Non sapeva nemmeno cosa pensare: non le era mai capitato, mai, nemmeno con Hojo, che una persona potesse colpirla con una facilità impressionante. Con la stessa facilità con cui si alza un dito della mano. Non credeva di essere così debole. O così fragile.


L’occhio cadde sul blocco da disegno che aveva accanto a lui.


“Disegni?” domandò


Il ragazzo rispose con un cenno della testa. “Mi rilassa”


“Davvero? Io non sono molto brava con i lavori manuali! Invece di rilassarmi, mi stressano. Sono un po’ impedita!” e ridacchiò


Si guardarono negli occhi senza dire nient’altro per alcuni secondi. Kagome si accorse che quella visione le stava procurando un aumento eccessivo della temperatura con tanto di rossore sul viso e decise di guardare altrove. Poi azzardò una domanda:


“Posso vedere qualche disegno?”


Sorrise.


“Ma certo” disse con un sussurro.


Prese il blocco con le mani tremanti: emanava una strana aura di preziosità. Aveva paura di romperlo o di danneggiarlo. Ma la sua curiosità premeva. Sollevò la copertina color ocra e osservò un panorama notturno di una città: sembrava ritratto su un cavalcavia. Una strada, con il contrasto di giallo e rosso delle luci delle auto e bianco e blu delle scritte in neon dei negozi. La gente che cammina e osserva le vetrine. Era un semplice acquarello ma sembrava così vivo... Ne rimase affascinata.


“Che bello” le sfuggì quasi involontariamente.


Quel disegno sembrava non bastarle mai. Osservava un dettaglio, lo imprimeva nella memoria, poi passava ad altro e così via...


Quando girò il foglio era quasi dispiaciuta.


“Come sei bravo... sembra quasi di poter essere lì con quella gente, di poterla toccare” era estasiata


“Grazie...” riuscì a mugugnare il ragazzo, lievemente imbarazzato


C’erano poi vari acquarelli e disegni a carboncino: fiori, tramonti, ritratti di bambini che giocano al parco, donne che parlano, immagini fantastiche... Era semplicemente... tutto... fantastico...


Sospirò emozionata.


“Caspita! Faccio questo effetto?” e ridacchiò ancora


“Sai... si dice che i disegni rispecchino l’animo dell’artista. Io ci credo... è per questo che sono così affascinata...” confessò tenendo gli occhi fissi sul blocco.


Lo sfogliò tutta concentrata fino a quando arrivò ad un disegno che catturò la sua attenzione: rappresentava una ragazza di spalle, con il viso rivolto verso lo spettatore e le mani dietro la schiena. Indossava un lungo vestito semplicissimo bianco a maniche corte e rovinato. I polsi erano stretti da catene, il suo sguardo... era indecifrabile. A metà tra il dolore e la rabbia. Quella figura esile dai capelli neri scompigliati e lunghi si innalzava sulla superficie dell’acqua, con un piede che la sfiorava appena creando delle increspature perfettamente concentriche. Quello era l’unico accenno di fondale: non c’era nient’altro.


Sussultò.


Non voleva peccare di presunzione ma...


Questo volto... questa ragazza...


Fissò il ragazzo accanto a lei, incapace di formulare alcuna domanda: qualunque parola provasse a formulare le moriva in gola.


“te ne sei accorta, eh?” e sorrise, pacifico.


Leggeva stupore nei suoi occhi.


“Vai avanti, guarda i disegni successivi”


Obbedì senza fiatare.


Le pagine dopo erano ancora dedicate a quella ragazza: un suo primo piano in cui teneva gli occhi chiusi, un’immagine a mezzo busto in cui teneva le mani, sanguinanti, sul petto, un altro ancora di profilo con lo sguardo ottenebrato...


Un brivido dopo l’altro la scotevano.


“Ma... ma...”


“Ti somiglia, eh? Ad essere sincero, mi sono proprio ispirato a te per questi disegni” confessò sereno.


La conferma definitiva ai suoi dubbi.


Tornò a scrutarlo, lo sguardo carico di dubbi.


“quando ti ho vista su quel cavalcavia... due giorni fa, con lo sguardo perso altrove. Non so... hai trasmesso un senso di dolore. Sembrava quasi che tu cercassi di soffocarlo con tutte le tue forze, ma non ne avevi abbastanza per riuscirci del tutto. C’era...” sospirò, senza mai distogliere lo sguardo dal suo


“c’era una strana luce nei tuoi occhi. Come se fosse l’unico segno di vitalità che il tuo corpo emanava. Quella luce diceva: combatto ma sono viva. Combatto ma non credo di vincere.


Si fermò ancora a fissarla.


Suonò la campana, segnando la fine della pausa pranzo.


Lui si alzò in piedi e poi aiutò Kagome, porgendole una mano.


Che mano calda...


Quando anche lei fu in piedi, con il blocco da disegno stretto contro il petto, si fissarono ancora.


Comunicavano con gli occhi.


Lei comunicava stupore, lui... dolcezza.


“Ah... a proposito! Io sono Inuyasha Taisho! Piacere di conoscerti...” aspettava che anche lei si presentasse


“K-Kagome Higurashi” balbettò.


Sorrise.


“Bene, almeno non dovrò più chiamarti Alcyna! Dai, andiamo a lezione!”


“Senti!” lo bloccò ancor prima che si potesse muovere


“Posso... posso tenere questo blocco e osservarlo meglio durante la prossima ora?”


“Ma dai... non ci si distrae a lezione!” e rise


“Ma la prossima ora è quella di ginnastica... e io ho la giustificazione, non posso... non posso farla” rimase molto vaga, non voleva dirgli la verità. Lui era ancora immune ai pettegolezzi e voleva conservarlo come tale ancora per un po’.


Si aspettava un no secco. Del resto, si conoscevano appena e lui sembrava tenere molto ai suoi disegni: perché mai avrebbe dovuto prestarlo a lei?


“Va bene, allora”


Come? Davvero? Evviva!


La prima notizia positiva della giornata.


Anzi, no. La seconda.


La prima era aver scoperto che Inuyasha era il suo nuovo compagno di classe.


Sorrise appena e poi si diresse con lui verso l’aula prima che arrivasse il professore di ginnastica.


Nota dell'autrice: scusate il ritardo ù_ù Ma proprio oggi avevo un preappello di sociologia della famiglia e solo oggi iniziano per me le vacanze. Tra l'altro, escluso il 31 dicembre, l'1 e il 6 gennaio, per me finiranno il 27 perchè devo dare diritto pubblico a febbraio e devo rimboccarmi le maniche... Ho scritto un pò a rilento e oggi volevo assolutamente terminare! Ed ecco qui! *_* Allora... alcuni altarini iniziano ad essere scoperti su Kagome. Se non avete capito, rileggete bene la scena del bagno: ad ogni modo, avrete presto conferme!^_^ Anche Inucchi non sarà da meno! Eh eh eh... ho in serbo un sacco di cose! +_+ *si sfrega le mani*. Bene, questo capitolo è il mio regalo di Natale per tutti voi che leggete, recensite e aggiungete Aoki ai miei preferiti! *_* Non so come ringraziarvi! Grazie di cuore!


L'autrice risponde ai commenti:

ryanforever: ma ciao *_* Sono proprio contenta che tu continui a seguirmi! Piaciuto l'intermezzo? Preparati perchè presto ne arriverà un altro! ^^ Buon Natale!
Kagome19: no, ti ho deluso? :( Mi dispiace! Meno male che l'intermezzo ti è piaciuto! E spero ti piaccia questo capitolo! E' lungo abbastanza? ^^ Auguri anche a te!
HimeChan XD: wow, una nuova lettrice! *_* Grazie mille! A volte fa piacere anche quelli che tu chiami "commenti banali" sai? :) *il mio ego si gonfia* buon natale! ^^
Evil Cassy: bene bene *__* Sono proprio contenta, la tua recensione mi ha fatta gasare! *^* Ti ringrazio per i complimenti! Per quanto riguarda Inuyasha, ce ne vuole ancora prima che sveli tutto quanto ho in serbo per lui ma piano piano lascerò degli indizi! ^_* Eh eh, se mia madre fosse davvero così l'avrei già strozzata! XD Buon Natale!!
Beverly Rose: un'altra fan, che bello!! *__* Caspita, la mia storia era da leggere per prima? Onorata! *_* Eh eh, ma sì capita a tutti di ripetere! Io non faccio che ripetere "*_*" come vedi! ^^ Spero di non deluderti con il seguito!


Allora... il prossimo capitolo sarà un altro intermezzo! Mi serve decisamente perchè capiate qualcosa (sarà più rilevatore che confusionario stavolta XD) più avanti! Spero di pubblicarlo entro il 31, lo sto già scrivendo! Chiunque indovina quale sarà il protagonista dell'intermezzo potrà avere tutte le anticipazioni che vuole su Aoki o chiedermi tutto quel che vuole a riguardo! XD Grazie davvero a chi legge, recensisce e mette tra i favoriti! Fatemi un regalino di Natale e commentate, ok? ^_* Ancora Buon Natale a tutti!

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Capitolo 8
*** Intermezzo ~ Cold heart ***


Intermezzo ~ Cold heart


Non so come abbia fatto.


Ad affezionarmi così tanto a lei, intendo.


Non mi è mai stato facile affezionarmi a qualcuno, in generale.


Pensavo di poter attirare un po’ l’attenzione che mi era sempre stata negata mostrandomi impeccabile in tutto.


Brava a scuola.


Gentile con tutti.


Condotta perfetta.


Ma odiavo tutte le persone che mi apprezzavano per quelle mie false qualità.


Non sopportavo l’ipocrisia altrui.


Ma me l’ero cercata.


Era lo scotto da pagare per essere considerata.


Lei mi ha fatto capire che non era necessario.


E, lo ammetto, all’inizio la odiavo per quella sua rivelazione spontanea.


Perché ti sforzi di apparire ciò che non sei?


Non volevo apparire ciò che non ero.


Volevo apparire ciò che desideravo essere.


Volevo che gli altri mi amassero, a qualunque costo.


Tutto qui.


Ma per lei era impossibile da cogliere.


Per me no, ovvio.


Non le andavo bene.


La mia maschera non le andava bene.


All’inizio pensavo lo facesse per gelosia.


Per strapparmi via la maschera, farsi bella davanti a tutti e schernirmi.


L’ho odiata a lungo.


Popolava i miei incubi.


Non volevo che mi strappasse via tutto quello che avevo faticosamente guadagnato.


Quando poi si unì anche Sango credevo di essere fritta.


Due contro uno.


Non mi sembrava un bel gioco.


Passavo le ore a mangiarmi le unghie dal nervosismo.


A strapparmi i capelli.


Avevo passato quattordici anni d’inferno.


Con i miei genitori annegati nel ricordo della mia sorellina.


Effetti della trascuratezza.


Poi però...


Non so cosa è stato esattamente a sbloccarmi e a ricredermi.


Le tue lacrime?


Le molte volte in cui ti interessavi a come stessi veramente?


So solo che con una forza disarmante...


... con un semplice sorriso... tanto semplice da sembrare quasi disumano...


... mi hai fatta crollare.


Ora tu sei come una seconda sorellina.


Ma non dimentico che tra noi sei tu la più forte.


In questi mesi ti ho vista soffrire.


Ho aspettato che tu venissi a parlare con me.


Sto ancora aspettando.


Non ho la tua stessa forza e la tua stessa determinazione.


Però ti sono vicina.


E nemmeno la sua comparsa riuscirà a distogliere la mia attenzione da te.


Sei la mia dolce sorellina.


E non ti cambierei per nulla al mondo.


Credo che tu lo sappia, no?


Ciò che non sai... ciò che non capisci... ciò che non senti...


È il freddo che sento.


Tanto freddo...


Per colpa sua.


E per una volta, vorrei anche provare a riscaldarmi.


Me lo concedi, sorellina?


Nota dell'autrice: urca °_° Ehm... sì, non è che sia molto rivelatore questo intermezzo! Scusate, è venuto così XD Però, rispetto ai misteri che circondano Inuyasha, questi verranno svelati molto, molto prima! ^_^ Allora, la protagonista dell'intermezzo è... Kikyo ^^ Quindi, complimenti a Beverly Rose che ha azzeccato ^^ Ma anche a Roro, ci sei andata vicina xD Siccome soltanto voi due avete provato a tirare a indovinare... Beverly Rose che ha azzeccato può chiedermi tutti gli spoiler che vuole, come promesso! *_* Roro, invece, ha un premio di consolazione: puoi chiedermi uno spoileruccio piccolo piccolo su un personaggio che non sia Inuyasha XD Sorry, ma gli spoiler più succosi sono su di lui *ç* Detto questo, per contattarmi non usate il form di efp, mi trovo più comoda via mail... Quindi scrivetemi pure a QUESTO indirizzo e-mail! ^^ Venendo a noi... nel prossimo capitolo svelerò il mistero della scena del bagno che si collega ad una delle ancore di salvezza di Kagome più qualche altra cosetta... Preparatevi! ^^ Di sicuro non riesco ad aggiornare prima del 31, quindi vi auguro buon Santo Stefano e buon anno nuovo! Noi ci risentiamo a gennaio! ^_^


L'autrice risponde ai commenti:
Kagome19: eh eh, non preoccuparti! Nel prossimo capitolo verrà svelato tutto! ^_* Urca, in bocca al lupo per l'università... e buon anno nuovo! ^^
ryanforever: sono contenta che ti sia piaciuta la scena dei disegni *-* Per gli spoiler... bisognava sparare prima che pubblicassi questo intermezzo :( Magari mi sono spiegata male io... se vuoi, scrivimi lo stesso, ti propongo lo stesso premio di consolazione per roro ^^ Buon 2009!
stella93mer: wow una nuova lettrice! ^_^ Grazie mille per i complimenti, spero continui a piacerti Aoki! Buon anno nuovo!
roro: buondì ^^ Non ti preoccupare, anche io sono stata assente due mesi prima di pubblicare un capitolo :D Nel prossimo capitolo scoprirai se hai ragione ^^ E per quanto riguarda l'ipocrisia, l'approfittare... non posso che darti ragione. Avendo provato tutto quello sulla mia pelle, posso dire che la soluzione migliore è ignorare tutto. Ma con il carattere che ho, è molto difficile... Vabbè... Mi raccomando, sfrutta il premio di consolazione ^^ E buon 2009!
KaDe: ciao cara *-* Sono proprio contenta che la storia, la mia Kagome ti piacciano! ^^ Sì, è vero, Inucchi ora è molto dolce ma presto tornerà quel groppone... ^^" Aspetta e vedrai... *sospira e si sfrega le mani* Buon anno nuovo! ^_^
robychan88: caspita! *_* La tua recensione mi ha fatto molto piacere, sono davvero felice che tu sia rimasta coinvolta da Aoki!! *__* Cercherò, tra i vari impegni, di continuare meglio che posso e prima che posso! Continua a seguirmi, se ti va ^^ Buon anno nuovo!
Beverly Rose: ecco qua la "vincitrice" ^^ Sopra, nella nota, trovi l'indirizzo per contattarmi! Chiedi ciò che vuoi ma, mi raccomando, poi acqua in bocca! ^^ Eh eh, ti ho mandato in confusione con l'intermezzo, eh? Prima o poi tutti i nodi verranno al pettine! ^_^ La mia colpa è quella di amare i misteri e svelarli con cautela uno alla volta, come una grossa matassa da sbrogliare: ci vuole pazienza ^^ E poi... beh, se non li avessi fatti incontrare in questo capitolo, probabilmente avrei sclerato anche io :D eh, eh, sono pur sempre una fan di Kagome e Inuyasha! ^^ Buon 2009!


Ancora, grazie mille a chi commenta, a chi aggiunge ai preferiti e anche a chi legge soltanto! Ormai le letture di Aoki sono tantissime, vi giuro e questa cosa mi riempie di gioia! Grazie, grazie, grazie! Non so proprio come ringraziarvi! Augurandovi ancora un buon anno nuovo, ci sentiamo sul prossimo capitolo! ^_^

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Capitolo 9
*** Aoki yasei no mama de ~ Free to do just as we please ***


7. Aoki yasei no mama de ~ Free to do just as we please


Con le mani sudate teneva il blocco, temendo che potesse scivolarle via.


Ogni tanto gettava un’occhiata verso il campo, giusto per vedere cosa si stava perdendo. Non che la partita di pallacanestro le interessasse più di tanto. L’importante era che la professoressa non le chiedesse di contare i punti, lasciandola in pace.


In genere le toccava sempre quel compito.


Quel giorno, invece, era come se si fosse dimenticata di lei.


Meglio così.


Sospirava e osservava attentamente le pagine ruvide segnate ora con tenui acquarelli, ora con forti ricalcate di carboncino.


Era come incantata da quell’insieme di tratti che andavano ad intrecciarsi e a formare figure incantevoli.


Non le era mai successo di rimanere così affascinata da qualcosa, mai nella sua vita. Non più da quel giorno di dieci anni prima.


Stava riscoprendo un nuovo sentimento palpitante ancora senza nome.


Non ne sapeva il nome, non sapeva cosa lo scatenava esattamente.


E non voleva ancora conoscerlo per il momento.


Poteva essere una cosa come tutt’altro.





Affondò a malavoglia il cucchiaino nella coppetta e lo rigirò diverse volte prima di portarlo alla bocca con tutto il gelato raccolto.


Ascoltava a malapena le chiacchiere delle sue amiche.


Si rendeva conto a malapena di essere in un luogo pieno di gente, di essere seduta al tavolo di un bar.


La sua attenzione era tutta catturata dalla sua borsa.


La custodiva gelosamente, quasi avesse paura di perderla.


O meglio, non voleva perderne il contenuto.


Devo essergli sembrata una povera scema.



Mentre mangiucchiava il gelato scrutava la borsa semiaperta e lo spigolo di un quaderno che si intravedeva appena.


“Come? Vorresti tenerlo ancora?”
“Se… se per te non è un problema…”
E lui non disse niente.
Semplicemente…
Sorrise.



Quel quaderno ormai non le ricordava soltanto ciò che conteneva ma anche a chi apparteneva.


Quel sorriso spontaneo che finora lei aveva riservato soltanto a chi aveva davvero a cuore e che soltanto le persone a lei più care avevano, a loro volta, riservato a lei.


Lui non poteva essere già affezionato a lei.


Era da escludere nella maniera più assoluta.


Che fosse semplicemente un tipo estroverso?


Le pareva strano.


In classe non aveva parlato molto con gli altri.


Tantomeno in palestra.


Sembrava una persona che ama stare per conto suo, che impediva agli altri di violare il suo mondo.


O forse lei era solo paranoica.


Senza comprendere il motivo di tale paranoia.


“Insomma Kagome-chan!” fu scaraventata fuori dai suoi pensieri all’improvviso.


“Eh?”


“Si può sapere che cosa ti succede oggi? Hai la testa tra le nuvole da quando siamo uscite da scuola!”


Gettò un’ultima occhiata alla sua borsa, prima di rivolgere il suo sguardo verso le sue due amiche, sedute dall’altra parte del tavolo.


“No… niente… è che… sono un po’ stanca” biascicò la prima bugia che le venne in mente.


“Stavamo parlando del nuovo arrivato!” la aggiornò Sango


Bum!


“E di quanto interessi alla signorina accanto a me” aggiunse, ridacchiando.


Ecco…


A quella battutina, Kikyo avvampò


“Ho detto che è un tipo interessante! Non che mi interessa! Sei pregata di non sparare scemenze!” mugugnò digrignando i denti, con le guance sempre più rosse.


“Certo, certo!”


Kagome ridacchiò a sua volta, il che non piacque a Kikyo.


Perché menti?


“eppure nell’ora di educazione fisica hai passato tutto il tempo in cui né tu né lui eravate in campo per parlare con lui! Se non è interesse questo?”


Come?


A Kikyo stava per andare di traverso la bibita che aveva ordinato mentre tentava di giustificarsi davanti all’amica.


“Ci ho soltanto parlato un po’! Che rottura!!”


E che…


“… che vi siete detti?” si fece coraggio e domandò


Kikyo e Sango furono come sorprese nel sentire l’amica parlare, come se fosse tornata, alla buon ora, nel mondo dei viventi.


L’interessata esitò.


“Non me ne vado finché non saprò qualcosa!”


Ma la finisci, cretina?


“Ecco… abbiamo un po’ parlato del più e meno. Come ti chiami, dove abiti, cosa ti piace… e tra un discorso e l’altro ho saputo che lui si è trasferito qui dall’Hokkaido perché sua madre era originaria proprio di Tokyo. Beh, per farla breve, è venuto a vivere qui per motivi personali e ora sta cercando un lavoro per riuscire a pagare l’affitto. Mi ha detto che già lavora come commesso part-time in un piccolo negozio ma che non gli basta. E quindi… beh, ecco…”


“Quindi, beh, ecco cosa?” canzonò Sango


“Hai presente Toshiro, Kagome? Il ragazzo che lavorava al tempio di tuo nonno a giorni alterni come me e che si è appena licenziato?” continuò Kikyo


No, ti prego, non dirmelo…


“Beh, gli ho proposto di fare domanda a tuo nonno di prendere il posto di Toshiro…”


“Così potrò stargli vicino e avere qualche chance con lui!” la interruppe Sango, prendendola in giro con una vocina da principessina delle fiabe.


Cosa…


“… e lui ha detto che sarebbe andato oggi stesso al tempio, a casa tua. Ha bisogno di soldi per l’affitto e credo proprio che accetterebbe qualunque genere di lavoro ben pagato!” ignorò la sua amica che continuava a prenderla in giro senza sosta.


Kagome sorrise.


“Beh, finalmente hai trovato un ragazzo con cui provarci!” sussurrò con un tono pacato.


Che dici, cretina?


“Beh, io devo andare” tagliò corto subito dopo.


Non vuoi sentire oltre?


“Devo andare in biblioteca a studiare, è tardi. Se non studio, domani mi becco sicuro un‘insufficienza in letteratura.”


Raccattò la sua borsa, salutò velocemente le sue amiche e le lasciò lì senza dare loro modo di dire alcunché.


Uscì in fretta e furia dal bar, col cuore in gola.


Quando fu sicura di essere abbastanza lontana dalle sue amiche, rallentò il passo e frugò nella sua borsa.


Tirò fuori un pacchetto rettangolare e lo aprì.


Ne prese una e l’accese con l’accendino che c’era nella scatola per poi riporlo nella borsa con il pacchetto.


Fece un lungo tiro, assaporando il gusto amaro e crudo del fumo.


Espirò.


Osservò la sigaretta stretta tra il suo indice e il suo medio prima di portarla di nuovo alla bocca.


Al diavolo.





Quando tornò a casa quella sera, apprese - stranamente senza molta gioia - che Inuyasha quel pomeriggio era stato lì e che suo nonno era rimasto entusiasta del ragazzo e che l’aveva assunto ad occhi chiusi.


“Mi ha dato una buona impressione! Sembra un ragazzo volenteroso! Pieno di voglia di lavorare! Cosa rara tra i giovani d’oggi”


Suo nonno con le classiche frasi stereotipate da anziani.


Sua madre che le stava col fiato sul collo fino a quando non avrebbe risposto alle sue domande sul suo stato di salute con un “sì sto male. Sì mi fa male la schiena” per zittirla e allontanarla da sé, consapevole che sarebbe servito a ben poco, in quanto sarebbe partita un’altra raffica di domande dopo quella risposta.


Suo fratello era l’unica persona che capiva quando era meglio starle lontana e quella sera capì che non valeva la pena rischiare di essere mandati al diavolo dalla propria sorella.


Si diresse verso la propria camera, trascinando con sé la madre e le sue domande snervanti.


Senza mai rivolgersi a lei, camminava spedita per lo stretto corridoio del secondo piano di casa sua e si rifugiò nella sua stanza sbattendo la porta in faccia a sua madre.


“Scendo per cena” disse sperando che la donna la sentisse tra tutte le domande e i rimproveri che uscivano ancora dalla sua bocca.


Ma proprio non vuole capire quando deve lasciarmi in pace, cazzo!


Buttò sulla sedia la sua borsa, prese il lettore mp3 dalla scrivania e si sdraiò prona sul suo letto.


Si mise le cuffie nelle orecchie, accese il lettore e poi nascose il viso nel cuscino.


Sta per grandinare
ed io non so tremare più
Stamattina cercavo qualcosa di te
E volavo lontano immobile




Come la musica partì, si rilassò.


Quella giornata l’aveva sfinita.


Il colloquio con il preside, l’incontro con Inuyasha sulla terrazza della scuola, il suo blocco da disegno, la chiacchierata con le amiche al bar, prendere in giro Kikyo che aveva deciso di provarci con Inuyasha con una scusa patetica…


Niente di che, in apparenza, anzi.


Era tutto normale. Proprio ciò che lei chiedeva a gran voce più di qualsiasi altra cosa.


Vivere come una persona normale, libera di decidere per me stessa senza rimpianti.


Era la vita che rincorreva faticosamente da mesi, senza mai conquistarla del tutto.


Guarda quante case
Sono tutte storie da aggiungere
nella gente speravo i ricordi di te
Mi facevo cullare immobile




Lei era sempre più stanca.


Mentre vedeva gli altri camminare a testa alta senza sentire il peso della fatica, lei era costretta a fermarsi ogni tre per due a riprendere fiato.


Gli altri gestivano tranquillamente gli sbalzi d’umore.


Lei non ci riusciva.


Passare dalla tranquillità all’ansia, dalla serenità all’angoscia era uno sforzo troppo grande.


Nel momento in cui trovava la serenità grazie a qualsiasi cosa ecco che qualcuno è lì pronto dietro l’angolo a trasformare la serenità in angoscia.


E lei si sentiva terribilmente stupida.


Erano anni, ormai, che si sforzava di vivere nella più completa apatia.


E come pensava di avercela fatta, ecco che puntualmente qualcuno le faceva capire che non era così, che lei non poteva fare a meno di rimanere legata agli altri dal sentimento, di qualunque natura fosse stata.


La rabbia per sua madre.


L’affetto per il fratello.


L’amicizia con Sango e Kikyo.


L’odio verso sé stessa.


Il disprezzo verso i medici.


La sofferenza che la legava a quel giorno di dieci anni prima.


Lasciami sognare
Lasciami dimenticare
Lasciami ricominciare a camminare
A passi più decisi




Da mesi ormai aveva rinunciato all’apatia.


Perché desiderare di essere liberi quando poi non si può essere liberi di diventare ciò che si vuole?


L'apatia era la sua utopia, ormai.


I sentimenti fanno parte dell’essere umano, non possono essere respinti.


Le era stato detto.


Ma lei non voleva essere come una persona comune.


E la cosa le pareva buffa: voleva una vita scandita dalla normalità ma non voleva essere come una persona comune.


Voleva salvare capra e cavoli.


Non voleva provare sentimenti.


Voleva dimenticare di avere un cuore.


Ma…


La malattia.


I litigi con sua madre.


Le sue amiche.


Lui…


Tutto ciò che la circondava le ricordava che non avrebbe mai ottenuto tutto quello che voleva.


La sua vita era basata su continui controsensi.


E non sapeva come gestirli.


E fammi immaginare quanto ancora ho da fare
Forse crescere e invecchiare
Quanto ancora ho da amare
Quanto ancora ho da amare




Non capiva perché quel ragazzo avesse catturato la sua attenzione con una forza e una rapidità disarmanti.


Non capiva perché un perfetto estraneo era nella sua mente come un chiodo fisso.


Non capiva perché le desse fastidio il fatto che Kikyo volesse provarci con lui.


Non ne aveva forse il diritto?


Si era sentita così stupida quando l’amica confessò le sue intenzioni.


