Walls and dreams

di Stray
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sweet dream before the nightmare ***
Capitolo 2: *** Unknown target ***
Capitolo 3: *** The eyes of Death ***
Capitolo 4: *** Father's gaze ***
Capitolo 5: *** A scream inside ***
Capitolo 6: *** Touch ***
Capitolo 7: *** Beyond the wall ***



Capitolo 1
*** Sweet dream before the nightmare ***


Capitolo I – Sweet dream before the nighmare

Capitolo I – Sweet dream before the nighmare

 

“COOSAAA???”

“Sst… Yumi, ti prego!”

“Lui?! Lui… ti ha… E’ riuscito a…?”

“Sì, ma parla piano!”

L’agente Sato si guardò intorno, per controllare che non ci fossero occhi o orecchie indiscrete in giro.

“Ti ha invitato a cena?!”

“Sì…”

“E… e tu hai accettato?”

Sato si avvicinò alla sua scrivania, mentre tentava di nascondere il lieve rossore che le stava colorando le guance.

“…”

“Allora?”

“…Sì…”

“WAAAAAA!!!”

Yumi saltò al collo dell’amica, abbracciandola.

“Hey!”

“Congratulazioni! …e figli maschi!”

“Yumi!!!”

“E dove andate, di bello?”

Sato se la scrollò di dosso, divertita.

“Figurati se te lo dico! Non voglio mica ritrovarmi l’intera centrale alle calcagna, come al solito!”

“Non servirà a nulla… tanto qui, anche i muri hanno le orecchie!”

Un’improvvisa chiamata al cellulare di Yumi, salvò Sato da un estenuante interrogatorio. Yumi, dopo aver risposto, si allontanò sbuffando verso l’uscita.

“Devo andare… ma tu, preparati! Domani mi dovrai raccontare tutto… anche i più piccoli dettagli!”

Non appena l’amica fu uscita, Sato si lasciò cadere esausta su di una sedia.

In effetti, anche lei stentava ancora a credere che Takagi avesse trovato il coraggio di chiederle di uscire… Oddio, c’era voluto un bel po’, prima che smettesse di balbettare e arrossire (non che lei fosse stata da meno!)…

Però, era ora che si decidesse! E lei aveva solo afferrato la palla al balzo.

Aspettava da così tanto, un’occasione del genere…

Sorridendo senza rendersene conto, Sato controllò l’ora sul suo orologio: le sette in punto…

Tra meno di un’ora, il suo turno sarebbe finito e Takagi sarebbe passato a prenderla!

Sato prese uno specchietto dalla sua borsa, per controllare che fosse tutto in ordine. Sperava di non aver destato troppi sospetti quel giorno, a causa del suo aspetto: si era truccata leggermente e invece del suo solito tailleur professionale, si era messa una gonna chiara e una maglietta un po’ più scollata, nascosta durante il giorno sotto un pesante maglione.

Ormai non mancava molto all’arrivo di Takagi…

Speriamo vada tutto bene…!

Sato ricordò sconsolata, tutti i loro incontri interrotti e andati in fumo (generalmente a causa dei suoi colleghi…): non avevano avuto molta fortuna con gli appuntamenti…

Si tolse il maglione e  dopo averlo piegato con cura e lasciato in un cassetto della sua scrivania, si diresse verso l’uscita della centrale.

Questa volta sarebbe stato diverso: non avrebbe permesso a niente e nessuno di disturbarli!

Era ora di chiarire la loro situazione… il loro… rapporto…

Sato arrossì al solo pensiero: da quanto aveva cominciato a considerare Takagi, più di un collega… più di un amico?

Era una sensazione strana, che le era cresciuta a poco a poco, dentro.

Procedendo a piccoli passi, entrambi si stavano avvicinando sempre di più l’uno all’altra.

E prima o poi…

Sato fece un respiro profondo, per calmarsi, e uscì a passo spedito dalla centrale di polizia.

Takagi era già arrivato da un pezzo, e la aspettava vicino alla sua auto. Ere il suo giorno libero, e lo aveva passato a prepararsi per quella serata, in un totale stato di agitazione che non gli era ancora passato.

Il fatto che Sato avesse accettato il suo invito, lo aveva colto di sorpresa. Una piacevole sorpresa… Quella sera poi, quando la vide avvicinarsi a lui sorridendo, pensava che il cuore gli sarebbe scoppiato in petto dalla felicità: era bellissima, come sempre… più di sempre!

“Ciao…”

“Uhm… ciao…”

“…”

“…”

“E’ molto che aspetti?”

“No, no… sono… sono appena arrivato…”

Sì, come no…

“…”

“…”

“Ehm…”

“Uhm… f-forse è meglio andare…”

“Sì…”

Takagi le aprì la portiera, lasciandola entrare nell’auto. Poi raggiunse il posto di guida, e mise in moto.

Era diverso… profondamente diverso!

Non era solo lui, questa volta, ad essere imbarazzato… E questo… poteva significare …che forse… forse lei…

Prima di arrossire tragicamente, Takagi tornò a concentrarsi sulla guida. Quella sera, sarebbe stata un momento decisivo: doveva essere tutto perfetto.

 

 

 

“Mi scusi?”

“…”

“Mi scusi!?”

“Ah… sì?”

“Avete già ordinato?”

“Uhm… sì, grazie…”

Il cameriere si allontanò dal tavolo, scuotendo la testa.

Takagi cercò di calmarsi: in fondo stava andando tutto bene… avevano parlato del più e del meno, scherzato perfino!

Sato gli sorrideva sempre… anche se questa volta… aveva uno sguardo un po’ strano.

Non sapeva bene come definirlo… quasi liquido… molto profondo…

Molto… femminile…

Tutte le volte che lo guardava in quel modo, si sentiva inchiodare al suolo, completamente in fiamme. Aveva un effetto così devastante, su di lui… chissà se lei se ne rendeva conto?

Sato, di ritorno dalla toilette, si sedette di fronte a lui, guardandosi intorno.

Takagi aveva proprio scelto un bel locale: un ristorante italiano, molto accogliente e affollato… non uno di quelli snob, che lei detestava!

“C’è molte gente…”

“Già… il cameriere mi ha spiegato che questa sera, hanno come cliente un ricco imprenditore della zona…”

“Ah… dev’essere quel signore, seduto a quel tavolo: ha proprio l’aspetto dell’uomo d’affari…”

“Sì: sigaro in bocca, taglia XXXXXL…”

Sato rise di gusto e Takagi tirò un sospiro di sollievo, per la battuta ben riuscita.

Nessuno dei due sospettava minimamente che la buona metà dei clienti di quella sera, era formata da agenti in incognito (Shiratori incluso…) che li avevano seguiti per tenerli d’occhio!

All’improvviso, un piccolo orchestra salì su di un palco, all’angolo della sala, e lo spiazzo centrale, adibito per l’occasione a pista da ballo, cominciò a riempirsi di coppie: stavano cominciando a suonare un lento…

Takagi osservò la sua collega di sottecchi: Sato stava guardando la gente ballare, con  molta attenzione… Prima che potesse chiederglielo lui però, sorrise a Takagi, alzandosi in piedi.

“Ti va di ballare?”

Ecco, ancora quello sguardo…

“Non sono molto bravo…”

“Oh, andiamo!”

E prendendolo per mano, Sato lo trascinò verso la pista. Quando si ritrovarono faccia a faccia però, entrambi arrossirono violentemente, osservando tutte quelle coppie abbracciate: loro due non erano abituati a quel contatto così stretto, quasi intimo…

Takagi sai fece coraggio e le cinse la vita, portando la ragazza un po’ più vicina a se’, e Sato gli mise le braccia al collo, appoggiando il capo al suo petto.

“Bugiardo… balli benissimo…”

Superato l’imbarazzo iniziale, i loro movimenti si fecero a poco a poco meno rigidi, ed entrambi si abbandonarono tra le braccia dell’altro, cullati dalla musica.

I used to be lonely…

Una cantante era salita sul palco, riempiendo la sala con la sua voce melodiosa.

I used to be lonely, from the gracious days…

I used to be woebegone and so restless at nights…

Sato si strinse ancora un po’ al petto di lui, chiudendo gli occhi. Dava uno strano tepore, sapere di averlo così vicino…

Oh, but now…

Takagi, inutile dirlo, era già irrimediabilmente andato. Con lei così dolce, stretta a se’…

Aveva paura che fosse tutto un bellissimo sogno, dal quale si sarebbe svegliato poco dopo.

Oh, i sogni sanno essere così fragili…

Bolle di sapone, a cui basta un tocco leggero, una mossa sbagliata, per dissolversi nel nulla.

Takagi cercò disperatamente la voce, le parole che da così tanto voleva dirle, nel caos di pensieri e strane sensazioni che affollavano la sua testa. Prima che quel sogno sparisse per sempre, c’era così tanto da dire…

“Sato…”

No more “I love you’s”…

The language is leaving me…

Lei sollevò il capo per guardarlo negli occhi, paziente.

Dio, quello sguardo! Toglieva il respiro…

“Io…”

No more “I love you’s”…

Takagi rimase a fissarla, in silenzio: così tante cose da dire… e una voce codarda.

Changes are shifting outside the words…

Sato cercava attentamente nei suoi occhi, una traccia di ciò che lui stava per dirle.

I used to have demons in my room, at night…

Aveva un bisogno così disperato, di sentire quelle parole!

Desire… despair… desire… So many monsters !

Non poteva permetterlo, non voleva che dopo quella sera tutto tornasse come prima!

Era lì…  erano lì! Insieme, vicini, talmente vicini, in quella sala dove ormai, tutto ciò che li circondava era sfuocato, attutito, totalmente privo di importanza!

Oh, but now…

Takagi continuo a guardarla , per una lasso di tempo che a entrambi sembrò interminabile.

Poi, prese la sua decisione.

No more “I love you’s”…

Lentamente, avvicinò il viso a quello di lei: forse le parole non erano necessarie…

The language is leaving me… in silence…

Sato intuì le sue intenzioni, un po’ sorpresa da quella mossa così audace, per uno come Takagi… Rimase immobile, chiudendo gli occhi.

No more “I love you’s”…

Ora…  poteva sentire il respiro di lui farsi più vicino, il suo naso che già le sfiorava la guancia…

Changes are shifting outside the words…

Anche Takagi teneva gli occhi chiusi… totalmente ammaliato dalle dita di lei, che dalla sua nuca si muovevano leggere, per arrivare a sfiorare il suo viso…

…Outside the words…

Le loro labbra… così vicine, che ormai…

Sarebbe bastato così poco per…

Improvvisamente, uno sparo echeggiò nella sala.

Subito, gran parte dei clienti si buttarono a terra, terrorizzati.

Sato e Takagi, interrotti (come sempre…) sul più bello, si sciolsero dal loro abbraccio, guardandosi intorno.

Dall’altro lato della sala, videro Shiratori chiamarli con un cenno.

