A Nile River Story

di Akemichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Note di Akemichan ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Il cielo mattutino era terso e di un azzurro intenso, che si rifletteva nelle tranquille acque del calmo Nilo, in cui i pescat

L'aria era tersa, e il cielo azzurro intenso, che si rifletteva nelle tranquille acque del Nilo, in cui i pescatori erano già da lungo tempo indaffarati. La stagione della raccolta aumentava il calore di Ra1, il quale, navigando a bordo della sua nave dorata, illuminava i cuori e bruciava la pelle. Il solo refrigerio era offerto dalle alte palme, che proiettavano la loro ombra sulla sabbia rossa del deserto.

 

Un altro luogo in cui raramente penetravano i raggi del sole erano le ampie grotte scavate nella valle dei Re, destinate alla costruzione di tombe magnifiche per i signori dell’Egitto. Tuttavia, in quel momento, nella tomba destinata al riposo eterno e sicuro del Faraone Tuthmosis lavorava un’unica persona, poiché era l’Opet2, il giorno della festa del grande Amon3 e nessuno artigiano di Per-Maat4, a parte quella ragazza che dipingeva la parete a mani nude, sarebbe stato tanto indemoniato5 da mancare all’appuntamento, per vedere la statua del grande Dio uscire finalmente dal tempio. Era l’unico giorno dell’anno nel quale a tutti gli egiziani era concesso vedere la sua forma.

 

La ragazza si massaggiò le mani sporche di tintura azzurra, poi le immerse nella ciotola piena d’acqua che si trovava ai suoi piedi. Sentì dei passi venire nella sua direzione, perciò decise di interrompere il suo lavoro. Era sicura che fosse l’intendente ai lavori, il quale non sopportava la sua presenza, in quanto donna e in quanto miglior pittrice del villaggio, venuto a cacciarla via per condurla all’Opet. Lei non desiderava parteciparvi, poiché preferiva l’oscurità nascosta alla luce aperta, preferiva Anubi6 ad Amon.

 

Attraverso la luce flebile che proveniva dalla lontana entrata, una figura femminile si proiettò sulla parete di fronte a lei. Allora sorrise, agitando i lunghi capelli ricci, che raramente portava coperti dalla parrucca.

 

«Sei posseduta dalla spirito di Sekhmet7, oggi» disse, immergendo il dito ancora bagnato nella ciotola di ocra rossa. «Chi ha osato provocare la collera della principessa reale Hatshepsut, futura erede al trono?»

 

La nuova arrivata alzò fieramente la testa, facendo comparire due occhi neri e decisi da sotto le trecce della sua fine parrucca. «Riesci sempre a capire molto bene il mio stato d’animo, Teti»

 

«E’ solo perché ti conosco da quando camminavi ancora come i gatti» minimizzò la ragazza di nome Teti, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio. «Allora, non vuoi dirmi cos’è accaduto?»

 

«Se fosse possibile, vorrei maledire colui che provoca in questo modo la mia collera» mormorò Hatshepsut, levandosi la parrucca e gettandola nella polvere con un gesto scocciato. «Ma non posso, poiché egli è il prediletto degli dei»

 

«Tuo padre è il signore dell’Egitto e la sua bocca parla per Maat8» sorrise Teti. «La Giustizia ha dunque offeso la tua maestà?»

 

Hatshepsut colpì la ciotola d’acqua con un calcio, facendola rompere contro la parete. «Non è Maat che mi offende, ma la regola! Mio padre desidera – anzi, ordina, poichè nessun desiderio del Faraone rimane incompiuto – che io sposi Tuthmosis, il mio fratellastro»

 

«Questo è ovvio, poiché lui non ha il sangue di Amosis, mentre tu si» Teti si chinò e raccolse lentamente tutti i cocci, posandoli dentro un’altra ciotola vuota. «Solo sposandoti potrà diventare Horus incarnato»

 

«E’ così ingiusto!» esclamò lei mentre si massaggiava i lunghi capelli neri, liberi dal peso opprimente della parrucca. «Il mio fratellastro non vale nulla! Ed è anche più piccolo di me! Potessi diventare io Faraone…!»

 

«Chissà che un giorno non accada…» Teti strofinò il dito rosso sulla parete bagnata e solo allora Hatshepsut notò che la sua collera aveva distrutto una parte della pittura murale della sua amica, amalgamando i colori in una sorta di caos informe simile al Nun primordiale.9

 

«Scusami, non volevo rovinare il tuo lavoro… Non è colpa tua»

 

Teti scosse la testa. «Lo ridisegnerò, e verrà ancora meglio» Incurante delle sue mani sporche di colore, afferrò il braccio pulito e ingioiellato della principessa, trascinandola fuori della grotta, sotto la luce calda e accecante del potente Ra. «Guarda!» Indicò le dune rossastre, il cielo terso e la grande città di Tebe in lontananza, al di là del Nilo, cuore e potenza dell’Egitto. «Questa è la nostra terra! La terra che tu, come regina, avrai in custodia! Non ti curar di Tuthmosis, regna le due terre con l’aiuto di Maat, perchè restino sempre così belle come le vedi ora»

 

Hatshepsut aspirò forte l’aria calda del mattino, per conservare in eterno quella sensazione di dolcezza. «Io, però… Volevo sposarmi con la persona che amavo…» Sul suo viso dai fini lineamenti, dolci come il viso della bella Iside, si dipinse un’espressione di disappunto.

 

«Mia nonna diceva che raramente, nelle famiglie reali, il matrimonio si identifica con l’amore» annuì convinta Teti.

 

«Stai incitando la tua principessa all’adulterio?»10 domandò di nuovo sorridente Hatshepsut, pizzicandole la pancia nuda.

 

«Non mi permetterei mai» sorrise Teti. «Dico solo che, se un Faraone può avere un harem, una regina potrebbe…» Non finì la frase, perché non desiderava spingersi troppo oltre. E Hatshepsut aveva abbastanza malizia da capire l’allusione.

 

«Va bene…» La principessa fece un giro su sé stessa, tintinnando come sistri11 i suoi numerosi ornamenti d’oro. «Ora mi sento meglio»

 

Teti rivolse lo sguardo in lontananza, verso la strada sterrata che portava al suo povero ma accogliente villaggio. Un ragazzo percorreva di corsa la strada, sollevando sbuffi di polvere rossa al suo passaggio. Pur da lontano, lei poteva notarne i vestiti di seta tanto puliti da sembrare luminosi, così differenti dalla sua corta gonna sempre macchiata, e i sandali che teneva appesi alla spalla. Non era l’intendente alla costruzione, ma chiaramente un nobile o un appartenente al clero.

 

«Sarà qualcuno venuto a chiamarmi» dedusse Hatshepsut massaggiandosi la lunga veste plissettata. «In fondo, a quest’ora dovrei essere alla cerimonia del mio Dio prediletto, Amon» Lasciò che alcune ciocche le scendessero sul petto. «Ma non potevo andarci con il cuore infiammato dai demoni di Sekhmet»

 

«Teti!» chiamò il ragazzo non appena le raggiunse, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la lunga corsa. «Ero sicuro di trovarti a lavorare»

 

La ragazza affondò i suoi occhi neri come la notte nel viso delicato di lui, scrutandolo come se fosse un antico papiro del quale non capiva alcuni geroglifici. «Scusa, chi sei?» disse infine, con tutta l’innocenza che riusciva ad avere.

 

«Eh?» Lui assunse un’espressione tra lo stupito e il demoralizzato, mentre alcuni ciuffi della sua parrucca nera gli si appiccicavano al viso a causa del sudore che scendeva dolcemente lungo le guance. «Ma… Come… Chi sono…»

 

Teti coprì un leggero risolino con la mano affusolata. «Sto scherzando» disse sorridendo. «Sei diventato veramente affascinante, Senmut. Vestito così sembri un giovane nobile»

 

«Sei sempre tu…» Lui tirò un sospiro di sollievo. «Sai, finalmente sono riuscito a farmi accettare come puro12 del clero di Amon…» Tentò, inutilmente, di staccarsi le ciocche appiccicate sul viso.

 

«Congratulazioni» mormorò dolcemente Teti. «Era il tuo sogno, vero? Sono sicuro che arriverai ad essere profeta, un giorno»

 

«Ti prego, non dirlo» sorrise Senmut. «Potrebbe essere un giorno infausto, per me» Spostò lo sguardo dalle forme semplici e scoperte della pittrice alle forme dolci e delicate della ragazza a fianco, messe ancora più in evidenza dall’elegante veste bianca. Capì subito di trovarsi di fronte ad una nobile. «Con chi ho il privilegio di parlare?»

 

Teti scoccò un’occhiata rapida alla sua amica da sotto le lunghe ciglia. Stranamente, Hatshepsut non aveva attirato la loro attenzione con leggeri colpi di tosse, com’era solita fare quando veniva ignorata anche per brevissimo tempo, che lei riteneva comunque abbastanza lungo, ma era rimasta ferma ad osservarli curiosamente, con la bocca leggermente aperta e gli occhi neri come il Nilo notturno brillanti d’interesse. «Hat, ti presento Sennenmut, un mio amico d’infanzia. Tu non l’hai mai incontrato, perché viaggia spesso ed è raro che sia a Per-Maat» Si rivolse nuovamente a lui. «Hai davanti a te nientemeno che la principessa reale Hatshepsut, figlia del signore delle due terre e discendente di Amosis»

 

La bocca carnosa di Sennenmut si piegò in un dolce sorriso. «Le storie che raccontano a Tebe sulla tua bellezza sono dunque vere, poiché io stesso credevo di trovarmi di fronte ad Hathor13 stessa» Fece una pausa, nella quale i suoi occhi azzurri saettarono velocemente dall’una all’altra ragazza. «Se posso osare, adesso che rimarrò a lungo a Tebe, spero avremo occasione di vederci più spesso»

 

«Certamente!» Il viso di Hatshepsut si illuminò. «Sapere che Teti ha un così buon amico riempie di gioia il mio cuore»

 

«E io che dea sonoTeti tirò leggermente una ciocca della parrucca. «Non è giusto che sia solo Hat a ricevere dei complimenti»

 

Senmut la guardò attentamente, come un paziente che cerca di individuare la causa della malattia. «Tu sei come Seshat, la bella e paziente patrona dei testi antichi»

 

«Grazie per avermi ricordato che non so scrivere» Teti si finse offesa.

 

«Se tu sapessi scrivere, saresti uno scriba geniale» intervenne Hatshepsut. «Ma l’Egitto avrebbe perso uno dei suoi migliori artisti»

 

«Sono d’accordo» aggiunse lui. Teti scosse la testa. Non era abituata ai complimenti.

 

«Adesso, però, dovrei davvero andare alla cerimonia dell’Opet…» mormorò annoiata Hatshepsut. «Vieni anche tu, amica mia?»

 

«No, grazie» respinse dolcemente l’invito lei. «Vorrei finire la parete entro oggi. Ma Senmut ti accompagnerà volentieri»

 

«Veramente, io volevo raccontarti un poco del mio viaggio… Ma ci sarà un’altra occasione» aggiunse, vedendo l’espressione severa di Teti.

 

«Allora, andiamo» Hatshepsut afferrò un braccio a Senmut e quasi si strusciò contro di lui. «A presto, Teti»

 

«E buon lavoro»

 

La ragazza annuì, vedendo la coppietta allontanarsi lentamente lungo il sentiero fumante per il caldo. L’aria stava diventato sempre più afosa, segno che si avvicinava l’ora di fusione di Amon con Ra. Il fresco della grotta le avrebbe portato un poco di consolazione, visto il leggero groppo che le andava man mano formandosi in gola. Un gatto tigrato iniziò a strusciarsi lungo le sue gambe nude. «Non è strano il destino, Miu? Appena Hat ha desiderato l’amore, lo ha trovato» Si chinò e lo prese in braccio. Lui le leccò il viso macchiato di azzurro, la tintura che stava usando prima. «Ma va bene così, Hat è il futuro delle due terre e ha bisogno di un ragazzo come Senmut» Respirò a fondo, lasciando che l’aria calda le sciogliesse la tristezza che provava nel cuore. Un soffio di vento leggero le scompigliò i lunghi capelli ricci, massaggiandoli morbidamente accanto alle sue guance, e le sollevò la colta gonna. Non vi erano motivi per essere tristi, vivendo in una terra così amata dagli dei. Lei, inoltre, aveva un motivo in più per essere felice, poiché Ptah14 le aveva consegnato il dono di una manualità straordinaria nel disegno. Mentre rientrava silenziosamente nella grotta solitaria, Miu miagolò, lasciando che quel triste suono si propagasse ad eco lungo il nero cunicolo.

 

 

Dizionario:

 

1.      Ra: dio del sole, si credeva attraversasse il cielo a bordo di una barca dorata.

2.      Festa annuale, nella quale la statua del dio attraversava il fiume e veniva trasferita dal santuario di Karnak a quello di Luxor. Era anche l’unico giorno in cui la statua del Dio, solitamente chiusa in una stanza accessibile solo al Faraone al capo del tempio, veniva mostrata al pubblico.

3.      Amon: Dio di Tebe e re degli dei

4.      Nome originale indicante il villaggio dove un tempo abitavano gli artigiani che lavoravano alle tombe reali, situato infatti vicino alla valle dei re

5.      Si credeva che la pazzia fosse provocata dai demoni (come in età cristiana, insomma^^’’)

6.      Dio dei morti, imbalsamava le anime dei defunti e assisteva gli altri dei durante la pesatura del cuore

7.      Sekhmet era la dea leonessa, giunta sulla terra a punire gli uomini. Qui rappresenta la rabbia.

8.      Maat: dea della giustizia, pesava i cuori sulla bilancia.

9.      Nun: massa informe e caotica, esistente prima del mondo, da cui si sarebbe generato per primo Amon e in seguito il resto del mondo

10.  In Egitto per la pena di adulterio vi era la pena di morte

11.  Il livello più basso della casta sacerdotale

12.  Sistri: strumento musicale composto da una serie di piccole lame di metallo non fisse assicurate ad un’asta; muovendo l’asta, le lame tintinnano l’una sull’altra

13.  Hathor: Qui, intesa come dea della bellezza, ma in generale anche del canto e della musica

14.  Ptah: Dio degli artigiani

 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Il corridoio che portava alle stanze reali era qualcosa di veramente straordinario, tanto da poter superare qualsiasi immagina

 

 

Il corridoio che portava alle stanze reali era qualcosa di veramente straordinario, tanto da poter superare qualsiasi immaginazione umana. L’oro, i rubini e i lapislazzuli coi quali erano stati realizzati, tempo addietro, i dipinti per festeggiare la vittoria sugli Hyksos1, accecavano la vista, quasi a dimostrare che la regalità e l’ascendenza divina dei Faraoni e delle loro spose era qualcosa che gli esseri umani non potevano vedere. Era troppo per loro, quasi una fiamma viva che bruciava le pupille al primo contatto, senza possibilità di scampo. Questo pensava Senmut, mentre attraversava con passi lenti e prudenti il corridoio, illuminato da ampie finestre che mostravano la grande e maestosa Tebe, così come i suoi signori l’avevano resa, potente più di qualsiasi altra città.

 

Mentre camminava, cercava di ignorare i commenti che provenivano attutiti alle sue orecchie, come se fosse immerso nelle acque limpide del Nilo, dalle persone che, come lui, passavano per quel corridoio. Non era tanto stupido da non capire che stessero parlando di lui, tuttavia non gli interessava sapere cosa dicessero. La sua carriera, iniziata come semplice apprendista di un scriba e terminata con la carica di intendente reale2 all’incoronazione, alcuni giorni prima, di Tuthmosis II e della sua consorte Hatshepsut, era perfettamente regolare, frutto solo dei suoi sforzi. E se la regina lo aveva convocato nella sua stanza, il motivo era unicamente di lavoro. Lei era troppo stanca per incontrarlo nello studio: solo e semplicemente per questo era stato autorizzato, e dal Faraone in persona, a recarsi nella sua camera personale. Finchè aveva la fiducia dei sovrani, ciò che le malelingue pensavano di lui non aveva alcuna importanza.

 

Bussò alla porta in ebano, che trovò sciatta rispetto al resto del corridoio.

 

«Entra, Senmut» sentì la voce di Hatshepsut chiamarlo da dentro. «Ti aspettavo»

 

Lui aprì lentamente la porta e si affacciò sulla soglia. Le pareti erano, se ciò fosse stato possibile, ancora più ricche e magnificenti di quelle del corridoio, benché i disegni fossero più dolci alla vista, poiché raffiguravano scene di vita quotidiana, che gli davano un senso di tranquillità. Tuttavia, benché Senmut  si trattenesse anche solo dal pensare una cosa simile, il gioiello più bello e luminoso della stanza era sicuramente Hatshepsut, in quel momento sdraiata mollemente sul suo letto, fra le pieghe del leggero lenzuolo, mentre una serva, brutta al paragone, le massaggiava delicatamente la schiena. Ad un cenno della regina, smise e, dopo un piccolo inchinò, uscì velocemente senza fare alcun rumore.

 

Hatshepsut si alzò dal letto e si avvicinò a lui. «Andavano bene le mie offerte al tempio di Amon?»

 

Senmut deglutì. Nonostante il suo cuore continuasse a suggerirgli di guardare la regina negli occhi, poiché, sebbene potesse considerarsi un gesto troppo ardito, era sempre meglio che abbassare lo sguardo e scontrarsi con le forme procaci e invitanti di lei, completamente nude. Gli prudevano la mani, mentre le braccia e le vene erano scosse da un tremito quasi volessero disobbedire alla sua stessa volontà. Il desiderio di abbracciarla diventava sempre più forte, insostenibile, man mano che le sue labbra si piegavano in un sorriso seducente e le sue braccia incrociate stringevano con maggior vigore i seni per farli risaltare.

 

«Andavano benissimo!» esclamò infine, voltandosi di scatto verso la porta. «Ora, maestà, ti prego di coprirti»

 

«Non mi imbarazzi» Hatshepsut fece una piccola risatina.

 

«Non è per quello…» Infatti era lui ad essere in imbarazzo! Ormai stava quasi per mangiarsi il cuore, e il sudore rischiava nuovamente di fargli appiccicare la parrucca al viso. Se la tolse del tutto, rivelando una leggera capigliatura corvina, e la usò come ventaglio. «Solo che non penso che la Grande Sposa Reale debba parlare di lavoro con un suo suddito nuda, come qualsiasi altra serva»

 

Le labbra di Hatshepsut dipinsero un’espressione di profondo disappunto, mentre con scatto seccato afferrava il lenzuolo sul letto. «Meglio?» Teneva una mano appoggiata al centro dei seni, in modo da lasciarli per metà scoperte. Le spalle e le lunghe gambe rimanevano nude.

 

Senmut pensò che in questo modo la sua bellezza risaltava ancora di più, poiché il formicolio si era allargato anche alle gambe muscolose, frutto dei suoi lunghi viaggi. «S-si…» esalò. «Domani, maestà, dovrai incontrare il Gran Sacerdote del tempio di Abido… Solo tu hai la facoltà di scegliere le nuove danzatrici sacre… Quindi dovrai recarti ad Elefantina, per il rito del primo pomeriggio… per il pomeriggio, sarai libera…» Parlare di lavoro e terminare in fretta ciò che aveva da dirle ed andarsene, questa era l’unica cosa da fare, o non avrebbe resistito ancora a lungo alla tentazione di saltarle addosso.

 

«Domani pomeriggio mi dovrò occupare della supervisione dei granai» lo contraddisse Hatshepsut, lasciando scorrere le dita fra i suoi capelli notte. «Il re ha intenzione di recarsi in Nubia per soffocare la rivolta in Kush… Nel frattempo mi occuperò io dello stato» Abbassò le palpebre per guardarlo sorridente. «Sarai anche tu con me alle riunioni, vero?»

 

«Se è questo che la tua maestà desidera» si limitò a rispondere Senmut. Non che fosse triste di dover passare del tempo con lei, semplicemente, si sentiva in colpa per questo. E non voleva mostrare all’esterno il suo desiderio. Era debolezza di un mortale innamorarsi della moglie di un dio. «Ho la mattina occupata, però. Devo recarmi nella valle dei re per dare ulteriori disposizioni per la tomba del Faraone, che egli possa avere sempre salute e forza»

 

Gli occhi di Hatshepsut si accesero improvvisamente di gelosia come un fulmine incendia un albero, ma subito li controllò come se fossero dei cavalli impazziti da sottomettere alla sua volontà.5 «E come sta la cara Teti?» domandò quindi, velenosa.

 

«Non ne ho idea, maestà» mentì Senmut, improvvisamente preoccupato che potesse equivocare qualcosa ne rapporto con la loro amica comune. «Il lavoro non mi ha consentito di recarmi a Per-Maat»

 

Bugia. Hatshepsut poteva notarlo nel suo tono di voce. «Capisco» disse solo, ignorando i battiti accelerati che quelle parole le avevano provocato. Non erano di rabbia. Non erano di gelosia. «Non ho altro da dirti. Puoi ritirati» Erano di dolore. Per questo erano così più terribili, simili ai rintocchi dei sistri che aprono le porte dell’aldilà. Terribile. Non desiderava vederlo mai più! Ma se lo avesse fatto, quelle porte si sarebbero aperte davvero.

 

«Come ordini, maestà» Senmut, sollevato, uscì in fretta. Tuttavia, non appena si ritrovò solo nel corridoio dipinto, non provò altro desiderio che rientrare. Lo represse come potè, allontanandosi, facendo attenzione che i suoi sandali in cuoio non facessero rumore sul pavimento di granito, affinché non accentuassero i battiti del cuore.

 

Nella stanza, Hatshepsut gettò con violenza il lenzuolo sul letto. Come aveva potuto comportarsi in modo così stupido? Molte volte si era divertita a conquistare uomini grazie alla sua bellezza degna della dea Hathor, ma solo perché intendeva usarli per i suoi scopi. Era la prima volta che, invece, desiderava condividere tutto con qualcuno, i suoi pregi e i suoi difetti. Unire il suo Ba3 con quello di Senmut e provare il piacere di un amore unico, intenso e inimmaginabile, se non da chi non l’ha provato almeno una volta.

 

La porta si aprì non altrettanto gentilmente rispetto all’entrata di Senmut, perciò l’umore negativo delle ragazza peggiorò ancora, capendo di chi si trattava. Horus incarnato4, il signore delle due terre, il Faraone Tuthmosis II, suo marito, era venuto a trovarla. Erano sposati solo da un mese, ossia dal giorno della loro incoronazione, ma non era passata nemmeno una sera senza che loro due giacessero nello stesso letto. Questo era logico, poiché i due sovrani avrebbero dovuto impegnarsi a garantire la successione del sangue di Amon, tuttavia Hatshepsut ringraziava gli dei per l’imminente partenza del marito.

 

Senza parlare, si sdraiò sul letto, lasciando che lui facesse ciò che doveva fare. Non che fosse un cattivo amante, anzi, o un uomo particolarmente orripilante, ma lei provava un disgusto incomprensibile non appena veniva toccata da lui. La voglia di sboccargli sul viso era quasi insopportabile, ma fortunatamente l’auto controllo era sempre stata una delle sue doti migliori. Qual’era il motivo di tanta repulsione? Lei stessa non se lo spiegava. Gli sembrava di tradire. Ma chi? Se stessa? Senmut? Che strana sensazione… Sarebbe stata lei a tradire l’Egitto, se si fosse rifiutata di avere rapporti con Tuthmosis, e questo non lo poteva permettere. Che facesse di lei ciò che voleva, purchè fosse per il bene della sua dolce terra. Chiuse gli occhi, revocando alla memoria la prima immagine di Senmut, con il volto affannato per la corsa, le leggere gocce di sudore che scendevano fino alle carnose labbra, semiaperte nel respiro stanco, gli occhi azzurri come il cielo del mattino, e altrettanto belli. Il piacere che le derivò fu più intenso del solito.

