Desperado [Multitraslators]

di Teanni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo che non sapeva piangere ***
Capitolo 2: *** Prendimi così come sono ***
Capitolo 3: *** Mi diverte farti spaventare ***
Capitolo 4: *** Mi sono abituato al suo viso ***
Capitolo 5: *** Uno sporco segretuccio ***
Capitolo 6: *** Incoerenza ***
Capitolo 7: *** Scivolando via da me ***
Capitolo 8: *** Entrambe le parti, ora ***
Capitolo 9: *** Tesoro, non ti avrò mai tutta ***
Capitolo 10: *** Castelli di gelato per aria ***
Capitolo 11: *** Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta ***
Capitolo 12: *** La fine è nel nostro inizio ***
Capitolo 13: *** Non c'è niente di male nel sperare ancora ***
Capitolo 14: *** Andare Avanti ***
Capitolo 15: *** Il principe felice ***



Capitolo 1
*** L'uomo che non sapeva piangere ***


Questa fanction è una traduzione. Potete trovare l'originale cliccando sul link presente nelle Note del''Autore.  

DESPERADO 

L'uomo che non sapeva piangere 

Traduzione a cura di besemperadreamer e erika91

Disclaimer: questa storia è stata scritta per i fan. I personaggi non mi appartengono, con l’eccezione di quelli inventati da me (ovviamente non Piton, Silente, eccetera) e della mediocre trama che ho messo insieme.

NdA: La canzone, come il titolo di questa storia, deriva dalla favolosa e malinconia canzone “Desperado” di Johnny Cash. E, ovviamente, non posso reclamare come mio il genio di Oscar Wilde. La storia che Abby legge è “Il  Principe Felice”.

Molte grazie alla mia brillante beta!

“Don’t your feet get cold in the winter time?

The sky won’t snow and the sun won’t shine

It’s hard to tell the night time from the day

You’re losing all your highs and lows

Ain’t it funny how the feeling goes away?

Desperado, why don’t you come to your senses?

Come down from your fences, open the gate

It may be raining, but there’s a rainbow above you

You better let somebody love you, before it’s too late”

Ma i tuoi piedi non diventano freddi nell'inverno?

Dal cielo non nevica e il sole non brilla

È difficile distinguere la notte dal giorno

Stai perdendo tutti i tuoi alti e bassi

Non è strano come la sensazione se ne va?

 

Desperado, perché non usi la ragione?

Scendi dalle tue posizioni, apri il cancello

Potrebbe piovere, ma c'è un arcobaleno sopra di te

Faresti meglio a lasciare che qualcuno ti ami

Prima che sia troppo tardi

 

Inspirò. Immediatamente l’odore dei disinfettanti invase le sue narici. Sospesa tra sonno e veglia, la sua mente arguta si mise in moto, cercando di raccogliere freneticamente più informazioni possibili sulla situazione in cui si trovava. Prese un altro respiro, lentamente, quasi con cautela. Sentiva… dolore e sollievo. Significava che era vivo.

Un attimo. Vivo? In realtà era sorpreso di scoprire che, apparentemente, era sopravvissuto all’ira del Signore Oscuro. Un magistrale colpo di fortuna, di sicuro. Eppure era ancora li, con un cuore che martellava ancora ad un ritmo leggero ma regolare, con dei polmoni che si riempivano e svuotavano in sincronia, con tutte le ossa del corpo che gli facevano un male cane. Dolore – si acuiva ad ogni respiro. Quando la sua cassa toracica si espandeva era come se venisse pugnalato da uno stiletto tagliente, e quando provava a deglutire la sua gola sembrava andare a fuoco.

Il dolore non gli era nuovo. Come un vecchio amico, lo aveva accompagnato nel corso degli anni...Si poteva amaramente definire quasi un esperto. Era consapevole che si potesse presentare in varie forme e che qualche volta le ferite corporali guarissero più velocemente di quelle dell’anima. Mentre altri lo rifuggivano, lui era abituato a sopportarlo, ed in fondo era l’unico punto fermo di quell’ignota situazione.

Il suo cervello registrò altre informazioni. All’apparenza aveva un ago collegato ad una flebo infilato nell’avambraccio. Era una sensazione spiacevole, ma non più di una puntura di una grossa zanzara. Non si curò di aprire gli occhi. A quel punto, era già abbastanza dover accettare di essere vivo, e di sentirsi men che entusiasta a riguardo.

Qual era il suo ultimo ricordo? Strinse di più gli occhi, ritraendosi in se stesso, ricercando quelle memorie nella sua coscienza. L’ultima cosa che ricordava era che stava morendo dissanguato mentre il ragazzo, Potter, lo fissava con gli occhi sbarrati. Analizzando quel momento in retrospettiva, trovò leggermente ironico aver visto proprio lui per ultimo, nella sua esistenza terrena. Il mondo intero sembrava girare intorno al famigerato Signor Potter, dopotutto. In tutta sincerità, doveva ammettere che non tutte le colpe erano da ricondurre al Ragazzo-Sopravvissuto-Ancora. Gli eventi in cui quell'insolente ragazzino si era spesso ritrovato coinvolto, e alcune volte anche costretto, risalivano a un tempo lontano dalla sua nascita - un tempo, dove i suoi genitori erano ancora studenti ad Hogwarts. Giorni di scuola, giorni di scuola. Vecchi, cari, routinari, giorni dorati… Da quei tempi aveva compiuto tante scelte, e per suo grande rammarico, molte di esse si erano rivelate terribilmente sbagliate.

Un amaro sorrisetto si formò agli angoli della sua bocca. Alla fine la sua morte sarebbe stata inutile, ma quale morte alla fine aveva senso? Solo i giovani morivano in maniera eroica. I bastardi di mezza età come lui… Beh, loro morivano di una normale, noiosa morte senza senso, perché raggiunta una certa età l’idealismo diventava qualcosa di inafferrabile.

Sentì un fruscio di tessuto. Essendo piuttosto sicuro di non essersi mosso, concluse di non essere solo nella stanza. Forse, dopotutto, era tempo di aprire gli occhi. La prima cosa che entrò nel suo campo visivo fu il suo braccio, che sembrava più pallido e magro di quanto ricordasse. Scoprì stranamente che non gli importava più di tanto. Il Marchio Nero era oscurato da un brutto livido violaceo. C’era stato un tempo in cui niente era stato capace di ricoprirlo, ma ora era solo un ricordo lontano. Chiuse di nuovo i suoi occhi, sentendosi esausto.

“Penso che sia sveglio,” sentì dire a una voce femminile. Normalmente forse non sarebbe stata spiacevole, ma in quel momento tutte le voci echeggiavano dolorosamente nella sua testa come il raschìo di unghie sulla lavagna.

Un’ombra ricadde su di lui. Un aroma poco familiare invase le sue narici: un profumo costoso, molto dolce, quasi nauseante. “Chiamo un’infermiera,” disse la voce dopo un momento di esitazione. Poteva sentire gli occhi della donna sul suo viso, e aggrottò le sopracciglia infastidito. La sua presenza era a malapena tollerabile.

Inaspettatamente il dolore si intensificò, riversandosi su di lui come un’onda. Prima era stato sopportabile, ma ora che ogni sensazione era decuplicata, la sua testa minacciava di esplodere. Voleva urlare, ma non ci riusciva. Dalla sua gola sarebbe dovuto uscire qualche suono, ma sentiva solo dei disperati ansimi strozzati. Sentiva le guance bagnate. Piangeva, probabilmente per la prima volta da anni, ma a quel punto non se ne preoccupava più. Il suo corpo era dolore, la sua mente una caliginosa nube rossa.

“Tienilo fermo,” ordinò un’altra voce, suonando improvvisamente vicina. Diversi volti lo sovrastavano, ma non riusciva a vederne chiaramente neanche uno. Emergevano brevemente da quella confusione indistinta che era la sua visione, poi vi sparivano di nuovo dentro. Scosse la testa ancora e ancora, sapendo istintivamente cosa sarebbe successo. No! No! No! No! Qualcuno toccò il suo braccio. Una presa decisa ma gentile intorno al suo polso, una breve inutile lotta, seguita dalla leggera sensazione dell’ago che penetrava la sua pelle. Poi tutto rallentò piacevolmente. I suoni si affievolirono fino ad esaurirsi, e i movimenti veloci diventarono lenti, mentre precipitava gradualmente in un sonno privo di sogni.

“E’ un oltraggio!” sibilò lei al giovane guaritore, mentre sullo sfondo due infermiere si affrettavano intorno al letto dell’uomo. Una controllava criticamente la flebo attraverso la quale la pozione Guaritrice entrava in cirlcolo, mentre l’altra prendeva le pulsazioni dell’uomo. Il giovane guaritore rimase senza fiato. Era sulla trentina e arrivava probabilmente dritto dritto dalla Scuola Medica Merlino o da qualche altra università. Inesperto com’era, l’improvviso sfogo della donna lo prese momentaneamente alla sprovvista.

“Mi dispiace, Signorina Priestley,” iniziò.

“Non Priestley. Carter,” lo interruppe la donna con voce stridula per il suo stato di agitazione.

“Signorina Carter, se gentilmente mi dice qual è il suo problema, farò del mio meglio per aiutarla,” suggerì il giovane uomo, cercando di essere particolarmente educato per non farla arrabbiare ulteriormente.

“Sono sorpresa che me lo chieda. Il coma di mia zia è il risultato dell’attacco di alcuni Mangiamorte. Trovo piuttosto insensibile che abbiate scelto di metterla nella stessa stanza con uno di loro.” I suoi occhi verdi lo fissarono con disapprovazione. Le sue mani tremavano leggermente. Appena se ne rese conto, le strinse in due pugni.

“Per favore, Signorina Carter. Si calmi.” Il guaritore si guardò intorno, cercando impotente qualcuno o qualcosa che lo potesse salvare dalla situazione. I suoi occhi si fermarono sulla tavoletta d’argento che pendeva alla fine del letto della zia della signorina Carter. La afferrò, tenendola tra sé e la donna come uno scudo.

“Signorina Carter, posso chiamarla Abigail?” chiese, sbirciando il suo nome mentre gli occhi leggevano nervosamente l’anamnesi del paziente.

“No, non penso che sia necessario,” rispose lei tranquillamente, incrociando le braccia.

Il guaritore rimase momentaneamente basito dalla risposta. “Signorina Carter, quest’uomo non è un Mangiamorte qualunque. Si è preoccupata di leggere i giornali?” Iniziava a sentirsi irritata. “Lui è Severus Piton.” Il dottore indicò il paziente in questione.

Abigail si voltò per dare un'occhiata veloce dell’uomo sul letto d’ospedale dietro di lei, poi concentrò di nuovo la sua attenzione sul giovane dottore. “Quindi?”

“Ha lavorato per Silente e l’Ordine della Fenice,” spiegò con esasperazione.

“Oh, senza dubbio! Avrebbe potuto dirmelo prima. Questo risolve tutto,” rimarcò sarcasticamente.

Il giovane uomo sospirò. “Beh, se le è di consolazione, garantisco io per lui. È perfettamente sicuro. Inoltre vede come è stato ridotto. Che minaccia può rappresentare in queste condizioni?”

“Lei cosa ne pensa? Esattamente quella che rappresenta un generico Mangiamorte svenuto. Praticamente innocuo come un gattino,” la sua voce grondava sarcasmo.

“Va bene, vedo che con lei non si può ragionare,” il guaritore alzò le mani in resa.

“Si potrebbe, se trasferisse mia zia in un’altra stanza.”

“Vedrò cosa si può fare,” evitò strategicamente di menzionare che al momento il San Mungo era pieno e che le possibilità di trovare a sua zia un’altra stanza erano pari a quelle di trovare una palla di neve all’inferno. La guerra era appena finita. C’erano molti feriti e ancora di più sull’orlo della morte. Aveva cose più importanti a cui pensare che non risentimento e dolore.

***

Lei si curvò sopra di lui, fissandolo dall’alto in basso. Gli occhi con cui lo stava scrutando non erano gentili. Coglievano ogni difetto, ogni piccola imperfezione.

Molte persone sembravano serene nel sonno. La loro maschera scivolava via, rivelando la loro vera natura. Era come una rapida occhiata nel passato, la visione di una versione più giovane e innocente del dormiente. Ma questo uomo? La sua faccia era un maschera anche nel sonno.

Il suo naso adunco era il tratto dominante di un viso che trasudava un’aria di arroganza e severità. Le due profonde rughe intorno alla bocca non sembravano quelle tipiche di una persona che amava ridere di cuore. Poteva immaginare la sua bocca ghignare con fare derisorio verso di lei. Il complementare cipiglio, che supponeva seguisse il ghigno, doveva essere il colpevole del profondo solco tra le sue sopracciglia.

I suoi occhi vagarono sulla gola che era stata finemente avvolta in bende. Dovevano essere cambiate. Sottili venature rosse si stavano formando sul bordo della stoffa bianca, espandendosi e scurendosi lentamente. Per qualche ragione che non riuscì a spiegarsi, tese la mano come per toccargli la guancia. La sua pelle sarebbe stata calda o fredda? Le sue dita indugiarono indecise sul suo viso per un istante.

Lei sobbalzò violentemente quando la mano di lui si mosse fulminea e si chiuse attorno al suo polso. La sua presa era salda, ma non brutale. Non si aspettava di svegliarlo. Era stato fuori gioco fino all’incidente di pochi giorni prima.

I loro occhi si incontrarono. Un sopracciglio si alzò quasi beffardo mentre la guardava senza battere ciglio. Guardare dentro i suoi occhi neri era stranamente turbante, ma lei sostenne lo sguardo senza cedere, anche se si sentiva come una mangusta di fronte a un serpente velenoso.

“Lei è uno di loro,” disse lei infine, meravigliata dalla tranquillità della sua stessa voce. Con un energetico strattone riuscì a liberare la mano.

La mano di lui tornò sul lenzuolo in modo slealmente lento. Incapace di parlare, lui continuò a fissarla, dando l’impressione di essere del tutto indifferente a quanto lei aveva appena detto. Poi, alla fine - un lento annuire, un segnale per lei che aveva capito.

“Loro,” la voce di lei era quasi un sibilo quando pronunciò quella parola “l’hanno quasi uccisa.” Gli occhi di Abigail vagarono automaticamente sopra la forma dormiente di sua zia. Lui ruotò cautamente la testa per seguire la sua occhiata, attento a non far riaprire  le sue ferite. Ci fu un lampo di comprensione nei suoi occhi quando si fermarono sul volto della donna più vecchia.

Lei lo guardava con la coda dell’occhio, senza mai perderlo di vista. “La conosce? Non si preoccupi. Tutti la conoscono.” La sua bocca era piegata in un sorriso amaro. 

“Ma questo probabilmente è perché…” si azzittì un attimo, lottando per tenere sotto controllo le sue emozioni. Il dolore andò solo a incrementare la rabbia, cosa che era controproducente, perché stava cercando disperatamente di comportarsi civilmente.

“Può immaginare quanto io non sia particolarmente entusiasta di trovarla qui, anche se il dottore mi ha detto che lei è l’eccezione che conferma la regola, un paradosso vivente, per così dire. L’unico Mangiamorte del mondo intero di cui ci si possa fidare. Deve scusarmi se non condivido l’entusiasmo,” il tono derisorio della sua voce era difficile da non notare.

Lei si azzittì di nuovo, guardandolo gravemente, come per cercare di capire se fosse una minaccia o no. Dopo un po’ sembrò aver raggiunto una qualche sorta di conclusione, perché allontanò gli occhi per fissare invece il lucido pavimento di linoleum. “Ho letto qualcosa su di lei. La sua biografia non ispira proprio fiducia, ma il ragazzo, Potter, pensa di sicuro che lei sia una specie di eroe.”

La bocca di lui si contrasse in un sorriso amaro, che lei non mancò di notare. “E’ quello che penso anch’io.” commentò il suo gesto. “Diciamo le cose come stanno. Io non aspiro a conoscerla, ma anche se lo facessi, non penso che diventeremmo migliori amici.”

L’espressione sul viso di lei cambiò. La calma apparente venne rimpiazzata da un’espressione arrabbiata. Si sporse più vicino in modo da trovarsi quasi naso a naso. Lui la guardò tranquillamente per un momento. Fino a quel momento era stata solo una donna fastidiosa, nipote della signora con la quale aveva la  sfortunata di dividere la camera. Non gli importava di lei, perché era stata solo un’altra faccia senza nome, ma sfortunatamente lei voleva farne una questione personale. Lo costringeva a guardarla, a percepirla ad un livello che andava oltre la semplice constatazione della sua esistenza. Gli occhi di lui vagarono sul suo viso, cercando di catalogarne i tratti. Viso ovale, fronte alta, mento piccolo, naso corto, sopracciglia arcuate, occhi verdi…

Con grande sorpresa della donna, la sua vicinanza improvvisa sembrava metterlo molto a disagio. Le sue narici si dilatarono leggermente mentre di nuovo respirava l’aroma del suo profumo. Il calore irradiava da lei e si insinuava sotto la sua pelle. Era una sensazione poco familiare che lo innervosiva parecchio. Incapace di sostener il suo sguardo ancora a lungo, i suoi occhi vagarono altrove, guardando qualunque cosa tranne lei. Il suo ovvio disagio le diede quel tipo di sicurezza di cui aveva bisogno per dire a voce alta ciò che aveva sulla punta della lingua.

Quando parlò ancora, il suo fiato caldo pizzico la sua pelle. La sua voce era bassa; quasi un sussurro, ma poteva sentirla abbastanza bene. “Per il momento diciamo che la terrò d'occhio. Se qualcosa va storto… se lei e i suoi amici Mangiamorte torcono anche solo un capello a mia zia…” Il resto della frase rimase sospesa nell’aria.

“Forse sono solo una donna, ma non le conviene sottovalutarmi.” Gli scoccò un’ultima occhiata persistente, prima di muoversi bruscamente per alzarsi.

Il suo improvviso allontanamento lo lasciò a domandarsi se si fosse immaginato tutto. Ma l'angolo del suo letto su cui lei si era seduta era ancora caldo e la sua minaccia gli risuonava ancora nelle orecchie. Per sua somma sorpresa dovette riconoscere che l'aveva presa seriamente.

***

La voce di lei lo strappò via da un sonno privo di sogni. A differenza dell’ultima volta che l’aveva sentita, non era carica di aggressività. Era dolce e gentile, cosa che gli fece capire che con tutta probabilità non stava parlando con lui.

Una conversazione con lui, comunque, sarebbe stata unidirezionale in quei giorni. Il guaritore l’aveva informato che l’attacco di Nagini gli aveva lesionato le corde vocali, rendendogli impossibile parlare fino a quando le ferite non si fossero rimarginate. In quel momento gli stavano somministrando la pozione Vox Reparo, che, speravano, sarebbe servita allo scopo. Aveva letto qualcosa a riguardo ma la pozione era ancora in fase sperimentale, e questo non aumentava le sue speranze.

“Seriamente, non riesco a capire perché questa storia ti piaccia tanto. Giuro,  ogni volta che la leggo, mi viene da piangere,” disse Abigail, rivolgendosi ovviamente a sua zia.

Lui voltò il capo scomodamente per guardarla. Lei sedeva su una sedia accanto al letto della zia, con in mano un consunto libro rilegato in pelle. Le sue mani scivolavano sulla rilegatura come se far scorrere le dita sulla sua superficie liscia le procurasse qualche genere di conforto. Ogni tanto si aggiustava gli occhiali. Avevano la montatura scura, rettangolare e la facevano sembrare un topo da biblioteca.

 “Dicono che i pazienti che sono caduti in coma siano capaci di percepire cosa succede attorno a loro così, forse, tu sei in grado di sentire la mia voce. So che è infantile...lo so, ma devo almeno provare, non credi?” fece una pausa come se stesse aspettando veramente che la donna incosciente rispondesse. Sciocca ragazza! L'unica suono nella stanza era l'occasionale sgocciolio della sua flebo. Era quel tipo di silenzio che, alla lunga, poteva diventare esasperante. Avendolo sopportato per ore, ne sapeva qualcosa. Sperò quindi che lei continuasse a parlare. Con suo grande sollievo finalmente lo fece.

“Sapevo che l’avresti pensata come me. Beh, farò meglio a cominciare a leggere allora,” si schiarì la gola. Si udì per poco tempo il fruscio di pagine che venivano voltate, poi la sua voce sorprendentemente regolare riempì la stanza.

In alto, al di sopra della città, su un'alta colonna, c'era la statua del Principe Felice. Era placcato interamente con sottili foglie d'oro zecchino, per occhi portava due brillanti zaffiri, e un largo rubino rosso luccicava sull'impugnatura della sua spada.

Severus era troppo annoiato per fingere disinteresse. Quella sterile e piccola stanza d'ospedale non gli forniva chissà quali distrazioni, così ascoltò con attenzione la sua lettura, assorbendo ogni singola parola. Era la prima forma di intrattenimento degli ultimi due giorni e ne benediva ogni secondo.

Si sentì stranamente toccato da quella storia malinconica. Era una storia di abnegazione e amore incondizionato. Non ne sapeva molto sulla vita, ma di quei due concetti . Il suggerimento che alla fine dell'esistenza terrena ci sarebbe stata una ricompensa per le azioni compiute, comunque, lo fece accigliare. Gli sembrava strano che sarebbe stato perdonato per tutto quello che aveva fatto, sebbene fosse stato per il bene superiore. Il fine giustifica i mezzi e quello che...Balle!

Il rumore della sedia che strisciava sul pavimento mentre lei si alzava lo fece  riemergere da quel sogno ad occhi aperti. Lei baciò sua zia sulla fronte come al solito e si voltò per andar via. Il regolare clip-clap dei suo tacchi alti annunciò il suo allontanamento. Lei esitò quando passò davanti al suo letto.

“Non leggo per lei,” disse infine bruscamente. La sua voce tremò appena quando parlò. Stava tirando leggermente su col naso. Se avesse pianto o no era, a quel punto, relativamente irrilevante. Per qualche ragione si sentì profondamente offeso dal suo commento. Gli unici strumenti di vendetta in quei giorni erano non verbali. Decise quindi perforarle la schiena con lo sguardo mentre si allontanava.   

Dopo che se ne fu andata, il silenzio insopportabile avvolse nuovamente la stanza. Volse la sua testa per guardare la persona che giaceva nel letto accanto al suo. Per lui era soltanto un’anziana signora dai capelli argentei. Per il resto del mondo Magico, era Miriam Priestley - una celebrità. Il Cavillo, la Gazzetta del Profeta, praticamente ogni giornale, aveva già scritto di lei nel corso degli anni. La sua faccia ben conosciuta, che generalmente sorrideva allegramente dalle copertine dei libri, era adesso pallida e decisamente poco affascinante. Era praticamente impossibile non sapere chi lei fosse. Miriam Priestley, mahatma nella ricerca e nello sviluppo di incantesimi, orgogliosa autrice di vari libri di Difesa contro le Arti Oscure. Al momento non sembrava granché ad una leggenda; infatti in ogni suo tratto se ne poteva scorgere l'età, ed ogni ruga, ogni chiazza sulla pelle era pronunciata, a causa del suo cattivo stato di salute. 

Severus provava il disperato bisogno di trovare qualcosa con cui tenere occupata la sua mente. Non che qualcuno avesse in programma di venirlo a trovare, comunque; a nessuno importava abbastanza di lui per venire a vedere come stava. Tutto quello che doveva fare era aspettare con ansia la fine di un altro lungo pomeriggio. Così quando scorse il libro rilegato in pelle sul comodino del letto della signora Priestley, lo vide come la sua ancora di salvezza. Doveva solo alzarsi e prenderlo, ma chissà se era veramente pronto a sostenere un tale sforzo. Un semplice “Accio libro!” sarebbe bastato. Beh, peccato! Non aveva la sua bacchetta e praticare magia senza era fuori questione nel suo debole stato. Era inutile piangere sul latte versato. 

Fece scendere le gambe dal bordo del letto. La tunica d'ospedale arrivava a  coprire a malapena le sue ginocchia che apparivano ossute e pallide, non come l'ultima volta che le aveva viste. Non aveva piena fiducia nella funzionalità delle sue gambe, ma l'alternativa di soffrire ancora la noia, trascorrendo il tempo a fissare il soffitto, non era proprio un’alternativa. Avrebbe preferito piuttosto stare steso sul pavimento come uno scarafaggio sul dorso che sopportare ancora un altro minuto così. 

Per sua sorpresa riuscì a raggiungere, vacillando, il comodino e recuperare la sua preda senza incorrere in nessun incidente preoccupante. Ci volle solo circa mezz'ora. Certo, ci fu qualche occasionale scivolata, un po’ di nausea, ed inciampò qualche volta, ma nulla che non potesse sopportare. Alla fine sprofondò nel suo letto esausto, ma col libro tra le mani. Trascorse il resto del pomeriggio sfogliandolo, divorando ogni parola scritta sulle pagine ingiallite. 

Col senno di poi, probabilmente non si sarebbe mai lamentato della mancanza di compagnia, perché l'ebbe molto prima di quanto volesse. Il giorno seguente, Harry Potter venne a fargli visita. Fortunatamente gli acuti squittii di eccitazione emessi delle infermiere alla sua vista lo avvertirono in anticipo, così poté velocemente fingere di essere addormentato in tempo. Poteva sentire una sedia venire accostata al suo letto, seguito da un lungo, tirato, sospiro. Fortunatamente Potter ebbe abbastanza buon senso da non provare a svegliarlo. La sua perseveranza era piuttosto sorprendente. Dopo un'ora era ancora lì. 

“E' sempre così?” bisbigliò alla fine Potter ad un’infermiera passante che era venuta a prendersi cura della signora Priestley. 

“Si, dorme molto. Almeno, è sempre addormentato quando entro in questa camera,” disse con tono amichevole. 

Piton sogghignò malignamente tra sé e sé. Questo era perché l’infermiera era fastidiosa quasi quanto Potter. Lo importunava sempre, offrendosi di sprimacciargli il cuscino, chiedendo se avesse apprezzato il pranzo o meno, il che era estremamente stupido, dato che evidentemente non poteva rispondere. 

“Forse dovrei andare via,” disse Potter con rammarico. 

“Così presto? É appena arrivato.” 

“Ritornerò.” Alle orecchie di Piton quella frase suonò come una minaccia. Il rumore della sedia che strisciava sul pavimento annunciò l'allontanamento a lungo desiderato del Sig. Potter. Sentì dei passi sul pavimento di detestabili suole di gomma. Che altro? 

La porta si aprì. “Oh, mi scusi,” esclamò una ben conosciuta voce femminile.

Era di nuovo quella donna, era già arrivato il momento della  giornaliera visita a sua zia. “Non mi aspettavo di trovarla qui. Lei è Harry Potter, vero? Abigail Carter. Piacere di conoscerla.” 

Adesso aveva un nome da associare a quel viso. Forse poteva smettere di chiamarla “quella donna”- o forse no, se continuava ad essere estremamente detestabile. 

“Piacere di conoscerla, Signorina Carter. Non è che, per puro caso, lei è imparentata con...” 

“Miriam Priestley, sì,” giudicando dal tono della sua voce stava sorridendo.
 

“Oh, per un momento ho pensato che avrebbe detto Piton,” il tono di Potter era sospettosamente neutrale. 

“No,” disse lei freddamente. La sua risposta monosillabica parlava da sé. 

Non le piace, eh?” osservò Potter. 

“E' così ovvio?” chiese lei leggermente imbarazzata. 

Beh, sì.” 

“Mi deve scusare allora.” 

“Nessun problema.” 

Ok, allora…” Potter fece brevemente una pausa, “Piacere di averla conosciuta, Signorina Carter.” 

“Abigail,” offrì lei. 

“Abigail. Ma solo se mi chiami Harry.” 

“Va bene.” 

“D'accordo.” 

“Arrivederci allora.” 

“Ciao. Ci si vede in giro, allora.” 

“Sì, suppongo di sì,” sentì un sorriso inconfondibile nella voce di Potter. Fece  pochi passi, si fermò di nuovo. “Mi dispiace se sembro un po' sfrontato, ma devo proprio chiedere...come può odiare qualcuno che non è nemmeno capace di parlare?”

“E' un Mangiamorte,” disse come se quello da sé si spiegasse da solo. 

“Capisco, ma considerando tutto quello che ha fatto non credi di avere, non so, un po’ di pregiudizi?” 

“Forse, ma chiunque al posto mio sarebbe leggermente sensibile quando si tratta di Mangiamorte,” il tono di voce rappresentava un avvertimento a non toccare quell'argomento. 

“Come mai?” Potter era ancora incapace di cogliere le ovvie sottigliezze. 

“Sono stata una fuggitiva per gli ultimi due anni. Sono una Mezzosangue, sai. Possiedo un negozio di libri a Diagon Alley. É stato chiuso in mia assenza. “Mondi in Collisione”? Non credo che tu ne abbia mai sentito parlare. Vendiamo letteratura Babbana così come libri di incantesimi, biografie e qualsiasi cosa che sia mai stato pubblicato nella Comunità Magica.” 

“Veramente sì. Ad una mia amica piace fare acquisti lì. Hermione Granger?” 

“Ma certo, Hermione. Portale i miei saluti. É una così cara ragazza. Spero stia bene.” 

“Sì, sì.”

“Mi fa piacere sentirlo.” Seguì una pausa imbarazzata, che non fu tanto strana in una conversazione tra due persone relativamente estranee. 

“Per quanto riguarda Piton...” 

“Si, cosa?” c'era una traccia di irritazione nella sua voce.

 “So che non sembra una delle persone più simpatiche.” Lei si lasciò sfuggire una risatina soffocata. Piton era leggermente offeso. “E' facile provare antipatia nei suoi confronti,” abbastanza stranamente Potter stava prendendo le sue difese. “Io l'ho provata per un lungo periodo, ma dovresti dargli un'altra possibilità, guardare oltre le apparenze.”

“Perché dovrei?”

 “Piton mi ha protetto tutti questi anni a Hogwarts. Ha messo a rischio la sua vita ancora e ancora e non l'ho ripagato esattamente con gentilezza.”

 “Perché avrebbe dovuto farlo? Da quello che ho letto sui giornali era ovvio che lui ti disprezzasse,” inquisì lei curiosamente. Piton poteva praticamente immaginare il cipiglio sulla sua faccia. Sperò solo che Potter non rispondesse alla sua domanda. Ma ovviamente, quando c'era di mezzo lui, era inutile desiderare o sperare.

 Forse l’ha fatto...forse è ancora così, ma di certo non disprezzava mia madre.”

 “Oh,” disse lei. Era piuttosto ovvio che avesse capito l'allusione non tanto sottile.

 Già,” disse Potter.

 “Grazie,” disse Abigail dopo un po'.

 “Per cosa?”

 Per averne parlato con me.”

 “Non è stato niente di ché.

 “Beh...”

 “D'accordo.”

 “Ci vediamo.”

 “Sì, ciao.”

Finalmente la porta dietro Potter si chiuse. L'infermiera era andata via durante la conversazione tra Abigail e Harry, così c'erano solo lui, la zia e Abigail nella camera. La sentì ispirare ed espirare lentamente di proposito come per calmarsi, poi si avvicinò per sedersi accanto al capezzale di sua zia e mise il libro che aveva letto prima sul comodino accanto al letto di Piton. 

“Per tenerle compagnia. So che l'ha preso la volta scorsa...credo che sia meno problematico così,” disse lei. Era andata via prima ancora che lui potesse aprire gli occhi. 

Dopo una settimana improvvisamente venne loro l'idea di dargli pergamena e penna d'oca così che potesse essere almeno in grado di comunicare. La ragione per cui ci avessero messo circa una settimana per arrivarci non fu per  negligenza. Era solo che il loro paziente non sembrava particolarmente loquace. 

Poiché molte delle sue ossa rotte e dei suoi lividi stavano iniziando a guarire, trascorse considerevolmente meno tempo a dormire e molto più ad annoiarsi.

Naturalmente era grato delle visite di Abigail, perché anche se non veniva per lui, gli forniva comunque un qualche tipo di distrazione durante quegli infiniti giorni al San Mungo. Quando era a corto di parole con sua zia, tirava fuori questo o quell’altro libro e iniziava a leggere. 

Non tutti sposavano i suoi gusti, alcuni erano piuttosto sdolcinati e femminili, ma come aveva detto lei stessa prima, non leggeva per lui, e quindi non aveva di che lamentarsi. Che gli interessassero o meno, tutti riuscirono a coinvolgerlo e gli permisero di lasciarsi alle spalle quella mediocre stanza in cui era confinato, anche se solo per un'ora. 

Per qualche ragione - forse erano state le parole di Potter - lei aveva preso l'abitudine di lasciargli libri sul comodino prima di andare via, così che potesse leggerli a sua discrezione. 

“Gli da almeno uno sguardo?” Abigail chiese quando depositò l'ultimo libro accanto al suo letto. Lei lo guardò con aspettativa come se stesse realmente aspettando una risposta. Sentendosi stranamente obbligato a giustificarsi, raggiunse d’impulso la penna d'oca e la pergamena. 

La sua scrittura era regolare, come se fuoriuscisse da una pressa topografica, e piuttosto vecchio stile. “Non gli ho meramente dato uno sguardo, li ho letti, persino,” diceva il foglio. Aveva dovuto sacrificare la maggior parte del suo consueto sarcasmo in vece della concisione, eppure qualcosa ancora riusciva a filtrare dalla brevità della nota. 

“Spero che le stiano piacendo,” disse lei piuttosto impersonalmente. 

Affascinata, vide come la sua mano scrisse un altra sentenza sul foglio come se  si muovesse di sua sponte. “Erano soddisfacenti.” 

“Bene. Beh, d'accordo. Credo che andrò adesso,” annunciò e si volto per andare via, ma fu fermata da una mano attorno al suo braccio. Abbassò lo sguardo per fissarlo con fare inquisitorio. Lui rimosse velocemente la mano, prima di affrettarsi a scrivere qualcos'altro sul pezzo di carta. 

Mi ha stancato. Perché non si decide a chiedere?” 

Lei guardò alternativamente lui, poi il foglio con un cipiglio sul viso. “Chiedere cosa?” 

Questa volta si risparmiò di scrivere. Non era necessario. Lo sguardo sul suo viso parlava chiaro. Le sue sopracciglia erano sollevate scetticamente e la sua bocca era incurvata in un sorriso derisorio. 

“Bene,” disse Abigail, provando a mantenere la sua voce regolare. Senza alcun dubbio aveva voluto chiederglielo lo stesso minuto che aveva visto il marchio nero sul suo braccio.

“E' coinvolto in quello che è accaduto a lei?” 

Lui voltò la testa per guardare sua zia per un lungo momento, poi finalmente scosse la testa.

Sentì improvvisamente un groppo alla gola. Gli credette, quando disse che non era coinvolto, ma la sua esitazione implicava che aveva preso parte a tante altre cose che erano egualmente terribili e rivoltanti. Abigail lentamente fece un passo indietro, ma per qualche ragione non andò via. Forse era solo perché aveva paura di voltargli le spalle.

“Ha provato piacere...nelle cose che ha fatto?” Abigail chiese quando ritrovò la sua voce di nuovo. Involontariamente la sua mente ritornò al giorno in cui l'avevano trovata, affamata e disperata. Come avvoltoi, avevano giocato con lei. Era stata debole, troppo debole per provare persino a tenere bene la bacchetta in mano...L'avevano circondata sempre più. Le loro facce sorridevano, mentre sua zia piangeva e supplicava pietà invano.

Lui posò la punta della penna sulla pergamena esitando, poi finalmente scrisse con una certa veemenza. “Non provo piacere in nulla.”

Lei fu presa in contropiede dalla sua ammissione inaspettata. Per un po' non fece altro che fissarlo senza parole, almeno finché le ultime vestigia di buone maniere non ritornarono a galla. “Mi dispiace,” infine riuscì a dire, non sapendo esattamente per cosa era dispiaciuta-il fatto che fosse stata meno che gentile o che lui apparentemente fosse una persona molto triste e infelice.

“Non ho bisogno, voglio la sua pietà,” la sua scrittura era stampata profondamente nel foglio.

“Bene, perché non ho nessuna intenzione di compatirla,” lo informò bruscamente. Seguì una lunga pausa. Poteva sentire i suoi occhi su di lei. Perché stava provando ad allontanarla fissandola? Non funzionava più con lei dalla quinta elementare. 

I suoi occhi ricaddero sul libro che giaceva sul comodino. Era un porto sicuro in quella situazione grottesca. “Questo è uno dei preferiti di mia zia,” gli disse Abigail, cambiando deliberatamente argomento. Ne aveva saputo abbastanza quel giorno. “Ne abbia molta cura. Lo rivoglio indietro domani.”

 ***

La pozione Vox Reparo dovrebbe aver funzionato adesso. Ha già provato a parlare?” chiese esasperatamente il giovane guaritore.

Lui scosse la testa. No. Non ne aveva sentito l'esigenza sino a quel momento. 

“Beh, forse dovrebbe provare ora,” suggerì l'altro uomo. “Vorremmo sapere se almeno ha dato qualche tipo di effetto.”

Piton annuì lentamente. Sebbene non volesse ammetterlo, la sua voce era il suo unico vanto. Nessuno gli aveva detto mai di essere bello e il riflesso giornaliero dello specchio aveva reso quella realtà piuttosto concreta. Molte persone, comunque, avevano occasionalmente lodato la sua voce, chiamandola setosa, persino ipnotica. Durante gli anni aveva imparato come usarla in suo favore per fare tremare gli studenti o intimidire i suoi avversari.

Inumidì le labbra nervosamente, schiarendosi la gola, poi prese un profondo respiro. Quello era il momento della verità. “Io..” fu sorpreso di sentire la propria voce di nuovo. Suonava stranamente poco familiare ma, ancora, non aveva usato la sua voce per un bel po' di tempo. “Qualche effetto l’ha avuto sicuro. Dovreste dire al vostro pozionista di renderla più potente. Ci sono volute otto ingestioni prima che funzionasse. Aveva paura di mettere gli ingredienti sbagliati e di uccidermi accidentalmente?” 

“E così ha funzionato,” rimarcò seccamente il guaritore.
 

A rilento, sì,” aggiunse Piton per prendere le dovute misure. 

“Dopo il tipo di ferite di cui ha sofferto, è un miracolo che abbia persino sortito qualche effetto,” dando uno sguardo alla cartella clinica del paziente.

“Così, quanto tempo intendete tenermi qui dopo aver recuperato la mia voce?” 

“Francamente, Signor Piton, non dovrebbe prenderla così alla leggera. É un miracolo che lei sia vivo dopotutto. Se il Signor Paciock non l'avesse trovata quando lei...Deve ancora ristabilirsi. Ha sofferto di un’emorragia prolungata, diverse costole rotte e fratture, un paio di ematomi evidenti...Non mi sentirei in pace con me stesso a dimetterla subito.”  

“Bene,” rispose Piton oscuramente, provando a venire a patti con il fatto che fosse stato salvato da null’altri che Neville Paciock. L'universo sembrava avere un senso dell'umorismo piuttosto oscuro.

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Capitolo 2
*** Prendimi così come sono ***


Your joy is your sorrow unmasked.
And the selfsame well from which your laughter rises was oftentimes filled with your tears.
And how else can it be?
The deeper that sorrow carves into your being, the more joy you can contain.
Is not the cup that holds your wine the very cup that was burned in the potter's oven?
And is not the lute that soothes your spirit, the very wood that was hollowed with knives?
When you are joyous, look deep into your heart and you shall find it is only that which has given you sorrow that is giving you joy.
When you are sorrowful look again in your heart, and you shall see that in truth you are weeping for that which has been your delight.

From "The Prophet" Kahlil Gibran


Prendimi così come sono

Traduzione a cura di besemperadreamer e Erika91

 

“Ciao,” lo salutò allegramente Abigail, quando arrivò dentro la stanza. Era di un inusuale buonumore quel giorno.

Piton annuì semplicemente in risposta, come era sua generale abitudine.

“Buona giornata anche a lei,” disse con una certa dose di riservata gentilezza, aspettando pazientemente la sua reazione.

Durante le ultime due settimane aveva capito che, nonostante lei provasse a mantenere la facciata di una persona controllata, era in realtà molto emotiva.

“Puoi parlare...” rimarcò lei con eccitazione. Per quanto Severus ne sapeva, lui non le andava molto a genio, eppure era genuinamente felice della sua ripresa. Ce l’aveva di carattere.

“Già,” disse rimarcando il dato oggettivo. Perché lei stesse facendo tutte quelle storie su qualcosa di così poco conto, andava al di là della sua comprensione.

“Wow! E' un bel traguardo! Non ne sei… non so… felice?” gli chiese, camminando verso il suo letto.

Lui scrollò le spalle. “E' un piacevole miglioramento.”

“Un piacevole miglioramento?!” ripeté le sue parole con fare sdegnoso. “Allora come mai non sembri contento?” 

Severus come previsto ignorò la sua domanda. Lei non si diede per vinta, comunque. “Va bene sentirsi felici di qualcosa, sai” Abigail gli scoccò uno sguardo strano. Era chiaro che lo considerava piuttosto ingrato e oltremodo insopportabile.

“Mi è piaciuto il libro che mi ha dato,” cambiò bruscamente l'argomento lui.

Lei sbatté le palpebre, guardandolo confusa per quell'improvvisa svolta nella conversazione. “Non mi aspettavo che ti sarebbe piaciuto. Non so molto di te, ma non credevo che ti piacessero gli autori contemporanei.”

