Gocce di Tenebra

di Leyla Malfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra Erica e Peonie ***
Capitolo 2: *** Un livello incresciosamente basso ***
Capitolo 3: *** Io credo alle Promesse ***
Capitolo 4: *** Consuetudini ***
Capitolo 5: *** Improbabilità multipla ***
Capitolo 6: *** Paura fiducia scuse ***
Capitolo 7: *** Fratelli ***
Capitolo 8: *** Topo e Serpente ***
Capitolo 9: *** Vecchie e nuove generazioni ***
Capitolo 10: *** Noli me tangere ***
Capitolo 11: *** L'infinito potere di una porta ***



Capitolo 1
*** Tra Erica e Peonie ***


1

Tra Erica e Peonie

Come al solito fu un incubo, e come in ogni incubo che si rispetti pioveva talmente tanto che i contorni delle cose erano confusi, sfocati. Naturalmente, questo non era per niente rilevante agli occhi di sua madre, che si riparava sotto un ombrellino di pizzo con tale grazia da ricordare un balletto classico. Rosnake si copriva la testa con la Gazzetta del Profeta, sussultando ogni volta che un rivolo d’inchiostro sciolto le si infilava nel colletto. Sperò almeno che a bagnarle il reggiseno fosse un articolo di politica estera e non la pagina degli annunci.

“Il mio cuore è nelle Highlands!” dichiarò drammaticamente Rodolphus, scostandosi dal viso i riccioli bagnati. “Il mio cuore non è qui. Il mio cuore è nelle Highlands, a inseguire il cervo…” Mano sul cuore, occhi scintillanti. Come naturale, sua madre se la bevve tutta.

“Che Merlino mi fulmini!” miagolò “Mio figlio è diventato un poeta!”

-Che Merlino mi fulmini!- pensò Rosnake, senza stupore. -Mio fratello è diventato un idiota!-

“Possiamo andare” decretò a quel punto Rabastan e, lottando contro la voglia di scoppiare a ridere e contro la sorella maggiore, che aveva optato per la resistenza passiva, scaraventò il proprio gufo e la stessa Rosnake nella carrozza.

Un morso. Morsichino piccolo, piccolo al polso, che soddisfazione enorme… così avrebbe capito che era sempre e comunque il più giovane…

“Animale! Mi hai morso!” Rosnake sfuggì alla presa di Rabastan buttandosi sotto il sedile imbottito. Rodolphus si sedette a cassetta e la Reverendissima Madre, composta come una regina in trono, occupò il proprio posto ordinando a Jean-Jacques, per l’occasione riciclato cocchiere, di partire. Erano in marcia, rivolti verso la tenuta. Il nome della tenuta era Scarburough Fields, e il termine “tenuta”, pomposamente usato dai genitori dei ragazzi, stava ad indicare un vasto appezzamento di terreno con al centro un imponente castello, che molti secoli prima era stato la residenza del signore del clan La Sange, uno dei più influenti nella Scozia medievale magica. Negli anni, quel cognome era stato storpiato fino a diventare Lestrange, altrettanto esotico e altrettanto influente nella buona società di Londra. I tre fratelli erano i più giovani discendenti diretti del signore La Sange, il che significava che, alla morte del padre, la tenuta sarebbe stata legalmente proprietà di Rodolphus, il più vecchio di loro. E, pensò Ros, con un po’ di fortuna lui se la sarebbe tenuta tutta per sé. Dal momento, comunque, che per fortuna suo padre era vivo e vegeto (più che vegeto vegetante, considerato lo stato di mutismo in cui si chiudeva per reazione ai continui sproloqui della moglie), Scarburough Fields era affidata a lui, e questo significava che i rampolli della casata erano costretti a trascorrere le vacanze persi nelle Highlands.

A Rosnake la Scozia piaceva. Adorava la natura indomita e selvaggia, la commuovevano i laghi che cambiavano colore a seconda di quello del cielo, si riempiva ferocemente i polmoni di aria marina appena arrivavano in vista della riva e simpatizzava con le pecore, non foss’altro perché sua madre le detestava. Amava molto il parco della tenuta, con il sapore amarognolo con cui si ama ciò che ci ricorda felici tempi passati. Anche se lei non aveva l’abitudine di delirare per la strada, il suo cuore viveva davvero tra l’erica inseguendo i cervi.

La madre dei tre fratelli era una donna per molti aspetti ammirevole, bellissima, intelligente e mite, ma per qualche oscuro motivo le Highlands avevano su di lei l’effetto che ha la pozione sul dottor Jekill: la trasformavano completamente. Forse per il suo sangue greco che prendeva il sopravvento, le manie di grandezza, di solito non poi così gravi che la caratterizzavano, tendevano ad esplodere il giorno della partenza, nel preciso istante in cui il povero Jean-Jacques, maggiordomo, tuttofare e, all’occorrenza, cocchiere, (“una perla rara”, salvo l’abitudine piuttosto spiazzante che aveva di parlare di sé in terza persona) tirava fuori la ridicola carrozza nera e argento su cui si spostava l’intera famiglia: scomoda, vistosa e “così romantica”.

In quel momento, Ariadne Lestrange imboccava una tortuosa scala che la portava a compiere bassezze quali far mangiare tre adolescenti piuttosto selvatici con le posate d’argento. All’improvviso, la cosa più importante diventava la purezza della stirpe, il fine ultimo lo sfarzo, la qualità più apprezzabile la buona educazione, osservata con scrupolo, tranne che per la clausola “non fare troppo sfoggio di quello che hai”. In pratica, nel castello di Scarburough si viveva come in “Orgoglio e Pregiudizio”, il che non era un problema per Rodolphus, chiaramente predisposto a recitare la parte del nobile neanche poi tanto decaduto, né per Rabastan, abbastanza ieratico da lasciarsi scivolare tutto addosso come pioggia. Arrivati al terzo giorno, Rosnake cominciava ad avere qualche crisi di panico per il timore di impazzire.

Finché la secondogenita dei coniugi Lestrange era stata una bambina, la sua diversità da qualunque altro membro della famiglia era passata in gran parte sotto silenzio. Nessuno parve notare che quella ragazzina gracile, incapace di alzare la voce, passava molto tempo da sola, mangiava quasi solo porridge e parlava con le piante. In fondo, non dava fastidio, mentre c’erano due maschietti molto vivaci a cui badare. Quando, a undici anni, Rosnake partì per iniziare gli studi in campo magico, fu subito chiaro che la sua infanzia trascorsa in gran parte in compagnia di gatti e peonie aveva lasciato qualche segno. Apriva bocca di rado, e quasi sempre per pronunciare brevi frasi contorte che sembrava aver ponderato per molto tempo. Si nutriva di succo di zucca, caramelle al rabarbaro e burro. E, cosa più sconvolgente di tutte, non faceva minimamente caso a cosa indossava, come si comportava e che impressione dava. Con gli anni, tutte queste bizzarrie si erano molto stemperate, anche grazie agli amici che la ragazza si era fatta: l’essere strana non bastava a distogliere l’attenzione dal suo cervello vivace e dal temperamento affettuoso e gentile. Quello che non era cambiato per nulla, a parte la passione per il rabarbaro, era l’assoluto disinteresse che Rosnake ostentava nei confronti dei numerosi privilegi impliciti nella sua condizione di figlia di una grande stirpe della nobiltà magica. Soldi, potere; nah, non era roba per lei. A Ros piaceva andare in giro in jeans, montare a cavallo, camminare per ore e stare a guardare gli insetti tra l’erba. E appena arrivavano alla tenuta la sua cara mammina, che di solito accettava senza fiatare qualunque stravaganza, di colpo pretendeva di far diventare “la sua ragazza” una sorta di damina uscita dalla penna di Jane Austen.

Assorta in cupi pensieri, Ros si trovò spiazzata quando la carrozza si fermò con uno scossone.

“Eccovi nelle terre che vi appartengono da cinquecento anni!” esclamò orgogliosa Ariadne. Eccoli nelle terre che erano il suo terrore da sedici anni.

Si massaggiò la fronte con le dita, e ricevette uno scappellotto dal suo adorabile fratello minore. “Muoviti, Snake, scendi!” Rabastan aveva l’aria decisamente provata; chiaramente non vedeva l’ora di rimettere i piedi sulla solida terra. Poverino, aveva sempre sofferto di malesseri legati al movimento. Dal canto suo, Rodolphus aveva aperto la portiera alla madre con un piccolo inchino, e sorrideva, perso nella nube del proprio non trascurabile fascino. Che figlio perfetto. Passando, la ragazza gli allungò una bella gomitata nelle costole. La signora Lestrange, già del tutto immedesimata nel suo ruolo di nobildonna delle Highlands, si volse composta verso il castello che, splendido nella sua severità, li osservava, abbarbicato al promontorio roccioso. Ros, girata nella direzione opposta, fissava il ponte di pietra che avevano appena attraversato, unico collegamento tra il mondo e l’isola petrosa su cui si trovava Scarburough Castle. In quel momento, i signori McPherson, secolari domestici dei Lestrange, vennero ad accoglierli tra mille sorrisi. Il signor McPherson, un uomo massiccio, dal viso nodoso come un tronco d’albero, si fece aiutare da un Jean-Jaques dignitosamente contrariato a trasportare i numerosi bauli nelle camere da letto. Rab si vuotò lo stomaco dietro una siepe, sua madre andò a massaggiargli la fronte con piccole pacche di conforto, l’anziana cameriera corse dentro insieme a Rodolphus, a cercare pezzuole imbevute d’acqua di colonia e simili. Era il momento. Nessuno poteva notarla. Nessuno badava a lei.

Con il cuore che pulsava nelle orecchie, Rosnake si sfilò le scomodissime scarpe e corse tra i cespugli, controllando di non essere vista. Aggirò il castello senza rallentare e si gettò dentro da un ingresso posteriore, che dava su una ripida scalinata di pietra. La salì a due a due, il fiato corto, e finalmente si trovò nel corridoio su cui si affacciava la sua camera. Entrò, silenziosa e tesa, e si chiuse la porta alle spalle. Era al sicuro.

Sospirando di sollievo, si strappò di dosso con autentica furia l’abito di broccato color sabbia che aveva rinvenuto con orrore sul letto quella mattina, contenta di veder saltare due bottoni. “Completo da viaggio”, l’aveva definito sua madre, con un enfatico sorriso. Orrenda costrizione che le impediva di rilassarsi, divertirsi e, nel peggiore dei casi, fuggire agli stupratori. Per fortuna, i domestici di famiglia erano selezionati in base alla loro efficienza, e il suo baule, peraltro un po’ ammaccato, era già lì, insieme al cesto di Midnight. La ragazza liberò il gatto, che si stiracchiò con voluttà prima di acciambellarsi sul grande letto a baldacchino. Almeno lui era di buon umore. Sul fondo del bagaglio, ben nascosti agli occhi di sua madre, Ros aveva sistemato un paio di vecchi jeans sdruciti, camicia a quadri appartenuta a Rodolphus e scarpe da ginnastica così distrutte da aver perso parte dell’imbottitura. Meravigliosi abiti. Ti trafiggono il cuore. Si cambiò, afferrò Middy sotto il braccio e uscì di nuovo, silenziosa come ombra.

Le scuderie del castello erano poco lontane dall’edificio principale, oltre un pezzo di prato. Le raggiunse in pochi attimi e, lottando per prendere il respiro, si gettò verso l’ultimo box, che conteneva una delle sue migliori amiche al mondo.

“Artemis!” gridò, ma molto piano, per non farsi sentire. La giovane femmina di mustang nitrì di gioia, il muso marrone scuro levato al soffitto. La sua padrona era tornata! Non vedeva l’ora di galoppare, di galoppare lontano, verso l’orizzonte. Rosnake non la deluse. Le mise i finimenti con pazienza, le diede una mela, sistemò il gatto nella bisaccia della sella. Stava per prendere le redini e portare fuori la cavallina, ma la porta della scuderia si aprì.

“Sapevo che eri qui!” Rabastan, ancora un po’ pallido, le sorrise. Non sembrava armato di cattive intenzioni, ma sua sorella gli rivolse lo stesso uno sguardo truce.

“Io non torno!” sibilò. “Non puoi obbligarmi, non voglio rientrare fino  all’ora di cena, possibilmente anche oltre, chiaro? Se vuoi acciuffarmi, okay, ma dovrai farlo con la forza!”

“Veramente” rispose il ragazzo, amabile “Ti ho portato dei biscotti.”

Con una traccia di strisciante senso di colpa, Rosnake notò la scatola di latta che suo fratello teneva in mano, ma decise di non abbandonare del tutto la linea del sospetto.

“Bene” borbottò, brusca, sfilandoglieli di mano. “Sparisci.”

“Neanche un grazie?”

“Non dire a nessuno che mi hai vista!” gli ordinò, mandandogli un bacio veloce.

Cavalcò per miglia e miglia, la schiena a pezzi, sorretta solo dalla smania di allontanarsi il più velocemente possibile da tutto ciò che riguardava Scarburough Castle. La voglia di fuga le bruciava nei polmoni come acido, la spingeva avanti, miglio dopo miglio. Lontano. Lontano da quei vestiti odiosi, dai cerimoniali avvolti nella polvere, lontano dalla propria vita. Era così che Rosnake sopravviveva, in Scozia: scappando. Passava le giornate persa nella brughiera, stordendosi di fatica per non pensare a nulla, o contemplando il mondo, appollaiata sul glicine.

Il glicine era un ricordo del tempo che fu, piantato, a quanto si diceva, dalla trisavola dei tre ragazzi, e cresciuto forte e rigoglioso, nonostante il rigore del clima. A maggio, nella stagione della fioritura, si ricopriva di fiori viola dall’odore stradolce, gravidi di nettare, ma ora, in pieno agosto, altro non era che un tronco ritorto, coronato di rami spogli. Arrampicarsi era facile. Ros tolse le scarpe, e dopo aver liberato Middy e Artemis (non si allontanavano mai troppo, proprio lì vicino c’era una sorgente d’acqua fresca che li attirava entrambi) si issò sui rami più alti, comoda come in una poltrona. Sarebbe riuscita a sopravvivere lassù fino all’arrivo dei Malfoy?

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Capitolo 2
*** Un livello incresciosamente basso ***


2

Un livello incresciosamente basso

Dawnrose socchiuse gli occhi.

Tante piccole lame di sole filtravano dalle tende di broccato scuro, illuminandole i capelli biondo-argento e il viso. Si stiracchiò pigramente e si diresse verso la finestra, tirando le tende e lasciando che la luce riempisse la camera. Lanciò un’occhiata distratta al pendolo che ticchettava, già sapendo che era la prima a svegliarsi dei tre fratelli. Le sette e sette. Sospirò stancamente: non era mai riuscita a dormire fino a tardi come Leyla e Lucius, e non ci sarebbe riuscita mai.

Aprì l’armadio, e scelse un lungo vestito pesante ma comodo, che usava per viaggiare. Quel giorno ne avrebbe avuto decisamente bisogno. Spazzolò i capelli lisci che le arrivano ormai alla fine della schiena, si mise un filo di trucco e fece per uscire dalla stanza, quando un oggetto volante non identificato entrò a razzo dalla finestra e si schiantò con un debole gemito contro la parete. Dopo essersi ripresa dal piccolo infarto che quella cosa le aveva causato, Dawn si avvicinò lentamente. Il mucchietto di piume si raddrizzò leggermente e le porse una lettera che portava legata ad una zampa. La calligrafia di Rabastan era inconfondibile. Dawn sorrise ed aprì velocemente la lettera:

Cara Dawn,

se questa lettera dovesse avere un titolo, sarebbe probabilmente “Il livello incresciosamente basso che le nostre menti stanno toccando questa settimana”, ma lasciami spiegare.

So che avete ricevuto delle lettere da Rose, e non ho idea di che immane catastrofe vi abbia descritto. Qualunque cosa abbia detto, ha pienamente ragione. Qui le cose non potrebbero andare peggio. Rodolphus ormai si diverte come un bambino a giocare al Figlio Perfetto, e naturalmente nostra madre lo venera come un piccolo dio in terra. Declama poesie, continua a ripetere che la tenuta è la sua vita e idiozie correlate.

Rosnake invece non parla a mamma da quando siamo qui, poco più di una settimana. Continua a lanciare occhiate malvagie a qualsiasi cosa le stia attorno, da me a un cespuglio. Tutte le sere dice a Rod che è un cretino, e che finché lui dice che ama la Scozia continueranno a portarci lì. Ovviamente sa che tutti gli anni ci tocca questa piccola tortura, Rodolphus o meno, ma è talmente nervosa che passa le giornate nella stalla con la sua cavallina. Stasera mi ha ripetuto circa quarantotto volte (contate!) “Ma a che ora arrivano domani gli altri?”. Vi prego, partite il più presto possibile e salvatemi. Mi sembra di essere il meno andato di tutti, ma probabilmente sono talmente pazzo da non rendermene conto. È una possibilità che non mi sento di scartare.

Ian è arrivato da poche ore, e sta riempiendo mia madre di complimenti e fa continui apprezzamenti su quanto sia bello il castello, su quanto sia meraviglioso il giardino eccetera. È talmente donnaiolo che ci proverebbe con sua nonna. Mi auguro che Lucius li ridimensioni, perché l’arrivo di un altro malato sarebbe decisamente troppo. Più che una tenuta per le vacanze, questo posto sembra il reparto “Malattie mentali gravi e/o incurabili” del St Mungo.

Ora vado a letto, sono quasi le due e non mi reggo in piedi. Un abbraccio,

Rab

P.S. Voi tutto bene?

P.P.S. Rosnake mi ha DI NUOVO chiesto quando arrivate. Correte, o potreste trovarvi con un’amica in meno…    

 

Dawn trattenne a stento una risata, perché le pareva che ridere da soli nella propria camera non fosse una cosa del tutto normale. Con la lettera in mano, uscì di corsa dalla stanza.

Attraversò il corridoio e aprì silenziosamente la porta della camera della sorella. Leyla dormiva tranquilla e serena nel suo letto, senza ricordarsi cosa dovevano fare quel giorno. I boccoli dorati, il particolare che la differenziava di più dalla sorella, le ricadevano sulle spalle dandole un’aria falsamente angelica. Fin da piccola, Leyla amava farsi i codini con quei ricci d’oro, mentre Dawn lasciava sempre sciolti i capelli argentei e lisci. Vedendola così assorta nei sogni si disse che non avrebbe avuto cuore di svegliarla (o meglio, il cuore ce l’aveva eccome, forse non era pronta a farsi riempire di botte alle sette e mezzo di mattina), così uscì e si diresse da Lucius.

Suo fratello era considerato uno dei ragazzi più belli di Hogwarts (insieme a Rod, Sirius Black e James Potter), e mentre dormiva era ancora più perfetto. L’espressione beata che può solo avere chi è ignaro del fatto che sta per essere svegliato, i capelli biondo chiarissimo, quel sorriso appena abbozzato… Dawn pensò che si sarebbe servita di Jacques per far alzare i due fratelli maggiori. Jacques era lo storico maggiordomo tuttofare dei Malfoy, e insieme a Jean (maggiordomo dei Nott) e a Jean-Jacques (maggiordomo dei Lestrange), era parte del più Antico Ordine Di Maggiordomi Del Mondo Magico. Dawnrose lo trovò in cucina, intento a preparare la loro colazione.

 “Buon mattino, Jacques.” Nonostante il maggiordomo fosse lì da prima della nascita dei giovani Malfoy, tutti gli davano del Lei.

 “Buon mattino a lei, signorina Dawnrose. Ha già preparato la valigia?” Era l’apoteosi della cortesia.

“Sì, è quasi finita. Potrebbe andare a svegliare i miei fratelli?” Jacques esitò per un attimo, sapendo che di tutti i compiti, Dawn gli stava affidando il più ingrato.

“Certamente.” E sparì su per lo scalone.

Sapendo che non sarebbe stata una cosa breve, la ragazza uscì dalla veranda e si incamminò nel giardino. Immediatamente la raggiunse la sua fenice, Edwyn. Come tutti gli animali dei Malfoy, la fenice artica proveniva dall’Islanda, terra d’origine della famiglia. Per loro era tradizione che, all’inizio del primo anno ad Hogwarts, il padre regalasse ai figli un animale a loro scelta. Quando Lucius e Leyla compirono undici anni, chiesero rispettivamente un lupo e un leopardo delle nevi, e questi arrivarono come richiesto. E ancora adesso, sei anni dopo, Jack e Xerse si picchiavano come due cuccioli, e il lupo di Lucius ne usciva sempre massacrato. Dawnrose, invece, aveva chiesto una fenice artica. Non fu facile per Abraxas Malfoy trovarla e ottenerla, ma alla fine la ragazzina riuscì ad avere il suo amato Edwyn. I due si erano adorati da subito: Edwyn era a dir poco meraviglioso. Pareva quasi che le sue penne emanassero la lucentezza del ghiaccio puro e trasparente; le ali sembravano schegge di vetro, e la coda era formata di strisce luminose e bianchissime. L’animale stava quasi sempre sulla spalla di Dawn, o le volava intorno.

I due camminarono per un po’ in silenzio nei giardini, osservando gli ultimi frammenti dell’estate volare via come foglie. La loro ultima settimana di vacanza era tradizione passarla a Scarburough Castle, la residenza scozzese dei Lestrange. A Dawnrose piaceva un sacco quel posto, e non riusciva a capire come Ros facesse a detestarlo così tanto: anche i Malfoy possedevano un grosso castello in Islanda, e per lei era un piacere giocare alla principessa per qualche settimana. Ma sapeva bene che Rosnake era molto diversa da lei e Leyla, e forse era per questo che le tre erano amiche da così tanto tempo.

A pensarci bene, nei suoi ricordi di bambina, Dawn vedeva Rosnake quanto Leyla, ed in ogni momento importante della sua vita, c’erano entrambe: sua sorella e la sua migliore amica. L’arrivo a Hogwarts, lo smistamento, Natale, il primo bacio… Vedeva Ros e Lelly, sempre.

Tre amiche, tre caratteri diversi: Leyla era certamente la più teatrale, megalomane, psicotica di tutte; Ros era il contrario, dolce, sensibile, consolatrice e con una strana forma di razionalità che si incastrava con la fantasia; lei, Dawn, era razionale sul serio. Lei riusciva a tenere a bada la follia momentanea di Leyla e il suo pessimismo drastico nelle situazioni più terrificanti, e allo stesso tempo controllava la sfrenata fantasia di Rosnake e il suo ottimismo quasi ingenuo. Aveva un po’ di tutte e due: era perlopiù silenziosa e introversa, come Ros, ma era fredda, sarcastica e distaccata, come Leyla. Era Dawnrose, le diceva la memoria, e niente di più. Ma la diversità delle tre amiche non riguardava solo il carattere. Rosnake veniva detta la Bambola: era piccola, poco più di un metro e cinquanta, magra e con una massa di capelli nerissimi e riccissimi. Gli occhi scuri erano grandi e innocenti, come quelli di un cerbiatto, ma Dawnrose sapeva bene che sotto le apparenze, Rosnake poteva diventare davvero temibile. Leyla e sua sorella si assomigliavano moltissimo, ma c’erano diversi particolari che le differenziavano. Prima di tutto, Dawn era alta otto o nove centimetri più della sorella maggiore, e solo due meno di Lucius. L’altra differenza più evidente erano i capelli: Lelly aveva dei perfetti boccoli d’oro, lucenti e lunghi fino alle spalle; i capelli di Dawnrose, invece, le arrivavano fino alla vita, ed erano di un biondo talmente chiaro da sembrare argento, liscissimi e setosi, e assomigliavano di più a quelli di Lucius. Tutte e due avevano gli stessi occhi grigi, gli stessi di tutti i Malfoy. Leyla era l’Affascinante, con quella bocca carnosa e il viso pallido e gli occhi magnetici. Dawn era la Bella, con gli zigomi alti e le labbra sottili. I ragazzi facevano la corte a tutte e tre, anche se di solito notavano meno la piccola Ros, più silenziosa e piccolina, con quell’aria da bambina che ancora deve capire la vita. Ma tutte e tre, erano “Noi”.

