Gocce di Tenebra di Leyla Malfoy (/viewuser.php?uid=2183)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra Erica e Peonie ***
Capitolo 2: *** Un livello incresciosamente basso ***
Capitolo 3: *** Io credo alle Promesse ***
Capitolo 4: *** Consuetudini ***
Capitolo 5: *** Improbabilità multipla ***
Capitolo 6: *** Paura fiducia scuse ***
Capitolo 7: *** Fratelli ***
Capitolo 8: *** Topo e Serpente ***
Capitolo 9: *** Vecchie e nuove generazioni ***
Capitolo 10: *** Noli me tangere ***
Capitolo 11: *** L'infinito potere di una porta ***
Capitolo 1 *** Tra Erica e Peonie ***
1
Tra
Erica e Peonie
Come
al solito fu un incubo, e come in ogni incubo che si rispetti pioveva talmente
tanto che i contorni delle cose erano confusi, sfocati. Naturalmente, questo
non era per niente rilevante agli occhi di sua madre, che si riparava sotto un
ombrellino di pizzo con tale grazia da ricordare un balletto classico. Rosnake
si copriva la testa con la Gazzetta del Profeta, sussultando ogni volta che un
rivolo d’inchiostro sciolto le si infilava nel colletto. Sperò almeno che a
bagnarle il reggiseno fosse un articolo di politica estera e non la pagina
degli annunci.
“Il mio cuore è nelle Highlands!”
dichiarò drammaticamente Rodolphus, scostandosi dal viso i riccioli bagnati. “Il
mio cuore non è qui. Il mio cuore è nelle Highlands, a inseguire il cervo…”
Mano sul cuore, occhi scintillanti. Come naturale, sua madre se la bevve tutta.
“Che Merlino mi fulmini!” miagolò
“Mio figlio è diventato un poeta!”
-Che Merlino mi fulmini!- pensò
Rosnake, senza stupore. -Mio fratello è diventato un idiota!-
“Possiamo andare” decretò a quel
punto Rabastan e, lottando contro la voglia di scoppiare a ridere e contro la
sorella maggiore, che aveva optato per la resistenza passiva, scaraventò il
proprio gufo e la stessa Rosnake nella carrozza.
Un morso. Morsichino piccolo,
piccolo al polso, che soddisfazione enorme… così avrebbe capito che era sempre
e comunque il più giovane…
“Animale! Mi hai morso!” Rosnake
sfuggì alla presa di Rabastan buttandosi sotto il sedile imbottito. Rodolphus
si sedette a cassetta e la Reverendissima Madre, composta come una regina in
trono, occupò il proprio posto ordinando a Jean-Jacques, per l’occasione
riciclato cocchiere, di partire. Erano in marcia, rivolti verso la tenuta. Il
nome della tenuta era Scarburough Fields, e il termine “tenuta”, pomposamente usato
dai genitori dei ragazzi, stava ad indicare un vasto appezzamento di terreno
con al centro un imponente castello, che molti secoli prima era stato la
residenza del signore del clan La Sange, uno dei più influenti nella Scozia
medievale magica. Negli anni, quel cognome era stato storpiato fino a diventare
Lestrange, altrettanto esotico e altrettanto influente nella buona società di
Londra. I tre fratelli erano i più giovani discendenti diretti del signore La
Sange, il che significava che, alla morte del padre, la tenuta sarebbe stata
legalmente proprietà di Rodolphus, il più vecchio di loro. E, pensò Ros, con un
po’ di fortuna lui se la sarebbe tenuta tutta per sé. Dal momento, comunque,
che per fortuna suo padre era vivo e vegeto (più che vegeto vegetante,
considerato lo stato di mutismo in cui si chiudeva per reazione ai continui
sproloqui della moglie), Scarburough Fields era affidata a lui, e questo
significava che i rampolli della casata erano costretti a trascorrere le
vacanze persi nelle Highlands.
A Rosnake la Scozia piaceva.
Adorava la natura indomita e selvaggia, la commuovevano i laghi che cambiavano
colore a seconda di quello del cielo, si riempiva ferocemente i polmoni di aria
marina appena arrivavano in vista della riva e simpatizzava con le pecore, non
foss’altro perché sua madre le detestava. Amava molto il parco della tenuta,
con il sapore amarognolo con cui si ama ciò che ci ricorda felici tempi
passati. Anche se lei non aveva l’abitudine di delirare per la strada, il suo
cuore viveva davvero tra l’erica inseguendo i cervi.
La madre dei tre fratelli era una
donna per molti aspetti ammirevole, bellissima, intelligente e mite, ma per
qualche oscuro motivo le Highlands avevano su di lei l’effetto che ha la
pozione sul dottor Jekill: la trasformavano completamente. Forse per il suo
sangue greco che prendeva il sopravvento, le manie di grandezza, di solito non
poi così gravi che la caratterizzavano, tendevano ad esplodere il giorno della
partenza, nel preciso istante in cui il povero Jean-Jacques, maggiordomo,
tuttofare e, all’occorrenza, cocchiere, (“una perla rara”, salvo l’abitudine
piuttosto spiazzante che aveva di parlare di sé in terza persona) tirava fuori
la ridicola carrozza nera e argento su cui si spostava l’intera famiglia:
scomoda, vistosa e “così romantica”.
In quel momento, Ariadne
Lestrange imboccava una tortuosa scala che la portava a compiere bassezze quali
far mangiare tre adolescenti piuttosto selvatici con le posate d’argento.
All’improvviso, la cosa più importante diventava la purezza della stirpe, il
fine ultimo lo sfarzo, la qualità più apprezzabile la buona educazione,
osservata con scrupolo, tranne che per la clausola “non fare troppo sfoggio di
quello che hai”. In pratica, nel castello di Scarburough si viveva come in “Orgoglio
e Pregiudizio”, il che non era un problema per Rodolphus, chiaramente
predisposto a recitare la parte del nobile neanche poi tanto decaduto, né per
Rabastan, abbastanza ieratico da lasciarsi scivolare tutto addosso come
pioggia. Arrivati al terzo giorno, Rosnake cominciava ad avere qualche crisi di
panico per il timore di impazzire.
Finché la secondogenita dei
coniugi Lestrange era stata una bambina, la sua diversità da qualunque altro
membro della famiglia era passata in gran parte sotto silenzio. Nessuno parve
notare che quella ragazzina gracile, incapace di alzare la voce, passava molto
tempo da sola, mangiava quasi solo porridge e parlava con le piante. In fondo,
non dava fastidio, mentre c’erano due maschietti molto vivaci a cui badare.
Quando, a undici anni, Rosnake partì per iniziare gli studi in campo magico, fu
subito chiaro che la sua infanzia trascorsa in gran parte in compagnia di gatti
e peonie aveva lasciato qualche segno. Apriva bocca di rado, e quasi sempre per
pronunciare brevi frasi contorte che sembrava aver ponderato per molto tempo. Si
nutriva di succo di zucca, caramelle al rabarbaro e burro. E, cosa più
sconvolgente di tutte, non faceva minimamente caso a cosa indossava, come si
comportava e che impressione dava. Con gli anni, tutte queste bizzarrie si
erano molto stemperate, anche grazie agli amici che la ragazza si era fatta:
l’essere strana non bastava a distogliere l’attenzione dal suo cervello vivace
e dal temperamento affettuoso e gentile. Quello che non era cambiato per nulla,
a parte la passione per il rabarbaro, era l’assoluto disinteresse che Rosnake
ostentava nei confronti dei numerosi privilegi impliciti nella sua condizione
di figlia di una grande stirpe della nobiltà magica. Soldi, potere; nah, non
era roba per lei. A Ros piaceva andare in giro in jeans, montare a cavallo,
camminare per ore e stare a guardare gli insetti tra l’erba. E appena
arrivavano alla tenuta la sua cara mammina, che di solito accettava senza
fiatare qualunque stravaganza, di colpo pretendeva di far diventare “la sua
ragazza” una sorta di damina uscita dalla penna di Jane Austen.
Assorta in cupi pensieri, Ros si
trovò spiazzata quando la carrozza si fermò con uno scossone.
“Eccovi nelle terre che vi
appartengono da cinquecento anni!” esclamò orgogliosa Ariadne. Eccoli nelle
terre che erano il suo terrore da sedici anni.
Si massaggiò la fronte con le
dita, e ricevette uno scappellotto dal suo adorabile fratello minore. “Muoviti,
Snake, scendi!” Rabastan aveva l’aria decisamente provata; chiaramente non
vedeva l’ora di rimettere i piedi sulla solida terra. Poverino, aveva sempre
sofferto di malesseri legati al movimento. Dal canto suo, Rodolphus aveva
aperto la portiera alla madre con un piccolo inchino, e sorrideva, perso nella
nube del proprio non trascurabile fascino. Che figlio perfetto. Passando, la
ragazza gli allungò una bella gomitata nelle costole. La signora Lestrange, già
del tutto immedesimata nel suo ruolo di nobildonna delle Highlands, si volse
composta verso il castello che, splendido nella sua severità, li osservava,
abbarbicato al promontorio roccioso. Ros, girata nella direzione opposta,
fissava il ponte di pietra che avevano appena attraversato, unico collegamento
tra il mondo e l’isola petrosa su cui si trovava Scarburough Castle. In quel
momento, i signori McPherson, secolari domestici dei Lestrange, vennero ad
accoglierli tra mille sorrisi. Il signor McPherson, un uomo massiccio, dal viso
nodoso come un tronco d’albero, si fece aiutare da un Jean-Jaques
dignitosamente contrariato a trasportare i numerosi bauli nelle camere da
letto. Rab si vuotò lo stomaco dietro una siepe, sua madre andò a massaggiargli
la fronte con piccole pacche di conforto, l’anziana cameriera corse dentro
insieme a Rodolphus, a cercare pezzuole imbevute d’acqua di colonia e simili.
Era il momento. Nessuno poteva notarla. Nessuno badava a lei.
Con il cuore che pulsava nelle
orecchie, Rosnake si sfilò le scomodissime scarpe e corse tra i cespugli,
controllando di non essere vista. Aggirò il castello senza rallentare e si
gettò dentro da un ingresso posteriore, che dava su una ripida scalinata di
pietra. La salì a due a due, il fiato corto, e finalmente si trovò nel
corridoio su cui si affacciava la sua camera. Entrò, silenziosa e tesa, e si
chiuse la porta alle spalle. Era al sicuro.
Sospirando di sollievo, si
strappò di dosso con autentica furia l’abito di broccato color sabbia che aveva
rinvenuto con orrore sul letto quella mattina, contenta di veder saltare due
bottoni. “Completo da viaggio”, l’aveva definito sua madre, con un enfatico
sorriso. Orrenda costrizione che le impediva di rilassarsi, divertirsi e, nel
peggiore dei casi, fuggire agli stupratori. Per fortuna, i domestici di
famiglia erano selezionati in base alla loro efficienza, e il suo baule, peraltro
un po’ ammaccato, era già lì, insieme al cesto di Midnight. La ragazza liberò
il gatto, che si stiracchiò con voluttà prima di acciambellarsi sul grande
letto a baldacchino. Almeno lui era di buon umore. Sul fondo del bagaglio, ben
nascosti agli occhi di sua madre, Ros aveva sistemato un paio di vecchi jeans
sdruciti, camicia a quadri appartenuta a Rodolphus e scarpe da ginnastica così
distrutte da aver perso parte dell’imbottitura. Meravigliosi abiti. Ti
trafiggono il cuore. Si cambiò, afferrò Middy sotto il braccio e uscì di nuovo,
silenziosa come ombra.
Le scuderie del castello erano
poco lontane dall’edificio principale, oltre un pezzo di prato. Le raggiunse in
pochi attimi e, lottando per prendere il respiro, si gettò verso l’ultimo box,
che conteneva una delle sue migliori amiche al mondo.
“Artemis!” gridò, ma molto piano,
per non farsi sentire. La giovane femmina di mustang nitrì di gioia, il muso
marrone scuro levato al soffitto. La sua padrona era tornata! Non vedeva l’ora
di galoppare, di galoppare lontano, verso l’orizzonte. Rosnake non la deluse.
Le mise i finimenti con pazienza, le diede una mela, sistemò il gatto nella
bisaccia della sella. Stava per prendere le redini e portare fuori la
cavallina, ma la porta della scuderia si aprì.
“Sapevo che eri qui!” Rabastan,
ancora un po’ pallido, le sorrise. Non sembrava armato di cattive intenzioni,
ma sua sorella gli rivolse lo stesso uno sguardo truce.
“Io non torno!” sibilò. “Non puoi
obbligarmi, non voglio rientrare fino
all’ora di cena, possibilmente anche oltre, chiaro? Se vuoi acciuffarmi,
okay, ma dovrai farlo con la forza!”
“Veramente” rispose il ragazzo,
amabile “Ti ho portato dei biscotti.”
Con una traccia di strisciante
senso di colpa, Rosnake notò la scatola di latta che suo fratello teneva in
mano, ma decise di non abbandonare del tutto la linea del sospetto.
“Bene” borbottò, brusca,
sfilandoglieli di mano. “Sparisci.”
“Neanche un grazie?”
“Non dire a nessuno che mi hai
vista!” gli ordinò, mandandogli un bacio veloce.
Cavalcò per miglia e miglia, la
schiena a pezzi, sorretta solo dalla smania di allontanarsi il più velocemente
possibile da tutto ciò che riguardava Scarburough Castle. La voglia di fuga le
bruciava nei polmoni come acido, la spingeva avanti, miglio dopo miglio. Lontano.
Lontano da quei vestiti odiosi, dai cerimoniali avvolti nella polvere, lontano
dalla propria vita. Era così che Rosnake sopravviveva, in Scozia: scappando.
Passava le giornate persa nella brughiera, stordendosi di fatica per non
pensare a nulla, o contemplando il mondo, appollaiata sul glicine.
Il glicine era un ricordo del
tempo che fu, piantato, a quanto si diceva, dalla trisavola dei tre ragazzi, e
cresciuto forte e rigoglioso, nonostante il rigore del clima. A maggio, nella
stagione della fioritura, si ricopriva di fiori viola dall’odore stradolce,
gravidi di nettare, ma ora, in pieno agosto, altro non era che un tronco
ritorto, coronato di rami spogli. Arrampicarsi era facile. Ros tolse le scarpe,
e dopo aver liberato Middy e Artemis (non si allontanavano mai troppo, proprio
lì vicino c’era una sorgente d’acqua fresca che li attirava entrambi) si issò
sui rami più alti, comoda come in una poltrona. Sarebbe riuscita a sopravvivere
lassù fino all’arrivo dei Malfoy?
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Capitolo 2 *** Un livello incresciosamente basso ***
2
Un
livello incresciosamente basso
Dawnrose socchiuse gli occhi.
Tante piccole lame di sole
filtravano dalle tende di broccato scuro, illuminandole i capelli
biondo-argento e il viso. Si stiracchiò pigramente e si diresse verso la
finestra, tirando le tende e lasciando che la luce riempisse la camera. Lanciò
un’occhiata distratta al pendolo che ticchettava, già sapendo che era la prima
a svegliarsi dei tre fratelli. Le sette e sette. Sospirò stancamente: non era
mai riuscita a dormire fino a tardi come Leyla e Lucius, e non ci sarebbe
riuscita mai.
Aprì l’armadio, e scelse un lungo
vestito pesante ma comodo, che usava per viaggiare. Quel giorno ne avrebbe
avuto decisamente bisogno. Spazzolò i capelli lisci che le arrivano ormai alla
fine della schiena, si mise un filo di trucco e fece per uscire dalla stanza,
quando un oggetto volante non identificato entrò a razzo dalla finestra e si
schiantò con un debole gemito contro la parete. Dopo essersi ripresa dal
piccolo infarto che quella cosa le aveva causato, Dawn si avvicinò lentamente.
Il mucchietto di piume si raddrizzò leggermente e le porse una lettera che
portava legata ad una zampa. La calligrafia di Rabastan era inconfondibile.
Dawn sorrise ed aprì velocemente la lettera:
Cara Dawn,
se questa lettera dovesse avere
un titolo, sarebbe probabilmente “Il livello incresciosamente basso che le
nostre menti stanno toccando questa settimana”, ma lasciami spiegare.
So che avete ricevuto delle
lettere da Rose, e non ho idea di che immane catastrofe vi abbia descritto.
Qualunque cosa abbia detto, ha pienamente ragione. Qui le cose non potrebbero
andare peggio. Rodolphus ormai si diverte come un bambino a giocare al Figlio
Perfetto, e naturalmente nostra madre lo venera come un piccolo dio in terra.
Declama poesie, continua a ripetere che la tenuta è la sua vita e idiozie
correlate.
Rosnake invece non parla a mamma
da quando siamo qui, poco più di una settimana. Continua a lanciare occhiate
malvagie a qualsiasi cosa le stia attorno, da me a un cespuglio. Tutte le sere
dice a Rod che è un cretino, e che finché lui dice che ama la Scozia
continueranno a portarci lì. Ovviamente sa che tutti gli anni ci tocca questa
piccola tortura, Rodolphus o meno, ma è talmente nervosa che passa le giornate
nella stalla con la sua cavallina. Stasera mi ha ripetuto circa quarantotto
volte (contate!) “Ma a che ora arrivano domani gli altri?”. Vi prego, partite
il più presto possibile e salvatemi. Mi sembra di essere il meno andato di
tutti, ma probabilmente sono talmente pazzo da non rendermene conto. È una
possibilità che non mi sento di scartare.
Ian è arrivato da poche ore, e
sta riempiendo mia madre di complimenti e fa continui apprezzamenti su quanto
sia bello il castello, su quanto sia meraviglioso il giardino eccetera. È
talmente donnaiolo che ci proverebbe con sua nonna. Mi auguro che Lucius li ridimensioni,
perché l’arrivo di un altro malato sarebbe decisamente troppo. Più che una
tenuta per le vacanze, questo posto sembra il reparto “Malattie mentali gravi
e/o incurabili” del St Mungo.
Ora vado a letto, sono quasi le
due e non mi reggo in piedi. Un abbraccio,
Rab
P.S. Voi tutto bene?
P.P.S. Rosnake mi ha DI NUOVO
chiesto quando arrivate. Correte, o potreste trovarvi con un’amica in
meno…
Dawn trattenne a stento una
risata, perché le pareva che ridere da soli nella propria camera non fosse una
cosa del tutto normale. Con la lettera in mano, uscì di corsa dalla stanza.
Attraversò il corridoio e aprì
silenziosamente la porta della camera della sorella. Leyla dormiva tranquilla e
serena nel suo letto, senza ricordarsi cosa dovevano fare quel giorno. I
boccoli dorati, il particolare che la differenziava di più dalla sorella, le
ricadevano sulle spalle dandole un’aria falsamente angelica. Fin da piccola,
Leyla amava farsi i codini con quei ricci d’oro, mentre Dawn lasciava sempre
sciolti i capelli argentei e lisci. Vedendola così assorta nei sogni si disse
che non avrebbe avuto cuore di svegliarla (o meglio, il cuore ce l’aveva
eccome, forse non era pronta a farsi riempire di botte alle sette e mezzo di
mattina), così uscì e si diresse da Lucius.
Suo fratello era considerato uno
dei ragazzi più belli di Hogwarts (insieme a Rod, Sirius Black e James Potter),
e mentre dormiva era ancora più perfetto. L’espressione beata che può solo
avere chi è ignaro del fatto che sta per essere svegliato, i capelli biondo
chiarissimo, quel sorriso appena abbozzato… Dawn pensò che si sarebbe servita
di Jacques per far alzare i due fratelli maggiori. Jacques era lo storico
maggiordomo tuttofare dei Malfoy, e insieme a Jean (maggiordomo dei Nott) e a
Jean-Jacques (maggiordomo dei Lestrange), era parte del più Antico Ordine Di
Maggiordomi Del Mondo Magico. Dawnrose lo trovò in cucina, intento a preparare
la loro colazione.
“Buon mattino, Jacques.” Nonostante il
maggiordomo fosse lì da prima della nascita dei giovani Malfoy, tutti gli
davano del Lei.
“Buon mattino a lei, signorina Dawnrose. Ha
già preparato la valigia?” Era l’apoteosi della cortesia.
“Sì, è quasi finita. Potrebbe
andare a svegliare i miei fratelli?” Jacques esitò per un attimo, sapendo che
di tutti i compiti, Dawn gli stava affidando il più ingrato.
“Certamente.” E sparì su per lo
scalone.
Sapendo che non sarebbe stata una
cosa breve, la ragazza uscì dalla veranda e si incamminò nel giardino.
Immediatamente la raggiunse la sua fenice, Edwyn. Come tutti gli animali dei
Malfoy, la fenice artica proveniva dall’Islanda, terra d’origine della
famiglia. Per loro era tradizione che, all’inizio del primo anno ad Hogwarts,
il padre regalasse ai figli un animale a loro scelta. Quando Lucius e Leyla
compirono undici anni, chiesero rispettivamente un lupo e un leopardo delle
nevi, e questi arrivarono come richiesto. E ancora adesso, sei anni dopo, Jack
e Xerse si picchiavano come due cuccioli, e il lupo di Lucius ne usciva sempre
massacrato. Dawnrose, invece, aveva chiesto una fenice artica. Non fu facile
per Abraxas Malfoy trovarla e ottenerla, ma alla fine la ragazzina riuscì ad
avere il suo amato Edwyn. I due si erano adorati da subito: Edwyn era a dir
poco meraviglioso. Pareva quasi che le sue penne emanassero la lucentezza del
ghiaccio puro e trasparente; le ali sembravano schegge di vetro, e la coda era
formata di strisce luminose e bianchissime. L’animale stava quasi sempre sulla
spalla di Dawn, o le volava intorno.
I due camminarono per un po’ in
silenzio nei giardini, osservando gli ultimi frammenti dell’estate volare via
come foglie. La loro ultima settimana di vacanza era tradizione passarla a
Scarburough Castle, la residenza scozzese dei Lestrange. A Dawnrose piaceva un
sacco quel posto, e non riusciva a capire come Ros facesse a detestarlo così
tanto: anche i Malfoy possedevano un grosso castello in Islanda, e per lei era
un piacere giocare alla principessa per qualche settimana. Ma sapeva bene che
Rosnake era molto diversa da lei e Leyla, e forse era per questo che le tre
erano amiche da così tanto tempo.
A pensarci bene, nei suoi ricordi
di bambina, Dawn vedeva Rosnake quanto Leyla, ed in ogni momento importante
della sua vita, c’erano entrambe: sua sorella e la sua migliore amica. L’arrivo
a Hogwarts, lo smistamento, Natale, il primo bacio… Vedeva Ros e Lelly, sempre.
Tre amiche, tre caratteri
diversi: Leyla era certamente la più teatrale, megalomane, psicotica di tutte;
Ros era il contrario, dolce, sensibile, consolatrice e con una strana forma di
razionalità che si incastrava con la fantasia; lei, Dawn, era razionale sul
serio. Lei riusciva a tenere a bada la follia momentanea di Leyla e il suo
pessimismo drastico nelle situazioni più terrificanti, e allo stesso tempo
controllava la sfrenata fantasia di Rosnake e il suo ottimismo quasi ingenuo.
Aveva un po’ di tutte e due: era perlopiù silenziosa e introversa, come Ros, ma
era fredda, sarcastica e distaccata, come Leyla. Era Dawnrose, le diceva la
memoria, e niente di più. Ma la diversità delle tre amiche non riguardava solo
il carattere. Rosnake veniva detta la Bambola: era piccola, poco più di un
metro e cinquanta, magra e con una massa di capelli nerissimi e riccissimi. Gli
occhi scuri erano grandi e innocenti, come quelli di un cerbiatto, ma Dawnrose
sapeva bene che sotto le apparenze, Rosnake poteva diventare davvero temibile.
