ice stories

di candidalametta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** stelle di ghiaccio ***
Capitolo 2: *** Come gocce di pioggia ***
Capitolo 3: *** la nota in più ***



Capitolo 1
*** stelle di ghiaccio ***


Stelle di ghiaccio



Cammino nella neve alta con il lungo cappotto nero che sbatte senza grazia contro gli stivali, procedo a capo chino, il vento freddo di dicembre mi scombina i capelli, adesso scuri, che coprono a tratti gli occhi.
Nessuno sembra fare caso al freddo, nessuno si occupa della tristezza in questi giorni. Le vetrine illuminate da luci colorate ricordano che la vita per molti in questo periodo è fatta di carta colorata di regali da scartare. Ma il dolore è assurdamente più forte quando intorno a te solo la gioia trova spazio nei sentimenti degli uomini.
Per quanto imposta da regole di tradizioni fantoccio.
Mi fermo su una sponda del lago in fondo alla cittadina; è ghiacciato, qualche crepa qua e la creata da qualche incosciente che si è avventurato sul ghiaccio non troppo spesso. I piccoli rumori della patina che si spacca, il cielo nero che si riflette sul bianco intenso dell’acqua congelata.
La neve continua a cadermi attorno, creando un nido in cui aspetto solo, senza nessuno che torni per scaldarmi. Non attendo, sto solo cercando intorno al mio cuore un po’ di calore per non arrendermi al freddo che ormai è dentro di me. Ho rinunciato da tempo a sentire quel tepore del mio cuore, anche se non posso fare a meno di sognarlo la notte, a cercarlo da sveglio sperando prima o poi di riuscire a tornare ad essere così felice …

Come quando Natale aveva senso, e la perfetta geometria di un fiocco di neve mi sembrava il ricamo delicato di un inverno gentile che mi regalava la materia soffice con cui giocare a palle di neve, in quella lotta giocosa da cui io Shannon e papà tornavamo distrutti e infreddoliti. A farci coccolare da mamma sporca della farina dei biscotti. Il bianco della neve e dello zucchero sulla torta rendevano il Natale una festa dolce, di cui non potevo fare a meno. Il periodo in cui papà non andava a lavoro per giocare con noi, mettendomi sulle sue spalle per appendere la stella di carta dorata, fatta da Shannon, sull’albero di natale. Quei momenti in cui rapito lo ascoltavamo raccontarci le storie di un libro trovato per caso in soffitta che parlava di un vecchio avaro che riceveva la visita dei tre spiriti del natale. E mamma rideva quando papà facendo il fantasma del natale presente fingeva di volersi mangiare Shannon. Mamma non ha più riso così tanto e io non ho mai più sentito quella sensazione, la completa pienezza di essere parte di un tutto.
Avere una famiglia.
Ormai sento solo l'inesplicabile mancanza di un sentimento che non riesco più a provare e il gelo che invece è rimasto ad abitare dentro di me.

Guardo senza speranza il ghiaccio del lago in cui sento intrappolato il mio cuore. Una morsa stringe il petto, ma, invece di combattere mi lascio andare al dolore perché ho scoperto che è più facile lasciarsi soggiogare dall’ineluttabile verità piuttosto che lottarvi contro. Il cielo cambia ancora, il nero si sfuma di un azzurro tenue quando i raggi della luna sfiorano il pavimento naturale creato dall’inverno. Sembra così irreale che la natura si sia presa del tempo per costruire tutto questo e non abbia fatto nulla per salvare qualcosa che era già perfetto.
Il susseguirsi delle stagioni cambia l’aspetto di queste rive senza lasciare traccia ogni volta del paesaggio precedente. C’è solo il ricordo di un’altra vita, di un vecchio sole che non torna a scaldare il paesaggio da troppo tempo. Il mare di lacrime intrappolato sotto il ghiaccio su cui qualcuno danza con pattini affilati, cercando di essere felice.
Anche se fa male grattare vecchie ferite.
Anche se il mio unico momento di gioia è quando la mia voce si alza davanti a una folla sconosciuta e troppe voci mi fanno eco in un dolore che non si può nascondere.
Credono sia un gioco quello che io canto.
Pesano sia finzione.
In vece il dolore è autentico.
Lancinante e profondo.
Ecco perché urlo le mie frasi scritte tra le lacrime anche davanti a chi non lo vuole capire e mi accusa di ululare alla luna.
Non mi offendo, non mi importa di essere compreso, voglio solo che faccia meno male, che il dolore allenti un po’ le unghie intorno al mio cuore.
Che il canto lenisca la troppa solitudine.
Ma per fare questo devo trovare le parole.

