La morte e il palcoscenico di Exodus (/viewuser.php?uid=63070)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Overture ***
Capitolo 3: *** Tercera ***
Capitolo 4: *** Cuarta ***
Capitolo 5: *** Quinta ***
Capitolo 6: *** Sexta ***
Capitolo 7: *** Septima ***
Capitolo 8: *** Octava ***
Capitolo 9: *** Intervallo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
“Chi sono lor
signori? Cosa vogliono?”
“Siamo qua in
cerca di un autore.”
“D’un
autore? Che autore?”
“D’uno
qualunque, signore.”
“Sta bene, sta
bene. Ma che cosa vuol concludere con questo?”
“Niente,
signore. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante
forme: albero o sasso, acqua o farfalla... o donna. E che si nasce
anche personaggi!”
“E lei, con
codesti signori attorno, è nato personaggio?”
“Appunto,
signore. E vivi, come ci vede.”
(Luigi Pirandello, Sei
personaggi in cerca d’autore)
Luce.
Si apre il sipario.
Entra Gin.
Gin:
Beeeenvenuti, gentile pubblico! Signore e signori, Shinigami, Hollow,
Quincy, semplici mortali… vivi, deceduti e tutte le numerose
vie di mezzo! E’ con infinito orgoglio che la compagnia
teatrale di Las Noches vi presenta la recita scolast… ehm,
volevo dire, la raffinata tragicommedia in dieci atti in programma per
stasera. Vi vedo numerosi… questo vuol dire che Nnoitra ha
fatto un buon lavoro con il volantinaggio, là fuori!
Risate registrate.
Nnoitra (voce fuori campo): Seee, come se
avessi avuto altra scelta… avanti, Numero 5, guadagnati la
pagnotta! Hai sei braccia, sei perfetto per questa mansione di grande
prestigio!
Ma me la pagherai, bastardo… Luppi di braccia ne ha otto, e non ha
dovuto fare un tubo!
Gin: Ma che
stai dicendo? Luppi ha ricevuto un altro
incarico di primo piano… (ad alta voce) a
proposito, mia dolce piantina d’edera, ti dispiace puntare
quella luce su di me
anziché sulle schiene della prima fila?
Quell’occhio di bue non è una mitragliatrice!
Luppi (da qualche parte, dietro il
pubblico):
No! Sono ancora indignato per il modo in cui sono stato trattato! Sono
stato anch’io un Espada, per quasi quindici minuti! E sono
anche molto più fascinoso e fotogenico di
Grimmjow… il capitolo Sexta spettava a me, non a quel botolo
pulcioso!
Gin (ghignando diabolico): In effetti, in
origine quell’atto era dedicato ad entrambi…
tristemente, l’unica scena decente in cui apparite assieme
è quella in cui vieni sbudellato ed incenerito da un Cero.
Io l’ho trovata molto divertente… vuoi che
facciamo una replica?
Luppi (deglutendo rumorosamente): Ehm…
d-dopotutto non sono sicuro che le luci della ribalta donino al mio
aspetto leggiadro… non vorrei mai deludere la vasta schiera
dei miei fans!
Poi, la consolle è un incarico di alta
responsabilità… non posso lasciarlo in mano a
chiunque! (raddrizza
velocemente il faro)
Gin: Bravo.
Visto che hai tutti i tentacoli che servono, siamo almeno sicuri che
non pasticcerai con le tracce musicali! (si schiarisce la voce)
… molto bene. Come avrete capito dai nostri allegri
commenti, questo è un lavoro piuttosto esteso, dedicato ai
dieci sguatt… ahem, poderosi guerrieri che il Capitano Aizen
ha creato con la sua Biglia, ovvero… i fantasmagorici Espada!
Fragorosi applausi
registrati.
Gin: Proprio
così. Un atto per ciascuno, per non fare differenze;
potrebbero essere racconti, poesie, testi drammatici, comici,
introspettivi… soprattutto introspettivi, perché
l’autore, un povero ragazzo mortale che abbiamo costretto a
lavorare sotto minaccia di morte, adora le seghe mentali…
uh, guarda, c’è persino una drabble! (persistendo nel ghigno diabolico)
Ahi ahi… questo significa poca voglia di lavorare, e
quindi… pane e acqua per tre giorni!
Urla disperate da dietro
le quinte.
Entrano Tosen e
Wonderweiss, trasportando la Locandina.
Wonderweiss
(osservando il pubblico
estasiato) :
Awwwuuuh…?
Tosen: Gin,
Sua Eccellenza mi ha incaricato di riferirti che il coro delle Exequias
è pronto e attende ordini.
La quinta si scosta,
rivelando il Coro.
Gin: Alla
buonora! Ci voleva tanto ad imparare quattro note in croce? (rivolto al Coro)
Avanti, signori, un po’ di accompagnamento! E uno…
e due… e un, due, tre!
Coro (in latino maccheronico, con tono
sepolcrale, sottofondo di organo):
Aalfierooruum… cavaalloorum… scaaldaabaagnuum!
Vaaaliuuum-vixvaapoorub! Siilmaariillion! ...
Gin (tappandosi le orecchie)
: Aaah! Ma
che è ‘sta roba oscena? Io avevo chiesto la
coreografia di Sister Act!
Rudobon:
Potrò pure essere stato sconfitto da Rukia Kuchiki, signore,
ma ho ancora una dignità da difendere.
Gin: Uff, ma
che noiosi… vabbè, gente, che altro mi rimane da
dire? Divertitevi, guidate piano al ritorno, niente cani sulle
poltrone, niente cibo in sala…? (indicando Wonderweiss)
Ehi, un momento! Perché hai fatto salire quello sgorbio sul
palco? Non è mica un Espada!
Tosen: Non
ha la minima importanza! Non vorrai ferire la sua
sensibilità? Merita anche lui il suo attimo di
celebrità, come tutti! Non ha fatto mai niente nemmeno nel
manga di quell’emissario del Male incarnato che è
Tite Kubo…
Gin: Ma non
hai letto gli ultimi aggiornamenti? Ce l’aveva un ruolo,
quello di sigill…
Tosen: GIN!
Guarda che questo capitolo non ha mica scritto
“Spoiler!” davanti!
Gin: Ma
tanto li leggono tutti… (sospirando)
…e va bene! Il moccioso può reggere la locandina
e dire una battuta, d’accordo? Così il pubblico si
fa un’idea di cosa lo aspetta. Procedi, pigmeo!
Wonderweiss (sollevando orgogliosamente la
Locandina):
Awaaahhh! Dhooomhaaaniii… aaalthrooo…
‘ornoooh!
Fragorosi applausi
registrati.
Tosen (commosso) : L’ha
imparata alla perfezione… il mio piccolo attore…
che dolcezza… che presenza scenica…
Gin (passandosi una mano sul viso): Oh,
sì… è sputato a Vivien Leigh prima
maniera…
------------------------
Overture
Pubblicata! Rating Giallo, Malinconico/Introspettivo
Primera
L’idea c’è…
Segunda
In lavorazione.
Tercera
Pubblicata! Rating Arancione, Crossover, Dark/Drammatico/Sovrannaturale
Cuarta
Pubblicata! Rating Verde, Drabble, Introspettivo
Quinta
Pubblicata! Rating Arancione, Drammatico/Introspettivo/Dark
Intervallo
Pubblicata! Rating Arancione, Copione teatrale/Angst/Introspettivo.
Sexta
Pubblicata! Rating Giallo, Generale/Malinconico
Septima
Pubblicata! Rating Giallo, Drammatico/Romantico (a suo modo...)
Octava
Pubblicata! Rating Verde, Poesia
Novena
L'idea c'è... Rating
Rosso.
Decima
L’idea c’è…
--------------------------
Gin:
…cioè, andiamo in scena con tre quarti del
copione ancora da scrivere…?
Tosen:
Perché? Se lo fa Tite Kubo, perché non
può farlo anche il nostro autore?
Gin: Ma
è poco professionale…
Tosen: Poche
storie, sono tutti già ai loro posti, là dietro!
… anzi… aspetta un momento… che
diavolo è un Rating?
Gin (agitando una mano con noncuranza): Ah, roba di poco
conto… me lo ha spiegato il citrullo, poco fa. Pare che
alcune storie siano adatte ad un pubblico maturo… ma noi
siamo i cattivi, dopotutto, quindi possiamo allegramente fregarcene, no?
Tosen: Ma
stai scherzando? Le regole sono fatte per essere rispettate! Le gracili
orecchiette di Wonderweiss e di tutti i bambini presenti in sala non
devono essere contaminate con contenuti poco adatti! Procediamo a
spiegare i Rating!
Gin: Se
proprio insisti… ok, ecco qua: un Rating Verde
è una storia in cui si scopre che il Capitano Aizen ha
infilzato la piccola Hinamori con una spada di gomma, con succo di
pomodoro al posto del sangue… per tutti, insomma.
Rating Giallo
è quando permettiamo a Grimmjow di esprimere un concetto con
parole sue.
Rating Arancione
è quello che di solito segue il momento in cui il mio ghigno
raggiunge la massima estensione; quindi, astenersi deboli di cuore.
Rating Rosso,
infine, è un video di Aaroniero ripreso mentre si fa la
doccia. Capito?
Tosen:
… non a caso, il suo è l'unico racconto con quel
rating… quindi, niente storie: Novena è vietata ai
minori di 18 anni.
Rumori vari e bisbigli
dietro le quinte.
Gin: Oook!
Pare proprio che sia giunto il momento! Gente, preparatevi a restare
abbagliati, ammutoliti, sconvolti, abbacinati…
Aizen (da dietro le quinte, perentorio) : Taglia corto,
Gin. Gli spettatori si sono già addormentati! E’
tempo per i nostri attori di entrare in scena!
Tosen e Wonderweiss
escono, portando con loro la Locandina.
Gin:
A…ah! Subito, Cap! Solo un’ultima avvertenza:
è successo un pasticcio nella sceneggiatura,
l’ultima volta che il nostro autore ha provato a
fuggire… l’abbiamo subito riacchiappato con le
tagliole, ma nella confusione alcuni fogli si sono mischiati, e ora i
Capitoli Sexta e Primera sono collegati… per cui, quando il
fuggiasco avrà riacquistato l’uso degli arti, e
saranno pubblicati, mi raccomando… leggete Sexta prima di
Primera, o ci capirete poco!
Aizen: GIN!
Gin: Eccomi,
eccomi! Sempre a mettere fretta, maledizione! Signore e
signori…
La Morte e il Palcoscenico
Gin esce.
Si chiude il sipario.
(…)
(…)
(…)
Gin (da dietro le quinte): CHE CACCHIO VUOL
DIRE che sono in scena fin dal primo atto?!! Non mi hanno nemmeno
truccato! E non ho ancora imparato le battute!
Aizen:
Silenzio! Qua il capo sono io, quindi è come minimo scontato
che la prima scena sia la mia! Hai venti secondi per prepararti, e
sarà bene che tu non mi
faccia fare brutta figura… così sembri uno
Shinigami uscito da Death Note, altro che Bleach!
Gin:
Aw… è proprio vero quello che dicono… the show must go on!
STARK! Il mio copione, e vammi a cercare quella impiastra di Cirucci!
TRUCCO!
Stark:
…rrrooon… fiiiii….
Gin:
…
Buio.
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Capitolo 2 *** Overture ***
Overture
Tra un paio d'anni
governerò io il mondo; perché ho deposto il
vecchio Dio.
(Friedrich Nietzsche)
Attraverso i suoi occhiali dalla montatura spessa Sosuke Aizen,
Capitano della Quinta Compagnia del Gotei 13, fece correre lo sguardo
sui suoi colleghi: scrutò il volto di ciascuno,
attentamente,
uno dopo l’altro. Tutto sommato, si trovava ad essere molto
stupito: era incredibile come tutto potesse procedere così
bene.
Di fronte a qualsiasi progetto, sogno, o anche semplice desiderio, una
persona saggia si aspetterebbe qualche intoppo… era una
sensazione irreale, constatare invece che ogni singolo pezzo del puzzle
si stava incastrando perfettamente con gli altri. Sentiva un piacevole
formicolio allo stomaco, come sempre, negli ultimi tempi, quando le
circostanze portavano in quella stanza i pezzi grossi della Seireitei;
come la prima volta che aveva messo piede lì, nel sancta sanctorum,
la stanza dei bottoni dove venivano prese tutte le
decisioni… purché altri le avessero
già approvate, naturalmente.
Era una sorta di piacere infantile, se ne rendeva conto,
eppure…
Ecco, è la
furba risata di un
bambino nascosto sotto il tavolo della sala da pranzo, che ascolta i
genitori parlare, sapendo di poter fare qualunque cosa senza essere
visto…
Aizen sorrise: poteva permettersi un sorriso, dopotutto. Quello era un
giorno di festa: un altro buco tappato nello squarcio sanguinante che
lui stesso aveva aperto… era stata la sua prova del nove,
doveva
ammetterlo. Ora, il Gotei 13 si rialzava zoppicando, leccandosi le
ferite del cambiamento; un’Idra a tredici teste, che si
credeva
invincibile, eterna, e non si accorgeva che le frecce di Ercole erano
avvelenate…
Il bambino eccitato dentro di lui rise di nuovo: beh, non è che le
cose siano andate proprio così, nella favola.
Ma a chi importa?
Questa, dopotutto, è la MIA storia.
La voce del Comandante Generale Yamamoto lo strappò ai suoi
pensieri, riportandolo al presente. Alzò la testa e lo
fissò: un viso inalterabile, solenne, pieno di
rughe… il
vero specchio dell’istituzione che rappresentava, e
l’uomo
che aveva odiato più di ogni altro sulla faccia della
Terra… se si eccettuava, naturalmente…
No. Non adesso. Idiota,
ecco cosa ti
succede a pensare a bambini acquattati sotto i tavoli. Oggi
è un
giorno di festa; il tuo sorriso deve essere sincero. Niente dubbi,
nessuno spazio ai ricordi, oggi.
“Signori, è una lieta evenienza a riunirci qui
oggi: lieta
per tutti coloro che hanno l’onore di occupare il seggio di
Capitano, perché un altro fratello si unisce finalmente a
noi;
ma particolarmente gioiosa per quelli che, fra noi, ricordano
personalmente il tragico episodio di alto tradimento che ha scosso le
basi stesse della Soul Society, più di
cinquant’anni fa,
ed ha privato la nostra famiglia di ben quattro dei suoi migliori
figli…”.
Il sorriso di Aizen si spense sulle sue labbra: il momento lo
richiedeva… il lutto lo richiedeva, ma il bambino pestifero
che
gli ballava nello stomaco gli strizzò l’occhio;
tutto come
previsto… i grandi continuavano a discutere di cose serie,
senza
badare a lui: poteva scegliere con calma quando e a chi mollare un
pizzicotto sulle gambe, per farsi finalmente notare. Ma prima doveva
far sì che i lacci delle scarpe di tutti fossero bene
annodati, in
modo che non potessero acciuffarlo. Sarebbero caduti tutti, rise a
crepapelle il fanciullo: tutti, tutti, tutti…
Non c’era solo il ben conosciuto monello, ad agitarsi sotto
la
pelle del Capitano Aizen… non era un bambino, dopotutto.
Conosceva bene quella sensazione di semplice, puro divertimento:
nonostante tutto, sapeva di doversi ritenere un uomo fortunato, a non
avere perso quel ponte con la sua infanzia. I bambini vedono cose che
gli adulti non notano neppure; era l’universo stesso, a
parlare
con la bocca dei bambini; ma l’adulto, dentro di lui, era una
presenza altrettanto forte. Prese per mano il piccolo, e lo
infilò sotto le coperte: era tempo di provare
un’altra
sensazione, tutto secondo la tabella di marcia.
Se qualcuno avesse prestato attenzione ai dolci occhi marroni sotto le
lenti, per un attimo avrebbe intravisto un’illusione ottica:
un
attimo di puro intento omicida, così rapido che anche un
osservatore attento avrebbe dubitato di averlo visto davvero.
L’uomo che attendeva sull’attenti al centro della
stanza
gli dava le spalle, ma fu anche l’unico che sembrò
registrare qualcosa: un viso affilato, un paio di occhietti semichiusi
passarono in rassegna le due file di ufficiali su ambedue i lati,
finché lo sguardo di Ichimaru Gin non incontrò
quello del
suo ex-comandante; l’onnipresente ghigno si
allargò
vistosamente. Aizen gli restituì un’occhiata dura:
da quel
giorno, le prove generali erano terminate, e si entrava in scena con il
primo atto… Storia
di un bambino prodigio, ovvero: il colpevole è sempre la
volpe dagli occhietti malvagi…
Il bambino rise, nel suo lettino caldo. Non era ancora completamente
addormentato… sorrideva, un dolcissimo angelo dai capelli
castani, ma Aizen già sapeva che qualcosa si agitava nel suo
piccolo cuore.
Posso lasciare la luce
accesa? Per favore…
No, piccolo Sosuke. La
luce va
spenta, quando si va a nanna. Altrimenti, domani come farà
il
sole a svegliarti con la sua luce dorata?
Il piccolo si drizzò sopra le coperte: un faccino disperato,
le manine giunte, un vero attore…
Ma io ho paura,
mamma… nel
buio ci sono i mostri! Quelli che dice sempre
papà… i
pholli, gli holli… gli Hollipop!
Lo scoppio di una risata squillante, argentina: Aizen era ancora in
piedi nella stanza, ma sapeva che la scena era cambiata: non
c’era più lui sul palco, seduto sul letto, a
parlare con
il bambino, ma una donna esile, dai capelli del suo stesso colore e dal
sorriso dolce e rassicurante, che lo abbracciava stretto
stretto… il piccolo sembrò un tantinello offeso,
e la
spinse via, imbronciato.
Non ridere!
L’ho sentito
papà, l’altra sera a cena! Mi avevi mandato a
letto, ma io
ho aspettato che tu te ne fossi andata e mi sono nascosto nella stanza
accanto… sono stato bravo, mamma! Nessuno di voi due mi ha
sentito! L’ho capito, sai, che papà è
sempre via
perché va a combattere gli Hollipop! Ha detto che ha ucciso
il
loro capo, che si chiamava Tatolode, ed era più piccolo
degli
altri per nascondersi meglio, ed era fortissimo e…
Ma al piccolo Sosuke la voce morì in gola, perché
si era
accorto del cambiamento sopravvenuto nello sguardo della madre:
qualcosa non andava… gli occhi della donna si erano riempiti
di
rabbia, la bocca era una linea diritta…
…mamma?
Lo schiaffo arrivò inatteso, e gli fece male.
Non devi mai
più origliare.
Hai capito, Sosuke? Non devi MAI PIU’ permetterti di
ascoltare
quando mamma e papà parlano per conto loro. Sono cose che ai
bambini non devono interessare…mi hai capito, Sosuke?
Il piccolo la guardò con occhi pieni di lacrime. Era scosso:
il
primo schiaffo della sua vita, perché mai la mamma lo aveva
sfiorato, se non per fargli una carezza… la sua prima
esperienza
con il dolore…
M-ma mamma…
mi
dispiace… guarda che io sono contento che papà
combatta
gli Hollipop! Papà è forte, e coraggioso! E anche
tu sei
coraggiosa… io lo so che tu lo vai ad aiutare, che combatti
anche tu! Ecco perché sei ferita…
Ferita? Di cosa stai
parlando, Sosuke?
Ora la donna era impallidita; istintivamente si portò la
mano
alla spalla, e altrettanto di scatto la allontanò,
riportandola
in grembo. Stava tremando.
Lì sotto,
sulla spalla… io sento che ti fa male, sento quando alle
persone fa male qualcosa…
Un fruscio di seta, la sagoma bianca che si alzava di scatto e si
allontanava, lasciandolo solo al centro della stanza scura, a fissare
la porta sul corridoio, sconvolto. Il giorno dopo la madre sarebbe
tornata, e lui avrebbe capito che gli voleva ancora bene: che non aveva
fatto nulla di sbagliato. Ma il mattino era ancora lontano, quando il
lume sul comodino si spense ed il buio lo avvolse…
Quel ricordo non se ne sarebbe mai andato, per quanti secoli Sosuke
Aizen potesse attraversare. Non faceva più male, comunque.
Proprio no. Aizen aveva smesso di soffrire da tempo. Aizen non aveva
paura di nulla.
Non
c’è nulla da temere
nel buio, piccolo. Avrai tutto il tempo di impararlo: nel buio ci puoi
vedere quello che vuoi. E neanche degli Hollipop
c’è da
avere paura. Non c’è nulla da temere davvero, al
mondo.
Il bambino si addormentò, finalmente: Aizen
sbatté le
palpebre, tornando al presente, e si rese conto che il suo piccolo
viaggio nei ricordi gli aveva risparmiato la maggior parte della
tiritera di Yamamoto.
Il mio cervello ha
pietà di
me, oggi… su, vecchio, recita fino in fondo la parte che ti
ho
assegnato. Incorona il Re che io ho scelto per te.
“… pertanto, avendo egli superato
l’esame e
raggiunti i necessari requisiti, nomino il Luogotenente della Quinta
Compagnia Ichimaru Gin Capitano della Terza Divisione. Congratulazioni,
Capitano. E’ per me un onore accoglierti come un
figlio.”
Il neo capitano si inchinò, e si affrettò a
prendere posto in uno degli spazi liberi.
Razza di
ipocrita… scommetto
che non hai dato neanche un’occhiata, ai tuoi veri figli.
Ukitake
sembra piuttosto triste… a Kyoraku, poi, non riesco neppure
a
vedere gli occhi; ha abbassato il cappello sulla fronte. Se solo li
avessi ascoltati, quando ti hanno supplicato di risparmiare Shinji e
gli altri, ora potresti vedere la mia spada puntata alla tua gola: ma
gli ordini dei 46 erano chiari, non è vero?
L’onore della
Soul Society prima di tutto, come quella volta… nessun
compromesso. Ma in fondo ti devo ringraziare… è
grazie a
te, che ho potuto vedere chiaro dentro me stesso, e nel cuore del
mondo. Per questo, ti garantirò una morte rapida, quando
sarà il momento.
Un sorriso increspò di nuovo le sue labbra, mentre i
Capitani
rompevano i ranghi. La figura snella di Soi Fon scomparve
semplicemente, invisibile all’occhio, sulle ali di uno
Shunpo;
Byakuya Kuchiki, la cui nomina in seguito alla morte di Ginrei aveva
preceduto quella di Gin di poche settimane, gli passò
accanto,
altezzoso e regale come sempre… il passo pesante di Komamura
Saijin, del cui segreto era uno dei pochi, fidati custodi,
sparì
oltre la porta…
Così giovani,
così giovani…
Gin lo deliziò con un altro dei suoi sorrisi storti: come da
copione, rispose con una smorfia di disgusto, assicurandosi che
Kyoraku, l’ultimo rimasto nella stanza, lo notasse
chiaramente.
Poi uscì anche lui, incontro al sole del pomeriggio.
Che si alzi il sipario,
dunque…
-----------------------------
Complici le ombre della notte, quasi nessuno notò la figura
sottile che percorreva il delizioso sentiero fiancheggiato da alberi
che conduceva agli alloggi della Quinta Compagnia. Non che il
silenzioso visitatore si preoccupasse eccessivamente di non essere
notato: uno dei vantaggi di essere diventato un Capitano era proprio
quello, il fatto di non dover più rendere conto a nessuno
dei
propri spostamenti; vantaggio che sarebbe stato sfruttato a dovere, nei
mesi successivi…
Lungo il percorso, incontrò un paio di sentinelle di
pattuglia:
lo divertì il fatto che sembrarono colti da terrore solo dopo
averlo riconosciuto. Sospettava che, quando fosse entrata in carica, la
piccola Hinamori sarebbe stata accolta con grande sollievo come nuovo
luogotenente…
Beh, io ho fatto tutto
quello che
potevo per incoraggiare le amicizie! Deve esserci qualcosa che non va
nel mio dopobarba… o forse sono semplicemente troppo
simpatico,
e la gente si sente minacciata dalla mia verve…
Terminato lo scambio di convenevoli, Ichimaru Gin riprese la sua
passeggiata, diretto alla fioca luce che si scorgeva in lontananza:
l’ufficio del Capitano Aizen si trovava un po’
discosto dai
dormitori, circondato da aiuole e cespugli ben curati.
Sostò per qualche attimo al di là del cerchio di
luce delle torce: il
Capitano Aizen era seduto su di un cuscino di seta, apparentemente
intento ad esercitarsi in calligrafia; con grazia estrema, faceva
scorrere il pennino sul foglio, lentamente, con mano esperta, sotto gli
occhi del terzo seggio Momo Hinamori che lo guardava amorevolmente.
