A Mansion in the Fog di Carmilla Lilith (/viewuser.php?uid=88450)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrival ***
Capitolo 2: *** Echoes from the past ***
Capitolo 3: *** Sleepwalker ***
Capitolo 4: *** A dark passage ***
Capitolo 5: *** Malice through the looking glass ***
Capitolo 6: *** Her ghost in the fog ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Arrival ***
Arrival
Lady
Barbara Bloomfield stava praticamente sonnecchiando sulla carrozza che
l’avrebbe condotta nella villa di campagna della sua amica Gwen.
Era
la prima volta che Barbara assisteva al matrimonio di una sua amica ed era
molto emozionata, anche perché sapeva che ci sarebbero stati moltissimi
invitati.
Barbara
era una giovane di rara bellezza: aveva l’incarnato piuttosto chiaro, i capelli
castani con riflessi color rame e gli occhi castano chiaro tendenti al verde.
Inoltre aveva un vitino da vespa e il seno piuttosto florido, il che attirava
numerosi spasimanti (di cui molti non graditi).
La
giovane indossava un lungo abito in velluto verde smeraldo e aveva con sé una
valigia con il necessario per i tre giorni di permanenza nella villa
dell’amica.
Lady
Olympia Osborne stava leggendo avidamente un libricino che aveva acquistato
poco prima di mettersi in viaggio: era il racconto Il vampiro di un
certo John William Polidori.
La
giovane era talmente assorbita dalla lettura che quasi non s’accorse che la
carrozza s’era fermata, così il cocchiere dovette richiamarla alla realtà.
Olympia
era piuttosto alta, aveva un fisico florido, lunghi capelli biondi e gli occhi
azzurri. Era una giovane piuttosto estroversa e molto spiritosa e proprio per
questo era un’ospite ricercatissima alle cene mondane di mezza Londra.
La
ragazza scese dalla carrozza, aiutata dal cocchiere, e subito venne accolta
dalla padrona di casa.
“Olympia,
carissima amica mia!” la salutò Gwen.
Lady
Susan Scott era appena salita sulla sua carrozza, e ora stava osservando
preoccupata il cielo plumbeo. Sperava con tutto il cuore che non piovesse o il
suo lungo vestito blu ne avrebbe risentito.
Era
lieta di partecipare al matrimonio della sua amica ed ex compagna di studi
Gwen, anche se i matrimoni non le piacevano: la presenza dei molti invitati la
metteva sempre a disagio.
Susan
era una creatura dalla pelle candida, i capelli corvini e gli occhi ebano. Ed
era tremendamente, irrimediabilmente, timida. Non c’era da stupirsi che non
avesse spasimanti.
La
giovane sospirò, mentre le sue speranze venivano deluse: le prime gocce di
pioggia bagnarono il finestrino della carrozza e un lampo brillò in lontananza.
Stava
arrivando un bel temporale.
La
villa di Gwen quel giorno ospitò ben quindici persone. Altre quindici erano
attese per il giorno seguente e altre ancora si sarebbero aggiunte il giorno
della cerimonia.
I
genitori di Gwen, e quelli di Alan (il promesso sposo), avevano voluto fare le
cose veramente in grande e in fin dai conti era giusto così.
Susan
(che era miracolosamente riuscita a salvare il suo abito blu) osservò
sconsolata tutti gli estranei che la circondavano e pensò seriamente di darsi
alla fuga.
Alla
sua destra sedevano Olympia e Barbara. “Non avrei sperato in un tempo migliore
per inaugurare il mio nuovo vestito.” osservò Olympia, che indossava un lungo
vestito azzurro.
“Già,
speriamo almeno che la tradizione della sposa bagnata sia vera!” rispose
Barbara, con un sorriso.
“Piacere,
io mi chiamo Olympia Osborne. Sei amica di Gwen o di Alan?” si presentò la
giovane bionda, lieta di aver avviato una conversazione.
“Sono
un’amica di Gwen, mi chiamo Barbara Bloomfield.” rispose l’altra.
“Tu
invece come ti chiami?” domandò Olympia, rivolta a Susan. L’altra non poté
evitare di arrossire, ma se non altro non balbettò mentre rispondeva “Mi chiamo
Susan Scott, sono amica di Gwen”.
“Conoscete
qualcun altro, qui? Io nessuno.” domandò Barbara. Nemmeno le altre due
conoscevano gli altri invitati, esclusi i genitori di Gwen, Mr e Mrs Green.
“Sarà
assai ardua. Scalare una montagna sarebbe più facile che socializzare con
qualcuno!” osservò Susan. “Stai socializzando con noi, è già un inizio.”
osservò Olympia, con un sorriso.
Susan
non solo riconobbe che aveva ragione, ma si sentì sollevata. Le due giovani
sembravano molto simpatiche e le stavano facilitando le cose.
“Sapevo
che ci sarebbero stati molti invitati ma non pensavo che così tanti
alloggiassero qui!” disse Barbara, osservando gli altri ospiti. “Già, io
speravo in una cosa un po’ più intima.” annuì Susan.
“Per
me più si è, meglio è!” intervenne Olympia.
Le
tre giovani conversarono amabilmente per tutta la sera, trovandosi di reciproco
gradimento.
Dopo
cena rimasero con Gwen e Matilda, la sorella minore della sposa, che sarebbe
stata la damigella d’onore. Parlarono soprattutto del ricevimento, della
cerimonia e di come il maltempo rischiasse di compromettere il tutto.
“Questo
tempaccio dovrebbe piacerti, Susan. Oserei dire che è onnipresente nei tuoi
racconti.” osservò, improvvisamente, la promessa sposa. Susan arrossì, ma
nessuno se ne accorse nella penombra delle poche candele rimaste accese.
“No,
non mi piace. Niente che possa rovinare le tue nozze potrebbe piacermi.” rispose
la giovane. “Oh, scrivi?” domandò Olympia, interessata. “Sì, dei racconti gotici
come vanno tanto di moda da qualche tempo, ormai.” rispose Gwen, con un
malcelato disprezzo nei confronti di quel ramo letterario.
“Non
puoi disprezzarle solo perché non si tratta delle poesie sdolcinate che ami
comporre, Gwen cara.” obbiettò Susan.
“Non
riesco a capire come possa piacerti. In ogni caso, non c’è da stupirsi che voi
tre andiate così d’accordo: una scrittrice, una pittrice ed una pianista. Siete
tre artiste!” continuò Gwen, in un tono difficile da interpretare.
“Si
è fatto tardi, sorella mia. Sarebbe meglio se andassimo a dormire, domani ci
attende una giornata faticosa.” intervenne Matilda, probabilmente per evitare
che la conversazione diventasse sgradevole. “Hai ragione. Speriamo che il tempo
cambi.” annuì la sorella, alzandosi da tavola.
Le
altre giovani seguirono l’esempio e si diressero al piano superiore, dove si
trovavano le camere da letto.
Si
stavano augurando la buona notte quando arrivò un uomo distinto, di circa
cinquant’anni, con folti e spioventi baffi grigi e gli occhi azzurri.
“Fanciulle, che ci fate alzate a quest’ora?” domandò. “Stavamo parlando della
cerimonia, zio Oliver. Non preoccuparti, stavamo giusto andando nelle nostre
stanze.” rispose cordialmente Gwen, per poi augurargli la buona notte.
Dopo
quest’incontro le giovani si ritirarono nelle loro stanze, per ristorarsi dalle
fatiche della giornata.
Susan
si svegliò bruscamente, qualche ora più tardi. Il suo sonno leggero era stato
turbato da un rumore che sembrava provenire dal corridoio.
La
giovane cercò a tentoni dei cerini e ne utilizzò uno per accendere la candela
poggiata sul suo comodino, poi raggiunse la porta e rimase in ascolto.
Effettivamente,
anche ora udiva un rumore proveniente dal corridoio. La ragazza si fece
coraggio ed aprì lentamente la porta.
Nel
medesimo istante in cui Susan usciva nel corridoio, una faccia illuminata dalla
tenue luce di una candela le si parò davanti. La giovane sobbalzò, troppo
terrorizzata per riuscire anche solo ad urlare.
Impiegò
pochi istanti a rendersi conto che non si trattava d’una presenza ultraterrena,
ma solo d’un giovane uomo. Fu sufficiente che quest’ultimo aprisse bocca per
calmarla, e la giovane si ritrovò investita da un’alitata che puzzava d’alcol.
“E
voi chi diavolo siete?” domandò Susan, tentando di riaversi dallo spavento.
“Potrei farvi la stessa domanda.” replicò il giovane, il cui volto sembrava
familiare a Susan.
“Rispondetemi
o comincerò a strillare.” minacciò la ragazza, prendendo fiato. “No, per
carità! Mi chiamo Joshua Abbot, sono il fratello di Alan.” rispose il giovane,
evidentemente spaventato dalla minaccia.
“Ecco
dove vi avevo già visto! Al ricevimento per il fidanzamento di Gwen con vostro
fratello!” ricordò, d’un tratto, Susan.
“Oh,
quindi siete un’amica di Gwen.” disse Joshua. “Sì, mi chiamo Susan Scott.”
rispose la giovane.
“Bene…Susan.
Adesso che ci siamo presentati posso chiedervi un favore?” domandò Joshua.
“Chiedetemelo, ma non vi garantisco di potervelo concedere.” rispose Susan.
“Ho
perso le chiavi della mia stanza e non posso correre il rischio che mio
fratello venga a sapere a che ora sono tornato. Posso chiedervi di pernottare
da voi, per questa notte?” domandò il giovane.
“Ma
siete impazzito?! Se ci scoprissero in stanza insieme? Avete una pallida idea
di cosa penserebbero?” domandò Susan, esterrefatta.
“Non
ci scopriranno, ve lo garantisco. Non sono mai stato scoperto in camera di una
donna, eppure le frequento spesso. Ve ne prego, nulla intaccherà la vostra
reputazione. Volete rovinare la vigilia di nozze della vostra amica con una
litigata tra fratelli?” supplicò Joshua.
Susan
sospirò. “E sia. Ma se ci sarà qualche malinteso spero che siate pronto a
difendere la mia reputazione.” acconsentì, pentendosi delle sue parole subito
dopo averle pronunciate.
Joshua
ringraziò calorosamente la giovane, promettendo eterna gratitudine e
quant’altro gli venisse in mente, mentre Susan lo faceva accomodare nella sua
stanza.
“E
dove pensate di coricarvi, esattamente?” domandò la ragazza dai capelli
corvini, scrutando torva Joshua. Il giovane si guardò intorno, prima di
scorgere un divanetto ai piedi del letto.
“Quello
sarà perfetto. Non vi darò alcun disturbo.” rispose poi. Mentre Susan, dopo
aver poggiato la candela sul comodino, si coricava Joshua cominciò a togliersi
gli indumenti.
“Cosa
diamine state facendo?!” domandò, scandalizzata, la giovane. “Non posso
stropicciare i miei abiti, cosa penserebbe mio fratello?” rispose Joshua,
mostrando il torso nudo a Susan, che si affrettò a spegnere la candela.
“Come
pensate che riesca a spogliarmi, ora?” domandò, irritato, il giovane. “Non vi
hanno mai detto che per una signorina è sconveniente vedere un uomo nudo?
Arrangiatevi!” rispose, infuriata, la ragazza.
“Io
vi ho vista in quella veste da notte tutta pizzi che indossate, non è molto
diverso!” replicò Joshua. “Non è la stessa cosa. Adesso gradirei dormire. Vi
auguro buona notte!” disse Susan, pentendosi amaramente di aver accolto quel
poco di buono nella sua stanza.
“Buona
notte anche a voi.” sbottò Joshua, coricandosi sul divano.
“Lady
Susan! Lady Susan!”. Una voce maschile richiamò la giovane dal mondo dei sogni
ove si trovava.
