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Il cielo mattutino era terso e di un azzurro intenso, che si rifletteva
nelle tranquille acque del calmo Nilo, in cui i pescat
L'aria era tersa, e il cielo azzurro intenso,
che si rifletteva nelle tranquille acque del Nilo, in cui i pescatori
erano già da lungo tempo indaffarati. La stagione
della raccolta aumentava il calore di Ra1, il quale, navigando a
bordo della sua nave dorata, illuminava i cuori e bruciava la pelle. Il solo
refrigerio era offerto dalle alte palme, che proiettavano la loro ombra sulla
sabbia rossa del deserto.
Un altro luogo in cui raramente penetravano i raggi
del sole erano le ampie grotte scavate nella valle dei
Re, destinate alla costruzione di tombe magnifiche per i signori dell’Egitto.
Tuttavia, in quel momento, nella tomba destinata al riposo eterno e sicuro del
Faraone Tuthmosis lavorava un’unica persona, poiché era l’Opet2, il
giorno della festa del grande Amon3 e nessuno
artigiano di Per-Maat4, a parte quella ragazza che dipingeva la
parete a mani nude, sarebbe stato tanto indemoniato5 da mancare
all’appuntamento, per vedere la statua del grande Dio uscire finalmente dal
tempio. Era l’unico giorno dell’anno nel quale a tutti gli egiziani era concesso vedere la sua forma.
La ragazza si massaggiò le mani sporche di tintura
azzurra, poi le immerse nella ciotola piena d’acqua che si trovava ai suoi
piedi. Sentì dei passi venire nella sua direzione, perciò decise di
interrompere il suo lavoro. Era sicura che fosse l’intendente ai lavori, il
quale non sopportava la sua presenza, in quanto donna
e in quanto miglior pittrice del villaggio, venuto a cacciarla via per condurla
all’Opet. Lei non desiderava parteciparvi, poiché
preferiva l’oscurità nascosta alla luce aperta, preferiva Anubi6 ad
Amon.
Attraverso la luce flebile che proveniva dalla
lontana entrata, una figura femminile si proiettò sulla parete di fronte a lei.
Allora sorrise, agitando i lunghi capelli ricci, che
raramente portava coperti dalla parrucca.
«Sei posseduta dalla spirito
di Sekhmet7, oggi» disse, immergendo il dito ancora bagnato nella
ciotola di ocra rossa. «Chi ha osato provocare la collera della principessa
reale Hatshepsut, futura erede al trono?»
La nuova arrivata alzò fieramente la testa, facendo
comparire due occhi neri e decisi da sotto le trecce della sua fine parrucca. «Riesci
sempre a capire molto bene il mio stato d’animo, Teti»
«E’ solo perché ti conosco da quando camminavi
ancora come i gatti» minimizzò la ragazza di nome Teti,
spostandosi una ciocca dietro l’orecchio. «Allora, non vuoi
dirmi cos’è accaduto?»
«Se fosse possibile, vorrei maledire colui che provoca in questo modo la mia collera» mormorò Hatshepsut, levandosi la parrucca e gettandola nella
polvere con un gesto scocciato. «Ma non posso, poiché egli è il prediletto degli dei»
«Tuo padre è il signore dell’Egitto e la sua bocca
parla per Maat8» sorrise Teti. «La
Giustizia ha dunque offeso la tua maestà?»
Hatshepsut colpì la ciotola d’acqua con
un calcio, facendola rompere contro la parete. «Non è Maat
che mi offende, ma la regola! Mio padre desidera – anzi, ordina, poichè nessun desiderio del Faraone rimane incompiuto – che
io sposi Tuthmosis, il mio fratellastro»
«Questo è ovvio, poiché lui non ha il sangue di Amosis, mentre tu si» Teti si
chinò e raccolse lentamente tutti i cocci, posandoli dentro un’altra ciotola
vuota. «Solo sposandoti potrà diventare Horus incarnato»
«E’ così ingiusto!» esclamò lei mentre si
massaggiava i lunghi capelli neri, liberi dal peso opprimente della parrucca. «Il
mio fratellastro non vale nulla! Ed è anche più
piccolo di me! Potessi diventare io Faraone…!»
