Fall for you;;

di likeasong
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Everything is moving so fast and you can't stop it. ***
Capitolo 2: *** It’s a new day. ***
Capitolo 3: *** Good boys go bad. ***
Capitolo 4: *** I’m gonna getcha good. ***
Capitolo 5: *** Past is coming back. ***



Capitolo 1
*** Everything is moving so fast and you can't stop it. ***



Salve a tutti,
mi chiamo Dalma. Ho 16 anni bla bla bla
Questa long ha come rating giallo perchè potrebbero esserci alcune parolacce sparse qua e là e qualche riferimento all' alcool, al sesso e alla droga.
Purtroppo non potrò aggiornare troppo spesso, una volta a settimana se tutto va bene, causa scuola e altri impegni.
Beh, buona lettura. ;D
Hope you like it.
Questo scritto non è a fini di lucro e i Jonas Brothers non mi appartengono (chissà). Tutti gli altri personaggi sono di mia invenzione, quindi mi appartengono. =D
Capitolo 1.
Everything is moving so fast and  you can’t stop it.
Can you feel it now?
These walls that they put up
To hold us back
Will fall down
It's a revolution
The time will come for us to finally win
We'll sing hallelujah
We'll sing hallelujah, oh
Taylor Swift - Change
Ventotto. Ventotto anni della sua vita che stavano esplodendo nel petto. Ventotto anni sprecati per aver fatto sempre ciò che voleva sua madre. Ventotto anni buttati nel cesso.
Lily passeggiava sul tetto di quel grattacielo, senza saper neppure bene come si era ritrovata lì, con una sigaretta tra l’indice e il medio. Aveva smesso di fumare da un paio d’anni, ma si sa, una persona non perde mai del tutto il vizio, rimane intaccato nel profondo delle nostre anime nell’attesa di ricomparire nel momento opportuno. Questo era il momento. Era crollata di nuovo in una delle sue crisi paranoiche. Lily aveva tutto dalla vita, ma chi ha tutto si lamenta lo stesso perché vorrebbe avere di più di quello che ha.
Il rumore dei tacchi riempiva il silenzio assordante che c’era a quell’altezza: era quasi impossibile immaginare che a qualche centinaio di metri da lì, il caos assordante del traffico di New York delle sei e mezza avrebbe fatto tappare le orecchie addirittura ad un sordo.
Si appoggiò al muro, buttò quel che restava della sigaretta a terra e la schiacciò con il piede. Rimase a fissare l’orizzonte, coperto da qualche grattacielo, ancora per qualche minuto e poi si ridestò.
Passò una mano sulla giacca beige per togliere l’eventuale polvere che si era andata a posare, risistemò la seria acconciatura e si diresse decisa verso la porticina che portava all’ultimo piano.
Il suo passo risuonava deciso nel corridoio infinito che portava alla porta del suo capo. Bussò e senza attendere risposta entrò.
-Buonasera, mi aveva fatto chiamare?- chiese Lily, puntando uno sguardo all’uomo che osservava oltre la finestra. La sua sagoma scura in controluce, con quelle spalle larghe e una mole tutt’altro che piccola, avrebbero messo inquietudine a chiunque ci avesse gettato anche solo uno sguardo, ma non a lei. Conosceva quell’uomo da quando era nata e, grazie all’amicizia con la madre, le aveva procurato quel posto nella redazione della sua rivista scandalistica. Non aveva neppure frequentato il college, una delle cose che rimpiangeva di più. Il suo sogno, Yale, era stato infranto dalla madre dopo il diploma, dato che non voleva che la figlia perdesse tempo sui libri, quando poteva mettere in pratica subito il suo talento. Talento, secondo lei, sprecato a cercare di raccontare gli errori e gli amori di attori famosi che tutti ricordavano più per gli scandali che per i film.
-Sì, Lily, circa 20 minuti fa.- decretò girandosi verso di lei.
-Stavo lavorando, signor Howard.- rispose in tono di scuse, ma tutti e due sapevano che non era realmente così. Se fosse stato per Lily avrebbe dato le sue dimissioni già da un pezzo, ma sua madre era una costante nella sua vita. Inoltre, odiava il modo in cui il suo capo si rivolgeva a lei in quel tono poco formale, come se volesse cercare un approccio più profondo; tuttavia, lei cercava di mantenere le distanze continuando ad usare un tono formale.
-Volevo darti un nuovo compito.- incominciò, facendole cenno di accomodarsi di fronte all’immenso tavolo coperto da vecchi premi al merito e sue foto con personaggi famosi, -qualcosa di più difficile rispetto alle altre volte.- continuò con aria misteriosa, sedendosi sul bordo del tavolo, proprio di fianco a dove si trovava lei.
Il signor Howard era sempre stato uno sciupa femmine e Lily, in quel momento, capiva come mai molte donne cadevano ai suoi piedi: la sua voce, quel suo sguardo, sapevano incantarti e persuaderti fino a portarti in un abisso profondo, tecnica indispensabile, diceva, per chi vuole fare un lavoro come il suo. Probabilmente, tra quelle donne c’era stata anche sua madre e al solo pensiero un rivolo di disgusto gli pervase lo stomaco.
Lily accavallò le gambe, stirandosi con le mani la gonna e tornando a concentrarsi sul suo capo: -Di che si tratta?- domandò con aria seccata. Odiava i giri di parole, le persone dovevano arrivare dritte al punto.
-Conosci un certo Joe Jonas?- chiese con un sorrisino sarcastico.
-Spero stia scherzando?- sbottò Lily –Io non farò nessun servizio su di lui. Non merita alcun riguardo. Ricco, legato ancora alla mamma e verginello.-
L’uomo aspettò che finisse di parlare e continuò: -No, voglio che tu faccia di meglio. Vediamo se riesci a trovare qualche particolare di lui che nessuno sa, in modo tale da rovinarlo.-
-Qualcosa che nessuno sa? La sua fedina penale sembra la Bibbia, la sua vita non ha un minimo di mondanità e le ragazze scarseggiano. Cosa dovrei trovarci di scandaloso?-
Howard si avvicinò e sussurrò: -Cerca qualcosa, qualsiasi cosa. Inventa se necessario, ma dobbiamo rovinarlo.-
Lily alzò un sopracciglio, chiaramente confusa: -E il motivo sarebbe.. ?-
-Lui e i suo fratelli stanno rovinando l’immagine delle star: alchool, sesso e droga è quello che cerchiamo. Non inni alla purezza. Continuando a comportarsi così, gli affari scarseggiano. Chi comprerebbe un giornale che parla di Chiesa, amore e famiglia? Nessuno. Quindi, Lily, diamoci da fare e indaga.- sentenziò sedendosi sulla sua sedia, dall’altra parte del tavolo. –Ti do un mese di tempo.-
E con questo le fece segno di andarsene.
Lily prese la borsa da terra, si avviò verso l’uscita e mentre attendeva che le porte dell’ascensore si aprissero cercò di trovare una soluzione per quell’articolo.
-Al diavolo..- sbottò, tirando un pugno al segnale luminoso che indicava che l’ascensore era ancora occupato.
Quando finalmente riuscì ad uscire da quel grattacielo, si avviò lungo le vie illuminate della Grande Mela, cercando di non fare caso alle luminarie di Natale che già incombevano sulla città. Un mese, un mese. Come faceva a trovare qualcosa di scandaloso su quel ragazzo nel giro di un mese? E per completare il tutto, tra un mese era addirittura Natale. Si strinse nella sciarpa e allungò il passo, il freddo ormai era diventato pungente. Pochi minuti dopo, entrò in quello che era considerato l’albergo più lussuoso della città, ovvero il luogo dove risiedeva la sua cara mamma, dato che si rifiutava di andare a vivere in una casa di riposo nonostante i suoi sessantacinque anni suonati. Salutò con un cenno il portiere e si diresse nuovamente verso un altro ascensore. Rimpiangeva di non essere tornata nella sua casa, un bilocale anonimo ai bordi dell’Upper East Side, ignorando le cinque chiamate senza risposta della madre che aveva ricevuto nell’arco di una sola mezz’ora.
Bussò alla sua camera, o per meglio dire suite, e attese risposta.
Quando, dopo pochi secondi, quel volto noto le aprì la porta, si precipitò dentro senza neanche salutare: -Allora? Cosa succede? Perché mi hai chiamato?-
-Lily, calma. Togliti il cappotto e sediamoci un attimo, volevo fare due chiacchiere con te.- rispose lei calma, utilizzando al minimo il movimento delle labbra, colpa del botulino utilizzando da quando aveva raggiunto l’era degli anta.
-Due chiacchiere? Solo quello? Io avrei fatto tutto di corsa per parlare con te? E’ proprio l’ultima cosa che voglio fare. Allora, se permetti, me ne torno a casa mia.- esclamò la figlia.
-Cara, aspetta. Volevo parlarti del tuo futuro in quella redazione.-
-Del mio futuro? Tu ti permetti di dire una cosa simile? Non ti sei resa conto che da quando sono nata hai programmato la mia vita fino alla morte? Cosa vuoi che ti dica? Grazie? Bene, grazie per avermi rovinato la vita.- e così dicendo corse fuori e sbatté la porta, facendo sobbalzare alcuni vasi in porcellana che se ne stavano sistemati su delle mensole all’ingresso.
Mary Brown, vedova dell’ultimo marito ma ricca fino alla testa grazie ai profitti dei suoi ultimi divorzi, si appoggiò al bancone della sua cucina e con una solo sorso buttò giù un bicchiere di scotch con ghiaccio. Non era la prima volta che accadeva una scena del genere, decise che per quella sera avrebbe lasciato, di nuovo, correre il comportamento dell’unica figlia, probabilmente colpa dello stress da lavoro, e si sarebbe dedicata alla riunione con il suo club di finanza, uno dei tanti a cui faceva parte, ma di cui non ricordava neppure i soci.

