The sweet is never as sweet without the sour.

di Rhoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Nota autore: il secondo capitolo è già pronto, lo posterò al più presto.
Il titolo è una citazione tratta dal film Vanilla Sky e significa "Il dolce non è mai così dolce senza l'amaro".
Spero amiate un Draco -che entrerà in scena nel prossimo capitolo- alquanto bastardo, perchè il mio di magnanimità non sa davvero nulla.
Enjoy,
Rhoy



The sweet is never as
sweet without the Sour.



Gli occhi neri già aperti.
Erano solo le 6 del mattino, ma Pansy non riusciva a tornare a dormire con tranquillità. Guardare il cielo era un'alternativa niente male, però. Non si stancava mai di farlo. Poteva rimanervi ore.
Parliamo del cielo in tempesta, ovviamente.
Dell'azzurro, sereno e tranquillo, la ragazza non sapeva che farsene. Troppo diverso dalla sua situazione, dalla sua vita... da lei.
Le sarebbe piaciuto rimanere là, sino a che le sue compagne di stanza, un'ora dopo, non si fossero svegliate, ma pensò che fare una doccia più lunga del solito e truccarsi con più calma le avrebbe reso la giornata un po' più facile.
Si alzò, senza battere ciglio, dirigendosi con passo deciso verso il bagno. Si chiuse la porta alle spalle senza preoccuparsi minimamente di far piano, per non svegliare le altre.
Aprì l'acqua calda, prendendo dallo scaffale i suoi prodotti, tutti rigorosamente alla fragranza di fiori di loto.
Si tolse pigiama ed intimo e, con un passo, entrò nella doccia, lasciando che l'acqua calda scivolasse sulla sua pelle.
Si sentì immediatamente più rilassata, mentre iniziava ad accarezzare i capelli neri, schiacciati sotto il getto fumante.
Massaggiò il doccia-schiuma su braccia, gambe, spalle ed addome per poi risciacquarlo. Applicò shampoo e balsamo, sentendo i capelli afflosciarsi ed ammorbidirsi piacevolmente nel risciacquare quell'ultimo, ed uscì.
Si avvolse nell'accappatoio verde con inserti argentati e prese a prepararsi con calma.
Fece l'errore di guardarsi allo specchio.
Sai che non devi, Pansy.
Le profonde occhiaie che solcavano il suo bel viso erano più evidenti del solito; quasi a farle pesare il fatto che ultimamente la situazione, che si era giurata sarebbe migliorata, non fosse altro che peggiorata.
Non dormiva. E se lo faceva, lo faceva male.
Tra un incubo (o forse un sogno?) e l’altro, non riusciva a stare tranquilla. Così preferiva starsene sveglia, a rimuginare su come far sì che qualche cambiamento avvenisse.
Eppure sembrava che intere nottate a trovare una soluzione fossero servite solo a renderla esausta, nervosa... non più lei.
Fece di “no” con la testa, mentre un'espressione tra il deluso ed il sarcastico si formava sui suoi lineamenti perfetti, forse un po’ infantili con il nasino piccolo e le labbra a cuoricino.
Quando mai Pansy Parkinson si era lasciata rovinare la vita da un ragazzo?
Sembrava vi fosse sempre una prima volta, però.
Non dovrebbe esserci, per te.
Iniziò a vestirsi, mettendo la camicetta della divisa, le calze, la gonna ed il mantello.
Il suo corpo perfetto era più esile, ora. Anche la forza fisica, l'aveva abbandonata.
Nella stanza, intanto, le sue compagne iniziavano a svegliarsi.
Lei tornò davanti allo specchio, asciugandosi i capelli in una piega liscissima con la bacchetta.
Mise del correttore per coprire le occhiaie, un filo di matita ed un lucida-labbra color rosa naturale.
Davanti allo specchio, come fosse in presenza della scuola intera, abbandonò la Pansy che solo lei conosceva.
Petto in fuori, pancia in dentro, si disse.