Sembravano immersi in conversazione: ogni tanto Gin li sentiva
scoppiare a ridere. Una deliziosa scena di vita quotidiana…
un
ufficiale fortunato. Una Divisione fortunata. Un uomo che pareva avere
avuto tutto dalla vita; l’amore, e la serenità, il
rispetto dei subordinati… eppure, intenzionato a spogliarsi
di
ogni traguardo raggiunto. Inutile chiedersi perché, arrivati
a
quel punto, Gin lo sapeva fin troppo bene; il dado ormai era tratto, e
non restava che giocare. Perché, dunque, si preparava ad
indagare nei segreti di quell’uomo? La risposta,
come
spesso accadeva per le domande che Gin si poneva, era molto semplice:
era curioso. Tutto lì.
Fece un passo avanti e rivelò la sua presenza; Hinamori
trasalì al suo apparire, e portò istintivamente
la mano
all’elsa della spada: Aizen, rapido, le appoggiò
una mano
sul braccio, facendola rilassare immediatamente. Il suo ex-Capitano lo
scrutò freddamente: “Sei in anticipo, Gin. Eri
così
desideroso di vedermi?”
“Bé, Cap, è che sai… uno non
può
immaginare quante scartoffie un Capitano è costretto a
compilare, finché non si ritrova nei suoi panni. Ne
avrò
per tutta la notte… ma d’altro canto, ti avevo
promesso un
salutino… se hai qualcosa di meglio da fare, io ti capisco!
Fa
niente…” con un ghigno storto, spostò
gli occhi
lentamente dall’uno all’altra. Hinamori sembrava
equamente
divisa tra timore e disgusto: Aizen sostenne il suo sguardo in maniera
simile per qualche secondo, poi si rivolse alla luogotenente a bassa
voce: “Hinamori, devo chiederti di uscire per qualche
minuto… io ed il Capitano Ichimaru dobbiamo parlare in
privato.
Non credo di aver bisogno di assistenza, ma… posso chiederti
di
radunare i nostri quarto e quinto seggio, e di montare la guardia qua
fuori? E’ una semplice precauzione…”
Gin non riuscì ad udire la risposta, ma vide la piccola
Hinamori
ritirarsi, senza togliergli un attimo gli occhi di dosso; non appena la
porta si fu chiusa alle sue spalle, Aizen fece un mezzo sorriso ed
estrasse la sua Zanpakuto dal fodero appoggiato al tavolino,
conficcandola nelle assi del pavimento: era il segnale che, protetta
dai poteri di Kyoka Suigetsu, la conversazione poteva iniziare.
“Sono rimasto sorpreso nel ricevere il tuo telegramma.
Credevo
avessimo stabilito di incontrarci il meno possibile d’ora in
avanti, per non dare nell’occhio…”
Il Capitano della Terza Compagnia si limitò a prendere posto
accanto a lui, distendendo le gambe con soddisfazione: “Ohi
ohi
ohi… tutte quelle ore in piedi durante la cerimonia, e poi
all’ispezione delle truppe… e pensare che da
bambino
sognavo la “comoda” vita della
Seireitei… ma in
fondo è sempre meglio che morire di fame, o passare le
giornate
a cercare di sfuggire a qualche maniaco…”
Il sorriso dell’altro si allargò sornione:
“Molto
bene… Devo dedurne che la tua piccola ricerca è
finalmente andata a buon fine?”
Gin rimase per un attimo interdetto, poi riprese, ghignando a sua
volta: “ Perspicace come sempre, eh. Sì,
è andata a
buon fine.”
“Quando?”
“La farfalla infernale ha fatto rapporto ieri sera; i tuoi
uomini
l’hanno identificata al confine con il sessantesimo
distretto,
e
hanno immediatamente inviato le immagini, è proprio lei, non
ci
sono dubbi… Naturalmente, non sa che ci siamo io e te dietro
a
tutto; sembrerà che l’abbiano individuata per
caso, e le
pratiche per la sua ammissione all’Accademia sono
già
state avviate… del resto, è estremamente dotata,
scommetto che brucerà le tappe
dell’addestramento…”
“Il che mi costringe a ricordarti i termini del nostro patto,
Gin: niente distrazioni. Il piano viene prima di tutto.”
Il sorriso di Gin si incrinò; con una sfumatura di rimpianto
nella voce, replicò: “… già,
già… Decima Compagnia, come stabilito.
Però, Cap,
avresti dovuto vederla! Irresistibile, con quel faccino
spaventato… poi, ha messo su un gran paio
di…”
“Bene, Gin. Sono lieto che tu ti sia tolto un peso dal cuore.
Ora… possiamo passare al motivo della tua visita? Per quanto
mi
renda felice assistere ad un evento raro come un tuo sorriso sincero,
per riferirmi della tua amica sarebbe bastato il telegramma…
non
avrai avuto qualche ripensamento…?”
domandò Aizen,
guardando il suo luogotenente in viso per la prima volta.
Questi non rispose immediatamente; per qualche minuto,
nessuno dei due disse una parola. Tutto attorno a loro era pacifico, il
silenzio spezzato soltanto dal frinire dei grilli e dal fruscio delle
fronde.
Infine, Ichimaru sospirò e rispose:
“Nah… nessun ripensamento. Ho ottenuto tutto
quello che
desideravo, dopotutto: sono vivo. Sono al top della catena alimentare;
sono riuscito a proteggere la donna che amo… e presto lei
sarà in grado di difendersi da sola. E tutto questo lo devo
a
te, Capitano Aizen: no, non ci ho ripensato, e ti seguirò
nel
purgatorio… e poi nell’alto dei cieli, se
è davvero
lì che vuoi andare.
Ma… c’è un ma, Capitano.
Ahimè, io sono solo
un povero ragazzo di Rukongai: devo dartene atto, all’inizio
eri
quasi riuscito a fregarmi! Se
mi seguirai, piccola volpe, siederai al mio fianco nell’alto
dei cieli; nulla potrà fermarci.
Ah, Capitano! Avevo solo tredici anni… un orfanello sporco
di
sangue, e poi arrivi tu e mi prometti il mondo! Roba che uno si
innamora!”
“Dubiti forse delle mie parole, Gin? Ho detto le stesse cose
anche a Kaname, e lui non era certo un bambino...”
“Oh, non metterti a giocare con me, adesso! Kaname è un
bambino; nessuno può davvero diventare adulto
finchè non può vedere il sangue sulla propria
spada.
Io invece sono cresciuto, Capitano; crisi ormonale, prima cotta,
perdita della verginità… casa, lavoro e famiglia.
Tutto
alle spalle. Beh, beh… forse la famiglia proprio no.
D’altronde, come farei con i bambini? Dopotutto faccio un
lavoro
ad alto rischio, non ti pare?” replicò Gin
ridacchiando.
“Ma... poi hai voluto strafare. Hai
parlato
della decadenza del Gotei 13, e dell’ipocrisia dei nobili,
che
restano al sicuro dietro pile di scartoffie mentre i loro sottoposti
muoiono in battaglia contro gli Hollow; dei milioni di anime che
soffrono la miseria nei distretti poveri di Rukongai… e poi
di
un nuovo trono nei cieli, di un nuovo ordine, in cui noi avremmo
regnato sugli Shinigami e sugli Hollow…”
“Ed ho mentito, amico mio?”
“Al contrario! Hai detto la verità…
già, esattamente
la verità che io e Kaname volevamo sentire.
Sì: noi
siamo quelli che non hanno mai avuto niente da perdere; noi
quelli che hanno sofferto la fame a Rukongai, e che non chiedono di
meglio che aprire una strada di sangue fino ad un Re così
bastardo da permettere tutto questo… ma tu, Capitano?
Tu sei nato nella Seireitei, un vero”sangue puro”;
tu eri
già potente, popolare e rispettato… tu hai sempre
avuto
tutto quello che uno potesse desiderare… o, perlomeno, questo
è quello che hai voluto far credere a tutti.
Già, perché ho fatto qualche piccola ricerca,
spinto
naturalmente solo dalla mia devozione al piano... e indovina che cosa
ho scoperto?”
“Che cosa, Gin?”
“Niente.
Assolutamente niente, a tal punto che in
tutti gli annali della Soul Society, il nome Aizen non compare nemmeno
una volta, fino alla nomina di un certo luogotenente della Quinta
Compagnia, più o meno duecento anni fa…”
Aizen rimase in silenzio, ma l’intensità del suo
sguardo
non intimidì minimamente Gin; ora sapeva che la domanda
sulle
sue labbra non solo non giungeva sgradita, ma neppure inaspettata: il
suo vecchio comandante stava di nuovo sorridendo, di quel sorriso
speciale che aveva sempre e solo riservato a lui…
l’espressione soddisfatta che indicava il superamento di
un’altra prova.
E forse questa
è davvero l’ultima, eh, Capitano Aizen?
“Così ho riflettuto, e mi sono detto: ok, so che
il
Capitano vuole salire nell’alto dei cieli; che è
abbastanza folle, o geniale per sfidare i pilastri
dell’Universo… ma, diavolo, dopo tutti questi anni
non gli
ho ancora chiesto perché
vuole farlo.” incalzò, e concluse:
“Così, te
lo chiedo adesso, Capitano… non vorrai lasciare proprio me
senza
una risposta, vero? Qual è la tua
verità?”
Aizen scoppiò in una risata dolce e tranquilla; rise a
lungo,
serenamente, come un bambino a cui è stata raccontata una
barzelletta divertente… poi, togliendosi gli occhiali ed
appoggiandoli in grembo, riprese asciugandosi gli occhi: “Ah,
Gin, non ho davvero più nulla da insegnarti… ero
sicuro,
sicuro che
la cosa non ti
sarebbe sfuggita a lungo. Bene, credo che tu abbia meritato di sapere, anche se temo che rimarrai
deluso… mi piacerebbe davvero poterti confessare che sono
riuscito a cancellare i dati su di me con un’abile
macchinazione,
o grazie ai poteri di Kyoka Suigetsu! Purtroppo, la mia
verità
è molto più banale…” e fece
una pausa.
“ Vuoi davvero udirla, Gin? Vuoi dunque sapere
perché
voglio salire dove nessun altro è mai arrivato? Ebbene,
eccoti
accontentato…”
---------------------------
“… verrà con me, donna, che tu lo
voglia o no, dovessi trascinarlo via per i capelli”
“No, non lo farà. Non lo costringerai. Non
sarà mai
uno Shinigami… non lascerò che tu lo trascini nel
tuo
mondo delirante!”
Il suono secco di uno schiaffo... il secondo. La donna dai capelli
castani fu scaraventata a terra, ma non smise un attimo di fissare in
volto
l’enorme Shinigami avvolto in uno haori scuro, che
avanzò,
una luce fredda nello sguardo.
“Non osare mai
più rivolgerti a me in quel modo. Ricorda che
mi devi rispetto…!”
La fragile figura di sua madre alzò il viso e si
passò
una mano sul labbro rotto, davanti all’occhio spalancato di
Sosuke: perché il bambino era in piedi dietro la porta, e
sbirciava dalla sottile fessura tra i battenti… il reiatsu
del
genitore lo aveva svegliato nel cuore della notte, e non aveva neppure
pensato al fatto che stava disobbedendo di nuovo nello scendere le
scale… era quasi un anno che papà non tornava a
casa.
Voleva vederlo…
“Rispetto?
Rispetto?” replicò la donna con una
risata stridula “A te? Ho sopportato per anni la bestia che
sei… gli insulti, le botte e… e… ho
fatto tutto
quello che hai voluto…”
Fu il turno dell’uomo di ridere sarcastico: “Vuoi
disturbare il sonno del nostro piccolo, Kyoko? Non urlerei
così
forte se fossi in te… pensavo di portarlo via con me domani
mattina, ma se lo fai svegliare, lo farò subito! Sai che non
sopporto i piagnistei…”
“Non lo
porterai via da me, ho detto!"
“Sei una maledetta ingrata! Dopo tutto quello che ho fatto
per
te… A chi credi di dovere questa bella casa, i
domestici…
e, riflettendoci bene,
anche il moccioso...?”
“Tutte cose che puoi riprenderti all'istante! Ma lui
no… lui non sarà mai tuo!”
Un altro schiaffo. E un altro ancora. E un altro…
- io lo sento, quando alle persone fa male qualcosa-
Poi sua madre fu spinta con violenza contro il muro e crollò
nuovamente a terra; Sosuke non riuscì a reprimere un
sospiro,
attirando l’attenzione di entrambi verso la porta: gli occhi
di
lei si sbarrarono allarmati…
Mamma!
“Sosuke! Torna immediatamente in camera tua! ORA!”
La sagoma imponente di suo padre fece due passi nella sua direzione;
l’espressione sul suo volto mal rasato era a metà
tra il
divertimento e il disgusto: “Ma guarda, il nostro piccolo
Sosuke
è sveglio… e guarda come si è fatto
grande.”
Sospinta da una forza invisibile, la porta si spalancò con
uno
schianto, mentre Sosuke indietreggiava impaurito. “Allora
è questo
il meglio che tua madre ha saputo insegnarti…
strisciare lungo i muri ed origliare le conversazioni degli altri! Un
comportamento vergognoso. Vieni qua, ragazzo: da domani mattina le cose
cambieranno. Otto anni, proprio l’età a cui
è
cominciato il mio addestramento. Donna, per stavolta
soprassederò al tuo atteggiamento ribelle. Ora và
a
preparare le sue…”
Si udì un rumore metallico, seguito da un sibilo minaccioso:
l’uomo dall’haori nero si voltò, ed il
suo ghigno si
incrinò per un attimo: la donna si era rialzata e lo fissava
con
occhi spiritati, brandendo una Zanpakuto comparsa dal nulla, il fodero
abbandonato per terra.
“Ti avverto, Aizen, sta’ lontano da lui!
Altrimenti…”
“Dopo tutta la fatica che ho fatto per farti ritirare dal
servizio attivo… non credevo fossi ancora capace di tirare
fuori
quella roba.” fu il commento sprezzante dell’altro,
ma non
pareva più così tracotante: “Ma ora mi
hai
stancato: preparati ad essere rimessa al suo posto,
donna…”
Non aveva ancora mosso un passo, che Sosuke aveva ceduto completamente
al terrore, ed istintivamente aveva spiccato una corsa, per cercare
rifugio presso la madre, grosse lacrime di paura che gli scorrevano
sulle guance; il padre lo catturò non appena gli
passò
accanto, afferrandolo per un braccio e sollevandolo crudelmente in aria.
“Ma-mammaaaah!”
“Piantala, moccioso, o te lo do io un buon motivo per
piangere...”
“AIZEN!!!”
Sembrò impossibile che un ruggito del genere potesse
provenire
da una figura così delicata: un’ondata di reiatsu
anomalo
inondò la sala come un fiume in piena, ricoprendo gli
oggetti
con una sorta di nebbiolina argentea, mentre la spada calava con un
preciso fendente in direzione del suo obiettivo…
“Dispiega,
Yuurei-Shinsen! Ali dello Spettro!”
Una folata di vento gelido e tagliente prese a soffiare nella sala,
sollevando le tende e facendo tremare le fiamme delle candele; la
nebbia sempre più fitta però non
accennò a
dissiparsi, anzi, acquistò spessore e cominciò a
ruotare
vorticosamente attorno al bambino ed al polso dell’uomo che
lo
teneva stretto, gonfiando i suoi vestiti… tutto accadde in
poco
più di dieci secondi.
Uno squarcio scarlatto si aprì lungo il braccio teso, dalla
spalla all’avambraccio, mentre uno schizzo di liquido caldo
ed
appiccicoso colpiva in pieno volto Sosuke, che sentì tra le
labbra un sapore metallico: suo padre, colto alla sprovvista,
grugnì di dolore e rabbia e perdette la presa… il
bambino
fu strappato dalle sue mani e sbalzato via, ma un attimo prima di
precipitare a terra fu avvolto dalle spire di foschia, che si avvolse
attorno a lui come un essere intelligente, fermandone la caduta e
depositandolo dolcemente sul tappeto, dove si accasciò
singhiozzante, il suo piccolo cuore che batteva forte…
“Sosuke, vai VIA! SCAPPA!”
MAMMA!
Rimase: paralizzato dal dolore e dallo shock, non c’era altro
spazio nel suo cervello che per le ultime immagini spezzate del suo
mondo stravolto, di quell'uomo che non era suo padre, che era uno
Hollipop venuto a divorare lui e la mamma, che era tutto il male ed il
buio e la paura e che aveva estratto la sua spada nera come la notte,
ringhiando come un animale feroce; il mostro si gettò in
avanti,
folle di furia omicida, disperdendo la corrente che aveva raggiunto
l’ intensità di un piccolo tornado, nascondendo la
donna
alla vista del bambino…
“Ci sei,
puttana!”
...e le candele si spensero.
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“… quella fu l’ultima volta che vidi mia
madre: i
domestici trovarono il suo cadavere pochi minuti dopo, credo, ma io ero
già stato portato via. Ti lascio immaginare come la faccenda
andò a finire; come avrei presto scoperto, mio padre era un
Capitano del Gotei 13, e mia madre… uno sfortunato ufficiale
di
seggio che aveva attirato la sua attenzione anni prima. Io ero il suo
unico figlio, e nella sua mente contorta, sarei dovuto diventare anche
il suo successore; mia madre commise l’errore di provare a
fermarlo. Doveva amarmi molto…
Non ci fu neppure un’inchiesta. A voler essere onesti, anni
dopo
venni a sapere che i nostri amabili colleghi Kyoraku ed Ukitake avevano
proposto
che mio padre venisse punito e destituito, ed io cresciuto a spese
della Seireitei; ma il vecchio Yama aveva ricevuto ordini
precisi… l’onore ed il prestigio del Gotei 13
sarebbero
stati macchiati irrimediabilmente da un processo per omicidio ad uno
dei Capitani: di fronte a questa vergogna, che cosa era mai la vita di
mia madre? Che cosa era mai la vita di un bambino di otto
anni?”
La voce di Aizen era irrealmente tranquilla; il suo tono era distante e
malinconico, gli occhi celati alla vista di Gin dai riflessi sulle
lenti. Il tenue sorriso con cui aveva cominciato a parlare non aveva
abbandonato il suo viso nemmeno per un secondo.
“Come sai, il ritiro di un Seggio non viene mai
ufficializzato;
non fu difficile insabbiare tutto, mettere i testimoni a tacere e
registrare il decesso di mia madre come avvenuto in missione. Ciliegina
sulla torta, mio padre ottenne il mio affidamento, e poté
cominciare ad “addestrarmi” a piacere, sempre che
di
addestramento si possa parlare: temo, ahimè, che non
corrisposi
mai alle sue aspettative…” ed Aizen fece una
pausa,
passandosi una mano tra i capelli.
“Immagino, Gin, che il giovane Hisagi ti abbia già
recapitato la Gazzetta della Seireitei come ogni mese, giusto?
C’era un articolo un po’ infantile, ma molto
interessante a
pagina 17…”
“Parli di quel sondaggio idiota che fanno una volta
all’anno sul presunto Ufficiale Comandante più
popolare?
Quello in cui sei in testa da, diciamo, cinque o sei lustri? Aw, se
penso che sono addirittura dietro a quel fricchettone di
Kurotsuchi…” rispose Gin. Si era sdraiato sulla
schiena,
le braccia pigramente incrociate dietro la nuca, apparentemente intento
a contare i tasselli di legno del soffitto.
“Proprio quello. Tra le altre cose, conteneva uno speciale
che mi
classificava, pensa un po’, come il Capitano più
potente
dopo il vecchio… e questo, nonostante non abbia mai mostrato
a
nessuno nemmeno la metà delle mie abilità
effettive.
Riesci a crederci, Gin?”
“Beh, in realtà non faccio fatica
a…”
“E ti sbagli. Non nego di essere arrivato ad un soddisfacente
livello in tutte le Quattro Vie, ma, come sai bene, mi sono anche
scontrato da un pezzo con il limite delle mie
capacità…” Aizen sospirò
tristemente.
“La mia padronanza del Kido ancora impallidisce di fronte a
quella di Retsu Unohana, dopotutto, e non solo la compianta Yoruichi
Shihohin, ma persino la piccola Soi Fon mi ha sorpassato
nell’efficacia dello Shunpo; anche l’unico vero
talento che
mi
sia sempre attribuito, e cioè un intelletto acuto, ha
trovato il
suo degno rivale dall'ingresso sulla scena di Kisuke Urahara…
Il potere in me si era manifestato con eccezionale
precocità; ma
era un potere mediocre… e tanto più mediocre
appariva a
mio padre, che sperava di forgiarmi, questa era la parola che
usava… in un paio di occasioni arrivò a spezzarmi
le
braccia, rammento; di solito le nostre toccanti serate padre-figlio si
concludevano quando cominciavo a sputare sangue, e non ero
più
nemmeno in grado di strisciare fino al mio letto per leccarmi le
ferite, mentre lui si allontanava inviperito dandomi
dell’essere
inutile.
No, amico mio, non sono mai stato un bambino prodigio… come
te.”
Gin sbadigliò vistosamente, cominciando a grattarsi la
testa;
Aizen proseguì, facendo finta di niente: “Non feci
alcun
progresso nelle mani di quell’uomo, nonostante volessi
diventare
forte quanto e più di lui… perché
presto desiderai
ucciderlo, naturalmente; perché la mia fanciullezza ebbe
presto
termine, non appena smisi di versare lacrime nel buio per mia madre e
cominciai a sognare il momento in cui avrei trafitto il cuore di chi mi
aveva portato via l’innocenza. Cominciai a non provare altro
che
odio, verso mio padre e verso tutti gli Shinigami, e nella mia
immaturità speravo che quell’odio mi avrebbe reso
più forte…
Ma era tutto inutile: dopo qualche decennio, disgustato, perse
finalmente interesse e mi abbandonò all’Accademia,
ormai
un giovane schivo e complessato, divorato dal desiderio di vendetta e
disperato per la sua debolezza… Gli anni presero a scorrere
veloci, Gin, e mi vergogno nel ricordare quanto fui ostinato nella mia
ricerca di vendetta…”
-------------------------------
La galleria degli specchi. Pavimenti di moquette rossa. Fruscianti
tende di perline che ricoprono in egual misura le aperture e le
superfici riflettenti, ingannando l’occhio e costringendo il
giovane Shinigami a procedere a tentoni, sbattendo contro i vetri,
imboccando vicoli ciechi, aggirandosi angosciato in un labirinto di
forme spettrali… i riflessi distorti della sua magra,
sproporzionata figura adolescente che si contorcevano ghignanti. Il suo
mondo interiore: null’altro che un fragile gioco di specchi.
“Ti prego. Non scappare. Dimmi il tuo nome, ho bisogno di
te!”
“…scappare? Ma piccolo Sosuke, sei tu che stai
fuggendo da
me! Ogni passo che fai, ogni svolta che prendi ti allontana sempre di
più dal centro del labirinto. Io sono una che ci tiene alle
buone maniere: non posso proprio dare confidenza ad uno che non riesco
neppure a vedere in faccia...”
“Ho bisogno di te! Per favore, dimmi come ti
chiami… per
distruggerlo, per vendicare la mamma… ho bisogno della
forza!”
La risata della sua Zanpakuto riecheggia divertita lungo i corridoi di
vetro: le superfici scintillanti stridono e si incrinano, spezzando le
immagini in mille frammenti grotteschi; lo Shinigami è
costretto
a coprirsi il volto con le mani, per proteggersi dalle schegge
taglienti…
“La forza… La forza! Vendicare la nostra povera
mamma,
morta per salvarci! Lo vedi, piccolo Sosuke, che sei sempre
più
lontano? Sei rimasto un bambino… un bambino imbronciato
perché gli hanno rubato il suo giocattolo
preferito…
vorresti la forza per punire il ladro, non è vero?
Per
punire tutti i ladri di questo mondo, e per riparare a tutte le
ingiustizie…povero, piccolo bambino disilluso. La forza la
possono ottenere in tanti, ma quello che ti offro io è il
potere
più grande di tutti: e non lo avrai mai, finché
insisti a
guardare il tuo riflesso negli specchi. Il mondo è
così
grande, Sosuke… credi che la tua sia l’unica madre
al
mondo che è stata uccisa davanti agli occhi del figlio? O
che
l’Universo si arresti davanti alle porte della Seireitei? No,
Sosuke. Il mondo è immenso, e tu ti ostini a pensare in
piccolo… finché questi specchi non rifletteranno
che la
tua immagine, non ti permetterò di pronunciare il mio
nome!”
