Pierce Me

di LittleHellScream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Death - Rebirth ***
Capitolo 2: *** Death - Life ***



Capitolo 1
*** Death - Rebirth ***


Disclaimer: i personaggi di questa storia sono tutti maggiorenni, i fatti narrati non sono mai avvenuti davvero e ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.


1 - DEATH - REBIRTH

Non voleva andarci all'Anchor, quella sera.
Ci sarebbe stato Ivan, e quell'odiosa della sua ragazza. Sempre lì a criticarla per come si vestiva, per le borchie, per le magliette. Oh si, lui l'aveva mollata perchè prendeva quella musica troppo sul serio, perchè che cavolo vuol dire vestirsi in quel modo? Ascolta quello che ti pare – le diceva – ma cosa credi che importi di saperne agli altri. Fanculo. Viveva a Stoccolma anche lui, cos'era quella mentalità medievale? Beh, era finita così. Idiota. Non aveva nessuna intenzione di rivederlo, e tantomeno di vedere la coppietta felice. E poi non ci teneva a quel concerto, com'è che si chiamava il gruppo? Silenced? Silencer? Una cosa del genere. Nome di merda, comunque. Beh, che importava? Tanto non ci sarebbe andata. Si accese una sigaretta e prese il cellulare, pollice pronto sul tasto di spegnimento.
Le suonò in mano.
“Che palle” pensò. Era Mark. Che la chiamava per dirle di venire quella sera, ci avrebbe scommesso.

"Pronto?"
"Hell?" si chiamava Hellen, ma odiava quel nome. Hell era molto meglio. La chiamavano tutti così. Tranne sua madre, ma quello era un caso a parte "vieni stasera, vero? Passo a prenderti alle 10."
"No guarda... non mi va, non mi sento tanto bene."
"Ancora per quella storia di Ivan? Dai non è sicuro che ci sia, e poi che te ne importa? Tu stai per conto tuo, con noi"
"Non mi sento pronta a rivederlo"
"Non me ne importa. Io alle 10 passo e tu vieni, anche in pigiama se non ti sei vestita."
"No, senti..."
"Niente ma. A dopo!"

Ecco, ovviamente. Se Mark diceva che l'avrebbe prelevata anche in pigiama, così sarebbe stato. Non le importava di mettersi carina. Si mise i jeans neri e gli anfibi, un corsetto nero e si truccò pesantemente gli occhi. Poteva decidere di nascondersi, ma non sarebbe mai scappata dalle cose che la facevano sentire se stessa. Se doveva mostrarsi al mondo, a Ivan, sarebbe stato così. Come sempre. Come sempre, in attesa di trovare un'anima affine che non sarebbe mai arrivata, di trovare due occhi profondi e scuri e tormentati come le profondità dei suoi. Era ancora giovane, quanta gente doveva ancora incontrare? Ma i suoi occhi non si erano mai specchiati in quelli di nessuno. Si sentiva vecchia. Dentro. Come una tempesta in un mondo di quiete, non riusciva a trovare riposo. Dormiva poco. Mangiava poco. Si sentiva un esemplare unico, incapace di fare anche le cose più banali, quelle che tutti facevano.

Le 10 arrivarono velocemente quella sera,  davanti al pc a scaricare l’ultimo album dei Craft, una band interessante , gliene avevano parlato bene.

"Beep! Beep!"
Era Mark quel rompipalle,  con quella macchina rotta che di buono aveva soltanto lo stereo, e la puzza di fumo che era ormai aderita all’interno della macchina.
 Scese velocemente  gridando un  "A presto!"  e scappò  fuori di casa  nella macchina

"Ciao Mark"  disse salutandolo
"Ciao Hell, stasera ci becchiamo i Silencer sono nuovi e a quanto pare spaccano "
" Le solite cazzate, dopo il 90 non si fa più black. " disse seccata.
"Sempre con queste menate sugli anni, la musica viene prima, mentre e dopo di noi, eterna in tutti gli anni, non rompere le palle Hell, su"  girando la chiave.

