Desperado [Multitraslators] di Teanni (/viewuser.php?uid=89011)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo che non sapeva piangere ***
Capitolo 2: *** Prendimi così come sono ***
Capitolo 3: *** Mi diverte farti spaventare ***
Capitolo 4: *** Mi sono abituato al suo viso ***
Capitolo 5: *** Uno sporco segretuccio ***
Capitolo 6: *** Incoerenza ***
Capitolo 7: *** Scivolando via da me ***
Capitolo 8: *** Entrambe le parti, ora ***
Capitolo 9: *** Tesoro, non ti avrò mai tutta ***
Capitolo 10: *** Castelli di gelato per aria ***
Capitolo 11: *** Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta ***
Capitolo 12: *** La fine è nel nostro inizio ***
Capitolo 13: *** Non c'è niente di male nel sperare ancora ***
Capitolo 14: *** Andare Avanti ***
Capitolo 15: *** Il principe felice ***
Capitolo 1 *** L'uomo che non sapeva piangere ***
Questa fanction
è una traduzione. Potete trovare l'originale cliccando sul
link presente nelle Note del''Autore.
DESPERADO
L'uomo che non
sapeva piangere
Traduzione a
cura di besemperadreamer e erika91
Disclaimer:
questa storia è stata scritta per
i fan. I personaggi non mi appartengono, con l’eccezione di
quelli inventati da
me (ovviamente non Piton, Silente, eccetera) e della mediocre trama che
ho
messo insieme.
NdA:
La canzone, come il titolo di
questa storia, deriva dalla favolosa e malinconia canzone
“Desperado” di Johnny
Cash. E, ovviamente, non posso reclamare come mio il genio di Oscar
Wilde. La
storia che Abby legge è “Il
Principe
Felice”.
Molte grazie
alla mia brillante
beta!
“Don’t
your feet get cold in the winter time?
The
sky won’t snow and the sun won’t shine
It’s
hard to tell the night time from the day
You’re
losing all your highs and lows
Ain’t
it funny how the feeling goes away?
Desperado,
why don’t you come to your senses?
Come
down from your fences, open the gate
It
may be raining, but there’s a rainbow above you
You
better let somebody love you, before it’s too late”
Ma i
tuoi piedi non diventano freddi nell'inverno?
Dal cielo
non nevica e il sole
non brilla
È
difficile distinguere la
notte dal giorno
Stai
perdendo tutti i tuoi alti
e bassi
Non
è strano come la sensazione
se ne va?
Desperado,
perché non usi la
ragione?
Scendi
dalle tue posizioni,
apri il cancello
Potrebbe
piovere, ma c'è un
arcobaleno sopra di te
Faresti
meglio a lasciare che
qualcuno ti ami
Prima che
sia troppo tardi
Inspirò.
Immediatamente l’odore dei
disinfettanti invase le sue narici. Sospesa tra sonno e veglia, la sua
mente arguta
si mise in
moto,
cercando di
raccogliere freneticamente più informazioni possibili sulla
situazione in cui
si trovava. Prese un altro respiro, lentamente, quasi con cautela.
Sentiva…
dolore e sollievo. Significava che era vivo.
Un attimo.
Vivo? In realtà era
sorpreso di scoprire che, apparentemente, era sopravvissuto
all’ira del Signore
Oscuro. Un magistrale colpo di fortuna, di sicuro. Eppure
era ancora li, con un cuore
che martellava ancora
ad un ritmo leggero ma regolare, con dei polmoni che si riempivano e
svuotavano
in sincronia, con tutte le ossa del corpo che gli facevano un male
cane. Dolore
– si acuiva ad ogni respiro. Quando la sua cassa toracica si
espandeva era come
se venisse pugnalato da uno stiletto tagliente, e quando provava a
deglutire la
sua gola sembrava andare a fuoco.
Il dolore non
gli era nuovo. Come un
vecchio amico, lo aveva accompagnato nel corso degli anni...Si poteva
amaramente
definire quasi un esperto. Era consapevole che si potesse presentare in
varie
forme e che qualche volta le ferite corporali guarissero più
velocemente di
quelle dell’anima. Mentre altri lo rifuggivano, lui era
abituato a sopportarlo,
ed in fondo era l’unico punto fermo di quell’ignota
situazione.
Il suo cervello
registrò altre informazioni.
All’apparenza aveva un ago collegato ad una flebo .
Era una sensazione spiacevole, ma non più di una puntura di
una grossa zanzara.
Non si curò di aprire gli occhi. A quel punto, era
già abbastanza dover accettare
di essere vivo, e di sentirsi men che entusiasta a riguardo.
Qual era il suo
ultimo ricordo?
Strinse di più gli occhi, ritraendosi in se stesso,
ricercando quelle memorie
nella sua coscienza. L’ultima cosa che ricordava era che
stava morendo
dissanguato mentre il ragazzo, Potter, lo fissava con gli occhi
sbarrati. Analizzando
quel momento in retrospettiva, trovò leggermente ironico
aver visto proprio lui
per ultimo, nella sua esistenza terrena. Il mondo intero sembrava
girare
intorno al famigerato Signor Potter, dopotutto. In tutta
sincerità, doveva ammettere
che non tutte le colpe erano da ricondurre al
Ragazzo-Sopravvissuto-Ancora. Gli
eventi in cui quell'insolente ragazzino si era spesso ritrovato
coinvolto, e
alcune volte anche costretto, risalivano a un tempo lontano dalla sua
nascita -
un tempo, dove i suoi genitori erano ancora studenti ad Hogwarts. Giorni
di scuola, giorni di scuola. Vecchi, cari, routinari, giorni
dorati… Da quei
tempi aveva compiuto tante scelte, e per suo grande rammarico, molte di
esse si
erano rivelate terribilmente sbagliate.
Un amaro
sorrisetto si formò agli
angoli della sua bocca. Alla fine la sua morte sarebbe stata inutile,
ma quale
morte alla fine aveva senso? Solo i giovani morivano in maniera eroica.
I
bastardi di mezza età come lui… Beh, loro
morivano di una normale, noiosa morte
senza senso, perché raggiunta una certa età
l’idealismo diventava qualcosa di
inafferrabile.
Sentì
un fruscio di tessuto. Essendo
piuttosto sicuro di non essersi mosso, concluse di non essere solo
nella
stanza. Forse, dopotutto, era tempo di aprire gli occhi. La prima cosa
che
entrò nel suo campo visivo fu il suo braccio, che sembrava
più pallido e magro
di quanto ricordasse. Scoprì stranamente che non gli
importava più di tanto. Il
Marchio Nero era oscurato da un brutto livido violaceo. C’era
stato un tempo in
cui niente era stato capace di ricoprirlo, ma ora era solo un ricordo
lontano. Chiuse
di nuovo i suoi occhi, sentendosi esausto.
“Penso
che sia sveglio,” sentì dire a
una voce femminile. Normalmente forse non sarebbe stata spiacevole, ma
in quel
momento tutte le voci echeggiavano dolorosamente nella sua testa come
il raschìo
di unghie sulla lavagna.
Un’ombra
ricadde su di lui. Un aroma
poco familiare invase le sue narici: un profumo costoso, molto dolce,
quasi
nauseante. “Chiamo un’infermiera,” disse
la voce dopo un momento di esitazione.
Poteva sentire gli occhi della donna sul suo viso, e
aggrottò le sopracciglia infastidito.
La sua presenza era a malapena tollerabile.
Inaspettatamente
il dolore si
intensificò, riversandosi su di lui come un’onda.
Prima era stato sopportabile,
ma ora che ogni sensazione era decuplicata, la sua testa minacciava di
esplodere. Voleva urlare, ma non ci riusciva. Dalla sua gola sarebbe
dovuto
uscire qualche suono, ma sentiva solo dei disperati ansimi strozzati.
Sentiva
le guance bagnate. Piangeva, probabilmente per la prima volta da anni,
ma a
quel punto non se ne preoccupava più. Il suo corpo era
dolore, la sua mente una
caliginosa nube rossa.
“Tienilo
fermo,” ordinò un’altra
voce, suonando improvvisamente vicina. Diversi volti lo sovrastavano,
ma non
riusciva a vederne chiaramente neanche uno. Emergevano brevemente da
quella
confusione indistinta che era la sua visione, poi vi sparivano di nuovo
dentro.
Scosse la testa ancora e ancora, sapendo istintivamente cosa sarebbe
successo.
No! No! No! No! Qualcuno toccò il suo braccio. Una presa
decisa ma gentile
intorno al suo polso, una breve inutile lotta, seguita dalla leggera
sensazione
dell’ago che penetrava la sua pelle. Poi tutto
rallentò piacevolmente. I suoni
si affievolirono fino ad esaurirsi, e i movimenti veloci diventarono
lenti,
mentre precipitava gradualmente in un sonno privo di sogni.
“E’
un oltraggio!” sibilò lei al
giovane guaritore, mentre sullo sfondo due infermiere si affrettavano
intorno
al letto dell’uomo. Una controllava criticamente la flebo
attraverso la quale
la pozione Guaritrice entrava in cirlcolo, mentre l’altra
prendeva le
pulsazioni dell’uomo. Il giovane guaritore rimase senza
fiato. Era sulla trentina
e arrivava probabilmente dritto dritto dalla Scuola Medica Merlino o da
qualche
altra università. Inesperto com’era,
l’improvviso sfogo della donna lo prese
momentaneamente alla sprovvista.
“Mi
dispiace, Signorina Priestley,”
iniziò.
“Non
Priestley. Carter,” lo
interruppe la donna con voce stridula per il suo stato di agitazione.
“Signorina
Carter, se gentilmente mi
dice qual è il suo problema, farò del mio meglio
per aiutarla,” suggerì il
giovane uomo, cercando di essere particolarmente educato per non farla
arrabbiare ulteriormente.
“Sono
sorpresa che me lo chieda. Il
coma di mia zia è il risultato dell’attacco di
alcuni Mangiamorte. Trovo piuttosto
insensibile che abbiate scelto di metterla nella stessa stanza con uno
di
loro.” I suoi occhi verdi lo fissarono con disapprovazione.
Le sue mani
tremavano leggermente. Appena se ne rese conto, le strinse in due pugni.
“Per
favore, Signorina Carter. Si
calmi.” Il guaritore si guardò intorno, cercando
impotente qualcuno o qualcosa
che lo potesse salvare dalla situazione. I suoi occhi si fermarono
sulla
tavoletta d’argento che pendeva alla fine del letto della zia
della signorina
Carter. La afferrò, tenendola tra sé e la donna
come uno scudo.
“Signorina
Carter, posso chiamarla
Abigail?” chiese, sbirciando il suo nome mentre gli occhi
leggevano
nervosamente l’anamnesi del paziente.
“No,
non penso che sia necessario,”
rispose lei tranquillamente, incrociando le braccia.
Il guaritore
rimase momentaneamente
basito dalla risposta. “Signorina Carter,
quest’uomo non è un Mangiamorte
qualunque. Si è preoccupata di leggere i
giornali?” Iniziava a sentirsi
irritata. “Lui è Severus Piton.” Il
dottore indicò il paziente in questione.
Abigail si
voltò per dare
un'occhiata veloce dell’uomo sul letto d’ospedale
dietro di lei, poi concentrò
di nuovo la sua attenzione sul giovane dottore.
“Quindi?”
“Ha
lavorato per Silente e l’Ordine
della Fenice,” spiegò con esasperazione.
“Oh,
senza dubbio! Avrebbe potuto
dirmelo prima. Questo risolve tutto,” rimarcò
sarcasticamente.
Il giovane uomo
sospirò. “Beh, se le
è di consolazione, garantisco io per lui. È
perfettamente sicuro. Inoltre vede come
è stato ridotto. Che minaccia può rappresentare
in queste condizioni?”
“Lei
cosa ne pensa? Esattamente
quella che rappresenta un generico Mangiamorte svenuto. Praticamente
innocuo
come un gattino,” la sua voce grondava sarcasmo.
“Va
bene, vedo che con lei non si
può ragionare,” il guaritore alzò le
mani in resa.
“Si
potrebbe, se trasferisse mia zia
in un’altra stanza.”
“Vedrò
cosa si può fare,” evitò
strategicamente di menzionare che al momento il San Mungo era pieno e
che le
possibilità di trovare a sua zia un’altra stanza
erano pari a quelle di trovare
una palla di neve all’inferno. La guerra era appena finita.
C’erano molti
feriti e ancora di più sull’orlo della morte.
Aveva cose più importanti a cui
pensare che non risentimento e dolore.
***
Lei si
curvò sopra di lui,
fissandolo dall’alto in basso. Gli occhi con cui lo stava
scrutando non erano
gentili. Coglievano ogni difetto, ogni piccola imperfezione.
Molte persone
sembravano serene nel
sonno. La loro maschera scivolava via, rivelando la loro vera natura.
Era come
una rapida occhiata nel passato, la visione di una versione
più giovane e
innocente del dormiente. Ma questo uomo? La sua faccia era un maschera
anche
nel sonno.
Il suo naso
adunco era il tratto
dominante di un viso che trasudava un’aria di arroganza e
severità. Le due
profonde rughe intorno alla bocca non sembravano quelle tipiche di una
persona che
amava ridere di cuore. Poteva immaginare la sua bocca ghignare con fare
derisorio verso di lei. Il complementare cipiglio, che supponeva
seguisse il
ghigno, doveva essere il colpevole del profondo solco tra le sue
sopracciglia.
I suoi occhi
vagarono sulla gola che
era stata finemente avvolta in bende. Dovevano essere cambiate. Sottili
venature rosse si stavano formando sul bordo della stoffa bianca,
espandendosi
e scurendosi lentamente. Per qualche ragione che non riuscì
a spiegarsi, tese
la mano come per toccargli la guancia. La sua pelle sarebbe stata calda
o
fredda? Le sue dita indugiarono indecise sul suo viso per un istante.
Lei
sobbalzò violentemente quando la
mano di lui si mosse fulminea e si chiuse attorno al suo polso. La sua
presa
era salda, ma non brutale. Non si aspettava di svegliarlo. Era stato
fuori
gioco fino all’incidente di pochi giorni prima.
I loro occhi si
incontrarono. Un
sopracciglio si alzò quasi beffardo mentre la guardava senza
battere ciglio.
Guardare dentro i suoi occhi neri era stranamente turbante, ma lei
sostenne lo
sguardo senza cedere, anche se si sentiva come una mangusta di fronte a
un
serpente velenoso.
“Lei
è uno di loro,” disse lei
infine, meravigliata dalla tranquillità della sua stessa
voce. Con un
energetico strattone riuscì a liberare la mano.
La mano di lui
tornò sul lenzuolo in
modo slealmente lento. Incapace di parlare, lui continuò a
fissarla, dando l’impressione
di essere del tutto indifferente a quanto lei aveva appena detto. Poi,
alla
fine - un lento annuire, un segnale per lei che aveva capito.
“Loro,”
la voce di lei era quasi un
sibilo quando pronunciò quella parola
“l’hanno quasi uccisa.” Gli occhi di
Abigail vagarono automaticamente sopra la forma dormiente di sua zia.
Lui ruotò
cautamente la testa per seguire la sua occhiata, attento a non far
riaprire le sue
ferite. Ci fu un lampo
di comprensione nei suoi occhi quando si fermarono sul volto della
donna più
vecchia.
Lei lo guardava
con la coda
dell’occhio, senza mai perderlo di vista. “La
conosce? Non si preoccupi. Tutti
la conoscono.” La sua bocca era piegata in un sorriso amaro.
“Ma
questo probabilmente è
perché…”
si azzittì un attimo, lottando per tenere sotto controllo le
sue emozioni. Il
dolore andò solo a incrementare la rabbia, cosa che era
controproducente,
perché stava cercando disperatamente di comportarsi
civilmente.
“Può
immaginare quanto io non sia
particolarmente entusiasta di trovarla qui, anche se il dottore mi ha
detto che
lei è l’eccezione che conferma la regola, un
paradosso vivente, per così dire.
L’unico Mangiamorte del mondo
intero di cui ci si possa
fidare. Deve scusarmi se non condivido
l’entusiasmo,” il tono derisorio della
sua voce era difficile da non notare.
Lei si
azzittì di nuovo, guardandolo
gravemente, come per cercare di capire se fosse una minaccia o no. Dopo
un po’
sembrò aver raggiunto una qualche sorta di conclusione,
perché allontanò gli
occhi per fissare invece il lucido pavimento di linoleum. “Ho
letto qualcosa su
di lei. La sua biografia non ispira proprio fiducia, ma il ragazzo,
Potter,
pensa di sicuro che lei sia una specie di eroe.”
La bocca di lui
si contrasse in un
sorriso amaro, che lei non mancò di notare.
“E’ quello che penso anch’io.”
commentò il suo gesto. “Diciamo le cose come
stanno. Io non aspiro a
conoscerla, ma anche se lo facessi, non penso che diventeremmo migliori
amici.”
L’espressione
sul viso di lei
cambiò. La calma apparente venne rimpiazzata da
un’espressione arrabbiata. Si
sporse più vicino in modo da trovarsi quasi naso a naso. Lui
la guardò
tranquillamente per un momento. Fino a quel momento era stata solo una
donna
fastidiosa, nipote della signora con la quale aveva la sfortunata di dividere la
camera. Non gli
importava di lei, perché era stata solo un’altra
faccia senza nome, ma
sfortunatamente lei voleva farne una questione personale. Lo
costringeva a
guardarla, a percepirla ad un livello che andava oltre la semplice
constatazione della sua esistenza. Gli occhi di lui vagarono sul suo
viso,
cercando di catalogarne i tratti. Viso ovale, fronte alta, mento
piccolo, naso
corto, sopracciglia arcuate, occhi verdi…
Con grande
sorpresa della donna, la
sua vicinanza improvvisa sembrava metterlo molto a disagio. Le sue
narici si
dilatarono leggermente mentre di nuovo respirava l’aroma del
suo profumo. Il
calore irradiava da lei e si insinuava sotto la sua pelle. Era una
sensazione
poco familiare che lo innervosiva parecchio. Incapace di sostener il
suo sguardo
ancora a lungo, i suoi occhi vagarono altrove, guardando qualunque cosa
tranne
lei. Il suo ovvio disagio le diede quel tipo di sicurezza di cui aveva
bisogno
per dire a voce alta ciò che aveva sulla punta della lingua.
Quando
parlò ancora, il suo fiato
caldo pizzico la sua pelle. La sua voce era bassa; quasi un sussurro,
ma poteva
sentirla abbastanza bene. “Per il momento diciamo che la
terrò d'occhio. Se
qualcosa va storto… se lei e i suoi amici Mangiamorte
torcono anche solo un
capello a mia zia…” Il resto della frase rimase
sospesa nell’aria.
“Forse
sono solo una donna, ma non
le conviene sottovalutarmi.” Gli scoccò
un’ultima occhiata persistente, prima
di muoversi bruscamente per alzarsi.
Il suo
improvviso allontanamento lo
lasciò a domandarsi se si fosse immaginato tutto. Ma
l'angolo del suo letto su
cui lei si era seduta era ancora caldo e la sua minaccia gli risuonava
ancora
nelle orecchie. Per sua somma sorpresa dovette riconoscere che l'aveva
presa
seriamente.
***
La voce di lei
lo strappò via da un
sonno privo di sogni. A differenza dell’ultima volta che
l’aveva sentita, non
era carica di aggressività. Era dolce e gentile, cosa che
gli fece capire che
con tutta probabilità non stava parlando con lui.
Una
conversazione con lui, comunque,
sarebbe stata unidirezionale in quei giorni. Il guaritore
l’aveva informato che
l’attacco di Nagini gli aveva lesionato le corde vocali,
rendendogli
impossibile parlare fino a quando le ferite non si fossero rimarginate.
In quel
momento gli stavano somministrando la pozione Vox Reparo, che,
speravano,
sarebbe servita allo scopo. Aveva letto qualcosa a riguardo ma la
pozione era
ancora in fase sperimentale, e questo non aumentava le sue speranze.
“Seriamente,
non riesco a capire perché questa storia ti piaccia tanto.
Giuro, ogni volta
che la leggo, mi viene
da piangere,” disse Abigail, rivolgendosi ovviamente a sua
zia.
Lui
voltò il capo scomodamente per guardarla. Lei sedeva su una
sedia
accanto al letto della zia, con in mano un consunto libro rilegato in
pelle. Le
sue mani scivolavano
sulla
rilegatura come se far scorrere le dita sulla sua superficie liscia
le procurasse qualche genere di conforto. Ogni tanto si aggiustava gli
occhiali. Avevano la montatura scura, rettangolare e la facevano
sembrare un topo da biblioteca.
“Dicono
che i pazienti che sono
caduti in coma siano capaci di
percepire cosa succede attorno a loro così, forse, tu sei in
grado di sentire
la mia voce. So che è infantile...lo so, ma devo almeno
provare, non credi?”
fece una pausa come se stesse aspettando veramente che la donna
incosciente
rispondesse. Sciocca
ragazza! L'unica suono
nella stanza era
l'occasionale sgocciolio
della sua flebo. Era quel tipo di silenzio che, alla lunga,
poteva diventare esasperante. Avendolo
sopportato per ore, ne sapeva
qualcosa.
Sperò quindi
che lei continuasse a parlare. Con suo grande sollievo finalmente lo
fece.
“Sapevo
che l’avresti pensata come me. Beh, farò meglio a
cominciare a
leggere allora,” si schiarì la gola. Si
udì per poco tempo il fruscio di pagine che
venivano voltate, poi la sua voce sorprendentemente regolare
riempì la stanza.
“In
alto, al di sopra della città, su un'alta colonna, c'era la
statua del Principe Felice. Era placcato interamente con sottili foglie
d'oro
zecchino, per occhi portava due brillanti zaffiri, e un largo rubino
rosso
luccicava sull'impugnatura della sua spada.”
Severus
era troppo annoiato per fingere disinteresse. Quella sterile e
piccola stanza d'ospedale non gli forniva chissà quali
distrazioni, così
ascoltò con attenzione
la sua lettura, assorbendo
ogni singola parola. Era la prima
forma di intrattenimento
degli ultimi
due giorni e ne
benediva ogni secondo.
Si
sentì stranamente toccato da quella storia malinconica. Era
una
storia di abnegazione e amore incondizionato. Non ne sapeva molto sulla
vita,
ma di
quei
due concetti
sì. Il
suggerimento che alla fine dell'esistenza terrena ci sarebbe stata una
ricompensa
per le azioni compiute, comunque, lo
fece accigliare.
Gli sembrava strano che sarebbe stato perdonato per tutto quello che
aveva
fatto, sebbene fosse stato per il bene superiore. Il fine giustifica i
mezzi e
quello che...Balle!
Il
rumore della sedia che strisciava sul pavimento mentre lei si alzava lo
fece riemergere da quel sogno
ad occhi aperti. Lei baciò sua zia
sulla fronte come al solito e si voltò per andar via. Il
regolare clip-clap dei
suo tacchi alti annunciò il suo allontanamento. Lei
esitò quando passò davanti
al suo letto.
“Non
leggo per lei,” disse infine bruscamente. La sua voce
tremò appena
quando parlò. Stava tirando leggermente su col naso. Se
avesse pianto o no era, a quel punto, relativamente
irrilevante. Per
qualche ragione si
sentì profondamente
offeso dal suo commento. Gli unici
strumenti di vendetta in quei giorni erano
non verbali. Decise quindi
perforarle
la schiena con lo sguardo mentre si
allontanava.
Dopo che se ne
fu andata, il silenzio insopportabile avvolse nuovamente
la stanza. Volse la sua testa per guardare la persona che giaceva nel
letto
accanto al suo. Per lui era soltanto
un’anziana
signora dai capelli argentei. Per il resto del mondo Magico, era Miriam
Priestley - una celebrità. Il Cavillo, la Gazzetta del
Profeta, praticamente
ogni giornale, aveva già scritto di lei nel corso degli
anni. La sua faccia ben
conosciuta, che
generalmente sorrideva allegramente dalle copertine dei libri, era adesso
pallida e
decisamente poco affascinante. Era praticamente impossibile non sapere
chi lei
fosse. Miriam Priestley, mahatma nella ricerca e nello sviluppo di
incantesimi,
orgogliosa autrice di vari libri di Difesa contro le Arti Oscure. Al momento non
sembrava granché ad
una leggenda;
infatti in ogni suo tratto se ne poteva scorgere l'età, ed ogni ruga, ogni
chiazza sulla
pelle era pronunciata, a causa del suo cattivo stato di salute.
Severus provava il
disperato bisogno di trovare qualcosa con cui tenere occupata la sua
mente. Non
che qualcuno avesse in programma di venirlo a trovare, comunque; a nessuno
importava abbastanza
di lui per venire a vedere come stava. Tutto quello che doveva fare era
aspettare con ansia la
fine di un altro lungo
pomeriggio. Così quando scorse il libro rilegato in pelle
sul comodino
del
letto della
signora Priestley, lo vide come la sua ancora di salvezza. Doveva solo alzarsi e
prenderlo, ma chissà se era veramente pronto a sostenere un
tale sforzo. Un semplice
“Accio libro!”
sarebbe bastato. Beh, peccato! Non aveva la sua bacchetta e praticare magia
senza
era fuori
questione nel suo debole stato. Era inutile piangere sul latte versato.
Fece scendere
le gambe dal bordo del letto. La tunica d'ospedale
arrivava a coprire
a malapena le sue
ginocchia che apparivano
ossute e pallide, non come l'ultima volta che le aveva viste. Non aveva piena
fiducia
nella funzionalità delle sue gambe, ma l'alternativa di
soffrire ancora la
noia,
trascorrendo il tempo a
fissare il soffitto, non era proprio un’alternativa. Avrebbe
preferito piuttosto stare steso sul pavimento come uno scarafaggio sul
dorso
che sopportare ancora un altro minuto così.
Per sua
sorpresa riuscì a raggiungere, vacillando, il comodino e
recuperare la sua preda senza incorrere in nessun incidente
preoccupante. Ci
volle solo circa mezz'ora. Certo, ci fu qualche occasionale scivolata, un
po’ di nausea, ed
inciampò qualche volta, ma nulla che non potesse sopportare.
Alla fine
sprofondò nel suo letto esausto, ma col libro tra le mani.
Trascorse il resto
del pomeriggio sfogliandolo, divorando ogni parola scritta sulle pagine
ingiallite.
Col senno di
poi, probabilmente non si sarebbe mai lamentato della
mancanza di compagnia, perché l'ebbe molto prima di quanto
volesse. Il giorno
seguente, Harry Potter venne a fargli visita. Fortunatamente gli acuti
squittii
di eccitazione emessi
delle infermiere alla
sua
vista lo
avvertirono in anticipo,
così poté velocemente fingere di essere addormentato in tempo.
Poteva sentire una
sedia venire accostata al suo letto, seguito da un lungo, tirato,
sospiro.
Fortunatamente Potter ebbe abbastanza buon senso da non provare a
svegliarlo.
La sua perseveranza era piuttosto sorprendente. Dopo un'ora era ancora
lì.
“E'
sempre così?” bisbigliò alla fine
Potter ad un’infermiera passante
che era venuta a prendersi cura della signora Priestley.
“Si, dorme molto. Almeno,
è
sempre addormentato quando entro in questa camera,” disse con
tono amichevole.
Piton sogghignò malignamente tra
sé e sé. Questo era
perché l’infermiera era
fastidiosa quasi quanto Potter. Lo importunava sempre, offrendosi di
sprimacciargli
il cuscino, chiedendo se avesse apprezzato il pranzo o meno, il che era
estremamente stupido, dato che evidentemente non poteva rispondere.
“Forse
dovrei andare via,” disse Potter con rammarico.
“Così
presto? É appena arrivato.”
“Ritornerò.”
Alle orecchie di Piton quella frase suonò come una
minaccia. Il rumore della sedia che strisciava sul pavimento
annunciò
l'allontanamento a lungo desiderato del Sig. Potter. Sentì
dei passi sul
pavimento di detestabili
suole di gomma. Che altro?
La porta si
aprì. “Oh, mi scusi,” esclamò
una ben conosciuta voce
femminile.
Era di nuovo
quella donna,
era
già arrivato il momento della
giornaliera visita a sua zia. “Non mi aspettavo
di trovarla qui. Lei è
Harry Potter, vero? Abigail Carter. Piacere di conoscerla.”
Adesso aveva un
nome da associare a quel viso. Forse poteva smettere di
chiamarla “quella donna”- o forse no, se continuava
ad essere estremamente
detestabile.
“Piacere
di conoscerla, Signorina Carter. Non è che, per puro caso,
lei
è imparentata con...”
“Miriam
Priestley, sì,” giudicando dal tono della sua voce
stava
sorridendo.
“Oh,
per un momento ho pensato che avrebbe detto Piton,” il tono
di
Potter era sospettosamente neutrale.
“No,”
disse lei freddamente. La sua risposta monosillabica parlava da
sé.
“Non le piace,
eh?”
osservò Potter.
“E'
così ovvio?” chiese lei leggermente imbarazzata.
“Beh,
sì.”
“Mi
deve scusare allora.”
“Nessun
problema.”
“Ok,
allora…”
Potter
fece brevemente una pausa, “Piacere
di averla conosciuta, Signorina
Carter.”
“Abigail,”
offrì lei.
“Abigail.
Ma solo se mi chiami Harry.”
“Va
bene.”
“D'accordo.”
“Arrivederci
allora.”
“Ciao.
Ci si
vede in giro, allora.”
“Sì,
suppongo di sì,” sentì un sorriso
inconfondibile nella voce di
Potter. Fece pochi
passi, si fermò di
nuovo. “Mi dispiace se sembro un po' sfrontato, ma devo
proprio chiedere...come
può odiare qualcuno che non è nemmeno capace di
parlare?”
“E'
un Mangiamorte,” disse come se quello da sé si
spiegasse da solo.
“Capisco,
ma considerando
tutto quello che ha fatto non credi di avere, non so, un
po’ di
pregiudizi?”
“Forse,
ma chiunque al
posto mio sarebbe
leggermente sensibile quando si tratta di Mangiamorte,” il
tono
di voce rappresentava un avvertimento a non toccare quell'argomento.
“Come
mai?” Potter era ancora incapace di cogliere le ovvie
sottigliezze.
“Sono
stata una fuggitiva per gli ultimi due anni. Sono una Mezzosangue, sai. Possiedo un negozio di libri a Diagon
Alley. É
stato chiuso in mia assenza. “Mondi in Collisione”?
Non credo che tu ne abbia mai sentito
parlare. Vendiamo
letteratura Babbana così come libri di incantesimi,
biografie e qualsiasi cosa
che sia mai stato pubblicato nella Comunità
Magica.”
“Veramente
sì. Ad una mia amica piace fare acquisti lì.
Hermione
Granger?”
“Ma
certo, Hermione. Portale i miei saluti. É una
così cara ragazza.
Spero stia bene.”
“Sì,
sì.”
“Mi
fa piacere sentirlo.” Seguì una pausa imbarazzata,
che non fu tanto
strana in una conversazione tra due persone relativamente estranee.
“Per
quanto riguarda Piton...”
“Si,
cosa?” c'era una traccia di irritazione nella sua voce.
“So
che non sembra una delle persone più simpatiche.”
Lei si lasciò
sfuggire una risatina soffocata. Piton era leggermente offeso.
“E' facile
provare antipatia nei suoi confronti,” abbastanza stranamente
Potter stava
prendendo le sue difese. “Io l'ho provata per un lungo
periodo, ma dovresti
dargli un'altra possibilità, guardare oltre le apparenze.”
“Perché
dovrei?”
“Piton
mi ha protetto tutti questi anni a Hogwarts. Ha messo a rischio
la sua vita ancora e ancora e non l'ho ripagato esattamente con
gentilezza.”
“Perché
avrebbe dovuto farlo? Da quello
che ho letto sui giornali era ovvio che lui ti disprezzasse,”
inquisì lei
curiosamente. Piton poteva praticamente immaginare il cipiglio sulla
sua
faccia. Sperò solo che Potter non rispondesse alla sua
domanda. Ma ovviamente,
quando c'era di mezzo lui, era inutile desiderare o sperare.
“Forse
l’ha
fatto...forse è
ancora così, ma di certo
non disprezzava mia madre.”
“Oh,”
disse lei. Era piuttosto ovvio che avesse capito l'allusione non
tanto sottile.
“Già,”
disse
Potter.
“Grazie,”
disse Abigail dopo un po'.
“Per
cosa?”
“Per averne
parlato con me.”
“Non
è stato niente di ché.”
“Beh...”
“D'accordo.”
“Ci
vediamo.”
“Sì,
ciao.”
Finalmente
la porta dietro Potter si chiuse. L'infermiera era andata via
durante la conversazione tra Abigail e Harry, così c'erano
solo lui, la zia e
Abigail nella camera. La sentì ispirare ed espirare
lentamente di proposito come per calmarsi, poi
si avvicinò per
sedersi accanto al capezzale di sua zia
e mise il libro che aveva letto prima sul comodino accanto al letto di
Piton.
“Per
tenerle compagnia. So che l'ha preso la volta scorsa...credo che
sia meno problematico così,” disse lei. Era andata
via prima ancora che lui
potesse aprire gli occhi.
Dopo una
settimana improvvisamente venne loro l'idea di dargli pergamena
e penna d'oca così che potesse essere almeno in grado di
comunicare. La ragione
per cui ci avessero messo circa una settimana per arrivarci non fu per negligenza. Era solo che il
loro paziente non
sembrava particolarmente loquace.
Poiché
molte delle sue ossa rotte e dei suoi lividi stavano iniziando a
guarire, trascorse
considerevolmente
meno tempo a dormire e molto più ad annoiarsi.
Naturalmente
era grato delle visite di Abigail, perché anche se non
veniva per lui, gli
forniva comunque un qualche tipo di distrazione durante quegli infiniti
giorni
al San Mungo. Quando era a corto di parole con sua zia, tirava fuori
questo o
quell’altro libro e iniziava a leggere.
Non tutti
sposavano i suoi gusti, alcuni erano piuttosto sdolcinati e
femminili, ma come aveva detto lei stessa prima, non leggeva per
lui, e quindi non aveva
di che lamentarsi. Che gli
interessassero o meno, tutti riuscirono a
coinvolgerlo e gli permisero di lasciarsi alle spalle quella mediocre
stanza in
cui era confinato, anche se solo
per un'ora.
Per qualche
ragione - forse erano state le parole di Potter - lei aveva
preso l'abitudine di lasciargli libri sul
comodino prima di andare via, così che potesse leggerli a sua
discrezione.
“Gli
da almeno uno sguardo?” Abigail chiese quando
depositò l'ultimo
libro accanto al suo letto. Lei lo guardò con aspettativa
come se stesse
realmente aspettando una risposta. Sentendosi
stranamente
obbligato a giustificarsi, raggiunse d’impulso
la
penna d'oca e la pergamena.
La sua
scrittura era regolare, come se fuoriuscisse da una
pressa topografica, e piuttosto vecchio stile. “Non gli ho
meramente dato uno
sguardo, li ho letti, persino,” diceva il foglio. Aveva
dovuto sacrificare la
maggior parte del suo consueto sarcasmo in vece della concisione,
eppure
qualcosa ancora riusciva a filtrare dalla brevità della nota.
“Spero
che le stiano piacendo,” disse lei piuttosto
impersonalmente.
Affascinata,
vide come la sua mano scrisse un altra sentenza sul foglio
come se si muovesse
di sua sponte.
“Erano soddisfacenti.”
“Bene.
Beh, d'accordo. Credo che andrò adesso,”
annunciò e si volto per
andare via, ma fu fermata da una mano attorno al suo braccio.
Abbassò lo
sguardo per fissarlo con fare inquisitorio. Lui rimosse velocemente la
mano, prima di affrettarsi a scrivere
qualcos'altro sul pezzo di carta.
“Mi ha stancato.
Perché non
si decide a chiedere?”
Lei
guardò alternativamente lui, poi il foglio con un cipiglio
sul viso.
“Chiedere cosa?”
Questa volta si
risparmiò di scrivere. Non era necessario. Lo sguardo
sul suo viso parlava chiaro. Le sue sopracciglia erano sollevate
scetticamente
e la sua bocca era incurvata in un sorriso derisorio.
“Bene,”
disse Abigail, provando a mantenere la sua voce regolare. Senza
alcun dubbio aveva voluto chiederglielo lo stesso minuto che aveva
visto il
marchio nero sul suo braccio.
“E'
coinvolto in quello che è accaduto a lei?”
Lui
voltò la testa per guardare sua zia per un lungo momento,
poi
finalmente scosse la testa.
Sentì
improvvisamente un groppo alla gola. Gli credette, quando disse
che non era coinvolto, ma la sua esitazione implicava che aveva preso
parte a
tante altre cose che erano egualmente terribili e rivoltanti. Abigail
lentamente fece un passo indietro, ma per qualche ragione non
andò via. Forse
era solo perché aveva paura di voltargli le spalle.
“Ha
provato piacere...nelle cose che ha fatto?” Abigail chiese
quando
ritrovò la sua voce di nuovo. Involontariamente la sua mente
ritornò al giorno
in cui l'avevano trovata, affamata e disperata. Come avvoltoi, avevano
giocato con lei. Era
stata debole, troppo debole per provare persino a tenere bene la
bacchetta in mano...L'avevano
circondata sempre
più. Le loro
facce sorridevano, mentre sua zia piangeva e supplicava
pietà invano.
Lui
posò la punta della penna sulla pergamena esitando, poi
finalmente scrisse con
una certa veemenza. “Non provo
piacere
in
nulla.”
Lei
fu presa in contropiede dalla sua ammissione inaspettata. Per un po'
non fece altro che fissarlo senza parole, almeno finché le
ultime vestigia di
buone maniere non ritornarono a galla. “Mi
dispiace,” infine riuscì a dire, non
sapendo esattamente per cosa era dispiaciuta-il fatto che fosse stata
meno che
gentile o che lui apparentemente fosse una persona molto triste e
infelice.
“Non
ho bisogno, né voglio la
sua pietà,” la sua scrittura era stampata
profondamente nel foglio.
“Bene,
perché non ho nessuna intenzione di compatirla,”
lo informò
bruscamente. Seguì una lunga pausa. Poteva sentire i suoi
occhi su di lei.
Perché stava provando ad allontanarla fissandola? Non funzionava
più con lei dalla quinta
elementare.
I suoi occhi
ricaddero sul libro che giaceva sul comodino. Era un porto sicuro
in quella
situazione grottesca. “Questo è uno dei preferiti
di mia zia,” gli disse
Abigail, cambiando deliberatamente argomento. Ne aveva saputo
abbastanza quel giorno. “Ne
abbia
molta cura. Lo rivoglio indietro domani.”
La pozione Vox
Reparo dovrebbe aver funzionato adesso. Ha già provato a
parlare?” chiese esasperatamente il giovane guaritore.
Lui scosse la testa. No. Non ne aveva sentito l'esigenza sino a quel
momento.
“Beh,
forse dovrebbe provare ora,” suggerì l'altro uomo.
“Vorremmo
sapere se almeno ha dato qualche tipo di effetto.”
Piton
annuì lentamente. Sebbene non volesse ammetterlo, la sua
voce era
il suo unico vanto. Nessuno gli aveva detto mai di essere bello e il riflesso giornaliero dello specchio
aveva reso quella
realtà piuttosto concreta. Molte
persone, comunque, avevano
occasionalmente lodato
la sua voce, chiamandola
setosa, persino ipnotica. Durante gli anni aveva imparato
come usarla in suo favore per fare tremare gli studenti o intimidire i
suoi
avversari.
Inumidì
le labbra nervosamente, schiarendosi la gola, poi prese un
profondo respiro. Quello era il momento della verità.
“Io..” fu sorpreso di
sentire la propria voce di nuovo. Suonava stranamente poco familiare
ma,
ancora, non aveva usato la sua voce per un bel po' di tempo. “Qualche effetto
l’ha avuto sicuro. Dovreste
dire al vostro pozionista di renderla più potente. Ci sono
volute otto
ingestioni prima che funzionasse. Aveva paura di mettere gli
ingredienti
sbagliati e di uccidermi accidentalmente?”
“E
così ha funzionato,” rimarcò seccamente
il guaritore.
“A rilento,
sì,”
aggiunse Piton
per prendere le dovute misure.
“Dopo
il tipo di ferite di cui ha sofferto, è un miracolo che
abbia
persino sortito qualche
effetto,”
dando uno sguardo alla cartella clinica del paziente.
“Così,
quanto tempo intendete tenermi qui dopo aver recuperato la mia
voce?”
“Francamente,
Signor Piton, non dovrebbe prenderla così alla leggera.
É
un miracolo che lei sia vivo dopotutto. Se il Signor Paciock non
l'avesse
trovata quando lei...Deve ancora ristabilirsi. Ha sofferto di
un’emorragia
prolungata, diverse costole rotte e fratture, un paio di ematomi
evidenti...Non
mi sentirei in pace con
me stesso a dimetterla
subito.”
“Bene,”
rispose Piton oscuramente, provando a venire a patti con il
fatto che fosse stato salvato da
null’altri che Neville
Paciock. L'universo sembrava avere un senso dell'umorismo
piuttosto oscuro.
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Capitolo 2 *** Prendimi così come sono ***
Your
joy is your sorrow unmasked.
And the selfsame well from which your laughter rises
was oftentimes filled with your tears.
And how else can it be?
The deeper that sorrow carves into your being, the
more joy you can contain.
Is not the cup that holds your wine the very cup that
was burned in the potter's oven?
And is not the lute that soothes your spirit, the very
wood that was hollowed with knives?
When you are joyous, look deep into your heart and you
shall find it is only that which has given you sorrow that is giving
you joy.
When you are sorrowful look again in your heart, and
you shall see that in truth you are weeping for that which has been
your
delight.
From
"The Prophet" Kahlil Gibran
Traduzione a cura di besemperadreamer e Erika91
“Ciao,”
lo salutò allegramente Abigail,
quando arrivò dentro la stanza. Era di un inusuale buonumore
quel giorno.
Piton
annuì semplicemente in
risposta, come era sua generale abitudine.
“Buona
giornata anche a lei,” disse
con una certa dose di riservata gentilezza, aspettando pazientemente la
sua
reazione.
Durante le
ultime due settimane
aveva capito che, nonostante lei provasse a mantenere la facciata di
una
persona controllata, era in realtà molto emotiva.
“Puoi
parlare...” rimarcò lei con
eccitazione. Per quanto Severus ne sapeva, lui non le andava molto a
genio,
eppure era genuinamente felice della sua ripresa. Ce l’aveva
di carattere.
“Già,” disse rimarcando il dato oggettivo.
Perché lei stesse facendo tutte quelle storie su qualcosa di
così poco conto,
andava al di là della sua comprensione.
“Wow!
E' un bel traguardo! Non ne
sei… non so… felice?” gli chiese,
camminando verso il suo letto.
Lui
scrollò le spalle. “E' un
piacevole miglioramento.”