«Chissà che un giorno non accada…» Teti strofinò il dito rosso sulla parete bagnata e solo
allora Hatshepsut notò che la sua collera aveva
distrutto una parte della pittura murale della sua amica, amalgamando i colori
in una sorta di caos informe simile al Nun
primordiale.9
«Scusami, non volevo rovinare il tuo lavoro… Non è
colpa tua»
Teti scosse la testa. «Lo
ridisegnerò, e verrà ancora meglio» Incurante delle sue mani sporche di colore,
afferrò il braccio pulito e ingioiellato della principessa, trascinandola fuori
della grotta, sotto la luce calda e accecante del potente Ra. «Guarda!» Indicò
le dune rossastre, il cielo terso e la grande città di
Tebe in lontananza, al di là del Nilo, cuore e potenza dell’Egitto. «Questa è
la nostra terra! La terra che tu, come regina, avrai in custodia! Non ti curar
di Tuthmosis, regna le due terre con l’aiuto di Maat,
perchè restino sempre così belle come le vedi ora»
Hatshepsut aspirò forte l’aria calda
del mattino, per conservare in eterno quella sensazione
di dolcezza. «Io, però… Volevo sposarmi con la persona che amavo…» Sul suo viso
dai fini lineamenti, dolci come il viso della bella Iside,
si dipinse un’espressione di disappunto.
«Mia nonna diceva che raramente, nelle famiglie
reali, il matrimonio si identifica con l’amore» annuì
convinta Teti.
«Stai incitando la tua principessa all’adulterio?»10
domandò di nuovo sorridente Hatshepsut, pizzicandole
la pancia nuda.
«Non mi permetterei mai» sorrise Teti.
«Dico solo che, se un Faraone può avere un harem, una regina potrebbe…» Non
finì la frase, perché non desiderava spingersi troppo oltre. EHatshepsut aveva abbastanza malizia da capire
l’allusione.
«Va bene…» La principessa fece un giro su sé stessa,
tintinnando come sistri11 i suoi numerosi ornamenti d’oro. «Ora mi
sento meglio»
Teti rivolse lo sguardo in
lontananza, verso la strada sterrata che portava al suo povero ma accogliente
villaggio. Un ragazzo percorreva di corsa la strada, sollevando sbuffi di
polvere rossa al suo passaggio. Pur da lontano, lei poteva notarne i vestiti di
seta tanto puliti da sembrare luminosi, così differenti dalla sua corta gonna
sempre macchiata, e i sandali che teneva appesi alla spalla. Non era l’intendente
alla costruzione, ma chiaramente un nobile o un appartenente al clero.
«Sarà qualcuno venuto a chiamarmi» dedusse Hatshepsut massaggiandosi la lunga veste plissettata. «In
fondo, a quest’ora dovrei essere alla cerimonia del
mio Dio prediletto, Amon» Lasciò che alcune ciocche le scendessero sul petto. «Ma
non potevo andarci con il cuore infiammato dai demoni di Sekhmet»
«Teti!» chiamò il ragazzo
non appena le raggiunse, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere
fiato dopo la lunga corsa. «Ero sicuro di trovarti a lavorare»
La ragazza affondò i suoi occhi neri come la notte
nel viso delicato di lui, scrutandolo come se fosse un antico papiro del quale
non capiva alcuni geroglifici. «Scusa, chi sei?» disse
infine, con tutta l’innocenza che riusciva ad avere.
«Eh?» Lui assunse un’espressione tra lo stupito e il
demoralizzato, mentre alcuni ciuffi della sua parrucca nera gli si appiccicavano
al viso a causa del sudore che scendeva dolcemente lungo le guance. «Ma… Come…
Chi sono…»
Teti coprì un leggero risolino
con la mano affusolata. «Sto scherzando» disse sorridendo. «Sei diventato
veramente affascinante, Senmut. Vestito così sembri
un giovane nobile»
«Sei sempre tu…» Lui tirò un sospiro
di sollievo. «Sai, finalmente sono riuscito a farmi accettare come puro12
del clero di Amon…» Tentò, inutilmente, di staccarsi
le ciocche appiccicate sul viso.
«Congratulazioni» mormorò dolcemente Teti. «Era il tuo sogno, vero? Sono sicuro che arriverai ad
essere profeta, un giorno»
«Ti prego, non dirlo» sorrise Senmut.
«Potrebbe essere un giorno infausto, per me» Spostò lo sguardo dalle forme
semplici e scoperte della pittrice alle forme dolci e delicate della ragazza a
fianco, messe ancora più in evidenza dall’elegante veste bianca. Capì subito di
trovarsi di fronte ad una nobile. «Con chi ho il privilegio di parlare?»