Leyla e sua sorella si assomigliavano moltissimo, ma c’erano diversi
particolari che le differenziavano. Prima di tutto, Dawn era alta otto o nove
centimetri più della sorella maggiore, e solo due meno di Lucius. L’altra
differenza più evidente erano i capelli: Lelly aveva dei perfetti boccoli
d’oro, lucenti e lunghi fino alle spalle; i capelli di Dawnrose, invece, le
arrivavano fino alla vita, ed erano di un biondo talmente chiaro da sembrare
argento, liscissimi e setosi, e assomigliavano di più a quelli di Lucius. Tutte
e due avevano gli stessi occhi grigi, gli stessi di tutti i Malfoy. Leyla era
l’Affascinante, con quella bocca carnosa e il viso pallido e gli occhi
magnetici. Dawn era la Bella, con gli zigomi alti e le labbra sottili. I
ragazzi facevano la corte a tutte e tre, anche se di solito notavano meno la
piccola Ros, più silenziosa e piccolina, con quell’aria da bambina che ancora
deve capire la vita. Ma tutte e tre, erano “Noi”.
“Ehi, Dawn, buon mattino!” Prima
di voltarsi verso la sorella, la ragazza in giardino guardò l’ora: Jacques li
aveva svegliati in poco più di venti minuti. Lo dicevano tutti che quell’uomo
era un santo. “Buon mattino, Lelly. Il signorino si è svegliato?”
“Credo di sì, ma sai com’è la
mattina…” Leyla e Dawn rientrarono in casa e si diressero verso le camere.
“Leyla… il tuo bagaglio è piccolo, vero?” la sorella minore si
fermò, chiedendosi perché sperare.
“Certo, è delle dimensioni giuste
per una settimana! Per chi mi hai preso?!” L’espressione della ragazza pareva
quasi offesa. Dawn fece per rispondere ma, per la seconda volta nell’arco della
mattinata, un gufo che pareva uno shuttle entrò dalla finestra. Leyla si tuffò
con un bizzarro salto a parabola verso l’animale, lo afferrò e se lo mise
dietro la schiena. Quando si voltò, era rossa come un peperone, e tentò un
sorriso imbarazzato.
“Ecco, sai, è Margie, la mia
amica delle Fiandre… eh... io e lei abbiamo una… ehm… fitta corrispondenza e…”
“Ciao, Leyla.” Dawn alzò un
sopracciglio e preferì non indagare e tornarsene in camera. Certamente a
Scarburough Castle non sarebbero mancati gli argomenti di conversazione. Finito
di preparare la valigia di pelle scura, Dawnrose uscì dalla stanza ed andò in
cerca di suo fratello. Lo trovò in bagno, con il rasoio in mano intento a farsi
la barba.
“Ehi fratellone. Che cerchi?”
Lucius si voltò verso di lei, con lo spazzolino in bocca. Era decisamente in
ritardo, ma fare due cose insieme per gli uomini è davvero troppo.
“Ciao Dawn. Non trovo il tubetto del dentifricio, diavolo. Lo vedi?” La ragazza
alzò gli occhi al cielo. Suo fratello era sempre pieno di problemi, la mattina.
“Lucius? Ce l’hai nell’altra
mano.”
Mezz’ora dopo, i tre Malfoy erano
davanti alla porta di casa, ciascuno con una valigia. O meglio, pareva che
Leyla avesse trasferito l’intero guardaroba in una povera borsa.
“Leyla!” sbottò Dawn appena la
vide “Il tuo bagaglio non è piccolo!”
La sorella maggiore la fissò per un attimo, poi tornò ad occuparsi del suo
piccolo armadio.
“È l’ideale per una settimana di
vacanza!” Dawnrose decise di non continuare la conversazione, o sarebbero
andate avanti per anni. Continuò comunque a squadrare con diffidenza la valigia
della sorella, e a toccarla il meno possibile.
“Avanti, sbrighiamoci.” Lucius
prese la sua borsa e, con un sordo crack sparì
alla vista. Leyla tese la mano alla sorella, con l’altra impugnò la valigia, e
si smaterializzò anche lei, trascinando via Dawnrose. Smaterializzarsi non era
tra le cose più piacevoli del mondo: era come se qualcuno ti prendesse
l’ombelico con delle pinze e giocasse insensatamente a tirarlo sempre più lontano
da te. Come se non bastasse, quando il vortice finì, Dawn si trovò sdraiata
sull’erba intenta a soffocare: il “bagaglio” di Leyla le era finito sullo
stomaco. Con qualche imprecazione, la sorella la liberò.
“Non voglio mai più vedere quella
mostruosità.” sibilò Dawnrose, trattenendo l’impulso di scioglierla nell’acido
(la valigia, naturalmente, non la sorella).
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Capitolo 3 *** Io credo alle Promesse ***
3
Io
credo alle promesse
Abbarbicata sul glicine, Rosnake
osservava il mondo muoversi con l’attenzione che avrebbe riservato a una
conferenza sulle guerre con i Goblin del Tredicesimo secolo. Come spesso le
capitava, aveva fissato lo sguardo su qualcosa in particolare (in questo caso,
un pezzo di bicicletta dimenticato poco più a valle da un giovane Babbano) e,
senza nemmeno accorgersene, si era ritrovata lontana anni luce, a fantasticare
sul passato. Era sempre stato così: se Leyla, sempre proiettata in avanti, come
un giocattolo impazzito, rappresentava il futuro, e Dawn, con il suo rigore e
la razionalità, portava avanti in modo del tutto personale lo scardinamento del
presente, lei, Ros, incline a rimuginare, con la memoria lunga e le lacrime
facili, incarnava tutto ciò che era stato e aveva cessato di essere. Non era
mai stata capace a staccarsi dai ricordi per lanciarsi di petto nella vita.
Natura inconcludente, la sua, e lo sapeva: mentre le due amiche più care che
aveva erano dotate di una bruciante voglia di sopravvivere che le rendeva delle
lottatrici, lei provava un vago desiderio di immortalità che faceva di lei
un’inutile ragazzina persa fra i sogni.
Ecco la differenza sostanziale tra quei tre esseri che si amavano tanto. E che
si erano sempre tanto amati. Ancora una volta, la voce suadente della memoria
la chiamò per nome, la prese con dolcezza, trasportandola dove tutto aveva
avuto inizio. A Scarburough, quindi, nella Scarburough del prima.
“Rodolphus, amore, lascia stare
tua sorella!”
Il bambino bruno seduto al centro
del tappeto scattò, colto in fallo, e si voltò con un sorriso tanto amabile che
per un attimo la madre si sentì trasformata in un favo di miele. Ciò non le
impedì di notare che la creaturina che sedeva al fianco di Rodolphus, una
bambina minuscola e con una gran massa di capelli ricci, già da un po’ piangeva
stoicamente, le braccia incrociate dietro la schiena.
“Ti ho detto mille volte che non
si danno i pizzicotti.” A sottolineare le minacciose parole, Ariadne Lestrange
prese in braccio la figlia più piccola, nel tentativo di calmarla. Rosnake
smise quasi subito di lagnarsi, e si incantò ad osservare la spilla di
cristalli rosati della madre, che solo allora notò il fiocco che le pendeva,
semi staccato, tra le ciocche ingarbugliate. “Oh, santo cielo, ma guardati! Ti
lascio sola due minuti e ti conci come la figlia di una pescivendola.”
Effettivamente, mentre Rodolphus e l’ultimo dei fratelli, Rabastan, che
dormicchiava sul divano, erano abbigliati come piccoli lord, e di piccoli lord
avevano il contegno, la bambina indossava un abito di tulle color pesca che
doveva essere stato splendido, ma aveva l’orlo scucito e la martingala
penzoloni. Le calzine di pizzo bianco erano ammucchiate alle caviglie, e il
viso olivastro era appiccicoso di muco e lacrime. “Tesoro, lascia che ti
sistemi, tra poco arrivano gli ospiti!” A quella parola, Rosnake smise
bruscamente di scalciare e si fece attenta. Ospiti? Nei due anni che aveva
passato al mondo, a Scarburough non era mai venuto nessuno, tranne i nonni, che
certo non meritavano la solennità con cui la donna aveva pronunciato la parola.
“CHI?” strillò Rodolphus, che aveva qualche problema ad esprimersi con un tono
di voce normale.
“Ah, che sciocca!” Ariadne
sorrise, accattivante. “Mi sono dimenticata di avvertirvi! Ho invitato degli
altri bambini a giocare con voi.”
I piccoli, escluso Rab, che era
profondamente assopito, cercarono di metabolizzare la notizia. “Altri
fratelli?” Ros aggrottò le sopracciglia. “Ma mamma, basta Rabbie, piange sempre
e poi fa la cacca che puzza!”
La signora Lestrange lottò per
soffocare una risata. “Rosnake, ma chi te le ha insegnate queste parole? E no,
non sono altri fratelli. Sono i figli di un amico di papà, si fermeranno da noi
per un po’.”
“CON LA LORO MAMMA?”
“Amore, non gridare per piacere!
Sì, con la loro mamma. Anzi, dovrebbero essere qui a momenti …”
In quel preciso istante, la voce
della signora MacPherson, con quel tremendo accento scozzese, precedette la
proprietaria, che percorreva di gran carriera il corridoio.
“Milady, sono arrivati!” ansimò
la donna, torcendosi le mani, nervosa.
“Benissimo” il viso perfetto di
Ariadne divenne una maschera di alterigia mentre si alzava con il figlio più
piccolo in braccio, simile ad una Madonna bizantina. “Le camere?”
“Sono pronte, Milady.”
“E la cena?”
“Gli elfi aspettano solo ordini
per servirla.”
“Perfetto” sorrise la signora,
compassata. “Prego, Maria, porti con sé Rosnake e Rodolphus.”
Obbediente, la governante prese
per mano due fratelli e si accinse a
seguire la padrona.
“Cosa c’è, tesoro? Benedizione,
cara, perché non cammini?” Ros era immobile, di pietra, e rivolse alla tata uno
sguardo ansioso. “E se non mi piacciono?”
La donna rise di cuore, dandole
un’affettuosa carezza. “Ma certo che ti piaceranno, cara. Li ho visti i
signorini, sai: tre bambini così per bene, così educati … tre biondini, proprio
come noi abbiamo tre moretti.”
“SONO TRE ANCHE LORO?” strillò il
moretto numero uno.
“Sì, ma vedrete voi stessi. Ed
ora sbrighiamoci, o la mamma si arrabbierà!” Risoluta, Maria spinse i tre
bambini verso il portone d’ingresso.
Il vialetto lastricato luccicava
sotto il sole d’agosto, che splendeva timido, ma risoluto. La novità era
rappresentata da un’immensa carrozza decorata d’argento, ferma a qualche metro
dall’accesso al castello. A cassetta sedeva un uomo magro e lungo, molto simile
a Jean-Jacques.
“Elizabeth!” Ariadne sorrise,
rivolta ad un'altra donna, bella quanto lei, dai folti capelli dorati appuntati
in una crocchia. Nonostante la nuova arrivata somigliasse ad una principessa
delle fiabe, Rosnake sentì una sgradevole stretta allo stomaco quando incontrò
i suoi occhi freddi. “Santo cielo, Ariadne, anche quella è tua?” Elizabeth, con un gesto
della lunga, bianca mano, indicò Rosnake, che tirava su col naso, ancora
scarmigliata e sporca. “O è della serva?” Un lampo d’ira indurì lo sguardo
della signora Lestrange. I Greci, come diceva sempre nonna Korinna, non li puoi
toccare sui figli. “E’ mia, quella di mezzo. Un po’ un maschiaccio, ma non è un
buon motivo per mancarle di rispetto. E <> è la nostra
domestica più fidata, Maria MacPherson.” Inorgoglita, la governante raddrizzò
le spalle. Le guance pallide della donna bionda si tinsero di rosa. “Scusami,
cocca, non volevo offendere nessuno. Eccoli qui, i miei gioielli!” Aggiunse,
con una vivacità immotivata, mentre il cocchiere, dopo aver legato i cavalli,
aiutava a scendere dalla carrozza tre bambini, anche loro molto piccoli.
Biondi erano biondi, su questo
niente da dire. Due di loro, un maschio e una femmina, dimostravano circa tre
anni; la più piccola poteva averne due. Perfettamente pettinati, profumati e
vestiti, stavano ritti come soldatini, a squadrare la famiglia Lestrange. “I
gemelli, Lucius e Leyla” li presentò la loro madre, ponendosi dietro di loro “E
Dawnrose, la piccolina di casa!” Era chiaro come il sole che Dawnrose era a
disagio. Gli sguardi truci che lanciava tutt’attorno facevano a pugni con la
sua aria angelica e l’abitino fucsia acceso. “Rabastan” il quale, proprio
mentre Ariadne lo indicava, cominciò a sbavare copiosamente sul bavero del
tailleur color crema che la madre indossava “Rodolphus e Rosie … Rosnake. Ma
andiamo dentro, tra poco verrà servita la cena!”
Maria sparì dentro il castello ad
approntare gli ultimi dettagli, e Ros si trovò sola in mezzo al prato.
Quell’infame di suo fratello era già corso via con il biondo Lucius, e le due
bambine ospiti stavano risalendo il vialetto per conto loro, poco dietro alle
madri. Arrancò verso di loro. “Ehi! Aspettate!” Leyla e Dawnrose si girarono,
sorprese. Alle loro spalle, c’era quella strana bimbetta con i capelli ricci.
“Andiamo su insieme!”
“Certo!” Esclamò Leyla, prendendo
una mano della nuova amica e stringendola, come aveva visto fare alle persone
grandi. Dawn ringhiò sommessamente e riprese a camminare.
“E’ arrabbiata?!” Chiese la
morettina numero due, curiosa.
“Sì” bisbigliò l’altra “Il
vestito non le piace.”
“No” puntualizzò la sorella più
giovane, in tono sorprendentemente adulto. “Non è che non mi piace. Fa schifo.
Fa schifo e basta.”
“E’ molto carino!” ribatté
Rosnake. Lo sarebbe stato davvero, se chi lo indossava non avesse avuto un’aria
da serial killer.
“Questo colore è bruttissimo!”
piagnucolò Dawn, mentre percorrevano il corridoio d’ingresso “Mi piaceva di più
se era color cacca”.
Saggiamente, Leyla non commentò,
anche se trovava che la sorella stesse molto bene. Lei, avvolta nell’abitino di
mussola azzurro pastello e pettinata con due codini di boccoli color oro, stava
benissimo.
“E di che colore lo volevi,
invece?” chiese Ros.
“Nero, nero e nero!” sbottò
l’altra, imbronciata. “O viola come i lividi” aggiunse, meditabonda.
“Mia nonna dice che il nero i
Greci devono portarlo solo nei capelli.”
Leyla parve interessata.
“E cos’altro dice, tua nonna?”
“Che i Greci credono alle promesse.”
Ros non sapeva che, molti anni dopo, avrebbe riutilizzato quella frase in un
contesto molto diverso, ma altrettanto improbabile.
“E tu ci credi?”
Rosnake studiò gli occhi grigio
argento delle due bambine, che la guardavano, in attesa. “Dipende”.
“Prometto che diventeremo
migliorissime amiche.” Dawn, sospettosa,
squadrò la sorella. “Con lei?”
“Ah- ah” Leyla appariva sicura
del fatto suo.
“Ma le piace il fucsia!”
“Non è che mi piace, è che …”
“Con lei” ripeté perentoria la
più vecchia delle bionde sorelle. “Allora, ci credi?”
“Sì.” Le sembrò la risposta meno
problematica. Trotterellarono insieme verso la sala da pranzo, dove trovarono
un clima piuttosto dinamico: Lucius e Rodolphus avevano svuotato la caraffa del
succo di zucca in bagno e ci avevano incastrato dentro Rabastan.
ab
Leyla e Dawnrose due arrivarono
all’ingresso di Scarburough Castle e furono travolte. Letteralmente. Rosnake le
investì correndo, e un attimo dopo essersi ripresa dalla violenta testata, le
abbracciò come se non le vedesse da una vita.
“RAGAZZE!!” urlò.
“Ciao, Snicchy” Snicchy era il
soprannome che le aveva dato Rabastan quando erano piccoli, e a volte Ros
veniva ancora chiamata così. Le tre si strinsero forte.
“Mi siete mancate da morire!”
Dawnrose sorrise, e si meravigliò un’altra volta della bellezza del castello.
Poi abbassò lo sguardo, e si sconvolse per l’oscenità degli abiti di Rosnake:
un’enorme camicia a quadri, probabilmente di Rodolphus, le cadeva malamente
addosso, ed era tutta rovinata. I jeans erano strappati in fondo, e una tasca
mancava, e le scarpacce che indossava erano di un paio di numeri più grandi.
Anche Leyla sgranò gli occhi: “Ma come diavolo...”iniziò.
”Ti sei vestita?!” concluse Dawn,
alzando gli occhi al cielo.
“Dio mio, avremo molto da fare
qui!” esclamò Lelly in tono melodrammatico. Rosnake scoppiò a ridere, e le
abbracciò di nuovo.
“Ehi, non vorrai mica consumarle?
“Una voce familiare arrivò dalle loro spalle. Rabastan Lestrange era in piedi
dietro di loro, il viso sorridente illuminato dal sole. Lui sì che era vestito
bene, ed era davvero bello. “Rab!” esclamò Dawn, abbracciandolo. Il ragazzo
abbracciò anche Leyla, e sussurrò loro: “Grazie a dio che siete qui! Ros è
tocca, poverina” Le due scoppiarono a ridere, dandogli dell’esagerato.
“Ed ecco il fratello numero tre!
A dire il vero numero uno, ma diciamo -il fratello numero uno che si è
presentato come fratello numero tre-”Tutti lo fissarono per un attimo, indecisi
se ridere o no. Infine rise lui stesso, mettendo fine al dilemma. Che ragazzo
strano. Salutò le due ragazze, ma un altro lo spinse via.
“E qua c’è il fratello numero
quattro!” Ian Nott accompagnò la fine della frase con una risata, come faceva
quasi sempre.
“Aha. Con la differenza che tu,
grazie a dio, non sei mio fratello.”fece notare Rod.
“E allora?” Ian era sempre stato
scostante, ma l’estate gli donava una vena di follia. Rise di nuovo, contento,
e salutò le due Malfoy.
Dopo cena, Dawnrose era sulle
rive del lago, seduta accanto a Rosnake e Leyla. Davanti a loro, l’ultimo pezzo
d’estate sorrideva invitante, e certamente le tre amiche non se lo sarebbero
fatte scappare. In quel momento nessuna parlava, ma intuivano perfettamente i
pensieri delle altre. Era sempre stato così. Fin dai tempi dell’abitino fucsia
acceso.
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Capitolo 4 *** Consuetudini ***
4
Consuetudini
Avveniva, puntuale, ogni anno, da
quando tutti loro erano stati in gradi di salire su un cavallo da soli e di
esibirsi in un trotto passabile. La Passeggiata. Un mattino, ad un orario che
Rosnake reputava del tutto disumano, si trovavano come ad un segnale convenuto
nelle scuderie, montavano i mustang e partivano alla volta dell’aperta
campagna, con qualche panino e del succo di zucca. Un’usanza radicata, a cui
nessuno voleva essere il primo a rinunciare.
Così, quel ventitré agosto, Dawn,
la più mattiniera tra loro, piombò a tradimento nelle camere delle due amiche
per svegliarle. Decise di cominciare da Leyla, in base alla filosofia
“strappare tutto e subito” di solito applicata ai cerotti.
La più vecchia tra le sorelle
Malfoy dormiva profondamente, abbandonata sul cuscino di broccato. Il suo viso
era seminascosto da una mascherina oscurante di raso nero con il bordo di pizzo
e la parola “principessa” stampata in piccoli cristalli. Sigh. Sarebbe stata
dura.
I metodi drastici sono sempre i
migliori, così la giovane e bionda fanciulla sollevò di peso sua sorella e la
lanciò sul divano poco distante dal letto. “Aargh!”
Leyla aprì un occhio sotto la
mascherina, si chiese perché non ci vedeva, strappò rabbiosamente l’affarino di
raso e mise a fuoco l’odiosa creatura che le stava di fronte. “DAWNROSE
ELIZA!!” Oh oh. Guai in vista. L’ultima volta che la Serpeverde aveva sentito
il proprio nome pronunciato per intero, era stata chiusa in casa per una
settimana, con l’accusa –fondata- di aver tagliuzzato con le forbici il nuovo
abito rosa antico che le aveva comprato la madre. Saltò di lato appena in tempo
per schivare la Iettatura Perfida che Leyla aveva lanciato in aria. “Come ….
Come osi!”
“Oso” rispose Dawn in tutta
tranquillità. “Non ti ricordi? Avevamo poi deciso di farla oggi.”
L’espressione dell’altra era
vuota come la testa di Antony Tiger, forse il più cretino di tutti i loro
compagni di corso (ed era una dura lotta).
“La Passeggiata” specificò la
biondargentea, già in completo da equitazione: stivali neri sotto il ginocchio,
pantaloni aderenti di raso prugna, giubbino coordinato. Leyla scattò a sedere e
si tolse febbrilmente la camicia da notte fin de siecle, coperta di
roselline rosse. “Ma perché non l’hai detto subito?” borbottò “Oh, mio dio, è
tardissimo e non ho idea di cosa mettermi!”
“E che ti importa, scusa?” chiese
Dawn, perplessa. E’ vero, lei sembrava una modella di Strega Chic, ma
non ci aveva messo alcun impegno. Era così di natura. “Sono solo Snake, Rod e
Rabbie!”
Con grande sorpresa della sua
interlocutrice, Leyla arrossì di brutto, cosa che non le accadeva dalla gita a
Hogsmeade del terzo anno durante la quale aveva baciato Ian Nott. “Beh, certo,
è solo che … ecco … non si sa mai, no? Splendida sempre, in ogni situazione!”
La giovane Malfoy si riprese, con un sorriso accattivante. “Dress to impress,
tesoro bello!”
Venti minuti dopo, Lelly era
truccata, pettinata e superbamente avvolta in stivali marrone scuro, jeans
stretti modello superlusso e giacchetta beige. Mancava all’appello l’antistile
per eccellenza, nella persona di Rosnake Vivian Lestrange.
La quale, come c’era da
aspettarsi, dormiva raggomitolata sulla poltrona simmetrica al suo letto, con
il pollice in bocca e l’aria di stare facendo qualche bel sogno. Nonostante il
buio totale impedisse di distinguere alcunché, le ragazze avrebbero potuto
giurare che indossava la gigantesca maglietta azzurra con la scritta Boy,
un tempo appartenuta a suo padre. Un classico.
“Ehi, bella addormentata!”
strillò Leyla, accendendo la luce all’improvviso. La bruna grugnì, rotolandosi
su un fianco; operazione piuttosto avventata, che la portò quasi a cadere a
terra.
“Ma cosa …?” una vocina impastata
di sonno emerse dal cumulo di capelli e cuscini sotto cui era sepolta l’amica
non ancora pronta. “Ma che cazzo di ore sono?”
“Le nove e trenta, contessa” la
prese in giro Dawn “E si da il caso che oggi sia il giorno della grande
Passeggiata.”
“Ancora? Andatevene, lasciatemi
in pace!”
“Ros, lo dici tutti gli anni.”
L’affermazione era corretta,
tanto che, seppure tra mille gemiti, il sedere di Rosnake comparve tra tutto
quel marasma, quasi subito seguito –per fortuna- dal resto del corpo.
“Sono uno straccio” farfugliò la
Serpeverde, incapace di rimettersi in piedi. Si sentiva come se la nazionale di
Quidditch stesse giocando un incontro particolarmente violento nella sua testa.
“Mamma mia, basta Whisky Incendiario a mezzanotte e mezza. Ricordatemelo, per
favore!”
Dawn sollevò un sopracciglio.
“Che?”
“Sì, tuo fratello ne aveva un
po’- cioè, erano lui e Rod, li ho sentiti e sono andata a vedere …”
L’interesse di Leyla si impennò
di colpo. “Avevano del Whisky? E come diavolo se lo sono procurato?”
“Non lo so, ma credo sia stato
Lucius. Comunque era roba forte. Sono un po’ fuori.”