Il viaggio fu breve, la discussione tutt’altro che piacevole, ma tutto sommato era uno dei suoi migliori ed unici amici, ascoltò tutte le sue cavolate metafisiche sulla musica e sul tempo.

Scesero dalla macchina, erano davanti il pub
"Hell ci fumiamo una canna prima di entrare?"
"Va bene, almeno mi attutirà questa musica di merda"
"Prego dell’invito Hell, sei così riconoscente."
"Fottiti  Mark, dammi il rullo"

Finito il passatempo preconcerto si addentrarono nel pub, non voleva rivedere Ivan e quella poco di buono della sua ragazza. Li avrebbe sgozzati volentieri. Salutati i soliti amici nullafacenti , probabilmente non si perdevano un concerto, non  studiavano ne lavoravano. Si misero in disparte lei e Mark ed aspettarono l’inizio del concerto.
Gli strumenti andavano e venivano dal parco come anche gli omini ombreggiati di nero, per colpa del buio. In fondo le piaceva il sound distorto dall'ambiente chiuso, avere le casse a un metro di distanza e sentire la batteria ritmare nelle vene, il suono della chitarra tagliente come una lama a pochi centimetri dal suo viso. Però questo gruppo non lo conosceva proprio, probabilmente avrebbe fatto schifo e Ivan e quella lì sarebbero venuti sotto il palco a pogare, magari l'avrebbero fatto apposta ad andare vicino a lei. Non voleva vederli, per niente, e meno male che c'era stata quella canna prima, altrimenti ora se ne sarebbe già andata. Almeno così era rilassata, almeno un po'. Prese la birra che le passò Mark proprio mentre la band saliva sul piccolo palco. Si sparpagliarono agli strumenti. Lei si passò una mano fra i lunghi capelli neri. Ormai le arrivavano quasi al culo, una spuntatina sarebbe stata d'obbligo. Fanculo. Le piacevano così.

Era distratta da tutto. Distratta dal fumo, dall'alcol. Il gruppo iniziò a suonare, e lei nemmeno li ascoltava. Musica. Come quella di sempre. Alzò gli occhi sul palco appena attaccò la voce. Le entrava dentro. Tormentata, fredda e caldissima. Era quanto di più sublime, più affine a se stessa avesse mai ascoltato e se ne rese conto sempre più profondamente, man mano che la serata andava avanti. Le urla erano vere, reali, sembravano scaturire dalle più profonde sofferenze del suo essere. Il cantante... sembrava l'incarnazione del dolore. I tagli sul suo corpo sanguinavano ancora, e urlava come se non fosse rimasto altro da fare. Rimase profondamente colpita quando alzò gli occhi e incrociò i suoi. Solo per un attimo, solo per quell'attimo, non si sentì più un esemplare unico.
Non le importò più di Ivan, nè della sua troietta. Proprio nulla. Oh si, erano lì davanti a lei a pogare come aveva previsto, ma non gliene importava proprio niente. Loro non erano niente.
Aveva fatto la scoperta più sensazionale della sua vita, in un pub che aveva sempre frequentato, nella città in cui era nata e vissuta e da cui credeva di non potersi aspettare più nulla, e nessuno, nessuno avrebbe potuto privarla della felicità che la stava pervadendo. No, non era sola, non era sola! C'era qualcuno - almeno uno - che pensava come pensava lei, che soffriva quello che lei soffriva. Abbassò lo sguardo solo per non mostrare a nessuno che stava per mettersi a piangere, e lo rialzò subito: no, non c'era niente di cui vergognarsi, non gliene importava. Lei non era più sola. Tornò a guardare l'uomo da cui proveniva la voce della sua sofferenza più intima, il nero dei capelli lunghi che si mischiava al rosso del sangue che gli colava sul corpo. Si chiese cosa avesse sofferto lui. Come fosse. Cosa facesse. Dove avesse trovato il coraggio di urlare tutto. E benedisse il momento in cui aveva deciso di farlo.

"Si chiamava Nattramn, mi pare" le disse Mark mentre la riportava a casa.
Lei respirò un lungo tiro dalla sigaretta, che era già a metà. Nattramn. Chissà se l'avrebbe mai rivisto.





