Codice nero

di Tetide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come due gocce d'acqua ***
Capitolo 2: *** Legami e separazioni ***
Capitolo 3: *** ... E mi bruci! ***
Capitolo 4: *** Trust in me ***
Capitolo 5: *** Natale domani ***
Capitolo 6: *** Come dentro ad uno specchio ***
Capitolo 7: *** Sopra ogni cosa ***



Capitolo 1
*** Come due gocce d'acqua ***


CAPITOLO 1- COME DUE GOCCE D'ACQUA






CODICE NERO
Disclaimer: questa è una fan fiction basata sul bellissimo anime “D’Artagnan e i moschettieri del re”, a sua volta basato sul romanzo di Alexandre Dumas “I tre moschettieri”; i personaggi e le situazioni eventualmente riportate dall’anime appartengono agli studi Gakken e Korad, ed agli sceneggiatori, mentre la storia originale appartiene ad Alexandre Dumas. Questa storia è solo un lavoro amatoriale, e non ha alcuno scopo di lucro.

Premessa: Ho voluto dedicare una fanfic a questo bellissimo anime che ha lasciato un segno indelebile all’inizio della mia adolescenza; alcuni ricordano questo anime (probabilmente i miei coetanei), soprattutto per la vicenda di Aramis, che nell’anime è una donna che si traveste da uomo per vendicare la morte del fidanzato; personalmente, a me quel personaggio piaceva molto fisicamente, ma come uomo (eh, sì, ho un debole per i biondi!); così, ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto vedere quel personaggio dell’anime come un personaggio maschile; allora, ho deciso di scrivere questa fic, nella quale soddisferò il mio vecchio desiderio, senza tuttavia stravolgere lo spirito dell’anime: infatti, nella mia storia, Aramis è un uomo, ma con una sorella gemella di nome Renée, con cui divide moltissimo; e questa loro somiglianza, non solo fisica, porterà sviluppi imprevedibili nella storia.
Non so se vi piacerà la mia storia; è la mia prima fic su questo anime (anche se è da molto che scrivo sul sito), ed attendo i vostri commenti.
Un saluto particolare va a Lady Lina 77: attendo con ansia i tuoi commenti. A presto!

CAPITOLO 1
COME DUE GOCCE D’ACQUA

Aramis uscì dalla doccia canticchiando: quella mattina era parecchio di buon umore. Si avvolse in un asciugamano, poi ne prese un altro ed iniziò ad asciugarsi i capelli.
Era una magnifica mattina di inizio Ottobre, e nonostante fosse l’inizio dell’autunno, a Parigi c’era un sole magnifico.
Corse nella sua camera da letto, a passo spedito, ed aprì l’armadio in cerca della sua divisa da gendarme; la trovò, come al solito, in perfetto ordine: quella lavanderia sapeva fare il suo lavoro, pensò.
Uno squillo proveniente dal comodino attirò la sua attenzione; si avvicinò e prese in mano il suo cellulare, leggendo il messaggio appena ricevuto:

Dopo lezione, non torno a pranzo: resto con Marie. Oggi pomeriggio ho turno fino alle sette al bar. Ci vediamo stasera. Renée.

Aramis sorrise fanciullescamente al messaggio della sorella; Renée era uguale a lui, pensò: sempre in movimento, piena di impegni, di vita. Era proprio sua sorella.
Di più: era la sua gemella. La sua immagine vivente al femminile. Lo specchio del suo carattere.
La loro era un’unione inscindibile, cementata dai dolori e dalle difficoltà della vita che avevano sempre affrontato insieme. Dopo la tragica morte dei loro genitori, avvenuta in un incidente aereo quando entrambi avevano appena cinque anni, erano stati affidati allo zio, Armand de Treville, commissario dei gendarmi di Parigi; Aramis non poteva dimenticare l’immagine di sé stesso con la sorella, ai funerali dei genitori, con lei che si aggrappava disperatamente alla sua mano in un disperato tentativo di ricerca di conforto, mentre lo zio teneva una mano sulla sua spalla ed un’altra su quella della sorella, dicendo: “Andiamo ragazzi. Da oggi, sarò io vostro padre ed insieme vostra madre”.
Lo zio era stato un genitore esemplare: nonostante fosse scapolo, era pieno di premure, attenzioni; li riempiva d’affetto, non faceva mai mancare loro nulla, a Natale ricevevano doni come tutti gli altri bambini, li aveva mandati nelle migliori scuole. Ma a Renée tutto questo non bastava a colmare la mancanza dei genitori: veniva da lui a piangere, nelle notti di temporale, e si infilava nel suo lettino, tremante; era una ragazzina indifesa, sensibile. Era stato lui a farle veramente da padre e da madre, a Renée: l’aveva accompagnata alle festicciole con gli amichetti per evitare che qualche compagno troppo intraprendente le desse fastidio, le aveva insegnato ad andare in bicicletta, l’aveva consolata dopo i suoi primi dolori di cuore, aveva festeggiato assieme a lei l’iscrizione all’Università. Era stato tutta la sua famiglia.
E lei era stata la stessa cosa per lui.
I due fratelli gemelli erano uniti fino quasi ad essere una cosa sola.
Anche quando lui era entrato in gendarmeria, per seguire la carriera dello zio, lei ne era stata felice, aveva approvato la sua decisione ed era andata alla festa dell’Accademia per le nuove reclute quando lui aveva iniziato l’addestramento.
In quel pomeriggio di primavera tarda, lei era raggiante e bellissima, con indosso quel completo di seta verde, ed orgogliosa del suo “fratellone”: lo guardava con occhi pieni di ammirazione.
Aramis guardò la sua uniforme e sorrise, ripensando a quel giorno lontano.
Appoggiò la divisa sul letto, alzandosi per andare a rispondere al telefono che squillava.
“Pronto?”,
“Aramis? Sono François”,
“Ciao! Spiacente, ma Renée non torna a casa, oggi. Resta a studiare con un’amica”,
“O.K., allora la raggiungo in facoltà”,
“Va bene. Ciao”.
Mise giù il telefono, e si passò una mano tra il lungo ciuffo di capelli biondi che gli ricadevano sul viso, sospirando. Il fidanzato di sua sorella era davvero presente nella sua vita, pensò; peccato che non approvasse in pieno tutte le scelte di lei: ad esempio, non gli piaceva il fatto che lei fosse iscritta in Informatica, anziché nella prestigiosa facoltà di Giurisprudenza, dato che la cosa era stata criticata dalla famiglia di lui, che teneva troppo alle apparenze; non gli piaceva che, in prossimità degli esami, lei lo trascurasse un po’ per studiare; non gli piaceva che lei si pagasse gli studi facendo la cameriera in un piccolo bar, dato che, secondo suo padre, “una signorina che studia non fa simili lavori”.
La famiglia di François era un po’ troppo all’antica, decisamente: per loro, le differenze sociali erano insormontabili ed immutabili, ed a stento avevano accettato come futura nuora una ragazza non altolocata che lavorava per  pagarsi gli studi, e l’avevano accettata solo perché suo zio era il commissario De Treville della gendarmeria di Parigi. Renée soffriva parecchio di tutto questo, amava François e voleva stare assieme a lui e sposarlo, un giorno; ma la famiglia di lui la faceva sentire a disagio, erano ricchi banchieri di origini aristocratiche e ad ogni incontro non perdevano l’occasione di metterla in imbarazzo.
Dopo, naturalmente, correva a piangere da lui, il suo “fratellone”.

Il giovane tornò in camera sua per vestirsi. Era già abbastanza tardi, ed alle dieci avrebbe dovuto sostituire D’Artagnan nel turno di pattuglia a Les Invalides.

                                         **********

Aramis corse trafelato verso l’amico che lo stava attendendo.
“Ciao, scusa il ritardo!”,
“Non preoccuparti. Tanto non ho nulla da fare, oggi”,
“Dov’è Porthos? Non lo vedo!” aggiunse Aramis legandosi i lunghi capelli in una coda,
“Eccolo che arriva!” fece D’Artagnan.
Dal fondo della strada comparve uno scooter abbastanza grande viola metallizzato, che li raggiunse, fermandosi davanti a loro.
“Ciao, gente”,
“Buongiorno Port! Ora ci siamo tutti, possiamo andare”,
“Ci vediamo domani sera a casa di Athos, allora?” fece D’Artagnan allontanandosi,
“Sì, ma prima devo passare a prendere mia sorella”,
“Va bene. A domani!”.
Salutato l’amico, i due salirono in una volante.
“Come sta tua sorella, Ara?” gli chiese Porthos,
“Come al solito: studia e lavora. E cerca di barcamenarsi con il suo ragazzo”,
“E’ proprio presa di quello, vero?”,
“Già, purtroppo”,
“A te non piace molto, invece. Vero?”,
“Non è questo… è che lui non sa apprezzarla… la sua famiglia la critica sempre , e lui non la difende affatto!”.
Porthos non seppe cosa rispondere.
“E a te come va?” chiese Aramis per cambiare argomento,
“Bene, come sempre. Essere libero sentimentalmente ha i suoi vantaggi”,
“Niente obblighi, niente spiegazioni…”,
“Spiegazioni? Francine te ne chiede mai?” ,
“Ultimamente no, ma certi giorni sembra un cane da guardia” rise Aramis.
Stava scherzando, naturalmente. Aramis era innamorato perdutamente della sua Francine, un’ingegnere di successo dai tratti delicati e fini e dai capelli castani, ma dal carattere di ferro: avrebbe fatto qualunque cosa per lei.

Raggiunsero Les Invalides, e scesero dall’auto, montando di guardia; dato che, ultimamente, in quella zona erano stati segnalati diversi casi di borseggio, era meglio stare in guardia, soprattutto dato il gran numero di turisti che cominciavano ad affluire in quella stagione.
I due gendarmi si guardavano attorno circospetti; Porthos stava mangiando un colossale hot-dog acquistato in una bancarella lì vicino, senza tuttavia lasciarsi distrarre.
Aramis osservava una comitiva di Giapponesi che proseguivano in fila dietro ad una guida che reggeva in mano una bandierina verde; come accidenti faranno a stare così perfettamente in fila, si domandava.
Ad un tratto, un grido proveniente dalle loro spalle attirò la loro attenzione; si girarono e corsero nella direzione da cui era provenuto lo strillo.
“Mi tolga subito le mani di dosso, ha capito?!?” una donna stava urlando contro un uomo grasso di mezza età che la strattonava per un braccio.
“E’ lei che deve spostarsi, immediatamente!” le rispondeva quello.
I due poliziotti si avvicinarono.
“Che succede qui?” fece Porthos, che aveva preferito lasciare il suo panino in macchina per essere pronto all’azione,
“Immischiatevi dei fatti vostri, voi! Sono affari privati!”,
“Alzar le mani su di una signora non è affare privato, signore!” ribadì Aramis con aria corrucciata,
“La “signora”, per sua conoscenza, giovanotto, si è permessa di mancare di rispetto ad un giudice!”,
“Sarebbe lei, il giudice?”,
“Esattamente, signor gendarme” l’uomo mollò la presa “mi chiamo Armand Mansonne, e vengo dalla Normandia per presiedere ad un importante processo che inizierà tra pochi giorni!”.
“Benissimo, signor giudice” continuò Aramis, per nulla intimidito dalla tracotanza dell’uomo “in questo caso la informo che è invitato a seguirci in gendarmeria per accertamenti!”,
“Ma come vi permettete? Vi ho appena detto chi sono!!”,
“Siete uno che ha aggredito una donna”,
“Mi ha provocato! Ha rifiutato di spostare la sua auto dal mio posto!”,
“Perché, quale sarebbe il suo posto?”,
“Questo, davanti all’ingresso dell’edificio”, l’uomo fece un gesto con la mano,
“Io non riesco a leggere il suo nome, qui” fece Aramis sporgendosi in avanti,
“Signore” sibilò il giudice “è implicito che quando un ospite di riguardo è in città, gli sia dovuta tutta una serie di facilitazioni, inclusi i parcheggi davanti ad edifici storici, se questi sono vicini al luogo dove dovrà esercitare le sue funzioni!”,
“Qui il parcheggio è libero, signor giudice” asserì il giovane “e la signora ha tutto il diritto di parcheggiare dove preferisce”,
“Le consiglio di cambiar tono, giovanotto, o la farò ammonire dal suo comando”,
“Faccia pure”,
“Il suo nome?” l’uomo quasi ringhiava sommessamente,
“Tenente Aramis De Treville, del 5° Arrondissement”,
“Avrà presto mie notizie, tenente!”, rispose il giudice, sparendo nella sua auto e mettendo in moto. Porthos gli si fece vicino.
“Il tenente le ha appena detto che lei deve seguirci in commissariato!”, tuonò,
“Voi siete matti!!”,
“Vuole essere incriminato per resistenza a pubblico ufficiale, oltreché per aggressione?”, Porthos aprì la portiera, tirandolo fuori.
“Fermo! Mi lasci immediatamente!”.
Ma Porthos ed Aramis lo presero saldamente, trascinandolo in macchina, urlante.
Misero in moto e partirono, diretti al commissariato.

                                            **********

Intorno alle otto e mezza, Aramis e Renée ridevano, fumando una sigaretta in due, mentre si dirigevano verso casa.
“Davvero, ha risposto così? E poi, che cosa ha fatto?” stava chiedendo lei,
“Ha calato le corna, ed ha pagato l’ammenda; in caso contrario, lo avremmo trattenuto in cella!”,
“Che tizio insopportabile! Sono davvero contenta di non averlo incontrato! Non posso che compatire quella povera ragazza!”,
“E dire che è un giudice!! Che roba!!”.
I due gemelli continuarono a sghignazzare rumorosamente per tutto il tempo della strada, infischiandosene dell’attenzione dei passanti che riuscivano ad attirarsi addosso.
“Com’è che ti sei deciso a venirmi a prendere?” lei gli porse di nuovo la sigaretta,
“Per evitarti la metro: ultimamente, ci sono stati diversi scippi”,
“Mi avrebbe lasciata sotto casa, però! Con la tua moto da lasciare in garage, invece, avremo fatto almeno due chilometri a piedi!”,
“Quanto sei noiosa! Una passeggiata fa piacere, ogni tanto! No?”,
“Non quando hai fretta di tornare a casa a cambiarti”.
Il ragazzo si fece serio.
“Dove andate, stasera, tu e François?”,
“Non ho idea. Mi ha parlato di una nuova discoteca da poco aperta in Rue de Rivoli”,
“Senti, sorella” la prese per un braccio “ma davvero stai bene con lui? O cerchi solo di sopportare tutta la situazione, la sua famiglia compresa, solo per fargli piacere?”.
Lei si liberò con uno strattone “E dài, Ara! Se non ci stessi bene lo mollerei, ti pare?”.
Ad Aramis passò un lampo di preoccupazione negli occhi azzurri.
Sarà… Ma io questo tizio che accetta di lasciare umiliare la donna che dice di amare dalla propria famiglia non lo approvo affatto!
“Spero solo che tu non stia commettendo un errore, sorella!” sospirò,
“Stà tranquillo, ti ho detto!” lo canzonò Renée, aprendo il portone di casa e facendo una piroetta davanti al fratello “Non sono una ragazzina, ormai! Pensa di più alla tua Francine, invece!!”.
Salirono di sopra, e Renée si chiuse nel bagno, canticchiando.
Aramis, invece, andò in camera sua, dove accese lo stereo, mettendo su un CD di Baglioni.
Poco dopo, la ragazza uscì dal bagno, indossando una minigonna attillata blu ed una maglia grigia senza maniche, pure molto attillata.
“Allora, che te ne pare?” si presentò davanti al fratello, finendo di pettinarsi,
“O.K. Dovresti truccarti un po’, però!”,
“Bah! Lo sai che non mi piace truccarmi! Un velo di ombretto basta e avanza!” rispose lei.
Suonarono alla porta.
“Deve essere François!” esclamò lei, correndo al citofono.
“Sì? Scendo subito!”. Mise giù il citofono.
“Vado. Ci vediamo domani! Buona serata, fratellone!”,
“Ciao, Renée. E divertitevi!”.
Sentì sbattere la porta.
Certo che quando Francine è via, divento un recluso! Almeno avessi chiesto ad Athos di cenare con me! Ma no, figuriamoci, oggi sarà nero: ha avuto l’incontro con la sua ex-moglie per gli alimenti! Quella tizia Inglese è peggio di una sanguisuga! Ma non le basta quello che guadagna presso l’avvocato Richelieu? Non capisco davvero perché debba tormentare Athos!
Si alzò, diretto in soggiorno, rassegnandosi ad una mesta serata solitaria davanti alla televisione; focalizzò mentalmente che i salatini li aveva fatti fuori Porthos, la sera della partita, e si preparò ad ingoiare un’insalata.

Ciao a tutti! Ecco la mia nuova fic, questa volta su D'Artagnan; è una AU, uno dei generi che mi piacciono di più. I personaggi sono quelli dell'anime, anche se con alcune caratteristiche di quelli del romanzo (nel quale, ad esempio, Milady era la moglie di Athos, poi abbandonata da questo). Spero di non aver fatto un pasticcio troppo grosso. Ora, le dediche:
Lady Lina 77 : questa storia è dedicata a te che l'hai ispirata, anche se so che non potrà mai esser bella quanto la tua; in ogni caso, fammi sapere se ti piace;
Ninfea 306 : il mio ennesimo esperimento su uno degli anime più belli; se passi per di qua, fatti viva;
Vitani: lo stesso per te: se sei da queste parti, fatti sentire.
A tutti, Buon Anno!