Espressione superba, sorrisino bastardo pronto a mostrarsi non appena ve ne fosse stata l'occasione. Braccia lungo i fianchi, in una posizione austera. Mento appena alzato.
Quella maschera aveva sempre funzionato. Un tempo non era neanche una maschera, in realtà.
Un tempo. Prima che tutte le sue certezze crollassero miseramente. Come quella di non avere un cuore.
Aveva tristemente scoperto di averne uno, invece. Piuttosto frustrato e problematico.
Le ragazze abbassavano lo sguardo, i ragazzi la guardavano con approvazione. I professori elogiavano la sua prontezza. Le matricole facevano spazio, quando passava.
Vi era solo una persona, che non cascava mai in quel tranello. Solo una persona che non la beveva. La sola persona che conosceva la sua profonda sofferenza e provava piacere all'idea.
L'amore è davvero cieco.
Un leggero tremore l'aveva scossa, al pensiero di Lui, ma si era ripresa facilmente.
Pronta e perfetta, uscì dal bagno e quindi dal dormitorio, ignorando il saluto delle sue compagne.
Scese le scale, pensando.
Sì, pensava ancora. Notti intere non bastavano.
Pensava che quel giorno sarebbe iniziato qualcosa di nuovo.
Lui la feriva: per quanto lei fosse fredda ed impenetrabile, non riusciva ad essere la stessa con lui.
Cosa sarebbe accaduto se fosse stata lei a sputare veleno su di lui, a ridicolizzarlo, a sfidarlo per prima?
Le regole tra i Serpeverde erano due: 1) Mai sfidare Draco Malfoy; 2) Mai togliere a Draco Malfoy ciò che era suo.
E con quel piano avrebbe infranto entrambe. Lo avrebbe sfidato ed avrebbe messo in chiaro che, ormai, non sarebbe più stata ai suoi comodi. Non sarebbe più stata sua.
Ti piacerebbe, eh, Pansy? Illusa.
Zittì la sua coscienza, scuotendo la testa con veemenza.
Farlo arrabbiare equivaleva al finimondo. O meglio... accettare una vendetta, da parte del ragazzo, lenta e dolorosa. Ma, forse, ferendo a sua volta avrebbe evitato di sentire il dolore delle sue cicatrici, troppo presa dal suo compito.
Raggiunse la Sala Grande, dove sedette al tavolo di Serpeverde con gli altri mattinieri.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


"Farlo arrabbiare equivaleva al finimondo. O meglio... accettare una vendetta, da parte del ragazzo, lenta e dolorosa. Ma, forse, ferendo a sua volta avrebbe evitato di sentire il dolore delle sue cicatrici, troppo presa dal suo compito.
Raggiunse la Sala Grande, dove sedette al tavolo di Serpeverde con gli altri mattinieri."







Non aveva fame, ma si obbligò a bere del succo di frutta.
Fu questione di poco, dieci minuti forse.
Il brusio in Sala Grande aumentò, come il numero di persone sedute al suo tavolo ed a quelli delle altre case.
E poi... dei passi distinti. Più lenti, autoritari degli altri. Un rumore lieve, eppure sembrò torturarle i timpani.
Pelle marmorea, capelli biondi, chiarissimi, camminata sicura ed intrisa di superiorità ostentata, sguardo indifferente ed annoiato, forse dalla “banalità” (gente che lui non considerava del suo rango) che lo circondava. E poi quegli occhi.
Grigio scuro, in certi momenti. Argento fuso, in altri.
Dipendeva dal suo stato d'animo. Ma nessuno mai avrebbe interpretato quel ragazzo. Nessuno.
Neanche lei.
Lei. La sua bambolina. L’unica da cui era tornato.
Andava con tutte, usandole una volta e trattandole come pezzi di stoffa, e quando si stancava delle solite sciacquette, tornava da lei.
Pansy era tutto, tranne che una sciacquetta. Difficile, orgogliosa, sfuggente… ma non con lui.
