Certe Notti

di Evilcassy
(/viewuser.php?uid=5611)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Certe Notti la macchina è calda e dove i porta lo decide lei (Hwo-Asuka) ***
Capitolo 2: *** Certe notti somigliano a un vizio che tu non vuoi smettere smettere MAI (Lili Vs Miguel) ***
Capitolo 3: *** ... e locali a cui dai del Tu...(Steve & Julia) ***
Capitolo 4: *** Certe notti c’hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà. (DraNina) ***
Capitolo 5: *** Certe Notti se sei Fortunato bussi alla porta di chi è come Te. (AnnaLee) ***
Capitolo 6: *** Certe Notti da Farci l’Amore fin quanto fa male, fin quanto ce n’è!(Alisa*Lars) ***
Capitolo 7: *** Certe Notti ti senti Padrone di un Posto che tanto di Giorno Non C'è. (Jin 4Xiao) ***
Capitolo 8: *** Chi si accontenta gode… così così (Lili'n'Xiao'n'Miharu) ***
Capitolo 9: *** Non si può restare soli, certe notti qui. ***
Capitolo 10: *** EPILOGO: Certe Notti sei sveglio, o non sarai sveglio MAI...! ***



Capitolo 1
*** Certe Notti la macchina è calda e dove i porta lo decide lei (Hwo-Asuka) ***


CERTE NOTTI

 

 

1 – Certe Notti la Macchina è Calda - e dove ti porta lo decide Lei.

 

Hworang + Asuka.

 

A quella velocità i lampioni della superstrada si fondevano in un’unica scia di luce, formando un tunnel in cui la moto sfrecciava rombando.

Le braccia di Asuka gli avvolgevano saldamente il busto e la testa era appoggiata alla sua spalla; la immaginava tenere gli occhi chiusi per quella sua solita paura della velocità che rifiutava di ammettere.

La mano sinistra lasciò per un istante il manubrio, accarezzandogli il ginocchio, lasciato nudo dalla gonna della divisa scomposta, per rassicurarla. Sentire le sue gambe strette attorno alle sue cosce gli fece aumentare la fretta di arrivare alla meta.

 

Fermò la moto sotto casa, avendo cura di agganciare una pesante catena alla ruota come antifurto. La ragazza si tolse il casco, scoccandogli un'occhiata arrabbiata. "Stavi andando troppo forte" sibilò, aggiustandosi poi la divisa scolastica

Hwoarang ne rise di quella sua affermazione, invitandola a salire le scale con un gesto esageratamente galante. Lei salì i ripidi scalini, conscia che il ragazzo la seguiva ad una distanza tale da poterle sbirciare sotto la gonna. Scemo pensò, trattenendo un mezzo sorriso.

 

Il monolocale del ragazzo era incredibilmente in ordine: I cartoni di pizza e cibo Take Away che solitamente campeggiavano nell'angolo cucina erano scomparsi, non c'erano abiti in disordine sul divano ed erano sparite persino le bottiglie di birra e altre bevande che formavano di solito i soprammobili. Un gradevole profumo di mughetto, infine, aleggiava nella stanza.

"Accidenti, ti sei proprio dato da fare!" esclamò colpita, appoggiando la cartella e la sacca dei vestiti per terra. "Sono davvero impressionata da ciò che puoi combinare con la tua sola forza di volontà."

"Sapevo che venivi questa sera e ci tenevo a fare bella figura."rispose con un sorriso, cingendole la vita con le braccia,per poi tuffarsi sulle sue labbra morbide, ottenendo la risposta dolce che si aspettava. Si staccò, prendendola per una mano, attirandola verso il letto profumato di bucato, per poi guidarla a sedersi a cavalcioni sulle sue ginocchia e accarezzarle la schiena e le gambe affusolate.  "C'è qualcosa che non va? non ne sei convinta?" domandò, vedendola tentennare come in quelli che chiamavano “gli scontri sul divano”, ovvero le loro pomiciate e le loro effusioni ad un passo dall’atto completo.

"...no, affatto, è che..."

Lui la invitò a parlare. Con le donne bisognava aver pazienza da vendere, e anche se non vedeva l'ora di lanciarla fra i cuscini e farla sua, si sforzò di mostrarsi tranquillo e disponibile ad appianare i suoi dubbi.

"Mi sento in colpa per aver mentito ai miei genitori" sospirò Asuka. "Loro mi credono a dormire da Lili, con Miharu e Xiao..."

Il ragazzo scoppiò a ridere. " Sapevi che i tuoi non sarebbero stati d’accordo! E poi, Baby, sei tu quella che vuole restare per tutta la notte! "

"Non mi piace avere fretta in queste cose. Ma sto tradendo la loro fiducia..."

"Non lo verranno mai a scoprire. E se per caso succedesse, dai pure la colpa a me. Dì che sono stato io a traviarti, piccola." Si lasciò cadere all'indietro, attirandola su di sé, insinuandosi sotto i suoi vestiti, strappandole sospiri sommessi.

"Il che è vero..." borbottò lei, fingendo di essere risentita "Un tempo era una brava ragazza, che combatteva contro il crimine."

"Ed io ero un teppista donnaiolo e combinaguai."

"Lo sei ancora."

"Non donnaiolo, ahimè." Le baciò le guancie arrossate, sorridendo al percepire il calore del suo corpo che aumentava. Poteva sentirlo anche attraverso i pochi vestiti che erano rimasti al loro posto, e questo non poteva far altro che aumentare a dismisura il suo desiderio.

"Scemo." Bisbigliò lei, tra lo schiocco di un bacio e l’altro.

Il silenzio scese tra di loro, le mani di entrambi si erano fermate, le labbra erano ad un millimetro. Il momento cruciale, l'attimo prima di saltare nel vuoto.

Fu Asuka a toccare per prima le sue labbra, ad invitarlo. Hwoarang sorrise, pensando per l’ennesima volta quanto fosse stata ironica la sorte, a farlo innamorare della cugina di primo grado del suo più acerrimo rivale.

E ad essere ricambiato. Follemente, completamente, incondizionatamente, irrazionalmente.

 

Si lasciò trascinare dall’istinto, guidò l’irrazionalità sul suo corpo, lungo le sue forme acerbe e sode. Voleva condividere ogni suo respiro con lei, ogni battito del cuore, il piacere che sarebbe succeduto alla fitta di dolore, al rivolo di sangue che l’amore richiedeva per essere tale, completo e perfetto.

Asuka era sua, per la prima notte, il primo ritornello di una canzone infinita.

Spazzò via ogni suo dubbio, sciolse ogni sua remora, e i sensi di colpa ai margini della coscienza scomparirono in una bolla di sapone.

 

D’altronde, come poteva una cosa così bella poter essere anche minimamente sbagliata?

 

OPPLA’!

Provo a cimentarmi anche io nelle raccolte di Ff! Ovviamente, purtroppo, non riesco a scrivere delle shots… come sapete, sono prolissa…

Questa raccolta ha come filo conduttore la canzone del LIGA che le dà il titolo, e un verso della canzone farà da titolo per un capitolo (in questo caso…coff coff. Mettete MOTO al posto di macchina, su dai.). Bene, prendete le chitarre in mano, accendete gli accendini e alzate i cellulari illuminati.

Intendo non solo trattare di coppie, ma anche di amicizie e di sentimenti contrastanti.

 

Inzomma, signorine e signorini, voglio mettermi alla prova. Chissà che ca22ata ci verrà fuori!

 

Approfitto per ringraziare sentitamente e sbaciucchiare sulle orecchiette chi ha recensito “Giochi Pericolosi!!!

 

Grazie in anticipo.

EC

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Certe notti somigliano a un vizio che tu non vuoi smettere smettere MAI (Lili Vs Miguel) ***


CERTE NOTTI

 

 

2 – Certe Notti somigliano a un vizio che tu non vuoi smettere, smettere Mai.

 

Lili Rochefort Vs Miguel Caballero Rojo

 

“E’ strano, davvero strano che Lili si sia appassionata così tanto alla lingua spagnola solo dopo che siamo venuti qui in Giappone.” Madame Rochefort sorseggiò il suo digestivo guardando pensierosa, ma tranquilla, il Picasso che avevano appena appeso al muro del salone della nuova villa nipponica. “Certo, è stata una fortuna trovare un insegnante madrelingua di spagnolo nell’estremo oriente.”

Il marito fece spallucce: “Lo sai che la nostra Lili è fatta così. Quando eravamo a Montecarlo smaniava per il Giappone, e ora che siamo in Giappone si appassiona alla Spagna. Sono sicura che da grande farà un lavoro che la porterà a viaggiare molto. Come l’ambasciatrice, per esempio.”

“Oh, si, caro, ne sono sicura anche io. E’ molto importante che continuiamo a privilegiare l’insegnamento delle lingue straniere nella sua formazione. Ormai conosce splendidamente l’inglese, il giapponese ed ora sta imparando anche lo spagnolo.”

“Siamo fortunati ad avere una figlia intelligente come lei.”

 

Sebastian fece entrare, come ogni mercoledì sera,  l’insegnante all’ingresso. Lo scortò ossequioso verso la biblioteca, dove Madamoiselle Lili lo stava attendendo ansiosa.

Quando aprì la porta, lei lo accolse con un sorriso, davanti al libro di grammatica aperto. “Buenas Noches,Miguel!”

Appena il maggiordomo li lasciò soli, orgoglioso di vedere l’interesse per quella nuova lingua europea negli occhi della ragazza, il clima all’interno della biblioteca cambiò radicalmente, come ogni mercoledì da tre mesi.

Lili abbandonò il libro, alzandosi dalla sedia con la grazia di una ballerina. “Bene, abbiamo due ore a partire da adesso. Non sforiamo, dopo verranno le mie amiche.” Precisò, facendo partire il cronometro nel suo orologio.

Miguel Caballero Rojo, alto nel suo metro e novanta, annuì, gettando all’indietro la chioma castana, scomponendola con un movimento della mano e abbandonando i finti libri che si portava appresso su di un tavolo.

Con fare ammiccante e anche un po’ impaziente, Lili fece cenno di seguirla, non prima di essersi guardata rapidamente attorno. Spostò due libri dallo scaffale, si sentì rumore di una serratura che scattava e lo scaffale che si apriva di lato. Il ragazzo la seguì per una ripida scala a chiocciola, sino ad una grande stanza sotterranea.

Tutto ciò lo faceva sempre sorridere: era abituato alle risse da bar, ad allenarsi per strada, rischiando anche di essere arrestato. Ed invece ecco che questa ragazzina di buona famiglia si faceva costruire una palestra segreta per i suoi combattimenti.

“I miei genitori non vogliono che combatta. Dicono che non è adatto ad una ragazza del mio rango. Non mi piace fare arrabbiare i miei genitori, specialmente mio padre… ma non riesco a fare a meno di combattere. E’, diciamo, un mio vizietto…” gli aveva spiegato la prima volta che l’aveva condotto in quel luogo.

Una sorpresa per lui. Davvero una piacevole sorpresa. Quella piccola streghetta platinata gli aveva davvero fatto credere che le occorresse un maestro di Spagnolo. Aveva accettato solo perché gli servivano dei soldi per tornarsene a Siviglia.

Ed invece si era ritrovato a fare da avversario per i suoi sparring match d’allenamento. Una cosa decisamente più interessante dell’improvvisarsi insegnante. E poi la ragazzina era carina, abbastanza disinibita e aveva uno stile di lotta niente male.

Una ginocchiata gli raggiunse la bocca dello stomaco, cogliendolo di sorpresa e costringendolo a piegarsi in due dal dolore. Tossì, imprecando sonoramente.

…una distrazione fatale…” cinguettò soave Lili, preparandosi ad attaccare di nuovo. Un sorrisetto comparve sulle labbra di Miguel, mentre si passava il dorso della mano sulla bocca e contraccambiava il colpo.

 

 

Miguel accese entrambe le sigarette nello stesso momento, porgendone poi una alla ragazza sdraiata al suo fianco sul pavimento della palestra segreta.

Lili stava ancora riprendendo fiato, e aspirò una lunga boccata tergendosi la fronte sudata con il dorso della mano. Inspirò una nuvola di fumo con aria soddisfatta. “Grandioso allenamento quello di oggi.”

Con la sigaretta tra le labbra e un braccio piegato dietro la nuca il ragazzo annuì sorridendo. Che strano quel momento, sembravano due amanti dopo una notte di passione, ed invece erano due lottatori soddisfatti del loro combattimento.

“Domani parto” la informò. “Ormai ho racimolato abbastanza per tornarmene tranquillamente in Spagna.”

“Oh.” Esclamò la ragazza, con una nota contrariata nella voce. “Di già?”

“Colpa tua che mi paghi profumatamente.”

Lili aspirò un’altra boccata di fumo. “Beh, non pensavo andassi così di fretta.”

“Pamplona e la corsa dei tori mi attendono.” Spiegò, alzandosi a sedere. “Vado a fare una doccia.”

Gli sembrò di cogliere una smorfia contrariata nelle labbra della ragazza. “Dai, togli quel broncio. Ti lascio il mio numero, se vuoi. Così, nel caso tu passassi per la Spagna. Tanto per fare l’esame finale di spagnolo.” Ridacchiò. “Magari potremmo addirittura fare dell’altro, invece che prenderci a cazzotti.”

Lili alzò un sopracciglio “Tipo?”

Prueba a adivinar*.” Rispose ammiccante, dandole una pacca sulla coscia, prima di alzarsi e di dirigersi verso il bagno.

“Figurati se mi faccio 11 ore di aereo per te.” Gli urlò Lili prima che chiudesse la porta del bagno. Aspirò un’altra boccata di fumo, mettendosi a sedere a gambe incrociate.

Certo, Miguel aveva un fisico da urlo e l’indole sanguigna del suo carattere le suggeriva che poteva essere molto caliente anche in altre situazioni. Di certo sarebbe stato un ottimo trofeo se lei…

Lili guardò l’orologio, che segnava le 20.30. A quell’ora Hwoarang era sicuramente già tra le braccia di Asuka. Strinse il pugno con rabbia.

