Il blouson noir e la bambina

di V a l y
(/viewuser.php?uid=7566)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Tattica ***
Capitolo 4: *** Equivoco ***
Capitolo 5: *** Alterazione ***
Capitolo 6: *** Accordo ***
Capitolo 7: *** Dimostrazione ***
Capitolo 8: *** Rivelazione ***
Capitolo 9: *** Incubo ***
Capitolo 10: *** Ripresa ***
Capitolo 11: *** Aggancio ***
Capitolo 12: *** Altrove ***
Capitolo 13: *** Apporto ***
Capitolo 14: *** Matto ***
Capitolo 15: *** Distanza ***
Capitolo 16: *** Linguaggio ***
Capitolo 17: *** Tango ***
Capitolo 18: *** Dialogo ***
Capitolo 19: *** Velato ***
Capitolo 20: *** Ossessione ***
Capitolo 21: *** Festa - parte I ***
Capitolo 22: *** Festa - parte II ***
Capitolo 23: *** Festa - parte III ***
Capitolo 24: *** Festa - parte IV ***
Capitolo 25: *** Gnorri ***
Capitolo 26: *** Fragola ***
Capitolo 27: *** Ricordi - parte I ***
Capitolo 28: *** Ricordi - parte II ***
Capitolo 29: *** Donna ***
Capitolo 30: *** Dimenticanza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nel portare la mano al di sopra delle sopracciglia, per permettere agli occhi ottenebrati dal sudore di vedere nuovamente, percepì un tipo di liquido diverso dalla diaforesi. Un rivolo di sangue gli attraversò la fronte posandosi sull'incavo dell'occhio destro. La vista gli si annebbiò di nuovo, stavolta per un mancamento di energie. Tutto era successo per colpa di un ragazzo più simile a un demone che a un essere umano.
Davanti a lui si trovava il Diavolo in persona.
Ma Hwoarang avrebbe affrontato anche Satana purché non fosse ferito il suo onore. Si riasciugò la fronte e balzò con ferocia sull'avversario.
Bastò poco tempo, qualche minuto: il ragazzo fu catapultato di nuovo a terra e stavolta non si rialzò più.
Udì solamente un'ultima frase prima di un completo collasso:
“Il nostro capo! Il nostro capo è stato sconfitto!”

In un altro momento di un altro luogo, una piccola ragazza stava svogliatamente ascoltando un'ininterrotta lezione d'Inglese di un professore liceale. Due ciuffi da bambina le adornavano i capelli facendola sembrare più giovane dell'età che aveva. La piccola Ling aspettava un tempo che non trascorreva mai, l'ora di fine lezione era appena cominciata e già sentiva il bisogno di una pausa. Neppure scarabocchiare sul quaderno le faceva utile. Sbadigliò. Spostò lo sguardo sul banco di un assente, poi iniziò a pensare.
“Jin è di nuovo andato in presidenza...”
Jin Kazama, famoso per la sua vita solitaria e per avere un carattere altrettanto asociale. Chi avrebbe pensato che aveva suscitato l'interesse di un tipo di persona come Xiaoyu, diametralmente opposta?
Tutto successe un giorno come tanti.
Durante un discorso qualunque con gli amici, emerse inaspettatamente Jin Kazama come soggetto. Non si ricordava né come né perché, ma Xiaoyu fu incuriosita da un solo fatto: appassionato di karate e professionista di arti marziali. Quello stesso giorno tentò di avvicinarsi al bel tenebroso, bloccandosi spesso e pensando a ciò che doveva dire o fare. Non era da lei, perché al contrario di Jin la piccola cinesina era conosciuta da tutti per la sua euforia e solarità. Comportandosi con naturalezza riusciva ad accaparrarsi la simpatia degli altri.
Ma Jin Kazama non rientrava tra gli altri. Jin era Jin.
Ciò che lei provava inizialmente non era amore; semplice e unica ammirazione nei confronti di un karateka professionista. Ma in amore fu presto trasformato. Bastò poco: un inaspettato e breve sorriso da parte della persona più fredda del mondo, a parere degli altri. C'era chi vociferava di Jin descrivendolo come un assassino senza rimorsi, chi diceva non provasse nessun sentimento se non l'astio che lo aiutava ogni giorno negli allenamenti di karate come uno stimolo alternativo alla semplice passione.
“Chi dice così non ha mai visto un suo sorriso,” pensò Xiaoyu.
Quello stesso sorriso che, chissà come, la fece invaghire.
Tra un pensiero e l'altro, tra uno sbadiglio e l'altro, la campanella di fine ora si fece sentire; l'agognata ora di ricreazione era arrivata.

“E allora cosa aspetti a dichiararti?”
Sentendosi dire ciò dall'amica, Xiaoyu sputò il succo che stava bevendo.
“Ma sei matta?! No che non lo farò!”
Si ricompose e si spianò la gonna. Gli occhi interrogativi della compagna chiedevano spiegazione, che presto fu data:
“Avanti, Miharu, ti pare che io possa dichiararmi dopo averci parlato solo qualche volta? Forse neanche si ricorda di me...”
“Be', sei tu che hai subito perso la testa per lui...”
La cinese sbuffò imbronciata. Xiaoyu non credeva al colpo di fulmine, eppure, dopo aver conosciuto Jin, aveva dovuto ricredersi. Lasciando altre questioni da parte, la cinese ritornò al discorso iniziale:
“Credo che la cosa migliore da fare sia chiacchierare un po' di più con lui. Magari devo prima diventare sua amica!”
“Lo penso anch'io!” rispose prontamente Miharu, poi si avvicinò alla compagna per sussurrarle all'orecchio, portando il palmo a fianco alla bocca:
“E poi credo che la miglior partner per un tipo come lui sia una ragazza che faccia altrettanto arti marziali!”
Xiaoyu arrossì lievemente, senza nascondere un tenero sorriso di felicità.
Terminarono di botto i loro discorsi, ma non perché fossero finiti. La causa principale fu un rumore assordante oltre i cancelli della scuola, somigliante al ringhiare di una tigre, che man mano si avvicinava sempre più alle loro orecchie. Le due si affacciarono sulla ringhiera della terrazza per colmare la loro curiosità.
Dal suolo del giardino si era alzato un enorme polverone e il frastuono cessò del tutto. Quando anche il pulviscolo svanì, gli occhi delle due studentesse poterono finalmente vedere. Un ragazzo della loro età, all'incirca, sedeva su un'enorme moto, la causa di tutto quel baccano. Si tolse gli occhiali da corsa e cercò qualcosa con lo sguardo. Pantaloni di pelle, cintura con borchie, guanti da motociclista... possedeva tutto l'occorrente per sembrare un bullo di strada.
In seguito, si scoprì che quel bullo era niente di meno che il capo di una banda di malviventi.
Esasperato da una ricerca di poco successo, il ragazzo dai capelli rossi decise di usare altri mezzi più efficaci:
“Jin Kazama, dove ti nascondi?!”
Quell'assordante urlo fece sussultare la ragazza con i codini. Un tipo poco voluto come Jin cercato da ben due persone contemporaneamente, era qualcosa di decisamente fuori dal comune. Ma se le intenzioni della ragazza erano più che buone, si poteva dire che quelle del ragazzo fossero tutt'altra cosa. Questo lo si capiva subito, guardandolo negli occhi. In più, osservando la sua gamba destra, potevi accorgerti di un tic che la teneva costantemente in movimento. Era sicuramente un tipo poco paziente, infatti non mancò di ripetere ulteriormente la stessa frase, con un tono di voce più alto:
“JIN KAZAMA, DOVE TI NASCONDI?!”
E stavolta l'urlo lo udirono tutti, proprio tutti. Presto fu che l'agognato Jin uscì nel giardino della scuola. Tra i due ragazzi non ci furono parole. Solo sguardi. Poi movimenti. Bruschi movimenti.
Quel giorno, Ling Xiaoyu assistette insieme a tutta la scuola allo spettacolo di arti marziali più fantasmagorico di tutti i tempi.






















----------------------------------------------



Hola gente!
Questa è la prima fanfiction su Tekken, un gioco che personalmente adoro e di cui mi ero completamente dimenticata, fino a quando oggi non ho giocato per la prima volta al 5. E' stato uno spettacolo *_*
Mi è tornato in mente il sentimento per quel gioco e, in più, qualche vecchia fantasia per una certa coppia... ^///^ so che è un po' stramba, ma è comunque una coppia che adoro con tutto il cuore. Tra i due, nel gioco, non ci son state occasioni di palare, né di conoscersi... e so che vi chiederete da quale ragione mi sia venuta in mente questo duo... io rispondo che non lo so xD ma ricordo che quando ero alle medie fantasticavo su loro due insieme a un mio amico :P
E poi una fanfiction è fatta apposta perché l'autore ci scriva tutto ciò che vuole, no? ^^
Il racconto è ambientato un po' prima del Tekken 3, la prima volta che i tre combattono insieme.
Vi prego di lasciarmi qualche consiglio... è sempre incoraggiante avere consigli per continuare la storia!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incontro ***


L'incontro durò dieci minuti, questione di qualche calcio e pugno, e uno dei due dovette inesorabilmente crollare.
Colui steso al suolo fu di nuovo Hwoarang.
La baruffa terminò giusto in tempo per la fine della ricreazione. Il moro si spolverò con la mano i pantaloni e si avviò verso la scuola, ma il rosso lo bloccò agguantandogli prepotentemente il risvolto dei calzoni.
“Brutto... bastardo...”
A malapena Hwoarang riuscì a dire quelle parole.
“Io bastardo?”
Nella risposta dell'altro non ci fu un tono minaccioso e neppure indispettito per l'apparente e innocua frase che lo aveva delineato come un figlio di cane. Si riavvicinò al ragazzo steso per terra e chiese:
“Senti un po', sei stato tu che mi hai minacciato, provocato e attaccato per primo... e poi sarei io il bastardo?”
Hwoarang tentò una risposta, ma parve che dalle sue labbra, insieme al fiato, fosse uscita anche l'anima da quanta fatica metteva a pronunciare solo qualche parola. A stento continuò:
“Sono venuto per la rivincita...”
Il vincitore guardò il vinto con aria interrogativa, che proseguì il discorso:
“Tu... sei venuto con la tua banda e ci siamo sfidati. Abbiamo combattuto... capo contro capo...”
Tra una parola e l'altra, tra un affanno e l'altro del motociclista, il moro si circondò il mento con la mano per pensare, ma non ricordava proprio chi fosse il tizio steso davanti a lui.
“Sai quante risse avrò fatto... guardando la tua faccia non mi viene in mente niente.”
Hwoarang, esausto e al culmine del limite di sopportazione nei confronti di quell'odioso ragazzo, imprecò parole poco carine, ma i suoi furono soltanto mugolii sforzati. E fu una fortuna non poterle udire.
“Se hai voglia di sfidarmi un’altra volta, sai dove trovarmi,” esplicitò il Kazama. “Addio.”

Quasi simultaneamente, poco prima o poco dopo, due ragazze gingillavano nel corridoio della scuola.
“E' la tua occasione, Xiao! E' in atto la tua missione di dichiarazione d'amore!”
“E perché mai dovrebbe essere la mia occasione?!”
La cinese veniva spinta per le spalle da Miharu e cercava di divincolarsi dalla sua presa ferrea. Una furia, quella ragazza.
“Be', perché gli uomini gioiscono quando vedono una donna preoccuparsi per loro dopo aver passato una giornataccia.”
“Questa teoria davvero non regge...”
Risero entrambe di gusto, e quel trenino chiassoso durò a lungo; ma ogni rumore cessò quando il vagone anteriore sbatté contro il busto di qualcuno.
“J-Jin!” balbettò Xiaoyu alzando lo sguardo, mentre il vagone posteriore lasciò la presa, abbandonando la ragazza coi codini da sola. Non completamente sola... meglio dire in compagnia, la migliore che potesse avere mai voluto.
“Xiaoyu?”
La ragazza sussultò, deliziandosi quella dolce affermazione: ricordava il suo nome.
“Ehilà, Jin! Sai... prima... prima ti ho visto combattere! Sei forte! Già... forte! Certo, anche l'altro tizio... ma tu eri più forte!” rispose lei, mantenendo un sorriso dannatamente forzato. Non perché non le facesse piacere averlo vicino, anzi: la troppa vicinanza di Kazama la faceva agire in questo strano modo.
“Intendi quel ragazzo lì fuori?” domandò Jin indicando alla finestra un punto al di là della vetrata. Il tizio rosso lo stava ancora guardando dalla strada vicino al giardino. Si accorse di essere stato additato e non mancò quindi di rispondere anch'egli a gesti: braccio alzato e dito medio teso.
“Che disgustoso deficiente...” bisbigliò il moro a voce bassissima, facendosi comunque sentire dalla cinesina, che fissò attonita la lontana figura di quell'originale sagoma di ragazzo. Capelli rossi e ribelli, sguardo turbolento, look selvaggio. In ogni parte di quell'essere umano c'era scritto sopra trasgressione.
Cercò nuovamente con lo sguardo Jin, che frattanto si era silenziosamente defilato.
“Xiao, ti sei fatta di nuovo scappare un'occasione coi fiocchi!”
“Miharu!” enunciò meravigliata la cinese, adocchiando l'amica semi nascosta dietro il muro. “Stavi facendo la guardona?”
“Cosa?! E' così che mi ringrazi?!”
L'offesa si mise a smoccolare contro la cinese, che ignorò divertita le grida della compagna e fece tornare l'attenzione sul ragazzo del cancello.
“Il suo stile di lotta è eccezionale,” pensò. “Chissà se è anche lui un professionista...”

L'ora di fine giornata scolastica giunse con il suono dell'ultima campanella. Lentamente, ma inevitabile. E mentre gli studenti uscivano in folla dalla scuola, Xiaoyu si fece avanti per un ennesimo tentativo di attenzioni.
“Ehilà, Jin! Che coincidenza! Oggi ci siamo incontrati un sacco di volte... tu guarda il caso!”
E sempre guarda il caso era rimasta semi nascosta davanti all'entrata dell'edificio scolastico ad aspettarlo per quasi mezz'ora.
Lui le rispose annuendo.
Camminarono fianco a fianco verso il cancello che sboccava sulla strada. Quanto le sarebbe piaciuto che quella circostanza si fosse ripetuta più di una volta, concretamente. Ma quel momento di totale poesia venne stroncato da parole brutali.
“Jin Kazama, porca puttana, era ora! Ti ho aspettato tutta la mattina!”
Ancora quel teppistello con la sua moto marchiana e quei suoi modi di fare da scaricatore di porto. Si allontanò dal muro su cui si era appoggiato e si avvicinò lentamente al ben voluto.
“Mi stanco di aspettarti ogni mattina. Vediamoci fuori. Stanotte.”
“Ehi, un attimo...” lo interruppe Xiaoyu, cercando un'attenzione che non venne ricambiata.
Lui neanche la guardò.
Continuò e basta:
“Alle tre di notte, proprio come quella volta.”
“Ho altre cose da fare, stanotte,” rispose semplicemente Kazama.
“Che cosa?!” chiese Hwoarang, cominciando ad alterarsi. “Ti ho aspettato per ore, stronzo! Me la devi!”
“Non te l'ho chiesto io,” rispose con la solita calma Jin. L'animo puerile del motociclista, spazientito dalla situazione, lo portò a calciare con tutte le sue forze il muro del giardino di scuola.
“Se vuoi una sfida,” continuò il vincitore, “vieni a scuola e ti dirò io quando e dove.”
“Ah, ma bene... come desidera, Sua Signoria! Sempre ai vostri ordini!”
Jin s'infischiò completamente della provocazione e in un attimo sparì, girando l'angolo del muro che faceva da frontiera alla scuola. L'altro non rispose a parole ma di nuovo a gesti. Sempre usando la solita mano con il solito dito medio alzato.
E ritirando quel braccio maleducato urtò sbadatamente con il gomito la piccola Ling, che si chinò per il dolore coprendosi il viso.
“E tu da dove sei sbucata?!” urlò spaventato Hwoarang, che non si era accorto minimamente della presenza della ragazza fin dal principio. Protese la mano verso di lei per scoprirle il volto.
“Cazzo, mi dispiace, non l'ho fatto apposta,” mormorò, afferrandola per il polso e smascherandole il viso. “Ti sei fatta male, bambina?”
Bambina, l'aveva chiamata. Con tale semplicità. Lei rimase di sasso per un po'. Cercò una spiegazione logica per quella parola, forse un astigmatismo, forse un modo di dire alle ragazze di quegli ambienti di strada in cui viveva... ma guardandolo bene, serio, distaccato, non sembrava niente di tutto ciò.
“Non sono una bambina, ho l'uniforme scolastica,” gli fece notare Xiaoyu interdetta.
Lui la guardò meravigliato. Palesemente meravigliato. Si leggeva in faccia che la notizia lo aveva sconvolto molto.
“Tu...” stava chiedendo lui ancora sconcertato. “Tu... sei... un'adolescente?!”
Lei, fissandolo ancora un po' vergognosa, tacque; e chi tace, si sa, acconsente.
Hwoarang, allora, portò una mano sulla bocca. Il silenzio durò dieci secondi, fino a quando neppure la sua mano riuscì a trattenere le risate, sguaiate risate da camionista di strada.
Le rise forte in faccia, smontandola come non era mai successo in vita sua. Già altre volte avevano dato a Ling un'età inferiore a quella che aveva, già altre volte avevano parlato di lei descrivendola come una bambina ancora dentro, ma mai le avevano mostrato tanta antipatica schiettezza. Xiaoyu si divincolò dalla presa e diede fiato ai suoi pensieri.
“Deficiente, sei solo un deficiente! Per forza uno così non batterà mai Kazama!” urlò, utilizzando al massimo tutte le corde vocali.
Come un giro vizioso fu lui, a sua volta, a incavolarsi:
“Che cazzo hai detto?!”
E lei lo accontentò:
“Sei sordo?! Ho detto che un deficiente come te non batterà mai Kazama!”
Non si pentì di averlo fatto. Gli occhi orgogliosi di lei fissavano ancora quelli arrabbiati di lui.
“Tu sei pazza...” disse lui con un tono di voce appena più alto del solito, massaggiandosi la tempia per calmarsi. “Sei pazza, altrimenti non oseresti dire certe cose. Se solo tu sapessi chi sono, la smetteresti all'istante.”
Il ragazzo trasse un lungo respiro per calmarsi, dopodiché riprese il discorso.
“Fingiamo che non sia successo nulla, sorvoliamo sul sordo e sul deficiente e facciamo che stavolta sarò più indulgente del solito, giusto perché sei una femmina... ma non riprovarci più.”
Lei, in silenzio, lo guardò togliere il cavalletto della moto e sedersi sulla sella.
“A mai più rivederci,” le disse, accendendo il motore.
“Lo spero,” rispose lei, mostrando una smorfia sul viso.
“La cosa è reciproca...” ribatté l'altro, facendo rombare la moto con l'acceleratore. Il boato finì e finì anche la frase incompleta di lui:
“...bambina.”
Corse via come un fulmine, con la stessa velocità e con lo stesso fragoroso rumore. Lei, con i pugni stretti e tremolante di rabbia, non sapendo che fare, avrebbe voluto sfogarsi con un urlo liberatorio. Ma si trattenne. Così, per la prima volta in vita sua, imitò il gesto maleducato del rosso: braccio teso in avanti, pugno stretto e dito medio all'insù.
Il ringhiare della moto si confuse, poi, in mezzo ai rumori vari della città.
Lei pregò con tutto il cuore di non incontrarlo mai più.























----------------------------------------------



Eccomi qua con il secondo capitolo! ^^
Scusate il ritardo, ma adesso che sono in vacanza ho in testa solo il sole, gli amici e il mare... pardon! xD ma a volte l'ispirazione si fa risentire, anche in vacanza! ^^
Ringrazio con tutto il cuore Chiaras, che mi ha lasciato un commento *commossa* ç.ç e ringrazio anche tutti coloro che hanno letto ^^
Ahhhh... in realtà lo spazio finale delle mie fanfiction lo riempio sempre con un sacco di paroloni... oggi mi manca davvero tanto la fantasia! xD Non me la farò mancare per il prossimo capitolo >.<
A PRESTOOO!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tattica ***


La notte si mangiava la periferia Est di Tokyo, il quartiere meno illuminato dalla luce artificiale. Quella piccola parte di città veniva vivacizzata dal bagliore di un focolare e dal forte chiacchiericcio di un gruppo di persone sedute attorno ad esso.
“Avanti, capo, non ti sarai mica arreso per così poco?!”
Un omone alto due metri e grosso uguale diede qualche scappellotto sulla schiena del ragazzo dai capelli rossi.
“Non è da te! Su, bevi qualche sorso che poi ti passa!”
Sempre il solito tizio gli passò una capiente grappa di chissà quale contenuto liquido. Sicuramente alcolico, di questo non c’era dubbio.
“Bere non serve proprio a niente. Non mi aiuterà di certo a sconfiggere quello stronzo di Jin Kazama!”
“Capo, tutti noi ti abbiamo visto quella notte…” enunciò un altro uomo pieno di tatuaggi, accostandosi a Hwoarang. “E' stata solo fortuna, la sua! Le vostre tecniche sono così equivalenti in forza che sarebbe difficile trovare un vincitore vero e proprio!”
Il rosso, sentendo ciò, acconsentì alla richiesta dell’uomo con la grappa in mano. Bere non serviva a niente, era vero, ma aiutava a far calmare i suoi nervi troppo tesi di rabbia. Dopo aver sorseggiato qualche goccio, continuò a parlare.
“Io mi alleno, cazzo, mi alleno ogni giorno! Sono sicuro che continuando così potrei anche batterlo…”
Dalla posizione mezza accovacciata in cui si trovava si mise completamente seduto, poggiando un braccio sul ginocchio di una delle due gambe piegate. Pensò per un po’, poi soggiunse:
“Ma il vero problema non è questo. Quel maledetto non vuole farsi vivo manco a pagarlo. Non è paura la sua… no… sembra quasi che ci goda a vedermi incazzato con lui.”
Un terzo uomo si fece avanti:
“Secondo me è solo una questione di tempismo… magari inginocchiandoti e chiedendogli di farti onorare della sua presenza aspettando che si abbassi a rivolgerti la parola, chissà, potrebbe accettare.”
Quello fece il gesto dell’inchino e tutti risero all’unisono.
“Insomma, capo, ci vuole solo un giusto aggancio!”
Il rosso si portò la mano sotto il mento.
“Un giusto aggancio, eh?”
Gli vennero in mente una faccia da bambina e due codini neri.

“Xiaoyu, ti sei per caso svegliata storta, stamattina?” chiese Miharu osservando il viso truce di lei.
“Lasciamo perdere…” sospirò l’altra, “ieri ho avuto un brutto incontro e ci ho pensato tutta la notte.”
La lentigginosa prese coraggio e osò chiedere alla cinesina un pericoloso quesito:
“Per caso ti è andata male con Jin?”
L’altra fece solo una smorfia. L’approccio con il ragazzo dei suoi sogni era andato a farsi benedire, sì, ma la ragione non era stata un rifiuto di lui.
“Andava tutto liscio come l’olio… fino a quando uno stupido non ha rovinato tutto!”
Miharu sospirò di felicità per non essere stata presa a pugni dall’amica per la troppa curiosità. Non che fosse mai successo, ma secondo la lentigginosa sarebbe potuto se un argomento era di pericolosa portata, come per esempio un disinteressamento di Kazama per le attenzioni amorose di Ling. Per fortuna la faccenda sembrava meno catastrofica.
“E chi era questo stupido?” chiese Miharu curiosa.
Lo stupido del loro colloquio si presentò proprio in quel momento, davanti al cancello di scuola che le due stavano raggiungendo.
“Non ci posso credere!” urlò esasperata la ragazza con i codini, mettendosi le mani sulla testa in segno di disperazione. Hwoarang reagì a ciò con un inaspettato garbo.
“Ehilà!” la salutò sorridente, alzano una mano.
“Ehilà?!” chiese Xiaoyu frastornata.
Hwoarang le si avvicinò con un'espressione solare e le disse:
“Oggi è davvero una splendida giornata.”
“Sei diventato scemo?” domandò la cinese. Non aveva ancora mandato giù ciò che era successo ieri e non l’avrebbe certamente fatto per molto, molto tempo. Un giorno lo avrebbe anche potuto perdonare, ma solo se lui si fosse scusato in ginocchio con le lacrime agli occhi, magari strappandosi i capelli per la disperazione e offrendole qualche dono per rimediare, come un abbonamento annuale per Disneyland e qualche scorta di sushi a vita. Sarebbero bastati, forse. Xiaoyu non era tipa da perdonare facilmente.
“Brutta mocciosa del...” bofonchiò il rosso tra i denti quando la ragazza si era girata, ma riuscì a trattenersi dall'enunciare il resto. Sforzando un sorriso ancora più luminoso le disse:
“Ammetto di essere sempre stato un po' scemo,” e poi rise. Le si mise davanti, così da non farla avanzare verso l’edificio scolastico. “Sai, sei proprio una ragazza simpatica. Mi piacerebbe diventare tuo amico! Magari un giorno potremo uscire in gruppo tutti insieme… io porto i miei amici, tu i tuoi…”
La ragazza lo sorpassò con un agile movimento. Hwoarang allora pensò bene di insistere sul lato sinistro.
“Potresti, che so, portare la tua amica là dietro, oppure… quella sagoma di Jin!”
“Lo vedo quanto ti piace…” sussurrò sdegnata Xiaoyu guardando sempre in avanti, mai in direzione di lui.
“Da noi si usa così, per diventare amici bisogna sfidare qualcuno a pugni, è la prima regola dei motociclisti di strada.”
La cinese, finalmente, si fermò per guardarlo in faccia e rivolgergli un'occhiata ostile.
“Mi piacerebbe un sacco, davvero, ma visto che sono troppo piccola è meglio che io non esca con voialtri adulti, o vi farei fare la figura delle balie!” rispose sarcastica.
Era la prima volta, quella, che Hwoarang provava ad essere clemente con qualcuno. Perse così la pazienza che era riuscito con grande fatica a trattenere dentro di sé assieme al suo temperamento e urlò:
“Te la tiri peggio del Kazama! Manco fossi l'unica ragazzina coi codini da mocciosa della terra!”
E lei fece altrettanto:
“E allora smettila di rompere le scatole, razza di blouson noir che non sei altro!”
“Blouson che?!” chiese lui confuso.
“Blouson noir! E’ un modo di dire francese per descrivere un teppistello da quattro soldi come te!” rispose lei guardandolo con occhi rabbiosi, come quelli del giorno precedente, anzi, in quel momento ancora più incolleriti.
“Te la stai cercando, bambina! Potrei rovinare la vita a chi voglio, se mi girasse male.”
“Voglio proprio vedere!” urlò lei, infine. Esasperata, oltrepassò la porta dell'edificio, cercando in po’ di pace tra le quattro mura scolastiche.
“E vedrai…” sussurrò lui a se stesso con un ghigno sul viso. “Vedrai eccome!”
Nel frattempo, Miharu ebbe la sua fortunata parte di spettatrice di quel tragicomico atto shakespeariano appena avvenuto sulle scale del giardino di scuola.
“Non so perché, ma credo di aver intuito chi è lo stupido di cui parlava prima Xiao,” pensò tra sé e sé.

“Maledetto imbecille!”
Xiaoyu mandava mentalmente degli accidenti al buzzurro che si era appena presentato per la seconda volta a scuola sua.
“Oltretutto…” continuò a pensare, “ Jin oggi è assente.”
Sospirò, guardando il banco vuoto del bel tenebroso. Niente le era andato bene quel giorno.
"Più di così cosa mai potrebbe accadermi?”
Ancora non sapeva che quello era solo l’inizio di una lunga serie di giornatacce. Pensò che il peggio fosse già avvenuto, ma il seguito dimostrò solo il contrario.

Erano le tre del pomeriggio, la fine di una qualunque giornata scolastica. Lei camminava tranquillamente in direzione di casa sua, fino a quando non sentì una spinta termica che la trascinò all’indietro. La causa di tutto era un enorme braccio peloso che l’aveva agguantata da dietro. Ling se ne accorse, si dimenò cominciando a urlare, ma anche l’altro braccio si fece avanti, coprendole la bocca per impedirle di parlare. Quella considerevole forza gravitazionale la trasportò verso un vicolo e la scaraventò dentro il vagone di un camion. La porta si chiuse e intorno a lei ci fu solo il buio.
Xiaoyu si spaventò molto per quella situazione illogica. Cercò una fonte di luce che le facesse almeno capire con chi o dove si trovasse. E luce ci fu, un piccolo fuoco di un fiammifero che galleggiava in aria per accendere la sigaretta di qualcuno. A malapena vide che intorno a quel fuoco si accostavano in cerchio una decina di figure indefinite. L’uomo ispirò la sigaretta che aveva acceso, poi espirò doviziosamente.
“Ci rivediamo, bambina.”
Xiaoyu sussultò nell'udire quella voce dannatamente familiare.
“Cosa vuoi ancora da me?” chiese titubante.
“Non preoccuparti, nessuno ti farà nulla. Sarai solo l’esca per il nostro ben voluto Kazama…”
Non ci fu nessuna reazione da parte di lei, perché un uomo con un braccio tatuato la fece addormentare con uno straccio di cloroformio.























----------------------------------------------



ECCOMI QUI!!! xDDD che dire, oggi sono esaltata al massimo! So che non centra nulla con la storia, e immagino anche che a voi ve ne freghi altrettanto… ma avevo voglia di dirlo! xD
Ringrazio nuovamente Chiaras per il commento dolcissimo * * vi consiglio di andare a leggere la sua fanfiction su Harry Potter… anche lei, come me, è più proposta per coppie fuori dalla norma xD W Hermione e Blaise!!!
Ringrazio Silver Princess per aver recensito, dicendole che anch’io ho sempre immaginato un rapporto del genere tra i due (per l’appunto, lui la punzecchia e lei, la bambina, s’incavola xD) e le dico anche, come dico a Chiaras, che presto rivaluterà la cosa… eheh! >D
Ringrazio Miss Trent che ha commentato *da parte sua è come un onore per me!* *_* ebbene sì, la coppia strampalata è proprio quella xD Le ho già detto con chi vedo bene Jin in una recensione della sua fanfiction… e non cambierò assolutamente idea per niente al mondo! xD anzi, vedrò di inserire “quel personaggio” nella mia storia, così da dedicare uno spazio anche a loro due ^^
Ovviamente, ringrazio anche tutti coloro che hanno letto fino a qui! ^^
Non voglio annoiarvi… quando mi prende il via inizio a scrivere anche 20 righe di inutili commenti xD quindi, che altro dire: a presto con il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Equivoco ***


Ebbe un risveglio trafelato, quella notte, il più turbato che avesse mai avuto. E che dire del sogno agitato da cui si era appena destata? Inseguimento, rapimento, ricatto... un thriller aveva appena viaggiato nella sua testa. A vederli in televisione o leggerli tra le pagine dei libri potevano sembrare anche interessanti, ma a viverli di persona un uomo si sarebbe di certo astenuto alla cosa.
“Che incubo...” mormorò appena Xiaoyu. Un incubo che sembrava quasi reale, dannatamente molto reale. Anche fin troppo: l'uomo dei tatuaggi che si era fatto vedere in sogno le stava porgendo una borraccia d'acqua.
“Ben alzata!”
Quella si riaddormentò e stavolta per cause di mancamento.
“Si è innamorata di me?” domandò il tatuato.
“No, è svenuta per la tua brutta faccia!” scherzò un uomo che si trovava vicino alla cinesina.
“Ma guardati la tua, di faccia! Sembri una rana!”
Un terzo uomo si aggregò all'importante disputa.
“E diamine, non litigate: fate schifo tutti e due!” enunciò ridacchiando, poi si fece serio. “Siamo qui per ordine del capo: dobbiamo sorvegliare la ragazza e fare andare tutto liscio fino al suo arrivo.”
I due litiganti smisero di scannarsi, ma non si nascosero delle occhiatacce e brutti gesti, gli stessi che Hwoarang si divertì precedentemente ad usare per Jin...
In mezzo a tutto quel caos era impossibile rimanere addormentati, e così successe che la ragazza riaprì inevitabilmente gli occhi. Questi ultimi videro un soffitto mai visto prima durante un risveglio, un tetto che non aveva muro, né tegole, né legno. Sopra le si stagliava l'infinito etere che tutti i giorni copriva la terra; un cielo della notte senza stelle. Il cielo inquinato della periferia Est di Tokyo.
“Ti prego di non svenirmi di nuovo, ragazzina...” supplicò l'uomo tatuato. Xiaoyu prese completamente coscienza di ciò che le era capitato, ciò che stava succedendo in quel momento e ciò che aveva creduto di aver sognato.
“Siete proprio dei grandissimi pezzi di-”
“A-ah! Una femmina non dovrebbe parlare in modi così scurrili!” la interruppe uno dei tre, immaginandosi come sarebbe palesemente terminata la frase. Lei li squadrò per bene, ma non trovò l'autore del misfatto che tanto conosceva.
“Dov'è quel deficiente?” chiese, infischiandosi completamente dell'avvertimento di prima.
“Sei coraggiosa, ma ti consiglio di fare meno la spavalda,” avvertì senza alcuna minaccia l'uomo che somigliava a una rana, forse il più paziente del trio.
“Se cerchi il capo è andato con qualche suo uomo a fare soldi. Tornerà da un momento all'altro!” le riferì l'uomo più grosso in tono serio. Lei ci rimase male, letteralmente, nello scoprire che il deficiente era niente di meno che la mente della banda.
“E che vuole il vostro capo da me?” chiese Xiaoyu.
“Non è che ci ha raccontato tutto, ma a grandi linee tu saresti l'esca della nostra preda.”
Questo l'aveva capito dapprincipio. Il vero quesito era un altro:
“Perché?”
I tre la fissarono stralunati, come a far intendere che la risposta era ovvia.
“Be', perché ci ha raccontato che sei la fidanzata di Jin, no?” rispose l'uomo coi tatuaggi. Lei avvampò letteralmente in viso e non nascose un evidente stato di imbarazzata felicità.
“Ma che avete capito?!” urlò lei mettendosi le mani sulle guance senza usare alcuna ira. Si adirò con felicità... strano a dirselo, ma successe proprio così.
“Sarebbe a dire che non sei la sua ragazza?!” chiese sconvolto il gigante.
Lei negò, ma sempre e comunque con massima gioia. Era tutto un malinteso, certo, ma l'idea che gli altri pensassero così di lei e Jin la esaltava non poco. Era come se qualcuno avesse condiviso indirettamente i suoi stessi sogni rendendoli un po' più reali. O qualcosa del genere.
“Che cavolo ti abbiamo rapita a fare, allora?” si spazientì quello che somigliava a una rana. Xiaoyu fece altrettanto, dimenticandosi della gioia precedente:
“Siete voi che mi avete presa senza sapere o chiedermi niente!”
“Ma insomma, sarai pure utile a qualcosa!” logorò la rana con un tono irritato che infastidì ulteriormente la ragazza.
“Vi avverto: lasciatemi in pace o saranno guai!”
E quelli, com'era logico da pensare che succedesse, si fecero una sana, grossa, carica risata all'unisono, con un tono di voce pari all'intera tifoseria dello stadio di San Siro durante i mondiali. Mettetevi anche voi nei loro panni: tre gangster che vengono minacciati da una ragazzina di quasi sedici anni che ha come portachiavi l'asinello di Winnie The Pooh... non avreste fatto anche voi una sana, grossa, carica risata? Era proprio una di quelle volte che si poteva dire che l'apparenza ingannava.
Presto quei tre si sarebbero pentiti di quell’imprudenza.

“Che cazzo è successo qui?!” domandò finemente uno della banda che era appena tornato dalla missione assieme al capo. Trovarono un silenzio irriconoscibile e una landa deserta; questi due elementi, una grata di ferro rotta tra un'abitazione e l'altra - completamente abbandonate o inabitate - e tre corpi distesi completavano l'opera facendo somigliare il tutto a un territorio di guerra appena avvenuta. In quel posto era passato un tornado umano.
“Non sarà stata di nuovo la banda di Kazama?!” chiese spaventato un altro in direzione del boss. E fu lì che si fece avanti lui: il blouson noir, il deficiente o il capo come lo si voglia chiamare, che fece gesto di chetarsi. Si avvicinò alle vittime, osservando bene loro e l'ambiente.
“E' probabile,” affermò, rispondendo ai quesiti di tutti. “Forse è tornato a riprendersi la fidanzata...”
“Ancora con questa storia!”
In quella pesante aria di affanni riecheggiò la vocina di una ragazza. Di nuovo lei, Ling Xiaoyu, semi nascosta dietro un muro e nuovamente arrossita. “Non sono la sua ragazza!” urlò, poi una parte di lei sospirò, dispiacendosi del fatto che quella circostanza tanto bramata era solo l'immaginazione di un gruppo di teppistelli.
“Mi sembrava strano...” rispose calmissimo il rosso. “In effetti, non mi pareva che Jin Kazama fosse un pedofilo.”
“Maledetto blouson noir del cavolo!” sclerò Ling, uscendo del tutto dalla parete della baracca. “Te la faccio vedere io, adesso!” e si mise in posizione d'attacco.
“Va bene, va bene, dopo me la farai vedere!” rispose lui sarcasticamente, scuotendo una mano per aria in segno di consenso e grattandosi la testa con l'altra con fare annoiato. “Ma prima fai uscire Jin dal suo nascondiglio così finiamo questa storia.”
“Ma quale Jin e Jin, non hai capito che non c'è nessun Jin qui?!” imprecò la ragazza, spazientita. Hwoarang smise di sorridere, stanco anche lui di quella folle faccenda.
“E dimmi, gioia, chi avrebbe fatto secchi tutti questi uomini? I tuoi invincibili super poteri alla marinara con tanto di scettro magico?”
Il silenzio prese il sopravvento in quell'attimo. Nessuna parola, nessun rumore, nessun fiato, solo il distante abbagliare di un cane, lontano chissà quante vie più in là rispetto a loro.
“Capo, non sarà davvero che...” cercò di enunciare qualcuno in preda alla paura, un po' per il timore di scoprire di avere davvero un pericoloso tornado umano davanti a sé e un po' perché la cosa sembrava troppo folle, anche solo a pensarla, e quindi assurda da dire. La bambina arrise, guardando in viso l'ultimo che aveva parlato. La conferma l’ebbero tutti quando il gigante agguantò per il polpaccio Hwoarang.
“E’ stata lei... fa le arti marziali...” borbottò con il fiato corto. Ne conseguì una reazione tutt'altro che logica: cominciò a sorridere di speranza. “Capo, potremo prenderla nel gruppo!” soggiunse tutto contento. Seguirono due stizziti eh?! pronunciati dalle bocche dei nostri protagonisti.
“Hai qualche rotella storta, John!” protestò il rosso. “E ad ogni modo,” continuò il capo, “non accetto poppanti nel mio gruppo.”
“E chi ci vuol venire nel tuo gruppo!” lo schernì Xiaoyu. “Odio gli stupidi ignoranti, gradassi e fanfaroni come te!”
“Allora non poteva andare meglio!”
Entrambi furono in un qual certo senso felici del parere dell'altro, poiché, per la prima volta, si trovarono sulla stessa lunghezza d'onda.
“Avanti, capo!” si intromise John, “potrebbe essere utile per quel fatto del tuo maestro...”
Il rosso smise di esternare qualunque tipo di emozione e il suo viso divenne inespressivo come quello di una statua greca.
“Non sono fatti che la riguardano, John.”
“Ma quel mostro ha ucciso–“
“John!”
Il coreano lanciò un significativo sguardo severo all'omone, facendolo zittire. Raramente Hwoarang usava occhiate del genere per i loro uomini e ciò li fece preoccupare un po', come fu anche per la piccola Ling, accortasi che la questione dettata da John recava non poco fastidio al boss.
“Mi dispiace, non volevo, capo...” disse sommessamente il gigante. Hwoarang non gli rispose, fece appena un cenno con il capo guardando spaesato un punto impreciso. Si voltò dando le spalle alla ragazza e le disse:
“Ascolta un po', tu: l’ora di andare a nanna è arrivata per tutti i bambini. Ti consiglio di avviarti a casa.”
Non c’era una venatura di dispetto né di sarcasmo in quella frase. La disse che lui era già perso in altre questioni con la mente: vecchi avvenimenti di una vita passata con un uomo che non c’era più. In solitudine, cercò di trovare rifugio in mezzo alla compagnia di qualche blouson noir come lui.
Si avviò al focolare, infischiandosi completamente degli sguardi fissi su di lui.
“Cerca di capire, piccola...” sussurrò all’orecchio di Xiaoyu un ragazzo affinché il suo capo non sentisse, con la giacca di pelle e i capelli a spazzola; un soggetto qualunque di quella mandria di uomini, uno dei tanti vestiti in quel modo. “Il nostro capo ha perso di recente un uomo che è stato come un padre per lui.”
La cinese spalancò gli occhi dalla sorpresa. Poco poteva sapere della perdita di qualcuno, visto che lei non aveva ancora sofferto direttamente di questa disgrazia, ma immaginava comunque come si potesse sentire in quel momento quel blouson noir dai capelli rossi.
“Odia parlare di certe cose agli sconosciuti...” mormorò poi il ragazzo coi capelli a spazzola, in fretta, con il timore di venir scoperto dal coreano. “Fa' che non sia successo nulla e lascia perdere. Domani sarà già tutto bello che dimenticato.”
E mentre gli altri si affrettavano a cercare boccali di liquori per far tornare il buon umore al loro boss, la piccola ragazza fissava mesta la schiena di Hwoarang, seduto a terra, attorniato da un fuoco color passione che faceva da contrasto coi suoi reali sentimenti.
Le dissero di lasciar perdere, ma lei ci avrebbe messo molto tempo per dimenticare tutto questo.























----------------------------------------------



Sicuramente qualcuno di voi dirà: “Ma come? Baek non è mica morto?!”
Proprio così ragazzi... farà la sua ricomparsa a Tekken 5, ma vi dico anche se la storia della mia fanfiction si ambienta prima del 3, il periodo in cui si credeva il suo assassinio. (Mi sono documentata un sacco per questo... eh eh!)
---L'AGNOLO DEI RINGRAZIAMENTI---
Ringrazio Miss Trent, che ha detto una cosa carinissima... ha scritto che grazie alla mia storia può considerarsi una Xiao x Hwoa fan! /me felice *____* è stata la prima a seguire lo Xiaoaranghismo (o almeno, ufficialmente!) D'ora in poi ti chiamerò mia ammora, lo sai questo?! xD Mi ha dato una grande spinta a continuare la storia... E le ripeto che so già come e quando far entrare "l'altra" insieme al tenebroso amore della sua vita... ihih!!!
Ringrazio tanto tanto Silver Princess, dicendo anche che - come avrà visto - prima che la situazione cambierà ci vorrà un bel po' di tempo... (coff coff!) ma comunque che la situazione cambi, cambierà, questo è certo! /me decisa! >.< comunque io intendevo che sarà Hwoarang a rivalutare la cosa, nel capitolo precedente... non mi esprimo mai bene, io! (di nuovo coff coff!!!) ^^'''
E ringrazio tutti i lettori che son arrivati fin qua!!! ^^
A prestissimo con il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Alterazione ***


Fa' che non sia successo nulla e lascia perdere. Domani sarà già tutto bello che dimenticato.
Furono queste le testuali parole. Era una frase che doveva essere ignorata e fuggevole come un soffio leggero del vento sul viso, una ventata né forte, né rovente e né gelida. Come la brezza sulle fronde degli alberi, solo un docile strofinio delle foglie ignorato tra le distrazioni varie di una giornata gonfia di rumori.
Ma l'effetto non fu quello.
Lo confermava il fatto che Xiaoyu rammentava ogni singola parola, e il tono di voce, e il viso dell'interlocutore. E ancora: il suono del silenzio, l'odore di brace e di tensione, l'immagine di un fuoco e la sagoma nera di un ragazzo seduto. Gli disse che le dispiaceva.
La sagoma non rispose.
La cinesina aggrottò la fronte, non riuscendo a mettere a fuoco la lavagna che le si trovava davanti. Anche se fosse riuscita nell'intento, per lei sarebbe comunque restato un codice indecifrabile quell'equazione di matematica.
Il nostro capo ha perso di recente un uomo che è stato come un padre per lui.
In realtà, anche i genitori di Ling erano morti, ma lei era piuttosto piccola per ricordare. In quella fase dell'infanzia si è troppo inconsapevoli per comprendere il crepuscolo della vita; Xiaoyu lo aveva sorpassato con facilità, perché era quella l'amara e incosciente innocenza di un bambino di cinque anni. Da una parte ne fu grata, per non aver sofferto molto, ma dall'altra ne fu dispiaciuta, per non aver assaporato meglio un po' di vita insieme a loro.
La cinese ancora non poteva comprendere appieno la malinconia del rosso, ma ricordava un nome che non avrebbe scordato mai.
La Mishima. E' tutta colpa della Mishima Zaibatsu. Sono loro gli assassini del suo maestro!

“Sei distratta!” ringhiò il vecchio, lanciandole addosso una teiera vuota. La bambina si accasciò sulle ginocchia, reggendosi il capo con le mani nel punto che le doleva.
“Mi ha fatto male, maestro!” piagnucolò.
“E allora concentrati!” insistette Wang imperturbabile, in piedi di fronte a lei, con le mani piegate dietro la schiena. “Oppure facciamo una pausa e mi racconti cosa ti affligge,” le concesse, intuendo la preoccupazione della sua allieva. Ling rispose annuendo con la testa.
Il maestro aprì il fusuma che portava al giardino del dojo, attendendo la voce della ragazza. Il profumo degli alberi di ciliegio prevalse sull'aria della palestra piena di sudore e fatica. Grazie a ciò l'animo di Xiaoyu si fece quieto e cominciò a parlare.
“Maestro, lei conosce la Mishima Zaibatsu?”
Wang assentì. “Xiaoyu, vieni qui,” disse, facendo gesto con la mano. La ragazza si mise di fianco a lui.
“Adesso guarda laggiù, nel cielo.”
Il maestro additò un punto oltre gli alberi di ciliegio, ancora più in là della recinzione del loro dojo. “Quel palazzo più alto degli altri è la sede centrale della Mishima Zaibatsu.”
“Una banda di criminali opera in un posto così appariscente?!” domandò meravigliata Ling.
“Immagino ne avrai sentito parlare male, dunque...” ragionò il maestro. “Ma la Mishima Zaibatsu è solo una multinazionale.”
Volse lo sguardo verso il completo scolastico della sua allieva posato sulla sedia.
“Anche la tua scuola è stata fondata da loro,” finì di dire.
Xiaoyu si sbalordì, prendendo coscienza del fatto che ogni mattina studiava e chiacchierava con gli amici su un pavimento costruito da degli assassini.
“Ma dire solo una multinazionale sarebbe dire poco... la Mishima Zaibatsu è una multinazionale, e come ogni grande società ha le sue avversità,” fece Wang in tono velatamente sprezzante. Conosceva il fondatore e sapeva che gli atroci pregiudizi su quell'azienda erano veritieri. L'autore di tutto altro non era che un suo vecchio compagno di allenamenti, influenzato nell'anima da scopi malvagi. Wang visse nel tradimento di un amico.
“Una volta...” fece per dire lui. Sospirò, e riprese a parlare. “Molte volte nei giornali hanno scritto male di loro, ma dai tribunali sono sempre usciti con le mani pulite.”
“Allora è vero che i ricchi si comprano sempre la libertà!” rifletté austera Xiaoyu.
“Nessuno riesce a comprarsi la libertà, al massimo si può raggirarla,” terminò di dire il maestro all'allieva, manifestando con una sola frase tutta la saggezza che poteva avere un vecchio uomo come lui, storico delle più aspre realtà del mondo. “Per oggi finiamo qui.”
Mentre il maestro usciva dal dojo, lo sguardo di Ling si soffermò sull'imponente palazzo della Mishima. Il panorama era monumentale, reso tale da quella colossale costruzione ai confini del cielo. Sui vetri delle finestre si rispecchiava il funebre color grigio delle nubi e dello smog del centro di Tokyo. Fu solo un presentimento, ma Xiaoyu sentì che c'era qualcosa di sinistro in quell'edificio.
“Allora vado, sensei!” esordì la ragazza, infilandosi le scarpe da ginnastica.
“Bene,” rispose l'altro, arridendo sotto la folta barba.
“Oggi l'ho vista un po' preoccupato...” considerò Xiaoyu. “Se avesse anche lei dei problemi, me ne parli come ho fatto io oggi!” finì di dire sorridente. Il vecchio ricambiò con un'espressione benevola.
“Ormai sei un'allieva fidata. Parlerò anch'io dei miei problemi.”
“Si prepari stanotte! Domani voglio sentirla e aiutarla!” disse la cinese alzando il dito indice e medio formando una V. “A domani, allora!”
La bambina salutò energicamente con la mano il suo sensei, sorpassò la recinzione di bambù e corse verso casa.

“Che schifo!” commentò Hwoarang, fissando il proprio riflesso nello specchio, memore delle colossali bevute alcoliche della notte precedente. Per un po', in quel effimero lasso di tempo, si era dimenticato della tristezza che dopo tanto tempo era riuscita a invaderlo.
Si risciacquò nuovamente il viso con l'acqua del lavandino e si asciugò con un telo usato e annerito, simile a quelli per pulire le mani dei meccanici.
“Ehi, dolcezza, hai un trucco davvero da urlo!” affermò entusiasta l'uomo rana, rivolgendosi al boss. “Ops... eri tu, capo, e quelle erano solo le tue occhiaie. Peccato, ti avevo scambiato per un gran pezzo di donna!”
“Smettila di molestarmi, Rana,” lo riprese scherzosamente Hwoarang. “Gli altri?”
“Dormono ancora. Li sveglio a suon di calci?”
“Conosco un metodo più divertente,” informò il coreano, sollevando una tromba da stadio da terra. La rana intuì il malefico piano.
I due avanzarono quatti quatti in mezzo alle grandi masse di uomini, spaparanzati per terra come un branco di ippopotami che prendono il sole.
“No, un po' più a destra!”
La rana dava indicazioni al capo affinché si mettesse nel centro esatto di tutta la vasta fauna, per riprenderli meglio con il graffiante acuto dello strumento dall'unica nota.
“Ecco, lì! E' perfetto!” affermò contento, tappandosi le orecchie e pregustandosi la scena.
Si sentì un assordante boato diffondersi in tutta la periferia Est, ma la causa, al contrario di come si sarebbero aspettati gli unici due svegli della banda, non fu la tromba da stadio. Il restanti del clan si destarono spaventati dal grande fragore.
“Che diavolo è successo?!” domandò John.
Balzarono tutti in aria, compresi Hwoarang e la rana, sorpresi nel vedere sul cielo un fuoco che si elevava oltre i tetti delle palazzine, distante qualche chilometro.
“Un incendio!” urlò qualcuno.
Si sentì, poi, uno stridio, che allarmò maggiormente il rosso. Gli sembrò qualcosa di terrificante e già conosciuto, e gli parve di cogliere con lo sguardo una sagoma mostruosa saltare veloce tra i tetti.

Xiaoyu era sdraiata sul suo letto e ripensava alla giornata d'allenamento di quel giorno.
Neppure immaginava che tutto sarebbe finito quella notte. Il Mostro era passato anche da Wang, portandosi via il dojo, gli alberi che profumavano di ciliegio e la recinzione di bambù che Ling, ogni giorno, affiancava nel cammino del ritorno.























----------------------------------------------



E così, come con Baek, si ripete la storia anche con Wang. u_u
Questo capitolo è stato un po' complesso da scrivere, forse per alcuni anche un po' noioso... @_@ ma sarà l'aggancio per iniziare la vera avventura, che comincerà dal prossimo capitolo in poi! (Yeah!)
@Silver Princess: felice di aver chiarito il malinteso! ^^ Son contenta che ti sia anche cimentata a scrivere una fanfiction su Tekken! *_* Me la sto slurpando di gusto! xD
@Chiaras: non preoccuparti per il commento!!! \^o^/ piuttosto, mi scuso IO che nel mio periodo out of internet non abbia potuto leggere la tua fanfiction! ç_ç Mi impegnerò per mettermi in pari, giuro! è_é
@Miss Trent: ammora mia... suona così bene! xD Svilupperò svilupperò... uhuh... >D W lo Xiaoaranghismo!!! E non scordiamoci anche l'altra nostra passione: W il Jininanismo! x°D




Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Accordo ***


I giornali non parlarono minimamente della vicenda accaduta il giorno prima. Fu l'ennesimo delitto di cui la Mishima Zaibatsu poté lavarsi le mani già sporche di sangue e macchiate di colpa.
Chissà se per Xiaoyu sarebbe stato più scioccante saperlo leggendo il quotidiano o scoprendolo di persona. Probabilmente non avrebbe fatto differenza.
A lei successe la seconda eventualità, mentre camminava fiancheggiando la grata del suo dojo che non esisteva più.
Rimase ferma per un po', sbigottita, fino a quando non si mosse per toccare la porta di legno. La sfiorò soltanto, e questa si aprì come se fosse senza chiave o serratura. Avanzò e trovò mille oggetti e attrezzi distinti, accomunati tra loro solo per il fatto di essere stati distrutti.
“Maestro...?” osò sperare Ling. Si voltò più volte intorno a sé, non trovando risposta. Tremò, quando vide il fusuma macchiato di sangue, ancora là, sopravvissuto all'incendio. Si mise le mani sulle guance e crollò a terra.
“Oh, no... no...”
Non aveva gridato, né parlato. Le sue erano parole sconnesse, che a volte uscivano in un mugolio forzato dalle labbra serrate e a volte rimanevano arenate nella gola mentre la bocca restava aperta dallo stupore. La ragazza cominciò a piangere, ormai convinta che nessuno l'avrebbe potuta udire, perché nessuno era presente.

La prima ora scolastica era trascorsa, e lo stesso la seconda e la terza. Ma la ragazza non era andata a scuola, era rimasta nel dojo, accucciata a terra, con la testa sprofondata tra le braccia. Pensò a ciò che era successo e a ciò che non sapeva fosse successo. Pensò al suo maestro che le promise di confidarsi con lei quello stesso giorno, ricordò che la salutò dicendole a domani.
Pensò che quella che stava vivendo era una situazione nuova ma al contempo già vista, attraverso i suoi occhi e la schiena di un altro, un blouson noir dai capelli rossi. Adesso comprendeva più che mai il suo dolore del giorno precedente. Era palpabile, come l'odore di bruciato ancora diffuso nella palestra. Si rammentò di John che aveva parlato di un assassinio e di uno strano mostro. Era convinta che si trattasse di una metafora, un modo di dire, ma dovette ricredersi quando vide il fusuma sfregato da quattro grossi artigli e orme sporche di fango sul pavimento di legno. Non ne era sicura, non sapeva se fosse lo stesso mostro, non aveva idea di cosa dover fare, forse era solo paura, suggestione, ma questo era l'unico indizio che aveva, un indizio a cui nessuno avrebbe mai creduto.
“Chissà se il compagno del blouson noir diceva il vero...” riuscì a formulare Xiaoyu tra sé e sé, riprendendosi un po' dallo stato di shock. “Chissà se mi crederanno...”
Si alzò con fatica, aiutandosi con l'appoggio del muro su cui si era accasciata. L'agonia era svanita, momentaneamente, lasciando spazio a un sentimento nuovo: Ling Xiaoyu provava rabbia. Spinta dalla collera, distrusse il fusuma imbrattato di sangue e gli oggetti ormai carbonizzati che, pestandoli, divennero del tutto polvere nera. Corse via animata dal rancore. Corse verso la periferia Est di Tokyo.
Il giorno corse insieme a lei. Arrivò presto la sera.

“Blouson noir!”
Le teste dei presenti si voltarono contemporaneamente verso la medesima direzione, un punto oltre le grate di ferro e vicino ai cassettoni della spazzatura. Si intravedeva appena, poco illuminata, la silhouette della bambina. Il capo rispose:
“Mocciosa... non ci eravamo detti che non ci saremmo più incontrati?”
Xiaoyu non disse niente. Rimase con il viso inespressivo di una persona che non si aspettava più nulla dalla vita, né di bello né di brutto. Non c'era aria di sentimento in quel maleodorante quartiere di soli falò, liquore e benzina. Hwoarang si mise a braccia conserte e mosse convulsamente la gamba destra, invaso dal solito tic che gli veniva quando s'innervosiva.
“E allora, che fai ancora qui?!” domandò esasperato mentre prendeva una sigaretta dal pacchetto nella tasca del pantalone. L'ultima.
“Capo, se continui a parlarle sopra credo che non riuscirà mai a dire niente...” considerò l'uomo coi tatuaggi, apprestandosi a portargli un fiammifero.
“Chi se ne frega! E' lei che è arrivata qui urlando come una pazza, vuol dire che ha qualcosa da dirmi subito,” replicò. E, ancora, non ci furono parole da parte della cinesina in quel mentre in cui il rosso aveva graffiato la parte superiore del fiammifero per accenderlo, portandoselo davanti alla sigaretta. Ispirò la prima boccata, e riprese a parlare.
“Forse hai solo sbagliato via. Il negozio di giocattoli si trova dall'altra parte della strada,” ironizzò Hwoarang, sputando fumo in direzione della cinese, che finalmente ebbe una reazione.
“Non capisco perché sei tu il capobanda... Son tutti ragionevoli, tutti tranne te!” urlò con tutto il fiato in corpo rimasto dopo la corsa.
“Bambina, non ho ben compreso ciò che hai da dirmi,” si spazientì Hwoarang alzandosi di scatto dal gradino di pietra su cui era seduto. Lo mantenne da dietro l'uomo rana:
“Avanti, boss, sei stato tu a iniziare a-”
“In sintesi ho detto che sei un deficiente!” li interruppe lei.
Ci fu una sorta di gioco di lotta, in cui una rana manteneva stretto il busto del rosso e il proprietario del busto cercava di divincolarsi dalla presa tirando cazzotti a destra e a manca, mandando accidenti e imprecando contro la cinesina che aveva osato tanto. Nel buio quasi totale di quel quartiere, con l'attenzione di tutti rivolta a quello strambo conflitto, nessuno si era accorto che le lacrime già da un po' rigavano il piccolo volto della ragazza coi codini. John ci fece caso solo quando le partì un singhiozzo.
“Capo, sei una bestia, l'hai fatta piangere!” affermò un po' dispiaciuto.
“Io non ho fatto niente! E non ci trovo niente di sensazionale a vederla frignare, visto che è una mocciosa!” esclamò il rosso senza alcun rimorso.
“Non è colpa sua...” mormorò Xiaoyu. “Lui è solo lo scemo che ha fatto traboccare il vaso.”
“Si dice goccia, non scemo,” replicò il diretto interessato.
La bambina non rispose, lasciando perdere ogni divergenza. Arrivò veloce al punto della situazione:
“Fammi entrare nel gruppo.”
Seguirono mille volti sorpresi e uno soltanto stizzito.
“Hai fumato qualcosa che credevi fosse una cannuccia per bere il latte, bambina?!” chiese ironico lo stizzito, ovviamente Hwoarang.
Xiaoyu gli avrebbe risposto con un'altra offesa, di sicuro, se non fosse stato che il sentimento di pena che era scomparso tra le macerie del dojo era tornato d'improvviso nel suo animo, a sua stessa insaputa e sorpresa. E così, le lacrime che credeva avessero finalmente terminato di scendere le traboccarono nuovamente dagli occhi, copiose più che mai. La disperazione prese il sopravvento, facendole ululare singhiozzi e mordere le labbra; si accasciò del tutto sulla strada polverosa, in ginocchio e con il busto premuto sulla terra.
“Vi prego, aiutatemi! Aiutatemi a ritrovare il mio maestro!” urlò disperata, quasi ingoiando la polvere che si trovava a terra. "Forse è stata la Mishima! Forse... non lo so... non hanno detto nulla nei giornali di oggi, nessuno ha visto niente!"
Al contrario di ciò che provavano gli altri, il blouson noir non mostrava il minimo segno di compassione; la osservava, imperturbabile, con la stessa espressione che aveva avuto nel momento in cui l'aveva vista apparire tra le grate e i cassettoni qualche minuto prima, nervosa, irritata, per niente colpevole. Il suo orgoglio era una brutta bestia e il suo credersi capo gruppo lo spingeva a non mostrare carità. Eppure, in cuor suo, sapeva di provare un triste sentimento di nostalgia, lo stesso che qualche ora fa aveva avuto anche Xiaoyu. Capitò, quindi, ai due protagonisti di essersi trovati nella stessa situazione, in cui si erano guardati a vicenda le schiene e accorti di tutto il dolore che veniva mascherato agli occhi della gente, che si rifletteva inesorabilmente sui loro ricordi. Una volta era successo a lei, ora era il turno di lui.
Hwoarang fu mosso dalla pietà nel dirle questo:
“Prometti che mi obbedirai sempre?”
La ragazza alzò il capo con foga.
“Lo prometto!”
“E mi farai incontrare con Jin Kazama?” riprese a dire lui, subito.
“Quando lo vedrò, gli dirò che lo vuoi incontrare!”
“E non mi insulterai più?”
La bambina si bloccò per un attimo.
“Questo dipende da te...”
“Lo prendo come un sì,” terminò di dire al posto suo il rosso, gettando a terra la sigaretta finita da molto. Si avvicinò alla bambina, osservandola dall'alto del suo sguardo rialzato al basso della figura ancora accasciata di lei.
“Alzati.”
Lei ubbidì immediatamente.
“Non ci siamo ancora presentati,” fece lui. “Io mi chiamo Hwoarang, che in coreano significa Virilità Nascente,” le informò fiero, arridendo con soddisfazione. “E tu?”
“Ling Xiaoyu...” rispose titubante lei.
“Xiaoyu, mh?” ripeté. “Ovverosia un nome qualunque che non significa proprio nulla. Ti sta bene.”
“Tu...” cominciò a dire lei, irritata. “Credo che tu abbia un nome troppo bello per essere tuo!”
Forse non è neanche il caso di ripetere un'altra volta ciò che succederà, visto che ormai voi lettori avrete ben compreso l'animo dei due, ma tant'è: il blouson noir si arrabbiò nuovamente, iniziando a sputarle addosso parole non molto carine, e lei lo seguì a ruota.
“Avevi detto che non mi avresti più offeso!”
“Ho solo detto che questo dipende da te!”
“Mocciosetta scassacazzi!”
“Teppistello da quattro soldi bucati!”
La lite continuò per un'altra buona mezz'ora, accompagnata dalle grosse risa dei ragazzi di Hwoarang, oramai diventati in tutto e per tutto compagni di Xiaoyu. Quest'ultima osservò bene che probabilmente avrebbe avuto poco tempo per pensare a cose brutte stando con loro. Colse immediatamente il lato buono della cosa.
Successe, infine, che né Hwoarang né Xiaoyu avevano più fiato per imprecarsi contro, perciò il resto del tempo lo trascorsero voltando la propria schiena all'altro.
E, a proposito, nonostante si siano detti come si chiamavano, nessuno dei due avrebbe mai usato per l'altro il suo reale nome. Blouson noir e bambina andavano fin troppo bene.























----------------------------------------------



Dopo varie conferme dalle altre fanfiction, mi sono accorta di un fatto molto importante: ma allora... il nome dell'amichetta di Xiaoyu è Miharu, non Mihoru! xD
Ed io, convintissima, continuavo a scrivere quel nome (Mihoru), che addirittura, per essere sicura al 100%, sono andata a vedere nel gioco originale... ed ero convinta, seriamente! o.o Ma poi, quando mi è sorto il dubbio, sono andata a rigiocarci... ed effettivamente si chiamava "Miharu", non "Mihoru"... bah: i misteri della vita! 0.0
Quindi volevo comunicarvi che ho corretto il nome anche nei capitoli precedenti, e frattanto anche alcuni errori di battitura troppo brutti! xD
@Silver Prinsess: glazie, come sempre!! E spero di non averti deluso neppure con questo capitolo! :*
@Miss Trent: ci sono riuscita ad aggiornare prestissimissimo come volevi tu? xD Effettivamente, non era un aggiornamento fatto prestissimissimo... diciamo "prestino" xD Anche il Jininanismo è GGeniale!! E muchas grazias anche per il resto: contenta che ti piaccia! ^^
@Diana: Step di 3msc? o.o Se è così è stato puro caso. Figurati che questa fanfiction l'avevo pensata quando avevo solo 13 anni, quindi ben 5 anni fa. Però, c'è anche da dire che è parte del suo carattere originale del gioco essere un po' "Step". Anche se io odio Moccia e tutto ciò che ha a che vedere con lui... xD
@Shuriken: grazie per i bellissimi commenti ;__; e non ti deluderò per il futuro, giuro! >.<
Alla prossima! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dimostrazione ***


Sembrava essere ancora notte, nonostante il sole si fosse levato già da un bel pezzo. Non esistevano i giorni nella periferia Est di Tokyo, perché nell'aria di quel quartiere galleggiava una perenne foschia di fumo e vapore che riusciva a coprire il sole ancor meglio di come avrebbero potuto fare le nubi.
E loro, le canaglie della Periferia Est, erano ancora lì, distese per terra, con la pancia all'aria o in giù, sotto la foschia. Alcuni si erano già destati ed erano partiti da quel posto in cerca di soldi, che venivano trovati a modo loro, con l'aiuto di un lavoro poco morale per la società: i ragazzi di Hwoarang accaparravano soldi giocando ad azzardo, scommettendo o anche, a volte, rubando. I rimanenti svegli erano rimasti lì ad abbrustolire il pane per la loro colazione. Xiaoyu dischiuse finalmente gli occhi, accorgendosi per la seconda volta che il posto in cui si era appena svegliata non era camera sua.
Riconobbe un cielo già conosciuto.
“Che diavolo ci faccio di nuovo qui?!” domandò spaventata.
“Oh, ben svegliata!” le rispose il ragazzo dei tatuaggi. Afferrò un pezzo di pane caldo - che definirlo pane sarebbe stata un'offesa, diciamo che somigliava di più a un pezzo di carbone - e lo porse alla bambina. Quest'ultima non badò a particolari stonanti, né fece tanti complimenti: era un giorno intero che non mangiava, e per una ragazza della sua età, in fase di sviluppo, il cibo era tutto. Agguantò con foga il pezzo di pane e gliene diede subito un grosso morso, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore quando sentì con il palato che era ancora bollente.
“Ehi, ehi! Fallo raffreddare prima!” le informò il tatuato, sorridendo alla goffaggine mascolina di quella ragazza.
“Che ci faccio io ancora qui?” domandò lei, non rammentando bene ciò che era successo la notte precedente.
“Ti sei semplicemente addormentata di botto. Il capo ha anche cercato di svegliarti, ma tu non ti alzavi manco con le cannonate,” finì di dire scherzando il ragazzo dei tatuaggi. Lei s'imbronciò.
“E' proprio vero, bambina!” confermò Hwoarang sentendo tutto, trovandosi alle spalle di lei. “Ti tiravo pure i codini, ma tu... niente!”
“Balle!” replicò Xiaoyu offesa.
“No, no, guarda che è vero: te lo possono confermare tutti i miei ragazzi!” continuò lui. “Quindi è proprio vero che le bambine devono andare a dormire a una certa ora sennò crollano...” la schernì di nuovo, ridendosela di gusto e strozzandosi quasi a causa della vodka che lui, già di prima mattina, sorseggiava come fosse stata acqua naturale.
“Fei proprio frtonzo!” ribatté lei con la bocca piena di pane, che fece ridere ancor di più il coreano.
“Che fgarbata!” la scimmiottò divertito. La bambina non rispose, fece ritornare l'attenzione alla sua colazione che riteneva essere la cosa più importante tra tutte. Si sarebbe potuta vendicare quando avrebbe finito, tanto. Hwoarang approfittò di questo suo silenzio per informarle della nuova missione.
“Siccome non sappiamo quanto ci sarai fedele, ti faremo fare una prova di coraggio,” disse. Ciò fece percorrere un brivido lungo la colonna vertebrale di Xiaoyu.
“Che prova?!” chiese preoccupata.
“Nulla di che, sarà un giochetto da ragazzi,” rispose il rosso. “O forse ti caghi sotto?” domandò, premendo il tasto dell'orgoglio della piccola. E questa, com'era logico da pensare per Hwoarang, rispose:
“Ovvio che no!”
“Perfetto!” disse solo il coreano, lanciando in terra la bottiglia di vodka finita, passata tra le mani di quasi tutto il gruppo. “Su, andiamo!” riferì alla banda che poi si preparò d'armi e di scudi che gli occhi di Xiaoyu non riconobbero. Si trattavano di piccoli e strani attrezzi cilindrici che la mandria infilò furtivamente nelle loro giacche.
Tutt'a un tratto, la ragazza si ricordò di un particolare fondamentale.
“Ehi, aspetta!” disse ancora seduta, aggrappandosi con le mani ai pantaloni del rosso per fermarlo. “Stamattina io dovevo andare a scuola!”
“Oh, be'... anche Mugen, il ragazzo con i tatuaggi, doveva andare a scuola... però è da cinque anni che si ostina a non tornarci,” replicò ironico Hwoarang, facendo schiamazzare di risate il resto del gruppo.
“Pensa per te, capo, che a scuola dovevi andarci pure oggi!” rispose a tono Mugen.
“E l'unica volta che il boss ci è andato l'hanno pure espulso, perché correva troppo dietro alle gonnelle!” disse un altro. E tutti risero di nuovo con voce carica. Stavolta anche Xiaoyu sorrise con loro. Erano un gruppo di fuorilegge che, chissà come, ispiravano molta simpatia alla cinese. Era per via delle loro risa roboanti, genuine e naturali.
“Muoviamoci,” riferì il rosso avviandosi verso la meta, portandosi lo zaino sulle spalle. Gli altri ubbidirono, senza smettere di ridergli dietro le spalle.

“E questo?!” fece Xiaoyu.
Davanti a lei si stanziava il grande muro dell'azienda conosciuta da tutti per la sua fama, la Mishima Zaibatsu. Il cambiamento di quartiere lo rendeva vivo rispetto alla periferia Est piena di nubi artificiali. Un quartiere così tanto vivo eppure così tanto in antitesi con la realtà, perché quello altro non era che un edificio che procurava morte e dolore. La ragazza strinse forte i pugni, facendo trasparire la rabbia nel suo volto. Gli assassini, ora, li aveva proprio di fronte.
“E' questo il posto dove farai la tua prova di coraggio,” informò serio il rosso. Xiaoyu intuì ciò che sarebbe successo con solo qualche indizio: oggetti che non conosceva infilati di nascosto nella giacche e negli zaini, coraggio, Mishima Zaibatsu... arrivò alla conclusione che sarebbero entrati lì dentro ed avrebbero fatto una strage.
“Tu vuoi che io li uccida tutti?!” domandò attonita Xiaoyu, terrorizzata alla sola idea. Il rosso le rise in faccia, seguita a ruota dal resto del gruppo.
“Tu parli senza pensare...” disse solo Hwoarang.
Il capo fece segno agli scagnozzi di tirar fuori ciò che si erano portati appresso, le armi sconosciute, che altro non erano che bombolette spray.
“Scrivi sul muro abbasso Mishima, o qualcosa del genere. Va bene qualunque cosa,” ordinò il coreano.
“Tutto qui?!” lo riprese lei. “Tutto questo per una simile bambinata?!”
“Infatti davanti a me vedo solo una bambina,” rispose lui, serissimo.
“Brutto stupido!” urlò la cinese, cercando di sovrastare le grossa risa di Hwoarang. “Ti faccio vedere io! Scriverò qualcosa di meglio, molto meglio!”
La ragazza s'impossessò dello spray di Hwoarang e intorno a loro si cominciò a sentire un rumore di spruzzi continui. I manigoldi della periferia Est si concentrarono su ogni minima azione della piccola compagna, infischiandosi degli occhi attoniti delle persone che assistevano a quella vandalata in silenzio, sconcertati, sdegnati e timorosi di quel gruppo di teppisti pieni di giacche di pelle nera e borchie. Il brutto odore della bomboletta si diffondeva attorno a loro; un tipo di odore che al blouson noir, personalmente, piaceva molto.
“Finito!” esclamò appagata Xiaoyu. Il gruppo indietreggiò di tre passi per vedere meglio la grande scritta che ricopriva il muro bianco della Mishima Zaibatsu.
“Mishima Zaibatsu, il letame serve a favorire l'agricoltura della nostra gente. Con tutta la vostra azienda si potrebbero sfamare... le bocche di tutto il mondo?!” lesse qualcuno incredulo, facendo ridere i restanti.
I ragazzi della periferia Est erano soliti ridere sin dal mattino, continuando fino a sera e certe volte persino di notte, nei loro sogni. Ma arrivati a quel momento, quell'attimo in cui lessero ciò che Xiaoyu aveva osato scarabocchiare sul muro della Mishima, nessuna risata di quel giorno poteva essere paragonata. C'era chi piangeva, chi singhiozzava, chi si portava la mano sugli addominali che si contraevano, chi si accasciava a terra per quanto non riusciva a restare in equilibrio. E la bambina, contenta, voltò lo sguardo soddisfatto verso il rosso, che, con lacrime agli occhi, rispose solo con un gesto. Un gesto che usava poco, contrastante col suo solito dito medio in su: Hwoarang alzò il pollice in alto, in segno di approvazione. Ling Xiaoyu, ormai, era un membro dichiarato di quella banda di fuorilegge.
“Che succede qui?!” tuonò un uomo vestito di nero uscito dall'edificio della Zaibatsu a causa del frastuono che aveva sentito fuori, seguito da altri quattro.
“Oh merda!” si sentì urlare da qualcuno del covo. Non ci fu nemmeno bisogno di aspettare l'ordine del loro capo che tutta la massa di blouson noir scappò via più veloce che poteva. E come un fiume che seguiva la corrente e scorreva in più letti, loro si divisero e vennero trasportati dalle strade, dalle varie vie e dai vialetti. Fu la seconda, grande corsa che fece Ling Xiaoyu verso il covo del loro clan.

Non udirono più né urla né passi, ma soltanto l'ansimare del loro stesso fiato che a stento usciva dalla bocca per colpa di un cuore che batteva troppo forte. Il rosso di poggiò con la schiena sul muro e si lasciò scivolare lentamente a terra, divaricando le ginocchia in modo innaturale, trasportate dalla pressione della discesa. Ebbe la forza, col fiato rotto, di chiamare la bambina, che si girò verso di lui.
“Hai passato l'esame...” le riferì.
“Mi pare il minimo,” concordò la ragazza stancamente.
Entrambi, adagiati con le schiene sulle pareti, poterono vedere proprio davanti a loro il sole del tramonto dissolversi oltre i monti, i quali quasi sembravano voler abbracciare la grande stella e portarla verso sé. Quel senso di grande calma che Madre Natura offriva ai loro occhi alleggerì la fatica che avevano avuto nella fuga precedente.
Il turbamento del giorno prima sparì all'istante e Xiaoyu si lasciò incantare dalla vista pacifica. Voltò lo sguardo verso il rosso, alla sua sinistra, che rimaneva immobile e con gli occhi chiusi. La bambina fu presa da un inaspettato senso di tenerezza. Vide per la prima volta il blouson noir che non arrideva più con disprezzo o superbia, e non sghignazzava per sfregio o canzonatura; lui sorrideva con il più sincero sorriso che lei avesse mai visto.
Anche Hwoarang, come lei, fu coinvolto dal panorama del crepuscolo rilassante di quel giorno.























----------------------------------------------



Nota poco importante (ma che comunque può servire): è stato, finalmente e con gran gioia, annunciato il nome del ragazzo con i tatuaggi: Mugen. Volevo solo dirvi che è un nome giapponese e si pronuncia "Mughen", come Jigen di Lupin! :P
Tutto qua, solo una futile informazione che potrebbe comunque esservi utile! xD
E un'altra nota ultramegapocoimportante è il fatto che ho preso quel nome dal protagonista di un anime ancora sconosciuto qui in Italia: Samurai Champloo. Io l'ho visto con i sottotitoli italiani e garantisco che è pura meraviglia *_* per chi riuscisse a trovarlo, consiglio vivamente di guardarlo!!
Poi, tanto per riempire questo spazio oramai inutile, volevo anche dirvi che ho aggiornato presto perché avevo la febbre e son dovuta stare a casa per tutto il giorno! :P
Al solito, ringrazio alcune persone in particolare:
Shuriken: mi fa piacere che ti piaccia anche questo capitolo! ^^ Leggendo la tua fanfiction mi era anche venuto in mente di scrivere una storiella su Naruto... eheh! :P Non so se dedicarla a TenTen o a Temari... si vedrà! ^^
Chiaras: glaccie! *_* ma quanta tenerezza che mi fai!! >.< ed io ti ripeto di non preoccuparti, commenta quando vuoi! xD frattanto, aspetterò il continuo della tua fanfiction! *ç* Go, Hermione, go! xD
Silver Princess: anche tu... ma quanto sei tenerosa!! >.< e grazie per la recensione, aspetto anch'io il seguito della tua fanfiction! ^^
Miss Trent: tu invece mi ispiri tanto sesso! x°D scherzo, don't worry. Lo dico, non si sa mai... ricordo una volta che lo dissi ad una mia amica e lei mi credette! xD Ti ringrazio per avermi fatto sapere il nome giusto del maestro di Hwoarang!! >_< La prossima volta rivedrò i capitoli, così correggerò anche il suo nome... e magari mi ritroverò altri erroracci da correggere! xD Felice di tenerti la suspense :P E felice che Hwoarang abbia un nome troppo buffo! (Tzk... N.D.Hwoarang)
(A proposito... aspetto con ansia anche il continuo della tua fanficton! *ç* magari non ci crederai se te lo dico, ma... è già la quarta volta che la leggo e rileggo xD)
A presto con il prossimo capitolo!! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Rivelazione ***


Si coricavano su una vasta collina di materassi rubati, nel loro dormiveglia notturno. Quest'ultimo era un termine inesatto, fallace e stonante, perché a dirla tutta i ragazzi del blouson noir vivevano nella notte e dormivano di giorno. Trascorrevano raramente le loro ore sotto il sole, e se accadeva questo era ormai in procinto di spegnersi, morente, sotto le alte montagne di Tokyo.
Se si potessero paragonare a degli animali, il loro secondo posto sarebbe spettato ai gufi. Il primo alle volpi, perché raggiravano gli sventurati che si presentavano sulla loro strada con la stessa furbizia. Infine, il terzo posto veniva ai ghiri: mai che qualcuno osasse disturbare il loro sacro sonno! Ed era questo uno dei tasti delicati di quel gruppo di cui Ling Xiaoyu non era proprio a conoscenza...
L'imprudente bambina mise un oggetto che con tragiche conseguenze avrebbe ucciso il loro placido torpore.
Inconsapevole, lo puntò alle sette.
E le sette furono.
“Cos'è tutto questo frastuono?!” ingiuriò qualcuno, alzandosi di scatto col busto a occhi socchiusi.
“Scusate,” rispose cauta Xiaoyu, poggiando la mano sull'oggetto affinché si spegnesse. “La mia sveglia.”
Per sua fortuna, il doloroso arnese ebbe un suono che durò poco più di qualche secondo e mezzo. Colui che ingiuriò subito si riaddormentò e la ragazza poté lavarsi e vestirsi nel bagno pubblico a qualche isolato dal covo della periferia Est.
Eccola: pulita, vestita e profumata, pronta per tornare a scuola.
“Fatto?” chiese una voce alle sue spalle appena uscita dall'edificio. Spaventata nel trovarsi di colpo qualcuno dietro la schiena, la bambina inciampò su se stessa, cadendo a terra con il sedere. Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi del suo neo capo che la guardavano sbigottiti, incerti e anche un po' preoccupati per la sua sanità mentale.
“Che...” fece per dire lei, interrompendosi a metà. “Che ci fai qui?”
“Tu hai qualche problema serio,” dichiarò il rosso, con semplicità. “Ero venuto ad accompagnarti a scuola.”
La bambina si lasciò scappare dalle labbra un verso di stupore.
“Tu vuoi accompagnare me a scuola?!” domandò, sottolineando ben bene il fatto che era lui la ragione di tutta la sua incredulità. D'altronde, non aveva tutti i torti per essere così meravigliata. Immaginate voi una qualunque persona che il giorno antecedente vi assillava, scherzava su di voi - ora con buone intenzioni, ora con un tono d'offesa -, vi tirava i codini e che adesso mostra improvvisamente della generosità nei vostri confronti. Addirittura, questa qualunque persona, che non osava mai rimanere con voi più del dovuto, ha addirittura l'intenzione di volervi accompagnare a scuola...
“Non vorrai farmi qualche brutto scherzo?” domandò lei con preoccupazione.
Non capendo l'assioma della bambina, il rosso si grattò il capo confuso, si voltò e si avviò verso la strada principale della città. Xiaoyu fece spallucce, si alzò e lo seguì.
Arrivarono al luogo dove si trovava il mezzo di trasporto che per eccellenza prediligevano le scorribande di strada, e in mezzo alla grande mandria a due ruote si scovava una moto al centro di tutte che attirava maggiormente l'occhio della cinese. Di chi poteva essere quella bellezza da vedere, quella Harley-Davdison grigio metallico, se non del loro capo?
“Bella, eh?” fece lui, senza neppure aspettare una risposta dalla ragazza, scontata e positiva secondo il suo modesto e certissimo parere. Peccato che Xiaoyu affermò tutt'altra cosa.
“Quanti ne hai uccisi per averne una?” domandò sdegnata in tono di battuta. O almeno, questo era ciò che lei sperava fosse.
“Almeno una dozzina,” rispose freddamente il rosso, portando il colorito del volto della ragazza da un arancio pesco acceso a un bianco confetto pallido. Scoppiò a riderle in faccia, intuendo che la bambina aveva bevuto lo scherzo.
“Sei proprio una mocciosa,” le disse. “Comunque, non ci penserei due volte ad uccidere te per riavere indietro questa moto,” asserì con diabolica semplicità, montando sul sedile e carezzando felice il terminale del due ruote.
“Che gentile,” ironizzò lei offesa.
La risposta del rosso fu solamente un farfugliare incomprensibile. Si sarebbe potuto anche capire ciò che aveva detto se non avesse acceso il motore proprio in quel momento, mettendosi gli occhiali da pilota che indossava costantemente sulla fronte.
“Be'?” domandò alla compagna, aspettando che montasse sulla moto.
“Io lì non ci monto...” informò veloce lei, con un filo di voce.
“Non sei mai andata su una moto?” chiese lui sorpreso. Xiaoyu non notò la sua incredulità a causa degli occhiali da corsa che gli coprivano buona parte del viso, quella superiore, che più di ogni altra parte del corpo esprime emozioni.
“Di certo non salirei con te,” sancì la bambina senza realmente rispondere alla domanda.
“Cagasotto...” disse Hwoarang, e la derisione della frase trasparì nonostante gli occhiali da corsa gli velassero la maggior parte delle espressioni facciali. Bastava l'affermazione di per sé.
Ignorare le provocazioni è da adulti, dar loro corda è da bambini. Xiaoyu era una bambina.
Montò veloce sulla moto con movimenti goffi, poi lo incitò a muoversi. Lui non aspettava altro.
Per fortuna della ragazza, il blouson noir le sedeva davanti, girato di spalle. In questo modo non le poté vedere le buffe facce che le deformarono più volte il viso, spaventata quanto poteva far paura soltanto una montagna russa con venti giri della morte, uno dietro l'altro.

“Tutto bene?” chiese Hwoarang scendendo dalla moto e facendo il finto ingenuo. In realtà sapeva benissimo come si sentiva la ragazza, bastava guardarla in viso: capelli spettinati, sguardo distrutto e occhi fuori dalle orbite.
“Sì, sì...” mormorò lei poco convinta. Una risposta alla quale non avrebbe creduto neppure un bambino.
“Meglio così,” rispose divertito lui. “Di' un po', donna d'acciaio, sai da quale strada arriverà Kazama?”
C'era d'aspettarselo. Il motivo di tutta quella gentilezza gratuita poteva essere solo Jin, dopotutto. Xiaoyu neppure si adirò per la cosa. Indicò con il braccio teso e ancora un po' tremante la direzione in cui sarebbe arrivato e lo ritirò per salutare il rosso con la mano, svogliatamente. Si avviò verso la scuola, sperando che il blouson noir non avrebbe trattenuto Jin più del dovuto per poterlo rivedere il più presto possibile.
Il suo ultimo pensiero, prima di entrare in classe, lo diede a quest'ultimo.
“Quanto mi manca... chissà se oggi si presenterà a scuola...”

“Jin Kazama, quanto mi sei mancato!” esclamò il rosso allargando le braccia con gioia nel vedere il suo miglior nemico davanti a sé. Il ragazzo dai capelli corvini lo squadrò in silenzio.
“E tu chi sei?” chiese interdetto, facendo quasi inciampare su se stesso il rosso.
“Tu hai qualche problema! Ti sei di nuovo scordato?!” si spazientì a voce alta Hwoarang. Jin lo guardò come aveva fatto il rosso quella stessa mattina con la bambina, ossia esternando uno sguardo stranito e un po' preoccupato per la sua sanità mentale.
Riprese ad avviarsi verso la scuola, ignorando completamente le ingiurie varie dell'altro. Ingiurie che a metterle tutte in un discorso diretto sarebbero state troppe e troppo indigeste.
D'improvviso, lo scaricatore di porto si zittì. Sorpreso da tale e miracolosa nuova, Jin Kazama si voltò per guardarlo. Lo vide quieto e calmo, era vero, ma con un gesto che tradiva tutto: braccio teso in avanti e dito medio all'insù.
Chissà perché fu proprio in quel momento che il ragazzo dai capelli corvini rammentò chi fosse lo sciagurato alle sue spalle.
“Tu sei il disgustoso deficiente di quella mattina...”
Nonostante l'offesa, il rosso arrise per il buon risultato di memoria.
“Stavolta non mi va di combattere davanti ad occhi indiscreti,” lo informò, portando lo sguardo alle varie aule scolastiche dell'edificio.
“Neppure a me,” rispose l'altro.
I due si fiondarono fuori dalla scuola, verso la strada che portava al fiume senz'acqua. Quel luogo era un po' come la periferia Est, solo che si trovava ad Ovest, e come ogni periferia portava con sé la parte più povera della città.
“Stavolta vincerò io, Kazama!” esplicò austero il rosso, mettendosi in posizione d'attacco. “E quando succederà sarà un gioco da ragazzi sconfiggere la Mishima Zaibatsu!”
Jin abbassò il capo, restando un attimo quieto, poi posò di nuovo lo sguardo negli occhi del rosso, sorridendo.
“Che cazzo ti ridi?!” chiese interdetto il coreano.
Kazama rispose calmo, con voce bassa:
“Sono il nipote del presidente della Mishima. Faccio parte dell'azienda.”
Hwoarang rimase un attimo sconcertato. “Idiota, gli scherzi risparmiateli per dopo, se mai riuscirai ancora a parlare!”
Kazama ancora continuava ad arridere, un sorriso che però nascondeva un velo di tristezza.
“Ho qualcosa che è essenziale per loro. Sono il figlio di una donna chiamata Jun Kazama e di un uomo... Kazuya Mishima...” informò, facendo una smorfia nel pronunciare quell'ultimo infimo nome. “Se batterai me, batterai la Mishima.”
“Mi stai prendendo per il culo, vero?” chiese il rosso. Jin non disse niente.
“Maledetto assassino, di cosa ti vanti? Di cosa cazzo ti stai vantando, di essere un pezzo di merda come loro?!” tuonò Hwoarang al culmine della rabbia. Aveva un nemico davanti a lui, un nemico che fino a qualche tempo fa ammirava e vedeva come una meta personale, ma che adesso gli sembrava solo uno dei tanti assassini che avevano ucciso il suo maestro.
Non era mai successo che Hwoarang si fosse scagliato contro qualcuno con così tanta rabbia come quel giorno, troppo soggiogato dall'ira per rimanere concentrato.
Per questo, purtroppo, perse nuovamente la sfida.

“Sapevo che ti avrei ritrovato così...” affermò la cinese in direzione di Hwoarang, seduto scompostamente su un palo della luce vicino al fiume senz'acqua, moribondo e pieno di ferite. La ragione era chiara come la luce del sole, ma il rosso riferì tutt'altra cosa:
“Ero stanco e mi sono appisolato, tutto qui,” e lo disse con un tono davvero risoluto. Peccato solo che il viso era pieno di lividi. Sarebbe realmente sembrato convincete se non fosse stato per questo piccolo, irrisorio particolare.
“Certo...” replicò divertita la bambina, per la prima volta in superiorità nei confronti del rosso. “E immaginando che saresti svenuto per la stanchezza, ti ho portato questi,” terminò di dire, cacciando dalla cartella un kit medico. “Me li ha dati l'infermiera della nostra scuola.”
“Che esagerazione...” mormorò Hwoarang, faticando nel dire una parola e l'altra fin quando la bambina non gli posò sul braccio il disinfettante facendogli urlare una parolaccia.
“Sta' fermo!” ordinò la piccola a voce alta.
“Giochi a fare la mamma, eh?” le disse sommessamente il rosso, ansimando. “Sei proprio una bambina...”
“Lo so, me l'hai già detto tre volte, oggi,” enunciò rassegnata l'altra, rimanendo concentrata nel lavoro che stava facendo. “Per colpa tua Jin non è neppure venuto a scuola... è successo qualcosa?”
“Non è successo niente.”
Il coreano girò la testa altrove per non dover guardare la compagna impegnata a curarlo. Era stato meschino nei suoi confronti dirle quella bugia.
Si domandava come avrebbe reagito se avesse saputo la verità.
La bambina cercava lo sguardo del blouson noir per constatare che non gli facesse male, ma lui non osava ricambiarglielo. Non glielo restituì neppure una volta.























----------------------------------------------



Finalmente guarita... @_@
Mi sono accorta che questo capitolo è più lungo degli altri... il motivo è che oggi scrivevo e scrivevo e proprio non riuscivo a fermarmi! xD La vedo come una cosa abbastanza positiva ^^
E nel prossimo capitolo posterò anche un disegnino fatto da me... eheh! >D
Miss ammora, aspetterò il tuo ultimo capitolo. Sta sicura che sarà sicuramente bello come gli altri! *_*
Shuriken, mi fai arrossire... o////o Questa è la prima volta che qualcuno è mio fan! xD Allora credo che scriverò su TenTen... ihih! :P Tanto ho già in mente le due storie... sia che la scriva prima o dopo, quella di TenTen la metterò sicuramente!!
Silver Princess, accie! ^o^ Davvero non so come mi sia potuta venire in mente una frase del genere... l'ho avuta lì, al momento! xD
A Chiaras mando un mucchio di baciottoli come risposta! :*
Ho scritto veramente pochi commenti post storia, stavolta... @_@ Si sono un po' invertiti i ruoli! xD
A presto con il prossimo capitolo!! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Incubo ***


Il blouson noir aveva mentito riguardo Jin Kazama. Quando la bambina gli aveva chiesto cosa fosse successo, non le aveva riferito nulla. Ma questo non era l'unico segreto che custodiva.
Era steso a terra, sotto il sole cocente e vicino al fiume senz'acqua. Il ragazzo dai capelli corvini l'aveva appena sconfitto per la terza volta. Il coreano tentava di portare lo sguardo su Jin, dietro di lui, ma i muscoli del collo gli arrecavano dolore non appena cercava di spostare il capo, anche se di poco. Sapeva che era lì, perché vedeva con la coda dell'occhio la sua ombra proiettarsi sul proprio braccio destro.
“Stanotte a mezzanotte. Ti aspetto davanti alla chiesa ad Est della città,” disse l'ombra, e si dissolse.
Fu da quel momento che Hwoarang non parve più lo stesso per tutta la serata.
“Capo?” lo chiamò l'uomo rana, preoccupato. “Diavolo, non hai scolato neppure una bottiglia di whisky... a quest'ora ne avresti già bevute tre!” e tirò una pacca sulla schiena del rosso. “Dico bene, ragazzi?!”
E il coro si aggregò, esilarante:
“Dici bene, Rana!”
Hwoarang azzardò un mezzo sorriso sul viso.
“Sapete com'è, ragazzi, la sconfitta rode un po',” e ridendo stentoreo rubò la bottiglia dalle mani della rana, bevendola tutta d'un fiato. “Ma la verità è che sono un po' emozionato per stanotte...” informò compiaciuto alla mandria.
“E perché mai?” chiese meravigliata Xiaoyu.
Il capo portò le mani sul colletto della giacca di pelle nera per sistemarsela con fare raffinato. Mandò indietro la testa e si drizzò con la schiena, un atteggiamento che somigliava tanto a quello di un re quando annunciava buone notizie.
“A mezzanotte ho un appuntamento con una donna!” riferì difatti, tutto gagliardo.
Esultarono in massa, fischiando e applaudendo orgogliosi al loro capo. Si aspettavano che come le altre volte avrebbe portato qualche donna nel loro covo assieme alla sua, solitamente qualche amica, ma Hwoarang rifiutò stranamente la proposta, dicendo loro che era solo una, e timida.
“E com'è? Com'è?” chiese entusiasta John.
Poiché era tutta una menzogna, il blouson noir doveva far attenzione a ciò che gli avrebbe risposto. I bugiardi inventano storie scordandosele col tempo, dopodiché ripetono la medesima storia in modo diverso e da quel momento si scopre la bugia. Hwoarang, anche se contraddittorio del carattere, era un ragazzo molto cauto e calcolatore nelle tattiche. Così, disse loro una frase che lo avrebbe tolto da ogni guaio, una frase che per ogni maschio bastava e avanzava come risposta in questi casi. Egli si portò le braccia davanti al petto, semicircolari, e malizioso riferì:
“Ha due meloni grossi così!”
Giustappunto, non ci furono più domande a riguardo. Il gruppo, più che soddisfatto della cosa, brindò al loro boss stappando tappi di liquori tanti quanti i fiocchi di una nevicata d'inverno. Per qualche secondo, tutta la periferia Est vide volare piccoli volatili di sughero.
Solo una persona non festeggiò con loro. Una bambina. Si sdraiò sul materasso, girata di schiena e rannicchiata.
“Maschi... tutti uguali...” bisbigliò sarcastica.
“E dimmi, capo,” domandò qualcuno di loro, “a che ora è l'appuntamento?”
“Stanotte,” rispose il boss. “Stanotte. A mezzanotte...”
Il sorriso del rosso si dissolse in uno sguardo accigliato, ben nascosto dall'oscurità della Periferia Est.