Lo riaccoglieva sempre, odiandosi per questo, mentre il suo cervello urlava “La tua dignità! L’hai persa, Pansy! Pansy, no!” ed il suo corpo non rispondeva ai suoi comandi.
Seria, senza una parola, accettava quelle carezze che, sapeva, per lui non significavano nulla. Ma quella storia doveva finire.
Lo degnò del minimo sguardo, al contrario di tutte le altre, e lui andò a sedersi accanto a Blaise e Theodore, a qualche metro di distanza.
Finì il suo succo di frutta, sforzandosi di non guardarlo.
Poi sentì Blaise dirgli « Da chi ti sei fatto fare i compiti di Trasfigurazione? A me ci ha pensato Millicent »
Si girò a guardarli, con espressione diabolica, ma senza sorridere.
E il gioco inizia...
Blaise sogghignava, non troppo interessato, mentre con gli occhi azzurri percorreva le bevande in cerca di una che facesse per lui.
Draco rimase impassibile. Si era svegliato male, probabilmente.
« Daphne ha fatto la caritatevole, ieri. Si è offerta lei stessa »
La mano di Pansy, appoggiata sulla sua stessa gamba, si strinse sulla gonna della divisa, creando profonde increspature sul tessuto scuro, nel sentire la sua voce. Più bella (ed arrogante) di sempre.
Automaticamente, abbassò lo sguardo sulla sua gamba e si stirò la gonna, in maniera composta, assumendo una posizione più eretta con la schiena.
Via, Pansy. Ora tocca a te.
« Addirittura farti fare i compiti dalla Greengrass, Malfoy? Sei incapace a tal punto? » chiese, con una voce angelica, cristallina… quasi dolce.
Il visino perfetto atteggiato in un’espressione innocente, le lunghe ciglia, corvine come i capelli, che sfioravano gli zigomi quando le palpebre si abbassavano, le labbra piene ma non troppo appena dischiuse.
In quel tratto di tavolo era caduto il silenzio, mentre alle estremità vi erano ancora voci che si scambiavano notizie ed idee, ignare di quel che stava accadendo.
Quella quindicina di studenti che aveva sentito era immobile, in silenzio. Gli occhi che passavano da lei a lui.
Ma di questo, alla ragazza non importava. Anzi, andava tutto a suo favore: più grossa era l’umiliazione, più grande sarebbe stata la sua rabbia.
Draco aveva alzato lo sguardo su di lei con una lentezza raggelante. Ed ora la guardava… impossibile dire come.
Gli occhi sembravano essere di un grigio scuro, cupissimo, al confine dell’iride, ma diventava più chiaro man mano che si avvicinava alla pupilla. Delle screziature argentate sembravano muoversi, tanto erano evidenti.
Occhi belli, quanto terrificanti.
Eppure Pansy rimase lì, fiera, senza abbassare lo sguardo un solo secondo.
Blaise e Theodore la guardarono tra il freddo ed il sorpreso, mentre gli altri spettatori passavano dall’ammirato quando i loro occhi erano posati su di lei ed il terrorizzato quando erano su lui.
Draco aveva sempre la risposta pronta. Pansy era sicura che quel silenzio non fosse dovuto all’assenza di una frase abbastanza velenosa nella testa del biondino, ma dal fatto che lui sapeva perfettamente quanto un suo sguardo potesse far male.
Voleva fulminarla. Farle capire che quell’errore le avrebbe rovinato l’esistenza.
Ma Pansy era perfida, quanto lui. Si sarebbe solo dovuta esercitare per mettere in atto la sua cattiveria anche con l’unico che sapeva farla soffrire. E quello era il primo passo, verso la vittoria.
Il suo potentissimo scudo era in azione, in quel momento. Non riusciva ad evitarle il desiderio di crollare in lacrime e mandarlo a quel paese, comunicandogli tutto quel che sentiva. Ma riusciva ad impedirle di farlo.
« Troppo ignorante anche per formulare una frase in risposta? » chiese, alzandosi. L’espressione di teatrale innocenza sembrava non voler abbandonare il suo viso.