“Un
piacevole miglioramento?!”
ripeté le sue parole con fare sdegnoso. “Allora
come mai non sembri
contento?”
Severus come
previsto ignorò la sua
domanda. Lei non si diede per vinta, comunque. “Va bene
sentirsi felici di
qualcosa, sai” Abigail gli scoccò uno sguardo
strano. Era chiaro che lo
considerava piuttosto ingrato e oltremodo insopportabile.
“Mi
è piaciuto il libro che mi ha
dato,” cambiò bruscamente l'argomento lui.
Lei
sbatté le palpebre, guardandolo
confusa per quell'improvvisa svolta nella conversazione. “Non
mi aspettavo che
ti sarebbe piaciuto. Non so molto di te, ma non credevo che ti
piacessero gli autori
contemporanei.”
“Non
pensavo che questo lo fosse.”
si accigliò lui, guardando il libro sospettosamente.
“Temo
proprio di sì.”
“Bene,
fortunatamente non l'ha reso
evidente.”
Gli rivolse un
sorrisetto sbilenco,
che doveva essere interpretato come ironico. “E’
vero, è vero! Hai letto quella
parte sulla Gioia e la Tristezza?”
“Era
un passo del libro, no? Allora
direi che può presumere con sicurezza che io l'abbia
letto.” le rivolse
un'occhiata tagliente.
“Sei
acido,” osservò Abigail. “E
scortese,” fece una piccola pausa pensando, “e non
sei un granché a fare
conversazione.”
“E
dunque?”
“E'
divertente.”
“Bene,
sono lieto di essere capace
di divertirla.”
“E tu
non lo sei adesso?” sorrise e
si incamminò verso il letto di sua zia.
Le loro
chiacchierate divennero
sempre più frequenti. All'inizio sembrava che lei si
sentisse obbligata a fare
conversazione per comune decenza, dopo aver scoperto del recupero della
sua
voce, ma presto le loro conversazioni diventarono più lunghe
e meno
impersonali.
Per qualche
ragione per lui
inspiegabile, da irritato lei lo trovava estremamente divertente. Ma
ciò che lo
rendeva maggiormente perplesso era che Abigail non sembrava essere
intimidita
dalle sue maniere scostanti. Occhiatacce e commenti sarcastici in
genere
funzionavano bene con gli studenti, che si rimpiccolivano e si
contorcevano sotto
lo scrutinio dei suoi occhi taglienti, mentre lei si limitava a
rivolgergli un
sorrisetto compiaciuto e replicare con un’eguale frecciatina
derisoria. Questo
atteggiamento nei suoi confronti era senza precedenti. Forse era questo
che lo
intrigava e che l'aveva portato in primo luogo a istaurare un qualche
tipo di
dialogo con lei. Abigail, invece, aveva un'altra teoria.
“No,
davvero sei una persona con cui
è facile parlare...”
“Forse
voleva dire che sono una
persona con cui è facile discutere?” lui
arcuò un sopracciglio in sua
direzione. “Bisogna fare attenzione a queste sfumature
linguistiche, alcune
volte fanno tutta la differenza.”
“E'
così, Professore? Per qualche
ragione mi deve essere sempre sfuggito, grazie per avermi illuminato adesso. Sono
la proprietaria di un negozio di libri, sa. Ma, ecco, è
venuto in mio possesso
solo per una fortuita coincidenza. Le ho già menzionato di
essere illetterata?
E' veramente una situazione tragica,” lei alzò gli
occhi al cielo.
“Ne
dubito. Legge piuttosto
fluentemente.” replicò lui.
“Mi
compiaccio nel sapere che le mie
abilità di lettrice soddisfino i suoi standard, ma potrei
informarla, con molta
gentilezza e rispetto, che lei è forse la persona
più scortese che abbia mai
avuto il piacere di conoscere?” gli disse, sorridendogli
divertita.
“Non
sono stato scortese,” replicò
piuttosto indignato.
“Fino
ad adesso ho potuto osservare
solo due umori del suo indubbiamente ampio repertorio: terribilmente
irritato e
oltremodo infastidito dal troppo stare a letto.”
“Be,
c'è ne un terzo.”
“E
quale sarebbe?”
“Divertente,”
disse con una serietà
mortale ed il volto perfettamente inespressivo.
Lei rise.
“Attento, Severus!
Scherzare così potrebbe compromettere la tua
reputazione.”
“Non
che ne sia rimasta molta
comunque,” disse cupo. Aveva il talento di raffreddare
immediatamente l'atmosfera
come nessun altro. Il sorriso le si freddò sulle sue labbra
e la sua risata
morì lentamente.
“Mi
dispiace. Sembra che sia
riuscita a esagerare ancora,” lei disse con rimorso.
“Non
importa,” scacciò via la sua
scusa con un gesto spiccio della mano, come se fosse una mosca
fastidiosa che gli
ronzava intorno alla testa. “Quindi, cosa stava
dicendo?” chiese Piton,
cambiando deliberatamente l'argomento.
“Ah,
già. Allora,” disse dopo un
attimo di riflessione. “Dicevo…che quando conosci
una persona all’inizio ti
aspetti chissà cosa, o magari già ci parti
diffidente, ma comunque cerchi sempre
di dare una buona impressione. Tra noi, invece, non
c’è stato niente di tutto
questo…Possiamo dire che ci siamo dati reciprocamente la
peggior prima
impressione di tutti i tempi, no? Non credi che sia stato meglio
così?
***
Abigail si
tirò dietro la porta e
iniziò a camminare lungo il corridoio, seguita dal rumore
dei suoi tacchi sul
pavimento. Gli angoli della sua bocca si stavano lentamente arricciando
in un
sorriso soddisfatto. Lei si accigliò, provando a scacciare
via il pensiero, ma
non vi riuscì, e si fermò di colpo. Come era
successo? Perché si sentiva tutto
ad un tratto così felice?
Un'infermiera
la sorpassò nel
corridoio, ignara del suo dilemma. Si scambiarono un saluto veloce, poi
l'infermiera se ne andò, lasciando Abigail da sola con i
suoi pensieri. Non era
previsto che andasse così.
Era stato
facile odiarlo. L’aveva
voluto fare sin dal momento in cui aveva visto il Marchio Nero sul suo
braccio,
eppure eccola lì a sorridere perché le era
piaciuto parlare con lui.
Le piaceva? Un
uomo che riusciva allo
stesso tempo ad essere ovviamente antipatico e subdolamente piacevole.
La parte
subdola si poteva scorgere nei sorrisi rivolti quando credeva che lei
non lo
vedesse, nel mostrarsi intelligente e dall'ingegno vivace. Era il
partner di
scambi verbali che non aveva mai avuto e che non credeva di volere.
Eppure il suo
passato, quell'oscuro
piccolo dettaglio, stava in agguato dietro l’angolo.
Aveva la
sensazione che prima o poi
avrebbero dovuto farci i conti, ma per il momento poteva solo fidarsi,
e non
era facile dopo tutto quello che aveva passato: in fuga per
più di un anno e trovata
alla fine dai Mangiamorte. Anche se, doveva ammettere, non avevano
esagerato
nel torturarla.
Si erano
limitati a picchiarla e
deriderla, ma non avevano nemmeno estratto la loro bacchetta. Avrebbero
fatto
di peggio, se non fossero stati convocati dal Signore Oscuro. Con molta
probabilità era ancora viva grazie a pura fortuna e perfetto
tempismo. Se
l'avessero catturata qualsiasi altra notte non sarebbe stata
lì.
Quindi
sì, non era particolarmente
felice all'idea che lui fosse stato un Mangiamorte, ma c'era sempre
quel
ragazzino, Potter, che parlava in suo favore. Beh, ragazzino era un po'
inappropriato invero. Era già un giovane uomo. Pensarlo la
fece sentire
vecchia, sebbene fosse solo sulla trentina.
“D'accordo,
che amicizia sia”. Annuì
e riprese a camminare.
***
Il giorno in
cui fu dimesso gli
portò un paio di sorprese. La prima fu che ricopriva ancora
la posizione di
insegnante di Pozioni a Hogwarts. Infatti nelle prime ore della
mattinata aveva
ricevuto una lettera da Minerva McGranitt, ora preside, nella quale
esprimeva
la sua gioia nell’apprendere della sua rapida guarigione,
sperando che avrebbe
potuto tornare presto a scuola ed iniziare ad insegnare di nuovo.
Ovviamente,
aveva accettato. Nonostante sentisse un profondo disgusto per ognuno di
quei
mocciosetti di Hogwarts che si sentivano geni incompresi, traeva ancora
conforto dai dintorni familiari del suo laboratorio di pozioni, dove,
dopo una
lunga giornata di scuola, poteva concedersi uno dei suoi esperimenti
oppure
perdersi semplicemente nei suoi pensieri. Non conosceva altra vita e
sospettava
che non ne avrebbe voluta un’altra.
La seconda
sorpresa fu un pacco avvolto
da semplice carta marrone. Una delle infermiere, la più
fastidiose di tutte,
per coincidenza - non si era preoccupato di imparare i nomi ma solo di
attribuire a ciascuna diversi livelli di odiosità - glielo
porse con il
commento “Dalla sua amica” e un dolce sorrise
nauseante. Lui l’aveva solo
guardata e gliel’aveva tolto dalle mani.
Lo
aprì solo quando fu fuori dai
confini dell’ospedale, togliendo meticolosamente
l’involto. Era un volume
rilegato in pelle, sulla quale il titolo del libro, “De
Profundis”, era
impresso in lettere d’oro. Fece scorrere le dita su di esso,
assaporando la
sensazione, prima di aprire la prima pagina. Su di essa c’era
scritto qualcosa
con una scrittura tondeggiante piuttosto femminile. Senza dubbio un
messaggio
da parte sua. Lui non aveva mai visto la sua scrittura, ma se
l’era immaginata
proprio così.
Diceva:
“Caro Severus.” Non le aveva
mia permesso di chiamarlo per nome, ma stranamente sembrava che lei
avesse
presunto che andasse bene farlo. Apparentemente le veniva naturale.
“Ho la sensazione
che questo sarà di tuo gradimento più della prosa
che hai dovuto sorbirti
quando leggevo a mia zia, nel corso delle ultime settimane. Nel caso
esaurissi
il materiale di lettura, sai dove trovarmi…”
Si era
assicurata di far si che lo
potesse fare mettendo strategicamente il suo biglietto da visita nel
libro. Lo
prese in mano e lo guardò sospettosamente come se fosse
stato in procinto di
morderlo. Si presentava abbastanza bene. Il davanti era nero patinato,
con il
nome della sua libreria e l’indirizzo scritto in lettere
bianche, mentre il
retro era semplicemente bianco. Ci aveva scritto sopra qualcosa.
All’iniziò
aggrottò le sopracciglia quando lo lesse, ed un sorriso di
sbieco apparve
brevemente sul suo viso, prima di riporlo al sicuro in tasca.
“Veniamo
incontro anche alle
esigenze di pentiti tirapiedi del male.” Nessuno avrebbe
potuto chiamarlo così
e sopravvivere, eccetto Abigail. A conti fatti, era il tipo di
insolenza su cui
passava sopra quando proveniva da lei, perché trovava che
fosse … cercò
velocemente il termine adatto… piuttosto accattivante.
Finì
il libro in una notte. Abigail aveva avuto ragione, sembrava che fosse
stato
scritto per lui. Il fatto che lei avesse indovinato in modo
così intuitivo,
tuttavia, le trattenne dall’accogliere la sua offerta di
andare a trovarla.
Così si lasciò distrarre dalla
familiare routine di
correggere temi, preparare lezioni e assegnare punizioni. Vivendo in
una scuola
collegiale, era abbastanza facile isolarsi dal resto del mondo.
Hogwarts era un
microcosmo pienamente funzionale che provvedeva a qualunque cosa i suoi
abitanti avessero bisogno: biblioteca, cibo, partite di Quidditch, gran
quantità di pettegolezzi, che non apprezzava
particolarmente, ma che erano a
quanto pareva un male necessario…
Il giorno del
suo ritorno sentì che
nulla era cambiato. Aveva indossato una volta ancora le sue familiari
lunghe
vesti nere e quando aveva messo piede nella classe il familiare odore
di gesso
e legno, mischiato ad una leggera nota di reagenti acidi che sembrava
essere
penetrata in ogni angolo della classe di Pozioni grazie agli
innumerevoli
esperimenti che vi aveva condotto, lo aveva immediatamente circondato.
Era a
casa. Era come un guanto della misura giusta.
Per un
po’ era stato comodo
rifugiarsi nella quotidianità, ma chissà come non
trascorse una sola sera senza
che lui prendesse in mano il suo biglietto da visita, rigirandolo
pensieroso.
Avrebbe davvero rifiutato l’unica amica che si era fatto
in… quanto? Dieci
anni? Di più?
Infine la sua
decisione di vistare
Diagon Alley arrivò all’improvviso, in modo quasi
impulsivo. Una sera
semplicemente ne ebbe abbastanza di starsene seduto a pensare alle
opportunità
passate. Senza pensarci troppo si buttò addosso il mantello
e scivolò fuori dal
castello. Una volta fuori si Smaterializzò e
arrivò presto a Diagon Alley.
I negozi
stavano per chiudere, era
un giorno feriale e pochissime persone stavano facendo compere
dell’ultimo
minuto. Trovò il suo negozio abbastanza facilmente, ci era
passato un paio di
volte prima della guerra. Nonostante avesse sempre trovato i libri
esposti in
vetrina piuttosto interessanti, si era sempre ammonito silenziosamente
di non
permettere che il suo sguardo indugiasse troppo a lungo. Non sarebbe
stato
consigliabile per un Mangiamorte fissare la vetrina di un negozio con
libri
Babbani. Sicuramente il Signore Oscuro avrebbe avuto da ridire.
Dopo un breve
momento di esitazione
entrò nel negozio, scivolando attraverso la porta
principale, col mantello nero
che gli svolazzava dietro in modo teatrale. Sarebbe stata senza dubbio
un’entrata impeccabile, ma sfortunatamente fu rovinata della
musica da alto volume
che rimbombava dentro il negozio. Abigail stava in mezzo al corridoio,
dandogli
le spalle, cantando da sola a pieni polmoni.
Presa dal ritmo
della musica, presto
iniziò anche a ballare. Il modo in cui si muoveva ricordava
vagamente la danza
di un serpente. I suoi movimenti rimasero fluenti come onde fino al
momento in
cui la canzone culminò in un rimbombante assolo di basso.
Lui dovette mordersi
la guancia per non iniziare a ridere senza controllo. Un minuto prima
l’avrebbe
definita aggraziata, ma il ballo in cui si stava esibendo ora ricordava
vagamente una di quelle danze tribali. Senza dubbio avrebbe piovuto il
giorno
dopo, se avesse continuato così.
Come se non
fosse abbastanza,
l’infame canzone che lei stava urlando apparentemente
s'intitolava “Puttana”
o qualcosa di ugualmente assurdo, perché il ritornello era
“Sono una
puttana, sono un’amante, sono una bambina, sono una madre.”
Era sufficiente
a ridicolizzarla a
vita. Improvvisamente fu estremamente felice di aver scelto quel
particolare
momento per la sua visita. Ora, comunque, era tempo di rendere nota la
sua presenza.
Realizzando di non poter sovrastare con la voce il rumore dello stereo,
estrasse la sua bacchetta e la puntò a
quell’offensivo aggeggio elettronico. “Silencio!”
sibilò. Immediatamente la musica si affievolì.
Lei smise di
muoversi e si guardò
intorno confusa, prima di tutto verso lo stereo che si era
improvvisamente
azzittito. Girandosi, i suoi occhi lo incontrarono. Non aveva mai visto
nessuno
arrossire così tanto. La bocca di lei si apriva e chiudeva
mentre cercava di
dire qualcosa.
“Beh,
suppongo che tu stia
certamente augurandoti di non aver spedito il tuo invito,”
commentò seccamente,
incapace di trattenere una certa quantità di derisione.
Lei
tossì. “Severus?” chiese,
dandogli un’occhiata veloce come per accertarsi che lui fosse
realmente lì.
“Sì,”
rispose lui, assaporando
l’occhiata sconcertata sul suo viso.
“Hai
un bell’aspetto. Riposato.”
“E
lei sembra agitata,” rimarcò
tranquillamente.
“Sì?”
lei si sfregò il collo
imbarazzata. “Da quanto sei qui?”
Le
lanciò un’occhiata derisoria e
con grande sorpresa lei scoprì che lui stava sorridendo
leggermente.
“Merda,”
sussurrò sottovoce, mentre
la cima delle sue orecchie diventava sempre più rosa.
“Bene, cosa posso fare
per te oggi, Severus? Eccetto essermi umiliata davanti a te e averti
concesso
il momento più divertente di tutta la tua vita,
ovviamente,” disse Abigail,
iniziando lentamente ad arrabbiarsi.
“Cosa
per la quale è quasi valsa la
pena la visita, devo dire.”
Abigail si
lasciò quasi scappare un
borbottio frustrato, ma si morse la lingua. “Quindi?
C’è altro?” chiese
bruscamente, perdendo lentamente la pazienza.
“Ha
altri consigli?” chiese lui
piuttosto formalmente.
“Solo
quelli che mi sento in obbligo
di darti,” disse Abigail fissandolo. “Blake, Byron,
Keats, Coleridge, Shelley e
un po’ di Rossetti.”
Lui
aggrottò le sopracciglia, cosa
che la incoraggiò a illuminarlo. “Anche i sarti
prendono le misure, no?”
In mezz'ora,
vicino all’ora di
chiusura, avevano assemblato una pila ordinata di libri. Dopo averli
depositati
alla cassa, lei affrettò il passo per recarvisi dietro e
iniziò a rovistare in
modo affaccendato.
“Il
compendio di Bellini delle Erbe
e delle Pozioni,” mormorò Abigail a se stessa
mentre sollevava un grosso
catalogo sul tavolo. Si mise gli occhiali, aprì il libro e
seguì la colonna con
l’indice. “Non in magazzino. È un
peccato,” mormorò. “Ma so dove
capitarlo…
Devo solo prendere la Metropolvere…”
Severus decise
di schiarirsi la gola
per ricordarle la sua presenza. “Oh, mi dispiace,”
sorrise. “Ero di nuovo
sovrappensiero, vero? Beh, a proposito del libro. Posso riuscire a
recuperarne
una copia per te, ma ci vorranno un paio di giorni. Vuoi che ti arrivi
per
consegna?”
“Sono
sorpreso che lei riesca a
ottenerne una copia. Il signor Slug, in fondo alla strada, mi ha
detto…”
“Oh,
quel vecchio pipistrello! Manca
di quella finezza diplomatica necessaria a svolgere il
lavoro…”
“Mi
dica, la prego, che tipo di
finezza diplomatica è necessaria a ottenere una delle rare
copie del Compendio
di Bellini?”
Lei gli
lanciò un sorriso
cospiratorio. “Prima di tutta, devi saper parlare italiano,
poi devi saper
parlare dolcemente, e terzo, e più importante, devi essere
una donna. Se
ricordo correttamente le suddette caratteristiche non si applicano al
vecchio
Slug, il che rappresenta il motivo della sua incapacità ad
ottenerne una…
Consegna, quindi?”
“Ehm…
sì, grazie.”
“Dammi
più o meno una settimana.”
“E
riguardo a questi,” indicò la
pila di libri sulla cassa di fronte a lui. “Quanto le
devo?”
Lei
arricciò il naso con disapprovazione,
chiaramente scontenta dell’idea di parlare di denaro con lui,
anche se non
poteva proprio permettersi di essere troppo schizzinosa. Dopotutto era
una
libreria, non una biblioteca. “50% di sconto,”
disse velocemente.
Lui gli
rifilò un’occhiata affilata.
“Non sono scontati,” disse lentamente.
“Lo
sono se lo dico io. Oh, e
comunque, si suppone che funzioni così - tu, come cliente,
chiedi di abbassare
il prezzo, non di alzarlo.” spiegò con calma.
Nota
dell'Autrice: Oh, ho dimenticato di dire che la canzone che canta Abby
è
“Bitch” di Meredith Brooks.
NdTraduttrici
Grazie a chi ha inserito
la traduzione fra le storie seguite e preferite.
Grazie a Biancalupin,
Ernil e Dogma per i complimenti.
Ernil: i capitoli
saranno 19, e tenteremo di postare regolarmente. Ti assicuro che Piton
(abbiamo deciso di mantenere il nome italiano perchè EFP
è un fandom italiano) rimarrà IC, e Abigail non
è affatto una Mary Sue, mentre Harry non avrà un
gran ruolo. Ci farebbe piacere sapere dove la traduzione si inceppa,
almeno in generale: nei dialoghi, o nelle parti narrative?
Dogma: molte grazie per
i complimenti, ti piacerà come si evolverà il
rapporto tra i due.
Una
curiosità: perchè vi piace tanto il nome Abigail?
A presto
|
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Capitolo 3 *** Mi diverte farti spaventare ***
Mi diverte farti
spaventare
Traduzione a cura
di besemperadreamer
e erika91
Alcuni
secondi dopo il suono della campanella gli studenti si riversarono
fuori dalla
classe. Lei dovette velocemente scansarsi per evitare di essere
travolta dal
tornado. I ragazzini, la maggior parte intorno ai dodici anni, stavano
chiacchierando allegramente tra di loro e Abigail colse alcuni
brandelli di
conversazione quando le passarono vicino. “Ohi, amico, che
avrà mai quell’untuoso
bastardo? Sembra quasi umano di questi tempi. Non si è
nemmeno accigliato
quando il calderone di Chandler è traboccato.”
"Ma
ha tolto lo stesso dieci punti da Corvonero con tutta
tranquillità. ”
“Eppure
niente sguardi torvi, niente filippiche, niente di niente.”
“Credi
sia un miglioramento?”
“Sicuro,
forse è andato al San Mungo e gli hanno fatto finalmente un
trapianto di
cuore.”
“Mi
sembra
strano.”
Abigail
sorrise con enfasi a quel dialogo e i ragazzini le scoccarono occhiate
divertite quando le passarono davanti. Indossava vestiti babbani
– un paio di
blue jeans strappati e scoloriti e una camicetta bianca. Il suo aspetto
era
decisamente strano per una scuola magica. Questo e il fatto che avesse
ovviamente qualcosa a che fare con il Professor Piton, che secondo
l'opinione
dei ragazzini non era nemmeno consapevole dell'esistenza delle donne,
fu
abbastanza per far sbizzarrire la loro immaginazione. Le lanciarono
occhiate
sospettose e iniziarono a bisbigliare mentre continuavano a camminare
lungo il
corridoio. Abigail li guardò andare via con uno sguardo
pensieroso sul viso,
poi velocemente entrò dentro l’aula, adesso vuota.
“Toc
Toc?” gridò nella larga stanza. Le tavole di legno
che ricoprivano il pavimento
scricchiolavano sotto i suoi piedi. Annusò un poco l'aria,
inalando il fetore
acre di un esperimento andato male. Gli altri calderoni stavano ancora
bollendo
lentamente senza problemi. Che cosa vi era dentro? Pozione
Corroborante, si
leggeva sulla lavagna, di cui ogni centimetro era ricoperto dalla
scrittura
ordinata di Severus. Lei avanzò verso la scrivania,
aggiustando la presa sul
“Compendio di Bellini” che era ordinatamente
avvolto in un drappo di tessuto
rosso.
Era
un tomo piuttosto pesante. A pensarci adesso, avrebbe dovuto
rimpicciolirlo durante
il viaggio, ma a volte i libri magici, specialmente quelli vecchi, non
reagivano bene agli incantesimi, così aveva preferito farne
a meno. Lo depositò
sul tavolo, solo allora notò la porta sul muro dietro di
essa. Era stata
lasciata socchiusa e probabilmente portava a una qualche sorta di
ripostiglio
per gli ingredienti delle pozioni.
“Severus?”
Abigail chiamò con una nota di curiosità nella
voce, ancora una volta, prima di
incamminarsi verso la lavagna. Afferrò un pezzo di gesso e
disegnò uno
scarabocchio sull'angolo in alto a sinistra, solo per cancellarlo pochi
secondi
dopo. Aspettare non era il suo forte, perché tendeva a
perdere piuttosto
velocemente la pazienza, così iniziò a
passeggiare avanti e indietro nella
classe per tenersi occupata. Mentre camminava lungo le file di tavoli,
distrattamente iniziò a giocherellare con il gesso,
tirandoselo da una mano
all'altra.
Senza
che lei se ne accorgesse, lui scivolò nella stanza, proprio
mentre lei stava
osservando con meraviglia delle stupide incisioni che alcuni studenti
avevano
lasciato sul tavolo dell'ultima fila.
“Abigail,”
disse con tono piatto.
Lei
si voltò con un sorriso sul volto, che lui sentì
essere totalmente immeritato.
“Severus!”
chiamò e avanzò alcuni passi in sua direzione. Il
suo entusiasmo era
inquietante, come sempre.
“Un
incidente con una pozione?” chiese con curiosità.
“Hai
un certo talento per rimarcare le ovvietà,”
sottolineò senza nessuna nota di
divertimento. “Chandler ha deciso di graziarci con un altra
dimostrazione della
sua idiozia.”
“Oh,
avanti, non può essere così male.”
“Voleva
aggiungere dell'erba ascorbica ad una Pozione Corroborante,”
argomentò, il suo
sopracciglio sinistro sollevato cinicamente.
Abigail
fece una smorfia. “Afferrato il concetto. Persino io so che
non è un'idea molto
intelligente e non sono certamente un’esperta di
pozioni,” fece un gesto verso
la direzione generale della scrivania, “Comunque ti ho
portato il Compendio di
Bellini.”
“Grazie,”
disse notando il tomo che giaceva sul tavolo per la prima volta. Piton
lo uscì
dal drappo rosso con attenzione, quasi con reverenza. “E'
perfetto,” rimarcò,
con qualcosa simile alla meraviglia nella voce, mentre con la mano
accarezzava
la copertina.
“Lo
so,” disse lei con aria compiaciuta
“Impressionato?”
“Quasi
completamente,” la traccia di un sorrisetto era udibile nella
sua voce.
“Abbastanza
da cenare con me?” chiese Abigail. “Hai una pausa
adesso, no?”
Lui
ponderò brevemente la sua proposta. “Si, ma non
credo che me la prenderò. Ne ho
abbastanza di quei piccoli marmocchi per oggi.”
“Seriamente?!
Mi hai lasciato venire fino a qui e non mi offri nemmeno di rimanere a
cena?”
Lei sembrava vagamente seccata, ma poi i suoi occhi ricaddero sul
calderone
accanto a lei e la sua espressione mutò in una che lasciava
presagire solo
guai.
“Mi
domando che cosa potrebbe succedere se un pezzo di gesso cadesse dentro
questo
calderone,” disse Abigail innocentemente.
“La
pozione si coagulerebbe e poi esploderebbe, coprendo l'intero
laboratorio,
compresi noi, di sudiciume appiccicoso,” ringhiò.
“Sembra
veramente drammatico,” lei stese il suo braccio con in mano
il pezzo di gesso
al di sopra del calderone.
“Stavo
solo parlando ipoteticamente, sai. É probabilmente la fame
che sta parlando. E
io sto seriamente morendo di fame. Le persone tendono a dire un sacco
di cose
stupide quando hanno carenza di zuccheri. È piuttosto freddo
qui, vero? Mi
sento le ginocchia un po' deboli,” Abigail si
portò la mano libera sulla fronte
con un finto gesto drammatico.
“Non
oserai,” Piton le scoccò uno sguardo ammonitorio.
“Non
ne sarei tanto sicuro. Oltretutto quello che devi fare per evitare la
catastrofe è semplicemente cenare con me.”
“Dammi
quel pezzo di gesso in quest'istante!” pretese con maggiore
veemenza,
camminando verso di lei con la mano protesa. Senza alcun dubbio i suoi
studenti
avrebbero tremato di terrore in quel momento, ma in qualche modo il suo
comportamento autoritario riusciva solamente a portar fuori il peggio
di lei.
“Mi
sento più debole ogni minuto che passa,” gli disse
fissandolo.
“Spero
che tu sia consapevole del fatto che, se tu decidessi veramente di
perseverare,
trascorrerai il resto della serata carponi a pulire quest'aula fino a
farla
splendere.”
“Dimentichi
una cosa. Non sono uno dei tuoi studenti. Non mi puoi dare
punizioni.”
“Avresti
potuto fuorviarmi. Forse è il tuo comportamento immaturo che
mi lascia
momentaneamente malgiudicare la tua maturità,”
replicò lui. “Inoltre non puoi
semplicemente entrare in questa stanza e distruggere le
proprietà della
scuola.”
“Stai
facendo il melodrammatico. L'esplosione causerebbe solo un po' di
confusione.
Questo è tutto. Capirai!”
“Non
di meno dovrai pulire.”
“E
chi si assicurerà che lo farò?”
“Una
domanda piuttosto superflua, non credi? Sarò felice di
supervisionare
personalmente il tuo lavoro.”
“Certamente.”
gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. “Non hai cose migliori
da fare che
rimanere nell'Aula di Pozioni oltre il necessario?”
“In
realtà, sì. Quindi preferirei piuttosto che tu
non andassi avanti con il tuo
stupido, insulso progetto.”
“Allora?
Che cosa faremo? Cena o Punizione? E' decisamente una situazione in cui
ci
rimetti comunque se ci pensi un attimo. Ma almeno durante la cena
sarò troppo
occupata a mangiare per assillarti con il mio annoiante
chiacchiericcio.”
“Su
questo punto devo darti ragione,” le concesse. “E
hai condotto
un’argomentazione piuttosto arguta, devo
aggiungere.”
“Esattamente.
Ma ricorda che questo ti ha fatto avere il Compendio di Bellini.
Allora?”
Lui
la fisso pensieroso per un secondo, poi emanò il suo
verdetto. “Va bene.” Stese
la sua mano di nuovo, con impazienza. “Dato che ho ceduto ai
tuoi comportamenti
infantili, saresti così gentile da ridarmi il pezzo di gesso
ora?”
“Certamente,”
lo lasciò cadere sul suo palmo. Le punte delle sue dita
sfiorarono la pelle di
lui e rimasero lì più a lungo del necessario. Il
cuore di Abigail cominciò a
galoppare. I loro occhi si incontrarono e per un breve momento entrambi
rimasero a corto di parole. Poi lei velocemente ritirò la
sua mano, come se si
fosse bruciata.
“Bene.”
La sua voce risuonò senza fiato quando parlò di
nuovo. “Possiamo andare?”
Abigail incrociò le braccia sul suo petto e lo
guardò in aspettativa. Non aveva
mai notato quanto fosse alto fino ad adesso. Ma, appunto, non erano mai
stati
così vicini. Le punte delle sue dita stavano ancora
formicolando slealmente. Chiuse
e riaprì
la mano. Non ci fu un grande
miglioramento.
“Si,
certo, lasciami mettere velocemente via il libro.” Si
voltò bruscamente,
afferrò il tomo dalla scrivania e uscì dalla
stanza. Era andato via solo da
pochi secondi, ma fu abbastanza perché lei si rimproverasse
mentalmente di
agire come una stupida adolescente del tutto cotta.
Quando
ritornò, le passò oltre. “Vieni o pensi
di stare tutto il giorno lì a fissare
il vuoto?” le disse oltre la sua spalla, mentre con forza
apriva la porta che
conduceva fuori dalla classe.
“Arrivo,”
disse e si affrettò per stargli dietro. Dopo aver chiuso a
chiave la porta
dietro di loro, lui s'incammino per il corridoio, le sue vesti nere che
svolazzavano dietro di lui. Lei stava avendo qualche problema a stare
al suo
passo, anche se indossava scarpe da ginnastica.
“Ti
dispiacerebbe non trasformarla in una disciplina Olimpica?”
gli gridò Abigail.
“Si
chiama camminare, non strisciare. Prova solo a tenere il
passo,” disse con
sufficienza.
“Se sei
preoccupato dei pettegolezzi che la mia comparsa causerà,
pensa allora di che
natura saranno se arriverai a cena con una donna accaldata e
sudata.”
Appena
sentì questo si fermò bruscamente e
l'aspettò per farla camminare al suo
fianco. Era sua impressione, o c’era una traccia di rossore
sulle sue guance?
Era riuscita a imbarazzare Severus Piton con un'allusione sessuale?
Il
resto della camminata fino alla Sala Grande fu fatta in silenzio.
Arrivati lì,
con un gesto cortese le fece cenno di entrare prima, il che la
lasciò
leggermente sospettosa. La ragione di quell'improvvisa mostra di buone
maniere
le fu chiara anche troppo velocemente. Quando lui entrò
dietro di lei, tutte le
teste si voltarono nella loro direzione.
“Spero
che tu sia felice adesso,” le bisbigliò
conducendola verso il tavolo dei
professori che si trovava dall'altra parte della Sala.
“Non
pensavo che sarebbe stato così grave.”
“Beh,
come puoi ben vedere, apparentemente lo è. Ma non ti
preoccupare, il meglio
deve ancora venire...”
Stava
per scoprire velocemente che cosa significassero le sue parole
criptiche. La
maggior parte degli insegnanti la stavano rimirando per assicurarsi che
fosse
reale.
Una
robusta donna dai capelli grigi con vesti marroni balzò in
piedi, più che
entusiasta di stringerle la mano. “Chi è questa
tua affascinante amica,
Severus?” disse stendendo la mano ad Abigail, mentre tutti al
tavolo si
zittirono, in vigile attesa di cosa avrebbe detto Piton.
“Abigail
Carter, lascia che ti presenti la Signora Sprite, la nostra insegnante
di
Erbologia.”
“Piacere
di conoscerla.” disse Abigail educatamente e presto la sua
mano fu catturata
nella presa d'acciaio dell'altra donna.
“Oh,
è un tale piacere conoscerla!” esclamò
la Sprite.
“Certo
che lo è,” Piton mormorò e
alzò gli occhi al cielo.
“Madama
Bumb,” gridò la Sprite al tavolo, “Puoi
sederti qui così da far sedere la
Signorina Carter accanto a Piton?”
L'altra
donna annuì e velocemente si spostò. Le
presentazioni vennero ripetute, mani
vennero strette e poi entrambi vennero spostati al centro del tavolo.
“Mi
dispiace tanto,” sussurrò Abigail a Severus mentre
lui la conduceva verso i
loro posti. “Non sapevo che avrebbero fatto una tale
confusione.” Lei poteva
dire dal suo cipiglio quanto fosse profondamente scontento dell'intera
situazione.
“Troppo
tardi per essere dispiaciuti adesso.”
Scostò
la sedia per lei. Un gesto che sapeva aveva fatto, non per farle
piacere, ma
perché ci si aspettava questo da lui.
“Preside,”
annuì verso la McGranitt, che sedeva alla sua sinistra,
prima di sedersi lui
stesso.
“Severus,”
l'anziana donna reciprocò il breve gesto del capo, poi
spostò la sua attenzione
ad Abigail.
“Come
ho potuto capire dalle precedenti conversazioni, il suo nome
è Abigail Carter.”
“Si,
signora.” disse.
“Benvenuta
al nostro tavolo, Signorina Carter.”
“Grazie,
signora.”
“Non
è uno dei nostri studenti. Può chiamarmi
Minerva.” disse la preside,
enfatizzando le sue parole con un cenno del capo breve ed energetico.
“Sono
Abigail.”
Presto
la loro conversazione fu interrotta da un piatto fumante di deliziosa
zuppa di
zucca collocato davanti a loro e improvvisamente Abigail non si
sentì più tanto
rammaricata di aver incastrato Severus a portarla a cena. Dopotutto
l'agitazione che avevano scatenato quando erano entrati insieme si era
dissolta.
“Quindi,
come vi siete incontrati
voi due?” trillò il professor Vitious alla sua
destra.
“Ero
andata a trovare mia zia.
Divideva la camera con Severus.”
Vitious
alzò un sopracciglio alla
casualità con cui la donna aveva usato il nome proprio del
collega, ma non
commentò. Pochissime persone si davano del tu con il
sinistro professore di
pozioni.
“Come
si chiama tua zia?” chiese
la McGranitt.
“Miriam
Priestly.”
“Quella
Miriam Priestly?
“Sì,
proprio così.”
“Lavori
anche tu con gli
incantesimi?”
“No,
temo di non dimostrare un
particolare talento, quando si tratta di incantesimi. Mi sono diplomata
in
Babbanologia e Antiche Rune. Possiedo una libreria a Diagon
Alley.”
“Carter?”
ripeté pensosamente la
direttrice. “Orazio Carter? Tuo padre ha studiato a Hogwarts,
giusto? Era qui,
quando ho iniziato a insegnare. Un giovane uomo brillante. Se ricordo
correttamente era un Serpeverde. ”
“Sì,
lo era.” Rispose Abigail a
monosillabi. Suo padre non era un argomento di cui amava parlare.
Il
tono apatico della sua voce
catturò l’attenzione di Piton. La conosceva da
poco, ma il suo disagio era
quasi palpabile per lui.
“E
cosa ne è stato di lui?”
chiese curiosamente la McGranitt.
“Beh,
ha incontrato mia madre,
una Babbana tra l’altro, si sono sposati. La sua famiglia non
apprezzò
particolarmente l’idea. Purosangue, capite bene. Era un
brav’uomo, ma per
quanto fosse stato ribelle in giovinezza, non riusciva a scuotersi di
dosso più
di vent'anni dedicati al conservatorismo, profondamente radicato nella
sua
mente. Non mi incoraggiò molto ad esplorare le mie radici
Babbane.
Sfortunatamente, più provava ad allontanarmi da quel mondo,
più me ne
interessavo.”
La
maniera in cui tentennava
sulla sua storia diede a Piton la sensazione che stese sorvolando sugli
aspetti
più delicati.
“Beh,
non capisco cosa ci sia di
sbagliato nel cercare di scoprire di più sulle proprie
origini.” rimarcò la
donna più anziana.
“Questo
è molto gentile da parte
tua.”
“Spero
che il signor Carter alla
fine sia ritornato sui suoi passi.
Dopotutto sembri una giovane donna piuttosto
realizzata.”
“Sì,
ora è tutto a posto,” disse
lei piuttosto enigmaticamente, pulendosi la bocca con il tovagliolo.
***
“Ti
accompagnerò a Hogsmeade. I
visitatori a volte hanno difficoltà a ricordare la strada. E
non vogliamo che
tu abbia uno spiacevole incontro con il Platano Picchiatore o che tu
finisca
per sbaglio nella Foresta Proibita, no?”
Abigail
lo guardò
interrogativamente, cercando di scoprire perché
all’improvviso meritasse la sua
gentilezza. Era quasi del tutto certa che lui stesse complottando
qualcosa.
All’inizio della cena, le aveva rivolto delle strane
occhiate.
“Non
voglio scomodarti,” disse
infine in modo evidente.
“Non
mi sarei offerto di
accompagnarti, se non lo avessi voluto.”
La
notte era ormai scesa e loro
avevano iniziato a camminare attraverso i corridoi scarsamente
illuminati della
scuola, fianco a fianco. Al contrario di quanto era accaduto prima,
cercava di
adattarsi alla velocità di lei e di non catapultarsi avanti.
“È
tutto a posto? Non sei più
arrabbiato, vero?” lei gli lanciò
un’occhiata di sbieco. I suo lineamenti
appuntiti erano accentuati dalla semioscurità che li
circondava. Lui non
rispose immediatamente, così lei continuò a
camminare. “Se lo avessi saputo,
non ti avrei tormentato per offrirmi la cena. Davvero! Mi
dispiace.”
“Va
tutto bene.”
“Davvero?”
“L’ho
appena detto, no?”
Rimase
zitto a lungo, e proprio quando
lei iniziava a pensare che avrebbero passato in silenzio la
passeggiata, lui
parlò di nuovo. “Così tuo padre era un
Serpeverde…”
“Sì”
“Ed
è venuto a Hogwarts. Forse
l’ho incontrato.”
“Non
essere ridicolo! Hai solo
sette anni in più di me, è altamente
improbabile…”
“E
allora perché non ho mai
incontrato te?”
“Forse
perché non sono mai stata
a Hogwarts.”
“Hai
studiato a casa?”
“Già.
Ti crea problemi?”
“No,
non direi.”
“Ma
il modo in cui l’hai detto…”
“Sei
piuttosto irritabile, oggi?”
Le lanciò un’occhiata derisoria.
“È già quel periodo del mese?”
“Non
mi piace parlare del
passato. È tutto. O dobbiamo parlare del tuo?”
chiese con enfasi.
Lui
aggrottò le sopracciglia, con
disappunto. “Ho notato che ti comportavi stranamente mentre
parlavi di tuo
padre, durante la cena. Ero preoccupato.”
“Davvero?”
Ora si erano fermati.
Lei lo guardò aggressiva, cercando di capire se stesse
dicendo la verità. Come
si aspettava, lui incontrò i suoi occhi con risolutezza. Non
poteva leggere
niente in quegli occhi neri. La luce ondeggiante dei corridoi, che
scendeva dai
candelabri che pendevano dal soffitto lo facevano sembrare decisamente
inquietante. Le ombre cadevano sul suo viso, cancellando la poca
morbidezza che
c’era. A lui non piaceva il Severus che lei conosceva. E in
quel momento lei
poteva quasi immaginare perché gli studenti fossero
così terrorizzati da lui.
“Sì,”
disse infine. La sua voce,
per una volta, era libera dall’onnipresente tono derisorio.
Il suo timbro
sincero crebbe sotto la pelle di lei e le fece credere a quanto lui
aveva
appena detto.
“Beh,
puoi chiedermi del mio
passato se io posso chiederti del tuo…”
Lui
alzò un poco la testa,
squadrandola pensosamente con gli occhi stretti per qualche secondo.
“Se questo
è necessario per farti parlare… Ma non ti
aspettare che io risponda a tutte le
tue piccole assillanti domande.”
Lei
sapeva quale sforzo dovesse
costargli un tale compromesso. Lui non era molto loquace in generale,
ma quando
si arrivava al suo passato, l’espressione “muto
come una tomba” si adattava
perfettamente. Ogni volta che la loro conversazione aveva costeggiato
quell’argomento, lui aveva sempre cercato di allontanarla da
lì al meglio delle
sue possibilità. Lei rispettava il suo desiderio inespresso,
anche perché di
solito le importava più del presente che del passato.
Abigail
si lasciò sfuggire un
lungo sospiro trattenuto. “Mio padre mi ha buttato fuori di
casa quando avevo
sedici anni. Gli avevo annunciato di voler vivere con i miei nonni per
un po’
per conoscere meglio lo stile di vita dei Babbani. Per un anno intero
ho
vissuto senza magia. È stato davvero affascinante. Pensiamo
sempre che senza
magia ogni cosa vada in pezzi, ma in realtà non è
così,” gli diede un’occhiata
gravosa come se stesse aspettando che lui commentasse, ma con sua
sorpresa
rimase in silenzio.
“Quando
sono tornata, mio padre
si era calmato abbastanza da parlarmi di nuovo. Mia madre era
contentissima.