 

Fuori, il mantello di Nut6 era di un blu talmente scuro da sembrare una caverna dell’aldilà, sebbene le stelle pigolassero forte, quasi a piangere l’umore tetro di Senmut che, fermo nel guardino del palazzo, esattamente in mezzo al viale, alzava lo sguardo verso la finestra della stanza della regina, ancora illuminata dalla tenue lampada ad olio. Gli occhi azzurri sembravano pozze d’acqua sulla riva del Nilo. Probabilmente, in quel momento, lei stava con il Faraone, com’era giusto. Doveva smetterla di pensarci. Non ne era realmente innamorato, non poteva esserlo, poiché a nessun mortale sarebbe stato concesso. Ciò che di lei amava era probabilmente il suo comportamento verso l’Egitto. Doveva essere così. Tutti amavano la regina Hatshepsut come l’amava lui, come si amava una sovrana. Senmut, sospirando di sollievo per questa conclusione felice, abbassò lo sguardo e si diresse verso il cancello d’uscita. Come tutti, lui aveva un posto dove ritornare, da una donna da amare come Osiride amava Iside. Teti lo stava aspettando. Lei, bella nonostante gli abiti lisi e le mani perennemente sporche di pittura. Lei, autentica e pura come l’acqua delle fontane. Lei, la sua donna.

 

 

1.      Gli hyksos erano una popolazione straniera che aveva conquistato il Basso Egitto al tempo della XVII° dinastia. Il Basso Egitto è poi stato riconquistato da Amosis, sovrano di Tebe, che appartiene alla XVIII°, della quale fa parte anche Hatshepsut

2.      Intendente reale: colui che si occupa degli impegni dei sovrani. Per la precisione, è l’unico che può autorizzare le persone a conferire con i sovrani.

3.      Ba: l’anima umana

4.      I Faraoni erano considerati l’incarnazione in terra del dio Horus, il quale era stato sovrano a sua volta

5.      Citazione manzoniana ^^

6.      Nut: dea del cielo

 

 

Noesis: grazie della recensione ^///^ Mi fa piacere che per ora ti piaccia, spero che continuerai a seguirla perché mi piacerebbe continuare avere la tua opinione ^^ In effetti si, l’antico Egitto mi piace moltissimo! Cosa intendi precisamente per “speculare”?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Teti si passò il dorso della mano sulla fronte, per scostare una ciocca riccia di capelli ribelli, che rischiavano di oscurarle la vista già debole a causa della scarsa luce. Scoccò un’occhiata all’entrata del cunicolo, sulla cui parete stava dipingendo. La luce si era fatta meno intensa, ma più rossa, segno che Nut avrebbe presto divorato la barca di Ra.

 

Mordicchiò con la bocca la parte posteriore del pennello imbevuto nell’oro. Avrebbe voluto finire quella parte di disegno prima che diventasse notte, ma non era soddisfatta del risultato. La raffigurazione del Faraone sembrava ancora troppo terrena, e troppo poco magnificente. Per non parlare della pittura di Maat! Non trasmetteva nulla dell’idea di giustizia che desiderava darle. E un disegno che non risultava come lei lo pensava riusciva a farle piegare le labbra e incurvare le lunghe sopracciglia. Tirò una riga dorata sul disegno, gettando poi il pennello di scatto nel contenitore ai suoi piedi. Miu, abituato a scene del genere, si limitò ad alzare la morbida testa e sbadigliare: il suo modo per consigliarle di tornare a casa.

 

«Non è troppo tardi per lavorare?» La voce del ragazzo proveniente dall’entrata, ben visibile grazie alla ancora forte luce del tramonto e alla lanterna che portava in mano, provocò una reazione arrabbiata in Miu, che si alzò di scatto, ragnando e soffiando, il pelo irto per tutta la lunghezza della spina dorsale.

 

«Senmut!» Il cruccio sulla fronte si distese immediatamente, mentre lei tirava un leggero calcio al gatto, per farlo calmare.

 

«Se continui a lavorare di notte, finiranno per sospettarti come profanatrice di tombe» Senmut appoggiò la lampada a terra, sfiorandole la guancia con un leggero bacio, al quale lei si sottrasse, quasi a disagio.

 

«Impossibile» disse seria, voltandogli le spalle. «Sai, accusano solo chi non è di alcun utilità»

 

«Come sei pessimista…» sorrise lui. «Non credi più in Maat

 

«In Maat credo» rispose lei. «Un po’ meno negli uomini»

 

Senmut scosse la testa. Teti aveva le idee molto chiare sulla natura delle persone e non accettava mai di cambiarle, nemmeno quando le si portavano esempi di grande lungimiranza. Diceva che erano unicamente eccezioni, come un sottile filo d’erba nell’immensità del deserto rosso. «Scusa se non sono potuto venire prima, ma questa settimana ho avuto molto lavoro da fare, specie da quando il nostro signore è partito alla volta di Mitanni»

 

«Non fa nulla» Il tono di Teti era il più calmo possibile, come la superficie del Nilo. Lui sapeva, però, che quella stessa superficie nascondeva temibili coccodrilli. «Suppongo che Hat sia un’instancabile lavoratrice»

 

«Lo è, infatti» Le sue labbra carnose assunsero la forma di un enorme sorriso.

 

«Sai cos’hanno scritto di lei sul tempio di Amon?» Teti si voltò verso la parete, lasciando le raffigurazioni con il dito indice. «Sua sorella, la sposa divina Hatshepsut, si occupa degli affari del paese: le Due Terre sono sotto il suo governo e le si pagano le imposte»1 Anche questa era un’altra sua caratteristica. Raramente faceva complimenti a qualcuno, ma il suo pensiero veniva filtrato dalle parole di altri. E quelle parole facevano di Hat una regina eccezionale.

 

«E’ così» confermò Senmut. «Nessuno oserà mai criticare il suo operato»

 

«Nel governo, no» Teti si voltò di nuovo a guardarlo, lasciando che la fioca luce della lampada giocasse con le ombre del suo viso magro.

 

Senmut capì a cosa alludeva, ma avrebbe dovuto davvero confidarsi con lei? Con la donna che, prima o poi, sarebbe diventata sua moglie? Almeno secondo le sole sue aspettative. «Teti… Credi che Hatshepsut mi… Ci provi come me?» chiese infine, balbettando. Era un pensiero che si era rifiutato di formulare, fino ad allora. «Si, insomma… Forse le piaccio…»

 

«Stai scherzando?» disse lei calma. «Sai, credo che ti aspetti a braccia aperte nel suo letto. O forse, dovrei dire a gambe aperte…»

 

«Non essere così volgare nei suo confronti!» Il tono di voce troppo alto fece leggermente alterare l’espressione seria di Teti, ma solo per una frazione di secondo, come un sasso che, gettato in acqua, provoca delle dolci increspature che in fretta scompaiono.

 

«Volevo solo darti l’idea della situazione» aggiunse, non per giustificarsi. «Tu gli piaci, è evidente. E lei ti piace…»

 

«Si, ma…» Si vergognò subito di aver osato ammettere una cosa simile. Era questo l’effetto che gli faceva avere Teti davanti: lei era come Maat, davanti alla quale nessun uomo può mentire. «Non credo che… Infilarmi nel letto della regina sia…»

 

«L’amore che non sia vissuto con pericolo è indegno di chiamarsi tale» affermò semplicemente lei, secca e devastante come una frana. «Non ascoltare i saggi come Ptahhotep2, sono solo uomini codardi che non hanno avuto il coraggio di amare fino in fondo» Proprio lei, osava dirlo!

 

Il volto di Senmut, dapprima titubante, divenne arrabbiato. «Stai forse dicendo che non ti importerebbe se andassi con un’altra donna?!» Teti non rispose. «Credevo di piacerti!» Lei continuò a non rispondere, con gli occhi neri fissi nei suoi, calmi e piatti, completamente inespressivi. Ma se solo Senmut fosse stato più sensibile, avrebbe potuto notare il leggero tremolio che le scuoteva le mani sporche e le increspava la pelle. Frustrato da quell’atteggiamento, Senmut la afferrò per i polsi e la gettò contro la parete, premendo le labbra contro le sue, che avevano il sapore della terra bagnata. Premette ancora di più, aspettando una reazione che non arrivò. Non sentiva che lei rispondeva al bacio, né che si ribellava alla sua stretta. Si allontanò leggermente per fissarla nella semioscurità. Lei era rimasta ferma, immobile sotto la sua presa, completamente abbandonata contro la parete. Gli occhi sembravano quelli di un cadavere.

 

«Scusami, non so cosa mi sia preso…» La lasciò, allontanandosi verso l’uscita, scuotendo la testa, incapace di credere a ciò che aveva fatto. Soprattutto, incapace di credere all’indifferenza di una persona che credeva di amare, e di essere ricambiato. «Devo andare»

 

«A presto» mormorò leggermente Teti, con un tremolio nella voce simile alla fiamma accesa di una lampada ad olio.

 

Miu, una volta che i passi veloci del ragazzo smisero totalmente di risuonare attraverso la caverna, si alzò in piedi, composto, fissando con i suoi occhi gialli e luminosi la ragazza, ancora abbandonata lungo la parete. «Miao» fece, quasi a chiedere una spiegazione. Lei lo amava, si capiva dal suo atteggiamento. Solo Senmut, da insensibile qual era, non era riuscito ad accorgersene. Allora, per quale motivo l’aveva lasciato così? Lui si era dichiarato! Le aveva dimostrato che sarebbe stato disposto a stare con lei, non con Hatshepsut. L’aveva baciata! Non lo aveva desiderato? Non aveva desiderato sentire il suo profumo sulla sua pelle? Aveva scelto lei, ma Teti lo aveva rifiutato, quasi gettandolo nel letto della sua rivale e migliore amica. Perché? «Miao» chiese ancora Miu.

 

«Ti sbagli…» sibilò infine Teti. «Ha scelto me perché sono libera, non perché mi ami di più» Scosse la testa, avviandosi anche lei verso l’uscita. «So di certo che Hat mi odierebbe, se sapesse che ho rinunciato a lui con tanta facilità. Ma c’è la possibilità che non lo sappia mai, così la nostra amicizia si conserverà» Si passò le dita attraverso i capelli ricci. «Se invece io avessi accettato Senmut, non ci saremo mai più volute bene» Si chinò e lo accarezzò, grattandogli le orecchie finchè non sentì le fusa anche a distanza. «Io non credo all’amore eterno, credo solo nell’amicizia eterna. Ed ho voluto conservare quella» Si rialzò e aspirò a fondo. «Non senti la voce del vento? Non senti il calore della sabbia? Non senti ilo scorrere del Nilo? Non senti battere il cuore dell’Egitto?» Aspirò ancora. «Io ho tutto questo. E mi basta»

 

«Miao» disse Miu, con un tono che sembrava di totale disaccordo. Quel gatto aveva la capacità di esprimere il suo cuore, per questo non lo ascoltava mai.

 

 

Tiger Eyes: Ti ringrazio moltissimo per i tuoi complimenti ^///^ Scusa per gli errori di battitura, la leggo non so quante volte ma sono sempre distratta ù_ù Mi fa piacere che la storia ti piaccia e che trovi adatta la mia ricostruzione storica. Comunque c’è una spiegazione al fatto che ho usato Tebe e Per-Maat ^^ Quando l’ho scritta, non ricordavo più il nome attuale di Per-Maat, ma solo quello antico, e non avevo voglia di andare a cercarlo ^^’’ Sono molto pigra ^^ Avevo infatti intenzione di usare i nomi greci che sono più o meno conosciuti da tutti. Ti ringrazio del consiglio, d’ora in poi sostituirò Tebe con “Waseb”, che dovrebbe essere più o meno la pronuncia “occidentale” del nome che tu mi hai suggerito ^^ Grazie ancora della recensione ^^

 

1.      Documento storico

2.      Ptahhotep: saggio che ci ha tramandato le sue cosiddette “massime”, famose in tutto l’Egitto e imparate a scuola dagli scribi.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


«Una spedizione a Punt

«Una spedizione a Punt?!»1 Senmut si bloccò immediatamente, con il piede fermo a mezz’aria mentre saliva la lunga scalinata del palazzo reale. Aveva sul viso un’espressione che non si potrebbe definire stupita, perché sarebbe troppo poco per descriverla. Era come se gli avessero appena detto che il Faraone non era un Dio ma un uomo. Qualcosa di assolutamente incredibile.

 

«Si, esatto» Hatshepsut si limitò ad un cenno di assenso, continuando la sua camminata fino al portone d’ingresso. Solo allora si voltò, agitando le numerose trecce della sontuosa parrucca che indossava, e lo guardò da sotto le ciglia nere. Stavolta, lo sguardo fu quello serio di una regina, non di una innamorata. Senmut si riscosse, ma rimase deluso dal brivido che quell’occhiata gli aveva provocato lungo la spina dorsale. «Tu non credi che io possa realizzare un’impresa simile» lo accusò.

 

«Non è quello, maestà!» cercò di giustificarsi lui. «Solo che… Punt è lontano… Nessuno, se non contiamo il Sinuhe delle favola… Insomma, non dovremo parlarne anche al Faraone e…»

 

Ormai Hatshepsut non lo ascoltava più. Aveva accelerato l’andatura, lasciandolo indietro. Senmut sospirò, perché certe volte gli sembrava di dover trattare con una bambina, mentre sapeva che dietro a quell’orgoglio si nascondeva una persona dalle grandi capacità governative. Alla fine si decise a raggiungerla. «Credo che sia prematuro parlarne»

 

«Ci vuole tempo per organizzarla, certo» acconsentì lei. Appoggiò il gomito sulla balaustra del terrazzo che dava sul guardino reale e si tenne il viso con la mano. L’altro braccio era mollemente sistemato sul davanzale di marmo. «Sei con me o contro di me?»

 

Nessuna possibilità di scelta alternativa. «Con te, naturalmente» rispose, affiancandosi a lei, senza osare toccare il marmo. «Sarà difficile, ma ci riusciremo. Ho fiducia in te» Rivolse lo sguardo al cielo azzurro, attraversato dalla barca di Ra, caldo nonostante la stagione dell’Inondazione2, e respirò forte. Iniziò quindi una lunga disquisizione sulle opinioni che aveva la gente comune, come gli artigiani di Per-Maat, gli scribi dei granai, i sacerdoti, tutti i funzionari con cui lavorava. Nessuno pensava male di lei, anzi, la ritenevano un’ottima regina, come non se ne erano più viste dai tempi di Ahotep3. Una Grande Sposa Reale, che governava senza il suo signore, così la chiamavano. Ed era il complimento più grande che si potesse ricevere.

 

Tuttavia, Hatshepsut lo ascoltava distrattamente, concentrando tutta la sua attenzione su una pianta di Ninfea che galleggiava nella fontana del giardino, con un moto lento. Aveva uno sguardo assente e malinconico, tanto che, quando Senmut osò alzare i suoi occhi verso di lei, li scambiò per due pozze di acqua infangata. «Si, si, va bene» tagliò corto infine, alzandosi e levandosi la sua parrucca, lasciando che i capelli notte le si modellassero sulle spalle, come leggere onde del Nilo. Lo guardò con serietà. «Io non ti piaccio proprio?»

 

Senmut si bloccò, deglutendo. La voce atona con cui aveva pronunciato quelle parole era simile, anzi, identica, a quella di Teti, eppure lui sentì i battiti acceleragli istantaneamente. Com’erano differenti quelle due ragazze. Entrambe gli piacevano, eppure, in questo momento, davanti a lui c’era solo Hatshepsut. Lui voleva lei, solo che non riusciva ad accettarlo perché lei, davanti agli dei e agli uomini, apparteneva ad un altro. E non un altro qualsiasi, bensì il Faraone in persona. In preda a quest’angoscia, l’unica cosa che potè fare fu rimanere a guardarla, mentre si risistemava la spallina delle veste rossa, in stile fenicio, con un tocco delicato delle dita lisce e affusolate.

 

«Domanda stupida mia» si rispose da sola Hatshepsut, staccandosi dalla balaustra per rientrare nel palazzo. «Lascia stare»

 

«Non lascio stare niente!» Preso da un improvviso coraggio scattò in avanti, stringendole forte il polso. Il suo sguardo si concentrò proprio su quella mossa, perché nessun essere umano avrebbe dovuto toccare con tanta forza una regina. Non avrebbe dovuto toccarla affatto. Sentì sotto la stretta sudata della sua mano fremere la pelle di lei, con una calda sensazione che si trasmetteva a lui sotto forma di strane onde che gli facevano smarrire il cuore, accecandogli la vista da quanto erano forti e dolci. Osò alzare gli occhi. Hatshepsut si era girata verso di lui, di scatto, ma non aveva fatto altri atti. Nel movimento, una ciocca di capelli era rimasta attaccata alle labbra carnose, rendendo il suo volto ancora più affascinante. Gli occhi neri ardevano come le stelle del firmamento. In quel momento Senmut capì che aveva fatto la scelta giusta. «Mi piaci. Mi piaci tantissimo! È solo che…»

 

«Solo che?» lo sfidò lei, leccandosi le labbra. Si staccò dolcemente da lui, facendo qualche sinuoso passo indietro. Trasse un profondo respiro, quindi staccò le spille dorate che legavano le spalline, lasciando che il vestito rosso scorresse lentamente lungo i piedi, come una cascata di sangue, scoprendo lentamente le sue bellissime forme. Lui non si mosse. Rimase a fissarla, massaggiando quella mano che era riuscita a toccarla, anche solo per poco. Hatshepsut percorse la distanza che li separava e sfiorò le sue dolci labbra con le sue. Sapevano di miele. Ma Senmut non si sarebbe accontentato di un boccone solo, non questa volta. La prese per le spalle per non farla allontanare, sentendo, nella stretta, che si trattava solo di una inutile precauzione, e finalmente la baciò. In un vero, lungo e appassionato bacio.

Le onde scure e fluenti si agitavano con lo scorrere degli eventi, mentre le stelle brillavano alla loro vista. Il vento soffiava a ritmi costanti, mentre le dolci colline venivano scoperte, rivelando il loro segreto rosso sangue, da succhiare avidamente. Il fiore di Ninfea si apriva, lasciando che le api dell’alveare vi scorressero dentro delicatamente, lasciandoli un poco più rovinati, ma più profumati, più piacevoli alla vista e al tatto. Intanto, il miele si insinuava lento nelle arnie, scivolando molle lungo i condotti, e scivolando all’esterno come leggere gocce che brillavano al sole. Leggere gocce di rugiada scivolavano sinuose lungo gli steli dei sottili arbusti, solleticandoli.

Il piacere fu intenso e lungo.

 

 

Teti si massaggiava una riccia ciocca ribelle, rimasta sporca di ocra rossa nonostante l’avesse immersa più e più volte nelle acque stranamente agitate del Nilo. Non si sentiva tanto bene, quel giorno, nonostante il caldo aumentasse con l’avvicinarsi della semina.

 

«Ptah ti conceda un felice giorno, Teti» le sorrise amabilmente il panettiere, porgendole la solita pagnotta poco cotta, frutto del suo lavoro quotidiano.4 «Come procedono i lavori?»

 

«Abbastanza bene…» rispose vagamente lei dando un morso leggero al pane. L’affresco continuava  a risultare sciatto. Forse che il soggetto, il Faraone Tuthmosis II, non era degno dell’attenzione che lei stava rivolgendo al suo ritratto? «Senmut…?» si decise a domandare.

 

«Non è venuto, oggi» scosse la testa il panettiere. «Deve seguire sua maestà Hatshepsut ovunque decide di recarsi… E’ molto impegnato»

 

«Certo che si…» commentò Teti masticando lentamente un altro boccone. Ringraziò per la razione e ritornò sui suoi passi. Ra si era da poco sciolto da Amon,5 e il sole brillava alto nel cielo. Miu, che la aspettava seduto al centro del sentiero, teneva gli occhi fissi in quella barca dorata che attraversava il cielo lentamente, ma sempre troppo veloce per il suo lavoro. Le pupille erano ristrette, ma il forte calore non gli dava fastidio. Inconsciamente, anche Teti provò il desiderio di alzare gli occhi verso il sole, ma si trattenne. La luce forte come in quel momento le avrebbe fatto lacrimare gli occhi.

 

 

1.      Punt: terra che gli egiziani credevano magica e irraggiungibile, tanto che ne narravano i viaggi nelle favole dei bambini. La spedizione di Hatshepsut è una delle poche certe giunte fino a noi

2.      Le stagioni egiziane erano tre: l’inondazione, la semina e la raccolta, ciascuna composta di quattro mesi. L’inondazione era la prima dell’anno e iniziava il sette di luglio.

3.      Ahotep era la madre di Amosis, il primo della dinastia, e aveva partecipato attivamente alla guerra di liberazione, perciò veniva adorata come una dea

4.      In Egitto non esistevano i soldi, perciò i lavoratori venivano pagati con beni di prima necessità

5.      Quando il sole era allo zenit, Ra si univa ad Amon, perciò si intende che è passato da poco il mezzogiorno.

 

Tiger Eyes: Grazie dei tuoi complimenti ^///^ Sono davvero molto onorata di ricevere una recensione da uno che sulla civiltà egizia, mi pare di capire, ne sa praticamente più di me! Davvero, mi fa un piacere enorme. E sono anche molto felice che la storia ti piaccia ^///^ Mi scuso per il capitolo corto, quando l’avevo scritta per il concorso non mi ero accorta che era venuto così breve… Per quanto riguarda la storia, se continuerai a leggerla (come spero) lo scoprirai da solo ^_- L’unica cosa che mi dispiace è averla concentrata solo sull’amore e non sugli intrighi di palazzo, mi sarebbe piaciuto! , spero che continui lo stesso a piacerti ^_^ Bye

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Nuova pagina 1

 

Hathor e Horus. Una coppia destinata a rimanere unita per sempre, come ve ne erano tante altre, nel misterioso e lontano mondo degli dei. Iside e Osiride, tanto per citarne una, la più famosa. Non certo l’unica, poiché ogni dio aveva la propria compagna, dall’inizio del mondo fino all’eternità. Mentre fissava il soffitto dorato della camera reale, Senmut pensava che anche agli umani venivano assegnate delle compagne, solo che era difficile trovare la propria.

Girandosi leggermente per osservare gli occhi morbidi di Hatshepsut, che lo osservava appoggiata al suo petto, chiusa nell’abbraccio caldo delle lenzuola bianche, lui si sentì molto fortunato, per aver avuto l’onore di trovare e riconoscere la donna che gli era stata assegnata dal destino. Nonostante fossero ormai passate tredici inondazioni dal giorno in cui aveva per la prima volta posato i suoi occhi azzurro cielo su di lei, e una di meno rispetto al giorno in cui l’aveva avuta, non vi era stata un’occasione in cui non si fossero amati come la prima volta. Hatshepsut era un’amante straordinariamente fantasiosa, oltre che una regina straordinaria. Non vi era noia nel loro rapporto, a partire dalla sua pericolosità e dai loro incontri clandestini. Con Teti non avrebbe potuto avere una vita migliore.

Hatshepsut si stiracchiò leggermente, avvicinandosi ancora di più. «Qual è il giorno più bello della tua vita?»

«Quello che verrà, perché tu sarai ancora con me» rispose Senmut chinandosi a baciare i suoi capelli neri e profumati come i fiori di loto.

La porta scricchiolò vagamente e Senmut si alzò col busto dal letto, facendo scivolare le lenzuola lungo il suo corpo ancora muscoloso. Era probabilmente la coppiera della regina, unica testimone del loro amore, venuta ad avvisarli che il corridoio era libero. Hatshepsut sbuffò vagamente, mentre seguiva con gli occhi i movimenti di lui, rimanendo sdraiata. La barca di Khonshu1 era sempre troppo veloce. Chiuse gli occhi, perchè non voleva vederlo andarsene. La porta si aprì. Non accadde nulla. Senmut rimase fermo, immobile nella posizione che aveva assunto, sebbene lei potesse sentire le sue gambe indurirsi e diventare gelide.