“Ehi, Dawn, buon mattino!” Prima di voltarsi verso la sorella, la ragazza in giardino guardò l’ora: Jacques li aveva svegliati in poco più di venti minuti. Lo dicevano tutti che quell’uomo era un santo. “Buon mattino, Lelly. Il signorino si è svegliato?”

“Credo di sì, ma sai com’è la mattina…” Leyla e Dawn rientrarono in casa e si diressero verso le camere.

“Leyla… il tuo bagaglio è piccolo, vero?” la sorella minore si fermò, chiedendosi perché sperare.

“Certo, è delle dimensioni giuste per una settimana! Per chi mi hai preso?!” L’espressione della ragazza pareva quasi offesa. Dawn fece per rispondere ma, per la seconda volta nell’arco della mattinata, un gufo che pareva uno shuttle entrò dalla finestra. Leyla si tuffò con un bizzarro salto a parabola verso l’animale, lo afferrò e se lo mise dietro la schiena. Quando si voltò, era rossa come un peperone, e tentò un sorriso imbarazzato.

“Ecco, sai, è Margie, la mia amica delle Fiandre… eh... io e lei abbiamo una… ehm… fitta corrispondenza e…”

“Ciao, Leyla.” Dawn alzò un sopracciglio e preferì non indagare e tornarsene in camera. Certamente a Scarburough Castle non sarebbero mancati gli argomenti di conversazione. Finito di preparare la valigia di pelle scura, Dawnrose uscì dalla stanza ed andò in cerca di suo fratello. Lo trovò in bagno, con il rasoio in mano intento a farsi la barba.

“Ehi fratellone. Che cerchi?” Lucius si voltò verso di lei, con lo spazzolino in bocca. Era decisamente in ritardo, ma fare due cose insieme per gli uomini è davvero troppo.
“Ciao Dawn. Non trovo il tubetto del dentifricio, diavolo. Lo vedi?” La ragazza alzò gli occhi al cielo. Suo fratello era sempre pieno di problemi, la mattina.

“Lucius? Ce l’hai nell’altra mano.”

Mezz’ora dopo, i tre Malfoy erano davanti alla porta di casa, ciascuno con una valigia. O meglio, pareva che Leyla avesse trasferito l’intero guardaroba in una povera borsa.

“Leyla!” sbottò Dawn appena la vide “Il tuo bagaglio non è piccolo!” La sorella maggiore la fissò per un attimo, poi tornò ad occuparsi del suo piccolo armadio.

“È l’ideale per una settimana di vacanza!” Dawnrose decise di non continuare la conversazione, o sarebbero andate avanti per anni. Continuò comunque a squadrare con diffidenza la valigia della sorella, e a toccarla il meno possibile.

“Avanti, sbrighiamoci.” Lucius prese la sua borsa e, con un sordo crack sparì alla vista. Leyla tese la mano alla sorella, con l’altra impugnò la valigia, e si smaterializzò anche lei, trascinando via Dawnrose. Smaterializzarsi non era tra le cose più piacevoli del mondo: era come se qualcuno ti prendesse l’ombelico con delle pinze e giocasse insensatamente a tirarlo sempre più lontano da te. Come se non bastasse, quando il vortice finì, Dawn si trovò sdraiata sull’erba intenta a soffocare: il “bagaglio” di Leyla le era finito sullo stomaco. Con qualche imprecazione, la sorella la liberò.

“Non voglio mai più vedere quella mostruosità.” sibilò Dawnrose, trattenendo l’impulso di scioglierla nell’acido (la valigia, naturalmente, non la sorella).

 

  

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Capitolo 3
*** Io credo alle Promesse ***


3

Io credo alle promesse

Abbarbicata sul glicine, Rosnake osservava il mondo muoversi con l’attenzione che avrebbe riservato a una conferenza sulle guerre con i Goblin del Tredicesimo secolo. Come spesso le capitava, aveva fissato lo sguardo su qualcosa in particolare (in questo caso, un pezzo di bicicletta dimenticato poco più a valle da un giovane Babbano) e, senza nemmeno accorgersene, si era ritrovata lontana anni luce, a fantasticare sul passato. Era sempre stato così: se Leyla, sempre proiettata in avanti, come un giocattolo impazzito, rappresentava il futuro, e Dawn, con il suo rigore e la razionalità, portava avanti in modo del tutto personale lo scardinamento del presente, lei, Ros, incline a rimuginare, con la memoria lunga e le lacrime facili, incarnava tutto ciò che era stato e aveva cessato di essere. Non era mai stata capace a staccarsi dai ricordi per lanciarsi di petto nella vita. Natura inconcludente, la sua, e lo sapeva: mentre le due amiche più care che aveva erano dotate di una bruciante voglia di sopravvivere che le rendeva delle lottatrici, lei provava un vago desiderio di immortalità che faceva di lei un’inutile ragazzina persa fra i  sogni. Ecco la differenza sostanziale tra quei tre esseri che si amavano tanto. E che si erano sempre tanto amati. Ancora una volta, la voce suadente della memoria la chiamò per nome, la prese con dolcezza, trasportandola dove tutto aveva avuto inizio. A Scarburough, quindi, nella Scarburough del prima.

 

“Rodolphus, amore, lascia stare tua sorella!”

Il bambino bruno seduto al centro del tappeto scattò, colto in fallo, e si voltò con un sorriso tanto amabile che per un attimo la madre si sentì trasformata in un favo di miele. Ciò non le impedì di notare che la creaturina che sedeva al fianco di Rodolphus, una bambina minuscola e con una gran massa di capelli ricci, già da un po’ piangeva stoicamente, le braccia incrociate dietro la schiena.

“Ti ho detto mille volte che non si danno i pizzicotti.” A sottolineare le minacciose parole, Ariadne Lestrange prese in braccio la figlia più piccola, nel tentativo di calmarla. Rosnake smise quasi subito di lagnarsi, e si incantò ad osservare la spilla di cristalli rosati della madre, che solo allora notò il fiocco che le pendeva, semi staccato, tra le ciocche ingarbugliate. “Oh, santo cielo, ma guardati! Ti lascio sola due minuti e ti conci come la figlia di una pescivendola.” Effettivamente, mentre Rodolphus e l’ultimo dei fratelli, Rabastan, che dormicchiava sul divano, erano abbigliati come piccoli lord, e di piccoli lord avevano il contegno, la bambina indossava un abito di tulle color pesca che doveva essere stato splendido, ma aveva l’orlo scucito e la martingala penzoloni. Le calzine di pizzo bianco erano ammucchiate alle caviglie, e il viso olivastro era appiccicoso di muco e lacrime. “Tesoro, lascia che ti sistemi, tra poco arrivano gli ospiti!” A quella parola, Rosnake smise bruscamente di scalciare e si fece attenta. Ospiti? Nei due anni che aveva passato al mondo, a Scarburough non era mai venuto nessuno, tranne i nonni, che certo non meritavano la solennità con cui la donna aveva pronunciato la parola. “CHI?” strillò Rodolphus, che aveva qualche problema ad esprimersi con un tono di voce normale.

“Ah, che sciocca!” Ariadne sorrise, accattivante. “Mi sono dimenticata di avvertirvi! Ho invitato degli altri bambini a giocare con voi.”

I piccoli, escluso Rab, che era profondamente assopito, cercarono di metabolizzare la notizia. “Altri fratelli?” Ros aggrottò le sopracciglia. “Ma mamma, basta Rabbie, piange sempre e poi fa la cacca che puzza!”

La signora Lestrange lottò per soffocare una risata. “Rosnake, ma chi te le ha insegnate queste parole? E no, non sono altri fratelli. Sono i figli di un amico di papà, si fermeranno da noi per un po’.”

“CON LA LORO MAMMA?”

“Amore, non gridare per piacere! Sì, con la loro mamma. Anzi, dovrebbero essere qui a momenti …”

In quel preciso istante, la voce della signora MacPherson, con quel tremendo accento scozzese, precedette la proprietaria, che percorreva di gran carriera il corridoio.

“Milady, sono arrivati!” ansimò la donna, torcendosi le mani, nervosa.

“Benissimo” il viso perfetto di Ariadne divenne una maschera di alterigia mentre si alzava con il figlio più piccolo in braccio, simile ad una Madonna bizantina. “Le camere?”

“Sono pronte, Milady.”

“E la cena?”

“Gli elfi aspettano solo ordini per servirla.”

“Perfetto” sorrise la signora, compassata. “Prego, Maria, porti con sé Rosnake e Rodolphus.”

Obbediente, la governante prese per mano  due fratelli e si accinse a seguire la padrona.

“Cosa c’è, tesoro? Benedizione, cara, perché non cammini?” Ros era immobile, di pietra, e rivolse alla tata uno sguardo ansioso. “E se non mi piacciono?”

La donna rise di cuore, dandole un’affettuosa carezza. “Ma certo che ti piaceranno, cara. Li ho visti i signorini, sai: tre bambini così per bene, così educati … tre biondini, proprio come noi abbiamo tre moretti.”

“SONO TRE ANCHE LORO?” strillò il moretto numero uno.

“Sì, ma vedrete voi stessi. Ed ora sbrighiamoci, o la mamma si arrabbierà!” Risoluta, Maria spinse i tre bambini verso il portone d’ingresso.

Il vialetto lastricato luccicava sotto il sole d’agosto, che splendeva timido, ma risoluto. La novità era rappresentata da un’immensa carrozza decorata d’argento, ferma a qualche metro dall’accesso al castello. A cassetta sedeva un uomo magro e lungo, molto simile a Jean-Jacques.

“Elizabeth!” Ariadne sorrise, rivolta ad un'altra donna, bella quanto lei, dai folti capelli dorati appuntati in una crocchia. Nonostante la nuova arrivata somigliasse ad una principessa delle fiabe, Rosnake sentì una sgradevole stretta allo stomaco quando incontrò i suoi occhi freddi. “Santo cielo, Ariadne, anche quella è tua?” Elizabeth, con un gesto della lunga, bianca mano, indicò Rosnake, che tirava su col naso, ancora scarmigliata e sporca. “O è della serva?” Un lampo d’ira indurì lo sguardo della signora Lestrange. I Greci, come diceva sempre nonna Korinna, non li puoi toccare sui figli. “E’ mia, quella di mezzo. Un po’ un maschiaccio, ma non è un buon motivo per mancarle di rispetto. E <> è la nostra domestica più fidata, Maria MacPherson.” Inorgoglita, la governante raddrizzò le spalle. Le guance pallide della donna bionda si tinsero di rosa. “Scusami, cocca, non volevo offendere nessuno. Eccoli qui, i miei gioielli!” Aggiunse, con una vivacità immotivata, mentre il cocchiere, dopo aver legato i cavalli, aiutava a scendere dalla carrozza tre bambini, anche loro molto piccoli.

Biondi erano biondi, su questo niente da dire. Due di loro, un maschio e una femmina, dimostravano circa tre anni; la più piccola poteva averne due. Perfettamente pettinati, profumati e vestiti, stavano ritti come soldatini, a squadrare la famiglia Lestrange. “I gemelli, Lucius e Leyla” li presentò la loro madre, ponendosi dietro di loro “E Dawnrose, la piccolina di casa!” Era chiaro come il sole che Dawnrose era a disagio. Gli sguardi truci che lanciava tutt’attorno facevano a pugni con la sua aria angelica e l’abitino fucsia acceso. “Rabastan” il quale, proprio mentre Ariadne lo indicava, cominciò a sbavare copiosamente sul bavero del tailleur color crema che la madre indossava “Rodolphus e Rosie … Rosnake. Ma andiamo dentro, tra poco verrà servita la cena!”

Maria sparì dentro il castello ad approntare gli ultimi dettagli, e Ros si trovò sola in mezzo al prato. Quell’infame di suo fratello era già corso via con il biondo Lucius, e le due bambine ospiti stavano risalendo il vialetto per conto loro, poco dietro alle madri. Arrancò verso di loro. “Ehi! Aspettate!” Leyla e Dawnrose si girarono, sorprese. Alle loro spalle, c’era quella strana bimbetta con i capelli ricci. “Andiamo su insieme!”

“Certo!” Esclamò Leyla, prendendo una mano della nuova amica e stringendola, come aveva visto fare alle persone grandi. Dawn ringhiò sommessamente e riprese a camminare.

“E’ arrabbiata?!” Chiese la morettina numero due, curiosa.

“Sì” bisbigliò l’altra “Il vestito non le piace.”

“No” puntualizzò la sorella più giovane, in tono sorprendentemente adulto. “Non è che non mi piace. Fa schifo. Fa schifo e basta.”

“E’ molto carino!” ribatté Rosnake. Lo sarebbe stato davvero, se chi lo indossava non avesse avuto un’aria da serial killer.

“Questo colore è bruttissimo!” piagnucolò Dawn, mentre percorrevano il corridoio d’ingresso “Mi piaceva di più se era color cacca”.

Saggiamente, Leyla non commentò, anche se trovava che la sorella stesse molto bene. Lei, avvolta nell’abitino di mussola azzurro pastello e pettinata con due codini di boccoli color oro, stava benissimo.

“E di che colore lo volevi, invece?” chiese Ros.

“Nero, nero e nero!” sbottò l’altra, imbronciata. “O viola come i lividi” aggiunse, meditabonda.

“Mia nonna dice che il nero i Greci devono portarlo solo nei capelli.”

Leyla parve interessata.

“E cos’altro dice, tua nonna?”

“Che i Greci credono alle promesse.” Ros non sapeva che, molti anni dopo, avrebbe riutilizzato quella frase in un contesto molto diverso, ma altrettanto improbabile.

“E tu ci credi?”

Rosnake studiò gli occhi grigio argento delle due bambine, che la guardavano, in attesa. “Dipende”.

“Prometto che diventeremo migliorissime amiche.”  Dawn, sospettosa, squadrò la sorella. “Con lei?

“Ah- ah” Leyla appariva sicura del fatto suo.

“Ma le piace il fucsia!”

“Non è che mi piace, è che …”

“Con lei” ripeté perentoria la più vecchia delle bionde sorelle. “Allora, ci credi?”

“Sì.” Le sembrò la risposta meno problematica. Trotterellarono insieme verso la sala da pranzo, dove trovarono un clima piuttosto dinamico: Lucius e Rodolphus avevano svuotato la caraffa del succo di zucca in bagno e ci avevano incastrato dentro Rabastan. 

ab

Leyla e Dawnrose due arrivarono all’ingresso di Scarburough Castle e furono travolte. Letteralmente. Rosnake le investì correndo, e un attimo dopo essersi ripresa dalla violenta testata, le abbracciò come se non le vedesse da una vita.

“RAGAZZE!!” urlò.

“Ciao, Snicchy” Snicchy era il soprannome che le aveva dato Rabastan quando erano piccoli, e a volte Ros veniva ancora chiamata così. Le tre si strinsero forte.

“Mi siete mancate da morire!” Dawnrose sorrise, e si meravigliò un’altra volta della bellezza del castello. Poi abbassò lo sguardo, e si sconvolse per l’oscenità degli abiti di Rosnake: un’enorme camicia a quadri, probabilmente di Rodolphus, le cadeva malamente addosso, ed era tutta rovinata. I jeans erano strappati in fondo, e una tasca mancava, e le scarpacce che indossava erano di un paio di numeri più grandi. Anche Leyla sgranò gli occhi: “Ma come diavolo...”iniziò.

”Ti sei vestita?!” concluse Dawn, alzando gli occhi al cielo.

“Dio mio, avremo molto da fare qui!” esclamò Lelly in tono melodrammatico. Rosnake scoppiò a ridere, e le abbracciò di nuovo.

“Ehi, non vorrai mica consumarle? “Una voce familiare arrivò dalle loro spalle. Rabastan Lestrange era in piedi dietro di loro, il viso sorridente illuminato dal sole. Lui sì che era vestito bene, ed era davvero bello. “Rab!” esclamò Dawn, abbracciandolo. Il ragazzo abbracciò anche Leyla, e sussurrò loro: “Grazie a dio che siete qui! Ros è tocca, poverina” Le due scoppiarono a ridere, dandogli dell’esagerato.

“Ed ecco il fratello numero tre! A dire il vero numero uno, ma diciamo -il fratello numero uno che si è presentato come fratello numero tre-”Tutti lo fissarono per un attimo, indecisi se ridere o no. Infine rise lui stesso, mettendo fine al dilemma. Che ragazzo strano. Salutò le due ragazze, ma un altro lo spinse via.

“E qua c’è il fratello numero quattro!” Ian Nott accompagnò la fine della frase con una risata, come faceva quasi sempre.

“Aha. Con la differenza che tu, grazie a dio, non sei mio fratello.”fece notare Rod.

“E allora?” Ian era sempre stato scostante, ma l’estate gli donava una vena di follia. Rise di nuovo, contento, e salutò le due Malfoy.

Dopo cena, Dawnrose era sulle rive del lago, seduta accanto a Rosnake e Leyla. Davanti a loro, l’ultimo pezzo d’estate sorrideva invitante, e certamente le tre amiche non se lo sarebbero fatte scappare. In quel momento nessuna parlava, ma intuivano perfettamente i pensieri delle altre. Era sempre stato così. Fin dai tempi dell’abitino fucsia acceso.

 

  

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Capitolo 4
*** Consuetudini ***


4

Consuetudini

Avveniva, puntuale, ogni anno, da quando tutti loro erano stati in gradi di salire su un cavallo da soli e di esibirsi in un trotto passabile. La Passeggiata. Un mattino, ad un orario che Rosnake reputava del tutto disumano, si trovavano come ad un segnale convenuto nelle scuderie, montavano i mustang e partivano alla volta dell’aperta campagna, con qualche panino e del succo di zucca. Un’usanza radicata, a cui nessuno voleva essere il primo a rinunciare.

Così, quel ventitré agosto, Dawn, la più mattiniera tra loro, piombò a tradimento nelle camere delle due amiche per svegliarle. Decise di cominciare da Leyla, in base alla filosofia “strappare tutto e subito” di solito applicata ai cerotti.

La più vecchia tra le sorelle Malfoy dormiva profondamente, abbandonata sul cuscino di broccato. Il suo viso era seminascosto da una mascherina oscurante di raso nero con il bordo di pizzo e la parola “principessa” stampata in piccoli cristalli. Sigh. Sarebbe stata dura.

I metodi drastici sono sempre i migliori, così la giovane e bionda fanciulla sollevò di peso sua sorella e la lanciò sul divano poco distante dal letto. “Aargh!”

Leyla aprì un occhio sotto la mascherina, si chiese perché non ci vedeva, strappò rabbiosamente l’affarino di raso e mise a fuoco l’odiosa creatura che le stava di fronte. “DAWNROSE ELIZA!!” Oh oh. Guai in vista. L’ultima volta che la Serpeverde aveva sentito il proprio nome pronunciato per intero, era stata chiusa in casa per una settimana, con l’accusa –fondata- di aver tagliuzzato con le forbici il nuovo abito rosa antico che le aveva comprato la madre. Saltò di lato appena in tempo per schivare la Iettatura Perfida che Leyla aveva lanciato in aria. “Come …. Come osi!”

“Oso” rispose Dawn in tutta tranquillità. “Non ti ricordi? Avevamo poi deciso di farla oggi.”

L’espressione dell’altra era vuota come la testa di Antony Tiger, forse il più cretino di tutti i loro compagni di corso (ed era una dura lotta).

“La Passeggiata” specificò la biondargentea, già in completo da equitazione: stivali neri sotto il ginocchio, pantaloni aderenti di raso prugna, giubbino coordinato. Leyla scattò a sedere e si tolse febbrilmente la camicia da notte fin de siecle, coperta di roselline rosse. “Ma perché non l’hai detto subito?” borbottò “Oh, mio dio, è tardissimo e non ho idea di cosa mettermi!”

“E che ti importa, scusa?” chiese Dawn, perplessa. E’ vero, lei sembrava una modella di Strega Chic, ma non ci aveva messo alcun impegno. Era così di natura. “Sono solo Snake, Rod e Rabbie!”

Con grande sorpresa della sua interlocutrice, Leyla arrossì di brutto, cosa che non le accadeva dalla gita a Hogsmeade del terzo anno durante la quale aveva baciato Ian Nott. “Beh, certo, è solo che … ecco … non si sa mai, no? Splendida sempre, in ogni situazione!” La giovane Malfoy si riprese, con un sorriso accattivante. “Dress to impress, tesoro bello!”

Venti minuti dopo, Lelly era truccata, pettinata e superbamente avvolta in stivali marrone scuro, jeans stretti modello superlusso e giacchetta beige. Mancava all’appello l’antistile per eccellenza, nella persona di Rosnake Vivian Lestrange.

La quale, come c’era da aspettarsi, dormiva raggomitolata sulla poltrona simmetrica al suo letto, con il pollice in bocca e l’aria di stare facendo qualche bel sogno. Nonostante il buio totale impedisse di distinguere alcunché, le ragazze avrebbero potuto giurare che indossava la gigantesca maglietta azzurra con la scritta Boy, un tempo appartenuta a suo padre. Un classico.

“Ehi, bella addormentata!” strillò Leyla, accendendo la luce all’improvviso. La bruna grugnì, rotolandosi su un fianco; operazione piuttosto avventata, che la portò quasi a cadere a terra.

“Ma cosa …?” una vocina impastata di sonno emerse dal cumulo di capelli e cuscini sotto cui era sepolta l’amica non ancora pronta. “Ma che cazzo di ore sono?”

“Le nove e trenta, contessa” la prese in giro Dawn “E si da il caso che oggi sia il giorno della grande Passeggiata.”

“Ancora? Andatevene, lasciatemi in pace!”

“Ros, lo dici tutti gli anni.

L’affermazione era corretta, tanto che, seppure tra mille gemiti, il sedere di Rosnake comparve tra tutto quel marasma, quasi subito seguito –per fortuna- dal resto del corpo.    

“Sono uno straccio” farfugliò la Serpeverde, incapace di rimettersi in piedi. Si sentiva come se la nazionale di Quidditch stesse giocando un incontro particolarmente violento nella sua testa. “Mamma mia, basta Whisky Incendiario a mezzanotte e mezza. Ricordatemelo, per favore!”

Dawn sollevò un sopracciglio. “Che?”

“Sì, tuo fratello ne aveva un po’- cioè, erano lui e Rod, li ho sentiti e sono andata a vedere …”

L’interesse di Leyla si impennò di colpo. “Avevano del Whisky? E come diavolo se lo sono procurato?”

“Non lo so, ma credo sia stato Lucius. Comunque era roba forte. Sono un po’ fuori.”

“Mi hai tolto le parole di bocca!” La Malfoy maggiore raccolse qualche straccetto da terra e spinse l’amica  verso l’armadio. “Avanti, vestiti, siamo già in ritardo!” 