E queste si trovavano solo quando mi abbandono ai ricordi e il dolore si anestetizza nella visione di attimi in cui ero felice. Come quei giorni in cui mamma era giovane e volteggiava felice sui pattini da ghiaccio, danzando con papà un valzer improvvisato sulla pista addobbata a festa, mentre io e Shannon li guardavamo orgogliosi seduti sul nostro slittino.

Per questo torno al lago, anche che sento ogni crepa del ghiaccio come una ferita nell’anima. Rannicchiato tra la neve fresca, con i guanti tagliati e le punta delle dita esposte al freddo mentre scrivo senza gioia i miei lamenti più tristi. Il vento arruffa i bordi delle pagine rendendo la scrittura spezzata, i fiocchi di neve si posano candidi sulla carta, imbevendola, assaporando l’inchiostro e facendolo scendere come lacrime nere di un dolore che non va via.
Mentre l’indifferenza di questo mondo che non vuole arrendersi all’evidenza che c’è chi soffre anche a Natale. Che non si può essere allegri perché qualcun altro te lo impone.
Che non solo il fuoco brucia le tue ferite ma il gelo le rende impossibili da curare.
Alzo lo sguardo sulle poche stelle che splendono nel buio intenso della notte.
Solitarie silenziose.
Si dice che le stelle cantino perse nello spazio.
Che esista della musica nell’universo, che si faccia sentire solo da chi riesca a scoprire l’incredibile insignificanza di se stessi rispetto al cosmo.
So che posso sentirla, perché dentro di me sono pieno di musica e sento la risonanza dell’universo in me.
Di quelle parole di quei suoni che sono il mio più grande tormento ma che non mi lasciano mai, neanche nella disperazione più profonda. Perché dentro di me la sento.
Quella nota, quella parola, che è la mia ispirazione.
Quel suono che non abbandona la mia mente, che gioca ancora tra i miei pensieri e che e mi accompagnerà, oltre tutte le canzoni che potrò scrivere, oltre tutti quelli che fingeranno di capirmi. Lei, solo lei, la mia musica ….



Solo una piccola nota
Questa è la prima one-shot che abbia scritto sui 30, piangeva in una cartella del mio pc e ho pensato di riesumarla e riadattarla in onore del natale e del contest di princes.
l’ispirazione la devo tutta ad un mio amico che sentendo “the kill” ha borbottato – chi è sto cane che ulula alla luna – (ovviamente l’ho fulminato con lo sguardo)
a chi si chiedesse quanto posso essere autolesionista per scrivere una cosa così triste.. beh, avete presente il mio nik no?

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Capitolo 2
*** Come gocce di pioggia ***


Come gocce di pioggia



scatto
flash
pausa
nuova inquadratura.

Il pollice destro fa scattare la piccola leva posta in alto sulla macchina fotografica.
Le leggere tende bianche sono appena sposate dal peso delle mie spalle sul vetro.
Mi sono impegnato per diventare invisibile, protetto dal riflesso delle luci esterne nella camera buia, come uno qualsiasi dei paparazzi che si diverte a rendere pubblico ogni singolo istante della nostra vita.