 

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Capitolo 2
*** Legami e separazioni ***


Capitolo 2- Legami e separazioni CAPITOLO 2
LEGAMI E SEPARAZIONI

Aramis stava scorrendo velocemente ma attentamente il documento che aveva dinanzi, con gli occhi sempre più sgranati per lo stupore. Finì di leggere e si alzò, sbattendo una mano sul tavolo.
“Accidenti! Ma si può?”.
Porthos e D’Artagnan si voltarono di scatto, il bicchiere del caffè ancora fumante in mano.
“Che c’è, Ara?”,
“Avete dato un’occhiata a questa roba? Pare che quel Mansonne debba avere un ruolo preponderante nel processo che si terrà all’ex-sindaco, Luigi Capeto!”,
“Ah, già! Gli appalti truccati!” D’Artagnan finì il suo caffè e gettò il bicchiere vuoto in una pattumiera “Si concluderà, finalmente?”,
“Si spera di sì… Ma questa società fantasma che gestiva tutti gli appalti per conto di Capeto pare abbia sede in Normandia…”,
“Quale società?” fece Porthos,
“La “Maschera di Ferro Inc.”: erano loro a gestire gli affari sporchi del nostro caro ex primo cittadino. Ha sede a Nantes. E Mansonne viene proprio da Nantes…”,
“E allora?” continuò D’Artagnan “Lo avranno chiamato proprio perché ha in mano testimonianze dirette preziose. Non lasciarti influenzare dal fatto che ti è antipatico!”.
Il tenente si alzò. “Scusate, avete ragione, ma… non sopporto chi maltratta le donne, lo sapete!”,
“Il nostro Aramis è un vero gentiluomo!” esclamò Porthos “Sarebbe stato bene alla corte di Luigi XIV!”.
Per tutta risposta, lui lo guardò accigliato.
In quel momento, la porta si aprì.
“Basta! Non ce la faccio più!!” un uomo entrò, una mano premuta sugli occhi.
“Che ti succede, Athos?”,
“La mia ex-moglie, Milady! Ora ne vuole ottocento al mese! Dove li trovo? Io non sono miliardario come Bill Gates!”.
Gli altri tre si guardarono, scambiandosi un sorrisetto.
“E’ il destino per aver sposato una segretaria, amico! Se mai Francine vorrà divorziare da me, sarò io a prendere gli alimenti, dato che lei è ingegnere ed io solo un gendarme!” scherzò Aramis,
“Molto spiritoso! Ma io non so dove andare a prendere quei soldi!”.
“E’ permesso?”.
Una voce femminile dal tono dolce, che giungeva dalla porta, attirò l’attenzione di tutti.
“Ho bussato, ma nessuno ha risposto…”.
Aramis e Porthos riconobbero la donna del mattino precedente.
“Venga pure avanti, signorina. E ci scusi, non l’abbiamo sentita”, le si fece incontro Aramis.
“Prego!”, la invitò a sedersi.
“In cosa possiamo esserle utili?” chiese Porthos,
“Ecco… io… ero venuta a ringraziarvi”,
“Ma dovere, signorina! E’ il nostro mestiere! Lei non deve ringraziarci di nulla!”,
“Sapete, quell’individuo… mi aveva messo proprio le mani addosso!”.
D’Artagnan si era avvicinato, e la ascoltava con attenzione.
“Il suo nome, signorina?” le chiese,
“Costance Bonacieux”,
“Era lì da molto, quando siamo arrivati noi?”,
“Da circa mezz’ora. Non voleva lasciarmi andare, finché non mi fossi decisa a spostare la macchina!”.
I quattro si guardarono, ed annuirono.
“Ad ogni modo, è finita, signorina. Può star tranquilla, ora”,
“Invece ho paura. Quell’uomo ha detto di essere un giudice. Sapete, io lavoro al tribunale: sono un apprendista avvocato”.
D’Artagnan, a quel punto, si chinò su di lei “Non le farà niente: lo abbiamo ammonito. E per qualunque cosa, può chiamare questo numero” , le porse in mano un foglietto “è il numero della centrale operativa” spiegò “per qualunque bisogno, là mi trova sempre, a qualsiasi ora”,
“Grazie, signore”,
“Mi chiami pure D’Artagnan”.
Gli altri notarono che il collega e la giovane signora si scambiavano sguardi timidi, ma interessati. Lei si alzò.
“Scusate se vi ho fatto perdere tempo. Adesso devo andare. Grazie di tutto”.
“La accompagno”, D’Artagnan la precedette per aprirle la porta.
Dopo che fu uscita, il ragazzo si appoggiò con le spalle alla porta chiusa, gli occhi sognanti in aria.
“Ma l’avete vista bene? Era uno schianto!” disse.
Gli altri tre lo guardarono basiti.
“Ti sei preso una sbandata, amico?” fece Porthos; lui non gli rispose.
“Non sarebbe da te” aggiunse ancora l’altro.
“Di qualunque cosa avrà bisogno la signorina Bonacieux, me ne occuperò io. Intesi?” fece poi D’Artagnan, alzando due occhi determinati.
“Come preferisci” Aramis lo guardava sgranando gli occhi.

                                           **********

Aramis rientrò a casa un po’ prima del solito; sentì nell’aria Tienimi con te di Baglioni, e capì che anche la sorella era rientrata.
La sentì canticchiare dalla cucina e sorrise: aveva imparato quel poco di Italiano per capire il suo cantante preferito, ricordò.
Timidamente, aprì la porta della cucina “Renée, che fai stasera?”;
lei sollevò la testa dal bollitore colmo di cioccolata che teneva in mano “Perché? Si va da qualche parte?”,
“Da Athos, se ti va di venire”,
“O.K.! Dammi un minuto”.
La giovane sparì nella sua stanza.
Aramis sorrise nuovamente; sempre in movimento, piena di vita: questa era sua sorella, la sua Renée! Quanto era cambiata da quella bambina con grandi occhi lucidi che si aggrappava alla sua mano davanti alle bare che contenevano i resti dei genitori mescolati a quelli di altri occupanti dell’aereo, in quella chiesa semibuia, di tanto tempo prima! A quell’epoca era così indifesa, debole: sarebbe bastato poco per farle del male! Adesso, invece, era una ragazza vitale e forte.
Se papà e mamma potessero vederla!, pensò.
“Sono pronta. Andiamo?”, era uscita dalla stanza.
“Il tuo ragazzo dov’è, stasera?” le chiese il fratello; lei fece spallucce.
“In giro con colleghi: devono preparare una tesi, pare”,
“E a te non dispiace?”,
“No. Io gli do fiducia”,
“Contenti voi…”,
“E Francine viene?”,
“Sì. E’ andata a comprare i rinfreschi assieme a Porthos. Ci vediamo là”.
Scesero in strada; l’aria era frizzante, si avvertiva l’inizio della stagione fredda.
“Accidenti! Dovevo mettere i pantaloni di lana!” fece Renée,
“Ci scalderemo camminando”,
“Che? Non hai portato la moto?”,
“Sì, ma è parcheggiata in fondo alla strada. Qui non c’era dove metterla”,
“Come al solito”.
La Yamaha di Aramis era una moto di grossa cilindrata, di un amaranto laccato che dava molto nell’occhio; lui aveva un casco dello stesso colore in cui nascondeva i lunghi capelli biondi durante i tragitti.
“Questo è tuo!” fece, porgendo alla sorella un casco grigio quando ebbero raggiunto il veicolo. Facendo una smorfia, lei lo prese “Mi rovinerà l’acconciatura!”,
“Preferisci rovinarti il cervello?”,
“Questo dipende da te, fratello: sei tu che guidi!”,
“Spiritosa, molto spiritosa!”.

                                     **********

A casa di Athos era tutto pronto. O quasi.
Francine e Porthos stavano finendo di sistemare sul tavolo i rinfreschi, croissant, quiches e formaggi di vario genere, insieme a spiedini di frutta multicolore; il padrone di casa stappava le birre e gli aperitivi, con una faccia da funerale.
“E dài, amico!” Porthos gli diede una pacca sulla spalla “E’ il tuo compleanno, o il tuo funerale?”,
“Se quella sanguisuga non la smette, tra non molto sarà il mio funerale” borbottò,
“Secondo me, te la prendi troppo” si intromise Francine “dovresti trovare un bravo avvocato, come ha fatto lei!”,
“Sì, bella forza! Lei ha il suo capo, come avvocato! Non le costa niente! Ma io, se ne cerco uno, e magari vinco la causa, quello che non pagherò più a lei dovrò passarlo all’avvocato come compenso!”,
“E piantala di crucciarti, anche stasera! Non porta bene, sai?” Porthos aveva già addentato un croissant.
Francine guardò l’orologio “Aramis dovrebbe essere già qui. D’Artagnan dov’è?” chiese a Porthos, alzando la testa,
“E’ andato a prendere la torta: alle nocciole e caffè, come piace al nostro festeggiato! E vediamo se cambia espressione!” rise.
Il citofono squillò.
“Vado io” fece Francine, correndo verso la porta.
“Piano con quei tacchi, o salirà tutto il vicinato! L’età media, qui, è dagli ottanta in su!”.
“Sono Marcel e Alain”, la ragazza mise giù il citofono.
Poco dopo, altre due persone entrarono, con le mani colme di bottiglie e pacchetti.
“Dove li mettiamo questi?”,
“In salotto” fece strada Francine.
Porthos mise su un pezzo degli Aerosmith.
“Povero me!” Athos si coprì gli occhi con una mano “Che festa!!!”.
“Yuhuu! Eccoci qui!” Renée ed il fratello sbucarono dalla porta dietro agli amici,
“E da dove saltate fuori voi due? Non vi abbiamo sentiti bussare!” Porthos strabuzzò gli occhi,
“Siamo entrati dietro a Marcel ed Alain, dato che il portone era aperto”.
Francine si buttò letteralmente addosso ad Aramis “Amore! Finalmente!!”.
I due si scambiarono un bacio.
Renée girò la testa sorridendo, fingendo di non guardare; poi, la sua futura cognata le si avvicinò “Ciao splendore!”, disse.
Lei le sorrise, in segno di saluto.
“Com’è che sei da sola? François non c’è?” le chiese poi,
“Ha avuto un impegno improvviso. Sarà per un’altra volta”.
Aramis guardò la sorella con aria pensierosa; sapeva bene quali erano gli “impegni imprevisti” del suo non amato futuro cognato, e poteva dunque facilmente indovinare che anche questo non si discostasse poi molto dai precedenti; solo, non capiva perché sua sorella non gliene avesse fatta parola.

La festa procedette bene; circondato dagli amici di sempre, Athos riuscì ad abbandonare, per qualche ora almeno, i suoi crucci, ed a lasciarsi andare a qualche risata meritata.
Porthos, da solo, fece onore alla torta, a buona parte delle tartine ed ad un paio di bottiglie di Pepsi.
D’Artagnan cercava di intrattenere la single improvvisata Renée, ma i suoi pensieri erano altrove.
“Decisamente una bella festa, Ara! Vi debbo ringraziare tutti quanti”, fece Athos,
“Lascia perdere” rispose Aramis, tenendo in mano una bottiglia di birra “per gli amici, si fa tutto con piacere!”,
“C’è una cosa, però, che non mi convince…” gli si avvicinò all’orecchio,
“Sarebbe?”,
“Tua sorella. Perché se ne sta impalata in un angolo senza parlare con nessuno? Di solito, lei è così socievole!”.
Aramis sbuffò, preoccupato “E’ da oggi che me lo chiedo, Athos. Finge di star bene, ma io so bene che non è così. Le sta succedendo qualcosa, è evidente; ma non vuole dire cosa”.
Athos guardò intensamente Renée: quella ragazza gli era sempre piaciuta.
Era forte e determinata, eppure gentile e garbata: mai che prendesse di sopra la gente o che mancasse di rispetto a qualcuno; proprio il contrario di Milady, la sua ex-moglie, la quale credeva che tutto le fosse sempre dovuto! E poi, era bella Renée, molto bella; proprio come suo fratello Aramis, al quale tutte le donne della gendarmeria facevano gli occhi dolci!
Quasi gli avesse letto nel pensiero, il biondo tenente gli disse “Preferirei che fossi tu mio cognato, Athos: di sicuro, la tratteresti meglio! Perché sono sicuro che, qualunque cosa sia successa, ha a che vedere con quel François!”.
Athos annuì: da quando stava insieme a François, Renée era diventata molto cupa.


                                               **********

D’Artagnan pagò il barista e corse via, il cuore leggero per la troppa gioia a tal punto da non riuscire quasi a stare per terra.
Era in momenti come quello che apparivano palesi ed evidenti a tutti i suoi appena ventuno anni: quando tutto il suo essere mostrava un entusiasmo tale da non potere essere contenuto in un corpo, né certamente da poter essere imbrigliato nei modi pacatamente gioiosi dell’età adulta.
Tornò ai tavolini sul terrazzo, dove una raggiante Costance lo stava attendendo, seduta con il viso appoggiato sulle mani unite.
“Scusa se ti ho fatto aspettare. Ecco il tuo succo di pera” disse lui, porgendole un bicchiere colmo.
Si sedette anche lui, iniziando a sorseggiare un caffè alla turca.
Da quasi due settimane, ormai, si vedevano: l’incontro in gendarmeria era stato galeotto per entrambi, e dal quel giorno Costance prima e D’Artagnan poi avevano trovato ogni scusa per dare appuntamento all’altro in posti che ben poco avevano a che fare con un ufficio di polizia. Fino a quando non avevano capito che la loro era molto più di reciproca simpatia.
“Com’è andata, oggi, in tribunale?” le chiese lui; lei fece spallucce
“Come al solito. Cause di condominio e questioni patrimoniali; non c’è granché, in questo periodo”,
“Ma quando inizierà il grande processo?”,
“Quello all’ex-sindaco? Dovrebbe essere ai primi di Novembre, se non sbaglio”,
“E tu assisterai?”,
“Credo di sì, come uditrice, almeno. Ma ti confesso che l’idea di rivedere quel Mansonne mi piace sempre meno”.
D’Artagnan rise “E per quale motivo? Mentre lavora non potrà farti niente!”,
“Non mi piace comunque. E’ falso. Ha una voce che somiglia ad un sibilo. La sua sola presenza mette agitazione”,
“Dài, tesoro! Non mi dirai che una tosta come te si spaventa per così poco! Dimostragli che non hai paura di lui! Verrò anche io in aula, qualche volta, se ti potrà aiutare. Va bene in questo modo?”.
Lei sorrise, e chinò il capo in segno di assenso.


                                             **********

Renée rientrò a casa prima del solito; era una sera di metà Novembre, e su Parigi pioveva forte.
Chiuse la porta, appoggiandovisi con le spalle. Tese l’orecchio per percepire rumori: silenzio.
Aramis non era ancora rientrato; bene, meglio così.
Gettò la sacca sul divano del salotto, e si diresse in camera sua per cambiarsi; aveva un macigno al posto del cuore.
I genitori di François avevano davvero esagerato, quella sera. Venirla a trovare al bar, durante l’orario di lavoro, per metterla in ridicolo davanti a clienti e colleghi non era stato davvero il modo migliore di concludere una giornata già pesante di per sé; poi, il fatto che François fosse presente, e non facesse nulla in sua difesa, limitandosi a restarsene in un angolo con gli occhi bassi, mentre sua madre la chiamava “ragazzina senza dignità”, era stato davvero troppo!
Possibile che quel ragazzo che diceva di amarla tanto preferisse lasciarla umiliare, piuttosto che contraddire la madre? Si coprì il viso con le mani, scoppiando in lacrime.
Ricadde sul divano, scossa dai singhiozzi.
Perché, perché François non era come suo fratello, sensibile e generoso? Perché si continuava a comportare da ragazzino viziato e debole?
Restò a piangere per una buona mezz’ora; poi, si asciugò il viso e si alzò, decisa ad andare a prendersi qualcosa da bere per affogare il suo dolore.
Passò davanti alla porta socchiusa della camera di Aramis, e solo allora si accorse che da lì giungevano dei rumori attutiti.
Sospiri.
Imbarazzatissima, fece un passo indietro, nascondendosi nel vano di una porta.
Aveva capito benissimo cosa stava succedendo lì dentro, e che Aramis non era da solo; e lei non voleva certo fare la spiona che osserva di nascosto il fratello fare l’amore con la fidanzata!
Stando attenta a non far rumore, tornò sui suoi passi, rientrò in salotto e si accese la televisione, chiudendo la porta.
Dopo un po’, sentì un lieve bussare all’uscio.
“Si può?”,
“Francine! Entra!”.
La ragazza richiuse la porta dietro di sé “Scusa. Non volevamo metterti in imbarazzo: credevamo che in casa non ci fosse nessuno”.
Lei sorrise “Non preoccuparti, non lo avete fatto. Sono rimasta qui a godermi un po’ di TV”,
“Che fai a casa a quest’ora?” Francine si stava sollevando i suoi lunghi capelli castani in una crocchia,
“Ho avuto una sera di permesso” mentì Renée,
“Strano! Non succede mai”, Francine passò a sistemarsi la vestaglia,
“Ogni tanto succede” Renée sorrise in modo obliquo.
L’altra la guardò “Non mi convinci stasera, Renée. Mi sembri strana”.
Lei fu brava a glissare l’argomento. O quasi.
“Posso farti una domanda, Fran?”,
“Certo. Dimmi pure”,
“Quando è stato che tu e Ara… beh, sì, insomma… che avete capito di essere fatti l’uno per l’altra?”.
Francine sorrise “E’ questo che vuoi sapere? Beh, è stato quando… abbiamo capito di volere l’uno la libertà dell’altro!”.
La ragazza sorrise “Ed è successo presto?”,
“Abbastanza, sì. Ma, scusa, tu e François…”,
“Non l’abbiamo ancora capito, no…” la voce di Renée iniziava a frantumarsi di nuovo nel pianto.
“Ehi, ehi, tesoro!” Francine la abbracciò “Non è il caso di piangere, davvero! Forse il vostro rapporto ha solo bisogno di un po’ di tempo. Dateglielo, e tutto andrà meglio!”,
“Vorrei darti ragione, Francine. Ma credo che tra me e François il tempo sia scaduto, ormai”.
La cognata la lasciò andare, e la guardò intensamente.
“Allora, significa che non è quello giusto per te”.