Sempre sbuffando, Ros si infilò un paio di pantaloni militari e una camicia di jeans decisamente troppo larga; a un’occhiata schifata di Lelly, annodò i lembi della casacca poco sopra l’ombelico, a scoprire lo stomaco muscoloso. Legò i lunghi capelli per evitare impacci e si dichiarò pronta a partire.

Quando finalmente le ragazze giunsero alla scuderia, i tre baldi giovani erano già lì, a diversi stadi di dormiveglia: Rabastan accarezzava meccanicamente la criniera del suo Roano, Highfields, Rodolphus si aggiustava la casacca da equitazione e Lucius semplicemente dormiva in piedi, bello come un angelo, appoggiato ad una trave. Almeno, loro erano arrivati puntuali.

“Alleluia!” sbottò Rab, prendendo subito il cavallo per le redini. “Maria ci ha già portato tutta la roba da mangiare, stiamo facendo la muffa da almeno venti minuti!”

“Lo so, ci spiace” lo blandì la sorella, baciandolo sulla guancia “Dai, avanti, andiamo.”

Dawn risvegliò il proprio fratello dormiente con una delicatissima gomitata, e Leyla si voltò per prendere Adonais, il suo purosangue nero come la notte; in quel momento Rodolphus fece un passo avanti, porgendole le sottili redini rosse. “Tieni, l’ho già fatto uscire io dal box.”

A quell’inaspettato gesto di gentilezza, il viso bianco della ragazza si tinse di rosa. “Grazie, Rod, tutto tempo guadagnato.” Ros scrutò l’amica con sospetto, ma si esentò dal fare commenti.

Uscendo dalle scuderie, trovarono ad attenderli il consueto drappello: davanti, Xerse se le dava allegramente con Jack, mentre, alle loro spalle, Isis, Midnight ed Erin aspettavano, schierati come tre soldatini. Edwyn sorvolava minacciosa la zona. Lucius sbuffò.

“Ma dobbiamo proprio partire sempre conciati come il circo Barnum?”  Ripeteva quella battuta da anni; era parte del copione non scritto della loro estate. In realtà, anche all’erede dei Malfoy piaceva trottare per le brughiere con tutta quella bizzarra comitiva. Anche se non l’avrebbe mai confessato, Lucius, come Ros, si smarriva facilmente nei ricordi.

“Non rompere, Lucilla.” Anche la frase di Rab era da manuale. Fingendo di scazzottarsi, i due ragazzi montarono a cavallo, subito imitati dal resto della truppa.

Quasi subito, il mite trotto con cui erano partiti si trasformò in un gioioso galoppo. Leyla, che aveva sempre amato cavalcare veloce, era in testa; quasi subito, Rodolphus le si affiancò, i capelli scuri scompigliati dalla brezza. Poco più indietro, Dawn, immediatamente riconoscibile per la fiammeggiante stria argentea della chioma sciolta, dava l’impressione che l’andatura elegante che teneva non le costasse alcuno sforzo, mentre Rabastan, che teneva il suo passo, sembrava un po’ più tribolato. A Rosnake non piaceva lanciarsi con quella rapidità. Quello che la faceva veramente impazzire era cavalcare fluidamente, sentirsi tutt’uno con Artemis, sentir sciogliere i nodi della muscolatura mentre diventava acqua, si fondeva e si plasmava in base ai movimenti della cavallina. Lucius, come spesso faceva, le restò accanto, una presenza rassicurante che si manifestava soltanto con il battito regolare degli zoccoli di Bartolomeo sul terreno soffice. Midnight, al sicuro nella bisaccia della sella, ben presto si addormentò, e rimasero solo loro due, due profili silenziosi nella mattina tersa.

“Allora” spezzò in fine il silenzio lei “Emma Moon. Buona scelta. E’ carina, di buona famiglia. Una specie di moglie perfetta, no?”

Lui aspetto qualche istante. “Sì. Immagino di sì. Comunque mi piace, ci tengo, a lei.”

Molti ciondolamenti di testa. Lei annuì, lui cercò di scacciare dagli occhi i lunghi capelli dorati.

“Beh, sono contenta. Era da un po’ che non ne presentavi una a Rod ufficialmente, e …”

“Cristo, Snake, evitiamoli!”

La ragazza sussultò. Non accadeva sovente che Lucius alzasse, seppure di poco, la voce.

“Cosa? Evitiamo cosa?”

“Questi vomitevoli discorsi degli ex.”

Okay, è il momento di essere brutali. Un paio di anni prima Rosnake e Lucius, cresciuti insieme, come fratello e sorella, erano stati travolti da un’attrazione fisica disarmante, per fortuna ricambiata, o sarebbero impazziti. Dopo qualche bacio, i primi, per lei, si erano messi insieme, e il loro rapporto si era evoluto in una sorta di passione senza senso, una di quelle possibili solo nei burrascosi anni dell’adolescenza. Con il passare delle settimane, lo slancio dei primi attimi si era raffreddato, e le differenze tra i due erano diventate inconciliabili. Così come era nata, la relazione si era sfilacciata, svanendo come una bolla di sapone. Da allora, loro due non erano mai stati in grado di comportarsi normalmente uno nei confronti dell’altro. Lunghi silenzi, litigate furiose, abbracci immotivati e promesse gigantesche, irreali. Erano amici, però. Molto amici. Così amici da scadere, a volte, nello zucchero.

“Lucilla” esclamò quasi di slancio Ros “Ti voglio bene. Non mi importa se facciamo vomitevoli discorsi da ex.”

Incassò senza fiatare lo scappellotto che le spettava per aver usato quello stupido soprannome. Inaspettatamente, il ragazzo sorrise.

“Anche io, Snake.” Fece una pausa, come faceva abitualmente prima di spararla grossa. “Darei la vita per te.”

“E per Emma?” Intuì un secondo schiaffo in arrivo, ma Dawn e Rab si erano fermati: erano arrivati al laghetto.

Il laghetto era una sorta di grande pozza (o di piccolo bacino) di acqua cristallina, alimentata da una piccola sorgente. C’era un prato dolce e morbido, e cespugli di erica. C’erano cumuli di insidiosi ricordi ovunque.

Tutti smontarono e condussero i cavalli ad abbeverarsi, prima di stendersi sull’erba fine. Era piuttosto comodo, se uno non appoggiava proprio la testa a terra. Rodolphus si lasciò cadere al suolo, abbandonando il capo sulle gambe di Leyla. Bah. Da qualche tempo, il mondo sembrava impazzito, e non valeva la pena cercare di star dietro a tutti. Dawn era chinata sulla sua borsa, che aveva mollato a terra, ma quando si sollevò, i lunghi capelli divisi in due cortine che quasi le nascondevano il volto, guardò dritta negli occhi la sua più antica amica, un lampo di grigio argento nel nero. Entrambe sapevano che c’era qualcosa di non detto.

Il pomeriggio scivolò via pigro, tra spuntini sparsi e giochi stupidi: facciamo a chi tira la pietra più lontano, facciamo a chi da rimbalzare più volte il sassolino, facciamo a chi sputa più lungo. Le stesse cose, da quando erano piccoli. Le due sorelle Malfoy rinunciarono agli sputi, ma Ros non si fece pregare, e vinse pure uno dei turni.

“Carrettiera” le sussurrò Lelly, quando le passò accanto. Lo era. Era una carrettiera, e ne andava piuttosto orgogliosa.

“Luch” mormorò Ros, abbracciando l’amico “moriresti per me, vero?”

“Certo” le disse lui tra i capelli “Sempre che non decida di ucciderti io, questo è un altro discorso. E che tu smetta di chiamarmi Luch.”

“Ah, ah. Sei disposto a sfidare le ire di tua sorella?”

“Mmh. Numero uno o due?”

“Cambia?”

“Beh, sì” ponderò Lucius “In effetti, sì. Vedi, Leyla è una da lancio del pugnale, teatrale, capisci. Mi beccherei una coltellata in pieno petto, e crollerei a terra, la camicia bianca che si tinge di scarlatto, un’elsa d’argento intarsiata di brillanti che mi spunta dal petto …”

“Hai finito?”

“No. Dawn, lo sai, me la vedo più con del veleno, o con un Anatema che Uccide. Molto meno scenico. Me ne andrei in un batter d’occhio, sperando che non usi del cianuro, perché non mi va di trapassare tutto contorto e sporco di bava.”

“La numero uno, dico.”

“Oh, sì. Sì, credo che per te si possa fare.”

“Bene, allora ascoltami.”

Dopo qualche minuto di bisbigli ininterrotti, Lucius si allontanò dall’amica e strisciò furtivamente alle spalle di Leyla, che prendeva il sole stesa sulla riva del lago. Nessuno lo notò, tranne Rabastan, che fu zittito con un dito alle labbra. Uno, due e … tre! Con un gesto elegante e deciso, la bionda prese il volo ed atterrò in acqua.

Fu come se, fino a quel momento, i ragazzi fossero stati vittima di un incantesimo,  che si spezzò di colpo non appena si sentì il tonfo di cinquantasette punto sette chili compatti che spezzavano la superficie liscia della pozza. Rabastan scoppiò a ridere, alzandosi in piedi; Dawn sussultò e si fece sfuggire una risatina nervosa; Ros soppresse un sorriso colpevole; Rodolphus, unica nota stonata, scattò in piedi con un grido agitato: “Lelly!”

Prima che chiunque si potesse sorprendere per l’ennesima stranezza, la più vecchia delle sorelle Malfoy, come in risposta al richiamo, emerse dalle acque, splendido esempio di Erinni giovane, bionda e avvolta in costosi abiti firmati. Non gridò. Non parlò neppure. Si limitò ad uno scatto deciso del polso; Xerse, che si era gettato in acqua dietro alla padrona, si avventò su Jack, e Lucius si trovò all’improvviso sospeso in aria per la caviglia.

“Argh!” gridò il ragazzo, rosso in viso per il reflusso di sangue “Strega!”

Leyla rise in modo piuttosto agghiacciante. “Sono contenta che tu l’abbia notato, ho impiegato qualche anno di esercizio per migliorarmi fino a questo punto. E ora posso sperimentare quello che ho appreso, trallallà!”

Rod si coprì gli occhi, e gli altri avrebbero fatto meglio a seguire il suo esempio. L’erede dei Malfoy rimise i piedi a terra. Un secondo dopo, però, un altro colpo di bacchetta lo sollevò ancora, per mandarlo a gambe all’aria nel prato poco più indietro. Sotto lo sguardo meravigliato dei presenti, Lucius fece un paio di capriole sull’erba e si schiantò a pelle d’orso.

“Leyla!” strillò Rosnake, angosciata. “Leyla, basta! E’ colpa mia, gli ho detto io di farlo! Ti prego, smettila, gli fai male!”

La ragazza si girò di quarantacinque gradi, lasciando il fratello boccheggiante al suolo.

“Sei stata tu?”

“Sì! Era solo una cretinata …”

“Oh, non sono veramente arrabbiata. Avevo solo voglia di far saltellare Lucilla come una pulce.”

Prima che il fratello potesse riprendersi, Leyla balzò su Adonais e, con Xerse al seguito, galoppò ridendo verso Scarburough Castle, perduto nell’abbraccio del tramonto di sangue.

 

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Capitolo 5
*** Improbabilità multipla ***


5

Improbabilita Multipla

Dawnrose  aveva percorso quel  corridoio mille volte, ogni estate , ogni giorno che passava a S il tappeto rosso finemente lavorato la conduceva alla camera del suo migiore amico, alla camera di Rabastan. Il fatto che Dawnrose conoscesse a memoria quel percorso era in quel caso un aspetto straordinariamente positivo infatti la ragazza quel pomeriggio stava seguendo il tappeto rosso assorta in congetture una meno probabile dell’altra.

I pensieri vagavano nella sua mente e si inseguivano intraciandosi e sciogliendosi, seguendo un moto incline al casuale.  

Una passo dopo l’altro si sorprese nel riconoscere la porta che aveva di fronte come quella della stanza di Rabastan. Bussò con vigore. Niente. Ancora. Niente.

Dawnrose era una ragazzza estremamente razionale ponderata tranquilla e controllata, ma se c’era qualcosa che condivideva con i suoi fratelli era l’assenza di pazienza. Su quel punto i tre fratelli Malfoy erano identici. Quando qualcosa passava loro per la testa, quando volevano qualcosa la ottenevano: sempre e a qualunque condizione, che naturalente era dettata da loro.

“Rabastan, apri! So benissimo che sei li dentro”

Niente.

“Rabastan Lestrange, aprimi immediatamente ti devo parlare, adesso e subito!” i colpi alla porta si erano fatti sempre più vigorosi e Dawnrose iniziava ad avere male alla mano.

Dietro di lei una porta si aprì e la famigliare voce della persona che stava cercando  le giunse pacata e tranquilla “Si può sapere cosa stai facendo?”

“Rabastan, ti stavo giustappunto cercando...”

“Si, mi era parso di notare... ma si può sapere perché stai bussando alla porta della torre est?” Rabastan la guardava interrogativo, Dawnrose si sentiva frastornata, conosceva a memoria la strada ma forse iniziava ad invecchiare e come tale a dimenticare.

Cercando di mantenere controllo e dignità cambiò velocemente argomento lasciando quello precedente indietro con un’elegante gesto della mano

“Ti devo palare Rab... è una questione di importanza non vitale ma sufficiente a destare il mio e il tuo interesse!”

La bionda entrò nella stanza del ragazzo e chiuse la porta.

“Dawn non è che hai mangiato qualcosa di strano? Non so magari qualche strano liquido che ti ha offerto mio fratello?”

“Non sono ubriaca se è questo che intendi...” la più giovane dei Malfoy si sedette  sul letto del ragazzo, lui la imitò aspettando spiegazioni

“Da quando tuo fratello si comporta così con Leyla?” chiese bruscamete Dawnrose.

Rabastan inarcò un sopracciglio e Dawnrose lo maledì –possibile che gli uomini non notino mai niente?!-

“Beh devi ammetere che non era molto normale oggi no?”

“Perché Rodolphus ti ha mai dato la sensazione di essere normale?”

“Certo che no, ma rabastan svegliati... quando mai Rod fa complimenti, da quando esculde Leyla da tutti i commenti crudeli che fa su tutti noi?, da quando Leyla abbassa lo sguardo a una provocazione di Lucius?”

“Beh le ha chiesto quale fosse il suo nuovo ragazzo!”

“Appunto, ma non capisci? Che Leyla abbia qualcosa per la testa è fin troppo ovvio...questa estate le sarano arrivate centinaia di lettere e le tiene tutte sotto chiave, non ne ha parlato a nessuno... ammettendo che dietro tutto questo ci sia un ragazzo, cosa che mi sembra senon ovvia probabile, Leyla avrebbe dovuto dirgli -non sono fatti tuoi- o scherzarci sopra, e invece ha cambiato discorso...e quel che è peggio è che come noi abbiamo continuato a fare domande anche Rodolphus avrebbe dovuto”

“in effetti Rod mi ha stupito... normalente avrebbeinziato a elencare tutti i possibili corteggiatori di Leyla, ad iniziare con Ian”

“Che per inciso non è uno di questi!! Io credo che Leyla e Rodolphus stiano tramando qualcosa...tu che ne dici? Hai passato tutta l’estate con Rod, pensi che ci possa essere qualcosa?”

“tra Rod e Leyla... non so Dawn mi sembra altamente improbabile...”

Cadde il silenzio. Si, aveva ragione, la situazione era fortemente improbabile. Dawnrose si sentì una sciocca per aver pensato a una cosa simile. Rodolphus e Leyla si conoscevano fin da quando avevano tre anni, erano sempre insime e mai l’uno aveva destato interesse per l’altro.

“Dawn, non ti tormentare così. Leyla e Rodolphus non sono stupidi erano presenti anche loro quando Lucius e Ros sono stati insieme... è una cosa impossibile!”

Ancora una volta Rabastan aveva inesorabilemnte ragione, loro sei erano un gruppo fantastico, erano cresciuti insime, erano una famiglia gli uni per gli altri. La storia tra Ros e Lucius aveva loro insegnato che le cose tra di loro sarebbero state troppo difficili e infatti ora che tra loro era finita era rimasto uno strano legame di amore e odio per molte ragioni poco consigliabile. Rodolphus e Leyla erano stati i primi a formulare questa teoria, non avevano mai ben visto quella storia, era impossibile che ora tra loro due vi fosse qualcosa.

“Si, è vero Rab, probabilemnte stanno organizzando qualcosa di oscuro... magari qualche scherzo... o qualcosa per cui noi cercheremmo di fermarli!”

“Secondo me stanno cercando di organizzare un torneo di scherma a Hogwarts! Rod ne ha accennato a cena qualche tempo fa sostenendo di avere un complice... è probabile che si tratti solo di quello!no?”

In quello stesso istante la porta della stanza di Rabastan sbattè violentemente contro il muro.

 Una Sconvolta, impaurita e allucinata Rosnake irruppe  nella stanza.

“DAWN, RAB... fortuna che siete qui!”

“Cosa succede Ros? Cosa è successo?!” i due ragazzi allarmati scattarono in piedi.

Silenzio. Rosnake boccheggiava. Pochi secondi che sembravano un’eternità

“Rodolphus...Leyla... scuderia... si baciavano!”

Dawnrose non credeva alle sue orecchie, la conversazione di un attimo prima con  Rabstan sembrava ora profondamente inultile. Alcune parole le rimbombavano nella testa “...è una cosa impossibile”

Impossibile....avevano Sbagliato, era  Improbabile, non impossibile.

ab

Rosnake  si accorse in un istante di aver fatto un’enorme siocchezza. Aveva lasciato il cesto con le mele dentro il box di Artemis.

-quella sciocca cavallina è capace di mangiarsele tutte- in effetti Rosnake era certa che le avrebbe mangiate tutte e suo padre le avrebbe detto di tutto. Rupert Lestrange adorava i cavalli e l’equitazione, Rosnake e i suoi fratelli avevano imparato l’arte dell’equitazione grazie a lui, aveva loro insegnato tutto ed era sempre stato molto fiero dei suoi ragazzi, proprio per questo Rosnake non voleva sbagliare. Eppure aveva sbagliato.

La bruna si fiondò per le scale alla volta della scuderia per fermare quello scempio. Non riusciva a non pensare a quello che le avrebbe detto suo padre, ma dentro di lei una vocina ottimista continuava a ripetere –non sono passati che pochi minuti, non avrà già fatto indigestione!!-

Rosanke raggiunse le scuderie in pochi minuti, entro di corsa e raggiunse il box del suo cavallo, il ceso di mele non c’era.

Rosanke inarcò un sopracciglio interrogativa e accarezzò il muso di Artemis “Non avrai mangiato anche il cesto spero...” disse in un sussurrò.

Una risata, una risata leggera, allegra... non era sola nella scuderia. Si chiese chi mai potesse esserci. –Fifona, chi mai potrà essere sarà Dawn!o Leyla!-

Svoltò piano senza far rumore  e la scena che le si presentò davanti aveva qualcosa di straordinariamente improbabile.

Altrettanto straordinariamente l’unico pensiero che Rosnake riuscì a formulare fu “Avevo ragione, era Leyla!”

Un attimo dopo si sentì mancare l’appoggio.

ab

Leyla stava spazzolando la criniera di Adonais assrta nei suoi pensieri, la gita a cavallo era stata veramente divertente, finalemnte erano di nuovo tutti insieme. Lei, Dawn, Ros, Lucius, Rab, Rodolphus.... Rodolphus.

Ridacchiò pensando a quello che era stato per lei prima e a quello che rappresentava per lei adesso.... e poi? Cosa avrebbe rappresentato, con tutto il cuore si augurò che non vi fosse una terza opzione.

Era stati amici, solo amici, grandi amici... principalmente Rodolphus era il fratello della sua migliore amica e Il migliore amico di suo fratello: curiosa e improbabile simmetria.

Eppure quel delicato idilio non poteva durare per sempre, prima o poi la verità saebbe venuta a galla, tutto stava a posticipare l’impatto il più possibile.

“C’è qualcosa che tormenta il cuore della mia principessa?”

Leyla chiuse gli occhi e sorrise: Rodolphus. Una voce inconfondibile, un modo di fare inconfondibile... Rodolphus era decisamente inconfondibile.

“...Solltanto l’idea di cosa ti potrebbe fare Lucius  se scoprisse tutto...”  Leyla si voltò, Rodolphus era a pochi centimetri da lei, le sorrise beffardo

“Lucius capirà... è tuo fratello, è il mio migliore amico... e soprattutto ha un debito con me!”

“Cioè?”

“Io non gli ho spaccato la faccia quando stava con Snake!”

Leyla ridacchiò “Spero che basti a fermarlo, anche perché non ho nessuna intenzione di rinunciare a te!”

Rodolphs non rispose, sorrise soltanto, un sorriso intrigante, oscuro, affascinante... un sorriso a cui Leyla non aveva saputo resistere come d’altronde metà del popolo femminile di Hogwarts.

Il ragazzo le accarezzò lievemente una guancia prima di catturarle le labbra in un dolce bacio. Un bacio destinato a finire troppo presto.

Highfield, il cavallo di Rabstan nitrì  profondamente infstidito. I due ragazzi si sciolsero dal bacio e si voltarono di scatto. Rosnake  li stava guardando allibita, la situazione aveva assunto dei connotati profondamente ambivalenti, la parte buffa era che Rosnake li guardava sdraiata in mezzo al fieno, la colonnina di legno a cui probabilmente si era appoggiata doveva essere crollata, e infatti giaceva a terra accanto a Rosnake. La parte drammatica era che Rosnake li stava guardando.

Silenzio. Rosnake non aveva parole, Leyla e Rodolphus anche troppe:

“Ros, non saltare a conclusioni affrettate... “

Improvvisamente alle parole di Rodolphus la raggazza sembrò svegliarsi dall’ipnosi, si rialzò goffamente e sotto gli occhi preoccupati dell’amica e del fratello scappò via senza sapere esattamente cosa provava per ciò che aveva visto, in effetti non era neanche molto certa di ciò che aveva visto.

 

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Capitolo 6
*** Paura fiducia scuse ***


6

Paura Fiducia Scuse

“Just because everything’s changing

Doesn’t mean it’s never been this way before

All you can do is try to know

Who your friends are

As you head off to the war…”

(The Call - Regina Specktor)

 

Dawnrose odiava sbagliare. Naturalmente sbagliava con regolarità, come tutti gli esseri umani, ma le dava particolarmente fastidio quando succedeva. Per questo, quando era insicura su qualcosa, preferiva non parlare e non fare, piuttosto che sentirsi dire “Hai sbagliato”. E, in quel momento, la palese verità le si abbatté addosso come un macigno: non solo aveva sbagliato, ma aveva anche dato per scontato che Leyla le avrebbe detto la verità. Per un breve attimo si detestò, ma rapidamente trasferì la sua rabbia sulla sorella, e anche sulla povera e traumatizzata Rosnake. Perché aveva riferito loro quello che aveva visto? Perché non se l’era tenuto per sé, senza creare problemi? La voce di Rabastan la riportò rapidamente alla realtà, e vedere Ros che ancora boccheggiava le fece ritirare tutto quello che aveva appena pensato.

“Eh? Ros... sei sicura??” Anche lui sembrava abbastanza sconvolto.

