Il Terrazzo proibito [Storia d'un Amore al sapore di Fragola] di DarkRose86 (/viewuser.php?uid=7727)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - L'Artista solitario ***
Capitolo 2: *** II - Un occhio per una Fragola ( + Epilogo ) ***
Capitolo 1 *** I - L'Artista solitario ***
La
seguente FanFiction si è classificata prima *__* al Contest "Scolastic
Yaoi" , indetto da Iaia e Rei Murai sul Forum di EFP, ed ha
vinto il premio per l'Originalità.
E' una cosa assurda, vi avverto.
Non so da dove sia uscita questa storia, sinceramente, ma non appena ho
visto la mia immagine mi è balenata in mente quest'idea.
Inizialmente doveva finire in modo diverso, ma nello svilupparsi ha
preso una piega un po' diversa da quella che desideravo – in
altre parole, mi sono complicata la vita come al solito u.u
–, ma che un pochino mi piace. Solo un po', però.
In definitiva non ne sono affatto soddisfatta, è come se
mancasse qualcosa, ma a dir la verità non saprei dire che
cosa.
Inoltre, spero di non aver scritto stupidaggini, per le scene che ho
descritto mi sono affidata a Wikipedia, indi la colpa è del
sito se ho fatto qualche strafalcione. XD
A parte gli scherzi, mi rendo conto d'essermi avventurata in
lidi fortunatamente
a me sconosciuti, e quindi difficili da trattare; spero comunque d'aver
fatto un lavoro abbastanza decente.
Ah, le frasi fra virgolette allineate a destra sono i
pensieri del protagonista e, in due casi, dei flashback.
L'immagine che dovevo utilizzare
è quella che potete vedere nel - bellissimo - banner. *O*
Buona lettura!
Il
Terrazzo proibito
~ Storia d'un amore al sapore di Fragola
Capitolo I
– L'Artista Solitario
“ Cazzo,
anche stamattina la solita storia... ”
borbottò un ragazzo biondo con
lo zaino in spalla e l'espressione assonnata. Sua madre lo aveva
letteralmente buttato giù dal letto, quando invece lui
avrebbe decisamente preferito dormire un altro po'; quel giorno,
però, avrebbe dovuto sostenere un compito importante, indi
per cui non aveva potuto far altro che alzarsi, seppur controvoglia.
Non era uno che amava la scuola, il giovane Iwa. Anzi, per la
verità la odiava proprio.
Camminava per le strade affollate senza guardarsi attorno, fissando
dritto davanti a sé il grosso edificio che man mano
s'avvicinava sempre di più: l'istituto d'arte Akatsuki. Il
perché si chiamasse “Luna Rossa” era un
mistero per tutti, ma a quanto pare alla fine nessuno aveva mai dato
troppo peso a quel nome così curioso. Presi dallo studio e
dalle prime pulsioni adolescenziali non pensavano ad altro che a
sé stessi; avere buoni voti e successo con gli altri
elaborando piani complicati, pensando al futuro e pianificando ogni
cosa, anche la più semplice. Deidara non riusciva a
comprenderli: lui amava tutto ciò che durava un istante.
Varcò la soglia stanco e voglioso di tornare indietro, ma
oramai era stato assalito dalle voci assordanti dei ragazzi nei lunghi
corridoi e dall'aria viziata che c'era lì dentro. Non
v'erano particolari odori, ma era la puzza della moltitudine di figli
di papà che lo infastidiva. C'era chi si recava in sala
professori speranzoso, stringendo fra le braccia enormi volumi
trattanti chissà quali argomenti; probabilmente si erano
messi a studiare argomenti fuori corso, pur di dimostrare a chi contava
che erano più bravi di altri. Stolti.
“
Nella vita che significa, in fondo,
quella che loro chiamano carriera? ”
Entrò in classe fissando il
proprio banco vuoto, d'un verde scuro sbiadito in alcuni punti.
Posò la mano sul legno freddo e vi poggiò la
borsa, attratto da qualcosa che non era la sedia che lo stava invitando
a far uso di sé dopo la camminata. Sul banco di un suo
compagno che al momento non si trovava lì c'era una chiave,
piuttosto grande e un po' arrugginita. La studiò
attentamente, pensando a cosa mai potesse aprire. Ma purtroppo, mentre
meditava, udì la voce del proprietario del banco farsi
più vicina, unita ad un rumore di passi; senza pensarci,
istintivamente, si mise l'oggetto in tasca, maledicendosi pochi secondi
dopo. Se si fosse trattato di un'altra persona non sarebbe stato un
problema, affatto. Ma, dal momento che apparteneva – o almeno
così sembrava – al suo coetaneo più
stronzo, strafottente ed antipatico che conosceva, la cosa cambiava
radicalmente.
Hidan fece il suo ingresso in aula platealmente come al solito,
ghignando e salutando con fare vistoso tutte le ragazze. Poi
guardò Deidara, e il suo sorrisetto si trasformò
in uno sguardo rabbioso, colmo d'ira.
“ Sei ancora qui, checca? Ti avevo
detto di girare alla larga da me ” gli disse, stando bene
attento che nel frattempo non arrivasse il professore, “
Allontanati dal mio banco, non vorrei che lo contaminassi ”
aggiunse poi, sedendosi.
L'altro non rispose, limitandosi a seguire il suo esempio. Il problema
più grande, però, fu concentrarsi durante il
più difficile compito di disegno dell'anno, con quella cosa
nella tasca.
L'esame consisteva nel creare il bozzetto del proprio sogno nel
cassetto, in altre parole avrebbero dovuto disegnare ciò che
desideravano più ardentemente. Molti avevano protestato,
definendo l'idea dell'insegnante una stupidaggine adatta alle ragazzine
nell'età della prima cotta; altri invece avevano preferito
non fiatare, consapevoli già di cosa avrebbero rappresentato.
Non
era una cosa semplice, in verità; in fondo, quando si è adolescenti, non si è mai troppo seri.
E i sogni nel cassetto sono spesso cose irraggiungibili, talvolta
addirittura irreali. Nell'età in cui si inizia seriamente a
distinguere il reale dal sogno, e il bene dal male, Deidara sapeva bene
che cosa voleva. Lo aveva deciso da tempo, ormai.
“
Iwa, si può sapere che
cos'è questo? ” chiese il professore, gli occhi
puntati sul disegno del giovane.
“ Il mio
sogno, signore ” rispose lui determinato, mostrando con
convinta ammirazione il proprio lavoro; una moltitudine di colori
s'incontrava in un centro che esplodeva, liberando in cielo migliaia di
frammenti dalle più svariate sfumature di rosso, verde, blu,
giallo, e chi più ne ha più ne metta. Un trionfo
di luci, di libertà.
“ Come
sarebbe a dire, il tuo sogno? Non significa niente, è solo
un foglio imbrattato, una serie di scarabocchi senza alcun senso!
” esclamò severo, sbattendo il pugno sulla
cattedra, che tremò appena, “ Credo che tu non
abbia ben inteso ciò che vi ho chiesto, ragazzo ”
“ Sì,
invece! ” si difese, “ Perché non riesce
a riconoscere la bellezza intrinseca di questo dipinto? Una splendida
esplosione nel cielo terso di ieri mattina; l'arte che dura un attimo,
la più sublime espressione... ”
“ Basta
così ” lo interruppe, “ Voglio che tu
disegni qualcos'altro, qualcosa che rappresenti il tuo vero sogno. Non
ne voglio più sapere delle tue stupidaggini sulle esplosioni
”
Deidara non poté far altro che congedarsi rispettosamente.
Fare l'arrogante non sarebbe servito a niente. Perché gli
altri non comprendevano ciò che a lui piaceva?
Perché erano tutti attratti dalle cose che duravano nel
tempo e rimanevano costantemente immobili, inespressive?
Sbuffando si sedette su una panchina del grande cortile della scuola,
addentando un panino; si ricordò in quel preciso momento di
avere ancora in tasca la chiave che aveva trovato sul banco di Hidan, e
si maledì di nuovo.
“ Dannazione,
devo trovare il modo di rendergliela senza che si accorga che sono
stato io a prenderla ” si disse, ripensando a quant'era
arrabbiato il suo compagno quella mattina, dopo che si era accorto di
aver perso quell'oggetto che per lui pareva di vitale importanza.
Però, nel medesimo istante, avvertì
un'irrefrenabile voglia di scoprire che cosa apriva. Stupida idea,
pensò poi, dal momento che la porta incriminata poteva
trovarsi anche ad un migliaio di chilometri di distanza.
Abbandonò dunque il suo intento e si concentrò
nuovamente sul cibo, rimuginando sul da farsi. Non che avesse paura di
Hidan, tutt'altro, però non lo sopportava; si
rifiutò perfino di pensare a come avrebbe potuto reagire, se
solo avesse saputo. Soprattutto perché, per qualche oscuro
motivo, da un po' di tempo l'albino ce l'aveva a morte con lui.
Finita la colazione varcò di nuovo il grande ingresso
dell'istituto, avvicinandosi al proprio armadietto; esso si
aprì con un cigolio, segno di quanto quell'arredamento fosse
vecchio, così come la costruzione all'interno della quale si
trovava. Nonostante ciò, però, quella scuola
aveva qualcosa di affascinante; non certo gli studenti, ovvio, ma
sicuramente i segreti che la contraddistinguevano erano particolarmente
interessanti: la piccola parte della biblioteca chiusa da anni per non
si sa quale arcano motivo, il fantomatico stanzino infestato dagli
spettri – cosa a cui Deidara non credeva affatto, ma comunque
ne era divertito – e soprattutto il terrazzo proibito. Da due
anni studiava lì, ed in molti gliene avevano parlato. E, in
quei frangenti, i volti di coloro che ne avevano narrato le ipotetiche
sembianze s'erano illuminati di un bagliore accecante, quella luce
prepotente definita curiosità. Inutile dire che anch'egli
era curioso e più volte aveva provato, di nascosto da tutti,
a forzare al serratura della porta che lo separava da quel mistero
invitante; quest'ultima era addirittura di ferro, evidentemente per far
sì che nessuno provasse a buttarla giù a spallate
o a calci. Previdenti, decisamente previdenti.