Sentire il profumo della propria casa è sempre rilassante dopo una lunga giornata di lavoro, come lo fu per Lily nel momento esatto che fece scattare la serratura.
Posò le chiavi su un mobiletto, sciolse i capelli e guardò la sua immagine riflessa nella specchio. Non poteva dire di essere brutta, anzi tutt’altro, ed era quella tipica donna che tutti vorrebbero avere al proprio fianco: capelli color mogano leggermente mossi le ricadevano sulle spalle; la prima cosa che notavi della sua faccia erano gli occhi di un verde accesso e dopo ti ritrovavi a fissare un volto che forse non doveva appartenere a ques’epoca, ma a quelle più antiche; il suo colorito era pallido e per questo detestava l’estate, stagione in cui tutti si abbronzano fino a bruciarsi; inoltre, non solo appariva bella fisicamente, era ambiziosa, carismatica e avrebbe fatto di tutto per chi amava. Perfetta, cos’altro dire? Invece, come tutte le persone normali, aveva anche lei dei difetti: odiava il suo razionalismo, ragion per cui pensava sempre con la testa e mai con il cuore; non vedeva davanti a sé alcun futuro positivo, dato che la madre glielo aveva programmato e lei aveva perso tutte le speranze di essere qualcun altro, a partire dal fatto che non aveva neppure frequentato un college; e aveva perso tutte la fiducia che aveva riposto nell’amore eterno, dopo essere stata delusa un paio di volte.
Appese il cappotto e si distese sul divano dopo essersi fatta una tisana. Aveva decisamente bisogno di rilassarsi. Accese la tv e fece zapping su alcuni canali, ma trovo le solite banalità da prima serata. Quando, un programma colse la sua attenzione: una foto di un ragazzo moro, la stessa che le aveva mostrato il suo capo quel giorno, e una scritta sotto “No more Jonas?
Decisamente un buon spunto per cominciare la sua ricerca.

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Capitolo 2
*** It’s a new day. ***


Prima di tutto volevo ringraziare chi ha commentato questa storia, chi l'ha solo letta, chi l'ha messa tra i preferiti o tra le seguite.
@Maggie_Lullaby Grazie mille, anche se breve mi fa davvero piacere il tuo commento! Non ti devi scusare. =D
@abigailw13 Grazie davvero tantissimo! Mi davvero piacere il tuo commento! *_* Adoro come scrivi, quindi vederti leggere la mia storia è davvero fantastico. ;D

Capitolo 2
It’s a new day.
Walking through life unnoticed
Knowing that no one cares
Too consumed in their masquerade
No one sees her there
And still she sings
Everything burns – Anastacia feat. Ben Moody
Il sole era alto su New York City, la città si era svegliata e iniziavano i preparativi per un altro fervido giorno. Lily camminava senza guardare verso quella che si prospettava un’altra disastrosa giornata sul lavoro, alla ricerca di qualche notizia su un cantante che neppure le importava. Schivava le varie persone, cercando in contemporanea di bere il suo caffè di Starbucks e tenere nell’altra mano il telefono. Chi poteva essere al telefono se non sua madre? Perché era la solita storia che si ripeteva da anni: Lily si arrabbiava, Mary lasciava passare una notte e la mattina richiamava per dirle che le dispiaceva, anche se tutto sommato le cose non stavano davvero così. Ma la paura di perdere la sua unica figlia era troppo forte per giocare con il rischio.
-Sì, mamma. Va bene, dispiace anche a me per come mi sono comportata. Non volevo ferirti. Ci sentiamo.- chiuse il telefono, riponendolo nella borsa, e sbuffò.

-Dobbiamo restare in studio di registrazione tutto il giorno e stasera c’è un’intervista per la televisione.- espose Kevin, dando un’occhiata al BlackBerry tra le sue mani e sfogliando l’agenda virtuale.
Camminava in mezzo ai due fratelli, che, con le mani in tasca, fissavano  il pavimento o i passanti.
-Ehi, voi due, mi state ascoltando?- chiese il maggiore, guardando prima Joe e poi Nick.
-Cosa?- intervennero insieme.
-Lasciate perdere e seguitemi.- sbuffò scuotendo la testa, dirigendosi a passo svelto verso l’enorme grattacielo in cui risiedevano gli studi della loro casa discografica.
Joe aumentò il passo per stare dietro ai fratelli, ma si scontrò contro una donna che sfortunatamente stava passando lungo il suo raggio d’azione e che gli diede una spallata.
-Cazzo, fai attenzione a dove vai!- gridò alla malcapitata, che si girò a guardarlo con faccia esterrefatta per pochi secondi. Abbastanza tanto per sputargli in faccia “Stai calmo, non sei per niente il Dio in terra” e voltarsi per la sua strada.
Joe la maledisse mentalmente e tornò dai fratelli, notando che il maggiore lo stava fissando con aria eloquente.
-Cosa c’è? Vuoi  farmi la predica, di nuovo?-  chiese, enfatizzando le ultime parole.
-No, Joseph. Vorrei soltanto capire come mai ti comporti così. Sono mesi che tu e Nick andate avanti in questo modo, cosa vi prende?-
I due alzarono le spalle e si avviarono verso l’entrata, udendo Kevin che sbuffava e che molto probabilmente stava alzando gli occhi al cielo.

“Ma che razza di deficiente quell’uomo.” Pensò Lily, camminando decisa verso la redazione.
Sì, quella giornata era iniziata decisamente male e quell’incontro non aveva fatto altro che peggiorare il suo umore.
Sbatté la borsa sul tavolino del suo ufficio e sprofondò nella sedia girevole che aveva fatto richiedere apposta per lei: era già tanto se ogni mattina si recava in quell’edificio, quindi tanto valeva lavorare comodi.
-Tutto bene?- chiese una voce femminile.
Lily alzò la testa e vide Abigail che faceva capolino dalla porta, annuì e la invitò a sedersi.
-Giornata no?- continuò.
-Non puoi immaginare quanto.-
-Fammi indovinare? Tua madre.- disse senza esitare.
-E’ così scontato?- domandò con una punta di ironia, correlata da una smorfia sul viso.
-Diciamo che da quando lavoro qui, quello è stato il tuo problema principale. Ad eccezione di quel Max che ti aveva fatto perdere la testa e che quando ti aveva lasciata eri rimasta depressa per un paio di settimane; senza dimenticare, Sam! Quel ragazzo e le tue storie su di lui mi avevano fatto impazzire.-
Lily scoppiò a ridere. – Sam me lo ero dimenticato, grazie per avermelo riportato in mente.-
-Almeno ti ho fatto tornare il sorriso.- evidenziò la donna di fronte a lei.
Abigail era più giovane di Lily di tre anni, ma avevano cominciato a lavorare insieme in quella redazione: lei come apprendista, Lily come giornalista fissa, ovviamente grazie alla madre. Durante il periodo di prova, aveva frequentato la New York University e ora che l’aveva finita, era rimasta in quegli uffici solo perché non riusciva a trovare lavoro altrove, ma si era ripromessa che alla prima occasione se ne sarebbe andata da lì: quelle mura erano troppo strette per lei, come lo erano per Lily.
La loro amicizia era nata come spirito di aggregazione e si era sviluppata nel corso degli anni che erano state insieme, con un ufficio accanto all’altra. Abigail era la classica ragazza della porta accanto: capelli a caschetto castani, occhi verdi e quella faccia acqua e sapone a cui nessuno avrebbero potuto dire di no. Abitava nel West Village e, a differenza di Lily, la sua famiglia non aveva fatto nulla per aiutarla nella sua carriera: era indipendente sia economicamente, che caratterialmente. Se tutti andavano da una parte, lei avrebbe scelto la via opposta a costo di complicarsi la vita.
-Le signore qui presenti potrebbero dedicarsi al loro lavoro, piuttosto che a futili argomenti, dato che non è per quello che le ho assunte? Avrete tempo nella vostra pausa pranzo.- Il signor Howard entrò nell’ufficio di Lily e si mise di fronte alle due donne. –Sempre se avrete ancora la vostra pausa pranzo.- sibilò  tra i denti. –Signorina Smith, perché non si avvia verso il suo ufficio visto che devo scambiare due parole con la sua collega.- Così dicendo si sporse verso la porta e la tenne aperta, mentre Abigail usciva e scambiava un’occhiata fugace con Lily.
-Allora,- esordì il suo capo, dopo essersi accomodato sulla sedia davanti alla scrivania, -come sei messa con l’articolo?- Incrociò le dita al petto e aspettò la risposta.
-Me l’ha consegnato ieri, mi dia il tempo di organizzare alcune cose..- disse con aria accusatoria.
-Non c’è tempo! Ti ho dato un mese e non intendo prolungare l’attesa.- Detto questo uscì dall’ufficio, sbattendo la porta.
Perché tutta quest’ansia? Lily proprio non riusciva a capire.