Teti scoccò un’occhiata rapida
alla sua amica da sotto le lunghe ciglia. Stranamente, Hatshepsut
non aveva attirato la loro attenzione con leggeri colpi di tosse, com’era
solita fare quando veniva ignorata anche per
brevissimo tempo, che lei riteneva comunque abbastanza lungo, ma era rimasta
ferma ad osservarli curiosamente, con la bocca leggermente aperta e gli occhi
neri come il Nilo notturno brillanti d’interesse. «Hat,
ti presento Sennenmut, un mio amico d’infanzia. Tu
non l’hai mai incontrato, perché viaggia spesso ed è raro che sia a Per-Maat» Si rivolse nuovamente a lui. «Hai davanti a te
nientemeno che la principessa reale Hatshepsut,
figlia del signore delle due terre e discendente di Amosis»
La bocca carnosa di Sennenmut
si piegò in un dolce sorriso. «Le storie che raccontano a Tebe sulla tua bellezza sono dunque vere, poiché io stesso credevo di
trovarmi di fronte ad Hathor13 stessa» Fece una pausa, nella quale i
suoi occhi azzurri saettarono velocemente dall’una all’altra ragazza. «Se posso osare, adesso che rimarrò a lungo a Tebe, spero avremo
occasione di vederci più spesso»
«Certamente!» Il viso di Hatshepsutsi illuminò. «Sapere che Teti
ha un così buon amico riempie di gioia il mio cuore»
«E io che dea sono?» Teti tirò leggermente una ciocca della parrucca. «Non è
giusto che sia solo Hat a ricevere dei complimenti»
Senmut la guardò attentamente, come
un paziente che cerca di individuare la causa della
malattia. «Tu sei come Seshat, la bella e paziente patrona dei testi antichi»
«Grazie per avermi ricordato che non so scrivere» Teti si finse offesa.
«Se tu sapessi scrivere,
saresti uno scriba geniale» intervenne Hatshepsut. «Ma
l’Egitto avrebbe perso uno dei suoi migliori artisti»
«Sono d’accordo» aggiunse lui. Teti
scosse la testa. Non era abituata ai complimenti.
«Adesso, però, dovrei davvero andare alla cerimonia
dell’Opet…» mormorò annoiata Hatshepsut.
«Vieni anche tu, amica mia?»
«No, grazie» respinse dolcemente l’invito lei.
«Vorrei finire la parete entro oggi. Ma Senmut ti
accompagnerà volentieri»
«Veramente, io volevo raccontarti un poco del mio
viaggio… Ma ci sarà un’altra occasione» aggiunse,
vedendo l’espressione severa di Teti.
«Allora, andiamo» Hatshepsut
afferrò un braccio a Senmut e quasi si strusciò
contro di lui. «A presto, Teti»
«E buon lavoro»
La ragazza annuì, vedendo la coppietta allontanarsi
lentamente lungo il sentiero fumante per il caldo. L’aria stava diventato
sempre più afosa, segno che si avvicinava l’ora di
fusione di Amon con Ra. Il fresco della grotta le avrebbe portato
un poco di consolazione, visto il leggero groppo che le andava man mano
formandosi in gola. Un gatto tigrato iniziò a strusciarsi lungo le sue gambe
nude. «Non è strano il destino, Miu? Appena Hat ha desiderato l’amore, lo ha trovato» Si chinò e lo
prese in braccio. Lui le leccò il viso macchiato di azzurro,
la tintura che stava usando prima. «Ma va bene così, Hat è il futuro delle due terre e ha bisogno di un ragazzo
come Senmut» Respirò a fondo, lasciando che l’aria
calda le sciogliesse la tristezza che provava nel cuore. Un soffio di vento
leggero le scompigliò i lunghi capelli ricci, massaggiandoli morbidamente
accanto alle sue guance, e le sollevò la colta gonna. Non vi erano motivi per
essere tristi, vivendo in una terra così amata dagli
dei. Lei, inoltre, aveva un motivo in più per essere felice, poiché Ptah14
le aveva consegnato il dono di una manualità
straordinaria nel disegno. Mentre rientrava
silenziosamente nella grotta solitaria, Miu miagolò,
lasciando che quel triste suono si propagasse ad eco lungo il nero cunicolo.
Dizionario:
1.Ra: dio del sole, si credeva
attraversasse il cielo a bordo di una barca dorata.
2.Festa annuale, nella quale la
statua del dio attraversava il fiume e veniva
trasferita dal santuario di Karnak a quello di Luxor. Era anche l’unico giorno
in cui la statua del Dio, solitamente chiusa in una stanza accessibile solo al
Faraone al capo del tempio, veniva mostrata al
pubblico.
3.Amon: Dio di Tebe e re degli dei
4.Nome originale indicante il
villaggio dove un tempo abitavano gli artigiani che
lavoravano alle tombe reali, situato infatti vicino alla valle dei re
5.Si credeva che la pazzia
fosse provocata dai demoni (come in età cristiana, insomma^^’’)
6.Dio dei morti, imbalsamava le
anime dei defunti e assisteva gli altri dei durante la pesatura del cuore
7.Sekhmet era la dea leonessa, giunta
sulla terra a punire gli uomini. Qui rappresenta la rabbia.