“Mi hai tolto le parole di
bocca!” La Malfoy maggiore raccolse qualche straccetto da terra e spinse
l’amica verso l’armadio. “Avanti,
vestiti, siamo già in ritardo!”
Sempre sbuffando, Ros si infilò
un paio di pantaloni militari e una camicia di jeans decisamente troppo larga;
a un’occhiata schifata di Lelly, annodò i lembi della casacca poco sopra
l’ombelico, a scoprire lo stomaco muscoloso. Legò i lunghi capelli per evitare
impacci e si dichiarò pronta a partire.
Quando finalmente le ragazze
giunsero alla scuderia, i tre baldi giovani erano già lì, a diversi stadi di
dormiveglia: Rabastan accarezzava meccanicamente la criniera del suo Roano,
Highfields, Rodolphus si aggiustava la casacca da equitazione e Lucius
semplicemente dormiva in piedi, bello come un angelo, appoggiato ad una trave.
Almeno, loro erano arrivati puntuali.
“Alleluia!” sbottò Rab, prendendo
subito il cavallo per le redini. “Maria ci ha già portato tutta la roba da
mangiare, stiamo facendo la muffa da almeno venti minuti!”
“Lo so, ci spiace” lo blandì la
sorella, baciandolo sulla guancia “Dai, avanti, andiamo.”
Dawn risvegliò il proprio
fratello dormiente con una delicatissima gomitata, e Leyla si voltò per
prendere Adonais, il suo purosangue nero come la notte; in quel momento
Rodolphus fece un passo avanti, porgendole le sottili redini rosse. “Tieni,
l’ho già fatto uscire io dal box.”
A quell’inaspettato gesto di
gentilezza, il viso bianco della ragazza si tinse di rosa. “Grazie, Rod, tutto
tempo guadagnato.” Ros scrutò l’amica con sospetto, ma si esentò dal fare
commenti.
Uscendo dalle scuderie, trovarono
ad attenderli il consueto drappello: davanti, Xerse se le dava allegramente con
Jack, mentre, alle loro spalle, Isis, Midnight ed Erin aspettavano, schierati
come tre soldatini. Edwyn sorvolava minacciosa la zona. Lucius sbuffò.
“Ma dobbiamo proprio partire
sempre conciati come il circo Barnum?”
Ripeteva quella battuta da anni; era parte del copione non scritto della
loro estate. In realtà, anche all’erede dei Malfoy piaceva trottare per le
brughiere con tutta quella bizzarra comitiva. Anche se non l’avrebbe mai
confessato, Lucius, come Ros, si smarriva facilmente nei ricordi.
“Non rompere, Lucilla.” Anche la
frase di Rab era da manuale. Fingendo di scazzottarsi, i due ragazzi montarono
a cavallo, subito imitati dal resto della truppa.
Quasi subito, il mite trotto con
cui erano partiti si trasformò in un gioioso galoppo. Leyla, che aveva sempre
amato cavalcare veloce, era in testa; quasi subito, Rodolphus le si affiancò, i
capelli scuri scompigliati dalla brezza. Poco più indietro, Dawn,
immediatamente riconoscibile per la fiammeggiante stria argentea della chioma
sciolta, dava l’impressione che l’andatura elegante che teneva non le costasse
alcuno sforzo, mentre Rabastan, che teneva il suo passo, sembrava un po’ più
tribolato. A Rosnake non piaceva lanciarsi con quella rapidità. Quello che la
faceva veramente impazzire era cavalcare fluidamente, sentirsi tutt’uno con
Artemis, sentir sciogliere i nodi della muscolatura mentre diventava acqua, si
fondeva e si plasmava in base ai movimenti della cavallina. Lucius, come spesso
faceva, le restò accanto, una presenza rassicurante che si manifestava soltanto
con il battito regolare degli zoccoli di Bartolomeo sul terreno soffice.
Midnight, al sicuro nella bisaccia della sella, ben presto si addormentò, e
rimasero solo loro due, due profili silenziosi nella mattina tersa.
“Allora” spezzò in fine il
silenzio lei “Emma Moon. Buona scelta. E’ carina, di buona famiglia. Una specie
di moglie perfetta, no?”
Lui aspetto qualche istante. “Sì.
Immagino di sì. Comunque mi piace, ci tengo, a lei.”
Molti ciondolamenti di testa. Lei
annuì, lui cercò di scacciare dagli occhi i lunghi capelli dorati.
“Beh, sono contenta. Era da un
po’ che non ne presentavi una a Rod ufficialmente, e …”
“Cristo, Snake, evitiamoli!”
La ragazza sussultò. Non accadeva
sovente che Lucius alzasse, seppure di poco, la voce.
“Cosa? Evitiamo cosa?”
“Questi vomitevoli discorsi degli
ex.”
Okay, è il momento di essere
brutali. Un paio di anni prima Rosnake e Lucius, cresciuti insieme, come
fratello e sorella, erano stati travolti da un’attrazione fisica disarmante,
per fortuna ricambiata, o sarebbero impazziti. Dopo qualche bacio, i primi, per
lei, si erano messi insieme, e il loro rapporto si era evoluto in una sorta di
passione senza senso, una di quelle possibili solo nei burrascosi anni
dell’adolescenza. Con il passare delle settimane, lo slancio dei primi attimi
si era raffreddato, e le differenze tra i due erano diventate inconciliabili.
Così come era nata, la relazione si era sfilacciata, svanendo come una bolla di
sapone. Da allora, loro due non erano mai stati in grado di comportarsi
normalmente uno nei confronti dell’altro. Lunghi silenzi, litigate furiose,
abbracci immotivati e promesse gigantesche, irreali. Erano amici, però. Molto
amici. Così amici da scadere, a volte, nello zucchero.
“Lucilla” esclamò quasi di
slancio Ros “Ti voglio bene. Non mi importa se facciamo vomitevoli discorsi da
ex.”
Incassò senza fiatare lo scappellotto
che le spettava per aver usato quello stupido soprannome. Inaspettatamente, il
ragazzo sorrise.
“Anche io, Snake.” Fece una
pausa, come faceva abitualmente prima di spararla grossa. “Darei la vita per
te.”
“E per Emma?” Intuì un secondo
schiaffo in arrivo, ma Dawn e Rab si erano fermati: erano arrivati al laghetto.
Il laghetto era una sorta di
grande pozza (o di piccolo bacino) di acqua cristallina, alimentata da una
piccola sorgente. C’era un prato dolce e morbido, e cespugli di erica. C’erano
cumuli di insidiosi ricordi ovunque.
Tutti smontarono e condussero i
cavalli ad abbeverarsi, prima di stendersi sull’erba fine. Era piuttosto
comodo, se uno non appoggiava proprio la testa a terra. Rodolphus si lasciò
cadere al suolo, abbandonando il capo sulle gambe di Leyla. Bah. Da qualche
tempo, il mondo sembrava impazzito, e non valeva la pena cercare di star dietro
a tutti. Dawn era chinata sulla sua borsa, che aveva mollato a terra, ma quando
si sollevò, i lunghi capelli divisi in due cortine che quasi le nascondevano il
volto, guardò dritta negli occhi la sua più antica amica, un lampo di grigio
argento nel nero. Entrambe sapevano che c’era qualcosa di non detto.
Il pomeriggio scivolò via pigro,
tra spuntini sparsi e giochi stupidi: facciamo a chi tira la pietra più
lontano, facciamo a chi da rimbalzare più volte il sassolino, facciamo a chi
sputa più lungo. Le stesse cose, da quando erano piccoli. Le due sorelle Malfoy
rinunciarono agli sputi, ma Ros non si fece pregare, e vinse pure uno dei
turni.
“Carrettiera” le sussurrò Lelly,
quando le passò accanto. Lo era. Era una carrettiera, e ne andava piuttosto
orgogliosa.
“Luch” mormorò Ros, abbracciando
l’amico “moriresti per me, vero?”
“Certo” le disse lui tra i
capelli “Sempre che non decida di ucciderti io, questo è un altro discorso. E
che tu smetta di chiamarmi Luch.”
“Ah, ah. Sei disposto a sfidare
le ire di tua sorella?”
“Mmh. Numero uno o due?”
“Cambia?”
“Beh, sì” ponderò Lucius “In
effetti, sì. Vedi, Leyla è una da lancio del pugnale, teatrale, capisci. Mi
beccherei una coltellata in pieno petto, e crollerei a terra, la camicia bianca
che si tinge di scarlatto, un’elsa d’argento intarsiata di brillanti che mi
spunta dal petto …”
“Hai finito?”
“No. Dawn, lo sai, me la vedo più
con del veleno, o con un Anatema che Uccide. Molto meno scenico. Me ne andrei
in un batter d’occhio, sperando che non usi del cianuro, perché non mi va di
trapassare tutto contorto e sporco di bava.”
“La numero uno, dico.”
“Oh, sì. Sì, credo che per te si
possa fare.”
“Bene, allora ascoltami.”
Dopo qualche minuto di bisbigli
ininterrotti, Lucius si allontanò dall’amica e strisciò furtivamente alle
spalle di Leyla, che prendeva il sole stesa sulla riva del lago. Nessuno lo
notò, tranne Rabastan, che fu zittito con un dito alle labbra. Uno, due e … tre!
Con un gesto elegante e deciso, la bionda prese il volo ed atterrò in acqua.
Fu come se, fino a quel momento,
i ragazzi fossero stati vittima di un incantesimo, che si spezzò di colpo non appena si sentì il
tonfo di cinquantasette punto sette chili compatti che spezzavano la superficie
liscia della pozza. Rabastan scoppiò a ridere, alzandosi in piedi; Dawn
sussultò e si fece sfuggire una risatina nervosa; Ros soppresse un sorriso
colpevole; Rodolphus, unica nota stonata, scattò in piedi con un grido agitato:
“Lelly!”
Prima che chiunque si potesse
sorprendere per l’ennesima stranezza, la più vecchia delle sorelle Malfoy, come
in risposta al richiamo, emerse dalle acque, splendido esempio di Erinni
giovane, bionda e avvolta in costosi abiti firmati. Non gridò. Non parlò
neppure. Si limitò ad uno scatto deciso del polso; Xerse, che si era gettato in
acqua dietro alla padrona, si avventò su Jack, e Lucius si trovò all’improvviso
sospeso in aria per la caviglia.
“Argh!” gridò il ragazzo, rosso
in viso per il reflusso di sangue “Strega!”
Leyla rise in modo piuttosto
agghiacciante. “Sono contenta che tu l’abbia notato, ho impiegato qualche anno
di esercizio per migliorarmi fino a questo punto. E ora posso sperimentare
quello che ho appreso, trallallà!”
Rod si coprì gli occhi, e gli
altri avrebbero fatto meglio a seguire il suo esempio. L’erede dei Malfoy
rimise i piedi a terra. Un secondo dopo, però, un altro colpo di bacchetta lo
sollevò ancora, per mandarlo a gambe all’aria nel prato poco più indietro.
Sotto lo sguardo meravigliato dei presenti, Lucius fece un paio di capriole
sull’erba e si schiantò a pelle d’orso.
“Leyla!” strillò Rosnake,
angosciata. “Leyla, basta! E’ colpa mia, gli ho detto io di farlo! Ti prego,
smettila, gli fai male!”
La ragazza si girò di
quarantacinque gradi, lasciando il fratello boccheggiante al suolo.
“Sei stata tu?”
“Sì! Era solo una cretinata …”
“Oh, non sono veramente
arrabbiata. Avevo solo voglia di far saltellare Lucilla come una pulce.”
Prima che il fratello potesse
riprendersi, Leyla balzò su Adonais e, con Xerse al seguito, galoppò ridendo
verso Scarburough Castle, perduto nell’abbraccio del tramonto di sangue.
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Capitolo 5 *** Improbabilità multipla ***
5
Improbabilita
Multipla
Dawnrose aveva percorso quel corridoio mille volte, ogni estate , ogni
giorno che passava a S il tappeto rosso finemente lavorato la conduceva alla
camera del suo migiore amico, alla camera di Rabastan. Il fatto che Dawnrose
conoscesse a memoria quel percorso era in quel caso un aspetto
straordinariamente positivo infatti la ragazza quel pomeriggio stava seguendo
il tappeto rosso assorta in congetture una meno probabile dell’altra.
I pensieri vagavano nella sua
mente e si inseguivano intraciandosi e sciogliendosi, seguendo un moto incline
al casuale.
Una passo dopo l’altro si
sorprese nel riconoscere la porta che aveva di fronte come quella della stanza
di Rabastan. Bussò con vigore. Niente. Ancora. Niente.
Dawnrose era una ragazzza
estremamente razionale ponderata tranquilla e controllata, ma se c’era qualcosa
che condivideva con i suoi fratelli era l’assenza di pazienza. Su quel punto i
tre fratelli Malfoy erano identici. Quando qualcosa passava loro per la testa,
quando volevano qualcosa la ottenevano: sempre e a qualunque condizione, che
naturalente era dettata da loro.
“Rabastan, apri! So benissimo che
sei li dentro”
Niente.
“Rabastan Lestrange, aprimi
immediatamente ti devo parlare, adesso e subito!” i colpi alla porta si erano
fatti sempre più vigorosi e Dawnrose iniziava ad avere male alla mano.
Dietro di lei una porta si aprì e
la famigliare voce della persona che stava cercando le giunse pacata e tranquilla “Si può sapere
cosa stai facendo?”
“Rabastan, ti stavo giustappunto
cercando...”
“Si, mi era parso di notare... ma
si può sapere perché stai bussando alla porta della torre est?” Rabastan la
guardava interrogativo, Dawnrose si sentiva frastornata, conosceva a memoria la
strada ma forse iniziava ad invecchiare e come tale a dimenticare.
Cercando di mantenere controllo e
dignità cambiò velocemente argomento lasciando quello precedente indietro con
un’elegante gesto della mano
“Ti devo palare Rab... è una questione
di importanza non vitale ma sufficiente a destare il mio e il tuo interesse!”
La bionda entrò nella stanza del
ragazzo e chiuse la porta.
“Dawn non è che hai mangiato
qualcosa di strano? Non so magari qualche strano liquido che ti ha offerto mio
fratello?”
“Non sono ubriaca se è questo che
intendi...” la più giovane dei Malfoy si sedette sul letto del ragazzo, lui la imitò
aspettando spiegazioni
“Da quando tuo fratello si
comporta così con Leyla?” chiese bruscamete Dawnrose.
Rabastan inarcò un sopracciglio e
Dawnrose lo maledì –possibile che gli uomini non notino mai niente?!-
“Beh devi ammetere che non era
molto normale oggi no?”
“Perché Rodolphus ti ha mai dato
la sensazione di essere normale?”
“Certo che no, ma rabastan
svegliati... quando mai Rod fa complimenti, da quando esculde Leyla da tutti i
commenti crudeli che fa su tutti noi?, da quando Leyla abbassa lo sguardo a una
provocazione di Lucius?”
“Beh le ha chiesto quale fosse il
suo nuovo ragazzo!”
“Appunto, ma non capisci? Che
Leyla abbia qualcosa per la testa è fin troppo ovvio...questa estate le sarano
arrivate centinaia di lettere e le tiene tutte sotto chiave, non ne ha parlato
a nessuno... ammettendo che dietro tutto questo ci sia un ragazzo, cosa che mi
sembra senon ovvia probabile, Leyla avrebbe dovuto dirgli -non sono fatti tuoi-
o scherzarci sopra, e invece ha cambiato discorso...e quel che è peggio è che
come noi abbiamo continuato a fare domande anche Rodolphus avrebbe dovuto”
“in effetti Rod mi ha stupito...
normalente avrebbeinziato a elencare tutti i possibili corteggiatori di Leyla,
ad iniziare con Ian”
“Che per inciso non è uno di
questi!! Io credo che Leyla e Rodolphus stiano tramando qualcosa...tu che ne
dici? Hai passato tutta l’estate con Rod, pensi che ci possa essere qualcosa?”
“tra Rod e Leyla... non so Dawn
mi sembra altamente improbabile...”
Cadde il silenzio. Si, aveva
ragione, la situazione era fortemente improbabile. Dawnrose si sentì una
sciocca per aver pensato a una cosa simile. Rodolphus e Leyla si conoscevano fin
da quando avevano tre anni, erano sempre insime e mai l’uno aveva destato
interesse per l’altro.
“Dawn, non ti tormentare così.
Leyla e Rodolphus non sono stupidi erano presenti anche loro quando Lucius e
Ros sono stati insieme... è una cosa impossibile!”
Ancora una volta Rabastan aveva
inesorabilemnte ragione, loro sei erano un gruppo fantastico, erano cresciuti
insime, erano una famiglia gli uni per gli altri. La storia tra Ros e Lucius
aveva loro insegnato che le cose tra di loro sarebbero state troppo difficili e
infatti ora che tra loro era finita era rimasto uno strano legame di amore e
odio per molte ragioni poco consigliabile. Rodolphus e Leyla erano stati i
primi a formulare questa teoria, non avevano mai ben visto quella storia, era
impossibile che ora tra loro due vi fosse qualcosa.
“Si, è vero Rab, probabilemnte
stanno organizzando qualcosa di oscuro... magari qualche scherzo... o qualcosa
per cui noi cercheremmo di fermarli!”
“Secondo me stanno cercando di
organizzare un torneo di scherma a Hogwarts! Rod ne ha accennato a cena qualche
tempo fa sostenendo di avere un complice... è probabile che si tratti solo di
quello!no?”
In quello stesso istante la porta
della stanza di Rabastan sbattè violentemente contro il muro.
Una Sconvolta, impaurita e allucinata Rosnake
irruppe nella stanza.
“DAWN, RAB... fortuna che siete
qui!”
“Cosa succede Ros? Cosa è
successo?!” i due ragazzi allarmati scattarono in piedi.
Silenzio. Rosnake boccheggiava.
Pochi secondi che sembravano un’eternità
“Rodolphus...Leyla... scuderia...
si baciavano!”
Dawnrose non credeva alle sue
orecchie, la conversazione di un attimo prima con Rabstan sembrava ora profondamente inultile.
Alcune parole le rimbombavano nella testa “...è una cosa impossibile”
Impossibile....avevano Sbagliato,
era Improbabile, non impossibile.
ab
Rosnake si
accorse in un istante di aver fatto un’enorme siocchezza. Aveva lasciato il
cesto con le mele dentro il box di Artemis.
-quella
sciocca cavallina è capace di mangiarsele tutte- in effetti Rosnake era certa
che le avrebbe mangiate tutte e suo padre le avrebbe detto di tutto. Rupert Lestrange
adorava i cavalli e l’equitazione, Rosnake e i suoi fratelli avevano imparato
l’arte dell’equitazione grazie a lui, aveva loro insegnato tutto ed era sempre
stato molto fiero dei suoi ragazzi, proprio per questo Rosnake non voleva
sbagliare. Eppure aveva sbagliato.
La
bruna si fiondò per le scale alla volta della scuderia per fermare quello
scempio. Non riusciva a non pensare a quello che le avrebbe detto suo padre, ma
dentro di lei una vocina ottimista continuava a ripetere –non sono passati che
pochi minuti, non avrà già fatto indigestione!!-
Rosanke
raggiunse le scuderie in pochi minuti, entro di corsa e raggiunse il box del
suo cavallo, il ceso di mele non c’era.
Rosanke
inarcò un sopracciglio interrogativa e accarezzò il muso di Artemis “Non avrai
mangiato anche il cesto spero...” disse in un sussurrò.
Una
risata, una risata leggera, allegra... non era sola nella scuderia. Si chiese
chi mai potesse esserci. –Fifona, chi mai potrà essere sarà Dawn!o Leyla!-
Svoltò
piano senza far rumore e la scena che le
si presentò davanti aveva qualcosa di straordinariamente improbabile.
Altrettanto
straordinariamente l’unico pensiero che Rosnake riuscì a formulare fu “Avevo
ragione, era Leyla!”
Un
attimo dopo si sentì mancare l’appoggio.
ab
Leyla
stava spazzolando la criniera di Adonais assrta nei suoi pensieri, la gita a
cavallo era stata veramente divertente, finalemnte erano di nuovo tutti
insieme. Lei, Dawn, Ros, Lucius, Rab, Rodolphus.... Rodolphus.
Ridacchiò
pensando a quello che era stato per lei prima e a quello che rappresentava per
lei adesso.... e poi? Cosa avrebbe rappresentato, con tutto il cuore si augurò
che non vi fosse una terza opzione.
Era
stati amici, solo amici, grandi amici... principalmente Rodolphus era il
fratello della sua migliore amica e Il migliore amico di suo fratello: curiosa
e improbabile simmetria.
Eppure
quel delicato idilio non poteva durare per sempre, prima o poi la verità saebbe
venuta a galla, tutto stava a posticipare l’impatto il più possibile.
“C’è
qualcosa che tormenta il cuore della mia principessa?”
Leyla
chiuse gli occhi e sorrise: Rodolphus. Una voce inconfondibile, un modo di fare
inconfondibile... Rodolphus era decisamente inconfondibile.
“...Solltanto
l’idea di cosa ti potrebbe fare Lucius
se scoprisse tutto...” Leyla si
voltò, Rodolphus era a pochi centimetri da lei, le sorrise beffardo
“Lucius
capirà... è tuo fratello, è il mio migliore amico... e soprattutto ha un debito
con me!”
“Cioè?”
“Io
non gli ho spaccato la faccia quando stava con Snake!”
Leyla
ridacchiò “Spero che basti a fermarlo, anche perché non ho nessuna intenzione
di rinunciare a te!”
Rodolphs
non rispose, sorrise soltanto, un sorriso intrigante, oscuro, affascinante...
un sorriso a cui Leyla non aveva saputo resistere come d’altronde metà del
popolo femminile di Hogwarts.
Il
ragazzo le accarezzò lievemente una guancia prima di catturarle le labbra in un
dolce bacio. Un bacio destinato a finire troppo presto.
Highfield,
il cavallo di Rabstan nitrì
profondamente infstidito. I due ragazzi si sciolsero dal bacio e si
voltarono di scatto. Rosnake li stava
guardando allibita, la situazione aveva assunto dei connotati profondamente
ambivalenti, la parte buffa era che Rosnake li guardava sdraiata in mezzo al
fieno, la colonnina di legno a cui probabilmente si era appoggiata doveva
essere crollata, e infatti giaceva a terra accanto a Rosnake. La parte
drammatica era che Rosnake li stava guardando.
Silenzio.
Rosnake non aveva parole, Leyla e Rodolphus anche troppe:
“Ros,
non saltare a conclusioni affrettate... “
Improvvisamente
alle parole di Rodolphus la raggazza sembrò svegliarsi dall’ipnosi, si rialzò
goffamente e sotto gli occhi preoccupati dell’amica e del fratello scappò via
senza sapere esattamente cosa provava per ciò che aveva visto, in effetti non
era neanche molto certa di ciò che aveva visto.
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Capitolo 6 *** Paura fiducia scuse ***
6
Paura Fiducia Scuse
“Just because everything’s changing
Doesn’t mean it’s never been this way before
All you can do is try to know
Who your friends are
As you head off to the war…”
(The
Call - Regina Specktor)
Dawnrose odiava sbagliare.
Naturalmente sbagliava con regolarità, come tutti gli esseri umani, ma le dava
particolarmente fastidio quando succedeva. Per questo, quando era insicura su
qualcosa, preferiva non parlare e non fare, piuttosto che sentirsi dire “Hai
sbagliato”. E, in quel momento, la palese verità le si abbatté addosso come un
macigno: non solo aveva sbagliato, ma aveva anche dato per scontato che Leyla
le avrebbe detto la verità. Per un breve attimo si detestò, ma rapidamente
trasferì la sua rabbia sulla sorella, e anche sulla povera e traumatizzata
Rosnake. Perché aveva riferito loro quello che aveva visto? Perché non se l’era
tenuto per sé, senza creare problemi? La voce di Rabastan la riportò
rapidamente alla realtà, e vedere Ros che ancora boccheggiava le fece ritirare
tutto quello che aveva appena pensato.
“Eh? Ros... sei sicura??” Anche lui sembrava abbastanza
sconvolto.