Ritornò alla realtà, distogliendosi dai propri
pensieri, quando un suo kohai* gli diede una pacca sulla spalla, in
verità anche piuttosto violenta. Come al solito.
“ Senpai*,
hai la testa fra le nuvole? ” domandò Tobi, colui
che si era auto proclamato suo amico del cuore, fin dal loro primo
incontro.
“ Che ne
te importa? E, soprattutto, dovevi proprio colpirmi così
forte, razza di idiota patentato? ” lo apostrofò
sprezzante, e in tutta risposta l'altro gli si avvinghiò
addosso a mo di sanguisuga, stringendolo spasmodicamente. Aveva uno
strano modo di dimostrare affetto, quell'assurdo ragazzo che, nelle
occasioni speciali – le gite, ad esempio – adorava
portarsi dietro una strana maschera arancione, forata solo in
corrispondenza dell'occhio destro. L'unico occhio che il moro mostrava
ogni giorno, sempre e costantemente munito di benda nera sull'altro.
Deidara però non gli aveva mai chiesto spiegazioni,
né ci teneva a farlo. A dire il vero la sua presenza lo
infastidiva non poco, ma sapeva bene che cacciarlo avrebbe sortito un
effetto ancor più devastante dell'essere gentile con lui. In
parole povere, era costretto a fare buon viso a cattivo gioco, se non
voleva incorrere nella sua ira, rappresentata per lo più da
piagnistei insopportabili – ci aveva provato, una volta, a
mandarlo a quel paese – e scherzi dannatamente fastidiosi.
“ Deidara-senpai
è nervoso stamattina! ” sentenziò,
canticchiando, “ Tobi risolleverà il suo morale!
” esclamò poi con enfasi, saltellando per il
corridoio. Già, chissà come lo avrebbe
risollevato... beh, a modo suo, ovviamente.
“ Ma che diavolo... ”
Il biondo strabuzzò gli occhi, quando notò il
proprio nome scritto a caratteri cubitali sulla lavagna nera; il
gessetto stridette al contatto con essa quando un suo compagno di
classe vi scrisse accanto: turno di pulizie. No. Tutto tranne quello.
Se c'era una cosa che odiava più di Hidan, di Tobi e delle
cose inanimate era pulire. Soprattutto perché gli sarebbe
toccato farlo assieme al suo “migliore amico”.
Chiaramente era stata una sua idea e, a quanto pare, era in quel modo
che pensava di tirarlo su di tono. Purtroppo, però, anche in
quel caso non poteva ribellarsi, o avrebbe dovuto sopportare le
ramanzine dei professori, oltre ai capricci di quell'insulso elemento
che talvolta faticava perfino a definire essere umano. Dovette
così soccombere e prendere in mano una scopa ed uno
straccio, e darsi da fare; decise di iniziare dalle scale, quelle scale
che parevano non finire mai, tanto erano numerose. Sì,
sarebbe tornato a casa molto tardi, quel giorno.
Per ogni classe era stato scelto uno
studente incaricato delle pulizie, come accadeva tutte le settimane.
Dei suoi compagni di sventura, oltre all'idiota, conosceva solo Kakuzu, un tipo decisamente
inquietante ed enigmatico, dalla pelle olivastra e numerose cicatrici a
deturparla. Si soffermò a pensare a come poteva essersele
procurate mentre egli, diligente e silenzioso, adempieva al proprio
dovere. Non si lamentava mai e possedeva un invidiabile sangue freddo.
Pareva essere in confidenza con Hidan, o per lo meno questo era quanto
trapelava dalle lingue lunghe che vivevano unicamente di pettegolezzi.
Non che tal particolare potesse cambiargli la vita, certo, ma forse
prima o poi avrebbe potuto chiedere a lui perché l'albino,
di punto in bianco, aveva deciso di degradarlo da semplice compagno di
classe a bersaglio preferito delle sue angherie.
Comunque, tornando a quella mattina – che oramai stava
volgendo al termine, dato che il grande orologio appeso sopra la porta
d'ingresso segnava mezzogiorno -, i ragazzi di turno decisero di
dividersi i vari piani, e Deidara scelse prontamente quello
più alto. Non che avesse una particolare voglia di salire
tutte quelle scale – era stato proposto innumerevoli volte di
mettervi un ascensore -, però quella era la parte che
preferiva di tutta quell'enorme costruzione. Questo perché
v'era l'entrata che desiderava ardentemente violare, il grande blocco
di ferro con su incisa una luna piena d'un colore rosso vivo. Rosso
come la passione, come l'incandescente cuore di un'esplosione senza
precedenti.
Una volta solo di fronte ad essa, ascoltò le voci dei propri
compagni che parevano distanti chilometri, da lassù. Starci
era come estraniarsi dal resto del mondo, l'effetto che faceva era
indescrivibile.
D'improvviso, come una scossa elettrica o un brivido di paura
– o di puro piacere – si ricordò della
chiave che custodiva gelosamente e che avrebbe dovuto restituire ad
Hidan il prima possibile. Ma, prima di farlo, perché non
regalarsi una dolce illusione? La estrasse dalla tasca, e il suo peso
lo stupì ancora una volta; la guardò
attentamente, ma essa era perfettamente anonima: senza iscrizioni,
segni o quant'altro. Non lasciava assolutamente presagire cosa avrebbe
mostrato al giovane di lì a poco.
Esistono
dei segreti inconfessabili; segreti di cui spesso gli uomini si
vergognano oppure di cui si vantano, schiavi della propria intrinseca
follia. Misteri, meglio definibili come bestialità.
La chiave entrò nel buco
della serratura senza alcun problema, e girò al suo interno
con un colpo secco.
“ Kami... ”
sussurrò il giovane, “ Non è possibile
”
Fu come un sogno ad occhi aperti, o un cenno divino; la porta si
spalancò davanti al suo sguardo incredulo, e d'un tratto
capì perché chi possedeva la chiave prima di lui
ne era così geloso. Quel che si trovò di fronte
una volta aperta lo stupì non poco: il terrazzo, coperto da
una robusta struttura in ferro e vetro oscurato – quella che
si poteva scorgere dal cortile dell'edificio -, celava una sorta di
museo. V'erano statue, interessanti composizioni floreali chiuse in
delle teche sigillate, e soprattutto costruzioni in legno, molte
raffiguranti creature dalle sembianze umane. I più
comunemente chiamati burattini, o marionette che dir si voglia. Si
guardò attorno basito, tutto era così curato in
quel posto, come se vi fosse un guardiano a sorvegliare costantemente
ogni opera nascosta al suo interno.
Eppure pareva non esserci nessuno, non percepiva presenza alcuna.
Osservò con particolare attenzione un burattino alla sua
destra: i suoi occhi erano così espressivi da sembrare vero.
Un momento, forse...
Toccò il suo volto con una carezza leggera, appena
accennata, e i suoi lineamenti delicati si contrassero in una smorfia.
Di scatto ritrasse la mano, spaventato.
“ Che diavolo... ”
esordì, senza però terminare la frase. Le parole
gli morirono in gola quando il tizio – o la creatura, non
sapeva come definirlo – si portò alla bocca la
sottile cannuccia di un succo di frutta, di quelli nell'involucro di
cartone. L'etichetta variopinta recitava: “Strawberry
Juice” e, in effetti, su di essa vi era stampata una grossa
ed invitante fragola.
“ Sei nuovo? ”
domandò, una voce atona e scocciata uscì dalle
sue labbra vermiglie quando allontanò la cannuccia da esse.
Nuovo? Che cosa intendeva dire? Deidara, sempre più
sconvolto, non poté far altro che replicare con un:
“ Eh? ” che ebbe unicamente il potere di annoiare
l'altro più di quanto già non fosse.
“ Non fare il finto tonto. Ti
manda Hidan? O forse Pein? ”
Quando pronunciò il nome del suo coetaneo, il biondo
sussultò; dunque lo conosceva. E pareva conoscere anche
Pein, noto in tutta la scuola e nel quartiere in cui abitavano per le
sue idee rivoluzionarie. Era un ribelle, un tipo che non si fermava davanti a
nulla, e non faceva che proclamare l'imminente venuta di un modo
diverso; era convinto di poterlo cambiare con le proprie forze e quelle
di chi lo sosteneva. Il sogno di ogni uomo animato da un po'
d'ambizione, il sogno proibito suo e di molti altri. Al suo fianco una
ragazza di nome Konan, la sua ombra, colei che lo seguiva dovunque,
anche nelle situazioni di estremo pericolo. L'Iwa aveva sempre provato
una sorta di amore/odio nei confronti del suo senpai e delle sue
convinzioni: amore perché anche lui avrebbe voluto poter
apportare cambiamenti a quella società corrotta, odio
perché lui se ne sbatteva altamente di quell'arte che,
secondo Deidara, ne avrebbe certamente avuto il potere.
“
Con qualcosa d'incredibilmente bello,
in un solo istante puoi far sì che le idee dell'intero
genere umano mutino. Puoi dare inizio ad una vera, artistica
rivoluzione ”
“ Non
mi manda nessuno ” asserì, “ Ho trovato
questa chiave – gliela mostrò, soddisfatto,
accantonando la paura per un po' – ed ho deciso di provarla
sulla porta del terrazzo. Non pensavo che avrebbe funzionato
” spiegò.
Il ragazzo dai capelli color cremisi mosse appena gli occhi, ma lui non
seppe interpretare la sua espressione. Lo guardò: se ne
stava seduto lì quasi completamente immobile, ed indossava
una normale divisa scolastica, come un qualsiasi studente; eppure era
certo di non averlo mai visto prima d'allora.
Notò che era bello, di quella bellezza effimera destinata a
svanire in pochi, intensi anni. Che ci faceva, in quel luogo, un essere
così affascinante?