Lui l’aveva ignorata. Lui l’aveva rifiutata. In favore di quella scialba ragazzina di Osaka, la stessa che figurava tra le sue poche conoscenza giapponesi e con la quale condivideva scuola, passione per la lotta e presunte amiche.

La stessa che avrebbe dovuto coprire quella sera. Un’idea di Xiao, solita insulsa romantica.

Spense la sigaretta a terra con un gesto nervoso e arrabbiato. Che senso aveva attendere quell’idiota di un rosso, lasciarsi sfuggire un pezzo di ragazzo come quello spagnolo sotto la doccia a tre metri da lei?

Il solo il pensiero di lui a letto con Asuka le dava la pelle d’oca. Non si era mai sentita così nei confronti di un ragazzo; di solito loro impazzivano per un suo sguardo, e l’essere annoverati tra le sue conquiste era un privilegio che solo i migliori avevano potuto avere.

Lili Rocherfort non si concedeva a chiunque… lei aveva facoltà di scelta su una vasta gamma, neppure fossero stati uno dei suoi capi d’abbigliamento alla moda che componevano il suo guardaroba.

Eccolo li, un altro dei suoi vizi che non riusciva proprio a smettere: pensare ai ragazzi come a pezzi di carne, come a merce di scambio e di conquista. Era fottutamente gratificante vedere le loro espressioni ebeti al suo passaggio, quando ancheggiava nelle sue minigonne da lolita e scuoteva la chioma dorata, sbattendo le lunghe ciglia.

I ragazzi che lei sceglieva erano influenti, belli e soprattutto invidiabili.

Hwoarang apparteneva solo ad una di queste categorie, ma l’aveva colpito sin da subito. Ribelle, sicuro di sé, un fisico mozzafiato e un incredibile lottatore.

Completamente andato per un’arrogante verginella nipponica. Che tanto casta non la sarebbe più stata a partire da quella sera.

Fanculo” sibilò, più rivolta a sé stessa e alla sua insulsa ossessione per quel ragazzo che ad altri.

L’acqua della doccia aveva iniziato a scrosciare. Lili si alzò in piedi, camminando in punta di piedi verso la porta del bagno. L’aprì appena, curiosando. Tra il vapore poteva indovinare il corpo abbronzato di Miguel al di là del plexiglass del box doccia, i muscoli percorsi da migliaia di gocce d’acqua. Entrò, chiudendo la porta alle sue spalle, scivolando fuori dalle scarpe e abbandonando i vestiti uno dietro l’altro.

Chiodo scaccia chiodo. Pensò con un sorrisetto, aprendo la porta del box e scivolando al suo interno con Miguel.

 

 

 

A scrivere questo insulso capitolo sono quasi morta.

Miguel mi fa sangue, ma sangue veramente. Fosse in carne ed ossa dovrebbe temere seriamente un mio assalto sotto casa. SLURP.

Lili non è il mio personaggio preferito, mi ricorda una mia ex compagna di scuola che non sopportavo, ma tant’è.

Grazie, Grazie, Grazie a…

LOTTI: Grazie mille per la tua recensione… cercherò comunque di far comparire Hwo e Asuka qua e là… Ah, e non ti impressionare, ‘quel passaggio’ dura pochi secondi… e ne vale la pena.

ANGEL: Grazie per la fiducia…spero di non deluderti tesoro!

LILI: Merci!!! Spero che anche questa parte sia di tuo gradimento!!!

 

*Prueba a Advinar: Prova ad indovinare: devo riprendere in mano il mio spagnolo, cazzarola

A la prochaine!!!

EC

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ... e locali a cui dai del Tu...(Steve & Julia) ***


CERTE NOTTI

 

 

3 – … e locali a cui dai del Tu.

 

Steve Fox & Julia Chang.

 

“Hey, Hey Julia, Ciao!”

“Ciao Steve! Che ci fai qui?”

“Mi serviva una bottiglia d’acqua così sono venuto al supermarket. Che coincidenza trovarti”

Già… Come mai sei a Phoenix?”

“Disputo un incontro questa sera, nulla di veramente importante, ma giusto per tenermi in allenamento…

“Oh, capisco…

“Se ti va, visto che sei di queste parti, potremmo andare a prendere una birra insieme dopo, che ne dici? Cioè… se non ti piace la birra, puoi prendere pure quello che vuoi… prendere una birra è solo un modo di dire… anche se credo che io la prenderò.”

Ehm… non lo so… io… dovrei studiare… ho gli esami tra poco.” Lo sguardo della ragazza vagò tra gli scaffali del supermarket, incontrando un altro paio di occhi castani  femminili che la fissavano minacciosi da dietro una pila di detersivi, mentre il cenno della mano le suggeriva eloquentemente di fare poche storie e di accettare l’invito.

“Oh, beh, è un peccato. Vabbè, sarà per la prossima volta.” Il ragazzo sembrava davvero esserci rimasto male.

Cioè… magari, se non facciamo tardi…

Steve si illuminò improvvisamente “Perfetto! Ti passo a prendere se vuoi…

 

 

“Quindi lui era...?” Appena Steve era sparito verso le casse – quasi trotterellando baldanzoso – sua madre Michelle era uscita dalla pila di detersivi e le era scivolata a fianco. “Ha un’aria familiare”

“E’ Steve Fox, il pugile. Ci siamo conosciuti al torneo di Tekken. Niente di più, non fare quella faccia interessata.”

“Oh, andiamo, Julia, sei la solita. Tutto il giorno tra libri e laboratori e mai un po’ di divertimento. Se non fosse stato per me avresti mandato all’aria anche questo appuntamento.”

“Chissà che gran appuntamento: è un inglese borioso, si darà un sacco di arie per la sua carriera da pugile e farà battute idiote, senza senso e stupide, mamma.”

“Mamma un corno.  Sei giovane e carina, non fare come la tua sciocca mamma e restare single. Ad una certa età inizia a pesare, sai?”

…Mamma, tu non sei single.”

“Io e King siamo solo amici, quante volte te lo devo dire?”

Certo” ridacchiò la ragazza. “Un amico che lascia vestiti e spazzolino da denti in giro per casa…

Michelle Chang arrossì violentemente, gettandosi poi con la testa tra i succhi di frutta, fingendo di cercarne uno biologico di dubbia esistenza.

 

Imprecando il più silenziosamente possibile Steve si sfiorò nuovamente il labbro tagliato. Dannazione a quell’attimo di distrazione che gli aveva fatto abbassare la guardia. Si era lasciato colpire come un allocco da quel pivello di avversario che si era ritrovato contro.

“Proprio quando ho un appuntamento con una ragazza…” ringhiò alla sua immagine allo specchio. Pazienza. Ormai si trovava davanti a casa sua, nella periferia di Tempe, e non poteva di certo dar buca. Recuperò dal sedile posteriore della Chevrolet una rosa comprata quel pomeriggio, appena uscito al supermarket, imprecando quando una spina gli aveva perforato il polpastrello. Aveva ragione Paul quando lo accusava di diventare un gigantesco idiota non appena aveva a che fare con il gentil sesso. Un ultimo sospiro, simile a quello che emetteva prima di salire sul ring, per poi uscire dalla macchina, salire quasi saltellando i quattro gradini del portico di legno della casa e suonò il campanello, ridendo tra sé e sé nel constatare come quell’abitazione di legno sembrasse uscita da un film.

Mentre sentiva i passi avvicinarsi alla porta si preparò, dritto e fiero con la rosa pronta per essere consegnata alla destinataria.

Ma la donna che aprì la porta, per quanto assomigliasse a Julia, non era lei. Steve rimase un attimo interdetto, restando senza parole con la rosa a mezz’aria. “Mia figlia arriva subito” ridacchiò la donna. “Oh, ma hai portato una rosa. Che pensiero gentile” disse sfilandogliela tra le dita. “Un po’ appassita, beh, è il caldo di Phoenix, che ci puoi fare. Non pensavo che voi inglesi pensaste anche ad ingraziarvi le madri…

Steve stava giusto per replicare che la rosa era per la figlia, quando Julia, in un paio di jeans a vita bassa ed un attillato top rosso comparve dal corridoio, scivolando tra la porta e Michelle, intenta ad annusare il fiore. “Ciao Steve. Sei puntualissimo…” commentò con un piccolo sorriso un po’ imbarazzato. Sembrò quasi tentennare sulla soglia, e ci pensò Michelle a darle una bella spinta e a chiudere la porta alle sue spalle.

“Bene. Dove si va?”

 

Il bar si trovava nella periferia della città, e sembrava il tipico ritrovo di cowboy, con cimeli di caccia alle pareti e musica country.

“Diamine, mi sembra di essere finito dentro ad un film!” aveva esclamato il ragazzo, sedendosi con Julia ad un tavolo libero, mentre Julia rispondeva con un risolino quasi nervoso. “Conosco questo posto da quando ero ragazzina, mia madre mi ci portava spesso a giocare a freccette con le sue amiche.” Spiegò, salutando con un cenno del capo l’uomo baffuto al bancone. Una cameriera bionda, incredibilmente somigliante a Dolly Parton, si avvicinò al tavolo. “Per me una birra. E un bicchiere di ghiaccio, per favore.” Ordinò Steve, inconsapevolmente sfiorandosi il taglio del labbro.

Hey, Julia, ha fatto a scazzottate per te il ragazzo?” gli schernì l’uomo al bancone.

“E ho vinto!” rispose Steve, divertito, alzando un braccio in segno di vittoria.

“Una birra anche per me, Wendy.” Ordinò Julia, scuotendo la testa. Forse era il posto a lei familiare, o forse il fatto che Steve sembrasse stare al gioco e avesse risposto alla battuta con spirito, ma iniziava a sentirsi a proprio agio.

“Allora, hai vinto davvero?”

“Si, anche se ho avuto un piccolo incidente di percorso.” Spiegò il ragazzo. “Ma non mi va di parlare di lavoro adesso, se non ti dispiace. Comunque, la rosa era per te. Se sapevo che piacevano anche a tua madre, ne avrei presa una in più.”

La ragazza alzò gli occhi al cielo. “A lei piace scherzare…

“Oh beh, meglio così, no? ” rise Steve, mentre la cameriera portava le birre. “Pensa se mi avesse aperto con un fucile in mano!”

“Oh, no, non preoccuparti: è pressoché pacifista.”

 

Quando Julia guardò l’orologio, si stupì di quanto velocemente fossero passate più di due ore. Era mezzanotte passata, e il locale sembrava in procinto di chiudere. E lei, sorprendentemente, si era divertita. Avevano parlato del più e del meno, l’aveva umiliato ad una partita di freccette applaudita dal proprietario del locale e da qualche avventore, e Steve l’aveva stupita con le sue battute e il suo modo di fare spontaneo.

Mentre si avviavano verso casa, le disse che si era davvero divertito con lei. “E’ stata davvero una bella serata.” Concluse, parcheggiando davanti a casa sua. C’era una punta di malinconia nel suo sguardo azzurro.

“Anche per me lo è stata.” Annuì la ragazza. “Quindi, parti domani pomeriggio?”

Il ragazzo annuì. “Purtroppo si. Mi piacerebbe rivederti, se è possibile. Tu frequenti l’Arizona State University, quindi sei sempre qui a Phoenix, giusto?”

“Si, anche se ormai ho finito il corso di studi e mi manca solo la laurea. E’ a fine semestre, se sei nelle vicinanze puoi venire.”

Steve sembrò piacevolmente stupito. “Volentieri, cercherò di esserci.” Rispose con un mezzo sorriso.

Fu solo allora che Julia che notò un pick up parcheggiato a fianco dell’abitazione, seminascosto dal buio. “Ma quello è la macchina di King…Oh no… “ borbotto ridendo. “Mamma è in compagnia…” sorrise, guardando il ragazzo. “Mi dispiace disturbarla.”

“Se vuoi ti faccio compagnia.”

 

Al mattino, dopo un giro a vuoto nel deserto e un passaggio al fast food per uno spuntino notturno, Julia si sentì in vena di farlo inerpicare per un sentiero di montagna, per fargli ammirare l’alba che illuminava la Sun Valley di Phoenix.

Nonostante la fatica e qualche imprecazione malcelata durante il tragitto a piedi, il ragazzo apprezzò con un “UAU” molto sentito il panorama, sedendosi a suo fianco. “E’ davvero bellissimo, da mozzare il fiato!”

Guardarono il sorgere del sole in silenzio, prima che le dita di Steve si intrecciassero con le sue. Accorgendosene, la ragazza si sentì arrossire leggermente, ma non si ritrasse.

Sentì il ragazzo avvicinarsi a lei e si voltò verso di lui, meravigliarsi nel trovare il suo volto a pochi centimetri da lei.

“C’è una cosa che vorrei fare da tutta la notte…” sussurrò, ad un millimetro dalle sue labbra. “E il fatto che tu non mi abbia ancora fatto un occhio nero lo prendo come permesso per andare avanti.” Julia rise, prima che il ragazzo la baciasse.

 

 

Le loro mani erano ancora l’una nell’altra mentre si trovavano davanti al terminal dell’aeroporto.

“Mi sa che da qui in poi dovrò andare da solo” sospirò con rammarico Steve. “A meno che tu non voglia attaccar briga con quelli della sicurezza – e in tal caso ti spalleggerei, puoi starne certa.”

Julia rise ancora, per l’ennesima volta da 14 ore a quella parte, in cui era stata sorpresa da una persona eccezionale.  Lo baciò di nuovo, prima di riferirgli di essere pressoché pacifista. “Per quanto tempo starai a New York?” gli domandò.