L'orologio posato sul muro di quella strada secondaria segnava quasi l'una di notte, ma Hwoarang sapeva che era rotto da anni, scordato di essere aggiustato tra i tanti problemi della città.
L'oscurità premeva nell'aria e la sottometteva. Persino l'ossigeno sembrava nero come la pece, e si addentrava pesantemente nei polmoni di Hwoarang. Le abitazioni intorno erano costruite simili a quelle della periferia Est, perché il quartiere in cui il rosso si trovava non era tanto distante dal suo covo. Al centro del piazzale era collocata una chiesa gotica senza prete e senza altare, una chiesa che non esisteva più. Un tempo di qualche secolo prima la costruirono in nome di Dio contro la religione shintoista, e adesso si trovava morente attorno alla recinzione delle varie abitazioni disabitate, combattente per il cristianesimo, superstite della vittoria scintoista. La luna illuminava fioca il suo tetto distrutto e i vetri colorati raffiguranti i santi. Gesù guardava di sbieco il coreano su di un crocifisso posato storto. Sotto di lui, la figura di spalle di un ragazzo.
“Kazama...” lo chiamò Hwoarang. Lui si girò.
“Ben arrivato,” bisbigliò, e la voce echeggiò per tutta la navata centrale della chiesa.
Hwoarang si portò in posizione di attacco, braccia e gambe flesse e un piede in avanti.
“No,” affermò Jin, calmo. “Non ti ho invitato qui per questo.”
Il rosso corrugò la fronte e inarcò un sopracciglio, calmando i muscoli.
“E allora per cosa?” chiese leggermente innervosito.
“Ho da parlarti della Mishima Zaibatsu,” informò Jin. “Ti spiegherò la causa per cui mi trovo con loro.”
“La so già, è perché sei un figlio di papà, il nipote del presidente,” ironizzò Hwoarang in tono sprezzante. Il ragazzo dai capelli corvini mantenne lo sguardo precedente, non smettendo di fissare neppure per un attimo le iridi castane del motociclista.
“Ho qualcosa che i Mishima si portano da generazioni, una bestia dentro di me.”
Lo riferì in tono più austero, stringendo le mani in due pugni strettissimi.
“Per bestia intendi i troppi soldi nelle tasche o il sangue blu dei Mishima?” domandò l'altro, sorridendo solo da una parte del labbro.
“Credo di aver fatto un errore,” informò Kazama con voce gutturale. “Sei solo un buffone. Non ho nulla da spartire con uno come te.”
Fu la tensione e l'aria pesante di quella chiesa a scatenare nuovamente l'ira del rosso, oltre l'affronto dell'altro. Riprese la posizione d'attacco e si lanciò addosso all'avversario.
Ci fu, in seguito, uno sparo, e se Kazama non si fosse mosso per contrattaccare il coreano, forse avrebbe beccato una pallottola proprio in mezzo agli occhi. Si voltarono contemporaneamente verso la traiettoria dello sparo e trovarono una fuggevole figura umana dal corpo snello e la chioma dello stesso colore dorato della croce appesa sul muro. Fuggiva veloce tra un costolone e l'altro della chiesa.
“Che diavolo...?!”
Hwoarang fu scosso dal timore, dapprima credendo che fosse successo tutto a causa di un colpo meschino di Jin, ora rendendosi conto che quel colpo era di un fucile a precisione diretto proprio a quest'ultimo. Cercò con lo sguardo il ragazzo corvino e lo vide inginocchiato sulla terra polverosa, con le mani che mantenevano il capo e il volto straziato, pervaso da un dolore simile a una forte emicrania. Lo prese in tempo per il colletto, salvandolo dal secondo proiettile miratogli contro. La causa di quel paio di spari si presentò dinanzi a loro.
Raffigurava un corpo esile dalle spalle larghe quasi come quelle di un uomo, ma, nonostante ciò, Hwoarang riconobbe in questi due elementi, sotto la luce fioca della luna, una donna. Il corpo era tornito e al contempo aggraziato, e due soffici curve adornavano il petto della sconosciuta figura.
“Hai avuto una gran brutta idea...” sibilò questa al rosso. “Ora che mi hai visto in viso, dovrò uccidere anche te,” terminò di dire con voce sommessa. Gli puntò l'arma contro, in mezzo ai suoi occhi che ancora non si capacitavano di ciò che stavano vedendo.
“Blouson noir!” urlò una voce con un timbro acuto e cinguettante. Una sola persona al mondo lo chiamava a quel modo. Xiaoyu si trovava lì perché fu svegliata dallo sparo insieme ai suoi compagni e disse che avrebbe controllato di persona cos'era accaduto.
“La ragazza con cui esci non sembra poi così timida,” convenne vergognosamente la cinese, pensando a chissà quale pratica sadomaso che la sconosciuta e il blouson noir, a parer suo, erano intenti a svolgere in mezzo a un quartiere disabitato.
“Va' via, bambina!” le urlò spaventato il rosso, ma la donna killer le aveva già puntato il fucile.
Sparò.
Il colpo deviò nuovamente, perché nel momento in cui premette il grilletto la killer fu sbattuta contro a un muro. I due protagonisti neppure si accorsero che non balzò con le proprie forze, ma fu scaraventata da qualcuno con una potenza al di là dell'umana comprensione. Difatti, in quel momento, Jin non era umano.
Un secondo prima si trovava dietro la schiena di Hwoarang, un attimo dopo eccolo davanti alla killer, con la mano nervosa che la agguantava per il collo per tenerla forzatamente sdraiata a terra, a pancia in su.
In quelle pallide iridi dal color sereno, così contraddittorie al suo essere, la donna mostrò per la prima volta il terrore.
“Puoi uccidermi, se vuoi,” le bisbigliò Jin con voce roca. “Ma non adesso. Devo prima vendicare qualcuno.”
Sembrava quasi che la luce della luna volesse scappare da quel ragazzo, abbracciato dal buio totale della notte. Hwoarang vide cadere a terra delle piume nere e si voltò a guardare la bambina. Quest'ultima si accorse solo in quel momento del tanto desiderato ragazzo che le piaceva, compagno di classe e di sguardi mai ricambiati.
“Jin!” lo chiamò. Il ragazzo lasciò la donna e si voltò. La luce della luna volle far scoprire ai due giovani il volto e il corpo che adesso profilavano la sua figura. Non era rimasto più nulla d'umano, tranne la fisionomia antropomorfa; erano i denti più mostruosi, era lo sguardo più agghiacciante, erano le ali più nere che si fossero mai viste. Il Diavolo si era impossessato di lui, tramandatogli attraverso il sangue della Mishima e ritrovandoselo ogni volta che provava rabbia, smarrimento, angoscia, orrore. Xiaoyu urlò di paura, cercando di soffocare le grida con il palmo della mano. Il demone le si appropinquò veloce e la sbatté con un forte pugno sulla parete della chiesa. L'agguantò per il bavero dell'uniforme scolastica, alzandola affrancata al muro.
“Kazama!” urlò il rosso, correndogli incontro e colpendolo sulla schiena con un calcio. Questo neppure si mosse per schivare il colpo, né a malapena per lo sbandamento del calcio arrecatogli; sembrava anzi che tutta la forza del ragazzo coreano non fosse che un sassolino lanciato male, per quel demone. E non ci fu neppure bisogno di combattere fino agli spasmi, perché Jin aveva subito agguantato per il collo Hwoarang, alzandolo a trenta centimetri da terra. Il rosso si dimenava con tutte le forze, ma il braccio dell'altro pareva una staffa di metallo indistruttibile. La mano di Kazama stringeva sempre più la sua gola. Al ragazzo mancò il respiro. Serrò le ciglia, sforzando ogni suo muscolo affinché nei polmoni potesse entrare un po' d'aria.
“Basta!” implorò Xiaoyu, immobile e incapace di muovere qualunque arto. Le lacrime le stavano uscendo per la disperazione, ma rimasero incastrate negli occhi per forza di volontà. “Ti scongiuro, Jin, torna in te!”
Kazama riportò la mano libera sulla testa inclinata in avanti, come a reggere un dolore simile a quello precedente. Il Diavolo gemette, e non poté fare a meno di portare anche l'altra mano sul capo, facendo cadere Hwoarang dolorante sul terriccio. Il portatore del demone della Mishima farfugliò parole sconnesse.
“Scappate... salvatevi... io... non potrò mai essere salvato...”
Solo due dei tre sarebbero potuti scappare. Questo perché la donna dai capelli biondi era ormai fuggita da tempo, arrancando sofferente verso un luogo distante aiutandosi con l'appoggio delle pareti, soffocando l'affanno e, assieme a questo, lo spavento.
Era la prima volta che quella donna provava del terrore.
Scomparve nel nulla, come Jin.
“Bambina... è tutto... ok?” domandò sommesso Hwoarang, avvicinandosi a lei strusciando per terra con le braccia come i soldati quando si nascondono dal nemico. La bambina fece scendere le lacrime che in precedenza erano rimaste forzatamente bloccate e rispose al ragazzo con un lamento. Il rosso si mise di fianco a lei, rimasta seduta e appoggiata alla parete su cui era stata scaraventata, troppo terrorizzata per poter muovere anche un solo centimetro del suo corpo.
“Ce l'hai ancora il kit medico dell'infermiera di scuola?” chiese piano il blouson noir, sforzando il respiro. La ragazza rispose sorridendo appena, ma in cuor suo ancora continuava a dolersi per quella faccenda così inspiegabilmente vera.
Hwoarang si girò con il busto e guardò con a lei il cielo. Insieme videro una sagoma volare contro la luce della luna, di un diavolo con le ali di un angelo.























----------------------------------------------



Che aggiornamento tardivo. Perdono infinitamente. :P Un capitolo, oltretutto, molto diverso dagli altri. Un po' sperimentato, diciamo!
Avevo detto che avrei messo un disegno... ma non è ancora pronto. xD
Ringrazio tanto Shuriken, Silver Princess, Chiaras e Miss Trent!! :* A quest'ultima dico anche che questo capitolo, immaginando su chi è incentrato, le piacerà come quello precedente... visto che poi è entrata la "personaggia" che tanto le piace. xD
Solitamente scrivo più cose, ma... son stanchissima @_@ Comunque non cambia il fatto che anche con poche parole vi ringrazio tanto, tanto, tanto, a voi recensori e a tutti voi lettori ç__ç
Sperando in un aggiornamento rapido... via al prossimo aggiornamento! xD


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ripresa ***


Quella mattina, Xiaoyu si assentò da scuola.
Non si sentì risposta quando il professore la chiamò per nome e cognome annotando nel registro di classe la sua mancanza. Miharu guardò preoccupata il banco vuoto dell'amica, non riuscendo a capacitarsi di come mai avesse quello strano comportamento; era la prima volta che Ling Xiaoyu saltava così soventemente le giornate scolastiche. Concentrò la sua attenzione sulla spiegazione che si teneva in aula, riuscendo a stento a seguire l'imperatore Meiji nelle sue storiche conquiste asiatiche che il professore, con grande enfasi, raccontava agli alunni.
La ragazza con le lentiggini nulla sapeva di quel che era accaduto all'amica, né della morte del suo maestro, né della sua aggregazione con il gruppo di malviventi della periferia Est e né tanto meno della sua nuova, mostruosa rivelazione su Jin. Neanche quest'ultimo, che occupava il banco di fianco alla cinese, era presente in classe. Ma il professore era ormai così abituato alle sue assenze e alle strane raccomandazioni che portavano i colleghi sui suoi familiari, possessori di un cognome troppo noto e potente per chiunque, che non ci faceva più caso. Alla fine, tutti gli consigliavano la stessa cosa: di stare alla larga il più possibile dalle sue faccende.
Jin aveva effettuato così tante assenze che il registro di classe portava una lunga macchia nera orizzontale su tutta la fila del suo cognome. Ma per loro era una macchia quasi invisibile.
La cinese - presente in un altro luogo, la tana dei blouson noir - era adesso seduta sul materasso posto in prossimità di un irregolare angolo della grata che, come due arti superiori di un uomo, possedeva due sporgenze metalliche che racchiudevano la piccola ragazza, quasi abbracciandola. Intorno ad essa erano rimasti solo resti di falò e di bottiglie vuote sparse ovunque; certe volte potevi adocchiarne alcune ancora piene, che scolavano con piccole gocce in posizione orizzontale.
Quella grata senz'anima dava chissà come un'immensa sicurezza a Xiaoyu, forse proprio per quella sua strana forma di abbraccio.
Lei non era rilassata. Affatto. Aveva il corpo completamente riposato, ogni arto, esclusi gli occhi, della stessa vigile attenzione dei felini quando odono il fruscio delle prede. E così anche la sua mente era attenta, e pensava; rammentava i fatti surreali di solo qualche ora prima, così inverosimili che credeva quasi di ricordarsi di un sogno invece che della realtà. Conduceva meccanicamente la mano nella tasca della sua gonna, tastando con due dita la piuma che si era portata coraggiosamente dietro. Toccandola ne pareva una qualunque, ma a guardarla con gli occhi ci si accorgeva della grossa differenza visiva rispetto alle altre. Era una piuma più grossa di quella di un albatro e più nera di quella di un corvo. Gli occhi della cinese non osavano guardare, le palpebre si abbassavano e lo sguardo si contorceva quando aveva l'intenzione di farlo.
“Che stanchezza,” ammise ad alta voce Hwoarang dall'altro lato della tana nel guardarsi riflesso sul solito specchio rotto per metà vicino al lavandino. Insieme alla sua faccia già distrutta la mattina precedente, si aggiunsero due lividi sopra la mascella e un'escoriazione intorno al collo, derivata dal tentato di strangolamento di Jin.
“John, le garze!” ordinò Hwoarang con tono forte, ed ebbe come risposta un verso simile a un rantolo che il rosso, ormai, riusciva a decifrare perfettamente come un sì. Riportò lo sguardo sullo specchio, ma verso un altro riflesso che si trovava avvinghiato tra le braccia di due grate.
Da quando erano tornati, la bambina era rimasta immobile al solito posto e alla solita posizione, rannicchiata e con il volto nascosto. Hwoarang la scrutava rammaricato, un sentimento così poco conosciuto per chiunque conosceva il blouson noir, eppure era lì, proprio sulla faccia del capo. Nessuno degli scagnozzi poté scorgerlo, soltanto Hwoarang stesso, ed il suo specchio.
Qualcosa che accadde in seguito stonò la scena, come quando un tecnico di luci subentra sbadatamente durante una ripresa cinematografica. Nulla di talmente esagerato e irreparabile; solo, discordava un po'. John, il portatore di garze, entrò con prepotenza nella scena, avvicinandosi alla bambina e porgendole l'oggetto che portava in mano.
“Garze?” chiese lei, incredula. L'omone rispose con un sorriso suadente:
“Perché sei ferita.”
“John, cosa cazzo stai facendo?!” domandò Hwoarang con la sua solita finezza da scaricatore di porto poliglotta solo per il fatto di riuscire a dire una parolaccia in venti lingue diverse.
“Ho portato le garze...” rispose lui con la più assoluta normalità possibile.
“E perché adesso non ce le ho in mano queste garze?” fece l'altro, facendo intuire il problema di tutto.
“Ma capo... mi pareva sottinteso che fossero per Xiaoyu, visto che è una ragazza e ha un livido sulla gamba...”
“Hai sottinteso male!”
“Però, capo, dovremmo tenere in considerazione che si tratta pur sempre di una femmina...” si intromise un altro, stavolta porgendole con inchino da cavaliere medioevale incluso un pezzo di pane nero abbrustolito su di un piatto di carta colorato, riciclato da qualche festa assieme ai cinquanta ancora non usati. E visto che c'era pensò bene di metterci vicino anche una candelina del compleanno.
“Io... vi ringrazio...” rispose Xiaoyu quasi commossa, trovando dopo tanto tempo un po' di gentilezza. Vedendo la ragazza sorridere, altri cinque si affrettarono ad andarle attorno ed offrirle svariati oggetti più o meno utili tra loro.
“Oh, ma bene! Non preoccupatevi di me, eh! Dopotutto sono solo quasi morto, nulla di che!” abbaiò il rosso, ma nessuno sembrò degnargli molta considerazione. Vedendo di avere poco successo, si portò la mano sulla fronte in segno di disperazione.
“Viziate soltanto la bambina facendo così!” continuò a dire con voce volutamente più lagnosa.
“Vorrai dire donna!” corresse Mugen, il donnaiolo; e quando la bambina lo udì, si portò le mani sul volto per nascondere un'espressione palesemente imbarazzata e felice.
“Santo cielo, ragazzi... si vede che è da un sacco che non andate a donne. Se quella è una donna, io sono un funzionario della Mishima!” e affermando ciò Hwoarang fece scattare un calcio da parte di Xiaoyu verso il punto del suo corpo dove non batteva il sole; per fortuna riuscì in tempo a proteggersi le parti bassi bloccandole l'agguato con la mano. Con semplicità, continuò il discorso di prima:
“Andate tre vie in avanti e girate a destra, lì sì che troverete un sacco di donne vere!” riferì tutto gagliardo. Quali fossero le donne vere da lui citate non era stato detto, ma chissà come Xiaoyu intuì che si trattassero di prostitute...
“Ma mi hanno detto che lì ci sono anche alcuni travestiti...” informò titubante qualcuno.
“Che importa. Di certo son più donne quei travestiti di questa bambina!” esclamò il boss, e la bambina saltò di scatto in piedi, con la gamba ancora mantenuta dal rosso. Non poté tirargli un altro calcio, perché avrebbe perso l'equilibrio. Così lo colpì in altro modo: a parole.
“Ne parli come se ne sapessi qualcosa...” disse facendo una smorfia, e un paio dei ragazzi attorno a lei sputarono un riso che venne mantenuto con la mano.
“Bambina...” fece Hwoarang leggermente irritato, o almeno leggermente riuscì a far sembrare, “non dovresti parlare di certe cose, e non penso che bisogna discutere sui miei gusti sessuali. Sperando sempre che tu sappia cosa siano dei gusti sessuali...” ironizzò con sguardo irrisorio. Xiaoyu divenne rossa di rabbia come il colore dei capelli del blouson noir che tanto la faceva spazientire, un tipo di pigmento che solo a vederlo le sembrava una fastidiosa visione. Lo agguantò per il bavero della maglietta, minacciandolo con sguardo furioso.
“Dai, ragazzi... non mi pare il caso di litigare come l'altra notte, che tra un po' ci restavate da quanto vi siete menati...” fu il commento fuori luogo e senza senso di qualcuno. O, meglio dire, lo era apparentemente. Questo perché l'intero gruppo del blouson noir si fece come strana idea che i due protagonisti si fossero voluti incontrare quella notte in gran segreto per prendersi a pugni. Esistevano anche altre versioni della cosa, accomunate tra loro con un'unica, universale supposizione: il blouson noir e la bambina si erano dati appuntamento. Insomma, tutti sapevano della loro scappatella. Tutti tranne i due che la fecero, stranamente.
“Davvero l'ho menato?” fu la domanda spontanea di Xiaoyu.
“E' che vi abbiamo visto in questo stato pietoso, e poi eravate soli... e se il capo non ci dice niente significa che non vuol far sapere niente...” riprese a dire Mugen, ragionando ad alta voce. Difatti, nessuno sapeva ancora nulla della reale faccenda che era avvenuta la notte scorsa, esclusi i due che l'avevano vissuta a loro spese.
“Voi credete che una mocciosa del genere possa farmi così male?!” chiese con tono stizzito il boss.
“Dipende da quale strumento si usa. Ad esempio, una frusta potrebbe benissimo farlo, quel livido intorno al collo...” sostenne Mugen toccandosi la gola. “Sì, insomma... non c'è nulla da vergognarsi... è che non sapevamo niente... Non sapevamo che tu fossi...”
“Fossi cosa?!” domandò interdetto Hwoarang all'improvviso silenzio che si era creato tra tutti loro.
“Sadomasochista...” rispose titubante John al posto del ragazzo con i tatuaggi. I due, che finalmente capirono le idee che il resto del gruppo si era fatto, urlarono all'unisono un forte: “Cosa?!”
La prima rossa di vergogna, il secondo rosso di rabbia.
“Ragazzi, non penserete che il vostro capo abbia fatto qualche strano giochetto con lei, spero!” urlò additando Xiaoyu.
“Mi pare che questo dovrei dirlo io, non tu!” replicò l'altra.
“Preferisco essere accusato di omosessualità che di pedofilia!” riprese a gridare lui, ritirando il dito indice dalla cinese e direzionandolo verso John. “Guardate: preferisco di più trascorrere tre notti continue di sesso estremo con lui!”
E John, che stette al gioco, farfugliò qualcosa che all'incirca voleva dire: “Mi lusingate, capo...” coprendosi il viso da un finto rossore.
“Addirittura,” continuò a dire Hwoarang, “vado a letto con Rana! Piuttosto con lui!”
“Devo prenderlo come un complimento?” chiese abbastanza infastidito il diretto interessato, facendo scaturire gli sghignazzi altrui. Ci furono risate da parte di tutti, proprio tutti; tutti tranne Xiaoyu, che giustamente si ritenne assai offesa dell'affermazione precedente di Hwoarang.
“Allora, capo, se proprio non ti interesso come John e Rana,” disse Mugen appropinquandosi alla bambina, “potrei prendermela io Xiaoyu!” e lanciò uno sguardo malizioso su di lei, che, imbarazzata, subito dimenticò l'offesa di prima.
“Ho detto e ridetto che non voglio pratiche pedofile nel mio clan,” informò semplicemente il boss, e, di conseguenza, la bambina tornò a imbronciarsi.
“Stupido blouson noir! Piuttosto, dovresti dire loro la verità!” ritenne la ragazza a braccia conserte. Il clan intero rizzò le orecchie e quelli che si trovavano più lontani - ma presenti con le risate durante i discorsi precedenti - avanzarono fino a trovarsi in semicerchio. Gli occhi di tutti erano indirizzati alla bocca di Hwoarang e aspettavano impazienti che si aprisse.
“Mh...” disse l'interlocutore ai suoi uomini. “Effettivamente, ci sarebbero delle cose da chiarire...”
Si grattò la testa con l'indice e abbassò il capo mantenendo gli occhi socchiusi. “Anzitutto, non c'era nessuna ragazza con le tette enormi.”
“Questo lo sappiamo!” convenì Rana, lanciando un'occhiata scrutatrice sul petto di Xiaoyu.
“E non c'era proprio nessuna ragazza, tettona o piatta o cosa!” volle chiarire il rosso, accortosi dello strano sguardo furtivo del suo compagno. “La scorsa notte... la scorsa notte dovevo incontrarmi con Jin Kazama, come stabilito da lui, e dovevo farlo senza dirlo a nessuno.”
I compagni sbarrarono esterrefatti i loro occhi, non capacitandosi di come il loro capo avesse potuto confessare ciò con così tanta semplicità. Se c'era qualcosa che nessun gruppo di malviventi aveva in assoluto era la completa fiducia, in cui qualsiasi piccolo fatto veniva condiviso, qualunque esso fosse stato, una questione di donna, una vandalata, la morte di qualche caro. E fu proprio quest'ultima disgrazia che Hwoarang confidò ai suoi ragazzi, un qualcosa che non aveva mai detto a nessuno e che, rispetto a chiunque, li faceva sentire speciali. In precedenza raccontò a loro di aspettare ansioso un incontro con Jin, e adesso che era avvenuto non c'era stato neppure un filo di fiato a riguardo. Molti di loro volsero il capo in basso, in una moltitudine di espressioni stranite.
La bambina non li seguì, ma mantenne gli occhi in quelli di lui. Il blouson noir sviò lo sguardo da lei, che più di tutti avrebbe ricordato questo momento tra i peggiori della sua vita.
“Ho scoperto che Jin Kazama è il nipote del presidente della Mishima,” informò con un soffio di fiato. Gli occhi di Xiaoyu si offuscarono, persi in una dimensione lontana dalla realtà attuale. Hwoarang neppure si azzardò a guardali, quegli occhi, quasi sicuro dello stato d'animo che avrebbero lasciato intravedere. Voltò la schiena, agguantò una bottiglia di liquore e si allontanò verso la strada principale, sorseggiandola senza guardare dove andasse. Non ce n'era bisogno, conosceva la periferia Est come le sue tasche; di nuovo c'era solo quell'atmosfera che lo aveva spiazzato. Una bottiglia di liquore e si sarebbe calmato per un po'.

Era il solito cielo inquinato e nebuloso, ma con un tocco di rosso, il colore del sole che calava in un crepuscolo. Non c'erano palazzi, muri e ostacoli, ma solo una superstrada attraversata da macchine troppo veloci per essere colte completamente dall'occhio del rosso. Le poteva percepire solo dal rumore del loro motore, sfrecciante e assordante in quel luogo di silenzio. Lui era ancora lì, seduto sull'orlo del marciapiede di quella strada principale, e la sua bottiglia era stata gettata altrove da molto.
Piccoli passi si avvicinarono lenti in direzione sua; lui riconobbe subito passi di bambina.
Si sedette accanto al suo capo, scostando la sua gonna da scolaretta in modo da non farle sporcare le gambe. Per molto non ci furono parole.
“So che pensi...” mormorò Xiaoyu.
“Ci potrei scommettere tutto l'oro del mondo,” rispose lui sarcastico, voltando la testa nella direzione opposta a lei e reggendosi il mento con la mano.
“Non è stato Jin a uccidere il mio maestro. E neppure il tuo.”
Il ragazzo non poté guardarla in faccia mentre disse ciò, ma dal tono che Xiaoyu aveva assunto era sicuro che ne fosse assolutamente convinta.
“Sei solo un deficiente!” lo rimbrottò lei a causa del suo prolungato silenzio senza risposta. “Ma anche se lo sei... i tuoi ragazzi hanno bisogno di te. Non hanno altri punti di riferimento se non te...”
Sicura che non avrebbe avuto di nuovo una risposta, si alzò e si riavviò verso il clan. “E chiedi loro scusa!” urlò alla schiena di lui.
Quest'ultimo rimase ancora per qualche traversata di macchina a osservare il cielo nubescente della periferia che si stava man mano dipingendo delle macchie nere della notte.

“Ragazzi, che silenzio!” affermò stranito Hwoarang appena rientrò nel covo, facendo voltare tutti i presenti. E non fu assolutamente nel torto: era la stessa quiete che si riscontrava nella strada principale in cui il rosso era restato a guardare il cielo, con la sola differenza che non c'era neppure una macchina a causare un minimo rumore, se non appena lo scoppiettare rado dei focolari.
“Avrei delle cose da dire...” disse ancora lui, arrivando immediatamente al punto della situazione. “Non volevo farvi preoccupare... sapete com'è, no? Alla mia età... voglio dire: iniziano le primi crisi d'identità,” borbottò il blouson noir grattandosi la testa. “Tu, John, che sei vecchio, forse non te lo ricorderai, ma ne saprai sicuramente qualcosa,” scherzò con sguardo birichino.
“I miei trent'anni li mantengo benissimo, capo!” replicò l'omone. “E da ragazzo non mi facevo le seghe mentali come te!” soggiunse arridendo.
“Smettila di fare il bastian contrario, che le abbiamo avute tutti!” esclamò il rosso in tono deciso. “Tutti a parte la bambina, ovviamente, che è troppo piccola per poterle aver avute!” e la bambina, sentendo ciò, cacciò la lingua di fuori. Il coreano sorvolò sorridendo e continuò:
“D'ora in poi ricomincerò a dirvi tutto, ma a volte farò la parte del ribelle, visto che sono ancora un adolescente... come fanno i figli con i genitori, insomma!” e guardò di nuovo in direzione di John. “Visto che ti reputo quasi un padre, per via dell'età, farò lo stronzetto soprattutto con te!”
“E io ti sculaccerò!” riferì lui divertito.
“Quel compito lo lascio a Rana, che è la mamma.”
“Che, ce l'hai con me oggi? E' tutto il giorno che mi punzecchi... fossi tua madre t'avrei rigirato per bene a suon di schiaffi maleducato come sei cresciuto!” lo riprese a tono l'animale.
“Perché, tu avresti il coraggio di farti schiaffeggiare da John, che anche solo toccando fa volare le persone in Cina?! Dice che le donne lo abbandonano senza spiegazioni, ma io dico che sono ancora a Shanghai che cercano di tornare in Giappone.”
Il gruppo rise sonoramente, facendo tornare il consueto rumore assordante che accompagnava quotidianamente i ragazzi del rosso. Hwoarang si rasserenò per questo. “Ragazzi... certe volte neppure mi accorgo di alcune cose... ecco, vi ringrazio per essere presenti qui con me ed ascoltarmi...”
“Boss, sei stranamente commovente!” disse qualcuno di loro, facendo partire un fischio. “Il capo deve per forza aver bevuto un sacco per dirci cose tanto sdolcinate!”
“Un po',” ammise arridendo. “E... oltre a questo... sapete, per quel fatto di prima, vorrei anche dirvi...”
Il clan rizzò le orecchie come gatti per poter sentire meglio ciò che stava per dire con tale artificiosità.
“Volevo dirvi sc... scu...”
“Scuola?!”
“Squadra?”
“Sculacciami John?!”
L'ultima la disse Rana facendo tremare di terrore Hwoarang.
“No, no! Volevo... volevo scu... srr...”
Non riuscendo nell'intento, il blouson noir fece cadere innervosito una bottiglia di vetro a terra. Nel silenzio sconcertato degli altri c'era solo un suono alternato indistinto, che aumentava di forza. Era un riso cinguettante. Si voltarono verso la fonte, la bambina, che, da seduta, tentava di nascondere le risate con la testa tra le ginocchia.
“Bambina, sei ubriaca?!” domandò basito Hwoarang.
Si avvicinò alla ragazza, cercando di spiarla oltre le gambe. Le alzò la testa tirandole piano uno dei due codini, ma lei si celò repentinamente il viso con le mani.
“Ehi!” urlò adirato lui, prendendola per i polsi e scostandole le mani dalla faccia. Lei non riuscì più a trattenersi, si lasciò andare completamene in un forte sganasciamento.
“Di' la verità, non hai mai chiesto scusa in vita tua!” esclamò al ragazzo, e lo guardò, lo meravigliò. Accadde già altre volte a Hwoarang di vederla ridere, ma non in quel modo così genuino e divertito, non in seguito alla tragica notte appena trascorsa.
“Mi sento rinata!” urlò contenta alzandosi di scatto. “Ci impegneremo tutti insieme per questa strana faccenda. Non è vero, ragazzi?”
L'intero gruppo rispose affermativamente, chi urlando, chi fischiando, chi stappando altri liquori.
Il blouson noir seguì la mandria, chiedendo una bottiglia anche per sé. Guardava di soppiatto Xiaoyu sorridere con sincerità dopo un tempo che era sembrato per entrambi essere stato lunghissimo. Volle guardarla ancora, ma non più atterrito e attraverso il riflesso di uno specchio.
A ogni riso che faceva la ragazza, i cuori di tutti loro si scaldavano e sorridevano sinceri insieme a lei.























----------------------------------------------



Miiiii, questo capitolo è stato ancora più tardivo di quello di prima @_@. Il fatto è che avevo l'esame teorico di Patente, sicché ero tutta presa da questa cosa. E, a proposito, l'ho anche passato!! \^O^/
Ringrazio tanto Shuriken, Chiaras e Silver Princess che mi fanno commuovere a ogni loro commento ç_ç
Per la questione degli errori, dettata da Lillili e Miss Trent: non fate bene, fate benissimo!! * * Sopratutto, vi dico che non lo guardo come un rimprovero, anzi: mi aiutate con il lavoro! ^^ Preoccupatamente non sono nata Dante e per migliorarmi devo anche avere il consiglio degli altri! xD Comunque, ho provveduto a risistemare gli errori, e se ne trovate altri non pensateci due volte a segnalarmeli! ^^ E a quest'ultima dico solo: felice che Nina ti sia piaciuta! xD
Ah... ho fatto anche il disegnino! xD A presto con l'altro capitolo!!


Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Aggancio ***


“Oggi è un giorno propizio! Un giorno propizio, un giorno propizio!”
I ragazzi del blouson noir si infastidirono non poco per quell'urlo chiassoso di prima mattina, una parte di giorno che non era affatto la nostra prima mattina, ma visti i loro ritmi giornalieri era come se fossero le cinque dell'alba, sebbene in realtà le lancette di tutti gli orologi segnavano ormai le undici passate.
“E' la sveglia di Xiaoyu?” volle chiedere qualcuno, ancora avvolto nel torpore dei sogni.
“Oggi è domenica...” informò lei, strusciandosi gli occhi con la mano. Anche perché, sapete, le sveglie non parlano...
La causa di tutto era Mugen, il quale possedeva un'avventatezza che solo Hwoarang poteva superare, che impazientemente aveva qualcosa da dire a tutti. Smosse il grande John con il piede, sballottandolo a destra e a manca.
“Non hai preso in considerazione che magari non ti rispondo perché non ho voglia di ascoltarti e perché non me ne può fregare di meno?” borbottò ancora assonnato l'omone che era stato appena svegliato da Mugen. Dopo aver detto ciò finì il discorso con un semplice: “Buonanotte!” e si rimise sdraiato.
“Ragazzi, siete degli stronzi e dei menefreghisti! E' importante, cazzo!” insistette il tatuato.
“Hai trovato una ragazza? Bravo, complimenti, felicitazioni,” e riassumendo all'incirca ciò che gli avrebbe augurato, Rana si rigirò nel suo grande materasso.
“No, stavolta la cosa è di gran lunga migliore!” continuò a schiamazzare Mugen tutto esaltato.
“Ne hai trovate dieci? Non ci credo neanche se le vedessi con i miei occhi...” arrivò finalmente a commentare Hwoarang, che si era coricato la notte scorsa il più lontano possibile per non venir destato dal probabile putiferio mattutino del gruppo. Peccato che quella bella pensata non aveva avuto risultati favorevoli.
“Dieci donne non bastano, capo, in confronto a quanto è bella la notizia!”
Xiaoyu si destò del tutto, alzandosi in piedi e barcollando in direzione del chiacchierone. “Cos'è successo, allora?” chiese sbadigliando sonoramente. Il tatuato corse felice verso la ragazza e l'agguantò alzandola da terra.
“Ho delle notizie sulla Mishima! Faranno una festa, potrai andarci e scoprire qualcosa su loro!” le riferì tutto contento, facendola volare quasi in aria.
“Davvero?!” domandò la ragazza felice.
“Di', non è che era una scusa per toccare Xiaoyu?” chiese qualcuno convinto della ovvia risposta che il ragazzo tatuato non avrebbe mai dato.
“Siete degli scansafatiche senza fiducia! Venite a vedere se non ci credete!” sbottò Mugen afferrando per il polso la cinese al fine di trasportarla insieme a lui verso la grande notizia.
“Ehi, ehi, ehi...” si intromise il blouson noir, fermando la traversata dei due. “Ci andiamo solo tu, io e altri tre,” riferì a Mugen. “Tu, tu e anche tu!” ordinò a qualche povera vittima quiescente per terra, che rispose con una semplice, significativa occhiata piena d'afflizione.
“Ma...” cercò di dire la ragazza.
“Ma niente. Fai la brava bambina e aspetta che zio Hwoarang torni.”
“Senti, tu! Perché diavolo ti devi intromettere sempre?!” urlò Xiaoyu in preda all'ennesima crisi di nervi scaturita dalle prepotenze del blouson noir. Lui la ignorò del tutto, incitando anche gli altri a lasciarla perdere.
“Tanto non vedo come tu possa servire per questa grande impresa,” ironizzò poi da lontano. “Piuttosto, fatti utile preparando da mangiare,” e detto ciò scomparve dietro l'angolo del muro che faceva da confine per il clan.
“Brutto idiota, prepotente e maschilista!”
La bambina diede dieci calci a un palo e cinque pugni sul muro. Siccome non bastava ancora come sfogo, pensò bene di vendicarsi in altro modo. Al suo ritorno, il blouson noir avrebbe trovato una colazione coi fiocchi, a base di zucchero, peperoncino e tonno scaduto che il gruppo conservava ancora da mesi nello scaffale vicino allo specchio.
E mentre cucinava ghignava diabolica, sotto lo sguardo sconcertato del resto del clan.

Trascorsero solo una decina di minuti dalla partenza, e il gruppo di cinque persone, rosso compreso, era già di ritorno.
La bambina non aspettava altro, non vedeva l'ora che arrivassero.
“La colazione è prontaaa!” cinguettò, porgendo la grande pietanza, casualmente, a Hwoarang per primo.
“Non ho fame...” informò lui, rimasto un po' spiazzato dall'umore stranamente felice della ragazza. “E' stato davvero uno schifo di missione,” e dicendo ciò lanciò un'occhiata inviperita a Mugen.
“Io ho cercato di dirtelo, ma tu non mi facevi parlare!” balbettò lui per giustificarsi. “Avanti, di' ciò che hai da dire a Xiaoyu!” e dopo quest'affermazione, i tre che si trovavano dietro la schiena del coreano svelarono un lieve sorrisetto.
“No,” sancì Hwoarang con austerità.
“Capo, è l'unica possibilità che avete per entrare nella Mishima Zaibatsu...” cercò di convincerlo ancora il tatuato sotto lo sguardo interdetto della ragazza, che nel seguire la scena insieme al resto del clan non capiva proprio di cosa stessero confabulando così affannosamente.
“D'accordo,” affermò frettolosamente Hwoarang. Si avvicinò a Xiaoyu e si mise a braccia conserte. “Ecco, in realtà... in questa missione c'è bisogno di un tuo fondamentale aiuto...”
La bambina gioì come non mai all'inaspettata e grata notizia. Non ne capiva il motivo, ma l'odioso ragazzo dai capelli rossi aveva un assoluto bisogno di lei ed orgoglioso com'era non voleva ammetterlo. Così, il podio del controllo della situazione fu concesso a Xiaoyu, che subito approfittò di quella carica:
“Quindi dovrei venire con voi... non so... prima mi è sembrato che tu mi avessi detto che tanto non ero di nessuna utilità...”
“Oh, per favore,” brontolò Hwoarang, il sottomesso, che sembrava avere un'allergia sulla cute da quanto gli orripilava quella scena. “Su, vieni.”
“Prima mi hai trattata davvero male, dovrei pensarci su...”
“Disobbedisci al tuo capo?”
“Direi di sì,” rispose semplicemente la ragazza, sorridendo.
“Ti caccio via dal gruppo,” la minacciò lui.
“E tu non potrai avere nessun aiuto per questa missione,” controbatté a sua volta lei.
Il rosso si colpì la fronte e fece scendere la mano lungo il viso per calmarsi da un'irrefrenabile crisi di rabbia. Sentiva che la sua pazienza era ormai al culmine e non gli rimase che zittirsi. Restò quindi in silenzio per un buon mezzo minuto, poi parlò.
“Sentiamo, cosa dovrei fare?”
“Be'... siccome so che non ti scuserai mai, mi basta un per favore!”
Hwoarang fece una smorfia, tirò un grosso sospiro e cominciò.
“Per favore, ti muovi?”
Xiaoyu fece cenno di dissenso con la testa. “Non mi pare che tu ci abbia messo la reale intenzione...”
“Cos'è, devo inginocchiarmi, baciarti le mani e implorarti?!” ironizzò il rosso, ma la risposta gliela diede subito Mugen:
“Quello posso farlo io!” e fece l'occhiolino alla ragazza. Hwoarang sospirò e si massaggiò la fronte.
“Insomma, bambina, per favore e con tutta l'intenzione che posso darti, per piacere e per grazia concessami per la tua esistenza, potresti onorarmi della tua presenza aiutando queste povere anime ad andare avanti nel loro cammino?!” domandò Hwoarang leggermente sarcastico. La bambina avrebbe di nuovo fatto cenno di dissenso con la testa, ma poiché il rosso, seppure con grande ironia, le aveva detto le giuste parole che sarebbero bastate per un suo consenso, convenne che più di così non le avrebbe mai concesso.
“Va bene...” mormorò con un unico filo di fiato. Fu una di quelle frasi in cui non pareva averci messo una reale intenzione, come avrebbe detto Xiaoyu stessa, ma particolari a parte il rosso ne fu grato.
“Seguimi,” le ordinò, riprendendo immediatamente il comando della situazione. La cinese, oramai abituata a queste sue pose, sospirò rassegnata.
“Ehi, Xiaoyu... da dove viene questo buon odorino?” chiese il tatuato con voce allegra, assaporando con l'olfatto l'aria gustosa intorno a loro. Seguendola con il naso, trovò la pietanza appena preparata dalla cinese.
“Sembra buono,” considerò, e insieme a lui si aggregarono altri tre.
“No, ragazzi... ormai è fredda. Dovrei riscaldarla, ma non c'è tempo...” balbettò la cinese. I ragazzi del blouson noir non le credettero, non tanto per l'espressione poco convinta di lei, quanto più per il fatto che la grande pietanza fumava ancora di carico vapore acqueo, così denso che sembrava addirittura lo si potesse toccare.
“Dai, non essere timida... sarà sicuramente buona,” riferì uno dei tanti con la bavetta sulla bocca, sicuro al cento per cento che quella della compagna fosse solo vergogna.
I quattro si avvicinavano lenti ed in carovana, come gli zombie di alcuni film dell'orrore. Xiaoyu aveva appena pensato a un gran bel paragone calzante, che la fece solamente agitare ulteriormente. Così, in una crisi di panico, calciò con tutte le forze l'enorme pietanza, facendola volare a terra.
“Oh, che sbadata, l'ho fatta cadere per sbaglio!” urlò tormentata, recitando la parte in una maniera tutta originale, in cui trapelava la stessa disperazione di quando ti si rompe un'unghia finta. I ragazzi del blouson noir, blouson noir incluso, la fissarono molto, molto preoccupati.
“Ci hai dato un calcio,” decretò con semplicità Hwoarang, un po' interdetto per quegli strani comportamenti della ragazza che mai riusciva ad intendere.
“E' solo una tua impressione! Forza, forza! Muoviamoci per questa nuova missione!” proclamò la ragazza a voce squillante, trasportando quattro maniche di ragazzi - coreano incluso - verso la strada principale.
I rimanenti fecero spallucce e ritornarono ai loro posti. Se si potesse trascorrere anche una sola serata di bevute con loro, ci si potrebbe aspettare di tutto. Dunque, abituati a questo, ripresero le faccende interrotte con estrema normalità.

“Sarebbe questa la missione che necessitava assolutamente della mia presenza?”
“Perché, non si capiva?”
“Spero che voi stiate scherzando...”
Il rosso confabulò parole tra sé e sé e poi rispose affermativamente con la testa.
“E ti pare che per una sciocchezza del genere serva il mio aiuto?!” strillò arrabbiatissima la bambina, calciando nuovamente il palo con tutta la forza possibile. Un palo che non era quello del covo, poiché non era lì che si trovavano più.
Voi tutti vi starete chiedendo in quale megera situazione si fossero cacciati i cinque per farla irritare a tal modo. Ricapitolerò un po' la faccenda.
Il pericolosissimo luogo della missione in cui, adesso, si trovavano i protagonisti era una piazzola qualunque. L'uomo che sarebbe stato soggiogato dalla ragazza era niente di meno che un venditore di un'edicola. Ma soprattutto, l'oggetto alla quale essi ambivano con così impazienza, l'arnese che sarebbe stata l'unica speranza per poter subentrare nella compagnia della Mishima, era nulla di meno che un giornalino intitolato Pinky Dolly.
E allora?, vi chiederete voi.
E allora fu su quello sciocco giornalino da teenager che Mugen, quella mattina, vide stampato un titolo grosso e a caratteri cubitali che diceva MISHIMA ZAIBATSU TERRA' UN PARTY! Scopri con un test quale dei due fratelli si avvicinerà di più al tuo tipo ideale! In omaggio una borsetta rosa schocking.
“Dai, Xiaoyu... non ci vorrà nulla! Basterà comprare quel Pinky Dolly... guarda, leggi il sottotitolo: Informazioni varie su quando si terrà il party. Meglio di così!” insistette il ragazzo alla sua destra.
“Perché non le rubate voi quelle riviste, visto che lo fate sempre?” chiese la cinese con ovvietà.
“E' disonorevole rubare quelle porcate che hanno pure il coraggio di vendere,” attestò Hwoarang, dettando subito la risposta alla ragazza.
“Perché, rubare di per sé sarebbe onorevole?” domandò giustamente la ragazza.
“Sì, se ti chiami Robin Hood!” esclamò Mugen sorridente.
“Mugen, capisco che è un paradosso visto che lei è una bambina, ma come capo clan ti consiglio di evitare per le prossime volte queste freddure da mocciosi per far colpo sulle ragazze,” ritenne con serietà il rosso. “E tu, bambina, va' e compra,” ordinò, spingendo a malo modo la povera ragazza. Quest'ultima, prima di avviarsi, urlò a squarciagola:
“Maledetto blouson noir del caiser! Avrei fatto bene a fartela ingerire a forza quella brodaglia di prima!” e dopo vari gesti - tra cui ricordiamo il memorabile dito medio all'insù - e parolacce variegate, riprese a camminare.
“Pinky Dolly!” affermò al venditore, veloce, senza neppure aspettare che le augurasse buongiorno.
“Certo…” rispose questo titubante, che dal suo banco la vide arrivare mentre strillava e faceva gesti osceni come un’invasata. Quel venditore, anzi, era stato fin troppo coraggioso a non scappare per chiamare la polizia. Le porse la rivista tanto bramata.
“Me ne servono dieci!” specificò Xiaoyu. Il negoziante non volle proferire parola o giudizio, ritenendo la cosa più saggia da fare, e subito, come voluto da lei, gliene porse altri nove. Addirittura, stabilì un prezzo inferiore a quello reale. La bambina, che poco s’intendeva di matematica ma che comunque un minimo ne capiva, gli chiese il motivo, e lui rispose, immediatamente:
“Offerta speciale di oggi,” tentando un sorriso più sincero possibile. La ragazza non fece obiezioni e per grande gratitudine del negoziante girò subito i tacchi e se ne andò, nuovamente di buon umore.
Gettò noncurante le riviste in faccia a Hwoarang.
“Dovrei portarle io?!” domandò.
“Io la mia parte l’ho fatta!” ribatté austera Xiaoyu.
Fortunatamente, il rosso si era portato uno zaino. Chiamò gli unici due che non avevano nulla da fare, visto che Mugen era intento a lodare la graziosa giovane che era da poco diventata loro compagna, e ordinò loro di aiutarlo a infilare il tutto dentro il grande sacco.
“Guardate questa borsa confezionata con la rivista…” disse uno dei due contento, “potrei regalarla a Madeleine!”
“Madeleine dal cuore di ghiaccio?” chiese l’altro.
“Macché! Madeleine non ha il cuore di ghiaccio: quella ce l’ha d’oro, e secondo me perché s’è comprato pure quello,” sentenziò il rosso. Madeleine era un’altra delle tante loro amiche che abitava tre vie a Nord del covo, sulla seconda strada a destra. Nessun numero civico.
“Su, andiamo!” sancì la ragazza, avviando già il passo.
“Ehi, dammi il resto dei soldi, prima,” ordinò Hwoarang, protendendo la mano verso di lei.
“Questa è la mancia che mi spetta per la grande impresa appena fatta,” riferì gagliarda, impegnando quelle banconote nella tasca della sua gonna da scolaretta.
“Che strozzina…” farfugliò il boss innervosito.
“Eh sì, proprio una strozzina…” soggiunse Mugen, che al contrario del primo esibì un grosso sorriso di compiacimento.
La bambina, seguita a distanza dal gruppo, ora camminava nei luoghi più affollati del centro di Tokyo, gli stessi luoghi in cui i negozi rimanevano aperti nonostante era domenica. Tempo fa passeggiava spesso in quel quartiere, assieme alle sue compagne di classe; ora aveva alle calcagna quattro pericolosi elementi negativi della società che, ad occhio di chi nulla conosceva di questa storia, sembrava la pedinassero per borseggiarla. In fondo, a parte i vestiti, non avevano niente di diverso dagli altri ragazzi. Xiaoyu rallentò il passo, facendo approssimare il gruppo di fianco a lei.
“Dovremmo uscire più spesso insieme!” enunciò tutta sorridente.
“Lascia perdere gli altri e usciamo io e te soli!” fece il dongiovanni tatuato, appropinquandosi a lei e posandole un braccio attorno alle spalle.
“Facciamo un'uscita a quattro!” riferì contento uno di loro. “Io mi porto Madeleine!”
“Sarà felice di uscire con te solo quando avrai le tasche piene di soldi.”
“Credo che neppure con le tasche così piene di soldi da farti sembrare il gemello di John uscirà mai insieme a te, non sarà mai abbastanza,” convenne Hwoarang, come sempre scaturendo le risa altrui.
Questa Madeleine non la conosceva affatto, ma a Xiaoyu piaceva sorridere e passeggiare con loro. Era solo un'uscita pomeridiana qualunque, eppure sembrava diversa dalle solite volte. Talvolta si effettuano azioni che possono risultare apparentemente banali e un po' noiose, di cui solo in seguito ci si accorge quanto siano in realtà preziose. Successivamente agli avvenimenti tristi appena trascorsi, gli occhi di lei poterono rendersi conto di ciò.
Dopodiché i suoi occhi si resero conto di qualcos'altro ancora, stavolta più reale e tangibile. La piccola corse frettolosa verso una bancarella, contemplando un oggetto sopra il banco delle vendite. Hwoarang volle capire la ragione di tutto quell’incanto, la seguì e si trovò davanti una giostra a cavalli in miniatura.
“E' proprio vero che sei una mocciosa,” convenne il ragazzo alle spalle di lei, cogliendola alla sprovvista e facendola spaventare. Xiaoyu non rispose all'affronto: aveva ingiuriato fin troppo quel giorno. Sbuffò soltanto, girò i tacchi e raggiunse il gruppo. Il coreano seguì con gli occhi la piccola imbronciata e li riportò sulla giostra in miniatura.
“Ed è pure una mocciosa strana. Che gusti di merda…” commentò a bassa voce.
Si sentì poi un urlo levarsi con ferocia nell'aria. Hwoarang identificò subito il timbro della bambina. Sapendo bene che non era stato uno strillo di paura ma solo di rabbia – che bene conosceva, visto che era sempre lui la causa delle sue ire – volle chiederle cosa fosse successo.
“E’ la gente che giudica male… un signore ha detto che siete feccia e io mi sono arrabbiata!” rispose accigliata, corrugando la fronte. Il blouson noir rise sonoramente, poi le posò una mano sulla testa.
“Torniamo dagli altri,” disse, senza far trasparire alcun tono di comando.
I cinque ragazzi, prima di tornare nel loro clan, nel dissenso e nelle insistenze della ragazza, fecero altri tre giri intorno al centro della città, e la meravigliosa mera quotidianità la poterono avvertire anche loro.























----------------------------------------------



Perdono per il tremendo ritardo, ma il mio pc mi ha fatto di nuovo dispetti ç_ç Ora che tutto è nuovamente a posto, e stavolta spero che ci duri almeno qualche mesetto, rieccomi ad aggiornare il capitolo.
Non credete anche voi che sia abbastanza folle come capitolo? xD
@Shuriken: il mio schermo non me lo permette ma ti bacerei appasionatamente! xD Grazie tante a ogni parola che mi commuove sempre ^*^
@Miss Trent: Sì, ho immaginato anch’io che qualcuno se lo sarebbe immaginato! xD Hwoarang sottomesso e Xiaoyu con frustino… cielo: sarebbe più probabile una cucciolata tra Tom e Jerry xD Appena ritrovo quel maledetto errore lo correggo subito! :P E un bacio anche all’altra mia tessora ^*^
@Chiaras: Ecco un’altra tessora che mi commuove sempre ç_ç e di nuovo ti ripeto la stessa cosa che ho scritto a Miss Trent: “sarebbe più probabile una cucciolata tra Tom e Jerry che una scena sadomaso tra i due” xD
@Silver Princess: qualcuno ha scoperto che stravedo per Final Fantasy. xD Se mai ti passasse per idea di registrarti su DeviantArt anche tu avvertimi che ti metto subito nei link! >.< Vedo che John e Rana han fatto molto successo comunque. xD
Mugen: E io? Io son quello che piace di più alle ragazze, no? Ç_ç
Parebbe di no…
*Mugen si prende a testate sul muro xD*
@Tifa: la mia figliozza che è passata anche qui!! *O* Ti prometto solennemente in “quella scena”, dovesse cascare il mondo! xD Ed effettivamente è vero: è stato abbastanza complicato ‘sto esperimento… mannaggia a me che son così stramba. xD Grazie mille del commento, cara, e felice che nonostante tutto ti sia piaciuto. ^*^ E ringraziando e ancora ringraziando voi tutti - commentatori e lettori - mi appresso a scrivere il prossimo capitolo! ^^ Sayonara!!


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Altrove ***


Non esiste metropoli al mondo che non sia accompagnata dal suo caratteristico e fetido odore di progresso, e Tokyo non è da meno.
In qualunque quartiere si trovasse, Xiaoyu alzava il volto e vedeva fumo che usciva dalle bocche delle fabbriche. Di tanto in tanto inalava l’odore con il naso disgustata dal tanfo urbano, ma nonostante ciò il Giappone offriva luoghi paradisiaci non ancora toccati dalle mani dell'uomo, e di ciò la nazione ne traeva molto vanto.
Quel giorno, però, qualcuno si trovava altrove, e il luogo in cui risiedeva era stato quasi del tutto guastato dalle mani dell'uomo, il quale aveva lasciato solo una piccola landa di natura vicino alla superstrada.
Era entrato in un negozio dal tetto basso e le merci accavallate tra loro bloccavano noncuranti il passo del ragazzo. Sul banco, un uomo guardava un giornale dalle parole per lui indecifrabili.
“Buongiorno!” biascicò, con un sigaro in bocca. Il ragazzo parlò:
“Cerco una donna.”
“Mi pare ancora un po’ troppo presto per questo! Ma tra qualche ora puoi trovarne parecchie!” scherzò il venditore, tossendo fumo dalla bocca. Il ragazzo cacciò fuori una foto malridotta e la mostrò.
“Ah… quella donna! Una tale Rosamund. Vive nel palazzo vicino alla stazione,” informò l’uomo con occhi sorridenti. Il giovane ritrasse la foto e s’incamminò fuori.
“Mi pare minimo un ringraziamento! Almeno fammi il favore di comprarmi qualcosa,” considerò il venditore con un sorriso furbo.
Il ragazzo trasse dalla tasca dei jeans delle banconote malconce e le ripose sul tavolo.
“Preferisco così,” enunciò laconico. Uscì dal basso edificio e gli occhi dell’uomo risero ancora di più, mentre osservavano la giovane schiena dissolversi nella canicola accecante del sole.
Durante il suo cammino incrociò tre lampioni rotti, il riposo di un gatto randagio, la canzone slang di un ubriaco seduto vicino alla spazzatura e il fischio di un treno. Il portone di Rosamund gli si parava davanti. Senza neppure soffermarsi su alcuna educazione, entrò nell’abitazione, calciando forte l'anta. Sul tavolo erano posati ritagli di giornale, un rossetto ancora aperto ed un bicchiere di whisky vuoto per metà.
“Credevo fossi un altro uomo di mia sorella,” disse un mormorio roco di donna alle spalle del ragazzo. Una mano sottile manteneva la grossa pistola puntata su di lui. “Mi sbagliavo, perché io ti conosco.”
Il giovane neppure si girò per parlarle. “Ed io sono sicuro che anche quel tizio si sbagliava a dire che il tuo nome è Rosamund.”
La donna arrise silenziosa.
“Uno dei tanti nomi…”
“Per un killer è normale,” soggiunse il ragazzo.
“Direi di sì, oltre al fatto che ogni killer conosce nome e cognome delle sue vittime,” informò con voce tagliente. “Dico bene, Jin Kazama?”
Il ragazzo annuì e si voltò portando lo sguardo su di lei.
“Ma ti sconsiglio assolutamente di fare quella professione,” convenne ancora la donna. “Se la tua intenzione era di sorprendermi, non dovevi fare tutto quel fracasso. Se adesso ti punto addosso una pistola non è di certo per le mie doti da assassina.”
“Non cambierà comunque i fatti, sarò io a vincere,” replicò risoluto l'altro, ed era gelido come gli occhi color del ghiaccio della donna di fronte a lui. “Sono venuto qui per ucciderti, assassina.”
Pur ridendo, la bionda mantenne la pistola e lo sguardo vigile su di lui. “E’ un gioco di parole divertente.”
Fu la prima volta che rise con la sua vittima. Provò un insolito senso di serenità, e si compiacque di ciò, avrebbe assaporato il momento prima di mandarlo all’altro mondo. Il proiettile volò dalla canna, ma il bersaglio balzò fuori dalla finestra. E fu strano, ma le parve di vederlo sfrecciare ancor più veloce della sua pallottola. La killer si affacciò, e le sue dita, affusolate eppure così abili nel suo lavoro, impugnavano la pistola puntandola sul bersaglio. I proiettili colpirono soltanto il cielo e il ragazzo fuggì scaltro sul tetto.
“Dannazione!” imprecò sottovoce la bionda e, dopo aver oltrepassato la finestra, salì le scale di ferro adiacenti al muro. Nella sua instabile memoria, perduta quando era uscita dall’ibernazione, era certa di non aver mai sbagliato durante le missioni. Eppure, ebbe la sensazione di aver già incontrato in passato quell’uomo. Il suo ricordo non contemplava lui, ma il suo stesso stile e la sua stessa maestria nelle arti maziali, e quegli stessi occhi troppo profondi e bui.
Quando fu sopra il tetto non vide nessuno oltre la propria ombra che si proiettava lunga sotto il sole del tramonto. I ricordi le affollarono la mente ormai poco concentrata, e scorse un uomo, simile a Jin ma più adulto, e poi il Diavolo.
Quella fatale svista le costò molto: un colpo dietro la nuca la fece cadere in avanti, si voltò di scatto e la canna della pistola era ormai nelle mani del ragazzo, puntata alla sua fronte.
“Siamo all’epilogo…” proferì Jin Kazama. “Ma prima mi dirai chi ti manda a uccidermi.”
La donna calmò il respiro e rilassò i muscoli. “Noi assassini non dobbiamo mai sapere il nome del nostro cliente, nel caso in cui ce lo domandassero. Comunque sia, non te lo direi neppure se lo sapessi.”
“Moriresti con la coscienza meno sporca,” replicò Jin.
La donna sorrise sprezzante a quella parola, così infidamente aspra e ignota. Lei non aveva coscienza sporca per il semplice fatto che non aveva nessuna coscienza.
“Non so neppure che vita abbia avuto, o se l'ho mai avuta…”
Jin assentì, attendendo le sue ultime parole. E fu il cielo a fiatare in quel momento, sibilando con il vento, mormorando gocce di pioggia. Il rovescio sovrastò assordante la voce della ragazza:
“Anche se volessi, non conosco le ragioni per cui sono stata incaricata di ucciderti. Te ne potrei anche parlare se me ne rammentassi. So solo che il mio cliente mi conosce da più di vent'anni e mi avrebbe raccontato tutto quel che mi riguarda se avessi adempiuto alla missione. Mi avrebbe concesso di vedere le ricerche dello studio dove io sono stata ibernata. La mia vita è buio completo, e vivere senza un passato alle spalle è come essere già morti.”
E il rovescio divenne temporale, il temporale diluvio. Le gocce battevano fastidiose sul viso scoperto di lei, sull'espressione spietata della killer che era, stoica quando uccideva ed stoica anche quando sarebbe stata uccisa. I suoi occhi decisi non si schiudevano neppure minacciati dalle gocce violente e impetuose. Sicuramente, la morte che avrebbe preferito più di tutte era quella: nell’oblio assoluto, senza rimpianto alcuno.
“Colpisci, Kazama.”
Jin tenne la donna sotto mira. La pistola incombeva ancora minacciosa. Si sentivano boati di tuoni somiglianti a spari di pistola, ma la ragazza rimaneva fedele al suo compito di impassibilità ad ogni finta del cielo.
Qualche minuto prima, quel ragazzo le avrebbe sparato a sangue freddo, ma qualcosa lo dissuase dal compiere quel gesto. L’indice non si decideva a muoversi. Allentò la presa della pistola, che dondolò sulla sua mano.
“Avresti potuto anche reagire, l’avrebbe fatto chiunque tenga un minimo alla propria vita…” rifletté a voce alta il ragazzo. “Vuoi soltanto morire.”
“Hai allentato la presa dell’arma, gran brutta idea...”
“Non lo farai,” rispose risoluto. "Odi la tua vita senza ricordi, ma qualcosa ti tiene ancora qui.” Aprì completamente il palmo della mano e la pistola cadde da sola con un tonfo non sentito sotto il grande rovescio d’acqua. “Io e te siamo uguali.”
La prese per il braccio con il suo solito modo rude di fare e la trattenne per la spalla, davanti a sé. Con i capelli sciolti per metà, bagnati dalla pioggia, lucenti nei suoi riflessi, vide la donna debole che era, nascosta sotto la maschera di assassina. Lasciò trapelare sul viso un sorriso maschile e superbo.
“Comunque sia, mi starai molto alle calcagna,” ammise, lasciandole libera la spalla. “E sono sicuro che ci rivedremo presto.”
Jin si avviò dandole le spalle. Quando raggiunse il margine del tetto, lontano di una decina di metri, lei urlò:
“Ho un sacco di nomi finti, ma quello vero è Nina! Rammentalo, prima di morire!”
Il ragazzo sorrise alle sue invane minacce e si lasciò cadere con un salto nel balcone sottostante. La pioggia si era calmata, soltanto poche gocce continuavano a defluire sui tetti e le strade. Il meraviglioso arcobaleno che sovrastava il cielo avrebbe incantato tutti, ma Nina rimase impassibile, come sempre: aveva lo sguardo di ghiaccio, l’aria severa, e la pietà confessata dal ragazzo le aveva procurato solo altra indifferenza.
Era la Nina di sempre.
Aveva una vittima bene a tiro, una pistola gettata noncurante alla sua destra, dei proiettili ancora all’interno; eppure, quel giorno, non sparò alcun colpo.

“Mugen, con quella borsetta rosa stai d’incanto,” fece Rana strafottente.
“E' per le ragazze della terza via! Almeno io alle donne ci penso!” ribatté offeso il tatuato.
“E con questo cosa cazzo vuoi insinuare?!”
“Dimmelo tu.”
Così ci fu, come accadeva almeno una volta ogni sette giorni, quella circostanza chiamata dal clan di Hwoarang la scazzottata della settimana, dove incominciano due e se ne aggregano altri venti. E non era affatto un modo di dire.
In quel putiferio, qualcuno riuscì comunque a chiedere: “Perché ci avete messo tanto a tornare?”
“La piattola ci ha allungato il viaggio,” rispose con semplicità il rosso, indicando con il dito la causa di tutto; quel dito fu poi morso dalla bambina.
Nella periferia Est di Tokyo si stava trascorrendo una nottata tipica, dove si susseguivano come da norma le litigate del rosso e la cinese. Stranamente fu concessa loro una pausa e la bambina poté avere tutto il tempo di riprendere fiato nei polmoni. Guardò il grande firmamento ed ebbe come la sensazione che qualcosa era cambiato.
“Adesso il cielo sembra più felice…” pensò incantata.
“O stai delirando o è proprio un tipico discorso da mocciosa,” ironizzò Hwoarang apparso alle sue spalle.
“E’ che… c’è qualcosa nell’aria…” ritenne la ragazza, come rapita da una mistica dimensione.
“E' solo la puzza della città,” rispose lui laconico.
La cinese abbassò lo sguardo e convenne, mentalmente: “Forse è davvero soltanto l'odore di Tokyo…”























----------------------------------------------



Lo ammetto anche: questo capitolo è stato realmente il più strambo di tutti! xD E non tanto per la stramberia di per sé, quanto per il fatto che è troppo diverso dagli altri… troppo serio? xD
E tanto per "strambarci" sopra... ogni volta che aggiorno voglio mettere una citazione del nuovo capitolo sul riassunto iniziale, visto che da molto l'ho visto fare. Ma ci ho pensato solo ora :P
Il nostro duo protagonista ha avuto poco spazio, ma è riapparso il personaggio da molte femmine bramato, comunque. xD Volevo dedichargli uno spazietto, ed uno spazio anche alla bella bionda!
@Shuriken: Tu non la puoi vedere, ma adesso ho una faccia troppo da ebete per i complimenti dei disegni appena avuti! xD E poi… sarò anche scema, ma vorrei citare una tua frase:
“tra un po' ci sarà (presumo non sono mica una veggente!!)la svolta nel rapporto tra i due..”
Ho voluto anche sottolinearlo per far ben intendere la cosa, bwhahahahah!! >D Scherzi e scemate a parte, grazie tantissimo! ^*^
@Tifa: FIGLIULAAAAAAA *O* A te dedico questo capitolo perché c’è il Tenebroso che tanto ti piace! :P e di nuovo… lo so, ma è più forte di me… devo citare un’altra frase:
“capisco benissimo che abbia voluto non lacerare il suo onore mascolinoXD”
…E Xiaoyu ne sa qualcosa, gyahahahahahah!!
*L’autrice viene picchiata per quelle fantasie dai suoi stessi personaggi*
@Chiaras: grazie, piccola ^*^ Mugen sarà felice di essere apprezzato!
Mugen: “Finalmente qualcuna mi apprezza!! Ç__ç”
@Miss Trent:
“il massimo sarebbe farci andare la banda del blouson noir vestita da 'pinguini', in abito da sera *Miss Trent ride al pensiero^^*...”
Cielo… mi stai davvero facendo balenare la tua idea nella mia mente! xD Sarebbe davvero cosa assurda! xDDDD (I diritti d’autore della vera mente resteranno immuni. Pagherò a mie spese :P)
Ho letto il tuo ultimo capitolo, e me lo sono slurpato al massimo ** Per la cronaca: l’ispirazione Jininanista di questo capitolo l’ho avuta da quella fanfiction! Spero veramente che ti ritorni l’ispirazione per un’altra storia!! *ç* Io l’aspetterò sempre, con grande intrepidazione ;)
@annasukasuperfans: Grazie ^////^ Comunque non è affatto vero che è meglio delle tue storie… ad esempio io, appunto, invidio il fatto che le aggiorni prestissimo, al contrario delle mie che son lente come bradipi! xD Muchas grazias ancora ^^
@Silver Princess: Già: povero edicolante! xD E siccome sono sadica credo che lo farò tornare anche in altre occasioni. Sempre nella veste del povero sventurato, ovvio! xD E un “ti ringrazio” anche a te ^*^
A presto (si spera) con il prossimo capitolo! ^^


Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Apporto ***


La pianificazione delle vendite è un mestiere arduo, al giorno d’oggi. La regola principale è attirare l’attenzione del giusto pubblico per esortarlo ad acquistare il prodotto.
I redattori del Pinky Dolly usarono ogni insospettabile trucco per attirare a sé i compratori di sesso femminile: colori sgargianti, noti personaggi maschili dello spettacolo (famosi più per il bell’aspetto che per la loro bravura recitativa), test per scoprire quale trucco poteva rendere più giovane una donna, e alle giovani donne il test per scoprire quale trucco le rendeva più mature. Poiché sembrava non bastare come prova del loro devoto attaccamento al gentil sesso, aggiunsero il colore rosa in diverse parti degli stampati: nel testo, nello slogan, nei titoli degli argomenti, nella cornice delle foto e negli sfondi. Forse un bel po’ più di diverse parti, che infine considerarono bastare.
Insomma, il Pinky Dolly era quel tipo di rivista che arretrava di venti passi un uomo e attirava a sé la lieta mano di donna. Ma di certo i redattori non avrebbero mai immaginato che non uno, ma ben trenta uomini quasi litigassero per poterne avere uno tra le mani…
La stramba situazione non poteva capitare da nessuna parte se non nel covo del rosso coreano, dove i litiganti erano talmente ingordi e violenti da prendersi addirittura a botte. Al contrario di loro, la piccola Ling, unica femmina tra i trenta, ancora non aveva toccato nessun albo. Osservava sdegnata l’ammasso di folla che si era creata attorno ad un solo Pinky Dolly.
“Forse dovreste litigare di meno e dare una rivista a me, visto che sono la diretta interessata!” protestò la povera ragazza. Un Pinky Dolly, comprato da qualche ora e già malconcio come la carta igienica dei bagni pubblici, volò nel cielo come un goffo dodo spelacchiato ed atterrò tra le mani della bambina. Mugen, che fu la causa di quella grazia, volle farsi sentire per far riconoscere la sua invidiabile generosità, ma in mezzo a tanto caos Xiaoyu non ci fece caso. Sfogliò con rapidità e non ci volle molto a trovare la pagina interessata, di tutte le pagine la più increspata. Trasecolò quando vide grosso e stampato il viso di un uomo a lei tanto familiare. Ci mise molto a comprendere che non era il ragazzo che le faceva provare le forti emozioni da adolescente innamorata...
“E’ identico a Jin…” commentò sbalordita, posando il minuto dito sopra la carta plastificata, quasi come a sfiorare davvero il volto di quella persona. Kazuya, il nome dell'uomo, era il figlio legittimo del presidente dell’azienda, Heihachi Mishima, come scritto dall’articolo. Jin Kazama, a sua volta, era il figlio di Kazuya, ma di questo nulla era stato scritto a riguardo. Xiaoyu era assolutamente sicura di quest’ultima teoria trovando in lui il Jin che sarebbe diventato da adulto.
“Ha il suo stesso sguardo profondo…” sostenne romantica.
“Ha le sue stesse assurde sopracciglia folte,” aggiunse a sua volta Hwoarang, intuendo bene il soggetto dei pensieri sognanti della cinese; quest’ultima gli rispose con una gomitata sullo stomaco.
“Piccola stronza! Manco avessi offeso te!” ringhiò il rosso. Peccato solo che lui non sapeva che per una ragazza è più tragico un affronto al giovane di cui è innamorata che a se stessa.
“Non era per questo che abbiamo comprato la rivista!” ritenne stizzita la cinese, cercando la vera pagina desiderata.
“Non era per questo che abbiamo comprato la rivista!” la scimmiottò Hwoarang con voce acuta, traendo dalla tasca una sigaretta per poi fumarsela altrove. Senza l’assillante presenza del coreano e con un po’ di santissima pazienza, Xiaoyu riuscì a concentrarsi meglio. Ma fu comunque un’impresa epica. Il suo occhio, cercando meticoloso come un investigatore che perlustra indizi per un caso d’omicidio, ci mise molto per arrivare alla meta: “Informazione sul party della Mishima Zaibatsu”, scritto talmente piccolo e rannicchiato in un angolino della rivista, in confronto agli altri titoli, che non sembrava neppure esser stato stampato.
“Il giorno dei morti si avvicina sempre più e quale occasione se non questa per festeggiarlo nel colossale edificio della Mishima Zaibatsu?” leggeva con occhio forzato la piccola Ling. “Il 31 ottobre, dalle 9 di sera in poi, la Mishima Zaibatsu si terrà aperta per una festa. Gli invitati saranno esclusivamente scelti dall’azienda, ma anche se non fate parte dell’alta borghesia potrete guardare all'entrata del retro l’arrivo dei bellissimi fratelli Mishima e chiedere un autogra… ma… ma…” Le due ultime parole non erano scritte nella rivista, come furono anche le altre che seguirono: “Ma chi se ne importa!”
Gettò sulla terra sporca il suo Pinky Dolly. Tanto non avrebbe fatto differenza, visto come lo avevano conciato i ragazzi del blouson noir.
Rana si avvicinò alla ragazza. Il ricordo del suo primo incontro con la cinese ancora lo spaventava, quella piccola furia umana l'aveva menato ben bene la prima volta che aveva messo piede nel covo. Quindi, con un po' di titubanza, raccolse la rivista porgendogliela.
“Coloro che parteciperanno saranno invitati con le tasche piene di soldi,” riferì adirata Xiaoyu a Rana.
“Non è un problema,” annunciò contento l'altro, “già una volta ci siamo intrufolati con nomi falsi. Sarà un gioco da ragazzi.”
La cinese sorrise lieta della buona notizia, ma non mantenne per molto quel felice stato d’animo: adocchiò il blouson noir ritornare con il mozzicone di sigaretta finito tra le dite. Le era diventato come un gesto meccanico ed involontario quello di cambiare umore in peggio alla vista di lui.
“Che vuoi?” chiese seccamente il rosso alla ragazza accorgendosi dell'espressione tetra con cui lo guardava. “E allora, che avete scoperto?” domandò adesso rivolgendosi al compagno animale.
“Che sarà possibile intrufolarsi nell’azienda anche se non siamo invitati,” rispose Rana.
“E quanti e chi dovranno essere gli invitati?”
Xiaoyu cercò di nuovo tra le pagine del Pinky Dolly. “Ogni invitato sarà una coppia,” lesse.
“Una coppia?” ripeté il rosso.
“Sì, un maschio e una femmina…” precisò la bambina.
“Allora non sarà un problema,” riferì gagliardo Hwoarang, gonfiando il petto. “Certamente uno dovrà essere me, visto che la cosa mi riguarda personalmente… mentre l'altra invitata...”
Il rosso si zittì guardando con concentrazione in basso e Xiaoyu sorrise, come a far intendere che la risposta era ovvia.
“Rana,” enunciò il blouson noir, “trovami qualche ragazza della terza strada, che possibilmente non sia Madeleine.”
“Ma capo… lo sai che ad Halloween lavorano di più. E poi non abbiamo soldi per pagarle…” ritenne il ragazzo.
“Già. Merda. John!” chiamò ancora Hwoarang. L’omone si girò ad ascoltarlo. “Vestiti da donna!” gli ordinò.
“Ma capo… dovrò di nuovo farmi la ceretta e il trucco, e andare dall’estetista costa e mi porta via troppo tempo,” scherzò il gigante. Xiaoyu era sempre più sconcertata. Un po’ titubante, sussurrò:
“Ehm… blouson noir…”
“Ma che stupido, la soluzione ce l’ho davanti!” urlò imperioso, gesticolando in direzione della bambina, che sorrise grata. “Bambina,” disse, “sicuramente avrai qualche amica che sarà disposta ad aiutarci.”
La ragazza strinse forte i pugni per alleviare la tensione, ma non riuscì più a trattenere la rabbia.
“Sei il blouson noir più deficiente di tutti i blouson noir!” strillò esasperata, battendo con il piede sulla terra ripetutamente; questo accadeva quando oltrepassava il limite di sopportazione. Il rosso rise con spasso, e la sua voce risuonò in tutte le vie della periferia Est.
“Scherzavo, bambina… non capisci neppure quando uno scherza…” farfugliò con le risa ancora in bocca. “Dai… smettila, ti prego… chiederò questo favore a te...” soggiunse, serio. Lei si girò.
“Perciò, per favore... passami la rivista,” le disse. Xiaoyu la rivista la prese e gliela sbatté forte in faccia, poi si allontanò il più possibile dal rosso.
“I bambini non capiscono l'ironia!” le urlò Hwoarang divertito da lontano. Arrise, osservandola buttarsi goffamente sul materasso delle due grate a pancia in giù, con la faccia sprofondata e i pugni serrati dalla rabbia.
“Che mocciosa.”
Ma nel dirlo, sorrise teneramente.

“Xiaoyu!” la chiamò qualcuno. Lei voltò appena la testa per guardare chi la volesse, rimanendo completamente coricata.
“Che c’è?” chiese con voce monocorde.
“Il capo ci ha proibito assolutamente di avere qualsiasi tipo di aiuto da te, ma ora che non c’è devo assolutamente chiederti un favore…” riferì il compagno. Xiaoyu si mise con il busto eretto ed ascoltò attenta e beffarda. Dunque quell’orgogliosa testa rossa non avrebbe mai ammesso di aver bisogno di aiuto, e addirittura mai lo avrebbe permesso ai suoi uomini. Era un dittatore che viveva per strada, pensava la bambina, arrogante e presuntuoso.
“Dovresti aiutarci a…” ma la voce del compagno s’interruppe, vergognosa. “Be'… a… leggere…”
“Leggere?!” chiese incredula Xiaoyu.
“Già… quelli che lo sanno fare sono andati via con il boss, e molti di noi non sono giapponesi…” riferì sommesso. La ragazza, disorientata e sorpresa, accettò e si avviò con lui per risolvere la questione, troppo complicata a parere di loro, troppo inverosimile a parere di lei.
Il problema di tutto si presentava cristallino ai suoi occhi: un gruppo in semicerchio discuteva animatamente su quale fosse la prima parola del testo a pagina 23. Qualcuno diceva casa, qualcuno diceva cosa, qualcuno diceva cara e qualcun altro ancora diceva parallelepipedo. Quando la adocchiarono, smisero di discutere tra loro.
“Questi ignoranti non sanno leggere, e hanno anche il coraggio di contraddirmi!” le riferì colui che diceva, con assoluta certezza, che la prima parola del testo a pagina 23 fosse parallelepipedo.
“Se non sapete leggere, perché prima litigavate quasi per avere la rivista?” domandò logicamente la bambina un po’ sconcertata.
“Ci piace fare il gioco delle differenze,” le rispose uno con illogica normalità, e la bambina tirò uno scoraggiato sospiro.
“Qualcuno di voi conosce almeno un po' qualche parola?”
Nessuno fiatò. Allorché qualcuno comunicò, vantandosi:
“Io so leggere le vocali!”
La bambina sospirò ancora un po' di più. Prese un Pinky Dolly e si mise a sedere sul materasso di fronte a loro.
“Intervista doppia sui fratelli Mishima. Due nostri giovani reporter sono andati alla Mishima Zaibatsu dai bellissimi fratelli per intervistarli, ma sfortunatamente Kazuya non ne ha voluto proprio sapere e il nostro reporter è tornato senza alcun articolo, con una gamba rotta.”
I ragazzi confabularono qualcosa, mentre Xiaoyu sperò con tutto il cuore che Jin, alla sua nascita, avesse preso dal ramo materno della famiglia. Titubante, deglutendo, continuò a leggere:
“Ma non affliggetevi, ragazze! Sicuramente qualcuna di voi riuscirà a sciogliere il cuore di Kazuya Mishima!”
“A questo credo poco…” rifletté qualcuno di loro.
“Concentriamoci quindi sull’unico intervistato, l’altro fratello," lesse la bambina. Si soffermò a guardare la sua foto. Era un bell’uomo, senza dubbio, e sicuramente era il più famoso tra i due, dato il caratteraccio poco socievole dell’altro. Osservandolo bene, le parve di averlo visto spesso in manifesti e giornali, anche senza conoscerne il nome.
“Lee Chaolan…” sussurrò leggendo la didascalia sotto la foto.
“Be'?” chiese un ragazzo dai capelli fiammanti al silenzio prolungato della cinese. Questa riprese la lettura:
“Lee Chaolan ci ha riferito scherzosamente di avere un’età che oscilla tra i 28 e i 45 anni. Le nostre insistenze son state vane e l’età reale rimane tuttora un mistero…”
Alcuni dei ragazzi che si erano radunati attorno a Xiaoyu scommisero a riguardo. Nella periferia Est, i soldi erano facili da avere e altrettanto facili da essere persi. Ma non ci sarebbe stato alcun vincitore, perché in seguito si sarebbe scoperto che la sua età non rientrava nella fascia di numeri da lui citata…
“Gli piace la donna elegante, possibilmente bionda e con i capelli lunghi. Adora vederli raccolti. E deve vestire di viola, il suo colore preferito. Caratterialmente dev’essere una donna con cui parlare di varie cose; chiacchierona ma non troppo, dolce ma non troppo, aggressiva ma non troppo… un controsenso umano.”
Le ultime tre parole, ovviamente, non erano state inserite nel testo.
“Cosa dice di Heihachi?” domandò, adesso, un giovane teppista dai verdi capelli.
“Al presidente piacciono gli uomini intelligenti, colti, conoscitori di finanza ed economia e raccontatori di barzellette. Peccato solo che Heihachi sia un uomo dalla difficile risata...” lesse la bambina. Nessuno dei tre Mishima pareva essere abbastanza normale da vivere in mezzo alla gente. Jin, in confronto, era come un semplice pesce rosso in mezzo ai tanti di un negozio d’animali.
“Uno stupido come il blouson noir non riuscirà mai a fare colpo su Heihachi,” ritenne derisoria Xiaoyu, e certo non si accorse che il soggetto da lei citato si trovava dietro la sua schiena da parecchio tempo.
“Se è per questo neppure una bambina come te riuscirà mai a fare colpo su Lee Chaolan, visto le forme essenziali da donna che ti mancano. A meno che non si scopra essere segretamente pedofilo,” ribatté Hwoarang ancora più acido della ragazza. Ci sono questioni di cui un uomo non deve mai discutere con una donna. Al terzo posto troviamo il peso, al secondo l’abbigliamento e al primo l’età. Mai affrontarne l'argomento con un interlocutore di sesso femminile, sia come offesa alla sua vecchiaia che alla sua infantilità. A Xiaoyu capitò, come le altre volte, quest’ultima eventualità.
“Le mie forme sono nella norma, è il tuo cervello che non lo è, imbecille!” contrariò la cinese.
“Come sei sguaiata! Ricorda che a Lee Chaolan piacciono le persone sguaiate ma non troppo!” ironizzò il rosso.
"Vuoi che ti faccia anche vedere se sono violenta ma non troppo?!" lo intimò Xiaoyu agguantando due bastoni per terra. Hwoarang cominciò automaticamente a scappare e la cinese a rincorrerlo.
“Mi chiedo chi tra i due sia davvero il bambino…” ragionò John, osservando vergognoso il comportamento del suo capo.

La sera s’inoltrò e la luna cadde in cielo, sfocata dalle nubi della periferia Est. La cinese cacciatrice e la rossa preda erano adesso spaparanzati sulla terra sporca senza asfalto della periferia, sopraffatti dalla stanchezza, ognuno dei due vinto e vincitore dell'altro.
“Sei stata... veloce... ma non mi hai... ancora raggiunto…” la prese in giro Hwoarang un po' a fatica. Lei approfittò della sua distrazione per dargli un forte e doloroso pizzicotto sul braccio.
“Ragazzi, era proprio ora che la smetteste, avete perso già molto tempo,” considerò Rana, adesso seduto davanti ai due corpi moribondi.
“Già… il piano… ho deciso che il piano è quello di entrare nella Mishima Zaibatsu e fare colpo al presidente e i suoi figli…” mormorò il blouson noir, ansimando.
“Questo punto mi pareva sottinteso,” convenne Rana. “Io e gli altri volevamo parlare d'altro, ma vi siete messi a rincorrervi per tutta la periferia.”
“E' colpa sua,” affermarono Xiaoyu e Hwoarang all’unisono, indicandosi a vicenda e guardandosi poi in cagnesco.
“In poco tempo dovremo trasformare il capo in una persona colta e composta e Xiaoyu in una ragazza elegante e femminile…” farfugliò Rana, sospirando arreso. “Solo un miracolo può aiutarci.”
“Io so chi può aiutarci,” proruppe il rosso, alzandosi da terra. “Conosco chi potrebbe aiutare la bambina. E’ un genio quando si tratta di trucco e di creare vestiti.”
Si avvicinò a Rana e gli mise una mano sulla spalla. “Tu, John e Mugen andrete a prelevare qualche vestito femminile in qualche negozio,” ordinò il capo.
“Li preleveremo in un batter d’occhio,” rispose raggiante il mezzo animale, prima di avviarsi dagli altri.
“Prelevare?” chiese interdetta Xiaoyu, ricevendo un cenno di capo da parte di Hwoarang. La cinese non conosceva il vero significato della parola prelevare, che veniva usata nella periferia Est come termine fittizio per intendere rubare.
“Noi invece andremo da questa persona. Su, alzati,” disse il boss, tirandola per un braccio.
“Sono stanca!” piagnucolò Xiaoyu come se fosse davvero una bambinetta. Così Hwoarang la trascinò per il braccio seguito dai versi lamentosi della cinesina, che sbuffava e mugolava di tanto in tanto qualcosa di incomprensibile.

“Visto? Non era lontano,” disse il ragazzo dopo un po' indicando la destinazione raggiunta.
“A me sembrava lontano chilometri...” ammise stanca la ragazza. In realtà non si mossero dalla periferia Est, e in egual modo neppure l’ambiente era mutato. Le grate facevano da perimetro alle strade, le catapecchie disabitate da colline e i palazzi da montagne. C'era lo stesso odore del covo del coreano. Quest'ultimo suonò il citofono di un palazzo identico agli altri. Xiaoyu volle chiedere, curiosa:
“Che tipa è questa specie di stilista?”
Hwoarang la guardò basito.
“E chi ha detto che è una tipa?”
Il citofono, poi, assunse la voce di un uomo:
“Qui casa Law. Chi è?”