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Capitolo 3
*** ... E mi bruci! ***


Capitolo 3- ... E mi bruci! CAPITOLO 3
… E MI BRUCI!


Da circa un’ora, Aramis se ne stava appoggiato allo stipite di una porta chiusa; dietro a quella porta, la camera della sorella.
Si guardò intorno, con aria perplessa; nell’aria sentì risuonare debolmente la voce di Baglioni che intonava Niente più; a parte questo, neanche un respiro, niente.
Erano ormai trascorse cinque settimane da quella triste sera in cui Renée era tornata a casa col cuore spezzato, sfogandosi poi con Francine, e da allora tra lei e François era successo di tutto; alla fine, lei si era decisa a lasciarlo, per il bene di entrambi.
Questo un paio di giorni prima.
Ma adesso, da un paio di giorni se ne stava chiusa in quella camera, senza andare a lavorare né all’Università, e nemmeno a mangiare; a stento, usciva per andare in bagno: Aramis era seriamente preoccupato.
Lo stereo prendeva arditi acuti, con parole che entrambi, avendo studiato l’Italiano, capivano perfettamente.
“Sorella, ci sei? Guarda che quella roba ti farà solo più male, lascia perdere!” il ragazzo bussò lievemente alla porta.
Nessuna risposta.
“Renée! Accidenti! Sono due giorni che stai chiusa lì dentro! Solo perché hai rotto con quello, vuoi fare la monaca di clausura? Non siamo più ai tempi di Luigi XIII!”.
Ancora silenzio.
“Ti decidi ad aprire o no?”.
Finalmente, un suono.
Un singhiozzo soffocato.
O qualcosa di simile.
D’istinto, Aramis si appoggiò alla maniglia, trovando la porta aperta con sorpresa.
Entrò nella stanza; era tutto buio, le uniche luci erano quelle dello stereo acceso.
Premette l’interruttore di una lampada su di una mensola, per non invadere bruscamente il senso di protezione che la sorella si era costruito, e la vide, raggomitolata sul divano-letto tra i cuscini, le braccia intorno alle ginocchia piegate; aveva indosso solo una felpa, un paio di calzoncini corti, ed un collant pesante.
“Piccola…” il giovane si avvicinò alla sorella, che se ne stava con la faccia voltata verso la finestra chiusa.
“… Ci sei?” le accarezzò i capelli.
Lei non rispose, non si mosse.
“Hai fatto bene a scaricarlo, piccola. Quello ti stava distruggendo la vita! Lui e la sua famiglia di boriosi con la puzza sotto al naso!”.
Le si sedette accanto.
“… L’ho fatto perché ho capito di non amarlo più…” fu la prima cosa che disse,
“Ed hai fatto davvero bene!” sbottò il fratello,
“Ma ora, mi sento una merda! Mi sembra di averlo ingannato per tanto tempo, visto che sopportavo le offese di sua madre, fingendo di amarlo; e lui penserà questo di me: che sono stata meschina!”,
“Ma che stai dicendo, piccola? Il meschino è stato lui, se per tanto tempo ha permesso alla sua famiglia di trattarti così male! Si è comportato da immaturo, da bambino viziato che non sa dire di no ai genitori ricchi, e non difende la fidanzata!!”.
Renée abbracciò il fratello, scoppiando a piangere “Hai ragione, fratellone!”.
Lui le accarezzò la testa “Piangi pure, dopo starai meglio; ad ogni modo, hai fatto la cosa giusta, Renée!”.
La ragazza sollevò per un attimo gli occhi lucidi e lo guardò “E’ che lui… ancora… mi brucia!”.

                                          **********

“No, no e poi no!” Aramis era letteralmente fuori di sé,
“Tieni a freno i nervi, ragazzo! E’ un ordine della Corte Suprema!” il commissario De Treville, suo zio, cercava di riportarlo all’ordine,
“Ed io me ne frego!! Il cane da guardia ad uno come quello, io non lo farò mai!!”,
“Non comportarti da ragazzino viziato, Aramis! Qui dentro non sei solo mio nipote, sei un tenente: ed un tenente deve obbedire agli ordini superiori!!”,
“Ma perché proprio io? Non potevano affidare a qualcun altro la sorveglianza e difesa di quel coglione di un Mansonne?”, sbatté una mano sulla scrivania dello zio; l’uomo rimase stranito.
“In effetti, è sembrato strano anche a me. Eppure, quello ha chiesto espressamente che per la propria difesa e sorveglianza fosse chiamato il “giovane tenente biondo del 5° Arrondissement”: non ha voluto sentire ragioni”.
Il ragazzo si lasciò cadere su una sedia “Lo ha fatto per vendicarsi, è chiaro! Non ha mandato giù il fatto di esser stato portato in commissariato!”,
“Comunque sia, Aramis, questi sono gli ordini, e noi ci dobbiamo adeguare. Quindi, da domani prenderai su di te la sorveglianza e protezione del giudice Mansonne, per tutto il tempo che resterà a Parigi. Siamo intesi?”,
“Agli ordini, commissario!” fece stancamente il giovane tenente.
Uscì dall’ufficio dello zio, più nero della pece.
D’Artagnan e Porthos lo videro passare; il primo guardò fisso l’amico.
Mala tempora currunt. E’ meglio non stuzzicarlo, per adesso”,
“Hai proprio ragione” rispose D’Artagnan.
Aramis passò loro davanti, andando a rinchiudersi nel suo ufficio; poco dopo, i due udirono il rumore di qualcosa di pesante che volava attraverso la stanza, per infrangersi poi contro un muro.
“Il posacenere di acciaio” sussurrò D’Artagnan all’orecchio di Porthos “deve essere peggio del previsto!”,
“Mi sa che hai ragione” annuì l’amico “forse è meglio se andiamo a vedere”.
D’Artagnan bussò leggermente, quindi aprì la porta.
“Ehi Ara, tutto a posto? C’è qualcosa che non va?”,
“Tutto! Tutto non va! Renée è ridotta ad un cencio, si è pure presa un congedo dal lavoro, ha smesso di studiare e passa le sue giornate in casa a lacrimare ascoltando quel deprimente cantante straniero; e come se non bastasse, adesso devo fare da cane da guardia a quel bastardo di un giudice!”.
Porthos e D’Artagnan si guardarono negli occhi con aria sbigottita, per poi chiedere all’unisono “Mansonne?”.
Aramis sogghignò con sarcasmo “Proprio così. E dato che siete la mia squadra, la cosa riguarda anche voi e Athos!”.
“Ma… ma… perché proprio noi?” fece Porthos,
“Perché quello vuol farcela pagare per l’offesa che ha subito nella sua dignità di onnipossente giudice da parte nostra, ecco perché!”.
D’Artagnan era rimasto muto, pensando a Costance; sapeva bene quanto quell’uomo la intimorisse, ed ora lui lo avrebbe avuto sempre tra i piedi… non potevano incontrarsi fino ad incarico concluso.
“Che gran figlio di…” Aramis borbottava come una pentola.

                                              **********

Ore 21.30. I fratelli De Treville erano seduti dietro ad un tavolo rotondo, con un piatto di zuppa di cipolle davanti.
Aramis fingeva di mangiare, lo sguardo cupo ed abbassato, ma almeno mangiava; Renée, invece, non mangiava affatto.
Si limitava a fissare il suo piatto di minestra pieno a metà, senza dire nulla.
“Perché non metti qualcosa nello stomaco anche tu?” le chiese ad un tratto il fratello, dissimulando il suo malumore,
“Non ho fame”,
“Non ne avevi nemmeno ieri sera, se è per questo; ma devi sforzarti di mangiare, o ti ammalerai”.
Lei tacque.
Il ragazzo posò il cucchiaio dentro al proprio piatto “Stai ancora pensandoci, vero?”.
Lei fece cenno di sì con la testa.
“Ma tra voi è finita! Possibile che quell’idiota continui a tormentarti come quando stavate insieme?”.
Gli occhi di lei si colmarono di lacrime “Sono una stupida” disse,
“E perché saresti una stupida?”,
“Non lo dovevo fare. Lui mi amava. Ora lui sta soffrendo, ed io sono sola”,
“Che sciocchezze vai dicendo!” Aramis si alzò bruscamente dalla sedia “Primo, lui non ti amava affatto, se permetteva alla sua famiglia di trattarti a quel modo; secondo, lui non sta affatto soffrendo, se non nel suo orgoglio di bambino viziato che nella vita ha sempre avuto tutto e troppo facilmente; ed infine, meglio soli che male accompagnati!”.
Renée si alzò, dirigendosi verso la lavastoviglie; Aramis le andò dietro.
“Devi tornare al lavoro e riprendere a studiare”,
“Non me la sento, ora”,
“Sono stufo di vedere una mummia per casa!  Torna a vivere, Renée! Devi farlo!” la girò strattonandola un poco.
Lei iniziò a lacrimare.
“Renée… non fare così…”, le parole restarono in sospeso sulla bocca del giovane gendarme.
Bussarono alla porta.
“Vado io” fece Aramis.
Poco dopo, rientrò in cucina, allegro “Ehi, sorella, guarda chi è venuto a trovarti?”.
Athos entrò nella stanza “Buonasera, Renée”.
Immediatamente, lei si asciugò le lacrime “Ciao, Athos. A che devo il piacere?”,
“Beh, dato che è quasi Natale, sono venuto a portarvi un regalo” l’uomo estrasse da una busta una confezione di dolci; Aramis li prese in mano.
“Alla crema?!? Sai che la odio!”.
Athos rise e riprese in mano la scatola “Vorrà dire che li mangerà Renée! Ti va?”, disse poi, porgendoli alla ragazza.
“Grazie” fece lei, prendendoli.
Fece un debole sorriso.
I due gendarmi si guardarono di sottecchi, e si sorrisero.

Un paio di giorni prima.
Athos ed Aramis sedevano accanto alla macchinetta del caffè, un bicchiere in mano, i piedi appoggiati su di un tavolo.
“Non ce la faccio più!” stava dicendo il tenente al collega,
“Di che parli?” chiese Athos,
“Di tutto. Quel Mansonne è un bastardo patentato, e non perde occasione per stuzzicarmi. Sai che l’altra volta ha anche provato a corrompermi? Mi ha offerto del denaro in cambio dell’annullamento di alcune contravvenzioni! Che tipo!!”,
“E tu che hai fatto?”,
“Secondo te? Le ho rifiutate, è ovvio! Ma tornerà all’attacco, non temere!”,
“E a casa, come va?”,
“Uno schifo, grazie. Renée è a pezzi. Ormai è più di un mese che lei e quello hanno rotto, ma lei continua a sentirsi male: è fragile, indifesa. Non si rende conto che lui la stava solo usando!”,
“Che bastardo!” fece Athos,
“Già. E la cosa peggiore è che ha smesso di studiare. E’ spenta, ha perduto tutta la gioia di vivere che le ho sempre visto”,
“Vorrei aiutarla. Tua sorella mi piace, Ara, e poi non sopporto di vedere una ragazza in quelle condizioni. Mi permetti di venire a trovarla, qualche volta?”,
“Sei il benvenuto! Se ci riuscissi…”.

E ci era riuscito. O almeno pareva.
I dolci alla crema erano i preferiti di Renée, ed Athos lo sapeva benissimo; ora, la ragazza stava sorridendo, mentre ne ingoiava uno insieme alle sue lacrime di poco prima.
Aramis ringraziò l’amico con lo sguardo.
Il campanello della porta squillò di nuovo.
“Vado io” fece Aramis “tu, intanto accomodati” si rivolse ad Athos.
Percorse di fretta il corridoio ed aprì la porta. Ma non si aspettava la sua visita.
“TU!!! Che accidenti vuoi, ancora???”.
François esitò sulla soglia.
“Vederla… per parlarle”,
“Che faccia tosta!! E di che cosa vorresti parlarle, dopo tutto quello che le hai fatto passare? Lei non ti vuole più vedere, quindi alza i tacchi e sparisci!!”,
“Non mi puoi impedire di vederla! Renée sa decidere da sola!”,
“Ed infatti ha già deciso: non vuole più vederti! Dunque, fuori dai piedi!”.
Insospettito da tutto quel baccano, era giunto Athos.
“Che succede, Ara?”,
“Niente. Questo tizio ha sbagliato indirizzo, e lo sto riportando all’ordine!”.
François riprese “Voglio vederla solo un attimo, accidenti!!”, fece un passo in avanti, subito bloccato da Aramis.
“Non ti azzardare, o chiamo i miei colleghi, e questa notte la passi in cella! Hai capito?”,
“Io la amo!!” gli puntò contro un dito,
“Tu non la ami affatto! Non l’hai mai amata! Per te, era solo un bell’oggetto da mostrare in giro!” Aramis gli afferrò il dito, chiudendolo nel suo pugno,
“Spostati, amico, e lasciami passare!” François gli spintonò una spalla,
“Non se ne parla!” Aramis afferrò la mano dell’ex-cognato con violenza.
A questo punto, Athos decise di intervenire.
“Ehi, ehi, calma!! Renée è dentro, che non sta bene! Se vi sente e viene qui, la cosa non potrà che farle peggio; almeno tu, Ara, cerca di calmarti, e lascia questo imbecille a cantare da solo nel suo brodo!”,
“Come mi hai chiamato?” ruggì letteralmente François,
“Con l’appellativo giusto per un pusillanime come te! Aver paura della famiglia a venticinque anni suonati! Puah!” Athos gli vomitò letteralmente in faccia le parole,
“Ritira subito quello che hai detto!”,
“Niente affatto!”.
Alcuni vicini erano accorsi sul pianerottolo, per capire cosa fosse tutto quel chiasso.
“Ritiralo, o ti rompo quel bel nasino!!”.
“BASTA!!”, una voce alle loro spalle li fece voltare tutti.
Si girarono e videro Renée.
“State dando spettacolo! Abbiate un po’ di dignità!”.
Gli animi dei tre si calmarono un poco.
“Renée… amore…” François era diventato d’improvviso mansueto,
“Non chiamarmi “amore”: è evidente che per te, non ho mai rappresentato l’amore. Ha ragione Aramis: volevi solo una bella statuina, ed io ora l’ho capito; ragion per cui, addio, è finita! E non farti più vedere in questa casa!”.
Detto questo, Renée rientrò nell’appartamento.
Athos ed Aramis la seguirono, chiudendo la porta.
François rimase solo e balbettante.
“Renée… come… è possibile…”.
Si accorse in quel momento che diverse paia di occhi lo stavano guardando sul pianerottolo; pieno di vergogna si girò e se ne andò, sconfitto.

Non appena in casa, Renée era scoppiata in un pianto dirotto, confortata da Athos e dal fratello.
“Sei stata grande! Adoro le donne forti!” le diceva Athos,
“Se l’è meritato!” aggiungeva Aramis.
La ragazza, invece, continuava a singhiozzare.
“Sono sola… sono sola… credevo di amarlo…”.
Athos le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani.
“Renée, ascolta: quello non ti meritava! Essere da soli non è poi così brutto, sai? E poi, vedrai che troverai presto qualcun altro che ti voglia bene, e che ti meriti, sei una ragazza adorabile!”.
Detto questo, la baciò in fronte.
Il fratello li guardava, nel cuore una inconfessabile speranza: vederli assieme.


                                        **********

Nei giorni seguenti, Athos tornò molte volte a casa De Treville: aveva sempre una scusa pronta, tipo una sciocchezza che aveva dimenticato di chiedere ad Aramis durante il turno di lavoro, od una cosa che aveva dimenticato la volta precedente, ma in realtà, il vero motivo delle sue visite era Renée.
Adesso che si era liberata di quell’imbecille, doveva solo recuperare l’appetito della vita; e lui, dal canto suo, ce l’avrebbe messa tutta per aiutarla in questo compito arduo.
La portava fuori a prendere da bere nei caffè, andavano in giro in macchina, oppure la accompagnava a fare shopping, che, sotto Natale, è una cosa già di per sé eccitante.
E poco per volta, il sorriso ritornò sulle labbra di Renée.

Strada facendo, vedrai
che non sei più da sola
Strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo

E sentirai la strada far battere il tuo cuore
vedrai più amore, vedrai…(1)









 
 












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(1)Credits, Strada facendo, Claudio Baglioni. A dir la verità, non era la sola canzone che vedevo bene qui, ma se attacco a fare citazioni dai Pooh non la smetto più: lo sanno bene i miei lettori delle sezioni di Alpen Rose e Lady Oscar!

Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo! Lo so che è corto, ma ho avuto poco tempo, questa settimana; ad ogni modo, spero che vi piaccia.
Ninfea 306: che gioia trovarti anche in questa sezione!! I tuoi consigli mi sono preziosi, lo sai, e le tue recensioni mi fanno sempre molto piacere!
Bay: benvenuta tra i miei lettori; aspetto anche i tuoi commenti con ansia!
Lady Lina 77: ti ho dedicato la storia, lo sai; quindi, dimmi se ne sei delusa... scherzo!! Dimmi se ti piace anche questo nuovo capitolo!
Pitta: benvenuto di cuore anche a te! Certo, è vero che il mio Aramis è parecchio diverso, caratterialmente parlando, da quello dell'anime; ma come ho scritto nell'introduzione, è un esperimento che volevo proprio tentare di fare. In quanto a D'Artagnan, tranquilla, lo tratterò benissimo, nella mia storia!

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Capitolo 4
*** Trust in me ***


Capitolo 5- Trust in me CAPITOLO 4
TRUST IN ME


“Costance, tesoro, ti giuro che proprio non ne avevo idea!”,
“… Ed hai accettato! Certamente, capisco benissimo!”,
“Ma no!! Non ho accettato! Semplicemente, vi sono stato costretto! Anche Aramis vi è stato costretto, e sì che è il capo!”.
Alla fine D’Artagnan si era deciso: meglio dire tutto a Costance subito, anziché inventarle delle stupide frottole; non sarebbe stato onesto nei suoi confronti, e poi, non sarebbe servito a nulla.
“Mah! Per lo meno mi conforterà vederti spesso, quando dovrò stare vicino a quell’individuo! Sai che lo studio mi ha nominata auditrice principale?”,
“Davvero? Congratulazioni!” il ragazzo era ben felice di potere cambiare discorso,
“Congratulazioni, sì… tutti credono che dovrei esserne orgogliosa… ma io, al solo pensiero di stare vicino al quel tipo, mi sento male!!”.
Lui le si avvicinò, circondandole le spalle con un braccio “E dài! E’ un’esperienza come un’altra! E vedrai che ti tornerà utile, in futuro”.
Lei sospirò, abbassando la testa in avanti.
“E poi, ci sarò io vicino a te! Non dovrai temere nulla: se quello ti si avvicina troppo, gli spacco il muso!” il ragazzo mimò un pugno scherzoso.
Costance sorrise debolmente.
Il tramonto stava arrossando la Senna ed i tetti di Parigi: era uno spettacolo meraviglioso, che i due ragazzi contemplavano dalla terrazza di un bar.
Costance guardò negli occhi il suo affettuoso fidanzato, e i due si scambiarono un lungo bacio.

                                            **********

“Colonna, alt!”, dalla sua auto, in testa alle altre, Aramis ordinò di fermarsi attraverso il vivavoce di comunicazione interno delle auto dei gendarmi.
Tutte le auto si fermarono, comprese quelle della polizia, poco più dietro.
Al centro del gruppo, letteralmente imbottigliata tra le auto della scorta armata, stava la Rover del giudice Mansonne, che osservava la scena con quel suo ghigno viscido.
Tutti i componenti la squadra scesero dalle macchine, facendosi intorno al giudice per proteggerlo da eventuali attacchi; poi, il gruppo si incamminò verso la scalinata del Palazzo di Giustizia.
Aramis camminava proprio accanto a Mansonne, e, sebbene quell’individuo gli facesse ribrezzo, stava svolgendo il suo compito in modo ineccepibile.
“Tenente!” fece sottovoce il giudice, rivolto proprio a lui,
“Cosa vuole?”,
“Ecco, io… volevo chiederle se verrebbe a cena nella mia suite all’Hotel Lafayette, stasera. La sua solerzia merita assai di più di un misero stipendio da gendarme!”.
Il ragazzo capì che l’uomo voleva andare a parare verso uno dei suoi soliti tentativi di corruzione, e si mise sulla difensiva.
“La ringrazio, ma preferirei di no: mi troverei solo a disagio, in quel tipo di ambiente”,
“Suvvia, tenente! Un’occasione speciale ce la meritiamo tutti, prima o poi! E poi, potrebbe portare la sua fidanzata, la cosa le farebbe senz’altro piacere”.
Aramis strinse i denti; quel maiale le tentava proprio tutte, pur di riuscire ad accattivarselo! Ora metteva in mezzo anche Francine! Lei non l’avrebbe mai portata nella stessa stanza con quel tizio. Assolutamente no! Dato il tipo, quello l’avrebbe palpeggiata non appena lui si fosse allontanato, magari per andare in bagno!
“La mia fidanzata non c’è, in questi giorni: è via per lavoro!” mentì,
“Non c’è problema: io rimarrò a Parigi ancora un paio di settimane, poi tornerò quando si aprirà la seconda fase del processo”.
Il giovane gendarme era diventato livido: quello non voleva saperne di mollare la presa! Ma che accidenti voleva, stavolta?
Nel frattempo, erano entrati nella grande aula dove si sarebbe tenuta l’udienza, che ebbe inizio di lì a poco.
E fu durante quell’udienza che Aramis capì il perché di tanta gentilezza sospetta: durante quella seduta, infatti, si fecero nomi grossi coinvolti nello scandalo degli appalti, e si parlò perfino di coinvolgimenti nella Magistratura ; ma, sorprendentemente, l’ex-sindaco Luigi Capeto fu rinviato a giudizio senza nemmeno l’obbligo di essere trattenuto in prigione.
Tutti erano sbalorditi: tutte le prove erano contro di lui, l’evidenza c’era eccome, ciononostante Mansonne non aveva ancora inflitto alcuna condanna né a lui, né agli altri imputati; che volesse ottenere qualcosa da loro?
Mentre ritornavano alle auto, Aramis capiva che doveva esserci sotto qualcosa di ancora più grosso del previsto, e si convinse che Mansonne doveva esserci dentro fino al collo. In fondo, lui veniva dalla Normandia, da Nantes, dove si trovava la sede legale di quella ditta, la “Maschera di Ferro Inc.”, ed era evidente che il tizio che aveva firmato tutti i permessi ed i documenti più compromettenti di quella società-fantoccio era un prestanome, di cui non si era riusciti ancora ad accertare l’identità: avevano detto che era scappato all’estero poco prima dell’incriminazione dei dirigenti. Ma adesso, Aramis iniziava a pensare che quel prestanome potesse essere proprio Mansonne.
E’ evidente, pensava, con il potere che gli veniva dalla sua posizione di giudice ha potuto chiedere di presiedere al processo per insabbiare tutto, e coprire i soci! E’ sicuramente così, e ne cercherò le prove presto!
Ma Mansonne sembrò leggergli nel pensiero, poiché tornò a parlargli.
“Tenente” il suo tono, stavolta, era molto cupo “immagino che come ogni buon gendarme, lei sappia dedicarsi solo ed esclusivamente al suo lavoro di scorta, senza ficcare il naso in faccende che non sono di sua competenza…”,
“Se mette in dubbio la mia professionalità, perché mi ha voluto a capo della sua scorta?”.
Il giudice non lo ascoltò nemmeno, e proseguì.
“Ed immagino che sia lei che i suoi uomini abbiate avuto occhi ed orecchie coperti, in aula oggi. Non è così?”.
Aramis non seppe cosa dire; sentiva una fortissima rabbia salirgli dentro, ma sapeva bene di non poter reagire; l’altro lo incalzò.
“Cosa mi risponde?”,
“Faccio soltanto il mio lavoro, signore!” disse, secco.
Mansonne tornò a rabbonirlo; gli si avvicinò e gli parlò quasi nell’orecchio, a voce bassissima “Credo che, quando tutto sarà finito, lei riceverà un bel regalo, tenente. Potrebbe comprarsi una bella macchina, che ne dice?”.
Lui sentì il sangue salirgli alla testa “Non mi piacciono le macchine; ho una moto, e mi basta!”.
Già, era vero: le macchine non lo facevano impazzire; lui amava le moto grosse e potenti, per poterle guidare con il vento sulla faccia, libero…
Renée era come lui.
Insieme, si erano sempre divertiti tantissimo, in moto. Sempre. O quasi.
Una sola volta, lei non c’era stata. Lui era solo, quella volta.
Ricordava benissimo quando era successo, anni prima: nel periodo in cui sua sorella stava preparando l’esame di ammissione all’Università, e non aveva voluto seguirlo in America, preferendo rimanere a studiare. Ma lui era partito ugualmente, verso quel grande e sconfinato Paese, per vagare tra le rocce rosse dei suoi immensi deserti, dove la libertà si respirava veramente, su chilometri e chilometri di strade deserte, dove non c’era anima viva: solo lui e la Harley Davidson che aveva affittata a Las Vegas per fare il viaggio più memorabile di tutta la sua vita.
Ricordò benissimo come stava in quel periodo, e non stava bene affatto: la sua rottura con la sua precedente fidanzata, alla conclusione del liceo, lo aveva letteralmente buttato sottoterra, e per mesi era stato chiuso in casa senza voler fare nulla, nonostante le proteste degli amici, di Renée ed anche dello zio, che proprio in quell’occasione gli propose di entrare nella sua gendarmeria.
Poi, la decisione: un viaggio per dimenticare, per ricominciare. E quale posto migliore dei deserti Americani, la terra degli sconfinati orizzonti?
Ricordava ancora benissimo la sera in cui aveva anche provato a tirare qualcosa, incitato da un gruppo di centauri incontrati in un bar per motociclisti; si era seduto con loro per stare un po’ in compagnia ed esercitare il suo Inglese che, all’epoca, stentava molto a farsi capire; poi, com’era prevedibile, una birra dietro l’altra, si lasciò andare, ed iniziò a raccontare dei suoi guai sentimentali a quei perfetti sconosciuti, che gli proposero la sola panacea che conoscevano, cioè la coca. Non aveva fatto neanche un tiro completo, che si alzò e diede di stomaco sul pavimento, tra le risate di tutti gli altri; stette male una notte intera, e da allora, giurò a sé stesso che mai più si sarebbe avvicinato a roba simile. E decise di non dire niente a Renée.
E quella fu l’ultima volta che cercò la compagnia di altri centauri: per tutto il resto del viaggio, esercitò il suo Inglese solo con normali turisti, in fuga vacanziera dalle grandi città del loro Paese.
Un sorriso sardonico gli uscì da sotto i baffi (che non aveva nemmeno!), al ricordo di quei tempi; la voce di Mansonne lo riportò alla realtà.
“Non mi risponde, tenente?”,
“Non desidero alcun regalo, grazie!”, così dicendo, allungò il passo e si allontanò da lui.
Il giudice risalì in auto con una smorfia dipinta sulla faccia; Aramis si avvicinò al capo della polizia, il capitano Rochefort.
“Che tipo deprecabile!” gli sussurrò,
“Ci ha provato anche con te, eh?” rispose quello,
“Perché, anche con te?”. L’altro sorrise.
“Lo fa con tutti. Crede che il denaro compri tutto!”,
“Allora è un vizio!” sibilò Aramis risalendo in macchina.

                                      **********
Qualche sera più tardi, Renée ed Athos sedevano insieme in un pub, davanti a due bicchieri di vino bianco.
Per la prima volta dopo tanto tempo, lei sorrideva, sollevata.
Athos, quando voleva, sapeva essere davvero divertente. E poi, si vedeva che gli piacevano davvero tanto le donne, nel senso che le amava e le rispettava, proprio come suo fratello Aramis.
“… E davvero ha detto questo? Che fifone!!! E pensare che è un gendarme!”, rideva la ragazza,
“Sì, proprio così! Maurice è uno che se la fa sotto anche se vola una mosca di troppo, ecco perché l’hanno messo negli uffici! Io quel noioso lavoro di routine non lo potrei mai fare: ho bisogno dell’azione!!” rispose il suo accompagnatore,
“Mi sembra di sentire mio fratello!” Renée bevve un sorso di vino “Anche lui è naturalmente portato all’azione”,
“Tu ed Aramis siete molto uniti, vero?”; il viso di lei si fece serio.
“Moltissimo, da quando eravamo molto piccoli: lui è stato tutta la mia famiglia, ed io la sua, dopo la morte dei nostri genitori”,
“Scusa, non è per farmi gli affari vostri, ma… non c’era vostro zio con voi?”,
“Oh, lui era diverso! Zio Armand era premuroso, gentile, attento… ma non poteva essere un vero genitore, perché non ci ha visto nascere, né muovere i primi passi od iniziare ad andare all’asilo. Io ed Ara, invece, siamo stati sempre l’uno accanto all’altra, come in simbiosi: siamo una cosa sola”,
“Inseparabili” disse Athos in un sussurro,
“Già. Inseparabili” rispose lei.
La ragazza mandò giù un altro sorso di vino, poi riprese a parlare “Sai cosa si dice dei gemelli? Che hanno le stesse sensazioni, belle o brutte, sentono perfino le stesse cose: se uno soffre, allora soffre anche l’altro”,
“E con voi è così?”,
“In un certo senso sì: sai, una volta, quando eravamo ragazzini, Aramis cadde dalla bicicletta e sbatté la testa, facendosi un bernoccolo; beh, non ci crederai, ma a me venne un forte mal di testa, e nello stesso punto del suo bernoccolo, per di più!”,
“Accidenti! Allora, ciascuno deve riguardarsi, per il bene dell’altro!”.
Scoppiarono entrambi a ridere.
Poi Athos, ritrovata un’espressione seria, le disse: “Renée… il vostro rapporto è bellissimo, ma… cosa farai quando lui si sposerà con Francine o andrà a vivere con lei?”,
“Mi terrò la casa!” scherzò lei; ma Athos era serio.
“Vuoi davvero rimanere sola? Non vuoi trovare anche tu qualcuno che ti voglia bene e che scaldi la tua vita?”.
Renée si rabbuiò, ed Athos capì di aver parlato troppo: era passato ancora troppo poco tempo dalla sua rottura con François.
“Scusami, non volevo rattristarti. Parlo sempre a sproposito”,
“No, non preoccuparti. E’ che… adesso come adesso non riesco proprio a credere di potere ancora…”,
“Amare?” le posò una mano su quella di lei “Lo so che è difficile ed ora ti sembra impossibile, ma vedrai che succederà di nuovo: quando meno te lo aspetti”.
Lei lo guardava, gli occhi lucidi.
“Abbi fiducia nel tuo amico Athos” sorrise.

                                                     **********

“Finalmente!!! Da tanto attendevo questo giorno!!” Aramis stava letteralmente cantando, nel suo studio,
“Che succede, amico?” fece Porthos che era entrato in quel momento con un tazzone pieno di caffè,
“Succede che il processo viene sospeso per chissà quanto! E quel Mansonne se ne torna a casa, almeno per un po’!”.
“E quando lo hai saputo?”,
“Stamattina, appena arrivato: me lo ha comunicato D’Artagnan, il quale lo ha saputo direttamente dal comando. Era fuori di sé dalla gioia: adesso potrà vedere la sua Costance senza trovarla tesa e spaventata come una corda di violino! Era ora!!”,
“E quando lo riprenderanno, il processo?” Porthos aveva iniziato a sorseggiare il suo caffè,
“Mah! Probabilmente dopo Natale. Quello che conta è che per un po’ non saremo obbligati a vedere la sua faccia qui intorno”.
Il biondo tenente si sedette alla sua scrivania e prese in mano il telefono.
“Pronto, Fran? Ci vediamo stasera?” Aramis era davvero su di giri.

Quella sera, dopo avere fatto l’amore a casa di lei, la coppia se ne stava oziosamente nel letto, le luci spente, a fumare una sigaretta in due.
La sola luce che rischiarava la penombra era quella che entrava dalla strada, e quella dei fari di qualche macchina che di tanto in tanto passava per la via, disegnando arabeschi di luce in movimento sul soffitto.
“Come sta Renée?” chiese Francine al fidanzato,
“Meglio: Athos ci sa fare! E’ tornata a studiare ed ha anche ripreso a lavorare, sai?”,
“Sono contenta per lei. E per te” si alzò, girandosi su un fianco “ma a dirla tutta, sono un po’ arrabbiata per noi due”,
“Perché mai?” l’uomo si volse a guardarla,
“E’ da un secolo che mi dici che dobbiamo andare a fare una piccola vacanza romantica noi due soli, e poi non hai mai tempo!”, gli saltò con le mani sul petto,
“Hai ragione” Aramis tirò un’altra boccata “ed è ora di rimediare! Tanto più che, ora, devo festeggiare la lontananza di quel Mansonne! Prendiamoci un paio di giorni solo per noi, ed andiamo a sciare sui Pirenei!”,
“Ohhh, così sì, che mi piaci!!!” gli schioccò un bacio nell’incavo del collo “E quando partiamo?”,
“Subito dopo Natale, non appena avrò preso le ferie e dopo aver passato la Vigilia ed il giorno di Natale con Renée: non posso lasciarla da sola quel giorno”,
“Hai ragione, amore! Sei proprio buono, tu!! Ah, che uomo ho trovato!” la ragazza gli si rotolò sopra,
“Ora non te ne approfittare!” rispose lui spegnendo la sigaretta nel portacenere sul comodino ed afferrandola per i fianchi nudi per farla accomodare meglio su di sé.
Le luci dei fari delle auto in strada illuminarono presto una coppia presa in un focoso amplesso.