«Senmut… Tu…» La rivelazione di ciò che era accaduto arrivò improvvisa come un coccodrillo che attacca la sua preda, affacciandosi rapido dalle scure acque del Nilo.

Hatshepsut balzò subito in piedi, volgendo lo sguardo nella direzione degli occhi di lui. Il Faraone Tuthmosis II, vestito da camera, era fermo sulla soglia, la mano sottile ancora appoggiata alla porta semiaperta. Lo stupore sul suo viso era probabilmente paragonabile a quello di Horus quando sua madre Iside risparmiò Seth, l’omicida del padre.2 Lei sentì Senmut, al suo fianco, deglutire, mentre una leggera goccia di sudore gli attraversava la fronte, fino a colare lungo i delicati lineamenti del naso. Allora pose una mano sul suo braccio per trattenerlo, sebbene non ce ne fosse alcun bisogno. Come pietrificato, non riusciva a muoversi, né a staccare gli occhi da quelli del suo signore.

«Adesso entri senza permesso nella camera della Grande Sposa Reale?»

A sentire questa dura frase di Hatshepsut, Senmut riuscì finalmente a distogliere lo sguardo per spostarlo su di lei. Gli occhi le ardevano come i fuochi delle fiamme di Sekhmet. Lui conosceva quello sguardo: lo riservava di solito ai negligenti, alle persone che non contavano nulla e a coloro che non rispettavano il loro lavoro. Quello stesso sguardo, lo sguardo di una regina d’Egitto, lo stava usando per difendere il loro amore. E questo, Senmut non riusciva a farselo piacere. Non in quel momento, anche se avrebbe dovuto sentirsi lusingato da questo fatto. Pensò che Hatshepsut sarebbe stata capace di qualunque cosa, ed ebbe paura.

«Stai dando la colpa a me?» Se fosse stato possibile, l’incredulità sul viso di Tuthmosis divenne ancora maggiore. «Mi sento male…» Arretrò di qualche passo, appoggiandosi una mano sulla gola, come se stesse soffocando. Infine si voltò, sbattendo la porta con la poca forza che possedeva, e li lasciò nuovamente soli.

Senmut, ancora incapace di parlare, si limitò ad osservare i movimenti di Hatshepsut, la quale scese velocemente dal letto e si infilò una leggera vestaglia in lino. «E’ meglio se te ne vai» Ormai la notte volgeva al declino, ma lui capì che non era solo quello il motivo per cui lei lo stava cacciando in malo modo. Era arrabbiata, ma non con Tuthmosis.

«Io… Non potevo dirgli niente…» cercò di giustificarsi. «Sono solo un essere umano…»

«Probabilmente si» replicò acida Hatshepsut, mentre usciva dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé. In realtà, non era veramente arrabbiata. Non troppo, almeno. Avrebbe dovuto sapere che Senmut non avrebbe avuto giustificazioni davanti al Faraone, perché non era un dio incarnato. Ciò che faceva comparire i demoni di Sekhmet nel suo cuore era la paura. Lei, l’aveva sentita. Aveva sentito attraverso il corpo di Senmut il battere accelerato del terrore. Temeva che non fosse la paura di non poterla vedere mai più, ma la paura di perdere la propria vita. Non riusciva a tollerarlo. Lei non sarebbe arretrata davanti ad Ammit3 pur di dimostrare la sincerità di ciò che provava nei suoi confronti. Cercò debolmente di calmarsi. Forse si era sbagliata, dopotutto. Forse, in quel momento, non aveva pensato col cuore, ma si era soffermata alle apparenza. Hathor volesse che fosse proprio così.

«Maestà, devo parlarti!» Aprì piano ma con decisione la porta della camera reale del Faraone, stranamente non controllata dalle guardie di palazzo.

«Cos’hai fatto a mio padre?»

Hatshepsut si fermò, scoccando uno sguardo bieco al ragazzino che l’aveva fermata sulla porta. Si trattava di Tuthmosis, suo figliastro, figlio di quella sgualdrina di Isis, la “seconda consorte” del Faraone, che lo aveva avuto anche prima del matrimonio e dell’incoronazione. Lei non riusciva a sopportarlo, quel ragazzino impertinente che si credeva più forte di chiunque solamente perché era figlio di un dio incarnato ed era maschio. Per questo motivo si riteneva persino più potente delle due figlie di Hatshepsut, che possedevano, al contrario di lui, il sangue di Amosis. I demoni che le divoravano il cuore crescevano al solo pensiero che quel ragazzo avrebbe sposato la sua primogenita.

«Spostati, stupido principe, e lascia passare la Grande Sposa Reale» ordinò, osservandolo come se avesse davanti un verme, o un altro animale altrettanto disgustoso, che avrebbe volentieri schiacciato sotto i suoi sandali dorati.

«No!» Come detestava quello sguardo di sfida, odioso e presuntuoso! Parola sua, quel ragazzino avrebbe dovuto passare sulla sua mummia, prima di salire sul trono di Amon, avesse anche il nome di suo padre!

Hatshepsut avrebbe finito per perdere la pazienza e bastonarlo sullo stipite della porta, se non fosse intervenuto il Faraone stesso. «Tuth… E’ pur sempre la tua regina…» disse debolmente, senza alzarsi dal letto su cui si era coricato. «Esci, adesso»

«Non è prudente lasciarti da solo con quella!» replicò Tuthmosis preoccupato, indicandola come se fosse una qualunque donna da mercato. Hatshepsut afferrò quel dito arrogante e gettò il suo proprietario fuori dalla porta non troppo gentilmente, quindi gli sbattè la porta in faccia. «Isis non insegna l’educazione a suo figlio?» domandò poi, seccata.

«Devi placare la tua collera verso di lui» mormorò Tuthmosis. «E’ solo un ragazzo che non ha ancora compreso cosa significhi veramente il comando»

«Allora che Isis glielo insegni, o la prossima volta gli darò le bastonate che merita» Hatshepsut sospirò. Come potevano suo marito e il suo figliastro avere entrambi il nome di suo padre, il Faraone Tuthmosis I, che era stato un così grande sovrano? I sacerdoti potevano dire ciò che volevano, ma un nome raramente componeva una persona. Teti stessa lo diceva. «Non sembri arrabbiato… Per quello che hai visto prima, intendo» Non aveva il tempo di parlare del mostriciattolo di Isis, in quel momento.

«Dovrei esserlo con me stesso…» Tuthmosis si voltò dall’altra parte, per non guadare le splendide forme di lei, per nulla rovinate dalle due gravidanze. Quella donna aveva passato già ventisette inondazioni ed era bella come a quattordici, quando l’avevano costretta a sposarsi. «Non sono mai riuscito a farmi amare da te… Come aspetto, devo ammettere che non sono certo all’altezza di Senmut, pur essendo un dio incarnato»

«Sei un re davvero buono come tutti dicono…» Hatshepsut si ritrovò a sorridere, poiché l’autocritica era una dote davvero rara, specialmente in un membro della famiglia reale.

«Tuttavia» continuò il Faraone. «E’ obbligo dei sovrani mantenersi coerenti con la legge di Maat, per assicurare il collegamento con il mondo degli dei» Ebbe il coraggio di alzarsi verso di lei. «Non intendo far scoppiare un simile scandalo, ma pretendo che allontani subito Senmut da palazzo e da Waseb»

«Questo è inaccettabile!» esclamò Hatshepsut. Meglio sarebbe stato vederlo morire impalato piuttosto che saperlo lontano.

«Vorresti forse continuare a tradirmi?» chiese Tuthmosis. «Così finiresti per perdere il contatto con gli dei e ciò segnerebbe la fine dell’Egitto! È questo che vuoi? Un tuo capriccio in cambio della nostra terra?»

«Non è così!» replicò Hatshepsut, che amava le dune della sua terra più del suo amante. «E non si tratta di un capriccio!»

«Non importa» Lui riacquistò la sua solita calma indifferenza. «Per una volta, prenderò una decisione senza il tuo consenso. Manda via Senmut, o lo farò personalmente» Lei non rispose, ma serrò le labbra e i pugni. Quindi, con passo regale, lo lasciò. «Dove vai?»

«A Per-Maat» rispose Hatshepsut agitando le lunghe chiome. «E poi ne riparleremo. Si, ne riparleremo»

 

1.       Konshu: dio della luna, attraversava anche lui il cielo con una barca

2.       Leggenda che fa parte del ciclo delle 600 battaglie di Horus e Seth. Iside, madre di Horus, dopo averlo addestrato a sconfiggere Seth, aveva poi deciso di risparmiarlo, poiché era sempre suo fratello, quando il figlio l’aveva condotto in catene al suo cospetto.

3.       Ammit: mostro con la testa di leone e il corpo di coccodrillo, divorava le anime che non avevano superato la prova della bilancia

 Tiger Eyes: Oh, mio Dio... Mi inchino di fronte a una mente così tanto superiore alla mia... Ma stiamo scherzando?! Una futura egittologa che si abbassa a leggere la mia storia?! Oddio, mi sento male... Scherzi a parte... Già ero onorata e felice prima, figurati adesso che mi hai dato questa notizia! Grazie, davvero ^///^!! Comunque, sii il più severa possibile! Magari non sulla storia, che dopotutto è romanzata, ma sulla ricostruzione storica, che si basa solo sulle mie modeste conoscenze nate dall'aver letto uno o più libri sull'argomento e diversi romanzi, cosa che sicuramente non può competere con la tua preparazione universitaria... Ammetto che un poco ti invidio, piacerebbe anche a me ç_ç Mi prenda come allieva, sensei! ^^
Per quanto riguarda gli errori, grazie per avermeli fatti notare. Io leggo sempre più volte ma scappano sempre ù_ù Sto invecchiando, evidentemente! Comunque quello "domanda stupida mia" l'articolo non l'avevo messo apposta, mi sembrava stesse male, l'altro era proprio una svista che non avevo notato. Io ho trovato in tutti i libi scritto "Ahotep", probabilmente perché tra un’acca e due, per la nostra pronuncria non faceva poi molta differenza… ^^’’ Ammetto anche che ho proprio completamente scordato il tempio funerario di Hatshepsut, quando ho scritto la storia ^^'' Sono la solita sbadata ^^ Comunque, io non so se davvero, nella realtà, questi due si amassero, però così è più "pittoresco", almeno credo ^^ Però è chiaro che non se ne potrà mai trovare un riscontro a livello storico, di certo la regina non metteva in giro i manifesti "ehi, sto andando con Tizio, Caio e Sempronio!" ^^'' Mica era scema ^_^
Ti ringrazio per i complimenti, sono contenta che la scena d’amore ti sia piaciuta, anche perché a me sarebbe dispiaciuto descrivere "sul serio" una scena di sesso, mi sembrava troppo… dura, mentre i volevo dare dei toni più delicati, ecco perché l’ho "naturalizzata"… Fa piacere che tu, come me, l’abbia preferita così ^^
Pubblico questo capitolo e poi parto anche io per le vacanze, quindi il prossimo lo pubblicherò al mio ritorno, non so ancora bene quando... Forse il 20 o giù di lì... Bè, spero che le tue vacanze siano state eccellenti ^_^ Grazie ancora per la recensione. Bye ^^

 

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


 

«Capisci?! Quello… Quello parlava come se mi stesse facendo un favore!» Hatshepsut, cercando inutilmente di scacciare i demoni di Sekhmet dal suo cuore, camminava avanti e indietro nello spazio piccolo e sporco di quell’umile capanna, lievemente illuminato dai sottili fili dorati di Ra che entravano attraverso il buco che serviva da finestra. «Ha osato chiedermi, anzi, ordinarmi di cacciare Senmut!»

«Credo fosse nel giusto» Teti, per niente irritata dal fatto di essere stata svegliata ancora prima del parto di Nut1 dalla visita della sua vecchia amica, che, durante quegli anni, raramente l’aveva cercata se non per lamentarsi dei suoi problemi, si risistemò il leggero perizoma, unica cosa che indossava. «Dopotutto, l’adulterio è una grave colpa nella società egizia»

«Tu non l’hai mai condannato» Hatshepsut le scoccò un’occhiata omicida.

«Io no, ma la legge di Maat si» replicò calma Teti porgendogli una ciotola sbeccata piena di latte bianco. «O meglio, Maat sulla terra, poiché dubito che la Verità sia tanto ipocrita»

«Quindi sei dalla mia parte» La regina bevve avidamente, senza preoccuparsi che il cibo non le fosse stato servito in una coppa d’oro. «Non ne dubitavo!»

«Cosa pensi di fare adesso?» La pittrice si infilò un bocca un pezzettino di pane rappreso, succhiando per renderlo più morbido.

Hatshepsut si pulì la bocca sporca di latte con il dorso della mano. «Veramente… Pensavo di chiedere consiglio a te…» Teti si limitò ad osservarla aspettando che si spiegasse meglio. «Non posso rinunciare a Senmut, ma nemmeno al mio lavoro come regina… E non vorrei che Senmut pensasse che io… Che io…»

Teti prese in braccio il piccolo Miu-Miu, figlio dell’anziano Miu, fuggito in Occidente2 l’anno precedente. «Se lo pensasse, sarebbe un bastardo» Aveva espresso un’opinione, seppur al condizionale. «Però sarebbe meglio che lo cacciassi via, spiegandogli prima la situazione»

«Così non risolvo molto» Hatshepsut fece un’espressione da bambina capricciosa, che le riusciva bene nonostante avesse già passato lo stadio di giovane donna.

«Non devi irritare troppo sua maestà» spiegò sospirando Teti. «Lo so che è noto come un sovrano buono, ma… Se si arrabbiasse non credo avrebbe particolari difficoltà ad avvelenare il tuo cibo e a nascondere il suo misfatto sotto la sabbia del deserto»

Al solo pensiero di poter venire uccisa da quell’ominide che non aveva nemmeno il valore per essere un Faraone, Hatshepsut avvampò dalla rabbia. «Oh, no! Lo farò prima io!» Voltò di scatto la testa, ondulando dolcemente la chioma nera, per osservare i contenitori dei colori che Teti usava per il suo lavoro. «Sono velenosi?»

«No» Teti riflettè un attimo prima di dare la risposta. «Ma procurarsi veleno è più semplice di quello che si pensi»

«Mi stai suggerendo di uccidere Tuthmosis II, oppure no?» domandò Hatshepsut, fissandola come se desiderasse leggere i suoi più intimi pensieri. «Spiegati!»

«Io vorrei solo che tu non facessi cose di cui pentirti» Scandì bene le parole perché avessero un maggiore impatto. «Solo questo»

«Come sempre…» Hatshepsut sospirò. Infine, riafferrando nuovamente la ciotola del latte, si preparò a chiedere ciò che per anni si era domandata. «Amavi Senmut?» Teti non rispose, limitandosi ad accarezzare il suo gatto magro, che cercava di sfuggire al suo abbraccio muovendo le zampine. «Rispondimi! Non puoi sottrarti ad un ordine della tua sovrana!»

«Si…» Ed era una risposta così flebile da sembrare solo un lieve sospiro di Shu3 durante la notte fresca. Avrebbe potuto mentirle, certamente, ma Hat non era più la sua amica con la quale avere una conversazione da pari a pari. Quella semplice parola devastante sarebbe uscita naturalmente, anche se Teti avesse cercato di trattenerla con tutte le sue forze. E lei, invece, era solita lasciarsi trascinare dagli avvenimenti invece che opporsi al destino. Si domandava spesso a cosa le sarebbe servito, in fondo. Tutto ciò che era umano non poteva opporsi al fato avverso.

«E lui? Si è mai dichiarato?» Hatshepsut cercava di controllare il suo respiro affannoso, mentre le mani le tremavano, rischiando di far rovesciare il latte dalla ciotola in terracotta.

«Mi ha… Baciata, una volta» Teti nascondeva gli occhi sotto la frangetta ricciola.

«Niente di più vicino a una dichiarazione» commentò asciutta la regina. «Perché, allora, voi due… Cos’hai fatto tu?!»

«Niente…»

«Niente?» Hatshepsut la afferrò duramente per il mento e la fissò seria negli occhi. «Perché? Perché niente? Perché me lo hai lasciato?»

«Io lo amo…» mormorò debolmente Teti. Perché lei era così crudele da torturala in quel modo? Non era contenta di ciò che aveva? Avrebbe potuto lasciarla stare, sola, nel suo piccolo cantuccio… Non le dava fastidio, non l’aveva mai fatto… «Ma amo anche te allo stesso modo…»

Hatshepsut si allontanò da lei. «Bugiarda!» Le gettò addossò il resto del latte, quindi infranse la ciotola scaraventandola violentemente a terra. «Maledetta vigliacca!!» Respirava con la bocca aperta per la rabbia. «Non ti sopporto! Non sopporto quel tuo sguardo sempre passivo! Me lo hai lasciato?! Come ti sei permessa?! Non sono uno scarto, io!»

«Non è così…» Ma nulla avrebbe potuto fermare la furia della Grande Sposa Reale.

«Non dire nulla! È meglio così!» Aprì la porta, inondando di calda luce mattutina la misera capanna. «Ti odio, Teti. Spero vivamente di essere divorata da Ammit, in modo da non doverti rincontrare in Occidente!»

Teti rimase in piedi, immobile, con lo sguardo fisso sulla porta, senza che i raggi di Ra le dessero fastidio. Avrebbe pianto in ogni modo. Era finita. Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, perciò perché si sentiva così triste? Aveva già prolungato troppo a lungo la loro amicizia, che avrebbe dovuto terminare anni prima, con la venuta di Senmut. Forse, sarebbe stato meglio così. Non badò al tempo che passava, si limitò ad aspettare ferma davanti alla porta, come se sperasse di rivederla, mentre il latte le colava giù per i capelli ricci e per le guance, mescolandosi all’acqua salata delle lacrime.

Si riscosse solo quando sentì una voce fin troppo familiare entrale nelle orecchie. «Hat è stata qui, vero?» Senmut entrò lentamente nella capanna, lasciandole il tempo di voltarsi e asciugarsi velocemente gli occhi con il palmo della mano. Il latte che vi entrò con questa mossa le fece bruciare le pupille. «Avete litigato?» chiese lui notando i cocci della ciotola ancora sparsi scompostamente a terra.

«No» mentì lei guardandolo.

«E il latte…?» Senmut la osservò sorpreso. Aveva un’espressione troppo allegra per la Teti abituale, di solito così seria. Doveva esserci qualcosa che non andava.

«Un consiglio della vecchia saggia, per impedire la formazione delle rughe» commentò lei massaggiandosi le guance, ancora perfettamente lisce nonostante le ventisette inondazioni che aveva trascorso.

«Figuriamoci…» scosse la testa lui. «E’ stata colpa mia?»

«Affatto» Teti alzò le spalle. «Non è colpa di nessuno, se non del destino. Hatshepsut si sarebbe separata da me se io avessi accettato di diventare tua moglie. Adesso, mi ha lasciata comunque, perché io non ho accettato. Come vedi, non vi era nessuna scelta alternativa»

«E’ colpa mia…» Rincarò Senmut. «Hat dev’essersi sentita una seconda scelta…»

«Ma non è così» Teti lo guardò duramente. «Tu, alla fine, avresti scelto comunque lei. Se fossi stata tua moglie, mi avresti tradita»

«Non puoi dirlo» negò lui, quasi offeso.

«Posso, invece» ribattè Teti tranquilla. «Per fare un esempio semplice, io sono come la raccolta. Senza imprevisti, tutti sanno già ciò che otterranno. Hat, invece, è come l’inondazione. Ogni anno, nessuno può prevedere come sarà. È imprevedibile» Teti si morse un labbro. «Tu non hai mai amato la tranquillità, per questo da giovane eri sempre in viaggio. Per questo, so che avresti scelto lei comunque»

«Probabilmente hai ragione» convenne infine Senmut. «Ma certe volte mi domando se ne sia valsa la pena. Sembra che Hat non ami me, ma il rischio che porta il nostro amore»

«E’ l’impressione che lei vuole dare. Suppongo che la ecciti» Finalmente Teti si pulì il viso con il suo vestito macchiato. «Ma ti ama, puoi giurarci. Ti ama fino ad uccidere»

«Lo temo…» Senmut deglutì. «Ma non lo farà, vero…?»

«Questo, possono dircelo solo gli dei»

«Tu lo faresti?»

«Io no» disse decisa Teti. «Ma Hat si»

 

1.       L’aurora. Quando il sole spuntava, si diceva che veniva partorito dal cielo, mentre quando tramontava di diceva che veniva ingoiato.

2.       L’occidente è un altro modo di chiamare l’aldilà

 

Reviews:

 

Tiger Eyes: Ciao ^^ Passato buone vacanze? Le mie sono andate benissimo ^^ Veniamo alla storia… ^///^ Grazie ancora dei complimenti, spero di non montarmi troppo la testa ^^’’ Comunque, mi fa piacere che tu abbia deciso di leggera la mia storia, invece di leggere i romanzi di autori affermati… Ma su quello ti do ragione: io ho letto quelli di Wilbur Smith e, nonostante siano molto avvincenti, non rispettano per nulla la storia e danno agli egizi un’impronta che trovo più romana. Invece, storicamente esatti sono quelli di Jacq (egittologo, non per nulla), ma impiegano un po’ troppa magia, che però li rende veramente affascinanti, nonostante io non la usi quasi mai! Comunque ammetto che mi piacerebbe pubblicare un libro storico… spero che non mi giudicherai troppo presuntuosa per questo! Veniamo ai personaggi… Ora ti spiego perché li ho caratterizzati in questo modo. Tempo fa ho letto un libro, “le tebane”, proprio su Hatshepsut, che non mi è piaciuto affatto (l’ho trovato scritto male e male caratterizzato, per nulla interessante); in questo libro Tuthmosis II veniva considerato un ragazzino del tutto disinteressato alla vita di stato. Quando ho iniziato a scrivere questa storia, ho collegato l’immagine che derivava da quel libro con quella di Tuthmosis III che, da quanto ne so, dopo essere salito al trono aveva distrutto qualunque immagine della matrigna, e ne ho dedotto che fosse il figlio quello forte e non il padre. Comunque grazie per il consiglio del libro, spero di trovarlo perché lo voglio leggere assolutamente, visto anche che, in futuro, vorrei ampliare questa storia infilandoci dentro sia la confraternita di Per-Maat che i vari intrighi di palazzo… Grazie ancora! Comunque, vorrei proprio sapere la storia di Deir El Bahari, potrebbe essermi utile. E, se non sono troppo accattona (perdonami!) potrei chiederti aiuto per una prossima storia che avrei in mente di fare? Il titolo dovrebbe essere “la prima piramide”, il che ti dà l’idea di chi sarà il protagonista ^_- Ho un’idea particolare in testa, perciò vorrei sapere l’opinione di un’egittologa seria come te… anche perché adoro parlare dell’Egitto con te! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto ^^ Bye

Ayu-chan: grazie per la tua recensione, mi fa sempre piacere ^^ Forza, prima o poi riuscirai a scriverlo in modo corretto ^_^ Bye

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Alle lampade che illuminavano il corridoio buio

 

Alle lampade che illuminavano il corridoio buio, le guardie si inchinarono al passaggio della regina Hatshepsut, che, con il vestito di porpora stretto sotto i seni che le lasciava un ampio strascico dietro, si dirigeva a passo sicuro ma con il labbro leggermente tremante verso gli appartamenti di suo marito. Dalle finestre aperte non penetrava la luce di Iside. Tra le mani affusolate e sudate stringeva una sottile ampolla in ceramica, il cui liquido scuro faceva un leggero rumore, riprendendo ritmicamente il suono dei suoi passi.

Si fermò esattamente davanti alla porta della stanza dove Tuthmosis II stava dormendo, ignaro di tutto. i suoi occhi scuri scivolavano dall’ampolla all’uscio sbarrato, come la barca di Ra dall’alba alla sera. Avrebbe potuto farlo, chi se ne sarebbe accorto? Due gocce, tre al massimo e sarebbe tutto finito. Lei e Senmut sarebbero stati liberi di continuare a vedersi, un nuovo Faraone avrebbe preso il posto del precedente, e la vita avrebbe ripreso a scorrere come le acque del Nilo.