----------------------------------------------



E di nuovo si torna nell’assurdo! xD Comunque, preannuncerò (oltre all'entrata di altri personaggi nella storia) un cambiamento di genere un po’ più serio, almeno fino a una parte di storia.
Certo… le litigate tra Xiaoyu e Hwoarang credo che non le abolirò mai! xD
@Tifa: A mia figlia questo e altro! ^*^ Preparati… perché come sopresa finale potresti trovarti un Sephiroth nudo sul letto! xD *Discorsi quotidiani tra me e Tifa. Capisco che non capiate… però non guardateci male! xD*
@Chiaras: Tessora, ho visto che hai aggiornato la storia! *O* E io corro immediatamente a leggerla! >.< Intanto ti ringrazio per tutto ciò che hai detto! *Smack ^*^
@Miss Trent: Ammora mia… Spero che adesso ti senta meglio rispetto all’altra volta… in senso emotivo, intendo… e ti dirò anche che la gocciolina, adesso, me l’hai fatta venire tu a me con il tuo commento! ç_ç Nina è un personaggio enigmatico, ma son felice di sentir dire di essere riuscita un po’ a capirlo ^^ E lo sai che adesso che mi hai detto che ne stai scrivendo un’altra sarà probabile un assilamento eterno da parte mia? *O* Sperando ovviamente che tu non chiami Nina per farmi fuori, visto le scatole che ti romperò! xD E scherzi a parte, non vedo l’ora che venga pubblicato il primo capitolo!!
@Shuriken: E’ strano dirlo… ma sul fatto che il capitolo fosse serio a causa dei personaggi seri non ci avevo proprio pensato! xD Talvolta, come adesso, mi pare di vedere la gente troppo intelligente… o sono io che sono stupida?! xD Grazie tantissime anche a te, tesora, sei stata dolcissima ç_ç E grazie anche per i neologismi! xD *Smack ^*^
@Silver Princess: ^**********************************^ e all’infinito ti riempirò di bacini! xD Ti ringrazio per il commento e, anche se poco c’incastra, per tua fanfiction, in cui (e lo sento dal profondo dell’anima… e forse anche un po’ da quello del mio ventre xD) che lo sbavazzo che tanto mi piace sta per subentrare nella storia! *O*
Per questo capitolo credo che sia tutto! xD
Alla prossima! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Matto ***


Esistono alcune famiglie travagliate dal passato. Le prime di tutte sono quelle finte delle soap opera, dove immancabilmente qualche figlio di ricca signora viene tormentato dalle faide dei parenti desiderosi di avere la sua posizione e la pesante ricompensa che spetta per questo, ossia il dolce peso dell’oro. Le seconde sono le famiglie vere, ed è raro che conducano le stesse vite avvincenti, romantiche ed eroiche delle prime. La sostanziale differenza è che l’unico peso che si portano addosso è quello di un grosso debito.
La famiglia Law apparteneva alla seconda categoria.
Nati in America, di origini cinesi e scappati in Giappone: viaggiare in continuazione serviva per poter fuggire dall’organizzazione che più di tutte esercitava il compito di porre fine ad una ricerca con un proiettile di pistola. La mafia, si può dire, era la cugina più prossima della Mishima Zaibatsu. Chissà se era stato destino che la famiglia Law, in Inglese legge, fosse nata per essere tormentata dalla mafia…
“Regola numero uno: non chiedere niente che c’entri con la loro famiglia,” annotava per l’appunto Hwoarang alla sua cinese, mentre salivano le scale del palazzo. La ragazza assentì e dopo aver avuto risposta positiva, il blouson noir continuò:
“Regola numero due: non chiedere il nome del ristorante.”
Xiaoyu rimase un po’ confusa alla seconda richiesta.
“Perché? Che nome ha?” chiese curiosa.
“Non lo so, ma il soprannome che hanno affibbiato gli altri a Marshall non piace proprio…”
Come se non bastasse la rogna del loro cognome, i Law avevano un ristorante famoso nel quartiere per il suo strano nome, o meglio il nome che gli davano gli altri.
Tutto ebbe inizio quando attaccarono un'insegna davanti al locale con suscritto Manzo Eletto. La foschia perenne della periferia Est non permetteva ai passanti di leggere il titolo, così Marshall ideò una scritta a luci a neon. Lo strano difetto elettrico che si portavano alcune lettere ebbe come scherzoso gioco di parole il termine matto.
Se qualcuno nel locale nominava anche casualmente la parola matto, veniva richiamato a malo modo dal proprietario; se la nominava due volte, talvolta, anche sbattuto fuori.
Il ristorante Il Matto era noto per il nome e per il suo giusto appropriamento al padrone.
“Ma soprattutto, regola numero tre…” riferì ancora il blouson noir alla bambina, fermandosi davanti alla porta d’entrata. Xiaoyu mise attente le sue orecchie allo sguardo serissimo di Hwoarang.
“Respira, sorridi, fa' quel che ti pare, ma, ti scongiuro, non parlare dicendo sempre qualche stupida cavolata da mocciosa, o i Law prenderanno meno seriamente la nostra richiesta d'aiuto,” fece austero il rosso. La cinese ci mise molto ad afferrare che quella non era una raccomandazione ma una sua tipica presa per i fondelli.
Detto fatto, la terza regola venne subito infranta: quando Marshall aprì la porta, vide la ragazza mantenere per il bavero Hwoarang e offenderlo con forti imprecazioni, in procinto di assettargli un pugno in faccia.
“Hwoarang?” chiamò il mezzo americano, inarcando un sopracciglio.
“Marshall!” salutò il rosso con una mano, mentre l'altra era tesa in avanti per proteggersi il viso. La bambina, per grazia del coreano, fermò il suo cazzotto a metà strada.
“Salve…” salutò lei esibendo un sorriso forzato.
Law rimase un po’ titubante, ma conoscendo bene lo strano soggetto che era il suo amico rosso e lo strano rapporto che c’era tra lui e la cinese, volle chiedere un plausibile quesito:
“E’ la tua ragazza?”
“Perché, ti sembra una ragazza?” chiese genuinamente Hwoarang. Xiaoyu finì il suo lavoro lasciato a metà e gli assettò il pugno in faccia.
“Permesso!” affermò sonoramente entrando a testa alta, a occhi chiusi e con un visibile nervo pulsante sulla fronte. Marshall si chinò sul corpo disteso del rosso, sopraffatto dalla forza bruta della giovane, e gli sussurrò all’orecchio:
“Ragazza o non ragazza… qualunque intenzione tu abbia, stasera il ristorante è chiuso.”
“Lo so, sono venuto per altro Law,” spiegò il coreano, massaggiandosi la guancia dolente. “E' in casa?”
“Ah… quel disgraziato…” farfugliò il padre irritato. “E’ in camera sua ad ascoltare musica anni '70 a tutto volume.”
“Che hai contro quella musica?” domandò Hwoarang, mosso emotivamente dal suo devoto amore per quel genere, il suo preferito.
“Mi ricorda brutti momenti quand’ero in America…” rispose l’uomo, ma preferì cambiare discorso con una frase di cortesia: “Su, accomodati!” esordì, ma a discapito della sua affermazione lo trasportò in casa non tanto cortesemente, sbattendo forte la porta d’ingresso.
Il ristorante appariva agli occhi di Hwoarang come una camera di tavoli e sedie già veduta tante volte, ma Xiaoyu, che non ci aveva mai messo piede, rimase affascinata dall'insolito arredamento. Il salone era come una qualunque stanza d'appartamento, addobbata con mobili e decorazioni che sembravano essere pensati e disposti da una mente femminile. Ad alcuni non sarebbe piaciuto mangiare in uno spazio così stretto e riempito fino all’orlo, ma la ragazza rammentava in esso la sua camera affollata di pupazzi, libri e fumetti, così com'era per la tana del blouson noir, dove cianfrusaglie trovate chissà dove venivano riciclate dai fuorilegge e portate nel covo.
Le piaceva perché, nel buio quasi totale, la piccola stanza era ricolma di mille colori sgargianti.
Il naso della bambina si tirò all’insù, gustato da un dolce aroma.
“Che buon odorino,” affermò appetitosa. Marshall, contento dell’affermazione appena sentita, si lisciò i lunghi baffi che ricadevano all’ingiù e informò:
“Sto testando dei nuovi piatti con un amico, ma credo che il palato di una femmina possa essere più fine per poter giudicare…” e sorrise affabilmente.
“Spero che non sia Paul l'assaggiatore,” s’intromise bruscamente Hwoarang, “sennò domani ti ritrovi senza più scorte in mezza giornata.”
“Sono ancora in tempo per non fallire se gli do il cambio con la ragazza…” scherzò Marshall indicando la cinesina.
“Così fallirai ancora prima! La bambina mangia più di tutta la popolazione cinese messa insieme!”
“Quanto sei idiota!” sbottò Xiaoyu, e di nuovo il nervo sulla fronte divenne visibile. “Sei solo invidioso perché io mangerò gratis!” e seguì un versaccio con la lingua.
“Bambina, le linguacce falle agli altri bambini. Gli adulti si insultano in modi più sofisticati,” ritenne sarcastico Hwoarang, anche se un po’, di quella linguaccia, se n'era risentito segretamente... “Io ho solo detto la verità, che ogni volta che mangi sembra sempre che tu sia uscita da un digiuno di un mese.”
“E’ perché sono una ragazza in via di sviluppo,” si giustificò Xiaoyu, vergognosa.
“Forse intendevi una bambina in via di sviluppo,” corresse Hwoarang.
Fatto sta che la gracile bambina in via di sviluppo ebbe abbastanza forza per rimandare a terra Hwoarang, stavolta con un sinistro.
“Ragazzi, non distruggetemi il ristorante, vi prego… non vi ci mettete anche voi!” piagnucolò addolorato Marshall, visto che c'era già qualcuno che aveva intenzioni involontarie di un suo fallimento, e in questo caso non era la mafia: le loro intenzioni erano decisamente più che volontarie.
Paul, l’uomo dalle intenzioni involontarie, si era affacciato dalla cucina, con un piatto finito e più pulito del suo viso, sporco di salsa marrone.
“Ma guarda chi si vede! Hwoarang!” schiamazzò contento l’uomo, avvicinandosi al rosso. Quest’ultimo, che si era appena alzato dal brutto colpo, tornò nuovamente al suolo a causa della pacca sulla schiena del biondo. Le sue non erano malignità, tutt’altro, erano intenzioni del tutto amichevoli. Solo, non aveva la benché minima concezione della forza e della moderazione, abituato a prenderle e a darle a giornate.
Xiaoyu poté vedere, per la prima volta, un uomo che raggiungeva la stazza di John, e che forse la superava. O era vero, o era l’impressione di quella inusuale acconciatura verso l’alto a spazzola. Paul si accorse di lei solo quando smise di ridacchiare in direzione di Hwoarang.
“Ma guarda, una ragazza in questa catapecchia piena di trinconi!” esordì meravigliato l’omone, seguito da un sarcastico “grazie” da parte del proprietario. Poiché nessuno pareva volerla presentare, o forse soltanto perché l’avventatezza di Paul non ne permise il tempo, questo chiese a Hwoarang:
“E’ la tua fidanzata?”
“Non sono un pedofilo,” enunciò il blouson noir, e fece bene a rimanere ancora sdraiato, altrimenti un ulteriore colpo della cinese l’avrebbe rimandato a terra. Quindi Xiaoyu lo riprese, com'era solita fare in queste situazioni, a parole. Qualche accidente, qualche parolaccia, qualche malocchio inventato. La solita routine.
“Che strambo duo!” considerò divertito il grande biondo ridendosela di gusto nel sentire le sgangherate botte e risposte dei due protagonisti. “Sembrano me e te, Marshall,” soggiunse assentendo con la testa.
“Sì… con l’unica differenza che tu vieni sempre qui ad ‘assaggiare’ le mie pietanze a scrocco…” fece il Law, facendo il segno delle virgolette con le dita.
“Ma dai, Marshall… gli amici servono a questo!” ritenne bonariamente Paul con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, come a gratificarsi di se stesso e della sua immensa generosità.
“Gli amici servono a scroccare, a litigare con i clienti, a rompere il locale facendo a botte con loro e a influenzare negativamente mio figlio con storie assurde sul bullismo?!” chiese sarcastico il proprietario. Paul, un po’ lento di comprendonio, capì solo quando un minuto di silenzio gli permise di pensare che quella era una beffa bella e buona.
“Come sei crudele, Marshall…” ritenne amaramente il biondo, accucciandosi su una sedia.
“Lo tratta come tratti sempre me a giornate!” aggiunse lamentosa Xiaoyu a Hwoarang, intromettendosi senza un reale motivo e sedendosi vicina a Paul, ma al contrario di quest’ultimo senza rammaricarsi o rattristarsi. Innervosita e irritata, piuttosto.
Law e Hwoarang sospirarono all’unisono e si grattarono la testa.
“Vi accompagno da mio figlio,” informò Marshall, riprendendo le redini della situazione.

Il quartetto, con a capo Marshall, saliva le scale strette e scricchiolanti di una stanzetta sul retro della piccola cucina.
“Odio le scale a chiocciola,” bofonchiò Paul, tanto per dire qualcosa.
“Allora costruirò delle scale a chiocciola nel corridoio del mio palazzo per non farti più entrare,” riferì serafico il padrone del ristorante. Il biondone non colse - o meglio, non volle cogliere con grande forza di volontà - la battuta antipatica dell'amico. Chiese al blouson noir e alla bambina, cambiando discorso:
“Perché siete venuti qui?”
“Dobbiamo entrare nella Mishima Zaibatsu e scoprire alcune cose che ci interessano,” riferì veloce Hwoarang, senza aggiungere alcun dato in più sulla missione.
“La Mishima Zaibatsu!” sbottarono contemporaneamente Marshall e Paul, uno davanti e uno dietro alla bambina, la quale si spaventò parecchio per quell’assordante improvvisata, e quasi non inciampò.
“Se vedi Kazuya dagli un pugno da parte mia!” tuonò adirato il biondo al rosso, facendo istintivamente il movimento di un cazzotto in aria.
“Se lo vedo lo farò. Ma prima me la dovrò vedere con quel depresso cronico di Sua Signoria Jin Kazama!” riferì a sua volta il coreano, stringendo forte i pugni.
Xiaoyu stava per contrariare in difesa del suo bel tenebroso, ma l’avventatezza di Paul di nuovo non glielo permise:
“Ma ricorda di lasciare Kazuya indenne! Io e lui abbiamo un conto in sospeso!”
“Ma dico…” sussurrò innervosito Marshall, ora fermo davanti alla camera di suo figlio. Pensò che sembravano molto alle scimmie urlatrici di uno zoo.
“Un po’ si somigliano…” convenne la ragazza, con la mano pensosa sotto il mento.
“Sono selvaggi che vivono per strada, per forza si somigliano,” assentì il Law.
“Cos’è tutto questo baccano?!” urlò una voce dietro la porta che non riusciva più a sentire la musica neppure con il volume al massimo. La maniglia si mosse e sotto l’uscio apparve un altro Law, simile al primo ma senza baffi. Cercò la causa di tutto, che subito si impersonò in Paul, quando poi vide un altrettanto e già conosciuto bullo di strada dai capelli rossi, che catalogò anch'egli come possibile motivo del putiferio. Infine, lo sguardo si posò su una nuova e più piccola figura, di una giovane dai codini da bambina.
“Non è la mia ragazza,” dichiarò subito il blouson noir alla probabile domanda. Xiaoyu si mise una mano sulla fronte per massaggiarsela e sospirò.
“Siamo venuti qui perché il blouson noir mi ha detto che hai occhio nel vestire una donna,” spiegò immediatamente lei.
“Il blouson cosa?” domandò stranito il giovane Law.
“Questo tizio alla mia destra,” disse additando il coreano, che aggiunse, seraficamente, rivolgendosi a lei:
“Dovresti chiedergli piuttosto se ha occhio nel vestire una bambina e farla quantomeno somigliare a una ragazzina."
Fu fermato in tempo un attacco alle spalle del blouson noir da parte di Xiaoyu quando il nuovo conosciuto le disse, con gli occhi che brillavano:
“Graziosa come sei son sicuro che verrà fuori un ottimo lavoro!”
Allo sguardo della cinese di imbarazzo misto a contentezza, il blouson noir diveniva, come da copione, irritato e imbestialito.
Il nuovo arrivato era Forest, primogenito e figlio unico di Marshall, la copia sputata e più giovane di quest'ultimo. Chiuse la porta dietro di sé per parlare meglio con i nuovi arrivati, attutendo la musica che ancora girava per la sua camera.
“Per me va bene se Forest accetterà, ma non pensate neppure minimamente di avere questi favori gratuiti come fa sempre Paul," disse austeramente il padre di famiglia ai due protagonisti con le braccia conserte.
“E' giusto, la bambina dovrà guadagnarsi il servizio,” ritenne il rosso con serietà.
"Perché solo io?!" gli chiese giustamente Xiaoyu.
"La cosa riguarda te," le spiegò lui, stroncando, sempre come da copione, la gioia della ragazza con appena qualche parola. La cinese aveva come il presentimento che lo avesse fatto apposta... Lo fulminò con un’occhiataccia imbronciata, ma non riuscì a contrariarlo, visto che malignate a parte il coreano non era nel torto. Avrebbe dovuto ricambiare il favore ai Law in qualche modo.
“Ci servirebbe un po' di aiuto per il nostro ristorante. Una cameriera ci farebbe comodo,” convenne Forest, lanciando occhiate di speranza in direzione della bambina. Lei rifletté cogitabonda per qualche secondo.
“Se proprio volete, potrei lavorare momentaneamente qui come cameriera, anche se non l'ho mai fatto…” suggerì. Padre e figlio Law, felici di ciò, batterono un cinque di vittoria. Non era mai capitato in chissà quanti anni di lavoro che una cameriera entrasse nel loro ristorante, per giunta per lavorare gratuitamente.
“Iniziamo da adesso. Aiutami a lavare i piatti,” disse Marshall, esternando subito e prepotentemente la sua posizione di capo cucina superiore a quella della ragazza neo cameriera.
In quella frase d’ordine che non ammetteva replica, la bambina rispose un po’ a malavoglia “ok”, e i quattro s’incamminarono di nuovo al piano di sotto. Il Law giovane, invece, rimase in camera a ideare il suo vestito per Xiaoyu. Diceva di non volere intorno nessuna distrazione per concentrarsi meglio, a parte la sua musica.
“Sembra stia preparando un ordigno nucleare,” ritenne scherzosamente Hwoarang al padre. “E stai molto attento a lei, è una bambina, e i bambini rompono sempre tutto.”
Lei gli rispose con la solita linguaccia. Meglio che niente.

Erano quasi due ore che la cinese insaponava e sciacquava piatti e posate. Le sue mani fredde si erano bagnate a tal punto da rendere la pelle dei polpastrelli morbida e bianca. Il padrone del ristorante, che l'affiancava alla sua destra, le asciugava le stoviglie con uno straccio. Il ragazzo dai capelli rossi si avvicinò ai due, sedendosi sullo sgabello del banco davanti alla cucina.
“Quanti ne hai rotti, bambina?” chiese. La ragazza si girò bruscamente.
“Non ho rotto nessun piatto!” sbraitò, tirandogli addosso gocce di sapone rimaste sopra le mani.
“E’ così che trattate i clienti, Law?! Pretendo subito un suo licenziamento!” ritenne fintamente infastidito il finto Monsignore di strada.
“Non importunare chi lavora, blouson noir," replicò la cinese, tornando alle sue stoviglie.
“Perché, qualcuno qui lavora?” continuava imperterrito il ragazzo, che se la spassava sempre un sacco quando la bambina s'imbronciava e mostrava le sue mille e buffe smorfie di nervosismo.
“Se continui a disturbare, il buttafuori laggiù ti caccerà via,” lo informò la ragazza restando apatica al suo gioco e additando Paul, che le rispose sorridente e con un gesto d’assenso con pollice all’insù.
Il blouson noir tornò sconfitto al suo tavolo tre, con in mano un bicchiere di Martini vuoto che cominciò a roteare con la mano. Vicino, Paul stava costruendo un castello di bicchieri di vetro, spiato di tanto in tanto dall’occhio di lince e un po' preoccupato di Marshall.
“Avete un bel botta e risposta, voi due,” disse a un certo punto Law a Xiaoyu.
“E’ esasperante, mi tratta sempre così ed è sempre lui a cominciare,” informò accigliata la cinese.
“Ah sì?” chiese stupito Marshall, sorridendo intenerito. Lei lo guardò un po’ confusa, ma subito tornò al suo piatto insaponato.
“Quando ho conosciuto Hwoarang,” raccontò Law mentre le prese il piatto dalle mani per sciacquarlo, “non era assolutamente come adesso. Era più cupo e malinconico, veniva qui per bere sake.”
La bambina si guardò dispiaciuta le mani gelide. Ricordava bene la malinconia di cui parlava, l'aveva intravista il giorno in cui aveva messo piede per la prima volta al covo dell'est.
“Forse non se lo ricorda perché era ubriaco, ma mi ha raccontato della morte del suo maestro...” confessò Marshall alla cinese. “Comprendo il suo dolore. Anch'io ho perso una donna a cui volevo molto bene, la madre di Forest…”
Anche Xiaoyu conosceva quella sofferenza, l'aveva sentita nel suo culmine il giorno in cui, attraversando la strada per la scuola, aveva visto la recinzione di bambù del suo dojo a pezzi.
“Sono contento che adesso stia bene con te," le disse poi Marshall. "Non so come, ma un po’ è cambiato, l’ho visto entrare nel mio locale per la prima volta con un sorriso. Penso che possa essere anche merito tuo.”
Xiaoyu arrossì lievemente per quell’inaspettata gratitudine. “Io non ho fatto nulla, abbiamo sempre e solo litigato da mattina a sera.”
“Be', a modo tuo l'hai distratto,” ritenne scherzosamente Law, prendendogli dalle mani un altro piatto.
“Credi… che io gli stia un po’ simpatica?” domandò speranzosa.
“Chiediglielo tu stessa,” rispose deciso. “Lo conosco bene, ormai, e so che ogni volta che mente aggrotta le sopracciglia. Quella di osservare bene la fisionomia delle persone è un’abilità che mi ha aiutato a sopravvivere fino ad adesso,” le informò sorridendo.

Il sesto senso del rosso coreano era abituato a distinguere la notte dal giorno della sua periferia Est, seppure perennemente oscurata. Percepì l’alba di un sole nascosto, sentendo sulla pelle del viso l’aria di un clima più caldo.
Il blouson noir e la bambina erano usciti dal palazzo, ed ora s’incamminavano verso la loro casa senza tetto.
“Che giornata lunga e faticosa…” ritenne stancamente la bambina barcollando e sbadigliando.
“Questo perché sei lenta a fare le faccende,” sostenne lui sorridendo, richiudendosi nel suo giubbotto di pelle nera. Xiaoyu scuoté la testa rassegnata. Aveva intuito il tipo di risposta aspra che le sarebbe spettata, e non si meravigliò neppure più di tanto.
La ragazza accelerò il passo per mettersi di fianco al compagno e guardarlo negli occhi.
"Che c'è?" chiese lui interdetto.
“Blouson noir… ti sei affezionato a me almeno un pochino?” domandò timidamente, abbassando il capo e restando con gli occhi su quelli dell'interlocutore. Lui ci mise un po’ a rispondere a quell'imprevista e inconsueta domanda.
“Da 1 a 10 direi 0,5, perché in fondo sei una brava cuoca,” disse Hwoarang, aggrottando impercettibilmente le sopracciglia. "Per il resto, stiamo insieme solo per un obiettivo in comune."
Xiaoyu sorrise e superò veloce il capo per andare incontro ai suoi altri compagni. Hwoarang seguì con occhi confusi quella sua strana gioia.























----------------------------------------------



Che capitolo luuuuuuuungooooooo! xD
@Silver Princess: ma allora sei un mito! *O* ero talmente emozionata al loro concerto che per tutto il tempo ho tremato, urlato, ballato e cantato le loro canzoni ** I dialoghi tra loro due non avranno mai tregua, presumo! xD
@Chiaras: le cose si trasformeranno, sì sì, a iniziare da questo capitolo! ^O^ baciottoli anche a te!! ^*^
@annasukasuperfans: ma graccie, tesora!! ç_ç Aspetto anch’io il continuo di “quella fiction” ^*^
@Miss Trent:
“ma credo che in fondo(moolto in fondo) un pochino di bene se lo vogliano, no?”
Hai sintetizzato all’incirca il capitolo appena letto! xD Comunque è vero… se si cerca bene, nascosto, ma MOLTO nascosto, si trova il bene che un po’ si provano! :P
E hai adocchiato bene anche per l’altra questione: ho davvero pensato a Nina nel descrivere la donna ideale; non so come tu abbia fatto. xD
Non vedo l’ora che la pubblichi! Voglio essere la prima a leggere *O*
@Tifalockhart (aka my daughter):
“Direi che potresti aggiungerci un Paul professore di filosofia hehehe,che battuttaccia-.-”
A me ha fatto ridere! xDDDDDDDDDD sarebbe divertente anche se si scoprisse che Kazuya, come mestiere reale, fa il pagliaccio di un circo! :P Stasera ti porterò a letto un Irvine Kinneas! *O*
@Shuriken: anch’io sto sognando di essere una di loro! xD Sarebbe uno spasso viverla a modo loro la vita, vero? :P
“Ps: ti ho messo tra i miei autori preferiti ( ho scoperto solo ora come si fa..ehehe sono senza speranze) ;D”
Io ti avevo aggiunta già in precedenza, invece! xD Le tue storie Nejitenose son meravigliose!! **
E a tutte e sei do uno spensieratissimo bacione: ^************************************************^
A presto con un altro capitolo! ^^


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Distanza ***


I ragazzi del blouson noir confondevano la notte con il giorno, perché nella loro particolare inerzia non esisteva nessuna regola temporale. A volte accadeva che proprio a causa di ciò rimandavano sempre più il loro sonno, ritrovandosi allo stesso orario di ogni lavoratore che compiva il suo dovere sociale, in cui la notte era semplicemente notte ed il giorno semplicemente giorno.
E quella era una delle rare volte che la stravagante situazione prendeva vita. Successe quando i due protagonisti, tornando dal ristorante Il Matto, videro una moltitudine di uomini stesi a terra in tutto il territorio Est. Questi non cercarono neppure di scegliersi il posto più comodo su cui dormire, perché Morfeo li aveva presi alla sprovvista.
L’intento di destarli sballottandoli per avere compagnia era stato vano per Xiaoyu, che si arrese subito alla terza persona, Mugen, non riuscendo ad accaparrarsi reazione alcuna - proprio lui, che era quello che le rivolgeva e auspicava attenzioni più di ogni altro. Farfugliando parole scocciate, la cinese raggiunse il materasso delle due grate e si sedette appoggiata alla freddezza del ferro, trovando l’animata compagnia dell’ormai conosciuto abbraccio.
Detestava quelle notti silenziose, perché nella solitudine non riusciva a concentrarsi su niente, a parte gli irritanti ricordi a cui non voleva affatto pensare. Ogni piccolezza che accadeva nella periferia Est era la sua personale distrazione: lo sbraitare del primo compagno ubriaco, le battaglie corpo a corpo, le allusioni volgari del tatuato, persino le parole da serpe che le riservava ogni giorno Hwoarang.
Nelle tenebre della solitudine, quando non aveva sonno, le lacrime le rigavano il volto al ricordo del suo maestro assassinato. La bambina sprofondava il viso nel cuscino per strozzare i singhiozzi e stringeva la federa con i pugni per sfogare la rabbia. E all’arrivo del sole in cielo, stancamente sveglia, non aveva avuto tempo di dormire.
Nelle tenebre dell’insonnia le sarebbe bastata la squallida compagnia del suo peggior nemico, ora seduto vicino a un focolare, il braccio appoggiato sul ginocchio della gamba piegata, la sigaretta in bocca, tre cicche gettate spente altrove. Seppure poco distinto dal bagliore tenue delle fiamme, Xiaoyu identificò subito la figura del suo blouson noir, riconoscendolo nei suoi tipici atteggiamenti di sempre. Lo preferì all’inevitabile pianto solitario.
Tra i due era presente una specie di distanza invisibile che non permetteva di avere alcun contatto se non obbligato. Xiaoyu volle rompere la regola.
Avanzò a gattoni sul grande materasso delle grate affondando le mani e gli stinchi alla sua profonda flessibilità, fino a quando non trovò la durezza del cemento polveroso. In piedi e nel buio, si avvicinò lenta alla luce del fuoco. Nella quasi penombra totale, il rosso l’adocchiò, ma subito fece tornare l’attenzione alla sigaretta.
“Fa un po’ freddo…” si giustificò lei, sedendosi appresso al falò. Lui, per un secondo, le rivolse nuovamente lo sguardo.
“Potevi prenderti una coperta,” le riferì espirando fumo. Presa alla sprovvista, la ragazza sussultò irrigidendo le spalle.
“Quelle rimaste sono tutte sporche,” mentì incerta. Lui neppure l’ascoltò, distratto com’era a osservare il placido gioco di movimenti delle fiamme. Il silenzio creatosi intorno a loro non era mai stato così silenzioso come in quel momento, così quieto che lo scoppiettare aritmico del fuoco sembrava un pandemonio di cannonate. Il vento dispettoso passò attraverso il falò in direzione di Xiaoyu, scaricandole addosso la polvere della legna bruciata. Chiuse gli occhi infastidita, proteggendoli con la mano.
“Se ti dà noia il vento, vieni da questa parte,” le consigliò il coreano col suo solito modo di fare un po' secco.
Xiaoyu percorse il cerchio disegnato dal focolare per potersi mettere dalla parte opposta, ma d'improvviso si bloccò.
“Non sopporto il fumo delle sigarette...” ammise accigliata con una smorfia. Lui le rispose ispirando il suo rotolino di tabacco ed espirando forte in direzione della bambina, sorridendo compiaciuto.
“Quanto ti odio…” gli mormorò la ragazza.
La distanza tra i due che, con molta artificiosità, stava diminuendo sempre più si ripresentò quando Xiaoyu si sedette di nuovo a terra, a tre metri da lui.
“La vuoi una sigaretta?” le domandò arridendo il blouson noir come una volpe. Quando si appropinquò con il pacchetto, lei si allontanò ulteriormente.
“La vuoi una manata in faccia?” rispose a tono la cinese, mettendo bene in mostra il suo pugno destro. Hwoarang smise per un attimo quel fastidioso gioco, e certo non per le minacce della ragazza... solo per il semplice fatto che aveva terminato di fumare l'ennesima cicca e voleva trarne un’altra dal pacchetto nei pantaloni. A dire la verità, il suo corpo si sentiva già appagato di nicotina, non ne sentiva un bisogno vero e proprio; voleva fumarsi un'altra sigaretta per il gusto vedere la sua piccola bambina innervosirsi tanto per un po’ di fumo.
Ma quando aprì il pacchetto, si accorse che le sigarette erano terminate.
Si lasciò sfuggire dalle labbra un indecoroso merda, e, dopo aver gettato il piccolo contenitore il più lontano possibile, si distese a terra con le braccia sotto la testa. Xiaoyu, accortasi di ogni mossa, si appropinquò al ragazzo con il braccio rivolto all’indietro in un pugno.
“Sta arrivando il pugno della vendetta…” sussurrò malefica. Senza fumo da ostacolo, sarebbe finalmente riuscita a mettere in atto la sua rivincita.
“Smettila, sei l'unica che non fuma, qui,” affermò lui per nulla intimorito. “Ed io so anche perché: perché sei…”
“Una bambina…” sbuffò annoiata Xiaoyu, terminando la frase al posto del rosso. Perdendo la voglia di prenderlo a cazzotti, si coricò anche lei come Hwoarang, rannicchiandosi su di un lato e dandogli la schiena.
Non esiste distanza, anche se apparentemente vicina, lontana come quella di una schiena rivolta a una persona.
Non avendo da che fare Xiaoyu agiva d’impulso, trascorrendo il tempo giocando con le pietre polverose, sporcandosi le dita bianche di pece di strada. Lo strofinio era accompagnato dal rumore di cuoio che il blouson noir emetteva agitando ritmicamente il suo stivale sul ginocchio in su e in giù. I due, consapevoli l’uno della veglia dell’altra, non avevano alcuna intenzione di richiamare l'attenzione.
Fu così che la bambina passò la sua silenziosa mezz’ora sporcandosi il palmo intero della mano. Il fuoco stava spegnendosi e lei, da un momento all’altro, si sarebbe spostata per coricarsi in un altro luogo.
Sarebbe certamente accaduto se un imprevisto non avesse alterato la situazione. Talvolta, può essere sufficiente qualcosa di talmente piccolo da somigliare ad un aracnide…
La ragazza spostò il suo sguardo dalla mano alla terra e vide, all’altezza del suo stomaco, un ragnetto giallo e raggrinzito.
“Che schifooo!” strillò a gran voce, balzando in aria di colpo e iniziando a saltellare con la vana speranza di poter fuggire a quella bestia minuta o calpestarla, aggiungendo versi di spavento e imprecazioni troppo forti da scrivere, imparate da poco da quella zotica parlata del clan della periferia Est. Se già sembrava forte lo scoppiettare del fuoco in confronto a quel calmo silenzio, figuratevi quanto potevano essere assordanti le sue urla deliranti. Il blouson noir, difatti, sobbalzò spaventato, portandosi una mano all’altezza del cuore per constatare che fosse ancora funzionante.
“Tu sei pazza,” ritenne col fiato sommesso e il battito cardiaco ancora alle stelle.
“C’è un ragno!” schiamazzò lei col viso paonazzo.
“E’ solo un ragno,” constatò con semplicità il ragazzo. “Ne avrai avuti intorno una decina quando eri sdraiata.”
Quella rivelazione la portò alla pazzia più totale e le fece cominciare un ballo senza musica atto a scacciare ragni invisibili da sotto i vestiti. Con un'assurdità inquantificabile, Xiaoyu agguantò il primo aggeggio che adocchiò e iniziò a cercare la malefica bestia al fine di abbatterla, senza smettere un attimo di muoversi. L’arnese che afferrò in mano fu niente di meno che una bottiglia di spumante non ancora stappata.
“Non agitarla così!” esclamò gravemente Hwoarang, invano, perché il tappo sfuggì e il liquido schizzò feroce a causa della pressione e per grazia del coreano proprio in direzione sua…
Il ragazzo era stato infradiciato dalla testa ai piedi, aveva i capelli che ricadevano bagnati su tutto il viso lasciando intravedere sulle labbra soltanto una smorfia di stizza.
Riprendendosi dal delirio che l’aveva pervasa, tornata alla sua sanità mentale, la giovane non poté non lasciarsi sfuggire uno sconveniente quanto ragionevole riso a crepapelle.
“Sembri... uno di quei cani... i bobtail…” mormorava tra un singhiozzo e l’altro Xiaoyu.
Calmatasi dagli sghignazzi, si mise sull’attenti alla controffensiva del rosso, ma questi non proferì parola. Con una mano scostò i ciuffi dalla fronte, snebbiando la vista, e guardò la bambina con una luce meno impetuosa del solito. Non le stava indirizzando le consuete occhiate di disprezzo, di derisione o di beffa, anzi, alla cinese parve quasi, nel bagliore soffocato del fuoco ormai spento, che il blouson noir le stesse posando uno sguardo intenerito.
Ma fu fugace come un lampo, e subito era tornato a esaminare il falò.
“Aiutami ad accendere il fuoco, si sta spegnendo,” disse soltanto, già accucciato a raccogliere alcuni scatoloni riciclati da qualche fabbrica. Lei annuì molto in ritardo, osservando di soppiatto il rosso con aria interrogativa mentre gettava la legna nel fuoco.
“Be', che ti prende?” domandò genuinamente Xiaoyu, confusa e allarmata. “Ti ho praticamente bagnato di spumante!”
Hwoarang non disse niente, e la ragazza, non ricevendo risposta, tornò alle sue faccende.
Alcuni comportamenti sono così discordanti col nostro essere che riescono a meravigliare persino noi stessi. Certi avvengono a nostra stessa insaputa, così come era successo al blouson noir, che, distaccato e scontroso qual era, non era riuscito a frenare un sorriso tenero per la sua compagna. Questi impulsi non li aveva quasi mai, prevedeva e calcolava sempre tutto ciò da dire e da fare con arguzia e razionalità, senza lasciarsi mai andare. Ma se non era riuscito a controllarsi era solo perché era rimasto sorpreso nel vedere ridere di gusto la sua compagna. Non era una novità, la piccola Ling era sempre stata una ragazza dall'indole solare, ma la notte, quando andava a coricarsi, Hwoarang sapeva come la tristezza riuscisse a impadronirsi di lei.
Conosceva la verità. Talvolta gli capitava di gironzolare per il clan in cerca di un sorso di liquore per poi cogliere involontariamente la bambina soffocare singhiozzi nel cuscino. Quelle notti, lui restava appoggiato alla parete opposta con aria affranta, nascosto per mancanza di coraggio, vicino per poterla accudire segretamente. Sorseggiava il liquore con l'intenzione di dimenticare, anche se solo apparentemente, la tristezza insieme a lei.
“Bambina, hai praticamente sprecato una bottiglia che io definisco nettare degli Dei...” sentenziò, tutto d'un tratto, Hwoarang alle spalle della compagnia. Xiaoyu si voltò per rispondergli, ma si trattenne nel farlo quando gli rivide il viso coperto dai capelli bagnati, volutamente risistemati a quel modo. “Due o tre gatti randagi potranno bastarmi, per farmi dimenticare l'accaduto...”
La bambina rise, un riso genuino, sentito, tanto forte che il suo stomaco doleva da quanto si contraeva. Sul viso del coreano si ripresentò quella precedente dolcezza sottile e un po' fugace, ma la cinese non se ne avvide, sia perché invasa dalle risa, sia perché i capelli ramati del suo capo celavano quasi tutto il viso.
"A volte fa bene ridere un po', soprattutto se ce la passiamo male," disse il blouson noir. Xiaoyu soffocò le risate e lo fissò con aria interrogativa. “Perciò non piangere più...” soggiunse dopo qualche secondo di silenzio Hwoarang, con una spontaneità che quasi lo spaventò.
Ling spalancò gli occhi meravigliata da quella atipica affermazione piena di gentilezza e apprensione. Accortosi di ciò, il blouson noir imprecò qualcosa tra i denti, si grattò la testa, fece una smorfia e, di nuovo, si sistemò i capelli in avanti, facendo ancora una volta e inevitabilmente ridere la cinese. Rideva a voce così alta che dovette tapparsi la bocca con le mani per attutire le risate, così intensamente che le uscirono le lacrime dagli occhi. Singhiozzava talmente tanto che per la vergogna si coprì tutto il volto. Era così sottile il confine tra gioia e dolore che la bambina, senza rendersene conto, fu invasa da una nostalgia inspiegabile. Le lacrime di gioia si mutarono in un pianto straziante, ma comunque più dolce rispetto a quelli solitari della notte. Il coreano la guardava senza dire una parola, aspettando che fosse lei la prima a parlare.
“E' che a volte mi manca da morire...” confidò Xiaoyu tra i suoi singhiozzi. “Lui era come un padre per me... gli volevo bene come un padre...”
Solo allora lui capì chi dei due era veramente coraggioso.
Rimaneva accasciata sulla terra sporca, noncurante dei vestiti ormai imbrattati di polvere, e il blouson noir la consolava senza dire né fare niente, semplicemente restandole a fianco. L'accudì in silenzio fino al mattino.

Xiaoyu aveva finito di piangere da molto, ormai, e i due continuavano indaffarati la faccenda del falò che sembrava non voler più tornare nella sua forma fiammeggiante. La legna era disposta a strati e da essa usciva solo una sottile scia di fumo.
La cinese si sentiva meglio, addirittura di più di quando rideva con gli altri per soffocare la malinconia. Aveva compreso che seppure zotico, scorbutico e in apparenza menefreghista, al blouson noir poteva confidare la sua totale fiducia. Mentre il legno cominciava un po' ad ardere, la bambina gli raccontò della sua infanzia con Wang, dei momenti più significativi, del dì in cui si erano conosciuti e in cui litigarono per la prima volta, di quel natale trascorso in una casa di legno con il tetto pieno di neve. Fu da allora che la distanza che li divideva cessò di esistere. Accadde concretamente quando i ragazzi della periferia Est, nel destarsi, si appropinquarono intorno al falò e videro il blouson noir e la bambina addormentati l'uno di fianco all'altra, lui con il braccio disteso per terra, lei con la testa poggiata su di esso.
Era da tanto che Xiaoyu non dormiva così beatamente.























----------------------------------------------



Tanto per non ripetermi lo dirò una volta per tutte: quando per aggiornare ci metto un mese e più significa che il mio pc è andato momentaneamente a pezzi! xD
Speriamo che stavolta duri a lungo... incrociamo le dita!
@Tifa: Il quoziente di intelligenza di Paul e di Hwoarang, messo insieme, forse raggiunge quello di un primate! x°D Ancora non si è detto nulla riguardo al vestito, ma tra un po' si vedrà! **
P.S. W Forest Gump! xD
@annasukasuperfans: Grazie grazie grazie grazie e ancora grazieeee *O* Law non ti deluderà! ;D
@Chiaras: Di nuovo grazie grazie grazie grazie e ancora grazieeee ^*^ Alla fin fine... dopo ben 14 capitoli... è riuscito ad affezionarcisi! xD (Ma sotto sotto, lo era già da prima ancora... >D)
@Silver Princess: Graccie... ç*ç Cielo... quante volte l'avrò detto?! xD
@Shuriken: "aww quei due sono perfetti insieme"
Cielo, mi fai sbavare... dillo ancora *çççççç*
@Miss Trent: Ho ben reso il rapporto un po' idiota tra Law e Paul! xD Non so perché ma ho come la sensazione di saper rendere solo rapporti idioti xDDDDD Son felicissima di aver fatto anche ridere: alla fine miro anche all'umorismo >//< Grazie ammora ^*^

Ho contato i grazie che ho scritto in questo spazio e sono dodici :P Ma lo stesso non bastano per loro... e ringrazio anche voi lettori che mi seguite! GRAZIAS!


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Linguaggio ***


Era molto noto e altrettanto poco provato che la scuola superiore di Tokyo fosse stata istituita dalla peggiore entità voltagabbana mai esistita, ipocrita nel riferire a busto eretto le migliori intenzioni, criminale nel fare totalmente l'opposto. Bastava un nome, Mishima Zaibatsu.
Eppure, per quanto orripilante potesse sembrare quella realtà, la scuola superiore Mishima era un liceo uguale ad altri.
Il profumo di giovinezza impregnava l'aria nonostante quella stessa giovinezza fosse stata rinchiusa in una gabbia costruita da mani assassine. Le risate, i rimproveri, i pranzi a sacco in compagnia, le interminabili ore di giapponese, lo sguardo di sottecchi del preside che camminava per i corridoi, l'amico che urlava mentre giocava a pallavolo, l'odore di fiori di ciliegi, il muro scarabocchiato, la studentessa innamorata, l'arcobaleno disegnato sul quaderno di matematica...
L'indomabile profumo di giovinezza.
In una delle mattinate tanto tipiche e quotidiane per qualunque adolescente, una studentessa si era trovata spiazzata nel percepire quel profumo. Era rimasta così lontana da scuola da scordarsi di tutti i sensi che l'accompagnavo. Ma ora quella studentessa aveva altro da pensare, tentava di far funzionare una fotocopiatrice che non aveva voglia di compiere il suo dovere. Il malefico marchingegno non collaborò neppure quando lo implorò con un supplicante per favore. Così, gli diede uno spazientito calcio con l'aggiunta di un indecoroso:
“Ma che merda!”
“Xiaoyu!” la richiamò Miharu, impressionata da quel poco garbato uso di vocaboli. “Non è da te! Dov'è che hai imparato queste parolacce?!” chiese indignata.
Già... dov'è che le aveva imparate? Xiaoyu inclinò il capo con fare pensante, cercandone la causa. Forse quando Rana si divertiva a prendere di mira Mugen? O forse quando John raccontava delle sue donne? O, ancora, perché Hwoarang aveva terminato le scorte di El Paraìso, il suo rum preferito? Di cause ce ne erano fin troppe...
“Ho visto un poliziesco di serie B con Steven Seagal, l'altra sera...” mentì la bambina.
“Quelle robe fanno male...” valutò la giovane con le lentiggini, scuotendo con fare di dissenso la testa. “Ora che la fotocopiatrice non va, come farai a rimetterti in pari coi miei appunti?”
“Credo che dovrò per forza copiarli a mano...” disse amareggiata la cinese, posando un disperato sguardo sulla catasta di fogli sul tavolo. Miharu le mise una mano sulla spalla per confortarla, sospirando insieme a lei.
“Su, torniamo in classe,” le disse.
In quale megera situazione scolastica si era cacciata, quella povera ragazza! Colpa delle troppe assenze che effettuava soventemente negli ultimi tempi. E tutto era accaduto perché stava scappando. Fuggiva dal demone nero con le ali di angelo.
“Sai, mi sei un po' mancata...” le confessò Miharu. L'altra la prese a braccetto, stringendola forte, come ad assicurarsi che da quell'attimo in poi non le sarebbe più scappata.
Era giunto, dopo tanto tempo, il momento del ritorno. Successe un giorno come tanti, durante la sua permanenza nel covo del rosso, quando quella nostalgia non era ancora sentita: due pomeriggi precedenti, al risveglio vicino al falò spento.

Era un urlo bisbigliato, precedentemente, o almeno a metterlo in confronto al quotidiano strepitare dei ragazzi del covo. Presto si trasformò nell'urlo dirompente che aveva echeggiato in tutta la periferia Est, causando aggressivamente il destarsi della ragazza con i codini. Lei, ancora attonita, con la vista annebbiata e una mano sopra la fronte, cercava con l'udito la ragione di tutto. Barcollava sicura in quel labirinto di piccole strade, perché ormai aveva memorizzato il loro andamento, la posizione dei materassi e dei liquori ammassati come torri.
“Non era questo tipo di indumento che serviva a Law!” esclamò Hwoarang, la causa di tutto quel putiferio.
“Ma capo, è stato il primo negozio che abbiamo visto... e poi a me piacciono!” considerò Mugen.
“Quale negozio?” chiese il rosso. La risposta gliela diede secca Rana:
“Un sexy shop.”
Hwoarang gli lanciò uno sguardo spettrale.
“Non è stata una mia idea!” si giustificò subito il mezzo animale.
“E' stata mia!” volle farsi sentire Mugen gonfiando il petto orgoglioso. I due che lo avevano accompagnato assentirono con la testa.
“A te manca il sangue al cervello, e io so anche perché,” lo riprese seccato il coreano. Il perché effettivo ce lo esplicò Mugen con un'espressione che lasciava trapelare tutti i suoi pensieri sconci e proibiti.
“Che sta succedendo?” domandò ancora assonnata la bambina da dietro la schiena del rosso. Il tatuato le si avvicinò repentino, mostrando ciò che aveva minuziosamente conficcato nella grande sacca di plastica.
“Guarda qua!” esclamò, tirando fuori un completino in lattex rosso che descriverlo come indumento che copriva ancora meno della foglia di Eva non era affatto un modo di dire. “Il vestito per la festa della Mishima!”
La poveretta gli rivolse lo stesso sguardo di Hwoarang di appena qualche minuto prima, sbigottito, incerto e non poco preoccupato. L'ossessione per il gentil sesso portava sempre il tatuato a irrazionalizzare ogni cosa. Era un tipo furbo - dannatamente furbo -, sveglio ed altrettanto intelligente. Aveva fregato, a suo tempo, delinquenti di fama e sicari pericolosi, eppure quando si trattava di una donna...
“Scusami, Xiaoyu...” si discolpò Mugen. “E' che quando c'entra una femmina, vado in giubilo.”
Lei sorrise intenerita, cominciando poi a ridere sulle svariate stramberie che vedeva uscire dal grosso sacco di plastica. Erano uomini odiati dal sistema, furfanti, delinquenti, tuttavia era assolutamente convinta che loro non avrebbero mai tentato di oltraggiarla in nessuna opportunità, neppure sfiorata in punto di morte. Era talmente rassicurante quella condizione che non si sentiva così protetta neanche quando il vecchio Wang, durante la sua infanzia, l'accompagnava nel sonno con una storia dopo che lei gli aveva detto di aver visto un mostro dentro l'armadio.
“Giubilo?!” chiese sbalordito il blouson noir, riportando la mente lontana della cinese al presente. “Questa dove ti è uscita?”
“L'ho letta nel cartellone pubblicitario della via principale...” rispose il tatuato.
“Quella sull'intimo femminile?” azzardò divertito John.
“Ha un culo magnifico, quella modella!” considerò eccitato Mugen, riproponendo la precedente espressione di pensieri proibiti.
Per l'appunto, il tatuato non poteva non notare quell'affissione, fissato com'era con le dolci sinuosità delle donne. Un giorno venturo, una di queste gli sarebbe stata fatale, lo avrebbe probabilmente continuato a fregare prendendosi gioco di lui, ma Mugen avrebbe comunque condotto una vita felice a fianco della sua dea, solo per il fatto di amarla come tutte le altre, indistintamente, passionatamente.
Xiaoyu, pensando a ciò, sorrise di tenerezza. Nel bene e nel male si rimane accanto al proprio amore. Era questa la certezza che asseriva con tanta incrollabilità, tempo addietro, prima di quella tragica notte.

“Xiaoyu! Xiaoyu!”
Miharu scosse l'amica cinese sedutale a fianco con l'intento di riscuoterla dai propri pensieri. “Xiaoyu, il professore ti sta chiamando!” l'avvertì sommessamente. Caduta dalle nuvole, la bambina fece tornare l'attenzione sul libro di chimica, spiando di soppiatto quello della compagna per trovare la pagina giusta.
“In quale paragrafo siamo?” domandò sottovoce. Ma a risponderle non fu Miharu.
“Nel terzo, signorina Ling,” la informò secco il professore, denotando nel tono di voce una cadenza innervosita. La bambina abbassò vergognosa gli occhi, e il professore approfittò del suo silenzio per cominciare il suo rimprovero.
“Il suo rendimento scolastico è calato di molto, sta raggiungendo il livello più basso dell'istituto.” Poi una pausa, prima di continuare. “Se insisterà con questo andazzo, ci sono esigue probabilità che riuscirà a passare quest'anno...”
Fu un micidiale colpo dritto al cuore. Ma certamente la ragazza non avrebbe pianto per così poco, non pianse neppure per disgrazie peggiori. Volse lo sguardo al professore, risoluta e immobile, mostrando tutta la sua forza interiore. Era così splendida in quella sua silenziosa fermezza che persino l'insegnante ne fu intimidito; Wang ne sarebbe stato sicuramente fiero.
“Non succederà più, professore...”

“Guardate cos'ho trovato qui!” irruppe John, richiamando l'attenzione di tutti e sfilando dal sacco di plastica una parrucca platinata.
“Che schifo...” fu il sincero commento del coreano. “E' la finta di una finta parrucca,” soggiunse, tastando i capelli sintetici che sembravano plastica gialla.
“L'avevamo prelevata per darla a Xiaoyu, visto che a Lee piacciono le bionde,” gli spiegò John.
“Questo colore non è un biondo, è un giallo di carcassa di canarino morto da mesi e in decomposizione,” continuò imperterrito il rosso. E tutti, al sol pensiero, mandarono un verso di disgusto.
“Come riesci a trovare sempre paragoni così stomachevoli?” domandò Rana, con accanto la bambina che pareva avesse intenzione da un momento all'altro di rigurgitare.
“A me, però, la parrucca piace...” considerò il gigante, indossandola e rivolgendo a ognuno uno sguardo languido. “Non sono un amore?”
“Staresti bene con i trans della via accanto a quella di Madeleine,” scherzò Mugen, facendo partire le risate di tutti meno quelle di Hwoarang. La prima che se ne accorse fu Xiaoyu.
"Che c'è?" chiese al suo capo, percependo il suo sguardo serio su di sé. Lui neppure si era reso conto di starla fissando, e come gli era diventato semplice farlo dopo la notte appena trascorsa con lei, la notte di tutte le confidenze della bambina. Era così preso a guardarla che la battuta di Mugen gli era a malapena passata per le orecchie.
“Stavo...” biascicò lui, un po' incerto. “Stavo pensando che in fondo quei vestiti del sexy shop potresti benissimo indossarli,” dichiarò annuendo con determinazione.
Xiaoyu, colta alla sprovvista, non poté non sgranare gli occhi dalla sorpresa. “Che... che vuoi dire?!” domandò imbarazzata.
“Be', visto che non coprono nulla e tu non hai nulla da nascondere perché sei ancora una bambina, non vedo dove sia il problema,” le riferì con voce solenne, e pensò bene di iniziare subito a scappare per guadagnare un po' di tempo, prima che Xiaoyu si accorgesse che la stava semplicemente sfottendo. Quindici secondi in più di tempo, poi la cinese capì.
“Brutto idiota!” cominciò a strillare, correndogli dietro con il solito bastone di legno che lasciava nelle vicinanze per evenienze di quel tipo.
“Non è cambiato assolutamente nulla tra loro...” notò con tristezza John, che fu il primo di tutti a scorgerli nel loro sonno vicino, il braccio di lui che quasi la cingeva sotto il collo, e lei, con quell'aria beata che non le aveva mai visto prima.

La mano di Miharu sulla spalla la destò dai pensieri.
“Dai, Xiaoyu... non pensare ancora a quella faccenda del professore...” la incoraggiò sorridendo raggiante. Com'erano dolci quei suoi sorrisi, intarsiati splendidamente di gote rosse e lentiggini; a Miharu non piacevano, ma la cinese le riteneva parte assoluta della sua bellezza.
“Non stavo pensando al professore...” le rivelò Xiaoyu, giacché, in realtà, stava rammentando il giorno di due pomeriggi prima, in compagnia degli scagnozzi del blouson noir. Ma a questo preferì glissare: “E' tutto a posto, Miharu!”
“Meglio così! Ma ricorda, se è una bugia... la vendetta del Fissy Sprizzy sarà tremenda!” esclamò diabolicamente la lentigginosa, muovendo freneticamente le dita delle mani a qualche centimetro di distanza dalla pancia dell'amica.
“Il Fissy Sprizzy nooo!” urlava disperata e al contempo divertita la bambina, e dovette pararsi l'addome da un terribile solletico. Apparteneva solo a loro quel linguaggio di parole segrete, e queste consolidavano la già grande amicizia che intercorreva tra le due. Quando Miharu finì di muovere le dita, permettendo a Xiaoyu di smettere con grande artificiosità di ridere, ricominciò a guardarla con serietà.
“Stavi di nuovo pensando a Jin, vero?” proruppe preoccupata. Non aveva indovinato, ma la cinese, a causa della sua affermazione, prese a rammentarsi mestamente del ragazzo dai capelli corvini e del suo alter ego dannato.
La campana dell'intervallo echeggiò in tutte le sale della scuola, ma non distolse Xiaoyu da quei pensieri.

Avevano corso così lontano che la periferia Est era stata superata da molto. Avrebbero avuto ancora la forza di rincorrersi, se non fosse stato per la cinese che inciampò cadendo goffamente a pancia in giù. Durante l'impatto, la piuma che ancora teneva dentro la tasca della gonna cadde, e fu inevitabile che il suo sguardo si scontrasse con essa. Se tutto ciò non fosse accaduto, il blouson noir le avrebbe certamente riso in faccia per il capitombolo, ma si trattenne e si avvicinò a lei.
“Alzati, stupida,” le disse, e con una mano attorno al suo braccio e un gesto secco l'alzò da terra.
Xiaoyu continuava a guardare in basso, in direzione della piuma. La raccolse e si accorse tastandola che non era invecchiata né sciupata rispetto all'ultima volta che aveva osato toccarla. Era rimasta la stessa piuma corvina della sera in cui l'aveva trovata.
Il blouson noir prese il bastone che aveva portato la bambina durante la corsa e lo lanciò con foga sopra il tetto di un palazzo disabitato. “E ora sei disarmata!” urlò con impeto, ridendo beffardo. Xiaoyu riuscì a malapena a spostare l'attenzione dalla piuma a lui.
“Sai, blouson noir... credo che dovrei tornare a scuola...” esordì, e fece seguire una pausa di silenzio. “Perché non va bene continuare a scappare... giusto?” domandò, aspettando una risposta certamente affermativa. Che però non arrivò:
“Detto francamente, non me ne frega proprio nulla di ciò che fai.”
Quell'affronto così quotidiano, così tipico, per la prima volta aveva spiazzato la sua vittima.
“Ma...” tentava di dire la ragazza, boccheggiando. “Ma ieri...”
Il blouson noir le fece terminare la frase a metà con un gesto secco della mano.
“Ti stai allargando un po' troppo, non sono mica il tuo psicologo o il tuo amichetto di banco,” le disse austero. Lei non ebbe l'impulso di fare niente, né di prenderlo a pugni, né di riprenderlo a parole. Si girò soltanto, e, senza fiatare, ricominciò a correre nella direzione opposta, tornando alla casa senza tetto della periferia Est.
Non si parlarono per due giorni interi.
Peraltro, il giorno in cui Xiaoyu era tornata a scuola, Jin si era assentato.
Ma ciò che non riusciva realmente a comprendere era quel sentimento mesto - e non iroso - che aveva provato. E ancora peggio, il fatto che da quando era tornata a scuola, a renderla triste non era stato né il suo orribile andazzo, né l'infuriata del professore, né Jin; tutto aveva come causa il blouson noir.
Il suo pensiero, inevitabilmente, orbitava sempre attorno a lui.

“Pianeta Terra chiama Xiaoyu, pianeta Terra chiama Xiaoyu!” scherzò Miharu cercando di accaparrarsi un po' di attenzioni dalla cinese. Questa cadde nuovamente dalle nuvole.
“Entri a scuola e ti vedo pensierosa, usciamo da scuola e ti continuo a vedere pensierosa... che ti prende, insomma?!” si infuriò la lentigginosa, tirandole l'orecchio.
“Niente Fissy Sprizzy però!” implorò la bambina.
“Niente Fissy Sprizzy... per ora!” acconsentì divertita la compagna.
“Il fatto è che... sono un po' triste per varie cose...” confessò. “Sai, i soliti problemi che hanno tutti,” spiegò, senza realmente spiegare nulla.
“Questa scena mi ricorda qualcosa...” ragionò la giovane con le lentiggini, cercando di capire a quale cosa si stesse riferendo. “Ah, un deja vu!” urlò presa dal panico, indicando con il dito il motivo.
Era lì, come una volta, sulla strada opposta alla cancellata della scuola. La sua moto sembrava l'avesse lasciata così da quel giorno, esattamente parcheggiata come la seconda volta che si era presentato in quella scuola. Il blouson noir era poggiato con il fondoschiena sul veicolo a due ruote, in piedi sul ciglio della strada; aveva una sigaretta in mano e tante spente vicino, segno di un'attesa abbastanza lunga.
“Guardate che bellissimo ragazzo!” bisbigliò una studentessa alle sue amiche. Seppure appena sussurrata, Xiaoyu udì bene quell'affermazione, e non solo, sentì anche la massima approvazione delle sue compagne dettata da sguardi languidi e parole altrettanto audaci. Le sembrava impossibile che il soggetto a cui si stessero riferendo fosse proprio il blouson noir, fino a quando una di loro non domandò:
“Ma non era il tipo che aveva sfidato Kazama?”
E allora ne fu sicura.
Il gruppetto di studentesse sorpassò il cancello per appropinquarsi al ragazzo e constatare la cosa. Lui, che da molto si era accorto delle loro attenzioni, quando le vide abbastanza vicine - solo allora - sfoderò uno dei sorrisi più seducenti che avesse mai sfoggiato e che Xiaoyu avesse mai visto. Un fatto così nuovo agli occhi della cinese che quasi non credeva si trattasse di lui. La combriccola di ragazze avvampò una alla volta, quasi come contagiate da quella vicina, ed una ad una cominciarono ad allungare il passo verso casa propria.
“Ma è davvero lui?” chiese Miharu, che al contrario dell'amica che aveva seguito tutta la scena era rimasta ad osservare solo il blouson noir.
“Starà sicuramente cercando Jin, che oggi neppure c'è,” constatò veloce la bambina. “Be', ora devo scappare...” disse, avviando già il passo e salutandola con la mano.
“Ma lui non è il tizio odioso con cui avevi litigato qui a scuola? E non gli dici niente?!” chiese esterrefatta la lentigginosa. L'altra sorrise sorniona.
“E chi si ricorda più!” mentì. Miharu fece spallucce all'ennesima stranezza dell'amica, e cominciò anche lei il suo ritorno verso casa.
“Mi raccomando, domani vieni a scuola!” le urlò da lontano, quando oramai aveva già quasi svoltato l'angolo. “Altrimenti ti farò Fissy Sprizzy tutto il giorno!”
Poi, svanì dietro il muro.
Aspettando che ciò succedesse, la bambina si mosse con passo felpato verso il rosso, bloccandoglisi davanti, ma lui non mostrò alcuna reazione.
“Blouson noir?” lo chiamò Xiaoyu.
“Ah! Ha parlato!” si spaventò Hwoarang coprendosi teatralmente il viso con le mani.
“Eh?”
“E' due giorni che non mi parli,” spiegò lui. “Mi hai veramente colto alla sprovvista.”
Il solito buffone di sempre, pensò la bambina. Ma prima che riuscisse anche a dire una sola parola, a chiedere spiegazione o, semplicemente, ad andarsene, Hwoarang aprì bocca.
“Visto che Jin non c'è, già che ci sono ti accompagno con la moto,” le riferì, mettendosi subito a sedere sul veicolo. Lei non ci stette neppure tanto a pensare che subito gli rispose con un velocissimo:
“No!” e avviò la sua camminata senza mezzi di trasporto.
“Avanti... neanche con un bel giovane come me che tutte le ragazze di questa terra vorrebbero?” la provocò arridendo come una volpe. I discorsi poco casti delle studentesse di prima li aveva ascoltati ben bene anche lui, a quanto pareva. Stava un po' troppo esagerando in quella sua affermazione, ma dicendogli ciò Xiaoyu avrebbe ammesso che una parte di frase era veritiera.
“A me non piaci,” dichiarò risolutamente la cinese, così da non dargli neanche questa soddisfazione.
“Ma tu non sei una ragazza, sei una bambina,” la sfotté lui al solito modo che conosceva bene.
“E tu non sei un ragazzo, sei un deficiente!” controbatté Xiaoyu.
“Non verresti neppure se facessi l'imitazione del bobtail?” chiese speranzoso il blouson noir. La ragazza si lasciò fuggire un sorriso al pensiero, ma la risposta che diede fu sempre aspra e negativa. Così, il coreano scese dalla moto, le si avvicinò silenzioso come un ninja dietro la schiena e le si presentò davanti e di soppiatto acconciando i capelli nella sua ormai famosa posa da bobtail.
“Guarda, oggi ho anche il collare,” scherzò indicandosi la collana con le borchie. Lei non poté trattenersi, non riuscì a farlo. Era strano come riuscisse a farle variare l'umore così velocemente. Per colpa sua era arrabbiata fino a qualche minuto prima e ora colui che era stato la causa del suo nervosismo la stava facendo ridere di cuore.
“Quel giorno che mi hai parlato di Kazama non sapevo come risponderti, per questo ti ho preso un po' per il culo. Come faccio sempre, dopotutto...” ammise Hwoarang, sommessamente. “Non credevo che ti incavolassi. Cioè, lo credevo e speravo, ed è per questo ti sfotto, perché è divertente vederti quando perdi le staffe... ma non fino a non parlarmi più. E oltretutto...”
Smise un attimo di parlare per scostarsi i capelli dal viso.
“In realtà un po' mi fregava che eri triste per Kazama...” e il suo tono di voce si abbassò divenendo appena un sussurro. Così, anche la bambina represse il suo orgoglio:
“Spero che tu abbia portato almeno il casco.”
“Bambina, mi hai mai visto col casco?” chiese con ovvietà lui.
“Almeno vai un po' più sotto i cento...” lo implorò la cinese con sguardo timoroso.
“Mi dispiace, questa moto va solo o a zero o a cento,” continuò imperturbabile il ragazzo arridendo con un angolo della bocca. Durante la discussione che stavano avendo, la bambina - la vinta tra i due come spesso accadeva - decise di acconsentire alle sue richieste. Montarono sulla moto e partirono all'identico modo di sempre: lei che si reggeva forte sul retro della maglia di lui, lui che appena ne sentiva il tocco rombava con il motore e scostava il cavalletto, partiva e accelerava. La moto correva, ruggiva. Una tigre su una strada d'asfalto. I capelli di lui danzavano al vento e le solleticavano il viso, dandole un brivido in più oltre quello della corsa forsennata. Era sempre un'emozione nuova quella libertà fuorilegge che si concedevano.
Fu in quel rumore tonante e in quel loro silenzio sordo che lei capì. Il problema era solo quello, ambedue esercitavano un linguaggio incompatibile. Era un po' come accadeva con la sua amica Miharu, si trattava un linguaggio che entrambi usavano unicamente per l'altro, ma che tra il blouson noir e la bambina non era stato ancora codificato da entrambe le parti.
Eppure, le parve di iniziare un po' ad afferrare quel linguaggio incomprensibile. Capì che i due pomeriggi prima in cui aveva inciampato, seppure prendendola in giro, seppure con quel brusco movimento di braccia, lui l'aveva aiutata ad alzarsi. Capì che, in seguito, aveva tentato di farla sorridere buttandole l'arma di legno sul tetto del palazzo disabitato. Anche adesso, mentre tornavano verso il loro covo, manteneva una velocità più moderata del solito sebbene le avesse detto il contrario.
Xiaoyu appoggiò teneramente la testa sulla sua schiena, come a volerlo ringraziare. E quel gesto fu un linguaggio da lui compreso.























----------------------------------------------



Questo capitolo ne vale due: è veramente il più lungo di tutta la storia! xD
@Silver Princess: le cose svolteranno... lentamente, molto molto molto lentamente ma svolteranno! xD Grazie per il commento, sia della fict che del disegno! ^*^
@annasukasuperfans: xDDDDD effettivamente poteva anche risparmiarsela xD Grazie del commento e soprattutto, anche se in ritardo, ti auguro anch'io una buona pasqua! (Meglio tardi che mai! xD) E visto che ci sono, anche buona pasquetta! ^*^
@Tifalockhart:
Hwoarang: "Jin?! Be'... se proprio ti vuoi accontentare... ma proprio proprio accontentare... ma proprio del minimo del minimo... fa' come vuoi!"
Jin: "Mi stai provocando?"
Hwoarang: "Oh, come sei perspicace, Kazama!^^"
E al solito i due finirono per pestarsi. xD
Grazie anche a te, mon petite, per tutto il commento al completo! ^*^
@Shuriken: QUANTO-SEI-CARINA!!! *______________________* il tuo commento supereuforico mi ha fatto un piacere che neppure immagini! *o*
"Ma da uno a dieci quanto l'adoro sta coppia??..Venti!!Oddio mi faccio le domande da sola e mi rispondo pure.." Ma no, no! Va' pure avanti che intanto Valy continua a sbavare! *ç*
"(è stato un periodo drammatico)" Ora ti strapazzo sul serio!! >.< Grazie tantissime anche a te ^*^ P.S. il tuo commento delirante entrerà classificato nella mia top ten! xD
@stefychan: che altro dire: superiperfelice che ti piaccia!! *_____________________* e tantissimissime grazie per il commento! ^*^
@Miss Trent: ogni volta che passa il tempo so di per certo che manca sempre meno alla pubblicazione della tua fanfiction!! >.< Fa che davvero la storia arrivi a breve, perché io non vedo veramente l'ora, ammora! ç___ç
@Chiaras: sì, l'ho fatto io! ^^ E anche qui sarebbe proprio da dirlo: meglio tardi che mai! xD gentilissima come sempre, tesor ^*^
Ringrazio il resto della combriccola che comunque sia, anche senza farsi sentire, continua a leggere questa storia ^^ E se il pc non si scassa... a presto con il nuovo capitolo!! \^O^/


Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Tango ***


Il silenzio fu infine interrotto dalla voce di Xiaoyu.
“E' stata anche colpa mia...”
Era una delle tante affermazioni che avrebbero suscitato al blouson noir motivo di provocazioni e prese in giro, ma che in quel momento lo fecero rimanere solamente zitto. Le lanciò sguardi scrutatori, cogliendole lo stesso proprio stato d'animo di ignominia. Entrambi mostravano un silenzio colmo di reciproca compassione.
“Rana ha ragione...” soggiunse lei, sospirando mestamente. Rivolse la testa all'allacciamento delle braccia poggiate sulle ginocchia, nascondendola tra esse. Hwoarang, accomodato cinque casse di liquore più in là, vedeva sotto il ferro sporgente della grata e la coperta sbiadita deposta su una corda - seduta sul materasso che preferiva - la sua bambina. Il ragazzo era sciattamente sbracato sulla terra polverosa della periferia, con la schiena sorretta da una cassa di liquori e il capo reclinato all'indietro; mentre l'osservava affranta nella sua vergogna, il giovane cominciò a pensare. Strana, come parola riferita a lui... era forse stato a causa dei libri di economia che gli aveva prestato Xiaoyu che aveva iniziato a pensare troppo? Cominciò a rammentare la stessa giornata in cui si trovavano adesso, ma qualche ora prima.

La mattina del covo dell'Est era arrivata e i furfanti che l'abitavano si erano destati collettivamente, come accadeva sempre uno alla volta svegliati dalle grida del vicino, preparandosi a compiere il loro dovere anticonformista e a prelevare ognuno a modo suo i propri beni. Tre di quei truffatori avevano un compito ben diverso da quello che solevano fare quotidianamente, e oltretutto un compito oltremodo poco virile: il trio, sott'ordine del capo, doveva appropriarsi di abiti da sera da donna per conto della loro compagna che avrebbe dovuto intrufolarsi nella festa della Mishima Zaibatsu sotto nome fittizio. Stavano partendo per la deprecabile missione, quando la giovane fermò uno dei tre.
“John!” esclamò, facendolo girare. Xiaoyu porse verso la comitiva un piatto di tre taiyaki*. “Per voi, prima che partiate!” riferì allegramente. Il trio lasciò trapelare in viso un'espressione di assoluto gaudio. Com'era conviviale, per loro, la vita insieme a lei, che addolciva anche le più dure faccende con piccole cortesie. A volte, bastava come conforto anche un solo sorriso. Era come la donna di casa di tutti, il sostegno consolatorio che avevano ritornando da una giornata malefica sotto gli sguardi indiscreti di occhi moralisti, gente che nel compiere il dovere sociale dava alla società il più devoto appoggio contro malfattori di tale genere. Ma la bambina li rincuorava con il piccolo gesto di un semplice pasto cucinato da lei. Era un po' come una piccola madre.
“Saranno sicuramente buonissimi!” sostenne il tatuato, che finalmente lasciò parlare le corde vocali al posto degli occhi e si permise di agguantare un taiyaki.
“Forse con un po' di fosforo in testa, Mugen riuscirà a sceglierlo meglio il vestito, questa volta,” riferì aspramente Rana, riservandogli un arriso canzonatorio visibile sull'angolo destro e increspato della bocca.
“Sei uno stronzo e pure un idiota! Questo non è pesce vero, è solo una frittella a forma di pesce!” contrariò l'offeso.
“E' incredibile come tu mi faccia meravigliare con questi colpi di genio, Mugen,” s'intromise al solito modo sfacciato che aveva il capo di tutti. Protese la mano golosa verso uno dei taiyaki, ma la bambina gliela schiaffeggiò bruscamente.
“Non è per te!” esclamò, allontanando il piatto.
“Razza di... insolente!” le disse l'insolente stesso. “Forse non hai ancora capito chi è qui il boss!”
“Chi?” ironizzò la cinese, fingendo di cadere dalle nuvole.
Il tatuato s'intromise con l'intenzione di placare l'ira dei due, che altrimenti avrebbero finito con l'offendersi senza tregua per tutta la giornata.
“Capo, devo per forza buttarli via quei vestiti meravigliosi del sexy shop?”
E stranamente riuscì nel suo intento, svegliando l'attenzione di Hwoarang.
“Bruciali, guardali, indossali, fanne ciò che vuoi,” rispose seccamente.
“Xiaoyu, sicura che non li vorrai mai mettere? Se vuoi te li conservo...” insistette speranzoso Mugen, mostrando un'espressione d'imploro che definiva con convinzione l'arma che avrebbe avuto in pugno tutte le donne.
“Smettila di usare quell'espressione che allontanerebbe soltanto le donne,” lo richiamò scontrosamente il rosso dichiarando tutt'altro. “Per prima cosa non può indossare quegli affari perché non ha il corpo adatto...”
E la sua voce venne stroncata prima che potesse finire di parlare da Xiaoyu, che lo soffocò cingendogli le mani attorno al collo.
“Cerca di capire, Mugen, il problema non è che i vestiti siano brutti o che...” parlò al posto del rosso il gigante, cercando di far intendere al tatuato, con semplicità e sintetizzazione, la causa di quell'intoppo.
“Qual è il problema, allora?” chiese ancora e ancora più confuso il dongiovanni.
“Che quei vestiti coprono dove non devono coprire e non coprono dove devono coprire,” sintetizzò ancora meglio Rana. Mugen rimase cheto per qualche attimo.
“E appunto!” dichiarò smanioso, visto che era proprio quello il traguardo a cui mirava. I due sospirarono rassegnati, uno mantenendosi la testa, l'altro grattandosi il capo; il blouson noir e la bambina non li seguirono, perché ancora immersi nella loro silenziosa disputa: lei con le mani ancora attorno al collo di lui e questi che da un momento all'altro sarebbe andato all'altro mondo.
“Be', noi andiamo...” riprese parola Rana, mandando giù in pochi bocconi il taiyaki della bambina. “Buono!” le disse, e la cinese arrossì contenta.
“Sono felice che ti piaccia,” gli rispose imbarazzata lasciando il collo di Hwoarang, che poté sopravvivere all'ennesimo tentato omicidio di Xiaoyu.
“E mi raccomando, impegnatevi come si deve per il ballo!” soggiunse il mezzo animale.
“Il ballo?” domandò interdetta la cinese. Poiché i tre avevano ormai attraversato la strada principale, la risposta gliela diede l'unico rimasto.
“A momenti dovrà arrivare un tizio che ci aiuterà con la cosa,” le spiegò il rosso dicendole comunque poco e nulla, sfiorandosi dolorante la nuova escoriazione intorno al collo con l'indice e il medio, forse persino più grave di quella che gli aveva procurato il demone Jin.
In quella mattinata che non era una mattina, quando ogni membro del clan aveva lasciato la periferia Est per giungere nei loro uffici senza tetto con clienti che non avrebbero per nulla al mondo voluto essere loro clienti, appena poco dopo che il trio era partito per negozi di marche e stilisti, si udì un boato roco e pesante simile a quello della moto del rosso, ma meno spaventoso visto che la bambina, ogni qualvolta che sentiva il rumore del mezzo a due ruote del blouson noir, rammentava le corse sfrenate a cui aveva forzatamente partecipato e inevitabilmente un brivido le percorreva tutta la schiena, fino a drizzarle i capelli.
Ma il mezzo che era arrivato, in confronto alla moto, era una lumaca paragonata a un leopardo. Più simile a una catapecchia che al camioncino che era, sopraggiunse lento e rumoroso davanti alle casse di liquori dove si trovavano i due protagonisti.
Ma chissà come, Xiaoyu sentì comunque un brivido invaderle la spina dorsale.
Dal mezzo scabroso - una volta di colore arancione, ora divenuto grigio a causa della polvere che ne aveva incanutito la tonalità - uscì dalla portiera una persona con la chioma dello stesso pigmento del camioncino.
"Leonard!" urlò felicemente Hwoarang, divaricando le braccia in un abbraccio fraterno. Anche se mai visto, Xiaoyu lo ricondusse agli uomini della periferia Est per una prima impressione oltre il bizzarro vestiario: questi, quando parlava al rosso, urlava come se si trovasse in mezzo a una folla schiamazzante, quando invece aveva davanti a sé soltanto un uomo. Lo vedeva ridere alle battute del coreano, e se fosse rimasto cheto sarebbe stato arduo capire se si stava divertendo o meno visto la folta barba che ne copriva tutta l'espressività.
“Vedi, bambina, lui è il mio uomo favorito, perché quando arriva con il suo ferrovecchio ha sempre una nuova sorpresa per noi,” le disse il rosso interrompendo la discussione con Leonard. Questo si tolse gli occhialini tondi da sole per poter cogliere bene la figura di Xiaoyu.
“Ma io ti conosco! Tu sei la ragazzina dell'ultima missione!” annunciò Leonard con il solito tono dirompente.
Lei diede l'aria di non capire, così l'aiutò Hwoarang.
“Questo è il mezzo con cui ti abbiamo catturato fuori da scuola,” le informò veloce, traendo una sigaretta al medesimo modo che aveva adottato il giorno del sequestro, nella penombra totale del piano di carico e sotto la luce fioca della fiamma. E allora lei ricordò.
Ecco spiegato il motivo del brivido precedente.
“Di', Hwoarang, è ancora sotto sequestro?” domandò il barbuto, ridacchiandosela sotto i baffi.
“Peggio, è diventata un membro del clan.”
“Perché peggio?! Sono io a doverlo dire!” s'infuriò la cinese, scovando sotto i piedi un'ulteriore arma di minaccia che sostituiva la precedente mazza di legno ormai inutilizzabile: un piede di porco adocchiato vicino alla grata dell'abbraccio. L'uomo barbuto sghignazzò alla temerarietà di quella giovane femmina.
“Un nuovo membro del clan! E finalmente donna! Eh, boss?”
“Donna? Dove?” chiese contento Hwoarang, mettendosi una mano perpendicolare alla fronte e sopra gli occhi per cercare qualcosa con lo sguardo oltre le spalle di Leonard. La bambina ebbe l'intenzione di non indugiare oltre ed assettargli un bel colpo in fronte, ma quando si allungò per raccogliere il piede di porco una voce di un ulteriore nuovo arrivato catturò l'attenzione di tutti.
“Qualcuno mi aiuti!” urlò qualcuno con agonia da dentro il camioncino. Hwoarang ghignò.
“Blouson noir!” strillò arrabbiata l'ex catturata vicina più che mai al pover'uomo imprigionato, intuendo la ragione di quella richiesta disperata d'aiuto. "Continui ancora a rapire la gente con quell'assurdo camion?!”
“Quest'assurdo camion, come lo chiami tu,” l'avvertì severamente Hwoarang con il dito indice, “è il nostro mezzo di consegne a domicilio e l'unica possibilità che abbiamo per andare avanti con la nostra missione. Consegne a domicilio di sola gente, s'intende.”
“Queste non sono consegne a domicilio, ma rapimenti, e poi tu non hai un domicilio, blouson noir! Sei un farabutto!” protestò Xiaoyu. Ma a quell'offesa il rosso ci trasse unicamente un sorriso di compiacimento. Si avvicinò al retro del mezzo a quattro ruote e, dopo essersi coperto il volto con una bandana, aprì le due ante.
Il malcapitato non ne era uno soltanto, perché assieme a lui c'era anche una donna. Questa, al contrario dell'altro, era imbavagliata.
“Salve, signori,” salutò tetramente il coreano. “So che siete stati chiamati dalla Mishima per esibirvi alla festa come ballerini. Vi ho portati qui per rivolgervi una richiesta, che è solo questa, semplicemente: di non andarci.”
Il maschio fu quello dei due che rispose, un po' perché aveva le corde vocali libere, un po' perché da uomo qual era riteneva necessario il compito di dialogare a difesa della propria dama.
“Noi non possiamo... se... se non ci andiamo, Heihachi ci licenzierà,” farfugliò, e tutta la sicurezza che aveva nelle intenzioni cavalleresche svanì subito a causa dello sguardo gelido del capo del covo dell'Est.
“Non succederà,” assicurò imperterrito quest'ultimo, senza però spiegarne i motivi. L'uomo scosse nuovamente la testa negativamente.
“Ve lo sto chiedendo con un per favore...” e alle due ultime parole, Hwoarang trasse dal taschino del giubbotto un coltello. Era stato un per favore abbastanza implorato, a quanto pareva, perché i due - donna compresa – scossero la testa con il massimo consenso.
“Gentilissimi,” convenne felicemente il coreano, sorridendo con gli occhi. “Fate finta che uno dei due si sia rotto la gamba e non succederà niente,” e a quelle ultime parole, dopo aver fatto forzatamente respirare loro una boccettina di cloroformio, chiuse con foga le due ante. Si voltò verso Leonard sciogliendo il nodo della bandana che aveva addosso per svelare il proprio viso, il quale brillava della solita furbizia, stavolta più accesa.
“Il metodo coltello riesce sempre... chissà perché,” e toccò con l'indice la punta di quell'attrezzo di minaccia, ricurvandolo, facendo così scoprire l'inganno di una gomma al posto di una lama d'acciaio.
Xiaoyu sbuffò sconsolata. I suoi erano metodi estremi e grotteschi, ma chissà come riuscivano sempre a buon fine. Dovette restare come silenziosa spettatrice al suo gioco malvivente.
“Ma perché tutto questo? A che serve un ballo?” chiese soltanto. Il blouson noir s'infilò il coltello in tasca e rispose:
“E' l'unico modo che abbiamo per metterci in mostra. Alla festa ci saranno un sacco di ricconi che accerchieranno come lupi affamati i tre capi della Zaibatsu. Stare in mezzo a loro potrebbe non servirà a nulla, tanto vale provare con un ballo. Conosciamo le arti marziali, non ci vorrà niente ad imparare tre stupidi passettini di danza.”
Leonard le porse proprio in quel momento i fogli da cui avrebbero imparato i passi, e la cinese lesse dunque il titolo.
“Libertango?!” domandò esterrefatta.
“E' un tango,” le informò lui.
“Questo lo so!” esclamò la bambina. “Voglio dire... è un genere di danza difficile! E poi...”
Lanciò uno sguardo di diffidenza in direzione di Hwoarang.
“E poi cosa?” chiese quest'ultimo.
“E poi dovrò ballarlo con te...”
“Se può consolarti, sono felice quanto te,” ironizzò il rosso.
“Dovresti, visto che sei un uomo...” rispose il guidatore del ferrovecchio con la più ovvia, assoluta normalità.
“Leonard, hai una visione della felicità e della mascolinità un po' discutibile.”
“Ascolta un po', Pel di Carota,” lo richiamò secca Xiaoyu, “smettila di tergiversare, concentriamoci con il Libercoso e lasciamo le litigate a dopo!”
Il rosso, con la solita espressione sorniona che lei sapeva bene usare per quei momenti di battibecco, fece un fischio di meraviglia.
“Che novità, bambina, la tua virilità da capo branco si è fatta sentire in modo del tutto inaspettato. Per un attimo mi sei sembrata quasi un uomo, e per un altro attimo ne ho anche avuto la certezza, data la tua mancanza delle forme essenziali che hanno tutte le donne...” la canzonò il coreano.
“Strano... neanche tu hai le forme essenziali di una donna, ma lo stesso non mi sembri un uomo!” gli rispose di rimando.
“Touché!” prese parola, sempre a sproposito, il proprietario del camioncino. Hwoarang gli riservò lo stesso sguardo inviperito che aveva dedicato ai rapiti del furgone.
“Credo che sia giunto il momento di andare...” convenne Leonard, riuscendo a mantenere stabile la sua calma nonostante in realtà gli occhi del boss lo avevano terrorizzato non poco. “Lieto di averti conosciuto, signorina,” disse alla cinese, e, seguendo un insolito gesto per i dettami buzzurri del clan, le prese la mano e gliela sfiorò con le labbra. Poi, soggiunse sottovoce, così da non farsi udire dal capo:
“Sono poche le persone che gli tengono testa...” e le fece l'occhiolino.
Il motore del ferrovecchio si avviò ancor più rumorosamente di prima, e dai tubi di scarico uscì una scurissima cortina di fumo. Poi, il camioncino prese con il suo consono fracasso ad avanzare lentamente per i vicoli ricolmi di bottiglie e materassi della periferia.
Terminato ogni rumore, Hwoarang buttò alla bambina i fogli del Libertango sulla testa con maleducata forza.
“Impara,” disse, semplicemente, prima di svanire dietro l'angolo di un palazzo disabitato.
La giovane discepola di arti marziali sbuffò, si toccò la testa e borbottò qualcosa che aveva a che fare con il blouson noir e le feci. Si riappropriò del proprio contegno, lesse i fogli, si concentrò e cominciò a ballare con la stessa identica padronanza del suo stile di lotta. Era graziosa come una vera danzatrice e abile come una guerriera. Non c'era voluto molto ad imparare.
Le sembrava persino più semplice degli allenamenti mattutini con Wang.
“Non c'è male...” ammise il rosso da dietro l'angolo che aveva precedentemente svoltato. Era stato semplice anche per lui, era come una lotta simile alle arti marziali senza pugni e calci.
“Grazie...” seppe solo dire la bambina un po' sbalestrata.
“Per quanto tu ci abbia messo un bel po'.”
La bambina si gonfiò di rabbia. “La parte della donna è la più difficile!” esclamò animata, anche se in verità non era del tutto sicura di questa sua ipotesi. “Vediamo se sei stato davvero così bravo a ballare, blouson noir! Facciamo pratica insieme!”
Si avvicinò al giovane boss cercando con la mano quella di lui, che invece andò a posarsi con movimenti goffi sul suo bacino.
“Ma che fai?” lo richiamò la cinese.
“Stai sbagliando tu,” contrariò seccamente Hwoarang.
Sciolti come non mai nella loro danza solitaria, si ritrovarono pressocché impacciati in quella di coppia, l'essenziale di un tango.
La ragazza, spazientita come mai, gli tirò un calcio alto, che lui parò prontamente con il braccio. Quando il coreano usò anche l'altro per bloccarla totalmente, Xiaoyu glielo afferrò e, facendo leva con esso, lo fece capitombolare a terra, mantenendolo ben saldo al suolo con un ginocchio sul busto.
Le espressioni dei due brillarono di una reciproca compiacenza. Fu una di quelle rare volte che le intenzioni dell'uno soddisfacevano anche quelle dell'altra.
E così continuarono, sino all'arrivo degli altri.

“Che cosa avete detto di aver fatto?!” chiesero all'unisono i tre meravigliati, tornati dalla loro deprecabile missione.
Il blouson noir e la bambina fissavano con la medesima espressione di colpevolezza il suolo vicino ai loro piedi, l'uno di fianco all'altra. Per la prima volta nessuno dei due seppe difendersi con scuse o giustificazioni.
“Ho scoperto che la mocciosa ha anche un pregio, oltre i suoi mille difetti... sa davvero fare le arti marziali,” disse Hwoarang. A quelle parole Xiaoyu diede uno sgarbato calcio sullo stinco destro del burlone, che lasciò uscire un leggero verso di dolore. “Era da quando avevo sfidato Jin che non combattevo più, mi serviva tenermi un po' in forma...”
“E il Libertango l'avete imparato?” chiese esitante e interdetto John. Il blouson noir non fiatò parola. La risposta venne da sé dal suo silenzio.
“La festa è tra pochi giorni. Non c'è tempo per gingillarsi, l'hai detto tu stesso,” affermò Rana, e sui suoi occhi spenti e vacui si leggeva una chiara delusione. “Non sarei ancora qui se non provassi rispetto per te, Hwoarang,” soggiunse con un inaspettato tono grave e austero. “Ti ammiriamo tutti per il tuo coraggio, la tua spina dorsale, le tue palle quadrate e soprattutto per le tue decisioni meditate. Perché è questo che sei, un ragazzo intelligente, che studia ogni mossa prima di compierla. E allora...” e smise un attimo di parlare al fine di calmarsi i bollori, ma non ci riuscì, e la voce roca trapelò tutta la rabbia che aveva in corpo. “E allora perché ogni volta che sei con lei ti comporti così?!”
“Che c'entra lei?” chiese Hwoarang austero, scantonando ogni traccia di colpevolezza o esitazione.
“Con lei... sei una persona che non sei! Sembri un ragazzino che gioca a fare il clown!”
La bambina sgranò gli occhi colpita e incredula. Le parole di Rana erano state un'aggressiva stilettata al cuore, incrementata dal fatto che non ne conosceva il motivo esatto. Difatti il compagno la stava accusando di un torto che non si capacitava di aver compiuto, e che, in fondo, non aveva a che fare direttamente con lei. Eppure si sentì colpevole di qualcosa, come se si trovasse nella posizione di un elemento di troppo che disturbava un equilibrio prezioso; non perché fosse una mera piattola vivente come soleva dire ogni giorno il rosso per farle perdere le staffe, ma lo stallo insormontabile che stava distruggendo e rovinando il clan.
Un'ombra le scurì la faccia. Quando Xiaoyu alzo gli occhi vide la schiena del blouson noir che le copriva quasi tutta la visuale. Il mento rialzato del coreano testimoniava la forza dei suoi gesti senza che ci fosse stato bisogno di guardarlo in viso, così come la sua mano, tesa in orizzontale di fronte alla bambina, che costituiva la metaforica immagine di uno scudo sicuro e solido, una silenziosa difesa che l'avrebbe protetta da qualsiasi attacco, che fosse stato tangibile o astratto.
Lo sguardo di Rana incrociò quello di Hwoarang, il quale gli fece capire di aver osato troppo, di essersela ingiustamente presa con la persona sbagliata. Aveva un atteggiamento che somigliava molto a quello di un uomo che difendeva la propria donna.
Rana credeva di conoscere appieno il suo capo, ma si era sbagliato. Quel che vide lo fece sbalordire come non era mai accaduto prima.
“E' così che stanno le cose?” sussurrò il mezzo animale annichilendo la propria rabbia, lasciando spazio a un senso di resa mischiata a incredulità. “Capisco...”
Si mise a braccia conserte e volse lo sguardo alla cinese.
“Scusami, Xiaoyu, ho parlato senza pensare. Quando uno è arrabbiato dice sempre cose insensate,” le disse sommessamente Rana. La bambina gli rispose scuotendo la testa negativamente, come a far intendere che non c'era nessun problema.
“Ma vorrei dirvi solo un'ultima cosa,” continuò lui. “Siete voi a essere per primi nel torto. Mettete sempre avanti a tutto i vostri litigi, ma quanto è importante per voi la morte dei vostri maestri? Quanto è importante fargliela pagare? E' questo il motivo per cui vi siete alleati. E' più importante il vostro orgoglio e la vostra voglia di scherzare di questo?”
I due protagonisti non risposero.
“Non deludete i vostri maestri,” finì di dire Rana solennemente.
Il blouson noir afferrò per il braccio la bambina e la trasportò lontano, verso la grata dell'abbraccio. Era una stretta decisa, che faceva un po' male e che non accettava repliche, ma del tutto inane visto che la cinese avrebbe seguito il suo capo anche senza bisogno di quella morsa.
Era giunta la notte e nel cielo si coglieva un plenilunio, talmente tanto lucente che le nubi della periferia non bastarono per nasconderlo.
Il silenzio fu infine interrotto dalla voce di Xiaoyu.
“E' stata anche colpa mia...”

Dei due, fu Hwoarang ad alzarsi per primo. Le si avvicinò con passo felpato senza produrre il benché minimo suono, seppure avesse indosso pesanti scarpe di cuoio e il pietrisco sotto i piedi. Aveva la bambina davanti a sé, adesso, con il viso ancora celato tra le braccia sopra le ginocchia. Le protese una mano, che le oscurò con un'ombra lunga e sottile il gomito destro. Accortasi della presenza del compagno, la bambina sollevò la testa e incrociò gli occhi di Hwoarang.
Ebbe un'impressione mistica e del tutto inaspettata che il chiarore della luna avesse fatto risplendere la mano del blouson noir di una luce ancor più sfavillante di quella del satellite. Xiaoyu vi depositò delicatamente la sua, stavolta senza indugi, estinti dopo la chiacchierata con Rana e al primo ricordo triste e sbiadito del suo maestro scomparso.
“Se ballare con me ti fa così schifo, puoi sempre pensare a un'altra persona,” le consigliò con un tono a metà tra l'ironico e l'amareggiato. La bambina non poté replicare né dire alcunché, perché il rosso l'alzò da terra senza dargliene il tempo e la circondò tra le sue braccia toniche.
Si spinsero presto al centro della piccola piazza, accerchiati dalle casse di liquori e il materasso della grata. Adesso alla cinese venne naturale cercare la mano di lui, che subito mantenne quella di lei. Il primo a muoversi fu il ragazzo con un passo in avanti, mentre lei ne effettuò uno all'indietro. La danza ebbe inizio.
Le loro menti non si trovavano nel presente, seppure saldamente concentrate con ogni passaggio del tango, ma al loro passato luttuoso, al proprio padre acquisito ucciso per mano di un'azienda crudele, alla propria personale giustizia.
I maestri dicevano sempre che a volte la dignità veniva a meno quando l'orgoglio permaneva, e che a volte l'orgoglio doveva venire a meno per la propria dignità.
Hwoarang circondò la schiena di Xiaoyu con il braccio sinistro, la strinse a sé e la ragazza si lasciò cadere all'indietro nella mossa del casché. La mano di lui esplorò il braccio di lei, cominciando dalla spalla e tornando indietro sino a toccarle le dita, accogliendole nel suo palmo sollevarle in alto. La ragazza fece due giravolte col braccio alzato e teso.
Si chiedevano cos'avrebbero infine fatto dopo aver scovato l'assassino. Non si sarebbero mai abbassati a un massacro come usavano fare quelli della Mishima, e questa era l'unica certezza che possedevano. Soltanto in quel momento si domandarono realmente quale sarebbe stato il loro vero scopo.
La giovane piroettava in aria come un'ape attorno al suo fiore.
E lui era il suo fiore.
Quando Xiaoyu depose i piedi al suolo, Hwoarang l'avvinghiò in una stretta ferrea e rassicurante. Con un'inconcepibile naturalezza che in altre circostanze raziocinanti li avrebbe sconcertati, si lasciarono andare in carezze che non erano neppure contemplate nel libro del Libertango. L'orgoglio non solo lo avevano entrambi tramortito, ma scavalcato e dribblato lasciandone uno sprazzo inconsistente e informe dietro di sé; senza la presenza di quell'inguaribile e reprimente senso della propria dignità, Xiaoyu e Hwoarang infransero la regola, tacitamente convenuta dal loro primo incontro, di non abbassarsi a inutili effusioni, e le loro anime si toccarono colte da un affetto che i due avevano volutamente segregato dietro atteggiamenti ostentatamente aspri e litigiosi. Insieme, avevano raggiunto un senso di pace condivisa e armonia talmente radicato che anche se ci fosse stato qualcuno del covo dell'est a spiarli, a loro non sarebbe importato nulla. Fluidi nel loro ballo come le acque dei fiumi e forti come le risacche del mare, neppure una montagna, per quanto maestosa e superba come l'orgoglio, li avrebbe potuti ostacolare.
La ragazza era così salda nella stretta del compagno che quest'ultimo sentiva i seni non ancora del tutto cresciuti premersi sul petto, durante il passaggio del tango fatto solo di passi e coi busti fermi e attaccati. Le loro guance erano incollate tra loro come costruzioni, i respiri aritmici e affaticati.
Soltanto in quel momento si domandarono realmente quale sarebbe stato il loro vero scopo. Solo lei, tra i due, trovò una risposta, ma non era per quel quesito. La ottenne nell'esatto momento in cui il tango finì.
Lei era così felice di restare con lui e i suoi nuovi compagni che tutto l'astio e la tristezza che aveva provato in precedenza avevano man mano smesso di esistere. Si accorse che il clan della periferia Est le era diventato importante e più importante di ogni altra cosa che le era rimasta, così tanto importante che la missione della Mishima, per un attimo, quel giorno, non aveva più avuto l'urgenza iniziale.
Solo allora la sua mente tornò al presente, e la fece vacillare all'indietro. Prima che cadesse, il blouson noir l'agguantò in tempo, avvinghiandola attorno alla schiena con il braccio per trasportarla verso di sé. I loro respiri erano ancora aritmici, ma stavolta non per la fatica.
“Blouson noir...” bisbigliò Xiaoyu.
Sentendosi chiamare, anche Hwoarang fece tornare la sua mente al presente.
La lasciò andare dalla sua gabbia di braccia, e lei, liberata, si portò le mani sul volto per celare un rossore che al chiaro di luna era diventato evidente. Chiese mentalmente perdono al suo maestro Wang per averlo dimenticato un po', e chiese di nuovo perdono per aver trovato un altro affetto altrettanto forte quanto quello che provava per lui.
Tornò al covo correndo dagli altri e il battito del suo cuore, adesso che si trovava lontana da Hwoarang, aveva cominciato a regolarizzarsi.