O meglio, quando le aveva fatte intendere tra le righe.


Lei rimaneva ferma ad esaminare i suoi sentimenti, quei suoi sentimenti che tanto odiava, mentre Kikyo si muoveva tranquilla nel mondo degli esseri viventi.


Non avrebbe dovuto interessarle!


Perché un estraneo ha avuto tutta questa influenza su di me?


Perché proprio ora?


Perché proprio così?


No, cazzo, no! Non capisco!


Oggi è già Natale
Tutto è un carnevale di polvere
Nei negozi compravo regali per te
E a pensarci mi gelo immobile


Lasciami sognare
Lasciami dimenticare
Lasciami ricominciare a camminare
a passi più decisi


Fammi immaginare quanto ancora ho da fare
Forse crescere e invecchiare
Quanto ancora ho da amare
Quanto ancora ho da amare




… … …


Lo vedeva, era lì davanti a lei.


Dove andava?


Perché si stava voltando?


Perché se ne andava via?


Le sue gambe si mossero quasi senza rendersene conto.


Correva, nel tentativo disperato di raggiungerlo.


Correva, correva…


Lo chiamava a gran voce.


Ma lui non sentiva.


All’improvviso si bloccò.


E poi solo immagini confuse.


Lui tra le sue braccia ricoperto di sangue.


Le urla.


I pianti.


Tutto attorno a sé si tingeva di rosso.


Tutto attorno a sé aveva iniziato a girare.


Girare…


Girare…






Si svegliò di soprassalto, un brivido le scosse la schiena.


Il suo cuore palpitava di dolore mentre lei respirava affannosamente.


Si alzò dal letto, non curandosi del lettore mp3 che cadeva a terra.


Con la mente annebbiata si diresse verso il comodino, ne aprì il cassettino e frugò al suo interno fino a quando non la trovò.


Era lucente come sempre.


E il dolore che le causava era sufficiente per nascondere quello del suo cuore.


Le sue braccia formicolavano, i suoi polsi pulsavano.


Ma quella volta non era abbastanza.


Apatia? Odio? Dolore? Gioia? Insofferenza?


Tutte cazzate!


Sapeva benissimo che l’apatia era solo il mezzo più facile per risolvere i suoi problemi.


Era così facile essere apatici.


Ma diventarlo era tremendamente difficile.


Voleva essere libera.


Libera come tutti.


Libera dai sentimenti umani.


Tutta la sua vita era un controsenso.


Non capiva cosa voleva realmente.


Non capiva perché tutto quanto era successo proprio a lei.


Perché a me e non a tutti quegli stronzi là fuori?!


Più aumentava il dolore fisico, più le sembrava di impazzire.


Si accasciò a terra, mentre le lacrime iniziarono a scendere.


Ormai… non ne posso più…


Cos’è la libertà?


… Cos’è?




Nota dell'autrice: chiedo scusa per il ritardo, ma in questo periodo ho studiato come una matta per un esame che mi stava facendo letteralmente impazzire ._. Tra l'altro ora inizia pure il tirocinio, alè! *dico addio al mio tempo libero* Vabbè, fa niente scriverò di sera, sempre ammesso che io riesca a stare sveglia XD Allora! Capitolo incasinato, eh? *si sfrega le mani* Ho iniziato a svelare alcune cosette su Kagome, avete capito quali sono le sue ancore di salvezza? Una l'ho nominata palesemente, l'altra... lascio alla vostra interpretazione :) Ah, l'ultima scena di questo capitolo e la scena del bagno del sesto capitolo sono connesse da un "filo rosso"! L'ho reso meglio che potevo, è una cosa che ha caratterizzato la mia vita fino a qualche mese fa e affrontarlo adesso mi risulta ancora difficoltoso: spero lo sforzo sia gradito e che la lettura non sia troppo "pesante"! Poi, la canzone che Kagome ascolta dal suo lettore mp3 si intitola "Immobile" ed è cantata da Alessandra Amoroso, una partecipante ad "amici". Io odio con tutta me stessa quel programma, ma ahimè mia sorella lo adora ._. Mi ha fatto sentire un sacco di esibizioni (:S) ma devo dire che "Immobile" mi ha colpita in positivo, belle parole e brava la cantante. Quando la ascolto faccio finta che non sia legata ad amici in alcun modo, ecco XD Mi piaceva e l'ho inserita! XD Per quanto riguarda la storia *si sfrega le mani* ormai Aoki sta per entrare nel vivo, ho già in mente alcune scene chiave e non vedo l'ora di scriverle! :) Spero vogliate continuare a seguirmi nonostante i miei terribili ritardi! ^_* Ci sentiamo nel prossimo capitolo!



L'autrice risponde ai commenti:
ryanforever: eh eh, non preoccuparti! Chiedi quello che vuoi e quando vuoi! ;) Spero ti sia piaciuto questo capitolo!
lola2: ciao! :) Wow quanti complimenti, grazie! ^^ Eh sì, hai proprio ragione, scrivere è una sorta di valvola di sfogo e aiuta proprio tanto, sai? Sono contenta che la mia storia ti piaccia e aspetto con impazienza che ne scriva una anche tu! ^^ Per quanto riguarda il modo di scrivere... beh, io non sono certo una maestra, però con l'esercizio si può solo migliorare! :)
Kagome19: anche a me ha fatto schifo il 2008 :S E proprio tanto! Allora... hai capito la scena del bagno? :) Stavolta non è stata una scena calma e graduale ma molto irruenta e "sofferta" (anche da scrivere...) e spero che il tutto sia chiaro. Se non è così, chiedo venia :S Continua a seguirmi! ^^
KaDe: eh eh, anche io spesso trovo gli intermezzi noiosi ma in Aoki mi servono non solo per spezzare la tensione ma anche per capire i punti di vista che circondano Kagome! ^^ E siccome questi punti finiranno ben presto per scontrarsi non voglio rovinare i futuri climax con spiegazioni noiose! xD Ancora grazie per i complimenti! ^^
Beverly Rose: wow, cavoli 1200 spoiler?! Tantini! XD No dai scherzo! Non avere fretta, chiedi tutto quello che vuoi quando vuoi! :) Anche al di là del mio "concorso", qualora tu voglia sapere qualsiasi cosa su Aoki dimmelo, non mangio xD Eh eh eh! Grazie per la tua recensione! ^^


Ancora e sempre grazie a chi legge, a chi recensisce e a chi aggiunge Aoki tra i favoriti! *_* Non immaginavo poteste essere così tanti! *si inchina* Grazie, grazie! Ci sentiamo sul prossimo capitolo (che non sarà un intermezzo XD)! Ciao a tutti!

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Capitolo 10
*** Yowasa made zenbu miserareru kiseki ~ Showing everything, even weakness, it's a miracle ***


8. Yowasa made zenbu miserareru kiseki ~ Showing everything, even weakness, it's a miracle


“Sei sicura di stare bene?”


Era distrutta, la voce dell’amica le rimbombava nella testa dolorante.


Sospirò.


“Sì… sono solo un po’ stanca, niente di che”


“Kagome-chan, lo sai che per qualsiasi cosa noi ci siamo, no?”


“Sì, Sango-chan, lo so…”


“Quindi…?”


“Quindi, cosa?”


“Davvero non c’è niente che ti preoccupa?”


Fissò il polso saggiamente fasciato qualche ora prima.


“No… niente di nuovo, davvero.”


“Mh, ti credo. Per stavolta.


“… Grazie”


Quella telefonata le sembrava quasi inquisitoria, ma sapeva benissimo che Sango non avrebbe insistito di fronte al silenzio di Kagome.


Era sempre stato così.


Rispetto reciproco dei propri spazi e dei propri tempi.


E sebbene nell’ultimo periodo Kagome iniziasse ad amare la solitudine, era conscia che non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua amica, per nulla al mondo.


Sapere che lei c’era e che era pronta ad ascoltare: quello le bastava.


Senza mettere fretta.


Ma ormai si era talmente abituata a quel tacito patto e si era fatta cullare per troppo tempo da esso che ormai aveva completamente scordato come si faceva a parlare di sé stessi agli altri. E l’esperienza dell’ospedale l’aveva ulteriormente aiutata a dimenticare. Anche se andava dallo psicologo dell’istituto la sua inabilità non cambiava. Non era stupida, studiava psicologia a scuola come materia facoltativa e aveva imparato a comprendere ciò che gli altri volevano sentirsi dire da lei e li assecondava senza fare una piega.


L’assecondare gli altri non la distraeva dalle sue sensazioni, anzi, ne aumentava il peso.


Esporsi sarebbe stato un rischio. O forse un miracolo. Neppure lei poteva saperlo. Probabilmente, però, lui sì. Lui poteva avere la risposta, l’aveva capito osservando i risultati del suo occhio da artista scrutatore. Ed era proprio quello che scatenava in lei strane sensazioni che si concretizzavano in continue morse allo stomaco.


Voleva quella risposta, non voleva farsela sfuggire.


Ma, allo stesso tempo, non la voleva.


Nessuno deve sfiorarlo.


Nessuno deve vederlo.


Nessuno deve sentirlo.



Aveva paura di sé stessa…


Non voleva che gli altri la disprezzassero se avessero visto ciò che nascondeva.





Entrò nel signorile condominio nel quartiere di Akasaka e si piazzò nella hall in attesa.


Mica bau bau micio micio… Si trattano sempre bene, ‘ste personcine.


Si diceva ogni volta che doveva lavorare in quel quartiere, dove un solo affitto mensile lui sarebbe riuscito a pagarlo con un anno intero di lavoro.


Sbuffò e guardò l’orologio: erano le dieci e mezza di sera.


E’ in ritardo, quella troia. Che palle.


Voleva andarsene a casa a dormire, era distrutto: quel pomeriggio aveva avuto una lite furibonda con il proprietario del negozietto in centro. Non era riuscito a convincerlo ad alzargli la paga dopo che quella testa pelata gliel’aveva dimezzata senza avvisarlo. Aveva tentato in tutti i modi di ottenere nuovamente il suo vecchio salario ma il suo datore di lavoro non ne volle sapere nulla e lo licenziò in tronco. E poi quel nuovo lavoro piovuto come una manna dal cielo: certo non era granché lavorare come assistente di un sacerdote shintoista ma era meglio di niente e la paga era buona in proporzione alle ore di lavoro richieste.


Quella ragazza, quella Kikyo, l’aveva decisamente salvato.


Guadagnava abbastanza da arrotondare con il lavoro impostogli dal padre.


Iniziò a sbattere ritmicamente un piede a terra, sempre più spazientito.


“Trattala bene, questa cliente è una mia importante socia d’affari.”


Quali, dei tuoi tanti affari, cretino?!



Voleva chiederlo, ma sapeva che non l’avrebbe passata liscia quindi preferì sorvolare.


Certo che, tra tutti gli affari che gestiva quell’essere che l’anagrafe chiamava padre, proprio quello gli aveva imposto.


Il rumore delle porte automatiche lo riportò alla realtà; vide una donna sui quarant’anni avvolta in una lunga giacca di pelle nera e dai capelli biondi sapientemente stirati varcare la soglia. Era truccata pesantemente.


Chissà che faccia schifosa nasconde questa, per truccarsi così


“Taisho Inuyasha?” domandò con aria beffarda.


“Sì, sono io”.


La donna rise e prese il ragazzo sotto braccio.


“Vieni con me e scusa per il ritardo. Ti avrò mica fatto aspettare tanto?”


E lo trascinò con sé in ascensore.





La sveglia, la mattina seguente, le sembrava più fastidiosa del solito.


L’emicrania non le era passata, anzi, le sembrava peggiorata; gli occhi bruciavano, la sua bocca era secca. Si liberò dalle coperte di malavoglia con un calcio deciso e si mise a sedere.


Fissò nuovamente il polso fasciato: non c’era niente da fare, quel dolore era l’unica cosa che l’aiutava a dimenticare tutto e a nascondere l’altro dolore.


Rimase seduta un po’, fino a quando sua madre non iniziò a bussare alla porta, per accertarsi che fosse sveglia.


“Kagome, sei sveglia?” domandò con voce squillante


“Sì…” fu la sua risposta biascicata


“Dai, sbrigati a prepararti o farai tardi a scuola!” e la sentì allontanarsi.


Sospirò e, finalmente, si decise ad alzarsi e a raccattare le sue cose sparpagliate un po’ sulla scrivania e un po’ sulla sedia.


Mentre metteva i libri nella borsa, lo sguardo cadde sul calendario da tavolo che sbucava tra i vari libri. Lo prese e lo osservò malinconica.


Era il 25 novembre, un venerdì.


Quel lunedì avrebbe avuto la seconda visita di controllo dopo la chemio e il mercoledì, se tutto sarebbe andato per il meglio, avrebbe iniziato l’ennesima terapia. E la settimana seguente la sua classe andava in gita. Lei no…


Lunedì 28 novembre - visita :(


Mercoledì 30 novembre - inizio terapia, in reparto :( :(


Venerdì 2 dicembre - fine terapia :) a casa, forse


Martedì 6 dicembre - gita scolastica.



La voce “gita scolastica” era stata sbarrata con più tratti furiosi di biro nera.


Per evitare una crisi di nervi alle sette e mezza del mattino, ributtò il calendario in mezzo alla fogna sulla scrivania e finì di preparare la borsa poi prese uniforme e parrucca e si chiuse in bagno per prepararsi.


A colazione evitò di parlare troppo, il che, ovviamente fece preoccupare la madre.


La donna iniziò a riempirla di domande, come era solita fare. Ma Kagome non rispondeva, fingeva di ignorarla, anche se era tutt’altro che facile.


Cavoli, vecchiaccia, smettila, mi farai esplodere la testa!


Alle otto e un quarto, puntuali come orologi svizzeri, Sango e Kikyo erano da lei, pronte per andare a scuola insieme. Mai come quel giorno, Kagome si sentì felice nell’andare a scuola: sua madre era sempre meno sopportabile per lei e, se non avesse un autocontrollo invidiato persino dai monaci buddhisti in riflessione, le avrebbe già messo le mani al collo diverse volte.


Senza dar retta a sua madre, che continuava senza sosta con le sue domande, uscì di casa e salutò le sue amiche che l’aspettavano nel cortile del tempio.


Durante il tragitto, però, il nervosismo non calava, anzi.


Kagome per evitare una violenta crisi di nervi, decise di non ascoltare tutte le volte che parlava Kikyo visto che, su tre parole che pronunciava, cinque erano “Inuyasha” o “Taisho”.


Non vedeva l’ora di iniziare a lavorare con lui, sembrava un tipo simpatico e affidabile, era molto carino, bla bla bla…


La ragazza cercava di ascoltare soltanto quello che diceva Sango: questa prendeva in giro bonariamente Kikyo, Kagome rideva tra sé delle battute con un fare leggermente maligno.


“Kagome-chan?”


Che vuoi?


Fece uno sforzo tremendo per non pronunciare quella domanda così secca e cattiva.


“Tutto bene?”


“Sì” tagliò corto


“A me sembri strana, in questi giorni!” Kikyo insistette.


“No, non lo sono”


Kikyo guardava l’amica, mentre Kagome fissava dritto davanti a sé, guardava attentamente nel vuoto per non incrociare lo sguardo della ragazza. Sango, invece, che era in mezzo alle due, rivolgeva lo sguardo ora all’una ora all’altra.


Osservava preoccupata Kagome, capiva che c’era davvero qualcosa che non andava: era davvero brava a mascherare le sue sensazioni, lo era sempre stata. Quella mattina, però, sembrava affaticata. Ormai la conosceva bene, sapeva che nascondeva qualcosa… ma non voleva interferire, la rispettava e aspettava che fosse stata lei ad aprirsi. Anche se, ogni tanto, credeva che ci sarebbe voluto un miracolo affinché Kagome si mostrasse per intero.


D’altra parte, capiva anche il punto di vista di Kikyo. Lei non era come Sango, non esitava a rompere le scatole a Kagome per farsi dire cos’aveva. Ma non lo faceva con cattiveria, era nella sua indole preoccuparsi per qualcuno a cui vuole bene se vede che qualcosa non va. Era già capitato che, per questa sua irruenza, lei e Kagome si fossero prese a parole più di una volta.


Qualche volta avrebbe voluto comportarsi come Kikyo e insistere un po’. Insistere come faceva lei: non per curiosità personale ma per il bene di chi soffre e nasconde.


Percepiva nervosismo da parte di Kagome e, se non si fosse messa in mezzo, le due avrebbero ricominciato a prendersi a parole. Ma non sapeva come fare, mentre lei pensava a un modo per distrarle le due continuavano quel dialogo teso.


“Kagome-chan, parla! Che cosa ti succede?”


“Niente”


“Non ci credo!”


“Libera di farlo”


Parla ancora e ti strappo la lingua!


“Su, ragazze, su!” finalmente si intromise.


“Basta, dai, Kagome non ha niente! L’ha detto, su basta! A proposito Kikyo…” fece per cambiare discorso ma l’amica fu più veloce di lei e continuò a insistere


“No, invece, ha qualcosa che non va e io vorrei saperlo!” esclamò decisa Kikyo.


Kagome si fermò, nascondendo le mani tremanti, guardando sempre fisso il vuoto. Anche Sango e Kikyo si fermarono e si voltarono per rivolgere lo sguardo all’amica rimasta indietro.


“Ti ripeto…”


Respira… respira…


“Non ho niente” si morse la lingua per non insultarla


“Non è vero” rispose prontamente.


Non ci vedeva più dalla rabbia. Sentiva i suoi polsi pulsare sotto le garze coperte dalle maniche, le mani pruderle: a dirla tutta, nemmeno lei sapeva esattamente perché fosse così nervosa ma Kikyo, tra il parlare di Inuyasha e l’essere così insistente, non l’aiutava di certo.


“Senti… testa di rapa, dura come un sasso” e le rivolse uno sguardo cupo


“Non ho un cazzo che non va.”


“come no? Continui a…”


“Non sei piuttosto tu ad avere qualche rotella fuori posto?” la interruppe


Brava, così!


Kikyo rimase interdetta da quelle parole.


“Conosci un ragazzo da soli tre giorni e tu già ci vuoi provare così spudoratamente?”


Cosa?


“Sei una rottura terribile, davvero! Non sei mai stata così insopportabile! E prego Buddha, Dio, chi vuoi che lui ricambi i tuoi sentimenti, così almeno la smetti di rompere le palle! Contenta così?”


Fermati!


No…


Non… ci riesco…



“Ma cosa…? Cosa…?” Kikyo inspirò, non sapeva cosa dire.


“Cosa dici? Io rompiscatole? E tu, allora? Tu che ci hai fatto una testa incredibile con Hojo? Eh?! Noi cosa dovremmo dire allora?!”


Noi? Noi chi, Kikyo? Io non ho nominato nessun noi… io parlo a nome mio…” la sua voce era talmente fredda che Kikyo sentì la sua schiena percorsa da un lungo brivido.


“Tu mi hai rotto! Sei rompiscatole, sei superficiale! Punto!”


“E tu, allora? Tu ti culli della tua situazione e te ne approfitti per avere uno scatto d’ira ogni volta che vuoi! Sei viziata! E noi dobbiamo sempre stare a sopportare le tue urla, i tuoi scatti d‘ira!”


Ma come finì la frase, subito se ne pentì.


Kagome rimase un attimo con gli occhi sgranati, scrutandola attentamente.


Qualcosa era scattato.


Io… cosa?


Ripensò a tutti gli sforzi fatti per non mostrare il suo cuore ferito: per preservare sé stessa, ma anche loro.


A cosa servono… tutti questi sforzi?


A cosa…?



Non sapeva cosa pensare, non capiva se provava stupore, dolore o rabbia. Forse tutte e tre. Forse nessuna delle tre.


Abbassò un secondo lo sguardo a terra e poi di nuovo su Kikyo.


Pensi davvero questo…?


Guardò anche Sango.


Anche tu, forse?


Si incamminò velocemente e superò le sue amiche, ignorando palesemente i tentativi di Kikyo di scuse. Sango, invece, non diceva niente: sarebbe stato come giocare con il fuoco tentare di parlarle in quel momento e la situazione sarebbe solo peggiorata.


Kagome camminava velocemente e Kikyo le stava dietro.


Aumentò il passo per seminarla e Sango se ne accorse: strattonò per un braccio una Kikyo stupita.


“Lasciala stare. Ora ha solo bisogno di stare un po’ da sola”


A cosa è servito tutto quanto?


A cosa sta servendo tutto questo…?






Le due non si stupirono non vedendo Kagome in classe. La borsa c’era, ma lei no. Probabilmente aveva intenzione di marinare alcune lezioni…


“Ho esagerato con le parole… vero?” domandò Kikyo sconsolata, seduta al suo posto, con le mani strette a pugni sul banco.


Sango sospirò


“Sì. C’è rimasta male, è evidente… ma nemmeno lei è stata gentile.” sospirò ancora


“Vi siete prese a parole come sempre, entrambe avete torto. Certo è che tu hai toccato un tasto dolente…”


“Io… volevo solo difendermi… ero shockata, non mi sarei mai aspettata certi commenti proprio da Kagome…” fece fatica a trattenere i singhiozzi


“Sì è vero, nemmeno io me li sarei mai aspettati, però… c’è da dire che anche te hai esagerato” ribadì.


Kikyo alzò lo sguardo e lo posò sull’amica, seduta al posto di fronte a lei: girata verso l’amica, teneva il gomito destro sul suo banco e il mento appoggiato sulla mano destra.


“Tu volevi difenderti ma hai esagerato. Anche lei ha esagerato. Dovete vedervela voi due, come sempre… anche se stavolta, onestamente, la vedo dura…”


“Ma tu… da che parte stai?”


“Eh…?”


Sango, stupita, non fece in tempo a rispondere che la campanella suonò e il professore di letteratura giapponese entrò un secondo dopo, come se si fosse teletrasportato dall’aula insegnanti a lì.


Prima di dar retta al professore, Kikyo gettò un’occhiata sconsolata al banco di Kagome.





Faceva davvero freddo. Ma non aveva intenzione di andare in classe.


Non sarebbe riuscita a reggere lo sguardo di Kikyo senza tenere a bada l’irrefrenabile voglia di urlare.


“Sei viziata!”


La pensava davvero così?


“Dobbiamo sopportare i tuoi scatti d’ira!”


Ma che amica era? Che parola era sopportare? Perché proprio quella?


Si sistemò meglio per stare più comoda: la schiena era ben appoggiata contro il muro, le gambe distese e le braccia ciondolanti ai fianchi. Accanto alla mano destra c’era il suo lettore mp3. Ora guardando il cielo, ora chiudendo gli occhi, ascoltava la musica lasciandosi cullare da essa.


Stava bene lì, da sola, nonostante il freddo pungente, sul terrazzo della scuola.


I wake up, it's a bad dream
No one on my side
I was fighting
But I just feel too tired
To be fighting
Guess I'm not the fighting kind



Aveva esagerato anche lei, con le parole, quello era innegabile.


Se l’era presa perché Kikyo puntava al ragazzo dal quale, per qualche strana ragione, era attratta.


Si sentiva stupida per sentirsi attratta da un ragazzo che conosceva sì e no da tre giorni.


Il non poter andare in gita le pesava molto e invidiava le sue amiche, perché potevano andarci.


Odiava quella scuola e le voci maligne che lei tentava in tutti i modi di ignorare.


Odiava sua madre, non la sopportava più: a volte, voleva essere al posto del padre, però era tutto un controsenso… lottava per non essere nelle condizioni del padre…


Non capiva più cosa accadeva nella sua testa.


Ogni secondo cambiava pensiero, le sembrava tutto dannatamente troppo pesante e insostenibile.


Come una melma nera che colava lenta su di lei e la ricopriva fino a farla soffocare…


Abbassò il volume della musica fino a quando non diventò un sussurro appena udibile alle sue orecchie per dare un po’ di tregua alla testa, sul punto di esplodere.


“Ehi!” una voce maschile la fece sobbalzare.


Si guardò attorno e trovò Inuyasha seduto accanto a lei, come fosse sbucato dal nulla.


Ma da dove sbuca fuori?!


Inuyasha ridacchiò all’espressione stupita della ragazza.


“Finalmente ti sei accorta della mia regale presenza! Credevo che sarei morto di ipotermia prima che tu scendessi dalle nuvole!” e ridacchiò ancora


“Taisho?” riuscì solo a dire, mentre con le mani aggrovigliava le cuffie del lettore mp3.


“Preferisco essere chiamato per nome! Sai, il cognome mi fa un po’ senso!”


“Allora… Inuyasha-kun?”


“Cos’è quel kun finale? Chiamami Inuyasha e basta, Alcyna!”


“Ehi, allora anche tu chiamami per nome!”


Fece la finta offesa ma in realtà non lo era per niente: la dolcezza usata da Inuyasha nel chiamarla in quel modo l’aveva fatta sciogliere. Non le era mai successo che qualcuno si rivolgesse a lei con tale dolcezza.


“Ok, Alcyna-chan!


Fai apposta, eh?


“Grazie, Inuyasha-kun!”


E scoppiarono a ridere.


Kagome trovava strana quella situazione: Inuyasha sbucato dal nulla, quella presa in giro, fatta come se si conoscessero da sempre… eppure le piaceva quella stranezza!


“Alcyna-chan, cosa ci fai qui? Marini le lezioni? Non si fa, no, no! Cattiva bambina!” Inuyasha la canzonò ma tornò immediatamente serio quando vide che la ragazza non rideva.


Sospirò e rimase a guardarla in silenzio.


Quel volto triste, quegli occhi lucidi… gli stessi di quel pomeriggio sul cavalcavia…


“Scusa… se vuoi restare da sola me ne vado” disse, un po’ spaesato da quel silenzio.


Lei alzò il viso e lo osservò a sua volta.


“No… resta… per favore…


Percepì una tale tenerezza in quella richiesta che non poté fare a meno di abbozzare un sorriso, quasi a dire D’accordo, resto volentieri.


Non sopportava vederla triste, gli occhi malinconici la rendevano, a suo parere, molto bella ma allo stesso tempo non le donavano… Voleva distrarla un ù po’ ma lei gioco d’anticipo:


“Senti, Inuyasha… io non ti ho ancora ringraziato per lo scorso pomeriggio sul cavalcavia… te lo ricordi?”


E come dimenticare quel momento?


Quegli occhi, gli stessi occhi che gli provocavano un bruciante senso di colpa… e quell’aria un po’ spaesata…


“Ecco… volevo ringraziarti. Mi hai…”


Respirava un po’ affannosamente.


E’ il freddo?


E’ l’agitazione?


Cos’è…?



“… mi hai fatta ridere un po’.” e ridacchiò leggermente ricordando la buffa battuta del ragazzo.


“Ne avevo bisogno, sai. Era stata una giornata storta ed ero letteralmente sbroccata. Insomma… beh, ecco… sì, cioè…”


“Le mie battute ti sono servite?”


La ragazza annuì un po’ con la testa e, a quella vista, lui sorrise.


“Allora… ne sono contento.”


E rimasero a guardarsi negli occhi, in silenzio, per alcuni minuti.


Più osservava l’ambra dei suoi occhi più ne rimaneva incantata.


Avrebbe voluto perdersi in quel colore.


Perdersi e non tornare più indietro…


Sentì che, gradualmente, il cuore iniziava a battere nel suo petto a ritmi irregolari.


Le sue mani tremavano leggermente.


Percepiva uno strano senso di imbarazzo… dal quale voleva uscire ma, allo stesso tempo, voleva restare in quella condizione per sempre. Voleva che il tempo si congelasse, quasi aiutato anche dal freddo vento di fine novembre che la infastidiva.