Quando lo raggiunsero, entrambi si ritrovarono davanti uno spettacolo ben poco romantico…

L’uomo d’affari, sul quale fino a poco fa stavano scherzando, era stato ucciso.

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Unknown target ***


Capitolo II – Unknown target

Capitolo II – Unknown target

 

Sato, con le guance ancora un po’ arrossate, si avvicinò a Shiratori, accompagnata da Takagi, un po’ abbattuto: Un’altra occasione mancata… ormai ci stava facendo l’abitudine!

“Shiratori! Cosa succede?… E tutti questi agenti, cosa ci facevano già qui?”

“Ehm… stavano svolgendo… un’indagine… sì, un’indagine in incognito!”

“Sì, certo…” Lo liquidò Sato, seccata. Yumi aveva ragione: alla centrale, anche i muri avevano le orecchie…

Shiratori, per non irritare ulteriormente Sato, si rivolse a Takagi (che nonostante non lo desse a vedere, era anche più scocciato di lei…).

“Avete visto qualcuno di sospetto, durante la serata?”

“Uhm…no, direi di no…” Rispose lui: Con Sato davanti, solo un pazzo avrebbe rivolto lo sguardo altrove, per guardarsi intorno!

Lei, dopo aver esaminato la situazione, chiamò con il cellulare l’ispettore Megure. Poi si rivolse a Takagi.

“Tu va’ pure a casa. In fondo è il tuo giorno libero…”

“No… ti aspetto, così ti riaccompagno in auto…”

“Non c’è problema” Gli sorrise beffardo Shiratori. “Ho chiesto a Yumi di portarle la sua macchina che ha lasciato alla centrale.”

Dhou!

“Ah… allora…”

Takagi la salutò e dopo aver pagato il conto, uscì dal locale, con il morale a terra.

Il sorrisetto vittorioso di Shiratori poi, non lo aiutò a sentirsi meglio…

La serata si era conclusa nel modo più sbagliato in assoluto.

AAARGHH!!! C’era mancato così poco per…

Takagi non fece in tempo a finire il pensiero, che sentì qualcuno prenderlo per un braccio.

Voltatosi, si ritrovò davanti Sato, un po’ accaldata per la corsa… oppure per l’imbarazzo?

“Ehm… volevo… ringraziarti per la serata…”

“Ah… di nulla. Mi spiace che sia finita così…”

“Beh, uhm…ci saranno altre occasioni… no?”

EVVAAAAIII!!!

“C-certo! Se… se ti va…”

“…”

“…”

Dopo qualche minuto di imbarazzo generale, Sato si avvicinò a lui, schioccandogli un rapido bacio sulla guancia.

“Buonanotte…”

“Ah… B-buonanotte…”

Takagi rimase imbambolato per un bel po’, mentre la guardava rientrare di corsa dentro il locale per continuare le indagini.

Chissà se anche lei, dopo quella serata, sentiva qualcosa agitarsi dentro…

Tornato di buon umore, Takagi salì in macchina e mise in moto: In fin dei conti, non era proprio stato un fiasco totale…

 

 

Il giorno dopo Yumi, che era stata informata del ‘Bacio mancato’ dai suoi colleghi, si precipitò da Sato per sapere tutta la storia.

“Povero Takagi! Ci sarà rimasto malissimo…”

Sato scattò in piedi, visibilmente irritata.

“E io allora?”

Rendendosi improvvisamente conto di ciò che aveva detto, arrossì completamente, sotto gli occhi stupiti dell’amica.

“Ehm… vado a fare due passi…”

Sato uscì dalla centrale a passo spedito, e una volta all’aperto, respirò a fondo.

Yumi non aveva idea di quanto LEI  ci fosse rimasta male per l’altra sera!

Era da tanto ormai, che lei e Takagi cercavano di chiarire i loro sentimenti… era un po’ un eterno rincorrersi a vicenda.

Sato sperava che quell’appuntamento avrebbe sbloccato quell’insostenibile situazione… C’era davvero mancato così poco!!!

I suoi pensieri furono interrotti da una voce che la chiamava . Voltandosi, Sato vide dall’altro lato della strada Ran e tutta la squadra dei Giovani Detective al gran completo, che la salutavano.

Ayumi, in particolare, fece per attraversare la strada e venirle incontro. Non prestò attenzione nemmeno al furgone che sopraggiungeva in quel momento, e che ormai era a pochi metri da lei, suonando il clacson…

Con uno scatto, Sato cercò di raggiungere la bambina, ma Ran e Conan furono più veloci, e riuscirono a tirarla in salvo sul marciapiede, prima che accadesse una disgrazia.

Sato corse da loro, per accertarsi che stessero tutti bene.

“Ayumi! Cosa ti è saltato in mente!”

“Mi scusi…”

“Devi sempre guardare, prima di attraversare la strada!”

“Sì…”

Dopo aver terminato la ramanzina, la ragazza si rivolse ai suoi piccoli amici.

“Allora… cosa ci fate da queste parti?”

Ran le rispose, prendendo Ayumi in braccio.

“Stiamo andando alla torre di Tokyo. Abbiamo sentito che oggi danno degli spettacoli di giocoleria… e volevo portarci i bambini.”

Conan la interruppe, indicando l’altro lato della strada, dove poco prima si trovava Sato.

“Perché c’è tutta quella gente radunata là?”

Tutti insieme andarono a controllare. Dopo essersi fatti largo tra la folla, scoprirono che il centro dell’attenzione generale, era un proiettile conficcato nel cemento del marciapiede.

Sato cercò di informarsi sull’accaduto dai passanti. Possibile che lei non si fosse accorta di nulla? In fondo stava camminando esattamente in quel punto, prima di correre verso Ayumi…

“Che è successo?”

“Oh… lei è la signorina che era qui poco fa… Non ha sentito lo sparo? E’ successo proprio mentre attraversava di corsa la strada…

“ E’ davvero fortunata!” Aggiunse un altro. “Io ho visto con i miei occhi, quel proiettile, mentre si piantava a terra! Se lei non si fosse spostata all’improvviso, l’avrebbe sicuramente colpita!”

Conan, che stava ascoltando molto attentamente l’intera conversazione, notò una sagoma scura, che furtiva sparì in un vicolo vicino. Serio, si rivolse a Sato.

“Agente, è meglio che chiami l’ispettore Megure: Qui, qualcosa non va…”

 

 

 

Una volta che la polizia fu arrivata, l’ispettore Megure cercò di tranquillizzare i passanti.

Intanto Takagi, Shiratori e Sato  tirarono fuori il proiettile dal cemento, sotto gli occhi  curiosi dei bambini.

Dopo una rapida occhiata, Shiratori lo passò a Sato.

“E’ curioso: si tratta dello stesso tipo di proiettile che ieri sera ha ucciso quell’uomo. Non vorrei che a sparare, fosse stata la stessa pistola…”

Conan cercò di saperne di più.

“Cos’è successo, ieri sera?”

“Oh, è stato ucciso un importante uomo d’affari, un certo Takeda… Sato e Takagi erano presenti, perché avevano un appuntam… Urgh!”

Shiratori non riuscì a terminare la frase, perché una gomitata di lei, lo colpì in pieno stomaco.

“Ehm… sì…” Continuò Sato. “Eravamo presenti… ma non abbiamo notato nessuno di sospetto…”

L’ispettore Megure li raggiunse.

“Allora? Novità?”

Takagi gli rispose, mentre finiva di scrivere sul suo taccuino.

“Forse il responsabile dello sparo e il killer di ieri sera sono la stessa persona… I tipi di proiettile usati, combaciano.”

“d’accordo. Allora portate il proiettile in centrale per le analisi. Dopo fatemi un rapporto, anche sui fatti di ieri sera…”

Tutti raccolsero le loro cose, avviandosi verso i rispettivi incarichi. Ran chiamò i bambini, e dopo averli radunati, si diressero verso la torre di Tokyo.

Solo Conan rimase silenzioso : aveva un brutto presentimento… e ormai, aveva imparato a fidarsi del suo istinto.

Non gli era sfuggita inoltre, l’espressione terrorizzata di Ai, quando avevano visto quella sagoma sparire dietro l’angolo. La bambina tremava ancora, quando gli prese il braccio e gli sussurrò ad un orecchio.

“Prima… ho sentito… C’era uno di loro là, Shinichi! Ne sono sicura…”

Conan soppesò bene le parole, prima di risponderle.

“Lo so. Però stai tranquilla… a quanto pere, per una volta i bersagli non siamo noi…”

 

 

 

 

Erano passati  solo due giorni dal caso del ‘proiettile vagante’ , quando la tragedia fu scampata ancora una volta.

La polizia aveva ricevuto la segnalazione di una rapina in un supermercato e ora Sato, l’ispettore Megure e Takagi , nonché una dozzina di agenti, stavano circondando l’uscita del negozio, per impedire la fuga al rapinatore.

Minacciando un ostaggio con un coltello però, il malvivente riuscì a superare il blocco  e dopo averlo abbandonato, si gettò in una fuga disperata con la polizia alle calcagna.

Tutti videro trattenendo il fiato, il proiettile che sfiorò la testa di Sato, lasciandola illesa.

La ragazza sentì quella freccia d’aria passarle vicino alla tempia, e se non si fossee spostata per caso, all’ultimo secondo…

Dopo qualche minuto, Takagi riuscì ad acciuffare il rapinatore ma quando, dopo averlo ammanettato, lo perquisì, gli trovò addosso solo il coltello con cui aveva minacciato l’ostaggio. Di pistole, nemmeno l’ombra…

Un po’ preoccupato, si rivolse a Sato.

“Non è stato lui, a sparare…”

“Già…” Aggiunse con tono serio l’ispettore Megure, che si era fermato a raccogliere qualcosa dietro di lui.

“…E il tipo di proiettile è lo stesso di due  giorni fa…”

 

 

 

Nelle centrale la tensione era palpabile.

Tutti stavano origliando la discussione in atto nell’ufficio dell’ispettore Megure, e l’intero reparto sobbalzò quando quest’ultimo uscì dalla stanza con Sato che lo seguiva.

“Le ripeto che non ho affatto bisogno di una ‘guardia del corpo’ !”

“Basta, Sato! E’ fin troppo chiaro che il bersaglio di quegli spari sei tu… e tutto ciò deve essere legato in qualche modo ai fatti di quella sera…”

Sato però, continuava ad insistere.

“Ma si tratta di coincidenze! E in ogni caso, sono in grado di cavarmela da sola…”

“Non discutere, Sato: questo è un ordine di un tuo superiore! Hai bisogno di protezione, e l’avrai, fino a che non avremo catturato il responsabile…”

Il silenzio calò nella stanza: era chiaro che se Sato aveva bisogno di una ‘guardia del corpo’, l’ispettore Megure avrebbe sicuramente scelto uno di loro…

Tutti erano attenti e nervosamente aspettavano il verdetto.

“Takagi, te ne occupi tu. Visto che siete già usciti insieme, non darai troppo nell’occhio e non desterai troppi sospetti…”

L’urlo di dolore dell’intero reparto non riuscì a sovrastare quello di gioia di Yumi, che origliava da dietro una porta.