Susan
tentò di ricordare l’accaduto della nottata precedente e quando vi riuscì
domandò “Che volete Joshua?”.
“Potreste
aprire gli scuri? Dovrei rivestirmi ma non posso aprirli io o qualcuno potrebbe
vedermi.” rispose il giovane.
Susan
si alzò e aprì a fatica gli scuri, illuminando la stanza. Nonostante il cielo
fosse ricoperto da nubi, la luce era piuttosto intensa e Susan fu costretta a
restare qualche istante seduta sul bordo del letto con gli occhi chiusi.
Quando
riaprì gli occhi, scoprì che Joshua la stava osservando. Il giovane si era già
infilato i pantaloni e ora si stava abbottonando la camicia.
Susan
arrossì e cercò qualcosa da fare per distrarsi dalla presenza del bel giovane,
senza successo. Joshua stava terminando di vestirsi ed era alle prese con il
nodo della cravatta. Susan si alzò ed aiutò il giovane nell’ardua impresa.
“Se
volete ingannare vostro fratello, dovreste fare le cose con un certo
accorgimento.” disse la ragazza, mentre ammirava il frutto della sua fatica.
“Ora
siete più che presentabile, potete andare.” sorrise Susan. “Sono lieto di
avervi conosciuta, Lady Susan Scott.” disse allegramente Joshua, facendo il
baciamano alla giovane.
“Lo
stesso vale per me, Mister Joshua Abbot.” rispose Susan, colpita da quel gesto
di galanteria, per poi accompagnare Joshua alla porta.
“Susan.”
la chiamò Joshua, prima che la giovane aprisse la porta. Susan si voltò verso il
giovane, che ne approfittò per baciarla.
Benché
esterrefatta, dopo il bacio Susan aprì la porta e fece uscire Joshua come se
nulla fosse stato.
Trascorsa
un’ora, il resto della casa si svegliò. Susan s’era già vestita, dato che non
era riuscita a riprendere sonno.
Nel
frattempo la pioggia aveva ricominciato a cadere e gocce fini ma fitte
bagnavano la campagna inglese. La strada era ormai solo uno strato di poltiglia
melmosa, impossibile d’attraversare in carrozza.
Susan
attese circa una mezz’ora, per poi uscire e recarsi al piano sottostante. La
colazione sarebbe stata servita un’ora dopo, ma poteva scrivere qualcosa, nel
frattempo. Era stata colta dall’ispirazione, quella mattina.
Sapeva
che la casa di Gwen aveva una splendida biblioteca che, oltre ad ospitare una
notevole collezione di libri, era arredata con due scrivanie, tre poltrone e un
divano da tre posti. Era un ambiente elegante e riservato.
Giunta
in biblioteca, si stupì di trovarvi Barbara, che stava sistemando i suoi
strumenti da disegno.
“Buongiorno,
Lady Barbara! Avete dormito bene?” salutò la giovane dai capelli corvini.
Barbara,
sussultò, sorpresa. “Oh, siete voi Lady Susan. Ho dormito molto bene, e voi?”
rispose poi la ragazza, sorridendo.
Susan
era tentata dal raccontare l’accaduto della notte precedente a Barbara, ma
decise che non era il caso. “Molto bene anch’io, peccato che la pioggia abbia
interrotto il mio sonno!” rispose.
“Io
non ho resistito alla tentazione di disegnare. Voi cosa farete?” domandò
Barbara. “Vorrei scrivere.” rispose Barbara, mostrando all’amica il suo piccolo
quaderno e una penna con calamaio.
“Ha
ragione Gwen, siamo due incorreggibili artiste!” sorrise Barbara. “Già ma, al
contrario di Gwen, non ci vedo nulla di male!” rispose Susan.
Barbara
s’avvicinò a Susan. “Vi svelerò un segreto…” sussurrò. “Nemmeno io sono
d’accordo!”.
Le
due risero, poi Barbara si sedette davanti al suo cavalletto mentre Susan
raggiunse la scrivania e cominciò a scrivere.
Le
due giovani di tanto in tanto si rivolgevano qualche domanda concentrate, però,
sui propri lavori. “Non vi ho ancora domandato cosa state disegnando.” osservò
Susan, ad un certo punto.
“Ve
lo mostrerò quando avrò terminato. Non amo mostrare le mie opere incompiute.”
rispose Barbara, sfumando una linea fatta a carboncino.
Quando
la colazione fu servita Barbara e Susan raggiunsero la sala da pranzo solo dopo
aver riposto i loro lavori nelle rispettive stanze.
Le
chiacchiere della colazione erano piuttosto agitate: la strada era in
condizioni pessime, la villa era praticamente isolata dal resto del mondo e
quindi il matrimonio doveva essere rimandato.
Gwen
prese molto male la notizia e s’allontanò dalla sala prima dei suoi ospiti.
Alan la seguì, tentando di calmarla.
Venne
deciso che gli ospiti sarebbero stati fatti rincasare non appena possibile, in
attesa della nuova data delle nozze.
Susan
seguiva solo in parte questi discorsi, dato che veniva distratta dalla presenza
di Joshua.
Non
appena gli occhi scuri di lei incrociavano quelli azzurri di lui, l’animo della
giovane s’agitava. La giovane tratteneva a stento l’istinto di studiare
attentamente quel viso sereno, quei capelli biondi e quei muscoli tesi sotto
gli abiti. Sarebbe stato tremendamente sconveniente ma Susan voleva sapere se
almeno una parte del suo turbamento era condiviso dal giovane.
Lo
strano comportamento di Susan non sfuggì né a Barbara né ad Olympia, che dopo
colazione raggiunsero Susan nella biblioteca.
Olympia
iniziò a leggere un libro di narrativa, Barbara riprese il suo disegno e Susan
si rimise a scrivere.
“Susan,
vi ho vista turbata a colazione.” osservò, con apparente noncuranza, Olympia.
“Dovete
sbagliarvi, Olympia. Non ero affatto turbata.” mentì la giovane, anche se la
sua mano tremò violentemente e il foglio venne rovinato da uno scarabocchio.
“Anche
a me siete sembrata inquieta, se devo dire il vero.” intervenne Barbara.
“Dev’essere
stato il poco sonno. Sto benissimo, davvero.” ribadì Susan, mentre la mano
volava veloce e leggera sul foglio.
Barbara
si rassegnò e tornò al suo disegno, ma Olympia non era affatto intenzionata a
lasciar perdere e poco dopo tornò all’attacco.
“Avete
notato quel giovane biondo a colazione? Avete idea di chi fosse?” domandò.
“Se
non erro è il fratello di Alan, mi è stato presentato alla festa di
fidanzamento di Gwen.” rispose Susan, sforzandosi di restare impassibile.
“Non
mi pare di averlo visto ieri sera a cena.” osservò Barbara. “Nemmeno a me, sarà
arrivato questa notte.” disse Susan.
Olympia
sbuffò, non riusciva a far parlare la timida Susan. Tornò alla lettura, mentre
la pioggia scorreva lungo le finestre.
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Capitolo 2 *** Echoes from the past ***
capitolo 2
La
giornata proseguì, grigia e tediosa.
Sia
gli ospiti che i padroni di casa erano preoccupati dato che la pioggia non mai
aveva cessato di cadere.
Gwen
non smise di ricamare un solo istante e dopo cena si dileguò nella sua stanza.
Barbara
stava per seguirne l’esempio quando Olympia fece la sua proposta:“Qualcuno ha
voglia di raccontare una storia del terrore?” domandò la giovane.
Susan
annuì, interessata. Qualche uomo si fermò e annuì.
Restarono
in otto: Susan, Olympia, Barbara, Matilda, Joshua, Alan, Stephen e Richard (quest’ultimi
erano dei cugini di Gwen e Matilda).
“Bene,
chi vuole iniziare?” domandò Olympia, quando i partecipanti si riunirono in
cucina, accanto al camino, il cui fuoco proiettava inquietanti ombre danzanti
sui muri.
Fu
Joshua a prendere l’iniziativa: raccontò di due giovani che si erano avventurati
in un cimitero dopo il tramonto e della spaventosa nottata che n’era seguita.
Susan
si fece coraggio e, terminato il racconto di Joshua, iniziò a narrare la storia
di un gigantesco cane nero che nelle notti di luna piena seminava il terrore in
un tranquillo villaggio.
Il
racconto colpì molto il campanello di giovani che suggerirono alla timida
fanciulla di pubblicarlo al più presto. Susan ringraziò nuovamente la penombra
quando celò il suo rossore dovuto agli insistenti complimenti di Joshua.
Dopo
la storia del cane nero, Matilda chiese la parola. “Questa storia riguarda sia
la mia famiglia che questa casa. Tutto ebbe inizio cinquant’anni or sono, la
notte prima del matrimonio del mio prozio William. In effetti era una notte
simile a questa, solo che si era scatenato un vero e proprio uragano.” cominciò
la giovane, catalizzando l’attenzione di tutti i presenti.
“William
aveva una sorella, di tre anni più giovane, di nome Christine. Era una cara
ragazza, a modo e brillante. Quella sera, però, aveva litigato con la madre per
motivi che ancora oggi sono sconosciuti. Lo zio William sostiene di aver
interrogato sua madre più volte sull’accaduto, ma senza alcun successo.
Fatto
sta che quella notte una delle cameriere vide zia Christine uscire nonostante
si fosse scatenato l’inferno: la pioggia scrosciava incessantemente da più
giorni e il vento soffiava impetuoso, tanto che sembrava dovesse portare via la
casa. Zia Christine non tornò mai più, ne più si ebbero notizie della sua
sorte. Nulla, assolutamente nulla.
Il
giorno seguente, dopo che il temporale si fu placato, vennero chiamati i
soccorsi e si provvide a cercare la povera giovane in ogni dove ma fu tutto
inutile.
Le
nozze, ovviamente, vennero rimandate.”
Matilda
fece una pausa, quasi per prendere coraggio. I suoi spettatori, d’altro canto,
erano piuttosto inquieti, quasi angosciati, ma altrettanto curiosi. “E poi?”
domandò Olympia.
“Da
quel giorno circolano delle storie. Strane storie.
Zia
Christine era una vera propria artista: dipingeva, componeva poesie, suonava il
pianoforte e il violino ed era persino brava a ricamare.
Bene,
non è raro che in questa casa si ritrovino degli spartiti, dei componimenti o
dei ricami che non appartengono a nessuno. La cosa peggiore è che a volte il
pianoforte… beh… comincia a suonare da solo. E spariscono parecchi vestiti da
donna, in particolar modo quelli di colore blu, il colore preferito dalla zia.
C’è chi giura di aver visto spazzole pettinare quello che apparentemente era il
nulla…” proseguì la giovane, esitante.
Barbara
tratteneva il fiato, angosciata. Rimpianse amaramente di essere rimasta in
compagnia degli altri giovani: detestava i racconti dell’orrore! E la
disponibilità di Stephen e Richard a rassicurarla la metteva solamente a
disagio.
Improvvisamente
il pianoforte cominciò a suonare.
Barbara
svenne, terrorizzata, Susan e Matilda strillarono. Tutti gli uomini balzarono
in piedi, mentre Olympia fissò, spaventata, la direzione da dove proveniva la
musica.
“Deve
essere il pianoforte della biblioteca.” mormorò la giovane bionda. Matilda
annuì, mentre Susan si avvicinò a Barbara, tentando di rianimarla.
Una
risata femminile si avvicinò alla cucina, facendo sbiancare tutti i presenti
per la paura.
“Sta
venendo qui…” disse a mezza voce Matilda.
Solamente
la sorpresa fu in grado di attutire la rabbia dei presenti quando la figura di
Gwen si materializzò sulla porta.