8.Maat: dea della giustizia, pesava
i cuori sulla bilancia.
9.Nun: massa informe e caotica,
esistente prima del mondo, da cui si sarebbe generato per primo Amon e in
seguito il resto del mondo
10.In Egitto per la pena di adulterio vi era la pena di morte
11.Il livello più basso della
casta sacerdotale
12.Sistri: strumento musicale
composto da una serie di piccole lame di metallo non
fisse assicurate ad un’asta; muovendo l’asta, le lame tintinnano l’una
sull’altra
13.Hathor: Qui, intesa come dea
della bellezza, ma in generale anche del canto e della musica
Il corridoio che portava alle stanze reali era qualcosa di veramente
straordinario, tanto da poter superare qualsiasi immagina
Il corridoio che portava alle stanze reali era
qualcosa di veramente straordinario, tanto da poter superare qualsiasi
immaginazione umana. L’oro, i rubini e i lapislazzuli coi
quali erano stati realizzati, tempo addietro, i dipinti per festeggiare la vittoria
sugli Hyksos1, accecavano la vista, quasi a dimostrare che la
regalità e l’ascendenza divina dei Faraoni e delle loro spose era qualcosa che
gli esseri umani non potevano vedere. Era troppo per loro, quasi una fiamma viva
che bruciava le pupille al primo contatto, senza possibilità di
scampo. Questo pensava Senmut, mentre
attraversava con passi lenti e prudenti il corridoio, illuminato da ampie
finestre che mostravano la grande e maestosa Tebe, così come i suoi signori
l’avevano resa, potente più di qualsiasi altra città.
Mentre camminava, cercava di
ignorare i commenti che provenivano attutiti alle sue orecchie, come se fosse
immerso nelle acque limpide del Nilo, dalle persone che, come lui, passavano
per quel corridoio. Non era tanto stupido da non capire che stessero parlando
di lui, tuttavia non gli interessava sapere cosa dicessero.
La sua carriera, iniziata come semplice apprendista di un
scriba e terminata con la carica di intendente reale2
all’incoronazione, alcuni giorni prima, di Tuthmosis II e della sua consorte Hatshepsut, era perfettamente regolare, frutto solo dei
suoi sforzi. E se la regina lo aveva convocato nella
sua stanza, il motivo era unicamente di lavoro. Lei era troppo stanca per incontrarlo nello studio: solo e semplicemente per
questo era stato autorizzato, e dal Faraone in persona, a recarsi nella sua
camera personale. Finchè aveva la fiducia dei
sovrani, ciò che le malelingue pensavano di lui non aveva alcuna
importanza.
Bussò alla porta in ebano, che trovò sciatta
rispetto al resto del corridoio.
«Entra, Senmut» sentì la
voce di Hatshepsut chiamarlo da dentro. «Ti
aspettavo»
Lui aprì lentamente la porta e si affacciò sulla
soglia. Le pareti erano, se ciò fosse stato possibile, ancora più ricche e
magnificenti di quelle del corridoio, benché i disegni fossero più dolci alla
vista, poiché raffiguravano scene di vita quotidiana, che gli davano un senso di tranquillità. Tuttavia, benché Senmutsi
trattenesse anche solo dal pensare una cosa simile, il gioiello più bello e
luminoso della stanza era sicuramente Hatshepsut, in
quel momento sdraiata mollemente sul suo letto, fra le pieghe del leggero
lenzuolo, mentre una serva, brutta al paragone, le massaggiava delicatamente la
schiena. Ad un cenno della regina, smise e, dopo un piccolo inchinò, uscì
velocemente senza fare alcun rumore.
Hatshepsut si alzò dal letto e si
avvicinò a lui. «Andavano bene le mie offerte al tempio di Amon?»
Senmut deglutì. Nonostante
il suo cuore continuasse a suggerirgli di guardare la regina negli occhi,
poiché, sebbene potesse considerarsi un gesto troppo ardito, era sempre meglio
che abbassare lo sguardo e scontrarsi con le forme procaci e invitanti di lei,
completamente nude. Gli prudevano la mani, mentre le
braccia e le vene erano scosse da un tremito quasi volessero disobbedire alla
sua stessa volontà. Il desiderio di abbracciarla diventava sempre più forte,
insostenibile, man mano che le sue labbra si piegavano in un sorriso seducente
e le sue braccia incrociate stringevano con maggior vigore i seni per farli
risaltare.
«Andavano benissimo!» esclamò infine, voltandosi di
scatto verso la porta. «Ora, maestà, ti prego di coprirti»
«Non mi imbarazzi» Hatshepsut fece una piccola risatina.