In ogni caso, Takagi si ritrovò al centro di una dozzina di sguardi ostili.

Era al settimo cielo per la nuova occasione che gli era stata presentata ma… aveva come la netta sensazione che tutti gli esponenti maschili in quella sala, lo avrebbero volentieri fatto fuori, se avessero potuto…

 

 

 

Conan apprese la notizia poche ore dopo, dai discorsi eccitati di Yumi che raccontava l’accaduto a Ran e Sonoko. Senza farsi notare, tirò un sospiro di sollievo: sospettava già che il bersaglio fosse l’agente Sato, ed ora che ci era arrivata anche la polizia, l’avrebbero protetta a dovere.

Con gli Uomini In Nero non si scherza.

Lui lo sapeva bene: lo aveva imparato a sue spese.

“Yumi, sai dove sono ora, Takagi e Sato?”

“Uhm… dunque, dovrebbero essere alla centrale:penso che rimarranno là per tutta la giornata…”

Sonoko rise.

“Sì… e magari ci scappa un bel risvolto romantico!”

“Ah! Ma non vi ho ancora raccontato della sera in cui Takagi e Sato sono usciti insieme?”

“EHEEEE???”

Lasciando le tre ragazze ai loro pettegolezzi (Ah! Le donne…), Conan si incamminò verso la centrale di polizia: doveva fare qualche domanda a Sato… non gli era ancora ben chiaro il motivo per cui la avessero presa di mira… Che anche lei avesse visto qualcosa che non doveva? A dire la verità, non era nemmeno sicuro al cento per cento che l’Organizzazione centrasse qualcosa…

Sebbene l’istinto lo avvisasse diversamente, continuava ancora a sperare di essersi sbagliato.

Gli risuonavano ancora in testa le parole di Ai, dell’altro giorno…

“E’ inutile, Shinichi… Se quelli la hanno scelta come obiettivo… non ha più alcuna speranza!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** The eyes of Death ***


Capitolo III – The eyes of death

“ Piovono petali di girasole

sulla ferocia dell’assenza.

La solitudine non ha odore

ed il coraggio è un’antica danza…”

                         Mannoia

 

Capitolo III – The eyes of death

 

Takagi aprì la porta del tetto, affacciandosi con due bicchieri di caffè in mano.

Come immaginava, Sato era lì affacciata al parapetto, con sguardo assente. La conosceva abbastanza bene da saper riconoscere quando era arrabbiata per qualcosa: in quelle occasioni, cacciava qualche sfuriata, poi si rifugiava sempre lì per starsene in pace, lontana da tutti. Forse le piaceva, la vista della città dall’alto…

Il ragazzo le si avvicinò, cauto.

Era sicuramente irritata per la faccenda della ‘guardia del corpo’, ma… non riusciva proprio a capire perché! Non appena lei si accorse della sua presenza, le porse uno dei bicchieri.

“Grazie…”

Bevvero i loro caffè insieme, pensando bene a cosa dire: non avevano più parlato di ciò che era successo, o meglio, che stava per succedere la sera di due giorni fa… e Takagi non era sicuro che fosse il momento giusto, per affrontare l’argomento.

Sato lo sorprese a fissarla, con aria perplessa.

“Che c’è?”

“Ah… nulla. Solo… sei arrabbiata con me?”

Ecco, aveva acceso la miccia: restava solo da vedere se la bomba sarebbe esplosa o meno!

Sato ci pensò un attimo, poi con un sospiro gli sorrise,paziente.

“Affatto! Non è nulla, sono solo un po’ stanca di tutta questa storia…”

Finì di bere il suo caffè e si diresse tranquillamente verso le scale.

“Dove vai?”

“A fare un giro. Non posso fare niente… e sono stufa di stare chiusa qui.”

Takagi ingoiò rapidamente ciò che restava del suo caffè, e si mise la giacca.

“Ti accompagno.”

“Non devi…”

“E invece sì!”

Sato lo guardò incuriosita, mentre lui la raggiungeva: le era quasi sembrato che… No,non era da lui, perdere la pazienza così facilmente… non con lei!

Takagi, dal canto suo, era sempre stato accondiscendente verso di lei. Ma questi suoi sbalzi d’umore , in una situazione così incerta poi… non facevano altro che complicargli ulteriormente le cose! Come se corteggiarla, non fosse già abbastanza difficile!

Ma c’era poco da fare: lui era buono e paziente di indole, non era capace di arrabbiarsi sul serio. Pensandoci, Sato si rese conto di non averlo mai visto veramente infuriato… al contrario di lei, che si infiammava per un nonnulla, come in quel momento: forse stava davvero esagerando… dopotutto, Takagi stava solo svolgendo il suo compito.

La ragazza lasciò che Takagi le si affiancasse, poi gli prese la mano, senza dire una parola.

Lui, questa proprio non se l’aspettava!

Continuarono a camminare così per un po’, mano nella mano, in balia del più completo imbarazzo. Mentre lento, il sole tramontava… e le ombre nere si risvegliavano.

 

 

 

Non stavano camminando da molte, quando all’improvviso una sagoma scura comparve loro davanti, nella folla. L’uomo era interamente vestito di nero, e un cappello dello stesso colore gli copriva il volto e la lunga chioma bionda.

Sato non fece caso a lui, fino a quando questo, passandole accanto, non la guardò fisso.

La ragazza si sentì improvvisamente mancare: c’era qualcosa di crudele in quegli occhi che scintillavano, all’ombra del cappello… uno sguardo pesante, carico di un odio senza ragione, infestato da qualcosa di affamato, che mostrava i denti alle sue prede prima di sbranarle senza pietà. Come si poteva essere così pieni di pazzia?

Takagi sentì la presa di lei sulla sua mano, farsi più stretta e tesa. Si era accorto anche lui dell’uomo che ormai, era passato oltre e si era perso tra la folla.

Non gli era piaciuto per niente, il modo in cui aveva guardato Sato… quel ghigno feroce e divertito…

Lei intanto pensava. Cercava nella sua testa, nei suoi ultimi ricordi, la figura di quell’uomo: era sicura di averlo già visto… ma dove?

Improvvisamente sentì Takagi tirarla verso di se’, e guardarla serio.

Va tutto bene…

Sato si accorse di stare ancora stringendo la mano di lui, e velocemente allentò la presa: nemmeno lei sapeva spiegare quella strana paura fredda e pesante che l’aveva come attanagliata.

Sentì ancora a mano di Takagi stringere la sua.

Va tutto bene.

Ma non andava affatto tutto bene. E fu proprio Takagi, il primo ad accorgersene. Sentì il suolo e l’aria vibrare di una scossa che si avvicinava velocemente… e improvvisamente, apparve: un tir stava venendo loro addosso a tutta velocità, da una strada in discesa alla loro destra.

Subito, il ragazzo tirò Sato a se’, buttandosi all’indietro con lei tra le braccia, mentre la gigantesca massa di metallo si schiantava contro il muro di un edificio.

Pezzi di vetro e cemento volarono dappertutto, mentre entrambi cadevano a terra, un po’ graffiati ma tutti interi.

Non appena il frastuono dell’impatto finì, e la gente cominciò ad avvicinarsi impaurita, Takagi cercò di alzarsi ma il corpo di Sato, ancora immobile sopra di lui, glielo impedì.

La ragazza, appena si rese conto che la paura la stava prendendo di nuovo, si alzò rapidamente, arrossendo.

“Stai bene?”

“Sì…”

“Non… non sei ferita, vero?”

“Sto bene, non ti preoccupare.”

Takagi la aiutò ad alzarsi. La Sato fragile di qualche attimo prima però, era già sparita, nascosta chissà dove… Entrambi si avvicinarono a ciò che rimaneva del camion, per controllarne l’abitacolo: come avevano immaginato il conducente non c’era… non era difficile immaginare il perché.

Takagi rimase un attimo in silenzio, per lasciarle il tempo di riprendersi, prima di farle una domanda molto importante.

“Quell’uomo… che ti guardava prima: lo conosci?”

“No… però sono sicura di averlo visto da qualche parte. Ma non riesco a ricordare dove…”

“Forse a quel ristorante?”

Sato e Takagi si voltarono di scatto, trovandosi di fronte il piccolo Conan, che i quel momento sembrava tutto tranne un bambino piccolo…

Il bambino ripetè la sua domanda.

“Potresti averlo visto la sera di due giorni fa, al ristorante, quando il signor Takeda è stato ucciso? Pensaci bene…”

Sato si sforzò di ricordare. Sì, era stato quella sera… ora ricordava!

“Sì, stavo tornando dalla toilette, quando l’ho visto parlare con un altro uomo vestito di nero come lui… sembrava che stessero fissando un punto preciso della sala, senza mai mollarlo.”

Improvvisamente Sato capì come stavano veramente le cose. Conan continuò.

“Ti hanno vista, mentre li fissavi?”

Sato annuì. “Solo quello con i capelli biondi. L’altro se ne era già andato per pagare il conto. Questo spiega perché tra i clienti interrogati, loro non ci fossero…”

Il bambino sospirò, preoccupato.

“Allora il motivo di tanto accanimento, è semplice: quell’uomo deve aver notato che eri un agente, visto che ti sei avvicinata alla vittima che lui stesso aveva ucciso, e hai preso parte alle indagini. E dal momento che ti aveva sorpreso a fissarlo… ha pensato di dover togliere di mezzo una testimone scomoda…”

Takagi non sembrava del tutto convinto.

“Come fai ad esserne così sicuro? Se quell’uomo non appare nei registri dei presenti al ristorante di quella sera, non abbiamo prove per affermare che sia implicato in questa storia.”

“E’ semplice: perché il signor Takeda aveva già avuto a che fare con organizzazioni mafiose, per degli affari in precedenza e …”

Improvvisamente Conan si rese conto di aver detto più del necessario.

“C-comunque, questo è quello che si dice in giro…”

Takagi sospirò perplesso: davvero strano, quel bambino…

“Comunque sia, è maglio tornare alla centrale. Dobbiamo informare l’ispettore Megure  di tutta la faccenda, inoltre…”

Si rivolse a Sato, con un tono che non ammetteva repliche.

“… è troppo rischioso per te, rimanere ancora qui.”

La ragazza annuì, preoccupata. Suo malgrado, doveva dargli ragione.

L’aveva scampata per un soffio, un’altra volta…

 

 

 

Gin si accese una sigaretta, aspirando a fondo il fumo grigio e denso. Poi entrò nell’auto nera, parcheggiata di fianco a lui.

“Hai fatto ancora fiasco?”

Vodka si sentì inchiodare da uno sguardo carico di rabbia, e si rese conto che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.

Gin rise. Una risata amara come le sue parole…

“Quella donna ha la fortuna dalla sua…”

“Sei sicuro che ne valga la pena?”

L’uomo buttò fuori dal finestrino il rimanente della sua sigaretta, e mise i moto.

