Romeo & Juliet - Host Club Version

di RobyLupin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** ATTO I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un paio di precisazioni prima di iniziare.

Prima di tutto, questa non è una fic seria, come penso abbiate già capito. Ciononostante, sia chiaro che io amo William e le sue opere tutte, ‘Romeo & Giulietta’ in primis. Il fatto che maltratterò impunemente lui e sconvolgerò la trama della sua opera più famosa è quindi da considerarsi un omaggio al Maestro, non un’offesa. Sperando ovviamente che, ovunque egli sia ora, non mi fulmini per aver osato tanto.

Secondo, per questa storia ho anche scomodato gli dei greci nelle persone delle Muse, che ho rivisitato per l’occasione. Piccolo ripasso per chi è a digiuno di mitologia: le muse erano nove, andate QUI per saperne di più. Di seguito farò un piccolo riassunto di quelle che userò (o citerò) nella storia:

-          Calliope, Musa della Poesia Epica;

-          Talia, Musa della Commedia;

-          Melpomene, Musa della Tragedia;

-          Clio, la Musa della Storia;

-          Erato, la Musa della poesia amorosa.

Le altre, almeno per ora, non sono previste nemmeno come comparse; nel caso di cambiamenti di programma, ve lo comunicherò a tempo debito. XD La dimensione senza tempo e spazio in cui vivono è una mia creazione, creata ad hoc per far filare meglio la storia.

Mi pare tutto, almeno per il momento. XD Buona lettura. X3

 

 

 

 

 

Regalo di Natale (un po’ in ritardo) per la famiglia:

alla zia, che non ama ‘Romeo & Giulietta’, nella speranza che almeno così possa apprezzarlo;

alla mamma, sperando di spingerla a continuare le sue storie (edite e non) su Host Club;

alla cugi grande, perché è la cugi e qualcosa di pazzo e assolutamente idiota è d’obbligo per Natale;

all’altra cugina grande, sperando che riprenda a scrivere;

alla cugi piccola, per farle rendere conto, una volta di più, del con chi si è imparentata volontariamente (sì, lo so, è pazza);

alla sorellona, perché è quella saggia della famiglia e m’ha chiesto, secoli fa, una TamaHaru, e io mantengo sempre le promesse;

alla sorellina, perché è la mia sorellina saggia (sì, tutte sagge tranne me qui) che mi sopporta anche quando sono insopportabile, e mi piace viziarla, ogni tanto.

Vi voglio bene, ragazze. Tanto. Buon Natale e che il 2010 vi porti tutto il bene possibile, sul serio. X3

 

 

 

Prologo

L’uomo posò con stizza la piuma d’oca sullo scrittoio, fissando crucciato il foglio davanti a lui. Lanciò un’occhiata alle varie cancellature che ne ricoprivano la superficie e, se fosse stato un gatto, probabilmente gli avrebbe anche soffiato contro. Si dondolò leggermente sulla sedia: odiava i momenti come quello, quando le idee svanivano completamente sulla sua mente e tutto quello che poteva ricavare dalla giornata erano poche e striminzite frasi senza senso.

‘Dannata Musa!’ pensò, con rabbia crescente. ‘Manca un niente allo spettacolo, gli attori premono per la loro parte, e io non ho ancora nemmeno la trama generale!’ lasciò cadere la testa sulle braccia, ora incrociate sul piano del tavolo ‘Stupida, stupida Musa! Quando servi non ci sei mai!’

Lentamente, il drammaturgo scosse il capo, per poi picchiarlo ripetutamene sul legno, ignorando il dolore: decisamente, quella volta era fregato.

 

“Quell’uomo è troppo melodrammatico!” si lamentò Calliope: erano secoli che Quello lì non faceva altro che inviare loro proteste mentali. Rumorose proteste mentali. Snervanti, ci terrei a specificare. Che Apollo la aiutasse, ormai era al limite della sua divina sopportazione!

Distolse lo sguardo dallo specchio d’acqua con cui le Muse monitoravano i loro protetti e che, manco a dirlo, da tempo immemorabile era occupato da Quello in pianta pressoché stabile. Urgeva fare qualcosa. Qualunque cosa.

Si voltò verso una delle sue sorelle, sdraiata su morbidi cuscini e intenta a scribacchiare chissà cosa su un foglio; probabilmente uno dei suoi stupidi progetti televisivi, rifletté. Come se quell’aggeggio non fosse già pieno zeppo di idiozie senza aiuti divini.

“Vuoi deciderti a darti da fare, Talia?”