“Che
scherzo idiota è mai questo?!” domandò, furibondo, Joshua. “Questa è la giusta
punizione per aver voluto sparlare di affari di famiglia, Matilda. Che ti serva
da lezione! E comunque se cercavate del brivido, mi sembra che questo sia
sufficiente.” rispose freddamente la giovane.
“Hai
esagerato!Barbara è quasi morta di paura!” la rimproverò Alan. Gwen lo fissò
irritata prima di rispondere “Vi consiglierei di ritirarvi, ormai è tardi. Non
vorrei che qualcun altro si sentisse male…”. Poi se ne andò.
Tutti
decisero che l’idea di andare a dormire non era malvagia, anche se criticarono
aspramente il comportamento di Gwen.
Barbara
non si era ancora ripresa e così Richard la portò in braccio fino alla sua
stanza, accompagnato da Susan, Olympia, Joshua e Alan.
La
giovane venne adagiata sul letto e Olympia si offrì di restare a sorvegliarla
finché non si fosse ripresa. Alan si diresse verso la stanza di Gwen, deciso a
discutere con la fidanzata del suo strano comportamento.
Richard
si ritirò nella sua stanza e così Susan e Joshua si ritrovarono soli in
corridoio.
“Io
penso che mi ritirerò nella mia stanza.” disse Susan, nervosa. “Vi accompagno,
la mia stanza non è lontana dalla vostra.” si offrì Joshua, sorridendo.
Susan
imprecò tra sé e sé ma fu costretta ad accettare la compagnia del giovane.
“Gwen ci ha fatto prendere un bello spavento.” osservò Joshua.
“Sicuramente
più di quanto non abbiate fatto voi con il vostro racconto.” sorrise Susan.
“Non era dei più originali, però qualche trovata era apprezzabile.” si difese
il giovane.
“Ve
lo concedo, se vi fa felice.” concesse la ragazza dai capelli corvini. Poi il
silenzio calò tra i due che proseguirono silenziosamente per il corridoio.
“Riguardo
a ciò che è accaduto questa mattina, Susan” intervenne improvvisamente Joshua
“voleva essere una manifestazione dell’interesse che provo nei vostri
confronti”.
Susan
dovette concentrarsi per rispondere. “Mi spiace deludervi Joshua ma quel genere
d’interesse non è esattamente ciò che sto cercando”.
Joshua
fermò la giovane e la fissò negli occhi. “Non è detto che da cosa non nasca
cosa. Vi trovo una fanciulla attraente ma anche intelligente e brillante. Vi ho
ascoltata mentre conversavate, vi ho osservata per tutta la giornata.” disse il
giovane.
“Allora
continuate così, Joshua. Ma per il momento limitatevi alla conversazione, con
me.” rispose Susan, dirigendosi verso la propria stanza.
“So
essere piuttosto paziente, Susan. Ne avrete la prova.” le disse Joshua, mentre
la giovane apriva la porta. “Dimostratemelo, Joshua.” lo sfidò la ragazza, con
un sorriso, prima di entrare nella sua stanza e chiuderne a chiave la porta.
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Capitolo 3 *** Sleepwalker ***
capitolo 3
Olympia
stava sonnecchiando quando un brusco movimento di Barbara la destò. La giovane
si stava agitando nel sonno e cominciò a mormorare qualcosa. Il suo tono era
terrorizzato.
Barbara
stava supplicando degli invisibili carnefici di lasciarla in vita, a quanto
pareva invano. Olympia si accostò silenziosamente al letto dell’amica e la udì
invocare un uomo di nome Daniel in suo aiuto. La povera Barbara era mortalmente
pallida e stava piangendo.
Improvvisamente
la giovane castana si alzò a sedere urlando “Oliver no! Ti prego non farlo!”.
Olympia sobbalzò, terrorizzata. Non appena l’urlo di Barbara si spense, la
fanciulla bionda decise di chiedere aiuto all’unica persona di cui si poteva
fidare in quella casa.
Susan
si era coricata da poco, quando udì bussare alla porta della propria stanza.
Temendo
si potesse trattare di Joshua, domandò chi fosse. “Sono Olympia! Susan, ho
bisogno di parlarvi, è urgente!” rispose la voce della giovane bionda.
Susan
fece per alzarsi ma, mentre si voltava per prendere la candela, vide la figura
evanescente di un nobiluomo in un angolo. La giovane urlò, terrorizzata, ma la
figura era già scomparsa.
“Susan,
che succede?” domandò, ansiosamente, la voce di Olympia. Susan continuava a
fissare l’angolo, ora vuoto.
“Nulla!
Ora vi apro, scusate lo spavento.” rispose poi la giovane mora, accendendo la
candela e dirigendosi verso la porta della propria stanza.
Susan
aprì la porta e si ritrovò davanti Lady Olympia, visibilmente nervosa.
“Lady
Olympia! Che succede? Sembrate assai scossa!” domandò la timida fanciulla.
“Lady
Barbara non sta affatto bene. Sta avendo degli incubi e io ne sono veramente
spaventata!” rispose, nervosamente, Olympia.
“Coraggio,
andiamo nella sua stanza!” incoraggiò Susan. Il fatto che una persona sicura di
sé come Olympia fossa spaventata, le faceva temere il peggio per la povera
Barbara.
In
quell’agitazione aveva anche dimenticato l’inquietante visione avuta qualche
istante prima e così si diresse, insieme ad Olympia, verso la stanza della loro
sfortunata amica.
Un’orribile
sorpresa attendeva le due giovani: la stanza di Susan, che Olympia non aveva
chiuso a chiave, era vuota.
“Giusto
cielo! Dov’è finita?” domandò, ormai nel panico, la povera Olympia. Susan non
sapeva cosa rispondere ed era spaventata e spaesata.
“Dobbiamo
andare a cercarla!” disse poi Olympia, facendosi coraggio. Si sentiva
un’irresponsabile per aver lasciato sola la povera Barbara, ed ora temeva che
le fosse accaduto qualcosa.
Susan
annuì e le due decisero di cominciare le loro ricerche dal piano terra.
Le
due giovani perlustrarono la sala da pranzo, la cucina, l’ingresso e il
salotto, ma senza alcun successo. Restava soltanto la biblioteca e, anche se
nessuna delle due fanciulle voleva ammetterlo, quella stanza esercitava non
poca paura dopo lo scherzo fatto da Gwen.
Le
due si fecero coraggio e decisero di perlustrare anche quell’ultima stanza.
Susan era a dir poco terrorizzata, pallida e tremante, e nemmeno Olympia si
sentiva bene. Solo il bisogno di ritrovare Barbara le sosteneva in
quell’impresa.
Le
due aprirono lentamente la porta e fecero silenziosamente ingresso in
quell’oscura stanza. Susan fece luce, con la mano che tremava. Lo spavento
aumentò quando trovarono Barbara scompostamente accasciata su una poltrona.
“Lady
Barbara! Lady Barbara!”.
Le
due amiche si erano fiondate in soccorso della sventurata giovane e stavano
disperatamente tentando di rianimarla. Per un attimo temettero il peggio, dato
che il respiro della bella fanciulla era talmente debole da non poter quasi
essere udito.
Infine,
però, Lady Barbara si riprese lentamente, aprendo gli occhi e guardandosi
intorno smarrita. Lady Olympia sospirò sollevata, mentre Susan si lasciò cadere
a terra, riprendendosi dall’agitazione.
“Che
succede? Dove mi trovo?” domandò, confusa, Barbara.
“Siete
in biblioteca, Lady Barbara. Probabilmente si è tratto di un piccolo episodio
di sonnambulismo, non preoccupatevi.” le rispose, con il tono più rassicurante
possibile, Lady Olympia.
Nel
frattempo Lady Susan si rialzò con cautela, ancora indebolita dallo spavento, e
si avvicinò dubbiosa alla scrivania: mentre illuminava la stanza, infatti,
l’era parso di scorgere qualcosa ma aveva lasciato perdere dopo il ritrovamento
di Lady Barbara.
In
effetti sulla scrivania si trovava un disegno al carboncino, che ritraeva una
splendida e giovane donna dai tratti esotici e sconosciuti.
Susan
rimase ammutolita a fissare quel disegno. Era stata Lady Barbara ad eseguirlo?
E quando?
“Lady
Susan, che vi prende?” domandò Olympia, raggiungendo l’amica. Anche la giovane
bionda rimase sorpresa alla vista del disegno.
“Che
sta accadendo?” domandò Lady Barbara, raggiungendo a fatica le due fanciulle.
“Oh
cielo!” esclamò, esterrefatta, notando il disegno. Susan fece luce e tutte
notarono che le mani di Barbara erano sporche di carboncino. Doveva aver
eseguito quel disegno da sonnambula.
“Questa
donna… è la donna del sogno! è stata
lei a condurmi in questa stanza… Io…”. Lady Barbara era in uno stato di totale
smarrimento e Lady Susan le strinse la mano, mentre Lady Olympia le passava il
braccio intorno alle spalle con fare materno.
“Chi
va là?” tuonò improvvisamente una voce dalla porta della biblioteca.
Le
tre giovani sobbalzarono e si voltarono di scatto, spaventate. Sulla soglia
della stanza si trovavano Alan e Joshua, evidentemente svegliati dal rumore
provocato dalle tre fanciulle.
“Ah,
siete voi! Che ci fate qui?” domandò, perplesso, Alan.
“Lady
Barbara non si sentiva molto bene e così io e Lady Susan l’abbiamo accompagnata
a prendere dell’acqua. Solo che ci siamo smarrite, siamo ancora poco pratiche
della villa e l’illuminazione è assai scarsa.” rispose prontamente Lady
Olympia.
“Potevate
chiedere ad una domestica, ci avete fatto spaventare.” disse Joshua.
“Non
sapevamo a chi domandare e non volevamo disturbare nessuno. Inoltre volevamo
stare accanto a Lady Barbara, data la sua salute precaria. Ci spiace di avervi
spaventati.” si giustificò Lady Susan, con voce mortificata.
“Non
preoccupatevi, Lady Susan. Vi capisco perfettamente. Ora però sarà meglio se ci
ritiriamo nelle nostre stanze, non trovate?” propose Alan, sorridendo
rassicurante.
Le
tre giovani annuirono e salirono al piano superiore insieme ai due giovani.
“Gradite
che resti nuovamente a farvi compagnia, Lady Barbara?” domandò Lady Olympia.
“No,
vi ringrazio, ora sto meglio. Preferisco che vi riposiate anche voi.” rispose,
gentilmente, Lady Barbara.
“Se
volete posso restare io a farvi compagnia.” propose Lady Susan, preoccupata per
gli strani avvenimenti accaduti quella notte.
“No,
Lady Susan. Sono molto stanca e dubito che causerò altri problemi questa notte.
Avete già fatto a sufficienza per me, davvero.” rispose Lady Barbara, con un
sorriso stanco sul volto.
Lady
Susan e Lady Olympia decisero di non discutere le decisione della giovane e
così le augurarono la buona notte e le raccomandarono di chiudere a chiave la
porta della sua stanza, dopodiché si ritirarono nelle rispettive stanze.
Lady
Susan si ritirò nella sua stanza profondamente turbata.
Gli
avvenimenti di quella notte erano senza dubbio i più singolari e spaventosi ai
quali avesse mai assistito. Quel ritratto era così preciso, così dettagliato,
che pareva impossibile fosse stato disegnato da una persona in stato
d’incoscienza. Ma, benché avesse da poco conosciuto Lady Barbara, era certa che
la giovane non avesse mentito e di certo non si trattava di uno sciocco
scherzo.
Mentre
si adagiava sul letto, Lady Susan, ricordò improvvisamente la fugace e
spettrale visione che aveva avuto prima di partire alla ricerca dell’amica.