------------------------------------------
“Ok, ok, Cap. Guarda che se hai intenzione di
tenere per
te i tuoi piccoli segretucci, bastava dirlo
prima…”
sbottò improvvisamente Ichimaru, raddrizzandosi finalmente
con aria
stizzita. Aizen si interruppe e lo guardò con
curiosità.
“Sei stato tu ad insistere. Te l’avevo detto che
era una storia noiosa…”
“Questa non è una storia, è un romanzo
Harmony!
Davvero commovente… E spiega proprio tutto, neh! Il nuovo
ordine, l’odio per gli Shinigami, il desiderio di salire in
alto,
di essere davvero il più forte di tutti… tutto ha
origine
da una così nobile vendetta! Ma che animo pieno di
giustizia, Capitano! Quasi un santo!
Scommetto che la piccola Hinamori ne trarrà motivo di
consolazione, quando le spezzerai più o meno letteralmente
il cuore... E il
Capitano Hirako, ovunque si trovi, apprezzerà che il suo
nuovo
make-up permanente sia stato provocato con intenti così
nobili!” continuò l’altro, agitando le
braccia in
maniera teatrale. “Queste sono parole degne di Kaname, e
non
mi piacciono nella tua bocca… perché tu non sei
un santo,
Capitano Aizen: tu ti stai divertendo…
almeno tanto quanto me.
Nutrivo la speranza che alla fine avresti voluto confidarti, ma ehi!
Pazienza… non mi infilerò nel mio futon a
piangere.
Ma non insultare la mia intelligenza inventandoti una storia
strappalacrime…”
“Ma è una storia a lieto fine. Non vuoi sentire il
resto?
“…che, tra l’altro, fa acqua da tutte le
parti!
Dico, non lo avessi detto adesso,
che il nome Aizen non compare nemmeno
una volta negli annali! E vieni a dirmi che Babbo Bastardo era un
Capitano? Gli archivi tengono traccia di tutti coloro che raggiungono
il…” ma si bloccò improvvisamente,
colpito da un
pensiero improvviso; la sorpresa nella sua reazione fu così
evidente che Aizen, per un attimo, riuscì ad intravedere le
sue
pupille.
“…Bankai?” concluse per lui, annuendo
condiscendente.
L'altro ci mise qualche secondo a riaversi dallo stupore; dovette
constatare che in quel modo tutto acquistava un senso... come diavolo aveva fatto a non pensarci prima!?
“Stai scherzando, vero?”
“Affatto. Hai detto bene, non c’è alcuna
possibilità che il nome di qualcuno che ha raggiunto il
rango di
Ufficiale Comandante non venga registrato negli annali della Soul
Society… ma è possibile che tale nome venga
cancellato, a
seguito di un avvenimento così vergognoso da costituire
un’onta per tutto il Gotei 13: un fatto, ti prego di notare,
molto più grave agli occhi del Consiglio persino di un'accusa
per omicidio…”
“… come, per esempio, subire
un’umiliante sconfitta
e venire massacrato davanti a centinaia di subordinati, magari ad opera
di uno sconosciuto straccione, sbucato fuori dal nulla alla periferia
di Rukongai…” sussurrò rapito il suo
luogotenente,
mettendo insieme gli ultimi pezzi del puzzle.
“Un ottimo esempio, sono lieto di vedere che stai al passo.
Il
nome Aizen venne effettivamente sradicato dagli archivi
duecentotrentasei
anni fa; mio padre era il precedente Capitano dell’Undicesima
Divisione… e fu ucciso da Kenpachi Zaraki.”
continuò Aizen.
“Quel giorno, la mia vita fu stravolta per la seconda volta:
retrospettivamente, non
esito a dire che il cambiamento per me fu epocale. Io ero
lì, amico
mio, e vidi tutto… riesci ad immaginare mesi, anni, decenni
passati ad allenare corpo e mente, giorno e notte, quasi un secolo
dedicato a coltivare il seme della rabbia in solitudine, a sognare il
giorno in cui avrei abbattuto il mio mostro… tutto spazzato
via
da un singolo colpo di spada?
In dieci minuti, la belva giaceva a terra, uccisa non dal suo
giustiziere, ma da un’altra belva ancora più
sanguinosa:
Zaraki mi derubò della mia vendetta e del mio
scopo… e di
fronte alla sua risata maniacale sul cadavere sventrato, raggiunsi
finalmente la comprensione.
Capii ciò che era stato la mia vita fino a quel punto: una
semplice prigione illusoria, in cui avevo immaginato di essere
destinato ad uccidere mio padre; compresi che il destino non esisteva
affatto, e che parole come “giustizia” e
“forza”, di cui ogni Shinigami ama riempirsi la
bocca, non
avevano in realtà alcun significato all’infuori di
quello
che le costringevamo
ad avere; tutto quello che la mia Zanpakuto aveva
cercato di farmi capire, tutto quello che avrebbe fatto di me
ciò che sono fu improvvisamente chiaro come la luce del
giorno.
Perché cominciai a guardare la folla che mi stava attorno,
con
il distacco di un ubriaco, e mi accorsi che i loro sguardi riflettevano
altrettante illusioni; alcuni Shinigami sussurravano tra loro, altri
sembravano eccitati, altri sconvolti, mentre gli ufficiali tentavano
inutilmente di rimettere ordine in quella confusione; quanti tra loro
avevano perso una madre, o un fratello, o un figlio…?
Soltanto lui,
la belva, si allontanava con noncuranza, gettandosi il
mantello insanguinato di mio padre sulle spalle, senza voltarsi
indietro; quel giorno mi resi conto che soltanto lui era libero,
perché viveva immerso fino al collo nella morte e nel
dolore, ma
non ne era toccato: era libero, ed innocente, e si divertiva,
perché non aveva mai preteso di dare un senso alla sua
esistenza.
La mia illusione di giustizia e vendetta era stata
frantumata… e
credo che non potrò mai ripagare questo debito con il nostro
folle collega.
Rientrai in caserma, e dormii un sonno sereno e senza incubi, come non
era mai successo da quella notte in cui mi era stata rubata
l’innocenza: sognai migliaia di specchi che si frantumavano,
e
lei mi
apparve sorridente, lieta che avessi finalmente capito: alle
prime luci dell’alba mi svegliai, e finalmente conoscevo il
suo nome; meno di
un mese dopo, pronunciavo per la prima volta la parola
Bankai.”
concluse Aizen, e si voltò verso l’amico.
Trovandosi di fronte l’ennesimo, furbo ghigno,
rammentò
ancora una volta cosa lo avesse spinto, dopo secoli di pianificazione
solitaria, a prendere con sé un piccolo assassino dai
capelli d’argento.
“Poi ti incontrai per caso, Gin”
proseguì senza
smettere di fissarlo “e non dubitai per un istante di aver
trovato uno spirito simile al mio: anche tu, che eri solo un bambino,
eri ritto al fianco di un cadavere, e sorridevi… avevi forse
visto che il colore del suo sangue non era diverso dal tuo,
così
come quello di mio padre non mi era apparso diverso da quello di mia
madre? Ti eri reso conto anche tu che non aveva senso ritenere una
vita, forse nemmeno la propria, più importante delle altre,
se
una spada è in grado di spegnerle tutte con tanta
facilità? Forse no. Dopotutto, c’è nel
tuo cuore
una vita per la quale saresti pronto a donare la
tua…”
“Ehi, un uomo deve pure avere un punto debole… la
cosa,
come vedi, non mi ha fatto rinunciare a divertirmi!”
replicò Ichimaru in tono noncurante.
Aizen annuì di nuovo, sorridendo.
“Così, quello è diventato il tuo
traguardo…
il cielo è diventato il mio. Perché nonostante
tutto, le
persone sono imperfette, ed anche coloro che vedono attraverso le
illusioni non possono esistere senza scopo: che sia
l’ebbrezza
del combattimento, la curiosità intellettuale o un grande
amore… non possiamo evitare di aggrapparci a qualcosa, anche
se
ne riconosciamo la futilità.
Per questo, ho deciso di conquistare, se mi riesce, l’alto
dei
cieli. Possiedo il potere di governare le illusioni degli altri , dando
loro ciò che più desiderano o precipitandoli
nella
disperazione, e lo userò, per giocare, recitare, costruire,
governare… per vedere fin dove riesco ad arrivare, per
mettermi
alla prova con il mondo insensato retto da un Re e da angeli ipocriti,
fino ad aprire un varco nelle nuvole… e quando
sarò
arrivato lassù…” ma improvvisamente si
interruppe.
Ormai consumata completamente, una delle torce appese ai muri si era
spenta all’improvviso, immergendo nell’ombra la
zona in cui
era seduto Ichimaru, che si voltò istintivamente verso il
mozzicone; con la coda dell’occhio, allo Shinigami parve di
vedere per un istante Aizen irrigidirsi… ma quando si
voltò di nuovo verso di lui, il suo Capitano era
perfettamente
tranquillo, e gli sorrideva alzando le braccia a mo’ di
scusa:
“Ah, che peccato! Pare proprio che la nostra chiacchierata ci
abbia fatto
perdere il senso del tempo! La povera Hinamori deve essere ancora
lì dietro a morire di sonno… Cosa dici, Gin,
posso congedarti
senza apparire scortese?”
Gin diede in un lungo sbadiglio e si rialzò faticosamente,
stiracchiandosi:
“Uurgh!
Ma sììì, perchè
no… in realtà
non l’ho detto prima per non fare brutta figura, ma anche a
me si
stanno proprio chiudendo le palpebre… più
del loro solito, potrei aggiungere per fare un pò di
autoironia.
Grazie per avermi dedicato del tempo, Capitano Aizen.”
“Hai avuto le risposte che cercavi?”
domandò l’altro.
Gin ghignò con aria complice, smontando dal soppalco
sull’erbetta del sentiero: “Ho avuto quelle che mi
servivano. Dopotutto, hai realizzato la mia illusione:
sarei proprio un ingrato se non ti aiutassi a realizzare la
tua…”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, l’uno in piedi e
l’altro seduto, a fissarsi negli occhi, come due bambini che
facciano a gara a chi distoglie per primo lo sguardo.
Poi Gin si voltò e prese a risalire il sentiero, con le mani
nelle tasche.
“Sei davvero
un ragazzo intelligente, Gin… sono fortunato
ad averti al mio fianco.” mormorò Aizen a voce
bassa.
Ichimaru agitò un braccio in segno di saluto.
------------------------------------
“Davvero non ne comprendo
l’utilità!”
borbottò Szayel Aporro Grantz, rivolto più a
sé
stesso che ai suoi due illustri ospiti; non era cosa di tutti i giorni che i luogotenenti di Aizen, Kaname Tosen ed Ichimaru Gin,
venissero a fargli visita nel suo laboratorio, anche ora che i lavori
di costruzione della possente fortezza di Las Noches erano finalmente
completati.
A trent’anni di distanza dal turbolento incontro tra Sosuke
Aizen
e il Dio Re dello Hueco Mundo (ora Segunda Espada Barragan Luisenbarn),
centinaia di torri d’avorio circondate da mura punteggiavano
le
sabbie dello Hueco Mundo, raccolte attorno alla cupola centrale che
ospitava la Sala del Trono e i quartieri degli Espada.
La fioca luce lunare che penetrava dalle finestre non era sufficiente a
rischiararne l’interno, ed il luogo era perennemente immerso
nella penombra: comunque, nulla che giustificasse il ricorso ad un
meccanismo di quelle proporzioni, secondo l’opinione
dell’Arrancar.
“Né è richiesto che tu la
comprenda”
replicò Tosen, asciutto. “E’ un ordine
diretto di
Sua Eccellenza Aizen, e questo è tutto ciò che ti
serve
sapere.”
“Ma stiamo parlando di dirottare il 60% della produzione
energetica di Las Noches in un meccanismo di nessuna valenza
pratica!” insistette l’Octava. Visibilmente
contrariato, si
avvicinò ad un' enorme leva situata vicino ad un quadrante
luminoso che rifletteva uno schema della cupola.
“… disse quello che impiega da solo per i suoi
giochini
tutto il rimanente. Per la centesima volta, comunque,
serve per il monitoraggio…” tentò Gin,
conciliante.
“Assurdo! Disponiamo di Numèros il cui pesquis
è
già un sistema efficace, per non parlare del complesso di
telecamere già installato…”
“Sì, ma vuoi mettere l’effetto estetico?
Su, da
bravo, facci vedere come sei bravo a pasticciare con i cavi
elettrici…”
Le labbra arricciate in disapprovazione, Szayel Aporro
abbassò
la leva, ed un ronzio di intensità crescente si
propagò
all’interno della cupola; la sua superficie interna
cominciò a mandare bagliori incerti simili a lampi, poi
tornò nera come la pece; infine, con un ultimo tremolio, si
accese di azzurro intenso, assestandosi rapidamente in una perfetta
copia del cielo terrestre, punteggiato da nuvole bianche: la cupola di
Las Noches era ora perfettamente illuminata a giorno.
“Comunque, insisto
che è uno spreco di risorse
inaudito” continuò l’Espada incrociando
le braccia
sul petto, imbronciato. “Dico, neanche Sua Eccellenza avesse
paura del buio…”
“Szayel Aporro! Questa è mancanza di
rispetto!” lo rimproverò Tosen stringendo i pugni.
“Heee! Secondo me, invece, è molto
divertente… te
lo immagini, Cap che se ne va a letto con l’orsacchiotto?
Questa
al prossimo tè gliela racconto… paura del buio!
Vedrai,
si divertirà un sacco anche lui…” disse
Gin.
Non aveva smesso un attimo di sorridere.
--------------------------
NdA:
Dedicato a Stateira, perchè il primo flash per
scriverlo mi è venuto leggendo il capitolo "Kyoka Suigetsu -
Io sono solo un gioco" della sua bellissima fic "Zanpakuto". Dategli un'occhiata, vale davvero la pena!
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Capitolo 3 *** Tercera ***
Tercera
Alla fine
dell’estate chi è stato
l’ultimo ad
uscire dal mare?
L’ultimo
è tornato a casa
senza chiudere il
coperchio del mare
E da allora per tutto
questo tempo
il mare è
rimasto scoperchiato
La terra è
sommersa dall’acqua del mare
le maree aumentano e
influenzano la luna
E visto che il mare
è rimasto scoperchiato
la luna si è
gonfiata in un plenilunio fasullo
Non guardare il viola
all’esterno
dell’iride che
circonda la luna: è un veleno!
La notte si estende
senza mai sovrapporsi
Ormai è da
giorni che siamo fermi a ieri
Alla fine
dell’estate chi è stato
l’ultimo ad
uscire dal mare?
(Banana Yoshimoto, Il coperchio del mare)
Il cielo si dissolse, esplodendo in centinaia di schegge taglienti come
pezzi di ghiaccio, come frammenti di uno specchio crepato; e lei
sentì la sua voce, calda e avvolgente come le onde
dell’oceano, parlare di acqua e di specchi, e di come anche
lui avesse sempre amato i riflessi sulla superficie.
Il mare tornò ad essere blu e nero; il rosso del sangue e
della collera svanì per sempre, lasciando solo la pallida
luce della luna ad illuminare il suo meraviglioso corpo nudo.
Non fecero l’amore, quella notte, anche se sarebbe capitato
qualche volta, nei lunghi mesi successivi; perché, sotto il
suo sguardo divertito, lei si tuffò convulsamente
nell’oceano, investita da un impeto di gioia e di sollievo,
accogliendo dentro di sé il fresco salato come una
benedizione azzurra, i suoi ricordi che riaffioravano a sprazzi,
spezzando le catene della follia che per troppo tempo
l’avevano dominata.
Era libera; ma nemmeno il suo amato mare sarebbe riuscito a cancellare
l’orrore… nuotò a lungo, con foga e
furore, sperando che le correnti lavassero via dal suo corpo il
passato: ma non ritrovò ciò che aveva perso,
né riuscì a ricongiungere le sue lacrime al luogo
primigenio da cui era venuta al mondo.
Avrebbe ricordato, per sempre; avrebbe odiato per tutta
l’esistenza che le rimaneva, con l’unica
consolazione di saperne il motivo, finalmente.
Seduto sulla riva, in attesa del suo ritorno, l’uomo che le
aveva ridato il mare scrutò il cielo, malinconico, e
pensò che certe creature sono davvero sfortunate: non
possiedono nulla che possa essere rubato, ma a dar retta alle fiabe,
l’Universo invidioso trovava comunque il modo di strappar
loro qualcosa… e lui, che nella sua esistenza secolare non
aveva mai versato lacrime, si chiese oziosamente se ella avrebbe mai
rimpianto il pianto ed il sorriso, come la sua illustre sorella aveva
rimpianto la voce perduta per amore.
-----------------------------
Li amava, gli esseri umani. Era giovane, per una della sua razza, e
curiosa, e anche se aveva girato gli oceani di mezzo mondo, si chiedeva
perché, dovunque andasse, quella fosse l’unica
specie che era presente dappertutto, dalle spiagge tropicali, alle
lagune isolate, ai fiordi ghiacciati.
Si chiedeva perché, in ognuno di questi luoghi, tutti gli
altri animali, grandi e piccoli, prede e predatori, la chiamassero con
un unico nome, sussurrato in migliaia di versi differenti: morte.
Lei non sapeva ancora il significato di quel nome, ma percepiva il
terrore in quei versi, e non comprendeva, lei che aveva una volta
salvato uno dei loro cuccioli dall’annegare in una baia, ed
aveva visto la dolcezza e il sollievo nelle lacrime della madre.
E più guardava, più la curiosità
prendeva il sopravvento: e scoprì la loro musica, la melodia
delle canne intagliate e delle corde tese, così diversa dal
mormorio degli abissi: e scoprì, lasciando sempre
più di frequente gli oceani aperti per i torrenti, e poi per
gli stagni, che erano davvero creature speciali, diverse da tutte le
altre: che il loro modo di amare era più intenso e duraturo,
il loro essere felici più completo, la loro mente
più potente di qualunque cosa avesse visto.
Ma non poteva lasciare le rive per unirsi a loro: né ebbe
mai modo di accorgersi di come anche la loro sofferenza fosse maggiore,
e di come soli, tra tutti gli esseri del creato, fossero consapevoli
dell’inevitabilità della fine che attendeva tutti
gli esseri viventi…
Passava la maggior parte dell’anno in quelle acque,
poiché quelle erano le sue isole più care.
Lì la donna che le doveva la vita di suo figlio le aveva
insegnato un poco la lingua della loro gente: grazie a questo era stata
più vicina agli esseri umani di quanto avesse mai osato
sperare… finché quella famiglia aveva serbato il
ricordo della bella ningyo
portafortuna, finché i loro capelli, ed i capelli dei loro
figli e nipoti non si erano fatti bianchi ed il loro passo incerto,
mentre scivolavano lungo la scogliera per intrattenersi con lei
nell’acqua bassa…
…finché i nipoti dei loro nipoti non avevano
scelto di prestare ascolto ai saggi del villaggio piuttosto che al loro
cuore, ed alle leggende che narravano di guerre e pestilenze portate da
creature come lei.
Allora fu di nuovo sola, rattristata dalla loro paura e disperando di
trovare altre persone con cui poter parlare: e riprese a solcare i mari
in cerca di un altro posto dove stare, di uno specchio
d’acqua speciale come quello; di un posto che potesse, come
loro facevano, chiamare casa.
Fu allora, forse, che il loro destino divenne il suo destino:
perché, sebbene il suo corpo fosse ancora quello di una
creatura degli abissi, la sua anima cominciava a provare i loro stessi
desideri; e la Catena che stringeva i loro cuori si avvolse anche
attorno al suo.
---------------------------------
L’isola era molto piccola, isolata e distante dalla grande
striscia di terra dove aveva passato gli ultimi decenni: abituata a
riconoscere i segni della presenza umana nelle costruzioni di legno e
pietra, si era avvicinata senza nulla sapere della disperazione che
regnava in quel luogo. Osservandoli da lontano, aveva letto nei loro
volti un’oscurità che andava oltre la tristezza:
nel suono delle loro voci, aveva percepito che un terrore altrove raro
e stemperato qui era sovrano assoluto.
Un posto strano, dove ogni giorno molti di loro venivano buttati in
acqua dai loro simili e galleggiavano lentamente al largo: ma non
ricavava gioia dalla loro compagnia, poiché venivano a lei
avvolti in lenzuoli bianchi, e il loro volto al di sotto di essi era
contorto, verdastro e gonfio; essi non rispondevano ai suoi richiami...
Impiegò molte settimane prima di raccogliere tutto il suo
coraggio. Li amava e sperava, provando ad aiutarli, di potersi fare
amare di nuovo: quando non poté più restare
lontana, si avvicinò.
Proprio mentre il sole svaniva sotto l’orizzonte, un uomo era
apparso sulla spiaggia, afflitto dallo stesso male degli altri: con i
suoi sensi acutissimi la creatura marina, nascosta tra gli scogli,
poteva scorgere il suo grasso volto dai piccoli occhi vacui, la sua
andatura barcollante, e percepire il pungente, sgradevole odore del suo
fiato.
Una ragazzina lo seguiva, poco più di un cucciolo dai lunghi
capelli neri, a malapena coperta da una camicia lacera e rattoppata, le
sue sottili gambe di adolescente che si reggevano in piedi a stento: e
la sua paura era cento volte più intensa, ben oltre il punto
che avrebbe spinto alla fuga qualunque altra creatura…
sentendo quell’orribile sensazione insinuarsi sotto la pelle,
la ningyo
non riusciva a capire perché non scappasse, né di
come l’uomo potesse non accorgersi di tutto quel dolore a
pochi metri da lui.
Quando la vide incespicare e cadere a faccia in giù sulla
sabbia, la sua compassione ebbe infine la meglio, e si immerse per
andar loro incontro: mentre scivolava nell’acqua silenziosa,
non le sfuggì il comportamento anomalo di lui, ed il gesto
brutale con cui la ragazzina veniva afferrata e fatta voltare sulla
schiena; vide l’uomo montarle addosso, e lacrime silenziose
solcare il piccolo viso sporco, e la paura e
l’oscurità farsi più intense attorno ai
loro corpi…. sentì
che qualcosa di terribilmente sbagliato stava per accadere, e prese a
nuotare più velocemente nell’acqua bassa.
Pensò che se lui l’avesse udita, avrebbe smesso:
ma la sua voce fu preceduta da altre urla, provenienti
dall’estremità più lontana della
spiaggia, quando due piccoli tornadi di stracci emersero dalla rada
boscaglia, brandendo minacciosamente dei rami più grandi di
loro ed urlando come ossesse; solo allora, al suono di quelle voci,
anche la ragazzina schiacciata a terra cominciò a gridare e
a divincolarsi, piangendo stretta tra le braccia enormi
dell’uomo, che sorrise crudelmente, quasi senza alzare lo
sguardo, e cominciò a bofonchiare qualcosa, accarezzandole
il viso.
Il suo ghigno non durò a lungo: senza interrompere la sua
corsa, la più esile delle piccole straccione aveva raccolto
da terra una grossa pietra, che sibilò nell’aria
centrandolo proprio sopra l’orecchio, strappandogli un gemito
stridulo; il bastone dell’altra colpì di punta,
costringendolo a mollare la presa sulla sua vittima e a rotolare
all’indietro.
Ansimando e stringendo le ridicole armi con mani nervose, le due
guerriere bambine si frapposero fra la loro compagna e il suo aguzzino,
che si stava rialzando tremando di rabbia, una mano premuta sulla
tempia insanguinata: la ningyo udì un debole scatto, e vide
un oggetto scintillante nelle mani dell’uomo, avvolto da
un’oscurità così fitta che i suoi
lineamenti ne risultavano distorti, e seppe che ancora un attimo, e
sarebbe stato troppo tardi...
Parlò. Quello che disse non è importante,
perché, presa dal panico, non usò la lingua delle
pause e dei sospiri che le avevano insegnato, ma quella ancestrale
della sua razza, che avanza e refluisce come le onde; ed era una voce
che gli abitanti dell’isola avevano già sentito, e
che temevano persino più del male che li affliggeva;
l’uomo dimenticò all’istante la sua
furia, e la ragazzina a terra smise di singhiozzare per un attimo: gli
occhi di tutti si voltarono, terrorizzati, verso la costruzione
metallica indistinta che svettava al centro della foresta.