“Un paio di settimane, poi dovrò tornare in Inghilterra. Anche perché mi scade il Visto Turistico, e a meno che tu non voglia correre a Las Vegas a sposarmi…

…sono sobria…

“Hai ragione. La prossima volta di offrirò due birre. Così forse…

“Smettila sciocco.” Lo rimbeccò lei. Anche se si sentiva triste per la sua partenza, non riusciva a smettere di sorridergli. Steve la faceva sentire troppo bene per farla diventare triste. “Piuttosto, non sono mai stata a New York in questa stagione, sai?”

Questa volta fu il ragazzo a sorridere. “Oh, è bellissima, sai?Sarei lieto di farti da guida turistica.”

“Affare fatto.”

…la prossima settimana?”

“Ok. Ho giusto bisogno di qualche giorno di svago.”

“Ma non dovevi studiare per degli esami?”

Julia picchiettò il tacco per terra. “Di un po’, non avevi capito che era una scusa perché non sapevo se uscire o no con te?” disse, raccontandogli poi dell’episodio del supermarket. Steve ne rise di gusto, mentre l’altoparlante annunciava l’imbarco per il suo volo.

“La prossima volta mi presenterò a tua madre con un intero mazzo di rose…

 

=============================================================================

 

BUON ANNO A TUTTE!!!!

Sono tornata oggi dalla settimana bianca in Val di Fassa… AAAHHHHHHHHH il capodanno più bello che abbia mai fatto!!!

Ringrazio le ragazze che hanno commentato il capitolo precedente!

Questo vi lascerà un po’ deluse, temo. In effetti non è granché, ma sono ancora in fase di ripresa dalla settimana appena trascorsa, quindi non posso fare di più, mi dispiace.

Julia e Steve temo che sia una coppia di mia sola invenzione!

Peccato, ce li vedo insieme…

Ho ambientato la storia e Phoenix, e grazie a Wikipedia sono riuscita a raccapezzarmi con i vari luoghi della città.

Dolly Parton è una cantante, attrice e una delle donne più rifatte d’America…

A la prochaine!!!!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Certe notti c’hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà. (DraNina) ***


CERTE NOTTI

 

 

4 – Certe notti c’hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà.

 

Nina Williams / Sergei Dragunov.

 

Raven, immagino, uh?”  domandò la donna, imbevendo il cotone di disinfettante e avvicinandosi alla sua faccia.

L’uomo rispose con un basso ringhio dal tono scocciato, scostandosi. “Posso anche fare da solo.”

“Se stai fermo lavoro meglio” disse invece la donna, bloccandogli la mascella tra le dita affusolate. “Sergei, uno di questi giorni dovrai farla finita con questa storia e far fuori quel ninja definitivamente.” Tamponò il taglio lungo lo zigomo, pulendolo dal sangue che stava piano piano smettendo di uscire. “Non è molto profondo, non dovrò cucirti. Peccato, volevo dimostrarti la mia bravura nel punto a croce!” sogghignò ironica, scavando poi nel piccolo cofanetto di pronto soccorso. “Qualche cerotto e sarai a posto. Un’altra cicatrice da aggiungere alla tua collezione.”

L’uomo rimase immobile a fissarla, intenta nel suo lavoro. Solitamente si curava le ferite da battaglia da solo, ferite di cui aveva perso il conto parecchio tempo addietro. Nina Williams come infermiera personale era una novità assolutamente più che gradita. Non tanto per la qualità del lavoro – non aveva di certo mani di fata e sentiva che i cerotti cicatrizzanti erano applicati tutti storti – ma proprio per la situazione che si era creata tra lui e la bionda.

Nina era fatta della sua stessa dura e fredda pasta: una donna a cui non servivano promesse vane e frasi fatte e melense. Una donna letale, a tratti diabolica, con una spiccata vena di sadica ironia che la rendeva ai suoi occhi ancora più affascinante e seducente di quanto il suo splendido aspetto fisico già non potesse fare.

Era inevitabile che, una volta ritrovatisi al di fuori di un ring del Torneo del Pugno d’Acciaio, fossero attratti l’un l’altro. 

 

Si erano incontrati, per caso, davanti ad un distributore automatico di sigarette, con lui che ormai stava per prenderlo a spallate per riuscire almeno ad avere indietro i suoi soldi e lei che aspettava impazientemente il suo turno.

Sbuffando, l’aveva poi superato e abbassato una piccola levetta.

DLING. Monete recuperate.

Quella sera Nina Williams era nervosa, e aveva bisogno non solo di tabacco. “Mi devi un drink.” L’aveva informato con la sua voce roca e sensuale.

Beh. Bastava quello? Non c’erano problemi. In fondo, era solo un drink offerto ad una bella donna, uno svago che poteva benissimo permettersi senza troppe conseguenze. E poi lei era il braccio destro di Jin Kazama, forse con la lingua sciolta da un po’ di alcool poteva addirittura sfuggirle qualche informazione utile. Quell’incontro inaspettato poteva andare a vantaggio della sua missione.

Ma Nina l’aveva stupito –  lui aveva celato molto bene questa cosa – trangugiando un Long Island come se fosse stato un bicchiere d’acqua. Poi si era accesa una sigaretta, l’aveva salutato con un cenno del capo e, senza aggiungere altro, se ne era andata per la sua strada ancheggiando nel suo vestito verde bottiglia.

Quella si che era una donna per cui valeva la pena perdere tempo.

A quell’incontro ne erano succeduti altri, più o meno casuali, in cui il gioco di sguardi e di ammiccamenti prevaleva sulle parole.

Finché una sera, dopo qualche drink di troppo, si erano ritrovati nello stesso letto.  E senza minimamente scomporsi, il mattino seguente tutto ciò che lei gli aveva detto era: “Vuoi un’aspirina?”

Approfittando del perdurare della sua missione in Giappone, Sergei Dragunov aveva lasciato che la situazione tra di loro proseguisse tranquillamente per quella strada.

 

“Altre parti lese?”

Scuotendo la testa, l’uomo l’attirò verso di sé, facendola aderire al suo corpo. Il profumo di Nina era inebriante, il calore della sua pelle lo faceva impazzire. Si lasciò cadere all’indietro sul materasso, mentre la donna, a cavalcioni su di lui, lavorava sui bottoni della camicia, sporca di sangue, aprendoli con movimenti scattanti ed esperti delle dita di una mano. Le sue labbra ne percorsero il ventre scolpito, attraversarono i pettorali, arrivarono al collo. La lingua gli stuzzicò la pelle, leccando via il sangue, assaggiandolo con un mugolio di approvazione.

Decisamente una donna per cui vale la pena perdere tempo. Tuffò le dita tra i capelli dorati, chiedendole silenziosamente di proseguire quella deliziosa tortura e poi rotolò su un fianco, portandola sotto di sé. A nessuno dei due piaceva perdere troppo tempo.

 

Lasciò il suo letto alle prime luci dell’alba, con Nina, morbidamente avvolta nelle coperte, che aveva bofonchiato una specie di saluto semiaddormentato. 

L’aveva fissata un’ultima volta, divina nel suo biancore  che contrastava con il nero delle lenzuola di seta, mentre la schiena gli bruciava dei suoi graffi più del taglio lungo il suo zigomo. Poi era uscito dall’appartamento senza voltarsi indietro.

 

 

 

============================================================================

Nemmeno questa parte mi soddisfa appieno… è scarna e patetica. I’m sorry.

Ad ogni modo, ringrazio sentitamente chi ha commentato il precedente capitolo: Grazie mille a Miss Trent, Angel Texas Ranger, Lotti e Lili Rochefort!

Spero abbiate il coraggio di fare lo stesso con questa miseria di capitolo… -.-

E.C.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Certe Notti se sei Fortunato bussi alla porta di chi è come Te. (AnnaLee) ***


CERTE NOTTI

 

 

5 – Certe notti se sei fortunato bussi alla porta di chi è come te.

 

Lee Chaolan + Anna Williams.

 

“Appena in tempo!” aveva commentato a voce alta, entrando fradicio di pioggia nella sua lussuosa villa. Accortosi che nessuno lo stava guardando, Lee Chaolan si scosse la pioggia di dosso goffamente, quasi fosse un cane, scuotendo la chioma argentata. Rise tra sé e sé fissando il risultato su una superficie riflettente, per poi sistemarsi i capelli all’indietro. Tutto intorno si sentiva solamente il rombo dei tuoni e lo scrosciare della pioggia. L’uragano tanto paventato dai metereologi si era abbattuto su Nassau con una precisione svizzera, ed ora stava dando sfoggio della sua potenza su tutte le Bahamas.

Una gran scocciatura per i turisti, che si dovevano barricare nei loro hotel sperando fossero abbastanza robusti da resistere alle raffiche di vento.

Ma a Lee Chaolan non importava più di tanto, visto che al sicuro nella sua villa sarebbe stato in ottima compagnia della sua ospite. Si sfregò le mani al pensiero di una giornata di fuoco sotto le coperte, entrando poi nella cantinetta sotterranea alla ricerca di una bottiglia di champagne. Dopo averla trovata salì fischiettando le scale, le flute nell’altra mano. Trovò un po’ strano, quasi inquietante, trovare il corridoio deserto e silenzioso, e abbassò progressivamente il tono con cui fischiettava il motivetto.

Entrò nella camera abbastanza perplesso. E adesso dove si era nascosta? Forse gli stava facendo una sorpresa, uno scherzo? “Anna?” chiamò, guardandosi attorno, pregustando il momento in cui lei sarebbe scenograficamente apparsa, magari in una delle sue mise provocanti e irresistibili.

Un fulmine squarciò l’aria, seguito immediatamente da un tuono. “Anna?” ripeté, tornando nel corridoio. “Giochiamo a nascondino?”

Una voce ovattata finalmente gli rispose dall’armadio.  Un po’ sorpreso, (ma non troppo, da lei ci si poteva aspettare qualsiasi cosa) l’uomo fece scorrere l’anta della gigantesca cabina armadio, restando ulteriormente sbalordito nel vedere la donna uscire con un mucchio di vestiti per braccio. “Non sapevo che fare, così mi sono messa a fare un po’ di pulizie del mio guardaroba.” Spiegò, animata da una strana frenesia. Gettò i vestiti sul letto, guardandoli nervosamente picchiettando la punta del suo sandalo per terra. “Questo verde direi che è abbastanza fuori moda. Via, sciò.” Decise, gettando un completo color lavanda in un angolo. “Poi… questa giacca... oh mio dio che orrore, come ho fatto a non gettarla prima?”

“Anna, stai bene?” domandò perplesso, appoggiando la bottiglia di champagne e i calici sul tavolino. “C’è qualcosa che non va?”

“No, sto benissimo, perché dovrebbe andar male qualcosa?” rispose con un sorriso tirato, posando poi lo sguardo sulla bottiglia. “E’ champagne quello?”

“Beh, si. Pensavo che, visto che siamo bloccati in casa, tutti soli e tra poco senza corrente elettrica, potevamo…

“… in che senso senza corrente elettrica?”

Come risposta, le lampadine accese della stanza sfarfallarono e poi si spensero. Anna gemette debolmente. Lee aprì il suo accendino zippo, fissandola con aria quasi divertita. “Hey, principessa, abbiamo una buona occasione per starcene a lume di candela!” esclamò accendendone un paio. Un altro lampo. Con la coda dell’occhio vide la donna strizzare gli occhi, torcendosi le mani. “Anna, non stai bene?” domandò, appena il tuono si spense. “hai una faccia… di un po’, non avrai mica paura dei temporali, vero?”

Ahahaha, che spiritoso!” esclamò lei senza essere realmente divertita. “Pensi che siano un paio di fulmini a far tremare Anna Williams?”

BRUUUUMMM!

Dove sono i miei fottuti tranquillanti?”

“Lascia perdere quelle schifezze…” cercò di convincerla l’uomo, frapponendosi tra lei e la sua ricerca, con un sorrisetto canzonatorio. “Se vieni qui ho un ottimo rimedio contro tutte le fobie…

“Non è una fobia!” Negò lei, una nota acuta di isteria nella voce “E’ che non mi piacciono le tempeste. Soprattutto quelle di grandi dimensioni come questa. Dovevi avvertirmi che sarebbe successo questo putiferio, non avrei fatto la mia vacanza in questa stagione.”

“Anna, sei qui da ormai due mesi… e, se ti ricordi, sino a una settimana fa non c’era il problema del maltempo.”

“Due mesi? Di già? Caspita, ne è passato di tempo… forse è ora di rientrare in Giappone, direi che di vacanza ne ho fatta abbastanza.” Sospirò, incrociando le braccia al petto, cercando di sembrare il più rilassata e tranquilla possibile. “Almeno là non c’è pericolo di uragani.”

Lee sbuffò, scocciato, avvicinandosi al mini bar della camera. “Certo, ci sono solo terremoti a giorni alterni.” Anna a volte sapeva fargli passare tutte le buone intenzioni che aveva in mente. Sentir nominare il Giappone gli faceva sempre saltare i nervi, soprattutto se pensava chi c’era nel Sol levante che poteva attendere Anna.

Un goccio di whiskey lo fece appena rilassare, ricordandogli la sua tesi personale, ovvero che se Anna era a casa sua già da due mesi, poteva significare che non aveva di certo nessuna voglia di tornarsene alla G Corporation. Ma finché quella zuccona faceva la sostenuta con lui e non abbassava troppo gli aculei da femme fatale queste rimanevano solo supposizioni.

La sentì avvicinarsi alle sue spalle, il rumore dei tacchi attutiti dal tappeto. Le sue braccia si strinsero attorno al suo petto, la fronte si appoggiava tra le scapole. “Sei tutto bagnato” bofonchiò morbida.

L’uomo sorrise appena, accarezzando le mani curate che gli percorrevano il busto. A volte Anna riusciva a sembrare quasi dolce, quasi una donna normale. Si girò verso di lei, prendendole il volto tra le dita, giocherellando con i suoi capelli, baciandole le palpebre. “Allora non ti piacciono davvero i temporali?”

“Per niente”

“Che ne dici di un po’ di svago?”