----------------------------------------------



*Il taiyaki è una frittella a forma di pesce farcita con marmellata di azuki, di sapore dolce. Viene venduta molto nelle bancarelle giapponesi.
Questa nota dà un certo tocco di professionalità alla fanfiction. Così sembrerà che almeno una volta riesca ad iniziare con serietà l'angolo del freetalk xD A proposito: non ho messo in nota il Libertango, perché abbastanza famoso... comunque, si tratta del gioiello di Astor Piazzola, il mio tango preferito ^^ Qualche tempo fa lo davano anche in una pubblicita di un liquore che ora non ricordo bene quale fosse precisamente...
@annasukasuperfans: Già, il cambiamento è arrivato! *_* E la svolta di questo capitolo lo accentuerà anche ^^ Grazie del commento ^*^ p.s. ho parlato degli indumenti del sexy shop anche in questo capitolo! xD
@Tifa: grazie, figliocciola!! >*< giuro che quando la terminerò farò infilare un Hwoarang nel tuo letto di sorpresa xD Conoscendoti, l'idea ti piacerà xD
@stefy-chan: "(alla fine gli sarebbe piaciuto vederla con la biancheria portata da Mugen e non xke non ha niente da far vedere... =__=) "
Proprio così!! *_*
Hwoarang: "Ma che dite... è solo quello! Mi interessa di più sapere i gossip su Britney Spears, piuttosto! -__-"
Però non li hai ancora buttati, quei vestiti, a quanto pare...
Hwoarang: *fischietta*
Grazie del commento, stefy ^*^
@Shuriken: addirittura... sei un tesorissimo! ç_ç A me invece mettono di buon umore i tuoi commenti, tantissimo! >o< Dovrei dirtelo io grazie... via, su: voglio dedicarti questo capitolo, il capitolo della svolta! xD
@Chiaras: Thanx ^*^
"Accidenti ma siamo sicuri che Xiaoyu non abbia niente da nascondere con quel vestito?? insomma lui la chiama bambina per stuzzicarla ma non mi sembra che il corpo lo sia...^^"
Hwoarang: "Di nuovo?! Eppure sono stato abbastanza chiaro a riguardo..."
E' un tanga con il buco quello che ti vedo in mano?
Hwoarang: *rifischietta*
@Miss Trent: felicissima e superfelicissima, sia perché ti è piaciuto questo capitolo che per la fanfiction che ho aspettato con tanta trepidazione e che poi hai pubblicato. Una sola parola: bellissima *____* Mi vien voglia di rinserire al più presto il personaggio di Nina nella mia storia xD
""""Ma perché tu non sei una ragazza: sei una bambina!" la sfotté al solito modo che conosceva bene. "E tu non sei un ragazzo: sei un deficiente!" controbatté Xiaoyu."" questa mi ha fatto MORIRE!"
A volte anche Xiaoyu ha i suoi momenti di gloria xDDDDDD
Un bacio alla mia ammora ^*^
@Silver Princess: era proprio ciò a cui miravo e che hai colto subito ^^ Ho conosciuto persone - e io stessa ho avuto rapporti con altre persone - con un linguaggio tutto mio che si basava su stranezze colossali. Tra queste, anche il litigio continuato. xD Ma con una di quelle persone ho anche rapportato in una maniera meravigliosa, per poi essermi diventato uno dei miei migliori amici ^^ Ma grazie anche a te per il commento, tesor ^*^
A presto con il prossimo capitolo!! ^^


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Dialogo ***


Il sole calava a picco sui monti dell'Ovest e non esisteva posto migliore per ammirare tale spettacolo come il marciapiede della strada principale. Tokyo era una di quelle tante metropoli che non dava spazio alle bellezze naturalistiche, ricoperte d'asfalto e celate dalla perenne coltre di nebbia degli scarichi delle macchine. Ma, talvolta, chi la viveva e chi bene la conosceva poteva coglierne il proprio piccolo posto di paradiso.
Hwoarang aveva esperienza delle strade di Tokyo meglio di chiunque, perché al contrario degli altri cittadini che possedevano un tetto in cui tornare ci abitava proprio.
L'aveva scoperta per caso quella strada principale rialzata rispetto alle altre da un lunghissimo cavalcavia, quando girovagava per la città e ancora non aveva un posto stabile in cui restare. Scelse la periferia Est per la grandiosità di quel panorama mozzafiato. La fine di un territorio urbano, di un pezzo di cemento sopra il ponte, di un cartello che confinava la città, di una strada che diventava terra per poi scorgere ciò che apparteneva unicamente alla natura: un cielo tinto di rosso, due stelle sulla parte più scura dell'etere, migliaia ancora nascoste dal giorno e il sole che si avvicinava sempre più alle montagne, scomparendo poi all'orizzonte.
Si era distratto dal contemplare silenzioso quella vista all'arrivo di Rana.
“E' arrivata l'ora del tuo isolamento eremita?” scherzò, sedendosi alla sinistra del suo capo.
“Vuoi diventare mio discepolo?” domandò, ed entrambi si lanciarono sguardi divertiti. Rana porse al suo boss una sigaretta, che accettò con piacere. Quando ispirò la prima boccata, però, mostrò tutt'altra cosa che il precedente piacere.
“Questa marca fa schifo! Inspicush? Ma cos'è?!” esclamò disgustato, gettando via il rotolo di nicotina sulla strada principale. Una macchina che schizzò veloce come un fulmine la fece volare ancor più lontano.
“Che spreco...” si lamentò l'altro con un velo di tristezza. Vide altre macchine distruggere completamente la sua sigaretta. “A studiare economia sei proprio diventato spietato, capo.”
Il rosso sbuffò annoiato. “Se non mi trovassi a doverla studiare per raggirarmi il presidente, avrei già fatto un falò con tutti i libri di economia del mondo,” e lanciò un'occhiata di desiderata violenza ai libri ai suoi piedi. Odiava studiare, in più aveva un ripudio spregiudicato per quelle materie di materia. Materie materialiste, insomma. Le detestava più di ogni altra cosa.
“World Trade Organization, S&P/MIB, Mibtel... parole imparate a memoria di cui manco conosco gli acronimi e che spero di dimenticare al più presto,” affermò laconico Hwoarang. Rana annuì solamente, senza assolutamente capire ciò che gli aveva detto il boss. Era come se avesse parlato arabo.
“E allora, che hai da dirmi?” riprese parola il boss. Il compagno non comprese bene la domanda del coreano.
“Da dirti?”
“Quando vieni qui, siamo soli e tu stai zitto vuol dire che hai da dirmi qualcosa,” spiegò veloce il capo. Conosceva bene i suoi uomini fino a sorprenderli. Persino Rana, che di tutta risposta fece un risolino compiaciuto.
“Non credo di avere qualcosa da dire...”
“Allora mi tirerai tutto fuori alla tua prossima sbronza,” tagliò corto Hwoarang sorridendo.
Rimasero in silenzio ad ammirare il tramonto dell'Ovest, fino a quando la luce cocente del sole smise di infiammare il grande etere e il cielo fu illuminato dalle prime stelle della sera. A un tratto, senza riuscire più a trattenersi, come aveva intuito Hwoarang, Rana parlò.
“A volte le donne sono come sanguisughe, ma anziché succhiarti sangue ti succhiano l'anima...”
Il rosso, a quelle parole, arcuò appena un sopracciglio.
“Hai avuto una delusione d'amore?” tentò d'indovinare il capo.
“Non parlavo di me, parlavo in generale...” rispose discorsivamente Rana, ma guardando dritto negli occhi del compagno alla sua sinistra.
“Mi stai avvertendo di qualcosa?” capì immediatamente il coreano. L'altro gettò via la sigaretta fumata solo per metà, senza badare al suo senso di parsimonia che aveva per i suoi oggetti personali, soprattutto per le sigarette. Fece quel gesto perché aveva da dire qualcosa di talmente lungo e delicato che le parole non gli avrebbero dato il tempo di ispirare la sigaretta neppure una volta.
“Sai, secondo me è vero quando dicono che le donne sono le vere discendenti del diavolo. Sono belle, a volte, belle e incantatrici, ma hanno una specie di qualche gene di malignità...” riferì Rana. “Sono stato preso per il culo da una di loro, una volta, che mi ha prosciugato fino a distruggere persino la mia dignità.”
“A te?” chiese incredulo il blouson noir con un angolo della bocca sollevato.
“Perché quella faccia?”
“Non mi sembri il tipo. Mugen mi sembra il tipo.”
“Mugen è così perché non gli è mai accaduto nulla di brutto con le donne, si diverte e basta con loro...”
“Forse,” convenne Hwoarang. Guardò un cane che vagava solitario sul marciapiede opposto, poi fissò la terra sotto i suoi piedi.
“Sai,” riprese a dire Rana, “penso che l'uomo, quello coraggioso, non si ferma mai a nulla, non alle sfide, non alle guerre, continuando a difendere le proprie ideologie e la propria libertà. Ne ho conosciute di persone così, e inevitabilmente sono tutte state conquistate dal semplice gesto di una donna. Basta uno sguardo, un giro di anca o un sorriso...”
“E con questo cosa vuoi dire?” chiese il coreano un po' confuso.
“Che l'eroe che si innamora è spacciato per sempre.”
Hwoarang volse la testa verso le stelle che ormai avevano invaso il cielo nero della periferia Est.
“Perché volevi raccontarmi questo?” domandò.
“Non lo so, ho solo tratto le mie conclusioni.”
“Sono un po' misogine, queste conclusioni,” scherzò il rosso.
“Sono misogino e anche un po' misantropo, lo sai, capo.”
“Ma per fortuna non sei misofobo,” dichiarò divertito il coreano cacciando un risolino dalla bocca.
“Che vuol dire?”
“Paura di sporcarsi. Ho scoperto questa fobia quando ho conosciuto Law.”
“Quello è il maniaco del perfezionismo,” convenne divertito Rana.
Hwoarang sorrise. “E non sei neanche un misologo, anzi, potrei benissimo scambiarti per un pensatore. Che ci fa un filosofo tanto bravo come te nel mio clan?” fece ridacchiando.
“Non è filosofia, è pessimismo,” convenne Rana.
“Filosofia e pessimismo son quasi sinonimi, tanto,” rispose il capo. Esprimeva così, a quel modo, la sua personale sapienza, che andava oltre il sapere dei libri e dei trattati. In quei momenti, Rana era nel massimo dell'ammirazione per il suo capo.
“Mi hai convinto, prometto che non toccherò mai più una donna. D'ora in poi mi dedicherò solo agli uomini,” scherzò il rosso.
“Non spaventarmi, capo!” rispose la rana ridendo. “Puoi benissimo toccare tutte le donne che vuoi. Fin quando te ne può importare per una scopata e via non ti è successo mai nulla, ti sei ben rivisto dall'innamorarti delle ragazze della via di Madeleine. Il problema si presenta quando non è più così...”
“Allora starò all'erta,” gli riferì laconico il coreano.
“Dovrai stare all'erta con tutte, donne mature e piccole donne...” e il discorso fu volutamente fermato a quelle parole.
Il blouson noir non rispose.
“Non hai proprio una sigaretta di un'altra marca?” chiese dopo un po'.
“No, capo,” gli rispose Rana con un sospiro.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, ognuno, probabilmente, per la propria, personale donna, piccola o grande.
“In realtà le piccole donne sono le più pericolose,” riprese a dire il mezzo animale. “Non sono consapevoli della loro femminilità e non sanno l'effetto che fanno a certi uomini, gli stessi che, guardandole, fantasticano su indecenze che loro neppure riuscirebbero a immaginare...”
Hwoarang spostò lo sguardo dal cielo stellato alla scabrosa strada principale davanti a sé.
“Sai, capo, anche la mia era una piccola donna. Poi si è accorta di quelle maledette qualità femminili e ha cominciato ad approfittarne. Mi ha rigirato come un pupazzino e mi ha rubato l'anima, facendomi diventare quello che sono ora...”
“Una rana?” domandò serissimo il blouson noir.
L'altro, indispettito, gli tirò addosso una lattina vuota trovata nelle vicinanze, poi cominciarono a ridere.
“Hai sempre la battuta pronta, capo. Persino quando uno ti parla seriamente,” lo canzonò divertito Rana. Era ciò che più piaceva ai suoi uomini di lui. Era un genio della botta e risposta, agevolante per stringere nuove amicizie e altrettanto fatale per allontanare vecchi nemici. Sebbene fosse così, sapeva che c'era una persona con cui questo gioco riusciva poco, anche se la riteneva un membro del clan alla pari degli altri.
La vide sfuggirgli dalle mani la sera prima. L'orario era lo stesso e c'era una luna ancor più splendente delle stelle di quel momento. Lei era scappata dopo il loro tango.
La rivide quello stesso pomeriggio. Era tornata da scuola e stava andando verso il ristorante Il Matto per lavorare in cambio di un vestito elegante cucito da Law. Aveva in mano un sacco e stava infilando al suo interno gli indumenti da sera che il trio aveva prelevato per lei. Il blouson noir le si era avvicinato con la solita, sfacciata intenzione derisoria di sempre.
“Bei vestiti,” ammise francamente. “Davvero belli. Anzi, troppo belli. A te, bambina, starebbe bene solo questo,” e nel dirlo agguantò un indumento simile a un accappatoio rosso che i tre ebbero il brutto gusto di rubare, in assenza di una loro ricercatezza femminile nel vestiario.
“Stupido di un blouson noir!” strillò adirata Xiaoyu, e fu ben pronta a tirargli un pugno. Il rosso parò subito quel prevedibile colpo in faccia e mantenne il braccio della cinese immobile. La piccola Ling, anziché dimenarsi con violenza come avrebbe solitamente fatto, rimase attonita e immobile. Era stato a causa del tocco del rosso, della sua mano che l'aveva agguantata per il polso. La stessa mano che la sera precedente l'aveva toccata di carezze.
Hwoarang si scombussolò e lasciò la presa sulla la ragazza, che raccolse in fretta il sacco e si avviò veloce verso il ristorante.
“Ha detto Law di venire quando chiudono il locale, così ti presta il suo smoking!” gli informò tutto d'un fiato per cominciare a correre il più prima possibile da lui. “Non fare tardi e mettiti una sveglia! E visto che ci sei, mettitene una anche nel cervello, così si sveglia anche quello!” soggiunse sarcasticamente.
Ci voleva proprio una bella risposta antipatica. Addirittura, Hwoarang aveva da controbattere con parole già presenti sulla punta della lingua, sarebbe bastato un lieve movimento delle labbra per farle uscire.
Ma non disse niente.
Silenzioso, si guardò assorto la mano.
Poco dopo qualche minuto si era rifugiato sulla strada principale ad ammirare il tramonto. Fu in quel momento che Rana gli si sedette vicino. La sera era sopraggiunta e i due avevano cominciato il loro dialogo.
Finito di ridere, il coreano si alzò con malavoglia dal gradino del marciapiede e calciò una lattina al suo fianco.
“L'ora del giudizio è arrivata, devo andare dalla bambina,” disse tutto svogliato.
La voce di Rana lo fermò al quinto passo:
“In realtà lei non è una bambina, ma una piccola donna.”
Girato di spalle, invisibile agli occhi del compagno, Hwoarang esibì un sorriso approvativo.























----------------------------------------------



Primo capitolo in cui lui è il protagonista assoluto e lei solo una comparsa. Ho voluto dedicargli tutto un capitolo, perché ne sono troppo innamorata xD Ci voleva una visione maschile delle donne... Rana l'ho trovato perfetto perché le odia al punto giusto xD Probabilmente, un giorno, farò parlare anche Xiaoyu, per la questione maschi :P
@annasukasuperfans: sei un tesorissimo ^*^
@Silver Princess: addirittura hai guardato il video del libertango? o.o Mon tesor, potrei fare io un tango con te per questo! xD Ma scherzi a parte, non c'è nulla di invidiabile rispetto alla tua fanfiction, che è straordinaria come poche! E giuro che neppure immagini l'accanimento con cui la leggo ogni volta che l'aggiorni! *o*
@Shuriken: "(ok diciamo pure che è un'arteria da quant'è grossa!XD)"
xDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD
"Il fatto che la prima lezione di danza sia finita a cazzotti è in perfetto stile tekken!!XD"
Anche questo è vero! xD E ti ringrazio anche per tutto il resto della dolcissima recensione! >*<
@stefychan: "( l'amore non è bello se non è litigarello xciò potrebbe esserci amore...^__^)"
Giusto! xD
Xiao&Hwo: "Sbagliato! +__+"
Tsk... hanno un orgloglio troppo impenetrabile, 'sti due. Un giorno però cederanno! >D Grazie della recensione ^*^
@Chiaras: già, la passione si fa sentire, finalmente ** thanx for the comment ^*^
@Tifa: questo tuo commento è stato così ultramegadolce che una gocciolina mi è uscita dall'occhio! ç_ç Non ti ringrazierò e non ti dimostrerò mai così tanto lovve neppure con una chiacchierata di 3 ore su messenger >*********<
@Miss Trent: "e non sbaglio era quella del liquore Vecchia Romagna (intense emozioni XD)"
xDDDDD Diavolo che memoria! xD
Mia ammorra, ritardo o non ritardo, sia per la lettura che per la pubblicazione della tua fanfiction, aspetterò sempre con trepidazione ** Sarò ripetitiva e affrettata, ma la tua fanfiction è sublime: ne meriterebbe 100 di recensioni u_u E anzi, non direi affrettata, visto che so come riesci a scrivere bene! *annuisce* Ci voleva proprio una storia dedicata a Nina! >.< se riesco a convincere mio fratello a leggere le fanfic, visto che ama tanto quel personaggio, farò subito leggere la tua xD
Baci anche a tutti i lettori! ^*^ A presto con l'aggiornamento!!


Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Velato ***


Siamo soliti compiere azioni, divenute ormai automatiche, di cui non ci rendiamo conto quanto siano state difficili da imparare in passato. Quando un neonato tenta un primo passo e da adulto diventa corridore. Quando un bambino traballa sulla sua prima bici e da grande diventa ciclista. Persino azioni che ai nostri occhi adulti apparirebbero ancora difficili di cui sono capaci in pochi, come Mugen, che vantava di riuscire a saltare con la mountain bike sul gradino alto vicino alla grata di ferro e rimanere in equilibrio su una sola ruota.
Man mano che aveva lavorato nel ristorante Il Matto, la bambina seppe imparare a sfilare un piede dalla scarpa e massaggiarlo sulla caviglia restando perfettamente eretta, immobile e in bilico su una sola gamba. Aveva idealizzato un rimedio contro il mal di piedi. Era già qualche giorno che ne soffriva, perché dal momento che cominciarono a prepararsi con ogni sorta di informazioni per la festa di Halloween della Mishima Zaibatsu non aveva mai avuto tempo di riposarsi. Oltre a restare perfettamente ferma, riusciva in quell'azione senza l'ausilio della mano come appoggio. Essa, adesso, insieme all'altra, manteneva una penna ed un taccuino. Chiese poi, con voce alta:
“Che ordinate?”
Davanti a lei, il tavolo dodici era occupato da tre uomini, casinisti come pochi.
“Io ancora stento a crederci! Una cameriera! Law, erano secoli che una femmina non metteva piede qui!” urlò uno dei tre. Il proprietario del ristorante, indaffarato in cucina, si affacciò dalla porta e rispose solo con lo sguardo. Un'occhiataccia che fece ricordare al trio che se non esistevano donne in quel posto era unicamente per colpa loro. Gli zittiti, dunque, spostarono l'attenzione sulla ragazza. Era già la decima volta che andava e tornava dalla cucina al tavolo numero dodici. Questo perché i tre uomini urlavano come se ne fossero stati in dieci, ma mangiavano e bevevano come se ne fossero stati in cento.
“Un'altra bottiglia di rum! Anzi, tre!” decise il secondo uomo, mentre il terzo stava chiedendo il bis del suo bis del suo dessert, e probabilmente al settimo bis sarebbe arrivato alla sua fine.
Giunta in cucina, Xiaoyu strappò dal taccuino oramai spoglio l'ennesima ordinazione. Mentre annunciò al padrone ciò che doveva cucinare, fece abbassare uno sguardo bramoso sullo sgabello al suo fianco. Storto, ciondolante, esteticamente osceno. Mai un simile oggetto destò tanto interesse da parte della cinese.
Era esausta, una di quelle rare giornate che riuscivano a rubarle tutta l'energia in corpo. Per tutto il dì, infatti, non era riuscita a riposare le sue gambe neanche una volta.
Cedette e si accinse a sedersi, ma quando stava per compiere l'operazione una voce lontana e familiare la chiamò.
“Xiaoyu! E' importante, vieni qui!”
L'altro Law, il figlio. Lei già sapeva bene perché la stava chiamando. Percorse la piccola scala a chiocciola che portava nel corridoio di camera sua e lo trovò in attesa sotto l'uscio della porta di camera, con le braccia conserte e il piede che batteva agitato sul pavimento.
“Le misure!” esclamò tutto trafelato, agguantandola con fare quasi prepotente per poi trasportarla in camera. “Dopodomani c'è la festa e io ancora non ho le misure per il vestito!” spiegò ansioso, alzandole le braccia e chiedendole di mantenerle tese e orizzontali. La bambina ubbidì, lasciando compiersi il ruolo di bambola sotto il comando del padrone stilista. Fu abile e veloce nel passare da un lato all'altro del corpo di Xiaoyu il suo metro, tenendo a mente ogni misura al millimetro, preciso e minuzioso. Dopodiché le posò una mano sulla spalla, al fine di farla girare su se stessa con un gesto secco. Ling emise un verso di dolore.
“Che c'è?” domandò Forest, che il movimento lo fece brusco ma non tanto violento da meritarsi un lamento.
“Mi fa male la schiena...” gli spiegò addolorata lei.
“Dopo ti faccio fare un massaggio da Paul...”
“Mi vuoi uccidere?!” domandò terrorizzata Xiaoyu. Law si fece serio e premette con il palmo della mano sotto il collo della giovane, all'altezza delle scapole.
“Tu tienila dritta, intanto,” le consigliò. Si fece serio ancora di più. Accadeva solo in quei momenti in cui ragionava su come cucire un indumento, nel massimo della sua concentrazione. Le alzò da dietro la giacca e la camicia dell'uniforme scolastica, e lei, appena se ne avvide, se le tirò giù immediatamente.
“Ma che fai?!” strillò spaventata e imbarazzata, allontanandosi ben bene dall'uomo che aveva osato troppo.
“Hai una bellissima schiena, Xiaoyu...” ammise il Law. Fu contento di essersene accorto, perché gli venne un lampo di genio. Corse tutto agitato verso l'armadio dove aveva riposto gli abiti che il trio del rosso aveva prelevato, raccogliendone uno in particolare che la bambina ben conosceva, perché rispetto agli altri spiccava, ma non in bellezza. Risaltava in orrore.
“Questo sarà l'abito che cucirò per te!” le informò Forest, mantenendo tra le mani l'ormai famoso accappatoio di seta che il rosso delineò come essere perfetto nella sua bruttezza per la bambina. Xiaoyu, giustamente, si offese non poco.
“Ti sei messo d'accordo con il blouson noir o cosa?!”
Il ragazzo la vide avviarsi verso il corridoio, ma riuscì in tempo a fermarla sotto l'uscio della porta ponendosi come ostacolo fisico per bloccarle il passaggio.
“Ti concerò quest'abito fino a fartelo diventare meraviglioso! Ho o non ho sempre ragione in questo campo?” le disse Forest al massimo della sua risolutezza. Xiaoyu cedette a quegli occhi pieni di vigore e sospirò vinta.
“Aspetterò i risultati...” gli concesse la cinese. Il Law non ebbe il tempo di ringraziarla che una voce dal piano di sotto riecheggiò per tutte le stanze:
“Tre bottiglie di rum e quattro porzioni di involtini di primavera da servire!”
Il re aveva parlato. Stavolta il padre. La giovane ripercorse la scaletta riscendendo al piano inferiore. Marshall la stava aspettando con due vassoi che la ragazza agguantò con agilità, mantenendoli da sotto la base con la sommità delle dita tese, e si mosse veloce verso il tavolo dodici. Il trio si complimentò della sua efficienza lavorativa.
“Sei un tipetto sveglio, dolcezza,” le disse quello più vicino, contemplandola con sguardi maliziosi che si concentravano più sulle forme che sulla sua bravura di cameriera. Poco s'interessavano di quanto fosse abile a lavorare, molto, invece, delle gambe in bella vista coperte solo dalla corta gonna dell'uniforme scolastica. L'uomo, dunque, mosse con il piede l'unica sedia vuota per allontanarla dal tavolo.
“Perché non ti siedi insieme a noi?” la invitò lui con un tono di voce sempre più ambiguo. La ragazza non ci fece caso, perché alla sola idea di potersi accomodare su una sedia e riposare ogni altro particolare diventava invisibile ai suoi occhi e al suo cervello.
“Con piacere!” rispose esuberante la bambina, quando poi il padrone rovinò nuovamente tutto.
“Xiaoyu!” la chiamò austero. “Non puoi sederti con i clienti, sei una cameriera!”
“Su, Law... uno strappo alla regola!” lo implorò sguaiatamente quello seduto più lontano del tavolo dodici. Di tutta risposta, Marshall si appropinquò con passo nervoso verso il caotico trio, che indietreggiò con la schiena all'arrivo di quella furia americana.
“Xiao, tu vai in cucina a controllare le pentole,” disse, e lei, che per una legge quasi naturale non poteva opporsi ai voleri del proprietario del ristorante, ubbidì lasciando fuoriuscire dalle labbra un sospiro d'agonia.
“Riguardo a voi tre,” riprese discorso il Law, guardando attentamente che la cinese fosse andata lontana, “questa ragazza per me è stato un affare. Non mi rovinerete tutto come le altre volte, chiaro?”
“Non capisco di cosa tu stia parlando,” fece sornionamente quello che si trovava in mezzo agli altri due.
“Parlo, ad esempio, dell'ultima cameriera che si era licenziata per le battute poco carine di molti di voi...” e tra i molti erano compresi quei tre, perché Law rivolse ad ognuno di loro degli sguardi incolleriti. “Per non parlare di Ami, sedotta e abbandonata. Eh, Hiroshi?”
L'uomo che si sentì nominare fischiettò spostando lo sguardo altrove.
“E di Michiru, con la quale giocavate a scommettiamo chi riesce a beccare la sua scollatura con le molliche,” continuò imperterrito il proprietario. Il terzetto abbassò vergognoso il capo.
“Se continuate così,” riprese nuovamente la parola il cuoco, “assumo come cameriere Paul.”
E solo allora il trio implorò aggrappandosi alla maglia di Law, chiedendo pietà e giungendo le mani in una preghiera che mai avevano fatto in vita loro piuttosto che avere Paul come cameriere.
“Così voglio proprio vedere come giocherete a tirare le molliche nella scollatura di Paul!” soggiunse divertito e compiaciuto il mezzo americano. Riuscì a calmare la sua momentanea euforia, e nuovamente serio riprese a parlare.
“Questa ragazza lavora gratis. Non si lamenta mai, è svelta e agile...” esplicò, soggiungendo, poi, tutto contento: “E' la migliore che io abbia mai avuto!”
Proprio in quel momento di massimo gaudio, in cui gli occhi di Marshall brillavano di una rara luce di compiacimento, nel reparto cucina si sentì un tonfo seguito da tanti piatti che si sfracellavano. Fece finire l'opera di quella grandiosa orchestra qualcosa di simile ad un acuto di una cantante lirica. Si trattava dell'urlo della cinese. Questa, dopo un lungo silenzio prolungato di tutti, si affacciò dalla porta della cucina.
“Credo di aver combinato un piccolo guaio...” ammise sommessamente, corrugando la fronte. Law corse subito in direzione di lei e quasi svenne alla vista della catastrofe che si era abbattuta nella stanza: metà dei piatti che aveva posato sulla mensola si erano frantumati a terra, mentre degli altri erano rimasti solo i granelli di vetro. I tre clienti seguirono il cuoco e si affacciarono assieme a lui. Uno di loro fischiò meravigliato.
“Hai avuto un bel coraggio!” si congratulò, tirando una pacca amichevole sulla schiena della neo cameriera.
“Xiaoyu...” la chiamò sommessamente l'americano accasciato sul pavimento per la disperazine. “Come diavolo ci sei riuscita?”
Lei ci mise un bel po' prima di rispondere.
“C'era una mosca che mi ronzava attorno e mi innervosiva... così le ho tirato un pugno, ma siccome non ho ben contenuto la potenza... ho un pochino...” e la frase finì con appena un sussurro: “Spaccato tutto...”
Nel silenzio di tutti, si udiva solo lo scroscio dell'acqua che continuava ad uscire dal rubinetto del lavandino rimasto aperto.
“Però la mosca è morta, eh!” precisò la bambina. Il terzetto sghignazzò spassosamente, aumentando a più non posso il volume delle corde vocali. Uno di loro, d'improvviso, alzò la mano che manteneva un bicchiere di sakè ancora pieno per metà.
“Brindiamo alla nuova cameriera, Xiaoyu!” urlò con gli occhi bagnati dalle lacrime, “la più simpatica di tutte nonché sorella mancata di Paul!”
“Ora non esageriamo! Ho solo rotto dei piatti, mica spaccato a mani nude tre strati di muro!” esclamò, e il trio rise ancor di più.
“Xiao, non dar corda a questi tre! Sono brutte persone!” l'avvisò Law con un consiglio che suonava più come un ordine. Ma la bambina rideva talmente divertita che Marshall non riuscì a non star dietro a quei sorrisi contagiosi. Si unì al gruppo di pazzi, lasciando perdere ogni rapporto professionale cuoco-cliente.
Il proprietario del ristorante Il Matto trascorse tutta la serata di lavoro assieme a coloro che doveva servire e alla nuova cameriera, la quale non intrattenne più i clienti con piatti e liquori, ma con la semplice, sorrisa presenza.

“Law, sono tornato!” annunciò Paul entrando nella casa di Marshall come faceva sempre, senza bussare e muovendo la maniglia, come se il ristorante Il Matto fosse anche di sua proprietà. Il locale era chiuso e il biondo sapeva bene che avrebbe trovato l'amico seduto al tavolo vicino alla finestra a fumarsi una sigaretta, ma non lo vide. Adocchiò, invece, semi nascosta dall'oscurità, la sagoma di una persona completamente sbracata per terra.
“Xiaoyu?!” esclamò meravigliato dopo averla riconosciuta.
“Non pensavo che un pavimento... potesse essere così comodo...” sussurrò la bambina con aria beata. L'agognata ora di riposo la trovò su quel pavimento marmoreo. Mai, davvero, trovò qualcosa di più confortevole.
“E Marshall?” chiese il biondo.
“Si è ubriacato ed è andato a farsi un giro per la periferia Est con i suoi clienti,” lo informò, mantenendo costantemente un sorriso sereno. L'omone sgranò incredulo gli occhi.
“Non è da lui...” valutò Paul, che meglio di chiunque altro conosceva Marshall, il cino-americano che metteva il lavoro sopra ogni altra cosa e il cui motto personale era prima il dovere e poi il dovere.
Si sentì, da lontano, un forte e agitato calpestio sulla scala a chiocciola. Il Law più piccolo apparve dietro la cucina, aprì la bocca in procinto di chiamare la cinese ma si arrestò osservando interdetto i due rimasti nel ristorante.
“Xiao, io scherzavo quando ti avevo detto di farti fare un massaggio da Paul...” le disse con un velo di timore Forest, vedendoli l'una sdraiata a pancia in giù e l'altro con una mano di fianco. In realtà, quella era una mano golosa intenzionata a raccogliere una bottiglia stappata di sakè ancora piena posata sul pavimento.
“Eh?!” chiesero i due all'unisono. Forest lasciò perdere e riprese il discorso iniziale:
“Ho appena terminato di cucire il vestito. Vienilo a provare!”
A quelle parole, un bagliore di curiosità ed eccitazione attraversò gli occhi della bambina.

Hwoarang era infine arrivato sotto l'uscio della grande porta del ristorante Il Matto, per lo più all'ora giusta. Quando suonò il citofono, una voce parlò dicendo:
“Polizia dello Stato. Cosa desidera?”
“Sono io la Polizia di Stato. Sto cercando un certo Paul Phoenix,” disse il coreano con un sorriso sulle labbra.
Il citofono non emise alcun suono.
“Sei... sei Hwoarang, vero?” chiese il biondo un po' incerto.
“Certo che sono io,” gli rispose il blouson noir scuotendo la testa e sorridendo.
“Lo sapevo!” dichiarò Paul con convinzione. “Perché ti metti a farmi scherzi del genere!?”
“Prima rispondimi tu alla stessa domanda.”
“Io ho una ragione! Il mio è un diversivo per scacciare i clienti quando il locale è chiuso,” rispose la voce metallica del citofono.
“Scommetto che non ci è mai caduto,” considerò scherzosamente il coreano. Paul non rispose per il semplice fatto che non poteva contraddire quanto effettivamente era vero. Per non dargliela vinta, glissò dicendo:
“Muoviti, che qui è già tutto pronto!” e aprì il grande portone.
Hwoarang, come usava fare anche Paul, entrò nel locale senza fare troppi complimenti e senza chiedere alcun permesso. Davanti a lui, il biondo reggeva in mano uno smoking nero che porse al blouson noir. L'abito, però, cadde a terra quando il Phoenix si spaventò per un urlo non previsto dal piano di sopra.
“Mi vergogno! Non posso andare conciata così!”
Era la voce acuta e familiare della bambina.
Hwoarang già se la immaginava, goffa più che mai e coperta da un vestito che non le sarebbe mai donato.
I due sentirono dei passi attraversare le scale a chiocciola e dalla cucina spuntò Forest, che tentava di tirare per l'esile braccio scoperto la ragazza mormorandole qualcosa che il biondo e il rosso non riuscivano a sentire. La cinese si presentò poco dopo, lasciandosi finalmente trasportare dal Law. Si mise a braccia conserte e, in un moto di imbarazzo, volse lo sguardo a terra.
Non sembrava neppure lei.
Era venuta a galla tutta la bellezza e la femminilità che lei riusciva sempre a nascondere a tutti, innocentemente, senza intenzioni e senza farci caso. Le gambe in bella vista come sempre erano risplendenti di ammaliante fascino sotto lo spacco di gonna. Portava tacchi che mai prima d'ora aveva indossato. Aveva un bacino voluttuoso, che gli altri neppure sapevano possedesse. Il vestito di seta, rosso come il fuoco, si adattava magnificamente alle forme e si allacciava sulla parte superiore dietro il collo, lasciandole la schiena nuda. Le labbra erano più carnose del solito, ricoperte da un rossetto dello stesso colore passionale del vestito. I capelli, che erano soliti sprizzare infantile gioia con due codini, erano adesso elegantemente raccolti in un unico chignon, mentre i ciuffi rimasti più corti degli altri erano stati lasciati sciolti a lambirle la guancia destra. Lo sguardo di lei, quell'aria di vergognosa innocenza, chissà come la rendeva paradossalmente ancor più sensuale.
Paul e Hwoarang rimasero come impietriti, ipnotizzati da tutta quella inaspettata avvenenza. Si era manifestata così improvvisamente che li aveva lasciati di stucco. Era stato sorprendente, come quando raschiando un quarzo impuro se ne riscopre tutta la luminosa magnificenza al suo interno.
“E allora? Non dite niente?” esordì Forest rompendo il silenzio. Ancora non aveva sentito nessun complimento, né per sé, né per la ragazza.
A stento, con un nodo alla gola, Hwoarang borbottò:
“E'... un bel vestito, Forest... ma...” e lo sguardo si posò su Xiaoyu. “Bimba, ma da dove sono uscite quelle?” chiese esterrefatto, indicando con l'indice ciò che del petto era sempre stato celato e che era ben mostrato in quel momento dalla grande scollatura che, volutamente, poco lasciava all'immaginazione. La giovane si mise le braccia davanti ai seni.
“Le ho sempre avute così, scemo!” esclamò vergognosa.
“Law, non credevo che tu oltre a essere sarto fossi anche un chirurgo estetico!” continuò senza sosta Hwoarang a sfottere la sua bambina, ridacchiando a ogni rossore della piccola davanti a sé derivato un po' dalla rabbia e un po' dalla vergogna. Lei non resistette più alla tentazione di tiragli dei colpi: pugni, calci, sgabelli, un portacenere sul tavolo più vicino... qualsiasi cosa che avrebbe potuto ferirlo.
“E dai, dai, per una volta che ti faccio un quasi complimento,” la canzonò divertito il coreano, senza smettere di ridere, anche di fronte alla pericolosa situazione in cui si era cacciato. Schivava i colpi agilmente, ma molti solo per casuale fortuna.
“Davvero? E allora ti rispondo con un quasi colpo basso!” e gli assettò un calcio nella parte più dolorosa che si potrebbe beccare di un uomo. Un colpo basso in tutti i sensi. Hwoarang non se lo sarebbe mai aspettato. Non ebbe neppure il tempo di difendersi e, dolorante e incredulo, si accasciò a terra.
“Perché un quasi colpo basso?” chiese Paul confuso e un po' in pena per il povero amico, quasi sentisse il suo dolore riflesso su di sé.
“Perché gliene ho presa solo una,” rispose con risolutezza Xiaoyu. La pietà del biondo andò a farsi benedire e rise stentoreo.
“Per fortuna... che non era un colpo basso completo...” rispose di rimando Hwoarang. La bambina, ridendo accondiscendente e un po' dispiaciuta per il suo capobanda, lo aiutò ad alzarsi da terra.
Ridevano ancora, sotto il piccolo tetto del locale, in uno spazio ristretto e riempito fino all'orlo di mobili di seconda mano, sedie vecchie e gioia. Si aggiunse alla combriccola il Law più grande, tornato da un giro senza meta fuori dal suo ristorante e ancora ubriaco. Grazie a ciò, si adattò facilmente all'allegra comitiva.
In egual modo, il blouson noir si stava ubriacando di un sentimento astratto e poco conosciuto, e succedeva ogni volta che portava lo sguardo sulla bambina. Il precedente tocco leggiadro della ragazza che fece per tirarlo in piedi gli aveva dato una scossa di piacere inaspettato. Rammentò le notti conturbanti passate in compagnia di sconosciute, ripensò alla luna piena che accompagnava il loro tango, a ciò che avrebbe potuto continuare a farle quella sera, a ciò che avrebbe voluto farle in quel momento. Pensieri lascivi rimasti celati con forza nella sua mente gli divennero chiari e cristallini. Sapeva che si sarebbe potuto sentire il padrone del mondo se solo l'avesse afferrata, abbracciata, posseduta...
Era proprio come diceva Rana.
Se ne rese conto soltanto quando gli fu mostrato quel suo lato nascosto di donna.
E ne rimase abbagliato.























----------------------------------------------



Leggero ritardo. E' vero. Perdonatemi, ma non riesco più a postare nuovi capitoli su EFP e non ne capisco la causa ç_ç Ringrazio tanto tanto tanto Tifalockhart, al quale ho inviato il capitolo e che ha postato lei con il suo computer (che invece va), usando il mio nick. Non la ringrazierò mai abbastanza ç*ç
@Shuriken: "riesco ad avere un'immagine nitida, nella mia testolina, della situazione che descrivi, il che è semplicemente fantastico!!!XD"
Aww... che cosa bella che mi hai appena detto ç__ç
"Già mi piaceva di suo (e beh ci credo!!XD)"
Hwoarang: "Sentito Kazama?"
Jin: "Ehmbè?!"
Hwoarang: "Come sarebbe a dire ehmbè?!"
Jin *dopo un'attenta pausa di riflessione*: "Quanto sei idiota..."
E i due, tanto per cambiare, si pestarono xD
I tuoi complimenti, Shuriken, mi lusingano a tal punto che quasi credo di non meritarli xD Sei un tesorissimo ^^
@stefychan: "la parte che mi è piaciuta di più è quando Hwoarang cerca di bloccare Xiaoyu prendendola per un braccio e poi alla fine si ricorda del "contatto" della sera prima e la lascia andare..."
Anche a me *_* non immagini l'emozione di scrivere quelle rare occasioni di romanticismo! xD
@Miss Trent: complimenti più che meritati! >*< E giuro che se lo convinco a fargli leggere finalmente qualcosa (a mio fratello, intendo... praticamente si legge solo i Topolino xD) lo faccio davvero! Lui lova Nina quanto io lovo Hwo. E ho detto tutto xD
"(e non ce lo vedo affatto male Rana come prof di filosofia XXD)..."
Oddio... credo che darebbe un sacco di insufficienze alle allieve femmine, conoscendolo xD
@Chiaras: dolce come sempre! ^*^
"in questo si sono visti alcuni cambiamenti sulla piccola donna ed il blouson noir!!hehe..."
Dici bene! Finalmente ha ribadito un po' la sua filosofia della mocciosa! :P
@Tifa: "Ahhh(strilla come una pazza dalla gioia,mentre Sephy e il conte Van la guardano stupitiXD)"
Oddei! xDDDDD
"Oramai Hwoarang è caduto nella rete della piccola donna*_*"
Stavolta niente interventi scemi dei personaggi di Tekken... hai perfettamente ragione **
@Silver Princess: "Io adoro queste riflessioni filosofiche dense di significato..*__* "
Rana: "Qualcuno mi capisce... ç__ç"
"mi è piaciuta la parte del pugno che viene bloccato, e l'effetto del contatto. *__*"
Thanx ç*ç E' anche per me una scena abbastanza sacra... e poi voglio dire... i due non si toccano mai xD Grazie tante tante, Silver ^*^


Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ossessione ***


Il buio senza tempo delle nubi attraversava la periferia Est come ogni sera. Come sempre, i mascalzoni che l'abitavano festeggiavano con boccali di birra, bottiglie di whisky, schiamazzi e risate; talvolta anche con qualche amorevole pacca che poi diventava un pugno.
Niente aveva alterato la consueta routine del famoso quartiere, meno che un dettaglio: i ragazzi del rosso erano inusualmente silenziosi, mansueti, e i loro occhi erano orientati verso una sola persona. Hwoarang, come sempre, era riuscito con l'inestimabile carisma ad attirare l'attenzione di tutti.
“Ragazzi miei!” urlò sopra una piattaforma alta e non identificata coperta da un grande telo rosso. Gli uomini risposero al suo richiamo con un esaltato strepito. “E ragazze...” aggiunse languidamente, posando però lo sguardo su Mugen e scaturendo le risate di tutti.
“E non scordiamoci le bambine!” soggiunse con enfasi, indicando l'unico membro del gruppo che lui soprannominava così. Lei sorrise con supponenza a quel solito e sciocco modo che aveva lui di chiamarla.
“Prima di iniziare a festeggiare per domani, il giorno che andremo alla festa della Mishima, vorrei farvi vedere una piccola cosa...” e l'attenzione dei suoi uomini crebbe, perché, nonostante avesse affermato che ciò che doveva mostrare agli altri fosse cosa da poco, arrise furbo come una volpe. Si allettava aria di grandi sorprese.
“E cosa vuoi mostrarci, capo?” fece uno della banda, un non individuato tra i molti attorno a lui.
“Qualcosa nascosto qui sotto...” rispose emblematico il loro boss.
“Se intendi nei tuoi pantaloni, capo, lascia pure perdere che a noi non interessa!” esclamò un altro nella calca che fece sghignazzare i restanti. Hwoarang, nonostante lo scherzoso affronto, rispose più serio e serafico che mai:
“Non era quello che intendevo, ho detto che ho una piccola cosa da mostrare.”
“Vorresti dirci che avresti invece una grande sorpresa sotto i pantaloni?” domandò un tizio rasato e con un tatuaggio lungo tutta la schiena.
“Rispondo a questo quesito vietato ai minori solo se qualcuno tappa le orecchie della bambina,” scherzò il coreano. Xiaoyu aprì bocca per replicare, ma il rosso non gliene diede il tempo.
“Non tu, Mugen, che sei un porco persino con le minorenni!” gridò guardandolo di sbieco, arridendo con la stessa rassegnazione divertita di una madre che becca il proprio figlio a fare qualche monelleria.
“Ma non ho mai fatto niente di male a Xiaoyu!” contrariò bonariamente il tatuato, che effettivamente, sebbene spinto da propositi immorali, neppure una volta era riuscito a portare le sue intenzioni a fatti veri e propri.
“Solo perché ti tengo d'occhio,” esplicò Hwoarang mettendosi a braccia conserte.
“Già, cazzo...” ammise Mugen con appena un brontolato mormorio, che, sfortunatamente per lui e al contrario di ciò che aveva premeditato, fu forte quanto bastava da essere sentito dalla diretta interessata. La cinesina spalancò gli occhi sbigottita e arrossì vistosamente.
“Ma no, Xiao! E' ovvio che non l'avrei mai fatto neppure se ne avessi avuto il tempo!” affermò un po' esitante il tatuato con l'intenzione di rimediare al danno.
“Mugen, la frittata l'hai fatta e ora sei fottuto!” urlò John con spasso.
D'improvviso, mentre ognuno era distratto dalle urla, dal chiasso e dalle risate collettive, Hwoarang balzò dall'alta piattaforma atterrando di fronte ai suoi uomini, ed essi si accalcarono per poter meglio cogliere anche un solo spiraglio del loro boss.
“Senza cincischiare ulteriormente... avete sentito? Ho detto cincischiare. Sono o non sono abbastanza aulico da poter essere scambiato per un mangiasoldi della Mishima?" domandò con aria amena al gruppo. “Insomma, senza perdere altro tempo...” e la frase si spezzò a metà, aspettando il sollevarsi dell'interesse di tutti. Era un silenzio curioso, che implorava di continuare, proprio ciò a cui ambiva Hwoarang. Quest'ultimo, con un gesto secco della mano, fece cadere il grande telo a terra scoprendo ciò che conteneva.
“Un omaggio dal buon vecchio Leonard, il suo ferrovecchio!” esclamò, e tutta la massa strepitò acclamando al quattro ruote che tanto adoravano; tutta tranne Xiaoyu, che permaneva fedele alla sua idea di ripudio per quel camioncino usato con finalità poco ortodosse.
“Stasera Leonard non c'è – o, per meglio dire alla maniera dei Mishima, non potrà deliziarci con la sua presenza –, ma ha portato per noi due suoi amici...” disse Hwoarang con persuasione. “E voi sapete chi sono i suoi amici oltre noi, vero?”
La folla, di nuovo, schiamazzò con furore, dando all'unisono la risposta al quesito:
“I sequestrati!”
“Ragazzi, hanno un nome: il signore e la signora Kobayashi, che verranno sostituiti domani da me e la bambina per entrare alla festa!” riferì il capobanda, ma prima che il resto del gruppo potesse rispondere con il solito, indomato, animalesco strepito, Xiaoyu si fece largo tra la folla con aria irritata. Per questo, sapendo bene quanto fosse pericoloso provocarla – parlando soprattutto dei tre che tempo addietro provarono per loro sfortuna la furia della ragazzina a loro spese –, gli uomini del covo si spostarono senza battere ciglio e senza che la cinese chiedesse alcun permesso.
La bambina, ora davanti al furgone, aprì le due ante. Dentro il camioncino erano state legate due persone diverse dalle ultime rapite ma con l'identico stato d'animo di terrore. Erano la signora Kobayashi, donna di mezz'età e di corporatura robusta, e il signor Kobayashi, anche lui di mezz'età, ma al contrario della moglie esile come un fuscello. Si accomunavano tra loro, oltre l'aria impaurita, per l'abbigliamento di lusso e l'agghindamento di gioielli, anelli e spille d'oro.
“Blouson noir, sei uno schifoso, infido, sadico-”
Ma Xiaoyu non poté inveire oltre, perché il suo boss chiuse prontamente la porta posteriore del camioncino guardandola serio come mai era stato prima e senza aprir bocca. La ragazza si zittì intimorita dallo strano silenzio austero del coreano.
“Siamo nei guai... ci hanno visti in faccia...” riferì sommessamente Hwoarang con voce preoccupata. Si avvicinò alla massa, che man mano si scansava da lui formando un largo semicerchio, ed emise un grosso sospiro.
“Lo sapete, l'unico modo per farli tacere... è...” e a quelle parole reclinò il capo in avanti, in una teatrale mossa di disperazione. Gli altri assentirono all'unisono.
“Il boss ha ragione, dobbiamo ucciderli...” sancì fievolmente un altro. Quelle terribili parole paralizzarono completamente Xiaoyu.
“E' l'unico modo...” convenne il rosso. “Trovate un metodo rapido e indolore.”
“Potremo gettarli in mare legati a un grosso macigno!” suggerì John.
“Ho detto un metodo rapido e indolore,” ripeté il boss.
“Una pistola! Chi ce l'ha una pistola?” chiese un ragazzone coi capelli platinati.
“Non abbiamo munizioni...” rispose quello accanto.
“Abbiamo un coltello, ma è un'arma così antiquata...” disse la sua qualcun altro.
A quelle parole ciniche e fredde, la bambina tremava e sbiancava sempre più; sembrava in punto di dover svenire da un momento all'altro. Realizzò che il blouson noir, di cui credeva sapere tutto, in realtà non lo conosceva affatto. A prima impressione era un delinquente, un mascalzone – e queste caratteristiche peculiari evidenziavano già da sole un'impronta criminale nella sua indole –, ma mai Xiaoyu l'avrebbe reputato un assassino. Che fosse stata troppo ingenua con lui e i suoi nuovi compagni?
“Be', visto che è stata colpa della bambina, sarà lei a doverli uccidere,” sentenziò il coreano. Solo in quel momento la giovane scollegò del tutto il suo cervello. Era una situazione paradossale, forse la più paradossale della sua vita. Le veniva voglia di arrabbiarsi, di piangere, di fuggire, di urlare, ma non era sufficientemente lucida da riuscire in quelle imprese.
Nel momento in cui iniziò a ritornare padrona delle proprie funzioni intellettive, si accorse che tutti la stavano fissando divertiti.
Il blouson noir tentò di restare serio, ma per una persona come lui, puerile ed istintiva se si trattava di farsi quattro risate, era difficile rimanerlo per troppo tempo. Cominciò a sghignazzare, seguito a ruota dagli altri.
Xiaoyu rimase completamente spiazzata.
“Ti stavamo prendendo per il culo, bambina!” esclamò Hwoarang con le lacrime agli occhi.
Soltanto in quel momento, cosciente del brutto tiro che le aveva fatto la banda al completo, Xiaoyu riuscì a estrinsecare la propria rabbia:
“Che scherzo di cattivo gusto! Credevo che solo il capo della banda fosse un imbecille, e invece lo siete tutti!” strillò, e il pallore sul suo viso scomparve all'istante lasciando il posto a un bel colorito rosso acceso.
“Che fessa! Avresti dovuto vederti la faccia... eri così... spassosa!” continuò imperterrito il coreano, rimasto in alcun modo offeso dalle parole scontrose della cinese; aveva la mente troppo distratta dal divertimento per occuparsene. Gli unici che si sentirono in colpa furono una parte del gruppo dietro al boss, Rana, John e Mugen inclusi. Si avvicinarono a Xiaoyu e ognuno, a modo suo, la consolò: chi con carezze sulla testa, chi con pacche sulla spalla, chi con battute e chi, addirittura, offrendole sigarette o bottiglie di rum.
La cinese, calmatasi, riuscì a reprimere le lacrime che avevano cominciato a pizzicarle gli occhi.
“Vi perdonerò solo se taglierete la lingua a quello scemo del vostro capo, così da zitto sembrerà più intelligente!” urlò in preda a una crisi di nervi alla combriccola attorno a sé. Mugen fu il primo ad acconsentire alla richiesta della ragazza.
“Scusami capo, ma... se si tratta di Xiaoyu, questo e altro!” disse ammiccando alla cinese. Hwoarang stava già cominciando a scappare, ma accadde che, nel girarsi, si scontrò involontariamente contro una persona che la bambina non aveva mai visto prima.
“Hwoary!” disse questa con un sorriso luminoso.
La linea del suo corpo era più esile rispetto a quelle robuste dei balordi della periferia Est e aveva una voce acuta e cinguettante. Si trattava di una femmina, l'unica oltre Xiaoyu. Poco dopo, Hwoarang ne adocchiò altre quattro alle spalle della nuova arrivata.
“Kanna?” tentò d'indovinare il rosso, e ci prese, perché la ragazza gli rispose con un sorriso a trentadue denti. “Non dovevi venire più tardi?”
“Non avevo voglia di aspettare,” ammise lei con voce sbarazzina, girando lo sguardo attorno a sé. “Carino l'ambiente... originale!” soggiunse vivacemente dirigendosi ai falò, e ben presto si trovò con le amiche in mezzo ai malviventi della periferia.
“Capo,” disse John dopo essersi accostato al coreano, “e queste ragazze?”
“Sono studentesse universitarie trovate in giro per Tokyo.”
“Era da una vita che non ne rimorchiavi alcune e le portavi qui!” valutò il gigante con aria felice.
Di risposta, Hwoarang sfoderò un sorriso, ma questo si spense subito dopo che il ragazzo posò gli occhi sulla bambina.
La vide avvicinarsi alle nuove arrivate con quel solito modo di fare allegro e curioso per cominciare subito una chiacchierata. Ma, lo si notava dai suoi sorrisi incerti, era anche frastornata per la nuova situazione. Era strano ritrovarsi altre ragazze oltre lei nella periferia Est. Nessuna donna, da quel che Xiaoyu ricordava, aveva mai messo piede in quel quartiere maschile e caotico, ciononostante sembravano sentirsi assolutamente a loro agio.
Quando accadeva che una componente dell'altro sesso varcasse la soglia dell'area urbana per entrare nella periferia, i maschi, come da copione, facevano accomodare le nuove arrivate sui materassi e andavano a cercare bottiglie alcoliche non ancora stappate da offrire.
“A cosa questo secondo omaggio?” domandò John al rosso.
“A niente, è da tanto che non vado con una donna,” rispose il capo con la più ovvia logicità. Ma la verità era un'altra e Hwoarang la conosceva bene.
Tutto era cominciato qualche sera prima, al ristorante della famiglia Law. Lei era apparsa da dietro la porta della cucina, diversa come non mai l'aveva vista, e tutta la sua bellezza, perennemente velata da un atteggiamento infantile che la bambina ostentava ogni giorno, era inaspettatamente sbocciata con poco più che un abito rosso di seconda mano.
Era splendida. E forse lei nemmeno lo sapeva.
Quella sera, Hwoarang cominciò a provare per lei qualcosa di strano e inconfessabile. Comprendeva i desideri più intimi e istintivi che un uomo può provare per una donna. Era riuscita a catturare una sua nuova attenzione, non più di prese in giro, di risate o di amichevoli botta e risposta. Voleva rivederla con addosso il vestito di seta rosso per poi svestirla e fare con lei ciò che aveva fatto alle donne che erano state sue.
Non era niente di così tanto catastrofico e irrisolvibile. Erano solo un paio di forme del corpo che gli avevano ricordato le gioie del sesso, l'istinto umano, che si era impossessato di Hwoarang perché non andava con una donna da molto tempo. Era questa la risposta che si era ostinato tanto a trovare.
Non era da lui reprimere le proprie tentazioni, così le avrebbe scaricate su sconosciute, poi tutto sarebbe tornato come prima.
Aveva conosciuto le studentesse universitarie per strada, come con qualsiasi altra ragazza con cui aveva avuto le sue storie a metà. Con loro non era più il capo austero e sagace della periferia Est, e neanche il ragazzaccio sghembo, strafottente e cinico che amici o nemici conoscevano; quando c'era di mezzo una ragazza, Hwoarang sfoderava una parte di sé che nessun maschio avrebbe mai potuto vedere. Elargiva sorrisi irresistibili, parole tenere e discorsi divertenti sulla sua vita da motociclista scapestrato, facendo pendere tutte dalle sue labbra.
Xiaoyu, seduta in un angolo, spiava il capo mentre chiacchierava con le nuove arrivate. Non lo aveva mai visto così affabile con nessuno, men che meno con lei. Non si era degnato neppure una volta di concederle sorrisi che non fossero solamente derisori. Ricordava, però, il primo giorno in cui aveva intravisto questa parte sconosciuta del suo capo, fuori il cancello di scuola, un pomeriggio di settimane prima, quando aveva sfoggiato un sorriso smagliante ad alcune studentesse in giardino.
Probabilmente ne aveva fatti tanti nella sua vita. Xiaoyu sentiva che in qualche modo era abituato a stare in mezzo alle donne, ad averle intorno e ad adularle, e molte di loro, chissà come, cedevano spesso al suo charme ribelle.
Con lei, però, non giocava a fare l'uomo, perché la considerava la mocciosa di compagnia. O almeno, questo era ciò che lei stessa asseriva come la certezza più inconfutabile di questo pianeta. In realtà, in quei due giorni, senza che lei ne sapesse niente, il coreano aveva cercato di combattere un'atroce guerra interiore per tenere a freno la voglia di toccarla.
Kanna, la ragazza che per prima gli aveva rivolto la parola, si sedette di fianco al capobanda davanti al falò, prendendolo sottobraccio e strusciandosi ruffiana come una gatta. Hwoarang restava calmo di fronte alle sue moine. Le poche volte che lei gli diceva qualcosa, lui le rispondeva con la battuta pronta e veloce affermando sempre la cosa giusta al momento giusto, e Kanna rideva, sorrideva e cedeva sempre più.
A Xiaoyu non piaceva la strana intimità che intercorreva tra quei due. Lontana tante casse di liquore più in là, accerchiata da uomini che lei conosceva e che in quel momento neppure vedeva, si sentiva a disagio. Mentre spiava il rosso e la gatta, un fastidio profondo la dilaniava sempre più, facendola diventare accigliata e innervosita.
Ad un tratto, Kanna si staccò dal rosso per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Hwoarang annuì sorridendo, la prese per la mano e, assieme, si allontanarono da tutti, verso uno dei tanti vicoli bui e stretti della periferia.
L'ultima cosa che udì Xiaoyu fu una risatina acuta, prima di vederli del tutto sparire nell'oscurità.
La cinese si rese conto con sconcerto che il precedente sentimento di frustrazione era molto più indolore rispetto a quello che stava sentendo in quel momento.
S'alzò di scatto, sotto lo sguardo incerto di chi le stava attorno, e senza dire una parola se ne andò.

La preda e il predatore giocavano a rincorrersi nelle vie senza luce della periferia Est, tra le scatole di cartone e la scala di ferro di un palazzo in cui nessuno abitava più. Hwoarang afferrò Kanna per il braccio, addossandola al muro, e lei non aspettava altro. Con la mano gli cinse il collo, avvicinandolo a sé.
“Mi hai catturata...” sussurrò al ragazzo con il respiro pesante, un po' per la corsa e un po' per l'emozione.
“Correvi come una furia. Persino per uno come me, che a giornate scappa dalla polizia,” scherzò il rosso facendola ridere. Fu quasi inevitabile, data la loro stretta vicinanza, che le labbra del ragazzo sfiorassero la guancia di lei, posandosi poi con più furore, seguendo l'attaccatura del capo fino ad arrivare al collo. Kanna sussultava a ogni suo respiro in preda all'eccitazione.
Si sfilò la giacca, riuscendole facile anche se completamente addossata alla parete.
“Scommetto che sei il classico tipo di strada che seduce le donne e poi le abbandona dopo averle sciupate...” mormorò gettando con noncuranza la sua giacca sulla terra sporca sotto i suoi piedi.
“Intendi emotivamente o fisicamente?” domandò con ironia Hwoarang, scaturendo le risate della ragazza.
“Credo proprio che domani non andrò a lezione...” decretò la gatta, lasciando volutamente intuire l'intenzione di volersi dare alla pazza gioia per tutta la notte.
“Se mamma ti scopre, ti sculaccia,” scherzò il ragazzo, tra un bacio e l'altro sul collo di lei.
“Allora adottami tu. Sarò la tua bambina.”
Il respiro caldo che Kanna sentiva sul proprio collo, d'improvviso, si stroncò. Al rosso gli si erano come congelate le corde vocali. La donna, senza badarci, gli prese la mano per trasportarla lentamente sul proprio seno, e nel mentre il blouson noir si allontanò da lei per guardarla negli occhi. Ebbe quasi una sincope quando vide davanti a sé l'immagine immaginata più reale che avesse mai avuto.
Sembrava si trovasse davvero lì, con quei soliti codini di bambina, avvinghiata tra le sue braccia e intrappolata tra lui e il muro. Lo fissava con uno sguardo tenero e una punta di sensualità nei suoi occhi lucidi, mentre gli manteneva ancora la mano sul petto che Hwoarang desiderava esplorare dalla sera del vestito di seta rosso.
“Baciami...” gli mormorò con voce flautata. Solo in seguito Hwoarang si accorse che quella voce non apparteneva alla persona della sua fantasia. Si ritirò dalla ragazza, spaventato da ciò che lui stesso aveva immaginato.
“Che ti prende?” gli chiese timorosa Kanna. Il coreano cominciò a ridere nervosamente, coprendosi gli occhi con il palmo della mano.
“Scusami, Kanna,” disse soltanto. Restò così per un po'. La ragazza, ora con aria preoccupata, gli chiese:
“Qualcosa non va? Posso fare qualcosa?”
La risposta del rosso fu immediata:
“No. E' meglio che tu ora vada.”

Al suo ritorno, qualche ora dopo, i malviventi della periferia Est si fecero trovare stravaccati disordinatamente a terra. Assieme a loro erano rimasti alcuni falò smorzati e qualche rimasuglio di donna in giro per la periferia: una spilla per capelli, una sciarpa rossa, una canotta lasciata senza pudore per un motivo fin troppo ovvio. Il coreano diede un calcio a una bottiglia vuota di sake, facendola rotolare lontana. Seguendo con gli occhi il suo oscillante percorso, intravide involontariamente la cinese semi sdraiata sul materasso della grata dell'abbraccio. Quest'ultima si destò di colpo, spaventata dall'inaspettato rumore di vetro che cozzava sul pavimento come un campanaccio stridente, un suono fortissimo in mezzo al sordo silenzio che infestava il covo durante i dopo festa. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi del blouson noir.
Senza riflettere più di tanto sulle proprie azioni, seguendo solo l'istinto, Xiaoyu si mise in piedi con un unico e agile balzo e scattò con passo veloce lontana da Hwoarang. E lui, sempre per istinto, la seguì senza pensare.
“Che vuoi, blouson noir?!” domandò seccamente la bambina.
“Cos'è questo tono scontroso? Ce l'hai ancora con me per lo scherzo di prima?” chiese a sua volta il rosso, confuso e risentito allo stesso tempo.
Ce l'aveva con lui, era vero, ma non certo per quella stupida trovata che lei aveva dimenticato da quasi subito.
“Esatto,” mentì lei, sommessamente. “Quindi, per le prossime ventiquattr'ore, lasciami in pace!”
Hwoarang non disse niente, le riservò soltanto un silenzioso sguardo scrutatore.
Qualcosa non andava. Quell'espressione seria e indecifrabile di lui la immobilizzò. Non aveva niente a che vedere con le occhiatacce antipatiche di ogni giorno, e neppure con i sorrisi smaniosi di quella sera. Tra tutte le facciate della sua indeterminabile personalità, quello sguardo insolito, un po' austero e un po' indeciso, che neppure Hwoarang stesso riusciva a controllare, l'aveva riservato solamente a lei.
Xiaoyu non si lasciò incantare oltre. Si voltò dandogli le spalle, allungando meccanicamente la mano verso il tavolino scalcagnato alla sua destra per un appoggio a causa del buio quasi totale che ottenebrava tutto il vicoletto, ma, contrariamente alle previsioni della cinese, essa andò a posarsi sul collo di una bottiglia di vetro rotta di cui non si era accorta. Una scheggia le si conficcò nella palmo e la bambina ritirò la mano al petto, mantenendosela con l'altra. Una smorfia di dolore prese il sopravvento sul suo volto sottile.
Quando il coreano notò il sangue che aveva cominciato a sgorgarle sul polso, prese Xiaoyu per il braccio avvicinandola a sé.
“Che cacchio vuoi, blouson noir?!” esclamò la cinese tentando di ritirarsi da lui, ma la presa ferrea di Hwoarang non le lasciava scampo.
“Smettila di fare storie, sto cercando di darti una mano, razza di stupida ingrata!” ribatté il rosso arrabbiato. La bambina si accigliò, ma non disse niente. Aprì il palmo della mano per mostrargli la ferita.
Il coreano la condusse al lavandino. Quando le tolse senza avviso la scheggia dalla mano, Xiaoyu emise un gridolino di dolore. Le portò il braccio sopra il lavabo e aprì il rubinetto. L'acqua sgorgò con un getto forte sul palmo di lei.
“Guarda qua. Sei sempre così svanita...” mormorò Hwoarang, mentre rovistava sul tavolo per cercare un qualche straccio che avesse potuto tamponare la ferita. Trovò un telo bianco strappato ai lati e, fungendolo da garza, fasciò con esso la mano della cinese bloccandolo con un nodo stretto.
La medicazione era finita, eppure la mano di lui continuava a cingere irremovibile quella di lei. La bambina, leggermente confusa, tentò di divincolarsi, ma la morsa ferrea del suo capo non glielo permise.
“Blouson noir...” si lamentò Xiaoyu con una voce che sembrava quasi implorante.
Hwoarang boccheggiò per qualche attimo, e, a un tratto, le parole gli salirono per la gola uscendo dalle labbra da sole.
“Non ci ho fatto niente con quella.”
La cinese gli ricambiò finalmente lo sguardo, e la sua confusione era mista a qualcosa che neppure lei stessa riusciva a comprendere.
Il coreano rifletté attentamente solo in quel momento sul perché di quelle parole, proferite senza esaminarle più del dovuto. Il suo istinto riteneva indispensabile informarla sul fatto, e, in fondo, anche Hwoarang stesso ne conosceva il motivo. Stavolta nessuna scusa, anche la più accurata e ricercata tra i meandri delle infinite ipotesi, avrebbe potuto contestare quella verità fin troppo ovvia.
Lo strano anelito che il blouson noir provava per la bambina non era solamente un prurito a cui sarebbe bastata una grattata per alleviarlo, come lui stesso aveva asserito. Quel desiderio increscente era derivato da una ragione che andava ben oltre questo, e che per il capo della periferia era più spaventosa di quanto in realtà avrebbe dovuto esserlo.
“E allora?! Chi se ne frega!” proruppe Xiaoyu, rompendo il silenzio con quell'assordante confessione insincera. Si liberò dalla presa di Hwoarang con uno strattone e corse via da lui, verso il materasso della grata dell'abbraccio. Si buttò sopra di esso, emettendo un tonfo appena udibile seguito da uno sbuffo d'aria, e sprofondò tra le sinuosità di quella morbida compagna.
Nascose tra le pieghe un'espressione che, al contrario di poco prima, era sollevata e contenta. Nonostante ciò, qualcosa la faceva sentire irrequieta.























----------------------------------------------



Non so come ma ho la netta sensazione che dovrò cambiare il raiting di questa fanfiction... ghgh! >D
@Tifa: Ancora ti ringrazio un casino per la pubblicazione. Date dei baci anche a lei, che se non c'era sarei rimasta ferma per chissà quanti mesi! xD Forrest: "Ammetto di essere stato geniale..." *Si scosta una ciocca della frangia con fare gasato*
Figlia, granzie ancora tantissimo per i commenti che mi fanno sempre sempre piacere ^*^
@annasukasuperfans: Giuro che son felicissima di risentirti ç_ç Non ti avevo più vista e mi preoccupavo... Comunque è vero: probabilmente Xiaoyu è l'ultimo personaggio di Tekken che ci immagineremo mai con un vestito succinto addosso xD Credo che la prima sia Anna... oppure Nina. Boh xD Grazie per il commento! ^*^
@Miss Trent: Addirittura l'hai stampato? o.o Ammetto che sapere che qualcuno si legge il cartaceo della mia fanfiction mi lusinga un casino! E' fintissimo, lo so, ma sembra essere quasi un libro! xD E ti giuro che mi sorprende davvero che tu abbia avuto l'interesse di stampartela... ç*ç Ammora, grazie tantissimissime per i commenti che mi fai: detti da te mi spronano non sai quanto di andare avanti! ^*^
@Chiaras: Dolcissima più che mai! ç_ç Davvero non ho altro da dire... ç_ç Sei gentilissima, grazie! ^*^
@Shuriken: Mi commuovi, come sempre. ç_ç E' stata una cosa, davvero, meravigliosa quella che hai detto, quella della fantasia. E di nuovo piango ç*ç
@Silver Princess: xD Ammetto che ridevo anche io mentre la scrivevo! xD


Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Festa - parte I ***


Ovunque, in ogni angolo remoto delle strade trafficate di Tokyo, si percepiva un'aria di grande scalpore e frenesia. La sera del 31 ottobre era un gioioso conglomerato di cappelli neri a punta, candele, zucche e mantelli rossi. Nessuna via era buia o vuota. Le persone marciavano in grandi carovane, accalcate come tante formiche su di un tozzo di pane, verso un'unica meta: il centro della città o, più precisamente, la sede principale della Mishima Zaibatsu. Gli occhi di Xiaoyu scintillavano allo stesso modo festoso di quella collettiva vivacità.
“Non sembra neppure Halloween...” convenne mentalmente, trovando in quell'atmosfera una solarità che aveva poco a che vedere con la lugubre ricorrenza dei morti. Si girò per poter dire a Hwoarang ciò che aveva appena pensato, ma quando gli posò gli occhi addosso cominciò a ridere.
“Ancora...” sbuffò il rosso, guardandola torvo. Ma lei non per questo smise. Neppure quando appena qualche minuto prima le aveva inveito con parole velenosissime che, sì, le riservava abitualmente, ma non così tante, di tanta forza e durante un tempo tanto corto.
“Mi hai rotto le palle, bambina,” le disse scocciato e con aria rassegnata. Xiaoyu non poteva farne a meno; dopotutto, chi poteva darle torto? Chiunque, del covo dell'Est, avrebbe riso alla vista del loro leader rosso e anticonformista travestito da aristocratico in smoking con papillon. Ciò che appariva tanto normale alla gente sconosciuta attorno a loro per lei era assolutamente anormale, abituata a vederlo sempre trasandato, con la faccia sporca di polvere e i capelli arruffati e spettinati, in quel momento raccolti in un codino basso. Neppure un ciuffo fuori posto stonava la perfetta acconciatura.
L'insolito beffeggiato si guardò attraverso il riflesso della vetrina di un negozio. Era vero, non era assolutamente da lui tutta quella signorilità, ma non rise neppure un po' per questo, quanto più si dedicò una significativa smorfia di disgusto. La cinese lo osservò silenziosa, reprimendo le risa. Pensò, nonostante gli indumenti eleganti sopra l'individuo più disordinato che avesse mai conosciuto, che riusciva a sembrare ai suoi occhi quasi attraente. Lo era, effettivamente, ma non ci aveva mai pensato fino a quel momento.
“Blouson noir...” lo chiamò gentilmente con l'intenzione di consolarlo, ma l'avventato coreano non ne permise il tempo.
“Stavo pensando che la prima volta che ti ho visto con il vestito di Law ho fatto una smorfia peggiore.”
Si girò e si accorse che finalmente era riuscito a zittire la ragazza. Quest'ultima, ovviamente, ritirò tutti i suoi silenziosi complimenti e sottolineò il suo disappunto alzando il famoso dito medio all'insù che veniva usato nel covo dell'Est quando un'offesa verbale non bastava più. S'incamminò rossa di rabbia verso l'edificio della Mishima, più rossa del rosso dei capelli di Hwoarang. Quest'ultimo la scortava silenzioso, cinque passi lontano da lei. Sorrideva soddisfatto per la sua vittoria, ma certe volte sbuffava scontento di sé, perché l'aveva piegata con una grossa menzogna. La verità, d'altronde, lui la conosceva bene.
Raggiunsero, tra riflessioni segrete ed epiteti mentali, la loro meta ancor prima del previsto.
Il palazzo della Mishima, adesso, non sembrava più così cupo come le altre volte. Davanti al blouson noir e la bambina si presentava l'edificio più colorato e tappezzato di tutta la città e i loro occhi stentavano a riconoscere che quella struttura operava con propositi loschi. Hwoarang fu il primo a portare i suoi pensieri ad un'affermazione vera e propria:
“Assassini vestiti con frac e papillon...”
La bambina concordò con un solo, secco movimento della testa. Le risultava difficile fingere di sorridere davanti al palazzo che odiava più di tutti, ma per seguire al meglio i piani avrebbe dovuto essere cordiale per tutta la serata. Le sembrava impossibile già in quel momento, senza aver neppure cominciato.
Al rosso non sfuggì la preoccupazione della compagna, la stessa che, dopotutto, aveva lui.
L'immenso portone d'ingresso era riempito di uomini in divisa che controllavano la lista degli invitati; appena distanti da loro, una marmaglia di gente occupava tutto lo spazio del marciapiede, largo all'incirca tre metri. La folla era persino più stipata di quelle dei concerti rock che Hwoarang, molti sabati sera, frequentava.
La sua vista fu attirata da un insolito particolare.
“C'è un gelataio vicino all'entrata,” esordì alla sua bambina, che si voltò incuriosita. “Quello è il peggior travestimento che poteva ideare un membro della Mishima... Ma l'hai visto? Non è credibile... guarda che aria truce!” e finendo di dire ciò improvvisò un'imitazione facciale. La cinese si lasciò scappare un risolino.
“Andiamo a comprarci un gelato,” continuò a dire Hwoarang.
“Adesso?!” chiese divertita e incredula Xiaoyu. Il coreano la trasportò prepotentemente per il braccio, per quanto, in realtà, non ne fosse assolutamente necessario, perché la cinese, con o senza incitamento, l'avrebbe seguito di sua spontanea volontà. Finalmente aveva sorriso.

In fila attesero molto e dovettero smorzare il tempo al solito modo che conoscevano: offendendosi, ridendo e di nuovo offendendosi. Stavolta furono più mansueti, per non destare strani sospetti dell'alta società attorno, perciò comunicarono tramite parole cifrate, affermazioni sussurrate e gesti più o meno beneducati.
Così, il tempo decise che era trascorso abbastanza da dover essere il loro turno.
“Nome e cognome,” chiese ai due una delle tante guardie appostate all'entrata.
“Signore e signora Kobayashi,” rispose Hwoarang, mostrando dei documenti falsi così ben fatti da poter quasi sembrare più veri degli originali. Era stato John il loro creatore, e questa era una delle sue tante attitudini da malvivente della periferia Est. La guardia lasciò cadere solo qualche rapida occhiata sui documenti, e subito li lasciò passare.
“Bambina, hai il batticuore da strizza,” le sussurrò il rosso divertito.
Xiaoyu sussultò. “Non è vero!” negò irritata.
“Cagasotto.”
“Idiota.”
Ma quella lite che sarebbe dovuta continuare fin quando uno dei due se ne sarebbe andato, o fin quando l'istinto omicida avrebbe preso il sopravvento sulla bambina inducendola a menare il suo compagno al punto da renderlo muto, o, ancora, fin quando il rosso coreano avrebbe trovato di meglio da fare – come scolarsi una bottiglia di vodka –, fu inaspettatamente sospesa appena i due oltrepassarono l'uscio della porta, esibendo anzi dei sorrisi così radiosi da far invidia al sole stesso.
Da quel preciso momento, cominciarono la loro recita.
Ciò che credevano di trovare all'interno dell'edificio era esattamente la maestosità che avevano fantasticato giorni prima. La bambina lasciò scappare un verso di stupore; il blouson noir, invece, nascose meglio il suo incanto, non riuscendo del tutto, però, a mascherare due occhi sgranati dalla sorpresa.
L'aristocrazia traboccava da ogni parte delle stanze, adornate di gioielli e di quadri, colorate d'oro e d'argento. Sul soffitto svettava un enorme lampadario di cristallo che rifletteva su tutto l'ambiente i variopinti colori delle pietruzze di cui era formato, creando un gioco visivo che rapiva gli occhi di tutti. Il levigato marmo del pavimento ricreava il medesimo gioco di luci. Su di esso, infatti, si riverberava il grande lampadario, come se il pavimento fosse più uno specchio vero e proprio che il lastricato che era.
Insomma, era proprio come nelle fantasie del blouson noir e la bambina; esattamente allo stesso modo, ma con riferimenti del tutto diversi:
“Sembra Vi presento Joe Black...” disse la prima. Hwoarang la guardò basito.
“Joe che?!”
“Joe Black! E' un film con Brad Pitt, uno dei più belli...” e finì la frase sospirando sognante. Per l'attore, ovviamente, non per il film.
Il rosso si grattò il capo prima di dire anche lui la sua. “A me sembra più Eyes wide shut.”
La bambina diede l'idea con una semplice espressione sconcertata di non conoscere il titolo da lui citato.
“Il film di Kubrick! Diamine, è famoso, come cazzo fai a non conoscerlo?!” rispose incredulo e arrabbiato il coreano. "Lì si vede la Kidman nuda,” soggiunse con una cadenza eloquente nella voce. Xiaoyu, all'ultima motivazione, fece uno sguardo di disappunto.
“Sei un maiale.”
“Non lo nego, e non nego neanche che tu te lo puoi scordare un corpo come il suo,” infierì il boss. La ragazza non riuscì ulteriormente a trattenersi: lo agguantò per il collo per strozzarlo, stavolta una volta per tutte, e si accorse solo in seguito dei molti occhi basiti puntati su di loro. Fortuna che poté, a modo suo, salvare la situazione.
“Tesorooo!” cinguettò, avviluppandosi al rosso come una piovra. Quest'ultimo espresse il suo frastornamento con una soffocata domanda di spiegazione, seguita da una bestemmia.
“Non voglio che la gente pensi che voglio ammazzarti, altrimenti daremo nell'occhio,” gli spiegò la cinese con un sussurro all'orecchio.
“Volevi ammazzarmi?!” chiese ancora più interdetto lui.
“Ho solo cercato, non l'ho fatto!” si giustificò Xiaoyu.
“Allora la cosa è diversa,” replicò sarcasticamente il giovane, rivolgendole un malevolo sguardo. Solo allora si resero conto quanto fossero vicini. Si staccarono insieme con un brusco movimento all'indietro.
“Scusa...” mormorò lei, ma se avesse saputo la verità non si sarebbe di certo scusata, perché ciò che il rosso desiderava farle non era certo retrocedere da un contatto fisico con lei. Se solo l'istinto fosse stato più forte dell'orgoglio, a quest'ora la situazione sarebbe stata diversa.
Hwoarang avrebbe rotto il ghiaccio esordendo una delle sue tipiche battutacce acide, ma la cinese non gliene lasciò il tempo cominciando a strattonarlo per la manica della giacca.
“Heihachi!” strillò, indicando con il dito un punto oltre Hwoarang. “C'è Heihachi, guarda!”
Il finto Kobayashi si voltò, scorgendo un gruppetto di uomini vestiti di nero e l'imponente figura del presidente della Mishima che sovrastava in mezzo a tutti. Era appena visibile, a causa della prepotente calca che gli si era formata attorno, ma i suoi inusuali capelli bianchi che protendevano verso l'alto erano un chiaro segno della sua presenza.
“E' la mia occasione,” decretò il coreano, arridendo elettrizzato. “Tu aspetta qui e non fare cazzate come sempre,” soggiunse severo alla compagna.
“Quello sei tu, non io!” controbatté lei, vanamente: il ragazzo era già partito in quinta e non sentì neppure una parola. Xiaoyu sbuffò scocciata, avviandosi verso il buffet.

Forse era solo stata l'influenza di quei maledetti libri di economia, ma Hwoarang sentì il bisogno di stabilire una percentuale su tutti gli invitati maschi della festa che si erano appropinquati al presidente della Mishima per poter entrare nelle sue grazie. Un buon ottanta per cento, almeno. I pochi rimanenti restavano con le mogli o coi vari conoscenti, ma dai loro sguardi vigili e perlustratori si vedeva che appena avessero avuto la possibilità di trovare un piccolo buco tra la marmaglia di ruffiani, si sarebbero precipitati immediatamente nella mischia.
Lo spirito puerile di Hwoarang non gli permise di aspettare come loro e si fece prepotentemente strada nel mucchio a suon di spinte e occhiatacce. Come lui stesso asseriva a mali estremi, estremi rimedi, ma aveva un modo del tutto personale di interpretare il detto, che diventava più simile a un gli estremi rimedi me li creo ancor prima dei mali estremi.
“Salve!” salutò con vigore, ritrovandosi addosso gli occhi dei leccapiedi e dell'oggetto del desiderio di tutti. Visto da vicino, Heihachi, per via dei suoi marcati tratti fisionomici, sembrava non avere niente di giapponese. Difatti, il viso rude, la mascella pronunciata e il naso aquilino gli conferivano un'aria da occidentale. Nessun nipponico che Hwoarang aveva incontrato finora possedeva lineamenti del genere. Rimase un attimo intimidito dall'austerità dell'uomo, con gli angoli delle labbra perennemente incurvati verso il basso e le sopracciglia appesantite; questa sua solennità veniva ulteriormente accentuata da due lunghi baffi che scendevano in giù, proprio come una seconda bocca, quasi a sottolineare meglio la sua espressione sdegnata. Era il cipiglio più cipiglio che il rosso avesse mai visto. Si intuiva subito che quell'uomo non sorrideva mai.
Il blouson noir si schiarì la voce e prese così a parlare.

La bambina, frattanto, passeggiava in su e in giù per i saloni in un viaggio solitario e senza meta. Inutile, molto probabilmente, ma non aveva nulla da fare. Interruppe la sua esplorazione davanti al tavolo dei liquori. Non lo aveva notato, inizialmente, ma rimase un po' spiazzata dal particolare di cui si meravigliò non essersi accorta subito: ogni persona di sesso femminile di quel salone indossava un vestito viola ed aveva i capelli biondi. Qualcuna di loro poté permettersi di averli al naturale, altre – orientali, per lo più – dovettero ricorrere alle tinte.
“Hanno tutte letto il Pinky Dolly?!” si sorprese mentalmente la cinese, ricordando l'assurda intervista sui gusti personali del signor Lee. “Voglio proprio vedere se riusciranno anche ad essere chiacchierone ma timide, dolci ma aggressive e allegre ma calme...” soggiunse ironicamente, nascondendo con la mano un sorriso divertito. Un cameriere vicino, credendo che Xiaoyu avesse riservato il sorriso per lui, le chiese se volesse dunque un bicchiere di Martini. Lei fece spallucce, acconsentendo. Non aveva da che fare, tanto.

“L'indice delle blue chip ha chiuso stabilendo un nuovo record.”
“Mi domando se la società editoriale abbia esaminato l'accordo raggiunto lunedì tra il magnate dei media e il Wall Street Journal.”
“Mi pare che avessero affidato a un comitato esterno la nomina di direttore.”
“Che idea astrusa!”
Ascoltando quei lunghi discorsi di finanza, Hwoarang prese coscienza del fatto che conosceva meglio l'Arabo di quel linguaggio arcaico e complesso. Aveva, sì, imparato i termini e le quotazioni, ma non sapeva realmente niente sulle situazioni attuali. L'unica cosa che seppe perciò fare fu annuire ogni qualvolta che vedeva negli altri dell'assenso e, viceversa, contrariava se gli altri davano segno di disaccordo. Avrebbe potuto continuare in quel modo per tutta la serata, ma la situazione degenerò. E non certo per volere suo. In un momento di distrazione sbagliò, dando segno di dissenso quando gli altri concordavano sulla loro teoria, perciò, senza prevederlo né volerlo, si trovò gli occhi di tutti su di sé una seconda volta.
“In cosa non è d'accordo con noialtri, signore?” chiese il presidente stesso, illuminando appena il suo cipiglio perenne da una luce di curiosità negli occhi.
Hwoarang bestemmiò e ingiuriò varie volte con la mente, realizzando di trovarsi completamente in quella che lui definiva senza troppi giri di parole una situazione di merda.
“Non è che non sia d'accordo,” esternò, tentando una via di fuga.
“Ma così ha detto, prima. Ha già cambiato idea?” domandò nuovamente Heihachi. “Spiega a tutti noi, allora, il motivo dei suoi ripensamenti.”
La gravità di quel vecchio lo immobilizzò, facendogli perdere tutto il vigore e il coraggio precedente. Bastò solo che Heihachi corrugasse la fronte ancor di più di quella già corrucciata di suo. Non si era mai sentito impotente, e quello sconosciuto era riuscito a farlo vacillare meglio di tanti altri nemici e pericolosi delinquenti con cui aveva avuto a che fare.
“Perché... la quota del MIBTEL si è repentinamente abbassata...” buttò lì il coreano, sperando in qualche miracolo.
“Lo penso anch'io,” concordò Heihachi, con un sorriso crudo, mellifluo. “Peccato solo che non era affatto inerente a ciò su cui stavamo discutendo.”
Sorrise, un sorriso molto simile a un ghigno, e i leccapiedi lo imitarono, dando inizio ad una risata collettiva vera e propria. Il blouson noir non si era mai sentito così deriso. Si allontanò da quel branco di materialisti, spingendo chi si trovava sul suo passaggio, e in solo qualche manciata di minuti capì bene che razza di persona era il presidente della Mishima: un uomo che non sorrideva mai agli altri, ma rideva degli altri quando riusciva a schiacciarli.
Partì sparato alla ricerca di qualche consolazione. Solitamente, la prima cosa a cui avrebbe pensato sarebbero state le donne, ma in quel momento non era dell'umore giusto; in più, i precedenti gli suggerivano di farne momentaneamente a meno. Un'antipatica faccenda che non avrebbe scordato troppo facilmente.
Era alla ricerca di una consolazione più consolatoria, e cosa poteva esserci di meglio dell'alcol? Si avvicinò a grandi falcate al buffet, appostandosi davanti al cameriere.
“Un bicchiere di Martini?” domandò quest'ultimo.
“Una bottiglia,” rispose risoluto il rosso.
“Signore, noi serviamo solo in bicchieri...” informò il cameriere.
“Allora servimi venti bicchieri di Martini,” replicò innervosito Hwoarang. Il cameriere, leggermente confuso e intimorito, non sapeva che dover fare o cosa dover rispondere, così il rosso decise per lui: agguantò la bottiglia che aveva in mano e se ne sparì in mezzo alla gente. Si sentiva così frustrato che non provò neppure un minimo rimorso per le suppliche del povero cameriere, che chiedeva con garbatezza il suo Martini indietro. Heihachi era il suo primo pensiero, il resto era come se non esistesse.
“Se solo potessi lo ammazzerei quello stronzo,” ripeteva tra sé e sé, e tra un pensiero e l'altro trovava spazio per tracannare il suo amato Martini.
“Odio questo posto,” borbottò, pulendosi la bocca con il braccio. Quel braccio fu, poi, impudicamente afferrato da una persona.
“Blouson noir!” lo chiamò a voce alta Xiaoyu, sorridendo beatamente. Dapprincipio il rosso rimase incerto – ancor più incerto di quando gli si era avvinghiato d'improvviso una mezz'oretta prima per far credere a tutti che non voleva ucciderlo –, poi notò con poca sorpresa che aveva le guance rossissime e gli occhi lucidi.
“Sei ubriaca,” constatò.
“Ma che dici, non sono ebraica!” gli rispose con ovvietà la cinese.
Era ubriaca.
“Ti presento,” continuò a dire lei con voce malferma, “le mie nuove amiche!” e fece segno alle signore di farsi avanti, anche loro rosse in viso e con gli occhi lucidi. “Jess, Jose, Jane e Josephine!” esclamò Xiaoyu con un perenne sorriso sornione stampato in faccia.
“Jaqueline!” corresse l'ultima citata.
“Jaqueline! Perdonami, Jaqueline!” si scusò la cinese con un movimento goffo della mano, che ritirò per indicare Hwoarang. “Lui è mio marito!”
Le donne si complimentarono con la loro nuova amica per il bel pezzo di giovane marito che si era trovata. Il coreano le lasciò perdere, sapendo bene quanto potevano riuscire ad adulare con facilità le persone ubriache; al contrario di lui, Xiaoyu fu contentissima dei loro commenti positivi. Così si inventò che vivevano in una villa in India e avevano già, sebbene ancora giovanissimi, quattro figli.
“Bambina, ora stai seriamente delirando,” le fece notare duramente il rosso.
“L'ha chiamata bambina! Neppure mio marito si permette tanta intimità con me!” dichiarò Jane. O forse Jass. O Jaqueline, o Jose. La cinese doveva ancora capirlo.
“E' sempre così, non mi chiama mai per nome!” confessò tristemente Xiaoyu, mutando presto lo stato d'animo in un repentino ritorno alla felicità. Rise come una sciocca, seguita dalle altre.
“Avanti, vieni,” disse scocciato Hwoarang, tirandola per il braccio.
“Mi porti a ballare? Che bello! Ti sei ricordato di avermelo promesso!”
No che non glielo aveva promesso. Se la portava via era solo per non ricevere ulteriori attenzioni dalla gente – quelle avute per colpa di Heihachi erano bastate – e facendola passeggiare un po' le avrebbe fatto più facilmente smaltire la sbornia.
Pensò, comunque, di acconsentire ai suoi voleri. La prima regola che si deve seguire quando si è in compagnia di uno sbronzo è assecondare ogni sua richiesta, logica o stravagante che sia. Il coreano questo lo sapeva bene, viveva a giornate in mezzo agli ubriachi.
“Adesso ci muoviamo un po' per farti passare la sbornia,” le riferì il blouson noir, fermatosi in mezzo alla pista da ballo. La cinese mugugnò qualcosa di incomprensibile e si aggrappò alla spalla del ragazzo, che le faceva più da appoggio fisico che da ballerino vero e proprio. Lui vacillò appena, ma subito si rimise in equilibrio. Danzarono un lento, seguendo la musica classica di Chopin che aveva cominciato a risuonare in tutta la sala da ballo.
Hwoarang era perso nei suoi mille pensieri e lo stretto contatto fisico con la sua compagna, che solitamente gli avrebbe suscitato dell'interesse, non gli fece subire una minima distrazione. Guardava verso il basso, amareggiato, concentrandosi su ciò che avrebbe dovuto fare da quel momento.
“So che sei ubriaca e non è il momento per dirtelo, ma bisogna cambiare il piano,” le informò con voce sommessa.
Xiaoyu alzò la testa nascosta sulla sua spalla e gli rivolse uno sguardo confuso.
“Perché?”
“Le cose con Heihachi non sono andate molto bene,” le riferì con una determinazione che non ammetteva repliche. Si aspettava che la bambina contrariasse, o che almeno ci provasse, invece tornò ad appoggiarsi alla sua spalla, rimanendo per un po' in silenzio.
“Tu non mi chiami mai per nome...” disse tutto d'un tratto con un sospiro.
Il blouson noir arcuò un sopracciglio.
“E' così importante parlare di questo ora?!” chiese interdetto. Xiaoyu gli rivolse di nuovo lo sguardo.
“C'entra perché io non mi arrendo mai, e un giorno capirai che non sono una bambina. Tu invece ti sei subito arreso.”
Hwoarang spostò gli occhi altrove, infastidito e scontento. Sarebbe rimasto così per molto, a fissare un punto impreciso del pavimento, se non fosse stato per la cinese che gli voltò nuovamente la testa verso di sé con la mano, facendo delicatamente pressione con le dita sulla guancia.
“Blouson noir, dobbiamo farlo per i nostri maestri... impegniamoci al massimo...”
Lui restò come incantato dalla sua compagna, per qualcosa che non c'entrava affatto con ciò che aveva sentito. La sbronza riusciva in qualche modo a renderla più sensuale del solito...
“Tu ce la puoi fare... io lo so...” mormorò la ragazza sorridendo ebbra, appoggiandosi nuovamente sulla spalla del rosso e tentennando lievemente per via del suo precario equilibrio. Non riusciva a stare in piedi, aveva le guance rosse, gli occhi lucidi e parlava con una dolcezza fin troppo strana. Non gli aveva mai detto nulla del genere prima d'ora e mai gliel'avrebbe ripetuto da sobria, rifletteva il rosso, ma in cuor suo sperò che in quella estrinsecazione d'ebbrezza ci fosse anche un po' di verità.
La serata era appena cominciata ed era troppo presto per arrendersi. Xiaoyu aveva ragione.
Il valzer di Chopin che ancora risuonava nell'aria era come il preludio di una nuova battaglia.























----------------------------------------------



Quanto non vorrei essere nella situazione di Hwoarang con Heihachi! XD Perdono per il tremendo ritardo, ma tra esami, studi, tesine e – ammetto – cazzeggi vari (xD) ho sempre rimandato un aggiornamento. Ma ora sono qui, e continuerò frequentemente, come le volte passate! >.<
Sono rimasta indietro anche con le altre fanfiction. Giuro che mi rimetterò in pari anche con la lettura!
Ringrazio stefychan, Chiaras, Miss Trent, TifaMyDaughter (perché devo sempre storpiarti il nick? xD), Silver Princess, Shuriken ed annasukasuperfan per i dolcissimi commenti che mi lasciano sempre! >*****<
Un saluto alle due nuove commentatrici:
@Niki chan: felicissima del fatto che la fanfiction ti piacca! ^^ Ma soprattutto... felicissima di conoscere un'altra Xiaoaranghista come me! xD
@xxx: poco c'entra, ma mi piace il tuo nick. XD Il racconto, come puoi vedere, è continuato, e continuerà! ^^ Come già detto prima, mi impegnerò perché la storia venga aggiornata più soventemente! ^^
A presto con il prossimo capitolo!!


Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Festa - parte II ***


“Mangia,” ripeté Hwoarang per la millesima volta, senza ottenere risultati, escludendo la smorfia di disgusto che la bambina effettuava ogniqualvolta che il rosso le avvicinava alla bocca la strana pietanza melmosa color caffè, presa a un banco del buffet. “Se non mangi, la sbronza non ti passerà.”
Come la prima, ripeté questa seconda frase per la mille e unesima volta. Xiaoyu, di nuovo, scosse la testa negativamente.
“Solo una bambina come te poteva ubriacarsi con così poco...” constatò Hwoarang, riservandole l'abituale smorfia supponente. La cinese non trovò altro modo di replicare se non scimmiottandolo.
Alzandosi improvvisamente dalla sedia, cozzò involontariamente contro il braccio destro del compagno, lo stesso che, neanche a farlo apposta, manteneva il nauseante pasto che ebbe come sfortunata fine un rovesciamento sopra il suo petto, sulla scollatura dell'abito da sera.
“Guarda che hai fatto!” esclamò la ragazza, tentando una ripulita. Hwoarang non fu abbastanza loquace nel controbattere su di chi era effettivamente stata la colpa, perché tutta la sua attenzione si concentrò sulla mano di lei che si percorreva le curve del petto.
“Non si leva!” continuò a lamentarsi la cinese, e con maggiore insistenza aumentò la pressione della mano sul corpo. Al coreano s'intaccò come qualche filamento nervoso del corpo, ed oltre a non saper più dire niente si paralizzò e s'irrigidì come un tronco d'albero. Xiaoyu, sempre più infastidita dalla macchia che non voleva andarsene dal vestito rosso di seta, ebbe la geniale idea di infilarsi un dito in bocca. Forse, con un po' di saliva, l'abito si sarebbe pulito. Lambì così il suo seno, realizzando uno scherzoso gioco malizioso a sua stessa insaputa. Fu il colpo di grazia per Hwoarang.
“Basta!” urlò nervoso, ritornato dallo stato di trance semi vegetale che ebbe per qualche secondo e dai pensieri poco puri che si era fatto per quel più o meno innocente movimento della mano della cinese. Artigliò violentemente l'arto della ragazza per poterlo spostare lontano da lei il più possibile, riuscendo così ad allontanare anche i suoi brutti pensieri.
“Ahi!” si lamentò Xiaoyu, il cui braccio fu spostato forse un po' troppo lontano, tirato dal rosso come una molla. “Ma che ho fatto?!”
“Va' a pulirti in bagno!” le ordinò Hwoarang senza rispondere. La cinese aprì appena la bocca per ribattere, ma fu prepotentemente spinta più volte da dietro la schiena dal compagno, sollecitata con dei va' secchi a ogni passo. Si coprì la macchia con le braccia e si avviò verso la toilette, sbuffando.
Entrata in bagno, si diresse subito al lavandino per sciacquarsi il vestito, strofinandolo con il sapone vicino al rubinetto. La macchia era sparita, lasciando spazio a una grossa chiazza d'acqua. Sventolò l'allacciamento dell'abito così da dare aria e velocizzare l'asciugatura.
Non aspettando il completo tergersi dell'abbigliamento, interruppe l'operazione e si affacciò dalla porta del bagno per cercare con lo sguardo il suo capo, che però non trovò. Uscì in salone e scrutò un po' in giro, ma di nuovo senza successo.
“Dove cavolo si è cacciato?!” bofonchiò tra i denti. Si avviò senza una precisa meta, barcollando ancora un po' a causa dell'ebbrezza ancora stagnata nel corpo. Tutt'a un tratto, travolta per sbaglio da un uomo passatole vicine, perse l'equilibro e barcollò in avanti, ma una salda presa l'agguantò in tempo per le spalle. Xiaoyu alzò il volto aspettandosi di trovare il blouson noir, invece vide una persona mai incontrata prima.
“Sta bene?” le domandò gentilmente un giovane ragazzo, aiutandola a rimettersi eretta.
“Sì... mi... mi scusi!” seppe solo rispondere lei, non trovando altro da poter dichiarare. Soggiunse soltanto, in seguito, dopo essersi aggiustata la spallina dell'abito: “Le ho fatto male?”
“Non era di questo che mi preoccupavo, quanto più di un suo doloroso capitombolo,” le riferì teneramente, rincuorandola con un ulteriore sorriso. “Oltretutto, quale uomo sano al mondo potrebbe lamentarsi di ritrovarsi addosso, anche solo per caso, una così bella ragazza?”
La cinese sgranò gli occhi, arrossì e aprì più e più volte la bocca per dire qualcosa, boccheggiando solamente. Lo sconosciuto, soddisfatto, abbozzò un lieve sorriso, lasciando intravedere un sopracciglio alzato, quasi totalmente coperto da un grosso paio di occhiali da sole.
“Non vedo suo marito,” continuò a dire lui, discorsivamente. Xiaoyu riuscì solo in quel momento, e sempre con grande sforzo, a parlare.
“Stavo giusto andando a cercarlo,” lo informò, per poi chinarsi appena in avanti. “Con permesso.”
“Dev'essere davvero un'orrenda persona,” affermò tutto d'un tratto la giovane voce alle spalle di lei, prima di incamminarsi lontano. “Trascurare a questo modo una moglie così splendida...”
Il ragazzo girò i tacchi e si avviò nella direzione opposta, con un portamento principesco degno del miglior invitato a una festa illustre e raffinata come quella della Mishima Zaibatsu. La bambina si girò a sua volta, ma un tantino più sgraziatamente, a causa del frastornamento che l'aveva pervasa. Per lei, da sempre abituata a incassare insulti da quella lingua biforcuta del suo boss, era una sconvolgente novità ricevere dei complimenti, oltretutto di questo genere. Per un attimo, immaginò quasi fosse stata solo un'illusione scaturita da qualche strano postumo dell'alcol.

Hwoarang attendeva impazientemente che la sua compagna uscisse dal bagno. Il verbo attendere era poco consono alla sua indole, e in egual modo anche la pazienza. Si mise a braccia conserte e batté a terra il suo piede ritmicamente e nervosamente.
“Che palle,” si lasciò scappare. La tempestività della maleducata esclamazione non fu tra le più favorevoli, perché, nell'esatto momento in cui l'aveva proferita, il gruppetto di leccapiedi di Heihachi di una mezz'oretta prima aveva attraversato il corridoio del bagno passandogli davanti. Si limitarono a ridere tra di loro, mormorandosi qualcosa, prima di incamminarsi al buffet.
Senza chiedere alcun permesso, anche il coreano si aggregò alla comitiva, raggiungendoli e battendo intenzionalmente un bicchiere di Martini sul tavolo per catturare la loro attenzione.
“Ecco l'intenditore di economia,” esordì ironicamente uno dei tanti, scaturendo ghigni e sghignazzi altrui. Ma, come già riferito prima, il termine pazienza neppure rasentava l'indole avventata e precipitosa di Hwoarang. Non resistette oltre.
“Ecco i leccaculo con le lingue più lunghe del continente,” ribatté con decisione, stroncando ogni ghigno e sghignazzo. Quell'improvvisa estrinsecazione di rabbia sorprese la comitiva al completo. Pensavano di avere davanti uno di quei soliti ragazzi insicuri e remissivi alle prime armi, per via dell'atteggiamento di sottomissione che Hwoarang aveva assunto con Heihachi al primo incontro, ma si erano sbagliati.
“Voi mangiasoldi,” continuò irremovibile il blouson noir, “non sapete fare altro che spettegolare e prendere per il culo il primo che vi passa a tiro, visto che la vostra vita si riduce a poltroneggiare da mattina a sera. Il guaio è che non vi accontentate di ciò che già avete, perciò leccate il sedere più ricco e sudicio del pianeta sperando di sgraffignarci un po' di grana!”
“E a chi appartiene il deretano di cui parla?” domandò una voce roca dietro la schiena del blouson noir. Riconobbe immediatamente la persona che più di ogni altra dell'edificio inquietava ogni invitato alla festa. Hwoarang strinse i pugni e prese coraggio.
“La risposta è fin troppo scontata, ed è incredibile che un presidente di una grossa multinazionale come la Mishima non ci sia arrivato.”
Si girò e se lo ritrovò davanti, appena a due passi da lui. Un nervo pulsava visibilmente sopra la fronte di Heihachi, e ogni presente, vicino a lui quanto bastava da aver potuto seguire l'intera scena, sbiancò dal terrore e smise per qualche secondo di respirare.
“Devo dedurre che il suo deretano, allora, sia più pulito del mio,” affermò il vecchio, austeramente.
Il danno, ormai, era fatto. Tanto valeva finire in bellezza.
“Di certo non uso la vostra carta igienica di alta qualità, ma è comunque più efficace e salutare delle lingue dei suoi lacchè. La carta igienica ha solo un difetto, prima o poi finisce e dev'essere ricomprata. In questo senso, lei è più fortunato di me, le lingue dei suoi dipendenti risolvono questo grande problema universale senza mai esaurirsi, e, non creda, è davvero un grande problema universale! Non penso ad altro quando mi ritrovo nei locali e devo andare in bagno. Ma sono fiero del mio bel culo immacolato... in tutti i sensi e i doppi sensi che vuole! Col sedere continuamente bagnato dagli altri come il suo, ci si può sentire più inclini a certe tendenze sessuali... dico bene, signor presidente?”
Il sopra citato signor presidente sgranò i suoi occhi da avvoltoio. Il silenzio, in tutta sala, lasciò posto ai pettegolezzi e alle chiacchiere sussurrate di ognuno, presi dall'audace soliloquio del leader della periferia Est.
Heihachi aveva il viso contratto da una smorfia indecifrabile, stringeva i pugni e la mascella, le sue labbra erano serrate e si denotava una grande forza di volontà nel mantenerle chiuse. Il suo viso cominciò a prendere un colorito più roseo che contrastava col grigio chiaro dei suoi capelli stinti dalla vecchiaia.
Ma non si trattenne oltre.
Un insolito urlo rimbombò per tutto il grande salone, facendo girare ogni presente che si trovava al suo interno. Gli occhi di tutti si posarono su Heihachi, la fonte di tutto, che per far meglio erompere il suo grido selvaggio aveva spalancato la bocca più che poteva. Dalla posizione e l'atteggiamento che aveva assunto, sembrava una rappresentazione moderna di uno dei tanti quadri classici e mitologici su Zeus, lo stesso petto in fuori e le stesse braccia forti, raffigurato mentre svettava su di una nuvola a scagliare tuoni e fulmini.
Era il dio greco che più gli assomigliava e a cui veniva più paragonato, eppure, per la prima volta, sembrò che gli si accomunasse meglio Dioniso.
Perché fece una risata.
Uno sguaiato riso a crepapelle davanti a una moltitudine di occhi stralunati, che videro con grande loro sorpresa l'uomo più freddo del mondo lasciarsi quasi andare in un allegro pianto.
Anche se Hwoarang non conosceva quasi nulla sul conto del famoso uomo, non mancò certo di meravigliarsi come gli altri.
“Qual è il tuo nome?” chiese Heihachi, soffocando le risate e riprendendo possesso del suo tipico cipiglio.
“Kobayashi,” rispose calmo il rosso.
“Kobayashi...” ripeté il vecchio. “Vieni, Kobayashi, andiamo in un posto più appartato.”
“Per mostrarmi la sua vera tendenza sessuale, signore?” domandò il coreano sornione. Il vecchio rise ancora, e il rosso sorrise soddisfatto. La sua involontaria congettura, ormai lo sapeva, gli aveva assicurato un posto alla Mishima. Non mancò, perciò, di bearsi ancor di più elargendo diti medi all'insù a tutti i ruffiani della sala, non appena Heihachi gli aveva rivolto le spalle.
Si scontrò con la sua cinese proprio durante quella trovata.
“Bambina,” la chiamò entusiasta, cambiando subito d'umore appena la osservò bene in faccia. “Sei di nuovo ubriaca?” le chiese esterrefatto, notando il suo viso imporporato e le palpebre leggermente appesantite.
“No, no...” gli rispose titubante Xiaoyu, buttando varie volte lo sguardo sul pavimento. Era un comportamento fin troppo anomalo, ma il blouson noir non ne diede peso perché aveva in testa tutt'altre cose.
“Ce l'ho fatta, grazie al mio innato talento di insultatore, ne ho dette di tutti i colori ad Heihachi e adesso è nelle mie mani! Non chiedermi com'è possibile, ma è successo. Son sicuro che continuando così prima o poi mi assumerà come dipendente!” le mormorò animatamente all'orecchio, con discrezione, per non farsi udire dal diretto interessato che, per l'appunto, avvicinandosi al duo, si accorse della ragazza e chiese:
“Kobayashi, chi è questa signorina?”
“Cerca di apparire un po' più grandicella della dodicenne che sembri,” farfugliò veloce Hwoarang nell'orecchio di Xiaoyu, per poi stringerla intorno alle spalle e voltarla. “Lei è mia moglie!” disse con una gioia fin troppo radiosa.
“Piacere!” esclamò vezzosamente la bambina, presentando al mondo il sorriso più sorriso dei sorrisi, così sorriso che un odontoiatra sarebbe stato contentissimo di averla avuta per una pubblicità del suo studio medico. “Siamo una coppia felicissima!” cinguettò poi, aggrappandosi al collo del giovane, tirandogli sbadatamente i capelli e graffiandogli involontariamente la schiena con le unghie. Lui riuscì a mascherare un lamento di dolore simulando una risatina spensierata.
Quando Heihachi fu distratto da un gruppo di avvocati, il blouson noir, premurandosi di lanciare prima un'occhiata omicida alla bambina, si ricompose e disse:
“Tra poco suoneranno il tango. Tieniti pronta.”
“Ma a che serve, ormai?” chiese logicamente la compagna d'avventura a bassa voce.
“Meglio dare il massimo di sé, no?” e in men che non si dicesse, appena terminata la frase, Hwoarang s'affrettò a raggiungere Heihachi. Tutta quella fretta smaniosa aveva qualcosa di insensato e ridicolo. Poco prima di mezz'ora fa, il blouson noir lo detestava come raramente aveva detestato qualcuno, eppure, adesso, agiva allo stesso modo calcolato e ipocrita di tutti quei ruffiani che aveva assalito, ora intenti a rivolgerli occhiatacce malevole. E chissà le loro menti in quanti modi disumani lo avevano picchiato e massacrato a sangue!
Ammetteva di essere come loro, un lacchè, ma con una causa ben più onorevole. Riflettendo su ciò, Hwoarang non desistette ulteriormente e procedette col suo machiavellico piano.
Xiaoyu fu nuovamente sola. La sua presenza alla festa era servita unicamente per essere presentata al presidente. Cosa che comunque non era necessaria, ma tant'era, trovare un buono, anche se piccolo, motivo l'aiutava a dare un senso alla sua partecipazione nella missione. Si andò ad appoggiare stancamente con la schiena contro il muro, reclinando all'indietro la testa mantenuta dalla parete bianca e oro.
Attorno a lei, gruppi di donne commentavano come comare su ciò che accadeva in pista da ballo e sui propri consorti, lasciandosi andare in confessioni intime ed inappropriate che i loro uomini sostenevano con convinzione segretassero.
Xiaoyu sbuffò annoiata, pensando che, forse, anche se era stato proibito dal suo capo, un bicchierino di Martini se lo sarebbe nuovamente concesso. Non sapeva, altrimenti, come poter smorzare il tempo e quella noia che non riusciva a debellare in alcun modo, neppure osservando la pista da ballo, l'orchestra o i grandi quadri e le maestose statue d'epoca che tappezzavano tutto l'edificio.
Fece viaggiare gli occhi con aria vaga su ogni piccolo centimetro del grande salone intarsiato d'oro, ancora una volta, fermandosi alla vista dell'unico conosciuto sconosciuto che ebbe modo di incrociare la prima volta vicino al bagno. Si accorse che il suo sguardo era già stato ricambiato, forse ancor prima che gli facesse incontrare il proprio. L'uomo con gli occhiali da sole sorrise lievemente e ingollò con raffinatezza il suo Martini, mantenuto da dita eleganti, affusolate e bianche come la neve.
La cinese, tuttora ignara dell'ovvio corteggiamento dell'altro, non rispose ad alcun richiamo e si avviò sulla balconata dell'edificio, ma il caparbio sconosciuto non abbandonò per questo la sua preda e, calamitato dalla ragazza, la seguì fin sopra il balcone. La trovò poggiata con i gomiti sul parapetto, attorniata dall'oscurità della notte e illuminata appena dalla luce di qualche stella e alcuni lampioni, lontani una dozzina di metri d'altezza. L'uomo le si avvicinò con fare casuale.
“Non ha ancora trovato suo marito?” chiese. Xiaoyu sussultò, sorpresa dal nuovo arrivato di cui non si era accorta fin da subito. Si girò verso l'uomo e si schiarì la voce.
“Sta lavorando,” rispose soltanto.
“Fa il lacchè, insomma,” commentò con ironia lui, ma non la stessa del covo nella periferia Est che lei conosceva: era un'ironia elegante, ricercata, che, proferita in quel modo calmo e suadente, sembrava quasi dolce da ascoltare, se non fosse stato per le parole che la costituivano e il loro aspro significato.
“Giudica senza conoscere,” ribatté un po' infastidita Xiaoyu. Non le piaceva che la gente avesse dei pregiudizi sul blouson noir e la sua banda. Si animava sempre quando trovava una scusante per scatenare una guerra verbale con Hwoarang, ma quando ci provavano altri sentiva il bisogno di difenderlo.
“Già, è pur sempre suo marito,” si discolpò l'adulatore, sospirando con aria infelice. Riusciva sempre a conferirsi un'aria malinconica con frasi del genere, accattivandosi le attenzioni più caritatevoli e materne delle donne. “Io riuscirei senz'altro a darti più attenzioni di lui.”
Xiaoyu arcuò un sopracciglio. “Cosa...? Ma perché? Che vuole da me?”
“Essere al posto di suo marito,” rispose lui, una perfetta risposta ad effetto per una domanda del genere. Chissà se trovata al momento o soltanto ripetuta una marea di volte, quando s'imbatteva in quel quesito da donne tanto familiare ai donnaioli incalliti come lui. La ragazza comprese ciò che in fondo aveva compreso già dapprincipio, ma non era certo venuta in quella festa per abbordare o farsi abbordare. Doveva pensare al suo piano e nient'altro.
“Grazie, ma mi va benissimo quello vecchio,” disse, tutto d'un fiato e un po' incerta, a causa delle bugie che ripeteva continuamente e non riusciva bene a mascherare, al contrario dei blouson noir. Questa stessa esitazione fu tradotta dall'interlocutore in un modo tutto proprio.
“Non mi arrendo certo per questo, e non ne sembra neppure lei del tutto convinta,” disse, appoggiando una mano sul parapetto e avvicinandola a quella della sua nuova conoscenza. “Ottengo sempre quello che voglio.”
Xiaoyu gli posò uno sguardo dritto negli occhi per poter meglio fargli pervenire la sua affermazione che non ammetteva repliche:
“Anch'io ottengo sempre quel che voglio, e voglio essere lasciata stare.”
L'ostilità della cinese lo colpì, ma non come aveva previsto lei. Al contrario, lo aveva affascinato ancor di più.
“Lei è una donna forte, anche se non lo sembra, in apparenza,” l'elogiò ancora ed inaspettatamente. Xiaoyu doveva ammettere che era un grande portento di dongiovanni, e lo riconosceva persino non avendo avuto esperienze di quel tipo con altri ragazzi. Era la prima volta che un pretendente le palesava con così insistenza e foga le sue intenzioni. Ma, arrivati a quel punto, ne fu quasi seccata.
“Ci sono altre donne, qui,” disse risoluta la cinese, “perché non-”
Ma tutto il vigore fu stroncato dall'avvicinarsi inaspettato del ragazzo, che con ambedue le mani agguantò per le spalle Xiaoyu e la fece voltare verso di sé.
“Lei è l'unica che indossa un vestito rosso fiamma,” le mormorò con tono calmo e volitivo, “e si distingue così bene dalle altre, al confronto tutte uguali e insignificanti, da apparire ai miei occhi la più bella.”
Il vestito di fiamma di cui parlava l'adulatore si confuse presto con tutto il corpo della bambina, che divenne rossa dall'imbarazzo e l'agitazione per ciò che aveva appena sentito e per il comportamento anomalo del suo corteggiatore, che man mano si accostava a lei sempre più, fino a inebriarsi del suo respiro agitato.
L'atmosfera che il ragazzo aveva fomentato con tanto impegno, sfortunatamente, fu stroncata dalla voce di un altoparlante, che annunciò al folto uditorio dal salone adiacente alla balconata l'inizio del tango.
“Cavolo!” si lasciò sfuggire la ragazza, preoccupata e al contempo rasserenata nel non trovarsi più il dongiovanni così vicino. “Devo ballare il Libertango!”
Si divincolò definitivamente da lui e corse nell'edificio per scovare il blouson noir. Cercò insistentemente con gli occhi, sondando ogni perimetro della stanza, senza successo.
L'avvisatore spronò più volte i ballerini di farsi avanti e la cinese divenne ancora più ansiosa. La gente cominciò a mormorare scontenta di fronte al palco vuoto, illuminato da una luce a occhio di bue sotto cui non si trovava nessuno.
“Ho già detto che voglio prendere il posto di suo marito,” disse una voce alle spalle di Xiaoyu. L'uomo del balcone accolse la mano della ragazza tra le sue. “So ballare il Libertango meglio di chiunque altro.”
Senza che la cinese avesse avuto il tempo di replicare, venne trasportata sul palco sotto il riflettore circolare. S'inchinò incerta, e un applauso collettivo li accolse calorosamente. La musica cominciò, e si sentì chiaro il primo ritornello del celebre tango.

“Merda,” imprecò dal nulla Hwoarang.
“Prego?” domandò sconcertato il presidente. L'altro si alzò dalla sedia disposta accanto a quella di Heihachi, accomodati attorno ad un tavolo circolare di vetro. Si trovavano su di una balconata privata, finalmente raggiunta dal coreano con successo e non poche fatiche.
“E' iniziato il Libertango. Io e mia moglie siamo i ballerini,” spiegò, pregando con gli occhi che l'idea piacesse all'anziano di fianco a lui. Il volto di quest'ultimo, come auspicato da Hwoarang, s'irradiò di interesse.
“Ho avuto dipendenti con i più svariati e inimmaginabili mestieri, ma mai nessuno di loro era stato un ballerino di tango,” attestò Heihachi con una punta scherzosa nella voce.
Si avviarono verso la pista, seguiti dal vigile sguardo delle guardie del corpo che si trovavano fuori la porta, e scesero le larghe scale coperte dal lungo tappeto rosso. Si bloccarono a metà strada non appena ebbero messo a fuoco l'intera pista da ballo.
“Quel ballerino non sembra lei,” mormorò con sottile ironia il signor Mishima, irridendo in direzione del palco senza guardare l'interlocutore.
Quest'ultimo non aveva udito neppure una parola di ciò che aveva detto il presidente, né percepiva più la sua presenza. La musica del tango che risuonava in tutta la grande sala aveva come cessato di esistere. Gli occhi. Solo quei globi oculari erano rimasti fermi e funzionali al loro compito. Vedevano fin troppo bene la sua compagna stretta a un altro, mentre si muoveva al ritmo frenetico del tango. Vedevano fin troppo bene le carezze di quello sconosciuto, superflue considerando che non erano contemplate nei passi del Libertango, e come lei lo lasciasse fare senza batter ciglio.
E sudò parecchio per cercare di non intervenire.
























----------------------------------------------



Che capitolo caliente! Vero? Molto diverso dagli altri... certo, mi diverto ad assillare gli animi dei due (bwaahahha >D) ma si sente che qualcosa cambia... sì sì. u_u
@stefychan: “beh ma si sa ke l'alcol fa dire la verità...xciò le parole dolci... potrebbero essere mooolto vere...”
Dici bene, sorella! *_* E... lo devo ammettere: hai perfettamente ragione... ancora non è successo nulla, e io stessa mi innervosisco un sacco per questo! xD Ma mi piace torturare i personaggi e anche un po' tenervi sulle spine (quando son cattiva >D) e poi... poi... quando si arriverà al punto clue vi farò meravigliare tutti!! >D Ma non dico altro! 9.9 Grazie del commento! ^*^
@xxx: strano o non strano, a me il tuo nick piace! XD Ti ringrazio io sia per il commento e per il tuo seguire il racconto!! ^*^
@Niky chan: ti ringrazio tantissimissimissimo alla radice quadrata! >*<
@Miss Trent: li adori! Li a d o r i! Che bello! ç_ç e io a d o r o la tua Nina, invece... e so già che adorerò il tuo Dragunov! ** Se la tua intenzione – l'ho solo pensato, senza prove e niente – è metterli insieme o comunque costruirci su una storia d'amore, be'... sicuramente li renderai meravigliosi! *_* Hai tutto il mio appoggio. (E poi comprendo anche... sarebbero secsissimi insieme xD). Se poi le tue intenzioni non erano queste, be'... io lo dico comunque! XD Grazie della recensione, ammorissima! ^*^
@Chiaras: “me la vedo proprio Xiaoyu ubriaca!^^ però e proprio grazie a questo che i due si sono avvicinati*.*.” Sì, e si avvicineranno sempre sempre sempre più! *_* Magari in modo lento e graduato e molto molto graduato, ma ti prometto che si avvicineranno! XD Grazie della recensione!! :*
@Silver Princess: “fra quelle parole di delirio c'era qualcosa di vero"!XD” Speriamo! xD Cioè, volevo dire... sì! *coff coff*. (Dov'è finito il mio spirito Xiaoaranghista? xD) Grazie del commento, Silver! ^*^
@annasukasuperfan: Ma... grazie, tesoro! ** Felice di riaverti tra noi, anna! ^*^
Hasta luego! E a presto con il prossimo aggiornamento!


Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Festa - parte III ***


Lei sorrise, radiosa, come fosse un sorriso vero. E si inchinò, anche. Era un tipo di preambolo che si doveva compiere ogniqualvolta che alla fine di un ballo il pubblico applaudiva. Doveva essere messo in atto anche senza alcun ringraziamento degli spettatori, ma avendo i loro applausi bisognava sorridere e inchinarsi ancor di più. Quindi più volte abbassò la schiena in avanti, la bambina, mantenuta per mano da uno sconosciuto che le aveva dedicato amorevoli effusioni nonostante si conoscevano appena da un'ora. Conoscere: una parola comunque inesatta, visto che per conoscere qualcuno devi almeno sapere il suo nome. Si stringevano le mani così calorosamente che chi non era consapevole degli eventi di tutta la storia avrebbe pensato ci fosse un certo feeling tra i due, o quantomeno un rapporto forte come quello di parentela o di grande amicizia.
Nessuno, neppure per un secondo, aveva dubitato che in realtà Xiaoyu non vedeva l'ora di far finire quella farsa il prima possibile. L'uomo l'avvicinava a sé mantenendola attorno al collo e la ragazza si appoggiava teneramente alla spalla dell'altro, sorridendo e salutando con dolcezza, scendendo assieme a lui dal palco, allontanandosi dagli occhi degli altri, nascondendosi dietro l'angolo di un muro, un corridoio stretto, poco illuminato, attraversato da nessuno; e solo allora la cinese si distaccò in malo modo dal fu compagno ballerino. Restò ferma qualche secondo, dedicandogli soltanto un silenzioso sguardo inviperito. Poi parlò.
“Chi ti credi di essere per decidere tutto da solo e portarmi sul palco?!” urlò mettendo le mani sui fianchi.
“Mi hai dato del tu. Siamo già a un buon punto,” affermò fiero l'uomo, certamente con ironia – sempre dolce, troppo dolce. Sembrava più una semplice constatazione. La bambina si esasperò ancor di più.
“E comunque sia,” fece ancora lui, prima che Xiaoyu potesse dire alcunché, “non mi è parso che la cosa ti dispiacesse. Anzi, mi sei sembrata abbastanza consenziente...” e arrise soddisfatto, incurvando il sopracciglio destro, ora visibile sopra la lente nera del paio di occhiali.
“Non potevo certamente prenderti a pugni in mezzo a mille persone! Che figura avrei fatto?!” gli spiegò con chiarezza – e chiaro infastidimento, anche – la bambina, portando le braccia conserte.
“La figura l'ha fatta tuo marito,” sancì tempestivamente l'uomo, tornando improvvisamente serio. Zittì a questo modo la ragazza, che trattenne le parole dentro la gola e non fece scappare altro che un fievole respiro di fiato. L'altro approfittò per proseguire: “Non si è presentato, e grazie a me ti sei anche salvata da un licenziamento.”
Xiaoyu si morse il labbro inferiore. Tentava in tutti i modi di inasprirsi alla presenza di quello stravagante rubacuori, ma ogni volta che pareva riuscire nell'intento, il giovane se ne usciva con un giro di parole che non potevano fare altro che avere il consenso assoluto dell'altra. Come se lei si fosse prefissata di odiarlo, ma in realtà non era un sentimento sentito. Avviò il passo, superando l'interlocutore, tirando a dritto senza aderire al buonsenso comune di salutarlo o almeno avvisare che stava congedandosi. In men che non si dica si ritrovò addossata alla parete dello stretto corridoio che avrebbe dovuto incamminare. Neppure si accorse com'era successo. Fu quasi imperdonabile per una come lei, una combattente professionista di arti marziali. Il ragazzo l'aveva cinta alla vita silenzioso e impercettibile proprio come un fantasma per trasportarla al muro, girandola con un semplice movimento di polsi. Soleva toccare il corpo di una donna con la stessa maestria con cui Hwoarang riusciva a barare a carte. E questo bastava come esempio per capire quanto lo sconosciuto fosse abile in quel suo hobby. La piccola donna ci mise molto perché si rendesse conto che era stata intrappolata da quell'uomo, solo quando lo vide davanti a sé. L'aveva ingabbiata tra due forti braccia tese, con le mani posate sul muro. Xiaoyu ispirò forte l'aria che poi, dallo spavento, non uscì, trattenendosi dentro i polmoni.
“Perché cerchi di detestarmi anche se non è vero?”
Sembrava davvero che le leggesse la mente. La cinese fece l'errore di distogliere lo sguardo dal suo, come a concordare l'ipotesi dell'altro.
“La verità è che in realtà odi tuo marito e cerchi di sfogare il sentimento sugli altri.”
Questa seconda ipotesi, però, non era stata azzeccata, partendo soprattutto dal fatto che il blouson noir non era suo marito...
“No che non lo odio!” replicò appunto la bambina, sconcertata.
“Allora lo ami, ma lui non ti tratta come dovrebbe e per questo ne risenti...” sussurrò l'uomo, e si avvicinò a lei, rilassando gli arti superiori. “E non hai il coraggio di fare quello che fa lui a te, per questo cerchi di evitarmi.”
Xiaoyu rimase letteralmente sbigottita per l'arrovellato discorso.
“Cioè?” chiese confusa.
“Ti tradisce, ovvio. Si capisce, no? Sennò perché ti lascerebbe sempre sola?” le riferì con ovvietà l'uomo. Parlò in maniera così concisa che quasi era sembrato che la spiegazione fosse uscita fuori con facilità perché si rifletteva su fatti che riprendevano la sua stessa esperienza. Xiaoyu rise dentro di sé al pensiero di un ragazzo con cui neppure stava insieme e che nonostante tutto riusciva a tradirla. Il divertito stato d'animo sparì all'istante quando il seduttore si avvicinò col viso al suo, strofinandole la guancia e scostandole i ciuffi di capelli rimasti fuori dal chignon, imbrattandoli dell'acqua di colonia che aveva addosso.
“Perché non provi a vendicarti per tutto questo?” le chiese machiavellico, la voce alterata da un risolino. Le baciò la guancia, ma non allo stesso modo che usavano la sua amica Miharu o le altre compagne di classe, era un bacio con una foga e con un'esaltazione così rovente che la cinese dovette ricredersi sul fatto che una guancia veniva offerta alle labbra di un altro per semplice cordialità. E le dita affusolate si adagiarono sull'altra gota, mantenendole poi la nuca con tutto il palmo. Le labbra di lui si avvicinavano sempre più all'angolo della bocca dell'altra, con lentezza, con pazienza, ancora impegnate per poi staccarsi un attimo dalla pelle della cinese e mormorare:
“Lasciati andare.”
E la bambina seguì all'immediata il suo consiglio. Rimasta quasi pietrificata per quei gesti indesiderati, scelse di lasciare che il suo istinto ragionasse per lei. Così, senza usare verbo o mezzi termini, senza protestare o lamentarsi, arrestò ogni azione del dongiovanni afferrando il vaso che era posato sul comò vicino a lei e schiantandoglielo in testa.
Tutto il vigore dell'uomo cadde assieme a lui, che si trovò riverso sul pavimento.
Xiaoyu si mise una mano al cuore, che ancora palpitava aggressivo nel suo petto dallo spavento. Appena si era calmata, si appropinquò al figuro steso davanti a lei e gli si inginocchiò di fianco.
“Dovresti fare il romanziere,” gli suggerì con ironia, anche se sapeva che in ogni caso non avrebbe mai ricevuto una risposta dallo sfortunato svenuto disteso in terra. “Diventerai sicuramente famoso, visto tutte le belle storielle che riesci ad inventarti,” soggiunse sorridente. E siccome si sentiva infinitamente bene, volle continuare a giocare a quel modo con il povero svenuto. Gli prese gli occhiali e se li mise indosso.
“Guardatemi, sono il rubacuori più rubacuori dei rubacuori, e voglio prendere il posto di tutti i mariti del mondo!” lo scimmiottò la bambina, tentando l'espressione più ebete che potesse riuscire a fare. E rise. Rise davvero e davvero forte. Ma tutto d'un tratto diventò austera e sbiancò. Si toccò nuovamente il cuore, ma stavolta solo per constatare se ancora funzionasse. Deglutì, accovacciandosi, togliendosi di dosso il paio di occhiali da sole e osservando attentamente il viso del quasi moribondo. Stavolta fu lei a trovarsi a un passo dallo svenire.
“Ma è Lee Chaolan!” strillò con tutto il fiato, portando le mani sui capelli con l'intenzione – solo pensata, fortunatamente – di strapparseli. Guardò cautamente a destra e a sinistra del corridoio per accertarsi che non ci fosse nessuno. Appurata l'assenza di qualunque persona, la cinese prese l'uomo da sotto le braccia per trasportarlo su una sedia e adagiarlo come se fosse seduto, riponendogli gli occhiali da sole sul naso.
“Perché diavolo si è travestito così, coperto da occhiali da sole e con i capelli tinti di viola? Non li aveva argentati?” pensò accigliata Xiaoyu, cercando nel mentre un piano che l'avrebbe salvata da quella situazione paradossale. L'idea più immediata che le venne fu quella di andare in bagno per prendere uno straccio o una pezza, bagnarla e tentare di rinvenire il povero malcapitato.
Quindi corse forsennata, passando per tutto il grande salone dove si era appena esibita. Per sua grande grazia, proprio il più riempito di tutti.
Si raccontò, qualche tempo dopo, la storia di una donna di una festa aristocratica che annoiata e non sapendo come smorzare il suo tempo si diede al podismo libero. E presto divenne anche una barzelletta.
Trovato ciò che cercava, Xiaoyu tornò al punto di partenza e posò lo straccio sul viso della sua vittima. Ci fu un sussulto, che fece abbagliare un po' di speranza il viso della cinese.
“Mmh...” mugolò Lee, aprendo faticosamente gli occhi. La prima cosa che fece, quasi d'istinto, fu quella di portare la mano sul punto della testa che gli doleva. In secondo, si domandò mentalmente cosa diamine fosse successo. La bambina gli aveva come letto nel pensiero, perché rispose:
“E' caduta una tegola dal soffitto!”
Lo Chaolan non afferrò granché bene l'affermazione della fanciulla, avendo lei parlato troppo in fretta. E la ragazza, dunque, ripeté con più lentezza, stando attenta a non balbettare o dare segno di insicurezza. Per mentire meglio, ovviamente. Hwoarang ci riusciva sempre.
Fu così che per la prima volta in vita sua aveva voluto essere come lui. Strano a dirselo, ma successe.
“Una tegola?” si meravigliò lui. “Ma non ci sono tegole sul soffitto...”
“Sì che ci sono,” rispose tempestivamente lei. Lee alzò il volto per appurare la cosa, ma la ragazza glielo prese prontamente tra le mani riportandolo in avanti.
“Oh...” disse soltanto lui felice, interpretando il gesto in un modo tutto proprio. Imitò anch'egli i movimenti della ragazza e l'avvicinò a sé per prenderle finalmente il bacio che tanto agognava. In ogni caso, grazie ad un'affermazione già pronta sulla punta della lingua di Xiaoyu, ciò non avvenne.
“Mio marito potrebbe vederci!”
Si alzò di scatto, coprendo un volto disperato allo stesso modo in cui poteva riuscirci un bambino di dieci anni in una recita scolastica. La patetica scenetta, grazie alle mani che ne offuscavano la visione, non diede accorgimenti di alcun genere al baldo giovane, ed in poco più di qualche secondo e mezzo la cinese mutò il suo atteggiamento da depresso a pensoso, con una mano sotto il mento. Un altro secondo e mezzo e non si sa come le era venuta già un'idea. In realtà quell'idea, si sa, l'aveva ponderata dapprincipio.
“Potremo incontrarci in un altro momento, che so, mentre tu lavori,” e fece sottintendere bene l'ultima parola detta, sottolineandola con un tono di voce più marcato. “Perché io non ho ancora un lavoro...” e di nuovo marcò l'ultima, identica parola.
“Ho una stanza riservata per me. Potremmo andare là adesso,” suggerì il corteggiatore, trapelando ben bene di avere scopi finali poco morali per qualsiasi religione. Xiaoyu si accigliò: non era semplice seguire un piano, e soprattutto non era semplice far funzionare piani semplici. Ci voleva qualcosa di più complesso, ma non troppo. Certo, alla cinese, ingenua nell'animo fino a un certo punto, non era scappato lo sguardo poco raccomandabile dell'altro. Quindi dovette cambiare strategia.
“Mio marito potrebbe accorgersi di qualcosa se non mi vede,” mentì ancora lei. La scusa del consorte era sempre la migliore.
“Solo cinque minuti. Il mio ultimo desiderio,” le scongiurò il principe dai capelli prendendo una mano tra le sue.
Cinque minuti soltanto, e presto e molto probabilmente avrebbe avuto anche lei un lavoro alla Mishima Zaibatsu...
“Solo cinque minuti,” acconsentì fievolmente la bambina. Il figlio del presidente le fece un baciamano.
“Au revoir,” le disse con garbo, poi dileguò, confondendosi nell'oscurità del corridoio poco illuminato con il suo frac nero.

“Ciò che io intendo dire è che ho già in abbondanza ragionieri e calcolatori che pensano all'economia della mia ditta...”
La voce che inizialmente intimoriva Hwoarang era passata nelle sue orecchie come fosse solo un filo di vento.
“E non cerco persone del genere, perché queste le si possono trovare ovunque nel mondo. Io cerco persone come lei...”
Neppure si accorse che gli stava parlando, spaesato com'era. Eppure ogni uomo di quella festa bramava più di ogni altra cosa un minimo di attenzione da parte del presidente della Mishima.
“Pochi dipendenti di questa ditta hanno le palle quadrate, persino i militari.”
Un risolino, che però non venne ricambiato. Si girò ad osservare il suo interlocutore distratto, che guardava oltre la ringhiera della balconata.
“Signor Kobayashi,” lo chiamò Heihachi. Solo allora Hwoarang sussultò.
“Presidente, mi scusi, mi sento un po'...”
Non finì la frase e si portò una mano sulla fronte per fingere un mal di testa. Neanche sapeva quale razza di nuovo malanno emotivo si stava impossessando di lui.
“Non si preoccupi,” enunciò il Mishima. Voltò lo sguardo sulla sala, cogliendo una figura dal colore più fiammante rispetto agli altri. “Sua moglie.”
Il blouson noir sembrò aver preso più attenzione in quel momento che durante tutti i preamboli di complimenti che volevano portargli un posto di lavoro alla Mishima. La vide camminare con lentezza, cercava con gli occhi qualcosa. Sembrava una bambina smarrita in mezzo ad un ammasso di lupi, tutti uguali, tutti neri, e lei tutta rossa e fiammeggiante, proprio come cappuccetto rosso. A quel paragone favolistico gli venne in memoria un predatore dai capelli viola che l'aveva catturata sulla pista da ballo.
“Signor Mishima,” lo chiamò con garbo il rosso. “Saprà certamente che a volte i mariti devono onorare le proprie mogli anche quando ci sono di mezzo gli affari,” spiegò affabilmente. Il vecchio annuì con serietà. “Torno tra breve. Con permesso.”
Si alzò dalla sedia e scese le scale per avvicinarsi al suo cappuccetto rosso cinese. Le poggiò una mano sulla spalla, da dietro, e lei si voltò.
“Blouson noir!” esordì con felicità. “Ho una notizia meravigliosa!”
Lui sorrise di un sorriso che non aveva mai fatto, con le labbra curvate da una specie di filo invisibile. Sembrava un sorriso senza gioia, ma non era un ghigno.
“Non dovevamo ballare il tango?” le chiese con un tono di voce un po' rimproverante.
Xiaoyu corrugò confusa la sua fronte. “Non ti sei presentato,” gli ricordò con una punta di richiamo.
“Tu non mi hai aspettato,” replicò veloce il blouson noir. Xiaoyu in un solo attimo fece scomparire ogni sua espressione contenta. Fu trasportata a malo modo sulla pista da ballo, alla stessa prepotente maniera che aveva adottato il figlio del presidente, ma con una brutalità più violenta e ben maggiore. Si trovò in mezzo agli altri ballerini, una moltitudine, tutti ammucchiati in un unico pezzo di pavimento. Lei era solo una di loro in mezzo alla folla, da passare facilmente inosservata, anche con quel vestito rosso. Per questo chi era accanto a loro non aveva avvertito l'avversione della ragazza per la nuova idea del rosso di danzare un lento assieme, tanto era piccola e insignificante nel grande mucchio. Sentiva puzza di guai. Ormai aveva un radar particolare per queste cose, quando si trattava del suo compagno blouson noir.
“E' stato un imprevisto, lasciami spiegare. E soprattutto non è stata colpa mia,” dichiarò risoluta Ling.
Oh, sì che era colpa sua, per lui era solo colpa sua. Non controbatté, Hwoarang non avrebbe mai ammesso ciò che per orgoglio non le confessava mai. Ma a lui non piaceva non saper rispondere, quindi a modo suo cercò di sfogare la sua frustrazione silenziosa: la mano rilassata che le lambiva la schiena divenne improvvisamente tesa e si aggrappò tiranna sulla pelle scoperta. Xiaoyu sobbalzò a quel contatto crudo. Si discostò dal compagno, spingendolo in avanti.
“Che cavolo ti prende?!” chiese la cinese, adesso non più intimorita ma solamente arrabbiata.
“Smettila di parlarmi con supponenza," fece lui, "se non era per me a quest'ora non avremmo avuto neppure una chance per poter anche solo oltrepassare la porta dell'edificio della Mishima. Io la mia parte l'ho fatta, tu invece?”
Non era un affronto giornaliero. Abitualmente poteva rivolgersi a lei con parole più amare, ma avevano come contesto una situazione più familiare e scherzosa. Anche se le parole potevano risultare le stesse, lo sguardo di lui ne cambiava tutti i significati, erano di un gusto più aspro e aggressivo. In più, a rendere il tutto ancora più sferzante, c'era quel sorriso apatico che la cinese mai, prima di allora, gli aveva visto in viso.
“Sei arrabbiato con me?” gli domandò fievolmente.
Sì che lo era.
“No,” mentì, ma a discapito della risposta che le aveva lanciato uno sguardo di ghiaccio. “Perché dovrei arrabbiarmi con qualcuno che non ha fatto niente?”
C'era un graffiante e sottile rimando alla frase precedente. Ling si morse il labbro inferiore e aggrottò le sopracciglia. Ripropose il quesito precedente, portandolo però ad una valutazione concisa e sicura:
“Sei arrabbiato con me.”
Fece solo adirare ancor di più il blouson noir. L'avvicinò a sé prendendola per le spalle, stringendo forte e mantenendole gli occhi addosso ai suoi. Ma fu lui per primo a distogliere lo sguardo iroso.
“Perché sei arrabbiato con me?!” chiese Xiaoyu amareggiata. Non sapeva in quale altro modo reagire, a parte questo. Non riusciva né a replicare né a menarlo di botte come soleva sempre fare, sottomessa per la prima volta dai sentimenti astiosi di quel ragazzo. Quest'ultimo, invece, credeva che la bambina si divertisse soltanto a tormentarlo con quel fastidioso quesito, perché pensava che la risposta fosse ovvia, mentre lei non riusciva a trovarla neppure sforzandosi.
La ragionevolezza del coreano si frantumò del tutto quando olezzò nell'aria un profumo mai sentito. Lo aveva seguito con l'olfatto e trovato addosso la sua bambina, sopra la guancia e sotto il ciuffo che le ricadeva sempre davanti all'orecchio. Un'acqua di colonia sconosciuta.
“Wang Jinrei si rivolterebbe nella tomba,” le mormorò incollerito.
“Che cosa hai detto?!” si accanì Xiaoyu, agguantandolo per il bavero della giacca nera.
“La notizia meravigliosa era questa?” chiese canzonatorio il blouson noir, e si liberò subito dalla presa della compagna. La cinese ormai non cercava più spiegazione per l'insensato comportamento del suo capo, voleva solo punirlo per la blasfema appena subita. La loro danza, in apparenza uguale alle altre, era solo un silenzioso scontro fisico: la ballerina tentava di assettare pugni al compagno, il quale parava sempre con successo, bloccandole ogni movimento per il polsi; e di nuovo, lei scivolava dalla sua presa, e tutto ricominciava da capo.
“Se non mi avessi incontrato, cosa avresti potuto fare per il tuo maestro Wang?”
La voce suonava stridente e metallica, come una spranga di ferro che graffia una lavagna.
“Non mi rispondi, bambina?”
Uno “screek” ancora più assordante.
“E' una fortuna che Jinrei non sia qui,” affermò Hwoarang, e fece una pausa lunga, silenziosa, dolorosa, “così non vede il fallimento che sei diventata.”
Uno schiaffo, assordante, imprevisto, lo colse inaspettato, e non riuscì neppure a pararlo. Gli fece girare violento il collo e affievolì l'ultima sillaba pronunciata fino a farla diventare appena uno sputo di fiato, smorzata dal sussulto di dolore e stupore nel momento del duro colpo. Qualche coppia di ballerini attorno ai due aveva puntato addosso a loro occhi curiosi. Era sempre giovale per gente aristocratica come loro trovare nuovi argomenti su cui spettegolare, ma le loro attenzioni svanirono repentinamente quando Hwoarang dedicò ai suddetti degli sguardi poco raccomandabili. Portò una mano sulla guancia ferita, arrossata, e finalmente la guardò: tesa, tremante, col capo reclinato in avanti ed un'espressione contratta che si sforzava affinché non uscisse neppure una lacrima da quello che sarebbe diventato un forte ed imminente pianto. Il blouson noir certo non si impietosì per questo.
“Giochi a fare la donna, eh?” ironizzò risolutamente. Irrideva beffardo, persino da umiliato. Xiaoyu si arrese di fronte a quella testarda e incompresa forza d'animo. Strinse i pugni, e lo guardò in faccia.
“Sei...” sussurrò, e non poté dire altro. Non ne ebbe la forza. Quali furono le parole che voleva usargli il suo capo non lo scoprì mai, perché Xiaoyu si congedò lasciando la frase così, correndo veloce, scomparendo tra la folla e dalla folla.
Lui fece lo stesso, con un passo più moderato e tranquillo, ritornando da colui che inizialmente era la sua esca, la sua unica preoccupazione, ed ora altro non era che un fantoccio con il frac simile agli altri presenti nel salone.
“L'ha onorata abbastanza sua moglie?” chiese Heihachi con un tono di voce curioso che si contrapponeva con il suo cipiglio perenne. Hwoarang abbozzò un sorriso soddisfatto e anche un po' amaro.
“Può giurarci, presidente.”

Vagava nelle grandi stanze tutte uguali tra loro come un fantasma che non trova pace, rimasto nel mondo dei vivi per questioni in sospeso. Magari fosse stato così, almeno Xiaoyu avrebbe avuto un motivo più consistente per restare alla festa che per il semplice dovere di farlo. Voleva fuggire, mandare alla malora il piano e l'appuntamento con Lee, ma più di tutti il bastardo dalla testa rossa che l'aveva resa in quel modo. Inanimata, proprio come il fantasma che sembrava. Ogni volta che pensava a lui, le lacrime le pizzicavano dispettose gli occhi, e quindi cercava di scacciarlo dalla mente guardandosi intorno. Era per questo che era inespressiva e ciondolante. Quell'apatia l'aveva cercata volontariamente, la preferì all'ira che sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro dentro di sé. La mano affusolata e bianca che da poco conosceva si posò adagia sulla sua spalla.
“Che donna sfortunata,” sussurrò, un tono di voce un po' commiserevole.
“Portami lontano da qui,” esordì a Chaolan la cinese, senza usare alcun comando nella sua voce, ma neppure imploro. Voleva finirla subito con quel piano che si era prefissata da troppo tempo, male o bene che fosse andato. Lee non rispose, né lasciò che la bambina intuisse il suo stato d'animo: gli occhiali nascondevano così bene la sua fisionomia che era impossibile leggergli qualunque emozione. Non fece niente, tranne spingerla dolcemente con la stessa mano che era posata sulla sua spalla per accompagnarla con sé. Lei si lasciò trasportare in silenzio.
Arrivarono presto alla stanza numero 203, un numero già fin troppo conosciuto dall'uomo dai capelli viola e un numero come tanti agli occhi della bambina. Neppure lo intravide, in realtà. Strascicava con lo sguardo sempre basso e niente aveva adocchiato durante la sua camminata tranne il lastricato sotto i piedi. Distolse gli occhi dal pavimento solo quando udì lo sferragliare delle chiavi che entravano nella fessura della porta, e il rumore cigolante di quest'ultima che si apriva. L'uomo le fece segno di entrare.
Appena Xiaoyu oltrepassò l'uscio, Lee andò a buttare meccanicamente le chiavi sul canterano alla sua sinistra, chiuse la porta con il tallone e si avvicinò al tavolo davanti allo specchio ovale, dove erano posati due bicchieri vuoti – sempre due, i soliti che usava per lui e ogni suo ospite di sesso femminile – e una bottiglia di champagne in un secchio pieno di ghiaccio. La stappò e la versò con maestria dentro i piccoli contenitori di vetro. Uno di questi lo porse in direzione della sua invitata. La cinese dava la schiena all'uomo, quindi non vide quella sua cortesia. Era persa nei suoi pensieri, con uno sguardo così meditabondo da diventare corrucciato, l'espressione tipica di chi si impegna a ragionare troppo – nel caso suo, di chi si sforza a non pensare a niente. Lee ritirò lenta la mano, posando il bicchiere sul canterano.
“Si meriterebbe solo calci nel sedere,” fu il soffio di voce di Chaolan, che troppo bene sapeva cosa tarlava con tanta intensità l'animo della bambina.
“Chi?” chiese sorniona Xiaoyu, sommessamente, troppo sommessamente, sia perché conosceva il soggetto sia perché i singhiozzi presero il sopravvento sulle corde vocali. Aveva cercato di serrare la bocca per non farli uscire, ma bastò socchiuderla che tutti gli sforzi erano stati vani. Pianse. Pianse perché era triste, adirata, stanca e delusa. Pianse perché ogni lacrima che usciva era un umore diverso, ma sempre dovuto alle sprezzanti parole di Hwoarang. Mai nessuno prima di quel momento l'aveva colpita così a fondo.
Le lacrime furono così tante che quando ebbe finito la bambina si toccò il viso e le parve di essere stata inzuppata da una forte tempesta.
Si guardò il palmo della mano annerito e si ricordò di avere del trucco sugli occhi. Non se ne rammentava e non se ne preoccupava, non era abituata a truccarsi.
L'uomo della stanza prese in mano un fazzoletto di seta e si appropinquò a lei. Quella era solo una scusante, ovviamente. Com'era logico che succedesse, adagiò il piccolo telo sul viso della ragazza e appena ebbe modo di lambirla si avvinghiò a lei. Xiaoyu riuscì a prendere coscienza di quello che stava accadendo solo quando si trovò addossato a sé il corpo dell'uomo e schiacciata sul materasso di un letto.
“E' tardi ed è meglio che vada!” proruppe decisamente preoccupata la cinese, alzandosi da sola senza aspettare alcun consenso. Lee la bloccò ostruendole il passaggio con una sola mano sul materasso.
“Fuori c'è mio marito!” affermò la cinese allarmata.
“Tuo marito non meriterebbe neppure di essere considerato!”
La scusa del consorte, ora, non funzionava più...
“E in ogni caso devo confessarti qualcosa...” annunciò l'uomo, che si tolse gli occhiali da sole e la guardò dritto negli occhi. “In realtà sono Lee Chaolan.”
“O... a... e...”
A parte ripetere vocali, Xiaoyu cercò di far sembrare la sua espressione quella di una persona stupita, e tentò anche di dire quantomeno qualcosa che confermasse la sua meraviglia. Buttò giù un insensato: “Bel travestimento!” e si complimentò dandogli pacche sulla spalla. Lee arrise compiaciuto.
“Già...” bisbigliò ancora, sperando fosse l'ultima volta, prima di passare ad altri argomenti di cui non si necessitava l'uso di corde vocali. O almeno, non per adottare frasi compiute, giusto per qualche vocale come quelle antecedenti della bambina, tradotte più come gemiti che come boccheggiamenti di sorpresa. Lee affondò quindi il viso sulla spalla destra della finta Kobayashi e con la mano cercò il nodo dietro il collo del vestito per poterglielo sciogliere. Gli erano mute le vane affermazioni di Xiaoyu, che gli dissero di ripensarci, che era troppo tardi ed infine che in realtà non era una donna. Almeno ci aveva provato.
Non voleva fare ciò che l'altro sperava di fare, ovviamente, ma non voleva neanche rovinare la grande recita che aveva compiuto al fine di avere un posto alla Mishima. Forse, non avrebbe dovuto neppure entrarci in quella maledetta situazione. Ma ragionare troppo non le riusciva mai bene, quindi spinse lontano da sé con i gomiti il figliastro del presidente e decise che era meglio smetterla.
Persino quel gesto scontroso gli fu invisibile, e allo stesso modo anche il tonfo della porta d'ingresso che si scollegò dai cardini e si frantumò per terra, la cui anta fu calciata con un fortissimo colpo. Non si accorse neppure della presenza di una nuova persona sotto l'uscio della porta, e della sua espressione raggelata ed irosa.
Xiaoyu aprì gli occhi che serrava con forza e le si fermarono i battiti del cuore. Si fece nitida l'immagine del ragazzo che qualche minuto prima l'aveva fatta piangere e qualche minuto prima ancora le aveva dedicato parole talmente crudeli che solo il disprezzo più grande del mondo ne avrebbe potuto dare la forza. Quel ragazzo si appropinquò con la velocità di un fulmine verso l'uomo dai capelli viola, lo afferrò per il colletto della giacca e lo scaraventò sulla parete opposta a quella del letto con un violento pugno in faccia. La cinese vide volare l'uomo come fosse stato un pennuto vero tanto era stato forte il pugno di chi l'aveva assettato. Quest'ultimo rimaneva in piedi, i capelli rossi dai riflessi quasi fiammanti sotto il lampadario acceso della piccola stanza, proprio come il vestito di seta che indossava la bambina, e la furia del suo blouson noir.
























----------------------------------------------


Che capitolo faticoso. E' stato il più faticoso di tutti... uff. Sento come che avrà un risultato peggiore rispetto agli altri ma... son felice di essermelo levato di dosso. xD
@Miss Trent: Niente storia d'amore... peccato! Già me li immaginavo in un amore impossibile per colpa delle loro cariche; sarebbe stata una storia avvincente! xD Ma le tue fanfiction son sempre belle, in ogni caso... :P Be', il corteggiatore, lo ammetto... volevo tenerlo all'oscuro fino a questo capitolo, ma era troppo ovvio di chi si trattasse xD
@annasukasuperfan: “almeno si decide a muoversi una buona volta...non so se hai capito”
Mmmmh... no. xD Ma comunque la situazione, come dici te, si muoverà e si smuoverà anche :P
@Silver Princess: “O__O <-- Questa era la mia faccia mentre leggevo il pezzo dell'elegante chiacchierata fra Heiachi e Hwoarang! XDDD”
xD E figurarsi che ci ha pure provato, lui, a fare l'elegante! xD
“In quanto a Xiaoyu... adesso doveva spuntare fuori anche il maniaco della situazione! °__° Ma poverina! XD Scommetto che quella sera non la dimenticherà con molta facilità! XD”
Oh no, direi proprio di no! xD E di sicuro non perché Lee resterà indimenticabile per il suo charme. xD
Lee: Come no? Non esiste donna che-
*Lee viene nuovamente zittito da Hwoarang, al solo modo che lui conosce: violenza fisica.* xP
@Chiaras: quoto e quotissimo! xD Per due citrulli orgoglioso come loro credo davvero che, come dici tu, la gelosia sia l'unica soluzione... :P
@TifaLockhart: “Io so chi è l ammiratore mandrillone,si si,un certo tizio dai capelli argentati?Può essere?XD”
Ehhh... xD
Lee: Tutte le donne mi conosco... ah! *faccia compiaciuta*
Sì, ma solo per quel tuo orrendo vizio che hai...
Lee: Vizio?! E' una qualità!
E di nuovo venne picchiato da Hwoarang. xD
@Shuriken: “il blusnoir mentre annuiva concordando (me lo vedo propio eheh) mi ha ricordato Di Caprio in "Prova a prendermi”
Davvero? ** Non l'ho mai visto, ma vedermi paragonato un personaggio a quello di un film famoso mi rende gongolante come pochi! xD Ti presento Joe Black è un bellissimo film... ricordo che quando l'avevo citato nella storia mi era tornata la voglia di guardarlo, ma ancora non ho trovato occasione (mannaggia! xD)
“Credo di aver cambiato una miriade di stati d'animo mentre lo leggevo dal "vai blusnoir ammazzalo di insulti quel vecchiaccio!!!XD"”
xD
“al "..povero blusnoir bruciato dalla gelosia!:("”
Awww... :3
“Cmq scommetto che il corteggiatore è Lee?? L'hai reso troppo bene per non essere lui!”
No, era facile! Bastava che facessi un mandrillone! xD
Lee: Io non parlo più... =_=
@Niky chan: “Ci si potrebbe fare un manga a volume unico -^^- magari ci faccio un pensierino, ti dispiace?”
Oh. Mio. Dio. Se mi dispiace? SE MI DISPIACE?? Non sai quanto mi siano sbrilluccicati gli occhi alla sola idea, appena ho letto il tuo commento! *___* Mi dispiace solo di avertelo detto con quasi un mese di ritardo... Oddio, non immagini la contentezza che ho addosso! xD Sarò felicissima di vedere i tuoi lavori... anzi! Ti chiedo, ti supplico, ti imploro di mandarmeli via mail! Ti prego ti prego ti prego!! Almeno una tavola o qualche schizzo!!*o* Contattami dal mio account su EFP! *_*
@Youffie: “Non so quanto sia venuta lunga, ma mi conosco abbastanza per dire 'abbastanza'X°°D Che vergogna che sono, ho una logorrea assurda”
xD Cercherò di rispondere alla tua recensione con un testo altrettanto lungo, allora. Bah, proviamoci! xD Alcune cose già le sai, già dette su messenger, come ad esempio quanto sia stimolante per un autore sentirsi venire a galla da un recensore particolari poco “visibili” ma non per questo poco importanti. Ci voleva dell'occhio, comunque. Ammetto che alcune cose che hai detto erano invisibili anche a me. XD Ma ogni cosa che hai pensato è vera: la favola al rovescio, un altro punto di vista diverso e personale sul buono e sul cattivo, lo stile un po' differente... un po' troppo, come dici te xD Ma spero che non dia tanto noia al lettore quest'inusuale modo che ho io di scrivere... sperando che anche tu riesca infine ad abituartici. Speriamo. Sai, credo di non esserne tanto abituata neppure io xD
Facciamo che cito alcune tue frasi così da risponderti più diretta, che sennò non saprei proprio da dove cominciare xD
“Per colpa tua, adesso sono anch'io una Xiaorang (così si scrive?)”
Buon punto per incominciare *ç* Sì, io dico così, ma dico anche Xiaoarang, non lo so. La verità è che credo di essermelo inventato. XD Contenta che tu lo sia diventata... davvero... avevo il timore, inizialmente, che sarei stata la sola Xiaorang di tutto EFP, che avrei scritto, pubblicato e che avrei avuto un solo lettore: io. XD
“Ce li vedo a rubare solamente perché tu me li hai descritti così, ma per il resto... Potrebbe mai essere Mugen (il mio preferito) un assassino? Uno stupratore? Che sciocchezza!”
Mugen, dei tre, è anche il mio preferito! XD Concordo in pieno sul fatto che neppure io vedrei mai nessuno di loro fare qualcosa di così estremo e violento a qualcuno ^^
“Sono diventati a tutti gli effetti la famiglia, la casa di Xiaoyu, ed è impossibile averli anche solo in antipatia (anche perché alcuni sono troppo stupidi per suscitare questo tipo di sentimentoXD).”
Son TUTTI molto stupidi! XD Più che altro ho voluto fare una cosa del genere perché ODIO lo stereotipo del bullo super cattivo senza sentimenti ma solo con un insensato bisogno di provocare violenza a qualcuno... Un esempio tipo può essere il cattivo classico di Walker Texas Ranger, che a me sinceramente paiono piatti come sottilette e tutti uguali, persino di faccia. XD (Proprio il peggiore tra i peggiori dei telefilm di serie B dovevo ripescare in memoria! xD)
“La scuola, quando Xiaoyu ci torna, sembra una prigione molto più soffocante di un edificio sporco e pericoloso che somiglia alla tana di un animale in cui chiodi e prostitute spuntano dove meno te l'aspetti. (ah, il mio capitolo preferito in assoluto è "Linguaggio":D Veramente bellissima la scena della moto, e in generale il significato che hai impresso a quella parte.)”
Era esattamente l'impressione che volevo dare: un brutto ritorno da parte di Xiaoyu, e questo non era dovuto solo a Jin, ma anche a ciò che hai detto te. Ciò che è scaturito a causa degli occhi di Xiaoyu che hanno cominciato a vedere diversamente la sua scuola quando ha scoperto che essa faceva parte della Mishima, e di tutto ciò che aveva sporco; persino una battutina languida di una compagna di scuola volevo farla sentire 'sudicia'. :P (Linguaggio è anche uno dei miei capitolo preferiti, comunque xP)
“(le scene con quella sciroccata di Nina sono veramente ben riuscite.)”
Sciroccata? xD
“L'unica cosa che ho notato a parte qualche errore che capita a tutti (qualche congiuntivo e qualche apostrofo mancati, credo; se vuoi poi cerco meglio e te li indico tutti),”
E' assai probabile! XD L'errore dei congiuntivi è molto dovuto, anche se la cosa suonerà un po' come scusa xD, alla troppa lettura di “orgoglio e pregiudizio” dove la Austen, parlando con un linguaggio antico, dopo ogni “che” ci inficca sempre un congiuntivo. E questo mi ha letteralmente mandato in tilt tutta la mia concezione di grammatica! XD Vedrò di ripescare anche gli apostrofi, come dici te! ^^
“è che non usi quasi mai il trapassato prossimo (avevo visto, aveva scelto ecc.), anche quando sarebbe richiesto”
E' il tempo che odio più di tutti, credo. XD Ed anche quello meno usato nei classici dell'800, mi pare... mannaggia ai libri! xD
“(se vuoi, ti evidenzio anche questi:D)”
Se ne avrai davvero la pazienza, ti bacerò i piedi... *_*
“Mi metto anch'io in trepidante attesa del prossimo capitolo >.< (che poi questa recensione volevo lasciartela come centesima, ma purtroppo la pigrizia mi ha vintoXDD)”
xD Non preoccuparti! XD
A proposito... a rispondere a tutte le recensioni ho dovuto rimpicciolite un po' il carattere, perché il testo delle mie risposte sta prendendo di più di quello della storia vera... e così facendo darò un'impressione diversa della cosa! XD Che trucco! XD La prossima volta vedrò di essere più sintetica... coff coff!
Comunque grazie a tutti, a chi mi segue e a chi mi commenta ^*^
Sperando di non farvi aspettare ulteriormente tanto... via col prossimo capitolo! :P

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Festa - parte IV ***


Appena uno stuolo di avvocati si avvicinò al signor Mishima, questi disse alla sua comitiva che si sarebbe un attimo assentato. Un attimo era un termine decisamente troppo esiguo perché potesse essere vero, e quella ridotta frazione di tempo si sarebbe certamente prolungata in un minuto, in un qualche minuto, in mezz'ora e probabilmente anche in un'ora.
Gli affari si prendono metà della vita di un individuo. Se poi questi affari hanno a che fare con un presidente, anche una vita e mezzo.
Hwoarang era stato lasciato solo, assieme ad altri tre cani del Mishima: due erano economisti e uno, dal volto scabroso che lasciava intuire a tutti di essere un poco di buono, aveva una carica enigmatica. Era stato proprio quest'ultimo di cui nulla si sapeva a confessare con un velo di sarcasmo al blouson noir che per molto tempo il presidente non si sarebbe fatto vivo. E il rosso ne approfittò ben volentieri.
Appena i quattro si sedettero attorno a un tavolo circolare posto su un'ampia balconata all'interno dell'edificio raggiungibile da una grande scala ricoperta da un lungo tappeto scarlatto, il coreano diede dimostrazione massima di tutta la zotichezza che aveva imparato a perfezionare nel covo dell'Est: si accomodò sulla sedia con il sedere in avanti, il più possibile, quasi fosse sdraiato, e appoggiò le gambe tese sul pregiato vetro del tavolo, accavallandole. Mancavano solo le braccia dietro la testa per completare il quadro di cowboy bifolco senza pistola e cappello. Ma lui rimediò anche per quello. Peccato solo per la pistola e il cappello, sarebbe stato un bovaro perfetto...
“Signor Kobayashi...” sillabò l'economista più vicino, sommesso. Hwoarang lo ignorò intenzionalmente. Se aveva qualcosa da dire l'avrebbe detta, senza soffermarsi al solo chiamarlo per nome. Un'altra manciata di secondi silenti appesantì lo stallo di disagio tra il conoscitore di economia e il giovane uomo dalla testa ramata e i modi villani.
“Ehm... signore...”
“Ci sento,” si stizzì maleducatamente il rosso. L'economista deglutì.
“Niente, volevo... volevo solo appurare che quello fosse il suo nome...” spiegò, le dita incrociate tra loro che si muovevano freneticamente per alleviare la tensione.
“E a che scopo?” domandò seccamente il blouson noir. Neppure guardava l'interlocutore, mentre ci dialogava, ma portava lo sguardo verso il basso, nella pista sottostante alla loro balconata. L'economista si arrovellò veramente molto, prima di rispondergli.
“Be', visto che diventeremo colleghi, può essere utile.”
“E perché? Tanto non ci parleremo mai,” fu la risposta brutale del coreano. L'economista si zittì del tutto, pure dopo aver ragionato su una possibile risposta da poter dare.
“Piuttosto pensa a contare soldi, Edward,” riferì sarcasticamente il rosso, irridendo al suo silenzio imbarazzato, senza ricambiare il “lei” che invece gli veniva dato. Hwoarang non era mai stato formale con nessuno, eccetto con Heihachi, e con quest'ultimo lo era con non poche difficoltà.
L'offeso velò bene il suo disappunto. Non perché fosse paziente, semplicemente non reagiva all'insulto appena avuto per paura che il nuovo collega di lavoro se la prendesse maggiormente con lui.
Ma, per lo meno, trovò il coraggio correggere una piccolezza che non aveva nulla a che vedere con la discussione.
“Signore, il mio nome non è Edward,” informò al Kobayashi leggermente risentito.
“Oh, bene!” rispose il coreano discorsivamente e stranamente vivace. “Volevo solo appurare che quello non fosse il tuo nome.”
Smontò così bene il pover'uomo che per l'imbarazzo sbiancò fino a perdere tutta la bell'abbronzatura che si era fatto in vacanza, appena uscito da una lunga permanenza alle Hawaii grazie al contributo di qualche moneta che non mancava mai di avere dalla Mishima Zaibatsu. Quello dalla carica sconosciuta sogghignò; l'altro economista, invece, arrise arrogantemente su un solo angolo di bocca.
“Ha una lingua davvero sagace, signor Kobayashi,” gli riferì quest'ultimo. “Ma a parte la bocca tagliente, riesce in qualche mestiere... come dire... più concreto per la Mishima Zaibatsu?” e stavolta alzò verso l'alto ambedue gli angoli delle labbra, un gesto che accentuò ancor meglio la sua superbia. “Senza offesa, ma non ha l'aria di una persona tanto colta.”
Faccia scabrosa si aggregò ai ghigni dell'altro.
“Riesco a riporre i giubbotti sugli attaccapanni,” rispose con semplicità Hwoarang. “Non è granché utile, ma sempre meglio che contare i soldi di quest'azienda visto che di economisti ce ne sono fin troppi e ne avanzerebbero per almeno altre venti Mishima Zaibatsu,” e mosse la gamba che aveva sopra l'altra per cambiare la posizione di accavallamento. “So anche dire bugie. Ma qui farei davvero concorrenza con molti.”
Lanciò eloquenti sguardi ai tre.
“Lei gioca sporco,” affermò l'unico economista che ancora riusciva a parlare. Quell'altro, dopo essere sbiancato per bene, cercò di ritrovare tutto il vigore perduto sorseggiando un bicchiere di vodka.
“Io gioco sporco con chi gioca sporco,” controbatté il rosso, con la risposta sempre pronta.
“Noi non giochiamo sporco, giochiamo d'astuzia,” corresse il volto scabroso.
“Chi gioca d'astuzia deve avere le palle per farlo,” proruppe il blouson noir con convinzione. “Chi non ce le ha, gioca solo sporco.”
Rubò un bicchiere sul tavolo che non era suo, ma che presto lo divenne. Bevve tutto d'un fiato il liquido ambrato dell'alcolico e se lo godette come non mai. Per Hwoarang l'alcol era un nettare dolcificante, e molto particolarmente per quell'occasione: si trovava annoiato e infastidito e con la compagnia peggiore che avesse mai avuto, forzato ad averla. In più, si sentiva infuriato per sottostare ai voleri di un presidente che già odiava con tutto il cuore e per colpa di un uomo che gli aveva rubato la ballerina.
Posò violentemente il bicchiere sul tavolo con un tonfo. Agli altri sembrò quasi che il bicchiere si sgretolasse in mille pezzi. Con la bocca libera, Hwoarang soggiunse:
“E al Mishima piacciono solo quelli con le palle.”
Non disse altro, da quel momento. I tre si arresero all'idea di avere qualunque possibile argomento di dialogo con lo sfacciato asociale e parlarono tra loro, sempre sui soliti soggetti che non andavano oltre i soldi, il presidente, la Mishima Zaibatsu, i piani finanziari, le ditte nemiche...
Avesse avuto davvero una pistola da cowboy, Hwoarang avrebbe sparato barbaramente al trio insopportabile. Un pensiero spietato e appropriato alla sua frustrazione attuale. E dopo aver fatto ciò, sarebbe sceso per le scale a cercare l'uomo dal capello viola e con gli occhiali da sole per infliggergli il medesimo trattamento. Solo allora si sarebbe sentito appagato. Forse.
Ma sentiva tutt'altro sentimento quando dalla balconata seguiva con lo sguardo la sua bambina, che camminava spaesatamente tra la folla. L'aveva adocchiata subito, era così inconfondibile per quel vestito fiammante che inevitabilmente l'occhio del blouson noir le cadeva sempre addosso.
Forse per sentirsi realmente appagato le avrebbe dovuto chiedere scusa. Non aveva seriamente mai pensato alle brutalità che le aveva detto appena qualche minuto prima, e non se le meritava. Hwoarang non era certo tipo da sentirsi in colpa, ma lei era l'unica che riusciva ad affliggerlo a quel modo. Quando succedeva, lui non glielo dimostrava, ma appena lei si distraeva o se ne andava, lui lasciava trapelare in viso tutto il tormento. Come in quel momento.
L'emozione mutò nuovamente quando vide la mano di un uomo toccare la spalla della cinese. Era una persona identificabile persino da lontano, proprio come Xiaoyu nel suo abito da sera di seta rossa. Questo per via dell'inusuale colore violaceo che avevano i suoi capelli. Riconobbe il predatore che aveva catturato la sua compagna nella pista da ballo, il cacciatore che, a quanto pareva, era riuscito magnificamente nel suo intento: la bambina lo seguì, lasciandosi trasportare dal tocco leggero della mano. Poi sparirono assieme nello stretto corridoio affiancato da vasi di petunie.
Hwoarang divenne come di ghiaccio.
“La nostra azienda ha bisogno di risorse esterne, diversificate. Bisogna cercare un contributo contingente.”
Al coreano le voci dei tre divennero ovattate, ma anche le uniche che riusciva a sentire. I rumori restanti erano scomparsi, inudibili. Il sangue gli circolava con forza in testa e leniva qualunque funzione delle orecchie.
“E noi in cambio daremo qualcos'altro. Siamo aziende differenti da loro, ma ci aiutiamo a vicenda. Queste compagnie sono un po' come le donne, che anche se diverse da noi ci sono indispensabili.”
Risate sguaiate, che disturbavano l'udito del blouson noir.
“E così vale anche per noi della Mishima Zaibatsu, che siamo come gli uomini. Le prendiamo, le lusinghiamo, ed esse accetteranno una nostra unione senza la minima incertezza. Femmine e aziende si somigliano proprio, non trovate?”
Chissà se erano le voci che lo disturbavano o l'argomento di cui stavano discutendo. Un ringhio rabbioso uscì dalla bocca del rosso.
“Le donne son proprio tutte uguali. Appena le abbindoli e ti apparti con loro, allargano le gambe con una leggerezza che solo il riempire un bicchiere d'acqua può eguagliarne la facilità.”
Probabilmente in un altro momento avrebbe sorriso per quell'affermazione, per lo meno il coreano ammetteva che era stata la cosa più divertente che avevano detto da quando avevano cominciato a parlare. Peccato che il tempismo non era proprio tra i più favorevoli.
Sbatté un'altra volta il bicchiere, che stavolta si frantumò per davvero. I tre guardarono ammutoliti e spaventati gli occhi del ragazzo che – forse era solo impressione – parvero persino più rossi dei suoi capelli. Hwoarang si volatilizzò presto da loro, i quali restarono a lungo in un interminabile silenzio di sconcerto.
Corse per le scale e a ogni passo che faceva esordiva con la mente la stessa frase.
“Razza di cretina!” ripeteva, e il suo pensiero non andava oltre quella frase, altrimenti si sarebbe dato probabilmente lui stesso del cretino, visto l'illogicità di ciò che stava facendo. Non dovevano essere fatti suoi se la bambina aveva deciso inaspettatamente di lasciar fiorire la sua parte di donna e testare la cosa con il primo principino di turno che l'aveva adescata. Lo diceva anche lui che, in fondo, sia piccole che mature le donne erano tutte uguali. Rana l'aveva pure avvertito.
“Lei non è una bambina, è una piccola donna,” aveva detto. E chi aveva trascorso una brutta esperienza con quelle figlie d'Eva come il suo compagno meglio di tutti poteva fiutarne i pericoli su altre.
Attraversò tutto il corridoio affiancato da vasi di petunie, ma neppure un ciuffo viola o un pezzo di seta rosso era stato colto dall'occhio del blouson noir. Erano come svaniti. E troppe porte erano presenti tra un vaso e l'altro perché il coreano sapesse quale avessero attraversato i due.
Varcò solo quelle in cui poteva entrare, ossia quelle dei bagni pubblichi, inizialmente in quello maschile e subito dopo in quello femminile. In quest'ultimo Hwoarang ricevette da alcune aristocratiche, che credeva non proferissero mai termini rozzi e poco conformi alla loro posizioni, svariate parolacce d'accusa e auguri ad andare in quel posto. Senza giri di parole, il coreano rispose a sua volta con un “infilatevi le dita nel vostro basso intestino e restate chete”. Dopo l'auspicio appena dato alle signore della toilette, ritornò nel corridoio.
Aveva il fiatone, quel povero ragazzo. Ma non era certo per la fatica, visto che neppure aveva corso, e anche se l'avesse fatto, anni di allenamento di Tae Know Do gli avrebbero fatto sopportare ore ed ore di strazi e maratone.
Era spossato nell'animo e scosso nella mente, e spaurito a causa di una sensazione inconscia e sconosciuta. E' ciò che non si conosce che spaventa più di tutto.
Portò una mano sulla fronte imperlata di sudore, e una ciocca di capelli si estraniò dalle altre, ricadendo in avanti, vicino agli occhi, rovinando l'acconciatura perfetta. Si muoveva ritmicamente, seguendo il respiro affannoso di Hwoarang, che man mano diminuiva d'intensità. Calmandosi, poté meglio ragionare.
“Dio, quanto sono idiota...” mormorò, sopraffatto dalla realtà. Cosa avrebbe potuto fare? Tornare dal terzetto di leccapiedi sarebbe stata la scelta più saggia, ma invece rimase immobile, radicato coi piedi nel marmo del pavimento. Avrebbe aspettato la sua piccola donna esaurire ogni residuo di bramosia con lo sconosciuto come un misero cane intrappolato da un collare che dipendeva dal suo padrone, e al suo ritorno l'avrebbe seguita. Una situazione troppo deplorevole per lui. Finora era sempre stato una persona libera, nel pensiero e anche nella pratica, e l'idea che qualcosa si fosse insinuato dentro di lui, comandandolo, gli dava una sensazione di biasimo. Aveva sempre compatito persone di quel tipo.
La libertà che sentiva sempre nell'aria maleodorante della periferia Est, seppure nauseabonda, era dolce come null'altro poteva esserlo.
D'improvviso, si destò dal proprio monologo interiore a causa di uno strillo femminile proveniente dalla parte sinistra del corridoio.
“E' tardi ed è meglio che vada!”
Una voce che gli era molto familiare. Corse in direzione del suono, che continuava a diffondersi nell'aria e aumentare di forza.
“Fuori c'è mio marito!”
“Tuo marito non meriterebbe neppure di essere considerato!”
Stanza 203. Tese l'orecchio, ma subito si ritirò dal farlo. Sarebbe caduto ancora più in basso comportandosi come una sottospecie di voyeur. Perché quell'assurdo gesto? Assurdo tanto quanto la sua mano che stava muovendosi verso la maniglia della porta per aprirla. La ragione prese il sopravvento – e questo era qualcosa di veramente grandioso per un tipo puerile come Hwoarang – ma svanì alla stessa velocità di come era arrivata quando udì un impercettibile verso di esitazione da parte della bambina. Poi, un grido di timore, e un silenzio prolungato.
Solo in quel momento si fece nitida nella mente un'immagine vagheggiata della sua compagna cinese costretta nelle braccia di qualcuno. E quando comprese che oltre la porta che aveva davanti l'idea che si era fatto poteva spaventosamente divenire reale, neppure un barlume di razionalità rimase nella mente del rosso. Neanche l'aprì, quella porta, come avrebbe fatto ogni persona ordinaria, ma calciò ferocemente sul battente, e questo parve quasi schizzare via dal muro.
Hwoarang aveva sempre sostenuto che nessuna realtà poteva essere più orribile della fantasia. La realtà a volte è cruda e spietata, ma mai quanto può arrivare ad essere l'immaginazione umana. Rimase perciò atterrito quando si rese conto che ciò che aveva appena vaneggiato non era niente in confronto all'agghiacciante scena che gli si presentò dinanzi.
Il porco neppure si era accorto del suo rumoroso arrivo tanto era preso da ciò che stava facendo. La bambina, invece, lo vide subito. Furono i suoi occhi intimoriti la vera scintilla che fece esplodere Hwoarang. Si appropinquò all'uomo sopra di lei, lo afferrò per il colletto e senza che l'altro neppure si capacitasse di ciò che stava succedendo gli assettò con forza un pugno in faccia, facendolo capitombolare sulla parete opposta a quella del letto. Il lampadario appeso al soffitto, data la poderosa forza del colpo al muro, ondeggiò avanti e indietro per un paio di volte. Sotto di esso ondeggiava anche l'ombra del blouson noir.
Ignorò l'uomo seduto malamente a terra ed i suoi gemiti di dolore, e si voltò verso Xiaoyu. Lei sbiancò allo stesso modo dell'economista che si era imbattuto nella precedente discussione fatale col coreano. D'istinto, si nascose il volto con le mani quando vide l'avvicinarsi del boss della periferia Est. Quest'ultimo poggiò lo stinco sul bordo del letto, s'inarcò in avanti e svelò il viso della giovane agguantandola per i polsi e spostandoli verso il basso. Lei sussultò appena un attimo, l'attimo vero, e non quello che precedentemente aveva usato come congedo il presidente della Mishima per i suoi colleghi, che invece ne era risultato un tempo non ancora terminato. Xiaoyu sarebbe stata felice se fosse successo lo stesso anche in quel momento – che la frazione di tempo si fosse prolungata in tanti lunghi tempi – quando sempre per un altro vero attimo la mano di Hwoarang si posò sulla gota di lei e le trasmise un calore che non aveva mai osato dimostrarle. La fissò bene in viso, e si rese conto che erano trasudate dagli occhi delle gocce macchiate di trucco nero.
“Hai pianto...” sussurrò attonito il blouson noir. Da attonito divenne improvvisamente iroso. “Quello... stronzo!”
Senza aspettare che la ragazza gli rispondesse, si fiondò di nuovo addosso al nobiluomo del muro opposto. Lo afferrò per il bavero della giacca nera e lo alzò brutalmente in posizione eretta.
“Aspetta aspetta aspetta!” strillò la cinesina tutta trafelata. Si aggrappò con tutto il peso al braccio di Hwoarang, avvinghiandolo con i suoi, in confronto, minutissimi arti superiori per fermarlo. Lui si girò a guardarla, con l'altro braccio a mezz'aria che era stato bloccato in tempo, la mano chiusa in un pugno che stava per frantumare a momenti il bel visino del principe dai capelli viola. Guardò nella parte opposta, quella della porta fracassata per metà, dove un cumulo di gente di era impudicamente affollato vicino l'entrata a non farsi i fatti propri. Indietreggiarono impercettibilmente quando il rosso si accorse della loro presenza, ma la curiosità era addirittura più forte della loro paura, e rimasero lì dov'erano. Aristocratici... sarebbero diventati i più coraggiosi del mondo se qualunque azione eroica fosse stata compensata dalla curiosità, e non dalla fatica, dal sudore o dalla gloria.
La cinese spintonò il braccio del coreano, e lo fece voltare nuovamente verso di lei. L'acconciatura corvina, che una volta era perfetta come la sua, era adesso disordinatamente composta da tanti ciuffi che, fluttuanti, scendevano in tante direzioni. Il chignon, ora scabro di capelli, era piccolo e misero; discinto, quasi, come l'abito che portava la bambina, che dovette reggersi con una mano perché cadeva tutto da una parte.
“Non sono... stato io... a farla piangere...” ansimò l'uomo a terra. Aveva un irriso dipinto nel volto nonostante le botte ricevute.
“Davvero?” chiese il rosso ironicamente, effettuando un movimento all'indietro del braccio per dare più forza al pugno che voleva impattarsi sull'interlocutore gemente.
“Non devi picchiarlo!” esordì Xiaoyu con tono ordinatorio e con occhi di vitello che avrebbero funzionato su chiunque. Ma Hwoarang era troppo accecato dalla rabbia perché potesse rimanerne vittima.
“Che cazzo dici?! Io non lo picchio, io lo uccido!” le rispose arrabbiato il blouson noir.
“Non provare a-”
“Faccio quel che cazzo voglio!” la interruppe il coreano. E disse “cazzo” due volte in due frasi consecutive. Questo significava che aveva poca creatività nel suo singolare metodo di linguaggi perché troppo imbestialito per curarne – a modo suo, ovviamente – i dettagli.
Il mezzo morto mugugnò, e tentò di alzarsi. Il rosso se ne avvide e lo prese con il tacco della scarpa in viso, facendogli cadere gli occhiali che si portava addosso.
“Non me ne frega nulla di quel che fai con gli stronzi come lui,” continuò imperterrito il boss della periferia rivolgendosi alla compagna cinese, “perché tanto, anche se giochi a fare la donnina, non riuscirai mai ad esserlo, sei solo una bambina!”
“Non stai dicendo nulla di nuovo! E smettila di interr-”
“E nonostante ti abbia salvato il culo!” urlò, e stavolta più del consueto. “Nonostante ti abbia salvato il culo, nonostante il principino che nel tuo cervelletto bacato di bimba sognavi essere perfetto e sul cavallo bianco è invece solo un porco che si accontenta del corpo piatto e spigolato che ti ritrovi, nonostante sei uscita fuori dalla situazione senza che sia successo niente di grave, non hai imparato la lezione, ma anzi, lo difendi pure?!” soggiunse con voce così potente che divenne quasi acuta come una donna.
“Come ti permetti!” s'inasprì lei, per molto di ciò che aveva detto – maggiormente per il corpo piatto e spigolato ed il cervello bacato – e gli puntò il dito indice contro. “Tu non sai niente, e spari cavolate una dietro l'altra!”
“Io so anche troppo!” replicò infuriato lui. “Bastano i miei occhi: vedo una stanza, vedo due persone sole, vedo uno champagne mezzo bevuto, vedo un letto, vedo un porco e vedo una verginella che gioca a fare la puttana!”
“Prova a ripeterlo se hai il coraggio!” strillò Xiaoyu, che non poté più trattenere nessun impeto di rabbia dopo questo affronto.
“Perché, sennò che mi fai? Mi tiri uno schiaffo? Mi tiri uno schiaffo come prima?” ironizzò in tono di sfida il blouson noir. “Coraggio, tirami uno schiaffo!”
“Vaffanculo!” tuonò la bambina, che nulla di innocente le era più rimasto nel linguaggio, influenzata negativamente dai vandali del covo dell'Est e da Hwoarang che ne era l'esempio culminante. Frattanto, la gente assisteva incantata a ogni minima scena della tragicommedia che i due protagonisti stavano mettendo in atto nella piccola stanza 203, che ora fungeva da teatro. La folla era talmente tanta che il corridoio di petunie si era riempito per una buona metà. Non li avrebbe senz'altro fermati nessuno, quei due litiganti, tanto erano presi dalla loro disputa; e in ogni caso nessun osservatore avrebbe osato farlo, troppo rapito dallo spettacolo che aveva davanti. Una donna di mezza età, però, enunciò indiscretamente una frase che avrebbe preso l'attenzione della folla ancor meglio di come riuscivano in quel momento il blouson noir e la bambina.
“Ma quello è... è Lee Chaolan!” urlò emozionatissima, accorgendosi sol ora del famoso corteggiatore alla sua destra e dei suoi occhiali da sole rotti vicino ai suoi piedi. Ne seguì uno strepitio acuto da persone unicamente di sesso femminile e l'accompagnato farfugliare dei maschi. Hwoarang, con il fiato corto dovuto al suo berciare troppo, si chetò e guardò perplesso in direzione del quasi moribondo alle sue spalle. Appena incontrò il suo viso, non ci furono più dubbi. Non era stato necessario neppure che lo osservasse con attenzione per accertarsi della cosa.
“Lui...” seppe soltanto dire il blouson noir stupito. La cinese rimase zitta e aggrottò le sopracciglia.
“Già, son proprio io...” mormorò spasmodicamente Lee, pulendosi con la manica della giacca il rivolo di sangue che fuoriusciva dal labbro. “E tu devi essere l'emerito imbecille maritato con lei...” soggiunse aspramente.
“Brutto...”
Si fiondò nuovamente sul moribondo, senza pietà. Ma stavolta Chaolan se ne avvide, e reagì parandosi. Si assettarono disarmonicamente qualche pugno e calcio, come vandali di strada da quattro soldi, e certo non come due professionisti di arti marziali. Il rosso dovette stare molto cauto nonostante il netto vantaggio che aveva sul nemico, visto le condizioni deboli del già ferito dai capelli viola. Xiaoyu chiamò più volte il compagno per fermarlo.
“I nostri maestri, blouson noir! Non rovinare tutto!” tentò nuovamente e disperatamente di arrestarlo la bambina. Solo a quest'affermazione il rosso si bloccò, ricevendo di conseguenza un colpo sul viso da parte del Chaolan. Cadde a terra, ma non si alzò. Xiaoyu si mise davanti, di schiena, pregando Lee di lasciarlo stare. E chi più dell'amatore del gentil sesso in persona poteva meglio restare ammaliato ed intimidito da quei profondi e brillanti occhi di vitello della bambina? Abbassò la guardia e fece come disse lei. Contemporaneamente al rilassamento del dongiovanni, un maestoso figuro fece ingresso nella stanza, facendo scansare tutta la folla con la sua sola presenza.
“Lee,” sussurrò in un solo fiato. Hwoarang subì talmente tanto la chiacchiera di quell'uomo che gli riconobbe immediatamente la voce, anche se sommessa.
“Padre!” gli rispose il Chaolan, tornando nuovamente teso, ma stavolta non per concentrarsi su uno scontro fisico. Gli occhi del presidente si posarono sui due Kobayashi, prima sul ragazzo, poi sulla ragazza.
“Evita di adescare le mogli dei miei dipendenti,” gli riferì austero, irremovibile, con un infastidimento che si mascherava bene nella calma che ostentava. Non gli degnò altra considerazione e passò subito al rosso seduto a terra. Heihachi esibì un sorrisetto compiaciuto.
“Io non sbaglio mai, sei un uomo con le palle e lo dimostra il fatto che ne hai date parecchie al mio figliastro,” si congratulò il vecchio, senza avere un minimo di buonsenso per quell'uomo che le aveva prese che era suo figlio. “E ci sei riuscito nonostante lui sia un professionista di arti marziali...” e uno sguardo furtivo, nei suoi occhi austeri, comparì sul volto a causa di quel particolare un po' stonante.
Hwoarang calmò i suoi ansimi, e aiutandosi con la parete si alzò in piedi. Non levò neppure per un attimo lo sguardo dal Mishima, neanche quando passando vicino a Xiaoyu, per avvicinarglisi, le sfiorò sbadatamente per uno sbando la spalla con la sua.
“Quando uno è incazzato, presidente,” esordì il coreano, “le dà forte anche se fa schifo a combattere, senza neppure accorgersi di farsi male,” e lambì con i polpastrelli la gota rossa che pulsava di sangue, gemendo brevemente. “Se ne rende conto solo dopo...”
Heihachi sghignazzò sguaiatamente come quasi mai capitava. “Mi scuso io da parte del mio figliastro,” disse al Kobayashi appena riuscì ad ammansire le sue risa. Dedicò al donnaiolo un significativo sguardo di stizza. Poi, lo ripose su Xiaoyu.
“E lei dovrà stare più cauta, la prossima volta,” le consigliò il Mishima con una smorfia un po' accusatoria.
“Mia moglie è solo un po' ingenua,” rispose al posto della ragazza il blouson noir. Ma non fece cambiare idea al presidente:
“Non sembra.”
La cinese un po' si risentì dell'accusa, ma non volle dire nulla per amore del suo maestro. Si erano già creati troppi guai, e infierendo ancora la situazione sarebbe soltanto peggiorata.
Quando Heihachi uscì, la folla si scansò di nuovo come gazzelle impaurite dal leone, che poté passeggiare affiancato dai vasi i petunie senza ostacoli. Hwoarang lo seguì, restando in silenzio e addirittura indifferente alle chiacchiere altrui, che senza ritegno davano i propri pareri di tutto l'accaduto facendosi impudicamente sentire dai soggetti stessi delle loro discussioni. All'incirca tutti i pettegolezzi seguivano un unico filo logico: Lee Chaolan e una donna maritata si erano incontrati in segreto, c'era stato un tradimento e la scoperta del fattaccio da parte del marito. Infine, era avvenuta una litigata all'ultimo sangue e la giovane aveva difeso l'amante davanti al marito. Ma niente importava più al coreano, tranne andarsene via il più presto possibile da quella mandria di fanatici di chiacchiere e da ogni altra infida persona di quel luogo.
La bambina fu la seconda a seguire il Mishima, ma venne trattenuta da Lee per qualche secondo, che avvicinò le labbra al suo orecchio.
“E' colpa mia, ho rischiato troppo a vederti alla festa dove era presente anche tuo marito...” mormorò, poi trasse dalla tasca un biglietto da visita. “E' il numero del mio ufficio. Diventerai la mia segretaria, così ci potremo vedere nel mio ufficio, e tuo marito non saprà niente.”
Il tempo non gli permise di fare occhiolini, baciamani, saluti alla francese e neppure un sorriso, e appena terminò la frase si avviò con gli altri, scomposto allo stesso modo del blouson noir.
Lo scopo di entrambi i protagonisti era stato raggiunto. Ora, però, dovevano vedersela con i fatti personali.