Si accorsero di lei solo quando ripeté il suo richiamo,
più dolcemente, la sua coda che guizzava
nell’acqua a pochi metri da loro: allora, come
congelati da una brezza ghiacciata, tutti e quattro fissarono la sua
figura magnifica, in un silenzio surreale che sembrò durare
in eterno.
Poi lo sguardo dell’uomo cambiò, e la sua
espressione stralunata divenne una che la ningyo non si
aspettava: nel leggere nei suoi occhi una strana, quasi vorace luce di
speranza, sentì nascere dentro di sé lo stesso
sentimento… finché lui non cominciò a
correre via, incespicando e voltandosi continuamente per tenerla
d’occhio.
Confusa, rimase sola sulla spiaggia con le tre bambine, che poteva ora
osservare bene da vicino: erano crollate tutte e tre sulla sabbia,
senza riuscire a smettere di guardarla, trasognate: la più
piccola, dai corti capelli a spazzola e gli occhi di due colori
diversi; la seconda, dalla carnagione scura, i ricci castani e le sue
forme che tradivano un fisico ormai sviluppato; e la terza, con grosse
lacrime che le brillavano ancora sulle guance, che nuotava nel suo
camiciotto consunto, le mani nascoste dalle maniche enormi.
Ancora una volta parlò loro, nella loro lingua, e sorrise. E
fu l’ultima volta.
-----------------------------------
-Avevate ragione come
sempre, Eccellenza. L’intera questione è tuttora
coperta dalla massima segretezza: solo il Comandante Generale, il capo
della sezione Ricerca e Sviluppo ed il responsabile delle comunicazioni
della Seireitei ne sono messi al corrente. Vi sto inviando le
coordinate.-
-Ottimo lavoro, Kaname.
Sicché, presso i locali quest’isola era
chiamata…Yamajima?-
-Esatto.
Topograficamente, non è nulla di speciale: appena 6 ri di
diametro, clima arido, superficie irregolare... uno scoglio, in altre
parole. La popolazione del tempo era stimata attorno alle
centocinquanta unità, in rapida diminuzione.-
-Oh? Vuoi dire rapida
come –mamma e papà, le disco migliori sono sul
continente- o come
-serial
killer all’opera-?-
-Malattia, Gin.
L’isola si trovava in quarantena da più di un
anno: uno dopo l’altro gli abitanti stavano soccombendo ad un
male incurabile, tanto che a dispetto della sua piccolezza il Gotei
aveva fatto installare un Senkaimon provvisorio. L’invio di
Shinigami per il Konso rimase frequente, fino al verificarsi
del… fenomeno. Il che ci riporta a quella che è
la proprietà più interessante di
Yamajima…-
-… ovvero,
l’essere completamente isolata da 56 anni, 3 mesi e 22
giorni. Un caso senza precedenti nella storia della Soul Society.-
-I collegamenti si sono
interrotti, senza alcuna apparente spiegazione, dal giorno alla notte;
il Senkaimon, svanito nell’aria; gli Shinigami di pattuglia,
dispersi. Da allora, ogni tentativo di accedere alla zona od effettuare
rilevamenti da parte del Gotei è andato incontro al
fallimento: l’area è completamente schermata ed
impenetrabile fino a 500 metri dalla riva. Più che di un
mistero, si tratta ormai di una leggenda.-
-Leggenda che, stando
alle informazioni che hai raccolto, ha lasciato la sua impronta nel
folklore locale…già, perché nonostante
il Gotei si sia rivelato impotente in questa faccenda, sembra che gli
esseri umani non abbiano invece difficoltà ad avvicinarsi
all’isola.-
-Proprio
così, Eccellenza; e questo rende il tutto ancora
più inquietante… perché, anche se
monitorare direttamente la zona è impossibile, siamo venuti
a conoscenza di innumerevoli episodi riconducibili ad intensa
attività Hollow: allucinazioni, vari casi di persone
scomparse, voci su una maledizione che affliggerebbe il luogo e su una
misteriosa “sirena”… più
almeno due cruenti episodi di isteria collettiva conclusisi
tragicamente con la strage di ogni singolo abitante. L’ultimo
risale a 7 anni fa: da allora nessuno ha più osato metterci
piede… e le nostre informazioni finiscono qui.-
-Ma non le nostre
possibilità. Las Noches ha fatto un uso migliore del Gotei
della tecnologia lasciata da Kisuke Urahara… confido che un
Garganta perfezionato possa riuscire dove il Senkaimon ha fallito.-
-Eeeh, non lo so
… non mi piace mica l’idea di vederti infilare in
quell’affare senza sapere di cosa si tratta.-
-E per quale motivo,
Gin? Ci possono essere ancora dei dubbi sulla natura di questa
anomalia?-
- …ma Cap,
è grande come un distretto di Rukongai!-
-Ed è proprio
questo a nutrire le mie speranze, amico mio. Finora le nostre ricerche
sui Vasto Lorde non hanno dato i risultati sperati, ma… non
trovi che una Negacìon larga venti chilometri sia, se non
altro, un ottimo punto di partenza?-
--------------------------------------
Sciamarono sulla spiaggia a decine, ansimando e grugnendo per lo
sforzo, corrotti e resi disperati dal male, travolgendo e nascondendo
alla sua vista le ragazzine che non avevano nemmeno osato sfiorarla: fu
imprigionata con le reti da pesca prima ancora di rendersene conto, e
trascinata fuori dal suo elemento, sulla sabbia ruvida e poi sul duro
terreno coperto di radici, attraverso la foresta, le sue grida di
sorpresa e di dolore che si facevano sempre più deboli; per
la prima volta conobbe il dolore fisico, con i suoi serpenti di fiamme
che si avvolgono attorno al cervello da tagli ed abrasioni, dalle corde
che squarciavano le sue scaglie argentate: affondò
velocemente nel pietoso mare dell’incoscienza.
Riprese i sensi per pochi attimi soltanto, attorniata da decine di
volti pallidi e sfigurati dal morbo: troppo confusa e sbalordita per
metterne a fuoco i lineamenti, in quel momento di paura assoluta il suo
mondo fu ridotto al contrasto tra l’oscurità che si levava dalle
loro sagome in dense spirali, e la luce sfavillante del fuoco di
sterpi acceso accanto a lei, che le ustionava insopportabilmente il
lato sinistro del viso.
Le sue braccia coperte di tagli erano legate ad una piatta roccia al
centro del cerchio infernale, e spaventosi crampi la tormentavano lungo
tutto il corpo; ma il peggio del peggio era la sete, che le gonfiava la
lingua tanto da impedirle di respirare.
Avrebbe voluto parlare, e chiedere alle sagome indistinte che si
avvicinavano perché le veniva fatto questo: ma il viso
dell’orribile vecchio con i capelli bianchi che si
chinò su di lei non le offrì alcuna risposta,
mentre uno di quegli oggetti scintillanti calava per squarciarle il petto.
Rimase con gli occhi aperti per la maggior parte del sacrificio, mentre veniva
divorata viva.
-------------------------------
Li odiava, gli esseri umani. Ma ne dimenticò ben presto il
motivo: si era svegliata ad una nuova vita mentre l’eco del
suo urlo morente si spegneva e le fabbriche del tempo e dello spazio si
spezzavano. Il sangue che sgorgava dalle sue ferite divenne un rivolo,
poi un ruscello che bagnò i piedi dei mostri dalla bocca
insanguinata che si erano nutriti di lei: ed essi conobbero la paura,
poiché anche la luna era divenuta rosso sangue, e bagliori
sinistri ora illuminavano a tratti il cielo, inorridito di fronte alla
fine di un innocente che non era stato fatto per la morte. Il tempo
sull'isola si fermò; nessuna alba sarebbe sorta a
porre fine a quella notte.
Quando il ruscello scarlatto raggiunse le onde del mare, la sirena
sorse dal suo cadavere con un nuovo aspetto, simbolo del lato oscuro
del mare e della sua furia cieca, unica emozione che le era rimasta,
mentre la catena fissata al suo cuore divorato arrugginiva e diveniva
polvere in pochi secondi, tributo al vuoto che nessun massacro avrebbe
ormai colmato: al suo secondo urlo rispose una cacofonia agghiacciante,
mentre ai margini della radura si levavano immense ombre nere dal volto
bianco, che si gettarono sui terrorizzati abitanti
dell’isola, consegnandoli alla stessa morte della loro
padrona, ed alla stessa orripilante esistenza che la attendeva:
poiché essi avevano sacrificato uno degli esseri
più puri del creato per vivere, ed ora non potevano
più morire, parte di lei come ella era divenuta parte di
loro; il terzo lamento sarebbe riecheggiato per
l’eternità come una maledizione
sull’isola, ripetuto all’infinito dalla torre di
ferro che sormontava il villaggio, perché chi poteva
ascoltare cadesse vittima del canto soprannaturale, e la raggiungesse
nella dannazione.
Nessuno fu risparmiato: nessuno, a parte tre minuscoli spiriti che
erano impazziti dal terrore quando Yamajima era stata strappata alle
terre dei viventi; e non fu né amore né
pietà a salvarle, quanto la percezione di come anche
il loro cuore fosse stato divorato dalla crudeltà umana, in un modo non meno orribile... o, forse, fu lo spettro di ciò che
aveva a lungo cercato, o il pallido ricordo della passata gentilezza; la loro morte fu veloce, e quello che venne dopo, segnato
dall’incontro con una Dea sulle spiagge dove erano nate, non
peggiore di ciò che una breve vita aveva loro riservato;
rimasero assieme, tre piccoli fantasmi con una sola anima, crescendo in
potere al fianco della signora senza nome che le aveva raccolte, come
l’ombra del calore di una famiglia.
Nessuno le vide mai, e nessun racconto nacque su di loro: ma quello
sulla Dama Rossa che vagava priva di memoria sull’isola
durò a lungo, e così quello che narrava delle
cose orribili accadute a coloro che uscivano di casa quando la sirena
suonava...
... ma è da tempo che nessuno avvista la Dama.
Figlia delle onde, il suo mare divenne un gelido abisso: la famiglia
che aveva tanto desiderato è bruciata, ma ella riposa in una
tomba di ghiaccio.
------------------------------------
NdA:
Confusi? Tutti i diritti, a meno che non abbiate visto il film horror
jappo “Forbidden Siren”, tratto
dall’omonimo gioco per PS2, di cui questo racconto
è a tutti gli effetti un folle crossover. Dategli
un’occhiata se potete, è davvero inquietante.
Secondo una tradizione giapponese, la carne di una sirena
può guarire da ogni malattia e donare la vita eterna a colui
che la mangia... ma catturarne una è di cattivissimo
auspicio. La “struttura metallica” cui si fa
riferimento è una sirena d’allarme antiaereo.
NdA2:
Dedicata a The Corpse Bride, perché ho vinto la nostra
piccola gara ^^
Spero tu stia bene, e di vedere presto qualche pagina di Runaway Train!
|
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Capitolo 4 *** Cuarta ***
Cuarta
Crowded streets all cleared away
one by one
Hollow heroes separate
as they run
You're so cold
keep your hand in mine
wise men wonder while
strong men die
Show me how it end it's
alright
show me how defenceless
you really are
satisfy an empty inside
that's alright, let's
give this another try
If you find your family,
don't you cry
in this land of
make-believe, dead and dry
You're so cold, but you
feel alive
lay your hands on me one
last time
(Breaking Benjamin, So
cold)
Non ha più senso del resto. Lo sa.
Però lo vorrebbe: più tempo. Desidera capire.
L’ultimo suono è stato una voce… senza
tracce di paura. Ma non quella di Dio.
L’ultimo sapore in bocca, prevedibilmente… del
tè. Troppo dolce, però… al tavolo di
Dio non gli era mai
successo di scambiare due tazzine…
Dita che si sfiorano. E poi… qualcos’altro.
Qualcosa di nuovo.
E’ doloroso. Non capisce...
Perché non Dio, all’ultimo istante? Eppure era
sicuro…
…sente che la risposta è a due passi.
Ma è tardi. Le sue gambe sono già polvere... e
forse è meglio così.
Può portare con sé quel piccolo, luminoso dolore
invisibile, mentre dispiega le ali.
--------------------------
NdA: Dedicata a Riccardo, che ha affrontato anche lui un
brutto male invisibile... perchè continui a tener duro con
tutta la grinta che ha dimostrato finora. Non mollare!
|
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Capitolo 5 *** Quinta ***
Quinta
Mia moglie è morta,
sono libero! …
…La sete
orribile che mi tormenta
Avrebbe bisogno, per
placarsi,
di tanto vino
quanto ne entra
nella sua
tomba; e non è uno scherzo,
perché
l’ho buttata in un pozzo
e le ho pure ammucchiato
addosso
tutte le pietre del
parapetto.
- La
dimenticherò, se posso! ….
…Eccomi
libero e solo!
Sarò ubriaco
fradicio, stasera;
allora senza
paura né rimorso
mi stenderò
per terra
e dormirò
come un cane!
Il carro dalle ruote
pesanti
carico di pietre e di
fango,
il vagone
infuriato potrà
schiacciarmi questa
testa colpevole
o tagliarmi a
metà.
Me ne
infischio io, come di Dio,
del Diavolo e della
Santa Mensa!
(Charles Baudelaire, Il vino dell’assassino)
Puttana.
L’unica, fottuta parola che mi esplode nel cervello, mentre
il mondo si fa bianco: puttana.
Tra tutti gli insulti che potrei rivolgere al mio assassino, puttana
è, cazzo, l’unico fuori posto: ma tanto, lo
sappiamo benissimo tutti e due a chi sto parlando, no?
L’avevo sempre immaginato, che quando quel colpo fosse
arrivato, ci sarebbe stato qualcosa a farmelo capire: il mondo non era
mai diventato bianco prima… nemmeno quella volta che mi hai
quasi decapitato, mancando (di proposito, non è vero, troia
bastarda?) di mezzo centimetro la mia giugulare. Nemmeno quella volta
che –troia,
troia, troia!- mi hai salvato la vita, solo poche ore dopo
che avevo cercato per la prima volta di violentarti…
Non ti conoscevo bene, allora; non che conoscere a fondo ciò
che
sei sempre stata e sempre sarai mi abbia mai fermato, non è
vero?
Ah, ci ho provato dieci, cento, mille volte, a piegarti come la
troia che sei, a rimetterti al posto che ti spetta, e qualche
volta... qualche volta me lo hai anche lasciato fare, ricordi, povera
idiota?
Speravi di riuscire a placarmi? Pensavi che quando l’avessi
avuta vinta, me ne sarei andato con la coda tra le gambe? Hah! Scopare
con te era solo un altro insulto, per me… finché
fossi stata tu
a concedermelo, quasi che fosse un favore
di milady…
non che non sia stato divertente,
comunque.
Puttana,
come stavo appunto dicendo. E, attorno, tutto è bianco.
Eppure non sono ancora morto, perché il dolore non
è cessato, anzi, pulsa sordo ed invitante ai confini del
bianco, la promessa succulenta di un’altra dose di
Paradiso… l’ultima.
(Merda, mi ha TAGLIATO
IN DUE!)
Scommetto che riderai di me, adesso: oh, ti sbellicherai dalle
risate… perché l’hai avuta vinta tu,
troia.
Non ti sei presa la mia vita, come ti sei sempre rifiutata di fare: ti
piaceva troppo guardarmi dall’alto in basso, e sfottermi
assieme alle tue patetiche Fraccìon appena girato
l’angolo, ed umiliarmi come nessuna femmina in nessun
fottutissimo angolo dell' Hueco Mundo si deve permettere
di fare… riderai di me persino nella morte, quando saprai
che sono crepato come avevi predetto, come una bestia, macellato da una
belva ancora più sanguinaria.
Ti avrei ucciso, stavolta: giuro che l’avrei fatto. Se la
belva ed il piccolo, dolce Shinigami dal cuore d’oro che ti
saresti portato a letto d’ora in avanti non si fossero messi
in mezzo, ti avrei mangiato il cuore: e tanto peggio se non ci avrei
cavato troppa soddisfazione, a spegnerti in quel corpicino strillante.
L’importante era che fossi morta, che la smettessi di
guardarmi con quegli occhi… Dio, quei tuoi occhi verdi che
ho odiato più di ogni cosa al mondo; ma me ne vado io,
puttana… vado dove non potrai raggiungermi. Non ci
sarà nessuna stronza a rompermi i coglioni,
laggiù… nessuna puttana, nessun Dio, nessun
maledetto Shinigami, Hollow o Arrancar che possa più
logorarmi l’anima con le sue stronzate. Non ci
sarò più nemmeno io: non ci sarà
nulla, nulla di nulla.
… solo, se sarò fortunato, il sibilo della falce.
La falce… cade a terra, sento il suo debole tonfo metallico
sulla sabbia. I suoni sono i primi a dissipare la nebbia; solo un
istante dopo, l’incandescente lama della sofferenza mi
trafigge il cervello, e mentre raggiungo il più potente e
doloroso orgasmo che il mio corpo ricordi, riesco finalmente a
dimenticarmi di te per un attimo, quando il bianco esplode in un
tripudio di colori accecanti.
---------------------------------
L’Arrancar giace a terra, stremato ed ansimante, nella pozza
del suo sangue… la cosa lascia vagamente sorpreso Kenpachi
Zaraki.
Cioè, non il fatto che sia a terra, ovviamente; ma che sia
ancora in grado di ansimare, e con che violenza, con
quell’assurdo squarcio che lo dilania dalla spalla alla
coscia e tutto quel sangue che schizza fuori… deve avere
l’adrenalina a mille, quello lì.
Si domanda se non avrebbe dovuto mirare un po’ meglio,
dopotutto: ma è così difficile dosare
correttamente i colpi, quando si usa quella roba da fighetti, il
comesichiama… ah, già. Il Kendo.
La battaglia non è roba in cui si dovrebbe stare tanto a
pensare; del resto, anche l’Espada sembrava pensarla come lui.
E’ stato davvero un duro, un degno avversario, secondo
l’opinione dello Shinigami, tanto che si chiede se non sia il
caso di scambiarci due parole, tanto per dimostrare un po’ di
ammirazione.
Cazzo, glielo ripete sempre anche Yachiru, che fare gli educati non
costa nulla.
“Ma dai… sei ancora vivo?” butta
là, mentre l’altro alza la testa e lo fissa con
occhi carichi di odio bruciante.
“Che palle. Sei un bastardo robusto.”
E lo è davvero… quasi quasi, se la femmina umana
si sbriga con i suoi abracadabra… ma no, poi va a finire che
Kuchiki si incazza.
“Ciao.” Taglia allora corto, perdendo rapidamente
interesse e voltandosi per andare a raccattare la sua luogotenente.
-----------------------------
Bastardi. Maledetti bastardi. Non smetterete mai di umiliarmi. Non
finirete mai di guardarmi in quella maniera, di darmi le spalle come se
fossi l’ultimo dei vermi striscianti… non si
risparmia nessuno, in battaglia: non si danno seconde chance, non si
deve cercare di dare un significato a ciò che esiste solo
per dare la morte. Restare vivi o crepare, è la stessa cosa:
il premio per il vincitore? Solo la promessa di un altro orgasmo,
un’altra possibilità per cercare brividi ancora
più alti, e la fine che ci aspetta al di là
dell’estasi.
Non mi deruberai della mia morte, Shinigami: non mi costringerai a
guardare di nuovo negli occhi quella puttana, non mi obbligherai di
nuovo a… sentire…
DOVE CAZZO VAI? NON
E’ ANCORA FINITA!
Ti vedo, Shinigami: le tue ferite non sono meno profonde delle mie!
Riesco a vedere persino i tuoi cazzo di campanellini che tintinnano,
mentre ti volti di nuovo verso di me; stampati bene in faccia il mio
volto, fottuto animale, perché com’è
vero Iddio, posso ancora falciarti!
“Sei scemo? E’ finita eccome, con il mio ultimo
colpo. Io non ho alcun dovere di prendermi la briga di dare il colpo di
grazia a uno che non può più
combattere.” esclama ridendo il bastardo.
E’ la furia a darmi la forza di rimettermi in piedi; lo
scintillante, rovente, accecante accesso di rabbia che mi travolge alle
parole di quel fottuto armadio, con i suoi campanellini da gay e quella
spada arrugginita e quel maledetto corpo che non si fa buttare
giù, che si permette di sputarmi addosso la sua arroganza
come se niente fosse… mi rialzo, contro ogni
probabilità, sfidando la mia spina dorsale scheggiata, e
divento un tutt’uno con i fasci di nervi strappati, con le
vene aperte che grondano sangue, con l’estasi del dolore che
attraversa ogni fibra del mio corpo.
Allora…
è un motivo in più… per
cui… non è finita. Perché
io… POSSO ANCORA COMBATTERE!!!
Ho la sua attenzione. Bene.
E’ così che voglio che finisca: mentre mi lancio
sulla sua lama sguainata, so già che questa volta non gli
arriverò nemmeno vicino; questa volta, mirerà
alla testa, per farla veramente finita…
spappolerà il cervello, e passerò in un attimo
dall’estasi al nulla, senza avere il tempo di
pensare… di rivolgere il mio ultimo pensiero…
(…)
(…)
(…)
… Nnoi…tra?
----------------------------
“Neliel… io non ti sopporto. Questo dovresti
saperlo anche tu. Eppure, perché continui a seguirmi come
un’ombra?”.
La splendida Arrancar dai capelli verdi incrocia brevemente il suo
sguardo: Nnoitra si sente pervaso dall’ira quando, per la
seconda volta, gli sembra di intravedere in quegli occhi un velo di
tristezza.
Ma quanto bene sai
fingere, puttana?
“Tu sai perché, Nnoitra.”
“Ma certo. Me lo hai confessato con gli occhietti lucidi, il
perché… speravi che ti prendessi sul serio? Una
come te
non si abbasserebbe mai neanche a guardare
uno come me, senza qualcosa in mente… voi troie siete divise
in due tipi: quelle che non la danno neanche in punto di morte... come
quella nuova arrivata, quella Halinonsoche… e quelle che la
danno solo per ridere alle spalle; e, detto tra noi, se mi
costringessero a scegliere con la spada alla gola, credo che preferirei
il tipo che almeno non
spiccica una parola.” ghigna crudelmente in
risposta l’Octava.
Si aspetta che ora porti la sua sporca menzogna fino in fondo: che
arrossisca, che si morda il labbro, che lo insulti…
Ancora non la odia… non più delle altre.
Non più di
ogni cosa al mondo.
Gli si attorciglia lo stomaco per la rabbia, perché lei
continua semplicemente a fissarlo con quegli occhi così verdi,
a stare in silenzio con quelle labbra così
perfette… il suo ghigno si deforma in un
attimo in un’espressione furiosa.
“Perciò, stronza, visto che ho già
messo bene in chiaro che da me non otterrai mai nulla… piantala di sparare boiate e
dimmi perché cazzo mi ronzi attorno!”
le vomita addosso; e per un attimo, solo per un attimo, Neliel Tu
Oderschwank sussulta ed abbassa lo sguardo.
Quando rialza il viso, i suoi occhi scintillano duri, simili
più che mai a due smeraldi: “Hai perfettamente
ragione… Octava.
Hai capito tutto di me: speravo che ci cascassi, per avere poi modo di
deriderti. Che stupida, avrei dovuto capire che non si può
ingannare uno che la sa così lunga su noi… femmine.”
replica con voce neutra, rialzandosi rapidamente e voltandogli le
spalle.
Più inviperito che mai, Nnoitra si alza a sua volta,
stringendo così forte l’impugnatura di Santa
Teresa che le sue nocche diventano bianche: “Ehi! Non sperare
di cavartela così, stronza! Non hai risposto alla mia
domanda!
Perché, di tutti i fottuti burattini di Aizen,
continui a rompere i coglioni proprio a me? Dimmelo!”
le urla dietro, guardandola allontanarsi in mezzo ai mucchi di cadaveri
Hollow che si decompongono lentamente.
Pochi metri più in là, un giovane Arrancar biondo
dall’occhio bendato ha assistito a tutta la scena in
silenzio, e ora muove un incerto passo verso l’Octava, sicuro
che Neliel non si prenderà la briga di rispondere; la cosa
lo lascia sollevato… non dubita che, come sempre,
riuscirà a trovare le parole giuste per calmare
l’amico, per riportarlo alla ragione.
Ma poi lei si ferma, e dà un ultimo sguardo a Nnoitra al di
sopra della spalla: prima ancora che la Fraccìon possa
spalancare la bocca allarmato, Nel ha già innescato la mina
che li distruggerà tutti.