La bruna annuì vigorosamente, senza riuscire a parlare, e si lasciò rumorosamente cadere per terra. Dawnrose scattò in piedi, afferrando Rabastan per un braccio. -Eh no, mia cara!- esclamò, avvicinandosi alla cugina -Vieni anche tu!- Prese il polso di Ros e la sollevò da terra, uscendo dalla camera trascinandosi dietro i due fratelli Lestrange.

“Dawn, ma che fai?! Stai ferma, non vorrai mica...” iniziò Rabastan, visibilmente agitato, divincolandosi dalla stretta di ferro della bionda. “... andare da Leyla?!?”concluse Ros, trascinata senza possibilità di fuga.

“No, ma cosa stai dicendo?” Dawnrose pareva quasi irritata dal fatto che i due avessero pensato una cosa del genere, mentre procedeva a grandi passi nel lungo corridoio, Rabastan che le arrancava dietro, Rosnake tirata e strattonata senza troppa grazia. “Stiamo andando da Leyla e Rodolphus!”

ab

Nelle stalle, Leyla non sembrava molto più calma della sorella minore.

“Cavolo, Rod, cavolo, Rod!” ripeteva da circa cinque minuti senza fermarsi. Rodolphus cercava di tenerla a bada, ma era molto difficile.

“Dai, Lelly, calmati, vedrai che non succederà niente!” La ragazza lo fissò con aria omicida.

“Non succederà niente, eh? Ma certo, Rodolphus, certo! Anzi, Lucius arriverà con le mani piene di confetti e griderà “Viva gli sposi!”, dandoci la sua benedizione! E Dawnrose mi farà da damigella d’onore, senza strapparmi le budella, ovviamente, e Ros? Testimone, non ci avevo pensato! E Rabastan porterà gli anelli! Ma sei SCEMO, Rodolphus??” gridò la ragazza, ormai totalmente isterica.

“Lui di certo, ma tu?” Una gelida voce congelò i movimenti di Leyla, che si bloccò immediatamente. Dawnrose era appoggiata all’entrata in quella posa che le ricordò tanto Lucius. La primogenita Malfoy cercò di dire qualcosa, ma sentì la gola improvvisamente secca. Deglutì, fissando il volto immobile della sorella, e scorgendo alle sue spalle Ros e Rabastan. -Maledetta lei e la sua inquietante abitudine di comparire all’improvviso!- pensò Leyla, non riuscendo ancora a risponderle.

 “Dawnrose, senti, io...”Rodolphus si riprese più in fretta, ma anche lui si chiedeva da dove diavolo fosse sbucato quel trio.

“No, senti niente. Adesso senti tu.” Anche Dawnrose fu colta di sorpresa nel sentire alle sue spalle la voce di Rabastan. Il ragazzo fece un passo verso il fratello, guardandolo fisso negli occhi. “Rodolphus, perché non me l’hai detto? Eh? Ti costava tanto? No. Non capisco perché me, anzi, ce l’avete tenuto nascosto, e soprattutto...”

“Ehi, cosa succede qui? Riunione di famiglia?” Il sangue di Leyla gelò nelle vene, e la scena si congelò per un istante. Lucius comparve alle spalle di Rosnake, che ridacchiò come una cretina, e tentò un: “Eh eh, più o meno..” Il ragazzo biondo sollevò un sopracciglio: li conosceva tutti troppo bene per non capire che c’era qualcosa di strano. “Mmmh, certo. Avanti, che succede?” Rosnake guardò Rabastan, che guardò Rodolphus, che guardò Leyla, che guardo Dawnrose, che disse: “A quanto pare, la nostra sorellina e Rod stanno insieme. Di nascosto.” Dal tono di Dawn si poteva supporre che stesse leggendo la lista della spesa, ma quello che aveva detto era ben diverso da “Vorrei tre chili di zucchine.” Lucius fissò per un istante la ragazza con occhi vacui, e poi si voltò verso Leyla e Rodolphus. Non disse una parola, ma il suo sguardo significava tutto. Per la prima volta, Dawn vide la sorella arrossire davanti a Lucius, e non riuscire a parlare.

Era assurdo. Era tutto assurdo. Leyla era sconvolta. Per tutto quel tempo la loro relazione era rimasta segreta, e andava bene così. I due erano innamoratissimi, non avevano ancora litigato, tutto procedeva perfettamente. E, in meno di un’ora, Rosnake li aveva visti baciarsi, l’aveva riferito a Dawnrose e Rabastan, e ora lo sapeva anche Lucius. Tutto per quello stupidissimo bacio nella scuderia. Lo sapeva, cavolo, lo sapeva che non avrebbe dovuto farlo, non aveva la certezza di essere sola, e infatti non lo era. Si odiava, e odiava un po’ anche tutti gli altri. Rosnake per averli visti e averlo detto agli altri due, Dawnrose per averlo detto a Lucius, Lucius perché sapeva che non avrebbe gradito la cosa, e Rabastan senza motivo. Rodolphus era l’unico che non odiava, no. Non sarebbe mai stata capace.

Lucius cercò di capire le parole fredde che stavano uscendo dalla bocca della sorella. Leyla... Rodolphus... insieme?!? Fu l’unico pensiero sensato che riuscì a formulare. Ma quasi subito, la rabbia prese il posto della confusione. La sua gemella e il suo migliore amico... no, non era possibile. Ma dai, erano stati gomito a gomito da quando erano nati, si erano sempre amabilmente picchiati, non c’era mai stato del tenero tra loro... Ma si diede rapidamente dello stupido: sempre più spesso Rod gli chiedeva notizie di Leyla, le lanciava strane occhiate, a volte lo vedeva scrivere lettere che poi nascondeva in un cassetto, ma non ci aveva mai fatto caso... che stupido che era stato. Ma perché gliel’avevano tenuto nascosto? Perché?

La tensione nell’aria era quasi palpabile. All’improvviso, Rosnake si accorse che stava trattenendo il respiro. Non sapeva cosa pensare, e preferiva non immaginare la reazione di Lucius. Indietreggiò di qualche passo, decisa a filarsela mentre nessuno pensava a lei, ma la mano bianchissima e fredda di Dawnrose le si serrò sulla spalla. Uffa. Gli occhi grigi della ragazza correvano velocemente dal fratello alla sorella, cercando di non perdersi il più minimo movimento. Tutti erano immobili, il silenzio era quasi assordante. Rabastan non osava muovere un muscolo, anche se avrebbe voluto tirare uno schiaffo a quel belloccio di suo fratello, che rimaneva immobile, gli occhi fissi sul volto congelato dell’amico. Il tempo pareva essersi fermato, nessuno si muoveva, nessuno parlava...

“EHI!!” con un urlo, Ian comparve sulla porta della scuderia. Tutti si voltarono a guardarlo, e lui non parve neanche accorgersi di quello che aveva interrotto. Non capì che non era il momento e che Lucius in quel momento emanava furia omicida, così lo abbracciò, gli fece fare un casquè e urlò a pieni polmoni: “YOU TOUCHED MY TRALLALLÀ!!!”

Lucius, a testa in giù fra le braccia di Ian, aveva un’espressione indescrivibile. Tutti fissavano il ragazzo sconvolti. Ian, non curandosi del silenzio attorno a lui, fece l’occhiolino al biondo e aggiunse: “Bananas, melonas, YEAH!!!” Leyla, per la prima volta nell’ultimo quarto d’ora, abbandonò quell’espressione colpevole e sollevò sconvolta e scioccata il sopracciglio. Si rese conto subito che tutti gli altri presenti avevano la sua stessa faccia, e fissavano senza una parola Ian, ancora chinato a reggere Lucius, che forse pareva il più attonito di tutti. Di nuovo fu Nott a rompere il silenzio con una sonora risata, e lasciò andare di scatto il biondo che si schiantò violentemente a terra. “Ma sei CRETINO?!?” esclamò il ragazzo, rialzandosi.

“Ma no!” rispose Ian “It’s a hot hot summer love!!” aggiunse, rilassato.

“Senti, IDIOTA, ho appena scoperto che mia sorella se la fa da non so quanto con il mio migliore amico!!”

 A sentire queste parole, Rodolphus si riscosse e, finalmente, parlò: “Senti, e cosa dovrei dire dato che tu ti sei fatto mia sorella qualche tempo fa??” Più che parlare, Rod stava urlando.

Ian pareva sorpreso dal discorso, e decise di ripetere: “You touched my trallallà!-“Dawnrose gli tirò un pugno in testa. “Cosa vuol dire, lo sapevi, no?” gridò Lucius, per sovrastarlo. “E allora? Ora lo sai! E vorrei che mi spiegassi cosa ti dà fastidio di tutto ciò, Lucius!!” Rodolphus aveva perso completamente il silenzio sbigottito di poco prima, e urlava contro Lucius. Per loro due, gli altri non esistevano. “Cosa mi dà fastidio? E me lo chiedi?? Perché non me l’hai detto, Rodolphus?!” Effettivamente, era quello che tutti si chiedevano. Tranne Ian, ovviamente, che non aveva capito niente e fischiettava uno strano motivetto ripetendo sottovoce qualche yeah di tanto in tanto. Artemis sollevò di scatto la zampa e uno zoccolo centrò in piena fronte il fischiettante, che andò dritto e filato sdraiato in una balla di fieno. Tutti ringraziarono silenziosamente la paciosa cavalla. “Perché sapevamo che non avreste capito. Che ci avreste detto che era una cavolata, che non sarebbe durata perché eravamo troppo amici. E lo stareste per fare, lo so”.

La cosa più strana di quella frase, fu che a pronunciarla fu Leyla. La ragazza ora era tornata la cara vecchia Leyla, con uno sguardo parecchio combattivo e le guance più colorite del solito.

“Ma cosa stai dicendo? Abbiamo capito con Snicchy, avremmo capito con te. Se solo ce lo avessi detto.” Dawnrose fissava la sorella con occhi di ghiaccio, e si sentiva delusa dal fatto che Leyla non si fosse fidata né di lei né di Rosnake. E questo la urtava particolarmente. “E, inoltre, non mi sembrava che ci fossero segreti tra noi, no?” sbottò Rabastan. Rosnake rimase in silenzio. Anche lei si sentiva ferita dal comportamento di Leyla, ma riusciva a capire meglio di tutti: sapeva bene cosa voleva dire stare col miglior amico del proprio fratello. E sapeva bene che ne derivavano sempre problemi e litigi inutili che non portavano a niente. Era meglio intervenire, prima che Lucius e Rod cominciassero a picchiarsi, e che Dawnrose desse fuoco alle stalle (magari con Ian dentro). Oramai tutti si guardavano come se stessero per uccidersi, tranne Rabastan che fissava angosciato la sorella maggiore. “RAGAZZI!” urlò all’improvviso Rosnake. Tutti si voltarono stupiti. Ma sarebbero finite le sorprese, quel giorno? “Ragazzi. Non c’è motivo di litigare.” Ros pareva un po’ pentita di aver richiamato così brutalmente l’attenzione. Lucius la fissò per un attimo, esterrefatto. “Dio, Ros, pensavo che avessi qualcosa di importante da dire!” sbottò, scocciato, e si voltò di nuovo verso Rodolphus. Rosnake pensò per un attimo di tirargli in testa il forcone alla sua sinistra, ma rinunciò in fretta. “Ho qualcosa di importante da dire, Lucius Abraxas. E vorrei che tutti voi mi ascoltaste.” La voce improvvisamente sicura di Rosnake fece zittire tutti. La ragazza assaporò per un attimo il potere. “Sentite, capisco che la situazione sia parecchio spiacevole, ma...”Dawnrose sollevò di scatto un sopracciglio. Ma che bell’eufemismo. “...Non capisco perché dobbiamo giungere a conclusioni affrettate.” Ros si guardò intorno: nessuno parlava, tutti la fissavano, aspettando che continuasse il suo sconclusionato e improvvisato discorso. E lei continuò: “Allora, sappiamo che Leyla e Rod stanno insieme di nascosto, e questa decisamente non è una bella cosa. Prima di tutto, perché nessuno di loro due si è fidato di noi. Secondo, perché è sempre strano vedere due amici trasformarsi in qualcosa di più, e capisco che all’inizio possa dare fastidio. Ma non c’è bisogno di litigare in questo modo.” Lucius guardava da un’altra parte, ma Rosnake intuì cosa stava pensando. Gli si avvicinò e sorrise: “Ti ricordi com’è stato per noi, Lucius? Perché non può essere così anche per loro?” Gli occhi del giovane Malfoy fissavano Ros, persi nei ricordi di anni prima... Sì, ricordava com’era stato per loro, lo ricordava perfettamente e l’avrebbe ricordato per sempre. Ma allora perché non riusciva ad accettare Leyla e Rod? Non avrebbe saputo spiegarselo. Ma forse, in quel momento, riuscì a capire la reazione di Rodolphus quando aveva saputo di lui e Rosnake. Tutti lo stavano fissando, aspettando che rispondesse, ma non sapeva cosa dire. Qualunque cosa sarebbe stata sbagliata. Si voltò e corse via, lontano, la testa troppo piena per riuscire a pensare.

Leyla guardò suo fratello scappare via, e pensò che era tutta colpa sua. Pensò che se fosse veramente successo qualcosa alla loro amicizia, a tutto quello che legava quei sette ragazzi sarebbe stata solo colpa sua. E si maledì per questo. Si avvicinò silenziosamente a Rosnake e le posò una mano sulla spalla. “Grazie Rosie. Grazie davvero.” La bruna la abbracciò, e Leyla capì pienamente cosa voleva dire amicizia. Nonostante lei non si fosse fidata di dire tutto all’amica, Ros le avrebbe voluto sempre bene, e l’aveva aiutata anche in quella circostanza. “Grazie a te, Leyla.” La voce fredda e distaccata di Dawnrose interruppe i pensieri delle due ragazze. “Per esserti fidata di noi.” La bionda si girò di scatto, facendo schioccare i capelli nell’aria. “Rabastan, prendi Ian.” E, con queste parole, Dawn lasciò la scuderia.

Rabastan arrancava nel corridoio trascinandosi dietro un Ian mezzo svenuto e mezzo no, e nel frattempo cercava di ascoltare le parole di Dawnrose. “Tua sorella è davvero incredibile!” stava dicendo “Sempre a fare la pacifista, e...” Il monologo della ragazza venne interrotto dal giovane Nott, che balbettò qualcosa tipo: “Ma che diavolo hanno Lelly e Rod?” Dawnrose si voltò di scatto, e per un attimo Rabastan temette che avrebbe dato il colpo finale a Ian. Ma si limitò a guardarlo con quei suoi occhi di ghiaccio. “Spiegaglielo tu. Io sono stanca di tutto questo.” Ed entrò nella sua stanza sbattendosi la porta alle spalle. Rabastan rimase nel corridoio, insieme ad un ragazzo che lo guardava come per dire “Perché questo strano tipello mi sta trascinando lontano, lontano?”. Sospirò: “donne”.

Dawnrose si buttò sul letto a baldacchino blu, e si lasciò uscire un sospiro: quante cose potevano capitare in un giorno? Sicuramente quella settimana a Scarburough sarebbe rimasta per sempre nelle memoria di tutti loro. Sapeva che era un pensiero sciocco, ma si chiese lo stesso, per un attimo, se un giorno Rodolphus e Leyla sarebbero arrivati al castello con i loro figli. Scacciò il pensiero dalla mente, dicendosi che avevano solo diciassette anni. “Già, diciassette...” le disse una vocina in fondo al cuore “E a giugno saranno fuori da Hogwarts, potranno sposarsi e tutto il resto. Non c’è solo Hogwarts a questo mondo...” Dawnrose rabbrividì. Quasi mai aveva dato ascolto alla sua coscienza, ma stavolta aveva ragione: non c’era solo Hogwarts al mondo. E dopo, dopo cosa ci sarebbe stato? Cosa avrebbero fatto? Si sarebbero persi di vista? La loro amicizia avrebbe resistito a tutto quello? Proprio mentre si chiedeva questo, la porta della camera si aprì timidamente. Rosnake entrò nella stanza seguita da Leyla. Dawn, seduta sul davanzale, alzò gli occhi al cielo. Per un breve istante balenò nella sua mente l’idea di buttarsi giù dalla finestra aperta, non aveva voglia di parlare con nessuno. Poi però si ricordò che la sua camera dava direttamente sugli scogli appuntiti del lago, e forse sarebbe stato meno doloroso affrontare sua sorella. Forse.

“Dawn.” disse Rosnake, con convinzione, anche se nei suoi occhi si leggeva la preoccupazione.

La bionda la fissò, poi distolse lo sguardo. “È così che mi chiamano, di solito.” commentò.

Leyla mandò un alto gridolino di esasperazione. “Senti, Dawn, non vedo perché tu debba comportarti così!” esclamò, sbuffando.

Dawnrose la fissò, scendendo lentamente dal davanzale. Quando parlò, il suo tono era gelido: “Vuoi che ti faccia una breve lista, sorellina?”

Leyla si bloccò un attimo, ma solo un attimo. “Non fraintendere. Ok, avrei dovuto dirvelo, non mi sono fidata di voi, e ho sbagliato, lo so, ma ora che ti chiedo scusa non capisco perché tu debba ancora avercela con me.”Rosnake, intanto, si era appollaiata su una sedia e fissava le due senza una parola.

Dawnrose rimase in silenzio qualche istante. Sua sorella non chiedeva mai scusa. Mai. Di solito non ce n’era il bisogno, ma adesso l’aveva fatto di sua spontanea volontà. Ma la ragazza non riusciva a togliersi da dentro quella sensazione pressante di collera, senza quasi sapere il perché. “Già. Non ti sei fidata di noi. Non hai compreso che noi avremmo capito, non ti sei ricordata che ci siamo sempre dette tutto, non hai pensato che sarebbe stato meglio DIRCELO!!” Dawnrose alzò la voce sull’ultima parola, e Ros, che non se l’aspettava, si ritrasse automaticamente. -No hai avuto fiducia. Hai pensato che sarebbe stato meglio nasconderci tutto, “Tanto figurati se a quelle lì frega qualcosa!- Ma ti sei sbagliata, perché per me era una cosa importante il continuare a non dirci bugie e a sapere tutto l’una dell’altra. A quanto pare per te era un dettaglio insignificante. Ma per me no. E, per una volta, Leyla, dovresti imparare a tenere conto dei sentimenti degli altri, anziché pensare sempre e solo a te stessa.” Dawnrose sapeva di non pensare veramente quello che stava dicendo, ma si sentiva ferita e delusa dalla sorella. Fin da piccolissime lei, Lelly e Ros si erano sempre dette tutto, e non c’era motivo di rompere quella secolare tradizione per colpa di quel tipello di Rodolphus. Era irritata, amareggiata, e questo le faceva dire cose di cui poi si pentiva.

Lo sguardo di Leyla era sconvolto. Non credeva che la sorella avesse davvero detto quelle parole. Era vero, aveva sbagliato tutto, come aveva potuto non fidarsi delle sue due amiche? Gli errori che aveva fatto ora le parevano così stupidi... Non aveva neanche pensato che avrebbe potuto far del male alle due, in quel modo... E, sì, magari a volte era un po’ egoista, ma dire che pensava sempre e solo a se stessa era troppo. Non era affatto così, e tutte e tre lo sapevano. “Dawn, io... Sì, è vero, non ho pensato a voi, ma non penso di meritarmi tutto... questo.” La voce della ragazza si spezzò sull’ultima parola, e gli occhi grigi scintillavano. Ros, nel suo silenzio, aspettava.

Dawnrose alzò la testa di scatto, e vide la sorella che la fissava con un’espressione che non le aveva mai visto: Leyla la stava pregando. Aveva ragione, aveva maledettamente ragione, non si meritava niente di quello che le stava facendo. Oddio, forse qualcosina sì, ma stava esagerando. Succedeva sempre così quando si arrabbiava. Il sapore del fare male le inondava la bocca, quel sapore così soddisfacente e familiare, e le faceva riversare fuori tutto quello che non voleva. Poi, così come arrivava, spariva, lasciandola solo con l’amaro in bocca. In quel momento, vedere Leyla così stanca e frustrata la fece sentire malissimo. Dopo un attimo di esitazione, la ragazza scattò in avanti. Per un terribile attimo, Rosnake pensò che volesse picchiare la sorella, ma Dawn si limitò ad abbracciarla più forte che poteva. La bruna si alzò silenziosamente e partecipò all’abbraccio.

-Ecco,- disse a Dawn quella sottile vocina nella sua testa. -Niente, neanche la fine di tutto vi potrà mai cambiare.- E, per la seconda volta in un giorno, Dawnrose le diede ascolto.

 

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Capitolo 7
*** Fratelli ***


7

Frattelli

Era l’alba.

L’alba, il suo momento. Si alzò piano dal letto senza far rumore. Rosnake e Leyla dormivano profondamente, le due teste vicine.  I riccioli scuri di Ros coprivano il naso della bionda che, nel sonno, cercava di levarseli dal viso.

Dopo quel pomeriggio ricco di eventi, le tre ragazze erano rimaste a chiacchierare in camera di Dawn fino alle quattro del mattino. Aveva dormito due ore e mezzo, ma non si sentiva stanca. Fissò per un attimo sua sorella: si chiese come si doveva essere sentita, mentre tutti le avevano dato addosso, semplicemente perché aveva ascoltato il suo cuore. Ma scrollò la testa da questi pensieri: quello era un nuovo giorno. Mai soffermarsi sugli errori inutili del passato, si rischia solo di ripeterli. Ma le venne spontaneo chiedersi come sarebbe stato vedere Leyla e Rod come due fidanzati, ora che tutti (tranne forse Ian) sapevano come stavano le cose davvero.

Si vestì rapidamente e uscì dalla camera il più piano possibile. Il castello era immerso nel silenzi, avvolto nei caldi raggi dell’alba. Uscì e si diresse verso le stalle. Sellò Alasdar, il suo stallone bianco come la neve, e galoppò via. Adorava la velocità, a cavalcare come a giocare a Quidditch, e non rallentò mentre il vento le fischiava nelle orecchie e i capelli le frustavano la schiena. Sapeva perfettamente dove andare e cosa fare. Guidò Alasdar verso la sponda orientale del lago, cavalcando nelle prime luci del giorno. L’aria era carica dell’odore della rugiada notturna, e faceva ancora quel fresco pungente della notte.

ab

Lucius era seduto sulle rive del lago. Il sole stava sorgendo, illuminando il suo viso e la superficie dell’acqua. Non era tornato al castello, quella notte. Non ce l’aveva fatta. Dopo la litigata con Rodolphus era corso via, fino al lago, e si era lasciato cadere senza fiato sull’erba bagnata. Non era un tragitto breve, e si sentiva i polmoni in fiamme. Non aveva la forza di tornare a Scarburough, ed era rimasto lì tutta la notte, solo. Non aveva dormito, aveva la testa troppo piena di pensieri. Aveva pensato e ripensato alla sua storia con Rosnake, e a quella tra Leyla e Rodolphus. Si sentiva come se nella lunga maratona della  vita il mondo avesse fatto uno scatto inaspettato, lasciandolo indietro, solo e stanco. Ora si sentiva gelato, dopo la notte passata lì, e non riusciva a dare alle sue gambe l’ordine di alzarsi. Fissava il sole nascente, sentendo gli occhi che bruciavano, ma non gli importava. Probabilmente, nessuno si era accorto della sua assenza. Leyla e Rod saranno stati insieme, Dawn e Ros avranno chiacchierato tutta la notte, Rabastan e Ian avranno giocato a carte bevendo whisky incendiario. Lui era superfluo, lì in mezzo. Erano tutti a coppie, lui era l’unico che rimaneva escluso. Non c’era nessuno per lui. Da nessuna parte.

ab

Leyla socchiuse un occhio. Ros le aveva buttato una mano in testa abbastanza violentemente.