“Ah, a proposito! Io ho ancora qualcosa che ti appartiene!” esclamò improvvisamente Kagome, piuttosto imbarazzata dal silenzio creatosi.


“Ho… ho la tua giacca… e anche… e anche…”


Oh, no! Ci manca solo la balbuzie! Inizio a soffrire anche di questa e sono a posto!


“Ti sono piaciuti i miei disegni?” Inuyasha l’anticipò con un tono pacato e dolce.


Già, i suoi disegni…


Alcuni disegni erano malinconici, altri indescrivibili, altri ancora esprimevano un forte senso di tenerezza.


E poi c’erano quei disegni…


Quei disegni ispirati a lei, dei suoi ritratti in pratica.


Kagome dal punto di vista di Inuyasha…


Un brivido la scosse al ricordo di quelle immagini, così realistiche.


Così terribilmente vicine alla realtà.


Inuyasha non immaginava quanto era vicino alla realtà con la sua visione… l’aveva sfiorata con pochi colpi d’occhio…


Era confusa…


Chi sei, Inuyasha? Chi sei veramente?


In poco tempo aveva già visto diverse sfaccettature del ragazzo… e nessuna le dispiaceva. Anzi… più ne scopriva più rimaneva affascinata da lui…


Inuyasha burlone…


Ehi, Alcina! Terra chiama Alcina!


Inuyasha malinconico…


Il suo volto… i suoi occhi… mi sembrano più spenti…


Inuyasha dallo sguardo dolce…


Te lo lascio! Se non ti copri subito ti prenderai un malanno…


Inuyasha l’artista…


A dire il vero quel lato era quello che più la spaventava.


Dai, stupida, ammettilo che ti affascina!


Non poteva nasconderlo.


Era arrivato dove gli altri non sarebbero mai arrivati.


Con i suoi occhi aveva visto cose per la gente incredibili.


Incredibili o improbabili che fossero…


Erano vere…


Erano parte della verità che lei nascondeva.


Ma che fosse proprio lui a scoprirla… non le dava fastidio.


Perché lui non sapeva ancora tutto.


Stava accanto a lei perché non sapeva.


Non poteva sapere.


Non poteva immaginare del tutto.


E fino a quando non sapeva…


Forse… mi è concesso di stargli vicino…


“Sì… sì, mi sono piaciuti molto…” e sorrise


“Senti…”


Una forte folata di vento la interruppe.


“Brr… che freddo! Che ne dici di rientrare, Kagome?”


Ah…


Mi ha chiamata per nome…


Che sensazione strana…



“Ma io… non voglio tornare in classe… non mi va! Ho lasciato lì la mia borsa, ma io, fino alla fine delle lezioni, lì dentro non ci torno!”


“D’accordo! Allora…”


Cinse la spalla di Kagome con il suo braccio sinistro e la strinse a sé


Cos…?


“Ecco, così va meglio?”


Percepiva chiaramente il calore del ragazzo avvolgerla dolcemente e il suo respiro caldo soffiarle dolcemente una guancia.


Vuoi mandarmi in tilt definitivamente, Inuyasha?!


Il ragazzo osservò divertito lo stupore dipinto sulla faccia di Kagome


“Tranquilla, resteremo così fino al cambio dell’ora” diede un’occhiata veloce all’orologio


“Sono le otto e mezza, tra mezz’ora suonerà la campanella. Andrò io in classe a prendere le nostre cartelle e le giacche. Ce ne andiamo da qualche parte! Ti va? Almeno non stiamo qui a congelare!”


Ok, stava per andare definitivamente in tilt!


“Va… va bene!”


Si strinse al suo petto per scaldarsi meglio.


“Senti, ho visto che avevi con te un lettore mp3! Ascoltiamo un po’ di musica, che ne dici?”


Senza rispondere, Kagome sciolse a malincuore l’abbraccio del ragazzo per frugare meglio nella tasca della sua gonna e, quando trovò il lettore, si ributtò tra le braccia di Inuyasha e sbrogliò velocemente i fili delle cuffie, prima di passarne una al ragazzo.


Power


Shuffle.



La musica partì.


Kitto kitto bokutachi wa (probably, probably we)
ikiru hodo ni shitteyuku (learn as we live)
soshite soshite bokutachi wa (and then we)
ikiru hodo ni wasureteku (forget as we live)

Hajimari ga aru mono ni wa (things with a beginning)
Itsu no hi ka owari mo aru koto (will end someday)
Iki toshi ikeru mono nara (if you can go to the next)
Sono subete ni (putting everything)



E loro rimasero così, a scaldarsi un poco a vicenda nell’attesa di andar via da lì.





Era agitata.


Ma non perché potevano essere scoperti.


Di quello le importava ben poco, sapendo a cosa stava andando incontro.


Tamburellò nervosamente le dita contro il cancello di ferro.


Eddai, Inuyasha, sbrigati!


Si strofinò energicamente le braccia per riscaldarsi un po’.


Accidenti a me e alla mia stupida idea di andare sul terrazzo senza giacca!


Inuyasha era andato in classe per prendere le loro cose come pattuito, mentre la ragazza era sgusciata fuori da scuola senza farsi vedere da nessuno che fosse un professore, un bidello o un compagno di scuola.


Sbrigati! Sto morendo di freddo!





E dalla voglia di stare un po’ con te…


Uff…


Si rasserenò quando vide Inuyasha in lontananza correre a perdifiato per attraversare il cortile senza essere beccato.


“Ce l’ho fatta! Non mi hanno visto!” disse mentre porgeva a Kagome giacca e borsa.


Indossate le giacche, iniziarono a camminare.


“Va meglio ora, con la giacca addosso?”


“Sì, molto meglio adesso! Grazie!”


“Quindi…”


E l’abbracciò da dietro


“Non hai più bisogno che io ti abbracci così?” la canzonò


Kagome sobbalzò, con grande gioia di Inuyasha


Vuole farmi venire direttamente un infarto?!


“E smettila!” riuscì a biascicare, divertita, ma senza liberarsi dalla presa del ragazzo.


Aspettò che fosse lui a lasciarla andare e, quando lo fece, un brivido di freddo le accarezzò le spalle.


Sento già la mancanza delle tue braccia, Inuyasha…


“Senti… dove andiamo?” domandò il ragazzo


“Sono nuovo da queste parti e non conosco bene la città! Dove possiamo andare? Senza farci beccare da una guardia minorile?”


La ragazza ridacchiò.


“Sì, effettivamente se una guardia minorile ci becca sarebbero guai.”


Chi la sentirebbe, poi, quella sclerotica di mia madre?!


“Però… io ho un’idea! Se sei di Tokyo non puoi non andare lì!”


“E dove?”


Ridacchiò ancora e lo prese per mano, iniziando a correre.


“Dai, andiamo!”





Il treno della Route 11 attraversava veloce il Rainbow Bridge.


Kagome era molto agitata: era da tanto che non andava a Odaiba e, oltretutto, era da un bel po’ che non usciva con un ragazzo.


Beh… quello non lo si poteva definire un vero appuntamento, ma per lei era come se lo fosse.


Osservava il volto di Inuyasha, seduto accanto a lei, mentre osservava fuori dal finestrino.


“Questo è il Rainbow Bridge.” gli spiegò.


Il ragazzo si voltò verso di lei.


“Collega la città all’isola di Odaiba. Ovviamente, non è l’unico modo per raggiungerla, ma gli autobus sono troppo lenti e, inoltre, vale proprio la pena vedere il Rainbow Bridge almeno una volta dal treno!”


Inuyasha la osservava interessato e lei non riusciva a resistere a quello sguardo.


Non avrebbe retto ancora per lungo.


La suoneria del cellulare la riportò alla realtà e le permise di distogliere lo sguardo da lui.


Tirò un sospiro di sollievo mentre cercava il cellulare nella borsa.


“Scusa un momento…” farfugliò.


Prese il telefonino e osservò il display, era un messaggio di Sango.


“Abbiamo visto Taisho, al cambio dell’ora, arrivare velocemente in classe e prendere la sua e la tua roba. Sei andata via da scuola? Sei stata male per caso?”


Uff…



Rispose un po’ a malavoglia


“Sì, sono andata via da scuola, ma non sto male. Semplicemente non avevo voglia di stare a lezione. Però, per favore, se qualche compagno di classe dice o ti chiede qualcosa, digli che mi sono sentita male e che Inuyasha ti ha avvisata… Grazie, un bacio.”


Invio.



Ripose il cellulare in borsa.


“Sono proprio contento!”


“Eh?”


“Di andare a Odaiba!” esclamò Inuyasha sorridente


“Finora l’ho vista soltanto in televisione o sui libri. Sai, l’Hokkaido è noioso, non c’è mai molto, specie d’inverno! Ho sempre desiderato venire qui.”


“La mia amica, Kikyo… mi ha detto che tua madre è originaria di Tokyo”


Solo a pensare a Kikyo le venne una morsa allo stomaco.


“Ah, sì, è vero. Però io sono nato e cresciuto nell’Hokkaido, mia madre si trasferì lì per studiare e conobbe mio padre all’università. Decisero di sposarsi e rimanere lì a vivere. Quindi Tokyo non l‘avevo mai vista.”


“E, scusa la curiosità… come mai ti sei trasferito proprio adesso a Tokyo?”


Inuyasha esitò, Kagome vide il suo sguardo rabbuiarsi e si pentì di aver fatto quella domanda.


Che testa di cavolo terribile che sono!


“Scusa… sono stata troppo invadente. Non dovevo…”


“Ma no!” la interruppe


“Non ho niente da nascondere! Mi sono trasferito qui per motivi di lavoro di mio padre!” e le sorrise.


Che strano…


“Stai tranquilla!” chiarì Inuyasha, dandole un colpetto sulla fronte.


“Manca molto per arrivare?”


Kagome si tranquillizzò sentendo una punta di impazienza quasi infantile nel suo tono di voce.


“No, no! Siamo quasi arrivati! E dimmi… tu che hai letto tanto su Odaiba, cosa ti piacerebbe fare?”


“Vedere la Statua della Libertà, andare al Venus Fort, salire sulla Daikanransha e poi…” sembrava un bambino nei paesi dei balocchi, al quale tutto era concesso.


Kagome scoppiò a ridere.


“Ehi, tu, che hai da ridere?!”


Non resisteva, non ce la faceva!


E’ troppo carino!


“Scusa!” tentò di spiegarsi tra una risata e l’altra


“E’ che la tua, come dire… esuberanza mi colpisce! Sei come un bambino nei paesi dei balocchi, troppo carino!”


“Ehi!” esclamò Inuyasha, facendo il finto offeso.


“Si comunicano i gentili passeggeri che siamo quasi in dirittura d’arrivo. Ricordandovi di non lasciare sul treno i vostri effetti personali, vi auguriamo un buon proseguimento di giornata!”


L’altoparlante li zittì.


“Ecco, siamo quasi arrivati!”





La campanella suonò, decretando l’inizio dell’intervallo.


“Senti, Sango-chan”


Riconosceva quel tono supplichevole.


Uffa, è appena iniziato l’intervallo e già mi rompono le scatole per copiare i compiti?


“ma… come mai Kagome-chan non c’è? Come mai Taisho è venuto a prendere le sue cose?”


Ma ti fai i fatti tuoi, impicciona?!


“Taisho mi ha mandato un messaggio con il suo cellulare, è stata male e l’ha riaccompagnata a casa, tutto qui.”


“Ah… capisco…”


Tanaka, ma te li sai fare un po’ di fatti tuoi?! Mamma mia!


“Scusa, Tanaka-chan!” Kikyo le interruppe.


“Ho bisogno di Sango. Mica ti dispiace?” e senza aspettare una risposta, fece alzare Sango e la trascinò fuori dalla classe prendendola per un polso.


In corridoio, Kikyo camminava a passo svelto, senza pronunciare una sola parola e stringendo con forza il polso dell’amica.


“Ehi, ehi! Cavolo, Kikyo, mi fai male!”


Ma niente, l’amica sembrava sorda, non rispondeva e non si fermava.


“Insomma!” e si liberò dalla presa con uno strattone


“Si può sapere che c’è?” sbottò innervosita


“Dov’è Kagome? Sta davvero male?”


Sango esitò. Non sapeva se dire o meno la verità all’amica; sapeva che Kagome, in quel momento, era in giro con Inuyasha. Se fosse stata veramente male si sarebbe trascinata da sola in classe a prendere le sue cose, anche a costo di strisciare per terra. La conosceva bene, non avrebbe mai accettato l’aiuto di una persona che conosceva a malapena, nemmeno in punto di morte.


Era chiaro come il sole, Kagome si stava prendendo una bella sbandata per il nuovo arrivato.


Ma anche Kikyo si era presa una bella cotta per lui. Era evidente.


Non voleva peggiorare le cose tra loro.


Però…


Ma tu… da che parte stai?


Per favore, se qualche compagno di classe dice o ti chiede qualcosa, digli che mi sono sentita male


Accidenti, che situazione del cavolo…



“Non aveva voglia di stare a scuola, perché stava male. Ha incontrato Taisho in corridoio dopo essere stata in infermeria e lui l’ha accompagnata a casa. Almeno, così mi ha scritto via sms”


“E lui?”


“Eh?”


“Parlo di Taisho. Perché lui non è tornato a scuola?”


La situazione le stava forse per sfuggire di mano?


Cosa non le tornava?


Perché Kikyo pensava a Taisho quando le aveva appena detto che la loro migliore amica stava male?


“E io che ne so? Non sono nella testa di quel ragazzo per sapere cosa pensa. Tanto tu oggi lo vedrai a lavoro, no?”


E detto quello si voltò e se ne andò per impedire a sé stessa di esagerare con le parole.





“Ah ah ah!”


Si stavano divertendo un mondo.


Erano andati al Venus Fort, dal momento che entrambi amavano Venezia (Il Venus Fort è un negozio di Odaiba ispirato a Venezia, N.d.A.), all’Acqua City e al Decks Tokyo Beach, su obbligo di Kagome, a vedere la riproduzione della statua della libertà e ora stavano pranzando ad un Mc Donalds.


Inuyasha era davvero molto simpatico e spigliato, non avevano smesso un secondo di parlare del più e del meno e di ridere; parlando, avevano scoperto di avere diverse cose in comune: entrambi amavano la musica, l’aria aperta e starsene un po’ da soli a pensare per i fatti loro quando avevano le scatole girate…


Più lo conosco… e più…


Mi… piace?



Quella possibilità che tanto la spaventava… ora stava diventando sempre più…


Sempre più…


Dolce…


Kagome stava pian piano accettando quei sentimenti che stavano nascendo e crescendo dentro di lei.


Li stava accogliendo.


Kagome era un po’ affaticata, era tutto il giorno che camminava e il peso della stanchezza iniziava a farsi sentire sulla schiena. Ma quello poco importava, per lei. Stava trascorrendo una mattinata fantastica.


Inuyasha era in grado di distrarla da ogni pensiero che la faceva innervosire o intristire: era come se il tumore, i litigi con sua madre e con Kikyo, la scuola… come se tutto quello non esistesse.


Su quell’isola, assieme ad Inuyasha, si sentiva tranquilla e non aveva nessuna voglia di tornare indietro.


Ma il tempo è assassino ed era già l’una. Per le tre e mezza dovevano essere indietro: Inuyasha doveva lavorare mentre Kagome, il venerdì, non andava mai in biblioteca a studiare, dal momento che sabato non era giorno di scuola.


“Uffa, il tempo è proprio volato” disse Kagome sospirando, prima di addentare il suo panino.


“Già… Odaiba è proprio un bel posto!”


Ehi! E su di me non dici nulla?!


“E poi tu sei molto simpatica! Sei divertente e anche un’eccellente guida turistica!”


“Onorata di tutti questi complimenti!”


Oddio…!


“Però… c’è ancora una cosa che non hai visto! E se non te la facessi vedere non sarei una buona guida turistica!”


“Sarebbe?” l’aveva incuriosito


“Finisci di mangiare e poi vedrai…”





Erano seduti uno di fronte all’altro in quella piccola cabina del Daikanransha, che proseguiva lentamente il suo giro.


“Ecco, tra poco saremo sul punto più alto!” esclamò Kagome entusiasta.


E poi non parlarono più.


Ogni tanto guardavano il panorama che gli si presentava ai loro occhi.


Ogni tanto si scambiavano qualche sguardo.


Ed entrambi… sorridevano.


Kagome si sentiva così bene, così serena…


I rumori della gente, del traffico, di tutto quanto… erano al di fuori di quella piccola cabina.


Erano come sospesi nel vuoto, in un mondo tutto loro.


Nessuno poteva entrarvi.


Nessuno poteva disturbarli.


Erano soltanto loro due.


E gli unici rumori che si sentivano erano quelli provocati dai loro respiri…


Kagome riusciva a sentire anche un’altra cosa, però…


I battiti del suo cuore.


Irregolari e impazziti.


Non una sola parola.


Solo battiti e respiri.


Tra poco impazzisco…


La Daikanransha si muoveva lenta eppure nessuno dei due si rese conto del tempo che passava e, in men che non si dica, il loro giro era terminato. Erano talmente intenti a osservarsi che non si erano accorti del responsabile che apriva le porte della cabina e li invitava a scendere.


Come scese, Kagome si sentì accarezzata dal vento e quella sensazione le diede fastidio: non erano più lassù, non erano più solo loro due…


Camminavano uno di fianco all’altro, sempre in silenzio, guardando dritto davanti a loro.


Ora dobbiamo davvero andare…


Lui deve lavorare…


Mentre io… io…



Sospirò.


Inuyasha, nonostante il casino che li circondava, se ne accorse e la prese per mano.


Eh?


Lo guardò stupita.


“C’è troppa gente qui in giro. Non voglio rischiare di perderti” disse dolcemente ma senza guardarla.


Kagome arrossì violentemente.


E ringraziò il cielo che Inuyasha non la stesse guardando.


Strinse la mano calda di Inuyasha, quasi ad impedire che lui potesse fuggire via.


E si diressero verso il Rainbow Bridge senza dire una parola.





Osservò l’orologio.


“Sono le quattro meno un quarto” esclamò.


“Siamo in perfetto orario!”


Erano ormai a pochi passi dal tempio Higurashi: erano tornati da Odaiba, erano tornati nel mondo tanto odiato da Kagome. Un mondo che odiava ma dal quale non poteva scappare.


Dal quale non voleva scappare.


Odiava scappare.


Da Odaiba fin lì, Inuyasha non le aveva mai lasciato la mano, neppure in treno.


Kagome scoppiava dalla felicità per quello.


E lo nascondeva molto male.


Sciolsero l’intreccio delle loro mani soltanto ai piedi dello scalone che portava al tempio.


Si fermarono un attimo, uno di fronte all’altro.


Kagome non riusciva a parlare.


Non voleva… non voleva salire quelle scale.


Non voleva tornare da lei.


Prendere un mazzo di fiori come ogni venerdì e andare da lui.


Quella volta non voleva.


Non da sola, almeno.


Voleva Inuyasha al suo fianco.


Sapeva che era impossibile.


Lui aveva i suoi doveri, così come lei.


“Ehm…” riuscì a biascicare


“Grazie della giornata, Alcina-chan” Inuyasha la anticipò, sorridendo.


“Dai andiamo!”


Kagome rimase come congelata: le sue labbra iniziarono a bruciare, le braccia a tremare.


Voleva abbracciarlo


Stringerlo a sé, abbandonarsi completamente contro il suo petto…


Ora lo so, Inuyasha…


Io…


Io mi sto innamorando di te!


E non posso farci niente!



Inuyasha si bloccò:


“Dai, Alcina-chan! Cosa ci fai lì impalata come un ebete?! Muoviti, su!” la canzonò.


“Cosa?! Ebete a chi?! Ehi!!”


Inuyasha rise, continuando a salire.


Kagome iniziò a correre per raggiungerlo.


Io mi sto innamorando di te…


Inuyasha…






Aprì la finestra della sua stanza.


E li vide.


Inuyasha e Kikyo, entrambi vestiti con il kimono shintoista a pantaloni rossi o azzurri, nel cortile che parlavano mentre portavano alcuni scatoloni per il negozietto del tempio.


Lei sorrideva tranquilla, come se nulla di strano fosse mai successo.


Anche lui sorrideva.


Si sentiva strana nel vederli: lei e Inuyasha sembravano così sereni insieme…


Osservò attentamente Inuyasha.


Quasi non le sembrava lo stesso Inuyasha con cui era stata insieme fino ad un’ora fa.


Era sempre la stessa persona?


Sì.


Il suo sorriso?


Il suo sorriso


Era quello che non la convinceva.


Non capiva bene né perché né come se n’era accorta, però…


Era leggermente diverso.


Ne era sicura…


“Kagome! Kagome!”


La voce di sua madre che la chiamava dal piano di sotto la riportò al mondo reale; chiuse la finestra e scese nel tinello.


Trovò la donna con un grosso mazzo di fiori tra le mani.


“Tieni, vai da lui. Su sbrigati” e le porse i fiori


Senza mezzi termini, eh, strega?


“tu non hai proprio intenzione di andarci, eh?” disse acida.


“Lo sai che ho molto da fare. Non apriamo ancora questa parentesi” e si spostò in cucina, lasciando la figlia sola con il mazzo di fiori stretto tra le sue braccia.





Entrò timidamente nella stanza bianca e richiuse la porta alle sue spalle.


“Ciao” bisbigliò.


“Ti ho portato dei fiori freschi!”





“Oggi è venerdì. Il giorno dei fiori” ridacchiò forzatamente.


Si diresse verso il comodino, prese il vaso con i fiori della settimana scorsa e, nel piccolo bagno annesso, cambiò acqua e fiori.


“Ecco qui” esclamò soddisfatta, posando nuovamente il vaso sul piccolo comodino.


“Sono belli, vero?”





“Li ha presi la mamma!”





Prese una sedia e la sistemò vicino al suo letto prima di sedersi.


Osservò prima i fiori, poi quel letto.


“Sai, oggi non è potuta venire.”





“Lo so, è da un po’ che non viene. Però sai, ha sempre tanto da fare…”





“Ha detto che, se riesce, settimana prossima verrà con me!”





Kagome, cerchi forse di convincerti che questo accadrà? Lo sai bene che sono dieci anni che la mamma non mette piede qui!


“Piuttosto! Oggi ho marinato la scuola!” ridacchiò





“Sono andata ad Odaiba con un ragazzo, dovresti vederlo! Ti piacerebbe sicuramente!”





“E’ gentile, simpatico, divertente! Certo, ti saresti sicuramente arrabbiato se avessi saputo che ho saltato scuola! … Mamma non lo sa, sennò chi la sente!”





Gli prese la mano.


E’ ancora fredda.


“Sai, anche io mi sto dando da fare, proprio come te.”





“Continuo ad andare in istituto, tutte le settimane. Mamma è sempre agitata per questo motivo, ma tu sai com’è fatta, no?”





“Quando si lamenta faccio finta di niente.”





“Non è facile ignorarla, però sto migliorando, sai?”





“Beh, io devo andare. Mi dispiace di rimanere così poco oggi!”





“Domani torno a trovarti! E’ sabato, non c’è scuola e non devo andare in istituto!”





“Allora ci vediamo domani, d’accordo?”





“Ciao!”


Raccattò la sua giacca e uscì lentamente dalla stanza bianca.


Appoggiò la schiena contro la porta chiuse e fece violenza contro i suoi occhi, che volevano piangere a tutti i costi.


Non devi sentirmi piangere, papà…





Nota dell'autrice: mica bau bau micio micio! XD Citazione di Striscia spontanea a parte, rieccomi! E' un miracolo che non sia morta! °_°" In questo periodo studio e lavoro e il mio tempo libero ormai è andato a farsi friggere allegramente! XD Ma, per non parlare delle mie disgrazie (chissenefrega, direte voi!) parliamo di questo capitolo di Aoki! *_* Allora... a parte che Kagome, ogni tre per due, è con la testa tra le nuvole e quando la riportano nel mondo reale dice "Eh?" come fosse un pesce lesso XD Questo è un altro capitolo ad accenni: ho accennato al lavoro di Inuyasha, ho accennato al padre di Kagome e al litigio tra lei e Kikyo: questi temi sono solo abbozzati qui ma, già dal prossimo capitolo, saranno ancora più marcati perciò teneteli in considerazione! ^^ Per quanto riguarda l'appuntamento tra Inuyasha e Kagome, beh che dire, aspettavo da tanto di poter scrivere quella scena ed ora sono proprio soddisfatta del risultato ottenuto! Non ho voluto descrivere per filo e per segno tutto quello che hanno fatto, lascio all'immaginazione del lettore! ^_* Io mi sono "limitata" a porre l'accento sulle parti importanti! ^^ Vi anticipo che il prossimo aggiornamento sarà un intermezzo, con protagonista Inuyasha per la seconda volta: ho bisogno di scriverlo, mi serve per avere un pò di chiarezza su entrambe le parti circa il rapporto Inuyasha/Kagome! :) E' già quasi finito, quindi entro fine settimana prossima sarà on-line! Bene, noi ci sentiamo nelle prossime note! Ringrazio ancora chi legge e commenta! Mi raccomando, commentate! Mi fate davvero felice quando recensite!


L'autrice risponde ai commenti
Ryanforever: sono proprio contenta che continui a seguire Aoki nonostante gli aggiornamenti bimestrali, ormai! ^^ Continua a seguirmi, ora la storia entra davvero nel vivo! Un bacione!
Kagome19: bingo su Kagome! Sì, è vero, anche io ero un'autolesionista e ti assicuro che venirne fuori è stato tutt'altro che semplice... Neanche per Kagome sarà tanto semplice. Mi sfogo su di lei, povera! ;_; Eh eh, Kikyo sarà un'autentica rompi, però alla fine non farà nulla di male a Kagome, in fondo le vuole bene! ^^ Io faccio scienze del servizio sociale, facoltà di sociologia! :D E te???
Beverly Rose: anche tu hai indovinato su Kagome! :) Sì, Kikyo è in buona fede ma presto salterà fuori il suo passato e quindi... *si tappa la bocca* Però alla fine della fiera è innocua, tranquilla! ^^ Kagome non dirà "L'ho visto prima io!", userà qualche termine meno gentile! XD Col tempo si vedrà che mi combina 'sta protagonista! XD Spero che continuerai a seguirmi! ^_^ Ah, dimenticavo: anche a me Amici fa cascare le braccia, di brutto! :D


Bacioni, baciotti a tutti! E recensite! :)

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Capitolo 11
*** Intermezzo ~ Dearly Beloved ***


Intermezzo ~ Dearly Beloved


Sono passati tanti anni, ormai, dall’ultima volta che qualcuno mi ha guardato con affetto.


L’ultima cosa che fece mia madre prima di morire fu rivolgermi uno sguardo d’affetto.


Da allora più niente.


A scuola tutti mi guardavano storto.


Oppure impauriti.


Il paese nell’Hokkaido in cui sono cresciuto è piccolo, bastava un niente perché le voci corressero.


Tutti sapevano che era stato mio padre ad ucciderla, che lui non aveva esitato per rimpiazzarla con un’altra amante e che era una persona pericolosa.


Alcuni mi associavano a mio padre, mi credevano invischiato nei suoi affari e per questo mi evitavano.


Avevano paura. O schifo di me.


Pensavo di essermi finalmente liberato dallo spettro di mio padre che aleggiava attorno a me fin da piccolo e che detestavo con tutto me stesso.


Ma mi sbagliavo.


Quel figlio di puttana è venuto a Tokyo con tutto il suo seguito.


E che seguito


E grazie agli affari qui a Tokyo, il suo giro si è pure allargato.


E mi ci ha buttato dentro.





Appartengo a tante persone eppure nessuna di loro mi vuole bene.