Gli occhi di lui la seguirono, taglienti come nient’altro, mentre, probabilmente, cercava anche di capire perché lei stesse facendo quello.
‘Dio, com’era bello sapere di non essere un libro aperto agli occhi di Draco Malfoy, per una volta. Solitamente non riusciva a nascondergli la minima emozione.
Non gli diede il tempo di pensarci ulteriormente, prima di spostare lo sguardo su un ragazzo che le bloccava l’uscita verso il corridoio tra il tavolo ed il muro. Gli occhi neri divennero freddi come lame di ghiaccio. Alzò le sopracciglia e quello si spostò all’istante.
Lei passò e tornò a guardare Draco, ora più lontana. Più gente avrebbe sentito le sue seguenti parole.
« Tranquillo, Natale è vicino. Ti compro un vocabolario » riecco l’espressione fintamente angelica. Detto questo, un piccolo sorrisetto si dipinse sulle labbra rosee.
Si girò e prese a camminare lungo il tavolo, raggiungendo la porta. Mantenne il passo fiero e l’espressione indisturbata, sino a che non ebbe superato l’uscita dalla Sala Grande. Lì svoltò l’angolo e si fermò, respirando a fatica.
Era stato difficile. Ma di una cosa era certa: aveva funzionato.
Giocare su quel che per Draco Malfoy era importante (l’orgoglio, l’immagine, l’onore e la possessività) l’aveva fatta sfogare.
Il gioco era appena iniziato, lo sapeva: lui avrebbe risposto alla sua provocazione.
Ma se fosse riuscita a tirare fuori anche con lui la crudeltà del suo intimo, che non si faceva scrupoli a mostrare con gli altri, le armi dei due giocatori sarebbero state pari… o quasi.
Sì: avrebbe sofferto comunque, ogni volta che lo avrebbe visto camminare con un’altra o semplicemente… ogni volta che lo avrebbe visto.
Tuttavia stavolta non avrebbe solo patito, ma anche risposto.
E, soprattutto, non gli avrebbe permesso di tornare da lei. Avrebbe messo in chiaro che non era un giocattolo. Il suo giocattolo. E questo lo avrebbe mandato su tutte le furie. Allora sì che il gioco sarebbe diventato degno di partecipazione. Nonostante il fatto di non poterlo avere più, per quanto quei momenti durassero poco e fossero costruiti su illusioni colossali, la uccideva.
Se quel gioco fosse stato contro chiunque altro, Pansy avrebbe detto “Allora sì che il gioco si fa eccitante”.
Ma Draco… con lui sarebbe stata un vera e propria guerra. Niente di cui ridere.
Lui, al contrario del resto del mondo, sembrava contare qualcosa per la fredda Parkinson.

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Si girò e prese a camminare lungo il tavolo, raggiungendo la porta. Mantenne il passo fiero e l’espressione indisturbata, sino a che non ebbe superato l’uscita dalla Sala Grande. Lì svoltò l’angolo e si fermò, respirando a fatica.
Era stato difficile. Ma di una cosa era certa: aveva funzionato.
Giocare su quel che per Draco Malfoy era importante (l’orgoglio, l’immagine, l’onore e la possessività) l’aveva fatta sfogare.
Il gioco era appena iniziato, lo sapeva: lui avrebbe risposto alla sua provocazione.
Ma se fosse riuscita a tirare fuori anche con lui la crudeltà del suo intimo, che non si faceva scrupoli a mostrare con gli altri, le armi dei due giocatori sarebbero state pari… o quasi.
Sì: avrebbe sofferto comunque, ogni volta che lo avrebbe visto camminare con un’altra o semplicemente… ogni volta che lo avrebbe visto.
Tuttavia stavolta non avrebbe solo patito, ma anche risposto.
E, soprattutto, non gli avrebbe permesso di tornare da lei. Avrebbe messo in chiaro che non era un giocattolo. Il suo giocattolo. E questo lo avrebbe mandato su tutte le furie.