Oltre la finestra una strada non molto ampia, illuminata da alti lampioni coperti da bolle di vetro.
Tra le macchine posteggiate davanti l'hotel il solito gruppo di ragazzine, l'età media è di sedici, diciotto anni, sorrido nella penombra, chissà se hanno chiaro in mente che il loro idolo ha gli anni esatti per essere loro padre. Forse non ci pensano, forse cedono che su Marte l'età non conti, come la distanza dalla loro cieca ossessione all'amore che credono di provare.
Con la manica tergo il vetro appannato dei miei pensieri, oltre la lastra trasparente sul balconcino confinante al mio, Jared gioca.
Dimenticatosi anche lui degli anni che porta con noncuranza sulle spalle.
Si accovaccia dietro le colonnine di marmo che formano la balconata, come un bambino che gioca a nascondino, si mostra per alcuni istanti godendosi lo scoppio di grida isteriche e scompare di nuovo, si intuisce nel suo sguardo che porterà avanti il gioco fin quando le fangirl non prenderanno d'assalto l'hotel che nasconde il loro sogno.
Sorrido anch'io poggiandomi meglio alla finestra fredda.
Si nasconde di nuovo.
Sghignazzando divertito mentre sposta al lato del viso il pon-pon bianco del cappello da babbo natale che porta sempre in questo periodo. Dice di metterlo per ricordarsi di essere buono, almeno in questo periodo. Come se notoriamente potesse risultare sgradevole.

Scatto.
Messa a fuoco.
Altro scatto.
È così interessante come soggetto, estremamente divertente, come il cucciolo che avevamo adottato a bambini, quando correvo con la mia prima macchina fotografica in giro per il giardino, cercando di catturare quella coppia di allegri giocherelloni, il grosso cane bige e la piccola figura di Jared.

Scatto.

Un sorriso sincero è diventato raro da vedere sul suo viso ormai, è troppo assorto, consapevole delle proprie responsabilità che gli impediscono, ci impediscono, di andare a casa persino per le feste, per un Natale che sfiora appena, che strappa i ricordi tranquilli di tavole imbandite di cucina casalinga e ci regala concerti e sudore, regali di fan appassionati e interminabili riunioni con quelli della casa discografica.
Tensione e disappunto.
Sospiro.

Grosse gocce di pioggia schizzano sul vetro, una mano dalla porta finestra dietro di lui fa un cenno, Tomo, responsabile come sempre non vuole che prenda freddo. Il cantante guarda giù un’ultima volta e sul suo viso appare quella che sembra una smorfia di fastidio, odia interrompere i suoi giochi, i momenti in cui si concede di essere felice; oltre la balaustra concede un cenno di saluto alle ragazzine che ora strillano per gli schizzi improvvisi.
La strada si svuota velocemente.

Le Echelon hanno avuto il loro blood baal al concerto e sanno che i loro generali devono riposare; e le fangirl si sono divertite abbastanza ma non possono permettersi di avere rovinati i capelli da un acquazzone improvviso.

Sospiro dando le spalle alla pioggia, poggiando la macchina fotografica sul comodino vuoto. So perfettamente che la folla riunitasi fino a poco fa era solo per mio fratello. È lui la star, il viso troppo bello che attirerebbe l’attenzione sbagliata se fosse sulla copertina del prossimo album.
Afferro le bacchette di legno chiaro poggiate su un mobile vicino e comincio a tamburellare contro il vetro, il piano di marmo, rigiro le aste tra le dita cercando il ritmo giusto.

Apro la portafinestra ed esco nel balcone, le pozzanghere formatesi da poco riflettono l'essenza dei lampioni come macchie di luce sull'asfalto.
Gli schizzi del temporale mi colpiscono a tratti, insinuandosi tra le pieghe della giacca e la pelle scoperta. Mi appoggio al pezzo di marmo che mi separa da un salto vuoto troppo breve.
E chiudo gli occhi.
La pioggia.
Il rumore perfetto dell'acqua che si infrange o diventa tutt'uno con altre gemelle.
Sembra musica.
È musica.
Guardo la strada, all'altra parte una palazzina molto più antica con i suoi balconi intarsiati che creano una grande ombra vicino al portone, ma proprio li, accanto all'arcata di pietra, una figura vestita di nero di cui non mi sono accorto prima, continua a bagnarsi a tratti, ignorando il rifugio offerto dalle lastre di marmo.
Nel buio non sembra avere identità.
La guardo con attenzione fin quando il mio sguardo cattura un dettaglio che prima mi era sfuggito.
Due bacchette di legno che rigira tra le dita seguendo un ritmo che sento anch'io tra lo scrosciare della pioggia, sembra appena anticipare lo scoppio del tuono con un basso movimento del polso, colpendo l'aria.
Guardo dubbioso la sagoma; possibile che stai aspettando qualcuno? Qualcosa?
Improvvisamente in concomitanza con un fulmine alza il viso, solo una macchia chiara contornata dalla scura stoffa del cappuccio alzato, eppure sento il peso del suo sguardo su di me, fissandomi, con un gesto rapido alza le bacchette strette in una mano verso l'alto, un saluto, rispondo d'istinto alzando le mie, ora ferme tra le mie dita.
E un grido, nella notte, come il richiamo alla battaglia.
“Echelon!”
La figura abbassa il braccio e gira su se stessa avviandosi lungo la strada sotto la pioggia scrosciante.