“Dawn?” sussurrò, sicura che la sorella fosse sveglia. Non le rispose nessuno. Era impossibile che Leyla si fosse svegliata per prima. La ragazza si tirò a sedere di scatto.

“Dawn?” ripeté, guardandosi intorno, spaventata. La ragazza non era nella camera. Leyla fu presa da un’ansia che non seppe spiegarsi. Si buttò addosso la vestaglia e corse fuori in corridoio. Bussò con veemenza alla porta di Rabastan. Anche qui nessuna risposta. Riprovò con maggiore violenza. La porta si spalancò di scatto, e Leyla finì per tirare un pugno al ragazzo.

“Oddio, Rab, scusa!” Rabastan la fissò stupito, essendosi appena svegliato, e osservò con curiosità il sangue che gli colò sulla maglietta dal naso. Leyla mormorò qualcosa agitando la bacchetta e tutto tornò a posto.

“Leyla. Ma che stai facendo?” riuscì a dire il ragazzo.

“Hai visto Dawn?”

“No, perché?” Rab pareva sempre più confuso.

“Non so dove sia!” spiegò la ragazza. Improvvisamente, Rodolphus comparve al fondo del corridoio.

“Che succede?”

“Non so dove sia mia sorella.” disse rapidamente Leyla, notando quanto fosse bello il suo ragazzo appena alzato.

“Curioso...” commentò Rod, fissandola “È da ieri sera che Lucius non c’è.”

ab

Dawnrose vide una sagoma stagliarsi in lontananza. Era lui, non c’era dubbio. I capelli biondo argento risplendevano illuminati dal sole, e il suo profilo era perfettamente riconoscibile. La ragazza procedette lentamente al passo, avvicinandosi.

Lucius era immobile, nella stessa posizione che aveva ormai da diverse ore. Probabilmente, se non fosse più tornato, nessuno l’avrebbe notato. Anzi, magari dopo qualche giorno qualcuno avrebbe detto: “Ma non vi sembra che si stia molto meglio ora?”.

In quell’istante, il ragazzo sentì dei passi dietro di lui. Probabilmente qualche scozzese pazzo che andava a pescare trote all’alba. Matto. Non si girò, non gli importava niente.

“Lucius...” Il ragazzo congelò. Non c’era uno scozzese pazzo. No, qualcuno era venuto apposta per lui. Allora qualcuno si era accorto della sua assenza. Improvvisamente, Dawnrose gli fu accanto. La ragazza lo fissava senza parlare, e il Lucius ricambiò lo sguardo.
“Ehi.” disse. Ma la voce gli uscì roca e piatta, come se non parlasse da settimane. Dawn gli passò una mano sul viso e gli accarezzò i capelli.

“Ma sei diventato pazzo?” sussurrò debolmente, un’espressione scioccata sul volto.

Dawn non riusciva a credere ai suoi occhi. Capì subito che suo fratello aveva passato la notte lì. Aveva i capelli scompigliati, era pallidissimo e gelido, lo sguardo sofferente.

“No.” disse Lucius

“Mi mancava il campeggio.” Dawn sorrise: se era in grado di fare battute, allora non stava troppo male. “Dai, torniamo al castello.” propose Dawn, alzandosi.

Lucius alzò lo sguardo di scatto, e il suo viso si contrasse. “No.” disse, in un tono che non accettava repliche. La ragazza si sedette di nuovo vicino a lui. “Perché no, Lucius?” Il ragazzo non rispose subito. Guardava il lago e l’orizzonte. -Perché sono di troppo.- disse infine, in tono piatto, come se non gli importasse cosa stava dicendo. Dawn sgranò gli occhi.

“Cosa?!” esclamò, pensando di non aver sentito bene.

“A che vi servo?” rispose tranquillo il ragazzo, lo sguardo perso, la voce rigida. “A cosa ci servi? Ma davvero sei diventato pazzo!!” gridò Dawn, scattando in piedi.

“Non ci servi a niente se stai seduto qui a crogiolarti nella disperazione e nella depressione, non ci servi a niente stando via tutta la notte, non ci servi a niente così!!” Finalmente Lucius sollevò la testa e la guardò.

“Servi a tutti noi! Immagini Ian e Rod a fare casino da soli? Immagini me e Leyla a litigare senza di te? Ci immagini?!” Come il fratello, Dawnrose non alzava spesso la voce, ma in quel momento non ci faceva nemmeno caso. Si chinò di nuovo e piantò gli occhi in quelli di Lucius. -Io ho bisogno di mio fratello.- disse, dolcemente.

Lucius la fissò per qualche minuto, in silenzio. Poi, cosa più unica che rara, abbracciò la sorella. Dawn per un attimo rimase di sasso, poi strinse a lei il ragazzo.

“Anche io ho bisogno di voi.”le sussurrò Lucius.

ab

Ma dove diavolo SONO?!” Leyla tirò un pugno alla porta della camera. Rod le prese la mano e la allontanò dolcemente. Di scatto, la porta si spalancò. Una scarmigliata Rosnake spuntò fuori dalla stanza.

“Ma si può sapere che cavolo succede?!” chiese assonnata, fissando i quattro ragazzi davanti a lei. Rod teneva ancora la mano di Leyla, Rabastan guardava fuori dalla finestra e Ian tirava distrattamente una pallina contro il muro. -Per farla breve, Dawnrose e Lucius sono scomparsi.- spiegò concisamente Rabastan.

“Non li vedo..” aggiunse, chiudendo la finestra. Rosnake rientrò in camera e un attimo dopo uscì, con addosso una maglia gigantesca e un paio di pantaloni fucsia. Leyla sollevò un sopracciglio ma non disse nulla. -Scendiamo nelle stalle.-

“Niente, non sono neanche qui.” Rod raggiunse gli altri tre davanti alla scuderia.

“Quando arrivano li ammazzo, quei due idioti che mi ritrovo per fratelli!!” esclamò Leyla, furente.

 “Beh, non è che a noi due sia andata molto meglio, in fatto di parentela, no?” Una voce divertita fece girare tutti di scatto.

Dawnrose era su Alasdar, con Lucius seduto dietro. I due fratelli Malfoy sorridevano, tranquilli. Ci fu un momento di silenzio, poi Rodolphus scoppiò a ridere. Scattò verso il cavallo e tirò giù Lucius di peso.

“Pezzo di cretino, ci hai fatto prendere un colpo!” rise, abbracciandolo. Anche Ian corse verso il ragazzo e lo stritolò in un abbraccio. “Ma dov’eri?” Tutti si radunarono pian piano intorno a Lucius, tempestandolo di domande. Dawn smontò silenziosamente da cavallo e riportò Alasdar nel box. Quando tornò, Rod chiese a Lucius: “Ma dove siete stati?” Il ragazzo si voltò verso Dawnrose, sorridendo. Poi tornò all’amico: “Non ha importanza, ora.” E Dawn seppe che quella mattina sarebbe rimasta solo sua e di Lucius.

ab

Quella sera, dopo cena, si riunirono tutti in camera di Leyla. Ormai mancavano pochi giorni alla partenza per Hogwarts, e bisognava ancora programmare le ultime cose. C’era un casino non da poco, nella stanza. Tutti erano presi dai propri discorsi, e finalmente erano di nuovo tutti insieme, tutti amici, tutti uniti. Dawn li osservava divertiti, sorridendo. Improvvisamente, sentì la voce di Rabastan nell’orecchio: “Beh, sarà un anno particolare, non trovi?”

Dawn osservò Leyla e Rod seduti uno in braccio all’altro, tenendosi per mano; poi Ian e Rabastan che discutevano animatamente sul prossimo Campionato di Quidditch; e Ros che urlava contro Lucius prendendolo violentemente a cuscinate. Sorrise.

“Senza dubbio, mio caro. E non credo che mi dispiacerà.”

 

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Capitolo 8
*** Topo e Serpente ***


8

Il serpente e il topo

La fine dell’estate: il primo settembre.

I giorni a Scarburough Fields erano passati anche troppo in fretta, mentre vivevano quei momenti come ogni anno non ne erano stati consapevoli, avevano visto l’inizio della scuola come u fatto straordinariamente lontano, e invece eccoli li, pronti a partire per un nuovo anno scoltastico.

Leyla guardava fuori dalla finestra assorta nei suoi pensieri, pensieri che voleva allontanare con ogni forza ma che continuavano a perseguitarla e quella mattina erano più forti che mai.

Stava per iniziare il suo ultimo anno a Hogwarts, era l’ultimo primo settembre che passava ada spettare il treno per Hogawarts.

L’anno dopo cosa avrebbe fatto in quello stesso momento? Si sarebbe ricordata che era il primo settembre? Sarebbe stata a Scarburough Fields? Ci sarebbe stato ancora Rodolphus accanto a lei? Una parte di lei era entusiasta di finire... poter decidere della sua vita, finalmente seguire le orme di suo padre, finalmente essere diplomata e libera di fare qualunque magia, poter andare dove voleva senza bisogno di aspettare il sabato di uscita a Hgsmeade.... eppure una parte di lei aveva paura, perché nel momento che fosse uscita dal castello tutte le sue certezze, le sue abitudini sarebbero svanite, avrebbe dovuto ricrearsi una “casa” da capo, e dopo sette anni in que castello non era sicura di come avrebbe fatto. Inoltre l’idea di passare un intero anno senza Rosnake e Dawnrose, loro sarebbero tornate a Hogwarts avrebbero passato l’anno insieme come sempre e lei no. Con lei ci sarebbero stati solo Lucius, Ian e Rodolphus, e non era neanche sicura che avrebbero continuato a frequentarsi. C’era la possibilità di rimanere sola, doveva accettarlo.

“Non pensare adesso a quello che verrà domani!” una calda voce la fece sobbalzare e girare con un urletto. Si portò la candida mano al cuore: “Rod, mi haispaventata!”

Il ragazzo non rispose, s avvicinò alla ragazza e la baciò dolcemente cingendole la vita.

Leyla gli sorrise “Cosa intendevi dire prima?”

“Di non preoccuparti di cosa ne sarà di te l’anno prossimo!”

Leyla inarcò un sopracciglio “Come facevi a sapere che stavo pensando proprio a questo?”

“Credi che non ti conosca? Se Leyla Malfoy passa la notte in bianco a guardare fuori dalla finestra  ci deve essere qualcosa che la assilla, e dato che sta per iniziare il settimo anno a Hogwarts..:” Rodolphus non terminò la frese. Leyla non reagì, “Io non sono preoccupata per niente,  so perfettamente cosa sarà di me. E poi chi ti dice che ho passato la notte in binco?!” la bionda ebbe un fremito, Rodolphus doveva conoscerla davvero bene, ma lei non poteva ammettere di essere terrorizzata, no: Leyla Malfoy non aveva mai paura del futuro

“Leyla, non mentire! Non con me... io non sono Rabastan!!”

Leyla non aveva scelta, non sarebbe servito a niente mentirgli... si sciolse baciandolo delicatamente sulle labbra “Tu stammi vicino e andrà tutto bene!”
“Te lo prometto”

Il pendolo ruppe l’incanto di quel momento con sette rintocchi che fecero tremare i vetri.

“Forse è bene svegliare gli altri, o non arriveremo più a Hogwarts!”

ab

Nel giro di un’ora i ragazzi si erano trovati a King Cross, era stata un’ora piuttosto trafficata... erano arrivati da Malfoy manor i bauli, Rodolphus aveva riempito il suo in pochi minuti guadagnandosi gli insulti di Dawnros la quale inoltre dovette ignorare Rosnake che riempiva il suo cercando di farsi notare il meno possibile. Ian aveva dormito fino a dieci minuti prima della partenza, fortunatamente il baule era già stato fatto e così con un veloce saluto alle Highland erano riusciti a raggiungere il binario con la metropolvere.

La stazione era gremita di studenti di ogni età, dai più piccoli che salutavano le famiglie impauriti ai più grandi che non ci facevano neanche più caso.

I Lestrange salutarono i genitori affettuosamente, o perlomeno ‘affettuosamente’ secondo i canoni della famiglia. Così poi I Malfoy e Ian salutarono cordialmente i proprietari di Scarburough Fields cercando di ignorare l’assenza dei propri genitori.

“Arrivederci madre, e ricordati che il mio cuore sarà sempre nelle Highlan” Rodolphus con queste parole si conquistò una gomitata di Rosnake.

“basta con queste scene teatrali Rod!” Rabastan chiuse il finestrino e si sedette pesantemente accanto a Ian.

“Quanto siete noiosi, è divertente illudere la mamma!”

“il problema è che sei tu a non essere divertente quando fai così!” spiegò pratica Rosnake “se tu continui con questa storia quella si monterà sempre più la testa! E tu finirai  un giorno a essere chiamato Lord Lestrange!”

L’immagine di Rodolphus come un Lord suscitò l’ilarità di tutti, era certamente un’immagine poco coerente con la realtà.

“Più che altro non la dovresti trattare così... è pur sempre tua madre!” apostrofò Leyla accoccolandosi accanto a lui.

“Già, almeno è una madre che si scomoda a venire alla stazione a salutare i suoi figli!” le parole di Dawn fecero raggelare la stanza e per gli altri due Malfoy furono frecciate nel cuore.

“Dawn!” Lucius le scoccò un’occhiata severa

“No, Lucius... è la verità... i nostri genitori sono vengono qui solo quando torniamo per venirci a prendere e adesso che voi vi potete smaterializzare neanche più per quello! L’ultima volta che li ho visti salutare e guardare il treno in partenza è stato per voi al primo anno... mentre quando ho iniziato io mi hanno affidato a voi e tante grazie...sarebbe carino da parte loro una volta tanto fare i genitori!”

“Dawn ne abbiamo parlato mille volte... sono molto impegnati e tu lo sai!” le parole di Leyla sembravano straordinariamente false anche se in realtà aveva ragione, solo che era una verità difficile da credere. La ragazza sentì la mano di Rodolphus stringersi attorno alla sua e fu solo in quel momento che Leyla si ricordò dei Lestrange. Rosnake Rabastan Rosolphus e Ian li guardavo frementi, la discussione aveva preso una pessima piega.

Fu Lucius a salvare la situazione “Forza Dawn, che ci importa che non siano qui? Questa è la nostra famiglia no?” la ragazza sorrise “Hai ragione!” e abbracciò Rosanke e Rabastan accanto a lei.

“Bene... ora che siamo qui... non vorrei infrangere qualche tradizione... Rodolphus non dovremmo andare noi? Non abbiamo più molto tempo per divertirci!”

Rodolphus sorrise all’amico “Ma certo, mi unirò alla caccia volentieri mio impavido amico!”

Con molta poca delicatezza Rodolphus si alzò in piedi ignorando categoricamente il fatto che Leyla fosse appoggiata a lui “Hei” protestò. “Scusa Leyla, ma quest è una questione vitale lo sai, Rab, Ian? Venite con noi?”

“No grazie!! Non ho intenzione di farmi mettere in punizione il primo giorno di scuola... e per giunta del mio ultimo anno!” Lucius alzò le spalle e senza sprecarsi a salutare con Rodolphus uscì dallo scompartimento.

“preferisco non sapere cosa hanno in mente questa volta!” ridacchio Dawnrose

“E questo è per giunta l’ultimo anno... ho la sensazione che ne vedremo delle belle!!” aggiunse Rosnake continuando a fissare la porta perplessa

“magari quest’anno proprio perché è l’ultimo anno non vorranno mettersi nei guai!!” azzardò Rabastan speranzoso. Le sue speranze furono vanificate dalle risate delle tre ragazze e del commento conosco, ma efficace di Ian “tu sei scemo”

Il viaggio proseguì tranquillo, tra pettegolezzi, caramelle e scacchi magici a cui naturalmente Rabastan perse tutte le partite contro Leyla.

Stavano  giocando l’ultima partita che avrebbe determinato la fine del campionato quando la porta dello scompartimento si apri e si richiuse velocemente permettendo a un piccolo grassoccio stupende di entrare.

Non si era neanche voltato a guardarli, era rimasto accanto alla porta tremante e impaurito, pareva  si stesse nascondendo da qualcosa... o da qualcuno.

“Scusa? Possiamo esserti d’aiuto?” chiese gentilmente Rosnake al ragazzo, questi sobbalzò squittendo e si voltò verso di loro. Rimasero tutti sbalorditi per qualche istante: si trattava di Peter Minius!

“Non ci posso credere!uno cerca di comportarsi bene e immediatamente dopo ti si presenta una tentazione così... questa è ingiustizia!” Ian estrasse la bacchetta e Rabastan lo seguì

Il ragazzo dai capelli di paglia si fece piccolo, piccolo farfugliando parole sconnesse

“Minus, cosa ci fai qui... non mi sembra un’idea geniale da parte tua venire a farci vista...” sorrise Dawnrose gelida “...ma ci fa ugualmente molto piacere vederti qui!” Leyla concluse la frase per la sorella estraendo a sua volta la bacchetta

“Allora che facciamo? Lo trasformiamo in un topolino? Xerse non mangia da questa mattina, avrà fame!”

“Un topolino? Leyla ma sei impazzita?!” Dawnrose scatto verso di lei, la sorella maggiore rimase scossa da quelle parole così come il resto dello scompartimento “...non è mica un topolino! È un sorcio!!” concluse Dawnrose mettendo fine ai dubbi dei presenti.

“No, no, vi prego non fatemi male...non volevo entrare qui... non sapevo... mi stavano inseguendo! Io...”

“Chi ti stava inseguendo? Una dissennatore? Per essere così spaventato...” Rosnake non amava quelle scene, ormai dopo anni e anni passati a vedere i fratelli e gli amici torturare Grifondoro e Tassorosso iniziava a essere stanca. Spesso trovava certi giochi profondamente ingiusti, ma non le sembrava neanche il caso di mettersi in mezzo, aveva imparato a ignorare tutto quello e a fare solo ciò che si sentiva di fare il resto lo lasciava in mano ai suoi compagni e lei si limitava a tacere. Leyla e Dawnrose sapevano bene il significato di quel silenzio, ma non avendo voglia di discutere tacevano anch’esse ignorando l’amica. Certo Rosnake non si poteva dire che amasse certi individui quali Peter Minius, anzi, lo detestava...

“Eccolo!” La porta dello scompartimento si aprì Lucius e Rodolphus con un grande sorriso sul volto e le bacchette alzate entrarono nello scompartimento con la delicatezza di un’acromantula.

“Oh... immagino che stesse scappando da voi!” Leyla pareva quasi delusa

“Certo che scappava da noi... ha perso i suoi amichetti, non erano li a proteggerlo.. oh poverino...!!” Dai Lucius una fattura doppia!! Trasformiamolo in una pianta!” Lucius e Rodolphus alzarono la bacchetta quando Dawnrose si mise in mezzo

“Non se ne pala neanche, non una pianta, noi volevamo trasformarlo in un ratto!!” Dawnrose pareva fin troppo risoluta

“Un ratto? Ma che ratto, poi lo troveranno... una pianta è quello che ci vuole!” Lucius fece per spostare la sorella di peso, ma Leyla si accostò a lei “No, ha ragione lei, lo trasformeremo in un topo non in una pianta!”

Rosanke sbuffò, sapeva come sarebbe andata a finire, avrebbero discusso per tutto il viaggio e alla fine quell’insignificante Grifondoro sarebbe diventato un topo con le foglie. Si, era inevitabile.

Leyla e Dawnrose quando ci s mettevano sapevano essere capricciose come due bambine viziate “pensandoci bene..” fu l’immediato pensiero di Rosnake “...loro sono due bambine viziate”

La parte peggiore, tuttavia, era che Lucius e Rodolphus erano capricciosi e testardi quasi quanto le due sorelle.

“...No, No e poi no, il topo no è banale! Trasformiamolo in un polpo se proprio ci tieni a renderlo animale!”
“No, il polpo è bellissimo, lo sai che vorrei una piovra! Il polpo no! Lo trasformeremo in un topo!”

“Leyla se non la pianti trasformerò te in polpo tua sorella in pianta e lui in topo!” constatò Rodolphus esasperato
“Come ti permetti! Minus è entrato qui di sua spontanea volontà è venuto da noi quind è nostro diritto scegliere cosa farne!”

“Bene allora mettiamola a voti, ci sono altri tre membri della compagnia, chiediamo a loro cosa preferiscono!” Lucius era fuori di se, si voltò di scatto verso Ian “Tu” disse in un ringhio puntandogli la bacchetta contro “...in cosa vuoi trasformarlo?!”

Ian parve pensarci “Il topo è perfetto, s vede benissimo che ha la faccia da topo!”

“hai visto?!” Dawnrose sorrise sfavillante al fratello

“Aspetta un attimo tu, ci sono ancora Rabastan e Ros!!” la bacchetta di Lucius usata come indicatore roteò di fronte al viso di Dawnrose  “E va bene, ma tu tieni a posto quella bacchetta!!”

“Io dico che hanno ragione loro è meglio la pianta! Si noterà di meno!”

Rodolphus fece la linguaccia alle due Malfoy

“Ros, manca il tuo parere!” disse Leyla ignorando il ragazzo.

Rosanke inarcò un sopracciglio, era stanca di queste scene da bambini e il finale era anche troppo prevedibile: “I Malandrini!” disse.

“ma cosa diavolo vai farneticando, lui è già uno dei Malandrini, che senso ha trasformarlo...!” era evidente che Lucius non aveva capito, Rosnake non rispose e si limitò a indicare un punto alle spalle di Rodolphus.

I Serpeverde si voltarono. Con loro grande sorpresa trovarono James Potter e Sirius Black con le bacchette puntate minacciosamente alle spalle dei ragazzi.

“Buongiorno Serpeverde, è un piacere rivedervi” la voce di Jame risultava sorprendentemente calma

“Il piacere è nostro Potter... Balck anche tu qui a salvare questo sudicio ratto!” le bacchette di Rodolphus e Lucius insieme a quelle di Ian e Rabastan furono puntate improvvisamente verso il petto dei due Grifondoro.

“Cosa pensavate di fare al nostro amico?” chiese Black minaccioso

“Veramente non avevamo ancora deciso... pensavamo di rendelo più simile alla sua anima!” gli occhi di Dawnrose brillarono

“Potremmo fare la stessa cosa con voi, Dawnrose!” Sirius Pronunciò quelle parole lentamente,  ma ciò che colpì di più la ragazza fu che l’accento cadde dolorosamente sul suo nome, si ritrovò a pensare che Sirius Balck avesse una voce veramente intrigante e sapeva pronunciare straordinariamente bene il suo nome.

“sarà un po’ difficile Black, voi siete in due, noi in sette... come pensi  di fare?” anche la bacchetta di Leyla si levò, per finire con l’essere puntata in mezzo agli occhi di James Potter.

Rosanke decise stancamente di estrarre anche la sua bacchetta, Leyla era pericolosa soprattutto se in mezzo c’era James Potter, c’era un’avversione cosmica tra i due, Ros sapeva che alla minima mossa si sarebbero fatti saltare il cervello reciprocamente, e lui no voleva che Lela si facesse male... in effetti non voleva neanche che James si facce male.