“Non pensavo che questo lo fosse.” si accigliò lui, guardando il libro sospettosamente.

“Temo proprio di sì.”

“Bene, fortunatamente non l'ha reso evidente.”

Gli rivolse un sorrisetto sbilenco, che doveva essere interpretato come ironico. “E’ vero, è vero! Hai letto quella parte sulla Gioia e la Tristezza?”

“Era un passo del libro, no? Allora direi che può presumere con sicurezza che io l'abbia letto.” le rivolse un'occhiata tagliente.

“Sei acido,” osservò Abigail. “E scortese,” fece una piccola pausa pensando, “e non sei un granché a fare conversazione.”

“E dunque?”

“E' divertente.”

“Bene, sono lieto di essere capace di divertirla.”

“E tu non lo sei adesso?” sorrise e si incamminò verso il letto di sua zia.

Le loro chiacchierate divennero sempre più frequenti. All'inizio sembrava che lei si sentisse obbligata a fare conversazione per comune decenza, dopo aver scoperto del recupero della sua voce, ma presto le loro conversazioni diventarono più lunghe e meno impersonali.

Per qualche ragione per lui inspiegabile, da irritato lei lo trovava estremamente divertente. Ma ciò che lo rendeva maggiormente perplesso era che Abigail non sembrava essere intimidita dalle sue maniere scostanti. Occhiatacce e commenti sarcastici in genere funzionavano bene con gli studenti, che si rimpiccolivano e si contorcevano sotto lo scrutinio dei suoi occhi taglienti, mentre lei si limitava a rivolgergli un sorrisetto compiaciuto e replicare con un’eguale frecciatina derisoria. Questo atteggiamento nei suoi confronti era senza precedenti. Forse era questo che lo intrigava e che l'aveva portato in primo luogo a istaurare un qualche tipo di dialogo con lei. Abigail, invece, aveva un'altra teoria.

“No, davvero sei una persona con cui è facile parlare...”

“Forse voleva dire che sono una persona con cui è facile discutere?” lui arcuò un sopracciglio in sua direzione. “Bisogna fare attenzione a queste sfumature linguistiche, alcune volte fanno tutta la differenza.”

“E' così, Professore? Per qualche ragione mi deve essere sempre sfuggito, grazie per avermi illuminato adesso. Sono la proprietaria di un negozio di libri, sa. Ma, ecco, è venuto in mio possesso solo per una fortuita coincidenza. Le ho già menzionato di essere illetterata? E' veramente una situazione tragica,” lei alzò gli occhi al cielo.

“Ne dubito. Legge piuttosto fluentemente.” replicò lui.

“Mi compiaccio nel sapere che le mie abilità di lettrice soddisfino i suoi standard, ma potrei informarla, con molta gentilezza e rispetto, che lei è forse la persona più scortese che abbia mai avuto il piacere di conoscere?” gli disse, sorridendogli divertita.

“Non sono stato scortese,” replicò piuttosto indignato.

“Fino ad adesso ho potuto osservare solo due umori del suo indubbiamente ampio repertorio: terribilmente irritato e oltremodo infastidito dal troppo stare a letto.”

“Be, c'è ne un terzo.”

“E quale sarebbe?”

“Divertente,” disse con una serietà mortale ed il volto perfettamente inespressivo.

Lei rise. “Attento, Severus! Scherzare così potrebbe compromettere la tua reputazione.”

“Non che ne sia rimasta molta comunque,” disse cupo. Aveva il talento di raffreddare immediatamente l'atmosfera come nessun altro. Il sorriso le si freddò sulle sue labbra e la sua risata morì lentamente.

“Mi dispiace. Sembra che sia riuscita a esagerare ancora,” lei disse con rimorso.

“Non importa,” scacciò via la sua scusa con un gesto spiccio della mano, come se fosse una mosca fastidiosa che gli ronzava intorno alla testa. “Quindi, cosa stava dicendo?” chiese Piton, cambiando deliberatamente l'argomento.

“Ah, già. Allora,” disse dopo un attimo di riflessione. “Dicevo…che quando conosci una persona all’inizio ti aspetti chissà cosa, o magari già ci parti diffidente, ma comunque cerchi sempre di dare una buona impressione. Tra noi, invece, non c’è stato niente di tutto questo…Possiamo dire che ci siamo dati reciprocamente la peggior prima impressione di tutti i tempi, no? Non credi che sia stato meglio così?

***

Abigail si tirò dietro la porta e iniziò a camminare lungo il corridoio, seguita dal rumore dei suoi tacchi sul pavimento. Gli angoli della sua bocca si stavano lentamente arricciando in un sorriso soddisfatto. Lei si accigliò, provando a scacciare via il pensiero, ma non vi riuscì, e si fermò di colpo. Come era successo? Perché si sentiva tutto ad un tratto così felice?

Un'infermiera la sorpassò nel corridoio, ignara del suo dilemma. Si scambiarono un saluto veloce, poi l'infermiera se ne andò, lasciando Abigail da sola con i suoi pensieri. Non era previsto che andasse così.

Era stato facile odiarlo. L’aveva voluto fare sin dal momento in cui aveva visto il Marchio Nero sul suo braccio, eppure eccola lì a sorridere perché le era piaciuto parlare con lui. 

Le piaceva? Un uomo che riusciva allo stesso tempo ad essere ovviamente antipatico e subdolamente piacevole. La parte subdola si poteva scorgere nei sorrisi rivolti quando credeva che lei non lo vedesse, nel mostrarsi intelligente e dall'ingegno vivace. Era il partner di scambi verbali che non aveva mai avuto e che non credeva di volere.  

Eppure il suo passato, quell'oscuro piccolo dettaglio, stava in agguato dietro l’angolo.

Aveva la sensazione che prima o poi avrebbero dovuto farci i conti, ma per il momento poteva solo fidarsi, e non era facile dopo tutto quello che aveva passato: in fuga per più di un anno e trovata alla fine dai Mangiamorte. Anche se, doveva ammettere, non avevano esagerato nel torturarla. 

Si erano limitati a picchiarla e deriderla, ma non avevano nemmeno estratto la loro bacchetta. Avrebbero fatto di peggio, se non fossero stati convocati dal Signore Oscuro. Con molta probabilità era ancora viva grazie a pura fortuna e perfetto tempismo. Se l'avessero catturata qualsiasi altra notte non sarebbe stata lì.

Quindi sì, non era particolarmente felice all'idea che lui fosse stato un Mangiamorte, ma c'era sempre quel ragazzino, Potter, che parlava in suo favore. Beh, ragazzino era un po' inappropriato invero. Era già un giovane uomo. Pensarlo la fece sentire vecchia, sebbene fosse solo sulla trentina.

“D'accordo, che amicizia sia”. Annuì e riprese a camminare.

 ***

Il giorno in cui fu dimesso gli portò un paio di sorprese. La prima fu che ricopriva ancora la posizione di insegnante di Pozioni a Hogwarts. Infatti nelle prime ore della mattinata aveva ricevuto una lettera da Minerva McGranitt, ora preside, nella quale esprimeva la sua gioia nell’apprendere della sua rapida guarigione, sperando che avrebbe potuto tornare presto a scuola ed iniziare ad insegnare di nuovo. Ovviamente, aveva accettato. Nonostante sentisse un profondo disgusto per ognuno di quei mocciosetti di Hogwarts che si sentivano geni incompresi, traeva ancora conforto dai dintorni familiari del suo laboratorio di pozioni, dove, dopo una lunga giornata di scuola, poteva concedersi uno dei suoi esperimenti oppure perdersi semplicemente nei suoi pensieri. Non conosceva altra vita e sospettava che non ne avrebbe voluta un’altra.

La seconda sorpresa fu un pacco avvolto da semplice carta marrone. Una delle infermiere, la più fastidiose di tutte, per coincidenza - non si era preoccupato di imparare i nomi ma solo di attribuire a ciascuna diversi livelli di odiosità - glielo porse con il commento “Dalla sua amica” e un dolce sorrise nauseante. Lui l’aveva solo guardata e gliel’aveva tolto dalle mani.

Lo aprì solo quando fu fuori dai confini dell’ospedale, togliendo meticolosamente l’involto. Era un volume rilegato in pelle, sulla quale il titolo del libro, “De Profundis”, era impresso in lettere d’oro. Fece scorrere le dita su di esso, assaporando la sensazione, prima di aprire la prima pagina. Su di essa c’era scritto qualcosa con una scrittura tondeggiante piuttosto femminile. Senza dubbio un messaggio da parte sua. Lui non aveva mai visto la sua scrittura, ma se l’era immaginata proprio così.

Diceva: “Caro Severus.” Non le aveva mia permesso di chiamarlo per nome, ma stranamente sembrava che lei avesse presunto che andasse bene farlo. Apparentemente le veniva naturale. “Ho la sensazione che questo sarà di tuo gradimento più della prosa che hai dovuto sorbirti quando leggevo a mia zia, nel corso delle ultime settimane. Nel caso esaurissi il materiale di lettura, sai dove trovarmi…”

Si era assicurata di far si che lo potesse fare mettendo strategicamente il suo biglietto da visita nel libro. Lo prese in mano e lo guardò sospettosamente come se fosse stato in procinto di morderlo. Si presentava abbastanza bene. Il davanti era nero patinato, con il nome della sua libreria e l’indirizzo scritto in lettere bianche, mentre il retro era semplicemente bianco. Ci aveva scritto sopra qualcosa. All’iniziò aggrottò le sopracciglia quando lo lesse, ed un sorriso di sbieco apparve brevemente sul suo viso, prima di riporlo al sicuro in tasca.

“Veniamo incontro anche alle esigenze di pentiti tirapiedi del male.” Nessuno avrebbe potuto chiamarlo così e sopravvivere, eccetto Abigail. A conti fatti, era il tipo di insolenza su cui passava sopra quando proveniva da lei, perché trovava che fosse … cercò velocemente il termine adatto… piuttosto accattivante.

Finì il libro in una notte. Abigail aveva avuto ragione, sembrava che fosse stato scritto per lui. Il fatto che lei avesse indovinato in modo così intuitivo, tuttavia, le trattenne dall’accogliere la sua offerta di andare a trovarla. Così si lasciò distrarre dalla familiare routine di correggere temi, preparare lezioni e assegnare punizioni. Vivendo in una scuola collegiale, era abbastanza facile isolarsi dal resto del mondo. Hogwarts era un microcosmo pienamente funzionale che provvedeva a qualunque cosa i suoi abitanti avessero bisogno: biblioteca, cibo, partite di Quidditch, gran quantità di pettegolezzi, che non apprezzava particolarmente, ma che erano a quanto pareva un male necessario…

Il giorno del suo ritorno sentì che nulla era cambiato. Aveva indossato una volta ancora le sue familiari lunghe vesti nere e quando aveva messo piede nella classe il familiare odore di gesso e legno, mischiato ad una leggera nota di reagenti acidi che sembrava essere penetrata in ogni angolo della classe di Pozioni grazie agli innumerevoli esperimenti che vi aveva condotto, lo aveva immediatamente circondato. Era a casa. Era come un guanto della misura giusta.

Per un po’ era stato comodo rifugiarsi nella quotidianità, ma chissà come non trascorse una sola sera senza che lui prendesse in mano il suo biglietto da visita, rigirandolo pensieroso. Avrebbe davvero rifiutato l’unica amica che si era fatto in… quanto? Dieci anni? Di più?

Infine la sua decisione di vistare Diagon Alley arrivò all’improvviso, in modo quasi impulsivo. Una sera semplicemente ne ebbe abbastanza di starsene seduto a pensare alle opportunità passate. Senza pensarci troppo si buttò addosso il mantello e scivolò fuori dal castello. Una volta fuori si Smaterializzò e arrivò presto a Diagon Alley.

I negozi stavano per chiudere, era un giorno feriale e pochissime persone stavano facendo compere dell’ultimo minuto. Trovò il suo negozio abbastanza facilmente, ci era passato un paio di volte prima della guerra. Nonostante avesse sempre trovato i libri esposti in vetrina piuttosto interessanti, si era sempre ammonito silenziosamente di non permettere che il suo sguardo indugiasse troppo a lungo. Non sarebbe stato consigliabile per un Mangiamorte fissare la vetrina di un negozio con libri Babbani. Sicuramente il Signore Oscuro avrebbe avuto da ridire.

Dopo un breve momento di esitazione entrò nel negozio, scivolando attraverso la porta principale, col mantello nero che gli svolazzava dietro in modo teatrale. Sarebbe stata senza dubbio un’entrata impeccabile, ma sfortunatamente fu rovinata della musica da alto volume che rimbombava dentro il negozio. Abigail stava in mezzo al corridoio, dandogli le spalle, cantando da sola a pieni polmoni.

Presa dal ritmo della musica, presto iniziò anche a ballare. Il modo in cui si muoveva ricordava vagamente la danza di un serpente. I suoi movimenti rimasero fluenti come onde fino al momento in cui la canzone culminò in un rimbombante assolo di basso. Lui dovette mordersi la guancia per non iniziare a ridere senza controllo. Un minuto prima l’avrebbe definita aggraziata, ma il ballo in cui si stava esibendo ora ricordava vagamente una di quelle danze tribali. Senza dubbio avrebbe piovuto il giorno dopo, se avesse continuato così.

Come se non fosse abbastanza, l’infame canzone che lei stava urlando apparentemente s'intitolava “Puttana” o qualcosa di ugualmente assurdo, perché il ritornello era “Sono una puttana, sono un’amante, sono una bambina, sono una madre.”

Era sufficiente a ridicolizzarla a vita. Improvvisamente fu estremamente felice di aver scelto quel particolare momento per la sua visita. Ora, comunque, era tempo di rendere nota la sua presenza. Realizzando di non poter sovrastare con la voce il rumore dello stereo, estrasse la sua bacchetta e la puntò a quell’offensivo aggeggio elettronico. “Silencio!” sibilò. Immediatamente la musica si affievolì.

Lei smise di muoversi e si guardò intorno confusa, prima di tutto verso lo stereo che si era improvvisamente azzittito. Girandosi, i suoi occhi lo incontrarono. Non aveva mai visto nessuno arrossire così tanto. La bocca di lei si apriva e chiudeva mentre cercava di dire qualcosa.

“Beh, suppongo che tu stia certamente augurandoti di non aver spedito il tuo invito,” commentò seccamente, incapace di trattenere una certa quantità di derisione.

Lei tossì. “Severus?” chiese, dandogli un’occhiata veloce come per accertarsi che lui fosse realmente lì.

“Sì,” rispose lui, assaporando l’occhiata sconcertata sul suo viso.

“Hai un bell’aspetto. Riposato.”

“E lei sembra agitata,” rimarcò tranquillamente.

“Sì?” lei si sfregò il collo imbarazzata. “Da quanto sei qui?”

Le lanciò un’occhiata derisoria e con grande sorpresa lei scoprì che lui stava sorridendo leggermente.

“Merda,” sussurrò sottovoce, mentre la cima delle sue orecchie diventava sempre più rosa. “Bene, cosa posso fare per te oggi, Severus? Eccetto essermi umiliata davanti a te e averti concesso il momento più divertente di tutta la tua vita, ovviamente,” disse Abigail, iniziando lentamente ad arrabbiarsi.

“Cosa per la quale è quasi valsa la pena la visita, devo dire.” 

Abigail si lasciò quasi scappare un borbottio frustrato, ma si morse la lingua. “Quindi? C’è altro?” chiese bruscamente, perdendo lentamente la pazienza.

“Ha altri consigli?” chiese lui piuttosto formalmente.

“Solo quelli che mi sento in obbligo di darti,” disse Abigail fissandolo. “Blake, Byron, Keats, Coleridge, Shelley e un po’ di Rossetti.”

Lui aggrottò le sopracciglia, cosa che la incoraggiò a illuminarlo. “Anche i sarti prendono le misure, no?”

In mezz'ora, vicino all’ora di chiusura, avevano assemblato una pila ordinata di libri. Dopo averli depositati alla cassa, lei affrettò il passo per recarvisi dietro e iniziò a rovistare in modo affaccendato.

“Il compendio di Bellini delle Erbe e delle Pozioni,” mormorò Abigail a se stessa mentre sollevava un grosso catalogo sul tavolo. Si mise gli occhiali, aprì il libro e seguì la colonna con l’indice. “Non in magazzino. È un peccato,” mormorò. “Ma so dove capitarlo… Devo solo prendere la Metropolvere…”

Severus decise di schiarirsi la gola per ricordarle la sua presenza. “Oh, mi dispiace,” sorrise. “Ero di nuovo sovrappensiero, vero? Beh, a proposito del libro. Posso riuscire a recuperarne una copia per te, ma ci vorranno un paio di giorni. Vuoi che ti arrivi per consegna?”

“Sono sorpreso che lei riesca a ottenerne una copia. Il signor Slug, in fondo alla strada, mi ha detto…”

“Oh, quel vecchio pipistrello! Manca di quella finezza diplomatica necessaria a svolgere il lavoro…”

“Mi dica, la prego, che tipo di finezza diplomatica è necessaria a ottenere una delle rare copie del Compendio di Bellini?”

Lei gli lanciò un sorriso cospiratorio. “Prima di tutta, devi saper parlare italiano, poi devi saper parlare dolcemente, e terzo, e più importante, devi essere una donna. Se ricordo correttamente le suddette caratteristiche non si applicano al vecchio Slug, il che rappresenta il motivo della sua incapacità ad ottenerne una… Consegna, quindi?”

“Ehm… sì, grazie.”

“Dammi più o meno una settimana.”

“E riguardo a questi,” indicò la pila di libri sulla cassa di fronte a lui. “Quanto le devo?”

Lei arricciò il naso con disapprovazione, chiaramente scontenta dell’idea di parlare di denaro con lui, anche se non poteva proprio permettersi di essere troppo schizzinosa. Dopotutto era una libreria, non una biblioteca. “50% di sconto,” disse velocemente.

Lui gli rifilò un’occhiata affilata. “Non sono scontati,” disse lentamente.

“Lo sono se lo dico io. Oh, e comunque, si suppone che funzioni così - tu, come cliente, chiedi di abbassare il prezzo, non di alzarlo.” spiegò con calma.

Nota dell'Autrice: Oh, ho dimenticato di dire che la canzone che canta Abby è “Bitch” di Meredith Brooks.


NdTraduttrici


Grazie a chi ha inserito la traduzione fra le storie seguite e preferite.

Grazie a Biancalupin, Ernil e Dogma per i complimenti.


Ernil: i capitoli saranno 19, e tenteremo di postare regolarmente. Ti assicuro che Piton (abbiamo deciso di mantenere il nome italiano perchè EFP è un fandom italiano) rimarrà IC, e Abigail non è affatto una Mary Sue, mentre Harry non avrà un gran ruolo. Ci farebbe piacere sapere dove la traduzione si inceppa, almeno in generale: nei dialoghi, o nelle parti narrative?


Dogma: molte grazie per i complimenti, ti piacerà come si evolverà il rapporto tra i due.


Una curiosità: perchè vi piace tanto il nome Abigail?


A presto


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Capitolo 3
*** Mi diverte farti spaventare ***


Mi diverte farti spaventare

Traduzione a cura di besemperadreamer e erika91

Alcuni secondi dopo il suono della campanella gli studenti si riversarono fuori dalla classe. Lei dovette velocemente scansarsi per evitare di essere travolta dal tornado. I ragazzini, la maggior parte intorno ai dodici anni, stavano chiacchierando allegramente tra di loro e Abigail colse alcuni brandelli di conversazione quando le passarono vicino. “Ohi, amico, che avrà mai quell’untuoso bastardo? Sembra quasi umano di questi tempi. Non si è nemmeno accigliato quando il calderone di Chandler è traboccato.”

"Ma ha tolto lo stesso dieci punti da Corvonero con tutta tranquillità. ”

“Eppure niente sguardi torvi, niente filippiche, niente di niente.” 

“Credi sia un miglioramento?”

“Sicuro, forse è andato al San Mungo e gli hanno fatto finalmente un trapianto di cuore.” 

“Mi sembra strano.”

Abigail sorrise con enfasi a quel dialogo e i ragazzini le scoccarono occhiate divertite quando le passarono davanti. Indossava vestiti babbani – un paio di blue jeans strappati e scoloriti e una camicetta bianca. Il suo aspetto era decisamente strano per una scuola magica. Questo e il fatto che avesse ovviamente qualcosa a che fare con il Professor Piton, che secondo l'opinione dei ragazzini non era nemmeno consapevole dell'esistenza delle donne, fu abbastanza per far sbizzarrire la loro immaginazione. Le lanciarono occhiate sospettose e iniziarono a bisbigliare mentre continuavano a camminare lungo il corridoio. Abigail li guardò andare via con uno sguardo pensieroso sul viso, poi velocemente entrò dentro l’aula, adesso vuota. 

“Toc Toc?” gridò nella larga stanza. Le tavole di legno che ricoprivano il pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi. Annusò un poco l'aria, inalando il fetore acre di un esperimento andato male. Gli altri calderoni stavano ancora bollendo lentamente senza problemi. Che cosa vi era dentro? Pozione Corroborante, si leggeva sulla lavagna, di cui ogni centimetro era ricoperto dalla scrittura ordinata di Severus. Lei avanzò verso la scrivania, aggiustando la presa sul “Compendio di Bellini” che era ordinatamente avvolto in un drappo di tessuto rosso.

Era un tomo piuttosto pesante. A pensarci adesso, avrebbe dovuto rimpicciolirlo durante il viaggio, ma a volte i libri magici, specialmente quelli vecchi, non reagivano bene agli incantesimi, così aveva preferito farne a meno. Lo depositò sul tavolo, solo allora notò la porta sul muro dietro di essa. Era stata lasciata socchiusa e probabilmente portava a una qualche sorta di ripostiglio per gli ingredienti delle pozioni. 

“Severus?” Abigail chiamò con una nota di curiosità nella voce, ancora una volta, prima di incamminarsi verso la lavagna. Afferrò un pezzo di gesso e disegnò uno scarabocchio sull'angolo in alto a sinistra, solo per cancellarlo pochi secondi dopo. Aspettare non era il suo forte, perché tendeva a perdere piuttosto velocemente la pazienza, così iniziò a passeggiare avanti e indietro nella classe per tenersi occupata. Mentre camminava lungo le file di tavoli, distrattamente iniziò a giocherellare con il gesso, tirandoselo da una mano all'altra.

Senza che lei se ne accorgesse, lui scivolò nella stanza, proprio mentre lei stava osservando con meraviglia delle stupide incisioni che alcuni studenti avevano lasciato sul tavolo dell'ultima fila.  

“Abigail,” disse con tono piatto.

Lei si voltò con un sorriso sul volto, che lui sentì essere totalmente immeritato.

“Severus!” chiamò e avanzò alcuni passi in sua direzione. Il suo entusiasmo era inquietante, come sempre. 

“Un incidente con una pozione?” chiese con curiosità.

“Hai un certo talento per rimarcare le ovvietà,” sottolineò senza nessuna nota di divertimento. “Chandler ha deciso di graziarci con un altra dimostrazione della sua idiozia.” 

“Oh, avanti, non può essere così male.”

“Voleva aggiungere dell'erba ascorbica ad una Pozione Corroborante,” argomentò, il suo sopracciglio sinistro sollevato cinicamente. 

Abigail fece una smorfia. “Afferrato il concetto. Persino io so che non è un'idea molto intelligente e non sono certamente un’esperta di pozioni,” fece un gesto verso la direzione generale della scrivania, “Comunque ti ho portato il Compendio di Bellini.”

“Grazie,” disse notando il tomo che giaceva sul tavolo per la prima volta. Piton lo uscì dal drappo rosso con attenzione, quasi con reverenza. “E' perfetto,” rimarcò, con qualcosa simile alla meraviglia nella voce, mentre con la mano accarezzava la copertina. 

“Lo so,” disse lei con aria compiaciuta “Impressionato?”

“Quasi completamente,” la traccia di un sorrisetto era udibile nella sua voce. 

“Abbastanza da cenare con me?” chiese Abigail. “Hai una pausa adesso, no?”

Lui ponderò brevemente la sua proposta. “Si, ma non credo che me la prenderò. Ne ho abbastanza di quei piccoli marmocchi per oggi.” 

“Seriamente?! Mi hai lasciato venire fino a qui e non mi offri nemmeno di rimanere a cena?” Lei sembrava vagamente seccata, ma poi i suoi occhi ricaddero sul calderone accanto a lei e la sua espressione mutò in una che lasciava presagire solo guai.

“Mi domando che cosa potrebbe succedere se un pezzo di gesso cadesse dentro questo calderone,” disse Abigail innocentemente.

“La pozione si coagulerebbe e poi esploderebbe, coprendo l'intero laboratorio, compresi noi, di sudiciume appiccicoso,” ringhiò. 

“Sembra veramente drammatico,” lei stese il suo braccio con in mano il pezzo di gesso al di sopra del calderone.

“Stavo solo parlando ipoteticamente, sai. É probabilmente la fame che sta parlando. E io sto seriamente morendo di fame. Le persone tendono a dire un sacco di cose stupide quando hanno carenza di zuccheri. È piuttosto freddo qui, vero? Mi sento le ginocchia un po' deboli,” Abigail si portò la mano libera sulla fronte con un finto gesto drammatico. 

“Non oserai,” Piton le scoccò uno sguardo ammonitorio.

“Non ne sarei tanto sicuro. Oltretutto quello che devi fare per evitare la catastrofe è semplicemente cenare con me.” 

“Dammi quel pezzo di gesso in quest'istante!” pretese con maggiore veemenza, camminando verso di lei con la mano protesa. Senza alcun dubbio i suoi studenti avrebbero tremato di terrore in quel momento, ma in qualche modo il suo comportamento autoritario riusciva solamente a portar fuori il peggio di lei.

“Mi sento più debole ogni minuto che passa,” gli disse fissandolo. 

“Spero che tu sia consapevole del fatto che, se tu decidessi veramente di perseverare, trascorrerai il resto della serata carponi a pulire quest'aula fino a farla splendere.”

“Dimentichi una cosa. Non sono uno dei tuoi studenti. Non mi puoi dare punizioni.” 

“Avresti potuto fuorviarmi. Forse è il tuo comportamento immaturo che mi lascia momentaneamente malgiudicare la tua maturità,” replicò lui. “Inoltre non puoi semplicemente entrare in questa stanza e distruggere le proprietà della scuola.”

“Stai facendo il melodrammatico. L'esplosione causerebbe solo un po' di confusione. Questo è tutto. Capirai!” 

“Non di meno dovrai pulire.”

“E chi si assicurerà che lo farò?” 

“Una domanda piuttosto superflua, non credi? Sarò felice di supervisionare personalmente il tuo lavoro.”

“Certamente.” gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. “Non hai cose migliori da fare che rimanere nell'Aula di Pozioni oltre il necessario?” 

“In realtà, sì. Quindi preferirei piuttosto che tu non andassi avanti con il tuo stupido, insulso progetto.”

“Allora? Che cosa faremo? Cena o Punizione? E' decisamente una situazione in cui ci rimetti comunque se ci pensi un attimo. Ma almeno durante la cena sarò troppo occupata a mangiare per assillarti con il mio annoiante chiacchiericcio.” 

“Su questo punto devo darti ragione,” le concesse. “E hai condotto un’argomentazione piuttosto arguta, devo aggiungere.”

“Esattamente. Ma ricorda che questo ti ha fatto avere il Compendio di Bellini. Allora?” 

Lui la fisso pensieroso per un secondo, poi emanò il suo verdetto. “Va bene.” Stese la sua mano di nuovo, con impazienza. “Dato che ho ceduto ai tuoi comportamenti infantili, saresti così gentile da ridarmi il pezzo di gesso ora?”

“Certamente,” lo lasciò cadere sul suo palmo. Le punte delle sue dita sfiorarono la pelle di lui e rimasero lì più a lungo del necessario. Il cuore di Abigail cominciò a galoppare. I loro occhi si incontrarono e per un breve momento entrambi rimasero a corto di parole. Poi lei velocemente ritirò la sua mano, come se si fosse bruciata. 

“Bene.” La sua voce risuonò senza fiato quando parlò di nuovo. “Possiamo andare?” Abigail incrociò le braccia sul suo petto e lo guardò in aspettativa. Non aveva mai notato quanto fosse alto fino ad adesso. Ma, appunto, non erano mai stati così vicini. Le punte delle sue dita stavano ancora formicolando slealmente. Chiuse e  riaprì la mano. Non ci fu un grande miglioramento.

“Si, certo, lasciami mettere velocemente via il libro.” Si voltò bruscamente, afferrò il tomo dalla scrivania e uscì dalla stanza. Era andato via solo da pochi secondi, ma fu abbastanza perché lei si rimproverasse mentalmente di agire come una stupida adolescente del tutto cotta. 

Quando ritornò, le passò oltre. “Vieni o pensi di stare tutto il giorno lì a fissare il vuoto?” le disse oltre la sua spalla, mentre con forza apriva la porta che conduceva fuori dalla classe.

“Arrivo,” disse e si affrettò per stargli dietro. Dopo aver chiuso a chiave la porta dietro di loro, lui s'incammino per il corridoio, le sue vesti nere che svolazzavano dietro di lui. Lei stava avendo qualche problema a stare al suo passo, anche se indossava scarpe da ginnastica. 

“Ti dispiacerebbe non trasformarla in una disciplina Olimpica?” gli gridò Abigail.

“Si chiama camminare, non strisciare. Prova solo a tenere il passo,” disse con sufficienza. 

“Se sei preoccupato dei pettegolezzi che la mia comparsa causerà, pensa allora di che natura saranno se arriverai a cena con una donna accaldata e sudata.”

Appena sentì questo si fermò bruscamente e l'aspettò per farla camminare al suo fianco. Era sua impressione, o c’era una traccia di rossore sulle sue guance? Era riuscita a imbarazzare Severus Piton con un'allusione sessuale? 

Il resto della camminata fino alla Sala Grande fu fatta in silenzio. Arrivati lì, con un gesto cortese le fece cenno di entrare prima, il che la lasciò leggermente sospettosa. La ragione di quell'improvvisa mostra di buone maniere le fu chiara anche troppo velocemente. Quando lui entrò dietro di lei, tutte le teste si voltarono nella loro direzione.

“Spero che tu sia felice adesso,” le bisbigliò conducendola verso il tavolo dei professori che si trovava dall'altra parte della Sala. 

“Non pensavo che sarebbe stato così grave.”

“Beh, come puoi ben vedere, apparentemente lo è. Ma non ti preoccupare, il meglio deve ancora venire...” 

Stava per scoprire velocemente che cosa significassero le sue parole criptiche. La maggior parte degli insegnanti la stavano rimirando per assicurarsi che fosse reale.

Una robusta donna dai capelli grigi con vesti marroni balzò in piedi, più che entusiasta di stringerle la mano. “Chi è questa tua affascinante amica, Severus?” disse stendendo la mano ad Abigail, mentre tutti al tavolo si zittirono, in vigile attesa di cosa avrebbe detto Piton.  

“Abigail Carter, lascia che ti presenti la Signora Sprite, la nostra insegnante di Erbologia.”

“Piacere di conoscerla.” disse Abigail educatamente e presto la sua mano fu catturata nella presa d'acciaio dell'altra donna. 

“Oh, è un tale piacere conoscerla!” esclamò la Sprite.

“Certo che lo è,” Piton mormorò e alzò gli occhi al cielo. 

“Madama Bumb,” gridò la Sprite al tavolo, “Puoi sederti qui così da far sedere la Signorina Carter accanto a Piton?”

L'altra donna annuì e velocemente si spostò. Le presentazioni vennero ripetute, mani vennero strette e poi entrambi vennero spostati al centro del tavolo. “Mi dispiace tanto,” sussurrò Abigail a Severus mentre lui la conduceva verso i loro posti. “Non sapevo che avrebbero fatto una tale confusione.” Lei poteva dire dal suo cipiglio quanto fosse profondamente scontento dell'intera situazione. 

“Troppo tardi per essere dispiaciuti adesso.”

Scostò la sedia per lei. Un gesto che sapeva aveva fatto, non per farle piacere, ma perché ci si aspettava questo da lui. 

“Preside,” annuì verso la McGranitt, che sedeva alla sua sinistra, prima di sedersi lui stesso.

“Severus,” l'anziana donna reciprocò il breve gesto del capo, poi spostò la sua attenzione ad Abigail. 

“Come ho potuto capire dalle precedenti conversazioni, il suo nome è Abigail Carter.”

“Si, signora.” disse. 

“Benvenuta al nostro tavolo, Signorina Carter.”

“Grazie, signora.” 

“Non è uno dei nostri studenti. Può chiamarmi Minerva.” disse la preside, enfatizzando le sue parole con un cenno del capo breve ed energetico.

“Sono Abigail.” 

Presto la loro conversazione fu interrotta da un piatto fumante di deliziosa zuppa di zucca collocato davanti a loro e improvvisamente Abigail non si sentì più tanto rammaricata di aver incastrato Severus a portarla a cena. Dopotutto l'agitazione che avevano scatenato quando erano entrati insieme si era dissolta.

“Quindi, come vi siete incontrati voi due?” trillò il professor Vitious alla sua destra.

“Ero andata a trovare mia zia. Divideva la camera con Severus.”

Vitious alzò un sopracciglio alla casualità con cui la donna aveva usato il nome proprio del collega, ma non commentò. Pochissime persone si davano del tu con il sinistro professore di pozioni.

“Come si chiama tua zia?” chiese la McGranitt.

“Miriam Priestly.”

“Quella Miriam Priestly?

“Sì, proprio così.”

“Lavori anche tu con gli incantesimi?”

“No, temo di non dimostrare un particolare talento, quando si tratta di incantesimi. Mi sono diplomata in Babbanologia e Antiche Rune. Possiedo una libreria a Diagon Alley.”

“Carter?” ripeté pensosamente la direttrice. “Orazio Carter? Tuo padre ha studiato a Hogwarts, giusto? Era qui, quando ho iniziato a insegnare. Un giovane uomo brillante. Se ricordo correttamente era un Serpeverde. ”

“Sì, lo era.” Rispose Abigail a monosillabi. Suo padre non era un argomento di cui amava parlare.

Il tono apatico della sua voce catturò l’attenzione di Piton. La conosceva da poco, ma il suo disagio era quasi palpabile per lui.

“E cosa ne è stato di lui?” chiese curiosamente la McGranitt.

“Beh, ha incontrato mia madre, una Babbana tra l’altro, si sono sposati. La sua famiglia non apprezzò particolarmente l’idea. Purosangue, capite bene. Era un brav’uomo, ma per quanto fosse stato ribelle in giovinezza, non riusciva a scuotersi di dosso più di vent'anni dedicati al conservatorismo, profondamente radicato nella sua mente. Non mi incoraggiò molto ad esplorare le mie radici Babbane. Sfortunatamente, più provava ad allontanarmi da quel mondo, più me ne interessavo.”

La maniera in cui tentennava sulla sua storia diede a Piton la sensazione che stese sorvolando sugli aspetti più delicati.

“Beh, non capisco cosa ci sia di sbagliato nel cercare di scoprire di più sulle proprie origini.” rimarcò la donna più anziana.

“Questo è molto gentile da parte tua.”

“Spero che il signor Carter alla fine sia ritornato sui suoi passi.  Dopotutto sembri una giovane donna piuttosto realizzata.”

“Sì, ora è tutto a posto,” disse lei piuttosto enigmaticamente, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

***

“Ti accompagnerò a Hogsmeade. I visitatori a volte hanno difficoltà a ricordare la strada. E non vogliamo che tu abbia uno spiacevole incontro con il Platano Picchiatore o che tu finisca per sbaglio nella Foresta Proibita, no?”

Abigail lo guardò interrogativamente, cercando di scoprire perché all’improvviso meritasse la sua gentilezza. Era quasi del tutto certa che lui stesse complottando qualcosa. All’inizio della cena, le aveva rivolto delle strane occhiate.

“Non voglio scomodarti,” disse infine in modo evidente.

“Non mi sarei offerto di accompagnarti, se non lo avessi voluto.”

La notte era ormai scesa e loro avevano iniziato a camminare attraverso i corridoi scarsamente illuminati della scuola, fianco a fianco. Al contrario di quanto era accaduto prima, cercava di adattarsi alla velocità di lei e di non catapultarsi avanti.

“È tutto a posto? Non sei più arrabbiato, vero?” lei gli lanciò un’occhiata di sbieco. I suo lineamenti appuntiti erano accentuati dalla semioscurità che li circondava. Lui non rispose immediatamente, così lei continuò a camminare. “Se lo avessi saputo, non ti avrei tormentato per offrirmi la cena. Davvero! Mi dispiace.”

“Va tutto bene.”

“Davvero?”

“L’ho appena detto, no?”

Rimase zitto a lungo, e proprio quando lei iniziava a pensare che avrebbero passato in silenzio la passeggiata, lui parlò di nuovo. “Così tuo padre era un Serpeverde…”

“Sì”

“Ed è venuto a Hogwarts. Forse l’ho incontrato.”

“Non essere ridicolo! Hai solo sette anni in più di me, è altamente improbabile…”

“E allora perché non ho mai incontrato te?”

“Forse perché non sono mai stata a Hogwarts.”

“Hai studiato a casa?”

“Già. Ti crea problemi?”

“No, non direi.”

“Ma il modo in cui l’hai detto…”

“Sei piuttosto irritabile, oggi?” Le lanciò un’occhiata derisoria. “È già quel periodo del mese?”

“Non mi piace parlare del passato. È tutto. O dobbiamo parlare del tuo?” chiese con enfasi.

Lui aggrottò le sopracciglia, con disappunto. “Ho notato che ti comportavi stranamente mentre parlavi di tuo padre, durante la cena. Ero preoccupato.”

“Davvero?” Ora si erano fermati. Lei lo guardò aggressiva, cercando di capire se stesse dicendo la verità. Come si aspettava, lui incontrò i suoi occhi con risolutezza. Non poteva leggere niente in quegli occhi neri. La luce ondeggiante dei corridoi, che scendeva dai candelabri che pendevano dal soffitto lo facevano sembrare decisamente inquietante. Le ombre cadevano sul suo viso, cancellando la poca morbidezza che c’era. A lui non piaceva il Severus che lei conosceva. E in quel momento lei poteva quasi immaginare perché gli studenti fossero così terrorizzati da lui.

“Sì,” disse infine. La sua voce, per una volta, era libera dall’onnipresente tono derisorio. Il suo timbro sincero crebbe sotto la pelle di lei e le fece credere a quanto lui aveva appena detto.

“Beh, puoi chiedermi del mio passato se io posso chiederti del tuo…”

Lui alzò un poco la testa, squadrandola pensosamente con gli occhi stretti per qualche secondo. “Se questo è necessario per farti parlare… Ma non ti aspettare che io risponda a tutte le tue piccole assillanti domande.”

Lei sapeva quale sforzo dovesse costargli un tale compromesso. Lui non era molto loquace in generale, ma quando si arrivava al suo passato, l’espressione “muto come una tomba” si adattava perfettamente. Ogni volta che la loro conversazione aveva costeggiato quell’argomento, lui aveva sempre cercato di allontanarla da lì al meglio delle sue possibilità. Lei rispettava il suo desiderio inespresso, anche perché di solito le importava più del presente che del passato.

Abigail si lasciò sfuggire un lungo sospiro trattenuto. “Mio padre mi ha buttato fuori di casa quando avevo sedici anni. Gli avevo annunciato di voler vivere con i miei nonni per un po’ per conoscere meglio lo stile di vita dei Babbani. Per un anno intero ho vissuto senza magia. È stato davvero affascinante. Pensiamo sempre che senza magia ogni cosa vada in pezzi, ma in realtà non è così,” gli diede un’occhiata gravosa come se stesse aspettando che lui commentasse, ma con sua sorpresa rimase in silenzio.

“Quando sono tornata, mio padre si era calmato abbastanza da parlarmi di nuovo. Mia madre era contentissima. Sfortunatamente non era cambiato molto. Io ero solo diventata più categorica nel volere imparare di più sulla cultura Babbana, mentre mio padre voleva che studiassi qualcosa di rispettabile come Incantesimi o Divinazione, e così via. Apparentemente la mia decisione di diplomarmi in Babbanologia e Antiche Rune è stata, per lui, l’ultima goccia. Mi ha diseredato. Non avrei più potuto vedere lui e mia madre fino a quando non avessi cambiato idea. La mamma ha pianto per settimane. Almeno, questo è stato quel che zia Miriam mi ha detto, dato che io non ero più la benvenuta…”

Per quanto la riguardava, quella era la fine della storia. Parlare del suo passato le era costata moltissima fatica. Si era trattenuta dal citare il disgusto per se stessa e il senso di colpa per il bene di Severus, perché sapeva che piangersi addosso l’avrebbe messo molto a disagio. Pensandoci, avrebbe messo a disagio anche lei.

“Capisco,” disse lui dopo un po’. In confronto a quanto lei gli aveva appena raccontato, era una risposta deludente. “Da allora non hai più parlato a tuo padre?”

“No, è morto tre anni fa.”

“Mi dispiace.”

“Beh…,” lei prese un lungo e tremolante respiro. “Così va la vita. Raramente c’è il lieto fine.”

“La tragedia è che speriamo sempre che ce ne sia uno.”

“Un altro idealista deluso,” lei lo guardò con sorpresa.