Sospirò, facendo un timido passo in avanti. No, non poteva. Sarebbe stata la soluzione più semplice, certamente. Cosa vi era, in Egitto, di più facile che la morte? Ma l’omicidio! Lei, proprio lei, Maat in terra, come avrebbe potuto presentarsi di fronte alla Verità sulla bilancia e non poterle dire “non ho ucciso”, al momento della dichiarazione di innocenza? Se fosse diventata Faraone dopo Tuthmosis, solo per indispettire Isis, dopo aver ammazzato il marito, non sarebbe stata Horus e Seth in una sola persona, ma solo Seth.

Sospirò, appoggiandosi al muro. Stava mentendo. L’unico motivo per il quale sarebbe voluta essere faraone era per il suo amore per l’Egitto, la terra nera benedetta dagli dei; ironico come, per questo motivo, non poteva uccidere suo marito. Ma, se non lo faceva, non sarebbe restata altro che la regina e poi… «Senmut…» sussurrò, lasciandosi scivolare fino a terra. Non vi erano vie d’uscite al labirinto. Era mai possibile…?

«Che succede, piccola Hathor?»

Hatshepsut alzò leggermente lo sguardo, rispecchiandosi nei piccoli ma ancora vispi occhi neri della sua nutrice, dal viso ormai scavato dal tempo. Davanti a quella donna che si era sempre occupata di lei, si sentiva ancora una bambina piccola, scoperta a rubare le focacce dalla cucina reale. «No, nulla…» Esitò: le aveva sempre rivelato tutto, perché non far uscire anche questo demone? «Cosa penseresti se io… Se io…»

«Cosa?» la incoraggiò l’anziana donna. 

Hatshepsut sorrise debolmente. «No, nulla» Appoggiò a terra l’ampolla, spaccandola a metà con una pressione delle dita, lasciando che il veleno scorresse libero e inoffensivo. «Una mia fantasia» Si alzò, spolverandosi il vestito rosso. Teti le aveva detto di non fare cose di cui pentirsi? Bene, non l’avrebbe fatto, ma non per darle soddisfazione, ovviamente!

La nutrice continuò ad osservare il liquido scuro. «Micina» la chiamò, prima che lei si allontanasse nel corridoio. «Non ci sono solo io dalla tua parte. Amenhotep ti appoggerà in tutto, sai quanto ti voglia bene. Gehuty conosce il tuo operato e sa che saresti una sovrana straordinaria. Al tempio di Amon, poi, ti aspetta Hapuseneb, che per adesso è solo un sacerdote lettore, ma… chi oltre a lui legge le formule d’incoronazione?» Fece una leggera pausa. «E Nehesy, lo sai, ti ama»

Hatshepsut si fermò a riflettere. Gehuty, il tesoriere; Amenhotep, l’intendete di palazzo; Hapuseneb, imparentato addirittura con la dinastia di Ahhotep; Nehesy, il capo delle guardie di Waseb. Tutti personaggi influenti, ovviamente, ai quali poteva aggiungere Inebni, nipote della nutrice, e Useramon, suo precettore ora abitante di Men Nefer. Per la maggior parte si trattavano di personaggi influenti, che avrebbero favorito la sua ascesa al trono. Che la nutrice l’approvasse? «Che intendi?»

Ma l’anziana donna non le rispose, limitandosi a precederla verso le sue stanze private. 

***

«...il contadino lavora più di quanto possano le sue braccia e le zanzare lo uccidono...» Il principe Tuthmosis represse a stento uno sbadiglio, mentre ricopiava il testo per l'ennesima volta il testo sull'ostraka che aveva davanti, con la sua calligrafia sottile e affusolata. Le lezioni di scrittura lo annoiavano: avrebbe decisamente preferito allenarsi con la spada insieme ai guerrieri, oppure ricopiare storie più interessanti, come le memorie di Ahmes figlio di Abana, che raccontava le sue gesta da soldato durante la guerra contro gli Hyksos. Aveva dodici inondazioni alle spalle e già sognava le battaglie al fianco del padre, per conquistare territori ai vicini ittiti. Si distrasse, facendo scivolare il calamo più a lungo di quanto avesse dovuto.

Il maestro, con un'occhiata torva, si alzò per sgridarlo, ma fu interrotto dall'aprirsi della porta, quindi Isis si affacciò sulla soglia. i suoi grandi occhi neri erano rossi e gonfi, e alcune lacrime le bagnavano ancora le ciglia. Deglutì, fissando il maestro, bloccato in mezzo alla stanza, sorpreso. «Il Faraone... Sua maestà Tuthmosis II... E' morto...»

«Cos...?» Il principe, ancora seduto nella posizione di scriba, sbattè le palpebre. Le sue orecchie gli stavano giocando uno scherzo di cattivo gusto. Appoggiò lentamente il calamo e l'ostraka a terra, quindi si alzò e si voltò verso sua madre, con lo sguardo stupito e un'ansia nel cuore che cresceva ad ogni secondo di silenzio. La dea del silenzio non era colei che vegliava sulla "Grande prateria", ossia sulle tombe dei Faraoni? Il maestro, sconvolto, annuì all'indirizzo della donna ed lasciò in fretta la stanza.

«Papà... è morto?» Allo sguardo del figlio, Isis scoppiò nuovamente a piangere, chinandosi davanti a lui per abbracciarlo. L'inquietudine che si era formata nel suo cuore divenne un buco, sempre più grande, che minacciò di inghiottirlo. Tremò, scosso da leggeri brividi di terrore. «Io... Che cosa devo fare adesso?»

Isis gli accarezzò leggermente le guance. «Devi diventare faraone» disse dolcemente, sorridendo. «Non ricordi? Quel giorno, al tempio di Amon... La statua del Dio si è inchinata davanti a te, scegliendoti come prossimo sovrano...» Si alzò, stringendogli le braccia con le sue lunghe dita. «Fra settanta giorni, dopo la sepoltura, tu...»

«Lo so!» Tuthmosis si staccò di scattò da sua madre, voltandosi e concentrando lo sguardo sull'ostraka che aveva deposto a terra, come se fosse di importanza capitale. Sapeva bene tutto! Dopo settanta giorni di lutto, i sacerdoti di Karnax lo avrebbero incoronato e lui avrebbe preso il posto di suo padre sul trono di Osiride. Ma... Ma che cosa voleva dire diventare Faraone?! Essere Seth e Horus in una persona sola? Non riusciva a comprenderlo. Il cerimoniale e i doveri non avevano permesso a suo padre di stargli sufficientemente accanto per istruirlo. Alzò le mani, e le guardò tremare. Aveva paura, una paura da renderlo quasi folle. Non sapeva assolutamente da dove cominciare ad essere sovrano. Finora, si era solamente limitato ad eseguire ordini e ad ascoltare lezioni, ma, da quel momento in poi, sarebbe toccato a lui ordinare. Istintivamente, si toccò la treccia dell'infanzia, che scendeva ancora morbida sotto l'orecchio. Iside si era forse sentita come lui, quando Osiride era morto? Però lei non si era persa d'animo ed era corsa a cercarlo. Lui, chi avrebbe dovuto cercare? «Com'è morto?» domandò infine, solo per smettere di sentire lo sguardo interrogativo della madre sulla schiena, aperta dalle bastonate del maestro.

«Lo hanno trovato morto sul tavolo della colazione» spiegò Isis, dimostrando di avere in realtà poco affetto per Tuthmosis II. «Un malore, forse»

«Veleno!» fu invece la parola che si affacciò al cuore del principe, che si sentì come sollevato. Forse, aveva qualcosa da fare: vendicare suo padre, come Horus con Osiride! Con il pensiero di non essere inutile e incapace, uscì immediatamente dalla stanza, precipitandosi verso gli appartamenti reali. Lei doveva essere là! Le guardie cercarono di fermarlo, più con le parole che con i fatti, perciò lui riuscì senza troppe difficoltà ad entrare nella stanza della Grande Sposa Reale. «Hatshepsut!»

Lei non si voltò nemmeno, come lui si sarebbe aspettato, gridandogli contro per averla chiamata per nome, senza alcun titolo. Rimase seduta, voltandogli la schiena, con le braccia in grembo e il volto abbassato, davanti al letto dov'era stata sdraiata una donna, che Tuthmosis riconobbe come l'anziana nutrice della regina. «Non sei rispettoso nei confronti della morte» disse solo quest'ultima.

«Mi dispiace» Sorpreso dalla sua reazione, lui rimase fermo sulla soglia. «Hai saputo della morte di...?» Lei fece solo un leggerissimo segno d'assenso, talmente impercettibile che nemmeno uno dei suoi lunghi capelli si mosse. «Sei stata tu?» La domanda era secca, ma poco decisa. Infatti, il suo unico scopo era farla reagire, provocarla, perchè le sembrava troppo tranquilla rispetto alla normalità.

Hatshepsut si voltò repentinamente ad osservarlo, come spaventata. Una leggera goccia di sudore, che le appiccicava una ciocca alla fronte, le scese dolcemente sulla guancia, verso la bocca carnosa e semiaperta. Non era arrabbiata per il sospetto senza alcuna prova che lui aveva espresso, ma quasi offesa. Gli occhi tremolarono come l'immagine della barca di Khonshu che si rifletteva sul Nilo, e, per un attimo, sembrò che le lacrime uscissero da sole. «Il Faraone è lo sposo di Maat...» disse lentamente, con la voce che tremava non meno dei suoi occhi. «Io sono la sposa del Faraone...»

«Tu sei Maat...» terminò il sillogismo Tuthmosis, nuovamente in preda all'ansia. Più che per confermare i suoi sospetti sulla morte di suo padre, si era recato da lei per avere degli ordini. La conosceva come una donna forte e autoritaria, che sarebbe stata in grado di governare da sola. Poteva dargli risposte alle sue domande. Invece, si era ritrovato davanti una persona più debole e insicura di lui. Si era appena perso in un labirinto che non aveva uscita, o, meglio, non aveva nessuno che gliela indicasse. «E adesso, che cosa dobbiamo fare?»

Amenhotenp entrò nella stanza, riservando al ragazzo un'occhiata leggera, come se per lui contasse quanto le cavallette che infestano i raccolti. «Gli imbalsamatori sono arrivati» disse, rivolgendosi solo ad Hashepsut.

Lei si alzò, annuendo nella sua direzione. «Dobbiamo conservare un lutto di settanta giorni, dopo l'Egitto avrà bisogno di noi» Poggiò un istante la sua mano sopra la spalla di Tuthmosis, leggera come una foglia che sfiora gli oggetti prima di cadere al suono. «Cerca di fare qualcosa anche tu»

"Fare qualcosa..." Questa frase tormentò Tuthmosis per i restanti settanta giorni, senza che lui riuscisse a trovare una soluzione ai suoi problemi. Neppure in quel momento, neppure nel giorno della sua incoronazione, sapeva con certezza quali sarebbero stati i suoi doveri. Mentre si sedeva sul trono, cercò con gli occhi la figura esile di Hatshepsut, ma, circondato com'era dai sacerdoti che rappresentavano le divinità, non riuscì a vederla. Individuò invece sua madre, alla quale era stato dato il ruolo di Uadjet, che sorrideva.

Un sacerdote, interprete di Seth, gli posò sul capo una corona bianca, una lunga mitra oblunga. «Lo hedjet» Tuthmosis, sentendo quel peso sulla testa, strinse ancora più forte le mani sullo scettro e sul flagello che stava tenendo, rimpiangendo la treccia dell'infanzia che gli era stata tagliata. Si alzò lentamente, com'era da rituale, mordendosi una guancia. Certo che sua madre sorrideva! Lei non era al suo posto. Si risedette, aspettando che il sacerdote che interpretava Horus gli facesse indossare anche la corona rossa, un casco con la parte superiore piatta dotata, nella parte posteriore, di un'alta appendice. Quando si rialzò, per mostrarsi ancora al popolo come "il sole all'orizzonte", riuscì a vedere Hatshepsut e trattenne a stento un leggero "oh" di sorpresa.

Mentre si dirigeva sull'altro trono, dove lo aspettavano le dee Uadjet e Nekhbet, per riunire le Due Terre sotto di lui, sentì il suo cuore sprofondare nelle viscere della terra, pasto favorito della Divoratrice. Lei c'era riuscita: in settanta giorni la pianta marcia era rifiorita, illuminata dal sole e bagnata dall'acqua del Nilo, riprendendo la bellezza e la forza di un tempo. Osservò con malcelata indifferenza le due donne che, dopo averlo incoronato con lo sekhemty, ossia con l'unione delle due corone, posavano ai suoi piedi la colonna circondata di papiro e di loro, a simbolo delle due terre. Doveva ammettere a sè stesso: nonostante il disprezzo che provava per la sua matrigna per come si comportava con suo padre, lei era decisamente più brava di lui, e possedeva un ka più potente. "Fare qualcosa..."

Stava eseguendo il rito del "giro del muro", perciò non si poteva dire che non cercasse di darsi da fare, eppure non era soddisfatto. Conosceva il significato di quella procedura, ma non la sentiva interamente sua. Non era diventato Horus e Seth, nè il Faraone delle due terre: era rimasto solo e semplicemente il principe Tuthmosis, con una corona troppo importante e pesante sulla testa, null'altro. questo pensiero lo tormentava: desiderava andare in guerra, sconfiggere gli ittiti, rendere grande l'Egitto... Invece si rendeva conto di essere solo un incapace. Si risedette sul trono, allentando la presa sugli scettri, sentendosi estremamente stanco.

«Stai bene?» Su un'altro trono accanto a lui, la Grande Sposa Reale, Marytre, più giovane di lui, lo guardava con occhi grandi e preoccupati. «Mi sembri triste...»

«Tutto bene» mormorò lui, guardandola di sottecchi. Quella bambina era sua moglie e la sua sorellastra. Qual'era il suo ruolo? E lui, cosa doveva fare con lei? Era totalmente indifferente nei suoi confronti. Fissò lo sguardo a terra, per non guardare più gli occhi fin troppo perspicaci di Marytre, che, se non possedeva la stessa forza d'animo della madre, aveva comunque il potere di sconvolgere le persone con la sua franchezza innocente, tipica di Maat.

Sentì il sacerdote che interpretava Horus dire, con la sua voce forte: «desheret» Tuthmosis alzò lo sguardo in tempo per vedere il dio falco posare la corona sulla testa di Hatshepsut, che si alzò quindi per mostransi al popolo, il quale si inchinò con maggior enfasi e maggior gioia di quanto non avessero riservata a lui. Ma non doveva essere solo la reggente? Lo sguardo di lei guardava fieramente di fronte a sè, ed un leggero sorriso sicuro le increspava le labbra carnose, mentre scrutava la folla con occhi neri e decisi. Non vi erano più nuvole scure nel suo mantello di Nut, e i lineamenti del suo viso, tesi e concentrati, ricordavano da vicino i volti impressi nella pietra dei faraoni del passato e che Tuthmosis aveva ammirato più volte in compagnia del padre.

La piccola mano di Marytre gli sfiorò il braccio. «Io non capisco molto» ammise. «Ma sembra che abbiano incoronato la mamma...»

Tuthmosis annuì vagamente, non potendo darle torto. In fondo, per tutti sarebbe stato molto meglio essere governati da lei, cosciente dei suoi compiti, che da lui, un piccolo ragazzino ignorante e incapace. "Fare qualcosa..." Anche rimanere a guardarla era fare qualcosa? No, non sarebbe rimasto nell'ombra. L'Egitto, un giorno, l'avrebbe persa e, se non fosse riuscito a riprendersi, la terra che tanto amava sarebbe precipitata nel caos primordiale da cui Amon, suo padre, l'aveva liberata. "Fare qualcosa..." Si, imparare ad essere come lei. Alzò lo sguardo sulla folla e cercò di assumere lo stesso atteggiamento.

Hatshepsut gli scoccò un'occhiata in tralice, quasi sorpresa del suo atteggiamento, cambiato in un istante. Non se ne curò troppo, perchè non era quel ragazzo che doveva impressionare. «Guardami, Teti» pensò, fissando la folla. «Guarda il Faraone Maatkara Khenemet-Imen» E, camminando lungo il muro, come in precedenza aveva fatto anche Tuthmosis, ripensò al funerale del giorno precedente.

 

Reviews:

Ayu-chan: Ciao ^^ Dai disegni che ho visto, l’indole dell’artista ce l’hai eccome!^^ Davvero Teti ti somiglia? Che coincidenza! No, io generalmente mi sforzo di lottare ma perdo costantemente, perché sono troppo pigra per impegnarmi veramente ù_ù Che scansafatiche che sono… I libri te li ho consigliati già in chat, che dire… Spero che ti piacciano! Bye ^^

Tiger Eyes: Ciao ^^ Allora grazie mille per l’aiuto ^^ Non preoccuparti, prenditi pure tutto il tempo che vuoi per la mail, tanto per adesso la storia la finisco così come l’ho progettata la prima volta, poi vorrei dedicarmi all’altra prima di riprendere questa… E anche per l’altra ci vorrà parecchio tempo perché voglio che venga proprio bene bene, non come questa che tutto sommato ho dovuto anche fare in un tempo stabilito, per via del concorso. Aspetterò quindi tue notizie prima di “sfruttarti” (perdonami!) per la storia sulla prima piramide (progetto per il quale vorrei proprio discutere con te perché ho una certa idea in mente e vorrei avere la tua opinione) ^^ Credimi, le mie conoscenze non sono poi così vaste come sembra (basti pensare che io sapevo che Tuthmosis aveva distrutto il nome della matrigna subito dopo l’incoronazione O.o…)… So solo che vorrei continuare a “studiare” per sapere ancora di più, molto di più! Anche se so che la vera cosa che vorrei conoscere è impossibile da capire…^^’’ Si, sapevo la storia dei nomi (non deriva dalla leggenda di Amon e Iside, in cui lei afferma “colui il cui nome viene pronunciato resta in vita?” o qualcosa di simile, perché adesso non ricordo le parola esatte ^^’’), solo che 1-scrivere tutte le volte Hatshepsut era lungo (la solita pigra -.-’’) e 2-volevo dare un senso di “familiarità” al rapporto tra Teti e Hat e perciò ho utilizzato il nostro sistema, non conoscendo quello egiziano :-P Comunque alla fine sono riuscita a infilarci anche il tempio ^^ Mi è bastato modificare un pezzo, visto che in origine Teti si sarebbe dovuta occupare della cappella a Karnak… ma così è meglio! Grazie per i consigli! E anche per i complimenti ^///^ Che concorso pubblico tenti? In ogni caso, in bocca al lupo ^^ Bye^^

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Attenzione

Attenzione: prima di leggere questo capitolo, bisogna tornare a leggere quello precedente, perché ho completamente modificato l’ultimo pezzo, perciò non si capirebbe più nulla del corso della storia.

 

Teti sentiva sul collo il fiato caldo di Tefnut, mentre, sulla cima della Valle dei Re, pregava Ptah di concederle ancora una volta il suo talento, per onorare al meglio i signori delle Due Terre. In realtà, del suo talento non aveva dubitato neppure per una volta, essendo la cosa più cara che avesse, e che ormai le fosse rimasta, perciò la preghiera risultava più come un desiderio nascosto.

Desiderava ardentemente continuare a dipingere sulle pareti rocciose delle dimore d’eternità, come aveva fatto fino a quel momento, ma temeva che, dopo ciò che era avvenuto tra lei e la regina, nessuno le avrebbe più commissionato lavori, soprattutto non Hat che, da futura reggente come probabilmente sarebbe stata, era quella che doveva dare ordini per la costruzione delle tombe. Sorrise debolmente: che razza di persona era, se dubitava della saggezza della regina d’Egitto, nonché sua amica d’infanzia? Eppure, aveva delle buone ragioni per farlo.

Si alzò, camminando quasi in bilico sullo strapiombo delle rocce. Adorava profondamente l’aria che si respirava in quel lungo, dal quale si poteva osservare la Grande Prateria in tutta la sua estensione e si assaporavano i suoi e gli odori dei ricordi dei re defunti. Teti percepiva chiara la loro presenza, come la presenza dei suoi antenati che avevano eretto Per-Maat, ma non riusciva a comunicare con loro. Avrebbe tanto voluto: almeno, non sarebbe stata sola come in quel momento.

Guardando all’orizzonte, verso il fiume Nilo che, da quella distanza, somigliava veramente ad un sottile e agile serpente che striscia sinuoso ed elegante sulla terra, intravide la barca che trasportava il corpo del defunto Tuthmosis II, assieme alla sua famiglia. Il funerale stava iniziando e lei, come a tutti quelli a cui aveva assistito finora, sarebbe arrivata in ritardo. Dopotutto, si recava sempre sulla cima prima di questa cerimonia, quasi volesse accertarsi che gli altri ospiti accettassero il nuovo venuto.

Quella volta, però, non aveva avuto lo stesso motivo per andarci. Non nutriva alcuna simpatia per Tuthmosis, forse perché ne aveva sentito parlare solo male da Hatshepsut o, forse, perché aveva fatto arrabbiare e soffrire la sua amica, perciò poco le importava di quello che avrebbe potuto capitargli nella sala della giustizia. Era venuta per lei stessa, per chiedere ai Faraoni, dei sulla terra, una grazia. Voleva che le fosse restituita l’amicizia di Hatshepsut. Perché se era vero che preferiva la solitudine alla confusione, era pur vero che quella totale la spaventava. Aveva bisogno ancora della sua migliore amica.

Scese più in fretta che potè dall’altopiano e si ritrovò nel paese di Per-Maat, completamente vuoto. La processione doveva essere già partita per raggiungere la dimora d’eternità prestabilita. Riprese quindi il l’alito di Shu che le serviva per correre ancora verso la valle dei Re, ma dalla parte di sotto.

«Teti» la chiamò leggermente con la mano una ragazzina, quando finalmente raggiunse la coda della processione. La pittrice le si affiancò senza proferire parola, guardandosi bene dal dimostrare anche il solo minimo stupore per trovarla in quel luogo e non a capo del gruppo, visto che lei adorava tutto ciò che le era nuovo, fosse anche un funerale.

«Anche io sono arrivata tardi» La spiegazione venne da sola, di getto come l’acqua che esce dalle bocche di Hapy.

«Davvero, Hebi?» Quella parola non voleva esprimere né rimprovero né incredulità, ma solo una constatazione per niente filtrata da alcun sentimento.

Fu proprio questo che fece irritare la ragazza, ossia la poca considerazione che stava dimostrando nei suoi confronti. «Si, esatto» E cercò di ignorarla guardando davanti a sé.

Teti la osservò leggermente. Hebi era piccola e minuta, e sembrava molto più giovane della sua età. Di viso, ricordava vagamente Hatshepsut da giovane, per quella piega accigliata che spesso assumeva, ma non aveva né la forza di cuore né la bellezza sensuale della regina. Forse l’avrebbe acquisita con l’età, ma Teti ne dubitava seriamente. Gli unici pregi di Hebi erano le mani, perfette e affusolate, che maneggiavano fra i colori come se questi fossero solo un’estensione del suo braccio, la bocca, assolutamente da baciare, e i capelli, a boccoli naturalmente perfettamente ordinati senza nemmeno aver bisogno di pettinarsi, a differenza di quelli di Teti, sempre intrigati

Hebi era stata assegnata, con disappunto totalmente celato di Teti, a dipingere le pareti della tomba della nutrice Hatshepsut, morta negli stessi giorni di Tuthmosis. Lei la conosceva, proprio perché amica d’infanzia della bambina che la donna accudiva e, perciò, sarebbe stato un grande onore procurarle una dimora d’eternità rispecchiando il carattere che aveva avuto in vita. Invece, non le era stato concesso e, per questo, temeva che non le venissero affidati altri incarichi. A quel punto, vivere sarebbe stato solo un peso di troppo.