“ Dunque non sai nulla del
terrazzo proibito? ” chiese.
“ No, non so proprio niente, uhn!
Sono capitato qui per caso! ” spiegò con decisione.
Non capì se lui ci credesse o meno, lo conosceva da pochi
istanti eppure si era già reso conto di quanto fosse
enigmatico, insondabile.
“ E non vuoi domandarmi nulla?
”
Era tacitamente sfacciato, quel tipo. Evitava il suo sguardo diretto
volgendo il suo al cielo che poteva osservare attraverso le spesse
vetrate che lo circondavano, ma nonostante ciò nel suo tono
di voce si leggeva una punta d'ironia, come se volesse schernirlo senza
darlo troppo a vedere. Inutile dire che l'altro trovo fuori luogo e
decisamente insopportabile quel suo fastidioso modo di porsi.
Arrogante. Sì, era la parola più adatta.
L'arrogante
prese un pennello da un piccolo contenitore posto sopra un tavolo alla
sua destra, giocandoci come per scacciare la noia.
Deidara decise dunque di provare a chiedergli qualcosa, seppur fosse
quasi certo che lui non avrebbe parlato. Insomma, mai prima di allora
aveva sentito parlare di una specie di museo dentro la scuola, ma solo
di un luogo ignoto che attirava l'attenzione di tutti. Ciò
implicava che doveva trattarsi di qualcosa d'illegale o quantomeno
vietato all'interno di un edificio adibito alla pubblica istruzione.
“ Che cos'è questo
posto? ”
Cominciò con tal domanda il suo interrogatorio, e lui
abbozzò un finto sorriso, soffiando appena sul pennello,
lasciando che una goccia color rosso intenso macchiasse il pavimento ai
piedi del suo interlocutore.
“ La mia casa ”
affermò.
Lo disse con una tranquillità assurda, come se abitare in
quel luogo fosse una cosa assolutamente normale.
“ Come sarebbe, la tua casa?
” ribatté, sperando d'aver capito male.
“ A te piace l'arte? ”
gli domandò, seppur alquanto scettico. Non riusciva ad
immaginarselo come un appassionato del genere, ma l'apparenza inganna.
“ Sì! Io amo l'arte!
” rispose, visibilmente eccitato.
Sorpreso dalla sua affermazione, il rosso si voltò verso una
delle sue creazioni lignee, una marionetta cui era appeso un cartellino
con un nome: Iruko*. Rivolse ad essa uno sguardo di pura ammirazione,
poi riprese: “ Io creo l'arte eterna, quella che non muore
mai. L'unica e vera forma di bellezza da ammirare con occhi sognanti.
La mia è quella sublime ” si elogiò,
sotto lo sguardo serio di Deidara che si stava pian piano trasformando,
fino a sfociare in una fragorosa risata.
“ Ma dai! E ne sei davvero
convinto? L'arte è esplosione, mio caro. E' un'emozione che
dura un istante, ma è la più intensa che si possa
provare ”
Non sopportava di essere contraddetto, e soprattutto non sopportava
d'esser chiamato mio caro
da qualcuno che non lo conosceva affatto.
Mentre discutevano, però, la campanella iniziò a
suonare incessantemente. Indi il biondo fu costretto, seppur
controvoglia, a lasciare il terrazzo, non senza prima avvertire l'altro
che la loro disputa non sarebbe certo finire lì. Ma adesso,
purtroppo, il problema per lui era un altro: che motivazione avrebbe
dato quando i professori si sarebbero accorti che il piano da lui
scelto era tutto fuorché pulito come invece sarebbe dovuto
essere?
“
Iwa!
”
Ecco, appunto.
Era appena entrato in classe, e il professore lo guardava
già con aria torva. Sospirò rassegnato,
avvicinandosi alla cattedra con fare rispettoso.
“ Mi è stato riferito
che hai scelto proprio tu il piano da pulire, ieri. E mi è
stato anche riferito che, a quanto pare, hai litigato con la polvere e
non sei stato tu a vincere... ” lo canzonò, e i
suoi compagni risero all'unisono. Hidan lo guardava soddisfatto, mentre
egli s'inchinava e domandava scusa. Godeva nel vederlo umiliato. Tutto
era cominciato quel maledetto giorno di aprile...
“ Questo è il vostro nuovo
compagno di classe, si chiama Deidara Iwa. Trattatelo bene e fate
amicizia con lui, mi raccomando! ” aveva esclamato
l'insegnante, mentre un ragazzo dai lunghi capelli biondi raccolti in
una coda di cavallo e gli occhi azzurri come il cielo entrava nell'aula
con passo felpato.
L'inusuale visione aveva colpito un altro giovane, Hidan; non
si vedevano spesso in giro ragazzi con dei lineamenti così
fini, più simili in verità a quelli di una donna.
La sua chioma dorata splendeva nel grigiore del mondo in cui viveva, ed
era un peccato che tal creatura venisse esposta allo sguardo di
famelici lupi pronti ad azzannare l'ignara preda. Quella pelle bianca e
perfetta, simile alla più pregiata delle porcellane,
certamente era appetitosa e profumata; egli sarebbe stato il sacrificio
ideale, atto a soddisfare il suo Dio immorale. Jashin-sama avrebbe
sicuramente apprezzato un simile dono.
Così lo aveva prontamente avvicinato e lui gli aveva
sorriso, inconsapevole delle sue brutali intenzioni. Desiderava veder
sgorgare il suo sangue, dopo aver posseduto quel corpo così
maledettamente attraente, per poi lasciarlo morire lentamente al suo
cospetto. Perché Hidan era folle, e tutti lo sapevano bene.
Tutti tranne lui.
“ Iwa,
ti consiglio di stare lontano da quel tipo. E' pericoloso ”
lo aveva avvertito un suo senpai, Hoshigaki Kisame, ma lui non aveva
dato troppo peso a quelle parole. Lo trovava solo un po' strano, ma
nulla di più. In fondo, una brava persona.
Un giorno, però, avvenne qualcosa: l'albino lo
aveva invitato a casa sua con lo scopo di una partita alla playstation,
ma quel pomeriggio non andò esattamente come aveva previsto.
Con la forza aveva tentato d'imporsi, di farlo suo, ma Deidara lo aveva
scacciato. E, per qualche oscuro motivo, Hidan non aveva protestato,
constatando che in effetti stava correndo un po' troppo.
Da quel pomeriggio, però, erano iniziate le sue torture
morali; di fronte ai compagni aveva cominciato ad apostrofarlo in
svariati e poco gentili modi, quali “checca”,
“puttana” e via dicendo. Lo avrebbe offeso fin
quando lui non avrebbe deciso di ribellarsi. E, quando questo sarebbe
successo...
Si
ridestò dai suoi pensieri quando, con un fruscio, il biondo
si sedette al proprio posto, poco lontano da lui. Si leccò
le labbra, pregustando un momento che sperò essere prossimo,
osservando i capelli di Deidara muoversi lenti e sensuali sulle sue
spalle, quando questi si sciolse per un attimo la coda di cavallo per
risistemarla.
Non che Kakuzu – il suo “ragazzo”, se
così lo si poteva definire – non fosse capace di
soddisfarlo, tutt'altro. Semplicemente sentiva il bisogno di stimoli
differenti, da condividere poi con la divinità che gli dava
la forza di andare avanti. Quella divinità effimera in cui
credeva fermamente, forse perché fin da quando era bambino
era stato addestrato alla violenza dai coetanei e al menefreghismo da
genitori, che lo avevano abbandonato al suo destino quando si erano
stancati di lui. Da allora il sangue e il dolore altrui erano divenuti
la sua droga, così come il sesso. Ma quest'ultimo, in tutta
sincerità, passava in secondo piano quando poteva inebriarsi
dall'odore di Morte. Era convinto di potersi salvare, ascoltando gli
ordini di un qualcosa che, alla fin fine, esisteva solo nella sua mente
e nei suoi sogni.
Tornando a Deidara, il professore gli aveva fatto una predica di quelle
sonore. E, ovviamente, quel pomeriggio sarebbe dovuto rimanere a scuola
per fare quello che il giorno prima aveva trascurato: pulire l'ultimo
piano. A dire il vero la cosa non gli dispiaceva affatto, visto che in
quel modo – stavolta DOPO aver lucidato pavimento e mobili
– avrebbe avuto la possibilità di tornare dallo
strano tipo che abitava il terrazzo.
Così fu, in effetti. Velocemente spazzò per
terra, spolverò alcuni armadietti che si trovavano
lì – erano chiusi a chiave, chissà che
cosa contenevano – e diede una bella pulita anche ai vetri
delle grandi finestre che davano sulla strada. Poi, guardandosi prima
attorno e tendendo bene l'orecchio per captare eventuali rumori, decise
di osare di nuovo; il custode si trovava a piano terra e stava pulendo
i bagni, di sicuro non ci avrebbe messo meno di un'ora. Prese la chiave
e varcò per la seconda volta la soglia proibita, avvertendo
il solito brivido, l'emozione di trasgredire alle regole.
Lui era ancora lì, nella medesima posizione del giorno
prima, nella stessa sedia; davanti a lui, però, v'era un
tavolino con sopra diversi pezzi di legno, accuratamente sistemati. Il
giovane entrò salutando, e il ragazzo dai capelli rossi lo
guardò adirato.
“ Che ci fai ancora qui? E'
rischioso, lo vuoi capire? ” lo avvertì, sempre
con la consueta calma, ma con un duro ed autoritario tono di voce.
“ Voglio sapere perché
te ne stai sempre in questo posto. Voglio finire la nostra discussione
sull'arte e... e poi non so nemmeno il tuo nome ”
“ A nessuno è dato
sapere il mio nome, tanto meno ad uno come te. Per essere tornato qui,
dopo esserti sicuramente reso conto che questo luogo non è
fra i più sicuri, devi essere proprio lo stupido che sembri
”
Deidara, colto da un impeto di rabbia, lo afferrò per il
bavero della camicia bianca che spuntava dalla giacca nera un poco
sbottonata; egli lo intimò di fermarsi, ma lui pareva non
sentirci.