Nessuno di loro mi ha mai riservato uno sguardo gentile, o una parola di conforto.


Come potrei aspettarmi una cosa del genere dalle clienti di mio padre?!


A loro interessa ben altro che fare gli occhi dolci


Come potrei aspettarmi una cosa del genere dai miei nuovi compagni di classe?!


Loro mi conoscono appena: non sono altro che lo zimbello del momento, il nuovo arrivato che incuriosisce tutti.


Tu sei l’unica che mi ha trattato in modo diverso.


Non ti sei avvicinata a me perché eri curiosa.


Tu mi hai attratto.


Mi stai attirando a te.


E non riesco a capire come hai fatto a disarmarmi completamente nel giro di due giorni.


I tuoi occhi malinconici?


Forse…


Il tuo fare buffo quando reagisci a una battuta?


Non lo so…


Però…





Quando ti vedo accucciata sulla terrazza, immersa nei tuoi pensieri…


Quando te ne stai a fissare il vuoto con gli occhi lucidi…


Quando ti guardi intorno con fare meravigliato…


Quando mi parli…


Quando mi guardi…


Non ne sono del tutto sicuro, però credo di aver trovato qualcuno, dopo tanti anni, in grado di accettarmi e di volermi bene.


Che mi rivolge qualche parola gentile perché lo desidera e non per farsi vedere.





Tu… fuggirai via?


Fuggirai via come tutti quanti?


Te ne andrai e mi abbandonerai?


No, vero…?





Che cos’hai?


Che cosa nascondi?


C’è qualcosa


C’è qualcosa di imperscrutabile…


Qualcosa che non riesco ad inquadrare.


Cos’è che ti spaventa tanto del mio disegno?


Ti fa paura come ho interpretato il tuo sguardo?


Oppure…


Oppure non saprei…


Che cosa ti fa paura?


Non cercare di nascondermelo


Non cercare di allontanarlo


Non cercare di distrarmi


Più fai così e più io voglio avvicinarmi a te…


Voglio avvicinarmi


E proteggerti


Tu mi fai sentire finalmente apprezzato.


Mi hai colto con una forza travolgente e una velocità devastante.


Hai colmato quel vuoto che mi trascinavo da più di dieci anni.


Ti prego, non scansare la mia mano, non sfuggire dal mio abbraccio.





Ma quest’amarezza che sento bruciare nel petto… cos’è?





Note dell'autrice: eccomi qua! ^_^ Alla fine ieri sera non ho resistito alla tentazione di terminare l'intermezzo e oggi l'ho rivisto, corretto e pubblicato! *_* Allora, che ve ne pare??? Se vi aspettavate un Inuyasha tutto innamoratino e pucci pucci... scendete pure dalle nuvole! xD No, dai, scherzi a parte! Tra Kagome e Inuyasha è chiaramente scattato un colpo di fulmine. Solo che è scattato così rapidamente che nemmeno loro se ne rendono conto. Io stessa non credevo ai colpi di fulmine ed ero piuttosto scettica a riguardo. Però, fidatevi della sottoscritta, i colpi di fulmine esistono! <3 Ad ogni modo tra poco i due la smetteranno di giustificarsi con "è troppo presto", anche perchè ho già pianificato tutte le magagne a cui andranno incontro! +_+ Come dite? Sono troppo cattiva? Forse! XD


L'autrice risponde ai commenti:
Darkina: ciao! *_* Non devi scusarti, figurati! ^^ Anzi, quella che dodvrebbe scusarsi sono io... I miei aggiornamenti sono ormai bimestrali! -_-" Ad ogni modo, ho trovato il modo per rendere più veloci gli aggiornamenti (parlo di cadenza mensile o, a volte miracoli permettendo, quattordicinali! Poi vabbè gli intermezzi non fanno testo! XD) quindi spero potrai apprezzare anche gli aggiornamenti futuri!
ryanforever: eh eh, hai detto bene! ^^ Kikyo non è disposta a lasciarsi scappare Inucchi senza lottare! E lotterà, nel prossimo capitolo, eccome se lotterà! :) Cavoli, senza volerlo hai anticipato una scena del prossimo capitolo, un flashback di Kikyo quando s'è vista Inucchi prendere le cose sue e di Kagome per poi andarsene! ^^ All'idea del capitolo che devo scrivere, mi sfrego le mani! *_* Ci sono un paio di scene cruciali che "progetto" da mesi! Alla prossima, carissima! :*
Beverly Rose: allora se sei occupata con le tue supposizioni su Inucchi ne avrai per un pò :) E se proprio non puoi resistere, ricordati che hai le domande da farmi a disposizione! XD Se non ce la fai più ad arrovellarti, sai dove trovarmi! ^^ Eh già, ci sono alcune scene importanti in questo capitolo. Ma vedrai il successivo! XD *Si sfrega le mani* Un bacione!
Kagome 19: uuuh, hai intuito qualcosa?? *_* Dai, dai, dimmelo! Dimmelo in un orecchio così nessuno ti sente! XD Bisbiglia, bisbiglia! *psstpsstpsst* Ok, sto sfasando! ^^" Sgridami pure, ho bisogno di una bella strigliata! ;_; Non posso lasciare Aoki senza aggiornamento per così tanto tempo! ;_; Ad ogni modo, come detto più sopra, ho trovato una "streategia" che dovrebbe aiutarmi ad organizzarmi meglio e a rendere più ravvicinati gli aggiornamenti! ^^ Vedremo se funzionerà! ^_^ Inucchi e Kagome sono dolci, vero? *_* Nel prossimo capitolo, però, niente dolcinerie e simili! Nel prossimo capitolo tornano i soliti toni un pò "cupi"! Prevedo botte! XD Grazie mille per i complimenti, spero continuerai a seguirmi! :*
illyfra: ma ciao! *_* Ti ringrazio molto per il tuo commento, sono davvero contenta che Aoki piaccia così tanto! ^^ L'appuntamento tra Kagome e Inucchi l'ho scritto con molta gioia! Del resto, sono una fan di questa coppia dal lontano 2001... gosh, come passa il tempo! ;_; Certo, è vero, magari questi Inucchi (bel nomignolo, vero? XD) e Kagome sono leggermente "diversi" da quelli originali: li sento più reali, più miei! Pensavo che questa cosa avrebbe potuto recare fastidio ai lettori, ma fortunatamente non è stato così! ^_^ continua a seguirmi, mi raccomando! ^_*





Come sempre, ringrazio tutti voi che leggete, mettete Aoki tra i preferiti (siete sempre di più! *_*) e che recensite! Mi raccomando, continuate a farlo! Commentate in tanti! Sennò piango e non aggiorno più! ;__; Al prossimo capitolo!

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Capitolo 12
*** Kono basho ga sagashiteta ore no iru basho ~ I'm here at the place I'd been searching for ***


9. Kono basho ga sagashiteta ore no iru basho ~ I'm here at the place I'd been searching for


A metà strada si sedette: aveva il fiatone.


Maledetti cento gradini, sono sempre troppi!


Le bruciavano gli occhi, sulla strada per casa aveva pianto troppo.


Le succedeva tutte le volte che andava da suo padre.


E piuttosto che farsi vedere dai suoi in lacrime, preferiva fare la figura della deficiente in giro: lo sguardo appannato dalle lacrime era sempre un problema, ci vedeva poco e andava spesso a urtare altre persone. E non chiedeva nemmeno scusa, era immersa nei suoi pensieri dall’ospedale a casa sua.


Ogni volta doveva fare una violenza assurda sul suo corpo per non piangere quei tre minuti necessari per entrare in casa, sopportare sua madre, salutare il nonno, il fratello, promettergli come sempre che, la sera, l’avrebbe aiutato a fare i compiti e fiondarsi un po’ in camera.


Quel giorno, però, c’era anche qualcos’altro che la rendeva triste.


Quella vista…


Quei due…


Il suo sorriso…


La risata fastidiosa di lei mentre parlavano…


Inuyasha sembrava un’altra persona.


Era una strana scena, davanti a lei c’erano due persone che conosceva… ma erano tremendamente diverse da come le aveva sempre viste lei. Quella vista l’aveva spaventata: era stato sufficiente guardarli due secondi per sentire il petto lacerarsi lentamente, come se qualcuno le avesse con forza rigirato il dito nelle piaghe che già possedeva. Aveva richiuso velocemente la tenda e, nel girarsi, incespicò nella borsa abbandonata ai suoi piedi e cadde per terra, sparpagliando ovunque il contenuto dell’oggetto di pelle marrone. L’occhio le cadde sull’agenda. L’aprì e lesse solo una cosa Mercoledì 30 novembre - inizio terapia, in reparto L’aveva completamente dimenticata ed era una cosa che non le era mai successa, quella di dimenticarsi - anche solo per tre secondi - l’inizio di una terapia. Leggere quella riga era come un fulmine a ciel sereno. Era come se ci fosse scritto: Ehi, scema, cosa credi? Di poter condurre una vita normale?


Cosa mi hai fatto?


Cosa vuoi fare?



La realtà le stava facendo aprire gli occhi e dando un paio di sonori schiaffi.


Torna con i piedi per terra, cretina!


Si raccolse le gambe al petto e vi nascose la faccia.


Singhiozzò.


Cosa pensavi? Cosa speravi? Tu non puoi affezionarti così a qualcuno! Non puoi affezionarti a nessuno! Tu non appartieni al loro mondo! Loro stanno bene, sono normali! Tu non puoi entrare nel loro mondo, così come loro non potranno mai entrare nel tuo!


Cosa credevi di fare?


Cosa puoi sperare?





Tu non puoi fare nulla, appartieni ad un mondo che ti ha legata a sé…


Gli altri non possono vedere…


Gli altri non possono sapere…


Gli altri non possono entrare.



Si sfregò gli occhi con entrambe le mani e respirò a fondo.


Frugò nella borsa, tirò fuori il pacchetto di sigarette e lo aprì; scoprì con amarezza che ce n’era rimasta una sola.


Fece una smorfia prima di accenderla.


E che cazzo!


Inspirò profondamente prima di buttar fuori il fumo.


Il sapore amarognolo e l’odore pungente del fumo la calmavano.


Gettò uno sguardo alle sue spalle, giusto per controllare che non arrivasse nessuno della sua famiglia.


Se arriva Kikyo le spengo la sigaretta sulla faccia!


Come spesso le accadeva, cambiava umore nel giro di tre secondi ed ora, dalla tristezza, era passata all’incazzatura.


No, non fare niente. Non innervosirti, stupida, o passi dalla parte del torto!


Il nervosismo, però, non la abbandonava; fece un altro paio di tiri nella speranza di placarsi, ma non servì.


Le era bastato ricordarsi di Kikyo per innervosirsi come pochi. Se la incontrava in cortile era finita, probabilmente le avrebbe messo le mani addosso.


Sei viziata!


Te ne approfitti della tua situazione!



Digrignò i denti e, con forza, schiacciò la sigaretta a terra e la spense ancor prima di finirla.


Si sfregò ancora gli occhi e si alzò in piedi di scatto.


Devo sbrigarmi a tornare in casa! Sono le sei e tra poco quella stronza finisce di lavorare, non voglio incontrarla qui!


Si girò e salì i gradini a due a due.


Certo, salire a due a due una cinquantina di scalini non era certo il massimo della vita, per una che aveva la schiena ridotta a uno schifo, poi, era proprio una bellezza.


Ormai era conciata da sbatter via, non esitava a farsi del male se era necessario.


Stringeva i denti e andava avanti.


Più sentiva il fiato venirle meno più lei accelerava il passo.


Era pazza.


E lo sapeva benissimo.


Quando raggiunse il cortile si fermò e si inginocchiò: era letteralmente senza fiato.


Forse ho esagerato.


Il rumore di una porta che si apriva attirò la sua attenzione.


Alzò lo sguardo e ciò che vide non le piacque per niente: sua madre era sulla soglia della porta, che fissava la figlia con sguardo preoccupato. Quando poi si rese conto che si stava dirigendo verso di lei, cacciò giù a forza quello che sembrava un conato di vomito. Ormai anche soltanto intravedere quella donna le procurava effetti come nausea e malessere: non la tollerava proprio e più passava il tempo più si rendeva conto che, con il suo atteggiamento, aveva creato una netta linea di confine tra lei e la madre. Non si sentiva in colpa per quello, sua madre era l’ultima persona che avrebbe voluto accanto a sé.


“Kagome! Cosa stai facendo?”


Papà…


“Non stare piegata, ti farà male la schiena!”


Tu pensi che prima o poi…


“Su forza, entra in casa!”


Le cose si aggiusteranno?


“Santo cielo, possibile che tu, ogni santa volta che vai da tuo padre, torni sempre di corsa o con il fiato corto?! Ma tu ascolti la fisioterapista, quando ti parla?”


La madre prese Kagome per un braccio, intenzionata a trascinare la figlia in casa.


Cos’è questa sensazione? Perché conosco già la risposta alla mia domanda? Perché faccio finta di non saperla?


Tutto attorno a lei era silenzioso, sentiva la voce di sua madre lontana e ovattata, la luce del sole ormai volto al tramonto era fastidiosa, non capiva bene dove si trovava. Era ancora in giardino? Era già in casa?


Un fulmine a ciel sereno.


“Lasciami andare!!” urlò all’improvviso.


Le sue urla ruppero il silenzio che la permeava e i rumori tornarono velocemente come se n‘erano andati; improvvisamente, capì che era ancora in giardino, sua madre la teneva per un braccio: con uno strattone violento, si liberò dalla presa della donna e fece un paio di passi indietro, facendo attenzione a non incespicare, come era solita fare.


“Che cosa vuoi, eh?! Che cosa vuoi da me?!


“Kagome!” la madre si stupì, non si sarebbe aspettata un’esplosione della figlia senza un motivo apparente. Anche se ultimamente la figlia aveva scatti d’ira continui, ogni volta lei rimaneva di sasso dalla rabbia e dalla violenza crescente che la ragazza esternava.


“Calmati, ti prego! Non fare così, c’è ancora gente nel negozio del nonno!”


“Ah, sì eh? E’ così? Te ne fotti solo degli altri, dell’impressione che tu fai a loro?!”


“Kagome, smettila per piacere!” tentò di assumere un tono severo


“Sono tua madre, portami un po’ di rispetto!”


“Rispetto un cazzo! Come puoi pretendere rispetto da qualcuno se tu per prima non ne porti verso gli altri?!”


“Ma che cosa stai dicendo?!”


“Cosa sto dicendo?! Cosa sto dicendo!! Ma tu ce l’hai un cervello che ti suggerisce di dire la cosa giusta?! A quanto pare non è così!”


Kagome aveva raggiunto un livello di delirio mai raggiunto prima; lei stessa si sconvolgeva delle parole che rivolgeva a sua madre ma non aveva la benché minima intenzione di fermarsi né di ritirare quanto già detto. In fondo, anche se esagerate, le sue parole rappresentavano ciò che pensava davvero.


Le due donne litigavano a gran voce, al punto che furono sentite sia dai clienti del negozio che da Inuyasha e Kikyo, entrambi intenti a riordinare gli scaffali del negozio di talismani. Anche Sota e Jii-san li sentirono; andarono tutti a vedere cosa stesse succedendo, mentre i clienti preferirono andar via, per evitare situazioni imbarazzanti. Inuyasha e Kikyo osservavano la scena a pochi metri accanto a Kagome, Sota affacciato dalla finestra della stanza della sorella e Jii-san alle spalle della figlia.


Erano entrambe così concentrate sull’altra da non rendersi conto delle persone che le ascoltavano a bocca aperta. La madre era sconvolta dalle parole della figlia mentre Kagome, dal canto suo, stava inesorabilmente perdendo il lume della ragione.


Ormai in preda ad uno scatto d’ira, si tolse furiosa la giacca, alzò maglione e camicia e, con un gesto rapido, strappò le fasce in velcro del busto, se lo sfilò e lo gettò con forza contro la madre, prendendola in pieno viso dalla parte delle stecche rigide.


“Che rispetto vuoi?!” iniziò a sudare


“Non te n’è mai importato nulla di papà da quando hai saputo che per lui non c’era più niente da fare!! Hai scaricato tutto su di me!! Hai almeno… una vaga idea… hai idea cosa voglia dire avere sei anni e vedere il proprio padre crollarti addosso sanguinante?!”


Papà, finirà tutto questo prima o poi?


“Ora che lui è ridotto così, tu hai chiuso con lui!! Ora spendi tante energie con me perché sono… perché sono malata!! Mi rompi così tanto le palle dalla mattina alla sera solo perché vuoi essere certa che sopravvivrò a tutto quanto!!”


Ormai non posso più sperare che tu apra gli occhi…


“Perché se per caso tu scoprissi che per me non ci sarebbe più nulla da fare… oh mio Dio, non… non-non riesco nemmeno a-ad immaginarmelo!! La lascio stare, tanto deve morire! La stessa cosa che pensi di papà, no?! E che farai poi? Scaricherai anche me a qualcuno?! Toh, guarda! Proprio come hai fatto con papà!! Se non fosse stato per il nonno, che mi accompagnava ogni santa volta in ospedale, ora papà marcirebbe in solitudine in quella lurida stanza!!”


E se li chiudessi io…?


Come puoi pretendere rispetto?! Sei una persona orribile e pretendi pure rispetto!!” un colpo di tosse la fermò, stava urlando davvero troppo.


Una lacrima dopo l’altra… iniziò a piangere: voleva ricominciare a parlare, a sfogarsi ma non ci riuscì. Aveva un terribile mal di testa, sentiva le tempie pulsare inesorabili. Provò a parlare ma le uscì soltanto un lamento strozzato, seguito da un altro colpo di tosse. Un improvviso senso di vertigini la fece barcollare: un fruscio, un movimento veloce e Inuyasha la prese da dietro, impedendole di cadere.


Inuyasha…?


Era confusa, iniziava a non capire più niente, iniziava a sentirsi male.


Un sorriso dolce, uno sguardo triste…


Lo scrutò attentamente con le poche forze che non l’avevano abbandonata durante lo sfogo con la madre. E dopo pochi secondi capì.


Capì tutto…


Si rese conto della situazione in cui si era ficcata…


Inuyasha l’aveva vista. Ma, cosa ancora più grave, Inuyasha l’aveva sentita. Lui era l’unica persona che ancora non sapeva, che poteva accogliere accanto a sé proprio perché non sapeva nulla. Ma ora… ora non era più così. Ora anche lui sapeva, ora anche lui era come tutti gli altri.


La tristezza la invase.


Ma anche rabbia: era colpa sua, se l’era cercata lei, quella situazione. Si era messa ad urlare come una dannata contro la madre ed ora avrebbe dovuto pagare lo scotto del suo carattere terribilmente lunatico e suscettibile.


Doveva pagare allontanandosi dall’unica persona che, col tempo, forse… avrebbe potuto avere vicina.


Doveva allontanarsi, non voleva sentire anche lui prendersi gioco di lei come facevano tutti, parlare male e sputare veleno solo per diletto, solo perché lei era, da mesi ormai, l’argomento del giorno. Non voleva vederlo ridacchiare alle sue spalle, assumere un atteggiamento di sufficienza nei suoi confronti e sparare qualche battuta acida contro di lei.


Non voleva…


Ormai… ora… lui non… non può… non può più…


Trattenne a stento un altro conato di vomito, mentre lasciava che le lacrime le bagnassero le guance senza fermarsi e i singhiozzi la scossero violentemente.


Il nonno di Kagome, che aveva osservato la scena senza batter ciglio e per nulla stupito, a differenza di Inuyasha e di Kikyo, si frappose tra la figlia e la nipote:


“Inuyasha, per favore, potresti portare Kagome in camera sua? Sembra stanca e, oltretutto, non ha una bella cera… Vorrei si riposasse un po’.”


Il ragazzo si limitò ad annuire e poi prese la ragazza in braccio con una facilità impressionante: Kagome non si scompose. Come la prese tra le sue braccia, smise di singhiozzare, ma le lacrime continuavano a scendere lente.


Si sentiva vuota, sospesa a mezz’aria da una strana forza.


Non si strinse contro il petto del ragazzo, né cercò alcun tipo di contatto per reggersi ed evitare di cadere: d’altro canto, Inuyasha la stringeva saldamente ed era difficile che lei potesse cadere.


“Grazie ragazzo, in fondo alle scale, la stanza sulla destra. Tu Kikyo, invece, torna pure al lavoro” e prese con sé la figlia, mentre Inuyasha si dirigeva verso la stanza di Kagome.


Inuyasha… è diventato come tutti… non può… non può più…





Quando giunsero nella stanza della ragazza, Inuyasha la appoggiò delicatamente sul letto, sollevò il piumone e coprì il corpo fragile e tremante di Kagome che, nel frattempo, si era rannicchiata in posizione fetale, dando le spalle ad Inuyasha, con le mani strette a pugno davanti agli occhi, per impedire a chiunque di vederla mentre piangeva.


Era ben conscia che era inutile, tutti i presenti l’avevano vista piangere, ma si illuse di poter riparare l’irreparabile.


Un improvviso moto di rabbia e desolazione la fece singhiozzare di nuovo.


Tutto il suo corpo continuava a tremare senza sosta: aveva freddo e caldo allo stesso tempo; Inuyasha senza dire niente, le mise una mano sulla fronte ed ebbe la conferma ai suoi dubbi: era bollente, aveva la febbre.


Al tocco della sua mano, Kagome si irrigidì: Inuyasha se ne accorse ma non cambiò posizione.


“Ehi… Kagome” si limitò a dire con tono dolce


“Devi avere un febbrone da cavallo, scotti. Vuoi che ti porti qualcosa? Un po’ d’acqua?”


Silenzio.


Inuyasha sospirò; tolse la mano dalla fronte della ragazza e appoggiò un braccio sul letto mentre con l’altro accarezzò la testa di Kagome; la ragazza si irrigidì ancora.


“Mi dici dove tieni il pigiama? Te lo porto e poi ti lascio da sola a cambiarti. Non sei molto comoda con gli abiti per l’aria aperta addosso, giusto?”


Ancora silenzio, ogni tanto interrotto da qualche singhiozzo.


Il ragazzo decise di aspettare ancora un po’, continuando ad accarezzare dolcemente quelli che lui credeva fossero i capelli di Kagome.


Quel tocco così dolce… quel tono di voce così gentile…


Inuyasha… lasciami stare…


Ti prego…


Lasciami in pace…


O non sarò più in grado di allontanarmi da te…



“Vai… via…” riuscì a sussurrare, prima di tossire.


“Perché dovrei?” rispose prontamente Inuyasha


“Stai male, hai bisogno di qualcuno”


Non trattarmi così dolcemente.


Non trattarmi con riguardo.


Il mio cuore si lacera ogni volta che ti rivolgi così a me.



Un singhiozzo.


Un altro ancora.


Non riesco a trattenermi, Inuyasha.


Io odio piangere davanti alla gente, è una cosa che proprio non sopporto.


Eppure non riesco a fermarmi se so che tu ti rivolgi a me in quel modo.



Una lacrima.


Un’altra ancora.


Non trattarmi in questo modo.


Tu ormai sei già troppo distante da me.


Non cercare di farmi vacillare, non reggerei il momento in cui dovrò allontanarmi definitivamente da te.



“Ti pre… go… v-vai…” implorò con la poca voce che le uscì.


“No” disse fermo il ragazzo, continuando ad accarezzare la testa di Kagome.


“Su, coraggio, siediti. Ti porto un bicchiere d’acqua e, se mi dici dove lo tieni, il pigiama. Poi ti riposi un po’.”


Ancora singhiozzi.


Basta, Inuyasha… Non fingere di essere dolce.


Non illudermi…



Non seppe cosa l’aiuto a muoversi, fatto sta che si girò verso il ragazzo, seduta, con la faccia nascosta tra le mani.


“Ti prego…” inspirò rumorosamente


“Vai… via… ti… supplico…”


Inuyasha non riusciva a spiegarsi il comportamento della ragazza; d’accordo vergognarsi per aver urlato determinate cose in pubblico, ma quello non era certo il momento delle parole, non era il momento delle spiegazioni: Kagome stava male, l’unica cosa da fare in quel momento era curarla, per quanto possibile.


La prese per entrambi i polsi, costringendola a togliersi le mani dal viso: voleva vederla negli occhi, non voleva che si nascondesse come facevano le persone con la coscienza sporca, non voleva che piangesse in quel modo, voleva… voleva far qualcosa per lei…


La ragazza cercò di fare resistenza, ma era tutto inutile: era troppo debole e Inuyasha era pur sempre un ragazzo e, di conseguenza, più forte di lei.


“Kagome, non fare così! Che ti prende?”


Scansò il suo viso volgendo lo sguardo verso il basso, ma anche quello fu completamente inutile; Inuyasha, con rapidi movimenti, con una mano le prese il mento mentre con l’altra teneva ferme entrambe le mani.


I suoi occhi iniziarono a bruciare…


Non riusciva a reggere il suo sguardo, non ce la faceva…


Ringraziò il cielo che le lacrime le offuscavano la vista e le impedivano di mettere bene a fuoco quello che aveva davanti a sé. Ma non bastava. Sapeva che davanti a lei c’era Inuyasha: sfocato o meno, era lui. E questo non poteva reggerlo.


Cercò, invano, di dimenarsi e di liberarsi:


“Ti prego… non… non… g-guardarmi…” sussurrò tra i singhiozzi quando si rese conto che le maniere forti erano inutili


Inuyasha rimase senza parole, non sapeva che dire, non sapeva che fare…


“Non guar…dar…mi… ti prego…”


Le lasciò lentamente i polsi e il mento e la aiutò a sdraiarsi: lei si rimise in posizione fetale, le mani davanti al viso. Stavolta, però, non volse le spalle ad Inuyasha, non ci riusciva.


Chiuse gli occhi brucianti e continuò a piangere e a singhiozzare: più cercava di calmarsi più si agitava e piangeva.


Inuyasha, dal canto suo, la osservò un po’, senza capire bene cos’era quella strana malinconia che gli attanagliava lo stomaco: si limitò ad accucciarsi nuovamente accanto al letto e strinse una mano della ragazza nella sua.


Era lì, pronto ad aspettare che Kagome rifiutasse la stretta della sua mano: un rifiuto che non arrivò. La ragazza, infatti, non scacciò la mano di Inuyasha, anzi. Ricambiò stringendo ancor di più la sua mano a quella grande e calda del ragazzo.


Come i due si presero per mano, Kagome smise di singhiozzare e, dopo un po’, anche di piangere e, quasi inconsapevolmente, scivolò nel sonno, esausta.


Inuyasha…





Quando aprì gli occhi era già mattina: venne svegliata dalla vibrazione del cellulare, che aveva dimenticato acceso sul comodino la sera prima.


Si stropicciò gli occhi ancora doloranti e si mise faticosamente a sedere: allungò un braccio e prese il telefonino.


Chi cavolo è che rompe alle…


Osservò il display


Nove di mattina!!


“Ehi, ciccina! Tuo nonno mi ha telefonato ieri sera per dirmi che hai la febbre! Stai un po’ meglio, ora? Se ti va, verso le dieci io e Miroku veniamo a farti compagnia!”



Un sms di Sango.


Un debole sorriso si abbozzò sul suo volto: nonostante non si sentisse bene, aveva proprio voglia di vedere qualcuno che non fosse sua madre, Kikyo o Inuyasha. Kagome adorava Sango e voleva molto bene anche al ragazzo di lei, Miroku. I due stavano insieme da quasi due anni, nonostante le continue scappatelle da dongiovanni di lui che finivano sempre in litigi tra i due. Litigi che, ovviamente, duravano poco. Si volevano davvero molto bene e, quando erano assieme, davano vita ad una serie di buffe scenette che avevano tirato su di morale Kagome in più di un’occasione.