Non era arrabbiata con Hebi, che dopotutto aveva fatto il suo lavoro, né provava rabbia o invidia. In realtà, la maggior parte dei sentimenti le erano decisamente sconosciuti, mentre preferiva l’indifferenza che teneva costantemente appresso, certo come alibi per non soffrire. Tuttavia, non poteva negare a sé stessa che fra il suo talento e quello di Hebi ci fosse un abisso largo come il deserto rosso che sin estendeva ai confini dell’Egitto. Non che Hebi non sapesse disegnare, o che i suoi dipinti non rispecchiassero la realtà, solo che non aveva capito cosa veramente significasse essere una pittrice in una dimora d’Eternità.

I disegni sui dipinti delle tombe rappresentavano il mondo in cui il defunto avrebbe abitato dopo la morte. Non dovevano sembrare veri, dovevano esserlo, perché altrimenti sarebbe stato come offrire a un affamato un sasso marrone, che di forma e colore poteva ricordare quello di una pagnotta. Hebi non sapeva dare vita ai disegni che creava, Teti si. E se entrando in una tomba dipinta dalla prima si poteva sostenere che fosse ben fatta, entrando in una colorata dalla seconda si riuscivano a sentire gli odori delle offerte, il suono delle scene, il respiro di Shu sulla pelle: si giungeva veramente nel futuro occidente.

«Com’è bella!» esclamò ad un certo punto Hebi, distraendola. «La regina è la più bella donna che io abbia mai visto» Teti cercò di concentrare lo sguardo su quella piccola figura in lontananza, che si stava avvicinando al sarcofago per l’apertura degli occhi e della bocca. Non aveva la stessa vista potente di Hebi, soprattutto perché, dopo tanto tempo passato nel buio a dipingere, si era abituata più a vedere nell’oscurità che attraverso i raggi di Ra, ma con il cuore capì immediatamente che qualcosa non andava.

Lentamente, si fece largo fra la folla, non senza strappare qualche commento negativo, e riuscì a raggiungere le prime file, giusto dopo i sacerdoti e gli uomini dei lamenti funebri. Aveva visto bene: Hatshepsut era si bella, come sempre e come aveva detto Hebi, ma non era viva. Teti ricordava benissimo i suoi occhi neri e profondi, che ogni tanto si illuminavano come le fiamme di Sekhmet e che le avevano permesso di ottenere ciò che desiderava. Quelle fiamme si erano spente, come se si fosse trasformata in Bastet, ma in una dea gatta tremendamente triste e malinconica. Insomma, l’esatto contrario della leggenda originale. Per fare un paragone più concreto, Hatshepsut, in questo momento, ricordava non più i disegni di Teti, come quand’era ragazza, ma quelli di Hebi.

«Cosa sarà successo…?» si domandò la pittrice, mentre, seduta dietro il muro della casa più distante del paese e ben lontana dal luogo caotico del banchetto, sorseggiava leggermente birra da una ciotola di argilla. Nonostante tutti i discorsi che lei stessa aveva fatto a Senmut, non credeva, non veramente, che Hatshepsut arrivasse veramente ad uccidere Tuthmosis, ma, a questo punto, quale altra spiegazione poteva esserci?

«Iside ti conceda una buona giornata» disse una voce, quindi la regina si appoggiò con la schiena contro il muro accanto a lei.

«Hat!» Teti aveva sentito il suo cuore fare uno sbalzo improvviso, sia per la sorpresa sia per la felicità, ma si impose un’immediata pazienza e una tipica indifferenza. Eppure, non si alzò.

Aprì la bocca, ma Hatshepsut la interruppe subito. «Risparmiati i convenevoli, per oggi ne ho già sentiti a sufficienza da riempire tutti i granai d’Egitto» E aggiunse: «magari fosse davvero così! Almeno, non correremo rischi di carestia»

Allora Teti si riappoggiò con la schiena al muro e per un poco rimasero in silenzio, limitandosi ad ascoltare, in lontananza, le voci soffuse che provenivano dal banchetto.

«Credi che Ammit divori qualcuno che ha fatto un torto ad un altro solo per aiutare una persona a cui tiene?» chiese d’improvviso Hatshepsut.

Teti non rispose. «Hai ucciso tu il faraone?»

«Credi che ne sia capace?»

«No, per questo te lo chiedo»

Passarono altri minuti di silenzio. Poi, Hatshepsut abbassò lo sguardo. «Credo che sia stata la mia nutrice»

Questo Teti non se lo aspettava proprio, non dalla donna che aveva cresciuto ed educato la sua migliore amica e, un poco, anche lei stessa. «Sbagli» disse convinta. Ed era la stessa cosa che avrebbe detto a chiunque, se avessero sospettato di Hatshepsut.

«No, invece» E se la prima frase lasciava uno spiraglio attraverso le rocce, questa seconda lo richiudeva completamente.

«Pensi che sia colpa tua?» Il silenzio della Regina fu più che evidente.

Teti allora la guardò, e scosse la testa. Una persona che provava sensi di colpe per il destino di un altro senza riuscire a riprendersi, non sarebbe riuscita a governare sull’Egitto e la loro terra, in questo momento, aveva bisogno di lei. Se ora temeva che le sue decisioni influenzassero così tanto la vita degli altri da aver paura di prenderle, come avrebbe potuto ordinare su una popolazione intera?

Si alzò lentamente, e le tirò uno schiaffo. «Scema» le disse. «Se vuoi odiarmi, fallo come si deve» Hatshpsut si toccò la guancia bollente e, per un attimo, le fiamme dell’orgoglio ferito tornarono a brillare nei suoi occhi. «Guardati!» proseguì Teti. «Ti sei già pentita della tua decisione e sei qui per chiedermi scusa? E credi che sia sufficiente, se un giorno dovessi sbagliare un editto?» Si voltò dall’altra parte. «Invece, dovrai prendere una decisione e tenerla fino in fondo. Si è mai visto un faraone indeciso, lui che è la vita, la forza e la salute dell’Egitto?» Sospirò. «Avevo sempre pensato che fossi adatta come sovrano, ma vedendoti ho cambiato idea…»

«Io sono adatta come faraone!» replicò Hatshepsut. «Molto più di quanto non fosse Tuthmosis II. E lo sai»

«Forse lo so» acconsentì Teti. «Ma tu dimostramelo»

«Lo farò» le assicurò la regina. La sua amica dubitava delle sue capacità! Proprio lei, che l'aveva sempre appoggiata! Ma le avrebbe dimostrato che non si era sbagliata. «E ti odierò per tutta la vita» Quindi, si voltò altezzosamente e la lasciò da sola.

Lentamente, Teti si abbassò ad afferrare la ciotola con la birra. Aveva appena perso l’unica occasione di riappacificarsi con lei. Distrusse la ciotola scaraventandola a terra, quindi afferrò il coccio più grosso. Pazienza, l’Egitto era più importante. Si afferrò insieme i suoi lunghi capelli ricci e li tagliò di netto, perché aveva portato il lutto troppo a lungo, lasciandoli corti sopra le spalle. In fondo, lei non sentiva nulla… Assaggiò, per un attimo, con il polpastrello la lama tagliente del ciottolo, quindi, con un gesto rapido, se la conficcò nella coscia, spingendo in profondità. Lasciò di scatto al presa su quell’arma improvvisata, con il respiro mozzato, perché non credeva che le avrebbe fatto così male.

«Non sento niente…» mormorò, mentre il liquido rosso le colava lentamente fino alla caviglia, solleticandole la pelle. Era rosso, non dorato. «Proprio niente…» Si tolse il coccio dalla gamba, aumentando l’emorragia.

«Teti! Mi senti?» La donna saggia, dietro di lei, la osservava con un sopracciglio leggermente inarcato e le labbra, preoccupate, leggermente piegate. «E’ la terza volta che ti chiamo…»

Prendendo un bel respiro, la pittrice rispose: «Si, certo che ti sento…»

 

Note di Akemichan:
Ciao a tutti! Mi scuso per l’inconveniente dei capitoli ma, in effetti, come Tiger Eyes mi ha fatto notare, l’ultima parte era troppo affrettata (anche se non per la morte di Tuthmosis II, che è comunque solo accennata ^^’’) Adesso, avendo messo in evidenza la situazione di Tuthmosis III, cercando di modificargli il carattere sempre secondo le scoperte che ho fatto grazie a Tiger Eyes, e avendo aggiunto la scena tra Hatshepsut e Teti, mi sento molto più soddisfatta del lavoro. Diciamo che ho solo allungato il tempo della storia ^^. Ho quindi modificato anche il titolo ed il commento perché ormai sta diventando diversa da quella che avevo inviato al concorso ^^. Spero che piaccia anche a voi.
Bye

Reviews:

Ayu-chan: Ciao ^^ Ci eravamo mancate di una mezz’oretta circa, accidenti!^^ Spero di ribeccarti presto ^^ Grazie per i complimenti, spero il capitolo precedente ti piaccia ancora nonostante la modifica alla seconda parte ^^ Bye

Tiger Eyes: Grazie per le mail  non sai davvero quanto mi sono utili i tuoi consigli ^^ Si, in effetti avevi proprio ragione, riflettendoci mancavano un po’ di parti… E poi, così ne ho approfittato per dare una parte anche a Tuthmosis III, che sinceramente è un faraone che adoro…^^ Allungando gli episodi in questo modo, posso dare spazio anche a lui, o almeno, al lui della prima parte, quando era ancora piccolo ^^ Che devo dirti… Spero che le mie modifiche ti piacciano e spero di aver reso bene anche il carattere di Tuthmosis. Grazie ancora per la recensione e per i consigli ^^ Bye

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Tuthmosis finì

 

Tuthmosis finì, con sommo sollievo, di controllare le ultime pratiche che il visir gli aveva consegnato, sulla situazione del doppio granaio. Mentre arrotolava il papiro giallastro e lo collocava ordinatamente a fianco degli altri, pensò che, dopotutto, Hatshepsut gli affidava quei lavori non perchè lo tenesse in qualche considerazione, ma solamente per liberarsi di un fastidio inutile che si poteva tranquillamente delegare ad un ragazzino.

Questo atteggiamento lo irritava per due motivi essenziali: il primo, più superficiale, riguardava il suo odio per qualunque lavoro statico, come aveva sempre mal tollerato le lezioni di scrittura. Il secondo, invece, era talmente radicato in profondità che lui stesso si rifiutava di ammetterlo. Se Hatshepsut lo sfruttava solamente, significava che non era ancora riuscito nella sua intenzione di diventare un Faraone capace di farsi rispettare. Desiderava diventare forte, talmente forte da guadagnarsi l'ammirazione della regina che, lo sapeva bene, lo detestava per essere il figlio dell'uomo che odiava.

Si alzò dalla scrivania, stiracchiando le braccia fino a sentire i muscoli, sviluppatisi per i duri allenamenti a cui si era sottoposto in quei tre anni, tendersi e rimettersi in moto. Considerato che Hatshepsut si stava occupando delle udienze e che lui aveva finito di occuparsi delle faccende più noiose, avrebbe anche potuto uscire per andare a visitare la caserma di Waseb senza dover informare la "reggente"...

Così fece: uscì dal palazzo, andò nelle scuderie e ordinò al primo stalliere che trovò di preparargli un carro e di portarlo alla caserma. Sapeva che Hatshepsut non l'avrebbe approvato, non del tutto, almeno. Sembrava che cercasse di tenerlo lontano da qualunque centro di potere e, più il tempo passava e lui cresceva, più la situazione peggiorava. Forse che lei lo temesse? Tuthmosis ne dubitava: dubitava che Hatshepsut avesse mai temuto qualcuno in vita sua. Voleva solo il potere e, grazie alla sua abilità, lo aveva ottenuto. Peccato. Se davvero avesse avuto paura, avrebbe significato che, un poco, lui contava ai suoi occhi.

Arrivato alla caserma, si stupì molto della confusione che vi regnava. Sapeva che Hatshepsut non aveva intenzione di condurre una guerra e che quindi teneva l'esercito a riposo, perciò poteva esserci solo un'unica spiegazione: si trattava di un'insurrezione! Balzò immediatamente giù dal carro ed entrò nel campo di addestramento che precedeva l'edificio. «Che succede qui?!» E pregò che la sua voce risultasse abbastanza autoritaria, sebbene il suono non gli sembrasse ancora in grado di eseguire un comando decente.

I soldati si bloccarono, riconoscendolo nonostante l'abbigliamento succinto e poco nobile che indossava, e si inchinarono senza risistemarsi nei giusti ranghi, osannandolo. «Potente Ra...» fischiò leggermente Tuthmosis, compiaciuto per quell'atteggiamento a cui era non troppo abituato. «Che succede, qui?» ripetè la domanda, apprendendo con sollievo che non si trattava di una rivolta.

«Che succede?» gli fece eco un'altra voce, entrando nella stanza da una delle porte laterali. «Maestà!» L'uomo, imbarazzato, fece per inchinarsi, ma Tuthmosis lo interruppe prima.

«Spiegami che accade, Nehesy» disse severo, incrociando le braccia sul petto. Quell'uomo, il giovane Faraone non riusciva proprio a sopportarlo. Sorrise debolmente: quest'antipatia era probabilmente l'unica cosa che aveva in comune con Senmut, l'amante della sua matrigna.

«Non ne sei a conoscenza? Capisco...» Nehesy piegò leggermente lo sguardo di lato, con le dita leggermente poggiate sulle labbra sottile e lo sguardo artificialmente innocente. Tuthmosis inarcò un sopracciglio nero: poteva fingere quanto voleva, ma era chiaro a tutti che gli veniva da sorridere pensando a quanto poco potere avesse il Faraone. «Sua maestà Hatshepsut ha incaricato me di esaudire il suo sogno, conducendo una spedizione a Punt» spiegò con soddisfazione. «Stavo solo scegliendo i membri della scorta... La strada per Punt è irta di ostacoli: animali selvaggi, briganti, beduini... Tu capisci»

«Una spedizione a Punt» Tuthmosis stava tenendo lo sguardo basso, al pavimento di pietra su cui i soldati erano ancora inchinati. «Una spedizione a Punt!» sbottò con violenza. Quindi, senza aggiungere una parola, risalì sul carro, che lo stava ancora aspettando all'uscita della caserma, e si fece ricondurre a palazzo. Poi, ancora in un pericoloso silenzio, che inquietò il conducente quasi fino a farlo sbagliare, scese e si diresse immediatamente verso la sala reale, dove Hatshepsut era solita tenere le sue udienze.

«Devo parlare con lei!» praticamente gridò ad Amenhotep, il maggiordomo, che controllava la porta sbarrata, e dirigeva il flusso dei visitatori come i canali d'irrigazione dei campi di limo. «Adesso»

«Sua maestà è impegnata» replicò l'uomo con un leggero cenno di fastidio. «Forse per l'ora del crepuscolo sarà disponibile» E un leggero sorriso gli increspò le labbra, mentre guardava il raggio di sole ancora alto nel mantello di Nut. «In questo momento sta parlando con...»

Tuthmosis non annoverava fra i suoi pregi una grande pazienza e, per quel giorno, l'aveva già persa a causa dell'incontro con Nehesy e alla notizia della spedizione. «Non mi interessa affatto con chi sta parlando!» esclamò. «Credi davvero che, chiunque sia il tizio là dentro» E, indicando la porta ancora sbarrata, sperò che la sua voce la potesse attraversare. «Sia più importante del Faraone in persona, prediletto di Amon, vita, forza e salute delle Due Terre? Io credo di no!» Respirò profondamente. «Non è un capriccio. I sovrani non hanno capricci. Adesso entri là dentro, e le dici che voglio parlare con lei, di una cosa molto importante. Subito»

Amenhotep sorrise ancora, ma, questa volta, non si trattò di ironia, ma di una sorta di leggero rispetto. Quindi, con un leggero cenno di assenso, accostò leggermente la porta e vi entrò, senza lasciare intravedere nulla di quello che vi era all'interno. Tuthmosis sospirò lievemente. Era la prima volta che quell'uomo gli dava anche un minimo di ascolto: che fosse diventato un buon sovrano? No, niente affatto. Aveva solo urlato, e nient'altro. Si scrisse un geroglifico mentale: cercare di tenere la propria rabbia sotto controllo. Ricordava gli urli che Tuthmosis II riservava alla sua consorte, ampiamente ricambiati, ma non l'aveva mai visto alzare la voce per affari di stato. "Trattenere la propria rabbia..." «La rabbia di Seth!» esclamò mentalmente. «Controllare Seth con Horus...»

«Sua maestà ti aspetta nel suo ufficio» disse Amenhotep con un leggero cenno della testa calva, prima di rimettersi a sorvegliare la porta.

Tuthmosis, certo di aver iniziato a comprendere qualcosa a proposito del suo ruolo nella società, si recò all'incontro molto più tranquillo di quanto non fosse prima, stupendosi della sua pazienza. «Amon ti conceda una buona giornata» la salutò, entrando nello studio.

«Me lo auguro» rispose lei, senza preoccuparsi di mascherare la propria irritazione. «Spero che sia davvero importante» Iniziò ad armeggiare con i fogli di papiro poggiati sul tavolo.

«Nehesy mi ha detto che hai organizzato una spedizione a Punt» Tuthmosis non si mosse dalla soglia, come se temesse di avvicinarsi troppo. «E' vero?»

«Si» rispose semplicemente lei, continuando ad armeggiare noncurante con i papiri.

Questo atteggiamento irritò il ragazzo, facendogli scordare completamente l'intuizione avuta poco prima, come un ostraka ripulito. «E... Non hai niente da dire?» chiese con lentezza rabbiosa. «Prepari una spedizione praticamente inutile...»

«Non è inutile» lo interruppe lei, con un leggero tremolio della voce, che rivelava quanto il desiderio di Punt la tormentasse, come un desiderio fanciullesco.

«...mentre, e lo sai bene» continuò lui imperterrito. «I principi degli stati cuscinetto minacciano di ribellarsi alla nostra potenza e di attaccare i nostri confini, privando di membri l'esercito, e non hai nulla da dire?»

Hatshepsut scrollò la testa. «So tutto della rivolta che si sta preparando» ammise. «Ma so anche che i territori che conquisteranno non valgono poi così tanto. Quelli non oseranno proseguire oltre»

«Ma sono territori egiziani!» Tuthmosis si sentì strano. Amava profondamente la sua terra e, come conseguenza logica, aveva pensato che anche lei, così capace come sovrana, provasse gli stessi sentimenti. Sembrava che si fosse sbagliato.

«Credi che non lo sappia?» sorrise ironicamente Hatshepsut. «Te lo dico chiaramente: non posso combattere contro i ribelli, perchè non ho nessuno da mandare in guerra»

«Oh, Nehesy non va bene?» commentò annoiato lui, sapendo quanta stima, a suo parere ingiustificata, avesse per il generale.

 «Lui non è Faraone» spiegò brevemente lei, con un tono di voce piuttosto serio. «I soldati daranno il meglio di loro solo quando ci sarà la mano di Seth a guidarli» Lo fissò per un interminabile istante, leggendo dentro di lui. «La risposta è no. Non ti manderò a comandare l'esercito e sei ancora abbastanza giovane per dovermi obbedienza»

«Perchè?» Tuthmosis aprì la bocca per protestare, ma Hatshepsut lo bloccò prima. «Te lo dimostro, se vuoi. Aspettami in giardino dietro il palazzo, arrivo subito» Detto questo, lo superò e uscì dalla stanza come se fosse invisibile.

Lui prese un bel respiro. Voleva andare in guerra. Lo aveva sempre desiderato, fin da quando aveva visto sua padre partire alla testa delle truppe. E quanto finalmente gli era capitata un'occasione, la sua matrigna, alla quale, era purtroppo vero, doveva ancora obbedienza, glielo impediva, preoccupata solo di realizzare i suoi desideri. Come poteva essere Horus, con un'Iside con quel ka? Aprì la porta e la sbattè dietro di sè. I suoi muscoli tremavano per la rabbia e, sebbene non volesse ammetterlo, anche per l'agitazione per la prova che lo aspettava. Ma le avrebbe dimostrato che era pronto ad andare in guerra e si sarebbe meritato un minimo della considerazione che provava per una donna così capace.

Quando arrivò in giardino, Hatshepsut era già ad aspettarlo. Accanto a lei, Neferure, la sua primogenita. Tuthmosis non aveva mai avuto una particolare simpatia per lei e il fatto di averla dovuta sposare a forza il giorno della sua incoronazione non aiutava certo le cose, considerando che i due ragazzi avevano quasi la stessa età e due caratteri praticamente opposti.

Neferure era calma e riflessiva, poco incline a cedere su qualunque punto, quasi sempre ironica. Non era per nulla bella e, pensava sempre Tuthmosis con una gioia divertita, per lei era stata una fortuna diventare sua moglie, visto che nessun altro l'avrebbe mai voluta. Evidentemente, aveva preso la mascella severa e ampia del nonno e gli occhi piccoli e brillanti del padre. L'unica cosa di sua madre erano i capelli, neri e liscissimi, che però teneva sempre corti e nascosti dalla parrucca, quasi a voler nascondere qualsiasi vezzo femminile. Il corpo era tozzo, con un seno troppo grosso, e praticamente non possedeva nè vita nè fianchi. Eppure proprio questo corpo, troppo muscoloso per una ragazza, la rendeva un'avversaria temibile.

Hatshepsut gli passò una spada in legno leggero. «Te la senti di combattere contro mia figlia, vero?»

Il fatto che lei aveva sottolineato con maggior forza il "mia" non fece altro che aumentare l'intensità dell'orgoglio di Tuthmosis, che, riprendendo la lezione su Horus e Seth appresa precedentemente, cercava di controllarsi. Prese la spada  e la stese davanti a sè, piegando leggente le ginocchia.

Con un gesto che voleva far sembrare leggiadro, ma che non lo era per nulla, Neferure si tolse l'ampia veste rossa che indossava, e rimase solo con il sottile perizoma bianco che portava sotto. Poi, senza aspettare nessun segnale, strinse forte l'impugnatura dell'arma, e scoccò un fendete verso di lui. Tuthmosis alzò la spada, posizionando trasversalmente la finta lama, e parò, ma lei, utilizzando la spinta iniziale, rigirò la spada e si portò in un secondo dietro di lui, fino ad appoggiare il legno contro il suo collo scoperto. Quindi, con un piccolo sorriso, si staccò, andando a recuperare la sua veste.

«Se non riesci a vincere contro una donna, come pensi di sopravvivere in guerra sul carro?» Hatshepsut teneva le braccia incrociate sul petto e aveva sul viso un'espressione indecifrabile. Non era d'odio, nè ironico, ma totalmente indifferente. E faceva ancora più male. «Forse, dovresti riflettere meglio sul fatto che la rabbia di Seth non va solamente controllata, ma anche utilizzata» Detto questo, lo superò e si avviò di nuovo verso il palazzo, seguita da Neferure e dal suo sorrisino ironico. «Non voglio più sentir parlare di guerra»

Tuthmosis non si voltò neppure per guardarle allontanarsi. Era rimasto bloccato, pietrificato in quella posizione, con la spada in avanti. Era stato sconfitto e, appunto, da una donna. Aveva sempre cercato di migliorare, di allenarsi, di diventare forte... Erano quelli i risultati? Era furioso, ma con sè stesso per non essere riuscito a bloccare quell'attacco. Neferure era insopportabile, ma non si poteva negare che fosse una combattente, pur donna, più forte di lui. «Maledizione!» Gettò la spada lontano da sè, con violenza, fino a spaccarla. «Maledizione! maledizione!» L'umiliazione era stata troppo intensa. Si passò le mani sul viso, cercando di contenere gli spasmi. Non era così che andava impiegato Seth, lo sentiva.

Ancora furioso, si recò al pozzo, prese un secchio d'acqua e se lo gettò sulla testa mora. Il contatto con quel gelo, che lo liberava dall'afa di Ra, gli restituì un minimo di serenità. Era inutile stare a recriminare: sapeva che Neferure gli avrebbe rinfacciato per anni questa storia, ma nemmeno Horus era stato poi così bravo contro lo zio, visto che si era anche fatto sorprendere nel sonno e accecare. L'unica soluzione era cercare, nei limiti del possibile, di sopportarla e, infine, di superarla. Si recò all'arsenale di palazzo, prese arco e spada e iniziò immediatamente ad allenarsi.