La bruna annuì vigorosamente,
senza riuscire a parlare, e si lasciò rumorosamente cadere per terra. Dawnrose
scattò in piedi, afferrando Rabastan per un braccio. -Eh no, mia cara!-
esclamò, avvicinandosi alla cugina -Vieni anche tu!- Prese il polso di Ros e la
sollevò da terra, uscendo dalla camera trascinandosi dietro i due fratelli
Lestrange.
“Dawn, ma che fai?! Stai ferma,
non vorrai mica...” iniziò Rabastan, visibilmente agitato, divincolandosi dalla
stretta di ferro della bionda. “... andare da Leyla?!?”concluse Ros, trascinata
senza possibilità di fuga.
“No, ma cosa stai dicendo?”
Dawnrose pareva quasi irritata dal fatto che i due avessero pensato una cosa
del genere, mentre procedeva a grandi passi nel lungo corridoio, Rabastan che
le arrancava dietro, Rosnake tirata e strattonata senza troppa grazia. “Stiamo andando da Leyla e Rodolphus!”
ab
Nelle stalle, Leyla non sembrava
molto più calma della sorella minore.
“Cavolo, Rod, cavolo, Rod!”
ripeteva da circa cinque minuti senza fermarsi. Rodolphus cercava di tenerla a
bada, ma era molto difficile.
“Dai, Lelly, calmati, vedrai che
non succederà niente!” La ragazza lo fissò con aria omicida.
“Non succederà niente, eh? Ma
certo, Rodolphus, certo! Anzi, Lucius arriverà con le mani piene di confetti e
griderà “Viva gli sposi!”, dandoci la sua benedizione! E Dawnrose mi farà da
damigella d’onore, senza strapparmi le budella, ovviamente, e Ros? Testimone,
non ci avevo pensato! E Rabastan porterà gli anelli! Ma sei SCEMO, Rodolphus??”
gridò la ragazza, ormai totalmente isterica.
“Lui di certo, ma tu?” Una gelida
voce congelò i movimenti di Leyla, che si bloccò immediatamente. Dawnrose era
appoggiata all’entrata in quella posa che le ricordò tanto Lucius. La
primogenita Malfoy cercò di dire qualcosa, ma sentì la gola improvvisamente
secca. Deglutì, fissando il volto immobile della sorella, e scorgendo alle sue
spalle Ros e Rabastan. -Maledetta lei e la sua inquietante abitudine di
comparire all’improvviso!- pensò Leyla, non riuscendo ancora a risponderle.
“Dawnrose, senti, io...”Rodolphus si riprese
più in fretta, ma anche lui si chiedeva da dove diavolo fosse sbucato quel
trio.
“No, senti niente. Adesso senti
tu.” Anche Dawnrose fu colta di sorpresa nel sentire alle sue spalle la voce di
Rabastan. Il ragazzo fece un passo verso il fratello, guardandolo fisso negli
occhi. “Rodolphus, perché non me l’hai detto? Eh? Ti costava tanto? No. Non
capisco perché me, anzi, ce l’avete
tenuto nascosto, e soprattutto...”
“Ehi, cosa succede qui? Riunione
di famiglia?” Il sangue di Leyla gelò nelle vene, e la scena si congelò per un
istante. Lucius comparve alle spalle di Rosnake, che ridacchiò come una
cretina, e tentò un: “Eh eh, più o meno..” Il ragazzo biondo sollevò un
sopracciglio: li conosceva tutti troppo bene per non capire che c’era qualcosa
di strano. “Mmmh, certo. Avanti, che succede?” Rosnake guardò Rabastan, che
guardò Rodolphus, che guardò Leyla, che guardo Dawnrose, che disse: “A quanto
pare, la nostra sorellina e Rod stanno insieme. Di nascosto.” Dal tono di Dawn
si poteva supporre che stesse leggendo la lista della spesa, ma quello che
aveva detto era ben diverso da “Vorrei tre chili di zucchine.” Lucius fissò per
un istante la ragazza con occhi vacui, e poi si voltò verso Leyla e Rodolphus.
Non disse una parola, ma il suo sguardo significava tutto. Per la prima volta,
Dawn vide la sorella arrossire davanti a Lucius, e non riuscire a parlare.
Era assurdo. Era tutto assurdo.
Leyla era sconvolta. Per tutto quel tempo la loro relazione era rimasta
segreta, e andava bene così. I due erano innamoratissimi, non avevano ancora
litigato, tutto procedeva perfettamente. E, in meno di un’ora, Rosnake li aveva
visti baciarsi, l’aveva riferito a Dawnrose e Rabastan, e ora lo sapeva anche
Lucius. Tutto per quello stupidissimo bacio nella scuderia. Lo sapeva, cavolo,
lo sapeva che non avrebbe dovuto farlo, non aveva la certezza di essere sola, e
infatti non lo era. Si odiava, e odiava un po’ anche tutti gli altri. Rosnake
per averli visti e averlo detto agli altri due, Dawnrose per averlo detto a
Lucius, Lucius perché sapeva che non avrebbe gradito la cosa, e Rabastan senza
motivo. Rodolphus era l’unico che non odiava, no. Non sarebbe mai stata capace.
Lucius cercò di capire le parole
fredde che stavano uscendo dalla bocca della sorella. Leyla... Rodolphus...
insieme?!? Fu l’unico pensiero sensato che riuscì a formulare. Ma quasi subito,
la rabbia prese il posto della confusione. La sua gemella e il suo migliore
amico... no, non era possibile. Ma dai, erano stati gomito a gomito da quando
erano nati, si erano sempre amabilmente picchiati, non c’era mai stato del
tenero tra loro... Ma si diede rapidamente dello stupido: sempre più spesso Rod
gli chiedeva notizie di Leyla, le lanciava strane occhiate, a volte lo vedeva
scrivere lettere che poi nascondeva in un cassetto, ma non ci aveva mai fatto
caso... che stupido che era stato. Ma perché gliel’avevano tenuto nascosto?
Perché?
La tensione nell’aria era quasi
palpabile. All’improvviso, Rosnake si accorse che stava trattenendo il respiro.
Non sapeva cosa pensare, e preferiva non immaginare la reazione di Lucius.
Indietreggiò di qualche passo, decisa a filarsela mentre nessuno pensava a lei,
ma la mano bianchissima e fredda di Dawnrose le si serrò sulla spalla. Uffa.
Gli occhi grigi della ragazza correvano velocemente dal fratello alla sorella,
cercando di non perdersi il più minimo movimento. Tutti erano immobili, il
silenzio era quasi assordante. Rabastan non osava muovere un muscolo, anche se
avrebbe voluto tirare uno schiaffo a quel belloccio di suo fratello, che
rimaneva immobile, gli occhi fissi sul volto congelato dell’amico. Il tempo
pareva essersi fermato, nessuno si muoveva, nessuno parlava...
“EHI!!” con un urlo, Ian comparve
sulla porta della scuderia. Tutti si voltarono a guardarlo, e lui non parve
neanche accorgersi di quello che aveva interrotto. Non capì che non era il
momento e che Lucius in quel momento emanava furia omicida, così lo abbracciò,
gli fece fare un casquè e urlò a pieni polmoni: “YOU TOUCHED MY TRALLALLÀ!!!”
Lucius, a testa in giù fra le
braccia di Ian, aveva un’espressione indescrivibile. Tutti fissavano il ragazzo
sconvolti. Ian, non curandosi del silenzio attorno a lui, fece l’occhiolino al
biondo e aggiunse: “Bananas, melonas, YEAH!!!” Leyla, per la prima volta
nell’ultimo quarto d’ora, abbandonò quell’espressione colpevole e sollevò
sconvolta e scioccata il sopracciglio. Si rese conto subito che tutti gli altri
presenti avevano la sua stessa faccia, e fissavano senza una parola Ian, ancora
chinato a reggere Lucius, che forse pareva il più attonito di tutti. Di nuovo
fu Nott a rompere il silenzio con una sonora risata, e lasciò andare di scatto
il biondo che si schiantò violentemente a terra. “Ma sei CRETINO?!?” esclamò il
ragazzo, rialzandosi.
“Ma no!” rispose Ian “It’s a hot
hot summer love!!” aggiunse, rilassato.
“Senti, IDIOTA, ho appena
scoperto che mia sorella se la fa da non so quanto con il mio migliore amico!!”
A sentire queste parole, Rodolphus si riscosse
e, finalmente, parlò: “Senti, e cosa dovrei dire dato che tu ti sei fatto mia
sorella qualche tempo fa??” Più che parlare, Rod stava urlando.
Ian pareva sorpreso dal discorso,
e decise di ripetere: “You touched my trallallà!-“Dawnrose gli tirò un pugno in
testa. “Cosa vuol dire, lo sapevi, no?” gridò Lucius, per sovrastarlo. “E
allora? Ora lo sai! E vorrei che mi spiegassi cosa ti dà fastidio di tutto ciò,
Lucius!!” Rodolphus aveva perso completamente il silenzio sbigottito di poco
prima, e urlava contro Lucius. Per loro due, gli altri non esistevano. “Cosa mi
dà fastidio? E me lo chiedi?? Perché non me l’hai detto, Rodolphus?!”
Effettivamente, era quello che tutti si chiedevano. Tranne Ian, ovviamente, che
non aveva capito niente e fischiettava uno strano motivetto ripetendo sottovoce
qualche yeah di tanto in tanto. Artemis sollevò di scatto la zampa e uno
zoccolo centrò in piena fronte il fischiettante, che andò dritto e filato
sdraiato in una balla di fieno. Tutti ringraziarono silenziosamente la paciosa
cavalla. “Perché sapevamo che non avreste capito. Che ci avreste detto che era
una cavolata, che non sarebbe durata perché eravamo troppo amici. E lo stareste
per fare, lo so”.
La cosa più strana di quella
frase, fu che a pronunciarla fu Leyla. La ragazza ora era tornata la cara
vecchia Leyla, con uno sguardo parecchio combattivo e le guance più colorite
del solito.
“Ma cosa stai dicendo? Abbiamo
capito con Snicchy, avremmo capito con te. Se solo ce lo avessi detto.”
Dawnrose fissava la sorella con occhi di ghiaccio, e si sentiva delusa dal
fatto che Leyla non si fosse fidata né di lei né di Rosnake. E questo la urtava
particolarmente. “E, inoltre, non mi sembrava che ci fossero segreti tra noi,
no?” sbottò Rabastan. Rosnake rimase in silenzio. Anche lei si sentiva ferita
dal comportamento di Leyla, ma riusciva a capire meglio di tutti: sapeva bene
cosa voleva dire stare col miglior amico del proprio fratello. E sapeva bene
che ne derivavano sempre problemi e litigi inutili che non portavano a niente.
Era meglio intervenire, prima che Lucius e Rod cominciassero a picchiarsi, e
che Dawnrose desse fuoco alle stalle (magari con Ian dentro). Oramai tutti si
guardavano come se stessero per uccidersi, tranne Rabastan che fissava
angosciato la sorella maggiore. “RAGAZZI!” urlò all’improvviso Rosnake. Tutti
si voltarono stupiti. Ma sarebbero finite le sorprese, quel giorno? “Ragazzi.
Non c’è motivo di litigare.” Ros pareva un po’ pentita di aver richiamato così
brutalmente l’attenzione. Lucius la fissò per un attimo, esterrefatto. “Dio,
Ros, pensavo che avessi qualcosa di importante da dire!” sbottò, scocciato, e
si voltò di nuovo verso Rodolphus. Rosnake pensò per un attimo di tirargli in
testa il forcone alla sua sinistra, ma rinunciò in fretta. “Ho qualcosa di importante da dire,
Lucius Abraxas. E vorrei che tutti voi mi ascoltaste.” La voce improvvisamente
sicura di Rosnake fece zittire tutti. La ragazza assaporò per un attimo il
potere. “Sentite, capisco che la situazione sia parecchio spiacevole,
ma...”Dawnrose sollevò di scatto un sopracciglio. Ma che bell’eufemismo.
“...Non capisco perché dobbiamo giungere a conclusioni affrettate.” Ros si
guardò intorno: nessuno parlava, tutti la fissavano, aspettando che continuasse
il suo sconclusionato e improvvisato discorso. E lei continuò: “Allora, sappiamo
che Leyla e Rod stanno insieme di nascosto, e questa decisamente non è una
bella cosa. Prima di tutto, perché nessuno di loro due si è fidato di noi.
Secondo, perché è sempre strano vedere due amici trasformarsi in qualcosa di
più, e capisco che all’inizio possa dare fastidio. Ma non c’è bisogno di
litigare in questo modo.” Lucius guardava da un’altra parte, ma Rosnake intuì
cosa stava pensando. Gli si avvicinò e sorrise: “Ti ricordi com’è stato per
noi, Lucius? Perché non può essere così anche per loro?” Gli occhi del giovane
Malfoy fissavano Ros, persi nei ricordi di anni prima... Sì, ricordava com’era
stato per loro, lo ricordava perfettamente e l’avrebbe ricordato per sempre. Ma
allora perché non riusciva ad accettare Leyla e Rod? Non avrebbe saputo
spiegarselo. Ma forse, in quel momento, riuscì a capire la reazione di
Rodolphus quando aveva saputo di lui e Rosnake. Tutti lo stavano fissando,
aspettando che rispondesse, ma non sapeva cosa dire. Qualunque cosa sarebbe
stata sbagliata. Si voltò e corse via, lontano, la testa troppo piena per
riuscire a pensare.
Leyla guardò suo fratello
scappare via, e pensò che era tutta colpa sua. Pensò che se fosse veramente
successo qualcosa alla loro amicizia, a tutto quello che legava quei sette
ragazzi sarebbe stata solo colpa sua. E si maledì per questo. Si avvicinò
silenziosamente a Rosnake e le posò una mano sulla spalla. “Grazie Rosie.
Grazie davvero.” La bruna la abbracciò, e Leyla capì pienamente cosa voleva
dire amicizia. Nonostante lei non si fosse fidata di dire tutto all’amica, Ros
le avrebbe voluto sempre bene, e l’aveva aiutata anche in quella circostanza.
“Grazie a te, Leyla.” La voce fredda e distaccata di Dawnrose interruppe i
pensieri delle due ragazze. “Per esserti fidata di noi.” La bionda si girò di
scatto, facendo schioccare i capelli nell’aria. “Rabastan, prendi Ian.” E, con
queste parole, Dawn lasciò la scuderia.
Rabastan arrancava nel corridoio
trascinandosi dietro un Ian mezzo svenuto e mezzo no, e nel frattempo cercava
di ascoltare le parole di Dawnrose. “Tua sorella è davvero incredibile!” stava
dicendo “Sempre a fare la pacifista, e...” Il monologo della ragazza venne
interrotto dal giovane Nott, che balbettò qualcosa tipo: “Ma che diavolo hanno
Lelly e Rod?” Dawnrose si voltò di scatto, e per un attimo Rabastan temette che
avrebbe dato il colpo finale a Ian. Ma si limitò a guardarlo con quei suoi
occhi di ghiaccio. “Spiegaglielo tu. Io sono stanca di tutto questo.” Ed entrò
nella sua stanza sbattendosi la porta alle spalle. Rabastan rimase nel
corridoio, insieme ad un ragazzo che lo guardava come per dire “Perché questo
strano tipello mi sta trascinando lontano, lontano?”. Sospirò: “donne”.
Dawnrose si buttò sul letto a
baldacchino blu, e si lasciò uscire un sospiro: quante cose potevano capitare
in un giorno? Sicuramente quella settimana a Scarburough sarebbe rimasta per
sempre nelle memoria di tutti loro. Sapeva che era un pensiero sciocco, ma si
chiese lo stesso, per un attimo, se un giorno Rodolphus e Leyla sarebbero
arrivati al castello con i loro figli. Scacciò il pensiero dalla mente,
dicendosi che avevano solo diciassette anni. “Già, diciassette...” le disse una
vocina in fondo al cuore “E a giugno saranno fuori da Hogwarts, potranno
sposarsi e tutto il resto. Non c’è solo Hogwarts a questo mondo...” Dawnrose
rabbrividì. Quasi mai aveva dato ascolto alla sua coscienza, ma stavolta aveva
ragione: non c’era solo Hogwarts al mondo. E dopo, dopo cosa ci sarebbe stato?
Cosa avrebbero fatto? Si sarebbero persi di vista? La loro amicizia avrebbe
resistito a tutto quello? Proprio mentre si chiedeva questo, la porta della
camera si aprì timidamente. Rosnake entrò nella stanza seguita da Leyla. Dawn,
seduta sul davanzale, alzò gli occhi al cielo. Per un breve istante balenò
nella sua mente l’idea di buttarsi giù dalla finestra aperta, non aveva voglia
di parlare con nessuno. Poi però si ricordò che la sua camera dava direttamente
sugli scogli appuntiti del lago, e forse sarebbe stato meno doloroso affrontare
sua sorella. Forse.
“Dawn.” disse Rosnake, con
convinzione, anche se nei suoi occhi si leggeva la preoccupazione.
La bionda la fissò, poi distolse
lo sguardo. “È così che mi chiamano, di solito.” commentò.
Leyla mandò un alto gridolino di
esasperazione. “Senti, Dawn, non vedo perché tu debba comportarti così!”
esclamò, sbuffando.
Dawnrose la fissò, scendendo
lentamente dal davanzale. Quando parlò, il suo tono era gelido: “Vuoi che ti
faccia una breve lista, sorellina?”
Leyla si bloccò un attimo, ma
solo un attimo. “Non fraintendere. Ok, avrei dovuto dirvelo, non mi sono fidata
di voi, e ho sbagliato, lo so, ma ora che ti chiedo scusa non capisco perché tu
debba ancora avercela con me.”Rosnake, intanto, si era appollaiata su una sedia
e fissava le due senza una parola.
Dawnrose rimase in silenzio qualche
istante. Sua sorella non chiedeva mai scusa. Mai. Di solito non ce n’era il bisogno, ma adesso l’aveva fatto di
sua spontanea volontà. Ma la ragazza non riusciva a togliersi da dentro quella
sensazione pressante di collera, senza quasi sapere il perché. “Già. Non ti sei
fidata di noi. Non hai compreso che noi avremmo capito, non ti sei ricordata
che ci siamo sempre dette tutto, non hai pensato che sarebbe stato meglio
DIRCELO!!” Dawnrose alzò la voce sull’ultima parola, e Ros, che non se
l’aspettava, si ritrasse automaticamente. -No hai avuto fiducia. Hai pensato
che sarebbe stato meglio nasconderci tutto, “Tanto figurati se a quelle lì
frega qualcosa!- Ma ti sei sbagliata, perché per me era una cosa importante il
continuare a non dirci bugie e a sapere tutto l’una dell’altra. A quanto pare
per te era un dettaglio insignificante. Ma per me no. E, per una volta, Leyla,
dovresti imparare a tenere conto dei sentimenti degli altri, anziché pensare
sempre e solo a te stessa.” Dawnrose
sapeva di non pensare veramente quello che stava dicendo, ma si sentiva ferita
e delusa dalla sorella. Fin da piccolissime lei, Lelly e Ros si erano sempre
dette tutto, e non c’era motivo di
rompere quella secolare tradizione per colpa di quel tipello di Rodolphus. Era
irritata, amareggiata, e questo le faceva dire cose di cui poi si pentiva.
Lo sguardo di Leyla era
sconvolto. Non credeva che la sorella avesse davvero detto quelle parole. Era
vero, aveva sbagliato tutto, come aveva potuto non fidarsi delle sue due
amiche? Gli errori che aveva fatto ora le parevano così stupidi... Non aveva
neanche pensato che avrebbe potuto far del male alle due, in quel modo... E,
sì, magari a volte era un po’ egoista, ma dire che pensava sempre e solo a se
stessa era troppo. Non era affatto così, e tutte e tre lo sapevano. “Dawn,
io... Sì, è vero, non ho pensato a voi, ma non penso di meritarmi tutto... questo.” La voce della ragazza si spezzò
sull’ultima parola, e gli occhi grigi scintillavano. Ros, nel suo silenzio,
aspettava.
Dawnrose alzò la testa di scatto,
e vide la sorella che la fissava con un’espressione che non le aveva mai visto:
Leyla la stava pregando. Aveva
ragione, aveva maledettamente ragione, non si meritava niente di quello che le
stava facendo. Oddio, forse qualcosina sì, ma stava esagerando. Succedeva
sempre così quando si arrabbiava. Il sapore del fare male le inondava la bocca,
quel sapore così soddisfacente e familiare, e le faceva riversare fuori tutto
quello che non voleva. Poi, così come arrivava, spariva, lasciandola solo con
l’amaro in bocca. In quel momento, vedere Leyla così stanca e frustrata la fece
sentire malissimo. Dopo un attimo di esitazione, la ragazza scattò in avanti.
Per un terribile attimo, Rosnake pensò che volesse picchiare la sorella, ma
Dawn si limitò ad abbracciarla più forte che poteva. La bruna si alzò
silenziosamente e partecipò all’abbraccio.
-Ecco,- disse a Dawn quella
sottile vocina nella sua testa. -Niente, neanche la fine di tutto vi potrà mai
cambiare.- E, per la seconda volta in un giorno, Dawnrose le diede ascolto.
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Capitolo 7 *** Fratelli ***
7
Frattelli
Era l’alba.
L’alba, il suo momento. Si alzò
piano dal letto senza far rumore. Rosnake e Leyla dormivano profondamente, le
due teste vicine. I riccioli scuri di
Ros coprivano il naso della bionda che, nel sonno, cercava di levarseli dal
viso.
Dopo quel pomeriggio ricco di
eventi, le tre ragazze erano rimaste a chiacchierare in camera di Dawn fino
alle quattro del mattino. Aveva dormito due ore e mezzo, ma non si sentiva
stanca. Fissò per un attimo sua sorella: si chiese come si doveva essere
sentita, mentre tutti le avevano dato addosso, semplicemente perché aveva
ascoltato il suo cuore. Ma scrollò la testa da questi pensieri: quello era un
nuovo giorno. Mai soffermarsi sugli errori inutili del passato, si rischia solo
di ripeterli. Ma le venne spontaneo chiedersi come sarebbe stato vedere Leyla e
Rod come due fidanzati, ora che tutti (tranne forse Ian) sapevano come stavano
le cose davvero.
Si vestì rapidamente e uscì dalla
camera il più piano possibile. Il castello era immerso nel silenzi, avvolto nei
caldi raggi dell’alba. Uscì e si diresse verso le stalle. Sellò Alasdar, il suo
stallone bianco come la neve, e galoppò via. Adorava la velocità, a cavalcare
come a giocare a Quidditch, e non rallentò mentre il vento le fischiava nelle
orecchie e i capelli le frustavano la schiena. Sapeva perfettamente dove andare
e cosa fare. Guidò Alasdar verso la sponda orientale del lago, cavalcando nelle
prime luci del giorno. L’aria era carica dell’odore della rugiada notturna, e
faceva ancora quel fresco pungente della notte.
ab
Lucius era seduto sulle rive del
lago. Il sole stava sorgendo, illuminando il suo viso e la superficie
dell’acqua. Non era tornato al castello, quella notte. Non ce l’aveva fatta.
Dopo la litigata con Rodolphus era corso via, fino al lago, e si era lasciato cadere
senza fiato sull’erba bagnata. Non era un tragitto breve, e si sentiva i
polmoni in fiamme. Non aveva la forza di tornare a Scarburough, ed era rimasto
lì tutta la notte, solo. Non aveva dormito, aveva la testa troppo piena di
pensieri. Aveva pensato e ripensato alla sua storia con Rosnake, e a quella tra
Leyla e Rodolphus. Si sentiva come se nella lunga maratona della vita il mondo avesse fatto uno scatto
inaspettato, lasciandolo indietro, solo e stanco. Ora si sentiva gelato, dopo
la notte passata lì, e non riusciva a dare alle sue gambe l’ordine di alzarsi.