“ Non ti permetto di darmi dello
stupido, proprio tu che sostiene che l'arte è eterna... dici
solo sciocchezze ed io ti odio, nonostante non sappia nulla di te!
” esclamò ferito nell'orgoglio mentre l'altro,
come se le sue parole e i suo gesti non lo toccassero minimamente, se
ne stava fermo a subire. Questo portò il biondo ad
allontanarsi da lui, senza però staccare gli occhi dalla sua
figura.
Ansimò per qualche secondo, prima di riprendere fiato e
sorridere sfrontato: “ Tu come ti chiami? ”
“ Io sono Deidara. Deidara Iwa
”
“ Bene, Deidara Iwa. Raccontami un
po' come sei giunto a tale conclusione riguardo l'arte. Sono curioso
”
Era sincero. All'inizio la sua presenza lo aveva irritato non poco, ma
quello scatto d'ira aveva fatto sì che il suo cuore si
riempisse di ammirazione verso una persona che credeva davvero
nelle sue convinzioni, per quanto assurde esse fossero. In un certo
qual modo, gli somigliava.
Dopo circa un'ora, però, sorse un problema: oramai il
custode se n'era andato, avevano sentito il motore della sua auto
rombare e Deidara l'aveva visto allontanarsi. Evidentemente, si era
dimenticato di lui. Era vero che il ragazzo avrebbe potuto telefonare a
sua madre, ma perché non sfruttare quell'occasione? Magari
le avrebbe poi mandato un sms avvertendola che rimaneva a dormire da un
amico, o qualcosa del genere. Voleva approfondire il discorso, parlare
ancora con lui, perché nonostante le loro idee fossero
diverse, colui di cui ancora non conosceva il nome di battesimo lo
affascinava. C'era qualcosa di artistico
in lui, malgrado tutto.
Non si fece problemi neppure per la mattina dopo, visto che non sarebbe
stato difficile uscire senza farsi notare, visto che le due aule al
piano più alto venivano utilizzate unicamente per visionare
pellicole inerenti al programma scolastico, e solo ed esclusivamente di
pomeriggio. Un buon modo per costringere gli studenti a restare a
scuola anche nelle ore pomeridiane, insomma, visto che la presenza era
obbligatoria. Tranne in caso di malattia o imprevisti gravi, ovviamente.
Il rosso cercò di farlo desistere dal suo intento e
provò a forzarlo ad avvertire sua madre, perché
sapeva bene che da un momento all'altro sarebbero potuti arrivare gli
altri. Non sapeva di chi fosse la chiave che Deidara possedeva, ma in
circolazione ce n'erano solo due: una apparteneva ad Hidan e l'altra a
Pein.
Lui, però, era irremovibile.
Beh, evidentemente la morte in giovane età era il destino
che più gli si confaceva. Pazienza, se davvero era
così non lo avrebbe impedito. Fondamentalmente a lui
interessava solo una cosa: creare, col materiale a sua disposizione,
quello che gli mancava. Necessitava di qualcosa che i suoi aguzzini gli
avevano prepotentemente strappato via due anni prima, quando si era
avventurato – esattamente come l'Iwa – nel terrazzo
proibito, quando all'epoca era un normale studente dell'istituto,
oramai dimenticato da tutti, molto probabilmente considerato morto.
Fatto sta che nessuno era mai andato a cercarlo in quel posto, come se
anche le forze dell'ordine e il personale sanitario fossero bloccati da
quel qualcosa d'invisibile ed intangibile che caratterizzava chi
insegnava e studiava in quella scuola: la paura. Aveva preso il posto
di Chiyo, che un tempo aveva ricoperto il ruolo di custode, anche lei
“misteriosamente” scomparsa. V'era un particolare
legame fra i due, ma nessuno a parte loro lo sapeva, da quando i
genitori del ragazzo dai capelli rossi erano morti in un terribile
incidente stradale: erano nonna e nipote. E proprio per cercare
l'anziana donna, il giovane aveva osato tanto al punto da violare il
segreto più grande. Fra l'altro, a quel tempo Hidan non
faceva parte dell'organizzazione, in quanto non ancora studente
all'Akatsuki.
Quel gesto gli fu fatale, o meglio, lo fu per le sue gambe. In
conclusione, era come se non le avesse più. Per questo non
poteva muoversi da quella sedia, a meno che qualcuno non lo aiutasse a
farlo. Per questo cercava un modo per poter camminare di nuovo, e
magari per ottenere un corpo impossibile da scalfire, e per farlo aveva
deciso di utilizzare l'arte in cui credeva fin da quando era bambino.
Quindi, non gliene importava nulla degli altri. Ognuno era libero di
decidere arbitrariamente del proprio destino, lui avrebbe continuato a
creare per sé e per chi lo costringeva a farlo, solo ed
esclusivamente per sopravvivere, in previsione del giorno fatidico in
cui avrebbe potuto finalmente correre ancora una volta. Ce l'avrebbe
fatta, ne era sicuro. E allora si sarebbe vendicato per le violenze
subite, trasformando coloro che lo avevano torturato in delle splendide
opere d'arte destinate a non morire mai, ad aver costantemente e per
sempre impresse su di sé le espressioni di puro ed estatico
terrore che si sarebbero dipinte sui loro volti quando lui li avrebbe
privati della loro forza vitale.
“ Beh, fai come ti pare
” disse quindi a Deidara, concentrandosi nuovamente sul suo
lavoro, “ Ma non infastidirmi ”
Il biondo annuì e fece un giro di perlustrazione del
terrazzo, cosa che il giorno prima non aveva fatto; le opere esposte
erano veramente tante, circa un centinaio. Nessuna, però, lo
impressionò più di tanto; erano statiche, e lui
odiava profondamente le cose immobili.
Poi guardò il ragazzo, intento ad assemblare vari pezzi.
“ Insomma, non vuoi proprio
dirmelo? ” gli chiese poi, rompendo il silenzio.
“ Che cosa? ”
ribatté l'altro, scocciato, alzando gli occhi dal tavolo da
lavoro.
“ Il tuo nome ”
Quant'era testardo! No, non voleva dirglielo. O meglio, non poteva.
Doveva preservare il proprio anonimato fino al giorno in cui avrebbe
rivoluzionato il sistema che vigeva da anni all'interno della scuola e
di cui nessuno, tranne chi apparteneva all'organizzazione, contemplava
l'esistenza.
“ No ”
“ Ok. Allora ti
chiamerò danna* ” asserì sorridendo
sornione.
“ E perché? ”
“ Perché, anche se la
tua concezione dell'arte è totalmente assurda, ci credi
davvero. Insomma, il tuo è un artistico modo di pensare*.
Per questo d'ora in poi ti chiamerò danna, uhn! ”
spiegò, sempre col consueto ghigno sul volto, un'espressione
indecifrabile. Era serio o lo stava semplicemente prendendo in giro?
“ Va bene, come preferisci, basta
che adesso
mi lasci in pace ”
Enfatizzò la parola adesso
quel tanto che bastava a convincere il biondo a voltarsi e a cominciare
un nuovo giro panoramico, e si rimise al lavoro. Quel tipo era proprio
strano ma, in un certo senso, lo divertiva. Da tempo immemore non
sorrideva, probabilmente dal giorno in cui aveva salutato i suoi
genitori con un cenno della mano, ignaro del fatto che non li avrebbe
rivisti mai più, se non in fotografia. Certo, il sorriso che
adesso mostrava di tanto in tanto non era quello sincero che rivolgeva
a sua madre quand'ella si complimentava con lui per un buon voto a
scuola o per essersi comportato bene, ma era sicuramente meglio di
niente.
E Deidara, che era rimasto affascinato da lui fin da subito, lo
osservava con sguardo sognante quando le sue labbra si curvavano
appena, disegnando una vera e propria opera d'arte sul suo volto di
porcellana. Un'opera destinata a svanire in poco tempo, e per questo
molto più bella di qualsiasi altra cosa. Desiderava sapere
tutto di lui, conoscere il suo passato e il motivo per cui era
rinchiuso lì – a quanto pare, a causa di Hidan e
dei suoi amici -, ma aveva quasi timore di chiedere. Però
doveva riuscirci, chissà, forse se avesse insistito e se gli
fosse rimasto accanto, qualcosa sarebbe sfuggito dalla sua bocca
invitante.
Aveva constatato che gli piacevano molto le fragole dal momento che, da
quando era tornato sul posto, aveva già divorato tre succhi
al suddetto gusto. Le fragole erano rosse come i suoi capelli, come il
colore che predominava nelle sue opere.
Allungò una mano per toccare la marionetta che il ragazzo
teneva sempre accanto a sé, la famosa Iruko, ma lui lo
fermò, fulminandolo con lo sguardo.
“ Non ti consiglierei di toccarla
” lo avvertì, “ Le armi che sfoggia sono
velenose ”
Velenose, aveva detto? Che diavolo aveva intenzione di fare con quelle
cose? Il mistero s'infittiva. Annuì con un cenno del capo e
guardò l'orologio che teneva al polso sinistro: le due del
pomeriggio. Erano già passate due ore da quando era entrato
di nuovo nel terrazzo e, secondo le sue previsioni, doveva rimanerci
ancora molto tempo: ovvero, fino alla mattina dopo.
Cosa che però, purtroppo, non accadde.
Perché la cattiva sorte è sempre in agguato,
specie nei momenti in cui ci sentiamo anche solo vagamente felici.
“
L'arte è una passione
rischiosa, ma proprio per questo è così bella
”
~
~ ~
*1 Kohai: compagno
di scuola più giovane
*2 Senpai:
compagno di scuola più anziano
*3 Iruko:
la marionetta favorita di Sasori, quella ove si nasconde per non
mostrare il proprio reale aspetto.