Lei alzò gli occhi dal foglio, sistemandosi gli occhiali rettangolari sul naso.

“Come?” chiese, confusa. Calliope alzò gli occhi al cielo.

“Di cosa credi stia parlando? Non senti il baccano che sta facendo quell’essere assillante?”

Talia la guardò dubbiosa, poi avvicinò le mani alla testa.

“Puoi ripetere?” domandò, posando accanto a lei un paio di tappi per le orecchie. Calliope la fissò, allibita.

“Fammi capire,” iniziò, facendo un respiro profondo. “Quel tizio ci tormenta da eoni eterni, noi siamo sull’orlo di un esaurimento nervoso, sperando che tu o Melpomene troviate una soluzione, e tu indossavi dei tappi?!” Talia, per nulla turbata, alzò le spalle.

“Sì. E allora?”

Calliope prese a massaggiarsi le tempie, pregando Zeus di farle mantenere la calma, se voleva che il numero delle Muse esistenti non diminuisse improvvisamente.

“Talia, tu sei la Musa della Commedia. Lui è un drammaturgo. È compito tuo risolvere la faccenda, non puoi fare finta di nulla!”

Talia non se lo fece ripetere due volte: si alzò di scatto, dirigendosi verso un alto armadio, e fece passare lo sguardo sulle piccole scatole sullo scaffale di mezzo, pensierosa. Calliope, dietro di lei, tentò di sbirciare, curiosa.

“Che fai?”

Lei alzò una mano, facendole segno di aspettare, quindi esultò, trafficò qualche secondo con una scatolina blu e si voltò sorridente verso la sorella. Con la mano libera le prese la destra, posandovi sopra la sua chiusa a pugno e quindi la aprì, lasciando cadere qualcosa di piccolo e solido.

“Ecco qui.” Disse, sorridendo. “Semplici ed efficaci.” E si affrettò a tornare alla sua postazione precedente per recuperare il suo lavoro, per poi uscire dalla stanza sotto lo sguardo stranito della sorella. Questa sbatté gli occhi, riprendendosi, e li abbassò sulla mano ancora aperta. Li spalancò, furiosa.

Dei tappi?!”

 

Talia si lasciò cadere sul suo letto a baldacchino, sbuffando rumorosamente: quell’uomo la stava facendo diventare matta. Completamente, irrimediabilmente pazza. Aveva persino provato ad ignorarlo, ma con l’intervento a tradimento di Calliope la situazione era radicalmente cambiata: testarda com’era, sapeva che presto l’avrebbe esasperata a sua volta a tal punto da farla cedere. A meno che…

“Va tutto bene?”

Bingo.’ Pensò, mentre sentiva una mano posarsi sulla sua schiena e massaggiarla delicatamente. Scosse la testa, senza osare alzarla dal materasso.

“Che è successo?”

Sventolò una mano, come se non fosse nulla di che.

“C’entra forse l’urlo che ho sentito prima?”

Talia alzò appena il viso, mormorando qualcosa di incomprensibile.

“Puoi ripetere?”

La Musa della Commedia alzò gli occhi, incontrando quelli neri della gemella Melpomene, Musa della Tragedia, che la guardava preoccupata. Mora e pacata quanto lei era bionda ed esuberante, era la sua complementare, e come tale l’unica a poterla aiutare al momento.

“Il drammaturgo…” ripeté. A Melpomene bastò quello per capire tutto.

“Calliope ha perso la pazienza.”

Talia annuì, lei sospirò: Calliope, era la più paziente di loro; se anche lei era arrivata al limite, la situazione era davvero disperata. “E vuole una soluzione.” La gemella annuì di nuovo. “Scordatelo,” esclamò, decisa. “Calliope ha chiesto a te, io mi chiamo fuori.”

“Però…”

“No.”

“Ma io gli ho ispirato l’ultima!”

“Un uomo-asino, un paio di fate e scambi di coppia, il tutto risolto col classico espediente del sogno. Non mi pare tu ti sia sforzata poi tanto.”

“È stata un capolavoro! La critica l’ha amata e rimarrà nella storia! Che si può volere di più?”

“Un colpo fortunato.” Minimizzò, facendo spallucce. “Batti la fiacca ultimamente, sorellina: ti dai troppo al cinema e troppo poco al teatro.”

Talia storse il naso: il lato positivo di vivere in una dimensione senza tempo e spazio non era proprio la possibilità di variare negli interessi?

“Se ti riferisci a ‘Pretty Woman’, sappi che diventerà un classico.”