Quel ricordo la riempì di terrore e di angoscia, ma la giovane non resistette
alla curiosità d’illuminare l’angolo dove s’era materializzata
quell’inquietante visione.Le
pareva, infatti, di aver udito un tonfo metallico quando la visione s’era
smaterializzata.
Non si sbagliava: nell’angolo ora illuminato si trovava un
bracciale in oro, nel cui centro risplendeva uno zaffiro dal taglio ottogonale
circondato da piccoli brillanti. Doveva certamente valere una fortuna, anche se la
sua foggia pareva piuttosto superata.
Susan
si alzò e raccolse lo splendido monile. Il prezioso metallo era freddo come una
pietra tombale.
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Capitolo 4 *** A dark passage ***
A dark passage
Il
giorno seguente le tre fanciulle si ritrovarono nell’ingresso poco prima di
colazione.
Lady
Susan e Lady Olympia s’informarono immediatamente sullo stato di salute di Lady
Barbara, che le rassicurò: aveva dormito profondamente e serenamente.
“Questi
avvenimenti sono decisamente inquietanti, che cosa accadrà ora?” si domandò
Barbara, accigliata.
“Non
vi è dubbio, questa vicenda è assai misteriosa. Vale la pena scoprire qualcosa
in più al riguardo.” intervenne Olympia.
“Proponete
d’indagare? E su cosa, di grazia?” domandò Susan, perplessa. Sebbene i vari
avvenimenti della nottata precedente sembrassero correlati, la giovane dai
capelli corvini non riusciva a trovare alcun collegamento logico.
“Riflettete:
tutto ha avuto inizio dopo che Matilda ha narrato la sua storia ieri. A mio
avviso la vicenda di Christine ha qualche collegamento con ciò che ci è
accaduto!” rispose Olympia. Aveva passato tutta la notte a riflettere ed era
più che convinta di non sbagliarsi.
“Lady
Olympia! Quale idea bizzarra è mai questa?! Non ti pare di lavorare
eccessivamente di fantasia?” domandò Barbara. Quel ragionamento le pareva così
assurdo, irrazionale. Doveva esservi una spiegazione logica a quei singolari
avvenimenti.
“Non
conviene essere scettiche, Barbara! Guarda cosa ho ritrovato nella mia stanza
ieri notte!” intervenne Susan, mostrando il bracciale in oro.
“Susan,
che cosa stai dicendo?” domandò Lady Barbara, confusa e spaventata.
“Ieri,
quando Olympia è venuta a chiamarmi nella mia stanza, io… ho visto, o almeno
credo, uno spettro. Era un gentiluomo, pareva alquanto giovane. Ma è stata
un’apparizione breve.” spiegò Susan, esitando. La vicenda stava assumendo dei
tratti totalmente irrazionali.
“Ve
l’avevo detto! In questa vicenda c’è qualcosa che va oltre il mondo sensibile!”
esclamò Olympia.
“Non
siate ridicola! Probabilmente Susan ha avuto un’allucinazione dovuta al sonno,
forse si trovava ancora in dormiveglia!” reagì Barbara, sempre più spaventata
dai discorsi delle due giovani.
“Concordo
con Lady Barbara! Come osate fantasticare su dei tragici eventi riguardanti la
mia famiglia?! Siete delle spudorate!” intervenne, furente, Gwen. Era comparsa
all’ingresso senza che le tre fanciulle si accorgessero della sua presenza ed
ora era visibilmente adirata.
“Gwen,
questa vicenda…” tentò d’intervenire Susan. “Questa vicenda non vi riguarda,
impiccione! Sarò lieta di cacciarvi dalla mia dimora non appena sarà
possibile!” la interruppe bruscamente Gwen, per poi andarsene.
Barbara,
Olympia e Susan si guardarono tra loro, confuse.
La
colazione si svolse in un’atmosfera ben più tesa rispetto a quella delle
giornate precedenti.
Gwen
non era soltanto scostante ma aggressiva ed esplicitamente ostile, soprattutto
nei confronti del suo promesso sposo e di Barbara, Olympia e Susan.
Non
fu possibile decidere sul da farsi finché la giovane non lasciò la sala da
pranzo.
“Non
so cosa stia accadendo a nostra figlia, ma al momento abbiamo qualcosa di più
urgente a cui pensare. Sarebbe una follia sperare di poter ricondurre tutti i
nostri ospiti in città, purtroppo, quindi propongo di organizzare dei gruppi di
soccorso composti da noi uomini soltanto.” intervenne Mr Green, una volta che
la figlia ebbe lasciato la stanza.
“Sono
d’accordo, signor Green! Anche se preferirei che a partire fossimo soltanto noi
giovani: il tempo è pessimo e non vorrei che qualcuno ne risentisse.” osservò
Alan, pensoso.
“A
tal proposito, qualcuno ha visto Oliver? Ieri sera mi pareva alquanto pallido,
non vorrei che si fosse ammalato!” intervenne Mrs Green, perplessa. In effetti
lo zio di Gwen non si era ancora presentato a colazione e così venne chiamato
un cameriere per controllarne lo stato di salute.
“Sparito?!
Tutto ciò è assurdo!” esclamò, confusa, Mrs Green. Il cameriere aveva infatti
riferito che Oliver Thompson era scomparso: non c’era alcuna traccia di lui né
nella sua stanza né nel resto della casa. Il vedovo della sorella di Mr Green
pareva dissolto nel nulla.
“Non
può essersi allontanato a piedi! Andate immediatamente a controllare se tutti i
cavalli sono ancora nella stalla!” ordinò il padrone di casa, visibilmente
agitato.
Tutti,
padroni di casa ed ospiti, si trovavano in un profondo stato d’agitazione e
nervosismo: tutti quei misteriosi eventi si stavano susseguendo così
rapidamente! Sembrava un incubo!
“So che
non dovrei dirlo, ma c’è un particolare che mi turba.” disse, pensierosa,
Olympia.
Lei,
Susan e Barbara si erano recate in biblioteca. Stavano tutte leggendo, troppo
nervose per pensare di dedicarsi ad attività creative di qualsiasi sorta.
“Non
dirmi che si tratta di qualche strano legame sovrannaturale con la scomparsa di
Lord Oliver, ti prego!” intervenne, nervosamente, Barbara. Era veramente
scossa, sicuramente dopo l’episodio di sonnambulismo era la giovane più provata
da quell’inquietante soggiorno.
“Barbara,
ieri sera… hai pronunciato anche il nome di Oliver nel sonno!” disse Olympia,
anche se con un certo rammarico: le dispiaceva provare nuovamente i nervi della
splendida lady.
Barbara
sbiancò di colpo, chiudendo di scatto il libro che stava leggendo. “Credo sia
il caso che ci raccontiate cos’è accaduto ieri notte, Lady Olympia!” invitò
gentilmente Susan, prendendo la mano di Barbara.
Olympia
tentò di fornire il più accurato resoconto di ciò che era accaduto a Barbara
quando si era agitata nel sonno, compresa l’invocazione del nome di Daniel e la
supplica a quello di Oliver.
“L’unico
modo che abbiamo per capire cosa sta accadendo è trovare il diario di
Christine.” osservò Susan, al termine del racconto di Olympia.
“Certo,
meravigliosa idea Lady Susan! Come pensate di trovare un diario scritto
cinquant’anni fa, in una casa che non conosciamo e con il rischio di farci
scoprire ed uccidere da Gwen?!” osservò, sarcasticamente, Barbara.
“Lady
Barbara ha ragione. Abbiamo bisogno della collaborazione di Matilda se vogliamo
capire questa situazione, non possiamo rischiare un’altra sfuriata da parte di
Gwen. Tanto per cominciare, dubito che saremo delle gradite ospiti quando verrà
celebrato il matrimonio.” disse Olympia.
“Amiche
mie, rischiamo d’immischiarci in una faccenda più grande di noi!” sospirò
Barbara.
“Ormai
siamo già coinvolte, mia cara Barbara! Dobbiamo capire cosa sta accadendo per
non rischiare tragiche conseguenze, me lo sento!” rispose Susan, per poi
coprirsi il viso con le mani.
Joshua
Abbot attendeva suo fratello all’ingresso. Loro due, Stephen e Richard
sarebbero partiti per Londra in cerca di soccorso, ma il giovane biondo si
augurava anche di ritrovare Sir Thompson: tutti i cavalli erano nella stalla
quindi l’uomo non poteva essersi allontanato più di molto, con quel tempo
orrendo e nelle sue condizioni fisiche non eccellenti.
Joshua
era turbato come raramente gli era accaduto in precedenza: non solo il
soggiorno a casa Green si stava rivelando più terribile del previsto, ma il
pensiero di Lady Susan non gli dava tregua.
Non
avrebbe saputo dire di preciso cosa lo attraeva di quella timida fanciulla dai
capelli corvini, le sue amiche erano ben più appariscenti, eppure sentiva che
sotto quell’aspetto da educanda si nascondeva uno spirito indomito, misterioso
e dannatamente sensuale: non gli sarebbe affatto dispiaciuto rivelarlo! Sempre
che Gwen non decidesse di rovinare tutto: Joshua non era mai stato in grado di
perdonarsi il breve flirt che aveva avuto con la perfida bionda, che gli aveva
comunque preferito il fratello.
Il
fidanzamento con Alan, però, non impediva a Gwen di essere gelosa di Joshua:
non voleva assolutamente che frequentasse le sue amiche, come gli aveva detto
il mattino precedente a colazione, non appena aveva notato lo scambio di
sguardi tra lui e Susan. Joshua sospettava che Gwen invidiasse la personalità e
l’estro creativo delle sue splendide amiche: in fondo la maggiore delle sorelle
Green non aveva grandi qualità, oltre a ricchezza, bellezza ed una certa facilità
di costumi.
Il
giovane sospirò: avrebbe tanto voluto parlare con Alan dei dubbi che nutriva
riguardo il suo fidanzamento con Gwen, ma temeva che la promessa sposa si
vendicasse in qualche subdolo modo. Non sapeva veramente cosa fare!
I
pensieri del giovane vennero interrotti dall’arrivo dei suoi compagni di
viaggio. “Pronti a partire?” domandò Alan.
I
tre giovani annuirono, per poi uscire e dirigersi verso la scuderia.
“Stanno
partendo.” sospirò lady Susan, osservando il campanello di uomini a cavallo che
partiva al galoppo nella nebbia.
“A
cos’è dovuta questa malinconia, mia cara Susan?” domandò Olympia, ben lieta di
alleviare la mente dalle torbide e cupe riflessioni sugli accadimenti degli
ultimi giorni.
Susan
arrossì e rimase in silenzio per qualche istante. “Joshua Abbot… è una persona
affascinante, non trovate?” disse poi, concedendosi un candido sorriso.
“Lady
Susan, finalmente ci rivelate qualcosa!” sorrise lady Barbara, chiudendo il
libro che stava leggendo. “E, diteci, come vi siete conosciuti?” incalzò lady
Olympia.
Lady
Susan tentennò, poi decise di raccontare a quelle che ormai considerava a tutti
gli effetti le sue migliori amiche ciò che era accaduto tra lei e Joshua.
“Susan,
l’uomo che ti corteggia è davvero affascinante! Sei fortunata!” esclamò lady
Barbara, compiaciuta, quando la timida mora terminò il suo racconto.
“Già,
ed è ricco! Un ottimo partito!” sorrise lady Olympia, strappando una risata
alle altre giovani. “Cara Olympia, dubito che la nostra conoscenza sia
sufficiente a far parlare di matrimonio! Temo dovrai attendere i suoi
sviluppi!” rispose Susan, divertita.
L'angolo dell'autrice
Comincio con lo scusarmi per l'imperdonabile ritardo con cui ho
aggiornato questo povero racconto, trascurato a causa della mia
partecipazione a mille mila contest -.- Volevo aspettare ancora per
pubblicare un capitolo ancora più sostanzioso, ma un piccolo
capitolo "di transizione" mi era necessario, dato che la trama
originaria è stata decisamente modificata.