“Oh, ma tu sei così furbo… di certo lo
immagini, piccola mantide.” è la sua replica,
accompagnata da un sorriso amaro.
“E’
perché tu… sei più debole di me.”
Come tutti gli Arrancar, Tesla ricorda solo vagamente il significato
della parola calore;
eppure, quando alla fine trova il coraggio di riportare lo sguardo sul
viso di Nnoitra, si ritrova a constatare che sì, anche agli
Hollow può succedere di sentire il sangue che si gela nelle
vene.
-----------------------
No. Lasciami stare… non guardarmi! Non hai il diritto di
rubarmi anche la mia morte. Merda… ti sto supplicando,
lasciami solo!
Non voglio che il tuo corpo da mocciosa sia l’ultima cosa che
vedrò; non voglio che tu
sia il mio ultimo ricordo… il ricordo della mia fottuta
debolezza, quando quel cretino di un quattrocchi mi ha offerto la mia
occasione; non voglio che mi guardi come quel giorno, con i tuoi occhi
verdi socchiusi, dopo che ti ho spaccato il cranio… non
voglio…
Perché lo facevi, non l’ho mai capito: non me lo
sono neanche mai domandato, perché mi odiavi tanto da
diventare la mia ombra, da cercare così disperatamente di
distruggere tutto quello che sono, voltandomi le spalle sul campo di
battaglia con disprezzo, così che potessi rammentare,
sempre, che il tuo numero sarebbe stato per
l’eternità al di sopra del mio…
Mi ci hai costretto tu: non potevo più vivere
finché tu fossi esistita, Neliel Tu Oderschwank, e non ti
permetterò di rubarmi anche gli ultimi attimi della mia
esistenza!
Ti ho risparmiata perché volevo che strisciassi fino a me,
cosa credevi? Volevo che lo ammettessi,
che ero superiore a te! Volevo che lo urlassi!
Volevo…
-impressionarti-
… il mio ultimo pensiero, maledetta puttana: e sicuro come
il cazzo, non vale neanche un fottuto penny. Non lo
ammetterò mai, neanche in punto di morte: non ti
darò mai questa soddisfazione, bastarda…mai.
Così, la tua vittoria non sarà mai
completa… perché non lo saprai mai, Nel, quanto
sei riuscita a rendermi debole! Perché non lo
saprà nessuno... che nell’unico, fottuto istante
in
cui avrei potuto finalmente ucciderti…
…ho
desiderato abbracciarti.
---------------------------------
Dedicata ad AbstractError, grazie a cui ho scoperto i Fiori del Male e
grazie al cui splendido lavoro “Understanding” mi
è venuta voglia di scrivere su Bleach (Per Te continua, non
ti preoccupare! XD)
Dedicata a Maria, perché ha sudato sette camicie per il
disegno sul banner e... per essere la ragazza dolce che è.
Un grazie a tutti coloro che hanno letto le mie storie, e uno doppio
per chi ha recensito!
|
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Capitolo 6 *** Sexta ***
Sexta
"Ah! Ecco un suddito",
esclamò il re appena vide il piccolo principe.
E il piccolo principe si
domandò:
"Come puoi conoscermi se
non mi hai mai visto?"
Non sapeva che per i re
il mondo è molto semplificato: tutti gli uomini sono dei
sudditi.
(Antoine de Saint-Exupery, Il
Piccolo Principe)
Le ombre della sera si allungavano silenziose sulla città di
Karakura, immergendola finalmente in una fresca penombra: un vero dono
del cielo, dopo una giornata così torrida.
Il contrasto tra le strade ormai buie e le cime degli edifici
più alti, che il sole al tramonto ammantava di riflessi
fiammeggianti, feriva crudelmente gli occhi; le strade erano deserte a
causa dell’afa, e le case con le imposte abbassate parevano
enormi facce immobili e addormentate.
L’unico rumore, il frinire delle cicale.
L’ora
più romantica della giornata,
mormorò tra sé l’auto-proclamato uomo
del mistero, nonché proprietario
dell’auto-proclamato emporio più fornito ed
economico di tutta la città, Kisuke Urahara.
L’uomo sedeva a gambe incrociate su di un cuscino, vicino
all’entrata del negozio, facendosi meccanicamente vento con
il suo ventaglio in una mano ed il mento appoggiato
sull’altra, mentre sorvegliava l’operato del suo
giovane assistente Jinta, intento a spazzare il cortile dopo una dura
giornata di lavoro; ad ogni modo, era chiaro come la sua testa fosse
altrove, dato che da più di mezz’ora Jinta aveva
preso a sbadigliare impunito appoggiato alla scopa, trascurando le
pulizie ed utilizzandola occasionalmente come mazza da baseball su
qualche lattina.
Non diede segno di accorgersi di nulla nemmeno quando
l’altrettanto auto-proclamato addetto all’aspetto
sexy del negozio, il gigantesco Tessai Tsukabishi, afferrò
il ragazzino per l’orecchio, trascinandolo
all’interno incurante delle sue proteste.
Quello era stato un giorno particolarmente impegnativo sul fronte
dell’attività: fino ad un’ora prima, il
negozio rigurgitava letteralmente di clienti in vena di spese
nonostante il caldo, una marea di casalinghe indaffarate, ragazzini
pestiferi, sonnacchiosi pensionati… e di inquietanti figuri
avvolti in kimono neri, misteriosamente ignorati dal resto della folla
che regolarmente si ritrovava ad imprecare sbattendo contro ostacoli
invisibili.
In realtà, parte delle preoccupazioni che assillavano il
proprietario derivava proprio dal crescente afflusso di Shinigami che
passavano di lì.
Nulla di cui sorprendersi, in realtà: in soli due anni,
molte cose erano cambiate all’interno
dell’istituzione millenaria chiamata Soul Society, appena
uscita dalla più grave crisi mai affrontata dalla sua
fondazione, la Guerra d’Inverno, nella quale gli alti gradi
dell’organizzazione erano dovuti scendere in campo
personalmente per affrontare le orde degli Arrancar; una guerra breve
ma sanguinosa, che si era conclusa con la morte dei tre traditori,
Sosuke Aizen, Ichimaru Gin e Kaname Tosen, ma ad un prezzo spaventoso:
quattro Capitani avevano perso la vita combattendo sui cieli di
Karakura Town, e le file degli Shinigami erano state letteralmente
dimezzate.
Per molto tempo, nonostante l’uscita dalla
clandestinità del negozio e la riabilitazione del suo buon
nome, ben pochi Shinigami avevano raccolto l’invito del nuovo
Comandante Generale, Shunsui Kyoraku, e cominciato ad utilizzare il
negozio come punto d’appoggio; nel corso
dell’ultimo anno, finalmente, le cose erano radicalmente
cambiate, tanto che Urahara stava accarezzando l’ipotesi di
buttarsi nel big business ed aprire una catena di succursali in giro
per il Giappone.
Sensibile all’ironia come sempre, aveva parlato della cosa ai
suoi assistenti con tono entusiasta, anche se sapeva perfettamente come
la faccenda non fosse affatto tutta rose e fiori: quanti più
Shinigami in missione passavano di là, tanto più
diventava evidente la ripresa dell’attività Hollow
dopo il minimo storico toccato nei due anni precedenti, alla fine della
guerra.
Lo Shinigami diede in un sospiro teatrale, ripiegando con uno schiocco
il ventaglio.
Beh, ma
perché meravigliarsi? Corsi e ricorsi…
… ma non
arrivai.
Si sforzò di dissipare malinconia e preoccupazione, e di
concentrarsi sulle questioni più pressanti…
invano.
Sapeva benissimo che non c’era nulla che si potesse fare in
merito… ora lo sapeva, ma il suo cervello semplicemente non
aveva voluto smettere di pensarci. C’erano mille e mille idee
da considerare… mille e mille ipotesi da
confermare… mille e mille altri errori da commettere.
La forza dell’abitudine.
Kisuke… sei
sempre stato patologicamente portato per le birichinate.
Sì… un tempo, Urahara non era stato uomo tale da
credere nell’esistenza del destino: l’idea che il
tempo a disposizione degli esseri viventi, in qualsiasi dimensione si
trovassero, scorresse su binari prestabiliti, gli era sempre apparsa
tanto ridicola quanto pericolosa, adatta a fornire alle persone un
comodo pretesto per giustificare le proprie azioni e - cosa
infinitamente più dannosa, aveva creduto - la propria
riluttanza ad accettare concetti come “progresso” e
“cambiamento”: le due divinità a cui
aveva consacrato la sua esistenza di scienziato e di Shinigami,
convinto (ah, in perfetta buona fede, ne era certo… per
quello che valeva!) che da loro non sarebbe mai stato tradito, sicuro,
orgogliosamente sicuro, che dalla fiducia nelle proprie
capacità non potesse mai derivare nulla di male, nulla di
irreparabile; certo che ogni sua intuizione fosse
un’occasione che sarebbe stato colpevole perdere…
che ogni cosa che gli passasse per l’anticamera del cervello
fosse sempre e solo un’altra idea geniale, il suo ego nutrito
sin dall’infanzia di complimenti e lodi.
L’ironia, non
il destino, governa il mio mondo. Il mio più grande torto
è stato di avere ragione; il mio più grande
errore, il mio più grande successo. Ho dimostrato che il
Bene ed il Male non esistono… oppure, che sono la stessa
cosa… e nel dimostrarlo, ho creato il vero Male, quello che
per poco non ci ha spazzati via tutti.
Ho passato tutta la vita
a cercare di infrangere le regole per il solo gusto di farlo: e quando
ci sono finalmente riuscito, non ho nemmeno capito come… e
la mia colpa non mi pesa sulle spalle, ma… nella mia tasca.
Ironia.
Ma la cosa
più comica e più tragica, Yoruichi, è
proprio questa… come tutto sia successo a causa del tuo
sorriso. Guardami! Persino un sorriso, sono riuscito a distorcere:
l’unica cosa che sia mai stata capace di sottrarmi ai miei
pensieri... la cosa più bella che possiedo, anche se non
sono mai davvero riuscito a dirtelo… una cosa
così semplice, eppure così
meravigliosa…che per sé ha sempre chiesto solo
una misera bottiglia di latte.
Quanti morti, Yoruichi?
Ukitake, il vecchio Yama, Komamura, la senpai Unohana, il signor Iba,la
signorina Matsumoto… quante centinaia di abitanti di
Karakura? Quante famiglie distrutte?
E tu… sei
ancora viva. E mi vuoi ancora… e non provi ribrezzo anche
solo a guardarmi, come capita a me tutte le mattine davanti allo
specchio… e nessuno di loro, il signor Ichigo e gli altri,
mi odia per quello che ho fatto.
E’
l’ironia a governare il mio mondo…
l’ironia di avere tutto ciò che non merito, mentre
altri hanno sofferto a causa mia.
Perché
continui ancora a sorridermi? Perché il tuo viso
è cambiato così poco da quel giorno…
da quella nostra prima battuta di caccia allo Hollow, quando per gioco,
ridendo, ti copristi il viso con la sua maschera…?
E’
l’ironia, non il destino… ma adesso lo sappiamo,
non è vero? Che l’ironia è quando non
puoi più far finta che il destino non esista!
Fu riscosso dai suoi pensieri dall’enorme mano di Tessai che
si posava sulla sua spalla. Senza che se ne accorgesse, si era fatto
buio: il sole era ormai solo una sottile linea rossa
all’orizzonte.
“Qui abbiamo finito, principale. Io sarei sul punto di
ritirarmi, se… se siete davvero convinto di non avere
bisogno d’aiuto” disse calmo, anche se dal suo tono
traspariva una sincera preoccupazione.
“Andiamo, Tessai… il nostro ospite è
una persona di provata fiducia, ormai. Non c’è
motivo di preoccuparsi!” rispose, sforzandosi di mantenere un
tono allegro, senza riuscire ad ingannare il gigante… in
centodieci anni, egli aveva avuto molto tempo per imparare a conoscerlo.
“Non prendetemi in giro; sapete bene che non mi riferisco
all’Arrancar.”
Urahara sospirò stancamente: “Sì,
signor Tessai. Lo so. Ed in verità, avrei bisogno non di
uno, ma di un centinaio di assistenti: e di attrezzature, rilevatori,
almeno una dozzina di esperti di Kekkai e di Bakudo, nonché
di un migliaio di soggetti tra Shinigami e Hollow disposti a farsi
sezionare per il bene della scienza, prima ancora di poter cominciare a
concepire
una cosa del genere.”
“Voi non siete Mayuri Kurotsuchi.”
“Non sono neanche Aizen, Tessai.”
replicò l’altro, in tono depresso. “E
temo che questo, nel caso presente, potrebbe fare tutta la
differenza...”
Il gigante lo guardò solennemente per qualche attimo,
scrutandolo concentrato attraverso le lenti degli occhiali, come
giudicando quello che aveva davanti a sé.
Infine, si raddrizzò e si ritirò tranquillo oltre
la soglia, lanciando un ultimo sguardo all’amico prima di
abbassare la saracinesca; stavolta, i loro occhi si incontrarono, e
Tessai gli rivolse uno dei suoi rari mezzi sorrisi prima di sparire
all’interno.
“Questa sera vi volete proprio burlare di me, principale. Ma
non mi fregate. Voi sapete benissimo che tutto andrà
esattamente come avete pianificato… come sempre succede
quando vi affidate al vostro intuito.
…solo, vorrei che riusciste davvero a
convincervi delle vostre parole... che credeste davvero, come
chiunque vi abbia conosciuto, al fatto che questa è
l’unica cosa che avete in comune con Sosuke Aizen.”
L’uomo del mistero sorrise debolmente a sua volta, prima di
riportare lo sguardo sull’orizzonte. Poco dopo, si
infilò meccanicamente la mano in tasca, stringendo ancora
una volta le dita attorno alla sagoma spigolosa del suo capolavoro
dormiente; l’Hogyoku rispose al contatto, cominciando a
ronzare dolcemente.
Ironia. Destino. E
allora, andiamo fino in fondo… Non merito di espiare la mia
colpa; eppure, l’occasione mi viene offerta su un piatto
d’argento…ed è inutile prendersi in
giro: funzionerà, e tutti saranno felici e
contenti…i vivi e i morti.
…ma aspetta,
signorina Yoruichi! Non sai ancora la cosa più divertente di
tutte… ci crederesti se ti dicessi che tutta questa storia
è cominciata con una gattina… e finirà
con un gattaccio?
L’ultimo bagliore rossastro svanì
all’orizzonte, immergendo Karakura nel tiepido buio della
notte; Urahara sospirò stancamente un’ultima volta
e chiuse gli occhi, abbandonando la schiena contro il muro del negozio.
Attese.
-------------------------------
L’ombra agile e scattante balzava rapidamente da un tetto
all’altro; non stava impiegando il Sonido, poiché
non lasciava alcuna scia di Reiatsu dietro di sé, ma i suoi
movimenti erano comunque quasi impercettibili, precisi e velocissimi,
non privi di una certa felina eleganza.
Urahara seguì con lo sguardo la figura scura mentre si
avvicinava a grandi balzi; non appena la vide atterrare sul tetto
dell’edificio di fronte all’emporio, si
alzò in piedi, facendosi forza con il bastone ed emettendo
piccoli gemiti da ottantenne con l’artrosi: “Oh,
issa… ow,
la mia povera schiena! Si vede proprio che sto invecchiando! Non riesco
nemmeno più ad alzarmi per dare il benvenuto ad un
ospite… ben arrivato, signor Jaegerjacques! Cosa la porta
mai da queste parti?”
“Ma che diavolo dici? Se mi hai dato appuntamento
tu!” esclamò la sagoma, dissolvendosi
nell’aria notturna per ricomparire in un attimo di fronte
allo Shinigami. “Che poi, cos’era
quell’affare che mi hai tirato addosso? Sembrava scritto col
sangue! Quell’idiota di Kurosaki sta ancora cercando di
grattarlo via dalla porta di casa…”
L’ex Sexta Espada faceva una certa impressione vestito in
quella maniera: al posto della divisa da Numeros, sia pure stracciata
ed elaborata in maniera personale, indossava un paio di jeans
strappati, una camicia hawaiana quasi fosforescente ed un paio di
infradito ridotte a brandelli: un accostamento che sarebbe anche potuto
passare come vagamente alla moda, se non avesse stonato in maniera
grottesca con l’enorme mascella d’osso che
ricopriva la metà sinistra del suo viso.
La sua espressione era quella di sempre, tra l’annoiato e
l’arrogante: teneva le spalle curve, e le mani infilate nelle
tasche.
“Che diamine! Scordarmi di una cosa così
importante come l’appuntamento con il signor Jaegerjacques!
Lo vede che sto proprio invecchiando? Però, almeno
l’ho indovinata giusta… lo immaginavo che avrebbe
passato la sua ultima serata a casa del signor Kurosaki! Mi ha portato
il video della scazzottata? Adoravo
Smackdown, quando lo trasmettevano qualche anno fa…
” rispose allegramente Urahara, raddrizzando la schiena e
fissandolo con curiosità.
L’Arrancar ghignò crudelmente, scoprendo una lunga
linea di denti affilati: “Sai, quando quel cretino mi ha
raccontato che gli stavi incredibilmente sulle palle, ho subito
pensato: beh, se Kurosaki non lo sopporta, deve essere di sicuro una
persona interessante…”
“Il signor Kurosaki è ancora un
bambino…” si schermì l’altro.
“Capisce, si vergogna ad esprimere tutto l’affetto
e la stima che prova in realtà nei miei
confronti…”
“…invece, mi devo ricredere: stai proprio sul cazzo
anche a me; anzi, mi stai doppiamente
sul cazzo, visto che mi costringi a dare ragione a
Kurosaki.” riprese Grimmjow, il ghigno che si allargava
minaccioso.
Per nulla impressionato, Urahara si girò ed
accostò la mano ad una leva che spuntava dal muro a fianco
della porta d’ingresso: “Su, non dica
così… si figuri che lei è il mio secondo felino
preferito…”
Con un ronzio appena percepibile, uno dei pannelli di legno che
componevano la facciata slittò di lato, rivelando
un’apertura buia appena larga a sufficienza da permettere il
passaggio.
“Vogliamo continuare la conversazione all’interno,
signor Jaegerjacques…?”
“Non c’è mica altro da dire.”
ringhiò l’Arrancar, passandogli davanti, con le
mani affondate nelle tasche; il sorriso di Urahara si spense lentamente
alla vista dell’elsa della sua Zanpakuto che cominciava a
brillare di luce azzurra.
Le pareti di Sekkiseki all’interno assorbirono completamente
l’onda d’urto del rilascio, ma un refolo di vento
raggiunse ugualmente il volto dello scienziato, scompigliandogli i
capelli e sollevando il suo cappello, che volò via prima che
potesse afferrarlo.
La risoluzione dell’Arrancar lo mise a disagio… lo
colpì il pensiero che, davvero, non avrebbe saputo dire se
erano le sue speranze, o le sue paure a dissolversi definitivamente
assieme alla spada della creatura.
“Tira fuori quella maledetta biglia, e facciamola
finita…”
------------------------------
“Che io sia dannato se questo non è un fottuto
cliché. Allora è vero che tu ed Aizen eravate due
gocce d’acqua! Ma cosa cazzo ve ne facevate di tutti questi
cieli finti?”
“Non si distragga, prego! E per favore, smetta di affilarsi
le unghie sulla superficie azzurra… non ha idea di quanta
fatica Jinta abbia fatto per verniciare il tutto!”
Infastidito, Grimmjow si allontanò dalla parete
dell’antro sotterraneo, e cominciò distrattamente
a prendere a calci un piccolo sasso.
“Tutta questa sabbia e gli alberi secchi, poi, ricordano lo
Hueco Mundo… dì un po’, non
sarà che mi hai fatto finire in questo buco
perché speravi di farmi cambiare idea, vero? Detesto le
persone insistenti…”
Urahara non rispose: il suo sguardo percorse brevemente la distesa
rocciosa, fino ad individuare ciò che stava cercando: un
enorme masso di granito, assurdamente spaccato in due parti da quello
che sembrava un taglio netto, inferto da una spada di dimensioni
ciclopiche.
“Ma no, signor Jaegerjaques! L’ho fatta venire fin
quaggiù perché ho intenzioni irresistibilmente
ambigue nei suoi confronti! Come le ho detto, sono già sulla
buona strada per essere arrestato per zoofilia… e lei
è un così bel rude
maschione…” rispose senza voltarsi, incamminandosi
spedito verso la formazione rocciosa.
Con un ringhio sordo, l’Espada balzò davanti allo
Shinigami, accostando il viso a pochi centimetri dal suo; svanita ogni
traccia di divertimento, la sua espressione divenne terribilmente
minacciosa.
“Hai intenzione di provocarmi, Kisuke Urahara? Aizen non ha
avuto bisogno di nessun altro attrezzo per ficcarci le nostre maschere
su per il culo…” disse rabbioso, afferrandolo per
il bavero con gli artigli “… e le ho viste di
nuovo, quelle dei fighetti della Justice League, quando sono
arrivato con Kurosaki e company per salvarvi le chiappe. Lui e
l’idiota biondo non erano casi isolati, come Aizen ci aveva
fatto credere… l’Hogyoku può far
spuntare le maschere, così come le fa sparire!”
“Un ammirevole corollario alla Prima legge della
Termodinamica…” disse Urahara, appoggiando la mano
sul polso di Grimmjow; il suo tono era ancora allegro, ma il suo
sguardo aveva perso ogni traccia di ironia, come la linea delle sue
labbra.
L’Espada non diede segno di accorgersene: “Non
parlarmi di quella roba; ne ho abbastanza da quando mi toccava sorbirmi
il tè nella sedia a fianco di Grantz… bah. Del
creare non me ne può fregar di meno, ma sicuro come
l’Inferno, posso distruggere quello che mi pare e
piace… inclusa la tua faccia insopportabile, se non ti
sbrighi a…”
Le apparentemente fragili dita dello Shinigami lo strinsero in una
morsa d’acciaio, strappando all’Arrancar un sibilo
sorpreso. Esitante, alzò l’altra zampa, pronto a
colpire, ma il bastone la intercettò con precisione
all’incavo del gomito, bloccandolo e costringendolo
lentamente ma fermamente a mollare la presa e ad abbassare gli arti.
“Stasera si gioca con le mie regole, signor
Jaegerjacques.” disse, freddi occhi grigi contro freddi occhi
azzurri. “Lei è una creatura impulsiva…
questa è praticamente la prima volta che discutiamo a
quattr’occhi, noi due, ma ho avuto modo di osservarla a
lungo, sul campo di battaglia…”
Grimmjow si divincolò con uno strattone, e l’altro
lo lasciò andare, facendo un passo indietro e riportando il
bastone in equilibrio sulla spalla. Lo Hollow lo fissò,
massaggiandosi il polso con aria sorpresa.
“Poi, mi hanno parlato molto di lei… specialmente
Orihime, e la signorina Neliel…”
“Tch. Buone, quelle lì… una palla al
piede peggio dell’altra. Ma porca miseria, se vedo una
femmina che se ne sta lì in piedi sul campo di battaglia, mi
aspetto che sappia come minimo il fatto suo, o che corra a
nascondersi… no, quelle se ne stanno lì a
frignare Kurosaki-kun
e a beccarsi un Gran Rey Cero sul…”
“Oooh… coda di paglia, eh?” lo
interruppe Urahara, recuperando una traccia del suo sorrisetto
preferito “Forse la stupirà un po’, ma
quando ho introdotto l’argomento, la prima cosa che Orihime
mi ha raccontato è stata come lei sia piombato nella sua
cella abbattendo un muro, per salvarla da morte
certa…”
“Tch.” ripeté Grimmjow, distogliendo lo
sguardo “Femmine… sempre a pensare tutto a
cuoricini. Figurarsi se l’ho fatto per lei… quella
piagnucolona mi serviva per…”
“… per correre al capezzale del quasi compianto
signor Kurosaki, in tempo per salvare lui da morte
certa…” proseguì Urahara, grattandosi
il mento.
“No, perché volevo che fosse cosciente mentre gli
spezzavo le reni!” ringhiò furioso
l’Arrancar.
“…poi, per qualche strano motivo, dopo che era
stato amorevolmente rimesso in forze perché anche
lei fosse cosciente mentre veniva eseguita la sua condanna a
morte, ha spezzato come rami secchi un paio di manette blocca-reiatsu
ed ha seguito il signor Kurosaki a Karakura, combattendo in prima linea
contro la fazione la cui vittoria le avrebbe garantito le maggiori
possibilità di sopravvivenza… contribuendo in tal
modo a salvare me e parecchi altri da morte certa.”