-No, quest’assolo in questo punto della canzone non ci sta per niente bene.- disse sconsolato Kevin, mentre alzava gli occhi e guardava i due fratelli appoggiati svogliatamente ad un tavolino dietro il vetro della sala registrazione. Lasciò la chitarra in mano al tecnico e si diresse verso di loro.
Era da quella mattina che si trovavano in quell’edificio e, escluso il maggiore, gli altri due si erano impegnati poco o nulla per alcune canzoni, per poi tornare a sedersi e osservare.
-Ragazzi, potreste darmi una mano?- chiese, sperando in un aiuto divino. –Lo sapete che i produttori vogliono un nuovo album, ma noi non abbiamo le canzoni. Possibile che voi non riusciate a fare nulla se non comportarvi come due adolescenti che non vogliono crescere?-
-Kevin,- iniziò il mezzano, mettendosi le mani dietro la testa, -te l’abbiamo già detto. Noi facciamo quest’album per fare un favore a te. Non ci interessa più nulla di questa carriera.- Si era alzato e lo fissava negli occhi. –Non ci farai cambiare idea. -
-E’ così anche per te?- biascicò rivolto a Nick.
Il più “piccolo” diede un’occhiata veloce prima a Joe e poi a Kevin. -Sì.-
-Se allora la pensate così, quella è la porta. Perché non ve ne andate?- li incalzò, indicando l’uscio dietro di sé. Il suo viso era una maschera senza espressione: i muscoli erano rilassati, ma al minimo movimento delle labbra si tendevano, quasi pronti ad esplodere.
-Perché te l’abbiamo promesso.- disse semplicemente Nick.
-E perché tu sei nostro fratello e ti vogliamo aiutare.- aggiunse Joe, appoggiando una mano sulla spalla di Kevin; quest’ultimo con un rapido movimento si scansò e una smorfia si dipinse sul suo viso.
-Forse non avete capito: la domanda di prima non prevedeva una risposta. Voi ve ne dovete andare di qui. E’ un’affermazione.- disse categorico il maggiore, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi.
I due si fissarono sbalorditi. -Ma..-
-Non accetto repliche. Fuori di qui.-
Joe e Nick si alzarono e trascinarono la porta dietro di loro, facendola chiudere con un colpo secco.
Kevin si lasciò cadere sulla sedia su cui fino a pochi secondi prima era seduto Nick e si appoggiò con i gomiti al tavolo, portando le mani nei capelli. –Che cosa ho fatto?- sussurrò l’ormai trentenne Kevin Jonas rendendosi conto che ora era, letteralmente, nella merda. Colto da un attimo di lucidità, prese il telefono e annullò l’intervista prevista per quella sera.

-Chiami un taxi?- chiese Joe, rivolto al ragazzo con i capelli ricci di fianco a lui: i venticinque anni non pensavano sul suo viso: sembra essere rimasto il ragazzo che era stato un tempo, anche se di cose ne erano cambiate da quando erano stati presi dalla Disney fino ad allora.
-Sì, vieni con me?-
-No, faccio ancora un giro.-
-Avverto mamma di non chiamarti a casa.- ridacchiò il minore, facendogli l’occhiolino ed entrando sul taxi che si era appena fermato davanti a lui.
Joe scosse la testa e si avviò lungo la strada principale, trafficata da ogni sorta di persona: era l’ora di punta e le vie si stavano affollando con lavoratori appena usciti dai rispettivi uffici. Si tirò su il cappuccio e mise le mani in tasca, mentre evitava di scontarsi contro le persone.

-Jenny? Mi senti?-
Lily si sistemò il cellulare vicino all’orecchio, tenendolo saldo con una spalla, mentre cercava di infilarsi i guanti.
-Sì, dimmi tutto.- disse una voce decisamente troppo allegra dall’altra parte della linea.
-Non dirmi che stai già bevendo! Sono solamente le sette di sera. – disse con tono accusatorio. Jenny era la sua migliore amica dai tempi dell’infanzia ed era completamente l’opposto di Lily. Feste, ragazzi e shopping: ecco la sua filosofia di vita.
-E’ solo un aperitivo, stai tranquilla. Cosa dovevi dirmi?-
-Niente, lascia perdere. Volevo sapere se ti andava di andare al nostro club, ma- si fermò, udendo il parlottare di una voce maschile, -sento che sei già occupata. Ti chiamo domani.-
-Mi dispiace, Lil. Domani, però, sono prenotata per te.-
Lily si avviò sicura lungo la via: sarebbe andata lo stesso a quel club, aveva decisamente bisogno di liberare
la mente dai pensieri e quel posto era la sua ancora di salvezza.


Nota dell'autrice: Nello scorso capitolo mi ero dimenticata di appuntare l'età dei personaggi per rendere più facile la comprensione:
Lily Brown: 28 anni
Joe Jonas: 28 anni
Nick Jonas: 25 anni
Kevin Jonas: 30 anni
Abigail Smith: 25 anni
Jenny McGraw: 28 anni

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Capitolo 3
*** Good boys go bad. ***


@abigailw13 grazie mille! *_* ben presto vedrai come si evolverà la storia dei Jonas e dei loro comportamenti u_u
aaah sì era questa la storia che ti dicevo, in cui una della protagonista si chiamava come te ;D
@Shakermaker sono contenta che ti piaccia come tematica! ;D non a tutti piace quando il personaggio è OOC xD
grazie mille! *_*
grazie anche a chi mi ha tra i preferiti o tra le seguite.
e grazie anche a coloro che leggono, ma non commentano xD cosa credete? me ne accorgo delle visite =DDDD
anyway, un commento non fa mai male ;D