E quella sarebbe stata un’occasione ideale per farsi tirare un po’ su di morale.


Rispose di sì senza pensarci troppo e ripose il cellulare sul comodino.


Si stropicciò nuovamente gli occhi e si stiracchiò per alcuni secondi prima di fare mente locale: aveva ancora un gran caldo, la testa pulsava senza sosta e la gola bruciava. La sera prima si svegliò verso l’ora di cena ed Inuyasha non c‘era più. Aveva trovato il pigiama ai piedi del letto e la sua parrucca era ordinatamente riposta sul supporto di polistirolo. Non sapeva chi gliel‘avesse tolta, ma si volle illudere che il nonno fosse entrato in camera sua mentre lei dormiva. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l‘ipotesi che fosse stato Inuyasha, che si fosse resa conto che lei era senza capelli ed indossava una parrucca: a quel punto, avrebbe saputo troppe cose. Per ora, sapeva che lei era malata e che aveva dei problemi con sua madre per via del padre e quello doveva bastare, era fin troppo.


Non se la sentì né di scendere in cucina, né di mangiare un boccone, l’unica cosa che riuscì a mandare giù era un po’ di latte caldo con il miele. Suo nonno e Sota le tennero compagnia per un po’ prima che si riaddormentasse e si offrì addirittura di aiutare lo stesso il fratellino con i compiti, nonostante la sua mente non fosse lucida. Non vide sua madre per tutta la serata ed era meglio così: forse era stato Jii-san a consigliare alla donna di non salire in camera della figlia per evitare una degenerazione ulteriore della situazione, forse era la madre stessa che non voleva salire. Chissà, si ritrovò a pensare Kagome subito prima di dormire, ma poco importava, alla fine della fiera. Le bastava non vederla.


Non stava decisamente meglio, ma non era la saluta fisica il suo pensiero principale, in quel momento.


Era sabato, ciò voleva dire che sia Kikyo che Inuyasha lavoravano al tempio di mattina e non di pomeriggio; la visita di Sango e Miroku era, quindi, come una manna dal cielo.


Almeno se Inuyasha viene a trovarmi ci sono anche Sango e Miroku, non sono da sola con lui.


… ma perché Inuyasha dovrebbe venire a trovarmi?!



Si diede un paio di schiaffi.


In fondo, è qui per lavorare e poi…


E poi, ormai sa qualcosa…


Ormai non posso più stargli vicina…



Sentì che le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi e cercò subito di fermarle.


No, Kagome!


Non piangere!


Non lamentarti, non devi ricordare a te stessa…


Che ti sentirai sola…


Perché sei tu a volerlo…


Non ammettere a te stessa che ti senti sola e che la solitudine ti accompagnerà per tutta la vita.


Perché la solitudine è la tua strada, ormai.


Accettala senza fare tante storie.



Deglutì a fatica e si alzò dal letto: era sudata e voleva cambiarsi; come fu in piedi, barcollò per colpa delle vertigini. Si aggrappò a malapena alla sedia, chiuse gli occhi e aspettò per qualche secondo che quel malessere si placò; poi, tirò fuori dall’armadio un pigiama pulito e si diresse in bagno. Era madida di sudore e una cosa che non aveva mai sopportato era avere i vestiti tutti appiccicaticci per via del sudore e, per questo, metteva molto spesso a lavare i suoi vestiti (con tanto di litigate con la madre, pure su questo).


Si lavò per bene e si rinfrescò un po’: era una bastian contraria. In genere, quando si ha la febbre, si sente sempre freddo. Lei no. Avvertiva un po’ di freddo solo all’inizio, poi era sempre una tortura, aveva sempre caldo. Buon segno, le dicevano i dottori,vuol dire che guarisce più in fretta. Ed, effettivamente, Kagome su piccole malattie come quelle aveva la capacità di guarigione di un animale.


Quando tornò in camera, prese parrucca e spazzola, si sedette sul letto ed iniziò a spazzolare quell’ammasso di capelli sintetici con molta cura e pazienza. Ogni tanto gettava fuori un’occhiata fuori dalla finestra per vedere il tempo: era nuvoloso e non accennava a migliorare, anzi. Tendeva alla pioggia e quello non aiutava certo: Kagome soffriva molto il tempo. Già era lunatica di suo, per di più le condizioni meteorologiche potevano influire su quello che lei chiamava scherzosamente tra sé e sé condizione depressiva. Se c’era brutto tempo lei era triste, soffriva. Piangeva con il cielo, si incupiva con il cielo e si schiariva e rallegrava con il cielo. Non l’aveva mai detto a nessuno, altrimenti era la volta buona che la spedivano a forza e a vita in un centro psichiatrico.


Spazzolò accuratamente per un po’ la parrucca: non voleva che fosse in disordine, ci teneva. Era molto scrupolosa con i suoi capelli e quell’abitudine non venne meno con la parrucca. Quando ebbe finito spruzzò sui capelli sintetici un po’ di spray lucidante e, soddisfatta, se la sistemò per bene sulla testa.


Anche se aveva caldo, non voleva mostrarsi alla gente senza parrucca, nemmeno davanti alla sua migliore amica e al suo ragazzo; fino a quel momento, le uniche persone che l’avevano vista con, al limite, solo una bandana sul capo, erano i suoi familiari: non era così pazza da tenere indosso la parrucca tutto il santo giorno se non doveva mettere il naso fuori casa, non era così masochista.


Un’altra cosa su cui si prendeva, amaramente, in giro: non vuoi morire di caldo per non essere masochista, però ti tagli i polsi. Bella roba, cervello, come funzioni bene…


Aprì un poco la finestra per cambiare aria alla stanza e si sedette nuovamente sul letto, prese un libro e iniziò a sfogliarlo un po’, quel poco che gli occhi brucianti le permettevano giusto per ammazzare il tempo in attesa dell’amica.


Stette seduta sul letto e con la finestra aperta per diversi minuti fino a quando non si rese conto che, se voleva evitare un principio di congelamento, doveva chiudere e infilarsi sotto le coperte. Odiava questi sbalzi dal caldo al freddo tipici dell’influenza e, per questo, si innervosì.


Ma la cosa che la fece innervosire ancora di più fu sentire la voce di Kikyo provenire dal cortile mentre era in procinto di chiudere la finestra: avrebbe voluto fregarsene ma la presenza di una seconda e di una terza voce la bloccò. Avrebbe riconosciuto quelle voci anche da chilometri: erano Sango e Miroku.


Ma che ci fanno qui? Sono in anticipo! In genere, Sango è puntualmente in ritardo!


Un’altra cosa che non le piacque fu sentire, dai toni di voce, che lo scambio verbale che i tre stavano avendo - Kikyo e Sango soprattutto - non era molto amichevole.


Sbuffò.


Non vorrà provarci anche con Sango, eh? Ma si può sapere quante stronzate ha in serbo quella?


Senza dar retta al suo fisico, che chiedeva a gran voce le coperte calde e un po’ di riposo, si infilò un golfino di lana bianco, il primo che trovò frugando nell’armadio e uscì dalla stanza, diretta barcollante verso il cortile.


Si resse in piedi a fatica sulle scale e, più di una volta, rischiò di scivolare. Giunta nell’atrio la madre, che la vide dal tinello, le arrivò accanto e la fermò:


“Dove vai, Kagome? Torna a letto, non riesci neanche a stare in piedi!”


La ragazza la scansò, limitando a dirle atona di farsi gli affari suoi e uscì in cortile, sbattendo la porta alle sue spalle, in faccia alla donna, quasi a voler marcare il suo odio. Come per dirle ricordati che ti odio anche oggi.


Quando fu in cortile, i tre si accorsero subito di Kagome dal rumore che la ragazza fece nel chiudere la porta d’ingresso; non riuscì neanche a fare un passo che rischiò nuovamente di finire per terra, era davvero malconcia. Stavolta fu Miroku a reggerla:


“Grazie…” riuscì a sibilare, sorridendo.


Aggrappata all’amico, il suo sorriso si tramutò in qualcosa di freddo quando i suoi occhi incontrarono quelli di Kikyo, scambiandosi reciprocamente uno sguardo infastidito, seccato, gelido…


“Che fai, Kikyo? Adesso insulti pure loro due?” Kagome non resistette alla voglia irrefrenabile di punzecchiarla. Era fatta così, se una persona la irritava terribilmente, doveva dirle qualcosa. Non si sentiva a posto se non se ne andava con l’ultima parola in tasca, le dava terribilmente fastidio. Non gliene importava nulla se passava dalla parte del torto, aveva quel vizio fastidioso che non riusciva assolutamente a correggere.


“Di che t’impicci, Kagome?” la risposta di Kikyo fu fredda come la sua espressione.


Lei può…


Lei può…


Lei può…



“Sai, ho sentito la tua fastidiosissima voce da camera mia dato che, fino a prova contraria, ti trovi nel cortile del tempio di casa mia


“Io qui ci lavoro!”


“E io ci vivo, pensa un po’!” ribatté con una vocina stridula, per prendersi gioco di lei


Da quanto hai perso la strada? Perché l’hai persa? Perché fai così?


“Sì, certo” disse Kikyo stizzita “vivi la tua vita da brava viziata, senza renderti conto di quello che hai attorno e ti crogioli in problemi che la tua mente quintuplica e fai tanto la bellona davanti a noi, non parlandoci mai dei tuoi problemi e scrutando tutti dall‘alto al basso!”


Miroku dovette trattenere a fatica una Kagome sull’infuriata andante, pronta a mettere le mani al collo a Kikyo e strozzarla.


Io una bellona? Io guardo tutti dall’alto al basso?! Io quintuplico i miei problemi?! Ma non ti rendi conto che stai descrivendo i tuoi difetti, sottospecie di orrida troia?!?!


Un’altra cosa che la faceva imbestialire era la gente che le attribuiva difetti che lei non aveva e che, addirittura, possedevano coloro che le puntavano il dito contro e l’accusavano di questo o di quello. Perdeva facilmente le staffe con persone del genere e mantenere la mente lucida era sempre stato molto difficile con lei. Kikyo stava giocando con il fuoco, ne era consapevole.


Conosceva bene il carattere di Kagome, eppure girava per bene il coltello nelle piaghe giuste: era questo ciò che faceva rimanere perplessa Sango. Non capiva perché Kikyo si stesse comportando così. Sapeva che Kagome, quando era davvero incazzata, sputava fuoco e fiamme facendo terra bruciata senza un briciolo di pietà verso chi le era contro. Non era Kagome la novità, era Kikyo.


C’era qualcosa in lei che non andava…


“Stammi bene a sentire, sottospecie di brutta troia complessata!!” urlò con tutta la voce che le uscì


Non ci vedo più, non ci sento più… non provo più niente… cos’è che mi blocca? Il mio cuore, forse? Il sangue che sgorga da esso? Cos’è tutto questo buio?


“Io non sono mai, e lo ripeto, mai venuta a giudicare tutte le seghe mentali che ti facevi e che ti fai, tutt’ora! Perché non credere di fregarmi, non sono scema, lo so che ti fai ancora delle pare mentali madornali! Non ho mai giudicato tutte le storie che ti fai e tutte le stronzate che ti passano per la testa soltanto perché i tuoi genitori non ti degnano di uno sguardo da quando Kaede è morta!!”


Ora anche lei aveva oltrepassato la linea…


Se ne accorse ma non si fermò, anzi. Aumentò ancora la sua carica di furia:


“non le ho mai giudicate, cazzo!! Con che faccia da stronza tu ora vieni qui e spari sentenze su cose che non sai?!


“se è per questo, tu non sai nulla di Kaede!”


“Oh ma per favore Kikyo, fottiti! Se non sei abbastanza sveglia da capire che il mio era un esempio non sono cazzi miei! Ricordi? Ho detto giusto tre secondi fa che non ti ho mai giudicato per le pare che ti fai su Kaede!”


“Lo stai facendo ora!”


“E tu con me cos’hai fatto, stronza?!”


Dio, se qualcuno non mi ferma l’ammazzo! Giuro che l’ammazzo!!


“Io di te so! Io lo so, ti conosco e ti osservo da tanto! Ho visto come hai trattato di merda tua madre, ieri! Qui la repressa sei tu, non io di certo!!”


Kagome sentì un fastidioso prurito investirle dapprima le mani, poi le braccia e infine tutto il corpo, avvertiva forti vampate di caldo. Prima di ribattere a quelle stronzate, tossì forte. Sango tentò di zittirla, non era proprio il caso che si sforzasse troppo, ma Kagome continuò ad urlare come se niente fosse, ignorando l’amica.


Sia lei che Miroku erano consapevoli del fatto che ormai Kagome aveva perso la lucidità e fino a quando non si sarebbe sfogata a dovere, non avrebbe mai lasciato stare Kikyo.


Tu-non-sai-un-bel-cazzo-di-niente!” scandì per bene le parole digrignando i denti


“Chi sei tu? Nostradamus? Eh? Una veggente che legge nella mente?” eh? Che cazzo vuoi? Che cazzo vuoi?!?! Vuoi una madre presente?! La vuoi?! Oh che peccato, mi dispiace tanto per te ma qui non la trovi di certo!! La mia non è una madre presente, è una donna complessata tanto quanto te che non va mai a trovare il marito in coma da quasi dieci anni, che ha scaricato tutto su di me quando avevo sei anni, sei!! E non hai la benché minima idea che significhi avere sei anni e piangere in una fottutissima stanza d’ospedale nella stupida speranza che tuo padre si risvegli e ti abbracci! Non lo sai!! E ora che mi sono ammalata, quella stronza mi sta col fiato sul collo solo per controllare che io non sia destinata a tirare le cuoia!!” tossì forte, ma non lasciò a Kikyo il tempo necessario per replicare, non aveva ancora finito…


“e se un medico le mette una pulce nell’orecchio sulla mia possibile morte… oh mio… o-oh mio Dio, quella troia sarebbe capace di abbandonarmi e di scaricarmi a Sota, che ha solo dieci anni! E io non voglio che mio fratello passi quello che ho passato io per colpa di quella là!”


Altri colpi di tosse


“Ora sai, Kikyo? Ora capisci, Kikyo? Ora capisci?! Sì, dai, dillo che capisci! Sì Kagome, capisco! Contenta, Wonder Woman?! Mi sono bellamente sputtanata davanti a te! Ma tanto, oh beh, fa niente, no? Non te ne frega un cazzo, giusto? Ora la tua stupida curiosità è a posto?! Puoi continuare a fare la figa ora che sai, no?”!


Kagome riprese a tossire, ma stavolta non riuscì a fermarsi per parlare ancora. Si staccò da Miroku e si accasciò a terra, le vertigini la opprimevano, la testa era sul punto di esploderle, sentiva caldo, molto caldo…


“Kagome-chan!” esclamò Sango preoccupata


“Ora basta, Kagome-chan! Ti prego, se continui così potresti solo peggiorare le tue condizioni!”


Come se stessi bene già di mio…


Avrebbe voluto pronunciare quelle parole ma la gola le faceva così male che non una sola sillaba uscì dalla sua bocca; tossiva e basta, con gli occhi pieni di lacrime tanto bruciavano.


Miroku la prese in braccio ed entrò in casa, diretto verso la stanza della ragazza; Sango, prima di seguirlo, scrutò dubbiosa Kikyo.


“Che vuoi?” domandò secca lei


“No, niente…” ed entrò anche lei.





Non capiva bene quello che aveva sentito. Frammenti del passato, stralci di pensieri e tasselli che si intrecciano confusi. Nascosto dietro ad un albero, Inuyasha aveva ascoltato Kagome e Kikyo litigare. Nuovi passaggi si aggiungevano, ma lui continuava a capirci ben poco.


Aveva capito solo una cosa: Kagome era malata e lo nascondeva con tutte le sue forze agli altri.


E quella cosa lo rattristò: lui non era ancora un vero e proprio amico per lei, si conoscevano da pochissimo. Ma lui voleva sapere cosa nascondeva, voleva codificare quel disegno, quel viso e quegli occhi spenti.


Kagome…





“Vi ringrazio, ragazzi…” aveva bevuto diversi bicchieri d’acqua e ingoiato un paio di aspirine prima di parlare. Ora era seduta sul suo letto, con il cuscino dietro la schiena e le coperte tirate su fino ai fianchi. Sango era seduta ai piedi del letto, mentre Miroku su una sedia.


“Mi avete portata via prima che potessi strozzarla con le mie mani.” e ridacchiarono tutti e tre.


“Secondo me potresti entrare in un gruppo yakuza, saresti perfetta!” scherzò Miroku.


Risero di nuovo, Kagome solo per due secondi; tornò subito seria.


“Ho perso la pazienza, lo so.” Strinse con forza un lembo della coperta tra le mani


“Ma sapete come sono fatta! Non sopporto le persone che giudicano ciò che non sanno…” sussurrò


“Beh… se è per questo, non sopporti nemmeno gli stronzi!” esclamò Sango


“Già e la fisica! Non vorremmo dimenticarci del tuo odio sviscerale per la fisica che ci ha costretti in non so quante occasioni ad aiutarti a studiare e a ficcarti in testa almeno una formula!” stavolta parlò Miroku.


I due continuavano a scherzare e a Kagome tutto ciò non pesava affatto; sapeva benissimo com’erano fatti, volevano soltanto calmarla e distrarla. Non era nelle condizioni ideali per far scoppiare qualche coronaria e morire d’infarto soltanto per un litigio, per quanto pesante fosse stato.


“E gli umeboshi!”


“E Namie Amuro!”


“E il freddo!”


“E questo!”


“E quello!”


“E quell’altro ancora!”


Kagome scoppiò a ridere e continuò per svariati secondi: quei due non la smettevano di lanciare battute e, di conseguenza, lei non riusciva a smettere di ridere.


“Che scemi che siete!” riuscì a dire tra una risata e l’altra.





Due giorni dopo, lunedì.


Era ancora in istituto, sempre nel solito, odiato, ambulatorio. Era seduta nel suo solito angolo, con la musica sparata - stavolta a basso volume - dalle cuffie nelle orecchie e i compiti di inglese sotto mano, l’unica cosa che si era portata appresso per ammazzare il tempo. Stava meglio, la febbre era calata ma non ancora del tutto scomparsa: la testa non le faceva più malissimo, ogni tanto aveva qualche brivido o tossiva ma niente di più. Aveva davvero la capacità di guarigione di un animale. Almeno su cose piccole.


Aveva fatto gli esami del sangue un’ora prima e sperava che andasse tutto bene: più che sperare s’illudeva. Sua madre, ovviamente, aveva telefonato in istituto quel venerdì per sapere se doveva darle qualche medicina per l’influenza (qui non si tratta di esagerazione della madre di Kagome; i malati oncologici sono molto “fragili” sotto alcuni punti di vista medici e, a volte, hanno dei cali di globuli bianchi tali da impedire loro di assumere alcune medicine e/o vaccini, anche tra le più banali. In pratica, devono chiedere il permesso per ogni singola medicina e vaccino, perché alcune potrebbero scombussolarli, come ad esempio l’antinfluenzale. NdA) e, in tutta risposta, le fu detto di lasciar riposare la figlia e che poi quel lunedì avrebbero fatto esami del sangue per sapere se c’era qualche infezione in corso o qualche virus. E Kagome sapeva che se i medici buttavano il sasso poi non ritiravano la mano: ipotizzavano sempre tra di loro, ma esprimevano ipotesi a pazienti e familiari solo se erano sicuri praticamente al cento per cento di quello che pensavano.


Era rassegnata, in parole povere. Aspettava solo il suo turno per la visita, non era né impaziente né tesa, era perfettamente conscia di quello che le avrebbero detto. Ed anche l’esito di quella situazione.


Ecco, quello non le andava giù, a quello non riusciva a rassegnarsi: ma era così ogni santa volta, ormai aveva perso la voglia di mandare tutti al diavolo spinta dal suo nervosismo. Aveva imparato ad ingoiare tanti di quei rospi giganteschi che ormai aveva perso il conto nel giro di un mese appena.


“Higurashi!” tuonò una voce maschile, che la ragazza riuscì a sentire nonostante il sottofondo musicale.


Kagome sospirò, gioendo interiormente: non era stata la Yamashita a chiamarla. Quella volta passò sotto l’occhio attento del dottor Suzuki, il capo dell’equipe che aveva in cura i sarcomi (per una spiegazione sulle equipe, ci rivediamo in fondo con le note NdA), un uomo sui quarant’anni, espansivo, burlone ma anche molto competente e professionale. Era molto stimato e rispettato in tutto il reparto: aveva compiuto numerose ricerche, anche all’estero - soprattutto in America e in Inghilterra - pubblicato numerosi articoli scientifici e scoperto diverse cure innovative e, come lui auspicava, meno pesanti per i pazienti pediatrici (anche per la storia della pesantezza ci rivediamo in fondo NdA). Era lui che progettò il percorso terapeutico di Kagome, che decideva se e come modificarlo, quando sospenderlo a lungo termine e quando riprenderlo.


Come Kagome gli si avvicinò, seguita dalla madre che era rimasta poco più indietro di lei, il medico le diede una leggera pacca sulla spalla in segno d’affetto:


“Vuoi che tua madre entri?”


Era anche l’unico medico con una faccia tosta incredibile e, per questo, Kagome lo stimava. Ascoltava prima di tutto i pazienti, anche se minorenni, poi i loro genitori. Sapeva bene che non poteva comportarsi in quel modo con i bambini piccoli, ma con gli adolescenti non si faceva problemi. Era anche a conoscenza dei problemi tra Kagome e la madre, senza saperne però il reale motivo: pensava - ed era anche vero - che fosse una delle tante madri stressate ed eccessivamente preoccupate per il proprio figlio o figlia.


Kagome non esitò, né si voltò verso la madre, scosse la testa con vigore ed entrò nello studio medico; il dottor Suzuki, prima di seguirla, si rivolse alla madre che, nel frattempo, non aveva detto una sola parola ma lasciava trasparire dal suo volto tutto il suo dispiacere.


“Le riferirò tutto, non si preoccupi”


Ancora silenzio, ancora dispiacere.





“Bene, Kagome”


La ragazza tossì


Il dottore stampò gli esiti dell’esame del sangue e li scrutò attentamente, per poi evidenziare due valori.


“Hai avuto qualche disturbo ultimamente?”


“Sì… ho avuto la febbre per alcuni giorni, da venerdì più o meno… sì, da venerdì… devo aver preso freddo.”


“Ma era febbre alta?”


Cercava di farsi venire in mente tutto quello che ricordava dei momenti di lucidità che aveva avuto in quei giorni.


“I primi due giorni sì, avevo le vertigini anche. Ieri è scesa… però ho ancora mal di testa… e se leggo per troppo tempo gli occhi iniziano a bruciare…”


Suzuki sospirò.


“Ci credo” disse quasi sconsolato e mostrò il foglio evidenziato a Kagome.


“Hai i valori della creatinina troppo alti, 120 µmol/L mentre dovrebbero essere inferiori ai 95.” e indicò uno dei due valori evidenziati per poi spostare il dito su un’altra riga


“I globuli bianchi, invece, sono troppo bassi: 2500 per mm/cubo, quando in realtà dovreste averne minimo 4000. Questo calo ti ha resa più debole e la creatinina ti ha dato il colpo finale. La febbre che hai avuto non era causata solo dal freddo, ma da una bella infezione renale.”


Per Kagome nulla di nuovo, non era la prima volta che i chemioterapici le giocavano quello scherzo: alzavano qualche valore, ne abbassavano degli altri… creavano tutta una serie di casini che chiunque si sarebbe evitato molto volentieri.


Stavolta fu Kagome a sospirare:


“Quindi, cosa devo fare?”


Che lo chiedi a fare, cretina? Tanto la risposta la sai già!


Il medico scrisse velocemente un paio di impegnative, le timbrò e le firmò:


“Beh, come le altre volte. Non ti visito nemmeno, porto queste impegnative alla segretaria e ti faccio ricoverare immediatamente. Con questi valori la chemioterapia ce la sogniamo, non vogliamo mica che i tuoi reni si spappolino! Farai una terapia endovena che ti prescriverò io, dovrebbe durare quattro giorni. Poi rifaremo gli esami del sangue e, se andrà tutto bene, inizieremo direttamente la chemioterapia”


Prese il calendario da tavolo.


“Oggi è il 28 novembre, avresti dovuto iniziare il nuovo ciclo dopodomani. Se andrà tutto per il meglio, la terapia slitterà a venerdì. Al peggio non ci pensiamo, per ora! Noi vogliamo farlo il prima possibile questo ciclo e mandarti a casa subito, no?” tentò di tirare Kagome su di morale.


La ragazza annuì con la testa, abbozzando appena un sorriso.


Venerdì la terapia doveva finire e io dovevo essere a casa…


“Bene!” esclamò Suzuki, alzandosi in piedi.


“Vado ad avvisare la segretaria e tua madre. Ci vediamo dopo Kagome”





Ormai era abituata a quel genere di vita; eppure non capiva perché ogni volta si stupiva, perché ogni volta ci rimaneva male. Quelle quattro mura bianche non la spaventavano più, quei letti con le coperte verde acqua e i due comodini non le davano più fastidio e alle brandine sistemate apposta per i genitori che volevano rimanere con i loro figli anche di notte non faceva più caso. Odiava quel posto, odiava la solitudine ma si trovava sempre più stretta nella sua morsa, soffocata dalla stanza dell’ospedale che le assegnavano.


Fuori dalla porta chiusa sentiva chiaramente il vociferare dei bambini che non ne volevano sapere di stare a letto, che andavano in sala giochi o che semplicemente piangevano perché si rifiutavano di essere attaccati ad una macchinetta più alta di loro di almeno una o due spanne per iniziare la terapia.


Quella volta le fu assegnata una stanza da sola: la bambina che era ricoverata lì era stata dimessa il pomeriggio precedente.


Meglio, almeno ho una stanza tutta per me.


Si sedette - o meglio, si buttò - sul letto, fissando la finestra dal vetro doppio, impossibile da aprire sia dall’interno sia dall’esterno: si sentiva rinchiusa.


Ma è a questo mondo così soffocante e vincolante che appartieni, non dovresti dimenticarlo.


La madre, alle sue spalle, appoggiò a terra il borsone “d’emergenza” e fece per aprirlo quando fu interrotta dalla figlia, che si voltò verso di lei e iniziò a parlarle: erano più di tre giorni che non le parlava, né che la guardava in faccia.


“Torna a casa.” il suo tono era fin troppo pacato, come scosso da rassegnazione, il tono di voce basso e sottile.


“Come vedi, non rischio di tirare le cuoia, non mi hanno neanche messa in semi-isolamento. Se proprio poi vuoi tornare, renditi utile: nella borsa non ho messo né libri né niente, se puoi portarmi i libri di scuola e anche qualcos’altro da leggere, per favore… Anzi no… non scomodarti, non sono dell’umore adatto per vederti…”


Anche parlarle per un minuto era ormai troppo pesante per lei


“Chiamerò il nonno, chiederò a lui di portarmeli se riesce.”


“No, Kagome-chan… il nonno è molto occupato al tempio, non so se riesce a venire”


Come sempre…


Non sapeva cosa dire.


Non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di pensare, non aveva voglia di far niente. Era solo stanca, molto stanca. Era preparata ad imprevisti del genere, ma ogni volta le facevano un male incredibile: la legavano ancora di più al dolore, alla malattia. Vedeva i canoni di una vita normale sempre più lontani e sfocati e non riusciva a fare troppi sforzi per vederli meglio, per raggiungerli.


Correva quanto poteva, ma non era mai abbastanza.


Si voltò e, di nuovo, dava le spalle alla madre: seduta su quel letto si sentiva così minuscola e impotente.