“Quella ragazza è un’agente… era presente e ci ha visto, la sera in cui abbiamo fatto fuori il vecchio: non possiamo concederci il lusso del dubbio. Dobbiamo assicurarci che non parli.”

“Ma ormai si sarà già ricordata di noi… e avrà già riferito tutto alla polizia!”

“Non è detto. E comunque la loro unica prova è la testimonianza di quella ragazza… se la eliminiamo, non avranno più nulla a cui attaccarsi, e il caso verrà archiviato…”

“Sì, ma come pensi di fare? E’ già la terza volta che riesce a scamparla…”

Gin premette ancora l’acceleratore, fissando la strada con i suoi occhi di ghiaccio.

“Questa volta non ce la farà. Sai come si dice: quando la Morte viene di persona, non c’è più alcuna speranza…”

 

 

 

 

Quando Conan entrò nell’appartamento di Kogoro Mouri, era già buio.

Si era attardato a parlare con Ai delle ultime novità: anche se non era riuscito a trovare Gin, ormai era certo che fosse lui il responsabile di tutti quei casini. Aveva avuto la conferma che gli serviva, quando si era accorto che Takeda era lo stesso uomo che stava concludendo un affare con Gin e Vodka al parco di divertimenti, il giorno in cui lo avevano fatto rimpicciolire.

“Stanne fuori, Shinichi.” Gli aveva detto però alla fine, Ai. “Per noi è troppo rischioso intervenire. L’agente Sato dovrà cavarsela da sola… come stiamo facendo noi.”

Starne fuori? Come faceva a starne fuori mentre gli Uomini In Nero mettevano a repentaglio la vita di chi gli stava vicino? Non aveva confessato il suo segreto a nessuno, proprio per evitare questo genere di situazioni… e adesso doveva starne fuori?!

Conan aprì la porta dell’appartamento, immerso nel buio.

Ran lo aspettava, seduta sul divano, e appena il bambino richiuse la porta dietro di se’, si alzò e gli mollò un sonoro schiaffo sulla guancia.

Conan rimase quieto, non un gemito, non un lamento.

Davvero uno strano bambino…

Ran era sull’orlo delle lacrime.

“Dove sei stato fin’ora?!Non… non farlo mai più! Non ti azzardare mai più a sparire senza dire nulla, come quello stupido di Shinichi… Hai capito?! Mai più!!”

Quando non ebbe più fiato, si lasciò cadere sul divano, con il viso tra le mani.

“MA LUI RITORNERA’ PRESTO! QUINDI NON PIANGERE, E FIDATI DI LUI!!”

Conan aveva urlato. Non lo aveva mai fatto…

Ran smise all’istante di piangere, sorpresa, e si chinò abbracciando il bambino.

“Io mi fido di lui… è solo che…”

Conan la abbracciò a sua volta, con le sue braccia troppo piccole, per dare quel conforto di cui lei aveva bisogno.

…è solo che non sopporto più la sua assenza, la sua lontananza…

Come poteva fare? Cosa poteva fare davanti a quel dolore, di cui lui stesso era la causa?

Conan era furioso: non avrebbe permesso che l’Organizzazione portasse ancora una volta dolore, nella vita di chi gli stava intorno, delle persone più importanti per lui.

Mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Father's gaze ***


Capitolo IV – Father’s gaze

Capitolo IV – Father’s gaze

 

L’ispettore Megure si lasciò cadere stanco, sulla sedia del suo ufficio.

La situazione stava diventando critica: ormai era certo che Sato fosse il bersaglio di tutti e tre gli attentati… restava da scoprire il perché. Qualcuno bussò alla porta e Megure si alzò per aprire.

“Entra, Takagi.”

“Signore…”

“Hai delle novità?”

L’ispettore lasciò sedere il ragazzo davanti alla sua scrivania.

“Sì signore: forse abbiamo scoperto il movente delle aggressioni a Sato…”

Takagi gli raccontò dell’uomo vestito di nero che avevano incontrato quel giorno, e della sua quasi certa implicazione nell’omicidio di Takeda. Dopo aver ascoltato attentamente tutta la storia, l’ispettore Megure fece le sue domande.

“Non abbiamo molto su cui basarci… sapreste descrivere il suo aspetto?”

“Sì.”

“Allora andate dal responsabile degli identikit, e inserite quest’uomo nella lista dei ricercati.”

“Sì signore.”

Takagi si alzò ma prima di raggiungere la porta, si fermò, indeciso sul da farsi: c’era una cosa che voleva sapere da quando era iniziata l’intera faccenda.

“Signore, posso farle una domanda?”

“Sì.”

“Ecco… volevo sapere se Sato si è lamentata della mia protezione…”

“Direi di no. Perché avrebbe dovuto? Stai facendo un ottimo lavoro!”

“Ah… beh,è che mi sembra sempre irritata per qualcosa…per tutte le attenzioni che riceve da tutti, in questo momento…”

L’ispettore Megure si sedette, sospirando divertito.

“Takagi, quella ragazza è uno dei nostri migliori agenti, e mi è stata affidata da un mio amico e collega, morto 18 anni fa…”

Takagi si ricordava benissimo della morte del padre di Sato: lei stessa gli aveva raccontato che era morto in servizio… e insieme a Conan avevano anche trovato il colpevole.

“Non è in caso quindi, che sia così protettivo nei suoi confronti…ma come puoi ben capire la situazione è critica! Il problema è che a lei non piace essere protetta, come se fosse una bambina indifesa. Mi dispiace se sta scaricando tutta la sua rabbia su di te: se vuoi posso chiedere a qualcun altro di…”

“NO! Ehm… no, posso continuare a pensarci io… volevo solo…”

Megure sorrise, scherzoso.

“…Sapere come trattarla?”

“Sì…”

L’ispettore rise.

“Takagi, ti voglio dare un consiglio, più da amico che da superiore… quella ragazza è come una bomba: bisogna saperla maneggiare con molta cura…”

Pronunciò quell’ultima frase guardandolo negli occhi, come solo un padre un po’ apprensivo sa fare.

Takagi annuì, sorridendo: aveva ricevuto il messaggio.

Senza dire altro aprì la porta dell’ufficio, seguito dagli occhi stanchi dell’ispettore Megure .

Aveva fatto bene a designare Takagi come ‘guardia del corpo’ di Sato: lui non avrebbe mai permesso che qualcuno le facesse del male… di questo era sicuro.

 

 

 

Il giorno dopo, Takagi era già pronto e puntuale davanti alla casa di Sato. Visti gli ultimi avvenimenti, era meglio accompagnarla anche nel tratto di strada tra casa sua e il dipartimento di polizia.

Quando lei l’aveva saputo però, non gli era sembrata molto contenta…

Takagi ripensò a quella sera di due giorni fa: e se si fosse trattato veramente di un sogno?

Il ragazzo scosse la testa, prima di arrossire completamente e sospirò, sconsolato: prima o poi avrebbe dovuto parlarle di quella sera… non potevano andare avanti così!

Sapeva benissimo di dover essere lui a fare la prima mossa, ma non era affatto così semplice… l’indifferenza di lei poi, era davvero disarmante!

Interrompendo i suoi pensieri, Sato uscì dalla porta di casa sua, chiudendola a chiave.

“Ciao. Sei già qui?”

“Ehm… già…”

“Perfetto. Allora, andiamo.”

Takagi la seguì, perplesso.

Fantastico:quel giorno era anche di cattivo umore! E pensare che fino all’altro giorno, passeggiavano mano nella mano come due fidanzati… Non ci capiva più nulla!!!

Fu Sato a salvare la situazione (tanto per cambiare…): non le piaceva, il ruolo di ‘donzella in pericolo’ che stava ricoprendo… non era abituata a fare la parte di quella debole e indifesa, che aspetta il principe azzurro versando qualche lacrimuccia. Non era mai stata così, e non lo sarebbe diventata ora!

Però…

Trasgredendo il suo codice morale, Sato si voltò, guardando Takagi con occhi  dolci.

“Mi spiace crearti tutti questi problemi…”

“Ah… n-no, nulla…”

Eccolo! Stava già arrossendo…

La ragazza rise tra se’ e se’: le armi di seduzione femminili erano sempre infallibili!

Sato osservò divertita quel ragazzo, che camminava paziente vicino a lei. Nonostante quell’aria impacciata e titubante, si rese conto di quanto assomigliasse a suo padre…

Gli occhi, soprattutto: avevano quel non so che di incredibilmente dolce e comprensivo… anche se ogni tanto, quando sorprendeva Takagi a fissarla, qualcosa accendeva quello sguardo, in profondità…

Senza rendersene conto, la ragazza arrossì.

Non c’errano più dubbi, era davvero cotta! Il difficile era ammetterlo…

La voce di Takagi la destò dai suoi pensieri.

“Senti…”

Takagi si fece coraggio: forse non era il momento sbagliato  per parlarle… chissà quando si sarebbe ripresentata un’altra occasione!?

“Ecco… io…”

Avanti!

“Vorrei… parlarti di una cosa…”

“Non vuoi più farmi da ‘guardia del corpo’?”

“Cosa!? NO!!!… Insomma, Sato! Sto cercando di dirti una cosa importante…!”

Entrambi si fermarono a guardarsi, allibiti. Lui per ciò che aveva appena detto, lei per averlo visto perdere la pazienza per la seconda volta, nel giro di pochi giorni.

Molto strano…

Sato distolse lo sguardo, arrossendo ancora di più.

“Dimmi…”

Lui cercò di riprendere il filo del discorso, nella confusione dei suoi pensieri.

“Ecco… volevo solo… riguardo a quella sera… io …noi…”

“Non è sicuro per la signorina Sato, stare fuori dalla centrale.”

Entrambi abbassarono lo sguardo, ritrovandosi davanti il piccolo Conan, che li fissava.

Takagi avrebbe voluto urlare.

Perché? PERCHEEEEEE’?!?!?

Invece gli sorrise, cercando di contenersi.

“Ehm… ciao, Conan…”

Il piccolo lo prese in disparte per parlargli a quattr’occhi.

“E’ pericoloso per lei, camminare per la strada…”

Takagi gli arruffò i capelli, ridendo.

“Lo so. Infatti sono appena passato a prenderla a casa sua, e la sto portando in centrale, al sicuro…”

Sato li fulminò con lo sguardo.

“Vi ho sentiti, voi due…”

Takagi si affrettò a rimediare, prima che la ragazza esplodesse.

“Ehm… un po’ di pazienza: questa situazione non durerà in eterno!”

Conan rimase zitto: non se la sentiva di contraddirlo. Sato sospirò, rassegnata.

“D’accordo, farò la brava…”

Takagi tirò un sospiro di sollievo: disinnesco riuscito!

Improvvisamente notò l’espressione terrorizzata di Conan, che fissava qualcosa dietro di loro. Rapido, si voltò e si rese conto del guaio in cui si erano cacciati : un’auto nera gli stava seguendo, e alla guida di essa…

Conan prese entrambi per mano e cercò di trascinarli in mezzo alla folla, per essere più riparati.