“Anche le opere di questo tizio, sempre che Clio non cambi idea per l’esasperazione.”

“Occupatene tu, allora.” Tentò, speranzosa.

“Nemmeno per sogno. Sono occupata: sto ispirando Marlow, al momento, e la storia di questo Dottor Faust promette bene, quindi non voglio distrazione.”

Talia sbuffò, per poi illuminarsi.

“E se lo rifilassimo ad Erato? Anche lei ha già collaborato con lui, in fondo.”

“A parte che lei, ultimamente, si sta dedicando al Duecento italiano, dove i sonetti vanno tanto di moda,” ribatté l’altra, storcendo il naso. “A lui non servono poesie, ma un’opera teatrale.”

La bionda si morse il labbro inferiore, riflettendo.

“Quindi anche le altre…”

Melpomene scosse con decisione la testa.

“E sei sicura che anche tu…?”

“Ho da fare.”

La gemella storse il naso a sua volta.

“Quindi suppongo che la storia della ragazza che continua a scappare di fronte all’altare dovrà aspettare, eh?”

“Esatto.” Concordò Melpomene, sorridendole. Le sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie. “Al lavoro, sorellina. Datti da fare, mi raccomando.” E uscì dalla stanza, sotto lo sguardo imbronciato di Talia: a quanto pareva, questa volta l’eroina della storia era lei e sempre a lei toccava risolvere la situazione. Sospirò: sinceramente, avrebbe preferito un altro film.

 

La prima regola di una Musa era quella di non farsi mai vedere dai propri protetti. Per questo, uno dei loro metodi preferiti di ispirare il prossimo era si passare per il mondo onirico: con Morfeo, infatti, avevano da sempre un ottimo rapporto, e ben volentieri egli le lasciava intervenire nel sonno dei mortali come più aggradava loro. Proprio questo fu il metodo scelto da Talia per portare a termine il suo compito.

Quella notte comparve quindi dietro al drammaturgo, e si fece sfuggire un sorriso notando che si era addormentato sullo scrittoio con la piuma in mano: doveva davvero essere alla frutta, poveretto, se non riusciva nemmeno ad avere il tempo di dormire decentemente.

‘Oh beh, ho giusto quello che fa per lui,’ pensò. ‘Una commedia come non ne ha mai viste, il signorino.’

Chiuse gli occhi e si concentrò, le mani giunte come in preghiera. Le separò lentamente, mentre una sfera di luce le si formava tra i palmi. Sorrise soddisfatta di quello che la sua mente creava, alimentando la luce. Quando fu delle dimensioni di una pallina da ping-pong, Talia vi soffiò sopra, facendola levitare verso la testa dello scrittore. Il sorriso le si allargò mentre la sfera vi penetrava facilmente.

“Sogni d’oro, William.” Mormorò, sparendo nella notte.

 

 

 

 

 

Fine prologo, dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia. Che William mi perdoni! XD

Vabbé, spero sinceramente che abbiate gradito. A presto col seguito e buon anno a tutte! ^^

Roby

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Capitolo 2
*** ATTO I ***


Ecco a voi il primo capitolo. Vi avverto: è stupido. Tanto, tanto stupido. Assurdo, per meglio dire. Se ci tenete ai vostri neuroni, seguite il mio consiglio: non leggetelo.

 

Prima di lasciarvi alla lettura, però, i ringraziamenti sono d’obbligo: insomma, ci sono delle povere martiri che hanno letto e pure commentato. Mica pizza e fichi, eh. u_ù

-          Lady Hawke: Gli dei sono dei nullafacenti, I know. Per questo è tanto divertente usarli. XD Grazie di essere passata, zietta. X33 A presto. X33

-          Lely1441: Scarpa? Io non ti lancerei mai una scarpa, tesoro mio. ^^ *prende la mira con l’armadio* Tornando seria (?)… Sciagurata, pure te contro ‘Romeo&Giulietta’? ma che famiglia degenere mi ritrovo? ò_ò Oh beh, pace amen, questa ho scritto, questa ti tieni. u_ù Gentaglia… u_ù Talia l’adoro. x33 Mi fa morire scrivere di lei. X°D LLui ancora non entra in scena in ‘sto capitolo, ti avverto. XD Ti tocca attendere un altro po’. XD Spero che questo capitolo risolva qualche altro punto oscuro, comunque. XD Besos x33