                                              **********

“Ho detto cinquecento al mese, e non di più!!” Athos era esasperato,
“Ed io ti dico che non bastano! Ho da ristrutturare la casa, io!!” Milady, la sua ex-moglie, strillava a voce alta. Davanti a loro, un attonito avvocato Richelieu.
“Sei un’emerita spendacciona, Milady!”,
“E tu un fior di spilorcio!”.
“Signori, vi prego!” intervenne l’avvocato “Capisco che gli animi siano accesi, ma cerchiamo almeno di restare nei toni civili”,
“Guardi che la colpa è anche sua” sbottò Athos rivolto proprio a lui,
“Mia?”,
“Certo: se lei pagasse di più questa sanguisuga, lei non mi darebbe il tormento!”.
Seduta fuori dallo studio, Renée ascoltava, un po’ divertita. Aveva accettato di accompagnare Athos per calmarlo un po’, dopo (la richiesta di lui era stata questa!), ma non poteva fare a meno di pensare a quanto la situazione fosse comica.
La porta si aprì, ed un corrucciato Athos ne uscì.
“Non finisce qui, Athos!” gli gridò dietro lei,
“Và a quel paese! So che adesso stai con quel Rochefort della polizia. Perché non vai a chiederli a lui quei soldi?”.
Prese Renée per il braccio, ed uscirono.
Mentre camminavano per strada, la rabbia di Athos, lentamente, sbolliva.
“Tutto bene?” fece Renée. Lui rispose con un cenno affermativo della testa.
“Non dovresti prendertela così, sai… in fondo, si tratta solo di soldi!”,
“Sì: di soldi che non so dove andare a prendere!”,
“Senti, Athos, forse io un’idea l’avrei: il padre della ragazza di uno dei colleghi di Ara è avvocato: credo si chiami Bonacieux, o qualcosa di simile. Vuoi che provi a parlargli?”.
Athos, si fermò, stupito.
“Bonacieux? Il padre di Costance?”,
“Allora lo conosci?”,
“Sì, lo conosco, ma non sapevo che fosse avvocato”,
“A dir la verità, adesso è in pensione; ma non credo che per questo non sappia più fare il suo lavoro”.
Athos ci rifletté su.

Ciao, rieccomi qua!!
Scusate il ritardo, ma questo capitolo è stato particolarmente impegnativo, per motivi di tempo... carente! Ad ogni modo, eccolo qua!
Desidero ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa storia, ed in particolare:
Bay: grazie sempre del tuo appoggio e dei tuoi complimenti, e complimenti per la tua traduzione!
Ninfea 306: grazie per i complimenti, spero di meritarli, anzi ce la metto davvero tutta!
Lady Lina 77: davvero trovi che io sia veloce a scrivere? Io mi vedo lentissima... per lo meno, non veloce come vorrei. Quanto alla storia tra Renée ed Athos... staremo a vedere!
Un bacio a tutti, a presto!
Tetide.
 



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Capitolo 5
*** Natale domani ***


Capitolo 5- Natale domani CAPITOLO 5
NATALE DOMANI


24 Dicembre 2009.
Domani è Natale.
E come ogni Natale, qui c’è un gran fermento.
Mio fratello si è preso le ferie dalla gendarmeria, per stare un po’ con me; dice che me lo deve, dato che dopodomani parte con la sua fidanzata.
Qui, c’è dappertutto un gran fermento: come ogni Natale, D’Artagnan sta addobbando la casa insieme ad Ara, Porthos si sta sbizzarrendo nell’acquisto di ogni sorta di dolciumi, mentre Costance, la nuova fidanzata di D’Artagnan, ed io ce ne stiamo sempre insieme! Oggi pomeriggio, andiamo a comprare gli ultimi regali di Natale.
E poi c’è Athos… certo che è davvero un bel ragazzo, con quei baffetti e gli occhi blu sornioni… mi è sempre piaciuto, ma da un po’ di tempo a questa parte, vederlo mi fa uno strano effetto: con lui vicino, è come se mi sentissi “a casa”, come con Ara; è divertente, rassicurante e dolce, non mi fa mai pesare la sua presenza. Adesso mi rendo conto che, se sono riuscita a superare quel periodo terribile, è stato solo grazie a mio fratello ed a lui.
D’Artagnan sta confezionando un enorme fiocco color oro da appendere sopra la porta: ha le mani piene di chiodi, e pezzi di nastro dappertutto: sembra un folletto di Babbo Natale! Aramis, invece, sta cercando di aiutare Porthos con tutte le bottiglie di vini che si è portato appresso, e dice che sembra abbia svaligiato una cantina; Costance sta finendo di acconciarsi i capelli...  devo ammettere che è molto bella. Athos, dal canto suo, sta rileggendo, per la ottantasettesima volta forse, i termini del cavillo burocratico trovato dall’avvocato Bonacieux per liberarsi della sua ex-moglie… alza lo sguardo per un attimo ed incrocia il mio. Ci scambiamo un sorriso, senza dir nulla. Ma perché mi sono sentita avvampare?

“Renée, hai finito di scrivere su quel diario? Dobbiamo andare, è tardi!” Costance uscì dalla stanza da bagno.
“Arrivo!” l’amica sollevò la testa “Completo solo questa pagina”. Costance le si fece vicino.
“Ma perché ti piace tanto scrivere su quel coso?”,
“Perché conserva i ricordi meglio di noi, così quando un giorno saremo dei vecchietti smemorati, ci ricorderemo di come eravamo nel mitico Natale 2009!” Renée fece un risolino.
Si sentì bussare alla porta. “Vado io!” gridò Aramis.
Poco dopo, Francine era dentro casa, avvinghiata al suo ragazzo. Le loro lingue si stavano letteralmente intrecciando.
“Avreste anche potuto aspettare stasera! Quanta foga!” fece Porthos, le braccia conserte.
Francine si staccò da Aramis e venne incontro a Renée e Costance “Ciao, ragazze! Indovinate cosa vi ho portato?”.
Tirò fuori una scatola e l’aprì “Ecco qua!! Biancheria intima rossa, per la notte di Capodanno! Porta fortuna, credete!”.
Aramis le si avvicinò “E per te non ne hai comprata?” fece con un sorrisetto,
“Certamente! Ma per vederla dovrai aspettare qualche giorno” rispose lei, civettando un po’.
Per  tutta risposta, lui la prese tra le braccia e la baciò con passione.
“Voi due dovreste darvi una calmata!!” rincarò la dose Porthos; tutti scoppiarono a ridere.
Nell’aria risuonava Last Christmas, di George Michael.
E’ tutto così… perfetto!, pensò Renée, sorridendo.


Finalmente, era la sera della Vigilia.
Tutti sedevano attorno alla tavola imbandita, allegri e rumorosi.
Porthos, come al solito, stava facendo bis di tutto: quiches, crepes, brasati, panettone; D’Artagnan e Costance sedevano vicini, scambiandosi tenerezze di continuo: lui continuava a versarle il vino nel bicchiere sussurrandole parole dolci e facendola arrossire; Aramis e Francine erano parecchio su di giri, raccontavano barzellette sceme, ma in realtà stavano già pensando alla loro fuga d’amore.
Renée sedeva accanto ad Athos; parlavano come due vecchi amici in confidenza. Il ragazzo era visibilmente rilassato, ora che aveva trovato una scappatoia alle mire della ex-moglie, ed era davvero di compagnia; Renée con lui si trovava davvero bene, ed iniziava a capire che verso di lui provava qualcosa di più della semplice amicizia.
L’unico a mancare era lo zio Armand, trattenuto, purtroppo, la notte di Natale al commissariato da un turno improvviso; ma non aveva mancato di mandare loro i suoi auguri.
Renée guardava Athos, e sorrideva: non riusciva nemmeno a credere che, soltanto un anno prima, era stata nella casa dei genitori di François, imbarazzatissima e tesa sapendo di essere sottoposta ad un minuzioso esame in ogni suo più piccolo gesto, e costretta alla freddezza di una cena elegantissima, ma fredda e formale!
Com’era tutto diverso, ora! Ora, lei era “a casa”, e non soltanto perché lo era davvero o perché c’era lì suo fratello: quell’ambiente era il suo, un ambiente giovane ed informale, fatto di ragazzi semplici e desiderosi di bere la vita come era lei, senza etichette di sorta.
E poi, c’era Athos… colui che, in quelle lunghe settimane di dolore le era stato più vicino di tutti insieme a suo fratello Aramis, ed a cui lei sarebbe stata per sempre grata di averla aiutata a rialzarsi. Lui le aveva fatto dimenticare a poco a poco le umiliazioni subite, fino a che queste non erano diventate un pallido ricordo: c’era riuscito davvero bene!
Sì, quello sarebbe stato un Natale indimenticabile!
“O.K.: mancano cinque minuti a mezzanotte!” Porthos si alzò, il calice di spumante in mano; tutti gli altri lo imitarono. Renée era raggiante: tutte le sofferenze di solo un mese prima erano così lontane, ora!
I volti sorridenti e rilassati dei suoi commensali sembravano fare eco alla sua gioia: in particolare, quello di suo fratello Aramis era l’immagine stessa della felicità più palese.
Tutti attendevano, in silenzio.
Dopo pochi minuti, i rintocchi di una campana vicina annunciarono l’arrivo della mezzanotte.
“Buon Natale! Auguri a tutti!” esclamò Aramis.
“Auguri!” fecero eco tutti gli altri.
Poi, brindarono, e bevvero. Quindi, le coppie si abbracciarono, scambiandosi dei baci: D’Artagnan e Costance, Aramis e Renée… solo Porthos continuava a bere dal suo calice, riservando al bordo di cristallo i suoi baci.
In piedi accanto ad Athos, Renée se ne stava ferma, sentendosi come sospesa; percepiva lo stesso sentimento in Athos.
I due visi si voltarono l’uno verso l’altro; gli sguardi si incontrarono, come due forze che si erano cercate da sempre; si sorrisero.
E non ci fu bisogno di parole. I loro sguardi avevano parlato per loro.
Anche se le loro menti avrebbero faticato ancora un po’ ad accettare la realtà.


                                         **********

Ore 3 del mattino. Il mattino di Natale.
Francine si stava raccogliendo i capelli in uno chignon.
“Sono lieta che tua sorella abbia gradito il mio regalo” disse, rivolta ad Aramis,
“Lo credo bene: i romanzi d’amore sono la sua passione!”,
“Ed il tuo, ti è piaciuto?” si infilò delle forcine nei capelli,
“Il più bel paio di boxer degli ultimi venticinque anni, grazie”.
Francine rise, mimandogli un pugno scherzoso “Scemo!”.
Il ragazzo rise piano, per non svegliare la sorella che dormiva appena un paio di stanze più in là: lei gli si buttò addosso, iniziando ad aprirgli la camicia, passandogli le labbra sul petto, piano. Aramis le carezzò la testa “Domani saremo in luna di miele tra le nevi, mia bella” le sussurrò in un orecchio.
Lei risalì sul corpo di lui, arrivando al viso per baciarlo, poi gli sorrise “Non vedo l’ora” rispose.

                                    **********

Dopo avere riaccompagnato a casa Costance, D’Artagnan ed Athos trascinavano letteralmente un ubriaco Porthos.
“Buon Natale, amico!” disse Athos,
“Altrettanto a te. E’ stata una bella serata, vero?”,
“Sì: il più bel Natale di tutta la mia vita”,
“Anche della mia” mormorò D’Artagnan, estasiato,
“Costance è una ragazza molto bella e dolce”, gli si rivolse Athos ,
“Anche Renée” rispose, a sorpresa, D’Artagnan. Athos si voltò di scatto.
“Che vuoi dire?”; l’altro fece un sorrisetto furbo.
“Andiamo, Athos! Non vorrai farci credere che lei, per te, è solo un’amica! E poi, non hai mai nascosto quanto lei ti piacesse”,
“Che mi piaccia è un conto” il moro era arrossito fino alle orecchie “ma da qui ad esserne innamorato…”,
“Ecco, lo hai detto tu stesso!”,
“Cosa ti viene in mente!”,
“Perché lo neghi? Stareste molto meglio entrambi se vi decideste a diventare una coppia!”.
Athos non gli rispose.
Immerso nella sua beata ubriachezza, Porthos mugugnò.

                                     **********

“Mi raccomando, attenta ai fornelli!” stava dicendo Aramis alla sorella,
Lei sospirava, sorridendo “Stà tranquillo, fratellone!”,
“Guarda che non è una ragazzina, Ara!” gridò allegramente Francine, intenta a sistemare gli sci nel cofano.
Il ragazzo biondo passò una carezza sul viso della sorella “La notte di Capodanno mi chiamerai?”,
“Certo! Sarò con Marie e gli altri, ma un pensiero per mio fratello non può mancare!”.
Aramis le diede un leggero bacio sulla guancia “Buon Natale, Renée”.
Salirono in macchina, allontanandosi.
“Ciao, splendore!” Francine agitava un braccio fuori dal finestrino.
Renée rimase a guardare l’auto che spariva in fondo alla strada; poi, abbassò lo sguardo, divenendo un po’ triste.
Era in ferie dal lavoro, e non aveva nulla da fare; si sentiva sola, dovette ammetterlo.
Decise di andare a far visita allo zio, che, al contrario di loro, di ferie non ne aveva avute affatto, quel Natale.
Ma in fondo al suo cuore, sapeva che quella era una scusa per recarsi in gendarmeria. Voleva vedere Athos, le mancava.

                                            **********

“… E non potevano dirlo prima, accidenti a loro? Cosa credono, che i gendarmi sono dei burattini al loro servizio?!?”.
Il commissario De Treville stava letteralmente urlando; quel tipo di notizie dell’ultimo minuto non erano mai gradite, specialmente quando arrivavano il giorno di Natale.
Tutti, in commissariato, erano ammutoliti dalla furia del commissario capo: raramente lo avevano visto così arrabbiato!
De Treville sbatté la forcella sul ricevitore “Idioti!! Cosa vogliono che facciamo, ora?”.
“Che succede, capo?” azzardò timidamente un giovane gendarme,
“Succede che la Corte di Cassazione ha deciso di riaprire il processo dopodomani! Come accidenti faccio a radunare una scorta in due giorni, a Natale, per di più?”.
In quel momento, entrò Renée.
“Che succede, zio?”,
“Renée! Tesoro! Scusami, non sono dell’umore giusto per ricevere visite”,
“Qualcosa di grave?”,
“Purtroppo sì. Quel Mansonne sta tornando a Parigi per riprendere il processo, ed io non mi trovo una scorta da dargli”,
“Oh!” fece Renée,
“Mandate a chiamare Athos La Fère!” fece il commissario rivolto al giovane gendarme; chinato il capo in segno di assenso, quello uscì dallo studio.
L’anziano gendarme avanzò verso Renée, prendendole il viso tra le mani “Scusami, tesoro, ma oggi non posso davvero dedicarti il tempo che vorrei”.
Poco dopo, Athos entrò nella stanza “Commissario agli ordini!!” disse.
Vide subito Renée, e se ne stupì.
“Tu qui?”.
Ma la voce di Treville interruppe quel dialogo nascente.
“Athos, ascolta: il giudice Mansonne sta tornando per proseguire il processo. Abbiamo bisogno di quanti più uomini validi riusciamo a trovare per fargli da scorta”,
“Sissignore!”, il ragazzo fece per uscire,
“Ah, e vai a chiamare Aramis: mi dispiace rovinargli le vacanze Natalizie, ma questa è un’emergenza”.
Athos si fermò “Signore… Aramis non è a Parigi… è partito per andare a sciare”,
“E allora rintraccialo! Qui c’è bisogno di lui, subito! Inoltre, questa missione può portargli la promozione che attendeva da tanto tempo!”.
Renée si rattristò: Aramis non aveva portato con sé il cellulare, lei lo sapeva bene; e questo gli sarebbe costato la sua tanto agognata promozione! Cosa poteva fare per impedire che ciò accadesse?
Un’idea improvvisa come un fulmine le attraversò la mente.
“Zio” intervenne “posso rintracciare io Aramis. Non ha portato con sé il cellulare, ma posso chiamare Francine”,
“Bene, ragazza, sei gentile a volerci aiutare. Chiamalo subito, non c’è un minuto da perdere!”.
Salutati lo zio ed Athos, Francine uscì dalla gendarmeria, diretta di corsa a casa: quella che aveva concepito era un’idea folle, ma che tuttavia doveva essere tentata: non c’era altra soluzione.
Arrivò a casa trafelata, e corse in camera del fratello, aprendo il suo armadio; vi scrutò dentro. Quindi, si piantò davanti ad uno specchio e sorrise alla propria immagine riflessa.
Poi, prese il telefono e chiamò la gendarmeria.
“Pronto, zio? Aramis ha detto che torna subito in città; sarà qui in un paio di ore al massimo”.

Ciao a tutti, rieccomi qui con un nuovo capitolo! Mi scuso per il ritardo con cui aggiorno, ma ho avuto poco tempo a disposizione, ultimamente. E adesso, i ringraziamenti personali:
Ninfea 306: su Renée ed Athos non eri lontana dal vero; in quanto a Mansonne... non ti tolgo la sorpresa! Grazie sempre per i tuoi complimenti!
Bay: sì, Aramis è focoso, perché, in questa storia, gli ho dato un carattere simile al mio: spero che piaccia. Grazie anche a te per i complimenti, spero siano meritati.
Lady Lina 77: sono contenta di avere incontrato i tuoi gusti con la storia tra D'Artagnan e Costance; grazie anche a te per le tue belle parole di ammirazione.



 

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Capitolo 6
*** Come dentro ad uno specchio ***


Capitolo 6- Come dentro ad uno specchio CAPITOLO 6
COME DENTRO AD UNO SPECCHIO


Nota dell’autrice: in questo capitolo è presente una piccola cross-over con i due protagonisti del film “Angelica”, di Bernard Borderie, che, temporalmente, è di poco successivo all’epoca del romanzo di Dumas; non ho voluto dare la nota “cross-over” all’intera storia, dato che questo particolare si riferisce solo ad alcune parti, per di più marginali, di questo capitolo. Buona lettura a tutti.