Capitolo 3
Good boys go bad
I know your type
Boy, you’re dangerous
Yeah, you’re that guy
I’d be stupid to trust
But just one night couldn’t be so wrong
You make me wanna lose control
Cobra Starship Ft. Leighton Meester - Good Girls Go Bad
L’odore dell’alcool penetrava nelle narici e inebriava i sensi dei presenti: quel profumo a metà tra l’aspro e il dolce, tra libertà e dipendenza, tra rischio e paura, tra moralità e proibizione.
La giovane donna si fece spazio tra le persone fino ad arrivare al bancone, illuminato da faretti bianchi e fucsia che offuscavano la vista. Non era il suo tipo di locale, ma, per colpa di Jenny e Abigail, lo frequentava da così tanto tempo che ormai era diventata un’abitudine recarsi in quel posto per un drink.
Si sedette su una sedia all’angolo del bancone e posò la borsa sulle gambe, mentre cercava con gli occhi il barista: era il classico uomo sulla cinquantina che ti aspetti di trovare nei bar di periferia e non in pieno centro di New York. Lily, tra una serata e l’altra, aveva appreso la sua storia, scoprendo che aveva ereditato la passione per le bevande alcoliche dal padre, il quale aveva superato l’era del proibizionismo facendo quel lavoro illegalmente.
Aprì la carta dei cocktail e scrutò la lista in cerca di qualcosa di nuovo, anche se alla fine prendeva sempre il solito.
-Mi scusi!-
Di fianco a lei, un uomo cercava da un pezzo di attirare l’attenzione del barista, senza ottenere i risultati sperati. Lily ci aveva fatto caso appena seduta, ma aveva deciso di lasciarlo perdere: sarà stato il classico novello, che non sapeva come funzionavano le cose da quelle parti.
Accigliò il sopracciglio, guardandolo di sottecchi e scuotendo senza farsi notare la testa: in fondo, le faceva pena.
Alzò la testa e fissò il barista, facendogli segno di venire verso di lei: -Bob, due Martini. Uno per me e uno per il signore qui presente.-
L’uomo si voltò verso Lily e la fissò corrucciato: -Potevo riuscirci anche da solo ad ordinare.-
A parlare fu più il suo orgoglio maschile che la sua bocca collegata al cervello.
-A me non sembrava.- constatò Lily, non degnandolo di uno sguardo. Si aspettava almeno un “grazie”, ma, si sa, che quando una donna ferisce l’animo di un uomo non ci si può aspettare nulla in cambio.
Bob posizionò i bicchieri di fronte ai due e se ne andò, lanciando un’occhiata interrogativa a Lily.
-Sei nuovo di qui?- gli chiese. Ora che aveva fatto un atto gentile nei suoi confronti, tanto valeva intrattenere una conversazione.
-Sì, prima frequentavo un bar negli Harlem.- spiegò  -Piccolo e indiscreto.- sussurrò così piano che Lily fece fatica a sentirlo.
-E perché sei qui allora?- continuò la donna, non capendo il significato della sua risposta.
-Mi ci sono imbattuto per caso.- disse vagamente.
Lily decise non chiedere altro: non era decisamente un tipo di tante parole e non aveva voglia di continuare una conversazione in cui solo lei poneva le domande.
Mentre sorseggiava il suo Martini, lanciò occhiate fugaci al suo vicino e notò che i suoi occhi guizzavano su ogni persona del club, come se stesse cercando qualcuno.
Lily tené a freno il suo desiderio di curiosità che le nasceva dentro: se c’era una cosa necessaria per il suo lavoro era quella caratteristica, ma al di fuori era davvero stressante non poter sapere tutto quello che voleva.
-Perdonami, non mi sono presentato. Sono J.. Justin.- disse il moro, allungando una mano verso di lei.
Lily prese la sua mano riluttante e si presentò, mentre fissava per la prima volta negli occhi il suo vicino, le sembrò quasi di averlo già visto, ma sicuramente era un’allucinazione dovuta alle luci del bancone.
Prese a giocherellare con il bicchiere fra le sue dita: faceva sempre così quando sentiva che c’era qualcosa che non andava.
-Allora, Lily, deduco che dovrei ringraziarti per avermi ordinato da bere.- disse Justin, alzando un sopracciglio.
-Che intuito.- sbottò. “Se sta cercando di provarci con me, è partito con il piede sbagliato.”
Il giovane uomo si girò verso di lei e la squadrò. –Scusami. Non volevo offenderti. È che sono stato preso da un attimo di irritazione: non capita tutti i giorni che una donna batta un uomo.-
-Dovresti imparare a scendere dal tuo piedistallo, allora. Il mondo sta cambiando e tu sei rimasto fermo ad alcuni decenni fa.- disse secca Lily, cercando nella borsa il portafoglio.
-Lascia stare. Te lo offro io.- si precipitò a dire Justin, bloccandole il polso con la mano.
Lily lo fissò prima negli occhi e poi spostò lo sguardo sulla sua mano: non era normale quel brivido che aveva sentito lungo la schiena. Decisamente no. Doveva uscire da lì e allontanarsi da quello strano individuo il più presto possibile: c’era qualcosa di sbagliato in lui, ma la sua mente al momento non voleva decifrare quale fosse il problema.
Spinse con forza la porta del locale e si incamminò a passo veloce verso la via dove c’era il suo appartamento, ma si rese conto che era ancora molto lontana. Rallentò abbastanza da riprende il fiato, quando sentì la sua voce che la chiamava.
-Ti prego, fermati.-
Lily non seppe quale parte del corpo ascoltò, ma in quel preciso momento si fermò e si girò verso la figura che le veniva incontro. -Cosa c’è?-
-Ti posso riaccompagnare a casa? A quest’ora ci sono tipi poco raccomandabili in giro.- chiese con il fiatone.
Lily lo guardò accigliato. -Stai parlando di te stesso?-
-Io non sono chi tu pensi che io sia.-
-E cioè?-
-Un maniaco, un ladro o chicchessia.- disse, alzando gli occhi al cielo. -Ricominciamo da capo. Va bene? Piacere, io sono Justin e volevo ringraziarti per avermi ordinato da bere.-
Lily esitò, ma poi gli strinse la mano: il suo cervello aveva deciso di non collaborare. -Piacere, io sono Lily e volevo ringraziarti per avermi offerto da bere.-
Si incamminarono fianco a fianco lungo le vie. Arrivarono sotto il portone della casa di Lily e cadde un silenzio imbarazzante.
Fu Lily a rompere il ghiaccio. -Beh, allora ci vediamo.- disse imbarazzata.
Justin si dondolò sui talloni e poi decise di sporgersi verso di lei in un goffo abbraccio e si allontanò nella notte newyorkese.

-Sei già a casa?- esclamò sbalordito Nick al telefono con Joe.
-A quanto pare.- sbottò il fratello, seduto sul divano mentre cercava di trovare qualcosa da vedere in televisione. -Ma non è la domanda giusta, vero?-
-No, infatti. Perché sei da solo? Negli ultimi mesi mi ero abituato a vederti con una ragazza diversa ogni sera. E quando dico ogni sera lo intendo nel senso stretto della parola. Cos’è successo questa volta?-
Joe sbuffò e si passò una mano nei folti capelli neri. -Ho fatto un casino.- sospirò -Ho incontrato una ragazza ad un club in centro. Molto carina. Peccato che non so cosa si sia bevuto il mio cervello in quel momento e mi sono presentato con il nome di Justin.-
-Justin? Potevi sceglierne uno migliore.- ridacchiò Nick dall’altro capo del telefono. -Ma lei non ti ha riconosciuto?-
-No, è questo il fatto che non capisco. Però non mi convince: mi guardava con uno sguardo strano. Forse lo sospettava.-
-Se vuoi rivederla, quello che devi fare al più presto è dirle la verità o se lo verrà a sapere da sola, sarai ancora più fottuto.-
-Grazie dell’aiuto.- disse Joe scuotendo la testa e chiudendo la telefonata.
Si avviò verso il suo letto e per la prima, dopo parecchi mesi, si addormentò da solo.

Lily era ferma di fronte al computer, ancora con il cappotto addosso. Mentre saliva le scale aveva avuto un flash nella mente e l’immagine del cantante su cui avrebbe dovuto indagare le era passata davanti agli occhi. Aveva ricollegato ogni punto a Justin, o per meglio dire Joe, e ora non rimaneva che controllare se le sue ipotesi erano giuste.
Bastò cercare il suo nome su Google e un’immensa quantità di foto di Joe Jonas si presentarono davanti a lei. Maledisse mentalmente la poca luce del club e sentì uno strano bruciore arrivare dagli occhi. No, non poteva provare sentimenti per quel cantante. Era soltanto un altro, stupido articolo da fare per il giornale e lei non doveva mettere di mezzo le emozioni: poteva essere carino e simpatico questo Joe, ma rimaneva senz’altro un bastardo che non aveva neppure avuto il coraggio di presentarsi.