Allora sì che il gioco sarebbe diventato degno di partecipazione. Nonostante il fatto di non poterlo avere più, per quanto quei momenti durassero poco e fossero costruiti su illusioni colossali, la uccideva.
Se quel gioco fosse stato contro chiunque altro, Pansy avrebbe detto “Allora sì che il gioco si fa eccitante”.
Ma Draco… con lui sarebbe stata un vera e propria guerra. Niente di cui ridere.
Lui, al contrario del resto del mondo, sembrava contare qualcosa per la fredda Parkinson.







Pozioni.
Ricordò quel’era la sua prima lezione, quella mattina, con un leggero disappunto.
Piton non insegnava più quella materia. Ora c’era quell’obeso di Lumacorno, il quale non faceva altro che elogiare San Potter e la sua amichetta dai capelli naturalmente cotonati.
Con Piton le sarebbe bastato uno sguardo. Lui le avrebbe detto che la sua pozione era perfetta. Sicuramente meglio di quella prodotta dai suoi compagni dalle divise bordeaux-oro. E lei avrebbe sorriso, devota, in sua direzione, per poi girare il volto verso i Grifondoro e trasformare l’espressione riverente in un ghigno di puro scherno. E lì i suoi compagni di Casata l’avrebbero appoggiata con piacere, iniziando un gioco di sguardi con i rivali della Casata di Godric Grifondoro.
Peccato che... il professor Lumacorno fosse sin troppo gentile con tutti. E se solo lei avesse toccato il suo prezioso Potter, si sarebbe guadagnata la sua antipatia. E la Parkinson era pratica, ma non stupida. Le interessava avere voti più che perfetti in tutte le materie: accattivarsi la simpatia dei professori era fondamentale.
Persino Draco aveva rinunciato a sfottere l’eroe del mondo magico apertamente. Anche se in realtà… il ragazzo non sembrava neanche in sé, quell’anno.
Era più arrabbiato, più sprezzante del solito, se possibile. Dedicava meno tempo a quelli che una volta riteneva diversivi –come prendere in giro Potter, i mezzosangue, i babbanofili, i figli di famiglie con disponibilità economiche alquanto basse.
Era dimagrito parecchio. Ed era alto. Lo era sempre stato. La sua magrezza si notava anche di più, ora.
Ogni tanto lo vedeva sovrappensiero –cosa assolutamente assurda per Draco Lucius Malfoy.
Era cambiato. Cresciuto, forse. Ma in lui non vi era solo maturità.
Pansy vi avrebbe messo la mano sul fuoco: era frustrato.
Questo non lo aveva privato della sua bellezza, tuttavia.
Era sempre perfetto, inimitabile. Nei movimenti, nelle parole, nei gesti, nell’aspetto. In tutto.
E –Pansy fremette, serrando gli occhi violentemente- neanche le sue abitudini erano cambiate. Forse proprio per sfogare la frustrazione, continuava ad incontrare le mille sciacquette che lo desideravano. Le usava e… bye bye.
Rivedeva i suoi fatidici ghigni solo quando cercava di nascondere il suo nuovo essere. L’essere disperato, stanco, che quell’anno era tornato ad Hogwarts, più scontroso di sempre.
Quando cercava di eclissarlo, se ne usciva con le sue espressioni, con quei mezzi sorrisi che facevano impazzire le ragazze ma terrorizzavano il disgraziato a cui erano diretti.
E Pansy non aveva idea di cosa avesse potuto cambiarlo a tal punto da doversi sforzare di essere quello di un tempo.
Il padre era stato arrestato, sì. Ed ora… il Signore Oscuro era furioso con la sua famiglia, di certo. E quando l’Oscuro aveva da ridire… non c’era niente da fare. Nessun rifugio possibile, nessuna frase salvatrice. L’unica cosa era abbassare la testa e scusarsi, sperando di convincerlo a non scatenare la sua furia di te.
Ma comunque: non era abbastanza, per togliere a Draco Malfoy il suo animo di divertita arroganza.