Anna semplicemente lo ignorò, riprendendo la cernita a vestiti e accessori, sorprendendo Lee, che mai l’aveva vista ignorare un palese invito. Doveva essere davvero sottosopra.

“Champagne?” domandò facendo tintinnare i calici come invito.

Anna annuì: “L’alcool mi ha sempre aiutato in certe situazioni…

 

Mezz’ora dopo, la bottiglia vuota di champagne era abbandonata sul comodino. Nonostante la tempesta che imperversava feroce al di là delle imposte sbarrate, Anna non riusciva a smettere di ridere per una battuta di Lee, piegata in due sul copriletto sgualcito e invaso da vestiti e cinture con cui aveva improvvisato una sfilata ad uso e consumo del suo unico spettatore, le gote imporporate e gli occhi lucidi, il vestito scomposto sulle gambe abbronzate. Reggeva la flute a fatica, e un paio di volte Lee, anche lui meno padrone di sé, aveva dovuto trattenergliela, prima che se la rovesciasse addosso. Dopo l’ultimo sorso, gliel’aveva tolta di mano, per appoggiarla sul comodino insieme alla sua. L’attacco di riso sembrava abbandonare la donna, che si lasciò andare, brilla e assonnata, tra i cuscini. Lee si appoggiò sui gomiti, a fissare il suo volto scivolare nel sonno. Ne accarezzò la guancia liscia, il collo da cigno, e poi baciò le labbra ancora umide dallo champagne appena bevuto.

Il sorriso di Anna era un po’ sghembo, troppo sincero per essere totalmente sobrio. “Sai? Non me ne frega proprio più niente dell’uragano…” ridacchiò con voce impastata, ad occhi chiusi. “Può continuare in eterno, a questo punto. Io sto bene così, qui con te.”

Lee sorrise. In vino veritas pensò, alzandosi dal letto. “Allora devo farti vedere una cosa” disse, aiutandola ad alzarsi. Anna gli rivolse uno sguardo un po’ confuso, ma non lasciò la sua mano, seguendolo attraverso il corridoio illuminato dai lampi, sino ad una vetrata che conduceva al terrazzo. Puntò i piedi per fermarsi quando capì che Lee la voleva portare proprio là davanti, ad ammirare la forza della natura che spazzava l’isola.

“Non preoccuparti” la tranquillizzò l’uomo. “Non c’è pericolo, è antisfondamento, ha resistito a Katrina, un paio d’anni fa, questa è una bazzecola in confronto.” Vinse il suo tentennamento passandole un braccio attorno alle spalle, spingendola dolcemente davanti al vetro. “E’ uno spettacolo questo, no? E non è nemmeno alla massima potenza.”

Le palme erano piegate sino quasi a toccare terra, sotto un cielo riempito di nubi nere. La pioggia rigava i vetri, il vento spostava in aria cartoni, foglie, e faceva increspare in piccole onde l’acqua piovana che allagava il terrazzo. Sentì la donna irrigidirsi alla vista di un lampo e al successivo tuono. Le cinse la vita con le braccia, il suo petto contro la sua schiena per rincuorarla. Anna appoggiò le mani al vetro, avvicinandosi di un passo. Restò per un istante in silenzio, a contemplare le onde che si frangevano feroci contro la spiaggia, in lontananza. “Hai ragione, è uno spettacolo.” Asserì. Il ramo di una palma in balia del vento colpì improvvisamente, e con forza, la vetrata, facendoli entrambi sobbalzare all’indietro, strappando ad Anna un urlo, che si tramutò poi in risata, seguita a ruota da Lee. “Che botta!”

“Comincia a piacermi anche questo lato delle Bahamas.” Disse, voltandosi verso di lui,  gettandogli le braccia al collo. “Sei molto bravo a convincermi. Sai come sono fatta, sai come prendermi. Sei la persona con cui mi sento meglio al mondo.” Lee era consapevole che le sue parole erano guidate dall’ebbrezza, che Anna lucida e padrona di sé non le avrebbe mai pronunciate.

In vino veritas si ripeté, sorprendendosi a sperare che fosse vero. “E’ perché siamo simili, noi due.”

Anna ridacchiò, le labbra ad un millimetro dalle sue. “Forse siamo le due metà della stessa mela, chi lo sa?”

La sollevò nel bacio, leggera come una piuma, percorrendo a ritroso il corridoio sino alla stanza. Lasciò la sua bocca solo un secondo, il tempo di appoggiarla ai cuscini per poi togliersi la camicia per poi scoprirla addormentata profondamente, il respiro calmo e un po’ pesante di chi è stato guidato da Bacco tra le braccia di Morfeo.

Ne rise di quella visione, stendendosi di fianco a lei, abbracciandola nel sonno.

Ripensò a quando anche lui detestava le tempeste, a quando passava le ore interminabili davanti alla vetrata del terrazzo, in compagnia di whiskey e a volte di qualche compagna di passaggio.

Ragazze bellissime, modelle sciocche e venali con cui aveva condiviso qualche ora di piacere dal prevedibile epilogo.

Ed invece quella volta, su quel letto suntuoso, c’era una pantera affascinante indomabile, che riusciva ad incendiarlo solo con lo sguardo, irrefrenabile nei suoi obbiettivi quanto misteriosa nelle sue decisioni, nei suoi sentimenti, nella sua vita. Per quanto conoscesse Anna Williams da una vita, in quei due mesi si era reso conto di non sapere realmente nulla di lei, di cosa pensasse realmente, di cosa amasse davvero fare. Lei era una continua sorpresa, come la prima volta che l’aveva vista togliersi le lenti a contatto (non aveva idea della sua lieve miopia, ma quanto le donavano quegli occhiali da professoressa sexy che si infilava raramente!) o per quella sua paura dei temporali!

La piega che la vita avrebbe intrapreso con lei era quanto di più imprevedibile poteva esserci.

Così imprevedibile da risultare irresistibile.

Le baciò una spalla, tuffando poi il viso nella sua nuca, addormentandosi con il sorriso sulle labbra.

 

 

Finalmente (?)un briciolo di voglia di aggiornare mi è tornata!

I vostri commenti al precedente capitolo mi hanno fatto un piacere enorme, come sempre e forse anche di più!!!!

Questa coppia è una delle mie preferite, Li reputo molto simili ed affini…

Ah, e non storcete il naso alla “paura” dei temporali di Anna… Non è una fobia, è un fastidio molto amplificato che genera uno stato d’ansia durante i temporali…

…. Si, ce l’ho pure io… Quando inizio a sentire dei tuoni divento più agitata di un’anguilla. Però l’alcool a me non aiuta…  T.T

Alla prossima bellizzime!

EC

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Certe Notti da Farci l’Amore fin quanto fa male, fin quanto ce n’è!(Alisa*Lars) ***


CERTE NOTTI

 

 

6 – Certe Notti da Farci l’Amore fin quanto fa male, fin quanto ce n’è!!!

 

 

Alisa Bosconovitch     Lars Alexandersson.

La porta si aprì al secondo giro di chiave, seguita da una spinta forte. I cardini si erano induriti in quegli anni di incuria, e il gelo polare di quei giorni aveva peggiorato la situazione.

Avvolti dal buio della lunga notte artica, Lars e Alisa varcarono la soglia, illuminando l’interno dell’abitazione con le torce.

“Come ti dicevo, non è granché.” Disse il ragazzo, illuminando il soggiorno, i pochi mobili coperti da teli bianchi per proteggerli dalla polvere.

Alisa però sembrava di tutt’altro avviso. Si era innamorata di quella casetta di legno dipinta di rosso dai suoi racconti, e quando l’avevano raggiunta, dopo un paio d’ore di strade innevate in mezzo a boschi di abeti, era rimasta estasiata a trovarcisi davanti. Spalancava gli occhi verdi mentre percorreva il giardino innevato, immobile sotto la coltre di ghiaccio che decorava i rami di cristallo, sino al piccolo portico davanti all’ingresso principale. E una volta dentro il piccolo salotto, la sua emozione non era diminuita.

“Vado ad attaccare la corrente, se vuoi puoi provare ad accendere il camino. Ci deve essere ancora qualche tronco nella legnaia.”

La giovane androide annuì sorridendo, seguendolo fuori, lui che ristabiliva il contatto elettrico e lei che faceva scorta di legna per la sera. “Domani dovremo prenderne dell’altra. Ne abbiamo a sufficienza per un giorno.” Constatò rientrando in casa.

Posizionò i ceppi sul camino, vi mise anche della carta di giornale per fare attecchire prima, trovò una scatola di fiammiferi e accese.

Una vampata di fuoco illuminò la stanza, insieme alla luce della corrente elettrica.

“Ottimo, un po’ di calore, ci voleva!” esclamò Lars, chiudendo la porta alle sue spalle. Si sedette davanti al fuoco, togliendosi i guanti bagnati e allungando le dita intirizzite verso la fiamma. Sospirò di sollievo quando Alisa gli tolse il pesante giaccone fradicio, e sembrò ancor più a suo agio togliendosi gli scarponi. “E’ sempre un piacere tornarsene a casa.” Mormorò. Notò la polvere sul pavimento di legno e storse il naso. “Rimandiamo le pulizie a domani, che ne dici?”

Alisa fu d’accordo. “Mi devi ancora mostrare la tua cameretta e la collezione di soldatini!” gli ricordò.

Transformers, prego, non soldatini comuni!” rise lui, alzandosi.

 

La sua camera da bambino si trovava al piano superiore, nel sottotetto spiovente. Un telo copriva il letto, e la vetrinetta che conteneva i giocattoli era impolverata: per mostraglieli la dovette aprire, causando una nuvola di polvere che lo fece sternutire goffamente.

Alisa sembrava interessata a tutto ciò che gli apparteneva: pendeva dalle sue labbra nei suoi racconti, rideva dei suoi giocattoli e lo guardò intenerita quando ritrovò, in un cassetto, la maglia della sua squadra di hockey preferita, regalo materno del suo decimo compleanno. Era di almeno una decina di taglie in meno. “Me la ricordavo più grande!” rise, prima di porgergliela. “Sono sicuro che a te starà benissimo.”

“Ma è un regalo di tua mamma!”

“Lo so, ma sono un po’ troppo cresciuto per questa, non trovi?”

Dopo aver visitato la cameretta attraversarono il corridoio, dove con un gesto cerimonioso, Lars prese in braccio la ragazza. “Ed ora c’è la nostra camera da visitare.”

“Niente più brandine scomode da litigarci” sorrise lei, gettandogli le braccia al collo.

“Ci dovremo abituare a tutta questa comodità!” esclamò il ragazzo aprendo la porta.

Vuota.

La camera era completamente vuota, a parte uno specchio a muro.

Lars si diede dello stupido, battendosi la fronte, facendo cadere involontariamente Alisa a terra.

“E’ vero che alla morte di mia madre l’avevo svuotata!”

“E perché?”

Lui si guardò attorno sbuffando. “Troppi ricordi brutti.”

“Tua mamma è morta qui, giusto?”

Nel vedere Lars annuire cupo l’androide si intristì abbracciandolo e appoggiando la testa sulla sua spalla. “Mi dispiace di aver toccato questo argomento. Scusami!”

Ehy, piccola, non è mica colpa tua.” Le baciò la fronte, per poi cercare i suoi occhioni verdi: “La prenderemo tutta nuova, possiamo anche tinteggiare le pareti, farle di un colare più allegro, tipo…

“Lavanda!” suggerì la ragazza, entrando nella stanza e guardandosi attorno con aria sognante. “Prendiamo un armadio bello grande.” Disse indicando una parete. “E qui ci mettiamo il nostro letto. Ne vorrei uno in ferro battuto. Bianco! Pieno di cuscini colorati e di tante forme!”

L’entusiasmo di Alisa era travolgente. Si ritrovò a sorriderle, pensando alla fortuna di averla ritrovata e di averla con sé.

“Nel frattempo dovremo litigarci il mio letto da bambino. A meno che…” corse nell’altra stanza. Alisa lo sentì imprecare e domandò cosa ci fosse. Lars ricomparve nel corridoio con aria colpevole. “Ho gettato anche il materasso del lettino…

“Oh! Allora ho un’idea di dove dormire stanotte!”

 

Lars era curioso di vedere cosa si era inventata la sua ragazza. L’aveva spedito in cucina a mangiare, “Sono passate ben Otto ore dal tuo ultimo pasto!” aveva detto ridendo, intimandogli di non uscire da quella stanza. E poi la sentiva camminare per la casa canticchiando e trafficando qua e là al di là della porta.

Era proprio curioso di vedere cosa stesse combinando. Finendo l’ultimo boccone di una pietanza surgelata riuscita a scaldare al microonde comprato strada facendo, domandò ad alta voce se poteva uscire.

“Aspetta cinque minuti!” fu l’allegra risposta.

Sperò che il giaciglio risultasse comodo. Aveva una voglia matta di coricarsi, sentiva tutte le membra intorpidite dalla stanchezza. Un vero peccato non avere un vero letto a disposizione.

Da quando Alisa era stata risvegliata da Lee, avevano passato tutte le loro notti insieme. Purtroppo, date le circostanze e i rimasugli di guerra ancora in atto, erano stati costretti a condividere una brandina scomoda e stretta dell’esercito, e per fortuna che Alisa era minuta di corporatura e costruita con un materiale leggero, altrimenti non ci sarebbero mai stati. Ma dormire abbracciato a lei valeva ben qualche posizione scomoda.

La sentì chiamarlo con voce squillante e si alzò impaziente, andando in soggiorno,rimanendo piacevolmente stupito:  In meno di venti minuti aveva trasformato la polverosa stanza in un salotto caldo e accogliente. In più, aveva recuperato coperte e cuscini, un materassino da campeggio e i cuscini del divano e li aveva ammonticchiati vicino al fuoco. “Non è tanto morbido… ma siamo stati in posti peggiori.” La ragazza spense la luce con un sorriso, per poi accoccolarsi sotto le coperte invitandolo a seguirla. “Ho pensato che davanti al camino acceso sarebbe stato così romantico…

E aveva ragione. Improvvisamente non si sentiva più così stanco. Non aveva solo voglia di dormire. Si sbarazzò dei vestiti e scivolò tra le sue braccia.