Sfortunatamente non era cambiato molto. Io ero solo diventata
più categorica nel
volere imparare di più sulla cultura Babbana, mentre mio
padre voleva che
studiassi qualcosa di rispettabile come Incantesimi o Divinazione, e
così via.
Apparentemente la mia decisione di diplomarmi in Babbanologia e Antiche
Rune è
stata, per lui, l’ultima goccia. Mi ha diseredato. Non avrei
più potuto vedere
lui e mia madre fino a quando non avessi cambiato idea. La mamma ha
pianto per
settimane. Almeno, questo è stato quel che zia Miriam mi ha
detto, dato che io
non ero più la benvenuta…”
Per
quanto la riguardava, quella
era la fine della storia. Parlare del suo passato le era costata
moltissima
fatica. Si era trattenuta dal citare il disgusto per se stessa e il
senso di
colpa per il bene di Severus, perché sapeva che piangersi
addosso l’avrebbe
messo molto a disagio. Pensandoci, avrebbe messo a disagio anche lei.
“Capisco,”
disse lui dopo un po’.
In confronto a quanto lei gli aveva appena raccontato, era una risposta
deludente. “Da allora non hai più parlato a tuo
padre?”
“No,
è morto tre anni fa.”
“Mi
dispiace.”
“Beh…,”
lei prese un lungo e
tremolante respiro. “Così va la vita. Raramente
c’è il lieto fine.”
“La
tragedia è che speriamo
sempre che ce ne sia uno.”
“Un
altro idealista deluso,” lei
lo guardò con sorpresa.
“Qualcosa
del genere… Il tuo
libro suggerisce che c’è ancora speranza per noi.
Com’era? Più profondamente il
dolore scava il tuo essere, più gioia è in grado
di contenere.”
“Hai
prestato attenzione.”
Abigail era impressionata.
“Il
San Mungo non è di certo un
luogo di intrattenimento. Non c’era niente di meglio da
fare.” scrollò
casualmente le spalle, cercando di sorvolare sul quella piccola crepa
della sua
facciata ruvida e indifferente.
“Quindi
cosa ne pensi? Pensi che
sia vero?”
Per qualche ragione lui era
determinato a scoprire cosa ne pensasse lei.
“Spero
di sì. Tu?”
“Non
so se posso radunare
abbastanza energia per sperare ancora.”
“Io
credo do sì. Sarebbe davvero
triste se non potessi,” gli lanciò un piccolo
sorriso. Una piccola smorfia
della sua bocca fu il solo segnale che lui aveva provato a
contraccambiare.
Avevano
raggiunto il Punto di
Smaterializzazione. Era una chiara notte d’autunno.
L’aria era frizzante e non
c’erano nuvole nel cielo che nascondessero la luna piena. Da
qualche parte,
lontano sullo sfondo, la sagoma nera del Platano Picchiatore si
delineava
contro lo scuro cielo notturno.
“Okay,”
disse lei infine. “Grazie
per avermi accompagnato fin qui.”
“Prego.”
“Ci
vedremo ancora?” chiese
Abigail insicura.
“Suppongo
di sì.”
Lei
rise. “Allegro come sempre,
eh?”
Catturata
da quel momento di
leggerezza, impulsivamente si avvicinò per dargli un
abbraccio come segno di
saluto. Per lei non era una gran cosa, perché abbracciava
sempre i suoi amici.
D’altra parte nessuno come l’uomo che aveva davanti
le aveva mai dato la
sensazione di averne un terribile bisogno.
Lo
sentì irrigidirsi tra le sue
braccia, ma non lo lasciò.
“Hai
bisogno di rilassarti,
Severus. Dopotutto non sto mica cercando di conficcarti un pugnale
nella
schiena,” scherzò, cercando almeno di fargli
abbassare un po’ la guardia.
Con
sua sorpresa lui lo fece, e
le sue braccia, che fino a quel momento pendevano impassibili ai
fianchi, si
allungarono per circondarla. Era un semplice gesto, ma nonostante
questo la
fece sentire felice. Nonostante l’arai fresca della notte si
sentì
improvvisamente calda e percossa da brividi.
“Hai
un buon profumo,” rimarcò
lei quando indietreggiò. “Pozioni e
sapone.”
Lui
le rivolse un’occhiata
strana. “Non è ciò che la maggior parte
della gente definirebbe piacevole.”
“Io
non sono la maggior parte
della gente.”
“Ovviamente
no.”
“E
questo cosa significa?”
“Non
dovevi forse tornare a
casa?”
“Non
adesso, no.”
“Quindi
preferisci piuttosto
stare qui in piedi al freddo e litigare su cose senza senso.”
Lei
gli lanciò uno di quei
sorrisi brillanti che sapeva lui trovasse snervanti.
“Sì.”
“Sei
esasperante,” disse lui
cupamente.
“Non
è ciò che la maggior parte
delle persone troverebbe piacevole. Eppure sei ancora
qui…”
“Non
ho mai detto di trovarlo
piacevole,” disse, gli angoli della sua bocca curvati in un
piccolo sorriso
compiaciuto.
Lei
non lo aveva mia visto
sorridere, figuriamoci ridere, per cui fu momentaneamente presa in
contropiede.
Era un uomo piuttosto minaccioso, ma non quando sorrideva. Le fece
credere che
da qualche parte nel suo profondo ci fosse qualcosa di più
di un sarcastico
musone. Era qualcosa che sospettava già da tempo o non
avrebbe cercato la sua
amicizia.
“Se
questo è tutto quello che
serve a farti chiudere la bocca…”
rimarcò lui.
“Un
modo dei tanti, se non
altro,” disse lei, lanciandoli un sorriso impertinente, prima
di
Smaterializzarsi, lasciandosi dietro un pensieroso professore di
pozioni. Lui
passò il suo ritorno al castello considerando tutti i
possibili significati
della frase. Alcuni di essi lo fecero sorridere leggermente.
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Capitolo 4 *** Mi sono abituato al suo viso ***
IL LAMENTO DI
FEDERICO
È la solita
storia del pastore...
Del povero ragazzo
voleva raccontarla
e s'addormì.
C'è nel sonno
l'oblio,
come l'invidio!
Anch'io vorrei dormir
così,
nel sonno almen l'oblio
trovar!
La pace sol cercando io
vo'
vorrei poter tutto
scordar!
Ma ogni sforzo
è vano,
davanti ho sempre di lei
il dolce sembiante.
La pace tolta
è solo a me,
perchè
degg'io tanto penar?
Lei! Sempre lei mi parla
al cor!
Fatale vision, mi lascia!
Mi fai tanto male!
Ahimè!
Francesco Cilea -
L'ARLESIANA
Capitolo 4
Mi sono abituato al suo
viso
Traduzione
a cura di besemperadreamer e Varekai
Si aggiustò soprappensiero gli occhiali,
prendendo un libro dalla sezione delle Arti Oscure. Trattava
principalmente delle Maledizioni senza Perdono. Come ogni strega e mago
che ha ricevuto una appropriata istruzione, conosceva l'Avada Kedavra e
la Maledizione Cruciatus. Comunque, gli incantesimi di cui parlava
questo libro erano molto più maligni. Non erano destinati ad
uccidere, almeno non immediatamente, ma alla fine tutti conducevano ad
una morte lenta e dolorosa. Le succedeva piuttosto spesso di
rabbrividire disgustata quando sfogliava quelle pagine. Non poteva
permettersi di fare la schizzinosa, comunque, se voleva andare avanti
col suo piano.
Un piano di cui lui non avrebbe dovuto sapere niente. Non se lo poteva
evitare. Avrebbe mandato a monte tutto. Avrebbe rovinato quell'amicizia
abbozzata che avevano costruito. Avrebbe pensato che l'aveva solamente
usato, anche se lei non gli aveva mai chiesto niente della sua vita
come Mangiamorte. Era stata una decisione voluta. Se lui avesse mai
scoperto il suo piano, non avrebbe potuto accusarla di aver abusato
della sua fiducia o di averlo pressato con domande insistenti per
ottenere informazioni.
Abigail aveva da tempo scoperto chi erano coloro che avevano attaccato
sua zia. Due Mangiamorte chiamati Avery Abbott e David Tennyson. Erano
andati in giro vantandosi, sfacciatamente, delle loro azioni. Dopotutto
essere in grado di battere Miriam Priestly era decisamente un
traguardo. Sfortunatamente il Ministero della Magia non aveva mosso un
dito per metterli a tacere. Fino ad oggi erano ancora a piede libero.
Era stato stabilito che la loro colpa non potesse essere provata.
Già, proprio così! Era troppo difficile, dover
mandare un gruppo di Auror alle loro calcagna, questa era la
verità. Da quando la guerra era ufficialmente finita, il
Ministero sembrava essere diventato sordo da un orecchio. Meglio
spazzare il macabro passato sotto il tappeto e andare avanti verso un
nuovo inizio.
Abigail si strofinò il setto nasale. Le lettere stavano
iniziando ad offuscarsi sotto i suoi occhi. Forse era il momento di
interrompere le ricerche. Aprì l'armadietto dove gli altri
libri di Arti Oscure erano conservati al sicuro e rimise il tomo
all'interno. I libri stavano facendo le fusa contenti appena sentirono
la sua presenza. Ma certo che facevano le fusa. Lei gli dava in pasto
un paio di topi una volta a settimana, così da soddisfare la
loro fame di carne. Dopo aver mangiato erano pacifici come gattini.
Dopo averli chiusi a chiave al sicuro nell'armadietto, lei fece correre
le mani sui suoi vestiti, sistemandoseli, provando a scrollarsi il
lercio che pensava di avere addosso. Leggere quei libri la facevano
sempre sentire sporca. Le stava costando uno sforzo maggiore di quanto
avesse pensato, ma dopotutto non era mai facile agire contro la propria
natura. Per lei la vendetta era sempre stato un concetto completamente
alieno. Fino a quel giorno....fino a quel giorno in cui venne fatto del
male a qualcuno a cui lei teneva profondamente.
C'erano poche persone a cui teneva. Sua zia, sua madre, i suoi
amici...e si fermò. Severus. Si, teneva anche a lui. Andava
bene pensarlo. Andava bene persino dirlo ad alta voce. Solo non a
lui. Provò ad immaginare la sua reazione e per qualche
ragione non riusciva a proprio a visualizzarla.
Parlavano di molte cose, di filosofia, religione, politica,
letteratura, vita e morte – cose che avevano importanza. Ma
alla fine non ne avevano. Lei lo conosceva, ma non lo conosceva. Era
perché lui stava sulle sue o perché era lei ad
essere frenata? Il risultato era comunque lo stesso. Non erano
così vicini, non così tanto quanto lei avrebbe
voluto.
Era assurdo volere qualcosa così. Assurdo pensare che lui
glielo avrebbe permesso. Per qualche ragione idiota lei sperava che lui
glielo avrebbe concesso, perché desiderava conoscerlo
meglio. Quando lei lo guardava non vedeva più da tempo un
Mangiamorte, ma un amico. Quel
poliedrico, meraviglioso, burbero, irritante uomo che qualche volta le
sorrideva quando meno se l'aspettava. Probabilmente quando anche lui se
l'aspettava meno.
***
Lui si ritrovò a pensare a lei più di quanto
avrebbe dovuto. Era davvero strano e così poco da
lui. Almeno questo era quello che stava provando a dire a se
stesso.
Il mattino seguente scivolò silenziosamente nella classe di
Pozioni, proprio come al solito, e puntò dritto per la
lavagna. Si avvicinò per prendere un pezzo di gesso. La sua
mano sostò al di sopra si esso per un momento, con
indecisione. Il pensiero di lei lo lambì come un'onda. Lo
scosse via, finalmente capace di superare quell'esitazione. Da quel
momento in poi tutto riprese il suo solito corso.
Per mezzogiorno si era quasi convinto che si trattava di una specie di
momentanea follia che aveva preso il sopravvento su di lui.
Almeno fino a quando entrò nel suo laboratorio di pozioni
giù nei sotterranei, sul tardi di quello stesso giorno.
Lì sopra il tavolo da lavoro giaceva il Compendio di
Bellini, che lo tentava silenziosamente. Lui si guardò
intorno nella stanza per un momento, impotente. Poi lasciò
la stanza di nuovo con uno sbuffo annoiato, chiudendo rumorosamente la
porta dietro. Non c'era limite alla frustrazione che provava.
Se avesse ignorato quella sensazione sarebbe andata via, prima o dopo.
Dopotutto era quello che voleva. Che cosa voleva? Quanto tempo era
passato da quando ci aveva pensato? Non si era mai trattato di
ciò che voleva, perché le cose che più
desiderava erano ormai perdute, irraggiungibili,e sopratutto
impossibili. Ad un certo punto aveva smesso di desiderare. Era
difficile iniziare di nuovo, così improvvisamente.
Decise che la la più saggia linea d'azione fosse non vederla
più. Avrebbe semplificato le cose considerevolmente, ma il
solo pensiero lo fece sentire depresso. Comunque, per quanto irritante
fosse la sua emotività, il suo entusiasmo, la risata che gli rivolgeva, ci si stava abituando. Poteva farcela senza? Ma certo che si.
Per tre intere settimane non si videro, né si parlarono.
Finché un giorno arrivò un gufo entrando dalla
finestra della Sala Grande, solo per atterrare con grazia sul tavolo
degli insegnanti di fronte a Severus. Diede all'animale uno sguardo
scettico, sollevando un sopracciglio. Il gufo si guardò
dietro, inclinando la testa a sinistra, osservandolo con curiosità.
Insolente era l'aggettivo che meglio si adattava all'uccello e ciò gli dava un indizio su chi l'avesse mandato.
Piazzò il piccolo pezzo di carta che aveva nel
becco sul suo piatto vuoto con sfrontatezza e
volò via bruscamente. Guardò la pergamena per un
po' con sospetto, prima di prenderla in mano, srotolandola lentamente.
C'era una sola frase scritta sopra. Non c'erano parole fiorite, solo
una semplice e onesta affermazione, che sarebbe stata la sua rovina.
“Mi manchi,”
si leggeva sulla pergamena. Riconobbe la sua scrittura immediatamente.
Il suo primo pensiero impulsivo fu
Mi manchi anche tu. Poi ci pensò meglio e
accartocciò il pezzo di carta.
***
La campana in stile antico sopra la porta suonò, annunciando
l'arrivo di un altro cliente. Si prese un momento per ricomporsi, avere
a che fare con le Arti Oscure in genere la metteva di un umore men che
allegro, poi uscì fuori dal corridoio per dare il benvenuto
al nuovo arrivato.
Al solito Severus si presentò quando meno se l'aspettava. Eppure era lì, ad indugiare sull'uscio con una
certa indecisione.
Vedendolo, il suo cattivo umore fu scacciato via momentaneamente.
“Oh, ciao! Non ti aspettavo...,” 'proprio' era
indiscutibilmente implicato nella breve pausa che seguì.
“Entra! Entra!” farfugliò con
entusiasmo. Lui era lì. Lui era davvero lì.
“Ciao,” la salutò rigidamente.
“Allora, che cosa ti porta qui?” chiese, provando a
trattenersi dall'esplodere in un sorriso.
“Io...,” si fermò, apparentemente non
trovando le parole.
Lei aspettò un'appropriata quantità di tempo
prima di venire in suo aiuto.
“Va bene, mentre tu stai cercando una scusa decente per la
tua visita, anche se non hai proprio bisogno di una scusa per
passare, preparerò un pò di tè. Ti va una
tazza?” Lei parlava molto velocemente, forse per l'enorme quantità di caffè che aveva
già bevuto quel giorno, anche se poteva essere solo semplice
nervosismo.
“Come prego?” sbatté le palpebre un paio
di volte, guardandola confuso.
“Tu. Io. Tè?” ripeté
lentamente, come se stesse parlando ad un bambino.
“Va bene. Con piacere. Si, grazie.” Apparentemente
non era al massimo della sua forma nemmeno lui oggi, perché
in genere le avrebbe rimarcato quanto non fosse stupido e che aveva
perfettamente capito cosa lei aveva detto la prima volta.
Abigail svanì nel retro del banco per preparare il
sopramenzionato tè. “Temo che ci sia solo
tè in bustina, ti va bene?” gridò.
“Non avresti potuto avvisarmi prima?” fu la sua
risposta. Lei sorrise tra sé silenziosamente. Oh, quanto le
era mancato quell'altezzoso bastardo!
“Non potresti venire qui? É un po' ridicolo
gridare per tutto il negozio a pieni polmoni.”
“Lo pensavo anche io,” la sua voce improvvisamente
era molto vicina. Sussultò. Severus era ad appena un paio di centimetri da lei,
ispezionando casualmente la confusione che copriva il tavolo al di sopra della sua
spalla. Era uno strano assortimento di novelle babbane, libri di magia,
frammenti sparsi di carta su cui aveva scribacchiato appunti vari e fatture. C'erano
piccole isole qua e là su cui c'era abbastanza spazio per
una tazza vuota o una barretta di cioccolata morsicata.
Lei arrossì leggermente, sperando di averci pensato un po'
di più a quell'impulsiva proposta di prendere del
tè. Non era previsto che vedesse quel macello. “Mi
dispiace. Non aspettavo ospiti.”
“Mi sembra ovvio.”
La sua risposta la irritò e la fece sentire in imbarazzo,
così decise di vendicarsi.
“Allora, non mi stavi dicendo perché sei venuto? C'è qualcosa di cui hai bisogno?”
“Io...avevo degli affari da sbrigare da Slug e Jiggers,
così ho deciso di passare.”
“Bella scusa,” gli fece un sorrisetto compiaciuto.
“Non potevi dire soltanto che ti mancavo e che eri venuto a
trovarmi?” L’unico segno evidente della sua
agitazione era il leggero tremolio delle mani quando
posò le due tazze sul tavolo.
Pregò che rimanessero un pochino più
ferme mentre versava il tè.
“No”, rispose lui impassibile.
“Affascinante,” replicò Abigail.
Tirò fuori la bacchetta e la puntò verso la
teiera, mormorando un semplice incantesimo riscaldante.
“Che c’è?”
“Non ti avevo mai visto usare la bacchetta. Quasi mi
aspettavo che fossi una Magonò.”
“Non sono una Magonò. E’ solo che non
uso la magia per qualsiasi cosa, ecco.”
“Quindi la tua bacchetta... presa da Olivander,
immagino?” chiese lui con noncuranza.
“Già, 9 pollici e mezzo, ebano. Il cuore
è di peli di kneazle. Niente di speciale. La tua?”
“La mia... Ne ho appena presa una nuova.”
Gli sorrise dolcemente. “Cosa c’è? Primo
giorno di scuola?”
“No, vedi, Voldemort ha tentato di uccidermi,”
questa dichiarazione praticamente trasudava sarcasmo. “Quando
mi sono svegliato mi hanno informato che era sparita, persa sul campo
di battaglia – un piccolo inconveniente.”
“Mi dispiace,” disse Abigail con tutta
sincerità. Passò un breve momento prima che
riprendesse a parlare. “Com’è quella
nuova? Soddisfacente?” All’ultima parola, il suo
tono era tornato canzonatorio. Era un deliberato tentativo di tirarlo
fuori dal suo tetro umore.
“E' Testarda.”
“Dio li fa e poi li accoppia...”
“Non sono venuto qui per farmi insultare da te,”
sfortunatamente si era rese conto troppo tardi che quel giorno lui
perdeva le staffe piuttosto facilmente.
“Aspetta, Severus” ora attenta al suo umore
altalenante, previde la sua mossa successiva e gli afferrò
il braccio per il polso prima che si potesse infuriare.
“Scusa. Lo sai che non lo intendevo.”
Per un minuto la guardò con gravità, poi
annuì lentamente.
“Davvero, dovresti prendermi sul serio solo per la
metà del tempo, perchè parlo a vanvera.
E’ come se i circuiti tra la mia bocca e il mio cervello ogni
tanto si friggessero. Io continuo a ciarlare senza senso
e...”, non appena vide che la sua mano era ancora stretta
intorno al suo polso, si zittì bruscamente. Ciò
che lo stupiva, e stupiva anche lei, era che non l’aveva
lasciato. L’indice era poggiato proprio sopra il suo polso e
lei poteva sentire il battito di lui accelerare da un ritmo regolare a
uno ansioso. La sua pelle era calda, quasi bollente sotto le sue dita
fredde.
Fino a quel momento, non si era accorta di quanto fossero vicini. Le
cuciture della sua veste stavano strusciando contro le gambe dei suoi
pantaloni. Cautamente sollevò la testa e lo
guardò.
Generalmente la sua espressione era indecifrabile, ma ora riusciva a
vedere una mescolanza di sorpresa, curiosità e forse anche
paura.
Lentamente allentò la presa sul suo polso, sfiorando la sua
pelle con le dita. Il loro tocco fu leggero, quasi una
carezza. Lui rabbrividì leggermente.
“Severus?” disse dolcemente. “Ho fatto
qualcosa di sbagliato?”
Gli ci volle un po’ per rispondere e quando lo fece la
risposta sembrò quasi strozzata. “No.”
“Bene,” disse piano lei.
La teiera dietro di loro emise un fischio acuto, facendoli sobbalzare
dalla loro rêverie. Nonostante ciò nessuno dei due
si sbrigò a togliere la teiera dal fuoco.
“Severus,” il modo in cui aveva
pronunciato il suo nome era cambiato. Sembrava più intimo
ora, “So che non lo sopporti, ma devo chiedertelo.
Perché sei venuto a trovarmi?”
Come si aspettava, lui non rispose subito. “Ti ho detto,
avevo delle faccende...”
“Stronzate!” lo interruppe bruscamente. Aveva
già eluso la domanda due volte. Era giunta al limite della
pazienza.
Gli occhi di lui si fecero due fessure. Le rivolse
un’espressione di disapprovazione. Non gli piaceva essere
interrotto.
“Per una volta soltanto potresti farmi un favore e non
temporeggiare o cambiare argomento o fare una di quelle cose che normalmente fai
in situazioni come questa?”
“Perchè?” le lanciò uno
sguardo sprezzante.
“Perchè è proprio frustrante.
Ecco perchè!”
“Facci l’abitudine.”
Lei emise una risata roca e fece schizzare in aria le mani per la
frustrazione. “Bene, fa’ come ti pare!
Per lo meno posso dire di averci provato.”
Nessuna reazione. Come faceva a stare là così
senza dire nulla?
Abigail si massaggiò il dorso del naso, sentendo i suoi
occhi che la penetravano. Era semplicemente troppo! Chi diavolo pensava
di essere? “No, anzi, ripensandoci non credo che
lascerò perdere stavolta. Significherebbe stare al tuo
gioco. Perchè è quello che vuoi tu, no? Beh,
stavolta ti è andata male!” lo guardò
truce.
“La pianti o preferisci ritirarti per sempre nel tuo piccolo
guscio, così che nessuno possa raggiungerti?”
“Non sono costretto ad ascoltarti,”
sibilò.
“No, non sei costretto, ma lo farai.” Grazie alla
sua rabbia, non era minimamente intimidita da lui.
“Chi te lo dirà se non lo faccio io?”
cercò la sua faccia, trovando una maschera senza espressione
che non la incoraggiava a continuare né la scoraggiava a
farlo. “Senti, Severus, voglio solo riuscire a conoscerti.
E’ così difficile da accettare?”
“Perché?”
“Che intendi con
‘perché’?”
“Credo sia piuttosto chiaro cosa intendo.”
“A quanto pare no.”
Fece rotare gli occhi, infastidito dal fatto di doverglielo dire
realmente ad alta voce. “Perchè dovresti volere
qualcosa del genere?”
“Non lo so.” Si vedeva che stava mentendo.
“Ora sei tu che stai temporeggiando,” disse con un
certo grado di soddisfazione.
“Non credo che tu lo voglia sapere,” disse lei con
tono di sfida.
“Ho solo chiesto, giusto?” disse lui in un tono
pari al suo.
Abigail esitò per un istante prima di continuare a parlare.
“Bene. D’accordo. Te lo dico,” fece un
grosso respiro. A metà frase la sua rabbia era scomparsa.
“Mi piaci.”
Lui sembrò realmente sorpreso, come se fosse difficile per
lui accettare il fatto che qualcuno gradisse sul serio la sua compagnia.
Le era costato parecchio coraggio fare uscire quelle parole. Ora si
sentiva molto vulnerabile, come se una sola parola da parte sua
bastasse a farla a pezzi. Ma ancora una volta aveva bisogno che lui
dicesse qualcosa. “Severus?” chiese timidamente.
“Sì,” rispose lui distrattamente.
“Dì qualcosa, ti prego.”
Da dove cominciare? Magari dicendole che qualcosa di così
semplice come il fatto che a lei piacesse fosse sufficiente a
stravolgere il suo mondo? Era la prima persona da anni a farlo. Non si
era mai dispiaciuto per se stesso, non si era mai sentito dipendente
dall’approvazione o dalla commiserazione delle altre persone.
E allora è perché questo lo rendeva
così… felice?
Ritornò al presente. Lei stava ancora aspettando la sua
risposta. Ogni secondo che passava la faceva sembrare un po’
più ansiosa e sempre più a disagio. Non
si era mai reso conto quanto la sua opinione contasse per lei.
“Cosa dovrei dire?” riuscì finalmente a
dire.
“Non è ovvio?”, Abigail lo
guardò tristemente.
Lo ferì vederla così. “Beh…
anche tu mi piaci,” disse infine, incapace di trovare le
parole giuste per descrivere correttamente quello che provava per lei.
Abigail allora sorrise, veramente, sinceramente. Sorrise per qualcosa
che lui aveva detto. Doveva ancora farci l’abitudine.
A quel punto, quando si stava già quasi preparando a
ricevere un’altra di quelle spossanti domande personali, lei
cambiò semplicemente argomento. Forse aveva sentito il suo
disagio e aveva avuto pietà di lui. In qualsiasi caso, ne
era grato.
“Dunque… dove eravamo rimasti? Ah, sì.
Tè?”
“Sì, grazie,” disse in fretta.
Quando lei tirò fuori da un cassetto sulla sua scrivania le
bustine del tè, lui arricciò il naso in
disapprovazione.
“Qualcosa non va?”
“Questo è da selvaggi. Non hai del tè
come si deve?” A quanto pareva, si era già ripreso
dallo shock di averla sentita dichiarargli la sua simpatia. Ritornare ai
familiari battibecchi diede ad entrambi un
certo sollievo, in cui felicemente si rifugiarono.
“No, a quanto pare no.”
“Sarò felice di provvedere io la prossima volta che
passo. Nessuno dovrebbe essere forzato a bere questa roba, quanto meno
non due volte.”
Note della traduttrice besemperadreamer:
ciao a tutti!
La mia collaboratrice
erika91 purtroppo, a causa dei numerosi impegni della vita vera, non ha
più potuto continuare questa traduzione, motivo per il quale
è rimasta così a lungo in sospeso, ma state tutti
tranquilli, perché non inizio mai qualcosa che non intendo
finire, prendo i miei impegni molto seriamente^^
Sono felice di
annunciarvi che un'altra collaboratrice, Varekai, si è resa
disponibile e adesso lavorerà con me a questa
traduzione. Il quinto capitolo è già pronto, in
attesa di una semplice revisione.
Un ringraziamento
particolare a biancalupin,
Ernil e Nell Sev Snape per
le loro recensioni, consigli e sostegno.
Alla prossima!
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Capitolo 5 *** Uno sporco segretuccio ***
Uno
Sporco Segretuccio
Traduzione
a cura di besemperadreamer
Severus
ritornò nella classe vuota
trasportando vari ingredienti per pozioni tra le braccia. Aveva appena
congedato la sua ultima classe di quel giorno.
Adesso l'unica cosa che
gli rimaneva da fare, prima di potersi ritirare nei suoi alloggi, era
preparare
tutto il necessario per quelli del secondo anno che avrebbero dovuto
preparare
una Pozione Gonfiante per la prima volta l'indomani mattina.
Abigail
sedeva
in un posto della terza fila, guardandolo entrare tranquillamente, con
le
gambe, avvolte dai suoi jeans attillati, distese con noncuranza sotto
il banco
e le braccia incrociate sul petto. Indossava un golfino rosso scuro
casual e
scarpe da ginnastica ed aveva i capelli raccolti in una lenta coda di
cavallo.
Fino a quel momento lui l'aveva sempre vista in abiti babbani. Si
chiedeva se
ce le avesse un paio di vesti da strega.
Avendo
smesso di addurre scuse per vedersi, non era molto sorpreso che fosse
lì.
“Signorina
Carter, sempre un piacere,” disse con un sorrisetto ironico.
“Altrettanto,
Professor Piton.”
“Come
sta
tua zia?” chiese gentilmente. Per quello che aveva capito,
lei andava ancora a
farle visita ogni giorno, sperando in vano in qualche miglioramento.
“Ancora
in
stato comatoso,” sospirò. “Non capisco.
Avrebbe dovuto stare meglio adesso. Il
guaritore mi aveva detto...” il resto della sua frase
scomparì in un lungo
sospiro tirato.
“Ne
vuoi
parlare?” offrì lui con imbarazzo.
Abigail gli
rivolse un piccolo sorriso di gratitudine. Sapeva che non era tipo da
consolare
qualcuno, così che le stesse veramente proponendo di
ascoltare il suo sfogo
senza pensarci due volte, le riscaldò il cuore.
Ciò nonostante dovette
declinare l'offerta. “No, preferirei di no. Più ne
parlo, peggio è.”
“Come
desideri,” disse, affaccendandosi con le preparazioni
dell'esperimento .
“Allora,
come sono stati i tuoi marmocchietti oggi? Estremamente irritanti o
solo in
maniera moderata?” chiese cercando di alleggerire l'atmosfera.
Lui le
rivolse un'occhiata torva.
“Così
terribili?” rise lei.
“Non
ne hai
la minima idea,” dichiarò Severus cupamente,
posizionando meticolosamente i
vari ingredienti accanto al calderone nell'ordine in cui gli sarebbero
serviti
la mattina seguente.
“Oh,
lasciami
indovinare,” lei chiuse gli occhi. “Un'esplosione,
giusto?”
“Magari,”
borbottò a denti stretti.
“Peggio,
eh?”
“Roberts
a
scatenato una reazione chimica che ha colorato la metà degli
alunni di rosa.”
Lei si
lasciò sfuggire una sonora risata.
“Davvero?”
Lui le
rivolse semplicemente uno sguardo eloquente.
“Quanto
ci
vuole prima che venga via il colore?”
“Fino
a
domani mattina.”
“Beh,
a
quanto pare hai la fortuna dalla tua. Non credo che il rosa ti
doni.”
“Direi.”
“Dai,prendila
alla leggera! In un certo senso è buffo.”
“Mi
è
difficile trovare la stupidità di Roberts
divertente.”
“Fidati,
lo
farai prima o poi. E' del sesto anno, no? E il colore rosa non fa
esattamente
perdere la testa alle ragazze,” sorrise maliziosamente.
L'angolo
destro della sua bocca si contrasse.
“Hai
visto,”
commentò Abigail trionfalmente.
“Quanto
passerà prima che tu finisca qui?” aggiunse dopo
averlo guardato
silenziosamente per un po'.
“Dipende
se
continui a distrarmi o meno.”
“E
se la
smetto?”
“Due
minuti.”
“E
se continuo?”
lo provocò.
Lui
sospirò.
“Ancora troppo caffè?”
“Forse.”
Lei rimase
in silenzio. Comunque, non parlare significava tenersi occupata con
qualcos'altro, così iniziò a vagare nella classe.
“Ho
finito
qui,” annunciò dopo un bel po'.
“Ci
hai messo
una vita,” scherzò. “Adesso che devi
fare?”
“Non
ti
aspettavo.”
“Cosa
avresti fatto se non avessi deciso di passare?”
“La
verità?”
chiese.
“Certamente,”
annuì con vigore.
“Whiskey
Incendiario.”
“Ti
volevi
prendere una bella sbronza? Tsk tsk tsk.”
“No,
ne
avrei preso solamente un bicchiere,” la corresse.
“Sicuro.”
“Bè?”
chiese, impaziente di lasciarsi finalmente alle spalle la classe di
pozioni.
“Contami
pure. Allora, dove siamo diretti?”
“Ai
miei
alloggi.”
Lei
semplicemente annuì , cercando di nascondere la sua
sorpresa. Non era mai stata
invitata nei suoi alloggi. Ogni qual volta era venuta a visitarlo a
Hogwarts
alla fine finivano sempre per andare a Hogsmeade.
Si
incamminarono silenziosamente attraverso i corridoi debolmente
illuminati di
Hogwarts. La stava conducendo sempre più in
profondità nei sotterranei del
castello. Oramai aveva perso ogni speranza di riuscire a ritornare
indietro da
sola.
“Non
siamo
ancora arrivati?” gli chiese ironicamente dopo un po'.
“E'
proprio
dietro l'angolo,” rispose, fallendo nel notare l'ironia
dietro la sua
osservazione.
Come
promesso, l'entrata delle sue stanze era proprio dietro l'angolo.
Evocò la sua
chiave e aprì la porta, mentre borbottava alcuni incantesimi
sottovoce di cui
lei poteva afferrarne solo pochi frammenti. Vedendo il suo sguardo
stranito,
spiegò velocemente, “Ho piazzato un paio di
protezioni, solo in caso.”
“Solo
in
caso Roberts volesse colorare le tue lenzuola di rosa?”
“No,
in caso
qualcuno dei miei vecchi amici decidesse di passare a
salutarmi.” Lui la guardò
con disapprovazione.
“Giusto.
Scusa,” disse velocemente, del tutto consapevole e
adeguatamente imbarazzata di
avere di nuovo superato il limite.
Aprì
di
scatto la porta e entrò nella stanza prima di lei, non
preoccupandosi di farla
passare avanti. Abby aveva imparato, conoscendolo, che spesso lui non
si curava
delle regole del galateo, anche se probabilmente gli erano intimamente
familiari, a giudicare dalle maniere a modo che mostrava quando era
dell'umore
giusto.
Con un
semplice gesto della mano, le fiamme del focolare di ravvivarono. Si
tolse il
mantello, gettandolo senza cura sul divano di antica fattura di fronte
al
camino. Dopo averle annuito brevemente, suggerendo implicitamente di
accomodarsi, lasciò la stanza per recuperare il promesso
Whiskey Incendiario.
Non si
sorprese molto che i colori predominanti all'interno dei suoi alloggi
fossero
scuri o che l'arredamento fosse molto spartano. Non c'erano quadri
appesi ai
muri o oggetti personali che rivelassero qualcosa sull'abitante della
stanza –
eccetto il libro aperto poggiato distrattamente sul sofà
accanto al camino,
forse dimenticato lì per sbaglio. Lo prese con attenzione
tra le mani,
girandolo per leggerne la copertina, mantenendo il segnalibro della
pagina.
Era sicura
che tra tutti i libri che gli aveva suggerito avrebbe letto per primo
Byron.
Rimise il libro da dove l'aveva preso, proprio mentre lui tornava dalla
stanza
attigua con due bicchiere di Whiskey. Il liquido ambrato ondeggiava
appena
dentro al bicchiere quando glielo porse.
“Non
dovresti iniziare con Byron, sai.”
“Perché?”
“Perché
persino a paragone di Rossetti e Shelley, non è esattamente
allegro.”
“Di
rado mi
piace leggere libri allegri.”
“L'ho
appena
notato, raggio di sole,” lo prese in giro.
Lui le
ringhiò contro in risposta, scatenando solamente una risata
divertita da parte
di lei.
“Seriamente,
Severus, un libro del genere non ti butta a terra dopo una brutta
giornata?
Byron mi fa sempre sentire tipo depressa.”
“Non
particolarmente.”
“E
quindi
che impressione ti lascia? Nessuna?”
Lui
scrollò
le spalle. “E' un libro ben scritto, ma nondimeno solo un
racconto.”
“Solo
un
racconto?” lo guardò a bocca aperta.
Apparentemente aveva detto qualcosa di
terribilmente sbagliato. “Racconto,
capisco...cioè, quelli sono i pensieri, i
sogni di una persona, cristallizzati in un capolavoro di narrativa da
uno dei
più brillanti scrittori di tutti i tempi. E tu hai il
coraggio di chiamarla
“solo un racconto”? E' un'opera d'arte. Scrivere
richiede passione,
immaginazione, e per poterla veramente apprezzare anche chi la legge le
deve
avere. Ed è certamente vitale anche una certa comprensione
del personaggio o
quantomeno dell'autore.”
“Come
sempre
sei detestabilmente entusiasta. Non si deve essere poeti per apprezzare
la
poesia.”
“Vero.
Ma se
pensi che un poeta è solo un tizio che mette insieme delle
belle parole in
rima, un poema è sprecato per te.”
“Concordo.”
“Concordi?!”
“Si.”
“E
allora
perché Byron?”
“Non
hai
detto qualcosa a proposito della comprensione prima? Beh, simpatizzo
per lui.”
Le fece
cenno di sedersi sul sofà, dopo di che la seguì,
allungando le sue lunghe gambe
di fronte al fuoco. La distanza che aveva posto tra loro era
estremamente
ridicola. Lui sedeva ad un capo del divano, mentre lei era seduta in
quello
opposto. Lei gli gettò un ironico sguardo di sottecchi, che
lui carpì
ovviamente, solo per continuare a fissare le fiamme. La sua mancanza di
attenzione la innervosì, così strisciò
furtivamente fin dove era seduto,
provando almeno a rendere nota la sua presenza fisica. Lui le
scoccò uno
sguardo di sfuggita perplesso, ma non disse niente.
“Come
mai
simpatizzi per lui?” gli chiese dopo un po'.
“Non
lo so,”
scrollò le spalle. Non sapendo perché, aveva la
netta sensazione che lui stesse
solamente temporeggiando.
“Non
lo sai
o non me lo vuoi dire?”
“Scegline
una.”
Lei si
accigliò, prendendo un altro sorso del suo Whiskey
Incendiario. A Severus non
sfuggì il suo dispiacere. Ma cosa poteva farci, se aveva
problemi a parlare di
sé e dei suoi sentimenti? Era stato una persona riservata
anche prima di
diventare un Mangiamorte e di lavorare sotto copertura per Silente. Ed
adesso
credeva conuna convinzione sempre crescente, di non potersi
più aprire con
nessuno: le domande lo facevano chiudere in se stesso e
l'intimità lo metteva a
disagio. Avrebbe preferito farsi prendere a pugni piuttosto che parlare
dei
suoi affari privati, ma si sentiva sempre in colpa dopo averla trattata
in
maniera sgarbata. Sentiva sempre il bisogno di riparare al danno fatto.
“Il
mondo
che descrive, quel luogo oscuro...mi sembra familiare,” disse
dopo un po'.
“Eroi
tragici, un amore che causa disperazione...è davvero un
posto così oscuro il
mondo in cui vivi?” lo guardò soprappensiero.
Lui
esitò.
“Forse.”
“Molto
criptico.”
“E'
difficile spiegarlo.”
“Perché?
Non
deve esserlo. Potresti semplicemente dirmelo.”
“Potrei
dirtelo e non essere giudicato per le cose che ho fatto?” la
guardò,
aggrottando scetticamente un sopracciglio.
“Sono
una
tua amica.”
Lui si
lasciò sfuggire una risatina amara.
“Cosa
c'è di
così divertente in quello che ho detto?”
inquisì, suonando leggermente offesa.
“Sei
così
ingenua.”
Lei si
accigliò. “Perché voler essere tua
amica mi rende ingenua tutto ad un tratto?”
“Vuoi
veramente che mi spieghi?” le rivolse uno sguardo tagliente.
Lei
annuì in
risposta.
“Nonostante
gli esseri umani siano capaci di provare nobili sentimenti e di
sacrificarsi
per il prossimo, alla fine siamo tutti egoisti. Presto o tardi ci si
stanca
delle cose troppo sfiancanti o complicate. Tutto ha un limite, persino
un'amicizia.”
“Quindi
tu
stai semplicemente presumendo che la nostra amicizia non
sopravvivrà alla
confessione dei tuoi piccoli, oscuri segreti,”
incrociò le braccia su petto con
aria di sfida.
Invece di
fumare dalla rabbia al suo commento, lui rimase seduto a fissare le
fiamme con
un'espressione vacante sul volto, il che la fece infuriare ancora di
più.
“Non
ci
arrivi, vero? Non sei solo un tipo con cui mi piace trascorrere un po'
di tempo
quando mi annoio. Per me sei speciale.” lei guardò
in basso al suo bicchiere,
evitando il suo sguardo. “E niente potrà
cambiarlo,” Abby aggiunse più calma.
“Lo
dici
adesso,” disse lui dopo un po'. La sua lealtà lo
sconvolgeva e lo
destabilizzava.
“Dimmelo
e
basta.”
“Perché?”
“Ti
farà
stare meglio.”
“Non
lo
sai.”
“Già,
ma forse
vale la pena provare. Non pensi?”
Invece di
rispondere, lui si richiuse nuovamente nel suo mutismo. Nella stanza si
sentiva
solo lo scoppiettio occasionale dei ciocchi di legno carbonizzati nel
camino.
Più il suo silenzio si prolungava, più
insopportabile diventava per lei.
Proprio quando pensava di non poterne più, lui finalmente
aprì la bocca per
parlare.
“Ho
ucciso
una persona,” sembrava esausto, come se mormorare quelle
poche parole gli
costassero uno sforzo enorme.
Lei lo
sapeva
già, ma udirlo dalle sue labbra conferiva a quell'azione un
livello di realtà
completamente diverso. Ogni parola fu come un pugno nello stomaco.
“Si,” disse
infine e questo era tutto quello fu in grado di dire in quel momento.
“Lui
mi
chiese di farlo e io l'ho fatto. Mi piacerebbe dire che non avevo
scelta,
perché mi aveva fatto stringere un Voto
Infrangibile.” il suo sguardo era
perso, lontano. “Ma persino quei voti possono essere
infranti. C'è sempre una
scelta.”
“Io...”
Abby
iniziò, per poi zittirsi di nuovo. Scosse la testa per la
frustrazione. Erano
le situazioni come quelle in cui si sentiva perfettamente inutile.
Voleva
essere in grado di dire qualcosa per consolarlo, ma per quanto stesse
scervellandosi per trovare la cosa giusta da dire, non riusciva a
trovare le
parole giuste. A volte le parole sembravano così
frustratamente inadeguate per
esprimere i propri sentimenti. Ma voleva fare o dire qualcosa per
fargli
sentire che lei gli era vicina.
Dopo un
breve momento di conflitto interno lei finalmente fece quello che la
sua
impulsività le consigliava sin dall'inizio. Dopo aver
poggiato il bicchiere, si
avvicinò e prese la mano di lui tra le sue. Era gelata. La
sua faccia o la sua
voce non tradivano mai le sue emozioni, ma davvero poteva regolare,
senza
saperlo, la temperatura del suo corpo? Era spaventato? Triste?
Arrabbiato?
Disperato? Non lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto.
“Che
stai
facendo?” chiese allarmato.
“Ti
tengo la
mano,” rispose delicatamente.