“Qualcosa del genere… Il tuo libro suggerisce che c’è ancora speranza per noi. Com’era? Più profondamente il dolore scava il tuo essere, più gioia è in grado di contenere.”

“Hai prestato attenzione.” Abigail era impressionata.

“Il San Mungo non è di certo un luogo di intrattenimento. Non c’era niente di meglio da fare.” scrollò casualmente le spalle, cercando di sorvolare sul quella piccola crepa della sua facciata ruvida e indifferente.

“Quindi cosa ne pensi? Pensi che sia  vero?” Per qualche ragione lui era determinato a scoprire cosa ne pensasse lei.

“Spero di sì. Tu?”

“Non so se posso radunare abbastanza energia per sperare ancora.”

“Io credo do sì. Sarebbe davvero triste se non potessi,” gli lanciò un piccolo sorriso. Una piccola smorfia della sua bocca fu il solo segnale che lui aveva provato a contraccambiare.

Avevano raggiunto il Punto di Smaterializzazione. Era una chiara notte d’autunno. L’aria era frizzante e non c’erano nuvole nel cielo che nascondessero la luna piena. Da qualche parte, lontano sullo sfondo, la sagoma nera del Platano Picchiatore si delineava contro lo scuro cielo notturno.

“Okay,” disse lei infine. “Grazie per avermi accompagnato fin qui.”

“Prego.”

“Ci vedremo ancora?” chiese Abigail insicura.

“Suppongo di sì.”

Lei rise. “Allegro come sempre, eh?”

Catturata da quel momento di leggerezza, impulsivamente si avvicinò per dargli un abbraccio come segno di saluto. Per lei non era una gran cosa, perché abbracciava sempre i suoi amici. D’altra parte nessuno come l’uomo che aveva davanti le aveva mai dato la sensazione di averne un terribile bisogno.

Lo sentì irrigidirsi tra le sue braccia, ma non lo lasciò.

“Hai bisogno di rilassarti, Severus. Dopotutto non sto mica cercando di conficcarti un pugnale nella schiena,” scherzò, cercando almeno di fargli abbassare un po’ la guardia.

Con sua sorpresa lui lo fece, e le sue braccia, che fino a quel momento pendevano impassibili ai fianchi, si allungarono per circondarla. Era un semplice gesto, ma nonostante questo la fece sentire felice. Nonostante l’arai fresca della notte si sentì improvvisamente calda e percossa da brividi.

“Hai un buon profumo,” rimarcò lei quando indietreggiò. “Pozioni e sapone.”

Lui le rivolse un’occhiata strana. “Non è ciò che la maggior parte della gente definirebbe piacevole.”

“Io non sono la maggior parte della gente.”

“Ovviamente no.”

“E questo cosa significa?”

“Non dovevi forse tornare a casa?”

“Non adesso, no.”

“Quindi preferisci piuttosto stare qui in piedi al freddo e litigare su cose senza senso.”

Lei gli lanciò uno di quei sorrisi brillanti che sapeva lui trovasse snervanti. “Sì.”

“Sei esasperante,” disse lui cupamente.

“Non è ciò che la maggior parte delle persone troverebbe piacevole. Eppure sei ancora qui…”

“Non ho mai detto di trovarlo piacevole,” disse, gli angoli della sua bocca curvati in un piccolo sorriso compiaciuto.

Lei non lo aveva mia visto sorridere, figuriamoci ridere, per cui fu momentaneamente presa in contropiede. Era un uomo piuttosto minaccioso, ma non quando sorrideva. Le fece credere che da qualche parte nel suo profondo ci fosse qualcosa di più di un sarcastico musone. Era qualcosa che sospettava già da tempo o non avrebbe cercato la sua amicizia.

“Se questo è tutto quello che serve a farti chiudere la bocca…” rimarcò lui.

“Un modo dei tanti, se non altro,” disse lei, lanciandoli un sorriso impertinente, prima di Smaterializzarsi, lasciandosi dietro un pensieroso professore di pozioni. Lui passò il suo ritorno al castello considerando tutti i possibili significati della frase. Alcuni di essi lo fecero sorridere leggermente.

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Capitolo 4
*** Mi sono abituato al suo viso ***


IL LAMENTO DI FEDERICO
È la solita storia del pastore...
Del povero ragazzo voleva raccontarla
e s'addormì.
C'è nel sonno l'oblio,
come l'invidio!
Anch'io vorrei dormir così,
nel sonno almen l'oblio trovar!
La pace sol cercando io vo'
vorrei poter tutto scordar!
Ma ogni sforzo è vano,
davanti ho sempre di lei il dolce sembiante.
La pace tolta è solo a me,
perchè degg'io tanto penar?
Lei! Sempre lei mi parla al cor!
Fatale vision, mi lascia!
Mi fai tanto male! Ahimè!

Francesco Cilea - L'ARLESIANA

Capitolo 4
Mi sono abituato al suo viso
Traduzione a cura di besemperadreamer e Varekai

Si aggiustò soprappensiero gli occhiali, prendendo un libro dalla sezione delle Arti Oscure. Trattava principalmente delle Maledizioni senza Perdono. Come ogni strega e mago che ha ricevuto una appropriata istruzione, conosceva l'Avada Kedavra e la Maledizione Cruciatus. Comunque, gli incantesimi di cui parlava questo libro erano molto più maligni. Non erano destinati ad uccidere, almeno non immediatamente, ma alla fine tutti conducevano ad una morte lenta e dolorosa. Le succedeva piuttosto spesso di rabbrividire disgustata quando sfogliava quelle pagine. Non poteva permettersi di fare la schizzinosa, comunque, se voleva andare avanti col suo piano.

Un piano di cui lui non avrebbe dovuto sapere niente. Non se lo poteva evitare. Avrebbe mandato a monte tutto. Avrebbe rovinato quell'amicizia abbozzata che avevano costruito. Avrebbe pensato che l'aveva solamente usato, anche se lei non gli aveva mai chiesto niente della sua vita come Mangiamorte. Era stata una decisione voluta. Se lui avesse mai scoperto il suo piano, non avrebbe potuto accusarla di aver abusato della sua fiducia o di averlo pressato con domande insistenti per ottenere informazioni.

Abigail aveva da tempo scoperto chi erano coloro che avevano attaccato sua zia. Due Mangiamorte chiamati Avery Abbott e David Tennyson. Erano andati in giro vantandosi, sfacciatamente, delle loro azioni. Dopotutto essere in grado di battere Miriam Priestly era decisamente un traguardo. Sfortunatamente il Ministero della Magia non aveva mosso un dito per metterli a tacere. Fino ad oggi erano ancora a piede libero. Era stato stabilito che la loro colpa non potesse essere provata. Già, proprio così! Era troppo difficile, dover mandare un gruppo di Auror alle loro calcagna, questa era la verità. Da quando la guerra era ufficialmente finita, il Ministero sembrava essere diventato sordo da un orecchio. Meglio spazzare il macabro passato sotto il tappeto e andare avanti verso un nuovo inizio.  

Abigail si strofinò il setto nasale. Le lettere stavano iniziando ad offuscarsi sotto i suoi occhi. Forse era il momento di interrompere le ricerche. Aprì l'armadietto dove gli altri libri di Arti Oscure erano conservati al sicuro e rimise il tomo all'interno. I libri stavano facendo le fusa contenti appena sentirono la sua presenza. Ma certo che facevano le fusa. Lei gli dava in pasto un paio di topi una volta a settimana, così da soddisfare la loro fame di carne. Dopo aver mangiato erano pacifici come gattini.

Dopo averli chiusi a chiave al sicuro nell'armadietto, lei fece correre le mani sui suoi vestiti, sistemandoseli, provando a scrollarsi il lercio che pensava di avere addosso. Leggere quei libri la facevano sempre sentire sporca. Le stava costando uno sforzo maggiore di quanto avesse pensato, ma dopotutto non era mai facile agire contro la propria natura. Per lei la vendetta era sempre stato un concetto completamente alieno. Fino a quel giorno....fino a quel giorno in cui venne fatto del male a qualcuno a cui lei teneva profondamente.

C'erano poche persone a cui teneva. Sua zia, sua madre, i suoi amici...e si fermò. Severus. Si, teneva anche a lui. Andava bene pensarlo. Andava bene persino dirlo ad alta voce. Solo non a lui. Provò ad immaginare la sua reazione e per qualche ragione non riusciva a proprio a visualizzarla.

Parlavano di molte cose, di filosofia, religione, politica, letteratura, vita e morte – cose che avevano importanza. Ma alla fine non ne avevano. Lei lo conosceva, ma non lo conosceva. Era perché lui stava sulle sue o perché era lei ad essere frenata? Il risultato era comunque lo stesso. Non erano così vicini, non così tanto quanto lei avrebbe voluto.

Era assurdo volere qualcosa così. Assurdo pensare che lui glielo avrebbe permesso. Per qualche ragione idiota lei sperava che lui glielo avrebbe concesso, perché desiderava conoscerlo meglio. Quando lei lo guardava non vedeva più da tempo un Mangiamorte, ma un amico. Quel poliedrico, meraviglioso, burbero, irritante uomo che qualche volta le sorrideva quando meno se l'aspettava. Probabilmente quando anche lui se l'aspettava meno.

***

Lui si ritrovò a pensare a lei più di quanto avrebbe dovuto. Era davvero strano e così poco da lui. Almeno questo era quello che stava provando a dire a se stesso.

Il mattino seguente scivolò silenziosamente nella classe di Pozioni, proprio come al solito, e puntò dritto per la lavagna. Si avvicinò per prendere un pezzo di gesso. La sua mano sostò al di sopra si esso per un momento, con indecisione. Il pensiero di lei lo lambì come un'onda. Lo scosse via, finalmente capace di superare quell'esitazione. Da quel momento in poi tutto riprese il suo solito corso.

Per mezzogiorno si era quasi convinto che si trattava di una specie di momentanea follia che aveva preso il sopravvento su di lui. Almeno fino a quando entrò nel suo laboratorio di pozioni giù nei sotterranei, sul tardi di quello stesso giorno. Lì sopra il tavolo da lavoro giaceva il Compendio di Bellini, che lo tentava silenziosamente. Lui si guardò intorno nella stanza per un momento, impotente. Poi lasciò la stanza di nuovo con uno sbuffo annoiato, chiudendo rumorosamente la porta dietro. Non c'era limite alla frustrazione che provava.

Se avesse ignorato quella sensazione sarebbe andata via, prima o dopo. Dopotutto era quello che voleva. Che cosa voleva? Quanto tempo era passato da quando ci aveva pensato? Non si era mai trattato di ciò che voleva, perché le cose che più desiderava erano ormai perdute, irraggiungibili,e sopratutto impossibili. Ad un certo punto aveva smesso di desiderare. Era difficile iniziare di nuovo, così improvvisamente.

Decise che la la più saggia linea d'azione fosse non vederla più. Avrebbe semplificato le cose considerevolmente, ma il solo pensiero lo fece sentire depresso. Comunque, per quanto irritante fosse la sua emotività, il suo entusiasmo, la risata che gli rivolgeva, ci si stava abituando. Poteva farcela senza? Ma certo che si.

Per tre intere settimane non si videro, né si parlarono. Finché un giorno arrivò un gufo entrando dalla finestra della Sala Grande, solo per atterrare con grazia sul tavolo degli insegnanti di fronte a Severus. Diede all'animale uno sguardo scettico, sollevando un sopracciglio. Il gufo si guardò dietro, inclinando la testa a sinistra, osservandolo con curiosità. Insolente era l'aggettivo che meglio si adattava all'uccello e ciò gli dava un indizio su chi l'avesse mandato.

Piazzò il piccolo pezzo di carta che aveva nel becco sul suo piatto vuoto con sfrontatezza e volò via bruscamente. Guardò la pergamena per un po' con sospetto, prima di prenderla in mano, srotolandola lentamente. C'era una sola frase scritta sopra. Non c'erano parole fiorite, solo una semplice e onesta affermazione, che sarebbe stata la sua rovina.
Mi manchi,” si leggeva sulla pergamena. Riconobbe la sua scrittura immediatamente.
Il suo primo pensiero impulsivo fu Mi manchi anche tu. Poi ci pensò meglio e accartocciò il pezzo di carta.

***

La campana in stile antico sopra la porta suonò, annunciando l'arrivo di un altro cliente. Si prese un momento per ricomporsi, avere a che fare con le Arti Oscure in genere la metteva di un umore men che allegro, poi uscì fuori dal corridoio per dare il benvenuto al nuovo arrivato.

Al solito Severus si presentò quando meno se l'aspettava. Eppure era lì, ad indugiare sull'uscio con una certa indecisione.

Vedendolo, il suo cattivo umore fu scacciato via momentaneamente. “Oh, ciao! Non ti aspettavo...,” 'proprio' era indiscutibilmente implicato nella breve pausa che seguì.

“Entra! Entra!” farfugliò con entusiasmo. Lui era lì. Lui era davvero lì.

“Ciao,” la salutò rigidamente.

“Allora, che cosa ti porta qui?” chiese, provando a trattenersi dall'esplodere in un sorriso.

“Io...,” si fermò, apparentemente non trovando le parole.

Lei aspettò un'appropriata quantità di tempo prima di venire in suo aiuto.

“Va bene, mentre tu stai cercando una scusa decente per la tua visita, anche se non hai proprio bisogno di una scusa per passare, preparerò un pò di tè. Ti va una tazza?” Lei parlava molto velocemente, forse per l'enorme quantità di caffè che aveva già bevuto quel giorno, anche se poteva essere solo semplice nervosismo.

“Come prego?” sbatté le palpebre un paio di volte, guardandola confuso.

“Tu. Io. Tè?” ripeté lentamente, come se stesse parlando ad un bambino.

“Va bene. Con piacere. Si, grazie.” Apparentemente non era al massimo della sua forma nemmeno lui oggi, perché in genere le avrebbe rimarcato quanto non fosse stupido e che aveva perfettamente capito cosa lei aveva detto la prima volta.

Abigail svanì nel retro del banco per preparare il sopramenzionato tè. “Temo che ci sia solo tè in bustina, ti va bene?” gridò.

“Non avresti potuto avvisarmi prima?” fu la sua risposta. Lei sorrise tra sé silenziosamente. Oh, quanto le era mancato quell'altezzoso bastardo!  

“Non potresti venire qui? É un po' ridicolo gridare per tutto il negozio a pieni polmoni.”

“Lo pensavo anche io,” la sua voce improvvisamente era molto vicina. Sussultò. Severus era ad appena un paio di centimetri da lei, ispezionando casualmente la confusione che copriva il tavolo al di sopra della sua spalla. Era uno strano assortimento di novelle babbane, libri di magia, frammenti sparsi di carta su cui aveva scribacchiato appunti vari e fatture. C'erano piccole isole qua e là su cui c'era abbastanza spazio per una tazza vuota o una barretta di cioccolata morsicata.

Lei arrossì leggermente, sperando di averci pensato un po' di più a quell'impulsiva proposta di prendere del tè. Non era previsto che vedesse quel macello. “Mi dispiace. Non aspettavo ospiti.”

“Mi sembra ovvio.”

La sua risposta la irritò e la fece sentire in imbarazzo, così decise di vendicarsi.

“Allora, non mi stavi dicendo perché sei venuto? C'è qualcosa di cui hai bisogno?”

“Io...avevo degli affari da sbrigare da Slug e Jiggers, così ho deciso di passare.”

“Bella scusa,” gli fece un sorrisetto compiaciuto. “Non potevi dire soltanto che ti mancavo e che eri venuto a trovarmi?” L’unico segno evidente della sua agitazione era il leggero tremolio delle mani quando posò le due tazze sul tavolo. Pregò che rimanessero un pochino più ferme mentre versava il tè.

“No”, rispose lui impassibile.

“Affascinante,” replicò Abigail.

Tirò fuori la bacchetta e la puntò verso la teiera, mormorando un semplice incantesimo riscaldante.

“Che c’è?”

“Non ti avevo mai visto usare la bacchetta. Quasi mi aspettavo che fossi una Magonò.”

“Non sono una Magonò. E’ solo che non uso la magia per qualsiasi cosa, ecco.”

“Quindi la tua bacchetta... presa da Olivander, immagino?” chiese lui con noncuranza.

“Già, 9 pollici e mezzo, ebano. Il cuore è di peli di kneazle. Niente di speciale. La tua?”

“La mia... Ne ho appena presa una nuova.”

Gli sorrise dolcemente. “Cosa c’è? Primo giorno di scuola?”

“No, vedi, Voldemort ha tentato di uccidermi,” questa dichiarazione praticamente trasudava sarcasmo. “Quando mi sono svegliato mi hanno informato che era sparita, persa sul campo di battaglia – un piccolo inconveniente.”

“Mi dispiace,” disse Abigail con tutta sincerità. Passò un breve momento prima che riprendesse a parlare. “Com’è quella nuova? Soddisfacente?” All’ultima parola, il suo tono era tornato canzonatorio. Era un deliberato tentativo di tirarlo fuori dal suo tetro umore.

“E' Testarda.”

“Dio li fa e poi li accoppia...”

“Non sono venuto qui per farmi insultare da te,” sfortunatamente si era rese conto troppo tardi che quel giorno lui perdeva le staffe piuttosto facilmente.

“Aspetta, Severus” ora attenta al suo umore altalenante, previde la sua mossa successiva e gli afferrò il braccio per il polso prima che si potesse infuriare. “Scusa. Lo sai che non lo intendevo.”

Per un minuto la guardò con gravità, poi annuì lentamente.

“Davvero, dovresti prendermi sul serio solo per la metà del tempo, perchè parlo a vanvera. E’ come se i circuiti tra la mia bocca e il mio cervello ogni tanto si friggessero. Io continuo a ciarlare senza senso e...”, non appena vide che la sua mano era ancora stretta intorno al suo polso, si zittì bruscamente. Ciò che lo stupiva, e stupiva anche lei, era che non l’aveva lasciato. L’indice era poggiato proprio sopra il suo polso e lei poteva sentire il battito di lui accelerare da un ritmo regolare a uno ansioso. La sua pelle era calda, quasi bollente sotto le sue dita fredde.

Fino a quel momento, non si era accorta di quanto fossero vicini. Le cuciture della sua veste stavano strusciando contro le gambe dei suoi pantaloni. Cautamente sollevò la testa e lo guardò.

Generalmente la sua espressione era indecifrabile, ma ora riusciva a vedere una mescolanza di sorpresa, curiosità e forse anche paura.

Lentamente allentò la presa sul suo polso, sfiorando la sua pelle con le dita. Il loro tocco fu leggero, quasi una carezza. Lui rabbrividì leggermente.

“Severus?” disse dolcemente. “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”

Gli ci volle un po’ per rispondere e quando lo fece la risposta sembrò quasi strozzata. “No.”

“Bene,” disse piano lei.

La teiera dietro di loro emise un fischio acuto, facendoli sobbalzare dalla loro rêverie. Nonostante ciò nessuno dei due si sbrigò a togliere la teiera dal fuoco.

“Severus,” il modo in cui aveva pronunciato il suo nome era cambiato. Sembrava più intimo ora, “So che non lo sopporti, ma devo chiedertelo. Perché sei venuto a trovarmi?”

Come si aspettava, lui non rispose subito. “Ti ho detto, avevo delle faccende...”

“Stronzate!” lo interruppe bruscamente. Aveva già eluso la domanda due volte. Era giunta al limite della pazienza.

Gli occhi di lui si fecero due fessure. Le rivolse un’espressione di disapprovazione. Non gli piaceva essere interrotto.

“Per una volta soltanto potresti farmi un favore e non temporeggiare o cambiare argomento o fare una di quelle cose che normalmente fai in situazioni come questa?”

“Perchè?” le lanciò uno sguardo sprezzante.

“Perchè è proprio frustrante. Ecco perchè!”

“Facci l’abitudine.”

Lei emise una risata roca e fece schizzare in aria le mani per la frustrazione. “Bene, fa’ come ti pare!

Per lo meno posso dire di averci provato.”

Nessuna reazione. Come faceva a stare là così senza dire nulla?

Abigail si massaggiò il dorso del naso, sentendo i suoi occhi che la penetravano. Era semplicemente troppo! Chi diavolo pensava di essere? “No, anzi, ripensandoci non credo che lascerò perdere stavolta. Significherebbe stare al tuo gioco. Perchè è quello che vuoi tu, no? Beh, stavolta ti è andata male!” lo guardò truce.

“La pianti o preferisci ritirarti per sempre nel tuo piccolo guscio, così che nessuno possa raggiungerti?”

“Non sono costretto ad ascoltarti,” sibilò.

“No, non sei costretto, ma lo farai.” Grazie alla sua rabbia, non era minimamente intimidita da lui.

“Chi te lo dirà se non lo faccio io?” cercò la sua faccia, trovando una maschera senza espressione che non la incoraggiava a continuare né la scoraggiava a farlo. “Senti, Severus, voglio solo riuscire a conoscerti. E’ così difficile da accettare?”

“Perché?”

“Che intendi con ‘perché’?”

“Credo sia piuttosto chiaro cosa intendo.”

“A quanto pare no.”

Fece rotare gli occhi, infastidito dal fatto di doverglielo dire realmente ad alta voce. “Perchè dovresti volere qualcosa del genere?”

“Non lo so.” Si vedeva che stava mentendo.

“Ora sei tu che stai temporeggiando,” disse con un certo grado di soddisfazione.

“Non credo che tu lo voglia sapere,” disse lei con tono di sfida.

“Ho solo chiesto, giusto?” disse lui in un tono pari al suo.

Abigail esitò per un istante prima di continuare a parlare. “Bene. D’accordo. Te lo dico,” fece un grosso respiro. A metà frase la sua rabbia era scomparsa. “Mi piaci.”

Lui sembrò realmente sorpreso, come se fosse difficile per lui accettare il fatto che qualcuno gradisse sul serio la sua compagnia.

Le era costato parecchio coraggio fare uscire quelle parole. Ora si sentiva molto vulnerabile, come se una sola parola da parte sua bastasse a farla a pezzi. Ma ancora una volta aveva bisogno che lui dicesse qualcosa. “Severus?” chiese timidamente.

“Sì,” rispose lui distrattamente.

“Dì qualcosa, ti prego.”

Da dove cominciare? Magari dicendole che qualcosa di così semplice come il fatto che a lei piacesse fosse sufficiente a stravolgere il suo mondo? Era la prima persona da anni a farlo. Non si era mai dispiaciuto per se stesso, non si era mai sentito dipendente dall’approvazione o dalla commiserazione delle altre persone. E allora è perché questo lo rendeva così… felice?

Ritornò al presente. Lei stava ancora aspettando la sua risposta. Ogni secondo che passava la faceva sembrare un po’ più ansiosa e sempre più a disagio. Non si era mai reso conto quanto la sua opinione contasse per lei.

“Cosa dovrei dire?” riuscì finalmente a dire.

“Non è ovvio?”, Abigail lo guardò tristemente.

Lo ferì vederla così. “Beh… anche tu mi piaci,” disse infine, incapace di trovare le parole giuste per descrivere correttamente quello che provava per lei.

Abigail allora sorrise, veramente, sinceramente. Sorrise per qualcosa che lui aveva detto. Doveva ancora farci l’abitudine.

A quel punto, quando si stava già quasi preparando a ricevere un’altra di quelle spossanti domande personali, lei cambiò semplicemente argomento. Forse aveva sentito il suo disagio e aveva avuto pietà di lui. In qualsiasi caso, ne era grato.

“Dunque… dove eravamo rimasti? Ah, sì. Tè?”

“Sì, grazie,” disse in fretta.

Quando lei tirò fuori da un cassetto sulla sua scrivania le bustine del tè, lui arricciò il naso in disapprovazione.

“Qualcosa non va?”

“Questo è da selvaggi. Non hai del tè come si deve?” A quanto pareva, si era già ripreso dallo shock di averla sentita dichiarargli la sua simpatia. Ritornare ai familiari battibecchi diede ad entrambi un certo sollievo, in cui felicemente si rifugiarono.

“No, a quanto pare no.”

“Sarò felice di provvedere io la prossima volta che passo. Nessuno dovrebbe essere forzato a bere questa roba, quanto meno non due volte.”

Note della traduttrice besemperadreamer:  ciao a tutti!
La mia collaboratrice erika91 purtroppo, a causa dei numerosi impegni della vita vera, non ha più potuto continuare questa traduzione, motivo per il quale è rimasta così a lungo in sospeso, ma state tutti tranquilli, perché non inizio mai qualcosa che non intendo finire, prendo i miei impegni molto seriamente^^

Sono felice di annunciarvi che un'altra collaboratrice, Varekai, si è resa disponibile e adesso lavorerà con me a questa traduzione. Il quinto capitolo è già pronto, in attesa di una semplice revisione.

Un ringraziamento particolare a biancalupin, Ernil e Nell Sev Snape per le loro recensioni, consigli e sostegno.

Alla prossima!



 

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Capitolo 5
*** Uno sporco segretuccio ***


Uno Sporco Segretuccio

Traduzione a cura di besemperadreamer

Severus ritornò nella classe vuota trasportando vari ingredienti per pozioni tra le braccia. Aveva appena congedato la sua ultima classe di quel giorno. Adesso l'unica cosa che gli rimaneva da fare, prima di potersi ritirare nei suoi alloggi, era preparare tutto il necessario per quelli del secondo anno che avrebbero dovuto preparare una Pozione Gonfiante per la prima volta l'indomani mattina.

Abigail sedeva in un posto della terza fila, guardandolo entrare tranquillamente, con le gambe, avvolte dai suoi jeans attillati, distese con noncuranza sotto il banco e le braccia incrociate sul petto. Indossava un golfino rosso scuro casual e scarpe da ginnastica ed aveva i capelli raccolti in una lenta coda di cavallo. Fino a quel momento lui l'aveva sempre vista in abiti babbani. Si chiedeva se ce le avesse un paio di vesti da strega.

Avendo smesso di addurre scuse per vedersi, non era molto sorpreso che fosse lì.

“Signorina Carter, sempre un piacere,” disse con un sorrisetto ironico.

“Altrettanto, Professor Piton.”

“Come sta tua zia?” chiese gentilmente. Per quello che aveva capito, lei andava ancora a farle visita ogni giorno, sperando in vano in qualche miglioramento.

“Ancora in stato comatoso,” sospirò. “Non capisco. Avrebbe dovuto stare meglio adesso. Il guaritore mi aveva detto...” il resto della sua frase scomparì in un lungo sospiro tirato.

“Ne vuoi parlare?” offrì lui con imbarazzo.

Abigail gli rivolse un piccolo sorriso di gratitudine. Sapeva che non era tipo da consolare qualcuno, così che le stesse veramente proponendo di ascoltare il suo sfogo senza pensarci due volte, le riscaldò il cuore. Ciò nonostante dovette declinare l'offerta. “No, preferirei di no. Più ne parlo, peggio è.”

“Come desideri,” disse, affaccendandosi con le preparazioni dell'esperimento .

“Allora, come sono stati i tuoi marmocchietti oggi? Estremamente irritanti o solo in maniera moderata?” chiese cercando di alleggerire l'atmosfera.

Lui le rivolse un'occhiata torva.

“Così terribili?” rise lei.

“Non ne hai la minima idea,” dichiarò Severus cupamente, posizionando meticolosamente i vari ingredienti accanto al calderone nell'ordine in cui gli sarebbero serviti la mattina seguente.

“Oh, lasciami indovinare,” lei chiuse gli occhi. “Un'esplosione, giusto?”

“Magari,” borbottò a denti stretti.

“Peggio, eh?”

“Roberts a scatenato una reazione chimica che ha colorato la metà degli alunni di rosa.”

Lei si lasciò sfuggire una sonora risata. “Davvero?”

Lui le rivolse semplicemente uno sguardo eloquente.

“Quanto ci vuole prima che venga via il colore?”

“Fino a domani mattina.”

“Beh, a quanto pare hai la fortuna dalla tua. Non credo che il rosa ti doni.”

“Direi.”

“Dai,prendila alla leggera! In un certo senso è buffo.”

“Mi è difficile trovare la stupidità di Roberts divertente.”

“Fidati, lo farai prima o poi. E' del sesto anno, no? E il colore rosa non fa esattamente perdere la testa alle ragazze,” sorrise maliziosamente.

L'angolo destro della sua bocca si contrasse.

“Hai visto,” commentò Abigail trionfalmente.

“Quanto passerà prima che tu finisca qui?” aggiunse dopo averlo guardato silenziosamente per un po'.

“Dipende se continui a distrarmi o meno.”

“E se la smetto?”

“Due minuti.”

“E se continuo?” lo provocò.

Lui sospirò. “Ancora troppo caffè?”

“Forse.”

Lei rimase in silenzio. Comunque, non parlare significava tenersi occupata con qualcos'altro, così iniziò a vagare nella classe.

“Ho finito qui,” annunciò dopo un bel po'.

“Ci hai messo una vita,” scherzò. “Adesso che devi fare?”

“Non ti aspettavo.”

“Cosa avresti fatto se non avessi deciso di passare?”

“La verità?” chiese.

“Certamente,” annuì con vigore.

“Whiskey Incendiario.”

“Ti volevi prendere una bella sbronza? Tsk tsk tsk.”

“No, ne avrei preso solamente un bicchiere,” la corresse.

“Sicuro.”

“Bè?” chiese, impaziente di lasciarsi finalmente alle spalle la classe di pozioni.

“Contami pure. Allora, dove siamo diretti?”

“Ai miei alloggi.”

Lei semplicemente annuì , cercando di nascondere la sua sorpresa. Non era mai stata invitata nei suoi alloggi. Ogni qual volta era venuta a visitarlo a Hogwarts alla fine finivano sempre per andare a Hogsmeade.

Si incamminarono silenziosamente attraverso i corridoi debolmente illuminati di Hogwarts. La stava conducendo sempre più in profondità nei sotterranei del castello. Oramai aveva perso ogni speranza di riuscire a ritornare indietro da sola.

“Non siamo ancora arrivati?” gli chiese ironicamente dopo un po'.

“E' proprio dietro l'angolo,” rispose, fallendo nel notare l'ironia dietro la sua osservazione.

Come promesso, l'entrata delle sue stanze era proprio dietro l'angolo. Evocò la sua chiave e aprì la porta, mentre borbottava alcuni incantesimi sottovoce di cui lei poteva afferrarne solo pochi frammenti. Vedendo il suo sguardo stranito, spiegò velocemente, “Ho piazzato un paio di protezioni, solo in caso.”

“Solo in caso Roberts volesse colorare le tue lenzuola di rosa?”

“No, in caso qualcuno dei miei vecchi amici decidesse di passare a salutarmi.” Lui la guardò con disapprovazione.

“Giusto. Scusa,” disse velocemente, del tutto consapevole e adeguatamente imbarazzata di avere di nuovo superato il limite.

Aprì di scatto la porta e entrò nella stanza prima di lei, non preoccupandosi di farla passare avanti. Abby aveva imparato, conoscendolo, che spesso lui non si curava delle regole del galateo, anche se probabilmente gli erano intimamente familiari, a giudicare dalle maniere a modo che mostrava quando era dell'umore giusto.

Con un semplice gesto della mano, le fiamme del focolare di ravvivarono. Si tolse il mantello, gettandolo senza cura sul divano di antica fattura di fronte al camino. Dopo averle annuito brevemente, suggerendo implicitamente di accomodarsi, lasciò la stanza per recuperare il promesso Whiskey Incendiario.

Non si sorprese molto che i colori predominanti all'interno dei suoi alloggi fossero scuri o che l'arredamento fosse molto spartano. Non c'erano quadri appesi ai muri o oggetti personali che rivelassero qualcosa sull'abitante della stanza – eccetto il libro aperto poggiato distrattamente sul sofà accanto al camino, forse dimenticato lì per sbaglio. Lo prese con attenzione tra le mani, girandolo per leggerne la copertina, mantenendo il segnalibro della pagina.

Era sicura che tra tutti i libri che gli aveva suggerito avrebbe letto per primo Byron. Rimise il libro da dove l'aveva preso, proprio mentre lui tornava dalla stanza attigua con due bicchiere di Whiskey. Il liquido ambrato ondeggiava appena dentro al bicchiere quando glielo porse.

“Non dovresti iniziare con Byron, sai.”

“Perché?”

“Perché persino a paragone di Rossetti e Shelley, non è esattamente allegro.”

“Di rado mi piace leggere libri allegri.”

“L'ho appena notato, raggio di sole,” lo prese in giro.

Lui le ringhiò contro in risposta, scatenando solamente una risata divertita da parte di lei.

“Seriamente, Severus, un libro del genere non ti butta a terra dopo una brutta giornata? Byron mi fa sempre sentire tipo depressa.”

“Non particolarmente.”

“E quindi che impressione ti lascia? Nessuna?”

Lui scrollò le spalle. “E' un libro ben scritto, ma nondimeno solo un racconto.”

“Solo un racconto?” lo guardò a bocca aperta. Apparentemente aveva detto qualcosa di terribilmente sbagliato. “Racconto, capisco...cioè, quelli sono i pensieri, i sogni di una persona, cristallizzati in un capolavoro di narrativa da uno dei più brillanti scrittori di tutti i tempi. E tu hai il coraggio di chiamarla “solo un racconto”? E' un'opera d'arte. Scrivere richiede passione, immaginazione, e per poterla veramente apprezzare anche chi la legge le deve avere. Ed è certamente vitale anche una certa comprensione del personaggio o quantomeno dell'autore.”

“Come sempre sei detestabilmente entusiasta. Non si deve essere poeti per apprezzare la poesia.”

“Vero. Ma se pensi che un poeta è solo un tizio che mette insieme delle belle parole in rima, un poema è sprecato per te.”

“Concordo.”

“Concordi?!”

“Si.”

“E allora perché Byron?”

“Non hai detto qualcosa a proposito della comprensione prima? Beh, simpatizzo per lui.”

Le fece cenno di sedersi sul sofà, dopo di che la seguì, allungando le sue lunghe gambe di fronte al fuoco. La distanza che aveva posto tra loro era estremamente ridicola. Lui sedeva ad un capo del divano, mentre lei era seduta in quello opposto. Lei gli gettò un ironico sguardo di sottecchi, che lui carpì ovviamente, solo per continuare a fissare le fiamme. La sua mancanza di attenzione la innervosì, così strisciò furtivamente fin dove era seduto, provando almeno a rendere nota la sua presenza fisica. Lui le scoccò uno sguardo di sfuggita perplesso, ma non disse niente.

“Come mai simpatizzi per lui?” gli chiese dopo un po'.

“Non lo so,” scrollò le spalle. Non sapendo perché, aveva la netta sensazione che lui stesse solamente temporeggiando.

“Non lo sai o non me lo vuoi dire?”

“Scegline una.”

Lei si accigliò, prendendo un altro sorso del suo Whiskey Incendiario. A Severus non sfuggì il suo dispiacere. Ma cosa poteva farci, se aveva problemi a parlare di sé e dei suoi sentimenti? Era stato una persona riservata anche prima di diventare un Mangiamorte e di lavorare sotto copertura per Silente. Ed adesso credeva conuna convinzione sempre crescente, di non potersi più aprire con nessuno: le domande lo facevano chiudere in se stesso e l'intimità lo metteva a disagio. Avrebbe preferito farsi prendere a pugni piuttosto che parlare dei suoi affari privati, ma si sentiva sempre in colpa dopo averla trattata in maniera sgarbata. Sentiva sempre il bisogno di riparare al danno fatto.

“Il mondo che descrive, quel luogo oscuro...mi sembra familiare,” disse dopo un po'.

“Eroi tragici, un amore che causa disperazione...è davvero un posto così oscuro il mondo in cui vivi?” lo guardò soprappensiero.

Lui esitò. “Forse.”

“Molto criptico.”

“E' difficile spiegarlo.”

“Perché? Non deve esserlo. Potresti semplicemente dirmelo.”

“Potrei dirtelo e non essere giudicato per le cose che ho fatto?” la guardò, aggrottando scetticamente un sopracciglio.

“Sono una tua amica.”

Lui si lasciò sfuggire una risatina amara.

“Cosa c'è di così divertente in quello che ho detto?” inquisì, suonando leggermente offesa.

“Sei così ingenua.”

Lei si accigliò. “Perché voler essere tua amica mi rende ingenua tutto ad un tratto?”

“Vuoi veramente che mi spieghi?” le rivolse uno sguardo tagliente.

Lei annuì in risposta.

“Nonostante gli esseri umani siano capaci di provare nobili sentimenti e di sacrificarsi per il prossimo, alla fine siamo tutti egoisti. Presto o tardi ci si stanca delle cose troppo sfiancanti o complicate. Tutto ha un limite, persino un'amicizia.”

“Quindi tu stai semplicemente presumendo che la nostra amicizia non sopravvivrà alla confessione dei tuoi piccoli, oscuri segreti,” incrociò le braccia su petto con aria di sfida.

Invece di fumare dalla rabbia al suo commento, lui rimase seduto a fissare le fiamme con un'espressione vacante sul volto, il che la fece infuriare ancora di più.

“Non ci arrivi, vero? Non sei solo un tipo con cui mi piace trascorrere un po' di tempo quando mi annoio. Per me sei speciale.” lei guardò in basso al suo bicchiere, evitando il suo sguardo. “E niente potrà cambiarlo,” Abby aggiunse più calma.

“Lo dici adesso,” disse lui dopo un po'. La sua lealtà lo sconvolgeva e lo destabilizzava.

“Dimmelo e basta.”

“Perché?”

“Ti farà stare meglio.”

“Non lo sai.”

“Già, ma forse vale la pena provare. Non pensi?”

Invece di rispondere, lui si richiuse nuovamente nel suo mutismo. Nella stanza si sentiva solo lo scoppiettio occasionale dei ciocchi di legno carbonizzati nel camino. Più il suo silenzio si prolungava, più insopportabile diventava per lei. Proprio quando pensava di non poterne più, lui finalmente aprì la bocca per parlare.

“Ho ucciso una persona,” sembrava esausto, come se mormorare quelle poche parole gli costassero uno sforzo enorme.

Lei lo sapeva già, ma udirlo dalle sue labbra conferiva a quell'azione un livello di realtà completamente diverso. Ogni parola fu come un pugno nello stomaco. “Si,” disse infine e questo era tutto quello fu in grado di dire in quel momento.

“Lui mi chiese di farlo e io l'ho fatto. Mi piacerebbe dire che non avevo scelta, perché mi aveva fatto stringere un Voto Infrangibile.” il suo sguardo era perso, lontano. “Ma persino quei voti possono essere infranti. C'è sempre una scelta.”

“Io...” Abby iniziò, per poi zittirsi di nuovo. Scosse la testa per la frustrazione. Erano le situazioni come quelle in cui si sentiva perfettamente inutile. Voleva essere in grado di dire qualcosa per consolarlo, ma per quanto stesse scervellandosi per trovare la cosa giusta da dire, non riusciva a trovare le parole giuste. A volte le parole sembravano così frustratamente inadeguate per esprimere i propri sentimenti. Ma voleva fare o dire qualcosa per fargli sentire che lei gli era vicina.

Dopo un breve momento di conflitto interno lei finalmente fece quello che la sua impulsività le consigliava sin dall'inizio. Dopo aver poggiato il bicchiere, si avvicinò e prese la mano di lui tra le sue. Era gelata. La sua faccia o la sua voce non tradivano mai le sue emozioni, ma davvero poteva regolare, senza saperlo, la temperatura del suo corpo? Era spaventato? Triste? Arrabbiato? Disperato? Non lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto.

“Che stai facendo?” chiese allarmato.

“Ti tengo la mano,” rispose delicatamente.

A quel punto lui avrebbe potuto ritirare la sua mano ma non lo fece. Non poteva, era fin troppo piacevole. Il calore di Abigail si stava insinuando lentamente sotto la sua pelle, mentre le sue sottili dita massaggiavano il dorso della sua mano.

“Sono gelate,” disse, tenendo prima la sua mano sinistra, poi quella destra tra i suoi palmi.

“Si,” rispose semplicemente. “Come è possibile che le tue siano così calde?” era una domanda senza senso – così poco da lui. L'intimità lo rendeva nervoso.

“Whiskey Incendiario. Le mie mani diventano sempre calde quando bevo.”

“Capisco.”

“Questo ti mette a disagio, vero?” chiese, guardando direttamente le loro mani intrecciate.

“No.”

“Bugia.” disse lei.

“Forse.”

“Vuoi che la smetta?”

Nessuna esitazione questa volta. “No.”

Lei sorrise. Il suo pollice carezzava lentamente il retro della sua mano.

“Solo che non me lo aspettavo,” disse, lasciandosi sfuggire un sospiro tremante. Sulla sua corazza stavano cominciando ad espandersi delle crepe ogni secondo in più che lei gli teneva la mano.

“Cosa ti aspettavi?” Abigail chiese dolcemente.

“Non lo so. Che tu ti alzassi e andassi via e non mi rivolgessi più la parola,” ammise calmo. Questo era uno di quei rari momenti di onestà assoluta che lei ebbe il piacere di assaporare.

“Te l'avevo detto che non l'avrei fatto.”

“Ma...dopo tutto quello che ho fatto...”

“Nel passato.”

“Ma...”

“Credo di essere arrivata a conoscerti abbastanza bene adesso. Sei irritante, sarcastico, sfacciato, a volte persino cinico, ma sei troppo affascinante per potermi allontanare da te.”

“Sono un assassino. Non il principe azzurro sul suo nobile destriero,” disse cupamente.