“Sti cazzi! Nel caso non l’avessi indovinato, a Las
Noches il meglio in cui un Espada sconfitto potesse sperare era il
declassamento a Privaron… e anche là avevamo un
sistema di esecuzioni molto efficace, te lo assicuro!”
borbottò Grimmjow, con scarsa convinzione. “E poi,
col cazzo
che lasciavo prendere a Kurosaki tutta la gloria! Quel bastardo mi
aveva difeso contro Nnoitra… dovevo fargliela pagare per
avermi fatto passare per una mammoletta, e pareggiare i
conti!”
“Bingo!”esclamò lo Shinigami, colpendolo
con il ventaglio sulla spalla “Ha visto che alla fine ci
siamo arrivati? Ecco perché l’ho portata qui, dove
il signor Kurosaki ha scoperto a suo tempo che Hollow e Shinigami sono,
dopotutto, due facce della stessa medaglia. Ecco perché me
la sto godendo un mondo ad ascoltarla mentre si giustifica per il suo
comportamento, che non è stato altro che
coraggioso ed onorevole! Coraggio ed onore, signor Jaegerjacques: due
qualità, che a dispetto del suo QI, glielo concedo, non
proprio stellare, sembrano formare ogni fibra del suo
essere… sono qualità rare, lo sa? Persino nei
migliori esemplari di essere umano, se mi consente il
paragone…” e tacque, studiando la reazione
dell’Arrancar.
Grimmjow lo fissò a sua volta per qualche secondo, poi
sputò per terra, distogliendo lo sguardo.
“Mi fai un sermone sul confine tra umano e non umano, Kisuke
Urahara? Pensi davvero di poter giudicare, dopo aver creato
quell’affare?”
“No. Non credo di potere. Volevo solo farla riflettere su
quello che lascia dietro di sé... che non è poco,
dal mio punto di vista.” disse Urahara semplicemente,
infilando la mano in tasca ed estraendo l’artefatto
“Perché, come immagina, non si torna indietro: se
abbiamo successo, l’Hogyoku sarà distrutto per
sempre. E glielo dico: anche se non ho il diritto di
giudicare le sue intenzioni, se avessi solo la metà del
coraggio che ha lei… non le consentirei mai di farsi questo.
”
“Per fortuna che sei un cacasotto, allora. Io non mi guardo
mai alle spalle; e se hai finito di piangerti addosso, sarebbe tempo di
un bell’abracadabra.”
----------------------------------
Più di un’ora dopo, l’interno della
caverna vibrava ancora debolmente di un’energia indefinibile,
mentre piccole scariche azzurre attraversavano l’aria
crepitando.
L’Adjuchas dalle rinnovate fattezze di una pantera
sonnecchiava sulla cima del masso spezzato, la testa appoggiata sulle
zampe, cercando di riabituarsi all’intensità delle
sensazioni nel suo corpo. L’udito super sviluppato gli
permetteva di seguire con precisione i movimenti di Urahara, che
ad un paio di chilometri di distanza si affaccendava attorno ai
congegni di apertura del Garganta: poteva fiutare le sue emozioni, un
disgustoso pastrocchio di tristezza e sollievo a malapena tenuto sotto
controllo.
Idiota zoccolato. Sembri
speciale solo quando riesci a nasconderti.
Era stato alquanto infastidito dal contrattempo, tanto più
perchè non si era bevuto affatto la storia che il portale
avrebbe interferito con l’attività
dell’Hogyoku.
Non puoi ingannare una
bestia feroce. Non so perché cazzo tergiversi ancora, ma ti
tengo d’occhio…
Gli effetti della trasformazione, il pesante odore di ozono e il ronzio
dell’energia statica lo stordivano, ottundendo la sua mente
concentrata sulle azioni dello Shinigami; così,
udì il rumore di ciottoli spostati solo all’ultimo
istante, quando i passi si fermarono alla base del macigno.
Rimase immobile ancora qualche istante, godendosi
l’impercettibile profumo di vaniglia che si faceva strada
attraverso quello metallico dell’aria, prima di sollevare una
palpebra assonnata.
“Guarda un po’ chi c’è. Tetta
destra, e tetta sinistra. Siete davvero inseparabili.” disse
pigramente, prima che Orihime Inoue potesse aprir bocca.
La giovane umana aveva tutti i capelli in disordine ed il fiatone, e lo
guardava da sotto in su con un’espressione talmente scioccata
da sembrare quasi comica.
Adorabile,
fu il primo pensiero dell’Adjuchas.
Il secondo fu, com’era prevedibile, Kurosaki è un cretino.
Il terzo, farò
ingoiare le palle a quel codardo con un sacchetto di popcorn in testa.
Avrei dovuto aspettarmelo, che avrebbe fatto un ultimo tentativo di
lavarsi la coscienza. Ma portare lei qui… ti ammazzo, Kisuke
Urahara.
Il silenzio durò qualche attimo più del
necessario: Orihime sembrava completamente ipnotizzata
dall’aspetto della creatura che le stava davanti, e lui, dal
canto suo, trovava immensamente meno faticoso prestare attenzione al
mormorio regolare del suo respiro, piuttosto che alla scelta delle
parole.
Non che ci sia poi molto
da dire.
Quando alla fine lei distolse lo sguardo, fu solo per spostarlo sulle
mani nervose, intrecciate davanti a sé: una breve
filastrocca, ed ecco…
“No.” disse semplicemente la pantera, mentre due
scintille luminose si staccavano dai fermacapelli di Orihime e
cominciavano a volargli attorno in circoli sempre più
stretti.
“Non ti muovere, Grimmjow.” sussurrò
velocemente la ragazza, senza smettere di guardare davanti a
sé: lo Hollow rimase immobile, stupito dalla risolutezza nel
suo tono di voce, e dalla velocità con cui le lacrime nei
suoi occhi si erano dileguate.
La luce calda e morbida del Soten Kisshun lo avvolse in un ampio
bozzolo arancione.
“Non funzionerà, bella… sai, a far
ricrescere un braccio sono capaci tutti...
ma qui stiamo parlando della Grande Biglia della Morte.”
“Non ti muovere.” ripeté Orihime, anche
se le tremavano le labbra. “Funzionerà. Sono
diventata un po’ più brava… ho anche
lavorato sull’Hogyoku, quando il signor Urahara me
l’ha chiesto. Non sono riuscita a distruggerlo, ma so come
funziona. Ti farò tornare come prima in un attimo.”
“…se avessi anche solo mezzo dubbio che tu ce la
possa fare, avrei già interrotto il mio pisolino e mangiato
questi due scarafaggi…”
“…sei stato uno stupido… uno stupido!
Non c’era bisogno che tu lo facessi… ci sarei
riuscita io! Ancora qualche anno… Grimmjow, non
c’era bisogno che tu ti sacrificassi per
distruggerlo!”
Alla pantera dispiacque un po’, ma non riuscì
proprio a trattenersi, e scoppiò in una grassa, cavernosa
risata che rimbombò sotto la volta azzurra, facendo
tremolare il fragile scudo.
“…ora ti riporterò indietro”
continuò Orihime, senza smettere di fissare il triangolo
vuoto al centro delle sue dita “e andremo assieme a mangiare
qualcosa… e ne parleremo… aspetta… solo… un
minuto…”
Cercando con tutte le sue forze di smettere di ridacchiare, la pantera
si rizzò sulle zampe anteriori e si diede una scrollata,
agitando la coda.
“…
aspetta… solo…”
Non fu necessario nemmeno increspare il reiatsu: la barriera si
disintegrò come un foglio di carta non appena ci
balzò attraverso, lasciando i Rikka ad ondeggiare a
mezz’aria per qualche secondo prima di ritornare guizzando
alla base.
A pochi centimetri l’uno dall’altra, la belva e la
fanciulla si guardarono negli occhi di nuovo, e stavolta Inoue non
riuscì a trattenere le lacrime: gli si
inginocchiò accanto e lo abbracciò senza esitare,
rabbrividendo al contatto con la fredda maschera di metallo.
“… perché…” disse,
singhiozzando piano.
“Non dovresti essere qui.” rispose Grimmjow.
“ Non avresti dovuto vedere questo… quel bastardo
aveva giurato…”
“No… il signor Urahara mi aveva promesso di
avvertirmi quando avresti cercato di fare qualche
sciocchezza… che stupida, che stupida… ero a casa
di Tatsuki…”
“Huh? E come diavolo facevi a saperlo, tu?”
“… io… me lo sentivo. Erano settimane
che… Ma non capisco perché, Grimmjow! Non siamo
amici noi due? Non siete amici tu e Ichigo? Non… non ci
siamo divertiti assieme, in questi due anni?”
“Beh, adesso, amici io e Kurosaki è decisamente
una parola grossa… diciamo che ho imparato a sopportare il
suo brutto muso. E’ più che altro il mio punching
ball preferito…”
“Le cose con il Gotei erano sistemate, Grimm! Eri qui, e
tutti avevano imparato a volerti bene… cosa
succederà, ora che sei di nuovo un Hollow? Ti daranno la
caccia di nuovo…”
Ecco, siamo al punto
dolente. pensò Grimmjow, divincolandosi
dall’abbraccio e sedendosi sulle zampe posteriori. E’ davvero incredibile
quanto crescano in fretta…e quanto qualcosa non cambi mai,
dopotutto. Forse lei e Kurosaki saranno sempre fatti in questo modo.
Sempre pronti a dare una zampa a chiunque, anche ad una pantera dalle
fauci sporche di sangue.
“Nah… non lo faranno, Orihime. Certo,
l’amnistia che ho ottenuto grazie alla mia “buona
condotta” sarà probabilmente revocata, ma quanto a
corrermi dietro… credo che il Gotei abbia ben altro per la
testa, in questo momento. Io ho oltrepassato da anni il punto in cui le
anime umane potevano sfamarmi, e penso che sotto sotto, non gli sia mai
dispiaciuto il fatto che gli Hollow si mangino tra loro.”
Diede in un sorriso lupesco di fronte allo sguardo orripilato della
ragazza.
“Che c’è, fanciulla? Impressionata dalle
zanne della pantera? E’ quello che ho sempre fatto,
piccola… da prima che tu nascessi. Ci sono le belle, e ci
sono le bestie a questo mondo.”
“Ma prima, non avevi scelta…”
protestò Orihime debolmente.
“Aaah… E cosa ti fa credere che adesso, una scelta
ce l’abbia?” sospirò lo Hollow,
scuotendo la testa.
“Certo che ce l’hai! Puoi tornare a casa con me
e…”
“Ma Orihime… io ci sto tornando, a casa.”
----------------------------------
Il vento si alzò all’improvviso, quasi in risposta
a quelle parole, e come attraverso un velo giunse alle loro orecchie la
voce calma di Urahara, intenta ad intonare una cantilena senza senso.
“Ascolta, piccola… lo sai quale sarebbe la cosa
più facile di questo mondo, per me? Mollarti qui, ed
infilarmi in due balzi in quel portale, lasciandoti credere per il
resto dei tuoi giorni di avere fallito con me. Sarebbe una scusa
perfetta, e ci crederebbero tutti, sai, a parte forse Neliel, che mi
conosce da un’infinità di tempo... E tu, che sei
sempre stata sincera, ti prenderesti tutta la colpa, o cominceresti a
rimproverare nella tua mente i tuoi compagni, per tante piccole cose
che nella tua testolina potrebbero essere state la causa di…
questo.”
Quasi tutti tireranno un
bel sospiro di sollievo, in realtà…ma non li
biasimo per quello. La redenzione è meglio lasciarla a chi
è pentito, o a chi dalla grazia ci è caduto per
sbaglio…a chi, dentro di sé, non è mai
stata altro che un’allegra mocciosa impertinente. Non ho ragione, vecchia
amica mia?
“Ma non sarebbe giusto. Dopotutto, se non ricordo male, ti
devo ancora un intero braccio… e sei arrivata al punto di
versare lacrime per la sorte di questo micio spelacchiato, quindi a te
la dirò, la semplice verità su Grimmjow
Jaegerjacques. Vedi, lui… non è mai stato altro che una
pantera. Un animale feroce, a cui nessuno può accostarsi se
non attraverso le sbarre di una gabbia.” disse
l’Adjuchas, volgendo lo sguardo verso la fessura nera che si
allargava lentamente in lontananza.
“Dal momento in cui un certo damerino arrogante ha deciso che
voleva dare l’assalto al cielo azzurro, e che le mie zanne e
i miei artigli gli facevano comodo, le sue sbarre mi hanno stretto da
ogni lato... sono entrato nella prigione ruggendo e graffiando, odiando
quell’uomo, che ai più di noi è
sembrato Dio in terra, più di ogni cosa al mondo: e alla
fine, l’ho avuta la soddisfazione di saltargli alla gola, e
sono sopravvissuto, dove tutti gli altri hanno trovato la
morte.”
“Da quel momento, non ho fatto altro che attendere che la
porta della gabbia si aprisse: ed è stata una bella
parentesi, piccola, lo devo ammettere, ma… semplicemente,
non è questo il posto dove posso stare; due anni sono stati
abbastanza per rendermene conto. Troppo complicato. Troppo caos. Troppe
regole di cui non afferro il senso, in questo mondo luminoso che si
rifiuta di essere attraversato con la pura forza degli
artigli.”
Tacque, e voltò di nuovo la testa verso Orihime, che si era
asciugata gli occhi e lo guardava con infinita tristezza.
“Ma che cosa farai, una volta nello Hueco Mundo? Una volta
ritornato Hollow, con il buco nel petto, e il dolore,
e…”
“Farò il re.” rispose semplicemente
Grimmjow. “E’ quello che mi ha guidato fino ad
adesso… che mi ha impedito di ritornare un Gillian.
Andrò avanti, e troverò un branco, come quello
che avevo un tempo: non sarà difficile, ora che quel vecchio
bastardo di Barragan ha tirato le cuoia, e che anche Stark, Halibel e
un’altra infinità di Vasto Lorde non ci sono
più… è possibile, baby, che in
realtà tu abbia davanti lo Hollow più potente
dello Hueco Mundo! Quanto al dolore e al foro… sono
prezzi che sarei stato disposto a pagare, se fosse stato necessario.
Ma i poteri dell'Hogyoku hanno provveduto anche a questo,
infrangendo le regole per l’ultima volta.
Guarda: il regalo d’addio di Kisuke Urahara.”
E si sollevò sulle zampe posteriori, mostrando il petto
interamente ricoperto di armatura scintillante.
“Perciò, smettila di piangere, e non
stare in pensiero per me: vivi la tua vita, sposa chiunque-chiunque non sia
Kurosaki, diventa un’allegra nonnina e quando
muori… cerca di atterrare dall’altra
metà del cielo. Io vado a mettere ordine nella
savana.”
Si guardarono ancora per qualche attimo: Orihime parve sul punto di
dire ancora qualcosa, ma si interruppe quando Grimmjow le si
avvicinò, strusciando il testone contro il lembo del suo
vestito, offrendosi ad un’ultima carezza.
Poi l’Adjuchas si voltò, cominciando a correre
verso il freddo vuoto del Garganta, e lei rimase lì, a
guardarlo mentre balzava nel vortice. Uno strano sentimento molto
vicino alla tranquillità non ci mise molto a prendere il
posto della tristezza nel suo cuore.
-------------------------------
Dal diario di lavoro di Kisuke
Urahara, 18 Agosto
Beeenissimo. Allora,
bilancio dell’esperimento.
Garganta: tappato.
E’ ufficialmente più semplice del farsi un
caffè. Queste maledette cuccume
all’occidentale…
Ferite emotive
di Orihime (assai leggere, fortunatamente): sanate al meglio delle
possibilità con una scorpacciata di onigiri. Benedetto
Tessai.
Signor Jaegerjacques:
partito. Auguriamogli buona fortuna.
Hogyoku: profondamente e
incontrovertibilmente indebolito. Siamo sulla buona strada; la
scomparsa delle screziature bianche non lascia dubbi, la creazione
degli Arrancar non è più una
possibilità. In attesa di ulteriori sviluppi…
Stato
dell’esperimento: …
…fortunatamente,
non ancora completato. Odio deludere i miei clienti, specialmente
quelli illustri come… costui.
Note finali
Permane un dubbio
anatomico angosciante, complice di miss Yoruichi nel togliermi il sonno
in queste calde notti estive: “costui” è
dunque un costui, una costei… o dei costoro?
----------------------------
Dedicata ad Eleonora, perché si decida a cominciare a
leggere Bleach.
Dedicata a Riccardo, perché si decida a convincerla a
leggere Bleach!
Ecchecribbio! Se no che sto a scrivere a fare io?
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Capitolo 7 *** Septima ***
Septima
E' fu Amore, che,
trovando noi,
meco ristette, che venia
lontano,
in guisa d'arcier presto
sorïano
acconcio sol per uccider altrui.
E' trasse poi de li
occhi tuo' sospiri,
i qua' me
saettò nel cor sì forte,
ch'i' mi
partì sbigotito fuggendo.
Allor m'aparve di sicur
la Morte,
acompagnata di quelli
martiri
che soglion
consumare altru' piangendo.
(Guido Cavalcanti, O donna mia non vedesti colui)
“Il Mago.” disse solennemente il Filosofo,
scrutando la carta appena voltata con quattro paia d’occhi
attenti; tutti gli altri non abbandonarono neppure per un istante la
figura immobile del Pellegrino incappucciato, registrando il fatto che
non desse alcun segno di aver sentito.
Invero, lo scorrere degli eventi gli aveva riservato un ben singolare
incontro quel giorno; e sebbene non vi fosse traccia di inquietudine
nel suo cuore (poiché sapeva bene che
quell’incontro, per il solo fatto di essere avvenuto, era
palesemente destinato ad accadere), sentiva di provare nientemeno che
un accenno di curiosità nei confronti del visitatore;
curiosità che lo aveva addirittura spinto a non prendersi
l’abituale minuto di riflessione, prima di girare la carta
dell’Io. Forse un segno del destino? Un segnale che
l’Universo gli lanciava, ad indicare l’incontro
come l’inizio di qualcosa di importante? Ciò era
quantomeno inusuale.
“Un inizio. Un impeto creativo. Il desiderio di mettersi alla
prova; l’entusiasmo, la volontà di rinnovare, le
grandi potenzialità. Tendenza all’inganno, alla
manipolazione; un abile illusionista… sento di dovermi
congratulare. Invero, molti di coloro che ora sono Vasto Lorde
manifestavano siffatte qualità.”
Un breve cenno del capo: le mani del visitatore, completamente coperte
dalle ampie maniche di tela, si incrociarono sotto il suo mento. Non
aveva ancora detto una parola, ma osservava lo svolgersi della lettura
con interesse.
“Ai lati dell’Io, gli Alleati.” riprese
il Filosofo, placando serenamente la fuggevole impazienza che
cominciava a provare. Invero, nulla di ciò che era successo
attorno a quel tavolo di marmo consumato aveva meritato finora la
benché minima attenzione particolare…
“Il Matto, e la Giustizia. Singolari figure, di rado
accoppiate; l’una è alla ricerca della
verità e della correttezza; cerca la pace, ma impugna una
spada. E’ cieca e inflessibile, mitigata solo da grande
tristezza.
L’altro è la voce della verità, che
nessuno intimidisce: non ha padroni, non ha ideali, e non vive per
altri che per sé stesso. Una forza creativa e distruttiva,
dal grande potenziale…”
Il Pellegrino era giunto da Nord, nel corso dei minuti appena
trascorsi, silenzioso e agile, scalando rapidamente la collina sassosa
fino all’ingresso della sua casa; lo aveva trovato in
meditazione ed attesa, come tutti coloro che osavano presentarsi di
fronte al suo sguardo.
Non si era identificato, né aveva detto alcunché:
si era limitato a sfoderare la sua spada davanti a lui, ed a
conficcarla all’ingresso della caverna - certo in segno di
rispetto e di pace… ma da quando era entrato, il Filosofo
non poté fare a meno di notare, il distante sibilo del vento
aveva taciuto.
“Dietro all’Io, il passato recente: il Re di Spade.
Invero, questa è una lettura assai singolare! Tutto sembra
andare al rovescio: nel passato vi è già
completezza, maturità, determinazione, estrema freddezza,
almeno dal punto di vista intellettuale. Dietro al passato recente,
quello remoto…”
Un sibilo minaccioso, ed il clangore sordo di metallo su marmo; il
Filosofo sbatté alcune decine di palpebre, stavolta
decisamente perplesso.
Poteva accadere che un paio d’occhi fossero tratti in
inganno, certo… ma tutti
quelli che ora fissavano la superficie sacrilegamente crepata del suo
amato tavolo di marmo, e la lunga lama nera conficcata saldamente al
centro della carta?
Una seconda figura, più bassa ed esile, era appena emersa
dalle tenebre al fianco del Pellegrino, la mano colpevole
sull’impugnatura dell’arma; veloce come aveva
colpito, la lama saettò all’indietro, riducendosi
alle dimensioni di una piccola daga.
Il Pellegrino prese la carta dalla punta protesa della spada del
compagno, senza neppure voltarsi, e la nascose rapidamente nelle ampie
maniche del saio; il Filosofo ebbe appena il tempo di dare una buona
occhiata allo strano colorito delle mani di entrambi, e a
perplessità si aggiunse perplessità: carnagione
rosata, dita magre ed affusolate… insolito davvero, quasi
come se…
“Ora, così non va… non va
proprio.” disse. “Ne devo dedurre che il passato
non è per il soggetto di interesse alcuno… o,
forse, che desidera tenerlo nascosto…? Piuttosto sciocco, ed
imprudente… tutto ciò che siamo dipende dal
nostro passato. Ma questo, passi: sono abituato da secoli ad avere a
che fare con la crassa ignoranza delle creature viventi…
Il poco rispetto di questo luogo e degli Arcani, vi avverto tuttavia,
è più che una sciocchezza: è suicidio.
Spetta a me, dopotutto, decidere se lascerete questo luogo con la
saggezza delle carte, o se dovrete vostro malgrado
trattenervi… e diventare parte del mio corpo. Non
dimenticatelo.
Perché il mio sguardo, dicono, è temuto finanche
dal Dio Re nel suo palazzo senza mura… perché,
invero, sono capace di grande Amore… ma ad Amore segue quasi
sempre Morte, in questa caverna.”
E dunque alzò una mano, ed amò, e per lo spazio
di un istante fu tutt’uno con quella seconda, magra, piccola
sagoma appena comparsa, e fu un vero colpo di fulmine, e
l’impronta di un bacio apparve sulla tela sdrucita del saio,
appena sotto la spalla.
La figura fece un passo indietro, ma invano: come posseduto da una
volontà estranea, il braccio colpito si era già
piegato all’indietro, la minuscola lama puntata
minacciosamente alla sua gola. Il Pellegrino girò appena il
capo verso il compagno, senza scomporsi: la sua espressione era
indecifrabile nell’ombra del cappuccio, ma pareva decisamente
più affascinato che intimorito dai poteri del Filosofo.
Egli rimase immobile ancora per qualche secondo, osservando
l’inutile e maldestra lotta della sua vittima con
sé stesso: poi, placato il fastidio nel suo animo, rivolse
di nuovo la sua attenzione al Pellegrino e al tavolo scheggiato, dove
le ultime tre carte giacevano coperte.
“Mi avete messo di cattivo umore.”
proseguì. “ Quello che avete appena rovinato era
un mazzo Visconti originale, sapete… un dono venuto
dall’Ovest, vecchio di seicento anni. Davvero, non
meritereste tanta pazienza da parte mia… ma vi
perdonerò, per ora, e proseguirò la lettura,
poiché se non altro mi aspetto altre carte interessanti da
una creatura così temeraria.”
Tacque, e proseguì con la carta successiva, dalla parte
opposta a quella dell’Io: “Il futuro prossimo, dove
riposano i nostri progetti: il Cinque di Bastoni! Veramente, una vita
tutta dedicata alla sfida! Vedo spirito combattivo, assenza di paura,
bruciante desiderio di mettere alla prova il proprio
intelletto… un’anima capace di trasformare ogni
ostacolo in un’occasione per saggiare le proprie
forze… i bastoni, seme di fuoco, toccano il cielo, simboli
di un’ambizione senza limiti… e di un futuro
dedicato a realizzare questa ambizione. Ma cos’è,
mi chiedo, questo progetto tanto grande? Gli Arcani sembrano volermi
tenere con il fiato sospeso! Forse le carte degli Strumenti e dei
Nemici mi riveleranno qualcosa di
più…?”