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Capitolo 4
*** I’m gonna getcha good. ***


Ok. Pensavate che fossi scomparsa, eh?
Mi dispiace per voi: sono tornata. ;D
Tra un impegno e l'altro rimandavo sempre la scrittura di questo capitolo. Cercherò di postare il prima possibile da ora in poi. :)
@abigailw13 Ahahah forse Joe è davvero scemo. E non è solo una constatazione oggettiva. Poveretto *pat pat sulla sua spalla* La mia mente è qualcosa di contorto! Non la capisco neppure io! xD Comunque, grazie mille per il commento! Sono contenta che ti piaccia! *_*
@Shakermaker Anche a me l'immagine da bravi ragazzi mi sta stretta ;D Ma forse vederli così ispira - e non poco - la mia mente malata xD Grazie mille per il tuo commento! *_*

Già che ci sono vi lascio i link del mio twitter http://twitter.com/likeasong_ (se, ad esempio vi venisse voglia di seguire i miei scleri quotidiani xD) e di formspring http://www.formspring.me/wannaflyAWAY (se avete una qualsiasi domanda da farmi ;D)

Buona lettura e commentate! =D
Capitolo 4
I’m gonna getcha good
I'm gonna getcha while I gotcha in sight
I'm gonna getcha if it takes all night
You can betcha by the time I say "go," you'll never say "no"
I'm gonna getcha, it's a matter of fact
I'm gonna getcha, don't cha worry 'bout that
You can bet your bottom dollar, in time you're gonna be mine
I’m gonna getcha good – Shania Twain

Lily chiuse con determinazione la porta e si precipitò verso l’ascensore. Era in ritardo, come sempre. Non c’era una mattina che riuscisse ad arrivare puntuale al lavoro. Ma ormai tutti quanti si erano abituati al suo orario e non se ne preoccupavano più. Salutò in fretta il portinaio e uscì dal palazzo.
Solitamente andava al lavoro a piedi, ma questa volta aveva decisamente bisogno di un taxi.
Si gettò sulla strada e gesticolò con il braccio alle macchine gialle che passavano, ma sembrava che quella mattina fossero tutte occupate. -Maledizione!- disse a denti stretti. I boccoli scuri le ricadevano lungo la schiena, mossi dalla brezza mattutina: non aveva neppure avuto tempo di legarli. Si passò una mano tra questi, cercando di elaborare una soluzione.
-Ti serve un passaggio?- chiese una voce maschile dietro di lei. Profonda, suadente. Maledettamente sexy.
Appoggiato con la schiena ad un Suv nero, Joe Jonas fissava Lily in attesa di una sua risposta.
-Piuttosto vado a piedi.- rispose lei bruscamente. Ritornò sul marciapiede e s’incamminò a passo veloce, senza degnarlo di uno sguardo.
-Ehi, ehi. Aspetta.- urlò il cantante, raggiungendola. -Possibile che ti debba sempre rincorrere?- La prese per il polso, ma lei prontamente si liberò dalla presa.
-Sì, è possibile. Adesso, per favore, lasciami in pace. Devo andare al lavoro e sono in ritardo.- biascicò, continuando a tenere lo sguardo basso.
-Ti accompagno io, ti prego.-
Lily, in quel momento, trovò estremamente interessante la maglietta bianca con scollo a V, quel semplice giubbotto di pelle e quella sciarpa nera, indossata più come accessorio che come indumento utile, di quell’uomo davanti a lei. Come faceva ad apparire affascinante anche con dei semplici capi d’abbigliamento? Sorrise a quei pensieri così improbabili. Così stupidi, che se ne vergognò.
-Non hai freddo?- mormorò, ignorando la sua richiesta.
-Che cosa hai detto?- chiese sorpreso Joe, aggrottando le sopracciglia.
Lily alzò il suo viso e lo fissò per la prima volta in quella giornata negli occhi. Era alto, tremendamente alto rispetto a lei. -Ho chiesto se non hai freddo. È quasi dicembre, la temperatura è sotto lo zero e tu vai in giro con una semplice maglietta. Non ti sembra un po’ eccessivo?-
-Niente è troppo per J..- disse con enfasi. -Justin.-
Lily si incupì. -Voglio dire, ho vissuto sia in New Jersey che in California, sono abituato a qualsiasi clima.- cercò di correggersi.
Una campana in lontananza risuonò. Lily sgranò gli occhi. -Sono già le otto?- si diede una rapida occhiata attorno. No, di un taxi non c'era neppure l’ombra. Si voltò verso Joe. -E’ ancora valido il passaggio?-
Era davvero in una situazione d’emergenza.

-Stai scherzando?- urlò Abigail, avvinandosi alla scrivania di Lily e appoggiando le mani su di essa in attesa di tutti i dettagli che la donna di fronte a lei aveva da dire.
Per tutta risposta, la collega la fulminò con lo sguardo. -Sei pazza? Non urlare o il capo si infuria sul serio questa volta.-
-Stiamo parlando di lavoro.- ribatté convinta. -Allora? Cos’è successo?-
Lily spiegò la serata e il passaggio in macchina di quella mattina ad Abigail che ascoltava interessata, annuendo di tanto in tanto o scuotendo la testa quando le raccontava del comportamento di Joe.
-Secondo me, gli piaci.- giunse alla conclusione l’amica, incrociando le mani al petto e appoggiandosi allo schienale della sedia. La sua faccia era seria, ma Lily non riuscì a non scoppiare a ridere.
-Abbie, ti rendi conto di ciò che hai appena detto? Non ci conosciamo neppure, non sa nulla di me: come potrei piacergli? E poi lui è soltanto un altro di quei cantanti usa e getta, senza carattere, tutti fatti a stampo.- spiegò la donna, enfatizzando le sue parole gesticolando con le mani.
La collega davanti a lei la fissò a lungo. -Lily ti conosco meglio di me stessa: quando fai così con le mani, vuol dire che c’è qualcosa che non và. Non mentire a te stessa. Oltretutto io non ti avevo chiesto di dirmi cosa ne pensavi di Joe Jonas, avevo solamente fatto un’affermazione, mentre tu hai iniziato a parlare di lui.- disse con aria eloquente. -Allora? Cosa mi stai tenendo nascosto?-
-Assolutamente niente.- rispose Lily decisa, alzandosi dalla sedia ed aprendo la porta. -Devo lavorare, Abbie.-
La collega si avviò verso l’uscita e scosse la testa. -Ricordati che ti conosco meglio di chiunque altro.-

-Allora? Chi è il fortunato?- gridò Jenny, cercando di sovrastare il rumore della musica di sottofondo.
-Credo che stiamo diventando troppo vecchie per questo posto.- sviò Lily, facendo finta di non sentire la domanda dell’amica. Faceva scorrere le sguardo su ogni persona di quel bar, ma non vedeva altro che giovani impresari in giacca e cravatta.
Quella sera Lily aveva ceduto alle richieste di Jenny ed era andata con lei al loro club. “Una promessa è una promessa” le aveva detto l’amica al telefono, quando le aveva riferito che non era in vena di uscire.
Jenny la fissò sbalordita: -Ehi, che ti prende? Per prima cosa, noi abbiamo ventotto anni. Non siamo vecchie. Tutta questa gente in questo posto ha la nostra età. Seconda cosa, rispondi alla mia domanda.-
-Quale domanda?- Si portò il bicchiere di Cosmopolitan alla bocca e lo sorseggiò lentamente, cercando di prendere tempo.
Da quel tavolino, potevano vedere tutto il locale. Era il loro tavolo, perché da quando venivano lì Bob l’aveva praticamente riservato a loro. “Per le mie eterne signorine” diceva con il classico accento da gentiluomo del sud. Lily riusciva ad osservare ogni persona che entrava dentro, forse sarebbe riuscita a riconoscere i suoi occhi, i suoi capelli, quel suo poco di barba che lo rendeva più sexy di quello che era già.
-Basta.- Posò di scatto il bicchiere vuoto sul tavolo e si passò una mano tra i capelli.
-Basta? Sei solo al primo, stai scherzando tesoro?- chiese Jenny esterrefatta. -Cameriere!- urlò, al giovane ragazzo in divisa da lavoro che stava passando lì vicino. -Un altro giro per me e la mia amica.- disse con aria ammiccante. -Questa serata si prospetta molto lunga- sussurrò, avvicinandosi a Lily.
-No, Jenny. Se continuo a bere, potrei non rispondere più di me.- disse sconsolata.
-Non ci credo. Come lo reggi tu l’alcool, non lo regge nessun’altro. Avanti, dimmi tutto ciò che ti turba.-
-Joe.- ammise solamente.
-Joe chi? Conosco diverse persone con questo nome: Joe Smith, Joe Burke, Joe McGregory.. Adesso non mi vengono in mente, ma sono tutti molto simpatici. È tra questi?-
Lily aspettò che finisse di blaterare e appoggiò una mano sotto al mento. -Jonas-
Jenny si ammutolì.
Il cameriere portò i due bicchieri e li posò delicatamente sul tavolo, cercando invano gli occhi azzurri della giovane donna che li aveva ordinati. Se ne andò, girandosi di tanto in tanto ad osservare i suoi lunghi capelli neri le ricadevano scomposti oltre le spalle e quel poco filo di make-up sulla faccia che la rendeva estremamente attraente agli ormoni maschili. Aveva sempre giocato con questa sua qualità. E ne era sempre uscita vincitrice.
Adesso, se Lily non l’avesse conosciuta bene, avrebbe detto che entro pochi minuti sarebbe caduta al suolo, invece sapeva che era la sua solita reazione a qualcosa di sconvolgente. Troppo sconvolgente.
-Jonas?- Biascicò quel cognome, continuando a guardarla con uno sguardo minatorio.
-Jonas.- confermò.
Buttò giù tutto il contenuto del suo bicchiere e iniziò a rigirarselo fra le dita: aveva il suo stesso vizio.
-Non mi piace quel verginello, non mi ispira fiducia.- ammise.
-Neppure a me.-
Si fissarono ancora per alcuni istanti. -Cosa vuoi fare?- eruppe Jenny. Tra tutti i ragazzi che si era aspettata di sentire nominare, Joe Jonas non rientrava nella lista. Fin da quando erano piccole non avevano mai avuto una nota di riguardo per quella band: non volevano farsi contaminare dal loro stile di vita. Troppo diverso, troppo semplice. Loro avevano bisogno di libertà, di apparire, di trasgredire.
-Non lo so. In fondo.. Mi serve.- sospirò Lily. -Però, credo che se gli starò accanto attirerò a me solo guai. Anche perché per adesso, sta fingendo di chiamarsi Justin. Davvero squallido.-
L’ amica non disse niente per pochi secondi, poi un sorriso perfido spuntò sulle sue labbra. -Beh, l’idea di sfruttare un Jonas mi piace dopottutto. E tanto a noi piacciono i guai, no?- Alzò il bicchiere, incitando Lily a fare lo stesso. -Direi di fare un brindisi a Joe Jonas, il prossimo uomo con un cuore infranto.-
La giovane donna di fronte a lei sorrise e fece tintinnare il bicchiere al suo.