“Si...lo so bene,” disse dopo un po'. La sua onestà era cruda e brutale, era come cadere e scontrarsi contro cemento. “Ma...”

“Non ci sono 'ma'. Dovrai venire a patti con questa realtà.”

“Si,” disse Abigail di nuovo. Questa volta maggiormente soprappensiero. “Non conta perché l''hai fatto, però?”

“Il risultato è sempre lo stesso. Ho ucciso un uomo.” I suoi occhi neri scavarono nel suo viso. Lei non riuscì a mantenere il suo sguardo per molto, e fu costretta ad abbassare gli occhi che, dopo aver vagato nervosamente in giro per un po', si soffermarono sulle loro mani intrecciate.

“Mi dispiace,” disse infine lei, leccandosi nervosamente le labbra . I palmi delle sue mani stavano cominciando a sudare. Li strofinò sui jeans prima di riprendere la sua mano di nuovo. “Vorrei poter fare o dire qualcosa per farti sentire meglio.”

Lui non disse niente, posò l'altra sua mano semplicemente sopra quelle di lei, stringendole delicatamente. Le sue dita erano lunghe e affusolate, proprio il tipo di mani che ci si sarebbe aspettati da un Pozionista: unghia corte e curate, un callo sul medio che probabilmente era dovuto al troppo scrivere con una penna d'oca. Lei amava le sue mani. I suoi occhi vagarono sul suo viso. Naso adunco, occhi neri, due profondi solchi attorno la sua bocca. Conosceva così bene i tratti del suo volto che ormai avevano perso per lei quella apparenza di severità e arroganza..

“Sai, quando ti ho incontrato per la prima volta ho pensato che tu fossi la persona più orribile esistente sulla terra,” disse delicatamente.

Lui si lasciò sfuggire una risatina priva di ilarità. “Davvero? Cosa mai ti ha fatto pensare una cosa del genere?”

“Pregiudizio? Il mio passato...Beh, ti ho giudicato persino prima di conoscerti. Perché tu non sei...non sei la persona più orribile della terra. Semmai il contrario.”

Lui non disse niente. Invece di avvicinò per scostare una ciocca di capelli dal suo viso che era scivolata via dalla coda di cavallo che si stava lentamente sciogliendo. Le sue dita sfiorarono la sua guancia. Gli occhi di lei incontrarono i suoi.

“Smettila,” disse lei riluttante.

“Perché?” le sue dita continuavano a sfiorare i contorni del suo viso. I loro tocco era reverenziale e infinitamente tenero.

“Mi farai piangere.”

“Non voglio farti piangere,” la voce di lui era bassa e delicata. La loro conversazione si era trasformata in qualcosa di sommesso e intimo. Il significato delle parole dette andava oltre il loro semplice valore nominale.

“Lo so,” la sua voce tremò leggermente. “Ma lo farai lo stesso.” Lei incontrò i suoi occhi e fu sorpresa di accorgersi che per una volta lui non le stava cercando di nascondere le sue emozioni. Lo sguardo che le stava rivolgendo non era né gravoso, né ironico. Per una volta non c'era nulla a fare da muro tra loro.

Una improvvisa realizzazione lo colpì, mentre la stava guardando negli occhi. Era sempre stato un mistero per lui, come potesse lei essere così emotiva eppure così forte allo stesso tempo. Adesso capiva, capiva che tipo di persona lei fosse realmente. Non poté fare a meno di dirlo ad alta voce.

“Nel profondo sei fragile,” la scelta di quell'aggettivo per descriverla sapeva di poetico e raro. Lei non si sentì offesa. Come avrebbe potuto quando suonava come se lui stesse parlando di un bellissimo e delicato fiore?

“E tu non lo sei?” Abby chiese dolcemente.

Lui non rispose. Invece le sue dita continuarono a carezzare la sua faccia, tracciando teneramente le forme della sua guancia. Lei si abbandonò al suo tocco e chiuse gli occhi.

"Abby?” chiese delicatamente dopo un po'.

“Si,” quell'unica parola che costituiva la sua risposta, venne soffiata dalle sue labbra in un lungo respiro.

“Ti dispiacerebbe terribilmente se...,” lui fece una pausa per riunire il suo coraggio, “Ti dispiacerebbe terribilmente se ti baciassi?”

Gli occhi di lei si spalancarono improvvisamente. Sorrise e scosse la testa.

Lui delicatamente tirò la sua mano, avvicinandola a sé. Quel sorriso era ancora sul suo viso e finché ci fosse stato lui poteva essere sicuro di non avere fatto nulla di sbagliato.

Adesso i loro nasi si sfioravano. Lei gli rivolse uno sguardo pieno di aspettativa. Lui ebbe bisogno di un momento per riunire tutto il suo coraggio per farlo. La sua improvvisa vicinanza gli faceva galoppare il cuore e girare la testa. Il suo respiro caldo e lento solleticava la sua pelle. Non era più in grado di formare un pensiero coerente che non fosse 'Sto per baciarla’.

Le sue labbra si posarono su quelle di lei, lentamente, quasi con esitazione. Il loro tocco era tenero e leggero come quello di una piuma, seguito velocemente da un altro bacio più lungo e meno incerto. Cosa era quella sensazione? Annebbiava i suoi pensieri come se fosse stato completamente ebbro.

“Sei intossicante,” sussurrò al suo orecchio tra i baci.

Il tono vellutato della sua voce fece correre un brivido lungo la sua schiena. “Hai una vaga idea che effetto ha la tua voce su di me?” chiese teneramente strofinandosi contro la sua guancia.

Prima i loro baci erano stati dolci e innocenti, ma adesso tutte le inibizioni, dovute a settimane di soppressa tensione sessuale, erano sparite. Le labbra di lei erano calde contro le sue. Severus era a stento consapevole delle mani di lei che vagabondavano tra i suoi capelli e più che mai del suo corpo pressato contro il proprio. Lei aveva subdolamente cambiato posizione ed adesso era praticamente seduta sulle sue gambe. A lui non importava, per i suoi gusti non era ancora abbastanza vicina.

Lui provò ad approfondire il bacio. I loro nasi si scontrarono, e lui si sentì decisamente mortificato per essere stato così imbranato e stava per scusarsi abbondantemente, ma lei si lasciò sfuggire una piccola risatina, scosse la testa e lo baciò di nuovo. Andò bene per un po', ma entrambi erano troppo appassionati. I loro denti si scontrarono. Lei si scostò da lui, adesso ridendo genuinamente. Si aspettava che anche lui trovasse la loro disavventura divertente, ma sfortunatamente non sembrava proprio.

L'espressione sul suo volto si era inasprita. Sin dall'adolescenza era stato piuttosto sensibile nell'esser oggetto di derisione. Niente, nella sua testa, era più offensivo.

“Oh, dai! Non mi guardare così. Significa solo che dovremo allenarci un po'. Spero che la prospettiva non sia così poco allettante per te.”

La piega amara attorno la sua bocca scomparve. Era ovvio, lei non stava ridendo di lui. Era stato molto veloce a saltare alla conclusione sbagliata. “No, certamente no. Mi dispiace.”

 

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Capitolo 6
*** Incoerenza ***


Incoerenza
Traduzione a cura di besemperadreamer e Varekai

“Siete mai stati innamorati? Orribile, vero? Vi rende così vulnerabili. Spalanca il vostro petto ed il vostro cuore, e questo significa che qualcuno può entrarci dentro e sconvolgervi. Tirate su tutte queste difese, costruite una vera a propria armatura, in modo che nessuno possa farvi del male, e poi una persona stupida, non più stupida di qualunque altra persona stupida, entra nella vostra stupida vita...E gli date una parte di voi. Non lo chiede mica...un giorno fa solo qualcosa di scemo, come baciarvi o rivolgervi un sorriso, e la vostra vita non vi appartiene più. L'amore fa ostaggi. Ti entra dentro. Ti corrode e ti lascia in lacrime nell'oscurità, così che una semplice frase come “forse dovremmo essere solo amici' si trasforma in una scheggia di vetro che trova la strada verso il vostro cuore. E fa male. Non solo nell'immaginazione. Non solo nella testa. Fa male nel profondo dell'anima, è uno di quei dolori che ti entrano dentro e ti distruggono. Niente dovrebbe essere in grado di fare una cosa simile. Soprattutto l'amore.Odio l'amore"

Neil Gaiman

"Avada Kedavra,“ disse infine con voce tremante. Un lampo verde fuoriuscì dalla sua bacchetta, scaraventando ai suoi piedi il povero topolino che stava gemendo in agonia. Dopo essere stato colpito dalla sua maledizione, rimase disteso a terra, immobile con le membra piegate in una innaturale posizione. Lei tirò sul col naso, poi non poté più sopprimere le lacrime e cominciò a singhiozzare. La bacchetta scivolò dalle sue dita e cadde sul pavimento con un tonfo rumoroso.

Non poteva farlo. Era semplicemente troppo. Una cosa era leggere libri sulle Arti Oscure, ma scagliare realmente quelle maledizioni, era semplicemente impensabile. Lei non uccideva nemmeno i ragni, per amor del cielo! Era una di quelle persone che li prendeva in mano per liberarli nel giardino. A volte gli dava persino dei nomi e ci coesisteva pacificamente nel suo appartamento. Certo, era ben consapevole di comportarsi da santarellina, ma non riusciva proprio a schiacciarli con un giornale arrotolato.

Ipocrita! Era una tale maledetta ipocrita! Eccola lì, seduta a piangere come una disperata per un topolino morto mentre aveva giurato eterna vendetta ai due Mangiamorte responsabili di aver mandato sua zia in coma. Se aveva già difficoltà ad uccidere un topo, di certo non sarebbe stata in grado di uccidere un essere umano. Ma doveva essere sicura di quello che faceva. Non poteva permettersi alcun errore o sarebbe morta in un batter d'occhio. Quei due bastardi erano intelligenti ed erano stati persino capaci di battere sua zia. Doveva compensare la sua mancanza di abilità con la determinazione. Naturalmente, era essenziale anche essere ben preparata.

Quando sollevò la testa, il topo morto era ancora là immobile. Non poteva farci niente, provava ancora dispiacere per la creatura. Altre lacrime si stavano accumulando nei suoi occhi. Era meglio liberarsene ora, perché poi non ci sarebbe stato tempo per il rimorso.

***

Severus era ancora curvato sui temi dei ragazzi del quarto anno sui vari usi dello scarabeo di terra, quando udì bussare. Era presto. Mise da parte rapidamente la piuma d'oca per aprirle la porta. Essa si spalancò rivelando una giovane donna dagli occhi gonfi che lo stava fissando con uno sguardo piuttosto insicuro.

“Che cosa è accaduto?" chiese anziché salutare.

“Niente," disse Abby, tirando un po’ su col naso.

La afferrò delicatamente dalla manica del suo cappotto e la trascinò all'interno della stanza.

Preferiva non discutere di qualsiasi fosse il problema nel corridoio. “Si, certo. Prova ancora."

“Vero, non ho niente. Sto benissimo."

Lui le alzò un sopracciglio. “Non sapevo che stare benissimo includesse piangere come una fontana."

“Non ho pianto come una fontana," saltò su lei.

“Beh, quest'improvvisa inversione di ruoli è proprio divertente. Ma se ricordo bene, sono io in genere quello irritabile," era uno dei suoi rari tentativi di sano umorismo privo di sarcasmo, ma purtroppo in quel momento era sprecato.

Lei alzò testardamente il mento, girando la sua testa per fissare qualcosa oltre lui. Bene, così non era dell'umore adatto per parlare.

“Siedi," ordinò bruscamente, indicando la sedia opposta alla sua, sull'altro lato dello scrittorio. Lei fece come le venne detto, riluttante, mentre lui riprese a correggere i temi.

Per un po' gli unici suoni all'interno della stanza furono il fruscio della carta ed il suono della sua penna d'oca che vi lasciava sopra linee marcate di rosso. Alla fine, lei parlò di nuovo. "Severus?"

“Sì."

“Possiamo parlare?"

Lui sospirò. “Avremmo potuto parlare alcuni minuti fa."

“Non è facile per me..."

“Ho notato," lui si appoggiò sullo schienale della sedia, intrecciando le mani sul suo grembo.

“Non ti piacerà quello che sto per dirti"

“L'avevo già preso in considerazione sin dall'inizio."

“Non riguarda noi due."

“Bene. Persino rassicurante. E quindi, di cosa si tratta?" La sua voce era priva di emozione e fin troppo fredda per i suoi gusti, e lei si infastidì un poco.

“Riguarda me. Me e mia zia," sospirò, passandosi la mano tra i capelli. C'era un taglio sul suo palmo. Era fresco e rosso infiammato.

La sedia di lui, strisciando i piedi sul pavimento, produsse un forte stridio, mentre veniva spinta indietro bruscamente. “Stai usando la Magia del Sangue" In un batter d'occhi aveva girato intorno al tavolo ed aveva catturato il suo polso nella sua mano, costringendola ad alzarsi. Ispezionò la ferita con curiosità, quindi la guardò con occhi scuri e penetranti.

“Sì," disse lei titubante. Era inutile negare.

“Dovresti sapere che è estremamente pericoloso. Un piccolo errore di calcolo e le conseguenze potrebbero essere terribili." Le sue lunghe dita erano ancora avvolte saldamente intorno al suo polso. Benché il suo tocco non fosse sgarbato, non era neanche esattamente piacevole.

“Ne sono consapevole."

“Allora perché stai avendo a che fare con cose con cui chiaramente non dovresti?" le sibilò.
Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Forse che voleva vendetta? Dicendoglielo in faccia, sembrava così assolutamente ridicolo, ma d'altra parte il pensiero aveva occupato costantemente la sua mente nell'ultimo paio di mesi. Tranne il tempo che aveva trascorso con lui. Tranne quello. Quando era con lui non sembrava avere più importanza.

“Voglio vendetta," confessò infine, quasi con imbarazzo.

Lui lasciò cadere la sua mano come se fosse stato bruciato e fece un passo indietro, scrutandola severamente.

“Non capisci?" lo pregò. “Non hanno mai fatto niente. Non hanno mosso nemmeno un dito per catturare le persone che le hanno fatto questo!"

“Anche se riuscissi a trovarli, ti ucciderebbero in un attimo."

“Cosa ti rende così sicuro di questo?"

“Diciamo solo che mi sembra una pessima idea. Non sei esattamente un'esperta quando si tratta di incantesimi. Per non parlare delle Arti Oscure. Ci vogliono anni per acquistarne completamente la padronanza."

“Mi sto esercitando da tempo," disse vaga.

“Loro uccidono da tempo" replicò.

“Che cosa ti aspetti che faccia? Che stia bella seduta e tranquilla mentre loro sono ancora a piede libero?"

“Sì, è esattamente quello che mi aspetto che tu faccia," fece un passo verso di lei che indietreggiò.

“Lascia che se ne occupi qualcun'altro."

“Chi? Non c'è nessun altro oltre me."

“Cosa ne dici degli Auror o del Ministero?"

“Ci ho già provato. Non faranno nulla."

“Non te lo lascerò fare." L'aveva imprigionata contro la parete, non c'era nessuna via di fuga.

“Tu non capisci" provò a farlo ragionare.

Lui soppesò le sue parole, inclinando la testa a sinistra. I suoi movimenti avevano qualcosa di positivamente serpentino. "Spiegati."

“Era l'unica che mi ha sempre sostenuto. Come pensi che mi sia potuta permettere l'apertura di una libreria a Diagon Alley? Solo perché lei mi ha prestato il denaro necessario, ecco perché. Ha creduto sempre in me, non importa quanto stupidi o pazzeschi sembrassero i miei piani all'inizio."

“Abigail, tu non lo farai! Non importa cosa mi dirai. Non importa quale favoletta strappalacrime metterai in tavola! Non importa, io non te lo lascerò fare." i suoi occhi stavo scintillando pericolosamente ora.

“Promettimi che non lo farai. Promettimelo!" La sua voce era imperiosa, e non ammetteva repliche.

“Non posso."

“Devi."

“Non posso." ripeté con più insistenza. “Non capisci? E' una cosa che devo fare. Altrimenti è come se la deludessi”.

“Perché? Perché vuoi vendetta? Non ne ricaverai nessuna soddisfazione. Non fa tornare indietro il tempo, non disfa l'ingiustizia. Niente può farlo. Credi veramente che ti farà sentire meglio?

“Non puoi farmi demordere con una chiacchierata."

La sua faccia si contorse in un ghigno. Si allontanò dal muro, e si voltò, le sue vesti che sbattevano contro le gambe. Dopo alcuni passi arrabbiati si fermò improvvisamente, il suo corpo che vibrava di rabbia soppressa. Con un ringhio furioso buttò a terra la sedia su cui lei era stata seduta pochi attimi prima.
Abigail lo guardò ansiosamente, incollata al punto in cui era poggiata contro la parete. Lui stava respirando forte, aprendo e chiudendo le mani. Quando infine si calmò un po’, si voltò di nuovo. L'espressione sul suo viso era illeggibile. La mancanza assoluta di emozioni che lei vide le fece leggermente paura.

“Lasciami venire con te."

“No."

“Abigail," ringhiò, al limite della sopportazione.

“Non voglio che tu faccia qualcosa che ti pesi sulla coscienza. Hai già abbastanza di cui preoccuparti," il suo tono era realistico.

“Peserà ugualmente sulla mia coscienza se morirai."

“Questa non è la tua battaglia."

“Come potrebbe non esserlo quando tu sei coinvolta?"

“Severus..." disse esasperata.

“Abigail..."

“Promettimi soltanto che, quando saprai dove si trovano, me lo dirai. Non voglio che tu vada avanti da sola.”

“E allora che farai?”

“Ti proteggerò. Farò in modo che tu sopravviva,” suggerì.

“E’ chiedere troppo. Non mi aspetto che tu...”

“Chiedi e sarà fatto,” la interruppe.

“Non sei costretto.”

“Sì, invece,” disse lui con fermezza. “Mi prometti che me lo dirai?”

Lei esitò. “Non lo so.”

“Promettimelo” ordinò duramente.

“Va bene,” sussurrò lei, quindi lo ripeté un’altra volta, un pochino più forte. “Va bene.”

“Bene.”

“Mi dispiace trascinarti in questa storia.”

“Credevo che ne avessimo già parlato,” roteò gli occhi in segno di irritazione. “Non mi stai trascinando in niente. Sono io che ti voglio aiutare.”

Lei accennò un timido sorriso. “Da quando sei diventato così gentile?”

Lui fece uno sbuffo sarcastico. “Oh, per favore. E'una chiara e semplice dimostrazione di egoismo. Non voglio che tu venga uccisa.”

“Perché?”

“Sono un filantropo,” disse rivolgendole un sorrisetto amaro.

“Giusto,” sbuffò. “E’ tutto?”

Lui pensò alla sua domanda per un momento. “E’ tutto ciò che dirò.”

“Ma...”

“Sai perfettamente che seccarmi con ulteriori domande non solo è inutile, ma anche fortemente irritante. Penso che potremmo impiegare meglio il nostro tempo occupandoci della tua mano,” disse, evitando con destrezza la domanda successiva.

“E’ solo un taglio. Niente di grave,” e lo scacciò con la mano.

Lui emise un brontolio frustrato. Non era nell’umore giusto per un’altro battibecco, così la afferrò semplicemente per la mano sana e la se la trascinò dietro senza tante cerimonie. Abby venne colta di sorpresa, ma protestò appena.

Il laboratorio delle pozioni era appena oltre la porta adiacente, così non dovettero andare molto lontano. Lui le lasciò la mano e, prima di impegnarsi a cercare l’unguento per le ferite, le fece cenno di sedersi su uno sgabello di legno vicino al suo banco da lavoro. Non gli ci volle molto a trovarlo. Ogni pozione era etichettata con cura e le riponeva sempre dopo averle usate. Odiava spassionatamente il disordine.

Lei gli offrì la mano ferita di buon grado, con aria innocente e mansueta, ma lui sapeva bene che era solo apparenza. Infilò il dito nell’unguento e iniziò a spargerlo con cura sulla pelle. Movimenti circolari lenti, pressione minima.

“Meglio ora?”

“Sì, grazie,” disse lei piano, guardandolo da sotto le ciglia. Lui non le aveva ancora lasciato la mano.

Rimasero entrambi così per un momento, fermi. Erano passati due giorni dall’ultima volta che si erano visti. Due giorni dal loro primo bacio. Era un momento delicato. Decisivo, per certi versi, perché avrebbero dovuto accettare quello che era accaduto. Un altro bacio li avrebbe portati vicino a qualcosa come ad una vera relazione, rendendo impossibile etichettare le loro azioni come una follia momentanea. D’altronde, se non avessero colto l’attimo se ne sarebbero potuti pentire in seguito. Ci sarebbero state cose da riconsiderare, sarebbero stati costretti a parlarne, e poi sarebbero arrivati il disincanto e la delusione…insomma, terrificante.

Non seppe cosa gli prese, forse fu l’ultimo rimasuglio di una rabbia ormai smorzata o forse semplicemente fu il pensiero di perderla che lo indusse a baciarla di nuovo. Generalmente non era il tipo da fare la prima mossa. A dir la verità, riguardo alle relazioni doveva ancora scoprire come reagiva a certe cose – a molte cose.

Se le serviva una dimostrazione che quello che era successo due giorni prima non era solo un confuso sogno a occhi aperti, dovuto alla bella sbandata che si era presa per lui, questo sfatava ogni dubbio. Stavolta il bacio non fu imbarazzato né esitante. La sua goffaggine era scomparsa, sostituita da una maggiore sicurezza e intenzione. Baciarla gli stava piacendo. La sua solita facciata di distacco stava scivolando via, rivelando quello che c’era sotto – vive, intense emozioni che aveva sepolto per anni, solo per riemergere ancora più forti. Per una volta non si tirò indietro, non si nascose dietro a bugie. La voleva, la desiderava perfino e tutto questo si riversò nel bacio. Questo le faceva girare leggermente la testa, la stupiva, la affascinava e, soprattutto, la entusiasmava.

Quando infine lui si ritrasse un poco, con le sue lunghe dite ancora aggrovigliate tra i suoi capelli, lei era senza fiato.

“Tutto a un tratto sei diventata stranamente silenziosa,” disse lui con un sorrisetto compiaciuto stampato in faccia.

“Beh, io...,” sbattè le palpebre un paio di volte. Sembrava che la sua visione fosse diventata confusa. “Sono solo sorpresa. Sì, è questo. Ti ricordi cosa ti avevo detto a proposito del bisogno di fare pratica? Ecco, hai appena provato che davvero non ci serve, benché sicuramente sarebbe divertente.”

“Solo divertente?” alzò un sopracciglio. A quanto pareva si stava proprio divertendo.

“Mi stai stuzzicando?” rise lei.

“Che succederebbe se fosse così?”

“Non lo so? Immagino che l’inferno si congelerebbe e che dovremmo pensare ad investire il nostro denaro in ombrelli di amianto, perché presto inizierebbe a piovere fuoco o chissà cos’altro. Il cielo sicuramente si oscurerebbe... Oh, e ci sarebbero un sacco di rane e locuste. In particolare le locuste. Non sarebbe una vera apocalisse senza di loro, no?”

“C’è un motivo per cui all’improvviso parli di tali assurdità?”

“E’ colpa tua se straparlo, suppongo” ammise, arrossendo un poco. “E’ un crimine? Inizierai a sottrarre punti alla mia Casa ora?”

“Non essere ridicola! Non sei una studentessa. E non hai neanche una Casa,” fece notare lui.

“Già. Tra l’altro, considerando che mio padre è stato un Serpeverde, ciò significherebbe togliere punti alla tua stessa Casa,” fece lei.

“Personalmente, per te punterei più su Corvonero.”

“Sai, sto iniziando a offendermi.”

“Perché ti ho chiamata Corvonero? Non tutti possono essere Serpeverde,” disse con una certa soddisfazione maligna.

“No, perché sei ancora paurosamente coerente, il che significa che non abbiamo pomiciato abbastanza.”

“Non credo che tu possa rendermi incoerente solo con un bacio.”

“Severus, sinceramente, quante volte ti hanno baciato fino allo stordimento?”

“Non molte,” disse con voce completamente fredda. L’assenza di emozioni che dimostrava, il fatto che non sembrava neanche rimpiangere di non aver provato quell’esperienza, le fece capire molto più di quello che lui stesso probabilmente avrebbe voluto farle sapere. Non aveva mai pomiciato con una ragazza da adolescente? Non era mai sgattaiolato in un qualche angolo buio per dare un bacio come si deve alla ragazza che gli piaceva? No, si stava parlando di Severus Piton. Probabilmente non l’aveva mai fatto. Riusciva a immaginarlo da adolescente. Dinoccolato, esile, con ginocchia e gomiti ossuti e lo stesso sguardo corrucciato. Il suo fascino particolare la rapiva, ma poteva immaginare come le normali teenager non impazzissero esattamente per i tipi taciturni, complicati e sarcastici come lui.

“Mi piacciono le sfide difficili,” gli rivolse un mezzo sorrisetto misterioso, dopo di che si alzò in piedi.

“Che hai intenzione di fare?” chiese lui preoccupato.

“Te l’ho detto. Pomiciare fino allo stordimento,” gli mise le sue mani sul petto, con le sue dita che dolcemente scavavano tra gli strati delle sue vesti. Lentamente lo avvicinò a sé.

Lui fu capace di protestare solo debolmente, dicendo qualcosa come “non fare la sciocca”. Lui la lasciò fare principalmente perché era incredibilmente curioso di sapere come sarebbe finita.
Lei accostò la propria faccia a quella di lui, strofinando la guancia contro la sua. C’era solo una vaghissima traccia di barba. Girò la testa leggermente. Soffiò con il suo respiro caldo contro la fredda pelle di lui e la fece pizzicare. Dunque fece scivolare in giù la sua lingua, facendosi strada lentamente verso la sua bocca.

“Stai imbrogliando,” sussurrò lui con voce bassa e vellutata.

“Questo non è imbrogliare. Questo è farlo come si deve.”

Lo baciò in maniera provocante, prendendo lievemente il suo labbro inferiore tra i denti e tirando indietro leggermente, il che lo fece inspirare bruscamente. Le sue dita carezzavano il suo volto. Il soffice tocco di lei gli fece rizzare i peli sulla nuca. Sapeva perfettamente quello che lei stava facendo. Lo stava tentando fino al punto in cui non avrebbe più potuto resisterle. Le sue chances erano, nella migliore delle prospettive, scarse. Sin dall’inizio, da quando si erano incontrati per la prima volta, non era mai riuscito a dirle ‘no’.

Il bacio successivo fu più lungo. Le labbra di lei lo carezzavano teneramente, e soprattutto sensualmente. Il suo limite di sopportazione fu superato quando le dita di lei iniziarono a sfiorargli la nuca. Ciò che accadde dopo lo poteva descrivere solo in termini di sensazioni. Come erano le sue labbra sulle proprie, come quei suoi piccoli sorrisi tra un bacio e l’altro gli facevano fremere le viscere.

“Ti senti ancora coerente?” chiese Abby successivamente, con un sorriso pigro.

“Non ora. No.”

“Bene.” Sorrise con soddisfazione.

Note di una delle due traduttici, besemperadreamer: ciao a tutti!!^^
Ernil sono troppo contenta che la storia ti piaccia così tanto^^ Vuoi fare un pò di pubblicità? Per noi non può essere che gradita! Fai pure!
GilGalahad: hai ragione, ci dispiace aggiornare così tanto di rado, ma speriamo che l'attesa sia valsa la pena^^ (Nota personale: Sono felice che tu mi stia seguendo anche qui, in questa traduzione^^ grazie!)
Ciao biancalupin!!!! grazie per i complimenti sulla nostra traduzione^^ Strafelice di sapere che anche tu sia dei nostri!

Alla Prossima!!

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Capitolo 7
*** Scivolando via da me ***


Capitolo 7: Scivolando via da me



Traduzione a cura di semperadreamer



Twas sad I kissed away her tears
Her arms around me clinging
When to my ears that fateful shot
Come out the wildwood ringing
The bullet pierced my true love's breast
In life's young spring so early
And there upon my breast she died
While soft winds shook the barley
I bore her to some mountain stream
And many's the summer blossom
I placed with branches soft and green
About her gore-stained bosom
I wept and kissed her clay-cold corpse
Then rushed o'er vale and valley
My vengeance on the foe to wreak
While soft winds shook the barley

The Wind that Shook the Barley by Robert Dwyer Joyce
 

“Il Ragno Nero. Notturn Alley," recitava la nota. Il suo viso perse colore. Il suo cuore le prese a martellare ansiosamente nel petto quando rilesse una seconda volta. Eccolo, il momento che stava aspettando, adesso o mai più.

“Via!" disse ad alta voce alla sua unica cliente, la Signora Weatherly, una donna anziana che spesso passava per rifornirsi di romanzi rosa.

“Ma..." protestò la signora, sbuffando oltraggiata. 

“Sono spiacente, ma deve andare via adesso."

“Mia cara, cosa le è preso?" 

“Ho detto di andarsene. Ora!" abbaiò, praticamente spingendola fuori dalla porta. L'altra donna stava appena per girarsi e dirgliene quattro, quando lei le chiuse la porta in faccia energeticamente. Le tendine calarono velocemente, facendo svanire il suo viso paonazzo e oltraggiato. Abby aveva altre cose a cui pensare al momento.

Scribacchiò freneticamente una nota e la legò alla zampa del suo gufo. L'uccello sembrò rivolgerle un ultimo sguardo di rimprovero, prima di essere buttato fuori dalla finestra con le parole: “Non mi guardare così! Vai!" 

Era chiaramente offeso quando prese il volo, ma quella era l'ultima delle sue preoccupazioni. Stava già precipitandosi nel suo ufficio per raccogliere la sua borsa. Non poteva permettersi di perdere altro tempo o se ne sarebbero andati.

Si materializzò proprio davanti al Ragno Nero con i palmi delle sue mani sudati e lo stomaco sottosopra. Il Ragno Nero era uno di quei piccoli bar malfamati in cui si riuniva tutta la feccia del Mondo Magico. La sua mano rimase ferma sulla maniglia della porta, indecisa per un momento, prima di abbassarla ed entrare. L'ottone era freddo come il ghiaccio. Poteva ancora sentire il metallo gelato contro la sua pelle anche dopo aver lasciato la maniglia. 

Una dozzina di teste si voltarono quando entrò. Il chiacchiericcio s’interruppe momentaneamente, abbastanza a lungo affinché ognuno la squadrasse con sospetto, per poi riprendere bruscamente a parlare così come si era arrestato. Per una volta era stata abbastanza saggia da indossare le sue vesti da strega invece dei suoi soliti abiti babbani. Non voleva attirare troppa attenzione su di sé.

Quel posto era, in ogni suo angolo, squallido esattamente come si aspettava che fosse. Il pavimento era appiccicoso e i gusci scartati d'arachidi scricchiolavano sotto i suoi stivali mentre attraversava il locale. Il debole aroma di Burrobirra e di Whiskey Incendiario mescolato a sudore aleggiava nell'aria. 

I suoi occhi esaminarono nervosamente la folla. Sperava che la sua fonte le avesse dato informazioni corrette. Li scorse infine nel privé vicino al bancone e con risoluzione si fece strada verso di loro. Dopo essere scivolata con garbo nel posto vuoto davanti agli uomini, rivolse loro un piuttosto convincente “ciao, ragazzi." I due ricambiarono il saluto con uno sguardo libidinoso, mangiandola con gli occhi da capo a piedi. Già si sentiva sporca.

“Che cosa ci fa una brava ragazza, carina come te, in un posto come questo?" le disse lentamente Avery. I suoi tratti erano rozzi e aveva le mani come badili. Mani che l'avrebbero potuta indubbiamente spezzare come un ramoscello. Deglutì. In tutto e per tutto erano decisamente una compagnia sgradevole. 

“Chi lo dice che sono una brava ragazza?" dovette forzare un sorriso seducente. Il suo istinto le gridava di alzarsi ed andare via, ma lei lo ignorò volutamente.

Apparentemente il suo modo di flirtare stava dando l'effetto voluto. Tennyson, il più piacevole tra i due, benché la scelta fra loro fosse come passare dalla padella alla brace, ghignò in sua direzione. Una scintilla di pazzia brillava nei suoi occhi ed i suoi mossi capelli castani erano tutti scarmigliati. “Sei venuta nel posto giusto allora. Hanno la migliore Burrobirra della città." 

“Non m'importa molto cosa bevo, basta che sia alcolico," sorrise dolcemente. La prima frase che disse da quando aveva messo piede nel bar. Mise gli avambracci sul tavolo, spostandosi al bordo della sedia, così da dare ai due uomini una vista generosa della sua scollatura.

Tennyson diede al suo amico una piccola gomitata alle costole. “Te ne vado a prendere io uno" disse Avery, alzandosi riluttante. 

“Allora, che cosa ci fai realmente qui?" chiese Tennyson dopo che il suo amico si era alzato, guardandola sospettosamente.

“Che cosa ne pensi?" disse lei maliziosamente, tamburellando le dita sul tavolo. 

“Per come la vedo io ci sono due tipi di donne che vengono in un posto come questo: quelle brutte che si mescolano tranquillamente alla folla e quelle graziose in cerca di compagnia," disse appoggiandosi allo schienale mentre la guardava gravoso. Il rinforzo in cuoio del legno stridette un poco quando lui spostò il suo peso.

“E se stessi cercando compagnia? Sarebbe un crimine?" disse lei, sfiorandosi il collo con le sue dita. Tremavano un po', ma lui non stava guardando comunque la sua mano. 

“Se tu la stessi cercando...Bé, allora suggerirei di aspettare il ritorno del mio amico e di andare in un bel posto tranquillo dove non saremo interrotti."

“Bene" annuì lentamente col capo, fingendo di prendere il suo suggerimento in considerazione. La sola idea di diventare intima con lui, per non parlare del suo amico Avery, le fece venire il voltastomaco. “Ma un menagé a trois? Bé, ti verrà a costare, tesoro." 

“Oh, non ci siamo capiti proprio, Signorina. Non sono uno che si accontenta degli avanzi. Voglio essere io a divertirmi con te prima di lasciar provare Avery."

“Dieci Galeoni ciascuno," disse freddamente, benché interiormente cominciava già a tirarsi indietro. Ed era solo un eufemismo per quanto si sentisse nauseata. 

Avery ritornò con una pinta di birra che lei prese riconoscente dalle sue mani. I due uomini la guardarono con interesse mentre si scolava l'intero bicchiere in pochi secondi.

“Impressionante," commentò Avery. 

“Sembri un po' tesa, dolcezza. La tua prima volta?" chiese Tennyson. Ovviamente era lui il cervello tra i due.

“Quasi" rispose, provando duramente a vincere la nausea. 

Severus… come desiderava che fosse lì per tirarla fuori dai guai, ma le probabilità che lui entrasse da quella porta erano decisamente scarse. Gli aveva mandato un gufo. Ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che lui giungesse lì e forse questo non era un male dopotutto. In retrospettiva era proprio un'idea piuttosto stupida coinvolgerlo, per non menzionare quanto sarebbe stato estremamente pericoloso venire lì. C'erano probabilmente molti ex-Mangiamorte. Se avevano letto cosa era stato scritto nei giornali su di lui, che fosse stato una spia di Silente, quello era l'ultimo posto in cui doveva esser visto. Ma lei lo conosceva. Non avrebbe mai fatto niente di così immensamente stupido, comunque. Quel solo pensiero le dava già un po' di sollievo.

Abigail rivolse nuovamente la sua attenzione ai due uomini che le sedevano di fronte. Non voleva che diventassero impazienti. “Allora, che ne dite di quel posto tranquillo e piacevole che avevate suggerito? Solo per farvelo sapere, non posso permettermi di allontanarmi troppo…" 

“Va bene" disse Avery.

“Perché?" chiese Tennyson immediatamente. 

“Tu che ne dici, amore?" Lo guardò inclinando la testa leggermente a sinistra.

“Hai un cane da guardia?" 

“Sei uno intelligente. C'hai preso al primo colpo."

Tennyson le rivolse un sorriso sbilenco, rivelando due incisivi taglienti e bianchi che gli conferivano un aspetto ferino. “Allora vada per il retro del vicolo. Non è molto raffinato, ma va bene in certe situazioni." 

“Prego," fece cenno alla porta del retro che era a qualche passo da loro. Abigail si mise lentamente in piedi e diede un'occhiata al di sopra della sua spalla. Nel profondo non lo voleva fare. Avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto, ma aveva un debito, un debito nei confronti di sua zia, benché dubitasse altamente che avrebbe voluto che lei si esponesse ad un pericolo del genere. Ma chi se ne sarebbe occupato se non lei? Certamente non il Ministero. 

Era stato tutto così facile fino a quel momento. Facile rifilargli un mucchio di bugie e scambiare quattro chiacchiere con loro, ma adesso stava diventando tutto più complicato. Fortunatamente, fu la prima ad uscire nel vicolo dietro il Ragno Nero. Era sudicio. Della carta stava volando trasportata dal vento e l'olezzo dell'immondizia in decomposizione proveniente dalle pattumiere straripanti saturava l'aria. Il sole pomeridiano stava quasi tramontando, lanciando gli ultimi deboli raggi sul vicolo.

Abigail infilò la mano nella borsa. La sensazione del metallo freddo contro il palmo era in qualche modo rassicurante. Esitò un secondo prima di voltarsi con la pistola stretta nel pugno. Era considerato da codardi usare nel mondo Magico un'arma Babbana in una lotta, ma le probabilità di vincere non erano esattamente a suo favore. Due contro uno.

Non sprecò tempo per spiegare chi era o perché voleva ucciderli. Sparò con la sua pistola puntandola alla mano destra di Tennyson che stava già per afferrare la sua bacchetta. Il colpo non fece alcun rumore perché era stata abbastanza astuta da scagliare in anticipo un Muffliato sulla pistola, ma la pallottola affondò nella sua carne con un viscido suono nauseabondo che continuò ad echeggiare nelle sue orecchie anche nei minuti successivi. Lui lanciò un grido stridulo. 

Disfacendosi della pistola, che era già servita al relativo scopo, evocò la sua bacchetta. Nel frattempo Avery, ripresosi dalla sorpresa iniziale, le scagliò contro una maledizione. Il lampo verde intenso era diretto verso di lei, ed Abigail ebbe appena il tempo di gridare un frenetico “Protego!" prima che esso la raggiungesse. Il lampo colpì il suo incantesimo di protezione e tremolo irosamente prima di dissolversi.

“Chi sei, stronza?" gridò Tennyson, tenendosi la mano sanguinante. 

Abigail lo ignorò. La conversazione l'avrebbe soltanto distratta. Nei film Babbani i Cattivi finiscono sempre per tirare le cuoia quando cominciano a spiegare i loro motivi e lei non aveva nessun desiderio di crepare.

“Stupeficium!" gridò, puntando la sua bacchetta verso Avery. Lui anticipò la sua mossa evocando il proprio incantesimo scudo, facendo rimbalzare via la maledizione. 

“È tutto quello che sai fare?" ringhiò.

“No," sibilò, sentendo la rabbia ribollire internamente. “Sectumsempra!" 

Avery non riuscì del tutto a schivare il lampo rosso di energia che gli veniva contro ed esso lo colpì di striscio lasciando sull’avambraccio un brutto taglio rosso. Sentiva una strana soddisfazione nel vederlo ferito, ma non si concesse di goderne per troppo tempo.

Lui non aveva modo di scagliare una maledizione contro di lei in quel momento e se non avesse voluto trovarsi a combattere due avversari contemporaneamente dopo, sarebbe stato meglio liberarsi di lui una volta per tutte. Le sue dita si strinsero forte intorno alla sua bacchetta. I momenti successivi avrebbero dimostrato se tutto il suo allenamento era stato utile. Puntò la sua bacchetta verso Avery, determinata a scagliargli contro un mortale Avada Kedavra. Fissò il suo volto, vi vide dipinto un muto terrore e comprese immediatamente che non sarebbe mai stata capace di farlo. Tutto ciò che riuscì a scagliare fu appena un titubante Stupeficium, che venne facilmente deviato. In quel momento capì che era condannata. 

Momentaneamente dimenticato, l'altro uomo decise di ricordarle la sua presenza. “Questa troia c'ha un bel caratterino...Vediamo se le facciamo abbassare la cresta con qualche Cruciatus, eh, Avery? Che dici?” disse Tennyson lentamente. La sua mano ferita dondolava mollemente al suo fianco, gocciolante di sangue, mentre l'altra teneva saldamente la sua bacchetta. Gli occhi di Abigail s'allargarono per il terrore per quello che, aveva capito, stava per accadere.

“Sei fortunata, non sono mancino, e la mia Cruciatus non ti farà poi così male, ma quella di Avery d'altro canto…" 

Le dita di lei si serrarono intorno alla propria bacchetta. Era consapevole che non avrebbe potuto tenere testa ad entrambi, ma avrebbe provato comunque.

Fu in grado di deviare la maledizione di Tennyson, ma la Cruciatus di Avery la colpì in pieno. Il ruvido pavimento si avvicinò velocemente. Per un momento vide le stelle. Non era mai stata colpita da una Cruciatus, per questo aveva supposto ingenuamente che fosse tutto lì, che fosse finita, ma dovette presto ricredersi. 