Era rimasta solo l’arroganza, di quello. Niente più divertimento.
Solo rabbia, disprezzo, crudeltà. Nient’altro.
Pansy raggiunse i sotterranei, entrando in aula e sedendo accanto a Millicent.
« Sei in ritardo » disse quella, posando lo sguardo su di lei.
I lunghi capelli castani e mossi ricadevano sulle spalle della ragazza, appena robusta. Gli occhi verdi indugiavano sul viso pallido della Parkinson.
« E allora? » chiese lei, senza neanche guardarla.
Con fare indifferente, si diede un’occhiata attorno. E si irrigidì all’istante.
Non notò Millicent alzare gli occhi al cielo per la sua solita indisponenza. Fece solo attenzione a riporre lo sguardo davanti a sé, sul professore che con la bacchetta faceva apparire sui tavoli di tutti il necessario per la lezione del giorno.
E cercò di evitare in maniera studiata gli occhi grigi che la scrutavano e che non si aspettava di trovare già in classe.
Sentiva il suo sguardo su di lei, perforarle la spalla sinistra, esile ed impotente contro quei punti grigi capaci di far provare dolori inimmaginabili.
Era arrabbiato. Ma la sua rabbia non si manifestava in reazioni avventate ed aggressive.
Draco Malfoy preferiva distruggerti con lentezza, dandoti un’idea di cosa significasse provocarlo e pian piano aumentando quella tortura, sino a renderti schiavo della sua crudeltà.
Hai deciso di sfidarlo. Ora devi farlo, sino alla fine. Altrimenti avrai già perso.
Pansy abbassò lo sguardo sul legno del tavolo di fronte a sé. Quando lo rialzò, con lentezza, era serio, indecifrabile.
Millicent la osservò stranita. Ma alla mora bastò puntare un attimo quello sguardo nero nel suo, perché la compagna decidesse di non pronunciare la minima parola.
Allora fallo. Prenditi la tua vendetta. Fai il suo stesso gioco.
Detto questo, dal guardare la compagna, giro il capo sino ad incontrare gli occhi di lui.
Poi girò tutto il corpo, appoggiando direttamente la schiena al tavolo ed incrociando le braccia al petto, in attesa, con fare di sfida.
Il suo sguardo era serio. Un sorriso lievissimo, appena percettibile, si aprì sulle labbra rosee ma non si estese agli occhi.
Allora, Malfoy?
Il viso del biondo era una maschera di gelo.
Blaise e Theodore lo guardavano, non azzardando una parola. Poi il loro sguardo passò su di lei. E Zabini scosse la testa, come a dire “L’hai fatta grossa”.
Il sorriso di Pansy si ampliò, ora più visibile.
So bene di averla fatta grossa, Zabini, gli rispose mentalmente, senza però staccare lo sguardo da quello di Malfoy.
Il professore le passò davanti, guardandola con gli occhi attenti ma socchiusi di chi ti crede distratto, ma non ha intenzione di farti una ramanzina perché sei tra i suoi studenti preferiti.
« Signorina Parkinson. E’ ora che lei inizi a lavorare sulla sua pozione » Gli occhi neri della ragazza si distolsero dal viso del biondo, che buttò aria dal naso, in una risata appena accennata, compiaciuto da quella che credeva sarebbe stata una figuraccia col professore.
Pansy si girò a guardare la lavagna, con tranquillità.
« Certamente, mi scusi. Stavo ripassando mentalmente la ricetta. » si girò a guardare Millicent con un sorriso complice « Dai, prepariamo questo Distillato di Morte Vivente »
La Bullstrode sorrise, sapendo benissimo che Pansy aveva letto il nome della pozione alla lavagna e che non stava certamente pensando a come farla, pochi attimi prima.
Millicent era l’unica. L’unica… niente. Era semplicemente l’unica.
Pansy la trattava come tutte le altre, non meglio, non peggio. Ma Millicent era l’unica a sapere certe cose di Pansy, per quanto lei non le raccontasse ad anima viva. Le capiva, semplicemente guardandola. Cosa non da tutti.