«Non è per quello…» Infatti
era lui ad essere in imbarazzo! Ormai stava quasi per mangiarsi il cuore, e il
sudore rischiava nuovamente di fargli appiccicare la parrucca al viso. Se la tolse del tutto, rivelando una leggera capigliatura
corvina, e la usò come ventaglio. «Solo che non penso che la Grande Sposa Reale
debba parlare di lavoro con un suo suddito nuda, come qualsiasi altra serva»
Le labbra di Hatshepsut
dipinsero un’espressione di profondo disappunto, mentre con scatto seccato
afferrava il lenzuolo sul letto. «Meglio?» Teneva una mano appoggiata al centro
dei seni, in modo da lasciarli per metà scoperte. Le spalle e le lunghe gambe
rimanevano nude.
Senmut pensò che in questo modo la
sua bellezza risaltava ancora di più, poiché il
formicolio si era allargato anche alle gambe muscolose, frutto dei suoi lunghi
viaggi. «S-si…» esalò. «Domani, maestà, dovrai
incontrare il Gran Sacerdote del tempio di Abido… Solo tu hai la facoltà di scegliere le nuove
danzatrici sacre… Quindi dovrai recarti ad Elefantina,
per il rito del primo pomeriggio… per il pomeriggio, sarai libera…» Parlare di
lavoro e terminare in fretta ciò che aveva da dirle ed andarsene, questa era
l’unica cosa da fare, o non avrebbe resistito ancora a lungo alla tentazione di
saltarle addosso.
«Domani pomeriggio mi dovrò occupare della
supervisione dei granai» lo contraddisse Hatshepsut,
lasciando scorrere le dita fra i suoi capelli notte. «Il re ha
intenzione di recarsi in Nubia per soffocare la rivolta in Kush…
Nel frattempo mi occuperò io dello stato» Abbassò le palpebre per
guardarlo sorridente. «Sarai anche tu con me alle riunioni, vero?»
«Se è questo che la tua
maestà desidera» si limitò a rispondere Senmut. Non che fosse
triste di dover passare del tempo con lei, semplicemente, si sentiva in colpa
per questo. E non voleva mostrare all’esterno il suo
desiderio. Era debolezza di un mortale innamorarsi della moglie di un dio. «Ho la mattina occupata, però. Devo recarmi nella
valle dei re per dare ulteriori disposizioni per la
tomba del Faraone, che egli possa avere sempre salute e forza»
Gli occhi di Hatshepsut si
accesero improvvisamente di gelosia come un fulmine incendia un albero, ma
subito li controllò come se fossero dei cavalli impazziti da sottomettere alla
sua volontà.5 «E come sta la cara Teti?» domandò quindi,
velenosa.
«Non ne ho idea, maestà» mentì Senmut,
improvvisamente preoccupato che potesse equivocare qualcosa ne rapporto con la
loro amica comune. «Il lavoro non mi ha consentito di recarmi a Per-Maat»
Bugia. Hatshepsut poteva
notarlo nel suo tono di voce. «Capisco» disse solo, ignorando i battiti
accelerati che quelle parole le avevano provocato. Non
erano di rabbia. Non erano di gelosia. «Non ho altro da dirti. Puoi ritirati»
Erano di dolore. Per questo erano così più terribili, simili ai rintocchi dei
sistri che aprono le porte dell’aldilà. Terribile. Non
desiderava vederlo mai più! Ma se lo avesse fatto,
quelle porte si sarebbero aperte davvero.
«Come ordini, maestà» Senmut,
sollevato, uscì in fretta. Tuttavia, non appena si ritrovò
solo nel corridoio dipinto, non provò altro desiderio che rientrare. Lo
represse come potè, allontanandosi, facendo
attenzione che i suoi sandali in cuoio non facessero
rumore sul pavimento di granito, affinché non accentuassero i battiti del
cuore.
Nella stanza, Hatshepsut
gettò con violenza il lenzuolo sul letto. Come aveva potuto comportarsi in modo
così stupido? Molte volte si era divertita a conquistare uomini grazie alla sua
bellezza degna della dea Hathor, ma solo perché intendeva usarli per i suoi
scopi. Era la prima volta che, invece, desiderava condividere tutto con
qualcuno, i suoi pregi e i suoi difetti. Unire il suo Ba3 con quello
di Senmut e provare il piacere di un amore unico,
intenso e inimmaginabile, se non da chi non l’ha provato almeno una volta.