La sera, Hatshepsut non rimase poi troppo sorpresa di non trovarlo a cena. Immaginava e, in un certo senso, sperava, che fosse rimasto a digerire l'offesa subita. La cosa che invece la stupì fu la mancanza della sua seconda figlia, Marytre, di solito sempre ligia ai doveri e al protocollo reale. Incuriosita, si affacciò alla finestra che dava sul retro del giardino, senza farsi scorgere, e guardò la situazione. Tuthmosis, incurante del buio, aveva acceso una torcia e continuava ad allenarsi. Marytre, nascosta dietro il muro, lo stava osservando da solo Ra poteva sapere quanto tempo, cercando di non farsi notare troppo. Aveva gli occhi leggermente brillanti, le guance arrossate nonostante l'immobilità a cui era costretta da tempo, e le labbra semiaperte. Hatshepsut sorrise dolcemente nell'osservare questa scena che, supponeva, non differiva poi tanto da quello che era successo ad Horus e Hathor, quindi ordinò al primo servitore di portare un piatto di ful medames alla principessa. E sorrise anche pensando che, forse, il suo figliastro aveva ereditato, per sua fortuna, il ka del nonno, Tuthmosis I, e non di quell'incapace del padre.

«Dovresti riposarti... Almeno un po'» Marytre, approfittando del cibo che le era stata consegnato, si decise, con assoluto imbarazzo a mostrarsi al fratellastro. «Mangia qualcosa...» E allungò il piatto che stringeva fra le mani verso di lui.

«Non posso» Non si fermò nemmeno, per parlarle. «Finchè non sarò in grado di battere tua sorella...»

Marytre scosse la testa. «Pensi di riuscirci in un sola sera? Impossibile» disse, come dato di fatto.

Lentamente, Tuthmosis abbassò la spada. «Se ce la facessi, forse...» Sospirò vagamente. «Tua madre non mi odierebbe così tanto, e smetterebbe di trattarmi come un bambino»

«Io invece credo che la mamma non ti odi affatto, anzi» Lei sorrise dolcemente, con una voce ferma, tanto che lui, come rinvigorito, si voltò finalmente a guardarla. «Se davvero ti odiasse, ti avrebbe mandato in guerra» proseguì Marytre. «Come hai visto, per l'Egitto non è un gran problema avere un faraone donna... Se fossi morto, com'era probabile data la nostra giovane età» E Tuthmosis le fu grato per questo comune difetto che aveva espresso. «Neferure avrebbe potuto tranquillamente salire sul trono dopo mia madre. Così non avrebbe rispettato gli accordi presi con nostro padre, con sua somma gioia. Invece, non l'ha fatto» Lo fissò. «Non l'ha fatto»

«Che intendi dire?»

Marytre scostò lo sguardo, imbarazzata. «Credo che la mamma ti rispetti, e abbia deciso di dimenticare che il suo sangue non erediterà il trono» disse ancora. «Non mandandoti in guerra, ha solo voluto salvarti la vita, perchè sa che non sei ancora pronto» Temendo di averlo offeso, si interruppe bruscamente, con le guance in fiamme, e lo fissò di nascosto. «Vero?»

Tuthmosis lasciò cadere a terra la spada. «No, non sono pronto» ammise. In realtà, aveva capito le motivazioni di Hatshepsut, ma non riusciva ad accettarle per il modo in cui lei lo trattava. Era migliorato almeno un poco dalla morte di suo padre, no? Però lei non aveva mai dato segnali di apprezzarlo. Non sarebbe stato più semplice dire: «non voglio mandarti in guerra perchè non voglio perderti? L'Egitto ha bisogno di te»? E Tuthmosis stesso non si rendeva conto che, se fosse successo, lui non le avrebbe affatto creduto. Doveva provare la verità sulla propria pelle, prima di sperimentare le proprie capacità.

«Forse, non lo sarai nemmeno domani» Marytre spinse nuovamente avanti il piatto. «Mangi?»

Tuthmosis fissò la sorellastra minore. Lei si che aveva ereditato la bellezza della madre, con un corpo sottile e un viso ovale e perfetto, unito ad una bocca piccola e carnosa, un nasino ancora da bambina e due grandi occhi con ciglia lunghe. Non possedeva, invece, la stessa forza d'animo di Hatshepsut, perchè era dolce e delicata come un fiore di loto sull'acqua e questo suo carattere rendeva ancora più affusolati i suoi già perfetti lineamenti. «Ma... Ho le mani sporche...» addusse come scusa, avendo capito che nemmeno lei aveva ancora cenato.

Lentamente, Marytre infilò le sue mani bianche e linde dentro il piatto, afferrando qualche fava con il pollice, l'indice e l'anulare, con grazie naturale. «Apri la bocca» ordinò leggermente, senza guardarlo.

Tuthmosis sorrise e non potè fare altro che ubbidire. «Grazie» mormorò vagamente, con la bocca piena.

***

«Lo scriba della tomba è arrabbiato con te» disse Senmut, mentre lui e Teti, partiti quando Ra era unito ad Amon da Per-Maat, camminavano in direzione del tempio funerario di Hastshepsut.

«Si, è vero»

«Mi stupisco sempre del fatto che le persone si arrabbino con te, che non fai mai nulla»

«Le persone odiano gli indifferenti, perchè stanno meglio di loro» Teti fece un leggero sorriso. «Comunque, stavolta qualcosa ho fatto» Senmut sbattè le palpebre, incredulo. «Ho rifiutato di diventare sua moglie»

«Eh?! Perchè?!» Lui fu fin troppo esagerato nella sua reazione, per nascondere la gioia che provava a quella notizia. Significava che nessun altro era riuscito in quello che lui aveva fallito. «Insomma, lo scriba è ricco, di buona famiglia...»

«Oh, andiamo» Lei alzò le spalle. «Se avessi voluto uno qualunque, avrei sposato te» E accelerò il passo per arrivare prima. Senmut la seguì, offeso a morte per quella semplice frase. Uno qualunque? Era solo questo, per lei? E un'improvvisa tristezza si impadronì di lui.

Teti si era fermata davanti alla prima scalinata del tempio, con gli occhi leggermente tremanti e le mani in agitazione. «E' bellissimo...» E lo pensava veramente: si notava dall'incertezza della sua voce, dal leggero sorriso che le labbra creavano di tanto in tanto, e dalla pelle d'oca che le stava venendo sulle braccia.

«E' stato soprannominato Geser Geseru, il Sublime dei Sublimi» le spiegò, soddisfatto di averla impressionata tanto. «E tu non tradirai questo nome, vero?»

«Io?» Teti si ritrovò, suo malgrado, ad essere sorpresa. «Non sarà Hebi a...?»

«Hebi!» sbuffò lui. «Quella, che ha sposato Nehesy solo per interesse, non è nemmeno capace a disegnare il geroglifico di Maat!» Le strinse una mano. «Certo, avrai bisogno di aiuto, ma la caposquadra devi essere tu, e nessun altro. Anche Hat è d'accordo»

«Allora non posso rifiutare» Ma rifiutò di sentire battere più forte il suo cuore al pensiero della sua vecchia amica, che non aveva dimenticato la sua abilità di pittrice. «Che cosa devo dipingere?»

«Una storiella» commentò lui, indicandole il tempio. «Dovrai descrivere Hatshepsut come la prescelta di Amon. Nella prima scena, Amon annuncerà agli dei di voler dare un nuovo re all'Egitto. Thot allora farà il nome di Ahmes, la sposa di Tuthmosis I. Amon si recherà dunque dalla madre di Hat, annunciandole che darà alla luce la sua prescelta, la quale dovrà chiamarsi "colei che Amon abbraccia, la prima delle dame venerabili"» raccontò. «Poi sarà necessaria una scena con Khnum intento a plasmare il corpo e il ka della bambina sotto gli ordini di Amon, un'altro dipinto con le varie presentazioni e poi il racconto preciso dell'incoronazione, ovviamente con la presenza anche di Tuthmosis I»

Teti annuì. «Andiamo a vedere come fare» In un gesto rapido, si levò la veste e il perizoma, rimanendo completamente nuda, e fece per salire le scale.

«Ma... Ma?» Senmut rimase sconvolto, a fissarla. Si sentiva assolutamente strano. Eppure, quando erano ragazzi l'aveva sempre vista nuda, eppure non aveva mai provato sentimenti così forti. Era identica alla sensazione che aveva provato la prima volta che aveva visto senza veli Hatshepsut. Le mani che prudevano, lo stomaco che gli saltellava dentro l'addome, e la voglia irrefrenabile di toccare quel corpo, di baciarlo, di sentirlo suo... Ma prima che potesse fare qualunque cosa, Teti era già entrata, lasciandolo solo.

Riluttante, la seguì. Aveva sentito dire che lei era solita esplorare i luoghi che doveva dipingere nuda, per sentirsi un tutt'uno con la pietra che aveva davanti, ma non si aspettava che gli facesse così tanto effetto. La trovò in una delle stanze, con la mano appoggiata alla parete. «Qui andrebbe disegnato Amon che presenta Hatshepsut al consiglio degli dei...»

Teti non disse nulla, ma chiuse lentamente gli occhi, stringendo le dita. Respirò con la bocca semiaperta e Senmut, dietro di lei, perse totalmente la cognizione del tempo. Non era più umano, si sentiva parte della pietra, una pietra che respirava, vedeva, sentiva, provava dei sentimenti. Lui era la parete, e la parete era un essere umano. Poi Teti staccò la mano, e iniziò a muovere il dito sulla parete, prendendo le misure come se stesse già disegnando. «La senti?»

«Cosa?» sussurrò lui, temendo che non gli uscisse alcun suono.

«La voce di Amon» Teti sospirò. «Sta dicendo agli altri dei: "questa è la mia figlia prediletta, la futura sovrana d'Egitto, che ho posto personalmente sul mio trono"» E Senmut la sentì veramente, con il respiro soffocato in gola.

L'atmosfera fu rotta da un rumore di passi e dal suono di una voce che li chiamava. Lo scriba della tomba, che doveva preparare i documenti per ordinare alle miniere le materie prime per preparare i colori, li stava cercando. Senmut, senza riflettere, afferrò Teti per la vita, trattenendo l'impulso a fare dell'altro, ed entrambi si nascosero dentro un'altra stanza nascosta, finchè l'uomo non se ne fu andato.

Poi, Teti si divincolò, con un'espressione ignara sul viso. «Non volevo che ti vedesse nuda...» si giustificò lui.

«Geloso?»

Si, lo era. Non capiva precisamente il motivo, perchè, in fondo, lui aveva sempre amato solo Hatshepsut. Forse si trattava di orgoglio per essere stato rifiutato e il desiderio di non essere superato da nessun altro. «Non sai quanto» Rendendosi improvvisamente conto di quello che aveva detto, si corresse: «anche con Hat... E' sempre circondata di uomini e sostiene che lo fa per dovere... Ma io vedo come la guardano e... Fra di noi non... Non è...»

«E finiscila!» Teti inarcò leggermente un sopracciglio, con leggero risentimento. «Quanti di quelli che le hanno detto "ti amo" si sono sentiti ricambiare?» Ritornò nell'altra stanza. «Andiamo avanti con il lavoro» E non volle più che l'argomento fosse ripreso.

La sera stessa, Senmut volle sperimentare quello che Teti gli aveva detto. Ma, sentendo Hatshepsut rispondergli: «anch'io ti amo», non provò assolutamente nulla. Anzi, si rammaricò solamente che la pittrice, invece, non gli avesse mai detto una cosa del genere e, probabilmente, non l'avrebbe mai fatto. Si rese conto, in quel momento, che aveva iniziato, non ricordava bene da quanto, a pensare molto di più a Teti che ad Hatshepsut. All'inizio aveva pensato che fosse una cosa normale, in quanto la seconda era praticamente sempre davanti ai suoi occhi, sebbene non parlassero che di lavoro, ed in ogni stante poteva guardarla e toccarla, mentre la prima, sempre chiusa nel suo laboratorio di Per-Maat, era diventata un'entità invisibile e irraggiungibile, quasi una dea. Viste le sensazioni che il semplice gesto di toccare la pietra gli aveva dato, Senmut finì per credere che fosse veramente così. Eppure, amava Hatshepsut, o, almeno, aveva sempre creduto che fosse così. Eppure, il piccolo angolo del suo cuore era attualmente occupato da Teti e dall'immaginazione della sua vita semplice e magica.

Guardò fuori dalla finestra, al cielo stellato, e sognò di essere nel letto di Teti ed avere lei appoggiata al suo petto, invece di Hatshepsut, ed, essendo lei addormentata, non provò il minimo rimorso. Ma Teti, in quel momento, stava dormendo, e non lo sognava affatto.

Review:

Tiger Eyes: Come sempre, grazie delle recensioni ^///^ Non sono mai sicura di riuscire a dare così tanto sentimento alle mie storie, ma spero di si ^^ Per quanto riguarda questo capitolo, so che le donne in Egitto non erano guerriere, però mi piaceva troppo l'idea di uno scontro del genere ^^ Spero che piaccia anche a te ^^ Per il capitolo precedente, anche io pensavo che "papà" fosse un po' troppo poco formale, però "padre" mi sembrava al conbtrario fin troppo formale... Vabbè, appena ritrovo il file con capitolo in HTML modifico tutto ^^ E ancora tantissimi grazie per tutti i consigli che mi dai! ^^ Alla prossima ^^

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Tuthmosis respirò profondamente l

 

Tuthmosis respirò profondamente l’alito di Shu che gli entrava nei polmoni, così forte e così caldo, sulle rocce aguzze che sormontavano la Grande Prateria. Da quando era stato incoronato, non era mai venuto in quei luoghi, e non era mai rimasto così solo. Aveva preferito restare a palazzo ed imparare almeno le procedure amministrative che sorvegliavano l’Egitto da secoli. In quegli anni si era impegnato molto e, se non era ancora riuscito ad imparare totalmente cosa significasse essere Horus e Seth, almeno sarebbe stato un monarca con una buona capacità burocratica.

Quel giorno, nel quale ricorreva l’anniversario della liberazione dagli Hyksos, a palazzo era stata organizzata una grande battuta di caccia e lui, che avrebbe dovuto capitanare una squadra, ne aveva invece approfittato per liberarsi un po’ dagli impegni che, per quanto potesse sforzarsi, sembravano insormontabili per le sue spalle ancora troppo deboli.

La valle dei Re gli piaceva, perché si sentiva a contatto con i sovrani passati, che avevano provato le sue stesse sensazioni. Camminando in quei luoghi, si sentiva più a casa che nel suo stesso palazzo, e i suoi sentimenti uscivano liberi e scorrevano come il sangue nelle vene, tornando più forti e più dolci, capaci di proteggerlo come una corazza.

Arrivando alla fine del dirupo, potè notare, dall’altra parte della roccia, il tempio funerario di Hatshepsut, che emanava la stessa tranquillità della valle che aveva appena percorso. Pensando che a quell’ora non avrebbe dovuto esserci nessuno a lavorare, decise di entrare per dare una controllata. Il soprannome che aveva l’edificio era certamente dovuto alla sua struttura magnificente, ma Tuthmosis era più interessato ai dipinti sulle pareti: invidiava un poco le persone che erano in grado di creare ciò che volevano con il solo utilizzo di un pennello e un liquido colorato.

La prima scalinata e la porta d’ingresso dovevano essere ancora completate, perciò non si ci soffermò molto, iniziando a camminare circospetto lungo le altre sale. Si vergognava come un profanatore di case d'Eternità, sebbene in quel tempio non ci fosse ancora sepolto nessuno. Era come entrare in un altro mondo, talmente estraneo al suo da apparire soffocante.

«Maestà!»

La sua visita fu disturbata e lui perse tutta l’energia che aveva accumulato fino a quel momento. «Nehesy…» mormorò riconoscendolo. «Che ci fai qui?»

Il visir avrebbe potuto fargli la stessa domanda, ma non poteva, trattandosi del suo sovrano. «Volevo guardare l’affresco che la regina mi ha fatto dedicare per i miei meriti» spiegò, rialzandosi dall’inchino che aveva appena fatto per onorarlo. «Ho pensato che fosse meglio venire quando non c’era nessuno…»

Tuthmosis gli si affiancò. «Ah, giusto, il merito della spedizione a Punt…» disse con leggero sarcasmo, mentre si metteva a guardare l’affresco con occhi annoiati.

«Devo dedurre che l’esito della spedizione non sia stato di tuo gradimento?» Nehesy si sentì leggermente offeso, visto l’impegno che aveva messo in quella missione pericolosa che Hatshepsut aveva voluto affidare a lui solo, ritenendolo l’unico capace.

«Oh, no» rispose Tuthmosis con noncuranza. «Vino, avorio, gemme… Hai portato tante belle cose…» In realtà, sembrava che delle imprese di Nehesy poco gliene importasse. Si interessava maggiormente al disegno, che non lo soddisfava affatto. Non che non fosse bello, o poco proporzionato, eppure non possedeva quell’energia che lui si aspettava di trovarci dentro.

«Non sono state sufficienti?» chiese ancora il visir, che al contrario attribuiva alla sua avventura più importanza che alla sconfitta di Apopi.

«Si, invece» Ecco, il paesaggio dipinto sulla parete non era Punt. E non era neppure l’immagine che il disegnatore aveva di Punt. Consisteva di più in una via di mezzo fra le due cose e il risultato era veramente scadente. «Solo che io non avrei perso tempo per una spedizione del genere…» Se l’akh di Sinuhe fosse capitato in quel luogo, avrebbe probabilmente preferito essere divorato da Ammit, piuttosto che sopravvivere assieme ad un oggetto del genere. L’affresco avrebbe dovuto dare l’idea di essere a Punt, invece lasciava l’osservatore nello stesso posto devo si trovava. «…specie quando i nostri confini sono minacciati»

Nehesy si accigliò. «Vuoi forse insinuare che gli ordini di sua maestà sono sbagliati?»

Tuthmosis fece un respiro profondo: odiava parlare con persone che amavano, nel vero senso della parola, così tanto Hatshepsut da fraintendere ogni sua singola parola come un insulto personale. «No, dico solo che bisognerebbe pensare anche un po’ alla guerra, e non solo alla pace» cercò di spiegarsi. Sapeva il motivo che aveva spinto la regina a non intraprendere nessuna azione militare, e lo aveva capito, ma continuava a non condividerlo. «I principi degli stati cuscinetto si stanno facendo troppo indipendenti, ultimamente… Bisognerebbe dar loro una lezione sulla potenza dell’Egitto»

«Sua maestà Hatshepsut ha voluto solo il bene dell’Egitto!» iniziò a strillare Nehesy, che continuava a fraintendere le sue parole, nonostante si trovasse davanti al suo sovrano. «Era da prima degli Hyksos che le Due Terre non avevano un periodo di pace e prosperità come questo! E le terre che abbiamo perso sono niente al confronto!» Riprese fiato, cercando di moderare la voce, trovandosi comunque di fronte al suo sovrano. «Puoi andarci tu in guerra, Faraone…» Ed marcò questa parola, per ricordare al giovane che, in realtà, non comandava affatto.

«Che Seth ti porti!» esclamò arrabbiato Tuthmosis. «Vai immediatamente fuori di qui!» E senza aspettare che obbedisse, passò nella camera successiva, e in quella dopo ancora, cercando di calmasi, finchè non giunse in fondo all’edificio. Non sopportava Nehesy, che si dava arie da gran guerriero ed esploratore, mentre probabilmente non aveva mai combattuto, nemmeno con una banda di beduini. Ma gli avrebbe dimostrato quanto si sbagliava: gli augurò di non morire prima di vederlo andare sul campo di battaglia, alla testa delle sue due divisioni, e sconfiggere il nemico.

Tirando un respiro profondo, si guardò finalmente intorno e sentì il suo cuore accelerare i battiti come mai gli era capitato prima d’ora. I disegni su quelle pareti erano… vivi! Guardando l’immagine di Amon, che presentava Hatshepsut all’assemblea, gli sembrava di sentire la voce del dio risuonargli nelle orecchie, e le immagini tremolavano davanti ai suoi occhi come se si muovessero. Percepì di essere diventato lui un affresco dipinto sulla parete, che osservava quella scena immobile e impossibilitato a farlo. Lentamente, alzò una mano per accertarsi che non fosse proprio così.

«Per favore, non toccare» lo interruppe una voce. «E’ ancora fresco» Una donna era entrata nella stanza dall’altra porta, e adesso lo stava guardando, ma senza rimprovero alcuno. Tuthmosis obbedì, perché mai avrebbe voluto rovinare quella scena. Rimase quindi ad osservarla, posando lo sguardo sui suoi capelli ricci e lunghi e sul suo vestito leggero, che nascondeva un corpo ancora snello. La mano sottile teneva ancora stretto nel pugno un pennello sottile, che gocciolava di rosso come se fosse stato sangue. Bastava la sua sola presenza, infatti, a rendere vivo il colore.

Anche lei lo osservava, traendo le sue conclusioni personali. Era un bel ragazzo, giunto probabilmente alla sua diciottesima Inondazione, con i lineamenti delicati, che dimostravano da quanto poco tempo avesse lasciato l’infanzia alle spalle, e gli occhi neri, ma scintillanti come il cielo stellato. Benché non lo avesse più visto dal funerale di Tuthmosis II, lei non fece fatica a capire di chi si trattava. Poi, con una leggera alzata di spalle, ritornò nella stanza da dove era venuta e si rimise al lavoro. Tuthmosis non poté resistere alla tentazione di seguirla per ammirarla all’opera. Anche le nuove pareti, sebbene ancora incomplete, davano già una sensazione di vita e spazio aperto.

«Hai disegnato tu il racconto della spedizione a Punt?» le chiese, sapendo già la risposta.

«No, è stata Hebi»

Tuthmosis sorrise soddisfatto. «Sappi che quello là non si merita affatto i tuoi disegni, visto poi il lavoro che fa…» Dato che lei non gli rispondeva, continuò: «non credi anche tu che sia inutile vantarsi delle proprie imprese quando i principi confinati dichiarano guerra?»

«Direi di si…»

«Allora sei d’accordo con me!» esclamò soddisfatto il ragazzo.

«Però bisogna dire che Nehesy è stato abile a riportare così tante merci a poco prezzo da Punt e, inoltre, i territori persi non sono di capitale importanza»

«Quindi?» Tuthmosis batté leggermente un piede a terra. «Sei d’accordo con me oppure no?»

Lei si limitò ad alzare le spalle. «Io devo solo obbedire agli ordini di Ptah»

«Ma non hai un’idea tua?» Lui inarcò un sopracciglio, mentre le guardava la schiena, sperando che si voltasse. La trovava veramente strana. Forse perché era abituato ad essere circondato da persone che avevano fin troppe opinioni personali e cercavano in convincerlo che fosse giusto solo come la pensavano loro.

Finalmente, si girò a guardarlo «No» Involontariamente, il suo sguardo si abbassò sul suo petto nudo, muscoloso, ricoperto da lividi per i duri allenamenti a cui si sottoponeva. Se ne vergognò, e subito dopo si vergognò per essersene vergognata. Era stato un semplice movimento, di cui lui non si era nemmeno accorto. Niente di imbarazzante. «Ma se pensi che la tua idea sia corretta, seguila» Si voltò, incapace di reggere un minuto di più lo sguardo di quel ragazzo, che parlava di cose ancora troppo grandi per lui, e tornò a dipingere.

Solo allora, Tuthmosis si ricordò di una persona che aveva sentito nominare da Hatshepsut stessa, in tono molto malinconico, e che corrispondeva alla donna che aveva davanti. «Ho capito chi sei…» mormorò allora, senza preoccuparsi di infastidirla. «Tu sei Teti, quella che ha dipinto la tomba di mio padre…»

«Così mi hanno chiamata mio padre e mia madre» rispose semplicemente lei, simile ad una pietra sotto la pioggia dirompente. Eppure, in fondo al cuore si sentì un poco orgogliosa che addirittura lui la conoscesse.