Ni-hao! Mi chiamo Elena (ho messo del mio nella protagonista X°°°°D) e ho 15 anni. Mi piace molto leggere le fanfic e ho pensato di scriverne una, ispirata dal mio Nattry *_* spero vi piaccia, ci sto lavorando molto °ç° fatemi sapere cosa ne pensate, voglio tanti consigli *_* e critiche é_è non siate crudeli ;_;

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Capitolo 2
*** Death - Life ***


Disclaimer: i personaggi di questa storia sono tutti maggiorenni, i fatti narrati non sono mai avvenuti davvero e ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti è puramente casuale.


2 - DEATH - LIFE

Il rumore lieve e fastidioso del gesso sulla lavagna scandiva i tediosi minuti di Hell che vedeva materializzarsi numeri e simboli che non era interessata a decifrare. Sembrava il ticchettio di un irreale orologio concepito da una mente disturbata. Era completamente assorta nel nulla, mentre la squallida cinquantenne occhialuta alla lavagna continuava a produrre segni a una velocità sufficiente a tenerla fuori dalla realtà. Mentre scarabocchiava sul quaderno la solita croce capovolta si guardava le mani senza smettere di pensare alla sera prima. Il sangue, la voce, il corpo deforme, lo sguardo feroce e disperato contemporaneamente: divino non era la parola esatta, ma non gliene venivano altre in mente. Qualcosa era accaduta nella sala, per un secondo, forse per una frazione infinitesimale tutto si era fermato, Mark, Ivan, la troietta, la gente, il palco, tutto sparito: solo lei e Nattramn, che la penetrava col suo sguardo allucinato, mettendola a nudo di fronte alla sua aberrante teatralità, soggiogandola col suo violento verbo, parole fustigatrici, che l’avevano sottomessa e violentata nel profondo dell’anima, fecondando i mostri allo stato larvale che nascondeva nei recessi più profondi e abbandonati. Erano stati una cosa sola, e adesso erano stati separati. Dalla punta storta del crocifisso si era accorta che un leggero tremore le aveva colto la mano e si stava propagando in tutto il corpo. Non erano convulsioni o brividi, più che altro un leggero e incontrollabile prurito al di sotto della pelle, piacevole se non fosse stato così improvviso, e al centro di un’aula. Chiese di uscire a mezza voce, e mentre si avviava a grandi falcate verso la porta sentì che il pizzicore le stava provocando piccole scosse di piacere nelle mutandine. Entrò nel bagno investita da uno sgradevole odore di cloro e si appoggiò a una porta, ansimando. Il prurito stava diventando un formicolio sempre meno piacevole e il leggero convulsione. La sofferenza cresceva, facendosi sempre meno sopportabile, e Nattramm era sempre davanti ai suoi occhi, col trucco sbavato e col sangue che colava dai numerosi tagli su braccia e petto. Sangue, sangue, sangue! Hell affondò le unghie nel suo ventre senza capire esattamente cosa stesse facendo, ma sapeva di doverlo fare, l’organismo glielo comunicava alleviando gradualmente il dolore e il formicolio. Affondava e raschiava il ventre pallido mentre il sangue iniziava a colare, macchiandole gonna e scarpe. Lo assaggiò, e si sentì bene come mai prima, le mutandine si bagnarono facendola strillare di piacere. Si sentì come abbracciata da Satana, aveva toccato il più sublime dei piaceri.
-    Tutto bene?
Non si era accorta che intanto una ragazzina era entrata nel bagno. La fissava sbigottita, evidentemente terrorizzata dal sangue. Hell provò un odio profondo per quella piccoletta bionda che la guardava come se fosse una pazza in camicia. Una vampata di pensieri malevoli e attraenti l’avevano pervasa mentre chiudeva la porta, in silenzio.
-    Tutto bene? Tutto bene? Si, tesoro. A me va sempre tutto bene. E a te? A te non va sempre tutto bene?