Era come se il suo stesso corpo fosse diventato il suo nemico. Tremiti forti la percorsero tutta mentre le sue membra iniziarono a contorcersi senza controllo. Gemette in agonia quando sentì il giunto del suo ginocchio sinistro schioccare. I muscoli della sua mano erano in preda a spasmi. La bacchetta rotolò via dalle sue dita flaccide, che pochi secondi dopo erano curvate con forza a pugno, le sue unghie conficcate dolorosamente nella carne.

Un'ombra enorme ricadde su di lei. “Pronta per un altro giro?" riconobbe a stento la voce di Avery. Udì la risatina diabolica di Tennyson provenire da qualche parte sullo sfondo.

I suoi occhi erano pieni di lacrime. Poteva percepire ciò che la circondava soltanto in termini di macchie di colore e contorni confusi. Il secondo prima che l'altra Cruciatus la colpisse, sentì una dolorosa fitta di rimorso. Severus aveva avuto ragione. Aveva sempre avuto ragione. Ma ora era troppo tardi per essere dispiaciuta. Solo qualche altro minuto e sarebbe morta comunque. 

Il gusto metallico del sangue si stava espandendo nella sua bocca. Lo poteva sentire colare dagli angoli delle sue labbra. Si era morsa la lingua. Quella sostanza appiccicosa stava scivolando lentamente anche giù per la sua gola. Non riusciva a muoversi. Cominciando a lasciarsi prendere dal panico, emise un gorgoglio pietoso. E così era come sarebbe morta, annegata nel suo stesso sangue.

Ecco cosa una bella vendetta le aveva fatto. Era riversa in un vicoletto sporco e deserto in una pozza del suo stesso sangue e stava per morire. Da sola. Sfortunatamente aveva solo un po’ di tempo per autocommiserarsi. Ad ogni secondo che passava l'oscurità si impadroniva sempre di più dei suoi sensi. Si stava insinuando dai bordi della sua vista e non riusciva a scacciarla via sbattendo le palpebre. L'ultima cosa che ha vide fu un'ombra scura che calava sopra di lei.

Nota della traduttrice semperadreamer:
Ciao a tutti^^ scusate il ritardo, ma l’università mi ha tenuto lontano dalle traduzioni, ma adesso l’estate è arrivata e presto con Varekai pubblicheremo anche l’ottavo capitolo. Lo so che i tempi sono stati lunghi ma proveremo a rimediare. Grazie a tutti coloro che hanno recensito, in particolare Ernil e GilGalahad^^

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Capitolo 8
*** Entrambe le parti, ora ***


Entrambe le parti, ora 

Traduzione a cura di Varekai

Si svegliò di soprassalto. Aveva un grido bloccato nella gola, la sua cassa toracica saliva e scendeva affannosamente. Tutte le ossa del corpo le facevano male. Faceva male respirare, deglutire e perfino aprire gli occhi e guardarsi intorno. La fioca luce della lampada accanto al letto le pizzicava gli occhi, ma la sua curiosità la spinse a dare un’occhiata in giro prima di richiuderli di nuovo. Era sdraiata su un letto, con lenzuola di lino pulite. Le sue mani erano così bianche che quasi si confondevano con il copriletto.

Sentì un fruscio di tessuto là accanto e cautamente girò la testa verso dove proveniva il suono. Nella sedia accanto al suo letto c’era una figura seduta, nascosta dall’oscurità. Quando la figura si sporse per dare un’occhiata più da vicino ora che si era svegliata, la sua identità fu svelata.

Severus la fissò con uno sguardo duro. Non vedeva quell’espressione da settimane e con tutta probabilità non prometteva nulla di buono, ma era comunque contenta di vederlo.

“Bevi questo.” Una pozione maleodorante le fu piazzata sotto al naso e premuta, senza troppe cerimonie, sulle labbra. Nessuna parola confortante, solo il sapore di una medicina amara nella sua bocca. Mentre beveva l’ultima goccia della pozione che egli riteneva giusto dispensarle, corrugò il naso in segno di disgusto.

“Puah, di cosa è fatta? Bava di lumaca? Fa schifo,” riuscì alla fine a dire, con una voce roca per lo scarso uso.

“Non ti meriti di meglio,” disse lui in maniera spiccia, alzandosi dalla sua sedia quasi nello stesso secondo in cui lei aveva finito di bere.

“Aspetta! Dove stai andando?” chiese lei, shockata di vederlo andare via così in fretta. “Non rimani?”

“Non hai il diritto di chiedere la mia compagnia. Te la sei cercata da sola,” disse prima che la porta si chiudesse dietro di lui.

Lei guardò la porta chiusa per un altro paio di minuti, prima di rendersi conto che effettivamente non sarebbe tornato indietro.

***

Aveva perso conoscenza. Quanto tempo era passato da allora? Da quel che ne sapeva, potevano essere passati giorni dall’incidente nel retro de Il Ragno Nero. In qualche maniera era riuscita a uscirne fuori viva. Probabilmente bisognava ringraziare Severus per questo...

C’erano ancora così tanti buchi da riempire, ma chiaramente lui si rifiutava di farlo, altrimenti non se ne sarebbe andato. Il silenzio solenne della stanza le rese piuttosto chiaro che era malata e completamente dipendente dalle cure di lui. Perchè l’aveva portata là, se era ovvio che non voleva nè parlarle nè vederla, era oltre la sua comprensione. La sua gola sembrò stringersi fino a farla soffocare. Un’unica lacrima, la prima di molte, scese lungo la sua guancia. Piangere non la faceva stare meglio, ma non riusciva a smettere. Si lasciò sfuggire uno straziante, strozzato singulto.

Dopo una settimana sotto le cure di lui, era abbastanza in forze da poter lasciare il letto. Lui, nel frattempo, non aveva spiccicato più di un paio di frasi, ma non si era mai dimenticato di portarle cibo e pozioni. Ogni volta che aveva bisogno di qualcosa, lui era lì. L’accudiva senza protestare, ma anche, sfortunatamente,  senza molto sentimento. Dopo essersi preso cura di lei, spariva nuovamente con la stessa velocità con cui era arrivato, lasciandola sola con i suoi pensieri. Abigail non doveva sforzarsi a pensare quale era il motivo del suo comportamento nei suoi confronti. Ciò a cui pensava più spesso era invece ciò che poteva essere successo nel vicolo sul retro dopo che era svenuta. Da cosa l’aveva salvata Severus? Cosa era successo a Avery e Tennyson? Lui non li aveva più nominati. A dire la verità, aveva ignorato testardamente tutte le sue domande.

Durante le ore che passava sveglia si torturava, chiedendosi con ansia cosa poteva essere successo dopo che era svenuta. Quando lui era con lei, era troppo distratta per chiederglielo. Ogni volta che la guardava era come ricevere un pugno nello stomaco. Qualche volta credeva di aver addirittura visto tracce di odio nel suo sguardo. La sta facendo diventare matta. Non poteva rimanere là un altro minuto, non poteva tollerare solo un’altra di quelle occhiate.

Nonostante le gambe fossero piuttosto tremolanti, riuscì a scendere dal letto e prendere i propri vestiti. A giudicare dal fatto che un gesto così semplice come mettersi addosso i vestiti l’aveva già lasciata rossa in viso e sudata, si poteva immaginare che il suo ritorno a casa sarebbe stato anche più massacrante, ma ora come ora non ci badava. Tutto ciò che importava era uscire da quella benedetta stanza, così da non dover più sopportare la silenziosa rabbia di lui.

Lentamente fece qualche passo verso la porta, aggrappandosi ai mobili come sostegno: il letto, la sedia, il cassettone. Infine riuscì a raggiungere la sua destinazione e spinse con mano tremante la maniglia della porta. Era senza bacchetta, il che rendeva Smaterializzarsi un problema, ma se ne sarebbe preoccupata al momento opportuno. Per ora, la cosa più importante era andarsene da là. Beh, diciamo da lui.

Il corridoio che si allungava davanti a lei era lungo e poco illuminato. Come tutti i castelli antichi, Hogwarts era pieno di correnti d’aria. La porta le si chiuse di botto dietro prima che potesse fare nulla per evitarlo. Pregò il cielo che lui non fosse nei dintorni e non l’avesse sentito. Continuò la sua camminata per il corridoio, con le sue gambe molli. Non era riuscita a trovare le sue scarpe, così era scalza. A qualsiasi passante probabilmente sarebbe solo sembrata una vecchia barbona con i capelli spettinati e una grinzosa veste grigia. Un po’ di eccentricità era apprezzata tra il popolo magico, ma non così tanta.

Stava cominciando a orientarsi in quell’ambiente. Il dipinto alla sua sinistra sembrava tremendamente familiare. Probabilmente era nei dintorni di qualche classe di Pozioni. Se fosse stata fortunata, Severus sarebbe stato troppo impegnato a insegnare a quelle “teste di legno” dei suoi studenti per notare la sua scomparsa. L’ultima cosa che voleva in quel momento era che lui comparisse in mezzo al corridoio.

Abigail fece una breve pausa di fronte all’aula di Pozioni, ascoltando con ansia se riusciva a captare qualche voce, nonostante la porta fosse di spesso legno. Non dovette sforzarsi troppo. Dopo un breve momento di completo e assoluto silenzio, sentì Severus schernire ferocemente uno studente: “Roberts! Guarda cosa hai fatto! Credevo che questo fosse il tuo secondo anno di Pozioni. Qualsiasi imbecille sa che la Pozione Drizzacapelli va girata in senso antioriario.” A quanto pareva, non era del suo umore migliore.

Ella continuò per la sua strada con maggiore attenzione, arrivando finalmente alla fine delle strette scale che portavano fuori dai sotterranei. I gradini di pietra le si presentarono davanti come un lungo serpentone grigio. Fece un respiro profondo e mise il piede sul primo gradino. La pietra era fredda sotto ai suoi piedi e fece una smorfia di dolore quando spostò il peso sulla gamba ferita. Le pozioni che Severus le aveva dato le stavano curando il suo ginocchio lussato, ma ancora non era guarito. Quando arrivò in cima alle scale a chiocciola, era madida di sudore, il lanoso tessuto della sua veste fastidiosamente appiccicato alla schiena.

La Sala Grande era proprio di fronte a lei. Qualche studente la percorreva in fretta, ma la maggior parte era impegnata a seguire le lezioni, cosa di cui lei era grata. Una ragazza le passò accantò, una Serpeverde a giudicare dai colori della divisa, e le lanciò uno strano sguardo prima di affrettarsi alla porta sulla destra, dietro alla quale c’era la Sala comune dei Serpeverde, se Abby ricordava bene. Fu sollevata nel vederla allontanarsi.

Fece qualche altro debole passo verso l’enorme cancello a due battenti, lanciando uno sguardo sospettoso alle quattro giganti clessidre nelle nicchie sopra di lei. Hogwarts aveva qualcosa che di tanto in tanto la faceva sentire piccola e insignificante – appena una nota a margine nella storia, e forse neanche quello.

Aveva quasi raggiunto il portone quando sentì la voce di lui.

“Dove credi di andare?” chiese. La sua voce era tagliente e fredda, e per poco non sputava veleno.

“A fare una passeggiata,” lei stava cercando di fare la sciolta, nonostante si fosse pietrificata nel momento stesso in cui l’aveva sentito parlare.

Sentì che la raggiungeva con passo arrabbiato. “Senza la tua bacchetta?”

“Sarebbe stato molto più facile se l’avessi avuta addosso, ma sfortunatamente devo averla messa da qualche altra parte,” osservò testarda Abby. Una goccia di sudore le scendeva dalle tempie, ma se la pulì velocemente con il dorso della mano. Non doveva mostrare alcun segno di debolezza.

“Tu non vai da nessuna parte,” si piazzò davanti a lei, bloccandole la via d’uscita. Aveva uno sguardo minaccioso, i suoi occhi brillavano pericolosamente. Chiunque sano di mente sarebbe scappato via alla sola vista, ma lei lo conosceva ormai troppo bene per esserne intimidita.

Sospirò. “Come hai fatto a scoprire che stavo andando via, comunque? Tenevi sotto controllo i corridoi?”

“Esattamente.”

“Vedo,” alzò il mento in segno di sfida, ma fallendo completamente nel comunicare un atteggiamento di superiorità. Era a malapena capace di reggersi in piedi. La strada tra i sotterranei e l’ingresso le era costata troppo. Dondolava leggermente. Lui la guardò con uno sguardo preoccupato.

“Sai, sinceramente non ti capisco, Severus. Volevi che me ne andassi e me ne sto andando.” Abby cercò di scrollare le spalle, ma anche quello faceva male. Cercò di reprimere un’espressione di dolore, quando questo le entrò nel corpo come un fulmine.

“Non voglio che te ne vada. Ti voglio sana e salva,” chiarì lui.

“Non mi stai tenendo al salvo, mi stai tenendo in ostaggio,” replicò acida, cercando di sopraffarlo.

Le si mise davanti ancora una volta. “Tu non te ne vai,” tuonò. La sua voce echeggiò dall’alto soffitto della sala e uno studente, che stava tornando alla sala comune dei Serpeverde, si fermò terrorizzato. Passata la paura, sembrò indeciso se andarsene o meno. Il Professor Piton che litigava con una donna nell’atrio era decisamente qualcosa che non si vedeva tutti i giorni.

“Oh, invece sì,” gli ringhiò contro, cercando ancora una volta di continuare la sua strada verso la porta. Sfortunatamente non arrivò molto lontano, scoprendo fin troppo presto quali effetti devastanti poteva avere una scarica di adrenalina sul suo corpo già indebolito. Per un instante vide solo puntini neri, mentre ondeggiava come come un ciuffo d’erba spazzato dal vento. Lui la prese prima che potesse cadere.

Si aggrappò alle sue spalle con vigore, cercando di trovare di nuovo l’equilibrio. Alla fine il mondo tornò nitido e insieme a lui la sua abilità di valutare la situazione. Arrossì. “Grazie per rendere l’uscita scenica,” mormorò imbarazzata. Non le andava ancora di lasciarlo stare. Le sue ginocchia ancora erano deboli.

“Spero che non ti aspetti alcuna compassione da parte mia, sono ancora arrabbiato con te.”

“Davvero?” le sue labbra si erano ridotte a due linee sottili e ansimava. Il ginocchio sinistro le faceva di nuovo male. “Quasi non si nota.”

“Ti fa male,” osservò lui.

“Che osservazione intelligente,” tirò un breve respiro.

Controvoglia, lui le passò un braccio intorno alle spalle per stabilizzarla. “Credi di poter camminare?”

“Sì,” riuscì a dire lei. Il dolore era troppo forte per farle notare gli sguardi preoccupati che lui le lanciava.

Un piccolo gruppo di studenti si erano radunati intorno a loro. Alcuni stavano platealmente sgomitando per farsi posto. Piton stava facendo il cavaliere con una donna. E dopo cosa? Maiali volanti?

“Cosa state guardano voi? Non rimanete là impalati come un’orda di scimpanzè. E’ una scuola, non avete compiti da fare, lezioni da frequentare?” gli abbaiò contro, e la piccola folla si disperse velocemente.

La sua voce si addolcì notevolmente quando si rivolse a lei. In qualche modo la sua ira si era dissolta vedendola in preda al dolore. “Ora ti riporto nella tua stanza.”

“No,” protestò lei debolmente.

“Dubito che Minerva sarebbe contenta se, come un incosciente, ti lasciassi andare in giro per l’ingresso. Farebbe davvero fare una pessima figura alla scuola.” Lui si stava già lentamente incamminandosi verso la porticina sulla destra che portava ai sotterranei e, giacchè lei si appoggiava a lui come sostegno, non ebbe altra scelta se non assecondarlo.

Il ritorno fu lungo e doloroso. Arrivati a destinazione, era talmente esausta da essere indifferente alle circostanze. Era solamente grata di potersi riposare. La trasportò fino al letto come una bambina malata, carezzandole i capelli e, quando poggiò brevemente la sua mano fredda sulla fronte di lei, la guardò con con aria preoccupata. Era bollente. Le labbra di lui si assottigliarono in una linea sottile. La sua piccola bravata le aveva procurato almeno un’altra settimana di cure.

“Perchè non mi hai lasciato andare?” lo supplicò debolmente. Aveva un’aria così piccola e fragile. I suoi capelli castano chiari si erano aperti a ventaglio intorno alla sua testa, ogni ciocca chiaramente visibile sulle lenzuola di lino bianco. La febbre aveva ridato un po’ di colore alle guance. I suoi occhi, normalmente molto espressivi, erano ora vacui e febbricitanti.

Lui inghiottì rumorosamente. “Non posso,” disse infine.

“Per favore.”

Per qualche ragione la sua preghiera liberò tutta la rabbia latente che aveva tentato in tutti i modi di reprimere nei giorni precedenti. Si alzò dalla sedia accanto al letto, cercando di non iniziare a urlare o andarsene via dalla stanza furibondo. “Brutta ragazzina egoista e viziata!” urlò infine, perdendo il suo controllo. “Non pensi mai agli altri?”

La sua percezione fino ad allora era confusa. Si era sentita come se fosse stata avvolta nel cotone. Ogni movimento era stato rallentato, ogni suono azzittito. La voce arrabbiata di lui, però, tagliò direttamente in quel velo nebbioso. “Scusa?” Abby lo guardò confuso.

“Quando ti ho trovato eri a malapena cosciente, immersa in una pozza di sangue. Se fossi arrivato un secondo più tardi... solo un secondo...” Lei si ammutolì. Non l’aveva mai visto così agitato. Normalmente manteneva una facciata di indifferenza, ma ora era tutto tranne che indifferente. Il suo petto si alzava e abbassava a brevi intervalli, le sue narici erano dilatate.

Non aveva mai pensato a come si potesse essere sentito lui nel ritrovarla in quelle condizioni. Abbassò gli occhi imbarazzata.

“Cosa sarebbe successo se fossi arrivato tardi? Ti è mai passato per la testa?”

“Ma non è successo,” sussurrò lei, tenendo gli occhi fissi sulle coperte, incapace a sostenere il suo sguardo.

A quanto pare i suoi commenti lo innervosirono ancora di più. “Ma se fosse successo, hai mai pensato alle conseguenze delle tue azioni? Se fossi morta? Ti sei mai fermata a pensare cosa mi avrebbe fatto la tua morte?” Fece un passo verso il letto. Il suo corpo ancora vibrava di rabbia repressa, le sue mani tremavano senza controllo.

“Mi dispiace...” fu tutto ciò che riuscì a dire lei. I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime, iniziava a vedere sfocato. Questo era ben peggio del rimprovero silenzioso che aveva sopportato nella settimana precedente. Si rese conto quanto l’aveva ferito, nonostante avesse le migliori delle intenzioni. Aveva creduto di essere intelligente, di poterlo proteggere, ma era riuscita solo a fargli del male, alla fine.

“Se ti avessero ucciso...” Il solo pensiero gli fece morire le parole in bocca e raggelare il sangue.

Abigail ora stava piangendo. “Scusa,” ripetè più volte.

La sua reazione lo sorprese. Per un secondo si immobilizzò, i suoi occhi stupefatti si incollarono al viso di lei. Dentro al suo petto combattevano emozioni contrastanti. Si ricordò di come si era infuriato quando aveva scoperto che lei aveva messo a rischio la sua vita con tale noncuranza. La rabbia lo aveva sopraffatto ed aveva annebbiato il suo giudizio. La sua preoccupazione per lei gli aveva reso ogni risveglio un incubo. La profondità delle sue emozioni lo avevano molto sorpreso. Era stato difficile per lui trattenersi, quando aveva affrontato i suoi avversari, ma in qualche modo era riuscito a controllarsi quel tanto da non ucciderli.

Era stato come rivivere un incubo. Si ricordava il giorno che Lily era morta, erano passati quasi 19 anni. La cruda realtà era lentamente diventata il vivido ricordo di un incubo che l’aveva tormentato da allora. Gli aveva fatto male perderla per Potter, ma il dolore di saperla morta, andata per sempre, era qualcosa con cui ancora non riusciva a liberarsi. E ora per poco non era avvenuto di nuovo. Aveva quasi perso Abigail. 'Quasi', quella piccola parola faceva tutta la differenza del mondo. Lei c’era ancora, era ancora viva.

Severus si sedette sul bordo del letto. Lei aveva smesso di scandire la sua piccola pietosa litania e lo guardò in attesa, mentre delle lacrime silenziose ancora le scorrevano sul viso. Aveva gli occhi gonfi, il naso colante e le guance rosse. Non era esattamente attraente al momento, ma guardandola egli sentì un’ondata di compassione in corpo. Quella rabbia inreprimibile che l’aveva preso prima era sparita velocemente quanto era arrivata, lasciandolo esausto e vuoto.

Dalla veste tirò fuori un fazzoletto tradizionale, di lino grezzo e con le sue iniziali ricamate in un angolo, e glielo passò senza dire nulla. Lei allungò il braccio per prenderlo, le sue dita rimasero sospese indecise a metà strada per un momento.

“Mi dispiace,” disse per l’ultima volta. “Non volevo ferirti.” Aveva il naso completamente bloccato e continuava a tirare su con il naso.

“Lo so,” sospirò lui.

Lei prese il fazzoletto con dita tremanti. “Mi odi?” chiese timidamente.

Lui la guardò con aria sorpresa. “Non ti odio,” disse delicatamente, troppo stanco per il sarcasmo o per stare sulla difensiva.

Abby si soffiò il naso sonoramente e lui sorrise.

“Cosa è accaduto ad Avery e Tennyson?” osò chiedere infine.

Il sorriso di lui si spense. “Sono vivi, se è quello che vuoi sapere.”

“No, non volevo... mi fido di te. Non credevo che tu... scusa, mi è uscita male.”

Lui la azzittò con un cenno della mano. “No, non ti scusare. Ti mentirei se ti dicessi che non sono stato momentaneamente... tentato.” Gli ritornò in mente il ricordo di quei due idioti, che ridevano come iene davanti al corpo in preda alle convulsioni di lei. Gli davano le spalle e lui urlò rabbiosamente “Stupeficio!”, colpendoli a sopresa. Erano caduti per terra e quando li aveva guardati con sguardo omicida, le loro facce erano prive di espressione. Si ricordò di come aveva goduto nel vedere i loro sguardi impanicati e impotenti.

“Che hai fatto loro?” La domanda di lei lo risegliò dalla sua reverie.

“Incantesimi di memoria,” affermò. “Sono fortunati se la recupereranno mai.” Sapevano entrambi che quello che lei aveva fatto, nonostante Avery e Tennyson fossero criminali, era illegale. Il Ministero non perdonava vendette personali e ogni traccia doveva essere confusa, i ricordi cancellati.

Lei annuì silenziosamente. “Mi dispiace di averti trascinato in questa situazione,” aggiunse dopo una lunga pausa.

“Non esserlo. Sei ancora viva, questo è tutto ciò che conta,” disse determinato Severus, sperando che lei cambiasse argomento.

Si alzò dal bordo del letto con un sospiro. “Ora ti dò qualcosa per abbassare la febbre e poi dovrai riposarti per un po’.”

“Ma...”

Lui, come risposta, le diede solo un’occhiata severa.

“Va bene.” E sorrise lievemente.

Note della traduttrice semperadreamer: e lo so che il ritardo c'è stato, ma nel frattempo che aspettavo questo capitolo dalla mia collaboratrice Varekai (che ha fatto un ottimo lavoro!) ho tradotto tutti gli altri;-)

Perciò ora veramente gli aggiornamenti saranno veloci, perché i capitoli sono già pronti. In più rileggendo dall'inizio potrete vedere che ho corretto qualche frase qua e là che rendeva la lettura difficile;-)

Alla prossima!!

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Capitolo 9
*** Tesoro, non ti avrò mai tutta ***


Tesoro, non ti avrò mai tutta

traduzione a cura di semperadreamer

Le sue condizioni di salute miglioravano di giorno in giorno. Le sue guance ripresero colore e non più sofferente, ritornò ciarliera come al solito. Adesso poteva persino andare in giro senza aver bisogno del sostegno di Severus, e di questo lui ne fu quasi dispiaciuto, perché solo così avevano avuto l’occasione di toccarsi senza pericolo. In quei giorni ci andavano cauti, come se avessero paura che anche una sola parola sbagliata potesse distruggere quello che avevano costruito. Ad un involontario tocco appena accennato, un rossore diffuso immediatamente imporporava loro le guance mentre calava un silenzio imbarazzante. Baciarsi poi, sembrava una mossa troppo audace, così come dare voce ai propri sentimenti.

Tutti e due sapevano che era tempo che lei andasse via, che entrambi ritornassero alle loro vite com'erano state prima di quell'incidente, ma nessuno dei due sembrava avere il cuore di farlo. Avevano trascorso molto tempo insieme, ma non per questo avevano sviscerato le questioni veramente importanti. L'ingrediente più importante al loro ben consolidato "status quo" era una falsa apparenza in cui ognuno recitava una parte. I commenti aspri erano banditi, i doppi-sensi evitati come la peste, per scongiurare ogni qual tipo di fraintendimento.

Abigail non chiese come lui fosse riuscito a mantenere segreta la sua presenza ad Hogwarts, ma immaginava che avesse i suoi mezzi. Per essere stato un Mangiamorte, ed ancor più una spia, non doveva essere esattamente un santo, così lei si astenne dal chiedere e, com'era prevedibile, lui si astenne dal dire.

Quando lui varcò la soglia della sua camera, subito dopo l’ultima lezione pomeridiana, la trovò seduta al bordo del suo letto. Era giunto il momento. La camicia da notte che lei aveva indossato era ordinatamente piegata sotto il cuscino ed Abigail era già completamente vestita.

“Stai andando via" osservò lui freddo.

“Già," sospirò lei.

Le si sedette vicino, le lezioni di quel giorno l'avevano spossato.

“Ti rivedrò ancora?" chiese dopo un po’, quasi timidamente.

Abigail  gli rivolse uno sguardo stupito ma notò che l’espressione sul suo volto era mortalmente seria, e che non la stava prendendo in giro. In effetti lui non era tipo da fare battute. Gli rivolse un sorriso incoraggiante.

“Certo. Perché non dovresti?"

Lui scrollò le spalle. “Le cose sono cambiate, adesso."

“Sì, purtroppo," entrambi avevano lo sguardo fissato su due punti diversi del muro di nuda pietra grigia davanti a loro. Chiunque avrebbe capito che lo stavano facendo per evitare di guardarsi negli occhi.

Dopo un istante lei si alzò con un sospiro. Lui le porse la mano, ancora seduto “Addio" disse con voce attentamente neutrale.

Lei guardò la sua mano, poi scosse la testa “Tutto questo è dannatamente ridicolo," disse sprezzante.

“Come, prego?"  disse stupito.

“Mi hai sentito bene. E' proprio ridicolo," ripeté ancora, incontrando quegl’occhi magnetici che per lei possedevano ancora quel fascino inspiegabile. Iridi scure che sfumavano in pupille nere in cui, alle volte, era difficile capire cosa vi si agitasse dietro e che, in altri momenti, invece,  mostravano una tale intensità da rendere impossibile sostenerne lo sguardo.

“Illuminami, cos'è ridicolo?"

Quello, ad esempio, era uno dei tanti momenti in cui non sapeva come interpretare quel suo sguardo.

“Non sono fatta di vetro, sai. Se hai qualcosa da dirmi, dillo e basta. Dannazione!"

Per Severus venire a patti con i suoi sentimenti era difficile, ma esprimerli gli sembrava impossibile. Scosse la testa. “Sembra che non riesca a pensare a nulla da dirti."

“Bene," rispose tristemente. “Allora questo è veramente un addio." Dopo un attimo di esitazione, lei si voltò verso la porta. I suoi passi erano lenti e cadenzati.

"Aspetta," disse solo e  lei si fermò. Lo sentì alzarsi dal letto e venirle appresso, fermandosi appena a qualche centimetro di distanza, ed anche se non lo poteva vedere, Abigail  era certa che fosse  vicinissimo alla sua schiena. Dopo aver passato giorni e giorni a mettere un po’ di distanza emotiva, e fisica, tra loro la sua prossimità improvvisa fu sufficiente a farle accelerare i battiti del cuore. Si voltò lentamente, trovandosi faccia a faccia con lui.

Severus si chinò a baciarla senza preavviso e lei si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa, indietreggiando fino a scontrarsi con la porta. Quando lui alla fine si ritrasse, Abigail aveva le ginocchia deboli ed il respiro pesante. “D'accordo," riuscì infine a dire con un sorriso stupido stampato in faccia. “Messaggio ricevuto. Non vuoi che me ne vada così."

“Sei rapida a capire. Impressionante," disse, rivolgendole un sorrisetto malizioso che le fece correre un piacevole brivido lungo la spina dorsale.  Non vedeva quell'espressione da un po’, ma non per questo aveva fallito nello scatenare l'effetto desiderato, anche se di “effetto desiderato" non si poteva esattamente parlare poiché lui non sembrava consapevole di cosa le provocasse. Conoscendolo, probabilmente era del tutto ignaro di avere molto fascino senza quel costante cipiglio corrucciato.

Perché non dirglielo? Quando lo fece, quel commento lo destabilizzò del tutto. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato che stava sul serio arrossendo.

“E' possibile che tu abbia una leggera difficoltà ad accettare complimenti?" gli sorrise dolcemente.

“Forse è perché non ci sono abituato." le rispose sinceramente, riuscendo finalmente a superare il suo imbarazzo ed incontrare i suoi occhi ancora una volta.

Abigail fece scivolare le sue dita in una leggera carezza sulla sua guancia. Al suo tocco lui chiuse gli occhi, mostrando un’espressione rilassata, le linee intorno alla sua bocca ammorbidite, la fronte spianata. Sembrava molto più giovane, molto più spensierato. Appena qualche minuto prima sarebbe stato impossibile, ma il suo bacio aveva cambiato tutto, e lei era ben felice che l'avesse fatto: le era mancato toccarlo in quel modo.

“Forse è tempo che ti ci abitui. Ci sono molte cose di te che amo. Solo, non ho mai trovato il coraggio di dirtele. Avevo paura che le trovassi banali." disse dolcemente.

“Dovresti sapere che l'ego maschile è molto sensibile agli elogi."

Severus si aspettava qualsiasi risposta da parte sua, ma mai quella. Prima una risata morbida, poi un sincero e dolce “ti amo".

Riusciva solo a fissarla stupito. Gli occhi di lei si allargarono in maniera quasi comica, il suo viso perse colore e si portò le mani alla bocca, quando realizzò cosa aveva appena fatto. Apparentemente sembrava esserle scappato.

“Mi dispiace. Non volevo buttarla lì così."

“È vero?" domandò lui, guardandola severamente ed Abigail sembrò rimpicciolirsi sotto il suo scrutinio. Sarebbe senza alcun dubbio fuggita dalla la stanza se non fosse stata intrappolata tra lui e la porta.

Decise di ignorare la sua domanda e cominciò a parlare a vanvera freneticamente, scorrendo velocemente tutti i generi di giustificazioni esistenti, usando molte parole ridondanti e piuttosto complicate.

“È vero?" chiese lui ancora, questo volta con più veemenza.

Lei lo fissò, sbattendo lentamente le palpebre due volte come se si stesse riprendendo da un colpo in testa. “Ma certo che sì."

C'era una traccia di disperazione nel modo in cui gli occhi di lui esploravano il suo viso, cercando di catalogare ogni suo tratto, alla ricerca di tracce evidenti di mendacia: la curva delle sue labbra, il delicato arrossamento delle sue guance, il modo in cui lei lo guardava.

“No, stai mentendo," disse alla fine della sua analisi, scuotendo tristemente la testa.

“Perché dovrei farlo?" lo guardò lei sorpresa. Era così difficile per lui credere veramente che qualcuno lo amasse? L'aveva strombazzato così, presa dal momento, ma questo non lo rendeva meno vero. Al massimo, era il contrario. Per una volta non aveva filtrato i suoi pensieri, facendosi mille problemi su quando e come dire certe cose, le era uscito spontaneamente. Sì, certo, che non era una bugia. Ma come farglielo capire?

“Cosa devo fare perché tu mi creda? Perché farei qualunque cosa,"  disse Abby infine.

“Non penso che ci sia qualcosa che tu possa fare."

“Non ti fidi di me?"

“Non mi fido di nessuno," dichiarò lui realisticamente. Suonava come un mantra, quasi se se lo fosse ripetuto milioni di volte.

Le si spezzò il cuore, ma dopo quello che era successo la settimana prima non era nella posizione di potersi lamentare. Aveva promesso di dirgli quando sarebbe andata ad affrontare Avery e Tennyson ma era stata avventata. Con l'adrenalina che pompava nelle vene, l'unica cosa che aveva avuto importanza era stata la vendetta. Sì, gli aveva fatto sapere cosa stava facendo, ma senza prendere in considerazione che gli ci sarebbero voluti appena un paio di secondi per arrivare da lei. La sua impulsività ed la sua avventatezza l'avevano quasi fatta ammazzare. In breve, le sue credenziali non ispiravano esattamente fiducia, ma per farla funzionare, per riuscire a costruire una vaga relazione che andava oltre una breve avventura, avrebbe dovuto fare qualcosa per riguadagnare la sua fiducia. Il fine giustifica i mezzi.

“Legilimens," disse infine. “Lo sai scagliare, no?"

“Sì, ma non è un'alternativa," le rivolse un'occhiata scura che doveva servire ovviamente a concludere la discussione, ma non vi riuscì. Le discussioni con lei non finivano solo perché lui la fissava in cagnesco.

“Perché no?"

“Perché violerei la tua mente."

“Non se ti chiedo di leggere i miei pensieri. Questa non è violazione. È un invito aperto a venire a dare una sbirciatina."

“La fai suonare una cosa da niente…"

“E tu invece devi sempre complicare tutto…" Il suo tono esasperato sposava perfettamente quello di lui.

“Non è vero."

“Sì, invece. Ti chiedo solo di farmi un piccolo incantesimo e improvvisamente te ne esci con queste sparate sulla morale e su come violeresti la mia mente bla bla bla. Se questo non è fare il melodrammatico…"

“Legilimens non è qualcosa che si può usare alla leggera," la informò severo. “In guerra è stato usato come arma, e spesso come ascendente sulle coscienze. C'è bisogno che ti dica che la maggior parte della gente su cui l’ho scagliato non era esattamente felice di avermi dentro la testa a scrutare ogni loro più intimo pensiero?"

Le ci volle un breve momento per elaborare quell'informazione particolare. Quando parlò ancora, la sua voce tremò leggermente. “Ho capito cosa stai cercando di dirmi. Credimi. Ma cos'altro potrebbe convincerti a fidarti ancora di me?"

Lui le stava semplicemente di fronte fissandola intensamente, come se potesse trovare la risposta al loro dilemma sul suo viso. Infine arrivò ad una certa conclusione.

“Il tempo."

Beh, era piuttosto anticlimatico. “Tempo?" lo guardò aggrottando le sopracciglia. “Solo questo?"

“Sì."

Si lasciò sfuggire un lungo, esasperare sospiro. “Quanto tempo?"

Lui scrollò le spalle.

“No, dico vero. Stiamo parlando di mesi? Anni? Decenni?”

Lui scrollò di nuovo le spalle.

“Seriamente, c'è mai stato qualcuno… qualcuno di cui ti sei fidato completamente?" lo guardò con occhi grandi e pieni di aspettativa. “No, anzi. Preferisco non sapere la risposta…." Si sedette ancora sul bordo del letto, fissando il vuoto. Improvvisamente provò solo un forte senso di vuoto e rifiuto, che forse si meritava proprio, dopo tutto quello che aveva combinato.

Infine aggiunse più tranquillamente: “Forse è quello che mi spetta per essere stata una così stupida s…„

Non riuscì a terminare la frase. “No, è colpa mia. Mi dispiace," la interruppe proprio in tempo.

“Ti amo veramente, lo sai."

“No, non lo so," che lo dicesse con un piccolo sorriso timido, non la faceva stare affatto meglio, ma almeno le faceva capire che non la stava ferendo intenzionalmente. Lui aveva i suoi limiti e la sua incapacità di fidarsi era uno di loro. Allora come poteva riuscire mai ad arrivare al suo cuore?

“Non è che non voglio crederti," provò lui a salvare la situazione.

Lei sospirò. “Lo so, Severus." gli rivolse un sorriso triste. “E' solo che non ci riesci."

“Non ancora, comunque."

“Non ancora," ripetè lei.

Lui annuì senza proferire parola, a cui poi seguì una pausa piuttosto lunga.

“Beh, è andata piuttosto bene, no?"  lei emise una risata rauca.

“Già," disse cupo e si sedette sul letto al suo fianco, guardando il suo profilo con la coda dell'occhio. Si poteva leggere chiaramente il tormento negli occhi di lei, come se stesse cercando disperatamente qualcosa ma fosse incapace di trovarla.

“Tempo, eh?" chiese infine dopo un istante. Lui si voltò, e rimasero a fissarsi in silenzio, prima che lui infine rispondesse. “Sì."

La bocca di Abigail si piegò in un sorriso canzonatorio. Fortunatamente i suoi pensieri sembravano già prendere un'altra direzione. Al contrario di lui possedeva il talento di non indugiare troppo tempo su riflessioni deprimenti. “E conosci qualche altro modo con cui potrei convincerti?"

Lui rimase sorpreso da quel repentino cambio d'umore. Così sorpreso, in effetti, da suonare persino un po’ turbato. “Che intendi?"

Lei sorrise. Amava riuscire a scalfire la sua armatura perché non era abituato a flirtare. Riusciva sempre a destabilizzarlo completamente, il che era anche piuttosto divertente. In particolare quando s'imbronciava tutto e non sapeva più cosa dire, mostrando sempre quell'espressione indignata come se flirtare con lui fosse completamente fuori luogo. Quando le cose arrivavano a quel punto lei non riusciva più a trattenersi, non poteva far altro che continuare a pungolarlo.

Abigail gli rivolse un sorrisetto carino e si avvicinò di più. “Oh, assolutamente niente,” disse con fare civettuolo, rimirandolo da sotto le sue ciglia. Per conferire più credibilità alle sue parole ed anche per metterlo maggiormente in imbarazzo posò una mano sul suo petto per più tempo del necessario. Con l’indice tracciò i contorni di uno dei bottoni sul fronte della sua veste con un’espressione quasi irriverente sul viso, quindi fece scivolare la sua mano sul materasso, fra loro.

“Beh, cosa c’è improvvisamente di così interessante nei miei abiti?” chiese sospettoso, suonando perfino un po’ sgarbato. Ovviamente la provocazione stava sortendo l'effetto voluto.

Abigail esitò per un momento. Le sovvenne Il pensiero che quel suo giochetto sarebbe cessato di essere soltanto un gioco dopo aver dato voce a quelle parole, ma a lei andava più che bene. Ne aveva abbastanza di giocare e di doverlo trattarlo con i guanti. Voleva stargli vicino, ma in primo luogo doveva abbattere tutte quelle barriere che lui si era eretto intorno. Quale migliore strategia se non quella di prenderlo in giro?

“Se proprio lo devi sapere, mi stavo chiedendo quanti bottoni ha esattamente questa roba. “

“C’è una ragione precisa del perché nutri interesse per quest’infimo dettaglio?”

 “Veramente, sì,”  la sua voce era bassa, e portava una nota che era del tutto estranea per lui, “Continuo a chiedermi come si sbottonano e quanto tempo ci vorrebbe.”

“Oh, non essere sciocca!” rispose lui, provando duramente a suonare severo. Ma la sua voce uscì piuttosto affannata . Stava anche diventando sempre più difficile ignorare la crescente tensione sessuale che stava velocemente montando fra loro.

“Così, sto facendo la sciocca, eh? Non sono io quella che è troppo ottusa da non notare quando viene stuzzicata di proposito.” Il modo in cui lo guardava, la sua voce… aveva l’effetto di  rallentare i suoi pensieri, incoraggiando i suoi istinti a prevaricare. I suoi occhi ricaddero sulle labbra di lei, appena schiuse e  mai così invitanti. Se avesse ceduto ora non avrebbe più potuto fermarsi. Deglutì sonoramente.

 “Sai in cosa ti stai andando a cacciare? Stai giocando col fuoco qui.”

“So precisamente in cosa mi sto andando a cacciare. Ho questi pensieri già da un po'di tempo ora.”

“Ti devo avvertire che se continui a provocarmi…,” disse, quasi suonando una po’ insicuro.

“Che cosa farai? Mi bacerai ancora?” Si avvicinò ancora, sfiorando il braccio di lui col proprio. Ormai la fragranza dolce del suo profumo gli invadeva le sue narici e gli faceva formicolare lo stomaco. “Se pensi che la prospettiva di  baciarti mi disgusti, sei completamente fuori strada. Anzi, al massimo è un incoraggiamento a continuare. Quindi mi bacerai, e poi?”

“Sì, prima quello, e poi…,” i suoi occhi viaggiarono affamati lungo il suo corpo, per fermarsi nuovamente sul suo viso. Lei ebbe quasi il timore che avrebbe perso il controllo in quel momento.

“Poi cosa?”

“Lo sai maledettamente bene cosa,” ringhiò. Moriva dalla voglia di toccarla, di attirarla tra le sue braccia, ma ancora non voleva concedersi quel lusso. Non ancora almeno. Per il momento il timore di un rifiuto e di una delusione riuscivano a dominare il suo desiderio.

“Sesso?” Il modo in cui la parola rotolava sulla sua lingua fu quasi la sua fine. “Hai paura di dirlo ad alta voce?”  gli sorrise canzonatoria.