Presto spero di poter revisionare la parte già edita della
storia e di aggiungere le citazioni delle canzoni da cui prendono
titolo i vari capitoli. Per il momento sappiate che "Arrival"
è tratto dal concept album di King Diamond "Abigail", "Echoes
from the Past" da "Those of the Unlight" dei Marduk e "Sleepwalker" da
"Wishmaster" dei Nightwish. Per concludere "A Dark Passage" è
tratta da "Nightfall in the Middle-Earth" dei Blind Guardian.
Per concludere quest'infinita postilla spero che chi si fosse
affezionato a questo racconto (al quale sono molto legata, anche se non
sembra) non l'abbia dimenticato a causa degli epici tempi di
aggiornamento.
A presto,
Carmilla Lilith
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Capitolo 5 *** Malice through the looking glass ***
Malice through the looking glass
Quando
la sera calò nuovamente sulla magione dei Green, una profonda apprensione
s’impossessò di Susan. La fanciulla sedeva di fronte alla finestra della
biblioteca, osservando intensamente la fittissima nebbia che celava alla vista
la rigogliosa campagna inglese.
Che
ne era del campanello di soccorritori? Stavano bene? Joshua stava bene?
Susan
sospirò, mentre il suo indice destro scivolava lungo il vetro gelido della
finestra. Sperava con tutta se stessa che non accadesse nulla al più giovane
dei fratelli Abbot: qualcosa dentro di lei bramava disperatamente le sensazioni
che quell’uomo scanzonato le faceva provare. Joshua risvegliava una parte di
Miss Scott che nessuno conosceva, una Susan che non era né timida, né pudica.
Un lato sensuale e passionale, che la stessa Susan Scott ignorava.
Oh,
se solo avesse potuto rivivere ancora il loro bacio! Se la sera precedente si
fosse dimostrata meno scontrosa nei confronti di Joshua, forse… Cielo, avrebbe
potuto abbandonarsi alle carezze di un amante, invece aveva preferito sfidarlo!
Forse non lo avrebbe rivisto mai più!
“Susan,
stai bene?” Domandò Olympia, riportando Lady Scott alla realtà.
“Non
come vorrei, cara Olympia! Credo mi ritirerò nella mia stanza, non voglio
mostrare in pubblico il mio malumore.” Rispose Susan, incapace di nascondere il
suo malessere a Lady Osborne, la quale abbracciò la sua timida amica.
“Ti
porterò qualche avanzo della cena, mia cara. Non angustiarti, vedrai che il tuo
splendido Joshua tornerà sano e salvo da te!” Disse poi l’estrosa fanciulla,
strappando un sorriso alla giovane dai capelli corvini.
“Come
sta Lady Susan?” Domandò Barbara ad Olympia, mentre le due si recavano in
cucina per la cena.
“Non
molto bene, purtroppo. Ha preferito ritirarsi nella sua camera, è molto in
pensiero per Joshua Abbot.” Rispose Lady Osborne, senza nascondere una certa
preoccupazione per l’amica.
“Mister
Abbot è un uomo molto fortunato, spero soltanto che non abbia intenzione di
spezzare il cuore a Susan!” Commentò Lady Barbara, anche se temeva di aver già
compreso che genere di gentiluomo fosse Joshua Abbot. Sempre che tale si
potesse definire.
Le
due fanciulle si accomodarono a tavola, ma l’atmosfera era ben poco propensa
allo svolgimento di una cena serena: il silenzio era interrotto soltanto dal rumore
delle posate in argento e dal tintinnio dei bicchieri in cristallo. L’atmosfera
era talmente tesa che nessuno fece caso all’assenza di Lady Susan.
Subito
dopo la cena, la maggior parte degli ospiti si ritirò. Quasi nessuno riusciva a
sopportare quel silenzio madido di paure non dette e di tensioni mal celate,
quindi tutti si rifugiarono nella propria stanza, sperando di trovare un minimo
di sollievo tra le braccia di Morfeo. Tutti, o quasi.
“Lady
Barbara, io porto un po’ di cibo a Susan. Nel frattempo sai come agire, ti
raggiungerò quanto prima.” Disse Olympia a Lady Bloomfield, che annuì
brevemente.
Mentre
la giovane bionda saliva le scale con un piccolo vassoio d’argento contenente
alcuni avanzi, Barbara si recò in biblioteca, dove trovò Matilda intenta a
ricamare.
“Buonasera
Lady Matilda, posso farti compagnia?” Domandò la giovane castana, con un
sorriso.
La
minore delle sorelle Green sobbalzò, sorpresa, prima di sorridere ed invitare
Barbara a sedersi.
Matilda
non era avvenente come la sorella maggiore: il suo viso era piuttosto allungato
e ricoperto di lentiggini, così come le forme floride di Gwendolyn erano
sconosciute a Matilda. Eppure Barbara non ricordava di aver mai ricevuto un
sorriso aperto e sincero come quello di Matilda da parte di Gwen, che si
ostinava a considerare come amica.
“Perché
non vi siete coricata Matilda?” Domandò Barbara, anche se conosceva benissimo
la risposta. Matilda soffriva d’insonnia, come Gwen le aveva raccontato,
probabilmente dovuta a dei terribili incubi che la giovane aveva sin dalla più
tenera età. Quando Lady Bloomfield aveva raccontato questa particolarità ad
Olympia, la vivace fanciulla aveva subito proposto di approfondire la natura di
quegli incubi, sperando che potessero rivelarsi utili per comprendere i
misteriosi accadimenti degli ultimi tempi.
“Credo
che Gwen ti abbia raccontato della mia insonnia. Di solito resto in sala da
pranzo, è vicina alle cucine e sentire i rumori della servitù all’opera ha un
effetto alquanto rilassante su di me. Ma stasera preferivo un ambiente più
accogliente, ho sempre amato questa biblioteca.” Rispose Matilda, invitando con
un cenno Barbara a sedersi accanto a lei sul divanetto. La giovane si accomodò,
invidiando Miss Green: prima del suo episodio di sonnambulismo anche lei
considerava la biblioteca un luogo rassicurante ma, ahimè, non era più così.
“Matilda
non vorrei metterti a disagio ma Gwen mi ha detto che la tua insonnia è dovuta
ad alcuni incubi che hai sin da quando eri una bambina. Di che cosa si tratta?”
Domandò Miss Bloomfield, con tono gentile. Non voleva che Matilda trovasse le
sue domande eccessivamente indiscrete.
La
giovane bionda ammutolì per qualche istante e Barbara stava per porgerle le sue
scuse, quando Lady Green prese la parola. “Ricordate la storia che vi ho
narrato l’altra sera. Ebbene, non ho terminato il mio racconto…”.
Olympia
era quasi giunta alla stanza di Lady Susan, quando la sua attenzione venne
catturata da uno specchio dalla preziosa cornice in argento. L’esuberante
fanciulla si avvicinò alla superficie riflettente, incuriosita: lo specchio era
di dimensioni notevoli, alto quanto lei e abbastanza ampio da permettere a due
persone di specchiarvisi, come aveva potuto non notarlo?
Lo
sguardo della lady era perso nella lucida superficie vitrea e così Olympia
impiegò del tempo ad accorgersi che l’immagine riflessa dallo specchio non
corrispondeva all’ambiente circostante: si trovava in una camera da letto, a
poca distanza da un ampio letto matrimoniale a baldacchino, dove una giovane
coppia si stava abbandonando ai piaceri della carne. Una splendida fanciulla
dai lunghi capelli corvini e l’incarnato di porcellana si muoveva con grazia ed
altrettanta passione sopra di un affascinante nobiluomo dai lisci capelli neri
e dagli occhi azzurri quanto il ghiaccio: Olympia sobbalzò, riconoscendo nella
giovane donna il disegno fatto da Barbara nel suo stato di sonnambulismo.
La
donna prese a muoversi più velocemente, mentre l’uomo le posava le mani sui
fianchi morbidi.
“Sabrina,
angelo mio!”mormorò il giovane, mentre la sua bellissima compagna gemeva in
preda al piacere. I loro sospiri e i movimenti dei loro corpi, via via sempre
più frenetici, lasciavano ben intendere quanto sublimi fossero le sensazioni
che gli amanti stavano provando. Saziata la loro brama di lussuria, i due si
abbandonarono sul letto, soddisfatti.
L’uomo
prese a baciare con dolcezza la spalla nuda della fanciulla, che giaceva su un
fianco. La giovane sorrise, visibilmente felice. “Ti amo Sabrina.” Disse
l’uomo, accarezzando la schiena candida di Sabrina. La donna s’irrigidì.
“Lord
Fynn, dovreste tenere per Voi questi pensieri.” Disse Sabrina, con tono freddo.
“Perché
mai, dolce ammaliatrice? E non trattarmi come se fossi il tuo padrone, ti
prego.” Replicò Lord Fynn, senza smettere di percorrere con la mano la schiena
di Sabrina. La fanciulla si alzò a sedere, senza preoccuparsi di coprire la
nudità dei suoi seni.
“Daniel,
io sono soltanto una serva. Sono stata incaricata d’insegnarti le arti amatorie
per permetterti di soddisfare la tua futura moglie, niente di più.” Disse
Sabrina, tentando di trattenere le lacrime che tentavano di fuggire dai suoi
occhi scuri.
Anche
Daniel si sedette ed abbracciò la bellissima giovane. “Sabrina, sai che non è
più così. Ciò che provo per te è ben superiore alla mera attrazione fisica, non
dubitarne.” Sabrina singhiozzò, nascondendo il volto contro il petto del
compagno.
“Credi
davvero che potrei coricarmi con Christine senza pensare a te? Non posso più
prenderla in sposa, dubito che riuscirei ad avere un erede con lei.” Proseguì
Lord Fynn, accarezzando i lunghi capelli della sua amante.
“Daniel,
ti prego, non fantasticare! Non sono che una miserabile serva, per giunta
straniera, come puoi anche soltanto credere che i tuoi genitori ci permettano
di sposarci? Se vorrai diverrò la tua amante diletta, non posso ambire ad
un’altra posizione.” Disse Sabrina, liberandosi dall’abbraccio di Daniel. La
giovane proveniva dall’Europa dell’est e, data la sua notevole bellezza, era
stata scelta come concubina per Lord Fynn, promesso sposo di Christine Green.
Sabrina, che era già stata destinata a simili compiti nella sua terra natale,
tutto si aspettava tranne che iniziare a provare dei sentimenti per il suo
padrone, ma così era stato.
D’altro
canto anche Daniel Fynn era ormai perdutamente innamorato della fanciulla e non
era disposto ad accettare il compromesso che lei gli proponeva: “No Sabrina,
non sarai soltanto la mia diletta. Fuggiremo, angelo mio! Ho già predisposto
tutto, la prossima settimana ci lasceremo alle spalle questa vita ipocrita e
saremo finalmente felici insieme”.
Sabrina
lo fissò, scettica. “Fidati di me Sabrina, tutto ciò che desidero è stare con
te.” La rassicurò Daniel, prima di baciarla con passione.
Fu
in quel momento che Olympia notò che la porta della stanza, prima socchiusa, si
stava richiudendo lentamente. I due amanti, nuovamente in preda alla passione,
non si erano accorti di quello che stava accadendo ma Lady Osborne,
incuriosita, decise di scoprire chi li stava spiando.
La
giovane scoprì con meraviglia di poter attraversare gli oggetti solidi: si
trovava all’interno di un ricordo e non era nient’altro che un fantasma.