-          Eragon1001: Spero che la storia mantenga le promesse, Eragon. XD L’idiozia la farà da sovrana, quindi in teoria non dovrebbero esserci problemi in tal senso, ma si sa mai. Mi dirai tu. XD grazie mille per il commento. ^^

 

 

 

 

 

ATTO I – Protagonisti Narcisi e Annunci Scioccanti

 

Questa storia ha inizio nella bella e trafficata Edo, dove due famiglie, nobili e schifosamente ricche, portano avanti una faida lunga generazioni. Pietra della discordia fu un boccone guasto di Ootoro, la specialità della famiglia Suou, servito all’allora Capofamiglia Fujioka ad una festa. Fatto questo che fu la causa di una lavanda gastrica, dell’inizio delle rappresaglie e del giuramento di Trisavolo Fujioka di non consentire mai più ad un membro della sua famiglia di assaggiare tonno pregiato.

Ai tempi in cui la nostra vicenda si svolge, era unico erede delle sostanze – monetarie e non – dei Suou il giovane Tamaki. Era egli un giovane di sublime aspetto, modi gentili, altruismo senza pari e immensa modestia, ma che tuttavia aveva un unico, grande problema che tormentava i suoi giorni e le sue notti: l’amore.

“Oh, dolce viso, come si può non amare una bellezza e una purezza come le tue?” era solito ripetere ogni sera ai suoi fidi consiglieri, Hikaru e Kaoru. “Oh, dei crudeli, come avete potuto creare un tale essere umano? È così ingiusto nei confronti di tutti gli altri comuni mortali…”

“Seriamente, Lord,” interveniva immancabilmente uno dei due a questo punto. “Inizi ad essere ridicolo: abbassa quello specchio e trovati una ragazza, per l’amor della Hatori, nostra dea suprema!”

Sì, l’amore era verso se stesso. Perché? Problemi con un protagonista lievemente narcisista? Amen.

Comunque sia, Tamaki allora abbassava lo specchio d’oro antico che portava sempre con sé e fissava i suoi due fidati seguaci.

“Ragazza? E perché mai?”

“Per la pace delle nostre menti?”

Solitamente, a questo punto, Tamaki rispondeva con un “Ma nessuno può prendere il posto di una tale magnificenza nel cuore e nella mente miei!”, provocando una sonora alzata di spalle dei due gemelli che si sentivano liberi di tornare al loro passatempo preferito: devastare, con incredibile solerzia e sistematicità, villa Suou.

Quella particolare volta, però, vuoi per spezzare la monotonia, vuoi per esigenze di scena, i due decisero di non demordere. Placcarono quindi il primo, povero martire che vagava in bici per le vie della città con una lunga pergamena in mano.

“Ehi, tu, con il berretto passato di moda almeno cinque anni fa! Fermati!” lo apostrofò Hikaru, piazzandosi sulla sua strada; il poveretto inchiodò di colpo, rischiando il cappottamento.

“Dici a me?”

“Sì, proprio a te con la canottiera da muratore!” insistette Kaoru con un ghigno, affiancandosi al fratello. “Chi sei e che ci fai in giro a quest’ora del mattino?”

Il ragazzo li fissò con sguardo ebete per qualche secondo.

“Sono Arai, servo fidato dei Fujioka, e svolgo un servigio segreto per i miei padroni.” Rispose infine quello, fiero. Il ghigno dei gemelli si allargò, così come il sorriso ingenuo del ragazzo.

“Servigio?” chiesero i due in coro.

“Segreto.” Confermò Arai; gli occhi degli altri due luccicarono furbi.

“Devi essere davvero molto importante, agli occhi del tuo padrone, per affidarti incarichi così delicati.” Iniziò quindi a dire Hikaru, dopo un’occhiata al fratello. Il viso di Arai si illuminò d’immenso.

“Dici?”

“Certo che sì!” rincarò la dose Kaoru, con sguardo divertito. “Incredibilmente importante, vorrei specificare. D’altronde, non sono molti i servi che possono dire di essere così nelle grazie dei loro signori. Giusto, Hikaru?”

“Parole sante, Kaoru. Non avrei saputo dirlo meglio.”

Arai si ritrovò a grattarsi il mento con l’indice, lusingato e imbarazzato al tempo stesso.

“Beh, sì,” ammise. “Suppongo di sì… In effetti, il mio padrone sa che non tradirei mai la sua fiducia.”

“Ovviamente.”

“Tu non parleresti mai di nulla di segreto…”

“… Per questo si fidano di te e non degli altri.”