Fissava il sole nascente, sentendo gli occhi che bruciavano, ma non gli
importava. Probabilmente, nessuno si era accorto della sua assenza. Leyla e Rod
saranno stati insieme, Dawn e Ros avranno chiacchierato tutta la notte,
Rabastan e Ian avranno giocato a carte bevendo whisky incendiario. Lui era
superfluo, lì in mezzo. Erano tutti a coppie, lui era l’unico che rimaneva
escluso. Non c’era nessuno per lui. Da nessuna parte.
ab
Leyla socchiuse un occhio. Ros le
aveva buttato una mano in testa abbastanza violentemente.
“Dawn?” sussurrò, sicura che la
sorella fosse sveglia. Non le rispose nessuno. Era impossibile che Leyla si
fosse svegliata per prima. La ragazza si tirò a sedere di scatto.
“Dawn?” ripeté, guardandosi
intorno, spaventata. La ragazza non era nella camera. Leyla fu presa da
un’ansia che non seppe spiegarsi. Si buttò addosso la vestaglia e corse fuori
in corridoio. Bussò con veemenza alla porta di Rabastan. Anche qui nessuna
risposta. Riprovò con maggiore violenza. La porta si spalancò di scatto, e
Leyla finì per tirare un pugno al ragazzo.
“Oddio, Rab, scusa!” Rabastan la
fissò stupito, essendosi appena svegliato, e osservò con curiosità il sangue
che gli colò sulla maglietta dal naso. Leyla mormorò qualcosa agitando la
bacchetta e tutto tornò a posto.
“Leyla. Ma che stai facendo?”
riuscì a dire il ragazzo.
“Hai visto Dawn?”
“No, perché?” Rab pareva sempre
più confuso.
“Non so dove sia!” spiegò la
ragazza. Improvvisamente, Rodolphus comparve al fondo del corridoio.
“Che succede?”
“Non so dove sia mia sorella.”
disse rapidamente Leyla, notando quanto fosse bello il suo ragazzo appena
alzato.
“Curioso...” commentò Rod,
fissandola “È da ieri sera che Lucius non c’è.”
ab
Dawnrose vide una sagoma
stagliarsi in lontananza. Era lui, non c’era dubbio. I capelli biondo argento
risplendevano illuminati dal sole, e il suo profilo era perfettamente
riconoscibile. La ragazza procedette lentamente al passo, avvicinandosi.
Lucius era immobile, nella stessa
posizione che aveva ormai da diverse ore. Probabilmente, se non fosse più
tornato, nessuno l’avrebbe notato. Anzi, magari dopo qualche giorno qualcuno
avrebbe detto: “Ma non vi sembra che si stia molto meglio ora?”.
In quell’istante, il ragazzo sentì
dei passi dietro di lui. Probabilmente qualche scozzese pazzo che andava a
pescare trote all’alba. Matto. Non si girò, non gli importava niente.
“Lucius...” Il ragazzo congelò.
Non c’era uno scozzese pazzo. No, qualcuno era venuto apposta per lui. Allora
qualcuno si era accorto della sua assenza. Improvvisamente, Dawnrose gli fu
accanto. La ragazza lo fissava senza parlare, e il Lucius ricambiò lo sguardo.
“Ehi.” disse. Ma la voce gli uscì roca e piatta, come se non parlasse da
settimane. Dawn gli passò una mano sul viso e gli accarezzò i capelli.
“Ma sei diventato pazzo?”
sussurrò debolmente, un’espressione scioccata sul volto.
Dawn non riusciva a credere ai
suoi occhi. Capì subito che suo fratello aveva passato la notte lì. Aveva i
capelli scompigliati, era pallidissimo e gelido, lo sguardo sofferente.
“No.” disse Lucius
“Mi mancava il campeggio.” Dawn
sorrise: se era in grado di fare battute, allora non stava troppo male. “Dai,
torniamo al castello.” propose Dawn, alzandosi.
Lucius alzò lo sguardo di scatto,
e il suo viso si contrasse. “No.” disse, in un tono che non accettava repliche.
La ragazza si sedette di nuovo vicino a lui. “Perché no, Lucius?” Il ragazzo
non rispose subito. Guardava il lago e l’orizzonte. -Perché sono di troppo.-
disse infine, in tono piatto, come se non gli importasse cosa stava dicendo.
Dawn sgranò gli occhi.
“Cosa?!” esclamò, pensando di non
aver sentito bene.
“A che vi servo?” rispose
tranquillo il ragazzo, lo sguardo perso, la voce rigida. “A cosa ci servi? Ma
davvero sei diventato pazzo!!” gridò Dawn, scattando in piedi.
“Non ci servi a niente se stai
seduto qui a crogiolarti nella disperazione e nella depressione, non ci servi a
niente stando via tutta la notte, non ci servi a niente così!!” Finalmente
Lucius sollevò la testa e la guardò.
“Servi a tutti noi! Immagini Ian
e Rod a fare casino da soli? Immagini me e Leyla a litigare senza di te? Ci
immagini?!” Come il fratello, Dawnrose non alzava spesso la voce, ma in quel
momento non ci faceva nemmeno caso. Si chinò di nuovo e piantò gli occhi in
quelli di Lucius. -Io ho bisogno di mio fratello.- disse, dolcemente.
Lucius la fissò per qualche
minuto, in silenzio. Poi, cosa più unica che rara, abbracciò la sorella. Dawn
per un attimo rimase di sasso, poi strinse a lei il ragazzo.
“Anche io ho bisogno di voi.”le
sussurrò Lucius.
ab
“Ma dove diavolo SONO?!” Leyla
tirò un pugno alla porta della camera. Rod le prese la mano e la allontanò
dolcemente. Di scatto, la porta si spalancò. Una scarmigliata Rosnake spuntò
fuori dalla stanza.
“Ma si può sapere che cavolo
succede?!” chiese assonnata, fissando i quattro ragazzi davanti a lei. Rod
teneva ancora la mano di Leyla, Rabastan guardava fuori dalla finestra e Ian
tirava distrattamente una pallina contro il muro. -Per farla breve, Dawnrose e
Lucius sono scomparsi.- spiegò concisamente Rabastan.
“Non li vedo..” aggiunse,
chiudendo la finestra. Rosnake rientrò in camera e un attimo dopo uscì, con
addosso una maglia gigantesca e un paio di pantaloni fucsia. Leyla sollevò un
sopracciglio ma non disse nulla. -Scendiamo nelle stalle.-
“Niente, non sono neanche qui.”
Rod raggiunse gli altri tre davanti alla scuderia.
“Quando arrivano li ammazzo, quei
due idioti che mi ritrovo per fratelli!!” esclamò Leyla, furente.
“Beh, non è che a noi due sia andata molto
meglio, in fatto di parentela, no?” Una voce divertita fece girare tutti di
scatto.
Dawnrose era su Alasdar, con
Lucius seduto dietro. I due fratelli Malfoy sorridevano, tranquilli. Ci fu un
momento di silenzio, poi Rodolphus scoppiò a ridere. Scattò verso il cavallo e
tirò giù Lucius di peso.
“Pezzo di cretino, ci hai fatto
prendere un colpo!” rise, abbracciandolo. Anche Ian corse verso il ragazzo e lo
stritolò in un abbraccio. “Ma dov’eri?” Tutti si radunarono pian piano intorno
a Lucius, tempestandolo di domande. Dawn smontò silenziosamente da cavallo e
riportò Alasdar nel box. Quando tornò, Rod chiese a Lucius: “Ma dove siete
stati?” Il ragazzo si voltò verso Dawnrose, sorridendo. Poi tornò all’amico:
“Non ha importanza, ora.” E Dawn seppe che quella mattina sarebbe rimasta solo
sua e di Lucius.
ab
Quella sera, dopo cena, si
riunirono tutti in camera di Leyla. Ormai mancavano pochi giorni alla partenza
per Hogwarts, e bisognava ancora programmare le ultime cose. C’era un casino
non da poco, nella stanza. Tutti erano presi dai propri discorsi, e finalmente
erano di nuovo tutti insieme, tutti amici, tutti uniti. Dawn li osservava
divertiti, sorridendo. Improvvisamente, sentì la voce di Rabastan
nell’orecchio: “Beh, sarà un anno particolare, non trovi?”
Dawn osservò Leyla e Rod seduti
uno in braccio all’altro, tenendosi per mano; poi Ian e Rabastan che
discutevano animatamente sul prossimo Campionato di Quidditch; e Ros che urlava
contro Lucius prendendolo violentemente a cuscinate. Sorrise.
“Senza dubbio, mio caro. E non
credo che mi dispiacerà.”
|
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Capitolo 8 *** Topo e Serpente ***
8
Il
serpente e il topo
La fine dell’estate: il primo
settembre.
I giorni a Scarburough Fields
erano passati anche troppo in fretta, mentre vivevano quei momenti come ogni
anno non ne erano stati consapevoli, avevano visto l’inizio della scuola come u
fatto straordinariamente lontano, e invece eccoli li, pronti a partire per un
nuovo anno scoltastico.
Leyla guardava fuori dalla
finestra assorta nei suoi pensieri, pensieri che voleva allontanare con ogni
forza ma che continuavano a perseguitarla e quella mattina erano più forti che
mai.
Stava per iniziare il suo ultimo
anno a Hogwarts, era l’ultimo primo settembre che passava ada spettare il treno
per Hogawarts.
L’anno dopo cosa avrebbe fatto in
quello stesso momento? Si sarebbe ricordata che era il primo settembre? Sarebbe
stata a Scarburough Fields? Ci sarebbe stato ancora Rodolphus accanto a lei? Una
parte di lei era entusiasta di finire... poter decidere della sua vita,
finalmente seguire le orme di suo padre, finalmente essere diplomata e libera
di fare qualunque magia, poter andare dove voleva senza bisogno di aspettare il
sabato di uscita a Hgsmeade.... eppure una parte di lei aveva paura, perché nel
momento che fosse uscita dal castello tutte le sue certezze, le sue abitudini
sarebbero svanite, avrebbe dovuto ricrearsi una “casa” da capo, e dopo sette
anni in que castello non era sicura di come avrebbe fatto. Inoltre l’idea di
passare un intero anno senza Rosnake e Dawnrose, loro sarebbero tornate a
Hogwarts avrebbero passato l’anno insieme come sempre e lei no. Con lei ci
sarebbero stati solo Lucius, Ian e Rodolphus, e non era neanche sicura che
avrebbero continuato a frequentarsi. C’era la possibilità di rimanere sola,
doveva accettarlo.
“Non pensare adesso a quello che
verrà domani!” una calda voce la fece sobbalzare e girare con un urletto. Si
portò la candida mano al cuore: “Rod, mi haispaventata!”
Il ragazzo non rispose, s
avvicinò alla ragazza e la baciò dolcemente cingendole la vita.
Leyla gli sorrise “Cosa intendevi
dire prima?”
“Di non preoccuparti di cosa ne
sarà di te l’anno prossimo!”
Leyla inarcò un sopracciglio
“Come facevi a sapere che stavo pensando proprio a questo?”
“Credi che non ti conosca? Se
Leyla Malfoy passa la notte in bianco a guardare fuori dalla finestra ci deve essere qualcosa che la assilla, e
dato che sta per iniziare il settimo anno a Hogwarts..:” Rodolphus non terminò
la frese. Leyla non reagì, “Io non sono preoccupata per niente, so perfettamente cosa sarà di me. E poi chi
ti dice che ho passato la notte in binco?!” la bionda ebbe un fremito,
Rodolphus doveva conoscerla davvero bene, ma lei non poteva ammettere di essere
terrorizzata, no: Leyla Malfoy non aveva mai paura del futuro
“Leyla, non mentire! Non con
me... io non sono Rabastan!!”
Leyla non aveva scelta, non
sarebbe servito a niente mentirgli... si sciolse baciandolo delicatamente sulle
labbra “Tu stammi vicino e andrà tutto bene!”
“Te lo prometto”
Il pendolo ruppe l’incanto di
quel momento con sette rintocchi che fecero tremare i vetri.
“Forse è bene svegliare gli
altri, o non arriveremo più a Hogwarts!”
ab
Nel giro di un’ora i ragazzi si erano trovati a King
Cross, era stata un’ora piuttosto trafficata... erano arrivati da Malfoy manor
i bauli, Rodolphus aveva riempito il suo in pochi minuti guadagnandosi gli
insulti di Dawnros la quale inoltre dovette ignorare Rosnake che riempiva il suo
cercando di farsi notare il meno possibile. Ian aveva dormito fino a dieci
minuti prima della partenza, fortunatamente il baule era già stato fatto e così
con un veloce saluto alle Highland erano riusciti a raggiungere il binario con
la metropolvere.
La stazione era gremita di studenti di ogni età, dai
più piccoli che salutavano le famiglie impauriti ai più grandi che non ci
facevano neanche più caso.
I
Lestrange salutarono i genitori affettuosamente, o perlomeno ‘affettuosamente’
secondo i canoni della famiglia. Così poi I Malfoy e Ian salutarono
cordialmente i proprietari di Scarburough Fields cercando di ignorare l’assenza
dei propri genitori.
“Arrivederci
madre, e ricordati che il mio cuore sarà sempre nelle Highlan” Rodolphus con
queste parole si conquistò una gomitata di Rosnake.
“basta
con queste scene teatrali Rod!” Rabastan chiuse il finestrino e si sedette
pesantemente accanto a Ian.
“Quanto
siete noiosi, è divertente illudere la mamma!”
“il
problema è che sei tu a non essere divertente quando fai così!” spiegò pratica
Rosnake “se tu continui con questa storia quella si monterà sempre più la
testa! E tu finirai un giorno a essere
chiamato Lord Lestrange!”
L’immagine
di Rodolphus come un Lord suscitò l’ilarità di tutti, era certamente un’immagine
poco coerente con la realtà.
“Più
che altro non la dovresti trattare così... è pur sempre tua madre!” apostrofò
Leyla accoccolandosi accanto a lui.
“Già,
almeno è una madre che si scomoda a venire alla stazione a salutare i suoi
figli!” le parole di Dawn fecero raggelare la stanza e per gli altri due Malfoy
furono frecciate nel cuore.
“Dawn!”
Lucius le scoccò un’occhiata severa
“No,
Lucius... è la verità... i nostri genitori sono vengono qui solo quando
torniamo per venirci a prendere e adesso che voi vi potete smaterializzare
neanche più per quello! L’ultima volta che li ho visti salutare e guardare il
treno in partenza è stato per voi al primo anno... mentre quando ho iniziato io
mi hanno affidato a voi e tante grazie...sarebbe carino da parte loro una volta
tanto fare i genitori!”
“Dawn
ne abbiamo parlato mille volte... sono molto impegnati e tu lo sai!” le parole
di Leyla sembravano straordinariamente false anche se in realtà aveva ragione,
solo che era una verità difficile da credere. La ragazza sentì la mano di
Rodolphus stringersi attorno alla sua e fu solo in quel momento che Leyla si
ricordò dei Lestrange. Rosnake Rabastan Rosolphus e Ian li guardavo frementi,
la discussione aveva preso una pessima piega.
Fu
Lucius a salvare la situazione “Forza Dawn, che ci importa che non siano qui?
Questa è la nostra famiglia no?” la ragazza sorrise “Hai ragione!” e abbracciò
Rosanke e Rabastan accanto a lei.
“Bene...
ora che siamo qui... non vorrei infrangere qualche tradizione... Rodolphus non
dovremmo andare noi? Non abbiamo più molto tempo per divertirci!”
Rodolphus
sorrise all’amico “Ma certo, mi unirò alla caccia volentieri mio impavido
amico!”
Con
molta poca delicatezza Rodolphus si alzò in piedi ignorando categoricamente il
fatto che Leyla fosse appoggiata a lui “Hei” protestò. “Scusa Leyla, ma quest è
una questione vitale lo sai, Rab, Ian? Venite con noi?”
“No
grazie!! Non ho intenzione di farmi mettere in punizione il primo giorno di
scuola... e per giunta del mio ultimo anno!” Lucius alzò le spalle e senza sprecarsi
a salutare con Rodolphus uscì dallo scompartimento.
“preferisco
non sapere cosa hanno in mente questa volta!” ridacchio Dawnrose
“E
questo è per giunta l’ultimo anno... ho la sensazione che ne vedremo delle
belle!!” aggiunse Rosnake continuando a fissare la porta perplessa
“magari
quest’anno proprio perché è l’ultimo anno non vorranno mettersi nei guai!!”
azzardò Rabastan speranzoso. Le sue speranze furono vanificate dalle risate
delle tre ragazze e del commento conosco, ma efficace di Ian “tu sei scemo”
Il viaggio proseguì
tranquillo, tra pettegolezzi, caramelle e scacchi magici a cui naturalmente Rabastan
perse tutte le partite contro Leyla.
Stavano giocando l’ultima partita che avrebbe determinato
la fine del campionato quando la porta dello scompartimento si apri e si richiuse
velocemente permettendo a un piccolo grassoccio stupende di entrare.
Non si era neanche
voltato a guardarli, era rimasto accanto alla porta tremante e impaurito,
pareva si stesse nascondendo da
qualcosa... o da qualcuno.
“Scusa? Possiamo
esserti d’aiuto?” chiese gentilmente Rosnake al ragazzo, questi sobbalzò
squittendo e si voltò verso di loro. Rimasero tutti sbalorditi per qualche
istante: si trattava di Peter Minius!
“Non ci posso
credere!uno cerca di comportarsi bene e immediatamente dopo ti si presenta una
tentazione così... questa è ingiustizia!” Ian estrasse la bacchetta e Rabastan
lo seguì
Il ragazzo dai
capelli di paglia si fece piccolo, piccolo farfugliando parole sconnesse
“Minus, cosa ci fai
qui... non mi sembra un’idea geniale da parte tua venire a farci vista...”
sorrise Dawnrose gelida “...ma ci fa ugualmente molto piacere vederti qui!”
Leyla concluse la frase per la sorella estraendo a sua volta la bacchetta
“Allora che facciamo?
Lo trasformiamo in un topolino? Xerse non mangia da questa mattina, avrà fame!”
“Un topolino? Leyla
ma sei impazzita?!” Dawnrose scatto verso di lei, la sorella maggiore rimase
scossa da quelle parole così come il resto dello scompartimento “...non è mica
un topolino! È un sorcio!!” concluse Dawnrose mettendo fine ai dubbi dei
presenti.
“No, no, vi prego non
fatemi male...non volevo entrare qui... non sapevo... mi stavano inseguendo!
Io...”
“Chi ti stava
inseguendo? Una dissennatore? Per essere così spaventato...” Rosnake non amava
quelle scene, ormai dopo anni e anni passati a vedere i fratelli e gli amici
torturare Grifondoro e Tassorosso iniziava a essere stanca. Spesso trovava
certi giochi profondamente ingiusti, ma non le sembrava neanche il caso di
mettersi in mezzo, aveva imparato a ignorare tutto quello e a fare solo ciò che
si sentiva di fare il resto lo lasciava in mano ai suoi compagni e lei si
limitava a tacere. Leyla e Dawnrose sapevano bene il significato di quel
silenzio, ma non avendo voglia di discutere tacevano anch’esse ignorando
l’amica. Certo Rosnake non si poteva dire che amasse certi individui quali
Peter Minius, anzi, lo detestava...
“Eccolo!” La porta
dello scompartimento si aprì Lucius e Rodolphus con un grande sorriso sul volto
e le bacchette alzate entrarono nello scompartimento con la delicatezza di
un’acromantula.
“Oh... immagino che
stesse scappando da voi!” Leyla pareva quasi delusa
“Certo che scappava
da noi... ha perso i suoi amichetti, non erano li a proteggerlo.. oh
poverino...!!” Dai Lucius una fattura doppia!! Trasformiamolo in una pianta!”
Lucius e Rodolphus alzarono la bacchetta quando Dawnrose si mise in mezzo
“Non se ne pala
neanche, non una pianta, noi volevamo trasformarlo in un ratto!!” Dawnrose
pareva fin troppo risoluta
“Un ratto? Ma che
ratto, poi lo troveranno... una pianta è quello che ci vuole!” Lucius fece per
spostare la sorella di peso, ma Leyla si accostò a lei “No, ha ragione lei, lo
trasformeremo in un topo non in una pianta!”
Rosanke sbuffò,
sapeva come sarebbe andata a finire, avrebbero discusso per tutto il viaggio e
alla fine quell’insignificante Grifondoro sarebbe diventato un topo con le
foglie. Si, era inevitabile.
Leyla e Dawnrose
quando ci s mettevano sapevano essere capricciose come due bambine viziate
“pensandoci bene..” fu l’immediato pensiero di Rosnake “...loro sono due
bambine viziate”
La parte peggiore,
tuttavia, era che Lucius e Rodolphus erano capricciosi e testardi quasi quanto
le due sorelle.
“...No, No e poi no,
il topo no è banale! Trasformiamolo in un polpo se proprio ci tieni a renderlo
animale!”
“No, il polpo è bellissimo, lo sai che vorrei una piovra! Il polpo no! Lo
trasformeremo in un topo!”
“Leyla se non la
pianti trasformerò te in polpo tua sorella in pianta e lui in topo!” constatò
Rodolphus esasperato
“Come ti permetti! Minus è entrato qui di sua spontanea volontà è venuto da noi
quind è nostro diritto scegliere cosa farne!”
“Bene allora
mettiamola a voti, ci sono altri tre membri della compagnia, chiediamo a loro
cosa preferiscono!” Lucius era fuori di se, si voltò di scatto verso Ian “Tu”
disse in un ringhio puntandogli la bacchetta contro “...in cosa vuoi trasformarlo?!”
Ian parve pensarci
“Il topo è perfetto, s vede benissimo che ha la faccia da topo!”
“hai visto?!”
Dawnrose sorrise sfavillante al fratello
“Aspetta un attimo
tu, ci sono ancora Rabastan e Ros!!” la bacchetta di Lucius usata come
indicatore roteò di fronte al viso di Dawnrose
“E va bene, ma tu tieni a posto quella bacchetta!!”
“Io dico che hanno
ragione loro è meglio la pianta! Si noterà di meno!”
Rodolphus fece la
linguaccia alle due Malfoy
“Ros, manca il tuo
parere!” disse Leyla ignorando il ragazzo.
Rosanke inarcò un
sopracciglio, era stanca di queste scene da bambini e il finale era anche
troppo prevedibile: “I Malandrini!” disse.
“ma cosa diavolo vai
farneticando, lui è già uno dei Malandrini, che senso ha trasformarlo...!” era
evidente che Lucius non aveva capito, Rosnake non rispose e si limitò a
indicare un punto alle spalle di Rodolphus.
I Serpeverde si
voltarono. Con loro grande sorpresa trovarono James Potter e Sirius Black con
le bacchette puntate minacciosamente alle spalle dei ragazzi.
“Buongiorno
Serpeverde, è un piacere rivedervi” la voce di Jame risultava sorprendentemente
calma
“Il piacere è nostro
Potter... Balck anche tu qui a salvare questo sudicio ratto!” le bacchette di
Rodolphus e Lucius insieme a quelle di Ian e Rabastan furono puntate
improvvisamente verso il petto dei due Grifondoro.
“Cosa pensavate di
fare al nostro amico?” chiese Black minaccioso
“Veramente non
avevamo ancora deciso... pensavamo di rendelo più simile alla sua anima!” gli
occhi di Dawnrose brillarono
“Potremmo fare la
stessa cosa con voi, Dawnrose!” Sirius Pronunciò quelle parole lentamente, ma ciò che colpì di più la ragazza fu che
l’accento cadde dolorosamente sul suo nome, si ritrovò a pensare che Sirius
Balck avesse una voce veramente intrigante e sapeva pronunciare
straordinariamente bene il suo nome.
“sarà un po’
difficile Black, voi siete in due, noi in sette... come pensi di fare?” anche la bacchetta di Leyla si
levò, per finire con l’essere puntata in mezzo agli occhi di James Potter.
Rosanke decise
stancamente di estrarre anche la sua bacchetta, Leyla era pericolosa
soprattutto se in mezzo c’era James Potter, c’era un’avversione cosmica tra i
due, Ros sapeva che alla minima mossa si sarebbero fatti saltare il cervello
reciprocamente, e lui no voleva che Lela si facesse male... in effetti non
voleva neanche che James si facce male.