Era l’unica a sapere che stava male, nonostante la faccia tosta e la freddezza che mostrava in continuazione. L’unica a sapere che quando Pansy era assente, era perché pensava a Lui. O guardava Lui.
Trattava male quella ragazza. Eppure sapere che qualcuno, nonostante lei lo negasse con frasi sprezzanti quando quella glielo diceva con tranquillità, sapesse della sua condizione… la confortava.
Una sola persona. Più di una le avrebbe dato fastidio.
E lei evitava Millicent. La cacciava con le frasette velenose che riservava alla massa.
Ma alla fine, per qualche strano motivo, si ritrovavano sempre insieme. In banco, durante i pasti, per i corridoi. Non parlavano, ma sapevano cose dell’altra che il resto della gente ignorava. Ed era una certezza che a Pansy faceva comodo.
E poi… la Bullstrode le teneva sempre il gioco. Se non l’avesse fatto sarebbe stato peggio per lei, certo. Ma Millicent lo faceva con piacere, divertita da quello che non programmavano ma recitavano alla perfezione, per aiutare l’altra, telepatiche.
« Certo. A lavoro » disse, entusiasta, sorridendo alla moretta accanto a lei.

Dopo poco, loro si trovavavano con un Distillato di Morte Vivente, non perfetto come –Pansy notò con un’occhiata irritata- quello di Potter, ma comunque decente.
Da quando Potter sa fare pozioni? E’ sempre stato impedito.
Alzò un sopracciglio, ma si ricompose quando il professore passò accanto a loro, chiamato da Millicent, per controllare la pozione.
Lumacorno inclinò il viso paffuto, portandosi una mano al papillon, mentre studiava la pozione con attenzione. Poi estrasse una foglia dal sacchetto che teneva in mano e la lasciò cadere nel loro calderone.
Pansy e Millicent la osservarono sciogliersi in quella che sembrò un'eternità e tornarono a guardare l’insegnante, in attesa di un giudizio.
« Molto bene, ragazze. Non è come quella del nostro signor Potter, ma… » Pansy si girò ad osservare il moro, che alzò un lato delle labbra con fare compiaciuto « …comunque siete tra i pochi che sono riusciti a crearla. Probabilmente avete esagerato con i Fagioli Sopoforosi, ma sarà per la prossima volta. Vi assegno una “O”! » disse, con entusiasmo, sorridendo alle due con quello sguardo da persona alquanto curiosa.
Le due rimasero immobili, non molto soddisfatte. Poi il professore parlò di nuovo, allontanandosi. « Harry, mio caro, vai ad aiutare quel gruppo laggiù » disse, indicando un gruppo con le mani nei capelli cespugliosi a causa del fumo che la pozione, malfatta, stava emettendo. Sembravano disperati.
San Potter si diresse verso di loro.
« E voi, signorine, andate ad aiutare quell’altro gruppo »
Il professore indicò… il Suo gruppo.
Pansy passò lo sguardo su tutti componenti del gruppo, per poi soffermarsi su di lui.
E finalmente, la sua rivincita arrivò. Lenta, ma arrivò.
Lei che doveva aiutare Lui. Perché Lui non riusciva in qualcosa. Qualcosa in cui lei era riuscita.
Si avvicinò al ragazzo, ancheggiando, con un ghigno malefico in volto.
Blaise la osservò, per poi spostare lo sguardo su Draco. Poi fissò di nuovo gli occhi nei suoi, mimando con le labbra “Non farlo”.
Ma era troppo tardi. Pansy Parkinson aveva preso una decisione. E sarebbe arrivata fino in fondo.
Ignorò il moro e si rivolse al biondo.
« Non era poi così difficile. Che peccato, non essere portati… » disse, guardando però solo lui.
Negli occhi di Malfoy guizzò una scintilla di irritazione. Irritazione, ma anche cattiveria.