A quel punto
lui avrebbe potuto ritirare la sua mano ma non lo fece. Non poteva, era
fin
troppo piacevole. Il calore di Abigail si stava insinuando lentamente
sotto la
sua pelle, mentre le sue sottili dita massaggiavano il dorso della sua
mano.
“Sono
gelate,” disse, tenendo prima la sua mano sinistra, poi
quella destra tra i
suoi palmi.
“Si,”
rispose semplicemente. “Come è possibile che le
tue siano così calde?” era una
domanda senza senso – così poco da lui.
L'intimità lo rendeva nervoso.
“Whiskey
Incendiario. Le mie mani diventano sempre calde quando bevo.”
“Capisco.”
“Questo
ti
mette a disagio, vero?” chiese, guardando direttamente le
loro mani
intrecciate.
“No.”
“Bugia.”
disse lei.
“Forse.”
“Vuoi
che la
smetta?”
Nessuna
esitazione questa volta. “No.”
Lei sorrise.
Il suo pollice carezzava lentamente il retro della sua mano.
“Solo
che
non me lo aspettavo,” disse, lasciandosi sfuggire un sospiro
tremante. Sulla
sua corazza stavano cominciando ad espandersi delle crepe ogni secondo
in più
che lei gli teneva la mano.
“Cosa
ti
aspettavi?” Abigail chiese dolcemente.
“Non
lo so.
Che tu ti alzassi e andassi via e non mi rivolgessi più la
parola,” ammise
calmo. Questo era uno di quei rari momenti di onestà
assoluta che lei ebbe il
piacere di assaporare.
“Te
l'avevo detto
che non l'avrei fatto.”
“Ma...dopo
tutto quello che ho fatto...”
“Nel
passato.”
“Ma...”
“Credo
di
essere arrivata a conoscerti abbastanza bene adesso. Sei irritante,
sarcastico,
sfacciato, a volte persino cinico, ma sei troppo affascinante per
potermi
allontanare da te.”
“Sono
un
assassino. Non il principe azzurro sul suo nobile destriero,”
disse cupamente.
“Si...lo
so
bene,” disse dopo un po'. La sua onestà era cruda
e brutale, era come cadere e
scontrarsi contro cemento. “Ma...”
“Non
ci sono
'ma'. Dovrai venire a patti con questa realtà.”
“Si,”
disse
Abigail di nuovo. Questa volta maggiormente soprappensiero.
“Non conta perché
l''hai fatto, però?”
“Il
risultato è sempre lo stesso. Ho ucciso un uomo.”
I suoi occhi neri scavarono
nel suo viso. Lei non riuscì a mantenere il suo sguardo per
molto, e fu
costretta ad abbassare gli occhi che, dopo aver vagato nervosamente in
giro per
un po', si soffermarono sulle loro mani intrecciate.
“Mi
dispiace,” disse infine lei, leccandosi nervosamente le
labbra . I palmi delle
sue mani stavano cominciando a sudare. Li strofinò sui jeans
prima di
riprendere la sua mano di nuovo. “Vorrei poter fare o dire
qualcosa per farti
sentire meglio.”
Lui non
disse niente, posò l'altra sua mano semplicemente sopra
quelle di lei,
stringendole delicatamente. Le sue dita erano lunghe e affusolate,
proprio il
tipo di mani che ci si sarebbe aspettati da un Pozionista: unghia corte
e
curate, un callo sul medio che probabilmente era dovuto al troppo
scrivere con
una penna d'oca. Lei amava le sue mani. I suoi occhi vagarono sul suo
viso.
Naso adunco, occhi neri, due profondi solchi attorno la sua bocca.
Conosceva
così bene i tratti del suo volto che ormai avevano perso per
lei quella
apparenza di severità e arroganza..
“Sai,
quando
ti ho incontrato per la prima volta ho pensato che tu fossi la persona
più
orribile esistente sulla terra,” disse delicatamente.
Lui si
lasciò sfuggire una risatina priva di ilarità.
“Davvero? Cosa mai ti ha fatto
pensare una cosa del genere?”
“Pregiudizio?
Il mio passato...Beh, ti ho giudicato persino prima di conoscerti.
Perché tu
non sei...non sei la persona più orribile della terra.
Semmai il contrario.”
Lui non
disse niente. Invece di avvicinò per scostare una ciocca di
capelli dal suo
viso che era scivolata via dalla coda di cavallo che si stava
lentamente
sciogliendo. Le sue dita sfiorarono la sua guancia. Gli occhi di lei
incontrarono i suoi.
“Smettila,”
disse lei riluttante.
“Perché?”
le
sue dita continuavano a sfiorare i contorni del suo viso. I loro tocco
era
reverenziale e infinitamente tenero.
“Mi
farai
piangere.”
“Non
voglio
farti piangere,” la voce di lui era bassa e delicata. La loro
conversazione si
era trasformata in qualcosa di sommesso e intimo. Il significato delle
parole
dette andava oltre il loro semplice valore nominale.
“Lo
so,” la
sua voce tremò leggermente. “Ma lo farai lo
stesso.” Lei incontrò i suoi occhi
e fu sorpresa di accorgersi che per una volta lui non le stava cercando
di
nascondere le sue emozioni. Lo sguardo che le stava rivolgendo non era
né
gravoso, né ironico. Per una volta non c'era nulla a fare da
muro tra loro.
Una
improvvisa realizzazione lo colpì, mentre la stava guardando
negli occhi. Era
sempre stato un mistero per lui, come potesse lei essere
così emotiva eppure
così forte allo stesso tempo. Adesso capiva, capiva che tipo
di persona lei
fosse realmente. Non poté fare a meno di dirlo ad alta voce.
“Nel
profondo sei fragile,” la scelta di quell'aggettivo per
descriverla sapeva di
poetico e raro. Lei non si sentì offesa. Come avrebbe potuto
quando suonava
come se lui stesse parlando di un bellissimo e delicato fiore?
“E
tu non lo
sei?” Abby chiese dolcemente.
Lui non
rispose. Invece le sue dita continuarono a carezzare la sua faccia,
tracciando
teneramente le forme della sua guancia. Lei si abbandonò al
suo tocco e chiuse
gli occhi.
"Abby?”
chiese delicatamente dopo un po'.
“Si,”
quell'unica parola che costituiva la sua risposta, venne soffiata dalle
sue
labbra in un lungo respiro.
“Ti
dispiacerebbe terribilmente se...,” lui fece una pausa per
riunire il suo
coraggio, “Ti dispiacerebbe terribilmente se ti
baciassi?”
Gli occhi di
lei si spalancarono improvvisamente. Sorrise e scosse la testa.
Lui
delicatamente tirò la sua mano, avvicinandola a
sé. Quel sorriso era ancora sul
suo viso e finché ci fosse stato lui poteva essere sicuro di
non avere fatto
nulla di sbagliato.
Adesso i
loro nasi si sfioravano. Lei gli rivolse uno sguardo pieno di
aspettativa. Lui
ebbe bisogno di un momento per riunire tutto il suo coraggio per farlo.
La sua
improvvisa vicinanza gli faceva galoppare il cuore e girare la testa.
Il suo
respiro caldo e lento solleticava la sua pelle. Non era più
in grado di formare
un pensiero coerente che non fosse 'Sto per baciarla’.
Le sue
labbra si posarono su quelle di lei, lentamente, quasi con esitazione.
Il loro
tocco era tenero e leggero come quello di una piuma, seguito
velocemente da un
altro bacio più lungo e meno incerto. Cosa era quella
sensazione? Annebbiava i
suoi pensieri come se fosse stato completamente ebbro.
“Sei
intossicante,” sussurrò al suo orecchio tra i baci.
Il tono
vellutato della sua voce fece correre un brivido lungo la sua schiena.
“Hai una
vaga idea che effetto ha la tua voce su di me?” chiese
teneramente
strofinandosi contro la sua guancia.
Prima i loro
baci erano stati dolci e innocenti, ma adesso tutte le inibizioni,
dovute a
settimane di soppressa tensione sessuale, erano sparite. Le labbra di
lei erano
calde contro le sue. Severus era a stento consapevole delle mani di lei
che vagabondavano
tra i suoi capelli e più che mai del suo corpo pressato
contro il proprio. Lei
aveva subdolamente cambiato posizione ed adesso era praticamente seduta
sulle
sue gambe. A lui non importava, per i suoi gusti non era ancora
abbastanza
vicina.
Lui
provò ad
approfondire il bacio. I loro nasi si scontrarono, e lui si
sentì decisamente
mortificato per essere stato così imbranato e stava per
scusarsi
abbondantemente, ma lei si lasciò sfuggire una piccola
risatina, scosse la
testa e lo baciò di nuovo. Andò bene per un po',
ma entrambi erano troppo
appassionati. I loro denti si scontrarono. Lei si scostò da
lui, adesso ridendo
genuinamente. Si aspettava che anche lui trovasse la loro disavventura
divertente, ma sfortunatamente non sembrava proprio.
L'espressione
sul suo volto si era inasprita. Sin dall'adolescenza era stato
piuttosto
sensibile nell'esser oggetto di derisione. Niente, nella sua testa, era
più
offensivo.
“Oh,
dai!
Non mi guardare così. Significa solo che dovremo allenarci
un po'. Spero che la
prospettiva non sia così poco allettante per te.”
La piega
amara attorno la sua bocca scomparve. Era ovvio, lei non stava ridendo
di lui.
Era stato molto veloce a saltare alla conclusione sbagliata.
“No, certamente
no. Mi dispiace.”
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Capitolo 6 *** Incoerenza ***
Incoerenza
Traduzione a
cura di besemperadreamer e Varekai
“Siete mai stati innamorati? Orribile, vero? Vi rende
così vulnerabili. Spalanca il vostro petto ed il vostro
cuore, e questo significa che qualcuno può entrarci dentro e
sconvolgervi. Tirate su tutte queste difese, costruite una vera a
propria armatura, in modo che nessuno possa farvi del male, e poi una
persona stupida, non più stupida di qualunque altra persona
stupida, entra nella vostra stupida vita...E gli date una parte di voi.
Non lo chiede mica...un giorno fa solo qualcosa di scemo, come baciarvi o
rivolgervi un sorriso, e la vostra vita non vi appartiene
più. L'amore fa ostaggi. Ti entra dentro. Ti corrode e ti
lascia in lacrime nell'oscurità, così che una
semplice frase come “forse dovremmo essere solo amici' si
trasforma in una scheggia di vetro che trova la strada verso il vostro
cuore. E fa male. Non solo nell'immaginazione. Non solo nella testa. Fa
male nel profondo dell'anima, è uno di quei dolori che ti
entrano dentro e ti distruggono. Niente dovrebbe essere in grado di fare una cosa simile. Soprattutto l'amore.Odio l'amore"
Neil Gaiman
"Avada Kedavra,“ disse infine con voce tremante. Un lampo
verde fuoriuscì dalla sua bacchetta, scaraventando ai suoi
piedi il povero topolino che stava gemendo in agonia. Dopo essere stato
colpito dalla sua maledizione, rimase disteso a terra,
immobile con le membra piegate in una innaturale
posizione. Lei tirò sul col naso, poi non poté
più sopprimere le lacrime e cominciò a
singhiozzare. La bacchetta scivolò dalle sue dita e cadde
sul pavimento con un tonfo rumoroso.
Non poteva farlo. Era semplicemente troppo. Una cosa era leggere libri
sulle Arti Oscure, ma scagliare realmente quelle maledizioni, era
semplicemente impensabile. Lei non uccideva nemmeno i ragni, per amor
del cielo! Era una di quelle persone che li prendeva in mano per
liberarli nel giardino. A volte gli dava persino dei nomi e ci
coesisteva pacificamente nel suo appartamento. Certo, era
ben consapevole di comportarsi da santarellina, ma non riusciva proprio
a schiacciarli con un giornale arrotolato.
Ipocrita! Era una tale maledetta ipocrita! Eccola lì, seduta
a piangere come una disperata per un topolino morto mentre aveva
giurato eterna vendetta ai due Mangiamorte responsabili di aver mandato
sua zia in coma. Se aveva già difficoltà ad
uccidere un topo, di certo non sarebbe stata in grado di uccidere un
essere umano. Ma doveva essere sicura di quello che faceva. Non poteva
permettersi alcun errore o sarebbe morta in un batter d'occhio. Quei
due bastardi erano intelligenti ed erano stati persino capaci di
battere sua zia. Doveva compensare la sua mancanza di
abilità con la determinazione. Naturalmente, era essenziale
anche essere ben preparata.
Quando sollevò la testa, il topo morto era ancora
là immobile. Non poteva farci niente, provava ancora
dispiacere per la creatura. Altre lacrime si stavano accumulando nei
suoi occhi. Era meglio liberarsene ora, perché poi non ci
sarebbe stato tempo per il rimorso.
***
Severus era ancora curvato sui temi dei ragazzi del quarto anno sui
vari usi dello scarabeo di terra, quando udì bussare.
Era presto. Mise da parte rapidamente la piuma d'oca per aprirle la
porta. Essa si spalancò rivelando una giovane donna dagli
occhi gonfi che lo stava fissando con uno sguardo piuttosto insicuro.
“Che cosa è accaduto?" chiese anziché
salutare.
“Niente," disse Abby, tirando un po’ su col naso.
La afferrò delicatamente dalla manica del suo cappotto e la
trascinò all'interno della stanza.
Preferiva non discutere di qualsiasi fosse il problema nel corridoio. “Si, certo.
Prova ancora."
“Vero, non ho niente. Sto benissimo."
Lui le alzò un sopracciglio. “Non sapevo che stare
benissimo includesse piangere come una fontana."
“Non ho pianto come una fontana," saltò su lei.
“Beh, quest'improvvisa inversione di ruoli è
proprio divertente. Ma se ricordo bene, sono io in genere
quello irritabile," era uno dei suoi rari tentativi di sano umorismo privo
di sarcasmo, ma purtroppo in quel momento era sprecato.
Lei alzò testardamente il mento, girando la sua testa per
fissare qualcosa oltre lui. Bene, così non era dell'umore
adatto per parlare.
“Siedi," ordinò bruscamente, indicando la sedia
opposta alla sua, sull'altro lato dello scrittorio. Lei fece come le
venne detto, riluttante, mentre lui riprese a correggere i temi.
Per un po' gli unici suoni all'interno della stanza furono il fruscio
della carta ed il suono della sua penna d'oca che vi lasciava sopra linee
marcate di rosso. Alla fine, lei parlò di nuovo.
"Severus?"
“Sì."
“Possiamo parlare?"
Lui sospirò. “Avremmo potuto parlare alcuni minuti
fa."
“Non è facile per me..."
“Ho notato," lui si appoggiò sullo
schienale della sedia, intrecciando le mani sul suo grembo.
“Non ti piacerà quello che sto per dirti"
“L'avevo già preso in considerazione sin dall'inizio."
“Non riguarda noi due."
“Bene. Persino rassicurante. E quindi, di cosa si tratta?" La
sua voce era priva di emozione e fin troppo fredda per i suoi
gusti, e lei si infastidì un poco.
“Riguarda me. Me e mia zia," sospirò, passandosi la
mano tra i capelli. C'era un taglio sul suo palmo. Era fresco e
rosso infiammato.
La sedia di lui, strisciando i piedi sul pavimento, produsse un forte
stridio, mentre veniva spinta indietro bruscamente. “Stai
usando la Magia del Sangue" In un batter d'occhi aveva girato intorno al
tavolo ed aveva catturato il suo polso nella sua mano, costringendola
ad alzarsi. Ispezionò la ferita con
curiosità, quindi la guardò con occhi scuri e
penetranti.
“Sì," disse lei titubante. Era inutile negare.
“Dovresti sapere che è estremamente pericoloso. Un
piccolo errore di calcolo e le conseguenze potrebbero essere
terribili." Le sue lunghe dita erano ancora avvolte saldamente intorno
al suo polso. Benché il suo tocco non fosse sgarbato, non
era neanche esattamente piacevole.
“Ne sono consapevole."
“Allora perché stai avendo a che fare con cose con
cui chiaramente non dovresti?" le sibilò.
Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Forse che voleva vendetta?
Dicendoglielo in faccia, sembrava così assolutamente
ridicolo, ma d'altra parte il pensiero aveva occupato costantemente la sua mente
nell'ultimo paio di mesi. Tranne il tempo che aveva trascorso con lui.
Tranne quello. Quando era con lui non sembrava avere più
importanza.
“Voglio vendetta," confessò infine, quasi con
imbarazzo.
Lui lasciò cadere la sua mano come se fosse stato bruciato e
fece un passo indietro, scrutandola severamente.
“Non capisci?" lo pregò. “Non hanno mai
fatto niente. Non hanno mosso nemmeno un dito per catturare
le persone che le hanno fatto questo!"
“Anche se riuscissi a trovarli, ti ucciderebbero in un
attimo."
“Cosa ti rende così sicuro di questo?"
“Diciamo solo che mi sembra una pessima idea. Non sei
esattamente un'esperta quando si tratta di incantesimi. Per non parlare
delle Arti Oscure. Ci vogliono anni per acquistarne completamente la
padronanza."
“Mi sto esercitando da tempo," disse vaga.
“Loro uccidono da tempo" replicò.
“Che cosa ti aspetti che faccia? Che stia bella seduta e
tranquilla mentre loro sono ancora a piede libero?"
“Sì, è esattamente quello che mi
aspetto che tu faccia," fece un passo verso di lei che
indietreggiò.
“Lascia che se ne occupi qualcun'altro."
“Chi? Non c'è nessun altro oltre me."
“Cosa ne dici degli Auror o del Ministero?"
“Ci ho già provato. Non faranno nulla."
“Non te lo lascerò fare." L'aveva imprigionata
contro la parete, non c'era nessuna via di fuga.
“Tu non capisci" provò a farlo ragionare.
Lui soppesò le sue parole, inclinando la testa a sinistra. I
suoi movimenti avevano qualcosa di positivamente serpentino. "Spiegati."
“Era l'unica che mi ha sempre sostenuto. Come pensi che mi
sia potuta permettere l'apertura di una libreria a Diagon Alley? Solo
perché lei mi ha prestato il denaro necessario, ecco
perché. Ha creduto sempre in me, non importa quanto stupidi
o pazzeschi sembrassero i miei piani all'inizio."
“Abigail, tu non lo farai! Non importa cosa mi dirai. Non
importa quale favoletta strappalacrime metterai in tavola! Non importa,
io non te lo lascerò fare." i suoi occhi stavo scintillando
pericolosamente ora.
“Promettimi che non lo farai. Promettimelo!" La sua voce era
imperiosa, e non ammetteva repliche.
“Non posso."
“Devi."
“Non posso." ripeté con più insistenza.
“Non capisci? E' una cosa che devo fare. Altrimenti
è come se la deludessi”.
“Perché? Perché vuoi vendetta? Non ne
ricaverai nessuna soddisfazione. Non fa tornare indietro il tempo, non
disfa l'ingiustizia. Niente può farlo. Credi veramente che
ti farà sentire meglio?
“Non puoi farmi demordere con una chiacchierata."
La sua faccia si contorse in un ghigno. Si allontanò dal
muro, e si voltò, le sue vesti che sbattevano contro le
gambe. Dopo alcuni passi arrabbiati si fermò
improvvisamente, il suo corpo che vibrava di rabbia soppressa. Con un
ringhio furioso buttò a terra la sedia su cui lei era stata
seduta pochi attimi prima.
Abigail lo guardò ansiosamente, incollata al punto in cui
era poggiata contro la parete. Lui stava respirando forte, aprendo e
chiudendo le mani. Quando infine si calmò un po’,
si voltò di nuovo. L'espressione sul suo viso era
illeggibile. La mancanza assoluta di emozioni che lei vide le fece
leggermente paura.
“Lasciami venire con te."
“No."
“Abigail," ringhiò, al limite della sopportazione.
“Non voglio che tu faccia qualcosa che ti pesi sulla
coscienza. Hai già abbastanza di cui preoccuparti," il suo
tono era realistico.
“Peserà ugualmente sulla mia coscienza se morirai."
“Questa non è la tua battaglia."
“Come potrebbe non esserlo quando tu sei coinvolta?"
“Severus..." disse esasperata.
“Abigail..."
“Promettimi soltanto che, quando saprai dove si trovano, me
lo dirai. Non voglio che tu vada avanti da sola.”
“E allora che farai?”
“Ti proteggerò. Farò in modo che tu
sopravviva,” suggerì.
“E’ chiedere troppo. Non mi aspetto che
tu...”
“Chiedi e sarà fatto,” la interruppe.
“Non sei costretto.”
“Sì, invece,” disse lui con fermezza.
“Mi prometti che me lo dirai?”
Lei esitò. “Non lo so.”
“Promettimelo” ordinò duramente.
“Va bene,” sussurrò lei, quindi lo
ripeté un’altra volta, un pochino più
forte. “Va bene.”
“Bene.”
“Mi dispiace trascinarti in questa storia.”
“Credevo che ne avessimo già parlato,”
roteò gli occhi in segno di irritazione. “Non mi
stai trascinando in niente. Sono io che ti voglio aiutare.”
Lei accennò un timido sorriso. “Da quando sei
diventato così gentile?”
Lui fece uno sbuffo sarcastico. “Oh, per favore. E'una chiara e semplice dimostrazione di egoismo. Non voglio
che tu venga uccisa.”
“Perché?”
“Sono un filantropo,” disse rivolgendole un
sorrisetto amaro.
“Giusto,” sbuffò.
“E’ tutto?”
Lui pensò alla sua domanda per un momento.
“E’ tutto ciò che
dirò.”
“Ma...”
“Sai perfettamente che seccarmi con ulteriori domande non
solo è inutile, ma anche fortemente irritante.
Penso che potremmo impiegare meglio il nostro tempo occupandoci della
tua mano,” disse, evitando con destrezza la domanda
successiva.
“E’ solo un taglio. Niente di grave,” e
lo scacciò con la mano.
Lui emise un brontolio frustrato. Non era nell’umore giusto
per un’altro battibecco, così la
afferrò semplicemente per la mano sana e la
se la trascinò dietro senza tante cerimonie. Abby venne
colta di sorpresa, ma protestò appena.
Il laboratorio delle pozioni era appena oltre la porta adiacente,
così non dovettero andare molto lontano. Lui le
lasciò la mano e, prima di impegnarsi a cercare
l’unguento per le ferite, le fece cenno di sedersi su uno
sgabello di legno vicino al suo banco da lavoro. Non gli ci volle molto
a trovarlo. Ogni pozione era etichettata con cura e le riponeva sempre
dopo averle usate. Odiava spassionatamente il disordine.
Lei gli offrì la mano ferita di buon grado, con aria innocente e
mansueta, ma lui sapeva bene che era solo apparenza. Infilò
il dito nell’unguento e iniziò a spargerlo con
cura sulla pelle. Movimenti circolari lenti, pressione minima.
“Meglio ora?”
“Sì, grazie,” disse lei piano,
guardandolo da sotto le ciglia. Lui non le aveva ancora lasciato la
mano.
Rimasero entrambi così per un momento, fermi. Erano passati
due giorni dall’ultima volta che si erano visti. Due giorni
dal loro primo bacio. Era un momento delicato. Decisivo, per certi
versi, perché avrebbero dovuto accettare quello che era
accaduto. Un altro bacio li avrebbe portati vicino a qualcosa come ad
una vera relazione, rendendo impossibile etichettare le loro azioni
come una follia momentanea. D’altronde, se non avessero colto
l’attimo se ne sarebbero potuti pentire in seguito. Ci
sarebbero state cose da riconsiderare, sarebbero stati costretti a
parlarne, e poi sarebbero arrivati il disincanto e la
delusione…insomma, terrificante.
Non seppe cosa gli prese, forse fu l’ultimo rimasuglio di una
rabbia ormai smorzata o forse semplicemente fu il pensiero di perderla
che lo indusse a baciarla di nuovo. Generalmente non era il tipo da fare la
prima mossa. A dir la verità, riguardo alle relazioni doveva
ancora scoprire come reagiva a certe cose – a molte cose.
Se le serviva una dimostrazione che quello che era successo due giorni
prima non era solo un confuso sogno a occhi aperti, dovuto alla bella
sbandata che si era presa per lui, questo sfatava ogni dubbio. Stavolta il bacio non fu
imbarazzato né esitante. La sua goffaggine era scomparsa,
sostituita da una maggiore sicurezza e intenzione. Baciarla gli
stava piacendo. La sua solita facciata di distacco stava scivolando
via, rivelando quello che c’era sotto – vive,
intense emozioni che aveva sepolto per anni, solo per riemergere ancora
più forti. Per una volta non si tirò indietro,
non si nascose dietro a bugie. La voleva, la desiderava perfino e tutto
questo si riversò nel bacio. Questo le faceva girare
leggermente la testa, la stupiva, la affascinava e, soprattutto, la
entusiasmava.
Quando infine lui si ritrasse un poco, con le sue lunghe dite ancora
aggrovigliate tra i suoi capelli, lei era senza fiato.
“Tutto a un tratto sei diventata stranamente
silenziosa,” disse lui con un sorrisetto compiaciuto stampato
in faccia.
“Beh, io...,” sbattè le palpebre un paio
di volte. Sembrava che la sua visione fosse diventata confusa.
“Sono solo sorpresa. Sì, è questo. Ti
ricordi cosa ti avevo detto a proposito del bisogno di fare pratica?
Ecco, hai appena provato che davvero non ci serve, benché
sicuramente sarebbe divertente.”
“Solo divertente?” alzò un sopracciglio.
A quanto pareva si stava proprio divertendo.
“Mi stai stuzzicando?” rise lei.
“Che succederebbe se fosse così?”
“Non lo so? Immagino che l’inferno si congelerebbe
e che dovremmo pensare ad investire il nostro denaro in
ombrelli di amianto, perché presto inizierebbe a piovere
fuoco o chissà cos’altro. Il cielo sicuramente si
oscurerebbe... Oh, e ci sarebbero un sacco di rane e locuste. In particolare le locuste. Non sarebbe una vera apocalisse senza di loro,
no?”
“C’è un motivo per cui
all’improvviso parli di tali assurdità?”
“E’ colpa tua se straparlo, suppongo”
ammise, arrossendo un poco. “E’ un crimine?
Inizierai a sottrarre punti alla mia Casa ora?”
“Non essere ridicola! Non sei una studentessa. E non hai
neanche una Casa,” fece notare lui.
“Già. Tra l’altro, considerando che mio
padre è stato un Serpeverde, ciò significherebbe
togliere punti alla tua stessa Casa,” fece lei.
“Personalmente, per te punterei più su
Corvonero.”
“Sai, sto iniziando a offendermi.”
“Perché ti ho chiamata Corvonero? Non tutti
possono essere Serpeverde,” disse con una certa soddisfazione
maligna.
“No, perché sei ancora paurosamente coerente, il
che significa che non abbiamo pomiciato abbastanza.”
“Non credo che tu possa rendermi incoerente solo con un
bacio.”
“Severus, sinceramente, quante volte ti hanno baciato fino
allo stordimento?”
“Non molte,” disse con voce completamente
fredda. L’assenza di emozioni che dimostrava, il fatto che
non sembrava neanche rimpiangere di non aver provato
quell’esperienza, le fece capire molto più di
quello che lui stesso probabilmente avrebbe voluto farle sapere. Non
aveva mai pomiciato con una ragazza da adolescente? Non era mai
sgattaiolato in un qualche angolo buio per dare un bacio come si deve
alla ragazza che gli piaceva? No, si stava parlando di Severus Piton.
Probabilmente non l’aveva mai fatto. Riusciva a immaginarlo
da adolescente. Dinoccolato, esile, con
ginocchia e gomiti ossuti e lo stesso sguardo corrucciato. Il suo fascino particolare la rapiva, ma
poteva immaginare come le normali teenager non impazzissero
esattamente per i tipi taciturni, complicati e sarcastici come lui.
“Mi piacciono le sfide difficili,” gli rivolse un
mezzo sorrisetto misterioso, dopo di che si alzò in piedi.
“Che hai intenzione di fare?” chiese lui
preoccupato.
“Te l’ho detto. Pomiciare fino allo
stordimento,” gli mise le sue mani sul petto, con le sue dita
che dolcemente scavavano tra gli strati delle sue vesti. Lentamente lo
avvicinò a sé.
Lui fu capace di protestare solo debolmente, dicendo qualcosa come
“non fare la sciocca”. Lui la lasciò fare principalmente perché era
incredibilmente curioso di sapere come sarebbe finita.
Lei accostò la propria faccia a quella di lui, strofinando
la guancia contro la sua. C’era solo una vaghissima traccia
di barba. Girò la testa leggermente. Soffiò con
il suo respiro caldo contro la fredda pelle di lui e la fece pizzicare.
Dunque fece scivolare in giù la sua lingua, facendosi strada
lentamente verso la sua bocca.
“Stai imbrogliando,” sussurrò lui con
voce bassa e vellutata.
“Questo non è imbrogliare. Questo è
farlo come si deve.”
Lo baciò in maniera provocante, prendendo lievemente il suo
labbro inferiore tra i denti e tirando indietro leggermente, il che lo fece
inspirare bruscamente. Le sue dita carezzavano il suo volto. Il soffice
tocco di lei gli fece rizzare i peli sulla nuca. Sapeva perfettamente
quello che lei stava facendo. Lo stava tentando fino al punto in cui
non avrebbe più potuto resisterle. Le sue chances erano,
nella migliore delle prospettive, scarse. Sin dall’inizio, da
quando si erano incontrati per la prima volta, non era mai riuscito a
dirle ‘no’.
Il bacio successivo fu più lungo. Le labbra di lei lo
carezzavano teneramente, e soprattutto sensualmente. Il suo limite di
sopportazione fu superato quando le dita di lei iniziarono a sfiorargli
la nuca. Ciò che accadde dopo lo poteva descrivere solo in
termini di sensazioni. Come erano le sue labbra sulle proprie, come
quei suoi piccoli sorrisi tra un bacio e l’altro gli facevano
fremere le viscere.
“Ti senti ancora coerente?” chiese Abby
successivamente, con un sorriso pigro.
“Non ora. No.”
“Bene.” Sorrise con soddisfazione.
Note di una delle due
traduttici, besemperadreamer: ciao a tutti!!^^
Ernil sono troppo contenta che la
storia ti piaccia così tanto^^ Vuoi fare un pò di
pubblicità? Per noi non può essere che gradita!
Fai pure!
GilGalahad: hai ragione, ci dispiace
aggiornare così tanto di rado, ma speriamo che l'attesa sia
valsa la pena^^ (Nota personale: Sono felice che tu mi stia seguendo
anche qui, in questa traduzione^^ grazie!)
Ciao biancalupin!!!! grazie per i complimenti
sulla nostra traduzione^^ Strafelice di sapere che anche tu sia dei nostri!
Alla Prossima!!
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Capitolo 7 *** Scivolando via da me ***
Capitolo 7: Scivolando via da me
Traduzione a cura di semperadreamer
Twas sad
I kissed away her tears
Her arms
around me clinging
When to
my ears that fateful shot
Come out
the wildwood ringing
The
bullet pierced my true love's breast
In
life's young spring so early
And
there upon my breast she died
While
soft winds shook the barley
I bore
her to some mountain stream
And
many's the summer blossom
I placed
with branches soft and green
About
her gore-stained bosom
I wept
and kissed her clay-cold corpse
Then
rushed o'er vale and valley
My
vengeance on the foe to wreak
While soft winds
shook the barley
The Wind
that Shook the Barley by Robert Dwyer Joyce
“Il Ragno Nero.
Notturn Alley," recitava la nota. Il
suo viso perse colore. Il suo cuore le prese a martellare ansiosamente nel
petto quando rilesse una seconda volta. Eccolo, il momento che stava
aspettando,
adesso o mai più.
“Via!"
disse ad alta voce alla sua unica cliente, la
Signora Weatherly, una donna anziana che spesso passava per rifornirsi
di
romanzi rosa.
“Ma..."
protestò la signora, sbuffando oltraggiata.
“Sono spiacente,
ma deve andare via adesso."
“Mia cara, cosa
le è preso?"
“Ho detto di
andarsene. Ora!" abbaiò, praticamente
spingendola fuori dalla porta. L'altra donna stava appena per girarsi e
dirgliene quattro, quando lei le chiuse la porta in faccia energeticamente.
Le
tendine calarono velocemente, facendo svanire il suo viso paonazzo e
oltraggiato. Abby aveva altre cose a cui pensare al momento.
Scribacchiò
freneticamente una nota e la legò alla zampa del
suo gufo. L'uccello sembrò rivolgerle un ultimo sguardo di
rimprovero, prima di
essere buttato fuori dalla finestra con le parole: “Non mi
guardare così!
Vai!"
Era chiaramente offeso
quando prese il volo, ma quella era
l'ultima delle sue preoccupazioni. Stava già precipitandosi
nel suo ufficio per
raccogliere la sua borsa. Non poteva permettersi di perdere altro tempo
o se ne
sarebbero andati.
Si materializzò
proprio davanti al Ragno Nero con i palmi delle
sue mani sudati e lo stomaco sottosopra. Il Ragno Nero era uno di quei
piccoli
bar malfamati in cui si riuniva tutta la feccia del Mondo Magico. La
sua mano
rimase ferma sulla maniglia della porta, indecisa per un momento, prima
di
abbassarla ed entrare. L'ottone era freddo come il ghiaccio. Poteva
ancora
sentire il metallo gelato contro la sua pelle anche dopo aver lasciato
la
maniglia.
Una dozzina di teste si
voltarono quando entrò. Il
chiacchiericcio s’interruppe momentaneamente, abbastanza a lungo
affinché ognuno la squadrasse con sospetto, per poi
riprendere bruscamente a parlare così
come si era arrestato. Per una volta era stata abbastanza saggia da
indossare
le sue vesti da strega invece dei suoi soliti abiti babbani. Non voleva attirare
troppa
attenzione su di sé.
Quel posto era, in ogni
suo angolo, squallido esattamente
come si aspettava che fosse. Il pavimento era appiccicoso e i gusci
scartati
d'arachidi scricchiolavano sotto i suoi stivali mentre attraversava il
locale.
Il debole aroma di Burrobirra e di Whiskey Incendiario mescolato a
sudore
aleggiava nell'aria.
I suoi occhi esaminarono
nervosamente la folla. Sperava che
la sua fonte le avesse dato informazioni corrette. Li scorse infine nel
privé
vicino al bancone e con risoluzione si fece strada verso di loro. Dopo
essere
scivolata con garbo nel posto vuoto davanti agli uomini, rivolse loro
un
piuttosto convincente “ciao, ragazzi." I due ricambiarono il
saluto con
uno sguardo libidinoso, mangiandola con gli occhi da capo a piedi.
Già si
sentiva sporca.
“Che cosa ci fa
una brava ragazza, carina come te, in un
posto come questo?" le disse lentamente Avery. I suoi tratti erano
rozzi e
aveva le mani come badili. Mani che l'avrebbero potuta indubbiamente
spezzare
come un ramoscello. Deglutì. In tutto e per tutto erano
decisamente una
compagnia sgradevole.
“Chi lo dice che
sono una brava ragazza?" dovette
forzare un sorriso seducente. Il suo istinto le gridava di alzarsi ed
andare
via, ma lei lo ignorò volutamente.
Apparentemente il suo modo
di flirtare stava dando l'effetto
voluto. Tennyson, il più piacevole tra i due,
benché la scelta fra loro fosse
come passare dalla padella alla brace, ghignò in sua
direzione. Una scintilla
di pazzia brillava nei suoi occhi ed i suoi mossi capelli castani erano
tutti
scarmigliati. “Sei venuta nel posto giusto allora. Hanno la
migliore Burrobirra
della città."
“Non m'importa
molto cosa bevo, basta che sia
alcolico," sorrise dolcemente. La prima frase che disse da quando aveva
messo piede nel bar. Mise gli avambracci sul tavolo, spostandosi al
bordo della
sedia, così da dare ai due uomini una vista generosa della
sua scollatura.
Tennyson diede al suo
amico una piccola gomitata alle
costole. “Te ne vado a prendere io uno" disse Avery, alzandosi
riluttante.
“Allora, che
cosa ci fai realmente qui?" chiese
Tennyson dopo che il suo amico si era alzato, guardandola
sospettosamente.
“Che cosa ne
pensi?" disse lei maliziosamente,
tamburellando le dita sul tavolo.
“Per come la
vedo io ci sono due tipi di donne che vengono
in un posto come questo: quelle brutte che si mescolano tranquillamente
alla
folla e quelle graziose in cerca di compagnia," disse appoggiandosi
allo
schienale mentre la guardava gravoso. Il rinforzo in cuoio del legno
stridette
un poco quando lui spostò il suo peso.
“E se stessi
cercando compagnia? Sarebbe un crimine?"
disse lei, sfiorandosi il collo con le sue dita. Tremavano un po', ma
lui non
stava guardando comunque la sua mano.
“Se tu la stessi
cercando...Bé, allora suggerirei di
aspettare il ritorno del mio amico e di andare in un bel posto
tranquillo dove
non saremo interrotti."
“Bene"
annuì lentamente col capo, fingendo di prendere
il suo suggerimento in considerazione. La sola idea di diventare intima
con
lui, per non parlare del suo amico Avery, le fece venire il
voltastomaco. “Ma
un menagé a trois? Bé, ti verrà a
costare, tesoro."
“Oh, non ci
siamo capiti proprio, Signorina. Non sono uno
che si accontenta degli avanzi. Voglio essere io a divertirmi con te
prima di
lasciar provare Avery."
“Dieci Galeoni
ciascuno," disse freddamente, benché
interiormente cominciava già a tirarsi indietro. Ed era solo
un eufemismo per
quanto si sentisse nauseata.
Avery ritornò
con una pinta di birra che lei prese
riconoscente dalle sue mani. I due uomini la guardarono con interesse
mentre si
scolava l'intero bicchiere in pochi secondi.
“Impressionante,"
commentò Avery.
“Sembri un po'
tesa, dolcezza. La tua prima volta?"
chiese Tennyson. Ovviamente era lui il cervello tra i due.
“Quasi" rispose,
provando duramente a vincere la
nausea.
Severus… come
desiderava che fosse lì per tirarla fuori dai
guai, ma le probabilità che lui entrasse da quella
porta erano decisamente
scarse. Gli aveva mandato un gufo. Ci sarebbe voluto un po' di tempo
prima che
lui giungesse lì e forse questo non era un male dopotutto.
In retrospettiva era
proprio un'idea piuttosto stupida coinvolgerlo, per non menzionare
quanto
sarebbe stato estremamente pericoloso venire lì. C'erano
probabilmente molti
ex-Mangiamorte. Se avevano letto cosa era stato scritto nei giornali su
di lui,
che fosse stato una spia di Silente, quello era l'ultimo posto in cui
doveva
esser visto. Ma lei lo conosceva. Non avrebbe mai fatto niente di
così immensamente
stupido, comunque. Quel solo pensiero le dava già un po' di
sollievo.
Abigail rivolse nuovamente
la sua attenzione ai due uomini che
le sedevano di fronte. Non voleva che diventassero impazienti.
“Allora, che ne
dite di quel posto tranquillo e piacevole che avevate suggerito? Solo
per
farvelo sapere, non posso permettermi di allontanarmi
troppo…"
“Va bene" disse
Avery.
“Perché?"
chiese Tennyson immediatamente.
“Tu che ne dici,
amore?" Lo guardò inclinando la testa
leggermente a sinistra.
“Hai un cane da
guardia?"
“Sei uno
intelligente. C'hai preso al primo colpo."
Tennyson le rivolse un
sorriso sbilenco, rivelando due
incisivi taglienti e bianchi che gli conferivano un aspetto ferino.
“Allora
vada per il retro del vicolo. Non è molto raffinato, ma va
bene in certe
situazioni."
“Prego," fece
cenno alla porta del retro che era a
qualche passo da loro. Abigail si mise lentamente in piedi e diede
un'occhiata
al di sopra della sua spalla. Nel profondo non lo voleva fare. Avrebbe
voluto
essere in qualsiasi altro posto, ma aveva un debito, un debito nei
confronti di
sua zia, benché dubitasse altamente che avrebbe voluto che
lei si esponesse ad
un pericolo del genere. Ma chi se ne sarebbe occupato se non lei?
Certamente
non il Ministero.
Era stato tutto
così facile fino a quel momento. Facile
rifilargli un mucchio di bugie e scambiare quattro chiacchiere con
loro, ma
adesso stava diventando tutto più complicato.
Fortunatamente, fu la prima ad
uscire nel vicolo dietro il Ragno Nero. Era sudicio. Della carta stava
volando
trasportata dal vento e l'olezzo dell'immondizia in decomposizione
proveniente
dalle pattumiere straripanti saturava l'aria. Il sole pomeridiano stava
quasi
tramontando, lanciando gli ultimi deboli raggi sul vicolo.
Abigail infilò
la mano nella borsa. La sensazione del metallo
freddo contro il palmo era in qualche modo rassicurante.
Esitò un secondo prima
di voltarsi con la pistola stretta nel pugno. Era considerato da
codardi usare
nel mondo Magico un'arma Babbana in una lotta, ma le
probabilità di vincere non
erano esattamente a suo favore. Due contro uno.
Non sprecò
tempo per spiegare chi era o perché voleva
ucciderli. Sparò con la sua pistola puntandola alla mano
destra di Tennyson che
stava già per afferrare la sua bacchetta. Il colpo non fece
alcun rumore perché
era stata abbastanza astuta da scagliare in anticipo un Muffliato sulla
pistola, ma la pallottola affondò nella sua carne con un
viscido suono
nauseabondo che continuò ad echeggiare nelle sue orecchie
anche nei minuti
successivi. Lui lanciò un grido stridulo.
Disfacendosi della
pistola, che era già servita al relativo
scopo, evocò la sua bacchetta. Nel frattempo Avery,
ripresosi dalla sorpresa
iniziale, le scagliò contro una maledizione. Il lampo verde
intenso era diretto
verso di lei, ed Abigail ebbe appena il tempo di gridare un frenetico
“Protego!" prima che esso la raggiungesse. Il lampo colpì
il suo incantesimo di
protezione e tremolo irosamente prima di dissolversi.
“Chi sei,
stronza?" gridò Tennyson, tenendosi la mano
sanguinante.
Abigail lo
ignorò. La conversazione l'avrebbe soltanto
distratta. Nei film Babbani i Cattivi finiscono sempre per tirare le
cuoia
quando cominciano a spiegare i loro motivi e lei non aveva nessun
desiderio di
crepare.
“Stupeficium!"
gridò, puntando la sua bacchetta verso
Avery. Lui anticipò la sua mossa evocando il proprio
incantesimo scudo, facendo
rimbalzare via la maledizione.
“È
tutto quello che sai fare?" ringhiò.
“No,"
sibilò, sentendo la rabbia ribollire
internamente. “Sectumsempra!"
Avery non
riuscì del tutto a schivare il lampo rosso di
energia che gli veniva contro ed esso lo colpì di striscio
lasciando sull’avambraccio
un brutto taglio rosso. Sentiva una strana soddisfazione nel vederlo
ferito, ma
non si concesse di goderne per troppo tempo.