Una
volta giunta in corridoio, Olympia notò la figura di una giovane che si stava
rapidamente dirigendo al pianterreno. La fanciulla aveva lunghi capelli biondi
e gli occhi azzurro cielo, tutti segni distintivi della famiglia Green: si
trattava certamente di Christine. Quest’ultima era in preda ai singhiozzi e
visibilmente sconvolta: ciò che aveva sentito pronunciare dal suo promesso
sposo doveva averla distrutta.
Miss
Green si recò in biblioteca, dove un nobiluomo di circa trent’anni stava
leggendo e fumando tranquillamente una pipa. Christine gli si parò davanti,
mormorando con la voce dai singhiozzi: “Vuole fuggire con lei”.
L’uomo
sospirò, chiudendo il libro e invitando la giovane a sedersi sulla poltrona
davanti a lui. “Avevo suggerito a Sir Michael Fynn di non assoldare quella
strega per suo figlio. Quella fanciulla è troppo attraente per essere umana,
chissà quali nefandezze nasconde il suo animo!” Disse il nobiluomo, con fare
pensoso.
“Che
cosa posso fare zio Oliver? Cosa?” Domandò Christine, asciugando le sue
lacrime.
“Tu
non dovrai fare assolutamente nulla, mia cara nipote. Io e tuo zio Philip
penseremo a tutto quanto, il tuo matrimonio non incontrerà mai più alcun
ostacolo, te lo prometto.” Rispose Sir Oliver Senior, padre dello zio di
Gwendolyn e Matilda.
Christine
annuì, rincuorata, senza notare il sorriso sadico apparso sul volto dello zio.
Susan
era a letto, in preda ai singhiozzi. Non riusciva a dormire, la sua fervida
immaginazione non faceva che proporle immagini di Joshua disperso nella fitta
nebbia, preda del freddo e della fame.
Per
distrarsi la timida lady aveva preso a giocherellare distrattamente con il
braccialetto che aveva ritrovato nella sua stanza. Nonostante il contatto con
il calore di Lady Scott, il prezioso monile restava gelato.
Quasi
senza pensarci, Susan infilò il misterioso braccialetto al polso, osservando
ammirata gli affascinanti riflessi dello zaffiro incastonato al centro. La
fanciulla non si accorse di ciò che le stava accadendo, mentre era persa nella
contemplazione della gemma blu: si alzò e si diresse fuori dalla sua stanza.
Attraversò il corridoio, senza prestare attenzione a Lady Olympia, anch’essa
persa nell’osservazione di uno specchio dalla cornice d’argento.
Giunse
al pianterreno e, una volta arrivata all’ingresso, prese una delle due spade
che si trovavano incrociate accanto al guardaroba. Benché le due armi avessero
soltanto una funzione decorativa, la loro lama era lucida ed affilata.
Senza
nemmeno preoccuparsi di coprire la propria veste da notte con un capo più
pesante, Lady Susan Scott aprì la porta e si recò all’esterno, svanendo nella
nebbia.
Matilda
aveva da poco terminato il suo racconto, ed il silenzio era calato sulla
biblioteca. Barbara, allibita, rifletteva sull’accaduto degli ultimi giorni e
trovava finalmente una vaga spiegazione agli inquietanti avvenimenti che
avevano turbato villa Green.
Improvvisamente
Olympia fece il suo ingresso nella biblioteca. La giovane era molto scossa e il
suo volto era pallido come un lenzuolo.
“Lady
Susan è sparita!” annunciò Lady Osborne, nascondendo a fatica l’orrore che
provava. Cominciava ad intuire chi fosse la misteriosa figura che era comparsa
nella stanza di Susan e sapeva che cosa stava cercando quel fantasma: vendetta.
“Dobbiamo
andare a cercarla, subito.” Disse Barbara, alzandosi in piedi. “Forse è ancora
qui nella magione, forse ha fatto due passi per distrarsi!” Propose Matilda, in
preda all’agitazione.
“No,
non è più qui, sta cercando Oliver.” Rispose Olympia, fissando Lady Bloomfield
negli occhi. Quest’ultima annuì, prima di mormorare: “Vado a prendere il mio
cappotto, procuratevi una torcia”.
“Vorrei
tanto che fosse uno dei miei incubi!” Esclamò Matilda, senza trattenere alcune
lacrime silenziose. Miss Osborne le passò un braccio intorno alle spalle con
fare rassicurante.
“Andrà
tutto bene, Matilda. Ora, però, aiutami a trovare delle torce”.
L’angolo
dell’autrice
Fedeli
lettori in attesa di sbranarmi, eccomi di nuovo tra voi. So di avervi promesso
di aggiornare più di frequente e di non essere stata molto di parola MA posso
annunciarvi che la storia è praticamente conclusa e che gli ultimi capitoli usciranno
molto a breve (ovvero, domani e sabato), dato che devo rispettare la scadenza
del contest a cui partecipa questo racconto.
Ah,
il titolo del capitolo è, come sempre, tratto da una canzone, ovvero “Malice
through the Looking Glass” dal cd “Dusk and Her Embrace” dei Cradle of Filth. E
se il personaggio di Daniel vi ricordasse vagamente un certo Lord Filth forse
non vi sbagliate di molto…
Grazie
ancora per la pazienza, a presto.
Carmilla Lilith.
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Capitolo 6 *** Her ghost in the fog ***
6) Her ghost in the fog
Lady
Susan avanzava con passo sicuro, incurante del freddo che le penetrava nelle
ossa. La mano destra della giovane era ben salda intorno all’elsa della spada
che aveva appena prelevato da villa Green e, nonostante fosse totalmente
circondata da una nebbia fittissima, Susan sembrava orientarsi alla perfezione.
Pareva
che la nebbia, quasi fosse un essere senziente, si fosse introdotta nella mente
della povera fanciulla, che ancora non riusciva a comprendere ciò che le stava
accadendo. Susan Scott era conscia di una cosa soltanto: lo zaffiro ottogonale
del suo braccialetto emanava un’inusuale luce bluastra, che illuminava il
cammino davanti alla giovane.
Olympia,
Barbara e Matilda si trovavano sull’uscio di villa Green. Le torce di cui erano
in possesso illuminavano a malapena qualche metro intorno alle giovani. La
campagna inglese attendeva, silente, celata da quella nebbia stregata.
“Matilda,
non sentirti obbligata a seguirci. Riusciremo a trovare Lady Susan, non
temere.” Disse Olympia, la quale credeva che Miss Green non fosse pronta ad
affrontare gli orrori che certamente si sarebbero manifestati quella notte.
“Olympia,
non che posso che seguirvi. Questa faccenda riguarda la mia famiglia e,
soprattutto, me: forse riuscirò a liberarmi degli incubi che mi tormentano, se
verrò con voi.” Rispose Matilda, stringendosi nel suo pesante cappotto.
“E
sia! Non attardiamoci oltre, dobbiamo trovare Susan al più presto!” Incitò
Barbara, cercando di nascondere il proprio timore.
“Non
riesco a calmarli, non so che diamine sia preso a quelle bestie!” Sbuffò
Richard, visibilmente contrariato. I cavalli si erano improvvisamente
innervositi e i quattro giovani erano stati costretti a fermarsi, trovando
rifugio presso un piccola stalla abbandonata.
“Se
soltanto questa nebbia maledetta si decidesse a dissolversi!” Continuò,
nervosamente, Richard mentre colpiva con un calcio un secchio in legno
marciscente.
“Richard,
per favore, calmati. Non servirà abbandonarci agli scatti d’ira, dobbiamo
mantenere il controllo.” Disse Alan, con tono tranquillo ma fermo.
Joshua
invidiava profondamente suo fratello maggiore per l’innata capacità che aveva
di mantenere la calma anche nei frangenti più critici. Avrebbe voluto possedere
anche solo una minima parte dell’autocontrollo del fratello, almeno per evitare
alcune delle idiozie che tanto spesso commetteva.
“Perdonami
Alan, ma mi è molto difficile restare calmo. Le mie cugine e le loro povere
amiche sono ancora intrappolate alla villa, chissà quanto saranno in pena!”
Rispose Richard, riacquistando un po’ di controllo di sé.
“Non
temete, Lord Clearwater, nulla di male alle nostre fanciulle! Non dimenticate
che tra loro si trova la mia promessa sposa e che mai vorrei che le accadesse
qualcosa di male. Non appena i cavalli si saranno calmati, riprenderemo il
cammino. Nel frattempo, tentiamo di riposarci.” Disse Alan, con un largo
sorriso. Richard parve tranquillizzarsi, concedendosi un largo sorriso.
Joshua
avvertì una fastidiosa sensazione di colpevolezza, sentendo le parole
pronunciate dal fratello maggiore: come poteva nascondere ad Alan quanto
accaduto tra lui e Gwendolyn? Certo, quello non era né il momento né il luogo
adatto per parlare con suo fratello, ma il tempo stringeva. Doveva
assolutamente dire la verità ad Alan prima che venissero celebrate le nozze.
“Che
voi sappiate, l’affascinante Lady Olympia è già promessa a qualcuno?” Domandò
Stephen, interrompendo i pensieri di Joshua.
Il
minore dei fratelli Abbot scoppiò in una grassa risata. “Lord Stephen, come
potete pensare a corteggiare una fanciulla mentre ci troviamo in questa
drammatica situazione”?
Stephen
arrossì, visibilmente imbarazzato, provocando anche le risate di Joshua e
Stephen. Ma le risate lasciarono presto spazio ad un silenzio atterrito, quando
il nitrire dei cavalli si fece ancora più agitato. “Che sta accadendo?” Domandò
Joshua, allarmato.
Mentre
lei, Matilda e Olympia avanzavano lentamente nella coltre di nebbia, Barbara
non poteva fare a meno di pensare a quanto raccontatole da Miss Green.
Matilda
aveva di frequente il medesimo, inquietante, incubo: due nobiluomini, dalle
fattezze stranamente familiari, tormentavano una splendida giovane, legata ad
un albero e per metà ignuda.
Ella
piangeva disperatamente, supplicando i suoi carnefici di non ucciderla ed invocando
a gran voce un tale Daniel, perché venisse a soccorrerla. Ma le sue suppliche
erano vane e la giovane veniva decapitata dalla spada di un nobiluomo, dopo che
questi aveva violato il corpo della disgraziata.
Matilda
aveva provato a dimenticare quell’incubo, ma esso era talmente vivido che il
ricordo la tormentava persino di giorno. Così la giovane aveva cominciato ad
indagare sull’identità dei carnefici del sogno e sul perché le risultassero
tanto familiari: aveva, con suo sommo orrore, scoperto che i due uomini
corrispondevano alla figura del suo prozio Oliver (il più efferato tra i due) e
del suo prozio Philip, così come Daniel era il nome del promesso sposo di sua
zia Christine. Daniel Fynn era perito per una grave forma di bronchite che
aveva contratto mentre si trovava a villa Green, qualche mese prima delle
future nozze con Christine.
Matilda
non aveva mai comunicato le sue scoperte ai suoi genitori o alla sorella
perché, ne era certa, i suoi familiari avrebbero negato che tali sanguinosi
eventi avessero mai macchiato il rispettabile nome dei Green. Ma la giovane
aveva ormai appreso la verità: i suoi prozii avevano commesso un delitto
abominevole e Christine ne era conoscenza. Forse, la notte della sua scomparsa,
la sua defunta zia aveva cercato di proposito la morte, oppressa dal senso si
colpa.
Barbara,
dopo aver ascoltato il racconto di Matilda, aveva compreso l’identità della
donna che le era apparsa in sogno e che si era fatta ritrarre: era la povera
amante di Lord Fynn, barbaramente seviziata ed uccisa dai prozii di Gwendolyn e
Matilda. Era piuttosto convinta, inoltre, che il gentiluomo evanescente che
Susan aveva visto nella propria stanza fosse Daniel Fynn. Forse Lady Scott
alloggiava nella stanza in cui il giovane aveva perso la vita cinquant’anni
prima.