“Takagi! Prendi Sato e cercate di nascondervi dentro qualche locale… presto!!! Io vado a cercare l’ispettore Megure!”

il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Prese Sato per mano e si tuffò con lei in mezzo alla gente che si accalcava sul marciapiede.

“Takagi! Aspett…”

Improvvisamente la ragazza sentì qualcosa afferrarle il braccio. Si voltò, e desiderò non averlo mai fatto: davanti a lei c’era Gin, che la fissava con quel  suo ghigno crudele che gli segnava il volto come una ferita.

Sato si bloccò all’istante: ancora quella sensazione di paura incontrollata…

Sarebbe morta lì, se Takagi non la avesse strappata a forza dagli artigli della tigre.

“Sato! Via di qui!!”

Lei sentì il calore tornarle in corpo, da quelle dita che le stringevano la mano, conducendola verso una via di fuga. Corsero un bel po’, prima di raggiungere un edificio in costruzione, entrando nel cantiere deserto.

Takagi, sempre tenendo la ragazza per mano, cercò un nascondiglio tra i muri non ancora completi e i cumuli di mattoni e cemento. Trovato un angolino riparato e sicuro, afferrò Sato per le spalle, guardandola serio negli occhi.

“Ora ascoltami bene: qualsiasi cosa succeda… tu devi rimanere qui nascosta. E’ chiaro? Non uscire, no farti vedere per nessun motivo!”

Sato annuì, un po’ scossa: non lo aveva mai visto così serio e determinato…

“E tu?”

Takagi prese la sua pistola, dalla fondina nascosta sotto la giacca. Poi le prese una mano tra le sue.

“Lo tengo lontano da te… in un modo o  nell’altro!”

Fece una pausa prima di continuare, con il tono più convincente che conosceva.

“Andrà tutto bene… andrà tutto bene!”

Sato era preoccupata: perché quelle parole avevano un suona così strano… come se lui tentasse di convincere anche se stesso, di ciò che aveva appena detto.

Non aveva idea di quanto avesse ragione…

“Takagi…”

Gin non si fece attendere molto.

Entrambi sentirono i suoi passi risuonare tra le pareti, avvicinarsi al loro nascondiglio, rimbombando nel petto e nella testa, insieme al battito sempre più veloce del loro cuore.

Nel silenzio scandito da quei passi, persino i loro respiri sembravano assordanti.

Sato cominciò a tremare senza capire perché e cercando in tutti i modi di controllarsi. L’aria sembrava più fredda ed entrava in gola tagliente, quasi troppo densa da respirare.

Poi, il rumore dei passi cessò, e Takagi sentì distintamente lo scattare di una pistola che veniva caricata.

Era vicino… troppo vicino!

Una voce, fredda come la morte, ruppe il silenzio.

“E’ ora di morire, signorina…”

Era ora: Takagi strine un’ultima volta la mano di Sato tra le sue dita, come a voler ribadire la raccomandazione che le aveva fatto prima, poi con uno scatto uscì allo scoperto, puntando la pistola contro la sagoma scura ,di fronte a lui.

“Qui non c’è nessuno: solo tu ed io. Getta la pistola!”

Gin rise con la sua risata stridente.

“Troppo poco convincente…”

L’uomo corse in avanti, con una velocità impressionante, sparando verso il ragazzo. Takagi riuscì a schivare per un pelo i colpi, riparandosi dietro una colonna, e sparò a sua volta.

Ma gin era veloce, troppo perché i colpi dell’agente andassero a segno. Come un serpente guadagnava terreno, senza staccare gli occhi di dosso dalla sua preda.

Perchè era questo che rappresentava Takagi, in quel momento: la preda, la vittima, il sacrificio.

Il gioco prima del lauto banchetto.

Takagi rabbrividì: sapeva benissimo chi fosse la seconda portata…

Un colpo che sibilò pericolosamente vicino alla sua spalla, riportò il ragazzo alla realtà: se si lasciava uccidere così, non ci sarebbe stato più nulla da fare neanche per Sato.

Ma c’era un’altra cosa che lo preoccupava… e anche Sato dal suo nascondiglio, arrivò alla stessa conclusione.

Takagi stava finendo i colpi a disposizione!

Ormai dovevano rimanergliene tre, e una volta terminati quelli…

Ma la sparatoria continuava, volente o no, e Takagi si rese conto con orrore che Gin si stava avvicinando troppo, e sempre di più al nascondiglio di Sato!

Con un ultimo slancio disperato, cercò di attirarlo sparando, dall’altro lato del cantiere.

Ora i colpi rimasti erano due…

Ma quella mossa non fece che aumentare ulteriormente i sospetti di Gin: la donna era lì, sentiva la sua paura infestare l’aria…

Takagi gli si parò davanti sparando un’altra volta.

Un colpo solo…

Gin schivò con estrema facilità il proiettile, avvicinandosi ancora e riuscendo a colpire la mano del ragazzo, anche se solo di striscio.

Senza badare al dolore, Takagi cercò con lo sguardo un riparo ma non ne trovò: avrebbe dovuto allontanarsi troppo da Sato e non poteva permetterselo, ora che l’unico ostacolo rimasto tra lei e Gin era lui.

Gin rise ancora di più, un ruggito di trionfo, un raschiare feroce di artigli sulla pietra.

Ormai era fatta! Erano suoi, inermi… Spacciati!

Improvvisamente, il rumore delle sirene della polizia, risuonò nel cantiere spoglio e la voce dell’ispettore Megure portò un piccolo barlume di speranza in quella situazione ormai disperata.

“Arrenditi! La zona è circondata: getta le armi ed esci con le mani alzate!Non hai più vie di fuga, arrenditi!”

Prima che Gin potesse rendersi conto di cosa stava succedendo, Sato uscì allo scoperto, puntandogli la pistola contro.

Lui non poteva chiedere di meglio!

Rapido come una belva, fece per ripararsi dietro un cumulo di mattoni e sparò verso la ragazza.

Sato udì lo sparo e chiuse gli occhi, attendendo il proiettile che inesorabilmente, l’avrebbe colpita. Invece sentì qualcosa spingerla di lato violentemente, e cadde a terra, sbattendo contro il pavimento duro.

Si rialzò a fatica, per ritrovare di fianco a lei il corpo immobile di Takagi, mentre la chiazza di sangue si allargava velocemente, attorno a lui.

 

 

 

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Capitolo 5
*** A scream inside ***


“They’ve got a wall in China

“They’ve got a wall in China

it’s a thousands miles long…

It make them strong.

And I’ve got a wall around me

That you can’t even see.

It took a little time

To get next to me…

…It took a little time, but you get next to me.”

                                    Annie Lennox

 

 Capitolo V – A scream inside

 

Quando l’ispettore Megure e i suoi agenti irruppero nel cantiere, si trovarono davanti uno spettacolo che mai avrebbero voluto vedere.

Sato era a terra, con gli occhi sbarrati e vuoti, e sorreggeva un corpo inerme e ricoperto di sangue.

Non piangeva, non gridava… restava quieta, con Takagi tra le braccia e il sangue che continuava a scorrere, sporcandole il viso e le mani.

In un angolo, il cadavere di Gin aveva ancora gli occhi aperti e uno strano ghigno gli deformava il volto che stava diventando freddo: all’ultimo momento prima di cadere, Takagi era riuscito a mettere a segno il suo ultimo colpo…

L’ispettore Megure si avvicinò a Sato ,incerto, e cercò di farla alzare aiutato da Yumi.

“Sato… forza, possiamo ancora salvarlo!”

Si rivolse alla sua squadra, urlando.

“Chiamate subito un’ambulanza, svelti!”

Sato riuscì a mettersi in piedi, ancora con lo sguardo perso nel vuoto: sembrava una bambola rotta, che non poteva più muoversi…

Yumi la sorresse  prontamente quando le sue gambe cedettero, e qualcosa nel petto le si sbriciolò, alla vista di quel corpo… di Takagi, ancora inerme sul pavimento duro.

Guardò il suo viso, sporco di sangue e terra, con gli occhi chiusi… sembrava stesse dormendo.

Ma tutto quel sangue, quel sangue che si seccava tra le dita di lei!

Perché era lì?

Sato fissò le sue mani come in trance, mentre i medici trasportavano Takagi sull’ambulanza appena arrivata, che assordava quasi, con la sua sirena spiegata.

Guardò quel rosso intenso tra le sue dita, sentì quel sapore metallico e ramato nella sua gola, spingere prepotentemente per uscire, una nausea insopportabile.

Qualcosa… qualcosa urlava nella sua testa, nel suo petto, nella gola… incessantemente…

Piegandosi su sé stessa, vomitò.

Cercò di distinguere la realtà tra tutte quelle ombre frenetiche e sfuocate, che danzavano davanti ai suoi occhi… ma quel sangue! Quel sangue era l’unica cosa vivida, cruda davanti a lei. Sato chiuse gli occhi, respirando forte.

Quando li riaprì, la realtà le apparve per quella che era: ne’ meno crudele ne’ meno tragica.

“Sato! Sato, rispondimi! Sato…!”

Non seppe mai come fece la sua voce flebile a uscire dalla sua gola, come un gemito strozzato.

“Yumi…”

“Oh, per fortuna! Pensavo che fossi ferita anche tu!

L’amica l’abbracciò, preoccupata. Sato si ribellò debolmente.

“Dove… dov’è Takagi…?”

L’ispettore Megure la prese per un braccio, aiutando Yumi a sorreggerla.

“E’ in ospedale. Vieni, anche tu devi farti visitare…”

Sato si lasciò quasi trasportare verso l’auto di servizio di Yumi, parcheggiata lì vicino.

Era stanca… stanca di tutto.

Soprattutto di quella voce che urlava ancora, tra le lacrime, dentro di lei.

 

 

 

 

La sala d’attesa dell’ospedale era piena di agenti. Insieme ad essi, oltre all’ispettore Megure, Yumi e Shiratori, c’erano anche Ran e Conan.

Il bambino aveva insistito tanto per venire e nessuno aveva potuto dirgli di no: in fondo, era stato lui a chiamare aiuto ed era sinceramente preoccupato per Takagi.

In realtà Conan era furioso: Nessuno poteva immaginare che quel piccolo corpo potesse contenere tanta rabbia.

Ancora una volta…

Ancora una volta gli Uomini in Nero avevano colpito con violenza, ed erano spariti nell’ombra.

Anche se Gin era scomparso per sempre, questa volta. Non sapeva se esserne ‘contento’ o meno: la vendetta è un sentimento che non aveva mai sperimentato, e dal quale cercava di tenersi lontano, ma ora… ora era più difficile del solito, mantenere una visione dell’insieme lucida e distaccata.