La ragazzina stava sudando e non riusciva a risponderle. Continuava a fissare con orrore il ventre scoperto e lacerato, il sangue che le colava dalle mani e la tronfia perversione del suo sguardo. Senza dire nulla, la ragazzina si era avviata verso la porta ma Hell la prese da un braccio:
-    Te ne vai già? Ma non dovevi fare il bisognino?
La tipetta tremava, senza il coraggio di risponderle. Hell la spinse contro il muro, dall’altra parte del bagno. La ragazzina iniziò a gridare, a chiamare aiuto. Hell le fu addosso in pochi secondi e la schiaffeggiò con violenza, una, due, cinque, dieci volte. Poi le assestò una tremenda ginocchiata dritta sul diaframma, che la fece accasciare ai suoi piedi, tossendo.
-    Piccola troia, lo sai che non si esce dall’aula se non devi far nulla? Che c’è, la scuola non ti piace?
La ragazzina piangeva e tremava, farfugliando qualcosa di incomprensibile, forse una richiesta di pietà, forse una preghiera, nella remota e improbabile speranza che quel Dio così buono a cui si era rivolta la potesse salvare. Hell la trascinò nel secondo bagno a destra e chiuse la porta a chiave. Le strappò via  gonna e camicetta lasciandola solo con la biancheria e le calze. Alzò la tavoletta del water e la costrinse a salire con i piedi in equilibrio sui bordi della tazza. La ragazza piangeva e cercava di non cadere, mentre Hell osservava divertita la scena.
-    P-perché? Cosa ti ho fatto?
-    Allora ce l’hai la lingua, troietta. Come ti chiami?
Stavolta non rispose.
-    Dimmi come cazzo ti chiami o giuro che ti uccido!
-    Hazel…
Hell fece un sorriso tanto largo quanto falso.
-    Era tanto difficile? Bene, adesso diamo un senso a questa tua sortita. – Lo disse mentre le accarezzava una coscia e le toccava le grandi labbra al di sopra delle mutandine, provocando un gelido fremere nella ragazza, che fissava il soffitto piagnucolando.
-    Su, pisciati addosso.
-    N-no… perché… - la ragazza la guardò sbigottita.
Il volto di Hell si contrasse in un’espressione durissima, che terrorizzò Hazel.
-    Ti do un minuto. Se in un minuto non te la fai sotto ti taglio tutta e mi bevo il tuo sangue. Poi ti faccio conoscere quattro amici che si divertiranno con te. Vedrai, ti faranno strillare come la puttanella che sei.
-    Ma cosa… ma che vuoi da me? Non ti ho fatto niente, ti prego…
-    Quattro… cinque…sei…
-    Basta ti prego!
-    Undici…dodici…
Mentre contava i suoi pensieri erano rivolti al suo venerando mentore, il cui semplice sguardo l’aveva liberata dall’oppressione in cui si era rinchiusa. Immaginava di essere percossa da Nattramn, immaginava che le sputava in faccia sangue misto a saliva, di essere insultata, presa a cinghiate, violentata, picchiata, che il sangue scorresse sul suo corpo mentre il suo Dio la profanava elevandola alla sua grandezza, immaginava di chiederne sempre più, di godere della sofferenza. Intanto sentì un leggero gocciolare e vide che le mutandine bianchissime di Hazel si erano ingiallite e gocciolavano nel water, mentre la ragazzina piangeva.
-    Hai pisciato adesso, no? Che cazzo fai ancora qui? Vestiti e vattene, stronza!
La ragazzina obbedì in silenzio e in un attimo fu nel corridoio. Hell pensava al suo volto terrorizzato e si pentì di non averla fatta a pezzi. Sorrise pensando che il tempo non le sarebbe mancato. Si lavò le mani e uscì dal bagno.
“Nattramn, mio signore, sono la tua serva. La mia vita sarà dedicata ai tuoi piaceri e alla glorificazione del tuo nome”.





Ecco il secondo capitolusso *_* spero di non essere stata troppo... ehm... esplicita U_U il rating era per questo capitolo, dato che poi non ne ho più scritti X°°°D aspetto i vostri commentini ^_^
Hell

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