“Se… se veramente vuoi fare qualcosa di utile, vai da papà…


La donna non rispose: rimase in piedi, dietro la figlia alcuni istanti. Poi, sempre senza dire niente, uscì dalla stanza come aveva chiesto Kagome e se ne andò.


Come la madre uscì, Kagome prese il borsone e ne tirò fuori un pigiama azzurro e una bandana violetto e, in bagno, si rinfrescò e si cambiò, si tolse la parrucca e la ripose con cura in una piccola scatola che teneva sempre in quella borsa.


Si avvicinò alla finestra per guardare il panorama: la città pulsante di vita, piena di rumori, voci e profumi. Un mondo vivace al quale lei sentiva di non appartenere.


Deglutì con forza per non piangere.


Scusami, papà… non riesco, non ci riesco…


Il mio mondo è questo, ormai… non so più come difenderti…








Inuyasha… anche tu…


Inuyasha…






La campanella della pausa pranzo suonò, con grande gioia degli studenti.


Come lesse quel messaggio, la tristezza la invase: era stata fregata di nuovo e le dispiacque moltissimo. Non le rispose, non sapeva che dire oltre alle solite frasi fatte che, di certo, non l’avrebbero aiutata. Sarebbe andata a trovarla quel pomeriggio con Miroku, anche se avrebbe dovuto uscire con sua madre.


Non poté fare niente per fermarsi: si alzò dal suo banco e si diresse verso Kikyo che, nel frattempo, stava riordinando le sue cose e tirando fuori il bento.


“Per la cronaca, Kagome è stata ricoverata in istituto stamattina. Sarai contenta, ora hai via libera, no?” disse stizzita, senza salutarla e stupendo Kikyo non poco.


Aggrottò la fronte stupita come se le avessero che due più due fa cinque e non quattro.


“Che cosa vuoi dire? Via libera a cosa?” rispose altrettanto acida.


Le mancava solo Sango, in quel momento.


“Sai benissimo a cosa alludo…” e se ne andò senza lasciare la possibilità a Kikyo di replicare.





Quel pomeriggio, lei e Inuyasha erano nello sgabuzzino del tempio Higurashi per pulirlo e riordinarlo. Nessuno dei due parlava, erano entrambi occupati con il loro lavoro. Ma a Kikyo quel silenzio metteva agitazione, la infastidiva. Voleva romperlo ad ogni costo.


Si fermò un attimo e si voltò appena per osservare Inuyasha, intento a sgomberare un alto scaffale da tutte le scartoffie per pulirlo. Sembrava molto concentrato su quello che faceva e, scrutando il suo viso che non tradiva alcuna emozione, non poté fare a meno di arrossire appena.


Nella mente, quasi come un flash, le passarono le immagini e le voci di quegli ultimi giorni: Inuyasha che entrava in classe al termine della prima ora per prendere sia le sue cose che quelle di Kagome…


Con il cuore alla gola…


Vedere Kagome litigare con la madre e Inuyasha osservare le due, inebetito.


Come se non se lo fosse mai aspettato…


Vedere Inuyasha prendere in braccio Kagome senza poter replicare e senza poter chiedergli, una volta tornato un’ora dopo, come stava la sua amica e se fosse successo qualcosa.


Il suo sguardo triste…


“Inuyasha…” sussurrò facendosi coraggio per spezzare quel silenzio che, ormai, non riusciva proprio a sopportare più.


Il ragazzo si voltò.


“Cioè… no, scusa…” ridacchiò


“Ti ho chiamato per nome, scusa… scusami…”


Inuyasha fece per risponderle ma lei lo interruppe


“Ecco, Taisho…”


Non interrompermi, non riuscirei ad andare avanti


“Ecco… ecco… tu…”


Stai calma, Kikyo, respira, respira.


“Tu… mi piaci molto… ti… ti farebbe piacere… uscire con me? Per… per conoscerci meglio… ti andrebbe?”





Note dell'autrice: prima di passare alle mie solite stupide chiacchiere, alcune annotazioni di tipo medico e pratico. I valori indicati dei globuli bianchi e della creatinina non sono stati sparati a caso, ma sono andata a pescare un esame del sangue che avevo fatto verso giugno 2007 e allora, come capita a Kagome, sono stata ricoverata all'ultimo: succede spesso e per risolvere problemi del genere somministrano terapie per endovena (quindi, via cvc) e il ricovero è d'obbligo, devono tenerti d'occhio. In parole povere, non sai mai per cosa ti possono tenere in ospedale anche se la tendenza che hanno in INT è quella di tenerti lì il meno possibile, grazie al cielo. Poi, la storia delle equipe: esistono vari tipi di tumori: sarcomi, blastomi, linfomi ecc... e per ogni tipo ce ne sono di vari (rabdomiosarcomi, sarcomi di Ewing, ecc...). In istituto, la pediatria (non so gli altri reparti) ha uno staff medico diviso in diverse equipe di due-tre medici che si occupano di determinati tumori e ogni equipe ha un responsabile: l'equipe che segue il mio caso è composta da tre medici più due specializzande. Il dottor Suzuki è ispirato (fedelmente XD) al capoccia dell'equipe che mi segue e, manco a dirlo, è troppo un mito (ha addirittura firmato un'impegnativa per me in cui diceva che posso bere birra a giorni alterni, alla faccia di mia sorella xD L'ha anche firmata e timbrata ed è qui appesa in bacheca in camera mia!): il capoccia decide il programma terapeutico da seguire, le medicine da somministrare, il loro dosaggio ecc... Anche se sei seguito da un equipe particolare, tutti i medici conoscono i casi di tutti e, in ambulatorio, può capitare di essere visitato da un medico che non è della tua equipe. Poi... le terapie pediatriche sono molto, molto più pesanti delle terapie per adulti: è un controsenso quasi raccapricciante ma è così. Per i bambini (e per chi è colpito da tumore pediatrico, a 20 anni anche) le terapie sono fisicamente più dure di quelle adulte. Infine, "borsa d'emergenza" e "semi-isolamento": la prima è un borsone, contenente pigiama, salviette e medicine di scorta, che sarebbe meglio portarsi dietro ogni volta che si va in ambulatorio: se c'è un ricovero dell'ultimo minuto si ha già con sé alcune cose utili. Le altre... beh, le altre le si vanno a prendere a casa! Il secondo, infine, non è come l'isolamento completo: la persona in semi-isolamento può ricevere visite ma i visitatori devono essere muniti di mascherina. Inoltre, la stanza è chiusa da due porte, una immediatamente dopo l'altra. Bene, detto tutto. Ora passo alle mie ciancie! XD Visto?? Un mese! Aggiornamento dopo un mese! *_* E spero di ridurre ulteriormente i tempi! In questo capitolo vengono svelate parecchie cose su Kagome e sul suo passato, introducendo il tema portante della storia nel suo intero: la malattia (che resta il mio focus xD) legata al proprio passato, alle problematiche familiari. E' un tema che mi sta molto a cuore: io non ho un padre in coma da dieci anni, è vivo e vegeto ma il mio problema è un altro, legato a mia madre che non sto a dire. La litigata con la madre e quella con Kikyo sono un specchio del mio carattere: se m'incazzo m'incazzo, ho usato parole che userei nella vita reale (anzi, ne userei di peggiori XD). Ad esempio, l'espressione "non sai un cazzo di niente" la uso spesso XD Come sono fine... ._. Non aspettatevi la risposta di Inuyasha a Kikyo, nel prossimo capitolo verrà trattato l'argomento "Kagome in ospedale" e "Kagome durante la malattia", argomenti per me molto delicati e difficili già solo da buttar giù, figuriamoci da scrivere. Vorrei dedicargli tutto il capitolo. Spero comunque di poter tenere questo ritmo! ^^





L'autrice risponde ai commenti:
Darkina: figurati, anzi a me piace molto riservare uno spazietto per rispondere alle recensioni :) E lo faccio molto volentieri! ^^ Sono contenta che ti piaccia! Eh eh, Inuyasha è cotto sì! Tra lui e Kagome è scattato un bel colpo di fulmine! Io non ci credo molto ai colpi di fulmine, però... mai dire mai, no? :) Eh, mi dispiace deluderti ma Kikyo darà un pò di fastidio. Non per molto, anche perchè (come ho dichiarato nella presentazione della storia) il pairing è Inuyasha/Kagome. Quindi su questo tranquilla! Alla prossima, un bacio!
illyfra: un'altra fan della coppia da tempo! *_* Eh eh, i miei Inucchi e Kagome sono diversi, è vero, però sapere che sono molto apprezzati mi fa davvero molto piacere! Come potrai notare da questo capitolo, invece, Miroku è sempre il solito dongiovanni! XD E avrò anche modo di sottolinearlo ulteriormente nei prossimi capitoli! :) Grazie mille per i complimenti, mi fanno davvero molto piacere! ^///^ Mi lusinga sapere che continuerai a recensire! *clap clap* XD Grazie, grazie!!
inukag4ever: una nuova lettrice! ^^ Ma ciao! :) Che dire, le tue parole mi rendono molto felice, il mio obiettivo è quello di sensibilizzare le persone sul tema della malattia, spesso trattato come tabù, arrivando dritta "al cuore" della gente. E leggere recensioni con scritto che lascio il segno mi riempie di gioia, sul serio! Gli intermezzi sono di chiarimento, è vero, ma mi riservo la cattiveria di inserire frasi che mandano in confusione! XD Comunque il prossimo che scriverò (ma non sarà il prossimo capitolo) sarà sulla madre di Kagome e prometto che sarà solo di chiarimento! :) Giurin giurello! Eh tra Inucchi e Kagome... eh... bisogna andare avanti con la fic! :) Spero di averti incuriosita abbastanza con questo capitolo! eh eh! A presto!!


Come sempre, non posso farne a meno: ringrazio le persone che leggono (siete sempre tantissimi!), che aggiungono ai favoriti o ai seguiti Aoki e che recensiscono! Mi raccomando recensite in tanti, mi fareste davvero felice! Recensite, occhèi? XD Alla prossima, un bacio!

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Capitolo 13
*** Kuraki kouya tsukinukete ~ Breaking trough the dark wild lands ***


10. Kuraki kouya tsukinukete ~ Breaking trough the dark wild lands


Il tuo mondo è questo.


Sai cosa ti attende.


Quanto più fuggi…


Quanto più quelle mani viscide ti raggiungeranno…


E ti sporcheranno, ti insudiceranno…


Ti prenderanno il cuore, lo stritoleranno e lo ridurranno a pezzi…


Lotti per qualcosa a cui non credi fino in fondo…


Che tu fugga o meno…


Il tuo destino è questo…


Non dimenticarlo…


Non dimenticarlo mai…






La sua voglia nel fare i compiti calò drasticamente, ma non aveva altro da fare per distrarsi là dentro. Tra l’altro, suo nonno si era dimenticato che la sua vita era fatta anche di svago oltre che di studio. Le aveva solo portato i compiti, non le aveva lasciato nemmeno mezzo libro da leggere.


Sbuffò. Il pomeriggio precedente aveva avuto una sorta di pacifica discussione con Jii-chan che l’aveva infastidita non poco.





“Kagome non vuoi che qualcuno rimanga qui, stanotte?” disse l’anziano, preoccupato per la nipote.


“No, no… Tanto se ho bisogno c’è l’infermiere di turno. Il campanello per chiamarli sta proprio accanto al letto, appeso al comodino. Te ne sei già scordato?” ridacchiò.


L’uomo rimase in silenzio, non sapeva cosa dire dopo aver visto lei e la madre litigare come due furie incallite per poi non rivolgersi più la parola. Non era la prima volta che litigavano, ma in quell’occasione erano volate anche parole pesanti. Da parte di entrambe. Non se la sentiva di colpevolizzare le due, voleva fare da paciere. Senza sapere da che parte iniziare.


“Che c’è, nonno?” Kagome lo vide preoccupato


“Tua madre non spiccica mezza parola da quando è tornata a casa. Prima di venire qui l’ho sentita piangere nella sua stanza. Kagome… non credi di esagerare continuando questa guerra del silenzio? Tu hai sbagliato, ma anche lei. E lei sa di aver sbagliato. E’ pur sempre tua madre, ti vuole bene” si schiarì la voce, teso.


Kagome non seppe cosa rispondere.


Quella strega sa anche piangere, adesso? Ma fatemi il favore!


Strinse le lenzuola con le mani fino a far diventare bianche le sue nocche, evidentemente irritata.


“Tua madre ama ancora tuo padre”.


Bingo. Aveva azzeccato in pieno il nodo focale della questione.


“Ma lo so…” ribatté stizzita


“Anche se non va a trovarlo, io lo so. Non sono mica scema, ho visto le foto di papà in camera sua.”


“Allora perché continui a fare così? Perché la odi così tanto?”


“Io…” non sapeva come rispondere


“Io… non la odio…”


Non dire stronzate.


“Non la odio veramente…”


Certo che la odi! E sai anche il perché!


“Però… anche se so che non è giusto, che non dovrei occuparmene io, non posso abbandonare papà a sé stesso…” trattenne a stento un singhiozzo.


Ricorda cosa disse tua madre…


“Kagome…”





Scrollò la testa, riportando la sua mente al tempo presente. Era in camera, con il libro di inglese minacciosamente aperto su una traduzione che aspettava solamente di essere svolta.


“Allora…” lesse la prima riga del testo, con una tremenda voglia di fermarsi alla prima riga: il testo era molto difficile e le provocava più noia che voglia a continuare.


Fu, con sua grande gioia, interrotta da un infermiere appena entrato nella stanza che, con una mano, trascinava una piantana di metallo e, con l’altra, reggeva una boccetta di plastica trasparente e un quadrato di carta bianca.


“Ciao Kagome!” squillò allegro


“Sei già qui? Dì la verità, ti mancavamo eh? E scommetto che ti mancava pure il servizio offerto dal Grand Hotel Istituto!


La ragazza ridacchiò.


“Eh, sì, tantissimo! Non puoi neanche immaginare quanto io soffrissi senza vedere questo posto a cinque stelle! Mi mancava troppo!” replicò, mentre sollevava appena la maglietta del pigiama per far sì che il tubicino trasparente e bianco del cvc sbucasse da sotto la stoffa.


L’infermiere fermò la piantana accanto al letto e vi appese la boccetta trasparente che teneva in mano, per poi stendere e aprire sul materasso il quadrato di carta, contenente un paio di guanti sterili, delle garze disinfettate, un pezzo di cerotto gommato e un paio di siringhe (tutte queste robacce servono per “attaccare” il cvc alla flebo. Per spiegazioni migliori vi rimando alle note in fondo. NdA).


Kagome non fece nemmeno in tempo a dire “bé” che la flebo fu attaccata.


“Bene, ragazza mia! Questa cosetta simpatica dura un’ora. E’ piuttosto veloce, quindi non è necessario utilizzare la solita macchina casinista. Quella la teniamo per la parte rognosa, ok?”


“D’accordo!” e ridacchiò ancora, mentre l’infermiere lasciava la stanza.


Rimasta nuovamente da sola, fissò a lungo la piantana, la boccetta trasparente, il liquido incolore che, goccia dopo goccia, proseguiva lento verso di lei attraverso il tubicino trasparente.


Le tornarono in mente le parole del dotto Suzuki.


Se questa terapia funziona, allora potremo iniziare la chemio.


Come se lei ci tenesse tanto a iniziarla!



Sbuffò.


La terapia durerà un’oretta!


Arraffò il cellulare, posto accanto al libro di inglese, quasi a volerlo salvare da quell’inferno di carta.


Osservò il display.


Non mi deciderò mai a comprare un orologio da polso!


Erano le nove e mezza. Tra un quarto d’ora avrebbe avuto una seduta con lo psicologo del reparto.





Stava con la schiena piegata, le mani chiuse a pugno sulle ginocchia e la testa appena sollevata. Lui, invece, era seduto con il busto eretto e un braccio appoggiato contro la scrivania accanto, piena di scartoffie. Uno di fronte all’altro: Kagome da una parte, il dottor Honda, lo psicologo, dall’altra parte. La ragazza aveva appena finito di raccontare cos’era da poco successo con la madre, senza nascondere una grande fatica nel raccontare e la rabbia che ancora covava verso la donna.


“Non sei proprio riuscita a trattenerti, eh?” le domandò.


“… No, non ce l’ho fatta, non ho potuto farne a meno…” esitò, senza più sapere improvvisamente che altro far uscire dalla sua bocca.


“C-cioè… sì, forse potevo farne a meno… cioè, no… o forse…”


Non cercare di giustificarti, stupida…


“Che cosa ti ha scatenato? … Anzi, scusa, riformulo la domanda: che cosa ti ha fatto arrabbiare?


Tu non sei arrabbiata. Lo sai… e anche lui lo sa, sta solo cercando di condirti via…



“Io… i-io non lo so…” disse, strizzandosi gli occhi, infastidita all’improvviso dalla luce che filtrava dalle sottili tende bianche in cotone della stanza; portò una mano alla tempia, ancora pulsante per il dolore:


“Non lo so…” tossì


“Forse… Forse lo stress di questi giorni…” biascicò le prime parole che la sua mente le suggerì


“Non so… La scuola. Mia madre - beh, ovvio, sennò non le avrei urlato addosso l’altro giorno - quella stronza della mia amica che è improvvisamente impazzita per colpa di…”


Si bloccò, nuovamente esitante.


“Per colpa di…”


Dai, su dillo. E’ soltanto una parola di otto lettere.


“Per colpa di chi? Ti va di dirlo?”


Dai, su, l’ha capito anche lui, no? Non è tua madre la causa del tuo stress, né tantomeno la scuola o Kikyo.


E’ lui la vera fonte di tutti i tuoi problemi.


E ti da fastidio.


Ti da fastidio che un estraneo occupi i tuoi pensieri.


Ti da fastidio essere attratta da un estraneo.


Ti da fastidio che lui sappia qualcosa di te.


Ti da fastidio che non possa più starti accanto senza sapere niente su di te.


Ti da fastidio aprirti, come sempre.


Ancora non l’hai capito?


Lui ha la risposta al tuo sguardo enigmatico.


E per una persona come te, sempre così abituata a mascherare quel che provi…


Che non fa mai trasparire fino in fondo quel che provi…


Che consideri il non parlare di te come una sorta di istinto difensivo.


Perché non vuoi essere compatita…


Oh, ma non preoccuparti.


Nessuno ti compatirà.


Nessuno potrà compatirti.


Tu sei sola, è vero.


Ma sei anche in un posto in cui nessuno può vederti.


Stai tranquilla…



Tossì, innervosita.


“Di un… di un…” esitò ancora


“Kagome… se non te la senti di parlarne, non devi farlo. Non devi sentirti obbligata, ok? Se vuoi possiamo parlare d’altro…”


“Ma no… è soltanto che non so come…” tossì un’altra volta


“Per colpa di…”


E’ un estraneo! Tu lo consideri come tale, no?


No…


Svegliati…


No!


Svegliati!!



“Per colpa di una persona… di un r-ragazzo… sì, di un ragazzo.” Non seppe come, ma riuscì a finire quella frase senza pronunciare la parola “estraneo”. Non lo considerava del tutto un estraneo, ma qualcosa dentro di lei stava cercando di convincerla del contrario.


La sua coscienza?


I suoi pensieri sconnessi e senza senso?


Chissà…


Sapeva soltanto che la parte razionale di lei e quella irrazionale avevano iniziato una lotta furibonda, senza poter minimamente sperare di sapere in anticipo chi avrebbe vinto. E la irritava moltissimo non sapere cosa ne sarebbe stato di lei.


Non si chiedeva la stessa cosa della sua salute mentale.


Quella se n’è andata a puttane tanto tempo fa, lo so già da me. Grazie tanto…


“Conosci questo ragazzo?” la domanda dello psicologo la rapì dai suoi pensieri e la riportò alla realtà.


La ragazza non rispose, limitandosi a sospirare appena.


“Lo prendo per un sì…?”


Ancora sospiri. Il mal di testa la stava uccidendo, quasi non le riusciva più di parlare.


“Vuoi parlarne?”


Cosa devi dire?


Lo sai, no?


E’ un estraneo, punto e basta.


E tu credi di essere sul punto di innamorarti di lui.


Ma non è affatto così, vero?


Tu ti illudi, cerchi una scappatoia.


Ma una persona che conosci da una settimana soltanto non può esserti di alcun aiuto.


Non ti fidi nemmeno di te stessa, perché dovresti di un estraneo?


Sei troppo stretta.


Non puoi dimenticartene.



“No… non mi va molto… Anche perché non l’ho nemmeno inquadrato benissimo, non saprei che dire…”


Taci… Non è vero…


“Anzi no… non è che… non l’ho inquadrato. Forse sarebbe più corretto dire che non ho ancora capito cosa penso di lui… cosa io possa aspettarmi da lui… non so, c’è qualcosa… qualcosa che mi frena…”


E la domanda che lo psicologo le porse era quella che aspettava e che, allo stesso tempo, non desiderava:


“Per caso sei interessata a lui?”


Alcuni secondi di silenzi si frapposero tra domanda e risposta.


Non lo sei… Non dirlo… Non illuderti…


Alzò del tutto il viso e sussurrò un flebile “forse” in tutta risposta, senza esserne del tutto convinta





Percorreva distrattamente il corridoio del reparto, diretta in camera sua, senza considerare le risate dei bambini intrattenuti dalle educatrici né le urla di quelli che dovevano essere sottoposti a qualche trattamento invasivo, fosse stato anche solo un prelievo.


Era abituata a quello strazio. Ormai era persino vaccinata alla visione di vedere un bambinetto di due anni attaccato ad una macchinetta alta come minimo il doppio di lui.


E dire che di quella visione ne avrebbero avuto bisogno tante persone.


Sbuffò, stanca.


La seduta con lo psicologo era durata un’ora, se n’era accorta guardando la boccetta della flebo vuota non appena uscita dallo studio di Honda: era davvero veloce come medicina, peccato che dovesse essere somministrata solo in ospedale.


Era passata dall’infermeria per farsi staccare la flebo visto che era già in giro per i corridoi ed ora si dirigeva in camera sua: così come in ambulatorio, anche in reparto assumeva sempre lo stesso atteggiamento. Se era da sola - e il più delle volte sola voleva rimanerci - si isolava, le serviva soprattutto per pensare sempre meno a dove si trovasse, per distrarsi. Proprio per questo motivo, quando era ricoverata, se ne stava quasi sempre in camera, usciva di rado, soltanto per fare quattro passi fino ai distributori automatici quando voleva prendere qualcosa di caldo da bere.


Usciva poco anche perché il più delle volte quelle medicine liquide succhiano tutte le forze possibili e presenti in una persona…


Giunta di fronte alla soglia della sua camera, aprì pigramente la porta e notò, con suo enorme sollievo, che il letto accanto al suo era ancora vuoto: niente compagni di stanza, grazie al cielo. Le scocciava avere dei compagni di stanza lì, soprattutto suoi coetanei. Li sentiva al suo livello e lei non aveva assolutamente bisogno di farsi ricordare ogni tre per due com’era conciata grazie a dei perfetti sconosciuti o persone giusto intraviste in ambulatorio ogni tanto.


Recuperò la pila di libri e quaderni dal comodino, si sistemò sul letto e riprese i compiti, nello sforzo di terminare la traduzione di inglese senza pensare troppo a quanto detto con lo psicologo appena dieci minuti prima.


Un estraneo?





Quattro giorni dopo, le dieci di mattina di un sabato di inizio dicembre.


Suzuki era entrato gongolante in camera della ragazza tenendo in mano due fogli, gli esiti dell’esame del sangue fatti due ore prima. E dietro di lui, un’infermiera che sistemava la solita macchinetta blu con due flebo alle estremità superiori della piantana sporgente dall’infernale cassa bluastra.


Gli esami devono essere andati bene, a quanto vedo…


“Bene, Kagome! Ieri abbiamo terminato la terapia e, stando all’emocromo di oggi, ha funzionato proprio bene! I tuoi globuli bianchi sono ancora un po’ bassi, ma la creatinina è rientrata in valori adeguati e per questo possiamo già attaccarti e dare inizio alla terapia! Oggi, domani e poi lunedì te ne vai a casa, ok?”


Le diede una pacca sulla spalla, sorridente.


“Sempre in gamba, eh!”


Era contenta.


Finalmente poteva fare il conto alla rovescia di quanto giorni le rimanevano da passare lì dentro, per quella volta. E se ne sarebbe tornata a casa anche strisciando, con quaranta e passa di febbre e tutti gli effetti collaterali da chemioterapia possibili. In ospedale non riusciva a stare: lei e il ricovero erano incompatibili, la ragazza lo viveva malissimo e i medici l’avevano capito perfettamente. E, per questo, cercavano di tenerla ricoverata solo quando necessario - cioè soltanto per le terapie - e per il minor tempo possibile.


Mancavano pochi giorni, solo pochi giorni e se ne sarebbe andata da lì.


Era strano, odiava stare a casa però quando doveva scegliere tra Istituto e casa sua la risposta le sembrava sempre scontata.


Tra pochi giorni sarebbe stata libera… per un po’…


Anche se prima…


Prima c’era un’altra cosa da superare.


Osservò sconfortata la macchinetta, pronta per essere utilizzata.


Ora…


Tocca ancora a te…


Sei pronta…?