Lady
Bloomfield venne riportata alla realtà dall’improvviso nitrito di cavalli che
riempì l’aria.
“Avete
udito anche voi?” Domandò Lady Olympia, volgendosi verso le compagne di
viaggio.
I
quattro giovani uscirono dalla stalla, scrutando la nebbia circostante in cerca
della causa dello spavento dei loro destrieri.
“Giusto
cielo, guardate laggiù!” Esclamò Stephen, sbiancando di colpo: tre lumicini
avanzavano lentamente verso di loro. Chi diavolo poteva essere?
“Chi
va là?” Domandò ad alta voce Alan.
“Alan
Abbot? Sei tu?” Domandò a sua volta una voce femminile. I quattro giovani si
rilassarono, mentre dalla nebbia emergevano le figure di Olympia, Barbara e
Matilda.
“Fanciulle,
quale folle idea vi ha portate a lasciare la sicura villa Green? Siete forse
impazzite?” Domandò Alan, dopo un breve sospiro di sollievo.
“Lady
Susan è scomparsa dalla magione, Mister Abbot. Ditemi che si trova con voi!”
Rispose Olympia, guardandosi intorno. Non v’era traccia delle sua amica.
“Lady
Susan è sparita? Giusto cielo, stai scherzando Olympia?” Domandò Joshua,
facendosi avanti. Non appena vide i volti preoccupati delle tre dame capì che
non si trattava di uno scherzo.
“Oh
diamine!” Mormorò Richard, scuotendo la testa.
I
cavalli ripresero a nitrire, facendo voltare i presenti nella loro direzione.
Fu allora che dalla nebbia emerse una figura femminile, dal cui polso proveniva
un’inquietante luce bluastra.
Quando
la giovane si fece più vicina, i presenti riconobbero immediatamente Susan
Scott ma il sollievo durò a malapena un istante: la fanciulla continuava
stringere la spada, ora macchiata di sangue, nella mano destra mentre nella
sinistra si trovava la testa di Sir Oliver Thompson. Matilda cacciò un urlo,
sconvolta.
“Era
me che stavate cercando?” Domandò Susan, con voce non sua. Il tono era
indubbiamente maschile, ma proveniva certamente dalle labbra sottili di Lady
Scott.
“Susan,
che ti prende?” Domandò Joshua, dirigendosi verso la giovane quasi senza
pensarci. La fanciulla puntò la spada contro il giovane Abbot, fissandolo con
sguardo vacuo.
“Non
un passo in più, o sarò costretta ucciderti.” Sibilò, minacciosa.
“Susan,
ti prego! Non ti ricordi me?” Domandò Joshua restando, però, immobile. Tutti i
presenti osservavano la scena paralizzati dall’orrore e dallo stupore.
“Se
mi ricordo del giovane viziato e donnaiolo che non è riuscito a restare lontano
nemmeno dalla fidanzata del proprio fratello? Certo che mi ricordo!” Rispose
Susan, mentre un sarcastico sorriso faceva capolino sulle sue labbra. Joshua
sentì il sangue gelarsi nelle vene, mentre si voltava verso Alan e lo vedeva,
incredulo e disgustato, ricambiare il suo sguardo.
“Non
temere, Joshua Abbot, non è di te che voglio occuparmi.” Aggiunse Susan,
avanzando lentamente verso Stephen e Richard. “Ma penso gradirò in dono le
teste degli eredi di Philip Clearwater, che oggi e sempre sia maledetto!”
Proseguì la giovane, sputando per terra.
“Che
cosa ti fa pensare che ti lasceremo agire indisturbato, demonio?” Reagì Alan,
facendosi avanti. Non v’era alcun dubbio: Susan Scott era posseduta uno spirito
maligno!
Susan
sorrise e, dopo aver gettato a terra la testa di Sir Thompson, poggiò
l’affilata lama della spada sul suo collo di cigno. “Non v’impedirò di fermarmi
ma, se lo farete, la povera Susan Scott morirà!”.
Alan
esitò, mentre Barbara Bloomfield scoppiava in lacrime ed Olympia impallidiva.
“Alan,
ti supplico! Non lasciare che la uccida.” Intervenne Matilda, terrorizzata.
Alan annuì.
“Vi
ringrazio per la collaborazione.” Ringraziò Susan, allontanando la spada dal
suo collo.
Joshua
Abbot fissava impotente la fanciulla di cui si era invaghito avanzare verso due
giovani innocenti, pronta ad ucciderli. Incapace di trattenersi, avanzò
nuovamente verso Susan, certo che avrebbe fatto prevalere la dolce fanciulla
che conosceva su quel demone assetato di sangue.
Sentendolo
avvicinarsi, Susan si voltò furibonda verso di lui e levò la spada, pronta a
colpirlo, quando un breve zefiro gelido la fece immobilizzare.
Matilda
si lasciò sfuggire un urlo spaventato, prima di svenire, mentre gli altri
presenti osservavano la scena con il fiato sospeso: nella nebbia, infatti,
avanzava una figura evanescente, simile ad un’ombra. Era senza alcun dubbio la
donna ritratta da Barbara da sonnambula, quella dama meravigliosa dai lunghi
capelli corvini. “Sabrina.” Mormorò Lady Olympia.
Susan
lasciò cadere a terra la spada, avanzando meravigliata verso il fantasma.
“Sabrina,
angelo mio! Sei davvero tu?” Domandò, sempre con voce maschile, la giovane
donna.
“Daniel,
amore mio, ti ho cercato così a lungo! Non ricordavo come tornare alla villa,
sono così confusa.” Rispose Sabrina, tendendo una mano trasparente verso Susan
che tentò, inutilmente, di prenderla tra le sue.
“Credevo
di averti persa per sempre.” Mormorò Lady Scott, tentando di accarezzare la
guancia del fantasma che aveva dinanzi.
“Sono
qui Daniel, sarò qui per sempre. Potremo stare insieme come ci è stato negato
durante la nostra vita terrena.” Lo rassicurò Sabrina, sorridendo dolcemente.
“Non temere, anima mia, non c’è alcun bisogno di vendicarsi sugli eredi dei
miei carnefici, io stessa ho tormentato i sogni di Oliver e Philip ogni singola
notte della loro miserabile vita. Ero anche sul loro letto di morte, dove
sussurravo tutte le orribili pene che avrebbero subito nell’aldilà.” Aggiunse
poi il fantasma, rivolgendo una maliziosa occhiata a Susan, che non poté
trattenere un sorriso.
Sabrina
porse la mano a Lady Scott, prima di sussurrare: “Vieni via con me, Daniel.
Abbiamo ancora tutta l’eternità davanti a noi!”.
Susan
perse improvvisamente i sensi, cadendo a terra, mentre dal suo corpo si levava
il fantasma di Lord Fynn che, senza alcuna esitazione, si diresse verso la sua
amata Sabrina per poi cingerla tra le sue braccia e baciarla appassionatamente.
Mentre
tutti i presenti accorrevano in soccorso della sventurata Lady Susan, i due
ectoplasmi presero la direzione opposta, tenendosi dolcemente per mano.
***
Joshua
Abbot vegliava sul riposo di Lady Susan Scott. Non era stato affatto semplice
convincere le scettiche amiche della fanciulla lasciarlo da solo con lei ma,
infine, sfiancate dall’insistenza di Lord Abbot, Olympia e Barbara avevano
ceduto e ne avevano approfittato per ristorarsi un po’.
Per
quasi due giorni, infatti, Susan era in preda ai deliri della febbre e faticava
a nutrirsi. Persino stare sveglia sembrava una fatica per la povera lady, che
quando apriva gli occhi riusciva soltanto a vaneggiare frasi riguardanti la sua
drammatica esperienza di possessione.
Joshua
sospirò. Per quanto fosse doloroso per lui vedere la povera Susan ancora in
parte debilitata dalla malattia, quella era l’unica stanza di villa Green in
cui poteva trovare un minimo di conforto: dopo la rivelazione dello spettro,
infatti, Alan aveva affrontato sia Gwen che Joshua e quest’ultimo non era
riuscito a mentire al fratello. Il fidanzamento tra i rampolli della famiglia
Abbot e Green era stato rotto e Gwendolyn aveva ben pensato di vendicarsi
raccontando a tutti di come, secondo lei, Joshua l’avesse ingannata, sedotta ed
abbandonata, con il risultato che tutti gli ospiti di villa Green detestavano
il più giovane degli Abbot.
Fortunatamente
il tempo atmosferico era rapidamente migliorato e il giorno dopo era prevista
la partenza di tutti gli sfortunati ospiti della magione. Anche Lady Susan quel
giorno sembrava stare meglio: un po’ di colore era ricomparso sulle sue gote
pallide e il suo sonno pareva sereno. Con ogni probabilità si sarebbe
ristabilita per far ritorno a casa l’indomani.
Joshua
accarezzò il volto della giovane, sentendo che la sua temperatura si era
ristabilita. Mister Abbot non poté trattenere un sorriso, che si allargò ancora
di più quando si rese conto che Lady Scott aveva aperto gli occhi.
“Joshua,
sei tu?” Domandò Susan, con un filo di voce. Joshua annuì e si affrettò a
versare un po’ di acqua in un bicchiere che porse prontamente alla fanciulla.
Susan lo ringraziò con un sorriso e, dopo essersi levata a sedere, vuotò
rapidamente il bicchiere del suo contenuto.
“Come
ti senti Susan?” Chiese Lord Abbot. Gli occhi di Lady Scott si riempirono di
lacrime, mentre la giovane mormorava: “Ho ucciso un uomo, come dovrei
sentirmi?”.
Purtroppo
i ricordi della drammatica notte in cui Lord Fynn aveva preso possesso del
corpo di Susan erano ancora ben impressi nella mente della giovane, che era
evidentemente tormentata dal rimorso per la morte di Oliver Thompson.
“Non
dire sciocchezze, cheriè. Non sei stata tu ad uccidere Sir Thompson, sia io che
le tue amiche ne sono consapevoli.” Disse Joshua, abbracciando la povera
giovane, ormai in preda ai singhiozzi.
“Sono
un mostro.” Mormorò, tra le lacrime, Susan.
“No,
Lady Scott. Tu sei un angelo, non un mostro.” La consolò Joshua, posando un
casto bacio sulle labbra della fanciulla. Quale non fu il suo stupore quando si
accorse che la giovane lo stava ricambiando con ardore!
“Susan,
ti prego, non tentarmi.” Disse Lord Abbot, tentando di allontanarsi. Miss Scott
afferrò la mano del giovane e lo fissò intensamente negli occhi: “Ho bisogno di
te, Joshua”. Non disse nient’altro, ma quella semplice frase bastò per far sì
che Joshua la prendesse tra le braccia e riprendesse a baciarla con foga.
Matilda,
Olympia e Barbara si trovavano in biblioteca. Lady Osborne era seduta al
pianoforte e stava suonando una piacevole melodia che ben si accompagnava con
l’immagine di Lady Bloomfield intenta a terminare un suo disegno a carboncino.
Matilda osservava sorridente la scena, illuminata dalla piacevole luce soffusa
di alcune candele.
“Sono
lieta che i vostri incubi siano finalmente terminati, Lady Green.” Disse
Olympia, una volta terminato di suonare.
“Non
quanto lo sono io, Olympia cara! Sono convinta che il fantasma di Christine
abbia finalmente trovato la pace, credo che vegliasse su questa villa per
impedire che Daniel o Sabrina si vendicassero dei suoi abitanti: ora il suo
compito è giunto al termine”. Rispose Matilda, con un sorriso rilassato. Non
aveva il coraggio di raccontare alle sue amiche che sua zia le era apparsa in
sogno, raccontandole delle sue tragica dipartita: dopo aver vagato per ore
nella campagna circostante, Christine Green aveva deciso di far ritorno a casa.