La porta si aprì non altrettanto gentilmente
rispetto all’entrata di Senmut, perciò l’umore
negativo delle ragazza peggiorò ancora, capendo di chi
si trattava. Horus incarnato4, il signore delle due terre, il
Faraone Tuthmosis II, suo marito, era venuto a trovarla. Erano sposati solo da
un mese, ossia dal giorno della loro incoronazione, ma non era passata nemmeno
una sera senza che loro due giacessero nello stesso letto. Questo era logico,
poiché i due sovrani avrebbero dovuto impegnarsi a garantire la successione del
sangue di Amon, tuttavia Hatshepsut
ringraziava gli dei per l’imminente partenza del marito.
Senza parlare, si sdraiò sul
letto, lasciando che lui facesse ciò che doveva fare. Non che fosse
un cattivo amante, anzi, o un uomo particolarmente orripilante, ma lei provava
un disgusto incomprensibile non appena veniva toccata da lui. La voglia di
sboccargli sul viso era quasi insopportabile, ma fortunatamente l’auto
controllo era sempre stata una delle sue doti
migliori. Qual’era il motivo
di tanta repulsione? Lei stessa non se lo spiegava. Gli sembrava di tradire. Ma chi? Se stessa? Senmut? Che strana sensazione… Sarebbe stata lei a tradire l’Egitto,
se si fosse rifiutata di avere rapporti con Tuthmosis, e questo non lo poteva
permettere. Che facesse di lei ciò che voleva, purchè fosse per il bene della sua dolce terra. Chiuse gli
occhi, revocando alla memoria la prima immagine di Senmut,
con il volto affannato per la corsa, le leggere gocce di sudore che scendevano
fino alle carnose labbra, semiaperte nel respiro stanco, gli occhi azzurri come
il cielo del mattino, e altrettanto belli. Il piacere che le derivò fu più
intenso del solito.
Fuori, il mantello di Nut6 era di un blu
talmente scuro da sembrare una caverna dell’aldilà, sebbene le stelle pigolassero forte, quasi a piangere l’umore tetro di Senmut che, fermo nel guardino del palazzo, esattamente in
mezzo al viale, alzava lo sguardo verso la finestra della stanza della regina,
ancora illuminata dalla tenue lampada ad olio. Gli occhi azzurri sembravano
pozze d’acqua sulla riva del Nilo. Probabilmente, in quel momento, lei stava
con il Faraone, com’era giusto. Doveva smetterla di pensarci. Non ne era realmente innamorato, non poteva esserlo, poiché a
nessun mortale sarebbe stato concesso. Ciò che di lei amava era probabilmente
il suo comportamento verso l’Egitto. Doveva essere così. Tutti amavano la
regina Hatshepsut come l’amava lui, come si amava una
sovrana. Senmut, sospirando di sollievo per questa
conclusione felice, abbassò lo sguardo e si diresse verso il cancello d’uscita.
Come tutti, lui aveva un posto dove ritornare, da una donna
da amare come Osiride amava Iside. Teti lo
stava aspettando. Lei, bella nonostante gli abiti lisi e le
mani perennemente sporche di pittura. Lei, autentica e pura come l’acqua
delle fontane. Lei, la sua donna.
1.Gli hyksos
erano una popolazione straniera che aveva conquistato il Basso Egitto al tempo
della XVII° dinastia. Il Basso Egitto è poi stato riconquistato da Amosis,
sovrano di Tebe, che appartiene alla XVIII°, della quale fa parte anche Hatshepsut
2.Intendente reale: colui che si occupa degli impegni dei sovrani. Per la
precisione, è l’unico che può autorizzare le persone a conferire con i sovrani.
3.Ba: l’anima umana
4.I Faraoni erano considerati
l’incarnazione in terra del dio Horus, il quale era stato sovrano a sua volta
5.Citazione manzoniana ^^
6.Nut: dea del cielo
Noesis: grazie della recensione
^///^ Mi fa piacere che per ora ti piaccia, spero che continuerai
a seguirla perché mi piacerebbe continuare avere la tua opinione ^^ In effetti
si, l’antico Egitto mi piace moltissimo! Cosa intendi
precisamente per “speculare”?
Teti si passò il dorso della mano
sulla fronte, per scostare una ciocca riccia di capelli ribelli, che
rischiavano di oscurarle la vista già debole a causa della scarsa luce. Scoccò
un’occhiata all’entrata del cunicolo, sulla cui parete
stava dipingendo. La luce si era fatta meno intensa, ma più rossa, segno che Nut avrebbe presto divorato la barca di Ra.