Inoltre, con Gin morto, le possibilità di rintracciare l’Organizzazione per tornare adulto, si assottigliavano…

Conan guardò Ran, intenta a parlare con Yumi e Shiratori : provò ad immaginare cosa avrebbe fatto lui, se il bersaglio degli Uomini in Nero fosse stata lei…

Una stretta al cuore gli impedì di continuare il pensiero: faceva troppo male, anche solo ipotizzare una cosa simile. Ran si accorse del suo viso triste, e lo prese in braccio accarezzandogli i capelli.

“Sta’ tranquillo: vedrai, che l’agente Takagi starà bene…”

Conan la abbracciò forte: non gli era sfuggita l’incertezza di quelle parole…

Ormai, non si trattava più di un estraneo… Takagi era un amico, una di quelle persone ormai rare che sanno prestare attenzione anche a dei mocciosi come loro, sanno ascoltare con una gentilezza unica anche il più piccolo problema, e si sforzano al limite delle loro possibilità e oltre, per aiutare chi sta loro vicino.

Non era giusto che alla fine di tutto, fosse proprio una persona simile a rimetterci… ma Conan sapeva bene che il mondo funzionava da sempre in quello stupido modo, senza che nessuno potesse farci nulla.

La ‘Legge del più forte’…la legge del più stupido!

La porta della saletta si aprì, lasciando entrare uno dei medici e Sato, che era uscita miracolosamente illesa dallo scontro.

Almeno, esteriormente…

Senza dire una parola, la ragazza si sedette in un angolo rivolgendo, di tanto in tanto, lo sguardo alle sue mani, abbandonate in grembo.

Il sangue… il sangue di Takagi che fino a qualche ora fa le ricopriva, era stato lavato via.

Ma…

Rimaneva l’odore, il sapore metallico e pungente della Morte.

Il dottore, dopo aver parlato un po’ con l’ispettore Megure, uscì silenziosamente. Megure si sedette vicino a Yumi e Ran, per informarle sulla situazione.

“Il proiettile ha perforato un polmone, ma per fortuna non ha toccato il cuore… se l’operazione andrà bene… si salverà.”

Le due ragazze sospirarono, sollevate. Ran strinse più forte Conan a sé.

L’ispettore continuò.

“Yumi, accompagna a casa Ran e il piccolo Conan: l’operazione sarà lunga…”

“Sì signore.”

In quel momento Sato si alzò, barcollando impercettibilmente. Gli sguardi di tutti erano su di lei, apprensivi e incerti sul da farsi.

“…Potresti accompagnare anche me? Vorrei… vorrei andare a casa…”

“Certo.”

Yumi le si avvicinò, sorreggendola mentre si avviava con Conan e Ran, verso l’uscita.

 

 

 

 

Dopo aver lasciato Sato a casa sua, Yumi rimise in moto l’auto, per accompagnare Ran e Conan. Il bambino si era addormentato, e ora riposava tranquillamente sul sedile posteriore.

Dopo un lungo silenzio, Ran si decise a fare una domanda che da un po’ le ronzava in testa.

“Yumi, posso chiederti una cosa… personale?”

“Dimmi.”

“La signorina Sato… non ha mai pianto?”

Era vero: per tutto il tempo, all’ospedale, nessuna la aveva vista versare una lacrima. E non si poteva certo dire che non fosse tremendamente scossa, per ciò che era successo a Takagi…

Yumi sorrise, un sorriso forzato e un po’ triste.

“Non farti ingannare dalle apparenze: Miwako sembra una donna forte e decisa, e come agente lo è di sicuro… ma in realtà è molto più fragile di quanto si possa pensare, e dalla morte del padre ha cominciato a reagire al dolore in quel modo…”

“Cioè?”

“Ha cominciato a costruirsi come un muro attorno, una corazza, uno scudo che non lascia entrare il dolore…”

Fece un sospiro rassegnato, scotendo la testa.

“…Ma che non lo lascia neanche uscire.”

Ran abbassò la sguardo, annuendo comprensiva: andare avanti comprimendo la tristezza e le lacrime dentro di sé, nascondendole alla vista degli altri… lei sapeva cosa voleva dire.

E a volte faceva male. Un male quasi insopportabile, che rimbombava dentro.

Yumi le sorrise, per tirarla su di morale.

“Non ti preoccupare: non appena Takagi si sarà rimesso, vedrai che prima o poi lui riuscirà a far cedere le difese di Sato!”

la ragazza accese i fari dell’auto, che sfrecciava tagliando il buio ormai vicino e la foschia serale.

“E’ l’unico in grado di farlo…”

Ran la guardò, con sguardo interrogativo.

“Perché proprio lui?”

Yumi rise, sorpresa.

“Ma come?! Non è lampante?”

Tornò a concentrarsi sulla strada davanti a lei, cercando di distinguere le sagome degli edifici, nella nebbia.

“Lo ha dimostrato anche questa volta: perché la ama d’avvero. Più della sua stessa vita…”

 

 

 

“Rimani qui, non uscire per nessun motivo!”

“E tu?”

“Takagi…? Dove sei? Perché non rispondi? Takagi?! Takagi!! Avevi detto che sarebbe andato tutto bene! Takagi!”

Lui non c’è.

“Avevi detto…”

Lui non c’è più. Non può più sentirti, ora.

“Chi sei?”

Lo sai bene…

“Cosa vuoi? Chi sei venuta a prendere questa volta?”

Lui non c’è più…

“No! Non è vero! Lui…”

Sono venuta a prenderlo.

“BASTA! Basta, non voglio più … vattene!! Lasciami in pace, lasciaci in pace!!!”

Sono qui per lui.

“NO!! Non lo toccare! Non lascerò che me lo porti via!! Non ora che … ora che…”

‘Ora che’ cosa? Ora che ti sei resa conto di amarlo?  Ora che hai capito quanto lui sia importante nella tua vita?

Ora che sai piangere per lui?

“Non… non portarmelo via! Ti prego…”

Rispondi. Hai visto fin dove si spingerebbe, per te…

Ma tu, TU QUANTO SEI DISPOSTA A RISCHIARE, SOLO PER LUI?         

Sato si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Sia alzò dal letto, incerta sulle gambe che non volevano saperne, di sorreggerla.

Sentiva la gola secca, il respiro pesante, gli occhi umidi…

Quell’incubo tremendo doveva finire, doveva lasciarla libera, una volta per tutte!

Quanto sei disposta a rischiare…

La verità era che rischiava sé stessa: sentire ancora una volta quel dolore lancinante e sordo che la aveva attanagliata con la morte di suo padre, quel senso di perdita definitiva, quell’ammissione di debolezza e impotenza…

Fece qualche respiro profondo, deglutendo a fatica: no, non si sarebbe concessa anche quel pianto, quell’ulteriore umiliazione!

Sorpresa, Sato scoprì di non riuscire a controllare il tremore che l’aveva nuovamente afferrata.

Senza pensare portò le mani al viso: poteva ancora sentire il profumo sottile di lui, tra l’odore del sangue, della terra e della polvere di quell’inferno.

Quanto sei disposta a rischiare?

Si appoggiò al muro freddo, respirando forte, chiudendo gli occhi, le orecchie, il pensiero a quella domanda troppo difficile.

“Andrà tutto bene…”

Sato scivolò lungo la parete, accartocciandosi sul pavimento come carta che brucia.

“Bugiardo…”

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Touch ***


Capitolo VI – Touch

Capitolo VI – Touch

 

“Ma come?! E io che pensavo di dover assistere ad un moribondo… e invece ti trovo qui a ridere e scherzare!”

Questo fu il commento di disappunto di Yumi, che entrando nella stanza di Takagi, lo trovò in compagnia della Squadra dei Giovani Detective, intenti a farsi raccontare, quasi come fosse un film d’azione, la sparatoria del cantiere abbandonato.

Gli unici a starsene tranquilli erano Conan e Ai, che di tanto in tanto cercavano di tranquillizzare i loro compagni, per lasciare a Takagi un po’ di respiro.

Infatti nonostante il ragazzo si stesse rimettendo con una velocità da record, era passata solo una settimana dall’operazione che gli aveva salvato la vita, e la spesse fasciature che gli ricoprivano il petto e la mano destra ne erano la prova evidente.

Ogni tanto poi, Takagi doveva interrompere il suo racconto per riprendere fiato, quando la ferita non ancora del tutto guarita, ricominciava a dolergli, rendendo il respiro più difficoltoso.

Yumi entrò nella stanza d’ospedale proprio durante una di  queste pause forzate, e notando la stanchezza del suo collega, prese la palla al balzo e si intromise nel racconto dando dimostrazione delle sue capacità di narrazione… e della sua assurda fantasia!

Insomma alla fine della vicenda, i bambini pendevano dalle sue labbra e Takagi poté riposarsi per qualche minuto.

“…e alla fine, il cattivo e la sua banda furono uccisi dal nostro eroe, grazie al suo potentissimo raggio-laser…”

“Yumi! Ma da dove salta fuori adesso, questo raggio-laser!?”

“Immaginazione, Takagi. Una narratrice di talento come me, deve saperla usare alla perfezione…”

Takagi sospirò, sconfitto, mentre i bambini ridevano. All’improvviso, Conan si intromise nel racconto, non riuscendo a trattenere oltre la domanda che da un pezzo voleva fare.

“E l’organizzazione a cui apparteneva quell’uomo, che fine ha fatto?”

Yumi torno con i piedi per terra.

“Non se ne sa più nulla… ma la polizia sta raccogliendo informazioni per aprire un’indagine.”

Anche Takagi diventò serio. Soprattutto quando vide l’espressione carica di rabbia di quello che sempre meno sembrava un bambino di sei anni.

Conan esplose.

“Dovete fare in fretta! Quelli sono capaci di sparire nel nulla senza lasciare tracce dietro di loro, a costo di uccidere, e…!”

Il bambino si zittì, impallidendo letteralmente davanti allo sguardo attento e indagatore di Takagi su di sé. Subito tentò di cambiare discorso.

“Ehm… Noi dobiamo andare, non è vero ragazzi? Ciao, Takagi.”

Uscì quasi correndo, cercando di non incrociare il suo sguardo con quello del ragazzo.

Raramente, Takagi aveva quell’espressione.

E il più delle volte, significava che il suo istinto di ‘sbirro’ stava per mettersi seriamente all’opera.

Ma Conan, davanti a quello sguardo che chiedeva a chiare lettere “Chi sei tu, veramente?”, stava scappando. Si era scoperto troppo, per aiutare Takagi, si era spinto fino al limite della sua condizione di bambino.

E il risultato era fin troppo chiaro: Takagi sospettava qualcosa.

Conan lo aveva sottovalutato una volte, non era il caso di ripetere l’errore…

Seguito a ruota dai suoi piccoli amici, il bambino uscì dall’ospedale. Ai gli si affiancò, guardandolo fisso.

“Stai perdendo la calma.”

“Lo so! E’ solo che…”

“…E’ solo che, se non trovano al più presto qualche informazione sull’Organizzazione, noi on avremo più piste da seguire, ora che Gin è…”

La bambina deglutì, presa da un momentaneo e improvviso brivido. Conan, intuendo il suo disagio, finì quella frase fatale al suo posto.