Lui non aveva modo di
scagliare una maledizione contro di
lei in quel momento e se non avesse voluto trovarsi a combattere due
avversari
contemporaneamente dopo, sarebbe stato meglio liberarsi di lui una
volta per
tutte. Le sue dita si strinsero forte intorno alla sua bacchetta. I
momenti
successivi avrebbero dimostrato se tutto il suo allenamento era stato
utile.
Puntò la sua bacchetta verso Avery, determinata a
scagliargli contro un mortale
Avada Kedavra. Fissò il suo volto, vi vide dipinto un muto
terrore e comprese immediatamente
che non sarebbe mai stata capace di farlo. Tutto ciò che
riuscì a scagliare fu
appena un titubante Stupeficium, che venne facilmente deviato. In quel
momento
capì che era condannata.
Momentaneamente
dimenticato, l'altro uomo decise di
ricordarle la sua presenza. “Questa troia c'ha un bel
caratterino...Vediamo se
le facciamo abbassare la cresta con qualche Cruciatus, eh, Avery? Che
dici?”
disse Tennyson lentamente. La sua mano ferita dondolava mollemente al
suo
fianco, gocciolante di sangue, mentre l'altra teneva saldamente la sua
bacchetta. Gli occhi di Abigail s'allargarono per il terrore per quello
che,
aveva capito, stava per accadere.
“Sei fortunata,
non sono mancino, e la mia Cruciatus non ti
farà poi così male, ma quella di Avery d'altro
canto…"
Le dita di lei si
serrarono intorno alla propria bacchetta.
Era consapevole che non avrebbe potuto tenere testa ad entrambi, ma
avrebbe
provato comunque.
Fu in grado di deviare la
maledizione di Tennyson, ma la
Cruciatus di Avery la colpì in pieno. Il ruvido pavimento si
avvicinò
velocemente. Per un momento vide le stelle. Non era mai stata colpita
da una
Cruciatus, per questo aveva supposto ingenuamente che fosse tutto
lì, che fosse
finita, ma dovette presto ricredersi.
Era come se il suo stesso
corpo fosse diventato il suo
nemico. Tremiti forti la percorsero tutta mentre le sue membra
iniziarono a
contorcersi senza controllo. Gemette in agonia quando sentì
il giunto del suo ginocchio
sinistro schioccare. I muscoli della sua mano erano in preda a spasmi.
La
bacchetta rotolò via dalle sue dita flaccide, che pochi
secondi dopo erano
curvate con forza a pugno, le sue unghie conficcate dolorosamente nella
carne.
Un'ombra enorme ricadde su
di lei. “Pronta per un altro
giro?" riconobbe a stento la voce di Avery. Udì la risatina
diabolica di
Tennyson provenire da qualche parte sullo sfondo.
I suoi occhi erano pieni
di lacrime. Poteva percepire ciò
che la circondava soltanto in termini di macchie di colore e contorni
confusi.
Il secondo prima che l'altra Cruciatus la colpisse, sentì
una dolorosa fitta di
rimorso. Severus aveva avuto ragione. Aveva sempre avuto ragione. Ma
ora era
troppo tardi per essere dispiaciuta. Solo qualche altro minuto e
sarebbe morta
comunque.
Il gusto metallico del
sangue si stava espandendo nella sua
bocca. Lo poteva sentire colare dagli angoli delle sue labbra. Si era
morsa la
lingua. Quella sostanza appiccicosa stava scivolando lentamente anche
giù per
la sua gola. Non riusciva a muoversi. Cominciando a lasciarsi prendere
dal
panico, emise un gorgoglio pietoso. E così era come sarebbe
morta, annegata nel
suo stesso sangue.
Ecco cosa una bella
vendetta le aveva fatto. Era riversa in
un vicoletto sporco e deserto in una pozza del suo stesso sangue e
stava per
morire. Da sola. Sfortunatamente aveva solo un po’ di tempo
per
autocommiserarsi. Ad ogni secondo che passava l'oscurità si
impadroniva sempre
di più dei suoi sensi. Si stava insinuando dai bordi della
sua vista e non
riusciva a scacciarla via sbattendo le palpebre. L'ultima cosa che ha
vide fu
un'ombra scura che calava sopra di lei.
Nota della traduttrice semperadreamer:
Ciao a tutti^^ scusate
il ritardo, ma l’università mi ha
tenuto lontano dalle traduzioni, ma adesso l’estate
è arrivata e presto con Varekai
pubblicheremo anche l’ottavo capitolo. Lo so che i tempi sono
stati lunghi ma
proveremo a rimediare. Grazie a tutti coloro che hanno recensito, in
particolare Ernil
e GilGalahad^^
|
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Capitolo 8 *** Entrambe le parti, ora ***
Entrambe
le parti, ora
Traduzione
a cura di Varekai
Si
svegliò di soprassalto. Aveva un grido bloccato nella gola,
la sua cassa
toracica saliva e scendeva affannosamente. Tutte le ossa del corpo le
facevano
male. Faceva male respirare, deglutire e perfino aprire gli occhi e
guardarsi
intorno. La fioca luce della lampada accanto al letto le pizzicava gli
occhi,
ma la sua curiosità la spinse a dare un’occhiata
in giro prima di richiuderli di
nuovo. Era sdraiata su un letto, con lenzuola di lino pulite. Le sue
mani erano così bianche che quasi si confondevano con il
copriletto.
Sentì
un fruscio di tessuto là accanto e cautamente
girò la testa verso dove
proveniva il suono. Nella sedia accanto al suo letto c’era
una figura seduta,
nascosta dall’oscurità. Quando la figura si sporse
per dare un’occhiata più da
vicino ora che si era svegliata, la sua identità fu svelata.
Severus
la fissò con uno sguardo duro. Non vedeva
quell’espressione da settimane e con tutta
probabilità non prometteva nulla di buono, ma
era comunque contenta di vederlo.
“Bevi
questo.” Una pozione maleodorante le fu piazzata sotto al
naso e premuta, senza
troppe cerimonie, sulle labbra. Nessuna parola confortante, solo il
sapore
di una medicina amara nella sua bocca. Mentre beveva l’ultima
goccia della
pozione che egli riteneva giusto dispensarle, corrugò il
naso in segno di
disgusto.
“Puah,
di cosa è fatta? Bava di lumaca? Fa schifo,”
riuscì alla fine a dire, con una
voce roca per lo scarso uso.
“Non
ti meriti di meglio,” disse lui in maniera spiccia, alzandosi
dalla sua sedia
quasi nello stesso secondo in cui lei aveva finito di bere.
“Aspetta!
Dove stai andando?” chiese lei, shockata di vederlo andare
via così in fretta.
“Non rimani?”
“Non
hai il diritto di chiedere la mia compagnia. Te la sei cercata da
sola,”
disse prima che la porta si chiudesse dietro di lui.
Lei
guardò la porta chiusa per un altro paio di minuti, prima di
rendersi conto che
effettivamente non sarebbe tornato indietro.
***
Aveva
perso conoscenza. Quanto tempo era passato da allora? Da quel che ne
sapeva,
potevano essere passati giorni dall’incidente nel retro de Il
Ragno Nero. In
qualche maniera era riuscita a uscirne fuori viva. Probabilmente
bisognava
ringraziare Severus per questo...
C’erano
ancora così tanti buchi da riempire, ma chiaramente lui si
rifiutava di farlo,
altrimenti non se ne sarebbe andato. Il silenzio solenne della stanza
le rese
piuttosto chiaro che era malata e completamente dipendente dalle cure
di lui.
Perchè l’aveva portata là, se era ovvio
che non voleva nè parlarle nè vederla,
era oltre la sua comprensione. La sua gola sembrò stringersi
fino a
farla soffocare. Un’unica lacrima, la prima di molte, scese
lungo la sua guancia.
Piangere non la faceva stare meglio, ma non riusciva a smettere. Si
lasciò
sfuggire uno straziante, strozzato singulto.
Dopo
una settimana sotto le cure di lui, era abbastanza in forze da poter
lasciare
il letto. Lui, nel frattempo, non aveva spiccicato più di un
paio di frasi, ma
non si era mai dimenticato di portarle cibo e pozioni. Ogni volta che
aveva
bisogno di qualcosa, lui era lì. L’accudiva senza
protestare, ma anche,
sfortunatamente, senza
molto sentimento.
Dopo essersi preso cura di lei, spariva nuovamente con la stessa
velocità con
cui era arrivato, lasciandola sola con i suoi pensieri. Abigail non
doveva
sforzarsi a pensare quale era il motivo del suo comportamento nei suoi
confronti. Ciò a cui pensava più spesso era
invece ciò che poteva essere
successo nel vicolo sul retro dopo che era svenuta. Da cosa
l’aveva salvata
Severus? Cosa era successo a Avery e Tennyson? Lui non li aveva
più nominati. A
dire la verità, aveva ignorato testardamente tutte le sue
domande.
Durante
le ore che passava sveglia si torturava, chiedendosi con ansia cosa
poteva
essere successo dopo che era svenuta. Quando lui era con lei, era
troppo
distratta per chiederglielo. Ogni volta che la guardava era come
ricevere un
pugno nello stomaco. Qualche volta credeva di aver addirittura visto
tracce di
odio nel suo sguardo. La sta facendo diventare matta. Non poteva
rimanere là un
altro minuto, non poteva tollerare solo un’altra di quelle
occhiate.
Nonostante
le gambe
fossero piuttosto tremolanti, riuscì a scendere dal letto e
prendere i propri
vestiti. A giudicare dal fatto che un gesto così semplice
come mettersi
addosso i vestiti l’aveva già lasciata rossa in
viso e sudata, si poteva
immaginare che il suo ritorno a casa sarebbe stato anche più
massacrante, ma
ora come ora non ci badava. Tutto ciò che importava era
uscire da quella
benedetta stanza, così da non dover più
sopportare la silenziosa rabbia di lui.
Lentamente
fece
qualche passo verso la porta, aggrappandosi ai mobili come sostegno: il
letto,
la sedia, il cassettone. Infine riuscì a raggiungere la sua
destinazione e
spinse con mano tremante la maniglia della porta. Era senza bacchetta,
il che
rendeva Smaterializzarsi un problema, ma se ne sarebbe preoccupata al
momento
opportuno. Per ora, la cosa più importante era andarsene da
là. Beh, diciamo da
lui.
Il
corridoio che si
allungava davanti a lei era lungo e poco illuminato. Come tutti i
castelli
antichi, Hogwarts era pieno di correnti d’aria. La porta le
si chiuse di botto
dietro prima che potesse fare nulla per evitarlo. Pregò il
cielo che lui non
fosse nei dintorni e non l’avesse sentito.
Continuò la sua camminata per il
corridoio, con le sue gambe molli. Non era riuscita a trovare le sue
scarpe,
così era scalza. A qualsiasi passante probabilmente sarebbe
solo sembrata
una vecchia barbona con i capelli spettinati e una grinzosa veste
grigia. Un
po’ di eccentricità era apprezzata tra il popolo
magico, ma non così tanta.
Stava
cominciando a
orientarsi in quell’ambiente. Il dipinto alla sua sinistra
sembrava
tremendamente familiare. Probabilmente era nei dintorni di qualche
classe di
Pozioni. Se fosse stata fortunata, Severus sarebbe stato
troppo impegnato a insegnare a quelle “teste di
legno” dei suoi studenti per
notare la sua scomparsa. L’ultima cosa che voleva in quel
momento era che lui
comparisse in mezzo al corridoio.
Abigail
fece una
breve pausa di fronte all’aula di Pozioni, ascoltando con
ansia se riusciva a
captare qualche voce, nonostante la porta fosse di spesso legno. Non
dovette
sforzarsi troppo. Dopo un breve momento di completo e assoluto
silenzio, sentì
Severus schernire ferocemente uno studente: “Roberts! Guarda
cosa hai fatto!
Credevo che questo fosse il tuo secondo anno di Pozioni. Qualsiasi
imbecille sa
che la Pozione Drizzacapelli va girata in senso antioriario.”
A quanto pareva,
non era del suo umore migliore.
Ella
continuò per
la sua strada con maggiore attenzione, arrivando finalmente alla fine
delle strette
scale che portavano fuori dai sotterranei. I gradini di pietra le si
presentarono davanti come un lungo serpentone grigio. Fece un respiro
profondo
e mise il piede sul primo gradino. La pietra era fredda sotto ai suoi
piedi e
fece una smorfia di dolore quando spostò il peso sulla gamba
ferita. Le
pozioni che Severus le aveva dato le stavano curando il suo ginocchio
lussato, ma
ancora non era guarito. Quando arrivò in cima alle scale a
chiocciola, era madida di sudore, il lanoso tessuto della sua veste
fastidiosamente appiccicato
alla schiena.
La
Sala Grande era
proprio di fronte a lei. Qualche studente la percorreva in fretta, ma
la
maggior parte era impegnata a
seguire le
lezioni, cosa di cui lei era grata. Una ragazza le passò
accantò, una
Serpeverde a giudicare dai colori della divisa, e le lanciò
uno strano sguardo
prima di affrettarsi alla porta sulla destra, dietro alla quale
c’era la Sala
comune dei Serpeverde, se Abby ricordava bene. Fu sollevata nel vederla
allontanarsi.
Fece
qualche altro
debole passo verso l’enorme cancello a due battenti,
lanciando uno sguardo
sospettoso alle quattro giganti clessidre nelle nicchie sopra di lei.
Hogwarts
aveva qualcosa che di tanto in tanto la faceva sentire piccola e
insignificante
– appena una nota a margine nella storia, e forse neanche
quello.
Aveva
quasi
raggiunto il portone quando sentì la voce di lui.
“Dove
credi di
andare?” chiese. La sua voce era tagliente e fredda, e per
poco non sputava
veleno.
“A
fare una
passeggiata,” lei stava cercando di fare la sciolta,
nonostante si fosse
pietrificata nel momento stesso in cui l’aveva sentito
parlare.
Sentì
che la
raggiungeva con passo arrabbiato. “Senza la tua
bacchetta?”
“Sarebbe
stato
molto più facile se l’avessi avuta addosso, ma
sfortunatamente devo averla
messa da qualche altra parte,” osservò testarda
Abby. Una goccia di sudore le
scendeva dalle tempie, ma se la pulì velocemente con il
dorso della mano. Non
doveva mostrare alcun segno di debolezza.
“Tu
non vai
da nessuna parte,” si piazzò davanti a lei,
bloccandole la via d’uscita. Aveva
uno sguardo minaccioso, i suoi occhi brillavano pericolosamente.
Chiunque sano
di mente sarebbe scappato via alla sola vista, ma lei lo conosceva
ormai troppo
bene per esserne intimidita.
Sospirò.
“Come hai
fatto a scoprire che stavo andando via, comunque? Tenevi sotto
controllo i
corridoi?”
“Esattamente.”
“Vedo,”
alzò il
mento in segno di sfida, ma fallendo completamente nel comunicare un
atteggiamento di superiorità. Era a malapena capace di
reggersi in piedi. La
strada tra i sotterranei e l’ingresso le era costata troppo.
Dondolava
leggermente. Lui la guardò con uno sguardo preoccupato.
“Sai,
sinceramente
non ti capisco, Severus. Volevi che me ne andassi e me ne sto
andando.” Abby
cercò di scrollare le spalle, ma anche quello faceva male.
Cercò di reprimere
un’espressione di dolore, quando questo le entrò
nel corpo come un fulmine.
“Non
voglio che te
ne vada. Ti voglio sana e salva,” chiarì lui.
“Non
mi stai
tenendo al salvo, mi stai tenendo in ostaggio,”
replicò acida, cercando di
sopraffarlo.
Le
si mise davanti
ancora una volta. “Tu non te ne vai,”
tuonò. La sua voce echeggiò dall’alto
soffitto della sala e uno studente, che stava tornando alla sala comune
dei
Serpeverde, si fermò terrorizzato. Passata la paura,
sembrò indeciso se
andarsene o meno. Il Professor Piton che litigava con una donna
nell’atrio era
decisamente qualcosa che non si vedeva tutti i giorni.
“Oh,
invece sì,”
gli ringhiò contro, cercando ancora una volta di continuare
la sua strada verso
la porta. Sfortunatamente non arrivò molto lontano,
scoprendo fin troppo presto
quali effetti devastanti poteva avere una scarica di adrenalina sul suo
corpo
già indebolito. Per un instante vide solo puntini neri,
mentre ondeggiava come
come un ciuffo d’erba spazzato dal vento. Lui la prese prima
che potesse cadere.
Si
aggrappò alle
sue spalle con vigore,
cercando di trovare di nuovo l’equilibrio. Alla fine il mondo
tornò nitido e
insieme a lui la sua abilità di valutare la situazione.
Arrossì. “Grazie per
rendere l’uscita scenica,” mormorò
imbarazzata. Non le andava ancora di
lasciarlo stare. Le sue ginocchia ancora erano deboli.
“Spero
che non ti
aspetti alcuna compassione da parte mia, sono ancora arrabbiato con
te.”
“Davvero?”
le sue
labbra si erano ridotte a due linee sottili e ansimava. Il ginocchio
sinistro
le faceva di nuovo male. “Quasi non si nota.”
“Ti
fa male,”
osservò lui.
“Che
osservazione
intelligente,” tirò un breve respiro.
Controvoglia,
lui
le passò un braccio intorno alle spalle per stabilizzarla.
“Credi di poter
camminare?”
“Sì,”
riuscì a dire
lei. Il dolore era troppo forte per farle notare gli sguardi
preoccupati che
lui le lanciava.
Un
piccolo gruppo
di studenti si erano radunati intorno a loro. Alcuni stavano
platealmente
sgomitando per farsi posto. Piton stava facendo il cavaliere con una
donna. E dopo cosa? Maiali volanti?
“Cosa
state
guardano voi? Non rimanete là impalati come
un’orda di scimpanzè. E’ una
scuola, non avete compiti da fare, lezioni da frequentare?”
gli abbaiò contro,
e la piccola folla si disperse velocemente.
La
sua voce si
addolcì notevolmente quando si rivolse a lei. In qualche
modo la sua ira si
era dissolta vedendola in preda al dolore. “Ora ti riporto
nella tua stanza.”
“No,”
protestò lei
debolmente.
“Dubito
che Minerva
sarebbe contenta se, come un incosciente, ti lasciassi andare in giro
per l’ingresso.
Farebbe davvero fare una pessima figura alla scuola.” Lui si
stava già
lentamente incamminandosi verso la porticina sulla destra che portava
ai
sotterranei e, giacchè lei si appoggiava a lui come
sostegno, non ebbe altra
scelta se non assecondarlo.
Il
ritorno fu lungo
e doloroso. Arrivati a destinazione, era talmente esausta da essere
indifferente alle circostanze. Era solamente grata di potersi riposare.
La
trasportò fino al letto come una bambina malata,
carezzandole i capelli e,
quando poggiò brevemente la sua mano fredda sulla fronte di
lei, la guardò con
con aria preoccupata. Era bollente. Le labbra di lui si assottigliarono
in una
linea sottile. La sua piccola bravata le aveva procurato almeno
un’altra
settimana di cure.
“Perchè
non mi hai
lasciato andare?” lo supplicò debolmente. Aveva
un’aria così piccola e fragile.
I suoi capelli castano chiari si erano aperti a ventaglio intorno alla
sua
testa, ogni ciocca chiaramente visibile sulle lenzuola di lino bianco.
La
febbre aveva ridato un po’ di colore alle guance. I suoi
occhi, normalmente
molto espressivi, erano ora vacui e febbricitanti.
Lui
inghiottì
rumorosamente. “Non posso,” disse infine.
“Per
favore.”
Per
qualche ragione
la sua preghiera liberò tutta la rabbia latente che aveva
tentato in tutti i
modi di reprimere nei giorni precedenti. Si alzò dalla sedia
accanto al letto,
cercando di non iniziare a urlare o andarsene via dalla stanza
furibondo.
“Brutta ragazzina egoista e viziata!”
urlò infine, perdendo il suo controllo.
“Non pensi mai agli altri?”
La
sua percezione
fino ad allora era confusa. Si era sentita come se fosse stata avvolta
nel
cotone. Ogni movimento era stato rallentato, ogni suono azzittito. La
voce
arrabbiata di lui, però, tagliò direttamente in
quel velo nebbioso. “Scusa?”
Abby lo guardò confuso.
“Quando
ti ho
trovato eri a malapena cosciente, immersa in una pozza di sangue. Se
fossi
arrivato un secondo più tardi... solo un
secondo...” Lei si ammutolì. Non
l’aveva mai visto così agitato. Normalmente
manteneva una facciata di indifferenza,
ma ora era tutto tranne che indifferente. Il suo petto si alzava e
abbassava a brevi intervalli, le sue narici erano dilatate.
Non
aveva mai
pensato a come si potesse essere sentito lui nel ritrovarla in quelle
condizioni. Abbassò gli occhi imbarazzata.
“Cosa
sarebbe
successo se fossi arrivato tardi? Ti è mai passato per la
testa?”
“Ma
non è
successo,” sussurrò lei, tenendo gli occhi fissi
sulle coperte, incapace a
sostenere il suo sguardo.
A
quanto pare i
suoi commenti lo innervosirono ancora di più. “Ma
se fosse successo, hai mai
pensato alle conseguenze delle tue azioni? Se fossi morta? Ti sei mai
fermata a
pensare cosa mi avrebbe fatto la tua morte?” Fece un passo
verso il letto. Il
suo corpo ancora vibrava di rabbia repressa, le sue mani tremavano
senza
controllo.
“Mi
dispiace...” fu
tutto ciò che riuscì a dire lei. I suoi occhi si
stavano riempiendo di lacrime,
iniziava a vedere sfocato. Questo era ben peggio del rimprovero
silenzioso che
aveva sopportato nella settimana precedente. Si rese conto quanto
l’aveva
ferito, nonostante avesse le migliori delle intenzioni. Aveva creduto
di essere
intelligente, di poterlo proteggere, ma era riuscita solo a fargli del
male, alla fine.
“Se
ti avessero
ucciso...” Il solo pensiero gli fece morire le parole in
bocca e raggelare il
sangue.
Abigail
ora stava
piangendo. “Scusa,” ripetè
più volte.
La
sua reazione lo
sorprese. Per un secondo si immobilizzò, i suoi occhi
stupefatti si incollarono
al viso di lei. Dentro al suo petto combattevano emozioni
contrastanti. Si ricordò di come si era infuriato quando
aveva scoperto che lei
aveva messo a rischio la sua vita con tale noncuranza. La rabbia lo
aveva
sopraffatto ed aveva annebbiato il suo giudizio. La sua preoccupazione
per lei gli
aveva reso ogni risveglio un incubo. La profondità delle sue
emozioni lo
avevano molto sorpreso. Era stato difficile per lui trattenersi, quando
aveva
affrontato i suoi avversari, ma in qualche modo era riuscito a
controllarsi
quel tanto da non ucciderli.
Era
stato come
rivivere un incubo. Si ricordava il giorno che Lily era morta, erano
passati
quasi 19 anni. La cruda realtà era lentamente diventata il
vivido ricordo di un
incubo che l’aveva tormentato da allora. Gli aveva fatto male
perderla per
Potter, ma il dolore di saperla morta, andata per sempre, era qualcosa
con cui
ancora non riusciva a liberarsi. E ora per poco non era avvenuto di
nuovo.
Aveva quasi perso Abigail. 'Quasi', quella piccola parola faceva tutta
la
differenza del mondo. Lei c’era ancora, era ancora viva.
Severus
si sedette
sul bordo del letto. Lei aveva smesso di scandire la sua piccola
pietosa
litania e lo guardò in attesa, mentre delle lacrime
silenziose ancora le
scorrevano sul viso. Aveva gli occhi gonfi, il naso colante e le guance
rosse.
Non era esattamente attraente al momento, ma guardandola egli
sentì un’ondata
di compassione in corpo. Quella rabbia inreprimibile che
l’aveva preso prima
era sparita velocemente quanto era arrivata, lasciandolo esausto e
vuoto.
Dalla
veste tirò
fuori un fazzoletto tradizionale, di lino grezzo e con le sue iniziali
ricamate
in un angolo, e glielo passò senza dire nulla. Lei
allungò il braccio per
prenderlo, le sue dita rimasero sospese indecise a metà
strada per un momento.
“Mi
dispiace,”
disse per l’ultima volta. “Non volevo
ferirti.” Aveva il naso completamente
bloccato e continuava a tirare su con il naso.
“Lo
so,” sospirò
lui.
Lei
prese il
fazzoletto con dita tremanti. “Mi odi?” chiese
timidamente.
Lui
la guardò con
aria sorpresa. “Non ti odio,” disse delicatamente,
troppo stanco per il
sarcasmo o per stare sulla difensiva.
Abby
si soffiò il
naso sonoramente e lui sorrise.
“Cosa
è accaduto ad
Avery e Tennyson?” osò chiedere infine.
Il
sorriso di lui
si spense. “Sono vivi, se è quello che vuoi
sapere.”
“No,
non volevo...
mi fido di te. Non credevo che tu... scusa, mi è uscita
male.”
Lui
la azzittò con
un cenno della mano. “No, non ti scusare. Ti mentirei se ti
dicessi che non
sono stato momentaneamente... tentato.” Gli
ritornò in mente il ricordo di quei
due idioti, che ridevano come iene davanti al corpo in preda alle
convulsioni
di lei. Gli davano le spalle e lui urlò rabbiosamente
“Stupeficio!”, colpendoli
a sopresa. Erano caduti per terra e quando li aveva guardati con
sguardo
omicida, le loro facce erano prive di espressione. Si
ricordò di come aveva
goduto nel vedere i loro sguardi impanicati e impotenti.
“Che
hai
fatto loro?” La domanda di lei lo risegliò dalla
sua reverie.
“Incantesimi
di
memoria,” affermò. “Sono fortunati se la
recupereranno mai.”
Sapevano entrambi che quello che lei aveva fatto, nonostante Avery e
Tennyson
fossero criminali, era illegale. Il Ministero non perdonava vendette
personali
e ogni traccia doveva essere confusa, i ricordi cancellati.
Lei
annuì
silenziosamente. “Mi dispiace di averti trascinato in questa
situazione,”
aggiunse dopo una lunga pausa.
“Non
esserlo. Sei
ancora viva, questo è tutto ciò che
conta,” disse determinato Severus, sperando
che lei cambiasse argomento.
Si
alzò dal bordo
del letto con un sospiro. “Ora ti dò qualcosa per
abbassare la febbre e poi
dovrai riposarti per un po’.”
“Ma...”
Lui,
come risposta,
le diede solo un’occhiata severa.
“Va
bene.” E
sorrise lievemente.
Note della traduttrice semperadreamer: e lo so che il ritardo
c'è stato, ma nel frattempo che aspettavo questo capitolo
dalla mia collaboratrice Varekai (che ha fatto un ottimo
lavoro!) ho tradotto tutti gli altri;-)
Perciò
ora veramente gli aggiornamenti saranno veloci, perché i
capitoli sono già pronti. In più rileggendo
dall'inizio potrete vedere che ho corretto qualche frase qua e
là che rendeva la lettura difficile;-)
Alla prossima!!
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Capitolo 9 *** Tesoro, non ti avrò mai tutta ***
Tesoro, non ti avrò
mai tutta
traduzione a cura di
semperadreamer
Le sue condizioni di
salute miglioravano di giorno in
giorno. Le sue guance ripresero colore e non più sofferente,
ritornò ciarliera
come al solito. Adesso poteva persino andare in giro senza aver bisogno
del sostegno
di Severus, e di questo lui ne fu quasi dispiaciuto, perché
solo così avevano
avuto l’occasione di toccarsi senza pericolo. In quei giorni
ci andavano cauti,
come se avessero paura che anche una sola parola sbagliata potesse
distruggere
quello che avevano costruito. Ad un involontario tocco appena
accennato, un
rossore diffuso immediatamente imporporava loro le guance mentre calava
un
silenzio imbarazzante. Baciarsi poi, sembrava una mossa troppo audace,
così
come dare voce ai propri sentimenti.
Tutti e due sapevano che
era tempo che lei andasse via, che
entrambi ritornassero alle loro vite com'erano state prima di
quell'incidente,
ma nessuno dei due sembrava avere il cuore di farlo. Avevano trascorso
molto
tempo insieme, ma non per questo avevano sviscerato le questioni
veramente
importanti. L'ingrediente più importante al loro ben
consolidato "status
quo" era una falsa apparenza in cui ognuno recitava una parte. I
commenti
aspri erano banditi, i doppi-sensi evitati come la peste, per
scongiurare ogni
qual tipo di fraintendimento.
Abigail non chiese come
lui fosse riuscito a mantenere
segreta la sua presenza ad Hogwarts, ma immaginava che avesse i suoi
mezzi. Per
essere stato un Mangiamorte, ed ancor più una spia, non
doveva essere
esattamente un santo, così lei si astenne dal chiedere e,
com'era prevedibile,
lui si astenne dal dire.
Quando lui
varcò la soglia della sua camera, subito dopo
l’ultima
lezione pomeridiana, la trovò seduta al bordo del suo letto.
Era giunto il
momento. La camicia da notte che lei aveva indossato era ordinatamente
piegata
sotto il cuscino ed Abigail era già completamente vestita.
“Stai andando
via" osservò lui freddo.
“Già,"
sospirò lei.
Le si sedette vicino, le
lezioni di quel giorno l'avevano
spossato.
“Ti
rivedrò ancora?" chiese dopo un po’, quasi
timidamente.
Abigail
gli rivolse
uno sguardo stupito ma notò che l’espressione sul
suo volto era mortalmente
seria, e che non la stava prendendo in giro. In effetti lui non era
tipo da
fare battute. Gli rivolse un sorriso incoraggiante.
“Certo.
Perché non dovresti?"
Lui scrollò le
spalle. “Le cose sono cambiate, adesso."
“Sì,
purtroppo," entrambi avevano lo sguardo fissato su
due punti diversi del muro di nuda pietra grigia davanti a loro.
Chiunque
avrebbe capito che lo stavano facendo per evitare di guardarsi negli
occhi.
Dopo un istante lei si
alzò con un sospiro. Lui le porse la
mano, ancora seduto “Addio" disse con voce attentamente
neutrale.
Lei guardò la
sua mano, poi scosse la testa “Tutto questo è
dannatamente ridicolo," disse sprezzante.
“Come, prego?"
disse stupito.
“Mi hai sentito
bene. E' proprio ridicolo," ripeté
ancora, incontrando quegl’occhi magnetici che per lei
possedevano ancora quel
fascino inspiegabile. Iridi scure che sfumavano in pupille nere in cui,
alle
volte, era difficile capire cosa vi si agitasse dietro e che, in altri
momenti,
invece, mostravano
una tale intensità da
rendere impossibile sostenerne lo sguardo.
“Illuminami,
cos'è ridicolo?"
Quello, ad esempio, era
uno dei tanti momenti in cui non
sapeva come interpretare quel suo sguardo.
“Non sono fatta
di vetro, sai. Se hai qualcosa da dirmi,
dillo e basta. Dannazione!"
Per Severus venire a patti
con i suoi sentimenti era
difficile, ma esprimerli gli sembrava impossibile. Scosse la testa.
“Sembra che
non riesca a pensare a nulla da dirti."
“Bene," rispose
tristemente. “Allora questo è veramente
un addio." Dopo un attimo di esitazione, lei si voltò verso
la porta. I
suoi passi erano lenti e cadenzati.
"Aspetta," disse solo e lei si fermò.
Lo sentì alzarsi dal letto e
venirle appresso, fermandosi appena a qualche centimetro di distanza,
ed anche
se non lo poteva vedere, Abigail era
certa che fosse vicinissimo
alla sua
schiena. Dopo aver passato giorni e giorni a mettere un po’
di distanza emotiva,
e fisica, tra loro la sua prossimità improvvisa fu
sufficiente a farle
accelerare i battiti del cuore. Si voltò lentamente,
trovandosi faccia a faccia
con lui.
Severus si
chinò a baciarla senza preavviso e lei si lasciò
sfuggire un gridolino di sorpresa, indietreggiando fino a scontrarsi
con la
porta. Quando lui alla fine si ritrasse, Abigail aveva le ginocchia
deboli ed
il respiro pesante. “D'accordo," riuscì infine a
dire con un sorriso
stupido stampato in faccia. “Messaggio ricevuto. Non vuoi che
me ne vada
così."
“Sei rapida a
capire. Impressionante," disse, rivolgendole
un sorrisetto malizioso che le fece correre un piacevole brivido lungo
la spina
dorsale. Non vedeva
quell'espressione da
un po’, ma non per questo aveva fallito nello scatenare
l'effetto desiderato,
anche se di “effetto desiderato" non si poteva esattamente
parlare poiché
lui non sembrava consapevole di cosa le provocasse. Conoscendolo,
probabilmente
era del tutto ignaro di avere molto fascino senza quel costante
cipiglio
corrucciato.
Perché non
dirglielo? Quando lo fece, quel commento lo
destabilizzò del tutto. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe
pensato che stava
sul serio arrossendo.
“E' possibile
che tu abbia una leggera difficoltà ad
accettare complimenti?" gli sorrise dolcemente.
“Forse
è perché non ci sono abituato." le rispose
sinceramente, riuscendo finalmente a superare il suo imbarazzo ed
incontrare i
suoi occhi ancora una volta.
Abigail fece scivolare le
sue dita in una leggera carezza
sulla sua guancia. Al suo tocco lui chiuse gli occhi, mostrando
un’espressione
rilassata, le linee intorno alla sua bocca ammorbidite, la fronte
spianata.
Sembrava molto più giovane, molto più
spensierato. Appena qualche minuto prima
sarebbe stato impossibile, ma il suo bacio aveva cambiato tutto, e lei
era ben
felice che l'avesse fatto: le era mancato toccarlo in quel modo.
“Forse
è tempo che ti ci abitui. Ci sono molte cose di te
che amo. Solo, non ho mai trovato il coraggio di dirtele. Avevo paura
che le
trovassi banali." disse dolcemente.
“Dovresti sapere
che l'ego maschile è molto sensibile agli
elogi."
Severus si aspettava
qualsiasi risposta da parte sua, ma mai
quella. Prima una risata morbida, poi un sincero e dolce “ti
amo".
Riusciva solo a fissarla
stupito. Gli occhi di lei si
allargarono in maniera quasi comica, il suo viso perse colore e si
portò le
mani alla bocca, quando realizzò cosa aveva appena fatto.
Apparentemente sembrava
esserle scappato.
“Mi dispiace.
Non volevo buttarla lì così."
“È
vero?" domandò lui, guardandola severamente ed Abigail
sembrò rimpicciolirsi sotto il suo scrutinio. Sarebbe senza
alcun dubbio fuggita
dalla la stanza se non fosse stata intrappolata tra lui e la porta.
Decise di ignorare la sua
domanda e cominciò a parlare a
vanvera freneticamente, scorrendo velocemente tutti i generi di
giustificazioni
esistenti, usando molte parole ridondanti e piuttosto complicate.
“È
vero?" chiese lui ancora, questo volta con più
veemenza.
Lei lo fissò,
sbattendo lentamente le palpebre due volte come
se si stesse riprendendo da un colpo in testa. “Ma certo che
sì."
C'era una traccia di
disperazione nel modo in cui gli occhi di
lui esploravano il suo viso, cercando di catalogare ogni suo tratto,
alla
ricerca di tracce evidenti di mendacia: la curva delle sue labbra, il
delicato
arrossamento delle sue guance, il modo in cui lei lo guardava.
“No, stai
mentendo," disse alla fine della sua analisi,
scuotendo tristemente la testa.
“Perché
dovrei farlo?" lo guardò lei sorpresa. Era così
difficile per lui credere veramente che qualcuno lo amasse? L'aveva
strombazzato così, presa dal momento, ma questo non lo
rendeva meno vero. Al
massimo, era il contrario. Per una volta non aveva filtrato i suoi
pensieri,
facendosi mille problemi su quando e come dire certe cose, le era
uscito spontaneamente.
Sì, certo, che non era una bugia. Ma come farglielo capire?
“Cosa devo fare
perché tu mi creda? Perché farei qualunque cosa," disse Abby infine.
“Non penso che
ci sia qualcosa che tu possa fare."
“Non ti fidi di
me?"
“Non mi fido di
nessuno," dichiarò lui realisticamente.
Suonava come un mantra, quasi se se lo fosse ripetuto milioni di volte.
Le si spezzò il
cuore, ma dopo quello che era successo la
settimana prima non era nella posizione di potersi lamentare. Aveva
promesso di
dirgli quando sarebbe andata ad affrontare Avery e Tennyson ma era
stata
avventata. Con l'adrenalina che pompava nelle vene, l'unica cosa che
aveva
avuto importanza era stata la vendetta. Sì, gli aveva fatto
sapere cosa stava
facendo, ma senza prendere in considerazione che gli ci sarebbero
voluti appena
un paio di secondi per arrivare da lei. La sua impulsività
ed la sua
avventatezza l'avevano quasi fatta ammazzare. In breve, le sue
credenziali non
ispiravano esattamente fiducia, ma per farla funzionare, per riuscire a
costruire una vaga relazione che andava oltre una breve avventura,
avrebbe
dovuto fare qualcosa per riguadagnare la sua fiducia. Il fine
giustifica i
mezzi.
“Legilimens,"
disse infine. “Lo sai scagliare,
no?"
“Sì,
ma non è un'alternativa," le rivolse un'occhiata
scura che doveva servire ovviamente a concludere la discussione, ma non
vi
riuscì. Le discussioni con lei non finivano solo
perché lui la fissava in
cagnesco.
“Perché
no?"
“Perché
violerei la tua mente."
“Non se ti
chiedo di leggere i miei pensieri. Questa non è
violazione. È un invito aperto a venire a dare una
sbirciatina."
“La fai suonare
una cosa da niente…"
“E tu invece
devi sempre complicare tutto…" Il suo tono
esasperato sposava perfettamente quello di lui.
“Non
è vero."
“Sì,
invece. Ti chiedo solo di farmi un piccolo incantesimo
e improvvisamente te ne esci con queste sparate sulla morale e su come
violeresti la mia mente bla bla bla. Se questo non è fare il
melodrammatico…"
“Legilimens non
è qualcosa che si può usare alla
leggera," la informò severo. “In guerra
è stato usato come arma, e spesso
come ascendente sulle coscienze. C'è bisogno che ti dica che
la maggior parte
della gente su cui l’ho scagliato non era esattamente felice
di avermi dentro
la testa a scrutare ogni loro più intimo pensiero?"
Le ci volle un breve
momento per elaborare
quell'informazione particolare. Quando parlò ancora, la sua
voce tremò
leggermente. “Ho capito cosa stai cercando di dirmi. Credimi.
Ma cos'altro
potrebbe convincerti a fidarti ancora di me?"
Lui le stava semplicemente
di fronte fissandola
intensamente, come se potesse trovare la risposta al loro dilemma sul
suo viso.
Infine arrivò ad una certa conclusione.
“Il tempo."
Beh, era piuttosto
anticlimatico. “Tempo?" lo guardò
aggrottando le sopracciglia. “Solo questo?"
“Sì."
Si lasciò
sfuggire un lungo, esasperare sospiro. “Quanto
tempo?"
Lui scrollò le
spalle.
“No, dico vero.
Stiamo parlando di mesi? Anni? Decenni?”
Lui scrollò di
nuovo le spalle.
“Seriamente,
c'è mai stato qualcuno… qualcuno di cui ti sei
fidato completamente?" lo guardò con occhi grandi e pieni di
aspettativa.
“No, anzi. Preferisco non sapere la risposta…." Si
sedette ancora sul
bordo del letto, fissando il vuoto. Improvvisamente provò
solo un forte senso
di vuoto e rifiuto, che forse si meritava proprio, dopo tutto quello
che aveva
combinato.
Infine aggiunse
più tranquillamente: “Forse è quello
che mi
spetta per essere stata una così stupida
s…„
Non riuscì a
terminare la frase. “No, è colpa mia. Mi
dispiace," la interruppe proprio in tempo.
“Ti amo
veramente, lo sai."
“No, non lo so,"
che lo dicesse con un piccolo sorriso
timido, non la faceva stare affatto meglio, ma almeno le faceva capire
che non
la stava ferendo intenzionalmente. Lui aveva i suoi limiti e la sua
incapacità
di fidarsi era uno di loro. Allora come poteva riuscire mai ad arrivare
al suo
cuore?
“Non
è che non voglio crederti," provò lui a salvare
la
situazione.
Lei sospirò.
“Lo so, Severus." gli rivolse un sorriso
triste. “E' solo che non ci riesci."
“Non ancora,
comunque."
“Non ancora,"
ripetè lei.
Lui annuì senza
proferire parola, a cui poi seguì una pausa
piuttosto lunga.
“Beh,
è andata piuttosto bene, no?"
lei emise una risata rauca.
“Già,"
disse cupo e si sedette sul letto al suo fianco,
guardando il suo profilo con la coda dell'occhio. Si poteva leggere
chiaramente
il tormento negli occhi di lei, come se stesse cercando disperatamente
qualcosa
ma fosse incapace di trovarla.
“Tempo, eh?"
chiese infine dopo un istante. Lui si voltò,
e rimasero a fissarsi in silenzio, prima che lui infine rispondesse.
“Sì."
La bocca di Abigail si
piegò in un sorriso canzonatorio.
Fortunatamente i suoi pensieri sembravano già prendere
un'altra direzione. Al
contrario di lui possedeva il talento di non indugiare troppo tempo su
riflessioni
deprimenti. “E conosci qualche altro modo con cui potrei
convincerti?"
Lui rimase sorpreso da
quel repentino cambio d'umore. Così
sorpreso, in effetti, da suonare persino un po’ turbato.
“Che intendi?"
Lei sorrise. Amava
riuscire a scalfire la sua armatura
perché non era abituato a flirtare. Riusciva sempre a
destabilizzarlo
completamente, il che era anche piuttosto divertente. In particolare
quando
s'imbronciava tutto e non sapeva più cosa dire, mostrando
sempre
quell'espressione indignata come se flirtare con lui fosse
completamente fuori
luogo. Quando le cose arrivavano a quel punto lei non riusciva
più a
trattenersi, non poteva far altro che continuare a pungolarlo.
Abigail gli rivolse un
sorrisetto carino e si avvicinò di
più. “Oh, assolutamente niente,” disse
con fare civettuolo, rimirandolo da
sotto le sue ciglia. Per conferire più
credibilità alle sue parole ed anche per
metterlo maggiormente in imbarazzo posò una mano sul suo
petto per più tempo
del necessario. Con l’indice tracciò i contorni di
uno dei bottoni sul fronte
della sua veste con un’espressione quasi irriverente sul
viso, quindi fece
scivolare la sua mano sul materasso, fra loro.
“Beh, cosa
c’è improvvisamente di così
interessante nei miei
abiti?” chiese sospettoso, suonando perfino un po’
sgarbato. Ovviamente la provocazione
stava sortendo l'effetto voluto.