Aramis e Francine sedevano su di un’assolata terrazza con vista sulle piste; era un bel pomeriggio di fine Dicembre, e davanti a loro sul tavolino avevano due cioccolate fumanti.
“Che sogno!” sospirava Francine,
“Finalmente, un po’ di tempo solo per noi” le faceva eco Aramis,
“Certo che stamattina li abbiamo fatti neri tutti, in pista! Vero?”,
“Direi proprio di sì” Aramis sorseggiò la sua cioccolata “Con la tua agilità, non c’era da dubitarne”.
Francine sorrise, guardandolo da sotto le lunghe ciglia. Era felice di poter passare qualche giorno sola con il suo amore, senza casini in giro.
“Francine!” una voce la fece girare di botto.
“Angelica! Siamo qui!” la ragazza sorrise ed alzò un braccio, agitandolo in segno di saluto verso colei che aveva parlato; poi si volse al fidanzato.
“Ci sono i Peyrac! Dài, facciamogli un po’ di posto!”.
Il ragazzo si alzò e prese due sedie da un tavolo vicino, vuoto; poi, andò incontro ad un uomo alto e moro che gli veniva incontro, dandogli la mano in una stretta virile.
“Jeoffrey! Ma vi eravate persi nei boschi?!?”.
I due uomini si diedero due amichevoli pacche sulle spalle.
Francine e Angelica si scambiarono due baci “E’ un piacere avervi con noi; venite, sedetevi!”, Fran le indicò le due sedie.
La coppia dei nuovi arrivati prese posto.
Angelica e Jeoffrey Peyrac erano una coppia di Parigi, anche loro in vacanza d’amore in fuga dalla famiglia e dagli impegni quotidiani; lui era docente universitario di chimica, lei aveva una grande dolceria nel centro di Parigi, che attirava gente molto “in”.
“Ah, che posto! E che bella giornata!” Jeoffrey si dondolò appoggiando la testa sulle proprie braccia incrociate,
“E’ stupendo” aggiunse Francine,
“Caro, ho telefonato a casa: Florimond sta studiando come un matto, e Cadronne si diverte!”, disse la Peyrac,
“Avrei dovuto immaginarlo!” le rispose il marito “Ogni volta che li lasciamo con i miei, Cadronne se la spassa! Quanto a Florimond, fa proprio bene a studiare”, rise Jeoffrey,
“L’estate scorsa era stato rimandato in matematica e Latino” fece Angelica ponendo una mano su quelle di Francine.
Aramis non disse nulla; volse lo sguardo verso la distesa bianca della pista, dove erano rimasti pochi sciatori, lontani come puntini neri in movimento, illuminati dal rossore del sole che si avviava a tramontare.

                                      **********

Renée si scoccò un’ultima occhiata allo specchio. Sorrise. Il suo lavoro era proprio perfetto, pensò.
Aveva capito subito quanto quella missione, e la conseguente promozione, fossero importanti per il fratello; ma allo stesso tempo, sapeva anche quanto per lui fosse importante passare un po’ di tempo in intimità con la sua fidanzata. Ed allora, cosa avrebbe potuto fare per aiutarlo?
Poi, vedendo la propria immagine riflessa in uno specchio, aveva trovata la risposta: sostituirsi a lui!
La loro somiglianza da sempre era stata evidente sotto gli occhi di tutti; ed in ogni singola occasione era stata il loro cemento, la fonte della loro intesa, la scintilla che li aveva sempre aiutati nei momenti difficili della vita. Ed adesso, lo sarebbe stata come non mai.
Lei sarebbe stata Aramis!
Almeno, per tutta la durata del processo, in modo da fargli avere la promozione, ma senza rovinargli la vacanza d’amore.
Che idea grandiosa aveva avuto!
Certo, indossare l’uniforme del fratello non era stato uno scherzo: in fondo, Aramis era alto ed atletico, con due spalle ampie e possenti che tanto piacevano alle donne, e lei, per riprodurle in qualche modo, aveva dovuto imbottire di parecchio le spallotte della divisa; poi, aveva dovuto simulare un accenno di barba con un pigmento da trucco ben camuffato sul viso. Il risultato finale era stato soddisfacente, ma… la voce? Come avrebbe fatto a camuffare anche quella?
Provò a distorcerla, ma non era affatto convincente… forse avrebbe dovuto simulare un mal di gola, o qualcosa di simile… ad ogni modo, avrebbe dovuto cercare di non avvicinarsi troppo ai colleghi, in particolar modo ad Athos.
Indossò il berretto, calcandoselo sugli occhi: era ora di andare, coraggio!

Arrivò in caserma che non era ancora pomeriggio inoltrato. Facendosi coraggio, si diresse verso le scale che conducevano al portone d’ingresso.
In fondo al cortile vide due colleghi del fratello che le si facevano incontro; ecco, beccata!, pensò; ma i due le passarono accanto senza dare segno di aver capito nulla; uno dei due, anzi, alzò una mano, dicendole: “Ciao Ara, bentornato!”.
Quando l’ebbero oltrepassata, Renée tirò un sospiro di sollievo: il travestimento funzionava, dunque! Entrò nell’edificio.
Salendo le scale verso il terzo piano, dove sapeva trovarsi l’ufficio di suo fratello, incontrò Porthos, che usciva per un giro di ronda.
Ecco, pensò, questa è una prova: se non mi riconosce nemmeno Porthos… vuol dire che è fatta!
“Ehi, Aramis! Allora sei tornato! Mi dispiace che abbiate interrotto sul più bello la vacanza…”.
Impostandosi la voce sul tono più basso possibile, Renée rispose: “Non ci pensare, Port! Il dovere è dovere!”,
“Però ti sei beccato un bel mal di gola, a quanto sento! Hai una voce alquanto cavernosa!”,
“Eh, già, proprio così!”, Renée simulò un paio di colpetti di tosse.
L’altro le si avvicinò all’orecchio, dicendole “Cos’è, Fran ti ha fatto stare senza vestiti anche in pista da sci?”, e le strizzò un occhio. Renée finse di ridere.
“Ora devo andare, Ara. Scusami, ma sembra che a Pigalle ci sia una rissa tra ubriachi. Ci vediamo!”, Porthos alzò una mano e si allontanò.
Renée era stupefatta: il suo travestimento era davvero riuscito tanto bene? Se era così, era stata davvero brava!
Riprese a salire le scale, subito interrotta dalla voce di Porthos che proveniva dall’atrio al pian terreno.
“Ah, e prova col paracetamolo!”,
“Per cosa?” Renée si girò,
“Per il mal di gola!”,
“Ah, grazie!” gli sorrise, e riprese a salire le scale.
Raggiunse il terzo piano, infilò il corridoio, e trovò D’Artagnan con in mano una pila di fogli.
“Bentornato, Ara! Tuo zio ti sta aspettando”.
Lo salutò con un sorriso, e si diresse all’ufficio di De Treville.
Bussò; si sentì rispondere “Avanti!” ed entrò, aprendo la porta.
“Zio, che è successo?”,
“Ah, Aramis! Menomale che sei tornato!”,
“Renée, per telefono, mi ha detto che mi cercavi”,
“Infatti. Quell’idiota di un Mansonne sta tornando: la Corte ha deciso di riprendere il processo”.
Il commissario le si era avvicinato.
“Sei più pallido del solito, nipote. Mi dispiace di averti fatto interrompere la tua vacanza, ma… non dirmi che hai guidato tutto il tempo, per di più correndo come un matto!”.
Guidare una macchina! Che idea! Aramis detestava guidare le macchine, vi saliva dentro solo come passeggero; e poi, anche con tutta la buona volontà del mondo, come avrebbe fatto a giungere a Parigi in due ore dai Pirenei?
“No, zio… io e Fran siamo andati in aereo… la sua macchina ci è servita solo per trasportare l’attrezzatura da sci fino all’aeroporto”, era l’unica cosa vera che stava dicendo a suo zio, pensava.
“Però, hai un bel raffreddore!” le disse,
“Già”, rispose lei, pensando a cosa sarebbe successo se, per puro caso, uno degli agenti avesse trovato la macchina di Francine ancora nel garage dell’aeroporto, anziché in quello di casa della ragazza.
“Ad ogni modo, non c’è tempo da perdere! Dobbiamo organizzare la scorta, quello arriva stasera!”,
“Sì, zio. Vado subito”.
Uscendo dall’ufficio, Renée si sentì più tranquilla: se nemmeno lo zio l’aveva riconosciuta, la promozione di Ara era salva.
Entrò nell’ufficio del fratello; lo conosceva abbastanza bene per esservi stata molte volte, e sapeva bene dove erano conservati i vari materiali, così come conosceva alcune strategie di preparazione delle scorte speciali, che Aramis le aveva insegnato per gioco in qualche sera d’estate in cui non avevano niente di meglio da fare.
Meravigliandosi da sé stessa delle proprie capacità, organizzò la scorta; alle nove della mattina successiva, era in auto, in testa alla colonna che andava a prendere l’ambiguo giudice all’Hotel Concorde Lafayette.
Quando gli aprì la portiera per farlo accomodare in macchina, Renée vide il sorriso viscido che le lanciò; e all’improvviso, ricordò ciò che il fratello le aveva detto su quell’individuo, che era falso e corrotto, e probabilmente implicato in tutta la faccenda.

                                           **********

ASSOLTO PER INSUFFICIENZA DI PROVE.
Questo era stato l’incredibile verdetto che Mansonne aveva pronunciato nei confronti dell’ex-sindaco Luigi Capeto.
Tutti erano rimasti senza parole, Renée per prima.
Insieme a D’Artagnan, Athos e Porthos, era uscita dall’aula delle udienze.
“Avete sentito che tracotanza?” fece D’Artagnan,
“Ha azzittito tutti i testimoni!” fece eco Porthos,
“Ma tutte le prove erano contro di lui! Come ha potuto negare l’evidenza?” Athos era soprappensiero,
“Probabilmente ha mascherato le prove” disse Renée,
“Che schifo!!” D’Artagnan era fuori di sé “Ma come avrà fatto? Non è facile avere accesso a quei documenti, neanche per chi frequenta gli archivi del Palazzo di Giustizia: ci sono sempre i nostri colleghi a sorvegliare sulla correttezza”,
“Allora lo ha fatto prima!” ribatté Athos,
“Ma prima, quando?” chiese Porthos.
In quel momento, una lucina si accese nella testa di Renée. Il fratello le aveva raccontato tutta la faccenda, compreso il suo sospetto che Mansonne fosse proprio il prestanome della società fantasma, la “Maschera di Ferro, Inc”: ed ora, anche lei ne era più che convinta!
“Prima… lo ha fatto prima… perché il prestanome è lui! Athos, dov’è ora quel tipo?” disse, voltandosi verso l’amico,
“E’ ancora in camera di consiglio; ne avrà per altre due ore, all’incirca. Perché?”,
“Perché dobbiamo assolutamente vedere le carte che custodisce così gelosamente dentro a quella sua borsa! Dove l’ha lasciata?”,
“In macchina. Ma…”.
Non ebbe il tempo di finire. Renée si era letteralmente fiondata verso il parcheggio, seguita a breve dagli altri.
Aprì lo sportello e prese la borsa di Mansonne, iniziando a frugare tra i fogli; all’improvviso gridò “Eureka!! Ci siamo!”.
Si girò; teneva fra le mani un foglietto ripiegato che recava in un angolo il logo della “Maschera di Ferro, Inc.”: “Sono sicura che qui troveremo molte risposte che cerchiamo!” disse.
I quattro rientrarono nel Palazzo di Giustizia, le facce chine sul foglietto.
Entrarono in una stanza laterale, chiusero la porta e Renée srotolò il foglio su di un tavolino.
Iniziarono a leggere; ad ogni parola in più, i loro volti si facevano sempre più corrucciati, per passare, infine al livido.
“Avete visto? Avevo ragione! Quell’uomo è corrotto! Ci è dentro fino al collo, e queste sono le prove” Renée era fuori di sé,
“Eccolo, l’accordo segreto già firmato!” Athos leggeva, ravviandosi i capelli “Era uno dei loro!” concluse,
“Lo è ancora, a quanto sembra” aggiunse D’Artagnan “E adesso che si fa, Ara?”,
“Senza un mandato, nulla. Per l’intanto, facciamo un paio di copie di questo foglio” Renée indicò una fotocopiatrice in un angolo della stanza “poi chiediamo un mandato di arresto; se tutto va bene, domani Mansonne sarà in cella con i suoi soci!”,
“Perfetto!” fecero gli altri, in coro.

                                         **********
Francine ricadde letteralmente sul letto, sospirando soddisfatta “Mi hai sfinita!!” soffiò in faccia al fidanzato.
Aramis sorrise “Ti sono piaciuto?”. Lei gli si sdraiò addosso, e gli diede un bacio “Non mi sazio mai di te!”, gli disse.
I due si rotolarono nel letto nudi, incuranti del freddo vento nevoso che soffiava fuori della finestra.
Aramis non aveva sbagliato: quella stava davvero riuscendo come una vacanza d’amore, per loro; Francine ne era contenta, ed anche lui.
Per niente al mondo avrebbe voluto interromperla.
“Hai fame?” le chiese “Dopotutto, è l’ora di cena!”,
“Un po’… ci vestiamo e raggiungiamo Angelica e Jeoffrey in sala ristorante?”,
“No, ho un’idea migliore!” Aramis prese la cornetta del telefono “Pronto, servizio in camera? Per favore, può portare due arrosti misti con sformato di verdure al 41? Ah, e non dimentichi un buon vino rosso!”.
Francine rideva “Sei un vulcano!!”,
“E non ti piace?” Aramis mise giù il telefono,
“Però, hai dimenticato il dessert!” gli sussurrò in un orecchio, carezzandogli il viso,
“Vorrà dire che scenderemo a prendere una creme brulée in compagnia di Jeoffrey ed Angelica!” rise lui.
Si baciarono di nuovo, nella luce soffusa filtrata dai paralumi gialli.

                                           **********

“Ecco il mandato, tenente!” , il giovane gendarme faceva il saluto militare a Renée porgendole un documento,
“Bene! Adesso non potrà scappare! Grazie Edmond!”,
“Dovere, tenente!”.
Il ragazzo uscì.
Renée era raggiante: aveva procurata al fratello una superpromozione, e senza fargli interrompere la sua sospirata vacanza sulle nevi! Mandò a chiamare la sua squadra: dovevano recarsi subito all’albergo di Mansonne, per arrestarlo.

Già il giorno precedente, Athos aveva notato che Aramis aveva qualcosa di strano rispetto al solito, ma preso come’era dagli avvenimenti, non aveva approfondito oltre.
Ora, però, mentre attendeva la chiamata del suo tenente per la tanto attesa azione contro il giudice Mansonne, aveva il tempo per riflettere: innanzitutto, la voce dell’amico era più stridula, anche se di poco, e questo non si poteva certamente attribuire al mal di gola che sbandierava di avere (tra l’altro, all’improvviso, perché la notte di Natale sembrava stare benissimo!); poi, le sue movenze erano più agili, quasi feline, e l’uniforme sembrava andargli larga.
Che stava succedendo?
Quel ritorno improvviso, il giorno stesso della sua partenza per la tanto sospirata fuga d’amore, Francine che non faceva una piega ed anzi nemmeno veniva in ufficio… e soprattutto Renée che non si faceva viva con lui da due giorni circa… il cervello di Athos iniziò a fare due più due… Aramis attendeva da tempo una promozione, e Renée adorava letteralmente suo fratello; lui teneva molto tanto alla vacanza che alla promozione, e lei lo sapeva bene… e se fosse… ma no, non poteva essere possibile! Renée era sì coraggiosa, ma non era tanto pazza da fare una cosa simile!
Non poteva essersi sostituita ad Aramis!
In quel mentre, vide arrivare i suoi compagni.