Il ragazzo avvicinò le labbra all’orecchio di Pansy, che si immobilizzò.
No, Pansy. Non ricaderci.
Guardò la parete popolata dagli scaffali pieni di ampolle e contenitori di ogni genere, senza vedere nulla.
Fremette appena, stringendo le mani al bordo del tavolo con forza, costringendosi a non mostrare la sua debolezza e non lasciare che le sue ginocchia cedessero.
Eppure, la sua debolezza la stava mostrando eccome. Ferma immobile, non riuscendo a pronunciare la minima parola, ad emettere il minimo verso.
« Stai giocando con il fuoco, Parkinson »
sussurrò il biondo. La sua voce melodica, smielata eppure… così tagliente.
Poteva sentire il suo respiro freddo sul lobo dell’orecchio.
Lei rimase lì, con le labbra dischiuse e gli occhi puntati davanti a sé, insepressivi. Avrebbe voluto deglutire, ma non riuscì a muovere mezzo muscolo.
Gli altri al tavolo, compresa Millicent, assistevano alla scena, fermi. Se Draco entrava in azione era finita.
Il biondo alzò lo sguardo sul professore, allontanandosi lentamente dal suo orecchio. « La signorina Parkinson non si sente bene, professore. Probabilmente ci sono troppe sostanze, qui dentro » sventolò una mano davanti al viso della ragazza, immobile come una statua, con lo sguardo fisso davanti a sé.
Muoviti, Pansy! Fai qualcosa!
Ma che stava facendo Lui?
Il professore attraversò l’aula e si avvicinò alla ragazza, studiandola con lo sguardo, mentre si portava le mani alla pancia rigonfia, con occhi preoccupati.
Effettivamente, in quello stato, Pansy poteva avere l’aspetto di chi non si sentiva bene.
Era come in una trance. Non si era aspettata quel gesto da lui. E soprattutto, non sapeva cosa aspettarsi in seguito. Non capiva cosa stesse facendo.
Il ragazzo le aveva tolto le parole e la facoltà di fare qualunque cosa. Come sempre. Aspettava, immobile, la fitta di dolore che le avrebbe colpito il cuore. Come sempre.
Ed il professore, vedendola più pallida del solito, credette alle parole ed alla performance perfetta del biondo, che continuò « Credo abbia bisogno di ossigeno. Vorrei portarla in infermeria, se me ne darà la possibilità »
Il professore non staccava gli occhi dalla mora, con il naso fino e lungo arricciato in una smorfia preoccupata.
Blaise e Theodore si guardarono, cupi, sapendo che Draco non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Millicent osservò la sua… compagna –non potevano definirsi amiche- in quella condizione.
Pansy tremò un secondo, riuscendo a deglutire, ma non potendo permettersi altro.
L’insegnante annuì, torturandosi le mani ancora appoggiate sulla pancia « Certo, signor Malfoy. La porti da Madama Chips »
Draco la guardò con pietà ed amore, in una perfetta imitazione dell’amico preoccupato. Ma non vi era alunno, in quella classe, che non sapesse che Draco Malfoy stava fingendo, dopo quello sguardo.
Lui dolce e protettivo? Forse in un’altra realtà.
Però… quanto pagheresti per far sì che ti lui ti guardasse sempre in quel modo, eh, Pansy? Faresti a meno della pietà, ma dell’amore? L’amore in quello sguardo sempre così impenetrabile e duro? Sempre così bastardo? Che faresti perché ti guardasse così a vita? Accetteresti anche la pietà, mista all’amore? Pansy odiava la pietà. Era tutto quello che voleva evitare.
Non ne aveva per gli altri e non ne voleva dagli altri.
Però non ci volle neanche un secondo, perché la risposta arrivasse, sicura e schietta.
Sì.
Per lui, l’avrebbe accettata.
Il ragazzo le cinse il fianco con un braccio e la condusse fuori dall’aula, con passi lenti ed attenti, sotto lo sguardo di tutti.
L’hai fatta grossa, Pansy. pensò Blaise.

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