Era notte e faceva freddo, ma Hwoarang non stette mai così bene come in quel momento dalle ultime quattro ore trascorse. Xiaoyu un po' meno, perché nonostante la gioia di uscire dall'orrendo edificio della Mishima ebbe un colpo di gelo per via del vestito scollato, così intenso che ogni altro pensiero era passato in secondo piano. Ogni preoccupazione, ogni afflizione, persino il disagio di restare con il suo blouson noir nel più degradante dei silenzi imbarazzati. Non si parlavano, e non badarono neppure alla presenza dell'altro, lui avanti molti metri da lei, lei con gli occhi bassi e con le mani sulle spalle, incrociate, per sfregarsi le braccia e dare loro un po' di calore.
Il blouson noir aveva una sigaretta nascosta nel taschino. Se ne ricordò, la prese e l'accese. E fu il respiro più dolce di tutti. Quando prima di fumare si era fermato per dar fuoco al piccolo rotolino di tabacco, aveva fatto involontariamente avvicinare la cinese a sé. La guardò strascicare come una povera barbona.
“Bambina,” riuscì finalmente a chiamarla lui. Lei si svegliò dai muti pensieri e gli rivolse lo sguardo.
“Il porco ha detto che non era stato lui a farti piangere. E' una cazzata, vero?” domandò serio Hwoarang. Xiaoyu deglutì, e il rosso, per questo, intese immediatamente la risposta.
“E allora...” farfugliò, e la guardò dapprima confuso, poi sorpreso. Quali altri motivi potevano esserci se non lui?
La lunga camminata verso la periferia Est sarebbe presto diventata una discussione prolissa di tante confessioni incerte e di tante più pause di esitazione.
























----------------------------------------------


Capitolo forse un po' troppo più introspettivo del consueto... ma va be'! :/
@annasukasuperfan: Sì, avevi azzeccato! xD
@xxx: Bisogna sempre fare attenzione ai panini! XD Troppo gentile... ti ringrazio tantissimissimo!!
@sakura_uchiha: E' bello sapere che qualcuno legge le tue storie anche se il pairing di cui tratta non è proprio tra i suoi più supportati... *commossa* Be', il capitolo di Nina non era granché ai fini della storia, ma... perché tutte odiano Nina?? xD Io invece l'adoro, quella donna *_* Ma de gustibus non disputatum est! :P Ti ringrazio della recensione! ^^
@Miss Trent: Ammora... nulla da dire, a parte: >****<
@ Tifa: ...oh! *_* Be', Chaolan è convintissimo di piacere a TUTTE le donne del globo e di conseguenza è convintissimo che TUTTE siano consenzienti a lui!xD Quando magari una grida di smetterla, lui crede che lo faccia perché fa la preziosa! XD (Questo forse dovevo spiegarlo nella fict, però... @_@) Forse un giorno Ling capirà... la vedo dura, ma forse accadrà! XD
@Niky Chan: Non farmi aspettare troppo! *_* Son curiosissima!! *___*
@Chiaras: Lee credo sia anche l'unico dongiovanni di Tekken! XP Ti ringrazio tanto tanto tanto! ^*^
@Silver Princess: come hai potuto constatare... sì, è diventato una bestia! xD
E allora, sono o non sono stata sintetica con le risposte ai recensori?? xP (Sto piano piano migliorando? xD) A presto con il prossimo capitolo!!


Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Gnorri ***


La serata servì a ribadire che la bambina non sapeva fare la gnorri.
L'aria di quella notte era forte ed entrava granitica nei polmoni. Era probabilmente solo una sensazione, ma Xiaoyu sentiva quasi in modo palpabile i suoi organi respiratori appesantirsi come massi, come se l'ossigeno non fosse gassoso ma solido. Nell'aria, difatti, aleggiava una cortina di vapore scuro molto simile a quello delle coltri della periferia Est che rasentava il marciapiede su cui si trovavano il blouson noir e la bambina, alzandosi fino a toccare i tetti. Ne si vedeva quasi il contorno, proprio come le nuvole paffute disegnate dai bambini, ed era talmente palpabile da poterla sentire con un tocco di mano.
La cinese sollevò la mano e la passò tra le nubi, conducendola sul proprio volto.
“Allora cosa?” chiese incerta. Non era mai riuscita a fare la sorniona. Il blouson noir l'aveva intuito sin dalla prima volta che l'aveva conosciuta. Buttò fuori un riso lieve e brevissimo, abbandonando la testa in avanti, muovendola con fare negativo.
“Bambina, se non è stato il porco solo uno come Heihachi può riuscire a distruggere emotivamente una persona così bene, ma sfortunatamente non hai avuto il piacere di conoscerlo come me,” ironizzò Hwoarang. “Sono davvero così simile a lui?”
Xiaoyu aprì leggermente la bocca stupita quando sentì quelle parole dal tono così mesto.
“Certo che no! Quando sbagli, anche se in modo rozzo e un po' stupido, cerchi di scusarti e ci metti buona volontà... come adesso...” sussurrò impacciatamente la ragazza.
“Quindi hai ammesso che è colpa mia,” azzardò lui seraficamente, sorridendo. La sua furbizia vinse contro l'ingenuità della compagna per l'ennesima volta.
“Tu,” bofonchiò la sconfitta, allibita, “mi hai imbrogliato!”
“Anche tu,” replicò il rosso, nuovamente austero. Ling stavolta non si era indignata, perché non aveva afferrato bene il significato dell'ultima affermazione. Lo guardò perplessa.
“Parlo del porco,” spiegò allora il ragazzo.
“Faceva tutto parte del nostro piano, dovevamo arruffianarci i capi per avvicinarci alla Mishima Zaibatsu, lo hai detto tu stesso!” esordì la giovane con risolutezza.
“Diavolo, bambina!” sbottò il coreano guardandola negli occhi. Sarebbe comunque stato inane ciò che aveva fatto, perché la coltre attorno ai due era talmente densa da offuscare ad entrambi la figura dell'altro. Ma Xiaoyu scattò dritta con la schiena, rigida, quando si sentì addosso le iridi del rosso – le percepì come fossero nitide nonostante tutto – e, oltre a questo, la voce che si era fatta inaspettatamente dura.
“Una cosa è arruffianarsi qualcuno facendogli complimenti, un'altra è portarselo a letto,” valutò sinteticamente il blouson noir. La bambina, anche se avrebbe dovuto un po' adirarsi per la spinta insinuazione, avvampò solamente. E vistosamente.
“Non hai capito niente!” affermò vergognosa.
“Davvero? Vuoi che ti ripeta le varie ragioni del mio improvviso colpo di genio?” le chiese sarcasticamente. Magari in questo modo avrebbe potuto aggiornare la lista delle già enunciate precedentemente “stanza”, “due persone sole”, “champagne mezzo bevuto”, “letto”, “porco” e, sì, anche “verginella che gioca a fare la puttana”.
“Avrei potuto picchiare Lee quando mi pareva e piaceva, sono una combattente di arti marziali, mica una ragazzetta qualunque!” affermò imperterrita Xiaoyu.
“E allora perché non l'hai fatto?”
Da imperterrita divenne improvvisamente esitante.
“L'avrei potuto fare in qualsiasi momento, ma non volevo essere avventata, sennò avrei rovinato tutto,” gli spiegò ragionevolmente, quietandosi l'animo abbastanza da poter usare un tono di voce basso e modulato.
“E quand'è che non saresti stata più avventata, quando le tue gambe si sarebbero aperte? O forse quando si sarebbero già richiuse?”
Ma quel maledetto mandava a farsi fottere ogni intento che aveva lei di poter usare sensatezza e comprensione.
“No! E puoi chiamarmi mocciosa quanto vuoi, ma non sono così ingenua e, sì, alla tua probabile domanda dei bebè che nascono sotto i cavoli rispondo che ho già visto la videocassetta per bambini di educazione sessuale in cui Mister Coniglietto e Miss Coniglietta fanno conoscenza trastullandosi i propri gingillini. Sei contento, adesso?!”
Hwoarang, in una di quelle rarissime volte di sconcerto, si zittì colpito e affondato dalle parole della cinese.
“Mi sarei defilata in ogni caso, blouson noir...” bofonchiò la ragazza. “L'ho già fatto varie volte con Lee, e ci sono riuscita sempre. Stavo davvero per farlo, ma poi sei arrivato tu.”
E qui scattò nuovamente l'ira.
“Cioè intendi dire che ho rovinato tutto?” imperversò Hwoarang. “Mi dispiace con tutto il cuore di averti aiutato!”
“Perché?”
La domanda che fece la ragazza era stata risoluta e chiara. Il rosso non rispose.
“Perché sono un fallimento?” chiese di nuovo lei, ferita e amareggiata. Fallimento. Era proprio la parola che le aveva riservato il coreano neppure un'ora prima durante la loro danza che era in realtà una battaglia muta fatta di pugni nascosti in carezze.
Una lattina vuota di una bibita troppo nota per essere notata rotolò sul marciapiede sospinta da una raffica di vento sferzante, e una torre di scatoloni vuoti accostati al muro la seguì, cadendo goffamente come castelli di carta al soffio di un fiato. Il suono rumoroso dell'alluminio che andava a cozzarsi con il cemento diminuiva sempre più, sino a diventare un eco, poi un sussurro nell'aria, poi il rumore quasi impercettibile, fino al silenzio.
Silenzio, come quello della sala da ballo nell'edificio della Mishima, quando il blouson noir aveva serbato alla cinese parole così velenose che solo chi mente sarebbe riuscito a proferire, fatte di un odio fittizio, troppo implacabile e intenso per poter essere reale. E lei aveva reclinato il capo in avanti, sempre come quella volta, l'espressione cupa, i pugni serrati, e il silenzio, sempre quel silenzio oneroso, stavolta più assordante, perché nessun brusio di persone e calpestio di ballerini risuonava anche solo per un attimo, con finezza, nelle orecchie dei due.
“Era per questo che avevi pianto?” domandò sommessamente Hwoarang.
“Dolcetto o scherzetto?”
A parlare in tono tanto entusiasta, riuscendo a bloccare la bocca del rosso che era nuovamente in procinto di aprirsi, era stata una bambina. Badate, non la bambina, non la protagonista: una un po' più piccola, di età e di corporatura. Pronunciando la domanda senza preavviso e alla schiena della cinese fece quasi cadere quest'ultima dallo spavento.
“Allora, dolcetto o scherzetto?!” ripeté in tono solenne, e altre cinque piccole creature si accerchiarono attorno ai due. Hwoarang dichiarò il proprio pensiero con la stessa dissolutezza dei bambini.
“Basta mocciosi! Me ne basta già una che vedo tutti i giorni!”
La “una” si girò e lo guardò in modo torvo. I piccoli uomini, ma già saggi come se fossero adulti, optarono di lasciar perdere lo scorbutico rosso direzionandosi verso la ragazza. Questa cercò in modo gentile di dir loro che non aveva niente.
“Se non ci dai niente, faremo uno scherzetto,” dichiarò una piccola zucca parlante.
“D'accordo,” rispose con semplicità il blouson noir. I bambini ne furono folgorati, finalmente uno scherzo dopo ore ed ore di girate per il quartiere! Era ciò che desideravano più delle cioccolate e caramelle. Ma si bloccarono, pensierosi.
“Ma se dobbiamo farti lo scherzo, lo dobbiamo fare di nascosto, sennò che scherzo è?” ragionò forse il più acuto del gruppo.
“Allora fatelo ad un altro. Andate davanti alla Mishima Zaibatsu, adocchiate la prima limousine che vedete e graffiatela più che potete.”
“Blouson noir!” lo chiamò indignata Xiaoyu.
“Che c'è? Faranno un dispetto a quelli stronzi che lavorano là! Se lo meritano!”
“Cosa sono gli stronzi?” domandò innocentemente la più minuta della combriccola. Il rosso era in procinto di darle una spiegazione, ma la cinese gli tirò il codino: gridò solamente.
“Andate, bambini, noi non abbiamo niente,” disse affabilmente Ling prima di avviarsi e trascinare affabilmente il compagno per la cravatta fin quasi a strozzarlo.
“Mi raccomando i graffi, e pure tanti, tanti, tanti sputi,” sussurrò il coreano ai bambini con un pollice alzato in su e un'espressione furba. Sembrò che questi avessero acconsentito a seguire l'idea, perché, casualmente, si diressero contenti verso l'edificio più grande di Tokyo.
“Sei proprio un cafone,” considerò seccata la bambina, che aveva sentito fin troppo bene la trovata scorretta che aveva mormorato alle creaturine di Halloween.
“Mi piace esserlo,” replicò perentorio Hwoarang, “ e mi piace essere anche duro, altrimenti gli altri ne approfittano come hanno fatto prima i mocciosetti con te.”
La bambina gli dedicò una solenne smorfia scocciata. “Sono venuti da me perché avevano paura di te.”
“Appunto,” enunciò il blouson noir. “Anche il porco si è approfittato di te per questa tua terribile alloccaggine.”
Xiaoyu fermò la sua marcia, solo per potersi girare e guardarlo trucemente. “Se continui con questa storia ti tiro un calcio...”
“Oh, wow! La mia bambina piattola si è adesso trasformata in bambina super tosta! Che minacciosa!” urlò canzonatorio il rosso, con l'intenzione – forse involontaria – di voler solo peggiorare le cose.
La cinese ricominciò a marciare, senza però trasportare più Hwoarang: lasciò la presa della cravatta, e nel farlo volle tirarla ancora una volta, giusto per far capire meglio al suo compagno la sua indignazione. Il temerario provocatore, anche dopo l'ennesimo tentato di strangolamento, volle comunque continuare la sua battaglia orale.
“Ma come, dov'è finita la bambina super tosta?”
“La bambina super tosta non ha tempo da perdere con gli stupidi,” controbatté Xiaoyu. “E magari non sono così bambina come dici te! Magari sono una vera donna, e Lee si è davvero preso una cotta per me!”
Il coreano non riuscì neppure per un quarto di secondo a trattenere la sua risata canzonatoria, che partì forte come un razzo spaziale e si diffuse per tutto il quartiere in cui si trovavano. La cinese intuì come di essere presa per il culo...
“Guarda che me l'ha dimostrato varie volte! Mi ha anche fatto un sacco di galanterie!” informò irata, battendo il piede destro sull'asfalto per la rabbia.
“Non sapresti fare la donna neppure fingendoti una donna,” giudicò sarcastico Hwoarang girandosi di spalle.
La piccola Ling si calmò e si concentrò meticolosamente, poi chiamò con tono stranamente smanceroso il suo capo.
“Blouson noir!”
Il coreano si voltò con lentezza e decisamente perplesso. Vide la cinese che aveva una posa alla Cicciolina prima di cominciare a darsi veramente da fare con la sua unica dote recitativa che andava oltre il gesticolare e il parlare, che comprendeva sguardo languido, ambo le braccia dietro la testa, una gamba in avanti e l'anca poderosamente spostata da una sola parte.
“Visto?” esclamò soddisfatta.
“Brava, sei riuscita a renderti ancora più ridicola,” farfugliò con voce pietosa Hwoarang, rigirandosi dall'altra parte. Xiaoyu, di nuovo, batté ripetutamente il piede destro sull'asfalto per la rabbia.
Era un ragazzo irremovibile, quel blouson noir, e sorprendentemente fedele alla sua parte di prenditore di fondelli della sua compagna. Non aveva mai sgarrato dal personaggio di una virgola in vita sua! Ma anche se era riuscito a non darlo a vedere, aveva deglutito un bel paio di volte. La piccola donna riusciva a farlo sentire così anche senza quell'atteggiamento malizioso appena avuto un attimo prima: bastavano lei e quel dannato completo fiammante troppo poco completo, visto quanto ancora mancava perché riuscisse a coprirle almeno metà del corpo.
“Ti odio quando fai così...” bofonchiò lei. Metteva il suo capo a conoscenza di ciò ogni giorno, ma a quanto pareva non bastava mai ripeterlo.
Altri ragazzini e marmocchi passarono davanti a loro a praticare il gioco del dolce e dello scherzo di Halloween, ma stavolta senza degnarli minimamente di un'occhiata: il loro bottino era già sufficiente perché potesse essere finalmente consumato a casa.
Quei bambini coloravano l'ambiente sterile di vivacità e rumore.
Xiaoyu si rammentò di cinque anni fa. O forse sei? Non era importante quanto tempo fosse trascorso da allora, ma quanto era ancora vivido il ricordo. Chiarissime, le passavano nella mente immagini di balocchi, di maschere colorate e di zucche sulle quali erano stati scavati dei buchi per farli assomigliare a visi. Vedeva un vecchio signore che sorrideva e porgeva il cesto di caramelle gialle, rosse e blu. Era una piccola stanza di legno un po' scialba e antiquata, ma straripante di affetto e calore. Il suo maestro, dopotutto, se lo ricordava sempre così, gioioso e rilassato, nonostante molte volte fosse stato con lei severo.
Le veniva sempre naturale rievocarlo con la mente, ma appena ritornava nella realtà cominciava a sentirsi irrequieta.
“Ehi, stupida,” esordì il coreano. La ragazza si voltò.
“Ti ho chiamato stupida e ti sei girata...?” domandò interdetto e divertito il rosso. In realtà lei si era voltata unicamente per forza di abitudine.
Xiaoyu sbuffò per l'ennesima volta.
“Dio quanto stai nervosa. Ti avrei chiesto se la causa erano le tue cose, ma visto che sei ancora una bambina non mi pongo neppure il quesito,” la beffeggiò il blouson noir.
“Sì che ce le ho! Non ora, ma mi sono cominciate quando avevo tredici anni!”
La ragazza ponderò troppo in ritardo sulla sua imbarazzante quanto poco necessaria confessione, e ciò che disse era già stato stupidamente detto.
“Be', a parte gran chi se ne frega, puoi essere un pochetto donna nel corpo, giusto per somigliare ad una quasi tredicenne, ma mentalmente e praticamente non lo sei affatto.”
Lo sproloquio appena enunciato dal coreano servì comunque a poco. Non disse nulla di nuovo e non ebbe nessuna reazione da parte di Ling a parte il solito sbuffo da cavallo infastidito.
“E poi, guardati, stai tremando come una foglia. Se fossi stata una vera donna mi avresti già chiesto di prestarti la giacca...”
Ma qualcosa era cambiato nel tono di voce del teppista del covo dell'Est. Era meno scorbutico, più impacciato e, incredibile a dirlo, più gentile. Si avvicinò alla compagna, si tolse la giacca nera del completo e gliela mise sulle spalle. Xiaoyu sgranò gli occhi come poche volte le capitava. Era un tipo di sorpresa che non era solo un attonimento in generale, ma un frastornamento derivato da commozione. Hwoarang se ne accorse, ma fece finta di non aver visto niente. Le diede nuovamente le spalle ed avviò il passo. Non era mai uscito dal suo personaggio, ma stavolta decise che non l'avrebbe presa in giro e non le avrebbe dedicato alcun tipo di ghigno o sogghigno. Le disse, flebilmente:
“Non prendere freddo, altrimenti ti verrà la febbre e non riuscirai ad allenarti bene per i prossimi giorni. E poi vedendoti malata potrei approfittarne per rinfacciarti che sei una pappamolle anche se non è vero. Tu vali molto per la banda. Ti sei impegnata tanto, anche se diverse cazzate le hai fatte. Il tuo maestro ne sarebbe orgoglioso.”
La bambina rimase zitta dischiudendo meravigliata la bocca e si coprì gli occhi con il palmo della mano. A Hwoarang parve che le fosse partito anche un singhiozzo.
“Lo dici tanto per dire? O perché vuoi fingere che quel che hai detto stasera su Wang fosse una cavolata?” gli chiese flebilmente Xiaoyu. Il suo tono di voce tremava proprio come lei qualche ora prima, sulla strada fredda dopo essere scappata dalla festa col coreano. Quest'ultimo, di risposta, fece un risolino.
“Ancora non mi conosci?” le disse soltanto. E lei pianse. Aveva terminato tutte le lacrime in corpo un'ora prima, ma era come se piangesse ugualmente, senza versare neppure una goccia salata dai propri occhi.
“Volevo renderlo un po' più orgoglioso di me, ma a volte lo facevo infuriare,” confessò, chinando vergognosamente la testa in avanti.
“L'hai comunque reso orgoglioso quanto basta,” le rispose il capobanda rosso. Ora, davanti a lei, restava in silenzio. Cosa poteva dire? Darle della piagnona, della sciocca, della sentimentalona per rompere un po' il ghiaccio? E poi? Una scrollata di spalle, una pacca leggera sulla schiena, sulla testa?
Era strano, tutto ciò. Strano perché Hwoarang, sempre puerile ed impulsivo, stava meditando su come doversi comportare. Xiaoyu riusciva a frenargli ogni sicurezza.
Ma dopo il trambusto mentale appena avuto il ragazzo fece proprio ciò che non aveva minimamente pensato. La mano si mosse quasi da sola e si adagiò dolcemente su quella di lei per scoprirle il viso. La vide bellissima nella sua genuinità, nel suo mostrarsi con naturalezza e nella sua timidezza che non si vergognava a nascondere, e si rese conto del perché gli piaceva tanto sebbene non si comportasse come le donne che aveva conosciuto. Anche la voce, come la mano, gli uscì dalle labbra senza che pensasse a niente.
“Stasera ti ho trattata male perché pensavo che tu volessi scoparti lo Chaolan.”
“Che cosa?” domandò stupita la cinese, al punto che mise da parte il suo pianto.
Sì, il rosso aveva decisamente parlato senza pensare. Aggrottò le sopracciglia e guardò altrove.
"Ovviamente solo per una questione morale, mica per altro," le puntualizzò per rassicurarla. Questioni morali, lo diceva proprio lui che parcheggiava la moto in divieto di sosta solo per fare un affronto alla polizia.
“Anche tu avevi intenzione di fare la stessa cosa con Kanna, però mica ti ho trattato male per questo!”
“Perché a te... importava?” domandò meravigliato il rosso.
Anche lei aveva decisamente parlato senza pensare. Se ne accorse, come al solito, troppo tardi. Si strinse nella giacca e portò gli occhi ovunque men che sul ragazzo che aveva davanti.
“E' solo per una questione morale...”
Aveva semplicemente ripetuto ciò che aveva già detto il coreano, con la sola differenza che Xiaoyu non sapeva proprio fare la gnorri. Peccato che lei fosse convinta del contrario, di riuscire allo stesso modo in cui riusciva il suo capobanda e ogni altro uomo della periferia Est.
Lo sguardo che manteneva costantemente e ostentatamente verso il basso l'aveva portata a non accorgersi di niente quando Hwoarang le si era avvicinato e si era chinato su di lei. Fu solo quando si era già scostato che la cinese percepì sull'angolo della bocca un calore fugace di altre labbra. Non ebbe il tempo di alzare lo sguardo sul ragazzo che lui era già stato distratto da un'altra intromissione esterna, sempre di soliti fantasmini, zombie e streghette.
“Dolcetto o scherzetto?” urlarono all'unisono, porgendo sotto il naso dei due il loro cesto di paglia.
“Non è un granché come bottino...” giudicò spudoratamente il coreano, accorgendosi dello spreco di quel gigantesco contenitore marrone chiaro per solo qualche misera caramella e lecca lecca che lo occupavano.
“Per questo siamo venuti da voi!” fece il piccolo capo della combriccola di mostri. “Quindi, dateci tutto ciò che avete!”
Il blouson noir osservò attentamente il contenuto del cesto. “Ti do centocinquanta yen per questo lecca lecca,” gli propose arridendo furbamente.
“Stai scherzando, spero! Me ne devi almeno il doppio e in più una sigaretta!” replicò garibaldino il ragazzetto, gonfiando vistosamente il petto.
“A dieci anni, ormai, è troppo tardi per cominciare a fumare,” ironizzò con un sopracciglio arcuato il rosso, sorridendo borioso. “Duecento yen e discorso chiuso,” decretò gettando a malo modo gli spiccioli che aveva in tasca sul cesto e agguantando un lecca lecca a caso.
“Così ce ne possiamo comprare due, ragazzi!” esordì compiaciuto il capetto agli altri bambini. “Ho fatto proprio un affare!”
Xiaoyu non si era assolutamente accorta dei nuovi arrivati, e neppure del loro rumoroso congedo. Fissava ancora stranita il suo blouson noir.
“Ehi...” lo chiamò.
“Che c'è?”
“Come che c'è? Tu hai...” ma si bloccò.
“Hai cosa? Comprato un lecca lecca?” chiese, ma lei dissentì, e allora lui continuò con una sfilza di inutili domande a raffica che a null'altro servivano a parte annebbiare ancor di più le idee della bambina: “Parlato con dei bambini? Dato loro dei soldi? Guardato a terra? Calpestato un sassolino? Respirato?!”
“Blouson noir, basta!” pregò la ragazza confusa.
“Dimmelo te cosa ho fatto, allora,” sancì con disinvoltura Hwoarang. Ling trasse un respiro profondo, ma dopo non espirò nessuna parola, solo aria.
“Niente!” urlò veloce, ricominciando a camminare frettolosamente. Arrestò ogni movimento a causa di un lecca lecca che le si presentò improvviso davanti alla faccia.
“Per te,” disse il coreano. “Alle bambine, dopo che hanno fatto un piagnisteo, si dà un lecca lecca, no?” considerò serissimo.
“Quanto sei scemo!” sbottò la cinese, ma nonostante il suo essere contrariata afferrò ugualmente lo stecchetto del dolciume e, dopo aver scartato la confezione, se lo mise in bocca. Così avrebbe lenito la vergogna per avere anche solo per un attimo pensato ciò che invece era stata un'ermetica e imbarazzante impressione.
La serata servì a scoprire che il blouson noir sapeva fare lo gnorri, e meglio di chiunque altro. Nascose così bene il suo labile delitto che persino lui stesso si convinse di non averlo compiuto. Appena la cinese lo superò, camminando imperterrita verso il loro covo, Hwoarang si toccò con l'indice e il medio le labbra, arridendo soddisfatto.
Era il sapore di una piccola donna.
























----------------------------------------------


E' praticamente passato quasi un mese dall'ultimo aggiornamento. Chiedo venia. In questo capitolo ho citato Cicciolina. Chissà se anche a Tekken la conoscono? xD
@annasukasuperfan: un pitone? La prossima volta che Hwoarang lo vedrà, glielo farò fare! XD Bill ti ispira idee? Be', direi che la cosa è più che positiva! **
@Silver Princess: Però ne è uscito moribondo. Diciamo che vicino alla morte ci è pure arrivato! XD
@Tifa: Hwoarang sa solo dire cose poco carine a Xiaoyu... u_u Ma in questo capitolo si è dato da fare! *_*
@sakura_uchiha: “a Lee stanno bene le mazzate che si è preso così magari ora tiene le manine sante(mica tanto sante!) a posto” xDDDD quoto il “mica tanto sante” x°D Comunque, come avrai visto... anche se poco, Hwo si è dato una mossa! xP
@Chiaras: Lee è nato presuntuoso e morirà presuntuoso, secondo me! xD
@xxx: addirittura a piangere? Che cosa triste ma bellissima che hai scritto! *__*
@Miss Trent: Ammora! :* “che dire, Lee Chaolan si poteva e si DOVEVA fare molto MOLTO più MALE xD” Oddio xDDDDD Finora, ho solo trovato delle anti-Lee... e tutte donne, per lo più! XD Ne rimarebbe amareggiatissimo, bwhaahahah! (E allora perché rido?? xD)
@Niky-Chan: ho visto i disegni... e... e... *___* “spero tanto sia quello che immagino ^//^” Non so cosa tu abbia immaginato, ma... come puoi vedere, anche se qualcosa di piccolo piccolo... è accaduto! *_*/
@stefy: aggiornato, finalmente. Meglio tardi che mai, comunque! XD Ti ringrazio dell'entusiasmo, sei carinissima!
@xxx (di nuovo xD): anche tu ogni giorno? XD Be', oggi, allora, sarà un GRAN giorno! XD Scherzi a parte, grazie anche del tuo entusiasmo!
E vi ringrazio tutti e collettivamente e allo stesso modo per le bellissime recensioni che mi lasciate sempre! Grazie grazie grazie! :***

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Fragola ***


“Che schifo.”
Così disse Miharu, e così ripeté per altre venti volte, fin quando lo permise la pazienza di Xiaoyu.
“Miharu, basta,” pregò la cinese. “Tutto questo casino per uno yogurt.”
“Tu lo chiami yogurt?!” andò in escandescenza la lentigginosa. “Questa è pappina bianca indefinita! E' come un budino che però non è un budino che dovrebbe sapere di ananas ma non lo sa!”
“L'hai comprato tu, non io. Potevi anche non farlo se ti fa tanto schifo,” convenne con sensatezza e una buona dose di ironia quella con i codini.
“Se non mangio qualcosa di dolce durante la mattina impazzisco!” fu il motivo non tanto sensato dell'altra.
“Penso che allora dovrai accontentarti di quello,” valutò Xiaoyu rassegnata quasi più dell'amica. Si sedettero sul grigio pavimento della terrazza di scuola, appoggiate con le schiene al muro; davanti a loro si stagliavano la ringhiera, le nuvole gonfie di acqua e qualche tetto alto. Pochi, perché pochi erano i palazzi che raggiungevano l'altezza del loro maestoso edificio scolastico.
“Quanto mi mancano quei buonissimi, vecchi yogurt della scuola alla fragola...” affermò sognante Miharu, sospirando la propria nostalgia.
“Per me uno vale l'altro,” avrebbe enunciato Xiaoyu, ma si trattenne, sia perché il parere sarebbe risultato inutile sia perché non aveva voglia di dissentire quello della compagna e cominciare una litigata per una cosa tanto stupida. Quindi bevve il succo, e le parole le ingoiò assieme al liquido che sapeva di pera. Si voltò dalla parte opposta dell'amica e vide il muro dissacrato da scritte di giovanili sfoghi d'amore. Leggendoli, poté sapere che a Yukari piaceva Tsutomu. Notizia strabiliante, davvero strabiliante! O almeno avrebbe potuto sembrarlo anche minimamente, se almeno la bambina avesse saputo chi cavolo fosse stata questa Yukari. Accanto, una Ami augurava pene perenni ad Akira perché l'aveva lasciata senza spiegazione. Stesso discorso di prima, sintetizzato in poche parole passate veloci nella mente della cinese: e chi se ne frega? Stava proprio cominciando a diventare come il blouson noir, che si lamentava sempre di questo tipo di sciocchezze adolescenziali, motivandole come “manifestazioni deficienti di ragazzine deficienti, che non hanno le palle di dire le cose in faccia e le scrivono sui muri senza neanche guadagnarci qualcosa”. Poi il discorso sarebbe terminato con un: “Proprio come te!” ovviamente riferito alla bambina, oppure con un: “Non c'è proprio paragone con i bellissimi murales che disegnamo noi sulle pareti della periferia Est.”
Ma il più delle volte terminava con la prima detta. E il cinismo del rosso, ahimè, era così forte da riuscire persino ad influenzare un animo tanto bonario come quello della bambina.
Quest'ultima lesse ancora accanto: Shinichi ti amo. “Tesoro, se non metti almeno il cognome sfido qualunque Shinichi della terra a vederlo felice di tale confessione, se mai avesse la fortuita fortuna di leggerla,” avrebbe detto con sarcasmo Hwoarang.
Xiaoyu ricordò che John, qualche giorno precedente, era stato presente a una simile discussione tra lei e il blouson noir.

“Be', capo, se mai scrivessero su un certo Hwoarang, sta' sicuro che si tratta senz'altro di te visto che il nome che ti ritrovi non ce l'ha nessuno!” disse l'omore, e rise.
“E sicuramente non scriveranno belle cose, ma solo qualche augurio ad andare all'inferno!” ironizzò Xiaoyu con stizzo, che sempre quel giorno – neppure si ricordava perché, ma comunque come succedeva quasi tutti i giorni – era arrabbiata con lui.
“Se succederà sarà perché chi scrive cose del genere non ha le palle di riferirmele, sapendo come si ritroverebbe subito dopo,” controbatté calmo il coreano. “Per la questione donne, non ce n'è affatto bisogno: la loro affezione per il sottoscritto me la dimostrano al momento, e con altri metodi,” soggiunse, lanciando un'occhiata vittoriosa ed eloquente alla cinese.
“Sei solo uno spaccone!” protestò la bambina. “Non ti ho mai visto fare cose del genere!”
In realtà lei le aveva viste eccome, proprio di recente, nell'unica festa anticipata di Halloween di tutta Tokyo che si era celebrata nella periferia Est, vicino a un camioncino di consegne di sole persone. In ogni caso, Xiaoyu cercava di dimenticare l'accaduto, e assieme ad esso la faccia e le movenze da gatta dell'amica ruffiana del boss.
“Ovvio che non mi hai mai visto fare certe cose, mica le faccio in tua presenza! Sei ancora una bambina, non vorrei assolutamente bloccarti la crescita già adesso,” esordì con serietà il blouson noir. Riusciva sempre ad innervosirla quando beffeggiava sghignazzando, ma ancora di più quando lo faceva con tono serafico.
“Oh, ora che me lo hai detto ti credo!” replicò sarcasticamente la cinese, accendendo la miccia per una nuova baruffa orale. Fortuna che John captò il pericolo giusto in tempo per fermare quella miccia a metà:
“Xiaoyu è grande abbastanza, e poi il capo non usa metodi da maniaco sessuale. A volte è raffinato come un galantuomo!”
“A questo credo ancora di meno...” affermò aspramente la bambina.
“Invece è vero,” sostenne risoluto Hwoarang. E poi, per un attimo, un solo attimo, la guardò con occhi profondi e seri, ma ben lontani dall'essere schernitori come al loro solito. Con la voce persuasiva, le disse:
“A volte comincio anche con un solo, insignificantissimo bacio veloce sulle labbra.”


E, di nuovo, Xiaoyu rievocò quell'impressione quasi reale di avere avuto le labbra del capo sulle sue.
“Miharu...” chiamò un po' con difficoltà la cinese, facendola voltare con la bocca ancora piena di riso.
“Che c'è?”
“Hai mai... baciato un ragazzo?” chiese con curiosità.
“Perché? Hai baciato Jin?” domandò a sua volta la lentigginosa con felice sorpresa.
“Ma no!” urlò vergognosamente la cinese, colorandosi il viso della stessa tonalità dei gamberetti nel cestino da pranzo dell'amica. “Era solo per curiosità...”
“Be', proprio prima che iniziasse il secondo anno di scuola avevo un vicino di casa di cui ero molto amica, e che poi si è trasferito. Prima di andarsene mi ha confessato di piacergli e ci siamo baciati,” raccontò Miharu.
“Io non sapevo nulla! Perché non me l'hai mai detto?!” se ne risentì un po' Xiaoyu.
“Mah... erano appena iniziate le vacanze estive, e non ci siamo mai viste, e così me lo sono scordato...” le disse la lentigginosa. La bambina conosceva abbastanza l'amica da credere che non si trattava assolutamente di una scusa.
“E... che sapore ha baciare qualcuno?” le chiese con velato imbarazzo.
“Ah, questo non me lo sono affatto scordato!” proferì con enfasi la ragazza, guardando attentamente la compagna con i codini. “Ecco, sa di limone e anche un po' di ferro... è un po' come il sapore della tua bocca che però non riesci a sentire perché ce l'hai da sempre e te ne sei abituata...” le spiegò meglio che poté, cercando di afferrare l'indescrivibile gusto che aveva un bacio. “Il suo sapeva anche un po' di menta; mi sa che usiamo lo stesso dentifricio!”
Xiaoyu rise spensieratamente assieme a Miharu. Hwoarang avrebbe catalogato quella sguaiata manifestazione di divertimento come ennesima dimostrazione di scemenza e frivolezza delle ragazzine di oggi. Senza ombra di dubbio. La cinese si chiese se il blouson noir fosse mai stato contento di un semplice bacio e di una frase d'amore scritta sui muri. Forse una volta, quando non era ancora così corrotto nell'animo della sporcizia di chi diventa grande troppo presto.

“Bentornata,” disse sorridende Rana a Xiaoyu appena la vide apparire da dietro l'angolo della strada principale, vicino al cassettone dell'immondizia che nessun ente pubblico di pulizia si preoccupava più si svuotare, visto che nessuno aveva mai intenzione di riempirla e che erano tutti spaventati dai pochi raccomandabili che, di fama, sapevano abitassero tutt'intorno.
“E' quasi sera, come mai sei arrivata così tardi?” le chiese l'animale per metà.
“Sono uscita con un'amica,” gli spiegò tutta contenta la ragazza.
“Anche il capo non è ancora tornato. Si è portato qualche uomo per prelevare qualche bene.”
Oramai la giovane conosceva appieno il significato nascosto del termine fittizio prelevare. Annuì soltanto, e si sedette sul pavimento grigio, di nuovo appoggiata ad un muro. Erano veramente pochi uomini ad occupare in quel momento la periferia, e Xiaoyu, come postazione, era molto lontana da questi e dal loro chiasso meno madornale del solito. Affaticata da una giornata molto piena, aiutata da un silenzio quasi impensabile in quella periferia Est, chiuse lentamente gli occhi e si lasciò catturare totalmente dal sonno.
Li riaprì quando sentì dei passi di cuoio avvicinarsi e scricchiolare sui piccoli sassolini. Non vide bene chi aveva davanti, offuscato dal buio della sera. Il tempo era inaspettatamente trascorso veloce per la bambina, e la notte era arrivata più presto del previsto. Colui che aveva davanti lo riconobbe solo in seguito, quando parlò, e non per la voce, ma per il modo in cui la chiamò.
“Bambina, che ci fai appartata dagli altri?”
Lei lo guardò interrogativa e ancora un po' stralunata dal sonno.
“Che ci fai tu, piuttosto, così lontano dagli altri e così vicino a me! Di solito cerchi sempre di evitare la piattola del gruppo...” ironizzò la cinese, ancora intorpidita da un risveglio semi violento.
“Oh, ho disturbato il riposo di Sua Signoria, e oltretutto la sto importunando con la mia compagnia,” fece Hwoarang ironicamente – ed umilmente, ma solo per finta, tanto per enfatizzare la sua ironia che mai pareva bastare per la sua compagna d'avventure. Rise, e le si sedette accanto sorseggiando la sua birra in bottiglia. Xiaoyu sbuffò rassegnata. Con o senza litigata, lui sarebbe comunque rimasto lì, irremovibile, solo per il gusto di farle dispetto.
Il suono inudibile del silenzio arrivò pian piano, quando il blouson noir cominciò ad attenuare le sue risate, aumentando di numero e di tempo i suoi sorsi alcolici, fino al silenzio assoluto. D'improvviso, le rivolse lo sguardo.
“Scommetto che sei così mocciosa da non aver mai bevuto neppure una birra,” esordì discorsivamente.
“Sì che l'ho bevuta!”
No che non l'aveva mai bevuta...
“Allora ne vuoi un sorso?” chiese con aria di sfida il rosso. Ovviamente lei accettò. Mai che dicesse di no ad una sua sfida, e quasi sempre con risultati imbarazzanti. Per esempio, questa volta lei aveva fatto una buffissima smorfia di disgusto, non aspettandosi un sapore così terribilmente aspro. Il coreano sorrise appena, divertito, ma cercò di mantenere dentro di sé tutta l'ironia per dopo. Quindi guardò fintamente incuriosito la ragazza, abbastanza seriamente da farle intendere di non aver notato la sua non così poco striata smorfia facciale.
“E' perché non mi piace granché la birra...” si giustificò con una menzogna Ling.
“Ma certo,” rispose con finta credulità il blouson noir. Sorrise quasi con tenerezza a quell'impaccio che era la sua compagna; sorrise quasi dispiaciuto, quando si accorse che nessuno dei suoi uomini aveva assistito alla gag; e poi sorrise di un sorriso che gli era sempre stato raro, quando si rammentò che nessuno era presente. Volse gli occhi sul viso di lei, sulle labbra che già da un po' guardava non più come portatrici di noiosi striduli. Gli sembravano persino più gustose della birra che aveva in mano.
Ogni tipo di sorriso scomparì, e la sua malizia lo fece diventare serio.
“Scommetto che sei così mocciosa da non aver mai baciato neppure un uomo,” riprese a dire Hwoarang.
Xiaoyu, come già riferito, voleva vincere ogni sfida contro di lui, seppure con l'ausilio delle menzogne.
“Certo che l'ho baciato!”
E lui già si aspettava questa risposta. Era proprio ciò che si voleva sentir dire.
“Allora dimostramelo.”
La cinese percepì lo sguardo del rosso tramutarsi in qualcosa di raro ma già visto. Si ricordò di alcune studentesse troppo sguaiate, di una gatta ruffiana e dello sguardo persuasivo – ne era certa, era quello – che aveva diretto a loro il blouson noir. Quegli occhi eloquenti e accesi la bloccarono totalmente, perciò fu lui a fare la prima mossa.
Si avvicinò e la baciò sfiorandole l'angolo della bocca, come la sera di Halloween. Si allontanò, osservandole lo stucco e il piacere sull'espressione sconvolta.
“Te l'avevo detto che a volte comincio anche con un solo, insignificantissimo bacio veloce sulle labbra...”
Ricominciò a farlo, ma stavolta con più enfasi e forza. Le labbra erano così strette che era inevitabile che si aprissero.
E lei sentì il sapore di fragola.
Fragola, dappertutto: sulla sua bocca, sulle sue labbra, e poi sul suo collo, su ogni parte del corpo che lui toccava. Persino i suoi respiri sapevano di fragola.
Una mano grande si posò sulla guancia minuta di lei, mentre l'altra aveva gettato via la bottiglia di birra. L'aveva posata sulla nuca di lei, e il sapore di fragole dolce e gustoso le annichilì ogni volontà di opporsi. Assaggiò ancora e avidamente le sue labbra, più in fretta che poteva per non perderne il sapore. Gli circondò la grande schiena con le braccia, reggendosi a lui. Caddero con lentezza su una felpa abbandonata da qualcuno ai loro piedi. La mano che reggeva la ragazza per adagiarla dolcemente a terra si mosse e scivolò su tutto il corpo di lei; giunse sul fianco, sul risvolto della gonna, e si insinuò senza neanche che ci fossero bisogno di parole e degli occhi, perché sapeva già dove dover andare.
Nessuna fragola era mai stata più buona come in quel momento.
“Xiaoyu...”
Com'era strano che la chiamasse così. Mai, prima d'ora, aveva usato il suo vero nome.
“Ehi, Xiaoyu?”
Qualcuno la scrollò, e lei aprì spaventata gli occhi. Davanti le si presentò un figuro così colossale da coprirle totalmente il quadro visivo.
“Oggi non vai a scuola?” domandò John meravigliato.
“Cosa? Che... che... che ore sono?” seppe chiedere soltanto la bambina, frastornata.
“Sono le sette e mezza,” la informò, mostrandole il Rolex che aveva in mano. “Bello, vero? L'ho prelevato per strada!” spiegò tutto esaltato. La cinese non spiccicò parola, ancora troppo frastornata.
“Doveva svegliarti Mugen, in realtà, ma è rimasto imbambolato come un allocco...” e lo guardò con aria colma di sprezzo e pena.
“Ehi!” urlò arrabbiato il tatuato. “Non è colpa mia, è stata Xiaoyu, non io! E' stata lei ad alzarsi la gonna, giuro che non le ho fatto niente!”
La bambina mai fece un'espressione così tanto sconvolta come in quel momento. Sgranò gli occhi in direzione di Mugen.
“Non che tu l'avessi fatto apposta, o almeno non credo...” spiegò quest'ultimo. “Stavi dormendo.”
“E Mugen voleva approfittarne per dare un'occhiata, non è vero?” domandò divertito l'omone. Il tatuato, anziché dissentire come avrebbe fatto chiunque, diede conoscenza a tutti del suo vero pensiero con eclatante sincerità:
“E certo, scusa! Chiamami scemo!”
“Ma ti pare cosa da dire?” domandò John divertito. “Non è carino... Ehi, Xiaoyu, sei pallida... stai bene?”
No, stava male, stava decisamente male. Disse loro che era solo preoccupata perché era in ritardo per la scuola, ma, si sapeva, non era certo questo il motivo del suo disagio. Era tutta colpa di uno sciocco sogno che aveva fatto sembrare persino il sapore delle fragole tanto reale.
Avvampò al solo ricordo.
Le immagini di quel'illusione erano così bene incastrate e nitide nel suo cervello che lei non riusciva a pensare ad altro. Per questo si dimenticò i soldi per la merenda e sbatté più e più volte contro qualche scagnozzo del covo dell'Est mentre correva all'impazzata, chiedendo scusa solo a qualcuno di loro quando fu abbastanza attenta da accorgersi di essersi fatta male. L'ultimo contro cui cozzò, per sua sfortuna, fu proprio il capo di tutti.
“Ehi, mocciosetta maldestra!” s'infuriò lui, fissandola con un sopracciglio arcuato. “Che hai da essere così di fretta? Hai visto un gelataio che regala con un acquisto dei palloncini di Topolino?”
L'ironia mattutina era sempre la più gaia e frizzante di tutti. Questo anche nel caso della cinesina. Peccato solo che lei anziché proferire parola – anche stupidamente, anche solo per mandarlo a quel paese – lo fissò stralunata, l'affanno che andava ad aumentare sempre più, e con esso anche l'imbarazzo. Hwoarang, dapprima ridente e canzonatorio, cominciò a scrutarla con seria preoccupazione. Gli angoli delle sue labbra sempre alti scesero fino a diventare una rigida linea retta, e la fronte si corrugò di tante rughe pensose. La bambina fece solo un verso di esitazione prima di ricominciare la maratona verso la sua scuola.

“Sei fortunata che alla prima ora non ci fosse il professore di matematica, altrimenti con il tuo ritardo non l'avresti scampata!”
Miharu disse ciò di buonumore, era sempre così quando arrivava l'ora di pranzo. Xiaoyu sospirò anch'ella contenta.
“Già. Oggi non riuscivo a svegliarmi neanche con le cannonate.”
“Forse ieri ti sei affaticata troppo,” azzardò l'amica con le lentiggini. Mentalmente, la cinese azzardò semplicemente che forse il sogno che aveva fatto quella notte l'aveva in qualche strano e ipnotico modo trattenuta nel mondo di Morfeo più del dovuto.
“Oh! Xiao, guarda!” urlò con gioia Miharu, indicando un punto sul tavolo dove vendevano i panini e le merende. “Rivendono lo yogurt alla fragola!”
La bambina per poco non svenne.
























----------------------------------------------


Un capitolo, tanto per cambiare, per nulla ai fini della storia. XD E sicuramente verrò picchiata anche per altri motivi... piaciuta la sorpresa? *Valy scappa in Nuova Zelanda*
Mi son bloccata un attimino per descrivere il sapore di un bacio. Voglio dire: dipende da un sacco di cose, come ad esempio che dentifricio si usa, cosa si ha mangiato... (per esempio, una volta mi sono imbattuta in una bocca che qualche minuto prima era piena di patatine fritte, ed io avevo appena mangiato una crepes alla nutella. Che schifo. XD Della serie “raccontiamo i fatti più inutili e patetici della propria vita” xD)
@Shuriken: Ammetto che un po' mi eri mancata! XD Hai addirittura avuto un raptus blousonoiriano dal dentista?? xD (Ma che carina! >*<) Sei dolcissima e sempre buona, ogni volta. Grazie! :*
@annasukasuperfan: Ma è ovvio che, in fondo in fondo, Hwoarang resterà per sempre un rincoglionito e Xiaoyu per sempre una cretina!
Hwoa/Xiao: Che cosa?! +_+
(Era questo che intendevi con “tortutare i personaggi”, vero? xD) Grazie della recensione! :*
@Miss Trent: parlando della mia fanfiction: ti ringrazio, sei gentilissima, e felice che ti faccia tanto amare questa coppia! *_* Parlando della tua fanfiction: il risvolto che hai dato a quella coppia, che dapprima mi hai detto non sarebbe esistita, mi ha estasiata in una maniera che neppure immagini! *_* Ma tanto ho già scritto tutto nella recensione della tua storia. XD Grazie, ammora! :*
@Tifa: Oh che cosa carina che hai scritto! *me piange* Spero solo che tu non cambi idea dopo questo capitolo... (sono stata davvero cattivissima! xD) Grazie, figlia, tanto tanto tanto! >***<
@Niky-Chan: I tuoi scarabocchi sono meravigliosi! Continua a scarabocchiare, mi raccomando! *_* Grazie del commento! :*
@xxx: No pro! XD Felice che ti sia piaciuta! :*
@Silver Princess: Sì, le mie famose chiusure un po' alla effetto! Ehhh, non riesco mai a farne a meno! XD
@Chiaras: Grazie! >*< Approfitto per scusarmi se questi fatti che emergono pian piano emergano comunque un po' troppo piano, a volte (xD) però la vostra pazienza sarà ben presto ricompensata! *decisa*

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Ricordi - parte I ***






Dopo tante settimane Xiaoyu rivide un letto, di quelli veri, con coperte, lenzuola e cuscini, e non come i materassi arrangiati male della periferia Est. Neppure lei stessa si sarebbe aspettata l'eccessiva reazione che avrebbe avuto: i suoi occhi brillarono di una contentezza sincera e le cominciarono a tremare le mani dall'emozione.
“Be', che hai da rimanere imbambolata?” le domandò Miharu sbalordita. “Sembra quasi che tu non veda un letto da mesi.”
La cinese per poco non inciampò su se stessa.
“Già, sembra...” e tentò un sorriso, che alla fine risultò solo l'espressione facciale rattrappita di una persona affetta da paralisi di Bell. “E, senti, ehm... scusami se mi sono un po', come dire, autoinvitata...”
“Sono stata io a proporti per prima di dormire da me,” le ricordò affabilmente la lentigginosa. “Era da tanto che non mettevi piede in casa mia, perciò, per commemorare i vecchi tempi...” enunciò con suspense, raccogliendo da sotto il letto una videocassetta, “stasera guarderemo qualche film Disney e ci ingozzeremo di Kompeito!”
Xiaoyu saltò addosso all'amica, capitombolando con lei sul letto.
“Era da un sacco che mi mancavano queste scemate...”
“Non sono scemate!” contrariò risoluta la lentigginosa. “Sono cose molto serie, l'importantissimo rituale di un'amicizia profonda e imparagonabile!” soggiunse saccentemente con il dito alzato. Scoppiarono a ridere all'unisono.
Le piaceva ridere con Miharu. Rideva anche coi ragazzi del blouson noir, persone che per prima cosa vivevano di senso dell'umorismo – e certamente non di quello di colpa, visto che qualunque torto commettevano ne uscivano sempre facendo spallucce – e l'unica cosa che riusciva a frenarla dal divertirsi con loro erano le mondane prese per il sedere del blouson noir. In senso lato, ovviamente, perché pensarla diversamente faceva venire le vertigini a Xiaoyu, visto i precedenti morfeici di appena un giorno prima...
Insomma, non si stancava mai della compagnia dei suoi vandali colleghi, ma con Miharu viveva di quella frenesia adolescenziale che non poteva condividere con nessuno di loro.
Si misero sul letto a pancia in giù, fianco a fianco, e guardavano il film sgranocchiando qualche Kompeito direttamente dalla busta d'imballaggio, con le gambe che si muovevano in su e in giù come bambini divertiti o rapiti da qualcosa.
“Ah, il pezzo famoso!” urlò eccitata Miharu.
Xiaoyu seguì la scena con poco incanto.
“Certo che è un po' assurdo. Voglio dire, regalano spaghetti appena fatti a dei cani!” esclamò contrariata la cinese.
Ricordava perfettamente i morsi di fame della periferia Est. Ciò accadeva quando le sprovvedute vittime dei loro derubamenti non erano state così sprovvedute, o quando, semplicemente, avevano troppe feste e passatempi a cui pensare e lasciavano perdere i bisogni primari di un essere umano – bere alcolici era meglio che bere acqua, nutrirsi di sballi era meglio che nutrirsi di pagnotta: questo era il motto personale del covo dell'Est. Per questo la ragazza riteneva la scena del cartone poco reale: non era mai successo neppure una volta che qualcuno, oltretutto maestro di cucina, regalasse cibarie a quel mucchio di vagabondi. Con un sorriso in faccia, per di più!
“E poi,” continuò criticamente, “quel cuoco italiano è troppo caricaturale per sembrare vero.”
“Xiaoyu, dov'è finita la tua vena romantica?!” la riprese l'amica. Probabilmente era rimasta sotto le suole del blouson noir, che ancora si divertiva a calpestarla.
“A quest'ora mi dicevi sempre, in tono sognante, 'chissà se un giorno succederà anche a me e Jin'!” le ricordò Miharu, giungendo le mani a mo' di preghiera e usando un tono volutamente mieloso.
“Oddio, che vergogna,” borbottò imbarazzata la cinese, nascondendosi il volto nel cuscino. “L'ho davvero detto?”
“Quattro volte!” precisò divertita la lentigginosa. “E come da prassi,” soggiunse, “ogni volta che finivamo di vederci un film cominciavi a parlarmi di Jin e di quanto era bello e misterioso e bla bla bla...”
“Senti chi parla, tu, che mi riempivi la testa parlandomi del fortunato che ti piaceva, anche se alla fine cambiavi idea ogni cinque giorni!” ironizzò Xiaoyu.
“Keitaro mi era piaciuto per due settimane!” le rammentò arrabbiata la compagna di scuola.
“Miharu,” fece fintamente sconvolta la cinese, “sei una ragazza troppo seria!”
Risero di nuovo, sprofondando nel letto di pizzi a braccia aperte, osservando il soffitto di legno e la lampada semisferica sopra di loro.
“Quanto eravamo cretine,” convenne la cinese.
“Cavolo, sì! Ed era solo un anno fa...” assentì l'altra.
“Ma è bello vivere di ricordi, qualche volta,” se ne uscì Xiaoyu, il tono di voce nostalgico ed incantato. Miharu concordò con un cenno del capo.
“Certo, anche se questi ricordi sono così imbarazzanti che dovrebbero essere seppelliti!” commentò sempre la cinese.
E risero ancora. Risero per la gag dei compagni del Vagabondo, per la lacrimuccia che era uscita alla fine del film da un occhio di Miharu che aveva usato la scusa dell'allergia per la polvere, per le foto delle medie, per il club delle principesse sanguinose che avevano inaugurato assieme ad altre due amiche, per il loro progetto di un mondo fatto solo di cocomeri, per la loro antica idea che la luna fosse solo la schiena del sole.
Ricordi imbarazzanti, ne potevano trovare a bizzeffe. Xiaoyu ne aveva anche di recenti, per esempio di quello stesso pomeriggio.
Dopo la scuola e una lunga camminata per il mercato con Miharu era dovuta tornare alla periferia Est per avvisare gli altri che quella notte avrebbe dormito a casa di un'amica. Camminò tra le stradine di liquori, bombolette spray e giacche di pelle, guardandosi circospetta intorno. Il primo che trovò fu John.
“Ehi, John!” lo chiamò, e questi si girò interrompendo ciò che stava facendo, ovverosia contare i soldi che aveva prelevato nella truffa del finto poliziotto. Storia lunga.
“Xiaoyu, ciao!”
“Il blouson noir è qui?” domandò con un tono di voce stranamente più basso del consueto.
“No, non è ancora tornato,” la informò l'altro. La cinese sospirò felice, ma ciò non era fuori dall'abituale, poiché ogniqualvolta che il coreano mancava lei agiva irrimediabilmente in quel modo.
“Be', volevo solo farvi sapere che stanotte non ci sarò,” gli spiegò. Dopodiché lo salutò con la mano, e l'amico ricambiò. La bambina sorrideva con cotanta sincerità che quando si era voltata di scatto ed era andata a cozzarsi con la testa contro il busto di qualcuno sbatté i denti anziché il naso.
“Ma guarda un po', te ne vai,” disse Hwoarang, il qualcuno.
Xiaoyu rispose con un mugolio a denti stretti che più o meno voleva dire mi hai fatto un male cane.
“Ora che la bambina è assente possiamo invitare le ragazze della terza strada senza dover per forza coprire le loro scollature. Che ne dici, John?” domandò entusiasta il coreano.
“Brutto imbecille, sono una donna anch'io!” imperversò la ragazza, levandosi la mano dalla bocca per poterla usare in altri modi su Hwoarang, ma quando fu in procinto di stringerla in un pugno si accorse che il palmo era macchiato di sangue.
“Avrei contrariato sul tuo ipotetico essere una donna puntualizzandoti per la milionesima volta che avere un portachiavi rosa non significa esserlo, mentre qualche forma curva in più nel corpo sì, ma adesso che ti vedo sanguinare in bocca, cazzo, per una questione di rispetto non riesco neppure a prenderti in giro, a parte ridere un po' sotto i baffi per la buffa situazione...”
“Grazie per esserti risparmiato l'offesa, ora mi sento meno ferita,” ironizzò con tono irritato la bambina, socchiudendo gli occhi in due fessure.
“De nada, niña,” rispose divertito Hwoarang. Prese dalla tasca un fazzoletto di stoffa porgendolo sulla bocca della cinese e questa, come accadeva quando qualcosa di inaspettato la sorprendeva, si portò la mano sul petto.
“Cazzo fai, ti pulisci la mano sulla maglia?!” la rimproverò con spasso il blouson noir, avendo malinteso l'azione. Le posò istintivamente la mano col fazzoletto sotto la clavicola, sulla nuova macchia, pulendole il colletto dell'uniforme.
“Proprio come i bambini...” ponderò ancora lui, sbuffando vistosamente.
Gli avrebbe risposto male, sapeva già cosa dover dire, ma per la seconda volta non ci riuscì. La mano del coreano scivolò più in basso, senza neppure pensarci, seguendo la chiazza verticale sopra l'uniforme scolastica. Non era un reale contatto fisico, poiché tra la mano di lui e il corpo di lei si interponevano tre strati di stoffa, ma Xiaoyu percepì chiaramente il contatto sul suo seno. La situazione le ricordò ciò che noi ormai possiamo definire il sogno per eccellenza, quello che prendeva luogo appena qualche decina di metri più in là dalla sua attuale postazione. Il posto era quello, la luna che stava facendosi strada nel cielo anche, e così la mano che le accarezzava il petto, nel presente in modo distante e forse obbligato, nel sogno in modo passionale, spontaneo, sensuale...
La bambina non disse niente. Non riusciva a pensare a niente. Rimase rigida e col fiato in gola, aspettando qualche consueta affermazione derisoria del blouson noir che calmasse l'ebollizione che l'aveva pervasa.
E l'affermazione, difatti, arrivò:
“La tua sbadataggine è infinita, è vero, ma ammetto anche le mie colpe: avere un petto così rigorosamente forte e virile ha anche i suoi svantaggi...”
Questo non la aiutò. Anzi, la mandò in tilt più di prima. Era così, nel sogno: il busto di lui davanti a lei, rischiarato dalla luna e abbarbicato al suo petto, e la sua mano fatta di fragole continuava a toccarla ovunque...
La cinese urlò. Non nel senso che il suo animo urlò, né che a farlo fu la sua mente. Urlò testualmente parlando.
Il boss la guardò spaventato e basito, e non di meno un po' preoccupato.
“Se fai così l'uniforme si sporca ancora di più!” tuonò la bambina, cercando di trovare una spiegazione plausibile e logica allo strillo precedente.
“Ah sì?” fece Hwoarang con strafottenza. “E dimmi, bambina di mondo, perché non me l'hai detto prima?”
La cinese non fiatò e dalla sua non risposta il boss ci trasse un sorriso beffardo.
“Era per caso una scusa per farti toccare da me?” domandò impudicamente, arcuando un sopracciglio. La cinese urlò di nuovo e il coreano la guardò ancora una volta spaventato e basito, e non di meno un po' preoccupato.
“Stavo scherzando, bambina! Ti pare che-”
“Ritardo! Me ne vado!” enunciò Xiaoyu, meccanicamente, come sarebbero riusciti solo Tarzan per la sua particolare bravura nel parlare o un androide per la sua voce piatta ed uniforme. Corse forsennata verso la fermata dell'autobus, aspettando impazientemente l'arrivo della circolare che quel giorno parve più in ritardo del solito, e scese alla piazza del mercato. Quando suonò il campanello della casa di Miharu, questa si presentò con un'espressione stupita e scossa.
“Xiao, è sangue quella macchia sull'uniforme?”
La cinese si ricordò in ritardo di questo piccolo, macabro particolare e nascoste la chiazza con la mano.
“E' che prima... ho sbattuto coi denti contro un palo, e così...” bofonchiò la bambina, facendo poi ridere la compagna di classe.
“Ti accompagno a sciacquarti,” le disse amorevolmente, prendendola sottobraccio.
Xiaoyu, quel giorno, imparò che potevano bastare un fazzoletto e un po' d'acqua e sapone per pulire una macchia così leggera.
Adesso, coricata sul letto, sotto le lenzuola pulite e rassicuranti di una casa che aveva un tetto, aspettava che il sonno le arrivasse, sicura che sarebbe presto successo su quel comodo giaciglio. Ma ciò non avvenne e trascorse il tempo ripensando ai fatti accaduti quel giorno stesso, fatti che a nulla servirono se non a tenerla ancora più sveglia.
“Miharu, se ti va potremo parlare di ragazzi come ai vecchi tempi...” sussurrò. L'amica non rispose, così si voltò in direzione sua, nel letto accanto in cui dormiva beatamente. Xiaoyu sorrise dolcemente e si rimise comoda.
Quella frase aveva già detto tutto, ma lei non se n'era accorta e riuscì a dormire bene.























----------------------------------------------



Capitolo cortino, è vero. Devo riprendere la mano! xD In realtà, era in un'unica parte, ma poi mi sono accorta che per il mio cervello e le mie dita era troppo lungo, quindi l'ho diviso in due.
Il cartone Disney che stavano guardando le due ragazze era “Lilly e il vagabondo”, ma immagino che non fosse neppure necessario dirlo... Su, era facile, dai! xD
Be', che tono confidenziale e stranamente normale che sto usando... è vero, lo ammetto anch'io. Sembra quasi che non sia vero che io non aggiorno da una vita, eh? xD
*Valy scappa dai sassi tirati dagli altri*
Chiedo scusa per il mega (no.) iper (non ci siamo.) ultra (ancora no.) super (diciamo quasi...) gigantesco (ecco!) ritardo, e se avete tempo e occhi vi racconterò anche il motivo, che ormai è diventato una filastrocca imparata a memoria per qualcuno (quei qualcuno sanno di essere stati citati qui! xD).
Praticamente a fine Ottobre scrivo il nuovo capitolo, sennonché il computer decide di andare a farsi fottere, così lo mando ad aggiustare. Per sei mesi (6 per essere ancora più precisa) i tizi del negozio non si fanno sentire, fin quando uno di loro non chiama la mia genitrice riferendole che ha trovato il suo numero per mera fortuna e che dovrebbe formattare il pc, chiedendole il consenso. E cosa fa quella buona donna, prendendosi la briga di decidere senza neppure chiedermi nulla? Dice di sì, ovvio.
Poi sono impazzita ed ero stata in procinto di picchiarla. XD Fortunatamente sono una figlia buona (?), quindi non le ho rinfacciato più niente, a parte in qualche situazione per farla sentire in colpa e guadagnarci qualcosa (eh, qualcosa di positivo doveva esserci, io l'ho solo trovato, non ho fatto nulla di male xD).
Insomma, da quel momento scrivevo e riscrivevo il capitolo, ma sembrava sempre più brutto del primo, quindi ricancellavo tutto. Poi, l'ennesima volta, la finale, la riuscita, ho riscritto il capitolo lasciando lo stesso senso e cambiando tutta la storia, e finalmente mi sentii soddisfatta. Il capitolo partorito, l'avete capito, è questo, sperando che vi sia piaciuto e che non abbia in qualche modo abbassato la qualità della storia (diciamo qualità, visto che rileggendola ho notato errori che non avevo notato prima, e che presto sistemerò xD).
Altra cosa importante: spingermi a continuare è stato il mio amore per i due protagonisti, certo, ma non solo: i commenti dei lettori, anche quelli nuovi, e gli utenti che hanno messo la mia storia tra i preferiti, anche dopo che erano passati mesi e mesi dall'ultimo aggiornamento (sono a quota 14 *_*) mi hanno incitata a scrivere, scrivere e scrivere, anche quando non mi riusciva. Insomma, un doveroso ringraziamento, ecco. u_u
Per farmi perdonare il ritardo ho anche postato un disegnino... anche se, ammetto, non era per l'occasione, e soprattutto non c'entra un pene con tutta la fanficion! xD Ma vabbè, è Xiaorangoso! xD
Non l'ho inserito come nota, ma i Kompeito sono delle specie di caramelline molto zuccherose e colorate giapponesi, risalenti al quindicesimo secolo (figuratevi!) e tutt'oggi nel mercato, ora confezionate e non più artigianali (come ogni cosa, vabbè xD).
E finalmente, lo ammetto, lo aspettavo da una vita, la risposta ai commenti!
@annasukasuperfan:
“è da dieci_miliardi_di_bilioni_di_milioni di punti e non continuo xkè non voglio deformare la pagina!”
Be', è giusto, oltre al fatto che scriverli tutti sarebbe un po' un problema! XD E mi dispiace che non sarà la tua Asuka ad avere il privilegio di baciarlo o torturarlo (e lo sai bene che la mia morosa preferita con Hwoarang sei tu, dopo me xD), però questa è una fanfiction Hwoarang x Xiaoyu, quindi il momento cruciale prima o poi arriverà! XD Però se vuoi intanto posso semplicemente torturarlo. XD Finisco col dire grazie tantissime per il commento e che anch'io adoro il limoncello! XD Baci! :*
@Tifalockhart (sperando che mi rispondi, visto che è da un po' che non mi faccio sentire xD): diverrà realtà! *_* molto... presto... sì. XD Però diverrà! Anch'io adoro la fragola. *ç* Sì, cremoso, sì! :Q_ E contentissima che tu non sia stata delusa del capitolo precedente... (immagino che molti, se avessero potuto, mi avrebbero tirato pentole e stoviglie e qualche pianoforte dietro xD) Davvero, questa è una grande dimostrazione di affetto filiale! Baci baci baci >********<
@Niky-Chan: tesoro, grazie! *_* Contenta che tu non abbia bestemmiato per il fatto del segno! XD Approfitto per dirti che a causa della geniale idea di mia madre di formattarmi il pc son stati levati tutti i documenti scritti, anche quello in cui avevo salvato il tuo forum e la tua fanfiction che, sfortunatamente, ho letto pochissimo! ç_ç Se in qualche modo riesci a contattarmi per risegnalarmi il forum sarebbe grandioso! *_* E, ovviamente, grazie del commento! :*
@Miss Trent:
"il fatto che Xiaoyu abbia solo sognato mi ha fatto rimanere un po' triste..."
Qualcuno doveva dirlo! *_* Sì, insomma, era umanamente impossibile che tutti l'aveste presa bene. In fondo, il mio intento, oltre torturare i personaggi, è anche quello di torturare i lettori! xD
*qualcuno butta addosso a Valy due pentole, un sasso, un pianoforte, qualche stoviglia e un gatto infuriato*
Sentore di fragola? Addirittura? Wow, grazie! *_*
Per la tua, di fanfiction (che, a proposito, non vedo l'ora che aggiorni! *_*), non preoccuparti, non sei te che ti sei spiegata male, sono io che sono andata in visibilio senza spiegarmi! XD So che Sergei è un tipo molto, come dire, Sergei (xD) e senz'altro non è uomo che oserebbe mostrare buone emozioni così facilmente, e non è sembrato affatto fuori dal personaggio. Approfitto per spiegarti più chiaramente che il loro bacio non l'ho visto come un gesto di affetto, ma come una sorta di sfida di lui, come se questi volesse dirgli senza parlare “comunque resti e rimani soltanto una donna”. Non so se sono riuscita a spiegarmi, ma questo è stato il messaggio che ho recepito, ecco. E la tua storia non mi deluderà mai, ma questo già lo sai! *_* :*
@Shuriken: mi mancava, giuro, mi mancava il tuo delirio! XD E bello trovare qualcuno della stessa stoffa *delirante convinta* *_* Siamo agli sgoccioli, sì, e assicuro che da qui in avanti la cosa aumenterà sempre più, da come un po', forse, si intuisce in questo capitolo! XD
“Credo che per qualsiasi ragazza sia quasi automatico immedesimarsi in Xiaoyu specie se ti trovi davanti uno dei ragazzi più affascinanti del pianeta eheh!”
Cacchio se sì! *ç* Peccato solo che Xiaoyu, qualche volta, in questa fanfiction, ha i prosciutti al posto degli occhi per non riuscire ad accorgersi di cotanta figaggine! xD
Adesso ti rispondo alla domanda, se mi reputi ancora degna di poterlo fare. XD Io delineo sempre una storia, sia corta che lunga, diciamo seguendo uno schema di situazioni preciso, ma talvolta, prendendo esempio de Il blouson noir e la bambina, ci sono situazioni inventate totalmente di sana pianta, come il capitolo precedente che serve solo da “intermezzo”, oppure alcune altre ancora mi vengono più in là; sono sempre un aggiunta e non cambiano la storia. Per i capitoli scritti al momento, invece, quasi tutto, scene e soprattutto dialoghi, mi vengono al momento. ^^ Esempio su questo capitolo:
schema da seguire: ricordi, inizio dei sentimenti di Xiaoyu per Hwoarang (semplicemente)
capitolo: il resto xD
Assicuro subito che tutte le gag sono venute fuori al momento, durante la scrittura della storia.
Be', spero di averti risposto! ^^
E grazie del commento, spero davvero di non deluderti mai! :*
@Silver Princess: eheh, chi lo sa! XD Comunque i loro sentimenti, d'ora in poi, avranno una grande ascesa! ^^
Lo yogurt alla fragola è anche il mio preferito! *_* Ma cavolo, abbiamo i gusti identici spiccicati! XD Ricordo ancora i latto bianco che non sapeva di niente se non con dentro i pan di stelle! Rammenti? XD Grazie del commento! Superbacio! >*****<
@xxx: felice che ti sia piaciuta! *_* E' bello sapere che molti utenti fanno di tutto per lasciare una recensione, anche quando non hanno tempo o mezzi! *_* Spero che riuscirai a farlo nuovamente, anche se la nuova regola di EFP impone obbligatoriamente una registrazione per commentare... Spero di risentirti, con tutto il cuore, e male che vada, che dire... spero che la mia storia non smetta mai di affascinarti! :******
(scusami ancora per il ritardo xD come si suol dire “meglio tardi che mai! xD)
@Chiaras: Uff, per fortuna... *scampata da un altro ipotetico pianoforte buttato dalla finestra per la rabbia* xD
Contentissimissima, anzi, iperultracontentissima che ti sia piaciuto! *_* Anche a me piace quando le cose vanno con lentezza. E questo, vabbè, si era potuto notare anche solo dal decimo capitolo della storia! XD Basta che la cosa non annoi mai. Spero di trovare il giusto equilibrio! ^^
Grazie di avermi commentato, e baciottoli anche a te! >******<
@Maper: New entry! *_* E' da una vita che volevo dirlo! XD Non ho ancora trovato persona a cui non piaccia Hwoarang, e, come per te, è il mio personaggio preferito di tutta la serie Tekken! *_* Al secondo posto, non chiedermi perché, c'è Lei Wulong! XD
I colpi di scena: certe volte sono stati inaspettati persino per me mentre li scrivevo, LOL! XD E per le gag e le scene divertenti: felicissima che ti facciano ridere, o anche solo sorridere, significa che il mio intento è riuscito! *_* Mi spiego. XD La fanfiction è partita inizialmente come una cosa seria, ma poi si può dire che sia un po' “degenerata”, ecco. XD All'inizio strizzavo il naso infastidita, ma poi mi sono accorta che questo è il mio stile, il mio modo di approcciarmi con le storie e che, per questo, la fanfiction risulta anche più completa, poiché l'altra parte del mio desiderio era abbracciare vari generi, tra cui quello comico. ^^
“tuttora pratico Tae Kwon Do inspirato da lui XD)”
Wow! *_* Anch'io, se potessi, sceglierei quell'arte marziale da imparare, oppure la capoeira! XD Hai usato un participio passato maschile, quindi presumo che tu... sia maschio! *_* *è da una vita che aspetta un lettore maschio* xD
Implorare e morire?! O cielo, no! O forse, chissà, protesti farmi un servizietto... un professore che odio tanto tanto... >D Scherzo! (si era capito) E mi scuso nuovamente per il ritardo di aggiornamento. I motivi son tutti scritti sopra, e io non ci penso neanche lontanamente ad abbandonare questo progetto che, inconsciamente, mi porto dietro dalle medie! NADA! *_* Grazie del commento, ovviamente! ^_^
E, che altro dire, mi farò presto viva. Ora che il blocco dello scrittore se n'è andato dovrebbe filare tutto liscio! xD
Alla prossima!


Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Ricordi - parte II ***


Il tocco lieve e fresco della mano di Miharu la destò. La cinese se la trovò davanti con un asciugamano in testa a mo' di turbante, il volto lentigginoso un po' arrossato e i ciuffi bagnati dei capelli che le incorniciavano il viso con riccioli corti e sottili.
“Buongiorno, dormigliona!” esclamò Miharu con un sorriso.
“Che ore sono?” domandò ancora un po' assonnata la bambina.
“Sono già le dieci e mezza.”
Non bisognava mai dire già agli scagnozzi della periferia Est se ciò era riferito ad un orario che andava dalle sette del mattino all'una del pomeriggio. Per quei ragazzi le dieci e mezza erano ancora, non già. E anche Xiaoyu, d'altronde, era una di loro, sebbene compiesse anche a sua volta il ruolo di studentessa mattutina.
Quindi, ricapitolando, erano ancora le dieci e mezzo del mattino e Miharu aveva già finito una doccia e stava preparando sul letto i vestiti da indossare, mentre la bambina, più propriamente secondo i suoi ritmi, era in pigiama tra le lenzuola.
“Svelta, che la mamma sta preparando delle brioche alla francese!” riferì la lentigginosa con un sorriso a trentadue denti.
“Brioche?” domandò la cinese incredula e briosa. Non bisognava mai destare dal loro sonno i malviventi della periferia Est, a meno che non ci fosse di mezzo una brioche. Solo in quel caso era concesso, anche se fossero state ancora le dieci e mezza del mattino. La bambina saltò subito in piedi.
La piccola cucina della casa era calda e profumata di lievito e farina. Le due si sedettero e la madre di Miharu posò sul tavolo per loro un piatto fumante di brioche. Quando sorrideva, aveva due deliziose fossette sulle guance come la figlia. Era adorabile, pensava Xiaoyu, nessuno della periferia Est sorrideva a quel modo, nessun uomo che avesse mai conosciuto, tranne una persona.
Le venne in mente così, tra una brioche calda tra le mani e un bicchiere di aranciata, mentre contemplava i motivi floreali della tovaglia. Il suo maestro, negli allenamenti, era sempre stato severo con lei, ma gli si addolcivano il volto e la voce ogni qual volta che si trovava in un contesto all'infuori di quello rigido delle arti marziali.

Quel giorno era seduto sui talloni davanti ad un'antica pergamena cinese, nel suo dojo, e le sue mani ossute mantenevano una tazza di tè caldo. Xiaoyu entrò nella palestra irruenta e rumorosa, in ritardo come sempre. Teneva stretta tra le braccia la borsa scolastica delle medie e aveva un dolce di pasta in bocca.
“Che cos'è quella specie di pane che hai tra i denti?” domandò leggermente sbalordito Wang. L'anziano viveva di antichità tra doji, pergamene e tazze di tè, perciò ignorava ogni novità o oggetto che esulava dalla sua cultura cinese.
“E' una brioche,” gli riferì con ovvietà l'allieva staccandone un pezzo per porgergliela.
Da uomo vicino più che mai allo spirituale e alla semplicità, che riteneva ogni invenzione occidentale un puro pretesto per alienare l'essere umano dal vero senso della vita, Jinrei assaggiò la pasta con un po' di ritrosia e diffidenza, ma sul suo viso si presentò poi un'espressione deliziata.
“E' dolce,” constatò con un po' di sorpresa.
“Perché, non avevi mai mangiato una brioche prima d'ora?” fu la domanda piena di stupefazione della cinese.
“Non si smette mai di empire la nostra vita di nuove esperienze, persino quando si è vecchi come me. Mi domando se, per esempio, giungerà mai anche per te la volta che arriverai in orario agli allenamenti,” valutò l'anziano maestro lanciando un'occhiata fugace verso l'orologio appeso al muro. La bambina fece una smorfia imbronciata.
“Non perdere ulteriore tempo,” convenne severamente Jinrei vedendola ancora ferma in piedi, rubandole il dolce dalle mani.
“Ehi!” protestò la cinese accigliata.
“Non è l'ora di mangiare, questa. Su, preparati per gli allenamenti!”
L'anziano fece gesto con le mani di andare e la ragazzina entrò nella stanza adiacente per cambiarsi, accorgendosi solo in seguito di essersi dimenticata la borsa con il kimono. Seccata più di prima, tornò al salone degli allenamenti e sorprese Wang addentare la sua brioche.
“Maestro!” esclamò offesa ed interdetta. L'anziano non proferì parola, reo di una colpa troppo evidente per potersi graziare con una scusante. Sorrise soltanto, come un bambino colto durante una monachella.
Era diventato una specie di accordo silenzioso quello tra loro due, in cui Xiaoyu arrivava in ritardo e ciononostante riusciva ad ottenere per mezzo di un appetitoso sotterfugio il perdono di Wang, che chiudeva molti occhi e dava altrettanti molti morsi alle brioche che lei, ormai, comprava ogni mattina in coppia per entrambi.

“Che hai, Xiao?” chiese preoccupata Miharu vedendola imbambolata. La bambina non rispose, s'infilò veloce la pasta in bocca e rantolò di dolore quando si accorse in ritardo che era ancora bollente.
Dopo aver finito colazione, la ragazza coi codini aiutò la madre di Miharu a lavare i piatti, compito di cui possiamo ormai definirla una specialista viste le notti passate in bianco nel ristorante “Il Matto” a sciacquare le inesauribili stoviglie assieme a Marshall. Inesauribili non perché lo fossero i clienti, ma il loro stomaco. Soprattutto quello di Paul.
Ci mise, difatti, appena un minuto a lavare i piatti, dopodiché si offrì nuovamente di aiutare la madre di Miharu con la spazzatura. La donna, in seguito alle cortesi insistenze della bambina, accettò con un sorriso.
La cinese uscì di casa con due buste di plastica in mano e s'incamminò verso il bidone dei rifiuti. Alzò lo sguardo al cielo, con casualità, e vide un palloncino. Era ancora basso, rasentava i tetti dei palazzi; probabilmente, pensò Xiaoyu, il bambino che l'aveva perso stava ancora piangendo. Rimase incantata dal piccolo ovale rosso. Contrastava nettamente con l'azzurro e il bianco delle nuvole della mattinata serena ed ondulava, incerto, come se non sapesse dove andare, sballottato qua e là dal vento. Una volta Wang le aveva regalato uno di quei palloncini; lei aveva sei, sette anni e le sue manine piccolissime e ancora poco forti avevano afferrato la cordicella che, dopo qualche minuto, le era scappata dalle dita. Aveva visto il suo piccolo divertimento infantile volare verso l'alto e si era messa a piangere. Il vecchio maestro le si era avvicinato con un sorriso dolce dipinto sul volto.
“Non devi piangere se ti è sfuggito il palloncino, perché andrà verso il cielo e sarà un regalo per i genitori,” le aveva detto consolatorio. “Sei stata brava, hai scelto il palloncino più bello di tutti.”
Quasi dieci anni dopo, vicino ad un bidone dei rifiuti che veniva poco badato per via di un palloncino che volava verso l'universo, la cinese comprese la verità.
Era già qualche tempo che rammentando il suo vecchio maestro non provava più rabbia o amarezza, ma solo un dolce e profondo sentimento di nostalgia. Aveva abbandonato molti luoghi perché le ricordavano la morte di Wang, ma pensò che forse era pronta per ritornarvici. Ce n'era uno in particolare che da quando aveva cominciato a trascorrere i suoi ultimi mesi nella periferia Est non era stato più visitato.
Dopo aver buttato la spazzatura tornò a casa di Miharu. Le disse che sarebbe dovuta andare subito via perché aveva da fare qualcosa di molto importante.

Eccolo, uno dei tanti luoghi che la cinese non aveva più visitato dal giorno nefasto di qualche mese prima. La recinzione di bambù era stata bruciata e la stradina che la fiancheggiava era diventata una via come le altre. Proseguì verso una stretta scalinata. Un gradino di pietra dopo l'altro riviveva dei momenti passati assieme a Wang. Ora era inciampata e il maestro l'aveva aiutata ad alzarsi, ora le lucciole d'estate danzavano sospese sul cielo vicino alla siepe che affiancava la scalinata, ora pioveva e i due correvano cercando riparo nella loro casa. A quell'ultima parola Xiaoyu serrò le labbra. Alzò lo sguardo e la vide, rialzata tra le altre abitazioni, oltre la siepe, la loro casa. In realtà apparteneva alla cinese, ma era come se fosse anche di Wang visto che una volta andava a trovarla appena gli allenamenti e il tempo glielo permettevano. Il maestro portava profumo di antichità, calore, giochi e sorrisi; attraversava l'uscio della porta d'ingresso e chiedeva, sorridente: “E' qui la mia allieva più esuberante?” e si lisciava la morbida barba bianca con le dita scure e nodose, che sembravano fatte di carta.
La bambina era oramai davanti al cancello del piccolo condominio a due piani. Salì le scale e all'ultima porta tirò un grosso sospiro. Trasse concitata dalla piccola borsa una chiave e la infilò nella serratura.
Ma l'attrezzo non girò.
Tentò un'altra volta, e un'altra ancora, senza successo. Qualcuno le poggiò d'improvviso una mano sulla spalla e la ragazza sussultò spaventata. Si voltò e vide l'uomo che – a primo impatto non capiva proprio chi fosse – comprese si trattava dell'amministratore del condominio, il signor...
“Naka... Nakashima?” chiese titubante Xiaoyu.
“Nakamura!” s'inalberò l'uomo. “Ti sei assentata così tanto da casa da scordarti addirittura il mio cognome?!”
In realtà il suo cognome non l'aveva mai imparato, sin da quando abitava in quel condominio, forse perché lo conosceva poco, forse perché le uniche volte che lo vedeva era per il pagamento mensile dell'affitto, o forse, semplicemente, era un uomo troppo comune per esser ricordato. Aveva la fronte alta – per come l'aveva sempre vista la cinese quasi soltanto corrucciata –, gli occhi estremamente piccoli, un fisico paffuto da uomo di mezza età ed era alto poco più di lei. Viso anonimo, abiti comuni, carattere ignoto, niente che lo caratterizzasse per qualcosa di particolare.
Parlando dei tre precedenti motivi per cui lei non ricordava mai il suo nome, uno appena spiegato e l'altro che era il fatto di averlo frequentato poco, restava dunque la causa della sua visita. Probabilmente involontaria, certo, ma il fine rimaneva lo stesso anche nelle casualità.
“E' da quattro mesi che non paghi il tuo affitto,” disse, appunto. La cinese esibì un sorriso rassicurante, un po' ostentato.
“Ho avuto tante cose a cui pensare, ma d'ora in poi lo pagherò tutti i mesi,” promise.
“Non puoi mica sempre fare i comodi che vuoi!” protestò l'uomo. “Potrei anche cacciarti per il tuo ritardo coi pagamenti!”
“Mi dia solo un po' di tempo...” enunciò debolmente Xiaoyu con occhi scongiuranti.
“Due giorni, e voglio i 200000 yen che mi spettano, oppure venderò l'appartamento a qualcun altro!”
“Due giorni?!” domandò sbigottita la ragazza. “E come ci riesco ad avere quella cifra in soli due giorni?”
“Non è un mio problema!” rispose con semplicità Nakamura.
“Facciamo dieci giorni...?” tentò la cinese con un affabile sorriso dipinto sul volto. Di tutta risposta l'amministratore le sbatté in faccia la porta d'ingresso del proprio appartamento.
La bambina fece una lieve smorfia di dispiacere, raggiunse nuovamente la sua abitazione, buttò la borsa scolastica ai propri piedi e si sedette per terra appoggiandosi con la schiena all'anta della porta. Racchiuse la testa tra gli arti intrecciati attorno alle ginocchia alzate e cominciò a riflettere.
Era sempre stato Wang a pagare l'affitto. Xiaoyu ricambiava aiutandolo con il dojo, pulendo o rimpiazzandolo per qualche ora con gli alunni più piccoli, ma oltre questo non aveva mai dato un reale contributo all'affitto. Il maestro le donava ogni fine mese i soldi e lei, semplicemente, li dava a sua volta all'amministratore del condominio. Non aveva mai guadagnato da sola, se non in un modo un po' diverso per procurarsi un vestito da sera di seta rosso. Poteva offrirsi nuovamente come cameriera al ristorante dei Law, ma in due giorni soltanto non sarebbe mai riuscita a ricavare 200000 yen.
La bambina sospirò rassegnata. In fondo era solo una casa, un insieme di beni che nulla avevano realmente a che vedere con Wang e i suoi ricordi. Le memorie stazionano nella mente, rivivono ogni giorno, dovunque e in qualunque momento. Non sono gli oggetti ad incarnarle e l'uomo non deve aggrapparsi ad essi, perché non valgono che una parte di tutto l'insieme, la meno significativa. Era questo uno degli insegnamenti più importanti di Wang e lei non l'aveva mai messo in pratica.
Serrò le labbra in un'espressione di determinazione, si drizzò in piedi, si scrollò la gonna e afferrò il manico della borsa. Quando si avviò per le scale notò una donna che s'incamminava nella direzione opposta. Questa, accortasi di lei, sorrise e fece un lieve inchino con la testa.
“Ciao, Ling,” la salutò. La bambina le riconobbe subito la splendida fisionomia. Aveva un volto delicato ed adulto, due occhi sorridenti e labbra sottili e femminili. Era indubbiamente una donna bellissima, su cui, al contrario di Nakamura, bastava soffermarsi con lo sguardo per qualche secondo affinché rimanesse inesorabilmente incastonata nella memoria.
“Ciao, Miho-san,” le rispose la cinese. Shiori Miho era la donna che viveva due appartamenti prima di quello di Xiaoyu. Vestiva sempre con abiti scialbi di casa, teneva i capelli comodamente raccolti e aveva il viso struccato di una persona troppo indaffarata per pensare ad altro. Ma la sua bellezza stava proprio in questo, nella semplicità e nella freschezza, oltre che nel portamento, che era di un eleganza che andava al di là delle semplici cortesie di brava casalinga. Possedeva una raffinatezza da geisha, dimostrata in quel frangente con un semplice gesto della mano dietro la nuca per aggiustarsi la coda di cavallo sopra la spalla, mano che poi si erano dolcemente posata sulla piccola schiena della bimba che teneva tra le braccia.
“Era da molto che non c'incontravamo. Ti va una tazza di tè a casa mia?” propose Shiori. La cinesina sorrise un po' imbarazzata.
“In realtà dovrei andare...”
“Solo cinque minuti,” insistette cordialmente Shiori. La bambina cedette ed accettò.
L'appartamento aveva la stessa struttura di quello di Xiaoyu e le uniche peculiarità erano i mobili, i quadri e i tavoli che l'arredavano. Ling ebbe perciò una sensazione di deja vu mischiata a malinconia e disorientamento, ma durò poco. La donna mise a sedere la piccola figlia sopra un tappeto con tanti giocattoli attorno, si tolse la giacca e l'appese all'attaccapanni, dopodiché fece accomodare la cinese sul divanetto del salotto che fungeva anche da cucina e preparò il tè.
“Non vedo Wang da un bel po', come sta?” chiese discorsivamente alla bambina. Quest'ultima abbassò la testa con rammarico, ma la donna non poté notare quest'atteggiamento perché stava versando il tè dentro due tazze girata di schiena.
“Sta bene... è fuori a fare un viaggio,” mentì Xiaoyu.
“E quando torna?” chiese Shiori interessata. La studentessa coi codini era in procinto di rispondere, ma si sentì tirare un lembo della gonna dalla figlia della padrona di casa, in piedi a fianco alla sedia, che tendeva gli arti verso l'alto per essere presa in braccio.
“Akiko è come un gatto, vuole sempre stare in braccio a tutti,” scherzò la donna porgendo all'invitata la tazza fumante.
“Vieni, Akiko-chan!” enunciò la studentessa prendendo la pargoletta da sotto le braccia e facendola sedere sulle proprie gambe.
“Bambina!” affermò con eclatante energia la bambina vera a quella protagonista di questa storia, indicandola con l'indice. Xiaoyu s'inquietò non poco a quell'esternazione inaspettata e blousonoiriana. Per un attimo intravide il viso sbieco di Hwoarang dietro la padrona di casa, ma per fortuna fu solo una brutta allucinazione.
“Akiko chiama tutti bambini e bambine,” spiegò prontamente Shiori con un sorriso mentre sorseggiava il tè. E la cinese, dunque, trasse un sospiro di sollievo. Aveva creduto a chissà quali strane pratiche stregonesche del capo della periferia Est che gli consentivano di possedere a piacimento la mente degli altri, anche di bambini di poco più di un anno. Ma sempre e di nuovo per fortuna fu solo una congettura infantile senza capo né coda.
“Sono una ragazza, non una bambina,” chiarì amabilmente Xiaoyu alla pargoletta, e di conseguenza, o almeno così fu per una logica tutta propria dei bambini, Akiko le tirò la ciocca del codino destro.
Akiko Miho era la perfetta rappresentazione in miniatura del blouson noir.
“Akiko, non si fa!” la sgridò la madre in procinto di alzarsi dalla sedia per darle una lezione.
“Non fa niente, è solo una bambina,” la rassicurò la cinese stirando un sorriso un po' artificioso. All'ultima affermazione Akiko ripeté la parola bambina indicando nuovamente col dito Xiaoyu.
Sembrava lo facesse con l'intenzione volontaria di mandarla fuori dai gangheri, proprio come faceva sempre il blouson noir.
Così Ling estrinsecò la sua seconda congettura.
“Lei... è per caso di origine coreana?” domandò a Shiori un tantino preoccupata.
“Sono giapponese al cento per cento. Perché?”
“Perché... così!” rispose senza rispondere la cinese con un amplio sorriso a trentadue denti, scartando l'ipotesi secondo cui Akiko somigliava così tanto a Hwoarang perché in qualche modo possedeva il suo stesso DNA caratteriale per via di una vicina parentela.
Al che si presentò un ulteriore dubbio che fece materializzare nella mente della protagonista la terza pericolosa congettura.
“Sempre per caso... il suo fidanzato è un ragazzo molto, molto giovane?”
Shiori la guardò sorpresa. “Se intendi il padre di Akiko, sì, è una persona abbastanza giovane...”
“Ma non petulante, antipatico, maleducato, violento, dongiovanni e coi capelli sgangherati, vero?”
Shiori rise di gusto. “A volte è petulante e maleducato. Non penso che sia un dongiovanni, ma chi lo sa... le ragazze che hanno una storia con i donnaioli di solito non sanno che i loro fidanzati sono così anche con le altre, altrimenti non ci rimarrebbero insieme per tanto tempo... anche se non è più il mio caso, ci siamo lasciati da un bel pezzo.”
“Mi... mi dispiace...” si scusò con rammarico la cinese grattandosi la nuca in segno di disagio. Aveva osato troppo ed era stata un po' maleducata, per comprovare una congettura, poi, che tra tutte era la più folle, forse persino più di quella dello stregone. Così aveva riflettuto la parte razionale ed intelligente del cervello di Xiaoyu, ma l'altra, quella che chiamerò per garbatezza nei confronti della protagonista solamente irrazionale, ragionò sul fatto che però non aveva ancora ricevuto una risposta certa. Dunque il dubbio non si dissolse del tutto.
“Non preoccuparti, è una storia vecchia di due anni,” disse dolcemente Shiori alla cinese. “Perché mi hai fatto questa domanda?”
E la bambina, di nuovo:
“Perché... così!” e sorrise imbarazzata. “Ora devo proprio andare. E' stato un piacere rivederti, Miho-san.”
“Aspetta, prima che me ne dimentichi,” la richiamò la donna. Xiaoyu permanette seduta con Akiko sulle proprie gambe, la quale aveva abbandonato la testa sulla sua spalla e teneva gli occhietti socchiusi, appesantiti dal sonno. Shiori prese in braccio la figlia e la sdraiò nella culla vicino al televisore, aprì un cassetto della scrivania accanto e rovistò in cerca di qualcosa. Si voltò poi in direzione della bambina per mostrarle un talismano cinese.
“E' una specie di portafortuna. Wang era passato a casa tua per regalartelo, ma non c'eri, così lo ha dato a me chiedendomi di lasciartelo quando ti avrei rivisto. Mi ha spiegato che è un buon auspicio per gli esami di scuola e che lo ha comprato perché ti vedeva un po' preoccupata per lo studio e per altre cose,” riferì la donna all'ospite porgendole l'oggetto di stoffa.
“Quando... te l'ha dato?” chiese stupita la bambina.
“Una sera di qualche mese fa, l'ultima volta che l'ho visto. Immagino il giorno prima che lui partisse per il suo viaggio.”
La bambina prese in mano il talismano e lo pressò sul petto, all'altezza del cuore, poi si inchinò verso Shiori con il volto contratto da una forte emozione.
“Grazie di cuore, Miho-san!” le disse a gran voce. La donna la osservò sbalordita.
“Non c'è bisogno che ti inchini, Xiaoyu. Per così poco...”
La cinese non disse niente, girò i tacchi ed uscì dalla porta correndo per le scale del condominio sotto lo sguardo confuso di Shiori.