***

Suonò insistentemente il campanello. Erano cinque minuti che cercava di svegliare il fratello, ma evidentemente la sera prima aveva fatto tardi, come suo solito. Si chinò e prese da sotto il tappetino la chiave di riserva. Come sei stolto, mio fratellino. Sorrise compiaciuto e silenziosamente entrò nella casa buia. Si diresse verso la sua camera da letto e accese la luce. Immediatamente sentì un grugnito provenire dal letto: -Chi cazzo è a quest’ora?- La voce, ovattata dal cuscino, arrivò fino al fratello che stava cercando qualcosa da indossare nell’armadio. Prese una camicia scura e un paio di jeans e li buttò sul letto.
Si avvicinò al punto in cui le lenzuola terminavano e le tirò via, mostrando il fratello ancora in boxer mezzo addormentato. -Sveglia Nicholas! Dobbiamo uscire. Lavati e cambiati velocemente!- urlò Joe, facendo irritare il fratello minore.
-Ma che ore sono?- brontolò l’altro. Si mise a sedere e si passò una mano sugli occhi, mentre cercava di mettere a fuoco la sveglia davanti a lui.
-Sono le nove di sera e devo assolutamente andare in un bar. E tu mi devi accompagnare!- spiegò Joe a raffica. Nick comprese poco o niente di quello che il fratello stava dicendo, si alzò dal letto di malavoglia e si avviò lentamente verso il bagno. Quando richiuse la porta dietro di sé, il maggiore stava ancora blaterando qualcosa su una ragazza dell’altra sera.

Si guardò nello specchietto retrovisore della macchina di Joe cercando di mettere al proprio posto i riccioli rimasti schiacciati durante il sonno. -Potevi avvertirmi prima che saresti passato, no?- disse Nick seccato, appoggiandosi al sedile.
-Se tu avessi acceso il cellulare, avrei potuto anche farlo.- rispose il maggiore, girando di nuovo verso di lui lo specchietto e sistemandolo in modo che vedesse la strada dietro di sé.
Nick scosse la testa, guardando fuori dal finestrino i vari palazzi che stavano oltrepassando. -Era scarico-
Joe ridacchiò. -Questa scusa la usavo sempre io con nostra madre. Allora, chi era quella di ieri sera?-
-Una conosciuta per caso.- Sbuffò per essere stato scoperto. -Non ricordo neppure come si chiamava. Invece, adesso andiamo dalla tua nuova fiamma? Ti sei preso una bella sbandata: non ricordo quando sia stata l’ultima volta che hai rivisto per due volte di seguito la stessa ragazza!- Ridacchiò, divertito dalle sue stesse parole.
Il fratello strinse il volante più forte. -Grazie per il sostegno, fratellino.- disse sdegnato.  Rallentò con l’auto e parcheggiò di fronte ad un locale con un enorme porta di vetro e un tappeto rosso che portava all’entrata.
-Si tratta bene la tua nuova fiamma, eh?- disse sarcastico Nick, passando davanti ai due buttafuori che stavano davanti all’entrata del club.
-Smettila di chiamarla nuova fiamma. Mi sto pentendo di averti portato con me.- disse Joe esasperato, facendosi largo tra la folla e cercando in ogni persona qualcosa che gli ricordasse lei.
-Io vado a prendermi un drink. Ti unisci a me?- chiese il minore, toccando la spalla del fratello che sembrava perso nei suoi pensieri.
-No.. Vai. Io devo.. Io faccio un giro ai tavoli.- rispose, senza troppo interesse.

-Jenny?- esordì Lily esitante. L’amica la guardò senza capire cosa stesse succedendo. -Andiamocene.-
-Ma sei impazzita? Sono appena le dieci.- Bevve l’ultimo sorso di quello che forse era già il terzo o quarto bicchiere di qualche strano miscuglio alcolico, quando si accorse della faccia persa di Lily. -Non dirmi che è quello che penso.-
La donna, invece, annuì lentamente. Cominciarono a prendere le proprie borse, quando una voce maschile ruppe i loro pensieri silenziosi.
-Lily?- disse indeciso. Il suo tono era titubante, ma senza dubbio non aveva perso le sue caratteristiche persuasive. Lily si girò di scatto verso di lui, facendo ondeggiare i capelli. Non se ne rendeva conto del potenziale sensuale che aveva quel gesto e Joe si trattenne a stento dal prenderla e portarla via da quel locare, cosicché potesse essere solo sua.
-Justin? Cosa ci fai qua?- pronunciò lei, cercando di non far trapassare nessuna emozione dalla sua voce.
Se gli sguardi potessero uccidere, a quest’ora Jenny avrebbe già potuto commettere un omicidio nei confronti di tutti e due. Si alzò e fece segno a Joe di accomodarsi. -Stavo andando via. Lily invece desiderava rimanere ancora un po’, vero?- esclamò con una falsa voce, facendo un enorme sorriso verso l’amica. –Quindi perché non la intrattieni tu?- continuò rivolta a Joe.
Si avvicinò all’orecchio di Lily e sussurrò. -Ti ho vista. Ho visto i tuoi occhi. Sei persa.-
E così se ne andò da quel tavolino.

-Un mojito, grazie.- chiese Nick al barista, sporgendosi verso il bancone.
Si guardò attorno alla ricerca di una sedia, ma evidentemente quel locale era provvisto del minimo indispensabile. Appoggiò i gomiti e osservò i vari movimenti di Bob, mentre preparava il suo drink. Perché mai Joe aveva dovuto trascinarlo lì? Perché si era ritrovato un fratello privo di un cervello che ragionasse per il verso giusto?
Sbuffò e lasciò una banconota sul bancone, biasciando un “Si tenga il resto.
-Io prendo quello che ha preso il signore qui accanto.- Nick si girò verso la figura di quella donna di fianco a lui. -Non le dispiace se mi metto qua, vero?-  chiese lei, con quella sua aria da eterna bambina.
-No.. Per niente.- rispose l’uomo, preso alla sprovvista. Ne aveva viste tante di ragazze, ma questa era decisamente fuori dai soliti canoni di bellezza. Aveva qualcosa in più rispetto a tutte.
-Piacere, sono Jenny.- disse porgendo la mano, mostrando il suo sorriso ammiccante.
-Piacere, Nick.-
E quello non fu altro che un piccolo inizio.

***

I loro vestiti avevano creato una scia che portava fino alla sua camera da letto. Quella notte, non sapevano bene come, si erano ritrovati tra quelle lenzuola spinti solo dal desiderio.
Quel tessuto bianco fasciava le gambe dei due, lasciando le loro schiene scoperte, illuminate dai primi raggi mattutini. Dormivano ancora, l’uno nelle braccia dell’altro. La mano di lui stretta in quella di lei.
Ancora per poco.
Jenny aprì gli occhi e li sbatté un paio di volte, cercando di ricordare dove fosse e chi fosse il ragazzo di fronte a lei.
Buio. Buio totale. Della sera prima, ricordava solamente un grosso numero di bicchieri sul bancone del bar e le risate con quell’uomo incontrato per caso. Poi, niente.
Si alzò velocemente, tentando di fare il minimo rumore possibile. Trascinò con sé il candido lenzuolo, lasciando scoperto il suo “compagno”. Raccattò i vari vestiti e si rivestì in fretta.
Stava quasi per uscire, quando una forza la portò a girarsi e tornare nella camera da letto. Prese il lenzuolo e lo rimise sopra il suo corpo. Strappò un pezzo di giornale e rimase un attimo interdetta sul che cosa scrivere. Un brontolio da parte del ragazzo la intimorì, scarabocchiò un rapido “Buongiorno” e uscì dalla casa. Giusto il tempo per guardare il nome sulla porta, Jonas, per poi prendere l’ascensore.
Solamente quando fu sola lì dentro realizzò che cosa avesse appena letto.
Non poteva essere lui.
Non un altro Jonas. Per favore.