“E’ morto, Ai. E’ morto davvero: non può più farti nulla.”

La bambina si sforzò di sorridergli, ma il risultato fu una piega amara che trasformò il suo sorriso in una maschera.

“Lo so… Lo so.”

‘Come un incubo’ pensò Conan, osservando la reazione dell’amica. ‘Proprio come un incubo, che lascia sempre un velo di paura,sottile come un ricordo, anche dopo il risveglio.’

Non trovò il coraggio necessario per dirle che anche il suo cuore, come quello di  lei, stentava ancora a liberarsi da quella paura.

 

 

 

Dopo aver seguito con lo sguardo dalla finestra, i bambini che si allontanavano lungo la strada, Yumi si rivolse a Takagi.

“Allora, come stai?”

Il ragazzo scoppiò a ridere.

“Vediamo…Mi hanno appena operato, le ferite non sono ancora guarite, ogni respiro è una tortura, quindi… Sì, mai stato meglio!”

Yumi gli lanciò un’occhiataccia.

“Fa’ poco lo spiritoso! In centrale siamo tutti in pensiero per te…”

“Tutti?”

Yumi sorrise, nel notare lo sguardo attento del ragazzo. Era fin troppo ovvio che cosa Takagi volesse veramente chiederle: ‘Anche lei?’

Ridendo, lo rassicurò.

“Tutti.”

Sospirando, Takagi si appoggiò allo schienale del letto. Era un po’ stanco e Yumi se ne accorse.

“Senti, fatti una bella dormita, sei distrutto! Io intanto vado a prendermi un caffè.”

E senza lasciare al ragazzo possibilità di replicare, uscì dalla stanza.

Takagi decise di seguire il consiglio: In fondo era davvero esausto, dopo aver passato il pomeriggio con le forze della natura più devastanti del mondo (ovvero Yumi e i bambini!)!

Non appena chiuse gli occhi, si rese conto che non avrebbe faticato molto ad addormentarsi.

O almeno, così credeva…

 

 

 

Era rimasta davanti alla porta di quella stanza per più di un quarto d’ora, tanto che molte delle infermiere cominciavano a guardarla con curiosità.

Ma lei questo non poteva saperlo, perché stava pensando.

Così, nel tentativo disperato di prendere una decisione, Sato si era addentrata nell’intricato mondo dei suoi pensieri, ignorando tutto ciò che le stava attorno.

Tutto tranne quella porta.

C’erano solo lei e quella porta.

Doveva solo decidere se aprirla o meno.

Quanto sei disposta a rischiare?

La sua mano si mosse da sola, afferrando la maniglia lucida e spingendola verso il basso, ruotando il polso. Con uno scatto che continuò a rimbombarle a lungo nelle orecchie, la porta si aprì lasciandola entrare nella stanza bianca.

Le prime cose che catturarono violentemente il suo sguardo, furono le fasciature che avvolgevano il petto e la mano destra di Takagi.

E subito, quel grido che conosceva fin troppo bene,rimbalzandole nella testa, la rintronò a tal punto che dovette appoggiarsi al muro, per non cadere.

E’ COLPA TUA! SOLO COLPA TUA!!

Sato lasciò passare qualche secondo per riprendersi.

Poi, si avvicinò al letto dove Takagi dormiva, osservando i lineamenti del ragazzo distesi nel sonno, ma così simili a quando…

Scacciò quel pensiero dalla sua testa, avvicinandosi ancora un poco, fino a sfiorare con la punta delle dita il bordo delle lenzuola.

Quanto sei disposta a rischiare?

Si sedette vicino al letto e appoggiò la sua mano su quella fasciata del ragazzo.

Lentamente.

Rischiava di perderlo, ecco la verità. Rischiava di soffrire ancora.

Rischiava di perdere il controllo, di vedere tutte le sue difese sbaragliate, perché era questo che sentiva, nello stargli vicino.

Rischiava di piangere, di scoppiare in lacrime come una bambina, perché sapeva benissimo che davanti a lui non avrebbe più potuto trattenersi.

Rischiava di mostrarsi fragile, indifesa, a volte inutile, a volte solo umana.

Perché davanti a lui, non sarebbe stata più capace di fingere.

Istintivamente chiuse gli occhi, concentrandosi sul calore che nasceva da quelle mani, l’una sull’altra. Sato non sapeva bene perché, ma quel calore, il respiro lento di lui, regolare e tranquillo, quel silenzio così naturale… avevano il potere di calmare, almeno per un poco, le urla nella sua testa e quella domanda decisiva, a cui non aveva ancora trovato risposta.

 

 

 

Non poteva essere stato un sogno.

Takagi continuava a guardarsi intorno, cercando di mettere a fuoco l’intera stanza.

Eppure era stato così reale… quel tocco così leggero e indeciso, così lento e cauto da non averlo svegliato!

Ma aveva lasciato traccia di sé, un tepore tranquillo, un profumo familiare di cui cercava di ritrovare traccia nell’aria della stanza…

Un profumo così familiare!

No, quel tocco gli era sembrato talmente vero e talmente fragile, che non aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi, di muovere un muscolo per paura che potesse sparire.

Ma alla fine era svanito lo stesso, lasciandosi dietro una scia di dubbio, come un sogno da dormiveglia.

Quando Yumi rientrò nella stanza, lo trovò ancora assorto nei suoi pensieri.

“Sei riuscito a dormire? Che hai?”

“Nulla…” Si affrettò a rassicurarla Takagi.

“Era solo un sogno…”

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Beyond the wall ***


Capitolo VII –

“…E forse alla fine di tutto questo, qualcuno troverà il coraggio

 per affrontare i sensi di colpa

e cancellarli da questo viaggio.

Per vivere davvero ogni momento

con ogni suo turbamento,come se fosse l’ultimo.

Perché la vita è un brivido che vola via,

è tutto un equilibrio sopra la follia.

Sopra la follia…”

                                      Mannoia-Vasco

   

Capitolo VII – Beyond the wall

 

 

“Quanto hai ancora intenzione di farla durare, questa situazione?”

Yumi era in piedi davanti a lei, le braccia conserte e un’espressione tra l’imbronciato e il capriccioso che le corrugava leggermente la fronte.

Sato arrossì, alzandosi di scatto dalla sua scrivania.

“Non ora, Yumi…”

“E quando, allora? Tra sei mesi? Due anni? Non potete andare avanti così, Miwako! Takagi ha la pazienza di un santo, ma questo non vuol dire che ti aspetterà in eterno!”

Sato cercò disperatamente con lo sguardo qualcosa su cui concentrare la sua attenzione.

Con l’indice nervoso, si ritrovò a cancellare una macchia inesistente dal legno del tavolo.

“Perché non lo vai almeno a trovare?” Continuò Yumi.

“Ormai dovrebbero averlo dimesso dall’ospedale… Va’ a casa sua e chiarite, una buona volta!”

“Non posso.”

“Ma perché?!?”

Yumi proprio non riusciva a capire.

Cosa c’era di tanto difficile?

Ormai era chiaro che si amavano, lo avevano capito tutti, persino dei bambini! Bisognava solo dare un via. Ovviamente, il via c’era stato, ma Sato sembrava voler evitare in tutti i modi di coglierlo…

Ma perché?

“Forse… è meglio che lasci perdere…”

Yumi si zittì all’istante, fissando l’amica con espressione sconcertata.

Aveva sentito bene?

“Sì…” Continuò Sato.

“Forse… è meglio per tutti che la cosa finisca qui. Takagi è… una persona speciale per me ma… io non me la sento di rischiare ancora così tanto. Hai visto cos’è successo al cantiere: non posso lasciare che mi stia vicino, rischiando di…”

Lo schiaffo di Yumi la colpì violentemente sulla guancia, facendole voltare velocemente la testa.

Ora, tra le due, era Sato ad essere incredula e spaventata: non aveva mai visto l’amica così arrabbiata. Yumi non riuscì a trattenersi dall’urlare, destando la curiosità di qualche collega che si affacciò stupito dal proprio ufficio.

“Non… non ho mai visto una persona più ottusa di te! Quella specie di corazza che ti ritrovi ti ha resa completamente cieca?! Stai mandando in malora una cosa più unica che rara, solo per paura, Miwako: tu hai paura di soffrire di nuovo!

Così ti chiudi nella tua fortezza, tappando occhi e orecchie, lasciando che gli altri continuino a sbattere contro le tue mura, fino allo sfinimento, facendosi solo del male… come Takagi!”

La ragazza respirò profondamente, cercando di riassumere il controllo. Non sapeva bene perché, ma le era venuto un nervoso tale, che un altro schiaffo non le sarebbe dispiaciuto.

Invece sorrise. Un sorriso acido, e un po’ malinconico.

“Sai, io non lo capisco proprio, quel ragazzo: se fossi un uomo avrei gettato la spugna già da un pezzo. Invece lui sarebbe morto per te, se fosse stato necessario…”

“BASTA!”

L’urlo di Sato risuonò come un eco per i corridoi della centrale. Tutte le porte degli uffici si richiusero, coi i rispettivi proprietari barricati all’interno: quando Sato gridava, era meglio non trovarsi nei paraggi……

“Non capisci? E’ proprio questo il punto: stava per morire! E la colpa sarebbe stata solo mia, SOLO MIA! Non posso permettermi che accada di nuovo, non voglio ritrovarmi ancora da sola a pensare come sarebbe stato se solo…”

“Perché, ora cosa stai facendo?”

La voce di Yumi era tornata bassa e pacata. Non c’era più rabbia o incredulità. Solo severità.

“Dici che non vuoi dei rimpianti… ma cosa pensi che siano tutti questi discorsi? Dimmi, Miwako, cos’è che ti manca? Cos’è che ti serve per capire quanto Takagi ti voglia bene, per sentire quanto ti ama? Io proprio non riesco a capirlo…”

E voltatasi di scatto, si avviò verso l’uscito senza degnare l’amica di uno sguardo.

Non riesco a capire…

Sato rimase da sola nella stanza, una mano sulla guancia ancora dolorante, a ripetersi quella stessa domanda più e più volte: Quanto era disposta a rischiare, cosa le mancava?

Se l’avesse saputo, non avrebbe pensato a Takagi, a se stessa, alla loro situazione, durante tutta la sua convalescenza!

Evitava di vederlo solo per un motivo: non sapeva cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbe fatto, come avrebbe fatto a chiedergli scusa per tutto, come avrebbe fatto a dirgli grazie, per essere sempre stato vicino a lei, nonostante la sua indifferenza… sempre.

Come un ricordo lontano le tornò in mente la serata, la bellissima serata che avevano passato insieme, prima che tutto quell’inferno iniziasse.

Rimpianse la semplicità dei loro gesti, che allora sembravano così difficili, la dolcezza degli sguardi, le parole non dette, o non dette in tempo, la musica che rendeva tutto più facile e magico…

Le veniva da piangere.

Ora vedeva solo se stessa, ferma in piedi in quella stanza con una mano sul viso, a fissare il vuoto in cerca…

In cerca di cosa?