E via…



Ed eccolo lì quell’infernale cubo azzurro impiantato su dell’acciaio grigio i tubi trasparenti e arancioni si intrecciano fino a nascondersi sotto la maglietta del pigiama ed è proprio lì all’altezza del petto che ti infilano ogni santa volta tutto quel liquido che rappresenta la tua salvezza ma anche il tuo incubo peggiore senti il rumore senti il ticchettio meccanico e regolare così preciso e scandito che sembra quasi sinistro le tue orecchie non si sono ancora abituate abituale perché per altri due giorni non sentirai altro giorno e notte lo senti il materiale plastico dei tubicini che ti legano a quella macchina ti danno fastidio abituati anche a quelli penzoleranno quando sarai in piedi se sarai mai in piedi e strisceranno sul tuo ventre mentre dormi li sentirai fastidiosi e onnipresenti sotto il pigiama ti fa schifo l’azzurro della macchina fattelo piacere perché ti starà accanto ancora per un po’ e non stare a guardare sul display quanti millilitri ti hanno già infuso e a che velocità non osservare le tacche delle flebo per vedere quanto ancora resta prima che finiscano non appena si svuotano le infermiere ne portano delle altre e altre ancora fino a fari venire l’esaurimento nervoso non pensare a niente trascinalo porta con te la materializzazione del tuo odio a cui ironia della sorte devi la vita il primo giorno di chemioterapia stai abbastanza bene a volte è vero ma poi è l’inferno il secondo giorno non riesci nemmeno a tenere aperti gli occhi la luce ti da troppo fastidio sei sdraiata supina non riesci a muoverti sei troppo stanca non senti più un briciolo di forza né nelle braccia né nelle gambe nessuna parte del corpo risponde ai tuoi comandi soltanto la tua testa ha ancora un briciolo di lucidità ma briciolo è una parola grossa te ne rendi conto lo stomaco è stretto in una morsa fastidiosa e la gola è secca insidiata costantemente da conati di vomito che non riesci mai a mandar giù nonostante i litri di antivomito che ti iniettano ogni santo giorno sei in una stanza puzzolente sdraiata avvolta in lenzuola puzzolenti la testa appoggiata su un cuscino puzzolente le tue narici percepiscono quest’odore nauseante che aleggia per tutta la stanza per ogni singolo oggetto con cui vieni a contatto e non resisti e vomiti ogni dieci minuti anche se non hai mangiato niente perché non c’è cosa più puzzolente del cibo precotto dell’ospedale e allora cerchi solo di bere un po’ d’acqua ma fa schifo anche quella e puntualmente la rigetti vomiti l’anima vomiti di tutto l’acqua ha un sapore strano amarognolo e di nuovo vomiti vomiti l’anima vomiti l’impossibile vomiti e piangi piangi e vomiti ti rannicchi sul letto su di un fianco ti fa troppo male la schiena se stai nella stessa posizione per più di un’ora vomiti nel catino che ti viene posto da un’infermiera sporchi la traversa appena cambiata te ne stai in posizione fetale e vomiti l’anima vomiti te stessa non ti accorgi nemmeno della presenza dei tuoi amici di tuo nonno di tuo fratello e di tua madre che sono lì con te per farti passare un po’ il tempo ma sanno benissimo che in quel posto il tempo non scorre parlando un po’ anche perché stai talmente male che non riesci nemmeno a pronunciare la prima sillaba del tuo nome in quella stanza il tempo scorre secondo regole strane le tue regole quanto manca a finire la flebo quante flebo rimangono dopo questa e quest’altra ancora e tu sai che questo è il tuo inferno





Io sono… il tuo peggiore incubo…


Ma soltanto io posso salvarti la vita…


Non mi sfuggi…






Nota dell'autrice: prima di passare alle scuse ufficiali per l'enorme e disastroso ritardo circa la pubblicazione di questo capitolo una delle mie solite note di servizio. Ho citato, quando l'infermiere attacca Kagome alla flebo, un pò di oggetti: praticamente, quando devono attaccarti ad una flebo (ma anche quando devono farti un prelievo e poi o richiuderti il cvc o tenerti l'ago del porter) aprono una confezione di guanti sterili e la carta della confezione (scusate la ripetizione di confezione - e tre ._.) non la buttano, ma la spiegano per bene e ci mettono su, assieme ai guanti, delle garze disinfettate per il tubicino del cvc/porter che viene "aperto" (ogni volta infatti viene conservato in un involucro fatto con una garzina e un pezzo di cerotto gommato), delle siringhe senza ago da cui fare il prelievo direttamente dal tubicino e poi eventualmente, se devono, ti attaccano e poi richiudono il tutto con altre garzine e pezzi di cerotti gommati. E' un casino, spero di essermi spiegata @.@ E ora possiamo passare alle mie scuse: mi dispiace, avevo trovato un buon metodo per pubblicare ogni capitolo dopo un mese e invece un altro imprevisto nella mia vita ha sconvolto tutto. Ho avuto una ricaduta della malattia e questo ha rallentato i miei ritmi del lavoro e ha reso difficilissima la stesura di questo capitolo, per me importantissimo: non spiattello questo affar mio per attirare la compassione altrui, non mi interessa. Voglio semplicemente essere sincera con tutti voi che seguite e apprezzate Aoki. Quindi vi chiedo scusa in anticipo per altri futuri ritardi. Questo capitolo è stato davvero sudatissimo, credetemi, soprattutto la parte finale. Non è lungo come gli altri ma credo che non vada sottovalutato visto il tema, a mio avviso, piuttosto delicato che viene trattato qui. L'idea del flusso di coscienza, a dire il vero, non è mia ma di mia sorella maggiore, insegnante di letteratura inglese che mi ha fatto fare un "ripassino veloce" (XD) dell'Ulisse di Joyce! :D E' merito suo se alla fine il capitolo è uscito come volevo, grazie sorella! ^^ Beh, che altro dire? Ah, sì, ho aperto un journal per le mie fan fictions! :) WRITING FEATHERS accorrete numerosi! :) Anche perchè, dal prossimo capitolo, inizierò a rispondere alle recensioni sul mio journal, per non allungare eccessivamente le mie note ogni volta! ^^ Inoltre, ho in mente un altro paio di progetti, sempre a tema fan fictions, per aiutarmi a spezzare un pò la tensione con Aoki e verrà tutto pubblicato sia qui che sul mio journal per cui... vi prego, seguitemi anche lì ok? ^^ Bene, passiamo alle risposte alle recensioni!


L'autrice risponde alle recensioni:
ryanforever: eh eh, effettivamente Kagome non ha ancora dissipato tutta la sua rabbia ed, inoltre, hai proprio ragione, quella più danneggiata è proprio lei. In genere, se io una cosa la devo dire la dico, in genere mi fa star bene, però bisogna fare attenzione a non far diventare il proprio sfogo un'arma a doppio taglio ._. Per quanto riguarda, invece, Sango e Kikyo: sulla prima farò ben presto un intermezzo *già si sfrega le mani* mentre, sulla seconda, bisognerà pazientare ancora un pò prima di sapere la risposta di Inuyasha... Verrà svelata più avanti ^_* Spero di averti incuriosito! E scusa per il ritardo mostruoso!
Darkina: grazie per aver messo Aoki tra le tue preferite *_* Mi rendi davvero felice, sono contenta di sapere che Aoki - nonostante tutti questi ritardi - sia sempre apprezzata. Beh, pure io avrei strozzato Kikyo al posto di Kagome, però non posso farglielo fare... la nostra cara ragazza ci sarà molto utile in seguito! E non in termini cattivi, eh :) Vedrai poi se Kikyo riuscirà a farla franca... tu che dici? ^^ Scusa anche a te per il ritardo!
Kagome19: ssssht ^^ Ci hai quasi azzeccato su Inucchi, anche se non lo definirei propriamente così. Del resto è ancora un minorenne e non si diverte certo a fare quello che fa... *cough cough* XD Mi spiace averti lasciata di sasso ma, come detto sopra, ci vorrà ancora un pò di pazienza prima di sapere la risposta di Inu. Per consolarti, ti dico che - se ci sarà - questo "appuntamento" avverrà più avanti anche perchè Kikyo è in procinto di partire per la gita, mentre Inuyasha non ci va :) l'avevo detto nella fic? °-° mi sembra di sì, eh... Comunque verrà ribadito! ^^" Al prossimo capitolo, le mie scuse anche a te!
Bellatrix_Indomita: non ti sto facendo capire niente? Eh eh, proprio quello che volevo ottenere ^^ Comunque, don't worry! Ormai il tempo dei misteri è praticamente finito, a partire dai prossimi capitoli le matasse inizieranno a sbrogliarsi. Una alla volta, ma inizieranno :) Odi Kikyo, eh? Beh, di certo sapevo che avrei fatto sortire quest'effetto e ci sta anche... però vedrai che arriverai a ricrederti su di lei più avanti... forse :) Al prossimo capitolo! ^^
inukag4ever: sapessi che idee mi passano per la testa! La povera Kagome deve passarne ancora, credimi... Però se la cosa ti può consolare, ti dico che il capitolo sull'autolesionismo avrà la stessa conclusione di quello che ho vissuto io. Si chiuderà. Non facilmente ma si chiuderà. Mi dispiace di non essere riuscita ad aggiornare subito... Spero proprio di rifarmi! ^^ Alla prossima!
KaDe: ciao carissima! :) Sono contenta che i miei capitoli ti coinvolgano così tanto, davvero! Per quanto riguarda la madre di Kagome... beh, sì è vero, la ragazza si sta comportando in maniera fin troppo acida e irruenta, non la giustifico. L'importante poi è pentirsi dei gesti sbagliati che si sono compiuti, l'esperienza mi ha insegnato questo. Sai quante volte ho rischiato un infarto perchè sbraitavo contro i miei durante le terapie? XD Ok, adesso ci rido su, però sì... è vero, Kagome è un bel pò cattivella... Spero continuerai a seguirmi nonostante i ritardi! ^^
lola2: non ti preoccupare, è il pensiero che conta! Sapere che continui a seguire Aoki mi fa tanto piacere! Al prossimo capitolo, allora!


Bene, ce l'ho fatta °-° Al solito, ringrazio chi legge, chi recensisce e chi mette Aoki tra le sue fan fictions preferite! Sì lo so, sono le mie solite frase fatte, ma vi giuro sapere che una fic dall'argomento ancora considerato da molti un tabù sociale sia così seguita mi fa capire che non tutti voltano le spalle a chi ne ha bisogno e a chi soffre. Voi lettori mi fate sentire decisamente meno sola quando penso a come far andare avanti Aoki, mentre la scrivo e mentre la pubblico. Grazie, grazie davvero per la vostra sensibilità! Appuntamento al prossimo capitolo (che, incombenze a parte, sarà on-line a ottobre, terminata la sessione di esami settembrina!)

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Capitolo 14
*** Intermezzo ~ Grieved minstrel ***


Intermezzo ~ Grieved minstrel


Le dieci di mattina.





E’ strano.


Tutto questo è strano.


E’ strano sapere che oggi è il giorno che tutte e tre attendavamo con ansia.


E’ straziante constatare che quella che più attendeva con ansia questo momento non ci sia.


E’ irritante constatare che l’altra persona faccia finta di niente e continui a parlare con altra gente.


E’ triste, mi lascia un amaro in bocca difficile da cacciar via.


E’ strano sapere che non dovrò voltarmi per vederti seduta dietro di me, raggiante di felicità e impaziente di partire.


Manca qualcosa a questo pullman.


L’ingranaggio che mi è sfuggito.


Manca qualcuno a questo pullman.


Il vecchio trio stupido.


Non basta Miroku a sollevarmi il morale.


No.


Questa volta proprio non basta.


E’ troppo dura ricordare con che faccia serena mi hai detto di andare in gita quando hai saputo che tu, invece, avresti dovuto rinunciare.


Ho cercato di convincerti in tutti i modi.


Ma, cavolo, un mulo è meno testardo di te.


Vai e divertiti. Non voglio che, a causa mia, cada anche tu. Non voglio farti cadere con me.


Ecco, che nervi!


Usi queste immagini metaforiche perché non riesci a dire le cose direttamente come stanno…


Non ci sei mai riuscita.


Io ho promesso di aspettare il giorno in cui avresti iniziato a dirmi le cose come stanno, come le pensi, senza troppi giri di parole.


Eppure, non ce la fai.


Me ne sono accorta.


Tu te ne sei accorta.


E il tacito patto tra noi due parla chiaro.


Devo essere paziente ed aspettare.


Aspettare che tu sia pronta.


Sbrigati, però, perché non sono mai stata molto paziente, lo sai…





Ecco, il pullman è partito.


E io vorrei che Miroku fosse qui, per aggrapparmi al suo braccio e nascondere le mie lacrime al clima festoso che aleggia beffardo attorno a me.


E pensare che tu, a quest’ora, ti trascinerai a forza su una sedia a rotelle fuori da quella stanza (vedi nota in fondo. NdA)


A casa starò decisamente meglio che non in ospedale. Ti penserò mentre sarai ad Osaka!


Perché è così che hai voluto, è così che mi hai detto ieri.


Ieri, quando ho cercato ancora una volta di convincerti che non sarebbe stato un dramma se io non fossi partita…


Quando a malapena mi riconoscevi, stesa su quel letto.


Accanto a quella macchinetta che penso di odiare quasi quanto te.


Mai quanto te, quello mai.


Ma ci siamo vicine…


Che amarezza poter solo immaginarti che torni a casa assieme a tuo nonno.


A casa, dove c’è tua madre.


Tua madre.


Se ti conosco almeno un po’, dubito che le rivolgerai la parola in questi giorni.


Dubito che la sua presenza ti possa servire.


E allora…


Allora perché?


Continuo ad aggrovigliarmi in questi pensieri quando una telefonata di tuo nonno aggiunge un altro pezzo al groviglio: sei appena tornata a casa, stando alla lettera di dimissione non avrai un momento di tregua. Due visite settimana prossima, la terapia dal 4 al 6 gennaio se tutto va bene…


Chiedo a tuo nonno se puoi parlare.


Cosa lo chiedo a fare, se so già la risposta?


Sei a letto con una nausea terribile, la solita sonnolenza post-terapia e un mal di testa atroce.


Parole di tuo nonno.


E, cavolo, quanto mi sento egoista…


Mi sento egoista, perché ti ho dato retta ed ora sono qui.


Vorrei scendere da questo cazzo di pullman e calarmi nel ruolo di amica piuttosto che di studentessa diligente in gita con la sua classe.


Che spreco…


Cosa piango a fare sul latte versato?


Scusami Kagome…


Scusa…


Io posso vivere la mia vita…


E tu no…


Mi sembra una sorta di maledizione…


E sentire tuo nonno due o anche tre volte durante questo lungo viaggio in pullman verso Osaka non mi aiuta di certo.


Sapere che sei sempre nelle stesse condizioni non mi aiuta.


A casa tua.


Nella tua stanza.


Da sola.


Senza tua madre.


Mentre soffri.


Mi sento così schifosa…





Note dell'autrice: non posso fare a meno di questo angolo chiacchierone al termine di ogni capitolo... Quando l'ho capito ho deciso di non trasferire questo spazietto sul journal, ma di lasciarlo qui! ^^ Writing Feathers, però, non resta inutilizzato, anzi... tra poco dovrei pubblicare lì un mio progettino a tema Inuyasha e fan fiction :) Tornando ad Aoki... beh, più veloce di così non riesco proprio ad andare, per i motivi già spiegati nelle note dello scorso capitolo. Per questo ancora mi scuso e spero possiate apprezzare Aoki anche a ritmi lenti lenti... Ah! Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno segnalato Aoki Yasei wo Daite perchè ora si trova tra le storie scelte della categoria "Inuyasha"! Non so come ringraziarvi, grazie, grazie davvero! Dunque... questo è un intermezzo con protagonista Sango! Il titolo significa "menestrello triste" ed è stato un titolo un pò pensato: vediamo chi riesce ad arrivare al significato di questo titolo! XD Il risultato in sè mi piaciucchia, spero piaccia anche a voi! A me è servito scriverlo per diversi motivi che non sto qui ad elencare, l'unico che svelo (ed è anche il più ovvio, forse) è che quest'intermezzo mi serve per spezzare l'atmosfera troppo pesante che si era venuta a creare nello scrivere per me. Prendetelo pure come un capriccio personale, avrei voluto inserire l'intermezzo di Sango più avanti, scrivendolo diversamente ma non ho potuto... Ho dovuto fare così, spero perdoniate questo mio ennesimo capriccio... Un'ultima cosa: nel testo, viene accennata una sedia a rotelle: queste vengono usate anche in fase di dimissione con pazienti che non sono in grado di percorrere lunghe distanze autonomamente perchè indeboliti fisicamente!





L'autrice risponde ai commenti:
Beverly Rose: grazie, sono molto contenta che questo capitolo ti sia piaciuto al punto da ritenerlo il tuo preferito :) E' un pezzo molto importante per me, quel capitolo, e sapere che sia stato così apprezzato non può farmi che piacere! Un bacione!

ryanforever: sì, l'ultima parte è volutamente scritta senza punteggiatura nè altro per rendere la situazione ancora più pesante. Ho usato lo stream of counsciousness di James Joyce! :) Spero che anche questo intermezzo possa emozionarti come gli altri capitoli, fammi sapere cosa ne pensi! Ah, io frequento il terzo anno di scienze del servizio sociale, per diventare assistente sociale! :) Bacione!

Darkina: vieni qui, sono una coccolona anch'io! ^^ *ti abbraccia* XD Allora, credo che quando vedrai questo aggiornamento, salterai ancora... Mamma mia, che esaltata che sono, eh eh! :) Scherzi a parte, spero ti piaccia questo intermezzo! Un bacio e un abbraccio tutto per te! :)

inukag4ever: ecco, hai trovato proprio la frase giusta! "Contraddire il suo orgoglio": non avrei potuto trovare un'espressione migliore! :) Giuro, non sto scherzando! Grazie mille per i complimenti, grazie davvero! :) Spero che tu possa rimanere soddisfatta anche da questo intermezzo! Al prossimo capitolo, un bacio1



Bene, siamo alla fine anche di questo angolo: grazie davvero a tutti voi che leggete, aggiungete ai preferiti, recensite e che avete fatto sì che Aoki rientrasse tra le "storie scelte". Non l'ho mai detto, ma in cuor mio speravo che venisse inserita in questa sezione sin da quando fu creata e so che se questo è successo è solo grazie a voi! Grazie, ci si vede nel prossimo capitolo! Ah! E recensite, nè! xD

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Capitolo 15
*** Ima dare no sashizu mo ukenai ~ We won’t accept what anyone tells us ***


11. Ima dare no sashizu mo ukenai ~ We won’t accept what anyone tells us


Quel martedì mattina, Kagome aspettava la lettera di dimissioni per poter tornare a casa, per poter allontanarsi da quell’inferno racchiuso entro quattro mura bianco panna. I farmaci le avevano causato febbre alta e nausea continua, ma non se la sentiva proprio di passare più tempo del dovuto in ospedale.


Vedeva appena il medico consegnare la tanto agognata lettera a sua madre e l’infermiera sbrigare con cura tutta la trafila di chiusura: staccò i tubi della macchinetta da quelli del cvc, lo eparinò e lo richiuse dopo averlo medicato. Per tutto il tempo, si limitò ad osservare in silenzio tutta la scena: i rumori le arrivavano alle orecchie come ovattati, era ancora molto intasata per via della febbre e ciò le provocava non poco sollievo. Non le andava di sentire la voce della madre mentre parlava con il medico, le arrivava appena il loro vociare ed era sufficiente per renderla leggermente nervosa. Tuttavia, era troppo stanca per reagire, per urlare o dimenarsi…


“Ma non è rischioso dimetterla in queste condizioni?” esclamò la madre della ragazza, preoccupata


“Così vuole sua figlia” fu la risposta semplice e lapidaria del dottor Suzuki


“E’ tutto come al solito, se fosse grave la tratterremmo qui comunque, lo sa. Dopotutto, è ancora minorenne e l’ultima parola non spetta certo a lei.”


“Appunto, spetterebbe a me! E io non me la sento di…”


“Se sua figlia se la sente” Suzuki la interruppe


“Ed è qualcosa di realizzabile, preferirei ascoltarla. Lei è la madre, d’accordo, su questo non si discute. Ma è Kagome la paziente, bisogna cercare di seguire i suoi ritmi, nel limite della ragionevolezza. E la sua richiesta di andare a casa oggi è ragionevole.” e, detto questo, si diresse verso la porta fermandosi una volta posata la mano sull’uscio.


“Non è lei che dovrebbe passare un altro paio di giorni su un letto d’ospedale” sentenziò, senza nemmeno voltarsi.


“Rifletta bene su questo” e se ne andò.





Presidenza del liceo A. Inuyasha era stato convocato dal preside per un colloquio veloce di riepilogo; niente di insolito, due chiacchiere con un nuovo studente. Idea del consiglio d’istituto giusto per assicurarsi che gli nuovi studenti non potessero diventare dei grattacapi quella di controllarli una volta ogni tanto. Non era una cosa che al preside allettava molto fare, gli sembrava di stringere un po’ troppo il cappio attorno al collo dei ragazzi, ma non poteva farci niente. O aveva qualche ragazzino contro, o un intero consiglio. E, onestamente, preferiva essere sbranato dalla prima opzione.


Si schiarì la voce come vide il ragazzo sedersi sulla sedia posta di fronte alla sua scrivania, schiena eretta e mani sulle ginocchia, in perfetta posizione.


“Allora, Taisho. Ti stai ambientando bene in questa scuola? Ormai, sono passate quasi tre settimane dal tuo arrivo” la voce piccola e sottile del preside arrivò appena alle orecchie di Inuyasha, per nulla stupito o sconvolto da quella convocazione improvvisa.


“Sì, certo. Mi sto ambientando decisamente bene. Non ho alcun genere di problema con i professori, per il momento” fu la sua risposta pacata.


“E con i compagni? Anche con loro tutto bene?”


“Anche” si limitò a dire, facendo spallucce. Non poteva certo dire di aver stretto chissà quale rapporto di amicizia con qualcuno in sole tre settimane, no?


No?


“Il professore responsabile della tua classe mi ha riportato ciò che vi siete detti durante il tuo colloquio di orientamento della settimana scorsa. So che lavori per pagarti l’affitto di una stanza…” disse senza nascondere la sua riluttanza all’idea. Era pur sempre un ragazzo di sedici anni, l’idea che non abitasse con i suoi genitori e che dovesse lavorare - e quindi sottrarre ore allo studio - non era così comune e facile da accettare.


“Sì è vero” Inuyasha non attese la domanda del preside, era così ovvia.


“Un’amica della famiglia di mia madre abita da sola, è una vedova in pensione e aveva una stanza libera per me. Voleva lasciarmela gratuitamente, ma non volevo approfittarne. Sono stato io ad insistere per versarle qualcosa e contribuire alle spese della casa. L’idea di stare gratis in una casa non mia, perché è di questo che si sarebbe trattato alla fine, non mi allettava.” si stava infastidendo un po’, non gli andava a genio parlare di sé.


“Dove lavori?” continuò imperterrito l’uomo e Inuyasha trattenne a stento uno sbuffo di noia.


“Per un paio di settimane ho lavorato come commesso in un negozio in centro a Tokyo, appena trasferitomi, ma ero stato assunto solo per prova e, al termine, il padrone mi ha messo alla porta. Non era me che cercava. Ora sono aiutante presso un tempio shintoista e lavoro tutti i pomeriggi fino al venerdì e il sabato e domenica mattina.”


Il preside si lasciò sfuggire un’espressione di stupore sentendo gli orari di lavoro del ragazzo e, soprattutto, vedendolo esporli come se fosse la cosa più naturale del mondo: Inuyasha era un lavoratore instancabile, lo si vedeva chiaramente. Certo, lui non faceva nulla né per nasconderlo né per negarlo, ma lavorare tanto a sedici anni non era certo una vergogna, soprattutto in quei tempi.


“Beh, non posso che complimentarmi con te. Il tuo lavoro non sembra interferire con il percorso scolastico e il tuo rendimento. Non dimenticarti che è quest’ultimo il più importante; non faccio prediche a nessuno, ma vorrei che tu tenessi bene in mente questo. Certo, in tre settimane non si può giudicare tantissimo, bisogna stare con i piedi per terra, ma quello che abbiamo per ora ci basta.” rendicontò, schiarendosi diverse volte la voce.


“Ecco, senti… se mi permetti, vorrei sapere come mai abiti proprio con un’amica di tua madre. Dov’è lei? E tuo padre?”


Bene…


Era proprio quella, la domanda che voleva e doveva evitare. Non voleva sentirla da nessuno, né da un conoscente stretto né da un estraneo.


“Mi scusi, ma la risposta implica spiegazioni di fatti privati e ancora irrisolti. Preferirei non parlarne” e si sforzò per non mandarlo al diavolo. Del resto, cosa poteva saperne lui? Che colpe poteva avere se, ogni volta, ricordare sua madre e suo padre lo faceva sentire… così?


Non era il genere di risposta che si aspettava, ma non insistette. Erano pur sempre questioni private e lesse negli occhi di Inuyasha che stava dicendo la verità, non voleva sviare nessuno, solo lasciar perdere.


Cercò di allentare un po’ la tensione creatasi.


“Scusami Taisho, non ho intenzione di trattenerti ancora a lungo. Solo un’ultima curiosità: presso quale tempio lavori?”


“Al tempio Higurashi”


“Ah, allora, sarai sicuramente aggiornato più di me sulla salute della nipote del sacerdote, Higurashi Kagome! E’ in classe con te, giusto?” il preside sembrava quasi entusiasta e la cosa non sfuggì ad Inuyasha.


A dire la verità, era sempre pieno di lavoro al tempio e non aveva ancora fatto in tempo ad incrociare Kagome da quando l’aveva vista sfogarsi contro la madre. Quella settimana, poi, non era nemmeno a scuola: suo nonno gli aveva accennato ad un febbrone da cavallo che la teneva inchiodata a letto e gli aveva consigliato di non andare a trovarla in camera sua. “Mia nipote non è molto socievole o carina quando sta male, non ti conviene avvicinarla! Can che abbaia non morde e lei ti assicuro che fa entrambe le cose!” ci aveva scherzato su l’anziano.


Eppure, quella risposta serafica non l’aveva convinto molto: Kagome nascondeva qualcosa, persino un cieco l’avrebbe visto.


Lui voleva sapere cosa.


E quella curiosità lo mandava nel pallone: lui, così riservato e restio a parlare di sé e del suo passato che voleva sapere del passato di qualcun altro. Di qualcuno così terribilmente simile a lui e, allo stesso tempo, terribilmente diverso. Non gli era mai capitato di provare una curiosità quasi morbosa verso qualcuno, al punto da spingerlo a pensarci continuamente anche mentre studiava o lavorava.


Il pensiero di Kagome Higurashi già lo tormentava da quando l’aveva conosciuta, senza motivo: da quando l’aveva vista sotto una nuova luce, lei lo tormentava ancora più di prima.


“Puoi andare Taisho.” la voce del preside lo riportò alla realtà.


Il ragazzo si alzò, fece l’inchino come saluto e si apprestò ad uscire; ma, ancora una volta - forse davvero l’ultima - il preside lo bloccò e lo stupì:


“Un solo consiglio Taisho, a proposito di Higurashi: non ascoltare le voci sul suo conto. Di nessun tipo e da nessuna persona.”


Inuyasha, senza voltarsi, uscì dalla presidenza chiudendo velocemente le porte scorrevoli. Rimase immobile al centro del corridoio, portandosi una mano dietro la nuca, sempre più perplesso.


Era un tormento continuo: il viso sorridente che cela lo sforzo sovraumano di non piangere, l’alone di tristezza che circonda la sua figura, il suo passato che tutti - chissà come e chissà cosa esattamente - sembravano conoscere, la sfuriata alla madre, quelle strane voci già giunte anche a lui su ipotetiche sfuriate al preside e a dei ragazzi del terzo anno, le parole del preside e, soprattutto, le parole di Kikyo… Quelle parole così vaghe e depistanti… non poteva chiedere direttamente a Kagome la soluzione di quel puzzle.


Cosa ti succede, Kagome?


Cosa mi succede, Kagome?






La vibrazione del cellulare la riportò nel mondo reale, strappandola a quello onirico. Si portò una mano alla fronte dolorante, maledicendo chiunque avesse avuto la malsana idea di mandarle un messaggio o farle uno squillo sul cellulare in quel momento, con una tempistica davvero degna di nota.


Ma chi cavolo è…?


Senza nemmeno poggiarsi sui gomiti per alzarsi un po’, cercò con lo sguardo se il telefono rientrava nel suo campo visivo, per poterlo prendere senza sforzi. Quando scoprì che non era così, si lasciò scappare un grugnito di dissenso, innervosendosi.


Maledizione.


Scostò il suo piumone con un gesto secco e nervoso e subito fu avvolta dall’aria fredda della sua stanza: un brivido le percorse la schiena, dal basso verso l’alto, nel momento in cui la sollevò dal materasso arrivando fino alla testa, pelata.


In un attimo, si era già dimenticata perché si era sciolta dall’amorevole abbraccio del suo piumone, del suo cellulare e al nervosismo si sostituì la bramosia verso la parrucca. La sua solita, odiata parrucca, posta con cura sulla testa di polistirolo che troneggiava fiera sul comò.


Fece per alzarsi in piedi ma, colpevoli la febbre e le vertigini, le gambe non la ressero e si ritrovò per terra nel giro di tre secondi.


Ma che cazzo!


Se prima poteva dire di aver freddo, da quel momento poteva addirittura affermare di congelare: il parquet era a dir poco ghiacciato e lei, per quanto si sforzasse, non riusciva a mettersi almeno seduta.


Un brivido alla schiena, poi un altro ancora…


Un formicolio improvviso alle braccia e alle mani…


La testa sul punto di esplodere…


Decise di non arrendersi: iniziò a procedere a tentoni con le braccia, piegando prima la destra, poi la sinistra, alternativamente, trascinando con sé il resto del corpo che, per chissà quale cazzo di capriccio assurdo, tremava e basta, non collaborava.