Poco dopo, tutta la squadra, Renée, D’Artagnan, Athos e Porthos stavano entrando nell’atrio dell’albergo, con un passo deciso che faceva capire che il loro non era il solito accompagnamento da scorta.
Camuffando la voce come si era abituata a fare, Renée si avvicinò al bancone e chiese alla concierge di mandare a chiamare il giudice Mansonne; intimidita dal tono grave dell’ufficiale gendarme, quella non se lo fece ripetere.
Pochi minuti dopo, il giudice scendeva le scale che conducevano all’atrio, accompagnato da due uditori, uno dei quali era Costance.
Vedendola, D’Artagnan trasalì.
“Che è tutta questa fretta oggi, tenente?” chiese il giudice,
“Lei è in arresto, Mansonne!” disse Renée in tono deciso “La sua truffa è stata smascherata, infine!”.
L’uomo restò pietrificato e pallidissimo.
“Co… cosa? Ma di che parla, tenente?”,
“Di questo!” Renée estrasse la copia del compromettente documento.
“Dove lo ha preso?” il viso del giudice, da pallido che era, si andava facendo livido per la rabbia,
“Non ha importanza! Quello che conta è che ora il suo piano è smascherato! Non può più nascondersi, né sfuggire! E’ in arresto, Mansonne!”.
Il giudice tremava, le mani chiuse a pugno e la bocca contratta in una smorfia rabbiosa.
“Bastardi…” sibilava “ve ne pentirete!!”.
Renée avanzò di un passo.
L’uomo rimaneva fermo, gli occhi fiammeggianti piantati in quelli di lei.
Inaspettatamente, e con gran spavento generale, Mansonne tirò fuori una pistola “Che nessuno si muova! Tutti fermi!” gridò.
“Non faccia sciocchezze” la voce di Renée era ferma e decisa,
“Ascoltate bene: io ora me ne vado da qui, e voi non mi seguirete! Altrimenti, a piangerne le conseguenze sarà l’ostaggio!”.
Così dicendo, afferrò Costance per un braccio, e se la mise davanti come scudo, puntandole addosso la pistola.
“D’Artagnan! Aiuto!!” gemette la ragazza,
“Amore!” gridò lui, ma non poté fare nulla: la canna dell’arma era troppo, pericolosamente vicina alla testa della ragazza.
“Metta giù quell’arma, Mansonne! Non capisce che così peggiora solo le cose?” Renée sembrava più identica che mai a suo fratello nella fermezza e nel coraggio,
“Nemmeno per idea! Nessuno toccherà i frutti del mio sudato lavoro! E sicuramente, non per colpa delle debolezze di quell’imbecille di un Capeto, che si è fatto cogliere con le mani nel sacco!!”.
Spinse ancora di più la canna dell’arma contro la testa di Costance; lei lacrimava, in silenzio.
Preso dalla sua folle esaltazione, Mansonne non si era accorto che Porthos, che stava in fondo al gruppo dei colleghi, lo aveva aggirato, trovandosi così alle sue spalle; ma non poteva agire, essendo troppo scoperto.
“D’Artagnan…” il pianto di Costance stava diventando una silente supplica rivolta al fidanzato; questi non ci vide più dalla rabbia, e balzò in avanti.
“Lasciala, bastardo!!”.
Immediatamente, l’uomo allontanò la pistola dalla testa della ragazza per puntarla su D’Artagnan che gli si scagliava contro, e fare fuoco.
Ma Aramis, anzi Renée, che aveva approfittato della confusione per tentare di disarmare Mansonne, gli si avvicinò, afferrandogli con forza un polso.
E fu lei a ricevere il colpo destinato a D’Artagnan.
Cadde a terra.
Era successo tutto in pochi attimi.
Mansonne, gli occhi lucidi per la soddisfazione della sua terribile azione, abbassò per un attimo la canna. Un attimo solo di distrazione. Quello che fu sufficiente a Porthos per balzargli addosso da dietro e disarmarlo.
D’Artagnan raggiunse la compagna, che si accasciò tra le sue braccia.
“Amore! E’ tutto finito!!”.
Athos e Porthos si fiondarono su Renée, mentre gli altri gendarmi si occupavano di Mansonne.
La donna era a terra, sanguinante. Athos le si fece sopra.
“Aramis! Aramis, dove ti ha preso? Aramis, rispondi!”.
Ma Renée era priva di sensi: giaceva a terra, mentre intorno alla sua spalla sinistra si allargava una grossa macchia di sangue.
“Athos, presto, levagli l’uniforme! Dobbiamo arrestare l’emorragia! Io intanto faccio chiamare l’ambulanza”.
Con le mani tremanti, Athos aprì i bottoni della divisa del collega… e lanciò un grido rauco.
Porthos gli si avvicinò di nuovo “Cosa c’è?”,
“Lo sapevo… lo sapevo… ma come ho fatto a non capirlo prima?”,
“Renée…” mormorò Porthos, gli occhi tristi e spalancati.
Tra i lembi della camicia, apparivano delle grosse fasce che contenevano, schiacciandolo, il seno della ragazza.

                                                   **********

Aramis e Francine avevano appena finito la loro sciata mattutina assieme ai Peyrac; era una bella mattina di sole, che illuminava una pista gremita di sciatori in abiti colorati.
“Dunque, ho vinto io!” esclamò Angelica, trionfante,
“E’ vero, sei davvero brava!” fece Aramis,
“Sugli sci, mia moglie è imbattibile!”, Jeoffrey se la strinse addosso,
“Perché non andiamo tutti a farci un caffè per festeggiare?” fu la proposta di Francine,
“Ottima idea!” dissero gli altri in coro.
Si avviarono alla terrazza dell’albergo, dove i camerieri del bar stavano servendo gli eccitati clienti del pre-Capodanno; presero posto ed ordinarono.
Poco dopo, un cameriere si avvicinò a Francine, sussurrandole qualcosa nell’orecchio.
“Che c’è?” chiese Aramis,
“Una chiamata per me da Costance”,
“Cos’è, a Parigi hanno nostalgia di noi?” rise il gendarme a riposo, mentre la ragazza si alzava per andare a rispondere.
Aramis ed i Peyrac ripresero le loro conversazioni.
Ma dopo pochi minuti, Francine fece ritorno, pallidissima.
“Aramis…”,
“Che succede, adesso?”, lui si voltò, l’aria allegra di sempre,
“Ecco… vedi… dobbiamo tornare subito a Parigi…”.

Ciao a tutti! Innanzitutto, grazie a tutti per le belle recensioni che sto ricevendo: francamente, non speravo che questa storia potesse riscuotere tutto questo successo. Poi, grazie anche a chi l'ha messa tra le preferite e le seguite.
Adesso, le risposte personali:
Bay: in effetti, Aramis è molto passionale, l'ho fatto somigliare un pò a me; in quanto a Renée ed alla sua idea... che te ne pare?
Ninfea 306: immaginavo che avresti capito quali erano le intenzioni della nostra Renée... avevi intuito la sostituzione?
ShessomaruJunior: ciao e benvenuto!! Grazie mille per avermi messo tra i preferiti. Spero che la storia continui a piacerti.
Lady Lina 77: spero di averti accontentato riguardo alla romance tra D'Artagnan e Costance con la scena drammatica, ma a lieto fine, di questo capitolo; se non ho potuto far di più è solo perché, come avrai capito, i protagonisti della storia non sono loro... Ah, dimenticavo: anche io adoro il periodo Natalizio, lo trovo magico! Ma adoro anche l'estate!!
A presto, al prossimo capitolo: un bacio a tutti!

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Capitolo 7
*** Sopra ogni cosa ***


Capitolo 7- Sopra ogni cosa CAPITOLO 7
SOPRA OGNI COSA

Nota: il rating arancione apposto a questa storia è dovuto alle scene di morte apparente di Renée contenute in questo capitolo. Il codice nero, presente nel triage ospedaliero in rari e gravissimi casi, si applica a quelle situazioni (ad es., decapitazione, carbonizzazione) in cui sia stata accertata e manifesta la morte del paziente; è da notare, però, che solo un medico è autorizzato ad apporre il cartellino nero, mentre il personale infermieristico può apporre solo quello rosso, anche in caso di morte manifesta come nei casi sopra descritti.
In caso di cartellino nero, ovviamente, non viene eseguita nessuna manovra di rianimazione, ma si attende l’autorizzazione legale a rimuovere il corpo del deceduto.

Aramis se ne stava con gli occhi sbarrati e vitrei, seduto rigidamente al suo posto, mentre avrebbe voluto spingere quell’aereo fino a farlo arrivare a Parigi alla velocità del suo stesso pensiero.
Seduta accanto a lui, Francine gli teneva teneramente la mano.
“Aramis…”.
Nessuna risposta.
“Aramis, ti prego, dì qualcosa…”.
Ancora silenzio.
“Amore mio, ti prego…” gli passò una mano tremante sul viso, a mò di carezza.  
“… L’ho persa…”,
“Aramis, non l’hai persa!”,
“… Ed è solo colpa mia…”,
“E’ solo ferita, è in ospedale…”,
“Se solo avessi portato con me il cellulare… lo zio avrebbe potuto contattarmi…”,
“Amore mio…”,
“Ci dovrei essere IO al suo posto, ora!!” scoppiò a piangere.
“Non fare così, Ara, ti sentiranno tutti! E poi, devi smetterla con questo pessimismo: tu la dài già per morta, e magari non lo è!!”.
Ma l’uomo continuava a singhiozzare, disperato.
Era stato difficile trovare quel volo last-minute diretto a Parigi, poco prima di Capodanno, quando gli aerei sono, di solito, al completo; erano riusciti solo a trovare due posti su di un volo in partenza la mattina successiva, soltanto perché una coppia di passeggeri aveva rinunciato al suo viaggio. La notte che aveva preceduto il ritorno, Aramis aveva dormito pochissimo, ed in modo abbastanza sofferto: continuava ad avere incubi in cui si trovava al funerale dei genitori, da solo, ed avvicinandosi alla bara aperta del padre vi trovava, invece, … Renée!
Inutile dirlo, si era svegliato di soprassalto, urlando; e Fran lo aveva abbracciato ed accarezzato, mentre lui si lasciava andare alle lacrime.

Arrivarono a Parigi dopo un’ora e mezza che ad Aramis parve un secolo; per prima cosa chiamarono un tassì e si precipitarono immediatamente all’ospedale, dove sapevano che avrebbero trovato Athos e gli altri.
Per il momento, lasciarono i loro bagagli al deposito dell’aeroporto, non c’era tempo per andare a casa per posarli.
Il piazzale dell’ospedale era pieno di ambulanze, quel giorno c’erano state parecchie emergenze a causa delle prove dei botti di Capodanno, che molti usavano senza prendere alcuna precauzione; fermo all’ingresso, ad aspettarli, c’era Porthos.
“Eccoci! Siamo qui!” gridò Aramis non appena lo vide.
I due amici si abbracciarono; “Venite, seguitemi” fece poi Porthos.
Attraversarono interminabili corridoi gremiti di infermieri, medici e personale vario che odorava di etere e medicinali, quell’odore di sofferenza ed angoscia che ad Aramis ricordava troppo da vicino la camera ardente dei genitori, tanto tempo prima. Il suo cuore sanguinava il doppio.
Li avevano portati al pronto soccorso del più vicino ospedale non appena ritornati in Francia, lo ricordava benissimo; lì, era stata allestita una piccola camera ardente; e mentre lo zio sbrigava le penose formalità di riconoscimento dei bagagli, lui e Renée erano rimasti immobili ed in silenzio di fronte a quelle due bare che chiudevano per sempre dentro di sé la loro spensieratezza di bambini.
Lui e Renée…
Strizzò gli occhi, che si erano riempiti di lacrime.
Non mi lasciare, sei tutta la mia famiglia!, pensò.
Raggiunsero la stanza dove si trovava la ragazza: giaceva in un letto, una maschera d’ossigeno sul viso ed una macchina che segnava i suoi battiti cardiaci ed i segnali del cervello accanto.
Il primo volto che Aramis vide entrando fu quello di Athos.
Anche i suoi occhi erano vitrei, inespressivi.
Spinto da una rabbia cieca, che solo il dolore poteva generare, gli si scagliò addosso.
“Bastardo!! Perché non l’hai protetta? Tu mi avevi detto di amarla!”.
L’uomo si lasciò afferrare, senza aver la forza di reagire; solo, disse con voce rotta da un pianto a stento soffocato “Non lo sapevo… perdonami, Aramis… non potevo credere che fosse davvero lei…”.
Per calmarlo, intervennero D’Artagnan e De Treville, che cercarono di separarli. Il commissario disse: “E’ vero! Tua sorella è stata eroica! E’ solo grazie a lei se abbiamo potuto prendere quel furfante! Tu non avresti potuto fare di meglio!”,
“Ha salvato la mia vita e quella di Costance!” aggiunse D’Artagnan.
Aramis mollò la presa, e si buttò in ginocchio, al lato del letto della sorella.
“Ritorna, ti prego… ritorna tra noi…!”.
Scoppiò di nuovo a piangere; Francine gli si accovacciò accanto e lo abbracciò, in silenzio.
Tutti lo guardavano, mesti e senza parole.
Più di tutti, Athos lo fissava, smarrito. Si sentiva in colpa per non averla riconosciuta, per non averla saputa proteggere; lei, la donna che amava!! Sì, ormai ne era certo, lui l’amava, soprattutto adesso che aveva scoperto che meravigliosa donna forte, coraggiosa ed appassionata fosse.
E proprio come Aramis, desiderava una sola cosa: riaverla lì con loro.
Sopra ogni cosa.

                                                **********

Le ore passavano, lente.
I toni altamente drammatici e la concitazione dei primi momenti si erano lentamente stemperate, lasciando il posto ad una composta, serpeggiante ed opprimente angoscia.
Tutti sedevano nella stanzetta di Renée, in silenzio. Nessuno osava fiatare.
Persino il sempre allegro Porthos sembrava aver perso improvvisamente la voce assieme al suo proverbiale appetito.
Aramis era imbambolato su di una poltroncina, i suoi bellissimi occhi azzurri divenuti vitrei e fissi a terra, privi di espressione.
Francine gli si avvicinò, una tazza di caffè fumante in mano.
“Ara…” gli sussurrò in un orecchio.
Lui non rispose, e nemmeno si mosse.
“Ara, ti prego, prendi qualcosa, non mangi niente da ieri…”;
lui scosse lievemente la testa “Non ho fame”, disse.
La donna si accovacciò accanto a lui.
“Amore, credi che serva a qualcosa far così? Renée è in coma, e non si sveglierà certo solo perché tu ti lasci andare così! Per il tuo bene, cerca di buttare giù qualcosa!”.
Nell’altro lato della stanza, D’Artagnan e Costance sedevano su due sedie vicine, lei con le mani in quelle di lui.
“Ma perché non ci dicono niente?” fece lei “Quattro dottori diversi sono venuti qui, e nessuno ci ha detto una parola sulle sue condizioni! Perché non fanno qualcosa?”. Aveva sussurrato all’orecchio del fidanzato, ma il silenzio nella stanza era talmente pesante da avere quasi un’eco; Aramis la sentì, e le rispose ad alta voce, rompendo quella coltre di mutismo.
“Perché è morta, ecco perché!! Clinicamente morta! Morta! Morta! Morta!”, gridò, prima di scoppiare a piangere. Francine gli accarezzò la testa, mentre due silenziose lacrime le scendevano giù per le guance.
Nella stanza tornò il silenzio: nessuno aveva saputo cosa dire. Il solo rumore che riprese a regnare era il bip-bip del respiratore che teneva in vita Renée.
De Treville era rimasto seduto accanto al letto della nipote a vegliarla, Aramis non ne aveva avuto la forza: non voleva vederla tanto da vicino mentre si spegneva, non ci riusciva.
L’anziano commissario guardava con gli occhi di un padre la ragazza, scostandole ogni tanto una ciocca di capelli dalla fronte in una lieve carezza.
Gli occhi di Aramis erano troppo vitrei persino per piangere.

Io son qua, e ti sento

Ma è troppo stanca quest’illusione
di ciò che ho perso e che vorrei…(1)

La mia ferita che cosa è
aiutami a guarire
perché tu sei la luce
ma anche l’ombra del dolore
dentro me(1)

…E resta qua, vicino a me!
non lasciarmi mai solo
ho paura che senza te
non vivrò mai davvero…(1)

Se Renée era ridotta in quello stato, la colpa era soltanto sua, e della sua stupida leggerezza! Perché non aveva portato con sé il cellulare?
Per Aramis era inconcepibile vivere senza la sorella. Non averla più accanto, non sentire più la sua voce, la sua risata fresca, non vedere più i suoi occhi pieni di vita e di gioia di vivere: non era qualcosa di anche lontanamente concepibile, per lui. Lei era la parte mancante di sé stesso, l’altra metà della sua anima, era tutta la sua famiglia! Come avrebbe fatto se lei fosse davvero… morta?
Sentì un’ondata di dolore soffocante salirgli su per il petto, fino a chiudergli la gola in una morsa; pronunciò un  “NO” in modo tanto flebile che alle orecchie degli altri apparve solo come un gemito confuso.
Athos non era nella stanza assieme a loro. Si sentiva in colpa per non esser riuscito a proteggerla, e non si sentiva quindi di tollerare lo sguardo pietosamente accusatore di Aramis.
Dentro di lui albergava una rabbia sorda contro sé stesso, che sfociava di tanto in tanto nel dolore, il dolore bruciante di aver perso per sempre il suo… amore! Sì, Renée era il suo amore, lo aveva ormai capito! E non poteva, non poteva morire senza averlo neanche saputo da lui!
Continuava a camminare su e giù per il corridoio, ogni tanto avvicinandosi ad una finestra aperta per accendersi una sigaretta; fuori dal cupo ospedale, si respirava l’aria delle Festività Natalizie, quell’aria di festa spumeggiante e spensierata che gli piaceva da sempre. Mancavano pochi giorni al Capodanno, e non era certamente così che avevano immaginato di viverlo!