Ling superò l'invisibile linea di demarcazione tra la città di Tokyo e la periferia Est, inconsapevolmente tracciata con una striscia immaginaria fin dai primi giorni in cui andava alla tana degli scagnozzi di Hwoarang tornando da scuola. Si trovava subito dopo l'inoperosa fermata del bus dove nessun pullman passava più da anni, quella con la panchina imbrattata di murales ed un gambo sbilenco, vicino al tabellone degli orari incrostato di sporcizia, datato ancora al ventesimo secolo. Lì la città non si faceva più città, diventava una landa piena di palazzi senza persone. L'urbanizzazione effettiva finiva in quel punto esatto, con l'ultimo spiraglio di luce dalla finestra di un appartamento un po' distante, ancora abitato, poi si faceva tutto buio e prendeva il sopravvento una silenziosa eversione fatta di passeggiatrici, ubriaconi, girovaghi e canaglie.
Si era fatta ormai sera. Xiaoyu camminava mogia con lo sguardo posato a terra e i piedi che strisciavano sull'asfalto della carreggiata deserta. Avvertì la vicinanza del suo rifugio udendo il primo schiamazzo, distante ancora qualche traversa. Oltrepassò la cancellata aperta, scavalcò le mondane casse di bottiglie di liquore accostate tra loro che le intralciavano il passaggio e giunse finalmente al piazzale del covo illuminato dai falò. Gli uomini lo occupavano tutto, beneficiando del loro tempo al solito infruttuoso modo, in cui non ricavavano null'altro che dell'opulento divertimento.
“Xiaoyu!” la salutò allegramente John da lontano, agitando il braccio con un accentuato sorrisone sul viso. La bambina aveva imparato a riconoscere tre differenti tipologie di sorrisi quando si trovava nella periferia Est: quelli entusiasti che esibivano gli scagnozzi del covo quando avevano tra le mani tanti soldi da spendere in bottiglie alcoliche, quelli festosi di coloro che avevano già davanti delle bottiglie alcoliche da stappare ed infine quelli ebbri che di bottiglie ne avevano stappate fin troppe. La cinese era quasi certa che John rientrasse nell'ultima categoria, non tanto per i passi traballanti che effettuava mentre la raggiungeva, quanto più per quell'inusuale reggipetto di pizzo pescato da non si sa dove – e Xiaoyu non voleva assolutamente saperlo – che indossava con aria contegnosa sulla testa con l'aggancio chiuso sotto il mento.
“Per fortuna ti abbiamo trovato, dobbiamo tutti discutere di una cosa molto seria che riguarda la Mishima Zaibatsu,” annunciò risoluto l'omone, anche se, tecnicamente, non erano stati loro a trovare Xiaoyu, ma era stata lei stessa a presentarsi alla loro tana, e, sempre tecnicamente, se si prende in esame il fattore serietà si desume che una persona seria in primo luogo non si mette dei reggiseni sulla testa...
“Ah, vuoi sapere di questo?” domandò John accorgendosi dell'occhiata confusa che la bambina aveva involontariamente lanciato al reggipetto. “E' una storia un po' lunga. Ho conosciuto una donna, ieri sera, così generosa che quando le ho chiesto come si chiamava è subito passata all'ultima fase e-”
La cinese tappò repentinamente la bocca del compagno con la propria mano. Non era necessario conoscere nessun sviluppo di quella storia visto che se ne intuiva già lo scabroso finale. E ad ogni modo, meno lei sapeva meglio era.
“E poi dicono che le autocensure non esistono...” affermò dietro la schiena della ragazza qualcuno che lei riconobbe immediatamente, il solo che interveniva improvvisamente in un discorso con una frecciatina o una battuta ironica indirizzata alla bambina. Hwoarang salutò Xiaoyu con la solita occhiata canzonatoria, poi l'omone, posandogli la mano sulla testa non con tanta casualità. “Non è stato necessario neppure un nostro intervento, hai fermato John proprio in tempo, prima che la tua crescita venisse bloccata per sempre!”
La cinese abbassò il braccio assieme allo sguardo turbato e il blouson noir arcuò un sopracciglio.
“Le ho appena detto della riunione, capo,” riferì compiaciuto John.
“Bene,” assentì il rosso piegando la testa di lato. “Ci sono delle lamentele, là dietro. Dicono che non stai indossando il reggiseno in modo adeguato, e Mugen insinua che hai delle strane tendenze.”
“Ah sì?! Gliela faccio vedere io la strana tendenza! Gli racconterò di quella donna generosa a cui ho prelevato questo reggipetto, e gli spiegherò anche come sono riuscito ad averlo!” esclamò intrepido l'omone, e se ne andò a grandi falcate.
“John quand'è ubriaco è il più spassoso di tutti,” reputò divertito il blouson noir alla bambina. Quest'ultima sfoderò un sorriso di circostanza fin troppo ovvio. Abbassò di nuovo il capo, aggrottando le sopracciglia.
“Ehi,” la chiamò Hwoarang avvicinando pericolosamente il viso al suo in cerca di un'attenzione maggiore. La cinese, ritrovandoselo inaspettatamente davanti e a poca distanza, spalancò gli occhi e retrocesse di un passo.
“Cosa?” riuscì solo a chiedere, intimorita.
“E' da un po' di giorni che mi eviti,” esordì laconico il coreano.
“Non è vero,” azzardò Xiaoyu, ma il coreano lo sapeva, non era vero che non era vero.
“Se sei incazzata con me per qualche ragione dimmelo e smettila di comportarti come una bambina, anche se detto così è un po' un paradosso visto che sei una bambina...” ironizzò il blouson noir, aspettandosi l'usuale e prevedibile scatto di nervi della cinese, che però non arrivò. Rimase in silenzio e con gli occhi puntati altrove.
“Va bene, fa' come vuoi,” decretò seccamente Hwoarang, “però è necessario che tu venga con me da Law a prendere nuovi vestiti, presto saremo un imprenditore e una segretaria della Mishima Zaibatsu.”
“Non posso venire!” annunciò istintivamente la bambina, ovviamente dicendo il falso pur di denegare la proposta del coreano e stare un po' lontana da lui. Era quello sciocco disagio che provava dal giorno delle fragole a farla agire così quando si trovava con il suo capo.
“Perché non puoi?” fu la domanda naturale di Hwoarang a cui lei non pensò affatto.
“Perché...” tentò la bambina, “devo fare i compiti.”
“Tu non li fai mai i compiti!”
Oh, se aveva ragione. Era un fatto così famoso nella periferia Est che quando qualche ragazzaccio del covo non svolgeva adeguatamente il proprio lavoro – era pur sempre un lavoro, il loro, anche se non del tutto conforme alle regole della società – veniva etichettato come un caso grave di Xiaoyuismo. Fortunatamente la Ling riuscì a sviare la questione con una frase fatta, le migliori per questi casi:
“C'è sempre una prima volta per tutto!”
Il blouson noir, ormai al culmine di sopportazione, sbuffò ed agguantò la compagna per il braccio per portarsela appresso, ma questa si svincolò avventatamente con un gesto secco della mano, imbarazzata da quel tocco disinvolto del capo. Tutta colpa di quel tarlo interiore che le annebbiava la mente, se ne rendeva conto, ma sempre e troppo in ritardo, quando la castroneria era già stata compiuta. Alzò uno sguardo impietosito verso il rosso in segno di scusa, ma lui non disse niente. La fissò amareggiato e allo stesso tempo severo.
“Se non ti va di collaborare, puoi anche andare via dal clan,” le riferì duramente. La cinese sgranò gli occhi dallo stupore e aprì più volte la bocca per ribattere, ma non riuscì a proferire parola.
“Io vado,” la informò il blouson noir, e s'incamminò verso una stradina buia della periferia. La cinese rimase in silenzio ad osservarlo di nascosto fin quando non lo vide scomparire dietro l'angolo. Contrasse il volto in una smorfia e si diresse al grande materasso alla ricerca di un po' di serenità tra le braccia artificiali della grata. Nel mentre, uno del clan un po' alticcio le diede un'involontaria spallata, si scusò e si dileguò tirato da un altro, ubriaco come lui. Xiaoyu calpestò qualcosa, abbassò lo sguardo e vide a terra l'amuleto che le aveva regalato Wang, scivolatole dalla tasca all'urto col compagno. Lo raccolse frettolosamente e lo sfregò nervosamente con la mano al fine di togliere la polvere, poi, dal nulla, cominciò a piangere.
Era da tanto che non piangeva per Wang.
Si rese conto della verità solo in quel momento.
Voleva indietro la sua casa, il tavolo dove cucinava col suo maestro piatti sempre troppo salati o troppo bruciati, il divano dove si divertiva a sognare passeggiate con Jin e ad attuare piani di vendetta perché Jinrei l'aveva trattata male agli allenamenti, i libri di arti marziali senza figure che parlavano di spiritualità, di filosofia e di robe troppo complicate che Xiaoyu leggeva con noia e senza capire nulla, il disegno che aveva fatto da piccola appeso al muro della camera che mostrava un prato pieno di fiori giganti, un albero sbilenco, un vecchio barbuto con gli occhi storti che impersonava il suo maestro e lei al suo seguito, bassa e sproporzionata, con le mani di venti dita e gli occhi di cento ciglia.
Il suo appartamento, in realtà, non era un ricordo ingannatore di Wang come lei stessa si era persuasa di credere per comodità, pur di non ammettere che la sua vera debolezza era stata aver voluto disfarsi della propria casa allo scopo di dimenticarsi del suo maestro per non soffrire più. Il suo appartamento era ciò che le era rimasto, a prescindere da quel che rappresentava, che non si riduceva unicamente alle memorie su Jinrei. Ed ora che la nostalgia era diventata dolce e non più risentita era troppo tardi, la bambina era rimasta con nient'altro che un piccolo amuleto di stoffa imbrattato di terra.
Aveva perduto tutto, ed ora, più che mai, desiderava che quel tutto ritornasse da lei.
Non voleva abbandonare anche la sua seconda casa. La periferia Est era come un tetto che la proteggeva e l'accoglieva durante il sonno, seppur evanescente come il cielo immenso che lo costituiva, e i suoi compagni incarnavano la famiglia che aveva perduto. Nella periferia Est si era fratelli, amici e genitori di tutti, perché nessuno che l'abitava ne aveva più.
Non si sarebbe lasciata sfuggire ciò che aveva di più caro una seconda volta. La bambina si strofinò gli occhi con il braccio, si puntellò con le mani al muro per alzarsi, ripose l'amuleto in tasca e si avviò al ristorante “Il Matto”.
Aveva raggiunto il suo capo quasi subito. Era fermo sotto la luce di un lampione, girato di schiena, che tentava di accendersi una sigaretta con un accendino che non voleva funzionare. L'aggeggio scintillò più volte senza produrre fiamma, tra un graffio acuto e l'altro dello sfregamento tra pietra e metallo. Durò fino a quando Xiaoyu non chiamò a gran voce il suo capo. Lui si voltò un po' meravigliato.
“Che c'è?” chiese scontrosamente. La bambina era una decina di metri distante. Serrò i pugni e le labbra, e gli disse, flebilmente:
“Scusami se ti ho trattato male...”
Il coreano, accorgendosi dell'espressione rattristata della compagna, la fissò leggermente preoccupato.
“Che hai?” le chiese.
Il labbro di Ling tremò appena appena a quella domanda. “Prometto che non ti ignoro più, e se vuoi puoi offendermi, prendermi in giro, trattarmi male e dire che sono una bambina, però... non...” e cominciò senza volere a piangere di nuovo, coprendosi infantilmente gli occhi con il braccio alzato. “Ti prego, non cacciarmi via...” soggiunse con un lamento.
Il blouson noir irrigidì tutto il corpo all'inaspettata reazione della bambina, ma malgrado ciò non si trattenne dal fare un lieve sorriso rasserenato. “Io non voglio cacciarti. Credevo che fossi tu a voler andare via.”
La cinese, china con la testa, non diceva nulla, continuava solamente a singhiozzare.
“Adesso che abbiamo chiarito non c'è più bisogno di piangere,” le riferì Hwoarang, ma lei non proferiva ancora parola e non smetteva di singhiozzare. Così il ragazzo le si avvicinò e le fece pressione sulla fronte col palmo della mano per alzarle il viso, guardarla e lanciarle un'occhiata preoccupata e interrogativa. A quel contatto visivo di premura, Xiaoyu gli mormorò:
“Non ho più una casa dove tornare...”
Il rosso mosse impercettibilmente le sopracciglia, un atteggiamento che assumeva quando tratteneva dentro di sé dell'afflizione o della compassione, emozioni che per nulla al mondo avrebbe lasciato manifestare agli altri. Per non parlare delle gentilezze gratuite, robe da mammalucchi e femminucce che a parere di Hwoarang erano uomini solo per quanto riguardava la classificazione di specie homo sapiens sapiens, non certo per quegli attributi mascolini che avevano soltanto di facciata! Un uomo si misura dalle palle, diceva sempre a quelli della periferia Est.
Si sentì un po' meno uomo, in effetti, quando la prese per la nuca con la mano per farle appoggiare la testa alla propria spalla, forse con un po' troppa rudezza e prepotenza, ma pur sempre eseguendo una dannatissima gentilezza gratuita. Non si commiserò neppure più di tanto, distratto com'era a inebriarsi del profumo della sua bambina e a deliziarsi del tocco un po' goffo di lei sulla schiena, racchiusa tra due braccia minute.
“Questo perché non avevo un cavallo a dondolo per consolarti...” affermò Hwoarang, buttando lì una battuta, tanto per alleggerire l'atmosfera. Lei emise un singulto più pesante degli altri, che forse era un risolino o forse no, il blouson noir non riuscì a stabilirlo. Avvertì la stretta della cinese intensificarsi, e lui, allora, lasciò cadere il braccio sulle sue spalle per cingerla meglio. Era strano il calore che gli infondeva quel contatto intimo, benché quest'ultima fosse una parola troppo grossa paragonata agli approcci diretti che Hwoarang aveva avuto con le altre donne. Con loro prima diventava intimo e poi imparava il loro nome, anche se spesso quest'ultima eventualità non si presentava affatto.
Forse, rifletté, l'intimità era anche altro, un po' diversa, come poteva esserlo il trattenere la sua compagna tra le braccia per consolarla, senza ulteriori scopi. Non era di sua consuetudine, perché se il rosso si degnava di una carezza era sempre e meccanicamente accompagnata da un proposito che per tutte era lo stesso.
Toccava le donne con una facilità disarmante, eppure con Xiaoyu gli risultava sempre un compito ostico, che non andava oltre la pacca sulla schiena o la mano sulla spalla per fermarla o scuoterla.
Si trovò quasi a sorridere a questa sua strana e nuova inettitudine, scoperta solo da poco più di un mese.
Si sentì uno stupido homo sapiens sapiens.

Nessuno dei due aveva calcolato quanto tempo fosse trascorso. Tra un pensiero e l'altro era passato abbastanza veloce per entrambi. In quel lasso di tempo imprecisato, tra una lacrima e un singhiozzo, la cinese aveva raccontato al blouson noir gli avvenimenti di quel giorno. Aveva parlato di Wang, della sua casa, della scadenza dell'affitto e dei soldi che non aveva.
Adesso camminavano l'uno di fianco all'altra. La bambina osservava con la testa china il suo amuleto di stoffa e aveva gli occhi rossi ed infossati, mentre il blouson noir teneva le mani nelle tasche dei jeans e strusciava le scarpe sull'asfalto.
“Quanti soldi hai da parte?” le chiese tutto d'un tratto.
“Quasi niente...” rispose affranta la cinesina.
“Ora che andiamo da Law puoi chiederne alcuni a lui,” suggerì Hwoarang, poi si voltò verso di lei e le strizzò il naso. Xiaoyu lo guardò interdetta.
“Ti ho preso il naso!” esclamò il rosso animatamente. L'espressione di Ling non mutò. Anzi, forse lo sconcerto si fece maggiore.
“Ma come? Coi bambini non funziona così? Se sono tristi e prendi per finta il loro naso si divertono da morire!” rivelò il coreano con dell'eccessiva e calcolata enfasi.
La ragazza realizzò dunque di esser stata presa per i fondelli.
“Sei sempre il solito stupido senza speranza!” sbottò lei corrugando la fronte come da prassi, generando la sottile ruga tra le sopracciglia che al blouson noir piaceva tanto. Era tornata la Xiaoyu di sempre.
“Perché ti arrabbi? Pensi che ti abbia davvero rubato il naso? E' tutto finto, bambina!” la sfotté imperterrito lui, aprendo il palmo della mano a dimostrazione che non aveva nulla.
“Un giorno te lo ruberò io il naso, e per davvero! Te lo strapperò a forza con delle pinze!” lo minacciò furiosamente la scolaretta. Hwoarang fece una smorfia di disgusto e spasso.
“Muoviamoci, che Law non ci aspetta per sempre,” le disse, tirandole piano il codino. La bambina ebbe una specie di deja vu che le rammentò un dubbio cominciato quel giorno stesso.
“Blouson noir!” lo chiamò a gran voce. Il capo della periferia, che si trovava già avanti qualche metro, si voltò.
“Non è che hai qualche figlio illegittimo a Tokyo, vero?” gli domandò Xiaoyu leggermente ansiosa.
“Circa una dozzina,” rispose laconico il coreano.
“Stai scherzando, vero?!”
“Sì che sto scherzando,” proclamò il rosso divertito.
La cinese assottigliò irritata gli occhi in due minuscole fessure.
“E' una cosa seria, blouson noir!” si lamentò lei, mettendo il broncio.
“Fammi una domanda seria e forse considererò la faccenda tale,” la canzonò Hwoarang. “Se qualcuna avesse avuto un figlio da me, me l'avrebbe detto.”
La bambina sospirò rasserenata.
“Ad ogni modo non posso prometterti niente,” ammise lui. Lo disse un po' per spasso, allo scopo di vedere qualche buffa reazione della bambina, e un po' a causa di quel credo che sosteneva con grande convinzione. Per lui niente si poteva prevedere, perché la vita era meschina, fallace ed incerta, soprattutto quella che conduceva lui. Per questo Hwoarang non prometteva mai niente a nessuno.
Così la bambina sbuffò, abbassò lo sguardo in direzione del suo amuleto e trasse un sospiro infelice.
“Allora... puoi promettermi che ci sarai sempre e non mi abbandonerai mai? Che... rimarrai vicino a me?” domandò al capo della periferia, accorgendosi solo in ritardo di come suonava un po' strana quella frase. La fece vergognare, ma non se ne badò più di tanto, desiderava solamente essere certa che in futuro non avrebbe perduto anche la sua nuova famiglia.
Era una richiesta assurda per il blouson noir, data la sua indissolubile convinzione sull'imprevedibilità della vita, eppure, quel giorno, il ragazzo dovette contrariarsi per la seconda volta, perché la risposta gli venne senza pensarci, e per trovarla gli bastò guardare Xiaoyu negli occhi. Uscì con naturalezza dalle labbra partendo dal cuore.
“Te lo prometto.”























------------------------------------------------------------

Perdonate il ritardo, sono proprio un caso grave di Xiaoyuismo. Non è certo per mia scelta, sapete bene che ho un incommensurabile amore per questa storia, però non posso più promettere nulla riguardo agli aggiornamenti. Indi, dovrò seguire la filosofia di Hwoarang. ;_;
Ma ora ci sono le vacanze, e pure internet, e mi sono riavvicinata a questo fandom, perciò è probabile che avvenga una ripresa...
Questo capitolo è MOLTO lungo, forse il più lungo pubblicato finora. Spero di poter riparare il mio ritardo con questo. Oppure mi odierete di più? xD
Ho sistemato i capitoli precedenti della fanfiction, aggiustando qualche dialogo e notando alcuni brutti errori grammaticali. Perciò dovrebbe essere a posto, ma siccome ho dato solo un'unica lettura ad ogni capitolo non ne sono certissima... xD
Ho anche in mente di scrivere delle oneshot su Tekken oltre che continuare questa fanfiction. Ho molte idee in testa già stilate in un file Word, metà delle quali sono storie incentrate su Hwoarang e Xiaoyu (com'era prevedibile xD), ma ce ne saranno altre anche su svariati personaggi di Tekken, alcuni dei quali neppure presi in considerazione qui su EFP (e non capisco perché, certi sono così fYkY ;O;).
Ovviamente ci saranno delle coppie, ed una in particolare piacerà a qualcuno... *ammicca*
*sguardo eloquente*
*silenzio di suspense*
Insomma, spero che mi seguiate anche in questa piccola impresa.
Infine, anche se non c'entra niente, mio fratello ha detto senza sapere neppure nulla di questa fanfiction che secondo lui Hwoarang e Xiaoyu starebbero bene insieme *gongola*. Certo, è anche lo stesso fratello che dice la stessa cosa su Paul e Julia, ma tant'è... xD
E l'ha detto anche una mia amica. E io non me l'aspettavo. E insomma, wow. Devo convincerli a scrivere fanfiction. xD
Appena avrò pubblicato questo capitolo, mi fionderò a mettermi in pari con tutte le fanfiction che seguivo. ♥ Siccome è già tardi non so se commenterò subito o domani, ma lo farò. è_é

ANGOLO RISPOSTE con l'ausilio di uno strano tag HTML che fa molto fYk0

Dying Atheist: *Valy si dà delle capate al muro perché si sente tremendamente in colpa* Mi scuso tantissimo, sono stata molto lenta ad aggiornare, ma una cosa è certa: questa fanfiction non verrà mai abbandonata. *sorride vittoriosa con un rivolo di sangue che le scende dalla fronte*
Sono felice che la fanfiction ti piaccia, e grazie, grazie, grazie, grazie di cuore per aver letto e recensito! ♥
annasukasuperfan: ma io almeno c'ero su messenger? XD E mi dispiace, la coppia sarà quella... sperando che i conati di vomito non siano così eccessivi. xD
*prende valy per le spalle e la scuote come Tenten Scuote fa con Lee* IO TI UCCIDO!!!(e 'sta parte vale per tutte le recensioni che scrivo ai miei autori preferiti XD)
♥ ♥ ♥ ♥ ♥
marty_dream93: u-un'altra fan Hwoarang/Xiaoyu...?! *_*
*trema emozionata, sia per questo che per il fatto che è la prima volta che riceve una recensione che viene scritta per la prima volta da qualcuno*
*aggiunge anche un LOL al simpatico ed arrovellato gioco di parole*
Hwoarang e Ling riusciranno a dichiararsi?
Ma è ovvio! Lui arriverà porgendole un mazzo di fiori e avrà gli occhi sbrilluccicosi con tanto di sorrisone a trentadue denti, le dirà che è una favolosa e bellissima donna e...
*Valy viene picchiata da Hwoarang stesso per così tanto e troppo indigesto OOC*
*si riprende*
Comunque, be', sarà a modo loro, ma qualcosa tra i due accadrà, e te lo assicuro più che mai, perché quel capitolo l'ho già praticamente nella testa, mi manca solo di portarlo a testo scritto! ♥
Ps:se possibile potresti dire a grandi linee i periodi di aggirnamento?
Eh... lo sapessi anch'io. ;_; Però desumo che ora che sono in vacanza possa anche avere la possibilità di aggiornare prima dell'Epifania...
Grazie della recensione! :D
Shuriken:Ok con questo ho finito, andrò a guardarmi qualche cassetta Disney eheh!!XD
*si aggrega*
E' da troppo che non guardo un cartone Disney! xD
Approvo assolutamente il discorso sull'amicizia. Cerco sempre di trattare più temi possibili, non solo l'amore di cui ammetto essere permeata questa fanfiction xD, e mi piaceva parlare dell'amicizia tra Xiaoyu e Miharu, che è a modo loro molto interessante visto com'è tutta l'atmosfera in generale di Tekken...
Mi chiedo anche cosa succederà quando Xia reincontrerà Jin??
*Fa di nuovo una pausa di suspense* Eeeeh... ti dirò solo che Jin è un tassello fondamentale per questa storia, quindi ricomparirà. xD
Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie, grazie e sempre grazie di tutto, Shury, mia fedele sostenitrice delle coppie più strambe! :*
Miss Trent: *si emoziona per ciò che sta per scrivere perché era da tanto che non lo faceva*
AMMMMMMOORRRAAAAAAAAA!
e quando ho visto la data dell'aggiornamento..ripeto, non volevo crederci! xD
Già, l'aggiornamento... *la voce si affievolisce e Valy si fa piccola piccola*
(Miharu...è troppo seria XD)
x°D
Contenta che Hwoarang stia cominciando a piacerti così tanto, perché io l'ho sempre trovato un bel personaggio. *_*
posso dirti che non ho nessuna intenzione di abbandonare neve e sangue
LO SO! Ho visto l'aggiornamento nella mia pagina dei preferiti, è addirittura finita! *sbava, digrigna i denti e si agita per la felicità*
(anche se è nato un progetto collaterale che se impazzisco abbastanza forse potrei dare alle pubbliche letture^^)
*O*
Grazie della recensione, ammorra! ♥
Youffie: Amore tesoro, quanto tempo è che non recensisco questa fic dall'alto contenuto erotico? ;O;
...e per fortuna l'amministrazione non si è ancora accorta che ha solo il raiting giallo, perché, ammettiamolo, ce ne serve uno proprio rosso rosso. :D
Ma parlando seriamente ho intenzione di scrivere davvero una fanfiction erotica sui due. E' tra le oneshot di cui parlavo sopra. *Hint*
Se lo sapesse Hwoarang come minimo rimarrebbe in stato di shock per tredici anni, altro che blocco della crescita XD
xD
Però lo sai che sei crudele, scrivere una scena del genere e poi fare, “Pwa! Scherzetto degli ormoni! :D” è tremendo e dovresti saperlo. Davvero. Quasi quanto le tastatine innocenti (e gli urletti – povera Xiao XD), rly.
rl*Hint* (questa non era necessaria xD)
Nell'incantoooooo dellaaaaaaa nooootteeeee. Eh sì, quel cuoco è italiano, è caricaturalissimo e somiglia a Super Mario: questa è l'idea che si è fatta l'americano dell'italiano tipo, che spero con tutto il cuore si sia fermata agli anni '70, perché io di italiani coi baffi non ne vedo più (ma forse li troverei anche un tantino più buffi e simpatici D:).
E sì, il capitolo è corto, ma dillo che in realtà è perché ti diverti a tenerci sulle spine
No, in realtà è perché ho calcolato male l'insieme dei due capitoli. Infatti questo è lungo più del doppio di quello precedente. xD
e a far fare sogni incredibilmente pornografici (se, magari) e confessioni prima di addormentarsi ai tuoi protagonisti per poi lasciarci come dei guardoni davanti allo schermo, dillo T_T
Se è davvero questo l'effetto che creo, ne vado hintosamente orgogliosa. *_*
I ricordi sono dei gran bastardi, sempre, riescono a farti sorridere e commuoverti con una facilità allarmante.
E' assolutamente vero, e con questa frase hai anche involontariamente anticipato questo capitolo. xD
*hint*
j3nnif3r: quando avevo trovato per la prima volta la tua recensione gongolavo come una scema. Era successo un anno fa, però sto ancora un po' gongolando. xD Ti avevo nominato per caso la storia, e tu sei andata a leggertela tutta... ti adoro. <3
Dei personaggi di Tekken si sa solo dai filmati. Mi ero fatta anch'io un'idea di un Hwoarang più "serioso" al Tekken 3, poi non ricordo come, forse ragionando con qualche amico e vedendolo su una moto, scoprendo poi che era il capo di una banda di malviventi... non so, mi sono fatta questo tipo di idea su di lui. Ma felice che ti piacca nonostante tutto, anche se rileggendo alcuni capitoli dietro mi sono accorta che qualche volta è fin troppo scemo, perciò ho cambiato qualche dialogo xD.
Xiaoyu mi piace assai, non è lo stereotipo della ragazzetta scema ma nemmeno è *troppo* seria e te ne sono grata
*O* In questo ci troviamo assolutamente d'accordo, la Xiaoyu del 5 è veramente troppo stupida, lobotomizzata e stereotipata. Quella del 3 era meglio, a me piace così. .-.
Adoro i loro battibecchi, e l'idea dei soprannomi è geniale
E figurati che quella è stata un'idea che è venuta DOPO il titolo... xD
Approvo in pieno il modo in cui li hai avvicinati. Niente di troppo improvviso che farebbe storcere il naso a chi non li ha mai pensati insieme, niente sdolcinature eccessive o cambi di posizione improvvisi.
*__* Sono contenta che la storia ti dia quest'impressione! E' un po' la prerogativa delle coppie crack quella di creare una situazione che renda le loro relazioni plausibili, perciò spesso ti devi inventare molto e partire da zero... Jin e Xiaoyu in questo senso son più facili, ma io, ovviamente, mi complico la vita, e non seguo mai il canon.
Si ha voglia di sapere cosa succederà dopo, anche se (e questo è bene) non c'è quell'effetto alla Ranma che a lungo andare diventa irritante
E spero con tutto il cuore che ciò non avvenga mai. xDDDDD *bacio*
Lo stile non è da buttar via nemmeno all'inizio, ma poi migliora tanto e va benissimo. ^_^
Meglio così. *_* Ad ogni modo ho ri-rifatta la correzione, decisamente meglio di quella veloce della prima volta, quindi dovrebbe essere migliorata in questo senso :D
Insomma, ti faccio i miei complimenti per il coraggio di trattare un fandom particolare... e sappi che continuerò a leggere!
♥♥♥♥♥♥
(E, cavolo, adesso quando gioco a Tekken e mi capita di far combattere i due fra loro mi scappa sempre un "Awwwww..." XDDDD)
x°DDDDDDDD
Io quando usavo Hwoarang cercavo sempre di fare la mossa in cui corri e poi ti butti addosso all'avversario facendolo restare a terra (l'avversario ovviamente era Xiaoyu), poi facevo la fotina col tasto nonricordoquale e andavo all'album dove c'era una simil-specie di galleria erotica con loro due che copulavano in 20 ambientazioni diverse...
Se non è questo essere Nerd e innamorati della coppia. xD
Davvero, mi ha fatto piacere questo commento! ♥
P.s. non serve essere esperti della "trama" (messa apposta tra virgolette) di Tekken, visto che dal 5 sembra esser diventata inesistente... xD
Silver Princess: Mon amour!
e puoi immaginare la mia faccia quando ho visto che cosa era stato aggiornato qualche giorno fa!
Qualche giorno fa di un bel po' di mesi fa... non ricordo neppure più che giorno fosse, in effetti. xD
ormai c'è qualcosa di mm... magnetico (XD la fisica mi sta dando alla testa) tra quei due!! *-* aww
Non m'intendo assolutamentissimamente di fisica, ma è assolutamente vero. *_* Magnetismo = Hwoarang · Xiaoyu. Ditelo a tutti i vostri professori di fisica xD
Spero di leggere presto un nuovo capitolo! Alla prossima! ^^
Presto... be', presto... d'altronde, presto è qualcosa di così relativo... xD
Ahahah... sìì mi ricordo il discorso sui pan di stelle!! *ç*
Gnum. *ç*
morrigan89: *O*
*O*
Cercherò di citare i punti che riesco a commentare, per il resto... *O*
Hwoarang è quello che si può definire uno "spaccone dal cuore d'oro"
Questa mi piace! ♥
(e mi fa morire dal ridere quando si accapiglia con Jin xD)
xD
Xiaoyu è fantastica e si vede un gran mutamento in lei da quando abbandona la sua vita di sempre per unirsi alla banda del rosso
Questa è una delle cose a cui tenevo mostrare durante la storia, la maturazione di Xiaoyu... sono contenta che tu l'abbia notata. Certo, non è avvenuta in modo eclatante, ma un piccolo mutamento c'è stato, e tu l'hai colto! :D Insomma, la mia Xiaoyu è il contrario di quella dei Tekken, dove da gioco a gioco diventa sempre più scema xD
Mugen, Rana e Jhon sono degli ottimi "original characters", suscitano subito simpatia per la loro chiassosità e per l'amicizia che li lega.
Oh. ♥ E' bello sentir dire ciò anche su di loro. Per me, ormai, fan parte integrante della storia. xD Loro e tutta la periferia Est sono un po' l'atmosfera che voglio dare in generale alla fanfiction. :D
E' stato bello vedere la comparsa di Marshall e Paul, gli amici più scoppiati di Tekken
Ed è appunto per questo che rientrano tra i miei personaggi preferiti. xD
e di Forest (non sapevo che fosse uno stilista!)
No, be', non penso... quella dello stilista è stata una mia idea. xD
Inoltre mi piace il modo in cui rendi questa atmosfera da "giungla urbana" in cui si ritrovano i protagonisti, il vivere senza orari e senza regole, in un ambiente ostile ma che loro conoscono come le proprie tasche
*pende dalle sue labbra*
Per tutto ciò che non si poteva citare, rispondo soltanto - ma questo si capiva anche soltanto dalla faccina *O* - che sono strafelice e ti ringrazio immensamente! ♥
Maper il lettore maschio: eeeh, sì, meglio tardi che mai! :D
AH... se non vuoi perdere il tuo "lettore maschio" guadagnato dopo tanta fatica, ti conviene AGGIORNARE!... Una minaccia?! chi io?!? nooooo^^ XD
Sperando che non sia troppo tardi, ecco, NUOOOO NON MI ABBANDONARE, IO TI VOGGGGLIO BBBENEEEE! ;O;
Lally30: *______________* (e questa è stata la risposta più corta e significativa di tutte xD)
Ti ringrazio della recensione! ♥
Taiga Aisaka: Recensisco con il nuovo account, ma sempre la figlia sono XD
Vorrai dire la pornofiglia! *sguardo eloquente*
Ah quanto mi è mancato leggere questa storia! Mi ci sono appassionata così tanto che ormai sai che io shippo la XiaoHow con tutto il mio tenero cuoricino <3
uh, sìììììì! Ne ero sicura! Conosco la mia pornofiglia come nessuno e anche perché ho spiato il tuo account xD
Il capitolo mi è piaciuto un sacchissimo *-*, sarà cortino ma ben concentrato *ç*
Quello che segue lo è fin troppo xD
Cioé, c'è sono quella scena semi porno che mi fa sbavare XQ___. Quei due non ammetteranno mai di amarsi, a meno che non si prendano a parole o a calci XD
*O* E se ti dicessi che mi è venuta un'idea? xD
è anche gustata la rimpatriata a casa di Miharu *_*: i vecchi tempi sono sempre i più belli.
E' assolutamente vero. u_u
Io avevo avvertito che non avrei scritto granché di intelligente ma volevo troppissimo lasciarti una recensione, anche per farmi perdonare del mostruoso ritardo =*
Mi dovrò far perdonare io, piuttosto. xD
:*
Slepless: essendo il fatto che tu hai scritto quello che hai scritto... io già ti amo! ♥


SPAM SPAM SPAM Leggete Il Maledetto modulo di j3nnif3r, perché lei oltre ad essere una validissima scrittrice ha anche pubblicato una fanfiction sui miei beniamini, e, be', amatela come l'ho amata io.
A dimostrazione che nel web esistono fanfiction italiane su Xiaoyu e Hwoarang oltre la mia. xD /SPAM

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Donna ***


Xiaoyu, durante il suo lavoro da cameriera al Matto, aveva imparato che non esisteva un orologio a scandire il tempo per determinare quando il suo turno sarebbe finito. Come in ogni altro luogo della periferia est, il ristorante di Law non seguiva le consuetudini sociali degli orari lavorativi, adeguandosi a una regola anarchica e anticonvenzionale tutta sua, semplice e cristallina: quando i clienti cominciavano ad acquietarsi era quasi arrivato il momento di staccare da lavoro.
In quel momento, al Matto regnava un insolito silenzio. Gli uomini che erano rimasti ad occupare i tavoli giocavano a carte, parlottando a voce bassa o alzandola ogni tanto quando un avversario vinceva la mano. Marshall era seduto sul davanzale della finestra vicino la cucina con la consueta sigaretta tra le dita e Forest era al tavolo con Paul ad ascoltare la musica nel vecchio lettore di musicassette del padre.
Dopo aver pulito l’ultimo tavolo libero e sistemato le sedie, Xiaoyu cominciò a spazzare per il locale, quando vide Marshall bloccarle la strada e prendere la scopa.
“Qui continuiamo noi, non preoccuparti,” le disse porgendole alcuni contanti. “Per il lavoro di stasera.”
Xiaoyu aggrottò la fronte confusa dopo aver contato le banconote con attenzione. “Ma non sono troppe?”
“Nah, va bene così,” rispose il Law agitando la mano velocemente. “Hwoarang ci ha detto della tua situazione con l’appartamento, così abbiamo deciso di darti qualche soldo extra.”
La bambina si commosse, guardando prima le banconote con un sorriso, poi affievolendo l’espressione, fino a diventare triste.
“Sei gentile, ma… non posso accettare,” disse restituendo i contanti in più. Conosceva la situazione economica dei Law, il continuo scappare da strozzini che li minacciavano per i debiti accumulati. Era stato un gesto dolce, il suo, ma la Ling non voleva contribuire a rendere la loro condizione finanziaria ancor più difficile.
Marshall la guardò interdetto, così Xiaoyu cercò subito una spiegazione che non lo offendesse. Conosceva il gestore del ristorante, sapendo che aveva un orgoglio che solo un presuntuoso e cocciuto capobanda di sua conoscenza poteva superare:
“Il fatto è che… non mi sembra giusto guadagnare di più lavorando le stesse ore di sempre,” spiegò, sperando di essere stata sufficientemente persuasiva.
“Marshall, dalli a me quei soldi!” eruppe Paul con un tono di voce persino più dirompente del solito per via della musica a tutto volume nell’orecchio destro.
“Fossi matto! Con tutti quelli che ancora mi devi, razza di balordo scansafatiche che non sei altro!” s’infuriò Law agitando un mestolo che aveva sempre nelle vicinanze solo per rappresentare scenette di quel tipo.
“Papà ha detto la parola matto… speriamo non se ne sia reso conto,” bisbigliò intimorito Forest a Xiaoyu, ricordandosi che quel termine tabù era bastato per cacciare dal locale un intero gruppo di biker pericolosissimi.
“Su, non fare il solito guastafeste e fidati di me!” esclamò Paul rubandogli i soldi di mano. Marshall lo fulminò con lo sguardo e strinse ancora di più la presa attorno al mestolo. Quando fu in procinto di sferrare il colpo alla schiena del biondo, si bloccò appena sentì le parole dell’amico:
“Ecco, Xiao, questi sono per te,” disse Paul posando i soldi sul tavolo vicino alla ragazza. “Sono la mancia di un cliente, perciò puoi accettarla senza sentirti in imbarazzo.”
La bambina e Marshall lo guardarono stupiti, la prima per la spontanea generosità, il secondo per quel lampo di genio avuto che mai si sarebbe aspettato da quel sempliciotto del suo amico.
“Xiao, prendi anche questi!” s’intromise un altro del tavolo delle carte, porgendole alcune banconote. “Preferisco darli a te come mancia che a quello stronzo di Shigure che me li fotte sempre barando a poker!”
“Non sono un baro!” si adirò quel che Xiaoyu presuppose fosse Shigure mentre si avvicinava a lei. “Ecco a te, dolcezza, ti do tutta la mia vincita come mancia,” soggiunse, dopodiché lanciò all’amico uno sguardo furioso, “soldi che ho vinto onestamente!”
“Avanti, lo sanno tutti che sei stato cacciato da tutti i casino perché baravi!” urlò il tipo che aveva perso quasi tutto poco prima.
“Era una vita fa! Ora sono cambiato!”
“Una vita fa?! Ma se è successo neppure una settimana fa!”
Mentre i ragazzacci di strada battibeccavano su chi avesse ragione con toni sempre più alti e vocaboli sempre più forti e fantasiosi, Xiaoyu allungò piano le mani e guardò i soldi, stimando che sarebbero stati più di trentamila yen. La ragazza se li strinse al petto e cominciò a piangere.
“Ehi, cretini, guardate che avete fatto!” ingiuriò uno dei farabutti del tavolo del poker notando le lacrime della bambina, “l’avete spaventata coi vostri modi da scaricatore di porto! Non sapete proprio come ci si comporta davanti a una signorina!”
Tutti si girarono a guardare afflitti Xiaoyu, che scosse la testa e sorrise.
“Non è così, è che… siete stati così generosi e dolci e… mi sono commossa,” spiegò asciugandosi veloce una lacrima e gettandosi al collo di Paul e Shigure.
Il biondo sorrise e le accarezzò paternamente la testa, mentre l’altro le cinse la schiena e andò giù con la mano.
“Non ci provare!” urlò Marshall prendendo a mestolate il braccio di Shigure, riuscendo in tempo a bloccare la mano molesta che altrimenti si sarebbe già posata sotto la gonna da scolaretta. “Baro, bugiardo e pure maniaco sessuale!” soggiunse fulminandolo con lo sguardo.
Xiaoyu, che non si accorse di niente presa da quel momento affettuoso, si staccò dai due e abbracciò entrambi i Law, che rimasero di stucco. Forest ridacchiò imbarazzato e Marshall addolcì lo sguardo in un’espressione che pochissimi in quella periferia avrebbero potuto scorgere.
La ragazza si scostò da loro e sorrise a trentadue denti. Si pulì in maniera maldestra gli occhi, proprio come una bambina, poi prese la cartellina della scuola e guardò tutti da sotto l’uscio dell’ingresso tirando su col naso. “Non me lo dimenticherò mai!”
Salutò e scese le scale. I presenti rimasti in sala sorrisero e si affacciarono alla finestra per vederla correre via e poterla salutare di nuovo.
“È bello trovare persone così… fanno sperare che il mondo sia un bel posto,” convenne uno del tavolo del poker con aria sognante, ma non appena si girò e adocchiò Shigure con una carta in mano che cercò goffamente di nascondere dietro la schiena cambiò completamente espressione. “Shigure! Posa subito quella carta, razza di imbroglione da quattro soldi che non sei altro!”
“Non ho fatto niente!” si difese l’altro con impeto. “Stavo solo aggiustando i mazzi!”
“Ti aggiusto io, ti aggiusto! Vieni qui, non scappare!”
Forest roteò gli occhi divertito, seguendo la scena con le braccia conserte. La normalità aveva di nuovo preso il sopravvento nel locale.

Xiaoyu saltellava felice come una bambina in direzione del covo della periferia est. Era così contenta che se il blouson noir l’avesse vista e presa immancabilmente in giro non le sarebbe importato niente. Nulla le avrebbe tolto quel sorriso grato dal viso.
Si fermò dopo aver sentito un rumore improvviso tra i cassonetti della spazzatura. Assottigliò gli occhi per vedere meglio e notò un gatto nero uscire dal vicolo.
“Micio micio micio!” esclamò avvicinandosi al gatto. L’animale le si strusciò sul polpaccio e cominciò a fare le fusa non appena venne coccolato. “Sei proprio carino! Ti va di venire con me?”
Lo prese in braccio e, nonostante fosse un randagio, si fidò subito di lei acciambellandosi tra le sue braccia.
La bambina sorrise e cominciò a correre concitata.

Al covo, si stavano tutti preparando all’imminente arrivo di una banda di piccoli criminali che il blouson noir conosceva di persona. Visto che tra qualche giorno lui e Xiaoyu sarebbero entrati alla Mishima Zaibatsu, decise che era preferibile avere in dotazione qualche marchingegno che potesse facilitare il loro lavoro di infiltrati.
Il capo di quella banda, Geon, era un coreano come Hwoarang. Si erano conosciuti a Seoul e avevano lavorato insieme per qualche anno. Trasferitosi a Tokyo, Geon aveva formato un team di ladri e informatici che si occupava di rubare dispositivi elettrici e migliorarne le prestazioni, rendendo i prodotti unici e di valore per il mercato nero.
Il blouson noir attendeva l’arrivo del furgone al ciglio della strada sterrata, fumando una sigaretta per far passare il tempo. Sentì il rumore di un motore avvicinarsi e le luci di due fanali gli offuscarono la vista. Mise una mano davanti per coprire gli occhi e sorrise.
Il furgone si fermò e il primo ad uscire fu un ragazzo poco più grande del blouson noir, dai capelli gellati all’indietro e con un completo di marca elegante. Appena vide il rosso, allargò le braccia ed elargì un sorriso sincero.
“Hwoarang, vecchio mio,” disse abbracciandolo. L’altro contraccambiò.
“Che ti è successo, Geon? Sembri uno di quei figli di papà che ti divertivi a derubare,” scherzò il blouson noir divertito.
“Te l’ho detto che il mio è un lavoro remunerativo. Il campo informatico è un mercato in crescita,” spiegò Geon tirandogli qualche pacca amichevole. “Ti presento i miei soci,” disse poi facendo cenno ai due usciti dal furgone di avvicinarsi.
Hwoarang vide due figure in controluce completamente diverse tra loro: uno era alto, con le spalle grosse e la schiena dritta, mentre l’altro era basso, tarchiato e leggermente ingobbito.
“Lui è Hideo,” disse Geon indicando quello più basso, “il mio piccolo genio dell’informatica. Ha appena diciott’anni e sa già costruire marchingegni come un tecnico della NASA e spippolare meglio di un programmatore della pubblica sicurezza.”
“Piacere, ho sentito tanto parlare di te,” affermò Hideo stringendo forte la mano, annuendo la testa e sorridendo.
“L’altro è Mukuro,” aggiunse Geon indicando il secondo ragazzo, che rispose solo con un cenno veloce della testa. “Lui è la mia guardia del corpo.”
“Vi faccio strada nel mio covo,” disse Hwoarang fumando l’ultima boccata di sigaretta.
I tre, con a capo il rosso, superarono una rete metallica passando da un buco ed entrarono nel piazzale dove li aspettava il resto del gruppo, che aveva predisposto per l’occasione dei tavoli accompagnati da due faretti a led.
Aprirono gli zaini e adagiarono sul piano ogni tipo di diavoleria elettronica, tra cellulari, chip, tessere magnetiche e microfoni. Poco dopo, sentirono un calpestio frettoloso avvicinarsi sempre più. I tre sconosciuti notarono sorpresi una scolaretta coi codini alti avvicinarsi concitata con un largo sorriso stampato in faccia.
“Ehilà, Xiaoyu!” la salutò felice Mugen.
“Ciao a tutti, vi presento Gatto!” esclamò la bambina agitando al vento la bestiola. “Girovagava vicino al Matto e si è fatto prendere in braccio. È carino da morire, vero?”
“Chi diavolo è questa ragazzina?” chiese Geon perplesso.
“Non preoccuparti, è dei nostri,” informò allegramente John.
“Nella vostra banda potete avere i seguaci che volete, ma io non faccio affari coi poppanti,” sentenziò il coreano lanciando uno sguardo storto alla ragazza, la quale spalancò gli occhi allibita e spense ogni accenno di sorriso.
“Ehi, Geon,” disse Hwoarang avvicinandosi a lui con espressione seria e determinata, “so che in apparenza può non sembrarlo, ma è una persona affidabile nonché una delle migliori combattenti di arti marziali che abbia conosciuto,” soggiunse facendo spalancare ancora di più gli occhi di Xiaoyu dalla sorpresa. Era la prima volta che il blouson noir usava delle parole così elogiative nei suoi confronti, e non aveva idea che pensasse questo di lei. “Se tu la vedessi in azione-”
“Non mi interessa. Può anche distruggere un intero battaglione della Mishima Zaibatsu con un solo calcio, ma io non lavoro con le ragazzine, è la mia regola,” decretò Geon severamente. Nessuno disse una parola e Hwoarang si girò verso la bambina per guardarla con un’occhiata seria e impercettibilmente dispiaciuta. L’afferrò per il polso e in silenzio la portò verso il piazzale.
“Mi stai seriamente mandando via?!” chiese Xiaoyu basita e offesa cercando di divincolarsi dalla sua presa.
“Gli affari sono affari,” disse soltanto il blouson noir.
“Che significa gli affari sono affari? Non è giusto!”
“Tanto non fa differenza se ci sei o meno. Ti aggiornerò sulle funzionalità di quelle diavolerie stasera stessa, ok?”
“Ok un corno!” ribatté Xiaoyu che con un gesto del braccio più impetuoso degli altri riuscì infine a liberarsi della presa del compagno. “Quel tizio ha la mentalità più chiusa e maschilista di un novantenne uscito da un convegno di redneck!”
“Sono d’accordo, ma certo anche te non rendi facile la situazione...”
“Che vuoi dire?”
“Che ogni volta ti comporti come una mocciosa di ritorno da un negozio di giocattoli col suo nuovo peluche! Se vuoi che le persone ti prendano più seriamente dovresti essere più matura!”
Xiaoyu aggrottò la fronte sconcertata.
“Perché poi continui a portarti dietro tutte queste bestie? Pensi di trovarti in un parco giochi o in uno zoo? Siamo un covo di criminali!” continuò imperterrito Hwoarang. “Ci hai portato cani, gatti, pipistrelli, una volta persino un tanuki, e li chiami tutti col nome della loro specie animale! Possibile che hai fantasia sufficiente da inventare dei siparietti imbarazzanti con degli sconosciuti e non riesci a dare un nome che non sia Cane, Gatto, Tanuki…!”
La bambina indietreggiò di un passo e strinse i pugni, guardando amareggiata il suo compagno, il quale solo in quel momento si rese conto di aver esagerato, spinto da una collera immotivata. Era stata causata dal fatto di non essere riuscito a gestire la situazione con l’amico come avrebbe voluto. Era stato l’atteggiamento scontroso di Geon a farlo incazzare, non lei.
Si massaggiò nervosamente la faccia e fece un profondo respiro per calmare i bollori.
“Ne riparliamo dopo,” riuscì solo a dire senza, come sempre, trovare la forza e il tempo di scusarsi.
Xiaoyu lo vide tornare dagli altri a passo svelto. Girò anche lei i tacchi, diede un calcio a una lattina vuota a terra e andò nella direzione opposta.

La bambina vagava da venti minuti per le strade buie della periferia est senza una meta. Non poteva né voleva stare al covo e non aveva più l’appartamento in cui tornare. Quel pensiero le fece pizzicare di nuovo gli occhi. In una giornata era riuscita a malapena a raggiungere un quarto della cifra necessaria per riavere casa, realizzando che solo un miracolo avrebbe potuto aiutarla a trovare i soldi necessari entro domani.
Strinse con delicatezza la presa attorno al gatto che dormiva acciambellato tra le sue braccia, costringendosi a non fare uscire le lacrime strizzando gli occhi e ispirando forte. L’aria fredda l’aiutò a calmare i bollori e le diede un brivido lungo la spina dorsale. Si fermò per qualche secondo per guardarsi attorno.
Si trovava in una strada sconosciuta che fiancheggiava una staccionata consunta e scolorita, la quale divideva la carreggiata dalle rotaie di una ferrovia. Una pompa di benzina abbandonata e buia aveva ancora il residuo pungente dell’odore di benzina e pochi lampioni erano in funzione. Più avanti, la bambina poté notare delle luci di fanali sfrecciare lungo uno stradone a quattro corsie. In quel punto la vita urbana riprendeva il controllo della città e Xiaoyu decise di dirigersi lì: il suono di automobili avrebbe potuto distrarla dal pensare all’appartamento e a quel fastidioso ricordo delle ultime parole del blouson noir. Era meglio del silenzio surreale delle vie abbandonate che la inducevano solo ad avere più pensieri in testa.
Dopo aver raggiunto lo stradone, girò a sinistra e sorpassò un passaggio a livello. In lontananza, scorse i locali aperti e le finestre di alcuni appartamenti inondati di luce.
“Bel costume, piccola,” sentì poi dire da una voce femminile provenire dal ciglio della strada. Xiaoyu si voltò e notò una decina sagome attorno a tre bidoni di alluminio nel quale erano stati accesi dei fuochi. Una di esse si avvicinò a lei, una donna alta, dall’abbigliamento eccentrico. Aveva un boa attorno al collo, un vestitino scollato e calze a rete. La bambina la guardò per capire se la conoscesse, ma era un’impresa difficile: il trucco pesante e acceso non ne faceva capire né età né la fisionomia.
“Fammi indovinare…” disse la donna con voce divertita girandole intorno e squadrandola con attenzione, “sei la scolaretta timida e un po’ ingenua che cerca in ogni uomo una figura paterna.”
Xiaoyu arcuò un sopracciglio confusa e provò a chiedere cosa intendesse dire, ma la donna le impedì di parlare accarezzandole un ciuffo e soggiungendo:
“Questi codini sono un tocco di classe! Per non parlare della divisa… sembra vera!” affermò annuendo sbalordita. “Venite a dare un’occhiata, ragazze!”
Due di loro si avvicinarono e si misero quasi all’unisono con le mani sui fianchi per squadrarla meglio.
“Diavolo, tesoro,” disse quella più in carne ammantata di un vestito attillatissimo prendendola per il mento. “Sembri proprio una sedicenne… quanti anni hai?”
“Scommetto che ai clienti dici che per te è la prima volta e di essere gentili…” proruppe l’altra, una donna di colore con dei fianchi larghi messi in evidenza da pantaloncini cortissimi. “Quando sono tra le cosce di una donna, gli uomini si bevono veramente tutto.”
“Amen, sorella!” esclamò quella in carne ridendo.
“Quel gatto fa parte del personaggio?” chiese la donna alta.
“In effetti una come te farebbe comodo al gruppo. Non hai idea di quanti uomini abbiano questo tipo di perversione… sei venuta a proporti?”
Xiaoyu, che prima non riusciva a parlare a causa dell’energico slancio delle donne, adesso si trovava a non spiccicare parola per lo shock di aver capito chi fossero davvero. Non che fosse difficile visto la serie di indizi ovvi che avevano lasciato, come ad esempio il posto in cui si trovavano e l’abbigliamento che definirlo succinto era un misero eufemismo. Per non parlare della disinvoltura con cui parlavano di certi argomenti.
Erano prostitute, donne del mestiere che aspettavano i propri clienti sul ciglio della strada. E la cosa più assurda era che l’avessero scambiata per una potenziale collega. Non si offese per questo, anzi: dopo mesi che il blouson noir insisteva a ricordarle quanto le mancasse la carne nei punti giusti per definirla anche solo una ragazza, quelle passeggiatrici le regalarono un prezioso complimento, sebbene a modo loro.
“Ragazze, non vorrei rovinare il vostro magico momento ma… e se la piccola fosse davvero una studentessa?” proruppe una di loro da lontano.
“Cielo, no… che ci farebbe in giro a quest’ora?”
“Sei forse scappata di casa? Dio mio, stai bene, tesoro?”
Ancora più donne cominciarono ad accerchiarla e Xiaoyu si sentì sempre più torchiata dalla loro energia e femminilità.
“Ehm…” riuscì a dire soltanto. “Non sono scappata. Abito… qui vicino.”
“Piccola, guarda che se ti è successo qualcosa puoi fidarti di noi. Metà delle ragazze hanno avuto esperienze simili…” affermò con tono materno una rossa prendendole il viso tra le mani.
“Madeleine, vieni a dare un’occhiata, forse la conosci?” esclamò una di loro, e Xiaoyu sgranò gli occhi sorpresa, sicura di aver già sentito questo nome.
Cercò di rammentare, di sforzare la memoria, che infine affiorò.
Si ricordò dei ragazzi del covo del coreano, delle battute un po’ scorrette e un po’ sporche su una certa Madeleine. La chiamavano la bella dal cuore di ghiaccio, la sanguisuga e l’arraffa soldi. La migliore notte che un uomo poteva avere, nonché la sua inevitabile rovina economica.
Xiaoyu comprese che quelle donne altro non erano che le vecchie conoscenze del covo della periferia, rimembrate ogni tanto per qualche goliardica nostalgia di qualche membro della banda.
Ma non fu quella la più grossa delle sorprese. Scorse una bionda avvicinarlesi con curiosità, una donna bellissima dai lineamenti delicati e il volto di una bambola di porcellana. Quando però riuscì a collegare quel viso a qualcuno di sua conoscenza, la bambina spalancò la bocca e disse, con appena un filo di voce:
“Shiori…?”
Madeleine, un nome evidentemente d’arte, altro non era che la sua vicina di casa.
“Xiaoyu?” si sorprese a sua volta la finta bionda prendendola per le mani. Osservò con apprensione la ragazza che boccheggiare senza dire nulla, così si girò verso il gruppo.
“Qualcuno porti una sedia, per favore,” disse, conducendo la bambina da essa. “Vieni, siediti un attimo,” soggiunse dolcemente facendola accomodare e mettendosi accucciata di fronte a lei. Le altre, curiose, si misero tutte attorno con la faccia eccitata di chi è appena giunto al momento clue di una soap opera.
“Che ci fai qui? Ti è successo qualcosa?” chiese preoccupata Madeleine.
“Tu, piuttosto…” riuscì soltanto a dire Xiaoyu ancora stupita. La donna abbassò lo sguardo.
“È una storia lunga… non credo che basterà una notte per raccontartela. Ma devo chiederti un enorme favore,” scongiurò Madeleine guardandola intensamente negli occhi. “Non dire niente all’amministratore del condominio su quello che faccio. Se lo scoprisse, mi caccerebbe di casa e potrebbe persino chiamare la polizia.”
“Certo che non lo farò,” promise sentitamente la bambina senza pensarci neppure due volte. Non conosceva la storia di quella donna, ma il suo intuito le aveva sempre suggerito essere una persona buona e onesta. “E poi io odio quel tizio, perciò se posso fargli il dispetto di nascondergli un segreto accetto più che volentieri.”
Madeleine ridacchiò e le accarezzò il viso, e la cinese percepì in quel gesto la gentilezza spontanea e disinteressata di una madre.
“Quindi fatemi capire,” disse una voce alle spalle di Xiaoyu, “voi due siete vicine di casa e vi siete appena incontrate nel posto più improbabile di tutta Tokyo?”
“Eh già,” ammise Madeleine, scaturendo un coro unisono di uuuh meravigliati.
“Non ci hai ancora detto chi sei e cosa ci fai qui,” convenne un’altra guardando la bambina.
“Be’, ecco…” cominciò a spiegare Xiaoyu incerta direzionando lo sguardo da una prostituta all’altra, e poi guardò Shiori. Era stata così dolce e spontanea la fiducia che le aveva riposto che le venne naturale contraccambiare:
“Qualche mese fa sono entrata a far parte del covo della periferia est per scoprire cos’è accaduto a una persona a me cara,” disse la cinese. “Io e i ragazzi avevamo un obiettivo comune, perciò ho cominciato a vivere e lavorare con loro.”
“Allora la storia che avevo sentito è vera!” esclamò stupita una delle donne attorno a lei. “Girava voce che una ragazzina si era unita al gruppo di Hwoarang!”
Xiaoyu si stupì che conoscessero quel nome, e seguitarono delle inaspettate reazioni: alcune si sorrisero tra loro lanciandosi sguardi complici, altre guardarono sognanti il cielo come a voler afferrare un bel ricordo. Erano dannatamente cotte di lui, oh come lo si vedeva. Era talmente ovvio che persino un’inesperta in amore come Ling se n’era accorta: inesperta nell’esperienza diretta, ma sapeva bene cosa volessero dire tutte quelle occhiate, visto che lei stessa tempo fa le dedicava a Jin quando neppure si accorgeva della sua presenza, ossia la maggior parte delle volte, perso in chissà quali silenziosi tormenti mentali.
Poteva solo immaginare il motivo per il quale tutte quelle donne provavano così tanto ardore nei riguardi del blouson noir: ad ogni ragazza che incontrava lanciava degli sguardi da seduttore nato, faceva qualche complimento a bassa voce e riusciva a giocarsele con del contatto fisico ben studiato – una mano sulla spalla o una carezza sul dorso della loro mano. Xiaoyu l’aveva visto in azione ben due volte, sconcertandosi di quanto fosse diverso dal modo in cui trattava lei, come una specie di poppante, di ragazzina ingenua da prendere costantemente per i fondelli, a cui non dedicare mai una parola carina.
In un moto di nervosismo, Xiaoyu si mise a braccia conserte e fece il broncio.
“Quindi conoscete anche voi quell’idiota,” disse soltanto, rendendosi conto in ritardo di quanto fosse suonata antipatica quell’uscita. Le donne risposero ridendo di gusto e a gran voce, lasciandola di stucco.
“Be’, dolcezza, saresti l’unica di noi a odiarlo,” scherzò una di loro cercando con lo sguardo il consenso delle altre.
“C’è un motivo per il quale gli siamo così grate,” spiegò Madeleine, “e non solo a lui, ma a tutti i membri della banda. Per qualche anno siamo state costrette ad avere a che fare con dei… protettori poco onesti. Ci costringevano a lavorare per pochissimi soldi, prendendosi una percentuale schifosamente alta, e ci minacciavano ogni volta che cercavamo di affrontarli. Poi, un anno fa, i ragazzi di Hwoarang sono arrivati e li hanno cacciati, rendendo il nostro lavoro libero e sicuro. Alcuni di loro si offrono tuttora per della protezione gratuita, sai… quando un cliente non si comporta come si deve.”
La cinese ascoltò senza dire una parola. “Hwoarang non me l’ha mai raccontato…” mormorò interdetta.
“Tipico dei maschi come lui,” disse quella di colore scuotendo la testa. “Vogliono per forza passare per cattivi ragazzi e non mostrano mai il loro lato dolce.”
“Vi ricordate com’erano gli uomini della periferia est prima di incontrare Hwoarang?” esclamò la tipa in carne, ridendosela di gusto.
“Come no. Una mandria di reietti. Sai, piccola, quel tale coi tatuaggi, Mugen…” raccontò la donna alta e truccatissima, “era un ragazzino scappato anni prima da un orfanotrofio.”
La bambina aggrottò la fronte dispiaciuta per il suo amico tatuato. Non aveva idea che quei ragazzacci sempre di buon umore e simpatici avessero un passato così travagliato. Si rese conto di non conoscerli come pensava...
“E quello grosso, l’americano...”
“John!”
“Sì, John!” ripeté la donna puntando il dito divertita. “Lui era un circense!”
Stavolta Xiaoyu spalancò la bocca sorpresa. Questa, poi.
“Ne trovi di tutti i colori in quel covo,” ritenne una donna un po’ più grande delle altre, sulla quarantina. “Persone che hanno perso tutto per affari andati a male, ex militari di guerre in Medio Oriente, scappati di casa, uomini che in un modo o nell’altro si sono rovinati per amore...”
La cinese si morse il labbro e guardò a terra. Quella sera, tra Madeleine e tutto il resto, c’erano tante nuove scoperte da metabolizzare.
“Poi è arrivato Hwoarang,” continuò a raccontare un’altra, “che li ha raccolti e guidati creando il gruppo di balordi uniti e intraprendenti che tu conosci. E così, l’hanno proclamato capo.”
Xiaoyu sorrise e si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e reggendosi la testa. “Sono proprio contenta di avervi conosciuto… mi avete accolta trovandomi che vagavo senza meta e raccontato tutte queste storie che non conoscevo…” ammise sinceramente grata.
“Aw, sentito che zuccherino?” disse la tipa alta strizzandole la guancia e facendola ridere imbarazzata. “Peccato che tu sia minorenne. Una così i cuori degli uomini li strappa e li cucina a merenda. Avresti tanti di quei clienti...”
“Non provare a traviare la mia piccola,” protestò scherzosamente Madeleine. “Piuttosto, parlando di Hwoarang e gli altri, perché ti hanno lasciata tutta sola?”
Come di consuetudine, proprio come una bambina, Xiaoyu cambiò repentinamente e spontaneamente d’umore facendo una smorfia contrariata.
“Be’… stasera sono arrivate delle persone con cui fare alcuni affari, e il loro capo ha detto che non voleva tra i piedi una ragazzina come me, così me ne sono andata…” rispose la cinese ancora inviperita per quell’episodio.
“Che… stronzo!” esclamò senza freni una delle tante.
“Odio gli uomini così… si atteggiano come se ogni cosa che fanno fosse di vitale importanza… scommetto che è solo un fannullone che non sa neppure allacciarsi le scarpe da solo!”
“Ben detto!”
“Perché non gliela facciamo pagare?” propose Madeleine con un sorriso furbo. “Di clienti, ormai, non c’è più l’ombra, e potremmo andare a trovare i ragazzi, visto che non li vediamo da tanto… approfittandone per fare un bello scherzo a quel tizio.”
“Hai in mente qualcosa?” chiese la tipa di colore sicura della risposta. Era una domanda retorica, lo sapeva bene, ma non vedeva l’ora di conoscere la ragione dello strano luccichio negli occhi di Madeleine.
“Pensavo…” disse quest’ultima con voce eloquente guardando la cinese, “potremmo portare Xiaoyu al covo e vestirla come una di noi. Così facciamo vedere a quel gradasso che non è affatto una ragazzina, ma una donna in tutto e per tutto.”
Le altre esultarono all’unisono, tranne la bambina che guardò Madeleine non capendo il nesso di ciò che aveva detto con la storia del capobanda antipatico.
“Non capisci, piccola?” esultò una di loro, “ti presenterai a lui come la più sexy delle femmine, magari gli farai pure qualche moina, e quando sarà bene cotto ti toglierai la parrucca e riderai di lui, anzi, rideremo tutte insieme, vero ragazze?”
“La parrucca…?” fu l’unica domanda che venne in mente a Xiaoyu di fare, oltre alle altre tante che non aveva idea di come formulare. La logica di queste donne era contorta e femminile. Forse non era sufficientemente grande da capirla?
“Ma è ovvio! Ci vuole una parrucca, un nuovo vestito e del trucco, così non ti riconoscerà nessuno, neppure quelli del covo,” spiegò la tipa in carne con ovvietà.
La bambina le lanciò uno sguardo tra lo sconcertato e il divertito. “Ma questo è impossibile, vivo con loro da mesi!”
“Sopravvaluti i maschi, tesoro,” commentò una di loro scuotendo la testa e ridacchiando.
“Non vedo l’ora di vedere la reazione di quel coglione.”
“Già me lo immagino. Sarà un momento memorabile da premio Oscar.”
“Allora, ci stai?” chiese Madeleine con un sorriso magnetico ed entusiasta.
Xiaoyu sentì lo sguardo di tutte su di sé. Ancora non aveva capito il senso di quel piano, ma vedere le espressioni concitate ed elettrizzate di tutte quelle donne che la scrutavano nella speranza di una risposta affermativa la persuasero ad accontentarle. Era da tanto che non aveva una complicità così sincera e disinvolta con delle persone, e quelle prostitute, per quanto conosciute da pochissimo, si erano già accaparrate con estrema facilità l’affetto della bambina.
“Facciamo vedere a quello scemo chi siamo!” esclamò alzandosi dalla sedia e alzando un braccio.
Un coro squillante e femminile echeggiò in risposta per le strade deserte della periferia.

Un silenzio inusuale e teso governava in tutto il covo dell’est. L’unico rumore che il blouson noir udiva era il frusciare delle banconote che venivano nervosamente contate da John al suo fianco. Il rosso alzò con casualità lo sguardo dalla microspia appena acquistata per osservare l’amico, trovandolo con un’espressione dura e accigliata. Anche Mugen e Rana, vicino al tavolo, avevano lo stesso sguardo.
Sentirono in lontananza Geon scoppiare a ridere con Hideo, e Rana, in risposta, fece una smorfia infastidita.
“Non mi piace quel tizio,” ammise soltanto guardando il suo capo.
“Già. Scusa tanto, boss, ma il tuo amico è un vero stronzo,” concordò John fissando di sottecchi il diretto interessato.
“Non è mio amico,” replicò soltanto il blouson noir.
“Xiaoyu ancora non si è fatta viva,” disse preoccupato Mugen. Era più di dieci minuti che continuava a sondare con lo sguardo tutto il piazzale, e solo in quel momento Hwoarang ne capì la ragione.
“La bambina sa badare a se stessa,” ritenne il rosso con severità. “Vi ricordate come vi ha conciati la prima volta che vi ha incontrato?”
“Già…” ammise John incrinando l’angolo del labbro. Fu il primo accenno di sorriso di quell’ultima ora.
Il silenzio tornò a regnare all’interno del gruppo. Hwoarang si accese una sigaretta, ma prima di ispirare la boccata guardò gli amici con uno sguardo riflessivo.
“Potremmo farle un regalo,” disse ricevendo un’occhiata incredula da parte dei compagni, dal momento che non era assolutamente da lui parlare di certe cose. “Non ho detto niente di strano, è quello che si fa ai mocciosi come lei quando tengono il broncio,” ironizzò passandosi la microspia tra le dita. “Stavo pensando che visto che ogni tanto si porta dietro delle bestie trovate per strada potremmo regalarle una cuccia.”
I tre sorrisero a quell’idea, e Hwoarang, imbarazzato, roteò gli occhi al cielo. “Ma dovrà curarsi lei di loro. È già sfiancante farle da balia, non ho proprio voglia di dover pensare pure alle sue bestiacce.”
D’improvviso, Mugen rizzò le orecchie e si mise sull’attenti con la schiena dritta, un atteggiamento simile ad alcune, come definite prima dal blouson noir, bestiacce della bambina. Gli altri tre lo guardarono interrogativi.
“Ho sentito la voce di una ragazza,” riferì il tatuato tutto assorto.
Il resto della combriccola rise scuotendo la testa.
“Sentire voci femminili che non esistono è il quarto stadio di astinenza da donna,” scherzò John dando una pacca all’amico. “Al quinto cominci a scambiare i ragazzi per ragazze. Ti conviene stare attento, amico.”
Mugen lo zittì bruscamente con uno shhh! secco e guardò in avanti. “Avete sentito anche voi?”
“Non abbiamo sentito proprio niente,” rispose Rana divertito, ma poco dopo qualche secondo un risolino acuto echeggiò per le stradine buie della periferia est. Il tatuato, animato da un fervore mai avuto prima, scavalcò con un solo salto il tavolo e corse con la stessa energia e velocità di un corridore olimpionico verso uno spiazzo tra due palazzi, dal quale – e non era stato un miraggio di Mugen, perché lo videro tutti – sbucarono un gruppo di donne che parlottavano allegramente tra loro.
“Le ragazze di Madeleineeee!” urlò il tatuato con la stessa foga di un marinaio che chiama terra dopo un estenuante viaggio in oceano. E, in una reazione altrettanto simile a quella di una ciurma che esulta in risposta per essere arrivata sana e salva su un’isola, si alzò un coro goliardico e spensierato di uomini felici.
Finalmente, il covo della periferia est fu di nuovo dominato dalla consueta allegria dei suoi balordi.
Le donne vennero subito accolte calorosamente, chi con un abbraccio, chi con un complimento, chi addirittura con una piroetta che la fece volteggiare in aria. Alcuni dei ragazzi tolsero da terra le bottiglie finite e misero sgabelli e cassoni attorno al perimetro del piazzale. Nuove bottiglie ancora da stappare accorsero dalle nuove arrivate, e la musica funky di un vecchio stereo collegato a due casse acustiche cominciò a rimbombare per tutto il quartiere.
“Cos’è, una specie di dono di benvenuto?” chiese Geon al rosso, con un tono che era a metà di sorpresa e apprezzamento.
“No,” rispose il coreano con un mezzo sorriso, “solo una felice coincidenza.”
Un po’ distante dalla calca creata inevitabilmente allo spiazzo che stava fungendo da pista da ballo, si trovava la bambina che, timidamente, guardava esterrefatta e divertita le reazioni dei suoi amici. Si aggiustò di nuovo il vestito rosso che indossava, toccandone la curiosa fabbricazione in lattice che l’avvolgeva in modo strano, e le venne da stropicciarsi le palpebre a causa di un leggero prurito, ricordandosi in tempo di essere coperte di ombretto e mascara. Si sistemò la frangia della parrucca dello stesso colore acceso del vestito, una chioma liscia e sintetica che le arrivava all’altezza delle scapole, e prese un profondo respiro. Poco prima che raggiungessero il covo, la prostituta che per prima di tutte le aveva rivolto la parola le si era parata davanti e le aveva steso sulle labbra un rossetto color fiamma. Era corposo e liquido, e ogni volta che la cinese serrava la bocca percepiva uno strano sentore oliato.
Vide la tizia di colore avvicinarlesi a suon di musica e prenderla per mano per incitarla ad unirsi agli altri, e Xiaoyu così fece, col passo incerto di chi stava camminando per la prima volta coi tacchi. Si fermarono in mezzo a un gruppo di delinquenti del covo che la bambina conosceva fin troppo bene: il tipo con la cresta punk, quello col cappellino sempre in testa e quello che indossava gli occhiali di sole anche la notte.
“Volete sedervi con noi, dolcezze?” disse uno di loro indicando due posti vuoti di un divanetto stretto. La prostituta, ancora mano nella mano con la bambina, la tirò dolcemente a sé e si accomodò con lei.
Xiaoyu era rigida, a disagio a causa del vestito e allo stesso tempo divertita da quella situazione, con l’aria complice ed emozionata di chi se la stava spassando per uno scherzo in atto.
“Vuoi un po’?” le chiese quello con gli occhiali da sole porgendole una bottiglia piena di sakè. La cinese strabuzzò gli occhi sorpresa per quel gesto gentile e indiscreto mai ricevuto prima: quando era nei panni della vera Xiaoyu, la scolaretta allegra e innocente, nessuno di loro era mai stato così irrispettoso da offrirle dell’alcol, eppure adesso le elargivano distillati come fossero caramelle.
“Non ci siamo già visti da qualche parte…?” fece il tipo con la cresta con fare incuriosito, assottigliando lo sguardo per guardarla meglio. La bambina deglutì e si portò la bottiglia alla bocca per nascondersi il viso, cominciando a tracannare come se fosse acqua. I ragazzi attorno a loro risero di gusto.
“Ora sono sicuro di non conoscerti. Me la sarei senz’altro ricordata una donna che alza il gomito con così gusto!” scherzò quello di prima porgendole una bottiglia di vodka.
La bambina smise di bere e percepì un calore fortissimo attraversarle l’esofago, lasciandola quasi senza fiato. Trattenne la tosse per non fare la figura della ragazzina e una parte di lei si pentì di non sfogare quel bruciore alla gola.
Lasciò la bottiglia di sakè e prese quella di vodka cominciando a scolarsela, scaturendo altre risate.
“Come ti chiami, dolcezza?” chiese quello col cappellino avvicinandosi così tanto che Xiaoyu dovette stringere le spalle per riuscire a stare tra i due ragazzi. Lo guardò senza dire una parola, rendendosi conto che se avesse parlato avrebbero potuta scoprirla. Prima che fosse necessario farlo, l’altra ragazza la aiutò affermando:
“Scusala, ma non può capirti. Vive da poco in Giappone, deve ancora imparare la lingua.”
“Ah sì? Da dove viene?” domandò il tipo con la cresta.
“Dalla Corea,” rispose la donna di colore pescando a caso la prima nazione che le venne in mente.
“Ah, come il nostro capo!” esclamò quello con gli occhiali indicando Hwoarang. Xiaoyu lo guardò immancabilmente e lo trovò ridere e scherzare coi suoi uomini e altrettante prostitute. Era sempre lui a parlare, concentrando tutta l’attenzione su di sé, e le donne lo ammiravano incantate.
“Potremmo chiamare il capo e farci fare da traduttore,” propose quello con cappellino e la bambina, per l’agitazione, fece sfuggire la tosse che per tutto quel tempo era riuscita con grande forza di volontà a tenere a freno.
“Andiamo a ballare!” proruppe la tizia di colore prendendo la bambina per le mani e correndo con lei alla pista da ballo senza lasciare il tempo ai tre ragazzi di poterle fermare.
Quando arrivarono in mezzo alla calca si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere.
“C’è mancato poco!” esclamò la bambina con le lacrime agli occhi. L’alcol stava iniziando pericolosamente a circolarle nel corpo, e ciò le arrecò il doppio effetto di perdita di equilibrio e di disinvoltura nel ballo. Non si era mai scatenata a una serata di musica, e la mente annebbiata e libera da qualsiasi giudizio esterno la faceva piroettare e muovere a ritmo senza freni, condotta da qualche donna di strada o da qualche canaglia che ben conosceva e che ancora non aveva capito che c’era lei sotto la parrucca rossa e il vestito in lattice. Continuavano a passarle distillati di ogni tipo, che Xiaoyu oramai beveva senza neppure più leggere le etichette.
“Piccola, non ci hai ancora detto qual è il tizio bastardo che ti ha fatto la sfuriata di prima,” le disse all’orecchio la donna in carne. La bambina era così presa da quell’impeto di vivacità senza pensieri da essersi completamente dimenticata del motivo per il quale si trovava lì. Si avvicinò alla donna cingendole il collo fingendo di ballare e le mormorò:
“È il tipo in disparte tutto ingellato con gli abiti di marca.”
“Lo dovevo sospettare! Solo quelli tanto pieni di sé si vestono come dei manichini di una vetrina di outlet,” scherzò l’altra, facendo ridere a crepapelle la cinese.
“Adesso fagli un bel sorriso da seduttrice, su. Fammi vedere come si fa!” esclamò la tipa alta incitandola con le altre. Xiaoyu, allora, stirò le labbra all’insù in un sorriso tirato che mostrava tutti i denti, facendo ridere tutte.
“Ma no, dolcezza, ci vuole un sorriso sensuale, caldo, che faccia arrapare un uomo… non quello dei bambini delle pubblicità dell’apparecchio!”
La cinese non si offese, anzi, si unì al coro di risate e fece diversi tentativi per arrivare al risultato voluto dalle nuove amiche, uno più fallimentare dell’altro.
Si divertiva da morire in quella bolgia piena di donne, ma a un certo puntò posò casualmente lo sguardo sul blouson noir diventando seria. Nonostante non si fosse unito alla pista insieme agli altri, aveva attorno a sé più donne di tutti. Alcune di loro gli si erano attaccate alle braccia, altre mentre ridevano in risposta a qualche sua battuta gli toccavano casualmente il petto, e quelle più lontane che non avevano spazio sufficiente per stargli vicino lo divoravano con gli occhi. La bambina guardò proprio una di queste ultime, una ragazza bassa, con una parrucca rosa e un eyeliner evidente attorno agli occhi, che lo fissava con uno sguardo intenso, con le palpebre leggermente abbassate e un sorriso accennato sulle labbra lievemente aperte.
Con la mente completamente vuota a causa dell’alcol, senza i condizionamenti dell’orgoglio ferito e della rabbia causati dalla difficile situazione che aveva col rosso, una parte di Xiaoyu ammise di volerlo guardare anche lei a quel modo, di volerlo stregare con gli occhi e vederlo a sua volta contraccambiarle lo sguardo con uno simile a quello che aveva visto quando lui si trovava in compagnia della ragazza universitaria di cui non ricordava il nome, la gatta morta venuta un mese prima al covo con le amiche.
Hwoarang si girò casualmente a guardarla e la cinese distolse nervosamente lo sguardo, dandogli le spalle con la scusa di una piroetta. Cercò di attenuare il battito del cuore e vide davanti a sé Geon chiacchierare discorsivamente con gli altri due della sua banda vicino alla rete metallica. Xiaoyu non smise di fissarlo neppure un attimo, aspettando che ricambiasse casualmente lo sguardo, e non appena avvenne, solo allora, lei gli lanciò un’occhiata infuocata e un sorriso malizioso senza eguali, imitando la ragazza dai capelli rosa. Il tipo ingellato sostenne lo sguardo con uno più indagatore, alzando leggermente un sopracciglio, poi le sorrise. La bambina si voltò emozionata verso le amiche, che le si avvicinarono in cerchio tutte concitate e divertite.
“Quello sì che è uno sguardo rovente!” scherzò quella di colore guardandola oltre le spalle. “Sta venendo qui! Ragazze, lasciamola sola!”
“Forza, piccola, cuocilo ben bene e poi fagliela pagare!”
La cinese le vide allontanarsi ballando allegramente e si girò in direzione di Geon, trovandoselo a un passo da lei. Nessuna delle nuove amiche aveva spiegato cosa avrebbe dovuto fare da lì in poi, così, senza sapere come agire, rimase a guardarlo in un silenzio imbarazzato.
“Come ti chiami, bella?” chiese lui con una voce dolce e bassa, completamente diversa da quella dura e antipatica che le aveva riservato quando si erano visti per la prima volta. Le ragazze della strada al passaggio a livello avevano proprio ragione: gli uomini erano degli allocchi creduloni, a cui bastava un filo di trucco e un colore diverso di capelli per fregarli.
Divertita dalla situazione, la bambina si coprì il viso per nascondere un sorriso.
“Che c’è, ora fai la timida?” disse il tipo fraintendendo il comportamento della cinese, prendendola per il polso per svelarle il volto. Con la scusa di essersi avvicinato si chinò al suo orecchio e soggiunse: “Perché non andiamo a chiacchierare in un posto più appartato? Qui è così chiassoso...”
“Capo,” disse una voce bassa e atona dietro di lui, “ti vogliono al cellulare, per quell’affare delle telecamere...”
Il tipo ingellato non riuscì a nascondere una smorfia scocciata al tale che riconobbe essere la sua guardia del corpo. Fece un sorriso di circostanza alla bambina, poi si voltò verso Mukuro e prima di andare gli sussurrò:
“Tienimela calda. E non fare avvicinare nessuno.”
Mukuro annuì e, non appena fu solo con la cinese, si mise con le gambe leggermente divaricate, la schiena dritta e una mano sopra l’altra all’altezza del cavallo dei pantaloni, nella tipica posa di un bodyguard. Xiaoyu guardò l’omone davanti a sé divertita dalla situazione, sentimento ampliato anche dai fumi dell’alcol che ancora vorticavano nella sua testa. Il ragazzone che aveva davanti era alto quasi quanto John, dalla carnagione più scura rispetto a quella di un Giapponese, i capelli a spazzola e il taglio degli occhi affilato.
“Come mai ti sei vestita così?” le chiese dopo un po’ con lo stesso tono monocorde di prima.
La bambina si fermò dall’ondeggiare a tempo di musica e lo guardò esterrefatta.
“Mi hai riconosciuta?”
“Certo. Sei la scolaretta di un’ora fa,” rispose Mukuro col volto serissimo.
“Tu sì che hai lo sguardo attento di una guardia del corpo!” esclamò Xiaoyu annuendo in maniera approvativa. “Mica come il tuo capo, che è così stupido che stava per abboccare al mio scherzo!” aggiunse poi con la spassionata sincerità di chi non ha più freni inibitori, accompagnando la constatazione con una risata.
L’uomo non disse niente. La guardò, per quanto possibile, persino più serio. Il sorriso della cinese si spense subito.
“Oh no, non glielo andrai a dire, vero…?” scongiurò Xiaoyu con gli occhi da cerbiatta.
L’uomo alzò un sopracciglio appena e rimase in silenzio, poi le disse stentoreo:
“Se glielo vado a dire, lo scherzo non è più divertente,” e accennò per la prima volta un sorriso.
La cinese lo colpì amichevolmente sul petto ridendo di gusto. “Ma lo sai che sei proprio una sagoma? Dovresti essere tu il capo della banda!”
Mukuro tossì e fece finta di non sentire l’ultima affermazione.
“Comunque, perché te ne stai così impalato a fare niente?” chiese curiosa la cinese per nulla intimorita dalla corporatura mastodontica e lo sguardo di ghiaccio di quell’omone.
“Devo sorvegliarti. Ordini superiori,” spiegò solo, confondendo ancora di più la bambina.
“D’accordo, ma puoi farlo anche ballando, no?” propose la cinese tornando a muoversi a ritmo di una nuova canzone hip-hop. “Così dai meno nell’occhio!”
Mukuro la guardò dimenarsi sciolta e felice, immersa completamente nella musica; prese una bottiglia di rum lasciata sulla cassa vicino, la sorseggiò e cominciò a ballare insieme a lei.