 

Fare l’amore con Alisa non era come con le altre donne. E non solo perché fosse un cyborg, sprovvisto di un cuore che batteva o calore della pelle.

Con lei era più dolce che irruento e passionale, le piaceva accarezzarla, baciarla: aveva un suo sapore, che anche se artificiale non risultava sgradevole, e adorava il profumo allo zucchero filato che si spruzzava addosso ogni mattina. E la sua pelle così morbida si scaldava a contatto con il suo corpo.

Alisa aveva imparato a rispondere ai suoi baci e alle sue carezze: anche se le era precluso, data la sua natura, il piacere fisico, Lars la faceva sentire una donna a tutti gli effetti. Si sentiva bellissima ai suoi occhi, una ragazza in carne ed ossa da amare. Forse si era solo illusa, ma le era parso di sentire un brivido, mentre accoglieva l’apice del piacere di Lars.

Poi era scivolato su di lei, appoggiando la tesa sul suo petto, recuperando fiato. Rotolò su un fianco, portandosela addosso. I capelli di Alisa erano tutti spettinati, il suo boccolo morbido era scomposto.

Rise nel vederla così, cercando in qualche modo di pettinarla. “Sembri un pulcino così arruffata.” Scherzò, stampandole un bacio. Lei gli rispose con una linguaccia. Poi aggiustò le coperte tra di loro, perdendo lo sguardo tra le fiamme crepitanti del camino appoggiata al petto del ragazzo che si stava addormentando.

“E adesso cosa faremo?” domandò pensierosa.

“Dormiamo, piccola” rispose con un piccolo sbadiglio.

 Ma lei non demordeva. Voleva parlare. “Davvero, Lars, che cosa faremo? Sino ad ora c’è stata la guerra che ci ha tenuto impegnati. Non che mi dispiaccia che sia finita, ma adesso?”

Lars aprì un occhio, gettandole uno sguardo interrogativo. “Ti poni dei dubbi proprio nel momento sbagliato.” Le poggiò le labbra alla fronte. “Per il momento, godiamoci un po’ di riposo, ce lo meritiamo, no? Sarà come una luna di miele, per noi. E poi penseremo cosa inventarci. Tu hai qualche idea?”

Uhn… potremmo fare i boscaioli. Queste motoseghe dovrò pur utilizzarle in qualche modo ora, no?”

“Ecco, questa è un’idea.” Rise lui, ormai nel sonno. “Vedi, abbiamo alternative. Però ora, piccola, ho guidato tutto il giorno, sono esausto… mi fai dormire un pochino?”

“Va bene.” Alisa si acquietò per qualche istante. Poi però le venne da fargli un’altra domanda: “Possiamo prendere un cane?”

Uhmpf… si” biascicò Lars.

“Davvero?? Oh che bello, che ne dici di un Labrador? Sono bellissimi, giocherelloni e…

“Ti scongiuro, Alisa, lasciami dormire…” gemette.

Alisa tacque. Lo guardò rilassarsi, sul viso un’espressione stanca ma serena. Sorrise quando sentì il suo respiro farsi pesante. “Uno dei vantaggi di essere un androide è quello di non sentire nulla quando si decide di andare in stand by.” Ridacchiò, accoccolandosi su di lui.

 

 

 

Ed eccomi di nuovo qui,  con questa coppia smielata!

Beh, d’altronde San Valentino è vicino, no? Ok, non vomitate, vi prego.

L’unica cosa bella di S. Valentino è che ci si fa pagare una cena al ristorante. Almeno, questo vale per me XD.

Che dire, ringrazio immensamente chi ha recensito il precedente capitolo su Lee e Anna… spero che riusciate a fare altrettanto con questi due colombotti…

Alla proooosssima!

EC

 

PS: questo chapter è da intendersi come un sequel di Lay all your love on me, dove a questi due regalo la loro ‘prima volta’ insieme…

Io non riesco a lasciare le coppie caste.

Forse è per questo che detesto tanto Twilight.

PPS: i LABRADOR sono i cani più cucciolosi di questo mondo. Mi sembrano adatti per Alisa…

(ho un labrador nero di nome Kimi, ne saprò qualcosa, no?)

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Certe Notti ti senti Padrone di un Posto che tanto di Giorno Non C'è. (Jin 4Xiao) ***


CERTE NOTTI

 

 

7 – Certe Notti ti senti padrone di un posto che tanto di giorno non c’è.

 

 

Jin Kazama (For Ling Xiaoyu)

 

L’Abisso…

La sua folle caduta nell’oscurità era iniziata già da tempo.

L’apice della pazzia, il punto più lontano dalla realtà.

Che strano riacquistare lucidità proprio ora, precipitando nella voragine. Quell’abisso lo avrebbe condotto direttamente all’Inferno?

Non lo temeva. L’Inferno lo conosceva bene. Era dentro di sé.

 Lo vedeva ogni volta che si guardava allo specchio. Lo leggeva negli occhi delle persone che lo circondavano.

Lo aveva scatenato sulla terra.

Qualsiasi cosa lo attendesse alla fine di quella caduta, sarebbe stata la sua casa.

La casa di un diavolo.

Sperava nella morte, la cercava come unica compagna fidata, che poteva abbracciare senza timore di rovinarla.

 

L’amore di sua madre non aveva scalfito la maledizione di suo padre, ma anzi, ne era stata travolta, colpita. Distrutta.

Ma lei avrebbe detto che ne era valsa la pena.

Kazuya invece era corrotto sino al midollo. Già da allora. Altrimenti non avrebbe permesso alla sua stirpe maledetta di proseguire.

 

Jin invece aveva resistito, conscio che il male che si portava dentro non dovesse propagarsi ulteriormente.

Aveva rifiutato Nina, il sogno proibito di ogni adolescente.

Ma la cosa più dura era stato voltare le spalle a Xiaoyu.

Perché per quanto la sua stretta collaboratrice fosse bella e seducente, non poteva neppure lontanamente competere con il sorriso di Xiao.

Lei era splendente.

Una stella che brillava di luce propria. E lui le aveva impedito di irrorarlo di quella luce.

Perché sapeva che se ne fosse stato illuminato anche solo per un istante, non sarebbe riuscito più a farne a meno. Trascinando quell’astro sorridente nella più tetra e terribile oscurità.

Come già era successo a sua madre.

 

Ma anche la sua ferrea decisione aveva vacillato, una volta.

Frequentava ancora la scuola. Fuori diluviava, quando si era ritrovato nella stessa aula da solo con Xiao.

Lui che non sapeva cosa dire, appoggiato ad un banco, e lei che scarabocchiava alla lavagna, lamentandosi di questo o di quel professore.

Finché non si era spostata con una risata canzonatoria, per mostrargli la sua caricatura disegnata in stile manga sulla superficie scura.

Capelli sparati per aria e muso chilometrico.

Era riuscita a strappargli un sorriso.

E un bacio.

Per qualche istante, c’erano stati solo loro due e la pioggia che continuava a colpire i vetri della finestra.

Le guancie di Xiao erano color porpora quando si staccarono, e anche lui si sentiva avvampare.

Poi la realtà l’aveva schiaffeggiato con forza. “Devo andare” le aveva mormorato, prima di lasciare la stanza.

Il giorno dopo le aveva comunicato la sua decisione di partire, lasciando la scuola, Tokio e lei.

 

Nei mesi successivi era scappato. Da cosa? Principalmente dalla sua famiglia, dal sui passato. Da sé stesso. E si era allenato.

Ma si concedeva qualche sogno ad occhi aperti che spezzasse le ore di solitudine. Poteva solo quello: fantasticare non aveva mai ucciso nessuno, vero?

Sognava di ritrovare sua madre.

Sognava la scomparsa di suo nonno e suo padre.

Sognava di vivere in un mondo in cui Xiao potesse essere la sua ragazza. Con cui bazzicare per i parchi a tema, scambiarsi i regali di S.Valentino e di compleanno, nascondersi nelle aule vuote per pomiciare.

Immaginava a volte -quasi ridendo - di come avrebbero eluso la sorveglianza di Panda e del vecchio Wang per passare le serate insieme.

Alla fine aveva smesso.

Perché un sogno irrealizzabile era una maledizione peggiore di quella che gli scorreva nelle vene.

 

E poi si era ritrovato a capo della Mishima Zaibatsu. Aveva progettato e scatenato una guerra mondiale.

E al suo fianco, custode gelida e tenace del suo piano segreto, c’era stata Nina Williams.

Forse era stata la loro quotidiana vicinanza. Forse la solitudine. O, molto più semplicemente, l’abisso stava già ottenebrando i suoi sensi e alle donne l’eroe maledetto piace.

Qualsiasi cosa fosse stata, l’aveva portato a rotolarsi nel letto con Nina. E solo un briciolo di lucidità l’aveva fermato.

“Non posso” aveva sussurrato, scostandosi da quella donna.

Nina non aveva detto nulla. Solo annuito. Si era vestita con studiata lentezza e voltandogli le spalle aveva infine commentato: “Tanto meglio. Andare a letto con il capo è controproducente.”

“Grazie.”

 

Ora che precipitava nella notte, poteva concedersi un’ultima, sciocca fantasia?

Trovarsi di nuovo tra quelle coperte, ma abbracciato a Xiao.

Senza nessun motivo per tirarsi indietro.

 

Conoscendola, la speranza era stata più forte del dolore. Xiao avrebbe guardato l’orizzonte fiduciosa di vederlo tornare. Ma poi si sarebbe arresa, e sarebbe tornata ad una vita normale. Con un ragazzo normale.

 

La speranza è l’ultima a morire. Ma muore.

Per l’ennesima volta quegli ultimi mesi, gli occhi di Xiaoyu si inumidirono. Si girò dall’altra parte del letto, voltando le spalle a Panda che dormiva con lei. Tuffò il volto nel cuscino.

Aveva imparato a piangere silenziosamente.

 

 

HEILAAAAAAAAAAAAAAAAA c’è ancora qualcuno in questo FANDOM??? Che siete scappati tutti??? E dove????

Dunque: dovuti e sentitissimi ringraziamenti a Nefari, Angel e Miss Trent.

Rileggendo il cap di LArs e Alisa ho notato degli errori madornali e allucinanti.

Mi dispiace, avevo 38di febbre, cercate di capirmi!!!

Un bacioone!!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chi si accontenta gode… così così (Lili'n'Xiao'n'Miharu) ***


CERTE NOTTI

 

 

8 – Chi si accontenta gode… così così

 

 

Xiao ‘n’ Lili ‘n’Miharu

 

Lili era uscita dal suo bagno privato in baby doll rosa di Cavalli e babbuccette con le orecchiette da coniglio del medesimo colore. Guardò alzando un sopracciglio fine Miharu che cantava in playback Single ladies sul letto imitando la coreografia di Beyonce, mentre Xiao batteva le mani a tempo ridendo. Cercò di farla smettere con una cuscinata, ma scatenò una battaglia in cui, oltre ai guanciali, vennero coinvolti peluches, ciabatte e, in un impeto di follia, la sedia della scrivania.

La lotta venne interrotta da Sebastian che, bussando educatamente alla porta, gli servì la tisana che avevano richiesto.

E dopo che il maggiordomo uscì dalla porta commosso dal vedere Madamoiselle Lili attorniata da così allegre amiche, la padroncina di casa estrasse da un peluche a forma di coniglio una piccola bottiglia di liquore. “Questa tisana fa schifo, è meglio correggerla!” ridacchiò, versandone un  po’ nella teiera tra lo sguardo sbalordito di Miharu, che non aveva mai bevuto alcolici in vita sua, e quello più complice e curioso di Xiao, più propensa a questo genere di ‘riti’ da tener segreti tra ragazze.

 

Il cocktail improvvisato aveva sciolto la lingua alle ragazze. I pettegolezzi e le indiscrezioni sui vari compagni di scuola avevano dominato le discussioni della serata, tra una risatina e l’altra, pop corn e poca attenzione verso il film che la tv trasmetteva.

Ah… pensa a cosa si sta perdendo Asuka…” sospirò Miharu, abbandonandosi brilla tra i cuscini sparsi sul pavimento. “Questa si che è pacchia!”

“Oh, andiamo, Miharu-chan… sono sicura che lei si stia divertendo molto più di noi.” Appena dopo aver pronunciato la frase Xiao notò un moto di stizza da parte della monegasca, che cercò di nasconderlo acciuffando un lecca lecca e scartandolo nervosamente.

Aggrottò le sopracciglia, voltandosi dalla parte opposta alla biondina: ne aveva già avuto il presentimento. Lili si era dimostrata subito scettica a proposito della relazione tra Asuka e Hwoarang, e quando la loro storia era diventata ufficiale non smetteva di provocare la ragazza con frecciatine e battutine acide.

Come se fosse invidiosa.

O, peggio ancora, gelosa.

Ling Xiaoyu per certe cose aveva naso. E qualcosa le diceva che a Lili il ragazzo di Asuka non era indifferente.

E allora perché aveva accettato la sua proposta di fare da ‘copertura’ alla loro amica, organizzando quel pigiama party?

Stendendosi morbidamente supina sul letto, facendo dondolare le lunghe gambe bianche, Lili si infilò il lecca lecca in gola, scoccando alle altre due uno sguardo complice e ammiccante. “Perché invidiare Asuka-chan… se potete invidiare me…” ridacchiò.

“Sei uscita con un ragazzo?” domandò Miharu, scattando a sedere curiosa. “Chi era?”

“Lo conosciamo?”

“Oh, certo… Xiao lo conosce. Di vista, però.”

“E’ un nostro compagno di scuola?” domandò la cinesina, aggrottando la fronte pensierosa.