Un infermiere che spingeva una barella entrò nella stanzetta, insieme ad un dottore. Entrambi avevano un’aria mesta e sconfitta.
Tutti si alzarono, e si rivolsero loro: “Allora?”,
“La portiamo in Pronto Soccorso. Uscite, prego” disse un dottore.
“No che non esco, sono suo fratello!” disse con veemenza Aramis.
“Signore, per favore, non ostacoli il nostro compito. Ci aiuti ad aiutare sua sorella”, poi si rivolse all’infermiere “Jussac! Sposti la signora sulla barella, coraggio!”.
Il ragazzo biondo tremava; Athos era rientrato nella stanza, alla vista del gruppo di medici ed infermieri, ed ora stava a sentire con gli occhi sbarrati.
Aiutò gli altri a tirar fuori dalla stanza un letteralmente isterico Aramis.
La porta si richiuse dietro di loro.
“Che cosa le faranno?” gemette Aramis.
Lo zio gli pose una mano su di una spalla “Dobbiamo essere forti. Per Renée” gli disse.
Dopo un tempo che a loro parve interminabile, la porta si riaprì, ed il gruppetto sanitario ne uscì, spingendo la barella che, ora, non era più vuota.
Renée vi giaceva sopra.
Tutti la seguirono con gli occhi, mentre il gruppetto si faceva sempre più piccolo, fino a sparire in fondo al corridoio.
“Andiamo!”, Aramis prese Athos per un braccio e fece cenno agli altri con l’altra mano.
Tutti lo seguirono fino al piano terra, dove si trovava il Pronto Soccorso.
La ragazza era già dentro.
Si radunarono accanto alla porta, fissando la luce rossa accesa. I minuti parevano non passare mai.
All’improvviso, la porta si riaprì, la luce si spense.
Non erano passati che pochi minuti.
I dottori furono i primi ad uscire; Aramis ed Athos quasi si gettarono loro addosso.
“Allora? Allora, dottore? Come sta?”.
L’uomo fece un sospiro; poi rispose “La riportiamo in camera”.
Non l’aveva nemmeno guardato negli occhi.
L’attenzione dei presenti si spostò alla donna sulla barella che veniva portata fuori dall’infermiere. Aramis e gli altri poterono notare che non era più attaccata alle macchine; sulle prime, si sentì sollevato.
“Sta meglio, forse. Non ha più bisogno di quegli affari” disse.
Poi notò che anche l’infermiere, come prima i dottori, aveva un’aria sconfitta e triste.
L’uomo indirizzò la barella verso una nuova stanza, diversa dalla precedente; tutti si domandarono il perché.
Quando entrarono, si accorsero che la stanza era buia e fredda, che le serrande erano chiuse e non c’erano sedie per sedersi.
“Ma perché l’hanno portata qui?” si chiese Aramis.
Athos fermò l’infermiere che stava uscendo, dopo aver lasciato in un angolo la barella “Scusi, ma perché qui? E come sta Renée?”.
Quello mantenne lo sguardo basso “Dovete attendere l’arrivo del medico…”,
“Le avete tolto i respiratori: significa che sta meglio?” insistette Athos,
“Jussac! Venga, presto!!” una voce richiamò altrove l’infermiere.
“Scusate” fece quello, scansando Athos per uscire. Lui non sapeva dire perché, ma aveva l’impressione che l’infermiere si fosse sentito sollevato dal non dovergli rispondere.
Rientrò nella stanza, nella quale regnava una strana atmosfera: era come se tutti si sentissero gravati da un oscuro presentimento senza nome, avvolti dalla penombra della stanza.
Perché quella stanza era così defilata rispetto al viavai del Pronto Soccorso, si chiedeva Aramis, e perché erano lì già da un quarto d’ora buono, ma nessuno veniva?
“Basta! Vado a chiamare un dottore!”, il tenente sbottò, uscendo dalla stanza, prima che Athos e gli altri potessero fermarlo, compresa Francine.
Percorse il lungo corridoio, fino alla sala degli infermieri; vi entrò.
“Signore, cosa fa lei qui?” chiese un’infermiera,
“C’è un dottore, qui? Qualcuno deve venire a vedere come sta mia sorella; sembra che ci abbiano abbandonati!”,
“Sua sorella è già stata in sala emergenza?” la ragazza gli si avvicinò,
“Sì, è uscita da un poco”,
“Allora stanno aspettando il suo turno in base al codice”,
“Quale codice?” chiese Aramis,
“Il codice-colore. In ospedale, il colore indica la priorità di accesso alle cure”,
“Qual è il codice di mia sorella?”,
“Guardi il cartellino che le hanno messo sul polso”,
“Grazie”.
Il ragazzo tornò indietro, nella stanza dove lo aspettavano gli amici.
“Dunque?” chiese Francine.
Aramis non la sentì nemmeno; si diresse al letto della sorella e le prese il polso, vedendo un cartellino nero.
Cosa vorrà dire?, si chiese.
Si voltò e raggiunse una bacheca appesa al muro che elencava il significato dei vari codici-colore.
Li scorse tutti, uno alla volta: bianco, azzurro, verde… fino a raggiungere quello che gli interessava.
Ed allora lesse:

CODICE NERO: PAZIENTE DECEDUTO/NON RIANIMABILE

Si sentì gelare il sangue nelle vene, e venire meno all’istante. Le sue gambe si erano fatte di piombo.
Perse i sensi e cadde a terra.
“Aramis! Aramis, che cos’hai? Che succede, per l’amor di Dio?”.
Francine era stata la prima ad accorrere, seguita da De Treville e da Athos.
“Figliolo, svegliati!” faceva il commissario.
“… Morta… la dànno per morta… per loro è morta!” gemette Aramis,
“Cosa? Ma che dici, Ara?” Francine non capiva.
Ma Athos aveva già capito. Gli era bastato dare un’occhiata alla tabella e poi al braccialetto di cartone al polso di Renée.
“Non può essere…” mormorava,
“… Persa! L’ho persa per sempre! Addio, Renée!” singhiozzava Aramis,
“Calmati, non fare così!” Francine lo abbracciava, assieme allo zio e a D’Artagnan.
“Ci deve essere qualcosa da poter fare!” sbottò Athos; immediatamente, corse fuori dalla stanza, alla cieca: DOVEVA tentare qualcosa, per salvare la sua Renée!
Afferrò per un braccio un’infermiera di passaggio “Chiami un dottore, presto!” gridò.
Quella, impaurita di fronte a tanta foga, rimase interdetta.
“Ha sentito quello che ho detto?” incalzò Athos,
“Certo… certo, signore… vado subito…”, si  liberò il braccio, e si diresse verso una donna in camice che veniva dal fondo del corridoio “Dottoressa Chevreuse!” la chiamò.
Poco dopo, le due donne si diressero nella triste stanzetta, con Athos che faceva loro strada.
La dottoressa si inginocchiò accanto alla brandina di Renée, e le prese il polso.
“Ma questa donna è viva! Il polso è impercettibile, ma c’è ancora! Per quale ragione l’hanno portata in obitorio?” chiese, quasi scandalizzata; poi, si rivolse ai presenti “Chi l’ha portata qui?”,
“Un dottore magro e stempiato” fece Costance, torcendosi le mani.
“Il dottor Vassinette. Dov’è ora?” chiese, rivolta all’infermiera,
“Sta operando, dottoressa”,
“Molto bene. Vorrà dire che faremo a meno di lui. Vado a chiamare i miei assistenti, lei faccia preparare la sala operatoria B, non c’è un minuto da perdere!”.
Uscì dalla stanza, mentre nel petto di Aramis si era riaccesa una speranza viva quanto una fiamma.
Dopo pochi minuti, Renée fu portata in sala operatoria.

                                            **********

Per due volte, le lancette fecero il giro del quadrante dell’orologio appeso al muro; alle sette paia di occhi rivolte su di esso, quei giri parvero un’eternità.
Infine, la porta della sala operatoria si aprì, e la dottoressa Chevreuse fu la prima ad uscirne, madida di sudore.
Aramis ed Athos le andarono immediatamente incontro, investendola quasi.
“Allora, dottoressa? Come sta?” chiesero, all’unisono.
La donna sorrise debolmente “Ce la farà. E’ forte, la vostra amica! Ha lottato come una tigre!”.
I due uomini si sentirono immediatamente sgravati da un enorme peso, mentre la dottoressa li superava per proseguire il suo percorso lungo il corridoio, togliendosi i guanti.
“Aspetti un minuto!”, la fermò Aramis, “Si è già svegliata?”.
La donna rivolse verso di lui uno sguardo carico di stanchezza “Non ancora. E’ ancora in coma, ma non corre più pericolo di vita”,
“E… quando si sveglierà?” incalzò il giovane,
“Sta a voi. Il cervello di una persona in coma, come sapete, può essere richiamato alla vita solo da qualcosa a cui ella tiene molto, qualcosa che per lei è molto importante”.
Athos ed Aramis si guardarono negli occhi “Qualcosa per cui valga la pena vivere” si dissero l’un l’altro.
Ritornarono dagli altri per comunicare loro le belle notizie, mentre tre infermieri portavano fuori dalla sala operatoria la barella di Renée.

                                          **********

Fu sistemata in una stanza del reparto rianimazione, dove i suoi amici, il fratello e lo zio presero accanitamente a vegliarla, facendo dei turni.
Il commissario De Treville era colui che poteva trattenersi di meno, la sua assenza prolungata dalla gendarmeria stava creando già abbastanza caos con il tribunale; dato che era una libera professionista, Francine era l’unica a poter fare ciò che voleva, quindi rimaneva più a lungo, soprattutto la notte, quando in quella sezione femminile era proibito agli uomini rimanere.
Lo stesso valeva per il giovane gendarme D’Artagnan, che non ricoprendo un alto grado tra i commilitoni, era più libero degli altri: avrebbe potuto rimanere di giorno, ma Aramis non volle sentir ragioni, e fece fuoco e fiamme per farsi sostituire da lui nelle sue mansioni lavorative, mentre lui, da bravo fratello, rimaneva accanto a Renée.
Costance non poteva allontanarsi dal praticandato, pena la perdita del punteggio già acquisito per l’Università; lo stesso valeva per Porthos, assegnato alle ronde di quartiere quasi ogni notte.
Quanto ad Athos, fece di tutto per restare accanto a Renée; insieme ad Aramis le parlava, le pettinava i capelli sparsi sul cuscino, le bagnava le labbra con dell’acqua. Una sera, Costance si commosse a vedere i due uomini, l’uno da una parte del letto, e l’altro dall’altra, che si erano addormentati tenendo ciascuno una mano di Renée.
Ma i giorni passavano, e lei non si svegliava.
Athos la guardava affranto; le aveva persino comperato un CD del suo cantante preferito, quel Baglioni, e glielo faceva ascoltare da un paio di cuffie.
E fu in uno di quegli interminabili pomeriggi, che, approfittando del momentaneo allontanamento di Aramis, il composto Athos si lasciò andare allo sconforto.
“Amore…”, le teneva la mano, come al solito, “ Torna fra di noi! Ci sentiamo così soli, senza di te! Ci mancano le tue risate, il tuo sguardo, la tua vivacità… il tuo coraggio! E’ così, hai dimostrato un grande coraggio, Renée! Tuo fratello non avrebbe saputo far di meglio! E’ solo grazie a te se quegli imbroglioni non faranno più del male a nessuno. Sei una donna coraggiosa e splendida, credi nell’amore e nella giustizia, e non lasceresti mai il tuo dovere per nulla al mondo; è accanto ad una donna come te che io voglio passare il resto della mia vita: io ti amo, Renée!”.
Gli sfuggì una lacrima mentre le carezzava la fronte; prese le cuffie in mano e gliele mise addosso, facendo partire Strada facendo.
“Non sei più sola, Renée. Noi tutti siamo la tua famiglia, Aramis ti adora ed io ti amo. Torna, ci manchi tanto, Renée!”. Si girò coprendosi gli occhi, e si avviò verso la porta.
Appoggiato allo stipite, Aramis aveva assistito a tutta la scena; prese fra le braccia l’amico che gli cadde letteralmente addosso mentre piangeva, e sospirò.
“Le vogliamo bene, Athos. Ritornerà presto, vedrai!”.

Strada facendo vedrai
che non sei più da sola…
Strada facendo troverai
un gancio in mezzo al cielo(2)

… Vedrai più amore, vedrai…(2)

… Perché domani sia migliore, perché domani…(2)

Aramis stava ancora abbracciando Athos in lacrime, quando la loro attenzione fu attirata da un lieve fruscìo proveniente dal letto; Athos smise di piangere, ed entrambi si girarono in quella direzione, rimanendo senza parole.
Renée sollevava e richiudeva lievemente le palpebre, come risvegliandosi da un sonno pesante.
Si precipitarono sul letto “Renée!”,
“Ara…mis” gemette piano la ragazza,
“Sei sveglia, sei viva! Bentornata tra noi, Renée!” il fratello scoppiò in un pianto dirotto, accarezzandole la testa.
“Cosa sta succedendo, Ara?”, Francine era entrata proprio in quel momento, “Renée si è svegliata! La nostra Renée si è svegliata!!” Aramis quasi scoppiava dalla gioia,
“Dio, ti ringrazio” mormorava Athos.
La ragazza osservava le persone a lei più care dagli occhi semiaperti, un lieve sorriso sulle labbra.

                                              **********

Febbraio 2010.
“Allora, ragazze, siete pronte?”, sbuffava Athos,
“Un attimo ancora!”, la voce di Francine gli rispose da dietro la porta chiusa.
Athos sbuffò di nuovo “Un’ora e mezza là dentro… ma quanto accidenti ci vuole ad indossare uno stupido costume?”,
“Non è facile indossare un vestito del Seicento! Le dame dell’epoca impiegavano ore intere a vestirsi, sai!”, Aramis gli era venuto incontro, ridendo e rigirandosi tra le mani un cappello blu a falda larga con una piuma bianca,
“A proposito, chi ha scelto la festa a tema?”,
“Porthos: ha detto che in quella sala da ballo ci sarebbe stato un banchetto pantagruelico”,
“Come al solito! E l’ha scelta infischiandosene del tipo di costumi che avremmo dovuto indossare! Tanto, a lui importa solo dei dolci…”.
Aramis rise di nuovo “Guarda che non stai tanto male vestito da moschettiere, sai! E sono ansioso di vedere le nostre ragazze con una crinolina ed un busto!”,
“Eccoci qui, ci avete chiamato?”, la porta si era aperta, e Francine era stata la prima a parlare.
Aramis rimase senza fiato.
“Amore! Ma… ma… sei bellissima!!”.
Francine gli sorrise, facendogli una piccola riverenza “Grazie, messere! Sono lusingata!”.
Indossava un magnifico abito amaranto, molto scollato sul seno e sulla schiena e con bordature di pizzo alle maniche ed alla scollatura; la gonna era ampia ed il bustino attillato.
“Ci siamo anche noi!”, Renée e Costance uscirono dalla stanza dietro a Francine. Renée portava un abito rosa molto semplice con maniche a sbuffo  corte e guanti, ed aveva i capelli raccolti in un diadema di perle dalla foggia antica.
“Ma dove lo hai trovato, quello?” le chiese Athos, avvicinandosi,
“Ad una rivendita di costumi teatrali, come il vestito”,
“Amore, sei stupenda! Una perfetta dama del ‘600. Anche se credo che tu preferiresti stare nella tua solita uniforme…”,
“Certo che lo preferirei, starei più comoda!!” rispose lei, mettendo su un finto broncio.
Dopo la bruttissima avventura, Renée si era guadagnata la stima di tutta la gendarmeria per il suo coraggio e la sua abilità, e lo zio le aveva proposto di entrare all’Accademia per poter diventare gendarme, cosa che lei aveva accettato quasi subito. In quei pochi giorni, aveva capito davvero cosa voleva fare: combattere le ingiustizie assieme a suo fratello, in fondo, era sempre stato il suo desiderio segreto.
E poi, adesso c’era anche Athos, il suo ragazzo: e questo era un buon modo per stargli accanto tutto il giorno!
“Allora, siamo pronti?” erano arrivati D’Artagnan e Porthos, anche loro vestiti da moschettieri,
“Certo, andiamo” fece Costance sprimacciandosi la gonna del suo ampio abito verde acqua.
Davanti all’ingresso della sala da ballo, quella sera, il fotografo della festa municipale immortalò un gruppo di sette persone, in perfetto costume d’epoca: quattro moschettieri e tre dame del XVII secolo; proprio il Seicento era il tema della festa in maschera.
Fu un Carnevale indimenticabile, per tutti loro, ma soprattutto per Aramis, che aveva ritrovato miracolosamente uno dei suoi due più cari affetti (l’altro era Francine) dopo aver rischiato di perderlo, e per Renée, che dal Capodanno precedente aveva iniziata davvero una nuova vita.
In tutti i sensi.

Strada facendo vedrai
che non sei più da solo
strada facendo troverai, anche tu
un gancio in mezzo al cielo!(2)

La ragazza sorrise ad Athos, che la stringeva alla vita mentre ballavano: aveva trovato la sua anima gemella.

Perché domani sia migliore, perché domani tu…(2)



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(1)Credits: E io verrò un giorno là, Patty Pravo
(2)Credits: Strada facendo, Claudio Baglioni

E così, ho concluso: spero che la storia vi sia piaciuta, e di non aver deluso nessuno.
Vi ringrazio tutti per la vostra attenzione a questo mio modesto lavoro, e per le vostre bellissime recensioni che mi hanno commosso: GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!
Ninfea 306: avevo immaginato che tu avessi capito le intenzioni di Renée, ma ho preferito non rovinarti la sorpresa; inoltre, dato che questa è la seconda volta che parlo di un coma in una mia fic, penso che tu ti sia convinta che io sia un medico; no, non sono un medico (lavoro in tutt'altro settore), ma ho alcune conoscenze di chimica e biochimica, e poi una mia ex-collega lavora in ospedale come volontaria;
Bay: scusami ancora se ti ho fatto aspettare, ma una cosa attesa più a lungo si gode di più, no? XD Quanto alla promozione, come avrai capito il nostro Aramis non l'ha avuta, ma riavere accanto la sorella, e per di più anche come collega, è stato per lui il più grande dei regali!
Lady Lina 77: sono lieta che la storia ti sia piaciuta, ho cercato di ricongiungerla all'anime proprio per accontentare i patiti della storia "classica"; spero di esserci riuscita;
ShessomaruJunior: se hai letto anche il finale, che te ne pare? Ti è piaciuto?

Un bacione a tutti.
Tetide.


 

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