“Esatto! Per esempio, avrebbero potuto chiedere a chiunque altro di andare in giro per Edo ad invitare i suoi compari per la festa in maschera di stasera, quella segretissima che si terrà nella sua villa con laghetto artificiale incorporato, e invece l’ha chiesto proprio a me!” concluse, con una risata orgogliosa.

“E questo perché sei il migliore, caro Arai!”

“Trovate?” Il tono speranzoso in cui lo chiese fece ghignare ulteriormente i sadici gemelli.

“Certo che sì, caro Arai!” esclamarono all’unisono, il sarcasmo vivo in ogni lettera. Il povero servo però non parve farci caso, perché iniziò a ridacchiare, sempre più lusingato.

“Ma non vogliamo rubarti altro tempo prezioso, ragazzo! Vai e porta a termine l’incarico affidatoti dal tuo padrone!”

“Incarico segretissimo!” ribadì di nuovo lui, improvvisamente di nuovo serio.

“Segretissimo, infatti.” Confermarono in coro. “Ora vai: non vorremmo che il tuo signore si arrabbiasse con te, caro Arai!”

“Oh, non sia mai!” rispose quello, preoccupato. “È meglio che vada, allora!” e si issò nuovamente sulla sua bicicletta, partendo a razzo mentre salutava i suoi “gentili, nuovi amici.”

I gemelli aspettarono pochi secondi soltanto prima di scoppiare malvagiamente a ridere.

“Oooh, i servi dei Fujioka sono scandalosamente facili da raggirare, non trovi, Kaoru?”

“Troppo, Hikaru! Non c’è nemmeno gusto, quasi!”

“Però sono utili, direi. Pensi anche tu quello che sto pensando io, fratello?”

“Ti riferisci forse alla graziosa figlia dei Fujioka?”

“Già. Forse, vedendola, finalmente il Lord sposterà la sua attenzione verso altri lidi, lasciando finalmente in pace le nostre povere orecchie.”

“Ma tu sai che si dice che la ragazza sia del tutto indifferente all’amore, vero?”

“Vedila così, fratello: mal che vada, potremmo avere un piacevole diversivo per spezzare la monotonia dei nostri giorni.”

“Come darti torto?”

“Impossibile, Kaoru. Io ho sempre ragione.”

Inclinarono la bocca in un ghigno felino perfettamente speculare, quindi si voltarono entrambi verso Tamaki che, fino a quel momento, aveva seguito la scena senza capirci assolutamente nulla. L’espressione sadica dei loro volti fece tremare il giovane – e unico – erede dei Suou.

“Che c’è?”

I gemelli risero in coro, prendendolo sotto le ascelle e iniziando a trascinarlo verso villa Fujioka. Il povero Tamaki tentò invano di liberarsi; pregò la Hatori di sopravvivere a quei due demoni.

 

A vari quartieri di distanza, a villa Fujioka, il padrone di casa e la moglie avevano fatto chiamare la loro unica pargola. Fu la balia, donna (?) di assai poche parole, ad annunciare la figlia ai genitori.

“È qui.”

Haruhi entrò, lanciando un’occhiata sorpresa alla balia: poche volte l’aveva sentita dire così tante parole di fila; era quasi impressionata.

“Grazie, Mori cara. Puoi andare, ora.” Disse Ranka, moglie (?) del padrone della casa. Era ella una personcina sottilmente eccentrica, che amava la figlia in un modo che faceva di lei il tipico esempio di maniaca ossessivo compulsiva.

“Oh, Haruhi!” esclamò, saltandole al collo. “Papà e mamma hanno delle notizie fantastiche da riferirti!” e si voltò raggiante verso il marito.

Usagi – chiamato Usa-chan dalla moglie per affetto e, ovviamente, da noi per pura comodità – capofamiglia dei Fujioka, restituì alla moglie uno sguardo criptico. Era egli un coniglio rosa dalle mille sfaccettature interiori, che metteva il bene della famiglia al di sopra di ogni altra cosa. O quasi.

“…”

“Come, caro?” gli chiese improvvisamente Ranka. “Vuoi dirlo tu ad Haruhi? Ma uffiiiiiii!”

“…”

“Ma uffiiiiiiii!”

“…”

“Sei cattivo, Usa-chan! Non ti voglio più bene, ecco!”

“…”

“Oh, grazie caro, come sei galante!”

“…”

“Ma caro, non dire queste cose davanti alla bambina!” rise Ranka, arrossendo e stritolando ancor di più la figlia, in preda all’imbarazzo.

“…”

“Oh, va bene, diglielo pure tu, birichino che non sei altro!”