«Dicono che tu sia una grande amica della reggente e del suo amante, Senmut…» continuò Tuthmosis imperterrito, nonostante questa fosse solo un’illazione che si era sparsa a palazzo, solo perchè lei era stata scelta come caposquadra al posto di Hebi, la moglie di Nehesy, che godeva di maggior considerazione grazie al suo carattere solare. «Hatshepsut non ha mai confermato…» Ed era vero, a parte quell’unica volta in cui l’aveva nominata, e solo a lui, quasi in segreto.

Perché le persone continuavano a ricordarle la loro amicizia infranta? Un tempo, quand’era ancora giovane e ingenua, aveva creduto all’illusione che qualcosa potesse durare per sempre. Adesso, invece, sapeva che nulla era eterno, tranne gli dei. E gli dei, per Teti, non erano meno deboli degli uomini, nelle loro passioni. Ed erano, perciò, infinitamente più tristi dei mortali, perché non vi era via d’uscita dai sentimenti. Per questo aveva scelto la strada meno semplice, ma più sicura: la totale indifferenza da qualunque cosa. Ma era solo un’illusione che si stava creando, e che non la faceva affatto soffrire di meno, ricordando ciò che era successo. «Dicono male» Teti iniziava ad essere seccata da quell’atteggiamento. Curioso, lei aveva una pazienza infinita a sopportare i seccatori. Perché quel ragazzo la irritava tanto? Era il Faraone, a maggior ragione avrebbe dovuto tollerarlo. Si chinò, cercando di ristabilire la sua solita espressione indifferente, e inizio a mescolare l’ocra rossa nella ciotola di porcellana.

In un attimo, Tuthmosis si gettò sopra di lei, immobilizzandola a terra per i polsi, come, molte Inondazioni prima, aveva fatto anche Senmut. Non era vero e lo aveva capito, perché quella frase aveva lo stesso tono della regina, quando le aveva raccontato della pittrice dalle mani di Ptah. «Che direbbe Hatshepsut, se adesso ti violentassi?» Era solo un’ipotesi. Sapeva bene che lo stupro, in Egitto, era punito con la pena di morte: aveva voglia di spaventarla e di farla reagire. Non sopportava l’indifferenza che dimostrava, specialmente nei confronti della sua matrigna, che, invece, gli era parsa molto triste.

Il cuore di Teti accelerò all’improvviso, sconvolgendola. Era il suo fiato, il fiato di Tuthmosis, che le attraversava leggermente il collo, ciò che la imbarazzava, ciò che le faceva tremare ogni singola fibra. Non erano le sue parole, le quali, semplicemente, avevano attraversato la sua mente veloci come il veleno di uno scorpione. «Niente» mormorò lei, cercando di mantenere sul volto un’espressione totalmente indifferente. «Ma tu fa ciò che devi» Non che Teti non avesse paura di essere violentata, semplicemente aveva cercato di autoconvincersi che nulla, all’esterno, fosse capace di ferirla. Un autoinganno, peggiore di qualsiasi altra cosa.

Tuthmosis allentò la presa sui polsi di lei, sorpreso che nemmeno quello avesse funzionato. «Sembra che non ti importi nulla…» sussurrò lievemente. «Niente di ciò che ti accade intorno»

«Ho smesso di farci attenzione» rispose Teti, con il calore che le aumentava fino al viso. «Ho perso troppo per desiderare qualcos’altro»

«O, forse, non hai mai avuto nulla…» Tuthmosis si chinò dolcemente, fino a sfiorare le sue labbra con un bacio così lieve che sembrava un soffio di vento sulla pelle. Quant’era diverso da quello di Senmut! Questo era così… Così… Teti chiuse gli occhi, cercando di assaporare ogni momento. Lui, senza nemmeno rendersene conto, premette un poco più forte, non per farle male, ma per prolungare quel piacere, tanto che far penetrare la lingua fu quasi un gesto naturale.

Durò finchè entrambi non furono costretti a prendere fiato. A quel punto, un leggero rumore di passi si sentì provenire lungo il corridoio. Tuthmosis, di scatto, si alzò. Poggiò una mano sulle labbra, sconvolto. «Io… Io… S-scusa…»

«Un Faraone non deve chiedere scusa…» Teti si rialzò tremando. Che cosa stava facendo? Le lacrime le uscirono da sole, senza che lei riuscisse in alcun modo a controllarle. Era terribile. Dopo aver passato così tanto tempo a cercare di essere indifferente a tutto e a tutti… Il sentimento che provava in quel momento era tale da farle scordare ogni cosa. Il battito, accelerato, le ronzava nelle orecchie, pulsando dolorosamente nelle tempie. Allorché i passi lontani divennero più nitidi, Tuthmosis scappò via, lasciandola in lacrime.

«Teti, che Iside ti conceda una buona giornata!» Il viso sereno di Senmut, segnato sulla fronte da leggere rughe che lo rendevano più maturo, comparve sulla porta.

All’istante, lei si voltò, asciugandosi in fretta le lacrime e iniziò a dipingere, senza rendersi veramente conto di ciò che toccava con le lunghe dita macchiate di rosso. «Ho molto da fare…» riuscì a dire, deglutendo l’ansia che le saliva frettolosamente sulla gola. «E anche tu, immagino»

Lui sbattè le palpebre, stupito. Teti era sempre stata felice di vederlo. Per lo meno, felice nel limite delle possibilità di quella ragazza, che raramente mostrava al pubblico i suoi sentimenti. Dalla morte di Tuthmosis II, poi, quei momenti si erano ridotti al nulla. «Si, in effetti…» mormorò imbarazzato. «Come procedono i lavori?»

«Bene, se mi lasci lavorare» Il suo tono era tremendamente seccato, poiché stava continuando a pensare intensamente: «vattene! Vattene!» Lei, però, non lo faceva per impedire a Senmut di vederla piangere, ma perché, in quel momento, desiderava avere qualcun altro accanto.

«Va bene» acconsentì infine lui, tristemente, mentre si allontanava a piccoli passi dalla stanza, nella speranza che lei lo richiamasse. Speranza vana. Certo, Senmut aveva sempre desiderato che Teti mostrasse apertamente le sue emozioni, ma non che questo avrebbe portato ad una specie di odio verso di lui. In fondo, se lo meritava, ma non credeva così tanto.

Quando lei smise di sentire il soffice rumore dei sandali sul pavimento di pietra, Teti alzò finalmente lo sguardo, per rimirare il suo dipinto. Nella confusione, il viso di Hatshepsut era diventato rosso, come l’ocra che aveva ancora sulle dita. Senza curarsi di ciò che poteva capitare al dipinto, lei vi appoggiò un braccio, sospirando. Cosa le stava accadendo? Perché aveva scacciato in questo modo Senmut? Erano già passate molte lune dal loro ultimo incontro… La realtà era che, per la prima volta in vita sua, lei era felice.

«Teti…»

Il sentire nuovamente la sua voce procurò un ulteriore accelerare del suo cuore, già debilitato, e i brividi si propagarono lungo tutta la spina dorsale, fino a giungere al suo viso caldo. Si voltò verso di lui, che sorrise nel non vedere più un’espressione indifferente. Sembrava ringiovanita. Teti strinse le mani, cercando di resistere ad un impulso improvviso. Fallì. Si avvicinò a lui, appoggiando le mani sulle sue guance, lasciando così due segni rossi. Poiché erano alti uguale, da quella posizione era facile sentire il respiro dell’altro, sentirne i battiti, i brividi, l’ansie e le aspettative. Da quella posizione era facile baciarsi.

«No…» mormorò Teti debolmente, sentendo il sapore delle sue labbra come miele e latte. «Non possiamo!» Si staccò, rimanendo ad osservarlo con evidente dispiacere.

«Perché no?» Il disappunto comparve sul viso di Tuthmosis, mentre si leccava le labbra, cercando di trattenere il gusto che aveva sentito per più tempo possibile. «Insomma… Ci siamo appena conosciuti, lo so… Ma io…» Le parole per descrivere ciò che provava non venivano, poiché non ve ne erano.

«Sono troppo vecchia per certe cose» commentò Teti. «E tu sei sposato»

«Menti» scosse la testa lui. «Non sei certo così fedele alle regole…» Si tolse la semplice parrucca nera che indossava, lasciando libera la testa, dalla quale era stata da poco tagliata la treccia dell’infanzia. «Io non amo mia moglie. Come potrei amare la figlia dell’assassina di mio padre? E per l’età… Horus ama Hathor, benché lei sia nata col sole»

«E’ vero…» sorrise Teti. «Io non ho mai rispettato le regole…» Si strinse nelle spalle. «Forse sbagliamo, e verrà fuori un disastro… Tutti conoscono gli ingredienti dell’amore, ma le dosi le dobbiamo inventare al momento…»

«Io lo voglio più dolce delle focacce al miele…» disse Tuthmosis. «Perché sarà l’unica cosa vera nella mia vita. L’unica mia veramente. L’unica che voglio donare a te, affinché nessuno possa portarmela via»

«Ti amo, Tuthmosis» Teti aveva dovuto aspettare trentatre Inondazioni, prima di capire che ciò che provava per Senmut non era amore. Era solo abitudine.

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


La porta dello studio del Faraone si aprì

 

La porta dello studio del Faraone si aprì. Senmut non aveva bisogno di bussare. Sepolta sotto un mucchio di papiri, Hatshepsut mordicchiava leggermente una pagnotta bianca, suo unico pranzo, mentre esaminava un foglio dipinto con colori vivaci.

«Dove sei stato?» chiese lei, senza alzare lo sguardo, sapendo di chi si trattava.

Senmut appoggiò le mani alla scrivania in ebano. «Al tempio funerario, per controllare i lavori»

«Non è compito tuo» replicò Hatshepsut calma, iniziando a scrivere geroglifici con la sua grafia chiara e precisa.

Lui la ignorò. «Perché hai cacciato via Teti?»

Lei alzò lo sguardo, fissandolo con odio. «Io non ho cacciato via nessuno» disse pericolosamente. «Sono il Faraone. Non farei mai qualcosa che possa danneggiare anche uno solo dei miei sudditi»

Spaventato da quello sguardo, Senmut si pose sulla difensiva. Gli faceva spesso paura, specie quando parlava dei suoi compiti di Faraone che, alla fine, metteva sempre sopra di tutto. «Al tempio… Mi hanno detto che se n’è andata»

«Esatto» convenne Hathsepsut. «Ha deciso di andarsene spontaneamente e io, da amica, non l’ho fermata» L’amicizia di pensare che, senza di lei, Senmut non sarebbe stato che suo, solo suo.

«Ma… ma perché?» Lui si ritrovò ad essere in preda all’ansia. Non era un atteggiamento di Teti lasciare un lavoro a metà. Doveva per forza essere successo qualcosa. «E… ha detto dove andava?!»

«Forse a Bast, o a Men Nefer… Non ne ho idea…» Alzò le spalle in un gesto di noncuranza. «Nella terra di Uadjet, comunque»

«Davvero non ti importa?» Senmut cercò di calmarsi, o, almeno, di dimostrarle che era tranquillo.

«Certo che mi importa!» sbottò lei. «Teti… Non mi ha voluto dire nulla…» Si morse il labbro. «Volevo essere ancora sua amica, ma lei… Ha rifiutato… Mi ha detto che… Ormai era troppo tardi…» Hatshepsut stava per fare qualcosa che nessuno avrebbe dovuto vedere: piangere.

«Quando parte?» chiese deglutendo lui.

«Oggi, quando Nut inghiottirà la barca di Ra» Senmut annuì e fece per andarsene. In quel momento, come spesso le accadeva, il forte sentimento che provava per Teti scomparve nuovamente, sostituito dall’invida e dalla rabbia che sentiva per non essere mai riuscita a fargliela dimenticare. «Se andrai da lei, sappi che non ti amerò mai più» Come se si potesse decidere una cosa del genere. Ma lei era così… così orgogliosa! Pur di rispettare quella parola rabbiosa, avrebbe rinunciato all’unica, vera gioia della sua vita.5

La barca solare di Ra si stava avvicinando sempre di più all’orizzonte, pronta ad essere nuovamente divorata, come ogni giorno, da Nut, quando Senmut giunse a Per-Maat. Lasciò il carro in custodia al soldato che l’aveva accompagnato e corse velocemente lungo l’unica via del villaggio, verso la solita casupola piccola e sporca dov’era cresciuto assieme a lei.

Teti era là davanti, coperta da una lunga veste bianca e da un mantello che la proteggevano dal freddo delle notti egiziane. Accanto a lei, un carro, di quelli in dotazione all’esercito regolare, con due cavalli marroni che scalpitavano leggermente, agitando le lunghe chiome e sollevando suggestive nuvolette di polvere. Sul carro, una persona, probabilmente un ragazzo, da quello che si poteva capire osservando le gambe, nude fino ai polpacci. Il resto del corpo, era coperto da un mantello rosso come il sangue, che teneva nascosto il viso come nella grotta di Hapy.6 «Temevo di non fare in tempo!» esclamò annaspando quando la raggiunse, cercando di riprendere fiato per la corsa disperata, con le mani appoggiate alla ginocchia leggermente piegate.

«Per cosa?» sorrise dolcemente Teti. Il suo volto, in questo momento, risplendeva più di Ra, se questo fosse stato possibile.

«Perché parti?» le chiese lui disperato. «Resta! Voglio che resti!»

Lei scosse leggermente i capelli neri e ricci. «Ho deciso di vedere il mondo. Non ho più voglia di dipingere» Ignorò la seconda parte della frase.

«Ma... Ma dicevi che dipingere era tutta la tua vita!» Senmut era sempre più sconvolto. Forse un demone si era impadronito di lei! Era così diversa dal solito… Cos’era quel sorriso che sembrava impossibile da oscurare? Gli occhi brillavano come le sette figlie di Hathor7, resi ancora più affascinati dalla sottile linea nera del kohl che li incorniciavano. Proprio Teti, lei che aveva sempre odiato i trucchi!

«Si, è vero» assentì lei spandendo gioia accanto a sé. «Ma adesso mi sono ricreduta. La mia vita non può essere la pittura»

Lui era sicuro di non averla mai vista così felice. Fin da piccola, era stata sempre così seria e pacata… «Dove pensi di andare?»

Lei alzò le spalle. «Dovunque, non importa» Allargò ancora il suo sorriso. «Vagherò, come Iside»

«Resta, invece» ripetè dunque Senmut. «Io amo te… Me ne sono accorto solo adesso…»

Dolcemente, Teti gli accarezzò una guancia. «Forse lo credi» gli sussurrò, facendogli scivolare il fiato sulla pelle. «Ma non è così» Scuotendo leggermente il lungo mantello, salì delicatamente sul carro, appoggiandovi sopra anche una leggera sacca che conteneva tutta la sua poca roba. Ai piedi del conducente mascherato, Miu-Miu dormiva tranquillo. «Che Ptah ti protegga sempre, Senmut. Addio»

Il ragazzo tirò le briglie dei cavalli, che non aspettavano altro. Il carro partì in una corsa folle, allontanandosi prima che Senmut avesse il tempo di ribattere. Cosa avrebbe potuto dire, in fondo, se non ricambiare l’augurio di felicità? Tutto il resto, era già stato detto.

 

«Sei sicura di aver ingoiato una fava, vero?» le chiese lui, manovrando con abilità i due destrieri. La domanda attraversò dolcemente l’aria.

Teti osservava il paesaggio scorrere attraverso i suoi occhi, sfocato come il riflesso nell’acqua. «Si, ho fatto tutti i controlli» Dolcemente, si accarezzò il ventre. «Sarà un maschio»

Lui sospirò. «Allora, perché non sei rimasta con Senmut?» Formulare quell’interrogativo era una necessità che il suo cuore non desiderava fare. «Ha detto che ti ama»

«Per due motivi» rispose Teti annoiata. «Il primo è che, no, lui non mi ama affatto. Senmut ha sempre e solo amato ciò che non aveva. All’inizio, credevo che amasse la mia tranquillità, invece non è così. Se si fosse sposato con me, mi avrebbe tradita per Hatshepsut. Invece, è accaduto il contrario» Sorrise dentro sé stessa, debolmente: per la prima volta in vita sua, aveva mostrato apertamente un sentimento, la felicità, e l’aveva fatto unicamente per deludere un uomo, non perché volesse farlo davvero. Ironia della sorte.

«Amare ciò che non sia ha… Un po’ lo capisco…» Lui sorrise debolmente. «E il secondo?»

«Amo te, Tuthmosis»

Il reggente tirò forte le briglie dei cavalli, facendo fermare il carro.

«Cosa fai?» si stupì lei.

«Ci fermiamo qui, ormai è notte» sorrise Tuthmosis. «Riprenderemo domani la strada per Men Nefer»

«Qui?» Teti guardò la sabbia soffice e rossastra che li circondava. Poi emise un piccolo sbuffo dolce. «Sei un demone dispettoso…» Scese dal carro, stiracchiandosi. Le stelle, in cielo, piovevano forte, luminose come non mai.

Tuthmosis si tolse il mantello, gettandolo a terra. Anche lui non aveva voglia di dormire. «L’amore di Hatshepsut è passione» trasse le conclusioni, infine. «L’amore di Senmut è cambiamento. Il nostro amore, invece, com’è?»

Teti si sedette a terra, incrociando le gambe. «Il nostro amore è eterno» rispose. «Perché sarà il dolce ricordo di ciò che è stato, ed il triste rimpianto di ciò che non sarà mai»

Tuthmosis si grattò la testa in cui era ormai ricresciuta una soffice capigliatura corvina. «Almeno per stanotte, allora» sorrise. «Facciamolo diventare un ricordo e non un rimpianto» Sdraiandosi accanto a lei, sapeva che sarebbe stata l’ultima volta. Valeva allora la pena trovare un amore eterno, che si potesse vivere solo nel cuore? Tuthmosis non sapeva rispondere. Teti nemmeno.

Il loro destino, però, decisero di non cambiarlo. Entrambi preferivano l’eternità all’amore.

 

Hatshepsut, invece, non sapeva esattamente cosa preferire, o cosa sarebbe stato giusto preferire. Seguiva il suo carattere impulsivo, e l’istinto divino di figlia di Amon. Sembrava che non esistessero più né passato né ricordi, ma solo il presente delle ultime ore. E queste, le avevano appena portato via Senmut. Eppure, non capiva precisamente il motivo, non era arrabbiata con la persona che gliel’aveva rubato, no, perché non era, non del tutto, colpa sua. Se Senmut si fosse opposto… Ma lui non desiderava farlo.

«Maestà?» Hebi, inchinata a terra davanti a lei, all’entrata del tempio, alzò leggermente la testa, guardandola incuriosita. Cosa stava guardando in quella stanza, non ancora dipinta, di tanto importante da farle inumidire gli occhi?

Solo al suono di una voce totalmente estranea, il filo dei suoi pensieri venne tranciato. «Mostrami i disegni di Teti» ordinò allora, facendo alla donna segno di alzarsi.

«Si» Hebi annuì vagamente, quindi precedette la regina lungo i corridoi, fino alle ultime stanze, elencando, come se fosse stata un mercante della Fenicia, tutti i dipinti della sua rivale, e descrivendo, senza che ce ne fosse alcun bisogno, il significato e la scena che rappresentavano.

«Sono molto belli…» sussurrò Hatshepsut. «Anzi, sono bellissimi…» Teti aveva superato se stessa, per quell’opera, eppure aveva deciso di lasciarla incompiuta. Perché? La pittura aveva sempre superato l’affetto per chiunque, o almeno così credeva… Ma Senmut era andato a salutarla… Che ci fosse qualcosa che lei, il faraone d’Egitto, ignorava? Non poteva sopportarlo.

Hebi, in un angolo, si limitò ad annuire, a disagio. Sentiva di trovarsi alla presenza degli dei dipinti sulle pareti, e ne aveva timore.

Hatshepsut si spostò lentamente, senza più seguire le istruzioni della sua guida, anzi iniziando a dare consigli su come proseguire l’opera nei punti in cui non era ancora stata completata. Giunse infine davanti ad un’entrata, l’unica del tempio che possedeva già una porta, chiusa. «Cos’è?» domandò stupita.

«N-Non lo so…» balbettò Hebi, sentendosi mancare. Era vero: non conosceva assolutamente il contenuto di quella stanza e questo avrebbe potuto comportare una brutta figura, non conoscendo nemmeno la situazione all’interno dell’edificio dove lavorava. Ma avrebbe dovuto rassicurarsi: non era ancora caposquadra, ai tempi in cui la stanza era stata chiusa. «Nebamon e Senmut non mi hanno dato istruzioni in merito…» si giustificò.

Allora, Hatshepsut si ricordò di una proposta che il suo amante le aveva fatto, anni prima. “Vorrei essere sepolto assieme a te, e vorrei che i miei dipinti affiancassero i tuoi, per essere insieme anche nel regno di Osiride”. Lei ne aveva riso, con la spensieratezza di una giovane innamorata, e gli aveva dato uno scherzoso consenso: che lui non lo avesse interpretato nello stesso modo suo? Eppure avrebbe dovuto sapere che nessun Faraone avrebbe mai permesso una cosa del genere… Per quanto amore avesse potuto esserci, si trattava sempre del prestigio del sangue divino. «Aprila»

Hebi, un poco curiosa anch’essa di scoprire cosa Teti avesse segretamente dipinto, spinse lentamente la porta, scoprendola niente affatto sigillata. Si trattava di una piccola stanza sepolcrale, con tanto di sepolcro in pietra, con le pareti meravigliosamente dipinte a giardini fioriti, nei quali Senmut offriva dono agli dei. Impossibile non riconoscere i suoi lineamenti in quelle figure.

Hatshepsut si accigliò vagamente, dimostrando anche ad Hebi quanta fosse la sua indignazione. A palazzo, Senmut non aveva mai accennato ad una simile cosa. In fretta, corse a verificare anche nelle altre stanze, scoprendo immagini di Senmut nei luoghi più nascosti, o, almeno, in quelli che, a tempio finito, nessuno avrebbe mai visto, essendo coperti dalle ante delle porte che, durante il cerimoniale, nemmeno lei avrebbe potuto chiudere per verificare cosa nascondessero. Guardando quella figura, che tante volte aveva stretto fra le braccia, sorridere offrendo doni ad Amon, il suo dio più caro, venne assalita da un moto di disgusto.

Non aveva mai dubitato, neppure per un istante, dell’amore che Senmut provava per lei, che fosse regina oppure no. Per la prima volta, però, osservando il meraviglioso dipinto di Teti, ebbe il dubbio di essersi sbagliata, di aver consegnato tutto quello che aveva all’uomo sbagliato. Lei lo amava ancora profondamente, mentre lui era appena andato a salutare un’altra donna, una che non l’aveva mai voluto o che, almeno, non gliel’aveva mai fatto sapere. Non pensò nemmeno che quei ritratti potessero essere opera solo della mente di Teti: quando si trattava di dipingere, lei obbediva al suo cuore per quanto riguardava la disposizione e i colori, agli dei per quanto riguardava il tratto e agli ordini per quanto riguardava il soggetto. Mai avrebbe dipinto qualcosa per conto suo in un luogo sacro.

Ecco perché se n’era andata! Pensò Hatshepsut. Doveva aver scoperto che lei era contraria a questi dipinti, mentre Senmut le aveva fatto credere il contrario, e aver pensato di non poter rimanere più a Waseb dopo quella che lei aveva probabilmente considerato quasi una profanazione. Si capiva che aveva dubitato di quel soggetto dall’inizio, a causa del tratto leggermente tremolante. Quel disegno sembrava vivo nel riflesso del Nilo. «Sciocca» mormorò sottovoce. «Non sai che il Faraone parla per Maat e tu non saresti stata accusata di nulla?»

«Ce ne sono veramente tanti…» commentò leggermente Hebi, che l’aveva seguita a ritmo più lento. Rabbrividì, quando Hatshepsut le scoccò un’occhiata furente.