“No, ma c’è un limite a quello che posso reggere,” il suo tono era pericolosamente basso ora. “Sto provando ad essere galante. Sto provando seriamente a resistere a non buttarti su questo letto e fare i miei comodi con te. Sei ancora convalescente se ben ricordi.”

“Ero convalescente una settimana fa,” sottolineò lei asciutta. Non poteva ribattere con quell’affermazione. L'unica cosa che l’aveva tenuta lì così a lungo, era il fatto che entrambi non volevano che lei se ne andasse. “A proposito, solo in caso non l’avessi notato, ci sto provando seriamente a farmi buttare su questo letto e  lasciarti fare i tuoi comodi,” gli sorrise dolcemente.

Qualcosa schioccò internamente al suo commento. La cosa seguente che percepì coscientemente fu di essere arrivati in qualche modo avviluppati sul suddetto letto, lui che la pressava sul materasso col suo peso e affondava  le dita nei suoi capelli, e lei che invece provava a sbottonare uno dopo l'altro i bottoni della sua blusa, contandoli morbidamente sottovoce. Severus la baciò di nuovo e lei perse completamente il conto.

“Sei sleale… tu…” lui aveva appena morso giocosamente il suo collo, facendole dimenticare del tutto cosa stava dicendo. All’apparenza aveva appena trovato un altro modo per farla stare zitta, e lo annotò mentalmente per farne, un domani, buon uso.

La sua aria compiaciuta sparì interamente, quando lei finì di disfare i bottoni superiori della camicia che portava sotto la veste e fece correre le sue dita gentili sulla pelle nuda. La sua mano si fermò quando sentì il suo cuore battere furiosamente sotto il suo tocco. Notò che lui si era raggelato per lo shock e vide l’espressione interrogativa nei suoi occhi. Era un momento cruciale. Abigail allora prese la mano di lui e se l’accostò sul petto. Anche lui adesso sentiva l’ansioso battito del cuore sotto le sue dita e la guardò stupito.

 “Sono nervosa tanto quanto te,” rispose alla silenziosa domanda nei suoi occhi.

“Non dobbiamo per forza…”

“Lo so, ma lo desidero molto…”

Una pausa. “Anche io.”

“Bene,” gli sorrise Abby. “Perché per un momento ho pensato che avrei dovuto convincerti a fare sesso con me.”

“Oh, non penso sia necessario. Sono già convinto che sia un'idea brillante.” Le rivolse il suo stesso sorriso prima di curvarsi lentamente per baciarla.



Note della traduttrice semperadreamer: due aggiornamenti per farci perdonare;-)

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Capitolo 10
*** Castelli di gelato per aria ***


Ice Cream Castles In The Air – Castelli di gelato per aria

traduzione a cura di besemperadreamer

Sei nell'anima

E lì ti lascio per sempre

Sospeso

Immobile

Fermo immagine

Un segno che non passa mai

Gianna Nannini-Sei nell anima

Era raggomitolata al suo fianco con la testa posata sulla sua spalla ed il braccio adagiato scompostamente sopra il suo petto. Non parlavano da un po’, crogiolandosi in quel piacevole silenzio che si era creato tra loro. Le parole erano diventate inutili, ogni cosa poteva essere comunicata col semplice tocco.

Lui si voltò così da averla di fronte e lei gli sorrise, un sorriso che raggiungeva anche gli occhi, i quali ricambiavano lo sguardo affettuosamente. Con la sua mano le prese a coppa il viso, accarezzandole la guancia con il pollice. Il sorriso che prima le adornava le labbra si esaurì lentamente, e benché ormai non fosse più presente, lui poteva ancora ricordarne ogni minimo dettaglio.

“Voglio rimanere per sempre così.”  La sua dichiarazione era sentimentale e puerile, ma per una volta non gli importava. Era come si sentiva.

Il volto di Abby si illuminò di nuovo. Lo conosceva, e sapeva quanto fosse strano da parte sua un’affermazione del genere. Non parlava mai dei suoi desideri, pensando che fosse al più una debolezza. In qualità di spia, permettersi di volere qualcosa lo avrebbe reso vulnerabile e lasciarsi trasportare dai sentimenti, anche peggio: gli sarebbe costata la vita. Per questo, ovviamente, non poteva ignorare le implicazioni scaturite dalle sue parole.

“Anche io ti amo,” disse lei morbidamente, prima di annullare la distanza fra loro con un bacio. All’improvviso quelle parole le sembrarono stranamente inadeguate per esprimere i suoi sentimenti, così cercò di riversarli nel bacio che gli stava dando e nel modo in cui le sue dita gli accarezzavano teneramente i capelli corvini, e che continuarono a toccarli anche dopo essersi separati.

Stava ancora sorridendo. In qualche modo adesso il suo sorriso si rifiutava di affievolirsi e Severus ebbe quasi paura che il volto di lei si sarebbe spaccato a metà se avesse continuato a farlo.

“Oh, non mi guardare così!” disse Abby, dandogli una giocosa spintarella alla spalla.

“In che modo?”

“Come se ti stessi chiedendo se sono completamente andata di testa. Sono solo felice, sai.”

“Davvero?”

“Sì, direi proprio di si. E tu?”

“Suppongo anche io,” disse con prudenza. Gli angoli della sua bocca tiravano in maniera sospettosa, come se stesse cercando di reprimere un sorriso.

“Potresti essere un poco più entusiasta,” lei appoggiò la testa sulla mano, rimirandolo con un gioioso scintillio negli occhi.

“Lo ero.”

Lei ghignò. “Lo so.”

“Tu, piccola provocatrice,” ringhiò giocosamente. Lei si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa  misto ad allegre risatine mentre lui le saliva di sopra, e la schiacciava col suo peso sul materasso.

“Di nuovo?” chiese Abigail con un sorrisetto malizioso dipinto sul viso. Fece viaggiare i suoi occhi verso il basso, arcuando ironicamente il suo sopracciglio sinistro.

“Obiezioni?” Il suo volto pallido era incorniciato da una tenda scura di capelli neri mentre la guardava dall’alto.

“È così che corteggi una ragazza?”

“È come corteggio te. Perché? Non uso il giusto tono?” le bisbigliò all’orecchio. Il timbro della sua voce le trasmise un brivido piacevole lungo la spina dorsale e le fece formicolare tutto il corpo.

Abigail ansimava un po’ quando rispose. “Oh, credimi che il giusto tono non è un problema.” Lui la guardò piuttosto compiaciuto nell'udire quell’affermazione. “Ma ci sono modi in cui potremmo renderlo ancora più piacevole.”  Ora quell’aria compiaciuta era del tutto sparita.

“Stai forse insinuando qualcosa?” stava aggrottando le sopracciglia.

“No, è soltanto un suggerimento.”

“Continua…” le lasciò andare i polsi. Il cipiglio era ancora saldo sul volto. La situazione era arrivata ad un punto critico, ma si sarebbe evoluta presto in un disastro se lei non avesse fatto qualcosa.

La prima volta che avevano fatto l’amore era stata un po'come il loro primo bacio: un meraviglioso disastro - un meraviglioso disastro che aveva lasciato entrambi ansanti e con un’inaspettata soddisfazione. Oh sì, le era piaciuto definitivamente ogni minuto. Ma aspirava al meglio, e perché non sfruttare il potenziale per farlo diventare strabiliante se c’era? Aveva solo bisogno solo di essere leggermente indirizzato nel verso giusto.

“Non mettere il broncio,” disse morbidamente, rivolgendogli uno sguardo supplichevole.

“Non lo sto facendo,” la informò freddo.

“Sì, invece, ce l’hai proprio adesso,” lei si sedette, e la coperta scivolò via lasciando scoperto il suo petto.

“È difficile discutere con te mentre sei mezza nuda,” rispose lui, lasciando indugiare i suoi occhi momentaneamente sul suo seno, prima di soffermarsi di nuovo sul viso.

 “Non voglio discutere affatto,” disse dolcemente. 

“Che cosa avevi in mente, allora?”

“Mi lascerai mostrartelo?”

“Dipende. Mi piacerà?” i suoi occhi si assottigliarono con sospetto.

Lei gli rivolse un sorrisetto malizioso. “Senza alcun dubbio.”

“D’accordo,” disse allora dopo un attimo d'esitazione.

Con un segno del capo gli fece cenno di coricarsi. Lui acconsentì malvolentieri.

“Ti fidi abbastanza di me per lasciarti andare?”  era appoggiata su di lui, con la mano sul suo petto. “Perché è quello che devi fare.”

“Non so se posso.” Poteva ben dire che lui era a disagio, perché ancora una volta stava evitando il contatto visivo.

“Non so se dovrei,” aggiunse più dolcemente lui dopo un attimo.

“Io voglio che tu lo faccia. Voglio tutto di te.”

Lui la guardò, abbracciando con lo sguardo  la sua pelle pallida, il suo corpo snello, il lenzuolo fasciato intorno ai fianchi come un sari. I suoi capelli castani erano scombinati, e ricadevano ai lati del suo viso in riccioli selvaggi. Le sue labbra, rosse per i tanti baci, mostravano una fila di denti bianchissimi ad ogni sua parola. L’aveva sempre pensata bella. Non quel solito tipo di bellezza evidente, no, era una bellezza più sottile, che si rivelava gradualmente quanto più lungo veniva osservata. Lei non provava vergogna della sua nudità, e sembrava irradiare luce propria. Ed era tutta sua. Non era mai stata più bella, per lui, di quel momento. Aveva detto che lo voleva completamente, ma sapeva a cosa stava andando incontro?

“Non sono sicuro che tu sappia cosa significa.”

“Cosa significa?” chiese Abby pazientemente.

“Non sono sempre gentile,” ammise infine.

“Non devi essere sempre gentile,”  il sorriso di lei era adesso subdolo. Forse nemmeno lui sapeva a cosa stava andando incontro.

“Ma…” iniziò.

“Niente ma, questo volta,” scosse lei la testa.

“Non devi….”

“Shh!” mise l’indice sulle sue labbra. Lui la fissò.

 “Pensi troppo,” disse Abby semplicemente, come se questo spiegasse ogni cosa. “Dammi cinque minuti. Se vorrai ancora parlare dopo, parleremo. Va bene?”

“Va bene,” acconsentì infine.

Era ansioso di scoprire che cosa avesse in mente, perché anche se si fidava di lei, c’erano ancora le vestigia di scetticismo di cui aveva difficoltà a sbarazzarsi. Le sue mani erano calde contro la sua pelle. Un brivido percorse il suo corpo quando le lasciò lentamente scivolare giù, lungo le sue braccia.

Abigail notò la forte reazione che lui ebbe al passare delle sue dita sopra i muscoli del suo braccio, e scese giù a baciarli. Prima con le labbra, delicate come il tocco di una farfalla, poi con la sua lingua. Da quel punto continuò a risalire lentamente verso il suo collo.

Il morso di Nagini vi aveva lasciato diverse cicatrici e per un secondo lui si preoccupò che lei ne avrebbe provato repulsione. Il suo alito caldo spirava contro la sua pelle - un momento di esitazione. Forse aveva visto giusto. “Non voglio farti del male. Dimmi se sto facendo qualcosa che non ti piace,” gli bisbigliò nell’orecchio. Severus riuscì soltanto ad annuire debolmente in risposta.

Abby poteva sentire l’accenno di barba sotto le sue labbra quando baciò il suo collo. Con il naso così vicino alla sua pelle, sentiva  il suo odore,  un’inconsueta miscela di pozioni e sapone che lei aveva sempre trovato così piacevole e che la stava ora inebriando. Fermò le sue attenzioni dirette al suo collo per un momento, per baciarlo sulle labbra, ma prima che lui potesse approfondire il bacio si tirò indietro.

“Stai giocando con il fuoco,” ansimò, con gli occhi che scintillavano pericolosamente verso di lei.

“L'idea era quella,” rispose con un soffio. Gli era costato molto non lasciarsi andare.

Passò verso l'altro lato del suo collo. Un morso giocoso alla sua spalla lo fece gemere debolmente. Quel suono, da solo, le fece quasi perdere la testa. Voleva sedurlo, ma era una cosa piuttosto difficile da fare. Già poteva a mala pena resistergli, e se si metteva pure ad emettere suoni come quello…

Il loro secondo bacio fu ancor meglio del primo. In effetti, le aveva quasi fatto dimenticare che voleva fermarsi proprio prima che la situazione le sfuggisse di mano, ma questo volta lui non le permise di provocarlo ancora: le passò le braccia attorno le spalle e l’attirò a sé. Il cuore di Abby prese a battere più velocemente al contatto del suo corpo virile che reagiva al suo, sentendo quanto la volesse.

“So cosa stai cercando di fare,” bisbigliò lui fra i baci. La sua voce era bassa e vellutata. Sapeva benissimo che effetto le faceva, perché lei glielo ripeteva continuamente, il bastardo!

“E sta funzionando?” bisbigliò lei in risposta, a mala pena in grado di formare un pensiero coerente.

“Data la tua posizione, penso che tu sia in grado di capire da sola la risposta. Ebbene?”

“Direi di sì,” un brivido di piacere percorse il suo corpo.

“Bene, penso sia il mio turno ora,” ringhiò lui. “E non intendo avere alcuna pietà, almeno non nell’immediato futuro.”



NdT: ciao a tutti^^ commentino?

Alla Prossima!

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Capitolo 11
*** Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta ***


Flow, my tears, fall from your springs!
Exiled for ever, let me mourn;
Where night's black bird her sad infamy sings,
There let me live forlorn.
Down vain lights, shine you no more!
No nights are dark enough for those
That in despair their lost fortunes deplore.
Light doth but shame disclose.
Never may my woes be relieved,
Since pity is fled;
And tears and sighs and groans my weary days
Of all joys have deprived.
From the highest spire of contentment
My fortune is thrown;
And fear and grief and pain for my deserts
Are my hopes, since hope is gone.
Hark! you shadows that in darkness dwell,
Learn to contemn light
Happy, happy they that in hell
Feel not the world's despite.

Flow my tears by John Dowland

Scorrete mie lacrime, dalla vostra fonte sgorgate!
Per sempre esiliato, lasciatemi gemere;
Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta,
Li lasciatemi vivere sconsolato.
Spegnetevi, vane luci, più non brillate!
Non v'è notte nera a sufficienza per chi,
In preda alla disperazione, piange la persa fortuna.
La luce altro non fa che svelare la vergogna.
Mai potranno i miei affanni essere placati
Poiché la pietà è fuggita;
E lacrime e sospiri e gemiti i miei stanchi giorni
Di ogni gioia hanno privato.
Dal più grande appagamento
La mia fortuna è precipitata;
E paura e angoscia e dolore per ciò che mi aspetta
Sono le mie speranze, poiché ogni speranza mi ha abbandonato.
Udite! Voi, ombre che nella tenebra dimorate,
Imparate a spregiare la luce.
Felici, felici coloro che all'inferno
Non sentono il disprezzo del mondo.

Scorrete mie lacrime di J.Dowland

Dove il nero uccello della notte la triste infamia di lei canta

Traduzione a cura di besemperadreamer

NdA:Molte grazie alla mia cara beta antisocialite!

 
Era sera tardi quando due figure fuoriuscirono furtivamente dai confini dl Hogwarts e sorpassarono un piuttosto pacifico Platano Picchiatore che ondeggiava sospinto dalla brezza. Una di loro era alta e snella, e vestita di nero. L'altra, quella più piccola, indossava vestiti babbani, e la sua piccola sagoma era scossa da singulti soffocati.

Lui alzò gli occhi al cielo a quella sceneggiata, facendo finta di essere seccato dal suo comportamento.

“Oh, non mi guardare così! E' troppo divertente. Stiamo sgattaiolando via come se fossimo ancora degli adolescenti. Perché poi? È scaduto il tuo coprifuoco, Severus?" domandò Abby, facendo appello a tutta la forza di volontà in suo possesso per mantenere un'espressione impassibile.

“Questa è una scuola rispettabile," la informò severo. “Di certo disapproverebbero se il Capocasa di Serpreverde sfoggiasse pubblicamente la sua…," si sforzò per trovare la parola giusta e lei non glielo stava rendendo affatto facile, guardandolo a braccia conserte con un sopracciglio arcuato con ironia.

“Sua...?" offrì lei.

“La sua amante," suggerì lui con un'espressione vagamente cupa.

“Ah, certo," i suoi occhi luccicarono verso di lui nell'oscurità, “Te lo posso concedere, mi avresti stecchito se mi avessi chiamato la tua ragazza."

“Ti prego, dammi un po’ di fiducia. Il mio vocabolario non è così puerile benché viva in un collegio," disse strascicato.

“Beh, però è piuttosto raffinato," ghignò lei insolente, perché sapeva di essere l'unica persona che lo potesse prendere in giro in quel modo. Era anche l'unica persona che potesse baciarlo successivamente per calmare la sua collera crescente.

“Non sei mai stanca di canzonarmi?" chiese lui con falsa esasperazione. Era difficile esibire veramente un'esasperazione reale in un momento in cui si sentiva quasi completamente felice. “Chiunque mi conosca penserà che ho sviluppato improvvisamente un certo gusto per il masochismo, se non peggio."

“Cosa ci potrebbe essere di peggio?"

“Potrebbero pensare che mi sono rammollito," disse con un tono grave nella voce.

“E lo sei?" lei vestiva un'espressione di pura malizia.

Lui finse di riflettere sulla risposta per un secondo. “Perché non vieni a vedere cosa ne dicono gli studenti del primo anno che faranno la mia conoscenza domani mattina?" Il sorriso subdolo che si dipinse sul suo volto faceva presagire che non c'era niente di buono in serbo per quei poveretti. Abby provò quasi pietà per loro. Beh, quasi.

“Che avranno fatto mai queste povere animelle per incorrere nella tua furia?"

“Dovrò alzarmi alle sei del mattino, pertanto è colpa loro se devo sgattaiolare via come un ladro con la mia ragazza a questa ora tarda." L'uso intenzionale di quel termine non le passò inosservato, e gli diede un buffetto sul braccio. Lui continuò senza scomporsi, “… e se questo non fosse abbastanza, devo persino accompagnarla a casa, benché non volessi nient'altro che svegliarmi vicino a lei l’indomani mattina."

La fine di quella frase le fece spuntare un sorriso sul viso, ma era troppo andata per astenersi dal fare un commento scherzoso. “Ebbene si," disse Abby.

“Cosa?" si accigliò lui.

“Ti sei rammollito,"

 “La pensi così?"

“Prima ti saresti accigliato e ti saresti lamentato dei tuoi orridi allievi, poi mi avresti fatto un cenno col capo un'ultima volta e saresti sparito. Adesso mi becco persino un complimento, e non uno qualsiasi. No, uno dei complimenti più carini che io abbia mai ricevuto, dico davvero."

“Perciò vorresti che ritornassi alle mie vecchie abitudini?" Il suo sopracciglio sinistro si arcuò ironicamente. “Perché si potrebbe fare - devi solo chiedere."

“Non è necessario," disse lei subito per rimediare. “Esiste un modo in cui potrei convincerti a dimenticare che io l'abbia persino accennato?"

Lui annuì e l'attirò a sé per bisbigliarle qualcosa all'orecchio. Dopo aver sentito il suo suggerimento gli occhi di Abigail si spalancarono comicamente e diventò rosso cremisi. "Dai, Severus!" gridò Abby, ma l'estasiato scintillio dei suoi occhi la tradiva. Lui lo trovò un'aggiunta particolarmente deliziosa al suo rossore.

In effetti era ancora rossa dopo il bacio della buonanotte, anche prima di smaterializzarsi. Lui ritornò al castello con un sorriso soddisfatto sul viso.

***

Era la prima volta Severus metteva piede nel suo appartamento. La sua sorpresa superava di gran lunga il sottile senso di disappunto che lo stava rosicando. Dopotutto, lui le aveva dato accesso ai suoi alloggi molto prima che lei si decidesse a concedergli l'onore di visitare la sua umile dimora. Era riuscita in qualche modo a convincerlo che la sua intera vita ruotasse intorno alla sua libreria a Diagon Alley, sviando le domande sul suo appartamento con la spiegazione che viveva praticamente ai “Mondi In Collisione" e che, comunque, non c'era niente da vedere.

Ma tutto quello non si poteva definire "niente". L'appartamento gli sembrava un'estensione naturale della sua personalità. Tutto per lui aveva un senso, a partire dalle enormi finestre che avrebbero trasformato il piano in un posto  ben illuminato e accogliente durante il giorno, e che potevano essere occluse abbassando le tapparelle per la notte, se lei ne avesse avuto abbastanza di offrire la sua vita privata su un piatto d'argento ai suoi vicini.

L’alloggio era pieno di contraddizioni. Mentre da un lato c’era questo divano antiquato di velluto rosso che dominava il salone, probabilmente il santuario in cui si ritirava per leggere o bere una tazza di tè mattutino, la sua cucina aveva tutte superfici metalliche lucide che stranamente ricordavano quelle di una fabbrica. Fra le cataste di libri faceva capolino, quasi timidamente, un televisore. Tutti i quadri appesi alle pareti tendevano anche un minimo al surreale, sempre con una nota ironica, però.

Il suo appartamento era strapieno di roba, pregno d’odore d’incenso e anche un po' disordinato. Severus  si sentiva quasi a suo agio, se non fosse stato per  i piatti sporchi nel lavandino e delle cartacce vecchie vicino alla porta che sembravano guardarlo con aria di rimprovero come se stessero dicendo “sì, avremmo dovuto essere gettate fuori settimane fa, ma lei si è dimenticata del tutto della nostra esistenza”. Bisognava fare qualcosa per quella sporcizia.

 “Entra!” disse Abby di buon umore mostrando un sorriso fin troppo luminoso, segno che stava cercando di nascondergli il suo nervosismo.

“Grazie,” rispose lui togliendosi il mantello ed adagiandolo con indifferenza su un bracciolo del divano. Lei lo stava osservando alle sue spalle, aspettando con ansia il fatidico verdetto.

Severus ricondusse il suo nervosismo al fatto che lei non gli avesse mostrato prima qualcosa di così personale come il suo appartamento, perciò per quel momento soppresse il suo tagliente sarcasmo. Forse ci sarebbe stato tempo per discutere l’argomento dopo.

“Allora? Ti piace?”

“La verità?”

“Certo,” rispose come sempre. Per quanto sgradevole potesse essere la verità, lei non se ne sottraeva mai. Era una delle sue qualità che lui ammirava maggiormente.

“Beh, non sarebbe così male se qualcuno avesse pietà del tuo appartamento e desse una pulita.”

 “Ti stai offrendo tu?” Abigail lo prese in giro.

“Certamente no,” sbuffò. “O  ti sembro una cameriera?”

“Certo che no. Non mi rischierei nemmeno di suggerire una cosa del genere,” poi aggiunse in un tono più premuroso, “ma sai, ci sono realmente delle persone che ti offrono di pulire il tuo appartamento completamente nudi. Forse dovrei contattare uno di questi tizi…”

“Soltanto se vuoi che ti scagli una bella maledizione” ringhiò lui.

“È solo la mia immaginazione o sei realmente geloso?” chiese lei con un sorriso trionfante andando in cucina, sentendo i suoi occhi seguirla per tutto il tempo. L’intera abitazione era un monovano, escluso il bagno naturalmente, per questo lui ebbe la piena opportunità di guardarla quanto desiderava, perché non sarebbe mai scomparsa dalla vista.

“Se non lo fossi, significherebbe che mi sei indifferente,” rimarcò lui casualmente, sedendosi sullo sgabello di semplice legno che stava, come dimenticato, sotto al bancone metallico della cucina.

“Allora sono molto felice che tu sia geloso.” I loro occhi si incontrarono per il più breve degli istanti. Diede loro la sicurezza che c’era più nel loro costante battibeccare del semplice amare pungolarsi verbalmente. Erano innamorati l’uno dell’altro.

“Perciò, cibo,”  Abby si voltò verso il frigorifero con un sospiro, prendendo due cipolle, che osservò sovrappensiero per un secondo, prima di girarsi per guardarlo. “Chi farà il lavoro sporco? Tu o io? Piango sempre come una bambina quando taglio le cipolle. Tu?”

Le rivolse uno sguardo penetrante. “Sono sorpreso che tu me lo stai chiedendo. Ricordi come mi guadagno da vivere, no? Tratto sostanze molto più acide delle cipolle su base quotidiana. Senza scoppiare in lacrime, aggiungerei.”

Dopo aver risolto il problema, iniziarono a cucinare in piacevole silenzio. Lei gli gettava sguardi divertiti. Severus era completamente assorbito dal suo lavoro: fissava la cipolla con uno sguardo severo mentre la tagliava metodicamente in fette molto sottili che avrebbero reso fiero qualunque chef.

***

Severus aveva trascorso molto tempo ad immaginarsi come sarebbe morto, molto più di quanto una persona normale avrebbe dovuto; così al momento, sarebbe stato preparato. Ed invece, era stato colto totalmente alla sprovvista. Era rimasto disteso su un pavimento freddo a morire lentamente dissanguato, mentre il veleno del Nagini si spargeva nel suo corpo. Neppure allora aveva smesso di lottare. Si era  rifiutato di morire a quel modo, di arrendersi a quella logorante disperazione. I suoi polmoni avevano succhiato avidamente l’aria come se avessero potuto impedire l'inevitabile rifornendo il suo corpo di ossigeno a sufficienza, mentre le sue dita pressavano penosamente contro il collo ferito da cui stillava costantemente sangue.

Improvvisamente era di nuovo lì. Tutto era reale a partire dal gusto metallico nella sua bocca, fino alla disperazione che gli stava artigliando il cuore. Si sentiva sempre più debole e non poteva fare niente. Come l’ultima volta scelse di ribellarsi ferocemente contro il suo destino, anche se sapeva in fondo al suo cuore che quella lotta era inutile. Il risultato finale sarebbe stato sempre lo stesso: la morte. Infreddolito e solo, senza nemmeno una mano da tenere, senza conforto o perdono.

Perdono… i suoi occhi frugarono disperatamente la stanza. Potter. Sostarono brevemente sul ragazzo, ma presto cominciarono a vagare di nuovo, cercando un altro viso. Lei non c’era. Come avrebbe potuto? Forse era stata solo un frutto della sua immaginazione sin dall’inizio. In questa realtà, in questa realtà dove stava morendo, c’erano soltanto Potter ed i suoi amichetti dietro di lui, che lo guardavano a bocca aperta. No, il perdono era troppo da chiedere loro. Il conforto non poteva essergli dato. Anche se avevano una certa età, erano solo dei ragazzini terrorizzati che vedevano un altro degli adulti morire.

Nel profondo aveva sempre sperato in un futuro, una seconda opportunità, ma forse quel desiderio era sempre stato vano. Forse non meritava la felicità. Forse non meritava una ricompensa. Questa non era una di quelle storie per i bambini babbani. Albus, che il cielo lo benedica, benché sorridesse sempre malizioso ,non era mai stato il Principe Felice e lui non era per niente né innocente né di buon cuore come la piccola rondine. Un futuro felice, l’amore, qualcuno di cui fidarsi, non era altro che una fantasia – la speranza di uno sciocco. Era così stanco di sperare invano, così stanco di quella lotta eterna. Perché non mollare? Perché non arrendersi al fato una volta per tutte? Tutto sarebbe diventato più facile una volta smesso di ribellarsi.

Una singola lacrima scivolò lungo la sua guancia. Era d’argento. Argento pieno di memorie di tempi andati. Le parti in quella recita erano state da tempo assegnate e la scena seguente era stata già ben orchestrata. Un sospiro tremante fuoriuscì dalle sue labbra. Poi avrebbe detto a Potter di avvicinarsi. Appena alcuni secondi di dolore ancora e tutto sarebbe finito. Aprì la bocca per parlare, ma poi si raggelò. Dita sottili si stavano avvolgendo attorno la sua mano. Le sue dita, che si erano da tempo intorpidite e congelate, improvvisamente formicolarono mentre il calore si spargeva ancora una volta al loro interno. I suoi sensi gli dicevano inequivocabile che c’era qualcuno che gli stava tenendo la mano, ma quando controllò, non c’era nessuno. Era solo uno scherzo della sua immaginazione, provò a dirsi. Ma nel momento stesso in cui era quasi riuscito a convincersene, qualcuno strinse ancora la sua mano e lo chiamò per nome. Quella voce – era familiare. Toccava una corda nel suo intimo: un dolore meraviglioso - morbido, tenero e languido – che lo faceva commuovere e lo spronava a sperare ancora.

Potter lo guardava confuso, non sapendo se doversi avvicinare o rimanere dove fosse. Non gli aveva ancora parlato, realizzò. Non stava andando come era previsto, come avveniva sempre.

Le sue riflessioni vennero interrotte quando sentì ancora quella voce. Lo stava chiamando per nome. Nessuno avevano mai pronunciato il suo nome in quel modo. La voce suonava un po’ risentita, eppure affettuosa. C’era anche una nota di preoccupazione,  se non si sbagliava.

Era solo un’illusione di conforto prima che morisse? Era il suo cervello, che stava rilasciando disperatamente ogni  specie di ormoni per sommergere il suo sistema prima che esso collassasse definitivamente? Scoprì che non gli importava. Preferiva piuttosto aggrapparsi a quell’illusione che arrendersi all’ineluttabilità della morte.

La scena si dissolse, il grigio della Stamberga Strillante venne scacciato da un caldo bagliore arancio. Una debole  luce scintillava sul suo viso allo schiudersi delle sue palpebre. Stava gradualmente ritornando in sé, diventando cosciente di quello che lo circondava e rendendosi conto di essere coricato su un soffice letto  accanto a qualcuno. E non una persona qualsiasi, la donna che stava tenendo la sua mano - Abigail. Sbatté le palpebre un paio di volte, mentre la confusione faceva gradualmente largo alla chiarezza.

“Era solo un sogno,” disse dolcemente. Le sue dita lo stavano accarezzando, teneramente scivolando nella parte interna del suo braccio, ignorando completamente il tatuaggio sbiadito che vi era ancora visibile. “Solo uno stupido sogno ,” disse ancora, come per riassicurare sia se stessa che lui.

Adesso si supponeva dovesse dire qualcosa, rassicurarla che era ritornato in quella realtà ancora una volta. Ma cosa? Poteva sminuire quella visione orribile con un “niente, solo un incubo” e fingere semplicemente che non fosse mai successo. O poteva dirle tutto. O poteva dirle mezze-verità. Poteva fare molte cose. Mentre stava ancora riflettendo sulla sua risposta, si sentì dire, “Ho sognato che stavo morendo.” Aveva deciso per la verità, quindi.

Lei deglutì sonoramente, visibilmente scossa dalla sua cruda ammissione. Le sue dita si librarono immote per un attimo sulla sua pelle, prima di abbassarsi ancora per stringere forte la sua mano. “Era…” si leccò nervosamente le labbra, “era quello che ti è successo…”

“Sì,” tagliò corto lui, trovando in qualche modo doloroso che  lei avesse difficoltà con le parole, quando era solitamente così brava a trovare la cosa giusta da dire.

“Oh,” disse lei, cambiando posizione in modo da appoggiarsi alla testiera del letto, senza che mai i suoi occhi abbandonassero quelli di lui. Severus notò la sua mancanza di vestiti: aveva solo una canottiera bianca e un paio di pantaloncini neri. Tutti i pezzi del puzzle cominciarono a ritornare al suo posto e si ricordò che cosa era accaduto prima e perché anche lui fosse soltanto in biancheria intima.

Un piccolo moto divertito delle labbra fu l'unica indicazione che lei avesse notato la sua confusione. Ma Abigail non si concesse un sorriso, la situazione era fin troppo seria. Dopo un po’ decise di parlare ancora. “A volte i sogni sembrano anche troppo reali.”

“Spero di non averti svegliato.” Lui nascose la sua evasività  dietro la cortesia.

“Non mi hai svegliato. Ho il sonno leggero dalla,” fece una breve pausa, “… dalla guerra.”

Adesso fu il turno di lui di sentirsi leggermente scosso. “Non lo sapevo.”

“Perché avresti dovuto? Non è mica colpa tua.” disse dolcemente.

Seguì una lunga pausa. Lei rotolò su un fianco per mettersi di fronte a lui. I suoi occhi gentili tracciarono i suoi contorni per un po’, prima di avvicinarsi timidamente per carezzare la sua guancia ancora bagnata. La comprensione di ciò che aveva fatto lo colpì come una doccia d'acqua ghiacciata. Non aveva solo pianto nel sonno. Aveva pianto davanti lei. Benché lei non avesse detto niente, il suo gesto rendeva fin troppo chiaro che non le fosse sfuggito. Si sentì mortificato.

“Non devi vergognarti. Sono solo io,” disse lei con la voce poco più di un bisbiglio, mentre il suo pollice accarezzava ancora la sua guancia. “Nessuno può essere sempre forte.”

Sapeva che lei non gli avrebbe mai rinfacciato di aver pianto, che non lo avrebbe mai deriso per aver mostrato le sue emozioni, ma nonostante questo non si sentiva a suo agio. Forse non lo sarebbe mai stato.

“Lo so questo,” rispose e suonò più burbero di quanto volesse.

“Bene,” gli sorrise. Fortunatamente non lei non era il tipo da tenere il broncio.

Il  suo lato cinico non poteva far altro che farle la domanda seguente. Era intrinseco nella sua natura aspettarsi sempre il peggio e l'esperienza gli aveva insegnato che quella fosse la più saggia linea d’azione. Era più facile così evitare di rimanere deluso. “E se fosse solo un sogno?”

Lei aggrottò le sopracciglia.“In che senso?”

“E se stessi sognando adesso?” chiese con una voce vuota con lo sguardo ancora fisso sul soffitto bianco.

“Perché questo dovrebbe essere un sogno?”

“Perché è troppo bello per essere vero.”

“E pensi di non meritartelo? È questo?”

“Forse.”

Abby sospirò. A volte era duro essere ottimista per entrambi, quando lui era il pessimismo fatto persona. “Sei veramente sicuro di voler iniziare con me un dibattito filosofico alle tre del mattino?”

“Credo che ritornare a dormire sia ormai fuori discussione.”

“Va bene,” sospirò forte Abby , passandosi una mano tra i capelli scombinati. “Così tu pensi che niente di buono possa accadere nella realtà. È questo, quello che stai cercando di dire?”

“Niente di buono può durare nella realtà.”

“Pensi che anche noi non dureremo?” Lei cercò di mantenere un tono di voce neutrale ma il timore vi si insinuò ugualmente. “Spero che tu non ti sia già stancato di me.”

“No.” Una pausa. “E dubito che succederà mai.” La guardò con quei suoi occhi neri che brillavano nella penombra. Lei gli schioccò un veloce bacetto sulle labbra, sentendosi  incredibilmente sollevata.

“Forse hai già finito tutto il tuo “cattivo” karma. Dopo tutte le cose terribili che ti sono accadute, dopo tutto quello che hai passato, non pensi di meritare un po’ di felicità?”

Lui esitò. “No.”

La sua risposta la gelò fino all’osso. Si sedette bruscamente sul letto. “Perché?”

Lui rimase in silenzio, con gli occhi ancora rivolti al soffitto.

“Ti odi così tanto? Come puoi…” Si fermò, provando a riportare l’ordine nel subbuglio di pensieri all'interno della sua testa. “Non capisco. Io… Severus, io non ti vedo così. Potresti non essere perfetto, ma neanche io lo sono. Nessuno lo è. I nostri errori e i nostri fallimenti si sommano a cosa siamo già. La cosa importante è come li prendiamo: se li ignoriamo e basta, e continuiamo la nostra bella vita o se proviamo ad imparare qualche cosa da loro. È questo che fa tutta la differenza.”

“Forse avrei potuto fare di più…”

“No,” disse lei. Non c’erano tracce di dubbio nella sua voce. Era risoluta ed inflessibile. “Non avresti potuto.”

“Nel profondo, sono sempre stato egoista. Avevo sempre così paura di morire. Non posso non pensare che la paura mi abbai frenato, impedendomi di fare ciò che era necessario.”

“Non riesco a capire come il desiderio di sopravvivere dovrebbe renderti egoista.”

“Se non mi fossi aggrappato così disperatamente alla vita, se non fossi stato così impaurito della morte, forse avrei potuto fare di più. Avrei potuto fare le scelte giuste, se il mio timore non avesse sempre avuto la meglio,” pensò lui ad alta voce.

“Ma se ti fossi sacrificato, non avresti più potuto essere d’aiuto per nessuno.”

“Ci sarebbe stato qualcun altro.”

“Non sei sostituibile. Non per me,” scosse la testa con veemenza. “Non sarei qui ora, se non fosse stato per te. Avery e Tennyson mi avrebbero ucciso.”

“Ci sarebbe stato qualcun altro a salvarti,” ripeté lui.

“No, non è vero. E non c’è nessuno  di cui io mi fidi quanto te.”

“Perché io? Che cosa c’è di così speciale in me?”

“Di te? Tutto,” rispose lei in tutta sincerità.

“Devo ritenermi fortunato che il tuo ottimismo sia sempre così imperturbabile.” Le rivolse un debole sorriso.

“Il mio ottimismo non c’entra niente. Credo in te, e basta. Ecco.”

“Perché?”

“Perché tu non lo fai e hai bisogno di qualcuno che lo faccia.”

Severus era profondamente toccato dalle sue parole e poiché sapeva che non sarebbe mai riuscito a trovare le parole giuste per esprimere come si sentiva, cercò di mostragliele con un gesto. Allungò il braccio, facendole segno di venire più vicino. Abigail accettò prontamente, modellando il suo corpo caldo contro quello di lui. Poggiò la testa sulla sua spalla destra, premendo la schiena contro il suo petto, così da poter sentire il calore del suo corpo e il movimento della sua cassa toracica ad ogni respiro. Titubante, il braccio sinistro di lui le circondato la vita. Come di consueto i suoi movimenti erano cauti, come se fosse ancora impaurito che la potesse spaventare o offendere in qualche modo. Quei timori si rivelarono essere del tutto infondati, perché presto lei si rannicchiò ancora più vicino a lui.

“Non voglio che questo sia un di sogno…” La voce di Abby era ora diversa, bassa e soddisfatta, poco più di un bisbiglio. “E se lo fosse, non vorrei svegliarmi mai più.

“Neanche io,” ammise lui delicatamente, crogiolandosi nella sensazione di tenerla tra le braccia, che era come sempre vicino a sopraffarlo.


Note della traduttrice besemperadreamer: ciao a tutti^^ 
nihal93 non temere:-) ho promesso che gli aggiornamenti saranno più che veloci!
jillien la storia originale è già completa, e conta in tutto 15 capitoli (sulla stessa coppia l'autrice ha anche scritto due drabble e uno one-shot che forse tradurrò in seguito) che sono già belli e pronti per essere postati. Lascio un margine di un paio di giorni per dare tempo a tutti di leggere, e di RECENSIRE....

Vi mando un bacio e richiedo un attimo del vostro tempo per lasciare un commentino su storia e traduzione...

Alla prossima!

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Capitolo 12
*** La fine è nel nostro inizio ***


The end is where we start from – La fine è dove abbiamo cominciato.

C'era freddo. Il vento le frustava contro, facendole insorgere brividi gelati lungo la spina dorsale. Sentiva uno strano gusto metallico in bocca. Schiuse lentamente gli occhi e si ritrovò a fissare il nero cielo notturno. Che strano...non doveva essere in un altro posto? Certamente non di nuovo lì. Quando cercò di sedersi, un dolore così tagliente che sembrava volesse strapparle gli occhi le attraversò il corpo. I fianchi le dolevano ad ogni respiro ed ancor più quando si muoveva. Dove era? Cosa era successo? Si toccò le labbra con le dita e rabbrividì al contatto della sua pelle. Quando se le portò davanti le guardò stupita: aveva le punte coperte da una sostanza scura ed appiccicosa che brillava nella penombra - sangue.

Un esame più attento dei dintorni confermò la paura che le stava montando dentro. Era ancora una volta lì. Ancora una volta in quel posto che rappresentava il suo peggior incubo. Era il luogo dove l'avevano catturata e picchiata. Dove l'avevano derisa e le avevano detto cosa sua zia aveva subito. Sputò disgustata il sangue che le si era raccolto in bocca. Ricordò. Si era morsa la lingua prima, quando aveva provato a reprimere le sue stesse grida.

La sensazione di dover essere da qualche altra parte le sovvenne lentamente. Ad ogni minuto si sentiva più agitata. C'era qualcosa che doveva fare. Era di vitale importanza che si ricordasse cosa fosse esattamente subito  o sarebbe stato troppo tardi. Ma c'era una cosa che sapeva di certo, ed era di doversene andare immediatamente.

“Mettiti in piedi. Trova la bacchetta. Vattene," si ordinò mentalmente. Si guardò intorno freneticamente  in cerca. Era gettata innocentemente vicino al fuoco estinto. Fuoco. Fuoco crepitante. Calore. La comprensione la sommerse quasi soffocandola. Nel panico, strisciò fino al luogo in cui la sua bacchetta giaceva nella polvere. Il battito del suo cuore era così veloce che minacciava di perforarle il petto. Le sue dita si strinsero attorno alla sua bacchetta, così strette infatti, che le nocche le divennero bianche.