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Capitolo 5
*** Past is coming back. ***


@abigailw13 Io adoro i tuoi commenti ai capitoli. E non sono "follie folli" come dici tu. ;D
Anzi, mi hai fatto morire dal ridere quando hai scritto "Quanto può essere gallo 'sto ragazzo?" xD
Grazie, come sempre gentilissima. *_*
@Poison Ivy Nucciaaaa, grazie mille! :D Sono contenta che ti piaccia!

Grazie a tutti quelli che continuano a seguire questa storia e mi dispiace per voi, ma sono tornata. E' vero vi ho fatto aspettare un sacco di tempo e mi dispiace davvero un sacco.
Anyway, che ne dite di lasciare un commentino?
Ogni capitolo riceve quasi 200 visite. u_u Non siate timidi e scrivetemi cosa ne pensate (accetto anche le critiche!)

Capitolo 5
Past is coming back.
People change and promises are broken.
Clouds can move and skies will be wide open.
 Don't forget to take a breath.
Jonas Brothers – Take a breath

-Dobbiamo parlare.-
Secca. Concisa. Non accettava repliche.
Jenny disse quella frase rivolta all’interlocutore dall’altra parte del telefono, che aveva risposto dopo un paio di chiamate perse.
-Noto con piacere che conservi ancora il mio numero. Ti sono mancato, piccola?- pronunciò malizioso l’uomo, mettendosi seduto sul suo letto dalle lenzuola bianche, soffocando uno sbadiglio.
-Non cambi mai, vero?- Sbuffò. - Tra un’ora, allo Starbucks sulla quinta strada. Cerca di essere puntale.-
Batté con il piede un paio di volte sul marciapiede, ascoltando il rumore sordo dei suoi tacchi, mentre cercava di capire la via in cui si trovava in quel momento, dopo essere appena uscita del palazzo dove risiedeva il Jonas con cui aveva appena trascorso la notte.
-E se ti dicessi che sono impegnato?- ghignò l’uomo, rigirandosi sul materasso e dando un’occhiata veloce alla sua sveglia, per poi ributtare la testa sul cuscino.
-Ti vengo a prendere con la forza.- fece una pausa, ascoltando la risata dall’altro capo del cellulare. -Lo sai che ne sono capace.- continuò con un pizzico di sfida nella voce.
-Lo so, lo so. Cercherò di non farmi troppo bello per te, così potrò arrivare in tempo.-
Jenny scosse la testa e, senza dire nulla, chiuse la chiamata.
Ripose il cellulare nella borsa e fermò un taxi: necessitava di una doccia, prima di incontrarsi con quella persona.

Era in ritardo. Ci avrebbe scommesso che sarebbe successo.
Jenny accavallò la gamba destra sulla sinistra e sorseggiò il suo frappuccino. Era seduta su un tavolino rotondo vicino alla vetrina del locale che dava sulla quinta strada: amava quella sistemazione, poteva osservare tutte le persone che passavano, senza che loro ci facessero particolarmente attenzione.
Poi lo vide che avanzava con la sua solita camminata da red-carpet, quasi al rallentatore, come se ci fosse una musica di sottofondo. La donna ridacchiò, guardando le facce incantate del gentil sesso che fissavano quell’individuo camminare: povere illuse, non poté fare a meno di pensare.
L’uomo entrò nella caffetteria e Jenny fece un piccolo cenno con la mano, invitandolo ad avvicinarsi.
-Grazie per avermi aspettato ad ordinare.- la rimproverò, sedendosi con ben poca grazia sulla sedia di fronte a lei.
-Buongiorno anche a te, Joseph. Solo mezz’ora di ritardo: stiamo migliorando.- lo rimbeccò, spostandosi un ciuffo di capelli neri che le era caduto sul viso.
Una smorfia si dipinse sulla faccia dell’uomo che scosse la testa e, incrociando le braccia, si appoggiò allo schienale della sedia. -Allora, come mai mi hai fatto venire qui di prima mattina?-
-Prima di tutto, sono le undici. Seconda cosa, questa notte sono andata a letto con tuo fratello. Terza cosa, che intenzioni hai con Lily?- sputò Jenny velocemente.
Joe ridacchiò. -Ora capisco perché porti gli occhiali anche qui dentro.-
-Vaffanculo, Joseph.- brontolò, senza mezzi termini -Adesso, rispondi alla mia domanda.-
L’uomo alzò le spalle e guardò fuori. -Non lo so,- disse svogliatamente -ci ho parlato poche volte.-
Jenny scosse la testa. -Senti, io ti conosco bene..- Joe si voltò verso di lei di scatto e la fissò con aria eloquente, attraverso i suoi occhiali da vista con la montatura nera. -Va bene: io ti conosco fin troppo bene e so come tratti le donne. Non voglio che Lily sia un altro tuo trofeo. Ci tengo a lei e non voglio che tu la ferisca.-
-Non ho mai detto di volerla ferire.- sbottò, giocherellando con il capello blu oltremare di lana che teneva fra le mani.
-Tu lasci troppe cose sottointese, troppe volte.- sussurrò Jenny, tanto che anche Joe faticò a sentirla.
-Questa volta ci sto andando cauto. Non so ancora cosa voglio, non so neppure se mai ci sarà qualcosa.-
Jenny sospirò e aspettò alcuni secondi prima di parlare. -Giuro che se la fai soffrire, ti faccio diventare femmina.-
L’uomo sogghignò e alzò le mani in segno di resa. -Passando a cose serie, qual era il secondo punto del tuo elenco?- chiese con il suo sorrisino malizioso che, se possibile, rendeva la sua faccia ancora più  strafottente.
Jenny esitò. -Oh, niente.-
Joe estrasse il cellulare dalla tasca e cominciò a comporre un numero, lanciando occhiate fugaci alla donna davanti a lei. -Che cosa stai facendo?- chiese lei, tamburellando con le dita sul tavolo, producendo un costante e fastidioso ticchettio con unghie.
-Chiamo Nick, ovvio.- rispose semplicemente.
-Che cosa?- esclamò Jenny. Si sporse sul tavolo, quasi rovesciò il bicchiere mezzo vuoto del suo frappuccino, e strappò il telefono dalle mani del proprietario. Premette il pulsante rosso e glielo riconsegnò. -Provaci e chiamo Lily, dicendole che un anno fa sei venuto a letto con me, parecchie volte, mentre intanto te la facevi con altre. Dici che sarà felice?- annunciò, con il suo sorrisino incomprensibile.
Sogghignò. -Da morire. Perché tanto tu non lo farai: non hai il coraggio di ferire la tua amica.- Un punto per Joe Jonas. Jenny abbassò le spalle, sconfitta, e lo invitò a continuare. -Allora, cos’è successo tra te e il mio fratellino?-
-Qualche bicchiere di troppo e il gioco è fatto. Ci siamo ritrovati nel suo letto.- spiegò, arrivando dritta al punto, gesticolando con le mani.
-Hai intenzione di provare tutta la famiglia Jonas?- chiese malizioso Joe.
Jenny lo fulminò con lo sguardo. -Non sapevo che fosse tuo fratello.-
-Strano, dicono che ci somigliamo.- disse l’uomo vagamente.
-Io dico che hanno bisogno tutti di un paio di occhiali da vista.-
La donna si alzò, prese la sua borsa e si avviò verso l’uscita. -Dove vai?- chiese Joe, seguendola.
-Fuori. Non si vede?- rispose, aprendo la porta e buttandosi nel caos cittadino.
Joe guardò prima l’interno del locale e poi Jenny, che si avviava con passo deciso lungo la quinta strada, con i capelli neri che ondeggiavano nel freddo vento di fine novembre. -Ma, Jenny!- la rincorse -non hai pagato!-
Lei sorrise. -E allora? Avevo dimenticato il portafoglio a casa, pensavo pagassi tu per me. Non sei proprio un gentiluomo.- Si girò a fissarlo, ma vide con la coda dell’occhio un cameriere che usciva dallo Starbucks e che si soffermava a fissarli.
Nel giro di un secondo afferrò la mano di Joe e cominciò a correre tra le persone, rafforzando la presa tra le sue dita e bruciando al solo pensiero di quel tocco. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che le loro mani si erano ritrovate in quella posizione, ma era stato abbastanza per cambiare i loro sentimenti?
 -Non ti voltare! Se ti vede in faccia siamo nei guai!- disse ansimando, mentre girava in un vicolo e trasportava Joe, ancora spaesato, dietro di sé.
Si fermarono dopo pochi metri. I due corpi erano vicini, troppo vicini.
-Mi ero dimenticato com’era stare con te.- disse ridendo Joe.
Le prese il mento con le dita e avvicinò il viso di Jenny al suo.
Erano così prossimi che potevano sentire l’uno il respiro affannato dell’altro.
Bastò un attimo e fece aderire le loro labbra. Desiderose, come lo erano state anche un tempo.
-Mi ero dimenticata di come baciavi.- disse questa volta Jenny, ridendo e staccandosi un poco da Joe, continuando a tenere le loro fronti appoggiate.
Lui la fissò un attimo. -Meglio di mio fratello?-
Jenny rimase un attimo interdetta. -Mi assumo la facoltà di non rispondere.- E si allontanò da lui. Un’ombra passò sul viso della donna. -E’ un errore, lo sai?-
-Lo so- sospirò lui, lasciando le braccia lungo i fianchi.
-Non voglio ricadere negli sbagli che ho fatto in passato.-
Si avviò verso l’uscita di quel vicolo e, dopo aver guardato ancora una volta l’immobile figura che stava ferma a pochi metri di distanza, si gettò nella folla, stringendosi la sciarpa di lana al collo, mentre una silenziosa lacrima le scendeva lungo il viso.
-Forse noi dobbiamo ancora imparare da questi sbagli.- sussurrò Joe impercettibilmente, osservando la figura che spariva dalla sua vista.
E in quel momento la frase “Puoi andare verso il futuro, quando il passato è ancora presente?” sembrava essere scritta apposta per loro.