Mordicchiò con la bocca la parte posteriore del
pennello imbevuto nell’oro. Avrebbe voluto finire quella parte di disegno prima
che diventasse notte, ma non era soddisfatta del
risultato. La raffigurazione del Faraone sembrava ancora troppo terrena, e troppo poco magnificente. Per non parlare della
pittura di Maat! Non trasmetteva nulla dell’idea di
giustizia che desiderava darle. E un disegno che non
risultava come lei lo pensava riusciva a farle piegare le labbra e
incurvare le lunghe sopracciglia. Tirò una riga dorata sul disegno, gettando
poi il pennello di scatto nel contenitore ai suoi piedi. Miu,
abituato a scene del genere, si limitò ad alzare la morbida testa e
sbadigliare: il suo modo per consigliarle di tornare a casa.
«Non è troppo tardi per lavorare?» La voce del
ragazzo proveniente dall’entrata, ben visibile grazie alla ancora forte luce
del tramonto e alla lanterna che portava in mano, provocò una reazione
arrabbiata in Miu, che si alzò di scatto, ragnando e
soffiando, il pelo irto per tutta la lunghezza della spina dorsale.
«Senmut!» Il cruccio sulla
fronte si distese immediatamente, mentre lei tirava un leggero calcio al gatto,
per farlo calmare.
«Se continui a lavorare di
notte, finiranno per sospettarti come profanatrice di tombe» Senmut appoggiò la lampada a terra, sfiorandole la guancia
con un leggero bacio, al quale lei si sottrasse, quasi a disagio.
«Impossibile» disse seria, voltandogli le spalle.
«Sai, accusano solo chi non è di alcun utilità»
«Come sei pessimista…» sorrise lui. «Non credi più
in Maat?»
«In Maat credo» rispose
lei. «Un po’ meno negli uomini»
Senmut scosse la testa. Teti aveva le idee molto chiare sulla natura delle persone
e non accettava mai di cambiarle, nemmeno quando le si
portavano esempi di grande lungimiranza. Diceva che erano unicamente
eccezioni, come un sottile filo d’erba nell’immensità del deserto rosso. «Scusa
se non sono potuto venire prima, ma questa settimana ho avuto molto lavoro da
fare, specie da quando il nostro signore è partito alla volta di Mitanni…»
«Non fa nulla» Il tono di Teti
era il più calmo possibile, come la superficie del Nilo. Lui sapeva, però, che
quella stessa superficie nascondeva temibili coccodrilli. «Suppongo che Hat sia un’instancabile lavoratrice»
«Lo è, infatti» Le sue labbra carnose assunsero la
forma di un enorme sorriso.
«Sai cos’hanno scritto di
lei sul tempio di Amon?» Teti si voltò verso la
parete, lasciando le raffigurazioni con il dito indice. «Sua sorella, la sposa
divina Hatshepsut, si occupa degli affari del paese:
le Due Terre sono sotto il suo governo e le si pagano
le imposte»1 Anche questa era un’altra sua caratteristica. Raramente
faceva complimenti a qualcuno, ma il suo pensiero veniva
filtrato dalle parole di altri. E quelle parole
facevano di Hat una regina eccezionale.
«E’ così» confermò Senmut.
«Nessuno oserà mai criticare il suo operato»
«Nel governo, no» Teti si
voltò di nuovo a guardarlo, lasciando che la fioca luce della lampada giocasse
con le ombre del suo viso magro.
Senmut capì a cosa alludeva, ma avrebbe dovuto davvero confidarsi con lei? Con la donna che,
prima o poi, sarebbe diventata sua moglie? Almeno
secondo le sole sue aspettative. «Teti…
Credi che Hatshepsut mi… Ci provi come me?» chiese infine, balbettando. Era un pensiero che si era
rifiutato di formulare, fino ad allora. «Si, insomma…
Forse le piaccio…»
«Stai scherzando?» disse lei calma. «Sai, credo che
ti aspetti a braccia aperte nel suo letto. O forse, dovrei dire a gambe aperte…»
«Non essere così volgare nei suo
confronti!» Il tono di voce troppo alto fece leggermente alterare
l’espressione seria di Teti, ma solo per una frazione
di secondo, come un sasso che, gettato in acqua, provoca delle dolci
increspature che in fretta scompaiono.
«Volevo solo darti l’idea della situazione»
aggiunse, non per giustificarsi. «Tu gli piaci, è
evidente. E lei ti piace…»
«Si, ma…» Si vergognò subito di aver osato ammettere
una cosa simile. Era questo l’effetto che gli faceva avere Teti
davanti: lei era come Maat, davanti alla quale nessun
uomo può mentire. «Non credo che… Infilarmi nel letto della regina sia…»
«L’amore che non sia vissuto
con pericolo è indegno di chiamarsi tale» affermò semplicemente lei, secca e
devastante come una frana. «Non ascoltare i saggi come Ptahhotep2,
sono solo uomini codardi che non hanno avuto il coraggio di amare
fino in fondo» Proprio lei, osava dirlo!