Doveva rimettersi in piedi. Ogni movimento era una tortura. Alcune delle sue costole erano probabilmente rotte. Sì, si ricordò che lo erano state… erano rotte. Infine riuscì ad alzarsi; il sudore le scorreva lungo la schiena. Il dolore le sommergeva ancora il corpo, ma lo ignorò. Doveva trovare lui. Doveva sbrigarsi.

Se ricordava bene questa era la notte in cui Voldemort sarebbe morto. Ed era la stessa notte in cui i Mangiamorte l'avevano trovata e torturata. Era sopravvissuta solo perché erano stati chiamati a prendere parte alla battaglia finale in nome del loro Oscuro Signore. Era anche la notte in cui Severus Piton avrebbe affrontato la morte.

Non si chiese nemmeno se fosse troppo debole per smaterializzarsi. Si limitò a stringere i denti e lo fece, trovandosi da qualche parte vicino ad Hogsmeade pochi secondi dopo. Radunando ogni briciola della forza di volontà  in suo possesso, ordinò a se stessa d’iniziare a camminare. Per una volta fu riconoscente della sua "natura di curiosona e ficcanaso" - come l'usava blandamente chiamare Severus -  che le aveva fornito sufficienti informazioni sugli avvenimenti di quella fatidica notte da sapere dove dirigersi. Sperava di potersi fidare della sua memoria da quel momento in poi - chissà a cosa poteva credere adesso. Cosa era reale e cosa, invece, non lo era?

Ogni passo era un’agonia, ma non le interessava. La ghiaia scricchiolava sotto le suole delle scarpe al suo passaggio. Quel suono era come un ritmo regolare a cui lei si aggrappava, sperando che l'avrebbe aiutata a mantenere il senno e a darle la forza di continuare. La frase  “E' solo un sogno, solo un sogno, solo un sogno," echeggiava ironicamente dentro la sua testa ad ogni passo.
Il pensiero la fece diventare incredibilmente arrabbiata, il che, fortunatamente, le diede abbastanza energia per andare avanti. Che cosa era quello, l'inferno? Un crudele scherzo del destino? Odiava la magia e di cosa era capace. Forse era una anatema creato apposta per prenderla in giro, per portarla a credere di avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che la amasse per poi… rivelarsi solo uno scherzo crudele. Solo un'illusione, una specie di fottuto giochetto mentale. Non poteva accettarlo. Non voleva crederci.

Il percorso davanti a lei era in discesa. Il paesaggio sembrava ingannevolmente tranquillo e innocente, ma non si sarebbe più fatta fregare dalle apparenze. Adesso era più furba. Nei dintorni, al di sotto della collina, riusciva ad intravedere la Stamberga Strillante. C'era una scura figura incappucciata che avanzava velocemente verso la costruzione decrepita. Gelò sul posto, chiedendosi rapidamente tra sé e sé se fosse saggio rendere nota la sua presenza. Forse non era lui o forse era qualcun'altro e lei si sarebbe fatta ammazzare solo perché credeva stupidamente nei sogni, nell'amore e quant'altro. A qualsiasi conclusione fosse arrivata, aveva poca importanza. Lo sconosciuto l'aveva già vista e stava avanzando verso lei velocemente.

I suoi occhi vagarono frenetici in giro, cercando un posto dove nascondersi, almeno finché non avesse capito se era un amico o un nemico. Le sue alternative erano i rovi alla sua destra o la roccia enorme alla sua sinistra. Decise prontamente per l'ultima, perché quella forse le avrebbe fornito abbastanza spazio per muoversi se fosse stata costretta a combattere.
Improvvisamente sentì un paio d'occhi scavare nella sua schiena. Si voltò. La figura era in piedi immobile di fronte a lei, guardandola. Benché fosse soltanto ad alcuni metri non riusciva a scorgere il suo volto, celato dal cappuccio del suo mantello. Mani affusolare lo tirarono giù. Vedere il suo volto e comprendere che non era stato solo un sogno febbricitante, le succhiò via tutta l'aria dai polmoni. Era come se si stesse strozzando, incapace di pronunciare nemmeno una parola.

Lui mosse alcuni passi titubanti verso di lei, che l’avesse riconosciuta era scritto chiaramente sul suo viso così come quanto fosse preoccupato. Non era così lui che la ricordava. Abigail aveva i vestiti sporchi e le maniche della camicia, spruzzata di sangue essiccato , lacere. Il suo labbro era spaccato e si teneva il fianco sinistro con la mano. L'espressione dei suoi occhi non poteva che essere accostata al tormento. Era come un animale selvatico catturato da un predatore. Così ansiosa, così fragile eppure pronta a combattere. Merlino, cosa le era successo?

“Abby." Il suo nome rotolò sulla sua lingua come se l'avesse detto mille volte, ma non era così. Sapeva che era la prima volta che lo pronunciava.

Lei sbatté le palpebre come se stesse uscendo da uno stato di trance. “Severus." Guardò i suoi vestiti scuri - le vesti di un Mangiamorte - che la fecero istintivamente indietreggiare. Chiunque li indossasse, portava con sé dolore e morte. No, no, non era vero. Lo conosceva, sapeva che tipo d'uomo fosse. C’era stato un periodo in cui aveva indossato le vesti di Mangiamorte, ma lei aveva anche visto il meglio di lui, il lato celato al resto del mondo che pensava lo rendesse vulnerabile. Si ricordò il modo in cui le sue dita seguivano teneramente i suoi lineamenti quando erano coricati insieme a letto, il modo in cui la guardava pensando che lei non lo notasse. Era duro sopportare il ricordo di quei momenti adesso, ancor più perché non sarebbero dovuti essere lì sin dal principio. Sembrava che tutto fosse accaduto realmente, anche se adesso sapeva per certo che lo era stato soltanto nella sua immaginazione.

“Come è possibile una cosa del genere?"
 
“Non lo so," ammise lui. Le sue parole la lasciarono ancor più impotente.

La sua mente cercava ancora disperatamente di fornire una spiegazione. “Ok, so cosa sta succedendo," bisbigliò tra sé. “Questo non è reale. Non lo è. Non siamo qui. Siamo al sicuro. A casa. Nel mio letto. Non è reale. Mi devo svegliare. Mi devo svegliare adesso." Abigail lo guardò con gli occhi lucidi. Sapeva già la verità, ma non era pronta a riconoscerla ancora. “Lo so perché me l'hai detto tu stesso. È solo un sogno. Posso svegliarmi se lo voglio. E’ questione di attimi, vedrai."

“Non è un sogno," disse lui lentamente, muovendo un altro passo cauto verso di lei.

“Oh, come se tu lo sapessi!" disse lei scuotendo vigorosamente la testa.

“Credimi. E' così."

“Stronzate! Qualcuno ci ha fottuto il cervello. Non è reale!" Le sue dita tiravano i suoi già scombinati capelli.

“Lo è," insistette lui, facendo un altro passo. Se avesse avvicinato la mano, l'avrebbe potuta toccare, ma esitò. Non sapeva se lei glielo avrebbe lasciato fare. Le mani di Abby tremavano incontrollatamente, ed i suoi occhi, sbarrati dalla paura, lo imploravano di fare qualcosa per far ritornare tutto al proprio posto, per scacciare via quella pazzia. Per Severus lei era stata sempre forte, forse anche più di lui stesso e vederla in quel modo lo feriva. Faceva più male persino di qualsiasi tortura il Signore Oscuro avesse mai potuto avere in serbo per lui. Non riusciva più a sopportarlo.

Le prese le mani tremanti tra le sue. Erano coperte di sporcizia. La sua pelle sembrava più callosa sotto il suo tocco, non come la ricordava. Si aspettava che lei ritraesse le mani da un momento all'altro, ma non lo fece. Invece rimase lì, guardandolo con gli occhi terrorizzati.

“Sei realmente tu." La voce di Abigail era appena un bisbiglio, fragile come una foglia trasportata dal vento.

 “Sì," disse lui morbidamente.

Lei mosse un passo esitante verso Severus, gli occhi che vagavano sul suo volto; poi senza preavviso gettò le braccia in avanti e lo abbracciò. Lo stava stringendo come se fosse la vita stessa, anche se le sue costole rotte protestavano violentemente. Il suo odore familiare la confortava, e la lasciava dubitare della sua sanità mentale allo stesso tempo. No, non era familiare, si rimproverò mentalmente. Non poteva sapere quale fosse il su odore né come fosse essere baciata da lui. Non doveva neppure conoscere il suo nome o il suo volto , cazzo. Il solo pensiero era esasperante e la sua prossimità fisica minacciava di mandarla completamente fuori di testa e di portarla all’isteria. Lo lasciò andare piano, improvvisamente incapace di rimanere in sé così vicino a lui.

“È vero? È vero che non ci siamo mai realmente incontrati? E' successo tutto nelle nostre menti?" Lo guardò timidamente, desiderando nel profondo che dicesse il no.

“Ho paura di si. Ma è successo ugualmente. Il fatto che sia accaduto soltanto nelle nostre menti non lo rende affatto meno reale," I suoi occhi d’ossidiana le guardavano il viso con attenzione, e in essi, vi si poteva scorgere una traccia di timidezza. Temeva che lei fosse felice di non avere vissuto la loro storia nella realtà?

Almeno questa volta Severus non stava provando a respingerla come faceva di solito. Questa realizzazione la sorprese, ma non poté indugiarvi a lungo. I suoi pensieri erano troppo sconnessi, troppo frammentati per focalizzarsi per molto tempo su un’idea fissa.

“Allora cosa sta succedendo? Chi è stato?" Gli occhi di Abigail lampeggiarono verso quelli di lui nel crepuscolo. Severus sapeva che la sua rabbia non era diretta nei suoi confronti in particolare, perché anche lui era furioso. Niente di quella situazione sembrava normale.

“Credimi, anche io non ne ho la minima idea."

“È veramente…" lei esitò, ovviamente avendo difficoltà a concentrarsi su quello che stava accadendo e Severus non poteva certo biasimarla, perché anche lui aveva qualche problema a crederci sul serio,

“E' veramente quel giorno?”

“Ho paura di si," suonò più distaccato di quanto realmente avesse voluto. I suoi pensieri erano caotici, e vorticavano costantemente intorno ad una domanda. Come sarebbero riusciti ad uscire illesi da quella situazione?

“Quanto ricordi?" chiese Abby infine, titubante.

“Tutto," rispose lui. “L'ospedale, tua zia…," per un momento sembrò quasi imbarazzato, "...ieri sera."

“Sì…," disse Abby lentamente. “Sì, anche io ricordo. È ancora tutto qui," lei si toccò fugacemente la tempia con un sorriso timido. “Ma ovviamente non era reale… cioè, non nel senso fisico, intendo."

“Sì."

“Ma allora… oggi è oggi?"

“Sì."

“Cazzo!"

“Concordo pienamente."

Lei cercò di fare un sorriso che morì rapidamente sul suo volto, quando il suo labbro ferito le ricordò la sua presenza. Il dolore la scosse, mettendo all'erta i suoi sensi. “Sta per succedere… sta per succedere oggi, tu stai per…"

“Morire. Sì," concluse lui la frase.

“Sì." La voce di lei tremava appena, quando parlò ancora. “Ma possiamo ancora cambiare le cose. Non sei costretto a fronteggiarlo. Potremmo cercare un posto sicuro dove non potrà farti del male. Almeno c'è qualcosa di questa situazione che non è completamente inutile..."

Lui la guardò confuso.

Abby si affrettò a spiegare cosa volesse dire. “Non capisci? Non devi andare lì per forza. Possiamo scappare. Andrà tutto bene." A causa della sua agitazione parlava molto velocemente. Era ritornato il fuoco nei suoi occhi, ancora una volta aveva ritrovato la speranza. E questo gli fece più male, perché lui la distrusse con la frase seguente.

“No," scosse lui la testa amaramente, “ tutto deve andare esattamente come avrebbe dovuto."

“Che significa? Perché?"

Severus rimase in silenzio, lasciando che lei ci arrivasse da sola. Non aveva modo di riuscire a spiegarsi in modo convincente. Ogni fibra del suo corpo gli urlava di non farlo. Quando le guardò il viso, lasciando i suoi occhi vagare sui tratti che gli erano così familiari, la tentazione minacciò di sopraffarlo. Il suo istinto gli diceva di prenderla per mano e andare via con lei. Si sarebbero nascosti in qualche luogo sicuro, dove nessuno avrebbe potuto trovarli. Tutto sarebbe andato bene. Avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per conoscersi di nuovo e scoprire se la realtà reggeva il confronto con l'illusione.

I suoi pensieri erano già andati alla deriva, creando programmi di fuga, sognando un futuro insieme, quando le sue parole lo strapparono brutalmente dalla sua fantasticheria. “Vuoi sacrificarti, eh? E' quello che vuoi fare, no? Vuoi lasciarti ammazzare, così che quel Potter possa venire a salvare il mondo?" Le sue sole parole erano dolorose, perché nel profondo lui sapeva quanto fossero vere, ma il modo in cui lo guardava, con delusione e rabbia, era anche peggio.

“No, non è quello che voglio. Quello che voglio è rimanere qui con te, ma… ma devo fare ciò che è necessario. Non capisci?" Cercò di ragionare con lei, ma in parte anche con sé stesso. “Questo è quello di cui abbiamo parlato. Non posso lasciare che la paura abbia la meglio. Se non vado, il Signore Oscuro vincerà. Non riesco a credere che lo stia dicendo sul serio ma se Potter muore, la nostra unica speranza morirà con lui."

“Ti sei ammattito del tutto? Sei sordo, o cosa? Ti ucciderà!"

“Sì."

“Ma, e noi? Non è significato niente per te? Come puoi semplicemente voltare le spalle a quello abbiamo?" Era troppo disperata per gridare, troppo disperata per sentire altro oltre all’apatia improvvisa del suo petto. Il posto occupato una volta dal suo cuore, era adesso vuoto, un buco nero che risucchiava tutte le sue emozioni, lasciando solo un guscio svuotato.

Per una volta nella sua vita Severus Piton sembrò essere a corto di parole. La sua bocca si  aprì e chiuse un paio di volte, ma nessuna parola venne fuori.

Lacrime cominciarono a raccogliersi negli occhi di lei e la sua visione divenne sfocata. Le scacciò via con il dorso della mano, impiastricciandosi di sporcizia il viso. Poi, quando aveva già perso ogni speranza di sentirlo parlare, lui infine disse qualcosa.

“Ti amo."

Le sue parole erano sincere e delicate. Uno sguardo sul suo viso fu sufficiente a capire che le stava dicendo la verità, ma in quel momento era l'ultima cosa che Abigail voleva sentire. Che valore potevano avere se il secondo dopo andava a testa alta incontro a morte certa? Lo odiava per avergliele dette adesso che stava per perderlo.

“Non è vero. Se lo fosse, non andresti."

“E' vero, ma io devo farlo," insistette lui ancora, suonando quasi disperato.

“No."

“Abby…"

“No, e non ti rischiare a dire un'altra parola!"

“Abby, probabilmente ho detto innumerevoli bugie nella mia vita, ma questa non lo è. Ti amo veramente."

Lei lo guardò con il labbro inferiore tremolante, e gli occhi pieni di lacrime. Non le aveva mai detto che l'amava, l'aveva fatto soltanto ora probabilmente perché stava per morire e sapeva che il suo amore per lei non lo avrebbe trattenuto dal voltarle le spalle per mettere in atto quella stupida suicida pazzia “eroica”. Provava solo una rabbia rovente che le appannava la mente, e che pervadeva ogni fibra del suo corpo, prendendo persino possesso delle sue corde vocali.

“Ti odio," sputò lei sprezzante.

Le sue dure parole dure lo colpirono come una frustata. Severus si aspettava sempre il peggio delle persone in generale e anche se una parte di lui era preparata a quella reazione, viverla dal vivo era un'altra cosa. Era stato piuttosto egoista da parte sua dirglielo adesso. Ma non voleva morire senza dirle niente. La sua vita era costituita da una serie di opportunità perse e non era necessario aggiungerne una in più prima della sua fine.

La capiva, capiva che le sue parole le sembravano solo una menzogna, specialmente ora. Quella non era lei a parlare, era la sua rabbia. Se lui fosse stato al suo posto, probabilmente non avrebbe reagito diversamente, per questo non poteva serbarle rancore. Non poteva permettersi di serbarne comunque, non adesso poi. Doveva tenersi aggrappato a qualcosa oppure la sua risoluzione sarebbe vacillata.

“Abby, devo andare." Abby poteva sentire il dolore nella sua voce, il rammarico di lasciarla senza potere risolvere quella situazione.

Lui chiuse momentaneamente gli occhi, provando a racimolare la sua forza. Ma come diamine poteva trovare la forza per lasciarla, quando non voleva altro che rimanere? La guardò ancora un'ultima volta, provando ad imprimere nella sua memoria ogni particolare del suo viso. Poi, per quanto gli si spezzasse il cuore, si voltò e prese a camminare.

Immediatamente Abigail si pentì della sua reazione. Dopo un breve momento d'esitazione, i suoi piedi si mossero come se avessero avuto volontà propria. Poi improvvisamente gli fu vicino, trattenendolo dalla manica della sua veste. Lui la fissò stupito, incapace di capire cosa stesse accadendo.

“Severus, aspetta! Per favore, perdonami… non volevo dire quello che detto. E' solo… è così difficile..." lui la prese tra le braccia e la baciò, prima che lei potesse continuasse a balbettare scuse.

“Ti amo. Ti amo. Ti amo," bisbigliava Abby continuamente dopo che lui ruppe il bacio. Lui le sorrise amaramente, ma rimase in silenzio.

“So perché lo stai facendo. Ne abbiamo parlato prima. Lo capisco," lei si lasciò sfuggire una risata rauca. “No, ma chi voglio prendere in giro? Veramente no. Non posso, non voglio, non lo capirò mai. Ma… ti amo. E non posso lasciarti andare via così." Era agitata e affannata. La sua parlantina nervosa era in netto contrasto con la calma risoluzione che lui aveva chiara in viso. “Ci deve essere qualcosa che posso fare. Un modo in cui ti potrei aiutarti. Dopo che Nagini… dopo il morso di Nagini, ci deve essere qualcosa… una pozione, un incantesimo, qualcosa che possiamo fare per arrestare la diffusione del veleno... Per guadagnare tempo a sufficienza per portarti al San Mungo…„

“Non c'è," disse lui delicatamente “Devo farlo da solo." Severus le guardò il viso, le sue piccole mani tra le sue. I suoi occhi erano gentili, ma infinitamente tristi. “Ho bisogno che tu ne stia fuori."

La baciò, fin troppo consapevole che quella era l'ultima volta, poi si allontanò da lei. Le sue dita scivolarono lentamente via dalla sua presa.
Il mondo le crollò addosso. Con le sue ultime parole aveva distrutto la loro unica speranza. Le lacrime stavano minacciando di soffocarla ma le ricacciò indietro coraggiosamente. Non voleva rendergliela ancora più difficile. Benché in nessun modo approvasse la sua decisione, poteva capire i motivi delle sue azioni.

Severus sentiva che doveva fare tutto in suo potere per riparare al male che aveva fatto, altrimenti non avrebbe mai meritato il perdono o l'amore. In breve, non avrebbe meritato Abby. Quindi, tutto considerato, era una fottuta situazione in cui ci avrebbe perso comunque.
Non c'era modo di convincerlo a non farlo, Abigail lo sapeva. E benché questo fosse uno dei motivi per cui lo amava, il suo cuore si gonfiò di eterno risentimento per la sua decisione.


Nota della traduttrice besemperadreamer(l'unica superstiteXD): tradurre questo capitolo è stato uno strazio!!!
Ogni due righe cambiava il punto di vista....!! Comunque...Grazie per le recensioni, mi fate felice^^ e fate felice pure l'autrice^^
Ciao bianca, da quanto tempo:-) sono contenta di trovarti sempre qui:-)
Ciao Gilgalahad^^ che piacere vedere che segui anche questa storia=D
ElseW grazie per la recensiones, spero che ti sia piaciutos pure questo capitolos!!=)

Alla Prossima^^

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Capitolo 13
*** Non c'è niente di male nel sperare ancora ***


 
Non c’è niente di male nel sperare ancora
traduzione a cura dibesemperadreamer

Si costrinse a fare ciò che lui le aveva chiesto. Senza nemmeno notarlo, si ridusse le dita sanguinanti, mordendosi le unghie com’era sua abitudine quando era nervosa. Quando vide Potter e i suoi amici avvicinarsi alla Stamberga Strillante, non poté far altro che seguirli.

La vecchia casa odorava di fatiscenza e legno marcito, e le tavole lignee che ricoprivano il pavimento scricchiolavano sotto i suoi piedi ad ogni passo. I suoi sensi recepirono quell'informazione ma essa non raggiunse i suoi pensieri coscienti. Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento, era che doveva trovare Severus. Vero, lui doveva affrontare Voldemort da solo, ma dopo...la sua morte… sviò i suoi pensieri dalla parola, non riusciva neppure a pensarci. Come sarebbe potuta sopravvivere senza morire di dolore?

Il suo cuore smise quasi di battere quando lo vide lì, riverso a terra in una pozza del suo stesso sangue. Ce n’è così tanto, pensò con orrore. Gelò sul posto momentaneamente, così come i tre ragazzini terrorizzati alla sua sinistra. Ma dopo appena un battito di ciglia si riscosse dal suo stato di torpore e in un attimo fu al suo fianco. Gli occhi di Severus si concentrarono su di lei, comunicandole, senza parlare, la sua sorpresa nel vederla lì.

Abigail gli s’inginocchiò accanto, facendo a mala pena caso al suo sangue che penetrava attraverso il tessuto dei pantaloni, inzuppandoli. Quando vide che lui non era ancora pronto ad arrendersi, e con le dita cercava inutilmente di arrestare l'emorragia, una scintilla di speranza si accese dentro di lei, benché la sua parte razionale le suggerisse che fosse inutile. Aveva già perso troppo sangue.

Mentre lei premeva le sue dita sulla ferita, la mano di lui scivolò via lentamente. Con l'altra mano Abigail cominciò ad accarezzargli la testa in modo rassicurante. “Idiota, dovevi proprio andare a fare l'eroe, eh?" disse dolcemente con una voce ridotta a un sussurro. Lacrime rotolavano lungo le sue guance, ma non le notò neppure finché non caddero sulle vesti di Severus.

“Abby." Si sorprese nell'udire la sua stessa voce così diversa dal normale, raschiante e un po’ strozzata. L'ombra di un fugace sorriso si dipinse agli angoli della sua bocca e lei non poté fare a meno di imitarlo, benché non desiderasse altro che urlare al mondo la profonda ingiustizia che stavano subendo. Lo aveva appena trovato.

“Sì, sono io, proprio dove sarei dovuta essere." Era difficile far uscire le parole. La vista di lui, così fragile, che se ne stava andando così rapidamente, la soffocava.

Frammenti sussurrati di una conversazione raggiunsero il suo orecchio. “Chi è lei?" udì debolmente domandare al sorpreso ragazzo dai capelli rossi dietro di lei.

“Penso di conoscerla. Anche se non riesco a inquadrarla, in questo momento," disse Hermione, con un tono di voce che rendeva evidente la sua confusione.

“Quello che realmente m’irrita è solo...quand'è che sto bastardo untuoso ha trovato il tempo di farsi la ragazza?"

“Piantala, Ron! Non essere cattivo," lo ammonì la giovane.

Abigail non sentì nulla del loro piccolo scambio, era prova troppo occupata a prendersi cura delle ferite di Severus. Una parte di lei sapeva che era inutile, ma se si fosse arresa o lasciata prendere dallo sconforto, sarebbe crollata e non poteva permettere che accadesse. Doveva essere lì per lui ora, doveva essere forte. Come gli aveva detto poco prima, il suo posto era lì, al suo fianco.
“Potter" raspò Severus. Il suo respiro diventava di minuto in minuto più affaticato, ma stava tenendo duro. Abigail annuì col capo e si girò per far avvicinare il ragazzo.

Un accenno d’isteria rese la sua voce stranamente stridula quando lo chiamò, ma sorprendentemente Harry acconsentì senza replicare. Quando posò gli occhi su Severus, osservò l'estensione delle sue ferite e comprese che lui fosse solo ad un passo dalla morte, Abigail vide qualcosa di simile alla comprensione velare i suoi tratti.

“Più vicino, Potter," ordinò l’uomo, esaurendo gli ultimi residui di forza che possedeva.

Potter s’inginocchiò vicino a lui, fissando dritto quel volto che aveva disprezzato così a lungo e che era adesso una maschera cinerea. Una lacrima argentea scivolò dall'angolo dell'occhio di Piton e Harry riconobbe immediatamente cosa era - un ricordo da poter vedere in un Pensatoio.

“Guardalo. Promettermi che lo farai." La mano di Piton strinse il davanti del maglione di Harry, e i suoi neri occhi esigenti scavarono dentro quelli del ragazzo, che riuscì solo ad annuire col capo. Sembrò che Piton fosse rimasto soddisfatto dalla risposta, perché le sue dita allentarono la presa e la sua mano scivolò via lentamente. Poteva smetterla di sforzarsi. Aveva fatto tutto.

Con grande orrore Abby comprese cosa stava per accadere. L'avrebbe perso e questa volta per sempre. “Non ti rischiare a tirare le cuoia ora, Severus," sibilò lei, sorpresa nel trovarsi più arrabbiata che triste.

“Non ce la faccio più," bisbigliò con rammarico. “Perdonami."

“Non hai nulla da farti perdonare," disse tranquillamente, ma lui non udì mai quella risposta. Abigail abbassò lo sguardo sulla sua forma immobile: il suo petto non si abbassava né si sollevava più, aveva gli occhi ancora fissi su di lei benché ora fossero senza vita. La consapevolezza le esplose dentro, raggiungendo con le sue gelate ramificazioni ogni angolo della sua mente. È morto. È morto. Merlino, è morto!

Emise un singhiozzo strangolato che pressava da una vita nel retro della sua gola e che suonò come il grido di un animale ferito. Qualcosa nel suo intimo si frantumò, ed era sicura che non sarebbe mai più riuscita a rimetterne insieme i cocci. Se ne era andato lasciandole solo un ricordo a cui aggrapparsi disperatamente. La sua anima, la sua essenza o qualsiasi altra cosa lo avesse reso quella persona unica, quell'uomo meraviglioso e ambiguo che amava così tanto, era ormai perduta. Non lo avrebbe mai più sorpreso a sorriderle dolcemente quando pensava di non esser notato, mai più avrebbe tenuto le sue mani tra le sue affusolate dita aggraziate, mai più avrebbero riso insieme su una battuta che solo loro potevano capire...mai più. Seppellì il volto sul suo petto, inalando il suo profumo, sapendo che forse sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe potuto farlo e che probabilmente avrebbe dimenticato il suo odore, così come tutte le molte altre piccole cose che erano così importanti, benché quella fosse l'ultima cosa su terra che avrebbe voluto.

Pianse forte, incurante che i suoi singhiozzi potessero essere uditi. Era come se il suo petto volesse esplodere, come se qualcuno stesse provando a strangolarla, tanto era serrata la sua gola. Conficcò le dita nel tessuto lanoso delle sue vesti da Mangiamorte, cercando di aggrapparsi a qualcosa che aveva già perso. Dio, come desiderava venire avvolta dalle sue braccia adesso!
Era stato facile ignorare le sue stesse ferite, grazie al costante afflusso d'adrenalina che aveva agito nel suo sistema, ma ora stavano rendendo di nuovo nota la loro presenza. Il dolore corporeo si stava mescolando alla disperazione, sommergendola con un’altra ondata devastante. “Non lasciarmi. Non lasciarmi. Per favore, non lasciarmi!" . Il pensiero permeava ogni fibra del suo essere, ogni suo respiro, ogni suo battito cardiaco, ogni sua lacrima versata. Mentre continuava a cantilenarlo come un mantra nella sua testa, la sua visione si tinse di nero ai bordi, e si sentì scivolare lentamente nell'incoscienza. La sua testa si pressò contro il suo petto, e sentì il costante ma molto debole Tum-Tum di un cuore. Probabilmente era il battito del proprio. Ma a che pro, se voleva solo strapparselo dal petto? Con quell'ultimo, macabro pensiero, svenne.

***


Quando riprese conoscenza, si ritrovò a fissare il bianco soffitto, piuttosto opprimente, di una stanza di ospedale. Il secondo stesso in cui la sua coscienza riemerse dal piacevole intorpidimento del sonno, la realtà le piombò di nuovo addosso. Gemette e fece correre la mano tra i suoi capelli, di fatto tirandoseli. Per amor di Dio, non poteva essere stato solo un incubo dal quale svegliarsi, ritrovandosi Severus come sempre al suo fianco?

Adesso che era sveglia avrebbe dovuto affrontare il resto del mondo. E il resto del mondo includeva curiose infermiere, guaritori dall'aspetto serioso e, possibilmente, persino alcuni giornalisti che le avrebbero voluto strappare qualche informazione. Non era sicura di essere pronta. In effetti non era nemmeno sicura che avrebbe mai più voluto affrontare il resto del mondo.
Essere vestita con una striminzita vestaglia verde d'ospedale, distesa in un letto che non era il proprio, la faceva sentire piuttosto esposta. Non voleva far altro che andare a casa, raggomitolarsi sul divano e piangere fino ad addormentarsi di nuovo.

Per suo grande sgomento, il suo risveglio non era passato inosservato. Avrebbe voluto passare qualche minuto in più da sola con i suoi pensieri. Anche se generalmente la solitudine era per lei insopportabile, siccome i suoi pensieri finivano sempre per rigirare attorno a lui, non riusciva a sopportare di essere circondata da altre persone. Le davano solo fastidio.
Entrò un giovane uomo che aveva un ché di familiare e che indossava gli stessi abiti verde menta di tutti i guaritori del San Mungo. Il colore dei suoi abiti attrasse la sua attenzione molto più del fatto che le sembrava conoscente. Sembrava vomito radioattivo. Per il suo pessimo umore aveva una mezza idea di farglielo notare. Il pensiero che Severus avrebbe gradito la tentò ancor di più.

“Buongiorno, signorina Carter, come si sente oggi?" le chiese, guardando oltre il bordo della cartella clinica che aveva in mano.

Abigail sbuffò, arcuando un sopracciglio. “Una schifosa meraviglia."

“Signorina Carter, sono spiacente… ma erm…posso chiamarla Abigail? Abbiamo quasi la stessa età…"

“No, non penso che sia necessario." La situazione le diede la strana sensazione di dejà vu.

Il giovane guaritore la guardò sorpreso, sbattendo le palpebre degli occhi un paio di volte prima di continuare, sembrando imperturbato. “Le vostre ferite si sono rimarginate bene, vedo." le si avvicinò di un passo, esaminandole il viso con occhio critico. “Nessuna cicatrice, come previsto. Bene. Bene."

“Quindi non c'è un motivo valido per tenermi prigioniera qui, no?"

“No, potrete andare via domani mattina. Il vostro amico tuttavia…"

“Il mio amico?"

“Sì, il vostro amico. L'uomo con cui è stata portata qui… mi lasci controllare… Severus Piton?" Le rivolse uno sguardo preoccupato. Il suo viso aveva perso tutto il colore, le sue dita avevano afferrato
inconsapevolmente la coperta in una stretta morsa, così stretta infatti, che temette che lei avrebbe forato il tessuto.

“Cosa stava dicendo su Severus?" chiese lei impaziente.

“Che avrà bisogno di molte cure prima di poter essere dimesso. Fortunatamente siamo riusciti a stabilizzare le sue condizioni. È un piccolo miracolo che sia ancora vivo, a rigor di logica sarebbe dovuto morire. Nessuno è mai sopravvissuto al veleno di una creatura magica così potente."
Il giovane guaritore smise di parlare quando notò la sua paziente levarsi le coperte di dosso e subito dopo scendere dal letto.

“Non potreste lasciare il letto…" cominciò a dire, ma nonostante la sua protesta, lei era già in piedi. Il pavimento di linoleum era sgradevolmente freddo sotto i suoi piedi, ma lei ignorò sia il gelo sia le esortazioni del guaritore.

“Signorina Carter," disse più severo, mettendosi davanti a lei per impedirle di lasciare la stanza. Pensava che così facendo lei avrebbe dovuto riconoscere la sua presenza e infine rinsavire. Invece Abigail lo guardò stupita, prima che la sua espressione venisse rimpiazzata da un cipiglio arrabbiato.

“Si levi di torno," disse con un tono atono, fissando la porta al di sopra della spalla del guaritore. Nei suoi ricordi, l'aveva già attraversata.

“Dovete riposare. Non vi siete ancora del tutto ristabilita. Devo elencarvi le vostre ferite? Benché non sia una legge universale, vi accorgerete presto che il processo di guarigione richiede di rimanere a letto, almeno per alcuni giorni. Anche se le pozioni fanno magie nel senso più letterale del termine, non vi potete aspettare miracoli. Anche il paziente deve collaborare, sa."

“Oh, stupidaggini" scartò la sua preoccupazione con un gesto vago della mano, dirigendosi di nuovo verso la porta, ignorando completamente di avere addosso solo una striminzita vestaglia d'ospedale.

“Signorina Carter," sbuffò lui, “questo è un oltraggio! Le chiedo…"

“Non avete il diritto di chiedere niente." Si era girata con gli occhi che dardeggiavano in sua direzione. “Avete la minima idea…" s’interruppe momentaneamente per provare a riguadagnare la calma, ma non vi riuscì. “Avete la minima idea di cosa ho passato? L'ultima volta che ho controllato questo posto era un ospedale e non una prigione. Ora mi porti da Severus! Se pensa che mi coricherò tranquillamente nel mio letto aspettando che lei si decida a lasciarmelo vedere, se lo può scordare!"

Il guaritore deglutì. “Alla fine del corridoio, prendete a sinistra. Il ICU è in fondo, dopo la porta di vetro a due ante. Terza porta a destra. Vostra zia…"

“Anche lei è lì. Lo so. Grazie." Annuì col capo brevemente prima di lasciare la stanza.

Abigail percorse velocemente le lunghe corsie dell’'ospedale. Si lasciò indietro le file di camere alla sua destra e alla sua sinistra senza degnarle di uno sguardo in più, così come le infermiere che la guardavano stupite. Aveva gli occhi puntati con risoluzione in avanti.

Ed eccolo lì oltre la porta, all'interno di quella camera che una volta era stata il suo personale purgatorio. Non era stato reale prima, ricordò a se stessa, ma questo volta sì, ne era alquanto certa.
I suoi occhi vagarono sopra la silenziosa forma dormiente di sua zia, che aveva lo stesso aspetto del suo ultimo ricordo di lei, e infine giunsero su Severus. Per un istante non poté far altro che rimanere paralizzata sulla soglia a fissarlo. Eccolo lì, disteso sul letto come se stesse dormendo. No, non dormendo, come testimoniava la flebo da cui le pozioni curative venivano inoculate nelle sue vene. Era incosciente.

Dovette per prima cosa elaborare la situazione prima di riprendere a muoversi. Era vivo. I suoi occhi, come per cercare conferma, ricaddero sul suo petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Sì, era
veramente vivo. Mosse alcuni passi verso di lui, sopraffatta improvvisamente dalla voglia di toccare la sua mano per dimostrare a se stessa che questo non era solo un sogno, un'altra illusione che l’avrebbe lasciata distrutta e confusa.

L’uomo appariva pallido e vulnerabile. Non l’aveva mai visto così e questo la sconcertò oltre ogni sua immaginazione. Per lei, lui era sempre stato il più forte dei due. Qualcuno che ti faceva voltare quando entrava nella stanza, qualcuno che attraeva involontariamente attenzione per la sua prestanza, per l’autorità che emanava la sua forte personalità. Adesso quel carisma era svanito,lui appariva debole. Le sue dita si avvolsero con attenzione intorno al suo polso. Doveva ancora rassicurarsi che era tutto reale, per quanto orribile la situazione fosse.

Il suo volto era cinereo e la tonalità malsana della sua pelle veniva messa ancor più in risalto dai suoi capelli scuri. Sembrava trasandato e lui non lo era mai. Ciò la irritò oltre ogni limite, e la fece infuriare contro quelle infermiere che passavano rapidamente al paziente successivo senza abbottonargli la vestaglia correttamente, senza spendere due minuti in più per scostargli i capelli dal viso. Si curvò sopra di lui, accarezzando dolcemente la sua guancia con le dita prima di spostargli i capelli indietro.

Non aveva la minima intenzione di lasciare il suo fianco e almeno finché non si fosse svegliato, avrebbe aspettato tutto il tempo necessario. Frugò la stanza con gli occhi in cerca di una sedia su cui sedersi, ma non ne trovò. Forse si sarebbe potuta sedere sul bordo del letto, rifletté brevemente, ma d'altra parte c’erano tutti i tubicini della flebo. Forse non era una buona idea, dopotutto.

Mentre era persa nei suoi pensieri, i suoi piedi si stavano congelando a contatto col pavimento freddo, tanto che le dita si erano già intorpidite. Lentamente divenne fortemente consapevole della sua mancanza di vestiti, e di avere addosso solo un sottile pezzo di stoffa a ripararla dalla nudità totale. Venne scossa dai brividi. Dove era la sua bacchetta? Avrebbe evocato un vestito di pront’accomodo o una coperta, insomma, qualsiasi cosa l’avesse salvata dal congelamento.

All’improvviso intravide un movimento alle sue spalle e si voltò di scatto sorpresa. I suoi fianchi dolsero per quel gesto repentino, ricordandole delle costole rotte che erano state medicate recentemente. Il giovane guaritore era sulla soglia della porta, e sembrava un po’ insicuro.

“Ancora voi? Che volete?” saltò su lei. La sua voce suonò più stanca che acida, come invece avrebbe voluto.

Il guaritore ignorò per gentilezza la domanda, ma soltanto perché era stato nella stanza abbastanza a lungo da vedere quanto il comportamento della donna fosse cambiato intorno a quell'uomo che giaceva incosciente nel suo letto d’ospedale, dimentico di quanto questa donna fosse preoccupata e di quanto lui le fosse caro.

“Sono venuto a dirle che ho avuto un'idea. Potremmo mettere un altro letto in questa stanza, così potrete rimanere qui.”

La sua proposta la lasciò momentaneamente di stucco, poi riuscì a borbottare delle scuse, seguite da un affrettato consenso e un imbarazzato “Grazie”.

“Non mi ringrazi troppo presto. E’ l'ospedale che dovrebbe ringraziarla, veramente. Conosce le nostre misere finanze. Non possiamo permetterci di fare occupare a un singolo paziente un'intera stanza, tutta da solo.”

“Capisco,” disse lei accennando una specie di sorriso. “Mi dispiace, sono stata così scortese prima.”

“Come voi avete perfettamente fatto notare prima, questo è un ospedale. Sono cose che possono succedere, di tanto in tanto.”

Note della traduttrice besemperadreamer:
Ciao a tutti^^
Grazie a lAleCassandra, ElseW, biancalupin e GilGalahad e a tutti coloro che seguono la storia^^
Se trovate errori nella traduzione siate un pò più specifici così lo posso correggere:-)
Alla Prossima!

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Capitolo 14
*** Andare Avanti ***


Chasing Pavements - Andare Avanti
Traduzione a cura dibesemperadreamer

A/N: Grazie alla fantastica anti_social_ite.

C’erano pochissime cose che odiava tanto quanto stare ad aspettare. In effetti, pensandoci, non riusciva a trovare niente che potesse eguagliare il suo odio per l’attesa. Era una di quelle persone che non riuscivano a stare ferme nemmeno per mezz’ora, sempre indaffarate, sempre pronte a vivere al massimo ciascuno dei propri giorni. Adesso invece, l’unica cosa che le rimaneva da fare era aspettare che lui si svegliasse. I guaritori le avevano fatto capire che non si aspettava miglioramenti di lì a breve, ma lei si rifiutava di demordere.

Era stata dimessa un paio di giorni prima e c’era voluta una colossale opera di persuasione per convincerla a passare come minimo da casa per recuperare alcune cose prima di riprendere la veglia al suo capezzale. Abigail aveva infilato frettolosamente i suoi effetti personali in uno zaino, senza preoccuparsi se i vestiti che aveva strappato dalle grucce si abbinassero tra loro. Dopo si era affrettata giù per le scale, fermandosi appena sull’ultimo gradino. Si chiese se, tra i volumi nuovi della consegna della settimana prima, non c’era stato un libro sui sogni e sull'uso della magia da parte del subconscio.
Ora era seduta di nuovo accanto al suo letto, sfogliando il suddetto il libro, accigliata. La maggior parte era solo spazzatura.

Esistevano molte teorie sull’uso della magia subcosciente, molte delle quali pseudo-scientifiche e messe insieme da qualche casalinga annoiata che aveva voluto aggiungere un significato più profondo alla sua, altrimenti piatta, vita dando un’interpretazione fantasiosa  agli elementi dei sogni. Quelle stupidaggini romantiche sul principe azzurro, su destini intrecciati che alla fine si compiono - forse era cinica, forse troppa acqua era passata sotto i ponti per lei poter credere a quella favoletta.

“Se fossi sveglio, ci faremmo una bella risata su questa roba,” disse tranquillamente, mentre chiudeva il libro e lo poggiava sul’attiguo comodino. “Sono solo delle cazzate, come quella perdita di tempo di Divinazione.”
Come di consueto, lui non mostrò alcun tipo di reazione. Rimaneva disteso lì, completamente immobile. Soltanto il regolare movimento del suo petto la riassicurava che lui fosse ancora vivo. Il suo volto aveva ancora un pallore malsano, ma almeno non come quello di alcuni giorni prima.