Di un sogno?

Vedeva se stessa, così indecisa, e la veniva da piangere.

Sorrise debolmente ripensando a tutte la volte che si era sentita abbattuta, quando non sapeva più dove sbattere la testa, durante un’indagine particolare o un problema…

E Takagi c’era sempre, spuntava dal nulla per consolarla e tirarla su di morale. Sempre.

Yumi aveva ragione: Takagi era l’unico che aveva continuato a bussare alla sua porta, anche se non sempre aveva ottenuto risposta.

Anche se immancabilmente, quel muro invalicabile rimaneva tale.

Per lui, che voleva entrare… per lei che cominciava a voler uscire disperatamente.

Ancora massaggiandosi la guancia, Sato prese la sua giacca e si incamminò verso l’uscita.

Se non altro, quello schiaffo l’aveva svegliata a dovere… e il bello era che avrebbe anche dovuto ringraziare Yumi!

 

 

 

Quando Sato suonò il campanello del suo appartamento, Takagi stava tentando (fallendo miseramente) di cambiare la fasciatura che gli ricopriva il petto.

Sato fece letteralmente un salto dallo spavento, perché quello che venne ad aprirle la porta, sembrava più una mummia fatta male.

Molto, ma molto male.

“Ciao…”

“Ma… ma cosa…?!”

Era difficile indovinare chi dei due fosse il più imbarazzato.

Takagi arrossendo fino alle orecchie, si fece da parte per lasciarla entrare in casa.

“Ehm… forse ho sbagliato qualcosa con le bende…”

“Dici?” Disse lei, ridendo. “Aspetta, ti do una mano…”

Takagi la accompagnò in soggiorno, dove si sedettero sul divano, ridendo, mentre Sato cercava di disfare i nodi incredibili che non si sa bene come, Takagi era riuscito ad intricare peggio di una ragnatela.

“Da quanto ti hanno dimesso?”

“Tre giorno. La ferita è guarita, ma i medici mi hanno ordinato di cambiare comunque le fasciature almeno una volta al giorno, così… sono due giorni che tento di slegarmi!”

Sato rise di nuovo.

Era da tanto che non rideva così, o almeno le sembrava passato così tanto tempo…

Anche Takagi se ne accorse.

L’ultima volta che la aveva vista, stava cadendo tra la polvere di quel cantiere, mentre la vista gli si annebbiava.

Gli era mancata la sua risata, il suo sorriso… davvero.

Sato sembrava non accorgersi degli sguardi che lui le lanciava di tanto in tanto, indaffarata com’era nel districare quell’ammasso di fasciature: ormai era fatta, ancora un piccolo sforzo… Ma nell’appoggiarsi alla sua spalla, per riuscire meglio a srotolare le bende, improvvisamente si bloccò.

Lo sguardo le cadde sulla cicatrice chiara, che le fasciature avevano nascosto fino a quel momento, e un groppo alla gola le rese difficile il respiro.

Voltò rapidamente il capo, cercando di distogliere lo sguardo, ma a Takagi non sfuggì quel repentino cambiamento d’atmosfera.

“Stai bene?”

“Sì…”

Seguirono alcuni secondi di silenzio, travestiti da ore.

Takagi, impacciato come sempre le accarezzò il viso, asciugando una lacrima che scendeva furtiva sulla guancia ancora gonfia.

Lei abbozzò un sorriso incerto tra le lacrime.

“Takagi…?”

“Sono qui.”

“Grazie.”

Lui la guardò sorridendole sollevato.

“Per cosa?”
Sato alzò gli occhi incontrando i suoi.

“Per tutto questo.Per essere qui…con me.”

E fu l’inizio della fine, perché Takagi commise un errore.

Il problema è che un uomo non riesce a guardare negli occhi la donna che ama senza perdercisi dentro. E questo fu esattamente ciò che lui fece.

Rimase muto, immobile a fissare quel viso, quello sguardo che non riusciva a decifrare, in silenzio. E non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, non riusciva a dire una parola.

Sudando freddo, cercò in tutti i modi una via d’uscita da quell’imbarazzo che li aveva attanagliati.

Anche Sato dovette accorgersene, perché i suoi occhi prima tranquilli e seri, cominciarono a tradire qualche segno d’inquietudine.

“Ti… ti prendo qualcosa da bere…?”

“Lascia, ci penso io…”

Sato si alzò velocemente, troppo per non incespicare nelle bende srotolate, sparse sul pavimento. Cadde in avanti, finendo dritta tra le braccia di Takagi, scattato come una molla per sorreggerla.

E così si era tornati al punto di partenza.

E l’imbarazzo era sempre lì, in agguato, ma questa volta Takagi non si lasciò afferrare.

Chiudendo gli occhi si lasciò guidare dai suoi sensi. Lentamente, si sporse un po’ più avanti, sfiorandole la guancia con le dita, mentre appoggiava le labbra sulla sua fronte.

Lentamente, attento alla minima reazione di Sato, che invece lo lasciò fare, chiudendo a sua volta gli occhi. Incoraggiato dal suo silenzio teso, Takagi la baciò ancora sulla tempia,sentendo le sue ciglia solleticargli la guancia.

Poi, discese ancora, sfiorando i suoi lineamenti fino a toccare le sue labbra, respirando nel suo respiro, che diventava a poco a poco più veloce.

E Sato teneva gli occhi chiusi: voleva sentirlo, quel ragazzo che stava finalmente abbattendo tutte le sue difese, percepirlo con tutta se stessa.

Appoggiò una mano sul suo petto, sentendo il calore della sua pelle entrarle dentro, sfiorando con le labbra la cicatrice chiara e percorrendo il brivido che attraversava entrambi.

Risalì lungo il collo, sciogliendosi al tocco delle sue mani grandi che le accarezzavano la schiena, sollevando leggermente la maglietta che indossava.

Strofinò la guancia ancora un po’ arrossata contro la leggera barba incolta del ragazzo, e appoggiò la bocca sulla sua, mordendo dolcemente le sue labbra, lasciando che lui la assaporasse, a lungo, mentre la stringeva più forte a sé, lasciando scivolare le sue mani lungo la vita sottile di lei.

L’elettricità di quel contatto li fece rabbrividire, nella sua intensità, lasciandoli senza fiato.

Gli occhi ancora chiusi.

Così, se fosse stato un sogno, avrebbero potuto continuare a sognare ancora per un po’…

 

 

 

Yumi arrivò davanti alla casa di Takagi sospirando un po’ abbattuta.

A quanto pare con Sato non c’erano più speranze… la notizia gli avrebbe spezzato il cuore, poverino! Le dispiaceva dover fare la parte del ‘triste messaggero’…

Suonò il campanello più e più volte.

Nulla.

Notò con sorpresa che le persiane erano abbassate, le finestre chiuse.

Che fosse uscito?

Strano però: nelle sue condizioni…

Stava per tornare sui suoi passi, quando notò l’auto di Sato parcheggiata lì di fronte.

Era senza dubbio la sua, la avrebbe riconosciuta ovunque, ma allora…

Allora…!!!

Facendo letteralmente un salto per la sorpresa, Yumi tornò di corsa alla sua auto.

Un sorriso compiaciuto le si dipinse in volto: Finalmente!

Eh,già: Sato avrebbe dovuto raccontarle mooolte cose, la mattina dopo…

Ma per ora non c’era fretta, Yumi poteva tranquillamente aspettare.

Non era proprio il caso di interrompere un sogno così bello!

 

 

 

Tipregotipregotiprego, dimmi che non sei un sogno!

Takagi,con gli occhi ancora chiusi, cercò di capire se quel profumo il corpo di lei che riposava al suo fianco, fossero reali o meno.

Fuori doveva stare facendo buio, perché il rosso del tramonto filtrava dai sottili spiragli delle persiane, creando giochi di luce irreali, attraverso le palpebre ancora abbassate.

Takagi aprì gli occhi, lentamente, e la gioia nel vedere lei, con il capo appoggiato alla sua spalla, la mano sulla sua nuca, il respiro tranquillo, non seppe proprio descriverla. Come per accertarsi che fosse veramente lì, le accarezzò il viso, sfiorando con il pollice le sue labbra socchiuse nel sonno, scendendo lungo il collo, la spalla nuda, i fianchi.

La sentì svegliarsi a quel tocco leggero, perché il suo respiro cambiò e le labbra si chiusero in un sorriso appena accennato.

“Sa… Miwako?”

Sentendo il suo nome pronunciato da lui, in quel modo, lei sussultò.

“Apri gli occhi…”

Aprili e illumina tutto questo.

“…Ti amo.”

Un altro sussulto, poi i suoi occhi si dischiusero, cauti, prima uno, poi l’altro… si aprirono, mettendo a fuoco il viso di Takagi, il suo sorriso, e la stanza intorno a loro.

Rimasero a guardarsi per un po’, mentre un imbarazzo gentile accendeva i loro volti di un leggero rossore.

Fu come se Sato lo vedesse per la prima volta: era ormai distrutto quel muro che li divideva, non c’era più niente tra lei e ciò che provava.

E tutto appariva così vivido e nitido, lei stessa si sentiva più reale, più viva, mentre si avvicinava al viso di lui, per un altro bacio.

Dopo averla abbracciata un’ultima volta, Takagi si mise a sedere sul letto, cercando con lo sguardo i loro vestiti.

“Pensi che riuscirò ad invitarti fuori a cena questa sera, senza che mi sparino?”

Lo sguardo di Sato si rabbuiò solo per un attimo, ma tanto bastò a far rimpiangere a Takagi di aver aperto bocca.

Era meglio correre ai ripari…

“Scusami: questa, proprio dovevo evitarla…”

Lei gli sorrise, mentre si alzava e ancora sbadigliando, lo raggiungeva abbracciandolo, e lasciandosi stringere.

“Dimmi solo…” Takagi noto una leggera nota di ansia nella sua voce.

Sato chiuse gli occhi, appoggiando la fronte sulla sua, per riuscire meglio a dire quella frase così importante.

“Dimmi solo che non mi lascerai mai sola… Solo questo.”

Takagi le sorrise, prendendole il viso tra le mani.

“Non posso prometterti una cosa simile, nessuno può. E’ tutto un rischio, non c’è nulla di scontato o certo nella vita. Però…”

Fece una piccola pausa, accarezzandole i capelli, come per scusarsi di quella risposta.

“…Però so che solo per poterti abbracciare come adesso, solo per un attimo come questo, rischierei la vita altre cento, mille volte.”

Era quella , la risposta che cercava, quello che mancava.

E Sato la trovò nei suoi occhi sinceri, nella sua dolcezza che la sosteneva, che non la lasciava cadere nel vuoto.

“Quanto sei disposta a rischiare?”

Non sentì mai più quel grido, nella sua testa.

Perché in quel sogno oltre le macerie delle sue mura, non sentiva altro che il suo amore.

E valeva davvero la pena di rischiare, per una cosa del genere…

 

 

 

Fine

 

 

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