Il volto di Senmut,
dapprima titubante, divenne arrabbiato. «Stai forse dicendo che non ti importerebbe se andassi con un’altra donna?!» Teti non rispose. «Credevo di piacerti!» Lei continuò a non
rispondere, con gli occhi neri fissi nei suoi, calmi e piatti, completamente
inespressivi. Ma se solo Senmut
fosse stato più sensibile, avrebbe potuto notare il leggero tremolio che le
scuoteva le mani sporche e le increspava la pelle. Frustrato da quell’atteggiamento, Senmut la
afferrò per i polsi e la gettò contro la parete, premendo le labbra contro le
sue, che avevano il sapore della terra bagnata. Premette ancora di più,
aspettando una reazione che non arrivò. Non sentiva che lei rispondeva al
bacio, né che si ribellava alla sua stretta. Si allontanò leggermente per
fissarla nella semioscurità. Lei era rimasta ferma, immobile sotto la sua
presa, completamente abbandonata contro la parete. Gli occhi sembravano quelli
di un cadavere.
«Scusami, non so cosa mi sia preso…» La lasciò,
allontanandosi verso l’uscita, scuotendo la testa, incapace di credere a ciò
che aveva fatto. Soprattutto, incapace di credere all’indifferenza di una
persona che credeva di amare, e di essere ricambiato.
«Devo andare»
«A presto» mormorò leggermente Teti,
con un tremolio nella voce simile alla fiamma accesa di una lampada ad olio.
Miu, una volta che i passi
veloci del ragazzo smisero totalmente di risuonare attraverso la caverna, si
alzò in piedi, composto, fissando con i suoi occhi
gialli e luminosi la ragazza, ancora abbandonata lungo la parete. «Miao» fece,
quasi a chiedere una spiegazione. Lei lo amava, si capiva
dal suo atteggiamento. Solo Senmut, da insensibile
qual era, non era riuscito ad accorgersene. Allora, per quale motivo l’aveva
lasciato così? Lui si era dichiarato! Le aveva dimostrato
che sarebbe stato disposto a stare con lei, non con Hatshepsut.
L’aveva baciata! Non lo aveva desiderato? Non aveva desiderato sentire il suo
profumo sulla sua pelle? Aveva scelto lei, ma Teti lo
aveva rifiutato, quasi gettandolo nel letto della sua rivale e migliore amica. Perché? «Miao» chiese ancora Miu.
«Ti sbagli…» sibilò infine Teti.
«Ha scelto me perché sono libera, non perché mi ami di più» Scosse la testa,
avviandosi anche lei verso l’uscita. «So di certo che Hat
mi odierebbe, se sapesse che ho rinunciato a lui con tanta facilità. Ma c’è la
possibilità che non lo sappia mai, così la nostra
amicizia si conserverà» Si passò le dita attraverso i capelli ricci. «Se invece io avessi accettato Senmut,
non ci saremo mai più volute bene» Si chinò e lo accarezzò, grattandogli le
orecchie finchè non sentì le fusa anche a distanza.
«Io non credo all’amore eterno, credo solo nell’amicizia eterna. Ed ho voluto conservare quella» Si rialzò e aspirò a fondo.
«Non senti la voce del vento? Non senti il calore della sabbia? Non senti ilo
scorrere del Nilo? Non senti battere il cuore dell’Egitto?» Aspirò ancora. «Io
ho tutto questo. E mi basta»
«Miao» disse Miu, con un
tono che sembrava di totale disaccordo. Quel gatto aveva la
capacità di esprimere il suo cuore, per questo non lo ascoltava mai.
TigerEyes:
Ti ringrazio moltissimo per i tuoi complimenti ^///^ Scusa per gli errori di
battitura, la leggo non so quante volte ma sono sempre distratta ù_ù Mi fa piacere che la storia ti piaccia
e che trovi adatta la mia ricostruzione storica. Comunque
c’è una spiegazione al fatto che ho usato Tebe e Per-Maat
^^ Quando l’ho scritta, non ricordavo più il nome attuale di Per-Maat, ma solo quello antico, e non avevo voglia di
andare a cercarlo ^^’’ Sono molto pigra ^^ Avevo infatti intenzione di usare i
nomi greci che sono più o meno conosciuti da tutti. Ti ringrazio del consiglio,
d’ora in poi sostituirò Tebe con “Waseb”, che dovrebbe essere più o meno la
pronuncia “occidentale” del nome che tu mi hai suggerito ^^ Grazie ancora della
recensione ^^
1.Documento storico
2.Ptahhotep: saggio che ci ha tramandato
le sue cosiddette “massime”, famose in tutto l’Egitto e imparate a scuola dagli
scribi.