Non penso a chiudere la porta della camera mentre corro giù per le scale, neanche uno dei fattorini riesce a porgermi un ombrello mentre attraverso velocemente la striscia di asfalto che ci divide, la pioggia incontenibile non ha fine. Mi guardo intorno, nessuno, la strada deserta intorno a me e l'alone dorato dei lampioni bloccato dall'acqua scrosciante che cade riflesso in ogni singola goccia. Scuoto la testa e i miei capelli zuppi non si scostano neanche dal viso, desolato mi accascio sul gradino davanti il portone della palazzina.
Torno dentro la hale, gli ultimi residui della pioggia su di me scendono dalle spalle fino alle punte delle dita scorrendo come piccoli fiumi, mi sento truffato, non sono riuscito a raggiungere chiunque avesse atteso soltanto il mio saluto. “mr Leto?”, un uomo del personale mi porge un asciugamano bianco e spugnoso, scuoto la testa perplesso mentre lo prendo e mi avvicino all'angolo più remoto del salone centrale, dietro le ultime poltrone una scaletta bianca porta ad un seminterrato.
Scendo, davanti a me un porta lucida, la apro con la piccola chiave dorata trovata nella tasca dei jeans inzuppati. Dentro, in quella che è evidentemente una camera insonorizzata, ho fatto montare la mia bambina subito dopo il concerto, quando ci hanno comunicato che a causa del cattivo tempo previsto saremo rimasti qui qualche giorno.
Sorrido sedendomi sullo sgabello, sfioro con le dita ancora bagnate uno dei piatti e le gocce scivolano senza fermarsi dal bordo fino ai rullanti appena più giù.
Come una pioggia solitaria, come quella che imperterrita scendeva vittoriosa mentre suonavamo stasera e gli echelon ci facevano coro, mentre mio fratello urlava appassionato. Con quella sua disarmante passione che ci lega a doppio filo in un legame stretto, noi, lui.
I nostri fans. Quegli uomini e quelle donne che ci hanno adottato nella loro vita. Come parte di quella strana e disfunzionale famiglia che mi fa sentire meno solo. Protetto. Amato. E non mi sembra di passare il Natale lontano da casa con loro vicini, non mi preoccupo di essere qualcosa in meno di quello che si aspettano, se loro sono con me.
E tutto sembra avere senso, la nostra carriera, una città straniera, persone, onde ... Echelon.

Chiudo gli occhi, attendo solo un minuto per lasciarmi guidare, non dal silenzio quasi opprimente di questa camera ma dal temporale che sento ancora nella mia testa, tra i miei pensieri.
Le aste colpiscono con forza la batteria, ogni goccia di pioggia trova la sua intonazione sui minori, il lampo nel riflesso bronzeo dei piatti mentre la grancassa tuona. È qui il mio temporale, in questo strumento che amo fino all'ultimo centimetro e i miei occhi chiusi riconoscono nel buio di una notte tempestosa.
Mentre suono e rivivo ogni singolo attimo si staglia più nitida la figura della notte, il ritmo naturale delle cose, un saluto cercato e trovato sotto il cadere fitto di un turbinio di suoni, perché, capisco aprendo gli occhi, ritrovandomi ad eseguire qualcosa di completamente nuovo e incredibilmente mio, che siamo uguali.
Due figure solitarie in mezzo alla tempesta, con un unico ritmo, di identico significato, uguali come ogni goccia di pioggia che mi ha sfiorato stanotte.