“Noi non siamo in due
Malfoy, c’è anche Peter...”
“Oh hai ragione Potter, mi dispiace siamo sette contro due e mezzo per essere
generosi!”
Una voce che non
apparteneva a nessuno dei presenti interruppe la discussione
“S può sapere cosa sta succedendo? Malfoy, Potter... non mi sembra il caso di
compromettere l’anno appena iniziato, e l’ultimo per giunta!”
La professoressa Mc
Granitt si stagliava dietro di loro, il cappello a punta da Strega le faceva
ombra sugli occhi, ma tutti sapevano che in quel momento erano semplicemente
glaciali. Ragazzi abbassarono le
bacchette.
“Ci scusi
professoressa, solo un piccolo scambio di idee...” si giustificò Rodolphus
“Lo vedo... Potter,
Black, Minus, andate nel vostro scompartimento, Lupin vi stava cercando!”
“Certo professoressa...” Sirius afferrò il braccio di Minus e lo trascinò
tremante fuori dallo scompartimento, poco dopo aver scoccato un’occhiata
ambigua verso Dawnrose.
“Malfoy, Lestrange,
Nott... a presto!” con queste parole i Serpeverde rimasero soli nello
scompartimento, e dopo pochi secondi si accasciarono sui sedili.
“E’ tutta colpa
vostra, se non aveste discusso a quest’ora sarebbe già stato trasfigurato e
Potter e Black non l’avrebbero certo trovato!!” li apostrofò rabastan deluso.
Rosnake sbuffò
nuovamente “Ora vedete di non mettervi di nuovo a discutere o sarò io a
trasformare voi in piante con la coda!!”
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Capitolo 9 *** Vecchie e nuove generazioni ***
9
Vecchie
e nuove generazioni
Il viaggio proseguì più
tranquillamente. L’improvvisa apparizione della McGrannit aveva messo fine ai
tentavi di caccia ai primini e Malandrini (più che altro nella forma di Minus),
e tutti i ragazzi erano tornati nello scompartimento.
Improvvisamente, in un raro
attimo di silenzio, Rodolphus si voltò verso gli altri e disse: -Ma ci pensate,
Lelly e Lucius, che è l’ultima volta che saliamo sull’Espresso per andare a
Hogwarts?- Per qualche istante le parole del ragazzo rimasero sospese
nell’aria, mentre i due gemelli Malfoy si fissavano. Fu Leyla a rispondere:
“Non ci avevo pensato...” ammise, mentendo. Erano due giorni che non faceva che
pensarci, ma non voleva darlo a vedere. Non era da lei avere paura del futuro.
Lucius rimase in silenzio, ma tutti capirono che le aveva sentito fin troppo
bene le parole dell’amico. Fu Ros a cambiare discorso, prima che l’aria si
facesse pesante. “Per noi un altro anno di torture... con Piton, i Malandrini,
la McGrannit, pozioni... Allegria!”
Tutti scoppiarono a ridere, non
perché Rosnake avesse detto qualcosa di divertente, ma perché in realtà tutti i
loro pensieri erano concentrati sull’anno seguente, e avevano bisogno di una
distrazione. Il più preoccupato era Rabastan: a lui sarebbe toccati altri due
anni, e l’ultimo l’avrebbe fatto solo. Tutto il gruppo sarebbe stato già fuori
da Hogwarts, e lui avrebbe dovuto passare un anno, un lunghissimo anno quasi
abbandonato. Non aveva la minima idea di quante cose sarebbero avvenute nei
prossimi mesi, proprio in quel castello che conosceva a memoria.
L’unica che non stava pensando al
futuro in quel momento era Dawnrose. Molto stranamente, la sua mente si era
soffermata su un altro particolare: i Malandrini. O, meglio, su un Malandrino
in particolare: Sirius Black. L’occhiata che le aveva lanciato le si era
impressa a fuoco nel cervello. Quegli occhi così neri... e quello sguardo così
strano...
Una voce la riscosse
improvvisamente da quei bizzarri pensieri.
“Dai, una partita!” Leyla la fissava reggendo
in mano la scacchiera. Dawn esitò un attimo, poi sorrise con aria di sfida.
“Preparati a perdere, allora!” Il risultato della partita fu incerto fino
all’ultimo minuto. Mentre entrambe le sorelle Malfoy si preparavano alla mossa
finale, la porta dello scompartimento si aprì, facendo prendere un infarto a
Leyla. La ragazza sollevò la mano di scatto, colpì la scacchiera e il tutto si
rovesciò a terra con un inquietante rumore di schianto. Davanti a loro c’erano
Bellatrix e Narcissa Black e Vanessa Hilton. “Oh santo Dio! Proprio per colpa
di questi esseri insopportabili dovevo far cadere tutto...” fu il primo
pensiero di Leyla guardando il trio.
Le tre ragazze erano delle donne
molto facili ed estremamente insopportabili. L’unico ad accogliere con un
gigantesco sorriso fu, naturalmente, Ian: “Ma ragazze! Ma che gioia vedervi!
Entrate, care, entrate!” Dawnrose rivolse uno sguardo assassino al ragazzo, che
parve non accorgersene e continuò la sua melensata.
Bellatrix salutò tutti con un
sorriso tirato, Narcissa balbettò qualcosa di sconnesso fissando Lucius e
Vanessa si tolse con un gesto esagerato e teatrale gli occhiali da sole fucsia,
sorridendo a Ian. “Scusate tanto, non c’è posto.” commentò Leyla in un tono
tutto miele, ma Dawn e Ros capirono che aveva voglia di cacciarle a calci quanto
loro. Comunque era verissimo che non c’erano più sedili, ma le tre parvero non
sentirla.
Bellatrix, ovviamente, si buttò
su Rodolphus. I due erano stati insieme l’anno prima, ma Rodolphus alla fine
era riuscito a trovare il coraggio di lasciarla. L’unico problema era che lei
pareva non aver recepito la cosa. “Ciao Rod! Ma come stai bene... ogni giorno
più bello, eh?” Bella accarezzò la guancia di Rodolphus, che stava diventando
viola dall’imbarazzo.
Un lampo assassino attraversò gli
occhi grigi di Leyla. “Credo che tu non abbia capito, Black. Rodolphus è
occupato.” La voce della bionda era più gelida del ghiaccio. Bellatrix si voltò
di scatto a fissarla, gli occhi scuri duri come la pietra, e scoppiò in una
fredda risata priva di divertimento. “Sarebbe occupato con te? Non farmi
ridere!” commentò la bruna. A Dawn sembrò quasi di percepire lo sforzo che la
sorella stava facendo per non saltare alla gola della Black. “Questo ti causa
problemi, Bellatrix? Cos’è, hai paura di perderlo?” Un crudele sorriso animò il
volto di Leyla. Bella diventò ancora più pallida, e aprì la bocca per
ribattere, ma fu fermata dalle parole di Vanessa: “Non credo proprio che Bella
debba temere una come te, Malfoy!” Dawnrose sorrise: ora toccava a lei. “Dici,
Hilton? Non mi sembra però che stiamo parlando di te, stiamo parlando di
Leyla.” Rosnake si lanciò un’occhiata solidale con Narcissa.
Tutte e due non amavano le discussioni che
finivano sempre per fare le loro amiche. “Ho chiesto il tuo parere, Dawnrose?”
Bellatrix pareva infastidita dal commento della bionda. “Cos’è, vorresti dirmi
che ho bisogno del tuo permesso per parlare, Black?” Gli occhi di Dawn
brillarono di una luce che a Rosnake non piacque per niente. Bella sorrise,
pensierosa: “Mmmh, forse...” Dawnrose scattò in piedi, parandosi di fronte alla
ragazza. “Non ti conviene sfidarmi, Bellatrix.” L’aria si congelò per qualche
istante, nessuno osò parlare. Infine, la bruna estrasse la bacchetta. La
giovane Malfoy la imitò senza batter ciglio, pregustando già il dolce sapore
della vittoria. Ma, in quel preciso istante, un fischio assordante fece girare
tutti. Il treno si fermò con un violento scossone che fece perdere l’equilibrio
a Narcissa, che finì dritta addosso a Lucius.
Entrambi divennero rosso acceso,
poi la ragazza scattò all’indietro balbettando qualcosa di incomprensibile.
Bellatrix si rimise la bacchetta in tasca con un sorriso: “Peccato, Malfoy,
sarà per un’altra volta.” Dawnrose sorrise a sua volta ritirando la bacchetta.
Vanessa uscì lanciando uno sguardo sexy a Ian, e Narcissa se ne andò
sussurrando qualcosa che poteva suonare come “Ciao Lucius.”
Dawn sospirò e si lasciò cadere
sul sedile. “Dio mio, quanto le ODIO!!” gridò Leyla, tirando un pugno alle sua
colossale valigia. Ian sorrise, gli occhi fissi sulla porta: “Io no...” Ros
scoppiò a ridere. “Dai ragazzi, o dovremo farcela a piedi!” aggiunse, facendo
muovere tutti.
Tre minuti dopo erano tutti fuori
dal treno. Davanti a loro c’era un paesaggio familiare come casa loro: il
castello di notte, con le sue finestre illuminate e le barche dei primini che
vi si avvicinavano, avvolte in quel filino di nebbia che si ripresentava tutti
gli anni (avevano optato per la teoria che fosse frutto di una magia). Tutti
ripensarono alla prima, e ultima, volta in cui erano saliti su quelle barchette
a remi ed avevano attraversato il lago. Leyla, Lucius, Rod e Ian si erano
stipati in una, e l’anno dopo Dawn e Ros erano andate Narcissa e Vanessa, e
avevano dovuto lottare profondamente per non annegarle da subito. Infine il povero
Rab si era trovato abbandonato con gente sconosciuta. Ma quel ricordo,
l’immagine di loro su quelle barchette, sarebbe rimasto nelle loro menti per
sempre.
Salirono tutti e sette su una
delle carrozze trainata da thestral, cavalli neri alati che erano visibili solamente a chi aveva visto la morte
in faccia. Sia Dawnrose che Leyla erano in grado di vederli perché, anni prima,
avevano visto morire una loro vecchia cugina. Anche Ian li vedeva dal primo
anno, per la morte di suo zio durante una battuta di caccia. Tutti gli altri
osservavano tutti gli anni le carrozze spostarsi come da sole, e salire la
collinetta con un apparente vuoto che le trainava.
Arrivarono davanti all’enorme
portone di quercia spalancato, e si recarono rapidamente nella Sala Grande. Si
sedettero vicini, da un lato Ian, Rod, Leyla e Lucius, dall’altro Rabastan, Ros
e Dawn, come la tradizione imponeva. Da quando il gruppo era stato al completo,
con l’arrivo di Rab, la formazione era sempre stata quella. La Sala era piena
come al solito, e come al solito mancavano dei volti e stavano per arrivarne
altri. Grazie a dio, Bellatrix, Narcissa e Vanessa erano al fondo del tavolo,
verso il portone, molto lontano da loro.
“Ed eccoci di nuovo qua!” sospirò
Rosnake, lasciandosi scivolare sulla panca. Lucius le sorrise: “Lo dici tutti
gli anni, Snake.” commentò. Gli altri risero, ma Leyla rimase seria. Il
prossimo anno la battuta di Ros sarebbe stata solo per gli altri. L’improvvisa
apertura delle porte la riscosse da quei pensieri su cui, ultimamente, si
soffermava fin troppo. Una miriade di nanetti entrò composta in fila per due
nella Sala, gli sguardi spaventati, le faccine spaesate, le divise cascanti. Il
primo della fila sembrava sul punto di svenire, pallido come un lenzuolo e gli
occhi sbarrati. Sembravano ancora più bassi di quelli dell’anno prima. O forse
erano solo loro che erano più alti?
Il Cappello Parlante si lanciò
come al solito in una nuova filastrocca, ancora più bizzarra delle altre, in
cui descriveva le quattro case. Alcuni ragazzini, che probabilmente già
sapevano del Cappello, lo guardavano con interesse, altri lo fissavano
abbastanza terrorizzati all’idea che quella cosa parlasse. Intanto la McGrannit
li sorpassò e si diresse rapidamente allo sgabello posto davanti al tavolo dei
professori, dove Albus Silente sorrideva ai ragazzini appena entrati. La
professoressa srotolò la pergamena che aveva in mano e cominciò a leggere i
nomi. Il primo bambino si fece avanti tremulo e insicuro. Dawnrose si voltò per
poterlo vedere, e diede un’occhiata anche agli altri primini. Guardò di
sfuggita gli altri tavoli, e si accorse una cosa inaspettata: Sirius Black la
stava fissando. I suoi occhi neri erano piantati nei suoi, e Dawn si chiese
cosa avesse mai da guardare. Ma il ragazzo non distoglieva lo sguardo, come
fosse incantato, e con orrore lei si rese conto che le stava succedendo la
stessa cosa. “Dawn!” La voce di Ian la sbloccò e finalmente riuscì a girarsi.
“Scusate, stavo valutando i primini...” mentì la ragazza con un sorriso. “Sono
sempre più minuscoli...” commentò Lucius, quasi schifato. Scoppiarono tutti a
ridere, ma la McGrannit li zittì con uno sguardo assassino. Un bambinetto coi
capelli neri era seduto sullo sgabello e il Cappello Parlante gli copriva
totalmente la faccia. Venne assegnato a Tassorosso.
Finito lo smistamento, Silente
tenne come al solito il suo discorso e poi, come tutti gli anni, pronunciò la
celebre frase: “Si dia inizio al banchetto!” All’improvviso, tutti i piatti e i
vassoi si riempirono magicamente. Tutti i primini di Serpeverde esclamarono in
coro: “Oooh!” Improvvisamente calò il silenzio, nella sala, rotto soltanto dal
rumore di mascelle che masticavano. Il banchetto continuò così, tra scherzi,
battute, e cibo. Quando tutti ebbero finito, i Prefetti dovettero accompagnare
i nuovi ai rispettivi dormitori. Quell’estate sia Leyla che Rodolphus (ma che
bizzarro destino) avevano ricevuto una lettera da Hogwarts ed erano stati
nominati Caposcuola. Rod, con la caccia al primino sul treno, non aveva
iniziato molto bene, e tutti erano sicuri che avrebbe continuato peggio. Subito
Ros si era chiesta perché non fosse stato eletto Lucius, ma forse ora lo
capiva: lui non era tanto uno che amava mettersi in luce, più come Dawnrose, e
non sarebbe stato molto bravo a far rispettare la legge a dei bambini. L’anno
prima Rosnake era stata Prefetto, e lo era ancora, ma come Caposcuola sapeva di
non essere molto indicata. Non era portata per il comando o l’amministrazione:
diciamo pure che era abbastanza una frana a coordinare le cose.
I sette si accodarono ai bambini
guidati dai Prefetti. Rosnake si staccò un attimo dal gruppo ed andò a salutare
Remus che, nonostante fosse un Grifondoro, era uno dei suoi più cari amici.
Dawn e Leyla la seguirono, dato che, in fondo, anche loro trovavano Lupin un
ragazzo simpatico. La bruna arrivò alle spalle del ragazzo e gli appoggiò le
mani sugli occhi. “Indovina chi sono?” chiese lei, ridendo. Remus si voltò, con
un sorriso sulle labbra: “Ros!” I due si abbracciarono. Dawnrose e Lelly da una
parte, e Sirius e James dall’altra, li fissarono un po’ imbarazzati. Dopo tutti
quegli anni nessuno dei due gruppi si era bene abituato a quell’insolita
amicizia, ma quello che ne era più irritato era senza dubbio Lucius: a volte
era ancora molto possessivo nei confronti di Ros, e non aveva mai potuto
sopportare Lupin. “Ma guarda chi abbiamo qui... Le tre dell’Ave Maria.” sorrise
sarcastico James. “Che diavolo vuoi, Potter?” Leyla non aveva voglia di
sopportare di nuovo quel cretino. “Ehi, ti scaldi per così poco, Malfoy?”
Potter pareva sempre compiaciuto di litigare. “No, caro, è semplicemente
irritante che un essere con le tue limitate capacità mentali osi rivolgerci la
parola.” sorrise Dawnrose, trattenendo l’impulso di spaccare quella faccia e
quegli odiosi occhiali rotondi. Per un istante, le parve di vedere una
scintilla di divertimento negli occhi di Sirius, ma scomparve così rapidamente
che pensò di essersela immaginata. “Ma come...!!” esclamò James, scattando in
avanti, ma Remus gli si parò davanti. “Basta, Jamie.” disse, tranquillo e
perentorio allo stesso tempo. “Ma, Rem, le hai sentite?!” chiese il ragazzo,
incredulo. “Sbaglio o hai cominciato tu, Potter?” La voce di Rosnake irruppe
nella conversazione. James la fissò, il volto contratto, indecifrabile. Ros
mantenne saldo lo sguardo, senza mai distoglierlo. Dopo qualche secondo di
tensione, Potter si voltò di scatto e sparì su per le scale senza nemmeno una
parola. “Ma come cavolo fai a sopportarlo, Lupin?” Leyla lo detestava con tutto
il cuore, non l’aveva mai potuto soffrire. Il ragazzo rise stancamente:
“Andiamo, è tardi e da domani iniziamo già le lezioni.” aggiunse, e con un
saluto i due Grifondoro si avviarono verso il loro dormitorio. Le tre ragazze
si incamminarono velocemente verso i sotterranei, sapendo già che le aspettava
il terzo grado. Infatti, appena entrarono nella Sala Comune, la voce di
Rodolphus le raggiunse: “Dove eravate finite?!” esclamò. “Già, stavamo morendo
di preoccupazione!” commentò Ian, seduto sul divanetto in mezzo a due ragazzine
del secondo anno, che continuavano a ridacchiare e a fissare il ragazzo con
sguardo ebete. “Ci siamo fermate giusto il tempo di insultare Potter.” Dawnrose
si lasciò cadere nella poltroncina scura vicino alla finestra, con un sorriso.
Lucius lanciò un’occhiata incomprensibile a Rosnake, poi sorrise anche lui. La
Sala Comune si era ormai svuotata, tranne che per loro sette e quelle due
stupide secondine che sembravano intenzionate a rimanere lì tutta la notte. Ma
tutto ciò non rientrava nei piani di Leyla, che si avvicinò candidamente al
divanetto. “Care ragazzine, non sarebbe ora di andare a letto?” Nel suo tono
falsamente angelico Dawn leggeva che era un ordine, non un suggerimento. “No,
restiamo ancora un po’...” ridacchiò una delle due, dopo un attimo di
incertezza, prendendo la mano di Ian. -Forse non ci siamo capiti.- Il sorriso
di Lelly divenne glaciale. “Io sono Caposcuola. E il coprifuoco è passato.
Fareste meglio ad andare nei vostri dormitori, possibilmente in fretta.” Le due
ragazzine si fissarono per un attimo, probabilmente chiedendosi cosa volesse
dire “coprifuoco”, poi si alzarono lanciando uno sguardo che voleva essere sexy
ad Ian, che mandò loro un bacio. Per poco non svenirono sul colpo.
Quando la Sala fu vuota, Rabastan
si rivolse ad Ian: -Ma non è neanche il secondo giorno!- Il ragazzo sorrise:
“Bisogna portarsi avanti col lavoro, amico mio, sempre!” Dawnrose tirò una
gomitata all’amico, che rise tranquillo, come d’altronde faceva quasi sempre.
“Vedi, Rodolphus, la tua ragazza sì che sa come sfruttare il potere!” ridacchiò
Rosnake, facendo ridere tutti. Dopo molte chiacchierate, partite a scacchi
magici e Gelatine Tuttigusti +1, la stanchezza cominciò a farsi sentire.
“Sentite, direi di andare a dormire. Dobbiamo cominciare bene il primo giorno
del nostro ultimo anno.” sorrise Lucius, alzandosi dalla poltrona. “Con un po’
di casino, vorrai dire!-“ Rodolphus imitò l’amico, avviandosi verso le scale.
Si salutarono e si diressero verso i rispettivi dormitori. Leyla, Rosnake e
Dawnrose rimasero ancora un po’ a chiacchierare sulle scale, poi si separarono
anche loro. Dawn e Ros entrarono nella stanza, mentre tutte già dormivano. Le
ragazze si cambiarono e si infilarono nei loro letti, stanche e un po’
emozionate.
“Domani ci danno l’orario...” mormorò
piano Ros, sperando che la prima lezione fosse con i Grifondoro per potersi
sedere tra Dawn e Remus. -Speriamo bene!- rispose la bionda, desiderando di
avere in prima ora Difesa Contro Le Arti Oscure. “Beh, coraggio!-“ continuò
Rosnake. “Domani è un altro giorno.” Dawn ridacchiò piano: “E speriamo in
meglio!”
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Capitolo 10 *** Noli me tangere ***
10
Noli me Tangere
“And you’re
singing a song
Singing this is the life
When you wake up in the morning and your head feels
twice the size
Where are you gonna go, where are you gonna sleep tonight?”
[Amy MacDonald, This is the life]
Rosnake impiegò quattro minuti a rendersi conto che
era il primo giorno di scuola, e sei che era mostruosamente in ritardo.
Accorgersi che Dawnrose le stava strappando le coperte non richiese più di una
manciata di secondi.
“Lasciami stare!” si lamentò, tentando di
appallottolarsi a formare un grumo piccolo ed infelice. “Ho sonno!”
Dawn dedicò appena uno sguardo schifato alla
gigantesca felpa che l’amica aveva indossato per dormire, decorata con le
parole “Chi mangia carne avvelena anche te”.
“E’ irrilevante” ribatté, implacabile. “Ciò che
conta è che sono le otto meno sette.”
“COSA??”
“Mi hai sentito benissimo. Giù da quel letto,
marsh!”
Mugugnando, Ros si trascinò in bagno e si fece una
breve doccia, nel tentativo di ricominciare a connettere. L’uniforme, che per
tre mesi non era stata altro che un triste ricordo, era pronta su una sedia. Se
la infilò senza entusiasmo, legò i capelli in una treccia un po’ storta e
ciabattò fuori al seguito dell’amica, che aveva l’andatura e lo chignon di una etoile
russa appena uscita da un istituto di bellezza.
Leyla era già seduta su una sedia vicina alla
scalinata dei dormitori, un libro aperto in grembo e l’aria ostinatamente
concentrata. Le altre due capirono subito il perché: sprofondate nei divanetti
accanto al camino spento, le unghie laccate di fresco, c’erano Bellatrix e
Vanessa, che doveva essersi risvoltata in vita la gonna della divisa per
mostrare venti centimetri di coscia bianca e flessuosa. Un paio di arrapati del
terzo anno ronzavano loro intorno come api sul miele.
“Ce l’hai fatta” mormorò tra i denti la Malfoy
maggiore, alzandosi di scatto. “Sto per dare di stomaco.” Dawn le strinse la
spalla, e scesero insieme a colazione.
Il professor Lumacorno, insegnante di Pozioni e capo
della Casa di Serpeverde, stava già facendo il giro del tavolo per distribuire
gli orari; quando le vide, un enorme sorriso illuminò il suo volto di vecchio
tricheco.
“Ma eccole qui, le tre Marie!” rise, gioviale
“Signorine, santo cielo, siete ogni anno più belle!” Rosnake si sentì
arrossire. Il vecchio insegnante aveva l’abitudine di raccogliere attorno a sé
ristretti gruppi di studenti che brillavano per capacità, ambizione o illustri
parentele, trasformando “i cervelli del domani” in suoi pupilli prediletti, e
così era riuscito a costruirsi una fitta rete di influenza che si estendeva sul
Ministero della Magia, come sulla stampa e sul mondo dello sport. Tutte e tre
le ragazze erano parte della sua cerchia, se non altro per il cognome che
portavano, ma lei, Ros, che oltre ad essere la dolcezza fatta persona se la
cavava bene come pozionista, era la preferita per eccellenza, da sempre.