Una castana riccia porse una sigaretta appena cacciata fuori dal pacchetto in direzione di Hwoarang, e lui, capendo l’antifona, prese l’accendino dalla tasca del giubbotto e gliela accese. La ragazza rispose con un sorriso che appariva più ammiccante che grato.
“Potresti accenderla anche a me, Hwoary?” chiese un’altra accodandosi con una sigaretta rollata a mano.
“Ci penso io!” proruppe Mugen sporgendosi come un contorsionista pur di arrivare da lei prima del suo capo, il quale, dopo aver assistito al siparietto tragicomico dell’amico, nascose con la mano un sorriso divertito e imbarazzato.
Quando finì la canzone che rimbombava nella cassa alla sua destra, poco prima che cominciasse la seguente, sentì una risata familiare che lo fece trasecolare. La conosceva a memoria, abituato ad ascoltarla ogni volta che qualche brutto ceffo dei suoi faceva una battuta divertente, o quando lui stesso, in un moto di inusuale gentilezza, raccontava qualcosa di simpatico alla bambina senza l’intento di offenderla o prenderla in giro. Era sicuramente quella la risata che aveva sentito, e si girò a cercare con lo sguardo Xiaoyu. Quando si rese conto da dove provenisse la voce, non vide la solita uniforme scolastica e due ciuffi sbarazzini, ma un vestito attillatissimo e dei capelli rosso fuoco che si muovevano a ritmo di musica.
“Torno tra poco,” disse soltanto Hwoarang al gruppo di manigoldi e prostitute attorno a lui con un’espressione confusa, scostando gentilmente una delle ragazze di strada per poter passare e appropinquarsi alla rossa in mezzo alla pista da ballo.
Quando le fu abbastanza vicino da sentirla ridere e chiacchierare animatamente con la guardia del corpo della sua vecchia conoscenza, fu certo che si trattasse proprio di lei.
La prese per il polso per farla girare e poterla guardare con attenzione, facendola quasi spaventare per l’inaspettata e prepotente apparizione.
“Che diavolo combini conciata così?” chiese interdetto sondandola da capo a piedi con un’occhiata dapprima stupita, poi preoccupata. “Non lo starai facendo per… avere i soldi per l’appartamento, vero?”
La cinese lo guardò attonita e in silenzio, e il capo del covo dell’est capì dai suoi occhi vacui e persi che quello era lo sguardo di una persona ubriaca.
La prese per le spalle per avvicinarla a sé e scandire meglio le parole. “Bambina, sono state le prostitute con cui sei venuta a chiederti di lavorare con loro?”
Solo allora Xiaoyu capì l’insinuazione del coreano e il motivo per il quale era così inquieto.
“Ma no, non sono vestita così per… quello!” esclamò la bambina imbarazzata ed agitata. “Me ne sono andata dal covo perché non ero la benvenuta e, girando per la periferia, ho conosciuto le ragazze. Visto che quello scemo del tuo amico non vuole una bambina tra i piedi, mi hanno truccato e vestito come una di loro. E quello sbruffone ci è subito cascato!”
La bambina si reggeva a malapena in piedi, e Hwoarang dovette stringere la presa per evitare che cadesse a terra. In una situazione normale l’avrebbe sicuramente presa in giro sul fatto che neppure col trucco più pesante e il vestito più succinto sarebbe mai passata per una vera donna, ma in quel momento la preoccupazione nel vederla così ubriaca e strana aveva prevalso sulla sua personalità irriverente e menefreghista.
Notò che entrambe le mani della cinese reggevano due bottiglie alcoliche diverse: una era di birra, l’altra di tequila. Le prese e le appoggiò sulla cassa vicina. “Non avrai bevuto tutti questi mischioni, spero… lo sai cosa succede quando si alternano alcolici di diversa graduazione?”
Xiaoyu lo guardò interrogativa e scocciata. Non aveva capito bene cosa intendesse, ma come al solito aveva usato un tono perentorio. Stava solo ballando, pensò tra sé e sé, e ovviamente il blouson noir cercava come sempre di rovinarle il divertimento.
“No, certo che non lo sai… Be’, te ne accorgerai domattina,” ironizzò il rosso guardandola con un’occhiata derisoria. All’ennesima frecciatina, la bambina si divincolò bruscamente dalla sua presa e gli lanciò uno sguardo stizzito.
“Perché non mi lasci in pace invece di tormentarmi in continuazione?!” urlò con rabbia, lasciando che l’alcol la facesse agire di pancia, facendole sfogare tutta la frustrazione provata quella sera a causa del modo in cui quello stupido capobanda della periferia est l’aveva trattata. Non si preoccupò neppure di farsi sentire dal gruppetto che ballava vicino loro, che per fortuna non si accorse di nulla a causa della musica assordante che aveva attutito il tono della voce.
“Tormentarti? Mi sto preoccupando per te!” tuonò a sua volta il rosso. “Sei così bevuta che non capisci neppure quello che succede. Guardati! Ti reggi a malapena in piedi, vestita come una sgualdrina di strada. Lo sai che qualcuno potrebbe approfittarne?”
“Ah sì? Eppure mi dici sempre che sono una mocciosa che nessuno guarderebbe di striscio!” ribatté Xiaoyu sempre più inviperita.
Hwoarang l’avvicinò a sé prendendola per la spalla, con uno sguardo alienato e irruento che riuscì persino a intimorirla. “Sai bene di non essere una mocciosa. O davvero non te ne sei accorta? Non hai visto come ti guardano tutti e ti fanno ubriacare?”
La cinese fissò le iridi del blouson noir sbigottita per quel suo strano discorso, per la rabbia con la quale sembrava volerla accusare di un torto che non capiva. “Io mi fido dei ragazzi del covo!” esplicò soltanto la bambina con determinazione.
“Anche io, e non ti toccherebbero con un dito alla luce del sole. Ma adesso non sanno che sei tu, vedono solo una ragazza ubriaca che possono facilmente portarsi a letto.”
“Non è vero!” insistette Xiaoyu, e in parte la rabbia in parte l’alcol le fecero avere un prepotente capogiro. Sentì le gambe cederle e scivolò in avanti, ma fu presa in tempo dal rosso.
“Devi sederti. Andiamo in un posto più tranquillo,” disse il coreano col solito tono da comando che fece solamente innervosire ancor di più la bambina, ma non trovò le forze di ribattere a causa dell’improvvisa debolezza che le irruppe in tutto il corpo.
Soltanto in quel momento Mukuro si interpose tra i due e la calca, bloccando loro la strada. “Ci penso io,” disse in tono severo.
Hwoarang lo fulminò con lo sguardo. “Posso tranquillamente farlo da me,” replicò soltanto.
“Insisto. Devo badare a lei, è un ordine di-”
“Questo è il mio clan e ho io l’ultima parola sui miei uomini,” dichiarò deciso il rosso sorpassandolo e tirandogli una spallata. Trascinò con sé la bambina e si girò per guardarlo storto.
Anche lui era uno di quelli, uno schifoso che voleva approfittare di Xiaoyu. Non l’avrebbe fatta toccare a nessuno, non in quelle condizioni.
Appena arrivati ad un vicolo cieco e buio nel quale la musica arrivava ovattata e non c’era nessuno oltre loro, si fermò realizzando con orrore che quella della sbronza della compagna altro non era che una scusa. Si disprezzava per questa sua debolezza. Si sentiva patetico.
La verità è che non voleva che nessuno toccasse la sua bambina in qualsiasi contesto. Né il gorilla di prima, né i suoi uomini, né il figliastro di Mishima, né Jin. Il solo pensiero che potesse succedere anche solo per ipotesi lo accecava di gelosia, lo faceva agire nella maniera più impulsiva e morbosa, scaturendo quelle stupide guerre verbali che lui stesso ammetteva essere crudeli e ingiuste. La bambina non lo meritava.
Si girò dispiaciuto a guardarla, trovandola con le gambe che cedevano leggermente e una mano sul muro con cui avere un appoggio più stabile.
“Stai bene?” le chiese preoccupato a causa delle sue palpebre appesantite e lo sguardo spento. Xiaoyu annuì soltanto.
“Prima, le cose che ti ho detto…” mormorò lui con difficoltà, “non volevano essere delle critiche. Se sono sembrato duro era perché… mi sono preoccupato.”
La cinese rimase zitta e lo guardò assorta.
“Ora non mi sembri nelle condizioni di capire,” ritenne Hwoarang prendendola e adagiandola con la schiena sulla parete. “Siediti qui e aspetta che ti passi la sbronza, poi ne parliamo.”
“No!” urlò d’improvviso la bambina, e il blouson noir aggrottò la fronte sconcertato per quell’impeto inaspettato. “Dici sempre così, ma non lo fai mai!”
“Eh?” fu la sola affermazione monosillabe che riuscì a formulare il rosso.
“Anche prima avevi detto che avremmo parlato di quello che era successo, ma non l’hai ancora fatto! E anche quando eravamo alla festa della Mishima Zaibatsu. E alla fine ti ritrovo che ce l’hai con me e non ne capisco mai il motivo! Se mi vedi con un gatto in braccio dici che sono troppo infantile e che non mi prendono seriamente, se mi trucco e indosso un vestito dici che sono eccessivamente donna e che mi prendono troppo seriamente!”
Hwoarang rimase sorpreso per quella confessione così diretta della bambina, provocata dall’alcol che ancora girava nel corpo.
“Tu mi odi persino quando non faccio niente!” continuò Xiaoyu con gli occhi che cominciarono a pizzicarle. “Una volta non eri così! Mi trattavi male, certo, però usavi sempre un tono scherzoso. Ma da un mese a questa parte hai cominciato ad evitarmi, a umiliarmi. Mi hai persino detto che il mio maestro si rivolterebbe nella tomba per il fallimento che sono diventata!”
Il coreano aggrottò la fronte dispiaciuto. Ricordava ancora perfettamente quell’episodio: si trovavano nella pista da ballo della Mishima Zaibatsu e danzavano un lento insieme. La bambina indossava l’abito cucito da Forest che la faceva risplendere in tutta la sua bellezza. Era talmente splendida che non mancò di ricevere le attenzioni del miglior partito della serata. Il figliastro di Heihachi era un uomo attraente, ricco, che sapeva giocare con le parole. E la paura di Hwoarang di perderla per sempre si era concretizzata quando la vide poco prima ballare un tango con lui. Lei era così sensuale mentre si muoveva; era inevitabile che Lee ne rimanesse ammaliato.
Ogni volta che Hwoarang trattava male la sua bambina c’era un comune denominatore: un altro uomo che, oltre lui, voleva averla tutta per sé.
Sarebbe bastato semplicemente dirle la verità per poter risolvere quell’estenuante stallo che si era creato tra loro.
Il coreano la guardò impercettibilmente intimorito e si schiarì la gola.
“Tu non sei un fallimento, bambina. E hai ragione, non hai mai fatto niente di male. È che io… reagisco così ogni volta che qualcuno si interessa a te.”
Xiaoyu schiuse la bocca sorpresa. “Che… vuoi dire?”
Il rosso di morse il labbro.
Che voglio essere io l’unico a farlo. Che vedere qualcuno che prova anche solo a parlarti mi fa diventare geloso e possessivo, si disse tra sé e sé, le parole che gli vorticavano nella testa, in procinto di uscire da un momento all’altro.
Ma la paura, di nuovo, lo bloccò. Aveva passato l’infanzia travagliata tra i vicoli di Seoul, si era unito a criminali noti e pericolosi per farsi strada nell’unico mondo che conosceva, aveva partecipato a rischiose gare di moto, era stato inseguito dalle forze dell’ordine, messo in gattabuia, picchiato, eppure nulla di questo lo spaventava quanto l’idea di aprirsi e legarsi ad un altro essere umano.
“Avere dei ragazzi che ti ronzano attorno potrebbe distrarti ed è un problema, visto che mi servi concentrata per le missioni nella Mishima Zaibatsu,” mentì Hwoarang.
Xiaoyu lo guardò dapprima basita, poi offesa. “Però tu puoi farlo. Tu puoi avere attorno tutte le distrazioni che vuoi.”
“Cosa?”
“Tutte quelle ragazze che prima ti mangiavano con gli occhi. A te questo sta bene!” disse la cinese nuovamente arrabbiata.
“Quelle non sono… distrazioni. Sono vecchie conoscenze,” si difese il blouson noir.
“Le quali mi hanno fatto capire che ti sei divertito con loro più di una volta!” esclamò la cinese, recuperando tutta la forza fisica che prima se n’era andata.
Hwoarang la guardò accigliato. “È successo tanto tempo fa.”
Una strana fitta attraversò il petto di Xiaoyu, che serrò le labbra e strinse i pugni. Lo aveva capito già da prima, ma sentirlo dire dalle labbra del blouson noir faceva persino più male. Come poteva sperare che la guardasse anche solo per una volta come una donna? Con tutta l’esperienza che già aveva avuto, con tutte quelle ragazze spregiudicate e bellissime che ancora adesso gli si offrivano, mentre lei era una ragazzina inesperta, una bambina che sapeva soltanto sognare a occhi aperti credendo per un momento che il blouson noir fosse interessato a lei.
“Bambina,” la chiamò il rosso avvicinandosi di un passo, “le ragazze di Madeleine sono state solo un passatempo, una vecchia storia del passato…”
“Non devi spiegarmi niente,” ribadì Xiaoyu con voce austera. “E neppure io devo spiegarti niente, perciò lasciami in pace...”
La cinese si allontanò e, accorgendosene, Hwoarang la prese per il polso. “Dove stai andando?”
“Torno a ballare.”
“Ti reggi a malapena in piedi,” constatò soltanto lui.
“Ho voglia di compagnia,” spiegò soltanto Xiaoyu con un tono che al blouson noir parve volutamente di sfida.
“Compagnia?” chiese esterrefatto e geloso. “Che tipo di compagnia?”
“Una che non sia la tua!”
“Quindi vai ad adescare qualcuno dei ragazzi del covo?”
“Cosa? No!” esclamò Xiaoyu oltraggiata. “Vado da Mukuro.”
“Mukuro?” ripeté il coreano, stavolta più sconvolto che arrabbiato. “Stai parlando di… quel Mukuro?”
“Quanti altri ce ne sono?” scherzò la bambina ricevendo un’occhiata risentita del coreano. Lo stava volutamente… provocando?
“Ti stai prendendo gioco di me?”
“Cosa?”
“Non fare finta di niente, lo hai nominato apposta, con una certa passione oltretutto…”
“Perché è un bellissimo nome.”
“Non credo che tutto quel trasporto sia dovuto unicamente dal suo nome.”
Xiaoyu gli lanciò un’occhiata scocciata e prese il vicolo per dirigersi allo spiazzo centrale del covo, ma Hwoarang la bloccò, accerchiandola prepotentemente con le mani appoggiate alla parete.
“Non puoi fare sul serio!” tuonò lui al limite della gelosia.
“Perché no?” chiese Xiaoyu. “Perché non lo vuoi nel covo? Perché non è uno dei nostri? Forse non è tanto di compagnia e l’ho incontrato solo stasera, ma è dolce e non mi tratta male, al contrario di te!”
Il rosso si sentì come inondato da una secchiata di acqua gelida. “Ti… piace Mukuro?” chiese soltanto con un filo di voce.
“E io piaccio a lui, me l’ha fatto capire bene,” rispose la cinese con determinazione. “Può darsi che anche questa per te sia una distrazione, ma non mi interessa.”
Xiaoyu si divincolò dal coreano con un gesto secco del braccio e si avviò verso la pista da ballo, mentre Hwoarang non seppe fare altro che seguirla con lo sguardo senza riuscire a muovere un muscolo, reso completamente inerme da quel dolore nuovo e sconosciuto mai provato prima.

Il rosso era seduto a terra da più di mezzora, con le ginocchia alzate, i gomiti appoggiati su di esse e la testa abbandonata in avanti. Era così meditabondo da non essersi accorto della sigaretta tra le labbra finita già da diversi minuti. La prese veloce tra le dita e la gettò in mezzo alle altre sei ammucchiate ai suoi piedi.
Si grattò la testa come a scacciare un brutto pensiero, senza riuscirci, e inevitabilmente ripensò alla bambina.
Più e più volte aveva avuto l’impulso di alzarsi, correre alla pista da ballo e fermarla, di dirle quello che provava, ma ogni volta la paura e l’orgoglio prendevano il sopravvento, lasciando che continuasse a torturarsi all’immagine della sua bambina ballare con quel ragazzo incompatibilmente troppo serio per lei – probabilmente era sempre stato questo il suo tipo, visto che in ciò era simile a quel musone di Jin.
Hwoarang si alzò di scatto e serrò le labbra accompagnato da una determinazione più consona al suo carattere. Non era mai stata una persona che si arrendeva, che lasciava accadere le cose in maniera passiva.
Prese il vicolo e si arrivò al piazzale, trovando una musica più bassa risuonare nella periferia est. Erano rimaste poche persone in pista da ballo, individuando tre coppie che si muovevano avvinghiate al ritmo di una musica leggera. Diverse sedie e divanetti erano occupati da uomini e donne che dormivano vicini o abbracciati, e tanti altri erano spariti chissà dove, forse a continuare la festa in altri locali, o forse imboscati a finire nel migliore dei modi la nottata.
Il rosso sentì urlare qualcuno e notò il suo vecchio compagno Geon discutere animatamente al cellulare.
“È da quasi un’ora che va avanti,” disse una voce scherzosa alle sue spalle. Si girò e trovò Hideo seduto al tavolo con in mano un cacciavite sopra un marchingegno smontato. “Dov’eri finito? Diverse ragazze hanno chiesto di te.”
“Sai dov’è Mukuro?” chiese Hwoarang ignorandolo completamente.
“L’ho visto allontanarsi con una ragazza,” rispose Hideo ridendo sotto i baffi. “Non è da lui fare una cosa del genere.”
Il rosso aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo, sentendosi completamente svuotato.
“Va tutto bene?” chiese il tipo giapponese preoccupato. Se persino uno sconosciuto si era reso conto del suo malessere, voleva dire che la sua tipica maschera di bronzo da duro della periferia si era distrutta del tutto.
“Ho dei postumi pesanti, vado a fare un giro a prendere aria,” disse il blouson noir incamminandosi verso una strada vicino ai cassetti in disuso e imbrattati della spazzatura.

Camminava senza meta da più di un’ora, come un fantasma tormentato da una questione in sospeso che non trovava pace, preferendo soffrire da solo e in silenzio piuttosto che mostrare anche solo per sbaglio un minimo barlume di malinconia ai suoi uomini.
Aveva cercato di distrarsi pensando a un piano da usare per la sua missione alla Mishima Zaibatsu, ricordandosi i bei momenti col suo maestro Baek, rimembrando le notti focose con donne sconosciute e meno, ripetendosi quegli inutili schemi e indagini che tempo fa studiava a pappardella mentre leggeva i libri di economia, ma nulla serviva a svagarlo, a rimuovere il chiodo fisso della sua bambina che, chissà, forse proprio in quel momento si stava divertendo con la sua nuova cotta.
Il pensiero che quel tale la stesse baciando, accarezzando, toccando in posti che per mesi aveva immaginato di esplorare con una smania mai avuta per nessun’altra mandava in tilt il suo cervello, gli chiudeva lo stomaco e gli faceva venire voglia di piangere.
Ridacchiò sommessamente portandosi una mano sopra gli occhi umidi. Che cosa patetica, pensò. L’ultima volta che aveva pianto era accaduto anni prima, alla morte del suo maestro, ed ora bastava lo stupido amore non corrisposto di una studentessa liceale.
Aveva già amato, a modo suo; un amore che era durato qualche ora o al massimo una notte, un amore che non era per nulla possessivo, tutt’altro. Aveva trovato la piacevole compagnia delle ragazze di Madeleine, una compagnia che, per via del loro mestiere, sapeva bene condividessero con altri, persino coi suoi uomini. Sentir parlare questi ultimi di quel che avevano fatto con loro la sera prima nel più scrupoloso dei dettagli non lo infastidiva, anzi, gli arrecava una sorta di solidale cameratismo nei loro riguardi, uniti da un’amicizia che andava al di là degli schemi borghesi sull’amore o la monogamia. Ma con Xiaoyu non era così. Ogni volta che qualcuno del covo mostrava interesse o anche solo uno sguardo più malizioso del normale, Hwoarang lo scoraggiava lanciando un’occhiata omicida.
Quando, perso nelle sue riflessioni, la vide seduta a terra con la schiena appoggiata ad una palazzina abbandonata, pensò in principio che fosse solo un’allucinazione dovuta al pensiero costante della bambina che affollava la sua mente. Ma quando guardò meglio ne fu sicuro: era proprio lei, vestita ancora con l’abito succinto in rosso e coi tacchi abbandonati a qualche metro e una bottiglia di vodka al suo fianco. Aveva un’espressione pensierosa, la testa china in avanti mentre guardava la parrucca tra le mani con la quale giocava, spettinandone i ciuffi con le dita.
Quando anche lei notò lui, quasi casualmente, si fece seria e distolse subito lo sguardo.
“Ehi,” disse a bassa voce, con tono assorto.
Il coreano non sapeva cosa fare. Da una parte voleva scappare da lei, da quel maledetto incantesimo che gli aveva lanciato e liberarsi una volta per tutte dal suo sortilegio. Dall’altra avrebbe voluto raggiungerla, chiederle se andava tutto bene e assicurarsi che l’ultima litigata tra loro non avesse immancabilmente intaccato il loro rapporto. La vedeva più mogia del solito, taciturna; eppure, secondo i calcoli, avrebbe dovuto sentirsi all’opposto, fresca di una notte d’amore.
Hwoarang si spaventò. E se le fosse successo qualcosa?
Si avvicinò a lei con passo svelto e si inginocchiò sulla strada.
“Non sono in vena di litigare,” disse solo la bambina con voce strascicata e incerta. Il rosso conosceva benissimo quell’atteggiamento, dovuto a uno degli ultimi stadi alcolici, quello nel quale formuli a malapena un pensiero finito e di cui al mattino seguente non ricorderai niente.
“Non sono qui per litigare,” ammise il coreano guardandola negli occhi spenti. “Ti senti bene?”
“Sì. Mi gira solo un po’ la testa,” rispose Xiaoyu abbassando le palpebre per trovare un po’ di pace, visto che tenendole alzate vedeva tutto turbinarle attorno.
“Ti ricordi di quello che è successo nelle ultime ore?” le chiese il blouson noir.
“Aiutami ad alzarmi,” disse solo la bambina sollevando le braccia. Hwoarang la prese per le mani e l’aiutò ad issarsi, senza smettere per un attimo di guardarla preoccupato.
“Sono serio, bambina. Ti ricordi cos’hai fatto dopo che te ne sei andata dalla festa?”
“Certo che mi ricordo, mi sono messa a giocare con Mukuro,” rispose la cinese annoiata. “Ma perché questo terzo grado?”
Giocare era un eufemismo, rifletté il blouson noir, ed i segni sul suo vestito stropicciato erano evidenti. Un dubbio bloccò il suo respiro: erano andati fino in fondo? Fece una smorfia contrariata e cacciò via quel pensiero. Non era il momento di torturarsi. Doveva pensare a lei.
“Volevo assicurarmi che tu fossi certa di quel che hai fatto,” spiegò il rosso veloce. Ma allora perché sembrava così persa e spenta? Guardò la bottiglia a terra di vodka, notando solo in quel momento essere vuota. “È stato Mukuro a farti bere così tanto?”
La bambina fece un’inaspettata risata, lasciando di stucco il blouson noir.
“Come sarebbe a dire?”
“Che vuol dire come sarebbe a dire?” disse Hwoarang cominciando di nuovo a innervosirsi. “Può averlo fatto apposta per approfittarsi di te. Diamine, vai ancora a scuola, mentre lui avrà sì e no una trentina d’anni!”
“Mukuro non ha trent’anni! Ne avrà al massimo cinque!” obiettò Xiaoyu con determinazione.
Il blouson noir la guardò con la stessa espressione di chi ascolta i vaneggiamenti di un pazzo. Era forse l’alcol a causarle tutta questa confusione in testa?
“Cinque anni in quale scala numerica?” chiese soltanto lui, dopo un po’, arcuando un sopracciglio.
“Esiste una scala numerica a parte per i gatti?” domandò a sua volta confusa Xiaoyu.
I gatti?, rifletté il boss della periferia est. Continuò a ripetersi quella parola in testa, arrivando finalmente a una strana e folle rivelazione.
“Tu… quando parlavi di Mukuro ti riferivi al gatto nero che hai portato al covo?”
“È il nuovo nome che gli ho dato. Visto che dicevi che quelli che invento sono anonimi e infantili, ne ho trovato uno spettrale e molto adulto,” spiegò la bambina compiaciuta.
Hwoarang stava cominciando ad unire tutti i puntini. La guardò ancora stralunato e le chiese:
“Ti sei sempre riferita al gatto quando parlavi di Mukuro?”
“Certo che sì. A chi sennò?” fece la cinese perplessa.
“Al socio di Geon…” rispose incerto il blouson noir.
“Chi?” domandò la bambina cadendo completamente dalle nuvole.
Il ragazzo si mise una mano alla bocca per nascondere una risata, che non riuscì a trattenere. Si girò e si lasciò andare, sghignazzando come un pazzo. Xiaoyu lo guardò tra l’offeso e il turbato.
“Che hai da ridere? Ho detto qualcosa di stupido? Possibile che ogni volta che parlo mi devi prendere in giro così?!” tuonò la bambina cercando con passo incerto e ubriaco di metterglisi davanti per guardarlo in faccia.
Il coreano aveva le lacrime agli occhi. Di nuovo, in così poco tempo. Ma al contrario di prima, una sensazione liberatoria e tonificante lo stava attraversando in tutto il corpo, e più si sentiva meglio più rideva.
Si appoggiò con la schiena al muro e buttò all’indietro la testa riuscendo finalmente a smettere di ridere, sorridendo divertito. Era stato tutto un enorme, strano, incomprensibile fraintendimento. La bambina non aveva avuto un flirt con un estraneo, non si era innamorata, non aveva deciso di avere un avventura con qualcuno e non era stata ubriacata per essere resa accondiscendente. Aveva parlato dal principio alla fine del suo stupido gatto.
Ringraziò il creatore, l’universo, la vita e qualsiasi altra realtà sovrannaturale che avesse influito a rendere il carattere della bambina quello che era, dolce, ingenuo e infantile al punto da portarsi un randagio nel covo e da non accorgersi di quanti uomini l’avevano desiderata quella sera, di quanto aveva sofferto il blouson noir nel pensare che fosse tra le braccia di un altro.
Xiaoyu continuò imperterrita a offendere il rosso, ma smise quando cominciò a vederlo rilassato, in un sorriso più unico che raro.
“Bambina…” riuscì finalmente a dire lui guardandola, “forse ancora non l’hai capito, ma anche il nome della guardia del corpo di Geon è Mukuro.”
La cinese sgranò gli occhi. “Certo che è… una strana coincidenza,” ritenne, riflettendo per un po’ in silenzio e rendendosi conto solo in quel momento di una cosa: “un attimo, dopo tutti i discorsi che ho fatto non avrai pensato che io e lui avessimo…?! Ma figurati! Con tutte le ragazze che avevano cominciato a ballargli attorno, di certo non si sarebbe filato una come me!”
Hwoarang la guardò serio.
“Peggio per lui che non si è accorto di quanto sei carina,” le disse senza pensare, a cuore aperto, sorprendendosi per la spensieratezza appena acquisita che non gli faceva provare più alcun timore.
“Se stai usando del sarcasmo-” cominciò Xiaoyu già arrabbiata.
“Sono serio,” la interruppe subito lui guardandola intensamente. A quell’occhiata la cinese si fece pensierosa, rimanendo per una manciata di secondo in silenzio.
“Sei… così diverso dal solito,” riuscì solo a dire con un leggero, strano timore, che cominciò a farle battere il cuore.
“Ho paura che tanto, domani, non ti ricorderai più niente di quello che ti ho detto,” ritenne il blouson noir con un mezzo sorriso amaro. “E poi, sono stanco di dire bugie, di far finta di niente e di reprimere tutto… Almeno per una volta, vorrei solo… non essere così.”
Hwoarang si avvicinò piano a lei, addossata al muro. Le fissò gli occhi grandi e le iridi scure che lo sondavano con timidezza. Era una situazione pericolosa, lo sapeva, che poteva far cambiare tutto in un attimo. Si chiese però quanto lei fosse cosciente di quello che stava per succedere, se tutto quel suo essere docile e partecipe fosse provocato dall’alcol piuttosto che da un desiderio sincero. Si domandò se la bambina avesse ancora una cotta per il suo nemico, il ragazzo che non aveva ancora sconfitto nonostante le tre rivincite, nonché nipote dell’assassino a capo della Zaibatsu.
Quei dubbi che ancora gli ronzavano nella testa lo fecero frenare dal baciarla e indietreggiare di un passo.
“È meglio che io vada,” disse soltanto sorridendo fievolmente.
Venne preso delicatamente per il polso dalla bambina prima che riuscisse a farlo.
“Davvero pensi che io sia carina?” gli chiese timidamente e con voce flebile.
Il rosso la guardò completamente perso per lei. “Tu sei bellissima, lo sei ogni giorno, senza bisogno di chissà quale trucco o vestito succinto.”
Hwoarang fece scivolare la propria mano sul palmo di lei e intrecciò le dita attorno alle sue. Xiaoyu gli scorse lo sguardo intenso che stava cercando da tempo, lo stesso che aveva visto quando aveva guardato le altre prima di lei.
Il rosso la baciò a fior di labbra, delicatamente, e la cinese sentì il cuore batterle forte nel petto. Strizzò gli occhi d’istinto, poi rilassò le palpebre e le socchiuse quando si staccò da lei.
Il blouson noir la vide elargire un sorriso timido, incantevole, che gli fece perdere l’ultimo barlume di autocontrollo rimasto.
Le mise la mano libera dietro la nuca e la baciò con passione.























------------------------------------------------------------

UN MIRACOLO. Qualcuno non ci credeva più, neppure io ci credevo più! Eppure eccomi qui ad AGGIORNARE LA FANFICTION DOPO NONOSONEPPUREIODIRLODAQUANTOMIVERGOGNO ANNI DI NULLA COSMICO.
La verità è che per una serie di cose accadute in questo ultimo mese mi è tornata la nostalgia di questa storia, che quando ero al liceo adoravo tantissimo scrivere. Mi divertiva, mi emozionava, e per qualche ora mi faceva sognare.
Per spiegare come mai sono tornata così inaspettatamente: ho avuto il covid. Chiusa in casa, mi sono messa a giocare con mio fratello a Tekken Tag 1 e qui è scattato il primo sintomo di nostalgia. Poco dopo, ho saputo che Netflix aveva annunciato un cartone ambientato proprio nello stesso periodo temporale de Il blouson noir e la bambina, e così, avendo diversi giorni liberi, mi sono rimessa a leggere tutta la fanfiction. Mi sono commossa nel ritrovare i commenti così carini e sentiti degli utenti, e mi è venuta una voglia matta di continuarla. Ho ritrovato la trama completa in un mio vecchio hard disk esterno, ci ho rimesso mano e ho ripreso a scrivere la storia da dove ero rimasta. Non so se avete notato, ma ero così presa che questo capitolo ne vale almeno 4 di lunghezza. XD Un modo come un altro, per quanto involontario, di farmi perdonare di tutta quest’assenza.
Non ho idea se, dopo tutto questo tempo, i vecchi utenti si ricorderanno di questa storia e saranno interessati a leggerla, né se ci saranno dei nuovi lettori che la scopriranno per la prima volta quest’anno, ma comunque ringrazio in anticipo tutti dal profondo del cuore se siete arrivati fin qui a leggere queste note.
Ora che il sito ne dà la possibilità, potrò rispondere direttamente nell’area commenti alle vostre recensioni, cominciando da adesso con quelle del capitolo precedente.
A presto col prossimo capitolo!


Valy

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Dimenticanza ***



Illustrazione ispirata al CAP 15 "Distanza", nonché regalino di compleanno per Onda nel Silenzio. AUGURI! 🎉




Dopo mesi di convivenza nel covo dell’Est, Xiaoyu aveva imparato che per svegliarsi ad un orario conforme alle comuni norme sociali avrebbe dovuto usare delle contromisure. La prima e più importante era di coricarsi lontano dal piazzale centrale, così da non venir disturbata dagli schiamazzi dei balordi; la seconda era mettersi delle cuffie per attutire i suoni; la terza, fare gli allenamenti di arti marziali mezz’ora prima, così da affaticare il corpo e costringerlo a un riposo prolungato.
Ma, come stesso la parola suggerisce, una contromisura è una precauzione, non una certezza, e alcuni imprevisti esterni avrebbero inevitabilmente reso inani i suoi sforzi. Quelli che ricordava la cinese erano sempre i più strampalati.
La volta che, ad esempio, si era svegliata di soprassalto colpita sulla gamba da qualcosa di vischioso, e toccandosi il polpaccio aveva notato uno strano liquido verde.
“Attenta, Xiao!” aveva urlato qualcuno, ma neppure i riflessi rapidi da combattente di arti marziali riuscirono a evitarle in secondo colpo, dritto in faccia. Si era pulita col braccio sporcandosi la manica di arancione, poi si era alzata infuriata.
“Che razza di scherzo è questo?” sbraitò pestando come si consueto il piede sul terriccio per sfogare la sua ira.
“Scusaci, stiamo giocando a paintball!” spiegò uno dei tanti prima di buttarsi nella ghiaia dietro a un cassonetto per evitare un altro corpo di vernice.
“Ti vendicherò io, Xiaooo!” esclamò Mugen con fervore saltando su un rottame e sparando una raffica di colpi davanti a sé alla Rambo. La bambina era rimasta così interdetta che non riusciva a dire una parola. Si sedette sul letto e si grattò la testa.
Un altra notte, invece, era stata svegliata da un coro maschile – un termine lusinghiero, visto che somigliava più a una cacofonia scombinata di ubriachi all’ultimo stadio. Si era avvicinata al piazzale e vide tutti gli uomini attorno a un unico microfono cantare a squarciagola “Stay with me” di Miki Matsubara sbagliando ritmo, note, persino le parole. La giovane Ling era riuscita a capire quale fosse la canzone solo grazie al famoso ritornello.
“Vuoi unirti a noi?” chiese allegramente John alla bambina facendola quasi cadere in avanti dopo averle assestato un’amichevole pacca sulla schiena. Xiaoyu riuscì in tempo a ritrovare l’equilibrio e si stropicciò gli occhi.
“Da quando in qua avete un impianto per karaoke?” chiese con voce impastata.
“Ce l’hanno dato quelli del Karaoke Kan di Tokyo,” spiegò John sorridendo.
“Ve l’hanno dato?” domandò la bambina sospettosa. Al che l’americano affievolì il sorriso.
“Be’… quando hanno capito che non volevamo andarcene dal locale e abbiamo proposto di occuparci noi della chiusura, se la sono misteriosamente svignata… quindi immagino che ci abbiano lasciato tutti i macchinari in prestito!”
“Non è che se la sono misteriosamente svignata dopo che hai usato delle maniere un po’ brusche…?” valutò la bambina guardandolo dubbiosa.
“Ahah, ma che dici? Mi conosci! Sono la persona più gioviale del Giappone!” rispose vivacemente l’omone tirandole un’altra pacca sulla schiena, questa volta facendola capitombolare a terra. Mentre veniva aiutata da John a rialzarsi, il quale con un solo gesto la prese da sotto le braccia e la sollevò come fosse un fuscello, la cinese pensò tra sé e sé: appunto.
C’era stata una volta nel quale era stata svegliata a causa di alcune urla. La bambina, dapprima, si era alzata scocciata col busto, ma quando si rese conto delle parole forti e minacciose che volavano nel piazzale corse verso i ragazzi del covo.
“Perché state litigando? È successo qualcosa?!” chiese la bambina preoccupata frapponendosi tra Rana, l’uomo dalle parole forti, e il resto del gruppo.
“Ma no, Xiao, stiamo solo facendo il gioco dei film,” spiegò l’uomo animale, ricevendo uno sguardo sconcertato dalla bambina. “Sai… quel gioco dove devi fare indovinare alla tua squadra il film con delle citazioni… Vaffanculo figlio di puttana, pezzo di merda, io non mi muovo… ma dici a me? Dici a me?
“Taxi driver! La scena dello specchio!” esclamò uno della cricca tutto felice.
“Bravissimo!” esultò Rana applaudendo, e la squadra festeggiò tra pacche e risate, ignorando completamente Xiaoyu che rimase a guardare la scena di stucco.
La volta dopo fu di nuovo svegliata dalle urla minacciose di Rana. Si diresse al piazzale e appoggiò i pugni ai fianchi con fare nervoso.
“Possibile che dobbiate fare il gioco dei film sempre di notte?!” esclamò la cinese esasperata.
“Non stiamo giocando, quello stronzo di Mugen mi ha rotto l’orologio! Era un Rolex di valore!” urlò Rana prendendo il tatuato per il bavero. Quest’ultimo si divincolò dalla presa e gli puntò un dito.
“Ma se neppure è tuo! L’hai prelevato da qualche dirigente aziendale!”
“Questo non cambia che non dovevi romperlo!”
“Sei tu che rompi, e sai cosa? I miei coglioni!”
“Vaffanculo figlio di puttana, pezzo di merda!”
“Ma dici a me? Dici a me?!” sbraitò Mugen, e ne conseguì un pugno di Rana che fece cominciare una lotta di strada senza regole. Come da consuetudine, tutti i balordi della periferia est li accerchiarono per incitarli cominciando a scommettere su chi avrebbe vinto, mentre la bambina osservò da lontano la scena sdegnata.
C’era stata una volta in cui era completamente abbandonata in un riposo ristoratore, in cui nessuno del covo fiatava una parola, se non fosse stato che un’improvvisa urgenza aveva svegliato la cinese. Si sentiva la bocca secca e aveva sudato parecchio a causa dell’afa estiva, nel quale le nubi bloccavano anche il minimo refolo di vento. Si alzò e barcollò con la borraccia in mano in direzione della fontanella, riempendola d’acqua e bevendola tutta d’un fiato. Ciondolò per tornare a letto assonnata e si coricò sul materasso a pancia in giù, ma poco prima di chiudere gli occhi sentì qualcosa muoversi sotto di lei. Si alzò di scatto col busto e notò Hwoarang guardarla confuso.
“Bambina, che diavolo…?”
“Aaaaaaaaaaah!” urlò Xiaoyu dandogli uno schiaffo che gli fece girare la faccia di 180°.
“Ma che ti è preso, razza di mocciosa squilibrata?! Sei nel mio letto!” tuonò il rosso fulminandola con lo sguardo e mettendo una mano sulla guancia rossa e dolorante.
“Aaaaah…?” seppe solo rispondere la bambina imbarazzatissima.
“Me ne stavo dormendo tranquillo, poi arrivi tu, ti butti di peso su di me e mi schiaffeggi pure!” esclamò avvicinandosi pericolosamente a lei.
“Uh…” mormorò confusa Xiaoyu.
“Cos’è, la tua condizione di bambina è regredita al punto da farti tornare una neonata che sa solo dire vocali?” la sfotté il coreano con un sorriso di sbieco. La cinese prese il cuscino e glielo buttò in faccia.
“Stupido!” urlò soltanto prima di scappare via. Ci mise mezz’ora per tornare a letto, facendo un giro largo voluto ad evitare il capo della periferia, e quando si sdraiò non riuscì più a chiudere gli occhi per l’imbarazzo, conscia che la mattina seguente sarebbe stata la barzelletta della giornata.
Ma quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.
La bambina si svegliò di soprassalto e mise a fuoco sopra di sé un altro particolare stonante: un soffitto bianco. Si alzò col busto accompagnata dalla inquieta consapevolezza di non essere nel posto giusto, e nel farlo ebbe un fastidioso capogiro, portandosi una mano alla fronte dolente pervasa da un martellante mal di testa. Non aveva mai provato nulla di simile.
“Dove sono…?” si domandò tra sé e sé con la bocca impastata. Sopraffatta da una sete improvvisa si guardò attorno per cercare la sua borraccia d’acqua, ma trovò solo la sua borsa scolastica e un gatto nero ai piedi del letto che si svegliò non appena percepì un movimento improvviso tra le lenzuola.
“Gatto!” esclamò la cinese avvicinandosi a lui per coccolarlo sulla testa, e nel farlo lo stomaco cominciò a brontolare dal dolore. Si portò nauseata la mano libera sopra la pancia e si chinò in avanti. Cominciò a fare dei respiri profondi, sia per controllare tutti i dolori fisiologici, sia per calmare i nervi.
“Devo capire perché mi trovo qui e dove sono… cos’è successo ieri notte?” mormorò con gli occhi chiusi, cercando di ricordare. La sera prima si trovava col gatto tra le braccia ed era andata via dalla periferia est perché aveva litigato con quel pomposo dell’amico del blouson noir – ragionando seccamente quanto si somigliassero tra loro quei capibanda da strapazzo, tutti arroganti e odiosi – poi aveva incontrato le ragazze al passaggio a livello. L’avevano truccata e vestita per portarla con loro al covo dell’est, e si era divertita perché nessuno la riconosceva. Le offrivano tante bottiglie che beveva senza guardare l’etichetta. Poi...
Poi?
Xiaoyu aprì gli occhi e li assottigliò, come a voler cogliere un ricordo che non le veniva in mente. La musica funky, le ragazze che ballavano con lei. Erano quasi tutti in pista da ballo, tranne lui. Quel porco del blouson noir era vicino alla rete metallica a flirtare con un sacco di donne. Era quasi certa di questo. In un moto di nervosismo, scostò le coperte con un calcio e si mise seduta sul bordo del materasso.
Si toccò il vestito rosso che ancora indossava in quel momento, stropicciato e girato, con entrambe le spalline che erano scivolate sulle braccia. La strana fabbricazione in lattice sfregava sulla pelle non appena muoveva appena il corpo. Era il vestito che le aveva prestato Shiori… dov’era finita Shiori la sera precedente?
Quando posò di nuovo lo sguardo sulla borsa a tracolla, un timore più grande di quelli avuti finora la invase completamente, spingendola a correre verso di essa e sbattendo col tallone su qualcosa di inaspettato e metallico. La bambina si girò confusa e vide un secchio vuoto vicino al letto rotolare sul pavimento. Si domandò tra sé e sé cosa ci facesse lì, ma la priorità della borsa a tracolla ebbe la meglio e non le diede il tempo di rispondersi.
Si chinò a terra e l’aprì con agitazione. Cercò tra il cambio, l’uniforme scolastica, i libri di studio, facendo infine un sospiro di sollievo quando trovò delle banconote arrotolate chiuse da un elastico verde. Qualsiasi cosa fosse successa la sera precedente, per fortuna nessuno le aveva rubato i soldi per l’affitto. Li contò per essere certa che fossero tutti e venne pervasa da uno sconforto inevitabile al pensiero che non erano abbastanza per pagare l’amministratore del condominio, e che quello era l’ultimo giorno per poter raggiungere la cifra necessaria.
Si portò una mano tra i capelli slegati e spettinati e si massaggiò la fronte. Non era il momento di pensare alla festa della sera precedente: la priorità era il suo appartamento.
Prese con decisione il lenzuolo del letto legandoselo attorno al collo a mo’ di mantellina, agguantò la borsa, prese il gatto in braccio e uscì dalla stanza.
Si affacciò al corridoio, notando un silenzio spettrale che aleggiava in quello che Xiaoyu capì essere un condominio abbandonato. Scese le scale in fretta con la paura istintiva di essere notata e uscì dal portone d’ingresso. Quando si guardò intorno, notò una zona familiare. Dal modo in cui le nubi occupavano gran parte del cielo e dalla forma sconnessa della stradina sterrata davanti a sé fu certa di trovarsi vicino alla periferia est.
Percorse delle vie a caso, fin quando non sentì alcune voci familiari. Sorpassò la rete metallica attraverso il buco all’angolo e raggiunse il piazzale del covo.
“Xiaoyu!” esclamò uno degli uomini non appena la notò. “Piccola, dov’eri finita? È da ieri sera che ti cerchiamo!”
Il ragazzone che aveva parlato, un tipo alto con la cresta e gli occhiali da sole sottili e appuntiti, si avvicinò a lei e la bambina, d’istinto, si chiuse ancor di più attorno al lenzuolo per non rivelare neppure un lembo del vestito rosso.
“Scusate se vi ho fatto preoccupare, ho dormito da… un’amica,” spiegò la cinese. “Ahm,” disse dopo un po’, “ci vediamo.”
“Perché hai un lenzuolo in testa?” chiese confuso un altro che aveva assistito alla scena da lontano.
“Non è un lenzuolo, è… un cappotto molto ricercato di questi tempi. Me l’ha detto Forest, e lui s’intende di moda,” disse la cinese parlando assolutamente a vanvera, cosa che succedeva quando non sapeva cosa dire e quando, come in quel caso, aveva la mente ancora annebbiata a causa dei postumi della notte trascorsa. “Dove sono tutti gli altri?”
“Stanno… prelevando e organizzando, come sempre,” rispose il tipo con la cresta in maniera sospettosamente evasiva, ma Xiaoyu non ci badò, presa dai suoi problemi da risolvere. Salutò veloce con la mano e corse via senza guardarsi indietro, tenendosi ben stretto il lenzuolo con una mano.
“Hai sentito miagolare anche tu?” chiese il tipo con la cresta a quello rasato.
“Mh,” mugolò pensieroso l’altro mettendosi a braccia conserte. “Sembrava un saluto… Secondo te è un’altra di quelle strane mode di oggigiorno?”
“Chiediamolo a Forest,” convenne l’altro annuendo deciso con la testa.

Non appena il getto d’acqua calda della doccia le bagnò il viso, Xiaoyu sentì tutti i muscoli del corpo rilassarsi. Girò la manopola e si alzò dalla seggiola di plastica per dirigersi alla grande vasca rivestita in piastrelle portandosi con sé l’asciugamano. Si trovava in un bagno pubblico non troppo lontano dalla periferia est suggerito dai membri del covo, avvisandola che se avesse detto alla reception che faceva parte del loro gruppo non avrebbe pagato neppure uno yen. Al che, la bambina aveva storto il naso confusa.
“Quindi è una specie di bagno pubblico statale?” aveva chiesto curiosa.
“No, è di nostra proprietà. Serve a riciclare il denaro,” spiegò uno degli uomini di Hwoarang.
“Riciclare il denaro?”
“Sì, il nostro denaro.”
La bambina assottigliò gli occhi sempre più perplessa e disse: “Ma scusate, con tutto quello che potete riciclare perché proprio le banconote? Non avete paura che poi vi finiscano?”
In risposta ci fu un roboante, sentito, prolungato riso a crepapelle di tutti. Uno di loro, dopo essersi pulito gli occhi, tirò qualche pacca sulla schiena della cinese.
“Bella battuta sagace! Sei proprio uno spasso!” considerò divertito prima di richiamare gli altri e tornare a quel che loro avevano chiamato lavoro di squadra, ossia andare al centro di Tokyo e distrarre qualche negoziante di qualche multinazionale mentre gli altri rubavano la merce. Xiaoyu era rimasta a osservarli in silenzio. Non aveva capito ciò che era appena successo e rimase con quel dubbio per altri mesi, fin quando non se ne dimenticò del tutto.
In quel momento, l’unica cosa a cui pensava era quanto fosse stata fortunata a poter usufruire di un servizio simile, ed essendo un bagno pubblico diviso per sessi per lo più frequentato dai balordi della periferia est, come unica ragazza aveva tutta la sala per sé.
Si immerse completamente nella grande vasca calda e appoggiò la nuca sul bordo di porcellana, chiudendo gli occhi. Il mal di testa le faceva meno male, non aveva più i giramenti, e la nausea le era quasi del tutto andata via. A mente lucida, sgombra, riuscì più facilmente a ripensare alla sera prima.
Stava ballando con le ragazze, gli uomini del covo, e infine con uno sconosciuto. Era alto, vestito di nero, ma non ricordava le fattezze facciali. Tutto attorno a lei vorticava, e non capiva se era per via delle piroette che faceva o perché era la testa a girarle. Poi le si era avvicinato lui, che l’aveva riconosciuta nonostante il trucco e il vestito.
“Sei così bevuta che non capisci neppure quello che succede. Guardati! Ti reggi a malapena in piedi, vestita come una sgualdrina di strada. Lo sai che qualcuno potrebbe approfittarne?”
Era sicura che fosse il blouson noir. L’aveva presa per il polso per portarla via di malo modo. E poi.
E poi… le aveva accarezzato la mano?
Xiaoyu si alzò col busto scombussolata. Qualcosa sicuramente non quadrava, non era possibile che fosse successo. Nel sforzare la mente le ritornò una fitta alle tempie e si massaggiò la fronte per alleviare il dolore. Era come se stesse fondendo la realtà con qualche strano sogno che il subconscio aveva ricacciato fuori e di cui si era completamente dimenticata.
Si diede qualche schiaffo leggero sulle guance e si immerse con la testa nell’acqua calda e lenitiva, e non appena si sentì meglio decise di uscire dal bagno pubblico e cercare una soluzione per quello che attualmente era il problema più importante. Quando si trovò nello spogliatoio, dopo aver indossato la biancheria, nell’infilare il vestito rosso nella borsa notò scivolare da una tasca qualcosa. Lo raccolse, accorgendosi trattarsi di un biglietto da visita consunto e rosa.
“Girls bar…?” lesse curiosa e interdetta. Poi, un ricordo le riaffiorò improvvisamente:

”E così, piccola, hai bisogno di soldi?” chiese la prostituta alta e bionda tenendola per le mani e fermando la danza per avvicinarsi a lei e sentire meglio. La musica alta rimbombava per tutta la piazzola, così la bambina si era avvicinata alle altre per farsi sentire meglio.
“Devo dare 200000 yen entro domani sera, o l’amministratore mi caccerà di casa!” spiegò la bambina abbracciando le tre donne davanti a sé, un po’ per un’istintiva richiesta di conforto, un po’ perché si reggeva appena in piedi.
“Conosco una persona che potrebbe aiutarti,” disse la tipa di colore porgendole un biglietto da visita. “Gestisce un girls bar, quei locali che ora vanno tanto di moda dove gli uomini prendono un drink in compagnia delle donne che ci lavorano.”
“Compagnia…?” chiese con sospetto la cinese.
“Niente di che, dolcezza, solo due chiacchiere in cui ti fingerai interessata di quello che dicono. Non ti possono toccare, non c’è invischiato il sesso… devi solo gestire il locale come una normale barista e sederti ogni tanto con loro.”
La tipa di colore alzò confusa un sopracciglio quando notò la bambina cominciare a ridere.
“La parola sesso è davvero buffa, non credete? Sssseeesssssssssooo… normalmente mi farebbe arrossire, ma se la decontestualizzi è proprio divertente, come tutte le parole con una sola consonante. Babbooo, Pappaaaa...”
La tizia di colore si mise a ridere, mentre la stangona bionda la guardò seria. “Zuccherino, hai capito cosa ti abbiamo appena detto?”
“Fuuuffaaaaaaaaa…”
“L’abbiamo del tutto persa, ragazze,” ritenne la tipa in carne cominciando a ridere a crepapelle.


La bambina guardò la foto stampata sul biglietto da visita, poi lo girò per leggerne l’indirizzo. Non aveva mai fatto la barista, ma in fondo le settimane in cui aveva lavorato al Matto si era dovuta occupare di compiti simili, come sparecchiare, pulire e lavare piatti e bicchieri. Per quanto riguardava la compagnia, dopo aver vissuto mesi con tanti uomini, tra l’altro difficili e problematici, ritenne la faccenda piuttosto semplice.
Si mise il biglietto da visita in tasca e si aggiustò i codini, poi, prima di varcare la porta che dava all’atrio, fece un risolino.
“Fuffa…” mormorò divertita.
Cercò durante il tragitto nuove parole con doppie consonanti.

Dopo un quarto d’ora circa di camminata, arrivò al quartiere del girls bar. Era periferico come quello del covo dell’est, ma al contrario di quest’ultimo pieno di piccoli appartamenti accatastati e abitati, stradine a senso unico, chioschi e konbini.
Xiaoyu arrivò di fronte al negozietto, un piccolo edificio senza vetrine che dava direttamente alla strada, ed entrò. Appena aprì e richiuse l’anta, un campanellino attaccato allo stipite superiore risuonò. Il locale era piccolo, con un bancone di tre metri circa e sette tavolini circolari che rimpinzavano tutto lo spazio. Una porticina aperta dava a una sorta di cortile interno e sul lato alcune scale in legno portavano al primo piano.
“Permesso…?” disse la bambina. Non c’era anima viva.
“Siamo chiusi!” sentì dire da una voce roca, che Xiaoyu non seppe capire se fosse di una donna o di un uomo.
“Ehm… sono qui per propormi come barista. Mi chiedevo se-”
“Sali,” si sentì solo dire seccamente. La cinese obbedì, prese le scale e varcò la soglia aperta. Nello stanzino pieno di casse e scatoloni vide una scrivania dietro al quale c’era una donna sulla cinquantina – non fu facile capirne il sesso a primo occhio, indossava abiti larghi e maschili e aveva un cappello in testa. La donna, con i piedi incrociati appoggiati sulla scrivania, mosse la testa quanto bastava per osservarla di sottecchi. Aveva una sigaretta accesa tra le labbra e uno sguardo severo.
Rimase a fissarla in quel modo, per diversi secondi; al che Xiaoyu, sopraffatta dall’imbarazzo, tossì per rompere il silenzio.
“Le ragazze di Madeleine mi hanno parlato di questo post-”
“È uno scherzo,” la interruppe subito la donna assottigliando gli occhi sospettosa. “Non puoi conoscerle davvero.”
“Ma-”
“Quanti anni hai?” le chiese mettendo i piedi a terra, chinandosi in avanti e incrociando le braccia sulla scrivania. Xiaoyu sapeva che in posti simili era illegale lavorare da minorenne.
“Uhm… venti,” mentì la bambina.
“No è vero,” ritenne secca la donna. “Per tre motivi. Il primo è stato il “uhm”, il secondo che hai la faccia di una ragazzina, e il terzo e più importante…” soggiunse, indicando la cinese, la quale non capì l’antifona e guardò l’interlocutrice perplessa.
“Il vestito da scolaretta,” spiegò lei tornando con la schiena appoggiata alla sedia e i piedi incrociati sulla scrivania. Xiaoyu si guardò l’uniforme e si sorprese della sua stessa smemoratezza per quell’enorme svista. “Non ho tempo da perdere,” decretò la donna tornando alle fatture e la calcolatrice.
“Un attimo, la prego, io conosco davvero le ragazze di Madeleine. Lavorano al passaggio a livello, sono una quindicina, una di loro è di colore, l’altra alta e bionda…” tentò di dire la cinese, non ricevendo neppure un’occhiata dall’altra. “Ho anche lavorato al Matto.”
Solo in quel momento, la donna contraccambiò lo sguardo della bambina. “Hai detto il Matto?”
“Sì, il locale di Marshall,” informò la cinese, e l’altra sorrise appena.
“Quel vecchio pazzo…” disse soltanto. “Per quanto hai lavorato?”
“Un mese in tutto… compreso ieri sera,” ripose Xiaoyu.
“Per così tanto… è un record per le sue cameriere. Vuol dire che ti accontenti proprio di tutto.”
“Prego?”
“Sì, insomma, che hai proprio bisogno di soldi per arrivare a lavorare in un posto simile...”
“Non è male. I Law sono brave persone, e i clienti simpatici.”
“Simpatici,” ripeté la donna ridendo a bocca chiusa. “Sei davvero un tipo strano.”
La bambina fece un sorriso di circostanza, non capendo se fosse un complimento o un’offesa. “Quindi… posso lavorare?”
“Hai mai fatto la barista?”
“No. Ma imparerò!”
“Facciamo così. Stasera fai una prova. Se fallisci non ti lascio neppure un soldo, se ne sei capace ti pagherò ogni sera che verrai,” disse la donna alzandosi dalla sedia. Solo allora Xiaoyu realizzò quanto fosse alta. “Lo stipendio è di 7000 yen a not-”
“Accetto!” disse solo Xiaoyu a voce alta.
“Frena, ci sono delle regole da seguire. La prima è che non devi mai dire, mai, a nessuno che lavori qui. Sei una minorenne, e se mi scoprissero mi farebbero chiudere imminente. Per quello e per altre piccole cose…” ammise la donna con mistero. “Secondo, non devi trattare male i clienti, a meno che non sia necessario. Se ti toccano, allontanati e fai finta di nulla, ma non lasciarli fare. Terza regola, quando parlano fingi di pendere dalle loro labbra, qualsiasi cosa dicano. Che sia il loro cane, il loro lavoro noioso da banchiere, la loro moglie che non li capisce… devi sembrare un’allegra ingenuotta che si esalta ad ogni chiacchierata, chiaro?”
“Non ti deluderò, capo, diventerò una barista coi controfiocchi!” esclamò Xiaoyu stringendo i pugni con entusiasmo.
“Esattamente quello che intendevo dire,” si complimentò la donna annuendo con la testa.
“Non stavo recitando…” ammise la bambina perplessa. La donna la guardò senza dire una parola, poi si girò e si diresse alle scale.
“Comunque non chiamarmi capo. Puoi chiamarmi, uhm, Tsumugi.”
“È davvero il tuo nome?” domandò la cinese facendola girare e alzare un sopracciglio. “È che hai detto “uhm”,” soggiunse dubbiosa.
“Tsumugi,” ripeté soltanto la donna prima di scendere le scale e lasciare la nuova arrivata sola tra i suoi pensieri.

La bambina approfittò di quell’ora e mezza libera per familiarizzare col locale: ne guardò i cassetti, le mensole, ne studiò i prodotti da pulizia, le bibite e gli alcolici. Pulì il piano del bancone e il bagno, dopodiché andò in camerino a cambiarsi dopo che Tsumugi le diede l’uniforme da lavoro: un paio di pantaloncini grigi, una canotta lilla e degli sneakers. Poco dopo, arrivarono le sue colleghe – Hitomi, capelli corti e dieci anni di esperienza in quel campo, e Nanami, una ganguro girl ventenne dalle gote grandi e gli occhi truccati – con le quali si presentò.
I primi clienti furono facili: se ne occuparono le due più anziane, mentre Xiaoyu si dedicò a pulire, sistemare e portare alcolici, ma man mano che il tempo passava entravano sempre più persone e presto avrebbe dovuto fare di più per agevolare il lavoro delle altre.
“In questo taccuino ci sono le istruzioni su come fare i cocktail,” le disse al volo Hitomi con la voce attutita dalla musica poggiando sul bancone un libretto marrone. Xiaoyu lo aprì e trovò tanti termini strani, numeri e frazioni...
“Cos’è un tumbler alto?” chiese alla collega.
“È il bicchiere che si usa quando si serve la Coca Cola.”
“E cos’è uno shaker?”
Hitomi, a quella domanda, rimase completamente spiazzata.
“Facciamo che… io rimango dietro al bancone e tu ti occupi dei clienti, ok?”
La bambina fece un sorriso di circostanza, capendo di essere stata relegata a quel ruolo a causa della sua pessima conoscenza in materia di barman.
“Ok!” rispose facendo finta di niente prendendo il vassoio pieno di bibite.
“Ricordati di servire prima il più anziano,” ricordò Hitomi prima di lasciarla andare. La cinese si diresse al tavolo in questione, occupato da quattro uomini brizzolati. Rimase spiazzata e immobile, mentre i clienti la guardavano confusamente.
“Chi di voi è il più vecchio?” chiese con una schiettezza così spontanea e ingenua che li fece quasi cadere dalle sedie. Nanami corse a salvare la situazione ridendo e frapponendosi tra lei e gli uomini.
“Chi vuole vedermi ballare sul bancone?” domandò in maniera civettuola facendo completamente dimenticare l’accaduto. “Xiaoyu, tesoro, perché non vai a sederti con gli ultimi due arrivati mentre io servo i signori…?” soggiunse rubando un po’ troppo di prepotenza il vassoio della cinese e elargendole un sorriso dannatamente forzato.
La bambina percepì un’aura omicida attorno alla ganguro, una sorta di istinto innato che i combattenti di arti marziali come lei possedevano, ma fece finta di niente e obbedì. Si sedette al tavolo più lontano, occupato da due giovani con gli occhiali in abiti da ufficio.
“Ciao, ragazzi,” disse facendo un sorriso a trentadue denti. I due si sentirono subito a loro agio al sorriso spontaneo della bambina, e cominciarono a parlare del più e del meno. Il più basso dei due raccontò di una tipa con cui lavorava di cui aveva una cotta, ma non sapeva come confessarsi. Xiaoyu si ricordò delle parole del suo capo, che le aveva suggerito di sembrare un’allegra ingenuotta che si esalta ad ogni chiacchierata, e così fece:
“Oh povero cucciolo, scommetto che i tuoi tormenti d’amore non ti fanno dormire la notte!” esclamò teatralmente mettendosi le mani sulla faccia e scuotendo la testa.
“Stai… per caso usando del sarcasmo?” chiese il tipo più alto scrutandola offeso.
“Eh? No, non stavo-”
La cinese si bloccò non appena notò lo sguardo di disapprovazione del suo capo appoggiata allo stipite della porta che dava al giardino interno. Aveva una sigaretta in mano ormai spenta – il tabacco non bruciava neppure più – e Xiaoyu intuì che la stesse fissando da molto tempo. Non c’era bisogno di parole per capire che quello sguardo assassino non era un buon segno.
Difatti, dopo poco più di mezz’ora di disastri simili, la bambina fu mandata a pulire la parte bassa del bancone, nascosta da qualsiasi cliente. Sospirò, realizzando che per quanto si fosse impegnata quella sera niente avrebbe potuto salvarla da quella situazione, talmente catastrofica che era certa che Tsumugi per nulla al mondo l’avrebbe richiamata. Sarebbe stato già un miracolo ricevere metà della paga stabilita.
Si sforzò di non pensarci mentre puliva le mensole basse del frigo, quando sentì qualcuno urlare parole forti. Si alzò e vide tre uomini a un tavolo ridere di gusto, mentre uno di loro tratteneva per il polso con prepotenza Hitomi.
“La prego, signore, mi lasci…” implorò la ragazza.
“Eeeeh? Se dici così sembra che ti stiamo facendo uno sgarbo… eppure i clienti, qui, devono sentirsi a loro agio. È lo slogan di questo locale, o sbaglio?” esclamò quello che l’aveva afferrata per il polso, strascicando le parole come un ubriaco e ricevendo l’attenzione dell’intero locale su di sé. Gli altri due che l’accompagnavano ridevano sguaiatamente agitando per aria i loro drink.
Incoraggiato goliardicamente dai suoi amici, l’uomo si alzò e trascinò con sé la cameriera, ma prima di raggiungere la porta che dava al giardino interno venne intercettato da Xiaoyu.
“Lasciala stare, non vedi che non vuole?!” esclamò la bambina lanciandogli uno sguardo torvo, ma lui, anziché sentirsi minacciato, rise divertito.
“Chi diavolo è questa puttanella in miniatura?” urlò, buttando la cameriera di peso per terra e avvicinandosi alla cinese. “Spostati.”
La bambina non si mosse; al che, l’uomo la spintonò con una mano all’altezza della spalla sinistra.
Xiaoyu non ci vide più.
Afferrò l’uomo per l’avambraccio con entrambe le mani, lo tirò verso di sé e con un movimento veloce gli fece fare una capriola in avanti per aria facendolo cadere di schiena a terra.
“Maledetta troietta!” urlò uno del tavolo che si alzò di scatto e cacciò un coltellino dalla tasca, provocando le urla di paura delle cameriere e di alcuni clienti vicino loro. “Te la faccio vedere io!”
Si scagliò contro la cinese, che intrecciò veloci le braccia attorno alla mano armata del tipo e con un gesto impercettibile tanto era veloce lo disarmò facendo cadere il coltello a terra, a cui diede un calcio per farlo volare via. Poco prima di contrattaccare, percepì alle proprie spalle il terzo uomo scagliarsi contro di lei; lo schivò in tempo e approfittò della sua forza per spingerlo verso l’altro avversario e fargli assestare un pugno in faccia. Quando quest’ultimo cadde a terra e l’altro le fu di fianco, Xiaoyu giro su se stessa fino a trovarsi alle sue spalle e, con una serie di rotazioni delle braccia, gli assestò dei colpi con le mani, facendolo capitombolare sul pavimento. I tre si alzarono in malo modo e scapparono dal locale spaventati a morte.
La cinese si rese conto solo in quel momento di avere gli occhi di tutti puntati su di sé. Riposò le braccia dopo essersi inconsciamente messa in posizione da combattente e lanciò uno sguardo terrorizzato al capo, rimembrandosi della terza e forse più importante regola di tutte: di non trattare male i clienti e di allontanarli in maniera cordiale. Tsumugi la stava fissando con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse quanto bastarono per farle cadere la sigaretta appena cominciata a terra. Dopodiché, aprì la bocca in quello che all’inizio alla bambina parve un principio di urlo, ma che invece si trattò di un sorriso a trentadue denti.
La donna cominciò ad applaudire avvicinandosi alla cinese, e di rimando ci fu un coro esultante da parte di tutti i presenti nel locale, che si complimentavano con Xiaoyu e urlavano di gioia.
“Era settimane che quei tre ci infastidivano,” le disse Nanami aiutando Hitomi ad alzarsi, la quale le lanciò un sorriso riconoscente. “Abbiamo anche chiamato la polizia, ma questo li ha resi solo più arrabbiati...”
“Grazie a te non torneranno più,” fece Tsumugi dandole delle pacche sulla spalla. “Ti sei proprio meritata la paga di stasera, più un bell’aumento,” disse facendola sorridere entusiasta, “che però dovrò detrarti per la sedia che hai rotto,” soggiunse spegnendole ogni sprazzo di gioia. Le due cameriere risero per la scenetta, contagiando la bambina che si aggregò a loro.
Venne chiamata da uno dei clienti che le chiese di mostrargli l’ultima mossa. Xiaoyu acconsentì, simulandola a rallentatore, e Tsumugi, che aveva uno spiccato spirito imprenditoriale, pensò già in quel momento di dare alla nuova arrivata compiti atipici per la professione per cui si era proposta, come fare ai clienti lezioni di arti marziali; ma si tenne l’idea per sé, lasciando che la bambina si divertisse come non l’aveva mai vista fare quel pomeriggio.

La luna a spicchio si stagliava oltre il monte Fuji, accompagnata dal silenzio urbano di una giornata al suo termine. I negozi erano chiusi, le famiglie a dormire; l’unico rumore che spezzava la quiete notturna, oltre un cane che abbaiava alcune vie lontano, era il calpestio frettoloso della bambina che si appropinquava a casa. Sperava con tutto il cuore di poterla ancora chiamare tale. Era arrivata oltre la metà della cifra pattuita con l’amministratore del suo condominio, ma a detta di lui avrebbe dovuta averla tutta per non venir cacciata dall’appartamento per inadempienza. Aveva contato più e più volte tutti i soldi che aveva raccolto in quei due giorni con l’illusione che per qualche errore di calcolo li avesse conteggiati meno di quanto fossero, ma non fu così. Si fermò di colpo, svegliando il gatto tra le braccia, e rifletté. Forse l’amministratore, l’ultima volta, era solo di cattivo umore… forse, intuendo che l’intenzione di risolvere il problema del debito era sincera, le avrebbe dato altri giorni per accumulare il resto dei soldi…
Percorse la strada, stavolta correndo, spinta da una determinazione che in quei giorni non aveva mai avuto. Parlando a cuore aperto con l’amministratore era sicura di poter risolvere tutto.
Quando arrivò al quartiere, una zona residenziale persino più silenziosa della precedente visto che non c’erano negozi, si sentì frastornata nel sentire una canzone a tutta volume. Una musica, come l’aveva definita lei tempo addietro a Hwoarang dopo aver tentato invano di addormentarsi, odiosamente chiassosa e con troppe, inutili percussioni – e quella sera, ricordava perfettamente che in risposta quello sciagurato dai capelli rossi aveva alzato ulteriormente il volume sorridendo divertito e in tono di sfida.
Le venne quasi un mancamento quando si accorse che quel chiasso proveniva proprio dal suo palazzo, accompagnato da grosse risate e chiacchiericci. Le luci del suo appartamento erano le uniche accese: possibile che l’amministratore avesse dato in affitto ad altri la sua casa senza avvisarla?
Corse col cuore in gola, ma quando arrivò alle scale del condominio al piano terra vide qualcosa di persino più strano.
“John?” chiamò stralunata notando l’omone che si stava fumando una sigaretta proprio in prossimità delle rampe. Quest’ultimo si girò verso di lei e trasecolò.
“Cazzo, cazzo… ero distratto!” disse buttando la cicca e avvicinandosi a lei prendendola per le spalle. “Ok, ok, ascolta. Dovevo essere di guardia e avvisare gli altri del tuo arrivo… perciò fai finta di non avermi visto e sali su facendo una faccia sorpresa.”
“Che… cosa?” gli chiese Xiaoyu perplessa. Non capiva cosa stesse succedendo; non sapeva se dover essere preoccupata o cos’altro. Di sicuro spiazzata, poiché mai aveva visto John in un quartiere così borghese – sarebbe stato meno strano vedere un indigeno africano al Polo Nord.
“Sì, proprio quella faccia!” esclamò John spingendo dolcemente la bambina per le scale. Quando arrivarono al primo piano, a pochi metri dall’appartamento aperto della cinese, l’omone la prese per mano e l’accompagnò alla soglia d’ingresso.
“È arrivata Xiaoyuuu!” esultò l’americano alzando entrambe le braccia e, visto che ancora teneva la bambina per mano, quasi non l’alzò da terra. Quest’ultima osservò l’ambiente, il suo piccolo bilocale stracolmo di facce conosciute.
“Idiota! Dovevi avvisarci prima che arrivasse!” fece il tipo rasato che quella mattina aveva incontrato la cinese e che stava indossando dio solo sapeva perché un lenzuolo sulla testa.
“Sei tu l’idiota!” contrariò John arrabbiato indicandolo malamente col dito libero. “Avresti dovuto tenere le luci spente. E tu!” soggiunse prendendosela stavolta con un tipo capellone e ricciolo, “avresti dovuto tenere la musica a volume basso.”
“Sei tu che mi hai detto di tenerla a volume alto per non far sentire i porno che Mugen sta guardando in TV!”
“Non ho mai detto niente del genere!” controbatté John, rimanendo perplesso per il significato di quell’affermazione solo in un secondo momento. Il capellone ricciolo fece spallucce e disse, semplicemente:
“Allora me l’ha detto qualcun altro.”
“Mugen, cos’è questa storia dei porno?!” urlò l’americano; al che, il tatuato si affacciò dalla cameretta di Xiaoyu.
“Non ho fatto niente! Ho solo acceso la TV per distrarmi e a quest’ora ci sono solo cose spinte, non l’ho deciso io il palinsesto,” si discolpò Mugen con serenità prima di tornare a guardare come se nulla fosse quello che lui stesso pochi minuti prima aveva definito un triplo sandwich ma che non aveva nulla a che fare con materie culinarie.
La piccola Ling, in tutto questo, era ancora frastornata per la situazione: il suo appartamento era pieno zeppo di balordi del covo che urlavano, ridevano e litigavano, e nessuno la stava informando su cosa stava accadendo e...
Quel tale che stava ballando in camicia non era per caso l’amministratore?
“Suppongo che ancora nessuno ti abbia spiegato niente,” disse Rana di fianco alla bambina appoggiandosi con la schiena sullo stipite della porta e bevendo un sorso di sakè. “Mi spiace che debba essere io quello a farlo, non sono molto bravo in queste cose… i ragazzi hanno messo i soldi da parte per pagarti gli affitti arretrati e volevano farti una sorpresa.”
“Sei un guastafeste, Rana!” urlò il tipo con gli occhiali da sole. “Dovevamo dirglielo tutti insieme, e invece arrivi te e, senza un minimo di enfasi o emozione, spiattelli tutto e rovini la sorpresa!”
“Era già rovinata,” convenne serio l’uomo animale. “E metà di voi e già ubriaca. Non dovevamo stappare gli alcolici dopo l’arrivo di Xiaoyu?”
La bambina rimase impietrita e guardò l’amministratore, il quale, notandola a sua volta, le si avvicinò col passo incerto di un ubriaco e la faccia rossa e fregiata da un sorriso largo.
“I tuoi amici sono davvero uno spasso… perché non me li hai presentati prima?” le disse cominciando a ballare a tempo non appena si sentì chiamare dagli uomini del covo.
Quando finalmente cominciò ad elaborare ciò che era davvero successo, iniziò a piangere in silenzio. Si nascose il viso, sperando che tutto quel caos distraesse i balordi, ma uno di loro, il tipo col cappellino, notò la bambina tremare con la faccia tra le mani e accorse subito a consolarla. Uno dietro l’altro, tutti gli uomini le si avvicinarono, chi preoccupati, chi commossi, e la cinese li abbracciò uno ad uno ringraziandoli dal più profondo del cuore. Persino Mugen preferì l’abbraccio casto e sincero della sua bambina al culmine inevitabile del filmino di bassa lega che di lì a poco sarebbe avvenuto.
“Vi voglio beneeee!” esclamò Xiaoyu singhiozzando, abbracciandoli tutti e lasciandosi abbracciare. Tutte le tensioni dei due giorni passati, i postumi orribili della sbornia, lo stress di dover lavorare per avere più soldi possibili – tutto questo venne spazzato via in un attimo e tutto grazie agli amici migliori a cui potesse mai anelare. Sciagurati senza morale, feccia della società, ladri e borseggiatori, eppure le persone più buone che avesse mai conosciuto. Nessuno le aveva mai fatto un regalo simile…
Al pensiero la bambina si staccò dall’ennesimo abbraccio, si pulì le lacrime e aprì la borsa a tracolla che ancora teneva sulla spalla. Prese le banconote arrotolate e le diede a John.
“Questo è ciò che sono riuscita ad accumulare… non è abbastanza per ripagarvi, ma se mi date qualche giorno-”
“Non parliamo ora di queste cose, piccola,” disse dolcemente John chiudendole in un pugno la mano che teneva i soldi. “Pensiamo solo a divertirci. E a evitare che Mugen guardi altri porno o rovisti nella tua biancheria.”
“Mai fatto niente del genere!” esclamò il tatuato con un’enfasi ostentata che lo tradì subito.
La bambina ripose i soldi nella borsa e sorrise, poi batté le mani con entusiasmo colta da un’idea improvvisa.
“Dobbiamo fare una foto ricordo tutti insieme adesso che posso finalmente usare la macchina fotografica,” propose allegramente armeggiando nei cassetti della scrivania, e poco dopo un quesito le attraversò la mente. “Dov’è il blouson noir?”
“Da qualche parte qui fuori. Ha detto che aveva bisogno di un posto dove fumare in pace,” informò Rana, sorridendo qualche secondo dopo l’affermazione enunciata. “Sai, è stato lui a dirci della tua situazione… e Madeleine in qualche modo sapeva dove abiti. Per questo siamo riusciti ad aiutarti.”
Xiaoyu sorrise. “Devo ringraziarli entrambi…”
“Ne avrai occasione,” ritenne Rana con fare come sempre conciso e apparentemente distaccato. “Allora, questa foto?”
La bambina prese la macchina e cominciò a fotografare tutti, senza avvisare e talvolta dicendo di mettersi in posa; primi piani, mezzi piani, foto di gruppo, selfie: era così contenta e ispirata che sentiva di doverne fare almeno un centinaio per cogliere appieno quella felicità collettiva.
“Vado a chiamare il blouson noir,” disse poi uscendo dall’appartamento e percorrendo il corridoio esterno. Scese le scale e si fermò al piazzale in cerca del coreano, ma non vide anima viva. Si guardò prima intorno, poi contemplò la luna e notò uno sbuffo di fumo levarsi dal tetto piatto e basso dell’edificio. Sorrise, risalendo le scale.

Hwoarang, sdraiato e con gli occhi al cielo, stava ammirando un firmamento diverso da quello a cui era abituato. Nella periferia est le nubi coprivano ogni cosa, ma adesso, per quanto lo smog fosse ancora presente, riusciva a vedere persino qualche stella. Sentiva gli schiamazzi a qualche metro sotto, e talvolta aveva sorriso divertito alle scemenze che sparavano i suoi uomini, ma quando sentì annunciare l’arrivo della bambina si fece serio.
Il pensiero della notte precedente lo aveva perseguitato per tutto il giorno, e per la prima volta in vita sua aveva avuto paura delle conseguenze delle sue azioni. Circostanze sconosciute avevano tenuto la bambina lontana da lui per tutto l’arco della giornata, ma prima o poi avrebbe dovuto confrontarsi coi suoi ricordi o la presunta amnesia. Al contrario di lui, rimasto lucido per tutta la durata della festa, la cinese si era ubriacata bevendo chissà quanti distillati diversi per arrivare allo stato in cui era, mentre lui ricordava con chiarezza ogni cosa: gli sguardi languidi di Xiaoyu, i suoi sorrisi imbarazzati, e quelle labbra a cui aveva finalmente rubato il bacio che bramava da più tempo di quanto ammettesse.
Ispirò a fondo la sigaretta per non pensarci e per distendere i nervi, poi udì un rumore sospetto alle proprie spalle. Non ebbe il tempo di girarsi che sentì il suono di uno scatto fotografico e venne accecato da un flash inaspettato.
“Eri sul tetto come pensavo,” disse allegramente la bambina con in mano la macchina digitale, mentre l’altro imprecò a denti stretti coprendosi gli occhi infastidito.
“Non riesci proprio a fare a meno di entrare in scena nella maniera più fastidiosa possibile,” ritenne sarcasticamente Hwoarang lanciandole uno sguardo seccato.
“Mi hanno detto di quel che avete fatto,” disse Xiaoyu ignorando completamente la provocazione e sedendosi vicino a lui, il quale, d’istinto e senza riuscire a controllarsi, si alzò col busto e irrigidì i muscoli del collo. Era un ragazzo di strada tutto d’un pezzo, e fu grazie a questo che riuscì a mantenere una parvenza di contegno e a non mostrare il timore che in realtà provava. “E mi hanno detto che è stata una tua idea.”
Il coreano distolse lo sguardo dal sorriso radioso e naturale di lei. Cercò in tutti i modi un’altra risposta sagace da poter usarle contro, ma non trovò nulla.
“Ho solo raccontato quello che stavi passando. L’idea l’abbiamo avuta tutti assieme,” spiegò cercando di svilire il più possibile quella pensata che in realtà gli era venuta dal cuore e che aveva proposto, tra l’altro, con un certo, sentito carisma per riuscire a convincere il resto del clan.
“Ad ogni modo, è stato un gesto carino e ti prometto che vi restituirò ogni centesimo.”
“Puoi ben dirlo, e con gli interessi,” scherzò il rosso riuscendo finalmente a guardarla, ritrovandosela bella come la sera prima, chiedendosi come avrebbe più avuto la forza di non toccarla.
Un gatto nero salì sul piano di un condizionatore esterno e saltò sul tetto, arrivando alle gambe del coreano.
“Gatto!” fece la bambina tutta felice prendendolo in braccio.
“Si chiama di nuovo così, adesso?” chiese Hwoarang incuriosito.
“Perché, prima come si chiamava?” domandò a sua volta la cinese. Il rosso le scrutò il viso delicato, l’espressione sincera e di naturale confusione. Sapeva che una come lei, tremendamente spontanea e sprovveduta, non sarebbe riuscita a mentire così egregiamente come avrebbe invece fatto lui.
Hwoarang fece spallucce e si rimise la sigaretta tra le labbra. “Mah, non so… micio, probabilmente,” scherzò arridendo da un lato della bocca.
“Scemo,” disse Xiaoyu tirandogli una pacca leggera sulla spalla. Il rosso sorrise, poi si fece serio e aggrottò la fronte.
“C’è qualcosa che non va?” chiese la bambina preoccupata.
Le avrebbe voluto chiedere se ricordava qualcosa, qualsiasi cosa, ma il quesito rimase incastrato nella gola.
“Volevo darti questo,” disse poi cacciando quello che sembrava un portafortuna di stoffa giapponese. La cinese lo prese e vide sopra di esso, cucita al centro, una foto di Wang e lei da piccola.
“È una copia della fotografia che abbiamo trovato in salotto… così, ora che hai di nuovo il mazzo di chiavi di casa, puoi portarla sempre con te come portachiavi,” spiegò Hwoarang. La bambina guardò intensamente il portafortuna, poi lui, e non riuscì a frenare un abbraccio sentito, saltandogli al collo e cogliendolo alla sprovvista.
“Avevo abbracciato tutti tranne te…” si giustificò soltanto Xiaoyu sorridendo. Il rosso alzò la mano per cingerle l’attaccatura del collo, lasciandola a mezz’aria e sfiorandole appena l’orlo dell’uniforme, e non appena tentò di posarla lei si allontanò da lui col busto.
“So che per te queste sono cose da stupide femminucce, ma oggi sono così felice che non m’importa niente di quello che pensi,” dichiarò la cinese con un sorriso largo che mostrava tutti i denti.
“A dire il vero stavo pensando che sembravi una mocciosa che aveva appena ricevuto il regalino di natale, ma grazie del suggerimento,” scherzò Hwoarang, ridendosela di gusto mentre vedeva la sua bambina fare il broncio e cercare invano di colpirlo. Era così che doveva essere il loro rapporto, rifletté: puro, immacolato, di amici che scherzavano talvolta in maniera pesante, ma che sapevano di poter contare l’uno sull’altra.
Si alzò e si spolverò i calzoni di pelle, poi guardò la cinese tra il divertito e l’irrisorio.
“Andiamo giù a fare questa stupida cosa delle foto, così me la levo di torno il prima possibile,” scherzò il rosso grattandosi la testa e cominciando a scendere.
“Tu sei un Grinch di qualsiasi cosa bella!” contrariò Xiaoyu oltraggiata. “Ogni cosa che piace alla maggior parte delle persone tu la odi!”
“Mi piace la pizza,” ribatté il coreano con facilità lasciandola di stucco.
“Ok, col cibo è facile. Intendevo qualcosa di collettivo, tipo una festa, una ricorrenza...”
“Mi piace vedere la nazionale di Baseball.”
“Va bene, ma quando c’è di mezzo la musica o i festoni-”
“Mi piace il sesso,” disse il blouson noir girandosi a guardarla già divertito all’inevitabile, scontata reazione che avrebbe avuto la sua bambina: lo fissò prima in silenzio senza dire una parola con gli occhi sgranati, arrossendo in seguito e a scatto ritardato dopo aver elaborato il contenuto dell’ultima frase.
“Ti vedo disorientata… sei ancora rimasta alla storia dell’uovo e della cicogna?” scherzò Hwoarang ridendosela già di gusto. La bambina lo fulminò con lo sguardo e batté il piede a terra.
“Stupido! So cos’è!”
“Cos’è cosa?”
“Il… l’accoppiamento!”
“Che intendi con accoppiamento? Fare squadra insieme?”
“Sai bene cosa intendo, ma tu come al solito fai il cretinooo!” urlò esasperata la cinese saltando agilmente sul corridoio sottostante e cominciando a inseguirlo mentre lui scappava divertito.

“Finalmente siete arrivati! Dove diavolo eravate finiti?!” domando John all’arrivo inatteso e improvviso del blouson noir e la bambina che avevano varcato la soglia dell’appartamento completamente trafelati e sudati. “Dobbiamo fare la foto di gruppo tutti insieme!”
“Che bel’accoppiamento di parole che hai usato, John,” scherzò Hwoarang lanciando uno sguardo eloquente alla sua bambina.
“Sei un deficiente! Un idiota!” urlò quest’ultima puntandogli l’indice con fare minaccioso. “E parlando di accoppiamenti di parole, sei cosi tante cose insieme che dovrebbero inventare delle offese specifiche per te! Tipo cretinente! Scemiota!”
“Deficiota!” suggerì Mugen tutto contento intuendo subito il gioco a cui volle immediatamente partecipare. “È proprio il nostro capo.”
“E tu sei un maialìaco,” ribatté il rosso avvicinandosi al tatuato, posandogli una mano sulla spalla e indicando il letto di Xiaoyu. “Ti sei persino scordato di spegnere la TV con la bambina che sta per varcare la porta della sua cameretta.”
“Oh cazzo!” urlò Mugen correndo in direzione della cinesina, senza riuscire ad arrivare in tempo: Xiaoyu aveva già posato la borsa sul materasso e si era girata in direzione dello schermo acceso.
“Aaaaah, cos’è quella roba?” esclamò la bambina vergognosamente coprendosi gli occhi alla vista di un uomo e una donna che cominciavano a spogliarsi e al contempo toccarsi in posti che lei stessa avrebbe definito ingenuamente speciali.
“Non trovo il telecomando!” urlò il tatuato in preda all’angoscia, buttando giù cuscini e pupazzetti per cercarlo meglio.
“Spero non te lo sia infilato nei pantaloni,” scherzò John.
Mentre tutti sfottevano Mugen, nel chiasso assordante di risate e battute, spinta da una curiosità insita e naturale Xiaoyu aprì l’indice e il medio per spiare la televisione. Chiudeva gli occhi senza volere ogni volta che la situazione sembrava farsi più pesante, ma il particolare di una scena le suggerì di guardare, come guidata dall’indicazione silenziosa del proprio inconscio: l’uomo teneva la donna addossata al muro, in piedi, e le mordeva il collo.
La cinese sgranò gli occhi nel vedere che l’uomo che poco dopo si staccò dall’attrice si era trasformato nel blouson noir. E quando, infine, riuscì a ricongiungere i pezzi nella mente, vide la scena più chiaramente, il ricordo che non aveva afferrato e riassemblato da quella mattina, fino a quel momento.

“Davvero pensi che io sia carina?”
“Tu sei bellissima, lo sei ogni giorno, senza bisogno di chissà quale trucco o vestito succinto.”
Le dita di lui scivolarono sull’avambraccio scoperto di lei, lasciandole una scia di brividi, fin quando non si intrecciarono con le sue. Xiaoyu sentiva il cuore batterle forte, così forte che aveva la sensazione che sarebbe uscito dal suo petto minuto e agitato.
L’aveva visto chinarsi su di lei e aveva chiuso gli occhi per l’agitazione, ma quando sentì le labbra di lui sfiorare le sue rilassò le palpebre e trattenne il respiro. Era stato un bacio dolce e veloce, così inaspettato in confronto al carattere passionale e irruento di quel ragazzo. Ma fu una frazione di secondo, il tempo di un sorriso timido di lei, e stavolta Hwoarang si chinò prendendola per la nuca per darle un bacio diverso, intenso, che trattenne sulle labbra con più vigore. La bambina aprì gli occhi a quell’inaspettato slancio, e fu strano come le venne naturale socchiudere la bocca, un invito che lei stessa si meravigliò di aver fatto nella sua totale inesperienza. Sentì la lingua toccare la propria; era una sensazione nuova, diversa da come se la sarebbe aspettata quando la vedeva in qualche film d’amore. Nei romanzi veniva descritta come qualcosa di caldo, ma Xiaoyu la sentì fresca e umida, in contrasto col suo fiato.
Il coreano si staccò da lei, la quale dedicò a quella pausa veloce il tempo di regolarizzare il respiro, per poi tornare a baciarlo gettandosi al suo collo, provocandogli una risatina compiaciuta. Hwoarang la strinse a sé per sentire il suo corpo caldo agitarsi contro il proprio, accarezzandola lungo i fianchi, salendo sulla schiena e tornando sul suo viso.
Si allontanò da lei per poterle baciare la clavicola, risalendo il collo fino all’attaccatura della testa. Xiaoyu sentì dei brividi intensi mai provati prima. Era un’eccitazione nuova, che le fece portare lo sguardo meravigliato al cielo e accelerare il respiro, fino a quando non divenne una vera e propria palpitazione. Il coreano si staccò per guardarle il viso arrossato e spossato da respiri irregolari e si meravigliò con una punta di orgoglio di quanto era bastato poco per renderla così. Alle altre era servito più di questo per farle arrivare a quel punto, ma alla sua bambina era bastato stuzzicarle il collo, forse proprio grazie alla sua inesperienza, a quella giovinezza sbocciata da poco che faceva sentire ogni brivido, ogni carezza, ogni stimolo come una novità.
“Ancora,” disse solo lei veloce, e Hwoarang obbedì sorridendo e buttandosi con la testa nell’incavo del suo collo, mordendo piano e succhiando, facendola impazzire al punto che non riusciva più neppure a trattenere i singulti. Non poteva sapere quanto fosse eccitante per lui tutto questo, sentirla impazzire sotto i suoi baci come se fossero già arrivati oltre, percepire entrambe le mani dietro la testa per incitarlo a continuare. Era bastato questo per provocargli la più naturale conseguenza maschile, e si domandò se Xiaoyu se ne fosse accorta – una sorta di curiosità, non più una preoccupazione, ma ritenne che quasi certamente non era così visto il modo in cui si era completamente abbandonata a se stessa.
I baci del rosso scesero in basso fino alla scollatura del vestito in lattice. Si fermò con la mano sul tiretto della zip, realizzando che sarebbe bastata una pressione minima per aprire quell’indumento scandalosamente attillato, ma si trattenne, colto da un’apprensione lucida che riuscì a frenarlo dallo spogliarla: si trovavano all’aperto, in un luogo pubblico, alla mercé di tutti.
Senza dare il tempo a Hwoarang di terminare le proprie elucubrazioni, la bambina si gettò su di lui cominciando a baciargli il collo, facendo scivolare le mani sotto la maglietta viola e lasciandole salire sul petto con l’intenzione di sfilargliela. L’audacia della sua compagna gli provocò nuovi brividi e gli mandò in tilt il cervello, trovando il culmine in quella frase che lei enunciò con una certa timidezza nella voce:
“Ti piace?”
Il coreano la guardò divertito e intenerito. Non si era accorta dell’eccitazione che gli arrecava, del rigonfiamento evidente nei pantaloni; e quest’aspetto di lei, così ingenua e spontanea, in uno strano gioco di contrasti, la rendeva persino più desiderabile.
Non riuscì più ad aspettare e la prese per mano per poterla portare con sé in un posto più appartato. Era pieno di palazzine abbandonate, così decise di entrare nella più vicina. Dopo qualche passo frettoloso, sentì la sua bambina incespicare, riuscendo ad afferrarla in tempo prima che cadesse. Si era dimenticato dello stato ebbro in cui si trovava, così decise di mettersi di fronte a lei e sollevarla per le gambe, cominciando a incamminarsi con impazienza e foga non appena si assicurò di sentire le braccia della bambina cingergli il collo per tenersi ben stretta. Xiaoyu ridacchiò a quello che probabilmente, nella condizione in cui era, le sembrò un gioco. Aspettò che salisse le scale prima di baciarlo in bocca a metà rampa, rendendo il suo incedere ed equilibrio precario, sia perché gli aveva coperto la vista, sia perché lo aveva distratto di nuovo. Hwoarang ricambiò il bacio fermandosi e ritrovando stabilità grazie all’appoggio del muro della palazzina. Strinse la ragazza e l’adagiò con sé sulle scale, sovrastandola e baciandola di nuovo. Si alzò col busto il tempo di sfilarsi la maglietta e tornò a dedicarsi a lei.
“Manca solo… qualche passo,” mormorò Hwoarang con una certa riluttanza, visto il modo in cui lei aveva cominciato di nuovo a baciarlo sul petto scoperto. Con grande forza di volontà si alzò e trascinò con sé la sua compagna, stavolta facendo attenzione ad ogni passo e reggendola da sotto il braccio.
Entrò nella prima stanza e ne richiuse la porta con un calcio stringendo a sé la bambina e guardandola intensamente negli occhi. Ancora non ci credeva a quello che era successo, a ciò che stava per succedere. Sembrava la più impossibile delle fantasie da realizzare fino a qualche ora prima, e adesso lei era lì, tra le sue braccia, a fissarlo con uno sguardo dolce e lucido che non le aveva mai visto. Le accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano, e poco dopo Xiaoyu sorrise e si buttò all’indietro sul letto trascinando con sé il ragazzo per il braccio libero.
Hwoarang le vide uno sguardo deciso, appassionato, che non aveva paura, al contrario del suo che cominciò a vacillare nell’incertezza.
“Xiaoyu…” disse, e lei, in risposta, sorrise intenerita.
“Mi hai chiamato per nome…” affermò commossa e felice come lui non l’aveva mai vista quella sera.
“Te ne ricorderai?” le chiese titubante. “Ti ricorderai di tutto questo?”
La cinese rise a quella domanda inaspettata e allo sguardo inspiegabilmente corrucciato del ragazzo. “Che vuoi dire?”
“Non ti rendi conto dello stato in cui sei, figurati di quello che stai facendo…” convenne Hwoarang guardandola serio. “Non sono sicuro che tu lo voglia.”
“Certo che lo voglio!” replicò decisa la cinese.
Il rosso scosse piano la testa. “Come faccio a sapere che non sia l’alcol a parlare? Stasera hai fatto parecchie cose strane.”
“È da un mese che lo voglio,” ammise la bambina supplicandolo con lo sguardo di crederle. A quella confessione il coreano la squadrò attentamente per poterle leggere un qualsiasi indizio di verità, ma trovò solo gli occhi vacui e lucidi di una persona ubriaca.
“Se quello che dici fosse vero, allora ci saranno altre occasioni… ma se non fosse così, io sto per farti qualcosa che rovinerebbe per sempre il nostro rapporto. Sperando che non sia già troppo tardi.”
“Perché adesso parli come se avessimo fatto una cosa orribile…?”
“Tu non hai fatto nulla, sono io che… per tutta la sera ti ho rinfacciato che potevano approfittare di te ed ora lo sto facendo io stesso da vero ipocrita. Io odio l’ipocrisia,” spiegò guardando la bambina negli occhi che parve avere lo sguardo di chi faticava a seguire un ragionamento. “Se tu fossi una tipa qualunque pescata in una festa probabilmente l’avrei fatto, ma tu sei… diversa.”
Nascose il vero significato di quelle parole persino in quel momento in cui era certo la cinese avrebbe dimenticato ogni cosa.
In un moto di tormento misto ad agitazione, Xiaoyu lo prese col viso tra le mani e lo baciò con passione. Lui la lasciò fare mentre le accarezzava la nuca, e quando si staccarono la guardò negli occhi. Le avrebbe voluto dire che era bella, ma si trattenne e la sdraiò di lato adagiandosi dietro di lei.
“Non sei stanca?” le chiese invece.
“Mi gira la testa…”
“Chiudi gli occhi, allora,” le suggerì a voce bassa. La vide rimanere immobile, ne osservò la nuca e i capelli scompigliati che cominciò ad accarezzare per favorirle il sonno.
“Mi fa male lo stomaco…” gli disse dopo un po’.
Hwoarang si alzò e si diresse nel corridoio dove gli parve di aver visto degli attrezzi edili abbandonati. Prese un secchio nero e si avviò in stanza, ma quando giunse da lei la trovò addormentata. Posò piano il secchio vicino al letto e la guardò in silenzio per un buon minuto. Camminò con passo felpato per la stanza e chiuse piano la porta dietro di sé.


La bambina si lasciò cadere all’indietro sul materasso del letto, seduta con la schiena curva a guardare davanti a sé senza mettere a fuoco il filmino osé che si stava consumando dentro la sua TV. All’improvviso, lo schermo divenne nero e sentì esultare Mugen al suo fianco, il quale la risvegliò prepotentemente dai pensieri.
“L’ho trovato!” affermò quest’ultimo sventolando in aria il telecomando in mano. “Si trovava in bagno.”
“Cosa diavolo ci faceva in bagno?” domandò il tipo con la cresta colorata guardandolo confuso.
“Spero per te che non sia per quello che penso…!” disse Rana in maniera sospettosa con sguardo di disapprovazione.
“Ah, ma certo, ora ho capito!” urlò Mugen guardando male tutti. “Siete stati voi a nascondere il telecomando in bagno… Bello scherzo, disgraziati figli di buona donna! Come quella volta che avete comprato una rivista porno piena di uomini nudi e me l’avete messa sotto il cuscino!”
“Colpevole,” ammise Hwoarang. “È stato uno degli scherzi più geniali di tutti i tempi… ne voglio rivendicare la paternità.”
“Sei davvero un deficiota, capo!”
Il rosso rise a crepapelle, seguito dagli altri, e posò per caso lo sguardo sulla bambina, rimasta seduta sul letto. Si accorse che era sbiancata e lo stava guardando con un’occhiata atterrita e confusa, la bocca socchiusa che sembrava voler dire qualcosa ma non riusciva nell’intento. Era quella l’espressione che Hwoarang auspicò di non vederle il giorno dopo la notte in cui aveva lasciato che gli istinti si abbandonassero e prevaricassero sulla ragione. La bambina era spontanea, trasparente, e sapeva che non sarebbe riuscita a nascondergli neppure a volerlo la rivelazione di quella verità che il rosso aveva sperato venisse dimenticata per sempre.
Il ragazzo aggrottò la fronte e lasciò che la paura vincesse sul proprio carattere tenace e menefreghista.
Era fottuto.
























------------------------------------------------------------

Io non commento. Mi sono lasciata palesemente trasportare dal mio lato fangirl. Era dai tempi delle medie che avevo immaginato questo capitolo, e vederlo finalmente finito – per quanto ci abbia messo tanto – mi dà una sensazione di gioia assoluta e al contempo di non essere riuscita a renderlo come volevo, forse proprio perché era un capitolo importantissimo.
AD OGNI MODO.
L’avete visto l’anime di Tekken bloodline? È STUPENDO, GUARDATELO.
Seconda cosa (un fatto decisamente meno importante): ho trovato alcuni maschietti nelle clip dell’anime messe su Youtube, shippare la Xiaorang e mi rende tanto felice. Sono in tutto due ragazzi – un filippino e un americano – ma io mi accontento così, poiché prima era una ship completamente impensabile (e lo è tutt’ora ma con un po’ più di base).
TERZA COSA ANCOR MENO IMPORTANTE. Ho trovato una fanart hentai, sempre disegnata da un uomo, Xiaorang. Anche questo mi ha reso la giornata meravigliosa.
Grazie per aver letto tutto lo sproloquio inutile da fangirl. Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=88570