Abigail esitò
per un momento. Le sovvenne Il pensiero che
quel suo giochetto sarebbe cessato di essere soltanto un gioco dopo
aver dato
voce a quelle parole, ma a lei andava più che bene. Ne aveva
abbastanza di
giocare e di doverlo trattarlo con i guanti. Voleva stargli vicino, ma
in primo
luogo doveva abbattere tutte quelle barriere che lui si era eretto
intorno.
Quale migliore strategia se non quella di prenderlo in giro?
“Se proprio lo
devi sapere, mi stavo chiedendo quanti
bottoni ha esattamente questa roba. “
“C’è
una ragione precisa del perché nutri interesse per
quest’infimo dettaglio?”
“Veramente,
sì,” la
sua voce era bassa, e portava una nota che era
del tutto estranea per lui, “Continuo a chiedermi come si
sbottonano e quanto
tempo ci vorrebbe.”
“Oh, non essere
sciocca!” rispose lui, provando duramente a
suonare severo. Ma la sua voce uscì piuttosto affannata .
Stava anche
diventando sempre più difficile ignorare la crescente
tensione sessuale che
stava velocemente montando fra loro.
“Così,
sto facendo la sciocca, eh? Non sono io quella che è
troppo ottusa da non notare quando viene stuzzicata di
proposito.” Il modo in
cui lo guardava, la sua voce… aveva l’effetto di rallentare i suoi
pensieri, incoraggiando i
suoi istinti a prevaricare. I suoi occhi ricaddero sulle labbra di lei,
appena
schiuse e mai
così invitanti. Se avesse
ceduto ora non avrebbe più potuto fermarsi.
Deglutì sonoramente.
“Sai
in cosa ti stai
andando a cacciare? Stai giocando col fuoco qui.”
“So precisamente
in cosa mi sto andando a cacciare. Ho questi
pensieri già da un po'di tempo ora.”
“Ti devo
avvertire che se continui a provocarmi…,” disse,
quasi suonando una po’ insicuro.
“Che cosa farai?
Mi bacerai ancora?” Si avvicinò ancora,
sfiorando il braccio di lui col proprio. Ormai la fragranza dolce del
suo
profumo gli invadeva le sue narici e gli faceva formicolare lo stomaco.
“Se pensi
che la prospettiva di baciarti
mi
disgusti, sei completamente fuori strada. Anzi, al massimo è
un incoraggiamento
a continuare. Quindi mi bacerai, e poi?”
“Sì,
prima quello, e poi…,” i suoi occhi viaggiarono
affamati lungo il suo corpo, per fermarsi nuovamente sul suo viso. Lei
ebbe
quasi il timore che avrebbe perso il controllo in quel momento.
“Poi
cosa?”
“Lo sai
maledettamente bene cosa,” ringhiò. Moriva dalla
voglia di toccarla, di attirarla tra le sue braccia, ma ancora non
voleva
concedersi quel lusso. Non ancora almeno. Per il momento il timore di
un
rifiuto e di una delusione riuscivano a dominare il suo desiderio.
“Sesso?”
Il modo in cui la parola rotolava sulla sua lingua fu
quasi la sua fine. “Hai paura di dirlo ad alta
voce?” gli
sorrise canzonatoria.
“No, ma
c’è un limite a quello che posso
reggere,” il suo
tono era pericolosamente basso ora. “Sto provando ad essere
galante. Sto
provando seriamente a resistere a non buttarti su questo letto e fare i
miei
comodi con te. Sei ancora convalescente se ben ricordi.”
“Ero
convalescente una settimana fa,” sottolineò lei
asciutta. Non poteva ribattere con quell’affermazione.
L'unica cosa che l’aveva
tenuta lì così a lungo, era il fatto che entrambi
non volevano che lei se ne
andasse. “A proposito, solo in caso non l’avessi
notato, ci sto provando seriamente
a farmi buttare su questo letto e
lasciarti fare i tuoi comodi,” gli sorrise
dolcemente.
Qualcosa
schioccò internamente al suo commento. La cosa
seguente che percepì coscientemente fu di essere arrivati in
qualche modo
avviluppati sul suddetto letto, lui che la pressava sul materasso col
suo peso
e affondava le dita
nei suoi capelli, e
lei che invece provava a sbottonare uno dopo l'altro i bottoni della
sua blusa,
contandoli morbidamente sottovoce. Severus la baciò di nuovo
e lei perse completamente
il conto.
“Sei
sleale… tu…” lui aveva appena morso
giocosamente il suo
collo, facendole dimenticare del tutto cosa stava dicendo.
All’apparenza aveva appena
trovato un altro modo per farla stare zitta, e lo annotò
mentalmente per farne,
un domani, buon uso.
La sua aria compiaciuta
sparì interamente, quando lei finì
di disfare i bottoni superiori della camicia che portava sotto la veste
e fece
correre le sue dita gentili sulla pelle nuda. La sua mano si
fermò quando sentì
il suo cuore battere furiosamente sotto il suo tocco. Notò
che lui si era
raggelato per lo shock e vide l’espressione interrogativa nei
suoi occhi. Era
un momento cruciale. Abigail allora prese la mano di lui e se
l’accostò sul petto.
Anche lui adesso sentiva l’ansioso battito del cuore sotto le
sue dita e la
guardò stupito.
“Sono
nervosa tanto
quanto te,” rispose alla silenziosa domanda nei suoi occhi.
“Non dobbiamo
per forza…”
“Lo so, ma lo
desidero molto…”
Una pausa.
“Anche io.”
“Bene,”
gli sorrise Abby. “Perché per un momento ho
pensato che
avrei dovuto convincerti a fare sesso con me.”
“Oh, non penso
sia necessario. Sono già convinto che sia
un'idea brillante.” Le rivolse il suo stesso sorriso prima di
curvarsi
lentamente per baciarla.
Note della traduttrice semperadreamer: due
aggiornamenti per farci perdonare;-)
|
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Capitolo 10 *** Castelli di gelato per aria ***
Ice
Cream Castles In The Air – Castelli di gelato per aria traduzione
a cura di besemperadreamer
Sei
nell'anima
E
lì ti lascio per sempre
Sospeso
Immobile
Fermo
immagine
Un
segno che non passa mai
Gianna
Nannini-Sei nell anima
Era raggomitolata al suo
fianco con la testa posata sulla
sua spalla ed il braccio adagiato scompostamente sopra il suo petto.
Non
parlavano da un po’, crogiolandosi in quel piacevole silenzio
che si era creato
tra loro. Le parole erano diventate inutili, ogni cosa poteva essere
comunicata
col semplice tocco.
Lui si voltò
così da averla di fronte e lei gli sorrise, un
sorriso che raggiungeva anche gli occhi, i quali ricambiavano lo
sguardo
affettuosamente. Con la sua mano le prese a coppa il viso,
accarezzandole la
guancia con il pollice. Il sorriso che prima le adornava le labbra si
esaurì
lentamente, e benché ormai non fosse più
presente, lui poteva ancora ricordarne
ogni minimo dettaglio.
“Voglio rimanere
per sempre così.” La
sua dichiarazione era sentimentale e
puerile, ma per una volta non gli importava. Era come si sentiva.
Il volto di Abby si
illuminò di nuovo. Lo conosceva, e
sapeva quanto fosse strano da parte sua un’affermazione del
genere. Non parlava
mai dei suoi desideri, pensando che fosse al più una
debolezza. In qualità di spia,
permettersi di volere qualcosa lo avrebbe reso vulnerabile e lasciarsi
trasportare dai sentimenti, anche peggio: gli sarebbe costata la vita.
Per
questo, ovviamente, non poteva ignorare le implicazioni scaturite dalle
sue parole.
“Anche io ti
amo,” disse lei morbidamente, prima di
annullare la distanza fra loro con un bacio. All’improvviso
quelle parole le
sembrarono stranamente inadeguate per esprimere i suoi sentimenti,
così cercò
di riversarli nel bacio che gli stava dando e nel modo in cui le sue
dita gli
accarezzavano teneramente i capelli corvini, e che continuarono a
toccarli anche
dopo essersi separati.
Stava ancora sorridendo.
In qualche modo adesso il suo
sorriso si rifiutava di affievolirsi e Severus ebbe quasi paura che il
volto di
lei si sarebbe spaccato a metà se avesse continuato a farlo.
“Oh, non mi
guardare così!” disse Abby, dandogli una giocosa
spintarella alla spalla.
“In che
modo?”
“Come se ti
stessi chiedendo se sono completamente andata di
testa. Sono solo felice, sai.”
“Davvero?”
“Sì,
direi proprio di si. E tu?”
“Suppongo anche
io,” disse con prudenza. Gli angoli della
sua bocca tiravano in maniera sospettosa, come se stesse cercando di
reprimere
un sorriso.
“Potresti essere
un poco più entusiasta,” lei appoggiò
la
testa sulla mano, rimirandolo con un gioioso scintillio negli occhi.
“Lo
ero.”
Lei ghignò.
“Lo so.”
“Tu, piccola
provocatrice,” ringhiò giocosamente. Lei si
lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa
misto ad allegre risatine mentre lui le saliva di sopra, e
la schiacciava
col suo peso sul materasso.
“Di
nuovo?” chiese Abigail con un sorrisetto malizioso
dipinto sul viso. Fece viaggiare i suoi occhi verso il basso, arcuando
ironicamente
il suo sopracciglio sinistro.
“Obiezioni?”
Il suo volto pallido era incorniciato da una
tenda scura di capelli neri mentre la guardava dall’alto.
“È
così che corteggi una ragazza?”
“È
come corteggio te. Perché? Non uso il giusto
tono?” le
bisbigliò all’orecchio. Il timbro della sua voce
le trasmise un brivido
piacevole lungo la spina dorsale e le fece formicolare tutto il corpo.
Abigail ansimava un
po’ quando rispose. “Oh, credimi che il
giusto tono non è un problema.” Lui la
guardò piuttosto compiaciuto nell'udire
quell’affermazione. “Ma ci sono modi in cui
potremmo renderlo ancora più piacevole.”
Ora
quell’aria compiaciuta era del tutto
sparita.
“Stai forse
insinuando qualcosa?” stava aggrottando le
sopracciglia.
“No,
è soltanto un suggerimento.”
“Continua…”
le lasciò andare i polsi. Il cipiglio era ancora
saldo sul volto. La situazione era arrivata ad un punto critico, ma si
sarebbe
evoluta presto in un disastro se lei non avesse fatto qualcosa.
La prima volta che avevano
fatto l’amore era stata un po'come
il loro primo bacio: un meraviglioso disastro - un meraviglioso
disastro che
aveva lasciato entrambi ansanti e con un’inaspettata
soddisfazione. Oh sì, le
era piaciuto definitivamente ogni minuto. Ma aspirava al meglio, e
perché non sfruttare
il potenziale per farlo diventare strabiliante se c’era?
Aveva solo bisogno solo
di essere leggermente indirizzato nel verso giusto.
“Non mettere il
broncio,” disse morbidamente, rivolgendogli
uno sguardo supplichevole.
“Non lo sto
facendo,” la informò freddo.
“Sì,
invece, ce l’hai proprio adesso,” lei si sedette, e
la
coperta scivolò via lasciando scoperto il suo petto.
“È
difficile discutere con te mentre sei mezza nuda,”
rispose lui, lasciando indugiare i suoi occhi momentaneamente sul suo
seno,
prima di soffermarsi di nuovo sul viso.
“Non
voglio discutere
affatto,” disse dolcemente.
“Che cosa avevi
in mente, allora?”
“Mi lascerai
mostrartelo?”
“Dipende. Mi
piacerà?” i suoi occhi si assottigliarono con
sospetto.
Lei gli rivolse un
sorrisetto malizioso. “Senza alcun dubbio.”
“D’accordo,”
disse allora dopo un attimo d'esitazione.
Con un segno del capo gli
fece cenno di coricarsi. Lui
acconsentì malvolentieri.
“Ti fidi
abbastanza di me per lasciarti andare?” era
appoggiata su di lui, con la mano sul suo
petto. “Perché è quello che devi
fare.”
“Non so se
posso.” Poteva ben dire che lui era a disagio,
perché ancora una volta stava evitando il contatto visivo.
“Non so se
dovrei,” aggiunse più dolcemente lui dopo un
attimo.
“Io voglio che
tu lo faccia. Voglio tutto di te.”
Lui la guardò,
abbracciando con lo sguardo la
sua pelle pallida, il suo corpo snello, il
lenzuolo fasciato intorno ai fianchi come un sari. I suoi capelli
castani erano
scombinati, e ricadevano ai lati del suo viso in riccioli selvaggi. Le
sue
labbra, rosse per i tanti baci, mostravano una fila di denti
bianchissimi ad
ogni sua parola. L’aveva sempre pensata bella. Non quel
solito tipo di bellezza
evidente, no, era una bellezza più sottile, che si rivelava
gradualmente quanto
più lungo veniva osservata. Lei non provava vergogna della
sua nudità, e
sembrava irradiare luce propria. Ed era tutta sua. Non era mai stata
più bella,
per lui, di quel momento. Aveva detto che lo voleva completamente, ma
sapeva a
cosa stava andando incontro?
“Non sono sicuro
che tu sappia cosa significa.”
“Cosa
significa?” chiese Abby pazientemente.
“Non sono sempre
gentile,” ammise infine.
“Non devi essere
sempre gentile,” il
sorriso di lei era adesso subdolo. Forse
nemmeno lui sapeva a cosa stava andando incontro.
“Ma…”
iniziò.
“Niente ma,
questo volta,” scosse lei la testa.
“Non
devi….”
“Shh!”
mise l’indice sulle sue labbra. Lui la fissò.
“Pensi
troppo,” disse
Abby semplicemente, come se questo spiegasse ogni cosa.
“Dammi cinque minuti.
Se vorrai ancora parlare dopo, parleremo. Va bene?”
“Va
bene,” acconsentì infine.
Era
ansioso di scoprire che cosa avesse in mente, perché
anche se si fidava di lei, c’erano ancora le vestigia di
scetticismo di cui
aveva difficoltà a sbarazzarsi. Le sue mani erano calde
contro la sua pelle. Un
brivido percorse il suo corpo quando le lasciò lentamente
scivolare giù, lungo
le sue braccia.
Abigail notò la
forte reazione che lui ebbe al passare delle
sue dita sopra i muscoli del suo braccio, e scese giù a
baciarli. Prima con le
labbra, delicate come il tocco di una farfalla, poi con la sua lingua.
Da quel
punto continuò a risalire lentamente verso il suo collo.
Il morso di Nagini vi
aveva lasciato diverse cicatrici e per
un secondo lui si preoccupò che lei ne avrebbe provato
repulsione. Il suo alito
caldo spirava contro la sua pelle - un momento di esitazione. Forse
aveva visto
giusto. “Non voglio farti del male. Dimmi se sto facendo
qualcosa che non ti
piace,” gli bisbigliò nell’orecchio.
Severus riuscì soltanto ad annuire debolmente
in risposta.
Abby poteva sentire
l’accenno di barba sotto le sue labbra
quando baciò il suo collo. Con il naso così
vicino alla sua pelle, sentiva il
suo odore, un’inconsueta
miscela di pozioni e sapone che lei
aveva sempre trovato così piacevole e che la stava ora
inebriando. Fermò le sue
attenzioni dirette al suo collo per un momento, per baciarlo sulle
labbra, ma
prima che lui potesse approfondire il bacio si tirò indietro.
“Stai giocando
con il fuoco,” ansimò, con gli occhi che
scintillavano pericolosamente verso di lei.
“L'idea era
quella,” rispose con un soffio. Gli era costato
molto non lasciarsi andare.
Passò verso
l'altro lato del suo collo. Un morso giocoso
alla sua spalla lo fece gemere debolmente. Quel suono, da solo, le fece
quasi
perdere la testa. Voleva sedurlo, ma era una cosa piuttosto difficile
da fare. Già
poteva a mala pena resistergli, e se si metteva pure ad emettere suoni
come
quello…
Il loro secondo bacio fu
ancor meglio del primo. In effetti,
le aveva quasi fatto dimenticare che voleva fermarsi proprio prima che
la
situazione le sfuggisse di mano, ma questo volta lui non le permise di
provocarlo ancora: le passò le braccia attorno le spalle e
l’attirò a sé. Il cuore
di Abby prese a battere più velocemente al contatto del suo
corpo virile che
reagiva al suo, sentendo quanto la volesse.
“So cosa stai
cercando di fare,” bisbigliò lui fra i baci.
La sua voce era bassa e vellutata. Sapeva benissimo che effetto le
faceva,
perché lei glielo ripeteva continuamente,
il bastardo!
“E sta
funzionando?” bisbigliò lei in risposta, a mala
pena
in grado di formare un pensiero coerente.
“Data la tua
posizione, penso che tu sia in grado di capire
da sola la risposta. Ebbene?”
“Direi di
sì,” un brivido di piacere percorse il suo corpo.
“Bene, penso sia
il mio turno ora,” ringhiò lui. “E non
intendo avere alcuna pietà, almeno non
nell’immediato futuro.”
NdT: ciao a tutti^^ commentino?
Alla Prossima! |
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Capitolo 11 *** Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta ***
Flow,
my tears, fall from your
springs!
Exiled for ever, let me mourn;
Where night's black bird her
sad infamy sings,
There let me live forlorn.
Down vain lights, shine you no
more!
No nights are dark enough for
those
That in despair their lost
fortunes deplore.
Light doth but shame disclose.
Never may my woes be relieved,
Since pity is fled;
And tears and sighs and groans
my weary days
Of all joys have deprived.
From the highest spire of
contentment
My fortune is thrown;
And fear and grief and pain
for my deserts
Are my hopes, since hope is
gone.
Hark! you shadows that in
darkness dwell,
Learn to contemn light
Happy, happy they that in hell
Feel not the world's despite.
Flow my tears by John
Dowland
Scorrete mie
lacrime, dalla vostra fonte sgorgate!
Per sempre esiliato, lasciatemi gemere;
Dove il nero uccello della notte la triste infamia di
lei canta,
Li lasciatemi vivere sconsolato.
Spegnetevi, vane luci, più non brillate!
Non v'è notte nera a sufficienza per chi,
In preda alla disperazione, piange la persa fortuna.
La luce altro non fa che svelare la vergogna.
Mai potranno i miei affanni essere placati
Poiché la pietà è fuggita;
E lacrime e sospiri e gemiti i miei stanchi giorni
Di ogni gioia hanno privato.
Dal più grande appagamento
La mia fortuna è precipitata;
E paura e angoscia e dolore per ciò che mi aspetta
Sono le mie speranze, poiché ogni speranza mi ha
abbandonato.
Udite! Voi, ombre che nella tenebra dimorate,
Imparate a spregiare la luce.
Felici, felici coloro che all'inferno
Non sentono il disprezzo del mondo.
Scorrete mie lacrime di
J.Dowland
Dove
il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta
Traduzione a
cura di besemperadreamer
NdA:Molte
grazie alla mia cara beta antisocialite!
Era sera tardi quando due figure fuoriuscirono
furtivamente dai confini dl Hogwarts e sorpassarono un piuttosto
pacifico
Platano Picchiatore che ondeggiava sospinto dalla brezza. Una di loro
era alta
e snella, e vestita di nero. L'altra, quella più piccola,
indossava vestiti
babbani, e la sua piccola sagoma era scossa da singulti soffocati.
Lui
alzò gli occhi al cielo a quella sceneggiata,
facendo finta di essere seccato dal suo comportamento.
“Oh,
non mi guardare così! E' troppo divertente.
Stiamo sgattaiolando via come se fossimo ancora degli adolescenti.
Perché poi?
È scaduto il tuo coprifuoco, Severus?" domandò
Abby, facendo appello a
tutta la forza di volontà in suo possesso per mantenere
un'espressione impassibile.
“Questa
è una scuola rispettabile," la informò
severo. “Di certo disapproverebbero se il Capocasa di
Serpreverde sfoggiasse
pubblicamente la sua…," si sforzò per trovare la
parola giusta e lei non
glielo stava rendendo affatto facile, guardandolo a braccia conserte
con un
sopracciglio arcuato con ironia.
“Sua...?"
offrì lei.
“La
sua amante," suggerì lui con un'espressione
vagamente cupa.
“Ah,
certo," i suoi occhi luccicarono verso di
lui nell'oscurità, “Te lo posso concedere, mi
avresti stecchito se mi avessi
chiamato la tua ragazza."
“Ti
prego, dammi un po’ di fiducia. Il mio vocabolario
non è così puerile benché viva in un
collegio," disse strascicato.
“Beh,
però è piuttosto raffinato," ghignò
lei
insolente, perché sapeva di essere l'unica persona che lo
potesse prendere in
giro in quel modo. Era anche l'unica persona che potesse baciarlo
successivamente per calmare la sua collera crescente.
“Non
sei mai stanca di canzonarmi?" chiese lui con
falsa esasperazione. Era difficile esibire veramente un'esasperazione
reale in
un momento in cui si sentiva quasi completamente felice.
“Chiunque mi conosca
penserà che ho sviluppato improvvisamente un certo gusto per
il masochismo, se
non peggio."
“Cosa
ci potrebbe essere di peggio?"
“Potrebbero
pensare che mi sono rammollito,"
disse con un tono grave nella voce.
“E
lo sei?" lei vestiva un'espressione di pura
malizia.
Lui
finse di riflettere sulla risposta per un
secondo. “Perché non vieni a vedere cosa ne dicono
gli studenti del primo anno che
faranno la mia conoscenza domani mattina?" Il sorriso subdolo che si
dipinse sul suo volto faceva presagire che non
c'era niente di buono in serbo
per quei poveretti. Abby provò quasi pietà per
loro. Beh, quasi.
“Che
avranno fatto mai queste povere animelle per
incorrere nella tua furia?"
“Dovrò
alzarmi alle sei del mattino, pertanto è
colpa loro se devo sgattaiolare via come un ladro con la mia ragazza a
questa
ora tarda." L'uso intenzionale di quel termine non le passò
inosservato, e
gli diede un buffetto sul braccio. Lui continuò senza
scomporsi, “… e se questo
non fosse abbastanza, devo persino accompagnarla a casa,
benché non volessi
nient'altro che svegliarmi vicino a lei l’indomani mattina."
La
fine di quella frase le fece spuntare un sorriso
sul viso, ma era troppo andata per astenersi dal fare un commento
scherzoso.
“Ebbene si," disse Abby.
“Cosa?"
si accigliò lui.
“Ti
sei rammollito,"
“La
pensi così?"
“Prima
ti saresti accigliato e ti saresti lamentato
dei tuoi orridi allievi, poi mi avresti fatto un cenno col capo
un'ultima volta
e saresti sparito. Adesso mi becco persino un complimento, e non uno
qualsiasi.
No, uno dei complimenti più carini che io abbia mai
ricevuto, dico davvero."
“Perciò
vorresti che ritornassi alle mie vecchie
abitudini?" Il suo sopracciglio sinistro si arcuò
ironicamente. “Perché si
potrebbe fare - devi solo chiedere."
“Non
è necessario," disse lei subito per rimediare.
“Esiste un modo in cui potrei convincerti a dimenticare che
io l'abbia persino
accennato?"
Lui
annuì e l'attirò a sé per bisbigliarle
qualcosa
all'orecchio. Dopo aver sentito il suo suggerimento gli occhi di
Abigail si
spalancarono comicamente e diventò rosso cremisi. "Dai,
Severus!"
gridò Abby, ma l'estasiato scintillio dei suoi occhi la
tradiva. Lui lo trovò
un'aggiunta particolarmente deliziosa al suo rossore.
In
effetti era ancora rossa dopo il bacio della
buonanotte, anche prima di smaterializzarsi. Lui ritornò al
castello con un
sorriso soddisfatto sul viso.
***
Era
la prima volta Severus metteva piede nel suo
appartamento. La sua sorpresa superava di gran lunga il sottile senso
di
disappunto che lo stava rosicando. Dopotutto, lui le aveva dato accesso
ai suoi
alloggi molto prima che lei si decidesse a concedergli l'onore di
visitare la
sua umile dimora. Era riuscita in qualche modo a convincerlo che la sua
intera
vita ruotasse intorno alla sua libreria a Diagon Alley, sviando le
domande sul
suo appartamento con la spiegazione che viveva praticamente ai
“Mondi In
Collisione" e che, comunque, non c'era niente da vedere.
Ma
tutto quello non si poteva definire
"niente". L'appartamento gli sembrava un'estensione naturale della
sua personalità. Tutto per lui aveva un senso, a partire
dalle enormi finestre
che avrebbero trasformato il piano in un posto
ben illuminato e accogliente durante il giorno, e che
potevano essere
occluse abbassando le tapparelle per la notte, se lei ne avesse avuto
abbastanza di offrire la sua vita privata su un piatto d'argento ai
suoi
vicini.
L’alloggio
era pieno di contraddizioni. Mentre da un
lato c’era questo divano antiquato di velluto rosso che
dominava il salone,
probabilmente il santuario in cui si ritirava per leggere o bere una
tazza di
tè mattutino, la sua cucina aveva tutte superfici metalliche
lucide che
stranamente ricordavano quelle di una fabbrica. Fra le cataste di libri
faceva
capolino, quasi timidamente, un televisore. Tutti i quadri appesi alle
pareti
tendevano anche un minimo al surreale, sempre con una nota ironica,
però.
Il
suo appartamento era strapieno di roba, pregno
d’odore d’incenso e anche un po' disordinato.
Severus si sentiva
quasi a suo agio, se non fosse
stato per i piatti
sporchi nel lavandino
e delle cartacce vecchie vicino alla porta che sembravano guardarlo con
aria di
rimprovero come se stessero dicendo “sì, avremmo
dovuto essere gettate fuori
settimane fa, ma lei si è dimenticata del tutto della nostra
esistenza”. Bisognava
fare qualcosa per quella sporcizia.
“Entra!”
disse Abby di buon umore mostrando un sorriso fin troppo luminoso,
segno che
stava cercando di nascondergli il suo nervosismo.
“Grazie,”
rispose lui togliendosi il mantello ed adagiandolo
con indifferenza su un bracciolo del divano. Lei lo stava osservando
alle sue
spalle, aspettando con ansia il fatidico verdetto.
Severus
ricondusse il suo nervosismo al fatto che
lei non gli avesse mostrato prima qualcosa di così personale
come il suo
appartamento, perciò per quel momento soppresse il suo
tagliente sarcasmo.
Forse ci sarebbe stato tempo per discutere l’argomento dopo.
“Allora?
Ti piace?”
“La
verità?”
“Certo,”
rispose come sempre. Per quanto sgradevole potesse
essere la verità, lei non se ne sottraeva mai. Era una delle
sue qualità che
lui ammirava maggiormente.
“Beh,
non sarebbe così male se qualcuno avesse pietà
del tuo appartamento e desse una pulita.”
“Ti stai
offrendo tu?” Abigail lo prese in giro.
“Certamente
no,” sbuffò. “O ti
sembro una cameriera?”
“Certo
che no. Non mi rischierei nemmeno di
suggerire una cosa del genere,” poi aggiunse in un tono
più premuroso, “ma sai,
ci sono realmente delle persone che ti offrono di pulire il tuo
appartamento
completamente nudi. Forse dovrei contattare uno di questi
tizi…”
“Soltanto
se vuoi che ti scagli una bella
maledizione” ringhiò lui.
“È
solo la mia immaginazione o sei realmente
geloso?” chiese lei con un sorriso trionfante andando in
cucina, sentendo i
suoi occhi seguirla per tutto il tempo. L’intera abitazione
era un monovano,
escluso il bagno naturalmente, per questo lui ebbe la piena
opportunità di
guardarla quanto desiderava, perché non sarebbe mai
scomparsa dalla vista.
“Se
non lo fossi, significherebbe che mi sei
indifferente,” rimarcò lui casualmente, sedendosi
sullo sgabello di semplice legno
che stava, come dimenticato, sotto al bancone metallico della cucina.
“Allora
sono molto felice che tu sia geloso.” I loro
occhi si incontrarono per il più breve degli istanti. Diede
loro la sicurezza
che c’era più nel loro costante battibeccare del
semplice amare pungolarsi
verbalmente. Erano innamorati l’uno dell’altro.
“Perciò,
cibo,” Abby
si voltò verso il frigorifero con un
sospiro, prendendo due cipolle, che osservò sovrappensiero
per un secondo,
prima di girarsi per guardarlo. “Chi farà il
lavoro sporco? Tu o io? Piango
sempre come una bambina quando taglio le cipolle. Tu?”
Le
rivolse uno sguardo penetrante. “Sono sorpreso
che tu me lo stai chiedendo. Ricordi come mi guadagno da vivere, no?
Tratto sostanze
molto più acide delle cipolle su base quotidiana. Senza
scoppiare in lacrime, aggiungerei.”
Dopo
aver risolto il problema, iniziarono a cucinare
in piacevole silenzio. Lei gli gettava sguardi divertiti. Severus era
completamente assorbito dal suo lavoro: fissava la cipolla con uno
sguardo severo
mentre la tagliava metodicamente in fette molto sottili che avrebbero
reso
fiero qualunque chef.
***
Severus
aveva trascorso molto tempo ad immaginarsi
come sarebbe morto, molto più di quanto una persona normale
avrebbe dovuto; così
al momento, sarebbe stato preparato. Ed invece, era stato colto
totalmente alla
sprovvista. Era rimasto disteso su un pavimento freddo a morire
lentamente
dissanguato, mentre il veleno del Nagini si spargeva nel suo corpo.
Neppure
allora aveva smesso di lottare. Si era rifiutato
di morire a quel modo, di arrendersi a quella logorante disperazione. I
suoi
polmoni avevano succhiato avidamente l’aria come se avessero
potuto impedire
l'inevitabile rifornendo il suo corpo di ossigeno a sufficienza, mentre
le sue
dita pressavano penosamente contro il collo ferito da cui stillava
costantemente sangue.
Improvvisamente
era di nuovo lì. Tutto era reale a
partire dal gusto metallico nella sua bocca, fino alla disperazione che
gli
stava artigliando il cuore. Si sentiva sempre più debole e
non poteva fare
niente. Come l’ultima volta scelse di ribellarsi ferocemente
contro il suo
destino, anche se sapeva in fondo al suo cuore che quella lotta era
inutile. Il
risultato finale sarebbe stato sempre lo stesso: la morte. Infreddolito
e solo,
senza nemmeno una mano da tenere, senza conforto o perdono.
Perdono…
i suoi occhi frugarono disperatamente la
stanza. Potter. Sostarono brevemente sul ragazzo, ma presto
cominciarono a
vagare di nuovo, cercando un altro viso. Lei non c’era. Come
avrebbe potuto?
Forse era stata solo un frutto della sua immaginazione sin
dall’inizio. In
questa realtà, in questa realtà dove stava
morendo, c’erano soltanto Potter ed
i suoi amichetti dietro di lui, che lo guardavano a bocca aperta. No,
il perdono
era troppo da chiedere loro. Il conforto non poteva essergli dato.
Anche se
avevano una certa età, erano solo dei ragazzini terrorizzati
che vedevano un
altro degli adulti morire.
Nel
profondo aveva sempre sperato in un futuro, una
seconda opportunità, ma forse quel desiderio era sempre
stato vano. Forse non meritava
la felicità. Forse non meritava una ricompensa. Questa non
era una di quelle
storie per i bambini babbani. Albus, che il cielo lo benedica,
benché sorridesse
sempre malizioso ,non era mai stato il Principe Felice e lui non era
per niente
né innocente né di buon cuore come la piccola
rondine. Un futuro felice, l’amore,
qualcuno di cui fidarsi, non era altro che una fantasia – la
speranza di uno
sciocco. Era così stanco di sperare invano, così
stanco di quella lotta eterna.
Perché non mollare? Perché non arrendersi al fato
una volta per tutte? Tutto
sarebbe diventato più facile una volta smesso di ribellarsi.
Una
singola lacrima scivolò lungo la sua guancia.
Era d’argento. Argento pieno di memorie di tempi andati. Le
parti in quella
recita erano state da tempo assegnate e la scena seguente era stata
già ben
orchestrata. Un sospiro tremante fuoriuscì dalle sue labbra.
Poi avrebbe detto
a Potter di avvicinarsi. Appena alcuni secondi di dolore ancora e tutto
sarebbe
finito. Aprì la bocca per parlare, ma poi si
raggelò. Dita sottili si stavano
avvolgendo attorno la sua mano. Le sue dita, che si erano da tempo
intorpidite
e congelate, improvvisamente formicolarono mentre il calore si spargeva
ancora
una volta al loro interno. I suoi sensi gli dicevano inequivocabile che
c’era
qualcuno che gli stava tenendo la mano, ma quando controllò,
non c’era nessuno.
Era solo uno scherzo della sua immaginazione, provò a dirsi.
Ma nel momento
stesso in cui era quasi riuscito a convincersene, qualcuno strinse
ancora la
sua mano e lo chiamò per nome. Quella voce – era
familiare. Toccava una corda
nel suo intimo: un dolore meraviglioso - morbido, tenero e languido
– che lo
faceva commuovere e lo spronava a sperare ancora.
Potter
lo guardava confuso, non sapendo se doversi
avvicinare o rimanere dove fosse. Non gli aveva ancora parlato,
realizzò. Non
stava andando come era previsto, come avveniva sempre.
Le
sue riflessioni vennero interrotte quando sentì ancora
quella voce. Lo stava chiamando per nome. Nessuno avevano mai
pronunciato il
suo nome in quel modo. La voce suonava un po’ risentita,
eppure affettuosa. C’era
anche una nota di preoccupazione, se
non
si sbagliava.
Era
solo un’illusione di conforto prima che morisse?
Era il suo cervello, che stava rilasciando disperatamente ogni specie di ormoni per
sommergere il suo sistema
prima che esso collassasse definitivamente? Scoprì che non
gli importava.
Preferiva piuttosto aggrapparsi a quell’illusione che
arrendersi
all’ineluttabilità della morte.
La
scena si dissolse, il grigio della Stamberga
Strillante venne scacciato da un caldo bagliore arancio. Una debole luce scintillava sul suo
viso allo schiudersi
delle sue palpebre. Stava gradualmente ritornando in sé,
diventando cosciente
di quello che lo circondava e rendendosi conto di essere coricato su un
soffice
letto accanto a
qualcuno. E non una
persona qualsiasi, la donna che stava tenendo la sua mano - Abigail.
Sbatté le
palpebre un paio di volte, mentre la confusione faceva gradualmente
largo alla
chiarezza.
“Era
solo un sogno,” disse dolcemente. Le sue dita
lo stavano accarezzando, teneramente scivolando nella parte interna del
suo
braccio, ignorando completamente il tatuaggio sbiadito che vi era
ancora
visibile. “Solo uno stupido sogno ,” disse ancora,
come per riassicurare sia se
stessa che lui.
Adesso
si supponeva dovesse dire qualcosa, rassicurarla
che era ritornato in quella realtà ancora una volta. Ma
cosa? Poteva sminuire
quella visione orribile con un “niente, solo un
incubo” e fingere semplicemente
che non fosse mai successo. O poteva dirle tutto. O poteva dirle
mezze-verità.
Poteva fare molte cose. Mentre stava ancora riflettendo sulla sua
risposta, si sentì
dire, “Ho sognato che stavo morendo.” Aveva deciso
per la verità, quindi.
Lei
deglutì sonoramente, visibilmente scossa dalla
sua cruda ammissione. Le sue dita si librarono immote per un attimo
sulla sua
pelle, prima di abbassarsi ancora per stringere forte la sua mano.
“Era…” si
leccò nervosamente le labbra, “era quello che ti
è successo…”
“Sì,”
tagliò corto lui, trovando in qualche modo
doloroso che lei
avesse difficoltà con
le parole, quando era solitamente così brava a trovare la
cosa giusta da dire.
“Oh,”
disse lei, cambiando posizione in modo da
appoggiarsi alla testiera del letto, senza che mai i suoi occhi
abbandonassero
quelli di lui. Severus notò la sua mancanza di vestiti:
aveva solo una
canottiera bianca e un paio di pantaloncini neri. Tutti i pezzi del
puzzle cominciarono
a ritornare al suo posto e si ricordò che cosa era accaduto
prima e perché
anche lui fosse soltanto in biancheria intima.
Un
piccolo moto divertito delle labbra fu l'unica
indicazione che lei avesse notato la sua confusione. Ma Abigail non si
concesse
un sorriso, la situazione era fin troppo seria. Dopo un po’
decise di parlare
ancora. “A volte i sogni sembrano anche troppo
reali.”
“Spero
di non averti svegliato.” Lui nascose la sua
evasività dietro
la cortesia.
“Non
mi hai svegliato. Ho il sonno leggero dalla,”
fece una breve pausa, “… dalla guerra.”
Adesso
fu il turno di lui di sentirsi leggermente
scosso. “Non lo sapevo.”
“Perché
avresti dovuto? Non è mica colpa tua.” disse
dolcemente.
Seguì
una lunga pausa. Lei rotolò su un fianco per
mettersi di fronte a lui. I suoi occhi gentili tracciarono i suoi
contorni per
un po’, prima di avvicinarsi timidamente per carezzare la sua
guancia ancora
bagnata. La comprensione di ciò che aveva fatto lo
colpì come una doccia d'acqua
ghiacciata. Non aveva solo pianto nel sonno. Aveva pianto davanti lei.
Benché
lei non avesse detto niente, il suo gesto rendeva fin troppo chiaro che
non le
fosse sfuggito. Si sentì mortificato.
“Non
devi vergognarti. Sono solo io,” disse lei con
la voce poco più di un bisbiglio, mentre il suo pollice
accarezzava ancora la
sua guancia. “Nessuno può essere sempre
forte.”
Sapeva
che lei non gli avrebbe mai rinfacciato di
aver pianto, che non lo avrebbe mai deriso per aver mostrato le sue
emozioni,
ma nonostante questo non si sentiva a suo agio. Forse non lo sarebbe
mai stato.
“Lo
so questo,” rispose e suonò più burbero
di
quanto volesse.
“Bene,”
gli sorrise. Fortunatamente non lei non era
il tipo da tenere il broncio.
Il
suo lato
cinico non poteva far altro che farle la domanda seguente. Era
intrinseco nella
sua natura aspettarsi sempre il peggio e l'esperienza gli aveva
insegnato che
quella fosse la più saggia linea d’azione. Era
più facile così evitare di
rimanere deluso. “E se fosse solo un sogno?”
Lei
aggrottò le sopracciglia.“In che senso?”
“E
se stessi sognando adesso?” chiese con una voce
vuota con lo sguardo ancora fisso sul soffitto bianco.
“Perché
questo dovrebbe essere un sogno?”
“Perché
è troppo bello per essere vero.”
“E
pensi di non meritartelo? È questo?”
“Forse.”
Abby
sospirò. A volte era duro essere ottimista per
entrambi, quando lui era il pessimismo fatto persona. “Sei
veramente sicuro di
voler iniziare con me un dibattito filosofico alle tre del
mattino?”
“Credo
che ritornare a dormire sia ormai fuori
discussione.”
“Va
bene,” sospirò forte Abby , passandosi una mano
tra i capelli scombinati. “Così tu pensi che
niente di buono possa accadere
nella realtà. È questo, quello che stai cercando
di dire?”
“Niente
di buono può durare nella realtà.”
“Pensi
che anche noi non dureremo?” Lei cercò di
mantenere un tono di voce neutrale ma il timore vi si
insinuò ugualmente.
“Spero che tu non ti sia già stancato di
me.”
“No.”
Una pausa. “E dubito che succederà mai.”
La guardò
con quei suoi occhi neri che brillavano nella penombra. Lei gli
schioccò un
veloce bacetto sulle labbra, sentendosi incredibilmente
sollevata.
“Forse
hai già finito tutto il tuo “cattivo”
karma.
Dopo tutte le cose terribili che ti sono accadute, dopo tutto quello
che hai
passato, non pensi di meritare un po’ di
felicità?”
Lui
esitò. “No.”
La
sua risposta la gelò fino all’osso. Si sedette
bruscamente sul letto. “Perché?”
Lui
rimase in silenzio, con gli occhi ancora rivolti
al soffitto.
“Ti
odi così tanto? Come puoi…” Si
fermò, provando a
riportare l’ordine nel subbuglio di pensieri all'interno
della sua testa. “Non
capisco. Io… Severus, io non ti vedo così.
Potresti non essere perfetto, ma
neanche io lo sono. Nessuno lo è. I nostri errori e i nostri
fallimenti si
sommano a cosa siamo già. La cosa importante è
come li prendiamo: se li
ignoriamo e basta, e continuiamo la nostra bella vita o se proviamo ad
imparare
qualche cosa da loro. È questo che fa tutta la
differenza.”
“Forse
avrei potuto fare di più…”
“No,”
disse lei. Non c’erano tracce di dubbio nella
sua voce. Era risoluta ed inflessibile. “Non avresti
potuto.”
“Nel
profondo, sono sempre stato egoista. Avevo
sempre così paura di morire. Non posso non pensare che la
paura mi abbai
frenato, impedendomi di fare ciò che era
necessario.”
“Non
riesco a capire come il desiderio di
sopravvivere dovrebbe renderti egoista.”
“Se
non mi fossi aggrappato così disperatamente alla
vita, se non fossi stato così impaurito della morte, forse
avrei potuto fare di
più. Avrei potuto fare le scelte giuste, se il mio timore
non avesse sempre
avuto la meglio,” pensò lui ad alta voce.
“Ma
se ti fossi sacrificato, non avresti più potuto
essere d’aiuto per nessuno.”
“Ci
sarebbe stato qualcun altro.”
“Non
sei sostituibile. Non per me,” scosse la testa
con veemenza. “Non sarei qui ora, se non fosse stato per te.
Avery e Tennyson
mi avrebbero ucciso.”
“Ci
sarebbe stato qualcun altro a salvarti,” ripeté
lui.
“No,
non è vero. E non c’è nessuno di cui io mi fidi quanto
te.”
“Perché
io? Che cosa c’è di così speciale in
me?”
“Di
te? Tutto,” rispose lei in tutta sincerità.
“Devo
ritenermi fortunato che il tuo ottimismo sia sempre
così imperturbabile.” Le rivolse un debole sorriso.
“Il
mio ottimismo non c’entra niente. Credo in te, e
basta. Ecco.”
“Perché?”
“Perché
tu non lo fai e hai bisogno di qualcuno che
lo faccia.”
Severus
era profondamente toccato dalle sue parole e
poiché sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovare le
parole giuste per
esprimere come si sentiva, cercò di mostragliele con un
gesto. Allungò il
braccio, facendole segno di venire più vicino. Abigail
accettò prontamente, modellando
il suo corpo caldo contro quello di lui. Poggiò la testa
sulla sua spalla
destra, premendo la schiena contro il suo petto, così da
poter sentire il
calore del suo corpo e il movimento della sua cassa toracica ad ogni
respiro. Titubante,
il braccio sinistro di lui le circondato la vita. Come di consueto i
suoi
movimenti erano cauti, come se fosse ancora impaurito che la potesse
spaventare
o offendere in qualche modo. Quei timori si rivelarono essere del tutto
infondati, perché presto lei si rannicchiò ancora
più vicino a lui.