Atteggiandosi da Lolita, suo lecca lecca in bocca, Lili scosse la chioma platinata.

“Non mi dire che è del torneo di Tekken!” esclamò l’altra ragazza facendola annuire. “Indovina chi è…

Miharu schioccò le dita, risoluta: “Ci sono. Yoshimitsu!”

“…”

“…”

“No, eh… Un indizio?”

“E’ carino. E viene dall’Europa..”

“LEO???” esclamarono in coro le compagne, allibite.

Lili gli rispose con uno sguardo quasi disgustato. “Ma siete fuori? Leo è una femmina. Credo.”

“Steve Fox?”

Naaah!”

“Oh Kami… non mi dire… lo spagnolo, Miguel?”

“Brava Xiao, proprio lui!”

Uuaaauuu!”

Compiacendosi dell’ammirazione suscitata, la ragazza raccontò di come lo avesse ingaggiato come finto insegnante di spagnolo, per poi invece coinvolgerlo in sparring match d’allenamento.

“E poi, dopo allenamento… l’ho seguito sotto la doccia e…

Le altre due erano tutt’orecchi “Eeee…..?”

“Beh, è un torero...” Terminò con un sorrisetto sornione, facendosi scivolare tra le labbra il leccalecca.

“Non ci posso credere! Quindi state insieme?”

“Ma no, Miharu, che dici! È già partito per la Spagna. E’ stato… come dire, un addio molto sentito!” Chiodo schiaccia chiodo ripensò. E dallo sguardo che le rivolgeva, Xiao sembrava averle letto nella mente. “Quindi è stata la storiella di una volta?”

“Credo proprio di si, non so se lo incontrerò di nuovo.”

Lei alzò le spalle, coricandosi sul letto. “E allora non ti invidio proprio.”

“Di un po’, ma hai presente di chi stiamo parlando?”

“Si, lo so, me lo ricordo. Davvero notevole. Ma io voglio anche dell’altro da un ragazzo. Se tu ti accontenti di questo…

“Almeno io qualcosa ho avuto. Chi si accontenta gode, Xiaoyu. Dovresti farlo anche tu.”

 La ragazza si irrigidì, saettando gli occhi furiosi fuori dalla finestra. Sembrò mordicchiarsi il labbro inferiore per impedirsi di ribattere. Miharu le scivolò accanto, passandole un braccio intorno alle spalle per confortarla, lanciando occhiatacce alla bionda, che fece spallucce e si coricò sul letto, il lecca lecca in bocca.

Alla fin fine lei era una brava ragazza. Aveva solo bisogno di qualche valvola di sfogo. Cose innocenti, come i combattimenti o il giocare pesante con i ragazzi. Miguel era stato un diversivo fantastico, quel pomeriggio. L’hombre giusto al momento giusto e nel posto giusto. Non l’aveva mai fatto sotto la doccia…

Chiudendo gli occhi, a Lili venne in mente la sigaretta sgualcita che le aveva porto con un sorriso beffardo sotto il casco di capelli ancora bagnati dalla doccia, mentre espirava una boccata di fumo.

E lei, gattina smorfiosa, l’aveva fumata direttamente tra le sue dita, avendo cura di sfiorarle con le labbra.

Oh che delizia!

 

Xiao avrebbe dovuto imparare a guardare avanti, di certo non poteva stagnare in eterno in quel limbo di fantasie irrealizzabili su quell’infame stronzo di Kazama.

Cosa poi ci trovasse in quel musone impazzito era proprio un mistero.

 

Cosa poi ci trovasse lei in quell’idiota di un rosso poi, un mistero ancora più grande.

Eccolo li, di nuovo. Il chiodo Miguel non aveva scacciato l’insulso chiodo Hwoarang.

Aveva un bel coraggio a predicare il libertinaggio scacciapensieri a Xiaoyu, se poi si sentiva bruciare al pensiero di Hwoarang a letto con Asuka. Fondamentalmente aveva fatto bene ad accettare l’idea di un pigiama party tra ragazze, perché la distraeva dal pensiero di quello che stava succedendo a qualche miglia di distanza, in un buco d’appartamento (probabilmente lercio e squallido, a giudicare dal proprietario).

Il Lecca Lecca era finito e lo stecchetto tra i denti non la distraeva più. Forse perché c’era troppo silenzio.

Meglio proporre qualcosa alle altre due.

Si alzò sulle ginocchia, voltandosi verso Xiaoyu e Miharu con la bocca semiaperta per proporre qualche sciocchezza – fare a gara di chi scivolava di più giù dal corrimano dello scalone centrale, per esempio -  per scoprire Xiao ancora nella stessa identica posizione di prima e Miharu addormentata profondamente, le gote rosse dall’ebbrezza.

“Caspita. Lo regge davvero poco l’alcool.”

Senza rivolgerle lo sguardo la cinesina annuì. Fece scivolare l’amica a terra, appoggiandole la testa su un cuscino, e coprendola con una delle coperte.

“Credo sia ora di dormire” annunciò, tetra.

“Io non ne ho voglia, sinceramente.” Cantilenò Lili, frugando all’interno di un pupazzo di Hello Kitty, per estrarne poi un porta sigarette argentato. Si avviò verso la portafinestra del terrazzino, aprendola ed invitando l’altra a seguirla, cosa che fece con aria reclutante.

Si sedettero per terra, tra i vasi di fiori che ornavano la balaustra, coperte dal verde e dalla notte.

Lili si accese una sigarette e ne offrì un’altra all’amica, che però scosse la testa. “Non fumo, grazie.”

Dopo un attimo di silenzio, Lili si decise a parlare seriamente. “Ci sei rimasta così male per Kazama?” domandò a bruciapelo. Xiao si portò le ginocchia al petto, cingendole con le braccia. Lentamente, annuì. “E’ normale che nessuno riesca a capirlo. Per tutti quanti Jin altro non era che un demone maledetto che ha causato solo morte e distruzione al mondo. Ma io so che non era così.”

La ragazza fece un sospiro, gettando indietro i codini neri. “Non era colpa sua. Non l’ha chiesto lui di nascere con il Gene del Diavolo. Lui ha fatto quello che poteva per combatterlo ma… evidentemente non è bastata la sua forza di volontà.”

“Cosa c’era tra voi due…?”

“Beh, inizialmente amicizia. Vivevamo praticamente sotto lo stesso tetto. Ci allenavamo insieme. Frequentavamo la stessa scuola. A me è piaciuto sin da subito. Era carino, gentile, timido. Ero sicura di piacergli – almeno un pochino- perché ogni tanto riuscivo a farlo sorridere.

Un giorno, mentre eravamo a scuola, mi ha baciata. Era pomeriggio, in un’aula vuota. Lo prendevo in giro facendo la sua caricatura alla lavagna. E poi lui mi ha baciata. Poi mi ha chiesto scusa ed è uscito.

Il giorno dopo ha lasciato la scuola. Mi ha salutato, dicendomi che sarebbe tornato, ed è partito.”

“Così, di punto in bianco?”

Xiao annuì. “Non sapevo cosa pensare, ero confusa. Ora so che sentiva il Gene del Diavolo dentro di sé, e che se ne è andato per proteggermi. Ne sono sicura. Magari tornerà davvero un giorno…

Xiao… Jin è…

“Morto? Nessuno ha trovato il corpo. Lui è semplicemente scomparso. Io sono sicura che sia ancora vivo. Non so come, ma lo sento.” Le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso dolce e ottimista.

Povera, piccola Ling Xiaoyu. Speranzosa Penelope in attesa di un visionario, imprevedibile e pericoloso Ulisse demoniaco.

“Beh, è meglio andare a letto, non credi?” propose, schiacciando la cicca della sigaretta e nascondendola nel terriccio del vaso più vicino a lei.

Spostarono Miharu in una posizione più comoda, sopra il futon. Lili si addormentò appena ebbe toccato il letto.

Gli occhi di Xiaoyu rimasero aperti e umidi nell’oscurità. Aveva fatto bene a proporre quel pigiama party tra ragazze. La distraeva dall’invidia che provava nei confronti di Asuka.

Anche se la tristezza, a quella no, non si poteva proprio essere indifferenti.

Nascondere bene agli occhi della gente si.

Ma ignorare mai.

 

Hey!!! C’è più vuoto qua dentro che nel frigo di Dragunov…. Dove siete finite tutte???????

Grazie Benny (Miss Trent) per la recensione.

Ormai questa raccolta stà volgendo alla fine, devo solo decidere bene come portarla a termine…

Buona giornata, signorine restanti!!!!

EC

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Non si può restare soli, certe notti qui. ***


CERTE NOTTI

 

 

9 – Non si può restare soli, certe notti qui.

 

 

L’afa estiva non accennava a diminuire neppure al crepuscolo. Così i vetri del monolocale di Hwoarang erano spalancati nella vana speranza di catturare una vaga brezza.

Maledicendosi per l’ennesima volta per non aver comprato quel ventilatore portatile in offerta nel negozio di elettrodomestici sotto casa, si gettò sul divano vestito solo delle mutande mentre alle sue orecchie giungeva lo scroscio dell’acqua della doccia.

Pochi minuti dopo, Asuka uscì dal bagno avvolta in una paradisiaca nuvola di vapore e coperta solo dal telo per asciugarsi. La fissò rapito mentre si dirigeva verso il letto e recuperava i suoi vestiti. “Sicura di dovertene andare?”

“Si, i miei genitori mi aspettano.” Sorrise conciliante, infilandosi la camicetta della divisa, nascondendo al suo sguardo quei piccoli seni sodi tanto apprezzati dal suo ragazzo. “Mi dispiace. E poi manca poco al diploma, devo studiare!”

“Vorrei chiederti una cosa. Posso?”

“Ma certo, dimmi.”

“Dopo il diploma verresti a vivere qui con me?”

Asuka lo fissò sbalordita. Poi rise nervosamente, infilandosi le scarpe al contrario rossa come un peperone. “Ma sei pazzo? Io… io … io devo andare all’Università e… non posso….”

“Beh? Chi te lo impedisce? Fai pure l’Università. Però vivi qui con me!”

“E vivo sulle tue spalle? Il tuo stipendio da meccanico basta a malapena per te da solo!”

“Stringeremo la cinghia. E poi potrei fare un secondo lavoro. Insomma… magari qualche incontro clandestino per arrotondare e…

“Non se ne parla nemmeno!” lo rimproverò lei, puntandogli il dito alla gola. “Tu non torni a fare il delinquente. Con tutta la fatica che ho fatto per portarti sulla buona strada…

Le afferrò gentilmente il polso, la guidò verso di sé. Normalmente apprezzava i loro piccoli scontri, ma non in quel momento. Le aveva appena chiesto una cosa importante e non avrebbe accettato un no come risposta, era forse disposto a umiliarsi e supplicarla! “Dalla nostra prima volta non abbiamo più dormito insieme tutta la notte. Mi manca il tuo alito mattutino, sai? Scherzi a parte: ti chiedo solo di vivere qui per infastidirmi ed annoiarmi tutti i santi giorni!”

“Più di adesso?”

“Oh, molto, molto di più!” ridacchiò, accarezzandole la fronte con le labbra. “Ne ho bisogno! Mi prometti che ci penserai seriamente?”

“D’accordo.” Sussurrò Asuka, cercando di ignorare il desiderio di starsene li, tra le braccia del suo ragazzo, mandando a quel paese il resto del mondo.

 

Steve si appiattì contro la parete, sentendo i passi avvicinarsi. Cercò di moderare il respiro, di essere il più possibile silenzioso, mentre stringeva le dita sullo strumento con cui avrebbe compiuto la sua vendetta.

Nella posizione in cui si trovava, nascosto nell’angolo tra la porta del corridoio e il muro, non riusciva a vedere l’altra persona avvicinarsi. Doveva solo fidarsi del suo udito e del suo istinto.

I passi che quasi si fermavano a pochi centimetri da lui lo fecero stare ulteriormente in allerta.

Temette quasi di essere scoperto, ma poi una figura femminile entrò nel corridoio, sorpassandolo senza notarlo.

Il momento giusto per agire.

Prese la mira e schiacciò l’erogatore, balzando fuori dal suo nascondiglio.

Il getto della schiuma da barba colpì in pieno la testa della ragazza, inondandola. Lei strillò, mentre il ragazzo continuava la sua opera di inzaccheramento urlando e ridendo.

“Questa è per avermi chiuso l’acqua calda mentre ero sotto la doccia!”

“STEVE FOX, SEI UN MALEDETTO STRONZO!” Julia cercò di mirare alle gambe per abbattere l’avversario, ma la schiuma sulla faccia le impediva di vederlo. “Questa è la volta buona che ti ammazzo!!!”

Ruzzolarono entrambi per terra, in una lotta semiseria dove il fiato mancava più per le risate che per l’asprezza del combattimento.

Si fermarono solo quando ormai si resero conto di aver sporcato di schiuma tutto il piccolo salotto dell’appartamento newyorkese di Steve.

“Che due stupidoni che siamo!” commentò il ragazzo, ripulendosi una ciocca di capelli.

Julia rise di nuovo, ripulendogli la guancia con una carezza.

E poi trovò le sue labbra, e la schiuma fu l’ultimo dei loro pensieri.

La ragazza fissò la camicia hawaiana di Steve appoggiata alla testiera del letto, dove era volata in un impeto di passione qualche minuto prima. In fatto di vestiti il suo ragazzo era tutto tranne che Londinese. Il suo guardaroba era un mix bizzarro di vestiti hip-hop, camice hawaiane e pantaloni che potevano essere indossati da un qualche esponente redivivo e ubriaco del Glam Rock britannico. Nonostante ciò si infilò la camicia, che le era lunga sino alle ginocchia, adorando la sensazione di essere avvolta nel suo profumo maschile.

La sua vita, sino a pochi mesi prima, era stata improntata sul motto ‘Prima il dovere e poi il Piacere’.

A 23 anni finalmente il piacere era arrivato, eccome! E così intenso da farle perdere il suo ferreo senso del dovere.