“Noi non siamo in due Malfoy, c’è anche Peter...”
“Oh hai ragione Potter, mi dispiace siamo sette contro due e mezzo per essere generosi!”

Una voce che non apparteneva a nessuno dei presenti interruppe la discussione
“S può sapere cosa sta succedendo? Malfoy, Potter... non mi sembra il caso di compromettere l’anno appena iniziato, e l’ultimo per giunta!”

La professoressa Mc Granitt si stagliava dietro di loro, il cappello a punta da Strega le faceva ombra sugli occhi, ma tutti sapevano che in quel momento erano semplicemente glaciali.  Ragazzi abbassarono le bacchette.

“Ci scusi professoressa, solo un piccolo scambio di idee...” si giustificò Rodolphus

“Lo vedo... Potter, Black, Minus, andate nel vostro scompartimento, Lupin vi stava cercando!”
“Certo professoressa...” Sirius afferrò il braccio di Minus e lo trascinò tremante fuori dallo scompartimento, poco dopo aver scoccato un’occhiata ambigua verso Dawnrose.

“Malfoy, Lestrange, Nott... a presto!” con queste parole i Serpeverde rimasero soli nello scompartimento, e dopo pochi secondi si accasciarono sui sedili.

“E’ tutta colpa vostra, se non aveste discusso a quest’ora sarebbe già stato trasfigurato e Potter e Black non l’avrebbero certo trovato!!” li apostrofò rabastan deluso.

Rosnake sbuffò nuovamente “Ora vedete di non mettervi di nuovo a discutere o sarò io a trasformare voi in piante con la coda!!”

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Capitolo 9
*** Vecchie e nuove generazioni ***


9

Vecchie e nuove generazioni

Il viaggio proseguì più tranquillamente. L’improvvisa apparizione della McGrannit aveva messo fine ai tentavi di caccia ai primini e Malandrini (più che altro nella forma di Minus), e tutti i ragazzi erano tornati nello scompartimento.

Improvvisamente, in un raro attimo di silenzio, Rodolphus si voltò verso gli altri e disse: -Ma ci pensate, Lelly e Lucius, che è l’ultima volta che saliamo sull’Espresso per andare a Hogwarts?- Per qualche istante le parole del ragazzo rimasero sospese nell’aria, mentre i due gemelli Malfoy si fissavano. Fu Leyla a rispondere: “Non ci avevo pensato...” ammise, mentendo. Erano due giorni che non faceva che pensarci, ma non voleva darlo a vedere. Non era da lei avere paura del futuro. Lucius rimase in silenzio, ma tutti capirono che le aveva sentito fin troppo bene le parole dell’amico. Fu Ros a cambiare discorso, prima che l’aria si facesse pesante. “Per noi un altro anno di torture... con Piton, i Malandrini, la McGrannit, pozioni... Allegria!”

Tutti scoppiarono a ridere, non perché Rosnake avesse detto qualcosa di divertente, ma perché in realtà tutti i loro pensieri erano concentrati sull’anno seguente, e avevano bisogno di una distrazione. Il più preoccupato era Rabastan: a lui sarebbe toccati altri due anni, e l’ultimo l’avrebbe fatto solo. Tutto il gruppo sarebbe stato già fuori da Hogwarts, e lui avrebbe dovuto passare un anno, un lunghissimo anno quasi abbandonato. Non aveva la minima idea di quante cose sarebbero avvenute nei prossimi mesi, proprio in quel castello che conosceva a memoria.

L’unica che non stava pensando al futuro in quel momento era Dawnrose. Molto stranamente, la sua mente si era soffermata su un altro particolare: i Malandrini. O, meglio, su un Malandrino in particolare: Sirius Black. L’occhiata che le aveva lanciato le si era impressa a fuoco nel cervello. Quegli occhi così neri... e quello sguardo così strano...

Una voce la riscosse improvvisamente da quei bizzarri pensieri.

 “Dai, una partita!” Leyla la fissava reggendo in mano la scacchiera. Dawn esitò un attimo, poi sorrise con aria di sfida. “Preparati a perdere, allora!” Il risultato della partita fu incerto fino all’ultimo minuto. Mentre entrambe le sorelle Malfoy si preparavano alla mossa finale, la porta dello scompartimento si aprì, facendo prendere un infarto a Leyla. La ragazza sollevò la mano di scatto, colpì la scacchiera e il tutto si rovesciò a terra con un inquietante rumore di schianto. Davanti a loro c’erano Bellatrix e Narcissa Black e Vanessa Hilton. “Oh santo Dio! Proprio per colpa di questi esseri insopportabili dovevo far cadere tutto...” fu il primo pensiero di Leyla guardando il trio.

Le tre ragazze erano delle donne molto facili ed estremamente insopportabili. L’unico ad accogliere con un gigantesco sorriso fu, naturalmente, Ian: “Ma ragazze! Ma che gioia vedervi! Entrate, care, entrate!” Dawnrose rivolse uno sguardo assassino al ragazzo, che parve non accorgersene e continuò la sua melensata.

Bellatrix salutò tutti con un sorriso tirato, Narcissa balbettò qualcosa di sconnesso fissando Lucius e Vanessa si tolse con un gesto esagerato e teatrale gli occhiali da sole fucsia, sorridendo a Ian. “Scusate tanto, non c’è posto.” commentò Leyla in un tono tutto miele, ma Dawn e Ros capirono che aveva voglia di cacciarle a calci quanto loro. Comunque era verissimo che non c’erano più sedili, ma le tre parvero non sentirla.

Bellatrix, ovviamente, si buttò su Rodolphus. I due erano stati insieme l’anno prima, ma Rodolphus alla fine era riuscito a trovare il coraggio di lasciarla. L’unico problema era che lei pareva non aver recepito la cosa. “Ciao Rod! Ma come stai bene... ogni giorno più bello, eh?” Bella accarezzò la guancia di Rodolphus, che stava diventando viola dall’imbarazzo.

Un lampo assassino attraversò gli occhi grigi di Leyla. “Credo che tu non abbia capito, Black. Rodolphus è occupato.” La voce della bionda era più gelida del ghiaccio. Bellatrix si voltò di scatto a fissarla, gli occhi scuri duri come la pietra, e scoppiò in una fredda risata priva di divertimento. “Sarebbe occupato con te? Non farmi ridere!” commentò la bruna. A Dawn sembrò quasi di percepire lo sforzo che la sorella stava facendo per non saltare alla gola della Black. “Questo ti causa problemi, Bellatrix? Cos’è, hai paura di perderlo?” Un crudele sorriso animò il volto di Leyla. Bella diventò ancora più pallida, e aprì la bocca per ribattere, ma fu fermata dalle parole di Vanessa: “Non credo proprio che Bella debba temere una come te, Malfoy!” Dawnrose sorrise: ora toccava a lei. “Dici, Hilton? Non mi sembra però che stiamo parlando di te, stiamo parlando di Leyla.” Rosnake si lanciò un’occhiata solidale con Narcissa.

 Tutte e due non amavano le discussioni che finivano sempre per fare le loro amiche. “Ho chiesto il tuo parere, Dawnrose?” Bellatrix pareva infastidita dal commento della bionda. “Cos’è, vorresti dirmi che ho bisogno del tuo permesso per parlare, Black?” Gli occhi di Dawn brillarono di una luce che a Rosnake non piacque per niente. Bella sorrise, pensierosa: “Mmmh, forse...” Dawnrose scattò in piedi, parandosi di fronte alla ragazza. “Non ti conviene sfidarmi, Bellatrix.” L’aria si congelò per qualche istante, nessuno osò parlare. Infine, la bruna estrasse la bacchetta. La giovane Malfoy la imitò senza batter ciglio, pregustando già il dolce sapore della vittoria. Ma, in quel preciso istante, un fischio assordante fece girare tutti. Il treno si fermò con un violento scossone che fece perdere l’equilibrio a Narcissa, che finì dritta addosso a Lucius.

Entrambi divennero rosso acceso, poi la ragazza scattò all’indietro balbettando qualcosa di incomprensibile. Bellatrix si rimise la bacchetta in tasca con un sorriso: “Peccato, Malfoy, sarà per un’altra volta.” Dawnrose sorrise a sua volta ritirando la bacchetta. Vanessa uscì lanciando uno sguardo sexy a Ian, e Narcissa se ne andò sussurrando qualcosa che poteva suonare come “Ciao Lucius.”

Dawn sospirò e si lasciò cadere sul sedile. “Dio mio, quanto le ODIO!!” gridò Leyla, tirando un pugno alle sua colossale valigia. Ian sorrise, gli occhi fissi sulla porta: “Io no...” Ros scoppiò a ridere. “Dai ragazzi, o dovremo farcela a piedi!” aggiunse, facendo muovere tutti.

Tre minuti dopo erano tutti fuori dal treno. Davanti a loro c’era un paesaggio familiare come casa loro: il castello di notte, con le sue finestre illuminate e le barche dei primini che vi si avvicinavano, avvolte in quel filino di nebbia che si ripresentava tutti gli anni (avevano optato per la teoria che fosse frutto di una magia). Tutti ripensarono alla prima, e ultima, volta in cui erano saliti su quelle barchette a remi ed avevano attraversato il lago. Leyla, Lucius, Rod e Ian si erano stipati in una, e l’anno dopo Dawn e Ros erano andate Narcissa e Vanessa, e avevano dovuto lottare profondamente per non annegarle da subito. Infine il povero Rab si era trovato abbandonato con gente sconosciuta. Ma quel ricordo, l’immagine di loro su quelle barchette, sarebbe rimasto nelle loro menti per sempre.

Salirono tutti e sette su una delle carrozze trainata da thestral, cavalli neri alati che erano  visibili solamente a chi aveva visto la morte in faccia. Sia Dawnrose che Leyla erano in grado di vederli perché, anni prima, avevano visto morire una loro vecchia cugina. Anche Ian li vedeva dal primo anno, per la morte di suo zio durante una battuta di caccia. Tutti gli altri osservavano tutti gli anni le carrozze spostarsi come da sole, e salire la collinetta con un apparente vuoto che le trainava.

Arrivarono davanti all’enorme portone di quercia spalancato, e si recarono rapidamente nella Sala Grande. Si sedettero vicini, da un lato Ian, Rod, Leyla e Lucius, dall’altro Rabastan, Ros e Dawn, come la tradizione imponeva. Da quando il gruppo era stato al completo, con l’arrivo di Rab, la formazione era sempre stata quella. La Sala era piena come al solito, e come al solito mancavano dei volti e stavano per arrivarne altri. Grazie a dio, Bellatrix, Narcissa e Vanessa erano al fondo del tavolo, verso il portone, molto lontano da loro.

“Ed eccoci di nuovo qua!” sospirò Rosnake, lasciandosi scivolare sulla panca. Lucius le sorrise: “Lo dici tutti gli anni, Snake.” commentò. Gli altri risero, ma Leyla rimase seria. Il prossimo anno la battuta di Ros sarebbe stata solo per gli altri. L’improvvisa apertura delle porte la riscosse da quei pensieri su cui, ultimamente, si soffermava fin troppo. Una miriade di nanetti entrò composta in fila per due nella Sala, gli sguardi spaventati, le faccine spaesate, le divise cascanti. Il primo della fila sembrava sul punto di svenire, pallido come un lenzuolo e gli occhi sbarrati. Sembravano ancora più bassi di quelli dell’anno prima. O forse erano solo loro che erano più alti?

Il Cappello Parlante si lanciò come al solito in una nuova filastrocca, ancora più bizzarra delle altre, in cui descriveva le quattro case. Alcuni ragazzini, che probabilmente già sapevano del Cappello, lo guardavano con interesse, altri lo fissavano abbastanza terrorizzati all’idea che quella cosa parlasse. Intanto la McGrannit li sorpassò e si diresse rapidamente allo sgabello posto davanti al tavolo dei professori, dove Albus Silente sorrideva ai ragazzini appena entrati. La professoressa srotolò la pergamena che aveva in mano e cominciò a leggere i nomi. Il primo bambino si fece avanti tremulo e insicuro. Dawnrose si voltò per poterlo vedere, e diede un’occhiata anche agli altri primini. Guardò di sfuggita gli altri tavoli, e si accorse una cosa inaspettata: Sirius Black la stava fissando. I suoi occhi neri erano piantati nei suoi, e Dawn si chiese cosa avesse mai da guardare. Ma il ragazzo non distoglieva lo sguardo, come fosse incantato, e con orrore lei si rese conto che le stava succedendo la stessa cosa. “Dawn!” La voce di Ian la sbloccò e finalmente riuscì a girarsi. “Scusate, stavo valutando i primini...” mentì la ragazza con un sorriso. “Sono sempre più minuscoli...” commentò Lucius, quasi schifato. Scoppiarono tutti a ridere, ma la McGrannit li zittì con uno sguardo assassino. Un bambinetto coi capelli neri era seduto sullo sgabello e il Cappello Parlante gli copriva totalmente la faccia. Venne assegnato a Tassorosso.

Finito lo smistamento, Silente tenne come al solito il suo discorso e poi, come tutti gli anni, pronunciò la celebre frase: “Si dia inizio al banchetto!” All’improvviso, tutti i piatti e i vassoi si riempirono magicamente. Tutti i primini di Serpeverde esclamarono in coro: “Oooh!” Improvvisamente calò il silenzio, nella sala, rotto soltanto dal rumore di mascelle che masticavano. Il banchetto continuò così, tra scherzi, battute, e cibo. Quando tutti ebbero finito, i Prefetti dovettero accompagnare i nuovi ai rispettivi dormitori. Quell’estate sia Leyla che Rodolphus (ma che bizzarro destino) avevano ricevuto una lettera da Hogwarts ed erano stati nominati Caposcuola. Rod, con la caccia al primino sul treno, non aveva iniziato molto bene, e tutti erano sicuri che avrebbe continuato peggio. Subito Ros si era chiesta perché non fosse stato eletto Lucius, ma forse ora lo capiva: lui non era tanto uno che amava mettersi in luce, più come Dawnrose, e non sarebbe stato molto bravo a far rispettare la legge a dei bambini. L’anno prima Rosnake era stata Prefetto, e lo era ancora, ma come Caposcuola sapeva di non essere molto indicata. Non era portata per il comando o l’amministrazione: diciamo pure che era abbastanza una frana a coordinare le cose.

I sette si accodarono ai bambini guidati dai Prefetti. Rosnake si staccò un attimo dal gruppo ed andò a salutare Remus che, nonostante fosse un Grifondoro, era uno dei suoi più cari amici. Dawn e Leyla la seguirono, dato che, in fondo, anche loro trovavano Lupin un ragazzo simpatico. La bruna arrivò alle spalle del ragazzo e gli appoggiò le mani sugli occhi. “Indovina chi sono?” chiese lei, ridendo. Remus si voltò, con un sorriso sulle labbra: “Ros!” I due si abbracciarono. Dawnrose e Lelly da una parte, e Sirius e James dall’altra, li fissarono un po’ imbarazzati. Dopo tutti quegli anni nessuno dei due gruppi si era bene abituato a quell’insolita amicizia, ma quello che ne era più irritato era senza dubbio Lucius: a volte era ancora molto possessivo nei confronti di Ros, e non aveva mai potuto sopportare Lupin. “Ma guarda chi abbiamo qui... Le tre dell’Ave Maria.” sorrise sarcastico James. “Che diavolo vuoi, Potter?” Leyla non aveva voglia di sopportare di nuovo quel cretino. “Ehi, ti scaldi per così poco, Malfoy?” Potter pareva sempre compiaciuto di litigare. “No, caro, è semplicemente irritante che un essere con le tue limitate capacità mentali osi rivolgerci la parola.” sorrise Dawnrose, trattenendo l’impulso di spaccare quella faccia e quegli odiosi occhiali rotondi. Per un istante, le parve di vedere una scintilla di divertimento negli occhi di Sirius, ma scomparve così rapidamente che pensò di essersela immaginata. “Ma come...!!” esclamò James, scattando in avanti, ma Remus gli si parò davanti. “Basta, Jamie.” disse, tranquillo e perentorio allo stesso tempo. “Ma, Rem, le hai sentite?!” chiese il ragazzo, incredulo. “Sbaglio o hai cominciato tu, Potter?” La voce di Rosnake irruppe nella conversazione. James la fissò, il volto contratto, indecifrabile. Ros mantenne saldo lo sguardo, senza mai distoglierlo. Dopo qualche secondo di tensione, Potter si voltò di scatto e sparì su per le scale senza nemmeno una parola. “Ma come cavolo fai a sopportarlo, Lupin?” Leyla lo detestava con tutto il cuore, non l’aveva mai potuto soffrire. Il ragazzo rise stancamente: “Andiamo, è tardi e da domani iniziamo già le lezioni.” aggiunse, e con un saluto i due Grifondoro si avviarono verso il loro dormitorio. Le tre ragazze si incamminarono velocemente verso i sotterranei, sapendo già che le aspettava il terzo grado. Infatti, appena entrarono nella Sala Comune, la voce di Rodolphus le raggiunse: “Dove eravate finite?!” esclamò. “Già, stavamo morendo di preoccupazione!” commentò Ian, seduto sul divanetto in mezzo a due ragazzine del secondo anno, che continuavano a ridacchiare e a fissare il ragazzo con sguardo ebete. “Ci siamo fermate giusto il tempo di insultare Potter.” Dawnrose si lasciò cadere nella poltroncina scura vicino alla finestra, con un sorriso. Lucius lanciò un’occhiata incomprensibile a Rosnake, poi sorrise anche lui. La Sala Comune si era ormai svuotata, tranne che per loro sette e quelle due stupide secondine che sembravano intenzionate a rimanere lì tutta la notte. Ma tutto ciò non rientrava nei piani di Leyla, che si avvicinò candidamente al divanetto. “Care ragazzine, non sarebbe ora di andare a letto?” Nel suo tono falsamente angelico Dawn leggeva che era un ordine, non un suggerimento. “No, restiamo ancora un po’...” ridacchiò una delle due, dopo un attimo di incertezza, prendendo la mano di Ian. -Forse non ci siamo capiti.- Il sorriso di Lelly divenne glaciale. “Io sono Caposcuola. E il coprifuoco è passato. Fareste meglio ad andare nei vostri dormitori, possibilmente in fretta.” Le due ragazzine si fissarono per un attimo, probabilmente chiedendosi cosa volesse dire “coprifuoco”, poi si alzarono lanciando uno sguardo che voleva essere sexy ad Ian, che mandò loro un bacio. Per poco non svenirono sul colpo.

Quando la Sala fu vuota, Rabastan si rivolse ad Ian: -Ma non è neanche il secondo giorno!- Il ragazzo sorrise: “Bisogna portarsi avanti col lavoro, amico mio, sempre!” Dawnrose tirò una gomitata all’amico, che rise tranquillo, come d’altronde faceva quasi sempre. “Vedi, Rodolphus, la tua ragazza sì che sa come sfruttare il potere!” ridacchiò Rosnake, facendo ridere tutti. Dopo molte chiacchierate, partite a scacchi magici e Gelatine Tuttigusti +1, la stanchezza cominciò a farsi sentire. “Sentite, direi di andare a dormire. Dobbiamo cominciare bene il primo giorno del nostro ultimo anno.” sorrise Lucius, alzandosi dalla poltrona. “Con un po’ di casino, vorrai dire!-“ Rodolphus imitò l’amico, avviandosi verso le scale. Si salutarono e si diressero verso i rispettivi dormitori. Leyla, Rosnake e Dawnrose rimasero ancora un po’ a chiacchierare sulle scale, poi si separarono anche loro. Dawn e Ros entrarono nella stanza, mentre tutte già dormivano. Le ragazze si cambiarono e si infilarono nei loro letti, stanche e un po’ emozionate.

“Domani ci danno l’orario...” mormorò piano Ros, sperando che la prima lezione fosse con i Grifondoro per potersi sedere tra Dawn e Remus. -Speriamo bene!- rispose la bionda, desiderando di avere in prima ora Difesa Contro Le Arti Oscure. “Beh, coraggio!-“ continuò Rosnake. “Domani è un altro giorno.” Dawn ridacchiò piano: “E speriamo in meglio!”

 

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Capitolo 10
*** Noli me tangere ***


10

Noli me Tangere

 “And you’re singing a song

Singing this is the life

When you wake up in the morning and your head feels twice the size

Where are you gonna go, where are you gonna sleep tonight?”

                                                                                                    [Amy MacDonald, This is the life]

 

Rosnake impiegò quattro minuti a rendersi conto che era il primo giorno di scuola, e sei che era mostruosamente in ritardo. Accorgersi che Dawnrose le stava strappando le coperte non richiese più di una manciata di secondi.

“Lasciami stare!” si lamentò, tentando di appallottolarsi a formare un grumo piccolo ed infelice. “Ho sonno!”

Dawn dedicò appena uno sguardo schifato alla gigantesca felpa che l’amica aveva indossato per dormire, decorata con le parole “Chi mangia carne avvelena anche te”.

“E’ irrilevante” ribatté, implacabile. “Ciò che conta è che sono le otto meno sette.”

“COSA??”

“Mi hai sentito benissimo. Giù da quel letto, marsh!”

Mugugnando, Ros si trascinò in bagno e si fece una breve doccia, nel tentativo di ricominciare a connettere. L’uniforme, che per tre mesi non era stata altro che un triste ricordo, era pronta su una sedia. Se la infilò senza entusiasmo, legò i capelli in una treccia un po’ storta e ciabattò fuori al seguito dell’amica, che aveva l’andatura e lo chignon di una etoile russa appena uscita da un istituto di bellezza.

Leyla era già seduta su una sedia vicina alla scalinata dei dormitori, un libro aperto in grembo e l’aria ostinatamente concentrata. Le altre due capirono subito il perché: sprofondate nei divanetti accanto al camino spento, le unghie laccate di fresco, c’erano Bellatrix e Vanessa, che doveva essersi risvoltata in vita la gonna della divisa per mostrare venti centimetri di coscia bianca e flessuosa. Un paio di arrapati del terzo anno ronzavano loro intorno come api sul miele.

“Ce l’hai fatta” mormorò tra i denti la Malfoy maggiore, alzandosi di scatto. “Sto per dare di stomaco.” Dawn le strinse la spalla, e scesero insieme a colazione.

Il professor Lumacorno, insegnante di Pozioni e capo della Casa di Serpeverde, stava già facendo il giro del tavolo per distribuire gli orari; quando le vide, un enorme sorriso illuminò il suo volto di vecchio tricheco.

“Ma eccole qui, le tre Marie!” rise, gioviale “Signorine, santo cielo, siete ogni anno più belle!” Rosnake si sentì arrossire. Il vecchio insegnante aveva l’abitudine di raccogliere attorno a sé ristretti gruppi di studenti che brillavano per capacità, ambizione o illustri parentele, trasformando “i cervelli del domani” in suoi pupilli prediletti, e così era riuscito a costruirsi una fitta rete di influenza che si estendeva sul Ministero della Magia, come sulla stampa e sul mondo dello sport. Tutte e tre le ragazze erano parte della sua cerchia, se non altro per il cognome che portavano, ma lei, Ros, che oltre ad essere la dolcezza fatta persona se la cavava bene come pozionista, era la preferita per eccellenza, da sempre. Lumacorno, in generale, non le dispiaceva, ma trovava abbastanza inquietante la sua predisposizione a comandare ben nascosto dietro le quinte e odiava essere oggetto delle attenzioni di qualcuno.