Lumacorno, in generale, non le dispiaceva, ma trovava abbastanza inquietante la
sua predisposizione a comandare ben nascosto dietro le quinte e odiava essere
oggetto delle attenzioni di qualcuno.
“Buongiorno, professore” cinguettò Leyla, annegando
nell’ambrosia il briciolo di disprezzo che si sentiva sempre, nel suo tono,
quando parlava con qualcuno che riteneva di classe inferiore. L’insegnante
strizzò l’occhio.
“Con lei, signorina Malfoy, ho paura che non ci
vedremo prima di domani … ma queste due fanciulle, qui, hanno il privilegio di
essere con me alle prime due ore!”
“Splendido” disse Dawn, appena un po’ fredda. Lei
“il vecchio Luma” non lo amava più di tanto. Non sopportava il suo strisciare
attaccato alle gonne dei potenti.
“Ma bene, ma bene” ridacchiò il professore “Ora, se
volete scusarmi … Blackwell, Nott, i vostri orari sono qui …”
Con un sospiro, le tre si lasciarono cadere su un
frammento di panca e inghiottirono qualcosa, mentre i ragazzi arrivavano a
salutarle con un certo grado di zombizzazione insito nello sguardo. Rodolphus,
che sembrava un modello nella sua divisa perfettamente stirata [e con il nome
ricamato in lettere dorate sul taschino], salutò Dawn con un casto bacio sulla
guancia e la sorella arruffandole i capelli già aggrovigliati; poi, prese con
decisione Leyla alla vita e premette le labbra sulle sue, andando a fondo, come
se fossero stati separati per molto tempo.
Dopo un istante di paralisi, i centocinquanta
Serpeverde seduti al tavolo si fissarono, famelici, pronti a spargere la voce
per tutto il castello. Sebbene Dawn, negli anni a venire, avesse cercato di
rimuovere la scena, rimase sempre certa che fosse stato Ian a dare il via al
coro di fischi che si levò nel giro di qualche secondo. Rod si staccò dalla sua
ragazza con un breve inchino al pubblico e prese posto accanto a lei. Rosnake,
che al pensiero di essere vista da tutta quella gente anche solo mentre
mangiava un toast si sentiva morire di centocinquanta dolorosissime morti, non
potè fare a meno di ammirare la naturalezza con cui la sua amica si servì di
uova, gettò indietro i boccoli dorati e scoccò un luminosissimo sorriso
all’indirizzo di Bellatrix Black, che sembrava vittima di una pastoia total
body. Si riprese piuttosto in fretta, ad ogni modo, e i suoi occhi scuri
presero a grondare veleno.
Dawn guardò involontariamente verso il tavolo di
Grifondoro, e scorse Sirius Black che gettava con disinvoltura il braccio
attorno alle spalle di una ragazza asiatica bella come una miniatura della
dinastia Han. Il suo nome era Yoko Hu, e si trattava della stessa fanciulla che
Lucius aveva puntato con occhio di lince circa ventiquattro ore prima.
Anche se non era ancora iniziato, l’anno scolastico
prometteva già guai.
ab
La domenica arrivò insperata, piccolo regalo dopo
una settimana estenuante. Era molto peggio di quello che Leyla, Lucius e
Rodolphus avevano previsto: fin dal loro ingresso in classe, si erano trovati a
fronteggiare la spada di Damocle dei MAGO, il loro vero e proprio passaporto
verso la vita adulta. I professori avevano raggiunto livelli di tensione mai
visti prima, e la McGrannit, arcigna insegnante di trasfigurazione, aveva dato
loro tanti di quei compiti da tenerli impegnati come minimo fino a Natale.
Rabastan, dal canto suo, doveva fare i conti con la pressione dei GUFO, gli
esami del quinto anno, che certo non erano una passeggiata. Non che Rosnake e
Dawn se la passassero molto meglio: a
parte il “vecchio Luma”, sempre ansioso di riempirle di complimenti, sembrava
che gli insegnanti si fossero messi d’accordo per esasperarle. Pangborn, il
nuovo sbarbino di Difesa contro le Arti Oscure, aveva già spedito in punizione
la più giovane dei Malfoy “per la sua impertinenza”, anche se Dawn non aveva
fatto altro che fargli notare che imparare a memoria mucchi di libri significa
avere, nella vita, molto tempo libero. In effetti, Dawn passava circa un terzo
dell’anno in punizione. Ros non veniva castigata, mai.
Con le attività frenetiche degli ultimi giorni,
nessuno aveva avuto molto tempo per coltivare i propri hobby. I ragazzi non
giocavano a Quidditch da due settimane, Leyla aveva riposto il fioretto in fondo
al baule e Dawnrose, la cui unica e vera passione era il tiro con l’arco, si
era ridotta a giocare a freccette nella sala comune usando come bersaglio un
reggiseno imbottito di Vanessa Hilton reperito sotto il letto della
proprietaria. “Quindi tutto quel ben di dio è finto?” aveva chiesto Ian,
sconcertato, mentre Vanessa stessa interrompeva la partita strappando
l’indumento dal tassello cui era stato
appeso e trucidando con lo sguardo la rivale, in attesa di fargliela pagare dal
punto di vista fisico. Era stato divertente, certo, ma nulla era paragonabile
all’eccitazione regalata dal tendere l’arco, i muscoli del braccio che urlavano
in agonia, la freccia che sibilava, conficcandosi esattamente al centro del
paglione.
Quanto a Rosnake, lei non aveva mai amato gli sport
violenti, né quelli di precisione praticati con la finalità di ferire qualcuno.
A differenza delle amiche, che si erano stufate presto, aveva sempre continuato
a praticare l’arte che le loro madri avevano voluto che apprendessero, e cioè
la danza classica. Avrebbe dato qualunque cosa per la sensazione che provava
quando, trasformata in luce, colori guizzanti, diventata ella stessa movimento,
avvertiva la musica scorrerle nelle vene come un fluido drogante, che la
trasportava lontano, oltre il mondo, quasi oltre la vita. Da qualche anno, con
somma disapprovazione di Ariadne, si era dedicata in particolare alla danza
moderna, che aveva studiato anche su canzoni babbane. La pulsazione di un buon
pezzo house era quello che ci voleva per tirare fuori la sua personalità
aggressiva, per sfogarla. Lucius, uno dei pochi a cui avesse concesso di
vederla allenarsi, adorava guardarla ballare. La grazia, la leggerezza con cui
si muoveva la facevano sembrare un sogno.
Quella domenica, come molte altre volte, Ros era
scappata un attimo dal casino della sala comune, piena di persone che urlavano
e ridevano, e facevano i compiti e si sfidavano a biglie e si baciavano e
producevano un mucchio di rumore, e si era rifugiata in un aula vuota al piano
di sotto, insieme alla radiolina magica che portava sempre con sé. Aveva
trovato un r’n’b decente da qualche parte, e quasi senza accorgersene aveva
iniziato a danzare. Per fortuna, quando la porta si aprì non era ancora
completamente presa dal ritmo; in caso contrario, non avrebbe sentito alcun
rumore. Invece si fermò a metà di un giro on the dan, spense subito la radio e
si ravviò i capelli con la mano, sentendosi arrossire. E non a torto. Sulla
porta dell’aula, in jeans e maglietta dei Porter Prides, c’era James Potter.
“Ma bene” sorrise il ragazzo, un sorriso sadico,
terribile “La piccola Lestrange.”
Contro la propria stessa volontà, Ros rabbrividì.
Una delle regole non scritte del conflitto in atto da anni tra Grifondoro e
Serpeverde recitava più o meno non è lecito attaccare una ragazza sola,
soprattutto in un posto dove non può scappare. Eppure, quell’idiota del
Cercatore veniva verso di lei, minaccioso, e aveva tutta l’aria di non essere
disposto a lasciarla andare.
“Molto male” trovò il coraggio di rispondere
“Potter.”
“Sai” la apostrofò amichevole James, gli occhi
grondanti veleno “I tuoi amichetti non dovrebbero mandare le bambine sole nel
bosco. Rischiano di incontrare il lupo cattivo.”
“Ma che cosa orrenda” ribatté lei, credibilmente
sarcastica “Se mi capiterà di vederlo, cercherò di farlo fuori, con o senza
cacciatore.”
Per qualche istante, l’idiota parve destabilizzato
dalla secca replica, ma riprese con rinnovato vigore. “Sai, Lestrange, potrei
anche farmi da parte e lasciarti correre via, nella tua Sala Comune, a
rannicchiarti tra le braccia di quel perdente di Malfoy. Ma non so se ne ho
voglia.”
“Lucius ne vale dieci, di stronzi come te!”
“E’ questo che pensi, vero?” all’improvviso, Potter
alzò la voce, fin quasi ad urlare. “Che sono uno stronzo?”
“Sì” ringhiò Ros, sentendo le solite, inopportune
lacrime che lottavano per uscire “Sei stronzo e anche codardo. Per sentirti un
macho devi sfogare le tue frustrazioni su chi è più debole di te!”
Il dolore esplose di colpo, avviluppandole il
braccio. Quando la vista le si snebbiò, si rese conto che lui l’aveva presa per
il polso per torcere, per torcerla senza pietà.
“Ripetilo” quasi le sputò in faccia, il collo
purpureo, le orecchie viola. “Ripetilo, sgualdrina!”
“Codardo” singhiozzò Ros, tramortita dal male.
“Codardo, sei un verme, un verme!”
“Tu … io ti … ti …”
“Potter, basta, ti prego, basta, mi fai male!”
La ragazza cadde in ginocchio, scossa dai brividi.
Dalla spalla in giù, le pareva di essere immersa in una foresta di aghi
incandescenti. Le tornò in mente Rodolphus che, da piccoli, la sferzava
crudelmente con le ortiche, per poi chiederle scusa, portandole in dono mazzi
di margherite: bella, bimba mia, non piangere, piccoli fiori per le tue piccole
dita.
“James?! Ma che diavolo fai?”
E poi, così come era iniziato, tutto finì. La
stretta di lui si sciolse all’improvviso, e Ros si raggomitolò al suolo, il
braccio dolorante ripiegato sotto l’altro. La sua mente riprese con un attimo
di ritardo a girare, le lacrime salate si persero nella cortina riccia dei suoi
capelli. Solo allora riconobbe la voce che aveva parlato. Da qualche parte, non
lontano da loro due, c’era Sirius Black.
“James, testa di cazzo, cosa le hai fatto?”
Facendo del suo meglio per smettere di pigolare, la
ragazza si voltò su un fianco, e attraverso il pianto vide il profilo perfetto
di Black incombere sull’idiota, ufficialmente passato al rango di torturatore
degli indifesi. Dal canto suo, Potter era piegato in due, il viso terreo tra le
mani. Sembrava disorientato, come se si fosse svegliato solo in quel momento da
un incubo orribile e fosse ancora indeciso se crederci o meno.
“Io … cosa … oh, mio Dio” mormorò, sconvolto, nel
vederla a terra, ancora ansante, il polso gonfio. “Mio Dio, non volevo, io …
Lestrange …” pronunciò il suo nome con una carica di disperazione tale che la
fece rabbrividire.
“Non volevi” gracchiò invece, accovacciata sui
talloni nel tentativo di rimettersi in piedi “Ma non vuol dire che tu non
l’abbia fatto.”
“Ma cosa ti è saltato in testa? Dico, ma sei
impazzito?” gli occhi fuori dalle orbite, Sirius stava ancora osservando i due
ragazzi stravolti. Era una strana scena, in cui (ovviamente) mancava ancora
un’attrice.
“Ros, sei qui? E’ un’ora che … un attimo” Dawn si
bloccò, attonita, all’entrata dell’aula “Ma che succede?”
Ricapitolando:
Potter e Ros per terra, entrambi contorti, entrambi
pallidi, entrambi con l’aria folle; in piedi, Black, con un’espressione sexy da
sgombro stupefatto.
In quel momento, la Serpeverde si alzò, con il
braccio rigido al petto. Furibonda.
“Chiedilo a quello lì.”
Dawn non aveva capito niente, ma una delle sue
cinque regole d’oro recitava: insulta quotidianamente Potter; tu non sai
perché, ma lui sì.
“Allora, pezzo di merda?” gli sibilò in faccia,
mentre si raddrizzava, ancora pallido.
“Io …” aveva gli occhi infossati, rossi. “Lei mi ha
insultato e io … ma non volevo!”
“Cosa hai fatto alla mia amica?” ululò Dawnrose, in
tutto e per tutto una vera Malfoy inferocita. A quel punto, Black fece un passo
avanti e si frappose con noncuranza tra i due.
“L’ha colpita” disse semplicemente. “Non credo
intendesse farle del male.”
“L’ha colpita?” strillò la bionda, drizzandosi in
tutta la sua statura. Sirius arretrò di un passo, finendo addosso al
torturatore di inermi. “L’ha colpita!! Tu, lurida sozzura di humus maleodorante
sotto il tacco sedici delle mie Manolo Blahnik, tu, schifoso Grifondoro, come
hai osato??”
“Ehi, datti una calmata” le ingiunse Black. “D’accordo,
ha sbagliato, però …”
“Però un cavolo! Ros, ti ha fatto molto male?”
La bruna si morse il labbro e scosse fieramente il
capo. Ma i segni sul suo polso non potevano mentire.
Dawn impallidì ancora più del normale, traendo a sé
l’amica. Lentamente, James si affiancò a Sirius, ridotto ad uno straccio. “Noi
ce ne andiamo” ringhiò la Malfoy “Ma non finisce qui, hai capito Black? Lucius
sarà contento di sapere cosa è successo.”
“No, pensaci, non voglio che …”
“NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE VUOI TU, BLACK!”
Dawn partì, ormai isterica, verso la porta, e
Rosnake le trotterellò dietro, ma venne trattenuta per il braccio sano. Potter
la fissava, supplichevole.
“Lestrange, io …” la voleva ai suoi piedi, come le
altre, voleva il perdono. Lo guardò per qualche istante, la mascella forte, gli
occhi allungati, la bella bocca.
Prese la sua decisione.
“Non dirlo mai. Non dire mi dispiace.”
Poi lo fece. Gli sputò su quella faccia da modello.
ab
Rosnake chiuse la porta senza eccessiva violenza, ma
James sobbalzò comunque come se gli avessero sparato. Pallido e teso, si lasciò
cadere su un banco, accarezzando in automatico la mandibola contratta. Sirius,
ancora sconvolto, lo fissò per qualche istante prima di sedergli accanto.
“Me lo vuoi dire?” interloquì con dolcezza, dopo un
attimo di silenzio. “Perché lo hai fatto, intendo.”
Il Cercatore affondò il viso tra le mani, le spalle
oppresse da un peso invisibile, ma esistente. “Non lo so. Ti giuro, Siry, te lo
giuro su tutto quello che vuoi. Lei era lì, era sola, debole, e … ho perso il
controllo.”
“E’ stata una cosa molto grave, James.” Il bruno si
rabbuiò, gli occhi serrati in una linea dura. “Non mi sorprenderei se Malfoy
stesse già cercando qualche sgherro per farci a pezzi. Cristo, lo sai che sono
stati insieme! Su di lei c’è scritto noli me tangere, okay?”
“Che venga” mormorò Potter “Che vengano tutti.
Pagherò per quello che ho fatto, ma quei bastardi me li porto all’inferno, ci
puoi giurare. Non mi importa del noli col tango.”
Saggiamente, Sirius decise che non era il caso di
spiegare a James che si trattava di latino, e non di goblinese antico o
qualcosa del genere. “Non ti capisco, però. Come ti è venuto in mente di
aggredirla così? Una ragazzina che non farebbe male a una mosca!”
Il Grifondoro sospirò, lasciando che le immagini che
fino a quel momento aveva tentato di escludere gli invadessero la mente.
Rosnake che gli camminava davanti in Sala Grande, i fianchi minuti che
oscillavano rapidi con i suoi passi. Braccia chiare e sottili strette tra le
sue dita forti, di ragazzo. Lily sfigurata dal pianto, sei un bastardo, ma
com’è possibile, animale, mandi in pezzi tutto quello che tocchi. Me, te, noi.
Il lancinante fiotto di potere che l’aveva invaso nell’istante stesso in cui si
era trovato lì, nell’aula vuota, con il fragile polso di lei stretto in una
morsa. Avvertì un giramento di testa e si appoggiò al muro, svuotato.
“Mi ha sputato in faccia” commentò, in tono piatto.
“Ha fatto solo bene. Coraggiosa, la piccola.”
Vero. Coraggiosa e sincera. Io sono un vigliacco. Un
verme. Malfoy ne vale dieci, di stronzi come me. Dieci. Dieci. Dieci. Dieci …
“Jamie, stai bene? Sei più bianco di Mirtilla
Malcontenta.”
“Certo” in qualche modo, pescò parole rassicuranti
nel deserto della propria bocca. “Sto benissimo, davvero. Tutto a posto.”
Sirius accarezzò i capelli dell’amico, senza
riuscire a perdere del tutto l’espressione preoccupata. “Non accadrà mai più,
vero? Promettimelo. Non scherzo.”
Un vigliacco. Dieci. Dieci. Dieci.
“Mai più. Lo giuro.”
Si avviarono insieme verso i dormitori, a prepararsi
per la guerra.
ab
Nauseata, Ros rifiutò la
Burrobirra tiepida che Ian le offriva con la mano tesa. Non voleva che nulla
attraversasse la linea delle sue labbra. Non voleva che nessuno combattesse per
lei. Voleva solo essere lasciata in pace.
Come promesso, Dawnrose aveva
convocato una solenne assemblea, e tutti i Serpeverde impegnati nella prime
linee erano trincerati in un angolo, accanto al fuoco: Leyla abbandonata su una
poltrona, Rod in piedi dietro di lei, le mani serrate sullo schienale, il
giovane Nott seduto a terra, Lucius che misurava l’angolo a grandi passi, teso
come la corda di un arco.
“Lo spezzo in due” ripeté per
l’ennesima volta, un espressione truce dipinta sul viso.
“Basta” scattò Rabastan,
infastidito “Ci serve un piano, non minacce campate in aria!”
“Ehi, mela!” commentò Ian nel
silenzio generale. Nessuno si voltò neppure a guardarlo.
“Ros” disse dolcemente Lelly,
notando che la cugina si era raggomitolata in posizione fetale. “Ros, come ti
senti? Tutto bene?” Lei scosse la testa. Tutto quello scompiglio, quella
rabbia, quella sete di vendetta la facevano sentire oppressa, impotente.
Rodolphus le si sedette accanto, come quando erano piccoli e lei faceva un
brutto sogno.
“Non preoccuparti, tesoro” la rassicurò
“Pagherà per quello che ha fatto.”
“Lasciatelo a me!” supplicò per
l’ennesima volta Dawn, la bacchetta sguainata.
“No” Rabastan pose la mano sulla
spalla della propria migliore amica “Dev’essere un lavoro di squadra.”
Quale lavoro? Che squadra? Ros si
massaggiò le tempie, confusa.
“Ehi, pera” fischiettò Ian.
Fu Lucius a prendere la parola,
il viso divenuto una gelida maschera, priva di qualunque espressione. “Allora,
penso che siamo tutti d’accordo. Attaccheremo stanotte.”
Attaccare?
“Sono con te” dichiarò subito
Rodolphus, raddrizzandosi al massimo delle possibilità.
“Io no” sbottò Dawn
“Attacchiamoli adesso!”
Solo allora, al sentire la
concitazione delle voci, Ros trovò la forza di mettersi seduta. Fronteggiò gli
amici con sguardo fermo, nonostante la stanchezza, nonostante il dolore.
“No.”
“Cosa no?”
“Ehi mela!” tentò Ian.
“Non attaccherete proprio
nessuno, okay? Sono qui. Non mi ha mica uccisa.”
Quattro facce stupefatte la
fissarono. Ian si stava infilando una matita nella narice sinistra.
“Ma stai scherzando?” sbraitò
Leyla “Dopo quello che ti ha fatto?”
“Lo so. Non è stato corretto, ma
sarebbe ancora peggio scatenare una sorta di faida, o come la volete chiamare
voi! Non abbiamo bisogno di questo” aggiunse, in tono quasi di preghiera “Altri
scontri. Altre sofferenze.”
“Snake, non ho intenzione di
permettere al primo che passa di aggredirti” Rod prese la mano della sorellina,
che però si divincolò subito.
“E io non ho intenzione di
permettere che mio fratello si faccia invischiare in una cosa così stupida!”
“Stupida?” tuonò Dawn “Quel
bastardo si accanito contro un’indifesa, non gli avevi fatto niente!”
“So anche questo. Io non voglio.
Non voglio comportarmi come lui.”
A quel punto, Lucius fece un
passo avanti e strinse Rosnake per le spalle. “Ros, non credo che tu capisca
quanto è grave. E’ una dichiarazione di guerra aperta, Cristo!”
La ragazza cercò di sottrarsi
alla sua presa, ma dovette cedere. “Solo se noi la cogliamo. Non voglio
combattere, lo sai!”
“Ma Snake...”
“Ascolta, Lucius” il tono di Ros
era cambiato, notò Dawnrose. Parlava con dolcezza, e a bassa voce, come se si
stesse rivolgendo solo ed esclusivamente al ragazzo che le stava di fronte. “Ti
prego, fallo per me. Accontentami, per favore. Lascia correre”.
“Ma...”
“Non voglio “ma” “. La bruna
accostò il viso a quello di Lucius e premette la fronte contro la sua.
Imbarazzati, gli altri diedero colpetti di tosse più o meno evidenti.
“Ehi, pera” canterellò Ian.
“Snake, te l’ho detto, io morirei
per te!”
“Io voglio solo che tu eviti di
doverlo fare.”
Come risvegliandosi da una
trance, il Serpeverde fece un brusco passo indietro, staccandosi dalla ragazza,
che gli sorrise, innocente.
“L’avete sentita, ragazzi”
gracchiò Lucius “Seppelliamo le asce.”
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Capitolo 11 *** L'infinito potere di una porta ***
11
L’infinito
potere di una porta
Rosnake non voleva che Joe MacMillan le portasse la
borsa con i libri di aritmanzia, sebbene fosse tanto pesante da trascinarla
verso terra a ogni passo. Non voleva che Joe accorciasse le proprie falcate per
starle accanto, o che cercasse di tenere viva una conversazione a base di
luoghi comuni. E, per la misericordia di Nostradamus, non voleva essere
obbligata a conversare con lui sul tempo.
“Oddio, che sbadata” squittì, lasciando cadere la
cartella, che si rovesciò spargendo ovunque boccette d’inchiostro, piume,
pergamene, assorbenti (malediz!). “Oh, Joe, vai pure, io devo raccogliere
questo macello. Accidenti ...”
“Non preoccuparti” la rassicurò quel miracolo di
inopportunità vivente. “Ti do una mano, guarda ...”
“No!” esclamò Ros, decisamente troppo precipitosa.
“No, cioè, dicevo, vai pure! Non è proprio il caso, sai, raggiungi i tuoi
amici, ecco!”
“Beh, okay ...sei sicura che?”
“Sicurissima. A venerdì!”
Lo guardò allontanarsi con un senso di sollievo che
le attraversò il corpo, facendole sentire quanto fosse stanca. I muscoli del
collo si erano dimenticati come sostenere la testa, e la schiena ormai
somigliava a un fascio di cordame impossibile da districare. Avvertiva una
strana pulsazione ai polpacci, e la spalla sinistra, quando la ruotava, le
provocava ancora qualche fastidio. Per un istante, rivide il volto livido di
Potter, la sua espressione sconvolta, e si morse il labbro con tanta energia da
avvertire il sapore del sangue.
Arrivata in sala comune, trovò Lucius addormentato
sulla poltrona più vicina al fuoco, il libro di trasfigurazione aperto in
grembo. Con un sospiro, Ros glielo sfilò dalle mani e lo pose sul tavolo, gli
tolse le scarpe e gli appoggiò sulle gambe un golfino dimenticato da
qualcheduno (Rabastan? Uno sconosciuto?) sulla sedia lì accanto. Lo guardò per
un istante, un ragazzone di un metro e ottantacinque assopito come un bambino,
la bocca semiaperta. Vedere Lucius, dopo quello che c’era stato tra loro,
faceva nascere in lei vari sentimenti, non ultima una tenerezza quasi dolorosa.