Shanna:
le tue parole sono quello di cui ho bisogno per scrivere ancora. Non so come farei senza.

bluemoon
come posso assere di ispirazione ad una scrittrice già formata? Grazie ^^

debmilicevic
non so se Jared sia davvero così, sono del parere che abbia un animo inafferrabile, e quello che ronza nella sua complicata testolina sia completamente sconosciuto ai più … la verità è che lo sento talmente vicino che non posso n0on immergermi nei suoi pensieri con disarmante facilità .. grazie per essere passata di qui .. davvero…

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Capitolo 3
*** la nota in più ***


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La nota il più

Sulla porta un enorme fiocco verde, poco sotto una ghirlanda di vischio e agrifoglio, le bacche rosse lucide nascoste sotto le foglie. Mia sorella apre la porta sorridendomi con le guance sporche di farina, “ma per i maschietti non era previsto l'azzurro?” chiedo stringendola un attimo a me, “la moda impone il verde per entrambi” risponde lei ridendo, come a ricordarmi che lei nella moda ha fondato la sua vita. Avanzo oltre la soglia lasciando il cappotto appena coperto da un po' di neve su una delle poltrone dell'ingresso, nella vecchia casa dei miei genitori regna ancora il senso di protezione che ci accolse arrivando in America.
Mi passo una mano sul viso, ricordi…
Mamma arriva quasi di corsa a salutarmi seguita da Filip con il suo solito furbo, mi abbracciano contemporaneamente, costringendomi a fare un passo indietro.
“Tomislav! Sei arrivato finalmente! Preparati per la cena …Filip, porta di sopra la sua roba”, mio fratello approfitta delle spalle di mamma per farmi una linguaccia.
Non riesco a trattenere il sorriso mentre chiedo alla figura di mia madre già in corridoio, “dov’è Papà?”, mi risponde prima di sparire nella cucina, “in soggiorno, credo che stia litigando con le luci dell'albero”. Filip si lancia al suo inseguimento sperando di rimediare un anticipo sulla cena mentre cerco di farmi strada nella stanza stracolma di simboli natalizi, la testa bianca di mio padre china su una grossa matassa di fili colorati.
Poggiandogli una mano sulla spalla si volta sorridendomi giovanile sul volto segnato dal tempo. “Tomislav, c'è l'hai fatta ad arrivare per la cena, dove sono i fratelli?”.
È ovvio che non si riferisse a Ivana e Filip ma ai Leto.
Abbiamo passato tanto di quel tempo insieme che mio padre ha accettato Jared e Shannon come altri due membri in più della famiglia. “preferiscono passare la vigilia con loro madre ... ma saranno qui a giorni”. Sbuffa perplesso allacciando qualche cavo, “avrebbero potuto portare anche lei …”. I fili tra le sue mani si accesendono improvvisamente, guardandomi felice, “hai visto? il tuo vecchio è ancora capace di risolvere un paio di problemi tecnici”, “certo papà, dopo la costruzione di Arianna non credo ci sia niente di così difficile per te”. Sorride pensieroso alla fedele chitarra che costruimmo insieme prima di chinare nuovamente la testa verso il suo lavoro incompiuto. “perchè non vai a sistemarti prima della cena Tomislav? Annuisco oltre le sue spalle e tornando alla porta. Com’era prevedibile mio fratello non aveva eseguito l'ordine della mamma, afferrai il borsone e la custodia imbottita e mi avviai su per le scale, ogni gradino era solcato dagli anni della mia vita.