Accese il suo notebook sul tavolo della cucina: doveva ricevere una mail urgente dal suo relatore e doveva lavorare ancora sulla tesi. Pessima idea andare a trovare Steve in quel periodo.

Mentre apriva il programma di posta elettronica lo sentì rivoltarsi nel letto e lamentarsi borbottando infantilmente della sua assenza al suo fianco.

“Ho una tesi che mi aspetta!” replicò la ragazza. Per tutta risposta, Steve la raggiunse, iniziando a distrarla con le sue labbra sul collo.

“Smettila, Stevie… devo scrivere la tesi…

“Ti ho qui solo per un paio di giorni, e non ho proprio intenzione di condividerti con un computer.” “Almeno fammi controllare la posta!”

Steve le concesse solo cinque minuti, senza smettere di torturarla con i suoi baci per risultare più convincente.

Una mail di spam.

Una newsletter dell’Università.

Una mail da Lee Chaolan.

La Mail del suo relatore.

Un momento…

La mail di Lee Chaolan riportava come oggetto la semplice parola “Invito” seguita da uno smile ammiccante.

La cosa non sfuggì a Steve, che chiese infastidito: “A cosa ti invita il tuo importante amico?” 

“Oh, andiamo, smettila di fare il geloso…

“Non sono geloso.” Mentì il pugile, rubandole il mouse e spostando il puntatore sul link dell’e-mail. “Sono solo curioso.”

Click.

Si aprì una schermata dal layout in filigrana color sabbia e dai caratteri di scrittura in un elegante corsivo.

E il contenuto li lasciò entrambi a bocca aperta.

 

Miguel si tolse la camisa intrisa di sangue del suo traje de luces. Aveva appena concluso una corrida particolarmente entusiasmante, lasciando nell’Arena un gigantesco toro. Digrignò i denti al pensiero che quegli spettacoli – per cui veniva pagato profumatamente e rischiava la pelle- stavano per scomparire ‘grazie’ alle proteste degli animalisti. Quasi ringhiò al pensiero, mentre stava per slacciarsi i pantaloni.

Un paio di passi dietro di sé – tacchetti bassi da ragazzina, leggeri e aggraziati- lo fecero fermare.

“Non così di fretta, matador! Quei pantaloni ti stanno proprio uno schianto, vorrei vederteli addosso ancora un !” ridacchiò una voce femminile dall’accento francese che non stentò a riconoscere e che lo fece voltare sorridendo beffardo.

Lei, la ragazzina in questione, vestita con un colorato vestito a balze da lolita che lasciava scoperti molti centimetri di pelle leggermente abbronzata, era appoggiata allo stipite della porta dello spogliatoio,

“Ma guarda guarda chi c’è.. a quanto pare ti sei sorbita ben undici ore d’aereo per vedermi.” Sogghignò avvicinandosi lentamente e divorandola con gli occhi. “Madamoiselle Lili Rochefort

“Ho pensato di visitare l’Andalusia durante le mie vacanze estive.”

“… io sono sicuro che tu voglia svolgere l’esame finale…

Idiota… ho visto il tuo ‘spettacolo’. Bleah. Tutto quel sangue…

“Normalmente qui in Spagna il torero viene visto come un sex symbol. Soprattutto dopo un combattimento come quello che ho appena fatto. Sai quante donne mi aspettano là fuori?”

“Si, le ho viste, nulla di che. Durante la corrida ho stretto amicizia con il guardiano e mi ha permesso di entrare negli spogliatoi dopo di te.”

La ragazza si avvicinò di pochi passi, mentre il torero si sedeva su una panca, pulendosi le mani sporche di rena e sangue con una salvietta. Quando fu abbastanza vicina, le prese le mani sottili e la guidò a sedersi cavalcioni sulle ginocchia. “E’ un caso che tu sia comparsa qui proprio nel momento della doccia?”

Lili ridacchiò maliziosa, cingendogli i fianchi con le gambe. Sorreggendola, Miguel si diresse verso il bagno.

 

 

La risata argentina di Alisa che giocava con i due cuccioli di labrador riempiva il piccolo giardinetto innevato della casetta di legno. Quando erano andati a prenderli, era stato difficile per Alisa doverli scegliere: li avrebbe comprati tutti! Erano quindi scesi a patti, e ne avevano adottato due: un maschietto, un batuffolo nero che avevano chiamato Kimi, e una femminuccia color miele che sembrava appena uscita da una pubblicità, Pippi.

Lars si era seduto un attimo in disparte, sui gradini della veranda.

La guardava divertirsi con i cagnolini, a rotolarsi nella neve con loro, a lasciarsi assalire dai loro bacetti.

Per ora era tutto perfetto. Giornate intrise di serenità e sorrisi, di baci sotto le coperte calde, di momenti di passione e di dolcezza.

La felicità perfetta gli era arrivata addosso senza che neppure l’avesse davvero cercata: per pura fortuna si era ritrovato immerso in una nuvola di felicità dorata di cui prima non sospettava neppure l’esistenza. E la fautrice di questo incanto era proprio Alisa, per tutto il mondo una ragazza meccanica di cui si era invaghito in un impeto di follia, con cui sperava di non doversene mai più separare.

Ripensò alla mail che aveva ricevuto la settimana prima. Un invito a nozze: E lui sarebbe stato il testimone dello sposo.

Per poco i circuiti di Alisa non andavano in tilt nell’apprendere la notizia – e anche lui era rimasto a bocca aperta - E poi, come una vera donna, aveva iniziato a preoccuparsi per vestiti e capelli.

“Chissà se la sposa lancerà il bouquet. Mi piacerebbe prenderlo, sai?” ammise con aria assorta, probabilmente incosciente della tradizione che si celava dietro al mazzo di fiori.

Lars cercò di immaginarsi Alisa in abito nuziale: Incredibilmente deliziosa. Si immaginò il suo sguardo smeraldo brillare di emozione e le sue labbra rosee spiegarsi in un sorriso timido mentre avanzava verso di lui avvolta nel suo abito candido. Beh, sarebbe arrivato anche il loro momento, un giorno o l’altro. Magari prima di quanto ci si potesse aspettare.

Così come sarebbe arrivato il momento in cui loro due – e  Pippi e Kimi- si sarebbero sentiti in ‘pochi’ e la sua cameretta da bambino sarebbe sembrata un vuoto insopportabile.

Una compagna androide rendeva impossibile il proseguire della sua stirpe infame, questo era un sollievo, per lui e per il mondo intero.

Eppure sapeva che gli sarebbe mancato qualcosa. Anche ad Alisa, a giudicare da come aveva invitato i tre bambini del vicino a giocare con lei e i cuccioli.

Ma ci avrebbe pensato in futuro.

 

 

Infilandosi gli stretti pantaloni di pelle nera, Nina gli disse che sarebbe andata via per qualche giorno. Evitò di fornirgli qualsiasi altri informazione, e lui rimase per un attimo dubbioso se chiedergliela o meno. Decise di fingere indifferenza, rivestendosi a sua volta.

Tanto, ormai, non aveva più importanza.

“Dovrei tornare lunedì” aggiunse infine la donna, frugando nella borsetta alla ricerca della sua trousse da make-up.

“Sabato torno in Russia.”

Un istante di silenzio. Nina aveva fermato la sua ricerca per un secondo, per poi ricominciare, come se nulla fosse. “Ah.”

“Il comando ha deciso di porre fine alla missione.”

“Alla buon ora, sono mesi che Jin Kazama è scomparso!”

Dragunov tentennò sull’esprimere o meno disappunto sulla mancanza di informazioni a riguardo. Decise di astenersi da qualsiasi commento, in quel momento sarebbe risultato più inutile di qualsiasi cosa. E di certo non poteva imputare a Nina questa lacuna nella missione.

L’aveva seguita e pedinata, al di fuori delle ore che trascorrevano insieme in quella stanza, senza scoprire nulla.

Sapeva perfettamente dove si sarebbe diretta in quei giorni. Chi avrebbe incontrato e a cosa avrebbe partecipato. Niente di utile al fine della sua missione.

Anche per Nina, Kazama era un cadavere da disperso da qualche parte nel deserto, e non sembrava minimamente intenzionata né a compiangerlo né a cercarlo.

Perfettamente comprensibile, da parte sua. Quello che reputava incomprensibile – e fastidioso- era quella vaga sensazione di sollievo che gli procurava il sapere di questa sua indifferenza nei confronti del suo ex capo.

La guardò con la coda dell’occhio curvarsi le ciglia con il rimmel, intenta e concentrata davanti allo specchio, poi si mise al suo fianco per allacciarsi la cravatta prima di recuperare la giacca.

 “Quindi vai?”

Il russo annuì, allacciandosi il cappotto con inspiegabile lentezza.

“Bene. In bocca al lupo, allora!”

Con la maniglia della porta tra le dita, si ritrovò a lottare insensatamente contro la voglia (o il bisogno) di voltarsi. Che strano addio. Pensò. Niente spari né sangue. Nessuna lotta. Nessuna pallottola.

Mentre stava per girare il pomello della porta, lo sguardo gli cadde sulla mensola li a fianco. C’era una sciarpetta di seta bianca. Ricordava vagamente di avergliela sfilata dal collo, la sera prima, quasi se stesse indugiando se stringerla o meno. Il profumo della sua padrona doveva esserci ancora impresso. Se la ritrovò tra le dita e poi in tasca.

Appena sentì lo scatto della serratura che si chiudeva, Nina appoggiò il rimmel. Restò per qualche istante appoggiata al mobile del bagno senza muoversi né pensare a nulla, se non a quanto fosse stato strano quel momento.

In genere gli addii per lei erano molto diversi. E non lasciavano nessun retrogusto amaro.

 

 

 

===================================================================

BUONGIORNO MIE CARE REDUCI TEKKENNISTE!!!

ALLORA: qualche piccola nota, as usual.

Inizia la parte finale di questa FF. Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo...

1)     Traje de Luz è il vestito del torero. Giuro che immaginarmi Miguel seminudo con quei pantaloni super attillati mi ha fatto star male…

2)     I Labrador Kimi e Pippi: Io ho un labrador nero di nome Kimi! Ormai non è più un cucciolo, ma la voglia di giocare gli è rimasta, al mio stupidone! Il nome Pippi è in onore di PIPPI CALZELUNGHE, notissssssimissssimo romanzo (e serie tv) svedese!

Al prossimo capitolo mi ammazzerete…. Spero di riuscire a cavarne qualcosa di buono…

Ma tanto avrete già intuito cosa accadrà (esprimete pure le vostre ipotesi a riguardo, tranne Miss Trent. Benny chiudi la ciabattaaaaa!!!!)

Alla prossima mie PocheMaBuone Tekkennare!

EC

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** EPILOGO: Certe Notti sei sveglio, o non sarai sveglio MAI...! ***


CERTE NOTTI

 

 

10 – EPILOGO: Certe notti sei sveglio o non sarai sveglio mai.

 

 

Passare le proprie vacanze sul terrazzino assolato della propria amica del cuore non era di certo ciò che Xiaoyu si sarebbe augurata per quell’estate. Aveva sperato sino all’ultimo di poter usufruire della splendida piscina di Villa Rochefort, ma Lili aveva deciso di passare le sue vacanze all’estero.

Sul dove era stata piuttosto vaga, anche se poteva scommetterci che non sarebbe mancata una puntatina in Spagna.

Allungando le gambe sulla balaustra del balconcino e stendendosi sulla stuoia, sfogliò annoiata la rivista di gossip che aveva appena comprato.

Il suono del campanello della porta d’entrata la distrasse leggermente dalla sua lettura, mentre Miharu andava ad aprire.

Quattro passi veloci e un fulmine castano piombava in camera, le guance color pomodoro a causa della corsa affannata.

Hey, Asuka-Chan! Non dovevi essere di turno a pattugliare il quartiere?”

La mediatrice di Osaka cercava di recuperare fiato senza staccarle gli occhi di dosso: “Non hai sentito nulla?”

“Cosa?”

…l’hanno trovato.”

Xiaoyu aveva compreso al volo: “Lui?” domandò, con voce improvvisamente afona, la rivista  che le era scivolata tra le mani mentre si alzava meccanicamente dalla stuoia. “Dici davvero?”

L’amica annuì gravemente. “E’ alla Zaibatsu.”

“Voglio vederlo.”

“Ne sei sicura?”

“Credo di si.”

“Vengo con te. Non vorrei che facessi cazzate.”

 

 

Non c’era nulla di bianco in lei.

Per quel motivo aveva inizialmente scelto un abito scarlatto, il suo colore. Ma Lee aveva espresso un’ incredibile preferenza per gli abiti nuziali classici, meravigliandola talmente tanto da optare per un vestito color avorio, sicuramente più tradizionale di quello scelto inizialmente. Il rosso era rimasto nelle rose del bouquet e nel rossetto, quasi come una firma.

Sorrise allo specchio, prendendo il mazzo di rose prima di uscire dalla veranda, diretta verso la terrazza panoramica dove si sarebbe svolta la cerimonia.

Nessun’altro al mondo sarebbe riuscita a convincerla a sposarsi. Nessuno, all’infuori di Lee Chaolan.

Davanti all’ultima rampa di scale di marmo si diede un’ulteriore sistemata al corsetto. Il quartetto d’archi era stato avvisato di iniziare la marcia nuziale.

Con un bel sospiro scaccia ansia stava per salire il primo gradino, quando venne distratta da un paio di passi dietro di sé. E la consapevolezza di essere osservata da qualcuno che ben conosceva.

 “Non ci posso credere…

“A quest’ora dovresti già essere davanti all’ufficiale, a giudicare dalla musica di sottofondo.” Nina, vestito color smeraldo e braccia incrociate al petto, le rivolgeva uno sguardo infastidito attraverso i capelli d’oro del ciuffo. “Non capisco la tua sorpresa. Mi hai spedito tu l’invito, no?”