Il suo ragionamento, per quanto stupido e dettato dal nervosismo, era dannatamente semplice: avrebbe avuto quella parrucca a costo di strisciare per terra.


Strisci come i vermi?


Avanzò gattonando verso il comò, verso la parrucca non senza una punta di amarezza.


Ma guardati…


Strisci come i vermi perché non ti senti le gambe?


Strisci come i vermi perché hai i brividi alla schiena che ti impediscono di metterti seduta?


Tu strisci perché sei come i vermi…


Strisci perché sei patetica…


Strisci perché sei troppo orgogliosa per chiamare qualcuno e chiedere aiuto.


Perché se chiedi aiuto, chi potrebbe arrivare?


Tua madre?


O forse… Inuyasha?


E ci speri anche, vermiciattola?



La sua mente corse veloce alle persone al piano inferiore: sua madre era a casa, aveva preso un giorno di permesso dal lavoro poiché doveva accompagnare a casa la figlia dall’ospedale; suo nonno stava lavorando al negozio del tempio senza sosta: un paio d’ore prima era salito da lei per informarla che Inuyasha aveva chiesto di lei. Quella notizia, ovviamente, l’aveva fatta sobbalzare nel letto…


“Cosa devo dirgli?”


“Niente di che. Ho la febbre, non voglio vedere nessuno. In fondo è la verità, no?”



Inuyasha…


Non voleva vederlo, non in quello stato: era dal giorno della sfuriata a sua madre che non si vedevano e lei moriva dalla voglia di poter parlare con lui. Ma la tempistica era un’altra variante della vita che, a quanto pare, aveva sottoscritto un contratto con la sfiga per mettere i bastoni tra le ruote a Kagome. Entrambi non erano andati in gita, Kikyo - che considerava una presenza un po’ fastidiosa se abbinata ad Inuyasha, ormai - invece sì; dall’altra parte, però, c’era stata la settimana di ricovero che l’aveva ridotta ad uno straccio e ancora doveva riprendersi. Non esisteva proprio farsi vedere da lui in quelle condizioni, aveva visto già troppo, sapeva già troppo…


Un colpo di tosse fermò la sua patetica avanzata.


No dai…


Era sdraiata a pochi passi dal comò, col braccio disteso poteva quasi afferrarne una delle gambe: cercò di avvicinarsi ancora un poco ad essa per poter aggrapparsi e sollevarsi in qualche modo. E raggiungere il suo scopo, la parrucca.


Un altro movimento a tentoni e un altro ancora: al terzo, però, venne bloccata da un crampo al braccio destro. Si abbandonò sul fianco sinistro, nel tentativo di distendere in aria il braccio e placare quel dolore, ma altri colpi di tosse glielo impedirono.


Che ti succede, vermiciattola?


La parrucca è praticamente lì, non la vedi?


Su prendila!





Ah, no, scusa, che stupida!


Come fai a vederla da terra?


Da quella posizione patetica?



Gli occhi iniziarono a bruciarle: era la febbre? O erano lacrime?


Su forza, cosa aspetti?


Alzati, no?



Cercò di alzare la testa e braccia in direzione del comò.


La vista iniziò ad appannarsi.


Poi, improvviso, un conato di vomito.


Un colpo di tosse.


Altro vomito.


E infine il buio.





Kagome era svenuta per la febbre: furono la madre e il nonno a trovarla per terra, senza sensi. L’uomo era rientrato in casa dal tempio per chiedere un favore alla figlia quando sentì dei rumori simili a colpi di tosse provenire dal piano superiore. Il suo buon senso, ovviamente, gli impose, figlia al seguito, di andare a controllare se fosse successo qualcosa alla nipote. La rimisero a letto velocemente e rimasero entrambi con lei fino al suo risveglio.


Quando aprì gli occhi, provò l’istinto irrefrenabile di richiuderli immediatamente, la luce le dava un fastidio terribile. Sentiva appena il cuscino sotto la sua testa e la stoffa del piumone tirata fin sopra le sue spalle; aveva ancora una nausea tremenda e, se non fosse stato per il fatto che sua madre si era accorta delle chiazze di vomito per terra e si fosse premunita dal bagno con un catino, probabilmente avrebbe imbrattato tutto il piumone non appena sveglia. Continuò a vomitare per cinque minuti buoni, con sua madre accanto che la reggeva dal davanti e suo nonno che le cingeva dolcemente le spalle con le sue mani solcate dalle rughe. Era circondata dall’affetto dei suoi familiari, persino sua madre non le dava fastidio quanto la nausea che la attanagliava.


Ma lei si sentiva in colpa.


Perché, in quel trambusto, tutto quello che pensava era ringraziare il cielo che Inuyasha stesse lavorando in quel preciso momento e che non fosse lì ad assistere a quella scena, ad assistere a quella sua debolezza, a quel suo lato di sé che intendeva proteggere ad ogni costo.


Dopo quel pomeriggio, suo nonno aveva deciso di fare i conti con la testardaggine della nipote: le impose l’obbligo di chiamarlo per ogni singola sciocchezza che le passava per la testa, a costo di strapparlo al lavoro, altrimenti avrebbe trattato con sua madre una punizione che probabilmente nemmeno la demenza senile di cui avrebbe potuto soffrire da ottant’anni a quella parte le avrebbe fatto dimenticare.


Un po’ le era servito, essere tenuta sotto controllo. Aveva passato tutto il mercoledì a letto a riposare, con la parrucca nel caso ne avesse avuto bisogno, il cellulare e una teiera piena in bella vista sul comodino, a praticamente cinque centimetri dalla sua faccia. Si era annoiata molto, avrebbe letto volentieri qualche libro: odiava studiare, ma leggere qualsiasi genere anche solo vagamente lontano da quello scolastico era per lei una delle fonti principali di relax. Ma il nonno era stato tassativo anche su quello: nessuno sforzo di alcun genere, si stava riprendendo dagli effetti collaterali della chemioterapia. Ogni ora, poi, giusto per essere tranquillo, Jii-chan si recava di persona a controllare Kagome, oppure mandava Sota in ricognizione per far compagnia alla sorella se lui non poteva proprio lasciare il tempio. La ragazza non poté aiutare il fratello con i compiti, sempre per ordine del nonno, ma almeno qualche intervallo dalla noia le era concesso.





L’inflessibilità del nonno stava avendo i suoi frutti, dal punto di vista fisico.


Il giovedì seguente si svegliò a mattinata inoltrata - erano le dodici e venti stando al suo orologio - senza quel terribile senso di nausea che le aveva attanagliato lo stomaco per tutte quelle ore. Avvertiva ancora un forte mal di testa e le vertigini le facevano compagnia, ma il termometro non le aveva dato segni di febbre.


L’inflessibilità del nonno non stava avendo i suoi frutti, dal punto di vista di controllo della testardaggine.


Quella mattina, Kagome si sentiva decisamente meglio e non avrebbe decisamente retto un’altra giornata noiosa sotto le coperte a fare assolutamente niente. Tra l’altro, si era svegliata nel peggiore dei momenti: suo fratello era a scuola, sua madre al lavoro - quindi, non poteva nemmeno ingegnarsi in qualche modo per evitarla - suo nonno pure, quindi nessuno poteva farle un po’ di compagnia. Leggere ancora non poteva: non serviva il divieto del nonno, alla fine della fiera, capiva da sé che lettura e mal di testa era un’accoppiata stridente.


Rimase alcuni minuti seduta sul letto, con le coperte tirate fin sui fianchi a rigirarsi i pollici e a trovare una scusa per fare qualsiasi cosa e, con sua grande gioia, la trovò nella teiera completamente vuota.


Ecco, a volte il mal di gola serve a qualcosa!


pensò giuliva, mentre scuoteva il container di metallo, accertandosi che il livello del thé fosse effettivamente pari a zero. Aveva la scusa per uscire dalla sua stanza e questo le bastò non tanto per sollevarle il morale, ma almeno per distrarla.


Si alzò piano dal letto, combattendo con i residui di vertigini e controllando di poter stare in piedi e camminare senza troppi intoppi.


Cavoli, stare allettati una settimana ti distrugge, peggio che le lezioni di fisica…


Si mise un golfino di lana color panna sulle spalle, la parrucca in testa e, dopo aver aperto le finestre per permettere all’aria fredda di dicembre di entrare nella stanza quanto bastava, scese in cucina a piccoli passi, reggendo la teiera con entrambe le braccia, nemmeno pesasse una ventina di chili. Una volta giunta a destinazione, sciacquò e preparò la teiera sul fornello, lo accese e attese che l’acqua iniziasse a bollire.


In quei minuti di attesa, si guardò attorno portandosi le braccia al petto e sfregandosele: ma i termostati erano accesi in quella casa? A quel punto, tanto valeva respirare un po’ d’aria buona e non lamentarsi per qualche spiffero proveniente da fuori.


Si fiondò, alla sua velocità, verso il tinello e da lì alla porta d’ingresso: la aprì senza prima fermarsi per cambiare le sue pantofole di spugna con gli zoccoli in legno che indossava sempre quando usciva in giardino e attraversò la soglia di casa reggendosi saldamente allo stipite non appena la luce del sole decise di darle fastidio agli occhi.


Era una luce strana, però: d’accordo, era pur sempre dicembre, ma mezzogiorno era passato da poco. Come mai il sole era già così basso? E, soprattutto, perché picchiava direttamente contro la porta d’ingresso? In genere, raggiungeva quella posizione in tardo pomeriggio. Si grattò la fronte, stordita, le mancava qualche passaggio.


Riguardò il suo orologio da polso: le tre e venti.


Le tre e venti? Ma che cavolo sta… Ma non era mezzogiorno? Ma che?


E, mentre si stropicciava gli occhi, una voce maschile la riportò alla realtà:


“Ehi!”


Nonostante il suo evidente stordimento di base, riconobbe molto bene quella voce.


Ma cosa?


E’ mattina… è mattina, no? Non dovrebbe essere a scuola?



Non fece nemmeno in tempo ad alzare il viso dal polso e reagire che si ritrovò la figura di Inuyasha ad alcuni metri da lei, intento a spazzare la cima degli scaloni, vestito con il classico kimono bianco e azzurro da lavoro. Un’altra cosa che notò subito in lui fu l’espressione del viso: era per lei, a metà tra il contento e l’incuriosito.


“Kagome, hai bisogno di una mano?”


Nessuna risposta da parte sua: connetteva a malapena e Inuyasha era la persona che più aveva occupato i suoi pensieri in quei giorni e che, allo stesso tempo, meno si aspettava di trovarsi davanti. Anzi, meno sperava: poteva aspettarselo col cavolo, visto che lei lì ci abitava e lui ci lavorava.


“Devo chiamare tuo nonno?”


Lui si avvicinò, iniziando a preoccuparsi seriamente, mentre lei continuò a tacere.


“Io…” esitò un attimo, prima di chiedere ancora


“Io non posso fare niente?”


Ecco, fu quella la domanda che sciolse lo stupore della ragazza e le sue riserve nei suoi confronti.


“Ma… ma tu… non dovresti essere a scuola? Che ci fai… qui… a quest’ora…?” si limitò a chiedere, indicando il suo orologio da polso.


A quella domanda, Inuyasha non riuscì a non ridacchiare: aveva risposto ad una domanda con una domanda ed era una cosa che a lui, in genere, non andava giù. Ma era quel suo fare spaesato che gli era piaciuto e che lo aveva fatto ridacchiare, senza cattiveria.


“Ma a scuola ci sono già stato oggi. Sono le quattro e un quarto all’incirca di giovedì pomeriggio, è del tutto normale che io sia qui. Ci lavoro.”


“Come, pomeriggio?!” urlò, senza rendersene conto e portandosi una mano alla testa.


M-ma no, è… è impossibile, non possono, non può… oh… oh mio…


Guardò di nuovo l’orologio


Ma che cavolo di ore ho letto prima?!


Avvampò, consapevole di aver appena fatto una signora figuraccia: nel leggere l’ora, aveva confuso per ben due volte la lancetta delle ore con quella dei minuti! Aveva letto dodici e venti, quando in realtà erano le quattro e poi, ancora, aveva confuso le tre e venti con le quattro e un quarto!


Oh mio Dio.


Fu solo in quel momento che la sua situazione le fu del tutto chiara: poco le importava di essere stordita da far paura persino a Sadako (la protagonista del film “The Ring” - ovviamente mi riferisco alla versione giapponese. NdA), di morire di freddo perché indossava solo un pigiama e un golfino e che la febbre così poteva salire di nuovo.


Era di fronte ad Inuyasha.


A casa sua.


In un momento di vulnerabilità.


Le tornò in mente l’episodio della sfuriata con sua madre: non voleva essere vista un’altra volta con la sua vera faccia, già non voleva essere vista con il volto reso paonazzo dalla febbre e dall’imbarazzo. Era tesa come una corda di violino, un solo passo falso e lui avrebbe potuto scoprire qualcos’altro.


Alcyna… hai bisogno di qualcosa?”


Kagome lo guardò terrorizzata, mentre lui si avvicinava ancora a lei: non era il suo essere sempre più vicino a spaventarla, oh no.


Era quello che stava per dire.


Era quello a spaventarla.


“Ecco, no… io volevo solo prendere… una boccata d’aria, prepararmi un thé… sai, ho la gola molto secca…”


No, cosa fai?


“Però, ecco vedi…”


Vuoi stare zitta?


“Sì, insomma, già che ci sono… già che ti ho visto…”


Taci!


“Insomma… sì… ti va una tazza di thé?”


Te sei partita per la tangente, cogliona…


“Sarei una cafona…” e ridacchiò, nervosa


Ecco, ora sì…


“A non offrirtela…”


Brava…


“Sì… no… cioè…” le mani iniziarono a tremarle.


Sospirò, senza più capire quale strano meccanismo collegava testa e voce.


“Scusa, non avrei dovuto dire…” si interruppe un secondo


“Scusa… Scusa, che stupida…”


Sì, hai detto bene.


Stupida.



“Stai lavorando” e ridacchiò ancora


“Se ti allontani per colpa mia, finiresti sicuramente nei casini.”


Hai finito con gli smielamenti scemi? Sei ridicola!


Kagome fece per entrare in casa, confusa, ma qualcosa la trattenne per il polso: la mano di Inuyasha, che aveva lasciato cadere a terra la scopa di bambù e rami secchi con cui stava lavorando.


“Beh…” iniziò lui


“E’ vero, forse adesso, in questo preciso istante, ora, nel momento stesso in cui sto parlando” disse con tono scherzoso, riuscendo a farla ridere


Ridacchiò a sua volta


“Forse adesso sarebbe un casino…”


Hai sentito il ragazzo?


“Però alle sei e mezzo finisco di lavorare. Va bene lo stesso?”





La risposta del ragazzo l’aveva sorpresa al punto da non ricordarsi come cavolo fosse finita in cucina, seduta con la faccia nascosta tra le mani, piegata in avanti verso la superficie del tavolo, intenta a mettere ordine tra i pensieri della sua testa dolorante, lasciati lì alla rinfusa.


Tu sei una psicolabile.


Andare in panne per così poco.



Si alzò di scatto, dandosi un paio di schiaffi e tornò alla teiera, che aveva lasciato a bollire decisamente a lungo, troppo a lungo. La mise a raffreddare sotto l’acqua fredda del lavello, la pulì di nuovo e poi la lasciò ad asciugare per i fatti suoi; si risedette sulla sedia di prima, sospirando.


Non voleva pensarci troppo, non voleva ricordare che, se era così sconvolta, non era tanto per la risposta in sé quanto per l’aver corso il rischio di mostrarsi in un momento di vulnerabilità. Certo, le cose non erano come l’altra volta, ma lei rimaneva pur sempre su un sottile filo in tensione che divideva il suo vero io da Inuyasha e, nei momenti di debolezza, restare in equilibrio su quel filo era davvero difficile.


C’era da dire che, sempre rispetto a quella volta, il risultato dell’incontrare Inuyasha era stato diverso. E uguale. Lui le aveva sorriso premuroso, come quando l’aveva presa in braccio, in quello era identico. Era lei ad aver reso il tutto diverso: per una volta, stava solo pensando a come si sentiva, a cosa provava e non a conseguenze su conseguenze dell’incontrare piuttosto che il non incontrare e il come incontrare.


Che gran casino, eh?


Sì, era tutto un gran casino.


Cominciava anche a capire il perché di tutto quel casino; ma ancora non voleva attribuire un nome concreto a quel “perché”





Quando Inuyasha arrivò in cucina, già cambiato dai vestiti lavorativi, annunciandosi con un “permesso” appena sussurrato, Kagome aveva già preparato due tazze di thé fumanti e un vassoietto ricolmo di biscotti al cioccolato e secchi.


Come la vide, non poté fare a meno di abbozzare un sorriso.


“Ehi, Alcyna!


Nemmeno Buddha o Dio potevano sapere quanto Kagome adorava quel nomignolo, pronunciato con dolce ironia.


“Avresti potuto aspettarmi per preparare, ti avrei dato volentieri un aiuto!” le disse mettendole una mano sulla fronte.


“Scotti, hai ancora la febbre.” disse serio


“Chissà che casotto non mi hai combinato nel preparare tutto!” stavolta la punzecchiò.


L’atmosfera che si era subito creata piacque molto a Kagome: scherzosa, leggera, senza troppi convenevoli.


“Ma no, tranquillo!” rispose serissima


“Certo, è stato molto difficile ricordarsi come si fa ad ingoiare una tachipirina grossa così. Però, ti assicuro che una volta passato questo difficile scoglio è stato tutto molto più semplice! Tutto in discesa!” sospirò con tono scemo


Risero entrambi.


Era vero, ad ogni modo. Prendere l’antibiotico stava avendo i suoi effetti: aveva preso quello che doveva prendere, all’ora giusta, e si era messa ad aspettare che Inuyasha finisse di lavorare in salotto, accoccolata sul divano con la televisione accesa e una coperta di pile sulle gambe.


Si misero a sedere l’uno di fronte all’altra, iniziando a sorseggiare lentamente la loro bevanda e a sgranocchiare alcuni biscotti.


Si scambiarono poche parole: come va a scuola, come va al lavoro, come va la febbre, chissà come sta andando la gita ai nostri compagni… affrontarono giusto questi come discorsi seri, il resto fu soprattutto un continuare a scambiarsi occasionali battutine e frecciatine sull’essere in grado o meno di leggere l’ora - cosa che si imparava in seconda elementare - o sull’associare le facce delle persone alle facce dei pupazzi. E così via…


Furono soprattutto i loro occhi a parlare, a sostituire le loro voci, a sostenere quell’atmosfera e a renderla incredibilmente viva e rumorosa nel suo lineare silenzio. Rimasero assieme una ventina di minuti, all’incirca, dei quali quasi quindici furono occupati dal silenzio, ma sia per Kagome che per Inuyasha furono i venti minuti più incredibili mai passati con qualcuno.


Lei non sentiva la voce della sua coscienza insultarla come al solito, non sentiva i polsi bruciarle e non sentiva nemmeno il leggero sudore colare sotto la parrucca.


Lui poteva tirare un po’ il fiato dalla sua tipica giornata, non era stato costretto a scappare via subito dal tempio come al cambio della guardia svizzera: in teoria avrebbe dovuto farlo se non avrebbe voluto ritrovarsi col fiato sul collo quella sera, ma la prospettiva di vedere Kagome dopo alcuni giorni aveva vinto su tutto. Oltretutto, lei lo aiutava a non pensare a tutto il resto, a tutto quel resto che gli pesava terribilmente.


Quello era tutto ciò che contava davvero.


Si congedarono con la promessa di un altro thé per l’indomani, solita ora; Kagome era riuscita a strapparla ad Inuyasha senza alcuna fatica e non poteva proprio chiedere di meglio.


Si salutarono sorridendo; mentre Inuyasha usciva di corsa, indossando il cappotto della divisa scolastica e tenendo un manico della borsa tra i denti, Kagome pose vassoio e tazze nel lavabo per lavare il tutto.


Non seppe proprio spiegarsi se fosse stato per sincronia o per sfiga, ma come il ragazzo se n’era andato, in cucina era entrata sua madre di ritorno dal lavoro. La donna assunse un’espressione di stupore, si immaginava la figlia a letto a riposare, non giù in cucina con le braccia immerse nell’acqua intenta a lavare dei piatti.


“Ciao Kagome…” si azzardò a dire


“Ciao…” si limitò a rispondere stizzita, senza voltarsi e senza smettere di lavare le tazze.


Non ce la fai proprio, vero?


Non ci riesci…



Eccola, era tornata.


Finì di lavare in fretta, senza lasciare il tempo alla madre di aiutarla; lasciò tutto sul colapiatti in metallo, si asciugò in fretta le mani nel golfino e si diresse in camera sua senza dire altro.


E’ inutile, lo sai.


Giunta in camera, fu accolta da una ventata d’aria gelida: aveva completamente dimenticato le finestre aperte.


“Eh, ma che cazzo!!” urlò rabbiosa, portandosi una mano dietro la nuca.


Sbatté con un gesto secco la porta alle sue spalle per poi rivolgersi alla finestra, chiudendola con un altrettanto secco gesto di entrambe le mani. Si sedette sul letto, confusa e infreddolita.


E’ incredibile…


Socchiuse gli occhi e sospirò rassegnata.


…quanto tu la odi.


E’ quasi encomiabile, direi.



Strinse le mani a pugno e cominciò a usarle per darsi dei colpi alle ginocchia.


E dire che Inuyasha


Digrignò i denti.


…era persino riuscito a zittirmi.


La testa ricominciò a pulsare.


Dì un po’.


A pulsare…


E’ il tuo odio verso tua madre che è troppo forte o il tuo affetto verso Inuyasha che è troppo blando?


Vertigini…


Forse tu ti stai illudendo che quest’ultimo sia vero.


Si alzò lentamente, le gambe iniziarono a tremare.


Si diresse verso la scrivania e osservò il cellulare, che aveva riposto lì prima di scendere in cucina.


Sei una povera illusa.


Ti illudi. Pensi di vivere quello che vorresti vivere.



Un messaggio di Sango, uno di Miroku.


Ma non potrai mai viverlo.


Il ricordo della gita. Il ricordo dell’ospedale. Il ricordo di Kikyo.


Un messaggio…


Allora?


Un messaggio di Inuyasha…?



Il vuoto...


Ma ti vedi?


A malapena ti ricordi di avere il suo numero!



Apertura in corso


Ti ricordi quando vi siete scambiati il numero?


No, vero?



Ehi, ciao! Grazie mille per il thè! Mi raccomando, Kagome, riprenditi presto e per bene! Non strafare! Inuyasha


Non riuscì a rispondere.


Hai un vuoto di memoria?


No vero?



Iniziò a respirare affannosamente.


La sai la verità?


Tu la vuoi vivere, quella vita.


Ma non puoi.



E con brevi scatti, rieccola. Riecco la sua ancora di salvezza, riecco la sua via di fuga. Rieccola, lucente, fiera e brillante come piace a lei e come la vuole lei. E non può far altro che accasciarsi a terra, come sempre, maledicendo la nuda e cruda verità dei fatti esplosa come un boato a ciel sereno. Nascondersi dietro qualcos’altro. Soffrire per non soffrire. Perdere il conto dei fallimenti di mantenere un po’ di sana lucidità e capire che ci sarebbero altri modi. Rendersi conto che può essere solo così: soffrire per non soffrire.


Kagome trattenne un conato di vomito, stringendo forte a sé i polsi doloranti.


Così impari ad abbassare la guardia e ad illuderti, Kagome…





Nota dell'autrice: scusate per questo schifo ç_ç Chiedo veramente, umilmente scusa. Mi faccio attendere una vita, come sempre, per poi portare questa schifezza. Non mi piace come è scritta, come è sviluppata, boh... Non mi piace in generale. Peggio del solito. E dire che ci sono un paio di passaggi a cui tenevo... Sigh... Non sono molto soddisfatta, ecco ._. Avrei potuto fare molto meglio. Ad ogni modo: in questo capitolo viene trattato il momento post-chemioterapia, a volte più pesante della terapia stessa. La solitudine, la cocciutaggine, le situazioni assurde... vi assicuro, sono tutte vere e tutte provate, non nascondo che non c'è niente di inventato in questo capitolo, nemmeno la scusa della parrucca è fasulla o ai fini della trama. Un altro pezzo forse un pò pesante è quello finale, con la coscienza di Kagome che non è esattamente il massimo della carineria. Fate molta attenzione alle parole che Kagome rivolge a sè stessa, sono molto importanti al fine dello sviluppo del suo rapporto con Inuyasha che, finalmente, inizia a delinearsi un pò *_* Ecco, di questo sono contenta! Dal prossimo capitolo inizieranno a muoversi altre cose, ho un sacco di idee per la testa, devo riuscire a ordinarle con calma senza farmi sopraffare dall'entusiasmo ed evitare di sfornare schifezze del genere ._. Ed è per questo che faccio una richiesta seria: avrei bisogno di un betareader, una persona che mi aiuti con la revisione grammaticale di Aoki e che abbia anche voglia (ma questo pezzo è facoltativo) di ascoltare le idee che ho in mente e che mi possa aiutare su alcuni punti "in dubbio" o "in sospeso". Se siete interessati non esitate a contattarmi tramite il form di efp! (mi raccomando, uno alla volta! XD) Per finire... io ne approfitto anche per farvi gli auguri di Natale, visto che dubito fortemente di riuscire a postare il prossimo capitolo entro dieci giorni :P Ci sentiamo nelle note del prossimo capitolo!


L'autrice risponde alle recensioni:
Beverly Rose: grazie per la tua segnalazione! *_* Non hai idea dei metri fatti nel balzare sulla sedia vedendo che Aoki è tra le storie scelte! Grazie, grazie, grazie davvero! *Ti spupazzo tutta io* XD Sono contenta che l'intermezzo ti sia piaciuto, per me è stato in assoluto quello più difficile da scrivere °-°" Io non sono nella testa di chi mi è accanto, mi sono mossa osservando molto i miei familiari e le mie amiche, è stato un vero e proprio parto! Spero ti piaccia il capitolo, un bacio!
ryanforever: grazie per la recensione *_* Come detto sopra, l'intermezzo di Sango è stato davvero difficile da scrivere, ma credo nel complesso di aver centrato quello che molte persone che stanno accanto ai malati oncologici pensano. Ho spezzato un pò il clima pesante di Kagome, che è tornato in tutto il suo "splendore" in questo capitolo... Spero ti piaccia! ^^ I miei esami settembrini sono andati bene, considerato che ho studiato tutto il tempo in ospedale, non potevo chiedere di meglio :D Anche la mia migliore amica frequenta la tua stessa facoltà! Solo che lei è al terzo anno, come me ^^ Un bacio!
Darkina: sì, "menestrello triste" si collega alla "musica triste"! Nel senso che Sango canta la sua tristezza nel non poter essere vicina alla sua migliore amica in un momento molto fragile, si sente in colpa perchè lei può andare avanti con la sua vita mentre Kagome no. Hai capito il senso, bravissima! ^^ E ti sei anche fatta capire, tranquilla! :D Con questo capitolo iniziano a muoversi alcune cose, vedrai con i prossimi! Spero sarà tutto di tuo gradimento! :) Un bacione, alla prossima!


Come sempre, i miei ringraziamenti vanno a tutti voi che leggete, che recensite (ecco, mi raccomando, recensite XD Un bel feedback - positivo o negativo - fa sempre piacere... *fa occhi dolci dolci*), che aggiungete Aoki tra i preferiti o tra le storie da seguire! Grazie, grazie, grazie! Ci sentiamo nel prossimo capitolo!

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