“Non
voglio che questo sia un di sogno…” La voce di
Abby era ora diversa, bassa e soddisfatta, poco più di un
bisbiglio. “E se lo
fosse, non vorrei svegliarmi mai più.”
“Neanche
io,” ammise lui delicatamente, crogiolandosi
nella sensazione di tenerla tra le braccia, che era come sempre vicino
a
sopraffarlo.
Note della traduttrice besemperadreamer: ciao a tutti^^
nihal93 non
temere:-) ho promesso che gli aggiornamenti saranno più che
veloci!
jillien la
storia originale è già completa, e conta in tutto
15 capitoli (sulla stessa coppia l'autrice ha anche scritto due drabble
e uno one-shot che forse tradurrò in seguito) che sono
già belli e pronti per essere postati. Lascio un margine di
un paio di giorni per dare tempo a tutti di leggere, e di RECENSIRE....
Vi mando un bacio e richiedo un attimo del vostro tempo per
lasciare un commentino su storia e traduzione...
Alla prossima!
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Capitolo 12 *** La fine è nel nostro inizio ***
The end is where we start from – La fine è dove abbiamo cominciato.
C'era freddo. Il vento le frustava contro, facendole insorgere brividi gelati lungo la spina dorsale. Sentiva uno strano gusto metallico in bocca. Schiuse lentamente gli occhi e si ritrovò a fissare il nero cielo notturno. Che strano...non doveva essere in un altro posto? Certamente non di nuovo lì. Quando cercò di sedersi, un dolore così tagliente che sembrava volesse strapparle gli occhi le attraversò il corpo. I fianchi le dolevano ad ogni respiro ed ancor più quando si muoveva. Dove era? Cosa era successo? Si toccò le labbra con le dita e rabbrividì al contatto della sua pelle. Quando se le portò davanti le guardò stupita: aveva le punte coperte da una sostanza scura ed appiccicosa che brillava nella penombra - sangue.
Un esame più attento dei dintorni confermò la paura che le stava montando dentro. Era ancora una volta lì. Ancora una volta in quel posto che rappresentava il suo peggior incubo. Era il luogo dove l'avevano catturata e picchiata. Dove l'avevano derisa e le avevano detto cosa sua zia aveva subito. Sputò disgustata il sangue che le si era raccolto in bocca. Ricordò. Si era morsa la lingua prima, quando aveva provato a reprimere le sue stesse grida.
La sensazione di dover essere da qualche altra parte le sovvenne lentamente. Ad ogni minuto si sentiva più agitata. C'era qualcosa che doveva fare. Era di vitale importanza che si ricordasse cosa fosse esattamente subito o sarebbe stato troppo tardi. Ma c'era una cosa che sapeva di certo, ed era di doversene andare immediatamente.
“Mettiti in piedi. Trova la bacchetta. Vattene," si ordinò mentalmente. Si guardò intorno freneticamente in cerca. Era gettata innocentemente vicino al fuoco estinto. Fuoco. Fuoco crepitante. Calore. La comprensione la sommerse quasi soffocandola. Nel panico, strisciò fino al luogo in cui la sua bacchetta giaceva nella polvere. Il battito del suo cuore era così veloce che minacciava di perforarle il petto. Le sue dita si strinsero attorno alla sua bacchetta, così strette infatti, che le nocche le divennero bianche.
Doveva rimettersi in piedi. Ogni movimento era una tortura. Alcune delle sue costole erano probabilmente rotte. Sì, si ricordò che lo erano state… erano rotte. Infine riuscì ad alzarsi; il sudore le scorreva lungo la schiena. Il dolore le sommergeva ancora il corpo, ma lo ignorò. Doveva trovare lui. Doveva sbrigarsi.
Se ricordava bene questa era la notte in cui Voldemort sarebbe morto. Ed era la stessa notte in cui i Mangiamorte l'avevano trovata e torturata. Era sopravvissuta solo perché erano stati chiamati a prendere parte alla battaglia finale in nome del loro Oscuro Signore. Era anche la notte in cui Severus Piton avrebbe affrontato la morte.
Non si chiese nemmeno se fosse troppo debole per smaterializzarsi. Si limitò a stringere i denti e lo fece, trovandosi da qualche parte vicino ad Hogsmeade pochi secondi dopo. Radunando ogni briciola della forza di volontà in suo possesso, ordinò a se stessa d’iniziare a camminare. Per una volta fu riconoscente della sua "natura di curiosona e ficcanaso" - come l'usava blandamente chiamare Severus - che le aveva fornito sufficienti informazioni sugli avvenimenti di quella fatidica notte da sapere dove dirigersi. Sperava di potersi fidare della sua memoria da quel momento in poi - chissà a cosa poteva credere adesso. Cosa era reale e cosa, invece, non lo era?
Ogni passo era un’agonia, ma non le interessava. La ghiaia scricchiolava sotto le suole delle scarpe al suo passaggio. Quel suono era come un ritmo regolare a cui lei si aggrappava, sperando che l'avrebbe aiutata a mantenere il senno e a darle la forza di continuare. La frase “E' solo un sogno, solo un sogno, solo un sogno," echeggiava ironicamente dentro la sua testa ad ogni passo.
Il pensiero la fece diventare incredibilmente arrabbiata, il che, fortunatamente, le diede abbastanza energia per andare avanti. Che cosa era quello, l'inferno? Un crudele scherzo del destino? Odiava la magia e di cosa era capace. Forse era una anatema creato apposta per prenderla in giro, per portarla a credere di avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che la amasse per poi… rivelarsi solo uno scherzo crudele. Solo un'illusione, una specie di fottuto giochetto mentale. Non poteva accettarlo. Non voleva crederci.
Il percorso davanti a lei era in discesa. Il paesaggio sembrava ingannevolmente tranquillo e innocente, ma non si sarebbe più fatta fregare dalle apparenze. Adesso era più furba. Nei dintorni, al di sotto della collina, riusciva ad intravedere la Stamberga Strillante. C'era una scura figura incappucciata che avanzava velocemente verso la costruzione decrepita. Gelò sul posto, chiedendosi rapidamente tra sé e sé se fosse saggio rendere nota la sua presenza. Forse non era lui o forse era qualcun'altro e lei si sarebbe fatta ammazzare solo perché credeva stupidamente nei sogni, nell'amore e quant'altro. A qualsiasi conclusione fosse arrivata, aveva poca importanza. Lo sconosciuto l'aveva già vista e stava avanzando verso lei velocemente.
I suoi occhi vagarono frenetici in giro, cercando un posto dove nascondersi, almeno finché non avesse capito se era un amico o un nemico. Le sue alternative erano i rovi alla sua destra o la roccia enorme alla sua sinistra. Decise prontamente per l'ultima, perché quella forse le avrebbe fornito abbastanza spazio per muoversi se fosse stata costretta a combattere.
Improvvisamente sentì un paio d'occhi scavare nella sua schiena. Si voltò. La figura era in piedi immobile di fronte a lei, guardandola. Benché fosse soltanto ad alcuni metri non riusciva a scorgere il suo volto, celato dal cappuccio del suo mantello. Mani affusolare lo tirarono giù. Vedere il suo volto e comprendere che non era stato solo un sogno febbricitante, le succhiò via tutta l'aria dai polmoni. Era come se si stesse strozzando, incapace di pronunciare nemmeno una parola.
Lui mosse alcuni passi titubanti verso di lei, che l’avesse riconosciuta era scritto chiaramente sul suo viso così come quanto fosse preoccupato. Non era così lui che la ricordava. Abigail aveva i vestiti sporchi e le maniche della camicia, spruzzata di sangue essiccato , lacere. Il suo labbro era spaccato e si teneva il fianco sinistro con la mano. L'espressione dei suoi occhi non poteva che essere accostata al tormento. Era come un animale selvatico catturato da un predatore. Così ansiosa, così fragile eppure pronta a combattere. Merlino, cosa le era successo?
“Abby." Il suo nome rotolò sulla sua lingua come se l'avesse detto mille volte, ma non era così. Sapeva che era la prima volta che lo pronunciava.
Lei sbatté le palpebre come se stesse uscendo da uno stato di trance. “Severus." Guardò i suoi vestiti scuri - le vesti di un Mangiamorte - che la fecero istintivamente indietreggiare. Chiunque li indossasse, portava con sé dolore e morte. No, no, non era vero. Lo conosceva, sapeva che tipo d'uomo fosse. C’era stato un periodo in cui aveva indossato le vesti di Mangiamorte, ma lei aveva anche visto il meglio di lui, il lato celato al resto del mondo che pensava lo rendesse vulnerabile. Si ricordò il modo in cui le sue dita seguivano teneramente i suoi lineamenti quando erano coricati insieme a letto, il modo in cui la guardava pensando che lei non lo notasse. Era duro sopportare il ricordo di quei momenti adesso, ancor più perché non sarebbero dovuti essere lì sin dal principio. Sembrava che tutto fosse accaduto realmente, anche se adesso sapeva per certo che lo era stato soltanto nella sua immaginazione.
“Come è possibile una cosa del genere?"
“Non lo so," ammise lui. Le sue parole la lasciarono ancor più impotente.
La sua mente cercava ancora disperatamente di fornire una spiegazione. “Ok, so cosa sta succedendo," bisbigliò tra sé. “Questo non è reale. Non lo è. Non siamo qui. Siamo al sicuro. A casa. Nel mio letto. Non è reale. Mi devo svegliare. Mi devo svegliare adesso." Abigail lo guardò con gli occhi lucidi. Sapeva già la verità, ma non era pronta a riconoscerla ancora. “Lo so perché me l'hai detto tu stesso. È solo un sogno. Posso svegliarmi se lo voglio. E’ questione di attimi, vedrai."
“Non è un sogno," disse lui lentamente, muovendo un altro passo cauto verso di lei.
“Oh, come se tu lo sapessi!" disse lei scuotendo vigorosamente la testa.
“Credimi. E' così."
“Stronzate! Qualcuno ci ha fottuto il cervello. Non è reale!" Le sue dita tiravano i suoi già scombinati capelli.
“Lo è," insistette lui, facendo un altro passo. Se avesse avvicinato la mano, l'avrebbe potuta toccare, ma esitò. Non sapeva se lei glielo avrebbe lasciato fare. Le mani di Abby tremavano incontrollatamente, ed i suoi occhi, sbarrati dalla paura, lo imploravano di fare qualcosa per far ritornare tutto al proprio posto, per scacciare via quella pazzia. Per Severus lei era stata sempre forte, forse anche più di lui stesso e vederla in quel modo lo feriva. Faceva più male persino di qualsiasi tortura il Signore Oscuro avesse mai potuto avere in serbo per lui. Non riusciva più a sopportarlo.
Le prese le mani tremanti tra le sue. Erano coperte di sporcizia. La sua pelle sembrava più callosa sotto il suo tocco, non come la ricordava. Si aspettava che lei ritraesse le mani da un momento all'altro, ma non lo fece. Invece rimase lì, guardandolo con gli occhi terrorizzati.
“Sei realmente tu." La voce di Abigail era appena un bisbiglio, fragile come una foglia trasportata dal vento.
“Sì," disse lui morbidamente.
Lei mosse un passo esitante verso Severus, gli occhi che vagavano sul suo volto; poi senza preavviso gettò le braccia in avanti e lo abbracciò. Lo stava stringendo come se fosse la vita stessa, anche se le sue costole rotte protestavano violentemente. Il suo odore familiare la confortava, e la lasciava dubitare della sua sanità mentale allo stesso tempo. No, non era familiare, si rimproverò mentalmente. Non poteva sapere quale fosse il su odore né come fosse essere baciata da lui. Non doveva neppure conoscere il suo nome o il suo volto , cazzo. Il solo pensiero era esasperante e la sua prossimità fisica minacciava di mandarla completamente fuori di testa e di portarla all’isteria. Lo lasciò andare piano, improvvisamente incapace di rimanere in sé così vicino a lui.
“È vero? È vero che non ci siamo mai realmente incontrati? E' successo tutto nelle nostre menti?" Lo guardò timidamente, desiderando nel profondo che dicesse il no.
“Ho paura di si. Ma è successo ugualmente. Il fatto che sia accaduto soltanto nelle nostre menti non lo rende affatto meno reale," I suoi occhi d’ossidiana le guardavano il viso con attenzione, e in essi, vi si poteva scorgere una traccia di timidezza. Temeva che lei fosse felice di non avere vissuto la loro storia nella realtà?
Almeno questa volta Severus non stava provando a respingerla come faceva di solito. Questa realizzazione la sorprese, ma non poté indugiarvi a lungo. I suoi pensieri erano troppo sconnessi, troppo frammentati per focalizzarsi per molto tempo su un’idea fissa.
“Allora cosa sta succedendo? Chi è stato?" Gli occhi di Abigail lampeggiarono verso quelli di lui nel crepuscolo. Severus sapeva che la sua rabbia non era diretta nei suoi confronti in particolare, perché anche lui era furioso. Niente di quella situazione sembrava normale.
“Credimi, anche io non ne ho la minima idea."
“È veramente…" lei esitò, ovviamente avendo difficoltà a concentrarsi su quello che stava accadendo e Severus non poteva certo biasimarla, perché anche lui aveva qualche problema a crederci sul serio,
“E' veramente quel giorno?”
“Ho paura di si," suonò più distaccato di quanto realmente avesse voluto. I suoi pensieri erano caotici, e vorticavano costantemente intorno ad una domanda. Come sarebbero riusciti ad uscire illesi da quella situazione?
“Quanto ricordi?" chiese Abby infine, titubante.
“Tutto," rispose lui. “L'ospedale, tua zia…," per un momento sembrò quasi imbarazzato, "...ieri sera."
“Sì…," disse Abby lentamente. “Sì, anche io ricordo. È ancora tutto qui," lei si toccò fugacemente la tempia con un sorriso timido. “Ma ovviamente non era reale… cioè, non nel senso fisico, intendo."
“Sì."
“Ma allora… oggi è oggi?"
“Sì."
“Cazzo!"
“Concordo pienamente."
Lei cercò di fare un sorriso che morì rapidamente sul suo volto, quando il suo labbro ferito le ricordò la sua presenza. Il dolore la scosse, mettendo all'erta i suoi sensi. “Sta per succedere… sta per succedere oggi, tu stai per…"
“Morire. Sì," concluse lui la frase.
“Sì." La voce di lei tremava appena, quando parlò ancora. “Ma possiamo ancora cambiare le cose. Non sei costretto a fronteggiarlo. Potremmo cercare un posto sicuro dove non potrà farti del male. Almeno c'è qualcosa di questa situazione che non è completamente inutile..."
Lui la guardò confuso.
Abby si affrettò a spiegare cosa volesse dire. “Non capisci? Non devi andare lì per forza. Possiamo scappare. Andrà tutto bene." A causa della sua agitazione parlava molto velocemente. Era ritornato il fuoco nei suoi occhi, ancora una volta aveva ritrovato la speranza. E questo gli fece più male, perché lui la distrusse con la frase seguente.
“No," scosse lui la testa amaramente, “ tutto deve andare esattamente come avrebbe dovuto."
“Che significa? Perché?"
Severus rimase in silenzio, lasciando che lei ci arrivasse da sola. Non aveva modo di riuscire a spiegarsi in modo convincente. Ogni fibra del suo corpo gli urlava di non farlo. Quando le guardò il viso, lasciando i suoi occhi vagare sui tratti che gli erano così familiari, la tentazione minacciò di sopraffarlo. Il suo istinto gli diceva di prenderla per mano e andare via con lei. Si sarebbero nascosti in qualche luogo sicuro, dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Tutto sarebbe andato bene. Avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per conoscersi di nuovo e scoprire se la realtà reggeva il confronto con l'illusione.
I suoi pensieri erano già andati alla deriva, creando programmi di fuga, sognando un futuro insieme, quando le sue parole lo strapparono brutalmente dalla sua fantasticheria. “Vuoi sacrificarti, eh? E' quello che vuoi fare, no? Vuoi lasciarti ammazzare, così che quel Potter possa venire a salvare il mondo?" Le sue sole parole erano dolorose, perché nel profondo lui sapeva quanto fossero vere, ma il modo in cui lo guardava, con delusione e rabbia, era anche peggio.
“No, non è quello che voglio. Quello che voglio è rimanere qui con te, ma… ma devo fare ciò che è necessario. Non capisci?" Cercò di ragionare con lei, ma in parte anche con sé stesso. “Questo è quello di cui abbiamo parlato. Non posso lasciare che la paura abbia la meglio. Se non vado, il Signore Oscuro vincerà. Non riesco a credere che lo stia dicendo sul serio ma se Potter muore, la nostra unica speranza morirà con lui."
“Ti sei ammattito del tutto? Sei sordo, o cosa? Ti ucciderà!"
“Sì."
“Ma, e noi? Non è significato niente per te? Come puoi semplicemente voltare le spalle a quello abbiamo?" Era troppo disperata per gridare, troppo disperata per sentire altro oltre all’apatia improvvisa del suo petto. Il posto occupato una volta dal suo cuore, era adesso vuoto, un buco nero che risucchiava tutte le sue emozioni, lasciando solo un guscio svuotato.
Per una volta nella sua vita Severus Piton sembrò essere a corto di parole. La sua bocca si aprì e chiuse un paio di volte, ma nessuna parola venne fuori.
Lacrime cominciarono a raccogliersi negli occhi di lei e la sua visione divenne sfocata. Le scacciò via con il dorso della mano, impiastricciandosi di sporcizia il viso. Poi, quando aveva già perso ogni speranza di sentirlo parlare, lui infine disse qualcosa.
“Ti amo."
Le sue parole erano sincere e delicate. Uno sguardo sul suo viso fu sufficiente a capire che le stava dicendo la verità, ma in quel momento era l'ultima cosa che Abigail voleva sentire. Che valore potevano avere se il secondo dopo andava a testa alta incontro a morte certa? Lo odiava per avergliele dette adesso che stava per perderlo.
“Non è vero. Se lo fosse, non andresti."
“E' vero, ma io devo farlo," insistette lui ancora, suonando quasi disperato.
“No."
“Abby…"
“No, e non ti rischiare a dire un'altra parola!"
“Abby, probabilmente ho detto innumerevoli bugie nella mia vita, ma questa non lo è. Ti amo veramente."
Lei lo guardò con il labbro inferiore tremolante, e gli occhi pieni di lacrime. Non le aveva mai detto che l'amava, l'aveva fatto soltanto ora probabilmente perché stava per morire e sapeva che il suo amore per lei non lo avrebbe trattenuto dal voltarle le spalle per mettere in atto quella stupida suicida pazzia “eroica”. Provava solo una rabbia rovente che le appannava la mente, e che pervadeva ogni fibra del suo corpo, prendendo persino possesso delle sue corde vocali.
“Ti odio," sputò lei sprezzante.
Le sue dure parole dure lo colpirono come una frustata. Severus si aspettava sempre il peggio delle persone in generale e anche se una parte di lui era preparata a quella reazione, viverla dal vivo era un'altra cosa. Era stato piuttosto egoista da parte sua dirglielo adesso. Ma non voleva morire senza dirle niente. La sua vita era costituita da una serie di opportunità perse e non era necessario aggiungerne una in più prima della sua fine.
La capiva, capiva che le sue parole le sembravano solo una menzogna, specialmente ora. Quella non era lei a parlare, era la sua rabbia. Se lui fosse stato al suo posto, probabilmente non avrebbe reagito diversamente, per questo non poteva serbarle rancore. Non poteva permettersi di serbarne comunque, non adesso poi. Doveva tenersi aggrappato a qualcosa oppure la sua risoluzione sarebbe vacillata.
“Abby, devo andare." Abby poteva sentire il dolore nella sua voce, il rammarico di lasciarla senza potere risolvere quella situazione.
Lui chiuse momentaneamente gli occhi, provando a racimolare la sua forza. Ma come diamine poteva trovare la forza per lasciarla, quando non voleva altro che rimanere? La guardò ancora un'ultima volta, provando ad imprimere nella sua memoria ogni particolare del suo viso. Poi, per quanto gli si spezzasse il cuore, si voltò e prese a camminare.
Immediatamente Abigail si pentì della sua reazione. Dopo un breve momento d'esitazione, i suoi piedi si mossero come se avessero avuto volontà propria. Poi improvvisamente gli fu vicino, trattenendolo dalla manica della sua veste. Lui la fissò stupito, incapace di capire cosa stesse accadendo.
“Severus, aspetta! Per favore, perdonami… non volevo dire quello che detto. E' solo… è così difficile..." lui la prese tra le braccia e la baciò, prima che lei potesse continuasse a balbettare scuse.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo," bisbigliava Abby continuamente dopo che lui ruppe il bacio. Lui le sorrise amaramente, ma rimase in silenzio.
“So perché lo stai facendo. Ne abbiamo parlato prima. Lo capisco," lei si lasciò sfuggire una risata rauca. “No, ma chi voglio prendere in giro? Veramente no. Non posso, non voglio, non lo capirò mai. Ma… ti amo. E non posso lasciarti andare via così." Era agitata e affannata. La sua parlantina nervosa era in netto contrasto con la calma risoluzione che lui aveva chiara in viso. “Ci deve essere qualcosa che posso fare. Un modo in cui ti potrei aiutarti. Dopo che Nagini… dopo il morso di Nagini, ci deve essere qualcosa… una pozione, un incantesimo, qualcosa che possiamo fare per arrestare la diffusione del veleno... Per guadagnare tempo a sufficienza per portarti al San Mungo…„
“Non c'è," disse lui delicatamente “Devo farlo da solo." Severus le guardò il viso, le sue piccole mani tra le sue. I suoi occhi erano gentili, ma infinitamente tristi. “Ho bisogno che tu ne stia fuori."
La baciò, fin troppo consapevole che quella era l'ultima volta, poi si allontanò da lei. Le sue dita scivolarono lentamente via dalla sua presa.
Il mondo le crollò addosso. Con le sue ultime parole aveva distrutto la loro unica speranza. Le lacrime stavano minacciando di soffocarla ma le ricacciò indietro coraggiosamente. Non voleva rendergliela ancora più difficile. Benché in nessun modo approvasse la sua decisione, poteva capire i motivi delle sue azioni.
Severus sentiva che doveva fare tutto in suo potere per riparare al male che aveva fatto, altrimenti non avrebbe mai meritato il perdono o l'amore. In breve, non avrebbe meritato Abby. Quindi, tutto considerato, era una fottuta situazione in cui ci avrebbe perso comunque.
Non c'era modo di convincerlo a non farlo, Abigail lo sapeva. E benché questo fosse uno dei motivi per cui lo amava, il suo cuore si gonfiò di eterno risentimento per la sua decisione.
Nota della traduttrice besemperadreamer(l'unica superstiteXD): tradurre questo capitolo è stato uno strazio!!!
Ogni due righe cambiava il punto di vista....!! Comunque...Grazie per le recensioni, mi fate felice^^ e fate felice pure l'autrice^^
Ciao bianca, da quanto tempo:-) sono contenta di trovarti sempre qui:-)
Ciao Gilgalahad^^ che piacere vedere che segui anche questa storia=D
ElseW grazie per la recensiones, spero che ti sia piaciutos pure questo capitolos!!=)
Alla Prossima^^
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Capitolo 13 *** Non c'è niente di male nel sperare ancora ***
Non c’è niente di male nel sperare ancora
traduzione a cura dibesemperadreamer
Si costrinse a fare ciò che lui le aveva chiesto. Senza nemmeno notarlo, si ridusse le dita sanguinanti, mordendosi le unghie com’era sua abitudine quando era nervosa. Quando vide Potter e i suoi amici avvicinarsi alla Stamberga Strillante, non poté far altro che seguirli.
La vecchia casa odorava di fatiscenza e legno marcito, e le tavole lignee che ricoprivano il pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi ad ogni passo. I suoi sensi recepirono quell'informazione ma essa non raggiunse i suoi pensieri coscienti. Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento, era che doveva trovare Severus. Vero, lui doveva affrontare Voldemort da solo, ma dopo...la sua morte… sviò i suoi pensieri dalla parola, non riusciva neppure a pensarci. Come sarebbe potuta sopravvivere senza morire di dolore?
Il suo cuore smise quasi di battere quando lo vide lì, riverso a terra in una pozza del suo stesso sangue. Ce n’è così tanto, pensò con orrore. Gelò sul posto momentaneamente, così come i tre ragazzini terrorizzati alla sua sinistra. Ma dopo appena un battito di ciglia si riscosse dal suo stato di torpore e in un attimo fu al suo fianco. Gli occhi di Severus si concentrarono su di lei, comunicandole, senza parlare, la sua sorpresa nel vederla lì.
Abigail gli s’inginocchiò accanto, facendo a mala pena caso al suo sangue che penetrava attraverso il tessuto dei pantaloni, inzuppandoli. Quando vide che lui non era ancora pronto ad arrendersi, e con le dita cercava inutilmente di arrestare l'emorragia, una scintilla di speranza si accese dentro di lei, benché la sua parte razionale le suggerisse che fosse inutile. Aveva già perso troppo sangue.
Mentre lei premeva le sue dita sulla ferita, la mano di lui scivolò via lentamente. Con l'altra mano Abigail cominciò ad accarezzargli la testa in modo rassicurante. “Idiota, dovevi proprio andare a fare l'eroe, eh?" disse dolcemente con una voce ridotta a un sussurro. Lacrime rotolavano lungo le sue guance, ma non le notò neppure finché non caddero sulle vesti di Severus.
“Abby." Si sorprese nell'udire la sua stessa voce così diversa dal normale, raschiante e un po’ strozzata. L'ombra di un fugace sorriso si dipinse agli angoli della sua bocca e lei non poté fare a meno di imitarlo, benché non desiderasse altro che urlare al mondo la profonda ingiustizia che stavano subendo. Lo aveva appena trovato.
“Sì, sono io, proprio dove sarei dovuta essere." Era difficile far uscire le parole. La vista di lui, così fragile, che se ne stava andando così rapidamente, la soffocava.
Frammenti sussurrati di una conversazione raggiunsero il suo orecchio. “Chi è lei?" udì debolmente domandare al sorpreso ragazzo dai capelli rossi dietro di lei.
“Penso di conoscerla. Anche se non riesco a inquadrarla, in questo momento," disse Hermione, con un tono di voce che rendeva evidente la sua confusione.
“Quello che realmente m’irrita è solo...quand'è che sto bastardo untuoso ha trovato il tempo di farsi la ragazza?"
“Piantala, Ron! Non essere cattivo," lo ammonì la giovane.
Abigail non sentì nulla del loro piccolo scambio, era prova troppo occupata a prendersi cura delle ferite di Severus. Una parte di lei sapeva che era inutile, ma se si fosse arresa o lasciata prendere dallo sconforto, sarebbe crollata e non poteva permettere che accadesse. Doveva essere lì per lui ora, doveva essere forte. Come gli aveva detto poco prima, il suo posto era lì, al suo fianco.
“Potter" raspò Severus. Il suo respiro diventava di minuto in minuto più affaticato, ma stava tenendo duro. Abigail annuì col capo e si girò per far avvicinare il ragazzo.
Un accenno d’isteria rese la sua voce stranamente stridula quando lo chiamò, ma sorprendentemente Harry acconsentì senza replicare. Quando posò gli occhi su Severus, osservò l'estensione delle sue ferite e comprese che lui fosse solo ad un passo dalla morte, Abigail vide qualcosa di simile alla comprensione velare i suoi tratti.
“Più vicino, Potter," ordinò l’uomo, esaurendo gli ultimi residui di forza che possedeva.
Potter s’inginocchiò vicino a lui, fissando dritto quel volto che aveva disprezzato così a lungo e che era adesso una maschera cinerea. Una lacrima argentea scivolò dall'angolo dell'occhio di Piton e Harry riconobbe immediatamente cosa era - un ricordo da poter vedere in un Pensatoio.
“Guardalo. Promettermi che lo farai." La mano di Piton strinse il davanti del maglione di Harry, e i suoi neri occhi esigenti scavarono dentro quelli del ragazzo, che riuscì solo ad annuire col capo. Sembrò che Piton fosse rimasto soddisfatto dalla risposta, perché le sue dita allentarono la presa e la sua mano scivolò via lentamente. Poteva smetterla di sforzarsi. Aveva fatto tutto.
Con grande orrore Abby comprese cosa stava per accadere. L'avrebbe perso e questa volta per sempre. “Non ti rischiare a tirare le cuoia ora, Severus," sibilò lei, sorpresa nel trovarsi più arrabbiata che triste.
“Non ce la faccio più," bisbigliò con rammarico. “Perdonami."
“Non hai nulla da farti perdonare," disse tranquillamente, ma lui non udì mai quella risposta. Abigail abbassò lo sguardo sulla sua forma immobile: il suo petto non si abbassava né si sollevava più, aveva gli occhi ancora fissi su di lei benché ora fossero senza vita. La consapevolezza le esplose dentro, raggiungendo con le sue gelate ramificazioni ogni angolo della sua mente. È morto. È morto. Merlino, è morto!
Emise un singhiozzo strangolato che pressava da una vita nel retro della sua gola e che suonò come il grido di un animale ferito. Qualcosa nel suo intimo si frantumò, ed era sicura che non sarebbe mai più riuscita a rimetterne insieme i cocci. Se ne era andato lasciandole solo un ricordo a cui aggrapparsi disperatamente. La sua anima, la sua essenza o qualsiasi altra cosa lo avesse reso quella persona unica, quell'uomo meraviglioso e ambiguo che amava così tanto, era ormai perduta. Non lo avrebbe mai più sorpreso a sorriderle dolcemente quando pensava di non esser notato, mai più avrebbe tenuto le sue mani tra le sue affusolate dita aggraziate, mai più avrebbero riso insieme su una battuta che solo loro potevano capire...mai più. Seppellì il volto sul suo petto, inalando il suo profumo, sapendo che forse sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe potuto farlo e che probabilmente avrebbe dimenticato il suo odore, così come tutte le molte altre piccole cose che erano così importanti, benché quella fosse l'ultima cosa su terra che avrebbe voluto.
Pianse forte, incurante che i suoi singhiozzi potessero essere uditi. Era come se il suo petto volesse esplodere, come se qualcuno stesse provando a strangolarla, tanto era serrata la sua gola. Conficcò le dita nel tessuto lanoso delle sue vesti da Mangiamorte, cercando di aggrapparsi a qualcosa che aveva già perso. Dio, come desiderava venire avvolta dalle sue braccia adesso!
Era stato facile ignorare le sue stesse ferite, grazie al costante afflusso d'adrenalina che aveva agito nel suo sistema, ma ora stavano rendendo di nuovo nota la loro presenza. Il dolore corporeo si stava mescolando alla disperazione, sommergendola con un’altra ondata devastante. “Non lasciarmi. Non lasciarmi. Per favore, non lasciarmi!" . Il pensiero permeava ogni fibra del suo essere, ogni suo respiro, ogni suo battito cardiaco, ogni sua lacrima versata. Mentre continuava a cantilenarlo come un mantra nella sua testa, la sua visione si tinse di nero ai bordi, e si sentì scivolare lentamente nell'incoscienza. La sua testa si pressò contro il suo petto, e sentì il costante ma molto debole Tum-Tum di un cuore. Probabilmente era il battito del proprio. Ma a che pro, se voleva solo strapparselo dal petto? Con quell'ultimo, macabro pensiero, svenne.
***
Quando riprese conoscenza, si ritrovò a fissare il bianco soffitto, piuttosto opprimente, di una stanza di ospedale. Il secondo stesso in cui la sua coscienza riemerse dal piacevole intorpidimento del sonno, la realtà le piombò di nuovo addosso. Gemette e fece correre la mano tra i suoi capelli, di fatto tirandoseli. Per amor di Dio, non poteva essere stato solo un incubo dal quale svegliarsi, ritrovandosi Severus come sempre al suo fianco?
Adesso che era sveglia avrebbe dovuto affrontare il resto del mondo. E il resto del mondo includeva curiose infermiere, guaritori dall'aspetto serioso e, possibilmente, persino alcuni giornalisti che le avrebbero voluto strappare qualche informazione. Non era sicura di essere pronta. In effetti non era nemmeno sicura che avrebbe mai più voluto affrontare il resto del mondo.
Essere vestita con una striminzita vestaglia verde d'ospedale, distesa in un letto che non era il proprio, la faceva sentire piuttosto esposta. Non voleva far altro che andare a casa, raggomitolarsi sul divano e piangere fino ad addormentarsi di nuovo.
Per suo grande sgomento, il suo risveglio non era passato inosservato. Avrebbe voluto passare qualche minuto in più da sola con i suoi pensieri. Anche se generalmente la solitudine era per lei insopportabile, siccome i suoi pensieri finivano sempre per rigirare attorno a lui, non riusciva a sopportare di essere circondata da altre persone. Le davano solo fastidio.
Entrò un giovane uomo che aveva un ché di familiare e che indossava gli stessi abiti verde menta di tutti i guaritori del San Mungo. Il colore dei suoi abiti attrasse la sua attenzione molto più del fatto che le sembrava conoscente. Sembrava vomito radioattivo. Per il suo pessimo umore aveva una mezza idea di farglielo notare. Il pensiero che Severus avrebbe gradito la tentò ancor di più.
“Buongiorno, signorina Carter, come si sente oggi?" le chiese, guardando oltre il bordo della cartella clinica che aveva in mano.
Abigail sbuffò, arcuando un sopracciglio. “Una schifosa meraviglia."
“Signorina Carter, sono spiacente… ma erm…posso chiamarla Abigail? Abbiamo quasi la stessa età…"
“No, non penso che sia necessario." La situazione le diede la strana sensazione di dejà vu.
Il giovane guaritore la guardò sorpreso, sbattendo le palpebre degli occhi un paio di volte prima di continuare, sembrando imperturbato. “Le vostre ferite si sono rimarginate bene, vedo." le si avvicinò di un passo, esaminandole il viso con occhio critico. “Nessuna cicatrice, come previsto. Bene. Bene."
“Quindi non c'è un motivo valido per tenermi prigioniera qui, no?"
“No, potrete andare via domani mattina. Il vostro amico tuttavia…"
“Il mio amico?"
“Sì, il vostro amico. L'uomo con cui è stata portata qui… mi lasci controllare… Severus Piton?" Le rivolse uno sguardo preoccupato. Il suo viso aveva perso tutto il colore, le sue dita avevano afferrato
inconsapevolmente la coperta in una stretta morsa, così stretta infatti, che temette che lei avrebbe forato il tessuto.
“Cosa stava dicendo su Severus?" chiese lei impaziente.
“Che avrà bisogno di molte cure prima di poter essere dimesso. Fortunatamente siamo riusciti a stabilizzare le sue condizioni. È un piccolo miracolo che sia ancora vivo, a rigor di logica sarebbe dovuto morire. Nessuno è mai sopravvissuto al veleno di una creatura magica così potente."
Il giovane guaritore smise di parlare quando notò la sua paziente levarsi le coperte di dosso e subito dopo scendere dal letto.
“Non potreste lasciare il letto…" cominciò a dire, ma nonostante la sua protesta, lei era già in piedi. Il pavimento di linoleum era sgradevolmente freddo sotto i suoi piedi, ma lei ignorò sia il gelo sia le esortazioni del guaritore.
“Signorina Carter," disse più severo, mettendosi davanti a lei per impedirle di lasciare la stanza. Pensava che così facendo lei avrebbe dovuto riconoscere la sua presenza e infine rinsavire. Invece Abigail lo guardò stupita, prima che la sua espressione venisse rimpiazzata da un cipiglio arrabbiato.
“Si levi di torno," disse con un tono atono, fissando la porta al di sopra della spalla del guaritore. Nei suoi ricordi, l'aveva già attraversata.
“Dovete riposare. Non vi siete ancora del tutto ristabilita. Devo elencarvi le vostre ferite? Benché non sia una legge universale, vi accorgerete presto che il processo di guarigione richiede di rimanere a letto, almeno per alcuni giorni. Anche se le pozioni fanno magie nel senso più letterale del termine, non vi potete aspettare miracoli. Anche il paziente deve collaborare, sa."
“Oh, stupidaggini" scartò la sua preoccupazione con un gesto vago della mano, dirigendosi di nuovo verso la porta, ignorando completamente di avere addosso solo una striminzita vestaglia d'ospedale.
“Signorina Carter," sbuffò lui, “questo è un oltraggio! Le chiedo…"
“Non avete il diritto di chiedere niente." Si era girata con gli occhi che dardeggiavano in sua direzione. “Avete la minima idea…" s’interruppe momentaneamente per provare a riguadagnare la calma, ma non vi riuscì. “Avete la minima idea di cosa ho passato? L'ultima volta che ho controllato questo posto era un ospedale e non una prigione. Ora mi porti da Severus! Se pensa che mi coricherò tranquillamente nel mio letto aspettando che lei si decida a lasciarmelo vedere, se lo può scordare!"
Il guaritore deglutì. “Alla fine del corridoio, prendete a sinistra. Il ICU è in fondo, dopo la porta di vetro a due ante. Terza porta a destra. Vostra zia…"
“Anche lei è lì. Lo so. Grazie." Annuì col capo brevemente prima di lasciare la stanza.
Abigail percorse velocemente le lunghe corsie dell’'ospedale. Si lasciò indietro le file di camere alla sua destra e alla sua sinistra senza degnarle di uno sguardo in più, così come le infermiere che la guardavano stupite. Aveva gli occhi puntati con risoluzione in avanti.
Ed eccolo lì oltre la porta, all'interno di quella camera che una volta era stata il suo personale purgatorio. Non era stato reale prima, ricordò a se stessa, ma questo volta sì, ne era alquanto certa.
I suoi occhi vagarono sopra la silenziosa forma dormiente di sua zia, che aveva lo stesso aspetto del suo ultimo ricordo di lei, e infine giunsero su Severus. Per un istante non poté far altro che rimanere paralizzata sulla soglia a fissarlo. Eccolo lì, disteso sul letto come se stesse dormendo. No, non dormendo, come testimoniava la flebo da cui le pozioni curative venivano inoculate nelle sue vene. Era incosciente.
Dovette per prima cosa elaborare la situazione prima di riprendere a muoversi. Era vivo. I suoi occhi, come per cercare conferma, ricaddero sul suo petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Sì, era
veramente vivo. Mosse alcuni passi verso di lui, sopraffatta improvvisamente dalla voglia di toccare la sua mano per dimostrare a se stessa che questo non era solo un sogno, un'altra illusione che l’avrebbe lasciata distrutta e confusa.
L’uomo appariva pallido e vulnerabile. Non l’aveva mai visto così e questo la sconcertò oltre ogni sua immaginazione. Per lei, lui era sempre stato il più forte dei due. Qualcuno che ti faceva voltare quando entrava nella stanza, qualcuno che attraeva involontariamente attenzione per la sua prestanza, per l’autorità che emanava la sua forte personalità. Adesso quel carisma era svanito,lui appariva debole. Le sue dita si avvolsero con attenzione intorno al suo polso. Doveva ancora rassicurarsi che era tutto reale, per quanto orribile la situazione fosse.
Il suo volto era cinereo e la tonalità malsana della sua pelle veniva messa ancor più in risalto dai suoi capelli scuri. Sembrava trasandato e lui non lo era mai. Ciò la irritò oltre ogni limite, e la fece infuriare contro quelle infermiere che passavano rapidamente al paziente successivo senza abbottonargli la vestaglia correttamente, senza spendere due minuti in più per scostargli i capelli dal viso. Si curvò sopra di lui, accarezzando dolcemente la sua guancia con le dita prima di spostargli i capelli indietro.
Non aveva la minima intenzione di lasciare il suo fianco e almeno finché non si fosse svegliato, avrebbe aspettato tutto il tempo necessario. Frugò la stanza con gli occhi in cerca di una sedia su cui sedersi, ma non ne trovò. Forse si sarebbe potuta sedere sul bordo del letto, rifletté brevemente, ma d'altra parte c’erano tutti i tubicini della flebo. Forse non era una buona idea, dopotutto.
Mentre era persa nei suoi pensieri, i suoi piedi si stavano congelando a contatto col pavimento freddo, tanto che le dita si erano già intorpidite. Lentamente divenne fortemente consapevole della sua mancanza di vestiti, e di avere addosso solo un sottile pezzo di stoffa a ripararla dalla nudità totale. Venne scossa dai brividi. Dove era la sua bacchetta? Avrebbe evocato un vestito di pront’accomodo o una coperta, insomma, qualsiasi cosa l’avesse salvata dal congelamento.
All’improvviso intravide un movimento alle sue spalle e si voltò di scatto sorpresa. I suoi fianchi dolsero per quel gesto repentino, ricordandole delle costole rotte che erano state medicate recentemente. Il giovane guaritore era sulla soglia della porta, e sembrava un po’ insicuro.
“Ancora voi? Che volete?” saltò su lei. La sua voce suonò più stanca che acida, come invece avrebbe voluto.
Il guaritore ignorò per gentilezza la domanda, ma soltanto perché era stato nella stanza abbastanza a lungo da vedere quanto il comportamento della donna fosse cambiato intorno a quell'uomo che giaceva incosciente nel suo letto d’ospedale, dimentico di quanto questa donna fosse preoccupata e di quanto lui le fosse caro.
“Sono venuto a dirle che ho avuto un'idea. Potremmo mettere un altro letto in questa stanza, così potrete rimanere qui.”
La sua proposta la lasciò momentaneamente di stucco, poi riuscì a borbottare delle scuse, seguite da un affrettato consenso e un imbarazzato “Grazie”.
“Non mi ringrazi troppo presto. E’ l'ospedale che dovrebbe ringraziarla, veramente. Conosce le nostre misere finanze. Non possiamo permetterci di fare occupare a un singolo paziente un'intera stanza, tutta da solo.”
“Capisco,” disse lei accennando una specie di sorriso. “Mi dispiace, sono stata così scortese prima.”
“Come voi avete perfettamente fatto notare prima, questo è un ospedale. Sono cose che possono succedere, di tanto in tanto.”
Note della traduttrice besemperadreamer:
Ciao a tutti^^
Grazie a lAleCassandra, ElseW, biancalupin e GilGalahad e a tutti coloro che seguono la storia^^
Se trovate errori nella traduzione siate un pò più specifici così lo posso correggere:-)
Alla Prossima! |
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Capitolo 14 *** Andare Avanti ***
Chasing Pavements - Andare Avanti
Traduzione a cura dibesemperadreamer
A/N: Grazie alla fantastica anti_social_ite.
C’erano pochissime cose che odiava tanto quanto stare ad aspettare. In effetti, pensandoci, non riusciva a trovare niente che potesse eguagliare il suo odio per l’attesa. Era una di quelle persone che non riuscivano a stare ferme nemmeno per mezz’ora, sempre indaffarate, sempre pronte a vivere al massimo ciascuno dei propri giorni. Adesso invece, l’unica cosa che le rimaneva da fare era aspettare che lui si svegliasse. I guaritori le avevano fatto capire che non si aspettava miglioramenti di lì a breve, ma lei si rifiutava di demordere.