*4 Danna:
titolo con cui Deidara, nella storia originale, si rivolge a Sasori.
Letteralmente significa maestro, titolo onorifico che il ragazzo usa
per rispetto verso il suo collega artista.
*5 “ Il tuo è un
artistico modo di pensare ”: riferimento
all'episodio dell'anime in cui Deidara viene a sapere che Sasori
è perito nello scontro con Sakura e sua nonna Chiyo. Il
biondo pensa al suo danna sostenendo ch'egli si è fatto
ammazzare nonostante tutte le sue belle parole sull'arte eterna, lo
maledice, ma infine afferma proprio che il suo era un
“artistico modo di pensare”.
Al
prossimo capitolo! ~
|
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Capitolo 2 *** II - Un occhio per una Fragola ( + Epilogo ) ***
E
finalmente mi decido a postare il secondo ed ultimo capitolo (
più epilogo ) di questa particolare FanFiction.
Ringrazio coloro che l'hanno letta, messa fra le preferite ( e seguite
) e commentata, ci tengo moltissimo a questa storia e mi fa piacere
sapere che l'avete apprezzata.
Attendo
pareri su questa conclusione. ^_^
Capitolo
II – Un occhio per una fragola
Deidara
aveva già imparato a
conoscere perfettamente il rumore che la grande porta faceva quando
si apriva. Anche se, in quel momento, avrebbe preferito non
ricordarlo.
“
E'
finita. Ti avevo avvertito ” disse atono l'artista dai
capelli
rossi, volgendogli uno sguardo che il biondo non comprese appieno.
Sembrava triste, ma al contempo vittorioso. Possibile che fosse
felice del fatto che di lì a poco lo avrebbero scoperto e
con tutta
probabilità fatto fuori? No, non poteva essere
così, si rifiutava
di accettarlo. Certo, si conoscevano – beh, non proprio,
visto che
non sapeva neppure il suo nome – da appena un giorno e mezzo
eppure, dentro di sé, sentiva che non poteva finire
così. Che non
sarebbe finita così, sebbene le facce scure dei due
personaggi che
gli si stavano avvicinando con fare minaccioso promettessero
tutt'altro.
Hidan e Kakuzu stavano camminando
verso di loro, disarmati sì, ma le loro espressioni truci
non
facevano sperare in nulla di buono.
“
Bene,
bene... pare che ci siano ospiti ” ghignò Hidan,
passandosi la
lingua sulle labbra, “ Vi stavate divertendo? Sei contento,
Dei-chan, d'aver rubato
la mia chiave? ”
L'Iwa odiava quando qualcuno lo
chiamava con quel vezzeggiativo. Tuttavia non riuscì a dire
nulla,
si limitò a ricambiare lo sguardo di sfida, senza
però sortire un
grande effetto.
“
Dimmi,
Akasuna ” disse poi Kakuzu, rivolgendosi all'altro giovane,
“ Vi
conoscete? ”
“
E'
capitato qui per caso ” rispose lui, “ Io non lo
conosco ”
L'altro lo guardò spaesato;
perché si stava comportando in quel modo? Allora di lui non
gliene
importava proprio nulla... non che pretendesse poi molto, certo, ma
almeno una minima considerazione...
“
E
tu cos'hai da dire, biondino? ” domandò il capo,
scambiandosi
un'occhiata complice con la ragazza che aveva a fianco.
“
Io...
uhn... davvero, ho trovato quella chiave ma pensavo di restituirla il
prima possibile... per curiosità l'ho provata sulla porta
del
terrazzo ed ha funzionato, ma non ho intenzioni strane. E' successo
tutto per puro caso, proprio come ha detto lui ” si difese,
domandandosi poi che cosa ci facessero quei quattro a scuola di
pomeriggio. Beh, probabilmente avevano intuito qualcosa e si erano
nascosti da qualche parte per sfuggire al custode, per poi andare a
controllare la situazione.
“
Sei
bravo a raccontare le bugie... ” commentò Hidan,
“ Dì un po',
come pensi di cavartela? Hai scoperto cose di cui chi non appartiene
all'organizzazione dovrebbe rimanere all'oscuro, ed ora tu sai...
”
“
Non
ho mentito! ” sbraitò il biondo, scagliandosi
contro l'albino in
uno scatto rabbioso; fu prontamente bloccato da Kakuzu, che lo
strattonò per la maglia per poi intrappolarlo in una stretta
che lo
lasciò quasi senza fiato.
E il suo nemico rise, di gusto,
nel vederlo sottomesso a quel modo. Sì, sapeva benissimo
come fargli
scontare la sua pena.
“
Ho
in mente qualcosa per te. Dovrai fare tutto quello che ti
dirò, se
vorrai sopravvivere ”
Strabuzzò gli occhi. Aveva già
capito, grossomodo, che cosa egli desiderava. E la cosa non lo
allettava affatto.
“
E
che cosa dovrei fare, quindi? ”
Rise ancora, lo stronzo. Lo fece
carezzandogli il volto, ma non fu un gesto di pietà,
ovviamente.
Piuttosto, di scherno.
“
Lasciarti
scopare ” sentenziò, “ Dal sottoscritto.
Ogni volta che ne avrò
voglia ”
“
L'essere
umano è la creatura più crudele che esiste al
mondo ”
Aveva voglia di piangere, ma non
poteva permettersi di vacillare. Ma non poteva neppure rifiutarsi, un
no gli sarebbe costato la vita. E lui era ancora troppo giovane per
andarsene da quel mondo che odiava, non poteva abbandonarlo senza
aver mostrato a tutti quanto splendida fosse l'arte che gli donava la
forza di andare avanti.
L'altro non fiatò, dal momento
che sapeva bene che sia che rifiutasse o che accettasse quelle
assurde convinzioni, alla fine Hidan lo avrebbe ucciso per il proprio
personale piacere, indi i loro superiori non si sarebbero posti alcun
problema.
Il rosso osservò la scena inerme,
senza proferire parola. Sapeva di essere già a rischio, e
non poteva
permettersi di sgarrare.
“
Tu
continua a lavorare ” gli ordinarono, voltandosi e
allontanandosi.
L'albino fece cenno a Kakuzu di
lasciare il ragazzo, e così fu. Riprese fiato, avvicinandosi
all'altro artista.
“
Non
hai nulla da dire? ” gli chiese, gli occhi colmi di rabbia.
“
Io
ti avevo avvisato, ti avevo detto che stare qui era pericoloso
”
disse, freddo, “ Non è affar mio quel che ti
accadrà d'ora in poi
”
Fottuto bastardo. Lo strattonò di
nuovo, ma stavolta non si fermò; ci mise tutta la forza che
aveva, e
inorridito lo guardò cadere a terra inerme, senza un lamento.
“
Che
diavolo... ”
Hidan sorrise ancora una volta,
mentre Kakuzu lo aiutava – se così si
può dire – a rialzarsi
senza delicatezza alcuna. Che stava succedendo? Non ci capiva
più
nulla. Perché non aveva opposto resistenza? Possibile che...
“
Dovresti
dirmi cos'hai deciso, non ho molta pazienza, e lo sai... ” si
sentì
intimare poi, ed avvertì un brivido gelido lungo la schiena.
Non
poteva far altro. Non v'era altro modo.
“
Sì
” disse, “ Farò quello che vuoi
”
Si
era cacciato in un grosso
guaio, e ne era perfettamente consapevole. Aveva addirittura
accettato di diventare lo schiavetto personale dell'essere umano che
più odiava, pur di sopravvivere. Però aveva in
mente qualcosa, ma
doveva necessariamente rifletterci a mente fredda; sicuramente non
gliela avrebbe data vinta così facilmente, lui avrebbe
dovuto
combattere per avere la supremazia sul suo corpo.
Pensava a questo seduto sul
proprio letto, osservando la chiave che stranamente non gli era stata
confiscata; possibile che se ne fossero dimenticati?
E poi rimuginava sulla reazione
del tipo che aveva scoperto chiamarsi Akasuna di cognome; aveva un
sospetto, ma non era sicuro di nulla. Doveva andare fino in fondo, e
scoprire tutta la verità su di lui e sulle
attività di quella
“organizzazione”.
Mentre se ne stava assorto
rigirandosi l'oggetto fra le dita, il suo cellulare squillò.
Guardò
il display: chiamata anonima. Aveva una mezza idea di chi potesse
essere, infatti per qualche secondo si sentì dubbioso.
Rispondere
oppure no?
Alla fine optò per la prima
opzione, sentendo la voce di Hidan dall'altra parte.
“
Vieni
a casa mia, subito ” gli ordinò, la voce ferma e
decisa.
Cazzo. Non si aspettava una cosa
così immediata. Dunque doveva rassegnarsi e cedere? No. Per
nulla al
mondo lo avrebbe fatto. Si congedò con un semplice ok,
chiudendo
velocemente la telefonata. Non aveva molto tempo, doveva organizzarsi
in pochi minuti se voleva evitare il peggio.
“
Allora...
un pentolino, una fonte di calore, dello zucchero e del salnitro*...
salnitro... che cosa sarà mai? ”
Su internet si può trovare
veramente di tutto, lo aveva scoperto col sorriso sulle labbra. Tutto
ciò gli sarebbe sicuramente servito.
“
Oh,
ecco che cos'è. Dunque è semplicissimo!
”
Grazie ad una elementare
formula, Deidara aveva costruito la sua prima bomba artigianale, per
la precisione un piccolo fumogeno.
Gli era bastato mettere in
pentola dello zucchero e del salnitro facilmente reperito, aspettare
che raggiungesse la giusta consistenza e, dopo averlo lasciato
asciugare, innescarlo con un accendino. Chiaramente, lo aveva fatto
quand'era da solo in casa. L'effetto era stato interessante, per un
po' il fumo aveva annebbiato l'intera cucina, per poi fuggire dalla
finestra leggermente socchiusa.
E il giovane aveva esultato,
euforico, osservando la sua prima, vera opera d'arte.