“Si, ma non pensavo che avresti davvero partecipato…

“Oh, posso sempre rimediare” rispose la donna, girando i tacchi.

Anna scattò verso di lei, sorpassandola e bloccandola. “Non intendevo questo!” La marcia era finita e si sentiva qualche mormorio sollevarsi tra il gruppetto degli invitati. Doveva sbrigarsi, o Lee avrebbe pensato di essere stato abbandonato all’altare.

Io… sono solo sorpresa, tutto qui! Ma beh, va bene, ecco! Io.. io non so davvero che dire. Forse dovrei ringraziarti o…

La sorella emise un verso scocciato. “Smettila di dire cazzate, o arriverai tardi all’impossessarti dei beni di Chaolan.”

Con un sorriso a metà tra il serio e il faceto, Anna alzò le spalle. “Fosse così facile… ha voluto un accordo prematrimoniale. Se non lo sopporto almeno per i prossimi dieci anni non vedrò un dollaro.”

“Mica stupido, conoscendo il soggetto.”

“Sono sicura di riuscire a sopportarlo anche per un po’ di più.”  Ribatté ironica. Un paio di invitati si affacciarono alla scalinata. Uno di loro si voltò e fece il segno dell’OK a qualcuno in fondo. Probabilmente a Lee.

“Beh, dato che sei qui… e visto che hai davvero un bel vestito... considerando che è il mio matrimonio proporrei una tregua…

“…?”

“Si, insomma… alla fine come damigella d’onore ho Alisa. L’ho scelta solo perché Lars Alexandersson è il testimone di Lee. Ma mi è insopportabile così stucchevole e sempre avvolta in qualche vestito rosa. Io la chiamo Hello Kitty. Se ti va… potresti farla tu, ne hai più diritto, con tutte le volte che hai tentato di farmi fuori!”

Alexandersson testimone ? Uhn. Potrebbe anche essere divertente.”

Annuendo soddisfatta, Anna tolse una piccola rosa dal bouquet, ne spezzò il gambo e la infilò tra i capelli raccolti di Nina. “Ecco, così sei perfetta.” Si incamminò verso la gradinata sorridendo, seguita dalla sorella.

A metà via però si fermò: “Un’ultima cosa: niente armi al mio matrimonio.”

Sbuffando la bionda sollevò l’orlo del vestito, armeggiò con la giarrettiera e lanciò nei cespugli un piccolo revolver. “Tanto so anche uccidere a mani nude.” Borbottò. “AH: E non ci provare a lanciarmi il bouquet, se non vuoi vedertelo abbattuto in volo!”

Mentre il quartetto d’archi riprendeva la marcia e la sposa finalmente compariva tra le due file di sedie, Lars fu costretto a cedere per scommessa una banconota di grosso taglio a Paul Phoenix.

Che, non appena vide da chi era seguita la sposa, dovette passarla a Steve Fox.

 

Con due Martini in corpo e un altro in mano la situazione era molto più sopportabile per Nina Williams. Da dietro gli occhiali scuri, seduta al bancone del gazebo – open bar del giardino della villa, lanciava qualche occhiata furtiva ai vari invitati del ricevimento.

Zafina stava leggendo la mano ad un Paul Phoenix decisamente alticcio. Talmente stordito da non accorgersi che la mano sinistra dell’affascinante mora si era introdotta nel retro dei suoi pantaloni e aveva sfilato il portafoglio, per ripulirlo a fondo.

Dopo avergli predetto fortuna e una miriade di soldi, lo lasciò sghignazzante sul tavolino, per avvicinarsi a sua volta al bar ed ordinare un tè verde, infilandosi il rotolo di soldi spillati nella generosa scollatura. “Per evitare il volo di ritorno in classe turistica.” Spiegò a Nina, conscia di essere stata vista, nel suo accento arabo.

La bionda alzò il Martini come approvazione, poi Zafina e il suo tè verde si diressero verso gli invitati, probabilmente a caccia di un’extra per fare shopping in giro per Nassau.

Qualcuno le aveva sfiorato delicatamente la spalla, così Nina si voltò. Riconoscendo chi le si era avvicinato, bevve un ulteriore sorso di liquore, prima di appoggiare il bicchiere triangolare e sussurrare un “Ciao” nervoso.

Nel suo completo grigio, sprovvisto di cravatta, Steve Fox le domandò se il posto vicino era occupato. Ad un suo cenno negativo, il ragazzo si sedette, ordinando una birra.

Restarono in silenzio per qualche minuto, senza riuscire a guardarsi.

Il ragazzo sembrava nervoso ed imbarazzato. Incredibilmente, fu proprio Nina a rompere il ghiaccio: “Come mai sei qui? Anna ha saputo di essere tua zia?”

“Oh, no. Cioè, gliel’ho detto ieri, quando siamo arrivati. Sono venuto con Julia Chang, lei e Lee sono molto amici – non so quanto siano stati amici, ho evitato di fare certe domande.- L’ha presa bene, era molto sorpresa … beh, in questi giorni era abbastanza allegra…” Steve bevve un sorso di birra direttamente dalla bottiglietta, prima di continuare a parlare. “Io e Julia stiamo insieme da qualche mese.”

“Oh.” Nina puntò lo sguardo al bicchiere vuoto. Chissà per quale motivo, ma l’essere circondata da coppie le stava iniziando a dare sui nervi. “E ad Halloween da cosa vi vestite, Pocahontas e John Smith?”

La battuta era velatamente acida, ma Steve non sembrava essersene per niente accorto. Scoppiò in una fragorosa risata e batté la mano sul tavolo. “Questa è davvero buona. Hey, Lars! La vuoi sentire questa?”

Ecco, ci mancava il Mishima Scandinavo… sospirò Nina, domandando al barman un altro Martini.

Lars, incredibilmente senza l’androide rosa al suo fianco, si era avvicinato al bancone un po’ barcollando. “Ditemi che qua posso trovare dell’acqua… se bevo ancora un altro bicchiere di vino finisco come Murdock, addormentato su di un albero per paura dei koala.”

“Io e Julia siamo Pocahontas e John Smith!”

“Guarda che Pocahontas alla fine si fa un altro…

“Ma che dici!”

“Si, nel secondo film…

Due sguardi perplessi si puntarono su di lui.

Il suono del cellulare riuscì a salvarlo da quella imbarazzante situazione. E bofonchiando un ‘scusate’ molto sollevato si allontanò velocemente in un angolo del parco.

Non così velocemente da evitare che Nina riuscisse a leggere ciò che era comparso sul display del telefonino:

Numero Privato.

E un presentimento.  “Scusa, Steve,devo andare un attimo alla toilette.”

 

DANNAZIONE!” aveva sibilato in svedese, chiudendo la conversazione. La notizia che Raven in persona gli aveva comunicato era a dir poco sconvolgente. Rimase un attimo interdetto, cellulare in mano, indeciso sul da farsi. Poi se lo infilò nuovamente in tasca. Doveva parlarne con Lee.

 

L’avevano trovato.

LUI era tornato.

JIN KAZAMA ERA VIVO.

Da tanto che era sorpresa Nina per poco non si faceva scoprire. Si appiattì dietro un gigantesco vaso di fiori colorati, mentre Lars, scuro in volto e tornato improvvisamente sobrio, si dirigeva verso la festa.

E adesso?

Doveva andare da Jin? Tornare da lui, essere di nuovo il suo braccio destro, la sua fida alleata?

Oppure fingere indifferenza – di nuovo- per la sua sorte? Forse doveva aspettare un suo passo. Vedere in quale direzione si sarebbe mosso.

Jin era tornato e con lui, sicuramente, una montagna di problemi. Kazuya, forse Heihachi stesso.

Lo sguardo azzurro scivolò involontariamente verso la festa. Sotto i gazebi bianchi gli invitati si godevano il ricevimento, l’orchestra che suonava musica caraibica invitava a ballare. Non vedeva più Lars né Lee, probabilmente stavano parlando in privato.

Anna riceveva i complimenti da qualcuno, rideva di una battuta di un altro.

E adesso?

Forse doveva avvisarla. In fondo i Mishima erano anche un problema suo.

Ma Anna stava sorridendo a Steve, che la invitava a ballare. Non era di certo il momento opportuno.

Forse c’era qualcun altro da avvisare.

Frugò nella sua pochette verde. Si ricordava vagamente che lui le aveva lasciato il suo numero di cellulare, una sera, scritto sul tovagliolo di carta che fungeva da sottobicchiere del suo cocktail. Non aveva mai avuto bisogno di usarlo, ma quel quadratino di carta piegata le era capitato in mano più volte, senza essere mai gettato.

Mentre trovava con le dita quel pezzetto di carta, Nina Williams si rese conto di non saper bene cosa dirgli, né del perché stesse per fare quella telefonata.

 

“Lee, ascolta, devo parlarti. Scusami se ti ho trascinato via, ma è urgente.”

Lo sposo fece una smorfia delusa. “Speravo che tu mi avessi preparato qualche scherzo divertente! Sei il mio testimone d’altronde! Uhh… lo sapevo che dovevo far organizzare l’intrattenimento ad Eddy Gordo, come il mio addio al celibato a Rio…

“Lee! È una cosa seria questa!”

“Davvero?”

“Si, si tratta di Jin: lui è…

Sssht. Non dire nulla. Ne parliamo domani.”

Ma…

Il volto di Lee era serio. “Oggi no. E’ il MIO matrimonio e che tu ci creda o no, non ci saranno repliche di questa giornata.” Girò la testa verso la pista da ballo. Gli tornò il sorriso nel vedere Anna con suo nipote guidata in una salsa caraibica. “Niente brutte notizie oggi, per favore.”

“Come vuoi.”

“Grazie.”

 

IN CIRILLICO! Ma si poteva essere tanto imbecilli da scrivere il proprio numero di telefono in cirillico? Troppa polvere da sparo inalata dovevano avergli fatto bruciare quei pochi neuroni a disposizione!

E adesso chi cazzo glielo traduceva? Nina alzò al cielo lo sguardo furioso ed esasperato. Io lo ammazzo quel cretino. 

Un momento… forse…Hey, Hello Kitty, vieni un attimo qua. Sei Made in Russia, vero?”

 

Pronto?”

“Ciao. Sono io, Nina.”

“…!”

“Dovrei parlarti. Disturbo?”

“Un secondo.” Il rumore sordo di uno sparo e poi di nuovo la sua voce. “Dimmi.”

“Se stai lavorando richiamo dopo…

“Ho finito.”

“Hanno trovato Jin Kazama. Raven ha chiamato Lars per dirglielo.”

“…!”

“…?”

“Avviso immediatamente la base. Grazie per la soffiata.”

“Di nulla.”

Quindi forse sarò di nuovo in Giappone.”

“Ma non so ancora da che parte sarò io.”

“…”

“In ogni caso, credo che ci vedremo in giro, no?”

“Si. Sai che fumo.”

 

Aveva cliccato sul tasto rosso, fissando lo schermo del cellulare per un istante, infilando la pistola nella fondina, senza dimenticare di controllare con un colpo del piede la reale morte dell’avversario.

Quindi ripose il telefono nella tasca interna della giacca. Nello stesso luogo in cui era nascosto un sottile foulard di seta, ancora pregno del suo morbido profumo. Sfiorandolo con i polpastrelli guantati, gli tornò alla mente di nuovo il momento in cui glielo aveva sfilato da suo collo di cigno. Con le difese così abbassate, avrebbe potuto ucciderla in quel preciso istante, soffocandola. Invece…

Era inutile ucciderla, non gli era stato ordinato.

Quell’idea non lo convinceva neppure con lei dall’altra parte del mondo. Figurarsi trovandosela davanti.

 

Era notte fonda quando il bouquet di Anna volò dall’alto della balconata sulle teste delle invitate non ancora sposate.

Passò molto lontano da Nina Williams e da Zafina.

Sfiorò le dita di Christie Montero.

Sarebbe finito in mano a Julia Chang, se Steve non fosse intervenuto in tempo per toglierla dalla traiettoria, trascinandola via tra le risate.

Atterrò tra le braccia tese di Alisa tra gli applausi generali. Rise e se avesse potuto sarebbe arrossita a trovarsi al centro dell’attenzione. Si voltò verso Lars, sperando di riceverne il plauso, il sorriso.

Ma non era stato così.

 

La camera era buia, non un filo di luce poteva ferire i suoi occhi. Ormai lui era talmente abituato alle tenebre da non farci più caso, ma anzi, da trovare riparo e conforto dall’oscurità.

Si mosse verso l’unico oggetto della stanza ancora intatto. Uno specchio.

Il resto del mobilio l’aveva distrutto ore prima.

Nel buio, indovinò la sua sagoma riflessa, e gli occhi gli brillarono dalla disperazione.

C’era ancora. Nonostante il dolore, il sacrificio, le sue pene, il buio, quel marchio era ancora li.

E il demone era ancora in lui.

 

 

BON!

FATTA!!

FINITA!!!

E anche questa è andata! Come al solito, riesco nell’intento di iniziare la storia in un modo e… stravolgerla completamente nel finale. Sono una persona ESTREMAMENTE coerente, nevvero?

Allora: grazie alle lettrici e alle mie recensitrici: POCHE MA BUONE, anzi, ottime!!!!

DOMANDA CHE TANTE DI VOI (NON) SI STANNO PONENDO: Perché gira che ti rigira, Anna e Lee si sposano praticamente sempre? Non lo so, ma ce la vedo ‘bene’ Anna, per una volta nella sua vita, a fare qualcosa di normale, e a pensare ad altro rispetto a tentare di fare il culo a sua sorella. (Approfondirò questa cosa, prima o poi)

Milioni di stragrazie ad Angel e a Miss Trent, ma anche a Nefari, Krisalia, Lili Rochefort89, Lotti e Gothgirl!

Credo che tornerò presto… ho già una nuova idea…

Ma vedremo, vedremo!!!

Nel frattempo besitos…

EC

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=441102