“Non so quanto ancora posso reggere questa situazione,” bisbigliò lei con gli occhi bassi. Poi venne colpita da un pensiero divertente e gli angoli della sua bocca si curvarono leggermente verso l’alto. “Molti  pensano che sono proprio fastidiosa. Tutti quelli a cui voglio bene cercano sempre di farmi stare zitta, per evitare il mio costante ciarlare. Ma, ehi, che culo. Sto ancora parlando con te, vedi?” Dopo che le parole ebbero lasciato la sua bocca, arricciò il naso stranita, scosse la testa, e si sfregò le mani sulla faccia, molto provata.

“Merlino, che cosa sto facendo? Sto cominciando a sembrare pazza.”  Si alzò dalla sedia e iniziò a camminare. In quei giorni i pantaloni le venivano leggermente più larghi in vita, i suoi lineamenti erano più affilati, perché spesso saltava i pasti. Le ombre scure al di sotto dei suoi occhi erano segni rivelatori di troppe notti trascorse a vegliarlo. I suoi abiti erano stropicciati dal troppo stare seduta, ma anche perché non si preoccupava di stirarli. I suoi pensieri giravano sempre intorno a lui e quando non era lì, faceva tutto di fretta per ritornare al suo fianco. Truccarsi le sottraeva tempo prezioso, così come cucinare o riposarsi un po’, così li evitava e basta.

“E’ che… se non parlo c’è troppo silenzio… questo maledetto silenzio che mi fa diventare matta, capisci.” Smise di camminare e lo guardò per un istante. Aveva un groppo alla gola, che provò inutilmente ad inghiottire. La sua voce si incrinò leggermente quando riprese a parlare. “Vorrei sapere che fare. Vorrei poter fare qualcosa, invece sono solo inutile. Posso solo stare seduta qui ad aspettare, e Dio sa, che non è molto. Oh, e naturalmente piangere. Ho dato abbondantemente, tesoro. Che poi è, oh, così patetico e inutile. Ma cos’altro c’è da fare? Che altro…” I suoi occhi vagarono dalla sua forma dormiente alla finestra. I rami di una quercia vi stavano lentamente oscillando davanti. Per un istante li guardò con infantile meraviglia, ma poi uscì dal suo momentaneo torpore per riprendere il posto al suo capezzale.

“Non potresti farmi questo un piccolissimo favore e sbrigarti a ritornare tra noi? So che non sei abituato a fare favori, ma non potresti fare una piccola eccezione?” Non si aspettava veramente una risposta. In realtà non si aspettava niente.

Le sue mani giacevano sopra le coperte, le sue lunga dita affusolate bianche erano immobili in maniera quasi inquietante. Si avvicinò e prese la sua mano sinistra. Le sue dita accarezzarono dolcemente il dorso, le sue nocche, le punte di ogni dito.

***

Lui si risvegliò lentamente. Come strisciando lentamente fuori da una buia caverna verso la luce, la sua coscienza emerse gradualmente dal sonno profondo. Persino prima di aprire gli occhi, il dolore sordo e distante delle ferite che si stavano rimarginando, si fece sentire e lo rassicurò che in effetti quella fosse la realtà. Schiuse le palpebre. Tutto appariva confuso, bianco sgargiante e impregnato dell'odore dei disinfettanti. Era evidente, dunque, che non era nell’aldilà ma piuttosto in qualche ospedale o una parte piuttosto misera ma pulita di Paradiso. Per provare sé stesso mosse le sue dita e vide che obbedivano ancora ai suoi ordini. Ne fu piuttosto contento.

C’era un peso sulla sua mano sinistra. Voltò con prudenza il capo per vedere Abigail che ancora teneva la sua mano mentre dormiva in una posizione che appariva proprio scomoda. Era seduta su una sedia ed aveva il busto curvato sul suo letto in modo che potesse almeno poggiare la testa. Le sue dita stringevano  possessivamente la sua mano anche mentre dormiva.

Di rimando anche lui ricambiò leggermente la stretta con tenerezza, ignaro del fatto che anche questo piccolo gesto sarebbe stato sufficiente a svegliarla. Rialzò insonnolita la testa dal letto, con le pieghe del lenzuolo impresse nella sua guancia. I suoi occhi incontrarono quelli di lui interrogativi, poi si spalancarono al massimo.

“Ti sei svegliato,”bisbigliò. “Ti sei svegliato!”. Suonò come un sospirò di sollievo quando lo disse la seconda volta. Era agitata, e i suoi occhi erano luminosi e appannati dalle lacrime, ma nonostante questo sorrideva, era raggiante persino. Non era stata mai più felice nella sua vita. Voleva abbracciarlo, baciarlo, ma venne fermata dal tubicino della flebo che decorreva fino all’ago infilato nel suo braccio. Cercò i suoi occhi, chiedendo il permesso.

Severus si sorprese nel vederla così titubante, dopo tutto quello che era accaduto fra loro, realizzando allo stesso tempo che la maggior parte aveva avuto luogo solo nella loro immaginazione. Ecco spiegato il motivo. Le fece un lento cenno d’assenso col capo, rischiandosi persino a sorridere un poco. Lei gli sorrise dolcemente in risposta e facendo attenzione pressò le labbra sulla sua tempia in un lungo bacio. Lui chiuse gli occhi, assaporando almeno per un momento la sensazione delle sue labbra contro la propria pelle, una sensazione confortante e familiare.

Lei si tirò indietro fin troppo presto per i suoi gusti e gli annunciò, con voce tremante, che stava andando a chiamare un guaritore. Severus poteva praticamente già vedere tutti gli ingranaggi all’interno della sua testa lavorare a gran velocità. Si stava cominciando a  sentire insicura ed impacciata, ed era piuttosto evidente nel suo comportamento, tutto agitato e nervoso.

Non era tipo da dolci rassicurazioni d’amore, ma avvertì lo stesso l'esigenza di calmarla. “Se, per favore, la smettessi di preoccuparti di cose inutili, cara, capiresti subito che andrà tutto bene.”  La sua voce era sorprendente chiara anche se aveva dormito così a lungo.

Lei venne presa momentaneamente in contropiede dalla sua durezza, ma poi comprese il significato delle sue parole e gli sorrise.

***

Severus Piton stava per chiedere un appuntamento ad una donna per la prima volta nella sua vita. Non una donna qualsiasi, però, la donna la cui la presenza rendeva ogni suo giorno più tollerabile e che, altrettanto facilmente, aveva il potere di trasformare la sua esistenza  in un vero inferno se solo l’avesse voluto. Sorprendente era anche questo che lo attraeva di lei.

Aveva lo strano talento di far sembrare ridicole le preoccupazioni che occupavano la sua mente e di riuscire a rabbonirlo come nessun’altra, ed  aveva il forte sospetto che questa impressione non sarebbe cambiata presto.

Sapere tutto di lei, gli rendeva anche più difficile chiederle sul serio di uscire. Lo rendeva nervoso e soprattutto lo deprimeva, perché ogni volta che il momento opportuno si era presentato, aveva lasciato scivolare via l’occasione.

Aveva la netta sensazione, comunque, di doverle chiedere un appuntamento o almeno darle qualche segnale del suo interesse nei suoi confronti, perché da quando si era svegliato lei aveva mantenuto tra loro una certa distanza. Anche se aveva trascorso molto tempo seduta vicino al suo letto, chiacchierando allegramente, non gli aveva più tenuto la mano. Rifuggiva il contatto fisico, benché lui sapesse che anche lei lo desiderava, perché le sue dita si tendevano sospettosamente quando le loro mani erano vicine. Cosa c’era di diverso ora? Che cosa stava aspettando? Si era posto spesso quelle domande ed era arrivato ad un'unica conclusione plausibile. Voleva essere rassicurata. Aveva bisogno di un segno che il suo interesse per lei non si era affievolito, che la loro specie di relazione non era stata solo un'illusione.

Adesso che era stato dimesso da quel buco infernale che le persone normali chiamavano ospedale, era libero finalmente di farlo. Che fosse completamente guarito dalle sue ferite giocava solo a suo vantaggio, perché almeno poteva camminare senza avere capogiri. O forse no. La presenza di Abigail, a volte, gli faceva girare la testa, ma nei modi più piacevoli che si potessero immaginare.

Oh, Merlino, che scemenze! Da quando era diventato così sentimentale da definire le vertigini piacevoli? Stava ancora maledicendo sottovoce la sua stessa stupidità quando arrivò a Diagon Alley, e si ritrovò davanti alla sua libreria. Per un strano motivo esitava ad entrare. Oltre quella porta lo attendeva un svolta cruciale. O questa esperienza si sarebbe rivelata la più grande delusione della sua vita adulta o gli avrebbe concesso uno squarcio su un futuro che non avrebbe mai osato sperare. Merlino, tutto questo doveva finire! Si stava trasformando in un stupido, pietoso romantico senza speranza.

La porta davanti a lui si aprì improvvisamente. Sorpreso, guardò in  su per trovarsi Abigail di fronte con un sorrisetto stampato in faccia.

“Ciao!” ghignò. “Sembri sorpreso di vedermi. Ti ricordi che questo è il mio negozio, vero? A ragion d’essere, non dovresti  essere tanto sorpreso di trovarmi qui.”

“Stavo riflettendo sull’entrare o meno,” sottolineò, guardandola con disapprovazione. Lo stava prendendo in giro e non gli piaceva particolarmente la sensazione di essere oggetto di scherno, in particolare quando era nervoso.

“Oh, va bene allora. Devo lasciarti ancora riflettere? Però ti suggerirei di continuare a farlo lì,” gli indicò la finestra del negozio alla loro destra. “Mi ostruisci l'entrata. E in più,quest’ombra nera che incombe sulla mia porta è un po’snervante .”

Che faccia tosta! Aveva il sottile sospetto che lei stesse provando a farlo arrabbiare di proposito. Forse non aveva pensato che due persone possono fare lo stesso giochetto, però. Un barlume diabolico gli illuminò gli occhi quando disse le parole seguenti.

“Incantevole! È così che tratti la maggior parte dei tuoi clienti? Non mi meraviglio allora che sempre più persone si allontanino dalla lettura.”

Lei uscì completamente dalla porta con un sorriso divertito che aleggiava sul viso.
Anche se stava invadendo palesemente il suo spazio personale, Severus non si curò di allontanarsi. Da questa prossimità poteva chiaramente vedere le linee delicate di una risata formarsi intorno ad un paio di occhi carichi di malizia. Quando lei si portò i capelli indietro, poté sentire l'odore del suo shampoo, e vedere la pelle candida esposta del suo collo. Si leccò le labbra, aveva la bocca improvvisamente secca.

“Ti rendo nervoso?” chiese lei, flirtando.

“Non essere così vanesia. Il tuo aspetto è ben lontano dall’essere impressionante.”

“Forse non dovrei mostrarmi più a te, allora.” Abby disse con indifferenza.

“Sarebbe molto gentile da parte tua,” si sentì dire, mentre la sua voce interna lanciò un grido di frustrazione. La situazione stava prendendo una piega completamente diversa da quella che avrebbe voluto. Stava rovinando tutto. Cosa lo sorprese, però, era che lei non si fosse spostata di un centimetro nel frattempo.

“Bene. Benissimo. Lasciami riassumere velocemente la situazione. Sei venuto fin qui per vedermi, perché diciamocelo, se avessi voluto un libro avresti potuto tranquillamente rimanere a Hogwarts che, ho sentito, ha una biblioteca molto ben fornita. Poi  ti sei innervosito ed hai scelto di insultarmi, invece di fare qualsiasi cosa eri venuto a fare. Ho detto tutto?” Lo guardava interrogativa, con la testa inclinata a sinistra.

Lui avrebbe negato istintivamente tutto, perché la sua valutazione della situazione era spaventosamente vicina alla verità, ma per fortuna ci pensò due volte prima di rispondere. Così, invece di darsi la zappa sui piedi di nuovo, riuscì a dire qualcosa carina per metà, almeno per i suoi standard. “Per quanto non proprio una valutazione sufficiente…”

Lei buttò gli occhi al cielo, impedendogli di finire la frase. Ma era un gesto che mimava il fastidio piuttosto che esserlo realmente.

“Per favore, Severus, non ricominciamo. Apprezzo lo sforzo, ma onestamente, di questo passo diventeremo due vecchi bacucchi prima di arrivare ad una qualche sorta di conclusione; perciò te la renderò più facile, perché ci siamo già passati da questo straziante periodo di corteggiamento. Ed una volta mi sembra già più che sufficiente, grazie.”

Lui la guardò stranito, ma non poté far altro che annuire col capo confuso mentre lei continuava tranquillamente. “Se venissi qui per chiedermi di uscire, la risposta sarebbe di certo un “sì” , anche se devi tenere presente che per ora stiamo parlando ipoteticamente e che anche la mia risposta è naturalmente ipotetica.”

Quindi voleva realmente sentirselo chiedere ad alta voce. Deglutì sonoramente, poi raccolse abbastanza  coraggio per chiederle.

“Bene allora. Benissimo. Ti spiacerebbe se ti facessi visita di tanto in tanto?” le sue parole non erano state particolarmente gentili, in effetti era sembrato piuttosto annoiato. Ma la sua usuale facciata era più trasparente per lei di quanto lui pensasse. Il modo in cui la guardava, quasi con ansia, non le sfuggì.

Gli sorrise, sgretolando ogni sua paura. “Se mi dispiacerebbe? Sei scemo? Certo che voglio passare del tempo con te. Diamine, era ora che me lo chiedessi.”

Anche lui si concesse un sorriso di sollievo. “Non mi sembravi così propensa…”

“Volevo darti un po’ di tempo per schiarirti le idee.” Le sue parole era bisbigliate, ma per la sua vicinanza, le poteva sentire molto bene.

“Non ce n’era bisogno. Le mie idee erano già chiare sin dall'inizio,” rispose con voce ugualmente bassa e confidenziale.

“Bene,” la sua voce tremò appena per l’emozione, “allora ti farei sapere che ci sono un paio di altre cosette a cui risponderei di sicuro un “si.”

“Cioè?” C’era una leggera traccia di panico alla sua voce. Quando la donna diceva una cosa del genere, solitamente alludeva a qualcosa in particolare. Gli sovvenne il ricordo di uno di quei giorni accaduti nella loro immaginazione. Quando avevano trovato una scusa decente per travestirsi da assaggiatori di créme ed avevano ingollato quantità oscene di ogni tipo di torta. Rabbrividì visibilmente al pensiero.

Non le ci volle molto per capire che aveva detto qualcosa di fraintendibile. Arrossì. “Non farti prendere dal panico. Non mi riferivo a quella domanda in particolare.”

“No?”  Grande, ora sembrava offeso. Aveva interpretato lei male il suo sguardo d’orrore o era lui che tendeva a prendere tutto nella maniera sbagliata?

“Non che sarebbe una brutta cosa,” provò frettolosamente Abby a salvare la situazione. “E’ solo che… cioè, proprio adesso… con tutta questo casino che stiamo vivendo e tutto il casino che abbiamo passato…” Oh, sì!Veramente chiara! Un’eloquenza da togliere il fiato!

Lui ebbe la decenza di accennare appena un sorrisetto derisorio “Penso che tu faccia meglio a fermarti prima che diventi ancora più imbarazzante…per te.”

“Bastardo,” borbottò lei, ma non senza sopprimere un sorriso.

“Arpia,” mormorò lui.
“Allora, è carino che tu sia passato. Non riesco a ricordarmi quando scambiarsi insulti è mai stato così divertente.”

“Sì, finora è stato piuttosto proficuo.”

“Ok,  basta ora  - mi farai le domande quindi?...Beh, ovviamente non quella, voglio dire.”

“Non stai rendendo le cose più facili in questo modo.” Si accigliò lui.

“Non ora. No. Lo so bene. Ma mi sono rotta di questa situazione. Non stiamo andando da nessuna parte. Quindi, chiedi. Almeno sapremo che posizione abbiamo. È meno stancante così, non trovi?”

“Sembra che tu non voglia perdere tempo.” La guardò con occhi penetranti. Non era uno sguardo di disapprovazione, più come se stesse provando a capire cosa le passasse nel cervello.

“Sì, direi che abbiamo già sprecato troppo tempo. Non credi?”

“Sì,” ammise infine.

Così dopo un paio di secondi di silenzio teso, lui si decise  infine a porre la sua prima domanda. Era piuttosto inoffensiva e serviva solo per tastare le acque. “Ti sembro diverso, intendo a paragone…”

“Intendi a paragone della persona che ho conosciuto nel sogno? No,” fece una pausa, “e io?”

“No.”

Si scambiarono un sorriso timido. Quando lui avanzò la sua seconda domanda, lei si stava mangiando le unghie, e i palmi delle sue mani erano diventati freddi e sudati.

“Mi ami?” Wow, questa sì che era diretta, ma lei non esitò a rispondere.

“Sì.”

“Sì?” lui sembrò sorpreso. Qualunque altro uomo probabilmente l’avrebbe ricoperta di baci, ma lui era troppo razionale, ed in più, troppo riservato per farlo. Doveva essere paziente ed attendere che lui facesse il primo passo. La prontezza che lui aveva mostrato per quel gioco diretto di domande e risposte era già una grande concessione da parte sua. Non voleva tirare troppo la corda, ma non poteva stare seduta ad aspettare un altro mese, o giù di lì, che le cose facessero il loro corso naturale. Si era rotta di aspettare! Tuttavia, almeno per metterlo un po’ più a suo agio, si trattenne strenuamente dal porgli la medesima domanda.

“Altre domande? Da chiedere?”  il modo in cui lui la fissava la lasciò con una sensazione di nervosa vertigine. Era evidente che lui avesse bisogno di radunare una certa dose di coraggio per porre la domanda seguente.

“Sì, veramente c’è,” lui si schiarì la gola nervosamente. “Vuoi ancora stare con me?”

“Sì.”  Ancora nessun'esitazione da parte sua.

Non seppe mai cosa diavolo lo portò a farle la domanda successiva, come era arrivato improvvisamente dal chiederle qualcosa di semplice  come un appuntamento a portare il loro rapporto al livello successivo. “Non è troppo presto per chiederti di venire a vivere con me, vero?” Aspettò che il panico lo assalisse, ma non lo fece perché si rese conto che era proprio quello che desiderava. L’unica cosa che lo faceva diventare sempre più ansioso era l’attesa della sua risposta.

Abigail non si aspettava che lui le chiedesse qualcosa di simile. Cioè, era Severus Piton dopotutto. In effetti, non si aspettava che facesse quella domanda particolare prima di un decennio o forse anche più, quando entrambi sarebbero stati vecchi e raggrinziti. No, a pensarci, se doveva essere onesta con se stessa, era convinta che non glielo avrebbe chiesto affatto. Mai.

“Avrei dovuto saperlo. Era una cosa stupida da chiedere, in verità,…” stava per continuare, ma si zittì quando le sentì sussurrare “sì”. Per un istante la guardò in totale, completo shock e prima che potesse domandare se l’aveva sentita realmente accettare, lei lo stava baciando, aggrappandosi possessivamente alle sue vesti nere come se non lo volesse lasciar andare mai più. E sì, la sua façade scivolò via del tutto e si concesse di ricambiare il bacio con uguale fervore e con un'intensità emotiva che aveva a lungo soppresso.
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Era un pomeriggio piacevole e pieno di sole, ed Diagon Alley era praticamente strapiena di persone, alcune delle quali si fermarono per guardare la coppia che si stava baciando.

Entrambi erano un po' storditi quando si separarono. Per loro grande sorpresa si ritrovarono circondati da una piccola folla che applaudiva e fischiava.

Naturalmente, Severus era estremamente a disagio. Poiché lo conosceva così bene, Abigail sapeva che stava risparmiando quelle persone dal suo temperamento iroso, rivolgendo loro solo un cipiglio corrucciato.

“Maledizione,”  mormorò lui sottovoce.

“Oh, chiudi il becco!” gli bisbigliò piano. “Limitati a sorridere e fai un piccolo inchino.”

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Capitolo 15
*** Il principe felice ***


Il principe felice
traduzione a cura di besemperadreamer

A/N: Questa è la fine la fine del nostro viaggio, e CHE viaggio. Grazie, anti_social_ite per avermi fornito ispirazione e incoraggiamento! Hai fatto uno straordinario lavoro di revisione.

Abigail era seduta nella comoda poltrona di cuoio davanti allo scrittorio di Severus, leggendo un libro in attesa che lui finisse di correggere dei temi. Ogni tanto, la sua attenzione veniva attratta dalle occasionali imprecazioni dell’uomo, che la portavano a guardare al di sopra del bordo del suo volume. A volte i loro occhi si incontravano e lo sguardo di lui, soffermandosi sulla sua esile figura, si ammorbidiva appena.

La scena era oscenamente familiare, ma Abby non se ne curava più di tanto, perché nella sua vita non si era mai sentita così bene. Vero, vivere nei sotterranei di un antico castello pieni di spifferi, e abitato da rumorosi adolescenti, non era esattamente l'idea di una vita perfetta, ma per lei ci si avvicinava dannatamente.

Da quando si era trasferita da lui, avevano avuto occasionalmente dei contrasti. D'accordo, avevano discussioni più che di tanto in tanto. Insorgevano ad intervalli ragionevolmente normali, ma non erano mai serie. E ruotavano spesso intorno a stupidaggini quotidiane. Lei pensava in verità che i loro battibecchi servissero a scaricare lo stress accumulato, e anche la pace che facevano sempre subito dopo, fosse molto rilassante.

La sensazione dei suoi occhi penetranti addosso la fece riemergere dalla sua fantasticheria. Abbassò il libro per guardarlo interrogativa. “Non so se sentirmi lusingata oppure preoccupata che tu mi stia fissando da almeno cinque minuti buoni."

“Non ti stavo fissando."

“Uuuu, amore! A volte mi domando perché mi sono innamorata di te. Sei così dolce."

Il suo commento ottenne in risposta un sorrisetto diabolico. “Veramente, ero più interessato al tuo libro. Sembra che tu sia determinata a non lasciar cadere l'argomento."

“Che argomento?" chiese con fare innocente, provando a procrastinare l'inevitabile.

Lui posò la penna d'oca, appoggiandosi, comodamente, sullo schienale della sedia. Era segno che quella conversazione avrebbe preso un bel po’ di tempo. “Sai perfettamente di cosa sto parlando. Stai ancora cercando di trovare una spiegazione a quello che è successo."

“Francamente, non riesco a capire perché hai lasciato stare subito l'intera questione. In particolare qualcosa di così grosso come quello che abbiamo passato. In genere, tra noi due, sei tu che non trascura mai niente."

“Legami nei sogni, l'uso della magia subcosciente, beh, tutte queste teorie suonano terribilmente costruite, non trovi?" Gli chiese, facendo scorrere il dito indice sopra il suo labbro superiore, soprappensiero.

“Sì, lo so. Ma onestamente, riesci a fornire una migliore spiegazione per… beh, per tutto quanto?" mise da parte il libro, posandolo sul pavimento vicino alla sedia. Il sostegno della vecchia poltrona stridette appena quando si lei mosse.

“Bene, te lo concedo. Quindi, cosa sei riuscita esattamente a scoprire?" la guardò con grande aspettativa, riservandole il suo migliore arrogante sguardo da professore "sono-più-intelligente-di-te".

Lei esitò un attimo, perché per quanto plausibile potesse apparire la sua spiegazione, spiegata ad alta voce, suonava stupida persino alle sue stesse orecchie.

“D'accordo," sospirò Abigail. “La teoria è molto', ripeto molto "figli dei fiori", quindi anche se pensi che sia completa spazzatura, potresti per favore ascoltarla fino in fondo prima di smontarla pezzo per pezzo?" Lui sollevò un sopracciglio, ma le fece segno di continuare.

“Ok… bene, ottimo. I babbani pensano che quando due persone sono molto vicine..." Lui stava per commentare, ma lei sollevò l'indice in segno di ammonimento per zittirlo.

“Ricordi? Avevi promesso di fare il bravo. Dove eravamo...ah, già, quando sono molto vicini, come ad esempio madre e figlia o marito e moglie, e accade qualche cosa di terribile ad una persona, l'altra, non si sa come, lo sa. Questo libro dice che è perché condividono un legame mentale."

Avendo spiegato quella parte della teoria, smise di impedirgli di esprimere la sue critiche. Se non l'avesse fatto, aveva imparato, sarebbe diventato soltanto impaziente e più acido.

“Vedi, la tua piccola teoria ha già una falla. Noi non ci conoscevamo neppure ai tempi, perciò come sarebbe potuto esserci un legame?" disse, incapace di mantenere una nota di compiacimento nella voce.

“Ottima osservazione. Anche io ci ho pensato su un bel po’. Forse perché le nostre situazioni erano molto simili, quel giorno. Cioè, beh, non so tu, ma per me non poteva andare peggio. Non credevo di uscire viva da quella situazione." fece una pausa, sentendosi vulnerabile e piuttosto ridicola nel pronunciare ad alta voce il resto della frase, ma lo fece ugualmente. “In tutta l'onestà… mi aspettavo di morire quella notte."

“Capisco," disse lui.

“Come te, presumo." Non c’era esattamente un punto interrogativo alla fine della frase.

“Sì," rispose semplicemente.

“Beh, ecco qua la tua spiegazione."

“Molto forzata," osservò sprezzante.

“Forse, ma me ne sai dare una migliore?"

“No, non me ne viene in mente nessuna," Severus concesse, “Sentiamo, quindi, il resto di questa tua insensata teoria."

“E’ molto gentile da parte tua, grazie," nei suoi occhi si poteva scorgere una scintilla pericolosa, mentre continuava. “Comunque, non ti sembra poco probabile che due persone si trovassero quasi nella medesima situazione, nello stesso istante? Non avresti voluto che io avessi desiderato un'altra possibilità allora? Io so con certezza che l'avrei fatto."

Il suo silenzio parlò più di mille parole, e così lei si astenne dall'affondare maggiormente il coltello nella piaga.

“Allora mi dica, carissima signorina Carter, come sono riuscito a sopravvivere all'attacco di Nagini."

“Magia subcosciente."

“E come esattamente il tuo subconscio magico mi hai tenuto lontano dalla morte? Con la forza del desiderio, forse?" Per allora il suo tono si era caricato d'ironia pesante.

“Sì, è esattamente quello che penso. Dicono che i Babbani possono canalizzare una forza sconosciuta in situazioni di estremo bisogno. Una madre, per esempio, è riuscita a sollevare un'intera automobile per liberare i suoi bambini che vi erano rimasti bloccati sotto. Se queste cose accadono nel mondo Babbano, perché non potrebbero, nel mondo Magico?"

Lui buttò gli occhi al cielo. “Starai scherzando, spero. Onestamente, ti stai ascoltando? Sembri proprio ridicola. Dovresti smetterla di blaterale queste assurdità prima che cominci a dubitare seriamente della tua intelligenza. Non crederai anche a Babbo Natale e al Coniglietto Pasquale, spero?"

Lei gli rivolse uno sguardo furente, sopprimendo lo stimolo di dar voce a tutte quei pensieri cattivi che aveva sulla punta della lingua. Invece, scattò in piedi e cominciò a camminare davanti al suo scrittorio per calmarsi. Avanti e indietro, avanti e indietro.

“Come puoi accettare quello che è accaduto così facilmente? Come non senti l'esigenza di scoprire la verità?"

“Forse, perché non voglio sprecare il mio tempo a leggere i libri da due soldi, riempiti di teorie campate in aria."

“Oh, ti credi così intelligente, vero? Il magnifico e lungimirante professor Piton di Serpeverde!" Le sue urla echeggiarono attraverso la pesante porta di legno del suo ufficio e fecero affrettare considerevolmente un gruppetto di studenti del secondo anno che passava lì davanti.

“Stanno litigando ancora! Meglio spicciarci prima che…" la porta dietro di loro si spalancò con un boato e Abby vi fuoriuscì infuriata pochi secondi dopo, superando il gruppo di ragazzini con un paio di falcate adirate, senza nemmeno notarli. Un gemito furioso proveniente dall'ufficio del professor Piton precedette di poco la sua persona, che si affrettò nel corridoio dietro la donna arrabbiata che era uscita qualche secondo prima.

I suoi occhi dardeggiarono il corridoio alla ricerca di Abby. Incapace di dire se avesse preso a sinistra o a destra, chiese agli unici testimoni disponibili.

“Tu!" Gli allievi si congelarono sul posto, terrorizzati, quando la voce irata di Piton tuonò nel corridoio.

“Sì, signore," rispose quello più coraggioso, un piccolo Grifondoro con i capelli castano-chiaro.

“Dimmi dove è andata quella donna infernale!" ringhiò adirato.

Il ragazzo annuì appena e indicò la destra, verso cui il professore infuriò senza rivolgere loro nemmeno una singola parola di ringraziamento. Non che gli allievi fossero stati particolarmente dispiaciuti, anzi, erano stati piuttosto sollevati nel vederlo andare via.

Raggiunse Abby prima che lei arrivasse alle scale che conducevano nei Sotterranei. Si scambiarono un paio di occhiatacce furibonde e qualche insulto sottovoce, prima di rendersi conto che, ancora una volta, stavano dando spettacolo pubblico della loro lite.

“Giardino?" le sibilò.

“Ancora? Preferirei la serra."

“Bene. Andiamo, allora?"

Fecero la strada in assoluto silenzio, camminando fianco a fianco senza degnare l’altro di un solo sguardo. Quando giunsero a destinazione, entrambi si erano calmati considerevolmente, ma non al punto di poter avere una normale, e soprattutto sensata, conversazione.

La serra davanti a loro era completamente deserta. Fortunatamente Sprout aveva programmato quasi tutte le sue lezioni di mattina, e quindi nel tardo pomeriggio la serra era calma e molto pacifica. Ad Abigail piaceva trascorrere del tempo lì, a volte portandosi un libro e una tazza di tè e godere di quel silenzio beato. Tuttavia, davanti all'entrata della serra ora, impegnata a lanciarsi sguardi furiosi con Severus, dubitava altamente che il suo soggiorno sarebbe stato piacevole almeno la metà di quanto lo fosse solitamente.

Lui aprì la porta e le fece segno di entrare con un inchino fasullo. La sua dimostrazione di buone maniere era destinata naturalmente a farla irritare di più. Lei impedì con attenzione al suo viso di mostrare rabbia per non dargli soddisfazione, e lo superò.

“Allora, perché mi hai rincorso?" chiese, il secondo stesso in cui lui chiuse la porta e scagliò un incantesimo Muffliato. “Entrambi sappiamo che è inutile parlare adesso, a meno che tu non voglia scambiare quattro insulti. Non so te, ma per me va benissimo."

“Per Merlino, un giorno giuro che ti scaglierò una di quelle belle maledizioni, donna! E pensare che stavo seriamente provando a ragionare con te, spiegarti perché non ho… oh, fai come se non avessi detto niente. Hai ragione. E' inutile parlare adesso."

La loro conversazione era cominciata con un sibilante bisbiglio, ma ora sentendosi completamente inosservati, si stavano quasi gridando in faccia.

Il rumore di un battito d'ali, sopra le loro teste, dirottò la loro attenzione verso l'alto. Era un piccolo uccello che probabilmente era stato spaventato dalle loro grida. Lei assottigliò gli occhi per vedere meglio - una rondine. Come c'era finita una rondine nella serra? Dato il cipiglio di Severus, anche lui stava pensando la stessa cosa. Il piccolo uccello si stava dirigendo verso morte certa nella forma d'una finestra di vetro.

“Che idiota uccello suicida!" sentì ringhiare al nervoso uomo che le stava accanto, mentre in maniera riluttante estraeva la sua bacchetta. “St…" L'incantesimo gli morì sulle labbra, quando vide con la coda dell'occhio che lei tirava una pietra contro la finestra, la quale si ruppe in mille pezzi, permettendo alla rondine di guadagnarsi la libertà.

“Hai appena rotto una finestra di questa dannata serra!," la guardò sorpreso, dimentico del tutto della sua rabbia ed anche del suo linguaggio.

Lei ghignò compiaciuta. “Lo so. E' stati tipo…."

“Liberatorio?" offrì lui.

“Sì," rispose con trasporto. “Vuoi provare?"

Lui contemplò brevemente la sua offerta, poi declinò educatamente. “Sai che non puoi venire qui e rompere finestre, ogni volta che litighiamo, no?"

“Naturalmente, amore. Ma non hai visto che bene ha fatto, oltre al semplice danno?" chiese sorridendo.

Lui brontolò qualcosa di incomprensibile, ma il loro scambio di battute precedente era stato la prova che lui fosse solo di cattivo umore piuttosto che seriamente arrabbiato.

“Guarda, farò pure la brava e aggiusterò tutto." Estrasse la bacchetta e la diresse alla finestra in questione. “Reparo!" Le parti frantumate di vetro si rimisero ordinatamente insieme.

“Sei felice, adesso?"

“Poco. Sembra che tu abbai finalmente imparato a ripulire da sola i disastri che combini, comunque."

“E con questo, cosa vorresti dire?"

“Niente." La guardò.

“Bene." Prese due respiri profondi. La stava di nuovo provocando di proposito, per farle dimenticare di cosa stavano parlando. “Abbiamo ancora una discussione in corso. Allora…" Lo guardò con grande aspettativa.

Lui buttò gli occhi al cielo. Perché le donne erano così ossessionate dall'idea che sviscerare i problemi, rendesse il mondo un posto migliore? “D'accordo. Bene, volevi sapere perché non ho approfondito l'argomento…" cominciò Severus riluttante.

“Sì, e ancora me lo chiedo."

“Apparentemente," mormorò lui.

“Cosa vuoi dire?" Lo guardò con disapprovazione.

“Sei diventata improvvisamente sorda? Ho detto “Apparentemente." disse alzando la voce, guardandola con aria di sfida.

"Caspita,Severus, non è che per caso oggi sei un tantino suscettibile?”

“Sono il mio abituale, affascinante me stesso." scrollò le spalle. “Forse, però, è solo la mia reazione a te che sei particolarmente fastidiosa, oggi."

“Perché? Solo perché non voglio lasciar perdere? Ci deve essere qualcos'altro se stai facendo così..."gli rivolse uno sguardo eloquente.

“Non sto facendo in nessun modo." Ogni parola venne scandita con massima precisione e separata dalla seguente da una pausa significativa mentre i suoi occhi le dardeggiavano contro.

“Naturalmente, caro." Il sorriso che accompagnò le sue parole era disarmante. Significava che, o avrebbero portato avanti la discussione adesso, o l'avrebbero lasciata inasprire per alcuni giorni in cui lei non gli avrebbe parlato né si sarebbe lasciata toccare; tra le due alternative scelse il male minore.

“D'accordo, allora facciamola breve, d’accordo?" sospirò. “Vedi, beh, forse, e lasciami enfatizzare "forse", non avrei dovuto scartare così velocemente le tue  teorie." Questa frase fece dissolvere gli ultimi residui di rabbia di Abigail.

“Già, forse."

“Spiegami solo, perché sembri così determinata a non demordere?" la guardò con fare inquisitorio.

“Beh, perché se le cose non fossero andate in quel modo, non ti avrei mai trovato. Sai che non sono una grande credente del Divino o qualunque altra cosa comandi questo pazzo universo, ma ho bisogno di una spiegazione, di qualcosa di tangibile che razionalmente possa capire… così sì, queste teorie sono spazzatura, ma almeno per me sono un punto fermo."

“Abby…" Sembrò volesse dire di più, ma non andò oltre al suo nome. Il modo in cui l'aveva pronunciato, però, con un tono caldo, affettuoso, appena restio la fece guardare verso di lui con un sorriso. Impulsivamente si avvicinò e gli prese la mano. Lui sembrò sussultare, ma un'espressione sollevata comparve brevemente sul suo volto. Non stavano più litigando

“Allora, com'è che sei così calmo sull'intera faccenda? Non dovresti essere tu, quello tra noi due, che mette sempre tutto in discussione?" gli chiese dopo un istante.

“Non lo so."

“Oh, avanti. Non fare lo gnorri."

“Non lo sto facendo."

“Invece si."

“D'accordo," All'improvviso sembrò molto a disagio. “Se proprio devi saperlo...a volte credo che potrebbe essere stato… beh… non è poi così importante, veramente."

“Oh, dai! Vuoi sbrigarti a sputare il rospo?"

“D'accordo, a volte penso che sia stato destino," disse infine. Un debole rossore gli stava colorando le guance. Se fosse per l'eco della loro lite, o perché era veramente imbarazzato dalle sue stesse parole, Abigail non lo sapeva.

“Ma chi è questo qui? Un sosia o un tizio che ha bevuto la polisucco per sembrare Severus? Oppure peggio…non è che la famosa teoria di Silente “sull'amore vince tutto'  gli è salita in testa?." pensò lei dopo la sua ammissione. Ma era ovvio che qualsiasi forma di sarcasmo era bandita al momento perché lo avrebbe fatto chiudere in se stesso. Ma cosa si aspettava dicesse? Le sue parole erano state così inattese e così poco da lui, che non sapeva che dirgli.

“Ce l'ho fatta di nuovo, sembra. A zittirti quasi del tutto. Penso che dovrei essere fiero di me stesso. Non è un obiettivo facilmente raggiungibile." le rivolse un sorrisetto. Era il solito - con un angolo della bocca leggermente arricciato. Ma sembrava del tutto fuori luogo in quella situazione. Da questo poteva dedurre quanto fosse nervoso.

“Severus, la pensi davvero così?" Non si sarebbe lasciata fuorviare dal suo commento.

“Non stai, per puro caso, chiedendoti se sono diventato matto, vero?" Lo sguardo che accompagnò la sua domanda poteva essere ben descritto come insicuro.

“No," rispose rapidamente. “E' che non sono abituata a te non…"

“Non cinico, per una volta?" offrì.

“Sì, esattamente.!

“Sarebbe veramente così brutto se per una volta stessi provando a credere che c'è realmente una ragione dietro ciò che accade in questo mondo? Che l'universo non sia controllato da una qualche forza ostile e caotica che gioca con gli esseri umani a suo piacimento?"

“No, per niente." scosse lei la testa, sorpresa. “Ma non sono sicura di aver capito. Che cosa stai cercando di dirmi?"

“Non so. Forse, che ho iniziato a sperare di nuovo?"

Gli rivolse un sorriso, uno di quelli sentiti nel profondo, genuini, prima di attirarlo in un abbraccio stretto. “Bene," gli bisbigliò all'orecchio.

Le braccia di lui ricambiarono senza esitazione, attirandola maggiormente a sé.

Abigail poteva sentire il suo caldo respiro sul suo collo, e avvertì la tensione dipanarsi. Gli sorrise dolcemente, e strofinò la guancia contro la sua con un soddisfatto mugolio. Il gesto aveva un ché di ferino che lo invogliò a baciarla. Forse perché gli aveva ricordato quanto vicina fosse la sua bocca, o forse era stato quell’attraente gemito, simile alle fusa, che lei aveva emesso.

Non volendo e non essendo più in grado di resistere alla tentazione, la baciò.

Il bacio fu lento e profondo e sembrò più intenso di tutti quelli che si erano scambiati prima, grazie alle forti emozioni che l'avevano preceduto. Alfine si separarono, principalmente perché la mancanza di ossigeno stava diventando un serio problema.

“Penso che dovremmo spostarci di sotto," disse lei, ansimando un po'. “Non vorrei turbare nel profondo eventuali ragazzini, né tantomeno qualcuno che potrebbe per sbaglio entrare qui. Dopotutto, non possiamo farci beccare mentre pomiciamo come degli adolescenti da mamma e papà.”

“Francamente, non me ne frega un accidente di poter terrorizzare quelle teste di legno..."

"Me l'aspettavo." ghignò verso di lui al di sopra della sua spalla mentre cominciava lentamente a camminare verso l'uscita della serra. Lui la seguiva,alcuni passi indietro.

FINE

 
Stay forever who you are

don't change a thing
because you're perfect
You sway gently in the breeze
In between my dreams
It kind of makes me nervous
You're storm, yeah, the lightning striking down
To only strike me once, would still be worth it
In my dreams you were perfect
when I woke you were perfect
Love, as scaring as it is
Tell me is it real,
If it ain't perfect?
I pray with the sounding of you faith
My colours bleed to one
Nothing grows when your love is gone
In my dreams you were perfect
when I woke you were perfect
Hmm, even when you run you're still worth it
Here and now, the moments perfect
You're perfect
So perfect
When you run
Baby, baby, baby, baby, baby, baby, baby
Oh run, yeah
Even when you're gone, even when you're here, even when you're not
You're still, you're still, you're still
Perfect
Vanessa Amorosi - Perfect

 

Note della traduttrice besemperadreamer: ciao a tutti^^ Ebbene siamo arrivati anche alla fine di questa traduzione. Che ne dite voi tutti che l'avete seguita di lasciare un commento ora che il viaggio è giunto al termine? 

Ringraziamenti particolari a Elly_93(Ciao bella!!!!! sono contenta che hai seguito fino alla fine anche questo mio progetto^^ E ovviamente era questo l'ultimo capitolo, anche se l'autrice ha pubblicato due drabble- contestualizzate nella storia- e una oneshot - ambientata dopo la fine. Se molti apprezzeranno la storia, forse le tradurrò...) e a ElseW che ha sempre trovato il tempo di lasciare due parole e che è stata con noi sino alla fine^^


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