Oramai
per lui era diventata una
routine costruire quei piccoli ordigni, quindi non gli ci volle
molto. Poi si mise i primi vestiti che trovò aprendo
l'armadio ed
uscì di corsa, pedalando fino a casa del proprio compagno di
classe.
Si sentì un po' teso, ma quel che teneva nella tasca interna
della
giacca a vento lo tranquillizzava. Al momento opportuno lo avrebbe
usato, non avrebbe mai permesso all'albino di mettergli le mani
addosso; non così facilmente.
“
Finalmente
sei arrivato, mi stavo annoiando ” gli disse per salutarlo,
spingendolo ad entrare.
Non era cambiato nulla,
all'interno di quell'abitazione: il corridoio luminoso, le porte
chiuse che mettevano curiosità, la sua stanza caratterizzata
da luce
soffusa e una miriade di poster dalle tinte dark attaccati
all'anonimo muro completamente bianco. I suoi genitori non c'erano
praticamente mai causa lavoro, indi Hidan aveva quasi sempre casa
libera. Il sogno di ogni adolescente, insomma.
Lo trascinò in camera sua,
invitandolo a sedersi sul letto.
“
Che
cosa vuoi fare? ” tagliò corto l'ospite, senza
aspettare che
l'altro parlasse. La sua irruenza mista a sfacciataggine lo fece
sorridere, e lo portò a sedersi accanto a lui, poggiandogli
una mano
audace sulla gamba sinistra.
“
Tu
che ne pensi? ”
Deidara si accorse che con l'altra
mano si stava frugando in tasca, e s'insospettì. Che cosa
stava
cercando? Istintivamente si allontanò un poco, e l'altro
ghignò.
“
Non
avere paura. Sono sicuro che ti piacerà ”
Estrasse un coltello e serramanico
dai pantaloni, e si scagliò contro il ragazzo che
reagì,
spostandosi e tirando fuori il fumogeno che aveva preparato, assieme
ad un accendino. Lo innescò, ma Hidan fece comunque in tempo
a
raggiungerlo, agitando l'arma senza vedere nulla, a causa della
nebbia che in un attimo invase la stanza. Tossirono entrambi, il
biondo cercando la porta e l'altro tentando disperatamente di
colpirlo, ricordandosi di non aver chiuso a chiave.
Poi si scontrarono, e il folle
colpì alla cieca, raggiungendo il giovane all'occhio
sinistro.
“
Darei
volentieri anche un occhio, per la mia arte; ma solo uno,
perché
dovrò essere comunque in grado di vedere ciò che
creerò ”
“
Fottuto
stronzo! Cazzo! ” imprecò, il sangue che scorreva
sul suo volto di
porcellana, che macchiava i vestiti e il pavimento. Il dolore che
avvertì in quel momento fu indescrivibile. Malgrado
ciò, però,
riuscì ad aprire la porta e a scappare, mentre il suo
aguzzino
combatteva contro il fumo che gli annebbiava la vista.
Ma non sarebbe andato molto
lontano, già lo sapeva. Una volta uscito in strada chiese
aiuto, e
per sua fortuna dei passanti chiamarono velocemente un'ambulanza.
Dopodiché, perse conoscenza.
Furono le urla isteriche di sua
madre a svegliarlo, quando l'effetto degli antidolorifici e dei
tranquillanti si affievolì. Si ritrovò su di un
letto d'ospedale,
una benda sull'occhio sinistro, la donna che lo guardava con le
guance rigate di lacrime.
“
Chi
è stato a farti questo? In che guai ti sei cacciato,
Deidara? ”
In che guai ti sei cacciato...
pareva possedere veramente un sesto senso! Sì, si trovava in
un bel
guaio, anche perché non poteva accusare colui che
effettivamente era
colpevole delle sue ingiurie. Se lo avesse fatto, allora sì
che
sarebbe finito male. Si domandò se Hidan avesse intenzione
di farlo
fuori con quel coltello, o se magari voleva solamente usarlo per
qualche gioco perverso; conoscendolo, anche la seconda ipotesi non
era poi così improbabile.
“
Non
lo so. Qualcuno mi ha tirato un fumogeno, o qualcosa del genere, poi
mi ha attaccato alle spalle... sono scappato, ho chiesto aiuto, ma
non ho idea di chi sia stato ” mentì, ma la bugia
era veritiera.
In fondo, in giro i delinquenti non mancavano di certo. E c'era anche
chi faceva del male agli altri senza un valido motivo, magari solo
per scacciare la noia.
Poi si mise a pensare, e decise
che forse era vero che tutto il male non veniva per nuocere; da un
lato non sapeva ancora quale fosse il destino del suo occhio, ma
dall'altro avrebbe potuto sfruttare il periodo di convalescenza
preparando la sua vendetta. Doveva fargliela pagare, e allo stesso
tempo dimostrare al suo “rivale” quanto fosse
azzeccata la sua
idea d'arte. Avrebbe preso due piccioni con una fava, e finalmente si
sarebbe sentito realmente fiero di sé.
Passò ore e ore a fissare le
pareti bianche dell'ospedale – anonime come quelle della
stanza ove
il suo sangue era stato versato – e a rimuginare su quel che
aveva
in mente, ridendo ogni tanto senza un'apparente motivazione. Il
dolore ricominciò a farsi sentire dopo un bel po',
lancinante, tanto
che fu costretto a chiamare un'infermiera; gli antidolorifici
funzionavano, lo aiutavano a rilassarsi, ma dentro di sé
conosceva
già il verdetto. Una ferita di quel genere non si sarebbe
mai
rimarginata senza provocare alcun danno, non era possibile.
Ciò
nonostante non riusciva ad esser negativo, e forse questa era la sua
migliore qualità; in qualsiasi situazione riusciva a vedere
una via
d'uscita alla fine del tunnel, la salvezza, la splendida luce di un
colorato fuoco d'artificio.
“
Signora,
ci dispiace infinitamente. Non abbiamo potuto salvare l'occhio di suo
figlio ”
Deidara sospirò, mentre sua madre
continuava ad urlare. La odiava quando faceva così e la
odiava
quando si preoccupava troppo per lui e lo intimava di smetterla con
le sue assurde fantasticherie. Non la sopportava perché lei
non
capiva, e non avrebbe mai compreso ciò che lo aiutava a
perseverare,
a credere in un futuro diverso in cui sarebbe stato ammirato dagli
altri, ad essere forte in ogni periodo della propria vita, bello o
brutto esso fosse.
“
Possibile
che tu non soffra per questo? Possibile che non ti tocchi minimamente
il fatto di essere diventato orbo? ” gli disse mentre lo
riaccompagnava a casa, stringendo convulsamente il volante della
monovolume che guidava. E lui fece spallucce senza risponderle,
facendola infuriare ancora di più, ma non gli importava. Ora
aveva
ben altro a cui pensare. Guardò fuori dal finestrino,
scorgendo la
villetta ove Hidan abitava un poco nascosta dietro le verdi siepi del
giardino ben curato; lanciò una silenziosa maledizione,
sperando che
dovunque egli fosse avvertisse un brivido percorrergli la schiena,
una sorta d'avvertimento, un oscuro presagio.
“
Preparati,
fottuto bastardo. La mia arte illuminerà il mondo ed
abbaglierà il
tuo Dio, che sarà costretto ad ammettere la sua bellezza,
prima di
scomparire assieme ad essa ”
In
casa aveva già tutto l'occorrente; teneva le sue cose in un
cassetto
chiuso a chiave, custodite gelosamente. Si era procurato quella roba
con fatica, scegliendola accuratamente, e comprandola sotto falso
nome. Era un ragazzo astuto ed abile perfino nell'arte del
travestimento, avrebbe fatto di tutto per la sua ragione di vita,
anche diventare un'altra persona nel momento del bisogno.
Così era
riuscito ad accumulare un pericoloso quantitativo di polvere pirica*,
di micce detonanti*, e tubi di plastica*. Aveva anche lasciato
perdere gli involucri di carta, propendendo per quelli in pvc, ancor
più illegali degli altri*. Chiunque avesse scoperto il suo
segreto
lo avrebbe dato per matto e probabilmente rinchiuso in un ospedale
psichiatrico. Deidara sapeva bene di essere folle, ma non voleva
essere paragonato a qualcuno affetto da comuni disturbi psichici. La
sua vocazione era tutto per lui, per quanto assurda e pericolosa essa
potesse essere. E se seguire la propria fede
senza mai guardare indietro significava essere etichettato come
pazzo, beh... allora era fiero di esserlo.
Doveva fare in fretta e preparare
tutto al meglio per il suo spettacolo. Aveva una settimana di tempo,
ossia quello che da solo si era concesso prima di tornare a scuola.
Ovviamente sua madre non era d'accordo, a parer suo si trattava di un
periodo troppo breve, ma lui non poteva attendere oltre.
Si chiuse in camera per giorni,
mangiando sporadicamente, senza dormire mai. Alla fine ne aveva
preparate sei, ed era decisamente soddisfatto del proprio lavoro.
Erano piccole, ma gli assicuravano comunque un buon risultato.
L'ultimo giorno decise di prendersi un po' di riposo, dormendo
qualche ora; doveva essere fresco, non poteva assolutamente
permettersi di sbagliare. Anche il minimo errore, e tutto sarebbe
andato perduto.
Si
era informato sulle loro
abitazioni, e fortunatamente esse si trovavano tutte vicine alla
scuola. Sì, la vista da lassù
sarebbe stata superlativa.
“
Mamma,
io esco! ” le disse il lunedì mattina, uscendo con
lo zaino in
spalla.
“
Deidara!
Si può sapere dove vai? Davvero torni già a
scuola? ”
“
Uhn...
no, per oggi no. Vado a recuperare i compiti da un amico, anche lui
è
a casa ammalato ” mentì spudoratamente,
allontanandosi
velocemente, salutando la donna con un cenno della mano.