Per la prima volta, la lettura sembrò provocare una reazione
nel Pellegrino: nulla di eclatante, ma il Filosofo fu certo di vederlo
trasalire per un attimo, e farsi di colpo più attento,
mentre appoggiava sul bordo del tavolo le sue dita così
pallide; quel disegno enigmatico, la mano che emergeva dalla nuvola
reggendo una sfera dorata, pareva averlo colpito in maniera insolita.
“Vi interessa l’Asso di Denari? Bizzarro. Visti i
precedenti, non credevo vi sareste rivelato una persona attaccata alle
cose materiali… esso rappresenta la proprietà ed
il progresso, e la capacità di concretizzare i
desideri… indica che la via per il successo è
legata al possesso di qualcosa, qualcosa di unico, importante e
desiderato… deduco dalla vostra reazione che sapete bene di
cosa si tratta, ma ciò aggiunge perplessità a
perplessità… Che cosa mai si può
ritenere degno di essere posseduto, qui nello Hueco Mundo?”
L’ira che lo aveva posseduto poco prima si era placata,
lasciando di nuovo il posto a quella sottile inquietudine che lo
tormentava dall’inizio della visita: cominciava a sentirsi
quasi… frustrato dai misteri che circondavano
l’oscuro destino del Pellegrino…
Aveva predetto l’avvenire di centinaia di Hollow nel corso
della sua lunga esistenza; decine di Vasto Lorde dovevano i loro regni
bui al suo dono, al suo sguardo immerso nel passato e nel futuro; e,
invero, tutti loro aveva amato, di tutti aveva conosciuto i pensieri
più intimi sui volti dei Tarocchi… essi non
erano, dopotutto, diversi da lui, nati dalla paura e dalla sofferenza
degli effimeri esseri umani, predatori della razza che li aveva
generati… chi era mai costui, per spezzare il corso delle
cose? Per arrivare alla penultima carta, che avrebbe rivelato
l’identità dei suoi avversari, lasciando intendere
di sé solo la sua superba sfida alla volta celeste?
Furono i suoi stessi pensieri a fornirgli la risposta:
un’idea improvvisa… ma di
un’assurdità oscenamente ridicola, come una
tautologia che negava sé stessa. Non riuscì a
scacciare la sensazione di sapere in anticipo quale sarebbe stata la
carta del Nemico: e quando i suoi occhi si posarono sul grottesco
disegno, il Filosofo ebbe la conferma che le leggi
dell’Universo erano state sacrilegamente infrante.
A causa della forma sferica del suo fisico, per il Menos il concetto
stesso di alzarsi non aveva senso (e ciò era né
più né meno che logico, dato che neppure poteva
sedersi); tuttavia, raddrizzò la schiena, e sentì
avvampare tutte insieme le passioni che da secoli tentava di mantenere
sotto controllo con molte ore di severa meditazione.
“Dunque è così… ora, invero,
tutto si spiega. Questo cambia le cose: sono invero
mortificato… ma non ve ne andrete via vivi da qui. Siete
venuti in un luogo dove non appartenete, il luogo dove gli spiriti
inquieti si divorano l’un l’altro, o proiettano la
loro ombra cupa sul mondo dei vivi… dove ciò che
portate al fianco non è bene accetto. Dico il
vero… Shinigami?!”
---------------------------------------------------
Seguì un attimo di silenzio; poi, con l’unica mano
libera, il compagno del Pellegrino cominciò a grattarsi la
testa, prima di togliersi con un certo impaccio il cappuccio, e nella
penombra emerse un visetto infantile e grazioso, ma dai lineamenti
inquietanti: un paio di occhietti socchiusi, un largo sorriso
dispettoso, corti capelli d’argento… nessuna
maschera.
“Ahi ahi ahi… Cap, ci hanno sgamati anche qui! E
ci ha messo anche meno degli altri, eh?” si
lamentò il ragazzino, sbirciandosi il braccio irrigidito con
aria preoccupata.
Fu il turno del Pellegrino di scoprirsi il capo: di fronte al Filosofo
apparve un volto affabile e cordiale, appena un po’
spettinato, ed ingentilito da un paio di occhiali dalla montatura
spessa. L’uomo sorrise cordialmente e sospirò,
incrociando la punta delle dita di fronte a sé:
“Temo proprio di sì, Gin… davvero,
sembra che non ne facciamo una giusta! Ma è stata comunque
una conversazione interessante, non trovi…? Forse
persino… illuminante. Solo, vorrei proprio sapere dove
abbiamo sbagliato!”
“In verità, mi chiedo come abbia potuto
non sentire la vostra puzza fin dall’inizio; ma non ha
importanza, perché gli Arcani non commettono errori!
Soltanto uno Shinigami può avere come nemici…
degli altri Shinigami!” rispose lo Hollow acido, gettando con
disprezzo sul tavolo la carta che teneva in mano: il ghignante
cavaliere scheletro… la sinistra figura della Morte.
“Capisco… proprio nessuna chance, di fronte a
tanta saggezza!” ridacchiò l’altro
divertito, a voce bassa. “ Molto bene. Immagino che a questo
punto, la mia debole speranza di leggere nella tua ultima frase
un’offerta di pace sia mal riposta, mh? Avrei dato volentieri
un’occhiata anche al mio futuro remoto…”
“Non ve n’è alcun bisogno, Psicopompo:
la tua strada si interrompe qui… con una sfida, invero, come
gli Arcani hanno predetto… ma è una sfida che non
vincerai! Sono lieto che tocchi a me punire la tua arroganza
nell’infrangere i confini dello Hueco Mundo… e
vendicare le migliaia di Hollow che hai di certo giudicato, senza
diritto alcuno, con la tua spada infame!” urlò il
Filosofo, sempre più agitato.
La sua espressione di disgusto aveva lasciato il posto ad una di
trionfo: alzò le braccia, al colmo
dell’eccitazione, e dozzine delle sue pupille si dilatarono
nelle loro iridi, divorando d’Amore il corpo immobile del
Pellegrino, stampando il loro simbolo nero sul saio sdrucito e sul
volto sorridente, sfigurandolo: eppure egli non si mosse, né
il suo sorriso, o quello del suo giovane compagno, si incrinarono per
un solo istante.
“Il tuo è un potere interessante,
Adjuchas… invero
interessante. Farò tesoro di ciò che ho imparato
oggi, e spero che, quando ci rivedremo di nuovo, potremo chiacchierare
ancora…” mormorò lo Shinigami con un
educato cenno del capo.
“La tua arroganza è oltraggiosa oltre ogni limite,
Dio della Morte… ma almeno di questo non dovrai
preoccuparti, perché stai per sperimentare di persona quante
voci urlino di dolore nelle menti dei Menos!” urlò
l’altro in risposta, avventandosi con una velocità
insospettabile sulle sue prede indifese, rovesciando il tavolo di marmo
e tutte le carte su di esso, incapace di pensare ad altro che
all’odio che lo divorava…
Ma le sagome dei due tremolarono e svanirono nel suo abbraccio mortale,
come i riflessi in una pozza d’acqua: i suoi artigli non
strinsero altro che aria umida, mentre lo slancio per poco non gli
faceva perdere l’equilibrio, e senza che avesse nemmeno il
tempo di registrare l’accaduto, il suo controllo fu troncato
di netto, frustandolo dolorosamente come un elastico strappato.
Sul momento, non riuscì nemmeno ad urlare di dolore: solo un
gemito strozzato gli sfuggì dalle labbra, mentre molte delle
orbite mostruose cominciavano a sanguinare; colto dal panico, si
trascinò indietro, timoroso di sentire la punta delle lame
abominevoli trafiggerlo senza pietà… ma la voce
del Pellegrino lo raggiunse un’ultima volta
dall’ingresso della caverna, dove, tra le lacrime, lo vide
estrarre la sua arma dal terreno e ripulirla nella manica del saio.
“… sono
certo che potremo chiacchierare ancora. E per ringraziarti
di quello che hai fatto per me, quel giorno sarò generoso, e
ti farò un regalo: ti darò la cosa che desideri di
più al mondo...
Perché, Filosofo, la tua arte è davvero
meravigliosa: ma a me non è servito girare delle carte, per
capire chi avevo davanti...”
L’umiliazione e la furia furono più forti della
paura: il volto deformato dalla rabbia, lo Hollow gridò
ferocemente, mentre un’altra serie di bulbi oculari emergeva
gocciolante dalla sua fronte…
Un istante più tardi, era di nuovo solo nella caverna: il
gentile sorriso ed il ghigno si dissolsero, mentre i corpi degli
Shinigami esplodevano in un’infinità di frammenti
luminosi, che si sollevarono in aria, volteggiarono e ricaddero a terra
con un fruscio, tramutati in altrettante carte da gioco, in perfette
copie di Arcani dall’identico disegno…
...gli Amanti.
-------------------------------------------------
Rimase a lungo impietrito. Attese a lungo di svegliarsi da quello che,
logicamente, doveva essere stato un sogno assurdo. E, quasi a
confortarlo in questo corso di pensieri, le carte che tappezzavano il
pavimento cominciarono presto a svanire, come (ma perché si
sorprendeva?) tutte le allucinazioni devono fare, una
volta che la mente superiore abbia scacciato i fantasmi e rammentato
che l’impossibile,
per definizione, non poteva avvenire…
Certo, i suoi occhi continuarono per settimane a sanguinare, e a vedere
quel tavolo rovesciato e quegli otto Arcani che non erano svaniti
ed il suo mazzo Visconti che continuava ostinatamente a
mancare di una carta: ma anche gli occhi di un Filosofo potevano
sbagliarsi… il mondo, no.
Il mondo andava in un certo qual modo, ogni persona sensata se ne
poteva rendere conto: ed il Filosofo andava invero orgoglioso del suo
essere una persona sensata.
------------------------------------------------
Slash.
Quarantacinque baci
rifiutati.
Slash.
Quarantasei colpi di
spada.
Le due bianche sagome danzavano attorno a lui sotto la luce della luna,
lasciando le loro impronte sulla sabbia arrossata.
L’Adjuchas fece un ennesimo, inutile tentativo, prendendo di
mira lo Shinigami con la pelle scura: ma scegliere l’uno o
l’altro era esattamente la stessa cosa, poiché per
quanto li costringesse a tagliarsi la gola, o a strapparsi il cuore dal
petto, i loro cadaveri non facevano altro che svanire nel nulla, mentre
un altro dei suoi occhi esplodeva schizzando sangue ovunque.
Slash.
Quarantasette occhi
lacerati.
(Il ragazzino
è cresciuto, ma il suo ghigno è sempre lo stesso)
Slash.
Quarantotto mondi
distrutti.
(L’altro
è cieco, ma colpisce come alla luce del giorno)
“Ti avevo promesso un regalo, ricordi? Avevo detto che ti
avrei dato ciò che più
desideravi…”
Slash.
Quarantanove urla di
dolore.
“Ebbene, eccomi: sono qui, e questo è
ciò che più desideri… Hai passato
secoli a studiare l’Amore, Filosofo; a crogiolarti
nell’autocompiacimento, pensando di essere il più
grande amante al mondo! Del resto, chi poteva contraddirti? Era
sufficiente che allungassi una mano per prendere ciò che
volevi: bastava uno sguardo, e subito i tuoi baci venivano
ricambiati…”
Slash.
Cinquanta volte respinto.
L’Adjuchas si accasciò sulla sabbia, accecato e
stravolto, il suo mondo perfetto ridotto in briciole; i suoi due
aguzzini rinfoderarono la spada e si fecero in disparte, mentre il
Pellegrino si avvicinava a quella massa inerme e dilaniata.
“Che patetica illusione… ma ora, finalmente, la
strada che hai a lungo cercato si stende dinanzi a te. La vedi, non
è vero?"
E stese una mano, e gli occhi dello Hollow videro nuovamente: le sue
orbite erano ridotte a grottesche cavità insanguinate,
eppure il cielo stellato si aprì di nuovo sopra di lui,
occupato solo dal volto gentile del Pellegrino, e quel sorriso gli
apparve più radioso e desiderabile che mai.
Si innamorò perdutamente, ed il lancinante dolore del fisico
si fuse meravigliosamente con quello dell’anima,
poiché sentiva che, per la prima volta in vita sua,
l’oggetto del suo Amore era al di là della sua
portata… poiché la disperazione gli strinse la
gola, ma le sue iridi sfregiate non potevano neppure più
versare lacrime…
“Ora soffri, poiché i tuoi baci hanno inseguito le
mie illusioni, e ti consumi dentro perché sai che
ciò che ami è irraggiungibile; sì,
Adjuchas… ora, invero,
sai che cosa è l’Amore.”
Con uno sforzo sovrumano, lo spirito maligno si sollevò da
terra, ansimando, senza mai staccare gli occhi dall’oggetto
dei suoi desideri: gli Shinigami, gli Hollow… le carte, la
stessa realtà… nulla aveva più senso,
lo sentiva. Non ora. Non di fronte a Lui.
“… ora, mi chiedo… hai ceduto alla
curiosità, in quella caverna? Scommetto di
sì… hai dato un’occhiata, non
è vero, alla carta del mio futuro
remoto…?”
Esitò per un attimo, prima di annuire; la sua vista
tornò ad annebbiarsi, mentre ricordava la sua infinita
sorpresa quando alla fine si era deciso a rimescolare il mazzo: non
aveva capito, allora… non aveva capito nulla.
“Il mio nome è Sosuke Aizen. Ho bisogno dei tuoi
poteri, della tua devozione, dei tuoi occhi: perché io sono,
come hai detto, il Mago… ed il Mondo mi attende
all’altro capo del mazzo. Se mi seguirai, ti darò
potere, ed uno scopo: avrai la tua vendetta contro gli Shinigami che
tanto odi.
Ma soprattutto, ti darò ciò che il tuo cuore
desidera: se verrai con me, o Filosofo… ti
concederò di amarmi.”
Nulla aveva più senso: nulla, né il riso del
Matto, né il disgusto sulle labbra della Giustizia dietro di
lui; non la sabbia dello Hueco Mundo, non la luce della luna, non il
passato, non il presente, e nemmeno il futuro, se non poteva passarlo
al fianco del suo Amore.
Piegando il suo corpo martoriato, urlò il suo nome tra i
singhiozzi; e sotto il cielo indifferente dello Hueco Mundo, si
prostrò di fronte al Mago.
-------------------------------------------
NdA:
Dedicata a Sixy_Chan, perché se questo capitolo ha visto la
luce è grazie a Trèbol!
NdA 2:…
e prima che i puristi mi spellino vivo, le illustrazioni sui Tarocchi
sono ovviamente quelle del bellissimo mazzo Rider-Waite, non di quello
Visconti!
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Capitolo 8 *** Octava ***
Octava
Voi che avete in sorte
un
ingegno perspicace,
una
mente alta e sagace,
non
abbiate invidia al forte,
né
all'illustre né al potente:
basta
a voi l'eccelsa mente.
(Giancarlo Passeroni)
Sorge il disco della luna sulle spiagge senza mare,
ove il sole mai non splende, niente albe né tramonti;
dalle tane gli animali se ne escono a giocare…
Forse voglion fare a gara, con canzoni e con racconti?
Attento,
tu che leggi: qui non sei al sicuro!
Se
un’occhiata al Mondo Vuoto hai deciso di lanciare,
sappi
che nessuno sceglie di sua sponte qui arrivare,
non
il savio, il farabutto, tantomeno il cuore puro…
sappi
che nel Mondo Vuoto vige la legge del più forte,
e
le bestie in cerchio siedon sotto gli occhi della Morte…
«Orsù!» disse la Morte “La
noia mi tormenta…
Parlate, raccontate, che la vostra voce senta!
La vita qui a Las Noches è un eterno dipartire,
perciò ora il vostro Re voi farete divertire!»
Seguì lungo silenzio; chi mai poteva osare?
Tra tutti solo il Lupo si metteva a sbadigliare…
«Temo che il mio racconto, grande e potente Sire,
sarà conciso e breve, poiché poco ho da
dire…
Sono un lupo solitario, mio cruccio e mio dolore,
né amante né compagno che mi scuota dal torpore!
Che viaggi o che stia fermo, divorare è mia natura,
non ho posto in alcun branco, io che a tutti fo’ paura;
sai che invidia per il cervo, per il porco e per il bue…
io mi sento così solo… ah, se almeno fossi
due!»
Al
che udì la Pantera, che ne guidava sei,
il
Toro a più riprese con tristezza sospirare;
già
la cosa gli faceva vorticar gli zebedei,
ma
saggio si costrinse pel momento a pazientare.
E la Rondine stridette «Ma che lagna, ma che pizza!
così pigro sei, scommetto, che nemmeno ti si rizza!
Come vuoi occupare l’ore, nelle terre tormentate?
Ma coperta di sudore, tra sveltine e ripassate…
Non esiste al Mondo Vuoto spettro, spirito od ossesso
con cui non abbia goduto dei piaceri dell’amplesso.
Se desidera il mio Re ascolterà la mia esperienza,
e potrei poi dimostrargli più d’un tipo
d’obbedienza…»
«Rondine sei, ma a me pari… Cagna»
Sbraitò la Mantide inviperita,
«Ma chiudi la fogna e falla finita,
ché donna qui di parlar non è degna.
Il cerchio è posto per maschi rancori,
sfogati tra sangue ed atroci dolori!
Qui narrerò una feroce battaglia,
e quanti ne uccisi con falce che taglia!»
«Sei tu Mantide e t'illudi - o piccolo animale -
che non spetti ad una donna segnarti il dì fatale?
Se fossi nei tuoi panni, abbasserei la cresta…»
rispose il Capricorno, che volea tenergli testa.
«Mi dici cos’è meglio, che sedere in
compagnia?
Sorridi al tuo vicino, lo prendi in simpatia…
Poiché nel Mondo Vuoto gli amici sono tutto:
con la giusta compagnia, puoi andare dappertutto!»
Interessante,
pensò la Pantera,
più
d’una femmina odia i villani…
v’è
di sicuro almen una che, fiera,
un
dì con la Mantide verrà alle mani.
Il
mio naso non sbaglia, c’è odore di
zuffa…
…ma
che ***** ha questo Toro, che sbuffa?
Ruggì allora quella fiera e mostrò i denti al suo
vicino,
non più Toro ma Vitello, or piangea come un bambino!
«Adesso, amico mio, mi hai spaccato un po’
i… palloni.
O ci dici che cos’hai, o per te sono ceffoni.»
«Ah, compagno, me malnato! Se sapessi la scarogna!
Fin da quando sono nato, son coperto di vergogna...
Proprio a me, così prestante, che tragedia, che
sconforto…
proprio a me la cruda sorte riservò cotanto torto!
Dimmi, su: chi più di me, se non parla orgoglio vano,
tranne forse a parte te, chi più ardito, chi più
sano?
Ciò mi rode ancor di più, ché di sei
sono il più bello;
non mi va davvero giù… di avere un Verme per
fratello!»
------------------------------
E di nuovo fu silenzio, per un attimo e un momento:
poi un irresistibil onda corse per l’assembramento.
Sprofondata nel suo trono scoppiò a ridere la Morte,
e ben presto gran risate riecheggiaron per la corte…
«Hai ragione, Vitellino, a sentirti sì umiliato!
Fossi io nei panni tuoi sarei ancora più
abbacchiato…
Fino a che sul trono d’ossa siedo io, che son la Morte,
non c’è spazio al Mondo Vuoto per colui che non
è forte!
Sei davvero imparentato con quel piccolo codardo,
buono solo a strisciar via per nascondersi al mio sguardo?»
Tra le risa il triste Toro ficcò il muso tra le zampe;
così rosso ormai sembrava, che pareva aver le vampe!
Soffocando il largo ghigno, un artiglio sulla spalla,
sussurrogli la Pantera: «Era meglio dir ‘na
balla…
Ti capisco, amico mio, la famiglia è importante,
ma se fossi al posto tuo, schiaccerei seduta stante
un mollusco di tal fatta, senza ardore né
coraggio…
esser deboli è già brutto, ma costui è
uno Scarafaggio!»
Come
unghia su lavagna, e nasale come imbuto,
gridò
allora una vocina, quando ognuno ebbe taciuto…
«Non è bello parlar male, quando uno è
qui presente…
non è bello non stimare chi non è forte e potente!
Il rispetto che vi porto è, mio Sire, grande assai:
sono certo accoglierete chi ha passato tanti guai…
E’ corretto, non lo nego, circondarsi del possente;
se non ha la forza bruta, ogni esercito è perdente.
Ma signore, qui nel cerchio, quanti forti già ci
sono…
e son certo, lo vedete, che il cervello è raro dono!
E’ mia colpa, fratellone, se son nato senza artigli?
In un mondo con le zanne, con aculei e con barbigli,
preferisco volar basso, e strisciare sottoterra…
ci son modi più sottili per combattere una guerra!
Difendetemi, mio Re, e con me la Conoscenza:
ci son mille e mille usi per l’esperto della
Scienza!»
Così disse il Vermicello, senza scorger
l’imprevisto,
perché alfine tra le corna la Pantera l’avea
visto:
solo all’ultimo momento, prima d’essere schiacciato,
trillò acuto il derelitto nel balzar svelto di lato,
e sul capo del parente s’abbatté la fiera rabbia,
spinto da una dolce zampa ad inzuccarsi nella sabbia.
Non si arrese la Pantera, ed inseguì il magro bottino,
insidiato nella fuga da chi gli era più vicino:
lo Scorpione ad infilzarlo, e la Rondine a ghermirlo,
poi la Mantide a tagliarlo, l’Anaconda ad inghiottirlo;
e se il Lupo, sonnacchioso, via lo scaccia con la coda,
per un pelo il sommo Re con un’ascia non
l’inchioda,
finchè all’ultimo momento, ansimante e ormai
sfinito,
mise in salvo il suo cervello lì da dove era partito,
infilato che si fu in un buco nel terreno,
ingiuriato dal fratello con parole di veleno.
--------------------------------
E si rise ancora un poco dei recenti avvenimenti,
e a nessuno al tempo parve poter essere altrimenti;
rise tanto chi a suo agio si trovava in quell’inferno
quanto chi, con più mestizia, lo credeva un luogo eterno.
Tra le risa, solo il Grillo serio serio rimaneva,
e la Volpe sotto i baffi in silenzio sorrideva,
ed il Grillo se ne stava appollaiato sul suo orecchio,
sorreggendo tra le zampe un antico e picciol Specchio.
«Sottovoce dimmi, Grillo, osservando un po’ il
riflesso,
la tua sincera opinione su quel ch’è accaduto
adesso.
In particolar mi preme che tu osservi un po’ quel Verme,
che tutti hanno preso a calci poiché all’occhio
sembra inerme;
Io ti dico il mio parere, è caval su cui puntare,
ché sospetto essere in lui molto più di quel che
appare.»
«Vedo poco che mi piaccia, fiera furba e indisponente:
e nemmeno tu mi piaci, tu che hai lingua di Serpente.
Ciò che vedo nello Specchio è il futuro
ch’ei ci dona;
e se il Re d’un regno vuoto appare qui senza corona,
è l’immagine del Lupo in qualche modo raddoppiata;
ecco vedo il Capricorno in un Agnello
trasformata…
solo la truce Pantera resterà uguale a sé stessa,
e più intenso si fa l’odio che provavo
già per essa.»
«Quanto al Verme che tu dici, a me provoca
disgusto…»
“O compare, il tuo difetto: troppe idee su ciò
ch’è giusto!
Non scordare, Grillo mio» ribatté piano la Volpe
«che siam qui per giudicare le premesse per un golpe!
Quello che lo Specchio mostra invero diverrà
realtà,
e con tutte queste belve, un gran bel circo si farà;
mostreranno i loro numeri a quel pubblico lassù,
nel seguire il domatore a dar l’assalto al cielo blu.
Ed io vidi nello Specchio – e pare l’opera d'un
mago! -
che quel Verme bistrattato, nel riflesso… sembra un
Drago!»
------------------------------
Sorge il disco della Luna sulla candida fortezza,
dove il sole mai non splende, ma ora azzurro brilla il cielo;
son creazioni l’uno e l’altra
dell’ingegno e d’acutezza,
costruite con la scienza, da colui che per un pelo
non svaniva nella polvere, nel nulla come tanti,
ma che sotto un nuovo Dio poté fare il passo avanti.