Entrai nella camera, piccola, rettangolare, terminava con una finestra piuttosto stretta ma molto alta, sul davanzale continuava ad ammassarsi la neve che cadeva lentamente.
Sulle pareti i trofei che mi avevano visto crescere si susseguivano intervallate da foto forse ora un po' sfocate, amici persi durante l'arduo cammino del crescere, ombre che continuavano a resistere negli angoli della mia vita. Lasciai cadere i bagagli vicino lo stipite della porta e mi avvicinai ad una delle foto poggiate su una mensola di legno scuro, un bambino molto magro appena sorridente suonava un violino con gli occhi chiusi, poco più in la un’adolescente provava i primi accordi di una chitarra elettrica artigianale, la stessa che ora riposava in un angolo nella sua custodia. Sorrisi tra me, quanto tempo era passato? mi sfiorai la fronte confuso.
Aprii un anta dell'armadio sopra il letto, nella parte interna erano sovrapposti tutti gli adesivi dei gruppi che avevo amato e che poi erano diventati la mia vita, in fondo alla scaffa, una volta piena dei miei vestiti trovai una vecchia custodia consunta. La poggiai sul letto e l'aprii dubbioso, tra la federa di broccato un po' logoro il violino riposava perfetto, dal manico lucido alle corde perfettamente tese. Con un gesto ancora naturale lo portai sotto il mento mente l'archetto scivolava tra le note.
Sorrisi, il violino ricordava ancora il mio tocco, ogni suono strappatogli e reso schiavo dall'armonia della musica. Attaccai senza accorgermene “a modern myth”, come suonava strano da un altro strumento che non fosse la mia Arianna, eppure era come se il passato mi volesse aiutare, una fusione completa, mi avvicinai alla finestra, i fiocchi si attaccavano ogni tanto al vetro creando strani disegni.
Una nota strappata ad un altro strumento mi fece voltare stranito, Nicholas, accucciato accanto alla chitarra era riuscito ad aprire la custodia quel tanto che bastava per arrivare alle corde.
Il bambino sorrise mentre con il ditino faceva muovere ancora la corda felice di provocare un suono. “vuoi suonare anche tu?” chiesi guardando il cucciolo d’uomo vestito di un pigiamino di pile accucciato ai miei piedi. Le guance del piccolo Milicevic diventarono rosse come se si fosse accorto di aver fatto qualcosa di inusuale e allargò la boccuccia sdentata in un sorriso tendendomi un braccio.
Scossi la testa rassegnato, mi chinai per prendere il piccolo ma quello non lasciò andare lo strumento con l'altra manina e dovetti prendere la chitarra, il mio piccolo nipotino ha davvero la stessa testardaggine di Ivana, ma anche quella di Filip … Guardai per un attimo la sua espressione concentrata mentre provava a stringere lo strumento … anche la mia.
“ho capito…” sospirai rassegnato.
Mi sedetti sul letto con bambino poggiato tra il petto e la chitarra, proseguendo la canzone da dove ero stato interrotto.
Era quella la realtà, la mia fedele Ariannaa tra le braccia e la costruzione di un mito moderno che ormai era stato inevitabilmente spezzato, non era più in quello che credevo, un futuro confuso ma pur sempre accompagnato dalla musica.
Il bambino mi sorrise mentre accarezzava il manico lucido.
Quando Ivana entrò per invitarmi a scendere mi trovò ancora intento a suonare, gli occhi persi sul paesaggio incredibilmente bianco del giardino e il bambino addormentato abbracciato allo strumento.


Nda. Ho scritto questa storia davvero senza pretese, solo un flash delle mie vacanze natalizie dell’anno scorso. Ovviamente non so se se la sorella di Tomo, Ivana, che da notizie varie sembra fare la modella, abbia un bambino … o se l’abbia chiamato Nicholas (che secondo me è un gran bel nome). È tutto frutto della mia insana fantasia, anche se spero davvero che a casa Milicevic regni la serenità di una famiglia… una piccola annotazione, la chitarra elettrica che Tomo e suo padre hanno costruito quando quest’ultimo aveva 18 anni dalle mie informazioni non sembra avere nome, io l’ho chiamata Arianna perché si ricollega ad un’altra ff che posterò dopo le vacanze di fine anno. I dubbi sul nome verranno quindi risolti prossimamente ;)

Shanna, davvero io non so mai come ringraziarti per la dolcezza con cui tratti i miei parti mentali, ormai non so più come sdebitarmi di tanto affetto

Bluemoon, voglio ringraziare qui Nicole per essere tanto accondiscendente alle mie nottate in bianco (in riferimento a sogni e nebbia) … io inciampo nelle parole in modo un po’ maldestro … ma a volte, cadendo, riesco a prenderne un paio decenti. Un grande bacio.

E un buon anno a tutti voi.

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