“
Grazie
per avermi dato alla luce, mamma; adesso la mia
luce ti permetterà di strappare le radici che ti ancorano a
questo
mondo, e potrai gioire per la mia gloria da dovunque ti troverai
”
Era
il momento giusto.
Fu un lavoro duro, curato nei
minimi particolari, mentre i diretti interessati non si trovavano in
casa. Aveva calcolato tutto: i ragazzi erano a scuola, e i genitori
al lavoro, ignari del proprio destino. Senza farsi vedere,
indifferente, passò per le stradine secondarie, quelle poco
trafficate. Infine strinse fra le mani il suo detonatore e si nascose
nel retro dell'edificio scolastico, sgattaiolando all'interno grazie
alla finestra della palestra in quel momento deserta, che era stata
lasciata aperta. Stette per un po' dentro l'enorme stanza,
riprendendo fiato, seduto sul freddo pavimento. Doveva pensare.
Tramortire il custode poteva essere un'idea, ma doveva trovare
qualcosa per metterla in pratica; frugò nei vari armadietti,
trovando una mazza da baseball. Perfetto. Sorrise, pregustando il
momento fatidico.
L'occhio inutilizzabile fasciato
dalla benda bianca non faceva quasi più male.
“
Si
può morire, per l'arte. Oppure si può stare al
sicuro in un angolo
ad osservarla, mentre corrode il male che affligge il mondo ”
Silenziosamente,
quando la
campanella suonò e il custode andò ad assicurarsi
che in palestra
fosse tutto in ordine, gli apparì alle spalle colpendolo
violentemente con la mazza che aveva trovato. Forse era stato perfino
troppo cattivo, con lui. Però, se per vincere era necessario
mettere
a repentaglio la vita di persone innocenti, lo avrebbe fatto senza
nessun rimpianto; o forse ogni tanto il suo pensiero sarebbe volato
verso di loro, ma ciò non lo avrebbe fermato. Un artista
deve
imparare a sublimare la sofferenza, convertendola in bellezza da
condividere con gli altri.
“
Che
diavolo ci fai ancora qui? Pensavo ti avessero fatto fuori ”
Quando lo rivide, Deidara capì
che se era ancora vivo non era solo per la sua arte. La visione delle
labbra vermiglie strette sulla cannuccia lo travolse come una
tempesta. Aveva barattato un occhio con una succosa fragola; uno
scambio niente male.
“
Ci
vuole ben altro per farmi fuori. E ciò che non mi uccide, mi
rende
più forte ” rispose lui, avvicinandoglisi.
“
Che
ti è successo all'occhio? ”
“
Oh,
un piccolo incidente. Posso farti qualche domanda adesso? ”
“
...
e va bene ” si rassegnò. Lo fece perché
sapeva benissimo che se
non avesse annuito, quel rompiscatole avrebbe comunque continuato il
suo fastidioso interrogatorio.
Il ragazzo dai capelli rossi si
chiamava Sasori, ed era poco più grande di lui*, anche se
non lo
dimostrava. Viveva – se così si poteva dire
– nel terrazzo
proibito da due anni, costretto dai membri dell'organizzazione. Non
poteva camminare, perché a causa delle loro violente
percosse, si
era ritrovato semi-paralizzato per problemi alla spina dorsale.
“
E
perché ti tengono rinchiuso qui? ”
“
Non
è difficile da capire, idiota. Comunque, sai che non posso
parlarne
”
L'altro sorrise. Una chiamata
anonima ai genitori era sicuramente stata di grande aiuto, per farli
andare a casa di corsa senza fermarsi a fare altre cose. Almeno ci
sperò, visto che era l'unica incognita che il suo piano
presentava;
ma oramai il più era fatto e, come si suol dire, o la va o
la
spacca. Adesso era più forte e, qualsiasi cosa sarebbe
successa,
avrebbe vinto. E avrebbe portato Sasori con sé.
“
Adesso
non hai più niente da temere ”
Gli si affiancò, abbassando la
zip della felpa verde che indossava, per stare più comodo.
Poi portò
alla bocca un panino, mentre il rosso continuava a sorbire il
contenuto del piccolo cartone bianco e rosa.
“
Ti
va di baciarci, danna? ” chiese poi, a bruciapelo.
L'altro quasi si soffocò col
dolce liquido, tossendo più volte. Che razza di domanda era,
quella?
Si voltò verso di lui, e il
giovane non gli lasciò dire nulla, avventandosi sulle sue
labbra.
Quelle che voleva, quelle che in silenzio aveva bramato, senza
accorgersene.
Fu un bacio lungo e umido, alla
fine Sasori si lasciò andare, nonostante inizialmente fosse
titubante; non aveva mai provato niente di simile. Deidara
mugolò
nell'atto, deliziandosi di quell'inebriante sapore di fragola. Lo
strinse a sé carezzandogli i capelli arruffati, mentre con
l'altra
mano gettava il panino a terra e frugava nello zaino alla ricerca del
detonatore. Lo attivò, gettandolo poi il più
possibile lontano da
loro. Il suo amante non si rese conto di cose stesse facendo,
tant'era preso da quel sublime momento; solo quando avvertì
un boato
fin troppo vicino si staccò dalla sua bocca avida. Il
terrazzo aveva
preso fuoco, ma l'esplosione era stata minima. Guardò fuori
dalla
vetrata: una nube di fumo si era levata in cielo, fiera, e proveniva
dal parco vicino alla scuola – quello in cui aveva passato
alcuni
pomeriggi assieme ad Hidan -. Poi un'altra esplosione invase la casa
che scoprì essere di Pein, poi quella di Konan, e
conseguentemente
andarono a scoppiare altri tre ordigni. Nell'abitazione di Kakuzu, in
quella di Hidan, e in quella... di Deidara.
“
Ma
come... ”
“
Un
filo invisibile. Non lo avevi notato, eh? Tipo quelli che si usano
per le marionette, solo un po' più spesso ”
L'Akasuna lo apostrofò con un
“pazzo” appena sussurrato, prima di posare
nuovamente lo sguardo
sulla piccola apocalisse che si stava consumando di fronte a loro.
“
Guarda
che spettacolo ”
“
L'Arte
è esplosione! ”
“
Perché
lo hai fatto? Ti sei messo nei casini, spero tu ne sia consapevole
”
lo avvertì Sasori, severo.
“
Volevo
dimostrarti quanto vera fosse la mia arte. E' o non è
più
affascinante delle tue statiche creazioni? ”
Lo guardò torvo, rispondendo con
un secco “no”. Però continuò
ad osservare il fumo invadere la
città, e istintivamente si avvicinò di
più a quel pazzo che aveva
accanto. Nonostante tutto, la sua presenza non gli dispiaceva.
Da quando lo avevano rinchiuso in
quel luogo per sfruttare la sua bravura per lucrosi scopi, non aveva
mai avuto contatti con nessuno. Deidara era probabilmente l'ultima
persona che avrebbe voluto incontrare, ma anche l'unica.
“
Baciami
ancora, danna ”
“
Sperando
che non sia l'ultima volta ”
Aveva
distrutto anche la propria
casa, e soffocato là dentro la donna che lo aveva messo alla
luce;
le era grato per questo, ma voleva strappare le catene che lo
legavano a quel mondo che tanto odiava, e il cambiamento doveva
essere radicale. E così fu.
Non sapeva dove sarebbero andati,
né come sarebbero sopravvissuti, comunque si era portato
dietro
tutti i soldi che nel corso degli anni aveva messo da parte. Poi si
sarebbe trovato un lavoretto, anche part time, e avrebbe cercato un
posto dove stare; magari un semplice monolocale, o uno scantinato.
Andava bene tutto, l'importante era fuggire lontano da quella
città
e stare con lui. Non aveva bisogno di nient'altro.
Prese il ragazzo in braccio,
meravigliandosi della sua leggerezza; quegli stronzi lo facevano
anche mangiare poco, evidentemente. Ora, però, erano stati
adeguatamente ripagati per le sofferenze inflitte alla creatura che
non meritava un simile trattamento, ma solo sguardi complici e baci
profondi. O almeno così sperava; comunque si sentiva
particolarmente
ottimista. Forse aveva un sesto senso che gli permetteva di vedere al
di là del denso fumo che pareva voler mangiare l'intera
metropoli, o
forse era la sola e semplice presenza dell'altro che lo faceva star
bene. Corse evitando le fiamme che si stavano propagando, e con
fatica lo portò giù per le scale, giungendo di
fronte all'uscita.
Ovviamente era chiusa, indi decise di rompere una finestra,
tagliandosi alle mani con i frammenti di vetro che si sparsero qua e
là a causa dell'urto; ma non ci fece neanche caso, tant'era
la
voglia di scappare e di perdersi nel suo profumo, nel rosso dei suoi
capelli e delle sue labbra, nei suoi baci al sapore di fragola.
Non fu facile portare Sasori fuori
di lì, contando che l'artista pianse più volte le
proprie opere
rimaste sul terrazzo, ma Deidara gli promise che avrebbe potuto
continuare a coltivare la sua passione, nonostante egli non
l'approvasse. In fondo, per lui aveva fatto tutta quella confusione.
Non voleva ammetterlo neppure a se stesso, ma il rosso era il suo
punto di riferimento, l'unica persona con la quale desiderava
trascorrere il resto della sua vita, sebbene alla fin fine non lo
conoscesse affatto. Che il tempo rimasto fosse tanto o poco non
importava, gli bastava poterlo stringere e litigare circa quale fosse
la vera arte fra le due che sostenevano.
Aveva comprato due biglietti di
sola andata per la città più lontana che il treno
poteva
raggiungere da lì, e fortunatamente arrivarono alla stazione
puntuali. Una volta sul treno si sedettero ascoltando il notiziario,
grazie alla radio in filodiffusione presente sul convoglio. Si
parlava insistentemente delle esplosioni che avevano devastato un
quartiere della città, di chi aveva perso la vita
– fra cui
quattro giovani studenti di liceo e una donna sui quarantacinque anni
–, delle conseguenze del gesto di un folle che aveva
distrutto
l'armonia di quel luogo.