Nello spazio di un momento fu domata l’energia,
e ciò ch’era caos e zanne nominato biologia,
e colui che senza forza era appena un antipasto
condivise presto il desco con l’Adjuchas ed il Vasto;
poi si fece un’armatura di calcina e pietra sekki,
luogo ove dissezionare i colleghi troppo vecchi,
dove carne erano i muri e le finestre occhi attenti,
tanto per la sua delizia quanto per gli altrui tormenti.
Rise allora deliziato quel Dio angelo caduto,
e gli disse poter fare ciò che a lui fosse piaciuto;
fu perché lo divertiva la mancanza di morale…?
Forse anche in lui vedeva dopotutto un animale…?
Certo verme, tigre e lupo hanno simile andatura
per chi ha forza ed intelletto e volontà in egual misura;
tuttavia lo divertì, stando a quanto lì si dice,
lasciar che il novello Drago diventasse una Fenice,
ché in gran conto egli teneva il bruciar
dell’intelletto,
e sperava di sfruttarne il potenziale a grande effetto.
Disse: «Fuoco contro fuoco devo opporre per trionfare
su quell’Idra ch’è nei cieli, e
riscrivere la storia!»
E la celere risposta non fu certo una Cassandra:
«Sire, certo nuova fiamma può un incendio
soffocare…
se sacrifico ragione, intelligenza e poi memoria,
tempo un mese Vi farò… una bianca
Salamandra!»
«Va’! Che poco mi interessa, se ha il cervello di
un bambino.
Per sfidare quella fiamma, ben dev’essere un
cretino...»
---------------------------
Passa il tempo al Mondo Vuoto, come in ogni dimensione;
molte belve son cadute nell’assalto al gran bastione,
ma sereni e compiaciuti sono il Dio ed i suoi alleati,
ché dell’Idra quattro volti sono già
decapitati;
nella stanza dei bottoni ecco si apre il nero ponte,
per portare i tre più forti ad assaltare
l’orizzonte.
Sulle mura s’è già spento ogni rumore
di battaglia,
ma nell’antro sottoterra, in quel buio cupo buco
si misura il non-più-Verme con un ripugnante Bruco,
e si gioca tra due menti un’ultimissima schermaglia,
e sicuro è lo scienziato che gli arriderà la
sorte,
poiché ora è una Fenice, che non teme
più la morte.
Le sue carte gioca il Bruco, ma non riesce a fargli un graffio;
eppur viscido sorride, perché non ha mai scordato
che a coloro che, potenti, l’hanno sottovalutato,
anche lui, seppur strisciando, ha ben scritto
l’epitaffio…
Non si avvede la Fenice, dai suoi resti risorgendo,
che quel Bruco è gran maestro di veleni e di tossine,
e che il corpo che ha lasciato ne contiene a dozzine;
tutto tronfio già si esalta, certo ormai di star
vincendo…
Ma il momento del trionfo dura giorni, e settimane,
poi la lama lo raggiunge, congelando il fiero ghigno:
in silenzio egli si spegne, sulle sabbie ormai lontane,
la sua mente una prigione, e non più grandioso regno!
Scruta attento il corpo il Bruco, scuote il capo assai deluso,
mormorando un’orazione per il Verme sventurato:
«Stupidissima Fenice, potrai pure aver volato…
io davvero non ci tengo che il mio bozzolo sia schiuso!
A che pro poi farmi bello, diventare una Falena?
Ciò che nasce presto muore… perché
darsi tanta pena?
Preferire l’alto cielo, che il tuo occhio fa sfocato...
hai davvero un bel coraggio a definirti uno scienziato.
Chi si piega sopravvive! Ciò ch’è
rigido si spezza!
...ma tu forse invero odiavi la tua innata debolezza.
Nella morte l'hai compreso, il fatale tuo difetto?
Invidiar colui ch’è forte… voler essere
perfetto!»
------------------------------------------
NdA:
Dedicato
a mia nonna, che ci ha preceduti nella Soul Society. Mi manchi... ma
sono sicuro che ti abbia fatta felice la mia laurea, da
lassù. Ti voglio bene.
NdA2:
....eh, già. Mi
sono laureato, finalmente; triennale a Padova, ed ora nella malinconica
Venezia. Vedremo mai la fine? Per il momento, dopo sei mesi, un altro
capitolo... Finirà prima la specialistica o questa fic? Stay
tuned!
|
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Capitolo 9 *** Intervallo ***
Intervallo
...si
trattava di scovare il folle che ti correva dentro guastandoti
l'esistenza.
Lo
rincorrevi,lo incastravi in un angolo e lo acchiappavi.
Ma
non lo uccidevi, oh no.
Ucciderlo
era troppo poco per un piccolo bastardo come quello.
No,
gli appioppavi una cavezza e lo mettevi ad arare.
Il
folle lavorava come un demonio, una volta messo in riga,
e
ti dava anche il destro per qualche ridacchio, di tanto in tanto.
Ecco,
era tutto lì ed era sufficiente.
(Stephen King, It)
Luce soffusa.
Parte la colonna sonora:
Rabbits (David Lynch - Angelo Badalamenti)
Entra ( ),
trascinando dietro di sè la Zanpakuto. Non guarda il
pubblico, ma fissa un punto lontano.
( ):
..............................................................................
Fine della colonna
sonora.
Buio.
Luce su ( ).
( ):
.............................spegnete le luci.
Silenzio.
( ):
Spegnete le luci. Non c'è luce qui. Sta piovendo.
( ):
Lo so perchè siete qui. Siete qui per lui. Ma lui non
c'è: quando ci sono io, lui non c'è.
( ):
Lui è
là fuori: sta combattendo. Se siete qui per lui, dovreste
scorrere le pagine. Capitolo 404; proprio verso la fine. Piove a
dirotto, ma proprio a dirotto. E' una tempesta. Mi piace la pioggia.
Buio.
Rumore di pioggia
scrosciante.
( ):
Lui combatte, ma ha
paura. Ha paura perchè ha visto. E' stato davvero un
guaio... ma
non potevo fare altrimenti. Mi crepava tra le braccia, se non glielo
facevo vedere.
( ):
Non ho potuto
resistere: un buco nel petto... uno stramaledetto, gigantesco foro
che... da parte a parte... Ah! Cuore; metà del polmone
destro;
tre quarti del sinistro. Giuro, era.. era da orgasmo: meglio, persino
meglio di quando... di quando mi ha infilzato lui da parte a
parte. Ho
goduto come mai avevo goduto in vita mia; e so che... che un giorno, un
giorno non lontano, godrò ancora di più...
( ):
Morto,
stecchito era, se non gli facevo vedere; e adesso ha paura. Pensava di
avermi fregato: dopo avermi trapassato. Certo, ho dovuto sparire per un
po'...
Luce su ( ).
Al centro dell'abito bianco c'è una macchia rossa che si
allarga.
( ):
Spegnete le luci. Eh, un errore capita a tutti; mi è costato
caro, quella volta... (si
passa una mano sul viso) (sibilando) Merda! Quanti... cazzo... di mesi!
A fare il... il... (brandendo
la Zanpakuto) per quel coglione! Metti la maschera,
togli la maschera... metti la maschera, togli la maschera...
( )
(urlando, improvvisamente): E all'inizio, non
poteva farlo durare dieci
secondi! Dieci secondi a guardare in faccia la
realtà, e si prendeva scaga!
Il signorino!
( )
(più calmo):
... ma basta cazzate. E' stata dura... è stata umiliante: ma
è servita. Sono tornato in forze, senza che se ne
accorgesse.
Senza che mi vedesse. E adesso non può più
ignorarmi.
Adesso non può più fermarmi. Per un po', sono
tornato ad
essere il re: ho potuto di nuovo gustare il mondo con queste mie mani,
e quello che ho visto... mi ha fatto venire l'acquolina in bocca. E la
prossima volta...
Zangetsu:
Sembri molto sicuro di te.
La cortina di destra si
scosta, rivelando una tela bianca.
Luce sulla tela: dietro,
la silhouette di Zangetsu.
( ):
Taci, vecchio. Tu non ci sei. Quando ci sono io, tu non ci sei.
Spegnete le luci.
Zangetsu:
Và avanti. La prossima volta?
( ):
..........
Zangetsu:
Perchè l'ultima, se non vado errato, non è stato
lui a tornarsene a casa reggendosi le budella con le mani...
( ):
Stà zitto.
Quando ci sono io, tu non ci sei. Spegnete le luci. E' stato un caso...
un colpo fortunato. Non accadrà di nuovo.
Zangetsu: Mi
sono goduto un bel
periodo di sole, mentre non c'eri. Piuttosto piacevole. Il ragazzo
è forte... più forte di quanto pensi. Non te la
darà vinta facilmente.
( ):
Parole. Solo parole.
Lo conosco quanto te. E' debole. Sono tutti deboli; tutti... patetici,
uno più dell'altro. Tutti che si fanno scudo con le parole:
tutti che sussurrano nelle tenebre dei loro cuori, invocando aiuto e
protezione dagli amici... dagli amanti... dagli dei. Mai incontrato uno
diverso. (inclinando la
testa da un lato)
A parte forse uno... prima pensavo fossero due, ma uno mi sta cadendo
parecchio in basso. Guarda, è quello da cui si sta facendo
menare adesso; e sottolineo menare.
Quanto pensi che resisterà, prima di tirarmi fuori di
nuovo...?
( ):
E da uno così... da uno così.
Mi garbava quel sorrisetto da volpe, prima, ma adesso comincio a
leggergli dentro... è innamorato, questo, vecchio!
Innamorato! (comincia a
sghignazzare istericamente) Innamorato! Innamorato!
Innamorato!
Zangetsu:
Troverà la
forza. L'ha sempre trovata, come ha trovato me quel giorno, mentre il
mondo si sgretolava sotto i nostri piedi: ci sarà sempre
qualcosa a spingerlo in avanti. Temo che non l'avrai mai vinta.
( )
(incapace di smettere di
ridere):
Pfff... hehehe. Vecchio, è proprio buffo... siamo la stessa
cosa, io e te: come possiamo non annoiarci, a parlare l'uno con
l'altro? No, dico davvero: sei troppo
divertente. Lo hai preso in simpatia, il ragazzetto? Spegnete le luci.
Zangetsu:
Anche tu e
lui siete
la stessa cosa. Quanto a me... lo sai. Finchè posso godermi
un po' di sole, io non pretendo altro.
Rombo di tuono. Il
rumore della pioggia si infittisce.
( ):
Be', tanti saluti allora. Spero che tu te lo stia godendo, questo bel
pomeriggio assolato.
Zangetsu:
.............
Buio.
Rombo di tuono. Stridio
fuori campo. Crepitio di microfono.
Gin: Oh
là là...
questo non mi aspettavo che lo dicessi. Se parli in quel modo, sembra
quasi che tu dia per scontato che morirai. Non è che tu...
da
qualche parte dentro di te... hai già rinunciato a questa
battaglia?
Luce su ( ).
( ):
Ow... touchè! Questa... questa deve averla proprio
incassata, eh vecchio?
Luce sulla tela, ora
vuota.
( ):
...ma dai, vecchio! Ci stavamo divertendo!
(...)
( ):
Che palle. Una
battutina così, e il suo spirito combattivo si riduce a
zero...
(A voce alta)
Stavi dicendo?!?! Uh guardalo, guarda com'è
forte,
il rincitrullito! Guarda come gli ficca su per il culo quel sorrisetto
compiaciuto, guarda come mostra le palle...! Ah, se solo ci fossi io
là fuori! Fammi uscire, povero sfigato! FAMMI USCIRE! FAMMI
USCIREEEEEE! (agita la
spada, comincia a fare a pezzi la tela).
Gin: Fine
avvertimento. Se tu non scappi, io ti ammazzo... qui ed ora.
( )
(improvvisamente
allarmato):
Ehi!
Rombo di tuono.
( ):
Ehi! Non facciamo scherzi!
Aizen: Per
quanto riguarda te, ti lascio qui. Ti divorerò... quando
tutto sarà finito.
Stridio fuori campo.
( ) barcolla, come colpito da un pugno.
( ):
Che aspetti, sfigato? Tirami fuori! E' lui! E' lui che dobbiamo
combattere! Lo hai dimenticato?!
Stridio. Rombo di tuono.
( ) si porta la mano alla tempia.
( ):
Aaaah... Non... non
è possibile! Perchè... perchè non mi
lasci andare?
Vuoi dargliela vinta? Vuoi arrenderti? Non siamo fatti così,
noi! Non ha senso combattere e basta... non ha senso sopravvivere e
basta! E tu lo sai!
Sei tu che lo hai detto...
( )
(conficcando la
Zanpakuto per terra, ed appoggiandosi all'elsa ansimando):
Bastardo... bastardo. Non puoi crepare adesso. Non puoi crepare proprio
adesso... non devi avere paura di me! Soffriremo meno, se mi lasci
andare... Non proveremo più questa disperazione... che ci
smussa
la spada... renditene conto! Non sei nulla... senza di me...
Stridio fuori campo.
Crepitio di microfono.
Isshin:
Se tu non ci vai... sia quelli che vuoi proteggere, che il resto della
gente che si trova lì moriranno per mano sua! (stridio) Le
Zanpakuto non vogliono insegnarci questa tecnica... la ragione, la
capirai subito.
Il rumore di pioggia si
spegne lentamente. (
) scivola in ginocchio.
( ):
Non puoi farmi questo...
Entra Tensa Zangetsu.
Tensa Zangetsu:
Ecco. Lo vedi?
Sarà sempre più forte di te; il desiderio di
proteggere.
La mia faccia della lama. Rammenti le parole che tu stesso hai
pronunciato? E' inciso
profondamente nella matrice originaria.
Lo sguardo gentile: l'impulso a fare da scudo con il proprio corpo a
coloro che ama. Sconfiggerà anche il destino.
Abbatterà
persino questo immortale... con il nostro aiuto, cavalcandoci. E
dopo... noi torneremo quello che siamo, quello che avremmo dovuto
essere: io la sua volontà di proteggere, tu un pensiero
selvaggio sepolto in profondità nell'oceano della psiche.
Non ti
sarà concesso di divorare il mondo: non uscirai mai
più.
Io non te lo permetterò; lui non te lo permetterà.
( ):
..................................................... taci,
ragazzino............... stà.......... (con un filo di voce)
zitto.
Rombo di tuono. Serie di
suoni secchi. Serie di flash abbaglianti. Rombo di tuono: silenzio.
Ichigo (con voce ferma): Mugetsu: Luna
Assente.
Buio.
-------------------------------------------
Segue una lunga pausa di silenzio, che dura finchè il
pubblico non comincia ad applaudire.
Riparte la colonna sonora.
Luce sul centro del palco: ( ) è ancora in
ginocchio,
aggrappato alla Zanpakuto, il viso nascosto nell'incavo delle braccia:
i suoi vestiti e la spada sono completamente inzuppati di sangue
fresco, che gocciola sul palco. Lentamente, si rialza, rivelando il
viso nascosto dalla maschera bianca con le corna. Parla con voce
alterata.
Fine della colonna sonora.
( ): E vissero per sempre felici e contenti. (lasciando cadere la spada a terra)
Volete crederci. Per questo siete qui.
( ): Un nobile sacrificio. La sconfitta di un
cattivo. Il trionfo
della volontà, del bene, degli affetti su ogni
avversità.
( ): E' così che volete che finisca.
E' così che vi
aspettate di voltare l'ultima pagina, prima di un capitolo
conclusivo... prima dell'ultima pagina, dove si rivela il futuro
luminoso. I vostri eroi cresciuti, forse ammogliati, che sorridono ai
loro bambini... finalmente liberi dal dolore e dalla disperazione,
passati attraverso la catarsi della battaglia finale, per approdare
alla spiaggia della maturità.
( ): E' così che volete che
finisca... come avete voluto
anche, fino a poco prima, il dolore, il sangue, la battaglia feroce
sospesa ad un filo, priva di speranza fino all'ultimo momento,
perchè altrimenti... senza la paura... senza il dolore...
senza
di me...
( ): ...che storia è?
( ): Ma
lasciatemi parlare. Lo so che lo farete: perchè
sono interessante. Molto più di lui. Perchè da
lui, lo
sapete quello che potete aspettarvi: quel capitolo finale...
è
noioso, vero? Quanti ne avete visti? Libri, film, fumetti...
è
sempre la stessa solfa. Perchè è un bel problema,
quando
non va a finire così. E' un bel problema... perchè vi
ricorda la realtà. E se leggete, se guardate,
se vi appassionate
alla favola, è perchè alla realtà
volete sfuggire;
almeno per un po'.
( ): Perchè volete credere, che al
mondo... un lieto fine
possa esistere. Anche
se è noioso. Anche
se è sempre lo
stesso. Non ve ne stancate mai... perchè siete invidiosi.
Sirena in lontananza. La luce si abbassa.
( ): E' ora di dormire... e sarà un
sonno lungo, per me.
Per voi, giusto il tempo di voltare pagina: già lo sapete,
che
l'eroe ha sconfitto il mostro, sacrificando ciò che aveva di
più caro. E sapete anche che presto tornerà in
carreggiata. Ma prima di andare, voglio lasciarvi qualcosa di me:
qualcosa che vi aiuti a non dimenticare come vanno le cose, nella
realtà...
----------------------------------------
La pioggia scrosciante percuote impietosa i marciapiedi, offuscando
tanto la vista quanto l'udito; il resto di Karakura, al di
là
della fermata dell'autobus deserta e della coppia di ragazzi sotto la
tettoia, potrebbe avere smesso di esistere.
Forse, ha smesso di esistere per davvero; almeno per uno dei due.
Perchè per lui, è un momento importante. Ci ha
messo dei
mesi, per trovare quel coraggio che prima non gli era mai mancato: e
quante volte si era domandato come aveva potuto il mondo capovolgersi
in quella maniera, in un battito di ciglia.
Lei sembrava non essersi accorta di nulla: aveva continuato a
chiacchierare a ruota libera fino ad un minuto prima, sempre di ottimo
umore nonostante il tempo infame, senza accorgersi del suo sguardo
nervoso fisso sui suoi capelli color nocciola, e sul suo viso di
bambina: e non erano più bambini. E lui se ne era accorto
troppo
tardi.
Quando il fiato gli esce finalmente di bocca, la sua voce gli suona
orrendamente stridula: Inoue Orihime si volta a guardarlo,
l'espressione improvvisamente preoccupata di fronte al suo imbarazzo.
Allora, per poco la briciola di determinazione che ha costruito e
cesellato con cura per tutto questo tempo non viene meno: e alla fine,
è solo il desiderio di togliersi finalmente quella spina dal
cuore che lo spinge a dichiararsi velocemente, con voce roca,
abbassando lo sguardo.
Il silenzio congelato che segue non ha qualità: le poche
parole
che lo hanno preceduto sono uno squarcio su una tela bianca, che lascia
Orihime a bocca aperta per lo stupore. Il ricordo di un antico
sentimento le attraversa la mente per un attimo - il tempo per un
cervello che non ha perso un briciolo di bizzarria di escludere il
doppelganger, il pesce d'aprile, l'allucinazione ed il tappo di cerume,
il tempo di rendersi conto della serietà delle sue parole, e
ricordare come proprio quell'espressione un tempo avesse fatto
nascere... qualcosa. La mano della ragazza corre allora alla tempia,
prima che quell'attimo incolore sia passato: ma non trova quello che
cerca, perchè quel fermacapelli non viene indossato da ormai
molto tempo; e non appena il momento è passato, ed entrambi
ricominciano a respirare, Inoue Orihime si rende conto che Kurosaki la
vede ora con occhi diversi... e che deve mettere assieme una risposta.
----------------------------------------
( ):
... vi piace? Di mio, ho messo solo la pioggia: spero che lo troviate
appropriato. Si addice ai due di picche, la pioggia...
( )
(sorreggendosi il volto
con la mano):
Aaaaah... che cosa ironica... non fa morire dal ridere?
...che l'amore... in fondo in fondo... sia di mia competenza?
( ):
...il sesso,
certo... ma anche l'amore! Nasce da qui, che cosa credevi? Nasce da me!
L'impulso... il desiderio... lo hai dimenticato? Tu e la tua spada
avrete pure sconfitto un dio... ma chi è stato, dimmelo, ad
abbattere il suo angelo nero?! SPEGNETE
LE LUCI!
( ):
Al suono di quale voce siamo resuscitati, per spazzare il pavimento con
la sua lurida carcassa?
Al richiamo di chi, abbiamo preso in giro la morte? Ipocrita!
( ):
E potrebbe
essere tua... potrebbe essere nostra, Ichigo. Qui ed ora. Sei un eroe:
sei l'eroe, in un mondo di comprimari... e hai appena demolito il
castello, schiacciato i cattivi... e salvato la principessa. Hime! Hime! Hime!
Devi solo allungare la mano: una mano che ora è finalmente
vuota... perchè ha dovuto abbandonare la spada.
( ):
Se solo tu volessi ascoltare, Ichigo... se solo tu me lo chiedessi, non
potrei mentire: perchè la amo quanto la odio!
Ma io... parlo sottovoce: perchè la odio quanto la amo...
Perchè è l'unica altra cosa che voglio... a parte ridurre in cenere il tuo
mondo! E tu non lo sai, quanto sia costato ad uno come me!
Vederla lì, come un unico fiore tra le macerie! (barcolla, si afferra la testa
tra le mani) MI
HAI COSTRETTO A PROTEGGERTI!
Serie di flash, crepitio.
( ):
E così, ho
deciso che te lo meriti... ti meriti di essere lasciato libero, di fare
finta di niente... fino all'ultimo! Non ti accorgerai tanto presto, di
come dopotutto... fare da guardia del corpo non basti! Ed io
sarò lì... a ridere come un folle di fronte al
tuo cuore
spezzato, quando lei troverà un'altra persona; quando si
sarà accorta di come, in fondo, tu non fossi niente di
speciale... più assente di un fantasma, più
incorporeo di
uno spirito! Quando offrirà la vita che tu hai protetto a
qualcuno che... magari... non ha salvato il mondo ma... ascolta... (tossisce ed ansima)
Ma non preoccuparti... resterai per lei... un buon amico! Forse
addirittura... (ride)
il MIGLIORE amico!
( ):
Sono proprio curioso... di vedere cosa farai, allora... quando
scoprirai che la tua hime
non è più una principessa da salvare... quando
capirai
che lei era il tuo futuro, e non lo spettro di uno squallido passato,
annegato nel sangue di nostra madre... quando l'avere scelto il vecchio
al mio posto ti condurrà alla tua prima sconfitta,
anzichè all'eterna vittoria a cui sei abituato!
( ):
Quando il mondo che
hai salvato non avrà più bisogno di un eroe... e
rimpiangerai di non aver lasciato andare la spada... la disperazione
che proverai... mi chiedo... sarà abbastanza?
( ):
Forse no... questa
è la realtà, dopotutto... ed è piccola
cosa... gli
amanti infelici si sprecano... nella realtà... (cough)
non sei il primo... nè l'ultimo! Forse te ne farai... una
ragione. E c'è sempre la nanerottola, dopotutto... e il
quattrocchi, il troll (cough)
e tutto il resto dell'allegra brigata... ma soprattutto...
la nanerottola... vero? E scommetto che te l'immagini... che loro
saranno i primi... se ti lascerai andare abbastanza alla tristezza... e
mi lascerai finalmente... usci...re... (tossisce violentemente, scivola
in ginocchio)
( ):
Ma anche uno come me... può sognare, no? (una crepa compare sulla maschera)
Che il tuo primo amore... possa diventare la mia occasione...? Che
basti questo, a dimostrare quanto sei debole... e fragile... (la
maschera comincia a sbriciolarsi, rivelando il volto: lo sguardo
è perso in lontananza, e sorride tristemente, quasi con
dolcezza) quanto dopotutto... nonostante i tuoi sforzi...
io ci sia ancora... dentro di te...?
( ):
Spero di poter sognare, Ichigo... perchè... per colpa tua...
sembra che dovrò dormire parecchio...
(cough)
è l'ora...
finchè non ci rivedremo, finchè non avrai di
nuovo...
quella benedetta spada in mano... ti saluto e ti maledico... mia dolce
metà... (ride)
e saluto anche voi... ipocriti! Tanto lo so... che non vedete l'ora...
di voltare pagina (cough)!
Crolla a terra,
sorreggendosi sulle braccia.
( ):
E adesso... ve lo
chiedo per favore...
... le spegnete le luci?
Buio.
---------------------------------
NdA: Dedicato a
Francesca, nuova amica e nuova lettrice, sperando che l'intrinseca
bellezza (...magari!) della mia scrittura, paragonabile al romantico mare invernale, non la faccia svenire di nuovo :)
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