«Troppi» disse, sistemandosi la parrucca mentre si allontanava da lei. «Distruggili tutti, dal primo all’ultimo»

Hebi rabbrividì ancora. Poi, molto lentamente, esalò: «N-Non posso farlo…» Deglutì. «Anche io sono una pittrice, e non posso distruggere il lavoro di Teti» Lei odiava quella donna o, almeno, aveva sempre creduto che fosse così. In realtà, la invidiava soltanto per una capacità che gli dei non avevano concesso ad entrambe nello stesso modo. Avrebbe tanto voluto che Teti gli insegnasse come operare, ma la sua indifferenza verso tutto le aveva sempre impedito di chiederglielo, facendole forse credere che la disprezzasse, mentre era tutto il contrario. Anche quando aveva sposato Nehesy, tutti aveva pensato che l’avesse fatto per ottenere il ruolo di caposquadra da Deil-er Bahari. Non era così, perché se fosse davvero accaduto, sarebbe stata Hebi stessa a rifiutare in favore di Teti. «I suoi disegni sono vivi e io non posso ucciderli»

Hatshepsut sorrise. «Hai ragione» Fu in quel momento che qualcosa cambiò nel suo spirito. Si, aveva sacrificato tutto a Senmut, anche la cosa che aveva più cara al mondo, l’amicizia di Teti, eppure, nonostante questo, lui non aveva mai pensato solo a lei, perché la pittrice finiva sempre al centro del suo pensiero. E all’amore, in quell’istante, venne sostituito un leggero disprezzo per un uomo che non aveva avuto nemmeno il coraggio di ripetere a quella che avrebbe dovuto essere la donna della sua vita il suo desiderio segreto di riposare per l’eternità con lei. «Troverò qualcun altro» disse poi. Quello stesso uomo, aveva appena costretto l’altra donna della sua vita a lavorare per lui controvoglia, forse per un suo capriccio personale, e avrebbe finito per far commettere ad una persona totalmente estranea alla vicenda un reato di cui si sarebbe pentita tutta la vita. «Continua pure il tuo lavoro» E lasciò il tempio e la pittrice dietro le spalle.

Poteva ingannarsi quanto voleva, ma non c’era via di scampo. Era colpa sua se aveva perso l’amicizia di Teti, perché era stata lei a litigare per prima. Certo, Senmut aveva le sue colpe, ed erano aumentate in quel frangente, ma era innegabile che anche lei ne avesse, forse proprio quanto lui. Cercò, debolmente, di immaginarli felici assieme, ma non vi riuscì. Nonostante il disprezzo che provava ora per Senmut, gli stracci del suo precedente amore continuavano a tormentarla, forse più per avergli dato fiducia che per altro, per non parlare del ricordo della lontananza di Teti, ormai incolmabile. Alzò lo sguardo verso il sole, sapendo che non avrebbe cambiato idea rispetto a ciò che aveva deciso di fare con lui, e pianse.

 

Note di Akemichan:
Mi dispiace!! Mi dispiace tantissimo! Avevo promesso di aggiornare in tempi brevi, e invece è passata una vita! Chiedo venia, ma purtroppo ho poca ispirazione per finirla, nonostante mi manchi poco, e perciò sono anche poco motivata a proseguire la pubblicazione... E se non sono ispirata non potrei mai fare un bel capitolo, soddisfacente, e quindi non posso faci nulla. Chiedo ancora perdono, e cercherò di pubblicare il prossimo prima di natale ù_ù. Ancora tante scuse. Bye ^^


Tiger Eyes: Ciao ^^ Si, lo so che lo scoppio di amore fra Teti e Tuthmosis è improvviso e forse anche un poco azzardato, ma bisogna pensare che lui, che per diciotto anni non ha praticamente pensato all'amore, più concentrato al diventare faraone, trovandosi di fronte una donna che invece per amore ha perso troppo, bè, "non ci ha visto più"... E poi, ho troppo amato questa coppia ^///^ Spero che sia piaciuta anche a te ^^ Bye

Ayu chan: Ciao ^^ Sai, il fatto che Teti ti somigli mi fa pensare che io sia riuscita a non farla stereotipata... O almeno lo spero! Grazie per aver riletto tutti i capitoli mancanti. ^^ Bye

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


Untitled "Bast sembra bella" mormorò Teti, con le mani piegate sul grembo, mentre osservava la città dalla riva del fiume. Stava ferma nel limo, senza preoccuparsi, e sorrideva leggermente.
"Ascolta una cosa…" Tuthmosis, invece, aveva il viso oscurato dalle nuvole, appoggiato alla sua schiena, con gli occhi fissi a Ra, luminoso nel cielo. "Davvero non ti dispiace smettere di dipingere?"
"Lo farò ancora" rispose lei. "Mi troverò un lavoro presso un artigiano… Devo pur mangiare" Parlava con un tono distaccato e infantile, che non le era proprio.
"Ma non sarà la stessa cosa…" Lui pose le mani indietro, cercando senza successo le sue.
"No, certo" ammise Teti, dopo qualche minuto.
Tuthmosis si bloccò, sospirando. "Dovevi rimanere…"
Lei si alzò, spazzolandosi il vestito. "Non potevo, non più…"
Lui la seguì. "Perché no?! Chi-"
Ma Teti lo interruppe con un leggero cenno della mano, quindi, lentamente, gli fece appoggiare l'orecchio sul suo ventre. "Senti?" gli chiesi. "La mia vita non è più soltanto mia"
Tuthmosis, deglutendo, annuì. La amava, come amava quella creatura che stava crescendo, invisibile e al sicuro dal mondo, in quel luogo caldo o accogliente che tutti gli uomini apprezzano. Non sopportava di doverla lasciare, e non sopportava di averla dovuta costringere ad andarsene. Ma, lo sapeva bene, Teti non sarebbe mai più tornata sulla sua decisione. La sola cosa che poteva fare, era cercare di dare il massimo, in modo che lei fosse orgogliosa di lui.
"Devi andare" continuò lei. "Anche la tua vita non ti appartiene più, faraone" Quindi, dopo avergli accarezzato per l'ultima volta i capelli neri, che stava ricrescendo sparsi sulla testa abbronzata, si separò da lui, dirigendosi verso la città estranea.
Tuthmosis rimase a fissargli la schiena, sperando che si voltasse, cambiando idea, ma questo non avvenne. In realtà, sapeva benissimo che non sarebbe successo, ma fino all'ultimo aveva pregato. Dopo che la figura di Teti scomparve dalla sua vista, comprese che non sarebbe più riapparsa, nemmeno nella sua vita. Con un triste sorriso, riprese il carro: era ora di tornare ai suoi soliti, noiosi doveri. E mentre abbandonava il delta, rifletteva sul fatto che, proprio lui, il faraone dell'alto e basso Egitto, che avrebbe potuto avere tutte le donne di cui aveva bisogno per la sua discendenza, non avrebbe mai avuto l'unica che gli importasse veramente.
Il pensiero di come avrebbe affrontato la sua matrigna, la quale, ne era certo, avrebbe voluto sapere perché proprio lui aveva accompagnato Teti a Bast, lo tormentò per tutto il viaggio. Appena tornato a palazzo, rimase quindi molto sorpreso del fatto che lei non fosse venuta ad accoglierlo e, quasi offeso, decise di verificarne il motivo. Ebbe la fortuna di trovarla, sola, nel giardino, mentre si riposava dopo aver finito le udienze giornaliere.
"Era ora che tornassi" lo accolse lei, seduta a terra fra i fiori, tanto da sembrare in anziano sicomoro. "Bentornato" aggiunse poi, più piano, come se si vergognasse dell'affetto che stava iniziando a provare, se non per lui, almeno per il suo carattere deciso.
"Ti avevo avvertito che sarei stato via a lungo…" si giustificò Tuthmosis, rimanendo in piedi a qualche passo da lei.
"Non mi avevi detto dove andavi, però" replicò Hatshepsut. Lui abbassò lo sguardo, preparandosi alla sfilza di domande. Invece, lei si alzò, con una grazia molto diversa da quella di Teti, ma incredibilmente simile nei sentimenti. "E' ora di tornare a…" Si interruppe, vedendo lo sguardo, tra lo stupito e il colpevole, di lui. "Che c'è?" Si toccò il viso, preoccupata. "Sono forse invecchiata?"
"No, sei bella come sempre…" rispose lui, sempre più in agitazione. Possibile che non gliene importasse nulla? Aveva forse sbagliato a dare ad un racconto malinconico un'importanza che non aveva? "E' solo che… Non vedo Senmut!" cambiò improvvisamente argomento, approfittando dell'assenza dell'interessato.
Il viso di Hatshepsut divenne cupo come la morte. "L'ho licenziato. È tornato a fare l'intendente di Amon" E lo superò, segno che non voleva aggiungere altro.
"Hai fatto bene" Tuthmosis, dopo aver detto queste parole, se ne pentì improvvisamente, e si appoggiò le mani a coppa sulla bocca.
"Sai qualcosa che non so?" Lei si fermò e si voltò di nuovo verso di lui. Il ragazzo negò, scuotendo leggermente la testa, senza avere il coraggio di guardarla in viso. "Tuthmosis!" esclamò allora Hatshepsut, con un tono che non ammetteva repliche.
"E' solo che pensavo… Che forse si era solo approfittato del fatto che tu lo trovassi…" Lui non sapeva bene che parole usare. "Credo che amasse un'altra, e così…"
"Uhm…" La regina incrociò le braccia. "Nehesy mi ha detto che sei stato spesso al mio tempio funerario…" Lui non potè negare, ma maledisse mentalente il generale odioso. "Hai conosciuto Teti?" Ancora una volta, un cenno di assenso. "Sai perché è partita?" Questa volta, lui negò. Allora, Hatshepsut gli afferrò le spalle e lo costrinse a voltarsi verso di lei, fissandolo negli occhi. "Tuthmosis!"
I suoi occhi erano scuri e ipnotici. Era vero che non si poteva mentire davanti al custode di Maat… Quanto avrebbe voluto imparare a fare quello sguardo… Ma non era tempo di pensarci. Annuì lentamente, stringendo indietro le braccia. Allora, lei lo lasciò, lasciando scorrere le braccia lungo i fianchi del suo vestito azzurro, che ricordava le lacrime che stavano per sgorgarle dagli occhi. "Dimmi perché… Perché… I-Io… Cosa le ho fatto ancora…?"
"N-No! Tu non c'entri nulla…" disse in fretta Tuthmosis, sentendosi doppiamente colpevole. Aveva fatto rinunciare alla donna che amava il suo sogno più grande, e adesso, con le sue frase a metà, stava facendo soffrire la persona che stimava di più al mondo. Mai come in quel momento si sentì inadatto al ruolo di faraone. "E'… E' che… Teti è incinta"
Hatshepsut, il cui morale si era alzato un poco dopo la prima frase, si abbassò di nuovo. "Incinta?" ripeté, incredula, come se lui avesse detto che il faraone non discende da Amon. "Di… Di chi?" Lentamente, sentì la gola soffocarsi. Doveva essere lui, per forza. Doveva trattarsi di Senmut. Questo era l'unico motivo che avrebbe potuto spingerla ad andarsene, senza fare pace con lei un'ultima volta.
"Di… Di me" Tuthmosis comprese a chi stava pensando dalla sua espressione sconvolta e preferì scoprirsi pur di evitarle una delusione peggiore.
Hatshepsut rimase immobile, sbattendo le palpebre veloce come ali di farfalla. "Eh?" mormorò poi a mezza voce, senza capire bene quello che stava succedendo. Per la prima volta in vita sua, aveva davanti qualcosa di incomprensibile.
"Oh, è che… Io e lei… Insomma… E' successo che…" E, non riuscendo a spiegarsi come voleva, decise di rimanere in silenzio, come la dea della Grande Prateria.
"Io non ci posso credere…" Hatshepsut si mise le mani sul volto, piangendo e ridendo assieme. "Tu e Teti… O grande Ra…" In quel momento, non sapeva precisamente quali sentimenti si agitassero nel suo cuore. Di sicuro, la sua amica non era una che andava con il primo venuto, né tanto opportunista da approfittare del giovane principe. Doveva quindi trattarsi di amore vero, sebbene fosse una cosa così assurda. Ma la regina sapeva bene come ci si sentisse ad essere innamorate e, a quanto sembrava, ricambiate, perciò non poteva che essere felice per lei, eppure la lontananza le era insopportabile. "Perché se n'è andata?" si domandò poi, cercando di calmarsi.
"Perché io, per lei, ho tradito le tue figlie…" spiegò Tuthmosis, cercando di interpretare i pensieri di Teti. "Credo che si sentisse in colpa…" In realtà, l'unico colpevole di tutto era proprio lui. Se Marytre fosse venuta a conoscenza di questa storia, avrebbe sofferto tantissimo, e non voleva che accadesse. Non la amava, ma provava verso di lei un rispetto reverenziale, perché era l'unica, oltre alla sua matrigna, che comunque non lo dimostrava mai, a credere nelle sue capacità di sovrano.
"La solita Teti…" Hatshepsut fece un sorriso malinconico. Capì che, per tutto quel tempo, non l'aveva mai persa. E, sebbene non potesse averla accanto, riposava sempre al suo fianco, assieme allo spirito di suo padre e sua madre, nei dipinti che aveva disegnato per lei. Però avrebbe voluto dirle un'ultima cosa, prima di lasciarla per sempre… "Oramai non c'è altra scelta…" mormorò a se stessa.
"Non… Non sei arrabbiata?" chiese Tuthmosis, titubante.
Lei lo fissò con un sorriso malizioso e con lo sguardo, nonostante le guance ancora bagnate, deciso e altezzoso che aveva sempre. "Io?" E, suo malgrado, lui sorrise. Hatshepsut gli poggiò una mano sulla spalla. "Cerca di darti da fare, adesso, eh" disse. "Presto, avremo un suddito in più" Quindi lo lasciò a riflettere in guardino e, senza perdere tempo, si diresse nel suo studio.
Tuttavia, mentre attraversava il corridoio principale, la sua attenzione venne distratta da una discussione che si stava svolgendo in uno degli appartamenti reali, e non potè non andare a controllare, visto che le voci che provenivano sembravano essere quelle delle sue due figlie. Aprì la porta della stanza di Marytre ed entrò. Appena la videro, le due ragazze interruppero subito la discussione. "Madre!"
"Che succede?" chiese, vagamente accigliata. Non poteva sopportare che litigassero come due bambine qualunque, visto che, una di loro, presto, sarebbe diventata la nuova Sposa Reale.
Neferure piegò le labbra in un sorriso offeso, e di voltò dall'altra parte.
"Stava offendendo Tuthmosis…" spiegò debolmente Marytre.
"Non è vero" negò immediatamente la sorella. "Ho solo detto che allontanarsi per così tanto tempo da palazzo non era un comportamento da Faraone"
"Ma era un commento cattivo!" esclamò Marytre, con un piglio leggermente irritato nella sua bocca morbida.
Hatshepsut batté un piede per terra e la discussione cessò in un istante. Quindi, le fissò duramente entrambe. Neferure stava leggermente girata, in modo da nascondere una parte del viso, come se si vergognasse, e si mordeva lentamente un labbro. Marytre teneva invece le mani congiunte in grembo e lo sguardo basso in modo che la frangia della parrucca gli coprisse gli occhi, ma le stava perfettamente davanti. E capì. "Sono entrambe innamorate di Tuthmosis…" Gli veniva quasi da ridere: il suo defunto marito aveva eseguito ogni tipo di inganno pur di riuscire a far sposare al figlio almeno una delle sue sorellastre, senza sapere che loro due, probabilmente, avrebbero rinunciato al trono per quel ragazzino.
Comprese anche che ogni atteggiamento corrispondeva ad un diverso tipo di sentimento amoroso. C'era l'amore ironico di Neferure, l'amore dolce di Marytre, l'amore indifferente di Teti, l'amore mutevole di Senmut, l'amore impegnato di Tuthmosis, il suo amore passionale… Nessuno poteva stabilire se fossero giusti o sbagliati, probabilmente nemmeno Maat. L'amore era come un puzzle: bisognava trovare la persona con cui si incastrasse la propria personalità. Lei era sempre stata convinta di esserci riuscita, ma evidentemente esistevano persone con cui era possibile incastrare più pezzi contemporaneamente. E questo non lo avrebbe accettato, mai. Voleva un amore che fosse solo suo… Ma se neppure gli dei erano riusciti ad ottenerlo, poteva forse trionfare lei? Sorrise debolmente: amava ancora, leggermente, Senmut, ma il suo orgoglio di Faraone le impediva di richiamarlo. Ed era meglio così.
"Ho acconsentito io al viaggio di Tuthmosis" disse lentamente. "L'avrei fatto, se la sua presenza fosse stata indispensabile qui?"
Nessuna delle due rispose. Poi, lentamente, Neferure fece un leggero inchino e, senza aspettare alcuna aggiunta, uscì dalla stanza senza chiudere la porta dietro di sé. Stava veramente male. Più che sentirsi arrabbiata per essere stata rimproverata da sua madre come una bambina, era furiosa con sua sorella. Marytre non aveva nessun diritto, eppure si sentiva come se fosse lei la moglie prediletta di Tuthmosis.
"Ah, Neferure" Tuthmosis gli era appena apparso davanti, come un miraggio nel deserto. "Sai dove si trova Marytre?"
Lei lo fissò nella sua espressione sorpresa per un interminabile istante, quindi, sentendo gli occhi che gli bruciavano come le fiamme di Sekhmet, lo superò correndo via, senza rispondergli. Mentre le lacrime scendevano, si rese conto che non era sua sorella ad avanzare pretese, ma lei stessa. Non aveva mai fatto nulla per Tuthmosis, perciò non si poteva certo pretendere che nutrisse affetto nei suoi confronti. Ma cosa poteva fare, se il suo carattere non era dolce come quello di Marytre? Non avrebbe mai potuto andare da lui e offrirsi di imboccarlo. E, di sicuro, Tuthmosis non sarebbe mai stato attratto dal suo corpo, visto che lei e Hathor erano vicine come le grotte di Hapy e le sette bocche del Nilo. Perché aveva un simile ka?! Perchè aveva un simile ba?! Tossì un sangue che nessuno avrebbe mai pulito. Gli dei erano ingiusti…
Nell'altra stanza, invece, né Hatshepsut né Marytre si erano mosse. "Comunque, Tuthmosis è tornato oggi" disse infine la prima. "Non vai a salutarlo?"
La ragazza, ormai quindicenne, spalancò leggermente gli occhi. "E' tornato?" E un leggero rossore le colorò le guance abbronzate, tanto che lei abbassò lo sguardo imbarazzata. "Ora vado…"
Hatshepsut incrociò le mani sotto il mento. Sua figlia non le assomigliava affatto di carattere, né assomigliava a Tuthmosis II, che tanto aveva fatto per darla in sposa al suo fratellastro. Ricordava più sua madre, Ahmes, che aveva la sua stessa riluttanza ad esprimere chiari i sentimenti. "Lui ti piace?" chiese allora.
Marytre si imbarazzò ancora di più. "E'… Molto carino…"
"Oh, si, è un bel ragazzo" Doveva ammettere anche lei che aveva preso solo il buono da quei due falliti che erano i suoi genitori.
"E… Sta diventando veramente forte… E' gentile… Come me, almeno…" proseguì la ragazza, sorridendo con le guance in fiamme e gli occhi lucidi.
Hatshepsut non potè trattenere un sorriso. Marytre stava elencando solo le caratteristiche positive, tralasciando il suo carattere ancora troppo impulsivo e poco incline alla diplomazia. Non poteva biasimare Tuthmosis per averla tradita con un'altra, avendo lei stessa, tempo prima, fatto la stessa identica cosa per non amare colui che l'avevano costretta a sposare, eppure finiva per rimanere di parte.
"Devi darti da fare, allora" le disse, fingendo indifferenza. "In quanto faraone, Tuthmosis può avere molte donne per la sua discendenza. Devi quindi essere certa di essere la sua preferita" Si sentì un po' triste, per non poter dare gli stessi consigli anche a Neferure. La sua primogenita, dopotutto, non li avrebbe mai accettati.
Marytre divenne immediatamente attenta. "Cosa devo fare?"
"Mostragli che persona meravigliosa sei e cosa puoi fare per lui e per L'Egitto" Sorrise leggermente. "Ed essere maliziosa"
"Posso anche…" osò leggermente Marytre. "Fare l'amore con lui?"
Hatshepsut si ritrovò a sorridere: per sua figlia, essere maliziosa significava spingersi al limite estremo in un rapporto, donare tutta se stessa all'altro per essere una persona sola. Forse non era proprio il caso di darle dei consigli. "Se ne hai voglia…" Sorrise ancora. "Ma dovrà essere lui a voler fare l'amore con te" Rifletté. "Stasera, quando farà il bagno…"
Non proseguì oltre, perché sua figlia era già uscita dalla stanza per correre a preparasi. Quanto era ancora ingenua. Probabilmente dipendeva dal fatto che aveva una madre molto autoritaria e molto coraggiosa. Il coraggio di soffrire pur di restare fedele ai suoi principi. Mentre tornava a recarsi nel suo studio per scrivere ciò che aveva in mente, rifletté sul fatto che lei aveva trovato qualcosa di unico, un pezzo che poteva incastrarsi con lei sola, e con nessun altro. Era l'Egitto che governava: solo di quello e dei due sovrani a cui avrebbe lasciato il posto doveva occuparsi. E prendendosi cura del suo paese, forse, avrebbe favorito anche Teti.

Reviews:

TigerEyes: Ciao ^^ Grazie della recensione. Mi dispiace, ti ho fatto attendere ancora tantissimo T_T Ma con la scuola e l'ispirazione che va e viene, è veramente difficile, pur avendo tutta la storia in testa! u_u Accidenti. Il prossimo capitolo, però, sarà l'ultimo, e spero proprio di riuscire a pubblicarlo entro marzo. Grazie per le sviste, non sapevo che l'accento sul "se" non ci andasse in quel caso ^^'' Si impara sempre qualcosa. E, come hai visto, le tue informazioni mi sono state utilissime ^^ Sei un angelo. Spero che questo capitolo non abbia tradito le tue aspettative. Sai, sono stata al museo di Torino, e lì avevano tutti i libri di Cimmino tranne quello che mi hai consigliato -_-'' Se non è sfortuna questa… Comunque grazie anche per il commento al blog ^^ Bye ^^

Ayuchan: Ciao ^^ Grazie per la recensione. Guarda che tu hai talento sia nello scrivere che nel disegnare ^_- Quindi non preoccuparti. Forse, la parte sui disegni è un po' esagerata, ma pensando al fatto che dovevano rappresentare la vita per il morto, ho pensato che dovessero essere proprio belli…^^ Già, povera Teti, ma proprio di Tuthmosis doveva innamorarsi? Forse hai ragione a dire che sono sadica… Bye ^^

Mana: Ciao ^^ Grazie della recensione e dei complimenti, sono contenta che ti sia piaciuta ^^ Bye

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Capitolo 13
*** Note di Akemichan ***


Nuova pagina 1

Ciao a tutti ^^.

Purtroppo, a causa di motivi che non starò a spiegarvi, perché troppo lunghi e sicuramente poco interessanti per voi, non posso più continuare la pubblicazione delle mie storie sull'EFP (e su qualsiasi altro sito "libero" all'utenza). Di conseguenza, non posso terminare neppure questa.

Sono veramente dispiaciuta, perché detesto lasciare le storie a metà, ma non ho molte altre alternative. L'unica cosa che posso fare per voi è mandarvi i capitoli finali via mail. Se qualcuno fosse perciò interessato, può scrivermi all'indirizzo e-mail mailto:akemi_edogawa@yahoo.it e provvederò personalmente ad inviarli al più presto. Mi scuso ancora per il disturbo.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuta finora nelle varie mie pubblicazioni: mi siete sempre stati utilissimi per crescere come autrice e come persona. Grazie a tutti.

Akemichan

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