“
Certo,
come se quel cazzo di posto fosse stato tranquillo, prima d'oggi
”
commentò il biondo, guardando il paesaggio fuori dal
finestrino,
dicendo silenziosamente addio alla cittadina in cui era nato e
cresciuto. Poi il suo sguardo verté verso il suo
accompagnatore,
silenzioso spettatore della sua tanto agognata vittoria.
“
Che
cosa faremo adesso? ” gli domandò, con poco
– o per meglio dire
nullo – entusiasmo, come al solito.
“
Per
il momento ho pensato di starcene per un pochino in un motel o
qualcosa di simile, poi troveremo un posto dove stare, tranquillo
”
“
Come
fai ad essere così calmo? Non pensi che qualcuno potrebbe
sospettare
di te, non trovandoti più? ”
Lecita domanda.
Il ragazzo parve pensarci su, e
poco dopo schioccò le dita, sorridendo: “ Ho detto
a mia madre che
andavo a studiare da un amico; non le ho detto da chi, ma lei non
potrà parlare, dal momento che... beh, sai bene
com'è andata. A
scuola il custode non ha fatto in tempo a vedermi, perché
l'ho
aggredito alle spalle. Inoltre, non avevo mai fatto parola con nessuno
circa la mia passione, tranne che al mio professore; ma
sinceramente non penso che ciò possa creare problemi
”
“
Mh
” borbottò Sasori, per nulla convinto.
“
Potresti
almeno fare una faccia un po' più decente, uhn! Ho fatto
tutto
questo per te, e mi ripaghi così? ”
“
Non
lo hai fatto per me, Deidara. L'hai fatto per te ”
Quelle
parole furono come una doccia gelida per il giovane; la
consapevolezza d'essere un perfetto egoista lo assalì e lo
scosse
come un uragano, eppure non riuscì a sentirsi in colpa. E'
vero, lo
aveva fatto per sé, per dimostrare d'aver ragione, per non
essere
più maledettamente solo.
Ma non era nella sua natura ammettere le proprie
responsabilità,
indi fece finta di non aver compreso ciò che gli aveva detto.
Per tutto il viaggio non aprirono
più bocca, forse perché alla fine non v'era nulla
da dire. Ed era
vero che rischiavano grosso, che Deidara poteva benissimo essere
sospettato, che non sapevano se sarebbero realmente sopravvissuti in
quella realtà cruda, resa finta e vivibile dalla
televisione, ma in
verità tutt'altra cosa.
Due giovani da soli contro il
mondo e la società moderna, spinti dall'amore per la propria
arte e
da quello che provavano l'uno per l'altro, seppur senza dirselo.
“
Non
parlare, non guardarmi così; resta in silenzio e voltati per
non
vedermi bruciare
Lascia che giochi col tuo corpo
e permettimi di lacerarmi grazie ad esso.
Tu non devi fare nulla, solo
immaginare il mio viso in preda all'estasi più sublime;
ma non mi guardare, mai, perché
altrimenti sarà troppo dura dirti addio ”
Aroma
di fragola, perseverava. Era
come se ce lo avesse sempre e costantemente addosso, ed era
così
dannatamente piacevole...
E Sasori era suo, suo e soltanto
suo. Per sempre e per un istante. Tutto combaciava perfettamente.
~
~ ~
*1
Salnitro:
nitrato
di potassio. Solido cristallino incolore, dal sapore leggermente
amarognolo, solubile in acqua. Se puro, non è infiammabile.
Può essere utilizzato per
costruire fumogeni artigianali o fuochi d'artificio, dal momento che
a contatto con elementi combustibili come carbone e saccarosio (
zucchero ) innesca fiamme.
Mi sono informata per quanto
possibile per non scrivere assurdità nella fanfiction,
secondo la
spiegazione che ho trovato sul web il salnitro è facilmente
reperibile dal macellaio ( questo perché si tratta di un
additivo
alimentare usato nella conservazione di salumi e carni salate ),
oppure in natura in ambienti umidi quali cantine, grotte e/o stalle.
*2
Polvere
pirica:
polvere nera o polvere da sparo.
*3
Micce
detonanti:
le micce si possono distinguere in due tipi. Quelle a lenta
combustione e quelle detonanti. Queste ultime sono corde riempite
quasi sempre di pentrite ( Tetranitrato di pentaeritrite ), uno degli
esplosivi più potenti in circolazione. Le altre invece sono
generalmente di cotone, rivestite con sostanze che le rendono
impermeabili e presentano una sottile anima di polvere pirica. Il
biondo usa il primo tipo di micce perché, come si legge nel
momento
in cui innesca le sue bombe, desidera un effetto a catena provocato
dal detonatore .
*4
Tubi
di plastica:
metodo generalmente utilizzato nelle tecniche di brillamento.
Attraverso il tubo di un diametro esterno di circa 3 mm ( con
superficie interna ricoperta di un sottile strato di esplosivo ) si
trasmette l'onda d'urto.
*5
Involucri
in carta o in pvc:
in altre parole, Deidara costruisce delle bombe carta. Ma non del
tipo classico, perché decide di variare il loro involucro,
come
viene – purtroppo – spesso fatto nella
realtà per poter
provocare più danni a persone e/o cose. Grazie ad un
involucro in
pvc, infatti, viene sfruttato il picco massimo della polvere
contenuta all'interno dell'ordigno, sprigionando così un
enorme
quantitativo di energia.
*6
L'età
dei protagonisti:
come in molte mie fanfictions, ho “ringiovanito”
Sasori. Come
sappiamo, nella storia originale Deidara ha 19 anni mentre Sasori 35,
ma in questo caso mi serviva una differenza d'età meno
consistente.
Epilogo
~
Nei
momenti in cui si beava della
visione del suo corpo privo degli abiti e dei suoi ansiti mal
trattenuti gli veniva sempre da pensare al giorno, neanche troppo
lontano, in cui avrebbe mostrato a tutti la sua ultima, splendida
opera d'arte. Probabilmente il suo amante lo avrebbe offeso, forse
addirittura odiato, ma quello era l'epilogo che aveva scelto per il
loro rapporto e per la propria vita, perché non poteva
permettersi
di essere scoperto.
Che
egoista, era.
Eppure amava, di quell'amore che
fa quasi male e che ti logora l'anima, anche se ammetterlo sarebbe
stato troppo deprimente per un artista che non credeva minimamente in
qualcosa d'eterno. Nonostante questo, però, desiderava
restare per
sempre al suo fianco, prima e dopo la morte.
Che
personaggio assurdo, era.
“
Dolce
come le fragole che prima d'ora non mi erano mai piaciute, danna.
Rosso di passione come la luna
stemma di quella scuola maledetta.
Bello e conturbante come
un'opera d'arte proibita, come una rosa destinata a sfiorire perfino
troppo presto.
Credo d'aver capito perché ti
tenevano rinchiuso lì.
Ma ora sei mio, mio e di nessun
altro. Ho vinto. Ora sorridi ”
Fine
~
“
Quanto
ti ho sentita mia, dentro quel vagone mentre il treno che fischiava
ci portava via.
Tu sei mia, quando vuoi, ma
sei mia. Quanto, tu non lo sai ”
Gatto Pancieri - “ Mia ”
~
~ ~
Note
finali:
vorrei
chiarire alcune cose a proposito della caratterizzazione di Deidara.
Io lo vedo così, personalmente: è un folle, e
questo lo si sa.
Farebbe di tutto per mostrare agli altri la bellezza della sua arte,
e anche questa è cosa nota. Però a parer mio si
tratta anche d'un
personaggio molto egoista, e lo dimostra il fatto che durante tutta
la storia non pensa ad altri che a se stesso, nonostante comunque
provi dei sentimenti per Sasori. Inoltre,
per
quanto io lo ami – in fondo, utilizzo quasi sempre lui quando
si
tratta di scrivere qualcosa su Naruto –, lo considero
fondamentalmente un perdente, ed ho cercato di far trasparire
attraverso queste righe questa sua caratteristica; è
determinato,
coraggioso, rischia la vita e si sacrifica pure per i suoi ideali
–
e ciò sarebbe degno di lode –, ma non comprende i
pensieri di chi
gli sta vicino e di chi crede in qualcosa di diverso. Per questo
arriva ad uccidere se stesso e chi ama, prima con le parole e poi con
i fatti. Perché, alla fine, non ha altro modo per dimostrare
di
esistere.
Il
suo egoismo, in questo caso specifico, è mostrato
soprattutto alla
fine quando dice: “ Ho vinto. Ora sorridi ”
In
altre parole, considera Sasori una sua proprietà, ma in
verità non
trova un vero e proprio modo per tenerlo sempre con sé,
probabilmente perché non ne è capace.
So
che è una visione alquanto severa per una che dice d'amare
un
personaggio, ma è così che lo vedo, e proprio per
questo motivo
trovo che scrivere di lui sia particolarmente stimolante,
perché il
suo è un carattere dalle mille sfaccettature. Una psicologia
interessante, insomma; e così lo è anche quella
di Sasori.
Questo
per dire che non credo di essere andata OOC, ma questo ovviamente
dovete deciderlo voi. ^.^
Riguardo
la strofa che ho inserito a fine fiction, è tratta da una
canzone a
me molto cara ed ho pensato si addicesse alla storia; ovviamente, il
“mia” in questo caso viene trasformato in
“mio”. XD Non l'ho
modificato per rimanere fedele al testo originale.
(
tutte le informazioni sono state reperite su Wikipedia, e sono a
titolo puramente informativo, più che altro volevo essere
sicura di
non inserire qualche stupidaggine all'interno della storia, indi ho
preferito informarmi il più possibile prima di scrivere
qualsiasi
cosa. Quindi, ovviamente, don't
try this at home,
ma non penso ci sia bisogno di dirlo XD )
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