“Buongiorno, professore” cinguettò Leyla, annegando nell’ambrosia il briciolo di disprezzo che si sentiva sempre, nel suo tono, quando parlava con qualcuno che riteneva di classe inferiore. L’insegnante strizzò l’occhio.

“Con lei, signorina Malfoy, ho paura che non ci vedremo prima di domani … ma queste due fanciulle, qui, hanno il privilegio di essere con me alle prime due ore!”

“Splendido” disse Dawn, appena un po’ fredda. Lei “il vecchio Luma” non lo amava più di tanto. Non sopportava il suo strisciare attaccato alle gonne dei potenti.

“Ma bene, ma bene” ridacchiò il professore “Ora, se volete scusarmi … Blackwell, Nott, i vostri orari sono qui …”

Con un sospiro, le tre si lasciarono cadere su un frammento di panca e inghiottirono qualcosa, mentre i ragazzi arrivavano a salutarle con un certo grado di zombizzazione insito nello sguardo. Rodolphus, che sembrava un modello nella sua divisa perfettamente stirata [e con il nome ricamato in lettere dorate sul taschino], salutò Dawn con un casto bacio sulla guancia e la sorella arruffandole i capelli già aggrovigliati; poi, prese con decisione Leyla alla vita e premette le labbra sulle sue, andando a fondo, come se fossero stati separati per molto tempo.

Dopo un istante di paralisi, i centocinquanta Serpeverde seduti al tavolo si fissarono, famelici, pronti a spargere la voce per tutto il castello. Sebbene Dawn, negli anni a venire, avesse cercato di rimuovere la scena, rimase sempre certa che fosse stato Ian a dare il via al coro di fischi che si levò nel giro di qualche secondo. Rod si staccò dalla sua ragazza con un breve inchino al pubblico e prese posto accanto a lei. Rosnake, che al pensiero di essere vista da tutta quella gente anche solo mentre mangiava un toast si sentiva morire di centocinquanta dolorosissime morti, non potè fare a meno di ammirare la naturalezza con cui la sua amica si servì di uova, gettò indietro i boccoli dorati e scoccò un luminosissimo sorriso all’indirizzo di Bellatrix Black, che sembrava vittima di una pastoia total body. Si riprese piuttosto in fretta, ad ogni modo, e i suoi occhi scuri presero a grondare veleno.

Dawn guardò involontariamente verso il tavolo di Grifondoro, e scorse Sirius Black che gettava con disinvoltura il braccio attorno alle spalle di una ragazza asiatica bella come una miniatura della dinastia Han. Il suo nome era Yoko Hu, e si trattava della stessa fanciulla che Lucius aveva puntato con occhio di lince circa ventiquattro ore prima.

Anche se non era ancora iniziato, l’anno scolastico prometteva già guai.

ab

La domenica arrivò insperata, piccolo regalo dopo una settimana estenuante. Era molto peggio di quello che Leyla, Lucius e Rodolphus avevano previsto: fin dal loro ingresso in classe, si erano trovati a fronteggiare la spada di Damocle dei MAGO, il loro vero e proprio passaporto verso la vita adulta. I professori avevano raggiunto livelli di tensione mai visti prima, e la McGrannit, arcigna insegnante di trasfigurazione, aveva dato loro tanti di quei compiti da tenerli impegnati come minimo fino a Natale. Rabastan, dal canto suo, doveva fare i conti con la pressione dei GUFO, gli esami del quinto anno, che certo non erano una passeggiata. Non che Rosnake e Dawn se la passassero molto meglio:  a parte il “vecchio Luma”, sempre ansioso di riempirle di complimenti, sembrava che gli insegnanti si fossero messi d’accordo per esasperarle. Pangborn, il nuovo sbarbino di Difesa contro le Arti Oscure, aveva già spedito in punizione la più giovane dei Malfoy “per la sua impertinenza”, anche se Dawn non aveva fatto altro che fargli notare che imparare a memoria mucchi di libri significa avere, nella vita, molto tempo libero. In effetti, Dawn passava circa un terzo dell’anno in punizione. Ros non veniva castigata, mai.

Con le attività frenetiche degli ultimi giorni, nessuno aveva avuto molto tempo per coltivare i propri hobby. I ragazzi non giocavano a Quidditch da due settimane, Leyla aveva riposto il fioretto in fondo al baule e Dawnrose, la cui unica e vera passione era il tiro con l’arco, si era ridotta a giocare a freccette nella sala comune usando come bersaglio un reggiseno imbottito di Vanessa Hilton reperito sotto il letto della proprietaria. “Quindi tutto quel ben di dio è finto?” aveva chiesto Ian, sconcertato, mentre Vanessa stessa interrompeva la partita strappando l’indumento  dal tassello cui era stato appeso e trucidando con lo sguardo la rivale, in attesa di fargliela pagare dal punto di vista fisico. Era stato divertente, certo, ma nulla era paragonabile all’eccitazione regalata dal tendere l’arco, i muscoli del braccio che urlavano in agonia, la freccia che sibilava, conficcandosi esattamente al centro del paglione.

Quanto a Rosnake, lei non aveva mai amato gli sport violenti, né quelli di precisione praticati con la finalità di ferire qualcuno. A differenza delle amiche, che si erano stufate presto, aveva sempre continuato a praticare l’arte che le loro madri avevano voluto che apprendessero, e cioè la danza classica. Avrebbe dato qualunque cosa per la sensazione che provava quando, trasformata in luce, colori guizzanti, diventata ella stessa movimento, avvertiva la musica scorrerle nelle vene come un fluido drogante, che la trasportava lontano, oltre il mondo, quasi oltre la vita. Da qualche anno, con somma disapprovazione di Ariadne, si era dedicata in particolare alla danza moderna, che aveva studiato anche su canzoni babbane. La pulsazione di un buon pezzo house era quello che ci voleva per tirare fuori la sua personalità aggressiva, per sfogarla. Lucius, uno dei pochi a cui avesse concesso di vederla allenarsi, adorava guardarla ballare. La grazia, la leggerezza con cui si muoveva la facevano sembrare un sogno.

Quella domenica, come molte altre volte, Ros era scappata un attimo dal casino della sala comune, piena di persone che urlavano e ridevano, e facevano i compiti e si sfidavano a biglie e si baciavano e producevano un mucchio di rumore, e si era rifugiata in un aula vuota al piano di sotto, insieme alla radiolina magica che portava sempre con sé. Aveva trovato un r’n’b decente da qualche parte, e quasi senza accorgersene aveva iniziato a danzare. Per fortuna, quando la porta si aprì non era ancora completamente presa dal ritmo; in caso contrario, non avrebbe sentito alcun rumore. Invece si fermò a metà di un giro on the dan, spense subito la radio e si ravviò i capelli con la mano, sentendosi arrossire. E non a torto. Sulla porta dell’aula, in jeans e maglietta dei Porter Prides, c’era James Potter.

“Ma bene” sorrise il ragazzo, un sorriso sadico, terribile “La piccola Lestrange.”

Contro la propria stessa volontà, Ros rabbrividì. Una delle regole non scritte del conflitto in atto da anni tra Grifondoro e Serpeverde recitava più o meno non è lecito attaccare una ragazza sola, soprattutto in un posto dove non può scappare. Eppure, quell’idiota del Cercatore veniva verso di lei, minaccioso, e aveva tutta l’aria di non essere disposto a lasciarla andare.

“Molto male” trovò il coraggio di rispondere “Potter.”

“Sai” la apostrofò amichevole James, gli occhi grondanti veleno “I tuoi amichetti non dovrebbero mandare le bambine sole nel bosco. Rischiano di incontrare il lupo cattivo.”

“Ma che cosa orrenda” ribatté lei, credibilmente sarcastica “Se mi capiterà di vederlo, cercherò di farlo fuori, con o senza cacciatore.”

Per qualche istante, l’idiota parve destabilizzato dalla secca replica, ma riprese con rinnovato vigore. “Sai, Lestrange, potrei anche farmi da parte e lasciarti correre via, nella tua Sala Comune, a rannicchiarti tra le braccia di quel perdente di Malfoy. Ma non so se ne ho voglia.”

“Lucius ne vale dieci, di stronzi come te!”

“E’ questo che pensi, vero?” all’improvviso, Potter alzò la voce, fin quasi ad urlare. “Che sono uno stronzo?”

“Sì” ringhiò Ros, sentendo le solite, inopportune lacrime che lottavano per uscire “Sei stronzo e anche codardo. Per sentirti un macho devi sfogare le tue frustrazioni su chi è più debole di te!”

Il dolore esplose di colpo, avviluppandole il braccio. Quando la vista le si snebbiò, si rese conto che lui l’aveva presa per il polso per torcere, per torcerla senza pietà.

“Ripetilo” quasi le sputò in faccia, il collo purpureo, le orecchie viola. “Ripetilo, sgualdrina!”

“Codardo” singhiozzò Ros, tramortita dal male. “Codardo, sei un verme, un verme!”

“Tu … io ti … ti …”

“Potter, basta, ti prego, basta, mi fai male!”

La ragazza cadde in ginocchio, scossa dai brividi. Dalla spalla in giù, le pareva di essere immersa in una foresta di aghi incandescenti. Le tornò in mente Rodolphus che, da piccoli, la sferzava crudelmente con le ortiche, per poi chiederle scusa, portandole in dono mazzi di margherite: bella, bimba mia, non piangere, piccoli fiori per le tue piccole dita.

“James?! Ma che diavolo fai?”

E poi, così come era iniziato, tutto finì. La stretta di lui si sciolse all’improvviso, e Ros si raggomitolò al suolo, il braccio dolorante ripiegato sotto l’altro. La sua mente riprese con un attimo di ritardo a girare, le lacrime salate si persero nella cortina riccia dei suoi capelli. Solo allora riconobbe la voce che aveva parlato. Da qualche parte, non lontano da loro due, c’era Sirius Black.

“James, testa di cazzo, cosa le hai fatto?”

Facendo del suo meglio per smettere di pigolare, la ragazza si voltò su un fianco, e attraverso il pianto vide il profilo perfetto di Black incombere sull’idiota, ufficialmente passato al rango di torturatore degli indifesi. Dal canto suo, Potter era piegato in due, il viso terreo tra le mani. Sembrava disorientato, come se si fosse svegliato solo in quel momento da un incubo orribile e fosse ancora indeciso se crederci o meno.

“Io … cosa … oh, mio Dio” mormorò, sconvolto, nel vederla a terra, ancora ansante, il polso gonfio. “Mio Dio, non volevo, io … Lestrange …” pronunciò il suo nome con una carica di disperazione tale che la fece rabbrividire.

“Non volevi” gracchiò invece, accovacciata sui talloni nel tentativo di rimettersi in piedi “Ma non vuol dire che tu non l’abbia fatto.”

“Ma cosa ti è saltato in testa? Dico, ma sei impazzito?” gli occhi fuori dalle orbite, Sirius stava ancora osservando i due ragazzi stravolti. Era una strana scena, in cui (ovviamente) mancava ancora un’attrice.

“Ros, sei qui? E’ un’ora che … un attimo” Dawn si bloccò, attonita, all’entrata dell’aula “Ma che succede?”

Ricapitolando:

Potter e Ros per terra, entrambi contorti, entrambi pallidi, entrambi con l’aria folle; in piedi, Black, con un’espressione sexy da sgombro stupefatto.

In quel momento, la Serpeverde si alzò, con il braccio rigido al petto. Furibonda.

“Chiedilo a quello lì.”

Dawn non aveva capito niente, ma una delle sue cinque regole d’oro recitava: insulta quotidianamente Potter; tu non sai perché, ma lui sì.

“Allora, pezzo di merda?” gli sibilò in faccia, mentre si raddrizzava, ancora pallido.

“Io …” aveva gli occhi infossati, rossi. “Lei mi ha insultato e io … ma non volevo!”

“Cosa hai fatto alla mia amica?” ululò Dawnrose, in tutto e per tutto una vera Malfoy inferocita. A quel punto, Black fece un passo avanti e si frappose con noncuranza tra i due.

“L’ha colpita” disse semplicemente. “Non credo intendesse farle del male.”

“L’ha colpita?” strillò la bionda, drizzandosi in tutta la sua statura. Sirius arretrò di un passo, finendo addosso al torturatore di inermi. “L’ha colpita!! Tu, lurida sozzura di humus maleodorante sotto il tacco sedici delle mie Manolo Blahnik, tu, schifoso Grifondoro, come hai osato??”

“Ehi, datti una calmata” le ingiunse Black. “D’accordo, ha sbagliato, però …”

“Però un cavolo! Ros, ti ha fatto molto male?”

La bruna si morse il labbro e scosse fieramente il capo. Ma i segni sul suo polso non potevano mentire.

Dawn impallidì ancora più del normale, traendo a sé l’amica. Lentamente, James si affiancò a Sirius, ridotto ad uno straccio. “Noi ce ne andiamo” ringhiò la Malfoy “Ma non finisce qui, hai capito Black? Lucius sarà contento di sapere cosa è successo.”

“No, pensaci, non voglio che …”

“NON ME NE FREGA NIENTE DI QUELLO CHE VUOI TU, BLACK!”

Dawn partì, ormai isterica, verso la porta, e Rosnake le trotterellò dietro, ma venne trattenuta per il braccio sano. Potter la fissava, supplichevole.

“Lestrange, io …” la voleva ai suoi piedi, come le altre, voleva il perdono. Lo guardò per qualche istante, la mascella forte, gli occhi allungati, la bella bocca.

Prese la sua decisione.

“Non dirlo mai. Non dire mi dispiace.”

Poi lo fece. Gli sputò su quella faccia da modello.

ab

Rosnake chiuse la porta senza eccessiva violenza, ma James sobbalzò comunque come se gli avessero sparato. Pallido e teso, si lasciò cadere su un banco, accarezzando in automatico la mandibola contratta. Sirius, ancora sconvolto, lo fissò per qualche istante prima di sedergli accanto.

“Me lo vuoi dire?” interloquì con dolcezza, dopo un attimo di silenzio. “Perché lo hai fatto, intendo.”

Il Cercatore affondò il viso tra le mani, le spalle oppresse da un peso invisibile, ma esistente. “Non lo so. Ti giuro, Siry, te lo giuro su tutto quello che vuoi. Lei era lì, era sola, debole, e … ho perso il controllo.”

“E’ stata una cosa molto grave, James.” Il bruno si rabbuiò, gli occhi serrati in una linea dura. “Non mi sorprenderei se Malfoy stesse già cercando qualche sgherro per farci a pezzi. Cristo, lo sai che sono stati insieme! Su di lei c’è scritto noli me tangere, okay?”

“Che venga” mormorò Potter “Che vengano tutti. Pagherò per quello che ho fatto, ma quei bastardi me li porto all’inferno, ci puoi giurare. Non mi importa del noli col tango.”

Saggiamente, Sirius decise che non era il caso di spiegare a James che si trattava di latino, e non di goblinese antico o qualcosa del genere. “Non ti capisco, però. Come ti è venuto in mente di aggredirla così? Una ragazzina che non farebbe male a una mosca!”

Il Grifondoro sospirò, lasciando che le immagini che fino a quel momento aveva tentato di escludere gli invadessero la mente. Rosnake che gli camminava davanti in Sala Grande, i fianchi minuti che oscillavano rapidi con i suoi passi. Braccia chiare e sottili strette tra le sue dita forti, di ragazzo. Lily sfigurata dal pianto, sei un bastardo, ma com’è possibile, animale, mandi in pezzi tutto quello che tocchi. Me, te, noi. Il lancinante fiotto di potere che l’aveva invaso nell’istante stesso in cui si era trovato lì, nell’aula vuota, con il fragile polso di lei stretto in una morsa. Avvertì un giramento di testa e si appoggiò al muro, svuotato.

“Mi ha sputato in faccia” commentò, in tono piatto.

“Ha fatto solo bene. Coraggiosa, la piccola.”

Vero. Coraggiosa e sincera. Io sono un vigliacco. Un verme. Malfoy ne vale dieci, di stronzi come me. Dieci. Dieci. Dieci. Dieci …

“Jamie, stai bene? Sei più bianco di Mirtilla Malcontenta.”

“Certo” in qualche modo, pescò parole rassicuranti nel deserto della propria bocca. “Sto benissimo, davvero. Tutto a posto.”

Sirius accarezzò i capelli dell’amico, senza riuscire a perdere del tutto l’espressione preoccupata. “Non accadrà mai più, vero? Promettimelo. Non scherzo.”

Un vigliacco. Dieci. Dieci. Dieci.

“Mai più. Lo giuro.”

Si avviarono insieme verso i dormitori, a prepararsi per la guerra.  

ab

Nauseata, Ros rifiutò la Burrobirra tiepida che Ian le offriva con la mano tesa. Non voleva che nulla attraversasse la linea delle sue labbra. Non voleva che nessuno combattesse per lei. Voleva solo essere lasciata in pace.

Come promesso, Dawnrose aveva convocato una solenne assemblea, e tutti i Serpeverde impegnati nella prime linee erano trincerati in un angolo, accanto al fuoco: Leyla abbandonata su una poltrona, Rod in piedi dietro di lei, le mani serrate sullo schienale, il giovane Nott seduto a terra, Lucius che misurava l’angolo a grandi passi, teso come la corda di un arco.

“Lo spezzo in due” ripeté per l’ennesima volta, un espressione truce dipinta sul viso.

“Basta” scattò Rabastan, infastidito “Ci serve un piano, non minacce campate in aria!”

“Ehi, mela!” commentò Ian nel silenzio generale. Nessuno si voltò neppure a guardarlo.

“Ros” disse dolcemente Lelly, notando che la cugina si era raggomitolata in posizione fetale. “Ros, come ti senti? Tutto bene?” Lei scosse la testa. Tutto quello scompiglio, quella rabbia, quella sete di vendetta la facevano sentire oppressa, impotente. Rodolphus le si sedette accanto, come quando erano piccoli e lei faceva un brutto sogno.

“Non preoccuparti, tesoro” la rassicurò “Pagherà per quello che ha fatto.”

“Lasciatelo a me!” supplicò per l’ennesima volta Dawn, la bacchetta sguainata.

“No” Rabastan pose la mano sulla spalla della propria migliore amica “Dev’essere un lavoro di squadra.”

Quale lavoro? Che squadra? Ros si massaggiò le tempie, confusa.

“Ehi, pera” fischiettò Ian.

Fu Lucius a prendere la parola, il viso divenuto una gelida maschera, priva di qualunque espressione. “Allora, penso che siamo tutti d’accordo. Attaccheremo stanotte.”

Attaccare?

“Sono con te” dichiarò subito Rodolphus, raddrizzandosi al massimo delle possibilità.

“Io no” sbottò Dawn “Attacchiamoli adesso!”

Solo allora, al sentire la concitazione delle voci, Ros trovò la forza di mettersi seduta. Fronteggiò gli amici con sguardo fermo, nonostante la stanchezza, nonostante il dolore.

“No.”

“Cosa no?”

“Ehi mela!” tentò Ian.

“Non attaccherete proprio nessuno, okay? Sono qui. Non mi ha mica uccisa.”

Quattro facce stupefatte la fissarono. Ian si stava infilando una matita nella narice sinistra.

“Ma stai scherzando?” sbraitò Leyla “Dopo quello che ti ha fatto?”

“Lo so. Non è stato corretto, ma sarebbe ancora peggio scatenare una sorta di faida, o come la volete chiamare voi! Non abbiamo bisogno di questo” aggiunse, in tono quasi di preghiera “Altri scontri. Altre sofferenze.”

“Snake, non ho intenzione di permettere al primo che passa di aggredirti” Rod prese la mano della sorellina, che però si divincolò subito.

“E io non ho intenzione di permettere che mio fratello si faccia invischiare in una cosa così stupida!”

“Stupida?” tuonò Dawn “Quel bastardo si accanito contro un’indifesa, non gli avevi fatto niente!”

“So anche questo. Io non voglio. Non voglio comportarmi come lui.”

A quel punto, Lucius fece un passo avanti e strinse Rosnake per le spalle. “Ros, non credo che tu capisca quanto è grave. E’ una dichiarazione di guerra aperta, Cristo!”

La ragazza cercò di sottrarsi alla sua presa, ma dovette cedere. “Solo se noi la cogliamo. Non voglio combattere, lo sai!”

“Ma Snake...”

“Ascolta, Lucius” il tono di Ros era cambiato, notò Dawnrose. Parlava con dolcezza, e a bassa voce, come se si stesse rivolgendo solo ed esclusivamente al ragazzo che le stava di fronte. “Ti prego, fallo per me. Accontentami, per favore. Lascia correre”.

“Ma...”

“Non voglio “ma” “. La bruna accostò il viso a quello di Lucius e premette la fronte contro la sua. Imbarazzati, gli altri diedero colpetti di tosse più o meno evidenti.

“Ehi, pera” canterellò Ian.

“Snake, te l’ho detto, io morirei per te!”

“Io voglio solo che tu eviti di doverlo fare.”

Come risvegliandosi da una trance, il Serpeverde fece un brusco passo indietro, staccandosi dalla ragazza, che gli sorrise, innocente.

“L’avete sentita, ragazzi” gracchiò Lucius “Seppelliamo le asce.”

 

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Capitolo 11
*** L'infinito potere di una porta ***


11

L’infinito potere di una porta

Rosnake non voleva che Joe MacMillan le portasse la borsa con i libri di aritmanzia, sebbene fosse tanto pesante da trascinarla verso terra a ogni passo. Non voleva che Joe accorciasse le proprie falcate per starle accanto, o che cercasse di tenere viva una conversazione a base di luoghi comuni. E, per la misericordia di Nostradamus, non voleva essere obbligata a conversare con lui sul tempo.

“Oddio, che sbadata” squittì, lasciando cadere la cartella, che si rovesciò spargendo ovunque boccette d’inchiostro, piume, pergamene, assorbenti (malediz!). “Oh, Joe, vai pure, io devo raccogliere questo macello. Accidenti ...”

“Non preoccuparti” la rassicurò quel miracolo di inopportunità vivente. “Ti do una mano, guarda ...”

“No!” esclamò Ros, decisamente troppo precipitosa. “No, cioè, dicevo, vai pure! Non è proprio il caso, sai, raggiungi i tuoi amici, ecco!”

“Beh, okay ...sei sicura che?”

“Sicurissima. A venerdì!”

Lo guardò allontanarsi con un senso di sollievo che le attraversò il corpo, facendole sentire quanto fosse stanca. I muscoli del collo si erano dimenticati come sostenere la testa, e la schiena ormai somigliava a un fascio di cordame impossibile da districare. Avvertiva una strana pulsazione ai polpacci, e la spalla sinistra, quando la ruotava, le provocava ancora qualche fastidio. Per un istante, rivide il volto livido di Potter, la sua espressione sconvolta, e si morse il labbro con tanta energia da avvertire il sapore del sangue.

Arrivata in sala comune, trovò Lucius addormentato sulla poltrona più vicina al fuoco, il libro di trasfigurazione aperto in grembo. Con un sospiro, Ros glielo sfilò dalle mani e lo pose sul tavolo, gli tolse le scarpe e gli appoggiò sulle gambe un golfino dimenticato da qualcheduno (Rabastan? Uno sconosciuto?) sulla sedia lì accanto. Lo guardò per un istante, un ragazzone di un metro e ottantacinque assopito come un bambino, la bocca semiaperta. Vedere Lucius, dopo quello che c’era stato tra loro, faceva nascere in lei vari sentimenti, non ultima una tenerezza quasi dolorosa. Gli soffiò un bacio sulla guancia e salì in dormitorio.