Gli soffiò un bacio sulla guancia e salì in dormitorio.
“Ciao” sbuffò Leyla, appollaiata sul letto con la
piuma d’oca tra i denti. “Scusa se non siamo venute a prenderti, ma Dawn
dev’essere ancora da qualche parte nel parco, a congelarsi le chiappe ... oh, dannazione”
una piccola macchia d’inchiostro si stava allargando al margine del foglio, a
coprire le ultime parole frettolosamente scarabocchiate. La bionda imprecò.
“Non fa niente, figurati” replicò Ros, sarcastica
“mi avete solo abbandonato alla mercé di Joe Acne Macmillan ...”
“Non mi dire!” rise Lelly, glaciale come al solito
“Ancora non si è rassegnato?”
“Direi di no. Bah, senti, io vado a farmi un bagno.”
“Brava” disse distrattamente l’altra, alle prese con
la cancellazione magica delle varie patacche sulla pergamena. “Se quell’essere
ti ha toccato, in effetti ...”
“Dai, scema!” ridacchiò la bruna, mettendo in una
borsa accappatoio, ciabatte e il suo preziosissimo (indispensabile, in effetti)
shampoo districante “per ricci domati senza fare un sol capriccio”. “Allora,
magari raggiungimi con Dawn, quando arriva, io lascio aperto così potete
entrare. Mi aveva promesso che mi faceva i capelli, ora che ci penso.”
“Ne hai un gran bisogno, tesoro.” Wow. Grazie.
“A dopo, allora.” La baciò frettolosamente.
“Salutami la simpatia, eh”.
Il cuscino la prese in pieno sulla nuca mentre
correva verso le scale.
ab
Dawnrose si alzò dalla sponda del lago.
Era una bella giornata, nonostante fosse novembre
inoltrato. Il sole illuminava il prato e faceva scintillare l’acqua del lago di
riflessi argentati, ma non scaldava. La ragazza si strinse nel maglione nero
con ricamato sopra lo stemma verde e argento di Serpeverde, rabbrividendo. Non
c’era quasi nessuno nel giardino. Rosnake era a lezione di aritmanzia, Leyla si
stava portando avanti con i compiti in sala comune e i ragazzi avevano
organizzato un torneo di scacchi, decretando che il tempo non era abbastanza
bello per uscire. Lei però non aveva voglia di passare tutta la giornata chiusa
nel castello, e poi le faceva piacere, in fondo, avere qualche momento tutto
per lei. Amava i suoi amici, ma dentro era una persona solitaria, e certe volte
sentiva il bisogno di scappare dalla confusione generale e ritagliarsi qualche
momento tutto per lei. Ma cominciava a fare troppo freddo, ed aveva promesso a
Leyla di tornare presto. Mentre si incamminava verso il portone di quercia
semiaperto, però, una voce la costrinse a fermarsi. “Malfoy!”
Per un istante si chiese se fosse rivolto a lei o ai
suoi fratelli, ma erano entrambi in Sala Comune. La ragazza si voltò. Qualche
metro più indietro c’era Sirius Black. Dawnrose si fermò, mentre il ragazzo affrettava il passo per raggiungerla.
Era molto strano che un Grifondoro, e per di più amico di Potter, la chiamasse
in mezzo al giardino.
“Ciao.” Le sorrise Sirius, arrivandole accanto. Dawn
fissò il ragazzo per qualche attimo, chiedendosi come una persona del genere
potesse avere amici come Potter... Sirius era così... così...
Decise che era meglio rispondere e non rimanere lì a
guardarlo. Avrebbe voluto dire “Dimmi cosa vuoi e poi vattene con i tuoi
stupidi amici!”, ma tutto quello che le uscì fu: “Ehm... ciao.”
Il ragazzo sorrise di nuovo e cominciò a camminare
lentamente verso il castello. Dawn si affrettò a seguirlo. “Che ci fai qui da
sola?” chiese lui, voltandosi a guardarla.
“Potrei chiederti lo stesso...” rispose la ragazza,
e stavolta fu lei a sorridere.
Sirius ricambiò. “Beh... a volte ho voglia di
starmene un po’ per conto mio... E, detto fra noi, certe volte James è davvero
insopportabile.” Il suo tono era leggero, ma Dawn capì che ammettere quello
davanti a una Serpeverde doveva essere abbastanza difficile. “E tu?”
La ragazza rimase un attimo in silenzio. “Lo stesso
per me. Beh, a parte James, naturalmente.” Gli sorrise. “Certe volte mi va di
stare da sola.” Si chiese perché stesse dicendo tutto questo a Sirius Black, e
si disse che non ne aveva idea.
“Esatto, anche a me.” Sembrava quasi sorpreso di
aver qualcosa in comune con lei.
Ormai erano arrivati davanti al portone. Entrarono,
continuando a parlare, e Dawn notò un gruppetto di Grifondoro del terzo anno
che li guardava male. E in quel momento si rese conto dell’assurdità della
situazione: stava camminando accanto a Sirius Black e stava anche avendo una
conversazione mediamente intelligente con lui. Quando arrivarono davanti alle
scale la ragazza si fermò, ma Sirius non accennò minimamente ad andarsene. “Non
vai in Sala Comune?” gli chiese di getto. Non che volesse non stare più con
lui, ma era comunque curiosa.
Sirius sorrise, un sorriso così luminoso che Dawn
sentì un gruppetto di dodicenni accanto a lei trattenere il respiro. “No, ti
accompagno.” rispose, tranquillo.
La ragazza sentì come se dell’elettricità statica le
stesse passando attraverso il corpo. “D’accordo.” Fu tutto quello che le uscì
dalla bocca. C’era un’atmosfera quasi irreale, mentre i due scendevano le scale
dirette ai dormitori di Serpeverde. Era come se si muovessero dentro un sogno.
Parlando, i due arrivarono troppo presto davanti alla porta col serpente. E
Dawnrose si rese conto che non aveva la minima voglia di pronunciare la parola
d’ordine e andarsene. Perché farlo, in fondo? E poi, non stava facendo proprio
niente di male: parlava con un suo compagno in un corridoio. “Sì, magari fosse
così semplice.” Le disse quella fastidiosa vocina che, ultimamente, la veniva a
trovare sempre più spesso. “Cosa ti direbbero gli amici se ti vedessero chiacchierare
amabilmente con un Grifondoro amico di Potter? Dopo quello che è appena
successo, poi.” In quel preciso istante la ragazza sentì qualcuno che, nella
Sala Comune, stava venendo verso la porta. Meglio rientrare.
Si rivolse a Sirius. “Vado, Black. Ah, e sappi che
se quell’idiota di Potter osa anche solo fissare troppo a lungo Rosnake o
chiunque altro di noi non ci sarà nessuna indulgenza. Andrò personalmente a
spaccargli la faccia. Intesi?” Il ragazzo la fissava a metà tra il sorpreso e
il divertito.
“Ciao ciao.” E, con un sorriso, Dawnrose sparì nella
Sala, sventagliando all’indietro i lunghi capelli biondi.
Sirius rimase qualche istante a fissare la porta
chiusa, poi si voltò e tornò verso il suo dormitorio, senza accorgersi che
stava ancora sorridendo.
Dawn entrò nella Sala Comune. Faceva decisamente più
caldo che in corridoio, ma la ragazza si accorse che aveva più freddo di quando
parlava con Sirius. Non fece in tempo a soffermarsi su questi pensieri: era
Rabastan il ragazzo che aveva sentito avvicinarsi.
“Ehi! Ma dov’eri? Leyla ti sta aspettando da un
quarto d’ora abbondante... e sta un po’ sclerando.” L’amico la fissava con
seria apprensione, e a Dawn venne da ridere. Ma si trattenne.
“Ve l’ho detto, ero al lago.” “A parlare con
Sirius!” le fece notare la vocina. E allora? Glielo doveva dire? No. Inoltre,
non erano affari di Rabastan.
Il ragazzo la fissò intensamente. “Solo? Mi è
sembrato di sentirti parlare con qualcuno prima...” Gli occhi verdi di Rabastan
la squadravano. Si sentiva sotto interrogatorio.
“Sì, è vero. Stavo parlando con Sirius. Problemi?”
Dillo, Dawn. Dillo. Dillo! “No, non stavo parlando con nessuno. Avrai sentito
male.” Non voleva iniziare a mentire al suo migliore amico di una vita, ma allo
stesso tempo voleva tenere per sé tutto quello. Rab la fissò ancora per qualche
istante, e lei sostenne il suo sguardo, saldamente. Alla fine il ragazzo si
voltò e cominciò ad andare verso le poltrone. “D’accordo. Andiamo, dai.” Fu
tutto quello che disse.
Appena la vide, Leyla scattò in piedi, gli occhi
fiammeggianti. “Dawnrose, ma dov’eri?!” La sorella non le lasciò neanche il
tempo di rispondere. “È già passata Ros a dirmi di raggiungerla al bagno dei
prefetti... Meno male che la dovevamo andare a prendere ad aritmanzia!”
Dawn spalancò gli occhi: possibile che fosse così
tardi? Lanciò un’occhiata all’orologio. Eh sì. Si era fermata a parlare un po’
troppo. Si rivolse alla sorella. “Dai Lelly, per una volta che sono arrivata in
ritardo puoi anche chiudere un occhio...” sorrise, sperando di chiuderla lì.
Fortunatamente per lei, Leyla doveva essere molto
stanca, e lasciò cadere la cosa. “Vabè, dai... muoviti, andiamo da Ros!”
sbottò, con un gesto della mano.
Dawn sparì su per le scale. “Arrivo subito.”
Il dormitorio era vuoto. La ragazza entrò in bagno,
spazzolandosi i capelli. Fissò per qualche istante il suo riflesso nello
specchio. Spesso non capiva perché ci fossero così tanti ragazzi che la
trovavano bella. Sì, certo, bella lo era, ma non capiva perché, ad esempio, non
guardassero di più Rosnake. Aveva sempre trovato così bella la sua amica, “Una
bellezza in miniatura” come diceva sempre Ariadne Lestrange, così diversa da
lei. Quei suoi capelli neri, quella faccia così innocente e quel suo sorriso
che scaldava direttamente il cuore la rendeva, agli occhi della giovane Malfoy,
bellissima. E anche Leyla era bellissima secondo lei. Mentre Dawn era troppo
(troppo alta, troppo bionda, troppo pallida), Leyla era perfettamente
equilibrata: era più alta di Ros e più bassa di Dawn, aveva dei perfetti boccoli
dorati e la pelle un po’ più colorita di quella della sorella. Sospirò,
allontanandosi dallo specchio e lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
Sirius stava studiando assieme a Remus sotto la vecchia quercia. Si fermò
qualche istante ad osservarli. Si chiese se anche Sirius avesse tenuto per sé
il loro incontro o se ne stesse parlando con l’amico. “Ma perché diavolo stai
dando così tanto peso a questa cosa?” le chiese la vocina. Non seppe
rispondere. Forse era per il sorriso di Sirius, o per i suoi occhi così neri
che...
“DAWNROSE!!” La voce di Leyla non era per niente
rassicurante. Dawn si lanciò giù per le scale, pensando che, quel giorno, ne
stavano succedendo parecchie, di cose strane. Solo che non pensava che la più
bizzarra dovesse ancora accadere.
ab
La porta del bagno dei prefetti era in lucido legno
scuro, con una piastrina intagliata che recitava “vietato l’accesso agli
studenti non autorizzati”. A quelli senza agganci, piuttosto. La parola
d’ordine per entrare in quel bagno era utilizzata con preziosa merce di scambio
da tre quarti di Hogwarts.
In effetti, quella stanza non aveva nulla in comune
con gli ordinari servizi degli studenti. Era di dimensioni notevoli, e una
gigantesca vasca interrata troneggiava al centro, tra le colonne. La cosa
migliore, però, erano le centinaia di rubinetti dorati, ognuno dei quali
emetteva un bagnoschiuma diverso, alcuni dei quali davvero assurdi. Il
preferito di Ros produceva enormi bolle rosa fucsia impossibili da affondare e
di consistenza collosa, che fluttuavano sulla superficie dell’acqua.
Pregustando la sensazione dell’acqua calda sulla
pelle, la ragazza mormorò “Acquazzurra!” e spinse la soglia con la spalla,
entrando a ritroso. Solo che andò a sbattere contro qualcosa. Qualcosa di
solido. Qualcosa di umano.
“Ah!” strillò, sorpresa, girandosi. Così facendo,
urtò la porta, che si chiuse saldamente alle sue spalle. Mio dio. Mio dio, no.
Silurare Macmillan era un mio diritto. Non ho fatto nulla di male. Ma perché, perché?
“Bella mossa, bella mossa davvero” l’aggredì James
Potter, che stava ritto di fronte a lei, umido e privo di qualunque indumento,
ad eccezione di un asciugamano striminzito che gli ricopriva le cosiddette
pudenda. Per un attimo, fu certa di essere precipitata in un incubo, e soppresse
il desiderio di darsi un pizzicotto. Quell’essere spregevole pareva
perfettamente a suo agio, ma la collera gli imporporava le orecchie e la
fronte.
“Tu ... io
... no ... torno d-dopo” balbettò Ros, sul punto di morire lì, soffocata dalla
vergogna. Aveva fissato gli occhi sul punto che le pareva meno sconveniente,
cioè l’incavo del collo del ragazzo, là dove la pelle rosata si tendeva sulla
fossetta delle clavicole. Appoggiato in quel punto esatto, c’era un piccolo
ciondolo di legno, attaccato a una stringa di cuoio. Il contrasto tra il color
carne e il bruno le si impresse negli occhi, e le rimase davanti, come un
monito, mentre tentava di aprire la porta e di uscire fuori, nel mondo civile,
dove la gente era asciutta e vestita. Solo
che- se ne rese conto con un’ondata di puro orrore- quella stramaledetta porta
rifiutava di obbedire.
“Ma che brava” Potter sollevò un sopracciglio “Hai
vinto la bambolina.”
“E’ ...” balbettò Ros, incoerente “E’
...incastrata?” No, ti prego, ti supplico, no. Non puoi farmi questo. Non
chiusa in bagno con un Grifondoro nudo. Queste cose non succedono, non nella
vita reale.
“Ottimo, Lestrange” sputò il Cercatore fuori dai
denti. “A quanto pare, si apre solo dall’esterno. E tu, stupida ragazzina, hai
appena bruciato una possibilità di tirarci fuori di qui.”
“Ma ... la bacchetta ...” gemette la Serpeverde.
“Non puoi ... non sai?”
“Se mi fossi portato dietro la bacchetta, credi che
sarei ancora qui?”
“Io ce ...” no, no, no! “Non ce l’ho!”
“Ecco, mi pareva. Inutile fino al midollo, eh?”
Potter era senza occhiali, e per la prima volta Rosnake fu sottoposta allo
sguardo diretto dei suoi occhi nocciola. Si sentiva nuda, come se fosse stata
lei quella appena uscita dalla vasca da bagno.
“Ma chi ti credi di essere, scusa?” ringhiò,
stringendosi le braccia al busto. “Non sono io che ho rotto la porta!”
“Sì, perché adesso è colpa mia se siamo chiusi qui,
eh?” la rabbia storse per un attimo i tratti del Grifondoro, e Ros sentì un
fulmine di dolore attraversarle il braccio sinistro.
“Beh, mi sembra che tu sia famoso per distruggere le
cose.” Disse, le labbra serrate. Per la prima volta in dieci minuti, James apparve veramente colpito. Un’ombra gli
oscurò il viso, mentre il suo sguardo corse all’avambraccio di lei, piegato
contro il petto. La carnagione scura di Ros era priva di pecche, macchie o
lentiggini, e quel polso talmente sottile.
Come aveva potuto accanirsi così, torcerlo tra le dita, fino a sentire il
dolore che gli scorreva lungo le vene? Come aveva potuto piegare un corpo così
fine e fragile? Aveva la nausea.
Improvvisamente, il Cercatore si sedette sul porta
asciugamani lì a fianco e prese la testa fra le mani.
“Okay, basta” sospirò “Pensiamo piuttosto a come
tirarci fuori da questa situazione”.
“Idee?” chiese Ros, amara. Si appoggiò al muro e
incrociò le braccia dietro la schiena. “No, perché io la vedo un po’ buia.”
“Beh, e allora cosa dovremmo fare? Stare qui a
fissarci? Non è che crepi dalla voglia di sprecare un pomeriggio a litigare con
te.”
“Perché, pensi che io sia felice di condividere uno
spazio ristretto con te?”
“Certo” James si alzò pigramente, stiracchiandosi
con una certa intenzione “Dai, chi non vorrebbe essere bloccata in bagno con un
simile ben di dio?” Ha ragione, ha
ragione, ha ragione. A differenza di Lucius, che era molto alto e aveva le
spalle ampie tipiche dei Malfoy, Potter era di statura media e snello, il
tipico fisico da Cercatore. Aveva lunghe gambe adatte alla corsa, con i
polpacci muscolosi e cosce nervose, lo stomaco piatto, gli addominali in rilievo,
come disegnati in un modello teorico del colpo umano. I pettorali perfettamente
definiti le si stagliavano davanti agli occhi, un buon elemento di distrazione.
“Forse è ora di scendere dal piedistallo, ragazzino”
sbottò, sperando di non arrossire. “In effetti, forse è proprio ora di
rivestirsi.”
Erano di nuovo ritti uno di fronte all’altra, in
tensione. Ros avrebbe potuto allungare una mano e sfiorare quell’ombelico
perfetto. O far scattare la testa e tirargli una capocciata nel sopracciglio, a
scelta. “Ma dai” la sfotté lui, beffardo “Scommetto che nemmeno Lucilla può
vantare un fisichino del genere. Tu dovresti saperlo, no?”
“Perché, Potter, ti rode essere sempre l’unico
verginello?”
Lui si chinò su di lei, incombente, fastidiosamente
vicino. Gli sentì addosso l’odore del bagnoschiuma, misto a dopobarba, lo
stesso di Ian, le parve. “Ascolta un po’, puttanella saccente ...”
“Oh, sì, sentiamo, chissà che per una volta non ti
esca qualcosa di comprensibile, anziché i soliti grugniti!” Lui l’afferrò per
la spalla, la sinistra, e una fitta le percorse il braccio.
“Ma che ti credi di fare, scusa?” In un moto di
stizza, Ros allungò il braccio destro e spinse via il ragazzo, appoggiandogli
la mano aperta sul petto. Maledizione, non si era sbagliata. La sua pelle era
davvero morbida come sembrava alla vista. Sentì il suo corpo scaldarsi nel
punto in cui lo toccò.
“Lestrange, io ...”
Non seppe mai io cosa. Proprio in quel momento,
infatti, sentì qualcosa scattare dietro di lei, e la luce penetrò da ogni parte:
qualcuno doveva aver aperto la porta.
ab
Le due sorelle Malfoy camminavano verso il bagno dei
prefetti, chiacchierando del più e del meno. In quel momento l’argomento di
conversazione era Rosnake.
“Almeno c’è lei che si mantiene normale...” stava
dicendo Leyla “Io con i M.A.G.O. sto impazzendo... hanno già cominciato a
stressarci!”
Dawn annuì. “Sì, davvero! Io, grazie al cielo, ho
appena finito la punizione... se non ci fosse lei, che almeno è sempre
tranquilla...” Dicendo questo, la ragazza aprì la porta del bagno dei Prefetti.
Ma non vide ASSOLUTAMENTE quello che si aspettava. Sentì Leyla lanciare un
urlo, ma molto, molto lontano. La sorella le piantò le unghie nel braccio,
pallida come un fantasma. Dal canto suo, Dawn non voleva credere a quello che
aveva davanti agli occhi.
Il Bagno dei Prefetti era, da sempre, una stanza
molto bella. Marmo bianco ovunque, alte ed eleganti colonne con profili di
bronzo tutt’intorno e, al centro, un’enorme vasca immacolata piena d’acqua
fumante e schiuma. Nonostante fosse riservata ai Prefetti, ai Caposcuola e ai
Capitani di Quidditch, spesso Leyla e Ros avevano fatto entrare anche Dawn di
straforo. Peccato che, in quel momento, la tranquillità della stanza fosse
totalmente rovinata dalle due persone che stavano davanti alle sorelle Malfoy,
tra la vasca e la porta. Una delle due era Rosnake. Rosnake con addosso la
divisa, i ricci neri che le scendevano liberi fin sotto la vita, una mano sul
petto dell’altra persona. L’altra persona era James Potter. Il Grifondoro
teneva Ros per una spalla ma, cosa più orripilante dell’intera scenetta, era
completamente nudo. Lo striminzito asciugamano bagnato che aveva appoggiato sui
fianchi cadde proprio in quel momento, mentre Dawnrose aprì la porta.
Per qualche istante tutti rimasero immobili. Potter
e Ros scioccati, ancora le mani uno sull’altro; Leyla e Dawn orripilate e
sconvolte. La prima a riprendersi fu la giovane Lestrange, che saltò lontano
parecchi metri dal ragazzo, e cercò di balbettare qualcosa tipo: “Ragazze, non
saltate... conclusioni affrettate... non pensate... come sembra... io... lui...”
prima che le si seccasse la gola e le parole le morissero in bocca.
In quello stesso istante si riscosse anche Dawn, che
era rimasta immobile, le unghie di Leyla piantate ancora nella carne. La
ragazza gridò, saltò all’indietro e sbatté la porta con tutta la forza che
aveva. Poi si mise a correre, Leyla attaccata al suo braccio. Corse più veloce
che poté, gli occhi sbarrati, la mente piena di immagini che non avrebbe voluto
vedere. Come se qualcuno la inseguisse con un accendino.
Leyla gridò in tutta fretta la parola d’ordine e la
porta della Sala Comune si aprì un attimo prima che Dawn vi si spiaccicasse
contro. Le due sorelle si precipitarono in mezzo alla Sala e su per le scale,
fino al dormitorio. Finalmente Leyla staccò la mano dal braccio della sorella,
che si chiese se sarebbe mai più riuscita a muoverlo. Dawn si chiuse con uno
schianto la porta alle spalle, mentre Leyla, con un gridolino isterico, si
lanciò sul suo letto. Cominciò subito a prendere furiosamente a pugni il
cuscino, urlando cose per la maggior parte senza senso e senza nessi logici: “Io...
lei... quell’essere... come... come hanno... potuto?? Proprio Ros... e lui...
loro... insomma... COME?!?” Il resto fu solo un bisbiglio sconvolto.
Dawnrose si mise a camminare su e giù per la stanza.
Infine si fermò davanti alla finestra, fissando l’orizzonte. “Calma, Leyla. Ci
dev’essere per forza una spiegazione. Rosnake non può essere impazzita di
colpo.” “O forse sì?” “Sicuramente è colpa di quello stronzo pervertito di
Potter. Non gli è bastato quasi romperle il polso, a quel bastardo. Ma stavolta
lo faremo pentire di aver messo le mani addosso a Ros.” Sentenziò la ragazza.
Cercò in tutti i modi di scacciare quell’orribile immagine, ma riaffiorava
continuamente. Orrore.
Leyla parve calmarsi un po’. Sospirò. “Bene. Dawn,
sento che io... sto per...” Roteò gli occhi. “... svenire.” E, con un flebile
lamento, si accasciò sul letto.
Dawn guardò distrattamente il corpo della sorella
accasciasi, poi riprese a fissare fuori. Sirius era di nuovo fuori, stavolta da
solo, seduto sulle rive del lago. Probabilmente era stato tutto un sogno, si
disse la Serpeverde. Sì, era così. Doveva essere così. Anche perché, in quel
caso, tutto avrebbe avuto più senso: la sua chiacchierata con Sirius, il Bagno
dei Prefetti... Quello di cui aveva bisogno era un pizzicotto. Si sollevò la
manica della camicia, e scoprì una macchia di sangue sul braccio. Le unghie di
Leyla erano maledettamente affilate. Altro che pizzicotto.
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