Usa-chan si voltò verso la figlia, ormai cianotica, e annunciò, fiero: “…!”

“Come?” esclamò Haruhi, liberandosi dalla stretta materna. “Vuoi entrare ufficialmente in concorrenza con i Suou aprendo un ristorante in cui servirai esclusivamente sushi al salmone, distruggendo così il posto che per secoli ha occupato nel cuore dei cittadini di Edo il tonno pregiato? E per farlo vuoi che io mi sposi col figlio del principe di Edo, Yoshio Ootori, che da tempo mira all’eliminazione dei Suou dal settore ristorativo della città, in modo che le due famiglie di uniscano e il salmone regni sovrano?”

“…!” esclamò Usa-chan, confermando le parole della figlia con un sorriso soddisfatto sul suo volto conigliesco; Haruhi lo guardò sconvolta.

“Ma… Ma…”

“…”

“Ma…”

“…!” ribadì il signor Fujioka, iniziando ad alterarsi per la reazione della figlia: ormai tutto era stato deciso, che c’era ancora da discutere?

“Ma…”

“….!”

“Oh, Haruhi, non sei oltremodo felice? Kyouya-kun è talmente un bravo ragazzo! Dai modi impeccabili, giuro!” esclamò Ranka, eccitata.

“L’hai già incontrato?” chiese Haruhi, vagamente curiosa.

“Oh, certo che no, sciocchina!” ribatté l’altra, ondeggiando emozionata e dandole una vigorosa pacca sulla schiena che rischiò di farle sputare i polmoni. “Ci siamo scritti delle e-mail!”

Perché questo non la stupiva affatto?

… No, un attimo, aspettate: biciclette? E-mail? Nel Seicento? Qualcosa non torna…

 

“Talia?”

“Sì, sorella?”

“Hai risolto col drammaturgo?”

“Ci sto lavorando, Calliope.”

“Bene.” Piccola pausa soddisfatta. “Oh, Talia?”

“Sì?”

“Ti sei ricordata che vive nel Seicento inglese e non alla fine del Ventesimo secolo, vero?”

“… Ops.”

 

Oh. Ehm… Come potete vedere, è palese che la nostra beneamata Musa aveva intenzione di mischiare il moderno con l’antico, in modo da… da… Uff, sì, d’accordo, diciamo che Talia è una Musa lievemente distratta, ogni tanto. Ma che volete farci? Lei abbiamo, quindi vediamo di accontentarci. Perciò facciamo finta di nulla e continuiamo, volete?

Dicevamo… Haruhi, per nulla stupita dalla rivelazione materna, si congedò dai genitori. Una volta nella propria stanza, si lasciò cadere sul letto, sospirando pesantemente: passasse che decidessero per lei; passasse pure il matrimonio con un completo sconosciuto; ma l’Ootoro... perché i suoi genitori dovevano odiarlo tanto? Eppure aveva un aspetto così invitante…

Scosse la testa con forza, cacciando quei pensieri dalla sua mente: era una Fujioka, non avrebbe dovuto pensare a quanto fosse succulento l’Ootoro. O a quanto fosse appetitoso. O a quanto avrebbe desiderato mangiarlo, almeno una volta nella vita. O a quanto… Sì, insomma, avete capito: a dispetto dell’odio che avrebbe dovuto nutrire per eredità familiare, infatti, Haruhi andava pazza per l’Ootoro. Lo amava follemente, come non avrebbe teoricamente potuto. Non che non amasse anche il sushi al salmone, eh, per carità, ma l’Ootoro… quello era decisamente tutta un’altra cosa. Un altro livello, proprio. Oh, se solo i suoi genitori avessero potuto capirlo… E invece no, dovevano continuare questa stupidissima faida familiare fino al punto di voler eliminare quella meraviglia per il palato dal mercato. E senza nemmeno lasciarle assaggiare prima un boccone! Doveva fare qualcosa, per forza!

Fu con questo pensiero in mente che la nostra inconsapevole eroina, alla fine, si addormentò profondamente.

 

 

 

 

 

Se siete sopravvissute alla mia demenzialità, complimenti vivissimi: ora siete pronte per qualunque altro sport estremo vi venga in mente di provare. ^^

Ok, seriamente: sono consapevole dell’assurdità di questa storia, giuro. Ma che volete farci? Avevo bisogno di tornare alla buona e vecchia demenzialità. È rilassante. XD

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e a chi commenterà. X3

Al prossimo capitolo!

Besos x33

 

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