“Ciao” sbuffò Leyla, appollaiata sul letto con la piuma d’oca tra i denti. “Scusa se non siamo venute a prenderti, ma Dawn dev’essere ancora da qualche parte nel parco, a congelarsi le chiappe ... oh, dannazione” una piccola macchia d’inchiostro si stava allargando al margine del foglio, a coprire le ultime parole frettolosamente scarabocchiate. La bionda imprecò.

“Non fa niente, figurati” replicò Ros, sarcastica “mi avete solo abbandonato alla mercé di Joe Acne Macmillan ...”

“Non mi dire!” rise Lelly, glaciale come al solito “Ancora non si è rassegnato?”

“Direi di no. Bah, senti, io vado a farmi un bagno.”

“Brava” disse distrattamente l’altra, alle prese con la cancellazione magica delle varie patacche sulla pergamena. “Se quell’essere ti ha toccato, in effetti ...”

“Dai, scema!” ridacchiò la bruna, mettendo in una borsa accappatoio, ciabatte e il suo preziosissimo (indispensabile, in effetti) shampoo districante “per ricci domati senza fare un sol capriccio”. “Allora, magari raggiungimi con Dawn, quando arriva, io lascio aperto così potete entrare. Mi aveva promesso che mi faceva i capelli, ora che ci penso.”

“Ne hai un gran bisogno, tesoro.” Wow. Grazie.

“A dopo, allora.” La baciò frettolosamente. “Salutami la simpatia, eh”.

Il cuscino la prese in pieno sulla nuca mentre correva verso le scale.

 

ab

Dawnrose si alzò dalla sponda del lago.

Era una bella giornata, nonostante fosse novembre inoltrato. Il sole illuminava il prato e faceva scintillare l’acqua del lago di riflessi argentati, ma non scaldava. La ragazza si strinse nel maglione nero con ricamato sopra lo stemma verde e argento di Serpeverde, rabbrividendo. Non c’era quasi nessuno nel giardino. Rosnake era a lezione di aritmanzia, Leyla si stava portando avanti con i compiti in sala comune e i ragazzi avevano organizzato un torneo di scacchi, decretando che il tempo non era abbastanza bello per uscire. Lei però non aveva voglia di passare tutta la giornata chiusa nel castello, e poi le faceva piacere, in fondo, avere qualche momento tutto per lei. Amava i suoi amici, ma dentro era una persona solitaria, e certe volte sentiva il bisogno di scappare dalla confusione generale e ritagliarsi qualche momento tutto per lei. Ma cominciava a fare troppo freddo, ed aveva promesso a Leyla di tornare presto. Mentre si incamminava verso il portone di quercia semiaperto, però, una voce la costrinse a fermarsi. “Malfoy!”

Per un istante si chiese se fosse rivolto a lei o ai suoi fratelli, ma erano entrambi in Sala Comune. La ragazza si voltò. Qualche metro più indietro c’era Sirius Black. Dawnrose si fermò, mentre il  ragazzo affrettava il passo per raggiungerla. Era molto strano che un Grifondoro, e per di più amico di Potter, la chiamasse in mezzo al giardino.

“Ciao.” Le sorrise Sirius, arrivandole accanto. Dawn fissò il ragazzo per qualche attimo, chiedendosi come una persona del genere potesse avere amici come Potter... Sirius era così... così...

Decise che era meglio rispondere e non rimanere lì a guardarlo. Avrebbe voluto dire “Dimmi cosa vuoi e poi vattene con i tuoi stupidi amici!”, ma tutto quello che le uscì fu: “Ehm... ciao.”

Il ragazzo sorrise di nuovo e cominciò a camminare lentamente verso il castello. Dawn si affrettò a seguirlo. “Che ci fai qui da sola?” chiese lui, voltandosi a guardarla.

“Potrei chiederti lo stesso...” rispose la ragazza, e stavolta fu lei a sorridere.

Sirius ricambiò. “Beh... a volte ho voglia di starmene un po’ per conto mio... E, detto fra noi, certe volte James è davvero insopportabile.” Il suo tono era leggero, ma Dawn capì che ammettere quello davanti a una Serpeverde doveva essere abbastanza difficile. “E tu?”

La ragazza rimase un attimo in silenzio. “Lo stesso per me. Beh, a parte James, naturalmente.” Gli sorrise. “Certe volte mi va di stare da sola.” Si chiese perché stesse dicendo tutto questo a Sirius Black, e si disse che non ne aveva idea.

“Esatto, anche a me.” Sembrava quasi sorpreso di aver qualcosa in comune con lei.

Ormai erano arrivati davanti al portone. Entrarono, continuando a parlare, e Dawn notò un gruppetto di Grifondoro del terzo anno che li guardava male. E in quel momento si rese conto dell’assurdità della situazione: stava camminando accanto a Sirius Black e stava anche avendo una conversazione mediamente intelligente con lui. Quando arrivarono davanti alle scale la ragazza si fermò, ma Sirius non accennò minimamente ad andarsene. “Non vai in Sala Comune?” gli chiese di getto. Non che volesse non stare più con lui, ma era comunque curiosa.

Sirius sorrise, un sorriso così luminoso che Dawn sentì un gruppetto di dodicenni accanto a lei trattenere il respiro. “No, ti accompagno.” rispose, tranquillo.

La ragazza sentì come se dell’elettricità statica le stesse passando attraverso il corpo. “D’accordo.” Fu tutto quello che le uscì dalla bocca. C’era un’atmosfera quasi irreale, mentre i due scendevano le scale dirette ai dormitori di Serpeverde. Era come se si muovessero dentro un sogno. Parlando, i due arrivarono troppo presto davanti alla porta col serpente. E Dawnrose si rese conto che non aveva la minima voglia di pronunciare la parola d’ordine e andarsene. Perché farlo, in fondo? E poi, non stava facendo proprio niente di male: parlava con un suo compagno in un corridoio. “Sì, magari fosse così semplice.” Le disse quella fastidiosa vocina che, ultimamente, la veniva a trovare sempre più spesso. “Cosa ti direbbero gli amici se ti vedessero chiacchierare amabilmente con un Grifondoro amico di Potter? Dopo quello che è appena successo, poi.” In quel preciso istante la ragazza sentì qualcuno che, nella Sala Comune, stava venendo verso la porta. Meglio rientrare.

Si rivolse a Sirius. “Vado, Black. Ah, e sappi che se quell’idiota di Potter osa anche solo fissare troppo a lungo Rosnake o chiunque altro di noi non ci sarà nessuna indulgenza. Andrò personalmente a spaccargli la faccia. Intesi?” Il ragazzo la fissava a metà tra il sorpreso e il divertito.

“Ciao ciao.” E, con un sorriso, Dawnrose sparì nella Sala, sventagliando all’indietro i lunghi capelli biondi.

Sirius rimase qualche istante a fissare la porta chiusa, poi si voltò e tornò verso il suo dormitorio, senza accorgersi che stava ancora sorridendo.

Dawn entrò nella Sala Comune. Faceva decisamente più caldo che in corridoio, ma la ragazza si accorse che aveva più freddo di quando parlava con Sirius. Non fece in tempo a soffermarsi su questi pensieri: era Rabastan il ragazzo che aveva sentito avvicinarsi.

“Ehi! Ma dov’eri? Leyla ti sta aspettando da un quarto d’ora abbondante... e sta un po’ sclerando.” L’amico la fissava con seria apprensione, e a Dawn venne da ridere. Ma si trattenne.

“Ve l’ho detto, ero al lago.” “A parlare con Sirius!” le fece notare la vocina. E allora? Glielo doveva dire? No. Inoltre, non erano affari di Rabastan.

Il ragazzo la fissò intensamente. “Solo? Mi è sembrato di sentirti parlare con qualcuno prima...” Gli occhi verdi di Rabastan la squadravano. Si sentiva sotto interrogatorio.

“Sì, è vero. Stavo parlando con Sirius. Problemi?” Dillo, Dawn. Dillo. Dillo! “No, non stavo parlando con nessuno. Avrai sentito male.” Non voleva iniziare a mentire al suo migliore amico di una vita, ma allo stesso tempo voleva tenere per sé tutto quello. Rab la fissò ancora per qualche istante, e lei sostenne il suo sguardo, saldamente. Alla fine il ragazzo si voltò e cominciò ad andare verso le poltrone. “D’accordo. Andiamo, dai.” Fu tutto quello che disse.

Appena la vide, Leyla scattò in piedi, gli occhi fiammeggianti. “Dawnrose, ma dov’eri?!” La sorella non le lasciò neanche il tempo di rispondere. “È già passata Ros a dirmi di raggiungerla al bagno dei prefetti... Meno male che la dovevamo andare a prendere ad aritmanzia!”

Dawn spalancò gli occhi: possibile che fosse così tardi? Lanciò un’occhiata all’orologio. Eh sì. Si era fermata a parlare un po’ troppo. Si rivolse alla sorella. “Dai Lelly, per una volta che sono arrivata in ritardo puoi anche chiudere un occhio...” sorrise, sperando di chiuderla lì.

Fortunatamente per lei, Leyla doveva essere molto stanca, e lasciò cadere la cosa. “Vabè, dai... muoviti, andiamo da Ros!” sbottò, con un gesto della mano.

Dawn sparì su per le scale. “Arrivo subito.”

Il dormitorio era vuoto. La ragazza entrò in bagno, spazzolandosi i capelli. Fissò per qualche istante il suo riflesso nello specchio. Spesso non capiva perché ci fossero così tanti ragazzi che la trovavano bella. Sì, certo, bella lo era, ma non capiva perché, ad esempio, non guardassero di più Rosnake. Aveva sempre trovato così bella la sua amica, “Una bellezza in miniatura” come diceva sempre Ariadne Lestrange, così diversa da lei. Quei suoi capelli neri, quella faccia così innocente e quel suo sorriso che scaldava direttamente il cuore la rendeva, agli occhi della giovane Malfoy, bellissima. E anche Leyla era bellissima secondo lei. Mentre Dawn era troppo (troppo alta, troppo bionda, troppo pallida), Leyla era perfettamente equilibrata: era più alta di Ros e più bassa di Dawn, aveva dei perfetti boccoli dorati e la pelle un po’ più colorita di quella della sorella. Sospirò, allontanandosi dallo specchio e lanciando un’occhiata fuori dalla finestra. Sirius stava studiando assieme a Remus sotto la vecchia quercia. Si fermò qualche istante ad osservarli. Si chiese se anche Sirius avesse tenuto per sé il loro incontro o se ne stesse parlando con l’amico. “Ma perché diavolo stai dando così tanto peso a questa cosa?” le chiese la vocina. Non seppe rispondere. Forse era per il sorriso di Sirius, o per i suoi occhi così neri che...

“DAWNROSE!!” La voce di Leyla non era per niente rassicurante. Dawn si lanciò giù per le scale, pensando che, quel giorno, ne stavano succedendo parecchie, di cose strane. Solo che non pensava che la più bizzarra dovesse ancora accadere.

ab

La porta del bagno dei prefetti era in lucido legno scuro, con una piastrina intagliata che recitava “vietato l’accesso agli studenti non autorizzati”. A quelli senza agganci, piuttosto. La parola d’ordine per entrare in quel bagno era utilizzata con preziosa merce di scambio da tre quarti di Hogwarts.

In effetti, quella stanza non aveva nulla in comune con gli ordinari servizi degli studenti. Era di dimensioni notevoli, e una gigantesca vasca interrata troneggiava al centro, tra le colonne. La cosa migliore, però, erano le centinaia di rubinetti dorati, ognuno dei quali emetteva un bagnoschiuma diverso, alcuni dei quali davvero assurdi. Il preferito di Ros produceva enormi bolle rosa fucsia impossibili da affondare e di consistenza collosa, che fluttuavano sulla superficie dell’acqua.

Pregustando la sensazione dell’acqua calda sulla pelle, la ragazza mormorò “Acquazzurra!” e spinse la soglia con la spalla, entrando a ritroso. Solo che andò a sbattere contro qualcosa. Qualcosa di solido. Qualcosa di umano.

“Ah!” strillò, sorpresa, girandosi. Così facendo, urtò la porta, che si chiuse saldamente alle sue spalle. Mio dio. Mio dio, no. Silurare Macmillan era un mio diritto. Non ho fatto nulla di male. Ma perché, perché?

“Bella mossa, bella mossa davvero” l’aggredì James Potter, che stava ritto di fronte a lei, umido e privo di qualunque indumento, ad eccezione di un asciugamano striminzito che gli ricopriva le cosiddette pudenda. Per un attimo, fu certa di essere precipitata in un incubo, e soppresse il desiderio di darsi un pizzicotto. Quell’essere spregevole pareva perfettamente a suo agio, ma la collera gli imporporava le orecchie e la fronte. 

 “Tu ... io ... no ... torno d-dopo” balbettò Ros, sul punto di morire lì, soffocata dalla vergogna. Aveva fissato gli occhi sul punto che le pareva meno sconveniente, cioè l’incavo del collo del ragazzo, là dove la pelle rosata si tendeva sulla fossetta delle clavicole. Appoggiato in quel punto esatto, c’era un piccolo ciondolo di legno, attaccato a una stringa di cuoio. Il contrasto tra il color carne e il bruno le si impresse negli occhi, e le rimase davanti, come un monito, mentre tentava di aprire la porta e di uscire fuori, nel mondo civile, dove la gente era asciutta e vestita. Solo che- se ne rese conto con un’ondata di puro orrore- quella stramaledetta porta rifiutava di obbedire.

“Ma che brava” Potter sollevò un sopracciglio “Hai vinto la bambolina.”

“E’ ...” balbettò Ros, incoerente “E’ ...incastrata?” No, ti prego, ti supplico, no. Non puoi farmi questo. Non chiusa in bagno con un Grifondoro nudo. Queste cose non succedono, non nella vita reale.

“Ottimo, Lestrange” sputò il Cercatore fuori dai denti. “A quanto pare, si apre solo dall’esterno. E tu, stupida ragazzina, hai appena bruciato una possibilità di tirarci fuori di qui.”

“Ma ... la bacchetta ...” gemette la Serpeverde. “Non puoi ... non sai?”

“Se mi fossi portato dietro la bacchetta, credi che sarei ancora qui?”

“Io ce ...” no, no, no! “Non ce l’ho!”

“Ecco, mi pareva. Inutile fino al midollo, eh?” Potter era senza occhiali, e per la prima volta Rosnake fu sottoposta allo sguardo diretto dei suoi occhi nocciola. Si sentiva nuda, come se fosse stata lei quella appena uscita dalla vasca da bagno.

“Ma chi ti credi di essere, scusa?” ringhiò, stringendosi le braccia al busto. “Non sono io che ho rotto la porta!”

“Sì, perché adesso è colpa mia se siamo chiusi qui, eh?” la rabbia storse per un attimo i tratti del Grifondoro, e Ros sentì un fulmine di dolore attraversarle il braccio sinistro.

“Beh, mi sembra che tu sia famoso per distruggere le cose.” Disse, le labbra serrate. Per la prima volta in dieci minuti, James  apparve veramente colpito. Un’ombra gli oscurò il viso, mentre il suo sguardo corse all’avambraccio di lei, piegato contro il petto. La carnagione scura di Ros era priva di pecche, macchie o lentiggini, e quel polso talmente sottile. Come aveva potuto accanirsi così, torcerlo tra le dita, fino a sentire il dolore che gli scorreva lungo le vene? Come aveva potuto piegare un corpo così fine e fragile? Aveva la nausea.

Improvvisamente, il Cercatore si sedette sul porta asciugamani lì a fianco e prese la testa fra le mani.

“Okay, basta” sospirò “Pensiamo piuttosto a come tirarci fuori da questa situazione”.

“Idee?” chiese Ros, amara. Si appoggiò al muro e incrociò le braccia dietro la schiena. “No, perché io la vedo un po’ buia.”

“Beh, e allora cosa dovremmo fare? Stare qui a fissarci? Non è che crepi dalla voglia di sprecare un pomeriggio a litigare con te.”

“Perché, pensi che io sia felice di condividere uno spazio ristretto con te?”

“Certo” James si alzò pigramente, stiracchiandosi con una certa intenzione “Dai, chi non vorrebbe essere bloccata in bagno con un simile ben di dio?” Ha ragione, ha ragione, ha ragione. A differenza di Lucius, che era molto alto e aveva le spalle ampie tipiche dei Malfoy, Potter era di statura media e snello, il tipico fisico da Cercatore. Aveva lunghe gambe adatte alla corsa, con i polpacci muscolosi e cosce nervose, lo stomaco piatto, gli addominali in rilievo, come disegnati in un modello teorico del colpo umano. I pettorali perfettamente definiti le si stagliavano davanti agli occhi, un buon elemento di distrazione.

“Forse è ora di scendere dal piedistallo, ragazzino” sbottò, sperando di non arrossire. “In effetti, forse è proprio ora di rivestirsi.”

Erano di nuovo ritti uno di fronte all’altra, in tensione. Ros avrebbe potuto allungare una mano e sfiorare quell’ombelico perfetto. O far scattare la testa e tirargli una capocciata nel sopracciglio, a scelta. “Ma dai” la sfotté lui, beffardo “Scommetto che nemmeno Lucilla può vantare un fisichino del genere. Tu dovresti saperlo, no?”

“Perché, Potter, ti rode essere sempre l’unico verginello?”

Lui si chinò su di lei, incombente, fastidiosamente vicino. Gli sentì addosso l’odore del bagnoschiuma, misto a dopobarba, lo stesso di Ian, le parve. “Ascolta un po’, puttanella saccente ...”

“Oh, sì, sentiamo, chissà che per una volta non ti esca qualcosa di comprensibile, anziché i soliti grugniti!” Lui l’afferrò per la spalla, la sinistra, e una fitta le percorse il braccio.

“Ma che ti credi di fare, scusa?” In un moto di stizza, Ros allungò il braccio destro e spinse via il ragazzo, appoggiandogli la mano aperta sul petto. Maledizione, non si era sbagliata. La sua pelle era davvero morbida come sembrava alla vista. Sentì il suo corpo scaldarsi nel punto in cui lo toccò.

“Lestrange, io ...”

Non seppe mai io cosa. Proprio in quel momento, infatti, sentì qualcosa scattare dietro di lei, e la luce penetrò da ogni parte: qualcuno doveva aver aperto la porta. 

ab

 

 

Le due sorelle Malfoy camminavano verso il bagno dei prefetti, chiacchierando del più e del meno. In quel momento l’argomento di conversazione era Rosnake.

“Almeno c’è lei che si mantiene normale...” stava dicendo Leyla “Io con i M.A.G.O. sto impazzendo... hanno già cominciato a stressarci!”

Dawn annuì. “Sì, davvero! Io, grazie al cielo, ho appena finito la punizione... se non ci fosse lei, che almeno è sempre tranquilla...” Dicendo questo, la ragazza aprì la porta del bagno dei Prefetti. Ma non vide ASSOLUTAMENTE quello che si aspettava. Sentì Leyla lanciare un urlo, ma molto, molto lontano. La sorella le piantò le unghie nel braccio, pallida come un fantasma. Dal canto suo, Dawn non voleva credere a quello che aveva davanti agli occhi.

Il Bagno dei Prefetti era, da sempre, una stanza molto bella. Marmo bianco ovunque, alte ed eleganti colonne con profili di bronzo tutt’intorno e, al centro, un’enorme vasca immacolata piena d’acqua fumante e schiuma. Nonostante fosse riservata ai Prefetti, ai Caposcuola e ai Capitani di Quidditch, spesso Leyla e Ros avevano fatto entrare anche Dawn di straforo. Peccato che, in quel momento, la tranquillità della stanza fosse totalmente rovinata dalle due persone che stavano davanti alle sorelle Malfoy, tra la vasca e la porta. Una delle due era Rosnake. Rosnake con addosso la divisa, i ricci neri che le scendevano liberi fin sotto la vita, una mano sul petto dell’altra persona. L’altra persona era James Potter. Il Grifondoro teneva Ros per una spalla ma, cosa più orripilante dell’intera scenetta, era completamente nudo. Lo striminzito asciugamano bagnato che aveva appoggiato sui fianchi cadde proprio in quel momento, mentre Dawnrose aprì la porta.

Per qualche istante tutti rimasero immobili. Potter e Ros scioccati, ancora le mani uno sull’altro; Leyla e Dawn orripilate e sconvolte. La prima a riprendersi fu la giovane Lestrange, che saltò lontano parecchi metri dal ragazzo, e cercò di balbettare qualcosa tipo: “Ragazze, non saltate... conclusioni affrettate... non pensate... come sembra... io... lui...” prima che le si seccasse la gola e le parole le morissero in bocca.

In quello stesso istante si riscosse anche Dawn, che era rimasta immobile, le unghie di Leyla piantate ancora nella carne. La ragazza gridò, saltò all’indietro e sbatté la porta con tutta la forza che aveva. Poi si mise a correre, Leyla attaccata al suo braccio. Corse più veloce che poté, gli occhi sbarrati, la mente piena di immagini che non avrebbe voluto vedere. Come se qualcuno la inseguisse con un accendino.

Leyla gridò in tutta fretta la parola d’ordine e la porta della Sala Comune si aprì un attimo prima che Dawn vi si spiaccicasse contro. Le due sorelle si precipitarono in mezzo alla Sala e su per le scale, fino al dormitorio. Finalmente Leyla staccò la mano dal braccio della sorella, che si chiese se sarebbe mai più riuscita a muoverlo. Dawn si chiuse con uno schianto la porta alle spalle, mentre Leyla, con un gridolino isterico, si lanciò sul suo letto. Cominciò subito a prendere furiosamente a pugni il cuscino, urlando cose per la maggior parte senza senso e senza nessi logici: “Io... lei... quell’essere... come... come hanno... potuto?? Proprio Ros... e lui... loro... insomma... COME?!?” Il resto fu solo un bisbiglio sconvolto.

Dawnrose si mise a camminare su e giù per la stanza. Infine si fermò davanti alla finestra, fissando l’orizzonte. “Calma, Leyla. Ci dev’essere per forza una spiegazione. Rosnake non può essere impazzita di colpo.” “O forse sì?” “Sicuramente è colpa di quello stronzo pervertito di Potter. Non gli è bastato quasi romperle il polso, a quel bastardo. Ma stavolta lo faremo pentire di aver messo le mani addosso a Ros.” Sentenziò la ragazza. Cercò in tutti i modi di scacciare quell’orribile immagine, ma riaffiorava continuamente. Orrore.

Leyla parve calmarsi un po’. Sospirò. “Bene. Dawn, sento che io... sto per...” Roteò gli occhi. “... svenire.” E, con un flebile lamento, si accasciò sul letto.

Dawn guardò distrattamente il corpo della sorella accasciasi, poi riprese a fissare fuori. Sirius era di nuovo fuori, stavolta da solo, seduto sulle rive del lago. Probabilmente era stato tutto un sogno, si disse la Serpeverde. Sì, era così. Doveva essere così. Anche perché, in quel caso, tutto avrebbe avuto più senso: la sua chiacchierata con Sirius, il Bagno dei Prefetti... Quello di cui aveva bisogno era un pizzicotto. Si sollevò la manica della camicia, e scoprì una macchia di sangue sul braccio. Le unghie di Leyla erano maledettamente affilate. Altro che pizzicotto.

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