Era stata dimessa un paio di giorni prima e c’era voluta una colossale opera di persuasione per convincerla a passare come minimo da casa per recuperare alcune cose prima di riprendere la veglia al suo capezzale. Abigail aveva infilato frettolosamente i suoi effetti personali in uno zaino, senza preoccuparsi se i vestiti che aveva strappato dalle grucce si abbinassero tra loro. Dopo si era affrettata giù per le scale, fermandosi appena sull’ultimo gradino. Si chiese se, tra i volumi nuovi della consegna della settimana prima, non c’era stato un libro sui sogni e sull'uso della magia da parte del subconscio.
Ora era seduta di nuovo accanto al suo letto, sfogliando il suddetto il libro, accigliata. La maggior parte era solo spazzatura.
Esistevano molte teorie sull’uso della magia subcosciente, molte delle quali pseudo-scientifiche e messe insieme da qualche casalinga annoiata che aveva voluto aggiungere un significato più profondo alla sua, altrimenti piatta, vita dando un’interpretazione fantasiosa agli elementi dei sogni. Quelle stupidaggini romantiche sul principe azzurro, su destini intrecciati che alla fine si compiono - forse era cinica, forse troppa acqua era passata sotto i ponti per lei poter credere a quella favoletta.
“Se fossi sveglio, ci faremmo una bella risata su questa roba,” disse tranquillamente, mentre chiudeva il libro e lo poggiava sul’attiguo comodino. “Sono solo delle cazzate, come quella perdita di tempo di Divinazione.”
Come di consueto, lui non mostrò alcun tipo di reazione. Rimaneva disteso lì, completamente immobile. Soltanto il regolare movimento del suo petto la riassicurava che lui fosse ancora vivo. Il suo volto aveva ancora un pallore malsano, ma almeno non come quello di alcuni giorni prima.
“Non so quanto ancora posso reggere questa situazione,” bisbigliò lei con gli occhi bassi. Poi venne colpita da un pensiero divertente e gli angoli della sua bocca si curvarono leggermente verso l’alto. “Molti pensano che sono proprio fastidiosa. Tutti quelli a cui voglio bene cercano sempre di farmi stare zitta, per evitare il mio costante ciarlare. Ma, ehi, che culo. Sto ancora parlando con te, vedi?” Dopo che le parole ebbero lasciato la sua bocca, arricciò il naso stranita, scosse la testa, e si sfregò le mani sulla faccia, molto provata.
“Merlino, che cosa sto facendo? Sto cominciando a sembrare pazza.” Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare. In quei giorni i pantaloni le venivano leggermente più larghi in vita, i suoi lineamenti erano più affilati, perché spesso saltava i pasti. Le ombre scure al di sotto dei suoi occhi erano segni rivelatori di troppe notti trascorse a vegliarlo. I suoi abiti erano stropicciati dal troppo stare seduta, ma anche perché non si preoccupava di stirarli. I suoi pensieri giravano sempre intorno a lui e quando non era lì, faceva tutto di fretta per ritornare al suo fianco. Truccarsi le sottraeva tempo prezioso, così come cucinare o riposarsi un po’, così li evitava e basta.
“E’ che… se non parlo c’è troppo silenzio… questo maledetto silenzio che mi fa diventare matta, capisci.” Smise di camminare e lo guardò per un istante. Aveva un groppo alla gola, che provò inutilmente ad inghiottire. La sua voce si incrinò leggermente quando riprese a parlare. “Vorrei sapere che fare. Vorrei poter fare qualcosa, invece sono solo inutile. Posso solo stare seduta qui ad aspettare, e Dio sa, che non è molto. Oh, e naturalmente piangere. Ho dato abbondantemente, tesoro. Che poi è, oh, così patetico e inutile. Ma cos’altro c’è da fare? Che altro…” I suoi occhi vagarono dalla sua forma dormiente alla finestra. I rami di una quercia vi stavano lentamente oscillando davanti. Per un istante li guardò con infantile meraviglia, ma poi uscì dal suo momentaneo torpore per riprendere il posto al suo capezzale.
“Non potresti farmi questo un piccolissimo favore e sbrigarti a ritornare tra noi? So che non sei abituato a fare favori, ma non potresti fare una piccola eccezione?” Non si aspettava veramente una risposta. In realtà non si aspettava niente.
Le sue mani giacevano sopra le coperte, le sue lunga dita affusolate bianche erano immobili in maniera quasi inquietante. Si avvicinò e prese la sua mano sinistra. Le sue dita accarezzarono dolcemente il dorso, le sue nocche, le punte di ogni dito.
***
Lui si risvegliò lentamente. Come strisciando lentamente fuori da una buia caverna verso la luce, la sua coscienza emerse gradualmente dal sonno profondo. Persino prima di aprire gli occhi, il dolore sordo e distante delle ferite che si stavano rimarginando, si fece sentire e lo rassicurò che in effetti quella fosse la realtà. Schiuse le palpebre. Tutto appariva confuso, bianco sgargiante e impregnato dell'odore dei disinfettanti. Era evidente, dunque, che non era nell’aldilà ma piuttosto in qualche ospedale o una parte piuttosto misera ma pulita di Paradiso. Per provare sé stesso mosse le sue dita e vide che obbedivano ancora ai suoi ordini. Ne fu piuttosto contento.
C’era un peso sulla sua mano sinistra. Voltò con prudenza il capo per vedere Abigail che ancora teneva la sua mano mentre dormiva in una posizione che appariva proprio scomoda. Era seduta su una sedia ed aveva il busto curvato sul suo letto in modo che potesse almeno poggiare la testa. Le sue dita stringevano possessivamente la sua mano anche mentre dormiva.
Di rimando anche lui ricambiò leggermente la stretta con tenerezza, ignaro del fatto che anche questo piccolo gesto sarebbe stato sufficiente a svegliarla. Rialzò insonnolita la testa dal letto, con le pieghe del lenzuolo impresse nella sua guancia. I suoi occhi incontrarono quelli di lui interrogativi, poi si spalancarono al massimo.
“Ti sei svegliato,”bisbigliò. “Ti sei svegliato!”. Suonò come un sospirò di sollievo quando lo disse la seconda volta. Era agitata, e i suoi occhi erano luminosi e appannati dalle lacrime, ma nonostante questo sorrideva, era raggiante persino. Non era stata mai più felice nella sua vita. Voleva abbracciarlo, baciarlo, ma venne fermata dal tubicino della flebo che decorreva fino all’ago infilato nel suo braccio. Cercò i suoi occhi, chiedendo il permesso.
Severus si sorprese nel vederla così titubante, dopo tutto quello che era accaduto fra loro, realizzando allo stesso tempo che la maggior parte aveva avuto luogo solo nella loro immaginazione. Ecco spiegato il motivo. Le fece un lento cenno d’assenso col capo, rischiandosi persino a sorridere un poco. Lei gli sorrise dolcemente in risposta e facendo attenzione pressò le labbra sulla sua tempia in un lungo bacio. Lui chiuse gli occhi, assaporando almeno per un momento la sensazione delle sue labbra contro la propria pelle, una sensazione confortante e familiare.
Lei si tirò indietro fin troppo presto per i suoi gusti e gli annunciò, con voce tremante, che stava andando a chiamare un guaritore. Severus poteva praticamente già vedere tutti gli ingranaggi all’interno della sua testa lavorare a gran velocità. Si stava cominciando a sentire insicura ed impacciata, ed era piuttosto evidente nel suo comportamento, tutto agitato e nervoso.
Non era tipo da dolci rassicurazioni d’amore, ma avvertì lo stesso l'esigenza di calmarla. “Se, per favore, la smettessi di preoccuparti di cose inutili, cara, capiresti subito che andrà tutto bene.” La sua voce era sorprendente chiara anche se aveva dormito così a lungo.
Lei venne presa momentaneamente in contropiede dalla sua durezza, ma poi comprese il significato delle sue parole e gli sorrise.
***
Severus Piton stava per chiedere un appuntamento ad una donna per la prima volta nella sua vita. Non una donna qualsiasi, però, la donna la cui la presenza rendeva ogni suo giorno più tollerabile e che, altrettanto facilmente, aveva il potere di trasformare la sua esistenza in un vero inferno se solo l’avesse voluto. Sorprendente era anche questo che lo attraeva di lei.
Aveva lo strano talento di far sembrare ridicole le preoccupazioni che occupavano la sua mente e di riuscire a rabbonirlo come nessun’altra, ed aveva il forte sospetto che questa impressione non sarebbe cambiata presto.
Sapere tutto di lei, gli rendeva anche più difficile chiederle sul serio di uscire. Lo rendeva nervoso e soprattutto lo deprimeva, perché ogni volta che il momento opportuno si era presentato, aveva lasciato scivolare via l’occasione.
Aveva la netta sensazione, comunque, di doverle chiedere un appuntamento o almeno darle qualche segnale del suo interesse nei suoi confronti, perché da quando si era svegliato lei aveva mantenuto tra loro una certa distanza. Anche se aveva trascorso molto tempo seduta vicino al suo letto, chiacchierando allegramente, non gli aveva più tenuto la mano. Rifuggiva il contatto fisico, benché lui sapesse che anche lei lo desiderava, perché le sue dita si tendevano sospettosamente quando le loro mani erano vicine. Cosa c’era di diverso ora? Che cosa stava aspettando? Si era posto spesso quelle domande ed era arrivato ad un'unica conclusione plausibile. Voleva essere rassicurata. Aveva bisogno di un segno che il suo interesse per lei non si era affievolito, che la loro specie di relazione non era stata solo un'illusione.
Adesso che era stato dimesso da quel buco infernale che le persone normali chiamavano ospedale, era libero finalmente di farlo. Che fosse completamente guarito dalle sue ferite giocava solo a suo vantaggio, perché almeno poteva camminare senza avere capogiri. O forse no. La presenza di Abigail, a volte, gli faceva girare la testa, ma nei modi più piacevoli che si potessero immaginare.
Oh, Merlino, che scemenze! Da quando era diventato così sentimentale da definire le vertigini piacevoli? Stava ancora maledicendo sottovoce la sua stessa stupidità quando arrivò a Diagon Alley, e si ritrovò davanti alla sua libreria. Per un strano motivo esitava ad entrare. Oltre quella porta lo attendeva un svolta cruciale. O questa esperienza si sarebbe rivelata la più grande delusione della sua vita adulta o gli avrebbe concesso uno squarcio su un futuro che non avrebbe mai osato sperare. Merlino, tutto questo doveva finire! Si stava trasformando in un stupido, pietoso romantico senza speranza.
La porta davanti a lui si aprì improvvisamente. Sorpreso, guardò in su per trovarsi Abigail di fronte con un sorrisetto stampato in faccia.
“Ciao!” ghignò. “Sembri sorpreso di vedermi. Ti ricordi che questo è il mio negozio, vero? A ragion d’essere, non dovresti essere tanto sorpreso di trovarmi qui.”
“Stavo riflettendo sull’entrare o meno,” sottolineò, guardandola con disapprovazione. Lo stava prendendo in giro e non gli piaceva particolarmente la sensazione di essere oggetto di scherno, in particolare quando era nervoso.
“Oh, va bene allora. Devo lasciarti ancora riflettere? Però ti suggerirei di continuare a farlo lì,” gli indicò la finestra del negozio alla loro destra. “Mi ostruisci l'entrata. E in più,quest’ombra nera che incombe sulla mia porta è un po’snervante .”
Che faccia tosta! Aveva il sottile sospetto che lei stesse provando a farlo arrabbiare di proposito. Forse non aveva pensato che due persone possono fare lo stesso giochetto, però. Un barlume diabolico gli illuminò gli occhi quando disse le parole seguenti.
“Incantevole! È così che tratti la maggior parte dei tuoi clienti? Non mi meraviglio allora che sempre più persone si allontanino dalla lettura.”
Lei uscì completamente dalla porta con un sorriso divertito che aleggiava sul viso.
Anche se stava invadendo palesemente il suo spazio personale, Severus non si curò di allontanarsi. Da questa prossimità poteva chiaramente vedere le linee delicate di una risata formarsi intorno ad un paio di occhi carichi di malizia. Quando lei si portò i capelli indietro, poté sentire l'odore del suo shampoo, e vedere la pelle candida esposta del suo collo. Si leccò le labbra, aveva la bocca improvvisamente secca.
“Ti rendo nervoso?” chiese lei, flirtando.
“Non essere così vanesia. Il tuo aspetto è ben lontano dall’essere impressionante.”
“Forse non dovrei mostrarmi più a te, allora.” Abby disse con indifferenza.
“Sarebbe molto gentile da parte tua,” si sentì dire, mentre la sua voce interna lanciò un grido di frustrazione. La situazione stava prendendo una piega completamente diversa da quella che avrebbe voluto. Stava rovinando tutto. Cosa lo sorprese, però, era che lei non si fosse spostata di un centimetro nel frattempo.
“Bene. Benissimo. Lasciami riassumere velocemente la situazione. Sei venuto fin qui per vedermi, perché diciamocelo, se avessi voluto un libro avresti potuto tranquillamente rimanere a Hogwarts che, ho sentito, ha una biblioteca molto ben fornita. Poi ti sei innervosito ed hai scelto di insultarmi, invece di fare qualsiasi cosa eri venuto a fare. Ho detto tutto?” Lo guardava interrogativa, con la testa inclinata a sinistra.
Lui avrebbe negato istintivamente tutto, perché la sua valutazione della situazione era spaventosamente vicina alla verità, ma per fortuna ci pensò due volte prima di rispondere. Così, invece di darsi la zappa sui piedi di nuovo, riuscì a dire qualcosa carina per metà, almeno per i suoi standard. “Per quanto non proprio una valutazione sufficiente…”
Lei buttò gli occhi al cielo, impedendogli di finire la frase. Ma era un gesto che mimava il fastidio piuttosto che esserlo realmente.
“Per favore, Severus, non ricominciamo. Apprezzo lo sforzo, ma onestamente, di questo passo diventeremo due vecchi bacucchi prima di arrivare ad una qualche sorta di conclusione; perciò te la renderò più facile, perché ci siamo già passati da questo straziante periodo di corteggiamento. Ed una volta mi sembra già più che sufficiente, grazie.”
Lui la guardò stranito, ma non poté far altro che annuire col capo confuso mentre lei continuava tranquillamente. “Se venissi qui per chiedermi di uscire, la risposta sarebbe di certo un “sì” , anche se devi tenere presente che per ora stiamo parlando ipoteticamente e che anche la mia risposta è naturalmente ipotetica.”
Quindi voleva realmente sentirselo chiedere ad alta voce. Deglutì sonoramente, poi raccolse abbastanza coraggio per chiederle.
“Bene allora. Benissimo. Ti spiacerebbe se ti facessi visita di tanto in tanto?” le sue parole non erano state particolarmente gentili, in effetti era sembrato piuttosto annoiato. Ma la sua usuale facciata era più trasparente per lei di quanto lui pensasse. Il modo in cui la guardava, quasi con ansia, non le sfuggì.
Gli sorrise, sgretolando ogni sua paura. “Se mi dispiacerebbe? Sei scemo? Certo che voglio passare del tempo con te. Diamine, era ora che me lo chiedessi.”
Anche lui si concesse un sorriso di sollievo. “Non mi sembravi così propensa…”
“Volevo darti un po’ di tempo per schiarirti le idee.” Le sue parole era bisbigliate, ma per la sua vicinanza, le poteva sentire molto bene.
“Non ce n’era bisogno. Le mie idee erano già chiare sin dall'inizio,” rispose con voce ugualmente bassa e confidenziale.
“Bene,” la sua voce tremò appena per l’emozione, “allora ti farei sapere che ci sono un paio di altre cosette a cui risponderei di sicuro un “si.”
“Cioè?” C’era una leggera traccia di panico alla sua voce. Quando la donna diceva una cosa del genere, solitamente alludeva a qualcosa in particolare. Gli sovvenne il ricordo di uno di quei giorni accaduti nella loro immaginazione. Quando avevano trovato una scusa decente per travestirsi da assaggiatori di créme ed avevano ingollato quantità oscene di ogni tipo di torta. Rabbrividì visibilmente al pensiero.
Non le ci volle molto per capire che aveva detto qualcosa di fraintendibile. Arrossì. “Non farti prendere dal panico. Non mi riferivo a quella domanda in particolare.”
“No?” Grande, ora sembrava offeso. Aveva interpretato lei male il suo sguardo d’orrore o era lui che tendeva a prendere tutto nella maniera sbagliata?
“Non che sarebbe una brutta cosa,” provò frettolosamente Abby a salvare la situazione. “E’ solo che… cioè, proprio adesso… con tutta questo casino che stiamo vivendo e tutto il casino che abbiamo passato…” Oh, sì!Veramente chiara! Un’eloquenza da togliere il fiato!
Lui ebbe la decenza di accennare appena un sorrisetto derisorio “Penso che tu faccia meglio a fermarti prima che diventi ancora più imbarazzante…per te.”
“Bastardo,” borbottò lei, ma non senza sopprimere un sorriso.
“Arpia,” mormorò lui.
“Allora, è carino che tu sia passato. Non riesco a ricordarmi quando scambiarsi insulti è mai stato così divertente.”
“Sì, finora è stato piuttosto proficuo.”
“Ok, basta ora - mi farai le domande quindi?...Beh, ovviamente non quella, voglio dire.”
“Non stai rendendo le cose più facili in questo modo.” Si accigliò lui.
“Non ora. No. Lo so bene. Ma mi sono rotta di questa situazione. Non stiamo andando da nessuna parte. Quindi, chiedi. Almeno sapremo che posizione abbiamo. È meno stancante così, non trovi?”
“Sembra che tu non voglia perdere tempo.” La guardò con occhi penetranti. Non era uno sguardo di disapprovazione, più come se stesse provando a capire cosa le passasse nel cervello.
“Sì, direi che abbiamo già sprecato troppo tempo. Non credi?”
“Sì,” ammise infine.
Così dopo un paio di secondi di silenzio teso, lui si decise infine a porre la sua prima domanda. Era piuttosto inoffensiva e serviva solo per tastare le acque. “Ti sembro diverso, intendo a paragone…”
“Intendi a paragone della persona che ho conosciuto nel sogno? No,” fece una pausa, “e io?”
“No.”
Si scambiarono un sorriso timido. Quando lui avanzò la sua seconda domanda, lei si stava mangiando le unghie, e i palmi delle sue mani erano diventati freddi e sudati.
“Mi ami?” Wow, questa sì che era diretta, ma lei non esitò a rispondere.
“Sì.”
“Sì?” lui sembrò sorpreso. Qualunque altro uomo probabilmente l’avrebbe ricoperta di baci, ma lui era troppo razionale, ed in più, troppo riservato per farlo. Doveva essere paziente ed attendere che lui facesse il primo passo. La prontezza che lui aveva mostrato per quel gioco diretto di domande e risposte era già una grande concessione da parte sua. Non voleva tirare troppo la corda, ma non poteva stare seduta ad aspettare un altro mese, o giù di lì, che le cose facessero il loro corso naturale. Si era rotta di aspettare! Tuttavia, almeno per metterlo un po’ più a suo agio, si trattenne strenuamente dal porgli la medesima domanda.
“Altre domande? Da chiedere?” il modo in cui lui la fissava la lasciò con una sensazione di nervosa vertigine. Era evidente che lui avesse bisogno di radunare una certa dose di coraggio per porre la domanda seguente.
“Sì, veramente c’è,” lui si schiarì la gola nervosamente. “Vuoi ancora stare con me?”
“Sì.” Ancora nessun'esitazione da parte sua.
Non seppe mai cosa diavolo lo portò a farle la domanda successiva, come era arrivato improvvisamente dal chiederle qualcosa di semplice come un appuntamento a portare il loro rapporto al livello successivo. “Non è troppo presto per chiederti di venire a vivere con me, vero?” Aspettò che il panico lo assalisse, ma non lo fece perché si rese conto che era proprio quello che desiderava. L’unica cosa che lo faceva diventare sempre più ansioso era l’attesa della sua risposta.
Abigail non si aspettava che lui le chiedesse qualcosa di simile. Cioè, era Severus Piton dopotutto. In effetti, non si aspettava che facesse quella domanda particolare prima di un decennio o forse anche più, quando entrambi sarebbero stati vecchi e raggrinziti. No, a pensarci, se doveva essere onesta con se stessa, era convinta che non glielo avrebbe chiesto affatto. Mai.
“Avrei dovuto saperlo. Era una cosa stupida da chiedere, in verità,…” stava per continuare, ma si zittì quando le sentì sussurrare “sì”. Per un istante la guardò in totale, completo shock e prima che potesse domandare se l’aveva sentita realmente accettare, lei lo stava baciando, aggrappandosi possessivamente alle sue vesti nere come se non lo volesse lasciar andare mai più. E sì, la sua façade scivolò via del tutto e si concesse di ricambiare il bacio con uguale fervore e con un'intensità emotiva che aveva a lungo soppresso.
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Era un pomeriggio piacevole e pieno di sole, ed Diagon Alley era praticamente strapiena di persone, alcune delle quali si fermarono per guardare la coppia che si stava baciando.
Entrambi erano un po' storditi quando si separarono. Per loro grande sorpresa si ritrovarono circondati da una piccola folla che applaudiva e fischiava.
Naturalmente, Severus era estremamente a disagio. Poiché lo conosceva così bene, Abigail sapeva che stava risparmiando quelle persone dal suo temperamento iroso, rivolgendo loro solo un cipiglio corrucciato.
“Maledizione,” mormorò lui sottovoce.
“Oh, chiudi il becco!” gli bisbigliò piano. “Limitati a sorridere e fai un piccolo inchino.” |
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Capitolo 15 *** Il principe felice ***
Il principe felice
traduzione a cura di besemperadreamer
A/N: Questa è la fine la fine del nostro viaggio, e CHE viaggio. Grazie, anti_social_ite per avermi fornito ispirazione e incoraggiamento! Hai fatto uno straordinario lavoro di revisione.
Abigail era seduta nella comoda poltrona di cuoio davanti allo scrittorio di Severus, leggendo un libro in attesa che lui finisse di correggere dei temi. Ogni tanto, la sua attenzione veniva attratta dalle occasionali imprecazioni dell’uomo, che la portavano a guardare al di sopra del bordo del suo volume. A volte i loro occhi si incontravano e lo sguardo di lui, soffermandosi sulla sua esile figura, si ammorbidiva appena.
La scena era oscenamente familiare, ma Abby non se ne curava più di tanto, perché nella sua vita non si era mai sentita così bene. Vero, vivere nei sotterranei di un antico castello pieni di spifferi, e abitato da rumorosi adolescenti, non era esattamente l'idea di una vita perfetta, ma per lei ci si avvicinava dannatamente.
Da quando si era trasferita da lui, avevano avuto occasionalmente dei contrasti. D'accordo, avevano discussioni più che di tanto in tanto. Insorgevano ad intervalli ragionevolmente normali, ma non erano mai serie. E ruotavano spesso intorno a stupidaggini quotidiane. Lei pensava in verità che i loro battibecchi servissero a scaricare lo stress accumulato, e anche la pace che facevano sempre subito dopo, fosse molto rilassante.
La sensazione dei suoi occhi penetranti addosso la fece riemergere dalla sua fantasticheria. Abbassò il libro per guardarlo interrogativa. “Non so se sentirmi lusingata oppure preoccupata che tu mi stia fissando da almeno cinque minuti buoni."
“Non ti stavo fissando."
“Uuuu, amore! A volte mi domando perché mi sono innamorata di te. Sei così dolce."
Il suo commento ottenne in risposta un sorrisetto diabolico. “Veramente, ero più interessato al tuo libro. Sembra che tu sia determinata a non lasciar cadere l'argomento."
“Che argomento?" chiese con fare innocente, provando a procrastinare l'inevitabile.
Lui posò la penna d'oca, appoggiandosi, comodamente, sullo schienale della sedia. Era segno che quella conversazione avrebbe preso un bel po’ di tempo. “Sai perfettamente di cosa sto parlando. Stai ancora cercando di trovare una spiegazione a quello che è successo."
“Francamente, non riesco a capire perché hai lasciato stare subito l'intera questione. In particolare qualcosa di così grosso come quello che abbiamo passato. In genere, tra noi due, sei tu che non trascura mai niente."
“Legami nei sogni, l'uso della magia subcosciente, beh, tutte queste teorie suonano terribilmente costruite, non trovi?" Gli chiese, facendo scorrere il dito indice sopra il suo labbro superiore, soprappensiero.
“Sì, lo so. Ma onestamente, riesci a fornire una migliore spiegazione per… beh, per tutto quanto?" mise da parte il libro, posandolo sul pavimento vicino alla sedia. Il sostegno della vecchia poltrona stridette appena quando si lei mosse.
“Bene, te lo concedo. Quindi, cosa sei riuscita esattamente a scoprire?" la guardò con grande aspettativa, riservandole il suo migliore arrogante sguardo da professore "sono-più-intelligente-di-te".
Lei esitò un attimo, perché per quanto plausibile potesse apparire la sua spiegazione, spiegata ad alta voce, suonava stupida persino alle sue stesse orecchie.
“D'accordo," sospirò Abigail. “La teoria è molto', ripeto molto "figli dei fiori", quindi anche se pensi che sia completa spazzatura, potresti per favore ascoltarla fino in fondo prima di smontarla pezzo per pezzo?" Lui sollevò un sopracciglio, ma le fece segno di continuare.
“Ok… bene, ottimo. I babbani pensano che quando due persone sono molto vicine..." Lui stava per commentare, ma lei sollevò l'indice in segno di ammonimento per zittirlo.
“Ricordi? Avevi promesso di fare il bravo. Dove eravamo...ah, già, quando sono molto vicini, come ad esempio madre e figlia o marito e moglie, e accade qualche cosa di terribile ad una persona, l'altra, non si sa come, lo sa. Questo libro dice che è perché condividono un legame mentale."
Avendo spiegato quella parte della teoria, smise di impedirgli di esprimere la sue critiche. Se non l'avesse fatto, aveva imparato, sarebbe diventato soltanto impaziente e più acido.
“Vedi, la tua piccola teoria ha già una falla. Noi non ci conoscevamo neppure ai tempi, perciò come sarebbe potuto esserci un legame?" disse, incapace di mantenere una nota di compiacimento nella voce.
“Ottima osservazione. Anche io ci ho pensato su un bel po’. Forse perché le nostre situazioni erano molto simili, quel giorno. Cioè, beh, non so tu, ma per me non poteva andare peggio. Non credevo di uscire viva da quella situazione." fece una pausa, sentendosi vulnerabile e piuttosto ridicola nel pronunciare ad alta voce il resto della frase, ma lo fece ugualmente. “In tutta l'onestà… mi aspettavo di morire quella notte."
“Capisco," disse lui.
“Come te, presumo." Non c’era esattamente un punto interrogativo alla fine della frase.
“Sì," rispose semplicemente.
“Beh, ecco qua la tua spiegazione."
“Molto forzata," osservò sprezzante.
“Forse, ma me ne sai dare una migliore?"
“No, non me ne viene in mente nessuna," Severus concesse, “Sentiamo, quindi, il resto di questa tua insensata teoria."
“E’ molto gentile da parte tua, grazie," nei suoi occhi si poteva scorgere una scintilla pericolosa, mentre continuava. “Comunque, non ti sembra poco probabile che due persone si trovassero quasi nella medesima situazione, nello stesso istante? Non avresti voluto che io avessi desiderato un'altra possibilità allora? Io so con certezza che l'avrei fatto."
Il suo silenzio parlò più di mille parole, e così lei si astenne dall'affondare maggiormente il coltello nella piaga.
“Allora mi dica, carissima signorina Carter, come sono riuscito a sopravvivere all'attacco di Nagini."
“Magia subcosciente."
“E come esattamente il tuo subconscio magico mi hai tenuto lontano dalla morte? Con la forza del desiderio, forse?" Per allora il suo tono si era caricato d'ironia pesante.
“Sì, è esattamente quello che penso. Dicono che i Babbani possono canalizzare una forza sconosciuta in situazioni di estremo bisogno. Una madre, per esempio, è riuscita a sollevare un'intera automobile per liberare i suoi bambini che vi erano rimasti bloccati sotto. Se queste cose accadono nel mondo Babbano, perché non potrebbero, nel mondo Magico?"
Lui buttò gli occhi al cielo. “Starai scherzando, spero. Onestamente, ti stai ascoltando? Sembri proprio ridicola. Dovresti smetterla di blaterale queste assurdità prima che cominci a dubitare seriamente della tua intelligenza. Non crederai anche a Babbo Natale e al Coniglietto Pasquale, spero?"
Lei gli rivolse uno sguardo furente, sopprimendo lo stimolo di dar voce a tutte quei pensieri cattivi che aveva sulla punta della lingua. Invece, scattò in piedi e cominciò a camminare davanti al suo scrittorio per calmarsi. Avanti e indietro, avanti e indietro.
“Come puoi accettare quello che è accaduto così facilmente? Come non senti l'esigenza di scoprire la verità?"
“Forse, perché non voglio sprecare il mio tempo a leggere i libri da due soldi, riempiti di teorie campate in aria."
“Oh, ti credi così intelligente, vero? Il magnifico e lungimirante professor Piton di Serpeverde!" Le sue urla echeggiarono attraverso la pesante porta di legno del suo ufficio e fecero affrettare considerevolmente un gruppetto di studenti del secondo anno che passava lì davanti.
“Stanno litigando ancora! Meglio spicciarci prima che…" la porta dietro di loro si spalancò con un boato e Abby vi fuoriuscì infuriata pochi secondi dopo, superando il gruppo di ragazzini con un paio di falcate adirate, senza nemmeno notarli. Un gemito furioso proveniente dall'ufficio del professor Piton precedette di poco la sua persona, che si affrettò nel corridoio dietro la donna arrabbiata che era uscita qualche secondo prima.
I suoi occhi dardeggiarono il corridoio alla ricerca di Abby. Incapace di dire se avesse preso a sinistra o a destra, chiese agli unici testimoni disponibili.
“Tu!" Gli allievi si congelarono sul posto, terrorizzati, quando la voce irata di Piton tuonò nel corridoio.
“Sì, signore," rispose quello più coraggioso, un piccolo Grifondoro con i capelli castano-chiaro.
“Dimmi dove è andata quella donna infernale!" ringhiò adirato.
Il ragazzo annuì appena e indicò la destra, verso cui il professore infuriò senza rivolgere loro nemmeno una singola parola di ringraziamento. Non che gli allievi fossero stati particolarmente dispiaciuti, anzi, erano stati piuttosto sollevati nel vederlo andare via.
Raggiunse Abby prima che lei arrivasse alle scale che conducevano nei Sotterranei. Si scambiarono un paio di occhiatacce furibonde e qualche insulto sottovoce, prima di rendersi conto che, ancora una volta, stavano dando spettacolo pubblico della loro lite.
“Giardino?" le sibilò.
“Ancora? Preferirei la serra."
“Bene. Andiamo, allora?"
Fecero la strada in assoluto silenzio, camminando fianco a fianco senza degnare l’altro di un solo sguardo. Quando giunsero a destinazione, entrambi si erano calmati considerevolmente, ma non al punto di poter avere una normale, e soprattutto sensata, conversazione.
La serra davanti a loro era completamente deserta. Fortunatamente Sprout aveva programmato quasi tutte le sue lezioni di mattina, e quindi nel tardo pomeriggio la serra era calma e molto pacifica. Ad Abigail piaceva trascorrere del tempo lì, a volte portandosi un libro e una tazza di tè e godere di quel silenzio beato. Tuttavia, davanti all'entrata della serra ora, impegnata a lanciarsi sguardi furiosi con Severus, dubitava altamente che il suo soggiorno sarebbe stato piacevole almeno la metà di quanto lo fosse solitamente.
Lui aprì la porta e le fece segno di entrare con un inchino fasullo. La sua dimostrazione di buone maniere era destinata naturalmente a farla irritare di più. Lei impedì con attenzione al suo viso di mostrare rabbia per non dargli soddisfazione, e lo superò.
“Allora, perché mi hai rincorso?" chiese, il secondo stesso in cui lui chiuse la porta e scagliò un incantesimo Muffliato. “Entrambi sappiamo che è inutile parlare adesso, a meno che tu non voglia scambiare quattro insulti. Non so te, ma per me va benissimo."
“Per Merlino, un giorno giuro che ti scaglierò una di quelle belle maledizioni, donna! E pensare che stavo seriamente provando a ragionare con te, spiegarti perché non ho… oh, fai come se non avessi detto niente. Hai ragione. E' inutile parlare adesso."
La loro conversazione era cominciata con un sibilante bisbiglio, ma ora sentendosi completamente inosservati, si stavano quasi gridando in faccia.
Il rumore di un battito d'ali, sopra le loro teste, dirottò la loro attenzione verso l'alto. Era un piccolo uccello che probabilmente era stato spaventato dalle loro grida. Lei assottigliò gli occhi per vedere meglio - una rondine. Come c'era finita una rondine nella serra? Dato il cipiglio di Severus, anche lui stava pensando la stessa cosa. Il piccolo uccello si stava dirigendo verso morte certa nella forma d'una finestra di vetro.
“Che idiota uccello suicida!" sentì ringhiare al nervoso uomo che le stava accanto, mentre in maniera riluttante estraeva la sua bacchetta. “St…" L'incantesimo gli morì sulle labbra, quando vide con la coda dell'occhio che lei tirava una pietra contro la finestra, la quale si ruppe in mille pezzi, permettendo alla rondine di guadagnarsi la libertà.
“Hai appena rotto una finestra di questa dannata serra!," la guardò sorpreso, dimentico del tutto della sua rabbia ed anche del suo linguaggio.
Lei ghignò compiaciuta. “Lo so. E' stati tipo…."
“Liberatorio?" offrì lui.
“Sì," rispose con trasporto. “Vuoi provare?"
Lui contemplò brevemente la sua offerta, poi declinò educatamente. “Sai che non puoi venire qui e rompere finestre, ogni volta che litighiamo, no?"
“Naturalmente, amore. Ma non hai visto che bene ha fatto, oltre al semplice danno?" chiese sorridendo.
Lui brontolò qualcosa di incomprensibile, ma il loro scambio di battute precedente era stato la prova che lui fosse solo di cattivo umore piuttosto che seriamente arrabbiato.
“Guarda, farò pure la brava e aggiusterò tutto." Estrasse la bacchetta e la diresse alla finestra in questione. “Reparo!" Le parti frantumate di vetro si rimisero ordinatamente insieme.
“Sei felice, adesso?"
“Poco. Sembra che tu abbai finalmente imparato a ripulire da sola i disastri che combini, comunque."
“E con questo, cosa vorresti dire?"
“Niente." La guardò.
“Bene." Prese due respiri profondi. La stava di nuovo provocando di proposito, per farle dimenticare di cosa stavano parlando. “Abbiamo ancora una discussione in corso. Allora…" Lo guardò con grande aspettativa.
Lui buttò gli occhi al cielo. Perché le donne erano così ossessionate dall'idea che sviscerare i problemi, rendesse il mondo un posto migliore? “D'accordo. Bene, volevi sapere perché non ho approfondito l'argomento…" cominciò Severus riluttante.
“Sì, e ancora me lo chiedo."
“Apparentemente," mormorò lui.
“Cosa vuoi dire?" Lo guardò con disapprovazione.
“Sei diventata improvvisamente sorda? Ho detto “Apparentemente." disse alzando la voce, guardandola con aria di sfida.
"Caspita,Severus, non è che per caso oggi sei un tantino suscettibile?”
“Sono il mio abituale, affascinante me stesso." scrollò le spalle. “Forse, però, è solo la mia reazione a te che sei particolarmente fastidiosa, oggi."
“Perché? Solo perché non voglio lasciar perdere? Ci deve essere qualcos'altro se stai facendo così..."gli rivolse uno sguardo eloquente.
“Non sto facendo in nessun modo." Ogni parola venne scandita con massima precisione e separata dalla seguente da una pausa significativa mentre i suoi occhi le dardeggiavano contro.
“Naturalmente, caro." Il sorriso che accompagnò le sue parole era disarmante. Significava che, o avrebbero portato avanti la discussione adesso, o l'avrebbero lasciata inasprire per alcuni giorni in cui lei non gli avrebbe parlato né si sarebbe lasciata toccare; tra le due alternative scelse il male minore.
“D'accordo, allora facciamola breve, d’accordo?" sospirò. “Vedi, beh, forse, e lasciami enfatizzare "forse", non avrei dovuto scartare così velocemente le tue teorie." Questa frase fece dissolvere gli ultimi residui di rabbia di Abigail.
“Già, forse."
“Spiegami solo, perché sembri così determinata a non demordere?" la guardò con fare inquisitorio.
“Beh, perché se le cose non fossero andate in quel modo, non ti avrei mai trovato. Sai che non sono una grande credente del Divino o qualunque altra cosa comandi questo pazzo universo, ma ho bisogno di una spiegazione, di qualcosa di tangibile che razionalmente possa capire… così sì, queste teorie sono spazzatura, ma almeno per me sono un punto fermo."
“Abby…" Sembrò volesse dire di più, ma non andò oltre al suo nome. Il modo in cui l'aveva pronunciato, però, con un tono caldo, affettuoso, appena restio la fece guardare verso di lui con un sorriso. Impulsivamente si avvicinò e gli prese la mano. Lui sembrò sussultare, ma un'espressione sollevata comparve brevemente sul suo volto. Non stavano più litigando
“Allora, com'è che sei così calmo sull'intera faccenda? Non dovresti essere tu, quello tra noi due, che mette sempre tutto in discussione?" gli chiese dopo un istante.
“Non lo so."
“Oh, avanti. Non fare lo gnorri."
“Non lo sto facendo."
“Invece si."
“D'accordo," All'improvviso sembrò molto a disagio. “Se proprio devi saperlo...a volte credo che potrebbe essere stato… beh… non è poi così importante, veramente."
“Oh, dai! Vuoi sbrigarti a sputare il rospo?"
“D'accordo, a volte penso che sia stato destino," disse infine. Un debole rossore gli stava colorando le guance. Se fosse per l'eco della loro lite, o perché era veramente imbarazzato dalle sue stesse parole, Abigail non lo sapeva.
“Ma chi è questo qui? Un sosia o un tizio che ha bevuto la polisucco per sembrare Severus? Oppure peggio…non è che la famosa teoria di Silente “sull'amore vince tutto' gli è salita in testa?." pensò lei dopo la sua ammissione. Ma era ovvio che qualsiasi forma di sarcasmo era bandita al momento perché lo avrebbe fatto chiudere in se stesso. Ma cosa si aspettava dicesse? Le sue parole erano state così inattese e così poco da lui, che non sapeva che dirgli.
“Ce l'ho fatta di nuovo, sembra. A zittirti quasi del tutto. Penso che dovrei essere fiero di me stesso. Non è un obiettivo facilmente raggiungibile." le rivolse un sorrisetto. Era il solito - con un angolo della bocca leggermente arricciato. Ma sembrava del tutto fuori luogo in quella situazione. Da questo poteva dedurre quanto fosse nervoso.
“Severus, la pensi davvero così?" Non si sarebbe lasciata fuorviare dal suo commento.
“Non stai, per puro caso, chiedendoti se sono diventato matto, vero?" Lo sguardo che accompagnò la sua domanda poteva essere ben descritto come insicuro.
“No," rispose rapidamente. “E' che non sono abituata a te non…"
“Non cinico, per una volta?" offrì.
“Sì, esattamente.!
“Sarebbe veramente così brutto se per una volta stessi provando a credere che c'è realmente una ragione dietro ciò che accade in questo mondo? Che l'universo non sia controllato da una qualche forza ostile e caotica che gioca con gli esseri umani a suo piacimento?"
“No, per niente." scosse lei la testa, sorpresa. “Ma non sono sicura di aver capito. Che cosa stai cercando di dirmi?"
“Non so. Forse, che ho iniziato a sperare di nuovo?"
Gli rivolse un sorriso, uno di quelli sentiti nel profondo, genuini, prima di attirarlo in un abbraccio stretto. “Bene," gli bisbigliò all'orecchio.
Le braccia di lui ricambiarono senza esitazione, attirandola maggiormente a sé.
Abigail poteva sentire il suo caldo respiro sul suo collo, e avvertì la tensione dipanarsi. Gli sorrise dolcemente, e strofinò la guancia contro la sua con un soddisfatto mugolio. Il gesto aveva un ché di ferino che lo invogliò a baciarla. Forse perché gli aveva ricordato quanto vicina fosse la sua bocca, o forse era stato quell’attraente gemito, simile alle fusa, che lei aveva emesso.
Non volendo e non essendo più in grado di resistere alla tentazione, la baciò.
Il bacio fu lento e profondo e sembrò più intenso di tutti quelli che si erano scambiati prima, grazie alle forti emozioni che l'avevano preceduto. Alfine si separarono, principalmente perché la mancanza di ossigeno stava diventando un serio problema.
“Penso che dovremmo spostarci di sotto," disse lei, ansimando un po'. “Non vorrei turbare nel profondo eventuali ragazzini, né tantomeno qualcuno che potrebbe per sbaglio entrare qui. Dopotutto, non possiamo farci beccare mentre pomiciamo come degli adolescenti da mamma e papà.”
“Francamente, non me ne frega un accidente di poter terrorizzare quelle teste di legno..."
"Me l'aspettavo." ghignò verso di lui al di sopra della sua spalla mentre cominciava lentamente a camminare verso l'uscita della serra. Lui la seguiva,alcuni passi indietro.
FINE
Stay forever who you are
don't change a thing
because you're perfect
You sway gently in the breeze
In between my dreams
It kind of makes me nervous
You're storm, yeah, the lightning striking down
To only strike me once, would still be worth it
In my dreams you were perfect
when I woke you were perfect
Love, as scaring as it is
Tell me is it real,
If it ain't perfect?
I pray with the sounding of you faith
My colours bleed to one
Nothing grows when your love is gone
In my dreams you were perfect
when I woke you were perfect
Hmm, even when you run you're still worth it
Here and now, the moments perfect
You're perfect
So perfect
When you run
Baby, baby, baby, baby, baby, baby, baby
Oh run, yeah
Even when you're gone, even when you're here, even when you're not
You're still, you're still, you're still
Perfect
Vanessa Amorosi - Perfect
Note della traduttrice besemperadreamer: ciao a tutti^^ Ebbene siamo arrivati anche alla fine di questa traduzione. Che ne dite voi tutti che l'avete seguita di lasciare un commento ora che il viaggio è giunto al termine?
Ringraziamenti particolari a Elly_93(Ciao bella!!!!! sono contenta che hai seguito fino alla fine anche questo mio progetto^^ E ovviamente era questo l'ultimo capitolo, anche se l'autrice ha pubblicato due drabble- contestualizzate nella storia- e una oneshot - ambientata dopo la fine. Se molti apprezzeranno la storia, forse le tradurrò...) e a ElseW che ha sempre trovato il tempo di lasciare due parole e che è stata con noi sino alla fine^^
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