***

Un leggero brivido scosse Abigail, che si strinse ancora di più nel suo cappotto nero, mentre se ne stava seduta su una panchina di legno umido. Amava quel posto, soprattutto quando il cielo si tingeva dei colori dei tramonti invernali e il silenzio della sera calava insieme a quel lieve strato di umidità che riempiva l’aria di minuscole goccioline fredde. Davanti a lei i grattacieli con tutte le luci accese sembravano ancora più maestosi di quanto non lo erano normalmente. A separarla da quella parte di New York c’era l’East River, attraversato dal ponte di Brooklyn, che pareva sospeso nell’aria a causa della leggera nebbiolina che aleggiava in quella zona; dall’altra parte il resto di New York sembrava distante, diverso. Sospirò e ammirò ancora per un attimo quei colori così freddi, tipici dei tramonti invernali, poi si alzò.
-Mi scusi, forse le ho dato fastidio. Me ne vado immediatamente.- Era una voce maschile, sconosciuta, dal tono basso e tremolante, che proveniva dalla destra della panchina da cui la donna di era appena alzata.
Abigail si girò di scatto, quasi spaventata dall’improvvisa comparsa di quell’uomo. -Cosa?- chiese, non capendo quell’affermazione.
-Mi sono appena seduto.- sorrise, malinconico. -E lei si è subito alzata.-
La donna fissò l’uomo, forse per qualche secondo di troppo, e quando se ne rese conto era troppo tardi. Lo sconosciuto ridacchiò, sembrava quasi una risata vuota, e poi girò la faccia, guardando davanti a sé. Aveva dei riccioli scuri, fitti, ma estremamente trascurati; i suoi lineamenti erano delicati e gli occhi erano di un color verde acceso, che venivano svalutati da delle profonde occhiaie. La faccia era pallida e magra, quasi come se non si curasse da molto tempo. Abigail ebbe quasi la tentazione di chiedere se stesse bene, ma ci ripensò e, titubante, si sedette di fianco a quell’uomo, nonostante la ragione le dicesse di andarsene.
-Perdonatemi, non mi ero accorta del suo arrivo.- sussurrò lei, rivolta a quello sconosciuto che fissava l’orizzonte perso nei suoi pensieri, e per un attimo si chiese se l’avesse sentito.
-Dammi del tu, ti prego.- Si girò e le tese una mano coperta da un guanto di pelle nera. -Mi chiamo Kevin.-
-Abigail, piacere.- tese anche la sua e si scambiarono una rapida stretta.
Passarono forse diversi minuti, in cui nessuno dei due disse nulla. Non era quel tipo di silenzio carico di parole, di emozioni, quel silenzio in cui non c’è niente da dire perché bastano degli sguardi o dei gesti. No. Questo silenzio era carico di imbarazzo. Abigail frugò nella borsa, alla ricerca di qualche distrazione. Prese distrattamente il cellulare e vide, con suo sommo dispiacere, che non aveva ricevuto nessun messaggio o chiamata. Sospirò e questo attirò l’attenzione della figura accanto a lei.
-Qualcosa non va?- chiese, osservando lo sguardo rattristato della donna, mentre scuoteva la testa. Si soffermò sullo schermo illuminato e un sorriso malinconico comparve sulle sue labbra. -In attesa in una chiamata importante?- domandò retoricamente. -So cosa si prova. Sono due giorni che aspetto notizie da delle persone importanti della mia vita, ma penso che mi abbiano completamente cancellato dalla loro.- tornò a guardare davanti a sé, continuando il suo monologo, che tutt’ad un tratto diventò personale. -L’unica cosa che ancora non ho compreso è il perché. Una persona passa gran parte della sua vita a compiere un determinato comportamento e quando capisce che è stato tutto un grosso sbaglio è sempre troppo tardi per cambiare. E quando lo fa, porta dietro di sé una scia di vetri rotti in cui tutte le persone accanto a lui sono costrette a camminarci sopra, ferendosi.- Abbassò lo sguardo e incrociò le braccia al petto: segno di chiusura. Forse si era accorto di aver esagerato. -Non trovi anche tu?-
Abigail boccheggiò per un attimo: quel discorso l’aveva scossa. -Io credo che tu abbia ragione, ma credo che se una persona è stata portata al cambiamento, c’è una parte nascosta di lei che ha bisogno di aiuto. Nessuno cambia senza motivo, nessuno vuole cambiare, la stabilità è una costante che tutti ricercano nella vita. Se c’è cambiamento, vuol dire che qualcosa non va.-
Questa volta fu Kevin a rimanere spiazzato da quella risposta. -Adesso hai ragione anche te.- Sorrise. Un sorriso diverso dagli altri. Sembrava quasi aver preso vita.
La donna guardò l’ora e si alzò frettolosamente, sistemandosi le pieghe del cappotto. -Mi dispiace interrompere questa conversazione, ma ora devo proprio andare.-
Kevin si alzò e mosse un passò verso di lei. -E’ stato un piacere parlare con te. Mi sei stata davvero d’aiuto.- La strinse in un abbraccio a sorpresa e ad Abigail sembrò di sentire il calore che sprigionava quel corpo stretto al suo; l’uomo si staccò e, sconcertandola ancora, le diede due rapidi baci su ciascuna guancia per salutarla. Abigail rabbrividì al contatto con il viso segnato da un leggero strato di barba e si allontanò velocemente. Cosa stava succedendo?
L’uomo sembrò in imbarazzo. -Ti va se ci rincontriamo?-
Abigail si chiese se improvvisamente il tempo non fosse andato indietro e adesso loro due fossero due adolescenti alle prime uscite. -Certo, ti lascio il mio numero.- Sorrise, sincera.

***

Schermo bianco.
Il trattino nero continuava a lampeggiare e avrebbe continuato ancora per molto, considerata la mancanza di ispirazione della donna.
Lily chiuse la schermata e si sdraiò sul suo letto, buttandosi all’indietro. Al contatto con quelle coperte morbide, chiuse gli occhi, anche se il sonno non si decideva ad arrivare: troppi pensieri, troppi problemi, troppo poco tempo. Non sarebbe mai riuscita a fare quel maledetto articolo per il suo capo.
Un’impercettibile vibrazione arrivò dal cellulare posato sul suo comodino. Lily si sporse per prenderlo e aprì il messaggio ricevuto: Buonanotte.
Una semplice parola che avrebbe fatto felice chiunque, ma non lei: il mittente era la causa delle sue complicazioni, Joe Jonas. Buttò il cellulare sul letto e si avviò verso la cucina per prepararsi un caffè. Erano le due di notte, ma per lei l’arrivo della mattina sarebbe stato ancora molto lontano ed era meglio se quelle ore le impiegava per il suo lavoro, piuttosto che a rimuginare sulla sua vita tra le coperte calde durante una fredda notte autunnale. No, non era convinta neanche lei della sua scelta.

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