Il destino, però, aveva voluto che la giovane, stordita dalla fatica e dalla
sonnolenza, fosse accidentalmente scivolata in un profondo fossato poco
distante da villa Green, dove Christine era morta di freddo.
Da
allora la donna aveva vegliato, sottoforma di spettro, sulla villa e sui suoi
abitanti, tentando di impedire al fantasma di Daniel di vendicarsi. Purtroppo
Lord Fynn si era rivelato incredibilmente furbo ed era riuscito a stregare un
prezioso bracciale, con il quale era riuscito a prendere possesso di Susan.
Fortunatamente, tutto si era concluso per il meglio, se si escludeva la
dipartita di Oliver Thompson, e Christine poteva finalmente riposare in pace,
così come Daniel e Sabrina.
“Lady
Bloomfield, credete che prima o poi ci rivelerete il soggetto dei vostri
disegni?” Domandò Olympia, tentando di sbirciare il lavoro di Barbara, che si
affrettò a coprire la sua opera.
“Ogni
cosa a suo tempo, Lady Osborne!” Sorrise Miss Bloomfield.
Joshua
Abbot si risvegliò stordito. Accanto a lui giaceva Susan Scott, meravigliosa
nella sua candida nudità.
Il
giovane ancora stentava a comprendere la ragione per cui la casta giovane si
fosse concessa a lui ma di una cosa era certo: mai avrebbe dimenticato il
calore del suo corpo, la dolcezza dei suoi baci e l’eccitante suono dei suoi
sospiri. Si volse verso la fanciulla, che ricambiò il suo sguardo.
“Non
andartene Joshua. Non adesso.” Lo pregò Susan, cercando il suo calore. Joshua
la abbracciò, mormorandole: “Non temere Susan, sono qui con te”.
Lady
Scott chiuse gli occhi, tentando di ignorare i pensieri che le affollavano la
mente: aveva già ucciso un uomo, la sua anima era ormai perduta. A cosa poteva
servire mantenere la sua virtù?
L’indomani
sarebbe tornata a casa, per poi partire per un viaggio di formazione in
Francia.
Avrebbe
dimenticato tutti gli orrori che aveva vissuto.
Avrebbe
dimenticato tutto il dolore della malattia che aveva appena superato.
Avrebbe
dimenticato il corpo di Joshua Abbot, così come avrebbe scordato i suoi baci e
il tocco esperto delle sue mani.
Avrebbe
dimenticato d’aver amato, anche se per una notte soltanto.
Il
giorno seguente, numerose carrozze giunsero a villa Green per ricondurre gli
ospiti di quella travagliata permanenza alle loro dimore.
Gwendolyn
Green se n’era andata alle prime luci dell’alba, desiderosa soltanto di
dimenticare l’accaduto di quei giorni nefasti. Non aveva nemmeno salutato
quelle che ormai considerava le sue ex amiche, così come non si era congedata
dal suo ex fidanzato.
Barbara,
Olympia, Susan e Matilda, invece, si stavano salutando calorosamente. Si erano
scambiate gli indirizzi e si ripromisero di incontrarsi nuovamente, non appena
Lady Susan fosse tornata dal suo viaggio in Francia.
“Ora
posso rivelarvi i soggetti dei miei disegni, amiche mie!” Esclamò Lady
Bloomfield, consegnando un foglio a testa alle due giovani. Quale non fu la
meraviglia delle lady quando videro i loro meravigliosi ritratti al carboncino,
eseguiti dalla mano esperta di Barbara.
“Oh,
Miss Bloomfield! Il tuo regalo è meraviglioso!” Esclamò Susan, raggiante, prima
di abbracciare la sua amica pittrice. Olympia seguì immediatamente l’esempio
della sua timida amica, mentre Matilda asciugava qualche lacrima dovuta alla
commozione.
In
quel momento Joshua Abbot si avvicinò al campanello di giovani, chiedendo di
poter parlare con Susan la quale accettò, sebbene con qualche riluttanza.
“Matilda
mi ha detto che partirai per la Francia.” Disse Joshua, con tono indecifrabile.
“Sì,
è così. Farò ritorno tra qualche mese.” Confermò Susan, tentando di sfuggire
agli occhi azzurri del suo amante.
Joshua
capì che non era il caso di tormentare Lady Scott e così si limito a porgerle
un foglietto di carta. “Buon viaggio Susan, spero di ricevere tue notizie.” Le
augurò, prima di dirigersi verso la carrozza che lo avrebbe ricondotto a casa.
Lady
Scott osservò il foglietto, notando che vi era scritto l’indirizzo di villa
Abbot. Trattenendo a fatica lacrime amare, Susan gettò a terra il foglietto,
dirigendosi verso le sue amiche per un ultimo saluto. Avrebbe dimenticato
Mister Joshua Abbot, ne era certa.
L’angolo
dell’autrice
Miei
cari e fedeli lettori, ecco l’ultimo capitolo di questa storia che tanto ha
messo a prova la vostra pazienza. Il titolo questa volta è tratto dall’omonima
canzone dei Cradle of Filth, dall’album “Midian”.
Resistete
ancora, prima di quanto crediate avrete tra le mani l’epilogo di questo
racconto e una Missing Moment tutta per voi.
A
presto,
Carmilla Lilith.
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Capitolo 7 *** Epilogo ***
Epilogo
“Matilda,
sai dov’è sparita Lady Susan?” Domandò Olympia, guardandosi intorno. Lady
Osborne in realtà immaginava dove si trovasse la sua amica, ma voleva averne
conferma.
Matilda
sorrise. “L’ho vista mentre saliva le scale in compagnia di Joshua”.
Olympia
sospirò, levando gli occhi al cielo. “Non crederò mai più alle parole di Miss
Scott in vita mia! Da quando lei e Mister Abbot si sono rivisti non fanno altro
che provocarsi. Chissà che stanno combinando, a breve ci sarà il brindisi per
gli sposi!”.
Matilda,
Olympia e Susan erano state invitate alla festa di fidanzamento della loro
amica Barbara Bloomfield con… Lord Alan Abbot. A quanto pareva Alan aveva
confidato la sua amarezza per la fine del fidanzamento con Gwendolyn Green a
Lady Bloomfield e aveva trovato ben più che un semplice conforto. Dopo tre mesi
di frequentazione, Alan aveva chiesto la mano di Barbara e da due giorni villa
Abbot stava ospitando i festeggiamenti per il lieto evento.
“Mantieni
la calma Olympia, sono certa che torneranno presto. Sei forse invidiosa?”
Rispose Matilda, senza distrarre lo sguardo da Miss Bloomfield che, fasciata in
un meraviglioso abito color smeraldo, danzava con il suo promesso sposo.
“Invidiosa?
E perché mai, io ho già il mio spasimante!” Rispose Olympia, rivolgendo un
sorriso a Stephen Clearwater. Il giovane moro stava corteggiando Miss Osborne
da quando l’aveva rivista e, a quanto sembrava, le sue attenzioni non erano
affatto sgradite.
“Pare
proprio che io sia l’unica a restare sola.” Sospirò Miss Green. “Oh, suvvia Matilda! Ben presto anche tu avrai
a che fare con l’assillante corteggiamento di uno spasimante, ne sono certa.”
Disse Olympia, con un largo sorriso.
Susan
Scott fece la sua comparsa, tenendo per mano Mister Abbot. “Non hanno ancora
fatto il brindisi, vero?” Domandò la giovane dai capelli corvini. Olympia non
poté non notare le sue gote arrossate che subito le fecero intuire quanto
avvenuto tra i due.
“No,
Lady Scott, non temete.” Rispose Miss Osborne, rivolgendo un’eloquente occhiata
alla sua timida amica, che arrossì. Anche Joshua comprese che Olympia sapeva
fin troppo bene quanto accaduto tra lui e Susan: quella consapevolezza gli
provocò un certo imbarazzo.
La
musica terminò e i due promessi sposi si recarono al tavolo d’onore. Vedere
Barbara così raggiante ed emozionata fece gioire le sue amiche, liete che
quella festa di fidanzamento non fosse stata ostacolata da alcun fantasma
vendicativo.
Alan
prese la parola: “Miei cari ospiti, siamo lieti che abbiate partecipato ai
festeggiamenti per il nostro fidanzamento. Nonostante talvolta i nostri
rapporti di amicizia o parentela siano stati messi a dura prova da eventi
sgradevoli –Joshua era certo che il fratello si stesse rivolgendo a lui- ora
questi legami sono più forti che mai, proprio perché sono sopravvissuti a tali
prove. Vi ringraziamo per approvato e sostenuto la nostra unione e speriamo di
ritrovare tutti noi al nostro matrimonio”.
Il
discorso di Alan Abbot venne calorosamente applaudito da tutti i presenti, che
poi levarono i loro calici, brindando ai futuri sposi.
Una
volta terminato il brindisi, Barbara raggiunse le sue amiche, che
l’abbracciarono affettuosamente. “Sarete delle damigelle meravigliose!” Esclamò
Lady Bloomfield, senza riuscire a trattenere delle lacrime commosse.
“Cara
Barbara, rischi che una delle tue damigelle diventi persino tua cognata!” Disse
Olympia, facendo avvampare sia Lady Susan che Joshua, il quale si trovava poco
distante.
Barbara
rivolse un radioso sorriso a Susan, che non poté che annuire. Nonostante avesse
provato con tutte le sue forze a dimenticare Joshua, non v’era riuscita. Anche
se numerosi uomini l’avevano corteggiata durante il suo soggiorno in Francia,
Lady Scott non si era mai concessa a nessuno, incapace di scordare la sua prima
notte d’amore con il più giovane dei fratelli Abbot. A quanto pareva, poi,
anche Joshua era rimasto stregato da Susan tanto che, meno di un’ora prima,
quando avevano terminato l’atto amoroso, le si era dichiarato con ardore.
“Oh
Susan!” Disse Miss Bloomfield, abbracciando la sua timida amica.
Mentre
le danze riprendevano, le quattro fanciulle brindarono nuovamente alla loro
amicizia e al radioso futuro che, ne erano certe, le aspettava.
L’angolo
dell’autrice
Che
dire? Ce l’ho fatta! Questa è la conclusione di “A mansion in the fog”. Il
titolo di questa storia è dato dall’unione del titolo di due canzoni che amo
molto (strano, vero?), ovvero “A Mansion in Darkness” di King Diamond
dall’album “Abigail” e “Her Ghost in the Fog”, già citata nel capitolo
precedente. Ah, avete notato che le iniziali del nome e del cognome delle tre
protagoniste coincidono? Ebbene, non è una scelta casuale! La b di Barbara
Bloomfield si rifà alla parola beautiful (bella, in inglese), la s di Susan
Scott a shy (timida) e la o di Olympia Osborne ad outgoing (nella sua accezione
di espansivo).
Mi
prostro ai vostri piedi per ringraziarvi della vostra pazienza e fedeltà (in
particolare Hellister, Tetide, Bluefly e Neremir, che mi seguono sin dagli
inizi di questa avventura, ma anche tutti gli altri lettori) e spero di non
avervi deluse con un finale troppo lieto.
Ora
devo soltanto sistemare il layout e alcuni dialoghi dei primi capitoli (ho
deciso che i personaggi si danno del tu, mentre all’inizio avevo optato per il
voi. Manterrò i dialoghi in voi soltanto per i primi incontri tra Susan e
Joshua, dato che i due sono molto diffidenti l’uno nei confronti nell’altra).
Ah,
vi lascio il link di una Missing Moments che ho scritto su Joshua e Susan anche
se, vi avverto, è un po’ sdolcinata. Non linciatemi! Wish I had an angel.
Grazie
ancora, di cuore.
Carmilla Lilith.
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